Sena fe 33 è pe MRIALI SENO | ef " pera | ULT Quai, ha "HR VEE patt4 PT a) a) TOM do È - GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE E ARTI E. 10. del II.° Decennio 2. È I Ottobre I 185 I >» . 3 Pobllicato VA “De È 7 Dicembre. FIRENZE. AL CAETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO. DIG. P. VIEUSSEUX. i -. Direrrore E Eprrora. ( sui Li TIROGRAFIA DI. Luci PEZZATI. ALI , pasa] RX ISS Ya N 4 de EM L’ ANTOLOGIA si pubblica ogni mese per baita non; minore difogl to. Ita Ha ‘Tre fascicoli. compongono un, volume, ed ogni volume i pio gar da a indice generale delle materie. Le associazioni si prendono lo FmENZE, dal Direttore Editore G. P. Viéussenz.. E in MILANO; per tutto il regno i dalla Spedizione delle Gazzette, . ci î x Lambardo Veneto { presso /'/. e R. Direz. delle Poste. pi È in Tonino i per tatti li Stati Sardi, presso il sig. De Croletti, impiegato nelle o GENOVA i Ud ‘TR. Poste di Torino. | in MODENA presso Gem. Vincenzi e Co libr. in PARMA ©.) presso i sig, Derviè direttore delle Poste. in ROMA, per tutto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianc hi, impiegato nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif. ‘în Botocma 3 i presso il sig. Direttore delle Poste» . in Pesaro, presso Annesio Nobili in NAPOLI, | presso Ambrogio Piccaluga , Strada \S. Liborio, N. 33. in PALERMO , per tutta la Sicilia presso il sig. Carlo Beuf: ‘ in AUGUSTA presso la Direzione delle Gazzette. in VIENNA; per tatto 1’ Impero Austriaco, dalla. Spedizione delle Gazzette , presso 1° 7. e R. Direzione delle dose: ; in GINEVRA presso J. J. Paschoud. in PARIGI ‘presso J. Renouard Rue de Tournon N. 3%, 7 ip LONDRA presso.C. F. Molini N. 4i Paternoster Row x MANIFESTO TIPOGRAFICO. Non v'è forse persona colta in Italia che non conosca , per fama almeno, la celebratissima opera di Francesco Mario Pacino intitolata: Saggi politici dei principi, progressi e decadenza delle società; in cui alla filosofia più profonda è commista impa- reggiabile erudizione.— Le due sole edizioni che di tanto libro videro la luce, sono da lungo tempo esaurite, per cui vane rendonsi le ricerche che da molti si fanno per possederla. Intenti li sottoscritti Tipografi a pubblicare coi loro torchi le più insigni e ricercate produzioni dell’umano ingegno, e volen- do anche aderire alle brame di molti che li vanno sempre sollecitando, si sono indotti di buon grado a compiere l’ universale desiderio, e ne intrapre- sero una terza edizione. + Per facilitarne poi 1’ acqui- sto ad ogni classe di persone, hanno ideato di farne un’ edizione economica, la. quale sarà divisa in due soli volumi in 12.°, con carattere garamone; e pre- ceduti dall’ elogio storico dello stesso Autore. Il primo volume vedrà la luce nella prima 15.* del prossimo ottobre, ed il secondo in novembre p°. Il prezzo dei due volumi sarà di sole lir. 6. 50 ital. Li stessi Tipografi hanno paure intrapresa la stam- pa delle Vite dei famosi Capitani d’ Italia di Fran- cesco Lomonico coll’ aggiunta dell’ Elogio del prin- cipe Raimondo Montecuccoli scritto dal conte Ago- stino Paradisi. — Quest’ opera si raccomanda per se stessa agli Italiani, perchè in essa possono accorgersi che i loro maggiori non furono grandi solo nelle lettere e nelle scienze, ma nell’armi e nell’ arti militari an- cora, non men gloriose e forse più utili e necessarie delle prime ad una grande nazione.—Essa viene di- visa in tre volumi in 12.° con carattere filosofia e buona carta al prezzo di lir. 2.50 per ogni volume. Anche di quest’ opera si pubblicherà il primo vo- lume coi primi del prossimo ottobre , e gli altri di seguito. fn i Le sottoscrizioni si ricevono tanto presso li stessi Tipografi, quanto presso li distributori del presente Manifesto. Il prezzo d’ ogni opera non sarà pagato che al ricevere di ciascun volume. Avendo essi or ora condotto a termine, colla pubblicazione del quinto volume, anche 1’ opera di, Arrico Harraw, l’Europa nel Medio Evo, tradotta dal- l’ inglese da Michele Leoni, come al Manifesto d° as- sociazione , ne prevengono li signori Associati di far levare li volumi che potrebbero non aver ricevuti. Questa edizione essendo stata eseguita nel for- mato stesso della Biblioteca Storica di tutt’ i tempi e di tutte le nazioni, pubblicata dal Bettoni, le può servire come di seguito, e si raccomanda quindi doppiamente a chi già possiede quella collezione. II prezzo totale di questa interessante Storia sì è di lir 18. 50 pei cinque volumi. ‘Altre Opere sotto torchio presso li stessi Editori. Di varie società e instituziom di Beneficenza in Londra, coll’ aggiunta d’un Ragguaglio delle Instituzioni di be- neficenza pei poveri nel regno dei Paesi Bassi dette co- munemente Colonie. Parte seconda. (a compimento del volume pubblicato nell’ anno 1828). Il Galateo di Melchiorre Grosa, edizione scrupolosamente eseguita sull’ ultima dell’ autore. Saranno 2 vol. in 160° con caratteri nuovi. Napoleone a S. Elena, ovvero Estratto de’? Memoriali dei Signori Las-Cases ed O’ Meara. Saranno 10 vol. in 12.° in carta velina, a lire 3 ital. al voll — Pubblicati li primi sette volumi col ritratto di Napoleone ed il piano Longwood. Dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, in 8.° . Sino a qual punto le produzioni scientifiche e letterarie se- guano le leggi economiche della produzione in generale, Dissertazione di Giuserre Peccrnio. Un vol. in 12.° Trattenimento di Lettura pei fanciulli di campagna col quale dettonsi loro, prima gli ammaestramenti più fa- | cili di morale e di poi quelli di agricoltura. Operetta del professore Antonio Fontana, in 12.° ed in 8.° Opere di recentissima pubblicazione. Poesie inedite di Ugo Nicolò Foscoro, tratte da un Ma- noscritto originale, in 16°, carta fina levigata. Lir. 1. Della Poesia tedesca, di W. MenzeL, traduzione dal te- desco di G. B. P., in 12°. Lir. 2. 50. —— in carta velina. Lir. 3,25. Il Futuro svelato da I. C. L. Srismovnpr (articolo tolto dalla Revista enciclopedica). Parigi, in 8°, cent. 80. Le Speranze e le Realtà di I. C. L. De Sismonpr ( arti- colo tolto come sopra, e che vi fa seguito). Parigi; in 8°, cent, 75. Un guardo alla Polonia ed alla Russia nel 1831 durante la guerra, in 8.° Lir. 1.25. Grammatica elementare della lingua italiana di Stefano Franscini, edizione interamente rifusa, in 8° —in carta comune lir. 1. 5o — in carta di colla lir. x, 75. Ristretto della Storia della Letteratura italiana di France- sco Sarri, vol. 2 in 16.° Lir. 4. Giosa (Melchiorre). Quale dei governi meglio cotanta alla felicità dell’ Italia, in 16.° Lir. 1. 60; —— Trattato del Merito e delle Ricompense, 2 vol. in 4.° Lir. 15. —— In carta velina, alla Bodoniana lir. 20. Peccuio. Osservazioni semiserie di un Ésule sull’ Inghil- terra, un vol. in 12° lir. 2.50—in carta velina liv. 3.25. Storia dell’Economia pubblica in Italia, ossia Epilogo critico degli economisti italiani, preceduto da un’ in- troduzione, in 8°, lire 4. Compendio storico degli avvenimenti di Parigi del 28, 29 e 30 luglio, scritto da un italiano testimonio oculare ; un vol. in 16.° lir. 2. Elementi di Economia politica di Giacomo Mit, traduzione dall’ inglese, con note, un vol. in 8.°, lir. 2. 75. — In carta velina lir. 3. 50. Manuale di filosofia di A. MarTaIAE, traduzione dal tede- sco, con un saggio della nuova filosofia francese del sig. V. Cousin, un vol. in 12.° lir. 2. Intorno la Pena di morte — Lettera di un Amico , in 8.° cent. 30. Storia della Svizzera di Enrico Zscrogke. Prima versione italiana, vol. 2 in 12.° — in carta comune lir. 3. — in carta fine lir. 4. — in carta velina legatura alla bod. lir. 6. Lugano li 20 Settembre 1831. Gli Editori-Tipografi Gres Pbuggia e 0 ANTOLOGIA GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE E ARTI Vore XLIV DELLA CorLezionee YOLUME QUARTO DEL SECONDO DECENNIO. Ottobre, Novembre e Dicembre 10591. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETT. E EDIT, TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXXI, : covsave awe sh ® a Parli fida O “al » Voi, pes; » - : d È o t “ n) #7 i SIE ; Dallo asuaaia. gisbattaa y ODIMITERISE vecio du AUdgAUIY ha | Su 1a sul e È BESTTT Ur TANRMI Sh Ir LI 19401 Ita. ATTAN: 10wIt,. St 0 «TRRRIOPAM a = ? ì i ANTOLOG N. 450 DELLA COLLEZIONE. N. 40 D DEL Bada DECENNIO CIR 1 DA Vite de’ famosi Capitani d’Italia composte per Francesco Lomo- naco , coll’ aggiunta dell’elogio di RArmonpo MonTECUCCOLI, scritto da Agostino Paradisi. Tomo primo. Lugano Tip. Ruggia e C. 1831 pag. 278. Ir VeLtRo ALLEGORICO DI DANTE. uando si pensa che questo libro di Vite fu scritto sul co- minciare del secolo, in tempo che i principii d’imparzialità delicata, di critica severa, d’erudizione varia, laboriosa ed originale, di elo- quenza storica, di filosofia della storia, di buona lingua e di buono stile, eran forse meno diffusi o più falsi che a’ giorni nostri, si per- donerà facilmente all’ infelice Lomonaco la superficialità della sua scienza , l’esagerazione o la falsità di certe dottrine. la studiata ineleganza del dire, e quel traino tedioso delle triviali sentenze, delle descrizioncelle rettoriche, delle aringhe ideali ; gli si perdo- neranno , io dicevo , in grazia del tempo nel quale egli scrisse , in grazia del bello e nobile suo disegno di dettare le Vite de’grandi 4 capitani d'Italia, in grazia della rara imparzialità che talvolta dimostra nel giudicare certi fatti e cert’ uomini , in grazia di al- cune osservazioni ingegnose e di molti nobili sentimenti, che mostrano quale sarebbe quest'uomo potuto forse riuscire se la sorte lo avesse serbato ad età più matura. Istituisce egli sovente a mo- do di Plutarco un parallelo tra due grandi capitani; e ciò gli dà luogo a mostrare meglio il suo senno: non si studia di tro- vare a viva forza imaginarie conformità, ma osserva piutto- sto le differenze de’ fatti e de’ caratteri ; accorgimento op- portuno per evitare gl’inconvenienti ben noti di tali confron- ti, per porre in luce nuovai fatti e i secoli antichi, per rendere veramente feconda d’ utili lezioni la storia; nella quale, come in ogni altra cosa, i paragoni devono andare in- nanzi al giudizio: accorgimento dal quale si potrebbe forse trarre assai maggiore profitto che non si sia tratto finora, se questo dei paralleli fosse metodo in più larga maniera applicato alla scienza de’ secoli andati. Ma noi abbiamo un bel dire: la nostra letteratura abbonda d’elogi che son più noiosi di una Vita, di Vite che son più vuote d’ un elogio, di Panegirici che certa- mente non sanno produrre l’ effetto dall' etimologia della voce indicato, di memorie biografiche , vera selva d’ irte notizie, di materiali o accatastati o sepolti, opportunissimi da erigere mo- numenti magnifici: ma un Plutarco italiano ci manca. E di parec- chi noi avremmo bisogno : tanto la storia nostra è varia, tanto è feconda ; tanto ci gioverebbe l'essere sapientemente ammaestrati da’ nobili esempi delle età che perirono. Questo volume contiene le vite di Ruggero primo di Sici- lia, di Federico secondo di Sicilia, di Ezzelino, di Cane della Scala, di Uguccione della Faggiuola , di Castruccio, di Enrico Dandolo, con un paragone tra Ruggero e Federigo , tra Uguc- cione e Castruccio. L’ eroe faggiolano , il Lomonaco ce lo pre- senta non solamente dal suo lato più bello , ma co’difetti e co” vizi che bruttarono quel sì raro valore : talchè nel rileggere questa Vita ci ritornavano alla mente i forti dubbi, iquali altra volta ci assalirono nella cara lettura d’ un libro ch’ è tra’ pochi a cui possa con pienezza concedersi lode di vera erudizione e di storica scienza. Ognun s’avvede ch'io parlo del bel discorso sul Veltro allegorico della divina Commedia. In cotesto lavoro il lettore trova, anno per anno, me- se per mese , dichiarati i fatti e le vicende dell’infelice poe- ta ; trova nitidamente e in modo nuovo additata 1’ armonia for- te e costante che corre tra i movimenti del suo poetico 5 genio e quelli della travagliata anima sua; trova le analogie degli avvenimenti ; le allusioni a’ personaggi , le intenzioni del cittadino o con sicurezza di dottrina indicate o indovinate con ingegnosa congettura, con isforzo d’ipotesi, belle, non foss’altro, di nuovo ardimento. Pure , nell’ atto che noi a tut- ti gli amatori di Dante e delle cose istoriche proponiamo que- st’operetta non solo come illustrazione egregia, ma come lavo- ro erudito, originale per esattezza , e per gravità d’ esposizione, per vastità e accuratezza d’ indagini, dobbiamo insieme, cun quella riverente franchezza ch’ è debita ad uomo sì rispettabile, protestare non esser noi ancora bene persuasi di quelle ragioni che il ch. autore adduce a provare che il veltro, nel primo del- l’Inferno cantato da Dante , debba credersi Uguccione e non già lo Scaligero. Del dissentire noi crediam nostro debito addur- re qui le ragioni; ma premettiamo intanto, che quand’anco dai dotti non fosse trovata conforme a verisimiglianza la congettura del signor Troya, da ciò non verrebhe al suo libro che pic- colissimo detrimento d’ utilità e di bellezza. Giacchè le geste dell’ eroe faggiolano non sono, per dir così, che il pretesto che l’uomo erudito coglie per quindi ragionare dei fatti di Dante Alighieri e della parte istorica della divina Commedia. E nè an- che per ciò che riguarda cotesto veltro allegorico , noi vogliamo ch’ altri creda la nostra opinione direttamente contraria a quella che l’egregio scrittore con tanto ingegno sostiene. Solo diciamo che le prove da lui addotte non sou giunte ancora a dileguare la forza delle ragioni avverse che qui verremo il più brevemente che si potrà assoggettando al giudizio del dotto lettore. Innanzi di cercare se i versi del primo Canto dell’ Inferno irrecusabilmente convengano o no ad Uguccione, cerchiamo nella storia chi sia quest’ uomo , e se degno di tanto onore. E riguardiamolo primieramente nell’ aspetto più favorevole: non dissimuliamo i suoi pregi, le sue geste, le lodi che gli conces- sero i suoi contemporanei e fautori. Noi lo. troveremo dapprima ( nel 1292 ) potestà d’Arezzo; poi nella guerra fra il marchese d’Este Azzo Ottavo, e Bologna (nel 1295), chiamato dal Marchese a parlamento in Argenta, in- sieme con Maghinardo da Susinana, duce de’ faentini , e con Scarpetta degli Ordelaffi, duce di Forlì e di Cesena (1). Nel (:) Il Muratori dice che Uguccione in questi tempi comincia a far udire il suo nome: ma già fin dal 1292, egli era in Arezzo podestà, Ventotto anni dun- 6 1296 noi troviamo Uguccione eletto a capitano general della guerra pe’cittadini di Cesena, di Forlì, di Faenza, e d’Imola (2), e delle città che loro aderivano. Venne a Forlì il dì ventun di febbrajo, e vi prese il bastone del comando ; e nel maggio dell’anno stesso uscì con potente esercito a danno de’ Bologne- si (3). Presa ch’ebbero questi tanti suoi collegati la città d’I- mola nel 1297 (4), passato in inutili sfidé quell’anno, e il se- guente in trattati di mediazione profferta da papa Bonifazio (8) e da’ fiorentini; nel febbrajo del 1299 la guerra, da tali media- tori acchetata , finisce. Nel 1300 , addì 23 di maggio, Federigo di Montefeltro , Uberto di Malatesta, Uguccione potestà di Gubbio, discacciano da Gubbio i guelfi, i quali ricorrono a Bonifazio. Inviato dal papa il card. Napoleone degli Orsini, governator di Spoleto, as- sedia la città co’ perugini alleati; il dì 23 di giugno la prende e ne scaccia i ghibellini, rimettendovi i guelfi (6). Poi troviamo Uguccione potestà a più riprese in Arezzo; . poi con Federigo di Montefeltro ; poi consigliere d’ Enrico VII nella infelice sva guerra d’Italia (7); poi potestà in Genova: e morto Arrigo, lo vediamo da Genova chiamato a Pisa, a governare quella desolata città ghibellina, e far sì che le abbattute speranze del vinto partito ; per opera della sua pru- denza ed ardire si rilevassero belle e robuste (8): di modo che i fiorentini temevano già la troppa potenza del Faggiolano (9), e tanta ansietà sentivano delle sue scorrerie quanta allora che l’imperatore Arrigo stava in sì terribil mostra sotto alle lor mura accampato (10). Egli capitano nella celebre battaglia di que durò la potenza d’Uguccione, poco'più che quella di Bonaparte; potenza , co me vedremo, intervallata da grandi e frequentissime disavventure, (2) Ann. Forl. Mur. R.I T. XXII p. 372. (3) Murat. Ann. ; (4) Annal. Bonon. Murat. Rer. It. T. 18. — Ann. Forliv. T. 22. == La cronaca di Parma e quella di Bologna ne dà il merito a Maghinardo. Mur. T. 9g p. 834. T. XV p. 343. T. XVII p. 299. — Così gli annali di Cesena T. XIV p. rrri e seg. Que’ di Forlì pongono la presa d’ Imola nel 1297 ; altri nel 1296. La prima opinione a noi par più probabile. (5) Ann. Caesen. (6) Ivi. (7) An. It. Mur. R, I. Tom. XVI. (8) Alb. Muss. L. V. Rubr. 9g. (9) Ghr. Bon. Mur. R. I. Tom. XVIII. (10) Alb. Muss. L. II Rubr. 3. 7 Montecatini, della quale se a’ guelli fosse toccata la vittoria, nessuno avrebbe più osato in Italia rammentare il nome del tedesco impero (11). Quindi a men di due auni, noi lo veggia- mo scacciato da Lucca insieme e da Pisa (chè d’ ambedue s'era già fatto signore, e per poco non s’ era insignorito già di Pistoia ): se non che, al dir delle storie pistolesi , ‘‘ dalla cac- ciata d’Uguccione seguitoe grande danno a’ pisani ,, (12). Rifug- gitosi in varie città , e per tutto amorevolmente ricevuto, dopo un vano tentativo di riporre in Pisa il piede, e’ si colloca ca- pitano dell’ arme di Cane della Scala, signor di Verona; per esso combatte ; e nel 1319 muor di sua morte in Vicenza. Questi, dice di lui Giovanni Villani, questi ‘ fue ( dopo En- rico ) altro grande tiranno ,, che perseguitò tanto i fiorentini e i lucchesi (13). Albertino Mussato lo chiama delle parti imperiali fautore ardito, fazioso , imprenditore d’ egregi fatti, e in guerra valente (14): altrove ‘lo dice previdente e coraggioso (15) : e acre e valente lo ripete il Ferreto più velre (16) , e sicuro ne’ certa- mi di guerra: e altri storici lo dipingono come uomo di pron- tezza e d° industria, nobile e potente (17): e altri aggiunge che della sua casa escono sempre uomini ‘probi, e valorosi nell’armi, e robusti, e di accorgimento eccellenti (18). Magnifiche lodi son queste, e che nulla lasciano a deside- rare: l’uomo forte di mano e di senno , venerato e temuto in tanta parte di Toscana e di Romagna; che della sua sventura , quasi di novelle glorie, riempie la Lombardia; il consigliere d’imperatori, 1 antagonista di pontefici, il protettor di repuh- bliche , il ghibellino ardente, 1’ erede quasi delle speranze la- sciate dal buono Enrico, certamente poteva esser l’uomo a cui Dante , il ghibellino infelice , dedicasse la prima e la più popolare delle sue cantiche , e lo vaticinasse nemico di quella lupa che, piena di tutte brame, molte genti faceva piangere nella discordia e nel sangue. Ma se da questi titoli generali di lode noi discen- diamo alle particolarità vive de’ fatti, noi troveremo e di che (11) Hist. Cortus. L. II. C. 4. (12) Murat. R. It. P. (13) L. IX C. (118. (14) Gest. Ital. (15) L. V. passim, (16) Ivi. (17) Hist. Gortus. L. II. C. 4. (18) An. It. Mur. R, 1. T. 16. 8 detrarre alle glorie dell'eroe faggiolano , e di che dubitare circa al vaticinio del veltro , se a lui debba o no riferirsi. Noi vediamo Uguccione nel 1292 fino al 95 (19) potestà d’A- rezzo ; a più riprese ricuperare il medesimo onore ; e perderlo più d’una volta non, com’ era costume , per lo scadere del semestre o dell’anno alla sua autorità destinato, ma per viva forza, e non senza sna colpa. Noi lo vediamo scacciato e di Cesena € di Gubbio e di Lucca e di Pisa: e disgrazie così frequenti si potrebbero imputare al furor delle parti e alla miseria de’ tem- pi se la storia fedele , se la voce istessa di coloro che suoi am- miratori si mostrano ed eran certo suoi partigiani, non confes- sasse i molti e gravi suoi torti. Certo non può negarsi che a molto ardimento egli non accoppiasse molta prudenza ed astuzia, se da piccolo (io non dico già povero ) stato egli seppe elevarsi a tanto invidiabile altezza : ma riesce d’altra parte difficile a con- ciliare questa tanto avveduta prudenza con le molte e solenni sventure alle quali e’soggiacque forse più ch’ altro capitano di quella travagliatissima età. E questa istessa, qualunque si fosse ; politica avvedutezza , a riguardarla meglio , era tale che forse ad animi alteri e franchi, qual era certamente l’Alighieri, non doveva apparire nè molto onorevole nè conducente a buon fine. La prima sua guerra, di cui parli la storia, è contro la guel- fa Bologna in favore di Azzo Ottavo, guelfo di razza, ma per momentanei interessi legato alla fazion ghibellina. Cotesto legarsi ad uomo la cui politica lealtà doveva sembrar sì sospetta, io non so quanto potesse piacere all’Alighieri; a lui che alle nozze della figlia di Carlo il siciliano con quest’Azzo , ghibellino no- vello, imprecò con sì manifesto disdegno (20). E quel vedere la guerra proceder sì lenta per le mediazioni di Bonifazio, e per esse aver fine, non so quanta stima dovesse ispirare nell’ animo di Dante verso il marchese d’ Este e verso chi combatteva per lui., Io so bene che ne’ magnati ghibellini e nelle città a questo partito devote , talvolta la soggezione al pontefice non era che un velo a coprire i desiderii e gli odii secreti (21); ma questa istessa duplicità di condotta, un uomo quale l’Alighieri , do- veva rigettarla per nocevole da ultimo , e certo vergognosa. Noi non intendiamo con ciò nè lodare il sistema politico del poeta , (19) Ann. Arret. — Script. R. l. (20) Purg. XX. (21) Scip. Chiaramonti Hst. Gaesen. L. X, 9 nè accusare nè difendere la condotta civile d’ Uguccione e de’ capitani suoi coetanei: noi non esponiamo che i fatti: e non tendiamo se non se a dimostrare che gran simpatia non doveva verisimi!mente correre tra Dante e Uguccione. Il disprezzatore d’Azzo VIII , tuttochè ghibellino , non poteva , pare a noi, ap- prezzare i suoi ghibellini alleati, che certo a tal guerra non sa- ranno stati mossi da puro amor della causa più che da stimoli di privato interesse. E chi sa che quaudo l’Alighieri gridava a Guido di Montefeltro nel 1300: Romagna tua non è, e non fu mai Senza guerra nel cuor de’ suoi tiranni (22) D egli non avesse il pensiero a que’ capitani di Romagna, che per non avere presso di sè da esercitar le loro armi, ‘si rivolgevano a fornire ajuto al già guelfo Marchese ; chi sa ch’ egli diretta- mente non accennasse a quella guerra stessa che nell’anno innanzi il 1300 ebbe fine? E’ pare davvero alquanto difficile che ad Uguccione fosse dedicata quella Cantica dove si leggono i versi : La città di Lamone e di Santerno Conduce il leoncel dal nido bianco, Che muta parte dalla state al verno. E quella a cui il Savio bagna il fianco, Così com’ ella si è tra ’l piano e ’1 monte, Tra tirannia si vive e stato franco. (23) Dove , quand’anco non si volesse trovare nessuna allusione diretta al faggiolano che di Faenza, d’Imola e di Cesena fu capitan generale , certo la satira è chiara contro quelli ai quali egli s’era alleato, e che a lui però non era lecito disprezzare come Dante faceva. Ed infatti Mainardo da Susinana, il lioncello dal nido bianco, mutava parte con tanta agilità che di lui si diceva che in Romagna era buon ghibellino e più che buon guelfo in To- scana (24). E questo Mainardo, che aveva per moglie una de’To- singhi di Firenze, nel 1289 aveva co’ romagnuoli portato guerra ad Arezzo: e forse di là cominciarono le prime relazioni di. lui con Uguccione , di cui nulla sappiamo a quel tempo. — Di più: erediamo noi che il poeta dicendo di Cesena: tra tirannia si vive e stato franco, non avesse in pensiero i fatti del 1301, quando Uguccione in Cesena abitante , insieme con altri due gran- (22) Inf. XXVII. (23) Ivi. (24) Benvenuto da Imola. T. XLIV Novembre. a IO di, sospettati di aspirare alla tirannide , fu dalla città a viva forza cacciato ? (25) Nè il nome di forte e temuto ghibellino, acquistatosi da Uguccione , doveva essere presso l’animo imparziale di Dante rac- comandazione valevole a coprire o compensare gli altri suoi mo- rali e politici torti. Non è forse contro i ghibellini fazionarii diretta quella sentenza notabile del Paradiso : (26) L’ uno al pubblico segno i gigli gialli Oppone , e l’altro appropria quello in parte ; Sì ch’ è forte a veder qual più si falli. Dante non sapeva decidere se più grave errore o peccato fosse il muovere guerra all’ impero, o del nome dell’ impero farsi scudo alle private cupidigie , alle ambizioni tiranniche , agli odii di parte. Appunto nell’anno in cui Dante colloca la sua poetica vi- sione, nel 1300, noi ritroviamo Uguccione potestà in Gubbio, scacciatore de’ guelfi , e di lì a poco da’ guelfi scacciato. Qual giudizio di questo fatto recasse l’Alighieri, noi nol possiamo in- dovinare: ma possiam dire almeno che quella sì decantata pru- denza d’Uguccione a questo passo gli venne meno (27), poichè non vide la vicipa vendetta de’ guelfi ; o vedendola , non seppe , se non vincerla, almen differirla. Persecutore nel dì 23 di maggio, nel dì 23 di giugno egli è il perseguitato , il bandito. Adunque nel 1300 cacciato da Gubbio , nel 1301 cacciato da Cesena: nel 1302, sorta guerra tra Ravenna e Cesena, Uguc- cione con Federigo di Montefeltro e co’suoi aretini s° impa- dronisce, e a tradimento, d’ alcuni. castelli del Cesenate ; poi senza più altro tentare , forse perchè non secondato dagli are- tinì, ritorna. Potestà di nuovo in Arezzo, egli se ne va a Bonifazio , è da lui onorevolmente accolto , e conchiude la pace tra i ghibel- lini e i guelfi d’ Arezzo. (28) Pochi mesi innanzi , Dante ri- tornava da Roma, sapendosi già esule, già condannato ; e ve- dendosi schernito quasi dall’ avveduto pontefice , che a Carlo di (25) Scip. Chiaram. L. XI. — Si dirà che Dante per tirannide’ intendeva ! influenza di Bonifazio : ma Dante finge quì di parlare nel 1300 , quand’ egli non era ancora il nemico di Bonifazio, Parla in suo nome, non per altrui: talchè, tutto considerato , io non direi che il poeta credesse che da Uguccione doveva venire a Cesena la libertà. (26) C. VI. (27) Ann. Arret. (28) Ivi. bal I Valois commetteva il compimento de’ suoi disegni , intanto che il poeta fiorentino stava con lui discutendo ben altri trattati (29). Il diversissimo esito ottenuto dalla legazione di Dante e da quella del Faggiolano doveva quasi di necessità nell’animo del citta- dino sdegnoso eccitare sospetti, che lo scaltro Uguccione aves- se saputo men che onorevolmente piegarsi al volere del papa. E certo , quand’ anco l’ ambasceria d’ Uguccione fosse stata un effetto della vittoria da’ Neri avuta in Firenze, Dante non l’ a- vrebbe potuta non considerare come un abbassamento non degno d’ anima costante: che se il potestà d'Arezzo era a ciò mosso non da altro che dalla predominante opinione del popolo, questa concessione ad opinioni non sue non poteva , parmi, trovare scusa, non che raccomandazione, nell’ animo irritato di Dante. Io poi non oserei credere che impulso d’ estranio volere mo- vesse a Roma Uguccione , allorchè rammento che nell’anno mede- simo, nel 1302, gli aretini guidati da Federico di Montefeltro sconfiggono l’ esercito fiorentino, depongono Uguccione dall’uf- fizio di podestà, e lo cacciano via (30). Ell’è la fazione ghibel- lina che discavcia 1’ autor della pace tra Bonifazio e i ghibellini d’Arezzo : e questo indizio si noti, come quello che in tante dubbiezze può servirci a giudicare meno ambiguamente l’ambiguo carattere d’ Uguccione. Se non che la cosa, come la narrano gli annali areti- ni, è ancor più sospetta. I fiorentini guernisrono il castello della Terina, e bruciano Montorio , perciò che gli aretini avevano preso Castiglione d’ Arezzo e Montorio, dai fiorentini occupato. Dopo la ritirata de’ fiorentini seguì allora che Uguccione fu dimesso dalla potesteria, fu scacciato dalla città ; seguì allora che Federigo di Montefeltro venne potestà d’Arezzo , e diede ai fiorentini la mentovata sconfitta. Or donde questa subita punizio- ne? Certo da gravi sospetti; e sospetti di guelfismo , di secreta collusione. co’ Neri di Firenze ; a quel che pare da? fatti indicati. L’indubitabile si è che nel valore e nella lealtà di Federico gli aretini hanno riposta più fede che non nel valore e nella leal- tà d’ Uguccione. Ma a questi indizii s’ aggiunge un argomento da non trascu- rare. Ce lo porge l’imparziale , il veridico Dino Compagni; il qual narra che Uguccione , antico ghibellino, corrotto da vana speranza datagli da papa Bonifazio di fare “ uuo suo figlinolo (29) Bocc. ec. (30) Ann. Arr. 12 cardinale, a sua petizione , fece a’ Bianchi tante ingiurie , con- venne loro partirsi. ,, (31) Uguccione dunque era uomo arren- devole alle istigazioni di Bonifazio ; era uomo che , sopra vane promesse , tradiva quelli del suo partito, e gl’ingiuriava, e li costringeva a ritirarsi in Forlì sotto un vicario della Chiesa , dove si tenevano più sicuri che sotto un potestà ghibellino! (32) E Dante , il nemico implacabile del gran prete, Dante che con- tro i simoniaci rapaci sonava sì alto la tromba (33); che contro i traditori (34) e i barattieri arrotava alla cote dell’ ira la spada della celeste giustizia (35); che le lunghe promesse e la corta fede di Bonifazio segnava con marchio d’ infamia; Dante avreb- b'egli rispettato, amato , ammirato Uguccione? Dante gli avrebbe dedicata quella Cantica dove contro i torti di lui si leggevano allusioni quanto più indirette tanto più acerbe e cocenti? — Queste questioni noi proponiamo non come argomenti indu- bitabili, ma pur come dubbi, al nostro vedere, non dispregevo- li. = Proseguiamo. Nelle battaglie del 1304 tra Fireuze ed Arezzo, gli annali aretini che delle cose d’Uguccione accennano le principali partico= larità, di lui non fanno parola : segno ch'egli non fu gran parte delle loro vittorie. Fino al 1308 de’ suoi pubblici fatti non abbiam cenno : e si noti che i meriti ghibellini d’ Uguccione , pe’ quali Dante poteva avergli dedicato l’ Inferno, non devono, per legge posta dal sig. Troya, passare l’anno 1309, nel quale uscì, secon- do lui, l’edizione Ilariana della prima cantica, e il poeta non potè più ritoccarla. = Io prendo questa come un’ipotesi del si- gnor Troya ; non la pongo come affermazione d’ opinione mia propria. Or che fec’egli per la fazione a cui Dante si trovava legato, che fec’ egli fino al 1309 Uguccione ? Le guerre di Romagna, dalle quali altro effetto non venne che paci favorevoli a’ guelfi, e a lui cacciate oltre ogni credere frequenti: e quand’ anco più fortunato ne fosse stato il successo , ogni benemerenza nella opi- nione di Dante doveva, pare a noi, essere cancellata dalla vile negoziazione con Bonifazio, e da’ mali servigi prestati a’ Bianchi infelici. Poi, quando la causa dell’Alighieri aveva più bisogno di (31) Stor. L. II. (32) Ivi. (33) Inf. XIX. (34) Inf. XXXII XXXIII. (85) Inf. XXIII, 13 pronti €d efficaci soccorsi ; allora Uguccione o per non curanza o per impotenza o per altra cagione che sia. se ne sta spet- tatore tranquillo degli altrui sforzi, per più di quattr’ anni. Ma nel 1308 troviamo di peggio. Il giovane Francesco Tassi degli Ubaldini riconduce in Arezzo (36) Ugnecione della Fag- giuola co’Verdi. Non è la città che lo desideri, non è forza pro- pria che nella città lo introduca, è l’opera altrui. Egli è il Tassi che governa la città, e che da’ Tarlati e dal popolo nel mese d’ ottobre è cacciato; e nell’ uftizio di potestà v’ è posto Uguc- cione. Come avvenisse che il suo protettore, il suo introduttore in Arezzo n° andasse sbandito, ed egli posto a governare in sua vece, io nol so spiegare e non oso congetturarlo: ma certo mi sarà lecito rammentare la molta destrezza dell’uomo, quella «le- strezza che altra volta gl’ insegnò a patteggiare con Bonifazio , e a cacciare i Bianchi per forza d’ ingiurie. Certo è che le mas- sime stesse del Tassi, egli le professava in suo cuore , e lo. diede ben presto a divedere co’ fatti ; io dico il disprezzo e l’ oppres- sione del popolo. Or come, intanto che colui che l’ aveva in- trodotto in Arezzo fugge cacciato , egli nel governo avrebbe po - tuto sottentrare , se non avesse presso i nemici del Tassi dissi- mulate le sue intenzioni nascoste, e deluso il popolo per poi farne a sua voglia governo ?_ Se questa sia la vittoria che po- tesse al Faggiolano meritare la dedica dell’ Inferno ; altri lo vegga da sè. Ma quand’ anco essa fosse incontaminata e onore vole, non poteva Dante , parmi , stimarla di tale importanza da augurarsi perciò. che Uguccione sarebbe la salute dell’ umile Italia. Nel 1309 noi lo troviamo quivi stesso in Arezzo, capi- tano del popolo: ma la cronaca dice ch'egli in. tal carica male si diportò (37), sforzandosi, quanto potè, di distruggere il popolo ; onde venne a discordia con Ciapetta di Montacuto potestà ; e la città tutta fu in armi, e nel dì 24 d’Aprile s’ebbe intestina battaglia. Ritornarono allora i Tarlati; e Ciapetta fu vinto co’ guelfi della città e di fuori , e co” Verdi. Questi sbanditi, morti non pochi di loro, parte della città saccheggiata : un de’capi del partito perdente , decapitato ; trentadue altri condannati al fuoco per solenne sentenza: Uguccione sostituito podestà in luogo dell’esiliato Ciapetta, e designato per l’ anno vegnente potestà insieme e capitano del popolo. (36) Ann. Arret. (37) Ivi. 14 In tanta penuria di fatti, in tanto difetto di quelle circo- stanze isteriche senza le quali è impossibile giudicarli retta- mente , sicuramente , noi non ardiremmo portare sopra gli av- venimenti indicati alcuna opinione sfavorevole al prode Uguc- cione , se un contemporaneo , uomo di rara fede, di raro sento » non si fosse già preso il pensiero di gindicarli per noi. “ Uguccione da Fagginola (è Dino Compagni che parla ) co’ Ma- »» galotti e con molti nobili seminarono tanta discordia. in »» Arezzo , che come nemici stavano i possenti ghibellini ;, (38). Egli era dunque Uguccione che seminava la discordia , e la se- minava non solo tra nobili e popolani , ma-tra’ ghibellini poten- ti; e per ambizione o per interesse o per checchè altro si fosse, nuoceva a quella parte della quale, secondo il sig. Troya , l’Ali- ghieri lo teneva efficacissimo sostenitore. E cotesto nell’ anno appunto che il poeta pensava a dedicargli la prima delle sue can- tiche, quella dove son fulminati d’ infamia gli uomini d’ am- biguo carattere , insieme con si rta «cris quel cattivo coro Degli angeli ; che non furon ribelli Nè fùr fedeli a Dio , ma per sè foro (39) e quella dove a vergognoso supplizio son condannati i Seminatòr di scandali e di scisma. (40) All’ uomo volontariamente macchiatosi di civil sangue , che contro i perdenti imprecava quella medesima condanna di fuo- co a cui la rabbia Fiorentina (41) aveva per più volte condan- nato l’ infelice Alighieri; all’ uomo che, per più chiaramente di- mostrare il motivo che a simili mene lo spingeva, assume in sè tutto intero il governo e militare e civile della città, e se ne rende tiranno (42); a un uomo tale avrebbe Dante voluto affi- dare il secreto de’ suoi odii tormentosi e delle sue lontane spe- ranze? == Io penerei molto a crederlo. i Nel 1310 Uguccione prosegue ad opprimere il popolo, a scacciare i più amati tra’difensori di quello, intanto che gli move- vano contro i fiorentini, co’guelfi d’Arezzo stessa e co’Verdi (43). (38) L. lll. (39) Inf. 111. (40) Inf. XXVIII. (41) Purg. XI. (42) La condotta d’ Uguccione in Arezzo ci mostra che Dante non poteva di tal uomo intendere ch’ e’ volesse ridurre a stato franco Cesena ; ma sì piut- tosto a tirannide. Inf. XXVII. (43) Ann. Arret. 15 Condotta ; se non tirannica, almeno sconsigliata, al parer nostro, e imprudente; e contraria a quella fama d’ accorgimento la qual snona di cotesto Uguccione. Alle intestine discordie s’aggiungono l’esterne sventure, I fiorentini , sebben colti all’ improvvista , sconfiggono terribilmente gli aretini assalenti' (44); e nulla vale al Faggiolano il suo de- cantato valore: e il suo potere in Àrezzo viene con non molta gloria a finire; e appena sottentrato un novello potestà , è stretta la pace fra gli esuli e i popolani (45): indizio , sio non erro, assai forte della cagion principale che tenne viva insin allora la guerra. D’ un fatto importante , occorso innanzi il 1309 , abbiamo taciuto , per farne più opportunamente cenno a questo luogo ; io dico della parentela d’Uguccione con Corso Donati. Nel 1304 questi aveva presa moglie una figlia del Faggiolano: quindi aggravati col tempo i sospetti che Corso aspirasse alla tirannide di Firenze, quindi la sua misera morte (46). Or come credere che al congiunto di colui al qual Dante doveva gran parte di sue sciagure , all’ nomo che, ghibellino ardente, non dubitava di legarsi con un Nero tiranno, e dopo promessogli soccorso , nel forte del pericolo lo abbandonava (47); Dante professasse così calda stima, e in lui riponesse così cieca fiducia ? Non è egli Corso l’ uomo Mon dee a mal più che a bene uso (48); e quegli che più ne ha colpa della ruina della depravata Fi renze? (49). E Dante, che il suo proprio cognato cacciava diritto all’ Inferno, avrebbe dedicato 1’ Inferno all’ uomo che non ver- gognò farsi di lui alleato ; e poi, vistolo agli estremi, più non volle difenderlo ? E poteva egli Uguccione cacciar la lupa e rimetterla (50) in quegli abissi dove un amico suo e della lupa, per sentenza di Dante, giaceva ? Sceso Enrico in Italia, Uguccione, di suo consigliere diviene ben tosto potestà di Genova ; e quivi, al dire d'un lodatore di lui, commette uccisioni non poche (51). Di là, morto Enrico, (44) Vill. VIII. 119. (45) Ann. Arret. (46) Vill. VIII. 96. (47) Ivi. (48) Par. lII. (49) Purg. XXIV. (50) Inf. 1. (51) Ferreto: Meritis dignos suppliciis rigidus praetor afflcit. 16 viene , invitato , potestà in Pisa: non prima però che 1 pisanî offerissero a Federigo di Sicilia (52), e poi ad Amedeo di Savoia, e ad Arrigo di Fiandra la signoria: ‘° ma niun d’ essi si sentì ;» voglia d' entrare in una sì sdrucita nave ,,: talchè, ‘‘ non ,; trovando i pisani altro compenso alla loro vacillante fortuna, »» elessero per loro signore Uguccione (53) ,,. = Riportiamo qui le parole di Francesco Lomonaco : I Pisani che tenean da parte ghibellina, privi dell’ aiuto del- l’imperadore , si videro all’ orlo del precipizio. E come per l’addie- tro speravano di render la città loro centro dell’ impero d’Italia , così poscia furon costretti a mendicare l’ altruj/soccorso. Sciagura che soprasta ad ogni potentato cui salda interna forza non sostenga. In- darno eglino fecero la profferta ad Amedeo conte di Savoia, di dargli il dominio della città loro, per esser difesi. indarno implorarono aiuti da Roberto re di Napoli, il quale anzi che esser loro fautore, spalleg- giava la lega de’ guelfi. Onde non sapendo che altro farsi, crearono a loro duca Uguiccione. Sotto la sua condotta racquistarono non solo le castella ch’ avevan perdute , ma irruppero anche nel paese nemico , mettendolo sossopra. Sicchè per mostrargli riconoscenza , lo investi- rono del supremo potere. Eglino però non si avvidero che rendendolo necessario , e careggiandolo troppo, davan ricetto al leone da cui es- ser dovevano divorati; giacchè quando nella città signoreggia la legge, soprasta Iddio; quando l’uomo, soprasta la bestia. Ma î mortali per danneggiare un loro nemico, volentieri si fan ligi di un potente , che sarà più crudel nemico di quello: il che addiviene perchè nostra na- tura è prona alla vendetta, e perchè più del presente è sollecita che del futuro. Il Faggiolano pertanto , a quel che pare, non fu dalla città eletto che per modo di compenso ; nè a lui primieramente pen- sarono come a successore d’ Enrico. Non è a credere però che illimitato fosse , almeno in sul primo, il potere di lui poichè nel febbraio del 1314 troviamo che Pisa, senza saputa d’ U- guccione , stringe la pace col re Roberto; onde il magistrato deluso fa correre a’ suvi tedeschi la città con V’ aquila viva, gri- dando: muoiano i guelfi traditori! ; e fa uccidere due rispet- tibili ed amati personaggi di Pisa, Bonduccio e Piero Buon- conte (54). Per quanto all’ Alighieri paressero degni d° odio i genovesi e Roberto , e i lucchesi e i pisani, io non credo che tale condotta d’ Uguccione potesse a lui sembrare lodevole e virtuosa. (52) Nic. Spec. Vl, 2. (53) Mur. Ann. (54) Gron, di Pisa. Mur. R. lt. T. XV p. 989. Liz." Or che dirò dell’ aperta tirannia, della quale 1’ uccisione di Buonconte non fu che il preludio ? Già fin d’allora i pisaui presero a odiarlo ; ‘* ma per la sua forza e signoria niuno ar- s» diva a contrastare (595) .,, E che le sue mire fossero affatto ti- ranniche , e non all’ingrandimento della città e del partito im- periale ma al proprio rivolte , cel dice quel sno ‘ disfare molte , castella ,, e in Pisa ed in Lucca (56). Quest’ ultima città go- vernata dal suo figliuolo Francesco , presa per tradimento , sac- cheggiata in modo insolito e vergognoso; le mene ite a vuoto per occupare con simile tradimento Pistoia ; la improvvisa e quasi incredibile cacciata che questo Uguccione, meno accorto di quel cli’ altri lo faccia , dovette con iscorno soffrire nel giorno stesso e da Lucca e da Pisa, e i rimproveri di cui |’ aggravano , co- me insopportabil tiranno , gli uomini stessi del suo partito ; tutti quest’indizii forte mi muvono a sospettare che Dante non po» tesse nutrir tanta stima e tanta ammirazione per l’uomo coperto di tante colpe e di tanta vergogna. Uguiccione (son parole del Lomonaco) non potendo affatto mettere in obblio i suoi due stati, venne con aiuto di Can dalla Scala sino in Luni- giana. Prima d’intraprendere il viaggio si era adoprato col marchese Spi- netta di rientrare in Pisa mediante un accordo che questi avea già fatto con alcuni ghibellini. Ma il popolo, scovertone i maneggi, confinò i tradi- tori; e poichè la difesa è assai più agevole dell’offesa, rese inutili tutti gli altri sforzi di Uguiccione. Come egli sente di non poter consumare l’impresa , ritorna subito in Verona, ove la stizza, la vendetta, l’ambi- zione gli mangiano a poco a poco l’anima. Avendogli fatte Cane nuove promesse, ei riaprì il petto alla fiducia : ma assai mal confida su gli altrui ajuti chi manca di forze onde sostenersi. Cane anzi che recar- gli alcun vantaggio, lo adoprò a condottiero nelle sue guerre. Per lo che Uguiccione rimaso senza principato, senza soccorsi, con poche languide speranze, divenne favola de’ cortigiani. Soggiacque anche ai vili altieri sguardi de’ patrizi. i quali come i Guebbri sogliono adorare il sole quando sorge, non quando dechina. Questa sua disgrazia ci ri- chiama alla memoria quella sentenza di Falaride, benchè pronunziata da bocca profana: che torni meglio esser soggetto alla tirannide che il far da tiranno. Perocchè l’uom torreggiante nell’assoluta possanza è tuttodì esposto o alle ribellioni del popolo o alle congiure dei pochi liberi uomini o alle insidie de’ cortigiani maligni. Raccontando egli una volta in mezzo a una brigata, che in gio-, ventù solea mangiar di molto , gli disse un gentiluomo : di ciò non (55) G. V.1X 73. (56) Gron. Pis. Mur. R. 1. T. XV p. ggi. T. XLIV Novembre. 3 18 mi maraviglio quando considero che tu vecchio e senza denti ti hai di- vorato in un pranzo due città; alluder volendo alla perdita di Lucca e di Pisa. Questi ed altri simili dileggi soffriva in mezzo a’ rochi mormo- ratori di corte un personaggio quanto pieno di ambizione altrettanto valoroso; di abbietti natali, ma di alto corraggioso animo, e perciò nobile ; atto al comando perchè avea ben servito , ond’era espertis- simo capitano, aspro, rigido, inflessibile soldato ; nella prospera fortu- na sommerso in libidini , e alle cieche crudeltà prono, per esser gua- sto dall’imperio. Più illustre il nome suo apparirebbe alla posterità se egli, come seppe conquistare, così avesse saputo conservar le con- quiste. Ma per la prima opera è necessario/soprattutto l’ardire, il quale è ovvio ; dove per l’altra si richiede la prudenza civile, ch’ è molto rara. Quindi è che le rivoluzioni de’ mondani imperi son più facili della conservazione loro. Uguccione macchiato di tirannide, Uguccione goloso, Uguc- cione lascivo, Uguccione venale, Uguccione amico de’ tradimenti, Uguccione amico de’ tedeschi lurchi, Uguccione amico di Boni- fazio (57), poteva egli essere tanto ammirato da Dante che tut- te queste colpe e delitti punisce con sì gravi flagelli ? E quan- d’ anco l’ amore di parte avesse in così tristo ed insolito mo- do acciecato il poeta, non avrebb’ egli potuto con più accorte e generali parole prendere a lodarlo ; senza dire di lui che ron ciberà terra nè peltro ma sapienza e amore e virtute, e che caccerà l’ avarizia di città in città , finchè 1’ avrà fatta rientrar nell’ Inferno ? E quand’ anco per la lupa s’ intenda ( ciò ch? io non credo ) null’altro affatto che la corte di Roma , poteva egli Dante sperar tanto da colui che con la lupa, anni sono, aveva patteggiato a danno de’ Bianchi, e che poi per quattr’anui s'era rimasto inoperoso nel silenzio della domestica vita ? — Le osser- vazioni, che vengon fatte al Lomonaco nel paragonare tra loro Uguccione e Castruccio, mi paion utili e vere : Circa alle doti dell’animo , Castruccio diede segni di maggior no- biltade. Ei, per far risplendere la sua virtù, mescolava la severità colla clemenza ; dove l’altro ebbe sempre in pregio le crudeltadi, per dar retta alle sue scatenate passioni. Il primo, spregiando i piaceri, non ebbe in mira che l’ onore; il secondo, incurioso dell’ onore , si lasciò tosto rovinare nelle voluttà sensuali, e in tutte umane libidini. Onde noi possiam biasimare costui in quella guisa che Platone biasimava Orfeo ; che era di avviso , le gozzoviglie e la crapula dover essere il premio delle fatiche de’ sommi. (57) Di questi torti d’ Uguccione parte sono stati già da noi dimostrati più sopra, parte si trovano confessati chiarissimamente nel Mussato, nel Ferreto, nella Cronaca di Pisa, nelle Storie Pistolesi, in Gio. Villani ec. ec. ut) In tutti gli altri frangenti eziaudio egli conservò l’acquistato im- pero co’ mezzi della fatica, della vigilanza, della prudenza ; mezzi quan- to necessari per un principe altrettanto difficili. Ma è matura della virtù , che dopo pochi travagli reca perpetui diletti; è natura del pia- cere, che dopo pochi diletti reca eterno pentimento. Sembra, quanto alle virtù militari, che ambidue sieno stati allo stesso modo eccellenti; giacchè l’ uno e l’altro sfolgorarono di eguale ardire, della stessa ferocia, della medesima costanza. Castruccio però fece le altrui maraviglie per le pratiche di addestrare i suoi alle bat- taglie col mezzo di una nuova severissima disciplina. Onde come Fi- lopemene venne appellato l’ultimo dei greci, perchè dopo lui non fiorirono capitani assai valenti nella scienza militare; così Castruccio appellar si può il primo degl’ italiani, giacchè nei precedenti tempi non fu alcuno che avesse bene inteso al governo degli eserciti. Uguiccione poi combattè con truppe meramente collettizie; nè mai applicossi a disciplinarle : e però, accaduta la presa di Lucca, non fu seguito da’ suoi, e si vide ridotto a tale da mendicar il pane in una corte straniera. Sicchè l’uno, ordinando lo stato con alcune buone isti- tuzioni, conservò sè medesimo; l’altro, lasciandolo in balia del caso, sì distrusse. Il primo dunque ebbe le qualità di un accorto principe ; il secondo, le qualità di un tiranno da teatro. Ma quali fatti reca in prova dell’ opinion sua il dottissimo signor Troya ? = Le geste d’Uguccione ? Noi le abbiamo percorse. — La lettera di frate Ilario ? Essa ad ogni modo non proverebbe se non che Dante mandava in dono a Uguccione la prima sua cantica, non già che lo raffigurasse sotto il veltro, salute d’Italia. — Il verso : E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro ? Ma per accertarsi che queste parole alludano ad Uguccione converrebbe provare tre cose: ch’ esse non possano alludere ad altri; che per Feltro e Feltro s’ abbia ad intendere la città Feretrana di S. Leo e Macerata Feltria ; e che nazione altro senso non abbia che quel d’ origine , di nascimento (58). Quanto più conveniente all’incontro è V’intendere che que- sto veltro è quel medesimo Cane della Scala alla cui famiglia tanto doveva l’Alighieri; che sempre si mantenne ghibellino ani- moso e potente ; che aiutò più volte il partito de’Bianchi in To- (58) IVazione in questo senso sarebbe stato; pare a me; impropriamente ado- prato. Dante non avrebbe detto: Za sua schiatta, la sua nascita SARA’ tra Feltro e Feltro. Perchè mai sarà, se il veltro era già nato ? = Ma intendendo nazione 1fel senso più ovvio, e applicandolo a Cane, la frase sarà divien propria del par ch’ evidente. 20 scana ; e più altre certo avrà promesso a Dante d' aiutarlo; che fu capo di tutta intera la lega ghibellina , la quale in questo senso poteva giustamente chiamarsi la sua nazione ; che non solo da Feltre nel Trivigiano a° monti Feltrii distese 1° autorità del suo nome e la fama di sua magnificenza , ma per tutta Italia ancora ; il cni nome stesso serve a dichiararci 1’ allegoria del poeta (59); a’ cui stipendii morì que!lo stesso Ugucciowe che si vorrebbe dall’erudito napoletano a lui medesimo sostituire; che i più eminenti ghibellini e di Rumagua e di Toscana e di Lom- bardia ospitalmente nel sno palagio raccolse ; a cui la lettera che ci rimane di Dante, nell’ atto ch’ è dedica del Paradiso , è insieme dichiarazione dell’ intero poema , quasi per indicare che l’edizione dell’intero poema sotto gli auspizii di lui usciva com- piuta alla Iuce (60)? A Cane, lodato dal Boccaccio, come il più magnifico signore del suo tempo, meglio si conveniva che ad Uguccione la lode ch'e’ non sì ciberà nè «di terra nè di metallo ; a Cane che dal- l’età di tredici anni si dimostrò nelle lettere educato oltre il co- stume de’privati uomini non che de’ principi, e che sempre ebbe in onore, 0 mostrò d’ avere almeno , gli uomini di sapere, me- glio che al rozzo Uguccione s’ addiceva quel verso che lo canta nutrito di scienza. E se dal buono Arrigo ricevè grandi onori Uguccione, maggiori ne ricevè lo Scaligero, eletto ad imperiale Vicario egli e i suoi discendenti , e privilegiato di portare sulla propria insegna quello che Dante chiamò il santo uccello (61), e I° Alamanni : + «+ ++ + L'Aquila grifagna Che per più divorar due becchi porta. Lo Scaligero accolto liberalmente da Arrigo in Milano, coa- diutore di lui nella mossa coutro Cremona, e poi contro Brescia, combattitore valorosissimo e quasi sempre fortunato , ebbe più larghi dominii (62) d’ Ugeccione ; e giustificò meglio pur cogli ultimi successi la stima dell’ esule fiorentino ; e con più politica (59) Benvenuto da Imola dichiara che il veltro da Dante inteso non è lo Sca- ligero : ma col soggiungere che questo veltro è Gesù Cristo, egli toglie ogni au- torità, ogni fede a’suoi detti. (60) Tanto è ciò vero , che gli ultimi canti appena trovati, furono mandati tosto a Cane della Scala quasi a legittimo possessore: come attesta il Boccaccio. (61) Par. XVIII. (62) Chi per l’ umile Italia intende la sola Romagna, oltre al ‘rendere an- gusto e gretto il desiderio di Dante , gli contraddice evidentemente, giacchè la Toscana principalmente era quella che doveva importare all’ italiano infelice, 2I avvedutezza ed equità le sue conquiste ritenne. == Poichè (sen- tiamo il nostro povero Lomonaco). Poichè ebbe rassettate alcune faccende della città, ne andò a Vi- cenza, dove fu ricevuto con tanta pompa che pareva un imperadore. Quivi nel comporre le liti , nel dare udienza e nel trattar le persone mostrò sì grande benignità che conciliossi 1’ amore di quel popolo. Ne’ due mesi che vi soggiornò , intese ad esaminar scrupolosamente le ragioni delle pubbliche entrate, ad osservar le giuridizioni e a rico- noscere i confini. Dando orecchio a’clamori della plebe contro i baroni, cooperò ch’ella non fosse, come per l’addietro, depressa, smunta, scor- ticata. E però si fece prometter da loro di non esigere la decima, ma la ventesima parte delle derrate dei vassalli. Fece anche corroborar le promesse col giuramento , ignorando che tal sorta di gente è spergiura pria di dar la fede, e che quanto meno ha di possanza tanto più è ingorda, maligna , iniqua. Risvegliò eziandio alcune ottime leggi an- nonarie , le quali per la non curanza o piuttosto per la malizia de’suoi predecessori eransi addormentate. E provvedendo al civil costume, fece alcuni statuti che fossero muro insuperabile alla dissolutezza della minuta gente, e alla prepotenza de’ nobili. Ma con tali provvedimenti si schiantavano i rami, non già il tronco dell’ albero della servitù. Certo che nemmen lo Scaligero fu mondo di difetti , d’ er- rori e di delitti: ma meno bruttato ne visse del Faggiolano ; e i suoi delitti non eran tali che ferissero così direttamente il si- stema politico e i cocenti desiderii dello sdegnoso poeta. E si noti come i concetti del primo canto dell’ Inferno corrispondano a capello a quelli del diciottesimo del Paradiso , dove chiaramen- te è parlato di Cane: Con lui vedrai colui che impresso fue, Nascendo , sì di questa stella forte , Che notabili fien 1’ opere sue. Ma pria che’l Guasco 1’ alto Arrigo inganni, Parran faville della sua virtute “In non curar d’ argento nè d°’ affanni. Le sue magnificenze conosciute Saranno ancora , sì che i suoi nemici Non ne potran tener le lingue mute. A lui t’ aspetta, ed a suoi benefici: Per lui fia trasmutata molta gente, Cambiando condizion ricchi e mendici. E porteràne scritto nella mente Di lui : ma nol dirai. = E disse cose Incredibili a quei che fia presente. Cane nel 1300 aveva soli nov’anni: e questo si concilia con le parole : che molti saranno gli animali a cui la lupa s° ammo- glierà frattanto che verrà il Veltro che la faccia morire: parole che 22 ad Uguccione, nel 1300 nom già maturo, non si converrebbero, par- mi , sì bene. E quell’ uomo le cui magnificenze dovevan essere confessate e lodate da’suoi stessi nemici, che doveva arricchire i mendici con la liberalità , e con la forza dell’ armi far poveri i ricchi, cui Dante doveva onorare del glorioso titolo di suo be- nefattore, quell’ uomo era ben più proprio a far morire di doglia la lupa, a rimetterla nell’ Inferno. E nell’Inferno e nel Paradiso noi troviamo rammentata la virtute di lui : nell’ uno è detto che non ciberà peltro, nell’ altro che non curerà d’ argento: nell’uno che vincerà la lupa la quale molte genti fece vivere grame, nel- l’ altro che sarà trasmutata per lui molta gente: e nell’ uno e nell’altro par che si eviti dli nominarlo, ma lo si addita da lontano, lo si profetizza quasi cosa divina , quasi il Messia della italiana società ; e grandi cose e incredibili se ne promettono. Fin quella lode del nutrirsi d’amore, meglio che al duro Faggiolano con- viene a colui che in pompe, in delicatezze ed in lusso tanto profuse delle ricchezze de’sudditi ; a colui che dell’ amore sentì sì forti gli stimoli da lasciarsi trasportare a un delitto: delitto che Dante, non ignaro di tali miserie , aveva imparato se non a scusare, almeno a compatire e a non fulminar del suo sdegno. E finalmente, ben poteva dirsi di Cane ch’ e’ caccerebbe la lupa per ogni villa, egli che dovunque andasse , sì grandi prove faceva di più che regale munificenza. Chè del simbolo della lupa la prima e più essenziale interpretazione ( e lo dimostrerò, spero, nel mio commento) si è quella che figura in lei l’avarizia: e per- chè figlia dell’avarizia è la simonia, però nella lupa stessa è raf- figurata indirettamente talvolta la corte di Roma, alla quale do- veva secondo le speranze di Dante sorgere un terribil nemico nel ghibellino Scaligero. E questa interpretazione mi viene confermata da un bel passo del libro recentemente ripabblicato dal ch. sig. Gamba : i fatti d’Enea , libro d’° un contemporaneo di Dante, perchè scritto di certo innanzi il 1337. = E però dice Dante nel principio della sua commedia , ove profetizza di quel veltro che debbe cac- ciare la lupa d’Italia, cioè l’avarizia e la simonia ,, (63). Così le due interpretazioni si trovano in modo semplicissimo ed evidentissimo ravvicinate ; e si conciliano tutte le difficoltà che verrebbero dal voler nella lupa null’altro conoscere che la corte romana. L’ interpretazione di questo buon trecentista è del resto una delle più coraggiose tra quelle de’suoi contemporanei a me (63) Pag. 83. 23 noti, poichè nomina almeno la simonia , dove gli altri rifuggono del tener dietro a questo veltro , con sì evidente cautela che proprio fanno credere vero il sospetto del Foscolo. Infatti nel commento, recentemente scoperto, di Ser Graziolo, è singolare a notarsi come nel veltro e’raffiguri dapprima il Salvatore, poi alcuno universale pontefice o imperatore del mondo, o (sì notino queste parole) alcuno altro grande uomo: poi più sotto, lasciando l’imperatore da un canto: “ alcuno pastore ecclesiastico, o duca, » 0 uno grande e magno animo ,,. E finalmente: “ Ancora sopra »») questo si può dire altre disposizioni (64) diverse da queste , se- »» condo le significazioni del nome del predetto Feltro (65), e » secondo i variati intendimenti , le quali al presente lasciamo 3) Stare per ritagliare la lunghezza della materia ,, In queste interpretazioni sì varie , in queste reticenze par di vedere chiaro un accorgimento di quella timida prudenza che fu poi nelle se- guenti età sempre meglio ridotta ad arte in Italia. E poichè siamo a questo delle politiche significazioni del Veltro ; così prudentemente taciute dai contemporanei del poeta, non sarà forse inopportuno nè discaro ai lettori leggere un’ al- lusione più chiara e un po’ più coraggiosa nel libro inedito del bolognese Armannino (66): le cui parole tanto più volentieri re- chiamo in quanto che , avverse a’ toscani, provano nondimeno la grande potenza intellettuale di questo popolo , e 1’ influenza ch’ esso dovette avere fortissima sulla civiltà e sulla lingua scritta d’Italia, due cose che nel mondo moderno non si possono l’una dall’ altra ormai separare — Poichè Cristo fu adorato per noi »» e il Diavolo quindi cacciato, pure vi rimase di lui alcuna ra- 3» dice; cioè che ancora tengono di quelli peccati e’toscani (67): 3) e sono queste radici tanto distese per lo mondo, che pochi ,, luoghi sono dove quelli rami non mostrino di loro fiori e frutti. >» E di questo (chi vuol dire bene il vero) la Toscana di ogni 3) male si è cagione, per la sua malizia la quale il Diavolo en- 3) tro vi lasciò ;.la quale gli ha fatti per lo mondo più graziosi »» alle genti, che null’ altra nazione, per la loro malizia e non >» per natura. Ma quel gran Veltro che caccerà la lupa della (64) Per esposizioni : voce del tempo. (65) Chi sa non debba leggere : veltro ? = La variante sarebbe decisiva per Gane. (66) L. IV. Fiorità. (67) Parla più sopra degli oracoli , pe’ quali era famosa l’ antica Toscana , e ch’ egli attribuisce al demonio. 24 »» quale disse Dante , farà ancora scoprire tutti li loro difetti >» chiari. Ora più dir non voglio, e seguitiamo altro ,,. Ed altrove. « ....Per la questione nata fra li religiosi, come s; se Cristo ebbe proprio o no (68); e altre questioni che ancora s. appariranno , le quali metteranno nella chiesa molte dissen - ;: sioni: ma, come dice Merlino, tutte finiranno poi per la caccia » di quel forte veltro che caccerà quella affamata lupa onde s» surge tanta crudeltade (69) ,,. Non sono da omettere infine le parole seguenti : Dopo » Pathaus rimase uno suo figlio ch’ ebbe nome Clogio: costui » edificò quella terra che ancora oggi Clogia si chiama per lo » nome di colui. Questi accrescette Venezia , e di castello gran- ,» de cittade la fece. e molto fortificò quello porto ch’ è oggi sì »; nobile cosa. Questo Clogio fece le due città che 1’ una Feltro »» € l’altra Feoltro sono chiamate. In mezzo di queste è una »» grande pianura ove sono castella e ville in gran quantitade. »» Tra queste due terre nascere doveva quello veltro che cacce - 3; rà quella affamata lupa della quale Dante parla nel suo li- » bro ,, (70). Io confesso di nun sapere qual sia la città di Feul- tro edificata da Clogio ; ma certo è che accennando la Feltre del Friuli e Chioggia e Padova e Venezia, Armanniuo qui d° Ugue- cione non parla (71). Queste cose scriveva Armannino, già morto Ugurcione , e innanzi che quel della Scala finisse il troppo breve suo reguo ; le scriveva cioè innanzi il 1325: e dedicava questo libro a Bo- sone da Gubbio, amico di Dante; ed esuli ambedue non è cosa impossibile che in Gubbio si rincontrassero e che Dante confi- dasse ad uno sventurato suo pari i propri Ln e le proprie speranze (72). Per il signor Troya par che combatta 1’ autorità del Boe- (68) Cioè : se Cristo possedesse o no cosa in proprio. Questione che , per esser decisa , aveva appunto bisogno di un forte nemico della simbolica lupa , l’ avarizia. {69) L. M. Non tutti i codici portano questo passo: ve n’ha di raffazzo- nati da’ più recenti copisti : ma tutti portano il precedente, e alcuni altresì quel che segue. (70) L. XXI. (71) Le origini delle città e tuttociò che spetta alla storia antica ognuno conosce che non merita punto fede. Non v’ è di notabile se non le parole che riguardano il Veltro. (72) Il Mazzuchelli , il Mehus ed altri affermano senza esitazione Arman- nino amico di Dante, ma non lo provano. 25 caccio là dove dice che 1° Inferno fu da Dante intitolato a Uguc- cione : ma ciò non viene a dire, io ripeto, che Uguccione fosse il veltro allegorico. Soggiunge il Boccaccio che Uguccione allora in Toscana ;s era signore di Pisa mirabilmente glorioso ,,. Quest’ epoca con- traddice alle congetture del signor Troya,e alla lettera stessa di frate Ilario: e rende men forte l’ autorità o del Boccaccio o del frate. Ma più notabili sono le parole che seguono: « Alcuni vogliono sa dire, lui averlo intitolato a M. Cane della Scala: ma. quale >» si sia di queste due la verità, miuna cosa altra ne abbiamo »» che il volontario ragionare di diversi ,, (73). Ambedue le tra- dizioni eran dunque per il Boccaccio incerte del pari: quale sia la più probabile , il lettore sel vegga (74). (73) V. Dante. (74) Notabili sono ne’passi riguardanti il Veltro le varietà de’codici: e giova accennarle. Il G. 30 del pluteo LXXXIX nel libro terzo a proposito del Veltro che caccerà la lupa. cita Merlino; e più sotto : «° Ed in questo mezzo la con- ss scienzia dormirà, e ciascuno morderà, e mordendo insino a quell’ora si riposerà: 3» e quando ella per quel Veltro si sveglierà, beato chi gli occhi aprire potrà ;;. Il Cod. Leopoldino 95 nella Laurenziana: In questo mezzo la coscienza 33 Ciascheduuo rimorderà.... E quando quello Veltro sparirà , beato chi gli occhi 33 Aprirà 360 Il cod. 12 del pl. 60 porta come il 50 dall’ 89. ‘In altri è omessa la citazione di Merlino. Nel Magliabechiano 137 Classe III manca. .il. passo del libro terzo perchè il codice è mutilo. Nel passo citato del libro quarto il G. 50 del pl. 89 laurenziano cita nel principio Merlino, Daniello e Giovacchino (probabilmente il calabrese Giovac- chino santificato da Dante). Il Magliabechiano 139 Classe III legge medesimamente. Il Leopoldino nella Laurenziana. G. (95. nel .passo stesso cita Dante : altri omettono di citare Merlino. Il Laur. 50 p. 89 legge Feultro nel passo del libro XXI; il Magl. III 137 Fioltro e così il 138 e il 135 e il 134; il 139 Feoltro. Il Leopoldino 95 « fece co- 3» stui ancora molte altre città, tra le quali fu FeLrRo £ CiviraLE, tra le quali 33 nascer dee quello Veltro, che caccerà la lupa‘di terra in terra, come disse 3» Dante il fiorentino poeta nel suo libro ,,. E il Magliabechiano III. 136 che secondo il dotto illustratore è la Fiorità d’Ar- mannino ridotta in altra forma dietro il Romuleone di Benvenuto da Imola, e, a parer mio, è, con piccole varietà, il libro stesso d’Armannino : « E fece ancora molte altre terre e cittadi delle quali fu FeLTtRO £ Civita DI BELLUNO ,,. E tace del Veltro e di Dante, Queste ‘varietà certamente son cagione a mettere alquanto in dubbio non dico l’autenticità , ch'è manifesta, ma l’autorità di quel passo: tutte però concorrono ad escludere il Faggiolano. T. IV. Ottobre 4 26 Certo è che riconoscendo nel veltro il signor di Verona, con- viene ammettere che il poeta componesse o modificasse quelle poche terzine del primo canto sugli ultimi anni del viver suo: e questa sarebbe l’opinione del Foscolo ; opinione la quale è ben lecito separare dagli altri paradossi di quello strano discorso, e tenere se non per certissima , per probabile almeno. Questi dubbi sottoponiamo alla dottrina del ch. Troya e alle considerazioni degli amatori di Dante. All’ uno sarà facile forse lo scioglierli: agli altri s’ apparterrà il gîudicare qual sia 1° in- terpretazione più prossima al vero. K. X. Y. DEL DRAMMA STORICO. Axr, II. (*) . . + < I tempt none But with the Teuth. mm ByrRon. XVIII. L’universo è concentrico. «= Nell’ordine fisico, e nel morale l’unità è legge necessaria, inalterabile, prima. Pochi prin- cipii reggono l’ armonia del mondu sensibile: un sole lo illumi- na; ma la luce che da esso si diffonde a’ pianeti e alle cose , rompendo ad una atmosfera più o meno densa, s’ incolora in di- verse guise. == Pochi principii governano il mondo morale, fac- cia interna dell’universo. Gli eventi v’appaiono vari , molteplici: le combinazioni spesse , inestricabili , e diversamente accozzate ; ma la verità , sole dell’ anima, è là ; al sommo del cono, rag- giante per ogni verso, pura; bella; eterna , immutabile, se non in quanto lo specchio de’ secoli e 1’ onda de’ casi la riflettono più o meno limpida. Là è il perno della drammatica , com? io la concepisco nell’ epoca ch’ or 8’ apre in Europa. XIX. Se voi volgete un primo sguardo al. mondo, alle na- zioni, e agli eventi che vi 8° accalcano intorno , voi scorgete mille fenomeni sensibili, mille combinazioni materiali attraver- sarsi, incrociechiarsi, combattersi senz’ ordine e alla rinfusa. I fatti s’ urtano e riurtano come gli atomi di Leucippo senza me- todo , e apparenza di leggi certe. Le generazioni sorgono » s° af- follano, e s’ingoiano l’ una coll’ altra; come 1° onde d’ un mare (*) Ved. Antologia Vol. XXXIX. A. p. 37. 27 in burrasca. Dove vanno? che vogliono ? == Voi nol sapete: voi siete enigma in mezzo ad enigmi, collocato in un caos di fatti, ognuno de’ quali ha nome , centro, sistema proprio, indipen- dente, isolato : ma la legge universale è muta , il principio unico ascoso , il fine comune sepolto in tenebre. A questo punto , la filosofia non è che una collezione d’ osservazioni staccate : la sto- ria un cimitero dove le lapidi de’ morti stanno ad ordine crono- logico, la poesia racconto metrico , o inezia. Im altri termini, voi scrivete di filosofia come i sensualisti di tre secoli addietro : scrivete storie letterarie, come Tiraboschi ; civili, come tanti ch’ io non vo’ nominare: scrivete poesia come i cronisti ritmici dell’ evo medio , o 1’ Arcadia. — Voi siete insomma nella sfera nuda e gretta de’ fatti. XX. Pure, un istinto segreto vi mormora dentro, che questo non è l’ apogeo dell’umano pensiero. Voi sentite il bisogno d’af- ferrare colla mente tal cosa che non è se non oltre il sensibile : voi intendete che un piano generale, una idea madre , una legge qualunque predomina a quest’ edificio gotico , e complica- to, perchè la unità è inseparabile dall’ esistenza. Ora , ardito : innoltratevi con piè fermo, cacciacevi nelle vie del puro intel- letto; addentratevi nella ragione delle cose ; risalite dagli effetti alle cause: la scena è tosto mutata. Una moltitudine di fili vi si affaccia a guidarvi nel laberinto, ravviluppati a principio , intralciati, e quasi inevitabilmente commisti: pure osservateli, scerneteli, dipannateli, e troverete che molti di que” fili si con- nettono , si raggomitolano intorno all’uno o all’altro. Molti fatti hanno somiglianza ; impronta comune, fisonomia di fratelli: ac- centrate , aggruppate tutti quelli che mossi da punti consimili corsero vie parallele e guidarono a risultati uniformi: separate accuratamente i due elementi che campeggiano in ogni fatto, l’nno certo, fisso, immutabile , 1’ altro incostante, vario ed ac- cidentale : svizcolute insomma l’incognita col procedimento de’ma- tematici. Poi, «quando i fatti vi staranno innanzi schierati come una gente disciplinata , divisi per famiglie come le piante, per razze come gli umani , classificati insomma , guardate dietro ad essi; ed essi cesseranno di apparirvi in sembianza di lettera morta , avranno assunta anima e vita, come il caos alla parola di Dio. == Allora il mondo visibile, e i fenomeni che lo popo- lano, non vi parranno che la prima pagina del gran libro del- 1° universo. Allora; regnerete nella sfera de’ principii generatori e regolatori de’ fatti. Allora vorrete seritta la storia sul metodo 28 di Guizot, filosofia sul metodo di Cousin, poesia com’ è quella di Byron ; Goethe, e Manzoni. Fatti, e principii : forma ed essenza , corpo ed anima del- l’ universo. Ecco dunque le due somme divisioni di quanto esiste. XXI. Tra queste due è connessione , intima, sostanziale, inviolabile. Nessun fatto può sorgere a caso , isolato, senz’ an- tecedenti e conseguenti , senza impulso e predominio d’ un prin- cipio. Nessun principio può rivelarsi + ci o più fatti, che lo traducano. La esistenza , come fenomeno generale, è condi- zione che precede ogni cosa; ma, dacchè non può concepirsi esistenza senza modo determinato d’essere - dacchè ne seguono relazioni certe ed inevitabili fra gli esseri tutti — dacchè la con- nessione di effetto e di cansa è fatale, nè può rompersi mai, le leggi, coeve al fatto stesso generale dell’ esistenza , si stauno pure anteriori e. sovrane a’fatti secondari che ne derivano: quindi ogni fatto accaduto in virtù di cagioni prepotentemente operanti, e preordinate necessariamente ad un fine, tradisce più o meno chiara I’ azione d’ una o d’ altra di queste leggi , è riga della gran pagina che rivela a chi sa leggerla una verità , o una fra- zione di verità. = In altri termini, ogni fatto cova un’ idea: ogni idea , connettendosi con. altre infinite , è guida ad alcune delle regole generali che governano i fatti. Quindi lo studio de’ fatti scala per risalire a’ principii, indispensabile a tutti, tranne forse al genio , che gli afferra quasi per ispirazione, 0 li discopre dentro sè , perchè la coscienza del genio è la minia- tura dell’universo. Ma.d’altra parte, la rappresentazione de’fatti, ogniqualvolta o per oscurità propria o per vizio di copista rifiu- tano d’ essere interpretati , diventa sterile, sempre ;, spesso dan- nosa : sterile, perchè è lussu inutile che s’ abbarbica alla me- moria, e la aggrava: danvosa , perchè le apparenze de? fatti in- solubili, essendo diverse o contrarie, traviano l’anima nello scet- ticismo, o la inchinano al puro materialismo ; peste d° ogni let- teraria dottrina. — Togliete i fatti, e sopravviva , se può , l’in- telletto : qualche cosa sussisterà , ma mon l’ universo; bensì un vuoto, un abisso muto ed interminabile, dove usciranno nel buio alcune astrazioni : dove i principii isolati sul loro trono so- litarin, innapplicati, impotenti a convertirsi in azione, rode- ranno eternamente sè stessi. = Togliete i principii: rimarrafino i fatti; ma come scheletri di sostanze cacciate in un museo alla rinfusa , mon ordinato a classi. e a sistema: rimarrà la vita, 29 ma senza scopo, senza intenzione , e simile al tread-mill delle carceri inglesi: rimarrà il mondo, ma come una pagina staccata sovra cui il destino ha scritto alcune righe bizzarre , sconnesse, inintelligibili. — Riunite i fatti a’ principii : eccovi l’ universo ; il bello , il fecondo , 1° armonico universo , miracolo di connes- sione e d’ industria; dove nulla di quanto s’ opera và perduto per 1’ umanità + dove il sorriso della speranza seduce 1’ uomo all’ azione = dove ogni stilla di sangue del martire , ogni goc- cia d’ inchiostro del saggio pesa sulla bilancia dell’ avvenire — dove ogni secolo innalza un gradino al tempio del vero. XXII. Or, tutto è vero. Fatti, principii , quanto insomma esiste nel mondo , è vero, perchè l’ errore non ha vita se non negativa, non è se non traviamento dell’ umano intelletto , che guarda spesso esclusivamente ad un lato unico delle cose. Non però tutto è vero allo stesso modo 0 nel medesimo grado. La verità ; come dissi, è una sola; ma ; come il raggio nel prisma, essa si rompe e si scompone attraverso a’ tempi e agli eventi, assumendone aspetti diversi. XXIII. I fatti sono: simboleggiano parte dell’ enigma uma- no , traducono le passioni, svelano le potenze operanti in noi tutti ne’ loro risultati. Perciò, a chi s’ attentasse di rifiutarne o negligerne la solenne esperienza , 1° uomo , e la vita, e i de- creti della universale necessità rimarranno sempre mal noti. — Pure., costituiscono essi la verità ? o non piuttosto la via d’ ar- rivarla ? Quel vero eterno, necessario, assoluto ; scopo ultimo de’no- stri pensieri, dietro cui s’ affannano da secoli le generazioni, stà più in sù che non il vero precario, contingente , e relativo de’ fatti. E vero uniforme, universale per essenza , spirituale per intento , indipendente da ogni cosa, fuorchè dalle leggi prefisse fatalmente e «2 eterno al mondo e alla razza ; e qui, nell’Eu- ropa nostra, dove oggimai le condizioni, 1’ incivilimento progres- sivo, e più la sciagura; santissimo fra tutti i vincoli, hanno af- fratellato gli animi in una concordia di bisogni, passioni, e voti, parla un linguaggio a quanti sentono e anelano a vivere virilmente. Ma il linguaggio de’ fatti suona vario come quello degli nomini, i quali pur valendosi degli stessi elementi, li rac- cozzano in tante e diverse guise , che tu vi smarrisci per entro l'indole unica e la primitiva radice. Dipendenti dall’ incontro di circostanze fortuite , e da minimi accidenti variabili all’ infi- nito, i fatti assumono dappertutto fisonomia ‘che muta co’ tempi e coluoghi, come un volger di mano tramuta 1’ ordinamento 30 del'e pietruzze che s° aggirano nel kaleidoscopio. Ben costitui- scono anch’ essi una scienza; ma è scienza d’ effetti, e parla a’ sensi il linguaggio de’ sensi: manifestano 1’ intervento delle leggi morali, e sviluppano ; esercitandole, le facoltà; ma, come tutte le cose materiali, presentano più facce all’osservatore. Però avviene d’ essi come de’ geroglifici , che ognuno intende e spiega diversamente , secondo è preoccupato di sistemi, e dominato da credenze alla cieca Or, se il vero fosse per essenza e necessità moltiplice e vario com’ essi sono , donde avremmo via di salute , o speranza «li tregua nella guerra lenta ostinata pericolosa che s’ agita dacchè mondo è mondo fra 1’ intelletto e la materia ; fra 1’ umana coscienza e 1’ errore ?_ = Tristissima conseguenza ; alla quale è pur forza derivino que’ molti, che non adorano po- tenza se non quella de’ fatti, e de’ fatti guardati non comples- sivamente e in relazione a leggi supreme, ma nudi , secchi, isolati, e per sè, come ti si parano innanzi. E vi derivano , per ch’ è vanto di filosofo il non retrocedere mai davanti a conse- guenza che sia : e tu gli ascolti pronunziare solennemente — e freddamente ch’ è peggio — sentenza che condanna la razza a travolgersi perpetuamente nel fango — e i due principii del bene e del male a regnare alterni e a periodi, benchè la esperienza , dai due di Tebe fino a’dì nostri, c’ insegni che due fratelli son troppi ad un trono — e i popoli a certo gioco d’ altalena civile per cui or radono il cielo, or s’ inabissano nell’ inferno. Ma la coscienza cancella quella sentenza ; e a quanti non s’ acque- tano facilmente nel gemito lungo e sterile del disperato , ma toc- carono in sorte dalla natura una tempra d’ anima indomita a patire ed a fare, intuona l'inno della speranza = Non dispe- rate degli uomini, nè delle cose. I fiacchi e i codardi dispe- rano; ma voi non siete fiacchi, perchè il solo concetto vi tra- disce potenti; nè avete ad esser codardi , perchè i posteri gua- tano in voi per coronarvi della fronda immortale, o decretarvi la infamia de’ secoli. In questa guerra della civiltà e degli er- rori ; la parte de’guai è tutta palese perchè pesa sugli individui: i beneficii si stendono lentamente e tacitamente sulle moltitu- dini. Però, l'ingegno superficiale sentendosi il giogo della scia- gura sul collo, e ponendosi a centro dell’ universo ; bestemmia o deride: ma perch’ egli nacque nel verno , dovrà rinnegare la primavera ? Perchè la lance dell’ vrinolo si move d'un moto im- percettibile all’ occhio umano, l’ ora scoccherà forse più tarda, o giammai ? Siate costanti. La costanza è complemento di tutte le umane virtà. Gl’ individui soffrono e mnoiono 3 ma 1’ umano 31 genere . e l’ incivilimento non muoiono. I forti d’ anima e i potenti di senno creano altri forti, ed altri potenti. Le nazioni s’ ammaestrano nelle disavventure , e il dolore purifica le molti- tudini. Siate costanti: la facoltà di seminare ostacoli è degli uomini, e degli errori parziali: la onnipotenza è de’ secoli. = Questa della esistenza d’ un vero che può far felice la razza, e della speranza all’ intelletto di raggiungerlo quando che sia, è credenza spirata dapprima dalla coscienza, e predicata dall’ ane- lito del cuore, poi svolta con potenza di raziocinio , dimostrata oggimai dalla storia , santificata da migliaia di martiri da Socrate a Galileo. Pur s’ attentano contraddirla, e vilipenderla col nome di sogno, vocabolo usurpato da’ professori di lettere e di filo- sofia a battezzare quante forti e feconde idee germogliano dalla natura nel genio. E se deriva da vanità di sistema o affettazione di freddezza scientifica , è da maledirsi senz’ altro : se da stan- chezza d’ uomini che hanno lungamente e crudelmente sofferto, da compiangersi ; e Dio li conforti nel cammin della vita , per- ch' è sentenza la loro che trascina direttamente alla morte. Ma io, guardando alla condizione de’ tempi, e delle lettere , ho tro- vato che la dottrina del perfezionamento indefinito ‘è la \espres- sione filosofica d’ un concetto popolare ; generato dall’ urgenza de’ bisogni, e da un senso intimo di potenza; e vedo che questa è pure la religione de’ forti, e de’ grandi d’anima ; onde io vado , come meglio sò , predicandola ; éd esorto gli uomini italiani a predicarla , perchè mi par religione mirabilmente adattata a far cospirare a scopo sublime tutti quanti gli affetti. XXIV. Quel vero primitivo, ch’ io accennava pur dianzi, esi- ste dunque , e domina tutte cose: riposa in un campo meno con- troverso , in un’ atmosfera più pura che non è quella de’ fatti : è contenuto ne’ principii de’ quali i fatti non sono che simboli, rappresentazioni materiali, e parziarie. È 1’ anima universale ; il foco centrale d’onde emanano scintille infinite $ e vivon ne’fatti; ma come i diamanti nelle miniere , imè si mostrano se non ‘a chi le svincola, e le purifica dalle fasce che le inviluppano. — I fatti insomma non costituiscono che il primo grado ne’ misteri della scienza umana : sono gl’ individui d’ un mondo, di cui la verità è la specie. V’ è dunque , riassumendo , un vero storico o de’ fatti: v'è un vero morale, o de’ principii. Questo secondo stà al primo co- me il tutto alla parte, come la causa all’ effetto, come l’ origi- nale alla traduzione : l’ uno è il principio ; 1° altro ne svolge le applicazioni. = In breve , il primo si traduce in realità: il se- 32 condo in verità : ambi connessi; ma la realità è 1’ ombra del vero: la verità è l’ ombra di Dio sulla terra. i XXV. Or, qual de’ due veri che ho accennato , spetta al dramma che invoca il romanticismo italiano ? Parrà impossibile a molti, stranissimo a tutti, che a quanti critici hanno toccata questa materia , la questione sia riuscita a siffatti termini, e nessuno abbia mai sospettato che ambi que?’veri appartenevano al dramma, e che il disfiungerli era un separare 1’ anima dal corpo in uno stesso individuo. Pur non vedo chi ne accenni tra noi. L’ autore di Due discorsi. intorno al romanzo notava primo in Italia, a quanto iv mi so, quella divisione di verità in vero sforico e in vero morale ; ma restringendo il se- condo. agli affetti , si tacea de’ principii , che soli stanno correlativi a’ fatti. Pur così ristretta com’ era , la imponeva sa- cramentale agli scrittori, e ‘negando ogni accordo. possibile di questi due veri, ne inducea non so come un anatema a’ ro- manzi storici, e una approvazione tal quale al romanzo de? co- stumi. Da indi in poi fu statuito, pare per viai d’ interpre- tazione restrittiva, che ogniqualvolta i romantici parlassero di verità come di base alle nuove dottrine, s’ avesse a inten- dere realità. Forse, avvezzi a trattare la letteratura. com’ ar- te di mero diporto, non sospettavano neppure che il dram- ma potesse mai diventare una specie di bigoncia popolare , una cattedra di filosofia dell’ umanità. Forse nel loro secreto si con- fessano a quest’ ora impotenti a reggere a fronte del vero roman- ticismo ; pur gelosi dell’ autorità loro si studiano di sviarne l’at- tenzione de’ giovani, creando fantasmi, ed aizzando contr’ essi la ciurma, sicchè nessuno intenda la natura ed il fine della ri- forma intrapresa: arte vecchia quanto il fanatismo, e di successo infallibile per alcun tempo; ma, son essi da tanto? — Comun- que , fu statuito ; e i critici tutti quanti, grandi, mezzani e pigmei si sfiatano a predicare che la poesia si riduce pe’ roman- tici a una fredda cronaca in versi, e peggio, dacchè taluno pa- venta che le nuove teoriche intorno alla tragedia storica esclu - dano l’arte, il verso, e la lingua, generando invece dialoghi interminati, dettati in dialetti (1). Dond’ egli dissotterrasse co- deste teoriche che gli danno paura, non m? è riuscito saperlo. Gli esempli a ogui modo da Shakspeare a Schiller e Goethe, da Merimée ed Hugo a Manzoni stanno contro di lui. E gli esempli, e le teoriche comurique date finora a frammenti — e i cou- (1) Saggio intorno all’ indole della letteratura italiana nel secolo XIX. 33 sigli, e le passioni de’ novatori gridano a lui e a quanti frain- tendono il vocabolo romanticismo : == che la giovine Europa mira a ben altro fine che non è la nuda copia de’ tempi e de’ fatti passati == che, quando noi scrivemmo verità sulle no- stre bandiere , pensammo all’ alta verità de’ principii, sola do- minatrice degli uomini e degli eventi: == che questa, rivelandosi lentamente e perpetuamente attraverso il velo della realità, con- venia staccarsi dall’ideale arbitrario , e prefiggere i fatti al dram- ma e al romanzo, non come limite apposto rigorosamente agli ingegni, ma come simbolo da cui trassero la idea , come base dalla quale movessero a slanciarsi nell’ infinito del pensiero — che quindi , anzichè spegnere la poesia , si volea rinnovarla, in- nalzarla , e spingere il dramma a presentare desunte dal passato le leggi dell’ avvenire. Or perchè s’ avvedessero di queste inten- zioni, non bastava egli forse guardassero alle opere de’ grandi ch'io ho citati pur dianzi? = a molti articoli della Rivista Fran- cese , del Globo , dell’ Antologia, e degli altri giornali che svi- lupparono le dottrine romantiche ? = allo sviluppo progressivo di questo romanticismo (che nessuno intenderà mai finchè il vorrà confinato alla sola letteratura ) e alle applicazioni che ne han fatto alla storia ed alla filosofia Guizot, Cousîn, e i loro seguaci ? (2) -—- alla tendenza che s’ è via via propagata con esso, e trasfusa nella società? — Ma di che mai s’ avvedono i pro- fessori di lettere , gli accademici , i critici di mestiere , e tutti coloro generalmente che Foscolo denominava ironicamente mae- stri snoi? I membri del tribunale Vellenico indossavano cappe, si raunavan di notte ; ma da quelle cappe e fra quelle tenebre uscivano quasi saette i loro sguardi a spiare le colpe e i colpe voli, che additavano al vendicatore. E ne’ primi anni della mia gioventù, quando mi sussurravano all’ orecchio di letterati le- gislatori e giudici a un tratto, e d’iutere accademie , e tribu- nali veglianti a mantenere intatto il deposito delle buone let- tere e dell’ onor nazionale , io me li raffigurava non dissimili da que’ giudici segreti: ocularissimi per acume ed esperienza , se- veri per legge di coscienza , taciturni, innaccessi a seduzioni di parti, e sudanti nel silenzio delle loro celle modeste a investi- gare il vero, e fulminare 1’ errore = ond’io, se non mi veniva fatto d’ amarli , non gli sprezzava. Ma daschè ho veduto più dappresso cotesti giudici, e ho letto i loro codici, e udito i commenti ch’ essi ne fanno da’ loro scanni dorati, dalle catte- (2) Alla storia, e alla filosofia solamente. T. IV. Ottobre. 5 34 dre , e spesso anche dalle anticamere de’ potenti , ho conosciuto ch’ essi perdevano il lume degli occhi, e procedevano a guisa di ciechi, i quali calcano e ricalcano l’orme proprie a non ismarrirsi, e gridano e battono forte del bastone sul suolo, per- chè s’ alcuno attraversando il loro cammino , li riducesse a de- viare, si rimarrebbero inetti a movere un passo. Da vent’ anni ci ricantano la stessa nenia; e mentre ti stiati a gridare a’ tuoi concitradini: badate ! vogliamo lo sbutfigni l’ imitazione degli stranieri; Ja libertà, non l’ anarchia ; la rigenerazione delle let- tere cadute in fondo , l’ applicazione di queste a’ bisogni del- l’epoca , la indipendenza da’ canoni de’ pedanti, non la sfrena- tezza ; 0 la violazione delle leggi eterne della natura = un let- terato , troncandoti le parole a mezzo , t’ intnuna imperturba- bilmente la solfa : voi volete la imitazione degli stranieri, la matta anarchia, e la violazione delle leggi eterne della natura ; intendi d’ Aristotile, Orazio , e Boileau. - E un altro, giovine ingegnoso e scrittore indefesso, pronuncia iu tuono dittatoriale , che i romantici proposero i vampiri, i brocolochi, i folletti , e siffatte fatiucchierie qual peregrino ornamento alle loro novelle, stechè apparvero i più miseraudi fantasmi che possa immaginare la mente d’un infermo , e la rappresentazione di cose e di azioni che mettono raccapriccio a solo nominarle (3). E siamo nel 1831, e in Italia, dove Grossi, e Manzoni, Torti ; e Guerrazzi stanno a duci del romanticismo: == dove nessuno, s’ eccettui . pochi sciolti giovenili di Tedaldi-Fores, e alcune fra le melodie liciche d’ un anonimo , fiatò mai di streghe o malie: = dove la puri- ficazione della religione dalle superstizioni che la profanano , è (3) Saggio intorno all’ indole ec., di Defendente Sacchi, stampato nel 1830 ; e raccomandato a’ giovani tutti d’Italia, che coltivano le ame. ne lettere , perchè v’imparino le verità fondamentali : # che nessuna let- teratura può vivere senza ideale : che la missione del secolo XIX sta tut- ta nel compiere l’ opera incominciata dal secolo di Leon X: che ufficio sommo della letteratura è l’allettare , e il risvegliare piacevoli sensazioni ; col- 1’ altre episodiche : m che i romantici dileggiano quanto mai di grande conce- pirono Omero , Virgilio, e Tasso: adorano la barbarie , fanno ballare i morti, e peggio se occorre. È libro d’ uomo che si professa e in ciò lo credo sin- cero = amante caldissimo della sua patria , e bramoso di promovere la nazione, e consapevole de’nnovi bisogni. È mirabile il traviamento = in altri sarebbe mala fede patente + per cui, togliendo al romanticismo quanti principii lo com- pongono e son predicati da molti anni, li proclama intrepidamente suoi , e gli oppone al romanticismo , rovesciando poi sovr’ esso in un fascio quante bizzarrie , stranezze, fantasie individuali gli s’ affacciarono alla mente, come gli Ebrei rovesciavano sull’ irco emissario il cumulo delle ‘iniquità d’ Israele. 35 predicata urgentissima da tutti gl’ ingegni, e più dai romanti- ci!!! — Ma e chi non ne ride? XXVI. Ben duolmi, che alcuni trai Romantici forse irritati dalle continue maledizioni gittate spensieratamente a un sistema adottato da pochi fra gli stranieri, da nessuno ch’io mi sappia in Italia, ma che pur sarebbe più consentaneo a’ tempi , e più efficace che non il classico , si siano incaloriti nella contesa fino a generar sospetto ch’essi inculcassero quel sistema della nuda realità, come l’unico buono , e come l’ ultimo grado nel rinno- vellamento della Drammatica. Ben altro è il fine della riforma invocata da’ tempi , s'io ben la intendo: è riforma universale, essenziale , intera, decisiva, ed energica: riforma operata nelle opinioni, ne’ costumi ; e negli affetti creatori degli eventi; e molti secoli di sciagura, o d’inerzia la maturaro- no ; e il secolo XVIII sgombrò il terreno, e il XIX è de- stinato a edificarsi di pianta. La letteratura deve seguire le stesse vicende , le stesse leggi. È d’ uopo crearla perchè il biso- gno d’ una letteratura è ingenito alla razza umana, e l’antica è spenta inevitabilmente. È d’ uopo che i diversi generi che la compongono si concentrino tutti alle scienze del vero, perchè al vero tendono or più che mai gli sforzi delle generazioni. Pe- rò, l’ edifizio drammatico , isolato fino a’ di nostri, è da rimu- tarsi da capo a fondo. Finchè un ramo di letteratura non ha raggiunto il massimo grado d’ utilità possibile, la riforma si ri- mane a mezzo , incompiuta. Le questioni di forma, della unità di tempo e di luogo , inutili per lo più, mutabili sempre, son da lasciarsi a’ gregari che ne cinguettano fin che a Dio piaccia. Il Romanticismo vive e s’aggira più alto , indipendente da ogni forma e da ogni regola che non sia derivata dalla natura delle cose. Si tratta dell’intima vita, del pensiero generatore della sostanza del dramma. Si tratta di cercare all’ attuale civiltà un’ espressione nel Dramma , come s’ è trovata nella Storia, nella Filosofia, e ne'la Lirica. XXVII. — Questa espressione potente del grado a cui è sa- lita la civiltà fu sempre straniera. e noi lo dicemmo, -—= e nessuno vorrà negarlo — al Dramma che s’ usurpa tuttavia nelle scuole il nome di classico. Fioriva quando la letteratura era serva, è la servitù avea trasmigrato nell’anime , e gli ingegni piegavano sotto la lunga abitudine ; la tirannide politica generava le civi - li, per cui gli scrittori, segnatamente i drammatici, non pote- vano ottenere fama, onore, ricchezza, se non compiacendo alle corti e a’ patrizi, che soli dopo le corti avean nome e influenza; 36 e alla tirannide civile s’ aggiungeva la letteraria delle accade- mie e dei precettisti , che decretava la imitazione degli imitato- ri, fulminava Corneille cogli oracoli di Scudery, anteponeva Pradon a Racine. Aggravati da questa triplice catena, che pu- tevano gli scrittori? a qual tipo, a qual modello vasto e subli- me attenersi dove tutto nel patriziato e nelle corti era gretto , pedantesco , fittizio: dove l’ ardire della indipendenza era repu- tato delitto di lesa maestà letteraria; dove il popolo era muto , e non dava speranza di eco che racconsolasse il genio nella so- litudine a cui lo condannavano i tempi ? Scrivevano ; ma coll’a- nima dimezzata dalla servitù, coll’ ingegno offuscato da’ pregiu- dizii che signoreggiavano senza contrasto, col dubbio nel core , e tremanti ad ogni tratto degli anatemi dell’Accademie. Scrive- vano: ma non pel popolo e al popolo ; bensì ad individui e per individui. Davano idee proprie , guaste, mutilate, e piegate all’ etichetta di allora; o ritratti di uvmini nuovi, vestiti, e in- corniciati all’ antica : composizioni in somma a musaico : e il vero storico v° era alterato per ficcarvi a qualunque patto allu- sioni adulatorie == e il vero morale v'era immolato al gusto convenzionale e alla moda —= e il genio vi balenava a lampi: ma non diffondeva la piena della sua luce sull’ intero edifizio: ge- nerava bellezze di elegia in Racine, d’epopea in Corneille ; bellezze di Dramma non mai. i XXVIII. — La civiltà procedeva. Le condizioni duravano; ma la venerazione scemava , e gli animi s’ affacciavano alla in- dipendenza. Era un desiderio incerto, indefinito, superficiale, come il primo desiderio d’ amore in un cuor giovanile. Era una smania di nuove cose , una intolleranza di freno, un mormorio dell’anima che presentiva la sna libertà senza certezza d’ ap- plicazione , senza profondità di giudizio, senza tenacità di pro - posito. Pure , lo spirito di riforma è così potente, e l’ edifizio eretto da’ maestri sulla credulità de’ discepoli così debole, che al primo soffio rovinava a metà, come le illusioni notturne sfuma- no solo che tu v’affisi ripetutamente lo sguardo. Gl’ ingegni sentivano confusamente che la mente non poteva incatenarsi ad: una forma sola e determinata; ma non scernevano oltre la forma, non ponean mente alla sostanza del Dramma, ed erravano come schiavi che si trascinano dietro la loro catena, illudendosi li- beri poi che l'hanno svelta dal ceppo a cui s’ inseriva. Si avve- deano che il riso ed il pianto non possono insegnarsi a’ mortali «li tntte le età coi formolari d’Aristotele, o colle ricette Orazia- ne; ma non indovinavano che î componenti di queste due fasi 37 umane s' hanno a desumere dallo sviluppo progressivo delle fa- coltà , dallo stato morale e politico delle nazioni, dallo studio de’ tempi. Leggevano Shakspeare ; non lo studiavano: ne traeva- no il miscuglio de’ generi, l’uso dello stile figurato, l’apparente disordine, ne ricopiavano esattamente le vastissime proporzio- ni; a qual pro sessi non sapevano di che convenevolmente riem- pirle ? se l’arte infinita per cui il genio di lui s’ immedesimava co’ suoi soggetti, e i suoi drammi riuscivano la miniatura del- l’ epoca ; sfuggiva agli imitatori ?_ == Però demolivano gli acces- sorii del Tempio, ma non s’ ardivano di profanare il santuario , perchè avean pur bisogno d’ un idolo, e non ne sapevano un nuovo da sostituire all’ antico. Chiudevano a sei chiavi i precet- ti come Lopez de Vega, attenendosi tuttavia all’ideale: violavano per preconcetta risoluzione le unità ; innovavano insomma per innovare, non: per migliorare o correggere. Del resto non pro- fondità d’ affetto, non espressione di civiltà, non vero storico ben inteso, non vero morale se non rade volte, e più per istin- to che per convinzione d’ utilità — Era Romanticismo ? — Non era: era il primo atto dello scolare che si ribella alla ferula del pedagogo. XXIX. La civiltà procedeva. Le condizioni duravano tut- tavia le stesse; ma la venerazione era spenta , gli animi s’ edu- cavano alla indipendenza. Non era più il primo moto d’ira in- quieta che calpesta i simboli della schiavitù, senza mezzi d’ e- stirparla dove s’ è inviscerata: era il grido della coscienza che predica la letteratura mezzo potente di rigenerazione: era il fre- mito dell’ anima che sente il suo genio, e intende |’ altezza del suo ministero, e piange i giorni perduti nell’ inerzia e nel fan- go. Forse allora se la Italia fosse stata vergine di studiata scien- ga e di tradizioni erudite , noi avremmo avuto di slancio il dram- ma romantico, di cui Dante che indovinò cinque secoli , e com- pendiò, profetando, tutta un’ era di civiltà, avea segnate le pri- me linee , e le più essenziali. Ma l’ autorità d’un sistema pre- dominante da secoli avea domate le menti più feconde di poe- sia. Era sistema vecchio, dicevasi, quanto la letteratura in Eu- ropa, desunto a quanto appariva degli esempi di que’ Greci che ogni uomo venerava padri della civiltà , consegnato nelle loro teoriche — e que’ grandi ingegni di Corneille, Racine, e Voltaire s'erano acquetati a seguirlo == e quanti letterati, professori, ac- cademici , eruditi s° assumevano d’ addottrinare le generazioni lo commentavano, interpretavano, tormentavano in tutte l’ opere , lingue e guise possibili. Or, chi avrebbe voluto e potuto costi- 38 tuirsi ad un tratto Napoleone della Drammatica? e starsi viola- tore dell'intero sistema, solo contro tutta quanta 1’ aristocrazia delle lettere, quando poi la razza irritabile de’ letterati minac- ciava non che beffe ed insulti, persecuzioni ? (4) Ingegni siffatti non sorgono per lo più se non quando le genti sono mature a riceverli e intenderli; nè gli uomini si divezzano da” sistemi ra- dicati al profondo, se non difficilmente, lentamente, ed a gra- di. La necessità d’ nn rimutamento efficace appariva, bensì man- cava la certa scienza de’ mezzi. Però, non sì tosto un raggio mostrò ad essi attraverso le rovine della loro prigione, una car- riera infiaita e fiorente , gl’ingegni si slanciarono per diverse vie. Gli uni potenti di cuore , ma di mente non libera affatto di pregiudizi, e ineducati a trarre dallo studio dell’ epoca luro la forma drammatica , sentirono che ogni Dramma dovea conce- pirsi con alto scopo, e predicare una verità; ma ostinandosi nelle angustie del vecchio sistema, e tratti per conseguenza a mutila- re o rimpicciolire entro a proporzioni meschine i grandi quadri storici ch’ essi sceglievano a soggetto, neglessero l’ assioma mo- rale : che il vero riesce sempre più convincente alla razza; se sgorga dalla rappresentazione intera ed esatta di ciò ch’essa fe- ce, che non offrendosi passione dello scrittore == e 1’ altro let- terario: che a creare il senso del bello vnolsi concordia e armo- nia tra la sostanza e la forma. Gli altri, ne’ quali la sagacità , la penetrazione e l’ ingegno parlavano più alto che non il cuore, s’avvidero che il sistema classico era fatto decrepito , e ne or- dinarono un nuovo. Il Dramma antico poggiava tutto sull’ideale: il moderno dunque doveva appoggiarsi sulla base contraria; però si cacciarono esclusivamente nella realità ; e vi s’ accostarono , ricopiandola dalla Storia com'era, con tutte le apparenti sue irregolarità , bizzarrie , ineguaglianze; ma senz’ animarle, senza innestarvi simboleggiata la interpretazione, senza curarsi se non facessero il più delle volte che esporre un enigma, o se ne sgor- gasse luminoso un principio. -- Î primi, rappresentati dianzi dall’Alfieri, in oggi da Niccolini, (5) mutavano la sostanza la- (4) Voltaire sollecitava gli amicisuoi, perchè s’° adoprassero che i drammi Shaksperiani # ch’ egli andava non per tanto imitando = fossero dati al boia, che gli ardesse in pubblico rogo; e Le Tourneur, che stava a quel tempo traducen- doli Dio sà come, s’avesse le galere per premia. (5) Nun vorrei che da taluno venisse interpretata più in là, che non è l’ in- tento, questa mia opinione del sistema tenuto dal Niccolini. Egli è scrittore tale, che meriterebbe un articolo a parte; e forse m’ attenterò di farlo. Ma il nome che 39 sciando intatta, o quasi, la forma. I secondi, condotti ora da Vi- tet, e dagli altri che crearono in Francia il genere delle scene storiche, mutarono forma e sostanza, ma non vi stamparono im- pronta d’idea malre che le informasse. — Era il romanticismo alla prima potenza ; era il primo passo di chi ha ferma nell’ ani- mo la propria emancipazione. | XXX. La civiltà procedeva. Le condizioni non procedeva- no; peggioravano; ma le opinioni s’ erano convertite in poten- ze; e gli animi anelavano indipendenza. Il lungo studio , e sia pur materiale e rabbinico , intorno ad una parte di scienza, ge- nera alla fine la filosofia della scienza stessa. Rovistando crona- che, frugando archivi a trarne documenti di fatti, copiando e ricopiando la Storia ; s' avvezzarono a intenderla, a giwilicarla , a scoprire le molte lacune ch’ essa è pure costretta a lasciare ; e a supplirvi, spiando nel conosciuto 1’ incognito. Interprete di siffatta tendenza sorgeva un Dramma nuovo di sostanza e di forma, più vicino di tanto al Dramma invocato , che la riforma v'è tutta intera, quantunque a germi, e non condotta alla mas- sima estensione possibile. Non è ancora il Dramma altamente romantico , colle sue proporzioni gigantesche , co’ suoi mille ele- menti, colle sue diverse lingue, e col suo pensiero nnico, gran- de , fecondo, come un'anima potente in un corpo potente, trat- tato con franco disegno e tinte decise da una mano energica senz’ altra guida che il genio; ma s'intende che questo Dramma è trovato, e ad eseguirlo manca coraggio , e non altro. — Tale è il Dramma d’Alessandro Manzoni, in cui tu trovi le linee quan- te sono della Tragedia romantica, ma non prodotti a’ loro ulti- mi confini gli elementi quanti sono del Dramma futuro, ma non giunti a tutto lo sviluppo di cui sono capaci; il pensiero insomma dell’ epoca, ma in embrione , 0, s'ami meglio , in com- pendio, non isvolto quanto vorrebbesi e si potrà. Tolga Iddio che le nostre parole suonino men riverenti che non le ispiran le idee. L’alloro di che s’ incorona quel santo capo è troppo Italico perchè a noi potesse mai sorgere in mente di stender la mano a sfrondarlo, senza che il cnore rinnegasse quel moto. Manzoni è un affetto per noi, e il suo nome si coufonde con quanto di bello e di grande santifica in Italia la giovine scuola; e se la parola del giovine ignoto, e impotente a tradurre fe idee che in questo gli sta vicino, varrà, spero, per ora a indicare la venerazione, ch’ io ho sacra ad uno de” più potenti ingegni italiani. 40 , talvolta gli fremono dentro , potesse aggiungere dramma al tri- buto che tutta una generazione gli paga, questo giovine vole- rebbe incontro all’ autore de’ Cori, e deponendo sulla sua fronte il bacio dell’ entusiasmo, gli mormorerebbe : Manzoni! tu se’ grande, ed amato! = Soltanto, mentre altri adora alla cieca, noi adoriamo il genio, guardando; e più il genio adoriamo la libera potenza del vero: e 1’ amor del vero c’ impone di esporre questa nostra credenza: che il dramma di Manzoni non è; come pare a taluni, il dramma romantico alla sua più alta potenza , bensì somiglia una di quelle sinfonie nelle quali tu senti ab- bozzate le cantilene che si svolgono poi nel corso della compo- sizione. Procede dubitando , e quasi pensoso, come uomo che ha creata una idea, ma s’ arresta dinanzi alle conseguenze della propria creazione. Il dramma destinato al popolo deve rap- presentare non un individuo ideale , bensì un fatto , e 1’ epoca di quel fatto , e i caratteri di quell’ epoca e di quella nazione: è verità che traluce per ogni dove nelle tragedie manzoniane ; e non pertanto l’ elemento popolare vi è maneggiato così parca- mente e timidamente , che sovente ti sfuma. I contrasti son la vita del Dramma : il bello ed il brutto , 1’ elemento poetico ed il prosaico si stanno allato l’ uno .dell’ altro nella natura e nel- l’uomo, e l’anima non è colpita mai tanto profondamente quanto procedendo per via di comparazioni; pur mai , o quasi mai, t° accade di vedere largamente esemplificati nell’ Adelchi e nel Carmagnola questi principii, connessi necessariamente al simbolo di Manzoni , e ch’ egli accenna soltanto ; e sempre in una sfera determinata, non suggerita dal fatto , non ritratta col vero colore de’tempi. L’ alta immutabile verità de’ principii gli parve dovesse essenzialmente rivelarsi nel dramma , perchè gli uomini non traviassero dietro all'immagine d’ un fatto solo ed inesplicato, ma traessero da quel fatto un grande insegnamento, e fecondo , imparando in qual relazione si stia col vero morale : e frattanto, dove campeggia questa solenne maestà de’principii , che pur dovrebbe librarsi d’ alto sul dramma come il sole sul vasto creato ? La espressione assoluta ne stà confinata ne?” cori , dove splende divinamente lirica, ma non drammatica; ed egli ha rilegato in un angolo estraneo alla rappresentazione ed es- senzialmente sconnesso ciò che doveva sgorgare conseguenza in- negabile da tutto il quadro. Forse paventò di ricadere nel falso dell’ ideale, s’ei tentava simboleggiare quel vero in un personag- gio del Dramma ; pur non volendo ringiovanire un vecchio tro- vato classico, rompere ogni verosimiglianza d’ imitazione, e 41 guastare la unità del concetto , gli era forza esprimerlo in questo o in qualunque altro modo ; nè gli sarebbe mancato, s’ei si fosse commesso al libero genio (6) — Se non che di queste mancanze, e d’ altre simili a queste, nè invidia di scrittorello nè malignità di giornalista potranno mai dar la colpa tutta a Manzoni. Sono concessioni ch’ egli, strozzato da’ tempi , faceva al senno, contro il voto del cuore. Scriveva e si palesava romantico, quando il romanticismo , percosso dall’ anatema che condanna ogni nuova cosa , si stava quasi in lui tutto, e la letteratura tentennava fra la codardia e l’inerzia, e l’ unica voce potente che aves- se senza ritegno denudate le puerilità dei mille scienzia- ti, letterati , giornalisti, e poeti d’ Arcadia , che mano- mettevano lettere, indipendenza; cuore ed ingegno, errava soltanto com’ eco a impaurire i venduti e gl’inetti. Era la voce di Foscolo : e Foscolo per torsi dagli occhi lo spettacolo di tanta vergogna , ramingava allora per terre straniere , alle quali dovea lasciar |’ ossa: povero Foscolo! = ‘Ta chi rimaneva potea far più che non fece Manzoni? Forse , egli, nascendo poeta dieci anni dopo, darebbe quauto invochiamo, come Corneille e Racine, nati a’ tempi della Fronda avrebbero probabilmente dato alla Francia il dramma romantico. Fors’ anco egli rinunziò ad altri la gloria d’ una compiuta riforma per timore che il tentativo precipitato fallisse a buon porto. Manca tuttavia , e certo allora mancava un pubblico ad incoraggiar lo scrittore. E vedo, guar- (6) Fra le composizioni drammatiche di Schiller cito quest’una, non ch'io la creda migliore dell’ altre, o da proporsi in tutto a modello agli scrittori di drammi; ma perch’ egli vi lavorò con amore, quando nell’ ardor della gioventù non conosceva influenze se non di cuore, e del Genio ; e vi trasfuse più che al- trove l’ anima sua ch” era foco di belle e generose passioni , e più che altrove vi versò quella idea ch’ egli adorava, .e che sarà pur sempre , checchè si tenti, religione al futuro, Più tardi gli anni e gli studi non ispegnevano quell’ardore, ma gli insegnavano a dominarlo , e scriveva drammi più accetti a chi nell’opere letterarie cerca più l’ arte e 1’ artefice , che non il soffio dell’ anima , e 1’ uomo. #So che le accuse mosse da’ letterati al Don Carlos son molte , le più per altro puerili, e procedenti da gente che assolve e. condanna in virtù d’ un sistema ch’ io rinnego in tutto e per tutto. Il vero difetto di quel dramma 4 eil più raramente accennato #4 sta in questo , che Schiller v’ ha dipinto le arti de’cor- tigiani di Filippo , e l’ impero della superstizione più che il dispotismo di Filippo stesso. Il Filippo di Schiller non è certamente il Tiberio delle Spagne pennel- leggiato dall’ Alfieri ; e forse sedotto da quel tanto di grande, che le storie gli danno , e più dall’ anima sua angelica 3 non seppe risolversi a dargli un’ anima tutta negra. Comunque, questo difetto , facile ad evitarsi senza mutare l’ordina- mento e il sistema del dramma, non nuoce al mio assunto. T. IV Ottobre, 6 42 dando alle storie dell’ intelletto, che di tutti que’ genii che rap- presentano un’ epoca , e tutto intero il sistema dell’ epoca ; tre quarti almeno sorgono in sul finire dell’ epoca stessa, quasi a compendiarla, e tramandarne il simbolo nel futuro. Comunque, tu senti, leggendo le cose sue, che a quest'uomo è più a cuore di pre- parare un mutamento che non d’effettuarlo. Tu senti, che a que- st’ uomo non manca potenza intrinseca all’ uopo; bensì in- dovini che cagioni estrinseche glielo impedirono ; e piangi con lui della dura necessità , che gl’ impose rimanersi a mezzo la via. Tu senti, ch'egli concepì nel segreto tutto il cammino da percorrersi.; ma era cammino sparso di triboli e spine: ed egli temprato alla rassegnazione, ed anima dolcissima , e tutt’amore, rifauggà dal viaggio, non volle assumersi più guerra che non potea sostenere, piegò la testa, e mormorò: non macqui alla lotta; ma tu senti a un tempo, che una speranza generosa gli confortò 1’ amarezza del sacrificio, e ch’ egli guardò con amore alla giovine generazione, quasi dicendo : voi compirete 1’ opera mia: voi feconderete i germi ch’ io vi lasciai: voi svolgerete ciò ch° io ho soltanto abbozzato. = E v’ hanno abbozzi di Raffaello e di Michelangiolo , ne’ quali è tutto intero 1’ avvenire della pittura. Il dramma adunque d’ Alessandro Manzoni usciva simile a quel giornale in cui Byron notava a tratti energici ma con- cisi e troncati le sensazioni ch’ egli provava viaggiando su’ la- ghi e fra le rupi eterne della Svizzera, e tutti gli elementi che generarono poi il suo sublime pellegrinaggio. Era il Romanti- cismo alla seconda potenza. Era la prima vittoria che decideva del successo della guerra intera. XXXI. Or l'intelletto proceda. Proceda animoso perchè questo è secolo di moto e di nobili tentativi: compia la riforma di cui Manzoni ha cacciate le basi, e sollevi la drammatica al- l’ altissimo ministero di predicare a’ popoli la verità. La nuda rappresentanza de’ fatti passati, esibiti senza chiave d°’ inter- prete e scorta di filosofia, si rimane inferiore ai bisogni de’tem- pi e al progresso delle opinioni. D’ altra parte, la esposizione de’ principii per via di simboli ideati di pianta dallo scrittore , sta pure — e starà forse gran tempo == superiore alla intelligenza della moltitudine , diffidentissima di quanto non è o non par se non opinione d’ un uomo, usa a fidar ciecamente ne? fatti, e ad adorare onnipotente la potenza efficacissima de’ ricordi. È finchè il dramma , sottomesso ad un concetto esclusivo , errerà d’una in altra di queste vie, noi non avremo il dramma roman- 43 tico mai. Sorga adunque e si collochi fra le due , come anello che congiunga il vero de’ fatti a quel de’ principii. La»realità deve esserne il campo ordinario : la verità lo scopo perpetuo. S’ aggiri nell’ una quanto può e finchè può ; ma guardi all’altra indefesso. Evochi 1’ ombre del passato , ma come la maga d’En- dor, per costringerle a rivelar l’ avvenire, o meglio le leggi che generarono ciò che fu, dominano quel che è , e creeranno quel che sarà : tale è 1’ ufficio dello scrittore drammatico. Dal popolo de’ fatti trascelga un fatto grande, importante e fecondo. Lo svolga , lo mediti , lo guardi per ogni lato, e nelle singole parti, ad afferrarne esattissime le proporzioni. L’ accurata disamina delle storie gli fornisca le circostanze essenziali, e le cagioni del fatto, e le conseguenze. Lo studio generale dell’epoca e dei suoi caratteri gli darà di che far rivivere gl’ individui che vi firurarono. Con intelletto aiutato dall’ induzione == ch’ è storia anch’ essa , purchè serva a’ canoni della critica filosofica — po- trà supplire dove manchi la storia. Poi, quando il fatto gli sta- rà davanti compiuto , rammenti che ogni fatto cova una idea. Sviluppi , traduca cotesta idea, e si slanci nel méhdo morale. Due leggi stanno superiori permanentemente a qualunge fatto. L’ una, risultato ultimo della condizione civile , religiosa , e. po- litica, propria d’ una età , complesso di quanti caratteri la di- stinguono dall’ altro , esprime il grado di sviluppo intellettuale, il sistema d° un secolo, e di più secoli : è la legge generale del- l'epoca alla quale appartiene quel fatto ; e ad essa si connette per qualche parte ogn’idea desunta da un fatto particolare. L'al- tra, espressione del più alto punto di sviluppo intellettuale che mai sia dato di toccare alla razza, è il principio che domi- na tutti i fatti d’ uno stesso ordine, la legge universale del- l’ umanità , a cui le leggi dell’ epoche particolari stanno più o meno consone, secondo che la civiltà a que’ tempi s’ innoltra , retrocede momentaneamente , o si giace inerte. Or quì sta il nodo del dramma romantico. «= A qual grado il fatto scelto a soggetto , e la idea ch’ esso esprime , rappresentano la legge del- l'epoca ? — In quali termini di proporzione stanno fra di loro quest’ ultima legge, e la universale dell’ umanità? — Son due problemi che importa innanzi tratto di sciogliere, poi di rap- presentare. Il Dramma romantico è l’esposizione d’ una frazione dell’ universo. L’ universo si compone di fatti, e principii: il dramma deve abbcacciar gli uni e gli altri: svolgere un fatto, e predicare un principio : presentare un quadro storico , e trarne una lezione applicabile alla umanità. Lo scopo dell’arte è ripo- 44 sto nell’ arrivare la più grande efticacia possibile; nè scrittore di drammi potrà conseguirla mai tutta intera ; se la rappresen- tazione del fatto non proceda in tal guisa che tu possa leggervi il grado segnato da quel fatto sul termometro della civiltà , la proporzione in cui si sta col vero morale - Un principio spie- gato da un fatto: la verità insegnata colla realità - ecco il Dramma romantico , che noi non abbiamo finora che a cenni, ed avremo senz’ altro == malgrado il cinguettio de’ maestri , e prima che il secolo XIX abbia compito il suo corso: == il mondo morale insomma manifestato dal mondo fisico, il cielo rivelato alla terra. XXXII. Or, se taluno, — e i critici in fignra d’interro- gativo non son rari a’ dì nostri == richiedesse come un poeta possa congiungere queste due cose in un dramma , senza appa- renza di lavoro preconcetto , che guasta, avvertendoti innanzi tratto , l’ affetto — senza isterilirsi l’ anima poetica nella servitù d’ uno scopo == senza violare apertamente o violentare tacita mente la storia — senza romperti l’ illusione drammatica sommi- nistrata dal fatto col piantarti innanzi ogni poco , perchè tu nol dimentichi , un principio morale in forma di sentenza assiomati- ca =: a questa, e a mill’altre richieste dello stesso genere , io risponderei ingenuamente : nol sò ; — nè , se mi paresse saperlo, mi starei scrivendo un articolo. È il segreto del genio , e si sciorrà quando a Dio piacerà; nè prima forse che le condizioni siano mutate , ma nè più tardi, ripeto , del secolo XIX. Questo m° è certo, che senza questo, il dramma muterà forma , propor- zioni, e apparenza a capriccio degli scrittori, ma senza innal zarsi d’ un passo, senza armownizzare coll’ incivilimento e colla tendenza del secolo : — che l'alta missione di farsi apostolo del vero alla gente , non è servità, nè fu mai sdegnata dal ge- nio , bensì, quasi consecrazione, lo ingigantisce , rinfiammando- gli di sublimi speranze tutte quante le potenze dell’ anima; e talora pure lo crea : = che interpretare la storia non è violen- tarla, o violarla : == che la necessità di ridurre evidentissima l’ idea desunta dal fatto, e d’ introdurre nella rappresentazione un simbolo della umanità e de’ principii che la governano , in- durrà forse lo scrittore ad aggiungere o scemare alla realità ; ma che siffatta operazione riuscendo inevitabile a qualunque siasi drammatico, dacchè nè la storia, per quanto scritta in coscie.za, sommiuistra tutti gl’ incidenti di un fatto , nè un dramma, come che adattato religiosamente alla storia, può comprenderla tutta intera , torna a vantaggio dell’ arte che vi presieda lo studio di 45 uno scopo filosofico , ed utile anzichè l’ ingegno capricciosamen- te libero dello scrittore: — che i limiti de’ cangiamenti subordi- nati a scopo siffatto riusciranno meno arbitrarii ch’altri non pen- sa, perchè il vero morale traducendosi sempre in realità , la ricerca dell’ uno additerà spesso l’ altro, e il Drammatico , pur lavorando a inventare , corrà facilmente nel segno , indovinando la storia. E m'è certo d’altra parte, ch’io sento con intimo convincimento la possibilità d'un tal Dramma, e confido in que- sta nostra giovine Italia, la quale giacente or, come pare, nel silenzio e nell’incertezza delle dottrine, racchiude pure in se, s’'io non erro, tanto nervo , e vigore e potenza d’intelletto e fervore di cuore che nessuna innovazione comechè ardita e dif- ficile può giungerle maggiore delle sue facoltà. Or m'è fede che il Dramma , ch’io invoco, è solo, bench’io non sappia esporne intera la teorica, all’altezza de’ suvi destini. Giovi per ora accennarlo, e tenterò dimostrarne la imminente necessità , e la conformità al grado attuale d’ incivilimento in Italia. Questo, e nessun altro, è l'ufficio della critica, frainteso finora e smarrito tra le pedanterie filologiche , estetiche, grammaticali de’ com- mentatori , giornalisti, e predatori di sillabe, che spolpano i mor- ti; e le superbie de’ trattatisti, accademici e didattici che im- perano a’ vivi. Non ha che fare col genio; nè tutta la critica dai dì d’Aristarco fino a questo che noi scriviamo, può infonderne Dramma dove non sia. Bensì sta fra i sommi e le moltitudini, quasi anello che li congiunge: spia ne.le condizioni de’ tempi le necessità letterarie, e le predica alle nazioni perchè s’avvez- zino a presentirle , a bramarle, e invocarle; prepara insomma un popolo , vaticinando agli scrittori: cosa più importante ch’al- tri non pensa, dacchè per lo più gli scrittori non emergono che a tempo, e rarissime volte prima del tempo. Or si tenti di formar questo popolo. Quand” esso si starà preparato e raccolto , quasi aspettando lo spirito di Dio, lo spirito di Dio verrà. Il genio sorgerà di mezzo alle turbe, gigante, forte dell’ assenso comune , e troncherà colla sua mano potente il nodo ch’ ora è gordiano a noi tutti. = E noi tutti critici quanti siamo, faremo, se avremo senno, silenzio , ed adoreremo. Sorgerà predicando quel vero ch’io ho accennato, e introducendolo nel Dramma non per via di precetti intarsiati a mosaico , come Voltaire, nè per altra qualunque che guasti colla insistenza d’ una missione l’ interesse dell’ incertezza drammatica , ma diffondendone l’alitu per entro alle vene del dramma, e stampandone luminosa la idea nella mente, senza che tu intenda per qual modo, 0 mi- 46 stero d’arte. Anche Dio sì manifesta, e predica senza mostrar- si: egli ha stesa davanti a noi la sublime pagina del firmamen- to, ha dichiarata la sua potenza e il suo codice nell’ universo ; ha cacciato il sole , seminate le stelle quasi fiaccole che illu- minano al mortale il libro della natura. Or chi dimanda una ri- velazione più distinta ? Vorrete forse che in quell’ infinito az- zurro del Cielo la sua mano sporga a scrivere i suoi decreti, e i principii dell'umanità? Il genio è l'ombra di Dio: opera com’ esso, giunge all’ intento senza manifestarlo direttamente. L’ edificio ch’ egli innalza non ha nome, ma la corda , che ri- sponde al pensiero, ti vibra dentro al solo vederlo ; e tu uscirai dalla rappresentazione del suo Dramma altamente compreso dal principio ch’ egli avrà voluto istillarti, come tu sorgi più vir- tnoso e potente dalla lettura di Dante, dalla musica di Rossini, dalla contemplazione dell’Alpi. XXXIII. Non pertanto — e poi che il genio cresce pianta rara fra gli uomini, e gli altri potrebbero impaurirsi delle dif- ficoltà che s’ affacciano insuperabili == mi varrò di un esempio a mostrare la possibilità d’ un Dramma che congiunga alla espo- sizione d’ un fatto la manifestazione del principio morale a cui deve paragonarsi la idea sgorgante dal fatto stesso; e mi gio- verà intanto a dilucidare un pensiero che, chiaro in se, abbiso- gnerebbe pure di lunghi sviluppi, vietati ora dalla natura dello scritto. L’ esempio m'è somministrato dal Don Carlos di Schiller (7). (7) Di Carlo sappiamo che anch’ egli è creatura poetica, dacchè le me- morie storiche , e i documenti raccolti da Lorente lo mostrano rozzo , feroce e prossimo quasi alla insania. Bensì l’ incertezza che regnava intorno a lui, al tempo che Alfieri e Schiller scrivevano , era estrema ; e gli scusa davanti a que’ valentuomini, che s° ingegnano a provare la non esistenza di Tell, e ad insinuare a’ giovani, che l’ amor proprio, non l’ amor patrio spirava a Dante il poema sacro. Quale alta utilità sgorghi dal rovesciare un altare sul quale la gioventù ardeva incensi al simulacro dalla virtù, non saprei. Gli uomini hanno pur troppo bisogno 4 ed avranno gran tempo ancora 4 di venerare le immagini a confortarsi nell’ adorazione di Dio. Però , so buon grado a Schiller «l’ avermi creato un nuovo simbolo di virtà 5 e ho dispetto agli uomini che s’at- tentano d’ atterrarlo in forza d’ una cronaca dissotterrata , quando pure il van- taggio importante a trarsi dalla esattezza storica consiste più nella definizione del secolo , de’ suoi caratteri, e condizioni civili, politiche e religiose , che non nella copia d’ un individuo non influente 4 quando il sommo dell’arte sta nello scoprire il principio predominante in un fatto, e porlo nella massima luce quando finalmente non è la tirannide di Garlo , bensì quella di Filippo II, che noi vogliamo sentire al vivo ; e il contrasto aiuta a farla più tremendamente evidente. 47 Tre cose dovevano considerarsi, volendo trattare il soggetto nel modo fin qui accennato. Il fatto reale La legge generale dell’epoca che lo avea reso possibile, e ne spiegava la esistenza La legge universale dell’ umanità , ossia il principio morale secondo il quale dovea giudicarsi. La lotta di queste due leggi sul campo della realità costi- tuiva il soggetto: il trionfo individuale e momentaneo della legge nell’ epoca sulla legge dell’ umanità, la catastrofe. Tre ordini di simboli, o di personaggi dovean dunque col- locarsi nel Dramma I primi, personaggi del fatto reale, Filippo, Carlo, Isabel- la ec. erano somministrati dalla storia, e conveniva copiarli I secondi, destinati a rappresentare la Spagna del seco- lo XVI e le passioni di superstizione, di orgoglio signorile , di fanatismo monarchico, di voluttà, che la dominavano, Alba, Do- mingo; l’ Eboli, ec. son tratti dalla contemplazione dell’ epoca. A questo s’ arrestava probabilmente qualunque. scrittore drammatico avesse prefisso al suo dramma l’ idea dominante del sistema storico, come i primi romantici hanno mostrato d’ inten- derlo. Ma Schiller non s’ arrestava. Per lui, il Poeta era — ed è veramente == un uomo che sta fra il passato e il futuro: prima d’ essere artefice, era cittadino dell’ epoca in ch'egli era nato , e ne presentiva i destini. Scriveva a un mondo che , giovine , e all’ aurora del suo sviluppo, attendeva la rivelazione del pro- prio pensiero : e mentre gl’ ingegni s’ affaccendavano universal- mente a ricrear l’ ideale , o rinnegare quel tanto di umano che gli affratellava al loro secolo , e di divino che gli spingeva al progresso, per tramutarsi, retrocedendo , in uomini del secolo XIV. o XV, eglisi sentiva consecrato dal genio alla missione religiosa di cacciar sulla terra e fra le moltitudini de’ principii fecondi e luminosi di sublimi speranze ; perchè l’ epoca , com- piuta quasi l’opera di distruzione , non si rimanesse incerta, e scettica d’ avvenire. Mente altamente filosofica , sapeva che un fatto è un raggio che va dagli uomini a Dio ; però balzava dai confini angusti del fatto a rintracciare quel raggio fin dove si confondeva nel foco universale , coll’eterna verità delle cose. Al- lora, gli s’ affacciava la grande immagine del marchese di Posa. Quel Posa è un tipo: rappresenta il principio del dritto, della ragione libera, del progresso, anima dell'Universo. Angiolo sceso in mezzo a un luferno, tu senti diffondersi al suo primo appa- 48 rire sulla scena come un’aura- santa di virtù sovrumana, un soffio di solenne speranza , una calma di rivelazione; però ch'egli ama, ma il sno cuore palpita per un mondo intero; e il suo amore circonda la umanità con tutte le razze future. Grande di fede , e di sacrificio ch’ è complemento a tutte le umane virtù, forte d’ una coscienza purissima , e di costanza a ogni prova, procede nella linea che gli ha prefisso quella potenza che crea il Genio e lv investe d’ una missione divina, tranquillo , fiducioso , rassegnato, com’ uomo che ha rinnegate le speranze e le voluttà della vita, e i plausi brevi , e le gioie del trionfo splendido , e ogni cosa ; fuorchè nn principio, e il martirio. Di- resti che d’ uomo egli non avesse se non se la parola e le forme , e fosse un tipo rapito a’ segreti dell’ ispirazione poetica per esi- birlo agli uomini , sì che disperino d’ arrivarlo , se un senso di vago dolore che sgorga dai moti, dai cenni, dal dialogo , e si diffonde su tutte le sue relazioni , non t’insegnasse ch’ egli è un nato di donna , e se il pianto, se una tenerezza quasi ma- terna per l’amico de’ suoi primi anni, un ritorno d’ istanti a’bi- sogni del cuore, un abbraccio al Carlo della sua prima giovinezza non ti convincessero ch’ egli, come i suoi fratelli di sciagura , è nato a soffrire, e morire , che l’anima era un fòco di belle passioni, di affetti gentili, e d’ amore, ma ch'egli confuse, uc- cise, affugò gioie , illusioni e speranze in una grande idea, e fece volontariamente deserto di quell’anima fervida per innalzarvi un altare alla umanità , dal punto in che gli fu rivelato, l’uomo non essere nato a se stesso. Pur quella potenza d’amore che vive in cuori siffatti, e non è se non una aspirazione dell’anima al Bello infinito, una luce di fiamma che vorrebbe spandersi sulle cose, e abbracciar 1’ universo , ha bisogno , a non disper- dersi, di versarsi sovra un oggetto determinato e sensibile. È massa di raggi — e mi spiace dovermi esprimere materialmente a spiegarmi alla meglio - che partendo a centro dal cuore, in- contrano tra via un oggetto idoneo, e lo circondano a tangenti , e lo vestono , indorandolo de’loro colori più luminosi, con tinte ideali purissime, proseguono il loro viaggio a diffondersi sul creato. E di questa sublime amicizia — ch’è pure anch’ essa una rivelazione dell’ era nostra , antiveduta da lui solo, a quanto io mi so, — Schiller s° è giovato mirabilmente a rannodare il suo tipo all’uomo, innamorandolo del giovine Carlo, come d’un simbolo della propria religione, come d’ un intermediario fra il pensiero ; e l’umanità; però che il Posa nel giovine Carlo ama il mondo. So che i professori di lettere, e i giornalisti devoti ad essi han mossa ac- x 49 cnsa allo Schiller, d’ avere, senza rispetto a’ tempi e alla verità storica , versate le passioni dell’ anima sua , e del suo secolo in un personaggio del secolo XVI. A questo risponda per me la potenza che cacciava la grande anima di Peto Trasea in mezzo alle infamie del patriziato e della plebe romana, imperante Nerone, e spirava sotto Ottone Ill in Crescenzio un concetto unitario ,, anteriore di nove secoli alla possibilità dell’ evento. Il Genio e l'Amore sono di tutte le età : l’ anime scaldate a que- ste due fiamme splendono in ogni secolo ; altamente infelici , se il secolo s’ urta con esse: pur non v’ è condizione così funesta che ne discrediti totalmente la umanità ; e i professori ricordino che Filippo II incominciava il suo regno, calde ancora le ceneri di Padilla, frementi le memorie della guerra de’ Comuni, e della eroica difesa di Toledo. sotto gli ordini d’una donna, Maria Pa- checo. Bensì , la legge del secolo vietava che i principi simbo- leggiati nel Posa s’ insignorissero delle moltitudini, e per esse si riducessero all’ azione. Però Schiller, attemperando la sna creazione a cotesta legge , rivolgea tutte quante le potenze del Posa.a operare sovra un uomo di razza regale, a stillare in Carlo que’ principi e que’ germi di dritto eterno, che, sanciti e pro- mossi dall’ autorità del dominio , avrebbero educate le. genera- zioni a intenderli, fomentarli, e custodirli con opera propria. A Carlo il capriccio e i sospetti del dispotismo che gli avean ra- pita la sposa ; la donna del suo cuore, e gli rapivano l’ affetto del padre , la confidenza de’ cortigiani, e le prerogative del prin- cipato , doveano apparire più esosi che ad altri. E l anima sua appassionata , pura , vergine d’ ogni cosa fuorchè di. dolore e d'amore, immaginosa , fidente, disinteressata, come tutte l’anime giovani, dovea schiudersi facilmente a tutte le illusioni magna- nime , a tutte le speranze dell’ avvenire , perchè il pensiero del Genio, a fruttare , vuol. esser cacciato dove sono fede ed ar- dire ; e l’ ardire e la fede spettano a noi giovani. Bensì a ricon- fermare il carattere essenziale dell’ epoca, che non concedeva d’ operare sulle masse ma soltanto sull’individuo , il Posa tenta Filippo medesimo ; tenta, a vedere se l’ anima del tiranno po- | tesse mai far patto colla verità : ma nè la parola dell’entusiasmo ‘può fecondare il deserto : e dal momento in cui tu vedi il Posa tener dietro alla illusione d’ infonder vita a’ cadaveri, tu senti ch’ egli è perduto. Da quel momento, le proporzioni del quadro ingigantiscono ; l’ urto è fra’ due principii, de’quali gl'individui del dramma non sono che gli agenti ciechi. L'uno è simboleg- giato nel Posa: l’altro, di cui tu senti la influenza segreta T. IV Ottobre. 7 50 spargersi per entro agli episodi e sugl’incidenti dell’azione, si rimane invisibile , ad esser più solenne e temuto , fino al- l’ ultime scene, nelle quali ti si rivela a un tratto sotto le forme del Grande Inquisitore, vecchio come l’ autorità , cieco come la superstizione, inesorabile come la fatalità. La conseguenza della lotta, per Posa, alla corte di Filippo II, che altro voleva es- sere se non il martirio? Egli muore ; ma tu senti che la sua grand’ anima si libra d° alto sulla scena, e la domina: ch'egli è martire d’ un principio e che il principio starà. — Gli artifizi, e le mille bellezze particolari sono a vedersi nel dramma ; bensì ciò ch’ io vorrei si notasse , è quell’ intrecciarsi dei grandi in- teressi pubblici delle riforme , della rivoluzione delle Fiandre , del progresso morale all’ interesse individuale , che s’avvolge in- torno ad Isabella ed a Carlo — quell’ aura di generalità. che, sollevando il fatto particolare al contrasto che si riproduce ogni secolo tra le due leggi dell’ epoca e della umanità , dà moto a una corda che vibra gran tempo dopo che la emozione nata dal fatto è smarrita , e vi lascia una idea generale applicabile a tutti gli eventi d’ uno stesso ordine + quel lanciarti sì dentro al soggetto, da farti intravedere per quali fili si ‘connetta alle leggi della natura morale, cacciandoti alla perduta al di là del gruppo determinato nel campo infinito della pura ragione. È proprietà del dramma classico d’ affratellarti tanto agli individui che s’ aggirano sulla scena , che tutta la impressione si consuma nel cerchio dell’ azione. La rappresentazione d’un fatto isolato, idea- to o storico, genera sensazioni individuali, così strettamente connesse alla vicenda de’ personaggi che nascono ‘e muoiono sulla scena, perchè la disposizione ordinata senza intento filo- sofico , non lascia parte alcuna all’intelletto di chi assiste a quella rappresentazione. Questo essi chiamano interesse dram- matico. Ma il dramma , come noi l’intendiamo ; il Aramma fon- dato sull’alta verità de’ principii , converte la udienza in un vasto giurì che applica al fatto la legge ; e trae con sè dallo spettacolo il profondo convincimento della eternità d’ una mas- sima ; e la! grave e durevole impressione che lascia nell’ani- mo 1 adlempimento d’ un solenne sacerdozio morale. V'è una legge di Kant , che definisce, parmi , mirabilmente la missione morale. della giovine Enropa : ‘oprate per modo che ogni mas- sima della vostra volontà possa ottenere la forza d’ un principio di legislazione generale. + Ed io dirò a’ drammatici : rappresen- tate per tal modo il fatto scelto a soggetto, che il risultato particolare possa mettere sulla via d’ una delle grandi leggi mo- 51 rali o storiche che dirigono 1’ universo. La lotta fra la potenza delle volontà individuali e la legge suprema della umanità , costituisce tutta intera la storia del mondo: 1° accordo fra questi due principii, la rifusione dell’uno nell’ altro, ne costituisce il segreto. Ivi è tutto il problema della civiltà — e si sciorrà Dio sa quando; forse tra duemila anni: pur si sciorrà, quando che sia: e allora il Dramma e forse ogni altra letteratura si ri- marrà inutile o perigliosa. Intanto, per ora , il Dramma, come ogni genere di letteratura, a voler procedere co’ nostri bisogni , deve raffigurare cotesta lotta ; dev° essere un irraggiamento della umanità, un riflesso, una espressione di quello spirito univer- sale che la religione traduce in coscienza » la filosofia in idea, la storia in fatti, l’arte in rappresentanze ed immagini. Del come non so: bensì addito fra le tante una via che Schiller intravvide , e dimostrò possibile coll’esempio. Credo che l’ ogget. to finale dell’ arte si riduca a promovere lo sviluppo dell’ inci- vilimento nelle moltitudini; e credo che nelle moltitudini P come ne’ fanciulli, come in ogni uomo , si sviluppino più util- mente le facoltà col proprio esercizio , coll’ abitudine di dedurre i corollari d’ un fatto, e trovare, anatomizzando , i caratteri d’una idea, che non coll’ insegnamento assoluto, esclusivo b unilaterale. Trovo che nella più parte de’ drammi classici il popolo si rimane troppo isolato , e condannato a’ starsi spetta- tore inoperoso , e null’ altro : colpa forse in parte d' un sistema d’ illusione drammatica falsamente concepito .e applicato , e più, della tristissima condizione che facea poc’ anzi della letteratura una istituzione aristocratica ; e cacciava il popolo in una sfe- ra d’inerzia, che gli eventi rinnegano. Ma una nazione non si condanna all’ ostracismo morale; nè si provvede ad essa coll’ ordinarle un teatro a guisa di sollazzo sensuale. Che se taluni s’ ostinassero a non veder nel teatro che una ripetizione de’ Circensi , senz’ altro scopo d’ ammaestramento durevole sifio mi voterei d’ abolirlo. Certo : il carattere dell’ epoca, epperò della nuova letteratura, è in sommo grado popolare. Il po- polo ha febbre di progresso : anela la scorta del genio: dove questa gli manchi, fa pur da sè, indovinando alla meglio , travederido , e traviando più spesso. E non pertanto i drammi quanti sono e saranno » foggiati sul vecchio metodo, adulterato da chi rubava a’ greci ogni cosa fuorchè l’ intima vita che facea del teatro un supplimento alle istituzioni, e tratto poi da’fran- cesi ad essere distrazione di marchesini ed arredo di corte, sol- leticano il popolo , e ne tengono viva l’attenzione per quel tanto 52 che le alternative dell’ azione concedono . e troncano colla cata- strofe drimma e commozione ad un tempo: == o se pur tentano di generare durevole una passione , o solcarti l’anima d’una im- pressione che vada oltre il teatro , è passione negativa , smania di distruggere , anzichè norma ad edificare ; e pare insegnino l’o- dio, come se l’ odio , ingenito pur troppo a’ mortali , e che veste talora indole di passione generosa, non riuscisse più spesso , quando è lasciato senza freno , o fede di meglio , funestissimo, ed inefficace. Così parecchi de’ drammi di Voltaire, che riassn- mono a dir vero la legge del secolo XVIII, secolo di reaziore distruggitrice. Così quasi tutti i drammi alfieriani, da’quali sgor- ga tormentoso un senso di sdegno energico e violento , che tocca i confini dello sconforto , e veste l’ anima a negro. A udirli è leggerli, ti senti fremere dentro un cupo furore , un’ ira inquieta e indomabile. Ma lira, furia dominatrice d’ Alfieri, a quanti frutterà la potenza di grandi cose, che non abbiano anima tem- prata come la sua ? e quante sono |’ anime alfieriane in un po- polo ? I popoli non camminano franchi sulle vie del pro- gresso , se, non intravvedono pure là in fondo un lume di speranza , che irraggi il cammino. E tn diresti che in fronte alle sue tragedie egli scrivesse la parola, che Victor Hugo les- se su’ portoni di Notre Dame: ANATKH- E non pertanto AL fieri, noi lo abbiam detto (v. art. 1), fu novatore al primo gra- do: mutò , se non le forme e il sistema , la sostanza almeno e lo scopo del dramma : non fu romantico, ma nè classicista. Non pertanto egli intese la necessità prepotente che imperava al poeta drammatico di dare una mentita alla realità, rinnegan- do « per ritornare al soggetto — le pagine che ci descrivono Carlo pazzamente feroce , e innalzando 1’ vppresso a deprimere l’ oppressore. Non pertanto fu trascinato dalla legge de’ contra - sti a cacciar tra quegli orrori d’ efferata tirannide e di servaggio vilissimo un personaggio che rappresentasse la eterna ragione delle cose, e protestasse, a nome dell’ umanità conculcata , cor- tro il violatore potente. Ma Perez è poco interprete a tanto prin- cipio : il concetto del dritto immortale ti s’ affaccia in que! buio, come un raggio di sole in una prigione : poi ti sfugge, lascian- doti solo a maledire nella disperazione , a strider de’ denti, a cacciarti le mani dentro la chioma, perchè tu intravvedi da quella breve e inutile opposizione una condanna tremenda, una sen- tenza tristissima de’ destini della umanità. Non così Schiller : perchè tu senti una rivelazione spuntarti di mezzo agli orrori della catastrofe , come un fiore sopra tomba , che ti parla una ICT 3 553 storia d’ affetti, di memorie ; e di soavi speranze - perchè ti convinci che nomini come il Posa, non si fauno martiri d'un principio falso — e da quel cadavere muto, giacente siccome vittima d’ espiazione , in faccia a cui il monarca di metà dl mondo è costretto ad impallidire del pallore del reo davanti al suo giudice , sorge un grido potente, che tramanda alle età fu- ture la storia e la condanna a un tempo della tirannide. Ed io sentii tutto questo ; e ben altro , leggendo, e rileggendo quelle pagine del Don Carlos — e, in mezzo al pianto, io intendeva di- stintamente una voce di sublime conforto , un fremito di vitto- ria, una fede che superbisce sulle rovine , un senso profondo d'una legge suprema di progresso; che dice: io risorgerò più bella dal martirio , però che dalla morte si genera la risurrezio - ne! Forse queste sensazioni sun tutte mie == e in tal caso non ho diritto d'imporle altrui; pure , prego i miei giovani conlra- telli a rileggere i due drammi d’ Alfieri e di Schiller, senza diffidenza del proprio cuore, senza pregiudizi di scuola ; e ere- do , che i due terzi dell’ anime giovani della mia patria senti- ranno a un modo con me == all’ altro terzo io non parlo. XXXIV. Potrei giovarmi d’ altre citazioni a mostrare per quali e quante vie il genio possa eseguire la idea. ch'io vorrei prefissa al dramma moderno , accoppiando all’ espressione filoso- ficamente esatta della storia e dell’ epoca quella importantissi- ma della verità de’ principii : verità ch’esercitò sempre la sua in- fluenza sugl’ individui e sulle generazioni, tacitamente , igno- tamente , ed inosservata un tempo, ora ‘conosciuta , meditata, o presentita almeno. Parmi che il Guetz di Berlichingen riveli lo studio della stessa base drammatica, e senza la introduzione d’ un simbolo unico di questa legge , o potenza del vero supre- mo. E credo che l’ analisi del Dramma di Goethe somministre- rebbe esempio del come ‘uno scrittore possa concentrare in un solo individuo 1° espressione delle due leggi ; e il Goetz del se- colo XVI, serbando pur da un lato il colore de’ tempi, riflette dall'altra la luce di quel vero , ch'è legislazione all’ umanità, come fosse la figura del feudalismo spirante illuminata dal sole d’ una nuova civiltà, e un simbolo cacciato fra’due mondi. Ma; dacchè mi son forse dilungato anche troppo ; l’ esempio tratto dal Carlo mi varrà , spero, perch’ io abbia mostrato che al ge- nio non mancheranno le strade mai: agli altri, s’ io fossi ar- bitro in letteratura, contenderei, non che il dramma, ogni ge- nere di poesia. Oggimai la immortalità non s° acquista ricopian - do, 0 guastando. Che il dramma; chiamato con temerità di abi- 54 tudine , classico, non sia irremissibilmente perduto , non saprei chi s’ attentasse di sostenerla da senno. Ma nè le così dette scene storiche , che fanno della storia, come dell’ antiche pit- ture, staccandola da’ volumi a trasportarla, com’ è, sulle sce- NE — nè le composizioni frenetiche , che suggerite a immagina- zioni guaste , o erranti senza punto d’ appoggio nell’ abisso mo- rale.. prevalgono , specialmente in Francia, usurpandosi tutta- via il nome di composizioni romantiche , adeguano l’intento della civiltà. Le prime affratellandoti , senza discernimento, oggi cogli usi e le abitudini d’un secolo , domani con quelle d’ un al- tro, lasciano le moltitudini incerte, e le smarriscono tra le ro- vine del passato. Le seconde ostinandosi a prolungare un’ agonia morale che pur dovrebbero adoperarsi a finire , insegnano lo scetticismo e la disperazione. Le une indugiano la generazione nuova : l’ altre corron rischio di traviarla. Ambe == e tradiscano pure ingegno quanto vuolsi = morranno col secolo, e prima: mor- ranno, perchè la guerra tra’ due principii , ch’ esse rappresen- tano incerta, dura tuttavia, ma in modo che inchiude profezia di vittoria al migliore de’ due: morranno , perchè all’ ultime note dell’inno del passato succedono già prepotenti le prime del- l’inno della fede in un futuro che nessuna forza può far retro- cedere. Oggi la storia non s’ arresta al materialismo de’fatti. Tre- mila anni di eventi, d’ indizi, di- documenti, di studi sulla verità relativa, come ogni secolo ed ogni popolo la mostra nelle reliquie, negli avanzi dell’ arti, nelle cronache , nelle re- ligioni, ci danno , pare , il diritto di sollevare un lembo del velo che ricopre la verità assoluta. Siamo a tempi ne’ quali la infan- zia de’ metodi contraddirebbe alla maturità del mondo. La uma- na razza ha subite da secoli infinite trasformazioni ; l’uomo, in certo modo , sparisce sotto il manto bizzarro, che le circostanze , i pregiudizi e le istituzioni gli hanno ravvolto ‘d’intorno. Ma dov’ è la mano potente che lo svesta di quel manto a mille colori , e scegliendolo al momento ; in cui libero da tutti gl’in- ciampi risponderà meglio al voto della ‘propria natura, ce lo ponga innanzi , accennandoci : salutate l’eletto della creazione ? — Aprite le storie : eccovi 1° uomo del paganesimo , 1’ uomo del feudalismo, 1’ uomo del secolo XVII — eccovi 1’ uomo del nord, l’ uomo del mezzogiorno: ma , superiore a tutti questi womini , che sono. la rappresentazione d’ un grado di sviluppo intellet- tuale, il prodotto di tutte le cause fisiche e morali , partico- lari ad una nazione 0 ad un dato tempo, sta l’ uomo di tutti i tempi, di tutti i luoghi ; 1’ uomo, primogenito della natura , 55 immagin di Dio, creato ‘al progresso del perfezionamento inde- finito : l’uomo , centro dell’universo ; considerato nella sua parte immortale , nella pienezza delle sue potenze morali : l’uomo in- somma, non Inglese, non Francese , non Italiano , ma cittadino della vasta terra, miniatura di tutte le leggi eterne; universe ,— invariabili : 1° Uomo. Là è il perno del dramma sociale moderno , che noi abbiam finora chiamato romantico , per farci intendere in sulle prime da chi si è avvezzato a non riconoscere nel campo delle lettere che due bandiere! ‘Là è d’ uopo risalga il genio che vorrà darci il Dramma ; ‘che 1’ epoca invoca! Il diametro della nuova sfera drammatica tocchi il passato con una delle sue estremità, l'avvenire coll’ altra : a questi segni la giovine Europa ricono- scerà il suo poeta : il poeta al quale i romantici hanno sgom- brata e preparata la via. i Un IrALIANO. Sarà continuato. Dei Delitti considerati nel solo affetto ed attentati; opera di Arserro Dr Simoni ; giudice della Corte di Cassazione del cessato Governo Italico; e membro pensionato dall’1. e R. Isti tuto del Regno Lombardo-Veneto. Quarta edizione. T. IL Milano , co’”tipi di Giovanni Pirotta , 1830. Da poi che in Italia con ardita e libera voce. tuonò' quel magnanimo marchese di Beccaria contro la barbarie delle crimi- nali procedure , e contro la atrocità delle’ pene, parve entrata nel caos informe della penale giurisprudenza la ‘forza sovrana destinata a portarvi ordine e vita. Quel piccol libro dei delitti e delle pene , piccolo di mole, ma grande per pensamenti } diè il segno di una generale riforma. Nè io oso dire, che’ bastato sarebbe quel libro di per se ad oprare le meraviglie clie pure oprò , se non avesse trovato gli animi dell’universale già disposti per un sentito bisogno a riceverlo. Uno dei grandi meriti di esso fu la opportunità. Quando però si rifletta , non bastare a conse- guire una riforma il sentirne il bisogno , perchè fa d’ nopo' co- noscere ancora ‘il modo di eseguirla ; quando si pensi, che anche per distruggere le cattive usanze, ove per il tempo sono ‘rese quasi venerande, occorre persuadersi ragionevolmente della ‘necessità di distruggerle, si riconoscerà, che il Beccaria giovò appunto in questo 506 alla causa della civiltà , che parlando con una nobile libertà , figlia di una profonda convinzione , palesò le ragioni d.:1 distrug- gere il male, le di operare le utili riforme volute dalla. impe- riosa necessità del tempo, grande inuovatore di tutte le, cose. Che .s’ ei.non sempre raggiunse la verità ( e qual mente umana può essere da tanto ?) mostrò almeno di averne sempre nel cuore ardentissimo il desiderio; e quando non giovò alla civiltà col ritrovamento del vero, le giovò almanco col richiamare le menti all’ esame, alla discussione ; le giovò col riporre in problema, quando ancora non le, risolvè , tante questioni .importantissime della scienza sociale ; le giovò insegnando altrui, coll’esempio di quella sua rara franchezza, che il fatto non si ha da tener sem- pre per diritto, e che ogni buon cittadino deve volere ferma- mente la estirpazione degli abusi. Fra gli scrittori, che secondarono questo nuovo spirito di moto e di vita infuso dal Beccaria nella scienza criminale , merita es- sere distinto il De Simoni, il quale col. trattato del furto e sua pena pubblicato in Lugano nell’anno 1776 ; e coll’ altro quì so- pra annunziato, che vide la prima luce in Como nell’anno 1783, diè l'esempio del metodo da tenersi in lavori di questo genere, congiungendo la storia alla filosofia , perchè premessa la esposi- zione di ciò che stabiliva la legge romana sulla materia da lui trattata, quindi notate le variazioni indotte dalle leggi barba- riche , e infine poste ad.esame le opinioni degli interpreti, passa a indicare ciò che la scienza deilotta dai veri principii suggerisce sull’ argomento. Non siavi chi dal titolo dell’ opera che annunziamo inducasi a credere che il mero affetto , che l’ atto solo del volere possa essere considerato come delitto , e come tale punito; non fu que- sta la intenzione dell’ autore, di cui basti citare le seguenti parole , che trovansi a pag. 170 tom. I. << Il Cujacio pertanto, e , Guglielmo Fornerio negano formalmente , appoggiati a sode ,» ragioni ed a rispettabili autorità , che la nuda volontà. nei ,» delitti stessi di stato possa essere suscettibile di pena. Vogliono ,s essi, sopra i principii di una retta filosofia legale , che per s» meritare pena la volontà debba essere manifestata con un atto ,»» esteriore, diretto alla esecuzione del premeditato disegno ;y- E questa è la opinione seguita dall’ autore. Quale sia il merito di quest’ opera del De Simoni lo dissero più volte i giornali, e lo dice di per se il fatto dell’esser que- sta la quarta edizione che se ne pubblica. Ond’è che, avendola annunziata, avremmo adempito al debito nostro; ma ciò, che dal- 97 l’autore viene esposto sopra il diritto di convenienza nella giu- risprudenza criminale, ne offre la opportunità di soggiungere al- quante osservazioni sul fondamento del diritto di punire, le quali ancorchè non appariscano nuove del tutto, non vi sarà chi giu- dichi tempo perduto il ripeterle. La politica necessità è il fondamento del diritto di punire. La pena deve essere necessaria nel suo motivo; deve cioè ( per dirla col Romagnosi nel suo classico libro della Genesi del di- ritto penale , che dovrebbe essere il manuale del giureconsulto criminalista) essere indispensabile, perchè sia dimostrato, che ogni altro mezzo non penoso riuscirebbe frustraneo, o, per espri- mere il concetto in modo più chiaro, la necessità non deve es- sere voluta , nè fattizia , ma deve derivare da una reale impo- tenza ad impedire in altra guisa la commissione di un delitto ; e questa impotenza deve risultare da una combinazione di cose per se stessa vera e legittima, e i di cui resultati siano supe- riori e indipendenti dal potere umano. Non si può in somma ri- correre con diritto all’ uso dei castighi, se non dopo avere esau- rito tutti i mezzi non penali valevoli a prevenire le tentazioni criminose. A bene intendere però la vera. natura della necessità, di cui parliamo, è d’ nopo l’aver presente il vero oggetto delle pene. Ora l’oggetto primario delle pene, in una società che non sia barbara 6 superstiziosa , non è nè la vendetta, nè la espia- zione dei delitti commessi, ma è un ultimo e sussidiario mezzo a prevenire i delitti futuri. Il celebre Leibnitz. fu d’ opinione che la pena non sia altro che una espiazione : # La giustizia 3, punitiva, diss’ egli nella sua Teodicea, non è fondata che »,» nella convenienza , la quale domanda una certa sodisfazione »; per la espiazione di una cattiva azione ,;. Questa teoria, che gli scrittori del passato secolo avevano dimostrata erronea ; tro- vò chi si compiacque a ringiovanirla , e proporla al secolo XIX, Quell’ acuto ingegno di Vittore Cousin nell’ argomento preposto al Gorgia di Platone da lui tradotto così si espresse: “ La, prima »» legge dell’ordine è di esser fedele alla virtù, che si riferisce »» alla società, cioè la giustizia. Ma se ad essa è mancato, la » seconda legge dell’ ordine è di espiare questa colpa, e la non 3» si espia che colla punizione ,,. A queste parole molti valenti francesi mettevano un grido di letizia. Pareva loro, che l’ epi- cureismo ; 0 il principio dell’ interesse bene inteso ,. sconfitto dal principio della espiazione , facesse luogo ad nna nuova filo- sofia, e che Platone riprendesse lo scettro delie dottrine sociali. T. IV. Ottobre. 8 56 Bisognava però provare che questo principio fosse di Platone. Il Cousin lo affermò ; poichè dopo aver detto ; che quella teoria della penalità è solamente indicata in Platone, soggiunse ancora, che vi s’ incontra in più luoghi brevemente, ma positivamente espressa. Il cav. di Feuerbac inscrisse in falso contro il prin- cipio di penalità dal Cousin attribuito a Platone. Non so com’egli sostenesse il suo assunto. Debbo però credere, che egli non avrà dimenticato di opporre al Cousin quel passo dello stesso Platone nel Dialog. XI delle leggi, ove così è detto: Poenis vero ma- ligni verantur, non quia peccaverunt, nam quod factum est, infectum esse non potest , sed ut posthac et peccatores ipsi, et qui puniri iniquitates viderunt, injustitiam oderint, aut saltem minus in simili vitio peccent. Come mai al Cousin sfuggì questo passo così chiaro ed aperto ? Una di lui svista fece traviare molti stimabili ingegni. Ma noi italiani non ci lasceremo abbagliare dalle brillanti teorie coniate dalla immaginazione straniera, e seguiremo quella gran luce, che nella scienza criminale ci è guida tuttora vivente. Quindi riterremo essere le pene dirette a prevenire i delitti. Lo scopo delle leggi penali coincide collo sco- po sommo di tutte le altre leggi, la felice conservazione della società ‘e degli individui che la compongono. Ond° è che il saggio ordinatore di uno stato deve da prima ;, in proporzione della ma- turità del suo popolo; disporre le cose in guisa, che 1’ ordine sia posto negli interessi sociali. Conviene poi trovare i mezzi per conservarlo. Fra i mezzi offerti dalla stessa natura quello vi ha della minaccia di un male a chi si farà disturbatore dell’ordine. Il sistema penale altro rion deve essere in una civil società che la sanzione del diritto ‘d’ incolumità della società medesima. Ora agevolmente può intendersi, che per aver: diritto a minacciare delle pene contro le violazioni alla salute sociale | è necessario che nella data società sia l’ordine, per quanto si può, stabilito, e sian prevenute le cause delcommetter delitti. In questo senso chiù- deva rettamente il Beccaria un ragionamento non retto sul diritto di punire, quando diceva: tanto più ‘giuste sono le pene, quanto 3 più sacra ed inviolabile è la ‘sicnrezza, e maggiore la libertà ;, che il sovranò conserva ai sudditi ,,. L’ordinatore di uno stato può assontigliarsi al' medico, a cui sia dato 1’ incarico di ‘man- tener sano ‘il corpo di un individuo. Sé questo medico con uno sregolato trattamento , con un perverso regime , fomentasse in quel corpo le cause di frequenti sconcerti , per cui dovesse ri- correre ‘all’ uso di forti medicine e ‘alla mano operatrice del chirurgo ; forse che potrebbe dirsi , che quel medico serve all’af- 59 fidatogli incarico ? Riuscirebbe forse quel medico a far credere, che egli abbia veramente intenzione di mantener sano quel cor- po, e che naturalmente necessarie sono quelle medicine e quelle operazioni? Nò davvero. Quei frequenti sconcerti attesterebbero, che quel corpo è fitto mal saao,.accuserebbero alterata dal cat- tivo regime la di lui vitale armonia. Gosì è appunto dell’ ordi- natore di uno stato , che mantenga scomposto il sistema sociale. Per lui Je pene non servono più al loro oggetto primario, non essendo più un ultimo mezzo di prevenire i delitti. Per lo che si dee stabilire, che chiunque in un dato paese si-ponga a ragionare della necessità tanto assoluta che quantita- tiva di una pena, deve prendere ad esaminare se , compatibil- mente colla capacità di una nazione ad essere medianti le miglio- rie civili e politiche condotta allo stato di sicurezza e. prosperità, a'cui per natura può e deve giungere, siano tolte , o si operi pet togliere le cagioni di commettere quelle azioni, a cui la data pena si vuol minacciata. Però ha necessità di avere un esatto quadro statistico; che a lui presenti a che punto sono i tre per- fezionamenti morale , economico ; e politico: Chiunque vuol me- ritarsi! il nome di cooperatore all’ avanzamento della civiltà deve proporsi di far conoscere le cose non solo come sono, ma. anche come possono e debbono essere. Belle e splendide sono a questo proposito le parole del De Simoni alla pag. 75 tom. I dell’ an- nunziata, sua opera. & Platone, Zenofonte,, e il loro maestro So- »» crate non hanno mai creduto , che la politica fosse un’ arte » servile di trattare gli nomini quali sono, e di stabilire leggi ,» a capriccio sopra gli attuali costumi: quest'arte è riservata al 3» tiranno e al despota, che l’uomo ravvisano nella sola, attuale 3» ed accidentale circostanza della sua servitù e subordinazione » al loro ingiusto arbitrio ,,. Che se, considerando le cose come sono, l’ osservatore s’ incontra sovente col delitto , non ne in- colpi così assolutamente la umana natura; ma colla guida della filosofia, che vuol conoscere le cose secondo le loro cagioni asse- gnabili, indaghi i motivi del commetter delitti. Se di questi/mo- tivi va in traccia , egli si convincerà , che l’ uomo non è. gra- tuitamente e per pravità di natura portato a delinquere; ma che le cause più comuni e costanti, da cui vi è spinto, ridu= consi al difetto di sussistenza , al difetto di educazione , al idi- fetto di vigilanza ; al difetto di giustizia. Persuadiamoci, che la scienza criminale deve, come tutte le altre scienze , riposare su i fatti osservati. Ma siccome questa osservazione non può farsi senza esatti quadri statistici, così è forza il riconoscere , che il 60 giudicare della necessità di una pena qualunque dipender deve dai dati statistici. Or bene, volete conoscere se un legislatore ha fatto quanto può e deve per prevenire i delitti, togliendone le occasioni ed i motivi, e se nel caso si è posto di irrogare con giustizia le pene ? Prendete ad esaminere come si sta in fatto di sussistenza, di educazione , di vigilanza , e di giustizia. Vedete se in quella società è il sistema economico ordinato in maniera , che le cose godevoli vengano diffuse , pur quanto si può , equabilmente e facilmente nel massimo numero degli individui sociali; ed in gîrisa che coll’ esercizio libero della uguaglianza di diritto possa ognuno procurarsi il possesso delle cose medesime in una quan- tità proporzionata ai bisogni della vita ; e se eccitate sono e av- valorate le aspettative con una libera, assicurata, nniversale con- correnza. == Vedete se per la educazione si è fatto quanto oc- corre onde formare uomini che si occupino in cure utili, che usino fra loro i riguardi dovuti alla convivenza , che si soccor- rano nei bisogni; e se a produrre questo effetto ne sono prepa- rati gli impulsi in un movimento sociale ordinato giusta i detta- mi del diritto, dal quale non sia impelito di acquistare le co- gnizioni migliori e palesarle liberamente. — Esaminate se la pub- blica autorità veglia perchè non vengano commessi delitti, per- chè ne venga interrotta la consumazione , perchè non rimanga occulto il delinquente allorchè il delitto è commesso ; onde nei male intenzionati non nasca la lusinga della impunità ; inco- raggiamento a delinquere. Guardate se fu dichiarata formale de- litto la vita abitualmente oziosa e vagabonda di tutti coloro , che privi di sufficiente patrimonio debbono impiegare necessaria- mente la loro attività per procacciarsi legittimi mezzi di sussi- stenza; e se per poter ciò fare si rese la oziosità e il vagabon- daggio senza scusa, prestando lavori pagati a chi ne domanda , o indicando luoghi certi ove ottenerli; onde si riesca ad occu- pare in utile lavoro quei miserabili, dei quali i più degradati vendonsi altrui per fame } e prostituiscono coll’ occulto tradi- mento la dignità della propria natura. — Vedete se la giustizia normale legislativa è ristretta a colpire con sanzione penale sole quelle azioni ed omissioni, le quali violano un perfetto dovere sociale, perchè offendano l’ altrui dominio e libertà , o neghino i necessari soccorsi voluti dall’atto fondamentale della colleganza civile. Vedete se nella giustizia normale amministrativa siano colla garanzia di nun buon sistema di procedure e di prove evi- tati i due estremi, del rigore arbitrario dei giudici ed altri GI agenti, e della incanta e mal intesa indulgenza. Osservate se le porte della giustizia sono sempre aperte a chi ha diritto d'im- plorarne la protezione, e se con occhio uguale è guardato il po- vero ed il potente , se niun privato , niun funzionario , niun or- dine di cittadini può lusingarsi di delinquere impunemente , e, quando abbia peccato, di ottenere una indulgenza privilegiata. Esaminate poi se tutte queste sanzioni della politica siano po- tentemente sussidiate dalle sanzioni della religione, dell’ onore, della convivenza sociale. Ma più che altro esaminate se sano coa- diuvate , soffolte , e rese efficaci dalla esistenza in società di un ordinamento giuridico d’ interessi e di poteri, quale dalla scienza della meccanica politica è suggerito (1). Quando voi da questo esame rileverete , che sono state pos- sibilmente tolte le cause di delinquere , dite allora, che con di- ritto e con speranza di conseguire l’ intento si è posto mano a minacciare le pene. Le quali allora saranno giuste , perchè il delitto, per quanto poteva dipendere dall’ordinatore dello stato, erasi ridotto senza scusa. Ma se all’incontro troverete, che molte e forti cause sussistono ancora di delinquere , le quali dalla po- testà punitrice possono essere tolte , avvertite a quei mali, e proclamate, che essa non ha reso ancora senza scusa il delitto, non ha fatto quanto può riuscire a prevenirlo con mezzi non dolorosi. Fate avvertire , che non sarebbe giusto il minacciare un male per reprimere un impulso a delinquere , che sta tutto in quelle cause esteriori volute da chi si è ostinato a mantenere gli abusi ; fate avvertire , che non ostante le pene minacciate, finchè quelle cause sussistono , dovranno i delitti infestare la società , e le pene saranno poco meno che una inutile violenza. Datemi di fatti da una parte mancanza di sussistenza ; dall’altra mancanza di vigilanza, e ponete la minaccia di severe pene con- tro ai ladri; credete voi , che non vi saranno furti ? Volete pre- venirli? Procurate , che vi sia mezzo di sussistenza , e che non manchi la vigilanza, e avrete conseguito 1’ intento. Ragionando, con questo sistema soltanto si può stabilire qual - che cosa di vero sulla necessità delle pene. Molti scrittori , se- guendo il Montesquieu, hanno preso.a considerare la difesa in- terna degli stati piuttosto per il lato della maggiore 0 minore impressione dolorosa, che certe pene in certe circostanze possono (1) V. Romagnosi, Genesi del diritto penale , terza edizione , dal $. 1016 al 1258 inclusivamente. Ivi trovansi con profonda sapienza sviluppati questi grandi elementi di scienza sociale, che qui sono riferiti in compendio. 62 produrre; col qual metodo, essi. non, poterono formarsi la vera idea di quella necessità. di punire , che deve essere veramente naturale , non provocata da’ cattive leggi, e da, mala ammini- strazione. Nè per questo vuol dirsi , che il, calcolo della impressipne dolorosa debba essere trascurato nello stabilire le pene ; questo calcolo è indispensabile perchè la pena sia una efficace contro spinta. opposta alla tentazione criminosa; ma è un calcolo, che deve essere.subordinato alla. giustizia } o meglio alla. necessità della! pena. Pongasi che, in una società male ordinata la pena di morte sia reputata ‘ostacolo politico. efficace a .repri- mere la eruzione di tali delitti ; che, se la società fosse ben regolata , sein essa, compatibilmente colla sua maturità ; tutti i freni dell’ incivilimento fossero posti in libero movimento , po- trebbero essere repressi con una pena molto minore della morte; chi oserà, dire, che questa efficacia renda giusta. la pena .in quell’ eccesso ? Ecco la ‘via che sembra da tenersi nella discussione gravis- sima della pena di morte. In questo senso certamente debbono intendersi le parole che nel 4 giugno 1822 pronunziava sir James Mackintosh alla Camera dei Comuni in Inghilterra. « È la ne- ,» cessità sola , diss’ egli; che può giustificare la, pena di morte. ,»» Avanti di togliere la vita ad un uomo ; deve essere provato, ,3 che non esista altro mezzo di prevenire la violazione della sicu- » rezza. pubblica ; fuorchè il sacrifizio del colpevole. Il peso di » questa dimostrazione ricade dunque sopra coloro , i quali pre- ,5 tendono mantenere l’ uso, di questo sacrifizio. ,, Coi principii fin qui esposti, e che sembrano incontrastabili, non sarà forse erronea sentenza il. pronunziare , che 1? abo:izione della pena di morte deve essere una delle conseguenze del pro- gredito incivilimento , e dell’ azione della, natura ;, la quale per gradi conduce gli uomini dalla gretta schiavitù dei sensi sotto al nobile dominio della ragione ; talchè quelle forti impressioni, che debbono essere necessarie per agire sull’altrui volontà quando la forza :delle umane passioni non è attenuata dalla ragione e dail’ analisi, non sono più necessarie quando è venuta l'età della ragione. La pena ha per oggetto di prevenire i delitti, con- trapponendo il timore di un male alla speranza di un bene. Se dal risolversi a commettere un delitto 1’ uomo può in parte es- sere trattenuto con ostacoli tratti dai precetti della morale ie della religione, dal sentimento della propria dignità , da tutti i freni insomma, che sono conseguenza del vero e proprio incivilimento, 63 in tal caso s’ intende che anche ai delitti gravissimi ( non parlo dei delitti politici ) potrà bastare che sia minacciata una pena minore della morte. Pare che senza inconveniente possano essere d’assai diminuiti i freni della forza fisica, quando l’ineivilimento ne abbia indotti tanti altri morali, quando del delinquere siano possibilmente estirpate le cause , e quando ai delitti (e saranno allora pur rari) non abbiano gli uomini quasi altra spinta che quella assolutamente malvagia di un animo perverso, brutalmente restio contro le leggi della morale , della religione , e della politica. Ecco il ragionamento in conclusivune , che ne pare da sta- bilirsi perchè si dia alla umanità una valida guarentigia contro l’abuso della ragione di stato , e del principio, che la salute del popolo debba essere legge suprema. Quando 1’ ordinamento so- ciale sia quale deve essere, diretto cioè non all’iuteresse di po- chi privilegiati, ma al bene del maggior numero, sirà quasi impossibile che si abusi della ragione di stato. Col metodo divisato si richiama la potestà punitrice ad esa- minare gli elementi causali dei delitti, e a provedere al regime salutare della vita civile , a fare insomma che la pena sia ciò che deve essere, un ultimo e sussidiario mezzo di prevenire i delitti. All’opposto, col predicar tanto la efficacia della sola dol- cezza delle pene, come fra gli altri pare che abbia fatto ragio- nando della pena di morte il Duceptianx , si può ottenere che una pena grave sia commutata in una più mite; ma siccome non tolgonsi dal seno della società le cause di delinquere , i delitti continueranno a sussistere, nè i male intenzionati si fre- neranno, perchè sperano una pena meno severa. Non ci illu- diamo di grazia sulla efficacia della dolcezza delle pene. Esami- niamo le cose nel loro stato integrale. Ci si dica un poco : quan- do trovasi diminuzione di delitti, si ha da credere che ciò dipende dalla sola mitigazione delle pene? Nò certamente. Chi non vo- lesse andare tanto lontano per vederne un esempio nell'America, ne abbia uno parlante e vicinissimo qui in Toscana. Allorchè quell’ immortale Pietro Leopoldo abolì la pena di morte , non lasciò già di pensare alle riforme tutte , che tendono a fare un governo politicamente forte, e a togliere tutte le cause di delin- quere , che nel sistema economico e politico avanti di lui esi- stevano. Diede egli infatti potentissima mano a far sì che la sussistenza , la educazione , e la giustizia fossero elevate ad alto punto di perfezione. Disciogliendo le proprietà da' vincoli odiosi ed iniqui ; dando al commercio la necessaria libertà , incorag- 64 giando ogni libero modo di cultura e di studi, procurò quella meravigliosa diminuzione di delitti, che rese famoso il suo regno. È ben vero, che il solo sapersi , essere stata in Toscana abolita la pena di morte poteva, a chi il rimanente ignorasse delle leo- poldine riforme, dar contrassegno sicuro , che , troncate le fer- ree catene dello stat4 quo, quel principe erasi stretto iu alleanza col suo popolo , punendo mavo alle utili riforme; ma niun nomo di buon senso, che avesse saputo , essere in Toscana seguita la abolizione della pena di morte da una prodigiosa diminuzione di delitti, avrebbe potuto pensare , che ciò fosse dovuto alla sola mitigazione delle peue, ed all’ abolizione di quella di morte. — E qui il nome del Granduca Pietro Leopoldo riconduce la mente là d'onde partiva dando principio a questo articolo ; perchè quel gran principe non sdeguò di ascoltare la voce dei filosofi, e quella segnatamente del Beccaria , e degli appresi principii di scienza sociale fè sentire al suo popolo la salutare applicazione, la quale, durando tuttora fra noi a farci invidiati, dimostra quanto fosse , non saprei dire se più stolto o malvagio, chi quasi a scherno incolpò quel grande del peccato di fi/osofismo. Queste osservazioni si vollero qui porre non colla intenzione di dir cose affatto nuove, ma di giovare al pubblico bene. Noi siamo penetrati di quel vero, annunziato anche in questo gior- nale , che non tanto dee pensarsi al progresso delle cognizioni, quanto a quello della società. Noi abbiamo sotto la mano, figlio di una inoltrata civiltà, un ricco patrimonio di cognizioni. L’og- getto che aver dobbiamo in mira non è tanto di aumentare questo patrimonio , quanto più specialmente di diffondere nel maggior numero dei cittadini gli elementi della igiene politica , onde servasi ai bisogni del viver civile. Utile a ciò sarà sempre quello scritto che richiami il lettore a ripiegarsi sopra sè stesso. Nosce te ipsum diceva Solone al popolo di Atene. Sapientissi- ma è la spiegazione data dal Vico a quel celebre motto; il quale pronunziato da un sapiente di sapienza riposta non si sarebbe già voluto riferire alla cognizione delle cose metafisiche , ma sì piuttosto alla cognizione dei diritti politici; quasi che fosse in- vitato il popolo di Atene a sentire la individuale dignità ed uguaglianza , e a stabilire quegli ordini e quelle leggi, che for- mano un governo , nel quale le utilità sono diffuse nel maggior numero. Il rosce te ipsum , come rivela all’ osservatore le leggi dell’ uomo interiore , rivela pur anco all’ uomo in società i di- ritti che gli competono. Celso Manzuccui. 05 Cours de Litterature Frangaise par M. Virremarn. Conchiusione. La poesia de’ Trovatori già suonava gradita oltre i confini del mezzogiorno della Francia, e. nel, settentrione la poesia de’ Troverri ancor non s’ udiva. Pur la lingua del settentrione , già poco dissimile da quella del mezzogiorno, e solo più incerta, andava ognor prendendo forme più proprie, e, ormai gareggiando coll’altra, prometteva che la poesia de’Trovatori non rimarrebbe a lungo senza rivale. Guardando ad alcune particolarità di questa lingua, alcuni dotti, come il Ginguené , la dissero quasi figlia alla teutonica. Il vero però si è che, derivata, al par di quella del mezzogiorno, dalla latina, pochissimo, duranti i regni di Clodoveo e di Carlo Magno, prese dalla teutonica, onde, siccome provano più docu- menti , sì tenne sempre divisa. Meno ancor prese sotto i succes- sori, quando , ripndiatasi da quei che regnavano al di qua del Reno ogni cosa che fosse loro comune con quei che reguavano al di là, la lingua teutonica andò così disparendo dal suolo di Francia , che in capo a due secoli, siccome prova il Bonamy, più non ne rimase vestigio. Quindi la lingua, di cui si tratta, giunse, può dirsi, nella sua purezza nativa ai Normanni che l’adottarono, e dai quali non immeritamente per qualche tempo ebbe il nome. Perocchè Rollone e gli altri lor capi non sol le diedero grande incremento ordinandone primi pubblico studio; ma, ad evitarle possibilmente ogni mescolamento , mandarono quanti avean seco della propria nazione ad ahitare i confini, ove (fatto notabile) al figlio del successor di Rollone fu d’uopo trasferirsi per apprendere l’ idioma degli avi. Indi, aperte ad essa le vie dell’ Inghilterra , dell’ Italia, della Grecia , della Palestina , e condottala , se così posso esprimermi , a regnar con loro, la sfor- zarono in certo modo a vestir sembianze non indegne di regina. Al tempo di Rollone, tra’ finire del decimo e’l cominciar dell’ undecimo secolo (chè non prima i Normanni presero ferma sede sul suolo di Francia ) il settentrione di questa non era af- fatto senza lettere. Esso anzi già cominciava a fiorire per lettere latine , che poi sul principio del duodecimo ebbero ad insigni cultori Bernardo e Abelardo. Vuolsi, com’altra volta accennai, che l’uno pur predicasse ; l’altro verseggiasse in volgare; di che però da alcuni si dubita. Se il latino ; dicesi , a’ giorni di Ber- T. IV. Ottobre. 9 66 nardo e d’ Abelardo era tuttavia popolare, dunque non lo era per anco la lingua novella, non si aveva peranco vero volgare. Se Abelardo, aggiugne il Villemain , fece versi volgari, come mai la persona, che dovea sentirsi o più meravigliata o più lu- singata di questa novità , non ne parla nelle sue lettere in ter- minì più chiari ? Checchè sia di ciò ; sovviemmi d’ aver letto in uno degli ar- ticoli del Raynouard sulla storia che il Ferrario ci ha data de’no- stri romanzi cavallereschi (v. il Journal des Savans, ove sono altri articoli del medesimo serittore, de’quali in questo mio andrò profittando), che Roberto Wace nel suo romanzo di Rou ( Rol- lone già detto ) riferisce che alla battaglia d’ Hastings, cioè nel 1066, il troverro Taillefer cantava di Carlo Magno, d’ Or- lando , d’ Oliviero ec. a Guglielmo e agli altri che in quella bat- taglia conquistarono l’Inghilterra. Ecco dunque la poesia de’Tro- verri già nata e cresciuta poco dopo le metà del secolo unde- cimo. Ecco i Troverri al seguito di Guglielmo e de’suoi, in com- pagnia de’ Trovatori che pur li seguirono. Guglielmo . come già i romani conquistatori , volle sostituire nell’ Inghilterra la lingua che parlava ei medesimo a quella ch'ivi era parlata; fece, per usar la frase del Villemain. una legge del francese , come fece la legge del coprifuoco. La violenza provocò la resistenza ; la lingua nazionale si serbò ed indi a tre secoli risorse; Ja lingua, che si ‘volle sostituirle, non fu, per un pezzo almeno, che lingua di corte, lingua de’ pubblici affari. Questo bastò peraltro perchè fosse più che mai studiata , perchè andasse prendendo ognor più le forme che le convenivano, siccome ve- desi nel romanzo già citato di Rou e in altri di quel tempo, più intelligibili per noi, dice il Villemain , che le composizioni poetiche dettate al tempo stesso nella lingua di cui era sorella. Altri romanzi probabilmente, ma in lingua più informe, precedettero quelli di cui pur ora si è fatto cenno, e fra*quali vogliono special ricordo il romanzo di Brut (Bruto ) scritto dal- l’autor medesimo di quello di Rou, e il romanzo d’ Haveloc scritto da un autore di cui ignorasi il nome , indi abbreviato da Goffredo Gaimar. Mai la lingua, in cui questi romanzi furono scritti, non divenne sì bella come la lingua del mezzogiorno della Francia. Mai Ja poesia de’Troverri non potè uguagliare per grazia, per artifizio, per armonia, quella de’Trovatori. È notabile però com’essa fin da principio le fu superiore per grandezza e per importauza di composizioni. La poesia de’ Trovatori vanta pur essa, com’altra volta si ba accennò, i suoi romanzi cavallereschi: il Percivalle del Kiot, che più non abbiamo, ma di cui abbiamo l’imitazion famosa fat- tane in tedesco dal D’ Escenbach ; il Ferrabraccio di non so chi, pubblicato ultimamente dal Belkker sopra un manoscritto trova- tone in Boemia ; il Buovo D’ Antona che il Crescimbeni disse d’ aver veduto fra ‘i manoscritti di Cristina di Svezia ; il Ghe- rardo di Rossiglione e un altro (credo intitolato Zantrée) veduti dal Raynouard a Parigi; non so che altri veduti dal Fauriel. La poesia de’ Troverri. ne ‘vanta non pochi e anteriori e d°’assai maggior fama. Primo per fama , se non propriamente per tempo , si addita fra essi il romanzo di Brut pocanzi nominato. Di questo romanzo, intorno a cui dicesi che il Raynouard stia preparando un lavoro degno della sua erudizione , non si son pur anco veduti che alcuni frammenti. I primi, credo, nella Storia Letteraria di Francia , gli altri in un prospetto che pubblicò il Didot anni sono d’un’edi- zione del romanzo medesimo, e che dal Raynouard è attribuito «al dotto Abrahams Danese, autor della dissertazione De Roberti Wacii carmine quod inscribitur Brutus. Sappiamo intanto che , sotto questo nome di Bruto (il Bruto d'Inghilterra, figlio d’Ascanio e nipote d’ Enea , dell’ istessa generazione che il Franco fratel d’ Antenore de’ Franchi , il Luso compagno di Bacco de’ Lusi- tani., ec.) venuto dopo lunghi viaggi e strane vicende a fer- marsi in Inghilterra, son raccolte nel romanzo tutte le tradi- zioni favolose e non favolose dell’ Inghilterra medesima, le gesta, le meraviglie; ond’è animata quella lunga serie di romanzi ‘che si riferiscono ad Artù e agli altri eroi della Tavola Rotonda. Queste tradizioni, queste gesta ec., sicuramente eran raccolte in opere assai anteriori. Uno scrittore ingegnoso; il Quinet (quello stesso: che in compagnia d’ altri dotti visitò pochi anni sono la Grecia, e fu dalla Grecia rimeritato colle più poetiche ispira- zioni) in un rapporto recente al francese ministero sulle antiche epopee francesi (è inserito nelle Revue de Paris) parlò di poemi ‘celtici, provenienti da’Druidi, da’Bardi, ec., tramandati per mezzo di versioni latine fino all’undecimo secolo, serbati in parte e tra- dotti in versi volgari nel duodecimo ; ciò che diede luogo ad una singolar polemica (v. ill Temps 25 giugno, 2 e 6 luglio) fra lui ed uno de’ suoi più eruditi concittadini. Nega questi o par che neghi l’esistenza di que’ poemi. o di parte di essi ne’ due secoli che si son detti. Pur l’ autore d’ un articolo, che mi è sem- brato notabile , sul rapporto del Quinet (National 21 giugno ) 68 asserisce che Maria di Francia, di cui non può, com’egli dice, rigettarsi la testimonianza ; accertava d’ averne veduti. E a° no- stri giorni, egli aggiunge, varii se ne son pur trovati nel paese di Galles, quelli fra gli altri che si attribuiscono a Talies- sin ec. Che se ancor resta dubbio che alla poesia de’ Treverri fosse dato attingere a tali fonti, non è dubbio, come sembra far intendere l’oppositor medesimo del Quinet, ch’essa attingesse ad altre che n’ eran dedotte e quindi poco meno autentiche. Allorchè nel quinto secolo , egli dice, la Gran Brettagna fu conquistata dagli Anglosassoni , i nativi di quel paese si affezio- narono più che mai alle loro antiche tradizioni. Essi opposero alla superbia del popolo conquistatore i canti che celebravano 1’ an- tiche lor glorie, i fatti, le avventure ec. de’ loro eroi, prinri- palmente d’ Artù e de’ suvi prodi compagni. Un nom di chiesa nell’ ottavo secolo, riunendo tutte queste cose alle pie leggende che si riferivano all’ introduzione del cristianesimo nel paese già detto, ne compose il libro latino del San Graal (la Santa Coppa) conservatosi poi gelosamente nella badia di Salisbury, e diviso in cinque parti, la prima relativa alle più antiche fra quelle glorie, di cui si disse, e all’ introduzione , che pur si accennò, del cristianesimo ; la seconda a Merlino, a’suoi incantesimi, alle sue profezie ; la terza alle gesta di Tristano il Lionese; la quarta a quelle di Lancilotto del Lago; la quinta finalmente a quelle d’ Artù e de’ compagni, o, come pur si disse, degli. caltri eroi della Tavola famosa. Di questo libro non so dire se pur restino frammenti. Ma esso debb’ esser trasfuso nell’ altro pur latino di Goffredo. .di Montmouth , le Gesta de Re Britanni, scritto, credesi|; verso il 1140 , impresso nel 1508, ma raro ‘quanto un manoscritto , dice 1’ autore dell’ articolo già citato dal. ational , il qual pur dice che il romanzo di Brut vi si conforma quasi letteralmente. Quest’altro libro supporsi veduto dal Gaimar, il qual narra. ch’ebbe in prestito ‘un libro di simil titolo da \cospituo personaggio ad istanza d’altro non men cospicuo, e ne: fece uso pelsuo romanzo d’Haveloc o piuttosto per l’abbreviazione del romanzo già scritto da altri, ed ora pubblicato con quest’abbreviazione e colla version | inglese del Madden per cura di quella società di bibliofili che dal suo capo s’ intitola Roxburge-Club. Or come il prestator del. libro e chi l’ ottenne al Gaimar morirono alquanto innanzi al 1150), vuole il De la Rue, e al Raynouard par verosimile, che il ro- manzo d’Haveloc fosse scritto e abbreviato innanzi a quell’an- no, e quindi innanzi alla composizione. del romanzo di Brut, 69 fatta, credesi, qualeh’ anno dopo. Se non che giovi notare che il romanzo d’ Haveloc (romanzo troppo più breve dell’ altro. sic- chè da alcuni si annovera fra quelli che chiamavansi lai) forma ad esso una specie d’ appendice. Verso il 1150 ; scrive l’oppositore del Quinet ; un cavaliere della terra di Salisbury, Lucio De Gast, volse in francese ‘ cioè nel volgare allor più pregiato ,, la parte del San Graal relativa alle gesta di Lancilotto..La volse egli in versi ? la volse egli in prosa ? In versi può averlo fatto per emulazione ; può anche averlo fatto per necessità. I versi inglesi forse non erano creduti atti ad esprimer gesta cavalleresche. Guglielmo , dice il Villemain, ave talvolta voluto ‘udire a’ suoi conviti versi inglesi., ma versi da scherno , come quelli che ancor ci rimangono del Paese di Cuc- cagna , allegoria de’. ricchi monasteri ch’ egli ebbe cura di non lasciar troppo ricchi, Indi forse 1’ avvilimento di tali versi, ri- serbati, come può credersi, a’ poeti plebei. Ma prosa francese , prosa di romanzi, quando cominciò ad, esser possibile ? Il Ray - nouard dice di non conoscer prosa di romanzi anteriore al secolo decimoterzo molto ‘inoltrato , e quella che conosce la, dice ver- sione di, romanzi già scritti in iversi. Che se da qualche scrit- tore ) egli aggiunge , parlasi di prosa di romanzi assai anteriore, questa non, può essere che poesia a rime continuate , come nelle sequenze, che pur nel linguaggio ecclesiastico diconsi prosa ; co- me nelle stanze d'uno cantare spagnuolo di Gonzalo di Berceo, il qual gli dà, principio dicendo € farò prosa in romanzo pala- dino ( chiaro ), con che il popolo parla al suo vicino ,, ec. ec. La versione, della ‘parte del San Graal relativa alle gesta di Laneilotto ;. cioè della quarta , prosegue, 1° oppositore, del Quinet, fu. seguita fra alcuni anni da quelle che fecero delle due pre- cedenti Roberto di Borron e Gualtieri. di Map , indi dell’ultima Hely di Borron, e! volse alle tradizioni de’ Brettoni., alle gesta specialmente d’ Artù e degli altri. eroi della Tavola. Rotonda , tutti gl’ ingegni, poetici. Tali versioni furon sicuramente poste- riori al romanzo di Brut ;.nè, per me è hen certo..che la prima gli fosse anteriore. Or l’ effetto, che loro si attribuisce , perchè non si attribuirebbe piuttosto a quello e a’ simili romanzi ? Ef- fetto ben verisimile e ben naturale, a qualunque o versione o composizione si attribuisca , se il gran Milton , più secoli dopo, fu. anch’ egli sul punto di prenderei le. gesta d’ Artù, e degli eroi compagni a suggetto d’ epopea. Se, non che ciò facendo., osserva il Villemain , avrebbe mostrato minor accorgimento dell’ Ariosto, che prese quelle non troppo dissimili di Carlo e de’suoi paladini 70 a soggetto di poema scherzevole. Veramente, egli aggiunge, que- sto poeta apparteneva ad un paese che, essendo stato men d’altri sotto l’ impero della feudalità, si sentì sempre men credulo alle meraviglie cavalleresche. È però sua lode non piccola (lode, a dir vero , che tocca ad ‘altri prima che a lui ) l’ aver compreso che solo scherzando possono ringiovanirsi cose che ancor dilet- tano ma alle quali più non si presta fede. Ai romanzi, che si riferiscono a Carlo e a’ suoi paladini , pare che il Villemain associi, non per alcuna affinità d’ argo- mento, ma per non so qual somiglianza di colorito, il romanzo di Rou. Questo romanzo) di cui credo che il Montfaucon e il Lancelot dessero primi qualche saggio, spiegando la famosa ta- pezzeria di Bayeux a cui esso prestò il soggetto, e del quale pur altri dieder saggi più estesi, specialmente il Brondstedt , ne’ suoi Documenti relativi alla storia di Danimarca , ci fu alfin dato intero quattr’ anni sono con analisi e illustrazioni del Plu- quet. Esso dividesi in quattro parti. La prima (in versi d’ otto sillabe come i romanzi d’ Haveloc e di Brut ) contiene le irru- zioni de’ primi Normanni in Francia e in Inghilterra j la seconda (in versi alessandrini) contiene l’ istoria di Ron o Rollone ond’ha titolo il romanzo ; la terza ( pur in versi alessandrini ) quella di Guglielmo Lungaspada e in parte anche di Riccardo suo’ figlio; la quarta ( nel metro della prima , e lunga più che le tre altre insieme ) il resto della storia di Riccardo e quella de’ successori fino al 1106, sesto anno del regno d’ Enrico primo. I Normanni , conquistatori della Francia ‘e dell’ Inghilterra , dovean naturalmente eccitar al canto i Troverri. Potean anche eccitarvi i poeti d’altre parti del mondo, poichè in molte parti del mondo avean fatte gran cose. Essi avean percorso le rive del Baltico e del Mediterraneo, traversata la Russia, offerto al debole imperator greco il loro aiuto , precedute in qualche modo le crociate. Qua- ranta di loro, tornando dalla terra santa, ove proteggevano i pelle- grini, avean liberata Salerno dai Saraceni , e ritenutala sotto il proprio dominio. Alfine , mentre uno de’ loro capi, Guglielmo , conquistava l’ Inghilterra; un altro, Roberto Guiscardo , inva- deva la Grecia , minacciava Costantinopoli, ec. ec. Ma spettacolo troppo più poetico, dice il Villemain , avea dato prima di loro Carlo co’ suoi paladini. Le sue imprese, se non più avventurose di quelle de’ Normanni, certo più gigan- tesche, quelle sue guerre contro i Sassoni e contro i Mori spe- cialmente, quelle sue corse continue, onde mostravasi quasi in un tempo medesimo alle estremità del vasto suo impero , quel ZI suo viaggio a Roma fra gli altri, quella sua misteriosa incoro- nazione , quelle. sue feste, que’ suoi tornei, quella sua corte d’ Acquisgrana , meraviglia dell’ Europa barbarica, ec., doveano colpir fortemente le imaginazioni del medio evo, e prepararle ad accogliere tutte le finzioni della cavalleria. L’ origine di questa dobbiamo noi co’ romanzieri attribuirla a Carlo ? Il Raynouard distingue una cavalleria storica e una ca- valleria romanzesca , avverte che la cavalleria fu a principio in- dividuale non collettiva quale a’ romanzieri piacque dipinger- la, ec. Ma i romanzieri sono scusabili , par che dica il Chateu- briand (Studi Storici) , d’aver attribuito a Carlo 1’ origine della seconda poichè deve pure attribuirsi a lui 1’ origine della prima. Fuvvi già chi parlò d’ origine britannica (v. per quasi tutte queste questioni l’opera del Ferrario , che cita i dotti che le trattarono prima degli ultimi ch’ io vo citando); ma tale origine è più che dubbia, specialmente a chi stima i romanzi relativi a Carlo anteriori a quelli che son relativi ad Artù. Havvi intanto chi ama credere ad un’origine arabica. E un romanzo beduino (l’Antar) che il Jones e il De Hammer ci hanno fatto conoscere, e di cui si hanno dal 1820 traduzioni nelle lingue d’Europa , sembra favorir grandemente quest’ opinione. Quindi il Chateubriand, anzichè im- pugnarla , cerca di conciliarla colla propria, ammette cioè un’ori- gine doppia e contemporanea , di cui ci sono , egli dice, testi- monii contemporanei ( cioè dell’ ottavo secolo ) e 1’ Antar com- posto dal grammatico Asmai, e la cronaca di non so che monaco attribuita all’ arcivescovo Turpino. Se non che l’ Antar, anzichè composto interamente da Asmai, fu da lui accozzato in gran parte di vecchi frammenti, alcuni de’ quali credonsi di poemi anteriori al tempo di Maometto. Se non che la cronaca attribuita a Turpino, e che alcuni dicono conservata nella badia di S. Dio- nigi verso il secolo decimo, non è, come osserva il Dounou , menzionata da alcuno prima del dodicesimo assai inoltrato, a cui più parole, più frasi, più allusioni, che in essa incontriamo , certamente non posson essere anteriori. Chi dice cavalleria , dice tutt'insieme prodezza avventuriera e galanteria. Or questa, par che voglia far intendere 1’ autore d’ un articolo sull’ Antar inserito in quel fascicolo della Revue Frangaise che sventuratamente fu l’ ultimo , è cosa che tra gli Arabi, nel suo germe almeno , può dirsi antichissima. Il Ville- main , ricordando Tacito, parla del culto che i Germani, poi mescolatisi a’ Galli, professavano pel sesso men forte in cui credevano alcun che di divino. Il vero però si è ; interpretando 72 ben Tacito , ch’ essi non credeano in quel sesso se non una mag- gior attitudine ( effetto della sua stessa debolezza ) a ricever le impressioni delle potenze invisibili. Quindi aveano le persone che il compongono in conto di profetesse o piuttosto di macchine pro- fetizzanti; ciò che non sembra avere gran relazione colla galan- teria. Di prodezza avventuriera 1’ autor pocanzi citato , anzichè trovar vestigi in Europa; contemporanei a quelli che trova in Arabia, non ne trova che dopo il secolo decimo , quand’ essa cioè men bisognava , e per le con:lizioni dell’ Europa stessa mai non potea nascervi spontaneamente , sicchè Ja crede un’imita- zione dall’ arabo e poco felice. Se la cavalleria apparisca in altre narrazioni del genere della cronaca attribuita a Turpino, e credute anch’ esse del tempo di Carlo 0 puco posteriori ; nou so. Ben so che il tempo delle più vecchie narrazioni relative 1a Carlo, meno la vita di quest’ im> peratore scritta da Eginardo, non è niente più sicuro di quel della cronaca. Singolar cosa; dice il Raynouard, che in tutte quelle narrazioni la sede dell’impero sia costantemente a Pa- rigi, ch’ ivi egli tenga la sua corte, ivi sostenga un assedio, egli che mai non fu a Parigi se non per caso , mai non vi fece lun- ga dimora. Ciò non ci farebbe sospettare che tutte qnelle nar- razioni sieno state composte sotto la terza dinastia , quando Parigi era veramente quel che in esse ci si rappresenta ? Nulla, quindi, di men sicuro che il far derivare da quelle narrazioni o da quella cronaca tutti i romanzi cavallereschi re- lativi a Carlo ed a’suoi. Più sicuro parrebbe quasi il far deri- vare e l’une e l’altra da’ primi romanzi cavallereschi, fra cui non so dire se uno , che s’ intitola da Carlo , e di cui si hanno manoscritti , sia il più antico. Ma più antiché di tutti i romanzi furon pure varie cantilene, sul gusto forse de’ barditi che Carlo avea fatti raccogliere, e gli eroi delle quali par che fossero par- ticolarmente Orlando ed Oliviero. Queste cantilene , le tradizioni verbali che loro senza dubbio servivano di comento ec., furon probabilmente fonte comune e a’ primi romanzi e alle narrazioni e alla cronaca. Ma più di tutto , per ciò che riguarda la cavalleria, il fu lo spettacolo che gli scrittori avevan presente, giacchè alla finzione, come dice il Villemain, bisogna la realtà ; giacchè le fa- vole più chimeriche si compongono, com’egli pur s’ esprime, di rottami di verità ec. ec. Lo scrittor della cronaca, fu per avven- tura più abile o più ardito accozzatore di simili rottami che tutti i primi romanzieri. Quindi la sua cronaca potè essere a’romanzieri posteriori principal fonte di quel mirabile cavalleresco , il qual 73 venne attribuito a Carlo ed a’ suoi , e la cui espression più su- blime è veramente , come dice il Villemain ; nelle gesta e nella morte d’ Orlando. Questo mirabile, che tanto dilettava le imaginazioni, fu pur da’ romanzieri attribuito naturalmente ai maggiori di Carlo e d’alcuni de’suoi paladini. Intorno ad essi noi abbiamo in Italia un libro an- cor molto popolare, più popolare certamente che mai non sia stata la cronaca di Turpino, quello cioè de’ Reali di Francia, comparso in istampa sul cadere del secolo decimoquinto , ma di cui il Salviati vide manoscritti anteriori d’ un secolo e mezzo. Chi sul principio del decimosesto ne fece poema, il disse scritto origina- riamente nella lingua di quella cronaca dal celebre Alcuino ; ma di ciò invano si cercherebbero prove. Come però da esso proba- bilmente furon tratti fra. noi i più antichi poemi romanzeschi (il Bovo d’Antona , il Fiovo , ec. ec.) , così in Francia ne par- rebbero tratti altri di simile argomento se non tutti di simil ti- tolo. Quindi può argomentarsi che, se non il libro medesimo ( avendo il nostro, come notò il Gamba, dandolo più corretto che ancor non si leggesse , certi segni di composizione o ricomposi= zione tutta italiana ) qualch’altro non molto differente si anno- verasse anch’ esso tra le fonti della poesia de’ Troverri. Come a questa poesia fun aperta un’ altra gran fonte nelle tradizioni insiem raccolte della Gran Brettagna , così. il fu in alcuni fasti recenti della Spagna. Questi fasti ( ricchi anch’ essi d’ un mirabile loro proprio , a cui. poi i Troverri mescolarono quello di cui (erano particolarmente invaghiti) racchiudevansi quasi tutti, non dirò nel romanzo del Cid qual noi lo abbiamo, e che, non ostante la semplicità del racconto e il goticismo del linguaggio, non è forse che: del tredicesimo secolo, ma in qualche romanzo o in alcuni romanzi più antichi, de’ cui frammenti probabilmente 1’ altro è in gran parte composto, Chè il Cid, meraviglia dell’ undecimo secolo , amore della cristianità da ogni parte della quale accorsero guerrieri sotto le sue ban- diere, grande pel suo valore, grandissimo per le sue virtù pro- vate dalla sventura , celebrato fra quelli stessi cui combattè e sconfisse, dovè pur esserlo più d’ una volta fra quelli che fece trionfanti e di cui accrebbe il nome. E certo a qualche poema oggi perduto e forse a lui contemporaneo appartiene il frammento relativo alla sua vecchiezza , che il Sismondi, se ben mi ram- mento , ci ha fatto conoscere, e del quale ci è dato un nuovo saggio dal Villemain , che al soggetto del Cid associa non im- T. IV. Ottobre. 00 30 74 meritamente quello d’ Amadigi. Grazie infatti ad un antico ro- manzo spagnuolo , 1° eroe de’ Gaulesi, soggetto anch’ esso non infrequente alla poesia de’ Troverri, più che cogli eroi Britanni o Normanni, sembra avere affinità coll’ eroe degli Spagnuoli. Se non che non si saprebbe dir con certezza se un tal soggetto non sia provenuto dalla poesia di qualch’ altra nazione (chè varie nazioni ciò pretendono) alla poesia degli Spagnuoli , nè se dalla poesia degli Spagnuoli sia stato primitivamente prestato alla poesia de’ Troverri. Così non si saprebbe dire se a lei prestati da quella poesia alcuni de’soggetti, in cui essa esercitossi prima che in quello del Cid o dell’Amadigi, e che provenivano dall’antichità. Tale si è quello d’ Alessandro , nome che trapassò abbastanza chiaro le te- nebre del medio evo, e che, apparso in fronte ad un romanzo spagnuolo nell’ undecimo secolo, ricomparve nel duodecimo in fronte a due altri composti da’ Troverri, ed oggi forse i più co- nosciuti fra quanti formano quella quarta serie di romanzi che chiamansi di soggetto greco-latino. Di greco e di latino, però, non è in essi che qualche rimembranza , qualche nome ; il resto è cavalleresco e moderno. In uno de’ due romanzi, p. e. , che s’ indicavan pocanzi, 1’ eroe Macedone è rappresentato si può dir colla veste di Carlo Magno, nell’ altro con quella di Filippo Augusto ; anacronismi per noi assurdi, allora inevitabili, ma non sfavorevoli alla poesia, più favorevoli certamente che la nostra critica severa , la qual pone tanti freni all’imaginazione. Come però questa facoltà non era ne’ Troverri la più domi- nante , noi , ad onta del loro nome, che suona quello stesso di Trovatori, abbiamo ne’lor romanzi piuttosto l’espressione di ciò che a lor giorni credevasi o vedevasi che grandi e poetiche inven- zioni. Questi romanzi sono per noi monumenti storici più ancora che monumenti poetici. Quai monumenti storici però son essi o non meno o talvolta anche più preziosi della storia stessa , di cui tengono il luogo o a cui servono di complemento. Il ro- manzo di Brut, p. e.; dice 1’ autore dell’ articolo del National più d’ una volta citato , è riguardo a’ popoli d’ origine celtica ciò che il libro de’ Giudici risnardo agli Ebrei, il secondo libro dell’ Hiade riguardo a’Greci. Esso ci discopre più di trenta gene- razioni di capi brettoni e gallesi anteriori alla conquista de’ Ro- mani , ci mostra attraverso una lievissima nebbia di favole qual fosse la gente celtica prima che venisse a contatto colla romana, ci rappresenta la lunga lotta che sustenne contr’essa , e via via le sue vicende fino alla prima invasione degli Scandinavi, innanzi 79 a cuì rimase così stupefatta come la messicana innanzi agli Spa- gnuoli, e fra molti fatti conosciuti , o anche, come quelli del re Lear, dal genio moderno resi famosi, ce ne racconta con ome- rica semplicità non pochi altri più o men sconosciuti. Quin- di è da meravigliarsi, ei soggiugne , che alcuni celebri scrit- tori de’ nostri giorni come il Chateaubriand e il Thierry ( fra- tello dell’ altro che trasse così bel partito dalle poesie de? Trovatori ) nelle nuove lor ricerche istoriche non abbiano ad esso avuto ricorso. Non in tutti i romanzi de’ Troverri s° incontrano fatti sco- nosciuti come nel romanzo del Brut. S’incontran più facilmen- te fatti forse al tutto favolosi, come quelli. d’ Orlando, che, narrati da Turpino forse dopo molti Troverri, son taciuti da Egi- nardo, il quale appena nomina quell’eroe. Quindi i dubbi s’ egli sia eroe storico , se un medesimo Orlando abbia combattuto sotto Carlo Martello a Poitiers e sotto Carlo Magno a Roncisvalle, ciò che al Raynouard , contro 1’ opinione del Sismondi , sembra im- possibile; quindi altre questioni che quel dotto si studia di risol- vere, ma intorno a cui i romanzi non danno alcun lume. Avvi intanto in questi romanzi un gran fatto storico, pieno, evidente, compito, la vita del medio evo, la vita feudale e cavalleresca con tutte le sue particolarità, sicchè un uom dottissimo, il Saint- Palaye, non d’ altronde potè raccoglierle ; volendo descriverla. E un’altra cosa pur avvi in essi importantissima alla storia, uno specchio direi quasi dell’ indole diversa delle razze diverse a cui appartengono gli eroi in essi cantati. Ne’ romanzi, p. e»; in cui son cantati gli eroi della Tavola Rotonda oppure i Nor- manni, apparisce il genio delle avventure straordinarie, delle lon- tane imprese ; l’ambizion personale , il desiderio di personale do- minio , poichè quasi ogni cavaliere vi diventa re , ogni scudiere vi acquista ciò che bramava lo scudiere del buon cavalier della Mancia; ec. In quelli, ove son cantati Carlo e i suoi paladini, apparisce il genio medesimo ma più temperato, un’ ambizione men personale, nessun desiderio di personale dominio , chè tutti riconoscono il dominio supremo d’ un solo, nessun vi sale a grado più alto, se non forse Uggiero il Danese, il qual per vero dire non diventa re nè sposa una regina ma una fata che il rende immortale. Ne’ romanzi, che si riferiscono al Cid, apparisce tut- t’ insieme il genio arabico e lo spagnuolo , il valor generoso che guadagna e dona. corone, il sagrificio di se stesso, l’amore co’ suoi moti più delicati, colle sue gelosie più terribili. In quelli 76 | d’ argomento greco-latino, se nulla apparisce di contemporaneo agli eroi, molto pur apparisce di contemporaneo a’poeti, l’oscura rimembranza del passato , il vivo sentimento del presente , la rozzezza ‘e la grandezza , l’ardimento e la confusione d’elementi diversi, come nelle gotiche cattedrali e in altre celebri architet- ture del tempo medesimo. Alla qual differenza intrinseca se ne aggiugne pure, come osserva l’autore dell’ articolo del National, una estrinseca, la qual non sembra affatto accidentale. Che i romanzi, cioè, della prima serie son tutti in versi d’ otto sillabe ; quelli della se- conda (che in ordine al tempo probabilmente è la prima ) in versi epici o alessandrini; quelli dell’ altre in versi mescolati. E forse avvi {ran differenza nel numero de’ versi che i più de’ romanzi di ciascuna serie contengono in confronto di quelli del. l'altre; di che per ora è impossibile il dir nulla con sicurezza , giacchè pare che nel contarli tutti abbiano usato aritmetica dif- ferente. I lunghissimi però ; oltre ogni misura delle più famose epopee , debbon essere in tutte le serie ; lunghezza che può spie- garsi colla semplicità d’ un gusto che di tutto si contentava ; e colla facilità d’ una verseggiatura poco dissimile dalla prosa di cui per un pezzo tenne il luogo. Questa infatti non si vede apparire che sulla fine del secolo duodecimo nella cronaca di S. Dionigi, più vera , come s’ espri- me il Villemain, che tutte le cronache latine per ciò solo che l’ espressione vi fa, per così dire, parte degli avvenimenti; indi sul cominciar del tredicesimo in una storia troppo celebre, di cui il Ville-Hardouin fu narratore e in cui pur apparisce attore non infimo. Chè anch’egli fu tra que’ signori francesi, che in un torneo di Sciampagna, ove trovavansi adunati,e di cui egli era maresciallo, ad un cenno del terzo Innocenzio preser la croce, per riporre sultro- no di Costantinopoli un principe che n’era caduto, poi rivolsero l’ar- mi contro di lui, e finirono col dar a sè stessi de’principati in Gre- cia ed in Asia; ciò ch'è il soggetto della suna storia. E di questa sarebbe ancor più giusto il dire ch’ essa è più vera di tutte le cronache latine; più vera forse della più parte delle storie. Poi ch’ ivi son veramente gli momini e i costumi del tempo a cui essa appartiene ; ivi è la fiera indipendenza della feudalità e la sua altera ambizione ; ivi è a ricontro l’ industria e il popolare governo delle ‘nascenti repubbliche d’ Italia ; ivi il genio della cavalleria giovane e intraprendente ; ivi pure a rincontro la fiac- chezza del greco impero decrepito ; ivi insomma pitture e con- —————É——T—_—__m—mryi 77 trasti, la cui evidenza, non ostante l’imperfezion della lin- gua , nè ancor ricca abbastanza , nè ancor abbastanza determi- nata , appena cede all’ evidenza delle cose. L’ apparizione di questa storia, più dilettevole , per noi al- meno , che tutti i romanzi contemporanei , par che avrebbe do- vuto rivolgere tutti gli ingegni alla prosa. Ma per essa, e prin- cipalmente per la storica, forse gl’ingegni in generale eran poco maturi. Si seguitarono intanto a scriver romanzi, i quali si anda- ron propagando a tutte le parti d’ Europa, e cominciarono a tra- dursi o imitarsi anche in Inghilterra , conciliata forse alla poesia de’ Troverri dal magnanimo Riccardo, troverro insieme e trovatore, ch’ivi poco visse, ma vi fu molto ammirato, e quindi celebrato in un poema, che citasi com’ uno de’ più singolari frutti delle crociate, com’una cioè delle più singolari mescolanze dell’orien- tale colla settentrionale immaginazione. Annoverare tutti i romanzi , che precedentemente e poste- riormente alla storia, di cui dicevasi, furon composti da’Troverri, sarebbe opera infinita anzi impossibile. Esso può argomentarsi dal numero de'Troverri stessi più celebri, di cui il solo Fouquet, erudito del secolo decimosesto , nelle sue Origini della lingua e della poesia francese , annoverò più di cento anteriori al secolo quattordicesimo , e fra’ quali gli autori di più romanzi non eran pochi. Nessuno però fu autor più fecondo di Cristiano di Troyes, il qual fiorì tra ’1 finir del secolo dodicesimo , e ’1 cominciar del seguente , cioè al tempo di Filippo Augusto. A quel tempo la poesia de’ Troverri avea, per le vicende della guerra e della. politica, cangiato di sede. Dalle capitali della Normandia e dell’ Inghilterra ( d’ onde anche la lingua usata da’ Troverri scomparve, lasciando però incancellabili vestigi. nel frasario degli atti pubblici) era passata alla corte di Francia. Que- sta corte innanzi a Filippo Augusto avea ancor troppo del barba- rico. Sotto di lui (veggasi la bellissima storia che da lui s° intitola, scritta dal Capefigue) offerì per così dire lo stesso spettacolo che cinque secoli dopo la corte di Mosca, qual ce la descrive il Ka- ramzin. Offerì anzi spettacolo assai più bello, grazie al genio ca- valleresco ond’era animata, e grazie pure al genio poetico de’ non sempre cavallereschi Troverri. Era a quella corte un troverro favorito, una specie di regio poeta , il qual chiamavasi Helinaut. Egli era ben lungi dall’ es- sere il migliore; pur grazie al favor del re o ad onta del favor suo era così pregiato ; che in uno di que’ romanzi d’Alessandro, che già si dissero ; fn introdotto a cantare alla mensa d’ Alessan- 78 dro medesimo; anacronistno officioso come quello con cui Isabella sposa di Filippo Augusto vi fu introdotta a ricamare la tenda di Dario. Dopo 1’ Helinaut il più favorito par che fosse, com’ era senza dubbio il più abile, Cristiano di Troyes, il qual cantò in lunghi romanzi e Lancilotto, e Tristano, e Girone, e Percivalle e quasi tutti gli eroi dell’antica Brettagna cantati pure da altri, prima e dopo di lui, dal Denet , dal Manessier, dal Leigny, dal D’ Hudeac, dall’Eraldonne ec. ec. Altri cantavano intanto, come già avean fatto i primi Troverri, e seguitarono i successivi, e di Carlo e d’ Orlando e d’ Uggero e de’Quattro figli d’Amone (titoli di romanzi che come gli altri già nominati ancor si conservano) e d’ Emerico di Narbona, e d’° Uone di Bordeaux ec. ec. Altri non sol cantavano d’ Alessandro, ma d’ Ottaviano e di Vespasiano ; cantavano ‘un’ Eraclea, cantavano una Partenopea ; risalivano all’ assedio di Tebe , alla distruzione di Troia, chè tali son pur i titoli d’ altri romanzi tuttor conservati , e de’ quali è partico- larmente ricca la biblioteca parigina che dicesi del re. D’ alcuni romanzi più celebri, di quelli specialmente che riguardan più da vicino le origini de’popoli settentrionali, si ave- van da un pezzo versioni alemanne ed inglesi. In questi ultimi tempi da alcuni dotti dell’ Inghilterra e della Germania (Scott , Goéthe , Tieck , Grimm , F. Schlegel, Goérres , Hagen, Lach- mann , Muller, Southey,; ec.) si è pur pubblicato il testo d’altri o d’ alcuni loro frammenti, con illustrazioni, glossari ec. ec. Il loro esempio doveva eccitare naturalmente 1’ emulazione de? Francesi. Quindi il rapporto, che si disse, del Quinet , il qua- le, per saggio del molto che proponsi di pubblicare, promette di dar quanto prima il romanzo di Percivalle, ultimo d’argomento e primo forse per merito fra quelli di Cristiano di Troyes. Quindi, antecedentemente a questo rapporto, la pubblicazione del roman- zo di Rou, che sarà seguita, come pur si promette, da quella del romanzo di Brut , e forse da una ripubblicazione più auten- tica di quello d’ Haveloc. per cura d’una società di bibliofili, a cui già si deve qualch’ altro de’ più vecchi monumenti della letteratura francese. Quindi pure , innanzi alla pubblicazione del romanzo di Rou, quella del romanzo della Dama di Fayel. e del Sire di Coucy , che l’ editor suo, il Crapelet, degno succes- sore degli Stefani, accompagnò d° una versione forse troppo ele- gante ma molto opportuna, di cui il Villemain ci dà un estratto, Questo romanzo , di cui il Crapelet ebbe fra le mani un manoscritto elegantissimo (prova del pregio in cui tenevansi nel medio evo le produzioni dell’ingegno) è di una specie particolare. 79 Esso ‘può dirsi in rigor di termini romanzo storico , come quello che presto , spero , si pubblicherà d’un amico di Dante e di cui abbiamo il manoscritto nella Laurenziana. Esso è semplice- mente la compassionevole istoria che il Dubelloy ha posta sulle scene sotto il titolo di Gabriella di Vergy. Nulla in esso di strano, nulla di meraviglioso. Molta ingenuità , invece , molto patetico, e fra molte curiose particolarità (il Villemain cita la descrizione della toeletta della Dama di Fayel che può darci idea di quella dell’ altre al tempo di Riccardo), un lamento assai notabile sulla cangiata sorte de’ Troverri, che più non riceveano l’ usata acco- glienza nelle case de’grandi ove intervenivano come i Trovatori. Anch’ essi, come i Trovatori, andavan talvolta. accompa- gnati da’lor giullari, cui davasi il particolar nome di menestrelli; e di cui era officio, oltre il cantare o recitar romanzi e fram- mettervi giuochi , il metter in azione altri men lunghi racconti, detti favolelli. Resta memoria d’ un favolello, delizia della corte di Filippo Augusto, ov’era spesso rappresentato. Esso avea titolo da un Volpone, favorito dalla fortuna, il qual passava rapida- mente per tutti i gradi della gerarchia più venerata ; e saliva fino al supremo ; ciò che in que’ tempi facea moltissimo ridere , e non par che scandalizzasse veruno. Questo favolello non va confuso coll’ altro celebre del Renard, imitato nel medio evo col Renard Nouvel, pubblicato la prima volta in Lubiana sulla fine del secolo decimoquinto , tradotto in più lingue, e ultimamente riprodotto dal Méon, e accompagnato coll’ Incoronazione del Renard , ch’ ei vuole e anche il Raynouard crede di Maria di Francia. © Se, per le ragiohi che già si accennarono , i romanzi ca- vallereschi de’ Troverri furono molti; i favolelli (alcuni de’quali eran di genere sacro e chiamavansi più particolarmente racconti) dovean essere senza numero. Io non so dire se tutti questi favo- lelli appartengano originariamente ai Troverri medesimi. L’ au- tore dell’articolo del Mational par credere, che di non pochi fosse da que’ poeti trovato il modello ove, secondo lui, si trovò quello de'romanzi relativi ai Brettoni e agli eroi della Tavola Rotonda. Ei ricorda il Mabuogion, raccolta gallese di racconti per 1’ in- fanzia, d’ onde ci son venuti , egli dice, per tradizione delle nutrici, i nostri racconti dei Loups-Garoux , del Peau-d'Ane , del Petit Chaperon Rouge ec. Checchè sia però dell'origine d’al- cuni, il più de’ favolelli par certamente d’origine francese , poichè di soggetto interamente francese, come può vedersi nelle raccolte che da un pezzo se ne hanno. i 80 Cominciò il Fouquet nelle Origini, già ricordate, della lin- gua o poesia francese a darne frammenti. Due secoli! dopo , in- circa, l’Éveque de la Ravàliére in una Notizia sopra un ma- noscritto del 200, Racine figlio nelle Memorie dell’ Accademia delle Iscrizioni a Belle Lettere, il Caylus principalmente e il Saint-Palaye in quelle Memorie e altrove ne diedero saggi più o men copiosi. Ma chi primo ne diede raccolta non piccola fu il Barbazan, corredandola di note, di glossario ec. ec. Una rac- colta de’più piacevoli e de’più ingegnosi fu data in seguito dal Legrand de Aussy. E questa raccolta principalmente servì di fon- damento a quella che da ultimo ne diede il Méon in quattro volumi, a cui poi ne aggiunse altri due, ove ne son parecchi di cui il Raynouard si è compiaciuto notar le bellezze , quello , p. e., del Pauvre Clerc, ch'egli chiama il più drammatico e il più piccante, quello dell’ Imperatrice qui garda sa chasteté , quelli dal Gautier de Coinsi, del Chevalier à V Epée, dell’Ermite et du Diable, del Senateur de Rome, del Vilain Asnier, del Richaut, del Diz d’Herberie etc. Come i romanzi erano a molti riguardi lo specchio della vita cavalleresca e feudale, i favolelli, generalmente parlando ; lo erano della vita comune. Qualcuno de? favolelli, per vero dire, è più cavalleresco che i più cavallereschi romanzi. Quello , ad esempio , che s'intitola Saladino, e di cui il Villemain dè un estratto , contiene tutti i riti della cavalleria, come forse non li contiene nessun romanzo. Qualch’ altro è cavalleresco per oppo- sizione , poichè contien la satira della cavalleria medesima, e delle imprese cavalleresche. Tale si è per esempio quello si ce- lebre di Rutebeuf, di cui pure il Villemain ci dà un estratto, ed ove un cavalier non crociato disputa liberissimamente con un crociato , benchè poi finisca col prender la croce egli stesso. I più dei favolelli sono tutt’altro che cavallereschi, nè perciò hanno meno importanza storica dei romanzi. In essi infatti apparisce ciò ch’era il popolo fra cui furono scritti , il suo genio motteggevole , il suo non ancor disciplinato costume. Il genio motteggevole , veramente , apparisce pur an- che ne’ romanzi, sicchè il ‘Villemain ba potuto dire, che in essi avvi talvolta del Cervantes, e il Quinet, che avvi del Voltaire. Ne? favolelli un tal genio si mostra assai più libero e anch’esso indisciplinato come il costume. Talvolta anzi, come osserva il Raynouard , esso trascorre ad un cinismo, di cui non si ha esempio nelle poesie de’Trovatori, se non forse in qualche tenzo- ne , che nessun gentile orecchio era invitato ad ascoltare. Talvolta a tà SI pure , in proposito di cose generalmente rispettate , esso giugne a tale ardimento che ha fatto a'moderni non poca meraviglia ed è pur stato chiamato ardimento moderno. Se non che le stesse espressioni , osserva il Villemain , hanno in diversi tempi signi- ficato diverso. Quindi la citazione più esatta, ove queste espres- sioni non fossero intese ‘nel loro significato antico , sarebbe una menzogna. Il merito poetico de’ favolelli non è più grande che quel de’ romanzi. Pur come ne’romanzi s’incontran talvolta espressioni di singolar forza o delicatezza, così ne? favolelli s’ incontrano di singolar lepidezza e ingenuità. Come negli uni s° incontran scene , caratteri ec. che parver degni d’ imitazione a scrittori d gusto squisito (il Creuzé de Lassar, p. e. , nel suo recente poema della Tavola Rotonda, ricordato dal Raynouard in proposito d’alcuni confronti fra îl Giron Cortese dell’Alamanni e un antico romanzo di simil titolo); così negli altri s’incontran cose che parvero pur degne d’imitazione agli scrittori più originali, il Rabelais , il La Fontaine , il Moliére , ec. E già prima di questi molte belle invenzioni ne avean tratte i novellatori italiani che hanno più fama. E il maggiore di essi il Boccaccio ne trasse pure la più patetica delle sue novelle, la Griselda, che il Petrarca poi fece latina; e latina o volgare donò al Chaucer, che, visitato lui in Padova , visitò il Boccaccio in Milano , ove, festeggiandosi le nozze del duca di Chiarenza colla figlia di Galeazzo secondo , si trovò a visitarlo anche il Froissart. Il favolello, ond’ è tratta la novella di Griselda; attesta, come il romanzo della Dama di Fayel e del Sire di Coucy , un nuovo progresso ne’ costumi; una maniera più delicata di sentire. Quindi l’ uno come l’altro , anche prescindendo da quel che forse ne mostrano la lingua e lo stile; posson credersi del'secolo de- cimoterzo alquanto inoltrato , dell’età di Tibaldo e del maggior numero de? lirici. Tibaldo , conte di Sciampagna , poi re di Navarra , dice il Villemain , è il primo classico fra i Troverri, il primo che si contrapponga francamente a’ Trovatori. Il Laborde nel sno Sag- gio sopra la Musica annovera fra i Troverri più di centrentasei lirici, parte, non però molti, a lui anteriori, parte contemporanei , parte posteriori, ma tutti vissuti innanzi al secolo decimoquarto. E fra essi taluno ha pur qualche fama, il castellano di Conéy , p. e. , di cui il Laborde medesimo ha pubblicate 23 canzoni. Nessuno ha fama sì grande come Tibaldo ; del quale il Raval- T. IV. Ottobre. tI 82 liere ne ha pubblicate 56, che unite alle 23 già dette e ad al- quante d’ altri formano il numero di 150 , piccola parte delle tante (1200 almeno) che il Laborde ha vedute manoscritte nella biblioteca del re. Tutta la lirica de’Troverri è visibilmente derivata da quella de’ Trovatori, come l’epica de’Trovatori, dice il Diez nel suo Trat- tato della poesia de’ Trovatori medesimi, che altra volta non citai perchè nol conosceva , è derivata da quella de’Troverri. La corte, ei prosegue , di Leonora di Poiteu , gran fautrice de’ poeti, an- data sposa a Luigi settimo nel 1137, poi ad Enrico duca di Normandia nel 1159, fu per avventura prima causa che i Tro- verri s'incontrassero coi Trovatori, e quindi prendessero ad imi- tarne la lirica. Altra causa sicuramente furono le crociate, a cui Trovatori e Troverri, uomini del settentrione e uomini del mezzogiorno della Francia, accorsero promiscuamente, animati da un sentimento diverso insieme e comune. Che se, par ch’ei voglia far intendere , Tibaldo andò più che gli altri vicino a’ Trovatori, si è ch’ ebbe con essi più lunghe relazioni, dimorando alcun tempo nel mezzogiorno , quando nella guerra degli Albigesi cercò di por pace fra il conte di Tolosa e quello di Monforte. Se non che ciò che qui dice il Diez, probabilmente sulla fede del Ravalliére, è meno che esatto, Tibaldo, come osserva il Raynouard, nel 1222, sul principio cioè della guerra degli Albigesi, offerì, non certamente la sua mediazione , poi ch’ era d’ accordo col legato del papa, ma l’ opera sua a Filippo Augu- sto; e poi ch’ essa non venne accettata , ei non fu per allora nel mezzogiorno, Vi fu, è vero, tre anni dopo, seguendo Luigi ottavo all’ assedio d’ Avignone sì funesto alla Francia, ma non vi fu che per quaranta giorni a lui prescritti dal dover feudale. Quando nel 1228 procurò la pace del conte di Tolosa che gli era cugino , ei non ebbe d’ uopo di tornare colà, poichè la pace si conchiuse altrove. Divenuto poi nel 1234 re di Navarra, mai, per quel che sembra, non dimorò fuor del suo regno. ‘È vero intanto ch’ egli e per la sua nascita e per la sua dignità ebbe col mezzogiorno non poche relazioni ; fu allevato, come ricorda il Villemain , da un’ avola celebre per le sue corti d’ amore, crebbe fra i costumi graziosi e poetici, al suono direi quasi della poesia del paese ove quelle corti erano partico- larmente in uso, nè questa poesia mai forse cessò di suonare al suo orecchio. Grazie a questi favori della sorte, non meno che a quelli della natura, che il dotò di singolar delicatezza e nobiltà di sen- tire , ei potè sorgere nelle sue canzoni emulo ai Trovatori. siti i castani [0] Ue Si è creduto da alcuni che le più leggiadre almeno e le più passionate fra queste canzoni fossero dirette alla regina Bianca, contro cui sappiam pure dalla storia ch’ ei si collegò , durante la minorità di Luigi nono, col duca di Brettagna e il conte di Boulogne. Da altri però si è negato , e negato a buon dritto , ma per ragioni speciose che veramente nulla provano. Si è intanto obliata , o taciuta per buoni riguardi, come osserv. il Villemain, la ragione più semplice, che Bianca, cioè, quando furono scritte quelle canzoni, avea l’ età di 56 anni, età veramente così rispet- tabile pei Trovatori e i Troverri come per noi. Frammezzo' alle canzoni amorose, che a Tibaldo dan tanto nome , trovansi pure versi non amorosi. E il Villemain ne cita alcuni contro la guerra degli Albigesi, da collocarsi, ei dice, con altri che si accennarono contro le guerre di Terra Santa , alcuni de’ quali furono pur seritti sotto il regno di Luigi nono. Sotto quel regno, com’ egli osserva, fu pur scritto probabilmente il romanzo della Dama di Fayel e del Sire di Coucy, ove le imprese di Terra Santa si rignardano alla maniera de’Trovatori, con occhio, cioè , un po’ profaro. Così , regnante il più pio dei re , godevasi nel settentrione della Francia d’ una libertà di pensare e di scri- vere , che un secolo dopo (al tempo del famoso romanzo della Rosa) fu perduta, e che già s’ era perduta nel mezzogiorno sotto i colpi della persecuzione. Ove godevasi questa libertà, la lingua doveva ognor più pro- gredire. E il suo progresso infatti in alcune delle cose poetiche accennate pocanzi, ma nelle canzoni di Tibaldo in ispecie, è assai visibile. Molto sicuramente essa andò ancora progredendo o modifi- candosi nel corso d’un altro secolo, se il Villon sotto Luigi duo- decimo fece degli sforzi per scriverla qual s° usava al tempo di Luigi nono , e, come il Raynouard dimostra, non potè riuscirvi. È mirabile intanto come nelle canzoni di Tibaldo specialmente essa già sia chiara, precisa, graziosa , pieghevole al genio mu- sicale del poeta, che per esso trovò artifizii ancor non usati, cuello per esempio d’ alternar le rime de’ due generi, divenuto poi legge a’ poeti posteriori. E come il progresso della lingua è visibile nelle cose poetiche del tempo che si è detto , è pur visibile nella prosa. Come almeno è visibile nelle canzoni del primo de’ lirici , lo è nella prosa di quello che primo abbia nome fra gli storici. Paragonate infatti colla prosa del Ville Hardouin quella del Joinville, siniscalco di Sciampa- gna, a cui ci fa pensare egualmente e Tibaldo alla cui corte fu alle- vato, e Luigi di cui segule narrò la prima impresa d’Oriente. In 84 questa narrazione non è verun artifizio, non è alcun segno di sape re, onde mal forse il Joinvilie fu paragonato ad Erodoto, meno in- genuo di lui poichè già più dotto. È un particolareggiar sincero e minuto d’ogni cosa, poichè ogni cosa alio scrittore è nuova, ogni cosa gli dà gran meraviglia; è un parlar nuovo e schietto, inere- dibilmente appropriato alle cose, trovato come per istinto, ricco di voci e di maniere, come Cicerone s’ esprimerebbe , non fatte ma nate; e delle quali fn impossibile trovar mai le migliori, è è una cara vivacità tutta propria dello scrittor medesimo , la vi- vacità stessa de' suoi familiari discorsi, recata dalla corte. di Tibaldo a quella di Luigi, che mai non se ne offese, e spesso anzi se ne dilettò. Prima infatti di partire per l'impresa che il Joinville ha de- scritta , egli amava, dicesi, metterlo talvolta alle prese col ce- lebre fondatore della Sorbona , e rideva se il giovane siniscalco, motteggiando, traeva per così dire di sella il gravissimo dottore. In mare, andando all’ impresa che si è detta, ei si trattenea volentieri a discorso con lui, benchè sempre non udisse da lui ciò che richiedeva la gravità del discorso. In un discorso anzi, ch’ era de’ più santi non che de’ più gravi, il giovane siniscalco si lasciò sfuggir parole più che profane che al buon re doveano dispiacer grandemente. Ma il buon re non ne fece per allora alcuna dimostrazione. Bensì fra poco, tratto il siniscalco in di- sparte , ah ! fou, musart , musart , cominciò a dirgli, e seguitò rimproverandolo con tanta amorevolezza e grazia , che bacio leg- gendoli i santi rimproveri , cui per brevità non trascrivo. Un’al- tra volta , essendo a Damiata , il siniscalco gli contraddisse co- me forse nemmeno ad un minore avrebbe dovuto contraddire. Quindi si stava tutto malinconico e pensoso per tema d’ averlo troppo offeso. Quando si sentì a un tratto una mano sugli occhi, che, al fulgore d’ un grosso rubino, conobbe tosto esser quella del suo re, il qual veniva a recargli parole di conforto. Un tal re meritava d’ esser da lui troppo amato. Ed ei lo amò di fatti non poco, benchè , andato a mala pena in sua compagnia alla prima impresa d’ Oriente , ricusasse di seguirlo alla seconda, dopo la quale ne scrisse afflittissimo la vita, che ha quasi gli stessi pregi della narrazione già detta. In questa vita il buon re apparisce abbastanza un grand’uo- mo. Ma egli fu anche più grande che in essa non apparisca. Non è qui il luogo di parlare de’suoi stabilimenti (il codice delle sue leggi) assai censnrati dal Montesquieu ma pur mirabili pel suo secolo : di quella sua lotta sì ferma col poter dominatore degli al- 85 tri poteri; di quella saggezza politica, per cui, siccome notò il Leibnitz, fece dell’Egitto il centro della prima delle due imprese già dette, benchè non prudentissima ; di quella saggezza ammi- nistrativa per cui riparò in poco tempo ai danni cagionati al suo regno da tale impresa ; di quel valore infine che mostrò in essa, di quel coraggio sublime che mostrò nell’altra ancor meno pru- dente, ed ove perì vittima della sua magnanimità e dell’egoismo del fratello. Ciò che qui giova notare è lo stato morale in cui lasciò il suo regno, il nuovo impulso che da lui ebbero tutti gli studi, gli effetti che ne provò il resto d° Europa. Un gran movimento intellettuale già era cominciato in ogni parte di questa; movimento che poi divenne sì grande in Inghil- terra grazie alla sua Magna Carta , grandissimo in Italia grazie a’ suoi governi popolari ec. Ma il centro di questo movimento era si può dire in Francia, ove, grazie a mille comodità di studi pubblici, di governo, di costumi ec. , accorrevano d’ ogni parte dottori e discepoli , cultori di gravi scienze; cultori, per diria provenzalmente, di scienza gaia, Alberto Magno, Tommaso d’A- quino , Ruggero Bacone , Brunetto Latini, ec. ec. Molti seguaci, com’ altra volta si accennò , ebbero fra gli Italiani i Trovatori, Sordello , che già si disse, un Zorgi, un Calvo, un Cigala, un Malaspina, un Ferrari (trovator favo- rito della corte estense) indi imitatori in gran numero fino al più gentile di tutti il Petrarca. I Troverri ebbero non so sio dica a primo seguace o imitatore Brunetto ; indi, assai prima di que’ tanti che a imitazion loro principalmente scrissero i nostri tanti romanzi cavallereschi (vedine la doppia bibliografia aggiunta dal Melzi all’ opera del Ferrario), un alto apprezzatore che visse un istante fra loro e gli intese più ch’ essi non intendevano sè stessi. I romanzi , i favolelli , le altre poesie de’ Troverri. già non erano più in Francia la sola lettura dei molti che da un pezzo leggevano. Le traduzioni dall’antico , i trattati scientifici ec. già avean cominciato a prenderne il luogo. I Troverri ad ogni modo erano sempre in gran numero , taluni mediocremente pregiati co- me Uone di Villanova, taluni forse avuti un poco a scherno, come quell’Adamo che chiamavasi il Gobbo d’Arras, taluni avuti in gran stima, come Adenes detto il Re, del quale, se ben mi rammento , il Raynouard loda un romanzo relativo ai genito- ri di Carlo. Essi riproducevano tutti insieme, non modificavano nè per- fezionavano la gran creazione poetica del medio evo ; la triplice 86 mitologia,se così possiamo esprimerci, che fu allor sostituita all’an- tica. L’autore dell’articolo del National più volte citato parla d’una. specie di mitologia cosmogonica, ch’ei trova principalmente ne’ro- manzi relativi alla Tavola Rotonda, simbolo , egli dice, della ro- tondità della terra, come i dodici pari lo sono dei dodici segni del Zodiaco, ec. ce. La qual mitologia, se veramente è in que’romanzi, non vi è che come un’altra mitologia cosmagonica ne’più antichi poemi de’Greci, senza saputa cioè de’ poeti che l’adoprarono, pren- dendo verosimilmente alla lettera i simboli che vi si riferivano. Se non che par quasi da lor presa alla lettera anche la triplice mitolo - gia che si accennava, la più bella almeno delle tre mitologie, il mirabile cavalleresco, con quella sua mescolanza di fate, di maghi, di giganti, di nani, d’animali portentosi ec , passati negli infini- ti poemi romanzeschi che poi l’Italia produsse. Meno presa alla lettera fu quella seconda mitologia , che trovasi più che altrove ne’ lor favolelli, la mitologia allegorica, di cui poi si compiacque tutta Europa , che si mescolò alle liriche del Petrarca come ai racconti del Chaucer, che empì in seguito il poema dello Spen- cer, come il romanzo della Rosa. Più forse lo fu una terza spe- cie di mitologia , derivata dalle pie leggende (è assai nota , fra l’ altre, la Leggenda d’ Oro di Pier della Voragine) e adoperata in certi racconti che potrebbero chiamarsi pii favolelli, ove il diavolo è spesso attor principale, e quasi sempre grottesco. Quest’ ultima specie di mitologia avea d’uopo d’esser no- bilitata; Ja seconda sublimata ; la terza adoperata alla creazione d’ un mirabile più vero e più durevole. Il medio evo, dirò me- glio, avea alfin d’nopo d’un ingegno , che trar sapesse di sotto alla rozza sua scorza quanto si racchiudeva di grande, di profon- do, d’ altamente poetico. Quest’ ingegno non dovea sorgere nè forse poteva di mezzo a’ Troverri. Sorse invece in Italia , d’onde passò a visitare la Francia, e fu tal fenomeno di forza e di pie- ghevolezza, di natura e di studio, di grandezza e di popolarità; tanto potè , non solo sulla poesia e 1’ arti contemporanee, ma sulla poesia e l’ arti future , che per quanto si ammiri o di ]ui tengasi discorso, nessuna ammirazione, par che dica il Villemain, nessun discorso sarà mai abbastanza. E duolmi invero che, al discorso bellissimo che di lui tiene il Villemain, mi convenga appunto far fine. Duolmi di non po- ter pur toccare il resto de’ suoi discorsi, che si estende a tutto il secolo decimoquinto, ed è variato di tutte le varietà che pre- sentano le diverse letterature per tutto fiorenti, e di cui egli addita le relazioni reciproche, e quelle ch’ esse hanno co’ pub- 87 blici avvenimenti. Metodo larghissimo e felicissimo, seguito da quel valente (il Patin) che gli successe nella cattedra letteraria, quand’ egli con poco fausto consiglio 1° abbandonò per la rin- ghiera politica. Metodo che forse ha d’uopo d'essere perfezio- nato, dando alle parti della materia a cui si applica proporzioni più convenienti , e facendo una parte più larga alla critica pro- priamente detta, come in quel metodo non molto dissimile, ben- chè più ristretto, di cui, siccome già si disse (in uno degli articoli intorno agli Atti dell’Accad. della Crusca) diede 1° esempio Mar- cello Adriani il vecchio , che qui insegnava lettere latine quando Pier Vettori insegnava le greche , e tanti leggiadri ingegni faceano fiorir le toscane. Metodo che perfezionato, non senza gloria del Villemain , cui farà spesso ricordare , crescerà d° importanza a misura che crescerà quella delle nazioni, cui è destinato a pro- curare uno de’ più nobili trattenimenti. / M. Sur RISTARILIMENTO DEL Giurato IN Corsica. Lettera II." al signor Rarrarre Lamervscnini. (*) Il primo esperimento che si è fatto in Corsica del Giurato mi ha suggerito alcuni riflessi intorno ai vantaggi e agli svantaggi che può recare alla società ed all’amministrazione della giustizia la buona o mala direzione di questo civile istituto. To v’ infor- merò succintamente degli uni e degli altri. Nella mia precedente vi diedi un cenno sui mali ch’apporta alla società quello spirito di fazione , che accomuna e perpetua gli odii privati, e moltiplica le discordie e i delitti. Voi sapete che per la forza delle leghe di famiglia si dimentica o sì rin- nega l’amor della patria, mal si conosce o si discredita la virtù ; la magnanimità nel perdonare le ingiurie è considerata talvolta come viltà o debolezza, e la moderazione e la saggia indifferenza come egoismo o doppiezza o codardia , e che gli atti d’imparzialità ehe offendono l’ orgoglio di una fazione sono interpretati come in- sulti volontarii, e spesso come atti di ostilità della fazione contra= ria, mentre una cieca deferenza ai colpevoli desiderj d’ una parte diventa qualche volta tanto più meritoria quanto è più sfaccia- (*) V. Ant. Vol. XLI. G. pag. 102. = ta e disonorante. Quello studio di parte, che prorompe in sì fatti disordini, ha origine dalla tendenza ch’ ha l’uomo al padronato e alla clientela, sopratutto nelle piccole provincie; e giacchè non si può tog'iere all’uomo questa propensione, io v’indicai nel Giurato un mezzo di prevenirne gli eccessi, e di rivolger!a a pro della società ; e vi dissi che il Giurato otterrà questo fine scon- nettendo le fazioni de’ più potenti, rendendo innocuo o henefico il credito de’ più riputati cittadini, accostumando questi a pro- fessare e ad esercitare la virtù della imparzialità , e sostituendo appoco appoco in tutti all’ affetto di parte l’amor della. patria. Noi ne abbiamo già veduti de’ buoni effetti nelle Assise del primo trimestre , ma abbiam veduto altresì che il Giurato per produrre questi vantaggi ha d’ uopo d’ essere indirizzato e soc- corso da tutti gli uomini pubblici che rappresentano il Governo. Sieno questi avvertiti che tanto maggior cura richiedesi al buon avviamento di questa delicata e preziosa istituzione , in quanto che essa non può essere indifferente all’ordine ed alla morale pubblica; e bene, o mal diretta, può prevenir molti mali, come può cagionarli. To so bene che i disordini che proverrebbero da nn Giurato mal condotto o'traviato non 'ponno essere nè abituali nè durevoli, ed hauno in sè stessi il loro rimedio, come vi ac- cennai prima d’ora. Ma sarebbe pur meglio di non cercare un rimedio nel male istesso, e di non aspettare il senno che nasce dalla vergogna e dallo scandalo. L’altro vantaggio che si ritrae da questa maniera di giudi- care è il desiderio, già commune fra’ nostri giurati, d’ istruirsi sui diritti e sui carichi del cittadino, di studiare e conoscere la nostra giurisprudenza criminale, e quel che più importa, di dare ai proprj figli un’ accurata educazione adatta ad adempire onorevolmente queste funzioni civiche. Ed è per se stesso un gran bene l’amore delle dottrine morali, e lo studiv de’ doveri civi- li: esso scredita e distrugge gli errori ed i pregiudizi. Nè meno utile ci parra questa istituzione , se noi la riguar- deremo come un mezzo di conoscer gli uomini, cognizione im- portantissima per dirigerli e governarli. Voi non potete vantarvi di conoscere un uomo se non l’avete sperimentato in una cir- costanza un po’ critica e pericolosa. Voi sapete che crisz signifi- ca giudizio , come pericolo significa talvolta esperienza, e che anzi colui, che non si è mai trovato ad una prova difficile, non conosce, per dir così, sè medesimo. Nella tragedia del Carma- gnola Marco non giunge a conoscersi, fuorchè nell’ atto di con- sentire ad un’iniqua sentenza, o per dir meglio dopo averla 4 miti el 39 firmata. Or il Giurato appunto mette talvolta 1’ nomo in una congiuntura malagevole, la quale fa necessariamente distinguere il cittadino utile e di coscienza dall’ uom dubbio e dappoco. E se questo cimento in alcuni casi può mettere a repentaglio la giu- stizia » offre almeno all’ amministratore ed al magistrato un mez- zo certo di rettificare e perfezionare sempre più le scelte dei giurati. E non sarà anche molto utile al Governo l'avere un modo facile e quasi infallibile per discernere quelle persone, delle quali si può valere con fiducia nei pubblici incarichi? E il giurì non potrà esser egli la scuola e il noviziato dell’ uomo pubbli- co? Aggiungerò che questo criterio di verità per la conoscenza dell’ nomo può esser anche di molto uso e giovamento ai pri- vati. Nelle passate Assise noi abbiamo avuto ‘occasione di am- mirare l’ imparzialità e la fermezza imperturbabile di varj giu- rati che prima non erano conosciuti che come pacifici cittadini o buoni capi di casa. Il pubblico che ha frequentato con dili - genza ed accorgimento le udienze criminali , li conosce tutti, li distingue a nome, e gode veramente nel dar loro pubblici se- gni di stima e di riconoscenza. In quest'isola, ove certi misfatti erano causati da un falso punto di onore, pareva un ostacolo alla buona riuscita del Giu- rato quella conformità di grado che pur qualche volta s'incontra fra’ giurati e i rei d’ un delitto di quella specie. Ma la direzio- ne, che dà questa magistratura popolare al sentimento dell’ono- re, mi sembra adatta a prevenire col tempo quell’ inconveniente, ed a rendere veramente migliori i cittadini del miglior ceto. O io conosco male i miei compatriotti , o gli 800 benestanti iscrit- ti nella lista permanente del Giurato difficilmente si esporranno al pericolo di comparir essi o di veder comparire i loro prossimi congiunti come accusati innanzi al tribunale, ov’essi hanno seduto o possono sedere come giudici. Se non altro, la pubbli- cità stessa di questi giudizj (1) deve allontanare dal reato e dal consorzio de’ rei qualsivoglia uomo di onesta condizione ; e que- sta pubblicità è tale, che anche in caso di assoluzione basta per sè sola a punire in lui quei misfatti occulti che temono la luce e sfuggono alla convinzione. Ecco quel che si può aggiungere a quanto vi scrissi, per (1) Aceresce la pubblicità di questi giudizj la presenza dei 24 giurati , i quali, oltre i dodici che compongono le Assise, devono essere presenti all’ap. pello , e sogliono assistere alle discussioni dei processi di qualche importanza. T. JIIl. Ottobre. 12 90 provare che in generale un Giurato bene istituito ha in sè stesso i mezzi della propria educazione e dell’ educazione pubblica. Ma questi mezzi , mi direte voi, saranno essi sufficienti in un paese ove questa istituzione è quasi ancor nuova? Come mai il Giu- rato può esercitare questo magistero morale , ed educare i suoi pari ch’egli rappresenta , se non è prima educato egli stesso ? Io sentiva la forza di questa vbjezione quand’ io v° indicava nella mia prima lettera i mezzi, ch’ io chiamerei preventivi ed estrin- seci, co’quali il governo deve concorrere a questa educazione civica , ed a quanto vi accennai su questo proposito , e princi- palmente sul bisogno di guarentire l’indipendenza personale e morale dei cittadini, io aggiungerò che il Governo non deve mol- tiplicare nè precipitar leggi le quali per insolita larghezza pos- sono sfrenar le passioni e disordinare i costumi, e ch’ egli deve provvedere con un’ operosa sollecitudine alla repressione dei pic- coli delitti ed all’ educazione morale (2) e letteraria della gio- ventù. Indicherò come un provvedimento efficacissimo a paci- ficare gli animi e addolcire i costumi, e per conseguenza a contribuir grandemente al perfezionamento morale dei citta- dini, la proibizione di portare armi, massime occulte , come pistole corte o stili che suno la sciagura del nostro paese. Ag- giungerò infine che il Prefetto deve invigilare con ispeciale oculatezza al giusto ripartimento delle tasse , ed alla esatta ret- tificazione che si fa annualmente della lista degli 800 ; giacchè (2) Potrebbero indicarsi molti altri mezzi atti a perfezionare lo stato mo- rale della popolazione, come a dire incoraggimento al commercio, all’industria, all’ agricoltura ; e quindi maggior libertà nei collegi comunali o provinciali di provvedere ai locali hisogni senza essere obbligati ad aspettare alla distanza di sei gradi di latitudine il beneplacito o la direzione degli uffizj dei mi- nisteri; buone leggi rurali ; buoni curati; scuole, strade ec. E quanto alle scuole e ai buoni studj di cui vi è penuria in quest’ isola , si crede che fra poco verrà finalmente eseguito il legato fatto da Pasquale Paoli alla sua patria a vantaggio della studiosa gioventù ; e si spera che il Governo e il Diparti- mento vi aggiungeranno quel tanto che si richiede per fondare in Gorsica al- meno un principio d’ Università. Ma per ciò che risguarda le strade, non parrà credibile ciò, ch’ è pur vero, che quest’ isola sopra un estensiene di 496 leghe quadrate non ha‘che due strade rotabili, l’una di 12 miglia da Bastia a S. Fio- renzo ; l’ altra di go da Ajaccio a Bastia, ed ambedue, avuto riguardo alla loro origine, piuttosto militari che commerciali , giacchè l’ una e 1’ altra; seb- bene costeggiano molti villaggi a differenti distanze, non ne attraversano nes- suuo , meno Corte, Bocognano , e un Gasale di Venaco chesi trovano sulla via d’Ajaccio. QI può doppiamente nuocere alla buona composizione della lista la vanità di alcuni, che si facciano tassare eccessivamente per esser giurati, e la timidità e sottigliezza di altri, che , per non esserlo, celino il valor reale delle loro possessioni. Le Assise , ossia le tornate del giurato. debbono esser brevi più che sia possibile, affine di non mettere a un troppo lungo cimento lo zelo e la pazienza dei giurati. Nel formare la lista dei 200 o nel dare l’esclusive non si dovrebbero ammettere fuorchè con molto ri- serbo quei cittadini i quali per la natura della loro professione vivono di credito, ossia di relazioni e di attinenze, e quelli ch’ hanno un congiunto o un aderente accusato, 0 sul punto di esser tradotto innanzi alle Assise. Eccetto i casi di assoluta necessità , non si debbono interrompere, nè rimandare da un giorno all’ altro i dibattimenti , affine di non distrarre l’attenzione de’ giurati , affine di togliere alle parti interessate il tempo di circonvenire o di preoccupare i giurati e i testimoni, € final- mente per non render vano il giuramento, che fanno i dodi- ci giurati, di non communicar con nessuno, fuorchè dopo il giudizio. Il qual pericolo , ch’ io accennava , dei maneggi ten- denti a prevenire l’ animo dei giurati, dovrebbe altresì consi- gliare ad eseguire alla lettera la legge che prescrive di estrarre a sorte i 36 giurati destinati ad una sessione , almeno to giorni prima che si apra la sessione medesima. Io non vorrei che si anticipasse di molti giorni oltre i 10 questa estrazione a sorte , onde le parti interessate non avessero troppa comodità di infor. marsi delle qualità e delle aderenze dei giurati. (3) La precau- zione , già alquanto disusata in Francia, di cominciar le di- (3) Si domanderà : e come assicurare 1’ adempimento di tante e sì minute precauzioni da prendersi dal Prefetto e dal Procurator generale ? Il mezzo ch’io propongo non paja nè duro nè illegale. Esso è conforme all’ articolo. 387 del codice d’ istruzione criminale, che rende i Prefetti personalmente mallevadori del cattivo ‘risultato delle scelte annue da essi fatte pel giurato : e se riguardo ai procuratori generali non v’ è una simile speciale disposizione, non ve n° è neppure alcuna che si opponga al provvedimento ch’ io sono per consigliare , e che d’ altronde ha la sua giustificazione nell’ importanza gravissima di mante- nere illibata e potente l’ istituzione del Giurato. Io proporrei dunque che il governo togliesse di carica o traslocasse il Prefetto e il Procurator generale , tutte le volte che il risultato delle assise è riuscito per tutto un anno intiera- mente cattivo. La sola minaccia di questa severa disposizione risparmierebbe al governo infinite pene per la direzione del Giurato e indirizzerebbe bene quest’ istituzione salutare. 92 scussioni immediatamente dopo lo scrutinio, quella di non interromperle che in caso di \mera necessità ed a brevi in- tervalli, la precauzione insomma di appartare, per quanto è possibile , il Giurato dal pubblico, si osserva rispettosamente da più di undici secoli in Inghilterra, ove questo istituto pro- tetto dalla santità delle forme dura immutabile come una reli- gione. E l’osservanza di queste formalità prescritte dal codice tuttora vigente del 1808 sarebbe or tanto più indispensabile in Francia, in quanto che da quell’epoca in poi la legge sul Giurato vi fu così spesso e così largamente modificata. Voglio concedere ch’ una nazione possa essere più perfettibile d’ un’ altra. Ma bi- sognerebbe supporre ch'i gradi di perfettibilità, o i progressi morali d’ un popolo , seguano i progressi della vita d’un uomo, per credere che in 23 anni circa il Giurato francese, a diffe- renza dell’ inglese, sia divenuto , per se stesso, perfetto ed in- corruttibile. Un gran mezzo di educazione era nella legge, che regolava i giudizj all’ epoca in cui vi scrissi la lettera antecedente. Se- condo quella legge alla semplice pluralità , cioè ai sette dodice- simi del Giurato, doveva riunirsi la pluralità di cinque magistrati assistenti all’ Assise, per ammettere nel fatto imputato al reo una circostanza aggravante. Ora per una legge, ch'io non ar- dirò di biasimare, il numero dei magistrati è ridotto a tre; la risposta affermativa del Giurato dee formarsi coi due ter- zi dei suffragi, e in verun caso i magistrati possono in- tervenire a confermarla o a correggerla. La presenza di cinque giudici , e il loro intervento al giudizio del fatto , oltre che ag- giungeva alla solennità de’ giudizj, equilibrava e quindi con- certava meglio due poteri di diversa origine, e dava anzi in alcuni casi al magistrato una forza moderatrice; toglieva final- mente ai voti favorevoli all’ accusato la pericolosa preponderanza di cinque suffragi facili ad essere guadagnati fra dodici. La legge attuale, facilitando le assoluzioni col dare in favore del- l’accusato ad una tenne minorità i diritti della pluralità, in- voglia le parti interessate a tentare con maggior fiducia la co- scienza dei giurati , indispettisce o scoraggisce talvolta la. mag- giore e la più sana parte di questi, sgomenta i testimoni. Ma il maggior danno, che potrà provenirne, sarà 1’ impunità dei de- litti occulti che hanno un maggior grado di malizia e di atrocità e che quindi sono più severamente puniti dalle leggi: e per appurare e conoscere le circostanze di questi delitti , si richiede 93 una forza di riflessione ugnale a quella che fu impiegata dal reo per occultarli ; è quindi assai probabile che in tali casi gl’in- dizj della reità sfuggano all’ attenzione ed alla perspicacia di cinque persone sopra dodici. Sebbene nelle Assise tenute in Corsica nel II° e III° trimestre di quest’ arino mi sia occorso di osservare i non buoni effetti di questa inopportuna legislazione , pure. io non ho esposto a voi queste poche considerazioni , per metter fuori un’ opinione legi- slativa, nè per voglia ch’ io abbia di accrescere il numero dei riformatori di leggi. Solo ho voluto preaccennarvi che doveasi almeno supplire con molti ed efficaci. compensi alla mancanza del mezzo di ammaestramento che dava al Giurato la legge an- teriore. Ma invece di circondare questo istituto nascente di tutte le precauzioni possibili, io vi dirò che neppure si usarono tutte quelle cautele ch’ io v° indicai nell’ altra lettera. Fra’ molti cit- tadini rispettabili che formavano la lista dei 200 vi furono degli uomini illetterati, o addetti a un’ arte manuale, o parenti e attenenti degli accusati che dovevano esser giudicati nell’ anno. E senza parlarvi di altre sviste ed omissioni o seusabili ) o forse anche inevitabili in un primo tentativo, vi dirò che non furonò fatte a tempo e a luogo le opportune ricuse, o si fecero talvolta con poca previdenza. Il Ministero pubblico cambiato quasi due volte in un anno mancò in varj casi delle ‘cognizioni personali e locali, necessarie per sostenere francamente e. vigorosamente 1’ accusa. Se non. che queste negligenze hanno forse origine da un ostacolo principale che può nuocer moltissimo al buon indirizzo del nuovo istituto ; e quest’ è quella tal debolezza e vacillazione che siegue in uno stato dopo un, totale rivolgimento, e che fu per lunga pezza sentita da tutti dopo il fine della rivoluzione del 91. Il disagio e 1’ inquietudine che successero alla catastrofe politica dell'anno scorso vanno di giorno in giorno sensibilmente scemando ; ma non sono ancora cessati. Non so se voi abbiate presenti le conseguenze della prima rivoluzione : io. ne ho appena un’ oscura memoria. Mi, ricordo che nei tribunali l’uomo pubblico ; o fosse giurato , o fosse ma- gistrato , partecipava dell’ incertezza e. della perplessità del go- verno, e, non essendo egli stesso protetto , non, poteva, proteg- gere altrui; operava con, pusillanimità , e comunicava la sua diffidenza al pubblico. che temeva di manifestare la sua opi- mione , ed ai testimoni i quali temevano per loro stessi gli effetti 94 d’ una sincera deposizione più che non avevano ragione di te- merli per l’accusato. Quindi una rilasciatezza, uno scoraggimento nei magistrati subalterni incaricati di processare il delinquente , nella forza pubblica destinata ad arrestarlo , e finalmente nella parte offesa la quale, rinunciando alla speranza della vendetta pubblica , ricorreva alla privata come ad un mezzo di difesa le- gittima. Così si sconnettevano e si scomponevano tutti i vincoli che tengono fermo lo stato ; ognuno pensava dr , 0 si poneva sotto il patrocinio d’una fra le tante fazioni alle quali dava ansa ed origine la debolezza del governo. Vi era insomma libertà di delinquere ; non vi era libertà di condannare. Quindi è che le scandalose assoluzioni, e l’impunità dei privati delitti in quei tempi non erano già cansate nei tribunali francesi dall’ umanità de’ giurati e dei giudici, e neppure da quella falsa filantropia che antepone gl’ interessi degl’ individui a quelli delle masse , ma provenivano dalla viltà e dall’ egoismo ; e, anzichè essere ef- fetto di una somma civiltà , potevano divenire cagione e prin- cipio di barbarie. Così cessata ogni tutela e custodia delle cose di pubblica ragione , ognuno se ne appropriava una parte, e si finiva con dire e credere che questa parola Za cosa pubblica volesse dire un po’ per uno. Un celebre legislatore di quell'epoca soleva esclamare parlando ai suoi concittadini: Volete esser liberi e non sapete esser giusti! Voi non connettete. E voleva inten- dere con questo detto che la giustizia essendo lo scopo e il fon- damento principale d’ ogni civil comunanza , non vi può essere vera libertà civile , ove non è assoluta indipendenza ‘di pubbli- ci giudizi , e liberissima esecuzione di leggi. Buon per noi che il: governo attuale, per quanto apparisce, si va raffermando per modo che noi non abbiamo più a temere il rinnovamento di quell’ epoche calamitose. Ma non è men vero che non si'può stabilire, e neppur sottoporre ad un retto esa- me. non solo il Giurato , ma nessun altro civile istituto , se non è introdotto sotto la protezione di un governo forte , attivo, e perfetto nella sua forma. Nell’ individuare i mezzi coi quali deesi preservare il Gin- rato da ‘ogni traviamento io mi sono alquanto diffuso , perchè mi è sembrato che la soluzione del problema sull’ utilità di que- sta istituzione dipenda in gran parte dall’ efficacia e dall’ uso di quei mezzi. Mi sono esteso su questo punto anche per rispondere indirettamente a coloro; i quali sanno bene quanto largheggi la legge a' favore del reo nella organizzazione del Giurato , e sanno 95 che l’indulgenza è facoltà espressamente riservata , secondo i casi, ai giudici del diritto o al capo del Governo; eppure non cessano di predicare ai giurati nostri una larga indulgenza , sul» l'esempio , dicon essi, del Giurato del continente , quasi che si debba giudicare per moda , e quasi che si possa essere indulgenti in un'osservazione logica , ossia nell’ affermazione d’ un fatto. E vorrei anche far osservare a costoro che il Giurato ancor nuovo tra noi ha bisogno d’ esser gelosamente preservato da ogni aberrazio- ne assai più che nel continente ; poichè colà istituito da più di trent’ anni non ha da combattere i pregiudizj .d’una consuetu- dine contraria e la forza reattiva delle vecchie opinioni; e poichè ivi sono forse men da temersi le cattive conseguenze dell’ im- punità. E dirò finalmente che la giustizia criminale, che in ge- nerale ha per oggetto di dare un utile esempio a tutti, deve in molti casi aver per iscopo fra noi di calmare e prevenire il ri- sentimento del cittadino ingiustamente. offeso. Interessato, come ogni buon Corso , alla conservazione e al buon uso d’ un diritto costituzionale; io vi ho indicato finora gli ostacoli che possono contrariarlo o pervertirlo. Mi resta ad informarvi in succinto del risultato delle tre assise tenute finora dal Giurato. I giudizi del primo trimestre, meno uno di condan- na ed uno o due di assoluzione, parvero ad ognuno irreprensibili. Nelle assise del secondo e terzo trimestre, dieci giudizj sopra 45 furono riprovati dal pubblico. Il delitto di furto fu quasi sem- pre severamente castigato ; l’ omicidio andò talvolta impunito , sopratutto allorquando l’ accusato apparteneva alla classe dei pos- sidenti, o atteneva ad essa. La pubblica opinione, ch’ora si mani- festa libera e forte, ha già condannati questi giudizi che francano dalle sanzioni penali gli uomini d’ una certa condizione , o che danno maggior prezzo alla roba che alla vita del cittadino. Io so bene che nei calcoli politici i mezzi meno pronti e di- retti conducono più efficamente al fine, siccome quelli che di- struggono le cause morali del male nascoste nei recessi dell’animo alle indagini superficiali; e so quindi che nel calcolare i risultati del Giurato si vorrebbero estimar quelli ch'esso ha prodotti, piuttosto come mezzo di educazione , che come mezzo di repren- sione. Ma voi ben vedete che questi due aspetti, pei quali si può considerare il Giurato, non dovrebbero essere nè distinti nè separabili; e d’ altronde l’azione benefica esercitata dal Giu- rato sul costume pubblico, durante i sette mesi decorsi dopo il suo ristabilimento, non può finora esser palese e notabile a segno ch’iv possa ragguagliarvene esattamente. La tranquillità , di cui 96 gode presentemente la maggior parte della Corsica dopo l’ ultima rivoluzione , e malgralo alcune giuste sentenze } può ben pro- cedere fino ad un certo punto da un ammaestramento morale che dal ceto mezzano incominci a diffondersi nelle classi inferiori ; e queste in Corsica forse più ch’ altrove, o per uso o per bisogno, secondano volontariamente l'impulso e l'esempio dei principali possidenti. Ma io non so ancora lusingarmi che la quiete presen- te di quest’ isola sia intieramente 1’ effetto d’ un’ innovazione sì recente ; essa proviene in parte dal buon senso generale , e da un sentimento di ovor nazionale ch’anima ed ispira , dirò così, quest’ isolani, allor ch’ essi si sentono governati con nna libertà moderata: questo senno politico li difende sempre dagli estremi abusi del viver libero , come si vide, per tacer di altri tempi, nell’anno 1793 e nel 1814 cioè nel passaggio ch’essi fecero dalla monarchia al niun governo , e dal despotismo ad una mezza li- bertà. I Corsi in simili circostanze sentono meglio di altri popoli che la vera libertà del cittadino non consiste tanto nell’ usare i diritti propri , quanto nel rispettare i diritti altrui ; anzi in tai casi non solo essi si rispettano l’ un 1’ altro, ma rispettano al- tresì la quiete e l’ onore comune. In generale , allorquando l’or- dine pubblico dipende in gran parte da loro medesimi, egli- no nel regolare le l»ro azioni private esaminano gl’ interessi generali , come i loro propri, cioè coll’ animo scevro da pas- sioni e da pregiudizi. Vi è però da temere che questa calma, appunto perch’ è spontanea , non sia precaria , o parziale e poco durevole , se 1’ amor dell’ ordine non è manifestato e posto in atto dai giudici-cittadini e se non è guarentito dalla loro costan- te fermezza, Giova intanto sperare che il Giurato sarà per l’ av- venire o un po’meglio costituito o molto meglio diretto. Il Governo par ch’ abbia già conosciuta la necessità di migliorare quest? i- stituto importantissimo ; poichè ha proposto una nuova legge , ch’è la terza discussa nell’anno sul medesimo oggetto; e se io ne avessi la voglia e la capacità vi esporrei su questa legge alcune riflessioni. Ma per ora contentatevi , di grazia , di quel ch’ ho scritto a vostra richiesta; nè vogliate stimolarmi a fa- re su questo argomento un lungo epistolario : e mi bisogne- rebbe farlo lunghissimo , per tener dietro a tutte le leggi e pro- posizioni di leggi che si fanno e che si disfanno oggigiorno sulla stessa materia. Comandatemi in tutt’ altro , e credetemi sempre Vostro Affezz. Amico * *% e nic att A 107 RIVISTA LETTERARIA. Inni di Gruserpe BorcHI. Firenze Tipografia Borghi e Comp. 1831 pag. 120. Facilità dignitosa , schietta eleganza , sicurezza di stile , rima spon- tanea, numero franco , chiarezza rara, son pregi ben noti nelle poe- sie di Giuseppe Borghi, e che più belli appariscono negl’ inni ch’ han- no per titolo: 1’ Eucaristia , la Vergine , la Carità, il Mattino , la Se- ra, la Notte. Ma che l’essere questi sei più da noi prediletti non iscemi punto il merito de’sei rimanenti, lo proverà qualche breve citazione ; e la prima sarà tratta dall’ inno a Dio Padre, dove TiROr: bido metro metastasiano ci pare quà e là maneggiato con nervo lirico. Nè termini nè tempi Teco , Signor, non sono: Tu solo abbracci ed empi L’ immensa eternità. Nell’ infinito ergesti L’ inaccessibil trono : T° amasti, t’ intendesti, Solinga Verità. La chiusa, imitazione d’un inno davidico , sorge con volo felice. O cetra, o gloria mia, È Salterio mio , ti desta. Per incorrotta via Sciorrò cantando il vol. E, superato il truce Orror della tempesta , Mi vestirà la luce Del sempiterno Sol. Bello il metro dell’inno al Verbo, se non che forse quella rima del penultimo verso gli toglie gravità. Belle , sopra tutte , le strofe : Noi banditi, sdegnosi, rubelli, Camminando per fosche tenèbre , Noi crescemmo ) a delitti novelli Dai delitti togliendo l’ardir. E frattanto del Padre lo sdegno Lui trascelse pel popolo indegno; Lo distese sul letto funèbre Lo percosse ,. lo vide morir. Come agnello dinanzi al coltello Quell” Invitto non trasse sospir. 108 Fulminato dal braccio superno Perchè riede l’ antico serpente? Che prevalgan le porte d’Inferno (Dio giurollo) non osì sperar. Cozzeranno sfrenate procelle, Sanguinose parranno le stelle , Del naufragio lo spettro fremente Stenderassi gigante sul mar : E il naviglio fra tanto periglio Noi vedremo securo vogar. Altro metro gentile, bene adattato al tema, è quell’ inno allo Spirito, dove lo sdrucciolo preposto al tronco fa sempre gradita ar- monia: Del Genitor l’Immagine Legò col Genitore : Tutta degli anni Amore La gran catena ordì. Dall’ inaccesso trono Le fonti del perdono , D’ ogni tesoro ai miseri I santuari aprì. L’Ignoto, VIneffabile Per esso all’ uom favella; Per lui di stella in stella Rivelasi quaggiù. Taccion dall’ ardue vette I nembi e le saette: Fassi trionfo ai liberi L’ antica servitù. Meritevole d’ esser riletta, d’ essere meditata , d’ essere ammirata sinceramente ci pare la strofa: Ne? generosi petti Sveglia conformi affetti : Confondi in un col popolo Il noto e lo stranier. Scendi: la Sposa in lagrime A te s’inchina e plora, Chè regge in mar la prora, e Ma la travaglia il mar. Pera , se’l vuoi, nel fondo Quanto le vien dal mondo : Non perderà l imperio Se resti a lei V’altar. Alta preghiera e degna d’esser rivolta allo Spirito che volava 109 sull’acque tenebrose a fecondarle col battito dell’ ala potente , si è questa : Placa gli sdegni, guidane Piena d’ onor la pace: La libertà verace Al volgo insegna e al re. Fa che tra lor s’ uguagli Il carco dei travagli: Colla speranza invitali Dell’ immortal mercè. Dalla Divina Parola trarremo una strofa ; ma di così lirica fran- chezza che vale per molte: Le sorti son compite: Vincemmo ; è sciolto il laccio! Uscite, o madri, uscite Co’ pargoletti in braccio; Dite in sermon novello Ai forti d’Israello: © Son nostri, e il reo non portano Suggel di servitù. Della Fede e della Speranza abbiam dato un saggio altre volte: e tutti ormai le conoscono. De’ sei che rimangono , per farne sentire i pregi, converrebbe riportarne gran parte. Un solo passo ne addurremo, e tale che acquisterà fede alle lodi. Dove , fratelli, dove Precipitar vi miro? Qui tutto si commove Un popolo deliro, E corre all’armi, e fulmina Chi legge or or gli diè. Ma, dopo il sangue e il pianto, Nasce dal soglio infranto Forza brutal che vendica L’ antico dritto e il re. (1) Colà dov’ hanno il nido L’ ansie, i piacer, gli affanni, Degl? infelici al grido S” indurano è tiranni, Parchi dell’oro , e prodighi Del sangue cittadin. Ombra d’ onor non serba (1) Gi sia permesso di notare che quell’antico dritto non ha molto bel suono; come lo ha bellissimo quel forza brutale. E così nelle strofe sopra citate la pa- rola solinga e la parola.legò , non so se ai teologi parranno assai proprie. Ma questi sono nei. La gioventù superba : Tresca il vegliardo e crapula Dell’ urna sul confin. Di letti, di pugnali Ferve mercato infame ; Pei foschi tribunali Dell’ oppressor le trame Qual è più casta vittima Trascinano all’ altar. Si pecca, si vaneggia Pei trivii, nella reggia, Fra gli operosi artefici, Nel sacro limitar. Non ci arrestiamo a commenti, perchè gli autori non amano (e n’ hanno ragione) le troppo minute discussioni de’critici : ma possiamo conchiudere affermando che chiunque vorrà d’ ora innanzi o dare una scelta di poesie religiose o trattare la storia della lirica italiana o numerare i più valenti scrittori del secolo XIX, non potrà dimenti- care il nome e gl’inni sacri del Borghi. K. Xi Dello. scrittore italiano, discorsi di Gruseppe BrancHETTI. Treviso Rip: Andreola pag. 131. Di questi discorsi dove con evidenza e con calore son dette agl’ ita- liani ingegni quelle verità che, poste in opera, farebbero della pa- rola un’arme potente, un vincolo sacro j di questi discorsi dove la nobiltà de’ sentimenti s’ accoppia in modo raro alla rettitudine delle idee , peregrine anche quando paiono più familiari e più note (perchè l’affetto le abbellisce della sua luce vitale); di questi discorsi per tutta lode diremo che invece di leggerli nel Giornale delle ECeE venete avremmo desiderato vederli nel nostro , e che l’Antologia n° è gelosa. Se qualche proposizione o qualche principio vi si presenta un po? dis- putabile , ad ogni pagina voi trovate in compenso cose degne d’ esser rilette, ad ogni capitolo cose degne d’ esser citate : e di tante noi trascegliamo un sol tratto pur per invogliare gli amici del buono al piacere di leggere questa prosa, forse non elegante e non pura , al pensar di taluni, ma calda certo , ma efficace, ma franca. “ Noi leggiamo per ciò ì meglio scrittori delle nazioni antiche e moderne. E queste letture ci confermano in una verità che io ho spes- so fatto conoscere al mio allievo , cioè che molte volte le regole della letteratura non sono che quelle stesse della morale, e viceversa. Ed in- fatti anche in questa materia dello stile noi troviamo che una delle più belle lodi, la quale si può dare alla condotta di un uomo, è pur una delle più belle lodi , se non è forse la bellisima , che si può fare III allo stile di uno scrittore. Certo io non saprei quante cose più impor- tanti si potessero dire in elogio della virtù di alcuno , del quale siesi detto ch’ egli niente mostra che non senta e pensi; e dall’ altra parte non conosco qual pregio maggiore possa concedersi ad uno stile oltre quello di dire ch’ esso è l’espressione vera del pensiero e del senti- mento di chi scrive. Questa ch’ è lode per chi ha fatto, si cambia in precetto per chi deve fare. Onde giudichiamo che il precetto più im- portante ad iscrivere bene consista nello scrivere naturalmente. Fermata una tale corrispondenza tra la letteratura e la morale, e trovata questa regola somma intorno allo stile, il mio giovane si diverte un cotal poco a notare quali sieno gli stili ch’ egli chiama falsi od ipocriti, e i vari gradi e modi di queste falsità od ipocrisie. Egli ne parla in ischerzo , perchè se nello stile la falsità ed ipocrisia offendono il buon gusto , mon macchiano per ciò la virtà. Qui già non si parla di quegli autori che sentono e pensano ad un modo , e scrivono in un diverso ed opposto : questo è vero peccato in morale. Il nostro discorso è di quel- li che , volendoli pur rendere, non rendono bene i loro pensieri e sentimenti; e questa è ipocrisia o falsità letteraria. Per esempio, quan- to ingenuo e sincero e schietto lo stile che vi ha in alcuni dei nostri scrittori del trecento, come in Dino Compagni e nelle Vite dei Ss. Pa- dri; altrettanto è ipocrita o falso lo stile della maggior parte dei cin- quecentisti , e di tutti quelli i quali, avanti o dopo di loro, abbando- narono la strada della natura per seguirne un’altra di fantasia. Alcuni di essi pensavano certo giustamente, sentivano nobilmente , e possede- vano un gran capitale di lingua : bastava dunque che volessero scriver bene. Ma si lasciarono portar via dalle regole di un’ arte tutta com. posta nelle scuole; ed il loro stile riuscì più o meno falso od ipocrita, cioè più o meno lontano dalla maniera semplice e naturale di espri- mere i suoi propri pensieri e sentimenti. Il mio giovane osserva che tutti gli stili falsi od ipocriti hanno bene spesso la potenza d’incan- tare i lettori; i quali tanto -più s’invogliano ad imitarli quanto più li credono malagevoli da imitarsi , per quella non so quale tendenza ch'è nell’ uomo di desiderare più ardentemente le cose che meno spera di ottenere. Osservazione giustissima, che ci dà il vero motivo per cui il Boccaccio ed il Casa ebbero tanti imitatori , e pochissimi le sud- dette Vite dei Ss. Padri , quella di Benvenuto Gellini e le storie del Giambullari. Eppure in fatto ‘di stile la cosa va a rovescio di ciò che da principio si crede : perchè le maniere che appariscono le più dif- ficili sono le più facili ad acquistarsi ; e quelle, per contrario , che ci sembrano come se bastasse di prendere la penna in mano per farle nostre, divengono poi sempre, alla prova, di una somma e bene spes- so di una insuperabile difficoltà ,,. Ora che 1’ egregio Bianchetti .ha così saggiamente additata la via , così nobilmente mostrato di saperla calcare, v’entri di gran cuore egli stesso ; e, dopo aver parlato agli scrittori, parli al popo- lo a dirittura, a questo popolo amabile e ch’ egli tant'ama : e que- 1I2 sto popolo risponderà , ne sia certo , all'amica sua voce; e gli renderà il più desiderabile tra i premi , la più vera tra le glorie , coll’ impa- rare ad amarlo. K. X. Y. Canzone di Giuseppe BorcHi. , nelle nozze Trivulzio-Rinuccini. Firenze , presso G. Borghi e C. 1831. Una canzone di Giuseppe Borghi merita d’essere rammentata, fos- s’ anco una canzone per nozze ; nom solo pei noti pregi di quel suo stile sì facile, sì evidente, sì franco, ma perchè la poesia di lui sempre meglio risponde ai bisogni del tempo , e sempre più forte diventa di generosi pensieri. 3 Di possanza divisi e di consigli , Ravviciniamci de’ connubi almeno ; E madri avremo e figli Rigenerati sul comun terreno. O giovinetti non chiudete il core Se di tal sorta vi ragioni Amore. È Spesso quest Un matura Gelatamente i generosi eventi ; E nell’ età futura Sta la speme de’ regni e delle genti. Vedova troppo dell’ antica fama Questo misero suol figli migliori Va sospirando, e chiama La folgore del Ciel sui traditori. Ahi qual esempio di viltade avanza ? O chi rende oggi 1’ ali alla speranza ? Madri, da voi s’ attende La vendetta del fato e dei perversi Dal vostro labbro il fanciulletto impari Gome sante sien l’ armi e la fatica Pei domestici altari Alle tenere menti Per voi la trista istoria sì ricordi , Quando figli e parenti Cadder d’ orrenda strage infami e lordi: Per voi si narri qual eccelso volo Steser sul mondo l’ aquile latine ; Quante sul vergin suolo Crebber d’ itala possa opre divine ; Qual suono uscì dalle famose cetre , Qual virtù dai colori e dalle pietre. Questi versi con doppio fine rechiamo; e per farli conoscere a’molti che non avrebbero avuta opportunità di leggerli nel libercolo pubbli- 115 cato dal Borghi, e per dimostrare come la chiarezza della lingna poe- tica nulla tolga alla dignità dello stile nelle mani d’ artista valente: verità che, altra volta annunziata da noi, parve bestemmia, ed è pre- dicata coll’esempio da tutti quasi i grandi poeti di tutti i secoli e di tutte le genti. Segua il signor Borghi a confortar co’ suoi versi le nostre noie e i nostri dolori , a tener vive le nostre speranze , a raccendere in noi quegli affetti senza i quali la verità non ha forza nè vita. K. X. Y.: Delle Iscrizioni Veneziane raccolte ed illustrate da EmanvueLE AntONIO Cicoena di Venezia fascicolo X , contenente le chiese di Sant? Angelo e della Celestia. pag. 121-242. Con la solita e già da noi altre volte lodata pazienza, esattezza , erudizione , perspicacia, prosegue il suo lavoro l’ egregio Veneziano ; e in questo fascicolo , come negli altri, ci porge molte singolari notizie, e la biografia di parecchi rinomati personaggi: tra’quali rammenteremo Trifon Gabriele, un de’ più chiari ingegni del cinquecento, le. cui lodi ci son fatte dal sig. Cicogna conoscere con tale apparato di ri- posta dottrina da destar maraviglia ad uomini della leggera età no- stra, Nè le notizie da lui raccolte giovano solamente ad. illustrare la vita degli uomini celebri , a trarre dall’obblio molti nomi degnissimi della riconoscente memoria de’posteri, a indicare le parentele, le migrazio- ni, i soggiorni, i diritti fin anco e delle più illustri e delle {men note famiglie, a rischiarare la storia e la topografia della città e dello stato; ma danno ancora a conoscere, in modo indiretto e però tanto più de- gno di fede, il gusto letterario , i costumi, le opinioni, le abitudini, il bene insomma ed il male degli otto secoli che precedono il nostro; sono insomma a chi sa bene approfittarne preziosi avanzi, co’ quali po- tere alla meglio ricostruire nella nostra mente il passato. A proposito d’un nome l’autore talvolta devia dal suo tema per ‘ darci notizia degli altri non oscuri uomini che alla stessa famiglia ap- partennero : e siffatto metodo, che a taluno non garba, ci fruttò almeno il piacere di leggere in questo fascicolo la biografia del ben noto poeta vernacolo Pietro Buratti,scritta dal sig. Paravia; dove è riportato un passo di lettera del Buratti medesimo nella quale e’si giustifica del- l’aver troppo sovente abbassato il suo nobile ingegno a temi non degni del secolo. E noi questo passo vogliam quì trascriverlo, perchè, con gioia accogliamo tutto ciò che tende ad elevare nella nostra opinione e nell’ altrui la dignità dell’animo umano. “ Alieno dalla così detta bella società per quelle noie mortali che 3» mon ne vanno mai scompagnate, io viveva con tali uomini che non 3» davan luogo a’ versi che fra i bicchieri, e li volevan conditi di sali »» corrispondenti all’ ottuso loro palato. Bisognava dunque di necessità 33 rinforzar la dose per essere iuteso e gustato. Ecco il vero motivo T. IV Ottobre. 15 114 > del genere prescelto a quello che più si confaceva alla tempra della 3, mia anima, capacissima per intervalli delle più dolci emozioni. Che »» sella mi domanda la spiegazione di questo fenomeno, io non saprei »» da altro ripeterlo che dall’ infinita debolezza del mio carattere che 3» prendeva in gioventù le abitudini di chi mi attorniava. ,;. K. X. Y. Prospetto delle lezioni di filosofia razionale date dal Prof. CorrapINI nel seminario, fiorentino. Insegnamento del primo anno 1831. Da alcuni professori d’ Italia sì ritengono ancora le consuetudini dell’ antica scolastica ; da alcuni il Condillac e il Tracy son posti co- me le due fatali colonne che limitano il cammino dell’ umano intelletto: pochissimi pensano a trarre profitto dalle indagini , da’ metodi , dalle ipotesi, dagli errori de’ moderni filosofi scozzesi, tedeschi e francesi , che pur giova conoscere , non foss’ altro per combattere , e per collo- carsi a livello delle cognizioni europee in questa scienza difficile ed importante. Il sig. ab. Corradini è un de’ pochi che, nel consultare gli stranieri, non perde di mira l’ uso pratico della filosofia ; che s’ inge- gna di coglierne il buono senza pigliarne l’ inutile oscurità : e ne fa prova questo stesso prospetto, dal quale togliamo alcune proposizioni che daranno una qualche idea del suo metodo. ‘ Stato attuale della scienza in Europa. # L®attività è inerente 33 al principio senziente e pensante. » L'osservazione è l’unica guida ;> în materie filosofiche: l’ autorità d’ un grand*ingegno nulla vale. # »» L’ osservazione, al dire di un filosofo vivente, può essere esatta e 33 difettosa in due modi. » Sensazione e percezione: e loro differenza 3; secondo. gl’ insegnamenti di Stewart e d’ altri. » L’ atto del perce- 33 pire include tre cose conforme la dottrina di Reid. — Ogni opera- zione de’ sensi è complessa , siccome afferma saviamente R. Collard. 33 »1 Ammessa la sola sensazione , uno è forzato a_negare l’ esistenza ,; de? corpi. = L'idea delle qualità secondarie, come osserva Loche, 3, è relativa. = Non è l’ occhio che vede nè l’orecchio che ode : ma »» perchè dunque si attribuisce a questi organi la sensazione? ec. Alcune altre proposizioni del presente prospetto noi le troveremmo forse un po’disputabili: ma certo è che in questo corso si propon- gono delle questioni nuove da sciogliere alla filosofia, o sì propongono in modo nuovo; non si segue alla cieca un autore solo, e si evita ad un tempo quell’ eclettismo che non sarà mai una scienza. Noi desideriamo che il giovane professore trovi incoraggimento a’ suoi difhcili studii : e tanto più lo desideriamo che crediam ferma- mente , certe questioni d’ educazione , di morale , di politica, lette- varie, grammaticali , non potersi sciogliere convenientemente senza uno studio virtuoso e profando dello spirito umano. pl n RR e A +. 115 Letture piacevoli per sollievo delle ordinarie occupazioni , ad uso delle gentili e costumate persone. Parma, Fiaccadori 183: (finora vol. XIX.) I più degl’ italiani itipografi (non parlo di coloro che di null’altro sì occupano se non di libri frivoli, inetti, o buoni solo a pascere gli occhi con la vaghezza o con la stranezza delle incisioni ) i più de- gl’ italiani tipografi trai libri che son da stampare scelgono quasi sempre i men atti ad istruire dilettando , a migliorare il popolo , ad educarlo. Molti di que’ che frequentemente e per non so quale cieca e sterile rivalità si ristampano , son libri pregevoli, ma non son tali che il più de’ lettori ne possa trarre immediato profitto , possa con- vertirsene il buono 'e il bello in propria sostanza, possa ridurne a sentimento profondo ed a pratica le declamazioni, le discussioni e le teorie. Sia perciò doppia lode al sig. Fiaccadori che di libri piacevoli ed utili fa dono a’ suvi associati; ed ora ci promette il Gil-Blas, il Robinson, il Telemaco, i Promessi Sposi, alcune operette del Roberti. e del Gozzi, poi altre del G. Rafaele e del Passeroni; se pure que- st’ ultime gli associati mostreran di gradirle ; e noi speriamo che gli associati mostreranno di gradire qualche cibo più solido e più delicato. K. X. Y. L’ Archeografo Triestino, raccolta di opuscoli e notizie per Trieste e per V’ Istria. Volume II. Trieste. Tip. Marenigh 1830-31 pag. 420 (edi- zione promossa dal gabinetto di Minerva, dedicandone il presente volume a vantaggio di un giovine triestino, studente la pittura nell’ accademia in Venezia). Questo volume contiene = alcune notizie di statistica ecclesiastica della diocesi di Trieste, qual era nel 1693, compilate dal sig. dott. Domenico de’ Rossetti = la corografia dell’Istria scritta da Flavio Blon- do, Pietro Coppo, Giambattista Goineo, Leandro Alberti, Lodovico Vergerio , Luca da Linda; delle due ultime una tradotta dal tedesco , )’ altra dal francese = una minuta descrizione, meramente bibliologica, de’ codici contenenti i varii statuti antichi di Trieste, de’quali il si- gnor Rossetti ci promette un estratto che sarà , speriamo, importante = brevi cenni sulle cose memorabili della società di Gesù fondata in Trieste nel secolo decimosettimo , con privilegi odiosi alla città e ve- ramente dispotici = varie suppliche de’Triestini all’ imp. Giuseppe I, dimostranti la grande miseria a cui la città era condotta per la noneu- ranza del suo governo -e per la veneta incredibile prepotenza ed au- dacia = parecchi diplomi riguardanti la legislazione triestina o i ge- suitici privilegi = una erudita memoria del sig. Catinelli, colonnello pensionato di S. M. Britannica , sull’identità dell’ antico coll’ odierno Timavo = un’illustrazione pregevole d’un marmo scoperto a Pola nel 116 corrente anno, scritta dal sig. canonico Stancovich. Desideriamo che il benemerito sig. Rossetti e i suoi rispettabili collaboratori, ai quali s’aggiungeranno forse e quelli che ‘abbiamo altra volta nominati e quelli che son rammentati nella prefazione del presente volume, pro- seguano nella doppiamente patria, doppiamente benefica loro impresa: desideriamo che le notizie bibliologiche cedano più spesso che sia pos- sibile il luogo alle statistiche; che le conosciute già per le stampe, sebben rare, sieno posposte alle inedite ; che i diplomi e simili docu- menti, de’ quali si può dar notizia chiarissima senza citarli per intero, siano con accorgimento compendiati, per risparmiare al lettore la noia di molte pagine dove son sempre ripetute le medesime cose quasi con le parole medesime : desideriamo da ultimo che alle gravi illustrazioni e disquisizioni sì alterni talvolta una qualche relazione piacevole, si- mile a quella ch’ è nell’ estratto di Luca da Linda. “ Sono ancora molto cortesi gl’ Istriani, parlano bene schiavone et italiano, come quelli che praticano l’ una e l’altra lingua; e precisa- mente quelli della marina , che conversano per lo più con italiani. A Muggia si fa una danza l’ultimo giorno di carnevale, che chiamano il ballo della verdura : così hanno gli uomini e le donne in capo ghir- lande di verdura , et nelle mani un arco dorato et intessuto di verdi aranci. Poi gli huomini fanno la sua truppa, et le donne la loro ; et sì cominciano ad unire con quest’arte, havendone una per mano ; sì che ogni uomo si trova tra due donne, et così la donna in mezzo a due uomini. Et s'intrecciano di maniera che par impossibile che si svilup- pino: ma continuando il ballo , s’ incrocicchiano assieme con le mani, passando sotto gli archi; sicchè si sviluppano com’erano prima, Facevasi ancora talvolta un simile ballo nel Delfinato nel mese di maggio in un luogo detto Moras , con mezzi archi di rose o di altra verdura , che era cosa molto grata a vedere: ma hora vi sono pochi che sappia- no guidar tal ballo; et li travagli et altri affari hanno quasi che fatto perdere quest’ uso. ,, Il sig. Rossetti si lamenta gentilmente che l’Antologia nel suo pre- cedente articolo abbia trovato un po” brusco il titolo da lui scelto al suo libro: 1’ archeografo triestino. La nostra osservazione, egli ben lo conosce, era dettata dal desiderio di vedere il suo libro e nel titolo e in tutto il restante reso più popolare che mai si potesse e ognun sa che il titolo decide talvolta del destino d’un libro : e noi siam certi che opera tale avrebbe tra i negozianti di Trieste trovati de’ compratori ben più se non fosse intitolata l’archeografo. Un titolo, che non discon- viene a giornale letterario, può non essere opportuno ad opera ch’ ha per fine il far conoscere ai cittadini lo stato presente e passato della patria loro. Se poi ad una raccolta di notizie riguardanti quasi tutte i secoli posteriori al medio evo e che comprendono per fino la com- pagnia di Gesù, se a raccolta siffatta convenga il titolo di archeografo , lo mostra l'etimologia della voce. Questo sia detto non per dare im- 117 portanza alla nostra modesta e quasi scherzevole censura; ma per al- lontanare da essa ogni sospetto d’ intenzione men che amorevole e ri- spettosa. KjXat La Storia Romana di T. Livio coi supplementi del Freinsemio tradotta dal Cav. Lvicr Mazit. Vol. I. Torino dalla Tipografia Fodrat- ti. 1831. 8.° Giacchè per encomj la ben acquistata fama non sale in maggior dignità, nè men venerata si fa per sofismi di maligna critica, a noi ora non piace di cogliere 1’ occasione che le Storie Liviane tradotte dal celebre Mabil si riproducono in luce, onde vestire il carattere o di stucchevoli lodatori o di censori poco sinceri. Ciò che intorno a tal versione fu detto a suo tempo ne deve bastare: e quello che i dotti pensano di sì nobile fatica è ben giusta mercede al traduttore e sod- disfaciente conferma agli annunciati giudizi. Offrire poi tributo di lo- di a Tito. Livio farebbe degenerare l’ ossequio in puerile ridicolezza. A Livio come a fidato maestro domandava il figliuolo, che stava a studio in Atene dei buoni avvisi per divenire un giorno pregevole oratore; e Livio non altro rispondeva, che per ogni rettorica stu- diasse Demostene e Cicerone. Così noi a tutti coloro che brameran- no addottrinarsi nella civiltà dell’antico mondo Romano, e quindi nell’ essenza eterna deglì stati, fra gli studj più necessarj accennere- mo quello di queste celebratissime Istorie, perchè l’avervi sopra pro- fondamente meditato valse al Machiavelli ed al Paruta i loro Discorsi Politici, ed.a Gio. B. Vico furono gran fondamento ad erigere il por- tentoso edifizio della Scienza Nuova. Ed alla gioventù con più sicurtà inculcheremo di trasandare gli studj frivoli o di mero lusso scientifi- co, ed appigliarsi alla considerazione delle umane vicende, e quelle sapientemente ed eloquentemente ordire in bella istorica. tela ; peroc- chè se da avversità di fortuna o da ignavia ci è tolto di operare chiare e nobili imprese, non n’è vietato di registrar quelle, onde altri popoli Q per prosperi successi, 0 per insigni sventure acquistarono eterna fama; e dopo la gloria di consumare insigni fatti, viene quella di con- segnarli degnamente alla memoria. L. C. Capolavori del Teatro Francese tradotti in lingua italiana da CrriLto ABRANTE, corredati di notizie storiche ec. coll’originale a rincontro. Vol. II. Italia 1828. Mancando spesso in Italia il mezzo di porre certe dottrine alla prova dei fatti ,, ne avviene che le quistioni si prolungano fino alla stanchezza senza vantaggio come senza resultato. Quanto tempo è che sono in presenza i classici ed i romantici? quanti colpi hanno ricam- 118 biato fra loro senza avere acquistato terreno nè dall’ una parte nè dall’ altra! per ragione dei tempi la disputa ha preso vigore , ma ogni qualvolta vi si torna, sono sempre le stesse accuse e le stesse ragioni, I romantici sono pazzi, servili, ignoranti, sono il popolaccio della lette- ratura, come il popolaccio delle sommosse, intollerante di governo e di legge. Preferire alla casta e brillante bellezza della letteratura greca e latina la imbellettata , stravagante e piangolosa del Nord, rendere l’ Italia tributaria anche nelle arti del pensiero, comé se. già in altre cose non lo fosse abbastanza! » Così lamentano i classici, prestando agli avversari intenzioni ed opinioni del tutto opposte alle loro, e mostrandoli nemici al buon gusto non meno che a quella libertà , senza cui non possono prosperare le lettere , nè essere apprezzate co- me strumento di pubblico bene. Non potendo o non sapendo vincerli colla ragione; si tenta di toglier forza alle loro parole, facendoli og- getto di riso o di. orrore, ed il metodo non è nuovo ed è stato molte volte felicemente applicato. E bene sta che da ogni causa sorga la discordia , che tuttociò che dovrebbe collegare valga a dividere , che un pensiero utile o generoso di un italiano sia calunniato da un al- tro italiano, che anche le lettere soavi e gentili si adoprino ad inas- prire gli odi = così almeno in qualche cosa non smentiremo la nostra progenie, se l’ abbiamo smentita nel valore e nel senno. È dunque così sparsa di fiori, sì lieta di agi e di plausi-l’esistenza del saggio, che un biasimo e un rimprovero sia nulla per esso? non basta che scontino col dolore il dono della loro grandezza, che comprino la glo- ria a prezzo della felicità ? = si devono disprezzare, coprire di fango quelli che travagliano al bene delle umane generazioni, che incon- trano le persecuzioni e gli odi per l’ insegnamento del vero, che la spaventata viltà chiama errore e delitto ; si deve distruggere l’illusio- ne che forse sola rimane, la gloria, perchè troppo gran premio è la gloria, e lo sente chi non la può nè dispensare nè conseguire ? 4 Non si ha verso di essi nè civiltà nè pudore; e si comincia la carriera delle lettere dall’insultarli. + Ecco il sig. Abrante che pubblica la tradu- zione di due tragedie; e si crede tosto in diritto di dichiarare, coll’as- soluto linguaggio di un oracolo , barbaro ed ignorante Shakspear, im- morale e prosaico Schiller, volgari e stravaganti Cervantes, Lopez e Calderon, il Manzoni traviato, la Stael una saccente ; fole e deliri i canti del Byron, interminabili fanfaluche i romanzi dello Scott, e go- tica la musica moderna. = Se la pazienza può reggere a queste belle asserzioni gettate in mezzo ai consueti argomenti che accennavo in principio, ognuno sel vegga; e dica se il sig. Abrante non avrebbe fatto assai meglio a considerare attentamente, se di fatto la letteratu- ra sia in decadenza per cagione dei romantici, se i mali e la vergo- gna d’Italia provengono dall’ ammirare gli autori del Child-Harold , dell’Egmont, e del Guglielmo Tell, se la poesia rimane stazionaria 0 non procede cogli avvenimenti e colle opinioni, o se alla presente civiltà bastano le antiche forme , o sivvero ne abbisognano delle nuo- 119 ve più atte e più potenti ad esprimerla. + Le parole del sig. Abrante sarebbero forse state allora più moderate e più giuste, ed avrebbero messo in miglior luce le sue idee ed il suo sistema, perchè le ragioni vagliono sempre qualcosa di più delle ingiurie = almeno io lo credo. »i Sarà meglio intanto lasciare le prefazioni e le annotaziori, e dire qualche cosa della traduzione che ne ha prestato il motivo. Il sig. Abrante si è proposto di tradurre tutto il meglio del Tea- tro Francese, ed ha cominciato dal Cinna e dal Poliutto del Corne- lio. 4 Le armi e la civiltà hanno reso sì comune anche nei borghi e nei villaggi la cognizione della lingua francese, che ben pochi si tro- veranno col desiderio di una traduzione per non saper leggere gli ori- > ginali. Può riuscire utile però in un altro aspetto : il nostro teatro se ne può giovare per accrescere il suo repertorio che non è molto ric- co di buone opere , ed unendovi altre traduzioni dei teatri romanti- ci, mettere alla prova il gusto del pubblico ; iniziandolo a’diversi ge- neri ed alle varie bellezze dei tragici e drammatici stranieri. Ognun vede che per l’imparzialità del giudizio bisogna che siano resi nella nostra lingua colla lor veste e coi loro colori senza 1’ ambizione di mu- tilarli e eorreggerli, e che il fiore della loro poesia rimanga fresco, e rugiadoso , nè appassisca nelle mani di chi lo vagheggia con poco amore. Se la traduzione di un grande scrittore è una rivalità di genio ( pa- role del Laharpe poste come epigrafe ad una prefazione del traduttore) non so con qual felicità il genio del sig. Abrante lotterà con quelli sì diversi del Cornelio , del Racine , del Voltaire e del Moliére. Intanto pare che abbia posto nella sua intrapresa molto studio ed amore , ed il primo saggio che ci ha dato fa bene augurare del futuro, non mancando di fedeltà letterale , di armonia e di eleganza. Mi pare però che vi manchi assai spesso una fedeltà che dirò poetica , quella appunto che costituisce /a rivalità del genio , e che non si acquista eon regole , ma col sentimento e la meditazione del bello. & Intanto la sua traduzione è migliore di quelle che avevamo , e lo prova egli stesso citando nelle note molti pezzi di una traduzione del sig.. Paradisi, e di altra del Baretti, che ha trovato questa volta un frustone più tremendo delsuo in mano del sig. Abrante 4 Vedete se non è vero il proverbio che “chi la fa, l’aspetta, ossia quel che è fatto è reso ? L. Le lettere di Plinio il giovane tradotte ed illustrate da Pier ALEssan- pro Paravia. T. I.-II. Venezia Tip. di Commercio 1830-1831. Chi desidera conoscere ; ciò ehe fu raro sempre nel mondo, un’a- nima gentile , aperta agli affetti dell'amore , dell'amicizia , della stima, dell’ ammirazione; religiosa , leale , benefica ; amante della patria, de- gli studi , della solitudine, d’ ogni cosa bella, d’ogni cosa grande ; chi desidera studiare in quest’ anima come i difetti si confondano, si 120 contemprino a’pregi, come apparisca in quelle molte virtù qualche vizio, qualch” errore in quella tanta rettitudine, e in quel tanto candore soverchia la cura di dimostrare sensibilità , gentilezza, ingegno , fa- condia ; sicchè scrivendo all’amico il valent’ uomo par che pensasse a un maggior numero di lettori; chi desidera contemplar davvicino non solo le domestiche e le civili e le letterarie consuetudini ma lo stato morale di una società degnissima d’ essere contemplata (giacchè non è a credere che Plimo fosse di tanto maggior del suo seco- lo, che anima più gentile non vivesse a’suoi tempi); chi desi- dera insomma dar pascolo gradito e abondante del pari alla mente che al cuore, legga le lettere di Plinio tradotte dal signor Paravia con fedeltà, con sicurezza di stile ; illustrate con annotazioni parche, op- portune , e che ben dimostrano esser frutto di molta lettura. Per dare un saggio di questa traduzione pregevole, recheremo una lettera del quarto libro , nella quale il lodatore di Traiano , 1’ uomo disprez- zato dall’ Alfieri, si mostra in fatto d’ educazione più liberale e più giusto che molti vantatori di liberi sentimenti non abbian fatto sinora. s» Mi rallegro che tu sia giunto salvo in città. Certo se mai ho :, desiderato che vi giungessi, ora il desidero soprattutto. Io dimore- 3; rò ancor qualche giorno nella mia villa di Toscana per compiere s» un lavoretto che ho per le mani. Poichè io temo che smorzandosi ;; presso al suo termine il mio fervore, mi sia poi difficile di riaccen- », derlo. Frattanto, perchè niente abbia a perder la mia sollecitudine, 3» di quello, che ti chiederò in voce, ti prego; a modo di precursore, 3, con questa lettera. Ma prima ascolta le cagioni, poi ti dirò il sog- »» getto della mia preghiera. L'ultima volta che fui in patria , venne », a salutarmi il figlinolo pretestato di un mio concittadino. + Studi tu, , io gli dissi? Sì, mi rispose. E dove 24 A Milano. Perchè non qui? 33 E suo padre (da ch’ e’ si trovava presente , anzi egli stesso m’ avea ,, condotto il ragazzo ): Perchè qui non abbiamo verun precettore. = Co- », me mai? Poichè a voi che padri siete (e in buon punto stavano molti 3» padri ad ascoltarmi ) grandemente importa che qui , qui soprattutto 33 s° allevino i vostri figliuoli. Poichè dove starebbero più giocondamente » che in patria? dove con più ritegno che sotto gli occhi de’ genitori? ss dove ton minore spendio che in casa? Quanto poco adunque ci vuole , s, messo insieme del danaro , condur de’ maestri? e ciò che ora spendete ,, în albergarie , in viaggi , in ciò che tanto costa (da che tutto costa ,, un occhio), aggiungerlo a’ lor salari? E già, io che sin qui non ho »» figliuoli, sono apparecchivto a dare per la nostra patria, qual per una ,» figlia o una madre, il terzo di ciò che vi piacerà di contribuire. Io ,; prometteret anche tutto se non temessi che questo mio benefizio un di s 0 l'altro si guastasse col broglio ; sè come io veggo succedere in molti ,, luoghi dove i maestri sono condotti dal pubblico. Al qual male non s» 9? è che un solo rimedio; di lasciar cioè a’ soli genitori la facoltà di so condurre i maestri; e, obbligandoli a contribuire, obbligarli pure ad una »» pesata e giusta scelta. Poichè coloro che sarian forse sbadati circa alle PELI PEN ra QI a Tv ee 121 »» cose altrui, saranno certo diligenti circa alle proprie, e terran modo »» che solo il meritevole riceva da me lo stipendio , ov? ei sia per riceverlo »» anche da essi. IL perchè unitevi, accordatevi , pigliate animo da me: »» 0 pur desidero che sia larghissima la quota che dovrò conferire. Niente 3; potreste fare di più onorevole a’vostri figliuoli , niente di più gradito »» alla patria vostra. Qui si ammaestri chi è qui nato, e s’ avvezzi sin »» dalle fasce ad amare e coltivare il suol natio. Diel voglia che sì il- >> lustri precettori voi conduciate , che qui si venga da’ finitimi paesi a >» studiare! E come ora i vostri figliuoli in luoghi estranei, così gli estra- 33 mei concorrano ben presto in questo luogo. Io stimai dover pigliare la 3, cosa assai di lontano e come dalla sorgente, per farti vie più co- s» noscere quanto mi sarebbe caro che ti pigliassi il carico che io t’impongo. T’impongo adunque, e , per l’importanza della cosa , ti prego che tra -la schiera de’retori, i quali accorrono a te per ammirare il tuo ingegno , tu adocchi quelli che noi possiamo invitar per maestri; a patto però che tu non obblighi la mia fede a veru- 3, no. Poichè io voglio lasciare a’ padri libertà intera. Sia di loro il » giudizio , sia di loro la scelta; io non altro mi arrogo che la cura e la spesa. Il perchè se si troverà alcuno che confidi nel sno in- gegno , si rechi pur colà, ma sotto condizione che, fuori di questa “sua confidenza, niente e’ vi rechi di certo. Addio ,,. . Perchè possa il lettore giudicar da sè dove e come sia l’egre- = gio traduttore più fedele , più parco , più numeroso ; dove con più destrezza superi le innumerabili difficoltà del suo lavoro ; dove lasci alcuna cosa a desiderare , trascriverò qualche breve sentenza dall’ ori- ginale, scegliendo-non delle meglio tradotte ma delle più vere ed argute. “ Nec me praeterit esse Regulum dusuabatperoy: est enim locu- ,»ples , factiosus; curatur a multis; timetur a pluribus: quod plerum- s» que fortius amore est. Potest tamen fieri ut haec concussa labantur. 3) Nam gratia malorum tam infida est quam ipsi ,,. ‘ Ben so che Regolo non è uomo da lasciarsi abbattere : imper- s; ciocchè egli è ricco e brigante, è corteggiato da molti, e da più s; ancora temuto.; il che sovente val più dell’ amore. Pur non è im- »» possibile che ciò tutto crolli e ruini: poichè la fortuna de’ malvagi 3, non tien più sua fede , che essi la loro ,,. “ Experieris non Dianam magis montibus quam Minervam iner- 3, rare ,; ‘ E proverai che Minerva non meno che Diana gode di vagare 3» pe’ monti ,,. ‘ Quin immo fortasse hanc ipsam cunctationem nostram in alte- 3 rutram sententiam emendationis ratio deducet , quae aut indignum , editione, dum saepius retractat, inveniet: aut dignum, dum id ipsum »» experitur , efficiet ,,. ‘“ Fors° anche cotesta correzione determinerà la mia incertezza »» all’uno o all’altro partito, secondo che col ritoccar più volte il mio T. IV. Ottobre. 16 23 23 29 ,9? 23 23 2) 23 29 23 23 23 23 33 23 II 3) 23 122 discorso , lo troverei indegno della pubblica luce , o ; ciò facendo , il renderei degno di essa ,,. * Si alienae quoque laudes parum aequis auribus accipi solent , quam difficile est obtinere ne molesta videatur oratio de se aut de suis disserentis ? Nam cum ipsi honestati tum aliquanto magis gloriae ejus praedicationique invidemus: atque ea demum recte facta minus detorquemus et carpimus quae in obscuritate et silentio reponuntuf ,,. “ Se sono ascoltate con poco favore persin le lodi degli altri, quanto è difficile che non annoi quella orazione dove 1’ autore di se ra- giona o de’ suoi ? Poichè noi invidiamo la virtù , e più ancora lo splendore e la lode di essa: e se v’ ha belle azioni che sien da noi men malignate e riprese , son quelle che si riparano nella oscurità e nel silenzio ,,. “ Oculorum porro et aurium voluptates adeo non egent commen- datione ut non tam incitari debeant oratione quam reprimi ,,. “ Certo ciò che lusinga gli occhi e gli orecchi ha sì poco bisogno d’essere raccomandato che l’ oratore debbe in' ciò usàre anzi il fren che lo sprone. “ Praeterea meminimus quanto majore animo honestatis fructus in conscientia quam in fama reponatur ,,. “ So altresì come un animo ben fatto collochi il frutto di un vir- tuoso operare più nella coscienza che nella gloria 3»: “ O mare , o littus, verum secretumque povestov! Quam multa invenitis! Quam multa dictatis! ,,. a “ 0 mare, o lido , o vero e secreto tempio delle 7 Muse, quante cose sì creano € si scrivono in grazia vostra ,,. Più si considera la traduzione del sig. Paravia; e (tenend’ anche conto de’difetti) più la si riconosce non solo la migliore di quelle che l’ Italia possiede finora, ma tale che in più d’un luogo supera il suo originale in semplicità/ed in chiarezza di stile. K. X. Y. 1 fatti di Enea estratti dalla Eneide di Vircivio , e ridotti in volgare da Frate Guipo pa Pisa carmelitano , del secolo XIV: Testo di lingua , per cura di Bartolommeo Gamba, tolto da. un codice della libreria marciana. Venezia Tip. d’Alvisopoli 1431 p. 180- Il sig. Gamba ci ridona in questo libretto una delle più care scritture che vanti il secolo di Dino e di Dante : cara non solo per la proprietà , 1’ efficacia , il candore , la brevità , l’ evidenza , pregi comuni a ben molti lavori di quel tempo, ma per una certa nettezza ed uguaglianza di stile in opere tali rarissima , per 1’ artifiziosa e sovente delicata ed armonica collocazione delle parole, per un certo colorito poetico che , laddove il buon frate in luogo di compendiare Virgilio si adatta a tra- 123 darlo , rende l’ immagine del latino poeta assai più fedelmente che le più lodate traduzioni non facciano. Rechiamone un saggio : Dal quarto dell’ Eneide. Traduzione del Caro. a . 5 > Anna sorella, Che vigilie, che sogni , che spaventi Son questi miei ? Che peregrino è questo Che qui novellamente è capitato ? Vedestu mai sì grazioso aspetto ? Conoscesti unqua il più saggio. il più forte ; E ’l1 più guerriero ? Io credo (e non è vana La mia credenza) che dal ciel discenda Veracemente. L° alterezza è segno D’ animi generusi. E che fortune E che guerre ne conta! Io, se non fusse Ghe fermo e stabilito ho nel cor mio, Che nodo marital più non mi stringa, Poichè ’1 primo si ruppe ; e se d’ ognuno Schiva non fossi, solamente a lui Forse m’ inchinerei. Chè , a dirti il vero, Anna mia , dacchè morte e l' empio frate Mi privàr di Sichéo , sol questi ha mosso I miei sensi, e ’1 mio coré ; e solo in lni Conosco i segni dell’ antica fiamma. Ma la terra m' ingoi, el ciel mi fulmini E nell’ abisso mi trabocchi in prima Ch' io ti violi mai, pudico amore. Col mio Sichéo , con chi pria mi giungesti, Giungimi sempre ; e intemerato e puro Entro al sepolero suo seco ti serba. E qui piangendo e sospirando tacque. Ora vediamo la prosa del buon trecentista : ‘ Anna, sirocchia mia, 3» Che sogni varii hanno questa notte sospesa la mia mente! Questo gentile uomo, che m’ è capitato a casa, m’ è entrato sì nel cuore! Non so che vuol essere questo: la sua gentilezza , li suoi atti , co- stumi , lo suo bello et ornato parlare mi danno fede che sii nato 3» della schiatta degli Dii. E se non fosse ch’ io m’ ho posto in cuore di mai non pigliar marito, e così ho promesso alla cenere di Sichéo, »» dicoti Anna sirocchia mia, che questo mi piace tanto ch’ io solo 3) costui-mi piglierei. Cognosco i segni della fiamma antica: che quello ») amore, ch’io portai a Sicheo quando era vivo , ora mel sento riuno- 3» vellare nel cuore. Ma innanzi ch’ io rompa fede a lui , io prego Id- ») dio o ch’ egli mi saetti o una saetta folgori dal cielo , o ch’ egli mi »» faccia inghiottire alla terra. E detto questo, tutta s’ empiette di la- s» grime ,,. ” Questa non è traduzione letterale, è sunto che scarna in più 124 luoghi la soave morbidezza di quella parlata , la quale spiega perché da Dante sia chiamata alta tragedia 1’ Eneide. Ma così scarna com'è la prosa del frate pisano, voi vedete quanto di tenerezza ad Anna sorella aggiunga quel mia posta in fine. Voi vedete come il Caro, fermandosi all’ idea di spaventi, vi allontani più dallo stato vero d’ una donna in- namorata , che non faccia il buon frate col parlarvi d’ una mente so- spesa da sogni vani : voi sentite quanto più dicano le due parole : m'è entrato sì nel core!, che non i due versi del cinquecentista , i quali non rendono al certo quam se se ore ferens egregiamente non tradotto ma indovinato da alti costumi Quella graziosa aggiunta: non so che vuol essere questo, è divina co- sa per esprimere l’ affetto di donna la qual non conosce veramente il suo stato , e ondeggia tra la passione che ha già , e quella che teme d’ avere e che temendo fomenta. E notate nella differenza delle frasi la differenza de’costumi e de’ tempi. La Didone del pagano lodatore di Agrippa ama in Enea l’al- terezza , il coraggio , la forza: Quam se se ore ferens! Quam forti pectore et armis! La Didone del frate ama nel gentife uomo la gentilezza , il bello ed ornato parlare. Io credo, e non è vana la mia credenza traduce alla lettera ma fiaccamente ; mi danno fede rende lo spirito della frase virgiliana. Credo equidem, nec vana fides , esprime la fermezza del credere di don- na che ama ; esprime come amore e fede son sempre congiunti. Dal ciel discenda è tutt’ altro che il genus esse deorum, e non vale: il nato della schiatta degli Dii. + Il bellissimo Si mihi non animo fixrum immotunque sederet dimostrante con la stessa energia dell’ affermazione la debolezza del cuore che la pronunzia, e che vuol fare illusione e conforto a sè stesso, richiamandosi gli antichi propositi e pascendosi della passata virtù ; questo verso bellissimo il frate ci passa sopra con una espressione bella, ma languida : io m’ ho posto in cuore , ma è egli forse più robusto il verso del Caro? L’ infelice traviata sente il bisogno di aprirsi, e si rivolge alla sorella con quelle parole: Anna, fatebor enim. Intese il tradut- tore poeta quanta dolcezza è in quel nome, e ben la rese di- cendo: Anna mia; ma la familiarità soverchia delle parole che prece- dono (a dirti il vero) scema la grazia dell’ affetto. Meglio l’antico: di- coti, Anna sirocchia mia . . . Al delicato concetto : È P Miseri post fata Sichaei Conjugis et sparsos fraterna caede Penates ( notate come la misera insiste su quelle idee di pietà coniugale che possono ritenerla dall’abbandonarsi all’impeto della passione, bellezza che ne’ versi del Caro è smarrita ) 125 Solus hic inflexit sensus ; animumque labantem Impulit .... questo delicato concetto , io dicevo , non l’ abbiamo nel frate ; ma il Caro anch’ esso ne tarpa il più bello , l’ epiteto /abantem che dipinge sovranamente la debolezza della donna, sempre agitata da pensieri d’a- more , sempre incerta, ondeggiante , anche quando resiste. E così più sopra : . + . . Heu quibus ille Jactatus fatis! Quae bella exhausta canebat 1 dove l'ammirazione e la pietà son dall’ amore unite in nodo sì dolce, dove nelle guerre sostenute da Enea la donna amorosa non vede se non le sofferte sventure ; nulla di tanta profondità nella traduzione del Caro ci resta. Ma il buon frate, che salta a piè pari questa ed altre bellezze , sì compiace poi di commentarne altre al suo modo ; dolcissimo mo- do: “ che quell’ amore, ch’ i’ portai a Sicheo quando era vivo, ora », mel sento rinnovellare nel cuore ,,. Non è più 1’ amore consacrato dal dolor della perdita, non è più l’amore confuso al rammarico, quel che la vedova sperimenta : Enea le risveglia il sentimento di quella passione viva, presente , soave insieme ed irrequieta , fisica insieme e spirituale, ch’ ella sentì già per il marito di cui godeva la vista , di cui sperava e otteneva gli amplessi. Il resto della parlata è compendiato un po’ seccamente dal nostro pisano ; ma quell’ ultime parole : tutta 5’ empiette di lagrime non solo incomparabilmente sovrastano al verso del Caro , ma gareggiano col virgiliano. î ; - sinum lacrymis implevit obortis. Grazie dunque al ch. sig. Gamba che ci ha voluto ridonare questi Fatti d’Enea. Ridonare ho detto, perchè nel 1824 dal Turchi di Bologna per cura di anonimo fu già pubblicato non solo il secondo libro ma 1’ opera intera di Frate Guido col titolo il Fiore d’ Italia ; senza prefazione , senza illustrazioni, con alcune varianti ne’ primi fogli, le quali in seguito si lasciano anch’ esse desiderare. L’ editor bolognese, attenen- dosi a codici forse più antichi, offerse una lezione sovente meno lim- pida e meno elegante che quella del codice marciano (1): ma il sig. (1) Eccone per saggio la stessa parlata di Didone , recata più sopra. Ed. Bolognese # «e Anna sorella mia, che vani ( meglio che varii ) hanno questa 3» notte sospeso ( meglio sospesa ) la mia mente. Questo gentiluomo ( meglio »» gentile uomo), che mi è capitato a casa, m’è entrato sì nel cuore ch’ io 3» ( meglio che cuore! Io ) non so che vuole essere questo. La sua gentilezza, ss li suoi alti ( meglio che atti ) costumi, lo suo bello e ornato parlare mi 3» danno fè (meglio fede) ch’ elli sia nato di schiatta (meglio che della ) delli 3» Dii. E se non fosse che io m’ ho posto in core di non mai pigliare ma- 3, Tito, e così ho promesso alla cenere di Sicheo, dicoti, Anna sorella mia, 120 Gamba poi, non avendo sott’ occhio che un codice solo, non potè cor- reggere tutti gli errori; e questa edizione di lui sta necessariamente al disotto di quella di Bologna (2), ch’ egli, diligentissimo raccogli- tore di siffatte cose , non ha conosciuta , perchè non fu, a quel che sento, diffusa nel commercio librario; e corse per pochissime mani. Del resto nè anco l’ editor bolognese ha potuti veder tutti e consultare i quattordici codici che delle Fiorità del Frate contengono le tre prin- cipali biblioteche nostre (3); onde non è nè anco il lavoro suo pur- gato affatto da errori; perfezione impossibile. Questi quattordici codici variano tutti, qual più qual meno , non solo nelle desinenze ma nella collocazione ancora de’ vocaboli e nella scelta : talchè gl’ inesperti po- trebbero di questa istessa Fiorità pubblicare tre o quattro edizioni assai variate : ma i pratici di tali studi ben sanno che tali varietà erano arbitrii di copisti, i quali o per non intendere la scrittura del codice o per volerla adattare alla lingua dell’ uso più moderno o per il pia- »» che questo mi piace tanto ch’io solo « costui mi piegheria (è più fedele »» all’ inflerit del testo e più dignitoso : basterebbe sostituire piegherei a pie- »» gheria , come scriveranno senza dubbio altri codici non meno antichi ). Co- nosco i segni della fiamma antica : chè quello amore, ch’ io portai a Sicheo quando era vivo, ora mel sento tutto renovare nel cuore ( meglio mel sento tutto che il solo mel sento; ma meglio rinnovellare che renovare ). Ma in- nanzi ch’ io rompa fede al mio dolce marito Sichéo ( il marciano è più secco, ma qui la parsimonia è forse più bella ), io priego li Dii del cielo ( più fedele che Iddio ma forse meno antico ) , 0 che elli mi saettino con saetta folgore del cielo ( qui il marciano erra affatto ), o che elli mi facciano in- »» ghiottire alla terra. E detto questo, tutta si impiette (non più antico d’em- >» piette, sebbene quest’ ultimo suoni meglio ad orecchio moderno ) di lacrime. 3» ( meglio che /agrime ) ,,. — Quanto a ortografia ed a punteggiatura tal- volta l’ edizione bolognese ci par da preferire , talvolta la veneta. (2) Qualche codice laurenziano e magliabechiano da me riscontrato mi dà la correzione dei seguenti errorucci del marciano. Pag. 20 conforto: con- sorto. Pag. 21 pictra: preda. — Teverone: Teucro. Pag. 29 lupi : buoi. Pag. 26 Erimonia: Ermiona. Pag. 30 vegnendo: vegnente. — Accompagnate : accompagnata. Pag. 31 secondo al: il. — Fellonosamente: fellonescamente. Pag. 36 ebbene: ebbono. Pag. 38 di parte: disparte. Pag. 39 nostro citta- dino : vostro. Pag. 45. Pertuzarlo : pertugiarlo ( altri aggiungono : oovero di forarlo ). — Lo populo che di sua narrazione non aveva alcuna fermezza : che di suo senno non ha alcuna ec. — Credetemi che i nimici non ne sono andati: credete voi che ec. — Regno: legno. Pag. 46 Per la mia fortuna: per la mia mala ventura. — Carendo: caendo ( altri cercando e chiedendo ). — Di tornarmi a casa, la quale forse li Greci sacrificheranno in mio luogo: tornare mai a casa mia a vedere i miei dolci figliuoli e il mio venerabile padre , lo quale ec. - Ed altre varianti che omettiamo ; parte delle quali notò l’ editor Bolognese. (3) Due nella Laur. ; nella Magliab. tre; nella Riccard. nove: sette di questi son notati nell’ indice alla lettera g sotto Guido ; due sotto Fiorità. 127 ‘ cere. d’ innestarvi qualcosa del suo e di alleggerire così la, noia del ma- teriale lavoro , o per isbadataggine ; sovente mutavanio 0 in,meglio od in peggio, secondo il tempo, secondo l’ abilità , secondo 1’ indole: del- l’opera che avevan tra mano (4). Il frate pisano fu, contemporaneo dell’ Alighieri ; e spesso lo.cita ; e, la prosa di Guido può; giovar, talvolta a illustrare. certi modi ‘che paiono: strani ne’ versi di Dante (5). K. X. Y. Arte di costruire ogni sorta di oggetti in rilievo e in carta. per. servire d’ istruzione \e passatempo della gioventù d’amendue i sessi, del:signor R. B£icourr ; con ventitre tavole in rame, tradotta ed. am pliata dal S. S. IM. professore di disegno. Firenze, Batelli e Figli 1830. Per rendere al sig. Batelli la lode dovuta alla. pubblicazione di questo libretto, e farne ai nostri lettori conoscere il pregio e lo scopo, basterà recare in parte la prefazione dell’egregio traduttore : «dove si tro- veranno intorno all’ istruzione prima de’ teneri givvanetti molte osserva- zioni verissime e troppo poco apprezzate dagl’istitutori ordinarii. Se non sono ornate parole', frasucce eleganti, nè periodi canori questi che noi quì trascriviaino ,-soh fatti esposti con la semplicità e con la fran- chezza dell’ uomo ‘esperto e perito. Gosì volessero tutti i nostri. scrit- tori mettere arditamente il dito nella piaga; senza chiacchierar tanto sopra principii teorici ;di critica e di Jetteratura , che meritano bensi l’ attenzione de’ saggi ; ma non debbono assorbirsela intera. «Il tollerare 1’ ozio nella giorentù è certamente creare in questa 5, un male insanabile , che dovrà influire sulla stessa per tutta la vi- sy ta. Ne sia la prova quel numeroso stuolo di giovani che si veggono >; ogni giorno nelle botteghe da caffè e nei ridotti da bigliardo,, ora 5» languidamente distesi sulle panche ; come se fossero spossati: dalle 3» fatiche di un arduo viaggio e di un lungo lavoro, 0 da veglie; ora > rialzandosi frettolosamente , e venire sulla strada per far arrossire 3 colle loro apostrofi le moleste giovani accompagnate da savie ma- (4) Se n’avessi qui luogo e tempo, potrei recare per saggio. il primo perioilo che in tutti varia: ma due specialmente son le lezioni di notabile differenza. (5) P. e. Finir l’età, per cessar di vivere ,; Semiramis , incenerarsi., or- nuto parlare , romper fede, » la Pantasilea , sì tosto. come, graziosa, rispo- sta, umilemente,, tener modo , quando .( per giacchè ), dificio, furto frau- dolente , trarre ( per andare), venire a mano , dir vero, abbo, canti che ritornano in pianti , pien di sonno , brigarsi di, furare , tristizie ( per cose triste ), dimoro , contro buona usanza, con aperto latino ( discorso ), Si ratti ( Soratte ) , pensare il sè e il no della guerra, navicare , allotta, scotto (per prezzo in genere ), prender le poste (i luoghi opportuni da ap- postare taluno'), piangersi , assaggiare (sperimentare) , pietà lo strinse} v'è mal pigliato, io sono esperto di lui, portar novelle allo inferno, in volta, entrar dinanzi ec. Queste e molt’ altre son frasi e di Guido e di Dante. 128 dri, o per far sorridere alcune donne imprudenti che ricevono una indecente acclamazione qual tributo alle discoperte lor fattezze. Lì vedi poi ritornare nella bottega, prendere un dolce, dare un occhiata allo specchio, poi lasciarla cadere increscevolmente sulla freccia del loro orologio. Oh! quanto è lento per loro il'camminar del sole! Eppure questi infelici del lor mal essere non hanno alcuna colpa; la malattia che li rode è nata nella paterna casa dall’ in- cauta tenerezza delle madri, e dall’ imperdonabile trascuranza dei padri, quando non possono scusarsi che le loro perpetue occupa- zioni li trattengono sempre lontani dalla famiglia. Ancora teneri bambini, sono abbandonati alle cure della servitù. Mandati per poche ore alle scuole, per la paura di assoggettarli a troppo studio, sono lasciati in casa in piena libertà di darsi all’ozio il più insof- fribile, tanto per essi, quanto per gli altri. Infatti, tu li vedi dopo il pranzo sino ad ora tarda , andare da una ‘camera in un*altra , ritornare , sdrajarsi sulle sedie , interrompere la conversazione col far gridare il cane, prendere il gatto per le orecchie e per la. co- da , poi sparire. Senti i servitori lamentarsi in cucina? Sono i fan- ciulli che ad essi fanno delle insolenze. Or ecco che si divertono a battere con bastoni sopra le tavole , a danno delle porcellane , de? cristalli; e delle vostre orecchie. Ora viene la sorella , che piangendo si lagna che le hanno strappato dalle mani il suo ricamo, e che lo hanno fatto in pezzi. . . . A questi disordini ripiega la madre col dire : Via! hanno fame; benchè sia appena un’ ora che hanno la- sciata la tavola fate dar loro pane e frutta : questi sono subito in- ghiottiti, ma il trambusto non cessa. Finalmente batte l’ora per andare a letto; e la pace, sì, in casa ritorna. Questo si fa oggi, si fa domani, sì fa tutto l’anno. L’indomani si va alla scuola; le lezioni a memoria non si sanno , il tema è malfatto e più scellera- tamente scritto , senza ortografia ; il maestro dà dell’ ignorante : cosa importa? , Ho fatto forse una caricatura della nostra gioventù? Ho forse esagerato le tinte nel dipingerla? Me lo dicano le persone di buon senso , le quali con me converranno che ho scritta una storia e non una satira. ,, 3» Ma vorreste voi opprimere la povera gioventù con studi e con lavori non mai interrotti ? Tenete voi per nulla la salute di que’ teneri fanciulli? Anzi, io non vorrei vedere i vostri ragazzi inca- tenati per quattro o sei ore ad una tavola impallidire ed infasti- dirsi sopra metafisiche lezioni di grammatica, o scrivere dietro mo- delli insignificanti lunghi periodi privi di senso. Voglio per essì studi brevi, varietà nelle occupazioni , frequenti interruzioni per lasciar riposare le loro menti ancora incapaci di assidua applicazione; ma non voglio perciò abbandonarli in preda ad un ozio sciocco , e ad. essi medesimi intollerabile. ,, ,» Procuriamo alla gioventù trattenimenti che sieno dilettevoli , e "Sri bb) 33 bEd 23 23 1209 ad un tempo utili alla sua istruzione. A che servono i giuochi del lotto , delle carte , de’ dadi? ad ispirare alla gioventù i principii di una deplorabile passione che ha rovinati tanti nomini , che gli - ha indotti all'amore smodato del denaro sempre , spesso al suici- dio , al furto , all’ assassinio talvolta. ,, 33 Due tigli di un negoziante della Svizzera , mio amico, debbono l’attuale lor sorte felice ai loro savi trattenimenti da ragazzi. L’uno, în veggendo un che nella piazza faceva , per procurarsi da vivere, sperienze di elettricità , prese all’ età di dodici anni amore alla fisica sperimentale ed alla storia naturale. Egli immaginò alcuni stru- menti di legno e di cartone, e riuscì a farli. Venne all’ età di di- ciassette anni a Parigi , vi diede delle lezioni di fisica, di chimica, e di geografia ; e non potendo per iscarsezza di denaro procurarsi sontuosi strumerti per le sue sperienze, operando con grande abili- tà , li compose di rame, quasi fosse un bravo. macchinista. Colle sue proprie forze egli è salito in tanta fama , che è divenuto il creatore ed il direttore del R. Gabinetto di chimica e fisica , e pro- fessore nello stesso dell’ attualmente regnante di Spagna , che lo condusse seco dalla Francia. ,, ,, Il suo minor fratello all’età di undici anni fece due piccoli modelli di una sega , e dei pestelli per una fabbrica di carta, che ho veduti operare mediante due cadute d’acqua somministrate da un piccolo mastello. Questi è oggi direttore di una fabbrica di ac- ciajo, ch'egli stesso ha fondata per un principe di Germania. Ecco qual fine ebbero i loro trattenimenti nelle ore di ricreazione. Il loro savio e prudente padre, che si compiaceva di incoraggirli col presiedere a que’ loro passatempi, e somministrar loro denari per proseguire, avendo dopo perduta tutta la sua fortuna, è ora felice unitamente alla moglie, e trova presso ai figli un decoroso sosten- tamento. ,, 3) Posso anche dare un esempio nel mio proprio figlin, il quale, avendo appena compito il sesto anno, si divertiva a farè in carto- ne ed in legno varie operette, fra le quali le tavolette dette di Nepper per calcolare. Assai volte batteva l’ora della mezza notte, che lo sorprendeva al suo dilettevole lavoro, quantunque dovesse andare alla scuola del disegno, che si apriva di estate alle cinque della mattina, e poi al liceo, ove era ammesso nelle classi di ma- tematiche e di fisica. I suoi professori, abbenchè non avesse egli ancora otto anni, lo produssero al pubblico esame al termine delle scuole. Tengo una farfalla da lui stesso ritratta dal vero; e che fassi ammirare per la sua vera imitazione. Non si creda però che i memorati giovani abbian perciò negletti gli studi più necessarii, Anzi tutti e tre posseggono parecchie lingue, hanno delle cogni- zioni nelle matematiche, e francamente disegnano da dilettanti. Lo svizzero maggiore e mio figlio hanno pubblicate alcune opere : T. IV. Ottobre” ò 17 23 23 DI 23 23 130 lo svizzero alcune intorno alla storia naturale , in spagnuolo , con rami incisi da lui stesso ; egli è di più bravo professore di piano forte; e scrive qualche volta la musica : il mio figlio ha dato alla stampa operette in francese ed in italiano. ,» Potrei addurre altri esempi di felici risultamenti di quel me- todo di occupare sempre i ragazzi in cose utili e dilettevoli nel- l’istesso tempo, anche a preferenza della musica, che non lascia, se non ai maestri compositori, una memoria della bravura , termi- nata l’ esecuzione del canto e del suonare. Le fanciulle in Ginevra imparano tutte alcuni lavori geniali, che le dispongono ad essere industriose , ad usare la maggior diligenza in tutto ciò che intra. prendono, e ad acquistare in tutto un certo buon gusto. Ho veduto in varie città scuole nelle quali delle fanciulle di sei anni impara- vano a tagliare con forbici; e, senza disegnare prima colla matita , farsi colla carta de’ paesaggi, de’fiori , delle figure umane, e di animali. La figlia di un francese mio amico all’età di sette anni prese delle lezioni per addestrarsi in quel lavoro di cui le avevo date le prime idee : a nove anni ella fece in carta frastagliata un paesaggio di rilievo, ritratto da un rame. Oggi ella ha venti anni; ed ha disegnata una bella litografia in grande, presa da un qua- dro. ,, 3» Ho parlato sin ora di giovani forestieri; ora mi piace di citare due ricohi negozianti veneziani, i quali finito il lavoro del banco, e terminata la loro estesa corrispondenza, entrano nell’ officina di passatempo , ove si divertono a fare col torno lavori degni di lode. Chi potrebbe essere ozioso ìn una tale. famiglia? Oserebbero forse i servitori starsi inoperosi e colle braccia sul petto? È noto quanto sia possente l’ esempio dato dai genitori e dai padroni ai figli ed ai servi. ,, 33 È cosa provata che i ragazzi hanno una forte inclinazione ad imitare gli oggetti che hanno sotto gli occhi. Difatti li vedete colla penna in mano disegnare delle case , e principalmente de’ soldati, de’ cavalli , delle navi. Egli è vero che bisogna scrivere a questi disegni sotto : Questa è una casa, questo un soldato, questo un cavallo ec. Ma si diriga al bello quella loro inclinazione , s° inse- gni loro l’ uso della matita , della riga, del compasso , e la buona riuscita, che faranno in quegli studi, loro inspirerà maggior amore per que’ trattenimenti. ,, »> Ma la rappresentazione delle cose naturali sulla carta colla ma- tita o colla penna esige qualche intelligenza, perchè questo lavoro è una convenzione artificiale , mentre l’ imitazione in rilievo è più vicina al vero. Da questa osservazione alcuni hanno dedotto che la scultura , ossia la plastica, abbia preceduta la pittura. ,, 33 Tale è il fondamento della seguente operetta ; ec. ,; Dopo questa citazione crediamo superfluo raccomandare ai padri 3I di famiglia ,eagl istitutori l’ acquisto d’ una sì utile e sì poco costosa operetta. X. Prospetto di una istruzione popolare s-di Prerro Motossi. Milano Tip. Rivolta pag. 40. L’educazione è radice d’ogni bene e d’ ogni male dell’individuo, della famiglia, dello stato ; l’educazione è quell’ elemento da,cui dovrà sempre ‘incominciare ogni sapiente riforma: e chi si confida di mutar gli uomini e le nazioni, come si muta lettura voltando carta, non farà che aggravare le sventure e ritardare gli ambiti miglioramenti. Il si- gnor Molossi, persuaso di questa verità, dedica a sì grave argomento l’ annunziato libretto} hel quale incontriamo parecchie idee molto saggie. “.Le fanzioni sì proteggono scambievolmente quando sono ugual- 3» mente attivate, e riescono nocive le.une alle altre, quando per una 3; parte si coltivano mentre per l’ altra si trascurano ,,. ‘4 « L’ordinata progressione con cui le singole funzioni si fanno at- 33 tive , Ja coesione loro ‘e la reciproca loro dipendenza, insegnano 33 anche quali per le prime debbano interessare le nostre cure ,,. “ 1 sentimenti, che stanno in relazione coi progressi della rifles- }; sione, devono essere attivati con molta cautela. Se tutto in un tratto »» cercate di aprir l’ anima dei giovani ad affezioni troppo vive, avanti 3: che la ragione siasi fatta abbastanza forte per saperle conveniente- >, mente dirigere , voi ponete ‘queste medesime affezioni al'rischio di 55 depravarsi nel loro nascere .... La falsa compassione; l’estrema s3 delicatezza, l’iutolleranza, l'eccessivo risentimento sono: per lo. più s) conseguenze di una sensibilità morale troppo precocemente sviluppata 3,0 mal diretta! ne’suoi'primordii ,,. 33 Gli agenti «diversi che affettano le funzioni non sono mai stu- 3» diati abbastanza ..... «sia per diminuire o togliere di mezzo gli osta- s;“coli che inceppano le ‘disposizioni nascenti ; sia per suscitare ‘delle »» disposizioni nuove , sia per favorire. lo sviluppo delle disposizioni 33 deboli (,;; io ‘ed Dipendendo! dall’ associazione delle idee una gran parte dei prin- 3 cipii che servono di norma alla nostra condotta; non dobbiamo tra- »» seurar di avvertire. particolarmente ‘a quegli oggetti che per'una vi- 3; vace sensazione ‘s’ imprimono fortemente aell’animo 0 tendono a fis- 3 sarcisi stabilmente in'forza di sensazioni ripetute ,,. \00/ Una memoria formata sui risultati dell'attenzione e del‘giudizio 3» è ciò che più conviene inculcare ne’ giovani che si vpgliangita vera- 3; mente istruire! 3,40! |: (4 La facoltà d’ imitare; così comune agl’individui di corta intel- 3 ligenza, può illudere ‘al segno di far supporre nei ragazzi delle! stra- 23 93 33 132 ordinarie capacîtà per le arti del disegno , della musica, della mi- mica, solamente perchè gli oggetti d’imitazione vengono da loro ese- guiti con molta precisione ed esattezza ,,. “ Finchè abbiamo delle idee troppo deboli e troppo vaghe rispetto alle impressioni che î nostri sentimenti e le nostre azioni ponno cagionare sugli altri, tutte le regole, che ci vengono prescritte per contenersì nella società, riescono inutili e non ponno essere che falsamente applicate ,,. « Per avviare le funzioni in un modo corrispondente al loro scopo finale è duopo che la loro azione abbia sempre una determinata mi- sura. Con troppo abbondante o troppo scarso nutrimeuto le ripara, zioni dell’individuo rimangono imperfette : con sensazioni troppo leggere o troppo vive le relazioni degli oggetti ci sfuggono , 0 rie- scono esagerate: con delle qualità assai deboli o. eccessive nello spirito e nel cuore tutti i giudizi e sentimenti relativi alla persona- lità, filantropia, estetica, moralità, virtù , religione, civiltà, arti e professioni d’ogni genere , si confondono e si travisano ;,. « Altri vizi delle umane funzioni nascono); «per mancanza di giustezza , regolarità , durata ; altri per insubordinazione, sviamento di oggetti o direzione contraria al fine cui le medesime funzioni vanno destinate. À tutti questi vizi sì devono procurare gli oppor- tuni rimedi ,,. “ Le alterazioni permanenti di certe funzioni... non si devono nè abbandonare interamente a se stesse, nè rintuzzare con. mezzi estremamente violenti. Nel loro trattamento ‘si, deve. osservare. la cura idel medico il quale, non potendo senza grave rischio togliere il male dalle radici, cerca soltanto di ripararne i guasti.con provve- dimenti indiretti, onde gli organi vicini.non ne rimangano in qual- che modo affetti. ,,. “ Le false e troppo servili abitudini sono fonti non meno frequenti de’ vizi ; e tanto più necessarie a correggersi per la molta confidenza che vi prestiamo una volta che siansi stabilite .,,.. “ Lo scopo di nn buon regime è di ridurre le funzioni umanesad un sistema armonico ed ordinato ;,. “ Conoscendo che per gli effetti dell’influenza reciproca alcune funzioni dipendono interamente dallo stato di’ altre, funzioni, noi siamo in caso di prevalerci di questa cognizione onde le singole forze si bilancino e si compensino reciprocamente ;,. ; “ Le commozioni forti e improvvise potendo cagionare gravi scon- certi è duopo premunirsi della necessaria presenza di spirito, onde potere all’ occasione reagire con prontezza, e non rimanere in alcun modo sopraffatti ,,. « Le commozioni, che si trasmettono da un individuò all’altro per simpatia, non sono meno, necessarie a prevenirsi onde non lasciarsi padroneggiare dalla loro influenza. La compassione, la paura, e l’en ieri Og x PAS 155 , tusiasmo, comunicandosi spesso per tal modo , inducono alle azioni , le più inconsiderate e puerili qualora la riflessione sia troppo tar'la ; ad impedirne gli effetti ,,. Se da queste generalità il savio autore potrà, come desidera, discen- dere all’uso pratico , ed applicare i canoni sopra recati all’educazione di molti e varii intelletti, farà, speriamo, cosa onorevole a se e vantag- giosa a’suoi simili. 3 Kb XY Appendice al discorso sul Veltro Allegorico. (*) Fra gli inediti commenti del divino poema da me percorsi a fine di rinvenirvi alcuna traccia del Veltro, nessuno fornisce notizia certa, ma nessuno combatte i miei dubbi. Un anonimo della Riccardiana inter- preta nel seguente modo : ““ Avvi chi tiene che sarà uno imperatore 3 il quale verrà ad abitare a Roma ; e per costui saranno scacciati , e’ ma’ pastori di Santa Chiesa in cui ho posto che regna tutta ava- »» rizia, e ch'egli riconcilierà la chiesa di nuovo di buoni e santi pa- ,» stori; e che per questo Italia se ne rifarà ,, (1). Poi parla dì Cristo e d’ un Papa da figurarsi nel Veltro: ma la prima interpretazione è tale che sarebbe grandemente piaciuta ai cantori del re di Roma. Ed altrove inculca la stessa speranza (2): ‘ Si dice e si trova che > dee venire uno imperadore il quale dee torre ai pastori di S. Cioleta s tutti questi beni mondani , però che non sono loro ,,. Un Laurenziano : “ E questo fia uno principe savio che deve ,. essere liberale ,, (3). Il titolo di principe non conviene propriamente a Uguccione ; nè a’ lui conviene la singolare interpretazione che dà della voce peltro' l’ anonimo : “ falsa ‘è vile moneta la quale oggi ;» fanno i signori per avarizia ,,. S' è detto già che il Faggiolano d’ava- rizia non fu mondo. Dunque a lùi non vanno nemmen' le parole di Iacopo figlio di Dante, che nel Veltro riconosce : ‘alcuno virtuoso che, per suo va- lore , da cotal vizio rimova-la gente |, (4). Molto meno il cenno di Pietro il quale, dopo recate le note inter- pretazioni allegoriche ,' rammenta l'opinione che spiegava tra Feltro e Feltro : intet civitatém Feltrum'et montes Feltrii (5) Ed è ben singolare che molti commentatori sì siano ostinati a descrivere così larghi con- fini alla nazione del Veltro, e a nessuno sia caduto in mente di rico- (*) Ved. alla p. 3 del presente fascicolo. (1) Riccardiana God. 1037. Magliabechiana CI. I. God. 47 e' 49 (2) AI XXXIII del Purg. (3) Laurenziana Banco XL. God. 37. (4) Ivi. God. 38. (5) Riccardiana Cod. 1075. 154. ' noscere ne’ due Feltri Sav-Leo e Macerata ; ei il figlio di Dante, che l’una delle due opinioni accenna, taccia poi la più vera. Veramente chi getta uno sguardo sull’interpretazione che dà Pietro al cinquecento dieci e cinque nell’;ultimo del Purgatorio, può ‘a prima giunta rimanere ingannato al trovar quivi appunto, il nome d’ Uguc- cione.:,ma poi, riguardando ,.s’ avvede che l’ Uguccione colà nominato non è che un frate Pisano morto nel raro (6), il quale scrisse un di- zionario delle derivazioni, tolto in gran parte da quel di Papia (7). E Pietro di Dante lo, nomina spesso, e quivi lo cita per dire che in que’ versi di, Dante è un enigma (8) secondo che Uguccione definisce 1’ enigma : Sensus obscurus per quasdam imagines adumbratus ;, (9). Benvenuto stesso, che pure rigetta l’interpretazione favorevole a Cane, non sa negare che: “ per verità costui fra’tiranni fu riputato »; assai probo e prudente, e che fu veramente figliuol di Marte, ardito, 3» franco in battaglia, e fortunato per grandi vittorie ,, (10). E soggiunge che commendevole è la liberalità nell’ uomo, perchè ricopre sovente ben molti vizi; che in Cane, fanciullo ancora, tale virtù risplendette ; onde un giorno che suo padre lo condusse a vedere un ricco tesoro , egli tosto /evatis pannis minrit super eum: di che tutti gli spettatori giudicarono la sua futura magnificenza per questo tanto dis- prezzo, dell’ oro (11). E sebbene non meriti seria considerazione la profezia di Michele Scotto, che il Villani riporta , storpiata certo dalla ignoranza de’ co- pisti (12), non è però da passare sotto silenzio come lo Scaligero venga in essa simboleggiato sotto il nome di catulus, e. come questa tradizione serva a render più chiara e meno strana l’ allegoria del. divino poema. E poichè siamo in sulle profezie, gioverà rammentare anco quella di Daniele, che l’Ottimo accenna (13), secondo la quale il Duce destina- to ad uccidere la meretrice e il gigante doveva arrivare nel MCCCXXXV. È ben vero che l’ Anonimo la combatte avvertendo che in Daniele s'intende di giorni non, d’ anni: ma certo è che a nessuno sarebbe caduto in mente d’ applicare tal vaticinio a un eroe,che doveva sor: gere nel 1335, se un qualche ghibellino potente non avesse dato spe, ranze, di se , tali da promettere che circa quel tempo e’ giungerebbe all’apice della civile. e militare grandezza. Ein quegli anni appunto lo Scaligero, se yiveva, sarebbe stato nel vigore della. vittoria e delle I. (6) Ducange Prefazione al Glossario p. XXIII. {7) Tiraboschi T. III. Lib. II. p. 480. (8) Magliabechiana Classe L. God. 2 pag. 120 (9) Al XVIII. del Paradiso. O uo sita 1) (10) Laurenziana .B. XLIII. Cod. 2. hot) È i (11) Paduae magnatum plorabunt fili necem diram let} horrendam Gatu- loque Veronae. (12) Al Purg. XXXIIT. (13) Pari XXV. 135 forze; e Dante poteva sperare di ‘ritornar per suo mezzo poeta alla patria Con altra voce omai, con altro vello (14), con voce affiochita dalle sventure e dall’età, con vello mutato per- chè gia vicino all’ anno settantesimo. Questo dico, intendendo la tra- dizione volgare alla lettera ; ma Dante aveva ragioni a sperar ben prima dallo Scaligero la redintegrazione de’suoi conculcati diritti: e la detta tradizione non fu quì citata da me se non per ripetere che applicarla a Gane era pur possibile, ad Uguccione non mai, ad Uguc- cione che circa il 1335 avrebbe forse contato l’anno ottuagesimo di sua età. Merita d’ essere similmente rammemorato quell’altro passo dell’Ot- timo dove, commentando le parole di maladizione che manda il poeta alla lupa , e pregando che venga tosto quegli per cui la bestia deve andarsene in fuga, soggiunge: ‘° E questa lettera dimostra che l’ au- », tore intese quì di quel Veltro, e quando elli verrà ,,. Allorchè Dante scriveva il vigesimo canto del Purgatorio il Veltro non era dunque venuto! Non era dunque Uguccione: sibbene un capitano dalle cui fu- ture imprese sperava il poeta una morale e quindi religiosa e quindi politica riforma d’Italia. E si noti che tutti quasi i più antichi com- mentatori trovano evidente la corrispondenza di questo col passo del- l’Inferno: nè a ritrovarvela altro bisogna che un rapido sguardo. In quel giro del Purgatorio pone il Poeta gli avari a fondere a goccia a goccia ‘ Per gli occhi il mal che tutto il mondo occùpa. E soggiunge, all’avarizia parlando : Maladetta sie tu , antica lupa, Che più che tutte l’altre bestie hai preda Con la tua fame sanza fine cupa! O ciel nel cui girar par che si creda Le condizion di quaggiù trasmutarsi, Quando verrà per cui questa disceda ? La lupa dunque non è la corte di Roma, è l’avarizia in generale, la qual talvolta viene a significare non la chiesa romana ma gl’ indegni suoi pastori, que’ + + « + Papi e cardinali In cui usa avarizia il suo soperchio (15) Nell’ Inferno è detto di lei Che molte genti fè già viver grame; nel Purgatorio : che occupa tutto il mondo. Nell’uno; che sarà rimessa in quel baratro Là onde invidia prima dipartilla ; (14) Inf. VII, (15) Magliabechiana Glas, I. Cod. 31. 136 nell’ altro , ch’ ell’è l'antica /upa. Nell’ uno, ch’ ella sola ha più preda di tutte l’ altre bestie ; nell’ altro, che Molti son gli animali a cui s’ ammoglia. Quì la sua fame è senza fine cupa; là . « «+ Mai non empie la bramosa voglia E dopo il pasto ha più fame che pria. Dapprima vaticinò che un veltro la farebbe morire di doglia, ora prega che venga chi la faccia discedere. La lupa dunque del Purgatorio con quella dell’Inferno è tutt’una cosa. Se in questo dell’avarizia si parla, dell’ avarizia si deve intendere pure in quello; e se il Duce, che nella fine del Purgatorio deve uccidere l’oscena donna, è tutt’ uno col vel- tro, ciò non fa che la donna e la lupa sieno parimente tutt'uno. Dalle quali cose si viene a conchiudere che all’ avido Uguccione , il quale di liberalità non diede mai saggio , il vaticinio del poeta molto meno sì converrebbe che al munificentissimo Cane. una conseguenza più importante ancora e più nobile se ne trae : cioè che nell’opinione di Dante i politici mali avevano una morale e religiosa cagione ; che dalla riforma de’ costumi civili ed ecclesia- stici la riforma delle repubbliche doveva prendere auspizio. E a que- sto modo la intendono i suoi commentatori più vecchi: e l’ uno ei attesta che nell’ uccisor della fuja convien riconoscere un duce che « riformerà lo stato della Chiesa e de’ fedeli cristiani (16); ,, e l’al- tro soggiunge che il mistico carro è chiamato mostro e. preda da Dan- te, “ pe’ beni temporali della Chiesa , i quali beni, re, principi , si- gnorì , tiranni , ognuno l’ avoltera per questi averé : e così è vero ,,. Altri infine, domandando a sè stesso perchè quella lupa , miseria di molte genti; dovesse esser cacciata da un veltro salute dell’umile Ita- lia, risponde: “ Italia magis abundat avaritia propter simoniam ro- ianae ecclesiae (17) ,,. Qui lo sdegnoso vecchio , ghibellino nell’ anima , che de’ cardì- nali parlando non dubita di chiamarli maledictos (18), mette insieme la (16) Laurenziana Banco XL. Cod. 2. (17) All’ Inferno XIX. (18) Riandando questi antichi commenti nelle tre biblioteche nostre , sco- persi che il codice XL. 7. dato dal sig. Witte come unico , aveva nella Lau- renziana medesima due compagni : l’ uno al Num. 160 degli Strozziani, l’altro al 165. Il primo contiene assai più abbondanti note che non quello accennato del sig. Witte , il quale apparisce non essere che un estratto : se mon che vi manca il commento del Purgatorio. Il 165 manca del principio e della fine, e non contiene che il commento all’ Inferno. Esaminando poi varii passi, trovo che in luogo d’essere questo il citato dell’ Ottimo, spesso e” si riscontra coll’ Ot- timo nelle stesse parole. Di ciò mi cadrà forse di discorrere altrove. Ma intanto a togliere il dubbio gioverebbe indagare nella Marciana se il codice rammentato dal Mehus corrisponda a questo dal sig. Witte indicato. Non sarebbe però la pri- ma volta che il Mehus pigliasse sbaglio nell’ attribuire a tale ‘0 tal altro au- tore gl’ inediti commenti di Dante. 137 Chiesa co’ministri i quali ne profanavano il nome e, la forza temporale con la spirituale autorità confondendo, seminavano quella zizzania che nei seguenti secoli pullulò sì molesta al buon seme. Ma lasciando le esa- gerazioni da un canto, ognun vede come que’ vecchi le civili sventure dalla morale corruttela credessero ‘originate; come i più dì loro l’abuso della religione distingnessero dall’ essenza sua , sempre ai lor occhi ve- nerabile e santa. E di questo congiungere costantemente le idee reli- giose alle politiche un singolar documento ho recato più sopra nel passo d’ Armaanino , che qui riporto di nuovo con una variante notabile tratta da altro codice, la qual dimostra ancor meglio l’idea ch’ io qui voglio indicare: ‘ La Toscana (di cui prima avea detto che il Diavolo, 33 memore degli antichi oracoli , vi tiene ancor nido ) la Toscana è , quella provincia sola che commosse tutte l’ altre terre a maggior fatti 3> fare che mai facesse niuna altra gente. E questo diviene per lo ma- ,» lizioso ingegno assai più che per loro virtude. Ma quel gran Veltro, ») che caccerà la lupa, sarà quello che scuoprirà gli aguati, e farà pa- :, rere i più sottili essere più grossi, e . . . ,, Vale a dire che la To- scana nel secolo decimoquarto era a un dipresso ciò che a molti sem- bra la Francia nel secolo decimonono. E poichè siamo di nuovo a questo mistico Veltro , giova recare l’ autorità d’ altro anonimo che in lui vede uno universale signore, sa- lute d’Italia: parole che al nato priocipe di città famosa ; al capo della lega ghibellina potrebbero bene adattarsi, non mai ad Uguccione che sorse quasi capitan di ventura; il cui dominio, quand’ebbe più forza, non passò il territorio di due sole città ; che, chiamato or da questi or da quelli a combattere sovente per causa non sua , fu preludio di que’condottieri il cui nome ad orecchio italiano suona sì doloroso ed infausto. Non tacerò che uno degl’ inediti antichi commentatori (19), inter- pretando feltro, vil panno, per ignobile condizione, attesta, l’Alighieri aver voluto alludere alla ignobiltà del liberatore invocato» ma tale in- terpretazione, contraria del pari alla convenienza che alla storia, non merita, parmi, d’ essere combattuta. Un altro , a quelle arcane parole che fa Cacciaguida dello Scaligero, osserva che questi poco curava la (19) Debbo qui notare una inesattezza sfuggitami. L’ ambasciata d’ Uguc- cione a Bonifazio è più ch’io non la facessi posteriore di tempo all’ ambaseiata di Dante. Ma questo non toglie il valore dell’argomento recato da me. — Debbo ancora notare che il sig. Troya nella circoscrizione di umile Italia comprende la stessa Toscana : interpretazione tuttavia alquanto angusta all’ animo di colui che piangeva su tutta la seroa Italia e sopra Arrigo venuto a drizzare l’ intera Italia; ma che , qualunque sia, essa rende inutile la seconda parte della no- terella (62) ch’è alla pag. 20 di questo scritto. Avvertirò finalmente che, me- glio osservando i codici d’Armannino compiuti, in tutti ho trovato quel passo che nella nota (69) io dicevo in alcuni mancante. T. IV. Ottobre 18 138 persona e la commedia di Dante: ma quell’ anima sdegnosa e superba non avrebbe chiamato suo benefattore 1’ uomo che lo dispregiava : nè la novelletta, che si spaccia, dei buffoni della sua corte, è documento da reggere al paragone d’un elogio sì franco e sì manifesto, Nè l’ospite di Dante e di molti altri esuli illustri può , come il sig. Troya vor- rebbe, tacciarsi di disprezzator degli studi: nè la predizione; che fa Cunizza nel Paradiso della vittoria di Cane , è tale che potesse punto dispiacergli od offenderlo; nè il motto dall’Alighieri lanciato nel Gon- vivio contro Alboino della Scala, dall’Alighieri che sì spesso maledisse a’congiunti de’ propri amici, poteva ritorcersi contro Cane, di tutt’al- tro animo e coraggio che quel d’ Alboino, Nè finalmente poteva al signor di Verona spiacere quella terzina ch’ è tra le più belle del sacro poema: Tu proverai sì come sa di sale (20) Lo pane altrui, e com’è duro calle Lo scendere e il salir per 1’ altrui scale. Questi versi venivano agli ospiti, ch’ebbe il poeta innanzi che toc- casse Verona; venivano ad Uguccione stesso , se vero è che Uguccione fosse, come il sig. Troya afferma, onorato dell’ospizio di Davte. E piuttosto che dispiacere allo Scaligero que’versi, dovevano al Faggiolano parere amarissimi quelli del Purgatorio dove sì acerbe cose son dette di Gorso Donati, e quindi d’Uguecione medesimo: che , ‘al dire del sig. Troya, ambiva di mettere ad effetto le inutili ambizioni di Corso (21). Tutto ciò che l’ Alighieri diceva de’ pigri e dei negligenti, vizio che alla severità sua stessa pareva ridicolo (22), tutto cadeva contro il Faggiolano che , per sedere agiato alla mensa, perdette la signoria di Pisa insieme e di Lucca: ond’è che il sig. Troya confessa : ‘ forse altre sorti avrebbe avute 1’ Italia solo che di picciol tempo avess’ egli affrettati gl’indugi (23) ,,. M3 quello, che più mette sospetto del ghibellinismo di Uguccione , è il vedere che Lucca, dopo la cacciata di lui, pone in alto Castruccio, e rimau ghibellina ; indizio chiarissimo che Uguccione mon serviva a partito nessuno ma solo alla propria tirannide. E lo prova il saccheggio da noi rammentato di Lucca stessa ; del quale parlando il sig. Troya forse ironicamente afferma: “ In tal guisa Uguccione consolava i Pi- 3, sani della morte d’Arrigo ,,. Un po’ più disinteressato, cred’.io, può stimarsi il ghibellinismo di Cane, che si fa veramente compagno alla sorte d’ Arrigo (24), e non aspetta, come l’altro, d’ esservi per ambasciatori invitato. Nè quella sì larga circoscrizione geogratica tra Meltro e Feltro parrà (20) Parad. XXVIII. (22) Troya p. 145. (23) Purg. IV. (24) Troya p. 151. 159 tanto strana a chi rammenta non dico l'opportunità della rima, non dico la singolarità di due nomi uguali che servivano egregiamente a indicare le due parti d’Italia dove più viva s’ agitava la guerra tra ?l sacerdozio e l’impero, cioè la Toscana e la Romagna da un canto, e le - venete provincie dall’ altro; ma il fatto di quell’ Alessandro Novello, vescovo di Feltre e principe , che contro la causa ghibellina tenne le parti di Padova ; e il delitto di quell’ altro vescovo di Feltre che i Ferraresi nella sua città rifuggiti, que’Fontana congiunti di Dante (25), concesse alla vendetta d’un crudele nemico. Pronunziando il nome di Feltro l’infelice poeta si sentiva rinnovellare nell’anima tante amare memorie d’ira e di dolore che alla passione si può ben perdonare il di- fetto della geografica esattezza la quale del resto in questa circosceri- zione sì larga non si può dir violata. Altri dubbi ci rimarrebbero ancora da esporre, che ad altro tempo serbiamo e ad altro luogo , e circa la probabilità della opinione che il Faggiolano raffigura nel Veltro , e circa le circostanze accennate nella lettera di Frate Ilario: dalla quale del resto non apparisce , e giova ripeterlo, che il veltro fosse Uguccione , ma solo che ad Uguccione intendeva l’ Alighieri d’ offrire la prima cantica del poema (26). Intorno alla scoperta de’ Commenti del Bambagioli alla D. Commedia Lettera ad un Amico. De’ Commenti del Bambagioli alla Divina Commedia statì scoperti recentemente dal ch. sig. Witte fui informato , come gia vi dissi, da lui medesimo, allor quando l’ultimo giorno del passato settembre, ve- nendo a trovarmi alla Biblioteca Magliabechiana , mi procurò 1° onore di conoscerlo personalmente. I particolari della sua scoperta mi furono allora del tutto ignoti, avendomegli esso taciuti , ed io per la ristret- tezza del tempo non avendoglieli domandati. Ma, terminate le ferie au- tunnali e tornato in Firenze , trovai nel N. 8 del secondo decennio dell’ Antologia di che sodisfare al mio desiderio. Mi recai alla Lauren- ziana per vedervi il codice del Plut. XL. n.7 ove si contengono i detti commenti; e, in diverse volte che là tornai, mi accadde di far sovr'essì alcune osservazioni , delle quali confido non vi sarà discaro, ch’ io vi faccia alcun cenno. Ma prima premetterò alcuna cosa relativa al codice della Biblioteca Pucci, che fu, per così dire , la causa occasionale della scoperta. Si contiene în esso, come ne avverte il sig. Witte , il così detto Ottimo Commento ; e in fine del Purgatorio , oltre il quale non procede , è stata apposta da mano più recente che non è la scrit- tura del codice Ja seguente nota: Quando fuit compositum hoc commen- tum? XVII martii MCCCXXXIII. Quis fuit auctor commenti , qui vidit et alloquutus est Dantem? Fuit cancellarius de Bononia. È evidente (25) Ivi p. 1905 (26) Parad. XIX. 140 .che il postillatore dal trovar citata nell’ Ottimo al verso 91 del XIII canto dell’ Inferno una chiosa di Ser Graziolo Bambagioli ne inferisce , che tutto il Commento sia del medesimo , e il sig. Witte parrebbe in qualche modo disposto a menargli buona questa conseguenza. Ma in qual luogo de’ supposti commenti del Bambagioli nel codice laurenziano con- tennti si legge, che il chiosatore parlò a Dante? Al canto XIII del- l’ Inferno nè altri luoghi no certo. Ciò al contrario dell’ anonimo autor dell’ Ottimo si verifica , allor quando alla chiosa del v. 144 del prefato canto così si esprime: Qui recita una falsa opinione , che ebbero gli antichi di quella cittade (Firenze) la quale io scrittore, domandandone,. glie’ udii così raccontare. Le conseguenze che da ciò si traggono sono: o chi fece il commento Ottimo e parlò a Dante non fu il Bambagioli, oppure a quest’ ultimo non dessi attribuire il commento del codice laurenziano. Ciò premesso , passo a parlare più particolarmente delle fatte osservazioni. ‘ Non v’è dubbio (dice il sig. Witte, Antol. luogo »; cit.) che questi importantissimi comenti (di ser Graziolo ) precedano 3» di più anni l'età dell’autore dell’Ottimo, che non solamente li cita, 3» ma parla di sè medesimo come d’ uom giovane ( VII. 89 ) e si dice », cancelliere di Bologna , mentre che sappiamo , che ser Graziolo , o > per dir meglio ser Bonagrazia , era già esiliato nel 1334 ,,. Chi è che parla di sè medesimo come d’ uom giovane? Stando ri- gorosamente a quel che suonano le parole di questo periodo, parrebbe l’ autor dell’ Ottimo ; e se ciò fosse , il sig. Witte avrebbe preso non lieve equivoco. Ecco il passo della chiosa di ser Graziolo riportata nel- l’Ottimo al canto VII. v. 89. dell’Inf. ‘ Il cancelliere di Bologna ser Gra- :) ziuolo chiosò sopra queste parole così : dice il testo, che questa for- 3» tuna mai non cessa, mai non posa di trasmutare d’ano in altro que- >» sti beni temporali : che di necessitade ell’è veloce nelle sue influenze 33 e permutazioni. Ma avvegnachè queste parole così suonino, che la 33 fortuna così meni e faccia influenza in questi beni temporali, e che 3» il senno umano non possa provvedere e riparare contra |’ operazioni 3» @ permutazioni di questa fortuna, nientemeno secondo la discrezione 33 della mia giovanezza io dichiarerò alcuna cosa sopra questa materia »» per difensione e conservazione dell’ onore e della fama di questo , venerabile autore , acciocchè per la infamia delli male parlanti e >» invidiosi non si possa ditrarre nè dirogare alla sua vera scienza e s» virtude. Da vedere e da sapere è , che Dio ch’è la prima cau- PARC 190 Il giovane senza dubbio è Graziolo , qualunque sia 1’ intelligenza del ch. sig. Professore. Vediamo ora la stessa chiosa nel codice lau- renziano: ‘° Ancora dice il testo , che questa fortuna mai non cessa e 3» non posa dal trasmutare questi beni temporali d’uno in altro ; che 35 di necessitade ella è veloce nelle sne influenze e trasmutazioni ; e 3» questo dice il testo brevemente. Ma avvegnachè queste parole 3» cosie suonino, che la fortuna cosie duri e faccia influenza in 3) quelli beni temporali, e che il senno umano non possa adoperare I 4I ,; nè prevedere contra alle operazioni e permutazioni di questa for- ,; tuna, nientemeno secondo la mia conoscenza e disposizione io di- ,; chiareroe alcuna cosa sopra questa materia , per difensione e con- 5, servazione dell’ onore e della fama dell’ autore , acciò che. per la ,» infamia di maparlanti non si possa ditrarre nè dirogare alla sua vera ,; virtude e scienza perfetta. Egli è da sapere che Iddio il quale ec. ,, Se dunque nella chiosa del codice laurenziano alle parole secondo la discrezione della mia giovanezza sono sostituite le altre secondo la mia conoscenza e disposizione, vuol dire che quel commento non è opera del Bambagioli; ma che chiunque ne fu l’autore le suppresse, e can- giolle in altre , perchè forse non convenienti alla sua età , volendo far passare per sua quella chiosa. E qui debbo aggiungere , che in 5 codici della Magliabechiana, contenenti pur essi commenti alla com- media di Dante, s’incontra al luogo citato la solita chiosa di ser Gra- ziolo coll’ istesse parole di giovanezza. Ma passiamo ad altre osservazioni. Al Canto XXIII v. 97 del Purg. così si legge nell’ Ottimo : “ Verrà il tempo che le donne fiorentine 3; andranno sì disoneste e sì sfrenate neli’abito del corpo , che fia bi- » sogno che li frati e li religiosi interdichino loro e divietino quello 3» sfacciamento, e comandino che portino tali panni, ch’ elle non mo- 3» strino per dileggiatezza le mammelle e ’1 petto. E così fu, che fu so nel mille trecento cinquantuno , essendo vescovo uno messer Agnolo Ac- 3» ciaioli ,,. Queste ultime parole sono evidentemente un’aggiunta fatta all’ Ottimo da qualche più moderno glossatore , come altri prima di me ha avvertito , e posteriore certamente all’anno 1351. Vedasi ora la chiosa al medesimo luogo nel supposto commento del Cancelliere di Bologna. ‘‘ E intendi che quie il tempo futuro , cioè quello ch’ era a s» venire , che bene avvenne, e fue che per esso peccato legge ecclesia- »3 stica si fece e scomunicazione sopra questi portamenti disonesti ,,. Se dunque anche qui sì allude alla legge ecclesiastica contro l’im- modesto vestir delle donne fatta nel 1351 , ragion vuole che anche il commento in questione sia di data posteriore a detto anno , e perciò non più opera del Cancelliere, giacchè da’ suoi biografi sappiamo, che nel 1343 era già morto. E al Canto XIII v. 119 pure del Purg., parlandosi di Sapia che fa voti perchè i Sanesi fossero sconfitti da’ Fiorentini alla battaglia presso Colle , così nell’Ottimo si termina una chiosa: O% quante volte in que- sta provincia di Toscana cotali prieghi sono stati fatti per mali citta- dini , perocchè non hanno lo stato che elli vorrebbono ! Ebbene, anche nel codice laurenziano incontrasi in fine di chiosa la detta esclamazione ne’ seguenti termini: Deh quante volte in questa provincia di Toscana cotali maladetti prieghi sono stati fatti da mali cit- tadini , imperocch? eglino non hanno nè lo stato , nè le cose nelle loro mani‘, come eglino vorrebbono il tutto! A chi de’due .chiosatori daremo l’ anteriorità di questa esclamazione ? Se al Bambagioli , allora 1’ ano- nimo -sarà plagiario; il che non ha del verosimile. Giacchè come mai 142 I° antor dell’ Ottimo eon tanta dovizia di dottrina ed erudizione aveva egli bisogno d’ appropriarsi, non già un’ opinione 0 un’ interpretazione di qualche passo difficile ( lo che sarebbe stato ragionevole ) ma una semplice esclamazioncella che poteva venire in mente a chicchessia ? Oltredichè quelle parole in questa provincia di Toscana; che potevano convenire ad un chiosatore toscano , come si converrebbero a Graziolo bolognese ? Commentandosi poi nell’ Ottimo que’ versi. del medesimo Canto XIII del Purg. in bocca di Sapìa: Rotti fur quivi, e volti negli amari Fassi di fuga, e veggendo la caccia Letizia presi ad ogn’ altra dispari, incontrasi altra esclamazione ‘‘ Oh quanto questi passi sono amari , 3, che poco è più morte! E pure , dicendo queste parole, gettano or- :; rore ,,. E nel codice lanrenziano ‘ cioè a dire negli amari passi che 3» poco è più morte : amara il dice 1’ antore in altro Inogo di questo », libro ,,. E vorrà intendere di quel verso nel primo dell’ Inferno : Tant’ è amara , che poco è più morte. Or non è visibile che 1° originalità è della prima chiosa , e che la secouda non è che una cattiva imitazione , e , per così dire, un guaz- zabuglio della prima? Ma moltissimi sono i luoghi dell’ Ottimo , che nel comméuto laurenziano trovansi malamente riportati , ora mutilati, ora aumentati e stranamente shigurati ; manifesto segno, a mio credere, che l’ultimo fu fatto sul primo. Inoltre chi potrebbe enumerare i tratti di goffaggine somma che in quello di tanto in tanto si scorgono , spe- cialmente quando il suo autore , abbandonata la scorta dell’ anonimo, vuol dir cose sue ? Alla fine del canto XVII dell’ Inf. si prende la meretrice Z'aida per Dalila che tradì Sansone ; al Canto X del mede- simo dicesi che Epicuro ebbe nome anche Porco , equivoco nato forse dall’ Epicuri de grege porcum d’ Orazio ; al Canto XVIII prendesi Ja voce sipa (il sì de’ bologuesi) per un fiume che scorre presso a Bolo- gua , ed altre simili idiotaggini, le quali sembrano disconvenire al Cancelliere di Bologna , uno dei dotti del suo tempo. Vi sono poi nel Commento del Cod. Laur. certi passi, i quali non solo fanno control’ opinione , che autore ne sia Graziolo , ma di più farebber sospettare, che 1’ opera attribuir si dovesse a un Fiorentino. Primieramente al Canto IX della terza Cantica così è spiegata la voce “ Vivagni sono stremitadi di panni, per lì quali , +, essendo avvolti i panni , sono conosciuti ov’egli sono fatti, ai quali 3, noi diciamo orici, che non vuole altro dire, se non che sono di ,, piue belle lane i panni ,;. Quel dire che dalla diversità de’ vivagni si conoscono i diversi luoghi dove i panni sono fabbricati, non con- suonerebbe egli con quanto dicono gli storici nostri, che d’ Inghil- terra, di Francia, e da tutte le parti d’ Italia mandavansi a Firenze i panni la fabbricati , per esser quivi perfezionati , ed aver 1’ ultima mano ? Se di questa interpretazione fosse suscettibile il citato luogo, sarebbe dimostrato il chiosatore ‘esser fiorentino. Quindi al Canto XV vivagni del testo. “% 143 della stessa cantica , a proposito di Lapo SaltareIli, si legge la segnente chiosa: “ Nota che Lapo Saltarello fue uno uomo molto lastivo ;; co- ,; scendente , ovvero niffo , che cosie favellarono popolare fiorentino ,;- Niffo, secondo la Crusca , è il grifo del porco : qui è usato a signi- ficare uomo dedito alle voluttà. Questo spiegare le due voci antece- denti con una terza presa dalla lingua del'‘popalo di Firenze, potreb- b’ essere altresì un segno ‘che di Firenze pur fosse chi ne fe’ uso. Finalmente al Cauto VI del Purg. nella chiosa a que’ versi : Fio- renza mia ben puoi esser contenta ec. si commenta del seguente modo: ‘ Gioè che quie scende in singularitade , e , quanto al mio credere , », credo che l’ autore parli a buona parte , e per contrario appare per 3, lo testo cioè ch’ e’ rettori , cioè buonomini che oggi reggono a Fi- » renze, reggono con buono poco consiglio , cioè con quello del po- >» polo, il quale il piue delle volte è con poco ordine, e voi lo sapete, 3; e sono poveri di pace e d’ amore, però che non 1’ hanno intra loro ,; popolari la detta pace, e con questo in brievi tempi di die in dì ,) commutano istato , usanze , ordini , e monete, e statuti ,,. Considerando il contesto di questa chiosa , e particolarmente le parole voi lo sapete , si direbbe ch’ è un fiorentino che parla a’ suoi concittadini , ai quali dice , saper essi. per prova da quanti mali è oppressa la comun patria per colpa di chi ne tiene il reggimento. An- che l’Ottimo ha nel luogo stesso una chiosa, che è la seguente. © Qui » discende in singu!aritade a descrivere lo stato di Fiorenza , e parla 33 buona parte per contrario , come appare nel testo ; ch’ ellino reg- »» gono senza consiglio , che ’1 popolo è inordinato , che sono poveri , ,; che non hanno pace, che mutauo ogni dì statuti , usanze , e ma- 3; niere ec. ,, Si paragonino queste , due chiose. Esse sono identiche quanto alla sostanza, non già quanto alla dettatura , la quale nella prima comparisce stentata e confusa ; al contrario nella seconda franca, e ordinata; onde io non esiterei un momento a creder l’ una un plagio ed una cattiva imitazione dell’ altra. ì Dopo tutto questo, se mi fosse permesso manifestare la mia debole opinione , con tutto il rispetto dovuto a quella del ch. sig. Witte, di- rei, che il commento Ottimo , e quello del Bambagioli nou. possono essere la medesima cosa , come il postillatore del codice Pucci ne vor- rebbe far credere ; che il commento del Bambagioli non è quello ‘con- tenuto nel Cod. 7 Plut. XL. della Laurenziana ; che ci s’ incontrano manifestamente alcune chiose di ser Graziolo , ma che da questo non può dedursi la conseguenza del sig. Witte, per la ragione , che altri commenti hanno le medesime chiose , e pur non sono del Bambagioli , siccome quello del cod. 39 PI. r. della Magliabechiana, in cui sì fa men- zione della rovina del Ponte Vecchio di Firenze accaduta per inondazione nel 1333 ; che il commento in questione nou è che uno de’ tanti zibal- doni in forma di commenti alla Commedia dell’Alighieri, de’ quali è dovizia specialmente nella nostre biblioteche ; che finalmente chiun- que ne ful’ autore ( forse potrebb’ essere un fiorentino ) formò il suo 144 i lavoro accozzando insieme squarci tolti da altri commeuti., e segna- timente dall’Ottimo , preso da esso per iscorta. Mi perdonerà, spero , il dotto filologo di Breslavia se dissento da lui intorno alla sua scoperta , e voi, mio caro amico , m’avrete per iscusato , se troppo a lungo ho abusato della vostra sofferenza. Firenze 3o Novembre 1831. Gio. Barista PiccroLI. —-———————_—_—_—_4__ & —_—_ RECLAMI (*) Lettera al sig. Drrerrore dell’ Antologia. Benchè abbia fatto proponimento di non rispondere ad alcuna critica fatta alla mia Storia dell’Impero Ottomano se non se dopo la pubblicazione dell’ ultimo volume , nulladimeno non posso conservare il silenzio intorno alcune asserzioni che trovo inserite nell’articolo che un anonimo sig. G. P. ha somministrato al quaderno di gennaio di’ questo anno della vostra Antologia. (1) Prescindo da quanto egli dice intorno agli antenati dei turchi, ma quanto a me non ho alcuno dubbio che il ì @)Y47405 di Erodoto non sia un parente di Turc padre putativo dei Turchi ovvero di T'argaî nome che si riscontra tuttavia in quello del padre di Tamerlano no- minato Emir Targai. Sono già trascurate oggi mai le origini di tutti li popoli nella caligine dei secoli passati. (2) Che Oguz Chan il padre degli Oghuzzi sia stato contemporaneo di (2) Per prova d’imparzialità riportiamo le lagnanze del cav. de Hammer con le seguenti risposte del critico. Ma perchè tali prove, frequenti che fosseru, po- trebbero non giungere molto gradite al lettore, perciò promettiamo di rispar- miargliele, se non quando si trattasse d’ accuse o discolpe singolarmente impor- tanti. E così diciamo anche riguardo alla lettera che segue dell’ autore delia Genigrafia. (Nota del Dir. dell’ Antol.) (x) Vedi Antologia N.° 1. del 2.° Decennio = Gennajo 1831. (2) Se il chiarissimo Istorico non eredea ( come pare che vada interpretato il testo di questa nota ) alla parentela fra il Targitaos di Erodoto , e Targai o Turck, padre putativo de’ Turchi, perchè farne erudizione e dar motivo al critico di dubitare ? L” Istorico dice inoltre, che e origini de’ popoli sono omai trascurate nella caligine de’ secoli passati; e l'Autore dell’articolo disse le sorgenti di tutti i popoli scaturiscono da alti tempi di tenebre e di silen- zio, ove non giunge nè la tenta dell’ istoria nè quella della ragione spe- culativa ( V. Antologia n. 1. del 2. Decennio a pag. 70). Ei pare adunque che sì il Gritico come l’ Istorico sono unanimi. E se ciò è , perchè la doglian- za del secondo contro al primo ? G. P. 145 Abramo tutti li storici orientali lo assicurano: il critico ne dubita e lo nega. Io ho addotte le mie autorità: è più facile il dubitarne che provare il contrario (3). Se il Lodovico re degli Ungari ha fondata la chiesa di Mariazele per mantener la santità d’ un voto, non mi pare che questo atto di pietà e di gratitudine meriti la qualificazione del critico che chiama questo Loreto di Stiria un monumento della viltà del re ungarese. Benchè siano state disfatte le sue truppe alleate ai Servi, non merita però di esser qualificato di vile questo gran re ungarese. (4) Il sig. G. P. non cura gran fatto il valore del gran Lodovico del pari che l’amore di Tamerlano per le lettere e i letterati, del quale amore n’ è ultimamente pubblicato un monumento importantissimo ed irrefragabile cioè le memorie di quel gran conquistatore dettate da lui. (5) Si scandalizza il critico degli elogi dati alla gentilezza, eleganza e coltura di Maometto I cui venne dato il soprannome di Tcheledi ossia il gentile, ma in questo elogio concordano li scrittori turchi e bizantini, e non debbon parere sospetti gli elogi che escono da bocca greca a favore di un Turco. (6) (3) Il Critico non ha la sagacità hisognevole a scorgere la possibile coesi- stenza del dubbio e della negazione nel giudizio sovra un medesimo subietto. Altro è il dubitare , ed altro il negare. Se non che ciò nulla non monta. Im- perocchè sul passo in discorso , la critica non facendo verun comento , nè prò nè contro, non altro i permise se non un solo e semplice punto ammirativo alle parole dello Storico: Da’figli di Oguz Kan contemporaneo di Abramo! ec. (pag. 72.) G. P. (4) Ludovico re d’ Ungheria votò un tempio alla Vergine non at impe- trar vittoria, prima di venire a battaglia co’ Turchi presso Marizze , bensì a campar la morte fuggendo dopo averla data e perduta. Giò posto, perchè mai pare tanto ingiusta al dottissimo Istorico la qualificazione dal Critico data al Re Ungherese ? G. P. (5) Il dubbio sull’ erudizion di spirito e sull’amor delle lettere in Tamer- lano è appena accennato con un forse ( pag. 80). Trattaridosi di cose di sei secoli fà , e perciò anzi dubbiose che nò per molto intervallo di tempo, nonchè per le a tutti note esagerazioni orientali , un forse è tutto ciò che si vor- tà , menochè critica. G. P. (6) Non si nega che gli orientali Istorici contemporanei furono larghissimi di celebrazioni e di elogi a Maometto I. La critica però non è ingiusta se ere- de, che un odierno Istorico europeo debba diffalcarne qualche cosa, e non tanto alzare a cielo la benignità d’animo, la costumatezza, la fedeltà dell’a- micizia ec. in un principe lordo di cinque in sei fratricidj. Chi scrivesse oggi la vita di Augusto non copierebbe alcerto tutte le vili piacenterie di Vir- T. IV. Ottobre. 19 146 Si scandalizza ancora della lode data alla filosofia di Murat Il da un gran triunvirato storico ( Voltaire, Gibbon, Muller) perchè Murat preferiva gli ozi privati di Magnesia alla grandezza del trono. Ma sono varie le sette dei filosofi, e se non garba di annoverare Murat II fra i filosofi stoici si può dargli un luogo fra gli epicurei. (7) Fin qui non si è trattato che di diversità di opinioni. Noterò qualche equivoco sfuggito al ch. critico : p. e. il cannone di sei brac- cia nell’ anima. Ho parlato di una palla di dodici spanne (spithames ) di circonferenza! Altro è diametro, altro è circonferenza. A pagina Srr T. IV (della traduzione italiana) è detto : Esso cannone lanciava delle palle di dodici spanne di circonferenza; e ho aggiunto nel rischia rimento il testo greco e latino: #7} 759 «riuaros ot:Ssuats Svonalderz; e poi: /apidem qui palmis undecim ex meis ambitus in gyro. La circon- ferenza della bocca &7} Toù stop4T05 e del cerchio in gyro non è il diametro. È vero che il traduttore che ha tradotto bene il testo sba- gliò nel rischiaramento a tradurre le parole tedesche Umfang der mun- dung, cioè circonferenza dell’imboccatura per il diametro della bocca; ma il ch. Anonimo poteva piuttosto rilevare lo sbaglio del traduttore. Quanto al cannone di 12 spanne di circonferenza nell’ anima non ho mai detto di averlo veduto, ma ne ho veduto uno aì Dardanelli nel quale sono entrato io stesso curvato , come vi entrò quel sarto che vi rimase dentro nascosto onde sottrarsi alle ricerche che la polizia turca facea della sua persona. (8) gilio e di Orazio, ma distribuirebbe laude o biasimo secondo le opere laude- voli o biasimevoli. G. P. (7) Il Gritico disse, che, non volendosi andar spigolando cause sublimi e peregrine di taluni fatti, che spiegansi chiaramente con motivi comuni e na- turalissimi , era permesso il dubbio di vedere un filosofo in un Principe, che va a chiudersi fra Odalische e Dervisci, folleggiando in tutte le danze delle prime e in tutte le superstizioni de’ secondi. Che perciò potevasi credere che Amurat II.° andasse a vivere vita solitaria in Magnesia lungi dal fasto del trono, non già per ispirito filosofico ma bensì per amore alle sue belle donne , a’ bei giardini ed agli ozii sensuali dell’ Asia Minore, pag. 84. L’ istorico dice che se non vuolsi annoverar questo Amurat fra gli stoici , gli si può dare un luogo fra gli epicurei. L’ istoria adunque è d’ accordo con la critica. G. P. (8) L° Istorico , dicendo che fin quì non si è trattato se non di diversità di opinioni , concede che ognuno può aver la sua, e perciò non vorrà con- tendere che anche il critico sia nella piena facoltà di aver la propria. Quanto al gran cannone poi, il critico-fu giustificato dall’ istesso istorico con la confes- sione che la frase tedesca non fu fedelmente ed esattamente volta in italiano nella traduzione. Non si ha però ragione a pretendere che l’autore dell’ articolo avesse notato e corretto lo sbaglio del traduttore ; imperocchè questi parlò coi termini e col linguaggio convenevole e convenuto in matematica. L’ ampiezza dei 147 ss Egli (aggiunge altrove di me il sig. G. P.) memora inoltre molti ,> di questi santi e semidei ottomani, e specialmente di questi eroi bea- ;, tificati che facean prodigi di valore in guerreggiare con isciabole di 3 legno lunghe di cencinquanta braccia ,,. Orsù, leggendo questo squarcio, chi non crederebbe che nella mia storia io non facessi cavalcare santoni sopra cervi e combattere con isciabole di cento cinquanta braccia di lunghezza? Eppure la mia sto- ria non cita che la tradizione (leggenda) la quale parla d’una sciabola pesante un centinaio e mezzo : ‘* ma la tradizione (leggenda) fa che il »» primo cavalcando sopra cervi guidi li assedianti con una sciabola pe- »» sante un centinaio e mezzo. ,, T. I. pag. 187. In vece di adottare simili rodomontate come fatti storici io dico che non meritano cotesti santoni di essere ricordati nella storia, per- chè la leggenda li fa cavalcare sopra cervi e li fa schermeggiare con sciabole del peso di 150 libbre. (9) Sono ec. Vienna primo maggio 1831. GiusePrPE pe HAMMER. vuoti circolari è sempre messa.in formola per tutte le scuole d’ Europa , non già con la dimensione della periferia, ma sivvero con quella del diametro. G. P. (9) Il critico ha l’ onore di pregare l’ egregio Istorico a leggere Te seguenti parole , aggiunte immediatamente al passo riferito nel testo , ed apposto a la- mento contro l’ articolo. “ Ogni popolo ha nel suo medio evo i suoi Eroi e Pa- ladini ; guerrieri invero , non più nè meno d’ ogni altro guerriero, però ma- gnificati dalla fantasia popolare cui son delizie le meraviglie poetiche. Adun- que è giusto che li abbiano anche i Turchi ec. (pag. 75 )Indi,è evidente cosa che l’ autore dell’ articolo istesso intendeva a fare una riflessione di filosofia istorica sulla leggenda e sulle tradizioni popolari degli Osmanici, e non già a vo- ler far credere che l’autore dell’Istoria vi avesse scritto simili rodomontate come fatti istorici. In ogni polemica, e sovra tutto nella letteraria, non vuolsi ag: gravar mai l’offesa che si crede aver ricevuta e dover ribattere. Il Critico infine conchiuderà la sua difesa con le parole con le quali conchiuse l’urticolo sull’opera del rispettabilissimo Istorico. Se paremmo qualche volta più del dogere severi, dissentendo dal sig. cav. de Hammer, ciò oltre di non potere fare ombra alla giusta fama di un autore sì laborioso, non ci fa ciechi al merito dell’opera. Il quale merito non sarebbe tenue anche ove non consistesse in al- tro che in aver riunite ed ordinate in un libro solo le mille e mille notizie sugli Ottomani e sulle gesta loro , che eran finoggi o sparse in cotanti volumi di differenti Autori , o sepolte in manoscritti e codici ignoti. Ma non saremo pa- ghi di questo debito elogio; e vi aggiugneremo l’altro non men debito che la Storia in argomento arricchisce, per così dire, la letteratura europea con la no- tizia di moltissimi istorici, cronichisti e poeti orientali , per l’ innanzi cogniti appena a qualche orientalista. Ei fu forse questa immensa copia d’erudizione quella la quale fece, che l’opera del nostro Autore pareggiasse alla statua greca 148 di cui si disse che non era bella. sol per esser troppo ricca. E se mal non appo- nemmo al vero, così parendone e dicendo, saluteremo il cavalier de Hammer co- me il Muratori delle cose osmaniche; nè temiamo che possa essere rifiutato o male accolto il saluto con un nome sì onorevole. (pag. 95.) L’Autore dell’articolo sa che queste parole non furono punto gradite @d ac- colte dall’ Autore dell’ Istoria, sol per le pochissime e quasi nulle critiche esaminate. Ma comunqu= siasi, dopo la ripetuta conchiunsione, vi sarebbe molto a dire chi dovesse dolersi, se 1’ Istorico del critico, oppure il critico dell’ Istorico. Non potendosi però ciò decidere nè dal sig. cavalier de Hammer nè da G. P, per- chè parti in litigio, sarà deciso e giudicato da’ lettori, subito e senza errore ed imparzialmente, da quale banda è la giustizia delle doglianze. G. P. re Lettera al Direttore dell’ Antologia. Lucca 16 Novembre 1831. Ho letto nor senza ammirazione l’articolo respettivo alla mia Geri- grafia, inserito nel suo Giornale N.° 8 del mese di agosto di quest’an- no, nel quale ho rimarcato alcune cose, che il desiderio di farle co- noscere la stima che le professo mi obbliga a manifestarle. La prima è di farle notare la svista accaduta nell’estratto del libro, dalla quale è Avendosi nell’ estratto passato sotto silenzio la promessa che fo nella pag. 3 riga 15, come ancora nel tergo del frontespizio, di pub- nato il sno giudizio letterario. blicarla cioè nei sette seguenti idiomi, italiano , francese, spagnolo, portoghese , inglese , tedesco , e latino, è nato il dubbio, che nella pag. 13 manifesta l’ articolo , intorno alla omologazione della Genigrafia italiana, che ho preso per base di tutte le altre, per la ragione alle- gata nell’avviso tipografico , che di questa circolai il 12 di agosto di quest’ anno , in cui diceva così: ‘£ Essendo l’autore italiano ha creduto 3» doverne incominciare la pubblicazione coll’edizione italiana, onde i suoi 3» compatriotti siano î primi a giudicare sul mcrito dell’ opera. Le altre. » versioni verranno pubblicate successivamente alla distanza di circa due 3» mesi l’una dall’altra, di modo che nel prossimo ottobre verrà anche 3) compiuta l’ edizione francese , e successivamente tutte le altre ,,. Queste condizioni dovrebbero aver dato luogo ad un’altra da espri- mersi nel giornale , per la quale si dicesse , che se 1’ autore compiva l’ offerta, sarebbe sicura la omologazione in tutti i sopraddetti idiomi , piuttosto che stabilire i sei corollari, che si leggono nella pag. 56 , il di cui falso calcolo rovescia la prossima edizione francese. La seconda svista è quella di non aver tenuto presente la offerta fatta dall’ autore al lettore nelle ultime righe della pag. 19; in cui si legge così: ‘ Conoscerà che con pochissimo travaglio si troverà dentro di s» pochi giorni capace di leggere e capire perfettamente i concetti altrui , ss e di comunicare i propri a tutti gli uomini del mondo , qualunque sia 149 ,, la lingua che ‘parlino , (N. B.) purchè siano scritti per questo me- 33 todo ,,. La omissione di queste ultime parole ha dato luogo alle due illa- zioni stampate nella riga 13 e seguenti della pag. 52 del giornale, dove si dice: ‘ Dunque 1.° Tutti gli uomini diversi per cielo e per favella potranno leggere e intendere l’italiano ? ;, Sicuramente, sempre. che si guardi quella condizione esclusiva di essere scritto. genigrafica- mente. “ Dunque. 2.° Gli italiani potranno leggere e intendere tutti gli idiomi, nessuno eccettuato, senza la pena di apprenderli ? ,, Sicuramente; sempre che si scrivano genigraficamente.. La conclusione che segue : ‘ Queste due promesse sono grandi e lusinghiere per tutto il genere umano ,, diviene innegabile, supposta #esecuzione qui sopra indicata. Nella pag. 59 N.° 3.° si accinge a provare, che questo metodo non è nuovo , ma l’ autore può assicurare di non aver veduto giam- mai quello che indica , la di cui differenza fra loro dimostra sufficien- temente l’articolo , specialmente rispetto alla chiarezza e facilità del- l'esecuzione, come ancora l’estensione alla comunicazione generale dei concetti, che quello non fece più che indicare. Nonostante milita a favore del presente la certezza del fatto, poichè , dopo circa di tre secoli della pretesa invenzione anteriore ,, non si è veduta fin’ora ese- guita da nissuna nazione del mondo. Perciò sempre sarà imconcusso , che la Genigrafia, ancorchè non nuova nel suo progetto, poichè nissun tomo può vantarsi di non essere stato prevenuto nei suoi pensieri da un altro più antico, come assicura Salomone , Eccles. 1, ro, IVihil sub *, sole novum, nec valet quisquam dicere : ecce hoc recens est: jam enim 39 praecessit in saeculis quae fuerunt ante nos; nissuno negherà alla Genigrafia il merito di non essersi veduta fino ad ora. Supposta la detta reticenza, cadono da se stesse le illazioni che seguono nella sua pag. 64, in che si dice così: “° INissuno resterà per- suaso , che, con lo scrivere con segni diversi dagli usuali qualche sentenza in lingua italiana , si possa porre in grado gli italiani d’ intendere con- cetti scritti in idioma che non sanno ,,. Cade da se stessa, ripeto, sem- pre che la sentenza , o materia sia scritta genigraficamente. Una sorte uguale tocca alla illazione che da questa proposizione ne tira ©. Fin- tantoché le nazioni , che usano idiomi diversi e loro proprit non si, de- terminino non solo a scrivere genigraficamente, ma eziandio a pubblicare lessici , indici , ec. stesi nei loro proprii idiomi, i vocaboli dei quali ab- biano le stesse caratteristiche , che hanno nell’ idioma italiano ,,. Questo appunto è lo scopo della Genigrafia italiana , il di cui autore si è ad- dossato l’incarico, che l’ articolo commette alle diverse nazioni, sette delle quali sono sicure d’incontrare la esatta omologazione che domanda, con le speciali caratteristiche, nel libercolo che a :ciascheduna ha of- ferto , e li presenterà dentro di breve tempo. Dice in seguito il giornale © che le nazioni amerebbero , che piut- tosto fossero prese da un lessico di una lingua dotta, e più comune del- 150 italiana , quale sarebbe la latina ;,. Falsa supposizione ; poichè le na- zioni sono persuase; che nissuna lingua è dotta per se stessa, e che qualunque può esserlo se si scrive dottamente. È ugaalmente senza fondamento la preferenza data alla latina sopra la italiana, come. lo sarebbe ancora la greca antica, e qualunque altra morta, comparata con qualsisia delle vive, ma specialmente con la italiana, spagnola, e tedesca, le quali possono prestare a tutte le morte migliaia di voci tecniche , che quelle si vedono obbligate a circoscrivere, per il qual motivo l’autore ha destinato l’ italiana ad. essere di tutte le altre la base genigrafica. Da queste premesse sì conosce a prima vista l’ errato giudizio de- finitivo dell’opera , pronunziato nelle pag. 64 del giornale. Qui si dice così: ‘ Quindi ci sembra , che cose italiane scritte , non con le lettere usuali e con parole, ma con segni convenuti, non indichino per ora nes- sun vantaggio agli italiani , nè presentino il modo d’ intendere ciò che i dotti di altre nazioni scriveranno nei loro proprii idiomi ,;. Non si sarebbe sicuramente pronunziato questo giudizio se si fosse tenuta presente la promessa omologazione , e la condizione sopra riferita. Anzi per il con- trario si sarebbe dovuto dire , che mantenendo l’ autore la promessa fatta di pubblicare la sua Genigrafia nei sette riferiti idiomi, non si poteva de- siderare metodo né più breve , nè più chiaro, nè più sicuro per comuni» care reciprocamente i concetti mentali di tutti gli uomini, qualunque sia la lingua'che parlino , purchè ciascheduno gli esprima genigraficamente ;,. Questa giustificazione della mia Genigrafia rimetto a V. S. affinchè abbia la bontà di inserirla nel giornale che sta sotto il torchio , per redimermi della emergenza disfavorevole , originatami dall’ anteriore , al di cui favore resterà sommamente grato questi Di V. S. ec. Fr. Gro. Gius. MATRAJA. Al Direttore dell’ Antologia. Il signor G. B. Orcesi, libraio di Lodi, nell’annunziare che fa la stampa delle opere di Dugald-Stewart e di Reid tradotte e illustrate , soggiunge : ‘ E siccome le speculazioni di questa scuola non meno che ; le dottrine trascendentali d’ Alemagna diedero causa in Francia a » dilungarsi alquanto dal sensualismo di Condillac, Bonnet, Cabanis, Tracy, Azais , e Broussais,; e a fondare la nmnova scuola eclettica »; per opera di Iouffròy, di Royer-Collard, e specialmente di Cousin ; ;; così, quando la nostra impresa trovi favore, ci faremo un pregio di 23 ,3 rinnovare |’ associazione alle opere di quest’ ultimo luminare della ; nuovissima filosofia, onde si vengano ad avere in un sol corpo i sì- ,, stemi delle moderne scuole ,,. Questo periodo si legge nella faccia stessa dove il mio nome è scritto come di traduttore de’Principii di filosofia morale dello Stewart. =“ 151 A fine di prevenire ogn’ interpretazione arbitraria , io son dunque nella necessità di avvertire per mezzo del vostro giornale coloro a cui verrà nelle mani il detto programma, che le opinioni in quel periodo esposte non sono le opinioni del traduttore di Stewart; ch egli non confonde con Cabanis, col sig. Broussais, col sig. De Tracy, Condillac e Bonnet, e molto meno il signor Azais; che intorno alle dottrine d’ Alemagna e all’ecclettismo di Francia egli ha già in altri scritti e nelle note stesse allo Stewart esposto un sentimento non conforme in tutto a quel che risulta dalle parole citate : per la qual cosa egli prega il lettore di non volerlo , attribuendogliele , tacciare di contradizione o di soverchio ardimento nel giudicare certe teorie di rispettabili scrittori viventi. Gradite ec. Tommaseo. Nota del Direttore dell’ Antologia ad una pagina d? altro Giornale Italiano. L° Indicatore Lombardo ci ha onorati riportando nel suo N. 25 (Ot- tobre 1831) un articolo sulla Poesia de? Trovatori, ch’ è il secondo fra quelli che l’ Antologia ha dati in quest’ anno’ intorno alle Lezioni di Letteratura Francese del VilLemain. Ci avrebbe , onorandoci , obbli- gati ancor più , se, invece di darlo come estratto dalle Lezioni già dette, lo avesse dato come tratto dall’ Antologia ove si parla di quelle Le- zioni. L® articolo, come 1’ Indicatore ha potuto vedere , non è tanto una ripetizione o un compendio delle cose ivi dette sulla Poesia de’Tro- vatori , quanto un’ analisi e spesso un comento critico o un supplemento sotto le forme d’ una rapida narrazione, 152 PBullettino Suontifico- Letterario, OTTOBRE 1851. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. LA Nel precedente bullettino accennammo la caduta d’una pietra me- teorica a Vouillè in Francia, e la preghiera dell’Accademia delle scienze al ministro del commercio per averne qualche frammento onde esa- minarne la composizione. Quel ministro avendo inviati i richiesti frammenti all’ Accademia, questa ha incaricati ì sigg. Thénard, Bron- gniart, Cordier e Berthier di farne l’analisi. Frattanto una nota del sig. Babaut, conservatore del Museo di storia naturale di Poitiers, ha somministrato alcune notizie particolari intorno alla caduta di questa pietra, che pesava 20 chilogrammi, cioè presso a 59 libbre toscane. La circostanza più singolare si è che quest’aerolite , dopo aver fatto, ca- dendo , un foro profondo 40 centimetri, o più di due terzi di braccio fiorentino, in parte nella terra vegetabile superficiale , in parte nella sottoposta roccia calcare, di cui ha scagliato all’intorno molti fram- menti , essa stessa è stata rispinta indietro sopra gli orli del foro. (Le Temps, 21 settembre 1831). Sulla meteorite del 4 maggio 1831, nota comunicata dal dott. Giu- seppe Giulj prof. di storia vaturale all’ Università di Siena. Non era compiuto un anno da che era caduta in varie parti d’Italia una pioggia colorata di terra rossastra , e niuno avrebbe creduto che un simile fenomeno potesse nuovamente accadere, particolarmente nei primi di maggio, per essere caduta quasi ogni giorno fino dai primi d’ aprile pioggia abbondante , e spesse volte senza vento. Per non tener dietro a tutti i fenomeni meteorici avvenuti nel mese d’aprile, co- mincerò il novero di questi dal 27 di detto mese fino al 4 di maggio. Nei giorni 27 e 28 aprile soffiò un forte libeccio, che scaricò ogni tanto una pioggia abbondante, ma, ogni volta che veniva 1’ acqua, le nuvole di cui era ricoperto il cielo si spezzavano , e compariva a mo- menti anche il sole scoperto e brillante, e in questi giorni il termo- metro Réaumuriano segnò gr. 10. Il 29 aprile cessò il vento, e piovve 153 dirottamente per dodici ore continue ; vale a dire dalle 6 della mat- tina fino alle 6 pomeridiane , e si ebbe una temperatura di gr. 8. L’ ultimo giorno d’ aprile fu piovoso la mattina, nel corso della gior- nata si fece sereno , e spirò un vento leggero di maestrale. La dome- nica 1 di maggio soffiò un vento di levante, e nel corso della giornata comparvero delle nuvole accompagnate da caligine di color ceneroguolo, e la temperatura si accrebbe fino a gr. 15. Nelle giornate del 2, 3, e nella mattinata 4 si aumentò la caligine , ed il termometro segnò co- stantemente 20 gradi fin verso il mezzo giorno di quest’ ultima. gior- nata. Nella stessa mattina del 4 maggio fra le 9 e le ro si sentì in lontananza il tuono , e caddero poche gocce d’ acqua, che lasciavano sopra le foglie delle piante la terra meteorica; si diminuì la caligine, e si dissipò affatto circa il mezzo giorno, allor quando cadde della pioggia d’acqua pura senza essere accompagnata dal tuono , il cielo divenne sereno, e si abbassò la temperatura fino a gr. 16 alle cinque pomeridiane. Il giorno 5 maggio il termometro segnò in tutta la gior- nata gr. 11. Il barometro fu sempre a ventisette pollici dal 1. maggio a tutto il 4. Nella terra dell’ anno scorso aveva osservato che vi era una ma- teria vegetabile , e siccome allora aveva presa la terra caduta su i pam- pani , che son villosi , in quest'anno la levai dalle foglie delle ninfee, e da altre piante di cui la superficie è perfettamente liscia. Non starò a notare il metodo seguito per radunare questa terra , perchè fu come quello dell’ anno scorso : lo seguii in quest’ anno pure in tutti i dettagli (V. Antologia N.° 113 maggio 1830 pag. 146 e segg.), ed i processi chimici sono stati simili egualmente. La terra era di color cenerognolo , ed osservandola con un micro- ‘scopio sembrava essere composta di tante fibre tenuissime. Questa terra esposta all’ azione della luce solare, i di cui raggi erano ricevuti da una lente molto convessa , si abbruciava crepitando , e si inalzava un odore simile a quello , che si espande dall’esca quando viene abbru- ciata ; simile effetto si otteneva se l’ esperimento stesso si ‘instituiva sopra le macchie terrose che erano state lasciate dalla pioggia meteo- rica sopra le foglie, mentre non aveva luogo questo fenomeno sopra quegli spazii delle foglie scoperti intieramente di terra meteorica. A caso aveva conservato alcune foglie dell’ anno scorso, che avevano auch’ esse le macchie terree , ed anche queste sottoposte all’ azione della lente tramandavano nella combustione un leggiero odore come quello prodotto dall’abbruciamento dalla terra del presente anno, per- chè le fibre di cui ho parlato di sopra erano men visibili e numerose nella terra del 1830- Ecco i risultamenti del saggio chimico. Col tenere la meteorite so- , pra una lastra di ferro iufocata calò un terzo del suo peso. Unita al- l’acqua distillata tanto fredda che bollente , non comunicò niun sale all’ acqua stessa, ed eguale effetto ebbe per mezzo dell’ alcool. Fece IT. IV. Ottobre. 20 154 effervescenza cogli acidi, e non si disciolse per l’intiero nell’ acido idroclorico , nè in quello nitrico, e le soluzioni erano color giallo di paglia chiaro. La soluzione fatta coll’ acido solforico col riscaldarla tramandò del gas acido solforoso. Si formò dell’ idrocianato di ferro al momento che posi nella soluzione l’idrocianato di potassa ferruginoso; ci trovai pure la calce, che mì fu annunziata dall’ ossalato di potassa e dall’ ammoniaca ; v? esiste pure dell’ allumina, perchè coll’;aggiunta della potassa caustica alla soluzione della meteorite nell’ acido solfo- rico si ha il solfato d’ allumina , e potassa. La parte restata insolubile agli attacchi degli acidi è composta di carbone, proveniente dalla com. bustione che esiste nella parte superiore del deposito formato nel fondo del vaso ove si sono eseguite le operazioni sopraindicate , ed il resto e silice. Nella meteorite del corrente anno manca il manganese, e vi esiste del carbone che conferma la presenza della materia vegetabile nella terra , e per il rimanente è simile all’ altra del 1830, Non è cosa nuova l’unione di materie d’una natura simile a quella de’ vegetabili nelle meteoriti. Ch/adni nella sua storia delle pietre me- teoriche referisce che nel 1796 cadde una sostanza membranosa nera- stra simile a dei fogli di carta semibruciati. Il Sementini trovò il car- bone nella terra caduta in Fiume colla neve nel 1813, e questo stesso fenomeno si è rinnovato nelle meteoriti del 1830, e di questo stes- so anno. Molti fra i fisici vogliono che queste polveri terree vengano tra- sportate da lontane regioni fino a noi da certi venti impetuosi. Nel caso presente non sembra che ciò possa avere avuto luogo, perchè la caligine che comparve avanti la caduta della meteorite non nacque da una corrente aerea, essendo preceduta anzi da una pioggia dirotta prolungata e senza vento. Io non ardirò formare un romanzo filosofico esponendo una teoria sulla genesi dì questo fenomeno, per essere scarse le osservazioni fatte fin qui sopra le meteoriti polverulente; con tutto questo, sicco- me dietro le osservazioni fatte dal celebre Fusinieri, che la materia imponderabile formante il falmine nel percorrere le regioni atmosfe- riche porta seco materie ponderabili, come ferro , zolfo, ed altre so- stanze che fin ora non si sono trovate nell’aria atmosferica da quelli che 1’ hanno analizzata ; chi sa che J/ azione dell’ elettricità non faccia nascere egualmente la meteorite? Bisognerebbe incontrare delle favo- revoli circostanze per moltiplicare le osservazioni , e stabilire in tali casi molte esperienze. Potrebbe incontrarsi quest’ opportunità, se la caligine che comparisce sull’orizzonte nell’ estate avesse una stessa origine di quella che accompagna la caduta della terra meteorica. Non conosco se siasi mai tenuto conto dei fenomeni che vengono dietro allo scioglimento della caligine estiva, e se lo scioglimento stesso è accompagnato dall’ acqua, e se questa è unita alla terra meteorica. Io n 199 non mancherò di fare quest’osservazione , ed invito gli altri fisici a fare lo stesso. Il sig. De Humboldt ha comunicato all'Accademia delle scienze di Parigi nuove particolarità intorno al vapore, che sopra molti punti dell’ Europa ha oscurato la luce del sole, ed intorno al chiarore not- turno che è stato osservato generalmente nella stessa circostanza. Il sig. Carlini, astronomo di Milano, crede poter render ragione di questo chiarore considerandolo come un prolungamento del crepuscolo , pro- dotto dalla presenza d’un vapore sparso ad una grande altezza nell’ atmosfera. Altri, meno verisimilmevute, hanno assomigliato questo fe- nomeno a quello della luce zodiacale, la quale non ha mai nè tanta intensità né tanta durata, e che è poi distintissima per la sua forma. Se poi si rifletta che nei paesi più settentrionali il fenomeno si è pre- sentato sotto un aspetto anche più imponente , cinè sotto la forma di due grandi nuvole rosse divise da un intervallo pieno d’ un chiarore così vivo, che ad un ora di notte si poteva leggere una gazzetta, o altro foglio di minuto carattere , si inclinerà a riguardare questo fe- nomeno come una specie d’aurora boreale, benchè non abbia pre- sentato nè l’arco luminoso , nè le irradiazioni ordinarie. Se si censi- deri che esso è stato osservato negli stessi giorni a Milano, a Berli- no, a Odessa, non si può non credere che il fenomeno fosse fuori affatto dei limiti della nostra atmosfera. (Le Temps a1 Settem. 1831.) Altre comunicazioni ha fatte in seguito lo stesso sig. De Hum- boldt intorno al medesimo soggetto. Osservazioni simili alle precedenti sono state fatte nella parte orientale dell’Asia, a Irkustk il dì 19 d’agosto , agli Stati-Uniti dal 15 al 20 del mese stesso , ed a Berlino dal 24 al 27. In quest’ultima città il dì 20 d’agosto, circa venti. mi- nuti dopo il tramontare del sole, e ad un’ altezza di 25 gradi sopra l’orizzonte , fù veduto formarsi un punto risplendente di color pur- pureo ; che crescendo in dimensione occupò bentosto tutto lo spazio dal nord-nord-ovest al sud , e si estese fino a 45 gradi in altezza. Il chiarore, che emanava da quella regione del cielo, era bastantemente grande per permettere di leggere nelle strade fino a mezzanotte. A Irkustk l’intera popolazione restò in piedi tutta la notte attirata dal- l’intensità di quella luce, la quale comparve una mezz’ ora dopo il tramontar del sole, e, dopo aver diminuito progressivamente fino a mezza notte, ricominciò a crescere d’intensità, e durò fino al levare del sole. Negli Stati-Uniti, a Nuova Jork, ad Aunapolia , fù pure os- servato quel chiarore notturno, ma assai più debole, e vi fù fatta minore attenzione che alla colorazione del sole in verde al suo tra- montare. (Le Temps 18 octobre 1831.) Da una lettera del sig. Huber-Burnand , data da Yverdun, 16 ago- sto 1831, si hanno le seguenti notizie. Il 14 luglio è stato un giorno di tempesta disastrosa per molte parti della Svizzera; una grande - 150 quantità di grandine ha devastato le belle vigne del Cantone di Vaud, ed ha traversato la Svizzera nella direzione dal nord all’est. Il signor Huber ha fatto le seguenti osservazioni a Yverdun , ove pare che la tempesta non abbia prodotte conseguenze funeste. Ecco le di lui pa- role. 23 23 bei 2) 23 23 2) DE) 23 2) 2 v 29 293 2? 33 bei 23 33 25 23 23 23 393 25 bed 2 33 2) II 23 “ Fra le 6 e le 7 ore della sera incominciarono i lampi ; la bur- rasca deve essere stata terribile nella direzione di. Lavaux, ed a cinque o sei leghe di distanza da quì. Io vidi da quella parte per più d’un’ ora, e ad ogni minuto secondo, dei lampi che partivano sempre presso a poco dallo stesso punto. Sembrava un vero fuoco d’artifizio; ma in quali dimensioni! Quel punto era bastantemente elevato sull’orizzonte per farmi giudicare che le scariche elettriche si effettuavano nella regione superiore delle nuvole. Un’ osservazio- ne molto singolare prestò appoggio a questa congettura. ,, 33 Benchè io mi trovassi a così gran distanza dalla sede della tem- pesta, molti lampi sfolgoreggiavano anche nella regione del cielo che corrispondeva sopra di me. Il più delle volte partivano da alcu- ne piccole nubi inferiori, ma pure elevatissime , e montavano verso le nubi dello strato superiore. Tutti questi fulmini erano ramificati, come i rami d’un albero secco. Qualche volta essi percorrevano oriz- zontalmente uno spazio immenso nel cielo; e le loro ramificazioni minaccianti si diffondevano in ogni direzione , sotto la forma d’una rete o intralciamento di torrenti luminosi, ma ne cadevano rara- mente sopra la terra. ,, 3 Tuttavia il rimbombo di queste terribili deflagrazioni elettriche non sì sentiva se non a guisa di fragore lontano, e molto tempo do- po il lampo. Io vidi uno di questi lampi straordinarii presentar la forma d’un sole coi suoi raggi. Io non aveva veduto giammai elet- tricità così intensa. Alquanti dei lampi che passavano allo zenith tra- versarono uno spazio di più d’ottanta gradi. Qual mai doveva essere l’estensione del loro tragitto , se si giudichi della loro distanza dal non sentirsene qualche fragore se non molto tempo dopo, e talvolta nessuno! ,;, 3» Quanti lamp? probabilmente avvengono inosservati perchè 1’ e- norme loro elevazione non lascia arrivarne il fragore fino a noi, e perchè la luce del giorno e la densità delle nubi nou ce ne lasciano scorgere il chiarore! Io ho spesso osservato in tempeste violentissi- me che non sì sente il fragore del tuono, se non al momento in cui la;tempesta ci sopraggiugne , sebbene probabilmente l’accompagnas- ,, se da molto tempo nel suo andamento. ;; (Biblioth. Univ. Aout 1831. pag. 444.) Fisica e Chimica, Il giorno 30 d’ aprile 1831, il dottor Forster, che da lungo tempo desiderava poter proseguire le sue osservazioni intorno alle nnvole nelle stesse alte regioni dell’aria, si determinò ad elevarvisi col pal- 157 lone aerostatico del sig. Green. A cinque ore e mezzo della sera, il tempo essendo bello e tranquillo , il barometro essendo a 29 pollici e 29 centesimi, ed il termometro a 63 Fahr., e spirando un vento leggie- ro e variabile, gli aeronauti si portarono al giardino dei frati dome- nicani a Moulsham, vicino a Chelmsford, donde a sei ore meno un quarto si elevarono da terra in mezzo alle acclamazioni di più centi- naia di spettatori. L’altezza verticale del pallone era di 48 piedi, il suo diametro di 32. Egli si elevò in principio con un moto di trasla- zione dolcissimo, un venticello d’est lo fece passare sopra il villaggio di Writtle. Giunti all’altezza di circa mille piedi, gli aeronauti cala- rono un’ ancora per render meno mobile la navicella. Poco dopo sì ac- corsero che il movimento del pallone diveniva più lento, evidente- mente perchè erano entrati in una diversa corrente d’aria, che li ri- portò quasi in una direzione contraria alla prima. La corrente cambiò di nuovo allorchè ebbero trapassata 1’ estremità nord-est di Chelmsford quasi sopra al convento di New-Hall, all’altezza di circa. 4000. piedi. Gettato un poco di carico, il pallone cominciò a salire rapidamente descrivendo una spirale irregolare , finchè giunto all’altezza di circa 6000 piedi, divenne immobile, e rimase in questo stato per un quarto d’ ora. Gettato un altro poco di carico , il pallone si elevò alquanto più; per lo che il dottor Forster, ché fino allora aveva provato una sensazione deliziosa; cominciò a provarne una spiacevole , consistente in una pressione sul timpano, simile a quella che è stata descritta da varii aeronauti , come Garnerin, Charles, e Robert ; però , aperta la valvula , il dottor Forster ed il suo compagno calarono rapidamente in una corrente inferiore che li portò a Broomfield,, ove scesero a terra a ore 7 meno 20 minuti. Ecco le principali osservazioni raccolte dal dottor Forster in que- sto suo viaggio aereo : I.°.Il pallone , allorchè si elevava dolcemente , girava nella stessa direzione che seguono la terra ed i pianeti nel loro moto di rivolu- zione, cioè da dritta a sinistra; per altro questo moto era così dolce, che non si poteva accorgersene se non osservando gli oggetti situati sulla terra; ridiscendendo, il pallone oscillava nella stessa direzione. II.° Le correnti d’aria incontrate nel salire ricomparvero il giorno seguente nello stesso ordine di successione ; per esempio il vento di sud-ovest ,;che. avevano incontrato , soffiò il primo sopra la terra la mattina seguente ,.e produsse la pioggia. Appoggiandosi ad esperienze ripetute, il dottor Forster crede che avvenga lo stesso della maggior parte delle correnti d’aria situate. nelle regioni superiori. dell’ atmo- sfera. III.° Le nuvole ondeggianti sono al di là della. massima altezza a cui possono elevarsi i globi aerostatici ; osservate dalle più alte som- mità, queste nuvole sembrano ancora altrettanto elevate al di sopra delle nuvole ordinarie, quanto compariscono esserlo al di sopra della terra. 158 IV. Il dottor Forster, paragonando la sua ascensione nel pallone a quelle da sè fatte nelle alte montagne della Svizzera, attribuisce all’idea d’un isolamento completo il minor grado e nel suo caso l’as- senza totale di vertigini nel pallone , perchè la causa ordinaria delle vertigini che provano le persone poste sull’ orlo di qualche precipizio ; o sulla cima d’edifizi molto elevati, dipende dal sentimento che elleno hanno del difetto di solidità degli oggetti che le circondano. In questo viaggio il dottor Forster ha osservato l’ordine e la manie- ra onde le nuvole discendono in una serata. Egli ha anche fatto alcune osservazioni sugli effetti particolari prodotti dalle diverse circostanze della navigazione in mare, e li ha paragonati con quelli che risultano dalla navigazione aerea; saranno quanto prima pubblicate le di Ini osservazioni relative a quest’ ultimo punto , ed alcune considerazioni fisiologiche sul male di mare, e sul genere particolare di sordità che si prova a grandi altezze, nelle campane immerse nel mare ad una certa profondità, nelle cavità delle miniere, e nei rapidi cambiamenti di tempo allorchè il barometro sale o scende ad nn tratto notabil- mente. Fra le cose osservate dal dottor Forster è curiosa questa che la sordità, che prova chi discende da alte montagne, è sempre accom- pagnata da una sensazione di pienezza nelle orecchie, mentre scen- dendo in un pallone non si prova che una semplice debolezza d’udito. In ambedue i casi la sordità cessa prontamente. (.BibZ. Univ. Aoùt 1831, pag. 437.) Una nuova combinazione d’idrogene fosforato e di bromuro di silicio è stata annunziata dal sig. Serullas , il quale l’ ha ottenuta po- nendo sotto una campana il bromuro di silicio con dell’ idrogene per- fosforato. In capo ad un certo tempo il gas posto in queste circostan- ze perde la proprietà d’infiammarsi spontaneamente, e nel tempo stesso sopra diversi punti della campana si vedono formarsi dei pic- coli cristalli bianchi regolari, i quali, all’aria, spandono dei vapori bianchi, e gettati nell’acqua producono un romore simile a quello che fa sentire un ferro infuocato immerso similmente nell’ acqua. Il gas, che sprigionandosi produce questo romore, è gas idrogene protofos- forato , e, siccome in seguito si riconosce nell’acqua la presenza del- I acido. idrobromico e dell’acido silicico, ne risulta che quei cristalli sono un composto d’idrogene fosforato e di bromuro di silicio. Anche il cloruro di silicio sottoposto alla stessa esperienza toglie con egual prontezza al. gas idrogene fosforato la proprietà d’infiammarsi sponta- neamente a contatto dell’ aria. Ma il contatto delle due sostanze non sembra produrre un composto solido. (Le Temps 18 octobre 1831). Si può ottenere il protossido di rame col seguente semplicissimo e facilissimo metodo. Si discioglie il rame nell’ acido idroclorico , al quale si aggiungono a poco a poco piccole porzioni d’ acido nitrico ; si evapora fino a secchezza e si scalda il residuo fino ad operarne la 159 fusione. In:tal modo è trasformato in cloruro bruno cristallino. Se ne fanno fondere ro parti con 6 parti di carbonato di soda privo d°’ a- equa in un crogiolo coperto, e ad un debole calor rosso. Si tratta la massa con acqua per disciogliere il sal marino formatosi, il protos- sido di rame si separa sotto la forma d’una polvere di bel color rosso, non cristallina, che sì lava e si asciuga. Se alla mescolanza indicata si aggiunga del sale ammoniaco , tutto il cloruro è ridotto, come è facile a prevedere; in rame metallico, il quale si separa in stato di grande divisione, e sotto forma spugnosa, quando si discioglie la massa nell’ acqua (Annal. de Chim. et de Phys. Juillet 1831, pag. 258). Il processo quì sopra indicato per Ja preparazione del protossido di rame non può servire egualmente a preparare il protossido di ferro. Il cloruro fuso ad un debole calor rosso col carbonato di soda privo d’ acqua diede una massa che trattata coll’ acqua lasciò una polvere nera, pesante, che era attratta dalla calamita e si scioglieva nell’ a- cido idroclorico senza sprigionamento di gas. Per altro non era pro- tossido di ferro, ma una mescolanza di protossido e di deutossido. Questa. polvere disciolta nell’ acido idroclorico forma un liquido giallo, da cui l’ ammoniaca precipita una polvere nera, che per una più sottil divisione sembra bruna. Essa è un idrato di protossido e di deutossido. Una proprietà singolare di quest’ idrato è quella d’essere attratto dalla calamita con egual forza che il minerale di ferro ma- gnetico , il quale forma una combinazione intermedia. Se s° immerga una verga magnetica nel liquido mentre il precipitato vi è ancora sospeso , una gran parte di questo si getta addosso alla verga e la riveste. (Ivi pag. 261.) Per preparare il protossido di manganese, Arfwedson ha insegna- to un processo facile e sicuro, che consiste nello scaldare il carbo- nato di magnesia nel gas idrogene. Pure a questo processo viene debitamente preferito il seguente, che ad una eguale facilità unisce il vantaggio di produrre un protossido che si mantiene inalterato alt& aria alla temperatura ordinaria. Questo metodo consiste nel mescolare insieme del cloruro di manganese fuso e del carbonato di soda, e nel far fondere questa mescolanza ad un calor rosso. Trattando la mas- sa coll’ acqua , si ottiene il protossido di manganese di color’ grigio verdastro. (Ivi pag. 263.) Richter aveva riposto il nichel fra i metalli nobili, perchè lo aveva veduto ridursi dallo stato d’ossido a quello di metallo nei forni da porcellana apparentemente senza intermedio. Ma in seguito Gmelin attribuì questa riduzione alla presenza del gas ossido di carbonio nel forno, e spiegò egualmente una simil riduzione ottenuta da Proust sull’ ossido di ferro. In fatti sembrava contradittorio che un metallo, il quale si ossida tanto facilmente quanto il nichel quando è scaldato 160 sufficientemente a contatto dell’aria, che brucia nel gaa ossigene con sprigionamento di luce, e che è perfino capace d’ infiammarsi spon- taneamente alla temperatura ordinaria quando è divisissimo , potesse, una volta ossidato, esser ricondotto allo stato metallico per la sola azione d’un forte calore. Le seguenti esperienze hanno tolto ogni dub- bio intorno alla vera causa di questa riduzione. Due porzioni eguali d’ossido di nichel, egualmente pure, e trat- tate nel modo stesso , furono poste in due crogiuoli i quali furono esposti insieme ed egualmente al calore più intenso d'una fornace da porcellana. Uno dei crogiuoli non era coperto che leggiermente, men- tre l’altro era rivestito internamente ed esternamente d’un luto ve- trificabile per il calore; non solo esso era ricoperto con un crogiuolo più piccolo, reso egualmente impenetrabile dall’aria, ma di più era posto in un altro crogiuolo più grande egualmente coperto e ben lu- tato ; l'intervallo fra un crogiolo e l’ altro era ripieno di sabbia sot- tile. Estratti questi crogiuoli dalla fornace dopo un fuoco di 18 ore, in quello che non era stato lutato si trovarono circa 5 grammi di nichel allo stato metallico , bianco e malleabile, inerostato di molto ossido fuso e non ridotto. Al contrario nel crogiuolo lutato non sì tro- vò che dell’ ossido fuso , o che non racchiudeva se non alcuni piccoli globetti di metallo come dei capi di spilli, la riduzione dei quali non prova altra cosa se non che non è possibile rendere un crogiuolo d’ argilla impenetrabile dai gas mentre è esposto ad un fuoco violento continuato lungamente. ( Ivi pag. 264.) Dal sig. Guerin è stata letta avanti all’ Accademia delle scienze di Parigi una memoria sulle gomme. Dopo aver rammentate le classifica- zioni dei sigg. Fourcroy , Vauquelin, e Thompson , l’autore cerca di stabilire i caratteri che costituiscono la gomma. Egli non considera come gomme se non le sostarize le quali trattate coll’ acido nitrico danno dell’ acido mucico. Dopo una tale limitazione , egli fa vedere che questa proprietà è dovuta a due principii immediati, che qualche volta si snppliscono , qualche volta si trovano riuniti. Uno di questi principii è 1’ arabina, parte solubile, e di cui è quasi interamente for- mata la gomma arabica, 1’ altra è Ja dassorina , parte insolubile. Egli assegna a ciascuno di questi due principii i caratteri che servono a di- stinguerli, poi divide le gomme in due grandi classi, secondo che vi predomina o l’arabina o la bassorina. In seguito dà l’analisi delle di- verse gomme , e fa conoscere la proporzione dei loro principii elemen- tari (Le Temps 9 novembre 1831). Il sig. Vicira de Mattos ha trovato nel guscio della noce d’acajou (anacardium occidentale L.) molto acido gallico , del tannino, una ma- teria estrattiforme, una sostanza gommoresinosa (gomma d’ acajou ) ed un principio colorante verde. La resina è liquida a 12 gradi R. sopra 0; è un poco translucida, di consistenza oleaginosa , si con- f 101 gela a 8 gradi sopra o, ha sapore acre, pungente , causticissimo , è d’ un bel colore bruno-rossastro. Applicata alla pelle ha proprietà ve- scicatorie assai energiche , e vi lascia una macchia di color bruno, che persiste per qualche tempo ; si condensa all’aria, ad una temperatura molto elevata brucia con fiamma gialla vivacissima , lanciando getti di fuoco splendidissimi; è affatto insolubile nell’ acqua, ben solubile nell’ alcool, e più nell’ etere. Si estrae facilmente questa resina trattando con alcool il pericardio delle noci d’ acajou , separando l’ alcool per distillazione , e lavando bene la resina a più riprese con acqua calda, per separarne tutto-l’acido gallico ed il tannino. Si può anche ottenerla per gli usi farmaceutici facendo bollire i gusci nell’ acqua, separando la porzione di resina che viene a nuotare alla superficie del liquido, e separando per mezzo d’ una forte pressione quella che è rimasta aderente alla feccia. Questa resina è fra le materie vegetabili quella che gode ad un più alto grado della virtù epispastica o vescicatoria. Si può comporne una pomata utilissima, unendo insieme parti eguali di grasso, di re- sina d’acajou, e di cera. Si può preparare con essa anche un drappo epispatico. Queste due preparazioni debbono riguardarsi come molto preziose, godendo delle utili proprietà delle cantaridi, senza averne gl’ inconvenienti, e specialmente la pericolosa azione di queste sugli organi orinarii (Journ. de Pharm. Novembre 1331 , p. 625). L’olio di Cajeput, essendo stato recentemente predicato come ri- medio efficace contro il colera morbo , è stato molto ricercato, ed è molto salito di prezzo in commercio. Questa stessa circostanza, richia- mando sopra di esso l’ attenzione dei chimici e dei farmacisti, ci ha procurato intorno ad esso delle notizie che ci mancavano. Ecco una nota interessante del sig. Guibourt relativa ad esso. € L’olio di Cajeput , dic’ egli , è ricavato per distillazione dalle »» foglie d’ un arbusto delle Molucche chiamato cajuputi, cioè albero s» bianco. Quest’ arbusto appartiene alla famiglia delle mirtacee , ed è 3; stato descritto da Rumfio sotto il nome di arbor alba minor, per di- »> stinguerlo da altre specie vicine chiamate egualmente cajuputi , ma 39 dalle quali non pare che si estragga l’olio ,,. Questi diversi alberi sono stati riuniti da Linneo sotto il nome specifico di melaleuca leuca- dendron ; ma non si è tardato a separarli di nuovo, ed oggi quello di cui qui si tratta porta il nome di mela/euca cajuputi , secondo Maton, e di melaleuca minor adottato dal Decandolle nel suo Prodromus. Il sig. Guibourt, avendo esaminato un gran mumero di saggi d’olio di cajeput di varie provenienze , ha riconosciuto in tutti dei caratteri generali, capaci di far distinguere l’ olio vero da quello falsificato. Ec- co questi caratteri quali sono da esso indicati. L’olio di cajeput è fluidissimo , trasparente, non forma verun de- posito nei vasi che lo contengono, è interamente solubile nell’alcool, T. IV. Ottobre. 21 162 il suo peso specifico varia fra 0,914 e 0,919 ; alla temperatura di 8 a ro R. Ha un odore proprio , piacevole quando è allungato , e che parte- cipa della terebintina , della canfora , della menta piperina, e della rosa ; quest’ ultimo odore si fa specialmente sentire quando l’ olio è in parte evaporato all’ aria. Il colore dell’olio di cajeput è verde chiaro o turchiniccio, ed è dovuto interamente alla presenza dell’ossido di rame. Il sig. Guibourt lo ha trovato in tutti i saggi esaminati, per lo più nella proporzione di 5 trentaduesimi di grano per oncia, e di 1 cinquantunesimo di grano per dramma. La distillazione ne separa quest’ ossido , e somministra un olio limpidissimo, senza colore, d’odore penetrantissimo , e più terebintinaceo che prima. (Ivi pag. 631). Era stata da lungo tempo riconosciuta nella scorza della radice di melagrana un azione antelmintica molto efficace , specialmente contro il verme solitario, o Tenia, e fra noi ne aveva in particolar modo rac- comandato l’ uso , non senza successo , il dott. Boztî. Ora il sig. La- tour de Trie, per un diligente esame chimico, ha separato da quella scorza la parte attiva, che ha chiamata, nella sua lingua francese , grenadine, e che noi diremmo granatina. Essa è una materia bianca, senza odore , di sapore leggermente zuccherino, che cristallizza sotto diverse forme. Se ritiene un poco di materia colorante, cristallizza in piccoli grani uniti in masse a foggia di cavoli-fiori , donde partono dei cristalli in fiocchi setosi ; talvolta cristallizza in piccole stelle raggianti. In stato d’ assoluta purità, la sua cristalizzazione prende forma d’un sole da cui si slanciano dei cristalli aghiformi divergenti. Posta sui carboni ardenti, manda odore di pane bruciato. Esposta ad un dolce calore in un tubo di vetro, si fonde, poi si rappiglia per raffredda- mento in una massa cristallina raggiata. Ad un calor più forte sparge un fumo bianco, denso, che si sublima alle pareti del tubo, sotto forma di piccoli cristalli granuti bianchi, lasciando appena qualche traccia di carbone. Non è acida nè alcalina, si scioglie in acqua fredda in ogni proporzione, è poco solubile nell’alcool di gradi 40 a freddo, ma vi sì scioglie bene a caldo, e quindi se ne separa per raffredda- mento. L’ acido nitrico la discioglie prontamente colorandola un poco; scaldata con 4 parti di esso dà dell’acido malico; una nuova dose d’acido nitrico vi forma dell’ acido ossalico. La potassa e la soda la disciolgono colorandosi. Il sottocarbonato di piombo la precipita dalla sua dissoluzione. Aggiuntovi lievito di birra, e postala nelle condizioni opportune alla fermentazione, non la subisce, e conserva il suo sapor dolce. È composta di carbonio parti 38,16: ossigene 53,85, idrogene 6,86, azoto 1,13. Due libbre francesi (once 32) di scorza danno 3 dramme di granatina. Il sig. Latour ha riconosciuto una particolare efficacia nel liquor fermentato , che insegna a preparare così. Si prendono 48 grammi di scorza polverizzata grossolanamente, e si pongono a macerare, in 500 grammi d’acqua stillata; dopo due giorni si spreme fortemente; sì 103 versano altri 500 grammi d’ acqua stillata bollente sulla feccia, e vi si lascia per 24 ore. Si cola e spreme , si riuniscono i liquidi, si fel- trano , e si lasciano per due giorni ad una temperatura di 16 R. in vaso aperto. In capo a questo tempo un deposito abbondante formatovisi, e l’odore d’acido acetico che n’esala, annunziano che vi si è stabilita la fermentazione. Si feltra, e si amministra. La scorza antica differisce dalla fresca o recente. L’ autore crede poco probabile che 1’ azione me- dica contro il verme solitario dipenda dalla granatina. La fermentazione, distruggendo o modificando alcuni principii , rende più evidente e più sensibile l’amarezza e la qualità astringente. Per ottenere la granatina pura, si prende il liquido dell’infusione e macerazione nella quantità di mille grammi, e si evapora a consi- stenza di miele ; 1’ estratto raffreddato si tratta con libbre 1 e mezzo d’ alcool a 30 gradi, che ne separa una materia grigiastra. Dopo qual- che tempo , si vede un poco al di sopra dell’alcool, che si è forte- mente colorato, un gran numero di piccoli cristalli prismatici ben for- mati, o isolati, o aggruppati in forma di stelle ; si raccolgono. Sepa- rata la prima dose d’ alcool, se ne versa una seconda, che vi si lascia a contatto un tempo eguale, quindi una terza. Riuniti i liquidi alcoo- lici ; si stillano a’ bagno-maria fino a consistenza di sciroppo densis- simo , quindi vi si'aggiugne dell’ alcool a 4o gradi, finchè continui a precipitare una materia giallastra. Si decanta , e si versa sul resi- duo una nuova quantità d’alcool a 40, e sì scalda fino all'ebollizione che si continua alcun poco. Dopo ciò , si ripone nel bagno-maria il primo precipitato col liquido alcoolico, e si mantiene il tutto in ebol- lizione per dieci minuti. Quando si vede che il liquido è divenuto chiaro, si versa in una bacinella. Dopo alcune ore si trova nel liquido una materia giallastra granulare separatasi per raffreddamento, e che presenta qua e là dei cristalli aghiformi. Decantata, si ridiscioglie in 32 parti d’ alcool a 4o , si fa bollire , e si feltra. I cristalli che si formano per raffreddamento ; sgocciolati e seccati, hanno la forma di fiocchi setosi magnifici, gli aghi divergenti partendo da un centro co- mune. (Ivi pag. 601). Il sig. Béber ha trovato nel Zichen vulpinus di Linneo una materia colorante giallastra particolare , cristallizzata, che egli ha chiamata vulpulina ; essa si presenta cristallizzatà sotto due forme ben distin- te. (Ivi). Era stata già riconosciuta nel seme della senapa nera (sinapis ni- gra) un’azione revalsiva o rubefaciente molto pronta ed efficace, della quale per altro non era stata fatta fin quì utile applicazione. Il sig. Fauré, farmacista a Rouen, ha recentemente richiamata l’attenzione dei chimici e dei medici sopra quest’oggetto. Egli consiglia d’estrarre da quel seme, per mezzo : della distillazione nell’acqua , l’olio volatile che è acre e caustico ; e che applicato alla pelle vi produce tosto un 1604 arrossamento notabile , ed anche delle vesciche. La preparazione, che l’autore preferisce, è un composto «di 150 parti in peso d’alcool, a 25 gradi del pesaliquori di Baumé, e di 12 parti d’olio volatile. Questo liquido produce sulla pelle una pronta e grande irritazione, applicatovi per mezzo d’una flanella fine, o d’una tela che ne sia imbevuta; e che si deve bagnar di nuovo due o tre minuti dopo , occorrendo. Il dolore, che cagiona questo revulsivo, può farsi tosto cessare, versando sopra la parte irritata due o tre gocce d’etere solforico. (Ivi p. 643). STORIA NATURALE. D’ una nuova specie d’ Uccello dell’Isola di Cuba, Mentre io mi trovava ultimamente in Firenze, il signor Dottor Carlo Passerini ebbe la cortesia di mostrarmi una piccola collezione d’ uccelli dell'Isola di Cuba giuntagli poco innanzi, nella quale m’av- venne di scorgere una bellissima specie di RampPHoceLUS, che non esitai a riconoscere tosto per nuova. Essendo io il primo a darne ragguaglio, mi compiaccio d’imporle il nome di Ramphocelus Passerinii in onore del benemerito zoologo italiano, che me ne ha procurata la conoscenza, e dal quale tanto aspetta l’ Entomologia patria. Eccone la diagnosi al- trettanto breve quanto caratteristica. RampHnoceLus PasserINII , Mob. R. nigerrimus , dorso postico uropygioque. coccineis. Hab. in Insula Cuba. Statura R. brasilii. Pennae rubrae basi albae, nigrae basi plumbeae : rostrum atro-coeruleum. L’ esemplare da me osservato, ch’è quello d’ un maschio, verrà deposto probabilmente dal possessore nel Museo Zoologico di Firenze, se non piuttosto nell’ altro ottimamente ordinato. e forbitissimo del- 1° Università Pisana. Fino a questo giorno non erano più che due le specie ben cono- sciute del genere Ramphocelus, Vieillot. Cioè : 1. RampHoceLus BrasiLius (T'anagra brasilia, L. a Desmarest, Tan- garas t. 28, 29). R. Coccineus , pennarum basi, alis caudaque rotundata nigris. Hab. in Brasilia. i 2. RampHoceLus JacaPa (T'anagra jacapa, L. = Desm. Tan. t. 30, 31). R. Atro-purpureus , fronte gula pectoreque purpureis. Hab. in Cayana , Guyana, Mezico , aliisque Americae calidis regio- nibus. ; Il signor Lesson dascrive una terza specie: 3. RampHnoceLus Icnescens (Tanagra ignescens, Less. Ceut.Zool t.24.) 165 R. Igneus , facie, dorso , abdomine medio , olis caudaque nigris. Hab. in Mexico. È noto che in siffatti uccelli le femmine e i giovani differiscono assaissimo in colore dai maschi adulti. Infatti. nel Ramphocelus brasi- lius la femmina è Supra nigricans, subtus sordide rubra; e il giovine Gri- seus, subtus cinereo-rufescens. E nel Ramphocelus'jacapa la femmina è Purpurascenti-brunnea ; subtus rufescens. Nella nostra nuova specie la femmina è ignota. Vi è poi probabilmente una quinta specie, cioè la Tanagra atro- gularis, Spix, tab. 47. Io non la conosco ma osservo che il Cuvier l’ha posta fra i suoi T'angaras Ramphocèles: Questo gruppo Ramphocelus (il di cui evidente carattere consiste nell’avere i lati della mandibola inferiore alla base dilatati, alquanto rigonfii, e protratti fin sotto gli occhi) fu stabilito dal Desmarest ed elevato alla dignità generica dal Vieillot che prima lo chiamò Ram- phopis: esso è stato da me considerato come un sottogenere subordi- nato a Pyranga: ora però inclino piuttosto a riguardarlo come costi- tuente un genere proprio, nella sezione Tanagrinae della famiglia delle Fringillidae. C. L. BONAPARTE. VARIETA. La seguente nota letta dal sig. Dureau de Lamalle all’ Accademia delle Scienze di Parigi fa conoscere una nuova varietà, della. specie umana. € Winkelmann si era accorto che sulle teste delle statue egiziane s» l’ orecchia era posta più in alto che nelle statue greche , ed attri- »» buiva questa singolarità ad un sistema dell’ arte in Egitto,, la quale ,» avesse raddrizzato le orecchie dei suoi re nel modo. stesso che. gli so artisti greci hanno esagerato la perpendicolarità dell’ angolo della 3» faccia nelle teste de’ lorò dei. ,, € Quando nel maggio 1831 io visitai il museo dì FA così ricco 35 di monumenti egiziani dopo |’ acquisto. della collezione Drovetti , 3 questo carattere della posizione dell’ orecchia mi fece costantemente 33 impressione. Esso esisteva in tutte le statue di Phta, di Meris, 3» d’ Osimandia , di Rhamsé e di Sesostri ; che appartengono evidente- >> mente alle razza araba, o egizio-caucasica. ;,; ,. Siccome in quello stesso tempo ‘erano state spogliate dei loro >; inviluppi più di sei mummie provenienti dalle tombe dell’Alto- »» Egitto, io volli assicurarmi se questo carattere speciale dell’altezza 3» del fora auricolare si ritrovava nel cranio degli abitanti di quel 3; paese , e se gli artisti egiziani avevano colle loro produzioni copiata , esattamente ovvero sfigurata la natura. Io fui molto. sorpreso ve- 3» dendo sopra 30 teste di mummie , nelle quali 1’ angolo. faciale era 3: simile a quello della razza europea ., il foro; auricolare, il quale , ») tirando una linea orizzontale , si trova in noi a livello della parte 166 3» inferiore del naso , posto in questi cranii egiziani a livello della li- », nea mediana degli occhi. La testa , verso la regione delle tempie , >; è sempre molto ‘più depressa che nella nostra specie , il che deri- »» va , a parer mio; dalla posizione più elevata del foro auricolare. > Questa elevazione verso la ‘parte superiore del cranio ;} ‘nelle teste s3'delle mummie delle quali io parlo, era d’un pollice è mezzo ed > anche di due pollici maggiore che nei cranii europei. ,, « La mia prima idea fu che questa varietà ‘così notabile , che 33 questa specie nuova (se mi'è permesso d’ esprimermi così ) della 133 razza. caucasica , ‘era’ scomparsa dalla terra nel corso dei venti o »» ventiquattro secoli scorsi dall’ epoca nella quale gli egiziani, dei 3 quali io aveva sotto gli occhi le teste imbalsamate, erano stati de- 3; posti nelle tombe di Tebe, fino all’ epoca attuale. ,, ‘ Io credo potere assicurare oggi che questa varietà, così notabile >» per la conformazione dei suoi temporali e' per la posizione delle sue 3; orecchie, esiste ancora in Egitto. Mi sorprende soltanto che quest’os- 3, servazione sia sfuggita’ fin quì ai dotti che hanno veduto dei cranii 3, di mummie , ed: ai molti viaggiatori che hanno percorso 1’ alto E- 3; Egitto. 5, ‘ Io posso citare come un esempio evidentissimo di questa singo- 3» lar conformazione , che si° può riguardare come il tipo egiziano , un copto dell’alto Egitto, Elia Boctor, il quale ha vissuto venti anni 5, con'noi, e che era professore d’arabo volgare. To 1’ ho molto’ cono- 7; sciuto , e non lo vedeva mai senza che' 1’ altezza delle sue orecchie, > che si elevavano sopra la sua testa come due piccole corna, mi facesse 3) un impressione involontaria. ;, ‘€ ILascio agli anatomici ‘il dedurre i cambiamenti di proporzione 3 che la.configurazione del cranio ha dovuto portare nel volume del 3; cervello. -La razza ebraica ha molta relazione di somiglianza colla ;; razza ‘egiziana’; ella sì è: conservata quasi senza mescolanza. Io ho :, dovuto esaminarla , ed ho trovato nel sig. Carmoli , ebreo ; profes- 5, sore di lingua ‘ebraica, che l’orecchia, senza esser posta tanto in al- 33 to quanto nelle mummie e nei copti dell’ alto Egitto , lo era alquan- ;3'to più che in noi. Io penso dunque che questi caratteri speciali e co- 3, stanti dell? altezza del foro auricolare e della depressione dei tempo- 5» rali ‘bastino per stabilire nella razza caucasica una muova varietà, 3, 0 una sotto-specie, che si può chiamare egiziana, i rami più vicini 35 alla. quale sono la razza ebraica e la razza fenicia ed araba. ,; ( Le Temps; novembre 1831. ) ;In,jana memoria, della quale è stato fatto all’ Accademia delle scien- ze di Parigi un rapporto molto onorevole, il sig. Girou de Buzaraingnes ha presso a considerare i matrimoni , le nascite, ed i sessi.nei loro rap- porti coi diversi mesi dell’ anno. Il suo principale oggetto è stato quel- lo di mostrare che la riproduzione dell’ uomo ‘è soggetta alle stesse leg- gi che quella degli animali domestici , e che le circostanze , le quali 107, esaltano nell’ uomo e deprimono nella donna ciò che egli chiama la potenza motrice, favoriscono la'procreazione del sesso mascolino. Così l’uomo può divenire, più o meno atto a procreare dei maschi. o delle femmine secondo che sì applica a quegli esercizi che sviluppano la for- za muscolare , o si abbandona all’ozio che la fa indebolire , secondo che egli pratica la sobrietà o l’ intemperanza. Il lavoro del sig. Girou è fondato sui movimenti della popolazione in Francia per una diecina d’ anni, e sul confronto che egli ha fatto,, mese per mese , delle na- scite in relazione coi concepimenti, contemplati i diversi lavori nei quali si, occupano gli uomini nella successione delle stagioni. ( Le Temps 26 septembre 1831.) Da ricerche fatte con diligenza, in Italia, ed analoghe a quelle fatte in Francia dai sigg. Villermé e Milne, è risultato che di 100 fi- gli che nascono nei mesi di dicembre , gennaio, e febbraio , 66 muo- iono nel primo mese e quindici nel resto dell’ anno, di modo che soli 19 restano in vita dopo dodici mesi. Di cento altri nati nei mesi della primavera , 48 sopravvivono trascorso 1’ anno. Di cento nati in estate , 83 sopravvivono. alla fine d’ un anno. Finalmente nei mesi d’ autunno, di cento figli nati, 58 arrivano ‘a compiere i dodici mesi. Quanto all’ Italia, questa prodigiosa mortalità viene attribuita all’ uso ivi seguitato d’ esporre i bambini all’ aria fredda poco dopo la loro nascita, per farli battezzare nella chiesa. Però questi osservatori , espo- sti tali risultamenti , richiamano l’attenzione delle autorità ecclesia- stiche sopra questi fatti, invocando un rimedio che non offenda i prin- cipii della religione. ( Bid. Univ. Aoùt 1831, pag. 445.) Il sig. Dieffembach di Berlino in una sua opera molto lodata ha il- lustrato il soggetto interessante degl’ innesti animali, o dei mezzi di riprodurre o ristabilire delle parti distrutte o per accidente o per ma- lattia. Egli espone in una maniera completissima i diversi metodi im- piegati in queste osservazioni, metodi che possono ridursi a tre. 1.° Il metodo indiano, impiegato fino dalla più rimota antichità, e che consiste nel riparare la parte mancante a spese della pelle della parte più vi- cina; 2.° il metodo italiano, che il Tagliacozzi ha reso celebre verso il duodecimo secolo, e che consiste nel prendere da una parte lonta- na, per esempio dal braccio , la pelle con cui riparare il naso, man- tenendo bensì il braccio vicino al naso fintantochè la pelle, la quale deve essere staccata dall’uno per allungar l’altro, abbia contratto un aderenza permanente colle parti presso le quali è destinata a rimane- re ; 3.° il metodo più moderno, che si potrebbe chiamare scozzese , o anche tedesco, e per il quale si stacca completamente fino dal primo istante la porzione di pelle che deve servire a riprodurre le parti perdute. Su quest’ultimo metodo il sig. Dietfembach insiste principal- mente. Tuttavia non trascura gli altri due , e soprattutto per il primo 168 propone diverse modificazioni nei processi operatorii, modificazioni l’ utilità delle quali è giustificata dai successi che egli ha ottenuti mettendolo in pratica. Il libro del sig. Dieffembach è il più completo che sia stato scritto sopra una tal materia , e merita l’attenzione di quelli che si occupano della chirurgia. (Le Temps 18 Octobre 1831.) Il sig. Dureau de Lamalle ha presentato all'Accademia delle scien- ze di Parigi una pianta di canapa femmina, che egli crede essere stata fecondata senza la presenza d’una pianta maschile, essendo nata e cresciuta sola nella corte della di lui casa, che è contornata per tutti i lati da muraglie. Il sig. Ampère ha fatto osservare a questo pro- posito che la polvere fecondante può esser portata da una distanza molto grande, e probabilmente molto maggiore di quella che separava la canapa femmina del sig. Durean da altre piante maschili. Il signor Desfontaines ha riferito d’avere isolato quattro piante di canapa fem- mina, e che quasi tutti i fiori di esse sono stati sterili; ma che, aven- done distinti alcuni i quali erano fecondi, ha osservato che questi fiori contenevano tutti, oltre gli organi femminili, anche î maschili. Da una pianta di zucca (cucurdita pepo ) pianta sopra la quale sono separati i fiori femmine ed i fiori maschi, egli tolse tutti questi ulti- mi. I fiori femmine , in numero di quaranta, rimasero tutti sterili, all’eccezione di due che egli aveva fecondati artificialmente. Il nume- ro dei fatti, ha soggiunto il sig. Desfuntaines , ai quali si appoggia la teorica attuale della generazione delle piante è talmente grande, da dover sospettare che i pochi fatti citati come contrarii contengano qualche causa d’ errore. Il sig. Dureau de Lamalle ha replicato che il fatto della sterilità dei fiori femmine della zucca è contrario all’ idea della fecondazione a grandi distanze emessa dal sig. Ampère, giacchè , per confessione dello stesso sig. Desfontaines, esistevano all’altra estre- mità del Giardino delle Piante delle zucche coperte di fiori maschi, Il sig. Dureau ha soggiunto che egli non riguarda il fatto da sè citato come atto a rovesciare la teorica della generazione delle piante, ma che per esso si potrebbe essere indotti a credere che possa accadere per certi vegetabili, come accade per certi insetti, che una sola fe- condazione basti per più generazioni successive. (Le Temps 21 sep- tembre 1831.) Il sig. Girou di sopra citato ha fatto noti i risultamenti di due esperienze relative alla coltura delle piante cereali. La prima tende a provare che vi è del vantaggio impiegando per seminare un campo i semi più nutriti, e che l’economia che alcuni credono fare, impiegan- do semi inferiori , è ben lontana da compensare il minore e peggior prodotto della raccolta. La seconda esperienza dimostra che le prepa- razioni usate per preservare il grano dalla carie non possono esser considerate come efficaci se non in quanto il seme impiegato proven- 109 ga da una raccolta affatto libera dalla catie , essendone spésso infetti dei semi scelti seclura e ed apparentemente sani. (Le Temps 36 septembre 1831. ) La difficoltà d’incendiare la polvere da cannone sotto 1° acqua impediva d’ applicare la sua forza esplosiva a rompere degli scogli o massi pietrosi, come in alcuni casi è necessario o importante. Questa difficoltà è stata vinta dall’ingegnere sig. Lubke per mezzo del potas- sio; intorno all’ uso del quale egli aveva prima ragionato col sig. prof. Hiinefeld di Greifswalde. Esisteva nel porto di Pencmund uho scoglio enorme ricoperto di tre piedi d’acqua; che nuoceva molto ‘alla navi- gazione ; invano era’ stato tentato più volte di rimuoverlo. Î mezzi meccanici non avevano sopra di esso verun effetto, e rion si sapeva come fare per spezzarlo coll’uso della polvere. Il sig. Lube potè ot- tener quest’ effetto operando come appresso: Egli fece ‘introdurre un tubo di piombo lungo‘alcuni piedi; è ‘chiuso in fondo, in dn foro che era già stato fatto nello scoglio più anni avanti. Dentro a questo tubo era stato posto ‘un'involte di polvere, e sopra di questo ‘un piccolo pezzo di potassio, in modo che la polvere bene asciuttà fosse iti‘ con- tatto con esso. La parte superiore del tubo si terminava in imbuto, e portava, per mezzo d’un appartato semplicissimo , un piccol vaso della forma d’un anello da cucire ; pieno d’acqua ; é mantemito in una posizione verticale per mezzo d’un pezzo Ud’ esca ; la quale dove- va a suo tempo essere accesa, e consuimandosi interamente doveva produrre il rovesciamento ‘del piccol vaso contenente 1’ acqua: 'Essen- do stato disposto così il tutto, ed'accesa | esca ; le persone che Ave: vano operato ed altre ivi presenti in'waa barca sì allontarono è forza di remi, e ad una-distanza che li ponesse al coperto d’égni ‘pericolo restarono in attenzione del risultato dell’ esperienza. Il piccolo vaso rovesciandosi, allorchè l’esca fu consnmata ; versò 1’ dcqua'; questa intiammò il potassio , il potassio la polvere ; e l’ésplosidhe sî fece be: nissimo. Una seconda prova ebbe un risultato egualmetite felice. Per ottenerlo , bisogna che la. polvere sia asciuttissima; quella del commer: cio, che è spesso umida, non s’infiamma per mezzo del ra ( Bibl. Univ. Aoùt 1831, pag. 442:) Annunzi importanti. Se nel precedente fascicolo dovemmo contristare i nostri lettori , specialmente i toscani , deplorando la perdita sofferta per la morte dell’ astronomo sig. Luigi Pons, possiamo ora confortarli annunziando loro che una tal perdita è stata splendidamente riparata per la solle- citudine dell’ ottimo Principe , che ha destinato a succedergli il prof. Cio. Batt. Amici di Modena , il quale sarà a momenti fra noi. Il no- me è così noto, la persona così modesta , che ci asteniamo volentieri da altro soggiugnere. T. IV. Ottobre 22 I7 (0) Mentre la non comparsa per circa un anno del tanto applaudito Bullettino Universale del sig. Barone di Férussac c’ induceva con do- lore nella persuasione che quella utile impresa fosse stata per la forza delle circostanze abbandonata , riceviamo con gioia l’avviso che qui trascriviamo. “ La crise commerciale che tutte le intraprese, e specialmente > quelle che son destinate alla propagazione delle cognizioni scienti- > fiche, hanno sofferto da un anno , non ci ha permesso di pubbli- »» care fino a questo giorno più che un fascicolo delle otto sezioni del »» Bullettino per l’ anno 1831. ,, “ Il fascicolo di gennaio solo è venuto in luce. Noi pubblichiamo o Oggi quello di febbraio, e quello di marzo uscirà di quì a pochi 3» giorni. Questo ritardo ci è stato penoso ; forse anche più che ai no> 33 stri abbonati , dei quali i ragionevoli reclami e la giusta impazienza 3 ci hanno provato l’ interesse che essi pongono nei nostri lavori , 3) e noi non abbiamo cessato di cercare i.mezzi onde adempiere i no- 3 stri impegni verso di essi, e di acquistare nuovi diritti all? atten- , zione del. pubblico. ,, ‘‘ Questo momento è giunto ; alcune disposizioni prese con un ,, associazione composta dei sigg. Firmin Didot , Fain et Desgranges, ,,, le Case dei quali conosciute nel commercio librario e nella tipografia 3, Offrono guarantigie certe , assicurano d’ ora in poi la pubblicazione 3, regolare della nostra raccolta. A contare da questo giorno, quest’as- 3, SOCiazione s’ incarica, per conto della Società anonima del Bu//ettino, 3» dei rapporti. commerciali e di. tutte le particolarità d’ esecuzione », d’ un’ intrapresa, che si è fatta, conoscere sotto il. doppio rapporto ,, dell’ interesse delle scienze e dell’ industria da sostenere , e. d’ un’ »» occupazione regolare da creare per un numero notabile d’ operai. ‘ Tutte le nostre disposizioni sono state concertate per poter ben- ,,, tosto mettere fn pari la pubblicazione del Bullettino. ,, “ Due fascicoli almeno compariranno ciascun mese fintantocliè 14 Panno 1831 sia stato interamente pubblicato; e noi speriamo di 3 giugnere 1a questo alla fine di gennaio 1832:.,, ‘ Le tavole formanti il dodicesimo fascicolo dell’ anno 1830 sono) »; sotto il torchio , e verranno in luce prontissimamente, ,, ‘ Parigi 30 settembre 1831 ,». II NECROLOGIA. Appendice all’articolo Roscor inserito nell’ Agosto dell’ Antologia. Il desiderio di pagare al più presto il debito della gratitudine ad in uomo sì benemerito dell’ Italia come il Roscoe mi fece affrettare un articolo, che meno affrettato potea pur riuscirmi e. men faticoso e meno incompleto. Quel pochissimo ; che accennai, de’dibattimenti parlamentari, al tempo che il Roscoe sedè nella camera de’comuni della sua mazione, il raccolsi a gran stento da non so quanti li- bri diversi venutimi per sorte alle mani. Qualche storia che, indu- giando io un poco, mì si fosse presentata dell’ inglese parlamento (av- vene una, mi si dice, assai ben fatta, che va sotto il finto nome del Conte di S. Leu con note pur finte di Napoleone) mì avrebbe fornito facilmente quel più e quel meglio che mi bisognava. Più notizie bio - grafiche intanto, non avendo tempo d’aspettarne di lontano, mi sa- rebbero forse state fornite da altri libri, a cui mi avrebbe ricondotto o la mia memoria o quella degli amici. Uno di essi, infatti, C. E. Liverati, giovane pittore di molta espettazione , e assai perito della letteratura dell’ Inghilterra ove ha passato più anni, mì ricorda molto opportunamente il Shetch Book, Libro di Sbozzi, di Goffredo Crayon, nome scherzevole che al Washington Irving suo autore è piaciuto di prendere. In questo libro, che può dirsi il primo fiore della letteratura anglo-americana (v. intorno ad esso un articolo inserito nel N.° 5.° dell’ Antologia) é una specie di ritratto morale del Roscoe, non ricco propriamente di notizie biografiche, ma pieno di osservazioni che vi alludono e che a me sembrano assai belle. Debbo all’amico di poterne qui presentare quel più che possa piacerne a lettori italiani. “ II primo o nno de’ primi luoghi -a cui siete condotto giugnendo a Liverpool (ciò si riferisce al 1817 0 18) è l’Ateneo, congresso let- terario della città, fornito di buona libreria e di sala. spaziosa, ove trovate ad ogni ora e in gran numero uomini di grave sembiante as- sorti nello studio delle gazzette. Ivi una volta vidi entrar uno che at- tirò particolarmente la mia attenzione: alta statura, portamento digni- toso benchè un po’curvo per gli anni e forse per le cure, testa pitto- resca, fisonomia romana, fronte segnata da lievi rughe che facean fede del pensiero, occhi pieni di fuoco poetico, e che troppo il distingue- vano da quanti gli. eran d’intorno. Chi è egli? io chiesi. Mi fu risposto è il Roscoe , e aggiunto alcun che del viver suo e delle sue vicende. “ Questi dunque , dise’ io fra me , arretrandomì per rispetto , è l’ autor celebre i cui scritti son giunti a’ confini del globo , han pe- netrate le solitudini dell'America? Non conoscendo noi i dotti europei 172 che pe’ loro scritti, quasi ce li imaginiamo diversi dal resto dell’ uman genere, viventi in un’ atmosfera di gloria , lungi affatto da’ battuti e polverosi sentieri della vita. Il trovar quindi l’ elegante storico de’Me- dici su quello ove s’ affollano gli affaccendati figli del traffico confuse un poco; a prima giunta; le mie poetiche idee. Se non che di qui ap- punto e da altre particolarità dell’ esser suo nacque per me in seguito motivo. particolare. d’ ammirazione. < Mirabile infatti è il vedere un ingegno formarsi vigorosamente | da sè ‘stesso, vincere col favor della natura , di cui attesta il potere , gli ostacoli della sorte , sorgere per così dire come que? germi che .il vento ha lanciati fia le fenditure delle rupi ,.e farsi via incontro al sole ; spandendo: sulla sterile sua cuna le ricchezze d’ una bella ve- getazione. bid «“ Nulla di più sterile per le lettere e per l’arti eleganti, quando il Roscoe nacque; che la città ov’ ei nacque. Così sterile come le città ‘del nostro ancor giovane paese , ove i bei fiori dell’ nne e dell’ altre appena posson essere coltivati da alcuni diligentissimi fra le piante co- muni dell’ arti che produce la necessità. Il Roscoe; fattosi a coltivare il fior delle prime specialmente , e divenutone cultore celebratissimo , usò ogni suo potere perchè e le une e le altre si facessero naturali alla sua città ; nel che particolarmente si distingue dal maggior numero degli scrittori più celebri, e merita d’esser proposto in esempio, a’miei compatriotti. “ Gli scrittori più celebri in generale non sembrano quasi vivere che per sè stessi, chiudonsi per così dire. nell’ eliso de’ lor pensieri e della loro immaginazione , non si mostran solleciti che della propria celebrità: Il Roscoe è pur vissuto per altri, s’° è adoperato costante- mente , se così possiamo esprimerci ; a piantar roseti, a far scaturire . pure fonti lungo i sentieri più comuni per comodo, e conforto di tutti, Avvi £ una giornaliera beltà nella sua vita ,, una quotidiana solle- citudine pe’ suoi concittadini, un quotidiano beneficio forse verso la patria. Egli ha mostrato quel che in pro della patria possa un uom solo che a lei consacri tutti i momenti. concessigli dall’ altre cure , tutto quello di cui a sè medesimo è debitore. Simile al suo Lorenzo de’ Medici , in cui pare ch’ ei riguardasse come in uno de’ più puri modelli dell’antichità , egli per così dire amò intessere Ja storia della propria ‘vita a quella della patria , dare per fondamento alla fama di lei la propria fama e la propria virtù. « Egli trovò il finme della ricchezza tutto rivolto pe’ canali del traffico, e ne derivò zampilli copiosi ad avvivare gli studi più belli, Egli cereò di operare fra il traffico e i begli, studi quell’ unione, di cni egli medesimo avea dato 1° esempio, e che in uno degli ulti- mi suoi scritti (per |’ apertura. dell’ Istituto di Liverpool) racco- mandò sì eloquentemente. Quindi e l’ istituto già detto ed altri , che fanno oggi molto onore a quella città, danno alle menti de’ suoi 173 abitatori nuovo impulso , e promettono (‘ove si consideri com’ essa 3 grazie al suo traffico , ormai tenga il primo luogo dopo la metropoli ) non piccolo accrescimento alla cultura intellettuale dell’ Inghilterra. ‘° Come banchiere , mi si disse, il Roscoe fu assai disgraziato. E a questo riguardo certamente è da compiangersi, benchè non come sentii fare da alcuni ricchi. Un uomo , qual egli, è troppo su- periore ai capricci della fortuna. Egli è almeno più indipendente degli altri dalla fortuna e dal mondo. Ei vive coll’ antichità , vive coi po- steri da cui si promette rinomanza, vive con sè stesso , compagnia ec- cellente cui nella prosperità avrebbe un poco trascurata, fonte per lui de’ più belli e più sublimi pensieri. ‘ Così io ragionava fra me stesso , visitando un giorno con un amico i contorni di Liverpool. Quand’ egli a un tratto, svoltando ò m’introdusse per un cancello in un grazioso podere, ove a non molta distanza sorgeva ampia casa di polita pietra e di stil greco non puro ma abbastanza elegante , con bel pratello al di là , posto in declive e contornato d’ alberi, a capo del quale vedevasi il Mersey serpeggiante fra verdi e vasti campi, e all’orizzonte le montagne del paese di Gal. les , sfumate e quasi perdute nelle nubi. “ Fu questa ne? giorni ‘della prosperità }’ abitazion prediletta del Roscoe , l’ asilo della quiete studiosa, 1’ albergo della gentile ospita- lità, della dolce amicizia. Quand’ io la vidi era deserta » le finestre, onde scorgevasi ( da quelle dello studio specialmente ) quanto s’offre all’intorno di vago o di maestoso , n’ eran chiuse ; ogni inter- no ornamento n’era scomparso. Due o tre uomini di sinistro a- spetto le si aggiravano in vicinanza, e mi facean pensare agli esecu- tori della legge che vennero a spogliarla. Chiesi che fosse avve- nuto di tanti libri preziosi che il Roscoe vi avea raccolti , e grazie ai quali potè comporre le sue bell’ opere in ispecie relative alla storia d’ Italia. Essi erano passati sotto il martello del banditore ( questi in Inghilterra batte ad ogni offerta con un martello sopra il piccolo pul- Pito ove sta) ed eranò sparsi pel paese. Korekers d’ ogni specie , git- tandovisi come agli avanzi d’ un vascello naufragato , se li eran di- visi. Ignari speculatori , forse, attoniti alle lettere nere (i caratteri teutonici delle prime stampe), indifferenti al resto » salvo alle mi- miature -0o alle legature. Ridicoli dilettanti, simili a pigmei che si contendono il possesso dell’ armi d’ un gigante cui non possono ma- neggiare, ‘ Nulla par che commovesse il Roscoe nella sua disgrazia come la perdita de’ suoi libri. Ei li pianse con alcuni versi (che il Wa- shington Irving riporta ) e che son gli unici forse della sua inoltrata età. Li pianse come cosa che potea tenergli luogo di molt’ altre per- dute , che poteva ancor procurargli que’ diletti che ne’ giorni stessi della prosperità furono per lui i più cari. Come però sì permise ch’ essi gli fossero tolti ? Il serbarglieli sarebbe pur stata una testi- T. IV. Ottobre. 23 174 monianza d’ onore così delicata che meritata. Ma forse, grazie alla consuetudine, o alle occupazioni che il Roscoe avea comuni con molti, ei fu confuso con essi. Forse l’ istessa sua semplicità , che aggiu- gne tanta grazia al suo merito, ha potuto scemargli reverenza nel concetto de’ suoi concittadini. Se non che i colti stranieri , che par- lano di Liverpool , non ne parlano che come della patria del Roscoe; i colti viaggiatori, che giungono a Liverpool, non cercano che di lui. Egli è comeil Zandmarl ( indicator stradale ) che addita 1’ esi- stenza di Liverpool nel mondo letterario; è come la colonna di Pom- peo in Alessandria , ove sorge alta e solitaria nella sua classica di- gnità ,,. L’ amico , a cui debbo , come accennai , di poter qui presentare questo ritratto morale del Roscoe , mi ha pur dato di vederne un ritratto inciso , che conferma ciò che nell’ altro si accenna del suo nobile aspetto. La sua fronte ci fa pensare all’ Alfieri ; il naso e il” mento ad un principe , che non ebbe per vero dire alcun’ affinità coll’ Alfieri, ma pur cominciò il suo regno colla fondazione d’ una co- lonia che anche nell’Alfieri potè destare ammirazione ; 1’ insieme or al gran legislatore degli Americani, a cui è singolare che 1’ americano autore del ritratto morale non pensasse , ora a Scipione l’ Africano , a cui egli probabilmente pensò. Dissi nell’ articolo , a cni queste parole formano appendice , di non sapere in che il Roscoe , compiuta ch’ ebbe la sua maggior opera legislativa , si fosse ancora occupato. Un egregio botanico , E. Re- boul, che pur mi è grato di annoverare fra quelli che mi onorano della loro amicizia , mi parla d’ una sua opera botanica impressa a Liverpool fra il 1828 e il 29, ricordandomi ciò che ne scrisse nella Biblioteca Univ. di Ginevra ( Settembre 1830 ) 1’ illustre De Candolle, e di cui mi giova riferire alcuni periodi. “ Come a soggetto della sue opere storiche il Roscoe scelse una dell’ epoche più belle per le lettere e per le arti ; a soggetto della sua opera botanica scelse una famiglia di piante (le Scitaminee ) bellissime fra tutte per la lor forma e il color de’ loro fiori. Ei non potea dare vera idea di queste piante che per mezzo di tavole co- lorate ; e le tavole , perchè loro corrispondessero , doveano esse pure esser bellissime. Quindi ei pose ogni cura, perchè tali riuscissero , ond’ è che la sua opera (in forma atlantica ) può dirsi una delle più splendide che la botanica possegga, come (non essendosene tratti che 150 esemplari ) è delle più rare. Ogni tavola rappresenta una specie particolare di piante nel suo tutto e nelle sue parti; ed è accompagnata da un foglio di stampa che ne contiene la deseri- zione e la sinonimia. Le specie rappresentate e descritte sono 112 fra tutte , subordinate a 15 generi diversi ( ripartiti in due sezioni d’un medesimo ordine o famiglia, le Musacee e le Scitaminee propriamente dette ) e a ciascun de’ quali è preposta un’ esposizione de’ caratteri 175 che lo distinguono, del metodo tenuto dall’ autore nello studiarlo e delle ragioni di questo metodo. All’ intera opera è preposta un’ in- troduzione o discorso generale intorno alla famiglia delle piante che si son dette, e una tavola sinottica de’ generi e delle specie. ‘€ Quest'opera fu composta , si può dire, all'ombra del giardino di Liverpool , celebre anche fra quelli della Gran Brettagna, ed ove son raccolte con special cura le Scitaminee di tutti i paesi che stanno fra’tro- pici. Il loro studio fu pel Roscoe necessariamente assai lungo, poi ch’ esse ne’ giardini non fioriscono facilmente , e tanto men facilmente maturano i loro frutti, ond’è forza aspettare più e più anni per com- pire la lor descrizione , che riguardo a’ frutti, per vero dire, ove non si esca da giardini, deve sempre riuscire un po’incompleta. ,, Quindi intendiamo che lo studio botanico del Roscoe risale ad un tempo molto anteriore alla pubblicazione dell’opera di cui si parla. Forse al tempo in cui il gran poeta della Germania , il Goéthe, pub- blicava la prima volta quel suo Saggio sulle m etamorfosi delle piante, | oggi celebre , allor trascurato , poichè (come diceva lo scorso luglio in una nota all’ Accademia Parigina delle Scienze il Geoffroy Saint-Hi- laire) precedette quasi di mezzo secolo i botanici che poteano inten- derlo. Vent’ anni prima che questo libro , di cui abbiamo da poco una terza edizione riemendata, uscisse una seconda volta alla luce, il Ro- scoe, per quel che raccolgo dalle parole del De Candolle, pubblicò negli Atti della Società Linneana di Londra uîia memoria intorno alle due sezioni in cui fin d’ allora gli piacque distinguere la famiglia delle Scitaminee , cui , giudice il De Candolle medesimo , ha poi nell’ ultima sua opera così bene descritte. ‘< Oltre le 112 specie, di cui si disse, il Roscoe annunzia in una poscritta d’ averne ricevute 500 e più altre, cui avrebbe desiderato aggiugnere alle prime. Se non che l’avanzata età gli consiglia , com’ei 8’ esprime , di starsi contento a queste, fra le quali ne son pur molte muove e magnifiche, di cui, principiando la sua opera, non aveva egli stesso alcuna idea. E noi pure (è il De Candolle che parla) avremmo grandemente desiderato che l’uomo illustre potesse fare all’ opera sua il supplemento che divisava. L’opera intanto, qual egli ce l’ha data, è non pur una raccolta importante di fatti bene osservati (il De Candolle ha potuto esaminarli in faccia a molte piante descritte dal Roscoe e man- date dal giardino di Liverpool a quello di Ginevra) e deve servir di base agli studi futuri che fossero per farsi intorno alle piante medesime a cu e consecrata ,,. Di quest’opera splendidissima è giunto da poco un esemplare alla real biblioteca palatina , ove , grazie all’ amicizia di chi vi presiede (il nostro Molini ora in viaggio verso la patria del Roscoe) ho potuto contemplarla a mio agio , presenti, per singolar caso, un rinomato filologo e compatriota del Roscoe il dottor Noth , e un me- dico-botanico della Curlandia non men riputato , il dottor Hannert , 176 il quale si è compiaciuto mostrarmi le piante (e non son poche) di cui al Roscoe dobbiamo la conoscenza. I miei occhi si sono fermati con speciale diletto su quella, che l’illustre suo amico J. E. Smith chiamò già dal suo nome Roscoea Purpurea, di che vedi il vol. 13. della So- cietà Linneana di Londra, a cui il Roscoe era aggregato , come lo era ad altre scientifiche società dell’ Inghilterra e dell’ America , indicate nel frontispizio dell’opera, che probabilmente fu 1’ ultima della sua vita. Nessun Italiano vedrà quind’innanzi la Roscoea che anch’ egli al Roscoe non voglia dedicarla. Chi ponesse al Roscoe lapide o cippo iu qualche nostro giardino, vorrà forse collocarvi accanto la bella pianta, 11 cui fiore azzurrino (v. nel nuovo Vitruvio d’ Udine la dissertazione sulle porpore diverse) punto non disdice a funebre monumento , e può parer simbolo d’un ingegno nobile insieme e modesto, in cui era qual- che cosa della serenità d’un bel cielo. M. ERRATA CORRIGE Al precedente Fascicolo. Pag. 123. lin. 8. sebbene , = leggasi = che, sebbene I BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ANTOLOGIA ICONOGRAFIA contemporanea , ovvero collezione di ritratti dei più celebri personaggi d° Italia, accompa- gnata da notizie biografiche , lettera- rie, e cronologiche. == I ritratti son disegnati dal. sig. Prerro Ermini, ed incisi dal sig. FR. VENDRAMINI. = La compilazione delle notizie biografiche è affidata ai più, rinomati iscrittori di Fi- renze; in f.° m.° Firenze 1830-31. Tip. di L. Pezzati. E pubblicato il. fasci- colo IX. (Canova). SAGGIO sulla Storia della lettera- tura italiana uei primi 25. anni del se- colo XIX. Opera di A. L. Milano, 1831, A. F. Stella e F. 8.° di p. 350 prezzo lire 4 it. IL CATILINARIO ed il Giugur- lino , libri.duè di C.. Grispo SALLUSTIO, volgarizzati per \F. BaRTOLOMMEO DA S. Concorpio'; in questa seconda 1m- pressione nuovamente conferiti cul testo latino ed. a miglior lezione recati con l’ aiuto dil due codici fiorentini. Napoli, 1827, St: Francese 8,° prezzo duc. I. ANTOLOGIA di prose italiane , compilata ed. annotata. per BasiLio Puori. Parte prima, educazione de’fan- ciulli. Napoli, 1828, St. Francese 8.° di p. 250. DELLA ‘utilità dello studio delle lettere umane. Orazione di S. BasiLio Macno, dal greco idioma voltata in toscano, per BasiLio Puoti. Napoli , 1829, Tip. dell’Albergo de’Poveri, 8." IL SOGNO, e due dialoghi di Lu- ciano volgarizzati dal greco da CESARE DaLsono. Napoli, 1830, St. e cartiera del Fibreno. SOPRA un bassorilievo di Tito An- gelini, Lettera di Cesare DaLsono al suo Michele Baldacchini.Vapoli, 1831, St. del Fibreno , 8.° VIAGGIO al Monte Sinai di Sr- MonE SicoLi : testo di lingua , per la prima volta’ pubblicato dal Poggi di Firenze nell’anno 1829, ed ora di nuo- vo messo a stampa per cura di Basilio Puoti. Napoli, 1831, Tip. nella Pietà de’ Turchini. Strada Medina N. 17. 8.° prezzo gr. 40. DUE novelle ed una lettera critica intorno all’arte del novellare, di V. PaLermo. INapoli, 1831, St. del Fibre- no. Volumetto di p. LXIX. e 64. DELLA privativa,trattato di Gram- maria Puoi , del Real Instituto d’in- coraggiamento e dell’ Accademia pon- toniana di Napoli. Napoli, 1831, St. del Fibreno 8.° di p. XIV è 170 prez. gr. 40. DISCUSSIONE istorico-critica sul- la italo-greca città di Samo , vera pa- tria di Pittagora, del’ canonico Mr- cuHeLancELO Macri socio onorario della Reale Accademia delle Scienze ; e ord. della Pontoniana di Napoli. Mapoli , 1831, Tip. della Società Filomatica di p. 94. ISTORIA dell’ Europa di Pirr Francesco GrampuLLari dall’anno 887 al 947. Sesta edizione, purgata da molti errori delle precedenti. Licorno, 1831, Glauco Masi, Volume I. (fa parte della scelta Biblioteca di Storici Ita- liani). VEDUTE DI SARDEGNA. Tori- no, 1831, presso G. J. Pic Libraio della Reale Accademia delle Scienze. In folio. Dispensa II. con 5 tavole. INTRODUZIONE allo studio del diritto pubblico e privato «del Regno 178 di Napoli , Opera po del Gav. G. Dre TuÙomasis:, Napoli, 1831, Tip. nella Pietà de’Turchini8.° dip. xxm € 440; prezzo carlini 12. NELLE nozze dègli egregi fidan zati signor P. Rosazza ‘colla signora F. Cromo , Versi. Genova, 1831, Pon- thenier. 8.° DUE Canti di Carerina FRran- cescHi FERRUCCI. Bologna, 1831, Tip. della Volpe. IL MECENATE e i dotti, Gom- mediu. Napoli , 1831, Società Filo- matica, LETTURE piacevoli per sollievo | dalle ordinarie occupazioni ad uso delle, gentili e costumate persone. Parma ,| 1831.Pietro Fiaccadori: Volumetti XIII | e XVIII — 7 e r2 dell’ ingegnoso Don Chisciotte della Mancia , opera di M. . Cervante di Seravedra, traduzione nuo-! vissima procurata da B. Gamba. — el volumetto XIX di pag. 280 , 1." della ? Istoria di Gilblas di Santillano scritta da Le Sace, elegante traduzione ità- | liana;; prezzo di assoc. lire. 1. 20..it. pri non associati l. 1. 50. Delle verità della Cristiani Religio- ne , trattato di Jacopo VERNI.T , vol- | tato in ital. da T. Rospomini. Parma , 1831. P. Fiaccadori. Fasc. I.° di p. 96. | Quest’ opera, nuovamente tradotta, | verrà pubblicata in venti fascisoli , al prezzo di 50 centesimi. ‘ ETRUSCO MUSEO CHIUSINO , dai suoi possessori pubblicato, con ag- giunta di alcuni ragionamenti del prof. Domenico VALERIANI , con brevi espo.. sizioni del Cav. Francesco INGHIRA- mi. Firenze , 1831, Pol. Fiesolana. in 4. fascicolo VII. (Il Ragionamento VII. del prof. Valeriani, con 7 tavole. | ( Verte sulla vera situazione topogra- | fica di Vetulonia ). CENNI su gli avanzi dell’ antico Solunto , per Domenico Lo Faso Pre- | rrRasanTa Duca pi SerrADIFALCO. Pa- lermo, 1831, Tip. Solli in folio di p. XVIII. con tavole VII. ILLUSTRAZIONE di un antico . Vaso fittile , per Domenico Lo Faso PierrasanTA Duca DI SERRADIFALCO, Palermo, 1831, Fil. Solli, pag. 8.° con tavole. NUOVO dizionario de’ Sinonimi della lingua italiana, di Niccorò Tom- maseo. Firenze , 1831 , L. Pezzati. Dispensa V. ( E-EV ). Le associazioni si ricevono presso Ricordi e C. VIAGGIO a Pompei e a Pesto , e di ritorno ad Ercolano ed a Pozzuolo, dell’ Ab. Dom- RomaneELLI ; edizione terza arricchita di tutte le nuove sco- perte fatte a tutto l’anno 1830, tratte dal libro intitolato Pompei descritta dal Conte Bonucci , architetto diret- tore de’ reali scavi di Pompei ed Er- colano. Milano , 1831, Tomi ll. con pianta (sono i N: 43 e 44 della Rac- colta di Viaggi, pubblicata da detto Sonzogno, terzo biennio). OSSERVAZIONI bibliografico-let- terarie.( di Sr. Aupin) intorno ad ‘un edizione ‘sconosciuta del Morgante maggiore di Luicr Putcr , eseguita in Firenze nel 1382; colla descrizione d’un edizione del DecameRONE di Giro. Boccaccio , che credesi eseguita nella stamperia fli S. Iacopo di Ripoli, circa il 1383. Firenze, 1831, St. Arcivesco- vile pag. 20. METODO per' servire alla coltiva- zione de’ bachi da seta di Gius. M. Bozori. Ferrara, 1831, G. Bresciani. ZULEKA, ossia la fidanzata di A- bido , trad. in versi di Gius. M. Bozo- Lr. Ferrara, 831, G. Bresciani. ESAME fisico chimico delle acque potabili di Roma ; del dottor Pierro Carpi, pub. profes. di Mineralogia nel- l’Archiginnaso Romano , di fisico-chi- mica nel Seminario Romano , membro del collegio chirurgico di Roma, e socio di varie accademie. Roma, 1831, Ant. Boulzalder 8.° di p. 44. con tavole. CENNI storico medici intorno l’af+ fezioni reumato-catarrali , dominanti in Roma, dette Krips di T. M. Dottore di filosofia e medicina. Roma, 1831 ; Tip. Contadini , di pag. 15. OPERE varie edite ed inedite di Ennio Q. Visconri. Milano, 1831 , A F. Stella e F. Fascicolo XlIl ed ul- timo , 8.° DELLA struttura degli organi ele- mentari nelle piante e delle loro fun- zioni nella vita vegetabile con 8 tavole incise in rame del prof. D. Viviani. Genova , (1831, Tip. Yves Gravier. Annunzio tipografico. = Essendo passato nelle mie mani il manoseritto del sig. prof. Viviani col titolo sopra indicato , sotto il quale si comprende un corso di Anatomia, e Fisiologia vegetabile ; ed essendone già avanzata l’ impressione al punto da potere assi- eurare che dentro il mese prossimo di novembre sarà condotta a fine, eredo conveniente di prevenire coloro che desiderassero farne acquisto, che que- st’ opera formerà un volume in 8.° di 400 circa pagine d’ impressione, in carta e caratteri simili al presente ma- nifesto. Il sno prezzo sarà di lire nuove 10 per coloro che si saranno sottoscritti nel manifesto prima dell’ epoca indi- cata, e di l. n. 12 dopo la sua pub- blicazione. Il prezzo non sarà sborsato che alla consegna dell’ opera. Genova , 1 Ottobre 1831. J. Gravier. IL PROGRESSO delle Scienze , delle Lettere e delle Arti. Napoli, 1831. ProGeTTO. — Si farà parola in que- st’ opera. di tutto quanto è rivolto a promovere la civiltà e l’umano sapere, . segnatamente in Italia. Opera di molte persone , e di non breve lavoro , siccome quella che di più parti e le più svariate è composta, darassi alle stampe nella guisa dichia- rata qui sotto. Condizioni dell’ Opera, e modo di farne l’ acquisto. L’ Opera sì comporrà di 3 volumi in ottavo, da uscire in luce nel ve- gnente anno 1832, in sei fascicoli , de’quali ciascuno sarà non minore di fogli 10 di stampa. Due fascicoli formeranno un volume Sarà pubblicato un fascicolo in ogni bimestre, ll prezzo di un fascicolo sarà di car- lini 5. Gli esemplari saranno inviati nelle province del Regno , franchi di porto. Pel rimanente d’ Italia e_ pe’ paesi oltremonti , le spese di porto saranno a carico degli associati. 1 danari dovran pagarsi in Napoli, sia nell’ atto della consegna deli’esem- plare , sia nell’ atto della soscrizione. Le soscrizioni e i danari ricevonsi nella libreria di Cammillo Settembre , 1179 Toledo n.° 290 e nella libreria di R. Marotta e Vaspandoch, largo della Tri- nità Maggiore. Nè lettere, nè danari saran rice- vuti, se non franchi di. porto. Coloro i quali procureranno 10 as- sociati, ovvero la vendita di 10 copie, avranno l’ undecima gratis. Il sesto, la carta e i caratteri sa- ranno simili al prospetto. Tipografia , Calcografia e Libreria Fontana in Milano. E stato pubblicato Monti. Le Opere, in un vol. 8.° carta velina, legato alla bodo- niana , ediz. completa It. L. 6 Sancri Joannis CHRYSsOSTOMI opera. Vol. 1. in 8.° MicHÙav, Storia delle Crociate: nuova trad. di F. Ambrosoli sulla quarta ed ultima edizio- ne originale in 8.° Vol. r. e a. 12,62 Roserrson, Storia dell’ antica Grecia, 2 vol. Jonnsron , L’Ozioso trad. di S. Seppilli. Vol. 1. 2 1,75 Tasso, Prose Scelte 1 vol. 1,50 L'Homonp, De Viris IUlustribus 1 vol. 1,75 Beccarra , Opere 1 vol. 16.° 1,50 AmBprosoLI , Manuale della Let- teratura Italiana , vol. 1. 4,50 Marre1, Cav. Andrea, Studii poetici 1 vol. carta velina, elegante edizione, 1,75 Mir, Economia. politica trad. dall’ inglese 1 vol. 3 Bossurt, Oraisons funèbres 1 vol. in 16. 1,50 ALMANACCHI Almanacchi per .l’Anno bisestile 1832 pubblicati da Giovanni SiLve- stRI di Milano. 1. I Proverbi del buon Contadino. 2. Il Giocolatore nelle serate inver- nali. 3. Il nuovo Sciaradista. 4. La Storia , almanacco cronolo- gico universale, ossia N. XII. dell’Al- manacco Ogni giorno un fatto storico. 5. L’ Impostore smascherato, o sia il IVil sub sole novum. 6. Giornale Astronomico, con me- morie atronomiche. LA Galleria del mondo, almanacco er l’ anno 1832. Anno VII. Milano , 1831, A. F. Stella e F, 180 NOTIZIE d’un viaggio nella Luna di Giovanni LirtROw , prof. d’astro- nomia ec. Almanacco utile dilettevole per l’ anno bisestile 1832. Milano, 1831 , Lorenzo Sonzogno. UN Paniere di frutte dedicato al bel sesso , dall’ autore della Botanica e del Linguaggio dei fiori. Milano , 1831, Lorenzo Sonzogno , con alma- nacco. NON TI SCORDAR DI ME, stren- na pel capo d’anno , ovvero pei giorni onomastici , compilata per cura di A. C. n.° 1. Milano, 1831, presso P. G. Vallardi: volumetto di p. 216 con tavole in rami: prezzo leg. alla bodo- L. 8it. LA GLORIA DELLE BELLE ARTI (Anno, Vl) nelle esposizioni dei grandi e piccoli concorsi e delle opere degli artisti e dilettanti posta in luce nella galleria dell’ 1. e R. Accademia delle belle arti di M:lano, l’anno 1831, con 22 stampe d’intaglio in rame : al- manacco per l’anno bisestile 1832. Mi- lano , 1831, presso P. G. Vallardi. prezzo L. 4. 5o it. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. SAGGI politici dei principii, pro- gressi e decadenza delle Società, di | Francesco Mario Pacanmo. Terza ed. Lugano , 1831 , Ruggia e C. T. II. VITE de’ famosi Capitani d’Italia, ‘ composte per Francesco Lomonaco col- I° aggiunta dell’ elogio di Raimondo Montecuccoli scritto da AGostino Pa- raDisi. Lugano , 1831, Ruggia e C. Tomo II. RECLAMO. A richiesta del sig. Gav. Vacani, riproduciamo la seguente dichiarazione già inserita nella gazzetta di Milano, N. 344 Dicembre 1828. « Un libro di 315 pag. in 18.° sotto il titolo : « Osservazioni, aggiunte , schiarimenti , emende e considerazioni storico-militari all’ opera del cav. mag- giore Vacani Storia delle campagne e degli assedi degl’ Italiani in Ispa- gna ‘,, fa testè pubblicato da V. Ba- telli e comp. in Firenze. Il cav. maggiore Vacani lo ha per- corso colla calma e coll’ indifferenza dello storico d’onore ; ributta ogni as- serzione anonima diversa dalle sue , fondate tutte sulle più autentiche te- stimonianze di capi di guerra integerri- mi e di nazione diversi; rammenta aver egli preso a serivere non i fatti minimi nè la serie ‘che si vorrebbe di nomi su- balterni, sibbene la storia delle campa- gne e degli assedi, in un .col nodo politico della guerra di Spagna , e ri- conferma in tutto l’ asserito nei tre volumi dell’ edizione originale di Mi- lano eseguita sotto i suoi occhi e con- trassegnata della sua cifra in hollo a secco , la sola edizione che col cor- redo indispensabile di tutte le 16 gran- di tavole da lui disegnate e per lui incise a bulino, costituisce l’arduo ed oneroso edifizio storico-topografico eret- to a tutto suo carico alla gloria mili- tare delle italiane legioni nelle Spagne. Vienna, 24 novembre 1928. C. V. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello delmare piedi 205. OTTOBRE 1831. Termom. | Ora Stato del cielo | 017 9wo1veg 013201018] 017 «aWo1An]q ord -Qosowauy | ] 7 mat. |27. 114 ia 16,7: 88 ron INavolo Ventic. 1| mezzog. |27. 10,7 | 17,2| 19,0 87 |Ponent, ' Nuvolo Ventic. Ii sera |27. 0,6 | 17,4| 15,6 99 ‘Os. Li. Ser. nuv. Calm, 7 mat. |27. 10,5 | 17,3| 14,8] 95 Levan. |Sereno neb. Calma 2| mezzog. |27. 10,5 | 17,5| 20,2] 66 Sc. Le. |Sereno nuv. Ventic. II sera |27. 10,8 | 18,0] 16,6] 87 Os. Li. |Sereno Calma 7 mat. |27. 10,9 | 17,8] 13,5] 95° Sc. Le. \Ser. con neb.. Ventic. 3| mezzog. |27. 11,3 | 17,9| 16,9| 88 | 0,04 Libec. l'Pioitoso Calma 11 sera |27. 11,6 | 17,8! 14,5] 92 iSciroc. | Sereno nuv. Calma | 7 mat. |28. 0,2 | 17,0) 12,2] 95 Ostro. |Nuvolo Calma 4| mezzog. |28. 0,4 | 17,9] 16,2| 77 P. Ma. {Sereno Ventic. {ur sera |28. 1,6 | 17,9] 13,7] 94 Os. Sc. {Sereno ' Calma 7 mat. |28. 1,8 | 17,0] 13,4] 94 T. Ma, |Nuvolo Calma 5| mezzog. |2,8 2,0 | 17,0) 16,0] 83 T. Ma. |Nuvolo ser. Ventic. _| rt sera [28. 2,6 | 16 r| 12,2, 93 Os. Li. ‘Sereno Ventic. 7 mat. 28. 2,6 | 16,2] 11,0 g5 Sciroc. | Neb. folta Vertic. 6| mezzog. |28. 2,6 | 16,0] 16,0] 33 Libec. |Ser. con calig. Ventic. _| 1% sera |28. 2,7 16,3| 14,2] 85 Sc. Le. | Sereno Ventic. 7.,mat. |28. 2,9 | 16,0! r10,g|] 95 Se Le. Sereno neb. Ventic. 7 mezzog. |28. 2,8 16,0 17,0) So | Maestr. Sereno Ventic. j_' ursera |28. : i 80 | Se. Le. Sereno Ventic. co, p) [mi S Ora S = mi 3 (ee) ui - pos o) 7 mat. (25. 29 8! mezzog. 128. 1,0 | Ir sera !/28. 1,4 | 7 mat. |28. 0,9 9| mezzog.'27. 11,7 tI sera 7. î1,0 | | 7 mat. 27. 10,9 ro mezzog.(27. 11,4 tt sera (28. 1,0 | } 7 mat. (28. - 18] ti mezzog. 28. 2,3 | i rrsera 28. 3,0: 7mat. |28. 3,2 12| mezzog.|28. 3,2 11 sera |28. 3,5 7 mat. {28. 3,5 13 mezzog. |28. 3,7 11 sera |28. 3,6 7 mat. |28. 3:7 14| mezzog.|28. 3,3 ir sera j28. 3,0 7 mat. |28.. a,7 r5| mezzog. 28. 2,6 | 11 sera |28. 2,1 | 7 mat. |28. 2,4 16| mezzog.|28. 2,6 rr sera 28. 3,2 7 mat. 4 REggii pi A 17| mezzog.|23. .3.5 rr sera |28. 3,7 7 mat. |28.. 3,3 18| mezzog.|28.. 3,1 rr sera 125. 3,0 | 7 mat. 128. 33 19| mezzog.'28. perì rr sera 28. 3,9 - Ventic. Calma Ventic. Calma Ventic. Calma Calma Vento Ventie. Ventic. . Ventic. Ventic. Ventie® Ventic. Ventic. . Ventic. Calma Ventic. Calma Calma Calma Ventic. Calia Vento Ventic. Ventic, Ventic Vento Vento Vento Veptic® Calma Ventic. Calma Ventic, Lermou. Sa ao) A i > T° Lio sal = = 3 d s 2-3 Stato del cielo VE) EI | = 3 RS i 7 | | 10,2| 1 101 92 Sceiroc. {Sereno neb. 16,2 r7,0| 59 Gr. Le iSereno 16,7| 13,0; g1 ;Sc. Le. {Seteno 16,2 Tx] 95 Sciroc. Sereno neb. 16,4 17,0 62 Sc. Le. Nuvolo 16,5] 14,0| 89 '! 0,03 Sc. Le. Nuvolo 16,2; 14,2 88 | 0,03 Gr. Le. \Nuvolo 16,8 18,1! 61 l'Fr. Ma. |S. con navoli 16,8 15,5 76 | Tr. Ma, [Sereno 16,6. 14,5 82 | 'Gr. Le* |Sereno 16,9 18,5. 59 Maestre |Sereno 17,3, 14,09 90 | Sc. Le. |Sereno 16,7 12,0| 94 Sciroc. |Ser. ragn. 16,9| 17,2 62 Se. Le. |Sereno 17,2] 14,1) 91 'Levan. iSereno 16,8! 122 95 - gciroe [Sereno 16,9 18,0| 69 ;S Sereno 17,3 | 14,9] 90 : Levant. Sereno 17,0| 12,3] 93 Sciroc. [Sereno 17,4| 17;d| 73 Ponen. Sereno 18, 3 150 9 Sciroc. [Sereno 17,0| 12,9! 93 Sciroc, |Sereno 17,2 179 65 Sc. Le. |Sereno 17,3] 13,3] 75 !Gr. Le. |Sereuo 17,0 12,0] 73 ‘Levant. |Ser. c. nebbie 17,1 1$,0| 56 M. ‘lr. [Sereno 17,0 15,0] 72 | Levant. {Navolo neb. 16,3 14,2 78° Gr. Tx ‘Ser, neb, 18,9 17;9 62 Traw. Sereno 17,0 14,5! 68 'Gr. Tr. Sereno 16,5|. 11,9, QI iSciroc.. [Sereno 16,4 17,0! 6r Se. Le. |Sereno, 16; ace Bic 13,1' 82 bi Le. |Sereuo .» 16,2 .11,6 99 iSeiroc,.. |Sereno 16:4! 16,0 58 'Gr. Tr. ‘Sereno 16 dl 13,2 70 Tram... Sereno Vento i 0.179w101eg 0179w015] 017 -2W01A0]q ord -09s0U12UY 15,2] 11,2) 90] Nuvolo neb. Vantic. Sereno nuv. Calma Nuvolo neb. Calma Ji | Nuvoloso. Ventic. I =@ Sereno Calma Sereno rag. Calma Nuvolo nb. Calma Ii sera 28, (4 7 mat. 28, 46 1 5 13,7] 82 Nebbioso ser. Calma Nuvolo ser. Ventic. Sereno rag. Ventic. ‘Ser. c. neb, Calma . Le. | Sereno Ventic. Sereno Galma Levante |Sereno Ventic. Vento Sereno i Sereno Calma . Sereno «Ventic. ‘ Stato del cielo Sereno Vento Sereno Ventic. |} Sereno Ventic. IT e see DIGI DERTT IS, Sereno Ventic. Sereno Ventic. Sereno Ventic. ni Sereno neb. — Ventic. Sereno neb. Calma Sereno neb. Calma SEN I | Sereno Calma Ser. con peb. Venlic. Nuvolo Calma Ser. c. DUv. Calma Screno Ventlic. Ser. ce. calie. Calma Sereno Ventic. Sereno Vento Sereno Ventic. Ser. nb. Ventic. vet L Prezzo D’ Astri da pagarsj anticipatamente; | IL PREZZO D' ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipate Cee Si la Toscana ’ Lire 36 toscane d& I anno «| X franco di porlo $ o: ; — Y perla posta per toto Regno I franco di porto . ombardo Veneto franchi 36: ît Regno Sardo a parle posta r il Ducato di Parma, - _ franchi 36: .. franco alle frontiere i; Mai IA si “t. perla posta la e suo rs scudi 8... franco di porto CARO, v VRIAR per ia posta per - Hand e tuttà la ‘Romagna, re PAST 36, ;. franco alle frontiere pi stero , , franchi 36. IRR (xx. frabeo Torino AUT gi Rini ‘0 Milano LA È) franchi 5a. 0° © N 2 ‘franco Parigi 597 003 MOL ;' perla posta 24 na s9 3 n INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE : QUADERNO. n ; ST Sir i ce Lia VAI + o i SEE 24 Vi de’ famosi capitani d’ Italia ; composte per Francesco Lomonaco, .. coll’ aggiunta dell’ Elogio di R. Montecnecoli ; scritto da Agostino | de | Paradisi, == Il Veltro allegorico di. Dante. (K. X.Y.) ui sa Del Dramma storico. Arti IL i Si i . (Un Italiano) , Dei delitti considerati nel slo affetto ed. attentati ; 3 pe di Alberto. De Simoni. MEV (Prof. Celso Marzuochi): ‘Corso di letteratura ftanicese di Villemain. (Conchiusione). i Sul ristabilimento del Giurato in Corsica. Lett. II. Rivisrà rerreraria. = G. Hotgla. Inni; p. 107. er G.. Bianchetti: Dello scrittore italiano ; p. 110. = G. Borghi, Canzoni, p. 112. =. Cicogna. Iscrizioni veneziane , p: .113..== Corradini. Lezioni di filo» sofia, p. 114. — Fiaccadori. Letture piacevoli , \p..119, ossetti, L’Archeografo triestino, p. 119. — Mabil. Traduzione. della Storia. Romana di Tito Livio , p. 117: — Abrantes. Capo-lavori del teatro: Francese tradotti, p. ‘117. =- Paravia. Lettere di Plinio, Fade P- 119. -- Frate Guido di Pisa. I fatti di Eriea , p. 122, — Bd court, Arte di costruire ‘oggetti in rilievo, p..127. — Molossi, Pro= spetto di un istruzione popolare ; p. 131. = Appendice sul Veltro allegorico 3, Pe 133. — Piccioli. Intorno alla scoperta del commento | del Bambagioli alla D. Commedia ; p. 139. : Nd i RecLamr. = Lettera del < sig. cav. Barone De Hammer. i Lettera del M. R. P. Matraja. Lettera del sig. IN. Tommaseo. Nota del Direttore dell’ Antologia. i | Buiierrino Sorenririco-renreRARIO:, — Meteorologia ; p. 152. — Fisica. e chimica, p. 156: == Storia naturale, pi 164. = Varietà; p. 169. NrcroLoc1a. Roscoe. (Appendice). <. (MI, y :Ballettino hibliografico, Spi ‘Tavole meteorologiche, e Dier 1851. -. Pilla a Gli S 0 P. VIEUSSEUX * ; Dirervone 8 Epirors “+ TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI, a fascicoli Camporigono. un volame, € ed ogni volume. è sccompagato di; AI ndice generale delle Malte, SEA Le a irbiuine si prendono. (1: In FIRENZE, dal Direttore Editore G. P. Vieusseur. in n MILARO s per tutto il regno } dalla Spedizione delle Gazzette, Lombardo Veneto $ presso (I. e R. Direz. delle Poste. in TORINO f per tutti li Stati Sardi, presso il sig. dossi Croletti, impiegato Rella È 0 GENOVA “R. Poste di Torino. |in Mobena | i - presso Gem. Vincenzi e Cio libr. in PARMA -. presso il sig. Derviè direttore delle Poste... in ROMA, per tutto-lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato. | ‘. nell'amministraz. gen. delle Poste Pontif.. d n BoLocna, presso. il sig. Direttore delle Poste» i in PesARO, Da i ‘|. presso Annesio Nobili. È in NAPOLI, presso Ambrogio Piccaluga , Strada S. Liborio N. 33,‘ in PALERMO ; per tutta la Sicilia ; presso il sig. Carlo Beufi in AUGUSTA , dae presso la Direzione delle Gazzette, È in VIENNA, per tutto r Impero Austriaco, dalla ; : Spedizione delle Gazzette. 13 presso 1’ I. e .R. Direzione delle Poste, cal in GINEVRA 1 «presso J. J. Paschoud. in PARIGI - presso J. Renouard Rue de Tournon N. 6 ‘ip LONDRA i i | presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row: È ANTOLOGIA N. 454 DELLA COLLEZIONE. (6) N- 4/41 DEL SECONDO DECENNIO PDobembre 1831. Discorso di Gverisrmo Lisri intorno alla storia scientifica della Toscana. i Hi. già più anni che datomi a leggere le opere di que’ va- lorosi toscani, sì alti promotori delle scienze nel secolo XVII.®, e trovandovi invenzioni mirabili, onde appena serbasi memoria ne’ posteri, stimai che maggior copia di notizie importanti si con- tenesse ne’ manoscritti i quali talvolta negletti o serrati stanno per molte librerie d’Italia. E primieramente investigando i codici fiorentini, e ora uno ;, ora un altro secondo l’ opportunità con- siderandone ; tanto mi prese il diletto di queste indagini, che dallo scriver ricordi m° inalzai a poco a poco , ‘e quasi inavver- tita mente al concetto di preparare una storia. E dopo lungo dubitare, perocchè mi sentiva a tanta impresa insufficiente, deliberai di tentarla , sperando coll’ assidua cura supplire al difetto d’ ingegno. Laonde ampliai le mie ricerche fuor di To- scana, e mi spinsi anche in paesi oltramontani a cercare de’ manoscritti rarissimi che ci rapì straniera prepotenza. Ma raccolti già molci scritti sconosciuti de” nostri più eccelsi inge- 2 gni, mentre io divisava d’ apparecchiare la storia della mate- matica e della fisica toscana, dal risorgere delle lettere insino al fine del secolo XVII.®, perdei subitamente gran parte delle mie note; nè ora potendo supplirle , ho risoluto, affinchè i miei studii non periscano affatto, di mettere in pubblico brevi ragguagli de’ più celebri manoscritti da me considerati , incominciando per quelli di Leonardo da Vinci intorno a’ quali faticai lungamente in Milano e a Parigi. Ma prima di condurmi a? particolari , di- scorrerò alquanto circa le vicende universali delle scienze , e il debito che stringe chi le vuole convenieutemente raccontare. Molti popoli, ignari o superbi, fecero di sè centro a ogni nazione , e rivolti unicamente a lla storia de’ foro antenati , stu- diarono d’ abbellirla e d’ eleggersi tra diverse origini la più il- lustre prosapia. Si distinsero in tal guisa varie famiglie umane , ciascuna stoltamente affermando che solo a prò dì lei fosse creato 1’ universo , e dell’ altre genti a gran pena dicendo quanto le facea bisogno a narrare le guerre e il commercio scambievole. Così noi moderni europei ; benchè in gran parte nati di que’bar- bari che vennero a’ danni dell’ impero di Roma, e disfattolo gli dieder nuova forma civile e politica, nondimeno ci strignemmo in famiglia co’ Greci e i Romani, per brama di parteciparne la gloria, quasi dispregiando ogni altra origine , e (gravissimo er- rore ) deducendo le nostre leggi, i costumi e le scienze da que” due popoli soli. Ma tacendo ora dell’ altre cose, narrano le antiche storie (A) che le scienze vennero primieramente d’ Asia e d’Egitto in Gre- cia e in Italia; ove congiunte forse con altre natie discipline si diffusero e crebbero. Poi le veggiamo sorte a grande altezza in Alessandria, durarvi mentre mancavano altrove : e finalmente , vinte dalle sottigliezze dialettiche , dalle proserizioni e da’ tu- multi religiosi (B), infiacchire ancor là aspettando novello vigore d’ Oriente (C). Frattanto i vincitori dell’ impero occidentale rovi- nandone la decrepita civiltà , formavano popoli semplici, ma vi- gorosi di mente e più adatti (D) alle nuove scienze che gli Arabi s’ accignevano a trasfondere in Europa. È comune, ma falsa credenza , che prima Ja poesia e le belle arti risuscitassero in Occidente , dopo le inondazioni barbariche, rimanendo abbandonate le scienze. Imperocchè que’ giovani po- poli che a sfogare l'immensa energia della nascente civiltà, corre- vano crociati al Sepolcro , davan forza a’ comuni , e pattuivano la Magna Carta ; avidissimi di terrore e di meraviglia , move- vano ad un’ osa il Trovatore a cantare in favelle volgari gl’ in- 3 cantesimi di Merlino, 1’ astrologo a spaventarli coll’ ira degli astri, e l’alchimista a sedurli con lusinghe d’ infinite ricchezze e di vita perpetua (E). E se quelle rozze poesie ci fruttaron pre- sto i divini poemi ovde va sì gloriosa 1° Italia, non deesi obliare che innanzi a questi sorsero tre meravigliose invenzioni , scono- sciute anticamente fra noi, la polvere (F), la bussola (G), e l’ algebra (H): quelle d’ autore ignoto, questa divolgata per l’Eu- ropa da Leonardo Fibonacci pisano; dal quale muove degnamente la storia scientifica della Toscana. Ma a ordinare convenevolmente una storia delle scienze, mi sembra necessario considerare distintamente più cose: la vita degli uomini che le promossero ; gli studii e le osservazioni ch'e’ fecero ( deducendone le mutazioni occorse nella natura ) e i me- todi che adoperarono per investigare. E sempre lo storico dee ri- guardare al vario stato del sapere in rispetto alla condizione de’ tempi , alla natura de’ popoli , e a’ bisogni della crescente civiltà. La vita de’ toscani illustri ne mostra le infinite sciagure , gli spregi, la fame e i tormenti generosamente patiti da chi tanto faticò a gloria della patria. E già a guidare le nostre indagini tra l’ oscurità de’ primi tempi; sorge la scellerata fiamma consuma- trice di Cecco d Ascoli, fiamma cui Dante appena scansava colla fuga. Poi veggiamo il mirabilissimo Leonardo da Vinci ramingo cercar pane sonando alle corti, e cavarne dileggiamenti. E io che scrivo lessi le amare parole, che in sè medesimo rodendosi e’ vergava tra’ suoi ricordi, e le ridirò. Ed era a questo tempo che Niccolò Machiavelli, colle braccia scavezzate, disperato del- 1° Italia e bestemmiando l’ umanità si riduceva , con terribilissi- ma ironia a trar conforto del giocar nelle bettole (I). Ma ecco già Galileo costretto alla scuola di rapire la geometria dietro una portiera , e in giovanezza spinto senza sussidio fuor di patria: miratelo poi in età matura apparecchiar la tavola co’ fogli delle sue opere, mancandogli tovaglia (K) , e decrepito andare al rigoroso esame dell’ inquisizione di Roma. E finalmente, per tacere del Mi- chelini (L) e di tanti altri, giugniamo all’ Oliva, celebre accade- mico del Cimento, che rovinato dalla cattedra al portare le bus- sole. e nè pure in sì abietta condizione sicuro, precipitò da una finestra per fuggire le seconde torture dell’ inquisizione (M). Ma poi viene la storia e raccoglie le ceneri dell’ Ascolano, e la to- si di Galileo , e le membra sparte dell’ Oliva , e mostrandole a’ posteri grida “ ecco i premi italiani; ma non vi sgomenti l’ a- s; sprezza della via chè io vi succedo ,,. 4 E qui lo scrittore converrebbe esser potente a narrare le sventure di que’ magnanimi con tanto affetto, che scotendosi ogni fibra del cuore a’lettori, l’animo de’ giovani s’ accendesse a virtù, e le madri stesse baciando lacrimose i figli, li bramassero sfor- tunati a quel modo : e che i grandi ; vergognandosi dell’ ipocrita fama , paventassero il giudicio de’ posteri. La somma ignoranza del volgo (N) lungamente avvezzo a chinare la fronte dinanzi gli operatori di portenti , o a chiede- derne il supplizio, costrinse per gran tempo i sapienti a vivere taciti e soli, 0 a vestire i panni dell’ errore (0) per manifestare la verità. Quindi nel risorger delle lettere, furon rarissimi i li- bri unicamente volti alle scienze, e per conoscere i primi inven- tori è forza leggere diligentemente poeti, storici (P), alchimi- sti, e astrologi, per trovare talvolta importanti verità tra mille fole e in opere piene di chimere (Q). E poi conviene uscir de li- bri e guardare agli strumenti de’ mestieri, alle macchine mecca- niche e alle opere di belle arti che serbaron viva la pratica del- l’ osservazioni e }’ applicazion delle scienze. Grandissima fatica, ma necessaria a chi brama scrivere i progressi delle scienze ita- liane , più diligentemente di quanto fu operato fivora (R). Nè gli autori delle nostre istorie scientifiche sarebbero tanto repren- sibili se avessero trascurato solamente le invenzioni contenute in libri gravissimi a leggere o quasi ignoti : ma carpire al Tar- taglia e a-Galileo il ritrovamento del calcolo delle probabilità , e dell’ aritmetica politica. (8), per accrescerne la fama del Pa- scal e d° altri stranieri, è fallo troppo biasimevole in scrittori italiani (T). Descrivendo gli avanzamenti delle scienze siamo condotti a paragonare tra se le osservazioni fatte in tempi diversi da varie persone ; e questo riscontro è utilissimo a conoscere i mutamenti della natura e delle forze ond’ essa è animata. Perocchè troppo frequentemente , a mio giudizio, i moderni dispregiano per false le antiche osservazioni, e chi le fece tacciano. d’ignoranza. E benchè al presente le maniere dell’osservare siano assai più esqui- site che nel passato, parmi che troppo se ne presuma in favor de’ moderni, e si trascuri una considerazione assai nmportante a’ progressi futuri delle scienze. E veramente la teorica delle pro- babilità ne ammaestra e si vede tutto giorno, per esperienza , che molti uomini misurando in varii tempi e con diversi modi una medesima estensione , troveranno a cagion degli errori fatti nell’ operare , numeri fra se differenti; ma però tali. che alcuni superino il vero , e altri ne siano minori; per maniera che il 9 medio aritmetico risulti sempre tanto più vicino al giusto, quanto sono più numerose le osservazioni, mentre se quelle misure, di- sposte secondo, 1’ ordine de’ tempi , mostreranno accrescimento 0 . diminuzione continua , avremo ragionevole indizio di credere che la quantità ritrovata abbia mutato col. volger degli anni. E per accertarcene dovremo applicarvi le indagini future, come già fe- cero gli astronomi che , d’ antichissime e imperfette osservazioni, cavarono argomento .d’ immaginare equazioni secolari verificate dipoi con prove dirette. Da questi principii nasce la croualogia fisica, scienza che insegna a calcolare l'influsso del tempo nelle forze terrestri, e della quale appena formano. gli ‘elementi le mirabili variazioni dell’ago magnetico. E io spero dimostrare che vi ha indizi verisimili di mutamenti occorsi in altre forze , oltre la magnetica , operatrici su’ corpi terrestri; a ben conoscer le quali è necessario volger gli studii futuri. Perocchè sapute le pro- prietà, de? volgarmente detti fluidi imponderabili ,, si dee drizzar la mente al passato e al futuro per collegarli col presente. Che mentre Natura tutto ravvolge , avviva; distrugge e ravviva,, fu sterminato, l’ orgoglio di colui che volto al sole disse: oggi mi- suro la tua luce e il calore ; e tu dei scaldare e splender sem- pre così. Crederemo forse che nelle continue, mutazioni de? cieli, rimarranno solo invariabili, certi debolissimi. aliti di forze terre- stri? Nò., l’ universo; tutto s’ agita e cammina ; e oggi son vec- chie le cose nate ieri, non per impazienza, d’ animi tumultuosi, ma per invincibile necessità. Vedete iregui sconvolti tratto tratto insino a’ fondamenti ; vedete la terra che ha scritto, nel dorso de’ monti , e nelle profondità delle caverne, la (storia de’ suoi stravolgimenti , meglio che in! qualunque, libro! Tuttavia, non stimo possibile , col, mezzo di. recenti. osservazioni, spignere il pensiero in età lontanissime da noi, a svelare come procedessero le cose.in circostanze al tutto diverse dalle presenti. Impercioc- chè sembiami che 1’ analogia, mnica guida .in, queste ricerche, mai non debba inoltrarsi inelle. occulte, origini, delle cose ,, ma debba restare come in matematica fa la teorica della continuità incontrando zero o infinito. E credo che tali studii, ritenuti. tra giusti termini, importino assai anche in gravissime questioni ci- vili e politiche. Così prima di. ‘volgere, desiosamente il pensiero , come ora molti fanno, all’indefinito perfezionamento faturo de- gli uomini, convien sapere se la natura si ribellerà a tali spe- ranze. Perocchè lo scemare, benchè lentissimo, della terrestre fertilità ; il mutaménto di proporzione tra la fecondità della terra e il medio corso. della vita umana (U); e altre mille . vicende 6 fisiche , basterebbero ad abbattere un sistema formato con lode- voli desideri più che da gravi meditazioni. E forse dopo molti secoli d’ indagini sapremo se gli uomini e le cose terrestri hanno tutte un periodo continuo , ‘o se rovinano giù nel profondo, v s’ inalzano alla perfezione. Nè lo storico dee solamente raccontare la vita e i discopri- menti degl’ inventori, ma è suo ufficio mostrare per quali mezzi e’ promosser le scienze. Chè troppo si trascura in Italia di riguar- dare alla nostra filosofia, e debbono i tedeschi ricordarci il Ni- zolio e il Telesio (V), e }’ Hume dovè dirci di quanto Galileo vincesse il Cancellier d’ Inghilterra. Nè questi fu superato da quello soltanto coll’ oprar della mano e coll’ osservazione della Natura ; ma Galileo studiò lungamente (X) e con gran frutto in filosofia; come già Leonardo e il Varchi (Y) e altri avean fatto. E prima considerando le varie maniere del filosofare, vedremo che i nostri più eccelsi e fecondi ingegni seguiron la filosofia empi- rica ; lo che dovrebbe destar vergogna in chi tentò dileggiarla. Quindi guardando più addentro conosceremo per quali vie pro- cedessero gl’ inventori nel cimentar nuove cose , e potremo in- tessere la storia de’ metodi ordinandoli come istrumenti del pen- siero. Imperocchè sempre m’ ammirai grandemente nel vedere, che i fisici e i chimici dispongano con ordine i reagenti e gl’istru- menti manuali di che abbisognano ; e che insino gli artefici ac- comodino accuratamente gli ordigni delle varie lor professioni, cercando con sollecitudine di conoscere se ve ne ha de’ migliori; mentre i metodi, che pur sono gli strumenti dell’intelletto, giac- ciono trascurati, e ognuno poi spera d’ averli pronti al bisogno e usarli convenevolmente. È debolezza d’ ingegno ammirar tanto - una macchina acconcia a tessere accia o bambagia, e dispregiare i metodi atti a intessere i pensieri. Nè dopo molti secoli di studio abbiamo altro che una scienza giudicatrice de’ ragiona- menti già fatti, e inabile a inventare. Ma la logica delle inven- zioni si dee formare estraendo i metodi da ciascun ritrovamento, e mostrandoli separati da ogni applicazione , affinchè meglio siano adoperati in varie questioni, e sappiasi di ciascuno i confini, e sin dove possa e dove manchi. lo racchiusi il mio concetto dentro i termini della Toscana, non per stolto zelo municipale ( che gloria e sventure ; tutto re- puto comune a chi nacque tra l’ Alpi e il Mare ) ma perchè mi shigottiva il cattivo successo di chi scrisse più generali storie , mentre ne mancavano le particolari. E per simil motivo non volli uscire di quelle scienze alle quali furon sempre volti i miei 7 studii. Ma nondimeno i vincoli che uniscon tra. se tutti i rami del sapere, mi condurranno anche a toccare brevemente le vi- cende e i progressi delle scienze fuor di Toscana, mostrandone l’ influenza reciproca, e quanto l’ingrata Europa debba all’Italia. Di Carpentras , il 6 Novembre del 1831. GucLieLMo LIBRI, (A) Herodoti Historia graec. et lat. Lugd. Batav. 1715, in fol. p. 89, 90 , 127, ec. 4 Diodori Siculi Bibliotheca historica graec. et lat. Ha- nov. 1604, in fol. p. 73, 86, 116, 117, ec. (B) Teodosio , stimolato dal patriarca Teofilo, fè rovinare il sera- pio e ardere la libreria de’Lagidi (1); e poco appresso, la celebre” figlia di Teone fu uccisa a furia di popolo per le vie d’Alessandria (2). Finalmente Giustiniano cacciò di quella città i neoplatonici che ri- fuggirono a Cosroe in Persia (3); e d’ allora insino alla conquista del- l’Egitto fatta dagli Arabi, andò sempre scemando la gloria della scuo- la alessandrina. (C) Fu. creduto lungamente , per autorità d’Abul-Faragio (4), che il Califfo Omar scrivesse all’espugnator d’Alessandria quel feroce di- lemma: ‘ Se i volumi che menzionasti concordan col libro di Dio son 33 superflui; se lo contrastan dannosi; quindi falli distruggere ,, e che le stufe d’Alessandria servissero per sei mesi a eseguire il coman- do. Ma questo racconto , impugnato già dal Renaudot, dal Gibbon e da altri, sembrerà molto inverisimile a chi legga le parole d’Abul-Fa- ragio , che mostra Amru e i suoi Arabi, nel caldo della vittoria, ascoltar con riverenza Giovanni Filopono, e poi a mente quieta ne- gargli la conservazion della libreria; lo che allo storico stesso parve meritevole d’un /eggi e stupisci. E considerando che quello scrittore nacque fuor d’ Egitto circa 600 anni dopo l’invasione degli Arabi, si convalideranno le ragioni di non credergli, massime veggendo la pro- pensione di lui a far bruciare i libri da’ vincitori , e ciò che altrove finse intorno a’ 15 carichi de’ manoscritti d’Archimede arsi da’ Roma- ni (5). Ma oltre a ciò leggesi in Eutichio patriarca alessandrino (6) , (1) Socratis Scholastici et H. Sozomeni Historia eccles. graec et lat. Paris. 1696, in fol. p. 587, 588. (2) Socratis op. cit. p. 287, 288. (3; Matter, Essai historique sur l'Ecole d’ Alexandrie. Paris 1820, 2 Vol. in 8.° Tom. 1, p. 312, et Tom. 2, p. 308 et suiv. (4) Abul-Pharajii Historia comp. dynast. arab. et lat. Oxoniae 1663 , 2 Tom.in 4.° T. 1, p. 114. (5) Abul-Pharajii op. cit. T. 1, p. 42. (6) Eutychii, Annales arab. et lat. Qxon: 1659, 2 Tom. in 4." T. 2, p. 316: 319. 8 che di fre secoli precedè Abul-Faragio , una particolar descrizione della presa d’Alessandria, e vi si riferisce la lettera d’Omar che rac- comanda ad Amru di preservar la città e gli abitatori da ogni violen- za; nè v'è alcun cenno di quell’incendio. Ma se, tralasciando ciò che avvenne al tempo di Cesare, cì ricorderemo della libreria de’La- gidi arsa da Teofilo, e degli scaffali vuoti che Orosio (7) vide in Ales- sandria, comprenderemo i cristiani aver lasciato poco alimento alle ar- sioni degli Arabi. E se, non ostante l’epistola di Gregorio Magno al Vescovo Desiderio (8), e le testimonianze lodatrici di Giovanni da Sa- lisbury (9) e di Santo Antonino (ro), s'è voluto scolpare quel; ponte- fice dall'accusa d’ essere stato barbaro struggitore de’libri antichi ; perchè affidarsi all’autorità d’un vescovo giacobita per incolpar così gli Arabi? Ma comunque fossero intolleranti i primi Califfi, Ja scuola d’Alessandria rinvigorì sotto il dominio degli Abbassidi. Motawakkel(11) nel IX ° secolo vi ristabili le scuole pubbliche e le librerie; e tre- cento anni dipoi, Beniamino di Tudela (12) trovò colà un’accademia ove in più di venti scuole si leggevano gli scritti d’Aristotile , a’qua- li la chiesa occidentale negava allora l’ ingresso e s” opponeva col fuoco (13). Incredibil cosa a chi sa quanto lo Stagirita poi tiranneg- giasse tra noi. Nè avrei sì lungamente discorso intorno a questo fat- to , se recentemente il Matter (14) nella sua storia della scuola d’A- lessandria non avesse ricevuto, in parte almeno, il racconto di Abul- Faragio , fermandosi a Giovanni Filopono;, quasi che dopo le vittorie degli Arabi lo splendor di quella scuola si fosse interamente oscurato, (D) È cosa notevole che nel risorger delle lettere i Greci del bas- so impero, benchè eredi e conoscitori dell’antica sapienza de’ loro padri non parteciparono l’ impulso degli altri popoli Europei, più giovani e vigorosi. (E) Sembrami che troppo facilmente e senza maturo esame , siasi creduta, anche da uomini d’acutissimo ingegno (15), la facile conver- sione al cristianesimo de’ conquistatori dell’ impero occidentale. Pe- rocchè guardando alle opinioni che prevalsero in Europa dopo l’inva- sioni de’ barbari , conosceremo quanto avesse mutato la primitiva re- ligione del Vangelo, cedendo alla credenza volgare de’ maghi e degl’in- (7) Orosii Historiarum libri 7. Lugd-Batav. 1738, in 4.° p. 421. (8) S. Gregorii Opera. Lut-Paris. 1675 3 Vol. in fol. T. 1 col. 57, 58. (9) 7oannis Saresberiensis Policraticus. Lugd-Batav. 1595,in 8.° p.104, 557. (10) Vessius de historicis latinis. Lugd-Batav. 1627, in 4." p. 768. (11) Matter op. cit. T. 2, p. 313. (12) Beniaminus (@ Tudela) Itinerarium. Lugd-Batav. 1638, in 8.° p. 121. (13) Du'Chesne. Scriptores historiae Francorum. Lut-Paris. 1756, 5 Vol. in fol. T. 5, p. 51. A.—. Martene et Durand. Thesaurus novus anecdotorum. Lut: Paris. 1717 , 5 Vol. in fol. Tom. 4, col. 166. B. (4) Matter op. cit. T. 2. p. 312. (15) Gibbon, Mémoires. Paris an. 5, 2. Vol. in 8,° T. 2. p. 233. et suiv. 9 cantesimi. Ed in vero le tradizioni di quella rozza età serbateci da’ro- manzieri ne mostran persino, rinnovando le antiche geogonie, la Tavola Rotonda esser fatta simbolo della rotondità della terra (16), e i paladini ( cacciati di seggio li Dei Gentili e gli Apostoli (17)) collocarsi tra’se- gni dello Zodiaco. Ed ebbero tal potenza quelli errori, che non solo ingombraron le menti volgari , e furon celebrati da’ poeti ; ma gli av- valorarono i Principi e la Chiesa col fuoco e le scomuniche. Tanto è sempre invincibile e prepotente la volontà universale de’ popoli. (F) Fu gran contesa fra’dotti intorno all’ invenzion della polvere : ma sembrami che mancando più sicure notizie , potremmo fermarci alla ricetta che nel secolo XIII.° ne diè Ruggero Bacone (18), e dire che fu adoprata in battaglia verso la metà del XIV.° (19). (G) Forse niun punto di storia scientifica è involto in sì dense te- nebre, come l’ invenzion della bussola. Flavio Gioia d’ Amalfi ebbe gran tempo il nome d’ averla ritrovata poco dopo il 1300; ma poi s’è conosciuto che molti autori del secolo XII.® e alcuni del XII.” avean descritto l’ ago adoperato da’ naviganti. Guyot de Provins, il quale scri- vea la sua Bible (erroneamente da taluni (20) scambiata per quella d’Ugo di Bercy) circa il 1190 (21) ne parla in tal guisa. ‘ Un art font qui 3; mentir ne puet — Par la vertu de la maniere — Une pierre laide »» et brunière, = Ou li fers volontiers se joint, = Ont si esgardent 33 le droit point. — Puis c’une aguilei ont touchié , — Et en'un festu »» l’ont couchié, — En l’eve le metent sanz plus — Et li festula tient 3, desus.. = Puis se tourne la pointe toute; = Contre l’estoile, si sanz 3; doute, — Que jà nus hom n’en doutera, = Ne jà por rien ne fau- >» sera. — Quant la mers est obscure et brune, = C”on ne voit estoile 3; ne lune, = Dont font à l’aguile alumer = Puis n’ont-ils garde 3» d’ esgarer — Contre l’estoile va la pointe etc. ,, (22). E Giacomo di Vitry, quasi al tempo del Guyot, scriveva così. ‘° Sunt praeterea », in partibus Orientis lapides pretiosi , admirabilis virtutis , et incre- »» dibilis inespertis. Adamas in ultima India reperitur, lucidi coloris (16) Vedi il Brut d’Angleterre tradotto in francese da Maestro Eustachio nel 1155; e altri romanzi antichi i quali serbansi manoscritti nelle librerie di Parigi. (17) Velschii Commentarius in Regname Naurus. August-Vindel. 1676, in 4.° p. 102. (18) Baconis (Rog.) de secretis operibus artis et naturae. Hamb. 1618, in 8." p. 69. (19) Villani (Gioo.) Storia. Fir. 1587, in 4." p. 876. (20) Pasquier (Est.), Oeuores. Amst. 1723, 2 Vol. in fol. T. 1, col. 419. (21) Histoire de l’ Académie R. des Inscript. et Belles-Lettres de Paris. T. 21; p. 19I, et suiv. (22) Questo frammento fu già pubblicato diversamente dal Pasquier ( loc. cit.) e dal Menagio (Origini della Lingua Italiana, Gen. 1685, in fol. p. 141). Io ho seguito il Meòùn, Fabliaur et contes franguis, 2 edition. T. 2, p. 327. T. IV. NovemVre. 2 10 et ferruginei; quantitatem nuclei nucis avellanae non excedit : du- ritia sua omnibus metallis resistit, hircino tamen sanguine recenti et calido rumpitur: igne non calescit : ferrum occulta quadam na- ,» tura ad se trahit. Acus ferrea postquam adamantem contingerit , ad ,; stellam septentrionalem , quae velut axis firmamenti , aliis vergen- ,; tibus non movetur, semper convertitar unde valde necessarius est ,; navigantibus in mari. Juxta magnetem positus, non sinit eum rapere »»° ferrum: quod si magnes ferrum traxerit, accedente adamante ferrum 3» rapit, auferendo praedam magneti (23) ,,, Queste ed altre antiche testimonianze d’ autori francesi (24) , dieder motivo ad alcuni di creder nata in Francia quell’invenzione. Ma ad abbatter tale opinione basta l'autorità contemporanea d’Alberto Magno il quale, benchè attribuisse quel discoprimento ad Aristotile, citandone 1’ apocrifo trattato de mi- neralibus (25) , indicava poi che questo libro, da lui non mai vedu- to (26), era un ricucimento di varii passi tradotti dall’ arabico. Nè gl’ Italiani mancarono di ricordare in que’ primi tempi l’ uso che i nocchieri facean della calamita. Perocchè, oltre ciò che dopo la metà del secolo XIII. ne scrissero Brunetto Latini (27), e Francesco da Bar- berino (28), la voce calamita si trova nelle poesie di Mazzeo di Rosso, o di Riccio, da Messina (29) , (che gli Accademici della Crusca chia- marono Rosso da Messina, e forse anche Mazzeo di Neco da Messi- na (30) ); e în quelle del Notaro Iacopo da Lentino (31), antichissimi ri- matori siciliani, ma d’ età dubbia. E l’ adoperò ancora Pier delle Vi- gne (32) del quale abbiamo l’età certa nel Malispini che dice ‘ E.ciò ss fu negli anni di Cristo 1237 e dopo alquanto tempo lo ’mperadore ,: fece abbacinare il savio huomo maestro Piero delle Vigne , il buono ;» dittatore apponendogli tradimento ,, (33), (ove coll’ autorità del (23) Bongarsius , Gesta Dei per Francos. Hanov. 1611, a T.infol. T. tr p- 1106. (24) Vincenti Burgundii speculum naturale. Argent. 1473, in fol. lib, 8, cap. 19. (25) Alberti Magni opera. Lugd. 1655, 22 Vol. in fol. T. 2, de Mineralibus, p- 243. (26) Alberti Magni op. cit. p. 210. (27) Brunet Latin, Tresor, lib. 1, cap. 112. (Manuserit N.° 537 de la Bibliothèque de Carpentras). - (28) Barberino (Fran. da) documenti d’amore, Roma, 1640, ig. pi 257. e alle voci ponnese e pennese della Tavola. (29) Allacci, Poeti antichi, Napoli 1661, in 8.° p. 496. — Mongitoris, Bibliotheca Sicula, Panor. 1714, 2 Vol. in fol. T. 2, p. 59. (30) Vocabolario degli Accademici della Crusca, 4.* impressione , T. 6, p. 54; 68, 69. 70, 71. (31) Allacci op. cit. p. 432. (32) AMlacci op. cit. p. 503. (33) Malispini storia antica. Fir. 1598, in 4.° p. 116. ì # Di e TI Villani (34) ho corretto 1’ intollerabile ambasceria che leggesi nelle stampe ). E se vorremo credere , come già molti hanno fatto , che la magnete fosse chiamata calamita ,.dal costume che aveano i marinari «li farla soprannotare a guisa di certe rane dette calamite da’ Greci e da’ Romani (35), e così nominate anche ne’tempi bassi (30), troveremo che questo vocabolo usato già da’ rimatori italiani sul finire del se- colo XII. dimostra che i nostri naviganti aveano adoperato prima d’al- lora la calamita. E veramente considerando che la voce pay uTin de’ Greci è radice del magnes de’Latini, del maknathis degli Arabi, e deli’an- tica nostra magnete , e che ad un tratto fu abbandonato quel nome e prevalse l’ altro di calamita nel tempo che prima incominciò a essere adoperata la bussola, avremo argomento di credere che questo vocabolo nuovo nascesse dal nuovo uso che si facea della magnete. Quanto poi a’ primi inventori della bussola, sembrami potersi dedurre dalle parole d’Alberto Magno e del Vitry, che non solamente essa ci venne d’Oriente, ma che mentre questi scrivea in Tolemaide la storia di Gerusalemme, non sapeva ancora che la nostra magnete avesse la. proprietà di vol- gersi al polo, come quell’ adamante indiano , da lui tanto celebrato , che diè nome all’ iamant o aimant de’ Francesi ; e se ne può arguire che quella invenzione giungnesse dall’Indie in Arabia dopo l’anno 1007, nel quale fu scritta la tavola Hakemita ove non si fa menzion della bussola, e che d’ Arabia per le Crociate si propagasse in Europa. Rimane ora dubbioso il perchè gli Amalfitani e il Gioia ottenes-. sero il titolo d’ inventori della bussola anche da antichi scrittori, tra? quali fu il Panormita che disse ‘ Prima dedit nautis usnm magnetis »» Amalphis ,,. Alenni giudicarono che tralasciata l’imperfetta maniera del galleggiante , il Gioia impernando primieramente |’ ago , perfezio- nausse la bussola; e questa opinione potrebbesi convalidare osservando che nel 1385 già sospendevasi |’ ago, come ne avverte Francesco da Buti nel suo comento manoscritto sulla Divina Commedia. E perchè questi descrive accuratamente il modo singolare tenuto allora per co- noscere il Settentrione col mezzo dell’ ago magnetico , mi sembra op- portuno di riferire le sue parole trascritte , senza mutazione alcuna , da un ottimo testo (37). Mi ‘“ Del chor del una delle voci ‘nove — Si mosse voce che lago ad s» la stella — Parer mi fece et volger al suo dove — De/ chor del una. ,» cice di quelle beate anime che erano nel secondo cerchio et dice »» del chor, per monstrare che parlava con affecto. Delle luci nove. (34) Villani op. cit. p. 137. (35) Plinii Historia nat. Paris. 1723, 8 Vol. in fol. T. 2, p. 582, 5809, 592. (36) Dufresne, Glossarium med. et infim. latin. ad vocem calamites. (37) Francesco da Buti, comento sulla Divina Commedîa di Dante Ali- ghieri, Paradiso, canto 12, lezione 1, terzina 10. Codice 29 della libreria magliabechiana di Firenze; carte 354. 12 cioe delle beate anime che erano in spetie di Ince venute di nuovo. Si mosse voce. cioe ad parlare si fatta con tanta affectione di carita. Che lago ad la stella parer mi fece. cioe che fece parere ad me dante quella voce .si fatta che lago del bussulo che portano li marinarì et li naviganti per cognoscere dove e la tramontana quando e turbato che non la possino vedere al segno della quale navigano , fusse fer- mato ad la tramontana. anno li naviganti uno bussulo che nel mezo e uno perno jn sul quale sta una rotella di carta leggieri la quale gira in sul dicto perno , et la dicta rotella a multi puneti ad modo duna stella, et ad una di quelle e fitto uno pezo dago con la punta fuora , et questa punta li naviganti quando vogliano vedere dove sia la tramontana inebbriano molto bene con la chalamita toccan- dola bene con quella , et poi girano intorno al bussulo la chalamita et la dicta punta dago seguita la chalamita , et quando anno facto piglare lo moto di girare intorno cessano la chalamita et stanno ad vedere tanto che si posi lo moto della dicta rotella la quale sempre posa con la punta del ago jnverso quella parte dove e la tramon- tana et allora sadvedeno dove sono et che via denno tenere. Et così per similitudine che sì contiene nel colore che si chiama significa- tione lauetore nostro dimonstra che li parve che quello spirito fusse fermato ad dio che e perno dogni cosa, come si ferma lago ad la tramontana dove e lo moto del perno del cielo. E? volger cioe fece la dicta voce volgere me. A! suo dove. cioe al suo luogo dove ella IO) » »» OPA 0° Ma se prima di terminar questa lunga nota mi fosse lecito d’enun- ciar brevemente una mia congettura direi, che forse dalle parole del Vitry e del Panormita si potrebbe dedurre; che gli Amalfitani conob- ber primieramente nella nostra magnate la virtù di volgersi al polo , attribuita già unicamente all’ adamente indiano. (H) Il Fibonacci non solamente rese comune e divnlgò in Europa i numeri indiani, che pochi adoperavano prima di lui, ma recò tra uoi l’ Algebra degli Arabi, come lo dimostra il suo trattato dell’ abbaco , rimasto lungamente negletto con gran vergogna della Toscana. Nè l’al- gebra ci venne da’ Greci , come alcuni stimarono ; perocchè 1’ opera di Diofante, donde e’ vollero far derivare quella scienza, fu conosciuta in Occidente solo dopo la metà del secolo XV.°, e i libri che ne ri- mangon di quest’ autore mostrano come si debban trattare problemi talvolta assai difficili di teorica de’ numeri, ma non danno formule nè insegnano a risolvere questioni generali , come fa l’ algebra , la quale per mezzo degli Arabi venne dall’ Indie ov’ebbe forse Arya-Bhatta per inventore. E i caratteri e le denominaz oni degli Arabi dimostrano cl’ e’ riceveron |’ algebra d’ Oriente e non di Grecia, e quindi la dis- sero computo de? popoli indiani; nella stessa guisa che i primi geometri italiani la nominaròn computo degli Arabi. (1) “ Viene in questo mentre l’ ora del desinare, dove colla mia 33 brigata mi mangio di quelli cibi, che questa mia povera villa, e 13 paulolo patrimonio comporta. Mangiato che ho ritorno nell’ osteria ; qui è l'oste per l’ ordinario, un beccajo , un mugnajo, due forna- ciai. Con questi io m° ingaglioffo per tutto dì giuocando a cricca, a tric trac, e dove nascono mille contese , e mille dispetti di parole ingiuriose , ed il più delle volte si combatte un quattrino, e siamo sentiti non dimanco gridare da San Casciano. Così rinvolto in questa viltà traggo il cervello di muffa, e sfogo la malignità di questa mia sorte; sendo contento mi calpesti per quella via, per vedere se la », se ne vergognasse. ;) (Machiavelli Opere. Italia 1813, 8 Vol. in 8.° Toiinp. 95). (K) Leggasi la vita di Galileo scritta dal suo discepolo Gherar- dini, e inserita dal Targioni nelle Notizie degli aggrandimenti delle Scienze Fisiche. Fir. 1780, 4 Vol. in 4.° T. 2, p. 6» e seg. (L) Il Michelini scriveva nel 1661 al Principe Leopoldo de’ Me- dici in tal guisa. “ Dal sig. Vincenzio Viviani intesi per parte di V. A. S. che io non dovessi sperare alcun sollievo alle mie estreme ne- ,3 Cessità, e miserie , se antecedentemente non facevo qualcosa che 33 piacesse al Sereniss. Gran-Duca. Io Sereniss. sig. son tanto assuefatto ,; alle male nuove, ed alle disgrazie grandi, che poco mi turbò que- sta, per ogn’altro dura ed acerbissima ambasciata, e tarito più aspra, quanto inaspettata , cioè quando speravo qualche notabile sussidio per potere con animo tranquillo proseguire le mie speculazioni tutte indirizzate a benefizio del genere umano, e principalmente del fe- licissimo stato dell’ AA. VV. SS. Venni alla servità della Sereniss. Casa l’anno del 1635 , chiamato e non intruso , e fermato di propria .1 bocca del Sereniss. Gran-Duca con suprema onorevolezza senza mia 3, antecedente pretensione, come V. A. sa , anzi procurai di scusar- 3; mene . + . . ;, (38). E dopo alcuni mesi lo stesso Michelini riscrivendo a quel principe diceva , “ Il signor Tommaso Grilli per sua mera cor- 3» tesia si compiace provvedermi non solo di carta, ma di qualunque ;; altra cosa necessaria acciò io viva ,, (39). (M) Targioni op. cit. T. 1, p. 228. (N) Se facesse bisogno d’ addurre esempj di questa ignoranza ne troveremmo uno chiarissimo nelle seguenti parole del comentatore d’un antico poema filosofico (40) ,, Ancho le ferme. Lesculano dimostra come ,) Si fa la via latea, et dicie che non intende lassare che non dicha », come si forma la via latea accio che tu non creda a semplici che 3» dicono ch’è la via che va a Roma et a San Jacobo di Galitia. ,, (0) Ecco ciò che Galileo era obbligato a premettere al suo Dia- logo sopra i due sistemi (Fir. 1632, in 4.°). ‘ Si promulgò agli anni so passati in Roma un salurifero editto, che per ovviare a’ pericolosi ,: scandali dell’ età nostra imponeva opportuno silenzio all’ opinione bal 23 33 23 23 33 23 3) 23 2) 29 ” >) (38) Lettere inedite d’uomini illustri. Fir. 1773, in 8.° p. 174. (39) Lettere , ec. p. 177. (40) Ascoli (Cecco d’) l’Acerba. Venez. 1516, in 4." a carte 24. 14 »; Pittazorica della mobilità della terra. Non mancò chi temerariamente 3; asserì quel decreto essere stato parto, non di giudizioso esame, ma 3; di passione troppo poco informata, e sì udirono uerele che con- , sultori totalmente inesperti delle osservazioni Astronomiche non 3, dovevano con proibizione repentina tarpar l’ ali agl’intelletti spe- ;; culativi. Non potè tacer il mio zelo in udir la temerità di sì fatti 3» lamenti. Giudicai come pienamente istrutto di quella prudentissima », determinazione comparir pubblicamente nel Teatro del Mondo, co- ,, me testimonio di sincera verità. .... Da (P) Considerando che persino il Descartes (41) immaginò lambic- chi e canali sotterranei per condur l’acqua del Mare sulle cime de’ monti a dar principio e alimento a’ fiumi, non mi pare superfluo di riferire alcune semplici e vere parole scritte, per incidenza, da uno Storico Fiorentino del secolo XV.®, sopra questo argomento. (42) “ Non 3» pensare che a una volta si potesse trovare tant’ oro in Firenze: ma 3; questa spesa s’ è fatta di tempo in tempo, com’hai inteso, e assai 3 chiaro t’ho mostrato ; i fiorini che si spendeano l’ uno anno, in »» gran parte n’erano ritornati nell’altro anno, como fa l’acqua, che ’1 »» mare per gli nugoli spande nelle piove fanno sopra alla terra, e ,» pe ’1 corso de’rivi e fossati e fiumi si ritorna al mare. ,, (Q) Il Porta (43) insegnando a conoscer la pudicizia delle donne per mezzo della calamita , accenna le variazioni diurne dell’ ago ma- gnetico ; e Cammillo Agrippa (44) in un libro pieno di tutti gli errori della fisica scolastica, deduce la teoria delle Etesie dal moto del sole sull’ Eclittica. (R) Queste ricerche sono utili ancora alla cognizione della lingua delle scienze, tanto negletta in Italia. Io ho già raccolto, da’nostri migliori scrittori, gran copia di vocaboli scientifici, taciuti 0, imper- fettamente dichiarati dagli Accademici della Crusca; e forse in appres- so ne pubblicherò un saggio nel presente Giornale. | (S) Il Tartaglia ha trattato, benchè imperfettamente, del seguen- te problema ,, una brigata giuocano alla balla a 60 al giuoco, et a 3; 10 per caccia ; et fanno la posta d. 22. accade certi accidenti, che 3; non ponno compir il giuoco , et una parte ha 50, et l’altra ha 30. 33 Si adimanda che toccara per parte di detta posta ,, (45). E Galileo ha risoluto problemi assai difficili intorno alla stima degli errori ne” contratti , (46) e al giuoco de’dadi (47). (41) Des-Cartes principia philosophiae. Amst. 1664 , in 4.° p. 164- {42) Dati (Goro) storiu di Firenze. Fir. 17935, în 4.° p. 129. (45) Porta, Miracoli della natura. Ven. 1618, in 8." p. 81. (44) Agrippa (Cam. ) della generazione de’ tuoni e de’venti. Roma, 1584, in 4.° p.8. e 9. (45) Tartaglia general trattato de’ numeri e misure. Venez. 1556, in fol. parte prima , carta 265. (6) Galileo opere. Padova 1744, 4 Vol. in 4. T. 3, p. 376, 381. (47) Galileo op. cit. T. 3, p. 436. _ 15 (T) Chi volesse riferire le invenzioni importanti , che trascuram- mo ne’libri italiani, e che ammirammo poi grandemente allorchè gli oltramontani le produsser di nuovo, formerebbe un volume di citazio- ni. Ed accennando che l’Eschinardi nel 1670 (48) ordinò d’ immergere i termometri nel ghiaccio per graduarli convenientemente e farli tra ‘se comparabili; che lo Zucchi inventò prima del Gregory e del New- ton il Telescopio a riflessione ; che il Conti nel 1739 (49) collocò il ful- mine e l’ aurora boreale tra’ fenomeni elettrici; che gli Accademici del Cimento (50) osservarono primieramente la riflessione de’raggi calori- fici oscuri ; che il Casati nel secolo XVII.° (51) pubblicò la descrizione d’un Telegrafo ; appena avrò ricordato piccolissima parte delle nostre glorie neglette. Ma in tanta dimenticanza non posso tacere il nome del Padre Lana, bresciano, che nel 1670 pubblicò un Prodromo d’in- venzioni ove sì contengono mirabilissimi ritrovamenti, due de’ quali (i segni per l’ammaestramento de’Sordo-muti, e i globi aerostatici) rin- novati nel secolo passato, resero attonita l’ Europa. Se io volessi ri- portare ciò che il Lana scrisse di queste sue invenzioni sarei sover- chiamente prolisso; ma per ispargere alcun fiore sulla tomba d’un uo- mo d’eccelso ingegno cui la povertà, com’ ei stesso racconta, negò il mezzo di fare esperienze , e al quale i posteri non dieder nè pure tardo tributo di gloria, riferirò un passo d’un Giornale del seco- lo XVII.” che serve a mostrare i dritti del Gesuita bresciano sull’in- venzione del Montgolfier. (52) ‘ Dopo avere (il P. Lana) accennato il s, modo di fabbricare uccelli che volino da se stessi per aria, come »» fecero Archita e Regiomontano e altri, viene alla descrizione di 3; vari istrumenti e macchine. È curiosissima tra l’altre, se si potesse 33 mettere in pratica, la fabbrica d’ una nave che cammini per l’aria. > Pare una chimera, ma l’autore dimostra esser possibile dalle seguenti 3; supposizioni. 1.° Che l’aria abbia il suo peso, e questo paragonato 33 a quello dell’acqua ha sperimentato essere come (tla altri si trova 5, come 1 a 1175; vedi la pagina 125 del Giornale 8. 1671.) 1 a 640; di modo che se un piede cubico d’acqua pesa 80 libbre , conforme l’esperienza di Villalpando, un piede simile d’aria peserà un’oncia 3, e mezza. 2.° Che ogni gran vaso si possa votare di tutta o almeno 4, di quasi tutta l’aria. 3.° Che un corpo più leggero salga nell’ altro »» più grave che sia fluido. Hora si faccia, dic’ egli, una gran palla di rame assottigliata in modo che ogni piede quadrato non pesi più di tre once, e sia di 308 libbre , la sua superficie sarà 1432 piedi e ’l diametro poco meno di 20, e così conterrà da 4065 piedi cubici d’aria, 23 23 (48) Giornale de’letterati di Roma per l’anno 1670, in 4. p. 22. (49) Conti ( Antonio), prose e poesie, Venezia, 1739. in 4.0 T. 1, parte 1, p. 92 e seguenti. (50) Saggio di naturali esperienze, Fir. 1667, in fol. p. 186. (51) Casati de Igne, Venet. 1688, in 4.° (52) Giornale de’letterati di Roma per l’anno 1672 in 4.° pi 137. 16 s3 i quali a ragione d’ un’oncia e mezza, conforme la suddetta esperienza, :3 fanno 508 libbre (non 718 come mette l’autore , facendo quadru- s» pla la solidità della palla che ha la superficie doppia d’ un’altra : s; ed è meno che tripla di #; in circa, esseudo le solidità come i cubi », delle radici quadrate delle superficie) onde estraendosi, la palla ri- s» marrà 200 libbre più leggera che una mole d’aria a se aguale. Fa- 3» cendosi dunque quattro palle simili , e congegnandole insieme nou »» solo saliranno, ma potranno sollevare in alto un peso di 800 lib- »» bre, quanto non peserà una barchetta con le vele e i remi, e al- s. cuni lmomini dentro. Ne mette la figura e risponde all’ obbietioni s» che si possono fare. ,, (U) Molte e accurate osservazioni mostrano che la dirata della vita media degli uomini varia secondo i tempi e i paesi. Così nel se- colo XVI.® essendo la vita media ridotta a circa 18 anni e mezzo, nel XVII.® crebbe di cinque anni, e nel XVIII.° salì oltre a’ 32 (53). E mentre di recente a Vienna non giugneva a 16 anni, s’ approssi- mava in Francia a’29, e in Svizzera superava i 37. Nè queste sole son le cagioni de’suoi mutamenti : ma tuttavia in alcuni paesi adoprasi pertinacemente la tavola d’ Ulpiano (54) che stabilì il termine di 30 anni al corso della vita media, senza distinzione di sesso , e finse che dalla nascita insino a 20 anni quella quantità rimanesse invariabile. Oltre molti altri errori che viziano i contratti detti da’legisti vitalzzj, e che sarebbe omai tempo di far cessare, col favorire la pubblicazio- ne delle ricerche sulla popolazione degli Stati. (V) Il Leibnitz pubblicò di nuovo nel 1670 a Francfort, con grandi encomii, l’ opera del Nizolio de weris principiis et vera ratione philosophandi; e novellamente furono ristampate in Heidelberga le ope- re del Telesio. (X) L’afferma Galileo stesso in una lettera al Vinta dicendo: (55) “ Finalmente quanto al titolo e pretesto del mio servizio , io deside- rerei, oltre al nome di matematico, che S. A. v’aggiugnesse quello di filosofo, professando io d'aver studiato più anni in filosofia, che mesi in matematica pura; nella quale qual profitto io abbia fatto , 9) e se possa e debba meritar questo titolo potrò far vedere alle loro ,, altezze qualvolta sia di piacimento il concedermi campo di poterne ,, trattare alla presenza loro con i più stimati in tal facoltà. ,, E il Monconys riferisce alcune ardite opinioni filosofiche ricevute nella scuo- la di Galileo. (56) ,, Le 6 Novembre 1646. ... De là je fus me pro- ,, mener avec le S. Viviani qui a été trois ans avec M. Galilei. Il me (53) Veggasi una memoria dell’ Odier inserita nel tomo 4 della Bibliothèque Britannique de Genève. (54) L. computationis in alimentis ff. ad l. falcidiam. (55) Venturi, memorie di Galileo, Mod. 1818, a Vol. in 4.° parte 1. p- 152. (56) Monconys, Voyages. Lyon 1665; 3 Vol. in 4.° première partie, p. 130. a OWvTWTWyZ=ZZ4), vo_AZN I/2N Da i N ULUUUWUVUJYUVYYTTITTTI,II 0 \ ISS ( 17 3 dit son opinion du soleil qu'il croyait une estoille fixe; la néces- ,» sité de toutes choses, la nullité du mal, la participation de l’ame s, universelle , la conservation de toute chose. ,, (Y) Notisi come il Varchi sin dall’ anno 1544 prevenisse Galileo nell’ osservazioni intorno alla caduta de’ gravi e lodasse il metodo spe- rimentale. ‘° E sebbene il costume dei Filosofi moderni è di creder sempre, e non provar mai tutto quello , che si trova scritto ne’buo- ni autori, e massimamente in Aristotile , non è però, che non fusse e più sicuro, e più dilettevole fare altramenti, e discendere qual- che volta alla sperienza in alcune cose, come verbi gratia nel movi- mento delle cose gravi, nella qual cosa e Aristotile, e tutti li altri filosofi senza mai dubitarne hanno creduto, et affermato, che quan- to una cosa sia più grave, tanto più tosto discenda , il che la pro- va dimostra non esser vero. E se io non temessi d’allontanarmi troppo dalla proposta materia, mì distenderei più lungamente in provare questa opinione, della quale ho trovati alcuni altri , e massimamente il Reverendo Padre non men dotto Filosofo , che buon Teologo, Fra Francesco Beato Metafisico di Pisa, e Mess. Luca Ghini, Medico, e Semplicista singularissimo , oltra la grande non solamente cognizione, ma pratica dei minerali tutti quanti, secondo che a me »» parve quando gli udii da lui pubblicamente nello studio di Bolo- 3» GNA); (57). 233 23 23 23 23 LEI 93 2) be) 23 DI 2) (57) Varchi, questione sull’ Alchimia. Fir. 1827, in 8.° p. 34. Le Erogamie di Admeto e di Alceste nella pittura di vaso pla- stico del pubblico gabinetto archeologico di Perugia descritta dal prof. Gio. Barr. VermiccioLi e pubblicata nelle faustis- sime nozze del sig. marchese GHino BraccEscHI con la signora contessa Auretra Mevniconi. Perugia 1831 in 4° di pag.-3r. Il libretto è dedicato alla madre della sposa rammemorata ; ed in ciò è contenuto un giusto omaggio, avendo essa di questo vaso , che si disotterrò ne’ suoi fondi, fatto dono al patrio museo: dono, di che in amplissima lettera rendette grazie il Comune di Perugia , e che al sig. Vermiglioli , il quale ha questa sua cara ed illustre patria ornato di molte ed applandite opere istoriche ed archeologiche , fece scrivere le seguenti parole: Piaccia che 3; il generoso esempio della sig. contessa Meniconi divenga po- s, tente nel cuore e nell’ animo di tanti nostri esimii cittadini , T. IV. Novembre. 3 18 ,; perchè si muovano a riunire nel pubblico gabinetto archeo- 3; logico quei monumenti antichi, i quali a danno del patrio 3; decoro, delle arti, delle lettere, e della storia domestica e »» della nazione. si giacciono dispersi, disuniti e miseramente 3» dimenticati in un secolo, nel quale tante città d’Italia ci »» hanno forniti di replicati esempi somiglianti a quello di questa » splendidissima dama .,. La quale esortazione vorrei io fatta a tutta intera la nostra Penisola, in che se appariscono i gene- rosi e nobili esempi che accenna il sig. Vermiglioli, non però vi mancano quelli assai tristi, i quali mostrano il dispregio so0- lenne, in che da molti degeneri nipoti sono tenute le rarità del- l’ arti e delle lettere, che furono obietto di lodevole fasto agli avi di loro, e che essi, o quasi non san più d’avere (e in ciò non consiste il maggior male) o lieti cambiano in sonante mo- neta. Ma ciò dicendo si canta ai sordi. Meglio è rivolgersi ai raccoglitori dei monumenti dell’arte e letteratura antica e mo- derna, e pregargli instantemente a far legato d’essi ai pubblici lnoghi ; provvedendo così al comun bene ed eziandio alla per- petualità del proprio nome; dacchè niuno in quelli ammira sif- fatti doni senza laudare e benedire la memoria di coloro , che ne furono generosi. Ma si dia breve ragguaglio dell’operetta del sig. Vermiglioli; nel qual ragguaglio farò uso della mia solita libertà d’opinioue, che in queste materie non ancora uscite affatto di congettura dee dominar largamente , e da cui niuno può sè estimare offeso, se andar vi vegga congiunta l’ urbanità. Aggiungo ch’io non in- tendo di dar per certa l’ opinion mia ; la quale anzi sottopongo in tutto al discernimento e alla dottrina dello stesso sig. Ver- miglioli ch'è a me fra’più cari amici carissimo. Il vaso, che s’ illustra in questa bella operetta, è di quelli, che ‘han le figure e gli ornati in color gialloguolo o rossastro su fondo nero ; e vi sono rappresentate due scene: una bacchica, non data in istampa per mancar di decenza, ed un’altra, che è la principale , e in che “ a sinistra dei riguardanti si dirizza nelle 3) SUE spire um minaccioso serpente vicino a due eroi (1) espressi », con greco costume nella nudità loro, e, come sembra, in serio 3 colloquio impegnati. Siegue alla destra una femmina bene or- 3; nata , la quale sopra una colonna o, a meglio dire, ara con :3 teschio d’ irsuto cignale situato nella parte estrema ,, appoggia (1, Veramente è al fiancò del primo da questa banda sinistra , il quale mi par |’ ultimo in ordine alla rappresentanza. 19 il destro braccio ; la cui mano portata è al mento ad esser so- stegno del volto, per non equivoco segno di mestizia, dice il sig. Vermiglioli ; ‘“* e mestizia , soggiugne egli, che vien forse 3; similmente indicata dall’ incrociamento delle gambe, conforme 3 la pratica dell’ arte antica, che pure in quest’ attitudine sim - 3» boleggiò la mestizia; e così in una pittura tratta da Omero, ,, e da Filostrato descritta, erano situati quei Greci, che la 3» morte di Antiloco piangevano ,, Al che oso io oppormi , te- rendo, e mi pare di averlo già provato con buone ragioni (2), che i piedi incrociati siano “ positura naturale, adottata dagli 3 antichi artisti per esprimere lo stato del riposo , sì nelle im- 3; magini degli Dei, sì nei simulacri degli eroi, e sì in quelli 33 dei semplici mortali, e che le persone .afflitte non per altro 3) motivo si esprimessero colle gambe così atteggiate, se non per »» mostrare, che stavano ferme a dare sfogo al dolore ed al » pianto ,,, Nè a questo si oppone, ma anzi dà conferma, il luogo di Filostrato citato dal sig. Vermiglioli (3), che è questo: Kaì ;j steatià revSei Tò peioduov, TepieotoTE: UUTÒ Serve Go » tygavres Se rùc aly ds sis t0USaDos, EvaMA&TTOVTI Tè Tide, xa) otueiCovtas ET) Tuv digpiv, &reesicavtes oi tAgiota, Sur Popolcas Tùs ne@adàs TG Usi, E i soldati piangono il giovinetto raunati in lamento attorno a lui. Fitte in terra le aste, scambiano {incrociandogli) i piedi e s’attengono a quelle, i più appoggiandovi la testa che mal si regge pel do- lore (4). Questa donna è dal sig. Vermiglioli giudicata, Alceste : e fatto egli novero degli antichi che ne narran la favola, e av- vertita la rarità dei monumenti che ne rappresentan la morte incontrata da lei per iscamparne Admeto suo cousorte (5); dice (2) V. îl Vol. 3 della serie IV della R. Galleria di Firenze p- 119 e segg. (3) Philostr. lib. 2. imag. 7. (4) Il celebre Heyne (a questo luogo di Filostrato nel tomo 5 dei suoi opuscoli accademici p. 107 ) non sembra esser ben entrato nella forza e nello spirito delle parole di Filostrato scrivendo : Circumstant caesum ( Antilochum ) Achivorum principes firis in solo hastis nixi , intuentes et lugentes. (5) Ed oggi sono anche più rari, non appartenendovi punto la bellissima ara del R. Museo di Firenze, col riome dello scultore Gleomene , la quale come appartenentevi fu ;\con dotta dissertazione spiegata dal. celebre Lanzi (V. Opere postume tom. I. p. 333 e segg.). In quest’ ara è certamente rappre- sentato il sacrifizio d° Ifigenia ; lo ha ben veduto un dotto oltramontano , che ne ha scritta illustrazione, e n’ è sicura prova nella pittura dello stesso argo- mento scoperta da ‘pochi anni in Pompei (V. Museo Borbonico vol. 4. tav. 3.), nella quale la figura velata, che rappresenta Agamennone, è similissima a quella 20 ‘seguitando , che per alcune circostanze, che gli sponsali suoi con Admeto ci ricordano, se non è questo dipinto il solo monu- merto cognito fin qui, bisogna ulmeno dirlo rarissimo. Passa quindi all’ esposizione della favola , il cui ristretto è questo. Mentre Apollo era pastore dei ricchi greggi d’° Admeto, questi innamorò d’ Alceste; e l’ ottenne in moglie da Pelia padre di lei, per avere, com’egli imponeva ai molti proci, aggiogato al carro un lione e un cinghiale : lo che gli altri far non poterono ; ed egli fece col soccorso di esso Apollo. “ Ma celebrate le nozze , », nei sacrificii connubiali venne dimenticata Diana, che pure 39 doveavi aver luogo, ed il nume adirato ne tolse aspra ven- ») detta spingendo fil oltre il talamo immani serpenti, a turbare ;3 le connubiali delizie. Allora il sempre benefico Apollo volendo »» allontanare queste sciagure dalla casa d’ Admeto, e che por- »» tentosi dragoni annunziavano ; persuase i coniugi stessi a pla- » care l’irritata Diana con nuovi sacrificii di vittime a lei sacre ,,. « Noi pensiamo ‘pertanto, soggiugne il sig. Vermiglioli, come 3» queste due circostanze delle n»vzze d’ Admeto , cioè il turbato », suo talamo dall’ aspetto di que’ dragoni, ed i nuovi sacrificii », celebrati a Diana per ritornarla propizia , sieno espresse nella parte principale di questo nuovo nostro dipinto. Nè gioverebbe », per avventura opporre, che il greco testo d° Apollodoro ... 3» dica come que’ serpenti furono in qualche numero agglomerati >» fra loro, mentre che uno soltanto nel dipinto apparisce; im- ,) perciocchè è ben nota la pratica dell’ arte nello esprimere so- 3; miglianti circostanze. Nè ci ha dubbio alcuno per noi, che ,> la figura situata in mezzo alla scena sia d’Apollo pastore alla » regia d’ Admeto ,,. Ma alcune considerazioni mi rendon dubbioso su questo di- visamento. Non domanderò perchè la creduta Alceste non abbia il capo velato, come la sposa nelle Nozze Aldobrandine ed, in altri siffatti monumenti (6), potendomisi forse rispondere , che che il Lanzi spiega per Alceste risorta. Avendo io poi sott’ occhio 1’ ara, noto con certezza che ove il Lanzi lesse AACC (parola divisa in mezzo dall’uomo che sostiene la femmina vicina ad esser sacrificata ) e vide Admeto,, dee leg- gersi AAOC populus; e vedervisi la personificazivne del popolo (greco), come in medaglie sono dinotati i vari popoli dalle parole AES)X, anticamente per AAOX e AHMOE.,. Questa parola dell’ ara è senza dubbio scritta in antico. (6) V. Visconti, Mus. Pio-Glem. tom. 4. tav. 24. p. 49 in ispecie la nota (Cc); e Bracci, Memorie degli antichi ‘Imeisori , tomo 2 p, 249. tav. 114. 21 quì rappresentasi un fatto avvenuto dopo gli sponsali. Ma. dirò che il fatto accadde nel talamo; e quì del talamo , il qual non manca nelle dette Nozze Aldobrandine (7); nemmeno è indizio. E se di questo non siamo o non dobbiamo esser solleciti, ne sembra però che il serpente ; se fosse posto a dinotare l’aggrup- pamento di quelli che Admeto vide nel talamo in aprirlo (8), e non appartenesse, com’ io credo , e dirò più avanti, alla fi- gura, cui è presso, il vedremmo in luogo men nascosto, e per avventura tener alti il capo ed il collo, e nel resto star tortnoso sul terreno , e non già mostrarsi tutto elevato come quì; e ne pare ugualmente che mal si uniscano a comporre una sola scena il turbamento del talamo , Apollo che consiglia od ha consigliato a far sacrificio , e il sacrifizio stesso già compiuto : il quale ne parrebbe anche non bene accennato col capo del cinghiale posto appiè della colonnetta ; appendendosi d’ordinario i teschi degli animali, sacrificati alle are, alle mura dei templi ed agli alberi dei boschi sacri. Ma pel signor Vermiglioli non è dubbia la figura d’A pollo; e ne°prende egli il principale ‘argomento da ciò che essa calca col piè sinistro , ch’ ei reputa una cortiva, e ne cita a conferma il bassorilievo dell’apoteosi d’Omero, Je medaglie dei re di Siria, quelle di Cizzico ; l’ urna etrusca recata dopo il Dempstero più esattamente dal ch. cav. Inghirami alla tav. F. 5 della serie 6 de’ suoi Monumenti Etruschi, e la pittura di un vaso , che ri- porta il Millin alla tav. 16 della sua Galleria mitologica: nei quali monumenti, dice il sig. Vermiglioli, la cortina separata dal tripode sempre al disegno del nostro dipinto somiglia. Ma a me così non pare. La cortina in tutte le citate antichità, ed in altre, come appiè d’ alcune statue d’ Esculapio, e nel rovescio del ra- rissimo medaglione in argento appartenente a Pafo e custodito nella R. Galleria di Firenze, è nn attrezzo, che, piano ove posa, nell’ innalzarsi si. piega lentamente a rotondità ; laddove è ir- regolare e a sghembo nel vaso, in che si mostra presso che di- ritto dalla parte destra, e soverchiamente curvo dalla sinistra. Inoltre nelle, dette antichità o è la cortina affatto. nuda, come nel marmo dell’apoteosi d’Omero, e presso le statue d’Esculapio; (7) V. Biondi, Lettera sull’ antica celebre pittura ‘conosciuta sotto il nome delle Nozze Aldobrandine , pag. 5. (8) Tèv S4&Azpov &voitac , eboe Soenovruv oTÉ&“GANa TETANEW=.ÉVOV. Apollod, bibliot. p. 78. ed. a. Heyne. 22 o coperta da un reticolo, come in tutte le altre. Quella del vaso si reputa dal ch. espositore ornata all’interno da infule e vitte. Ma queste infule e vitre sarebbero, per quanto mi sappi, cosa muova rispetto alla cortina, e da ammettersi solo quando essa fosse di forma evidentissima. Ma non è tale, siccome parmi; ed ho detto. La tengo io per un sasso rozzo e come risultante di più falde, su che posi il piede; non già Apollo, ma sì un eroe, di che tra poco terrò discorso. Piè , che poggi su sasso, è ben sovente indizio di riposo , come le gambe incrociate, e le braccia , od un braccio snl capo; e nelle antichità sono frequen- tissimi gli esempi, Chi osservi diligentemente questa vivil figura del vaso, conoscerà , indicandolo bene |’ atteggiamento di lei, che mentr? essa stava, riposando, in colloquio colla femmina, appoggiata , pur per riposo , alla colonnetta , fu sorpresa e in- terrotta improvvisamente dall’ uomo armato, cui tien volta la faccia. Nè mi si voglia riprendere per. aver detto che la fem- mina si appoggia alla colonnetta per riposo, e non per mestizia. Il braccio , che essa reca al volto per farne sostegno , è atteggia- mento di addolorati; e ne abbiamo insigne esempio nella bellis- sima fra le antiche statue femminili che accrescon decoro ed ornamento alla loggia dell’ Orcagna ; ma non è sempre. Ne dà prova incontrovertibile il superbo sarcofago del Campidoglio, in cui sono rappresentate le muse (9), e in cui Polinnia, Urania e Melpomene , che certo non sono meste . portano un braccio al mento a sola significanza di riposo (10); fatto questo più palese in Melpomene dal piede destro , che posa sur un ‘sasso, e in Polinnia ed Urania dalle gambe incrociate. Al qual braccio è appoggio , nella prima, un ‘alto sasso , e nella seconda una co- lonnetta , come nel vaso del sig! Vermiglioli , e come in Clio, che anche inerocia le gambe , rel memorato sarcofago. Di co- lonnette poste solo a tal unpo abbondano le antiche medaglie , di che è da vedere il Dizionario numismatico del Rasche alla voce columna. Dopo le quali considerazioni è mia opinione, che nel detto vaso siano rappresentati Atalanta, Meleagro, ed nno dei fratelli d’ Altea madre di questo. La favola è a tutti nota ; ed io ne ri- (9) V. Mus. Capitol. tomo 4. tav. 26. e Mus. Pio-Glem., tomo 1 tav. agg. B. n. 2. (10) La sola espressione del volto può chiarire se tal che si appoggia in questo mod, si riposi semplicemente, od anche sia mesto. Ma le pitture dei vasi sono siffatte , che, salvo poche , mancano esse affatto di questa espressione. Ù 23 peterò solo quel poco che ne sembri opportuno alla interpreta- ziune di «questa pittura. Atalanta , con gli altri eroi alla caccia del cinghiale calidonio, fu la prima a ferirlo , e Meleagro , che l’uccise, e che era preso dall’ amore di lei, la presentò della pelle , siccome dice Apolliodoro (11), che non volle certo esclu- derne la testa, come sarà palese ad ognuno ; che ponga a cun- fronto il passo di lui con quel d’ Ovidio , che al v. 425 e se- guenti dell’ ottavo delle Metamorfosi scrive : Ipse (Meleager) pede imposito , caput exitiabile pressit ; Atque ita: sume mei spolium , Nonacria , iuris Dixit; et in partem veniat mihi gloria tecum. Protinus exuvias , rigidis horrentia setis Terga dat , et magnis insignia dentibus ora. Spolium è la pelle tratta al ciguale; e nelle parole terga ed ora sono significate essa pelle e la testa; conformemente ad Ome- ro (12), che dice, essersi in quella caccia pugnato per aver in premio Za testa e la pelle setolosa del cinghiale ( xepaM vai diguari ARYYHEVTI )- E pelle con testa stringono Meleagro ed il zio materno , ch’ egli ha ferito a morte, nel bassorilievo del Campidoglio (13); e pelle e testa riceve Atalanta da Meleagro in antichità che riporta il Millin nella sua Galleria mitologi- ca (14). Ciò però nondimeno il bellissimo Meleagro del Pio-Cle- mentino (15), e la pittura di Pompei, in che esso Meleagro sta con Atalanta e i due fratelli d’ Altea (16), ne mostran la sola testa. (11) Pag. 57. Ka} Aeov Td déoas, tSwuev AraAdvry. (12) Iliad. lib. 9g. v. 544- (13) Tomo ;. tav. 35. (14) Tav. 146. i. 413. tomo 2. p, 161. (15) Tom. 2. tav. 39. (16) V. Mus. Borbon. Vol. 7. tav. 2. Questi medesimi personaggi vede nella pittura il ch. illustratore : non so io però esser con lui d’accordo rispetto alla mente del pittore. La scena è appiè d’una montuosa foresta. Sorge nel mezzo una colonna , sulla qualv posa il simulacro di Diana. Meleagro siede avanti alla colon- na e armato dei due venaboli e del gladio. Si veggono a sinistra i due memorati fratelli d’Altea ; sta a destra Atalanta con due venabol: e la faretra. Di questa parte medesima appaiono due cani ; dall’ altra, la testa del cinghiale. Giudica esso illustratore , che i fratelli d’Altea parlin tra loro concertando il modo di rapire la spoglia dell’uccisa fiera, e che Atalanta tenga discorso con Meleagro. Ma egli è chiaro che questi ed uno dei materni zii stanno in silenzio, mentre parlano ed altercano l’altro zio ed Atalanta. Pare adunque, che avendo Meleagro assegnato le spoglie del cinghiale ad Atalanta, e venutine in ira i fratelli d’Altea, come nar- ra Ovidio, Atalanta difenda i suoi diritti contro quel di Joro che ha preso la paro- la. In favola che fu subietto a tragedie che a noi non son giunte (V. Heyn. observ. ad Apollodor. p. 49 ) non dee far maraviglia la varietà dei particolari: serve 24 La qual testa è nella pittura posta dietro al dado, su che il sedente Meleagro posa il piede, come nel vaso sta dietro alla colonnetta; alla quale si appoggia la donna da me tenuta per Atalanta. Essa non ha in dosso che il manto. Arna pur lei que- sto solo nel citato bassorilievo del Campidoglio ; se non che più in esso la veste che nel vaso, ove nulla le cuopre della parte anteriore. Atalanta ha già qui ricevuta in dono da Meleagro la testa del cinghiale ; e mentre sta egli in grato dialogo con lei, sor- preso è da uno dei fratelli d’ Altea , il quale protesta l’ingiu- stizia del dono (17). Non è egli barbato, ugualmente che ned è egli, nè il fratello nella rammentata pittura di Pompei. Ma l’ira e le rampogne, onde si volsero contro ad Atalanta, costaron loro la vita (18). Che ciò avverrà a quello ch’ è dipinto nel vaso, n° è argomento il serpe che gli sta dietro; e che, se il vaso non fusse qui frammentato, vedremmo volger la testa verso quella di lui. Sono da Valerio Flacco detti i serpenti um- brarum. famuli (19); e poichè i Genii dei luoghi erano dagli an- tichi rappresentati iu figura di serpi; così Enea presso Virgi- lio (20), vedendo uscirne un grandissimo dal sepolcro del pa- dre, rimane incerto Geniumne loci, famulumne parentis Esse pu- tet. Per questo motivo appaiono spesso questi rettili su’ monu- menti funebri; e lo ha ben veduto il sig. Vermiglioli nel suo bel libro sulle Iscrizioni di Perugia (21). Ne è classico esempio che sia chiaro ciò che ne forma la sostanza. In altra pittura pompeiana (Mus. borb. vol. 7. tav. 18.) è rappresentato il riposo di Meleagro e d’ Atalanta dopo la caccia del cinghiale. Essa è vestita da cacciatrice , presso a poco come nell’ altra pittura or citata, si appoggia col sinistro braccio ad un pilastro , tenendo la mano destra sul fianco corrispondente ; e Meleagro ornato del solito pallio è assiso sopra un sedile, appiè del quale è la fiera da lui uccisa. Se l’ egregio illustratore avesse perisato che in questa pittura è espresso, come ho io avvertito , l’ immediato riposo dopo la faticosa caccia del einghiale , non si sarebbe maravigliato in veder fredda la composizione delle due fi- gure , e non insieme connessa da nessun gesto ed atto che le congiunga , e se avesse considerato che il morto cinghiale è quì un accessorio , e che gli antichi artisti non han spesso usata diligenza negli accessorii, non gli sarebbe paruta ridevole la picciolezza della belva calidonia , in che essa è quì rap- presentata. (17) V. Ovid. Metamorph. lib. cit. v. 431. e segg. (18) Ovid. ibid. v. 436 segg. Apollod. l. cit. (19) Argon. lib. 3. v. 458. (20) Aen. lib. 5. v. 84 segg. (21) Tom. 2. p. 328. 25 in nn cippo tra’ marmi d’ Oxford (22). Vi siede in mezzo a due fanciulle una donna di età maggiore , nella quale è rappresen- tata la'defunta, dichiarandolo bene l’iscrizione che dice: AKE- ZTEIMH AHMATOPOY TYNH AE APTEMIAQPOY XAI PE, Acestime (filia) Demagorae uxor vero Artemidori vale. Sta in aria quasi orizzontalmente un serpe, che la sua testa avvicina a quella della defunta. Ugualmente in marmo funebre, pur d’Ox- ford (23), sulla donna sedente'nel letto posto è un serpe che tiene il suo capo su quello di lei (24). Questa dottrina, ch’io afforzo con altri esempi, è dovuta al mio dotto amico sig. Canonico Andrea de Jorio conservatore della ricchissima collezione dei vasi dipinti del R. Museo borbonico , il quale alla pag. 66 della sua descri- zione dei medesimi la fonda in ispecial modo su due vasi nolani, e del gener di quelli, che si usa chiamare egizii, e che pur si trovano tra quei di Vulci scavati dal sig. Principe di Canino e da altri, siccome è noto. In uno di quei vasi è dipinto Ettore trascinato da Achille; e una serpe è in aria sul corpo dell Eroe portando la sua iesta su quella dello stesso. Nell’ altro vaso che rappresenta la morte di Patroclo si vede in aria una specie di coccodrillo nella stessa posizione. Nè il serpe comparisce solo su’ morti, ma sì anche su quelli. che sono prossimi a morire. In antica tazza dipinta a figure giallastre su fondo nero e apparte- nente al rammentato sig. Principe di Canino (25) un enorme ser- pente si ripiega su d’ un gigante, che atterrato si uccide da Bacco, e chedee dirsi Eurito, seguendo Apollodoro ed. Igino (26). Il serpe è pure in rappresentanza riguardante Polifemo e citata dal lodato sig. de Jorio. £ comparsa, egli dice, una patera , nella quale si rappresenta Ulisse, che. co’ suoi compagni ubriaca Polifemo, avendo già ‘preparata una trave per acciecarlo. Su di essi vi è anche una serpe , che con la. sua, testa si avvicina & quella del gigante , a cui si prepara la morte. Ma non fu uc- ciso Polifemo ; fu solamente rerniduto cieco ; ed il serpente starà (22) Marmora Oxoniensia , Par. 2. p. 119. n. 92, {f (23) Par. 1. tab. 52. n. 135. , (24) Il ch. Gav. Inghirami, che alla serie 6. dei Monum. Etr. tav. E 2. n. 1. reca questo monumento in appoggio del suo ingegnoso sistema interpreta diver- samente , scrivendo che questo serpe indica il tempo delle sacre inferie 0 suf- fragi de’ morti , ‘quando il ‘sole nell’ equinozio d’ Autunno sì accosta alla costellazione dell’ Ofiuco o Serpentario. (25) Museum! etrusque de Lucien Bonaparte , pag. 158 n. 1725. (26) Apollod. p. 32. V. ivi 1’ Heyne, Igino , fav. p. 5. V. ivi lo Staveren. T. IV. Novembre. 4 26 con la testa vicina a lui solamente per l’ angustia. del luogo. Credo io che egli abbia relazione ad Ulisse, e a’ compagni di lui, che, stando nella spelonca del ciclope, stanno in ltogo di morte , ed alcuni d’ essi ne sono già stati vittima.. Hic me (dice Achemenide presso Virg.) dum trepidi crudelia limina linquunt Immemores socii vasti Cyclopis in antro Deseruere. Domus sanie dapibusque cruentis , Intus opaca , ingens. Ipse arduus , altaque pulsat Sidera, (Di talem terris avertite postem !) Nec visu facîlis, nec dictu affabilis ulli. Visceribus miserorum et sanguine vescitur atro. Vidi egomet, duo de numero quum corpora nostro Prensa manu magna medio resupinus in antro Frangeret ad saxum , sanieque exspersa natarent Limina ; vidi atro quum membra fluentia tabo Manderet, et tepidi tremerent sub dentibus artus. Haud impune quidem ; nec talia passus Ulixes Oblitusce sui est Ithacus discrimine tanto. Nam simul, expletus dapibus , vinoque sepultus Ceroicem impleram posuit., iacuitque per antrum Immensus saniem eructans ac frusta cruento Per somnum commixta mero , nos s magna precati Numina , sortitique vices , una undique circum Fundimur , et telo lumen terebramus acuto Ingens , quod torca solum sub fronte latebat , : Argolici olipeì aut phoebeae lampadis instar, Et tandem laeti sociorum ulciscimur umbras. Adduce poi il sig. de Jorio un vaso della prima collezione hamiltoniana (27), nel quale si veggono due cavalieri ; che cor- rono di pieno galoppo , dietro al secondo dei quali è una serpe, che ergendosi di sulla groppa del cavallo porta la sua testa su quella del cavaliere, e, quindi siccome egli stesso ben conchiude pel paragone degli altri monumenti evidentissimi con questo che non saprebbe recarsi a fatto particolare, indica Za prossima morte del medesimo. Laonde il serpe, che nel vaso esposto dal sig. Ver- miglioli s’ innalza lungo 1’ uomo armato , dinoterà , com’ ho io già detto, la morte, che questi dee presto incontrare. Così in rappresentanza , che d° altra parte tanto si presta ai fatti d’A- talanta e di Meleagro, non vorrà ricusarsi di vedere in quel- l’ armato uno degli zii materni d’ esso Meleagro, che egli uccise, e che han luogo in altri monumenti di questo tema, dei quali ho io di sopra fatto cenno. Ne sembra adunque che la opinione mia abbia conferme da qualunque dei lati, in che si riguardi. (27) Tom. 1. tav. 93. RA un 27 Se ciò mi sia conceduto , non verrà per questo alcun danno al- operetta del sig. Vermiglioli. Vi si sostiene una sentenza. che certo non è spregevole, e che per avventura può aver seguaci anche dopo le mie osservazioni; e vi si sostiene con abbondanza di eletta dottrina tratta dai classici, e con una pienissima co- gnizione dell’ antichità figurata. Vi si parla assai bene dei mi- steri dionisiani in ispiegare il baccanale ch’è dipinto dall’ altra faccia del vaso, e si fanno importantissime riflessioni sulla gre- cità delle stoviglie che han dato in gran numero gli odierni scavi di Volci, e delle quali ci ha or fatto pieno ‘e ingegnoso rapporto il ch. sig. professore Odoardo Gerhard nel volume terzo degli Annali dell’ Instituto di corrispondenza archeologica , del quale è benemerito segretario. G. B. ZANNONI. ‘ PoEsIiA DELLE TRADIGIONI. L’Inferno d’ Armannino. Negli seritti del secolo decimoquarto ciò che più importa stndiare non è l’ eleganza del dire nè la storia della lingua ; è il progresso della italiana civiltà, dello spirito umano; quel singolare contrasto delle tradizioni pagane coi dogmi e le con- suetudini d’ una religione essenzialmente diversa ; quel miscu- glio , or leggiadro or bizzarrissimo, del moderno con l'antico ; quel bisogno profondamente sentito di far della vecchia civiltà quasi sgabello ad un mondo tutto nuovo ; quell’ istinto invinci- bile di sempre creare anch’ imitando ; quei nuovi elementi di verità e di bellezza che 1’ esperienza de’ secoli e lo sviluppo del cristianesimo veniva svolgendo, confusi a pregiudizi, ad errori, a traviamenti deplorabili, e nondimeno all’Italia fecondi di tan- ta grandezza , di tanta gloria. Una delle singolarità di cotesto secolo è il grande amore che tanti de’ suoi scrittori posero all’ autor dell’ Eneide , il cui mor- bido stile , le cui cortigiane lusinghe troppo evidentemente ri- pugnano all’ austera durezza di quella tirannide crudele e di quella ferrea libertà. Ma Virgilio è il poeta che alla religione ne’ suoi versi diè luogo non men che al furore guerriero; Vir- Gilio è il cantore di quella monarchia ch’ era il voto di tanti, accecati dal dolore o dall’ ira fino a riporre in un lontano stra- 28 niero ogni più cara speranza ; Virgilio è il primo di tutti i poeti pagani che seppe dipingere la natura morale , indovinare alcu- no degli alti secreti del cuore umano , e trovar la vena pro- fonda di quel malinconico affetto che sorge nell'uomo non fatuo dal seno della gioia stessa; Virgilio in fine ad uomini dal risor- gimento della libertà richiamati a gustare la vera bellezza, ma ruvidi ancora e impotenti ad esprimere francamente quanto sen- tivano dentro, con quell’aurea facondia , con quella beata ugua- glianza , con quella sicurezza di gusto, di stile, di numero; con quella forza modesta e tanto più gradita ad anime forti, do- veva più che qualunque altro antico destar di sè negli nomini del trecento maraviglia ed amore. Di questo amore a Virgilio, e di questo bisogno di creare a tutto costo e rifondere le tradizioni antiche in forme novelle , ci è prova la Fiorità d’ Armannino , giudice di Bologna , esule dalla patria, grande amico di Bosone da Gubbio, ammiratore di Dante, e che in quest’ opera scritta nel MCCCXXV spesse volte lo cita: nella quale incominciando dalla creazione del mondo, e compendiando la Tebaide di Stazio, 1’ Iliade, le storie di Ditti e Darete , l’ Eneide, Tito Livio, Lucano , la fa- vola confonde alla storia; e la favola e la storia, da altri narrate, egli a suo modo rinarra; ed ora le altera senza alcun fine , ora le veste di colori più vivi. Così, nell’atto di descrivere con Virgi- lio la. discesa d’ Enea nell’ Inferno, egli accoppia le pitture di Virgilio con quelle di Dante , senz’ attenersi all’ ordine de’ supplizii immaginato da questo nè da quello ; e di nuovi a suo piacere ne inventa, e tanto fa insomma che crea un nuovo inferno. — Scendiamo noi pure con esso, e visitiamolo se non vi dispiace. « Così andando per questa entrata, trovarono una scurezza che altrimenti fatta non parea (1) se non come quella che la luna dimostra la notte, andando per una oscura selva (2). Per tutto lo ’nferno non ebbero altra luce, per infino che giun- sero al passo del Letéo (3). « Un piano trovarono, poi che alquanto furono andati, tanto largo e lungo che il suo estremo da niuno lato parea (4). (1) Dante: « Un fracasso d’un suon.... Non altrimenti fatto che d’ un vento ec. ,,. (2) En. VI. 271. (3) Letèo si deve dunque leggere in Dante Inf. XIV ; non Letè , com’al- tri vorrebbe. (4) Dante : « Là ve’ ’1 fondo parea ,) (appariva). sud All’ entrata di questo bello ‘piano era una porta molto larga e alta. Intorniata era d’ uno grande chiostro il quale per gli au- tori vestibulo si chiama. In mezzo di quello chiostro era uno grande olmo, fresco e fronzuto (5): da ciascuna parte, sotto ciascuna foglia di quello olmo era affisso uno. somnio vano. Sotto e sopra di questo tale olmo si vedeano figure paurose (6), pal- lide. e scure, e sì diverse che somiglianza tra loro non aveano. Altro che guai, tristezza; e di morte dolore non presentavano. Dormire mostravano , per loro falsa vista , e debolezza da non potersi levare: mute e sorde pareano a vedere. « Quivi Enea domandò Sibilla: dimmi maestra che tutto sai (7), chi sono questi spiriti i quali sì dormire paiono pau- rosi ?. Rispuose Sibilla : questi sono l’ anime di quegli perduti corpi che bene nè male fecero nel mondo, ma come cattivi (8) menaro lor vita sanza frutto , non conoscendo Dio , come somuio che per vanezza passa; nè di loro lasciaro alcuno buon frut- to. Così costoro passarono lor vita; e di loro opere l’ effetto qui si mostra. Questo presenta (9) 1’ olmo sotto il quale costoro qui fanno dimora : l’ olmo frutto alcuno mai non mena, ma fa di sè altrui meriggio : così coloro altro frutto non fecero. — Di quelle foglie si muovono spiriti; e quelli fanno all’umana gente , dormendo, vane sogna (10) venire; quali gli conduce poi a peccato fare (11). « Intorno all’ olmo del quale io favello era uno cerchio a modo d’uno grande tino. Questo è murato d’uno sottiletto muro, largo e grande per potere tenere ... Dentro da questo s’ udiano mutoli, sordi, con imperfette voci. Chi sono questi ? disse allora Enea. Quella rispuose , e disse (12): questi sono quegli i quali, piccioletti, a morte furono tratti dalle poppe delle loro care ma- dri (13). Costoro per loro non sostengono pena , ma per lo pec- (5) Virg. VI. 283. (6) Pauroso per, tale da far paura, è in Dante Inf. II. ; ed è voce viva in Toscana. (7) Rammenta il Dantesco : « E quel savio gentil che tutto seppe ;,. (8) Dante :.La setta de’ cattivi.... sciaurati che mai non fùr vivi ;3° (9) Rappresenta, figura. Non è nella Gr. (10) Lat. somnia. (11) In questo. codice si .ha spesso il singolare per il plurale : come qui, conduce per conducono. = In alcuni codici dopo tin0 nel periodo seguente è sog- giunto : lo quale si chiama limbo, (12) Rispuose vive nelle campagne toscane , ed è idiotismo simile a duono , suolo , e altri mille. (13) Dante IV. Vedi Virg. NI.v: 425... 30 cato del primo parente: i quali se vivi battezzati furono, qui si purgano dello altrui peccato. Poi che sono purgati, passano in quello Eliso dove i beati hanno loro riposo. Se carestia ebbono del battesimo (14), la pena e colpa è pure di coloro per cui di- fetto non furono lavati; ma non però che di qui si mutino per. fino che ’1 Creatore non li sovvene. « Or sono entrati Enea e Sibilla insieme nella porta infer- nale. Dentro da questa porta, prima trovarono quello nobile giro il quale per la gente Purgatorio si chiama. Pianti e lamenti s°o- dono in quello luogo : ma maraviglia pare quello che ivi si vede; chè, poi che hanno fatto loro pianto, levano a cielo le mani, e, quasi ridendo, paiono obliare quelli dolori che hanno sostenuti. Che maraviglia è questa ? disse Enea. Ridendo la Sibilla gli ri- spuose, questi sono quegli che si guardarono di offendere a Dio, sovrano creatore. E di quegli peccati, che pure commisono, pene ne sostengono , solo per purgarsi ; ma non che eterno (15) qui rimanghino, però che aspettano la fine de’ dolori dopo quella purgagione ; e andare a corteggiare col loro Redentore. Però è loro -leggiere a sostenere qui tal pena, aspettando il bene che debbono avere; e però s’allegrano e levano le mani a cielo, onde sperano quello grande bene. Beati coloro che qui sono degni di venire ! ma pochi credo che sieno quelli che meritano d’ entrare in quello luogo. « Oltre passando , trovarono una strada molto piana sanza alcuno stroppio: e bene che il Tartaro da ciascuno lato sia pau- roso e pieno di sospetto (16) per le figure de’ maligni spiriti li quali appare tra l’ anime infernali; pure su per quella strada alcuno andava, ma non si vedea. Per questa strada passano gli spiriti, i quali sono purgati di loro peccati nel purgatorio ch’ io già dissi. « Dal destro e dal sinistro lato di quella via sono chiostri tra loro partiti. Tre ne vidi stare da ciascuno lato. Nel primo sono li malvagi avari i quali simonia fecero con usura ; i poveri non videro per loro povertade, ma il ricco visitò per Ja sua ricchez- za, e noo per fare caritade con lui ma per sottrargli del suo (14) Dante : « Aresti Di più savere angosciosa carizia. ,, Di questo cibo arete Caro ,,. (15) Leggeremo dunque in Dante Inf. III : <° Ed io eterno duro ,, non eterna.» Corteggiare accompagnato da col, non è nella Gr. (16) Sospetto per paura è in Dante più volte : nell’ Inf. IX : « Ch' i' mi strinsi al poeta per sospetto ,,. IR e E Mi " dI avere. Vivete si credettero dl’ ogni: tempo; ma quando in mag- giore felicità esser si credea, allora il fragello di Dio il percosse, e fagli il mondo ahbandonare. Notte e giorno quegli maligni spiriti a costoro piombo ; ferro , e metallo (17) giù per la gola non finano mai di stillare ; e sopra capo gli dice ciascuno : oro nell’ altro mondo volesti; ma qui piombo e ferrò vostro pasto fia (18). « Nel secondo giro de’ quali io dissi stanno i lussuriosi, do- lorosi e tristi. Di loro esce una orribile puzza tanto laida e spurca da vedere, che corrompe il sito d’ ogni lato , e.l’ occhio turba che sta per vedere (19). Fuoco cocente gli arde d’ogni parte (20): e poi che sono cotti; coloro. gli gettano nell’ acqua fredda : i quali; poi che sono in quella acqua ; friggono più che pesci int padella. Quivi raddoppiano poi le loro grandi pene; perocchè di quella acqua sono tratti e rimessi nel fuoco: e così or nell’acqua ora nel fuoco mai non restano di loro tribulare in quello modo. « Nel terzo giro stanno coloro che d’ira e d’ ancisma (21) superba loro e altrui stimularono nel mondo ; udire non vollero temperato dire d’ alcuno savio uomo 3 sempre d’ ira lor' battea il petto , concependo di fare ogni male; delle cose il vero mai cer- nere (22) poteano , ma con furore tutte le. faceano.. In questo giro ‘ov’ eglino dimorano, d’ogni tempo trae sì grande vento , ch’ appiccare si convengono al fuoco di ferri ardenti i quali. co- loro (23) lor mostrano. In altra guisa (24), quello vento gli mena tra rovi e pugnenti spine, le quali sono tanto agute e forti che i loro membri tutti stracciano. Poi pure ritorna: a quello ‘luogo onde prima levato l’avea; e s’ egli non si tenea. a quegli ferri ardenti ,' ancora convenia che per quegli venti! rifornisse quello (17) Un altro cod. e oro. (18) Rammenta quel dell’ Inf. I. « Non ciberà terra nè peltro ,, e l’ altro del Purg. XI : < Sangue sitisti , ed io di sangue t’ empio ;,. E di Crasso : Dicci, chè ’1 sai; di che sapore è l’oro. = V. anche Purg. G. 19 e 20: pena degli avari. (:9) Altro cod. « L° occhio per vedere turba ,,. - Spurcido ha la Gr, non spurco. i (20) Il fuoco è la purgazione de’ lascivi nel Purg. di Dante XXVI. Vedi Inf. V. (21) Così leggono chiaramente due codici. Il terzo , molto diverso): invidia. Ma gl’ invidiosi son puniti più sotto, E così gli accidiosi :. non è dunque da leg- gere accidia. (22) Gosì dobbiam dunque leggere nell’Inf. VIII : cerno non scerno: (23) I diavoli. Reticenza singolare, Come più sopra lin. 12. (24) Se non s’ attaccano: a? ferri. V. Purg: C., XVI pena dell’ ira; e Inf. VIL. VII. 1X. 32 cammino (25): e mai non finano di fare tale rimesta. E quando a quegli ferri ‘appiccare si vuole, la pena delle spine non gli offende. Ma la. caldezza di questi è tanta che dalle palme delle mani con che eglirstrigne, infino al cuore passa quello. caldo : i quali, se vivessero, morire gli farebbe. Ed è assài maggiore la pena che quegli spiriti sentono in quello luogo, che non sarebbe al corpo nel mondo (26). Nel quarto luogo stanno gli golosi, i quali. per diletto vi- vettero , mangiando per soddisfare più all’ appetito che a quello che bastare. dovea. per! notricare sua vita: lor corpo vuoto noù vollero mai tenere; ma j come il porco, ruminando andavano. A costoro'seno ‘poste ‘le mense innanzi, di molti cibi bene fornite. Questi, affamati stanno ‘come lupi; di brama par che muoino ; di fame le mani stendono (27) per volere pigliare di quegli cibi, siccome già furono» usati. Coloro (28) con forti ferri percoteano loro le mani(29). La Gorgona, che tutto divora, costoro tranghiot- tisce (30) , e fanne grandi bocconi ; poi per lo sesso gli caccia fuori. E le cerauste si volgono loro intorno ; e sempre igli pun- gono co'lorò forti artigli (32): insino all’osso pare che gli metta l'unghia. Se sangue avesse , del. più secreto luogo uscire. lo converrebbe.. Questa pena mai a loro non fina. D’ ora in ora mu- tano loro forma : ora paiono porei; or lupi, or draghi per di- vorare parati (33). Mutoli guai traggono sempre stridendo. E d’ora in'‘ora! si. fa: loro ital, giuoco. Misericordia non vale loro chiamare; cliè degni, di quella. non sono. 6 Nel quinto giro stanno gl’invidiosi, e con oscuro, sguardo guatano 1’ uno .l’ altro: Di corpo esce loro uno, nero serpente, il quale. si rivolge loro intorno, insino alla bocca» quivi morde loro gli occhi, e poi la lingua (34), e poi ritorna al cuore, e quello (25) Un altro codice più chiaro : « Poi pure tornano al sentiero primaio ; e ‘s’ e’ non ‘si ritengono a quelli ferti ardenti , ancora lor conviene fornire ec. (26) Essere col terzo caso, alla lat. (27) Questa pena hanno i golosi nel Purg. di Dante XXIV. « Vidi gente sot- t° esso alzar le mani ,,. V. En. VI. vi 603. e Infi VI. (28) Ha giurato costui di non voler nominare i demonii. (20) En. VI. 605. (30) Simile al Cerbero dell’ Inf. VI. (32) Il nostro A. immagina le ceraste non come serpi ma come mostri infernali. (33) Simile trasformazione fa Dante soffrire ai ladri. Inf. XXIV. XXV. (34) Anche di questo ved. Inf. XXV. : e della pena dell’ invidia Purg. XIII. XIV. I VP e 33 gli passa col forte aguglio (35): oltre ‘in parte tutto lo perfora. Tali sono le strida che costoro mettono, che tutto il regno di Plu- tone risuona. Questa pena mai non scema , nè arà fine , però che a nullo son terminate le pene che Dio a ciascuno divisa. « Nel sesto giro stanno gli accidiosi, pallidi; scuri, e tutti dormigliosi. Quivi quegli ministri sopra gli tormenti (36) con gli forconi gli punguno perchè di quello dormire si sveglino. Quegli volgono, e sottosopra caggiono (37): tanto pare che dormino sicuri, che delle pene non pare che si curino. Ma qui stanno spiriti fatti a modo d’avvoltoi, e in sul petto di quegli stanno fermi e assisi, e con le artiglie (33) gli stringono sì forte che non hanno possa di potere fiatare; e col forte becco rompono loro il petto, e insino al polmone gli forano , e qui si pascono a_ tutto loro volere (39). Questa pena sempre cresce, e d° ora in ora si rinfresca. Essendo passato Enea con Sibilla da quegli giri de’quali ho detto , trovarono uno fiume d’ acqua nera e buia. Su per la ripa di quello oscuro fiume stanuo spiriti di molte maniere, stretti e fermi come fanno gli uccelli per le paludi, per tempo vernale (40); e ciascuno. grida: guai! guai! Per quello fiume. venire viddero una grande nave non di legno ma di vimine tessuta, (41) come uno canestro da portare le poma , il quale non ritiene l’ acqua quando piove : così questa vave qual iv quì dico , acqua nè li- quore non tenea. Questa nave guidava Carone (42): più è ne- ro e scuro a vedere che la morte quando più molesta. Quegli spiriti, che in su quella ripa fanno dimora , a Carone tutti sten- dono le mani e mercè chiamano (43) ch’ oltre quello fiume gli deggia passare. Quegli ne toglie alcuna, e l’altre lascia; e quando ha quegli che gli pare , e quello dall’ altra parte gli porta. “ Chi sono questi, disse allora Enea, che tanto desiano l’al- (35) Da aculeus. Non è della Crusca. Aguglione è Paccrescitivo d’aguglio. (36) Inf. XXI]Il. << L’ alta Provvidenza che lor volle Porre ministri della fossa quinta, = Per non nominare i diavoli, li chiama ministri. (37) En dessus-dessous, come in Dante Inf. XIX. (38) Dunque nell’ es. del Saechetti recato dal Lombardi artiglia può ben essere singolare. (39) Questa è la pena di Tizio in Virg. VI. 595. (40) En. VI. 310. (41) lvi 414. (42) Garone anco nel Bocc. Comm. D. Ed. Moutier. p. 15 (43) En. VI. vi d14. T. IV. Novembre 5 34 tra ripa P Sibilla rispuose: questi sono gli giusti spiriti i quali aspettano d’andire al Paradiso (44) al disiato riposo : ‘ma ancora non è il tempo; però che perfettamente nel Purgatorio non fu- rono bene purgati. Dov'egli sono aguale , non gran pena sosten- gono; e assai minore la sosterranno dal lato di là : però desi- derano di fare tal trapasso. Questi peccarono mentre che furono in vita, ma molto bene fecero loro penitenza : però merito tosto sperano d’ avere (45). — In quattro modi si purgano gli spiriti. Alcuni in fuoco; e questi sono che più peccarono. Alcuni in terra afflitti dimorano; e questi meno che quegli peccarono. Certi in acqua, e questi meno che quegli. Alcuni in aiere ; e costoro via meno; e minore pena sostengono. E questi, che tu vedi stare in su questa ripa , sono tutti di quegli che , purgati, vogliono qui passare ; però che loro purgagione si compie di là dove per al- cuna ora dimorare convengono, E poi faranno quello passo onde gli Angioli gli conducono a vita eterna dove è il loro buono riposo. “ Detto questo ella chiamò Carone : © fatti in quà, o spirito »» benigno che meui quella rave che l’acqua non tiene ,,. — Caron gli guata con una oscura cera, e disse: chi siete voi corpora vi- venti che per questo luogo andate sì sicuri ? Quì sanza corpi ci passano gli spiriti. Se in questa futile nave entrate (46), tosto ergerete (47) al fondo di questo profondo fiume ,,. — Non avere pensiero , dissela Sibilla: volta quà cotesta nave Conceduto c’ è di potere passare a quello beato Eliso al quale passano coloro che tu di là cerchi. Quello è il nostro ritto cammino ,3- — Que- gli con irata faccia quello passo gli negava: allora la Sibilla disse a Enea: « Mostragli quello ramo quale sotto il mantello rechì (48) ,,. Vedendo Caron lo ramo il quale altre volte già veduto avea, tostò in quella nave gli ricolse, e dall’ altro lato scaricò quello peso. == Quì ti guarda, disse la Sibilla , o Enea: qui ti vaglia la tua spada. — Caron ‘disse: bene dice il vero È però che al grande Tartaro v’approssimate. Quivi sono più focosi gli spiriti, ea nuocere più accesi. ‘ Ora vanno insieme li due compagni: intorno loro volano (44) Si osservi la differenza tra questa e la risposta dell’ Inf. Ill, — En. VI. 330. (45) Inf. XXXI : « Ond” egli ha cotal merto ,, (ricompensa). (46) Sutile dice Virg. VI. 414. (47) Mergere neut. pass. assol. La Crusca nol nota, «= V. En VI. 385. (43) En. VI. 4o6. 35 spiriti paurosi. Enea s’ arrosta con sna spada in mano (49): ma poco gli varrebbe se non fossero (50) le sacre parole le quali Sihilla dicea a coloro. E nondimeno spesso facea mostrare il ramo usato, il.quale sì tosto che era visto da quegli maligni spiriti passavano sicuri e senza lesione. « Giunti sono Enea e Sibilla nel tribulato luogo pieno di pene. Dal lato destro di quella grande via erano paludi d’acqua puz- zolente: più erano calde che nel mondo il cocente fuoco. Questo è quello luogo che Flegeton si chiama (51), nel quale dimorano gli falsi bugiardi (52) i quali sempre portavano menzogne dal- l’ uno all’ altro per commettere male (53): per la qual cosa as- sai ne furo in briga e in guerra, di che molto male ne nacque. Quivi Tesifone loro signoreggia (54), ed a’suoi ministri gli fa rivolgere sotto sopra cogli grandi forconi. Come cuochi per cuo- cere la lor carne nella grande caldaia (55) quando bolle, così coloro non finano di voltargli con quegli forconi. Le lingue di co- storo sono sì legate con li forti ami (56) e con corde, che guai non traggono se non come mutoli che bene non si possono udire: però loro pena dentro si ritengono. Per la qual cosa assai più gli tormenta che non farebbe potendosi alquanto sfogare. « Dal lato sinistro di quella grande via era un’altra palude nera e scura, la cui acqua è molto più gelata che non è il ghiaccio quando è più compreso (57). Questa è quella che Stige si chiama (58): quì dimorane gli ghiotti e briachi ; goditori del - l'altrui fatica , i quali per loro agiv i poveri dimenticavano; solo di loro corpo e di prendere diletto aveano cura; fatica nè la- bore (59) mai durare non vollero se non in rubare i. poveri cat- tivegli che di loro fatiche sustentavano loro vita ; e fra gli altri si voleano trarre innanzi e meglio essere forniti dell’ altrui acquisto. lostoro stanno attuffati nella fredda acqua insino alla bocca : sete (49) Questo passo ci dà 1° interpretazione dell’ arrostarsi nell’ XV dell’Inf, — En. VI. 190. (50) Fosse per fosse stato: in simil modo usa Dante. Inf. XXIV. (51) En. VI. 550. Inf. XII XIV. (52° Ecco un es. che spiega la distinzione degli Dei falsi e bugiardi. Inf. I. (53) Questi Dante punisce nel G. XXVIII. (54) En. VI. 555. (55) Similitudine che è nell’ Inf. XXI alla bolgia de’ barattieri. (56) Preso forse dal Davidico : in camo et fraeno mazillas eorum con- stringes. (57) In questo senso non è nella Crusca. (58) En. VI. 439. Dante nello Stige colloca gl’ iracondi VII, VIIl e IX. (59) Labore era dunque della prosa ancora ! 36 hanno smisurata, bere conviene loro quella fredda acqua la quale gli agghiaccia sì’l cuore, che s’el vivesse, morire gli con- verrehbe. Ancora quì le fiere Ceranste a costoro sono intorno molto ferventi, i capegli delle quali sono serpenti (60): di capo se gli cavano e addosso a coloro gli gettano: i quali d’ogni lato s’appiccano loro addosso : de’ cui morsi poco paiono curare; tante sono l’ altre acerbe pene. Ma quello fanno (61) solo per sapere se tanto sono stimolati (62) che di quelle non curino: e per que- sto sono certe di loro grandi martiri. Le quali sono contente poi che questo veggiono. Passando oltre, giunsero al triboloso giro il quale nel mezzo d’Acheronte è posto: non che approssimare a quello si possa, ma dalla lungi stanvo per vedere. Quivi è il castello della grande fortezza, cerchiato dintorno d’ uno corrente fiume (63), il quale pare correre più snello e forte che se fosse una saetta uscita del forte arco. Una tal frombra (64) s'ode del fuoco di qaello luogo, che l’altre voci tutte fanno chetare. In mezzo di quello castello è una grande torre tutta murata d’andanico fine (65): molto al- ta (è) la sua cima insino nell’aere. Per mezzo di quella viene l’ira di Dio in coloro che in quella sono rinchiusi. Di fuori s’ode tale romore di busse e di percosse di catene (66), che tutto fanno tre- mare quello luogo intorno. Quivi Enea sbigottito disse : dimmi maestra, quale luo- go è questo ove tante maraviglie si veggono e odono. La Si- billa rispuose e disse : Questo è il settimo giro del Tartaro maggiore, che l'abisso si chiama, ove tormentati sono gli mag- giori peccatori i quali per loro superbia vollero pareggiare il loro Creatore (67). Quivi sta Minus con la sna grand’urva (68), disamina i loro peccati: chi tosto non li dice il vero, con agre parole lo fa confessare. In questo non vanno i minori nè i mez- zani peccatori; ma solamente quegli infortunati che per niente ebbero il loro signore, e che a lui pareggiare sì credeano. De’ pri- (60) En. VI. 572. Dante Inf. IX. (61) Intendi le Cerauste , che nella lingua dell’A. vuol dire un non so che somigliante alle Furie. (62) Da’ tormenti. (63) En. VI. 549. Dante Inf. VIII, (64) Temo di sbaglio , ma non oso mutare. (65) Il lat. Adamante. En. 512. (66) En. 558. (67) En. 580. Dante XXXI. (68) Inf. V. En. 566 e 432. - suli oe di 3 mi, che quì cominciarono a entrare, fu Nembrot (69) con gli suoi seguaci: e dopo lui ce ne entrarono tanti che, se corpora mondane avessero, non caperebbero in cento così fatti giri.Ma oggi, e sempre che ’1 mondo durerà, non cesserà quello orribile peccato da Dio maladetto, per lo quale mai nvn fina che questo luogo ogni dì si rinnuova di loro anime infelici. Questi, che quì sono, gli uomini del mondo si sommisero non per difesa nè per aiuto di loro, ma solo per tenergli in servitudine e sugare loro il sangue di tutte le vene (70). E quegli che parte fecero di quello donde essere ne doveano strani, mettendo il mondo in sì fatto squarto che tra gli uomini carità nè amistà che da natura procede (71), non vale. Tra questi vanno gli traditori nascosti (72), i quali per fare gli tiranni signori, i loro vicini hanno consumati: ma poi cono- sciuti per assassini da coloro, la cui, tirannia favoreggiata aveano, solo per di quella parte avere (73), furono da quegli morti e con- sumati (74). E quegli che nelle loro aringhe mostravano di con- sigliare il meglio del loro comune mostrando false ragioni, e, per sè ovvero per suo amico (75), fanno e disfanno le leggi e’ statuti, e mostrano di volere fermare il meglio , qual è tutto il peggio della comune gente. Quivi sono gli felli incappucciati (76) che loro falsità coprirono cogl’ ingannevoli mantelli; e gli avvo- cati e gli procuratori i quali con parole fecero del falso vero parere, consumando gli poveri oppressi i quali non hanno da. dargli moneta. E brievemente , di tutte conchiudendo, quì sono tutti quegli che in loro mala vita d’altro diletto e d’altra vi- vanda pascere non si vollero se non di saligia (77), che gli parve tanto dolce e ghiotta che ed altri cibi assaporare non vollero. Ma quì pare loro tanto orrida e amara che l’amarissimo fiele è miele a rispetto di quella. Intorno a quello grande castello volano spi- riti folti e spessi come le vespe intorno a’loro covili (78). E al- l’entrare fanno sì grande pressa, che fra loro medesimi l’uno l’altro magagua tanto, perla voglia che banno di sugare e’san- (69) Inf. XXXI. (70) En. v. 608. (71) Inf. XI: « Lo vincol d’amor che fa natura ,,. — Sguardo non è nella Gr. (72) En. 613. 621. (73) Per aver parte di quelle. (74) Consunto per ucciso nell’ Inf. XXXIV. (75) En. 622. (76) Dante XXIII. (77) Franc. Saleté. La Gr. ha salavo e salavoso per sudicio. (78) Non è nella Gr. 38 gui, rompere le ossa, e consumare la carne e le midolle di co- loro che di. saligia fecero tali bocconi. Dentro da quello castello siede Cerbero (79) vicario di Dite, e mariscalco del falso Plu- tone (80). Questi flagella quegli maligni spiriti i quali per las- sezza lasciano di flagellare e dare pene a coloro i quali affamati giacciono. Quivi ancora sono Cerauste paurose , delle quali a dividare la laida fazzone (81) non basterebbe maestro nè pinto- re (82), nè poetico detto, nè Tullio Cicerone col suo bello parla» re. Serpenti sono gli loro capegli; le loro mani sono pugnenti artiglie, che, innanzi che tocchino, squartano ciò che appostano. E con gli piedi corrono sì leggieri che di sommo ad imo di quello grande castello in uno battere d’ occhio compiono loro viaggio. Quivi è Megera e la Gorgona (83). Megera tutte quelle anime raccoglie e in bocca di Gorgona tutte le rivolge: le quali tutte intere le divora, e poi per lo sesso di fuori le caccia. Qui Me- gera presto le ricoglie e a Gorgona in gola le rimette: e di fornire questo grande travaglio giammai non restano le loro forti braccia. « Chi sono questi, disse allora Enea , i quali per Megera e per Gorgona qui sono tanto rivolti ? — Questi sono , disse la Sibilla ; gli ostinati cristiani maladetti i quali in loro vita non finarono mai di peccare, nè i loro peccati confessare vollero , ma sempre rinnovavano il loro mal fare e di male in peggio ogni dì veniano, Così per somigliante le loro pene qui giammai non finano ; anzi, come in loro mal fare sempre s’ avanzarono, così sempre le loro pene crescono. E, come sempre di bruttura volti nel mondo furono, così sempre, a simiglianza del porco, perpetuo si volge in tanta laidezza. ‘< E poi ch’ebbe così detto la Sibilla , disse a Enea : assai abbiamo veduto del castello le grandi pene e’dolorosi guai (84) : che ‘s’ io avessi la lingua di ferro, e la lena del fervente Borea quando più forte fiata , e la forza del possente Sansone, e di Salamone lo perfetto senno (85), non basterebbe a volere divisare (79) En. 417. (80) Non parrà dunque più tanto strana la frase di Dante, che chiama gran mariscalchi del mondo Virgilio e Stazio. Purg. XXIV. (81) Fattezze. N° è un es. in Brunetto. Quest’ altro dimostra che sì diceva anco in prosa. (82) Purg. X1: « Qual di pennel fu maestro o di stile Che ritraesse P... ,, (83) En. VI. 289. Inf. IX. (84) Inf. XXXIV. Sopra a lin. 27 volti par che significhi ravcolti in bruttura. (85, En. v. 625. ra sertancthaz lit 9 le svatiate pene di questo luogo. E però questo del tutto lascia- mo stare , e prendiamo l’ altro bello cammino il quale ci con- duce al divisato luogo per lu quate nvi siamo quì venuti. < Giunti sono a una grande grotta onde ssi passa per volere andare a quello chiaro Eliso ; ove trovare si fida la risposta di quello grande affare, per la quale cosa quì coudotti s’ erano. AI’ entrata di quella grande grotta giacea steso uno grande ser- pente, il quale, quando vide costoro venire sì soli, presto si le- vò , e aperse la smisurata e. divoratrice gola che a uno boc- cone divorati gli arebbe (86). Quivi Enea con sua spada in mano arrostare si credea, che non gli corresse addosso. == Lascia stare , disse la Sibilla : chè quì non vale nè spada nè ramo. E allora di sua pera (87) trasse una grande offa di pece e di vischio in- sieme confetta ; e quella grande palla in gola gli gittò. Quegli strinse la bocca; e quella masticando, rivolto in terra cadere gli convenne , e per la virtù di quelta confetta pece steso in terra cadde. addormentato (83). « Oltre passarono sanza alcuno stroppio : e giunti sono presso a uno grande lago. Quivi guatando videro uno bello colle in mezzo di quello lago (89); in sul quale erano molte torri grandi e alte smisuratamente , intorniate d’ uno forte muro. Intorno a quello colle erano molte grotte le quali pareano fucine di fabri. Dentro s’ udia lo grande martellare che tutto quello colle. tre- mare facea (90). — Dio! chi sono questi, disse allora Enea; che intorno al colle tale romore fanno ?_— La Sibilla rispose: questa è la rocca del fello Plutone : questo si chiama il grande Dio infernale. Quì per lui, tra quegli maligni spiriti li quali sono ministri delle pene dare, e tra quegli altri che nel mondo vengono per fare peccare l’ umana gente , si partono gli uffici in diversi modi. Quegli che non furniscono il lore affare , sono per gli altri messi in quelle grotte , od in quegli fuochi stanno per grand’ ora: poi sono posti in sull’ ancudine , e gli altri gli sono intorno con i duri martelli, forte battendogli come. fos- sero ferro : poi gli cacciano fuori, e ritornare gli fa a’ primi loro mestieri compiere. Così Plutone gastiga la sua famiglia : ed egli medesimo da quegli suoi ministri riceve. disciplina quando (86) Inf. VI. (87) Era dunque anco della prosa. (38) En. 420. (89) lvi "‘ (90) lvi 40 falla nella sua signoria che gli è data , non facendo quello che lui si conviene. Così Dominedio onnipotente de’ suoi nemici prende tale vendetta , che con gli nemici insieme punisce i suoi nemici : e l’ uno l’ altro sempre consuma e arde; nè mai riposo quì hanno tra loro. Tutto il contradio hanno in Paradiso quegli che sono degni di fare tale passaggio. L’ uno 1’ altro sempre ajuta e conforta: il bene, che sentono, partecipano insieme (91). «« Essendo giunti Enea con Sibilla presso al lago del qual io favello, volendo passare , trovarono uno grande ponte molto lungo il quale era sopra quello lago. Oltre passando ; una com- pagnia di spiriti maligni quì innanzi gli apparve con martelli in mano, gnudi , laidi, e orridi a vedere. Con irate ‘faccie comin- ciarono a dire : Chi siete voi che tale cammino tenete ? Questo è il vano regno sanza vivi corpi : solo spiriti fanno qui loro passo. Presi e sostenuti, vi conviene venir innanzi a Plutone che per voi manda. — Tosto gli rispose la Sibilla: Corpora abbiamo con gli spiriti misti (92): passare dobbiamo sanza contraddetto : con- ceduto c’ è da quegli che tutto possono (93). Noi non siamo ‘d’al- cuno reo sospetto: passare vogliamo nel beato Eliso. — E disse a Enea che mostrasse quello sacro ramo; e che quivi a coloro lo lasciasse stare , però che più mestiero non gli facea. Sì tosto co- me coloro videro tale bulletta, lasciarongli andare a loro volere. « Passati sono nel capo del ponte oltre la ripa di quello largo lago: uno alto colle qui hanno trovato (94). Essendo giunti nel sommo di quello , quivi prima la chiara luce apparve loro sì bella che neente è il lume del sole a rispetto di quella chia- rezza che luce nel piano di là da quello colle. = Scesî sono giù in quella pianura: uno finme trovarono di tanta chiarezza che non è cristallo nè splendore di stella che a quello 8° asso- migli. — Che fiume è questo? Disse allora Enea. — Questo è il fiume il quale per gli autori si chiama Letéo, della euì acqua chi bere n’ è degno, dimenticare gli fa quello che nel mondo seppe (95): e sua prima forma qui sì muta. Bere non può Enea nè Sibilla di quella acqua santa di quello chiaro finme, però che vivi sono , e tornare gli conviene nel mondano regvo; del quale se que’ loro spiriti fossero degni di berne , potrebbero meglio an- dare a quello luogo che ciascuno nomo disidera. (91) Purg. XIV. (92) G° è un po’di, panteismo in questa frase del giudice di Bologna. (93) Inf. Ill. V. (94) Purg. l- En. 676. (95) Purg. XXXIII. dI << Passando il fiume , lo raggio del sole; il quale si muove del beato Eliso, per .me’.Ja. faccia (96) rendea loro chiarezza assai maggiore che nel mondo umano non fa. il sole quando meglio luce. Quivi sono, prati di, molte verdi erbe , rose, gigli, e fiori d’ogni, maniera , arbuscegli e sonvi frutti (97) ; rivi d’acqua tanto chiari. e freschi. che insino al fondo si vede senza limo la cri- stallina,e candida ghiaia. Soavi e dolci canti di uccelli (98) da ciascuna; parte s’ odvuo , ‘al cui dilettevole verso chi dorme qui si risveglia, per lo diletto che muove la mente quale a dormire gli; spiriti conduce, Questo grande prato tutto è pieno di drap- pelli di Sauti Padri, di puri vergini, di santi confessori, di beati martiri, di;coloro che vollero giustizia osservare e conoscere Dio, nel mondo vivendo, Quivi sono e’ savi letterati i quali santa me- moria lasciarono nel mondo del loro lavorìo e del loro bello af- fare; E. ancora. quegli che furono difenditori degli miseri orfa- uegli, i quali per, tirannia forza riceveano. E tutti quelli che fu» rono osservatori de’ comandamenti del. verice creatore ; e quegli che furona persecuti (99) da’ loro. più possenti, acciò che il loro benefare abbandonassero , e fare non lo vollero; e ciascuno altro che sua voglia raffrenò e constrinse per soddisfare a’ ne- cestosi (100). :,, ....-Lo spazio mì manca per poter qui porre a paragone gl’ in- ferni delle varie religioni e de’ varii tempi, l’ omerico , il vir- giliano , il dantesco, questo del giudice di Bologna, ed altri dei secoli precedenti: per dedurre dalla distinzione delle colpe una prova del perfezionato senso morale ; dalla stessa gravità d-lle pene un indizio della coscienza più viva di certi delitti; dalla precisione ed. evidenza che. vengono col tempo acquistando le pitture di simili fantasie ; l’ accresciuta forza di quella potenza immaginativa che crea commentando le credenze comuni. Mi sia lecito almeno notare come i supplizi dal Minosse di Bologna assegnati a’ suoi peccatori siano talvolta più filosoficamente ap- propriati e in verità più diabolici che in Dante stesso, Dante dipinge le anime vili e dappoco o spinte ad un cor- rere violento o stimolate da mosconi. e da vespe; Armannino per (96) Purg. passim. (97) Purg. XXVII. (98) Purg. XXVIII. — Questo periodo non'è bén chiaro. (99) Manea alla Cr. (100) Manca anche questo. 1. IV. Novembre 6 42 più disprezzo le colloca sull’ olmo de’sogni a dormire un le- targo continuo di paura, e a tentare e atterrire con visioni i viventi. Armannino non mette nel limbo insieme co’non battez= zati i savi gloriosi dell’ antichità , pensiero non molto teologico dell’ Alighieri: ma il giudice di Bologna in compenso caccia nel limbo anco i fanciulli battezzati a purgare le ‘colpe de’padri loro. Filosofica è l’idea del poeta. che nel cerchio stesso raduna i pro= dighi e gli avari a insultarsi e a voltar di gran pesi da due parti contrarie ; e nel Purgatorio li condanna a giacere legati e immobili a terra : ma quanto a tormento , non è meno infernale quel d’Ar- mannino che fa colare in bocca agli avari piombo e ferro. — De”lascivi in Dante agitati dalla incessante bufera o bruciati nel fuoco, e de’ lascivi in Armannino buttati a cuocere nelle fiamme ed a friggere nell’ acqua gelata, quali sien peggio conci, sarebbe difficile a giudicare, — L’Alighieri che tuffa gl’ iracondi con gl'in- vidi e con gli accidiosi nel fango, che gl’iracondi purga col fa- mo , e gl’ invidi con un fil di ferro che lor cuce gli occhi, mo- stra il disprezzo ch’ egli ha di que’ vizi; ma divina è 1’ idéa d’ Armannino che gl’iracondi costringe ad aggrapparsi a ferri roventi per non precipitar fra le spine. Pe’ golosi, vedete quanto lusso di pene! Dante li fa stare alla pioggia immonda e alla neve e alla grandine , o li fa correre verso 1° albero dalle dolci poma: il Bolognese pone loro dinnanzi eletti cibi a cui sospirano indarno, li fa inghiottire alla Gorgona ed evacuare per nuovissima via , li fa pungere dagli artigli di quelle ch’ egli chiama Cerauste , li cambia da ultimo in porci , in lupi, in draghi, animali voraci. Egli poi all’ invidia destina un pro- prio e speciale tormento ; non la caccia nel fango , ma le fa uscir di corpo un serpente che la morde nella bocca e negli occhi , e poi le si configge nel cuore. Altra pena propria degli accidiosi, e infernalmente bella : l’ esser punti da’ forconi diabolici e artigliati da crudeli avoltoi che lor mangiano il cuore. I seminatori di scandali, che 1’ Alighieri consegna a un Demonio perchè li tagli in mille maniere diverse, Armannivo li consegna a Tisifone che co’ forconi li volti sossopra , e lega loro con ami di ferro quella lingua ch’ ebbero al male sì pronta. Nuovo peccato e nuova pena ; peccato gravissimo e gravis- sima pena è assegnata da Armannino contro i voluttuosi godi- tori delle fatiche altrui, contro quegli oziosi che son peste del mondo , perchè col contagio dell’ inerzia loro guastano ;l’ intera società , creano nuove arti di lusso , di corruzione , di vanità ; 43 spengono ne’ popoli ogni germe di coraggio e di forza. Costoro stanno tuffati nell'acqua gelata fino alla bocca, e patiscono sete inestinguibile , e bevono di quell’ acqua che agghiaccia loro il cuore con tormento peggior della morte; e le Cerauste ( raffina- mento di crudeltà diabolica ) gettano loro addosso i serpenti del capo, non per altro che per vedere s° e’ li sentano, cioè se il freddo e la sete non li tormenti abbastanza. L’ ira di Dio, che scende per la gran torre nel castello di Dite, è immagine tutta degna di Dante, e tocca il sublime. Quegli spiriti, che a guisa di vespe si affollano intorno alle porte per la pressa d’ entrare , è pittura che manca al divino poema. Quel Cerbero, che mangia non i golosi come nel sesto dell’ In- ferno , ma i diavoli stessi che son lenti a tormentare i dannati, è pensiero d’ originalità spaventosa. Quelle Cerauste che squar- tano, pure appostando, la vittima innanzi di toccarla, che in un batter d’ occhio percorrono dall’ alto al basso il castello ; quella Megera che raccoglie a fasci le anime disperate e le getta in bocca alla Gorgona; que’ demonii che si tormentan fra loro e che tormentano il re loro stesso , son bellezze degnissime d’ogni sovrana poesia. L’ Alighieri , agli sprezzatori di Dio ed a’ tiranni assegna un luogo men fondo del giudice di Bologna: questi li caccia nel tremendo castello; e unisce loro quelli che nelle loro aringhe mostrarono di consigliare il meglio del comune, facendo intanto per sè o per gli amici; unisce loro gli avvocati e i procuratori malvagi ; e nel più fondo dell’inferno suo conficca non già i traditori ma coloro che di dehtto in delitto più s’ allontanaron da Dio; onde, siccome s’ aggravò la malvagità loro, così sempre crescono i loro tormenti. O si riguardi dunque il merito delle.imagini o il merito della filosofica distribuzion delle pene, questa traduzione, questa com- pilazione d’Armannino ha bellezze, che alla povera e prosaica nostra moderna poesia non sarebbe facile impresa emulare. K.5kiY + GALLERIA OmERICA 0 Monumenti Antichi raccolti dal cav. FrAN- cesco IncHiRAMI per servire allo studio dell’ Iliade e dell’O- dissea. Fiesole , Poligrafia dell’ Autore 1827-31 , tomo 1. e 2. in 8.° fig.” ReaLe GALLERIA DI Firenze ulustrata. Firenze; Molini 1817-31, dal 1.° volume al 12.° in 8.° fig.® Della prima di queste due Gallerie, giunta rapidamente e felicemente al suo mezzo , si tenne da noi apposito discorso nel suo cominciamento. Dell’ altra, cominciata alcuni anni prima che l’ Antologia cominciasse , e ormai prossima 1 suo termine, an- cor non sì discorse. Dell’ una come dell’ altra si discorse frattanto , e con molta - lode, in altri giornali così italiani che esteri. Ed è notabile che la prima (il cui testo e le cui tavole , parte a semplici contorni, parte ombreggiate e colorate , si debbono del pari al cav. Inghi- rami ) fu lodata particolarmente, per quel che mi dice un dotto Alemanno , ne’ giornali alemanni, come le Notizie del Bottiger intorno all’ Arti ; l’ altra (il cui testo , secondo le varie serie, in cui essa dividesi, di Quadri storici, Ritratti, Statue, Cammei, ec. è dovuto a vari, il cav. Montalvi , il cav. Zannoni, un suo fra- tello morto nell’ età delle più belle speranze , il Masselli, il Corsi, il Bargigli ec., e le cui tavole son disegnate a contorno dal Gozzini e incise. dal Lasinio figlio) fu lodata particolarmente, per quel che mi è noto ; ne’ giornali francesi. Questa doppia particolarità mi è sembrata notabile, pen - sando che dagli Alemanni dovea giudicarsi con certo rigore d'un’ opera , che, per importanza se non per magnificenza, ga- reggia in qualche modo co’ famosi Monumenti Omerici raccolti e disegnati dal Tischbein , incisi, or non rammento da chi , ma certamente da qualcuno de’ più abili, e illustrati a principio dal- I’ Heyne, indi dallo Schorn coll’ assistenza del Creutzer; nè da’ Francesi dovea giudicarsi più indulgentemente d’ un’ altra , che pur d’ importanza se non di magnificenza gareggia colla ce- lebre Raccolta di Quadri , Statue , Bassirilievi e Cammei della Galleria di Firenze e del Palazzo Pitti disegnati dal Wicar, in- cisi da vari sotto la direzione del Masquelier, e illustrati dal Mongez, la quale, mentre que’ Monumenti escono in luce con molta lentezza , già ebbe, credo, due edizioni. Poichè e 1’ una e l’ altra delle due opere italiane non pos- sono tardlar molto ad esser compite, noi possiam differire a quando na Le A 89 45 lo saranno'il ragionar. di nuovo dell’ una, e 1° entrare in qual- che ragionamento sull’ altra , ciò che non potrà farsi che sepa- randole. Ci piace intanto, volendo almen dire a che segno son giunte, 1’ averle qui unite, giacchè e pel luogo della comune origine , e per certa somiglianza di forme, ed anche per certe in- trinseche relazioni.) possono da noi riguardarsi come compagne. Le relazioni cominciano; ciascun l’intende , ove nell’ opera, che si divide in più serie, comincian quelle che comprendono antichi monumenti. E il fermarsi ad alcune di tali relazioni sa- rebbe forse e per chi scrive e per chi legge egualmente dilette- vole. Ma a noi è pur forza restringerci ad una sola, che più d’ ogn’ altra, per vero dire, ci ha fatto qui unir le due opere, ed è quella che riguarda la questione dell’ autenticità de’ poemi omerici e dell’ esistenza d’ Omero, di cui in tre articoli inseriti ne’ tre primi quaderni dell’Antologia di quest’ anno si è data la storla. Nulla si tocca direttamente di questa questione dal cav. In- ghirami nella Galleria Omerica. Bensì , parlandosi della pittura d’ un vaso della Collezione Borbonica rappresentante Bellerofonte che giugne innanzi Jobate (t. 1.° tav. 83) si tocca per incidenza quel punto che in tal questione al Wolf parve principale. Nel- Ja Galleria di Firenze, ove parlasi d’ un bell’ intaglio in onice rappresentante la Chimera ferita da Bellerofonte (vol. 2.° del- la 5.* serie, ch’ è 1’ ultimo degli stampati, tav. 54, n. 5) è dal cav. Zannoni recato in appendice un suo discorso intorno al pun- to medesimo ov’ è ricordatu ciò che in proposito di quella pittura dicesi dal cav. Inghirami;e noi qui il daremo a compimento della storia già detta, non compendiandolo, ma per necessità in alcune parti abbreviandolo. « Rappresentata è (la Chimera ) combattente con lui (Bel- lerofonte) in altro intaglio della R. Galleria da me brevemente esposto. al n. 2 della tav. 14 di questa serie medesima. Non volli. ivi disputare se le cifre micidiali, recate contro sè dal calunniato Bellerofonte al re Jobate per comandamento di Preto, fosser lettere. o segni di convenzione tra questi due potenti; e solo fui contento di dire che 1’ antichità s’ era dichiarata a favor della prima; e che perciò dubitava che que'li eruditi, i quali han cre- duto raro ai tempi d’ Omero, che il fatto narra di Bellerofonte, l’uso delle lettere; stabilita avessero con pienezza di prove la loro sentenza. « Postomi io quindi con tranquillo arimo a furne esame, mi parve che il dubbio si facesse certezza. Le mie ragion! esposi 46 allora in uno scritto, di che, sono alcuni anni passati, feci lettura alla Società Colombaria. Questo scritto è quello che a modo d'appendice, se dir non posso a perfetta opportunità , av- venturo qui al giudizio del pubblico i confortato grandemente dalle Congetture intorno al primitivo Alfabeto Greco del sig. consig. march. Cesare Lucchesini stampate in Lucca nel 1829, colle quali mi sono trovato pienamente d’ accordo. “ Dico adunque in principio che le vecchie forme del greco alfabeto (v. la tav. ult. del tomo 3 del Saggio di Lingua Etrusca del Lanzi, i Prolegomeni del Wolf p. 50, e le Congetture del Lucchesini dalla p. 17 alla 33 ) or sono le stesse che le fenicie ed or vi son prossime. Dunque i Greci , io ripiglio , ebbero le lettere dai Fenici, e alcuna variazione v’ introdusser' di poi. « Dimostra la storia che non m’ inganno in questo modo d’ argomentare. È solenne, e dee prima che ogn’ altra recarsi 1’ autorità d’ Erodoto , il quale (lib. 5. c. 58) così scrive: = Oi dè Polvixes ete. Questi Fenici, che vennero con Cadmo, tra’ quali erano i Gefirei, abitando questo paese ( Atene ) v? intro- dussero con molte altre discipline anco le lettere, che innanzi, siccome io giudico , non aveano gli Elleni. Questi le usarono in prima ( v. gl’ interpreti a questo luogo ) nel modo in che tutti i Fenici le usano; poi coll’ andar del tempo (v. Spanhem. de Praest. t. 1. diss. 2. , e Voss. de Arte Gram. lib. 1 c. Io) in- sieme colla lingua cangiaron pure la forma di esse. Molti dei luoghi , situati intorno a loro, si abitavano in quel tempo da- gli Elleno-Jonici , i quali addottrimati nelle lettere dai Fenici, mutata figura ad alcune poche , se ne valsero ; e valendosene dissero , siccome era giusto, per averle i Fenici recate in Grecia, che si chiamasser fenicie. = Con Erodoto è sostanzialmente d’ac- cordo Diodoro Siculo , che sulla testimonianza di Dionisio Mi- lesio, fiorito prima ch’ esso Erodoto , scrive ( v. lib. 3 e 5); = ®yoi rotvuv Asbyucios etc. Dice adunque Dionisio , che tra’ Greci fu Lino il primo ritrovatore dei ritmi e della melodia , e il pri- mo altresì che trasportasse nella lingua ellenica le lettere le quali recò Cadmo dalla Fenicia, e che a ciascuna desse nome e ca- rattere. Dice pure che generalmente le lettere si chiaman feni- cie, perchè furon portate agli Elleni dai Fenici, e che ebbero anche il nome di pelasgiche, perchè furon primi i Pelasghi a ser- virsene dopo le mutazioni introdottevi da Lino. = Anche Cle- mente d’ Alessandria ( Strom. l. 1.) e Plinio (1. 7. c. 56), per lasciar gli altri, attribuiscono a Cadmo 1’ introduzione delle let- tere in Grecia : ed è notabile l’ asseveranza del secondo , che, 47 fatta parola per'sue, congetture o per altrui opinione delle let- tere assirie } soggiugne: utigue in Graeciam intulisse e Phoeni- ce Cadmum sexdecim numero etc. ". .« Queste testimonianze, mentre hanno indotto molti in per- suasione , non sono ‘ad altri parute tali da doversi con piena fiducia da loro abbracciare. I quali contradditori si sono divisi in dueschiere. Fan gli uni il general uso delle lettere posteriore ad Omero ; vogliono gli altri che precedesse la venuta di Cadmo. Esaminiamo tranquillamente le ragioni d’ ambedue le parti per prendere speranza di giustamente decidere. « L'una e l’altra ha fondamento su passi d’ antichi, Quei, che tengono aver vissuto Omero innanzi al general uso delle let- tere, han per campione Giuseppe Flavio (contro Apione I, 2) il quale sfida a trovar monumenti seritti dei tempi di Cadmo , sia ne’ tempii , sia in pubblici donarii ; ne informa che fu ricer- cato , se gli eroi; che ricorda Omero, avesser l’uso delle lettere, e che fu creduto esser più vero ch’ eglino l’ ignorassero ; e dice in fine che Omero non scrisse i suoi versi, ma sì che furon essi in prima ‘propagati per via della memoria e poi per mezzo delle lettere. « Rispetto al primo si meravigliò già il Vossio ( De Arte Gram. l. 1, c. 10) della franchezza onde Giuseppe lo asserì, e gli citò contro il noto passo d’ Erodoto. = Vidi poi io stesso le lettere cadmee nel tempio d’ A pollo Ismenio in Tebe di Beozia scolpite in alcuni tripodi e simili nella più gran parte alle io- niche = dalle quali variavano , nota il nostro autore ; per al- cune lievi mutazioni che, siccome già disse Erodoto stesso , gli Ionii vi avean fatto nel riceverie. Le iscrizioni dei nominati tri podi, ei prosegue, sono tre. La prima è questa: PA p@Psrpiwy etc. Anfitrione mi dedicò ritornando dai Teleboi , e secondo il com- puto dello stesso Erodoto appartiene al tempo di Laio figliuolo di Labdaco nato da Polidoro figlio. di Cadmo. La seconda è così espressa : Zy270g, ete. Sceo, avendo vinto nel pugilato, consecrò a te lungi saettante Apollo me bellissimo dono. Se questo Sceo, dice Erodoto , è il figliuolo d’Ippocoonte , viveva egli con Edipo nuto da Laio. L'iscrizione. del terzo tripode è la seguente: Azo- dhpc etc. Laodamante monarca consecrò il bellissimo dono a te provido (0 meglio, come il nostro autore dimostra ) saettator si curo Apollo. Il qual Laodamante , attestandolo esso Erodoto, fu figliuolo d’Eteocle ; e sotto il suo regno i Cadmei cacciati di sede dagli Argivi si ripararono agli Enchelei. << L’ingegnosissimo Wolf, gran sostenitore dell’opinione che 48 non concede scrittura al secol d' Omero , mega nei suoi, Prolego= meni a questo poeta» l’ antichità delle rifevite iscrizioni e, quella eziandio di tutte 1’ altre siffatte che .s’ incontrano nei greci scrit- tori (ip. 55 e seg.), parendogli ir. toto hoc genere primum) sancta* fraus grassuta esse , e ‘assai perciò meravigliandosi, d° Erodoto che s: lasciasse così ingannare dai ]mostratori[.al solo veder lets tere di forma inusitata. Acrius, egli dice ;\al suo lettore ,. mhz quaeso animum intende &d illorum versuum sonum, eumque com para cum Homero; aut) nihil in Orphicis adulterinum. reperies'; aut illos ad homerici, hoc ‘est cultioris jonici sermonis,. imitatio- nem factos esse, et ub ista, quae fertur, vetustate longins abesse concedes. Ma, oltrecchè mal si; paragona lo.stile dei piccolissimi componimenti con. quello dei Inughi (e qui.il nustro, autore pone in nota qualche eseinpio: fornitogli dalla. storia, della: nostra, lin= gua) dee anch= considerarsi :che. sono sempliéi e dettate, con quelle formule; le quali rendute mna volta, universali. e così per certo modo fatte sacre , punto.non cangiano mel succeder|dei secoli. Se ciò, ch'io dico, bisoguo avesse di, prove'} lai sola; An- tologia Planudiana ne darehbe «l’ assai. pel;-greco ,.. come ;pure, ne darebbero pel latino le formule del Brissonio. Nè può d’altronde recar meraviglia ch’ esistessero. brevi.poesie, appartenenti ed età sì lontane, dacchè , «siccome. dice 1’ acutissimo Payne Knight (Car. Hom. Proleg.), troicisijam temporibus regem unumquemque potentiorem in familia poetam uluisse constati, qui. hospites. et amicos in conviviis delectaret etc. etc. Il qual erudito, sebbene ebbe anch’ esso per sospetti i recati \epigrammi;, pur soggiugne: alioguin ipsa anathemata illius aevi esse potuerant; -perocchè sa- cros fuisse thesauros ditissimos et celeberrimos et Orchomenii et Delphis certissime constat. bot « Ma falsi pur fossero e sole frodi de’ sacerdoti sanctitatis famam, come scrive il citato erudito, e gloria antiquitatis cap- tantium y e sia loro da applicare ciò che dice. Tacito! di. Tito (Hist. II, 4.) che nel tempio della Venere Pafia vide la ricchezza ei doni dei regi, quaeque alia laetum antiquitatibus Graecorum genus incertae vetustati affingit , è si estimi altresì che Erodoto non fosse ‘atto a conoscer l’ inganno , ciò che in vero è per me duro a eredersi ; rimangono sempre a mio favore due argomenti, i quali, s'io non m' inganno , sottigliezza di logica non può ab- battere. Far imposture in monumenti scritti o figurati è sforzo di dar loro il carattere di quell’ età , di cui. si voglion far cre- dere. E poichè questo sforzo raramente riesce felice in ogui mi- nutezza di particolari , perciò interviene che i ‘più veggenti ne 49 riconoscano la falsità. Sussiste però sempre quel carattere gene- rale che ha fondamento sul vero e che inganna solu i men cauti. Fosse Erodoto pur tra questi; io torno a ripetere ; ciò nondi- meno dovrà sempre tenersi che le lettere di quegli epigrammi il carattere avessero delle cadmee; il qual carattere dovea d’altronde esser noto sì a molti altri e sì specialmente ad Erodoto, che tali le dice. Chè io. non credo; che alla vista di forme che a lui fos- sero ignote , e che gli si dicesser cadmee, volesse egli ciecamente prestar assenso al mostratore, e che, non prestandolo, non vo- lesse informarne il suo lettore ; siccome egli usa ogni volta che ‘ gli sia marrata cosa che non reputi esser vera. Perciò ( aggiugne quì in nota. il nostro autore) noù saprei mai esser d’ accordo col Wolf .che rispetto a questo scrive d’ Erodoto (Prol. p. 156) : acceperat, opinor, ita a monstratoribus etc. etc. Che poi si vedes- sero quelle iscrizioni in antichi caratteri nel tempio .d’ Apollo Ismenio è anche provato con molta acutezza dallo Spanemio (De Praest. t..1, diss. 2.) con un passo dell’opuscolo De Mirab. Au= scult..attribuito ad. Aristotele. Il quale Spanemio rammemora pur quivi altre iscrizioni in antichissime lettere ; ch'io non sa- prei , come il Wolf, negare contro l’ autorità di celebri uomini dell’ antiche età ec. « Che queste lettere esistessero , e si conoscessero, e dal fenicio Cadmo si chiamasser fenicie (e pongo in ciò il mio se- condo argomento ) è manifestissimo dalle, parole d’ Erodoto che h» sopra recato: = gli Elleno-Jonii.addottrinati nelle lettere dai Fenici éc. = Le quali parole non contengono già il giudicio d’Ero- doto, ma la storica notizia d’ un fatto da tutti ammesso, e che per questo, non. può, negarsi; tanto più che confermasi, dal lnogo di Diodoro Siculo pur. sopra addotto, e da Plutarco che dice anch’ esso (Simpos. l. 9. quest. 3 ) essersi le lettere = chia - mate fenicie a cagione di Cadmo. = E non sia pur mai stato Cadmo , come alcuni pensano (avea, già detto il nostro autore in una nota al passo pocanzi ricordato d’Erodoto); dovrà credersi non- dimeno che le lettere venissero ai Greci dai Fenici , essendo inne- gabile che i Fenici si recassero in Grecia e che vi commerciassero; nè senza l’arte di scrivere potendosi, come il Lucchesini osser- va , esercitare la mercatura ‘così ampiamente come i Fenici fa- cevano. : « Ugualmente non par da riceversi l’ opinione ; che gli eroi introdotti da Omero! nei suoi poemi ignorassero le lettere. S’ac- corgerà il lettore ch’io ho in animo di farmi forte sul passo del T. IV Novembre. 7 50 sesto libro dell’ Iliade , ond’ ha avuto mossa il presente ragiona- mento, e in che si parla di Bellerofonte spedito in Licia da Preto a Iohate per essere ucciso: Quantunque a sazietà scritto siasi su questo luogo, pur mi è mestieri di qui addurlo (veggasi, per brevità, nel 2.° degli articoli antologici già ricordati) dovendo su d’alcune parole di esso ragionar brevemente ec. ec. “ In uno degli Scolii Veneti a questo luogo si mota che da esso mal si è arguito l’uso.delle lettere; dovendo il: verbo ypaPew valer lo stesso che &éey, incidere, e il nome c)para significare il medesimo che {dwAe, figure, delle quali convenuto si fossé innanzi tra Iobate e Preto. Coerentemente alla qual' dottrina tro- vasi in un altro dei menzionati Scolii = dice ‘notè e non lettere; dunque incise figure = la qual interpretazione’ è ‘adottata dal- l’ Heyne nelle sue Osservazioni all’ Iliade e dal» Wolf nei suoi Prolegomeni. Che ypaPsv vaglia anche Eéewy (v. il Boeckio nel Corpo delle Iscrizioni Greche, fas. 1) io nol' contrasto. Ma ciò nulla rileva ; incidendosi egualmente le cifrè ele lettere. Esa* miniamo ora la parola co)uara. È essa di estesa significazione, dinotando e cifre e lettere e segni e figure di ogni specie. E per render certo il particolar significato di lettere, sono da ricordarsi i due versi di Timone scettico e interprete di 'Pirrone ( presso Sesto Empirico adv. Gram. , }. 1} c. 2) nei quali si nominano Posvinink cupara Kèdpov , che altro esser ‘non possono se non le lettere ch’ era fama aver Camo recate dalla Fenicia. Come poi i Greci chiamaron ciuara le lettere, così i Latini le dissero notas , di che sono esempii nel Forcellini. Pertanto ‘nè il verbo ypàpew nè il nome ciD4 impediscono di vedere nell’ addotto passo -d’ Omero l’uso della scrittura ; come ‘a dir vero non va gliono di per sè soli a renderne certi. È adunque da esaminare il complesso delle cose coritenute in quel pusso \per conoscere se mercè d’esse scioglier possasi il dubbio. «È certo di per se che nelle parole omeriche rivax: 2 1 TTUrTA è dinotato un pugillare; e certo è pure per la testimo- nianze di Plinio, che, alludendo ‘a esse in due luoghi della sua Storia, dice. nel primo: (l. 13, sez. 21) Pugillarium usum fuisse etiam ante \troiana tempora invenimus apud Homerum;:e nel secondo: (I. 133, sez. 4) Cum Homerus codicillos missitatos. epi- stolarum sratia indicet. Ora nel pugillare gi scrivono non s in- cidon:lettere ; nota il mostro ‘antore , ricordando il pugillare mentovato ;' nel c. -31, v. 116 d’ Ezechiello ; pugillare ov’ è scritto. coll’ atramento, siechè si ha ragion di credere (iv. , egli dice, anche PAckermann nell’Archeol.) che in Omefo il ypaPssy ” DI siguifichi propriamente scrivere , e il gipua vera scrittura, come, trattandosi della pittura d’ un vaso ove Bellerofonte sceso dal Pegaso si presenta a Iobate col pugillare chiuso e legato, l'in- tese appunto, il. cav. Iughirami 6 Quindi ingannossi 1° Heyne,, affermando che negli antichi pugillari insculpebantur certa rerum signa etc. ete-j e dicendo del pugillare di‘ Bellerofonte: videtur res. redire ad tesseram ho- spitàlem, etc. wella quale esse debuit:signum, unde Iobates in- telliveret isti homini mortem inferendan esse ; ciò che faria sup- porre fra Preto e Tobate\ una convenzione stranissima ; come la chiama il Lucchesini ec. LdpdoAov diceasi dagli antichi, ei pro- segue ; quella tessera, ed era un astragalo , che, diviso ‘in du» parti , mezzo serbavasi nella casa de'l'un ospite, e mezzo in quella dell’ altro. Il confronto de’due pezzi facea conoscere con sicurezza (di che vi Euripide nella Medea, ‘Plauto nel Penulo ; il Mor- celli in un ‘opuscolo pub.'e-illus. dal Labus) il diritto della già fermata ospitalità } che durava nelle famiglie e di cui parteci- pavan pur quelli che dall'una all’altra s’inviassero. Eecòo perchè Bellerofonte mandato da Preto a Iobate ; e (da questo (lo ‘nota anche l’Heyne) ospitalmente ricevuto, è in capo a nove giorni richiesto. del segno onde .provasse. veramente esser spedito da Preto. © Or questo segno non era ‘da confondere, siccome si fece da'l’ Heyne , col ciare AUy pa ,' parole che non, sono. già iu plurale per uso poetico 3. ma perchè tali le esige.la ragione e la grammatica , corrispondendo ad esse, e formandone dichiarazione che nun erra , le yoci duo DÌ 6pe ToXdl; le quali dicono chia - ramente (come già dal Lucchesini fu'osservato) molte cose essere state nel pùgillare: relative alla morte di Bellerofonté. Quindi è forza vedere lettere alfabetiche e non cifre ò segno arcano.nella parola cuara. Un segno e non. molti adopetar si doveva. come confessa anche l° Heyne , ad indicar. che. Bellerofonte era da darsi ‘a morte. Molti segni per dire a. Preto ch’ei facesse di tutto per ispegnerlo, esponendolo prima .a. gravi cimenti ec. ec., con: forme a quello ch’ ei fece ; giusta 1’ omerica narrazione. “ Questo mio ragionamento; distrugge affatto le già. recate sentenze di Giuseppe. Flavio e-dei due Scolii Veneti, distrutte - eziandio dalla maggiore autorità che già si disse. d’ Erodoto, di Diodoro Siculo, di Plinio ed anche di Apollodoro ; il qual scrive: (Bibl. 1.2) = IIpo?ro:, etc. Preto gli diè lettere da recarsi. a Tobate, nelle quali era iscritto ch'egli uccidesse Bellerofonte. lo- bate, venutone in cognizione ; gli ordinò d' uccider Ja. Chime- 52 ra ec. = Non m'è ignoto che il Wolf tratto ha al suo parere ancor questo luogo d’Apolladoro, scrivendo: (p. 74) Tivaxa Ho- meri mutavit'in èTISTOÀ)Y, etc. ete., e spiegando questa paro!a per comandamento. Ma tal significato , ch’essa ha più volte, non può averlo certamente nel luogo che si è addotto. Ognun che il legga senza spirito di sistema vedrà che vi si parla d’nna vera let- tera, .e n’avrà conferma piena dal contesto , cni sembra che il Wolf non abbia posto mente: = ‘0g dà nat roùrous ete. Come poi uccise Bellerofonte pnr tutti questi insidianti, ammiranilo Iobate il valore di lui, mostrogli le Zettere (nel vero senso d’epi- stola, come da altri esempi che reca E. Stefano), il chiese di rimaner presso di se dandogli in moglie la sua figlia Filonoe, e morendo lasciogli ‘il regno. = Nè vero è quel che dice il. Wolf, che il verbo èreyviovai , che vale secondo luni conoscere e non leggere, tolga ogui dubbio al suo pensamento, L’Heyne, che per l’uso di questo verbo sospetta inesattezza in Apo'lodoro , dice poi saviamente: verum agnoscit quoque aliquis. litteras ad. se missas. E di tal uso è pure esempio nell’epistola di S. Basilio intor- no alla vita solitaria; ec., di che vedi lo Stefano alla voce 74 yIDwILW. « Ma si ascoltino altre obiezioni. Sia prima quella che la materia riguarda in che si scrisse, della quale così dice il Wolf: Admodum inconditam (scribendi) artem mansisse apparet et ra- rissimum usum ejus, antequam eam in ovillis vel, cuprinis pelli- bus procedere animadversum erat. Id autem ab ITonibus institu- tum, luculento loco refert Herodotus (1. 5, c. 98) etc. Ma si esamini il passo d’ Erodoto: = T&s ffufBAovs, ete. Gli fonii da tempo antico chiaman membrane i papiri, perchè una volta in iscarsezza di questi si servivano di pelli di capra e di pecora. = Questo passo; che dee riferirsi ed età antica rispetto ad Erodoto, il quale nacque 484 anni innanzi l’era nostra, può spiegarsi in due maniere. Può credersi che gli Ionii in sul principio si servissero di membrane per la scrittura, a cagiove d’ esser tra loro rari i. papiri, e, valendosi poi di questi, per catacresi li chiamasser membrane; e può anche pensarsi, ma con minor probabilità , che gl’ Ionii, usati prima i papiri, fatti questi poscia, qual che ne fosse la cagione, rari tra loro, adoperasser le pelli, e ritornati ai papiri, ritornatane loro l’ abbondanza, gli di- notassero col nome di quelle. Si osservi qui che, in qualunque modo s’ intenda il passo d'Erodoto, non può con fiducia dedursi da esso che gli Ionii fosser i primi a scrivere sulle pelli. E si noti anche che Erodoto dice scarsezza di papiri e non man- eta rt 93 canza , essendosi questi potuti dai Fenici recar agli.Ionii, dal- l’ Egitto, avendlo Varrone. certamente affermato il. falso, quando disse la carta papiracea Alerandri Magni vic'oria repertam etc., ciò che Plinio (1. 13, €. 16 , sez. 27) ribatte. vittoriosamente,, e il Larcher (nelle note al 5.° ,d’Erodoto) spiega d’ una .carta di più comodo uso qual, forse si aveva al tempo di Varrone. Non pochi papiri infatti scritti in. Egitto al .tempo de’ Faranni, sono non ha guari tornati in luce. Pertanto! possiam .noi y andando indietro, pervenire fin presso, al tempo.in che; .testimoniandolo Erodoto, gli Elleno-Ionii., isteniti dai Fenici nelle lettere, se ne valsero e le chiamaron, fenicie, Elleno-Honii.li, chiama Erodoto, perchè Ione, onde il nome, d’ Jonii,,, fu, figlio di, Xanto che macque: (v. Apollodoro 1. 1), da Elleno, onde, gli, Elleni, al quale fu padre Deucalione. Ed è qui dda rammentare che probabilmente gli Elleni. uscirono. dai Pelasshi (v. Raoul-Rochette,Hist.; Grit. des Colon. Gr. t.,.1), e che gli Ionii certamente si. mescolarono e un sol. popolo divennero coi Pelasghi ritornati nell’Attica dop essere stati costretti (v. Heyn ad Apoll.) a fuggi dall’Acaia. La qual notizia può per avventura far intendere, la cagione, ; onde Diodoro scrivesse, siccome veduto abbiamo! di sopra ;; che le let: tere cadmee ebbero anclie il. nome di pe'asgiche , spit faron primi i Pelasghi a servirseue. «Ma prosegue il. Woif: (p. 60) Zr fomitiluie, in Lina vet laminis metallorum prima tentamina facta esse minime dubiumn est, etc. etc., e parla delle leggi di Solone .incise in legno, e scherza su l’ Opere e le Giornate d’ Esiodo che i Beoti mostrarono a Pausania incise in piombo ma in molta’ parte. illegxibili?; (ec. Concedo che le leggi di Solone e di altri legislatori (dice il no- stro autore esaminando tutto il passo che cita) si scrivessero in legno; e concedo altresì che in legno si scrivesser mnicamente le pubbliche cose. Ma che per questo ?. I Romani scrissero le lor leggi in tavole di rame. Dee dunque dirsi che a ciò solo limita- tà fosse la loro scrittura? Le leggi, che doveano tenersi esposte al pubblico, incideanisi su durevol. materia; lo che l’uso:non. to- glie dell’ altre materie per private e più lunghe scritture. Nou so poi perchè debba tacciarsi Pausania d’aver bevuto grosso, sie- come dicesi, rispetto all’ Opere ‘e Giornate d’ Esiodo , scritte in lamina di piombo. Afferma egli d’averle vedute (1. 9, c. 3) e deb- besegli credere , ec. ec. Nè gioverà obiettare il passo di Plinio (I. 13 sez. 11) che riserba il piombo ai pubblici monumenti; anzi dovrà .con esso avvalorarsi |’ autorità di Pausania , perchè quel'a poesia d’ Esiodo era pubblico monumento pei Beozi , che il no- 54 veravano tra’ lor cittallini ‘Se non che, se''inon fosse noto per altri ‘argomenti ch'era’ scrittura in Grecia ‘prima d’ Omero è d’ Esidd0) non'potrebbe col'rammemorato piombo provarsi a que- stî contemporanea, perchè Pausania dice d’aver veduto un piombo antico è mon fn piombo del tempo d’Esiodo. Nè perchè guastisi un piombo!) d’ dopo è di tempo lunghissimo 4/ec. Le quali» cose rendono infermo (di'che regvasi anche il Knighty che ‘credeva ie 1) l'argomento del Wolf. Fi dIA5IGÌ A < Neppnrè ha forza quello» che per fu ‘traggesi dai tini lines, non 'essnilo vero che 1’ nsb'di questa materia attribwi- scasi' Qi solil'Romani. Plinio! non ne ‘parla’ solo rispetto advessi . ma sì'in' generale; come appariscè da quel passo: (del 1134; 86211.) Ti palmarum foliîs' primo ‘seriptitatium. ere. ; mor et privata (monumenta) linteis'(voluminibus) confici corspta, etc. ete. Laònde' ebbe'!torto il Wolf in ‘asserire chey concedendo la Itela ‘a Mosè pel’ Petanteneo » non si' può del''ipari concedere ad Oinerò (il'‘qral’ perdltto nota il'nostro autore ; poteva anche fari uso del papito 6 ' delle pelli.) all’ nopo de suoi | poemi. (La. serit- tira in’ ‘tela’ usata” fu dagli Egiziani, ed è manifesto dai. rotoli linteî ‘seritti che ‘'alenmna volta si ‘trovano | velle mummie: dei tempi de’ Faraoni Scrivendo pertanto gli Egiziani e gli Ebrei in questa materia, non veggo perchè seriver mon vi potessero ancora i Greci) i quali (testimonio Giuseppe ‘/ come. osserva il Raoul- Rochette) conobbero gli Egiziani per mezzo de’Fenici, e dai quali è da'dire che ne apprendesser 1’ riso i Romani. : « Ma, iripiglia il wolf. nemmeno le leggi ‘furono scritte. avanti al Zaléunco' re dei 'Locresi:, ch? Eusebio dice. aver fiorito nell’olimpiade ventinbvesima) cioè 70 anni primi di Selone e 664 innanzi: Cristo; e Strabone pur dice (I. 6) credersi che i Locresi pri mi di tuttiavessero leggi-scritte. Se non che al greco geografo può oppotsi Platone: il quale afferma che le leggi di Minosse incise furono! in rame al tempo medesimo di ‘questo regnante; custodite e futte osservare nella. città di Creta da Radamanto , è portate in giro ‘tre! volte l’anno pel resto dell’isola da certo Talo, chindi fa chiamato yadboie , di rame. Il qual passo piglia‘ e dà con- ferma a ‘quel d’ Apollodoro (1. :3.): = Mivws' ete. Minosse poi abitando in Creta scrisse le lessi. = Nè potrà riceversi la chiosa dell’ Heyne (ad Apul. p. 215) reges tulit . | condidit , non libris mandavit, nè quella del Wolf 'che' dice d’Apollodoro (p. 69) seri bit sane, non testati} fortasse ne credidit quidem;ichiosa che parmi indegna di questo dotto, sì perchè ogni storico guadagna fede marrando , e senza aver! d’ uopo d’ attestazioni, sì perchè Pr St 55 non è permesso; quando ne manchi ogni indizio, sospettare che nacri cosa che poi egli non creda. | ‘Del resto il recato luogo di Platone punto non smove il Wolf dalla sua sentenza. Chè anzi egli scrive (p. 68) d’ averlo con. altri dutti per.sospetto 0 per ‘favoloso come. quell’ altro : =%Gi dx Tpaywdia:, ete. La. tragellia. è più antica cosn; nè già ebbe, siccome opinauo , incominciamento da Tspi o da Fri- nico; ma. se tu voglia investigare, conoscerai. esser questa un an- tichissimo ritrovamento della nostra città. = Ma si creda per ora che il falso abbia quì narrato Platone. Ne verrà egli in conse- guenza che narrato. pur l’ abbia rispetto alle leggi di Minosse ? Ch’ egli però nè qui pure’ { rispetto , cioè , all'invenzione della tragedia ) abbia detto il falso, è ‘abbastanza evidente. Chè in ciò ei non tien sentenza diversa da quella «l’ altri antichi, siccome Ateneo al cap. 3 del lib. 2.°, e \ristotele nel principio della Poe- tica (il nostro autore ue cita le sentenze), a cui si conforma il Casanbono in un passo del suv trattato (lo cita qual si legge nella trad. del Salvini, p. 5.) della Poesia Satirica. « Nè io già, col difendere a mostrar vero il racconto di Pla- tone , voglio per errato si tenga quel di Strabone: chè i due scrittori, quando ben si esamini il contesto del recato passo di questo , cre.ler si possono tra loro pienamente concordi. Il con- testo ; di che io parlo, leggesi alla pagina che seguita la già ci- tata'ed è questo: = Ti: dè rw Aoxpay ec. Facendo poi Eforo menzione del coilice di leggi dei Locresi , che Zeleuco compilò, giovandosi della legislazione di Creta, di Sparta e degli Areo pagiti , dice ch'egli fu il ‘primo a introdurvi innovazione; pe- rotchè ove i passati legislatori davano facoltà ai giudici di as- segnar le pene a ciascuu delitto, egli definite le volle nelle sue leggi, pensando che i pareri di loro uguali non erano nelle cose medesime , ec. = Ora averdo ciò fatto Zelenco, fu detto essere stato il primo che le leggi scrivesse. Nè questa spiegazione vur- rà negarmi chi, pratico del far degli antichi , sa che assai volte presso di loro ha voce d’ aver inventata alcuna cosa quegli che solo ne fu il perfezionatore. E tale esser il caso di Zaleuco, ma nifestato è pure da quel passo di Tullio nel cap. 5 del lib. 2.° delle leggi Constat profecto ad salutem civium etc. conditas. esse leges; eosque qui primum ejusmodi scita sanxerint, populis osten- disse, ca se scripturos atque laturos ; quibus illi, adscriptis susce- ptisque , honeste beateque viverent , ete. etc. E a me assai piace nelle cose di memoria ‘antichissima attenermi ‘al giudizio di Tul- lio e al consenso degli altri antichi che più che noi a quelle 50 furono presso; che lessero libri e vider monumenti i quali ‘a noi non pervennero , ec. E tanto più volentieri m' attengo a quei grand’ morini, perche il retto esame delle cose da lor narrate è di quelle che loro pe’ moderni s' oppongono , le seconde dilegua e le prime conferma. Avvertasi che Strabone dice solo che fu istat che i Locresi fossero stati i primi ad aver leggi scritte; nè di ciò fa discussione ; e che dull’antichità si dubitò pure della esistenza di Zeleuco (v. Cic. lib. citato c. 6) anni Teo frasto e negaudola Timeo. Le cuse da me fin qui osservate fau , sio non m'inganno; palese l’asserzione mia ; e quelle che restano ad osservarsi , se mon riesca vana la mia fiducia, non faranno che avvalorarla. E come infatti ammetter che Omero non scrivesse i suvi poemi ? Dirò col Cesarotti (Rag. stor. crit. sull’Iliale) = parermi assai malagevole che un uomo possa ritenere più di 20 migliaja di versi consecutivi; e, poiché niuno degli antichi si avvisa di farne un me - rito al nostro poeta , sembrami pure ch’essi fossero persuasi- ch'egli era in ciò ajutato dalla scrittura, = Sia pure una fuvola quel che dice Diodoro che Omero apprese da un certo Pronapide ateniese il mezzo di conservare e tramandare i suoi versi colle antiche let- tere pelasgiche. In essa si avrà pur conferma che dall’ antichità si credette esser scrittura ai tempi d’Omero, Del resto chi po. trebbe credere il contrario, solo che cunsileri i suoi divini poemi? lo taccio di tutti gli altri pregi che sono în essi, alcuni de’ quali mostran pure ad evidenza che non posson essere lavoro di più mani, di che veggasi e il Rigionamento pur or citato del Cesarotti, e i Prolegomeni pur altre volte citati del Payue Knight, e le Congetture più volte lodate del Lucchesini. Solo ricordar voglio la lingua, che certo a quello stato di copia, di fa - cilità, d’ eleganza , che in Omero si trova, non poteva essere senza scrittura pervenuta; su che non mi disteudo, ciò essemlo- si fatto abbastanza in una bella dissertazione inserita nel Magaz. zino Enciclopedico del Millin (An. 3, vol. 5) in che a confutar si prende il sistema del Wolf, « Questo dott’ uomo , alle cui obiezioni ho fin qui risposto, in un luogo del citato suo scritto (p. 57 e seg.), non si mostra alieno dal credere che innanzi all’età d'Omero fosse certa la scrit- tura ; solo a quei tempi la pretende rarissima. Perlando egli di quei monumenti, quae, per usare le sue parole, antiguiora Homero nel olim constitisse dicuntur vel hodie ab eruditis cupide perhibentur , soggiunge: verum ab ea via (ciò di credere con- temporanei al Orfeo e titoli ed epigrammi scritti) plane me aver- 97 terunt plura ‘vestigia historica, earamque rerum, quibus istius aetatis cultus continebatur , et ipsorum illorum monumentorum curiosa et subtilis existimatio, etc. etc. Al qual passo, che sa- rebbe quì troppo lungo il recar per intero, e dal quale il Wolf conchiude che l’uso della scrittura fra’ Greci non potè essere che assai tardo , il nostro autore oppone quest’ altro in parte già recato d’ Erodoto : = I Gefirei , siccome essi dicono, veni van d’ Eretria ; ma in verità, siccome io ricercando ho potuto scoprire , furon essi di quei Fenici che vennero con Cadmo nel paese che or si chiama Beozia, e la porzion d’ esso abitarono che si appella Tanagrica, ottenutala mercè della sorte. Cacciati in prima dagli Argivii Cadmei , e quindi i Gefirei dai Beoti, si ri- volser essi ad Atene. Accettaronli gli Ateniesi colla condizione di esser lor cittadini, senza però partecipare di molti diritti, che qui non giova il rammemorare. Questi Fenici pertanto che ven- nero con Cadmo , tra’quali erano i Gefirei., abitando questo pae- se, v’introdussero con. molte altre discipline ancor le. let- | tere, che innanzi, siccome io giudico, non avevano gli Elleni. Le recarono in prima quali le adoperarono tutti i Fenici: ma poi col volger del tempo , insiem colla lingua , cangiaron pure le forme di esse. Molti dei luoghi situati intorno a loro si abita- vano in quel tempo dagli Elleno-lonii, i quali addottrinati nelle lettere dai Fenici, mutata figura ad alcune poche di esse , così se ne valsero. = « Dal qual racconto d’ Erodoto risulta al presente uopo no- stro ; che i Fenici, abitando in Grecia, col volger del tempo mu- taron lingua e fecer cangiamenti ai tratti di lor lettere , e che gli Elleno-Ionii si valsero di così fatte lettere inducendovi an- ch’ essi aleuna mutazione. Qual fosse la lingua , in che i Fenici mutaron la propria, nol dice Erodoto ; ma è facile argomentarlo. Le vicende della lingua sono presso a poco le stesse in ogni tempo ed in ogni paese: e stranieri, che rechinsi in luogo già popolato e vi stabiliscano la dimora , adottano appoco appaco, astretti dal socievol consorzio e dai bisogni della vita , la favella di questo e perdon la propria. Laonde è da dire che i Fenici stanziati tra” Greci prendesser la lingua che da questi allora si favellava , e che ai suoni d’ essa adattassero con alcun cangia- mento , siccome attesta Erodoto , le lettere del proprio paese. Di qui forse, dice l’ autor nostro in una nota , le lettere attiche antiche e nazionali, come son dette da Esichio , e delle quali fa pur menzione Pausania alc. 19 del lib. 6, non però dicen- dole più antiche delle cadmee siccome il Raoul-Rochette, il quale T., IV. Novembre. ho) 58 (v. la sua Storia già citata, 1.° vol.) erra pure dicendo che Ta- cito fa Cecrope dator d’ un alfabeto agli Ateniesi. « Gli Elleno-Iunii, prosegue l’autore, ebbero adunque, secon- do il racconto d’ Erodoto , ne’ Fenici i loro insegnatori ; laddove il Wolf, contro la fede della storia, gli fa maestri a sè stessi per via di lunghissimo tirocinio. Nè veramente sa intendersi come necessariamente scorrer debba gran tempo dalla breve scrittura in marmo od in rame alle prolisse in papiro od in pelli. Se mi si conceda dover intervenire , che in una o poche brevi scritture adoperate vengano le lettere tutte dell’ alfabeto ; mi si dovrà pur concedere che in ciò null’altro studio resti a quello che prenda a dettarne di maggiori. E quando dico di maggiori ( ei ricorda a questo proposito alcune osservazioni altra volta da noi citate del Lucchesini) dir non intendo, che, nel primo adattarsi dell’ alfa- beto fenicio alla greca favella, scriver si potessero componimenti sì lunghi e sì perfetti, come 1’ Iliade e 1° Odissea; chè allora questa lingua non poteva certamente bastare a tal uopo. Atta vi si rendette a gradi e colle tante poesie che prima d’ Omero si scrissero e che a noi non son pervenute. « Adunque il racconto d’ Erodoto e d’ altri autorevoli anti- chi intorno al greco alfabeto non crolla punto per ciò che gli è obiettato dai moderni ; ed io all’ apologia d’ esso potrei qui dar fine. Ma poichè ognun, che opponga, uso è sempre di gridar vit- toria , se tutte non vegga sciolte le difficoltà da sè poste in mez- zo , passerò ora a considerar quella che si trae in ispecial modo da’ poeti che nè con Erodoto concordano nè tra sè stessi. E qui citato un lungo passo che leggesi (a p. 51) ne'Prolegomeni del Wolf, cita Eschilo, il qual parla di Prometeo , Euripide , il qual parla di Palamede , altri che parlan d’ altri; indi prosegue : « Ma nè Prometeo secondo Eschilo, nè Palamede secondo Euripide furon ritrovatori delle lettere; ma sibbene i congiun- gitori di esse a formarne le sillabe e le parole. Si rechino i passi d’amendue. Rammemorando Prometeo appresso Eschilo i vantaggi da sè recati agli uomini , dice tra l’altre cose: = Ka} uv 4p9- dv, ete. Ritrovai anche a loro 1’ aritmetica, che è scienza più eccellente che ogni altra , e 1’ accozzamento delle lettere. = In uno poi dei frammenti del Palamede d’ Euripide così leggesi : = Tà tijs ys A4Iys; ete. Dirigendo e regolando io solo le conso- nanti e le vocali, che sono rimedii alla ohlivione , e componendo le sillabe , trovai agli momini la scienza delle lettere : cosicchè saper possa bene le cose di casa quegli che , soggiornando oltre- mare, ne sia lontano ; il genitor morente lasci per iscritto a 59 ognun SE figli la porzione di sué sostanze , ec. ec. = I quali due passi non tolgono punto a Cadmo il vanto d’ aver recato, le lettere in Grecia j ma solo attribuiscono a Prometeo e a Palamede (v. anche l’ Hemsteruis ad Luciani ind. voc. c. 5) la stienza del - l’uso. La storia di Cadmo era troppo nota in Atene , perchè si potesse a lui togliere dai due tragici il vanto che si è detto. Ben potea soffrirsi dai loro ascoltanti che si attribuisse ad un sapiente come Prometeo e Palamede, ciò ch’ era ignoto cui propriamente si dovesse, e che ad un’intera popolazione è attribuito da Ero- doto e da altri, siccome abbiam veduto più sopra. Ei tragici per l’ effetto teatrale ( di questa sentenza l’ autore arreca più prove) alteravano con mutamenti ed aggiunte le tradizioni e le storie , non creavano ciò che ne forma la parte integrale ec. ec. « Veramente (ei soggiunge) negli Scolii all’ Oreste d’ Eu- ripide (v. anche il Vossio Art. Gram. l. 1, c. 10) leggonsi que- ste parole: = OùrTos 6 TeAayydys , etc. Questo Palamede si dice che trovasse sedici lettere (le sedici , sospetto che debba dire , poichè i Greci non ne avean di più ) le quali ancora non erano, servendosi alcuni uomini delle fenicie e altri d’ altre. -Così nel seguente passo di Tacito (An. 1. 11, c. 14) Cadmum classe Phoe» nicum vectum, rulibus adhuc Graecorum populis artis ejus (scripturae) auctorem fuisse: quidam Cecropem atheniensem, vel Linum thebanum et temporibus trojanis Palamedem argivum me- morant sexdecim litterarum formas : mox alios ac praecipue Si- monidem caetera reperisse. Il qual passo ho anche volentieri ad- dotto, perchè sempre meglio conoscasi che l’ opinione più rice- vuta (v. anche Lucano 1.3, v. 220), e che sembra essere stata pur quella di Tacito, lo che molto rileva, attribuiva a Cadmo l’ar- recamento delle lettere in Grecia. E poichè di Cecrope vi si parla, dico che l’invenzione si attribuisce a lui perla ragione medesi- ma che a Lino e Palamede, cioè per la sua sapienza, essendo quegli da cui può dirsi ordita la. civiltà degli Ateniesi. Riguardo però a Palamede non si tiene da tutti quei che il \rammeutano in questa scoperta la stessa opinione. Utique , scrive Plinio (1. 7, sez. 57) in Graeciam intulisse e Phoenice Cadmum sexdecim nu- mero. Quibus trojano bello Palamedem adjecisse quatuor. .. t0- tidem post eum Simonidem, ete. Ma di Palamede non è menzione in Omero: primo a ricordarlo fu 1’ autore dei Carmi Ciprii (.v. Heyne Excurs. 4 ad Virg. Aen. 1. 2) onde ai tragici ed ai retori sì fece subietto, E siccome da Euripide fu fatto Palamede il pri- mo accozzatore delle sedici lettere dell’antico alfabeto greco; così par da credere che da altri tragici detto tosse il ritrovator delle 60 prime quattro , che ‘poscia si aggiunsero e che si citano da Pli> nio. Nemmeno è certezza intorno alle altre quattro che esso Pli- nio attribuisce a Simonide. Se non che l’età, nella quale egli visse, che è tutta storica , può di facile farle credere , come si dicono, invenzione di lui. Ma che che di ciò sia , non è da curar .molto la riflessione del Payne Knight, che nei citati Prolegomeni ad Omero ,- dopo aver a ragione chiamato favoloso il ritrovamento attribuito a Palamede, soggiugne: Neque minus incerta sunt quae de litterarum vocalium duplicium, postea inventarum, origine et usu memorantur. Earum usus apud Athenienses anno quarto olym- piadis nonagesimae sextae, ante Christum natum trecentesimo no- nagesimo tertio, archonte Euclide, primum obtinuisse dicitur etc. e ne reca in prova il veder alcune di esse usate da Euripile e non usate da Callia a lui alquanto anteriore. Non si adotta, dice il nostro autore, se non quello che innanzi ben ‘si cono- sce ; in ispecie se di cosa parlisi dell’ uso pubblico e prescritto per legge , ec. Laonde ben poteano conoscersi dagli Ateniesi le rammentate lettere , sebbene venute ancor. non fossero ‘nel comun uso. << Sciolte, come a me pare, le difficoltà messe in campo dal Wolf contro l’ antichità della scrittura , son pure da esaminare le ragioni di quelli che la vogliono familiare a’ Greci innanzi ai tempi di Cadmo. Fra questi è il Larcher, che pretende arguirlo dal medesimo passo d’ Erodoto (v. la nota 126 all. 5 di questo storico ) che noi già allegammo per provare che i Greci ebber le lettere dai Fenici. A qualche osservazione di grammatica recata in prova dal Larcher avea già risposto il Wolf. Ad altre osservazioni, le quali possono ridursi a questa che una nazione qualunque non può far senza scrittura, risponde l’antor nostro coll’esempio de Tra- ci, de’ Cinesi , de’ Peruani, de’ Messicani, e pensa che i Greci , fin oltre forse i tempi di Foroneo, usassero, al più una scrittura di- pinta o vogliam dire geroglifica , siccome già congetturò il Go- guet (Origine delle Lettere ec. p. 1, l.. 2) dall’avere il lor verbo yp&@ssw il significato di dipingere e di scrivere. “ Ai tempi di Foroneo , ei conchiude, non erano i Greci ancor pervenuti ad uno stato di civiltà. E di ciò abbiam testi- monio la storia (v. il Raoul-Rochette, op. cit. t. 1) Ja qual ne assegna i principii alla venuta di Danao. Questa venuta è posta all’anno 1572 avanti Cristo, e fu seguita dopo due anni da quella di Cecrope che più incivili i Greci, e così li dispose a ricever le lettere da Cadmo , venuto, giusta il miglior computo, nel 1550. A ragione dunque scrisse il Gillies (introd. alla Stor. del- 61 l’ant. Grecia) che ces mémes societés primitives les Grecs, qui récla- moient avec justice l’honneur d’une antiquité listinguée, reconnois- saient devoir a des etrangers les plus importantes decouvertes etc. etc. E a ragione pur disse Erodoto = sembrargli che prima di Cadmo gli Elleni non avesser lettere ec. = Pertanto dai ragionamenti fatti e dalle autorità addotte risulta che i Greci, i quali innanzi Cadmo non avean lettere, le ricevettero da lui nel numero di sedici ; cui furono poscia aggiunte le aspirate, le doppie e le lunghe ; ‘del ritrovamento e degli usi delle quali assegnar non si possono i tempi con precisione. Solo dee dirsi che , essendo esse perfe- zionamento dell’alfabeto; non può ricusarsi d’ammettere che fos- sero posteriormente inventate. ,) Nell’ ultimo numero (il 59.°) del Nuovo Giornale de’ Lette- rati, che si pubblica in Pisa., il marchese Lucchesini, ricordato più volte in questo discorso, come il fu già da noi negli arti- coli intorno la questione a cui esso si riferisce, rendendo conto del volume della Galleria di Firenze ove contiensi, ha fatto ad esso una specie di postilla, che crediamo di dovere quì pur ri- portare, non togliendone che alcune frasi di soverchia gentilezza verso lo scrittore di quegli articoli, che alla molta sua stima per Ini deve ora aggiugnere la sua riconoscenza. « Così prosegue (è la conchiusione dello scritto indicato) il sig. cav. Zannoni illustrando gli altri cammei ed intagli con quella stessa dottrina che ha mostrata nelle precedenti sue opere, e per cui dall’universale consentimento de’ veri dotti è noverato fra i più celebri archeologi dell’ età nostra. Io non mi tratterrò più a lungo su questo , e passerò a ragionare d’un. appendice colla quale termina il libro. È noto che alcuni dottissimi pretendono ora, che l’arte dello scrivere fosse ignota nella Grecia a’tempi d'Ome- ro. Così pensano alcuni di quelli che ammettono. 1’ esistenza d’ Omero come il Knight: e molto più pensano così coloro che a tutt’uomo si assottigliano di farci credere, che 1’ Iliade e l'Odissea non sono opera d’ un solo poeta o di due poeti, ma un’univne di poemetti di più e diversi poeti. Nelle mie Conget- getture sul primitivo Alfabeto Greco, colta l’occasione che mi si offriva dal mio argomento, mi adoperai di provare che l’ arte di scrivere era in Grecia più anticamente che altri non vorrebbe. Non so dire quanto mi gode 1’ animo , vedendo ora che un uomo così illustre qual è certamente il nostro autore, non solo prosegue questa sentenza , ma se ne fa campione con nuovi argo- menti degni del suo sapere. Questi io non ripeterò quì , chè mi bisognerebbe trascrivere tutta la sua dissertazione. Dirò solamente 62 che sono fortissimi e non ammettono buone risposte ; e aggiu- gnerò ciò che da lui non si poteva dire. « Egli aveva già scritto e forse anche consegnato allo stam- patore il suo libro, quando l’ Antologia di Firenze ci diede tre articoli in cui sono raccolti i principali argomenti che a favore è contro l’esistenza d’Omero sono stati addotti dai più illustri eru- diti ec. L’antore ( degli articoli ) ricorda quell’ osservazione da me fatta che i Fenici gran mercadanti fecero frequenti viaggi ; ma senza l’arte di scrivere non può esercitarsi la mercatura com’ essi facevano. Questa osservazione è stata approvata dal sig. cav. Zannoni, ma l’allegato autore de’ tre articoli non la reputa così sicura. Mi si oppone che i Messicani non aveano l’ arte di scrivere , e pure erano più inciviliti de’ Fenicj uomini di mare. La scrittura consiste in certi segni, ciascuno de’ quali denota una parola come presso i Cinesi e i Giapponesi, o una sillaba come in parte presso gli Etiopi e i Tibetani, o una lettera come presso noi e tante altre nazioni. I simboli, quantunque significhi- no alcuni concetti della mente , non si possono chiamare scrit- tura. Si dice comunement=a che ai Messicani fosse ignota l’arte di scrivere, ma io dubito che in qualche modo possa dirsi ciò non esser vero, e prima di me ne ha dubitato il Carli. Io non dirò, che i Messicani adoperassero alcuno de’ tre modi indicati sopra , ma è certo che aveano libri, ne’ quali con figure d’ uo- mini, donne , teste d’animali ed altri segni registravan le me- morie antiche , le leggi, i costumi, le cerimonie, i calendari , le osservazioni astronomiche , ec. Si veda la lettera ventunesima fra le Americane del Carli, e il volume secondo della Storia del Clavigero. Erano culti non poco gli Americani, nè tali sarebbono riusciti, se non avessero trovato un modo d’ esprimere su la tela o su le foglie a ciò preparate le tradizioni loro e i loro concetti. Operoso era ed incomodo questo modo a dir vero; ma pure bastava al bisogno loro. « Dicesi nell’Antologia che i Fenici furono womini di mare ; ma se con queste parole si volesse intendere che furono uomini barbari, io non potrei concederlo. Furono gran mercadanti , d'amplissimo commercio; che distesero”a tutte le regioni del mon- do allor conosciuto. Se gli Ebrei a tempo di Mosè ebbero lo stagno (come si legge nel libro de’ Numeri, c. 31, v. 22), da chi l’ ebbero se non da’ Fenici, che lo prendevano all’isole Cassite- ridi? E più tardi le navi d’Jram (v. il 2.0 dei Re, e. g, v. 27; e il 2.° dei Paralip. c. 8, v. 18) trassero da Ofir per Salomone quattrocento cinquanta talenti d’ oro. Nè meno del commercio 63 coltivarono le arti, di che potrei recare antorevoli testimonianze, fra le quali è celebre quella d’ Ezechiele al capo ventunesimo. Ma io voglio testimonianze più antiche, e ce le offre il terzo libro dei Re al capo quinto, in cui si legge che i servi d’Iram tagliarono per Salomone i cedri e gli abeti del Libano , perchè gli Ebrei non erano abili a ciò. Io non crederò che gli Ebrei non sapessero tagliare un albero, il che non domanda molto sapere, ma non sapevano fare intagli ed altri squisiti ornamenti, come si richiedeva pel tempio magnifico di Gerusalemme. Per questo motivo danque furono chiamati gli artefici di quel re, che do- veano essere da ciò. Lasciando però star questo , îo credo che per un commercio così vasto , come era quello de’ Fenici, sia necessario di sapere scrivere ; o almeno non si potrà negare che nou sia di somma utilità. Ora se almeno è utile ai grandissimi mercadanti , e se gli Ebrei sapeano scrivere, non vorremo dire che da questi imparassero quest’ arte, se pure prima |’ ignora- vano? To non so se l’auture di que’ tre articoli giudicherà va- lide queste mie considerazioni, ma spero che non si vorrà dolere che io le abbia dettate ec. ,,. Il problema dell’ antichità della scrittura è , per ciò che già si disse, riguardato dal Wolf come principale nella questione dell’ autenticità de’ poemi omerici e dell’ esistenza d’ Omero. Anche però deciso contro la sentenza del Wolf, la questione , come dice in qualche luogo dell’ ultima sua opera B. Constant , e già si è veduto negli articoli, a cui ora si è fatto questo supplemento , rimane pressochè intatta. Chi per avventura trovò superflui quegli articoli , troverà ora più che superfluo questo supplemento. A giustificar 1’ uno come gli altri giovi ricordare quest’ altre parole del Constant medesimo (in una delle note al e. 5 del lib. 5): La questione dell’ autenticità de’ poemi omeri- ci, ec, a noi sembra delle più importanti, non solo come que- stion letteraria, ma altresì come question filosofica , dipendendo da essa in gran parte la storia delle umane idee , il concetto che possiamo formarci dall’audamento intellettuale del genere umano. M. 64 A Notizie intorno ad Axrowio Fazza1s udinese orefice, i coniatore , intagliatore ec. A Francesco NencI pittore. Io mi dolgo e mi compiaccio ad un tempo di non trovarvi a Firenze ove alcuni miei affari mi tratterranno 1’ inverno, poi chè se sono privo del piacere di vedervi, e di convivere con voi parlando di quelle arti che coltivate con tanto magistero, so che da un ottimo consiglio veniste con pubblica utilità de- stinato in Siena a dettarne saggiamente i precetti. Ed a farvi pure qualche cenno su questa materia dirovvi, che per quanto io mi convinca ad ogni momento dell’ utilità d’una buona istru- zione elementare in tutto quello che riguarda le arti. dell’ imi- tazione, altrettanto io vado toccando con mano gl’inceppamenti che si moltiplicano qualora oltre ai primi sani rudimenti vogliansi dettare a fertili ingegni troppe norme, e precetti servili, e si insista a proporre modelli d’ imitazione dettati dagli stessi insti- tutori, che con miserabile pedanteria ardiscono di. voler dare persino se stessi ad esempio, circoscrivendo così in un’ orbita ben angusta i voli delle menti più ardite, quasichè la natura, inesauribile sempre, non offrisse orme non tocche a chiunque s° affacci per imitarla, e come se i discepoli dovesser porre eter- namevte il piede là dove lo pose il maestro, e tutta l’ immen- sità dello spazio da cui veggonsi circondati, meno la misera pe- riferia ove si vorrebbero circoscrivere, non fosse seminata che di scogli, e di precipizii. Ma grazie al cielo so quanto sia giusto e solido il vostro pensare su di questo gravissimo argomento. Fortunatamente che nella età nostra abbiamo il più lu- minoso degli esempi in quel genio sublime e modesto , voglio dire in Canova, il quale, abbandonando la miseria e la fallacia dei precetti che gli venner dati per guida, seppe aprirsi una strada tutta sua , e colle proprie forze mostrò a tutto il mondo delle arti quant’ alto la potenza dell’umano intelletto possa pog- giare col solo ajuto di quel soffio che animò la prima creta, e lasciò all'uomo sulla terra il pieno , e libero esercizio d’ogni sua forza -ment ile. Nè queste tristissime riflessioni, frutto di lunghi anni d’espe- rienza e di studi, mi accade di fare soltanto in quei rami del- l’arte ove le pratiche dettate , deviando dall’ ottimo , e mani- festando l’errore, possono indurre a perdimento la tenera gio- ere N PS | | | 65 ventù : ma ben anche pur troppo accade di veder giastamente vituperate di biasimo opere, che la giovanile inesperienza eseguì nelle scuole per troppa servilità di imitazione, quasichè le seste, l’archipenzolo, o le regole del Vignola bastassero in ogni caso a dettare le leggi del bello. Ma quell’arcano sentimento, che Dio pose nel cuore dell’uomo, non sempre dipende dall’esattezza in- variabile delle misure , o dalla severità d’un precetto: sarebbe lo stesso che voler onninamente servirsi in ogni caso delle pro- porzionalità , o delle modanature Palladiane o Scamozziane, sol- tanto perchè bellissime, e per ciò pretendere che sempre deb- bano materialmente adoprarsi (bene o male non importa) in ogni muovo caso o circostanza , applicandole per usi nuovi, per bi- sogni diversi non preveduti nè contemplati da’ primi inventori degli ordini architettonici. Ma altrettanto, come ognun vede, può disdire in un edificio di tutta nuova costruzione mwna sconcia , strana , irragionevole invenzione , che tenda al solo effimero pre- gio di novità e di bizzarria , quanto una cornice, un fregio, una modanatura, che il principe dell’architettara opportunamente in- ventava per le sue basiliche, i suoi palagi, i suoi templi. Quando però agli usi, ai climi, ai veri bisogni del vivere, alla mutata indole dei tempi, al carattere morale degli abitanti, e ad una certa convenienza di nuvità Varchitetto dovrà servire, ben applicando i precetti dell’arte, non mai stazionaria; e quando terrà di mira la vera armonia delle parti in ragione dei progressi dell’ umano ingegno nella statica , nella chimica, nell’ euritmia, e in tutti i rami multiplici della fisica, che illumina , riscalda, preserva non tanto l’ edificio del rieco, quanto la capanna del povero, scomparirà allora necessariamente la miseria servile del- l'imitazione mal applicata, e quell’ aridità di precetti, che det- tansi nelle scuole, non comprimerà più il genio dei giovani for- mandone degli automi soggiogati sotto 1’ impero dell’ imitazione. Ma il monumento , l’ università , il palagio , il tempio, il foro, il macello, la carcere, e la latrina persino avranno il loro ca- rattere positivo , originale, conveniente , espresso con apposito marchio; e i comodi, per cui dolce è la vita nelle odierne abita- zioni , riceveranno splendore eil eleganza , quando ai giovani siasi fatta conoscere l’ indole dei tempi e della società, e si to- glieranno dall’ applicare a queste nostre età mutate ciò che conveniva alla severità qualche volta brutale di quei tempi, che difficilmente, per quante alterazioni accadessero , ritorneranno. Molto acconciamente su di questo argomento scriveva il Vi- viani nelle sue aggiunte e nelle sne note alla traduzione di T. IV. Novembre. 9 60 Vitruvio, mostrando la convenienza di servire agli usi e agli uggetti, imprimendo un carattere ben diverso al tempio de!- l'Eterno, a quello d’una verginella, o a quello che la cristiana pietà erigere pur vuole talvolta ad umili e modesti. fraticelli. Non è la sola varietà degli ordini quella che serve alle. tante modificazioni volute dalla filosofia dell’ arte; chè sonovi ben mille altre convenienze, le quali nun possono, nè debbuno sfuggire a chi risale a’ veri principii fondamentali dell’ arte, principii che per solito non si dettano nelle scuole da que’ maestri che scal- dano la cattedra e gelano gli intelletti. Queste considerazioni mi richiamano al pensiere la stoltezza di tanti institutori, e la loro materiale ignoranza, quando largiscono premio e laude a coloro fra discepoli, che macchinalmente colle stesse pedantesche parole ripetono le vuote loro lezioni, a fronte di quelli che per diversa via, e con acume d’ingegno, e con finezza di ragionamento ar- ditamente (e meglio talvolta) giungono allo scioglimento dei pro- blemi e delle questioni ,, e danno con ciò vera prova di alto intelletto, e di tenere in maggior conto le cose che le parole. Da tutto questo preambolo non vi sarà finalmente discaro che venga allo scopo del mio dire, cioè a parlarvi di Antonio Fabbris udinese, che io ho sempre riputato uno dei migliori artefici italiani, nato’, cresciuto, e allevato nelle arti. pel spontaneo voto della natura, che pochissimi elementari rudimenti trovò quasi da se , cogliendoli come un’ ape da’ fiori in una età che già forniva traccie bastevoli a chi sortite aveva dalla natura fe- lici disposizioni. Allevato all’ oreficeria nella bottega di un ar- gentiere , coltivò quest’ arte con tale felicità di successo , che venne per opera di lui condotto un gran vaso d’argento , così ammirabile per li suoi cesellati ornamenti da eccitare la più viva ammirazione in Venezia, ove gelosamente il possiede un ce- lebre giuresconsulto. Ma cogliendo dalle circostanze qualche fa- vore nella scarsezza di buoi coniatori di medaglie, gli parve di poter mietere qualche palma in quell’ arringo non facile; e ad- destrato al maneggio de’ ferri, come aveva cercato di rendersi famigliare anche quello della rnota , intagliando senza alcuna guida, per sola forza d'ingegno , qualche pietra dura, si pose nel 1823 a lavorare il ponzone di quella sua prima elegantis- sima medaglia esprimente da un lato un catafalco eretto in Udine alla morte di Canova ; e dall’ altro l’ effigie del sommo scultore. Quel suo primo tentativo parve opera d’ un artefice maturo per la finezza e l’ eleganza dell’ esecuzione , e può arditamente mo- strarsi fra le buone medaglie coniate dell’ età nostra. E fu tale D7 il surcesso di quest’opera, che parecchie altre medaglie coudusse con pari, o con maggiore intelligenza , come fede ne fa la gran medaglia esprimente il monumento grandioso innalzato a Canova in Venezia, ove superò immense difficoltà. nell’ aggruppamento di tante figure sì ben sviluppate in piccola dimensione con rara larghezza di stile, e con giustezza di movimenti e d’espressione, quasi che non fosse stato costretto a penosissimo lavoro per l’au- gustia delle proporzioni volute dal breve diametro di una me- daglia. Non corse molto tempo, che per opera del Fabbris si vide la medaglia coniata ad onore di monsignor Ladislao Pirker allora patriarca di Venezia , la cui dottrina , solida pietà, e fermezza d’ animo lasciarono a’ Veneziani dolce memoria, e vivo rincre- scimento. per la di lui traslazione in Ungheria alla cattedra ar- civescovile di Erlan. Lodossimolto in questo lavoro la somiglian- za perfetta all’originale, e le ben modellate parti della testa, che dinotarono la vera perizia dell’artista non solo nella difficile mec- canica , ma nelle prerogative più essenziali dell’ arte : nè sfuggì all’ ammirazione degli intelligenti il rovescio e l’esergo , ove con desterità e con gusto aggrupparonsi gli attributi relativi al di- stinto prelato, e incomparabile fu giudicatu il modo con cui l’ iscrizione venne scolpita con tanta precisione scrupolosa, te- neudone bassissimo il rilievo. Passato il Fabbris sotto il cielo toscano, onde bevere quel- i’ aura che aveva inspirato Donatello, Ghiberti, Pollaiolo , il Verocchio, il Cellini, celebratissimi antesignani nella sua profes- sione , ebbe ventura. di por mano alla medag'ia che tramandar doveva alla posterità perenne memoria come qui finalmente l’an- tore della Divina Commedia ebbe gli onori del monumento , ad innalzare il quale, oltre la copia dei Toscani, concorsero i voti ed i sussidii di tanti altri stranieri ammiratori del sommo poeta. E potè riprodurre in piccola forma quel grandioso complesso ci marmi , aggiugnendovi tanto pregio di esecuzione e di bel garbo da mon restare indietro dal merito dell’originale per la sua mole imponente. Avrebbe il Fabbris più completamente corrisposto coll'opera alle graziose e lusinghiere accoglienze ricevute in Toscana, non tanto per la generosità e clemenza del Principe, quanto pei con- sigli e l’ amorevolezza con cui |’ accolsero i magistrati che pre- siedono a’ R. Stabilimenti di Arti, non che alla R. Zecca, ove produsse un saggio anche del sno talento: ma giova sperare che più completi risultamenti otterransi nei conii delle monete, qua- 608 lora, datosi compimento al perfezionare le macchine destinate a quest’ uso , siano messe in istato di riprodurre con fedeltà nel duttile metallo quanto la di lui sagacità ed intelligenza inca- vò laboriosamente nei ponzoni. Difatti le medaglie che escirono da’ suoi conii vennero tutte finora battute nelle officine di Mi- lano e di Venezia. Non avrà discaro la modestia del Fabbris che in questo luugo gli si raccomandi di trattare alcuni accessorii, e singolarmente i capegli, d’una maniera più facile, più larga, e corrispondente al modo con cui tratta magistralmente le carni, abbandonando affatto il metodo di filamentare le chiome, pro- scritto ne’ bei tipi della Magna Grecia, e anche da’ più valenti coniatori moderni del secolo XVI. L’ Accademia di Livorno gli confidò essa pure 1’ esecuzione della medaglia del Brunellesco, ove corrispose in pari modo alle precedenti con larghezza di stile e precisione di lavoro: e di recente produsse col più fino ed elegante intaglio la facciata del nuovo teatro di Pordenone , in cui le proiezioni delle diverse trabeazioni hanno tutta la varietà e 1’ esattezza di proporzione, senza aridità e tritume, sì facile a vedersi in piccoli oggetti, ove tutte le parti vogliansi dimostrare , che invero può citarsi in tal genere come un modello d° eleganza e di gusto. La donna sedente turrita, che vedesi nel rovescio, rappresenta in dolce ri- lievo la città di Pordenone. Ma ben opportuna sovra di lui cadde la scelta, quando volle eternarsi coi tipi metallici la memoria dell'edificio stupendo innalzato all’Eterno da Canova nella sua terra nativa. Parve che il Fabbris sentisse da questa circostanza infondersi una lena e un coraggio maggiore , e si accinse a quest’ opera con tutte le forze della mano e dell’ ingegno. Era già stipulato il rogito notariale per la consegna del nuovo tempio al comune, era di già ufficiato colle forme de’ sacri riti, e stava demolendosi l’an- tica chiesa, di modo che parve non dover ritardarsi alla pub- blica impazienza che rimanesse scolpito sul dorso del cadente anno 1831 la memoria di questi fatti integrali costituenti la vera dedicazione del tempio , finchè in diversa stagione non avesse poi luogo altra più pomposa solennità. Monsignor Gio. Batista Canova applaudì nobilmente all’ impresa, che venne coronata del più completo successo. La facciata del tempio prospettica mente dimostrata vi produsse un mirabile effetto pei scorci, e la dolcezza dell’ ombre che contribuirono alla più seducente il- lusione ; nè alcuna delle benchè minime parti vi è negletta, e nell’ essere indicata tiene il suo luogo con tanta moderazione, 69 e proporzionalità, che per distinguerne alcune è mestieri di acuta lente , nello stesso modo che per avvicinare i lontani oggetti è indispensabile 1° uso d’ un cannocchiale, e tali sono appunto le scanellature delle colonne , il lavoro degradato a squamme del catino che cuopre Ja chiesa, la gradinata. per cui .si monta al pronao del tempio, e più di tutto le: metope, che si raffigurano tali come il sommo scultore le modellò di sua mano , e dielle a scolpire, com’ egli dir soleva con tanto affetto a’ suoi figli; gli allievi della Veneta Accademia; le quali metope figurate da varii gruppi non eccedono nella medaglia 1’ altezza d’una linea. Non dirò dell’effigie somigliantissima che vedesi nel rovescio lar- gamente scolpita , ove il coniatore ebbe l’ avvedutezza di con- servare le traccie del vero , non disgiunte da quel sommo ideale che Canova volle dare grandiosamente alla di lui imagine, quan- do nello scolpirla in forma colossale tenne, da artefice sommo , di mira non meno la parte morale che i tratti materiali della di lui fisonomia. Non può però circoscriversi a un solo modo di lavori il ge- nio d’ un artefice, che senta con vigoria la potenza dei mezzi dei quali disporre. Infatti nell’ officina del Fabbris non vi è ma- teria o dura 0 molle, ch’ ei non modifichi con ingegnogi artificii e finissimi intagli, figurati nei legni i più compatti e nei, cri- stalli di rocca, emulando le stupende opere di Valerio Vicenti- no, di cui bella fede ne fa agli occhi degli intelligenti V’Er- cole e Lica tolti dall’ invenzione di Canova ; opera che, sebben ideata per un gruppo di tutto. rilievo ,, nondimeno. pel Fabbris la si dimostrò atta a produrre un magico effetto anche nel basso rilievo. E vidi pur anche in questi giorni una gentilissima cor- niola rappresentante la Dea della salute , eseguita in, incavo per compiacere alle ricerche del celebre intagliatore Raffaello Morghen. Ma fra tutte queste varie e ingegnose meccaniche, merita di non essere passata sotto silenzio quella, per cui in piccole anella od altri ornamenti d’ acciaio finissimo vi intarsia egli con una facilità sorprendente, come finora non vidi mai, arabeschi, fogliami, a figurine d’oro purissimo, riviver facendo quanto mai fecero di maraviglioso gli antichi nell’ Agemina. Dopo le quali cose da me espostevi troverete giustificato abbastanza com? egli abbia scelto per ora di vivere sotto il bel cielo della Toscana, ove le antiche memorie, e gli esempi parlanti tuttora , forni scono pur sempre un eccellente ammaestramento agli ingegni che trattano questa parte sì difficile e sì preziosa dell’ arte. Al Fabbris però debbesi notare, non saprei bene se una vio) qualità o un difetto, puichè , per quanto io stimi la modestia e la semplicità, rarissime e preziose prerogative, nondimeno non sogliono in ogni !uogo e tempo far strada agli onori, e non lusingano sempre di que’ sussidii di cui abbisogna un artista. Contro la ritrosia e il pudore s’ armano sempre gli audaci , e gli invidiosi, e non è sì rado che la petulanza de’ mediocri in- gegoi abbia prevalso al merito vero. Non potrà però questo , io spero, accadere al Fabbris nel paese della gentilezza , ove si apprezzano i talenti, esi proteggono le arti, e quando sia conosciuto pienamente avrà di che sperare ovunque asilo, pro- tezione, incoraggiamento. Firenze a0 Dicembre 1831. LsopoLno CicocNARA. Apunanza soLenne DELL’ Accapemia DELLA Cnusca. Martedà 13 Settembre 1831. 1 La prosa, da che ebbe principio 1’ adunanza , fu detta dal Can. Giuseppe Borghi, il quale intrattenne gli uditori con un argomento atto a destare universale attenzione, prendendo a par- lare dello stato della letteratura nella nostra penisola con rela- zione ai progressi del materno nostro idioma per la scambievole influenza che hanno le lettere sulla lingua , e questa su quelle: Vastissimo era certamente l’ assunto, e tale da non potersi esau- rire in un solo ragionamento dentro ai confini di tempo che l’uso ha assegnati in siffatte occasioni, ma egli in sulle prime il cir- coscrisse, proponendosi di ristringerlo solamente alla poesia, al- l’ eloquenza , ed all’ istoria. L'importanza delle molte idee com- prese nella lezione non si presta agevolmente alle angustie di un brevissimo estratto , quale si richiede nel nostro giornale , onde se ne accenneranno solamente alcune principali, che ebbero dal- l’ autore facondo sviluppamento. Da prima , facendo parola del motivo , che sprona gli autori a scrivere ne’ tempi moderni, disse non esser già lo spirito d’ imitazione, nè di sistema , nè tampoco l’ interesse, o lo sfogo troppo comune di molli affetti , ma che le lettere prendon le mosse da nobilissimi fini proporzionati alle attuali condizioni, trattando la causa della religione , della pa- tria , della languente umanità , e della concordia univer:ale. Ac- cennando quindi le opere de’ moderni ingegni, che più furono accette al genio della nazione, le mostrò e come prove della 71 nobiltà dell’ oggetto , che le lettere or si propongono, e come fondamento a sperare i più lieti successi in avvenire. Quest’ esito e questa speranza o mostrano di fatto , o va- gheggiano un perfezionamento nella scienza, il quale influisce pur sul linguaggio, che nello stesso tempo si perfeziona con proporzio- nale progredimento. Convien peraltro che gli autori vi abbiano attenzione , e la dote precipua , cui mirar debbono per ottenere il desiderato effetto, si è la chiarezza, alla quale non si può giu- gnere senza. profittar delle ricchezze dell’ uso. Quest’uso nundi- meno non vuol lasciarsi in balìa di sè stesso , ma fa di mestieri di guidarlo, di correggerlo, di annobilirlo, e procurare che il tesoro dei modi e delle frasi, che trovansi in bella ed evidente forma usitate dagli scrittori delle varie provincie, passi in universale re- taggio della nazione. Così, soggiunse l’ accademico , si otterrà una vera lingua comune, e l’arte fatta più perfetta appurerà sempre più la favella, in quel modo appunto che nella meccanica una scoperta dà campo alla formazione di nuovi o più perfetti stromenti, e questi a vicenda sono d’ aiuto a opere più merite- voli di lode. Non dissimulò che non son vinti ancora tutti gli ostacoli, ma non è conveniente per questo il rimanersi, chè in una nuova carriera l’ appreusione può ingrandir quelle difficoltà che di per sè non sono sì disagevoli a superare , purchè ne basti l'animo , e si abbia in vista il già fatto. Ne confortò di consigli sul fine inculcando di non dispregiare i piccoli studi, ma di con- giugnerli coi grandi ; si deono , diss’ egli, studiar le cose, e la lingua , ci dobbiamo sempre proporre un fine nobile , e dobbiam considerar le lettere come un moral sacerdozio , e finalmente estirpare ogni germe di particolare rivalità , la quale consumò un tempo prezioso , che servir dovea ad arricchirci di opere utili e gloriose. Cogli applausi , che si udirono allorchè ebbe termine il ragionamento , si volle render giustizia all’ ampiezza delle ve- dute, alla dimostrazione eloquente del tema, e all’ utilità delle osservazioni e dei suggerimenti, che si riuvennero in quella dotta lezione. Fu quindi letto al consueto l’annuale rapporto dal segreta- rio Cav. G. B. Zannoni , il quale incominciò dicendo non aver mestieri di proemio sì perchè sapevano gli uditori di che debbe comporsi il suo discorso , sì perchè egli conosceva per esperienza la loro cortesia, ed entrò subito a render conto dei lavori accade- mici per passar poi a compendiare le lezioni dette. nelle private adunanze , e finalmente tesser l’ elogio dei trapassati colleghi. Perciò , avendo annunziato che le deputazioni intendono sempre 72 all’ opera delle correzioni e delle aggîunte al Vocabolario, no- minò gli accademici che somministrarono nuovi spogli, e indicò i libri su’ quali furono eseguiti non tanto di scrittori moderni, che antichi, e sì di scienze, come di arti, e di lettere con ri- guardo speciale alla lingua parlata. Accennando poi che uno de- gli accademici traeva materiali dalle lezioni del Bottari sopra il Boccaccio si fe’ strada a parlare della lezione che avea detta il Rigoli intorno al prosator certallese prendendo a difenderlo dalle aspre censure contro di esso lanciate, e convincendo i detrattori di falsità , o di men retto giudizio nel valutare il merito del De- camerone. Più giusta, soggiunse il segretario, è l’ età nostra in- verso l’ Alighieri, ma alcuni nel molto studiarlo sì rendono si- mili a coloro, che fiso guardano il sole; e ne abbagliano. Lo mostrò il collega prof. Bagnoli, il quale, esaminando le opinioni di vari scrittori sopra alcuni luoghi della Divina Commedia , fè evidente l’inganno , cui aveali tratti il desio dî nuove interpre- tazioni. Il segretario si limitò a render conto di quella ‘parte del lavoro dell’accademico, nella quale confutava la spiegazione data dal celebre Monti al verso : ( c. 3. Inf.) Che alcuna gloria'i rei avrebber d' elli, e, seguendo le tracce dell’ accademico , con esso. venne a concludere che la nuova spiegazione fa oltraggio a Dante in lingua , in filosofia, e in teologia tre parti preeipue del suo grandissimo sapere. Il collega Capponi tenne discorso nella sua lezione de’ prosatori dell’ aureo secolo e dei seguenti, ma più specialmente fece parola diun autore del cinquecento. Percorren- do l’ accademico gli scritti de’ prosatori. più lodati, mostrò che agli antichi mancò l’arte del periodo, o-fu questo troppo artificioso; che ne’ tempi appresso gli autori di prose. s’ accostarono più al ‘‘ segno della perfezione , e che su tal proposito meritano d’ esser più studiati gli scrittori del sec. XVI:. Così si fè strada a ragiu- nare del Senatore facopo Pitti, del quale fece conoscere alcuni comentari storici, che giacciono inediti, e che tra le»prose del cinquecento meritano l’ attenzione degli eruditi per le doti del suo stile, e per 1’ importanza de’racconti. Ne lesse egli de’pezzi, che servirono di prova alla sua asserzione , e che furono da’col- leghi ugualmente apprezzati. Di un altro serittore assai .celebre; ma del secolo susseguente, parlò 1’ accademico: Nesti ,. cioè del ‘ Priore Orazio Rucellai, i di cui scritti s° informarono della filo- sofia del Galilei del qual fu discepolo , e ildi cui stile prese un colorito bello e vivace, che sua forza prende dall’ evidenza e dalla ragion delle cose. Porzione de’ suoi scritti già vide la luce, sopra altri si studia per pubblicarli , fra’ quali il collega diè con- 73 tonio, e Dom. dalla Scarperia, e le altre originali del .B. Gio. Dominici , il libro cioè intitolato amor di carità, e poi dieci que- siti di materie divote o teologiche , e finalmente delle lettere 3 alcune delle quali non furon pubblicate dal Biscioni. L’ accade- mico diè ancora nvtizie biografiche di questo religioso, poscia arcivescovo di Ragusi, e quindi, cardinale , e lodollo per 1’ ele- gante dettatura. Il collega Poggi ragionò dell’analogia come prin- cipio di linguaggio , riferendosi in special modo alle lingue la- tina ed italiana. L° analogia certamente è grande scorta al ma- teriale delle favelle, ma non dee credersi che ne sia questa un principio assolutamente universale per ciò che spetta all’applica= zione, imperocchè il popolo, come dice Varrone ; nell’uso delle voci è di suo pieno possesso, e i pochi debbono sottomettersi alla sua autorità; laonde l’uso del popolo stesso rinunzia sovente per amor d’armonia, o per ragioni sconosciute, ad una ricchezza, che facilmente potrebbe acquistare. A torto perciò talora si grida la tal voce è secondo analogia ; e manca al vocabolario; dunque vi si registri. Nondimeno, chiuse l’aceademico , si debbono esa- minar le voci che vengon proposte; e si debbono ammettere se le sostenga l’ autorità de’ buoni scrittori, e quella de’ migliori parlanti ; e in difetto dell’ una e dell’ altra rimarrà gindice il nostro orecchio che la natura ci diè assai delicato. Passò poscia il segretario a tesser l’ elogio de’ quattro acca- demici , che morte rapì, del residente cioè G. B. Baldelli (l’avea encomiato in privata adunanza il collega Gelli), e de’corrispon- denti Grassi, Trivulzio, e Mengotti. De? primi tre che ebbero articolo necrologico in questo giornale non farò parola; compen- dierò piuttosto quello del Mengotti, e così sarà reso anco nel nostro giornale il conveniente tributo alla di lui memoria. Nacque il conte Francesco Mengotti nel 1749 a Fonzaso di- stretto di Feltre, e morì in Milano il 5 marzo del 1830. Il se- gretario ben sapendo che l’ elogio degli scrittori prineipalmente si contiene nelle loro opere , entrò subito a render conto di quelle incominciando dal libretto intorno all’ oracolo. di Delfo. In questo il Mengotti vede solo una politica istituzione stretta- mente legata al governo costituzionale della Grecia, e. coperta avvedutamente col velo di religione, sentenza renduta certa da molti fatti, che egli adduce , ma si può credere ancora che que- st’oracolo fondato, siccome gli altri, ad universale ‘inganno. de? creduli si facesse poi servire în. special modo a politica utilità. Passò tosto il segretario al saggio sulle acque correnti, nel quale il conte prese a trattare di questa difficile materia con metodo T. IV. Novembre. 10 74 chiaro e adatto alla comvine intelligenza , e Quasi direi popolare. L’opera si compone di teorica. e di pratica, ed ha vigore da raro ingegno e ‘somma ‘ dottrina, e ornamento da facilità ed evidenza di stile, e da eleganza e pulitezza di lingua. Discorse le tre parti, in che l’opera si divide, soggiugne il segretario ; che tutto v’è a tutti renduto chiaro con ragioni facili, con im- magini e paragoni di cose , che ognuno conosce. Di mente lim pida diè saggio altresì il Mengotti nella risposta ‘al problema dell’Accademia de Georgofili, in cui si domandava se, m uno stato suscettivo d’ aumento di popolo e di produzioni di snolo, fosse più vantaggioso l’indirizzar le leggi al fiuvor delle manifatture con alcun vincolo sul commercio dei generi grezzi, ovvero lasciar questi all’intera e perf. tta libertà di commercio. naturale. Il Mengotti sostenne che dovesse farsi il secondo, e lo mostrò dalle conseguenze del Colbertismo in Francia, sviluppando con ingegno e dottrina le riposte cagioni di quegli eventi, e richiamando ad esame le arti, le manifatture e i prodotti della terra. Si trattenne alcun poco anco il segretario nell’ indicare le sagge massime di pubblica economia evidentemente dimostrate dal Men+ gotti, e, rammentato che lo scritto del conte avea avuto 1’ onor del premio dai Georgofili, soggiunse che dovè essere occasione ai toscani d’ammirar più e più benedire la sapienza ammira= bile di quell’ ottimo sovrano che tali principii avea di per se co- n sciuti, e su’ quali avea innalzato lo stato suo a quella somma ed invidiata felicità, in che stettero i nostri padri, in che noi stiamo , @ in che staranno i posteri nostri. Un’ altra-verità im- portantissima avea innanzi conosciuta e svolta il Mengotti, ri- spondendo al quesito dell’Accademia delle iscrizioni, e belle let- tere intorno al commercio de’ Romani dalla prima guerra punica a Costantino. A dar soluzione a siffatto quesito volle il Mengotti esaminar bene l’origine del popolo romano, per aver piena notizia dell’ indole e delle massime del popolo stesso, e per tal mezzo decise che i Romani giammai non intesero al commercio. Seguì rapidamente il segretario l’ autore nella sua dimostrazione del- l’indole e del governo de’ Romani. e manifestò che quella e questo tennero per parecchi secoli isudditi lontani «all’esercizio delle arti e delle manifatture non necessarie, e non vollero che le arti liberali fossero coltivate , perchè tutti intesi all’arte della guerra. Anche dopo la prima guerra punica si veggono provve- dimenti contrari al commercio ; e quando i Romani, per le im- mense prede fatte su’ popoli conquistati, da povertà vennero a subitana ricchezza , il repeutino mutamento gli ritrasse dal com- 79 mercio attivo , e il'loro lusso si alimentò di traffichi passivi; il che avviene naturalmente. Nemmeno furono prosperi i Romani per industria e commercio nell’.età che. corsero dalla battaglia d’ Azio a Costantino , ma anzi. ricaddero essi nella povertà e nella barbarie. E se facevasi nso di lussuriose: vesti e di arti- ficiosi utensili, questi traevansi | dagli. stranieri. paesi} come si traevano ‘anche le cose più comuni alla vita. Chiuse ilisegretario coll’ asserire che il Mengotti, col sno scritto pieno d’erudizione e di vigorosi ragionamenti giunse, primo alla meta tra settantudue scrittori ; che seco mossero alla gara onorata, e che l'Accademia parigina: mel decorarlo della corona invalzò all’Italia un maestoso trofeo. Corona, che; oltre a dover di giustizia; vorrà pur. credersi ammenda dello avere/i dotti e gli scienziati di Francia dissi- mulate , od a se attribuite, tante nostre scoperte. Dal che, con tinuò il segretario, nessun danno o nocumento è venutova noi, perchè alti richiami:ne ha già fatto la. storia; perchè degl’italici ingegni non ‘s° è per questo'affievolito il. coraggio e menomato il valore; ‘e perchè in fine non è in noi cancellata la. memoria d’aver quella nazione stessa ed ogni \altra moderna erudito in presso che tutte le discipline. Sì nobili sentimenti terminarono il rapporto commendato altresì per l’eleganza della dettatura, per l’ingegnoso ordinamento delle materie , e per l’ ampiezza della dottrina, pregi consueti d’ogni suo scritto. Pr Histoire de la vie et des owvrages des plus celebres Architectes, du XI sircle jusque a la fin du XVIII, par Quarremire DE Quixer. Paris 1830, Jule Renouard, 2. volumes 8.° con tavole. Nell’ enunciato libro 1° Autore intese a trattar 1’.istoria dell’ architettura , dal suo risorgimento nel secolo ‘XI fino al XVIII, non già col consueto metodo della narrazione , mà ‘per Vite de’ maggiori architetti, secondo l’età loro cronologicamente ordinate. Volle egli inoltre esornarlo mettendo in fronte»d’ ogni vita. un’ elegantissima figurina, rappresentante la migliore opera architettonica di cadauno. Indi , libro di piacevolissima lettura, trovandovisi ‘di tràtto in tratto due cose potentissime a rinfre- scare attenzione e diletto in chi legge ; un nome celebre, cioè, e la prospettiva «li un celeberrimo edifizio. Con siffatto mezzo l’oc- chio e il pensiero si coadjuvano mutuamente a cumular imagine del bello alla reminiscenza degli uomini, privilegiati dell'inclita 76 grazia.d’imventarlo ed eseguirlo. Ed invero (così almeno noi sentim- mo leggenilo) leggesi assai più gradevolmente la vita di Bartolom- meo Ammannati, dopo aver contemplato lo schema del bellissimo cortile de’ Pitti; o del venustissimo ponte di S. Trinita, che pare una leggiadra piuma galleggiante sull’Arno. Così pure, in fronte della vita di Raffaello, amasi.a contemplare il bellissimo palazzo Pandolfini, viva testimonianza del gran segreto che possedeva il Sanzio d’ inlegiadrir con la grazia anche i più aspri macigni. Così infine, giungendosi alla pagina in cui si trova scritto Vita di Mi- chelangelo;: piace a soffermarsi contemplando alcun poco il disegno del Tempio: vaticano, il quale ben predispone; con la sua mole e audacia , ad elevar con entusiasmo il lettore nella fama ed estima= zion» universale di un ingegno sempre teribile , checchè trattasse pennello, scalpello 0 archipenzolo. I nomi, adunque, molto coo- peranoa far.sentire assai più ammirevoli le opere; e, viceversa; le opete.'non men contribuiscono a. far meglio ammirare i nomi. Questa vaghezza è ripetuta 45 volte ne’ due volumi. Ecco l'e. lenco degli architetti e de’più pregiati loro pezzi d’Architettura, che ine formano la materia. _ . .rT I rr »*° o." rlr1'O _«_ =" « I.°. Volume. ARCHITETTI OPERE Buschetto Gattedrale di Pisa Diotisalvi Battistero di Pisa Arnolfo di Lapo Duomo di Firenze. Giotto Giovanni di Pisa Brunelleschi Michelozzo Leon. Battista Alberti Simone, Cronaca Bramante Baltassarre Peruzzi Raffaele Sanzio San Micheli Antonio Sangallo Giulio Romano Michelangelo Buonarroti Jacopo Sansovino Galeazzo Alessì Campanile del Duomo. di Firenze. Camposanto di Pisa, Cupola del Duomo fiorentino , Palagio Pitti. Palagio Medici, oggi detto Riccardi. » Ghiesa di S.Francesco in Rimini. Palagio Strozzi in Firenze. S. Pietro in Montorio e Cancelleria in Roma. È Palazzo Massimi in Roma. Palazzo Pandolfini in Firenze. Parte della Città e. Palazzo Pompei .in Verona. i Palazzo Farnese ;in Roma. Palazzo del T in Mantova. S. Pietro. Biblioteca S. Marco in Venezia. Ghiesa dell’ Assunzione e Palazzo Sauli in Genova. 77 Pietro Ligorio Villa Pia in Roma. Barrozzi o Vignola ì Cas:ello Caprarola presso Roma. Ammannati . Cortile Pitti e Ponte S. Trinita in Fi- renze. II." Volume. Palladio Basilica e .Palazzo Trissino in Vicenza. Filiberto, de Lorme Le Tuglierie in Parigi. Giovanni Bullant Portico del Castello d’Ecouen. Pietro Lescot e Giovanni Gougeon Fontana degli Innocenti e il Louvre in Lo Parigi. Domenico Fontana Palazzo Laterano in Roma. Vincenzo Scamozzi Procuratia nuova in Venezia. Garlo Maderni Facciata di ,S. Pietro. Inigo Iones 1 Palazzo Witheal in Londra. Giacomo de Brosse, Il Lussemburgo in Parigi. Francesco Borromini S. Garlo alle ‘4 fontane in'Roma. Giacomo Vancampen Hoteli:de'\ Ville in Amsterdam. Glaudio Perrault Golonnato del Louvre in Parigi. Le Mercier Ja Sorbona in Parigi. Francesco Blondel Porta S. Dionisio in Parigi. Gristoforo Wren S. ‘Paolo in Londra. i Giulio Mabisatt Chiesa degli ‘Invalidi in Parigi. Filippo Ivara: Lgs Lyon Chiesa di Superga ‘presso Torino.) Servandoni pri pes / Chiesa di S..Sulpizio in Parigi. Luigi Vannitelli Reggia.di Caserta. Giacomo Gabriel \ Piazza di Luigi XV.° in Parigi. Giacomo Antoine La Zecca in Parigi. ; Gondouin Scuola di Medicina in Parigi. Giacomo Soufflot Ì S. Geneviefa, ‘0 Panteon', in Parigi.! Non è ignoto; che ne’ Giornali letterari sentesi e. vuolsi sem- pre sentire il sale critico ; sale ,,che spacciato, come ingrediente ne- cessario.a preservar le, lettere dalla corruzione , è dubbio. se così venga suffuso per condimento a maggior gusto di chi (legge, o per. pizzicore di saccenteria in chi scrive. E comunque sarebbe non inutile, servigio alla buona critica;1’ investigar la parte che al suddetto tenore hanno le due menzionate radici, non è però quì nè il luogo nè il tempo di questa, investigazione. Certo è il fatto, dell’ uso ‘e del modo. Laonde mon fia meraviglia, se anche nel nostro articolo sentirassi la conditura in discorso. Senonchè, è noto che la nostra censura è innocentissima., avendo noi tutto il rigido riguardo a presentar quà e. là.qualche lieve appunta- tura, sempre come.semplice opinione, e non mai come sentenza. Col. quale modo onesto e modesto di procedere, evitasi quel di- spotismo di autorità., oggi sì offendente ed abusivo non men nella 78 republica delle letteté che în ‘ogni altro della vita. Così proce- dendo , si provvede meglio all’universale desiderio , che oggi an- che nel ramo letrerario è sì sentito , di convenire discutendo , e non di vbbedire in silenzio a’sentenziatori. Così procedendo in ultimo , ledesi assai meno.l’.amor proprio sì dell’ Autore come del lettore ; del primo , opponendo un’ opinione e non una sen- tenza alla sua vpinione ; e del secondo, presentandogli le ‘dme opinioni in litigio , onde ei le giudichi , e senza mortificarlo ‘det tandogli un giudizio. Così pensiamo , e così operiamo ne? nostri, articoli, non punto però intendendo a pretendere che il nostro modo sia legge per altri.) comealtri certamente non vorrà. pre& tendere che il sno modo sia legge per noi. i Adunque applicando queste premesse all’attuale esame dell’o- pera di Quatremère, diremo che il Borromini non andava noverato, fra gli architetti celebri, perchè celebre come oggi è il Rossini in musica , o. il fu il Marini ‘in poesia ; come corruttore cioè della bella architettura , e fortunato maestro di scitola ‘corrut@’ trice. Di che vorremo giudice lo stesso nostro Autore. che non tac+ que le viziosità di questo architetto ; il quale , obliando o non sapendo , che il genio più funesto alle belle arti è quello di, credere inspirazione o invenzione ogni novità , fu in architettura; ciò che oggi sono taluni. novatori in voga , i quali poeteggiano: tutte le novità più mostruose come altrettante grandi invenzioni ed inspirazioni. Ugualmente avvisiamo, che di tutte le opere ar- chitettoniche d’ oltremonti noverate nel libro, il solo arco d'Eco- uen meritava, un, posto, fra’, perfetti modelli dell’arte. Leggemmo inoltre alcune indiligenze , non sapremmo dir come, sfuggite ad uno scrittore sì diligente, che il Battistero di Firenze, verbigra - zia, è tutto inerustato di marmo nero, mentre che ne ha ‘i soli gheroni ; ‘che non simetrico' è il Palazzo Riccardi, mentre ‘ognm>’ no, il quale ig via Larga; il vede e ammira bello d’ogtti simetria , ec. ec. E dicasi lo stesso di qualche frequente negli-. genza storica. Nomina egli, per esempio , il Burbarossa nella Crociata! del 1223, nell’'atto' che questa, che fu la 5.%, fu guer- veggiata da: Federico IT.) e quello morì guerreggiando la 3.* nel 1189: Nomina inoltre col titolo di Granduca quel Cosimo, che'èbl be: Vassai più inclita appellazione di Padre della Patria, nell’attòo che il Granducato non ancora era, quando Brunelleschi stuwpe- faceva il mondo e l’arte con la. nuova é sovraumana audacia delia sia cupola. Non sapremmo poi condonare al sig: Quatrèmere il suo silenzio sovra Orcagna e la sua bella. stupenda meravi- gliosa loggia ; loggia di cui, in cosiffatto genere d’ edifizi , non 79 mai uscì «a mano d’ nomo , nonchè la maggiore, ma nemmen l'uguale o l’approssimante in Jeggiadria arditezza e magnificenza nè presso i Greci, maestri supremi d’ ogni fina bellezza, nè presso i Romani, che non la volevano se non congiunta alla gran- dezza e maestà delle opere. Opiniamo infine , che, invece della Reggia di Caserta:, volevasi anzi citata a modello quella di Napo- lis bellissima mole del Cavalier Domenico Fontana, comunque guasta e deturpata da ignobilissime. mutazioni volutevi da vi- cerè ‘o da’ re. La casertana null’ altro ha seco se non la vastità dell’opera ; ma 1’ arte e gli intendenti vi rinvengono molti gravi difetti, visibilissimi anche da’ meno intendenti all’ arte. In un palagio, per esempio, sì smisurato e perciò sì alto , que’quattro cortili senza impluvio al terreno non son cortili ma pajon pozzi; e le tre porte del frontespizio non sono porte architettoniche , ma veri e deformi e bislunghissimi fenestroni de’ duomi alla germanica. Non taceremo intanto ciò che può essere scusa o ginstifica- zione del nostro Autore, ove falli sien le cose da noi notate. Forse egli parlò di palagi e di chiese non meritevoli di parola alcuna, per meglio istoriare le vicende architetturali ne’ varj secoli dall’ XI° al XVIII.° Forse fu adescato, senza volerlo, dall’ amor patrio a trovar più belli di quel che sono gli edifizj di Francia da lui menzionati ; e l’amor patrio è sempre un senti- mento rispettabile , ove però non sia sfoggiato a spese dell'amor patrio altrui , come è quasi sempre stile di quegli oltremontani scrittori di viuggi in Italia. Ci congratuliamo poi seco lui di non aver fatto onta nè al suo gusto nè al libro suo. con veruna men- zione o imagine del vituperio d’ogni architettura. Alle quali frasi il lettore volgerà subito 1’ occhio del pensiero al mostruoso ordine architettonico detto gotico. È un mistero come mai questo stile prendesse il nome pre- cisamente da quel popolo , il quale, nonche non avere archi- tetti, non avea neppure muratori. Il che è dimostro non men dal fatto che dal raziocinio. La Rotonda di Ravenna, da Teo- dorico eretta a sua tomba , è evidentemente opera di artefici ita- liani, essendo dello stile romano in decadenza. Indi pruova; e che il Principe non avea artefici della sua nazione , e che non an- cora era sorta o aveasi idea dell’ ordine gotico. Ed invero non imprese a sorgere questo gusto , se non sei in sette secoli più tardi del secolo de’ Barbari, come più tardi vedremo. I Goti oltreaciò, al pari di tutti gli altri Barbari dall’ Asia diluviati sul- I’ Europa ; non vivevano che vita pastorale e migratoria sotto 80 la tenda, ‘allorquando migrarono a sciami in cerca di nuovo do- micilio verso occidente. In cosiffatta abitazione di tribù errante, è assurdo supporre , che avessero pur la nozione dell’ archi- tettura iniziale ; e ciò solo basta a. mandare in aria la sì cele= brata sentenza di un Autore inglese ; il quale, scorgendo ; 0 più probabilmente credendo di scorgere analogia e rassomiglian= ze fra gli architettonici modi germanici e gli indiani , asserì con! ogni fede e gravità , che l’arehitettura indiana venne in Europa con la venuta delle incolte genti asiatiche pocanzi memorata. I Goti adunque, barbarissimi nella prima scorreria devasta- trice sotto Alarico ; e poco men barbari, quando , partendo dal campo in cui erano attendati presso Costantinopoli, ritornarono ‘in Italia con Teodorico, non avevano neppur idea ; nonchè di ele- ganze architettoniche , ma di case. Assai meno poteron farsi archi- tetti in Italia, perchè continuamente in guerra co'Greci , finchè furono debellati; e le arti vogliono ozj di pace. E meno assai po- tevano essi essere gli inventori di uno stile comparso sei in sette secoli dopo , perchè i popoli non sono mai autori di opere postu- me. Laonde opiniamo, che quando il gusto dell’ architettura in discorso incominciò a passare da oltremonti in Italia , passaggio che pare avvenisse verso il finire del secolo XII.® o nel XHI.®, denominaronla gli Italiani col nome delle prime genti oltremon- tane in Italia comparse ed irruite. È instinto o senso comune degli uomini quello di denominar le cose straniere col nome dei primi stranieri che conobbero. In pruova del quale assiuma os- serva il Vico, che i Romani conservarono l’epiteto di Tarentino a chiunque lu:sureggiasse nelle mollezze e nello sfoggio dell’ o- riente, perchè da’ Tarentini avean ricevuta la prima idea degli sfoggi e delie mollezze orientali. Checchè però sia di questa opinione sul nome dell’architet- torio genere in subietto, non pare intanto che possan esservi due pareri sulla sua patria ed origine. Ei fu un modo edifica- torio naturalmente inspirato o comandato sia dal clima , sia da altri accidenti, in tutte le regioni europee a borea delle alpi. Di che è evidenza nelle popolari abitazioni di tutte le genti nor- dalpine ; nelle abitazioni popolari, primo scalino o elemento d’ ogni architettura. Presso le quali genti, o per meglio provvedere al peso e sconscendimento delle nevi , o per indelebile memoria della forma sia della tenda sia de’ primitivi tugurj pagliareschi , non altrimenti si costruiscono le case se non in guisa di enorme piramide acutissima sovra una base parallelopipeda. Questa con- tiene il terreno, a quella i piani superiori. Ed ecco in cusif- BI fatta costruzione acutangolosa la radice elementare dell’ acuian- goloso ‘stile. architettonico. Esso. fece . invasione. in. Italia nel XHI.® secolo , come quindi vedremo, e vi ebbe grande fortuna. Nè ciò fia meraviglia. Non vedemmo. noi gli Italiani abborrire le celesti melodie di Paisiello e di Cimarosa., per plaudire con rapimento ‘all’orrendo frastuono del Meyerbeer? E non veggiamo presso le. nostre Belle , quelle mode parigine avere , più favore le quali più deformino la bellezza della persona ?_I popoli han- no bizzarzi umori. al pari degli uomini individuali; e. le. arti soggiacciano esse le prime allo stranissimo imperio di siffatte biz- zarrie. Ma, non più ragionando dell’architettura in argomento, non dobbiamo nè vogliamo tacere che essa è, non diremo già la men bella, bensì 1’ unica deforme ; ella anzi è ripugnante per na- tura sua a tutte le condizioni che costituiscono 1’ eccellenza dell’ arte; alla bellezza cioè , alla eleganza ,. alla. grandio- sità, ed anche alla forza delle opere. Ormai è dimostro , sì per teorica è sì per pratica, che quelli elementi architet- turali son più solidi i quali sono 1 più belli ; che 1’ arco circo- lare, verbigrazia ; il bellissimo a fronte d’ogni altro arco a se- sto acuto, è pure il robustissimo ec. ec. Onde ripetiamo le no- stre congratulazioni col sig. Quatrèmere di non essere disceso a menomamente interloquirne ; e facendo ritorno al di lui libro, sarà dovere di parlarne secondo il fine propostosi dal suo Autore. Initendeva questi meno a comporre un trattato tecnico, che a dare ameno pabholo a’ curiosi della bella arte in discorso. E noi andremo soffermandoci quà e là innanzi a qualche insigne edifi- zio , contemplandolo non tanto nel suo grado e merito architet- tonico ( chè noi nol potremmo, nè i nostri lettori nol vorrebbe- ro), quanto in quelle riflessioni morali sulle arti come frutti della civiltà, e perciò sulla risorgente architettura come frutto della civiltà risorgente. Contemplando nel qual modo, estime- remo di mettere cibo di lettura buona nell’Antologia , se nella sì fredda e ciarliera età odierna , che non sa nè amare nè odiar nulla, moveremo qualche sospiro di simpatia per la memoria de’nostri avi; degli avi nostri, che sapean cumulare e cumnulava- no all’ animo dell’ operosa energia, la volontà del Grande e del Bello con la potenza di crear l’ uno e l’altro. Il libro incomincia con la vita di Buschetto, e perciò col Duo- mo di Pisa. Cominceremo adunque anche noi da questo bel Tem- pio, l’antichissimo di tutti i Tempj moderni, e il primo parto dell’ architettura del risorgimento. Era poco iunanzi suonato il mille , T. IV. Novewbre. LE 82 vera mezza notte dello spirito, quando i Pisàni vollero ergerlo } e Buschetto , l’atchitettore a ciò prescelto 3ofu (cisi passi la me= tafora) l’Ercole ché fa prodigj fin dalla sua culla. Per sua mandò 1 arte rinasceva; è rinascea non infante, ossia imperfetta, ma nellé belle e complete forme virginee della giovinezza. E così diciamo; comunque non così dicano i più di coloro, i quali amano ad osten- tare finezza di intendenza, mostrandosi difficilissimi al contenta» mento. Buschetto, dicono essi; concatenò ‘con archi e non con! architrave o trabeazione le colonne; indi errore e fallo contro a’ precetti dello stile antico. Noi diremo; che il consimile fatto; prati» cato dal Brunelleschi in S. Spirito e in S. Lorenzo nel migliore se= colo dell’ architettura moderna , vale quanto ogni precettò dell’ antica architettura. Lasciando adunque queste sciapidissime eriti* che nonchè tutte le altre, se l’architetto, per esempio, fè tagliare egli dise trovò come ruine di tempj antichi quelle colonne; se tro- vandole ne imparava o nò qualche regola, oppure se ne aveva 0 nò qualche inspirazione architettonica; se gli era o nò lecito di ergere un secondo:ordine di colonne sovra un colonnato inferiore ee. eci, lasciando 3 dicevamo , queste frivolissime esaminazioni erudite a chi ha vaghezza di saperle ; ammireremo il bell’uso che seppe fare dè’ sudetti elementi; ammiretemo il leggiadro e leggiero compartimento interno, tutto intercolunniato a vuoto inferiormen- te e superiormente; ammireremò l’ ingegnosa finezza di evitare, in così facendo, /a vista ingratissima di una chiusa muraglia pesantemente sovraddosata al colonnato terreno ; ammireremo in- fine il sottilissimo artifizio di dare per que’continui vuoti attitu= dine e libertà all’ occhio di traguardare tutta 1° ampiezza del Tempio. Ed ovunque lo spettatore il volga, è rapito da una gradevole meraviglia veggendo la croce interiore del Tempio tutta traforata a logge leggerissime; logge che ei direbbe più sospese in aria, che poggiate sulla terra. Baschetto và salutato primitivo Padre dell’ architettura mo- derna, in considerando che nel primitivo albore del risorgimen- to alzò un Tempio , di cui non avrebbe onta d’ essere Autore nemmeno un architetto del glorioso Seicento. Fu egli ancora l’ in- ventore ‘del bellissimo mezzo di congiungere, con una volta o cu. pola, le quattro braccia di una chiesa costruita ;a croce. Fu egli infine il primo architetto a volere ed a dare la bellezza esterio> re. ossia la ‘convessa; (a queste cupole 0 volte. Imperocchè gli antichi appagavansi sol della parte concava o interiore , come è dimostro dalla Rotonda di Roma e dal Battistero di Firenze; ne’ quali tempj la curva esterna del culmine è non leggiadramente rinfiancata, quivi a piramide , e là a scaglioni, 83 Vi è un’ assai maggior numero di colonne nel Duomo. di Venezia che nella.Primaziale di Pisa. Vuolsi anche ;aggiugnere che quelle del ‘primo isono di marmi. assai. più rari, peregrini e nobili di quelli della seconda... Ma intanto; mira 1° onnipotente maestria del vero ingegno ! In S. Marco 1’ ordinanza imal serve a far apprezzare e la.numerosità di tutte e la preziosità di ca- dauna ; laddove nel. Duomo pisano 1’ abilità. dell’ architetto fu | tale ad ordinarle in una venustissima disposizione ; in cui pei maggiore il pregio di cadauna e il numero di tutte. in | Questo bel tempio fu il primo raggio che architettura ful- geva fra l’atre tenebre del secolo XI. Esso è un testimonio veracis- simo ‘ed incontrastabile, che l’ architettonico stile oltralpino non era ancora o sorto ‘o ventito a contaminare il risorgente gusto-ita- liano. Nullo segno o indizio infatti, abbenchè menomo e remo- tissimo , non vi si scerne di goticismo; nulla angolosità nè nelle rette nè nelle curve $ nulla modanatura cuneiforme; nulla! di quel volgare lusso di fregi, di cianfrusaglie ‘e di ridicolissime intaglia- ture, che credonsi ornamenti mentre sono deturpazioni e lascivie. Evidenza dunque, che Ja nobilissima arte risorgea pura e vergine nella sua severa ‘semplicità in Italia ; in Italia, antica tetra pro- genitrice del hello e del buono, ove non eonoscerebbesi il male e ‘la bruttezza se non vel mandasse 1° Oltremonte. Accanto ‘al suddetto bel Duomo è il bel Camposanto ; cui fora ingiuria o barbarie non volgervi uno sguardo. È:questo un monumento, che dice ei solo tutto il medio evo morale. T Pisani, i ‘quali contemporaneamente o poco poi agli Amalfini} furono i primi nautici della civiltà cristiana e i primi cavalieri navali della cristianità contro 1’ islamismo , non paghi di andar facendo dovizia di colonne e d’altre preziose reliquie dell’ architettura antica nelle imprese loro , riportarono dall’ Oriente una preda di ‘valore imprezzabile nelle idee religiose del serolo XII. In quel- 1’ età dell’ eroismo, forse barbaro ma alcerto sublime, delle cro- ciate l’Italia era la sola provincia europea, la quale potesse: dare e desse navi e navarchi al passaggio. Una flotta pisana adunque, noleggiata dal Barbarossa a portar armi ed \armati in Palestina non altro carico noleggiò gratuitamente al ritorno, se non terra sca- vata sul Golgota, onde. portarla in patria, e destinarla al patrio cimitero. Al quale dono de’ nocchieri ; estimando Pisa, che me- ritevole di magnifico ricinto fosse un sì preziosissimo interriato, ne commise opera a Giovanni; e questi non si mostrò da meno nè alla mole dell’ incarico, nè all’espettazione della patria sua. Su’ quali fatti non avendo noi l’ altezza di mente di coloro, 84 che sentonsi da tanto a deridere ogni evento umano , ove esso appaia vestito di talune forme morali oggi derise, ma opinando anzi ‘vera filosofia 1° indagine delle vere radici delle umane azioni, quai che sien (elle le.une. e le altre; considereremo il Campo- santo di Pisa come un’ importantissima lapide morale di quei se- coli. Esso dimostra assai più delle Crociate istesse la vivezza e il predominio del senso religioso. Imperocchè ; se lo scetticismo può sospettare in queste guerre sacre lo. stimolo della rapina sotto il manto della santità delle imprese, e se la critica ancora può trovarsi in ciò consona allo scettismo, nè l uno nè l'altra nulla non hanno che dia loro menoma presa a consimile suppo= sizione nella preda prescelta da’ Pisani. Era sola, e pura da ogni basso affetto mondano, l’altissima importanza che riponeasi a po- sar le ossa in una terra santificata dal. sangue della Divinità rendentrice. E mentre questa vpinione così dimostra il caldo zelo onde ferveva il cuore, essa dimostra eziandio il.grado del progresso intellettivo, nonchè la. psicologia semimateriale degli uomini in quell’ infanzia. civile, non ancora sì svolti di ingegno a poter concepire l’astratta spiritualità. In que’foschi tempi di barbarie, l’opinione sulla natura dell’anima doveva essere non diversa !da quella, professata dalle genti, del gentilesmo; si dovea credere , cioè , che lo spirito 0 l'ombra coabitasse col cadavere, subitochè opinavasi che la terra consacrata, in cui tumulavasi il cadavere, contribuisse col contatto a purificar Vl’ ombra 0 lo spirito. Questo sepolereto è non men veridica lapide , che la risor- gente architettura non era) ancora attaccata dal contagio dell’ar- chitettonico stile oltralpino. L’ ordinanza è tutta semplice e. se- vera » circolare e non angolosa è la curva degli archi; e gli ar- cali sono inscritti nelle perfette dimensioni, di rettangoli ad al- tezza doppia della base. E non ci si oppongano, come pruove,in contrario , quelle sottilissime colonne a fuso 0 a spirale, erette nel mezzo delle arcate per sorreggere que’fregi traforati che riempiono il semicerchio de’ portici. Esse son forse opere posteriori, pro- babilmente aggiunte ‘all’ uopo d’ intelaiature; e nulla non hanno nè di comune nè di necessità con l’ ordine generale del monu- mento. Supponi infatti di torle via, e lo stile rimarrà tutto semplice, tutto bello, tutto italico ; mentrechè se le togli ne’fe- nestroni de’ duomi alla teutonica, che diresti più balestriere di rocca che finestre di chiesa, nulla perdono del carattere loro i fenestroni suddetti , e rimangono essi tutti gotici. Ultima pruova infine; pria di lasciar Pisa, che 1’ antiarchi- tettura oltralpina non ancora discendeva ad imbastardire 1’ ita- 85 liana, è il campanile pisano. Il suo stile. è tutto armonico; 0 meglio diremo smmilissimo a quello con cui Buschetto foggiò l’or- natura esteriore della primiziale. E quando ponesi mente ; che tedesco di nome, perchè di nazione, era il suo architettore Pietro o Ruberto , si ha ogni fondamento ‘ad asserire ; che 'Vantiarchi- tettura anzidetta non era ancor:nata oltremonti. Il:vedremo in- fatti. più chiaramente ‘or ora , in andar notando il: risorgimento delle arti presso le .genti moderne; sempre coetaneo. al vg pnl risorgimento civile di cadauna di loro. Volgendo la pagina nel libro del sig. Quatrèmere troviamo; dopo il pisano Camposanto , il Duomo fiorentino. Quivi pure è , nonchè amore, ma dovere a soffermarci per contemplarlo alquanto, cumulando esso alla bellezza dell’ opera la rimembranza de? due, suoi esimii autori; di Arnolfo Lapo cioè e di Filippo Brunelleschi; di questi due magni architetti , de'quali, comunque ‘intervallati da un secolo fra loro; direbbesi, due fratelli gareggianti in re- ciproca emulazione di affetto fraterno, a chi meglio potesse l’uno incominciare e l’ altro compire, per mutuamente farsi: onore e fama immortale. Il Lapo ; infatti, fece il suo compito: come se, profetando quello del Brunelleschi, gli preparasse tutto il.biso- gnevole ; ‘e dal canto suo Filippo non volle. essere da meno a coronare con ‘bellissima opera 1’ opera bellissima di Arnolfo. Se- nonchè ; intendendo noi ad andar notando men la parte tecnica dell’ architettura; che le relazioni divquesta nobile arte con; lo stato ‘morale ‘e civile delle genti: nell'età in cui si segnalano esse con grandi imprese architettoniche , non vorremo: omettere il decreto della repubblica sull’ edificazione di questo: tempio. Attesochè ' (decretavasi) la somma prudenza di un popoloi divori- gine grande ; sia di procedere negli affari suoi di modo;.che dalle operazioni esteriori si riconosca non meno il savio che magnanimo suo. operare , si ordinà ad. Arnolfo. capo-maestro del nostro co- mune, che faccia il modello o disegno della rinnovazione idi Santa Reparata con quella più alta e: sontuosa magnificenza } che iin- ventar non si possa nè maggiore nè più bella dall’ industria e dal poter degli uomini; secondo che da’più savii di questa città è stato detto e consigliato in pubblica e privata adunanza , non doversi intraprendere le cose del comune; se il concetto non è di farle corrispondenti ad un cuore fatto grandissimo, perchè com- posto dall’animo di più cittadini uniti insieme in un solo volere. Vi è nel sermone de’ popoli una ‘maestà di senso e dizione, che cerchi invano in quello de’ singoli potenti. Quì la tumidezza dell’orgoglio ; là il nervo della vera dignità. Ed invero, ove tu 86 \ prendaii più elati manifesti moderni, non. li trovi che ighobilissimi in pensieri edin dire appo.il citatò ordinamento. Nel quale è più che altrove evidente il vero ; e» che tutte dal. cuore ‘vengono:le grandi inspirazioni $ e che presso i popoli poeti del Vico; ossia invquélli che sono: nél primo stadio della civiltà, il cuore è l’organo d’ogni funzione:e facoltà razionale. E vedilo, che in quel secolo di inge- nuissima, verginità della lingua, si manifesta ‘e nomina esso fatto grandissimo dall’animo.di molti uniti insieme»in un solo volere. Questo bel concetto è insiememente e succoso d’alta filosofia psi- cologica:} e scintillante d’ ogni fulgore lirico. Ma, mentre in un poeta: crederebbesi e direbbesi 1? elaborato parto: di lunga medita» zione,''pér vestire con altissima poesia un’alzata-di mente, in un comizio la. frase va: presunta. come ispontaneamente suggerita da cuori che così sentivano; senza.bisogno di /veruno sforzo: per così sentire ed. ;esprimere il sentimento, E veramente, non vuolsi nè v' ha sforzo nella conscienza del possesso! della forza. Quella;.eva l’età [della\verdé gioventù e della gagliarda vigoria delle genti ita- liane. (Quando pensasi all’ energica operosità di Firenze ne’ venti anni «ultimi del secolo XIII; quando pensasi ché in que’soli quat- tro lustri la città, non paga di allargarsi'fin dove.oggi si esten- de, si rinnovellava tutta intera con tanti edifizi sacri, pubblici e privati (1); quando: pensasi che era sì dispendiosamente, fabbrica» trice nell’ atto che, non: ancora ‘ben sana delle profonde piaghe patite nelle feroci sue gueriè interiori, travagliaya. invittamente guerre esteriori contro Pisa, contro Arezzo} contro Siena; quando pensasi che. una eittà sola:era potente di cotante intraprese, tutte grandi, magnifiche, terribili, si va smarrito di stupore ; e senza la indubitabile notizia istorica sull’ ampiezza del suo territorio, giurerebbesi essere stata. Metropoli di vastissimo e ricchissimo potentato, 1 In cosiffatta»plenitudine di gagliardia d’ animo e di mezzi , fu decretata l’edificazione del duomo. Arnolfo ne assumea la mole; e non vuolsi dire di quale e quanto incentivo mai dovessero essere le superbe parole del decreto nell’animo e nell’ ingegno di questo architetto; di un architetto il quale; oltre al sentire ei pure la poderosa virtù dell’ età sua, avea già dato saggio di ingegno e d’ animo poderoso; ardito, audacissimo, ergendo la torre del co- (:) Il Duomo, 8. Croce , il Palagio della Signoria, quello del Bargello, le Stinche , il terzo cerchio delle Mura , il volgimento del Mugnone , la nuova rivestitura marmorea di S. Giovanni , e tante logge, torri, case di particolari cittadini. 57 mune ‘a perpèndivolo fuori il piano della base. fon sì ‘potenti au- spici e stimoli di fervore-religioso; di boria civica ‘ad avere um tem- piò che fosse impareggiabile; e di maestria non che! iv petpabi: dell’ artefice, sorse Santa Maria del Fiore. L’opera corrispose essa alle espettative della patria nell’anto- re, cui commetteala ? Sì. E quì, se parrà' di troppo noi contem- plarla con amore, nol negheremo. La vegga e dica pur chi voglia, esteriormente una monotona e pesante montagna di marmi (2); ri- sponderemo che è sempre permesso a’Clazomeni di agire villana- mente. Veggala e dicala pur chi voglia interiormente non bella, perchè nuda d’ogni decorazione; non contenderemo a chicchessia il fino gusto di ‘argomentar la bellezza di una donna «dalle gemme ed orerie onde è adorna. A noi piace di ‘sentirla nella perfezione e venustà delle forme, nella grazia ‘e leggiadria delle membra; in quell? indefinibile armonia, in quell’incantevole convenienza fra le parti e il tutto, la quale, senza sapersi dire che mai sia, constituisce la bellezza di una persona 0 \cosa qualunque. Laonde ammireremo il concetto dall’ architettore ideato ed eseguito in questo tempio } concetto élegantissimo e fortissimo, che, mentre lascia dubbio il giudizio se maggiore sia l’eleganza oppurla forza delle membra, fa stupirlo nell’ incomprensibile pensiero come mai cotanta forza fu unibile con cotanta eleganza. Che poi queste membra sieno di rozzissimo macigno fiesolano, e non di marmi fini, ciò nulla non monta. Niuno mon osò ancora dire bellissima sovra tutte le chiese la Cappella de’ Medici, sol perchè la più ricca d’ inerustatura preziosa, Alla quale natura 0 essenza del Bello, in proposito di S. M. del Fiore nudissima d’ ogni interiore ornatura e decorazione , è consono il talento, che ebbero sempre le arti toscane fin ‘dall’età etrusca ; anzi severe, cioè ; che proclivi al menomo lussureggiare. La scuola fiorentina di pittura e idi scoltura, infatti, tra perchè avesse più visibili le sinuosità e le ombre de’'muscoli nelle fattezze nazionali, tra perchè si compiacesse di un po’di:sfoggio di dottrina ‘anatomica, pregiò ‘ognor la superficie delle forme anzi magrettina chè ‘carnosetta. Ma assai più delle sue sorelle fu severa l’archi- tettura. Di che è pruova l’ ordine detto toscaro , il semplicis | simo e l’ansterissimo ‘appo tutti gli altri ordimi. Di che è pruova ancora l’ architettonica simpatia toscana pel bugnato a masse grandi, grezze, ruvidissime , da' primitivi Etruschi fimo .a Simone Cronaca , a Benedetto da Maiano ed a Filippo Brunelleschi. (2) V. Sismond , Viaggio in Italia. 88 Arnolfo ,adunque, che, fioria nella prima. gioventù dell’arte, ossia uell’ età in,cui.si sè spesso forse fallibile.;.ma alcerto non si è ‘ mai, corrotto. , fu architetto tutto zoscazio nell’ interno stile > del Duomo. Egli il volle bello senza implorar soccorso dal prestigio degli ornamenti, come fa la vergine trilustre, la quale disdegna di accattar aiuti a formosità da vezzi e da acconciature, ove ella sia. conscia che è bella da se sola. Ed in cosiffatta opinione ne con- fortano le parole del divino Michelangelo, quando egli vedeva ed. ammirava nel tempio che contempliamo ur’ immensa armonia di solidità e di leggerezza. Onde direbbesi che Arnolfo si travagliasse con ogni diligenza, intensità ed ardore alla soluzione del problema, che. il vuoto superasse il pieno, e che pervenisse a risolverlo pienamente. L’ampiezza de’porticali, si audacemente lanciati sovra pile, sottilissime ,, per accennar la divisione delle tre navate del- l’ ambulatorio ; l’ampiezza più vasta, alta ed audace delle quat- tro tribune maggiori; que’ due pilastri anteriori sì arditamente e sveltamente tagliati, perchè le due navette corressero tutta la lun- ghezza del tempio; l’ ingegnosissima astuzia e sottigliezza d’ arte nascondendo nel corpo degli angoli dell’ottagono le graudi masse de’rimanenti sei pilastroni'ec. ec., tutte queste arditezze e finezze squisite ; insigni, eccellenti di maestria suprema fanno che lo spet- tatore non sappia e dimandi in istupore, ove e su di che siede, si ferma e sicura la sterminata mole da Brunelleschi sovrapposta alla delicatissima costruttura d’Arnolfo. Ma mentre questo egregio architetto acuiva cotanto l’inge- gno suo, perchè il Duomo apparisse assai più ampio e leggero che non era , gli architetti posteriori ebbero sembianza di gareggiare a chi più potesse distruggere la grande e bella ottica interna vo- lutavi dal suo fondatore. Questi volea tre soli arconi nell’ambu- latorio, per dargli armonia di perfetta proporzione con le tre.altre braccia della croce; e la falsa idea di grandezza, l’ignoranza, e per- ciò la presunzione .; vi vollero aggiunto, un quarto arcone. Quel coro inoltre, in guisa di anfiteatro pagano, è una vera, profa- nazione. Esso annichila due grandi oggetti; la. maestà del rito cioè e la maestà del tempio , impedendo il ben vedere e contem- plare sì luna come l’ altra. Esso alzasi ‘ostacolo all’occhio perchè questo non ben vegga e computi nè le interiori dimensioni del vasto edifizio, nè il vasto perimetro della crociera. Ed invero , chi è che visitando pria S. M. del Fiore e poi S. Croce, non giuri la seconda assai più ampia della prima ? $. Croce è intanto venti braccia minore di S. M. del Fiore. L'occhio ha naturale istinto o legge di scorrere lunghesso le dimensioni del pavi- $9 mento, ovunque ei miri a divinare o a presumere l’area in- terna d’ ogni spazio chiuso ; e questa sua indole misuratrice è ivi vana per l’impaccio del coro. Così pure, quelle due enormi orchestracce , le quali chiudono le due tribunette adiacenti alla tribuna dell’apside, distruggono metà del bell’effetto dall’architet- tore voluto nell’ottagono. Imperocchè non v’ ha chi neghi, che, ove aperte fossero le due tribunette in discorso , assai maggiore , ed assai più bella, simetrica, leggiera sarebbe la sveltezza della crociera. I suoi quattro grandi arconi sarebbero simetricamente alternati co’ quattro archi minori. Le due navette correrebbero più in là di ciò che oggi corrono; e questo aumento di lun- ghezza sarebbe accresciuto dall’ ottica illusione del lume de’due fenestroni delle sacristie , che traguarderebbonsi fin dalla soglia delle due porte piccole del frontespizio. É infine tutto il vano ottagonico della crociera , che è coronato dal vano immenso delia cupola, sarebbe ed assai più leggiadramente simetrico, ed assai più vuoto , svelto , ardito, audace. Di che ci appelliamo al giu- dizio de’ valorosi lettori nostri, invitandoli ad andare a contem- plare l’ottica interna del tempio dalla cappella del Sacramento. Da quivi mirandola, e traguardandovisi l’asse intero delle navi fino alle porte, gli archi, le tribune, i pilastri, le parti tutte in- somma di sì bella mole, hanno un tutt’altro aspetto, e ben altri- menti più leggiero ; più svelto, più ardito , più mirifico. Noi fac- ciam voti adunque perchè dandosi, quando che sia , l’ ultima mano a questo tempio bellissimo , si tolga via il coro di là ove è ora, ed apransi le due tribunette oggi chiuse ad uso di organi e di sacristie. Così facendosi, sarebbe esso purgato delle deturpa- zioni operatevi da artefici volgarissimi. e restituito alla bella e sem- plice interezza del concetto, in cui lo ideava ed eseguia l’immor- tale suo fondatore. Non va detto e molto men dimostro, che la solennità de’ ri- ti nonchè nulla non perdere della maestà sua, molto anzi vantaggerebbe co’ prefati cangiamenti. Il braccio dell’ apside sa- rebbe tutto riservato e sacro al Sancta Sanctorum, barrandone l’ingresso con una elegante balaustrata , per segregare il pre- sbiterio dal luogo del popolo, e non patirvisi la profanazio- ne che vedesi oggi, vedendo affoltato il coro più da donne che da sacerdoti. Ciò aumenterebbe venerazione al culto. Più vene- razione avrebbesi tenendo i laici ad una decevole distanza dalla celebrazione de’ misteri. Vorrebbesi dare inoltre un po’ di eleva- zione all’altare maggiore, onde anche questa prominenza dell’ara T. IV Novembre. 12 90 massima contribuisse a quell’efficacia morale, che il ministerio e le cerimonie della religione deggiono aver sull’ animo e su’sensi de’ fedeli. Il coro fora allora, non a foggia di circo pagano , come è oggi, ma a due ali in semicerchio a’ due corni dell’alta- re. In questo modo , il treno de’varii gradi sacerdotali , schierati in due o tre ordini a manca e a destra, coopererebbe esso pure, così messo in ordinanza più autorevole, a dare maggior risalto di dignità a’sacrifizi. E così diciamo, perchè in architettura , debbon darsi mutua mano e l’ edifizio e la funzione cui è desti- nato. Indi nelle chiese noi quasi vorremmo d’eguale ingegno il cerimoniere e l’ architetto. L’ architetto deve provvedere che il tempio nun sia da meno dell’ ufficio sacro; e in pari modo è giusto che il cerimoniere provvegga acciò il sacro ufficio non sia da meno del tempio. Quì prendereme congedo da S. M. del Fiore. Vi sarà forse, 0 senza forse, chi meraviglierà che parlammo sol di Arnolfo, senza dare una parola sela a Brunelleschi. Ma di lui e della suna cupola si disse e si ridisse tanto da’ dotti, che nulla non potrebbe aggiu- gnere l’oscura nostra voce. Egli vivrà eterno , essendv inventore stato ed esecutore del prodigio supremo dell’architettura. Senon- chè , non sarà ingiustizia il dire, che la sua , non mai abbastanza ammirevole e laudabile, opera fece che la fama e la celebrità fos- sero alcun poco ingiuste con la memoria del Lapo. Questi, intanto, non cesserebbe d’ essere l’ architetto che fu, anche senza l’opera di quello; ove però fora Brunelleschi senza Arnolfo ? Senza Ar- nolfo 1’ architettura non superbirebbe nè di Brunelleschi nè della cupola fiorentina. L’uno facea potenziale l’altro al prodigio di gi- ganteggiar d’ingegno giganteggiando la mole.Che anzi. in riflettendo alla figura ottagona del piano della crociera del Duomo, dal fondato- re piantata simile alla pianta del Battistero; in meditando inoltre alla forza dal fondatore data alle fondamenta, a’piloni ed agli archi; forza e solidità tale, che l’architetto compitore nulla non trovò ne- cessario a doversi aggiugnere o rinvigorire , per lanciarvi sù tam- buro e cupola a doppia volta; in computando questi elementi di criterio, non sarebbe irragionevole chi dubitasse della notizia generalmente creduta, che Arnolfo voleva lanciar la volta im- mediatamente sulle chiavi de’ quattro arconi, ma credesse anzi, che disegnava ad alzarvi S. Giovanni, come ve lo alzò Brunel- leschi. Imperocchè , stando alla notizia suddetta, non puossi non ammettere che l’ architetto fondatore assai male conoscesse l’arte sua , così prodigalizzando in fondamenta , basi, pilastri ed archi, tante forze e spese oltremodo superiori al bisogno di sorreggere L 9I una sola e semplice volta. Creda pur ciò chi il voglia credere ; non noi. Perciò opiniamo che Arnolfo intendeva, senza manifestarlo, a coronar l’ opera sua con una mole assai maggiore di quella che gli si suppone. E questa opinione quasi sale a certezza in noi, in cumulando alle già fatte riflessioni sulle immense forze date alle tribune, un’altra riflessione più momentosa ; quella cioè, che l’oechio sì conoscitore e sì avido di forme belle, svelte; ardite, proporzionevoli, quale era indubitatamente quello di sì insigne architetto, non vedesse la mostruosa sproporzione e deformità d’af- fogare con una bassa volta la vastissima area , il vastissimo vuoto centrale del sno tempio. Credere così equivale al credere ad un assurdo; e noi non amiamo credere agli assurdi. Da questo tempio non altrove potrebbesi rivolgere il pen- siero senza intepidirlo in gusto ed affetto , che al tempio Vati- cano. In cui, del pari che in molte altre opere architettoniche, si raccomandan pure mutuamente e caldamente alla meraviglia l’opera e il nome dell’ autore. Chi, infatti, ignorasse l’architet- tore di S. Pietro, ma sol sapesse la mente terribile di Miche- langelo , non esiterebbe un solo instante ad asserire che questi il costruì. E viceversa, chi nulla notizia non avesse della mole di S. Pietro, ma sol sapesse che va a vedere un’ opera di Mi- chelangelo , predisporrebbe ed allargherebbe già l’ intelletto alte smisurate dimensioni che ei fora certo di dover vedere in ar- rivando. Anche di S. Pietro fu scritto e riscritto a volumi prò e con- tro, essendo esso ancora una prodigiosa singolarità architettonica, men forse per la sterminatezza della mole, che per le libertà con le quali un’ ingegno indomito , quale era quello del suo ar- chitetto, non temè di traviare dalle regole credute le ortodosse dell’ arte. Ampia materia adunque , come sempre avviene ; alle critiche. Chi sia vago di saperle , potrà averne dovizia in mille libri commendevoli per erudizione , se non sempre per buon criterio. Di che non giova qui nulla ridire, per non cidir cose che tutti o sanno o posson meglio leggere altrove. A” nostri let- tori d’ altronde è noto che amiamo dire non le altrui ma le opinioni nostre, quai che sien elle. È notissimo il concetto natio di S. Pietro , quale esso uscì dall’ ingegno e dalle. mani del Buonarroti , poichè questo origina- lissimo ed impareggiabile artefice distece e rifece tutto il fatto da cinque in sei architetti suoi predecessori (3). Un cerchio , periferia (3) Rosellini, Bramante , Raffaello , San Gallo , Peruzzi ec. 92 della cupola interna , inscritto in un quadrato; quattro piloni nelle figure mistilinee risultanti dalla circonferenza del primo contro agli angoli del secondo ; e tutto ciò circonseritto da due al- tri quadrati, vicendevolmente intersecati fra loro in modo , che vicendevolmente i lati dell’uno fossero ipotenuse agli angoli del - l’altro. Laonde, una specie di croce greca in cui, entrandosi per uno degli angoli di uno di questi quadrati ultimi, aveasi im- mediatamente e simultaneamente libera e piena la vista di tutto il tempio interiore ; di tutta la sua lunghezza ; larghezza, am- piezza ed altezza. Lo spettatore avea, fin quasi dalla soglia della porta, la percezione contemporanea di tutte le dimensioni della mole; avea, cioè , innanzi di se tutta la diagonale del grau quadrato , pel cui angolo era egli entrato ; aveva a manca e a destra i costui due lati; avea di fronte il lato dal quadrato in- scritto , e perciò il diametro del cerchio inscrittovi, ossia quello della concavità della cupola ; aveva infine libero il corso del suo sguardo in alto fino all’ occhio della lanterna. Laonde ecco una grandissima e terribile e mirifica unità; unità nel simultaneo cono de’ raggi ottici di tutre le dimensioni, col quale volea Mi- chelangelo colpir tutt’ insieme e perciò stupefar lo spettatore. Ecco a parer nostro la magica unità del S. Pietro del Buona- roti. Perlochè opiniamo , che mal la vedesse il signor Quatreme- re veggendola nella ragione seguente ; che, cioè , tutto il tempio era unicamente costituito dal vano coperto dalla cupola, e che semplici ingressi erano le quattro braccia della (creduta) croce greca. Checchè però sia di questa varietà di pareri, de’quali lasce- remo giudici 1 valorosi lettori nostri, certo è che S. Pietro an- dava riputato opera sacra ed intangibile, perchè opera di quel Michel, più che mortal, Angiol divino. Ma ciò non ostante, al modo istesso con cuì gli artieri volga- rissimi non eransi ristati a deturpare il bel concetto di S. Maria del Fiore, così pure la volgarissima e falsa idea della grandezza trovò piccolo il Tempio Vaticano, quale avealo alzato il suo ini- mitabile architettore. Quindi presunse il Pontefice Paolo V. d’ in- grandirlo ; e più presuntuuso l’ architetto Carlo Maderni non palpitò a prestarvi la mano sua. Lieve compito parve all’arro- ganza l'ingrandimento, credendosi che nulla non patirebbe la basilica ad essere trasmutata dalla creduta croce greca in croce latina , allungando di tre altri arconi il creduto braccio anterio - re. Questo allungamento o anmente è il subietto della controver- 93 sia, che arde fra’ critici. Parteggiano i più per l’ opinione , che il tempio acquistò in vastità ciò che perse in ordine e perfezione. Vi sono all’opposto alcuni, i quali opinano che, se acquistò mi- glioramento interiore , ebbe esterno peggioramento. Da altri opi- nasi tutto il contrario. Il sig. Quatremère non osò manifestarsi settatore di veruno in siffatta disputa. Noi oseremo dire ardita- mente; senza però pretendere a sentenziare contro chi diversa- mente avvisasse, che il tempio massimo , oltre al perdere e il carattere originale ed ogni carattere , patì acerbissima perdita interiore ed esteriore. Partendosi dal principio che S. Pietro fosse una vera croce greca, e che perciò facilissimamente passerebbe a disegno di croce latina allungando il creduto braccio anteriore, si tolse tutto l’ori- ginale ordine e carattere al tempio, senza dargli verun carattere o ordine novello. Il che avviene in tutte le cose umane. Allor- quando false son le premesse, non si riesce che a conseguenze falsissime. Senonchè passiamo ad argomenti più specificati. Michelangelo , cui la natura avea largheggiato ingegno e prepotenza ad operar con la terribilità nelle arti, non ad altro intendeva in costruir S. Pietro, come il costruì , se non a colpi- re e stordire le spettatore con due formidabili sensazioni imme- diate l’una all’altra; con la formidabile e sterminata mole esterna, cioè, della cupola a chi andava al tempio; e con la non men for- midabile costruttura interna , mostrandogli, e quasi minaccian- dolo appena entrava, con l’abisso capovolto e sospeso della cu- pola istessa sulla sua testa. Carlo Maderni annichilì questi due terribilissimi disegni ed effetti. Imperocchè, aggiungendo un lunghissimo rettangolo avanti l’ angolo del quadrato esteriore , in cui Michelangelo volea l’in- gresso , portò molto innanzi l’ altissimo frontespizio; e, così fa- cendo , distrusse necessariamente le dne grandi e terribili sensa- zioni ottiche , dall’architetto fondatore volute sullo spettatore. Ghi infatti va ora a S. Pietro, perde di vista la straordinaria immensa cupola assai pria di giungere al gran colonnato del Bernini; e chi entra nel tempio , uopo è che vada; e vada molto , ognor fra apparenze mal predisponenti l’ animo a ben contemplare e comprendere il gran secreto la grande urità del concetto del Buonarroti, quando egli giunge al punto ottico della grande unità del gran secreto. Dicemmo fra apparenze mal predisponenti, perchè a chi en- tra ora in S. Pietro pare di entrare in una chiesa di grandezza minore della mediocre, e gli avviene di sentirsi spiacevolmente de- 94 luso nell’ espettazione d’ essere stupefatto da dimensioni . di va stità smisurata. Qualche architetto o intendente volgare , forse anco lo stesso Maderni , insegnò a dire a’ ciceroni, che l’ appa- rente picciolezza del tempio è effetto della somma proporzione fralle sue parti. La quale ragione è non men erronea e falsa di ciò che fu falso ed.erroneo il calcolo di ingrandire otticamente il tempio, ingrandendolo materialmente. La grandezza è un con- cetto relativo , il quale risulta non dalla sterminatezza delle di- mensioni, ma dalla proporzionevole armonia di queste fra loro. In pruova della quale asserzione diremo , che se potessero darsi sol pochi pollici di più di altezza all’Ercole farnese, o sol poche braccia di vantaggio al diametro maggiore del Colosseo , vedreb- hesi immantinenti, che nè l’esemplata statua non più giganteg- gerebbe con la sua statura , nè |’ esemplato anfiteatro non più avrebbe l’ immensità sua. S. Pietro adunque , così contro ogni regola ingrandito , impiccolì otticamente , perchè sformato nelle sue proporzioni. Laonde direbbe il vero chi dicesse, che Pao- lo V. e Carlo Maderni si proposero la soluzione di un pro- blema insolubilissimo in ottica, e che riuscirono a risolver- lo pienamente; quello cioè di impicciolir 1’ oggetto ingran- dendolo , e di impicciolirlo in ragione che più si ingrandisca. Così avviene sempre alla potenza delle arti; essa è onnipossente di prodigi o di danni immensi , in. ragion del braccio che im- prenda a trattarla. La leva, verbigrazia ; che sotto la mano di Archimede può smuovere e traslocar l’ orbe da un punto all’ al- tro dello spazio , è o immobile o produttrice di ruine in quella di un meccanico plebeo. Maderni non pago nè di frangere la grande unità concepita e voluta da Michelangelo , nè di distruggere la grande ottica del tempio sproporzionando le sue dimensioni , vi fu pernizioso no- vatore ingenerandovi mille altre viziosità , che si sarebbero dette impossibili ad ingenerarsi nel diseguo originale. Allungando egli di tre altri arconi a braccio di croce latina il ereduto braccio anteriore della croce greca, non diede all’ allungamento 1’ am- piezza di uno de’ due quadrati circoscritti, ma bensì quella del qua- drato interno in cui è inscritto il cerchio periferia dell’ interna cupola. Con cosifatto ristringimento della parte nuova aggiunta all’antica, sorsero naturalmente molti vizi nell’opera , e quel che è peggio, sorsero visibilissimi anche da’men veggenti ; nella nave maggiore, cioè, grande sproporzione fra la sua lunghezza e la sua larghezza ; e nelle due adiacenti navi minori, oltre al difetto d’avere i rispettivi compartimenti loro appo cadauno arcone, bi- 95 slunghi e non quadrati, ebbesi lo spiacevolissimo risultamento ,; che, invece di correre esse per tutta la lunghezza del tempio, cor- rono rompendosi contro a’due pilastri anteriori. Avvenne quindi che questi ultimi , î quali nel disegno di Michelangelo sarebbero stati traguardati, da chi entrava, a sghembo ne’loro angoli , ossia dal lato visuale il men massiccio ,, presentano ingratamen- te oggi allo spettatore tutta 1’ enormità della massa loro. Non men pago infine di deformar S. Pietro interiormente , parve Maderni tutto intento ad acuire il sno ingegno perchè il deformasse anche esteriormente. Noi già dicemmo, che, portan- do egli molto avanti la parte aumentata de’ tre arconi aggiunti al lato anteriore, tolse la vista del contorno di tutta la mole im- mensa della cupola allo spettatore , assai prima che questi entri nel gran colonnato del Bernini. Null’ altro non diremo della sua facciata se non che, fra cento modelli presentati dagli architetti contemporanei , l'ignoranza, o il favore, o la cortigianera fece scegliere il suo, che era il pessimo. Ma l’ incomprensibilis- sima fralle ragioni è la ragione architettonica per cui | ar- chitetto , il quale arbitrossi, non si sa perchè , a ristringere il tempio nella parte che vi aggiungeva, dava poi alla facciata istessa una larghezza maggiore sì di quella della sudetta parte aggiunta, come della diagonale del gran quadrato esteriore di Mi- chelangelo. E crediamo che uguale incomprensibilità farebbe chi, commesso ad alzare la fronte del Duomo fiorentino , la protraesse fino alla Misericordia da un lato, ed al Bottegone dall’ altro. Nella quale dismisura si violarono tutte le regole e tecniche e morali dell’ architettura. La facciata non altro è se non il lato d’ingresso di un edifizio. Perlochè non vuole essere nè maggiore nè minore del lato sudetto, onde non si creda che irregolare ne’suoi lati sia l’edifizio sudetto. La facciata, inoltre, delle chiese a navi deve anche esteriormente manifestare nel suo frontispizio l’ ordi- nanza delle navi istesse , essendo essa una specie di introduzione a predisporre il buono e subito intendimento dell’opera. A tutti questi precetti mancò Maderni alzando quella del tempio Vaticano in enormissima figura rettangolare. Così costruendola, senza che terminasse a triangolo , aggiunse ineleganza e pesantezza al pe- sante ed inelegante stile prescelto. Facendola poi più larga della larghezza massima, da Michelangelo data al tempio, e perciò assai maggiore di quella, in cui egh ristrinse la parte aggiunta an- teriormente , preparò lo spettatore con una grande illusione a sentir più acerbo il disinganno. Imperocchè chi entra, attendesi ad entrare in un tempio d’ ampiezza uguale all” ampiissima fac- 96 ciata già vista. Più il crede in passando pel peristilio o portico, il quale con la sua forma di corridore, aumentando l’apparenza della larghezza, aumenta 1’ espettativa anzidetta. Senonchè, ap- pena entrato , sentesi subito ingratamente deluso , in veggendo la latitudine di tutte tre le navi men ampia della metà di quella che ei giurava di vedere. Paolo V. e Carlo Maderni in ultimo , così ingrandendo , o meglio diremo deturpando S. Pietro , priva- rono le arti, le grandi opere della civiltà e il mondo, dello spet- tacolo il più magnifico e mirifico , che mai fosse dato all’ archi- tettura di presentare agli occhi degli nomini. Suppongasi non esistente l’ aggiunzione voluta dal prefato Pontefice , ed eseguita dal prefato architetto. In codesta ipotesi avrebbesi visibile da cadaun punto della piazza tutto il disegno e tutto il prospetto della superba mole di Michelangelo ; ed allora non sapriasi dire qual’ altra potentissima magia d’ effetto ottico avrebbesi nella piazza istessa, in veggendo l’ immenso colonnato del Bernini co- ronato dall’immensa mole anzidetta. Nò ; nonchè le opere gigan- tesche degli Egizi o de’ Babilonesi, quelle anzi fantasticate da? poeti e da’ romanzieri delle fate, forano un nulla appo un’ ar- chitettonico spettacolo miracoloso, sublime, supremo, qual sarebbe quello in discorso. Questo gran tempio fu, come ognuno già vede, sfortunatis- simo. Ma , oltre alle sventure patite co’ reali ed enormi difetti ingenerativi dall’ ignoranza, patì anche quelle de’ difetti im- maginari che vi andettero spigolando i critici. Tale è, ver bigrazia, quello della soverchia luce imputatogli da’ critici su - detti, come cosa contraria al raccoglimento religioso dell’ ani- ma sì necessario all’ orazione , e perciò sempre difettosa in una chiesa. La quale critica, essendo oltralpina, sta bene nelle opere della sig. De Stael, o di quelli oltremontani scrittori sentimen- tali, che vengono a dottoreggiar d’ arti... dove?.. in Italia! Quindi duolne di vederla ripetuta da taluni egregi autorì italia- ni; i quali avrien dovuto spregiarla col silenzio, se non voleano perdere il tempo a ribatterla. E noi la confuteremo non perchè detta dagli stranieri, ma perchè confermata da’ nazionali. Di- manderemo adunque , se la luce ne’ tempj è un architettonico elemento risultante dal tale o tale altro genere architetturale, oppure se è più o men temperata con mezzi estranei ad ogui ar- chitettura ? E ne pare, che chiunque abbia fior di senno, debba attenersi alla seconda opinione. Ne’più tetri Duomi alla gotica, infatti, il sì raccomandato barlume non già dipende dalla figura e dalle dimensioni del finestrato , bensì dalle loro invetriate co- 97 lorite ed istoriate. Sostituisci a queste le lastre di cristallo na- turale, ed avrai il fosco Duomo di Milano, o il non men fosco S. Stefano di Vienna, o il foschissimo di Strasborgo o di Colo- nia, luminoso al pari di S. Pietro, non ostante le finestre loro più balestriere di rocche che fenestroni di chiese. Laonde vuolsi aggiungnere un’ altra dimanda alla già fatta. Vorrebbesi forse , che Michelangelo , violando tutte le regole, aprisse piccioli ab- baini in vece di finestre proporzionevoli alle dimensioni ed al- l’ ordinanza del tempio? O forse pretenderebbesi, che, non po- tendo egli aprirle se non quali le aprì; ne attenuasse il lume con variopinte invetriate ? Non sappiamo chi avrebbe il coraggio di rispondere affermativamente a queste due interrogazioni ? Se così dicemmo prendendo a trattar la disputa dai lato del- l’ arte , non diversamente vuolsi dire trattandola da quello del- I’ essenza sì della religione come del culto. La religione ha riti di commemorazioni lugubri e di liete. Adunque 1’ apparato delle sue solennità e cerimonie deve essere corrispondente alla natura del mistero o del fatto che si commemora; grave e. melanconico cioè nelle rimembranze di lutto ; ilare e festivo in quelle di le- tizia. Anche il tempio, perciò, vuole essere oscuriccio o tenebroso nelle prime, luminoso anzi fulgido nelle seconde. Or, è facilis- sima bisogna l’intenebrare una chiesa luminosa ; poche cortine di tela nera alle finestre bastano all’ uopo; ma non veggiamo il modo di far lucida una chiesa oscura , quando lucida vuolsi che sia nelle funzioni di giubilo. Dovremo poi rammentare a’critici , che dall’età della primi- tiva chiesa fino al 16.° secolo ; il quale fu l’ultimo della costru- zione de’ grandi tempj , la religione celebrava di notte tutti i suoi riti, ed in ispecie i maggiori ? Ove è dunque nelle ore not- turne il difetto che essi accagionano a S. Pietro? Fino al sudetto secolo le chiese eran chiese di notte, e sale di grandi affari pn- blici dì giorno. È noto che i Ghibellini volevano abbattere S. Giovanni, sol perchè luogo in cui tenevano i Guelfi i loro par- lamenti politici. È noto che Savonarola non altrove se non nelle chiese concionava su’ grandi pericoli pubbblici. E non altrimen- ti era presso i popoli antichi. Il Senato romano riuniasi quasi sempre a parlamentare ne’tempj. Altissimo documento che presso tutte le nazioni non punto si credè offendere la Divinità , nè profanare l’ augusto suo albergo , aprendolo anche all’ inclito e savto servigio della Patria! La Divinità! e la Patria! i soli enti degui d’ essere i supremi d’ ogni uomo: veramente uomo! Così prendendo insomma a trattar la controversia in esame , apparirà T. IV. Novembre 13 98 più evidente la nostra opiuione; che la luce cioè è elemento sempre puramente accessorio e relativo, non mai assoluto ed es- senziale nell’ architettura sacra. i Diremo finalmente, che l’efficacia morale de’tempj sulla pia attitudine o commozione delle anime alla meditazione ed all’ora- zione non può essere messa in formola generale. Essa vuol es- sere sempre consona all’ indole spirituale di chi usa la chiesa, per usarvi le sublimi consolazioni della preghiera. Le anime cu- pe, malinconiche, atrabilari, quelle sovratutto , che non altro san comprendere se non minacce, spaventi e eruciati come pietà meritoria, vogliono tenebria e terribilità nella magione di Dio. Ma le anime di speranza e carità , quelle che ben sentono lo spirito e la verità di un Dio d’amore, amano anzi di vedervi luce con- solatrice e ridente. A ciò arrogi che la religione, la quale provvede ad essere benignamente arrendevole col genio di tutti; la religione, che santificò del pari e le mortificazioni austerissime degli anacoreti nelle solitudini del deserto , e le ineffabilità del talamo nuziale, volle anche il suo culto consono al talento di cadauno. Perlochè, mentre ella, in gramaglia, armonizza col patetico suono dell’organo i patetici omei di Giobbe e di Geremia, ufficiando le commemo- razioni de’ suoi dolori, festeggia poi con lietissimi salmi e nu- zialmente pomposa quelle delle sue letizie. Nè è vero che gene- ralmente voglionsi tetre sensazioni, per meglio raccoglier l’animo ed elevarlo al Creatore. Ciò pure dipende dal peculiare genio de’ fedeli; e se Joung amava visitar di notte i cimiteri , onde me- glio inspirarsi a poetar le sue lamentazioni; il profeta , il quale esclamò Coeli enarrant gloriam Dei, o simili alzate liriche, non fu alcerto così inspirato ad esclamare da un cielo orridamente turbinoso , ma bensì da un firmamento o fulgidissimo d’ogni luce solare in un bel giorno, o scintillante di stelle d’ oro in una bella notte. S. Pietro in ultimo fu un tempio eretto per gli Ita- liani e non per gli oltrealpini. E gli Italiani, perchè privilegiati in buon senso e ragione più di tutti gli altri Europei, non adorano Iddio alla maniera o atroce di Torquemada, o innaturale di Rancè, o convulsiva de’ Quaccheri , o risibilmente fanatica delle donne che si crocifiggevano in Friborgo, o esecranda infine di que’padri, che presi in Germania dal delirio e fanatismo di mostrare una fede maggiore di quella d’Abramo, uccidevano i proprii figli (4). Grazie al cielo, non veggonsi queste empietà superstiziose fra (4) V. l’ultimo volume degli Schizzi di Meissner, ossia la parte che con- tiene Schizzi sovra fatti non finti, ma istorici, 99 noi; e l’Italia, comunque accusata terra di superstizione dagli oltremontani, ha sogghignato ad alcuni fenomeni e giuochi al- zati a miracoli oltramonti. Però basti del tempio Vaticano. Se, in dando conto del libro del sig. Quatremère, paremmo occuparci sol de’ tempj e non de- gli altri edifizi civili, de’ quali vi si ragiona, ciò fu sol perchè il tempio è la suprema fralle opere della grande architettura. Tutte le altre, ed anche le maggiori di questa arte nel suo ramo civile o nel militare , le reggie verbigrazia , gli archi trionfali , i teatri, le rocche, i ponti, gli acquedotti, i palagi ec. ec. sono quasi un nulla appo le grandi opere dell’architettura sacra, do- vendo esse cedere a questa in tutto ciò che costituisce il grado massimo del grande e vero bello architettonico. Il tempio adunque è la cima della scala architetturale. Esso è ciò che l’ epopea è in poesia; ed al pari dell’ epopea, la quale cumula e sostiene tutti i robili generi poetici più pregiati, il tempio sostiene è cumula tutti i più pregiati elementi architettorii, bellamente foggiati in forme ed ordinanze assai più che altrove maestose, au- torevoli, ammirande. Il tempio, inoltre, è l’opera in cui l’ architettura chiama a contribuzione tutte le arti e tutte le scienze. La matematica tra- scendentale, l’ottica, la meccanica ec. vengono ad attuarvi tutte le loro sublimi teoriche e potenze. Esso cape ogni alta pittura e scoltnra. Esso dà largo campo al musaico , alla marmoratia, al- I’ ornamentaria e ad ogni altra arte di decorazione materiale. Esso è insomma il gran museo capiente d’ogni ricchezza, preziosità e meraviglia sì della materia come dello spirito; di tutto ciò che di più bello, inclito, magnifico seppe inventar 1’ ingegno umano , a maggiore venustà, grandezza e magnificenza de’magni monu- menti publici. Se il tempio è la cima e il supremo grado o sforzo dell’ar= chitettura, esso è pure il serme e lo scalino iniziale di questa inclita arte. A ove principium Musae , disse il maggiore epico latino; e i poeti, abbenchè estimati dicitori di finzioni e falsità, son quelli intanto i quali, col mistico linguaggio loro, sentenziano veri altissimi. Le Muse infatti, essendo frutti della civiltà , so- no anche esse derivazioni o effetti della religione, col cui freno convenendo gli nomini ad una coabitazione sociale, van= mo man mano incivilendosi. Ma siccome anzi troppo generale e remota che nò sarebbe questa ragione , così la specifiche remo con esempi sempre più intendevoli ed efficaci d’ogni pre- cetto. Diremo adunque , che non altrove, se non in setvigio 100 del culto , fanno udire le Muse i primi loro vagiti. Nel cvl- to e pel culto odesi il primo numero e ritmo poetico (5). Chi dice poesia, dice canto e dice musica. In pari modo, il pri- mo saggio dell'ingegno pittorico 0 scultorio dell’ uomo non al- trove mettesi a cimento e si appalesa, se non ad effigiar le ima- gini de’ Numi, non già quelle degli uomini. Di che è evidente pruova .il. trovare presso le genti selvagge rozze effigie d’ idoli ma non mai ritratti, come lo stesso avviene nella plebe de’ po- poli civili , in cui cadauna famiglia non ha il ritratto del padre, bensì ha l’effigie di un qualche santo. Più di ogni altra arte infi- ne l’ architettura ha la sua prima genesi nel culto religioso. Quando 1’ uomo lascia la vita ferina per convenire in società con altri nomini, egli ha già l’idea di un Nume. Indi ne ha l’imagine; indi ha il luogo ove la ripone per adorarla ; indi il naturale raziocinio che la magione del Dio deve essere più esornata, e migliore di quella dell’ uomo. Indi 1° architet- tura. Israello vivea vita di tribù errante pastorando nel de- serto ; esso forse nen ancora avea neppur la tenda e pernottava all’ ombra della palma ; ma ciò non ostante costruiva ed ornava decevolmente il Tabernacolo. Lo stesso fatto fu visto da’ navi- gatori europei fra’ selvaggi isolani del Pacifico ; i quali, mentre non hanno neppur tuguri e ricovransi nelle spelonche , ornano intanto ed abbelliscono la spelonca dell’ Idolo. E senza lanciarsi col pensiero sì remotamente di luogo e di tempo , uguale fatto scorgesi anche fra’ popoli da lunga pezza convenuti in società ci- vile. Ove vadasi ne’villaggi degli agresti montanari si osserverà, che quell’ istessi rozzissimi muratori i quali non sanno, e perciò non seguono, veruna regola d’arte in fabricar le rustiche casucce, aguzzano intanto l’ingegno a far qualche cosa di meglio, quando son chiamati a fabricare o a restaurar la chiesa del villaggio, sol perchè così inspirati dal senso comune, che migliore della casa dell’uomo vnole essere la casa di Dio. Da questo primitivo passo move l’ architettura, e monta il primo gradino di quella scala, alla eni sommità gradualmente poggia ella quindi per mano di Brunelleschi e di Michelangelo ne’ miracoli di S. Maria del Fiore e di S. Pietro. Questi due Tempj ricorrono sovente sotto la nostra penna. Ed invero, essi sono le testimonianze supreme della potenza massima, dell’ ingegno e del braccio dell’ uomo in architettura. Molto è dubbiosa cosa se mai l'antichità alzasse da terra moli sì (5) V. la Scienza Nuova. 101 sterminate; na certò è che se le alzò uguali o anche più vaste, non seppe songiungere alla vastità la bellezza e l’ eleganza del- l’opera. Grmai è dimostro, che il sì famigerato tempio di Salo- mone non avea neppure le dimensioni delle nostre chiese di terzo ordine. Quello di Belo, anche ammettendolo immenso , come fu celebrato , era informe d’ ogni venustà e Jeggiadria , non altra forma esteriore avendo che quella di una piramide a scaloni (6). Senonchè , vnolsi lasciare questo argomento, perchè quì cade molto più all’ nopo quello di uno sguardo di confronto fra l’ar- chitettura antica e la moderna. Nel quale esame non v' ha chi, avendo rettitudine di senno, non voglia o non possa assentire che la prima. ossia l’antica, fu la inventrice di tutti i più pregiati elementi architettonici. Così di- ciamo , perchè a parer nostro non vanno contate come invenzioni esemplari le architettoniche mostruosità oltralpine. La seconda, ossia la moderna, quasichè sdegnosa di nulla non potere inventar di nuovo , perchè precorsa nel campo di larga invenzione, parve ambire e sudare a prendere compenso con la vastità l’ arditezza e l’ audacia delle opere. Gli antichi architetti, infatti, posarono sulla terra il Panteon di Roma e il Battistero di Firenze (7); i moderni li alzarono audacissimamente al cielo poggiandoli sovra colonne ed archi. Alla quale diversità di coraggio ed ardimento sull’ arte in subietto pare che molto influissero le rispettive na- ture fisiche e morali di due popoli. I Greci, ossieno gli artisti primigeni per eccellenza , oltremodo delicati sensitivi e perciò cu- pidi d’ogni finezza e perfezione di bello , parvero abborrire le grandi e forti dimensioni, perchè schivi di tutto ciò che troppo forse offendea la sensibilità estrema degli organi loro. Assai più maschi e robusti gli Italici, e quindi potenti di sensazioni assai più vivaci e gagliarde , vollero sentirle tali anche nelle opere ar- chitettoniche. Il che è evidente in amendue le età delle italiche arti. Che era 1° Odeone di Atene appo il Foro dell’ antica Roma, o appo il colonnato vaticano di Roma nuova? Che gli agoni o le naumachie greche appo il Colosseo o il Circo massimo ? Che il Partenone o il tempio di Teseo appo san Pietro o S. M. del Fiore ? Che, infine, il fragilissimo ordine jonico appo la solidità dell’etru- sco, 0 le costruzioni greche, che già scomparvero, appo quelle costruzioni italiche le quali, dette ciclopiche, perverranno a’ (6) V. Strabone e Rennel. (7) Opiniamo opera pagana e non cristiana il Batti:tero fiorentino, come or ora vedrassi. 102 posteri più lontani? Appena aliquote appo quantià immense, o miniature appo immensi quadri. Noi così risalimm ad inve- stigar Ja vera (o almen quella che a noi pare vera ) r:dice della menzionata differenza fra l’ architettura italica e la greca, per- chè è evidentemente visibile nelle genti italiche una ;uperio= rità di forza d'animo, di sensi e di braccia sulle genti greche in ogni opera non men di arti che di imprese. Le più famose battaglie greche, comechè sì alzate a cielo dalla boria nazio- nale , sono appena duelli appo le grandi battaglie di Scipione, di Cesare, di Napoleone. Gli Argonauti non sfidarono chè l’Azi- nus (8); ma Colombo sfidò trionfalmente l’ oceano ignoto e for- midabile. Il raggio della greca potenza politica, infine, toccava appena le coste dell’Asia, dell’ Africa e dell’Italia, mentrechè Roma volea e facea suo tutto ciò che la geografia scopriva sulla terra. Altra differenza d’indole fra l’architettura ellenica e 1’ ita- lica pare essere quella del fine, cui la fecero servire le due ri- spettive genti. I Greci non la destinarono che al solo piacere del bello e del lusso. Gli Italici ne nobilitarono la destinazione, sfoggiandola men nelle opere di puro lusso e bello, che in quelle di necessità ed utilità publiche. Essi, anzi, quasi la annovera- rono fralle religioni in riflettendo che in Roma i ponti eran di ragione del Ministerio de’ Pontefici. Il lettore amplierà da se solo il lampo quì dato, ponendo mente alle Piscine, alle Basiliche , agli aquidotti, a’ moli, agli argini , alle fortificazioni militari , ed a tutte le altre publiche opere, nelle quali cotanto superbivano i Quiriti a romaneggiare in istraordinaria graudezza e forza ar- chitettonica. î Ultima differenza in ultimo fra l’architettura antica e la mo- derna è quella fra la moderna e l’ antica architettura sacra. Ne” primi tre secoli della chiesa le catacombe e i sotterranei erano i tabernacoli, i tempj de’misteri. Allora la Religione non potea nè chiamare in suo vervigio l’arte, nè darle la spinta quindi da- tale ai suoi quasi indicibili prodigj. Ma data che fu la pace alla nuova fede, il rito si avvalse delle basiliche pel suo publico esercizio. Indi le chiese cristiane conformi alle basiliche de’gen- tili. Da questa architettoria conformità opininano gli eruditi che derivassero que’ compartimenti de’ nostri edifizi sacri , detti nu0Î. Noi opiniamo che queste navi tennero dietro naturalmente alla (8) Primitivo nome del mar Nero per causa de’suoi pericoli, quindi can- giato in quello di Eusino. 103 simbolica moda, nvalsa presso i Cristiani, di costruir le chie- se in forma di éroce. Nel rettangolo, in cui questa era inscritta, ì quattro spaJ rettangolari, che rimaneano ‘adjacenti a quattro angoli esteryti, eran serbati ad uso di cimiteri. Il bisogno forse di maggior: spazio interno per l’aumento de’ fedeli , o forse anco 1’ opinione che i defonti meglio godessero de’ suffragj del sacrificio in una z) due più famosi re barbari stati mui; restituite alla repubblica le prede »> a lei già tolte ; riconquistato in sì poco ter.po snezzo l’ imperio. ,, Non saziavansi i cittadini di mirarlo ir per le piazze e per le vie accom- pagnato la un gran seguito di Vandali, Goti e Mori , bello egli stesso ed alto di persona , dignitoso in volto , facile ell affabile ad accostare. Gli aveano amore sopra tutti, i soldati e i villici; quelli perchè era loro liberalissimo , e regalava i feriti ; rismovava armi v cavalli a chi n° avea perduti , e con braccialetti e collane premiava i bei fatti. L’ama- vano i villici, perchè quando ei candneeva |’ esercito , non lasciava loro far forza, nè calpestar le biale nè tor le frutta , ed anzi li ar- riechiva pagando loro ogni cosa. Era poi uomo ci singolar s@brietà e centinenza ; e che , avendo prese in guerra tante Vandale e Gote , le più avvenenti donne, ilice Procopio , che siensi mai vedute , non se ne fece venire una mai nemmenn a discorrere ; e maì non toccò donna se non la sa. Era particolarmente sagace, scopritor cella buona via tra i dubbi negozi ; in guerra cautamente prode, huono assalitore e indugiatore cel pari , imperturbabile , speranzoso nell’ avversa fortuna , non snperbu , non abbandonantesi al genio nella prospera , ma non ri- manendone indietro nemmeno. Tale erasi dimostro in Affrica e in Ita- lia, a capo dell’ esercito. A. Bisanzio non era stato’ mai niun maestro de’ militi pari a lui di ricchezze e di potenza. Conduceva del sno sette mila cavalli, eletti ad uno ad uno; fra’ quali que’suoi protettori scutati ed astati, di cui sovente sì è detto. E aggiugne Procopio ch’ i Romani quando erano assediati «la’ Goti , si meravigliavano come il regno di Teoderico fosse rovinato così da una sola famiglia ; onde si potrebbe credere che tutto o quasi tutto il primo esercito vennto in Italia con Belisario fosse pagato da Ini , ed egli avesse quasi a su? spese private compiuta quella gran guerra. A Costantinopoli certo è «he egli avea siffatto seguito e potenza , e grande autorità appresso all’im- peradore , e che non n’ abusò nemmeno quando ne fu invidiato. Bel ritorno da sì belle vittorie , più che non quelli di tanti che se ne fecero scala alle usurpazioni ; più bello adunque che non quegli stessi antichi e gloriosi d’ Augusto, di Cesare o di Silla; men bello soltanto 140 che quegli antichissimi e poverissimi de’ Furii, de’ Quinzii , 0 de’ Va- lerii. ,, (8). Alloiro. ...° Di Alboino poi giudicando, non si può assolutamente comparare a’ fondatori de’ dne altri regni Italici , O.loacre e Teoderico. E prima non nel valore e nell’ingegno» militare, più da soldato che da capitano ; onde incominciando e continovando com’ essi l’ invasione dalle Vene- zie, e per la Liguria è Milaio, e dovendo com’ essi deciderne a Pa- via, non solo ei vi adoprò più tempo assai, ma lasciò i suoi distrar- sene ad altre imprese in Italia e Francia; e poi presala; non si rivolse subito come quelli a Ravenna e a Roma; e lasciò per sempre incom- piuta la conquista. Ed è poi anche meno comparalile a que’ grandì in civiltà ed arte di ammansare i vinti; onde fu ucciso da sua schiava fatta sposa, e lasciò lo stato spoglio del tesoro , e per lungo tempo turbato. Benchè forse gran parte di queste due colpe d’ Alboino deb- bonsi attribuire alla pochezza ed alla barbarie di tutta la sua gente de’ Longobardi. ,, (4). E se di tali ritratti ( ne’ quali troppo è il pericolo di pee- car d'ambizione rettorica ), se di tali ritratti non abonda as- sai questa storia, è però meno scarsa «di retti e talvolta pro- fondi giudizi sui grandi avvenimenti che governano i re, che formano i popoli. Leggansi le segnenti considerazioni sul cader dell Imperie ; e sugli effetti del gotico regno : ....4 Con tanta oscurità, senza difesa, senza lode, senza interessar- visi de’ contemporanei nè de’ posteri, spegnevasi «uell’ ultimo resto d’ imperio e imperadore Occidentale. Il volgo d° allora.e. poi , fece le meraviglie dei due nomi de’ fondatori di Roma e dell’ imperio, uniti, quando l'una e l’ altro cadevano, in questo Romolo Augusto ; e glie li mutò ne’ due diminntivi di Momillo e Angustolo. Del resto aven- do Odoacre annullato l’imperio co’ medesimi modi cou cui tanti 1’ avea- uo usurpato o donato , nulla fu di nuovo in tutto ciò se non nu uome mutato : ma le mutazioni’ di nome sono feconde di eventi fu- turi. ,, (10). “ Delle cure speciali di Teoderico al buon governo d’ Italia abbia- ino molte e certe memorie nelle lettere di Ini ; per far tenere sgom- bri dalle siepi de’ pescatori e liberi alla navigazione i tiumi Mincio, Oglio , Serchio, Tevere ed Arno; per regolar il passaggio d’ una schiera di Gepidi mandati a presidio nelle nuove province di Gallia , affinchè attraversando Veuezia e Liguria ricevessero un soldo fermo ogni set- (8) P. 218. 220. (9) T. II 25. (10) T. I. p. 37. I 4! timana , e non pesassero stigli italiani; per rimetter parte de’ tributi agli abitatori danneggiati dall’ eruzioni del Vesuvio ; per far ristaurare i porti di Roma; per far venir d’Affrica un fontaniere famoso a tro- var acque sotterranee ; per far asciugare le maremme del territorio di Spoleto ; e finalmente per bonificare le paludi Pontine. Durano alcuue belle iscrizioni a monumento di questa ultima e massima opera ; tanto più bella, che non fu fatta da Teoderica,ma da Decio, un privato e un Romano. Perchè le opere grandi fatte dai principi nun'ci traman- dano sovente altra memoria che delle grandi fatiche e de’ gran tri- buti de’ popoli; ma le opere fatte da’ privati mostrano la ricchezza e potenza lasciata loro non che godere ma esercitare liberamente e pub- blicamente. Qui poi il trovarsi sì grarde impresa condotta a bene da nino fra gl’ Italiani , è pruova di Lore industria e di loro facoltà, tut- t' altro certo che cadute. Del resto a conferma di ciò è riferito un detto di Teoderico : ° che un Romano povero s’ assomigliava a un Goto, ,, e un Goto ricco a un Romano. s» Così erano ‘pui contro il consueto , più ricchi i conquistati che i conquistatori. Dell’ agricoltura ben sì può pensare che dopo trenta anni di pace e di tali cure, ella doveva ri- fiorire : restano memorie certe di grani mandati in Gallia da questa no- stra Italia, così sempre affamata sotto ‘agli imperadori; e dicesi che il prezzo delle vettovaglie fussevi calato d’ un terzo d’allora in poi. Quindi si argomentano gli acerescimenti della popolazione e del com- mercio ; che ambi non possono non seguire 1’ accrescimento del vivere pacifico ed agiato. La sicurezza interna era tanta che l’oro e 1 argento tenevansi nei campi come nelle città ; e che in yneste dove erano ‘porte non si chiudevano , e dove non n’erano non se ne facevano quando si edificavan le mura. Del commercio ‘esterno è pur probabile che’ tor- nando i Romani a maggior agiatezza , ei desiderassero e si procaccias- sero più che mai tutti gli arredi dell’ antico lusso. Romano. E perchè questi quasi tutti, sete , porpora , odori, gemme ed altre. mercatanzie venivano ab antico d’Oriente in Italia , e perchè ora doveva cercarsi là ogni cosa , tanto più che tutto 1’ Occidente. era cadutosin barbarie ; perciò è da credere che non. solo si rinnovasse ma. pur crescesse fin d’ allora quel commercio d’Italia coll’ Oriente , che crebbe . poi tanto nelle età che seguirono. Intanto vegga ognuno da tutto. ciò quanto mutata dall’ Italia imperiale fosse allora 1’ Italia Gotica. ,, (11). Ciò che nota l'Autore int.rno alla tarda tirannide del non tristo Teodorico (12), alla fine della gnerra gotica (13), alle sven- ture d’Italii e alla indolenza di lei sulle proprie sventure (14), ale ultime re:istenz: de’ goti di:fatti (14), al virtuoso ‘atto di (11) P. 88-90. (12) P. 95-97. (13) P. 116. (14) P. 123-124. 142 Totila (15), alla misora morte di Ini ‘16)., ni mezzi e all’ esito delle conquiste barbariche (17), alle origini venete (18), alle leggi e alle consuetudini longobardiche (19), ai primordii della cavalleria (20); alla indipendenza d’Italia dall’ impero, ormai compiuta alla metà dell’ ottavo secolo (21) ; alla caduta del re- gno longobardo , e allo stato d’ Italia in que’ tempi (22) , ci pare saggissimamente pensato. È come i più de’ pontefici jroteggessero in sulle prime la causa del popolo sventurato ; come la disin- teressata loro virtù, e la. potenza dell’ autorità religiosa, e la perseverante costanza giovassero, quanto giovarle si poteva, la mi- sera Italia, pare a me che l’ antore lo dimostri , con predilezio - ne in un luogo forse soverchia , ma in tutti gli altri con impar- zialità filosofica e degua «l’amore (23). ‘ Come finalmente potrebb’ egli volendo vestire di più viva luce e con più efficace artificio «'eloquenza disporre i fatti che narra , cel provano le pitture della battaglia di Belisario co? Go- ti (24), della fame del 538 (25) e dell’ altra nell’ assedio di Ro- ma (26), dell'ultima giornata di Totila (27) e di quella di Teia (28), del convito d’Audoino (29) ; del rincontro di Teodelin.la con Au- tari (30), dell’amore di Romilda nel cacano degli Avari (31), e di quel d'Adolfo in Gundeberga (32), e di Cnniberto in Teorlote (33) , della orribil mo:te «dell’Imp. Maurizio (34) , della favolosa ric- chezza del palazzo di Cosroe (35), delle origini dell’ islami- (14) P 214. 325-326. T. II. p. 1. 16. (15) T. I. p. 242-243. (16) P. 308. (17) P. 337-338. T. II. p. 31. (13) T. I. p. 354-357. (19) T. II. p. 110-113 (20) P. 158. (21) P. 265. (22) P. 326. e seg: (23) Vedi T. I. p. 58. 81. 234. T. II. p. 69. 73.123. 210. 257. 258. 265. 3o1. (24) T. L. p. 143-146. (25) P. 195-196. (26) P. 259-260. (27) P. 304-309. (28) P. 313-315. (29) T. II. p. 12-13. (80) P. 55-56. (31) P. 93-96. (32) P. 103-104. (33) P. 168. \ (34) P. 120-121. (35) P. 127. 145 smo (36), «dello scontro là nel Friuli.tra:Ferdulfo egli Slavi (37) Che se in mua,storia già troppo feconda di memorabili cose vorrà l’ egregio antore astenersi dalle digressioni non necessarie, e i fatti degli a'tri imperi, anzi ch esporre ,, acceunare:; se a quelle particolarità solamente dar luogo le quali ritraggono l’uo- mo cd il secolo , risecando certe mianzie , 0 con arte. accùmu= landole sì che da!la rapidità della narvazione ricevan calore ; se omettere certe citazioni , certe discussioni, certi commenti delle opini»mi proprie , e rilegarle ai un’ appendice o ‘alle note ; se la gravità conciliare al possibile con l’amenità dello stile, e con la spontaueità l'eleganza ; jnvi siam certissimi che i molti pregi del- l’opera sua, finora intesi da pochi, saranno e più vivamente sen- titie più cegnamente apprezzati. . Alcune cose vorrei pur notare sul criterio ibi dall’ autore è seguito nel giudicare le vicende de’. popoli italiani ; ma ie ri- serbo a più lungo e più generale discorso. pid cate K. X. Y. (36) P. 131-132. (37) 171-172. “i pia Etica Drammatica per l’ educazione della Gioventù , di Gruio Gewormo. Livorno 1830. bia Saggio di Commedie pei fanciulli , scritte da Massimina Roset - ini nata Fantastici. Firenze Tip. Pezzati 1830. L’educazione! la cura della innocenza e lo studiv dell’uomo nella schietta semplicità di natura! la direzione della gioventù, in eni è sì gran parte della felicità presente, in cui sono le più liete speranze «lell’ avvenire ! i) perfezionamento e quasi la crea- zione di quelle forze , da cui dipenderanno tanti destini della società , e tante vicissitudini della vita!... Quale occupazione più dolce o più bella di questa? qual’ arte, qual facoltà o più potente per l’ indole delle sue operazioni , o più felice ne’ suoi mirabili effetti? Quan 'o la poesia degli antichi ci rappresenta Giove vibratore del fulmine , la nostra fantasia sembra godere nell’ immagine e quasi partecipare con sicurezza di quella forza ounipoteute e sublime: e la mano dell'uomo moderno parve emula del dio degli antichi quando s’ impadronì del principio dei loro terrori e delle loro superstizioni. Io m' compiaccio con orgoglio più generoso nella potenza dell’ uomo , quando sento che non il 144 fulmine , ma una forza maggiore d: tutte ; una forza iffatto di- \ina , io posso trattare e governare a mio arbitrio ; le anime ed il pensiero! Ma lo scrittore italiano che voglia fare del terzro nn utile scuola di morale per la gioventù, e dell’arte sua un efficace stromento di educazione, ha due problemi da sciogliere somma mente difficili per lu foro novità ed importauza ; nio di suciale filosofia , l'altro di letteraturi drammatica. L'uomo che princi- palmente egli dee d:pingere ne’ suvi quadri ( già noi lo abbiam accennato ) non è l’ nemo ih tutte le età , in tutte le condizio- ni, in tutte le vicissitudini della vita: ma l’ nomo nello svilup pamento delle sue facoltà , 1’ uomo che non è ancora perfezio- nato dalla mano delia natura, e che può acquistare tutte le migliori abitudini sotto il sapieute magistero dell’arte. È ricco di fenomeni d’ogni specie , e singolarmente notabile per uva serie di cangiamenti e passaggi del più eloquente significato que- sto corso della natura, che svolge progressivamente sè stessa nella costituzione dell’ umano individuo. Ma il giovinetto è co- me circondato da tutte le altre età della vita, e dovrà essere cittadino di una nazione : e ogni società ha i snoi ordini: i quali suppongono una disposizione universale di umanità , che nelle necessità della suna presente esistenza abbia i fondamenti e le cause de’ suvi futuri destini. Ecco adunque l’ ordine universale delle cose, ecco il magnifico teatro , in cui la vita de! giuva- netto dee contemplarsi. E qui rivolgerà con tutco l’ardlore i suvi studi lo scrittore drammatico: non con animo di ritrovare nei fatti una semplice conferma o testimonianza di ciò ch'egli abbia letto nei libri; ma con la mente capace d'’ interrogare la natura e di valutare le sue risposte ; con la mente che sa come altri filosofi la interpretarono , e che vuole intenderne da sè stessa liberamente e profonilamente il sistema. Perchè in tal guisa la sua scienza sarà piena della forza e della verità delle cose , e i suoi pensieri, spiegandosi nelle forme delle produzioni dramma- tiche, non potranno mai prorompere in tanta libertà d' invenzio- ni, in eni non si vegga sempre qualche indizio della cognizione dell’ordine, e quasi Ja presenza della natura. Ma 1 educatore drammatico non è osservatore e conoscitore del vero per esserne solamente lo storico : egli imita la gioventù per essere il forma- tore dell’ uomo ; e rappresenta un’ epoca della società perchè ne sorga un’altra più bella. Laonde è necessaria all’ artista una teo- rica dell’ umanità e una sapienza civile, degne ambedue della ragione del secolo , ed accomodate agl’ interessi generali della re- pubblica. Ma noi non abbiamo una scuola di fitosofia veramente 145 originale e italiana che governi le nostre lettere con indipenden- za di magistero : e l’ Italia non è una che per l’ ordine delle cause fisiche e pei bisogni e per l’indole de’ suoi popoli, e nella lingua che vi si parla e nelle opere che vi si scrivono, e nelle classiche rimembranze che vi si pensano e nella poe- sia del dolore che vi si sente, e nell’opinione e nel desi- derio delle anime che vi respirano. Cosicchè l’artista non può vedere la nazione che nel mondo delle sue idee. E ad ogni modo egli non può scrivere nè per una città nè per uno stato, ma per tutta la gioventù della Italia ; nè cercare il piacere di un certo ordine di lettori, ma rivolgersi a quel che forma già in parte, a quel che perfettamente debbe costituire la coscienza generale della nazione. Il presente giovane e il futuro uomo italia- no: questo dunqne è il soggetto, questo il tine di tutta la sua in- stituzione drammatica. Là egli vede le cose come ora sono, qua co- me dovrebbero essere: e come da una parte la verità della vita debb’ esser tutta italiana , sia rispetto alle cause fisiche, sia ri- spetto alle cause morali che concorrono alla produzione di queste nostre nature; così dall’ altra il futuro fatto di essa debb’ esser quello della sua possibile perfezione tra noi. Dopo il problema della sapienza rimane quello dell’ arte , la cui felice soluzione fondamentalmente dipende da quella del primo. La poesia drammatica rivolta alla educazione dei giovi- netti è necessario che abbia , dirò così, un nascimento, come dee avere un’esistenza tutta italiana: e non potrà mai averli dav- vero, se non si abbraccia nella sua integrità il sistema delle cose che abbiamo superiormente discorso, e dalla profonda conoscenza di esse non si fa uscire questa nuova ricchezza della nostra let- teratura. Tutte le altre vie saranno o meschinamente anguste o sempre fallaci: tutte le opere non fatte con questo metodo, ne- cessariamente servili, e sempre al di sotto di quella perfezione, di cui può desumersi in ogni tempo l’idea dalle generali con- dizioni di un popolo. Ma la via, che abbiamo indicato, non so- lamente è quella della prima creazione di questi drammi, ma quella della loro perfezione progressiva : perch’ è quella stessa della storia e della vera vita della nazione. L’ artista, fornito di tutte le facoltà che lo rendano altamente degno di questo nome , e possessore della sapienza, della quale abbiamo dato un’ idea, non solamente potrà essere il creatore di questa specie di opere letterarie in un modo generalmente proporzionato alle esigenze della patria , e allo stato attuale deila letteratura dram- matica ; ma per la piena comprensione di quegli oggetti egli T. IV Novembre. 19 146 potrà concepire nella sua intera bellezza il pensiero , direi qua- si, di un’arte nuova , il pensiero artistico in cui universalmente si risolva quel gran sistema di umanità. E poichè a questo alto concepimento debbe corrispondere la natura dello stile da usar- si, e dalla novità delle cose risulta la novità del linguaggio 3 egli è chiaro che il grande scrittore a quella prima creazione del dramma aggiungerebbe anco 1’ altra del vero stile che gli convenga: e l’arte del pensiero e quella della parola farebbero un simultaneo progresso in Italia. Tal è l’altezza intellettuale , su cui deve collocarsi il eri- tico, che voglia giudicare sapientemente le opere di questo ge- nere. Tutte quelle, che più o meno si avvicineranno a quel punto, saranno più o meno degne di lode: tutte le altre, che non fos- ser composte con questa generosa intenzione, non sarebbero che passeggiere apparenze per la italiana letteratura. Il signor Genoino , serivendo la sua Etica drammatica, ha egli conosciuto la necessità e la importanza di questi nostri principii ? Il titolo della sua opera, consìderato unicamente in sè stesso, potrebbe forse non piacere a taluno, e fargli tornare a mente il divisa- mento di quel pisano ( Brandaligio Venerosi) che scrisse îl Qua- resimale poetico : a me non piace del tutto, perchè non corri- sponde perfettamente alla natura del libro. Non vi risveglia to- sto l’idea di nn disegno sistematico dello scrittore ? il quale ab- bia voluto pubblicare ad uso de’ giovinetti un corso di morale posta in azione in una serie di operette teatrali ? Egli adnnque avrà profondamente pensato tuttociò. che costituisce 1° ordine di quella scienza. Si può certamente far sentire la forza di un prin- cipio o di una dottrina; si può mostrare la bellezza di una vir- tù coi mezzi dell’arte: e quel che si è fatto di una prima si può anco fare di una seconda ; e così del resto. Ora supponete ch'egli avesse già preparati i varj soggetti delle sue opere; sup- ponete che que’ soggetti fossero le parti scientificamente elemen- tari del sistema morale , e che fossero progressivamente distri- buiti secondo l’ ordine necessario di quel sistema: voi vedete che quella sola distribuzione delle opere e successiva illustra- zione dei loro argomenti avrebbe significato l’ intendimento filo- sofico dello scrittore e mostrato quasi una immagine della scien- za. Nè quell’ intendimento avrebbe punto pregiudicato alle ra- gioni dell’ arte; ma dato solamente maggior solidità e consistenza alla natura de’ suoi lavori. Sono questi gli studi o gli spia degli studi preliminari dello scrittore: non appariscono ; per così dire, corporalmente distinti agli occhi del pubblico , e rimangono in 147 certa guisa dietro al ‘corpo dell’ opera. Ma da questo fondo di cose , da questo precedente studio dell’ artista risulta la maggior forza de’ suoi pensieri, e quell’aura d’ immortalità che anima le sue produzioni, e forma il più squisito piacere dei riguardanti. Il n. A. ci ha fatto sentire il bisogno di queste cose : poi non ha osservato nella progressione delle sue opere quella vecchia legge dell’ ordine Ut jam nunc dicat jam nunc debentia dici, Pleraque differat et praesens in tempus omittat. Egli comincia con la Religione : passa alla Pietà del prossimo : poi alla Gratitudine : poi alla Modestia ec. ; nel che non è in- dizio di quell’ ordine successivo di parti , con cui la morale co- mincia , con cui ella procede nel suo sistema, e che avrebbe fatto dell’ Etica drammatica del signor Genoino un. libro non inferiore al suo titolo. Ma parranno queste ad alcuni considerazioni troppo severe: e l’autore avrà generalmente inteso a formare il cuore dei gio- vinetti proponendo loro l’ esempio delle più belle virtà , inse- gnando loro la correzione dei vizi peggiori, e delle più perico- lose inclinazioni. Avete veduto i primi titoli delle sua operette teatrali. Aggiungete ad essi la Prudenza e la Pietà filiale, VAmi- cizia e la Coscienza, la Beneficenza e la Generosità. Nulla di più necessario ed utile della prudenza ; nulla di più caramente umano della pietà filiale e dell’ amicizia; nulla di più santo della coscienza ; nulla di più divino della beneficenza e della generosità. Ma in questi titoli nè abbiamo 1’ argomento di una certa novità d’invenzioni , nè di uno studio profondo del nostro secolo, nè di un felice pensiero d’ imitare sopra le scene la sto- ria contemporanea del costume italiano. Leggendo quelle ope- rette noi sentiamo in verità ( n’ eccettuo la generosità ,- esem- plificata in Cammillo ) che la vita in essi rappresentata appar- tiene ai tempi moderni; ma questo vago sentimento , oltrechè è già difettoso nella sua indeterminata natura, è anco un effetto della semplice necessità delle cose , e delle presenti condizioni dell’ arte, non delle intenzioni dello scrittore. Avreste voluto vedere in azione la gioventù delle principali parti di questa bel- lissima Italia: e la scena è quasi sempre a Napoli; qualche volta a Parigi. Perlochè io debbo , mio malgrado , concludere che la invenzione del n. A. non corrisponde all’ idea che si può e dee concepire di questa instituzione drammatica, e che noi ponemmo a fondamento della nostra critica. Egli ha mirato al nobile scopo di promuovere i sacri interessi della moraie; ma 148 egli non ha inteso la necessità di conoscere il presente stato della morale in Italia, quali sono le virtù che più si debbano risvegliare ; quali i vizj più da combattere. Ho parlato di ciò che dovrebbe farsi o si avrebbe potuto fare , perchè la letteratura italiana sotto certi rispetti è più instintiva che filosofica, e perchè la critica, che vede poco più che l’opera di cui vuol riconoscere i pregi e i difetti, è quasi sempre al disotto dell’o- pera stessa , e necessariamente pedantesca e servile. E ne ho par- lato non per iscoraggiar l’ ingegno , ma per confortare lo zelo del sig. Genoino per la propagazione del bene. I suoi drammi pubbli cati primitivamente a Napoli nel 1827, onorati della ristampa a Milano ed a Parma, ed ora a Livorno; possono riputarsi come giudicati dal pubblico ; ed io, considerandoli ora come sono, non come potevano essere, son bene alieno dallo scostarmi da quel favorevole giudizio. Non posso fermarmi in considerazioni troppo minute di questo genere, quando il sentimento di chi legge è spesso preferibile a molti ragionamenti: e crederò di stringere molta lode in poche parole affermando che il N. A. commuove l’anima de’suoi lettori ; lo che vuol dire ch’ egli può risvegliare nei giovinetti le più desiderabili simpatie di ogni cara virtù. $ì; i suoi drammi sono affettuosi, o come diceano i latini, son dolci; (dulcia sunto): e lo sono, perch’ egli è intimamente persuaso di quel che scrive , perch’ egli è sincero amico degli uomini e sente il felice bisogno di moltiplicare le dolcezze della vita accrescendo il numero degli esseri virtuosi. Mi spiacciono certi improvvisi cangiamenti d’ inclinazione , certi miglioramenti di carattere più operati dall’arte, che da vedersi nella natura: e lo scrittore dram- matico dee aver timore che questi esempi di una subita emen- dazione non avvezzino i fanciulli a riporre la bontà della vita in una scenica apparenza , e che i suoi drammi non formino quelle anime alla malizia e al linguaggio della simulazione, an- zichè alla verità delle morali abitudini. Nè vorrei ascoltare troppe dottrine dalla bocca dei giovinetti, che debbono imparar la virtù, non ostentarne intempestivamente i precetti: e parmi eziandio che lo stile non abbia tutta quella bellezza che avrebbe potuto avere da una maggior diligenza dello scrittore, e da uno studio più lungo , e ch” egli si tenga un po’ spesso sulle generali nel- l’ appropriare i caratteri alle persone. Ma egli ha una certa fa- cilità di linguaggio , molto naturale d’ altronde agli uomini na- poletani, e il dialogo de’ suoi interlocutori è opportunamente pronto e spontaneo : e quelle due care fanciullette, Rosella nella Pietà del prossimo , e Jenny nella Beneficenza ; luna piena di 149 una semplicita toccante, l’ altra d’ una ingenmissima vivacità , offrono indizi di una vera individualità di nature. Insomma quelle sue operette teatrali sono certamente stimabili: ed io sarei lieto se il signor Genoino ricevesse conforto dalle mie pre- cedenti considerazioni a rendere le sua Etica drammatica e più emendata e più beila. Due. piccole farse, la Bugia e l’Amor fraterno, e tre comme- dine, la Disobbedienza , la Puntigliosa, la Spia domestica : ecco il Saggio che la signora Rosellini Fantastici ha esibito al pub- blico della sua attitudine per questi componimenti teatrali. Non parlerò delle farse. La Disobbedienza, e la Spia domestica la- sciano il desiderio di una maggior perfezione : ma la Puntigliosa è una gentilissima commedina. Nel primo atto tutte le cose sono ‘opportunamente disposte : tutti i mezzi accortamente preparati: e l’indole della puntigliosa collocata nella debita luce. La con- versazione delle sei fanciulle nel secondo atto ha tutta la grazia e tutta la bellezza del vero: è piena della letizia e della sollaz- zevole innocenza di quella età : ti fa quasi sentire il, leggieris- simo soffio di quella vita. E nell’ atto terzo tatto va felicemente al suo termine, e la lezione della morale o la correzione della puntigliosa è tanto efficace quanto vera, cioè naturalissima e necessaria. E il linguaggio di questi piccoli personaggi non è fatto dallo scrittore, ma nato con loro in mezzo alla società. Jo faccio voti che gl’ ingegni, i quali hanno sapienza vera e l’uso dell’ arte, consacrino i loro studi al perfezionamento di questa instituzione drammatica , sicchè 1’ Italia , anco per questo mezzo , abbia una gioventù degna del secolo in cui viviamo, X. X. - A SoPRA LA FORZA ELETTROMOTRICE DEL MAGNETISMO Dei signori L. Nosirr e V. Antinori. I} sig. Faraday ha scoperto recentemente una nuova classe di fenomeni elettro-dinamici. Egli ha , su questo soggetto , pre- sentata alla Società Reale di Londra una memoria , la quale non è per anche pubblicata, e di cui è a noi pervenuta quella sem- «plice notizia che il sig. Hachette comunicò all’Accademia delle Scienze di Parigi il giorno 26 dicembre prossimo passato ‘in conse- guenza di lettera ricevuta dallo stesso sig. Faraday. Questa re- lazione c’invogliò subito, il cav. Antinori e me, a ripetere l’espe- rienza fondamentale , ed a studiarla sotto i varii suoi aspetti. 150 Lusingandoci d’ essere pervenuti ad alcuni risultati di qualche importanza , ci.affrettiamo a pubblicarli, senz’altro preambolo che quello della notizia medesima che ci servì di punto di par- tenza per le nostre ricerche. s La memoria del sig. Faraday ; così dice la notizia , è di- visa in quattro parti. Nella prima, intitolata Produzione del- l'elettricità voltaica, si trova questo fatto importante : che una corrente voltaica, che traversa un filo metallico, produce un'al- tra corrente in un filo che ne sia vicino ; che questa seconda corrente è in una direzione contraria alla prima e non dura che un solo momento ; ehe se si allontana la corrente produt- trice, si manifesta, sul filo sottoposto alla di lei azione, una seconda corrente contraria a quella che vi si eccitò da prin- cipio, vale a dire, nella direzione medesima della corrente produttrice. 33 La seconda parte della memoria tratta delle correnti elet- triche prodotte dalle calamite. Avvicinando delle calamite a delle spirali elici, il sig. Faraday ha prodotto delle correnti elet- triche; allontanando queste spirali, delle correnti si formano in senso contrario. Queste correnti agiscono fortemente sul gal- vanometro ; passano ; benchè debolmente , attraverso 1’ acqua salata ; e 1’ altre dissoluzioni , ma in un caso particolare il sig. Faraday ha ottenuto una scintilla. D’onde ne segue che que- sto fisico produce le correnti elettriche scoperte dal sig. Ampère servendosi unicamente di calamite. 3, La terza parte della memoria è relativa a uno stato par- ticolare d’elettricità, che il sig. Faraday chiama stato elettroto- mo; egli si riserva di parlarne un’ altra volta. »» La quarta parte parla dell’ esperienza , non meno curiosa che straordinaria, del sig. Arago, la quale consiste, come si sa, a far girare un ago magnetico sotto l’ influenza d’ un disco «i metallo in rotazione , o viceversa. Il sig. Faraday considera questo fenomeno come intimamente legato a quello della ro- tazione magnetica , ch’ egli ha avuto la sorte di trovare ; sono dieci anni. Egli ha riconosciuto che, colla rotazione del disco metallico sotto l’influenza d’una calamita, si può formare, nella direzione de’raggi di questo disco, delle correnti elettriche in numero abbastanza considerevole perchè questo disco divenga una nuova macchina elettrica. (Le Temps 28 Dicembre 1831). 151 I. Magnetismo ordinario. Noi non abbiamo avuto bisogno di passare per nessun tenta- tivo per riuscire nell’esperienza del sig. Faraday. Le prime spirali, che abbiamo avvicinate all’uno de'poli d’una calamita, ci hanno subito manifestata sul galvanometro la loro influenza. Tre sono i fatti che si osservano successivamente. All’atto dell’avvicinamento si vede in primo luogo l’ ago dell’ istrumento deviare da una parte per un certo numero di gradi , il che indica la presenza d’ una corrente eccitata dal magnetismo sulla spirale messa pre- ventivamente in comunicazione col galvanometro. Questa cor- rente dura ben poco , essa si estingue completamente come di- mostra il ritorno dell’ indice alla consueta sua posizione d’equi- librio ; e questa è la seconda osservazione. La terza finalmente ha luogo nel togliere Ja spirale dalla presenza della calamita ; l’ago in allora del galvanometro devia dall’ altro lato , dimo- strando con ciò lo sviluppo d’ una corrente contraria a quella che si eccitò da principio. Nell’ esperimentare una spirale in forma d’ anello fra i poli d’ una calamita a ferro di cavallo, abbiamo osservato un’ azione di molto minore a quella che si manifesta sul medesimo anello quando si attacca alla calamita la sua ancora, o questa si toglie bruscamente da quella. Un tal fatto ci ha suggerito l’idea d’av- volgere d’ intorno ad una di queste calamite un filo di rame co- perto al solito di seta, per avere in tal modo un apparecchio sempre montato per l’ esperienza di cui si tratta. La spirale in allora destinata a sentire 1’ influenza magnetica si trova avvolta d’ intorno alla calamita , e la causa immediata del fenomeno ri- siede nell’ ancora per la. proprietà di cui gode questo pezzo di ferro dolce di calamitarsi e scalamitarsi rapidamente. O si distac- ca l’ ancora, e la spirale ch’ era in presenza di questo ferro ga- gliardamente calamitato , si toglie a un tratto dall’ influenza di quest’ azione, e si rinnova su di essa il caso d’una spirale av- vicinata prima a una calamita, indi sottratta dalla medesima. 0. si riattacca 1’ ancora, e si rinnova a dirittura il caso dell’ avvici- narsi d’una calamita, perchè tale diventa realmente quel pezzo di ferro all’ atto d’ affacciarsi a’ poli della propria calamita. Questa disposizione , oltre d’essere più attiva, gode d’un’al- tro vantaggio, ed è di procacciare al fisico un serbatoio costante d’ elettricità voltaica, Il bisogno d° una corrente costante si fa sentire in parecchie ricerche ; e se il termo-magnetismo offre un 192 mezzo plausibile per soddisfare a tali necessità come l’ ho indi- cato altrove (1), pure non è punto da disprezzare il nuovo me- todo che ora ci presentano le calamite coperte di spirali elettro- dinamiche. Quivi la corrente è sempre pronta a manifestarsi. Sup- poniamo, come è il costume ordinario, di tenere attaccato alla calamita la sna ancora, e non si avrà che a distaccare questo pezzo per ottenere dalla spirale quella corrente, che vi esisteva dentro , in uno stato per così dire latente. Non servisse questo serbatoio che per riconoscere la sensibilità de’vari galvanometri, di cui debb’ essere provveduto un fisico per le differenti sue ri- cerche, e sarebbe già questo un uffizio che rende rebbe quella di- sposizione preferibile a tutte l’ altre, non esigendo alcuna sorta di preparativi al momento di servirsene. Due sono i modi di valersene, tanto cioè col distaccar l’an- cora dalla calamita, quanto col riattaccarla. Quando si eseguiscano queste due operazioni colla medesima prontezza e dinanzi agli stessi punti della calamita , si ottengono sul galvanometro delle deviazioni in senso inverso ma precisamente dello stesso valore. L’atto del distaccare è peraltro sempre egualmente istantaneo, e deve per la costanza dell’ effetto preterirsi al modo inverso, il quale, per riuscire sempre il medesimo, esigerebbe un meccanismo che non vale la pena d’immaginare non che d’ eseguire. Ab- biasi cura di tenere l’ancora al giusto suo posto, e si avrà sem- pre , nel distacco, la medesima deviazione al galvanometro ; pre- zioso risultato , lo replichiamo , da valersene in varie circostanze, e tale fors’'anche da presentarci la misura della forza delle grosse calamite in un modo più esatto , che non è l’ordinario del peso che sono capaci di sostenere. È già molto vantaggiosa la disposizione di cui si parla ; ma è poi dessa veramente quella che produce il massimo effetto elettro-dinamico ? Ve ne ha un’altra migliore e di non poco, e questa consiste nell’ applicare la spirale elettro-dinamica alla parte centrale dell’ ancora, in quel luogo cioè che corrisponde all’intervallo che separa i poli della calamita a ferro di cavallo; e si noti bene che in questo luogo una spirale di pochi giri è già tale da sorpassar nell’ effett» un numero molto maggiore di- sposto altrove. Ecco dunque ciò che convien fare per trarre da una calamita tutto il partito possibile : conviene coprire di filo (1) Questo mezzo consiste in un elemento termo-elettrico composto al solito di due metalli differenti, e riscaldati nelle due giunture , l’una a 0.°, 1’ altra ad 80.° (Nobili, Annales des Chimie et Physique, Feorier 1830 pag. 130). 193 tutta la parte centrale dell’ ancora, e non lasciar scoperte che le estremità per attaccarsi al solito contro i poli della calamita. La forma ordinaria dell’ ancora non si presta. troppo bene a ricevere d’intorno a se questa specie di grosso ‘anello elettro-dinamico. Riducendola però come conviene vi si adatta sopra molto facil- mente, e.si ottiene con' ciò l’effetto al suo. più alto grado d’in- .teusità. La ragione ne è evidente: due ‘infatti sono le condizioni . da soddisfare, l’una che la spirale senta tutta l’ influenza delle forze magnetiche , 1’ altra che questa influenza venga sottratta nel tempo il più breve. Ora il filo avvolto ‘d’ intorno all’ancora è appunto nella posizione più favorevole per concentrare sopra di se le forze magnetiche ; e queste forze gli mancano.a un tratto nel momento del distacco , come esige la seconda condizione. Spirali di diversi metalli. I metalli che abbiamo sperimentati sono quattro; rame, ferro, hismuto ed antimonio. Jl ferro interessava come il primo fra i metalli magnetici; il bismuto ed antimonio per il posto distinto che occupano nella scala del termo-magnetismo. Da esperimenti eseguiti in circostanze approssimativamente eguali ci è risultato, che il rame è il più attivo sotto il punto di vista che ci occupa; ne viene in seguito il ferro a poca distanza ; indi l’ antimonio e per ultimo il bismuto. Attesa la fragilità di questi due ultimi metalli non avremmo, a dir vero, potuto ridurli alla figura di spirali che fondendoli in forme adattate. A questo mezzo ; che riusciva lungo ed anche difficoltoso, abbiamo supplito con un ripiego. Si sono fatte delle spirali quadre con tanti bastoncini o verghette dei snddetti metalli, saldati alle estremità, od anche semplicemente premute le une contro delle altre per assicurare i contatti. Per la comparabilità dei risultati è poi inutile l’avver- tire, ch’ erasi data alle altre spirali di rame e di ferro la mede- sima; forma quadrangolare. II. Scintilla magnetica. La re'azione posta in fronte all’articolo dice che in wn caso particolare il sig. Furaday ha ottenuto una scintilla. Sebbene quest’espressione non somministri alcun lume, e ponga piuttosto in dubbio la costanza d’un fenomeno così straordinario, pure non abbiamo sospeso la ricerca, e siamo stati abbastanza fortunati per riuscire al di là delle nostre speranze. Ecco le viste teoriche che T. IV. Novembre. 20 154 ci hanno condotto a questo importantissimo risultato, il quale , lo direm più chiaramente , non c’ inspirava da principio che un debole grado di fiducia. La pila non dà la scintilla che quando è composta d’ un certo numero di coppie voltaiche. Un elemento alla Wollaston la produce da se solo, e, quando è d’una certa attività, la pro- duce costantemente sul mercurio , a cui si conducono i fili con- giuntivi destinati a chiuder il circuito. Nelle pile voltaiche, do- tate d’un certo grado di tensione elettrica , la scintilla parte dai, poli zinco e rame tanto nel caso di chindere come di aprire il cirewito. Sopra un solo elemento alla Wollaston la tensione è debolissima, e la scintilla non ha luogo che in una sola circo- stanza, all’ atto cioè in cui s’° interrompe il circuito. In questo momento la corrente, ch’era già in giro, s’ accumula in guisa sul luogo dell’ interruzione, che acquista quivi la tensione ne- cessaria per lanciare la scintilla. Una tale tensione manca nel- l’ altro caso di chiudere il circuito, e con ciò manca pure il salto della scintilla. i Le correnti, che si sviluppano sulle spirali elettro-dinamiche in virtù del magnetismo, sono anch’ esse ‘in giro; ma non'cîr- colano che per un solo momento, per quello ‘civè ‘iri cui le!spi- rali s' avvicinano alle calamite o si ‘allontanano! da queste. Egli è dunque, concludevamo noi , in uno di' questi due momenti che dovrà aprirsi il circuito delle spirali per: tentare l’esperi- mento della scintilla. ip Avevamo già preventivamente fissato le ‘nostre idee intorno» alla disposizione più favorevole delle spirali elettro-dinamiche. Non ci restava dunque che da scegliere una buona calamitaa ferro di cavallo , fasciare 1’ ancora dirfilo di rame nel modo: che abbiamo indicato di sopra, far pescare in una tazza di mercurio le estremità di questo filo , e poi sollevar l’uno o l’altro di que- sti capi al momento preciso in cui si attaccava o si distaccava l’ancora dalla sua calamita. Operando in due persone senza»al- cuna sorta di meccanismo , è più facile di mancare questi mo- menti che di coglierli.; quando però si colpiscono, e ciò succede di tratto in tratto, si ha la soddisfazione di vedere una scintilla che non lascia nulla da desiderare. Tale fu il modo col quale vedemmo le prime scintille; ma questo bel fatto meritando d’ esser riprodotto a piacimento re- clamava un apparecchio apposito ; e noi dopo varie disposizioni più o meno complicate ci siamo fermati alla seguente, che val vantaggio di servir. bene riunisce a nostro avviso il più alto grado di semplicità. 159 Tutto il congegno si trova sull’ ancora della calamita. Que- sto pezzo, che ha la forma parallepipeda , porta nel suo mezzo Ja spirale elettro-dinamica ; contenuta ivi da due guancie d’ ot- tone fissatevi stabilmente. sopra ; alla distanza conveniente per entrare esse medesime nell’intervallo che separa i poli del ferro da cavallo , mentre tutto il pezzo s’attacca al solito alla calamita. Le estremità della spirale fanno capo ciascuna all’ uno de’ poli mediante due piccole molle in forma d’ alette , attaccate all’an- cora , le quali premono un tantino i poli stessi quando l’ ancora è al suo posto. Per lasciar luogo a queste molle , l’ ancora è più stretta dell’ ordinario ; copre la metà circa de’ poli ; il rimanente serve alle due alette le quali vanno in qualche modo isolate dal- l'ancora, perchè in questa disposizione l’ uffizio di chiudere il circuito elettro-dinamico va riservato tutto al ferro di cavallo. Supponiamo che l’ ancora sia attaccata a questo ferro. Le molle toccano i due poli , ed il circuito della spirale è metallicamente chiuso dalla calamita. Distacchiamo l’ ancora, e il circuito si apre in due luoghi ; or bene egli è nell’ una o nell’ altra inter- ruzione, fra la molla ed il polo , che scocca sempre o quasi sem- pre la scintilla. Quando manca l’ effetto ciò deriva dal distacco che non riuscì bene: è per altro così facile di ripetere 1’ espe- rimento, che non conviene pensare ad un meccanismo che rimedi ad un inconveniente che si ripara con tanta facilità. In quest’ apparato la spirale avvolta sull’ ancora è di rame. Sostituendone una di fil di ferro , si ha pure con questa la scin- tilla. Interessava quest’ esperimento per veder se 1’ ordinaria in- fiuenza magnetica, che la calamita esercita sul filo di ferro, era tale da modificare, nel suo effetto, 1° altro genere d’ influenza , l’ elettro-dinamico. Non pare che 1’ una azione disturbi 1’ altra ; prima però d°’ assicurarlo positivamente , sono necessarie delle altre prove , che intraprenderemo a tempo più opportuno. III. Magnetismo terrestre. Abbiamo preso un tubo di cartone del diametro di circa due pollici ed alto quattro. Gli abbiamo avvolto d’ intorno un filo di rame isolato della lunghezza di 40 metri tenendo libere le due estremità per porle all’ occorrenza in comunicazione col gal- vometro. Il cannone era spianato in guisa da reggersi vertical- mente sulla tavo'a da amendue le parti , il che Po di capovolgerlo a piacimento. Si sa che un cilindro di ferro dolce, collocato parallelamente 156 all’ago d’inclinazione , sente l’ influenza del magnetismo terre- stre ; la parte inferiore acquista il polo magnetico del nord, la supe- riore il polo contrario del sud. È questo un fenomeno di posizioue che si determina sempre allo stesso modo su quella specie di ferro, altrettanto incapace di conservare per virtù propria il ma- gnetismo ricevuto, quanto disposto a riceverne del nuovo da qualunque lato gli venga somministrato. Alla nostra latitudine 1’ inclinazione dell’ago è di circa 63.° Fissato in questa direzione il tubo di cartone , coperto della sua spirale elettro-dinamica ; v° abbiamo collocato dentro un cilindro di ferro, ed all’ atto dell’ introduzione abbiamov visto sul galva- nometro il movimento dovuto alla presenza d’ una corrente ec- citata dal magnetismo. Estraendo il cilindro si è ottenuto il mo- vimento inverso. Niun dubbio adunque che il magnetismo terrestre basti da sè solo allu sviluppo della corrente elettrica. Non si deve però in questo luogo dissimulare una circostanza , ed è che quello sviluppo si effettua nello esperimento sopra indicato , col- l’aiuto di un intermezzo, il ferro dolce, che s’ introduce dentro la spirale. Questo è vero senza dubbio ; ma vero è altresì che non è assolutamente indispensabile il ricorrere a quel sussidio per ottenere segni nou equivoci dell’ influenza di cui parliamo. Pon- gasi la nostra spirale cilindrica col suo aste parallelamente al- l'ago d’ inclinazione ; poi si rovesci nel meriiliano magnetico con un mezzo giro di 180.°, e si vedranno al galvanometro compa- rire i segni della corrente, che si eccita sulla spirale, per la sola influenza del magnetismo terrestre. Per riconoscere l’ effettu non è nemmeno necessario di s0.l- disfare rigorosamente alla condizione di operare. nella direzione dell’ ago d’ inclinazione. Succede il fenomeno anche nella posi- zione verticale ; l’ effetto è semplicemente minore, ma distinto sempre al segno di non indurre in errore. Noi abbiamo esperimentati tre fili di rame di differenti gros- sezze ; il più sottile aveva mezzo millimetro di diametro ; il me- dio 2 terzi, il più grosso 1 mil. Gli effetti sono cresciuti colle grossezze. Il primo ci ha date delle deviazioni di 2 a 4, il se- condo di 4 a 8, il terzo di 10 a 20. Per otteuer questi grandi movimenti si usa il solito artifizio d’ invertire la corrente al mo- mento il più propizio , che l’ esperienza ripetuta più volte scopre facilmente all’ osservatore. Nello stato attuale della scienza , questa è dicerto la corrente ottenuta nel modo il più semplice. È tutta opera dal magneti- smo terrestre, e questo magnetismo è sparso da per tutto. Noi 157 ci riserviamo di studiare la maniera d’ingrandire l’ effetto , e di farne anche qualche utile applicazione, se risponderanno all’aspet- tativa certi apparati che andiamo ideando. Il pensiero , che si presenta per il primo , sarebbe di profittarne per la misura delle intensità magnetiche terrestri; ma di quale precisione sarà mai suscettivo quel nuovo genere di combivazioni ? Questo è appunto ciò che resta da determinare. Il galvanometro , di cui si debbe far uso per l’esperienza di questo paragrafo , ha da essere sensibilissimo. Io replicherò in quest’ occasione l’ avvertimento che diedi altrove intorno a questa sorte d’istrumenti. Due sono i sistemi da adottarsi per ottenere il massimo effetto , l’ uno serve per le correnti idro-elettriche, l’altro per le termo-elettriche. Il galvanometro del mio, termo- moltiplicatore è di quest’ ultima specie, e precisamente quello che convien adoperare in questi generi di ricerche (3). Se ne pre- sente anche il motivo, osservando che le nuove correnti di Fara- day si sviluppano sopra circuiti interamente metallici , come le termo-elettriche del dott. Seebeck ; e che come queste passano difficilmente attraverso i conduttori umidi. IV. Tensione elettrica. I tentativi, che abbiamo fatto sin quì, sul nuovo genere di correnti, per ottenere all’e!ettrometro i soliti segni di tensione , non ci hanno condotto a nessun risultato positivo. I mezzi per altro, che abbiamo impiegato, sono ben lontani dal soddisfarci pienamente. Ne stiamo preparando de’ nuovi, affine di attaccare la questione con armi più efficaci. Estenderemo in allora la ri- cerca anche alle combinazioni termo-elettriche , le quali meritano lo stesso studio, per la ragione che non hanno nemmeno esse pre- sentato sin qui alcun segno sensibile dì tensione. Su quest’ultima specie tenteremo pure, in circostanze favorevoli , 1’ esperimento della scintilla, ma senza dissimulare sin da questo momento un nostro dubbio , ed è che le correnti termo-elettriche sieno di loro natura le meno atte a produrre la tensione e la scintilla come indicheremo più chiaramente a suo tempo e luogo. (3) Mobili, Bibl. Univ. Juillet 1830 pag. 275. V. Effetti chimici e fisiologici. Le nuove correnti del sig. Faraday passano, sebbene difficil- mente , attraverso i conduttori umidi. Così dice la notizia, e così è realmente, come si verifica colla più grande facilità intro- ducendo nel circuito delle spirali elettro-dinamiche un condut- tore di quella specie. Nel caso delle altre correnti, che si cono- scevano , io ho dimostrato altrove, che vi ha sempre decompo- sizione chimica, quando passano pei conduttori liquidi, e siano pur quelle correnti deboli quante si vuole, che la decomposi- zione è sempre assicurata dalla condizione del passaggio attraverso del fluido. È moito probabile che anche le nuove correnti pro- ducano il fenomeno della decomposizione ; ma non bisogna mai dimenticare il distintivo loro carattere di non durare che un bre- vissimo tempo. Io credo che questo tempo , comunque corto, basti alla decomposizione; ma non avanzerò nulla di più prima d’avere interrogato su di ciò la gran maestra in tutto, |’ espe- rienza. 2 I segni fisiologici consistono 3 come tutti sanno , nelle scos- se o contrazioni al muscolo, nei sapori acre ed acidulo alla lingua, e nel lampo agli occhi. Per ottenere questi effetti, è di necessità assoluta che l’ elettricità penetri dentro ai nostri organi, i quali appartengono alla classe de’ conduttori umidi. Questa via , noi l’abbiamo già veduto, è molto difficile per le nuove correnti; con tutto ciò la rana, messa nel circuito delle nostre spirali elettro-dinamiche avvolte d’intorno alle ancore delle calamite , si scuote vivissimamente, ogniqualvolta si attaccano o si distaccano siffatte armature. L’esperienza è graziosa ed istrut- tiva; graziosa per la vista di convulsioni così gagliarde operate apparentemente dall’ azione immediata del magnetismo ; istrut- tiva perchè conferma il fatto del passaggio di quella corrente attraverso i conduttori umidi, e perchè di più ne dimostra come la rana si conservi in ogni caso il più sensibile de’ galvano- scopi (4). E qui si rinnova l’ occasione d’ avvertire ciò che di- chiarai in altro scritto intorno alla scoperta del dott. Seebek. Non era punto necessario , io dissi, la scoperta d’ Oersted e la successiva del galvanometro per giungere all’altra delle correnti termo-elettriche (5). Bastava a svelarla la rana cimentata a do- (4) Bibl. Univ. Tom. XXXVII pag. ro. (5) Bibl, Univ. luogo citato. 159 vere; e così pure , aggiungo adesso , bastava lo stesso sensibilis- simo animale a scoprirci le nuove correnti di Faraday. Che se questa non fu la via onde si fecero quelle due scoperte, non è perciò men vero che si potevano fare col semplice aiuto di quel- l'interprete, che maravigliò 1’ Europa ai primi tempi del galva- nismo. VI. Magnetismo di rotazione. Che succede egli, quando si avvicina al polo d’ una barra magnetica una spirale elettro-dinamica ? Si determina ne” ripetuti suoi'giri una corrente, che rientra in sè stessa per le vie de’suvi capi che qui si suppongono congiunti insieme. Ora invece della spirale poniamo sotto l’ influenza dello stesso polo una massa di rame. Che avverrà egli in tal caso? Ragion vuole che si ammetta dentro quella’ massa lo stesso sviluppo di correnti, colla sola differenza che, se nella spirale non potevan rientrare in sè stesse sopra ciascuna delle spire, qui che.si tratta d’ una massa con- tinua, le correnti rientreranno .a' dirittura in sè stesse sopra que'circoli.o. zone di materia entro cui le. determinerà |’ influen- za del magnetismo , il quale, nello stato attuale della scienza , non può egli medesimo essere considerato altrimenti, che come la conseguenza d'un movimeuto della medesima natura , che si compie .tutt’all’intorno delle particelle. del metallo magnetico. L’induzione. sembra di per se abbastanza giustificata ; pure a confermarla. maggiormente abbiamo. istituito il seguente esperi- mento. Si è preso un anello di, rame, e, segnato un, diametro su di esso , si sono all’estremità di questo saldati due fili con- giuntivi destinati al. solito uffizio, di comunicare al galvano- metro. Collocato questo anello, fra i poli d’una calamita a ferro di cavallo ;. che è il luogo stesso, dove sogliamo introdurre le no- stre spirali elettro dinamiche , ‘isi è subito manifestato al galva- nometro il movimento dovuto alla presenza di correnti eccitate dal magnetismo sull’ anello di rame. Fissate in tal. modo le idee intorno;alle correnti Giona che crediamo doversi sviluppare entro le masse di rame sotto 1’ in- fluenza de’ poli magnetici, si passa ad attaccare la questione del magnetismo di rotazione , mirabile scoperta del sig. Arago. Qui si hanno, de’ poli magnetici in presenza d’ un disco, ed il disco , invece d’ esser fermo come nel caso precedente, è in continuo movimento d’ intorno. al proprio centro. Quest’ ulti- ma è la sola condizione aggiunta , e. per essa si. vede che si complicherà bensì assaissimo il risultato finale del fenomeno , ma 160 che in sostanza non dovrebbe accadere nulla di nuovo. Si tratterà in ogni caso di correnti sviluppate dal magnetismo sul luogo del disco ‘dove questo magnetismo agisce direttamente. Questa parte è trasportata via dalla rotazione ; e ne subentra un?” altra su cui si esercita la stessa influenza ; che è sempre di formar delle cor- renti in senso contrario a quelle che si suppongono esistere nel polo magnetico; correnti per altro che di loro natura tendono ad invertirsi, tolte che siano dalla presenza della causa che le produce ) e che s’ invertiranno di fatto ogni qualvolta glielo per- metta la velocità con cui si eseguisce la rotazione. La teoria di questa specie di magnetismo ci sembra matura ; noi cercheremo di sviluppare più dettagliatamente i principj fisici in uno scritto a par- te, contentandoci d’ avvertire qui il carattere particolare che la distingue da tutte 1’ altre specie , e per cui non poteva esser at- taccata con vantaggio prima della scoperta del sig. Faraday. Que- sto carattere non consiste nella sola fugacità ch” essa divide col ferro dolce; consiste nell'essere un duppio magnetismo, irverso e diretto ; inverso al momento che si produce in faccia della causa produttrice ; diretto al momento dopo che questa causa sparisce. Il sig. Furaday considera il magnetismo di rotazione del sig. Arago cotne interamente legato ad un fenomeno, ch’ egli scoperse son già dieci arini. Egli riconobbe fin d° allora , così dice la notizia, che per la rotazione del disco metallico sotto l’in- fluenza d’ una calamita si possono formare , nella direzione dei raggi di questo disco, delle:correnti elettriche in numero abbastan- za considerevole perchè questo ‘disco divenga ura nuova macchina elettrica. Noi ignoriamo del tutto com’ egli abbia riconosciuto questo' fatto, e non sappiamo nemmeno come ud risultato di tale natura sia rimasto così lungo tempo generalmente sconosciuto , e dirò quasi dimenticato nelle 'mani de) suo inventore: Del resto vi ha qui per noi qualche cosa di problematico, e dobbiamo pri- ma di passar oltre riferire l’ esperimento che abbiamo eseguito su questo proposito. Pongasi in rotazione un disco di rame; “, preparati due lun- ghi fili. pure di rame , si mettano da una parte in comunica- zione col galvanometro , e si tengano dall’ altra fissi colle mani sul disco, uno verso il centro'e 1’ altro verso la ‘circonferenza sulla direzione d’ uno stesso raggio. Nella sua rotazione il disco riscalda ameidue le punte di rame che vi premono contro, ma non le riscalda egualmente. La più riscaldata è Ja putta che preme il'disco verso la circonferenza ; lo è di meno 1’ altra che esercita la sua pressione verso il centro. Or basta questa diffe- n tea 161 renza di temperatura per determinare una corrente elettrica ca- pace di mover l’ ago' del ‘galvinometro' e di fissarlo sopra un certo grado della divisione dopo le consuete oscillazioni. Tranquillo che sia quell’ indice, si avanzi una calamita a ferro di cavallo in modo che introdotta sul disco, questo vi giri liberamente frammezzo ; e si vedrà subito nella deviazione dell’indice un au- mento od una diminuzione , secondo che i poli agiranno in un senso o nell’ altro. Quest’ effetto è una prova sicura delle cor- renti che si manifestano sul disco per la presenza della calamita; ma perchè i fili congiuntivi, che comunicano, col, galvanometro , si trovano collocati colle’ loro èstremità sulla» direzione d’ un raggio del disco , diremo ‘noi ch’ egli è precisamente su questa direzione ch’ esistono ‘ le: Correnti eccitàte dal magnetismo? Noi non lo crediamo per le ragioni addotte di sopra, e, quando ‘an-' che dovesse col sig. Faraday ‘ammettersi quella specie d’ irradia- zione di correnti, esisterebbe ancora per noi una'grandissima dif- ferenza fra quel modo d’eccitare l’elettricità , e 1’ altro ‘ordinario delle, nostre macchine elettriche. Vi ha qui un salto da giustifi- care; quello che si fa nel passare da ‘un ottimo conduttore, il disco metallico del sig. Arago , ad un pessimo , siccome è il di- sco di vetro delle macchine ordinarie. Deli rimanente queste no- stre particolari opinioni non diminuiscono di. nulla il merito in- trinseco «della scoperta ‘del ‘sig. Faraday. Essa è una delle più belle del nostro tempo , sia che si consideri in sè stessa per la larga lacuna che serve a riempire , sia per i lumi che sommi- nistra alle varie teorie e. specialmente a quella del magnetismo di rotazione. suini %. - Desideriamo che queste nostre prime ricerche giustifichino il vivissimo interessamento» che ‘abbiamo preso a questo nuovo vamo d’elettro-dinamica; un solo rammaticò ci resta , quello d’ esser entrati in una carriera | prima di. conoscer. tutti i' passi che vi avrà fatto l’ illustre fisico che 1’ apersé. i Dal Museo 31 Gennaio 1832. } NOTA. Si è messo in costruzione un, certo numero di calamite. colle, appendici necessarie per ottenere la scintilla.e gli altri fenomeni descritti. nel presente arti- colo. Si avvisano i fisici, che desiderassero d’ avere qualcuno di tali apparati, di dirigere le loro dimande al sig. Direttore di questo Giornale. T. IV. Novembre. 2I 162 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ANTOLOGIA 'MARCI TULLII CICERONIS Or- pheus sive, de ‘adolesuente. studioso ; ad Marcum filium Athenas : editio. al- tera. Florentiae , 1831, in ‘Archiepi- scopali typographia, di pag. VIIL:e 52. pubblicato per cura di SrerAno AupIN. Numero degli esemplari. 4.in'carta pecora , grande in 8-° 12 in carta antica del secolo XVI. 20 in carta turchina. 12 in carta rosa. 6 in carta verde. 4o in carta comune. ‘ a\in carte pecore, impresse da una sola parte, ed arrotolate ad uso degli an- tichi papiri. © Te NB. Delle Osservazioni Bibliogra-: fico letterarie intorno ad una edizione sconosciuta del Morganté' Maggiore, pubblicate da Sreramo ;AUDIN ; ed an- nunziate nel precedente fascicolo , gli esemplari tirati furono 3 {1 4 in carta pecora. 16 in carta colorita. 150 in carta comune. TRATTATO di chimica di J. J. BerzeLIUs, tradotto a Parigi per M. EsstincER. sui manoscritti inediti del- 1’ autore , e sull’ ultima edizione te- desca ;'recato in italiano da F. Du Pre/I* parte Chimica)minerale, in 8.° Tomo I. p. 2. di pag. 500 in due pun- tate; prezzo it. lire 6. 45. TOTIUS Latinitatis lexicon, consi- lio et cura Jacosr FaccIOLATI , opera et studio Arcipir ForcELLINI seminarii patavini alumni lucubratum in hec edi- tione anctum et emendatum a JosePHo FurLanETTO alumno ejusdem semina- rii. Patavii, 1831, Typis Seminarii. 4.° Tom. III. Fasc. 14 (Punio-Ruvidus). ORNITOLOGIA' Toscana, ossia de- serizione e storia degli uccelli che tro- vansi. nella Toscana, con l’ aggiunta delle descrizioni di tutti gli altri pro- pri al ‘rimanente d’ Italia, del dott. PaoLò Savi. Pisa, 1831, Tip. Nistri e C. 8.° Tomo III. ed ultimo di pag: 296, TEORIA delle leggi della sicurez- za sociale, di GrovannI CARMIGNANI, Gav. del R. ordine del Merito , Prof. nell’Università di Pisa, e socio di va- rie Accademie d’Italia. Pisa, 1831, Tip: Nistri e C. 8.° Tomo II. di pa- gine 432. RICERCHE fisiche e chimiche sul- la chara o putera , onde conoscere se questa pianta possa aver parte nell’ori- gine della cattiv’aria, del dott. PAOLO Savrprof. di Storia Naturale, ie Ra- NIERI PasseRINI aiuto del prof. di Chi- ‘mica ‘dell’ I. e 'R. Università di (Pisa, estratte dal N. 59 del Nuovo Giornale dei Letterati. Pisa, 1831, Tip. Ni stri e C. DELL’AMORE di Dante Alighie- ri, e del ritratto di Beatrice Portinari. Commentario primo di MeLcaior Mis-, SIRINI. == DELLE MEMORIE di Dan. te Alighieri, e del suo Mausoleo in $. Groce., commentario secondo di /Mer- cHÙior Missirini. Edizione terza in 4.° grande di pag. 40 e 35. Firenze, 1832, St. Ciardetti. POEMI di Estopo Ascreo recati in italiano. Parma , 1831, St. Carmi- gnani 8.° di pag. 102. OPERE complete di P. Mrerasra- sro : volume unico, e IV. della Biblio- teca portatile del Viaggiatore. Firen- ze , 1831 , Tip. Borghi e C. VITE degl’ illustri Gittadini Ita- liani , descritte da FxancEsco Bene- DETTI nello stile di Plutarco, dedicate agli uomini illustri d’ Italia. Italia, 1831: son vendibili a Bologna da Spi- ridione Masi. E pubblicato il N.° r. che contietie la vita di Cola di Rien- ‘ zo. Prezzo paoli 3. NUOVO SPECCHIO ‘geografico , storico, politico di tutte le nazioni del globo , susseguito dal Dizionario Geo- grafico universale : opera ‘compilata in moderna utilissima foggia sulle tracce de’ più valenti geografi, con opportune riforme ed ampliazioni al: metodo del sig. MaccartHY , corredata’ di tavole e carte conformi alle più recenti sco- perte ed agli ultimi trattati 3 ed ar- ricchita di cenni biografici sugli uomi- ni illustri di ciascheduna città’ e re- gione , coll’ indice di essi alfabetica- mente disposto ; di PrerRo CAsTELLA- no, membro corrispondente della So- cietà geografica Trajense; prima edi- zione italiana. Roma, 1830-31, St. Guinichi e C. 8.9 T. I. divisione 5.* ed ultima. Dispensa 26-31. detto tomo di pag. 2464). NB. colla dispensa 31 si è dato il primo foglio del Tomo II. divisione 1. finisce l’Europa e comin- cia l’ Africa. \_ PITTURE di Vasi Fittili , esibite dal Cav. Francesco IncHIRAMI., per servire allo studio della mitologia e del- la storia degli antichi popoli d'Europa. Firenze , ‘1831 , Poligrafia Fiesolana in 4.0 Fascicolo I. di fogli 2 di testo, e 12 tavole in rame. Prezzo franchi 6. SAGGIO di epigrafia italiana del Conte Domenico BrumonI dottore in medicina e socio corrispondente del- l’ Ateneo di Forlì. Bologna , 1831, Tip. Marsigli 8.° di pag. 40. U OPERE teatrali inedite di Casimi- ro Caserti. Torino , 1831, Mancio, Speirani e C. in 8.° Volumi II. Prezzo per gli associati f. 3. 6. STEFANO , duca di Napoli , tra- .gedia di Arronso Firiproni. Mapoli, 1829 , Albergo de’ Poveri. Volumetto. INTORNO al CHÙÙorera Morgsus pestilenziale , ai caratteri e fenomeni patologici ; mezzi curativi e preserva- tivi di questa malattia, alle sue mor- talità, al suo modo di propagazione, ed alle sue erruzioni nell’ Indostan , Asia orientale, Arcipelago indiano , Arabia, Siria, Persia, Impero Russo, Polonia, Prussia, Gallizia, Ungheria, Austria , relazione di ALessanpro Mo- REAU DE Jonnks, membro e relatore del Consiglio supremo di sanità di Pa- 163 rigì, membro dell’Istituto francese ec. traduzione con note ed aggiunte del dott. GrroLamo Novato ; colla carta itineraria del Cholera Morbus dalla sua’ origine nell’ Indostan . nell’ anno 1817 , fino a tutto settembre 1831. Milano , 1831, G. Siloestri 8.° di p. 280. Prezzo Il. 4. 60. it. INSTRUZIONI per mantenere la salute , e per preservarsi dal contagio del CHmoréra , traduzione dal tedesco, sulla nuova edizione emendata , pub- blicata a Berlino nel 1831 con note del dott. G. Pozzi direttore e professore del- le Scuole di zooiatria, ec. Milano,1831 G. Silvestri 8.° di p. 30. Prez. sold. 15. BREVI instruzioni per la cognizio- ne e cura del Chorera Morzus secon- do le più recenti esperienze , scritte ad insinuazione della commissione spe- ciale per il Cholera , residente a Ber- lino. Trad. dal tedesco con note del dott. Giovanni Pozzi. Milano, 1831, G. Silvestri p. 44. prezzo l. 1. ESAME critico delle varie opere ed opuscoli vari sì italiani che stra- nieri, pubblicati in questi giorni sul CnoLera Morsus: si aggiunge l’estratto di una memoria dei più distinti me- dici che ha studiato per due mesi in Galizia il Cholera Morbus , tratto dalla Bibl. Italiana : fascicoli 186-188 Giu- gno, Agosto 1831. Milano , 1831, L. Sonzogno 8.° di p. 40. Prezzo 15 soldi. ESPERIENZE pratiche sulla natu- ra del Cholera Morbus e sul modo di curarla , di Giuseppe BERREs , trad. dal tedesco, del sig. dott. G. P. Mi- lano , 1831, G. Silvestri. Prezzo 15 soldi. LETTERA apologetica di Ursano LamprEDI seguita da alcuni articoli e dialoghi letterari, estratti dal Polìgra- fo Milanese, in risposta ad un ar ticolo oltraggioso intitolato Uco Fosco- Lo pubblicato nel Giornale inglese Fo- reign Quaterly Review, e riportato tradotto in francese nella Revue Bri- tannique che si pubblica a Parigi, N. 2 Agosto 1830. Napoli, 1831, da’T'orchi del T'orcelli 8.° di pag. 88. I FENOMENI o le Apparenze ce- lesti d’Araro SoLerano , volta da’ greci ‘in esametri latini da M. T. Ci- ceRONE co’ supplementi del Grozio, ed un appendice d° altri frammenti di- 1604 versi di Cicerone ; o tradotti da Ome- ro, od originali suoi che ci sono, ri- masti ; il tutto volto in endecasillabi italiani ; .per URsano, LampREDI. INa- poli 31831, St. Fibreno. 8.° p. 128 con, tavole. OPERE di SriLvio PeLLIico da. Sa- luzzo : terza ed. volume unico , in tre distribuzioni , che contengono Fran- cesca da Rimini , Ester d° Engaddi, Iginia d’ Asti, Eufemio di Messina, tragedie, — Tancredi , Rosilde, Eligi e Valfrido , Adello , cantiche. Fi- renze » 1831, VW. Batelli e F. Prezzo 1, 1. tosc. 0 sia cent. 84 per distrib. ATLANTE geografico, fisico e sto- rico della Toscana, del dott. AmTILIO Zuccacni OrLanDINI.Firenze,1829-31, St. Granducale in £.° m.° Tav. XVI. ( Valli superiori dell’ Ombrone , dell’ Arbia , e della Mersa.) OPERE volgari di Giovanni Boc- caccio corrette su i testi a penna, Fi- renze , 1831, per G. Moutier in 8.° Tomo X.- I°. del Comento sopra la Divina Commedia di Dante Alighieri; e Tomo XIII , il Filostrato. RELAZIONI della Aurora Boreale veduta in Roma e in altre parti d’I- talia ec. nelle sere e mattine dei giorni 3. 4. 5. 6 e seguenti di agosto, con 0s- servazioni critiche dell'Avv. D. GarLo Fra, commissario delle antichità, bi- bliotecario della Chigiana , socio ord. e censore dell’Accad. Archeologica; e AprpenpicE alle medesime relazioni, in risposta a tre oppositori. Roma ; 1831, Tip. delle Belle Arti. NUOVE osservazioni dell'Avvocato D. Carro Fra commiss. dell’antichità, sopra la Divina Commedia di Dante Alighieri, specialmente su ciò che desso ha scritto ivi e altrove riguardo all’Impero Romano, letta in compendio nell’ accademia archeologica il 19 e 26 novembre 1829. Roma, 1830, V. Pog- giali 8.° di pag. IX e 78. MECCANICA elementare , lezioni di ALserTo GaEBA , professore di Ma- tematica pura elementare e di Mecca- nica nell’I. e R. Liceo di Brescia. Bre- scia, 1831, Tip. Valotti 8.° di pag. 376 con tre tavole. Prezzo l. 6 aust. OSSERVAZIONI intorno ai Vo- cabolari della lingua italiana, special- mente. per. quella parte che riguarda - alla definizione delle cose concernenti alle scienze naturali , del prof. Gra- cinto CareNA: Torino, 1833, G. Pom- ba 8.° di. pag. 308. STORIA NATURALE di Giorgio Luigi Leclere Conte DI Burron, elas- sificata giusta il sistema di Carlo Lin- neo , da Renato Riccardo Castel, au- tore;del poema Le Piante,e proseguita da altri ch. scrittori : edizione. com- pleta con rami. Firenze, 1831, V. Ba- telli e F. Dispensa 41,4, terza del to- mo, VIII. Il prezzo d’ associazione è di cent. 60 per volumetto. LETTERA scritta da MxssimiLIa- no Ricacci ad un suo amico sulla gua- rigione di una grave malattia rigunar- dante il sistema nervoso. Firenze, 1832, St. Magheri 8.° di p. 24. ORAZIONE detta nella Chiesa del- Ja Pia Casa di Lavoro di Firenze; nel 3 di ottobre 1831 del professore ab. Luigi Marsili. Firenze, 1831, Simone Birin- delli. Prezzo cr. 6. I PIU BEI QUADRI di pittura e di scultura esposti in Brera nella gal- leria dell’I. e R. Accademia delle Bel- le arti, nel settembre 1831, in altret- tanti quadri poetici compendiati e de- scritti da Dom. Brorci. Milano, 1831, G. Crespi. 12° di p. 75. LE SCULTURE del ch. prof. Pom- peo Marchini socio di varie Accademie, esposte quest’ anno in Brera, canto lirico di Dom. Brorer. Milano, 1831, G. Crespi di p. 13. SCRITTI editi ed inediti di Fran- cesco Necri , opera dedicata al bene- merito sig. conte cav. FoLcHino ScHiz- zi. Milano, 1831, Tip. Nervetti. Vol. Unico in 8.° grande. MUSEO Lapidario Modenese , de- scritto dal Direttore dottor GarLo Marmusi. Modena, 1830, Tip. Came- rale in 4.° di pag. XIV e 123 con ta- vole in rame. MONUMENTI inediti pubblicati «dall’Instituto di corrispondenza archeo- logica , per 1’ anno 1831, fascicolo II in f.° m.° Parigi e Roma, a spese dell’ Instituto. Contiene un foglio di testo, e tavole 5 in rame. ‘ANNALI di medicina, chirurgia e farmacia, compilati dal professore Lorenzo MantIinI (e dal dottore G. GaRNERI;, Torino. Manifesto.==Molti tra i signori as- sociati agli Annali Clinici manifesta- rono il desiderio di vedere in quell? ope- ra periodica la materia più diffusamen- te trattata, e nello stesso tempo di tro- varvi un ragguaglio più minuto intorno a ciò che leggesi negli altri giornali . Non sarà adunque cosa inopportuna , se divisando d’inserire un maggior.nu- mero d’ articoli ed accrescere assai la mole de’ fascicoli di. quell’ opera pe- riodica, se ne presenti il titolo stesso convenientemente modificato, onde in- dicare più chiaramente lo scopo propo- sto , il quale si è di presentare in mo- do conciso, per quanto sia possibile , lo stato attuale. ed i. progressi delle scienze mediche in Europa, ossia una rivista generale della letteratura me- dica. dell’ epoca presente. Questi An- nali ( che si potranno considerare. sic- come una continuazione degli Annali Clinici ) consecrati non solo all’ ana- lisi delle opere che vedono la luce in Italia e oltramonte s a far di pubblico diritto e morografie e memorie origi- nali e osservazioni particolari de’ cul- tori dell’ arte nostri compaesani ; non che de’ stranieri, dovranno pure con- stare d’ un’altra importantissima parte quale si è quella che costituisce il sunto de’giornali più accreditati d’Ita- lia, di Francia., d’ Inghilterra ; e di Germania per ciò che riguarda Ja Me- dicina , la Chirurgia , la Farmacia e le scienze accessorie. La pubblicazione di ciascun volume avrà Juogo infallibil- mente il primo giorno d’ogni bimestre ( il primo volume del prossimo anno 1832 verrà pubblicato il r.° del mese di marzo ): in ciascun anno se ne pubblicheranno sei volumi i quali non saranno mai minori di 12 fogli di stam- pa.; le carte e le litografie che potreb- bero occorrere saranno gratis per le persone che avranno sottoscritto al co- minciar dell’ anno. Ciascun volume di forma e carta simile al presente mani- festo consterà di due parti. La prima destinata alle analisi, alle memorie ori- ginali ecc. sarà stampata nello stesso carattere con cui è stampata la prima parte del manifesto. «La seconda poi formata dal sunto de’ giornali verrà stampata in carat- tere simile all’ultima parte del detto manifesto, onde possa racchiudere un maggiore numero d’articoli. 165 Prezzo di ciascun volume preso se- paratamente lire 2. 50. Coloro che sottoscriveranno per l’annata intiera , nell’ atto che loro . verrà rimesso il primo volume, pa- gheranno soltanto lire 12. Si concederà uno sconto congruo a coloro che sottoscriveranno per un de- terminato numero di copie. Viene proposto il cambio di questo con ogni altro giornale di medicina. *. Le sottoscrizioni si ricevono in To- rino alla Tipografia Fodratti , nella contrada dell’ Arcivescovado, numi 14, e presso i librai Pietro Marietti e Gaetano Balmino. RITRATTO delle LL. AA. II. RR. Avviso epistolare. Avendo ottenuto per la somma bon- tà e clemenza di S. A. I. e R. il no- stro amatissimo Sovrano LeopoLpo Il Ja permissione di pubblicare l’intaglio del suo Ritratto, non meno che quello del- lì» Augusta sua Consorte, mi fo un pre- gio d’ annunziarle, che tanto l’uno che 1’ altro sono stati disegnati dal celebre sig. EbuarDo HricHEns, essendosi de- gnate le LL. AA. II. e RR. di stare a modello. Verranno essi eseguiti il primo dal celeberrimo sig. Toschi di Parma, e il secondo dal sig. Costa di lui allievo, sotto la sua direzione. Ambedue tirati in metà di carta papale saranno rilasciati al prezzo di paoli 40. Le copie avanti lettere coste- ranno il doppio. La fama sì del Disegnatore che del- l’Imcisore fanno sperare un copioso nu- mero di commissioni a chi ha intanto l’ onore di dirsi Firenze , 27 Decembre 1831. Umiliss. Devotiss. Obbligatiss. Servo Luici BarpI. NB. I sigg. Committenti si po- tranno dirigere al sottoscritto Luivi Bardi, e, quanto saranno più solleciti, avranno le copie più fresche. La mo- dula per le commissioni trovasi nella pagina a tergo. Le prove dei sigg. Associati avranno un distintivo e loro sarà stampato un elenco dei respettivi nomi. L’ ARCHITETTURA antica de- scritta e dimostrata coi monumenti dall’ architetto Luigi Canina Distribuzione dell’opera. L’Architettura antica descritta e dimostrata coi monumenti, di cui quivi 166 solo si indica la distribuzione, lasciando agli amanti dell’ arte, degli antichi il conoscerne l’ interessamento da ciò che quest’opera risguarda, ed il modo come si eseguisce da ciò che si è già pubbli- cato , è divisa in tre Sezioni distinte. La prima di queste Sezioni è .rela- tiva all’arte dell’edificare degli Egiziani e degli altri antichi popoli., che nel costruire le loro fabbriche si avvicina- rono di più allo stile dell’architettura egiziana. Si principia in questa cdì- l’esaminar le opere innalzate nelle pri- me epoche cognite nella storia del- l’ Egitto, e si termina col considerare quelle edificate sino sotto il governo degli ultimi Tolomei. La seconda Sezione riguarda l’arte di costruire dei Greci, ed in questa, cominciando similmente dal considerare le opere innalzate nelle prime epoche cognite nella storia Greca, si giunge sino ad esaminare lo stile dell’ arte di costruire che tennero i Greci tutti, fino che non vennero intieramente sot- tomessi al potere romano, La terza Sezione poi contiene la maniera di costruire dei Romani; e si estende questa su tutte le opere che furono edificate in Roma e nelle re- gioni, che successivamente caddero sotto il dominio romano , nello spazio com- preso dalla fondazione di Roma al tra- slocamento della sede imperiale in Oriente avvenuto sotto Costantino ; dalla qual’ epoca ha principio la stgria dell’ arte compilata dal D’ Agincourt. Ognuna di queste descritte tre Se. zioni è suddivisa quindi in altre tre parti. Nella prima delle quali si esami- nano i monumenti in tutto ciò che ri- sguarda la storia dell’ arte ; nella se- conda la teorica considerata nelle di- verse specie di edifizi; e nella terza tutte quelle cose che sono relative ai monumenti in particolare , e che non si sono potute considerare senza recar confusione nelle due antecedenti parti, Mentre ognuna delle suddette Se- zioni , in tal modo ripartita, rende una distinta idea della storia e delle differenti maniere di costruire di cia- scun popolo in particolare, offrono in- sieme poi una intiera conoscenza dell’ architettura antica tanto per riguardo alla storia che alla teorica dell’arte. Condizioni dell’ associazione. L’ esecuzione di quest’ opera por- tando con se somma spesa, e volendo in certo modo far sì che l’acquisto sia più facile, si è stabilito di pubblicarla a fascicoli, e non più ad intieri volumi, come fu fatto per»l’Architeltura greca, che fu già pubblicata; perciò se ne pro- pone un'associazione a morma delle se- guenti con dizioni già esibite nel primo manifesto . L’opera tutta si stampa in foglio im- periale di buona carta e belli caratteri, e con tavole diligentemente incise \in rame rappresentanti i principali monu- menti che si hanno dagli antichi , î quali sono figurati nell’ intiero loro stato con piante , elevazioni diverse e parti prin- cipali in scala maggiore disegnate. Il prezzo è stabilito a bajocchi ro- mani 4 per il foglio di stampa di due pagine , e bajocchi 10 per ciascuna ta- vola semplice. I fascicoli, che si distri- buiranno agli associati, saranno compo- sti di circa dieci tavole con altrettanti fogli di stampa. La Sezione prima , riguardante l’ar- chitettura Egiziana , sperando di avere nuovi lumi dalle ultime scoperte per stabilire la giusta epoca; in cui furono innalzati tutti i gran monumenti del- l'Egitto, si pubblicherà in ultimo; e sarà questa contenuta in un volume composto di cento e dieci tayole con simil numero di fogli scritti ; e perciò si dividerà in undici fascicoli, : La Sezione seconda , ossia l’Archi- tettura greca , benchè intieramente pubblicata si distribuirà ai nuovi as- sociati in dieci dei suddetti fascicoli. La terza Sezione , che è relativa all’? arte dell’ edificare dei Romani, di di cui già n’ è stata pubblicata una parte , si comporrà di centocinquanta tavole, e con circa simil numero di fo- gli stampati; e perciò in quindici fa- scicoli verrà distribuita. Tutte insieme queste tre Sezioni poi formeranno tre volumi distribuiti in trentasei fascicoli. i Quelli, i quali vorranno ascriversi a questa associazione , sono pregati di dare cognizione del loro domicilio e no- me , affinchè vengano a loro diretta- mente trasmessi i fascicoli, e si bossano essi registrare nella lista che si pubbli- cherà. Le sottoscrizioni si ricevono in Ro- ma da B. Scalabrini, e nelle altre città dai principali libra]. E pubblicato il 2.° fascicolo al prez- zo di 4. 60. BIBILOTECA PORTATILE DEL VIAGGIATORE. Firenze , 1832, Pie- tro Borghi e Compagni. tr Vee i Manifesto. = Adempiendo religio- samente alle nostre promesse, ci fac- ciamo un dovere di prevenire quanti ne onorano delle loro commissioni , d’a- ver già posto sotto i torchi la coLLE- ZIONE DE’NOVELLIERI ITALIANI, la quale formerà il quinto Volume della Biblio- teca del Viaggiatore. Questa Collezione sarà modellata , presso a poco , sull’accreditatissima del Poggiali; avrà i soliti Ritratti, le so- lite Vignette, in una parola , i pregi tutti di. tipografia che adornano i Vo- lumi della Biblioteca stampati finora. Il Saggio:annesso ne darà possibilmente 1’ idea. Incomincerà 1’ edizione da tutte le Novelle del Bandello, che saranno com- prese in undici fascicoli , ciascuno, per lo meno , di sette fogli di stampa. I fascicoli dei Novellieri saranno alternati nella distribuzione coi fascicoli delle OPERE COMPLETE DEL MFTASTASIO, le quali compongono il quarto Volume della Biblioteca. Ogni mese saran fatte tre distribuzioni almeno. Il prezzo già noto di ciascuna è di Lire 2. 6. 8. di nostra moneta ( franchi 2 ). Ci asterremo noi dalle vane parole, che sono proprie del ciarlatanismo , là dove parlano i fatti. Questi fan fede , osiamo sperarlo , e della nostra coscien- ziosa precisione nell’ adempire alle as- sunte obbligazioni , e dell’ ottima riu- scita delle nostre imprese. Firenze, 10 Gennaio 1832 Pierro BorcH1i E Comp. LE ANTICHE Inscrizioni Perugi- ne , raccolte , commentate , e pubbli- cate da Gio. Barisra VERMIGLIOLI, edizione seconda , corretta, ed ac- cresciuta di oltre a corx Monumenti Etruschi ed inediti per la. maggior parte. Annunzio. = Da che lo studio delle antiche lingue d’ Italia, e degli etru- schi monumenti , erasi con felice suc- cesso divulgato per tutta la colta Eu- ropa , arhpia testimonianza ne’ paesi stranieri all’Italia rendendone le recen- tissime opere di Muller, Niebuhr, Greu- zer, Guigniaut, Dorow , Steimbuchel, Raoul-Rochette, e di altri, le Yscrizioni Perugine già pubblicate in due volumi in 4.° negli anni 1804-1805 venivano anche di là da’ monti sollecitamente , ed avidamente ricercate; ma io stesso, mio malgrado, doveva rifiutarmi ad ogni dimanda, poichè n° era d’ ogni esem- plare sfornito. Nè ciò poteva essere di manco , imperciocchè dopo la rinoma- | 167 tissima opera dell’ Ab. Lanzi, niun libro fino ad ora erasi visto ; che am- pio tesoro di Etrusca Paleografia con- tenesse , quanto l’opera delle Perugine Iscrizioni. Voglio anzi aggiugnere, che mentre il Lanzi, ragunando per l’opera sua monumenti da tutta ]’ Etruria no- stra , dagli esteri Musei, da opere stampate e manoscritte, non pubblicò che 560 iscrizioni etrusche all’ incirca : questa nuova edizione , d’ una sola città ne cuntiene oltre a 460; ed oltre a 200 o inedite , o dal medesimo Autore pub- blieate in diversi dettagli, » così l’opera intiera unitamente ‘alle Iscrizioni Ro- mane aumentate anche esse , novererà i oltre a 850 monumenti scritti. Tesori così preziosi del perduto linguaggio d’un gran popolo, gia divenuto un giorno di tutta l’Italia padrone, e signore, onde i suoi Monumenti hanno sempre relazione con i più grandi oggetti della storia , per sè medesimi raccomandan- dosi , non hanno bisogno per avventura che da me venga implorato a prò di essi il favore e la generosità dei dotti d’ Italia e della Patria in modo spe- ciale ; e particolarmente in un tempo, in cui gli stranieri vorrebbero in que- sti importantissimi studii contrastarci la palma. L° edizione verrà eseguita in 4.° grande con i caratteri del Programma, con le tavole occorrenti, e con carat- teri nuovi Etruschi. Se ne incomincierà la stampa tostochè sarà raccolto un suf- ficiente numero di firme. L’opera si pubblicherà in due parti, ed in due sole distribuzioni si dispenserà agli As- sociati , che pagheranno per ciascun fo- glio di stampa baiocchi 4 e mezzo pari a centesimi 25 di franco, e per cia- scuna tavola baiocchi 5 e mezzo pari a centesimi 30. Le associazioni si riceveranno in Perugia dall’ Editore in via del Corso N. i1o. e da’ principali librai d’Italia. Perugia 11 INovembre 1831. VinceNnzio BARTELLI Tipografo-Editore MANZONI Opere scelte : Volume unico con ritratto e vignetta. Firenze 1831. Dao. Passigli e Socj, fascic. I.° SERVO A TUTTI, ossia il Mas- saio del Curato di campagna, Alma- nacco per l’ anno 1832. Milano, G. Silvestri. DELLA COLERA contagiosa ; quali uomini ne siano eminentemente 108 suscettivi?. come possano in sè mino- rare 0 annientare queste suscettività ? Milano 1831. G. Silvestri. Opuscolo pubblicato il 7, Novembre 1831. Prezzo lire 1. } \ ISTORIA del Concilio di Trento scritta dal Cardinal Srorza Parra- VICINI, separata. nuovamente. dalle parti contenziose, e ridotta a più bre- ve forma. Milano 1831. G. Silvestri, Volume IV.° prezzo lire 2. OPERE di Raim, MontEcuccoLI corrette , accresciute ed allustrate ida Giuseppe Grassi i seconda edizione; colle notizie della vita e delle | opere [ dello stesso illustratore. Milano 1831. G. Siloestri. Tom. II. e III. prezzo lire 6. it. :MEMORIE © spettanti alla Storia della Calcografia; del commend. conte LeopoLno |! Cicocnara. Prato 1831. Fratelli Giachetti in :8,° di p. 1269 ed un'atlante in fog.® di 28 tavole in rame. | VECCHIO. e nuovo Testamento secondo la volgata; tradotta in lingua italiana, e con: annotazioni dichiarata da Monsignore Anronio Martini Ar- civ. di Firenze. Prato 1831. F. Gia- chetti; con tavole! Tom. XXI..e XXII. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205, | NOVEMBRE 1831. DI Termom. 5 Hg p S E 8) 0 i 8 . Ora 8 3 pal Bosa E E Stato del cielo © S a I i = AA ch > lu [el E; SIRO 7 ° ] | 7 mat. |28. 4,3 R%) 75,3 90 :iSciroe. |Sereno Ventic. 1| mezzog. |28. 4,3 | x1,2| 19,1] 68 ‘Os. Sc. ' Sereno Ventic. rrsera |28. 4,2 | 11,3] 8,1! 73 Sciroc. Sereno Ventic. 7 mat. |28. 4.1 | 10,7] 5,3] 38 Sciroc, |Sereno calig. Ventic. mezzog. |28. 3,9 | 10,3] 9,5] 70 Sciroc. |Sereno Calma ri sera |28. 3,3 | 10,6| 9,2] 78 Sciroc. | Nuvolo Ventic, 7 mat. |28. 2,3 97 84 96 0,04 |Libec. |Piovigginoso Ventic. mezzog. |28. 1,6 | 10,9 10,0] 95 [0,18 |Sc. Le. \Riogna Ventic. 11 sera |28. 0,3 | 10,7: 11,9] 93 [0,07 |Os. Sc. ! Nuvolo Ventic, | 7 mat. |27. 10,4 | 11}1| 312,0] 72 Seiroc. | Nuvolo gr. Ventic. mezzog. |27. 9,0 | 11,9] 13,3] 81 Libec. | Nuvolo Ven. F. 11 sera |27. 11,0 | 11,4] 7,3] 72 [0,07 ISc. Le. | Sereno Ventic. ” mat. |28. 0,0 | 10,5} 6,1] 68 Sciroc. {Sereno Ventic. mezzog. |{28. 0,3 | 10,31 91| 49 Os. Sc. |Ser. calig, Calma rt sera |27. 11,9 | 10,1 7,| 82 Levaut. |Nuvolo > Vertic, 7 mat. {27. 11,0 | 9,9] 7,2] 99 Gr. Le. | Nuvolo Ventie. mezzog. |27. 11,0 9,9| 9,2| 59 Le. Sc. | Nuvolo Calma _| 11 sera |27. 11,6 | 9,8] 9,0 95 Libec, | Nuvolo Calma 7 mat. |28. 0,2 | 10,0! 9,0] 95 lo,10 |P. Lib. ;Piovigginoso Calma mezzog. 128. 0,5 | 10,0] 11,0 95 !0,03 [Sc. Le. |Piovigginoso Calma ri sera |28. 1,0 | ! 10,3! 11,0] 9d | Sciroc. \Nuvolo Calma Lernovin. >} pena E So i 3 Ora È = Dì S 35 © A o = lasa 3 n; aa mt S| 53 = Ò o o © | | 7 mat. |25. 1,0 | 10,5) 12,0) 94 i mezzog.|28. 1,1 | 10,9] 13,3] 92 _l at sera 128, ema 11,4| 12,1) 93 7 mat. [28. 1,9 19 | t0,d| #2,9| 04 9! mezzog.;28. 1,9 | 12,0] 15,0] 83 Di serà 28. 2,7 | 12,a| 12,0| 94 7 mat. in 2,0 |.12;1)%,1052 404 ‘o mezzog.|28. 3,1 | 12,3 14,1! 490 i ua sera |28. 3,3 12,3 11,8 92 cene — ZI ‘ 7mat. 138. 3,60 12,2 Î 99 93 rr mezzog.;28. 2,5 | 12,3 12,3 90 11 sera |28. 20 | 12,4, 18,0 88 i 7mat. (28. 2,1 | 11,4| 90 o] 88 (2| mezzog.|26. 2,1 | 11,8| 11,8, 64 | rr sera |28. 2,: LÒ, 8,3. go 7 mat. 128. 2,t | 10,8 6,3 9 13 mezzog. |28. 2,0 10,6 9,31 78 11 sera |28. 0,6 | 10,5] 10,0] 82 7 mat. |27. 110 | 10,3] 10,0] 90 14 mezzog. 27. 10,6 | 10,6| 11,6! 9 BT sera (27. 10,6 | 10,8 _99 92 | 7 mat. er: 9,9 | 10,6 9,2! 90 | mezzog.|27. 9,6 | 10,3/ 11, 5| 71 II sera |27. 9,9 | 10,9] 10,0] 84 |/7 mat. 127. 9,1 | ro,ki 9,9] 92 16: mezzog. 127. 5,7,| 10,8) at,g| 78 | II sera 7: 8,0 | 10,5 1:,8|] 75 |7 mat. |27. 97 | 10,5] 8,0] 72 17; mezzog. 27. ro, 19,9} 10,8] 50 | II sera 127. I1,0 tan] 8,9] 79 |7 mat. |27. 11.4 | 10,30 734] 82 18] mezzog.{27. 10,6 | 10,2| 10,1| 78 rr sera (27.,10,6 | 10,0] 9,2! 80 7-.mat. 27. ItT,0 | 9,5) .6,2! 94 19) mezzog. 28. 0,0 | ui 8.9 80 rr sera 28. 0,7 9.4! 6,0 8a Scirorco Nuv. neb. Calma Calma Calma Ventic. Calina Calma Calma Ventic. Calma Calma, Ventie. Ventic, Ventic. Ventic. Ventio. Ventic. Ventic. Calma Ventic, Calma Ventic. Ventic. Vento Vento Ventic. 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Li Nuvolo Calma »5 mezzog. |25. 1,3 | 10,8. 15,11 85 |Sc. Le Nov. neb. Calma 11 sera (25. 1,3 | 10,7. 10,7. 99 ‘Os, Sc. Nuvolo Calma j 7 mat. |28. 1,9 | 10,5, 10,0, 93 | Os. Se. |Nuvolo Calma 26 mezzog. |28. 0,2 | 10,8. 12,1 75 Ostro |Nuvolo Vantic. li sera (27. 11,9 | 10,7 10,4 90 Sc. Le. Nuvolo Ventic. “| mat. |27. 11,0 | t0,a] 8,3) 95 Os. Sc- i Nuvolo Calma / ) i | lin: {27 mezzog. |27. 100 | 10,2| 10,4 90 | Os. Sc. (Murata Calma rtsera |27. 9;6 9,9” 19,3, 07 Gr. Tr. 'Nuvolo ser. Vento 7 mat. |27. 10,7 8,7) 5,0] 55 Tram. !Sereno Vento J28 mezzog. |27. 10,7 8,2 5,5) 52 Tram. |S. c. nuv. rot. Vento rI sera |27. 11,1 _6,8 99) 59 Tram. Sereno Vento 8: 7 mat. |27. 11,6 Bi5} 40473 ‘Tram. |Nuvolo nev. Ven. F. Hina Mezzog. |25. 0,3 5,5 2,8; 66 Tram. |Nuvolo nev. Vento > 1 sera |28. 1,2 4,5] 1,6 7: Tram. |Nuvolo ser. Ven. F. 7 mat. |28. 0,7 3,51 2,0} 71 Tr. M. |Sereno nuv. Ven. F. | 30|mezzog. |28. 0,3 3,0 4,0 72 Tram. Ser. ec. nuv. Ven. F. 1; sera |27. 11,0 3,9 ,0i 56 Tram. Nuvolo Ven. 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Edvige de Battisti, di Giambattista Baz- zoni, di Pietro Molossi, di Giuseppe Sacchi ; d’Achille Mauri, di Sa- muele Biava, di Giuseppe Vallardi , di Carlo Varese, di G. Pozzoni, di Michele Sartorio , di A. Corbellini , e d’altri stimabili ingegni i cui nomi ora più non rammento. In una serenata di C. Cantù, intitolata /a viola del pensiere , leg- giamo : Oh l’ afflitta! e i crudi affanni Disfioraro i suoi verd’ anni. Tra le memori preghiere Che morendo singhiozzò La viola del pensiere Sul suo feretro pregò. Le compagne in bruna veste Di quel*fior le trecce inteste , Della pace nel soggiorno La composero a giacer , E piantaro tutt’ intorno Le viole del pensier. Il bravo e la dama, novella di G. B. Bazzoni, racconta come una no- bil donna del secento , scoprendo che un bravo amoreggiato da lei era figlio, senza saperlo, d’un ricco signore aderente suo, lo fece ammaz- zare. Sentiamo il colloquio di questi bravi alla taverna dell’ Olmo. 23 ,» E a chi cantasti, disse l’uno : Forse alla Leonora la fiorenti- na , che vende le polveri e l’acqua nanfa alla crocetta di San Cali- mero? & Corpo d’un sagro! esclamò un’ altro stringendo le carte in ‘pugno e percotendo con una forte palmata il tavolo: alla fiorentina ci parlo io... Vorrei sapere chi vi pretende ! Vedete quest’ orletto cremisi del giustacore? Me lo ha fatto lei, lei con quelle sue ma- nine benedette che spargono profumi. E se qualcuno ci volesse haz- zicare, sangue di... = Che bestemmi tu? (gridò un terzo) Tienti pure la tua profumata fiorentina ; chè mi saprai dire che capo è quando conterai le berlinghe. Sì eh ? Non mi ricordo io quando abi- tava dietro le carceri della torretta colla Lena e colla Stella losca, ed avevano corteggio di tre moschettieri spagnuoli ? Fu uno di que- gli ammazzapidocchi che, spendendole dietro l’ultimo suo quartillo , la mise in voga. Milo non è ragazzo da perdersi in quella fogna: dimmi, Biondo, non è la verità? Scommetterei che tu cantasti piut- tosto la Luna piena, oppur Diana in camiciuola bianca — Sì in fede mia hai colpito giusto. Ho cantato alla luna; e vedi stravaganza! mi pareva che la luna cantasse a me. — Ho capito: sei brillo ,,. La romanza di E. G. Collin tradotta dalla sig. de Battisti ha per soggetto una tradizione religiosamente poetica. “. Negli anni della sua 23 DI giovinezza essendo Massimiliano I recatosi alla ‘caccia nel monte detto ‘per la sua ripidezza la Martin-Swad o sia la parete di Mar- tino , il quale sorge quasi a perpendicolo lungo la strada' fra Insbruck ed Augusta nel Tirolo, si lasciò siffattamente traviare per quelle sco- scese balze dal suo coraggio e dalla forza nell’ inseguire nna camozza, che, più non trovando sentiero pel quale discendere , già davasi come perduto , attendendo di morire fra quei dirupi inaccessibili di stento e di fame. Il popolo accorso a” piedi della rupe, e dolente di non poter prestare alcuno umano soccorso , fece venire dal vicino villag- gio di Zirl un sacerdote acciocché gl’impartisse l’ultima assoluzione e lo benedicesse dalla valle coll’ eucaristico sacramento. Ma non ap- pena ebbe il ministro compiuto il santo ufficio;, che apparso improv- visamente sull’ altissimo scoglio un leggiadro giovinetto , per una ignota strada aperta nel seno della rupe ricondusse | imperatore nella 3 :; valle in mezzo alle sue genti, ed inosservato disparve ; sicchè fu 3; creduto un angelo ,,. Sopra questa leggenda ha fondata la sua narra- zione il poeta. Giù pel dirupo il guardo suo si perde Nel buio delle nubi. In alto sorge Il lor mare ondeggiante ec. Dove di sasso in sasso Saltella il caprio e 1° aquila s’ annida , Dove indistinte sorgono dal basso De’ mortali le grida , E sotto i piè mugge sdegnoso il tuono , Qui sopr’ aereo trono Non dal potere alzato Ma dall’ avverso fato, L° imperadore invitto Debole si conosce e derelitto. Stava nella silvestre Valle un pastor. A caso il ciglio innalza , E vede cosa sulla rupe alpestre Ghe s’ agita , si china e si rialza. « Umane forme , non m’inganno, io scerno s» Colà bandite dal poter d’ Averno ,, Grida, e il prodigio addita ec. Dal ricordo d’un passeggio , breve descrizione del sig. Scrissio , co- gliamo, quasi fiore, il seguente periodo diretto a mna fonte del S. Ber- nardo : “ O fonte beata! A te vengono , ispiratrice eccelsa del pate- 3» tico , elegianti e tragedianti d’ ogni parte, col più aspro dei dolori, 35 quello solitamente di non avere, o di aver perduti i mecenati. ,, Un sermone d’ anonimo sarebbe pur bello se tutte le terzine somi- gliassero a queste. Ambe fùr prese d° amorosa ebbrezza : Lesbia all’ amante , ancor che vinta, nega; Agnese , ancor che vinta, lo disprezza. Così vizio dell’ animo si lega Con naturale impulso : e più siam rei Se noi vil brama, non affetto , piega. ec. Due mila baie al dì Filanzio conta, E a poco a poco a sè stesso le crede ec. E per trovare un uom d’ amor capace Di tre garzoni si formò un amante La prima fazione ‘militare, frammento di G. Battaglia; richiama alla mente una scena simile del sig. Merimée: ‘ Improvvisamente! il no- ») stro brigadiere fermò il cavallo; e noi pure dietro a lui ci arrestam- 3) mo. Profondissima era l'oscurità del luogo in guisa che appena po- 3) tevamo vedere alla distanza dell’ uno all’altro. — La gamba dél mio ;, cavallo ha picchiato in un inciampo , prese a dire a bassa voce il 3) nostro veterano Quà c° è stato di certo qualche guaio. Carne bianca, ,; carne bianca senza ‘dubbio. Balzato di sella a terra , prese ad accen- 14 4 3» dere una piccola lanterna cieca. Gettato lo sguardo verso la porzio- ; ne di terreno su cui il brigadiere si fece a dirigerne il lume , non »» senza un involontario brivido vidi disteso attraverso alla fora il ca- »» davere di un fuciliere francese. Da quella trista notte io fui spet- »» tatore di scene di stragi, orribili quanto sì può dire : ma non mai s» m'è avvenuto di provare il senso profondo di terrore che cagionò in »» me la vista improvvisa e impensata di quel solo estinto, dimenticato » in un luogo deserto e lontano dagli strepiti e dai spaventi del fu- »» rore militare. Io mì rimasi immoto cogli occhi affissati sul volto di s» quel misero , coperto di pallore e atteggiato ad una fierezza non ») ispenta dal gelo stesso della morte. Stavagli presso ai piedi il fucile; », e dalla sua giacitura composta e quieta, facile riusciva il giudicare 3; com’ ei non fosse stato colpito in quel luogo dalla palla che gli aveva », trapassato il cuore, ma solo fosse ivi venuto ad adagiarsi boccone 3) onde in pace mandare l’ultimo respiro. + Povero ragazzo! Si fè a dire 3; crollando il capo il brigadiere ; e preso il cadavere pei piedi, trasci- 3» natolo dall’un de’lati, ond’avere libero il passo . . . ,; Negli sposi felici, imitazione di Goethe è una stanza che fa ripen- sare a una bella terzina di Dante: Colà dall’ alto masso Per doccia angusta il fiume Precipitando abbasso Fra le stridenti spume Con impeto percote E fa volar le ruote. La morte di Beatrice Cenci, narrazione di Giuseppe Sacchi , è de’più lodevoli scritti di questa raccolta. ‘° Misero vecchio! Una profonda pun- », tura ti avea forato il cranio : forse la tremenda caduta dall’ alto > t’ avea pesta ed ammaccata la persona : del tuo sangue era arrossato , e I’ albero ed il terreno: i tuoi occhi addolorati s’ erano chiusi per ,, sempre. Quella torma di contadini, che ti prestava gli ultimi soccorsi ,3 della carità, voleati morto per violenza ; essa ravvisava nell’ esterior ss forma della tua ferita gli angoli arrugginiti di un acuto stocco; ne’ li- neamenti contorti del tuo spento aspetto leggeva i patimenti d’ una breve ma cruda agonia; nelle tue mani lacerate scorgeva gli estremi strazi di chi ha difeso improvvisamente la vita. Non così le due donne che ti piangevano. Esse dicevanti fatalmente caduto per un capogiro dal terrazzo sotto cui abbandonato giacevi; e quelle livide scalfitture, le volevano prodotte dal tuo agitarsi per entro i rami del pruno: e quella tua piaga profonda , la attribuivano all’aguzza punta di un ,s ramo infittosi entro la testa. Elleno, forse elleno sole, credevano o ,s volevano far credere che la tua morte fosse avvenuta per tristo ef- , fetto del caso: ma i lini insanguinati che ti avvolgevano mentre ,; tranquillamente dormivi, ma le fresche pedate impresse su parte del + còlto che adduceva alla porticella della torre; ma le grida di smania 5 senz’ ansia di dolore ,, ma le lagrime a stento svolte entro torbide 5 > pupille; ma il parlar mozzicato e senza senso delle donne che si 3: sconsolavano, inducevano al tremendo sospetto d’ un meditato assas- ») sinio e di complici domestici. “ Questo tragico caso sbigcttiva dugentotrentadue anni fa i poveri s» parrocchiani della Rocca, terricciuola posta sull’ Appennino fra Ro- ma e Napoli. In esso spegnevasi la vita di uno de’ più licenziosi si- >» gnori di Roma , la vita di Francesco Cenci... “ Non passava gran tempo, e quella quiete grave, solenne, inde- », finibile, che ovunque spaziava, era rotta da un improvviso stropiccio 33 di pedate, e da un sordo e confuso bisbiglio di voci che mugghia- 3) vano ripercosse come onde dalle due pareti del tempio: esse annun- 3; ziavano il muoversi subitaneo di più persone qua e là tra le pan- ; che disposte nella maggiore navata: vedevasi un agitarsi di scuri vi- :> luppi simili a larve d’ uomini, uno sporgere di aguzzi cappucci, un aggrupparsi di esseri per così dir nebnlosi , un tacito difilarsi a due 3» a due verso la porta d’ uscita a modo di processione mortuaria ; e »» poi s’ udiva il chioccio grido d’ un vecchio esclamare: avanti, avanti »» la croce!; è la croce a stendardo, impugnata da uno dei due confra- »» telli posti innanzi alla porta , ritta s’° alzava, e via n’ andava lungo »» la facciata del tempio segnando su quella un’ ombra incerta e fug- >» gitiva. Mentre usciva quella funerea schiera, un raggio di luce rossa 3» come lampo si rifrangeva sulle candide mura esteriori della casa del »» Signore , e vi diffondeva un colore di fiamma viva , che pareva il ri- ») flesso di un incendio. Il sole spuntava allora dal colle dirimpetto , », con quel chiarore avvampato che rattrista , che sbigottisce , e che »» sembra esclusivo al ciel di Roma e dell’Asia. Quella luce improvvisa , », malaugurata, pareva abbarbagliare lo sguardo dei compagni della Mise- 3) ricordia; e chi si faceva velo al viso con una mano , e chi abbassava. + più sul ciglio il cappuccio, e chi crollava la testa come quegli che ha” », un voto affannoso da svolgere , e legge in cielo un rifiuto... ;, S’'io potessi trascrivere altre parti ancora di questo racconto do- ve la verità è interpretata ma non travisata , se potessi citare alcune tra le strofe de’ sigg. Mauri, Baroni, Biava, Pozzoni, alcuni pe- riodi de’ sigg. Corbellini, Vallardi, Sartorio, aggiungerei nuove rac- comandazioni in favore di questo ameno libretto; che non è solamente opportuno per l’anno nuovo ma può in ogni tempo esser gradito pre- sente. Desideriamo ch’ ogni nuov’ anno da simili raccolte sia festeggia- to tra noi; desideriamo che a’ versi non ottimi prevalgano le buone prose scritte con più diligente e meno ricercato stile che taluna di quelle che abbiam quì sott’occhio:; desideriamo che le scene di tristezza, d’odio, di delitto , troppo dai giovani autori predilette anco in Italia, cedano il luogo a quelle immagini consolanti di virtù e d’ innocenza che ci rallegrano nelle pitture domestiche e nelle traduzioni di Burns. Del sig. A. C. frattanto sarà il merito d’ avere offerto per primo agl’ italiani editori ed autori un imitabile esempio. K. X. Y. Le guerre Catilinaria e Giugurtina , scritte da C. Criseo SaLLusrio e volgarizzate da Micuxre Lron1. Parma, Tip. Carmignani 1831 p. 301. E d’ uno scritto inedito pr Bruwxerto Larinr. Il paragone è sovente il miglior de’ giudizi; ed è il men sospetto quando ciascuno può farlo da sè. La novella traduzione che di Sallustio ci porge l’ ingegnoso e fecondissimo traduttore di Parma, può a questo modo essere giudicata dagl’intendenti; e noi frattanto, che qui non pos- siamo presentarne se non se un piccolissimo saggio, lo accompagneremo piuttosto che con le nostre osservazioni, con le corrispondenti tradu- zioni dei più reputati che lo precedettero nell’arduo lavoro. Il piccol saggio sarà tolto da quella orazione di Cesare a favore di Lentulo e degli altri congiurati, orazione che da qualunque fine secreto ispirata fosse, non manca di grandi ed utili verità , sempre opportune, massimamente a’ procellosi tempi ne’ quali viviamo. Sallustio. Omnes homines, Patres conscripti, qui de rebus dubiis consultant, ab odio, amicitià , irà atque misericordia vacuos esse decet. Haud facile ani- mus verum providet ubi illa officiant ; neque quisquam omnium libidini si- mul et usui paruit . .. Bello macedonico quod cum rege Perse gessimus, Rhodiorum civitas magna atque magnifica , quae populi romani opibus cre- verat , infida atque adversa nobis fuit : sed postquam , bello confecto , de Rhodiis consultum est , majores nostri , ne quis divitiarum magis quam in- juriae caussà bellum inceptum diceret , impunitos eos dimisere. .... Hoc item vobis providendum est , Patres conscripti, ne plur valeat apud vos P. Lentuli et ceterorum scelus quam vestra dignitas , neu magis irae vestrae quam famae consulatis. ; Di Brunetto Latini (inedito). “ Tutti coloro, Padri coscritti, che vogliono dirittamente consi- gliare delle cose dubbiose, debbono essere rimoti da ira, da odio, e da amicizia e pietà, perocchè queste quattro cose possono all’ uomo fare lasciare la via del diritto giudicio. Senno non vale alcuna cosa quando 1’ uomo vuole del tutto adempiere la sua volontà ... La città di Rodi fu contro noi nella battaglia che noi avemmo con Perse di Macedonia. Quando fu vinta , il senato ed i consoli giudicarono che la città di Ro- di non fosse disfatta nè distrutta , per cagione che altre ( 0 4/trî) non dicessero che ella fusse disfatta più per cagione di torre le loro ric- chezze che per cagione della loro colpa . .. Questo esempio dobbiamo noi prendere , Padri eoscritti, che la malvagità e il fatto di coloro che 7 sone presi non sopperigli (1) la nostra dignità e la nostra dolcezza. Più dobbiamo noi guardare al nostro buon nome clie al nostro buono cerue- cio. ,) Laurenziana B. XLIII. cod. 26. Altra d° antico , inedita. “ Signori Padri coseritti , tutti coloro (2) che vogliono consiglio donare delle cose dottose, non debbono guardare paura nè odio nè amicizia nè pietà ; chè queste quattro cose possono fare lasciare la via di diritto giudicamento (3). Senno non vale niente dove l’uomo vuole del tutto servire sua volontà. La città di Rodi si tenne contra noi in battaglia: quando la battaglia fu finita, il senato e’ consoli giudicarono che quelli di Rodi non fosono distrutti, acciocchè nessuno non dicesse che conventigia (4) di loro avere loro facesse cioe fare più che la ca- gione di loro torto . . . Questo medesimo dobbiamo noi provvedere , si- gnori Padri coscritti, che la fellonia e il falsato (5) di quelli che sono presi non sormonti la nostra dignità. Più dobbiamo riguardare nostra buona rinomanza che nostro cruccio. B. XLIV. cod. 28. Di F. Bartolomeo. ‘ Signori Padri coscritti , cioè senatori, tutti gli uomini li quali delle cose dubbiose hanno a consigliare, conviene esser liberi da odio e da amistà, da ira e da misericordia; chè malagevolmente 1’ animo puote provvedere il vero quando quelle cose lo impediscono : nè niuno uomo .che troppo si lasciò portare alla volontà, obbedì bene alla ra- gione... . La città degli Rodii grande e magnifica, la quale era accre- sciuta per lo favore e per l’aiuto del popolo di Roma; fu infedele e contraria a noi. Poichè, finita la guerra, fu, avuto consiglio degli Ro- dii, i nostri maggiori, acciocchè altri non dicesse che la guerra fosse per cagione di ricchezze cominciata , maggiormente che per la ingiuria ricevuta, sì gli lasciarono senza punizione alcuna... Questo medesi- mo avete voi a provvedere o Padri coscritti, acciocchè presso voi non possa più la viltà di P. Lentulo e degli altri, che la vostra medesima dignità ; e acciocchè alla vostra ira non più provvediate che alla vostra medesima fama. ,, (1) Temo di legger male. Il senso. é: ponga a pericolo. (2) Il cod. porta un evidente errore. « Signori padri ; scritto è che ;. .,, (3) Così leggo nel Rice. 1538, il qual riscontra con questo piuttosto che col primo: codice. (4) Franc. convoitise. Il Villani: concoitoso. Il nostro codice forse è errato. (5) E forse errore, I Dell’ Alfieri. ‘ A chi dee le incerte cose giudicare, conviensi o Padri coscritti, non meno d'amore e di pietà scevro essere che d’ odio e di sdegno. Facil cosa non è, ostando tali passioni , il discernere il vero : nè al- cuno mai ad un tempo stesso serviva alle sue voglie ed al retto. Nella guerra macedonica contro Perseo, Rodi città grande e magnifica, e pe romani aiuti cresciuta in potenza, fu nondimeno ai Romani infe- dele e nemica. Finita la guerra, sopra i Rodiani deliberavasi : ma i nostri maggiori li lasciavano impuniti , temendo che il far loro guerra maggiormente non sì ascrivesse a voglia di predarli che di punirli ... Oggi pure o Padri coscritti a voi spetta il far sì che appo voi le scel- leratezze di Lentulo e de’ suoi al vostro decoro non prevalgano , nè alla fama vostra lo sdegno. ,; Del sig. Leoni. ‘ Qualunque o Padri coscritti considera cose dubbie, d’odio, d’ami- cizia, d’ira, di misericordia vuol esser libero. Ove ciò si frammetta, a gran pena scerne l’ animo il vero: ned uomo ubbidì mai al talento e insieme al dovere ... Nella guerra macedonica da noi combattuta contra Perseo, la città di Rodi, grande e magnifica e già venuta in fiore per l’aiuto del popolo romano, ne divenne mal fida e contraria. Ma quando, condotta la guerra in termine, si diliberò intorno i Rodia- ni, gli avi nostri , acciocchè niuno dicesse prender noi l’ arme più per cagione delle ricchezze che dell’ oltraggio , li lasciarono impuniti . .. Per egual forma o Padri coscritti è da provvedere che appo voi la colpa di Lentulo e degli altri non prevalga alla dignità , nè il risentimento alla fama. Lascio il Carani , il Corsini, } Ortica, ed altri che non ho mai ve- dutì. Ma confrontando le cinque traduzioni sopra recate , ogni uomo di gusto vedrà quel che manca a’ predecessori del sig. Leoni, e in quali pregi a lui fosse , per la ragione diversa de’ tempi, difficile il superare taluno di quelli. Ora noi che per tante prove conosciamo la perizia di lui in co- siffatti lavori, e la forza dell’ingegno suo, lo preghiamo che lasciando gli autori già tante volte tentati, e’si rivolga a que’ molti che si possono ancora stimar quasi intatti, e co’ quali lottare è più facile o più glorioso. I frammenti de’ poeti anteriori a Lucrezio, le com- medie di Plauto, i divini commentarii di Cesare, le opere tutte di Cicerone , i Fasti e i Tristi d’ Ovidio, alcuni tratti scelti di Ca- tone, di Varrone, di Nemesiano, di Plinio, di Manilio, di &razio, di Fedro , di Columella , di Seneca il tragico , di Stazio , di Silio, di Petronio, di Marziale, di Valerio Flacco, di Avieno , di Claudiano; e Vellejo Patercolo e Seneca il filosofo , e Giovenale e Quintiliano e 9 Tloro e Svetonio e Valerio Massimo e Giustino e Gellio e Apulejo, e gli altri biografi delle basse età, e sopra tutti i primi difensori del cristianesimo ; ecco (senza parlare de’Greci) ecco a’traduttori valenti immensa messe di lodi da raccogliere; ecco imprese ben degne delle cure instancabili del sig. Michele Leoni. Ho citata più sopra una traduzione inedita di Brunetto Latini. Non già dell’intera storia di Sallustio ma d’ alcune orazioni; alle quali Bru- netto pone innanzi un breve argomento , come fece alle orazioni di Tullio stampate già. Quel secondo traduttore inedito, ch’è alla Lauren- ziana, ancl’esso non fece che rimpastare il lavoro di Brunetto, com’era uso d' allora ; talchè non può dirsi un nuovo volgarizzamento cotesto : ma tanta nondimeno è la varietà che non può nemmeno stimarsi tut- t° uno. In un codice della Riccardiana (6), che porta il detto compendio di Brunetto, ma senza il suo nome , trovo inserita la intera traduzione della prima Catilinaria di Tullio, come fece l’Ortica quattro secoli poi. (7) Non so s’ io debba attribuire questo lavoro al Latini che già senza dubbio tradusse altre tre delle orazioni di Cicerone , per Liga- rio, per Dejotaro e per Marcello. Io sospettavo in sul primo che que- sta catilinaria fosse lavoro del frate da S. Concordio , vedendola in un codice della Laurenziana (8) tener dietro al Sallustio del frate , copiata dalla medesima mano, e senz’ altro titolo che il seguente. ‘‘ Questa è la diceria che fece Tullio contro Catellina. ,, Anche lo stile di questa catilinaria mi pareva più frauco e più limpido che nelle tre di Brunetto non sia: ma ciò forse potè provenire dall’essere l’orazione fulminata contro un nemico, più chiara di stile e più calda che quelle tre dette innanzi al proprio vincitore che Tullio aborriva nell’anima , e che, per non lo irritare più dannosamente , piaggiava. Checchè sia dell’ autore del volgarizzamento, rechiamone un picciol saggio. ‘ Quando finalmente ti rimarrai tu, Catellina , d’ usare in mala >> guisa la nostra pacifica sofferenza? Quanto lungamente cotesto tuo 3» furore farà scherne di noi? A che fine si condurrà il tuo sfrenato 3, ardimento ? ... Pensi tu che sia alcuno di noi che non sappia ciò 3 Che tu facesti ieri notte e l’altra ? Ove tu fosti e con cui ti ragu- 3; nasti e che consiglio prendesti P. . . Ohi che tempi, ohi che costumi »» son questi ! Chè il senato intende queste cose , vedele il console , >) @ questi vive ! Anzi viene nel senato e sta ne’ consigli del comune, ») e appunta e disegna con gli occhi ciascuno di noi per uccidere. E noi :) semo sì sofferenti che ne pare assai fare per lo comune se noi pur >) schifiamo le lance e il furor di costui. ,, E finisce. ‘ Or te n° andrai , Catellina , per tutte queste ragioni 3, alla fellonesca ed empia battaglia , con somma salute del comune (6) 1538. (7) Stamp. nel 1545. Sallustio. . . con alcune altre belle cose. (8) De’ Gaddiani 18. T. IV. Dicembre 2] 10 », di Roma, e con morte e distruggimento di te e di coloro che teco ») sono congiunti per omicidii di parenti e per altre scelerate opere. E 3» ho speranza nell’alto Dio al quale dal cominciamento di questa città »» è fatta riverenza secondo l’ ordinamento di Romolo , di cui noi di- 3) Ciamo veramente che fue cominciatore di questo imperio , che egli te 3» € tutti i tuoi compagni partirà da sè e da questa cittade, a vita e pro- 3) Sperità di tutti i cittadini; e tutti coloro che sono nemici de’buoni »» uomini e rubatori d’ Italia, e intra sè hanno fatta fellonesca compa- »» gnia di tutte scelerate opere , matterà vivi e morti con eternale tor- 3) mento. ,, Altri due codici della Laurenziana portano la detta orazione, ma riempiuta di borra per mano di qualche pedante a cui, parendo poca la forza della ciceroniana facondia , venne voglia di rincalzarla con epi- teti e con sinonimi, come avrebbe fatto un mediocre predicatore del secolo nostro. Ma certo se la intera orazione fosse così tradotta come i brevi passi recati , parrebbe cosa divina; e io consiglierei molti a leggerla, non sol» per apprendere in che consistano le vere bel- lezze dell’ antica lingua nostra, ma per osservare altresì come in Ro- ma corrotta un console timido, un console avvocato intendesse la li- bertà; come temesse di condannare un reo già scoperto, un quasi ma- nifesto nemico; come lo pregasse d’ uscire , e a’ senatori inculcasse la necessità di sbrattar la repubblica da quella feccia, anzichè troncare i rami della congiura , e lasciarne profonde e vive più che mai le radici. Tale esempio potrebbe non essere inutile ai capi d’ ambedue que’ partiti che dividono il mondo. K. X. Y. Della poesia tedesca di W. MenzeL , Versione dal tedesco di G. B. P. Lugano Tip. Ruggia e C. 1831. Pag. 296. (è il secondo volume del- l’opera del sig. Menzel intitolata : /a letteratura tedesca ):. L’Italia non possiede ancora una storia della sua letteratura, che possa paragonarsi a quest’ opera del sig. Menzel; una storia, dico, do- ve non le discussioni biologiche , cronologiche, bibliologiche , retto- riche tengano il campo, ma gli alti principii generali dell’arte; una storia dove non le forme estrinseche e le accessorie bellezze siano con più d’ amore considerate che lo spirito e il carattere dello scrittore e del secolo; una storia dove la letteratura venga riguardata nelle sue innumerabili e potentissime relazioni co’ progressi della civiltà e dello spirito umano. Si potrà forse notare nel sig. Menzel qualche giudizio senza necessità severo del morale carattere degli autori, qualch” espres- sione generica , qualche proposizione più ingegnosa in teoria che con- fermata dalla testimonianza de? fatti: ma tutto questo concesso, con- viene soggiungere che il libro di lui non è solamente un lavoro critico, è un trattato lilosolico , un’ opera di vero artista. Prendiamone qual- II che saggio pur dalle prime pagirie : ché tittte quasi le pagine preseritatio cose, degne d’ esser citate e rilette. ‘ Ma le nostre opere filosofiche e storiche sono senza dubbio mi- gliori delle estetiche j e perciò noi siamo più istrutti su certe verità fi- losofiche e su certi avvenimenti storici che sopra gli stessi rudimenti dell’arte. In nessun altro luogo regna tanto capriccio e schiavitù quanta nei giudizi sull’ opere particolari dell’ arte e sull’ intero suo regno. Egli è ben certo che un giudizio estetico riposa ognora sopra un certo capriccio delle disposizioni personali , e il piacere estetico sopra una certa restrizione individuale : ma a ciò pure vi sorio leggi generali; e queste appunto son quelle che non conosciamo. Si ragiona ; sì rigetta , si adora secondo che detta il sentimento, ma un sentimento che quasi mai non è coltivato, e di raro resta costante, se un altro; che ten- gasi per conoscitore , gli dà una diversa direzione. Da questo divagare del sentimento e da questa varietà di ragionamenti è nata un’ anar- chia nei giudizi estetici che opprime i veri conoscitori, guasta gli ar- tisti ora colla lode ora col biasimo, e non procura al pubblico che gioie tumultuose e divertimenti di moda invece di un vero e durevole piacere. Sopra ciascuna delle arti plastiche in particolate fu ad ora ad ora scritto alcunchè per la maggior parte da dilettanti. Gli studi storici s0- pra l’opere antiche dell’arte sono i migliori; quantunque in ciò pure si potrebbe aver di meglio. L’arte è tuttavia l’affare esclusivo dei dotti, o dei privilegiati, e il popolo in massa vi prende ben poca parte. Inol- tre le forze sono troppo divise in varie accademie ; e spesso dirette ad un interesse parziale ; ed ogni lavoro sull’ arte rimane isolato. . . . ;; è . . . : CI * . . . . CI DI . . ». + + + ‘€ La poesia sta chiusa nel più profondo del cuore umano, ed operà al di fuori profondamente. Ciò a cui non arriva alcun’ altra arte; di riverberare il più interno dell uomo , i pensieri e i sentimenti più se- greti, il può solo la poesia; e ciò le dà quella forza sopra 1’ anima tma- na che tutti i popoli in let riconobbero. ,, ‘‘ Per questa rivelazione dell’uomo è la poesia i! mezzo il più ef ficace , e nello stesso tempo iìl più bel fiore dell’ umanità. I popoli poe- ticì sono i più nobili; e i più nobili diventan poetici. La rivelazione del bello dell’ umanità nell’ideale poetico è la corona della vita. Per ciò la poesia è pure la più durevole tra le arti. Immortale , perche i di lei monumenti possono moltiplicarsi nel modo il più facile; e sem- pre rinovellarsi. Cambiansi î popoli, cadono gli stati, una fede cede luogo all’ altra , diventa errore ciò che prima avea corso di verità, van- no in polvere l’ opere dell’ arti plastiche : le poesie solamente soprav- vivono alla tempesta del tempo ;, e risplendono dopo migliaia di anni nel primo fiore di giovinezza. In ogni tempo la poesia intrecciò coro- ‘ne , riunì e riconciliò tutto. Nell’ eterno cangiamento resta ferma l’isola fiorita della poesia , il terrestre paradiso dove le stanche anime ritro- vano riposo , dove gli antichi padri e nipoti partecipano al medesimo rapimento. ;, 193 Il sig. Menzel soggiunge : ‘ La religione stessa non è il regno della pace , perchè una fede esclude l’altra : solo nella poesia trovasi que- sta pace di Dio , che gli animi più selvaggi riconoscono in lei con ri- spetto. Essa colla lira di Orfeo li addomestica , riconcilia i popoli stra- nieri , e gli uomini tra di loro. ,, A noi non pare che la religione , intesa nel suo vero senso ; non possa chiamarsi il regno dilla pace , poichè tutte le religioni che con- tengono alcuna cosa di vero , con questa parte di vero insegnano ap- punto la pace e l’amore : a noi non pare che la pace sì trovi nella poe- sia se non quando la religiosa verità ve la ispira. In tanto l’arte è po- tente in quant’ ha per fondamento la fede ; e un artista scettico il qual volesse non contraddire al proprio sistema , e ne’ propri lavori non sim- boleggiare che il dubbio, sarebbe il più inefficace, il più disperato, il più misero degli artisti. Byron istesso non è veramente poeta se non laddove crede o spera una qualche cosa : e 1’ efficacia dell’ arte fu som- ma quando fede e poesia eran tutt’ uno. Noi preghiamo l’ egregio traduttore che voglia donare all’ Italia anche 1’ altro volume di quest’ opera egregia : e s’ egli avesse il tempo di dare al suo stile maggiore semplicità e chiarezza, senza però falsare o sciacquar con soverchie perifrasi 1’ idea origin ale , doppiamente gra- dito ci riuscirebbe il suo dono. Ki Ko. Vedute di Sardegna. Torino 1831. Tip. Pic. Dispensa II. Contiene le vedute delle città di Oristano, e di Sassari, del vil- laggio di Macomer, del picco di Cane, della scala di Bonora; impresse litograficamente in modo sempre più commendevole. La lettera dell’istes- so sig. cav. Manno, la quale sta nel N.° 123 di questo giornale, offre già 1’ idea dell’impresa ; e basta a raccomandarla il solo nome di lui. Altra volta ne terremo parola più a lungo: quì giova rammentare soltanto che, in luogo di fornire le stanze d’insignificanti ritratti o di mitologiche rap- presentazioni, meglio sarebbe ornarle di simili quadri che nella gioventù specialmente risveglierebbero il desiderio di notizie geografiche e sto- riche, utili sempre. Gli arnesi d’ una casa dovrebbero esser tutti una scuola continua agl’ ingegni ed all’ anime tenerelle ; e quasi tutti non son che alimento di mollezza , oggetto di distrazioni continue , occasioni di sviamento da quell’ unico centro a cui dovrebbe senza fatica e per bisogno invincibile tendere l’ umana vita. Quello che manca alle vedute di Sardegna e che forse avremo col tempo è un’ illustrazione , che tratti non tanto la parte topografica quanto la statistica, la morale , la poetica : e sarebbe lavoro bellis- simo ed utile ; e 1’ Italia d’ opere tali potrebbe fornirne ben molte , varie tutte ed amene. Raccomandiamo questo pensiero ai calcografi ed agli scrittori. K. X/Y. 13 Voyages historiques ec. Viaggi storici e letterarii in Italia, negli anni1826, 1827 , 1828 , ossia l’Indicatore italiano , opera del sig. VALERY , con- servatore delle biblioteche reali. T. I. p. 487. T. II. p. 307. Parigi Quando avrò detto, che il libro del sig. Valery non somiglia a que’ di tant’altri viaggiatori stranieri, ch’amano l’Italia come gli antichi amava- no uno schiavo leggiadro di forme e non digiuno di lettere e d’ arti , l’amano per insultarla ; quando avrò detto che l’affezione di quest’uo- mo stimabile è riverente e sincera , ch’ egli si compiace nell’ osservare piuttosto che nel calunniar la sventura , perpetuo scopo alle umane ca- lunnie; io crederò d’aver dato al suo libro il più bello e desiderabile encomio. S?’ altri vi cercasse più lunghe e più passionate descrizioni delle tante bellezze di natura e d’arte, materiali e spirituali, che ne cir- condano , e che noi calchiamo con disprezzo assai più colpevole che non sia l’ ostile arroganza dello straniero ; s’ altri quà e là cercando trovasse qualche idea religiosa o politica non affatto conforme alle proprie, non m’ avrebbe forse in tutto discorde : ma io dovrei sempre ripetere che la rettitudine delle intenzioni , la diligenza delle «indagi- ni, la bontà del cuore , il sentimento religioso ( se non tanto profon- do quant’ io amerei , certamente sincero), son pregi al tempo nostro sì rari, da meritare all’ autore la mia gratitudine e il mio rispetto. Più lungo discorso richiederebbe quest’ opera : e noi promettiamo al let- tore , che nel prossimo anno cadrà sovente e a noi e a’ nostri corri- spondenti occasione di rammentarla con lode. I due volumi usciti trattano la Lombardia e le provincie Venete; nel terzo, già sotto i torchi, si avrà la Toscana. K. X. Y. Caterina Medici di Brono, Novella storica del secolo XVII, di AcuiLLE Mavri. Seconda edizione Vol. II. Presso l’ Uffizio dell’ Indicatore Lombardo 1831. Noi giungiamo un po’ tardi per lodare a’ lettori in questo primo lavoro del sig. Mauri la nobiltà dell’ intenzione , 1’ altezza del senti- mento religioso , la purità de’ principii morali , la delicatezza, la fecon- dità , la peregrinità di moltissime osservazioni , la storica esattezza av- vedutamente conciliata con le condizioni necessarie ad un’opera d’ immaginazione ; la verità e l’ efficacia di certe pitture; 1’ arte di ren- dere interessanti le piccole cose annettendovi una religiosa o morale importanza ; la naturalezza infine e 1’ evidenza e la pensata ingenuità dello stile. Ma poichè non a tutti coloro ch’ hanno bisogno di leg- gere questa novella, e che possono leggerla con piacere, la sarà giun- ta ancora fra mano , noi crediam debito nostro porgerne' un saggio : e sarà la pittura di un esorcista fanatico , carattere che il savio au- tore ci fappresenta con imparzialità rara, e filosofica veramente. Giac- 14 chè non ogni errore, rion ogni colpa in nome della religione commessa è da punire di pari abbominio e disprezzo; e in un secolo, in cui tanto sì parla di pregiudizi » gioverebbe rammentare talvolta che v? ha pure un pregiudizio scettico , una superstiziosa filosofia , un fanatismo d’ în- credulità , un’ ipocrisia d’ ateismo. “ Donn’ Ambrogio era un uomo di cinquant’ anni, alto della per- sona, grave nel portamento, severo nei modi. Folte ciocche di capelli grigi gli coprivano il capo e la fronte spaziosa : due occhi nerissimi, e brillanti di quel vivido fuoco che annunzia 1’ abitudine de’ forti pen- sieri, facevano contrasto cogli austeri suoi lineamenti : l’espressione di tutto il volto indicava ch’egli era predominato da un’ idea suprema che aveva in lui soffocato tutte le terrestri passioni. Egli era stato educato da un ardente Domenicano spagnuolo , che sin da’ primi anni avevagli insinuato che la missione del sacerdote su questa terra è quella d’un soldato chiamato a combattere una fiera ed assidua battaglia col mondo e co’ suoi seguaci : e quindi egli erasi di buon’ ora abituato a vedere nella religione un’ arma con cui pugnare , ne’ traviati dei nemici da as- salire, nel mondo un campo aperto al suo fervore ed alla sua forza. Dotato d’ un’ ardentissima fantasia , egli aveva accolte, alimentate , in- grandite tutte quell’idee alle quali poteva essere associata quella d’un pericolo da affrontare, d’ un ostacolo da vincere per l’onore di quella religione di cui avrebbe voluto essere sin dagli anni giovanili un con- fessore ed un martire. Estraneo ad ogni umana affezione , vissuto fin da giovanetto nella solitudine , o nella compagnia d’un uomo, il quale lo aveva avvezzato al disprezzo ed all’ odio di tutto ciò che non mi- rava 0 s’ opponeva al trionfo di quelle dottrine ch’ egli avevagli imposte come la norma unica ed indefettibile del vero e del buono, ei non conosceva nè la moderazione nelle opinioni, nè la mansuetudine nella condotta nè la dolcezza ne’discorsi. Forte del suo intimo e sincero con- vincimento , ei voleva ad ogni patto indurlo nell’ animo altrui : per- suaso dell’ assoluta verità di tutti i suoi principii , non poteva senz’ira vederli contraddetti, non degnava di scendere a dimostrarli : eccitato da un continuo bisogno di attività , correva dietro a tutte le occa- sioni che gli erano porte di mettere in evidenza il suo zelo : e nol fa- ceva già per l’aspettativa d’ un bene che glie ne potesse venire, non per acquistarsi credito e nome, ma unicamente per l’ idea di adem- piere un preciso dovere. Era questo entusiasmo? Era fanatismo ? S’ era entusiasmo, non ve n’aveva certo un più fervente: s’ era fanatismo, non ve n’ aveva un più disinteressato, nè un più scusabile a que’tempi, in quello stato d’ opinioni religiose e politiche , nella condizione in cui quest’ uomo era collocato . Don Ambrogio non era sicuramente un apo- stolo di pace e di carità ; non rassomigliava a quel buon Samaritano che faceva del bene per tutto dove passava , che si consolava delle bene- dizioni del povero e dell’afflitto , che aveva un balsamo per tutte le piaghe , un alleviamento per tutti i dolori: ma non era nemmeno un di que’ volgari ostentatori di zelo religioso che fingono 1’ entusiasmo UI I finchè 1’ entusiasmo non reca pericoli , contraffanno la mansuetudine quando è giunto il momento della prova , sì accomodano ‘ai tempi, blandiscono le opinioni , e non hanno che il tristo ingegno di essere codardi persecutori finchè sono î più forti. Tale non era don Ambro- gio : ei portava la fronte alta, ei proclamava solennemente i suoi prin- cipii , ed avrebbe avuto il coraggio di difenderli e sostenerli a petto di qualunque persecuzione , come il retaggio della sua coscienza, come. la sua più cara proprietà. Fra tutte quelle dottrine, che a quei giorni insegnavansi come parte di cristianesimo , ei non aveva fatto discerni- mento ; tutto aveva abbracciato , e il vero e il disputabile e il falso : e tutto sosteneva a fascio con pari fervore, con pari buona fede e sin- cerità di convincimento. La religione non era per lui, come per molti, un partito , una causa utile da difendersi ; era l’ unico suo pensiero , 1’ unico suo affetto , 1’ oggetto di tutte le sue sollecitudini. Quindi nel- 1° ardore del suo zelo ei vedeva , a così dire , un nemico personale in ogni dottrina che gli paresse avversa alla religione ; uno ne vedeva in ogni eretico , in ogni empio : e in forza delle opinioni del secolo , ch’ei teneva colla pienezza della più intima presunzione , ne vedeva pur uno in ogni mago, in ogni strega : nè , con tale disposizione d’ animo , era fattibile , quand’ anche fosse stato nutrito di più miti dottrine , ch’ egli inclinasse ad usare con essi mansuetudine e tolleranza. Però se in virtù di questo suo singolare carattere non potea donn’Ambrogio essere amato , non era nel tempo stesso possibile lo sprezzarlo ; per- ciocchè v’ ha sempre nella convinzione disinteressata qualche cosa che ispira e comanda la riverenza. ,, Chi scrisse questa pagina, e le molte che a questa somigliano, s’è formata del romanzo storico un’ idea ben più nobile che il volgo de’ro- manzieri non n’abbia , o non ispiri al lettore. Egli trova modo di con- ciliare la rigida verità con le più abondanti lezioni religiose e morali, e nella sua prefazione lo dice : ‘‘ certo è impresa difficilissima il disporre ,3 in modo la tela d’ un romanzo storico , che la verità de’fatti vi sia ,» conservata pura ed intera : ma la non è poi impresa di disperato ese- ; guimento : meno poi lo è il serbare intatto il carattere di an secolo ,; e d’un periodo storico ,,. Se con tali principii , se con la coscienza sempre desta degli uffi zi d’ un vero scrittore, il sig. Mauri vorrà prendere ad abbellire di più vivaci, e non meno morali invenzioni, argomenti storici più in- portanti e più opportuni all’ età in cui viviamo ( secondo che un critico stimabile saggiamente gli consigliò ); se vorrà qualche volta render più rapida la sua narrazione e più conciso il suo stile; se, per tutto dire in una parola, seguirà gl’ impulsi dell’ ingegno e dell’ ani- mo suo , stia pur certo che un premio lo aspetta maggior della fama. Ko X Wi 16 Cenni su gli avanzi dell’ antica Solunto per Domenico Lo Faso Pietra- santa Duca di Serradifalco. Palermo 1831 in f.° di pag. XV. con 7 tavole in rame , la cui dichiarazione è contenuta in due faccie non numerate. Per la non equivoca indicazione di Tolomeo, di Plinio , e degl’iti- nerarii romani i moderni geografi pongono Solunto su quel monte del lato settentrionale della Sicilia, il qual con vocabolo moresco detto è Salfano o Catalfano , e si discosta da Palermo e da Termini pel tratto di 12’ miglia. Sul giogo d’ esso appaiono ancora le reliquie di quella città ; i cui principii, perchè involti nella favola , si manifesta- no d’ antichissimo tempo. Bene d’ essi e delle posteriori vicende di Solunto ragiona il diligente scrittore di questo libretto , che poi scen- de a parlar degli scavi che incominciarono a farvisi sul principiar dell’ autunno del 1825. Per questi scavi vennero a luce, oltre ad altre cose, molti capitelli ; alcuni dorici , altri corintii ; vari pezzi di cornici gentilmente scolpite e svariate nelle proporzioni e nelle modinature per- chè appartenenti a diversi edifici, e tutti condotti in pietra di taglio ; . ricoperti di finissimo. stucco , e lavorati in quel modo , che apertamente il far dei Romani ricorda ; una statua semicolossale , che ben si giudica di Giove ; due candelabri di forma singolare, dei quali tra poco tor- nerà discorso ; un Mercurio di presso a poco tre palmi d’ altezza , e un’Iside a metà del vero. Queste due statuette si rinvennero in due sacrarii di un rovinato edificio, che il sig. Duca con buon diritto cre- de un’ edicola. ; Dee quì riferirsi ciò che egli dice dell’ Iside. Essa stassi seduta sopra amplissima sedia, alla quale sono sostegno due sfingi alate... In- dossa una tunica, che in ispesse e regolate pieghe raccolta dallo estremo inferiore del collo stendesi infino ai malleoli, e cuopre parte della sedia, nel lato posteriore della quale è tal vano o cavità da ricevere la metà superiore d’ un uomo , che forse vi si ascondeva a profferire gli oracoli , che poteano tramandarsi agevolmente ai postulanti per mezzo di un foro fatto a guisa di tromba nel dorso della statua , e che valeva probabil- mente a render più sonoro della voce il rimbombo. Il qual luogo è da paragonarsi con ciò che narra il Romanelli (1) descrivendo il tempio d’ Iside in Pompei, e che io riscontrandolo sul posto trovai verissimo. Saliti alla cella si vede in fondo ad essa una specie di podio , sotto il quale è osservabile una cameretta o testudine , dove sospettasi , che i furbi sacerdoti si nascondessero , allorchè si rendevano gli oracoli in nome della dea. Se ne vede dietro del tempietto la piccola secreta gradinata. Adempio or la promessa fatta quì sopra di dire alcuna cosa dei due candelabri. La parte del fusto, scrive l’ illustratore, essendo essi privi di base, di molto somiglia una colonnetta ... Due gruppi , ciascheduno di (1) Viaggio a Pompei , Pesto cc. tom. 1 p. 194. n» tre figure , leggiadramente e giusto nel mezzo interrompono il fusto dei cundelabri. Nell’ uno è un barbato guerriero coperto il capo d’elmo , con tunica usbergo e calzari. Gli pende dalle spalle una clamide, ch’ ei al mancino braccio tiene ravvolta, poggiando la mano sul parazonio ; so- stiene un? asta la destra. É al suo manco lato una Vittoria con ampie ali; talare e senza maniche ha la tunica e di peplo fornita ; è in atto di co- ronar colla destra il guerriero e tien colla sinistra la palma. Al destro lato è una giovane , anch’ essa con larga tunica e peplo ; il sinistro brac- cio avvolto nel pallio sino alla spalla , ove chetamente si posa un alato Amorino , ed il destro di modo atteggiato, che par voglia modestamente sospingere il manto verso la testa , che ornata appar di di adema. Le fi- gure dell’ altro candelabro, assai più che il primo guasto e mal concio , tutte e tre femminili si mostran volte la fronte, di tunica ; peplo e pal- lio vestite. Queste tre femmine sono dal sig- Duca di Serradifalco, e con buona ragione , riputate le Grazie, le quali appaiono pur vestite in mo- numenti, ch’ ei cita, ed in altri che citar si potrebbero (2). Rispetto poi al gruppo dell’ altro candelabro dice non esser d’ accordo con quelli che han creduto scorgere un Marte in quel guerriero che la Vittoria cinge d’un serto nobile e glorioso , soggiungendo, esser poco dicevole e senza esempio che il figlio! di Giunone da una divinità venga coronato d’ ordine al suo inferiore. Pare alui più verisimile che in questi candelabri sia effigiato un particolare avvenimento e convenga riguardargli qual voto d’avventuroso giovane guerriero , che in premio di sue gloriose imprese ottiene dalla Vit- toria l° alloro , e dall’ Amore una tenera sospirata consorte. ... E bene al proposito si affarebbe il gruppo delle tre donne sculte sull’ altro can- delabro , massimamente ove vogliansi riguardare per le tre Grazie scelte a compagne della novella sposa. Questa opinione però non è dall’ au- tore enunziata con quella fidanza che ispira un vero riconosciuto ; ma sì è tenuta come una plausibile veduta di probabilità : lo che ne rende più franchi a palesare il proprio parere, che non è conforme a quello di Jui ; intendendoci però di darlo ugualmente per congettura. Primiera- mente non par da ammettere che la Vittoria , divinità minore , co- ronar non possa Marte divinità maggiore. Veggasi il lessico numismati- co del Rasche alla parola victorio/a, e vi si troverà che la Vittoria of- fre corona ad Apollo e ad altre divinità maggiori, e ch” è in atto di porla sul capo di Serapide. Sarà poi difficile a persuadersi che il Cu- pido , stante così a cavalcioni, e però a graude strapazzo, sulla spalla della femmina , possa dinotare il casto amore del matrimonio. Se l’an- tichità figurata ha gran sussidio dalla scritta, n’ ha altresì grande dal paragone delle sue rappresentanze. Or le gemme offrono , e non raramente , Amore unito ad Ercole in modo siffatto (3); e niuno ha mai detto, e per niuno dir si potrebbe , che ciò allude alle sue nozze (2) R. Galleria di Firenze serie 5. tom. 1 p. 72. (3) V. R. Galleria di Fir. tom. 1. della serie V. p. 47 seg. T. IV Dicembre. (Vi 18 con Deianira , ma sì, ed aragione , è creduto che dinoti suoi viziosi amori con altre donne. Di simil modo in questo candelabro , in che è da veder Venere renduta dal figlio amatrice di Marte. Si lagna el- la presso Apollonio Rodio (4) che questo figlio protervo non ha a lei riverenza , e dice nell’Amor fuggitivo di Mosco, ch'egli ha il tergo armato dell’ aurea. faretra , in cui stanno gli acerbi dardi co’ quali sovente ferisce pur lei. (5) Così riesce bellissimo il concetto dell’ an- tico scultore di questo marmo. Mentre Marte è coronato dalla Vittoria qual vincitore in guerra , com’ è chiamato in assai medaglie romane , gli sì prepara il servaggio di Venere , che carezzante lui è appellata vincitrice in alcune delle dette medaglie (0). Con la qual rappresen tanza e col mostrar Ercole, il leone , ed altre fiere signoreggiate da Cupido in tanti figurati monumenti vollero gli antichi insinuare che non v? ha forza nel mondo che non sia vinta da quella d'Amore. Così divenuta Venere la figura principale di questo gruppo, è a buon proposito quel dell’ altro candelabro , esibendo esso le Grazie , che Fulgenzio (7) aggiugne a Venere , che si veggono nel rovescio d° un antico bronzo inciso , nel cui diritto la Dea tiene in mano uno spec- chio, e Cupido la presenta d’ una ghirlanda di fiori (8), che da anti- co poeta sono dette ministre di lei (9), che da Omero (10) e da Clau- diano (11) sono chiamate sue ornatrici , e che si veggono a ciò intese in un cammeo della R. Galleria di Firenze (12). Del resto è da desiderare che il sig. Duca di Serradifalco ch’ è protettore , e ben si conosce degli studii archeologici, mandi spesso alla luce libretti somiglianti a questo , che ha assai pregio per la esposizione, e per la ricchezza'dei rami, che sono in siffatta materia la cosa forse più importante. G. B. ZANNONI. (4) Argonaut. lib. 3. ver. 93-4. (5) T'ote TON A4M api TUT PHWIKEI v. 21. V. 1’ epigramma di Melea- gro che, tradotto già dal dotto ed elegante Francesco Negri , si reca nel quaderno 9g del secondo decennio di questo giornale alla faccia 119. (6) Nel rovescio d’ una medaglia della seconda Faustina attorno a Venere che accarezza il Dio della guerra è scritto Veneri wvictrici. V. Eckhel doctr. num. vet. tom. 7 pag. 80. (7) Lib. 2 p. 671 edit. Staveren. (3) Winckelm. pier. gr. de Stosch. p. 120. (9) V. Not. ad Fulgentii I. c. (10) Odys. lib. 8. v. 364. {11) De nupt. Honor, et Mar. v. 100. (12) V. tomo 1 della serie V. tav. 9. pag. 71. Catalogo delle serie beckeriane di medaglie greche, romane , del medio | evo e moderne: versione dal tedesco con aggiunte. Parma 1831 in 8.° di pag. 29. e X. di prefazione. Se è questo scritto assai picciolo di mole, n’han però molto utile il raccoglitore di medaglie e 1’ archeologo, e n’ ha avuta gran fatica chi lo ha messo in nostra lingua. Questi certo sarà ad altri, siccome è a me , noto; ma io qui m’astengo dal rivelarne il nome, credendomi in dovere , sebben me ne dolga, di rispettare la sua modestia. i Fece già il nostro rinomato Sestini conoscere all’ Italia la maggior parte delle imposture del Becker coll’ operetta ch’ei scrisse sopra i mo- derni falsificatori di medaglie antiche: in questo libretto sono tutte an- noverate. Scoperte le contraffazioni del Becker, ‘ volle egli, dice l’ano- 3» nimo , consigliato da molti, riparare alla sua perduta riputazione , » giacchè se da alcuni veniva lodato siccome artista valente, dai p'ù »» era biasimato siccome falsatore non da altro guidato che dall’ amor vile del guadagno . Stampò quindi il catalogo , o piuttosto indice delle medaglie da esso falsificate , e ne stabilì il prezzo, comecchè alto , pure di gran lunga inferiore a quello che alle genuine viene fissato dal Mionnet;, e che come tali egli prima vendeva ,,. Pare che di que- ‘“ giacchè quella che ha 23 sto catalogo sieno state fatte varie edizioni, 3» servito alla presente traduzione, pubblicata forse non molto prima 3» della morte del Becker (avvenuta nell’ aprile del 1830), differisce al- 33 quanto dall’ altra conosciuta dal celebre Sestini, essendo più ricca 3» di conii autonomi ed imperiali, e riportando inoltre i denarii delle 33 famiglie romane , non che le monete del medio evo e le moderne, »» delle quali il sullodato autore citò la sola di Margherita di Danimarca, 3» che mise per ultima nell’ Elenco dei denarii romani beckeriani. ,, ‘“ Poco conosceva al certo la scienza numismatica , segue a dir l’anonimo, lo scrittore di quel catalogo, o per lo meno era inesperto nel 3» descrivere le medaglie, poichè , oltre il non aver seguito nella distri- 3» buzione delle nrbiche e delle regie il sistema geografico e cronolo- gico da tutti abbracciato, trascurò quasi al tutto l’ epigrafi , omise spesse fiate i nomi delle provincie, a cui appartenevano le città delle 33 quali accennava le medaglie , ed eziandio quelli omise dei regni . 3» Molti nomi poi delle città e dei re scrisse in latino , altri in fran- »» cese, pochi in tedesco . . . qualche volta non curò di distinguere i] 3» diritto dal rovescio, e sbagliò perfino nell’ indicare i nomi delle te- 3) ste delle divinità e degli eroi rappresentati sulle medaglie. Quindi le descrizioni di tali nummi sono il più delle volte sì manchevoli e poco esatte, che bene a stento , e solo col sussidio di una certa pra- tica , si arriva a comprendere qual sia la precisa medaglia , che viene 3; emunziata . I denarii romani trovansi ancor più negletti , non essendo 3) della massima parte riportate che le sole epigrafi del rovescio: tutte 20 », le altre monete vengono piuttosto semplicemente indicate che de- 3» Scritte ,,. A tutte queste omissioni ha abbondantemente riparato l’ anonimo , prendendo guida dal Sestini, e servendosi spesso del Mionnet per le me- daglie greche e romane , e del Florez per quelle dei re Goti di Spa- gna. “ Non ho potuto , egli scrive , fare lo stesso per le altre del me- ,3 dio evo e le moderne , perchè mancanmi quegli autori, a cui riman- 5, dare il lettore. Ogni qual volta però tali citazioni sono accompagnate »» da un punto interrogativo , egli è segno che per esser le rammen- o tate descrizioni ridondanti di trascuratezze , sonomi io stesso rima- 33 sto indeciso , per non avere attualmente sott’ occhio alcuna delle ,; medaglie del Becker, comecchè ne abbia già vedute non poche. Quelle s» poi, che mancano di citazioni sono ideali o da me non conosciute. 3» Da ultimo mi è sembrato ben fatto di aggiungere la interpretazione ,» di alcune abbreviature , con indice alfabetico , ed un modalo per le 3, medaglie greche del Mionnet, del quale ho riportato ancora i prezzi 33 di ciascuna medaglia ( eccedenti presso che sempre ) onde rilevare si »» possa il considerevole valore delle genuine e la loro rarità ,,. Le quali cose tutte dimostrano aver io sopra affermato a ragione, che questo libretto costò assai fatica all’ anonimo . Aggiungo ora, farsi anche chiara per esse la sua ingenuità. E pure da essergli grati per aver aggiunto le notizie concernenti la vita del Becker, che gli furozo comunicate da persona degna di fede , dimorante in Francfort sul Meno. Queste notizie riguardano i sugi studii , i suoi viaggi, e le sue falsi- ficazioni : che è ciò che basta all’ uopo. ‘f Da queste falsificazioni non ,3 solamente rimasero ingannati i meno esperti raccoglitori, ma ancora ,; alcuni veri intelligenti ,,; quantunque nella esecuzione e in qual- che particolare non al tutto somiglino le vere. “ Riusciva malagevole ,; cosa il discernerle da esse , perchè , venendo messe poche per volta ,, in commercio , radamente avveniva di poterle paragonare fra loro, ,; @ più ancora istituire confronto colle genuine per la somma rarità > di queste ,,,. Quando le medaglie false sono nell’ artificio prossime alle vere, è chicchessia, che non abbia modo di far quel confronto, sottoposto ad in- gannarsi, almeno al primo esame ; ch’ è sovente il solo che sia permes- so ; volendo chi le reca all’antiquario, per aver da lui contezza del pre- gio e del costo, una pronta risposta. Che dovrà poi dirsi delle gemme? Ve n’ ha un grandissimo numero , che niuno mai potrà dir false, e ve ne ha assai, che niuno mai potrà dir genuine . Ciò nondimeno è pur in esse aperta strada, e più ampia forse, all’inganno. Son noti gl’inganni dell’insigne incisore Giovanni Pikler. Una sua testa di Saffo fu a caro prezzo comprata per gemma antica dal marchese d’ Azara che 8’ intendeva d’arti, e viveva in mezzo agli artisti. Un vetro tratto da una sua pietra rappresentante il non conosciuto volto d’ Aristippo fu illustrato dal Lanzi, consultatone innanzi il nostro bravo cav. Santarelli, che senz'altro il giudicò d'antico lavoro ; errore ; che io gli perdono 2I volentieri , sapendo (e melvriferì persona degna di fede la quale allora stava in Roma ) che questo stesso Giovanni Pikler prese , e riuscì a trarre in errore Giovanni Antonio suo padre , ch’ era pure incisor va- lentissimo , inviandogli per un uomo indettato un suo incavo, ch’ ei riguardò con ammirazione e credè antico , disingannatosi solo quando il figlio, da lui chiamato a veder cosa sì bella, gli recò le varie im- pronte che tratte avea dalla pietra nel procedere del lavoro. Anche il Winckelmann è accusato d’aver preso non poche pietre moderne per antiche nella sua illustrazione delle gemme del Barone di Stosch. Per tacer d’ altri, tra’quali è pure il Visconti ; e dir tutto in breve, non vi fu, non v’ è, né vi sarà quasi artista , antiquario ed istruito dilet- tante , immune in questo da errore. La notizia adunque di questi sba- gli, se non siano essi frequentissimi e grossolani, non può menomar punto la riputazione di quei che gli han commessi. Nel che è pur da riflettere che non può sempre darsi ascolto ai racconti d’altrui, acca- dendo , e non di rado , che per cagion d’ interesse sì citino i sentimenti di tali, che nemmeno hanno veduto quella gemma o quella medaglia onde si parla , o che ne han detto all’ opposto di ciò che si va voci- ferando . G. B. ZANNONI. Opere di G. WincKkELMANN : prima edizione italiana completa. Prato 1830, Fratelli Giachetti. (V. i Bull. Bibl. dei fasc. precedenti). Vedrò l’Italia, nell’ entusiasmo dell’ amore per l’ arti, andava ripetendo Giovanni Winckelmann , vedrò l’ Italia, ed il mio cuore sarà sodisfatto. Era questo il più fervido , il più costante voto che l’animo suo giovanile scaldava fino d’allora che si aperse ad accogliere le impressioni deliziose del bello e del sublime. Il desio di pascere gli occhi e l’ intelletto colla contemplazione dei venerandi avanzi dell’arte antica gli stava sempre fitto nell’animo, ed il progetto del viaggio iu Italia era divenuto per lui, direi quasi, una specie di fissazione, che gli occupava si fattamente lo spirito da non abbandonarlo per fino nelle sue più terribìli angustie. Ma quest’ ansiosa brama del Winckelmaun, attraversata le cento volte da una serie di sinistri avvenimenti, non potè appagarsi prima del trentesim’ ottavo anno dell’ età sua, e fu nel 1755, che la sorte, fattaglisi finalmente meno severa, gli concesse ili porre il piede sulla classica terra, madre feconda d’ingegni ed uni- versale maestra in ogni maniera d’ arti e di scienze. È da quest’epoca istessa ch’ egli era solito dire avere veracemente incominciata la sua vita intellettiva e morale. Winckelmann è in Roma, circondato da’ monumenti , 0 piuttosto daì prodigj dell’arte antica e moderna. Un campo immenso è aperto ai suoi studj , alla sua meditazione: le sue teorie sul bello , sulla gra- zia e il sublime si formano , si sviluppano si perfezionano: davanti a questi modelli stupendi dell’ umano ingegno la sua imaginazione sì fe- DI conda, si esalta. Egli sente vivamente il. bisogno di fisssare in un mo- do indelebile i suoi pensieri. Winckelmann scrive. Ma egli non trala- scia per questo di frequentare le più colte società di quella vasta me- tropoli.. Ben tosto il conversare con gli artisti e. co’ dotti lo rende avvisato, non essere gl’ Italiani solo depositarj e custodi dei.ricchi te- sori dell’ antichità , ma di essi eziandio giusti ed illuminati estima- tori, e, ciò che è anche di più, non indegni seguaci ed emulatori de- gli antichi maestri dell’ arte. «« Tutto è nulla.,, scriveva lo stesso Winckelmann agli amici suoi nazionali ,, tutto è nulla al paragone di Roma. Credevo aver. finito di studiare prima che io venissi in questa città; ma vedo col fatto, 3, che non sapevo nulla. Roma è , a mio credere, la scuola. di tutto 33 il mondo, ed io pure ho dovuto in questa città sottomettermi"ad nna 3) Specie di tirocinio. In mezzo a questi sommi uomini parmi di essere 5; divenuto tanto privo di cognizioni, che mi sovviene l’epoca in cni »» passai dalle pubbliche scuole alla Biblioteca di Bùnau ,,. Furono in Italia le di lui opere maggiori concepite, lavorate e a compimento con- dotte. In mezzo a tanta copia di monumenti d’ epoche, di subietto, e di stile così differenti, fra tante specie di bellezza, nacque nella mente del Winckelmann il concetto di un’ opera di un piano vastissimo , di vedute profonde , ricca di classica erudizione , affatto nuova ed unica veramente nel suo genere. Voi ben comprendete , o lettori, che io intendo di ragionare della Storia dell’ arte presso gli antichi popoli , nella quale ha saputo l’Autore presentarci con mirabile accordo; in- sieme congiunte dottrina , filosofia e buon gusto , che può dirsi a ra- gione la grammatica dell'antichità figurata nei suoi rapporti con le arti del bello , e con la storia civile; opera d’ un’ indole filosofica, e di tale importanza che per essa la filosofia dell’ arte , l’ Estetica e 1’ Ar- cheologia si elevarono al grado ed alla dignità di vere scienze, e tale insomma che io non temo punto di andar lungi dal vero , asserendo aver ella cooperato grandemente sul declinare dell’ ultimo secolo aî rapidi progressi fatti dallo spirito umano. Ma il primo lavoro pubblicato in Italia dal Winckelmann si è la Descrizione delle gemme incise appartenenti al Museo Stoschiano scritta originalmente in lingna francese , la quale comparve alla luce nel 1760 in Firenze, ov’egli avea dimorato nove mesi conti- nui. Quest’ egregio lavoro pieno di erudizione e d’ingegno , che meritò gli elogi d’un Bartelemy e di un Caylus, è ben altra cosa che un arido e. freddo catalogo di quella copiosissima collezione , siccome taluno per avventura potrebbe dal titolo argumentare. Posseditore di questo museo si era in quel tempo il Barone Filippo De Stosch , cui dovette il nostro Winckelmann la celebre commendatizia pel Cardinale Alessandro Albani gran promotore della sua letteraria fortuna. Que- sti, amatore studioso ed intelligente in fatto di arti belle e d’ an- tichità, splendido mecenate degli artisti e degli eruditi, gli fu, sino che visse , generoso protettore, e, ciò che è più, per amendue onorevole, 2,3 sincero e cordiale amico } nè disdegnò 1’ eminentissimò Principe farsi alcuna volta compagno e collaboratore al figlio del meschino calzola- ruccio di Stendal. Confessa in fatti lo stesso Winckelmann, dedicando- gli l’ opera dei Monumenti antichi , avervi egli pure la'sua parte , e doversi riguardare come comune lavoro. Quest'opera dottissima dei Monumenti antichi, che nel 1767 incomin- ciò a farsi di pubblico diritto in Roma dov’egli era Prefetto delle anti- chità, rimase interrotta per la violenta morte dell’ autore. Mentr’egli stava componendola, il Cardinale suo protettore gliene faceva leggere bene spesso degli squarci nella scelta società che raccoglievasi a Ca- stel Gandolfo , dove alcuna volta intervenne Papa Clemente XIV, alla di cui presenza fra gli altri lesse la eloquente descrizione della morte di Agamennone effigiata in un sarcofago del Palazzo Barberini. Mira- bil cosa è poi che il nostro Winckelmann, .dimorando in Roma, in mez- zo a tante relazioni di grandi personaggi, onorato da tante protezioni, incaricato di tante ingerenze pubbliche , fra tante ceremonie ed eti- chette da osservarsi, sapesse , non dico rimaner arbitro sempre del suo tempo , e tenere una vita regolata e metodica, ma quel .che è più conservare tutta la semplicità dei suoi nazionali costumi , l’ integrità del suo carattere, l’independenza del suo genio e tutto il candore della sua virtù. In un’ epoca , in cui egli stesso ignorava quale sarebbe. il modo conveniente per lui di provvedere ai bisogni della ormai non più remota vecchiezza, si sa ch’egli rifiutò un pingue Canonicato sta- togli offerto con la sola condizione di prendere la clericale tonsura, e protestò altamente di volere morir libero siccome egli era nato. Avvenne che in seguito di un disgnsto, per se stesso non grave, avuto col Cardinale , al qual avea data occcasione lo zelo della Prin- cipessa Teresa di lui sorella , forse non a bastanza tranquilla sulla or- todossìa dell’ ottimo Winckelmann , prese il partito di tornarsene im- mediatamente alla patria. Toltosi dunque in compagno di viaggio lo scultor Cavaceppi, e licenziatosi dal suo illustre protettore e dagli ami- ci, sì diresse tosto alla volta della Germania. Ma l’animo del Winckel- mann non era più lo stesso : lo spettacolo maestoso ed imponente delle montagne dirupate del Tirolo aveano perduto per lni tutte le attrattive che nel venire in Italia Jo aveano rapito in un’ estasi deliziosa , e to- stochè rividde sul suolo germanico le abitazioni costrutte, secondo il costume dei paesi di quel rigido clima, restò talmente offeso e sdegnato del cattivo gusto architettonico che vi domina, ed in specie di quelle fabbriche piramidali ed acuminate , che non sapeva darsene pace , nè cessava di dire al Cavaceppi, ch'egli sentiva un bisogno irresistibile di tornare in seno d’Italia: torniamo a Roma, egli ripeteva di conti- nuo , torniamo a Roma. Nè senza grave fatica del buon compagno ed amico si condussero a Ratisbona dove solennemente protestò che non poteva vivere, che non avrebbe avuto più riposo che in Roma, nella sua Roma: che però caldamente pregavalo ad assolverlo dalla parola datagli di viaggiar seco in Germania. Vane furono dell’ amico |’ esortazioni e le ri- 24 mostranze ; il più che da lui potè ottenere per grazia si fu di condurlo seco fino a Vienna. Il Principe Kaunitz gli fece le più gentili e gene- rose offerte accordandogli tutta la sua protezione. Dal Barone di Sperges venne presentato in quell’ occasione alla Imperatrice Maria Teresa che lo regalò (dono funesto ) di medaglie d’or»,e di argento. I primi personaggi di quella capitale con ogni più cortese invito lo pressavano a stabilirvisi ; frattanto scriveva egli all’Albani: ‘ Io assicuro } Emi- », nenza Vostra, che tutto l’oro del mondo non fpotrà muovermi da 33 Roma. ,, Tutte queste onorificenze non aveano più alcun potere sull’animo del nostro Winckelmann. Egli era infermo di spirito, avea cambiato d’effigie , ed era caduto in una profonda melanconia: la feb- bre non lo lasciava , e pareva che tutto presagisse in lui una grave malattia. Partì per sna mala sorte da Vienna, e venuto a Trieste cia- scun sa quale orribile morte lo cogliesse vittima miseranda della sua buona fede. Sul passaporto, che gli fu trovato addosso con diverse altre carte, sì leggeva: Joanni Winckelmann Praefecto antiquitatum in almam ur- bem redeunii. Tanto potea l’amore del suolo italiano , e 1’ ammirazione pe’ capolavori dell’ arte che vi si racchiudono, in quest'uomo rispet- tabile per le virtà e pei talenti, le di cui opere classiche inspirate da questo clima benigno , in questa terra prediletta dalla natura, che serba in se tante gloriose memorie , hanno aperte nuove vie alla il- lustrazione dei monumenti dell’ arte antica, hanno rivelata tutta l’im- portanza delle scienze archeologiche messe in intima relazione con la storia politica , le scienze morali , 1’ erudizione e la critica , hanno sviluppata la teoria filosofica dei mutui rapporti fra il vero, il bello , ed il buono , generalizzato il buon metodo di studiare 1’ antichità , esteso sempre più in Italia 1’ amore per le scienze archeologiche , ed aggiunto nuovo splendore ai monumenti d’arte , di questo suolo in- vidiato sola e peculiare dovizia. I fratelli Giachetti di Prato, già noti alle lettere per le grandiose tipografiche imprese , che arricchiscono le biblioteche degli artisti e degli eruditi, offerendo agli amatori della storia e dell’ arti del dise- gno la collezione completa , fino ad ora desiderata , delle opere di Giovanni Winckelmann recate tutte nella nostra lingua, mentre alle arti medesime, alle lettere ed alle scienze archeologiche rendono un importante servigio, pagano altresì alla memoria immortale di que- sto profondo scrittore un tributo ben giusto e meritato che l’Italia gli doveva pel nuovo perenne lustro che gli arrecano i suoi scritti preziosi. Sapranno poi essere i cortesi leggitori di buon animo indulgenti verso i signori Editori, se desiderosi e solleciti di render più ricca e più completa che mai fosse possibile questa edizione , contro il so- lenne divieto dello stesso Winckelmann (espresso pochi momenti prima della tragica sua morte, fra le istruzioni destinate alla nuova edizione ch’ei meditava della Storia dell’arte) l’hanno abbondevelmente corredata 25 di annotazioni ‘critiche, storiche ed erudite , raccolte da ‘tutte le ante- riori e più apprezzate edizioni, non sempre,'a vero dire, dimandate dal teste, ma per la massima parte utili ed opportune. Per quello poi che riguarda le tavole incise, che vanno congiunte al testo del Vinckelmann, parrà forse agl’intelligenti che in esse alcu- na cosa resti a desiderarsi onde potere adeguatamente rispondere alla bontà e bellezza di questa edizione , nè sempre il chiarissimo nome di Lasinio trovarsi giustificato dalla perfezione del lavoro, in cui vorreb- Dbesi vedere costantemente osservata tutta quell’ eleganza di tocco , pre- cisione di contorni , accitrata esecuzione, e fedeltà scrupolosa verso gli originali, finalmente tutta quella grazia e buon gusto per cui se- gualaronsi sempre sopra le altre le opere di questo egregio artista. x. Orazioni funebri di Bossuer , con note storiche , critiche , filologiche , rettoriche; e sermoni per la professione della Vallière, e intorno all’unità della Chiesa: volgarizzamento del curato Pierro Monri professore di filologia latina nel liceo diocesano. Tomi II. pag. 252-216, Como. Presso i figli dì Carlantonio Ostinelli. 1830-1831. La dignità veramente religiosa , la semplicità quasi omerica, la magnificenza e l’ originalità dello stile, congiunte a una rara sponta- neità , parsimonia , uguaglianza ; e quel calore di zelo che si solleva alla mente piuttosto che scendere al cuore , ma che tocca più d’ una volta il sublime; que’pregi insomma che da tutte le altre distinguo- no l’eloquenza di Bossuet, simbolo del suo secolo , il quale dagli ondeggiamenti delle civili discordie veniva ricomponendosi a potente unità , e così preparava alla Francia un avvenire glorioso , preparava la sua maravigliosa influenza su tutte le nazioni del mondo; tali pregi se fosse difticile impresa trasfonderli in una traduzione italiana, chi lo sperimenta sel vede. Come rendere degnamente: d’une voix qui tombe et d’une ardeur qui s’éteint ? E di tali intoppi al libero corso d’un traduttore se n’ incontrano ad ogni tratto. Come il sig. Monti li abbia saputi o superare o evitare, il lettore lo giudicherà dall*elogio del prin- cipe di Condè , che ci pare di tutti il più francamente tradotto , e dimostra come il curato di Como potrà venir sempre mighorando il la- voro, se lasciate da un canto le trasposizioni forzate, i vocaboli lon- tani dall’ uso e dall’ intelligenza comune, i periodi faticosamente al- lungati , le perifrasi e le parafrasi, vorrà coneiliare con la fedeltà la naturalezza , la concisione , l’ evidenza, la forza. Egli è bello in queste orazioni sentire talvolta: dalla bocca d’ un vescovo il sublime linguaggio d’ una libertà ignota ai grandi di quel secolo adulatore ; egli è bella vedere imposto all’orgoglio de’grandìi un freno nel nome di Dio , vedere nel nome di Dio sostenuta la eausa de’ miseri e degli oppressi. Talvolta quel potente intelletto che pensò il discorso sulla sforia T. IV. Dicembre. P" 26 universale, considerando le cose di questa terra, esce in augurii e in sen- tenze quasi profetiche, quando det re d’Inghilterra e di Francia dice che la potenza loro ‘‘ può governare. le sorti d'Europa ,, (1); quando delle due case, d’Austria e di Francia , dice che Dio se ne vale ‘° per -» equilibrare le umane cose: ma sino a qual segno e per quanto tem- 3» PO, è cosa che noi ignoriamo e ch’ egli solo conosce (2) ,;. Egli è poi doloroso vedere il grand’ uomo discen dere da quest’al. tezza, per celebrare sulla tomba della moglie di Luigi i sacrifizi che lo scostumato monarca faceva a Dio delle proprie passioni; per torcere a senso adulatorio il passo de’ proverbi che il cuor de’re è imperseruta- bile (3); per lodare la regia pietà dell’avere sterminati gli eretici (4), per paragonare il perdono d’un re terreno alla misericordia di Dio, e alla beatudine eterna (5), per insegnare che spetta ai re sostener con la forza le religiose dottrine (6), e per dare un’ interpretazione pro- fana e servile al celebre passo : che ogni potestà vien da Dio. E qui ci sia lecito lamentarsi che l’ egregio traduttore nella nota posta alla pagina 152 del seconde volume non abbia saputo trovar pa- role per condannare nelle quattro proposizioni gallicane quel ch’ era di contrario alla indipendenza della potestà religiosa , e alla politica dignità e al benessere morale de’ popoli. Le altre note del resto , sì quelle tratte dai critici francesi sì le aggiunte da lui cì parvero quasi tutte molt’ utili ed opportune. Kisa. JR Memoria sulla origine delle acque del Sebeto di Napoli antica, di Poz- zuoli ec. del prof. Troporo MonticeLLI segretario nella R. Accade- mia delle Scienze a Napoli. (Napoli 1830.) Mentre con la tromba dei dotti, cui dà fiato qualche fortunato esperimento in mezzo a molti che si tacciono, vassi da ogni parte ec- citando speculatori, possidenti e società a frugare nelle dure profonde viscere della terra per scuoprire le sue antiche arcane vicende, e ot- tener da lei fonti copiose , zampillanti e perenni; non capita fuori di proposito la memoria del ch. Monticelli come quella che discorre del profondo , ingegnoso artificio che adoprarono i primi abitatori delle greche città di Napoli e di Pozzuoli onde creare sorgenti di acqua po- tabile e perenne fra gli aridi avanzi del fuoco. Fu per lungo tempo e per molti un enigma , se dalle grotte nel monte di Somma, ossia dal così detto Atrio del Cavallo, 0 se piuttosto dalle (1) Oraz. di Maria Enrichetta, (2) Di Maria Teresa d’ Austria, nata principessa di Spagna. (3) Di Michele Le-Tellier Cancelliere di Francia. (4) Ivi. (5) Di Luigi Borbone, principe di Condé. (6) Sermone sopra 1’ unità della Chiesa. ® ua 237 È paludi di Nola deri vassero le acque del semifavoloso Sebeto , e quelle fonti che dissetano la parte antica della più amena e più popolosa città dell’Italia. L’enigma, oggi e per sempre, è tolto dal prof. Monticelli, che con questa sua erudita memoria mette a portata di conoscere per quali lavori di sotterranea idrostatica 1 fondatori della bella Partenope, consci della indole e della disposizione di quel suolo lavico e pumiceo, sep- pero su questo raccogliere. e su quello fare depositare, per trasudamento e stillicidio perenne, le acque che sotto varia forma cadeano dall’atmo- sfera; ad oggetto di convertirle in fonti ed in rivi salutari, là dove ap- punto la Natura si era mostrata in ciò troppo parca ed avara. Il quale artificio, a parere del n. Autore, non fu nettamente nè in tutti i suoi dettagli per l’addietro scoperto nè deciferato dai vari scrit- torì sull'origine del Sebeto , i quali o l’ ignorarono affatto; o al più non lo conobbero che in parte; siccome lo dà a divedere 1’ inesatta ed incompleta descrizione da essi lasciataci sul corso e sulle vere sca- tnrigini del placido fiumicello e degli antri che furono stanza alla sua bella alunna, la ninfa Sebetide. Imperocchè sorge questo da quattro profonde sotterranee grotte ar- tificiosamente incavate nei fianchi del valloncello, sul quale poi scorre; una di esse detta Za Preziosa, da un vicino predio; la seconda, la Taverna Nuova , da una mansione dell’ antica via Appia non molto lungi di là : e la terza, che è la più prossima alle falde del monte di Somma, detta del Calzettaro, dal podere com’altrì il chiamano delle Fontanelle del Cancellaro ; mentre la quarta a poca distanza di là trovasi sulla via di un canale o acquedotto che a questa ed a quella serve di latente emissario. Tali grotte, costruite tutte al punto di contatto fra il terreno fram- meutario pumiceo e sabbioso , che gli serve di tetto e di muro sopra- stante, e un terreno lavico e assai compatto che gli serve di ricettacolo e di base, gemono continuamente dalle loro volte e dalle pareti gocciole più o meno copiose di acqua inliltrata dal suolo bibulo soprapposto. Così di mano a mano che il fluido si raccoglie nel piano delle me- desime ‘si avvia per inclinati canali, i quali dalle varie provenienze tutti si dirigono e vanno a fluire nel Castello ‘o chiusino, ivi co- nosciuto sotto il vocabolo della Casa della Bolla. Ed è quì dove tali riunioni ‘di acque infiltrate si diramano in due porzioni presso che eguali, una delle quali forma il Sebeto , mentre l’altra si dirige per Poggio Reale e Porta Capuana ad alimentare i pozzi e le fonti di Napoli antica per un artificiale grandioso acquedotto, per dove s’in- trodusse nella città stessa l’esercito di Belisario, e più tardi quello di Alfonso I. A maggior chiarezza e illustrazione della cosa il ch. autore ha ‘accoppiato alla sua memoria due tavole, la prima delle quali rap- presenta le due sorgenti ed il corso sotterraneo delle acque che dalle artefatte caverne vanno alla casa della Bolla , con li respettivi pozzi, sfogatoi, e cateratte. La seconda mappa è una pianta di altro grandioso canale che col metodo e artificio medesimo della lunghezza intorno a 28 1200 palmi, porta 1’ acqua nella piazza di Pozznoli, e dalla di cui de- scrizione ,apparisce essere questo costruito alla profondità di 200, palmi in circa, cui dà accesso una grotta posta sul. limitare di una sscala che dopo 150 gradini mette al piano dell’acquedotto, il quale di là dol- cemente progredendo va a sboccare sull’ apertura del cratere di Quarto, detto la Montagna spaccata. Qui giunto esso si divide in tre rami, cia- scuno dei quali fa capo in altrettante grotte, dalle di cui volte e pareti stillando l’acqua si riunisce nel comune condotto, accresciuto nel suo corso successivo da una sorgente che emerge nel piano medesimo. Finalmente il N. Autore ne informa, non essere dissimile dalle già accennate fonti l’ origine dell’ acqua perenne del pozzo e della fontana di Resina, di quella denominata di Buceto, la quale ultima per acquedot- to fatto, sotto il cardinale vicerè di Gravuela porta l’ acqua nella città d’ Ischia. Sarebbe cosa degna degli antiquari, dice il:n. Autore, investigare a qual epoca risalga quell’ ingegnoso artifizio. Mancando su di.ciò di dati certi, egli congettura con Gioviano, Pontano , che: esso sia stato opera dei fenici o dei greci coloni edificatori di Napoli e di Pozzuoli ; in vista non tanto della perspicacia e magnifieenza con cui furono co- struiti quelli sotterranei edifizi ed acquedotti che danno l’acqua ai pozzi di Napoli antica, quanto perchè sarebbe stato impossibile di formarli dopo che la città fosse stata ingrandita e decorata con tante pubbliche sontuose fabbriche e mura, quante ne accennano in questa parte di Napoli le antiche carte comprovate da’ruderi di un Teatro , di un Gin- nasio , di un Circo, e di altri magnifici tempj alle greche deità consa- crati. E forse gli onori divini, che dai prischi abitatori di questa con- trada furono tributati al Sebeto, dalla sua origine, occulta presso il volgo, provennero, per fare rispettare i doni della natura più utili al genere umano. Se però il tempo distruttore ci ha privato della sodisfazione di sapere il nome e la nazione degli autori, esso non è peranco giunto a distrug- gere affatto la loro opera, tanto più ammirabile, in quanto ehe prv- mossa da una sagace e certa cognizione della qualità e disposizione, geo- gnostica del suolo napoletano. o Imperocchè tanto il valloncello onde sbocca ed ha origine il Sebeto, quanto l’altro di Fozzuoli, sono coperti superiormente da un terreno vegetale a profondità variabile, ed al quale succede un altro strato incoerente e bibulo di pomici del Vesuvio . Sotto a questo si ritrovano avanzi di antichissima coltivazione giacenti sopra a banchi di sabbie, che alla profondità di 50 a 70 palmi si mostrano di colore rossic- cio, e sparse di lave frantumate e di scorie ; sino al punto che il ter- reno fassi di più in più coerente e compatto a segno che il tentare di romperlo senza ferro tagliente fora vano. È su quest’ultimo letto semiye- treo dove basano le grotte artefatte, di che si è fatto parola , ed è ìl suolo frammentario che le fiancheggia e loro sovrasta quello che serve di ricettacolo e feltro alle acque meteoriche , che 1’ arte idrumetrica dei id primi architetti, napoletani seppe a pubblica utilità della loro patria ridonare agli usi più imperiosi della vita. Ricca di molte altre notizie è la memoria sovra enunciata , e tutte più o meno direttamente tendenti a raccomandare all’ amministrazione governativa un esame più accurato al restauramento e conservazione di queste fouti sotterranee per renderle viemaggiormente proficue alla campagna ed alla città. E. R. Apologia delle Scienze e delle Arti. Elogio delle principali scoperte. Opere del sig. Ab. FerpinanDo OrtanpI. Firenze ,, Magheri 1831 vol. 2- 8° In un tempo in cui ovunque, si celebrano (e si riconoscono gli effetti salutari, delle scienze e delle. arti, e. non vi ha chi dubiti della eccellenza dell’ umano intel'etto, un libro che s’ intitola 1. Apologia delle scienze.e delle arti. - Elogio delle principali scoperte\ec. 4 non può a meno di non, ‘eccitare la curiosità dei filosofi. Con avidità abbiamo letto gli opuscoli del sig. Orlandi, e ci ha sorpresi la erudizione ela dottrina di iche ogni pagina. ne è ripiena. L’Autore mostra. d’avere bene meditati ed intesi i classici sì antichi che moderni, della qual cosa ci congratuliamo vivamente con lui. Ma ad onta di questo pregio, che certamente non è piccolo, avremmo de- siderato nel suo libro una forma più filosofica, e più adatta ai bisogni attuali delle scienze: su di che faremo alcune riflessioni, le quali an- zichè dispiacere al sig. Orlandi, debbono, piuttosto eccitarlo a prose- guire con ‘ardore .il cammino sì onorevolmente intrapreso. Il primo, opuscolo contiene 1’ Apologia delle scienze e. deile artì , ossia una nuova confutazione di, Rousseau. L'Autore si .avvisa d° in- contrare molti rimproveri per aver tentato di,misurarsi con uno scrit- tore che di nostri giorni conta tanti ammiratori, e seguaci. Ma così discor- rendo egli mal si appone al vero, per\certo; e mostra di. essere, ben poco al fatto dello stato attuale delle opinioni relativamente. al filosofo di Gineyra, Tutti. riconoscono ai nostri giorni la eloquenza impareggia- bile di Rousseau, tutti ammirano in esso un'altissimo ingegno, una pro; fonda cognizione della. umana natura; ma non vi ha ad un tempo chi non convenga della singolarità di alcuni suoi principii ; e chè non sap- pia guardarsi dai paradossi che lo hanno reso sì celebre , e fra i quali non è certamente il meno notabile quello con cui sostiene \ la inuti- lità ed i danni arrecati dalle scienze e dalle arti. Altronde ;l’ardure universale con che si coltiva la sapienza, la diffusione dei lumi in tutte le classi della società , l’ aumento dei buoni libri; l’applicazione. delle scoperte alla vita, sono argomenti bastevolmente manifesti della ri- provazione generale dei sofismi di Rousseau contro le scienze e ile arti. Ma alla buon ora/ questa ignoranza della epoca in-cui viviamo può . ben condonarsi al sig. Orlandi, e non toglie niente al merito rea e 30 della sua opera. Esaminiamo la via che egli segue ‘onde’ mostrare le verità del suo assunto. Volendo dare ad intendere i vantaggi delle scienze e delle artì , dopo poche parole sulla filosofia in generale , egli parla di ciascuna scienza ed arte in particolare , e discorre successivamente dell’Astro- nomia , della Fisica, della Matematica, della Metafisica, della Logi- ca, della Teologia , della Storia, della Eloquenza, ec. Quanto , a nostro parere, avrebbe meglio soddisfatto al suo as- sunto , se, prima di discorrere delle tali o tali altre scienze in par- ticolare, avesse esaminato la scienza e l’arte in generale nei loro uf- ficiù e nelle loro relazioni col perfezionamento dell’individuo e della società! Allora avrebbe trovato che la scienza è necessaria e indispen- sabile, perchè è un mezzo al conseguimento della felicità. Ed infatti: luomo si muove nell’ ordine della natura, e la sua felicità dipende dall’uniformare ‘ad esso i snoi moti; ma non può uniformarsi all’ordiné se non che conoscendolo, e non può conoscerlo se non coll’opera della scienza. Quindi la scienza anzi che essere soltanto utile o vantaggiosa, è la manifestazione d’un bisogno reale della natura; ‘e Ja questione del- l’ utilità o inutilità di essa ‘è in buona filosofia improponibile. Al- lora. avrebbe trovato il sig. ‘Orlandi'che le arti del bello, quantun- que non siano, come le scienze, necessarie e indispensabili, cooperano mirabilmente per i ‘mezzi che adoprano al perfezionamento dell’ no- mo ed alla diffusione del: vero; Quindi la loro ‘utilità è innegabile. Dopo questi principii generali il discorso delle scienze ed arti in particolare avrebbe acquistato un aspetto del tutto nuovo ed interes- sante; poichè avrebbe presentato una conferma delle verità stabilite. Ma in questo discorso non erano da esaminarsi i diversi rami dello sci- bile'confusamente;' e senza ‘ordine alcuno, ma bensì seguendo quella classiticazione delle seienze;'che lo stato attuale delle cognizioni, e la buona filosofia possono''sòmministrarci. Tutte le scienze hanino un fine comune, è questo fine sì è la con- servazione ‘dell’ uman genere, ed il perfezionamento della società. Mà alcune per conseguire questo scopo ‘si rivolgono alla cognizione del mondo ‘esteriore, altre ‘considerano 1’ nomo ‘in sè stesso, e nelle sue relazioni con gli esseri della sua ‘specie. Dalle prime si compone la gran massa delle ‘scienze naturali, e matematiche : costituiscono le al- tre quei rami di scibile che si distinguono col nome di scienze razio- nali, morali e ‘politiche. Ora il pensatore chè intendesse a contemplare ‘gli effetti salutari delle tali o tali altre scienze, dopo avere conosciuto il fine della scien- za in generale , dovrebbe domandare a questi due grandi rami del sapere ‘i mezzi che adoprano per conseguirlo. E così il suo lavoro avrebbe il vantaggio di riunire lo scibile sotto un solo e medesimo punto di vistà, e presentarlo alla ménte degli osservatori, onde nel- la comprensione del tutto meglio fosse inteso il valore delle parti. Egli interrogherebbe le scienze della natura; e queste scienze gli ri- 3I sponderebbero che cooperano alla conservazione dell’uman genere , ed al perfezionamento della società ;' studiando le forze del mondo este- riore, che sembrano minacciare la distruzione dell’uomo ; insegnando ad esso il modo di. preservarsi dalla loro influenza ; d' minuendo in- somma l’impero de! caso, e quello estendendo dell’ arte. e della li- bertà. La anatomia, la fisiologia ; l’ astronomia , la fisica, la chimica sarebbero chiamate in tal. modo a render conto di loro medesime avanti al tribunale della ragione , e della filosofia. Egli interroghe- rebbe le scienze dell’ nomo , e queste parimente gli risponderebbero che cooperano alla conservazione dell’ uman genere , ed al perfezio- namento della società, studiando i nostri bisogni, le nostre facoltà, le relazioni che gli uni e le altre sviluppano fra gli esseri della stessa specie, e il modo d’imprimere alla nostra condotta una direzione che a queste relazioni convenga. Così la filosofia del pensiero , la morale, le scienze politiche, la storia, ec. manifesterebbero la nobilissima loro missione, ed il principio vitale che le anima. Se il sig. ab. Orlandi avesse dato alla sua opera questa forma filo- sofica, e se allora si fosse giovato del frutto delle sue letture, e della sua erudizione, avrebbe arrecato non poco lustro alla letteratura italia- na, e il suo libro sull’ apologia delle scienze e delle arti sarebbe riuscito muovo ed interessante, quantunque nuovo non ne fosse il soggetto. L’ altro Opuscolo contiene l’ elogio delle priucipali scoperte, 0s- sia un trattato della eccellenza dell’ ingegno umano. Gi duole di es- ser costretti a fare anco a questo il rimprovero che. abbiamo fatto al precellente , giacchè come nell’altro vi è molta erudizione e dottri- na , ma disgiunta però da quella forma filosofica che sola può renderla interessante e dilettevole. \ Tutte le grandi scoperte segnano una epoca nuova nelle. vicissi- tudini della umana civiltà ; anzi la civiltà medesima altro non è che una serie di scoperte le quali perfezionano la condizione dell’uomo e della società. Quindi la storia delle scoperte è la storia medesima della civiltà. Uno, scrittore che imprenda a discorrere delle principali scoperte, ed a mostrarne i benefici effetti, rende il più gran servigio alla ragione dell’ uomo , e ne ta l’ elogio il più degno. Ma per conseguir questo scopo sarà necessario che egli apra le pagine della storia, consideri l’uo- mo nello. stato di barbarie, lo accompagni fino allo stato attuale di cultura, ed osservi come si perfeziona a misura che toglie alla na- tura qualcheduno dei suoi segreti, e ne fà 1’ applicazione alla vita. Nella enumerazione filosofica di queste scoperte poi converrà che distingua quelle che consistono nella rivelazione di qualche legge na- turale, e quelle che consistono nell’ invenzione di nuovi metodi onde meglio conoscere la natura. Così potrà render ragione della. superio- rità dei moderni sopra gli antichi; ed assegnare ad ogui grande inge- guo il posto che si meritò nell’ ordine della umana perfettibilità. Il sig. Orlandi tiene nna via ben diversa da questa. 32 Perlochè conchiuderemo che i suoi due opuscoli sono fecondi di erudizione e di dottrina, e possono da questo lato essere utili alla republica delle lettere. Ma assai maggiore sarebbe stato il loro pregio, se alla erudizione e alla dottrina sì fosse aggiunta una disposizione più metodica nel soggetto, una analisi più severa nelle investigazioni parziali, una elocuzione insomma meno retorica e più filosofica. Non manca però all’Autore nè ingegno nè volontà onde supplire a questi difetti, e distinguersi fra i buoni scrittori italiani del secolo decimo- nono. MG. Opere varie d’Ewnx10 Quirino Visconti rac. e pub. per cura del dott. Gio. Labus. Milano, Stella: tomo quarto 1831 in 8.° fig.* Molto coraggio e molto amore per gli studi italiani han pur con- dotto a termine la raccolta e l’ edizione dell’opere del nostro sommo archeologo, la qual si chiude con questo quarto volume dell’ opere varie. Esso contiene , prima che altro , quattro scritti relativi al Museo, Francese; ciò che dà occasione al dotto, cui la raccolta e 1’ edizione venne affidata , di premettere in un discorso proemiale la storia del Museo -medesimo. Fino all’epoca della rivoluzione questo Museo non abbondava che di rarità numismatiche, già raccolte dal Cary, dal Cleves, dal Pellerin, dlal Cousinery ;, dal D’ Ennery ec. Ne’primi anni della rivoluzione , quando già vi si erano aggiunte alcune rarità d’altro genere, tolte ad antiche chiese, ad antiche badie, ec. , fu parola di fonderne parte. Si opposero alcuni uomini benemeriti , il Larochefoucauld , il Dusaulx, il David, il Guytton, il Cambon, il Barrére, il Gregoire, ec., vari de’quali anzi proposero ed ottennero che si radunassero al Louvre le antichità d’ogni genere ch’ erano di ragion pubblica; e così cominciò quello che allor chiamossi (1793) Museo centrale dell’ Arti. Questo Museo, «dice il nostro dotto, ove mai sì fosser raccolti tutti i monumenti dell’ arti che ancor rimanevano ne’ palazzi e ne’ giardini reali o in altri luoghi pubblici; ove le ricerche, altra volta cominciate a Rennes, sì fosser continuate ad Arles, ad Autun, a Fréjus, a Narbon- ne, a Nimes, ad Oranges, a Vienne, a Poitiers e ovuuque furon mn- nicipii o colonie rinomate a’ tempi romani, poteva in breve e senza gran dispendio divenire uno de’ più insignì d’ Europa. Parve più spe- dito l’arricchirlo coi monumenti presi all’ talia; ciò che il nostro dotto racconta con parole di rinnovato dolore, che oggi forse parran troppo vive, frammettendole a’discorsi vari de’più dotti francesi di quel tempo che sono a leggersi veramente curiosi. I monumenti giunti a Parigi, condotti in trionfo al campo di Mar- te ec. nel:1797, furono allora non collocati ma deposti nel Museo, indi quasi abbandonati, ciò che fece levar alte le grida de’ più atti ad apprezzarli. Nel 1799, alfine, essendo a Parigi anche il Visconti, fu, grazie a lui specialmente, posta mano ad ordinarli; e 1’ ordinameuto 33 fu compito pel novembre dell’ anno seguente, quando, inauguratosi dai tre consoli l’Apollo di Belvedere, fu aperto al pubblico il Museo. Dopo ciò, volendosi dare intagliati e descritti e questi e gli altri monu- menti più preziosi ch’eran nel Museo medesimo (v. il Musé Francais etc. publié par Robillard, Peronville et Lorent, magnificissima fra le più ma- gnifiche opere ) il Visconti prese a descriverne buon numero, parte già da lui descritti altre volte, ma la cui descrizione potè da lui ri- fiorirsi con nuova dottrina, parte non ancor descritti da alcuno. Queste sue Descrizioni, ammirate e lodate grandemente dal Millin, dallo Schwei- ghauser , dal Petit-Radel , dal Saint-Victor, dal Filhol, dal Clarac, ec. tengono il primo luogo nel volume ch’ ora s’ annunzia. Ad esse è fatta succedere la Descrizione d’ antichi vasi d’argilla, etruschi o non etruschi che vogliano chiamarsi, tratta dal rarissimo libro, che ha per titolo Notice des dessins originaur du Musé Central des Arts par Morel d’ Arleux , e arricchita d’ osservazioni inedite co- municate dal Raoul-Rochette al nostro dotto, il qual la dice non inu- tile alla questione che ancor s’agita, se 1’ arte di colorire e figurare simili vasi si debba in origine alla Grecia o all’Italia. Viene in seguito la Notizia delle statue , de’ busti e de’bassilievi, ond’ era cospicuo il Museo già detto, e che frattanto avea preso il nome di Museo Napoleone. Essa è completa ma concisa; è una specie di guida pei dilettanti e pei curiosi, nella quale però si vede la mano del maestro. Ebbe fra il 1800 e il 1817 più edizioni, che tutte furono confrontate dal nostro dotto, poichè tutte, grazie ai successivi can- giamenti avvenuti nel Museo medesimo, contengon notabili varietà. I più gran cangiamenti furono fatti nel 1816, quando molti de’monu- menti là trasferiti per le conquiste furon restituiti alle primitive lor sedi, ed altri ad essi ne vennero sostituiti. Quindi una Notizia in gran parte nuova, da cui il nostro dotto, per evitar le ripetizioni, ha tratto un’ Appendice a quella che già si è detta. Non vi ha unita, egli dice, la Notizia delle statue recate da Berlino a Parigi, che da qualche bio- grafo fu già attribuita al Visconti, perch’essa certamente non è sua. E forse gli fu attribuita, confondendola col libro che ha per titolo Sta- tues, Bustes, Bas-Reliefs etc. conquis dans les années 1806 e 1807, di cui è sua la prima parte, e da cui il nostro dotto ha tratte non poche delle illustrazioni onde gli è piaciuto adornare e la Notizia già detta e la sua Appendice. Dopo di queste vengono varie lettere del Visconti, tutte inedite, meno una, che fu già stampata in tedesco in una Memoria intorno ai Marmi di lord Elgin. E dopo le lettere (alcune delle quali, veramente importanti, sono, come quasi tutte le cose del Visconti, illustrate dal nostro dotto) vengono alquante poesie giovanili, in cui sovente, se non il genio del poeta, si vede il genio dell’ archeologo. Chiude il volume una sua traduzione poetica dell’ Ecuba d’ Euripide fatta a tredici anni, senz’ajuto , dicesi, di traduttori a di coinmentatori , e. fin d’ allora T. IV. Dicembre. a | 34 stampata ma non pubblicata , la quale si leggerà, penso , con mera- viglia e piacere. Molti altri scritti dell’ autor nostro rimangono ‘inediti, gli articoli ch’ei dettò pel Dizionario di Belle Arti che si sta compilando dalla R. Accademia di Francia, le memorie che lesse a quella delle Iscrizioni e Belle Lettere , altri di varie specie depositati nella R. Biblioteca del Re in Parigi , altri esistenti in Roma tra le carte del fratel suo Filippo Aurelio , di cui si compiange la perdita ancor recente. Di vari di questi scritti il nostro editore , altro non potendo , ci dà almeno i titoli. Non dispera di darci qualcuno degli scritti medesimi, quando ci darà gli indici (bibliografico, epigrafico e archeologico) di tutte 1’ opere dell’ autore ch’ egli è riuscito a raccogliere , di che e a lui e a quanti con lui hanno operato l’ Italia vorrà mostrarsi riconoscente. M. Osservazioni intorno ad un’edizione sconosciuta del Morgante Maggiore di Lvier Pvurer eseguita in Firenze nel 1482, colla descrizion d’ un Decamerone di Gro. Boccaccio che credesi eseguita nella Stamperia di S. Iacopo di Ripoli circa il 1483. Firenze, St. Arciv. 1831 in8.° fig.” Conoscevasi un’edizione del Morgante di Luigi Pulci in soli 23 canti fatta in Venezia, probabilmente senza consenso dell’ autore, nel 1481. Essa però non conoscevasi che da pochi , se si è potuto di- sputare dell’ anteriorità del Morgante medesimo o dell’ Orlando Inna- morato del Bojardo ; se il Venturi nel suo Saggio sopra questo poema ha potuto asserire che la prima edizione del Morgante é del 1488; se il Ginguené nella sua Storia ha potuto dire che il Morgante non fu impresso che dopo la morte del poeta, avvenuta, per quel che dicesi, ma non è provato, nel 1487. Un’ altra edizione , pur del 148r , ma compita , cioè in 28 canti, e fatta in Firenze nella stamperia presso il monastero di S. Iacopo di Ripoli, fu supposta dal Fineschi , il qual trovò (v. le sue Notizie di quella stamperia) non so che ricordi, che una suor Marietta di detto monastero ebbe una volta in quell’ anno fiorini uno , e un’altra fiorini due larghi per ager ajutato a comporre il Morgante ; supposizione che hon fu confermata e non fu confutata nè dal Follini negli Annali della stamperia già detta inseriti nel Catalogo del Fossi da lui in gran parte compilato , nè dall’ Audifredi nel suo noto Prospetto , nè dal Panzer, nè da altri. Il Morelli nel volume quarto della Biblioteca Pinelliana parlò an- eh’ egli d’ un’ edizion compita del Morgante fatta nel secolo decimo- quinto , e ne parlò come di cosa da lui veduta, esistendone in quella biblioteca un esemplare (passato poi a Londra in quella di lord Gren- ville); ma, poichè a quest’ esemplare mancavano le prime e 1’ ultime due carte, non potè dire nè di che anno nè di che luogo 1’ edizione si fosse. 35 Venne alfine alle mani del nostro egregio bibliografo Stefano Au- din un esemplare anch’ esso mancante, ma in altre parti che il pinel- liano , d’un’edizion completa del Morgante fatta nel secolo già detto, con data sicura sì d’anno e sì di luogo , tratta, come in essa di- chiarasi, dall’original vero, e riveduta dall’ autore. D’un’ edizione cioè fatta in Firenze nella stamperia presso il monastero di Fuligno. nel 1482 per Francesco di Dino d’Iacopo di Rigaletto, giovane cartolajo fioren- tino, che altre edizioni fece prima in Napoli, alcune delle quali affatto ignote furon descritte ultimamente dal nostro bibliografo nel suo Ca- talogo della Biblioteca Boutourlin. Sarebbe mai questa, disse al primo vederla il nostro bibliografo , 1’ edizion fiorentina di cui parlò il Fi- neschi, supponendola fatta presso il monastero di S. Iacopo di Ripoli ? I due monasteri, com’egli nota, non separati allora che da alcuni orti, potevan quasi dirsi contigui. La buona suor Marietta adunque potè da quel di Ripoli ajutar a comporre il Morgante che si stampava presso quel di Fuligno , come altre suore dabbene ajutarono a com- porre il Cento Novelle o Decamerone del Boccaccio, che nel 1483 si stampò, come crede il Follini (1’ Antologia rese conto della sua lezione accademica su quest’ argomento), presso il monastero di Ripoli. Come crede il Follini, ho detto, non come crede l’ Audin, a cui non mancano ragioni di dubitare. Nel 1824, essendo egli a Londra , vide ed esaminò attentamente uno de’ due soli esemplari che si cono- scano dell’edizion del Decamerone che dicesi ripolese, quello ch’ è posseduto da lord Spencer. Ora quest’ edizione ch’ei ci descrive, e di cui ci dà un saggio , non dubitando d’asserire che presa a norma “‘ ren- derebbe inutile la maggior parte de’lavori che sul Decamerone sono stati fatti dopo il secolo 15.°, incontrandovisi ottime varianti quasi ad ogni passo ,, non somiglia, com’ei dimostra, che in qualche par- ticolare alle edizioni ripolesi più sicure. Ben somiglia perfettamente ad un’edizione del Driadeo di Luca Pulci, che pur dal Follini negli Annali già menzionati vuolsi fatta nella stamperia di Ripoli, ma che potrebbe pure esser fatta altrove. L’edizion del Morgante fatta presso il monastero di Fuligno, che il nostro bibliografo pur ci descrive, rettificando una notizia che po- canzi ne fu verosimilmente mandata di qui all’autore della Biblio- grafia de’ Romanzi e Poemi cavallereschi dell’Italia ; e della qual pure ci dà un saggio , assicurandoci che al confronto di quella del 1732 citata nel Vocabolario contiene ‘‘ molte ed eccellenti varianti ,, è la stessa di cui il Pinelli possedeva un esemplare or posseduto da lord Grenville. E il nostro bibliografo ha potuto accertarsene, grazie ad un espediente ch’ ei proponevasi di additare in un suo Metodo per la com- posizione e classificazione d’ una Biblioteca Universale, come utilis- simo per chiarirsi dell’ identità o non identità dell’ edizione di due esemplari mancanti e anche di due interi, quello cioè di paragonar fra loro il primo e l’ultimo rigo d’uno de’lor quaderni di mezzo. Altre avvertenze e particolarità bibliogratiche rendono importante 30 ai bibliografi l’ opuscoletto del nostro. Alcune notizie istoriche intorno all’ autor del Morgante sparsevi per entro, e per cui si correggono al- cune asserzioni degli serittori di storia letteraria, lo rendono impor- tante a chiunque sì diletta di questa storia. L’ viprteao gg si chiude con quel sonetto del Pulci, che nelle rac- colte s’ intitola ad un Geometra suo nimico, e in un manoscritto del se- colo decimoquinto , onde il nostro bibliografo lo ha tratto con diverse varianti, a Marsilio Ficino. Può darsi, benchè sia poco verosimile, che con alcune varianti esso sia stato diretto dal Pulci medesimo or contro il geometra or contro il filosofo platonico. I segni però dell’originalità a me non sembrano che nelle varianti del sonetto che s’intitola al filosofo. La più notabile di esse è nella chiusa; doppiamente notabile , poichè ci dìiscopre e l’opinion particolare del Pulci intorno al filosofo di cuì si parla, e forse l’opinion generale de’ begli spiriti del suo tempo in- torno alla filosofia platonica : O tw bestemmi la filosofia ec. Tu ne re- cesti un dì tanta a Careggi, Che tu non n’ hai se tu non ne releggi. M. Istoria dell’ Europa di PrerrrancEsco Giamburrari dall’anno 887 al 947 : sesta edizione purgata da molti errori delle precedenti (fa parte della Scelta Biblioteca di Storici Italiani ) : Livorno, Masi, 1831, vol. 1.° (saranno 3) in 12.° Quest? edizione da lungo tempo desiderata doveva esser fatta in Firenze presso uno de’ nostri più stimabili tipografi, il qual poi ne ha lasciato il vanto al collega Livornese. E all’edizion fiorentina dovevano esser premesse queste non lunghe parole, di cui è parte nell’ avviso a? lettori di quella di Livorno, e che qui riferirem per intero. “ L’ Erodoto Italiano ( chè tal nome par veramente convenirsi a Pierfrancesco Giambullari ) venne per più di due secoli e mezzo quasi obliato in Italia. Un’ edizione infelicissima , toccata a principio , non ostanti le cure d’ un tenero amico , alla sua Storia d’Europa , non ne fu per avventura la causa più lieve. Quattro edizioni assai migliori , succedutesi a non lunghi intervalli in questi ultimi dieci anni , sem- brano aver non poco ravvivata la sua fama. A ravvivarla del tutto gio- verà, speriamo , l’ edizion novella, che ci è dato presentarvi, a nor- ma d’un esemplare di quella di Palermo , corretto di mano d’uom pe- ritissimo , anzi d’uno de’ più atti a supplir coll’ingegno ai manoscritti che ci mancano , Pietro Giordani, al qual pure dobbiamo la distinzion degli anni e dei paesi, a cui la Storia progredendo si riferisce , e che qui troverete segnati, gli uni all’ alto di ciascuna pagina , gli altri ai capoversi cui danno motivo. « Quest’edizion novella, che viene ad esser la sesta di quelle che ci son note , è la sola che ancor siasi fatta nella patria del Giambul- lari. Poichè la prima , procurata dall’ amico suo Cosimo Bartoli, e che per tanto tempo fu senza compagne ; uscì in Venezia nel 1566 ; la se- 37 conda è quella di Palermo detta pocanzi 3 la quale ha la data del 1820; la terza, a cui furono premesse le più copiose notizie che mai si fos- ser raccolte intorno all’ autore, si fece in Pisa del 1824; la quarta , che può riguardarsi come una repetizione dell’ antecedente , ci venne di Brescia nel 1827 ; l’ ultima , ove le notizie già dette son compen- diate e la lezione più che in altre emendata , ci è venuta di Milano lo scorso anno. “ Il qual fatto non è agevole a spiegarsi, pensando come il Giam- bullari fu qui reputato fra i dottissimi del suo tempo ( nacque di Ber- nardo celebre poeta nel 1495 e morì nel 1555); tenne, si può dire, finchè visse, la suprema magistratura della lingua, di cui cercò le ori- gini e primo fra i Toscani dettò le regole ; e fin dal tempo che una benemerita Accademia cominciò a raccoglierne il tesoro, fu per la sua Storia stessa e per altre composizioni annoverato fra gli scritteri più degni d’ arricchirlo. Quindi pare che fin da quel tempo , o quando almeno il miglior gusto, dopo lunghi errori, tornò a prevalere , qual- cuno dovesse qui vendicare e la Storia e 1’ autor suo dal torto che la fortuna avea lor fatto. ‘ Ora noi siam lieti, che almeno esca in Firenze l’ edizion più emendata della Storia medesima , ossia del magnifico frammento che il Bartoli ce ne ha serbato, e che fu pure il primo e veramente mira- bile modello di storia generale all’Italia anzi all'Europa. Pieno il cuore del suo Dante , al cui poema consecrò non pochi scritti, parte editi, parte sventuratamente smarriti, volle il Giambullari cominciarla donde forse gli parve che l’avrebbe cominciata Dante medesimo , cioè dal ri+ creamento dell’ impero per opera di quel Carlo , a cui non senza gran giustizia fu dato il titolo di Magno. E collocandosi, come in naturale suo centro , nella parte più bella dell’impero medesimo , e di qui vol- gendo lo sguardo a quante regioni in Europa già gli furon soggette , fece della sua storia bellissimo specchio a quella grandezza e a quel- l’ unità ch’ ei vagheggiava in suo pensiero ;, e che fu per avventura nobil sogno della mente di Carlo. Quindi la parola, ch’ egli ebbe sem- pre aurea e copiosa , gli uscì questa volta e più grave e più varia e più armoniosa, sicchè se avessimo della sua Storia, come di quella del greco Erodoto , nove libri invece di sette , che appena gli fu dato di compire , potremmo anch’ essi intitolarli dalle nove Muse ,,. M. 38 Il Catilinario ed il Giugurtino di C. Crisro Sarrusrio volgarizzati da F. Bartclommeo da S. Concordio, nuovamente conferiti col testo latino e recati a miglior lezione ec. Napoli , Stamp. Francese 1827 in 8.° Viaggio al Monte Sinai di Simone Sicori, testo di lingua ec. di nuovo messo a stampa per cura di Basilio Puoti. Napoli, Tip. nella Pietà de’ Turchini 1831 in 8.° Antologia di Prose IrALIANE compilata ed annotata per Basilio Puoti: parte prima ad uso de’ Fanciulli. Napoli, Stamp. Francese, 1828 in 8.° Dell’utilità dello studio delle lettere umane orazione di S. Basitro M A- GNno dal greco idioma voltata in toscano per Basilio Puoti. Na- poli, Tip. nel R. Albergo de’ Poveri 1829 in 8.° Il Sogno e due Dialoghi di Luciano volgarizzati dal greco da Cesare Dalbuono. Napoli, Stamp. del Fibreno 1830 in 8.° Sopra un Bassorilievo di Trro AnerLINI discorso di Cesare Dal. buono. Napoli , Stamp. del Fibreno 1830 in 8.° Uniamo insieme questi libri d’ argomento diverso e stampati in anni diversi, poichè ci son giunti da Napoli tutti ad un tempo, e tutti vengono da una stessa scuola di lettere ch’ ivi già va prosperando. Del Catilinario e del Giugurtino di Sallustio volgarizzati dal S. Concordio , e ristampati per cura, come poi seppi, di tre cultori ar- dentissimi del nostro idioma, fra’quali il Puoti che lor premise la Vita del Volgarizzatore, già si disse nella quinta Lettera sui Codici Tempiani. La sua ristampa fu come un pegno d?’ altre d’ altri libri del tre- cento , fra’ quali ci si presenta ora il Viaggio del Sigoli al Monte Si- nai, che il Puoti sembra aver scelto (v. la sua lettera proemiale ) e per la pura favella e per quello stil piano ed agevole , comune a quasi tutti gli scritti del secolo già detto, e che singolarmente conviensi alle materie che più volentieri sì trattano nel nostro ec. Se non che , egli dice, quanti veramente nel secol nostro pensano a pura favella , a stil conveniente? Vi pensan eglino quelli stessi che più vi sarebbero tenuti, poichè\da loro particolarmente se ne aspettano i precetti e. l’esempio ? E qui, se onesti riguardi non mi trattenessero , dovrei re- care alcuni suoi periodi di molto e non ingiusto dolore , che questo pensiero gli ha dettati, e che a me sembrano de’ più belli che oggi possa dare la lingua e l’ eloquenza nostra. Ne recherò altr. , quan- tunque men belli, del suo discorso proemiale alla prima parte della sua Antologia di Prose Italiane, i quali faranno aperto l’ intendimento suo e della scuola a cui egli appartiene. “° Non sia chi pensi che a quelli, che nascono in Italia, non fac- cia mestieri di affaticarsi tanto e sì di buon” ora intorno alla propria lingua. Perocchè se questo si potesse in alcun modo concedere a’ To- scani, ed ispezieltà ai Fiorentini, tra’ quali almeno in gran parte è vivo appresso al popolo il vaghissimo idioma de’Villani e dell’Alighieri, 39 non sarebbe mai da credere che fosse pur così il fatto nostro e degli altri Italiani, i quali abbiamo tutti un dialetto che molto si dilunga dalla vaghezza ed urbanità del fiorentino. Oltre a questo la lunga di- mora degli stranieri in Italia , il vezzo d’ imitarli sino nel favellare , e la dimenticanza della nostra propria dignità ed onore, hanno sì cor- rotta ed insozzata la favella che si parla eziandio nelle colte brigate e si adopera nelle pubbliche e private scritture , che se studiosamente e con ogni diligenza non c’ ingegniamo d’ attingerla dagli scrittori del- l’' aureo trecento e del gentile e colto cinquecento , parleremo e det- teremo barbaramente , e la renderemo sempre più guasta e diffor- mata, ec. ,, Ma pur troppo, com’ei fa intendere, la nostra gioventù non solo, generalmente parlando, è poco aiutata nell’istruzion che riceve ad uno studio per tutti gli Italiani necessariissimo , ma n’ è piuttosto sviata. « A’libri d’ insegnamento di filosofia e di altre scienze , in prima det- tati in latino , se ne sono sostituiti altri i quali, se per rispetto alla materia ed al metodo sono da anteporre a quelli, no’ sono certamente per la lingua e lo stile ,;. Perocchè son essi, com’ ei seguita a dire, o barbaramente tradotti da qualche lingua moderna , o barbaramente dettati ec. ec. ‘ Il che, se è nocevole nelle opere pertinenti a scienza e genera confusione ed oscurità; in quelle delle quali di lettere si ra- giona , e si dà precetti di pulitamente e ben favellare , è difetto im- portevole e ci dilunga al tutto dal nostro scopo ec. ,, Importa troppo , egli dice , che si abbiano per prima cosa grammatiche veramente ben fatte e quanto al metodo e quanto al resto, ‘° chè troppo laida cosa è il vedere una grammatica della lingua toscana scritta in dialetto o semina- poletano o semilombardo, ec. ,, Importa non meno l’avere ottimi esem- pi, con cui maestri veramente periti sappiano avvivare, estendere, ridurre alla pratica i precetti della grammatica , formar il gusto degli allievi, ec. A quest’ uopo è compilata la prima parte specialmente della sua Antologia, ove tutti gli esempii son aurei e bellissimi, ed ordinati in modo che servano ad un insegnamento il qual sia progressivo. Se non che taluno avrebbe voluto che, compilando questa prima parte, ei non sì dipartisse dai semplici racconti. Talaltro anche avrebbe voluto che, annotandola, si restringesse ad additare e spiegare ciò che oggi non è più in uso e a’ fanciulli specialmente non sarebbe intelligibile. A) qual proposito pur da taluni si osserva che, siccom’ egli scrivendo le sne lettere, i suoi discorsi proemiali ec. , forse non ha indovinato sempre l’ uso vero di certe parole ancor vive , così nelle sue anuota- zioni non sempre forse ha deciso bene se certe parole o certe maniere sien morte , se talune, ormai escluse dal dir più nobile e comune ai Toscani, non sieno rimaste ad alcuni de’ lor particolari dialetti ec. Almeno , dicesi, contento di notare ciò che a questo riguardo gli pa- rea più notabile, non avesse mai fatte sostituzioni nel testo ; tanto più ch’ei non potè farle ogni volta che secondo i suoi principii, avrebbe dovuto , e colle note ei poteva ottener sempre lo scopo di quelle so- stituzioni. 4o Che se in un’Antologia destinata a’ fanciulli il far sostituzioni po- tea pur sembrare opportuno, non par che il dovesse egualmente in un libro non destinato a’fanciulli, come il Viaggio del Sigoli. E se 1’ uso di simili sostituzioni, a cui qualch’ altro valentuomo sì mostra oggi inclinato , cominciasse a prevalere , credo che si correrebbe gran ri- schio di veder tolta fra poco a’nostri vecchi scrittori gran parte del lor colore originale. E ciò non potrebb’essere certamente senza qualche danno per lo stu- dio della lingua , della quale come il Puoti sia perito può vedersi an- che nelle note al Viaggio , da lui frammesse a quelle che scelse dalle molte onde già 1’ adornarono il Fiacchi ed il Poggi. E anche delle di- chiarazioni di questo secondo furono trascelte le più importanti, e delle trascelte fu fatto compendio per cura non del Puoti, ma d’un sno giovane allievo, il Dalbuono, che cammina rapidamente a prender seggio accanto al maestro. Già prima questo giovane allievo, non avendo ancora che 16 anni; avea dato buon saggio del suo valore nella lingna con uno scrittarel- lo assai pulito , aggiunto ad una pulitissima versione del maestro, con una notizia cioè intorno alla vita e all’opere di Basilio Magno aggiunta all’orazione che il maestro tradusse di quel sacro scrittore intorno alla necessità dello studio delle lettere umane. Un saggio ancor più bello ei ci diede con una sua versione pur molto pulita del Sogno e di due Dia- loghi di Luciano, e indi con un Discorso sopra un Bassorilievo dell’An- giolini, il monumento della duchessa Floridia, il qual sembra promet> tere che il gusto dell’ arti del disegno andrà sotto il bel cielo di Na- poli rifiorendo con quello dell’ arte dello scrivere. Chiunque crede che il buon gusto sia cosa di qualche importanza morale e sociale avrà care queste poche notizie. M. Collectio Latinorum Scriptorum etc. = PÒarpri Fabularum Aesopicarum libri quinque cum novis adnotationibus : accedunt Novae Phaedri Fabellae cum notulis Variorum. Florentiae ex Typ. Bor- ghi et Soc. 1830 in 12.° Alquanti mesi addietro si poteva annunziare con gran piacere que- sto Fedro elegante qual secondo volume della Collezion de’ Latini, di cui il Sallustio fa il primo. Oggi non può annunziarsi che con dolore, dovendosi pur dire ch’ esso probabilmente è 1’ ultimo. Il Sallustio era copiato interamente da quello d’una collezione bel- lissima che si va facendo oltremonti. Il Fedro cominciava a far ere- dere che la nostra collezione non sarebbe senza originalità. Ex multis et quidem eruditissimis adnotationibus in Phaedri fabulas summa diligentia eraratis, diceva a nome degli editori un giovane eruditissimo, N. Tom- maséo, a cui ne fu affidata l’illustrazione, pauculas hasce hoc potissimum consilio excerpsimus, ut quidquid ad auctoris intelligentiam vel necessarium 4I vel utile in primis esse posset , brevi spatio collectum quasique stipatum exiberemus. Indi aggiugneva ciò che particolarmente conferma le nostre antecedenti parole : Adnotatiunculas praeterea nostras passim adjecimus, vel ad Phaedri locutiones aliorum scriptorum eremplis confirmandas atque illustrandas, vel ad indicandum quaenam vulgaris linguae locutio latinam lerim convenientius reddere videretur, vel ad fabulatoris ethnici senten- tias, quae a nostrorum temporum et morum ratione procul abhorrent , mo- desta reprehensione arguendas etc. E aggiugnendo le Nuove Favole, tro- vate già in un codice del Perotto, a cui da taluno, poco verosimilmente, si attribuirono le antiche , discorreva la storia di questo ritrovamento e delle dispute a cui diede occasione. Indi, avendo premessa alle an- tiche la vita del poeta scritta dallo Schwabio, poneva dopo le nuove una breve e dotta appendice alla vita medesima. Così il Fedro della Collezion Fiorentina, impresso come il Sallustio con molta cura, e com’esso adattato egnalmente e all’uopo delle scuole e a quello della maggior parte degli studiosi, uscì in luce con taliì par- ticolarità da far augurar molto bene del proseguimento della Collezio- ne medesima. Pur la collezione, per mancanza d’ associati, da più mesi è interrotta, nè , sento dire , sarà facilmente ripigliata. Se , quando la bella Collezion Torinese era ancora a principio , simil cosa fosse di essa avvenuta, me ne sarei forse fatta meno meraviglia, poichè quella collezione , degna d’eccitare il desiderio di molti, eccede un poco pel suo costo le facoltà dei più. Che se la nostra non ha associati che bastino, è forza incolparne la decadenza ognor più sensibile di certi studi, senza de’ quali io non so, a dir vero, quel che sia per divenire la nostra letteratura. Ad ogni modo , come di nessun bene è mai da disperare , io vorrei che gli editori, a cui so che oggi le forze non maucano , guardasser meno agli associati presenti che ai compratori futuri, e proseguissero con coraggio ciò che a loro e a questa sede un tempo degli studi più belli sarebbe di tanto decoro. M. Marci TurLrr CrceronIis Orpheus sive de Adolescente studioso ad Mar- cum filium Athenas : editio altera curante S. L. I. G. Audin. Flo- rentiae in Archiep. Typ. 1831. in 16.° L’ Orfeo fn trovato Ciceroni inscriptus verso la fine del secolo deci- mosesto in un codice della Biblioteca di S. Marco di Venezia, ov’erano fra più altre cose alcuni frammenti che a chi lo trovò parvero della Re- pubblica di Cicerone medesimo. E chi lo trovò fu un erudito giurecon- sulto, G. Cesare Glusiano Squarcia, il quale anch’egli, pubblicandolo, lo ascrisse a Cicerone, benchè nella dedicatoria ad un medico filosofo suo amico , Giambatista Airoldo Marcellino, usi queste parole: Mito igitur ad te Orpheum, quem vel ipsius esse Ciceronis, vel ex officina ali- cujus prodiisse, qui. prorimus aetati Ciceronis virerit, tute qui mihi instar es omnium Manutiorum testis esse poteris, etc. T. IV. Dicembre 6 42 Quel che ne pensasse il medico filosofo non so. Certo, al primo prenderlo in mano, anch’egli potè crederlo cosa o di Cicerone 0 d’al- tro scrittore a lui prossimo d’ età. Poi, seguitandone la lettura, non potè forse, com’io non posso, dubitare che sia opera di qualche re- tore moderno. E ciò non solo per la lingua e per lo stile , ma molto più per le idee che trovo or troppo or troppo poco antiche, e , per tacere dalla loro povertà, mancanti quasi sempre di colore originale, Il retore peraltro non era inabile, e quando, per esempio, in proposito dello sforzarsi che faceva Orfeo fanciulletto d’ imitare i suoni e il canto paterno, ricorda il piccolo Marco e Tulliola; che pur sforzavansi d’ imi- tare la voce e le gesta aratorie del padre, il qual preparavasi in casa alle aringhe del foro o del senato, mi par quasi retore degno di con traffar Cicerone. Più stampe dell’Orfeo , secondo la Biblioteca Latina del Fabricio, che il nuovo editore a questo proposito corregge , sembrano state fatte tra la fine del secolo decimosesto e la metà del seguente, La prima, di cui il nestro editore dà un facsimile così pei caratteri come per gli ornamenti, fu fatta in Venezia nel 1594 presso G. B. Ciotti ch’ ivi si dice tipografo e libraio della Veneta Accademia. Ora le stampe, in cui egli così s’ intitola, fanno serie colle Aldine, che il nostro editore chiama ‘ Ja più cara collezione della Bibliografia ,, Quindi nel fron- tispizio da noi qui sopra trascritto e da lui posto innanzi ad un suo Avvertimento ai Lettori, a cui poi succede il facsimile che si è detto, col frontispizio che gli conveniva, ei pone l’ ancora aldina quasi ad avvisare i bibliografi che il facsimile può nelle lor raccolte tener luogo dell’ originale. Nel suo avvertimento ei non si arroga di decidere la questione dell’ autenticità dell’Orfeo , che gli editori dell’ apere di Cicerone, o non conoscendolo o per altre cause, non hanno finora accolto nem- meno tra le sue opere dubbie. Solo, dopo aver fatto intorno ad esso alcune congetture, dice che non potrà mai giudicarsene rettamente fin- chè non venga ritrovato ciò che vi manca e di cui si dà avviso col De- sunt multa a facce 24. Consiglia intanto quelli che volessero riprodurlo a correggerne il titolo in questo modo Marer TuLLu Ciceronis (si Deo placet) Orpheus etc. ‘“ Così fecero prudentemente , egli aggiunge , alcuni antichi tipografi ristampando la famosa impostura ( M. Tulli Ciceronis Consolatio etc.) attribuita al Sigonio, che tante guerre di letterati gli suscitò contra, e che finalmente fu cagione di sua morte. ,, M. Vita di Prerro Arerino del Brrnr. Perugia 1537 ( Londra 1829 0 3o ) in 8.° Il Mazzuchelli, scrivendo egli pure, o piuttosto scrivendo egli pri- mo veramente la Vita dell’ Aretino, disse d’ aver veduto quest’ altra Vita , 0 piuttosto questa satira in dialogo attribuita al Bernì, mano- 43 scrittà presso Apostolo Zeno , e benchè infine vi leggesse stampata in Perugia per Bianchin del Leon in la contrata dei Armeni 1537 , dubitò che la stampa fosse mai stata eseguita. Ma la stampa fu pur veduta dal Tiraboschi presso il suo amico Tommaso Farsetti , che dovea tenerla co- me cosa carissima e da molti sicuramente invidiata. Ora una specie di facsimile di questa stampa è uscito pocanzi a Londra in piccolissimo numero d’ esemplari, per cura d’una società editrice de’ libri più rari. Probabilmente di quella che s’intitola Roxbourge-Club, la qual nacque ( v. il Dibdin, se ben mi rammento , nel 3.° vol. del Bibliographical Decameron ) in occasione che fu venduto nn Boccaccio più centinaja di sterline, e pubblicò, fra le prime sue cose , quella novella del Da Por- to, di cui in questi ultimi anni abbiamo avute più edizioni italiane, fra cui la superbissima colle miniature del Gigola. L’edizion novella della Vita o della satira attribuita al Berni non differisce dalla perugina che per la sceltezza della carta, la nitidezza de’caratteri, e alcuni orna- menti del frontespizio , che ci presenta il rovescio di quella medaglia che l’Aretino si fece fare appunto nel 1537 col Divus Petrus Aretinus Flagel- lum Principum dall’una parte, e il Veritas odium parit dall’ altra, ed ha a rincontro il ritratto inciso da Tiziano e inciso dallo Swaine. Quanto all’autore della Vita o della satira, già il Rolli, che pur la vide mano- scritta, aveva osservato ch’essa non poteva essere del Berni, il quale scriveva con troppa maggior proprietà ed eleganza. Al Mazzuchelli parve di ‘poterla attribuire con certa verosimiglianza a Niccolò Franco. Ma essa potrebbe anche attribuirsi al Fortunio, che vi è lodato più del Franco, massime alla fine, in una supposta lettera del Berni all’ Aretino. M. La Sette Virtù ec. poemetto di Giurio Francrosi. Carpi , Tip. Co- munale 1831 in 4.° Un breve articolo dell’Eco (n.° 107 ) mi ha invogliato di leggere questo poemetto , che appartenendo, giusta la frase ivi usata , alla classe degli inaugurali , non può oggi esser letto spontaneamente se non da pochi. Ed io pure vi ho trovato alcune delle qualità dello stile che il cantore della Basvilliana apprese da quello della Divina Com- media. Cosa, parmi, abbastanza notabile, e da prenderne buon augu- rio per que’ componimenti in ispecie , che l’autore fosse per scrivere in seguito mosso da forte ispirazione. M. Le Guerre Catilinaria e Giugurtina di C. Crispo SALLUSTIO volgariz- zata da Michele Leoni. Parma , Carmignani 1831 in 12.° Lo scrittore delle Guerre Catilinaria e Giugurtina , con cui già molti hanno tentata la lotta, seguita ad eccitarvi gl’ingegni più vigorosi. In- vaghito di quella che con lui sostenne primo il volgarizzatore degli 44 Ammaestramenti — tanto invaghito «la trovar quasi meno ammirabile quella che poi sostenne il sommo de’ tragici nostri = io non ceredea di potermi compiacere in questa nuova che ha pur volnto sostenere il traduttore dello Shakespear e di quasi tutti i principali poeti inglesi. Mi sono fortunatamente ingannato. Poi ch’egli tiene benissimo il campo, va per via chiara e spedita = talvolta anche più spedita che l’ istesso trecentista = al suo scopo ; e se usasse un’ arme sempre uguale, la lin- gua d’oro, cioè, che il trecentista, per invidiabile privilegio dell’età sua, aveva costante; io mi sentirei molto diviso fra il trecentista e. lui. A me con ciò par di dire gran cose; poichè l’ avere pur un poco del fare de’trecentisti mì par oggi gran merito ; + poichè ogni bellezza vera di lingua e di stile sarei oggi inclinato a chiamarla frecento, com’ altri che ad ogni bellezza dell’ arte dava il nome di greca poesia. M. Opere in verso e in prosa di Gro. Barisra Niccorini. Firenze, Piatti 1831, fomi:3 in 8.° Non sono ancora molti mesi che un Giornale estero , e de’ più ce- lebri, parlando della medaglia coniata per la penultima tragedia del Niccolini, che nell’ odierna raccolta delle sue opere ci si presenta la prima, parea compatire al nostro entusiasmo per le opere poetiche, e cì augurava giorni di maturità in cui altre opere vengano onorate. Ed io pure desidero giorni di maturità, in cui opere utili d’ ogni specie sieno possibili, e a nessun opera utile si neghi onore. Guai però se a que’ giorni non fossero annoverate fra le più utili lc opere ve- ramente poetiche! Poichè a tali opere specialmente spetta pur di nu- trire il fuoco sacro de’ più nobili sentimenti, senza di cui non avvi per le nazioni nè grandezza nè virtù nè progresso. E l’opere poetiche del Niccolini, premiate o non premiate di me- daglia 0 d’ altri onori, comprese o non comprese nella presente rac- colta, servirono quasi tutte e potentemente a nutrirlo. E con esse pur vi servirono quasi tutte le sue opere di prosa, che qui per la maggior parte loro si uniscono, e che molto pur tengono del poetico. Già or dell’ una or dell’ altra sì delle prime che delle seconde fu fatta parola così in questo come in altri giornali. Or gioverebbe con- siderarle insieme , le une, cioè, relativamente alle altre, e allo stato della letteratura nel tempo in cui furono composte. Ma la lor raccolta fortunatamente non è all’ ultimo suo termine. Altre opere sta meditando |’ autore, due delle quali, per quel che si dice, sono ormai compite. Quando lo siano del tutto, sarà bello il partire da alcune delle più giovanili, ch’ egli ( come il più gran poeta de’ nostri giorui , il Byron, fece delle sue ) non ha voluto rigettare , per giugnere alle più virili, fra le quali sarà il discorso storico ch’ei prometteva per proemio al Procida , e che ormai s’è convertito in vera storia, M. 45 L’ Antica Morale Filosofia esposta quanto alla peripatetica dal Zanotti; alla stoica e pitagorica da vari Greci; aggiuntavi la delineazione di quella di Tacoro SreLLINI : opera raccolta e pubblicata per cura di Grawnpomenico Romagmwosr. Milano, per Vincenzio Ferrario, 1831; un vol. di pag. VIII. e 234. Ecco in che termini il chiarisrimo Romagnosi nella ragione del- ? opera rende conto delle intenzioni avute, e del sistema adoperato nel pubblicare la annunziata raccolta: “ Questo libro non è che una collezione ; ma essa equivale ad una storia autentica degli studi da più di venti secoli fatti in Europa snl più importante ramo della universale filosofia. I caratteri delle tre scuole più antiche, più dominanti e più durevoli , sì troveranno negli scritti qui radunati; e se della epicurea non fu data veruna speciale scrittura, non ne manca però in quella del Zanotti una suftieiente in- formazione. > Abbiamo incominciato col compendio della Filosefia morale peri- patetica , esposta da Francesco Maria Zanotti , sì perchè egli ci pone al fatto delle quistioni agitate fra i Peripatetici, gli Stoici e gli Epi- curei; sì perchè egli ci presenta un quadro completo della peripatetica filosofia raffazzonata alquanto dalla platonica, e sì perchè tali cose espone colla eleganza di un valente letterato, e colla facilità e disin- voltura di un nomo di mondo. Noi fummo di avviso di farlo precedere come oratore che si cattivasse la buona grazia del maggior numero dei lettori, e servisse come di intermediario ad affrontare la severità stoica e la sublimità pitagorica. ») Quanto alla stoica, miglior compendio certamente non trovasi del Manuale di Epitteto , tradotto dal riputatissimo grecista Pagnini. Due altri soli rivaleggiano in fama con Epitteto , cioè Seneca e l’ im- peratore Marc’ Aurelio , gli scritti dei quali sono forse più popolari , ma non più succosi del Manuale di Epitteto. 3, Viene finalmente la scuola pitagorica, della quale non abbiamo libro autentico di un autor solo che ne contenga la intera dottrina. Fummo dunque obbligati di raccoglierla da frammenti originali. Il pri- mo si è quello della Tavola di Cebete , che già correva tradotta dal Pagnini per le mani di tutti stampata in compagnia del Manuale di Epitteto, e in simile guisa fu riprodotta in questa collezione. Gli altri frammenti poi, tranne tre soli, si trovano nei sermoni di Stobeo uniti a parecchi altri da lui conservati. Noi scegliemmo quelli di Ipotamo da Turio, di Eurifamo, di Iparco, di Archita , di Teage , di Polo. Gli altri tre sono un frammento sulla sapienza di Archita , riferita da Giam- blico, un capitolo sul matrimonio , di Ocello Lucano, ed alcune sen- tenze di Sesto pitagorico tradotte da Rufino. Tutti questi scritti si tro- ‘vano raccolti negli Opuscula mythologica physica et ethica , pubblicati per cura del celebre inglese Tomaso Cale, e ristampati dal Wetestenio 40 in Amsterdam nell’ anno 1688. In questa nostra collezione abbiamo nsato di citare a mano a mano le pagine di quella del Gale. 3: Nel trascegliere questi pezzi abbiamo avuto cura di preferire quelli che più degli altri racchiudevano i principj della dottrina , tra- lasciando quelli di minor conto , o che non contenevano fuorchè ri- petizioni. E perchè i nostri lettori non sospettino che i singoli fram- menti contengano le opinioni dei singoli pensatori , anzichè la dottrina della scuola intera pitagorica , noi dobbiamo avvertire che dalla con- formità cogli altri frammenti ommessi, e dalle memorie sparse negli scritti degli antichi, risulta essere la dottrina espressa nei frammenti trascelti quella della scuola tutta pitagorica. Fu poi cura nostra dî con- gegnarli in modo che componessero una serie ordinata di articoli di un solo argomento. s; Abbiamo soggiunto la delineazione della filosofia morale dello Srer- LINI fatta da lui stesso in italiana favella onde compiere il prospetto generale dell’ antica. Noi abbiamo imitato quei geografi, i quali, deli- neando la carta di una data parte del continente, la contornano con qualche tratto delle finitime regioni. Benchè Stellini abbia detto di spie- gare la morale di Aristotele , ciò nonostante è manifesto aver egli aperta una nuova via, cioè quella per la quale la morale può essere elevata alla dignità di arte scientifica. Il suo metodo fu veramente filosofico , perchè nell’ esporre egli definisce, nell’ esaminare sale alle origini, e nel conchiudere deduce dai principj. Le quali cose dalle scuole peri- patetica , stoica ed epicurea non essendo state praticate , nacquero quegli smembramenti che vengono cagionati da una dialettica arrischia- ta, quel dar essere e potenza a pure astrazioni , quel sillogizzare su le quisquilie, quel convertire i mezzi in intenti e viceversa, e final- mente quelle interminabili dispute su i fondamenti di tutta la dottri- na. Jacopo Stellini usò dell’ accorgimento di quei riformatori, i quali, volendo realmente migliorare un sistema, sì attengono a forme esterne antiche, e però, come pose fuori 1’ insegna di Aristotele, così dovette soggiacere a vestire con un linguaggio detto latino quei pensamenti che sì bene avrebbe saputo esprimere nell’italiano ; e che avrebbero pur tanto giovato ad introdurre sessant’ anni fa la lingua propria alle morali discipline, e a procacciare lettori alla sua grand’ opera sul- l’ Etica. 3» Dopo della scelta eccoci a dar ragione dell’ ordine della colle- zione. Parlando delle scuole antiche procedemmo in ordine inverso di età. Quella, che nella metà del passato secolo perdette la sua domina- zione, fu posta la prima: la stoica, che cessò di fiorire colla caduta del romano impero, fu posta in mezzo: la pitagorica o italica, che si perdette e confuse colla platonica, coll’ aristotelica e colla stoica, fu posta in ultimo. E perchè mai ( taluno domanderà ) usare quest’ ordine? = Ri- spondiamo , in primo luogo, perchè abbiamo voluto imitare i savj an- tiquarj , i quali dal moderno passano all’ antico, onde procedere dal cognito all’incognito: e questo procedimento era tanto più consigliato 47 quanto più lo scritto del Znnotti era, diremo così , più accostevole al maggior numero dei leggitori, come sopra abbiamo avvertito. — In se- condo luogo, perchè, dopo i dibattimenti dei Peripatetici, degli Stoici e degli Epicurei, occorreva una sentenza che ponesse fine alle controver- sit : e questa sentenza sta nell’ esposizione della scuola pitagorica , ‘ molti dettati della quale si veggono palmarmente trasfusi nelle susse- guenti scuole contrastanti. In terzo luogo, perchè la dottrina, essendo espressa con tale altezza e concisione che pare voce di oracolo , abbi- sognava di un apparecchio onde farne intendere ed apprezzare le le- zioni, ,; Uscendo dal santuario pitagorico si presenta il disegno dello Stel- lini. Ecco la rotonda palladiana del Capra a fianco del più grandioso tempio dei Faraoni. Questo avvicinamento fu praticato per dare una prova che lo spirito umano suole nel principio ben incamminarsi, nel mezzo traviare , e nel fine ritornare avveduto sul buon sentiero. Gol ravvicinare la scuola pitagorica a quella dello Stellini si ravvicinano due estremi rassomiglianti, i quali non'si' confondono , perocchè la pi- tagorica nel sentenziare non suole spesso dar ragione , e quella dello Stellini usa dei principj dedotti dalla natura, e discute le opinioni in modo che in Europa non esiste verun trattato nè più compiuto, né più profondo, Nella scuola pitagorica per altro havvi un’ adombrazione molto più vasta e più eminente , talchè a fronte di quella dello Stel- lini il disegno pitagorico. presenta dimensioni gigantesche , alle quali sembra por fine il solo estremo orizzonte , non perchè la dottrina sia più abbondante , ma perchè ne segna la posizione e le connessioni nel- l’ ordine universale , ed investe il tutto con una onnipossente unità. , Giova però osservare che nei precetti pratici della vita civile gli antichi erano d’ accordo , e le dissidenze non si manifestavano fuor- chè nelle aule accademiche. Per la qual'cosa, nelle loro risposte sugli affari comuni, regna una tale unità e santità di precetti «che somma- mente contrasta colle versatili decisioni dei posteriori casisti. Se poi si confrontino i moderni filosofi cogli antichi, tranne lo Stellini; noi tro- viamo quelli più ragionatori, e questi più istruttori: lo Stellini è l’uno e l’ altro. 3, Giò basti per render ragione dell’opera che per nostra eura ora viene pubblicata. Noi abbiamo ommesso di dare notizie storiche dei fondatori delle scuole , delle quali presentiamo in succinto Je dottrine. Queste potranno da ogni lettor italiano essere acquistate leggendo /4 Storia e l’ indole di ogni filosofia del Buonafede , scritta con brevità, senno , splendore e con miglior critica di quella del Bruchero , dello Stanlejo ed anche del Tielmann, del Bhule e di molti altri. 3» E proprio delle. scienze tutte , ma specialmente di quelle che dirigono le umane azioni, di rimanere prive di quel bene e di quella stima che produr dovrebbero , quando non vengano congiunte a quel tronco universale dal quale solamente traggono vita , fecondità e,valore. Pur troppo la morale filosotia si risente di questa dissoluzione, e quindi 48 auguriamo che sorga un genio che almend insegni come effettuare ii possa quel collegamento che pare invocato da una eminente civiltà. ,, Dopo queste sapienti parole del Romagnosi non saprei che aggiun- gere per far sentire il pregio di questa raccolta, e per raccomandarla al pubblico, e specialmente alla gioventù italiana, la quale al santo dovere di giovare alla patria non potrà in conto alcuno servire, se prima non ha fatto tesoro di alti ed illibati costumi. Non posso però resistere alla tentazione di riferire le seguenti parole che leggonsi in Ipotamo di Turio della scuola pitagorica: ‘ Per la qual cosa la virtù s> non solamente deve essere imparata , ma eziandio posseduta ed ap- »» plicata alla sicurezza ed al miglioramento delle famiglie, e delle re- 5» pubbliche , e sopra tutto alle utili riforme. Delle cose preclare non 3: solo il possesso , ma anche 1 uso seguir dobbiamo. Le quali cose ,s avverranno se a taluno tocchi in sorte di vivere in una republica »; bene costituita, lo che io chiamo in certa guisa il corno di Amaltea, ;: Solamente nel retto ordinamento delle leggi stà il tutto : fuori di ;s questo ordinamento ogni bene della umana natura nè sì può acqui ») stare, ed acquistato non si può mantenere. Questo ordinamento con- 3, tiene in sè stesso tanto la virtù quanto ‘la via stessa alla virtù. Giò ss sì dimostra pensando che in tale ordinamento da una parte vengono 3» prodotti uomini di buona indole, dall’altra i buoni costumi, i buoni ;s studi , le acconce leggi, e però regnano la. pietà ed il vivere per- ;; fetto. Per la qual cosa onde vivere internamente tranquillo , ed ;, esternamente felice, riesce necessario di vivere e morire ini una bene ;; ordinata repubblica. ,;, Oh! se lo spirito umano nel principio bene incamminatosi non avesse . nel mezzo traviato. Oh! se questa dottrina fosse stata sempre pro clamata nelle scuole , e si fosse trasmutata in coscienza popolare. La politica lungi dal disginngersi dalla morale ne sarebbe stata la compagna e la protettrice , e tanti flagelli non avreb- bero aftlitto le umane società. = Ma è tempo ormai di far senno, e ritornare sul buon sentiero, considerando ‘la morale in una guisa unita e complessa , ed inculcando colle parole dello stesso Ipotamo ; che 3; siccome senza l’armonia e la divina cura del mondo le cose esistenti s; non potrebbero durare nel loro stato, così senza il retto ordinamen= ;; to delle leggi nella città niùn cittadino riuscir potrebbe buono ;» 0 beato. Grazie dunque sian rese al Romagnosi , che riunita in un piccolo libro riprodusse la sapienza dei nostri maggiori in fatto di morale ; e ne diè occasione a rammentare, che molte idee, che vorrebbero oggi accusarsi come novità ; sono antiche , anzi antichissime. Adesso il Ro- magnosi dovrebbe compire l’ opera, pubblicando i suoi pensieri sull’or- dinamento della morale filosofia, e sospingendo per la via del progresso questa scienza ancora, come ha fatto di quante altre scienze ha preso a trattare. Egli ne avrebbe la gratitudine di tutti i buoni cultori delle utili discipline , avvezzi a venerare nei di lui scritti quella sapienza così atta a sodisfare al bisogno della mente umana , la quale vuol ri- 49 posare sopra un finito certo, esente noja e stanchezza dal tuono vago e quasi sibillino di certi scritti , i quali peccano del vizio di quei so- fisti, che non definivano e non distinguevano mai , e che Socrate ri- duceva alla confusione invitandoli a distinguere e a definire. C. M. Opere. filosofiche di DucaLp StewART e di Rein, traduzione con note. É giù pubblicato in un sol volume il trattato di Stewart: Principii di Filosofia morale all’ uso degli studenti d’ Università , traduzione e note di N. Tommaszro ; aggiuntavi un’introduzione del prof. T.. JourFRor. Lodi, dalla tipografia Orcesi 1831. Si direbbe che la scuola filosofica fondata da Reid abbia preso la divisa socratica : Hoc unum scio me nihil scire , tanto è modesta , ti- mida e circospetta. Anzi tant’oltre spinge siffatta qualità da avere più del senso comune che della scienza, siccome osserva il Damiron nella sua storia della filosofia in Francia nel secolo XIX. Dovremo noi dar- gliene biasimo? Io non oserei farlo ; sapendo quanto sia facile in me- tafisica il credere verità i ritrovati della propria immaginazione ; e sa- pendo ‘altresì non esservi stranezza che da un qualche filosofo non sia stata detta. Onde spesso il voigo ne ride; e non può a meno allor- quando taluno*di costoro dubita seriamente se i corpi esistono , ed anzi afferma che terre, mari, monti, sole, astri e l’ universo intero non sono che sogni nostri e illusioni. Altri poi pretenderebbe darci ad in- tendere che non possiamo neppure sapere che il fuoco , a cuni ci scal- diamo ; sia la causa del calore , perchè 1’ uomo non può formarsi l’idea di causalità , vedendosi le cose succedere in congiunzione, e non in concessione. Follie tali anche nel secolo passato furono da Berkley e da Hume sostenute. Al certo il volgo non avrà motivo di dileggiare Reid, capo della scuola scozzese , e il suo illustre discepolo Dugald-Stewart, perocchè apprezzano sommamente il buon senso dell’uman genere , e Reid in- titola una sua opera: ricerche su l’umano intendimento considerato secondo i principii del senso comune. Il metodo esprimentale e un’esatta osservazione sono l’unica guida di. questa scuola, la quale si. vanta di essere l’ unica figlia legittima di Bacone. Reid e Stewart unitamente all’ umiltà di Socrate accoppiarono mna nobile indipendenza : fermi mai sempre. all’esperienza e alla scrupolosa osservazione de’ fatti, non te- merono. di chiamare ad esame’ le dottrine di Locke e di Coudillaé , am- mirandone però sempre ì sommi pregi. E ad evidenza Tommaso Reid mostrò che l’ idealismo di Berkley e la scetticismo di Hume (chi mai l’avrebbe creduto?) traevano origine da alcune teorie di Locke. Il fare conoscere all'Italia le opere di questi due celebri inglesi, già in Francia accolte.con. plauso , è impresa lodevolissima : molto più che il bisogno dello studio di una savia ma non servile filosofia si fa T. IV. Dicembre 7 50 ognora più sentire. Nè là patria di Galileo, di Telesio , di Macchiavelli e di Vico pnò sdegnare di accogliere il buono dovunque si trova; e, fas est et ‘ab hoste doceri: era massima seguita da’ nostri antenati an- che quando erano signori del mondo. Nè vorrei parimente che alcuni, seguaci dell’ autorità senza volerlo, sprezzassero questi scritti perchè si dipartono talora da Condillac , giacchè avverte T. Jouffroy, che presso molti le dottrine di Condillac aveano acquistato !’ autorità di un dogma. Ma se la filosofia scozzese non è in tutto Condillacchiana ; è ben più contraria ed opposta alle tenebre del trascendentalismo di Kant. Per tradurre poi queste opere, la scelta nell’ autore del nuovo dizionario de’ sinonimi italiani fu fortunata e giudiziosa. Il suo stile conciso, energico e chiaro vi si addice in grado eminente, e se non si parlasse di un nostro amico diremmo che Reid e Stewart tra- dotti. dal Tommaseo saranno fra le opere filosofiche scritte in mi- glior lingua che abbia l’Italia; e se il timore di sembrare troppo lo- datori parimente non ci trattenesse , soggiungeremmo che. esse diven- tano quasi opere originali e per la bella traduzione , e per il molto e retto sapere filosofico che nelle note si ritrova. Diamone una per sag- gio, ma prima porremo un picciolo brano dell’introduzione a cui va unita; Si parla del modo di osservare : “# Non basta sapere osservare l’ esistenza ,3 de’ fatti, bisogna aver cura di non vedere in essi nulla più di quel ,; che v'è veramente, non ne dedurre se non le conseguenze legitti- ,; me, non mettersi in capo un caos di questioni da sciogliere in fretta ,s in fretta, e tutte in una certa determinata maniera; non estorcere ,; da’ fatti a forza di sottigliezze e d’ immaginazioni una risposta che ,, essi non danno spontanei, pur per la smania di soddisfare a la no- ,; stra impazienza 0 l’ amor proprio già prevenuto in favore di una opi- ,; nione ; non in somma osservare per ispirito di sistema, € mescolare ,, la poesia con la scienza. Persuadiamoci una volta che, a ben definire ,3 le questioni de’ fatti, conviene , nell’ osservarle, mettere da parte al ,» possibile le dette questioni , per potere conoscere imparzialmente e ,; con sicurezza l’ esistenza di quelli: persuadiamoci che immenso è il ,, campo de” fatti, e che in pochi salti non sì misura; che d’altra parte ,3 basta non tener conto d’una menoma circostanza , per traviare e ;, smarrirsi. Lasciamo per qualche tempo le questioni da un canto, li- ,; mitiamoci a verificare i fatti ,,. La nota del ch. traduttore è posta all’inciso : mettere da parte le dette questioni; ‘ Cotesto è impossibile , ,3 sì opporrà, e non a torto. Sono appunto le questioni che ci mettono ,, su la via di cercare i fatti: eliminar quelle , astrarre da quelle, sa- ,» rebbe un errare senza meta, un procedere senza guida, e lo stesso ss autor nostro lo dirà chiaramente più sotto. Ma per evitare il peri- ,; colo di contorcere i fatti e farli servire a una soluzione arbitraria ,; delle questioni , ecco alcuni degli spedienti che potrebbero riuscire ;; opportuni: 1. Tenere in sospeso la soluzione finattanto che non si ,; sia raccolto un numero grande di fatti. 2. Tener gran conto di fatti ;; che sembrano contraddire alla soluzione da noi proposta. , o sieno 5I 33 mere apparenze , 0 sieno eccezioni della regola generale, vale a dire 33 dipendente da una legge non opposta a quella osservata da noi, ma 3» diversa. 3.° Consultar soprattutto la natura con docilità ; senza or- ;; goglio di sistema ; senz’ odio o ‘dispregio delle opinioni contrarie. 33 4.9 Non si propor mai una sola questione ( che è il mezzo di falsare 3, le osservazioni, d’impicciolirsi la mente , e forse di acquistare col 3 tempo una specie di parziale pazzia); ma variare il più possibile la »» posizione de’problemi, considerare ciascuno ne’suoi varii aspetti, © 3) riprovare con osservazioni ed esperienze inverse la realità della cosa 3;.che noi ameremmo di credere ,,. Il trattato di Stewart , principii di filosofia morale ad uso degli studenti d’ Università; contiene molte verità importanti, particolarmente in fatto di morale, ma, perchè composto dall’ autore affinchè servisse a’suoi discepoli solamente di norma, riserbandosi a sviluppare nelle sue lezioni le idee qui accennate , potrà sembrare non facile ad intendersi : certo , io. son d’ avviso , che si dovrebbe leggere dopo altri scritti del- la scuola scozzese. La quale mancanza di sviluppo d’ idee potrebbe forse a taluni fare precipitare il giudizio, reputando le opere di Stewart e di Reid piuttosto oscure, mentre che. un de’ loro pregi si è la chia- rezza. Di più eglino procurano anche di prendere sempre i vocaboli nel.senso più comune della favella: laonde per intenderli non havvi duopo di un dizionario a parte; come ad alcuni altri. sL’ introduzione del giovine T. Jouffroy , professore a Parigi, è as- sai commendevole, è lavoro meglio che giovanile: e le cose da lui dette intorno all’osservazione de’ fenomeni, che succedono dentro di noi, me- ritano di essere considerate. Egli, mostrata la necessità di studiare i fatti interni della coscienza ; passa a parlare della scuola scozzese , e noi qui finiremo con le sne parole: ‘ Buono era il metodo di Locke , »» perchè si fondava su la necessità di osservare lo spirito umano per conoscerlo, e di conoscerlo per comprenderlo , ma egli non l’ avea fedelmente applicato. Per comprendere l’ uomo , bisogna conoscerlo intero’ qual egli è , e per conoscerlo così , bisogna compiutamente 7” 29 29 osservarlo. Questa conoscenza, perchè sia compiuta, è (come nel mondo fisico ) studio di lunga lena , difficile : e non v’ è uomo che. possa consumarla da sè. Convien raccogliere le osservazioni a poco a poco, discuterle con pazienza , vagliarle. Ciascun filosofo deve ri- 93 25 39 239 ; guardarsi come un semplice cooperatore al grande lavoro , dee ren- 33 dere alla scienza il tributo delle proprie esperienze , e lasciare al 5 tempo la cura di trarre dalla cognizione piena di tutti i fenomeni 3, della nostra natura una teoria veramente scientifica. Lodke volle pre- 3 venire il tempo , e però costrusse una teoria non compiuta. Reid 3» lo prova , e ne accenna il perchè, che è quello da noi qui toccato. 3) La scuola scozzese rimase sempre fedele a questo principio: dopo »» predicata la necessità d’ un nuovo metodo sperimentale , vi sì sot- > topose di buona fede : e con pazienza si dedicò all’ uffizio non am- 3; bizioso ma utile di raccogliere osservazioni precise sui fenomeni del- 52 ;» l’uomo , limitandosi a: trarre quelle induzioni immediate che ne ;) risultano ; senza pretendere di sciogliere la questione e deciderla. > Buon senso , chiarezza , sagacità delicata nell’ osservare , imparzia- ;3 lità benevola con tutte le opinioni { rara. prova e della bontà del- sv l'animo, e della bontà della causa ; e di quella del metodo, perchè ss soli gli spiriti angusti sono intolleranti ) j ecco i pregi della scuola 3) SCOZZESE };. L. Y. Sermoni di MeLcHior MissiriNi,, terza edizione con correzioni e ag- giunte , unitovi il panorama di Firenze dal punto di Bello-Sguardo dedicato al ch. sig. Manni a Roma. Firenze Tip. Ciardetti 1832. pag. 144. Questi sermoni, come le favole d’ Yriarte , son tutti di letterario argomento , e gli argomenti sono: i classici, la prova del merito, le parole, le accademie di poesia ; le dediche , le scuole , la concordia letteraria , i recìtatori de’ propri versi, le antichità icome onorate da al- cuni stranieri , la poesia , la libreria, la prima educazione nelle lettere, le rime recenti; i manoscritti antichi , la professione del letterato , le prose , la scelta de’ libri, il canto improvviso; i commentatori , gli antiquari , lo scrivere inutile, i vani titoli , i puristi, i traduttori , la lingua italiana; i sapienti, le rime d’ amore , la stampa, la parsimo- nia , 1’ invenzione , Dante , i giudizii pregiudicati , le lingue antiche, i compilatori ; i censori degli altrui scritti , i giornali, la fama ; con un sermone di conclusione e con due di proemio. All’Ariosto , censor felice j Cortigian disadatto , sì volge come a sua musa il P., e promette di tener lontana da sè quella rabbia Che pone l’ nomo e non la colpa in gogna: e, gentile e mansueto com’ egli è , bene attien la promessa ; nè , se non forse una volta o due , pare un po’ se ne scordi. Incomincia dal lamentarsi di questa smania del sudicio e dell’or- ribile, che invade parte della letteratura , e grida ; + 0.4 + + « + «+ Ah non è forse Miseranda per sè la razza umana, Che 1’ arti anco del bello e dell’ onesto > Cangi in teatro di spaventi e colpe P Noi non riporteremo gli altri suoi lamenti, da taluno de’ quali vorremmo trarre piuttosto argomento di gioia ; ma ripeteremo questi versi che esprimono un alto concetto : Iddio del suo poter le maraviglie Manifestò , ma di sue leggi sante Chiuse 1’ arcano , e a sè dell’ opre eccelse Serbò l’ intelligenza , a noi la gioia, E, per mostrare come nelle mani del nostro P. sia docile la facezia , recheremo quest’ unico tratto; Pace, o Macrin , sei vendicato) : è spento ; L’ astro d’Ipséo, secco l’ alloro ; tutti San quanto. pesa. Ei si commise ai tipi, Molte più cose ci rimarrebbero a dire intorrio a quésti sermoni : ma perchè , nel parlar che faremo di due pregiate opere ‘del sig. cav. Manno , ci cadrà di citarne alcun saggio , crediamo sufficiente per ora questo semplice annunzio. K. Y. X. Al Direttore dell’ Antologia. Mando a voi caro Vieusseux, con altre cose recentissime, questa lettera antica, la quale può riguardarsi come »pportuna appendice al- l’ erudito nio sul libro del sig. Depping (1); ve la mando e perchè datami dal prof. Ciampi, le cui benemerite indagini intorno alle cose della Polonia giova sempre rammentare all’Italia : e perchè parmi te- stimonianza preziosa della incredibile ricchezza del toscano commercio in quelle lontane contrade, conservatasi fino a’ tempi ne’ quali la riva- lità d’altre nazioni più potenti, sembrava dovesse quasi distruggerlo ; e perchè tutto ciò che riguarda l’ infelice Polonia mi suona un uan to che venerabile e sacro ; e perchè finalmente amerei di veder ne” gior- nali e in ogni altra sorta di libri dato più spesso e luogo e importanza a simili documenti, che attestano le antiche o recenti comunicazioni tra popolo e popolo, che giovano grandemente a rischiarare la tuttavia arcana storia della civiltà, che danno occasione ad utili confronti , a induzioni feconde , a studii forti e intentati, a tanto più nobili quanto più dolorosi pensieri. RISE Al sig. Curzio Picuena Segretario di stato del Serenissimo G. D. di Toscana. Conviemmi dare risposta alla sua delli 29 luglio con animo molto travagliato per la disgratia occorsami in [aroslavia in tempo di fiera ; essendo la sera di San Bartolomeo abbruciata quella Città e distrutta sino alli fondamenti in meno di due hore, con morte di più di 200 persone e con la perdita di tutte le mercantie che vi erano : che a me n’è toccato più di 1302 in drappi d’ oro di seta et altre cose. Il simile è intervenuto alli sig. Montelupi, sigg. Attavanti , e due altri pure della istessa professione , non havendo possuto resistere a tanto incendio li fondachi pure di muro con doppi volti e finestre e porte di ferro. Dicon li vecchi che in Polonia mai sia stato nè un si- mil fuoco nè una simil perdita , della. quale e l’Alemagna e l’ Italia (1) Vedi Ant. Num. 127-28. mer si dorrà, et in particolare codesta città che va creditora di molte migliara, con poca speranza d’haverne a cavar molto, poichè in detta fiera si era condotto quasi ogni cosa ; e sì io come molti altri appena haviamo salvato la vita. Il caso è stato tanto lacrimevole e tanto compassione- vole che niente più; et io, che ero sul principio. di cominciare a far qualcosa, in un subito resto non solo senza il mio ma con debito ancora. Risolvo di andare in Augusta, e poi venirmene costà con salvo condotto , con speranza di dover godere del favore di VS. Illustr. iu questo mio strano caso: perciò lascierà di più scrivermi. Di nuovo non so che dirgli. Il re di Svetia si trova in Riga, nè fa alcun danno per la Livonia ; e pare si possa restar chiari essere stato solamente questa sua mossa per necessitare S. M. serenissima a fare una tregua per qualche anno , come tuttavia si va praticando , e sene spera la conclusione. L’ esercito Pollacco assai numeroso tuttavia si trattiene alli confini della Valacchia : e da un Principe di questo regno mi è stato detto come il Generale haveva pensiero di dare addosso a quelli Cosacchi che vanno corseggiando il mar nero, poichè questi sono li disturbatori della pace che si fecie con li Polacchi e Turchi: che se questi si accorderanno con il Persiano , come dicono trattarsì , la guerra in Polonia è securissima, che Dio non voglia, et a lei conceda lunga vita. Di Cracovia li 7 Settembre 1095. Dev. Serv. Gio. Barista Tiri. po 55 Bullettino Suentifico- Letterario. NOVEMBRE £ DICEMBRE 1831. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Il sig: James Lyon, governatore della Barbada e delle isole vici- ne, ha indirizzato in data del dì 13 agosto 1831 al Ministro delle co- lonie inglesi la seguente lettera, in cui dà relazione d’ una tempesta che nel giorno 11 del mese suddetto ha devastato la Barbada. € To non ho mai avuto da adempiere un’dovere così penoso, quanto quello che ora m’ incombe , quello cioè d’informare Vostra Signoria che la mattina del dì rr corrente questa felice e florida colonia è stata devastata dal più terribile uragano che sia mai avvenuto nelle Indie occidentali ,,. i Nella sera del di ro il sole è tramontato sopra un paese dei più belli e dei più ricchi, la mattina dopo si è alzato sopra una con- trada desolata e rovinata. L’aspetto dell’isola era il dì 11 alla punta del giorno quello che si osserva nel mese di gennaio in Europa; ogni albero , se non era affatto sradicato, era alm no spogliato delle sue foglie e d’una gran parte dei suoi rami; tutte le case erano distrutte o molto maltrattate ; ad ogni istante si aveva notizia di qualche nuova sciagura ,,. ,, Nella sera del dì 10 io non ho osservato nulla di notabile nel- l’apparenza del tempo, e tutti gl’ individui della mia famiglia sono andati a coricarsi senza il minimo sospetto che il loro riposo dovesse esser turbato da un cangiamento : nell’ atmosfera. Pure poco tempo dopo ha cominciato a piovere, con dei lampi ed un forte vento, il quale parve da primo venire dal nord-est , divenne verso mezzanotte più violento , e cambiò la prima direzione in quella d’ ovest e di sud-ovest; la pioggia cadeva a torrenti, ed i lampi erano d’ una vi- vacità estrema. Ad un’ ora circa io sospettai per l’ estrema violenza della tempesta che essa fosse un vero uragano, e poco tempo dopo alcuni dei miei domestici arrivarono correndo alla mia casa per dir- mi che il tetto della cucina era caduto. Parecchie povere persone del vicinato vennero anch’ esse a rifugiarsi nella casa del Governo, poichè le loro abitazioni di legno erano state rovesciate ,,. »» È impossibile farsi un’ idea della violenza che presentò la tem- 56 pesta dalle ore due fino a che si fece giorno ; io non ho espressione che possa rappresentare il suo orrore. Il romoré del vento a traverso . delle fessure che aveva fatte , li scoppi dei tuoni, la rapidità con . cui si succedevano i lampi , l’ oscurità profonda che succedeva a questi, lo scricchiolare delle mura , dei tetti; e delle travi si riu- nivano per ispirar terrore. La casa intera era sommossa fino nei fon- damenti; sia che quest’ effetto fosse prodotto dalla forza del vento, o da un terremoto che più persone credono avere accompagnato la tempesta, io non saprei deciderlo, ma le fessure formatesi nelle mura di questa fabbrica porterebbero a supporre che solo quest’ ultima causa abbia potuto produrle ,,. 3» Circa le 2 ore, temendo che la casa del Governo , la quale era stata riparata di recente, non cedesse alla violenza della tempesta, io mi ritirai cogli ufiziali del mio stato-maggiore, coi miei domestici, ed alcuni infelici che dai contorni erano venuti a cercar ricovero , nella cantina, ove , grazie a Dio, restammo, in perfetta sicurezza fino alla punta del giorno ; se noi fossimo restati nelle stanze supe- riori, o in qualunque altra parte della casa, egli è più che proba- bile, giudicando dai guasti osservati la mattina , che saremmo pe- ritl;x > La tempesta non è cessata completamente, e'l’ atmosfera non è rimasta libera, che il dì 11 verso le ore 9 delia mattina. Allora sol- tanto abbiamo potuto farci un”idea del disastro. Famiglie intere son rimaste sepolte sotto le rovine. Fortunatamente alcune chiese hanno sofferto meno delle altre fabbriche (benchè diverse ne siano state distrutte ), ed esse sono state subito aperte per ricevervi i feriti e li storpiati. Sono stati apprestati dei soccorsi medici con tutta la prontezza che poteva permettere lo stato d’ ingombro in cui si tro- vavano le strade, perchè alquanti alberi e perfino delle case erano cadute sulla via pubblica, ed impedivano le comunicazioni ,,. » Sotto il peso di circostanze così affliggenti, io ammiro la sere> nità e la forza di spirito con cui sembra che ognuno sopporti le sue perdite , lo che mi procura qualche consolazione. Ma io non posso distrarre i miei sguardi dalla prospettiva di spogliamento, di miserie e di malattie , che deve necessariamente aprirsi dopo una calamità così grande e così generale. Non può ora farsi con qualche esattezza veruna, stima del danno e delle perdite risultate da questo disa- stro; neppure si può darne un’ idea: basta dire che nell’ abbozzo che io ne ho rappresentato non vi è esagerazione alcuna ,,. ;; Jo non debbo tralasciare d’aggiugnere che le caserme e gli spe dali dì S. Anna sono in stato di completa rovina , e che io sono stato obbligato di fare accampare le truppe. Non è perito veruno ufiziale, eccettuato un membro del Commissariato di Dipartimento, ed.un tal sig. Flanner, che è rimasto sepolto sotto le rovine della sua casa con tre dei suoi figli, una parente , e tre domestici. Il nu- mero dei soldati periti del corpo che compone la guarnigione , l’ar- 97 ,; tiglieria reale (reggimenti 35 e 36), ammonta , secondo il rapporto »» del giorno , a 36 , ed alquanti accidenti gravi sono stati anche sof- »» ferti dalle truppe ,;. (Bibl. Univ. Octobre 1831 , pag. 210). Il sig. avvocato D. Carlo Fea, Commissario delle antichità , Bi- bliotecario della Chigiana, Socio ordinario e Censore dell’ Accademia Archeologica di Roma, in una sua Relazione ed in una susseguente Appendice , ha impreso a sostenere e dimostrare essere stata una vera aurora boreale quella che nelle sere e mattine dei giorni 3,4,5, 6, e seguenti d’ agosto 1831 fu veduta in Roma ed in altre parti d’Italia, e che da varii di lui contadittori volle piuttosto riguardarsi come un crepuscolo protratto la sera ed anticipato la mattina, e dipendente dalla refrazione atmosferica dei raggi solari, ed in qualche modo ana- logo alla luce zodiacale. Fisica e Chimica. Il sig. prof. Ferdinando Elice di Genova, in una sua lettera al sig. C. Foppiani, pubblicata colle stampe, ha impreso ad esporre con brevità e chiarezza le ipotesi del Volta e del Pouillet sull’ origine dell’ elettricità atmosferica, a trattare dell’ analogia e della differenza di queste ipotesi, e finalmente a provare avere egli prima del Pouillet speri- mentata l’ elettricità vegetabile. Trova egli I’ analogia fra le due ipotesi in questo , che in ambe- due la naturale evaporazione è riguardata come causa dell’ elettricità atmosferica, e trova la differenza in questo, che secondo il Volta l’eva- porazione , facendo acquistare all’ acqua, ed alle altre sostanze che sì evaporano una più grande capacità per contenere il fluido elettrico, fa che lo rapiscano ai corpi dai quali si staccano ; mentre secondo il Pouillet 1’ evaporazione non produce elettricità se non in quanto è accompagnata da azione chimica. Siccome la brevità, a cui il sig. prof. Elice si è astretto, non gli ha permesso di far conoscere le interessanti osservazioni alle quali il sig. Pouillet ha appoggiato la sua opinione, ci permetteremo qui d’ accennarle. Sebbene ordinariamente nei cambiamenti di stato , che I’ acqua e gli altri liquidi provano evaporandosi , si ottengano di fatto segni d’elet- tricità , pure il sig. Pouillet afferma essersi assicurato per mezzo di di- ligenti esperienze che , eliminata l’influenza di qualunque azione chi- mica , quei segni non sì ottengono più; dal che conclude esser causa dello sprigionamento dell’ élettricità , non mai il solo cambiamento di stato dei corpi , ma sempre un’azione chimica fra gli elementi dei cor- pi ed i vasi che li contengono. Non potendo convenire col Volta quanto all’ origine dell’ elettricità atmosferica , ha creduto trovarne la causa nella vegetazione , i feno- T. IV. Dicembre 58 meni della quale gli pareva non potersi compiere senza sprigionamento d’ elettricità , di che si assicurò per la via dell'esperienza. Il Volta otteneva segni d’elettricità non solo per l’ evaporazione dell’ acqua o d’ altri liquidi, ma anche per la combustione del carbone , dalla quale nè il diligente Saussure nè il celebre Davy poterono ot- tenerne. i Il sig. Pouillet spiega questa contradizione mediante un fatto fonda- mentale di cui ha acquistato la cognizione. Quella parte del corpo che cambia stato, o si trasforma in vapore o in gas, divenendo elettrica positi» vamente, ed all’opposto divenendo elettrica negativamente quella parte che resta liquida o solida, come pure i vasi che la contengono, avviene spesso che le due contrarie elettricità si ricombinino e si distruggano, lo che spiega come, date circostanze diverse e diverso modo di sperimentare, possa taluno aver segni d’elettricità positiva, altri d’elettricità negativa, altri in fine niun segno d’elettricità. In fatti, adottando disposizioni per le quali quell’inconveniente sia evitato , e possano , senza comunica- zione o influenza reciproca, esplorarsi i prodotti aeriformi, e le sostanze liquide o solide dalle quali si sono sprigionati , ed i vasi che conten- gono queste , si hanno sempre e costantemente segni d’ elettricità po- sitiva nei primi, e d’elettricità negativa nei secondi. Da numerose e diligenti esperienze sulla combustione di diverse sostanze, il sig. Pouillet ha concluso che nella combustione le molecole dell’ossigene, che si combinano, sprigionano dell’elettricità positiva, che può comunicarsi alle molecole vicine non ancora combinate ; e che al, contrario il corpo combustibile sprigiona dell’ elettricità negativa, che può similmente comunicarsi a tutte le parti combustibili ambienti. Egli è evidente che , sussistendo questo fatto principale , esso poteva e quasi doveva , finchè non fù avvertito , indurre in errore, e far sì che osservatori diversi, esplorando lo sviluppo dell’elettricità che pos- sa aver luogo nell’ evaporazione nella combustione ec. , ot tenessero ri- sultamenti diversi per le più piccole differenze nel modo di sperimen- tare e di osservare , e per l'influenza delle più piccole circostanze. Persnaso della verità di questo fatto o di questo principio , che gli sembrò fecondissimo , il sig. Pouillet concepì la speranza di poterlo ap- plicare alle combinazioni che si operano nella natura , e specialmente a quelle che si effettuano per l’azione reciproca delle foglie dei vege- tabili e dell’aria atmosferica , azione per la quale quelle versano len- tamente in questa, talvolta dell’ acido carbonico, talvolta dell’ os- sigene. Ora, ammettendo che 1’ acido carbonico sia sempre elettrizzato d’ elettricità vitrea al momento della sua formazione , ne consegue che le piante debbono produrre nell’aria, espirando o esalando quest’acido, una quantità più o meno grande d’elettricità vitrea. Posta questa conget- tura al cimento dell’ esperienza , mediante un apparato conveniente- mente isolato, nel quale dei semi germogliando , e le pianticelle da essi provenienti vegetando , si potesse per mezzo del condensatore e- 59 splorare e riconostere 1’ elettricità che fosse prodotta o sviluppata , il sig. Pouillet si assicurò che non vi è il minimo sviluppo d’ elettricità durante la germinazione, e finchè i germi usciti dal loro inviluppo re- stano ancora sotto la terra; ma poichè ne sono emersi, ed hanno co- minciato ad elevare le loro punte nell’ atmosfera , si hanno tosto dal condensatore chiari segni d’ elettricità sviluppata. Siccome questa elet- tricità era resinosa nei vasi che contenevano la terra e le pianticelle , doveva conseguentemente esser vitrea nei gas sprigionatisi per l’ azio- ne vitale di queste. \ L’ umidità dell’ aria disperdendo l’ elettricità , e non permettendo al condensatore di raccoglierla e renderla evidente , il sig. Pouillet ha dovuto imaginare e praticare dei mezzi atti a mantere in istato di suf- ficiente secchezza l’aria che circondava i suoi apparati. Dall’ insieme delle sue esperienze egli ha concluso: 1.° Che i gas combinandosi fra loro, o coi gorpi solidi o liquidi, spri- gionano dell’elettricità; che in queste combinazioni l’ossigene sprigiona sempre la positiva, il corpo combustibile qualunque la negativa, e che reciprocamente, quando una combinazione si disfà, ciascuno degli ele- menti , privato dell’ elettricità, che aveva sviluppata, si trova in uno sta- to elettrico opposto. Questa reciprocità mostra in che lo stato nascente d’ un corpo differisca dal suo stato definitivo ; 2.° Che 1’ azione dei vegetabili sull’ ossigene dell’aria è una dell cause più permanenti e. più potenti dell’ elettricità atmosferica. ‘° Se 3, sì consideri da un lato , dice il sig. Pouillet , che soli 20 grani di 33 carbone puro , passando allo stato d’ acido carbonico , sprigionano 5» tanta elettricità che basta a caricare una bottiglia di Leida , e dal- 3» l’altro lato che il carbone impegnato nella costituzione dei vegeta- 3: bili non dà meno elettricità che il carbone il quale brucia libera- », mente , si può concludere , come le mie esperienze dirette tendo- 3; no a stabilirlo , che sopra una superficie di vegetazione di 100 metri 3, quadrati si produce in un giorno più elettricità vitrea che non ne 35 bisognerebbe per caricare la più forte batteria elettrica. ,, Nella citata lettera il sig. prof. Elice annunzia d’ avere imaginato il modo d’applicare il suo ritrovato sulla rottura dei fili all’ uso delle gomene , affinchè esse più difficilmente si rompano , e le ancore arino quando le barche sono fortemente agitate dai marosi. Egli promette parlar di ciò in un’ altra lettera , che aspettiamo ansiosamente. Il Liceo, giornale delle scienze e delle società dotte, che si pubblica in Parigi, da la seguente relazione delle ricerche dei sigg. Mobili e Melloni intorno a diversi fenomeni calorifici, intraprese col mezzo di termo-moltiplicatori, e lette all’ Accademia delle scienze nella seduta del 5 settembre 1831. (*) (*) Già nel fascicolo dell’Antologia per l’ agosto 1830, pag. 160, noi ave- vamo data un idea di questi sensibilissimi e però preziosi strumenti , inventati 60 L’apparato, con èui gli autori hanno fatte le. curiose ed iateres- santì esperienze di cui si tratta, è composto di due parti principali, cioè d’ una pila termo-elettrica , e d’un galvanometro a due aghi. L’ esperienze del sig. Seebeck hanno dimostrato che due metalli, come il bismuto e l’antimonio, essendo saldati perle loro estremità in modo da comporre un circuito chiuso , se si scaldi una delle saldature, sì stabilisce una corrente elettrica, che va nel bismuto dalla parte calda alla parte fredda, e nell’antimonio dalla parte fredda alla parte calda. Facendo così alternare delle verghe di bismuto e d’ antimonio saldate l'una all'altra, bisognerà scaldare le saldature di due in due, se si vuole che gli effetti si accumulino. I sigg. Nobili e Melloni hanno dato a quest’ apparato termo-elettrico la forma seguente: trentotto paia di verghe di bismuto e d’antimonio sono saldate insieme, piegate ai punti di riunione sotto un angolo acutissimo , ed in modo tale che l’insieme formi un fascio della lunghezza d’ una verga, e che può essere inse- rito verso la sua metà in un anello , e fissato in questa posizione. Le verghe sono prismatiche, appianate, e lunghe circa due pollici e mezzo; non si toccano che nei loro punti di saldatura. Le due estreme son tagliate alla loro metà, e quindi partono dei fili di rame ricoperti di seta, che vanno a congiungersi alle due estremità del filo d’ un gal- vanometro moltiplicatore a due aghi. L’apparato termo-elettrico non è isolato nell’anello che lo sostiene, e che riposa sopra un piede, intorno al quale può girare in diverse direzioni in modo da render l’ asse del fascio verticale o orizzontale, e da metterlo in tutti gli azimut: alle due facce dell’anello si aggiu- stano a vite delle appendici metalliche , le quali possono essere o ci- lindriche o coniche , servendo queste ultime ad uso di riflettitori ; fi- nalmente queste appendici possono esser chiuse da piani o superficie emisferiche. Se in questa disposizione si riscaldi uno dei capi del fascio , che presenta sullo stesso piano una metà delle saldature prese alternativa- mente, la corrente termo-elettrica si manifesterà per le deviazioni degli aghi del galvanometro. Egli è evidente che se il calore è applicato per contatto immediato, i metalli bismuto ed antimonio devono conser- vare la loro lucentezza metallica; ma che se si fanno dell’ esperienze sul calor raggiante (che è il caso più ordinario) convien tingere quei metalli con nero di fumo , per accrescere la loro facoltà assorbente. I sigg. Oersted e Fourier avevano creduto che non si accrescesse sensibilmente l’ azione d’un apparato termo-elettrico moltiplicando il numero delle paia onde è composto; ma i sigg. Nobili e Melloni, avendo e perfezionati dallo stesso cav. Nobili , rivantandone i pregi, dei quali egli aveva qui resi certi i fisici più distinti, nell’ estate del detto anno 1830, ri- petendo in presenza loro i principali esperimenti , come ora, tornato nuova- mente fra noi, li ha resi testimoni di una parte di quelli che qui sussegnano. (7 portato questo numero fino a sessantadue, non hanno osservato che vi fosse un limite all’ accrescimento della corrente. Il loro apparato di trentotto paia è d’una tale sensibilità, da risentire il calore d’ una per- sona posta alla distanza di venticinque o trenta piedi. Ecco ora il ri- sultato dei loro esperimenti. Permeabilità dei corpi dal calor raggiante. Si sa che il calor rag- giante luminoso, che investe una lastra di vetro, si divide in due parti: una la quale, a guisa della luce, traversa il vetro senza scaldarlo , l’altra che è assorbita dal vetro, del quale alza la temperatura. Quanto al calor raggiante oscuro , esso è arrestato dal vetro quasi totalmente. È dunque chiaro che, qualunque sia la dilatabilità d’ un gas racchiuso in un recipiente di vetro , bisognerà un certo tempo perchè il calore traversi questo, ed arrivi a scaldare il gas. Al contrario 1’ apparato termo-elettrico dei nostri autori assorbe immediatamente il calor rag- giante emesso anche da una debholissima sorgente, l’esistenza della quale sarà tosto indicata mediante la deviazione degli aghi del molti- plicatore. Per esempio, essi hanno posto l’apparato termo-elettrico ed un termoscopio sensibilissimo di Rumford alla stessa estremità d’ una tavola , ed all’ estremità opposta un recipiente pieno d’acqua tiepida, interponendovi un parafuoco. Togliendo. e rimettendo questo con ra- pidità, si lasciano arrivare alcuni raggi di calure ai due apparati. Quello dei sigg. Nobili e Melloni ha indicato più gradi di calore, mentre quello di Rumford non ne ha dato il minimo indizio. La luce raggiante traversa con più o meno facilità delle lame di calce solfata, di mica, degli strati d’ olio, d’ alcool, o d’acido nitrico. Per fare quest’ esperienze, si rende verticale l’ appendice cilindrica della pila; si cuopre colla lama che si vuole sperimentare , e si fa passare rapidamente sopra una palla di ferro più o meno scaldata, e si ottiene subito una deviazione degli aghi. Ma un risultato molto degno d’attenzione è questo che l’acqua, sia liquida , sia congelata , ed in strati tanto sottili quanto si voglia, non lascia passare verun raggio calorifico. Quando l’esperimento era fatto col ghiaccio , se ne mettevano due lastre alle estremità delle due appendici cilindriche, poi si faceva passare il corpo scaldato sopra una di queste lastre. L’ef- fetto è stato nullo anche presentandovi una palla infuocata. Calore degl’ insetti. Si era creduto che gl’insetti avessero la stessa temperatura che l’aria nella quale vivono. Il sig. Giovanni Davy aveva fatto alcune esperienze le quali provavano che questi animali hanno un calore proprio. Egli faceva un’ incisione nel loro corpo, ed immer- geva in essa la palla d’ un piccolissimo termometro. Di undici insetti, sperimentati in tal modo, due soltanto, lo scorpione ed il julus, indi- carono un poco di freddo. Ma ognuno comprende l’inesattezza di si- mili esperienze: era dunque necessario rifarle. A quest’oggetto i sigg. Nobili e Melloni ridussero quanto era possibile la lunghezza delle ap- pendici dell'apparato Ta INR” gi le chiusero con superficie emi- sferiche d’ottone pulito; quindi posero l’insetto in una di queste ca- 62 vità, alla metà del raggio dell’emisfero , ove era ritenuto da una rete metallica finissima , ed a maglie molto rade. Il calore che raggiava dal- Panimale andava a colpire l'estremità della pila, o direttamente, o dopo aver provato una riflessione sopra la concavità dell’emisfero. In tal modo si può assicurarsi che tutti gl’insetti hanno un debole calore proprio j gli esperimenti furono fatti sopra una quarantina di specie indigene , di tutte le classi, ed in tutti li stati di metamorfosi; l’ago del galvanometro deviò qualche volta di 30 gradi. Nell’ordine dei lepidotteri, i bruci hanno più calore che le farfalle e le crisalidi , lo che si spiega per l’accrescimento più rapido dell’ animale, a questo primo stato della sua esistenza, donde risulta una maggior formazione d’acido carbonico nell’ atto della sua respirazione. Così questa legge generale del calor proprio degli animali, già verificata nei mammiferi, negli uccelli, e nei rettili, deve estendersi anche agl’insetti. Un piccolissimo pezzo di fosforo, posto nel luogo dell*insetto , ha sprigionato 5o gradi di calore per la sua combustione lenta, mentre non ha potuto far salire minimamente il termometro più sensibile po- stovi a contatto. (Il sig. Thénard, il quale aveva sostenuto nei suoi pubblici corsi l’ esistenza di questo calore del fosforo, ed in generale di qualunque corpo luminoso , ha manifestato una grande sodisfazione sapendo che la sua opinione si trovava confermata dalla citata espe- rienza). A dire il vero , i sigg. Nobili e Melloni non hanno esaminato i vermi lucenti, nè il legno marcio, nè le pietre fusforescenti. Sarebbe desiderabile che essi facessero queste nuove esperienze. Quelle, che essi hanno intraprese per determinare il calore dei raggi lunari, non sono riuscite , a cagione del grande raffreddamento che producono gli spazii celesti. Bisogna sottrarsi a questa influenza , facendo arrivare i raggi della luna a traverso d’un gran tubo , per il quale non possa vedersi che quest’ astro. Poteri emissivo, assorbente, e riflettitore. Per fare esperimento del potere riflettitore dei corpi, s’ inclina la pila a 45 gradi ; si aggiugne alla sua appendice interna un tubo di latta, nella stessa direzione ; questo tubo va ad appoggiarsi sulla lastra riflettente orizzontale, nel medesimo tempo che un secondo tubo risale da questo in direzione opposta, e sotto la stessa inclinazione. Si presenta la mano all’orifizio superiore di questo stesso tubo; il calor raggiante si riflette alla su- perficie orizzontale, e viene, a traverso del primo tubo, a scaldare l’ estremità della pila. La mano è una sorgente di calore molto uni- forme é costante, che può servire di termine di confronto. Così è stato trovato che il mercurio è fra tutti i metalli quello che riflette meglio il calore; viene in seguito il rame, poi gli altri metalli nell’ordine indicato dal sig. Leslie. Il pulimento accresce il potere di riflessione , ma in un minor grado di quello che sì era creduto..In fatti |’ azione d’una lama d’ottone di getto’, paragonata a quella d’ una lama dello stesso metallo che aveva ricevuto il più gran pulimento, non ha dato che due gradi di differenza in meno sopra 36 gradi. Quanto alle sostanze 63 non metalliche, esse hanno appena la proprietà di riflettere alcuni raggi di calore, qualunque altronde sia lo stato delle loro superficie. L’esperienze fatte intorno al potere emissivo non hanno sommi- nistrato veruna nuova cognizione. Per far quelle che si riferiscono al potere assorbente , si attaccano le sostanze che si vogliono sperimen- tare sopra dischi di latta eguali, montati ciascuno sopra un fusto, per mezzo del quale si presentano ai raggi del sole. Dopo alcuni istanti, si prendono due di questi dischi, e si riportano alle due estremità delle appendici cilindriche. Siccome i due poteri emissivo, ed assorbente sono eguali, è chiaro che si potrà apprezzare quest’ultimo per l’effetto che produce il primo sulle due estremità della pila. Per controprova , in una seconda esperienza, si presentano i due dischi alle estremità inverse della pila. Due cause possono modificare il potere assorbente, lo stato ed il colore delle saperficie. Si trova, come Rumford l’aveva già provato, che una superficie rigata gode d’un potere assorbente più considerabile che la stessa superficie pulita. Quanto al colore, siccome non si può tingere una superficie senza alterarne la natura, è biso- gnato ricorrere ad un mezzo indiretto di esperimento. Sono state tinte în nero , in bianco , e con ogni sorta di colori vegetabili o minerali diverse materie, come marmi, legni, seta, lana, cotone; e sempre la sostanza annerita ha meglio assorbito il calore che la stessa. sostanza ridotta bianca. È bisognato dunque sottrarsi a queste due cause d’er- rore, sperimentando dei tessuti di cotone, di seta, di lana, di canapa; e di lino, i di cui fili avevano la stessa grossezza, erano egualmente serrati, e possedevano lo stesso color bianco ; attaccati sopra i dischi, sono stati esposti per un tempo eguale ai raggi luminosi, e finalmente presentati a paia alle estremità della pila. Si è osservato l’ ordine se- guente nei poteri assorbenti, andando dal più al meno: seta, lana, co- tone, lino, canapa, ordine il quale è l’ inverso di quello della facoltà conduttrice. Le lame metalliche si son presentate nell’ordine seguente: piombo , stagno, ferro, acciaio , oro, argento, rame, ordine il quale pure è l'inverso di quello del poter conduttore. I legni sono. meno conduttori che le pietre, e si son mostrati al contrario più assorbenti, Una pietra dello stesso colore del piombo, e meno conduttrice, si è anche mostrata più assorbente. Non si possono spiegare questi risultati dicendo che il corpo meno conduttore arresta il calore alla sua prima superficie , la quale, in conseguenza, ha il tempo di riscaldarsi, men» ‘ tre un corpo conduttore distribuisce tosto in tutta la sua massa il ca- lore dei raggi che la sua superficie assorbe; di fatti si trova che la faccia posteriore si riscalda più nel corpo cattivo conduttore che nel corpo buon conduttore, lo che prova che il primo ha realmente as- sorbito una più grande quantità di calor termometrico. Gli autori non tengono conto della capacità per il calore; ma siccome essa è più grande nei cattivi che nei buoni conduttori, questa circostanza darebbe più forza alla loro conclusione, che essi esprimono così: a parità di circo- 64 stanze nel colore e nello stato della superficie, un corpo è tanto più dotato del potere assorbente, quanto è minore la sua facoltà conduttrice. Il sig. Duhamel ha comunicato all'Accademia delle scienze di Pa- rigi i risultati d’ alcune sue nuove ricerche intorno al raffreddamento dei corpi. I fisici, i quali hanno stndiato il raffreddamento dei termometri; hanno supposto che tutti i punti del liquido interno e dell’inviluppo avessero nel medesimo istante la stessa temperatura. Ora egli è proba- bilissimo-, al contrario , che vi sia una differenza sensibile fra le tem- perature dello strato esterno‘ dell’inviluppo e dello strato interno, come pure fra le temperature di quest’ ultimo e quelle del liquido in- terno. Ecco dunque una prima causa d’ errore, che si presenta nella ricerca sperimentale delle leggi del raffredjdamento; ma ne esiste anche un’ altra dipendente dallo stesso fatto, e che sembra non essere stata finora sospettata da veruno. Essa consiste in questo che, per tutta la durata del raffreddamento d’un termometro perfettamente graduato , l'altezza del liquido non solo non fa conoscere la ‘temperatura del- l’inviluppo, ma non indica nemmeno quella del liquido interno. In effetto il termometro è graduato in modo da indicare la. temperatura comune al liquido ed all’inviluppo , quella che tutti i punti dell’istru- mento acquisterebbero se si lasciassero per un tempo sufficiente in un recinto in cui:l’ equilibrio del calore si stabilisse. Ma se- la tempera- tura media dell’inviluppo è minore di quella del liquido, lo che segue quando il termometro si raffredda, la capacità interna dell’ inviluppo è più piccola. che non dovrebbe essere , ed in conseguenza l’estremità della colonna liquida è troppo elevata, ed indica sulla scala una tem- peratura troppo forte ; l’ opposto segue quando il termometro si ri- scalda. Questo è ciò che deve accadere se il liquido interno e l’inviluppo non sono alla stessa temperatura, e si sarebbe certi che la cosa va così, se sì potesse conoscere ad un certo istante la temperatura reale di que- sto liquido, e se si trovasse diversa da quella che indica la scala. Ora questa temperatura reale non poteva essere indicata da un piccolo ter- mometro ‘rinchiuso nel grande ; perchè si sarebbero riprodotte le stesse cause d’errore. Però il sig. Duhamel ha avuto ricorso al mezzo se- guente. “ To suppongo , dic’ egli, che si abbia un termometro formato con 5, un liquido, la dilatabilità del quale sia ora più grande ora più pic- ,; cola di quella del vetro , come avviene dell’ acqua. Se, dopo averlo ,» portato ad una temperatura di quaranta o cinquanta gradi, s’im- ;) merga in una mescolanza a 18 gradi sotto zero, la colonna d’acqua, ;; dopo la prima scossa dovuta all’ immersione , continuerà a discen- ;; dere, fino al momento in cui la velocità di contrazione sarà eguale ,; a quella del vetro. Se la differenza di temperatura del vetro e del- G5 ss Vacqua interna varia lentamente, come deve accadere dopo un certo tempo, la temperatura, alla quale l’ acqua interna ha la stessa di- ,» latabilità del vetro, è di circa cinque gradi al di sopra dello zero, 3» @ questa temperatura sarebbe pochissimo alterata anche quando la +» differenza avesse una variazione sensibile. Vi è dunque un, istante ,3 in cui si può conoscere molto approssimativamente la temperatura so dell’ acqua interna, e questo è quando si vede risalire la colonna; 3; allora si può paragonare la posizione del punto estremo di questa 3» colonna col punto in cui quella stessa temperatura è indicata sulla »» scala. Ora io ho trovato fra questi due punti una differenza sen- 33 Sibilissima , che mi è sembrato indicare una differenza di tempera- ss tura considerabile fra il liquido e 1’ inviluppo ; questa differenza, 3, che io non ho valutata con esattezza , è minore quando il termo- 3» metro si raffredda , ma anche allora è sensibilissima ,,. (Le Temps 15 Décembre 1831). Era noto che al momento in cui il fosforo, prima fuso. per.l’azione del calore, ripassa per il raffredìdamento allo stato solido.,. ha luogo una scossa che si fa agevolmente sentire alla mano della persona che tenga il vaso o il tubo in cui il fosforo è contenuto. Un altro feno- meno è stato osservato fino dal 1827 dal sig. Cagniard de Latour , che più recentemente ha fatte intorno ‘ad esso nuove esperienze. Ecco di che si tratta. S’ introduce un pezzo di fosforo del peso d’ alcuni de- nari in fondo ad un grosso tubo di vetro lungo da 18 a 20 pollici, e, fissato sopra un corpo armonico o risuonante , e quindi si empie il tubo d’ acqua bastantemente calda per fondere il fosforo. Al. mo- mento in cui questo ripassa allo stato solido , l’ acqua si abbassa ra- pidamente nel tubo , e si produce un suono istantaneo. Un: fisico di- stintissimo aveva opinato che questo suono fosse prodotto. da. una specie di crepitamento del fosforo stesso, simile a quello che si pro- duce in un cilindro di zolfo che si tenga fra le mani. A dimostrare la falsità di questa opinione, il sig. Cagniard de Latour ha ripetuta l’ esperienza , e 1’ ha variata in più modi. Gli è sembrato che.il suono prodotto dal raffreddamento del fosforo in una colonna d’ acqua cor- risponda molto prossimamente a quel suono prolungato, che rende la stessa colonna per il fregamento esercitato per mezzo d’ un panno umido sul tubo che la contiene. Così con una icolonna d’ acqua, per esempio , di tre piedi d’ altezza , il tubo turato in basso dà un suono idraulico di 800 vibrazioni semplici per minuto secondo, e'che in con- seguenza sarebbe di 1600 con un tubo aperto in ambedue le. estre- mità. Ora; dice l’‘autore , questo numero corrisponde presso a. pochis- simo a quello che indica, per la stessa lunghezza di tre piedi , la velocità con cui, secondo i calcoli del sig. Beudant , il. suono si pro- paga a traverso dell’ acqua. Il sig. Cagniard ha ripetuto 1’ esperienza impiegando una colonna. altissima di fosforo, liquefatto ,. e ricoperta soltanto. d’ un ‘pollice e ‘mezzo d’ acqua ; ma questa colonna, nella T. IV. Dice nbre. 9 66 quale si formano per il raffreddamento delle cristallizzazioni e delle cavità, non produce verun suono o rumore sensibile. Da questa espo- sizione presume il sig. Cagniard de Latour che si debba concludere esservi una differenza reale fra la vibrazione provocata dal consoli- damento di poco fosforo in fondo ad un tubo pieno d’acqua, e quella di molto coperto da poca acqua, giacchè nel primo caso la vibrazio- ne è principalmente idraulica, o di particelle liquide, mentre nel secondo è di particelle solide. (Le Temps 23 Novembre 1831). Nella parte ovest dello stato di Nuova-Iork , alla distanza di circa 4o miglia da Buffalo, e molto vicino al lago Eriè, è situato un vil- laggio chiamato Fredonia. Un ruscello chiamato il Canadaway lo tra- versa, e, dopo aver servito di motore a diversi molini, va a sca- ricarsi nel lago , il quale non è distante da Fredonia che due mi- glia. All’ imboccatura di questo ruscello è una specie di porto , ed un faro di piccola dimensione. Circa tre anni addietro, nel rimuo- versi un antico molino, costruito in parte sul Canadaway, nel vil- laggio stesso, furono osservate sulla superficie dell’ acqua delle bolle in gran numero, e poco dopo fu riconosciuto che esse producevano una fiamma assai viva. Si formò subito una compagnia per cavar partito da questo pro- dotto naturale. Fu fatto un foro d’ un pollice e mezzo di diametro nel suolo, il quale è in gran parte composto d’un calcare grosso- lano che tramanda un odor fetido , ed il gas abbandonando l’ uscita naturale che aveva, venne a scaturire per la nuova via preparatagli per raccoglierlo. Allora fu costruito un gazometro , e furono disposti dei condotti per illuminare Fredonia. Circa cento fiaccole sono ali- mentate da questo gas, e la spesa è di un tollero e mezzo ( equi- valente a 7 1 franchi) all’ anno per ogni fiaccola. La luce non è tanto brillante quanto quella prodotta dal gas che si prepara in al- cune capitali o altre grandi città, ma tuttavia essa è bella , e gli abitanti riguardano come una fortuna questa scoperta. Il gazometro riceve 88 piedi cubici di gas in 12 ore; ma non vi è alcun dubbio che con un apparato più grande si potrebbe raccoglierne di più. Alla distanza di circa un miglio dal nominato villaggio , rimon- tando verso la sorgente del ruscello , il di cui declivio è molto ra- pido , il gas emerge dall’ acqua in una proporzione quattro o cinque volte più grande che a Fredonia. L’ impresario del foro comprò dalla Comunità il diritto di raccogliere questo gas, ma gli fu impossibile di farne uso; sembra che i mezzi di compressione da lui impiegati siano insufficienti , giaccchè il gas non arriva fino al basso della costa ove egli voleva servirsene. Pare che quel gas sia idrogene carbonato , che si sprigiona da miniere di carbone bituminoso ; per altro il ter- reno che è stato messo a scoperto in quel luogo ; come anche in quasi tutta la parte meridionale del lago, non è che un calcare grossolano che tramanda un odore molto spiacevole. (Le Temps 12 Novembre 1831). 67 - Son. più di quindici anni che il sig. Doedereiner , avendo intra- preso delle rictrolie sulla costituzione chimica dell’ acido ossalico , ri- conobbe che esso è una combinazione di numeri eguali d’ atomi d’acido carbonico e d’ ossido di carbonio. Recentemente egli ha osservato un fatto curioso ed interessante , relativo alle combinazioni dello stesso acido ossalico cogli ossidi del ferro. È noto che quest’ acido forma coll’ ossidulo di ferro una polvere gialla quasi insolubile , neutra , ed un sale basico , che si trova naturalmente formato , e che è stato chia- mato Humboldtite, mentre coll’ ossido del ferro stesso forma un com- posto giallo facilmente solubile , specialmente se contenga un leggiero eccesso d’ acido. Ora il sig. Doebereiner ha riconosciuto che se si con- servi la soluzione dell’ ossalato d’ ossido di ferro in un luogo oscuro, o se sì esponga per più ore alla temperatura di 80 R., essa non prova cambiamento alcuno nelle sue proprietà fisiche , nè manifesta verun fenomeno che si possa considerare come risultante da una reazione degli elementi degli ossidi polari combinati insieme. Ma se sì esponga all’ influenza della luce solare, in un globo di vetro provvisto d’un lungo tubo, la soluzione d’ ossalato d’ ossido di ferro concentrata o evaporata , si osserva poco dopo un fenomeno in- teressantissimo. Si vede svilupparsi nel liquido traversato dai raggi so- lari un numero infinito di piccole bolle di gas, che si elevano nella colonna liquida con una rapidità progressiva!, e danno alla soluzione 1’ apparenza d’ uno sciroppo in cui si fosse stabilita una forte fermen- tazione. Questa specie d’ ebollizione diviene sempre più viva e quasi tumultuosa , se s'immerga nel liquido un tubo di vetro spulito , o uno stecco di legno. Il liquido stesso piglia in seguito un moto ascendente e discendente, divenendo a poco a poco giallo-verdastro e torbido , e finalmente precipita, mentre il gas continua a sprigionarsi , 1’ ossalato d’ ossido di ferro, sotto la forma di piccoli cristalli brillanti d’un bel colore giallo-limone. Questi dne fenomeni opposti, lo sprigionamento del gas, e la precipitazione dei cristalli, continuano a mostrarsi finchè tutto l’ ossalato d’ ossido di ferro siasi convertito in ossalato d’ ossi- dulo; allora il liquido diviene affatto scolorito, e cessa nel suo interno ogni movimento. Il gas sprigionato è acido carbonico; la quantità, che se ne forma, dipende dalla combinazione dell’acido ossalico colla por- zione d’ ossigene necessaria a trasformare l’ossidulo di ferro in ossido. Un doppio atomo d’ossalato d’ossido di ferro si decompone così, sotto 1’ influenza della luce , in due atomi d’ ossalato d’ ossidulo di ferro ed un atomo d’ acido carbonico. Nei fenomeni che presenta il processo descritto il sig. Doebereiner vede un analogia con quelli della vegetazione, ove per l’azione della luce 1° acido carbonico si scompone in materia solida ed in gas ossi- gene. L’ ossalato d’ ossidulo di ferro ottenuto nel processo descritto sotto forma cristallina è analogo all’ Humboldtite. Anche altri metalli diversi dal ferro hanno presentato al sig. B. dei risultamenti poco diversi. Così una soluzione di clorito di platino 63 è scomposta, dall’ acido ossalico e dagli ossalati, alla luce del sole , quasi con altrettanta energia e con nno sprigionamento di gas altret- tanto pronto. ed. abbondante, quanto l’ossido di ferro; ma in questo caso non.vi.è precipitazione d’ossalato d’ossidulo di platino ; bensì del platino metallico. puro sì deposita, sulla superficie interna del vaso sot- to la forma d’ una pellicola che si stacca facilmente. Anche il. elorito d’ oro è ridotto facilmente dall’ acido ossalico sotto .l’ azione della luce , la qual riduzione ha luogo egualmente per il calore ; come avevano già annunziato Van-Mons e Pelletier. Ma la riduzione per mezzo della luce presenta il fenomeno brillante d’ una doratura. uniforme della superficie interna del vaso, e nel tempo stesso della colorazione della luce incidente in nn bel verde-mare. Il sig. Doebereiner conclude dalle sue esperienze ed osservazioni che 1’ influenza della luce è piuttosto sui generis , e soltanto qualche volta analoga a quella del calore ; che quella determina una contrazione, questa un espansione della materia : che l’ azione riduttiva della luce è una conseguenza della sna forza contrattiva, mentre l’ effetto per cui il calore favorisce la combustione , e quasi ogni specie di penetrazione chimica, è il risultato della dilatazione della materia cagionata da esso. ( Bibl. Univ. Novembre 1831, pag. 244.) I sigg. Robiquet e Blondeau, incaricati dalla Società di farmacia di Parigi. d’ esaminare la Vu/pulina scoperta nel Lichen oulpinus dal sig. Bebert, farmacista a Chambery , hanno verificato 1’ esistenza e le pro- prietà di questa. nuova sostanza, fra le quali ecco le principali. Essa è cristallizzata , trasparente ,.d’un bel color giallo di limone , inalterabi- le all’ aria , fusibile per il calore, e che riprende per il raffreddamento l'aspetto cristallino ; si volatilizza inalterata scaldandone una piccola quantità in un tubo di vetro; è intorbidata dal cloro ; è indecomponi- bile dagli acidi concentrati solforico, nitrico, idroclorico ; è poco solu- bile nell’ acqua fredda, cui per altro comunica un color giallo sen- sibile, solubilissima nell’ acqua bollente , nell’ alcool concentrato cal- do , che, per raffreddamento la deposita in parte sotto forma di cristalli allungati, solubilissima nell’etere e negli olii fissi; come pure negli alcali, e, specialmente nell’ ammoniaca ; la soluzione acquosa prende per l’ evaporazione una consistenza di sciroppo , e non si cristallizza ; l’ albumina in istato gelatinoso scolora questa dissoluzione. L’ acetato di piombo, 1° idroclorato di stagno, i due nitrati di mercurio la intor- bidano ; gli acidi concentrati producono lo stesso effetto. La vulpulina scaldata in una storta si gonfia, si scompone e produ- ce dell’ idrogene carbonato, dell’ olio, ed un poco d’acqua acida senza la minima traccia d’ ammoniaca. Bruciata per mezzo dell’ ossigene, dà un gas che non contiene azoto ; è dunque formata soltanto di carbonio, ossigene , ed idrogene. I sigg. Robiquet e Blondeau hanno riconosciuto nella vulpulina i caratteri acidi , poichè la sua dissoluzione acquosa arrossa la laccamuf= 69 fa in modo ‘evidentissimo ; e poichè. la sua dissoluzione. ammoniacale evaporata a secchezza lascia un residuo da cui la potassa sprigiona del- l’ammoniaca ; però credono che potrebbe esserle dato il nome di acido. vulpinico. (Iourn. de Pharm, Linembro 1831, pag: 696.) Il dot. Paris, nella vita del: cav. Onofrio Davy, dc la seguen- te lettera , scritta da quel celebre chimico.al sig. Gilbert ex-presidente della Società reale di Londra. .. aos TSI “ Uno dei figli del sig. Coate, scherzando , con due pezzi d’ nna », varietà di canna da zucchero, si accorse che il fregamento eccitava ,s una scinfilla., debole in vero, ma.ben visibile. La, novità. di ;que- ,; sto fenomeno mi portò ad esaminarlo.; ed io ‘vidi effettivamente che 3» due pezzi di canna producevano; mediante un fregamento imiolento, ;> delle scintille tanto brillaùti quanto quelle che. si ottengono. percuor ,, tendo la selce coll’ acciaio. 14; da w 3, Esaminando 1° epidermide.- della. pianta ,, mi accorsi. chelin essa 35 risiedeva la proprietà di far fuoco, e che; spogliatà,di essa la pianta 3; non dava più scintille. Questa stessa epidermide sottoposta all’ana- 33 lisi possedeva tutte le proprietà'della silice.» L’epidermide idella:canna », comune; del grano e delle paglie, avendo un’ apparenza simile ;.s0- ;; spettai che anche queste diverse sostanze contenessero; della silice. ;; Ne. bruciai una certa quantità con diligenza , e 1’ analisi delle loro ;, ceneri mi mostrò che esse ne contenevano di fatto' ‘una proporzione ;, anche più grande che la canna da zucchero..! ! ;; Il grano .e le paglie contengono in oltre tanta-potassa; da potersi ss combinare alla! silice in stato di silicato perfetto. Si può fare questa ,; bella ‘esperienza colla cannella ine epici , 0 dei saldatori (. cha- so lumeau ). . i i | vb sil ,; Se si prenda una paglia di grano, d’orzo 0 d’ altre piante si- 33 mili, e si bruci, cominciando dalla ‘cima yin modo da raccoglierne » le ceneri sopra una coppella di fosfato di calce’, e che si. esponga ,; in seguito questo residuo alla’ fiamma turchina della cannella sud- s; detta (chalumeau), si ottiene un globulo' perfetto d’un vetro duris ;; simo, e molto adattato alle osservazioni microscopiche ,,- Questa lettera ci suggerisce alcune osservazioni, le quali presente» remo , salvo sempre il sommo rispetto che professiamo alla. memoria dell’ uomo celebre a cui la lettera stessa viene attribuita. Primieramente era già noto da:lungo tempo ai chimici-che la si- lice esiste nell’ epidermide di varie. specie di piante , e specialmente delle canne. Né era sfuggita all’ osservazione la coesistenza alla silice d’ una materia alcalina, con cui ella potesse formare un, vetro, essendo stato dimostrato da taluno che coll’ aiuto :d’ una sufficiente .tempera- tura possono convertirsi in vetro le ceneri della cannuccia palustre (arundo phragmites). Difficilmente poi sappiamo indurci \a credere. che le scintille, le quali si asserisce svilupparsi per il fregamento di due pezzi di canna, 70 siano prodotte dalla silice; la quale non sì trova in quegli ed in altri vegetabili in forma d* un aggregato, la di cui durezza si avvicini al- cun poco a quella delle pietre silicee , le quali altronde confricate fra loro, o percosse a vicenda ;, non producono così facilmente delle scin- tille come allorquando sì urtano scambievolmente e duramente una di esse ed un’pezzo d’acciaio. La silice esiste nei vegetabili sotto la forma di ‘particelle ‘estremamente minute, frammiste ad una quantità immen- samente maggiore di particelle di natura organica, colle quali forma un composto 0 piuttosto’ un miscuglio d’ una durezza mediocrissima. Diversi ‘chimici hanno proposto dei mezzi per distruggere la parte colorante della resina lacca, detta impropriamente gomma-lacca , onde averla bianca ; o senza colore. Sebbene quest’ effetto si ottenga per mezzo del cloro, proposto dai sigg. Such e Pelex (Giornale tecnologico di Parigi, anno 1826), pure si trova che la resina lacca così imbiancata ha perduto una parte delle sue più utili qualità , e specialmente la so- lubilità:inell’ alcool, e la sua facile fusibilità. Sebbene l’uso del clo- ruro di calce proposto dal sig. Duclos (Annali d’ agricoltura, industria, ed':arti. economiche, Marzo e Aprile 1831) non presenti questi stessi in- convenienti, pure la lacca imbiancata con questo mezzo è impura , contenendo un poco di calce del cloruro. A {ei due processi sembra preferibile il seguente, proposto e pra- ticato dal. .sig. Pietro Balducci di Firenze. Egli prende due parti di potassa ricavata dal tartaro, o gruma di botte, una parte di calce viva in polvere, e venti parti d’ acqua. Agitato per qualche tempo il mescuglio , e quindi lasciatolo in riposo , decanta dopo 24 ore il li- quido , che è, una soluzione di potassa caustica , in un vaso di porcel- lana o di vetro, vi pone tre parti di lacca polverizzata , ed espone il vaso ;ad un, calore moderato finchè la lacca sia disciolta, Allora filtra il liquido ; indi vi aggiugne altrettanta acqua stillata, e versa il tutto in un vaso cilindrico proporzionatamente stretto ed alto, nel quale fa passare a traverso del liquido una corrente di gas acido solforoso , fin- chè tutta la resina non siasi separata dalla potassa. Versando il tutto sopra d’ un, feltro , questo, lasciando passare il liquido , trattiene la resina lacca, che sì lava più volte con acqua, indi si asciuga conve- nientemente. Lo stesso sig. Balducci, ha trovato che, scaldando fino all’infuoca- mento ; per circa un quarto d’ora; in vaso chiuso, la materia carbo- nosa che resta sul feltro allorchè si feltra la così detta lissivia colorante destinata alla preparazione dell’azzurro di Berlino, si produce un nuo- vo piroforo , il quale si. accende spontaneamente a contatto dell’aria. Da una serie d’esperienze e di ricerche intorno a varie combina- zioni Hel cloro , il sig. Soubeiran è stato condotto alle seguenti con- clusioni : 71 ° L’ eucloruro di Davy è una mescolanza in proporsioni variabili di hh e di deutossido di cloro ; TO 2.° I composti, che si considerano come cos bimabibini del, cloro cogli ossidi, sono mescolanze d’ un clorito con un cloruro metallico ; 3.° La scomposizione dei cloruri d’ ossidi per mezzo di sostanze organiche o inorganiche consiste in una disossigenazione dell’acido clo- roso, ed. un’ ossigenazione della materia sulla quale esso agisce ; 4.° L’ imbiancamento, che si opera per imezzo dei cloruri d’ossidi, è un fenomeno affatto diverso dall’ azione che il. cloro libero esercita sopra la fibra vegetabile e sopra i tessuti formati con essa; 5.° Una quantità data di cloro libero ha una potenza di scolora- zione più grande che quella della stessa quantità di cloro combinato ad un alcali; 6.° L’ alcool disossigenando il cloruro di calce dà origine ad un liquido etereo , che i chimici non conoscevano ancora, e che è formato di due atomi di cloro, due atomi d’ idrogene ,.ed un atomo di carbo- nio , di maniera che si può considerarlo come una combinazione di cloro e d’ idrogene percarbonato. Questo liquido contiene due volte più cloro che il liquido dei chimici olandesi, ‘e quattro volte più che il,liquido etereo che si ottiene per l’ azione diretta del cloro sopra Ig alcnali Fa ° 1 acido cloroso e l’ ammoniaca possono unirsi chimicamente ; ; ma il clorito d’ ammoniaca è così poco stabile , che 1’ acido e la a si scompongono scambievolmente poco tempo dopo che la combinazione salina è stata formata; 8.° L’ ossido di cloro ottenuto per mezzo dell’ acido solforico con- centrato, e che Stadion ha considerato come una combinazione di due volumi di cloro e tre volumi d°’ ossigene , ha la stessa composizione che il gas scoperto da Davy, e che questo chimico ed il sig. Gay-Lus- sac hanno trovato formato d’ un volume di cloro e di due volumi d’ ossigene ; 9.° L’ acido cloroso può at parte costituente d’ un etere che merita speciale attenzione » Come singolarmente disposto a convertirsi in etere acetico . Dall’ insieme delle sue ricerche il sig. Soubeiran conclude che il cloro non si combina agli ossidi, ma che li scompone nel modo stesso degli altri corpi negativi, trasformandoli in cloruri metallici ed in clo- riti. (Le Temps 7 Deécembre 1831). Il sig. marchese Nunziante di Napoli, dopo aver fatto costruire gli strumenti necessari a trivellare il terreno per farne. scaturire sor- genti d’acqua, ha fatto intraprendere la trivellazione ; 1.° a Nocera ove si prosegue tuttora , 2.° alla Torre dell'Annunziata , ove discese la Trivella alla profondità di 25 palmi, ne emerse |’ acqua in gran copia, e con tal forza ascendente, da elevarsi alquanto sopra la superficie del suolo. 72 ‘1 La. quale acqua ‘essendosì mostrata a chiari segni per minerale , lo stesso sig. marchese , desiderando che ‘ne fosse riconosciuta la chi- inica composizione e le qualità. per concludere di quali ntili applica- zioni fosse suscettibile , ha incaricato il sig. prof. Giuseppe Ricci di farne l’analisi, dalla quale è risultato dover quest’ acqua qualificarsi come termo-minerale , e contenere in libbre 16 di fluido le seguenti sostanze mineralizzanti: Gas acido carbonico libero . : * L grani 86,5800 Bicarbonato di soda |‘. s ì 2 > : 142,5000 di potassa . È : ; > > 23,0000 di magnesia . : : c - 80,0000 ‘Garbonato di calce : : È : . : 43,7500 di ferro , ; 5 PRA i 0,9062 Solfato di soda . *‘. ‘ i ! È A 63,0000 t è di potassa; |. u i : , : 15;0000 : v.di:magnesia. ©. 0. |. : È ; 5,0000 * «@loruro di sodio. i... : : 1 . 84,0000: ‘di ‘potassio È BW 4 : : ; 31,0000 ‘ Idroclorato di magnesia |. | . i; . . 43,1301 Fosfato di calce . £ . : ) : È 2,0000 silice . . : È 3 5 * 9,0000 ‘Perossido di ferro: . 3 È } ; c 1,6551 ' Perossido di titanio ?- Il lodato professore corclude che quest'acqua deve godere principal- mente della facoltà diuretica e catartica; che, potendo essa spiegare un” utile azione sul sistema dei piccoli vasi, deve esser capace di de- starli da quel ‘torpore in cuì cadono talvolta, e che in conseguenza può divenirne molto ‘ùtile ed estesa 1’ applicazione nelle affezioni del- l’ apparato capillare ; éesalante o linfatico che sia, come può essere di molto ‘vantaggio negl’ingorghi della membrana muccosa del tubo ali- mentare , in quelli delle glandule , del fegato , della milza, ed in più altri maloriì. VARIETA. Effetto della paura sugli uccelli. Un merlo era stato sorpreso nella sua gabbia da un gatto. Allorchè qualcuno corse a soccorrerlo, fu tro- vato coricato sul dorso, ed inondato di sudore. Poco dopo gli caddero le penne, in luogo delle quali se ne riprodussero altre bianche. Un fanello avendo beccato un dito ad un uomo ubriaco, questo lo trasse dalla gabbia, e gli strappò tutte le penne. Il povero animale so- pravvisse a questa crudele operazione. Nuove penne spuntarono in luogo di quelle che gli erano state tolte, ma esse erano tutte bianche., Simili fenomeni possono esser prodotti da malattia non meno che dalla paura; eccone un esempio. 73 Il sig. Rutherford di Ladfield era caldo partigiano della famiglia degli Stuardi; fino alla morte conservò la speranza di vederla risalire sul trono britannico. Nella sua vecchiaia si era dilettato ad insegnare ad un pappagallo cantare alcune arie. Egli ricompensava sempre la do- cilità dell’ animale con un poco di zucchero. Quest’uso, continuato per lungo tempo, condusse l’animale ad uno stato di pinguedine straordi- naria. Il di lui gusto divenne così depravato, che ricusando qualunque altro nutrimento, strappava ad una ad una le penne della sua coda e della sua schiena, almeno quelle che poteva arrivare, e, spezzandole, col suo becco, succiava la sostanza oleosa contenuta nei tubi. Poco tempo dopo furono vedute con sorpresa crescere in luogo delle penne verdi strappate altre di color biancastro. Qualche tempo appresso, e dopo la morte del suo padrone , sembrava a chi lo vedeva che la natura, per una singelar bizzarria , 1’ avesse creato metà pappagallo e metà pa- pero; tanto era il. contrasto fra il color bianco della sua schiena e della sua coda, ed il rosso vivo delle penne della sua testa e del suo collo. Ma un cangiamento anche più singolare fu osservato sopra una lodola, che apparteneva al dottor Tommaso Scott di Fanash. La sua gabbia era collocata nella sala accanto a quella d’un tordo; questi due animali spesso gareggiavano nel canto, gridando talmente, che il padrone alla fine, stordito da quello strepito, ordinò che la lodola fosse portata nel piano superiore. Il povero animale divenne malinconico, languido, e cessò di cantare. I suoi occhi erano appannati, e le sue penne presero un colore più scuro, che in meno di quindici giorni si trasformò in un bel nero. Il buon medico osservava questi fenomeni coll’ occhio d’un naturalista; ma, temendo per la vita della sua lodola, fece riportare la gabbia in cui essa era contenuta vicino a quella del tordo. Ben presto la lodola riprese tutta la sua vivacità, è ricominciò a cantare; ma nessun nuovo cangiamento avvenne nel colore delle penne, le quali restarono nere come il carbone. Il tordo non aveva mostrato di provare veruna delle impressioni sofferte dalla lodola. Non parve che si accorgesse della sua assenza , o sì rallegrasse del suo ri- torno. (Bibl. Univ. Octobre 1831, pag: 209). Essendo stato riconosciuto molto utile nei casi di cholera morbus il provocare la traspirazione, sono stati fatti a Berna degli esperimenti intorno ai mezzi di produrre quest’ effetto importante. Il dottor Tribo- let ha trovato che la miglior maniera consiste nel porre il malato in una tinozza da bagni vuota, nella quale si fa ardere una lampada a spirito di vino. La tinozza deve esser coperta con un tappeto o panno di lana in modo da concentrare il vapore che proviene dalla combustione, co- sicchè in pochi momenti tutta l’aria che vi è contenuta prende una temperatura elevatissima , e , noi aggiugneremo , si carica di vapore acquoso. La persona così disposta prova in pochi minuti un sudore abbondante. T. IV. Dicembre 10 74 Questi esperimenti ripetuti a Ginevra hanno dato risultamenti esattamente eguali a quelli ottenuti dal medico di Berna. Siccome in questo cenno, che ricaviamo dalla Biblioteca Universale, Ottobre 1831, pag. 231, si prescrive unicamente di cuoprire con un tappeto o panno di lana la tinozza , noi stimiamo opportuno, ove la tinozza sia di metallo, vestirla internamente del panno stesso , giacchè l’estesa parete interna del vaso metallico, per la sua facoltà condut- trice del calorico, condenserebbe prontamente il vapore, nè permette- rebbe all’aria interna di prendere una temperatura alquanto elevata , e di conservarla. Questa precauzione non sarebbe necessaria facendo uso d’ una tinozza di legno. Ci facciamo un pregio ed un piacere di quì inserire il seguente avviso interessantissimo. Girolamo Segato , animato non già dalla vanità e dalla preten- sione di comparire autore di scoperte, ma dal ragionevole desiderio di non lasciar ignorare e di sottopporre all’esame ed al giudizio dei dotti i risultati che egli ha ottenuto dalle sue lunghe e laboriose ri- cerche , si fa animo ad annunziare essere egli giunto a ritrovare un mezzo idoneo a conservare e rendere inalterabili le sostanze animali, non per costante immersione in qualche liquido , come è stato più generalmente praticato fin quì, ma con ridurle in stato di perfetta sec- chezza senza alterarne la forma, il colore, e gli altri principali e più importanti caratteri ; il qual mezzo egli ha felicemente applicato alla conservazione dei tessuti animali, dei visceri di qualunque specie , compreso perfino il cervello, e di molti animali quasi totalmente com- posti di sostanza mucconsa, riducendoli in tale stato di secchezza e du- rezza, che, mentre conservano moltissimi caratteri peri quali si distin- guono ad evidenza, restano inattaccabili dalle tarme e dall’ nmidità H cosicchè non esita ad asserire che li garantisce da qualunque deperi- mento , sottoponendoli all’immersione nell’ acqua per molti giorni. Il processo è stato da esso applicato anche a preparati d’anatomia umana, alcuni dei quali conserva nella propria casa, ove egli è dispo- sto a sottoporli all’ispezione dei dotti e degli studiosi , come lo sono stati all’esame di non pochi, fra î quali recentemente ‘li hanno considerati con molto interesse e con piena sodisfazione, i sigg. cav. Leo- poldo Nobili di Reggio scienziato assai distinto, cav. Vincenzio Anti- nori direttore del R. Museo di fisica e storia naturale, prof. Zannetti, dottor Gamberai, dot. Manni prof. d’ ostetricia a Roma, cav. prof. Gaz- zeri, e più altri. Altri simili preparati si conservano nel Museo fisio- logico dell’ Arcispedale di.S. M. Nuova , per essere stati eseguiti di commissione del sig. Biancini attual professore d’ anatomia , il quale , riconosciutane l’efficacia, riguarda come vantaggiosissimo questo modo di conservazione. Fra i diversi preparati hanno richiamato la speciale attenziono degli osservatori i seguenti : L’ intera pelle del cranio , ossia 1’ inte- 7 75 gumento capillizio, coi suoi capelli così solidamente aderenti, da resi- stere assai più che nello stato di freschezza, o durante la vita, allo sforzo che si faccia per svellerli ; — La pinguedine o l’ adipe conser- vato coi suoi caratteri, e specialmente col suo colore; — La pelle del petto e dello mammelle, in cui sono conservati i colori naturali delle areole e delle papille; — Alcuni molluschi coll’integrità del corpo, e colla presenza di tutti i visceri in esso contenuti. — Alcune mani uma- ne, nelle quali è conservata la mobilità delle respettive articolazioni falangiche delle dita; — Alcune rane aperte semplicemente, altre a cor- po intero , altre coi visceri preparati in modo da potere essere ben dimostrati per ogni lato , etc. Quantunque avvenga frequentemente che, annunziando taluno qualche invenzione o scoperta , altri si sforzino d’attenuarne o distrug- gerne il merito, ricercandone qualche traccia o qualche elemento (seb- bene rimasto infecondo o non apprezzato) nella quantità pressochè in- finita delle cose scritte o fatte dagli uomini, pure ogni discreta per- sona troverà ragionevole che quegli che ha inventato una cosa , 0 sup- pone in buona fede d’averla inventata, non avendola appresa da altri, mostri i risultati e gli effetti del proprio ritrovato a tutti quelli che possano un giorno, cogli esperimenti e colla dottrina, o confermarne l’utilità e la costante efficacia , o mostrarne la fallacia e l’ inutilità. I sigg: professor Giorgio Jan e Giuseppe de’ Cristofori di Milano hanno divulgato il Programma in istampa d’ un loro progetto tenden- te a promuovere ed estendere nell'Italia lo studio della storia na- turale. Si tratterebbe di formare in Milano un Museo di storia naturale a cui sarebbe annessa una Biblioteca parziale ; alla qual riunione i pro- ponenti offrirebbero gratuitamente per uso d’ istruzione i loro libri di storia naturale , fra i quali non poche opere di molto prezzo , li stru- menti necessarii a tale studio , e le particolari loro Raccolte molto con- side rabili. Avendo essi percorsa per molti anni ed in epoche diverse quasi tutta l’ Italia, specialmente la sua parte settentrionale , hanno inten- zione di dare concordemente opera ad una Fauna e ad una Flora del- l’Italia superiore, e di darne la descrizione orittognostico-geognostica. Riunite le particolari loro raccolte , intendono pubblicarne î Ca- taloghi ragionati , unitamente al Prodromo d’ una parte della Fauna e della Flora , e della descrizione orittognostico-geognostica dell’ Italia superiore. I Cataloghi sì dividono in quattro sezioni, cioè : 1.° Bota- nica, 2.° Conchiliologia , 3.° Entomologia , 4.° Mineralogia ; alcuni sono già in luce e vendibili, gli altri lo saranno quanto prima. Gli autori del progetto invocano l’interessamento e la cooperazio- ne di tutti i cultori delle scienze naturali, col quale aiuto sì lusingano di potere estendere le loro investigazioni ad altre contrade d’ Italia me- no conosciute sotto il rapporto della storia naturale. 6 Nel programma sono esposte le condizioni dell’ associazione ai Ca- taloghi, e d’una associazione di storia naturale per azioni di 100 franchi da pagarsi dopo aver ricevuto gli oggettì di storia naturale a scelta per il valore delle azioni prese , ed in conto delle quali azioni saranno ac- cettati per certe quote ed in certi modi indicati nel Programma altri oggetti di storia naturale. La Chara, pianta comunissima nei paduli, tramanda, specialmente in certe circostanze, un disgustosissimo ed incomodo odore, per cui è stata anche chiamata Putera. Essendo esso molto simile a quello che dicesi puzzo di padule, è nato il dubbio che la Chara colla sua vege- tazione, e più colla sua morte e successiva scomposizione possa esser causa della cattiva aria delle maremme e luoghi palustri. A risolvere o almeno a schiarire un tal dubbio , il sig. dot. Paolo Savi prof. di storia naturale nell’ Università di Pisa, associatosi il sig. Ranieri Passerini aiuto del professore di chimica in quella stessa Uni- versità, ha intrapreso una serie di ricerche interessanti, delle quali ha fatti conoscere i risultamenti , non meno che le considerazioni e con- clusioni alle quali è stato per queste condotto, in un articolo inserito nel N. 59 del Nuovo Giornale de? Letterati. Premesse con molta chiarezza le più importanti notizie botaniche intorno a quella pianta , e specialmente quelle che si riferiscono alla circolazione osservata dentro i di lei internodi, ed agli organi della riproduzione , ci riferisce 1’ esame chimico cui sono state assoggettate le specie più comuni della Chara, cioè la vulgaris e la flerilis. Guopre all’ esterno queste piante un’ incrostazione di carbonato di calce, la di cui quantità, sempre copiosa, è variabile decrescendo successivamente e notabilmente nei quattro mesi di maggio , giugno, luglio, e agosto. Numerose e bene intese esplorazioni, manifestando ai due sperimen- tatori la chimica composizione della Chara, hanno offerto loro infra altri materiali una sostanza particolare fin qui non conosciuta , di na- tura grassa, che ha qualche analogia colle sostanze animali, per con- tenere dell'azoto, nella quale risiede 1’ odore disgustoso della Chara o Putera , ed alla quale però hanno dato il nome di Puterina, Dopo esaminata quella pianta nel suo stato d’ integrità e di vita, l’ hanno sottoposta al processo di putréfazione, per studiarne i feno- meni ed i prodotti. A tal effetto, messane una certa quantità nell’acqua, ed abbandonatala a sè stessa, l’ han veduta ben presto cominciare a scomporsi, producendosi dell’ acido acetico, il quale, mentre si unisce alla calce del carbonato , sviluppa l’ acido carbonico , che rende spu- moso il liquido verso la superficie , esalandosi nel tempo stesso l’odore spiacevolissimo della pianta, che diviene anche talmente incomodo da, produrre mal di capo a chi vi sia esposto anche a notabile distanza. La pianta frattanto si colora gradatamente di scuro, sì rammollisce , divien saponosa , quindi si riduce in una poltiglia nera d’odore insop- portabile, e formata di frammenti di fibra legnosa e di carbone atte- 77 nuatissimo e quasi untuoso al tatto. Nell’ ultimo periodo della patre- fazione, l’ acqua, in cui la pianta era immersa, è divenuta anch’ essa fetidissima , nerastra, e mucilagginosa, e sulla sua superficie , purchè non sia agitata , si forma una pellicola’ di colore scuro, sparsa di mac- chie giallastre , ‘che in qualche punto riflette i colori dell’ iride , che esala pure odore disgustosissimo, e che, scomposta per l’azione del fuoco, lia dato prodotti azotati come le materie animali. Siccome la Chara nasce e cresce anche nei paduli salmastri, l’espe- rienza fu ripetuta comparativamente con acqua dolce o comune, e con acqua salsa. In quest’ ultima i fenomeni in genere furono più intensi, ed il fetore tale da far soffrire momentaneamente a chi l’ odorava un senso come di pigiatura alle tempie. Volendo li sperimentatori conoscere quali sostanze esali nell’ aria la Chara esposta all’azione del calore estivo , ne posero una certa quan- tità in due grandi storte di vetro, con acqua comune in una, con acqua di mare allungata nell’ altra. Il collo di ciascuna storta s’ insi- nuava in un recipiente munito d’ un tubo ricurvo , che s° insinuava în un apparato a mercurio. Esposti questi apparati all’azione dei raggi solari, ed osservatili per un mese, la scomposizione della Chara vi pre- sentò gli stessi fenomeni che in vasi aperti ; i prodotti furono più fetidi nell’ apparato con acqua salmastra. ; Riferite minutamente le fatte esperienze eil i risultati raccoltine, gli autori dell’interessante scritto che cont mpliamo dipingono con po- chi tratti ma espressivi le infelici condizioni delle Maremme o luoghi di cattiva aria, e la maligna influenza di questa sopra i suoi squallidi abitanti, e quindi passano ad esaminare quali possano esserne le vere cause. Fra quelle che altri hanno segnalate si contano la mancanza di coltivazione e le estese boscaglie ; alla quale opinione contradice 1’ esi- stenza di grandi estensioni di terreno incolto e di terreno boschivo , le quali asciutte, o prive d’ acque stagnanti, non producono veruna esalazione nociva ; dal che gli autori concludono doversi cercare la causa delle insalubri esalazioni nei paduli. Ma siccome si trovano acque stagnanti anche in paesi sani, la sola presenza di tali acque in paesi d’aria malsana non può ragionevol- mente riguardarsi come la causa almeno unica dell’ insalubrità. Se alcuni la ripetono dalla putrefazione che si effettua in tali acque delle piante palustri e delle foglie delle piante terrestri, altri , pensandone diversamente, citano i maceratoi del lino e della canapa, i quali non producono almeno costante e notabile infezione nell’aria. La fanghiglia nera ed untuosa del fondo dei paduli, che altri riguar- dano come sorgente delle emanazioni malefiche , si trova spesso nelle fogne e cloache le quali esistono anche in mezzo alle città più popolate e più sane. Nemmeno sembrano agli autori causa primaria e costante — d’aria malsana i cadaveri degli animali anche palustri abbandonati a loro stessi. ì 78 Sebbene essi ammettano che la miscela dell’ acqua salsa alla dolce possa produrre e produca dannosi effetti, pure, rilevando che vi sono luoghi infetti ove questa miscela non ha luogo, concludono, che essa non è una condizione necessaria allo sviluppo dei miasmi palustri, dei quali però bisogna trovare un’ altra origine. Sembra ad essi che possa trovarsi, se non l’unica e general causa d’infezione , almeno una delle potenti per i nostri paesi, nella Pu- terina, o nel principio fetido della Chara, principio incomodo e ma- lefico, il di cui odore somiglia quello degli effluvii palustri, e che, svi- luppandosi in copia ogni qual volta per il ritiro o l’evaporazione delle acque la Chara ne resta scoperta, per la sua volatilità è versato e si mantien sospeso nell’ atmosfera. i Siccome gli stagni salmastri sono più insalubri, i nostri sperimen- tatori hanno intrapreso delle ricerche dalle quali è risultato che la Chara, a preferenza d’ altre piante, prospera in acque salmastre, e soffre impunemente, nell’acqua in cui vive, un grado di salatura che fa perir le altre. ” Acciò a quest’interessante e bel lavoro nulla mancasse di ciò che avesse qualche rapporto al soggetto in esso contemplato, gli sperimen- tatori hanno anche analizzato l’acqua’ del lago di Bientina onde fu tolta Y Gai impiegata nelle loro esperienze, L’ isoletta vulcanica, sorta nel passato giugno sul mare del lit- torale di Sciacca (*) , sembra che vada a subire il destino di tante altre ad essa simili, che, duraudo l’erazione mentre che ancora le materie ammonticchiate non sono ben solide e compatte , vengono dall’ urto del mare e dalla forza stessa che le aveva formate disperse e distrutte. Ecco infatti una relazione che Patron Vincenzo Allotta ha, sotto il di 24 dello scorso dicembre , diretta al Capitano del Porto di que- sta capitale. “ Mi fo un dovere sommettere a lei , sig. Capitano di fregata e », di questo Porto , che il giorno 5 corrente partii da Palermo col bri- »» gantino palermitano , nominato l’ Achille , di mio comando , diretto »» per Terranova. 33 La mattina del dì 8, essendo già alle acque del nuovo Vulcano 3» detto l'Isola Ferdinandea con vento maneggevole dall’Est, stringendo ,) colle murre alla sinistra si facea prora per detta Isola, e mentre ,,» eravamo in attenzione di avvistarla , alle 6 e mezza a. m. si vide di 3» prua una massa bianca che credei un bastimento. > Alle 6 e tre quarti, essendo più rischiarato il crepuscolo, ed ap- ,» prossimatici alla distanza di 50 passi circa da tale oggetto , si vide so distintamente che la cennata massa era una colonna d’ acqua bol- o lente, che s’innalzava alternando da palmi 15 a 50, esalando puzzo 3» di bitume senza fumo alcuno. (*) V. Ant, N. 127 » Luglio 1830. 19 ,> Al momento feci portare più poggiato per evitarla, ed alle 7 e mezza si presero le murre a dritta per ritornare in Sicilia. ,» Alle 8, essendo elevato già il sole , feci virare nuovamente per assicurarmi del fatto, ed alle 8 e mezza, essendone distante mezzo miglio circa, si vide chiaramente non esservi vestigio alcuno del- l’ Isola formata dal vulcano in discorso. Ed avendo questo ripigliata 3» la sua attività , spingeva a riprese una massa d’ acqua, come sopra > ho detto , del circuito di un vascello. » Calmato il vento , passai tutto il giorno 8 e la notte seguente a poca distanza dal cennato punto. Continuò sempre lo stesso feno- meno senza mai apparire , tanto di giorno , che di notte , nè fuoco 2) 2) b) » 23 2) 23 » nè fumo. s> La mattina del di 9 alle 8 a. m., essendone distante miglia 2 e sy mezza circa, si vide che continuava l’innalzamento dell’acqua come »» nel giorno precedente. »» Tanto sommetto a lei sig. Capitano di fregata e del Porto, in 3» esecuzione dei suoi ordini, per la superiore sua intelligenza , ed »; în discarico del mio dovere ,,. Palermo 3 gennaio 1832. (Giorn. delle due Sicilie.) MIN I. e R. AccADEMIA DEI GEORGOFILI. Adunanza ordinaria del di 13 Luglio 1831. Il Vicepresidente sig. Cav. Prof. G. Gazzeri presedè questa tornata; nella quale, dopo i ragguagli fatti dal Segretario degli Atti e da quello delle Corrispondenze, il sig. Avv. A/dobrando Paolini trattenne l’udien- za con la prima parte di un suo Ragionamento Storico-Politico sul de- bito pubblico della Toscana ; ragionamento che 1’ Accademico divise in altrettanti capitoli quanti sono stati i Governi della Toscana, a partire dal secolo XIV. In questa prima lezione parlò del sistema finanziero della Repub- blica Fiorentina e della prima epoca del suo debito nazionale , dei pro- gressi che questo andò facendo col mezzo delle imposizioni , dette pre- stanze o accatti , a cominciare dall’ anno 1343, epoca dell’erezione del Monte Comune, sino al 1427, che fu 1’ origine del Catasto in Firenze. Adunanza ordinaria del di 7 Agosto. Aprì e presedè la seduta , in assenza del Presidente e del Vice- presidente sig. Cav. Prof. Gazzeri ; il primo Deputato sig. Dott. Giuseppe Giusti. Dopo i rapporti di uso, il sig. Prof. Gioacchino Taddei in una se- conda memoria su//’ economia del calore trattò , in primo luogo , della fiamma risguardata sotto 1’ aspetto calorifico e luminoso , cui fece pre- 80 cedere alcune avvertenze sulla significazione distinta delle parole igni- zione e combustione ; ed in secondo luogo relativamente al fumo. Altra memoria fu detta dall’ Accademico sig. Avv. Francesco Forti- Sismondi sulla necessità di provvedere , per mezzo di libri elementari, all’ istruzione del pubblico nelle scienze economiche , giacchè attual- mente mancano mezzi ed opere italiane che a lui possano servire di guida. Il sig. March. Cosimo Ridolfi comunicò in seguito una sua nota sulla grana del Kermes , insetto che fu reso indigeno in Toscana per le cure del sig. Gaetano Mazzoni fabbricante in Prato, e che si è fe- licemente propagato fra Ponsacco e Livorno sulla querce spinosa (quer- cus coccifera) sino dal 1803. Finalmente terminò la seduta con una memoria sull’ inopportunità dei magazzini così detti dell’ abbondanza letta dal sig. Avv. Wincenzio Salvagnoli-Marchetti , preso il motivo da un simile provvedimento stato introdotto in tempi recentissimi in un paese italiano, Adunanza supplementaria del di 28 Agosto. Coprì il seggio del Vicepresidente e aprì l’ adunanza il sig. Dott. G. Giusti primo Deputato. Tre rapporti di altrettante Commissioni accademiche furono fatti in questa tornata supplementaria. Il primo fu letto dal sig. Commend. Lapo de’ Ricci come uno dei Commissari stati incaricati di esaminare e riferire il loro parere sopra una memoria letta nel 1 maggio p. p. dal socio sig. Giuseppe Andreini risguardante ai miglioramenti da introdursi nell’ esercizio delle funzioni di perito stimatore. Del secondo fu relatore il prenominato sig. Giuseppe Andreini, che insieme con altri due colleghi aveva ricevuto 1’ incarico dall’ Accade- mia di esaminare una memoria letta dal socio sig. Avv. Pietro Capei nell’ adunanza del primo maggio p. p. sulla necessità di provvedere al miglioramento delle vie vicinali. Il terzo rapporto spettava a una deputazione composta di cinque soci, per dire il suo parere relativamente ad una memoria detta dal sig. march. Ridolfi nella tornata ordinaria del giugno p. p. sulla ricerca del migliore metodo ed esposizione del piano che sarebbe a preferenza da praticarsi in Toscana onde attivare un istituzione agraria teorico- pratica , e quali individui dovrebbero riceverla o somministrarla. Dopo ciò il sig. Avv. Salvagnoli-Marchetti espose un suo parere, cui diè motivo un progetto di legge per abolire i contratti di colonìa par- ziaria perpetua nell’ isola di Corfù. Adunanza solenne del di 18 settembre. In assenza di S. E, il sig. march. cav. Paolo Garzoni-Venturi Go» vernatore di Livorno e Presidente dell’ Accademia, e del Vice Presi- | i dI dente sig. cav. prof. Gazzeri, coprì il seggio di quest’ ultimo il primo Deputato sig. dott. Giuseppe Giusti,, che aprì l'adunanza solenne. Cominciò il sig. Ferdinando Tartini-Salvatici segretario degli Atti colla relazione de’lavori accademici dell’anno che andava a spirare. Seguitò la lettura il segretario delle corrispondenze, sig. dott. Atti- lio Zuccagni-Orlandini , il quale volle prendere per argomento del suo ragionare un colpo d’occhio sull’ avanzamento di diverse maniere d’in- dustria in Toscana, trattenendosi precipuamente sopra quelle relative alle maremme di Grosseto. Quindi il segretario degli Atti tornò a dire l’ elogio del defunto accademico sig. conte Gio. Batt. Baldelli- Boni. Dopodichè il sig. dott. Giuseppe Giusti facente le veci di Presidente discorse brevemente delle vicende storiche dell’Accademia, e del suo costante impegno in promuovere gli studi economici , sia con gli esempi, sia con gl’ incitamenti e con premi. Al quale effetto l’Accademia ha promosso in quest’ adunanza so- lenne due quesiti concepiti nei termini che appresso. Programma dei premj proposti dall’ I. e R. Accademia Eeonomico- Agraria dei Georgofili nell’ adunanza solenne dei 18 Settembre 1831. Sarà conferito nell’adunanza solenne dell’anno 1833 un premio di zecchini venticinque all’ autor della memoria che meglio risponderà al seguente quesito. 33 Determinare quale possa esser il miglior sistema per la cultura 33 dei boschi in Toscana, avuto riguardo non tanto al maggior prodotto »» che potrebbe ricavarsene per il legname da costruzione , quanto per 3 quello necessario ai diversi usi e bisogni dell’ agricoltura e dome- 5 stica economia. Non si perda poì di vista di determinare se di al- 3, cuni boschi, e di quali , il suolo possa servire ad altre utili culture 3» senza danno delle piante arboree. ,, Nell’ adunanza solenne dell’anno 1835 sarà conferito altro premio di zecchini cinquanta all’ autore del miglior TRATTATO ELEMENTARE DI PUBBLICA ECONOMIA ACCOMODATO ALLE PRATICHE ED ALLA LEGISLAZIONE Toscana. 3» L’opera, di cui si tratta, dovrà esporre quali sono le condizioni », della pubblica e privata ricchezza : indicare e confutare i pregiudizj 3» che han guasta molte volte la teoria e fatte traviare le legislazioni : o stabilire i principj secondo i quali è da credere che la legislazione ,, economica possa raggiugnere il fine desiderato de'la maggior possi- 33 sibile prosperità divisa nel maggior numero. 3) L'Accademia non si contenterebbe di una semplice dimostrazione > razionale de’ principj dell’economia pubblica, dove non venisse avva- » lorata dagli argomenti di fatto che può somministrare la statistica »» € la storia della legislazione economica. T. IV. Dicembre. II 82 , Desidera l'Accademia che i fatti, da cui si vogliono appoggiate sa le "Atria, siano tolti al possìbile dalla storia d’Italia. »» L'esposizione ed il commentario storico della Legislazione. eco- 3» nomica di Toscana sono assolutamente richiesti, perchè l’opera possa ») essere premiata, »» 1 concorrenti devono prefiggersi di fare non tanto un’opera scien- tifica, quanto un’opera che sia utile all’ istruzione di tutte le classi. 3 L’opera potrebbe meritare approvazione per la saviezza dei prin- cipj e la forza logica degli argomenti , e tuttavia non esser premiata per mancanza di quella chiarezza che assolutamente sì richiede in un trattato elementare, s; Proponendo un premio ad un’opera elementare, si intende piut- tosto di assicurare e garantire lo stato presente della scienza , che di stimolare ad un’opera che contenga sentenze nuove ed ardite. Però chi darà mano al lavoro dovrà ricordarsi quanto 1’ intemperanza di ingegno possa nuocere ad un’ opera elementare , e come convenga sempre distinguere il certo, il probabile , il dubbio ed il congettu- rale. L'Accademia, sebbene sia aliena dal rendere stazionaria la scien- za , non potrebbe per altro premiare un’ opera che presentasse come 3, elementari dei principj che non avessero ancora subìto l’ esperimento 3» della pubblica opinione. Oltre al premio di zecchini cinquanta l'Accademia rilascerà all’au- tore la proprietà del MS., a condizione però che egli debba averlo pub- blicato nel termine di mesi sei dall’ epoca del riportato premio; e si offre l'Accademia medesima compratrice di cento esemplari dell’opera. La somma assegnata con titolo di premio sarà pagata appena l’ opera coronata comparirà al pubblico: ma, spirato un semestre senza che sia effettuata questa pubblicazione , sarà pagato nonostante il premio , e s’ intenderà spettare all’Accademia il diritto di stampar l’ opera. per proprio conto. Le memorie dei concorrenti al premio promesso per il 1833, ed egualmente le opere di coloro che aspireranno al premio del 1835, do- vranno essere inviate dentro il mese di luglio degli anni respettivi al Segretario delle Corrispondenze della suddetta I. e R. Accademia, fre- giate di un’ epigrafe da ripetersi sopra un biglietto chiuso , che conterrà il nome, cognome e domicilio del concorrente , e che dovrà esser ri- messo unitamente a ciascuna memoria 0 opera. Il Segretario degli Atti TFerpIiNANDO TARTINI-SALVATICI. NECROLOGIA GrovaNNI CASELLI Giovanni Caselli , di nobilissima famiglia lucchese, non tenne la nascita per argomento sufficiente a segnalarsi fra quei del suo tempo : chè già dei vecchi pregiudizi cominciava ne’ primi anni di lui a far giustizia l’incivilimento. Però dell’amenità delle lettere , come di mezzo sovra tutti efficace a sorgere in fama, giovinetto ancor s’ invaghiva. Dotato di pieghevole ingegno , a tutto facilmente voltavasi: vigor non aveva per tutto raggiungere. Nondimeno l’ amor della gloria, o, s’al- tri pur vuole, 1° ambizione di farsi un nome , lo pungeva di stimoli acuti: difetto che tanto a virtù somiglia, da farne spesso le veci. To qui non appoggio le calunnie della viltà ; non tradisco il vero per debolezza. Inferiore alla sublimità delle opere cui volle innal- zarsi, nel valor degii amici Giovanni fidava; non così tuttavia che perdesse titolo a dirle sue. Ciò basta , cred’io, perchè dell’Anacreonte fatto sì nobilmente italiano , e di cui non è finora miglior traduzio- ne , gli si debba insieme riconoscenza ed encomio : ciò basta per- chè , lasciando stare la versione del Rimedio dell’ Amore, nella quale a’ bei versi fan torto i pensieri, ne rimanga la dispiacenza , che l’altra leggiadrissima di Tibullo non sia stata per esso compiuta. Certo i saggi, ch’ egli ne diede, promettevano uno squisito lavoro ; com’anco le poesie originali, venute da lui, uscirono tutte dalla mediocrità. Per lo che dalle memorie della patria letteratura non andrà perduto il nome di Caselli , e ricorrerà sempre all’affezione dei posteri, quan- tunque volte si studieranno i monumenti di quella. Com’ uomo, egli era stimabilissimo ; leale nel trattar con altrui, schietto di sensi, cortese ne’ modi, sano di massime , d’ animo in- dipendente, amico agli amici, compassionevole ai disgraziati. Fu spesso in mezzo ai tumulti cortigianeschi ; fu segno alle ricompense de’Grandi: e quelli seppe tollerare, di queste non superbire. Privo di congiunti, non sentì d’ esser solo , vivendo : privilegio singolarissimo di chi col soccorso de’ buoni studi ripara gli oltraggi della fortuna. Ma forse dell’ esser cotanto isolato allora .s’ afflisse, quando s’ accorse, mo- rendo, ch’ era mercenaria la mano da cui riceveva gli ultimi uffici. Chi scrive queste pagine avrebbe pur voluto alleggerirgli sì vivo do- lore ; ma corse rapidissima l’ora; e, quando egli giunse, non ebbe dall’ amico che 1’ ultima occhiata. GiusePPE BORGHI. 84 Pror. Cano CAPPELLI, Nacque a Scarnafiggi nel 1765 ; fu laureato in Torino : nel 1792 fu ‘medico d’armata a Nizza marittima, poi medico a Mittau delle prin- cipesse di Francia, poi nel 1811 professore in Torino di anatomia com- parata. Nel 1815 , abolita la cattedra, fu due anni dopo nominato pro- fessore di materia medica e di botanica, e nel 1823 consigliere del ma- gistrato supremo di sanità. Nel catalogo da lui pubblicato delle piante dell’ orto botanico di Torino , descrisse due nuove specie di crittogame : aiutò di consigli la Flora sarda del ch. prof. Moris , che a lui dedicò una nuova specie di borraginea: abbellì l’orto botanico e l’ampliò di molto: assistette in qualità di medico molte illustri famiglie : coltivò gli studii letterarii ed i matematici ed i meccanici : primo introdusse nel regno parecchie utili macchine, quella segnatamente che serve alla filatura del lino. Mandato coi ch. Baruti, ‘Trompeo , Caffarelli, a conoscere davvicino in Galizia la temuta malattia del cholera , nell’ agosto di que- st’anno ne fu preso egli medesimo in Pest, e co’ rimedii diaforetici la superò. Di quivi non potendo penetrar fino a Lemberg, ripartì co’compa- gni, conobbe e curò il male stesso negli ospedali di Vienna: e già s’avviava verso Berlino , se un’emiplegia non ne l’avesse ricondotto a forza, e rac- ceso nell’animo suo il desiderio di rivedere l’Italia. Arrestato dalle leggi sanitarie sui confini della Stiria, con gravissimo incomodo arrivò final- mente alla Pontebba, dove la malattia , esacerbata, lo tolse dal mondo. “ Una modesta lapide del sig. Baruti indicherà al passaggero il sito ove in pace riposano le fredde ceneri dell’ illustre estinto; a cui fra le solitudini di quelle alpine rupi si fecero solenne esequie, alle quali as- ;3 sistevano i forestieri colà raccolti, i parochi e le popolazioni intere 3 dei vicini monti ,,. Così un ch. Professore. Quì ci piace soggiungere la lettera «d’ un altro dotto piemontese che rende anch’ egli al buon Cappelli degno tributo di lode. Lettera di L. C. al Professore G. L. C. Accademico delle Scienze. Amico e collega carissimo. La tua lettera mì conferma la trista notizia che mi era già per- venuta della morte dell’ esimio professore Carlo Cappelli, uomo in cui sì giunsero rara felicità d’ ingegno a rara modestia, vasta dot- trina a soavità di costumi ed a piacevolezza di conversare. Delle virtà non parlo a te che 1’ hai conosciuto ed amato. A chi nol conobbe ne farà perpetua fede 1’ aver desiderato ed ottenuto in età di 66 anni il pericoloso mandato di speculare al di là dell’Alpî il corso di quel rio flagello, che dal Gange natio drizzò, non sono molt’anni, il volo inver l’ Europa , e minaccia di disertarla. Quanto 10 sia dolente della perdita di questo savio dalla carità di patria con- 85 dotto a morire in terra straniera, non è mestieri ch’ io tel dica. Egli mi fu maestro nell’ amabile scienza de’ fiori, egli m’ era amico prima che col generoso sacrificio di sè stesso avesse acquistato un diritto incontrastabile all’ amore di tutto il genere umano. Dal doloroso annunzio del passaggio di questo pietoso amico del- l' umana salute, e dalla memoria della peregrinazione da lui forte- mente intrapresa per conoscer l’ indole del cholera asiatico , tu hai preso occasione di ricercarmi se negli studi , che da quasi dieci anni sto facendo intorno alla storia patria , io mi sia abbattuto a qualche notizia della ferocissima peste nera , che nel 1348 desolò sì misera- mente l’Italia e le migliori contrade d’ Europa ; peste di cui non fu la più micidiale, se pure questa nuova del cholera non sì stu- dierà d’ avanzarla. Risponderò brevemente, secondo che mi soccorre la memoria, poichè non ho tempo di frugar î quaderni de’ ricordi da me raccolti. Inferocì veramente questo crudel morbo in Savoia dall’ agosto al novembre del 1348: il popolo, che anche ai dì nostri d’ogni straordi- naria mortalità suol riferir la cagione non alla malignità del contagio ma alla malvagità de’ suoi simili , attribuì allora alle male arti de’giu- dei quel rapido dileguarsi di tante migliaia di vite. E levato in furore minacciava l’ intero esterminio di quella abborrita nazione ; onde fu forza al governo di raccettarli nelle fortezze per salvarli dal cieco impeto popolare; al quale nondimeno si dovette compiacer, in parte ponendo sotto sequestro i beni di que? sventurati. La ferocia del morbo fu per certo grandissima anche in Savoia, poichè quattr’ anni dopo si contavano ancora nella terra di S. Mau- rizio d’ Agauno centonove case abbandonate , che dovean essere poco meno della metà del numero totale , eziandio considerandola per una delle più popolose. E, postochè siamo in sul ricordare avvenimenti luttuosi , ti dirò ancora che Matteo Paris storico inglese del secolo XIII narra che nell’ anno 1248 , cioè 100 anni prima , un terribile scoscendimento di montagne sotterrò cinque intere ville nella Moriana con morte di no- vemila persone e d’ una infinita quantità d’ animali ; svelandosi in tal occasione , e precipitando immense saldezze di roccia che dal tempo della creazione giaceano ascose nelle tenebrose viscere di quelle montagne. Così egli. Credimi ec. Torino , il 2 novembre 1831. 80 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XLIV.° n= Scienze Monari, Poriricne ED EconomicHe. Da dramma storico: Art. II. (Un Italiano) A. Pag. Dei delitti considerati nel solo effetto di attentato ; opera di Alb. De Simonis. (Celso Marzucchi) 33. 33 Sul ristabilimento del Giurato in Corsica. Lett. II. (#5) Prospetto delle lezioni di filosofia razionale del prof. Corradini. (Kudaboo oh Letture piacevoli: Ed. del Fiaccadori. soa L’ Archeografo Triestino , del dott. Rosetti. ai L’ arte di costruire ogni sorta di oggetti in rilievo e in carta ; del sig. Recourt. (ae Prospetto di una istruzion popolare , di P. Molosso. (FK Hop o Intorno allo stato politico ed economico dell’ Egitto, let- tera di (A. Paolini) B. 4; Storia d’ Italia del Conte Cesare Balbo. (IE Ko Hija, tto; Etica drammatica per l’edncazione della gioventù, di Giu- lio Genoino. = Saggio di commedine pei fanciulli , di Massimina Rosellini. (Fo 0 Viaggio storico-letterario in Italia, del sig. Valery. (K. X.Y.) C. » Orazioni funebri del Bossuet, volg. del curato P. Monti. ,, ;;3 Apologia delle scienze e delle arti: Elogio delle principali scoperte: opere del sig. Ab. F. Orlandi. (E Gion L’ antica morale filosofia esposta quanto alla peripatetica dal Zanotti, ec.: opere raccolte e pubblicate per cura di G. D. Romagnosi. (CH), 5 Opere filosofiche del Dugald Stewart e del Reid; tradotte ec. da N. Tommaseo. (Led )tr0 43 26 55 8a 114 115 23 127 13I III 135 143 87 LerreraTtuRA è FiLoLocra ; CriTIcA LETTERARIA EC. Vite de’ famosi Capitani d’ Italia composte per Francesco Lomonaco. = Il Veltro allegorico di Dante. (XK. X. Y.) A. P. 3-133 Corso di letteratura francese del sig. Villemain: (Conclu- sione )a (M.) 23) 33 Inni di G. Borghi. (KE Yohgstdba Ganzone di G. Borghi. 3» 3 3 La storia romana di Tito Livio, trad. di G. A. Mabil. ,;,; » Capolavori del teatro francese, trad. di Cirillo Abrantes. (L.) ;; 3; Le lettere di Plinio il giovane , trad. di P. A. Paravia. (16.0 Kilo .» I fatti d’ Enea, ridotti in volg. da frate Guido da Pisa. ,, ,)_» Intorno alla scoperta de’ Commenti del Bambagioli alla Divina Commedia. (G. B: Piccioli) ,, » Reclamo. Lettera del Cav. De Hammer. CNS 55 Lettera del Padre Matraia. SIT cx) Lettera di N. Tommaseo. 3» Do Nota del Dir. dell’ Ant. 29; 39 Discorso intorno alla storia scientifica della Toscana. (Guglielmo Libri) B. ,} Poesia delle tradizioni: 1’ Inferno d’Armannino. (K. X. Y.) 3. » Adunanza solenne dell’ Accademia ‘della Crusca (13 set- tembre 1831 ). (Pica Opere volgari di Giovanni Boccaccio. (RED ARIE Non ti scordar di me , strenna per il capo d’ anno. Me (D1 ses Le Guerre Catilinaria e Giugurtina, scritte da Crispo Sal- lustio, e volg. da M. Leoni. saliti asa Della poesia tedesca di W. Menzel, versione di G. B. P. ,, Caterina Medici di Brono, novella storica di Achille Mauri..,; Osservazioni intorno ad un edizione sconosciuta del Mor- gante Maggiore, di St. Audin. (M.) Istoria dell’ Europa di P. Fr. Giambullari. Il Catilinario ed il Giugurtino di C. C. Sallustio volg. da Fr. Bartolommeo da S. Concordio, ed. napoletana. — Varie.opere pubblicate a Napoli da Basilio Puoti e da Gesare Dalbuono. 23 295 23 DI 23 23 Collectio Latinorum scriptorum etc. Ed. Borghi e C. Mar: Marci Tullii Ciceronis Orpheus etc. Ed. St. Audin. 39 33 3 Vita di Pietro Aretino, del Berni. sa Le sette Virtù , poemetto di Giulio Frangiosi. STE: Le Guerre Catilinaria e Giugurtina di C. C. Sallustio volg. da M. Leoni. 3:93 193 Opere in verso e in prosa di G. B. Niccolini. alba dò Sermoni di M. Missirini, terza ed. (Kiod)bbiaDo Lettera antica diretta dalla Polonia al Seg. Curzio Pi- chena. Aado. 23 65 08 ArcHEOLOGIA. Delle iscrizioni veneziane raccolte ed illustrate da Em. Ant. Cicogna. (K. X.Y.) A. Pa Le Frogamie di Admeto e di Alceste , descritte dal prof. G. B. Vermiglioli. (G. B. Zannoni) B. ,, Galleria Omerica, o monumenti antichi relativi all’ Iliade e all’ Odissea , raccolti dal cav. F. Inghirami. Reale Galleria di Firenze illustrata. (M.) >> >» Cenni sugli avanzi dell’ antica Solunto , del sig. D. Serra di Falco. (G. B. Zannoni) C. ,, Catalogo della serie beckeriana di medaglie, vers. dal tedesco. ,; Memoria sulle origini delle acque del Sebeto di Napoli antica , del prof. Tommaso Monticelli. (E: R3 da Opere varie d’ Ennio Quirino Visconti. (IL) 5 BeLLe ARTI. Galleria Omerica del Cav. F. Inghirami. = I. e R. Galle- ria di Firenze illustrata. (7.) B. Pag. Notizie intorno ad Ant. Fabbris. (L. Cicognara) ;; Storia della vita e delle opere de’ più celebri architetti’, del Quatremere de Quincy. {CP aria Vedute di Sardegna. (KA) 9} Opere di G. Winckelmann , ed. de’ Fratelli Giachetti. (X.) C. ,, Scienze NATURALI. Meteorologia. Bullettino Scientifico. Ottobre 1831. A. Pag. 33 5 Novembre e Dicembre GC. ,, Fisica e Chimica. 5 Ottobre 1831. A 0443 pr Novembre e Dicembre C. ,, D’ una nuova specie d dodello dell’ Isola Guba. (Carlo Buonaparte) A. Sopra la forza elettromotrice del magnetismo. (L. Nobili e V. Antinori) GC. ,, Società ScIENTIFICHE. Società medico-fisica fiorentina: Continuazione delle sue adunanze. (P. Magheri) B. Pag. BuLLerTIno ScienTiFIco- LETTERARIO. Varietà. A. Pag. C. 23 2) NecRotoGia. G. Roscoe: Appendice. (M.) A. Pag. Gio. Caselli. (G. Borghi) B. ,» Prof. Garlo Cappelli. St FINE Del XLIV.° Volume , e dell’ Anno XI.® 113 165 171 I OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE PRDT'E NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello delmare picdi 205. DICEMBRE 1831. pag [eo] ermom pa Luo) > © Se E CIA: e Ora 3 = RN 1°, Z. e S Stato del cielo ® lo) (O) ° (SS 5. noi vi i aa 8 8 gl Botorlurt boBodi 8 | #8 [mei fp Tvr eee | I 7 mat. |27: (99 4,0| 4,9; 52 jTram. |Nuvolo ser. Ven. for. 1| mezzog. |27.: 9,3 4,8 759] 54 ‘Tram. Nuvolo ser. Vento 11 sera |27. :0,8 4,9' 9,3. 66 ‘Tram. Nuvolo Vento ‘7 mat. |27. 10,7 5,0 4,7| 87 Le vant| Nuvolo ser. Calma 2| mezzog. |27. Lo 5,3] 7,0] 71 Levante|Ser. c. cal. Calma rrsera |27. 10,6 | 5,8) 4,2] 93 Sc. Le. |Nuvolo Calma 7 mat. |27. 10,3. 5,3] 2,8 95 —. |Se. Le Ser. c. neb. Ventic. 3| mezzog. |27. 10,3 | 5,5] 5,8] 90 Tr. M. Ser. c cal. Calma ;1a sera |28. 4 sera |28. 0,31 5,51 4,2) 94 elica Sereno neb. Calma 7 mat. |28. 1,2 mmat. |28. 1,2 | 5,5 42| 94 r. Le. [Nuvolo Calma 4| mezzog. |28. 135 5,8| 7.4| go "i Nuvolo neb. Calma tr seral 28. 1,7 5,9] 6,9| 92 Sc. Le. | Nuvolo Calma ” mat. |28. 1,2 6,0 151 93 Sc. Le. |Nuv, ser Ven. Cal. 5| mezzog. |28. 1,3 | 6.5) 09,5) 89 jOs. La | Nuvolo Calma ri sera |28. (1,1 6,7| 7,2] 96 ‘Se. Le. |Nuvolo Calma 7 mat. (28. 0,8 | 7,0] 74] 93 Sc. Le. !Nuvolo ser. Calma mezzog. |28. 0,2 7,5) 1o,3| 84 || Levante|Sereno Ventic. cir sera (28. 0,3 | 7,7] 8,9] 95 Sc. Le. 'Nuvolo ser. Calma {7 mat. |28. 0,3 7,7; 6,8 93 Sc, Le. | Nuvolo Calma 7. mezzog + [28 0,7 6,01 9,8) 94 Sc. Le.. Nuvolo neb. Calma W nt sera 128. rt 8 8,01 193 | Se Le. Nuvolo Calma css A n E. DI l'erino:m. - 3 |23|2|3 o, 31 S| 3 3) { &} 8)1,3 7 mat. |28. r,2/| 8if 8,2) 9a 8| mezzog.|28. 1,2 8,3] 1o,g| 88 _| ns sera 128, 1,8 8,3 x0,0; 94 | 7 mat. (28. 2,0 | 8,7] 99 94 9| mezzog. 28. 2,2. Q.1| 11,6) 94 11 sera 28. 2,9 | 9,0! 93 | 7 mat. [28. 3,0 9,0 da ro mezzog.(28. 2,3 | 91 "gi: 9,5! 94 i sera. 28. 3,0 _9 si 10, 3 94 7 mat. |28. 32° 9,2 | 9,9 93 ti; mezzog. 28. 3,0 9,5 10,9 94 11sera (28. 9,5 9,6: 9321 94 | 7inat. |23. 2,0 | 9,51 09.0] 9% 12] mezzog.|28. 1,7 9,9| 12,0] 88 rr sera |28. 1,5 | 10,0] i0,2| 90 7 inat. 128, 82 | 10,0 8,9 94 13. mezzog. |28.. 1,0-| 1o,t! t0,8| 93 ti sera |28. 0,9 | 10,0) corr | 93 7 inat. |28. 0:9 | 10,0 10,0 92 14| mezzog.|28. 0,8 | 10,1] 12,0 89 ti.sera-|28. 0;4 | 10,2 _19,9| 93 7 mat. |27. 11,7 | 10,2| 10, 110,5 93 15; mezzog.|27. 11,2 | 10,5 13,0! 93 | 11 sera 125. 0,0 | 10,3] 10,4| 91 | | 7 mat. 128. 0,9 | 10,0, 8,8! 75 16 mezzog. .|28. 1,2 | 10,1! 11,0] 53 11 sera |28. 1,5 9,6. 8,0 74, 7 mat. |28. 0,8 ‘9,0: 49. 917 9I 7 mezzog. 28. o.1.;) 8,9 7,0 80 si sera [27. 11,8: 8,3; 752 79 7 mat. |27. 11,9 psi 60] 71 18| mezzog.|27. 11,8.) 7.9] 739. 61 ts sera 127. 12;6 7,6 4.1! 83 7 mat. a 11)4 7,9 3,3 90 19| mezzog. 27. 11,4 6,4 49 93 J\ sera. 27. 15,0 6.3 51 095 :Ostro v I}; n < = 8 5 _s Per (© =) (e) 3; è, ® ° ' ' Sc. Le. |Navolo Os. Li. jNuv. neb. Sciroc. {Nuvolo neb. |Sc. Le. Nuvolo Sciroc. {Nuv. neb. Sciroc. !Nuvolo Levante |Nuvolo Sciroc. ____'Levante Nuvolo "Gr. Le. Nuvolo Gr. Le. : Nuvolo neb. !Gr. Le. Nuvolo Levante{Nuvolo Sciroc. ! Nuvoloso [Levante Nuvolo 77 |Sgiroc. | :Navolo neb. :Sciroc. Navolo neb. Ostro !Nuvolo Ostro Nuvolo Gr. Le. !Nuvolo neb. Os. Sc. | Nnvalo |Po. Li. |Nuvolo ‘Sc. Le. |Nuvolo ‘Tr. M. | Tr. M. [Sereno Greco Sereno Sciroc. |Sereno Libec, Caliginoso ‘Tram. Sereno ‘Se. Li. }Nuvolo 0,07 Gr. Le. Piovoso ord O. Li. Pioggia Nuvolo neb. Sereno neb. Ser. c. neb. Greco. |Sereno Tram. {|Ser.no Sc. Le. |Sereolo neb. Calma | Ventic. | Calma Calma | Calma Calma | Calma | Calma Calma Calme | Calma | Calma | Calma | Calma | Calma | Calma Ventic. Calma Calma Calma Calma Calma Ventic, Ventic. Vento Ventic. Vento Ventic. Ventic. Ven» f. Ventic. Vento | Ventic. Calma Ventic. Veptie, (co) lerinom. _ "t >» 9 ra 3 sS (I 5 = =» n. 3 SI * piera. i > bad» S ; | 7 mat. |27. 10,5 6,0] 6,8) 94 | 0,95 O. Le. 20|mezzog. |27. 10,4 | 6,0 5,0] 96 | 0,03 Tram. _|31 sera |27. 11,9 6,0]. 5,1] 96 | 0,09 Tram. 7 mat. |28. 0,0 5,5) 48) 94 Greco 2I|mezzog. |28. 0,2 6,0| 6,9' 66 | 0,07 Tr. M. II sera 28. .0,8 | 6,1 6,3| 95 Maestr. 7 mat. |28. 0,7 | 6,0! 5,51 96 | ]se Le. 22|mezzog. |28. 0,4 | 6.4| 7,0] 95 Sc, Le. _|_ttsera 28. 0,2 | 6,6] 56,8| 96 ISc. Le. 7 mat. |28 0,0 | 6,4] 5,0) 93 G». Le. 23|mezzog. |27. 11,6 | 6,7] 7,9| 65 Tr. M. 11 sera 27. 11,4 | 6,9, 6 | 68 Tram, | 7 mat. |27. 11,5 6.2| 6,1| €69 Tr. M. 24 mezzog. |27. 11,9 | 6,5) 7,8| 60 Tr. M. | _1t sera |28. 0,9 6,0] 6,0] 65 Tram. mn mat. 128, 1,2 537] 5,3! 62 ‘Tram. 25 mezzog. (28. 1,2 5,8) 6,0 55 Tram, i rrsera 28. 1,2 5,21 4,2 63 Tram. 7 mat. |27. 11,9 | 4.8 36 65 Pram. 26|mezzog. |27. 11,2 49 5,1 59 Tr. M. _| tt sera |27. 11,2 46 4,3 45 Tram. 7 mat. |27. 11,2 33. 2,3! to) Tram. IP egros: 27. 11,3 3,8 2,7| 60 Tram. rt sera |27, 11,0 3,2. 2,0 62 G. Tr. | 7 mat. |27. 10,6 2,8 G. Tr. 28 mezzog. |27. 10,5 ,0 6I AN); 11 .sera |27. 10,6 2,4 bi 19, 60 __ Tr. M. [| 9 mat. |a7. 10,1 2,0 1,05 SR “re M 29 mezzog. ra ag 2,0 teLsò; 56 Tram. | 1x sera 9,8 1,3] —0,5. 65 Tram, 7 nat. o 1,0 E | 67 Tram. 30] mezzog. di Sa] 71 Tram. 1; sera 0,7|+0,5 5 85 Tram. 7 nat. 10,0 | 0,4 Lo;3| 65.) {Tr. M. 31| mezzog. 10 « 1,1|+3,0| 67 Tr. M. ICI sera 2A I 14 i 4 3 -+2,0| 62 _ (Tram. Stato del cielo. eee Nuvolo Calma Pioggia Vento Nuvolo ser. Ventic. Nuvolo Calma Piovoso Calma Nebbia Calma Nuvolo ser. Ventic® Nov. neb. Calma ‘Nuvolo Calma Sereno Vevtic Ser. rag. Vento Nuvolo Vento {Nuvolo Ven. F Ser. rag. Vento Nnv. ser. Ven, F. Screno rap. Ven. F i Nuvolo Ven. F. ' Sereno nuv. Vento [Sereno — Vento Sereno Vento Sereno Ven, F. Sereno Vento [Sereno Ven. F. 'Nuvolo Ven. Im, Nuvolo Vedi fai Nuvolo Ven. F. Nuvolo Veu. F Nuvolo Ven. Tu; Ser. c. nuv, Vento Scr, c. nuv. Vento |Nuvolo Ven. Tos Nuvolo neb. Ven F Nuvolo Ven. F. 'Nuvolo Ser. Ventic. Nuvolo Ser, Vento _Nuvolo Vev. F. Armenia Barom. Ter. Altezza media | med. Alt. poll. lin.| [28. 0,5|12,9 28. 1,2/12,9 27. 11,8/12,2 18. 2266 »9 28. o,6|t1.9 28. 0,3|r1.6 27. 11.9[t86 28. 0,5|12,0 27. 11,6|11,2 2003}: 20 28. 0,2|13,3 3 ottenuti nel decorso Undecennio. Barometro Altezza massima. pol. lin. Epoca Termometro - Barometro Altezza massima. Altezza minima a Epoca |poll.lin.j . Epoca Termometro Altezza minima. Ò Epoca 28. 8,6] 7 Febbraio 28. 6.6| 1 Marzo 28. 5,3|29 Novembre 28. 6,4|31 Dicembre 28. 6,3] 1 Gennaio 28. 5,33 6 Febbraio 23. 4,6|27 Febbraio 28, 7,6|19 Gennaio +8. 5,512 Dicembre 29. 5,3|22 Ottobre 28. 6.0|]:o Febbraio Medio undecennale 28,0 |23 Giugno a7. 6,7 6 Gennaio 26,0 {25-29 Agosto |26. 9,7] 2 Febbraio 27,6 - 4 Agosto 26. 11,2| 2 Marzo 26,5 |20 Luglio ar, 2,2|20 Ottobre 26;3 |18 Agosto 7. 4,1|26 Novembre 26,9 |29 Laglio 27. 3,1]18 Marzo 27,8 | 8 Luglio 27. 4,3] 6 Marzo 26,9 16 Luglio 27. 1,4 5 Gennaio 20.4 |r6 Luglio 27. 0,2] 6 Fibbraio 26,0 |26 Luglio 27. 5,0|j10 Febbraio P» Del Barometro 28. Del Termometro Della Pioggia Dei giorni di pioggia Dei giorni sereni P. Delle. differenze massime del Barometro la Delle differenze massime del Termometro [27,8 |24 Agosto 27. 1,925 Dicembre |==3,2 Nu Dicembre 1,0)89 Dicembre 2,1]10 Gennaio 2,0|19 Gennaio o,6|15 Marzo 1,117 Gennaio 4.2|20 Gennaio 1,2|17 Febbraio 3,6/30 Dicembre 3,5|..° F:bbraio 2 9l1.° F bbraio eo er ei Sl" erpuamemes = rm me sia) IL og PARO DINE NEI o ero iS Differenza mass.| Differenza mass. TOTALE Anni delle delle della {dei gio. {dei gio. Altezze barom. Q Altezze termom. {pioggiaf piovosif sereni poll poll. CELLINI) 30,30 101 28 67 102 34 90 I21 33,60 193 164 24,27 4o 189 42,26 f 130 109 29,93 126 14ò 26 75 90 167 32,58 bTt 158 27,16 68 179 22,76 89 127 I. 0. I. I. I. J. I. I. I. 1. LE PROSPETTO METEOROLOGICO DELL'ANNO 1831. Barometro |Ter. med.|Igrometr. 2 Giorni Venli Mesi | medio |"©MSbale| medio |ggl__ mensuale mensuale 5 Sereni |[Piovosi|] dominante —r—r_rrrl1À4_ì_me/l-rilt—i if rll p. ! poll Gennajo | 27. 10,2 80,2 |a,zg| 13 8 | Scirocco Febbrajo {| 28. 0,3 73,2 0,66|- 13 5 Greco-Tram. Marzo 27. 11,9 73,4 |2,39|] ti 9 | Tramontano Aprile 27. 10,2 79:9 4,47 5 16 Scirocco Maggio | 28. 0,3 So,4 |3,33] 7 9 | Ostro Giugno | 28. 0,5 71,3 0,81] 13 5 | Scir. e Lib. Luglio abi “ty 68,2 1,08] 18 7 | Libeccio Agosto 28. 0,1 75,8 1,59l' “7 7 | Scirocco Settemb. | 28. 0,6 —— {2,59} 9 | Scir. Lev. Ottobre | 28. 2,7 80,9 o,tof 19 3 | Scir. Lev. Novemb. | 28. 0,1 38,8 2,21 8 8 | Scirocco Dicembre] 28. o; 82,1 1,300 .a 3 | Sciroc. Lev. | pe L Barom. massimo 28. 6. ilo Febbraio minimo 27. 5. il 29 Gennaio a 7.0 di mattina Term. massimo + 26,0 il 4 Agosto a 3.0” pomeridiane Term. minimo — 2,2 il :.9 Febbrajo a 7.07 di-mattina P» lL Barometro medio di tutto l’anno 28. 0,2 Termometro medio 12,3 Totale dei giorni sereni, 127 dei giorni di pioggia 89 della pioggia Mi i in DELL E MATERI E conranoTE ‘NEL PRESENTE QUADERNO: = : HE È, RA È NOVEMBRE. Le Erogamie:di Admeto e di Alceste nelle pitture di un vaso pa plastico: ‘deb Gabinetto STRA di. Perugia, descritte ‘Poesia delle tradizioni. L Galleria omerica vi ‘del cav. F. eten ni. — R. Galleria di (M) ‘orefice 9. coniatore » È diga solenne dell'Accedernia della Crusca. (P.) \ Istoria della vita e delle opere dei più celebri architetti , del °° sig. Quatremère de Quiney. > i (G. P.) | Bettera al Direttore dell’Antologia. : (A. Paolini) ‘Società medico-fisica fiorentina. (Prof.. Magherì) ‘Opere volgari di Giovanni Boccaccio , ed. Moutier.. — An- “ ehe del Comento attribuito # Ser Graziolo : dei sette Mo- 3 roelli Molespina : e del sig. Gerini e del sig. T'roya. 3 e. de So toria ‘@d Ttalia del conte Gesare Balbo. vu bica Drammatica ‘per 1’ educazione della gioventù, di Giulio - Genoino: — Saggio di Commedine pei fanciulli , di Mas- ; simina Rosellini-Fantastici. i TRITO, x) “sopra la forza elettromotrice del magnetismo. (L. Ie e V. Antinori) Bullettino bibliografico. l'avole meteorologiche. dr Co d © dal sig. -G. B. Vermig Gunte SI LOR (G. B: Zannoni). Inferno d’Armannino. CAMAIE (L. Cicognara). ve) 20 29 99 Dir inn sia RESTA VOISIA della Toscana: (G. Libri) Pag. + a) 155 149 162 FRAGRIERR: Non ti scordar ili me. ISCR pel Capo d'Apnò & x Y. 1) : ag: Le guerre Catilinaria e Ringtone, di G: ira me 5 da M. Leoni... — IA arci Della poesia tedesca di Wi. Menzel.. E on > ‘Vedute di Sardegna. Disp. HA ve Sa Viaggio in.Italia del sig. Valery. ARCATE “Caterina Medici di Bromo. Novella storica di A: Maori. 9 Cenni sugli avanzi dell’antica Solunto., del Duca di Serra-.. difalco. - — (-(G. B. Zarinoni) si Catalogo delle serie beckeriane di medaglie “greche ‘9: 0 EE ARI mane , ec. versione dal tedesco. . 7 99/990 Opere di Neive ‘ éd. de Fr. Giachetti «‘’—’— (X) » sr Orazione funebre di Bossuet ; volg. di P. Monti.-.. (K. Xi TY.) i Memoria sulla origine delle acque . del Sebeto s . del “professore. e T. Monticelli. -. — MB R). » - Apologia delle scienze e delle arti dell'Ab. PF. Orlendi. (Mx C) <» Opere varie d' Ennio ‘Quirino Visconti... pe (Mi) 33 Osservazioni intorno ad un ed sconosciuta del. Morgante mag- o aa | giore di Luigi Pulci — di St. Audin. - (MI) 5 34 Istoria d' Eoropa del Gia lari, ed. Masi, (09 a 96.4 Opere varie di Basilio Paotì , e Ciali dal Buono. tato Si 56. 90299) Collectio latinorum scriptorum ete. , ed. Borghi e G.. 59 (99.140. Marci Tulli Ciceroni , Orpheus ec. , pubb. da St. Audio. “a Vita di P. Aretini, del Berni. | SL ae CI Le sette virtù , poemetto di F. Frangiosi. Sane > Le guerre Catilimaria e Giugurtina, del G. Sallustio, volgi Ra di M. Leoni. ; 39» Opere in versi e in prosa di G. B. ‘Niccolini. ape ae L’ antica morale filosofia ec. , opera raccolta da G, D. Roma- | gnosi. agis (C. M.) n : K Opere filosofiche di Dugald Stewart, € ‘Reid, trad. di N. Tom-.-.- «| maseo. UL. Y) » 49° ‘Sermoni di M. Missirini , 2.8 ed. —. (UK. Mo Fg ay EI Lettera al Direttore dell’Autologia, na, ; at si 3. Bullettiné scientifico, SI I e NecroLocia. Cav. Caselli, si Lena (G, Borghi) so 856 Prof. Cappelli. Tavole. meteorologiche. LL SA; AA Dies: I da