FOR THE PEOPLE FOR EDVCATION FOR SCIENCE LIBRARY OF THE AMERICAN MUSEUM OF NATURAL HISTORY v' ARCHIV FÜR C' 3. » ZELLFORSCHUNG HERAUSGEGEBEN VON DR. RICHARD GOLDSCHMIDT PROFESSOR AN DER UNIVERSITÄT MÜNCHEN ZWÖLFTER BAND MIT 41 TEXTFIGUREN UND 44 TAFELN LEIPZIG UND BERLIN VERLAG VON WILHELM ENGELMANN I9J4 Inhalt des zwölften Bandes Seite Erstes Heft Ausgegeben am 20. Januar 1914 Tullio Terni, Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche nella spermatogenesi degli Anfibii. (Ricerche sul Geotriton fuscus.) Con tavole I— VII 1 L. Digby, A critical study of the cytology of Crepis virens. With pla- tes VIII to X 97 E. Ballowitz, Über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien mit apy- renem und eupyrenem Kopf bei Insekten. Mit Tafel XI 147 Zweites Heft Ausgegeben am 17. Februar 1914 Hermann von Voss, Cytologische Studien an Mesostoma ehrenbergi. Mit 5 Figuren im Text und Tafel XII — XIV 159 Bruno Monterosso, Ulteriori ricerche sulla granulosa del follicolo ovarico nei Mammiferi (Cagna). Con tavole XV— XVI 195 M. V. Derschau, Zum Chromatindualismus der Pfianzenzelle. Mit Tafel XVII 220 SiDNEY I. Kornhauser, A Comparative Study of the Chromosomes in the Spermatogenesis of Enchenopa binotata (Say) and Enchenopa (Campy- lenchia Stäl) curvata (Fabr.). With 8 figures in the text and plates XVIII— XXII 241 Drittes Heft Ausgegeben am 24. März 1914 Albert Oschmann, Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. I. Teil: Die Ovogenese von Tubifex (Ilyo- drilus) bavaricus. Mit 16 Figuren im Text und Tafel XXIII — XXVII 299 Hans Schneider, Über die Prophasen der ersten Reifeteilung in Pollen- mutterzellen, insbesondere bei Thelygonum Cynocrambe L. Mit Ta- fel XXVIII ' 359 Ludwig Gräber, Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschal- tung. Mit 3 Figuren im Text und Tafel XXIX 373 Paul Büchner, Die Besamung der jugendlichen Ovocyte und die Befruch- tung bei Saccocirrus. Mit 2 Figuren im Text und Tafel XXX — XXXI 395 Karl Gille, Untersuchungen über die Eireifung, Befruchtung und Zell- teilung von Gyrodactylus elegans v. Nordmann. Mit Tafel XXXII bis XXXIV 414 IV Viertes Heft Ausgegeben am 26. Mai 1914. Seite Leonardo Martinotti, Ilicerche sulla fine struttura dell’ epidermide umana normale in rapporto alla sua fnnzione eleidocheratinica Nota I. II corpo malpighiano e la produzione fibrilläre dell’ epidermide. Con tavola XXX’V 457 Katharine Foot and E. C. Strobell, The Chromosomes of Euschistus variolarins, Euschistus servus and the Hybrida of the Fi and Fa Generationa. With 2 Figurea in the Text and Plate XXXVI. . . . 485 Francesco Speciale, Sulla fine atruttui-a delle cellule endoteliali dell’ endo- cardio e delle cellule che tappezzano le fenditure di Henle. Con 4 Figure nel Teato 513 Erwin Lindner, Über die Spermatogeneae von Schiatoaomum haematobium Bilh. (Bilharzia haematobia Cobb.) mit besonderer Berücksichtigung der Geschlechtachromoaomen. Mit 1 Figur im Text und Tafel XXXVII bis XXXVIII 516 Luigi Torraca, II comportamento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. Con Tavola XXXIX 539 ^ E. Ballowitz, Vier Momentaufnahmen der intracellulären Pigmentatromungen in den Chromatophoren erwachsener Knochenfische. Mit Tafel XL 553 ^ E. Ballowitz, Zur Kenntnis des feineren Baues des Chromatophoren- Protoplasmas. Mit Tafel XLI und XLII 558 Gustav A. von Kemnitz, Beiträge zur Kenntnis des Spermatozoen-Dimor- phismus. Mit Tafel XLIII — XLIV 567 H. Lundegardh, Protoplasmastruktnr (Sammelreferat) . 589 Referate. Huth, W. , Zur Entwicklungsgeschichte der Thalassicollen. ( T'. Jollos) 599 Wenyon, C. M., Observations ou Herpetomonas museae domesiicae and some allied flagellates. (V. Jollos < 601 Fermor, H., Einige neue Befunde aus der Entwicklnngsgeschichte von Arcella vulgaris. V. Jollos' 601 Prowazek, S. v., Studien zur Biologie der Protozoen. (V. Jollos) . . . 602 Wkerry, AV. B., Stndies on the biology of an Amoeba of Limax group. I V. Jollos) 602 •A Fiebiger, J., Studien über die Schwimmblasencoccidien der Oadus- Arten (Eimeria gadi n. sp.). ,1'. Jollos) 603 Beauchamp, P. de, Recherches sur les Ehytidocystis parasites des Oph^lies. ( V. Joüos) 603 Dobell. C., Observations on the life-bistory of Cienkowskys >Arachmdat. (V. Jollos) 604 Braune, Robert, Untersuchungen über die im Wiederkäuermagen vor- kommenden Protozoen. i Walter Mulsow) 605 CoNKLiN, E. G., Experimental Stndies on nuclear and cell division in the eggs of Crepidula. Kemnitx) 605 AVassermann, F., Die Oogenese des Zoogonus mirus Lss. (v. Kemnitx) 607 Cresswell Shearer and Dorothy Jordan Lloyd, On methods of Producing artificial Parthenogenesis in Echinus eseulentus. (v. Kemnitx) 608 Hirt, Dr. med. AA'alter, Das Leben der anorganischen Welt. Eine natur- wissenschaftliche Skizze, (v. Kemnitx) 608 Alice M. Boring and Raymond Pearl, The odd chromosome in the spermatogenesis of the domestic chicken. [V. Kemnitx) 609 Charles Packard. The effect of radium radiations on the fertilization of Xereis. {v. Kemnitx^ 610 Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche nella spermatogenesi degli Anfibii. (Ricerclie sul Geotritoii fnscus.) Del Dott. Tullio Terni, assisteute. (Istituto Anatomico di Sassari, diretto dal Prof. G. Levi.) Con tavole I — VII. Sommarlo. Pag. I. Introduzione 2 II. Parte bibliografica 5 1. Idiozoma e formazioni periidiozomiche 5 2. I condriosomi nella spermatogenesi 17 a) I condriosomi degli spermatogoni 17 b) I condriosomi nell’accrescimento dello spermatocita e neUe divisioni di maturazione 20 c) I condriosomi nella spermatistogenesi 29 III. Tecnica 33 IV. Parte originale 34 (Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche nella spermatogenesi del Geotriton fnscus.) 1. Spermatogoni 34 2. Accrescimento dello spermatocita 37 3. Divisioni di maturazione 43 4. Istogenesi della spermatozoo 60 V. Riepilogo e considerazioni 67 1. Idiozoma e formazioni periidiozomiche 67 2. Condriosomi 71 Elenco bibliografico 83 Spiegazione delle tavole 94 Archiv f. Zellforschnng. XII. 1 Ol rullio Temi i. Introduzione. Le ricerche sui condiiosomi Iianno fatto si che le conoscenze nostre sul Protoplasma e le parti iii esso clifferenziate si siano m grado note- volissinio migliorate ed accresciute negli Ultimi anni. i\Iolta citologia (e spesso certamente della piü coscenziosa) e stata rielaborata recente- mente — avendosi dai ricercatori come obbiettivo lo studio dei condrio- somi. E poiclie e stata, con indagini sul vivente, irrefutabihnente di- mostrata la reale esistenza di questi Ultimi e poiche essi esigouo, per la loro coiiservazione, un trattamento dei piu riguardosi, la loro messa in evidenza in un larghissimo materiale e stata — oltre che un elemento importantissmio di conoscenza in se — anche una niisura della rigorositä dei nietodi adoperati. E cosi vcdiamo tahmi Autori accingersi allo studio miuuto, analitico dei processi della differenziazione cellulare embrionaria; altri miziare una revisione dei fenonieni della secrezione cellulare ; altri ancora insistere sul complesso determinismo della divisione cellulare; altri infme suUo Studio — fecondo di illazioni teoriche — dell’istogenesi dello spermatozoo e suUo Studio citologico della maturazione, della fecondazione e della segmentazione delFiiovo. Molti aspetti della vita cellulare sono stati adunque ancora una volta mdagati, allo scopo di illustrare la biologia di quegli organuli costantemente presenti e dotati il piü delle volte di una caratteristica morfologia. Per quanto le prime osservazioni di organuli indubbiamente condrio- somici siano tutt’altro che recenti [v. Bruxx (’84), Zoia (’91), Alt- ^Lvxx ’94)], pure dobbiamo a Bexda (’03) il primo tentativo di ben illu- strare e sistematizzare il conchäoma. E indiscutibile merito di Bexda e stato certamente quello di aver intuito che si trovava di fronte a forma- zioni di un significato biologico generale mdubbio — perche costante- mente presenti nel protoplasma tli ogni sorta di cellule (somatiche, sessuah) e m ogni momento della vita cellulare (riposo, divisione, diverse fasi dei metaboüsmo cellulare, ecc.). Gli Autori che, posteriori a Bexda, ne completarono e ne consohdarono le idee fondamentah, non sempre furono coiisci delle difficoltä che neUa defhiizione e nella identificazione dei condiiosomi si incontrano. Svariati sono invcro i criterii in base ai quali e possibile con maggiore o minore fondatezza di giudicare della natura mitocondriale di date formazioni. Condriosomi, idiozoina e formazioni periidiozomiche ecc. 3 Al concetto tecnico di Benda (colorabilitä — dato un previo e vin susseguente particolar trattamento — mediante il cristalvioletto), non si puö certaniente attribuire lui valore assoluto — a nostro avviso — perche ne specifico, ne costante. Un carattere che ha per lo meno im valore pratico e piuttosto la riluttanza a decolorarsi dei condriosomi, nelle colorazioni estrattive. La ricerca di un criterio meno empirico di qiiello tmtoriale e piü probativo, quäle dovrebbe esser quello della natura chimica, non e stata trascurata da alcuni valorosi Autori (Regaud, Faure-Fremiet, ecc.); non pochi dei quali si sono persuasi che nella costituzione chimica dei condriosomi entrino delle sostanze di natura lipoidica. Perö, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non si puö senz’altro affermare che- una prova perentoria dell’esattezza di tale opinione sia stata fornita. Per quanto nel corso delle mie ricerche io non mi sia rivolto con insistenza a indagmi microchimiche, pure non voglio tralasciar di dire come non si possa non essere alquanto scettici sulla portata delle ri- cerche microchimiche condotte a questo proposito. Infatti, la dimostra- zione dei condriosomi ha delle esigenze tecniche particolari, che non sempre coincidono coi metodi necessarii a far rintracciare la natura lipoidica o meno dei condi’iosomi. Ad ogni modo e indiscutibile che i condriosomi — in confonnitä alle Vedute microchimiche avanzate — sono conservati spesso dal trattamento con certi sali di cromo e con Pacido osmico. Veniamo adesso al criterio morfologico di identificazione, basato suUa investigazione della fisonomia dei costituenti il condiioma. Come e noto, esistono due diversi tipi di formazioni che si e convenuto di chiamare condriosomichei) (Meves): ilgranulo — mitocondrio — e il filamento — con drio conto; evitiamo di prendere in considerazione i condriomi costituiti apparentemente da ammassi omogenei (per es. degli spermatidi di alcuni Invertebrati) dei quali non conosciamo — forse per insufficenza tecnica — la struttura elementare forse filamentosa, forse granuläre. Per quanto l’apparenza di granuli lasci spesso meno persuaso l’osser- vatore suUa reale morfologia dei condriosomi, che non l’apparenza di filamenti, poiche, se e possibile che nelle manipolazioni istologiche si 1) Nel presente lavoro ci atteniamo alla nomenclatiira proposta da Meves nel 1907, piuttosto che alla terminologia nlteriormente dal medesimo Autore (MOa) pro- posta (plastosomi: plastocondri e plastoconti), la quäle e basata solle osservazioni di Meves suU’ufficio dei condriosomi nella istogenesi. 1* 4 Tiillio Terni verifichi uiia framinentazione di filamenti in granuli (forse cosi si ori- ginauo molti dei condriomiti di Benda), non e verosimile l’ipotesi reci- l)roca, cioe una conglutinazione artificiale di granuli in filamenti; pur tuttavia e fuori di dubbio che in un certo materiale, a dir vero ümitato (nella gonogenesi dei Mammiferi, ad esempio), esistano dei veri e proprii mitocontlri. Malgrado sia incontestabile la varietä di forma dei condriosomi, per cui non esistono criterii morfologici assoluti per la identificazione loro, si deve perö soggiungere ehe spesso in un determinato gruppo di animali 0 in un determinato ordine di cellule i condriosomi hanno una fisonomia caratteristica ; per cui si puö inferire la natura condriosomica di forma- zioni contenute nel protoplasma di un dato elemento, qualora esse siano simili ad altre appartenenti ad un materiale specificamente o istologica- mente vicino — la di cui natura condi'iosomica sia stata precedentemente assodata. Risulta adunque, da quello che siamo andati esponendo, che anes- suno dei criterii dei quali si serve abituahnente il citologo per definii'e la natura di un determinato organo cellulare, si puö attribuire un valore assoluto. Importanza molto maggiore possiede, secondo noi, un altro criterio: quello, cioe, basato sullo studio dell’assettamento dei con- drioma durante le varie fasi della vita cellulare. E soprattutto il comportamento dei condriosomi durante la mitosi che ha, a nostro giudizio, un’importanza essenziale per Taccertamento della loro essenza. E Bexda che ha implicitamente additato questo criterio, quando ha descritto la persistenza e la probabile divisione trasversale dei condriosomi filamentosi nelle mitosi maturative di Blaps; dopo di lui, altri hanno dimostrato con maggiore o minore evidenza in oggetti svariati l’esistenza di un tal processo, che serve di base alla teoria fundamentale della continuitä dei condriosomi dalla cellula madre alle cellule figlie — applicabile cosi agli elementi somatici come a quelh sessuali. Per questi Ultimi la dimostrazione della persistenza e della con- tmuitä dei condriosomi ha un eccezionale valore, in quanto e stato dimo- strato che la cellula sessuale maschile e quella femminile portano nel- l’atto della fecondazione il materiale condriosomico, che sembra (‘ssere direttamente impiegato nella costituzione dei condrioma dei primi blastomeri, successivamente delle cellule deirembrione e infine dell’in- dividuo adulto. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 5 Lo scopo prefissomi iielle niie ricerche e stato prineipalniente quello di seguii-e e di analizzare, in ogni momento del ciclo spermatogenetico di Urodelo — il Oeotriton f. — degli organuli, dei quali era da presumersi la natura niitocondriale. All’esposizione dei resultati delle inie osservazioni farö precedere uno sguardo generale ai condriosomi della spermatogenesi, diffondendomi piü specialmente su quei dati degli Autori che hanno stretto riferimento colle mie ricerche; la vasta e minuziosa sintesi di Duesberg (’12) mi ha assai agevolato in questo cömpito. Inoltre ho cercato di portare qualche contributo alla conoscenza cü formazioni di significato non poco oscuro, quah sono l’idiozoma e gh organuli ad esso intimamente legati; i criterii che servono alla identifica- zione di esso ed aUa omologizzazione o meno con organuli ceUulari descritti con vario nome da altri Autori, saranno esposti criticamente in un apposito capitolo: la trattazione originale ne verrä fatta segnendone il processo evolutivo, cü pari passo con quello dei conch'iosomi. II. Parte bibliografica. 1. Idiozoma o formazioni periidiozomiclie. Non e fuor cü luogo qui riassumere nei suoi tratti fondanientaü la storia deUe conoscenze via via acquisite sugü organi periidiozomici dei quaü intencüanio occuparci; aUo scopo di trarre da una tale esposizione dei criterii critici di identificazione o di separazione delle formazioni studiate dai diversi Autori. Ci limiterenio a trattare la questione soprat- tutto per gli elementi sessuali — accennando solo a quelle ricerche su elementi somatici, le quaü ci sembrarono aver portata generale. Coniinciamo col cercar cü identificare quello che si e inteso di chiamare per idiozoma, per poi parlare degü organuli che ad esso si annettono. Come e noto, van Beneden (’83) ha chiamato sfera attrattiva la porzione centrale — in forma di una sfera contenente il centriolo e composta cü una zona midollare e cÜ una corticale — dell’aster del fuso cü segmentazione di Ascaris m. Lo stesso Autore successivamente (’87) credette bene di distinguere nettamente claU’aster protoplasmatico la sfera, la quäle sarebbe un organo cellulare permamente, che precede la formazione deUa figura acromatica. Boveri (’87) chiamö arcoplasma il corpo involgente alla profase i corpuscoü centraü e pensö che le radiazioni dell’aster e il fuso si formassero per il diffonclersi cleUa sostanza arcoplasmatica neUa ceUula. 6 Tullio Terni Mentre Bütschli (’71) aveva cliianiato nucleo accessorio o para- micleo {K elenkern) un organo cellulare, incoutrato nello stuclio deUa spermatogenesi degli Insetti (che verisiiiiilinente corrisponde al residuo della porzione equatoriale delle fibre fusoriali); successivamente La Valette St. George (’86 a, b, ’87) usö il medesimo nonie per indicare iiiia forinazione che egli stesso aveva molto tempo prima (’67) chiamato corpo accessorio {N elenkörper) e che e da riferirsi, secondo Mea^es (’OO), al condrioma. Platner (’89a; b) si servl, per indicare la parte di citoplasma contigua al centriolo, della denominazione di nucleo accessorio. Herjiann (’91) in seguito ha ritenuto che l’ammasso sferoidalc di protoplasma differenziato granuloso, nel centro del quäle e visibile il centriolo, presente nello spermatocita del Proteus, fosse omologabile alle formazioni descritte da van Beneden e da Boveri. Molti Autori a Hermann posteriori (Meves ’94 ; Moore ’93 ; V. Eath’93; Drüner ’95, ecc.) si accordarono con le vedute di Her- 5LVNN. Rawitz (’96) indicö col nome introdotto da van Beneden la sfera oniogenea contenente i centrioli, che esiste nelle cellule seniinali di Salamandi’a. Erlanger (’96b, c) ha a suavolta denominato cen t roden toplas ma, negli spermatociti di Blatta g., la porzione di protoplasma contigua al centrosoma ( = centriolo) ; il centrodeutoplasma, per quando possa entrare in stretto rapporto col nucleo accessorio, sarebbe da teuer tuttavia distinto da quest’ultimo, che proverrebbe dalla porzione equatoriale del residuo fusoriale. Erlanger (’97) non credette giustificata Topinione di Hermann che raccumulo di granuli attoruo al centriolo dello spermatocita di Pro- teus sia omologabile alla sfera attrattiva e all’ arcoplasma — il quäle ultimo nome dovrebbe in ogni caso, secondo E., esser mutato per ragio- ni etimologiche tu queUo di archiplasma. Meves (’97b) riconobbe di aver altrove (’93, ’94) anch’egli erronea- mente omologizzato coUa sfera attrattiva di van Beneden, l’involucro che circonda i corpuscoli centrali delle cellule sessuali in riposo, ma giu- dicö inesatto il termine di «nucleo accessorio» adoperato da altri per indi- care questo organulo — ritenendo [con Erlanger (’97b, c) e con Calkins (’9ö)] che Bütschli avesse chiamato con uii tal nome una forinazione derivaiite dal residuo fusoriale nella quäle non erano contenuti i cor- puscoli centrali. Meves ritenne improprio anche il nome coniato da Erlanger ed introdusse infine, per indicare Tinvolucro specifico che circonda i corpuscoli centrali delle cellule sessuali maschili in riposo, il nome di idiozoma — il quäl termine dovrebbe, secondo M., servire ad indicare anche il cosiddetto «nucleo vitellino». Piü tardi — come ho Condriosomi, idiosoma e formazione periidiozomiche ecc. 7 rammentato sopra — Meves (’OO) volle identificare il nucleo accessorio di La Valette St. George con Fammasso dei mitocondii (condidoma) : il quäle purtuttavia puö (spermatociti) mglobare entro a se Tidiozoma. Ison voglianio qui addentrarci oltre nella selva dei dati contradditorii e talvolta disordinati che spesso sono stati riferiti da diversi Autori e che hanuo portato ad omologizzare erroneamente col Nebenkern, inteso in questo o in quel senso, formazioni cüverse — anche perche im tal cömpito e stato tentato da altri Autori, conie Calkixs (’95), Hexxeguy (’96), Erlanger (’96, ’97), Meves (’97b, ’OO) e Bexda(’03). Convenianio pertanto cU denominare « idiozoma»i) queU’ammasso intracitoplasmatico sferoidale, che si trova situato in prossimitä di un polo dei nucleo nelle cellule sessuali (e talvolta nelle somatiche) in riposo e nel quäle sono contenuti (o si delineeranno, aU’approssimarsi della mitosi) i centrioh^) [vedi anche Terxi (’ll, pagg. 55 e 71)]. * * * Accingiamoci ora a dare uno sguardo generale alle nozioni che possediamo su queUe formazioni, che si possono chiamare periidiozo- miche 0 — seguendo Perroxcito — dittoso midie, quando si convenga di riferirsi con quest’ultima denominazione piuttosto alla pura niorfo- logia (aspetto simile agli organuh di Perroxcito) che non al significato genetico deUe formazioni stesse®). Da molti anni vanno descrivendosi deUe formazioni che contraggono uno stretto rapporto coU’idiozoma e che anzi sono state spesso considerate come parti costituenti ed mtegranti deU’idiozoma stesso (o, come e stato 1) Inten diamo di indicare con questo nome anche l-organo adesso corrispondente che esiste in talune cellule somatiche in riposo — nonostante la riserva avanzata da Meves a tal riguardo (’99, pag. 480). In due suoi lavori piü recenti (MO, ’12) Meves chiama «centroteca» rinvolucro che circonda i corpuscoli centrali dei leucociti di larve di Salamandra. 2) A proposito deU’idiozoma deUo spermatide, vedi la Nota i) a pag. 60. 3) Infatti l’etimologia dei termine «dittosomo« implicherebbe il concetto di una formazione reticolare, colla quäle questi organuli do\Trebbero essere in rapporto genetico. Per quanto in molti casi non sia stato dimostrato un tale rapporto, ci serviamo tuttavia di questa denominazione, — tanto piü che Perroxcito stesso (’IO, pag. 25 — 26) si mostra convinto della omologia dei suoi dittosomi colla «maggior parte» degli pseudocromosomi degli Autori. Ci sembra pertanto lecito di deno- minare «dittosomici» quegh organuli che, descritti in materiale svariatissimo con nomi diversi, sono riportabili alle formazioni studiate minutamente (e con particolare successo nella Paludina) da Perroxcito. 8 Tullio Terni a volta a volta chiamato, nucleo accessorio, sfera centrale, sfera attrat- tiva, ecc.). n primo Autore che ha osservato organuli con tutta probabihtä identificabih coi dittosomi e stato Platner. Questi ha descritto (’89) negli spermatociti di alciini Gasteropodi lo spezzarsi profasico del suo nucleo accessorio in un numero fisso di elementi (6 per VEelix p., 8 pel Limax a.) bastoncinifonni (Nebenkerrustäbe) i quali, dopo essersi divisi longitudhiahnente, si orientano in due gnippi attorno ai corpuscoli polari del fuso. Heriviann (’91) ha per prinio nei Vertebrat! (spermatociti di Pro- teus a.) descritto delle forraazioni, che chiamö «anse arcoplasmatiche»: 16—20 filamenti arcuati o ad S, giacenti attorno al corpuscolo centrale e contenuti neirinterno di un ammasso sferoidale (arcoplasma), che, secondo H., e oniologabile agli organuli di v. Beneden e di Boveri [e che invece corrisponde verosimihnente al nucleo accessorio di La Valette St. George (= corpo mitocondiiale di IIeves = idiozoma + condiiosomi)]. Hermann ritenne le sue anse archiplasmatiche iden- tiche ai bastoncmi paranucleari di Platner, dei quali confemrö Fesistenza negh spermatociti deWHelix. Metzner (’94) osservö nelle cellule semi- nali di Salamandra delle anse simili alle archiplasmatiche di Hermann e credette che esse partecipassero alla trasformazione nelFidiozoma (archi- plasma) nel fuso acromatico. Bolles Lee (’95, ’96) ha studiato negli spermatociti deWHelix delle forniazioni identiche a quelle di Platner; ma, avendo creduto di assistere aUa degenerazione del nucleo accessorio, ne negava il comportamento tattico descritto da Platner e la identitä colla sfera attrattiva. Rawitz (’96) ha descritto il suddividersi profasico della sfera attrattiva m 6—12 sferule, le quali invece sono forse da riportarsi a forniazioni periidiozomiche : tli queste zolle, due si trasformerebbero nei corpuscoh polari del fuso, le altre verrebbero impiegate nell’incremento in grossezza del fuso centrale (il quäle si abbozzerebbe dalla zona di protoplasma conceiitricamente differenziato attorno aUa sfera). Meves (’96) ha illustrato negli spermatociti del prhno ordine di Sala- mandra delle formazioni bastoncinifonni o filamentose in vario numero e irregolamiente distribuite in hnniediata vicinanza della periferia del- Fidiozoma, che talvolta attraversano. Meves le ritenne analoghe alle for- mazioni di Platner e di Hermann, per quanto da queste differissero per la loro incostanza e variabilita di numero; queste due ultime pecu- liaritä si spiegherebbero, secondo M., qualora con R. Hertwig (’92) e con M. Heidenhain (’94) si ammettesse la natura rudhnentale (cromo- Condiiosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 9 somi rudimentali) degli orgamüi di Platner e di Hermann. Henneguy (’96) descrisse questi idtimi mlHelix e liconsiderö come f ilamenti «cino- plasmatici», nel senso di Strasburger, cioe come organuli ai quali e subordinata la formazione della figura acromatica nella citodieresi. Erlanger (’96 d) ha probabilmente veduto delle formazioni peri- idiozomiche, nei granuli fra loro anastomizzati che ha descritto nel nucleo accessorio delle cellule testicolari del Lombrico. In nn lavoro ulteriore, Hermann (’97) descrive neUa Salamandra le stesse formazioni giä da lui osservate nel Proteus ; assiste nello spermato- cita di Salamandra ad una tattica profasica delle anse archiplasmatiche ordinantisi in due gruppi pericentriolari — e con ciö conferma le sue vedute suU’omologia dei suoi organuli con quelh di Platner. AU’incontro Prenant (’98) ritorna suirargomento del paranucleo dei Gasteropodi [del quäle si era occupato anche precedentemente (’88)] per combattere i risultati di Platner e di Bolles Lee. Murray (’98) ha saputo per primo identificare colFidiozoma di Meats (sfera attrattiva sec. M.) il Nebenkern descritto da Platner nei Molluschi, dimostrando Fesistenza dei due centrioh nelFinterno di esso; considera i bastoncini di Platner non come organi indipendenti, sibbene come sezioni ottiche della membrana involgente la sfera, ripiegata forteniente. Probabilmente perö, i segmenti i quali — secondo Murray — si originerebbero per frammentazione deU’idiozoma, sono invece da ricon- dursi a formazioni periidiozomiche. Benda (’99) ha messo in evidenza negh elementi seminali di alcuni Gasteropodi delle formazioni distinte dai gramüi mitocondiiali: dei gruppi di filamenti, cioe, che riconduce a queUi di Platner e di Hermann. Heidenhain (’OO) studiando gli spermatociti in accrescimento di Proteus a., ebbe agio di rilevare molte particolaritä di struttura, e cercö di interpretarle alla luce della allora recente dottrina di Benda e di Meves sui niitocondri. Accanto a granuli (niitocondri) accumulati attorno alla sfera, H. ha osservato m taluni spermatociti dei filamenti ansiformi situati a distanza dalla sfera e delle formazioni spü’ematiche di svariatissimo aspetto che involgono strettamente la sfera. H. volle ricondurre ai con- driomiti (= condrioconti) di Benda-Meves i filamenti ansiformi suddetti; assegnö ad essi il nome di «pseudocromosomi» e ne stabili la omo- logia coUe anse archiplasmatiche di Hermann. Denominö poi le formazioni in intimo rapporto colla sfera «capsule centrali» e le ritenne omolo- gabili ai centroformi di Ballowitz (’OO). Heidenhain suppose che le capsule centrali risultassero formate da un allineamento di mitocondri, ma non si pronunciö sulla possibile 10 Tiillio Terni loro omologia colle membrane iiivolgenti la sfera clescritte da lui stesso precedeutemente (’92), da Drüner (’94) e infine da Me\'es (’94, ’96). La varietä morfologica delle capsule centrali e tale, ehe dall’aspetto di una niembrana sforaccliiata (sferoidale o, piü spesso, piegliettata ed estro- flessa) si arriva a quelle di formazioni a grata e fin auco di filamenti indi- vidualizzati qua e lä anastomizzati, dei quah e notevole l’analogia cogli pseudocromosomi; quando si dia quest’ultinio caso, i filamenti (molto simili allora ai bastonemi paranucleari di Plata'er) formano talvoita un apparato che sta al posto della sfera. L’idiozoma — quando sia apprezzabile — e contenuto nell’ interno della capsula, nia si serba da essa del tutto indipendente. Kon puö negarsi — secondo H. — un rap- porto genetico fra la capsula centrale e gli pseudocromosomi; insoluto resta solo il problema se siano i condriomiti (= pseudocromosomi) che si trasformano nella capsula oppure se sia la capsula che si scinde in condriomiti. Kella complessa descrizione che Eisex (’OO) fornisce della sfera cen- trale contenuta nello spermatocita di Batrachoseps a., l’A. accenna a for- mazioni a grata, le quali sono forse da ricondursi ad organuh dittosomici anastomizzati. Prowazek (’02) ha osservato degü elementi filiformi che delimitano lidiozoma degli sperniatogoni di Helix, i quah si disinte- grauo neha metafase. Bexda (’03) si e opposto recisamente aha omo- logia supposta da Heidexhaixi) fra gli pseudocromosomi del Proteus (e relativamente i bastoncini di Platxer e le anse di Hermaxn) e i suoi mitocondri. Axcel (’02, ’03) suppose che i bastoncini di Platxer si formmo weWRelix a spese di formazioni paragonabili ai filamenti ergasto - plasmatici [protoplasma superiore di Prexant (’99)]: i bastoncini scompaiono aha profase, senza prender parte aha formazione deha figura acromatica. P. Bouix (’Oö) descrive e raffigura negli spermatociti di Scolopendra degh organuh ergastoplasmatici, alcuni dei quali verisimilmente peri- idiozomici (vedi le sue figg. 6, 8 e 12) ; l’A. h niette accanto — insieme ad altre formazioni da lui precedentemente osservate nehe cehule madri del sacco embrionario de he Lihacee (’98) e neh’ovocita di Asterina g. (’98) — agli pseudocromosomi ch Heidexhaix e ch altri. Sjöval (’06), studiando la spermatogenesi del Topo e della Cavia col suo particolar nietodo di ricerca, ha messe in evidenza, aha periferia 1) Heidenh.ux (h2, citato da Berexberg-Gossler) si e recentemente ricreduto a proposito di codesta sua supposizione ed ha ammesso, seguendo Perroxcito (’IO), che le formazioni periidiozomiche da lui studiate nel Proteus corrispondano realmente all’Apparato di Golgi. Condriosomi, idiozoma e foraiazioni periidiozomiche ecc. 11 dell’ idiozoma degli spermatogoni e degli sperniatociti e al posto del residuo idiozomico dello spermatide, una formazione a mo’di capsula intensamente colorata, la quäle si lascia talvolta risolvere in uiiitä filamentose. S. crede che quest’organo cellulare sia riconducibile coU’apparato reticolare in- terno di Golgi; la formazione capsuliforme che rappresenta il residuo idiozomico deUo spermatide non prenderebbe parte aUa spermatisto- genesi. Popopp (’OT) illustra negli spermatociti e negli spermatidi di Helix p. due Sorte di formazioni cromidiali (nel senso di Goldschmidt) che si originerebbero dal nucleo durante il periodo auxocitaiio : delle forma- zioni evidenteniente condriosomiche {dünne Chromidialstränge) ed altre — che l’A. associa agli pseudocroniosomi e ai bastoncini paranucleari — dittosomiche, le quali sono intimamente addossate airidiozoma ed hanno l’aspetto di grossi filamenti arcuati o ad S. Nello spermatide questi cromidii sono presenti in numero piü limitato : fatto questo do\mto secondo Popoff a che nelle divisioni di maturazione essi vengono ripartiti, senza che si moltiplichino, aUe cellule figlie. Durante la trasformazione m spermatozoo, lo spermatide si hbererebbe di quei cromidii che non vengono utilizzati nel processo spermatistogenetico. Duesberg (’OT), studiando l’apparato mitocondriale nella spermato- genesi del Ratto, raffigura nell’auxocita un’idiozoma che possiede un contorao fortemente colorato (forse per la presenza di organuli periidio- zomici). Faure-Fremiet (’IO) descrive negli sperniatociti di Helix p. e di Arion r. chiare formazioni pseudocromosomiche (dittosomiche) che assu- mono spesso la forma di piccole calotte sferiche delimitanti nel loro in- terno una sfera (idiozoma?) — formazioni le quali proverrebbero secondo l’A. da trasformazione di condriosomi preesistenti. Faure-Fremiet descrive e raffigura una mitosi spermatocitica di Helix, nella quäle gli pseudocromosomi sono disposti radiahnente attorno ai poli del fuso acro- matico. Inoltre l’A. ha potuto osservare nello spermatide di Arion delle formazioni che a me sembrano nettamente dittosomiche, per le quali egli avanza la supposizione che non prendano direttamente parte alla isto- genesi dello spermatozoo. Perroncito (’IO) ha a^nito il merito di chiarire il significato delle formazioni periidiozomiche deUe ceUule spermatiche della Paludina v., riconducendole aU’ apparato reticolare interno descritto da Golgi e dai suoi allie%d in un gran numero di elementi cellulari. Come e noto, P. ha descritto il processo della dittocinesi, particolarmente evi- dente nel periodo sperniatocitogenetico deUa serie oligopirene della 12 Tiülio Terni Pdludina ; processo per mezzo del quäle l’appai'ato di Golgi si frammenta in segmenti (dittosomi) i quali si comportano tatticamente nella mitosi, distribuendosi equamente alle celliüe figlie; in queste ultime i dittosomi si ricostituiscono in un reticolo endocellulare. Perroncito considera come dittosomi gran parte dei cosiddetti «pseudocromosomi» degli Autori; per modo die implicitamente ne riconosce la natura di articoli dell’apparato di Golgi. Studiando la spermatogenesi del Geotnton, io stesso (’ll) mi sono occupato di formazioni periidiozomiche dello spermatocita, descrivendo degli ispessimenti della membrana involgente la sfera centrale, che oniologavo agli organuli di Piatner e di Herivevnn. Nel corso di ricerche ulteriori ho creduto di modificare le mie vedute sulla morfologia di tali formazioni, avendo avuto agio di studiare con una tecnica piü congrua gli organuh dittosomici presenti nella spermatogenesi del Geotriton\ i resultati di questo Studio saranno esposti nella parte originale della presente memoria. Weigl (’12) ha dhnostrato che im organulo da lui ritenuto Fonio- logo deir apparato di Golgi coopera alla costituzione deUo spermatozoo di Helix, e che nello spermatozoo adulto (giä mobile) di Cavia, esiste, a hvello del collo, una formazione che rappresenta, secondo l’A., Fappa- recchio reticolare. Hirschler (’13) ha recentemente niesso m evidenza neUa spermato- genesi deirj-scans l. degli organuli foggiati ad anello completo od incom- pleto, i quali sono presenti negh sperniatogoni e negli spermatociti ; per- mangono nelle mitosi ripartendosi indivisi fra le cellule figlie e, infine, sono nello spermatide solo pai’zialniente eliminati, mentre alcuiii di essi sono rintracciabili nella porzione posteriore dello spermatozoo adulto. Queste formazioni, le quali niai si orgaiiizzano in un sistenia che abbia eventuahnente rapporto cogli organi centrali, son ritenute da Hirschler come rappresentanti dell’apparato reticolare internoi). 1) Questo capitolo del mio lavoro presente era interamente compilato, q'uando e uscita raccurata memoria di Kuschakewitsch (’13). Egli descrive in un Proso- branchio — ■ il Vermetus — delle nette formazioni periidiozomiche presenti negli sperma- togoni e negli spermatociti della Serie atipica; in questi Ultimi i dittosomi sono rara- mente riuniti a formare una rete situata alla periferia deU’idiozoma. Nel periodo di accrescimento i filamenti periidiozomici si emancipano nel protoplasma, assumono la forma di anelli e quindi perdono la loro colorabilitä in modo da non essere ulterior- mente seguibili. L’A. chiama «sferosoini» le nostre formazioni periidiozomiche e ne riassume la storia; propone altresi di denominare «statosfera» l’insieme costitiuto dal centriolo + idiozoma+ sferosoini (relativamente «sferoteca»). Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 13 Berenberg-Gossler (’12) illustra diffusamente, nei gonociti di em- brioni di Polio e di Anitra di circa 3 giorni, degli organi cellulari molto simili all’apparato di Golgi, i quali contengono nel loro interno i centrioli, pur non essendo questi Ultimi — a detta dell’A. — involti da un idiozoma. Levi (’12) ha descritto delle nette formazioni peri- idiozomiche, di natura certamente dittosomica, nei gonociti di larve di Bufo di 11—12 mm. Non escludo che i Safikanäle descritti da E. Holmgren (’OO) al posto del nucleo vitellino degli oociti di taluni Mammiferi corrispondano, ahneno in parte, a formazioni periidiozomiche. WiNiwARTER (’OO) ha studiato nei giovani ovociti di donna dei baston- cini (uspiculesv) disposti radiahnente o tangenzialmente alla periferia del nucleo vitelhno — del quäle crede ancora indimostrata la omologia coUa sfera centrale (idiozoma). Come e noto perö Gurwitsch (’OO) ha di- mostrato perentoriamente l’esistenza dei centrioli nel nucleo vitellino oogoniale dei mammiferi — cosicche, la natura idiozomica di quest’ultimo non e piü da mettersi in dubbio ; durante la mitosi , secondo G. , da questo organulo si formerebbe l’intera figura acromatica. Byrnes (’OO) descrive e raffigura nell’uovo di Limaz una sfera cen- trale, contenente l’abbozzo del 2° fuso di maturazione, la quäle e circon- data alla periferia da una serie di ispessimenti granulari, in corrispondenza dei quali terminerebbero, secondo l’A., i raggi dell’antico aster; non sono alieno dal ritenere che si tratti invece di organuli periidiozomici meta- morfosatisi nel processo profasico. Andre alcune deUe formazioni illustrate da Henschen (’03) nelle uova di Helix p. e da lui interpretate come pro- venienti daUa vescicola germinativa, sono evidentemente di natura ditto- somica. D’Holländer (’02) riferisce su degli pseudocromosomi (evidente- mente dittosomi) presenti nei giovani ovociti di Parus m., foggiati a tra- Nello stesso fascicolo delP Archiv für Zellforschung, dal quäle ho preso visione del lavoro di Kuschakewitsch, ö comparso un lavoro riassuntivo e sintetico di Nus- baum (’13), specialmente costrutto sulla base delle ricerche condotte dai suoi allievi e — in particolar modo — delle ricerche di Weigl (’12). Nusbaum — che 6 contrario alla teoria cromidiale — sostiene validamente che apparato di Golgi e mitocondri rappresentano due componenti cellulari ben distinti ; riconosce l’omologia del reticolo endocellidare delle ceUule somatiche cogli pseudocromosomi, colle anse archiplasmatiche e colle capsule centrali delle celliile sessuali. L’A. sostiene con Weigl che l’apparato reticolare interno rappresenta un organulo costante di ogni cellula vivente e funzionante dei Metazoi. 14 Tullio Terni vate irregolari, spinöse, spesso anastomizzate , situati nelle parti piü perifericlie della cosidcletta niassa vitellogena. — nell’interno del quäle FA. ha riconosciuto il nucleo vitellino pro\"%dsto del coi-puscolo centrale. Ad orgamdi dittosoniici sono da riportarsi gli pseudocromo- sonii veduti da van der Stricht (’02 a, ’04) nei giovani ovociti dei Chirotteri. Secondo FA. essi tendono a ramificarsi e ad anastomizzarsi e a forniare nn reticolo o capsnla fenestrata; altre volte lo pseudo- nucleo (per cliida con van der Stricht) e formato da un filaniento raggomitolato. Col progredire delFaccresciinento dell’ovocita, gli pseudo- croniosomi si spezzetterebbcro e si sgretolerebbero in grannli (niitocondi'i) che si diffondono nel citoplasnia, per partecipare forse alla forniazione del vitello. [Per gli pseudocromosonii da D’Holländer (’04) descritti negli oogoni degli UccelU, credo si debba ritenere trattarsi di organi condiüo- soinici piuttosto che dittosoniici: lo stesso sia detto per gli pseudocronio- sonii di De Somer (’05) e di Loyez (’06).] Sjövall (’06) ha osservato nei giovanissimi ovociti di Cavia degli organi situati alla periferia del nucleo vitellino, in tutto shnili a queUi dallo stesso A. descritti negli spermatociti e negli spermatidi di Topo e di Cavia: in forma cioe di una capsula, spesso risolvibUe otticamente in elementi bastoncmifonni. Queste capsule, che S. oniologizza con FAppa- rato di Golgi, durante Faccrescmiento delFovocita si disintegrerebbero in seginenti che tendono a diffondersi nel citoplasnia, a portarsi verso la periferia cellulare e a sgretolarvisi ; in ultimo i frammenti non sono piü colorabili. Contrariamente a van der Stricht, S. exclude quahmque rapporto fra i suoi organuli e i condriosomi. Veidowsky (’07) illustra nelFovocita di un Venne delle formazioni a cancstro circondanti i centrioli, le qnali a un certo momento del periodo di crescita si formano a spese delle «radiazioni centroplasmatiche» preesistenti: queste ultmie — in una ai centrioli a eui fanno capo — cor- rispondono al «centroplasma» descritto in un altro Venne da Vei- dowsky e Mracek (’03). Popoff (’07), studiando Fovocita in accresci- mento di Pahidim, interpreta come cromidii degli organuli i quaU, mvece di essere — come crede FA. — conthiosomici , sono da ritenersi con tutta probabilitä dittosoniici: la fig. 46 della sua Tav. VI mi sembra assai convmcente a tale rignardo. Loyez (’09) ha osservato che, nelFovocita m accreschnento di Pyrrho- coris «., il nucleo vitellino possiede un contonio meguahiiente spesso, che e forse Fesponente di una forniazione membranosa o capsuliforme, assai simile a quella descritta da Heidenhain nel Proteus. Condriosomi, idiozoma c formazioni periidiozomiche ecc. 15 Jörgensen (’IO) illustra iiell’ovocita in accrescimento di Proteus a. una complessa formazione paragonabile al imcleo vitellino, nella costi- tuzione della quäle intervengono — oltre a dei condriosomi ereditati dagli ovogoni e a degli ammassi di grasso — degli organuli filamentosi ansiformi che l’A. ritiene provenienti dal nucleo, cioe di natura cromidiale. A me sembra che questi Ultimi costituenti del nucleo vitellino debbano rientrare nel gruppo dei dittosomi; specialmente la fig. 7 della tav. 44 [riprodotta andre da Goldschmidt (’09) e da Büchner (’IO)] e le fig. 2, 2 a della tav. 35 del lavoro di J. appoggiano validamente la mia supposizione. Jörgensen ha inoltre vednto il corpuscolo centrale neU’interno del sno nucleo vitellino. Levi (’12) illustra negli ovociti di Geotrüon f. airinizio del periodo di accrescimento, degli organi dittosomici in intimo rapporto di contiguitä colFidiozoma. Weigl (’12) parla di nn apparecchio di Golgi presente neirovocita di Helix, costituito da segmenti che si diffondono nel corso del periodo di accrescimento a tntto Tooplasma. Hirschler (’13) ha dimostrato nell’ovocita di Ascaris l. delle forma- zioni arcuate, identiche a quelle che ha descritto neUa spermatogenesi dello stesso animale (vedi sopra): rappresenterebbero l’apparecchio di Golgi e sarebbero un organo permanente, che anmenta in grandezza coH’accrescimento dell’ovocita. Per quel che rignarda lo stretto rapporto topografico esistente fra apparecchio reticolare interno (relativamente formazioni ditto - so midie) e apparato centrale nelle cellule somatiche, si puö diro che — eccezion fatta per le ceUnle nervöse ed alcnni altri elenienti, conie le eniazie [Sinigaglia (’IO)], ecc. (l’identitä dell’apparato reticolare dei quali elementi con quello a sede verosimilmente periidiozomica delle altre cellule non e per anco dimostrata) — il rapporto suddetto e suf- ficientemente provato. Ballowitz (’08) lo ha dimostrato per i suoi centroformi dell’epi- telio corneale del Descemet e lo ha confermato Zawarzin (’09) per gli stessi elementi; lo ha riconosciuto Brugnatelli (’08) nell’epitelio dei canahcoli renali, Verson (’08) nelle cellule giganti tubercolari, Deineka (’12) e Barinetti (’12) per lo strato profondo dell’epitelio anteriore cor- neale; quest’ultimo Autore (’12) infine — in modo particolarmente chiaro e convincente — nelle cellule cartilagmee dell’embrione di Polio. Stabilito un tal rapporto topografico fra apparato centrale ed luia certa categoria di apparati di Golgi, inteso nel senso che questi Ultimi contengono nel loro interno i centrioli (involti spesso da un involucro idiozomico); si viene implicitamente ad ammettere la identificazione del 16 TuUio Terni tipo di apparato reticolare non diffuso a tutta ]a cellula, cogli organuli periidiozomici delle cellule sessnali, sii cni abbiamo sopra riferito. Unica voce discordante e quella di Pilat (’12) il quäle, uelle cellule inidollari del corpo snrrenale del Riccio crecle di aver dbnostrato che l’ap- parecchio reticolare interno e situato nell’ interno della sfera centrale — la quäle sarebbe a sua volta circondata alla periferia da una formazione ad anello o a rete, da ricondursi, secondo l’A., alla capsula centrale di Heidenhain. Sicconie io credo che quest’ultiina sia una vera e propria formazione dittosomica (= apparato di Golgi), per modo che dovrebbe ammettersi l’ipotesi poco verosimile deU’esistenza di due apparati retico- lari l’uno contenuto nell’altro, stimo inesatta rinterpretazione di Pilat, che e frutto di sintesi costruita suirosservazione di preparati diversi e non della diniostrazione siniultanea nella stessa cellula dei due organuli pericentriolari. Io ritengo adunque che: o apparato reticolare e capsula centrale di Pilat sono una stessa entitä cellulare che appare diversamente con tecnica diversa; oppure si tratta di formazioni mdipendenti, ma, in tal caso, la presunta capsula centrale di Pilat e da riferirsi ad ima incompleta niessa in evidenza di condriosomi e non da considerarsi come una capsula centrale nel senso di Heidenhain, che dai condriosomi deve esser tenuta affatto distinta. Desidero far rilevare che alcuni degli Apparati di Golgi messi in evidenza da Pilat (vedi ad es. la fig. 5) sono costituiti da filameuti foggiati ad ansa o ad S, indipendeuti Funo daU’altro, cioe non anasto- mizzati fra loro; lo stesso si dica anche per talune delle figure di Ballo- WITZ (’OO). Da questa esposizione di nomi e di fatti, risulta che in un materiale svariatissimo prevalenteniente gonocitico, esistono delle formazioni periidiozomiche (cUttosomiche — come abbiamo convenuto di chiamarle), in forma: ora di filameuti arciiati indipendenti (quaU sono quelle descritte da Platner e da Hermann) ; ora di complessi e variabili organuli capsuh- fonni (Heidenhain) ; ora mfine foggiate a reticolo (come e quello illustrato da Perroncito, ecc.). NeUo sguardo che abbiamo gettato allo sviluppo delle nostre cono- scenze sulFargomento relative alFidiozoma e alle formazioni dittoso- miche, piü che di esauriilo, abbiamo avuto per scopo di orientarci in esso; per modo che ci fosse possibile di ottenere neU’ esposizione dei risultati delle nostre ricerche un riferiniento appropriato a fatti giä noti, per desumere nelle conclusioiii delle nozioni di indole eventualmente generale. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 17 2. I condriosomi nella spermatogenesi. a) I condriosomi degli spermatogoni. Benda (’98, ’99, ’03) ha per primo descritto delle formazioni condrio- somiche granulari spesso radialmente Ordinate attorno aU’archiplasma (idiozoma) negli spermatogoni di alcimi Mammiferi (Topo, Cane, Uomo), Sauropsidi e Anfibii (Bomhinator, Salamandra), della Paludina v. e della Blaps; ulteriormente ha studiato i condriosomi spermatogoniali di alcuni bassi Mammiferi (’06). Meves (’OO) ha osservato dei mitocondri negli spermatogoni della Paludina; Prowazek (’02) e Holmgren (’02) negli spermatogoni di due Coleotteri. Successivamente gh Schreiner (’Oö, ’08) hanno veduto negli spermatogoni in riposo di alcnni Missinoidi un corpo mitocondriale formato da finissime granulazioni, il quäle durante la mitosi si divide in due parti spesso ineguali, ognuna delle quaU passa ad una delle cellule figlie. Bouin (’Oö) ha illustrato negli spermatogoni di Scolopendra delle formazioni granulari o brevemente filamentose che non scompaiono nella mitosi. I granuh evidentemente condriosomici che Wassilieff (’07) ha osser- vato in scarso numero negli spermatogoni di Blatta g., sono ritenuti dall’A. come provenienti dal nucleo; anche Büchner (’09) descrive dei granuli condriosomici esistenti negli spermatogoni di un Acridio, VOedipoda. Gigljo-Tos e Granata (’08) accennano ai condriosomi degli sperma- togoni dei Pamphagus m. : negli spermatogoni in riposo esistono, secondo gli Aa., dei mitocondri sempre raggruppati in una zona dei citoplasma corrispondente alla sede dei residuo fusoriale. La fig. 2 della memoria di Giglio-Tos e Granata rappresenta un caratteristico momento del- l’anafase sperniatogoniale, nel quäle i mitocondri si sono giä divisi in due ammassi perifusoriali (ognuno per ciascuna cellula figlia), quando ancora la citodieresi non si e effettuata. Otte (’07) ha osservato negli spermatogoni in riposo di Locusta v. dei granuli condriosomici; Schäfer (’07) ne ha rüevato la persistenza durante le mitosi spermatogoniali dei Dytiscus. Wilke (’07) ha illustrato dei condrioconti presenti negli spermatogoni dell’ Hydrometra l., che si dividono trasversahnente durante la cinesi; recentemente (’13) lo stesso Autore descrive i condriosomi spermatogoniah di un’altra Hydrometra. Meves (’07 a) accenna a mitocondri localizzati ad un polo dei nucleo negÜ spermatogoni dell’Ape. Secondo Champy (’09) i condriosomi avrebbero negli spermatogoni dei Bomhinator la forma di granuli, suscettibili di aggrupparsi in catenelle, Archiv f. Zellforschung. XII. 2 18 TiiUio Terni di subirc l’azione orientante della sfera e di fondersi talora in filamenti sottili; codesti condriosomi si originerebbero dal nucleo. v. Baehr (’09) lia osservato negli spermatogoni di im Kincote — VApMs s. — dei granuli mitocondriali che nelle mitosi passano m parti eguali alle cellule figlie. Le ricerche di Gerard (’09) suUa spennatogenesi dello Stembothrus b. lianno diinostrato che i mitocondri presenti nello spermatogonio in riposo si organizzano durante le cinesi somatiche in un fascio di condrioconti che vien diviso per nietä dallo strozzamento equatoriale della menibrana cellulare. Faure-Fremiet (10 b) accenna alla presenza di nunierosi mitocondri negli spermatogoni di Pyrrhocoris a. Le ricerche di Kegaud (10) e di Leplat (10) ci hanno fatto conoscere l’esistenza di condriosomi granulari contenuti negli spermatogoni di talimi Mammiferi; Duesberg (10c) descrive negh spermatogoni in riposo di Cavia dei mitocondri, i quah, nella mitosi, si dispongono attomo alla figura acroniatica e spesso si allungano in brevi bastoncini diretti paraUelamente aU’asse dei fuso centrale. Dei condriosomi nettamente filanientosi, dei veri e propri condrio- conti, ha veduto invece Dixgler (10) nelle mitosi spermatogoniali dei Dicrocoeliiim I. Secondo le osser\’azioni di Duesberg (10 c) poi, che dissentono da quelle di Wassilieff (’07), gh spermatogoni in riposo di Blatta g. posseggono dei condrioconti che nelle mitosi si dividono — dopo essersi riuniti in fascio — trasversahnente. Mlla stcssa memoria Duesberg — in contrasto colle ricerche di Buchxer ('09) — riferisce di aver riscontrato negli spermatogoni di Gryllotalpa dei condriosomi filanientosi, i quali si allineano durante la mitosi airintomo dei fuso acromatico, per subire aUa telofase una divisione trasversale (la quäle — a giudicare dalle figure I e J di Duesberg — non sarebbe perö rigorosa). Nel medesimo lavoro su citato, Duesberg si occupa della struttura degli spermatogoni dei Tri- ton c. ; negli spermatogoni stessi — in disaccordo colle ossercazioni di Bexda [vedi figg. 7 1 e. B di Waldeyer (’06)] — non ha trovato dei granuli, bensi dei fini filamenti condriosomici, i quali neirelemento in riposo sono sparsi per il citoplasma, nella profase si riuniscono in gruppo attorno ai centrioli. Nella metafase, questi condi’ioconti tendono a disporsi ai poli dei fuso, tra le radiazioni dell’aster; nella anafase i condrioconti vengono a situarsi di preferenza fra i due nuovi nuclei figli, paraUelamente e al difuori delle fibre dei fuso in regressione; la separazione dei cito- plasmi delle cellule figlie effettua la divisione trasversale di alcuni dei condrioconti, mentre alcuni di questi Ultimi passano indivisi m una delle Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 19 cellule figlie. Duesberg (’lOc, ’12) propende a ritenere che i mitocondri osservati da Benda negli spermatogoni di Salamandra siano il prodotto di una frammentazione artificiale di condrioconti. Secondo le ricerclie di Jordan, non esisterebbero condriosomi negli spermatogoni di Opossum (’ll) ; dei mitocondri sarebbero invece presenti nelle divisioni spermatogoniali del Pipistrello (’12), ove deriverebbero da frammenti di cromosomi. Duesberg (’12, pag. 638) fa cenno di sue osservazioni, secondo le quali gli spermatogoni deirj.smns avrebbero dei condriosomi granulari; in im lavoro recente Hirschler (’13) ha di- mostrato egualmente dei mitocondri negli spermatogoni in riposo e in mitosi di Ascaris l. Winiwarter (’12) illustra nelle sue figg. 7 e 13 dei mitocondri presenti negh spermatogoni dell’ uomo. Recenteniente SoKOLOw (’13) ha riconosciuto neUo Scorpione la presenza di condriosomi granulari negh spermatogoni in riposo; nelle mitosi spermatogoniah invece esistono dei brevi condrioconti che si ripartiscono fra le due cellule figlie. In un larghissimo materiale e stata adunque riconosciuta l’esistenza di formazioni condriosomiche negh spermatogoni; questo rico- noscimento e prezioso per la dottrina generale dei condriosomi, in quanto che sulla sua base si puö costruire larga parte deU’ ipotesi della continuitä dei condriosomi attraverso le varie generazioni. II fatto che numerosi Autori [Henneguy (’04), Depdolla (’05), Zv^EiGER (’07), Davis (’08), Morse (’09), Montgomery (’ll) ecc.] non hanno descritto condriosomi negh spermatogoni, ma solo a partire dal periodo spemiatocitico — suppongo che sia dovuto il piü deUe volte ad insufficenza tecnica: come anche le mie ricerche mi hanno dimostrato, si incontra infatti una notevole difficoltä nella messa in evidenza dei condriosomi negh spermatogoni. Del resto anche taluni degh Autori decisamente cromidiahsti, secondo i quah la fuoriuscita del materiale condriosomico dal nucleo si effettue- rebbe sovrattutto nel periodo di accrescimento dello spermatocita, descri- vono condriosomi negh spermatogoni [vedi ad esempio Wassilieff (’07)]. Riteniamo che — eccezion fatta forse pei Mammiferi, la gonogenesi dei quali sembra essere contrassegnata da condriosomi granulari e per i Rettili e gli Uccehi, non ancora sotto questo punto di vista abbastanza studiati — sia assai diffusa la forma filamentosa dei condriosomi sper- matogoniah e che le forme granulari siano spesso il frutto di una fissa- 2* 20 Tiülio Terni zione inadatta delle entitä condriosoniiche [vedi ad esempio Duesberg (’lOc) contro Bexda, Duesberg (’lOc) contro Wassilieff]. H comportamento dei condriosomi nelle mitosi spermatogoniali non e stato ancora investigato con molto successo su larga scala: parlano ad ogni modo per una divisione trasversale anafasica dei condrio- conti gli studii di Duesberg (’IO) sulla Blatta g. — mentre meno pro- bative in qnesto senso sono le osservazioni di Wilke (’07), di Giglio-Tos e Graxata (’08), di Gerard (’09) e di Duesberg (’IO) sulla G-ryllotalpa. b) I condriosomi nell’accrescimento dello spermatocita e nelle divisioni di maturazione. Per qnanto le prime osservazioni di forniazioni condriosoniiche siano state fatte so\Tattutto sugli spermatozoi [granuli di V. Bruxx (’84) nella spemiatistogenesi dei Topo, guaina spirale di Bexda (’97— ’03)] di niolti Vertebrati; pure le nostre conoscenze piü precise su di esse sono state attinte dallo Studio degli elementi preseminali e, in particolar modo, dei periodo spermatocitogenetico. Prescindendo dagli elementi somatici — nei quali (epitelio renale) giä Altmaxx (’94) aveva descritto coi suoi ^vegetative Fäden» i nostri condrioconti — queste piü precise cognizioni sul condrioma lianno avuto la loro base nella dimostrazione dell’esistenza di condriosomi filamentosi, fornita per’la prima volta in mitosi spermatocitiche. E infatti merito di Bexda (’99) l’aver per primo diniostrato che nel periodo di accresci- mento e nelle dmsioni spermatocitiche di un Coleottero (Blaps) esi- stono delle forniazioni filamentose che Bexda interpretö conie niito- condi'iaü: cioe della stessa natura dei granuli giä da lui illustrati nella spermatogenesi dei i\Iamniiferi. Bexda trasse la sua convmzione da due fatti: il criterio tintoriale della colorabilitä specifica e il fatto indiretto che non esistevano nel protoplasma degli elementi studiati altre forniazioni presumibihnente condriosoniiche aU’infusori dei filamenti suddetti. Questi Ultimi, che sono da considerarsi forse come veri condrioconti (malgrado che Bexda, trovandosi di fronte al fatto niiovo, abbia voluto interpre- tarle come condriomiti, cioe risultanti da fusione incompleta dei granuh presenti negh spermatogoni — in base al loro aspetto leggermente varicoso), si orientano, secondo la descrizione di Bexda, parallelaniente al maggior asse dei fuso e aU’esterno di esso, in un fascio ehe senibra sia destmato ad esser diviso trasversalniente dall’msinuarsi della membrana cellulare diinsoria. Bexda ha in tal modo, con queste ricerche e col siic- cessivo suo lavoro smtetico (’03), maugurato la serie delle ricerche sul comportamento dei condriosomi filamentosi durante la mitosi. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 21 Per i Vertebrati, Benda sostiene Fesistenza di condriosomi granu- lari cosi nelle cellule seminali che preseminali; e in queste ultime tanto nello stato di riposo che di divisione ; le figure di divisione spermatogoniale e di mitosi eterotipica di Salamandra, da Benda formte a Waldeyer (’06), dimostrano dei granuli mitocondriali sparsi per il citoplasma fuori deU’area occupata dal fuso ed orientati m corrispondenza dei poli deUa figura cmetica, a formare — secondo Benda — la parte prmcipale delle radiazioni polari. Mentre numerose sono le ricerche che, dopo quelle di Benda, sono state condotte sulla Sorte dei condriosomi durante le divisioni di matura- zione degli Invertebrati; per i Vertebrati invece le notizie sullo stesso argomento sono rimaste piuttosto scarse ed incomplete. Infatti, oltre alle SU citate osservazioni di Benda non esistono a quest’ultimo riguardo che gh studii degü Schreiner (’Oö, ’08) sui Missinoidi, di Jordan (’ll) sulF Opossum, di Duesberg (’07) sul Ratto, di Regaud (’08, ’IO) pure sul Ratto, di Duesberg (’07) sulla Cavia, di Leplat(’IO) sul Gatto. Secondo questi Autori i condriosomi partecipano alla mitosi sotto fomia di granuli disseminati uniformemente nel citoplasma, si che nella bipartizione dei corpo cellulare si suddi\dde passivamente fra le due ceUule figlie in due parti eguaü il materiale condriosomico ; solo gli Schreiner (’Oö, ’08) hanno creduto di sorprendere una suddivisione dei condiioma in due parti di volume molto ineguale, ognuna delle quali destinata a ciascuna cellula figlia. Duesberg (’08b) ha per il primo insistito, a proposito deUa spermato- genesi dei Ratto, sul particolar significato da attribuirsi alla partecipa- zione dei condiiosomi alle cinesi di maturazione: queste ultune effettuereb- bero cioe una riduzione anche neUa quantitä di sostanza mitocondriale, poiche, ammettendo che nel periodo intercinetico non si abbia aumento dei condriosomi, sarebbe da dedursi che le due divisioni rapidamente susseguentisi riducano il numero (e per conseguenza la massa dei mito- condri) ad 1/4 dei quantitative presente nello spermatocita dei primo ordine. Nessun Autore — ch’io mi sappia — ha mai descritto Fintervento di condrioconti e un comportamento tattico loro, durante le divisioni di maturazione dei Vertebrati. Piü numerose che per il periodo riduttivo della Spemiatogenesi dei Vertebrati, sono le osservazioni fatte su di un egual momento della sper- matogenesi degli Invertebrati. Riassumiamo, segnende al solito Fordine 22 Tullio Terni cronologico, quelle fra di esse che ci sembrano di maggior valore per dar luce all’argomento che ci interessa. ÄIeves (’OO) ha fatto delle osservazioni che non sono facilmente sovrapponibiü a quelle di Benda Sulla Blaps. Nella serie dei piccoli spermatociti di Paludina v., ]yiE\^s ha riconosciuto che i mitocondri presenti nei prinii stadii del periodo auxocitario, ulteriormente si fondono in modo da formare dei filamenti, i quali divengono in seguito ansiformi — finche si chiudono in un certo numero di anelli che si raggruppano attorno all’idiozoma. Nella metafase e successivamente nella anafase della prima e della seconda divisione, questi anelli, aUungatisi nella direzione dell’asse fusoriale, si dispongono intorno al fuso fra l’uno e l’altro gruppo polare di croniosomi ; si dividono trasversalmente, infine, in corrispondenza del piano equatoriale, in modo che ciascun semianeUo passi a ciascuna cellula figlia. Nella Pygaera b. (’OO, ’03) Meves stesso ha descritto, nella serie dei grossi e dei piccoli spermatozoi. un comportamento dei condriosomi delle dmsioni di maturazione che e assai diverse da quelle descritto nella Paludina — in quanto i mitocondri vescicolari si riuniscono in un ammasso di filamenti addensati, il quäle si strozza a clessidra nel- l’anafase, per ripartirsi fra le due cellule figlie in ambo le divisioni di maturazione. Colle ricerche di Bexda e di Meves vediamo adunque impostarsi un problema che interesserä successivamente molti citologi: il destino cioe dei condiiosomi filamentosi durante la divisione cellulare. N. Holmgren (’02) ha descritto nella spermatogenesi della Süpha c. dei condriosomi i quaü, di forma vescicolare nel periodo auxocitario, confluiscono poi durante la mitosi in fasci che circondano il fuso centrale e che vengono strozzati nel piano equatoriale dal solco divisorio, in ambo le divisioni di maturazione. Voinov (’03) nello studiare le divisioni degli spermatociti di un Coleottero {Cybister r.) ha probabihnente errato nel ritenere condriosomiche delle formazioni {<.icouronne granuleuse») che evidentemente non lo sono; al contrario — come hanno fatto rilevare anche Giglio-Tos e Granata (’08) e Duesberg (’lOc) — sono da ritenersi invcce dei veri e propri condrioconti quei filamenti da Voinov interpretati come fibrille periferiche del fuso, i quali durante la divisione cellulare si dividono fra i due elementi figli. Henneguy (’04) ha descritto in alcuni Insetti la ripartizione del con- drioma nell’atto delle divisioni maturative; riassumeremo piü sotto le osservmzioni di Faure-Fremiet che hanno completato le osservazioni di Henneguy. I granuli da Bouin (’Oö) osservati nelle divisioni degli spennatociti di Scolopendra (originatisi per dissolvimento del materiale Condriosomi, idiozoma e forniazioni periidiozomiche ecc. 23 ergastoplasmatico preesistente), che si raccolgono ai poli della figura cinetica, sono evidentemente forniazioni mitocondriali. Depdolla (’05, ’06) ha studiato nel Limbricus dei granuli condrio- somici che circondano il fuso nella prima mitosi di maturazione e scom- paiono nella intercinesi per ricomparire nella seconda mitosi, al termine della quäle si aggregano in un anello situato nel piano equatoriale: il solco divisorio dei citoplasmi opera una bipartizione del condrioma alle cellule figüe. Le formazioni da Pantel e de Sinety (’06) studiate nel periodo spermatocitogenetico di un Emittero, la Notonecta g., e da loro distinte col nome di «materiale periassile semphce » e di « materiale periassile figu- gurato», (le quali formazioni nelle mitosi vengono suddivise equamente alle cellule figüe) appartengono evidentemente — ahneno per quel che riguarda il primo tipo di organuli — alla categoria dei condriosomi. Gü «pseudocromosomi» che Gross (’07) ha osservato nel periodo di maturazione della spermatogenesi del Pyrrhochoris a., sono evidente- mente dei condrioconti; durante la mitosi questi passano indivisi nelle cellule figüe. Nel periodo auxocitario del Dytiscus Schäfer (’07) ha osser- vato ralüneamento in condriomiti dei granuü preesistenti nel periodo spermatogoniale ; durante la mitosi i condriosomi si ripartiscono fra le cellule figüe ; neUo sperniatocita del secondo ordme, awerrebbe di nuovo la frammentazione dei filamenti in granuü. Secondo Otte (’07), si verifica neUa divisione spermatocitaria della Locusta una dissemmagione dei condriosomi (originatisi per frammenta- zione di un corpo mitocondriale preesistente nell’auxocita) nel citoplasma cariocinetico ed un’ equa distribuzione dei suddetti aUe ceUule figüe. Nelle mitosi maturative spermatiche di un altro Ortottero (Forficula a.), ZwEiGER (’07) ha notato che i condriosomi, foggiati a filamento, circon- dano la figura acromatica, per poi dividersi trasversahnente neUa separa- zione dei citoplasma figü. Wirke (’07) ha osservato anch’esso nel periodo spermatocitogenetico deUa Hydromeim l. dei condrioconti, rigonfii alle estremitä, i quali sembrano dividersi trasversahnente. Wassilieff (’07) ammette che, nel periodo di accrescimento della spermatogenesi della Elatta g., si originino a spese di materiale uscito dal nucleo dei condriosomi filamentosi, i quali, neUe cmesi di maturazione, sarebbero trasmessi a ciascuna delle due cellule figÜe interi: senza cioe aver subito alcuna divisione trasversale. Vedremo come queste ricerche, che negano una qualunque partecipazione attiva dei condriosomi alle mitosi, siano state contraddette da osservazioni che Duesberg (’lOc) ha compiuto sullo stesso materiale. 24 Tullio Terni Mevds (’07 a) ha illustrato nella spermatogenesi deirj.^is w. il costi- tuirsi, durante il pcriodo di accrescimento dello spermatocita, di con- drioconti, per confluenza di granuli preesistenti ; durante la profase della prima dmsione di matiirazione (che e abortiva e che ha per effetto la separazione di una piccola geniina citoplasmatica) i condrioconti si di- spongono attorno al fuso acromatico iiel piano equatoriale, ove sono stroz- zati dal solco divisorio — in modo che una breve porzione trasversale di cssi venga eliminata colla gemma suddetta. Lo stesso fenonieno si verifica anche nella seconda divisione, nella quäle si ha perö l’espulsione di una piccola ceUula pro^"^^sta di nuclco, oltre che di materiale condrio- somico. ]\1e\’es e Duesberg (’08) e Lams (’08) hanno quasi contemporanea- mente pubblicato delle osservazioni sul destino dei condriosomi durante le dmsioni spermatocitarie : i primi nella Vespa c., ü secondo nella Formica. l\lE^’T:s e Duesberg hanno riconosciuto un processo assai simüe a quello che awiene neU’Ape ; colla sola differenza, che la seconda divisione maturativa porta alla formazione di due spermatidi eguah, ognuno dei quali provsnsto m egual niisura della sua parte di condriosomi. Lams ha osservato che nella profase della prima divisione maturativa della Formica si formano, a spese di conchiosomi non ben analizzabili nei primi momenti deU’evoluzione auxocitaria, dei füamenti che divengono via via piü distmti e che si dispongono longitudinalmente di lato al fuso; la mitosi porta consecutivamente al distacco di una gemma protoplasma- tica, coUa quäle viene emessa una piccola porzione dei condrioma. NeUa seconda divisione il fascio dei condrioconti, foggiato a semiluna, si assot- tiglia nella sua parte media posta a liveUo dei piano equatoriale e finisce col dividersi in due ammassi che vengono trasmessi a ciascuno dei due spermatidi. Giglio-Tos e Graxata (’08), nelle loro ben note ricerche sul Pnm- pJiagus, hanno seguito l’evoluzione dei condrioma nelle divisioni sper- matogenetiche di matiirazione. Senza addentrarci nel suggestive signifi- cato teorico che hanno attribuito gü Autori al processo da loro investigato, ricorderemo che quest’ultimo si esplica con una condriodieresi preparata e resa possibile da una cosiddetta condriotassi. A^ell’ auxocita esistono in principio dei condriosomi (ammassi di mitocondri granulari) compatti; successivamente questi Ultimi si disgregano in granuli che si spargono per il citoplasma durante la profase e la metafase. Nella anafase ha inizio la condriotassi, cioe un orientamento dei mitocondri tale, che ne risulta la formazione di condriomiti nel senso di Bexda ; questi man mano si allmi- gano, mentre sono disposti attorno alla porzione paraequatoriale dei fuso ConcWosomi, idiozonia e formazioni periidiozoniiche ecc. 25 centrale, si da fornire al fuso stesso un mantello di filamenti paralleli al siio maggior asse. II mantello niitocondriale foggiato a cilindro cavo, successivamente , colla citodieresi, vien ripartito eqnamente fra gli spermatociti del secondo ordine. In qnesti Ultimi avviene una confluenza dei mitocondri in due corpi mitocondi’iali compatti, i quali nella seconda divisione si disgregano di bei nuovo in granuli per comportarsi successivamente come nella prima divisione. Giglio-Tos e Granata ammettono adunque un comportamento attivo dei conch’iosomi durante la mitosi; in piü suppongono che il condrioma deU’auxocita rappresenti una tetrade. La prima divisione trasmette una diade a ciascun sper- matocita del secondo ordine; quest’ultimo — per mezzo della seconda divisione maturativa — trasmetterebbe a ciascun spermatide un solo corpo mitocondriale (paranucleo). E possibile che Arnold (’08) abbia veduto in quello che egli inter- preta, nella prima e seconda divisione di maturazione A.^WEydrofliilus p., come residuo fusoriale, un condrioma costituito da condi’ioconti diretti fra loro parallelamente, che proviene forse dalla divisione trasversale di un mantello perifusoriale condriosomico anafasico. v. Baehr (’09) descrive Femissione, daUo spermatocita del primo ordine di Aphis s., di una piccola cellula sprovvista di condriosomi; questi Ultimi riman- gono tutti nella cellula piü grande (spermatocita del secondo ordine), la quäle si divide ripartendo in egual misura i condriosomi fra i due spermatidi. Secondo Büchner (’09) i condriosomi, granulari negli auxociti di Oedipoda (Ortottero), si alüneano nella metafase in filamenti che si divide- ranno trasversalmente coll’espletarsi deUa mitosi. Gerard (’09) in uno Studio accurato suUa spermatogenesi di un Acridio — lo Stenohothrus b. — descrive Fevoluzione dei condriosomi durante il periodo spermato- citogenetico. Nello stadio di accrescimento, i mitocondri aumentano in quantitä parallelamente aU’ingrossamento del nucleo e, in ultimo, ten- dono ad ordinarsi in brevi filamenti che costituiscono, attorno ai filamenti del fuso anafasico, dei fasci di condrioconti paraUeli all’asse del fuso e fra di loro; codesti fasci si strozzano nella loro parte media allorquando la membrana cellulare divisoria si invagina fino a loro. NeUa seconda divisione, i condriosomi si comportano in modo identico alla prima. Faure-Fremiet (’lOb) ha completato e confermato colle sue ricerche le osservazioni di Henneguy ed ha descritto dei condrioconti sovrapposti al fuso centrale, i quah, nella telofase delle divisioni spermatocitiche del Pyrrbocoris a. e del Gryllus c., si dividono trasversalmente. Inoltre lo 26 Tullio Terni stesso Autore ha riconosciuto, in un certo momento del periodo auxo- citario delF An'on r., la presenza di condriosomi filamentosi. Duesberg (’lOc) ha studiato in diversi Insetti il comportamento mitotico dei condriosomi. Speciahnente le ricerche sulla Blafs e la Blatta sono interessanti, in qnanto conferniano le osservazioni di Benda che abbiamo sopra riassimto. Fin däi prinii stadii dell’ evoluzione auxocitaria di Blatta, Duesberg nota la presenza di condrioconti (con- trariamente a qnanto riteneva Wassilieff ’07), i qnali, a partire da un dato momento, si accumulano ad un polo del nucleo, dove evidentemente e situato Tidiozoma. Nella metafase i condi’ioconti tendono ad aUinearsi secondo Tasse del fuso ; nelT anafase avviene la divisione trasversale di almeno una parte dei condriosomi; questo rilievo contraddice Tasserzione di Wassilieff del passaggio dei condriosomi indivisi all’una o all’altra delle ceUule fighe. Duesberg ha dhnostrato, per la seconda divisione maturativa della Blatta, un comportamento dei condriosomi simile a qnello della prima. Nella Blaps Duesberg ha osservato tutti i fatti descritti prima da Benda; negli Ultimi momenti del periodo auxocitario i condrioconti sono periettamente Msci e — nella mitosi — circondano completamente la figura anafasica, disponendosi come a paUzzata attorno al fuso ; il piano di sepa- razione delle cellule figlie taglia in dne parti esattamente eguaü il fascio dei condrioconti, i quaü nel corso deUa telofase sono andati leggermente allungandosi e riducendosi di calibro. Lo stesso fatto si compie nella seconda divisione maturativa; Tintero processo verrebbe perciö aridurre nello spermatide — come nel Ratto — la sostanza condriosomica ad 1/4 della quantitä esistente nelTauxocita giunto a completo sviluppo. Perroncito (’IO) illustra nello spermatocita (serie ohgopirene) della Paludina v. delle formazioni che egli chiama «condrosomi di Meves» le qnali, nei primi stadii del periodo di accrescimento foggiate a filamen- to, sembrano disgregarsi all’approssimarsi della mitosi — in modo da formare dei brevissimi filamenti ad estremo ingrossato e qualche raro granulo, disposti in serie bneare fra i dittosomi orduiati in corona. Allor- quando questi Ultimi si raccolgono in 2 gruppi polari, i condriosomi sono irregolarmente sparsi per tutto il citoplasma; alla fme deUa mitosi essi vengono passivaniente ripartiti fra le due cellule fighe. Inoltre Perron- cito suppone la natura condriosomica di tabmi filamenti presenti durante la prima divisione maturativa dello spermatocita della serie eupirene di Paludina. Montgomery (’ll) ha minuziosamente descritto Tevoluzione, durante il periodo di maturazione deWEuschistus, di condrioconti, i qnali si de Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 27 Ihieano a spese di granuli preesistcnti e vanno quindi aumentando diniiniero e di limghezza durante il periodo auxocitario (non perö a spese di entitä morfologiche cromatiniche fuoriuscenti dal nucleo). Codesti con- drioconti sono dapprima varicosi, acquistano quindi una superficie liscia; ma non hanno perö tutti un identico calibro: sparsi irregolarmente nei primi stadii per il citoplasma, si orientano all’ approssimarsi della profase un po’ indecisamente verso i centrioli. Allorquando il primo fuso di maturazione si e forniato, i condrioconti si dispongono all’ intorno delle fibre mantellari e allora si puö dedume approssimativamente il numero (9—17). Il decorso della maggior parte dei condrioconti e sensibilmente parallelo alla maggior asse del fuso; perö alcuni di essi rimangono situati vicini ad uno dei poU, per modo che lo strozzamento del citoplasma, se divide trasversahnente i primi, non ha lo stesso effetto sui secondi, che pässano perciö indivisi nello spermatocita del secondo ordine. Spesso i condriosomi appaiono piü numerosi ad un polo della figura cinetica che aU’altro; per modo che si dovrebbe am- mettere una ineguale distribuzione del condrioma alle cellule figlie. Nella seconda divisione di maturazione si compie lo stesso processo che abbiamo riferito per la prima. Hirschler (’13) ritiene che per confluenza di granuli si formino nell’ auxocita di Ascaris l. dei brevi condrioconti, i quali, appücati aUa superficie dei granuli rifrangenti e con essi diffusi a tutto U Protoplasma, vengono suddivisi numericamente , nella separazione dei corpi cellulari, fra le cellule fighe — neUe quali si ridissolvono in granuli. Dalle ricerche di Sokolow (’13) suUa spermatogenesi deU’i^Mscor- 'pius c., risulta che i mitocondri contenuti negli auxociti si riuniscono ad un dato momento in brevi filamenti, i quali all’approssimarsi della mitosi si chiudono su loro stessi in modo da formare degü anelli shnili — secondo l’Autore — a quelli descritti da Meves (’OO) e da Otte (’07); invece di spezzarsi perö come nella Paludina, vengono suddivisi in parti eguali fra i due spermatociti del secondo ordine. NeU’interctnesi gh aneUi si raggruppano ad un polo del nucleo ; neUa seconda mitosi di maturazione essi si spargono di nuovo nel citoplasma e passano integri in egual numero a ciascuno dei due spermatidi. La grandezza degli aneUi sembra rimanere invariata; il numero sarebbe neUo spermatide = a 1/4 del numero presente nell’ auxocita. Sokolow ammette che il numero degli anelli mitocondriali deir auxocita di Euscorpius sia 24; dei quali 12 verrebbero trasmessi ad ogni spermatocita del secondo ordine. Ciascuno di questi poi ne trasmette- rebbe 6 a ciascuno degli spermatidi; ciö costituisce secondo l’Autore 28 Tiillio Terni iina verifica della ipotesi cspressa da Duesberg sulla riduzione quanti- tativa dei condriosomi^). Se si considerano i resultati che abbiamo qui sopra riassunto, si acquista la convinzione della persisteiiza dei coiidriosomi (a mor- fologia alquanto svariata) come tali diirante le mitosi di matura- zione. I condriosomi, presenti in un gran nuniero di oggetti fin nel periodo spermatogoniale e nei primi monienti dei periodo auxocitario, si rendono particolarmente evidenti all’approssimarsi deUa tappa maturativa. Codesta maggior diniostrabilitä dei condriosomi coincide spesso col loro costituirsi in filamenti, i qnali — secondo il parere di molti degli Autori citati — si originerebbero per il confluire di granuli mitocondriali, nei primissimi momenti dei periodo di accrescimento. Secondo alcuni Autori poi, il primo apparire dei condrioma, oppure Taumento quantitative di esso — a partire da un certo momento dei periodo auxocitario — sarebbe determinato dall’ accumulo nel citoplasma di materiale cromatico espulso dal nucleo. Se e quasi generalmente aniniessa adunque una partecipazione dei condriosomi alle divisioni di maturazione, pure le modalitä che la governano non possono ridursi ad uno Schema generale. La causa precipua di questa irriducibiütä risiede neUa varietä in forma dei condrio- sonii. Kon si puö dubitare infatti che in un determinato inateriale gono- genetico (per esempio, dei Mammiferi) i condriosomi non siano reahnente granulari; in un materiale certamente piü vasto esiste la forma fUamentosa: in tal caso si verifica un caratteristico comportamento dei condrioconti nella mitosi, che ha il piü delle volte per effetto la loro divisione trasver- sale nel piano equatoriale della figura mitotica. Propendo dei resto a credere che, in una certa parte dei materiale dove osservazioni non dei tutto persuasive hanno dimostrato Tesistenza di granuli, ricerche ulteriori di revisione metteranno forse in evidenza dei condrioconti. L’equa ripartizione dei condriosomi nella mitosi fra le cellule figlie e un fatto che e adunque orniai provato per la grande 1) Secondo ima rccente memoria di Wilke (’13) [pubblicata dopo la redazione dei presente lavoro] nel periodo di maturazione della spermatogenesi di Hydrometra p. intervengono dei mitocondri e dei condrioconti, i quali si moltiplicherebbero per scissione. I condrioconti spesso si orientano nella metafase radialmente verso i corpuscoli polari al di fnori dei fnso e aumentano di volume, si da mcritarc allora — secondo TAutore — il nome di pseiidocromosomi ; alla telofase sono ripartiti fra le due cellule figlie. Un identico processo si conipie nella seconda divisione. Conciriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 29 maggioranza dei casi: il significato particolare che sarebbe da assegnarsi — secondo talimi Autori — a questa ripartizione nei caso speciale delle divisioni riduttive, sarä discusso nell’ultinio capitolo. c) I condriosomi nella spermatistogenesi. Se la partecipazione dei condriosomi all’istogenesi dello spermatozoo non puö in veriin modo esser posta in dubbio, per consenso quasi imaninie degli Autori — le modalitä che regolano codesta partecipazione variano d’altra parte nei diversi gruppi di animali. Non ci dilungheremo oltre misura nei riferire i particolari delle singole modahtä: in primo luogo, perche nei recente scritto riassuntivo di Duesberg (’12) esiste una rivista dei lavori sull’argomento di cui si tratta; in secondo luogo perche il processo da me osservato differisce troppo — come a suo tempo vedremo — da queUi altrove studiati, perche da un minuzioso raffronto dei primo coi secondi possano sorgere criterii unitari. DaUe ricerche in proposito risulta che negli spermatozoi dei tipo filiforme (Nematospermii)i condriosomi verrebbero a situarsi, nei corso della spermatistogenesi, per lo piü nei pezzo intermedio della coda, for- mando in corrispondenza di esso im rivestimento piu o meno completo al filamento assile; mentre invece negli spermatozoi sprovvisti di coda (Sferospermii) che si incontrano in talimi Invertebrati, la posizione che i conchiosomi occupano neUo spermatozoo adulto sarebbe assai diversa. Per quanto riguarda la P categoria di spermatozoi suddetta, i con- driosomi, sebbene locahzzati in una sede assai costante nello spermatozoo adulto, si organizzerebbero tuttavia nelle diverse specie in un organo che non ha sempre la stessa forma. Sono universalmente note le prmie ricerche di Benda (’97) che hanno dimostrato l’esistenza di una spirale costituita da granuh mitocondriali negh spermatozoi dei Topo e di altri Mammiferi, e le ricerche posteriori dello stesso Autore (’98) suU’esistenza di una guama mitocondriale in alcuni Anfibii, Rettili e UcceUi. Mentre nei Mammiferi la guaina mito- condi'iale e situata, secondo Benda, [d’accordo coUe antiche ricerche di V. Brunn (’84)] in corrispondenza dei pezzo intermedio della coda, negli altri Vertebrati non avrebbe sempre la stessa sede — cosi per esempio in alcimi Sauropsidi {Columba, Lacerta) e Anfibii (Bombinator), nei quali i mitocondri risiederebbero, secondo Benda (’03), anche a hvello della testa dello spermatozoo. Secondo Retzius (’09b) invece, nella Columba vi sarebbe una spirale attorno al lungo pezzo intermedio. Negh spermatozoi di altri Anfibii, come ad esempio la Rana e. 30 Tullio Terni [Bexda (’98, ’03)], la Rana /., Rana a., ecc. [Broman (’07)], ecc. e stata veduta una guaina initocondriale spirale la quäle era apprezzabile — piü 0 nieno nitidamente — attorno al filamento assile della coda. Benda aveva inoltre descritto (’98) negli spermatozoi del Triton una finissima spirale supposta initocondriale, la quäle pareva involgesse per quasi tutta la sua limgliezza il fUamento assile della coda; perö, dopo che Meves ha insistito sul fatto giä precedentemente (’97a) assodato, che cioe rinvolucro citoplasmatico deUa coda degü spermatozoi di Urodeli non e completo, ina e Umitato ad un solo lato del filamento assile della coda, Bexda (’03) si e convinto che si tratti — cosi nel Triton come nella Salamandra — di una striatura trasversale dell’involucro suddetto, determinata da tratti paralleli di mitocondri allineati. Duesberg (’07) ha studiato neUo spermatide del Ratto Tordinarsi di tutti i granuli condriosomici ivi presenti in una spirale che circonda il filamento assile, la quäle diviene difficihnente reperibile nello spemiato- zoo adulto. Regaud (’IO) ha nello stesso animale descritto una solo parziale partecipazione dei mitocondri alla formazione della guaina periassile ed ha sostenuto che nello spermatozoo maturo le spire siano riunite da sostanza initocondriale interposta. Duesberg (’lOc) nega — contrariamente alle osser\"azioni di Benda (’98) e di Retzius (’09f) — che i mitocondri dello spermatide di Ca via costituiscano una vera e propria spirale ; afferma invece che essi formano una sottile guama periassile, nella quäle sono appena riconoscibiü alcuni dei granuli che le hanno dato origme — divenuti indistmti forse per deposizione fra essi di una sostanza cementante. Anche secondo le ricerche di Leplat (’IO) sul Gatto, i condriosomi granulari dello sperma- tide non formerebbero una vera spirale, ma si fonderebbero m dischetti sovrapposti, che nello spermatozoo maturo confluirebbero in una guaina condriosomica omogenea. Retzius (’06a— f, ’09 a— n) ha descritto negli spennatozoi di una grande quantitä di Pesci, Anfibii, Rettüi, Uccclli e Mammiferi, la presenza di un involucro — costituito ora da granuh distinti, ora da una netta spirale risultante da fusione di granuli — per lo piü situato attorno al filamento assile a Uvello del pezzo intermedio della coda; la particolare struttura di codesta guaina non si conservorebbe per lo piü nello sper- matozoo giunto a completo sviluppo, per la deposizione di sostanza cementante fra i granuli costituenti rinvolucro stesso. JoRDAX (’ll) ha osservato neH’Opossim l’espulsione di parte dei granidi condriosomici dallo spermatide, nientre altri concorrono aUa formazione di una guaina spiraloide attorno al filamento assile; queste Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 31 ricerche sono in accordo con quelle di Bexda (’06), ma in contrasto colle osservazioni di Retzius (’09c) su materiale simile. II primo Autore che si sia validamente adoperato a stabüire una omo- logia fra le formazioni mitocondriali deUa spermatistogenesi dei Vertebrati e quelle della spermatistogenesi degli Invertebrati, e stato ÄIeves (’OO, ’03), allorquando ha interpretato il Xebenkern di La Valette St. George (’86, ’87) come un organo di origine condiiosomica e ne ha descritto la partecipazione (strato periassile) alla costituzione dello spermatozoo di Paludina v. e di Pygaera h. Nonostante il tentativo di Me\"es [la portata generale delle idee del quäle e stata discussa da Bexda (’03)], vi e disparitä di Vedute sulla partecipazione del condrioma alla genesi deUo spermatozoo degh Invertebrati, sia per quel che riguarda il grado, sia il modo di co- desta partecipazione. Ma comunque si determini quest’ultima: sia che abbia per effetto la costituzione di una spirale [Boxxevie (’04, ’06)], oppure di un involucro cUindrico omogeneo attorno al filamento assile (maggioranza dei casi) ; sia codesta partecipazione parziale [Popoff (’07)], 0 totale — e da ritenersi che essa si verifichi indubbiamente anche nella spermatistogenesi degli Invertebrati. Le ricerche di Wassilieff (’07) — secondo le quali il corpo omogeneo (condriosomico) dello spermatide deUa Blatta g. [giä da La Valette St. George (’86 a, b, ’87) studiato come Nebenkern e riconosciuto come un organulo che prende parte attiva alla costituzione dello spermatozoo], dopo essersi diviso in due parti ed essersi accoUato al filamento assile, scomparirebbe ulteriormente, forse per espulsione daUa ceUula — stanno m disaccordo coUe ricerche successive di Duesberg (’lOc) che hanno dimostrato la diretta partecipazione del condrioma alla costituzione deUo spermatozoo. Anche Buchxer (’OO) sostiene la espulsione dei condrio- somi dallo spermatide in evoluzione deW Oedipoda', un tal processo non si verifica in altri Acridii: per esempio nello Stenobothrus b. [Gerard (’OO)]. Senza dilungarci oltre nell’esposizione dei dati, particolarmente nume- rosi, che si riferiscono aH’mtervento del condrioma nella spermatisto- genesi degli Insetti, soffermiamoci ora su quelle ricerche che non limitano alla coda la presenza di im involucro condriosomico, bensi la estendono aUa regione della testa dello spennatozoo; queste sono specialmente le ricerche condotte sul materiale nel quäle gü Autori si sono trovati di fronte a spermatozoi privi di coda (Nematodi, Decapodi ecc.). Depdolla (’05, ’OO) ad esempio ha osservato nello spermatozoo del Lombrico il rac- cogliersi dei mitocondri attorno al pezzo intermedio ed aUa parte piü cau- dale deUa testa. Secondo le minuziöse osservazioni di Koltzoff (’OO) sugli 32 Tiillio Terni sperinatozoi cU alcimi Decapodi, una parte dei condriosomi confluisce in numerosi brevi filameiiti che fasciano la testa dello spemiatozoo, spesso iii forma di spirale; i rimanenti condriosomi rimangono inclusi in alcuni prolungamenti protoplasmatici situati in vicinanza del collo. Koltzoff fonda sulle sue estese ricerche la ipotesi della funzione scheletrica dei condriosomi, che verrä altrove presa in esame. Spitschakoff (’09) in un altro Crostaceo, il Leander a., ha seguito il raggrupparsi dei condrio- somi attorno alla porzione posteriore della testa nello spemiatozoo adulto. Secondo Koster (’IO) lo spermatozoo del Gammarus p. possederebbe una spirale mitocondriale che attornia la testa. Xeirj.scfl[m i condriosomi (granulari) soiio situati, secondo le ricerche di Tretjakoff (’05), di Meves (’ll) e queUe recenti di Hirschler (’13), nella testa dello spermatozoo. In altri Kematodi Retzius (’lOb) ha veduto che gli spemiatozoi contengono dei granuli — evidentemente mitocondriali — a sede perinucleare. In im Neniertide, {Malacobdella g.) lo stesso Autore (’06a) ha osseiTato uno strato finemente granulöse attomo alla porzione posteriore della testa dello spermatozoo. Oettinger (’09) descrive la partecipazione dei condriosomi alla isto- genesi della testa dello spermatozoo di un Müiapode, il Pachyiulus v. Dingler (’IO) descrive in un Trematode, ü Dicrocoelium l., delle forma- zioni condriosomiche filanientose che circondano il nucleo dello sperma- tide in evoluzione, che poi sarebbero — ahneno in parte — espulsii). Chiudiamo questa rapida rassegna critica coll’insistere su quanto abbiamo affermato in principio: che cioe, se e fuori di dubbio la reale cooperazione di formazioni, che si sono volute raggruppare sotto il nome di condriosomiche, alla costituzione dello spernia- tozoo di tutti gli animah studiati, non esiste per altro confonnitä di Vedute sul preciso determinismo di questo processo. Probabilmente i tentativi di generalizzare la forma e la sede del condrioma cü taluni spemiatozoi, hanno contribuito talvolta ad oscurare l’argomento. Altra causa d’mcertezza nelle nozioni sui condriosomi degh spemiatozoi, e rappresentata forse dal fatto che molte delle descrizioni degh Autori si riferiscono a spemiatozoi non ancora completamente evoluti e che — salvo alcune eccezioni — non si c troppo spesso cercato di rintracciare nello spermatozoo adulto le individualitä condriosomiche. 1) Kuschakewitsch(’13) in un lavoro comparso quando questo giä eraredatto, illustra dei lunghi condrioconti nella spermatistogenesi di un mollusco, il Conus m., parte dei quali vengono a situarsi nello spermatozoo parallelamente al suo maggior asse, per formare verosimilmente un apparato di sostegno nel senso di Koltzoff. Condiiosomi, idiozoma e forraazioni periidiozomiche ecc. 33 Si comprende quanto la precisa struttura dello spematozoo adulto, anche per quel che riguarda il condiioma, interessi il citologo, sovrattutto per le questioni di biologia generale che, neU’analisi del processo della fecondazione, si possono impostare siiUa base della morfologia dello spermatozoo. III. Tecnica. Come materiale di indagine, mi sono valso vantaggiosamente del testicolo del Oeotriton fuscus, del quäle anünale avevo studiato la sperma- togenesi hi una pubblicazione (’ll a) che aveva particolarmente di mira lo Studio dei cambiamenti strutturali dell’organo neirawicendarsi del ciclo spermatogenetico, la ricerca del processo della riduzione cromatica e Fosservazione del determinismo speriuatistogenetico. Contrariamente a quanto avevo creduto in passato, che cioe il mate- riale suddetto non fosse favorevole allo studio del protoplasma e degli organi eventuahnente inclüsivi, e ovvio aggiungere qui che mi si dhnoströ invece — alla stregua di una tecnica larga ed insistente — un materiale di elezione per lo studio degli organuli differenziati in seno al protoplasma, e soprattutto dei condiiosomi. Nelle mie ricerche mi sono valso largamente delFesame a fresco — previa semplice diluizione del parenchima tcsticolare in una soluzione di NaCl al 0,9%; senza bisogno di alcuna manovra meccanica eventual- mente dannosa, gli elementi si dissociano in modo perfetto. Le osservazioni venivano eseguite, a luce artificiale, colFApocro- matico Zeiss di mm. 2 : col condensatore ordmario o col condensatore parabolico. Non sto ha ripetere tutti i dettagli di tecnica che ho diffusamente esposto altrove (’12 a). Dirö solo che moltissimi furono i procedimenti tecnici adoperati, molti quelli coi quali sono riuscito a mettere in evi- denza i condrioconti, accanto ad altre formazioni contenute nel citoplasma, negli elementi spermatici del Geotriton. I fissatori che permettono alla successiva colorazione un maggior risalto dei condiiosomi sul fondo e una niiglior fissazione dell’elemento cellulare, mi si sono dimostrati i seguenti: il fissativo di Flemming modi- ficato da Benda (specialniente se seguito dalFulteriore trattaniento di fissazione di Benda) e il liquido di ÄIaximow (formula contenente acido osmico) leggemente modificato nelle proporzioni dei singoli componenti. Per il materiale fissato in questi ed altri liquidi contenenti Facido osmico, mi sono convinto che il processo dell’imbianchimento delle sezioni, Archiv f. Zellforschung. XIl. 3 34 Tullio Terni per ossiclazione-ricluzione secondo le norme di Rubaschkix [vedi Levi (’12 b)], offre dei vantaggi notevolissimi. Fra le colorazioni, quella dalla quäle ho ottenuto i risultati pii'i bril- lanti e stata rematossilina Heidenhaix. Sono perö riuscito a colorare i condriosomi anclie per mezzo di colorazioni progressive (ad es. colla miscela Pianese a base di verde malachite e di fucsina acida), neUe quali gli organuli stessi assiimono assai piü intensamente del citoplasma il colore acido. II procediniento completo di Bexda si e diniostrato invece di riuscita alqiianto incerta per il mio materiale, nel quäle l’esame sul vivente fomisce delle immagini molto piü ehiare per la dimostrazione dei condrio- somi, che non la colorazione di Beäda. Questo mi sembra aver valore per la critica che si puö muovere all’esclusivismo di taluni ricercatori, i quali vollere dare al suddetto metodo il valore di una reazione microchimica. Le ricerche colla tecnica di Ciaccio per i Mpoidi hanno avuto esito nega- tive; ne con ciö voglio perö prommcianni contro la supposizione che nella costituzione chimica dei condi'iosomi entrino anche delle sostanze lipoicUche. Credo opportimo di far rilevare il fatto che sono riuscito a mettere in evidenza colla colorazione di Heidenhaix i condriosomi, su materiale fissato col liquide di Carxoy (cloroformio, alcool assoluto, acido acetico, subhmato). Concludendo, ho regolato la niia tecnica in modo da tendere coi resul- tati verso il Ihnite della conseiTazione della struttura reale — quäle una lunga Serie di ossers’azioni sul vivente me la avevano resa palese. Dopo aver constatato Fesistenza nel vivente delle fonnazioni che formano il soggetto di queste ricerche — ho ottenuto da varii metodi tec- nici una convergenza di resultati tale, da far collimare fra loro le osser- vazioni eseguite sul materiale coi metodi stessi trattati, e da renderle sovrapponibili a quelle condotte sul vivente. IV. Parte originale (condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche nella spermatogenesi del Geotriton fuscus). 1. Spermatogoni. Gli spermatogoni delle varie generazioni^) posseggono, neUo stato di riposo, dei condriosomi filamentosi, che sono prevalentemente accu- 1) Non prendiaino in esame gli Spermatogoni a nucleo polimorfo [della citologia dei quali rai sono altrove (’lla)occupato]pcrche non ho raai potuto ottenere delle dimo- strazioni soddisfacenti dei loro condriosomi. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozoniiche ecc. 35 mulati nella porzione di citoplasma nella quäle risiede Fidiozoma e che mai invadono Farea di quest’ultinio. I condi'ioconti degh spermatogoni — a differenza di quelli degli altri elementi seiuinali del Geotriton — lianno un decorso fortemente flessuoso e formano fra di loro un intreccio aggrovigliato ; del quäle perö e sempre possibile risolvere le unitä ehe lo compongono, si da constatare in esse Fassenza di mutue anastomosi. La fig. 1 riproduce uno spermatogonio primitivo, il rivestimento in cellule follicolari del quäle era completo: indizio questo che si tratta di un archispermatocita. I condriosomi hanno in questi elementi Faspetto di brevi filamenti di calibro notevole, a decorso un poco ondu- lato ; sono disseminati a tutto il citoplasma, pur essendo prevalentemente addensati lä dove piü abbondante e il citoplasma; attomo cioe alFidio- zoma, che nella fig. e parziahnente nascosto dai condriosomi. Non escludo che negh archispermatociti esista — a lato dei numerosissimi condrioconti — anche qualche condriosoma granuläre. Qua e lä esistono nel citoplasma delle sferule di varia grandezza, ben tüfferenziabili dai condriosomi, che appartengono evidentemente alla categoria delle for- mazioni metaplasmatiche: sono destinate a scomparh-e nelle generazioni successive degli spermatogoni. Questi grossi granuh — ehe si incontrano cosi di frequente negli spermatogoni di Anfibii — sono di significato ancora oscuro, malgrado le ricerche di numerosi Autori. Puö darsi che talvolta siano stati confusi coi mitocondri e questa e forse la causa che ha ingenerato contraddizioni nei dati acquisiti sui condriosomi degli sper- matogoni. Resta pertanto assodato che fin negli archispermatociti si hanno condriosomi prevalentemente filamentosi. In tutti gli spermatogoni delle generazioni successive a quelli pri- mitivi i condriosomi continuano a mostrarsi filamentosi; anzi, tendono sempre piü ad allungarsi e ad unifomiare il loro calibro. La fig. 2 ripro- duce un tipico spermatogonio che dista di 2 o 3 generazioni da quello deUa fig. 1. Si osserva Faccumulo dei condrioconti, assai lunghi e aggro- vigliati, alFintomo delFidiozoma contenente i due centrioü. La fig. 3 riproduce tre spermatogoni contigui di una stessa spermato- ciste, appartenenti ad una deUe ultime generazioni goniali. I condrio- somi hanno il sohto aspetto descritto per le generazioni precedenti; solo appaiono a decorso un po’ meno flessuoso che per lo innanzi. Nella stessa figura i tre idiozomi sono ben individuahzzati dalla presenza di fornia- zioni periidiozomiche modeUate alla loro superficie. Queste ultime sono affatto indipendenti morfologicamente dai condriosomi; differiscono da essi per il cahbro (un poco maggiore nei dittosomi) e non si trovano mai situati a qualche distanza dalFidiozoma, cioe in mezzo al condrioma, 3* 36 Tullio Terni Anzi, iii taluni casi le formazioni suddette sembravano far parte della zona periferica dell’idiozoma, evidentemente per azione del fissativo, che aveva reso piü intimo raddossamento dei dittosomi alla sfera idiozomicai). Sul comportamento dei condriosomi nelle mitosi spermatogoniali, ho potuto raccogliere solo dati scarsi ed incompleti — per la difficoltä incontrata nella fissazione delle mitosi stesse. Nella profase ho osservato raddensamento dei condrioconti attonio all’abbozzo della figura acro- matica; nella metafase e nella anafase i condriosomi assumono l’aspetto di stracci filamentosi, talvolta sgretolati, ehe si pongono alFintorno del fuso acromatico, parallelamente diretti al maggior asse di quest’ultimo. La notevole differenza esistente fra queste immagini (che non abbiamo ritenuto opportimo di raffigurare) e quelle del condrioma di spermato- goni in riposo non puö a meno di lasciare aperto l’adito al dubbio che la fissazione non abbia forse modificata la reale struttura dei condi’iosomi della mitosi. Sul comportamento durante la anafase e su di ima possibile divi- sione dei condriosomi nel piano dello strozzamento cellulare, non ho dati sufficenti per profferirmi. Dati mdiretti possono certo illuminarci suUa probabilitä di un’ equa ripartizione fra le due cellule figlie, come ad esempio il fatto che spermatogoni appartenenti ad una stessa genera- zione hanno dei condriomi di dimensioni sensibilmente simili. II fatto poi che, confrontando fra di loro spermatogoni di genera- razioni successive (di grandezza cioe progressivamente minore), si riceve l’impressione che Fammasso dei condrioconti non sia diminuito quantita- tivamente, nia si che la diminuzione nel volume del citoplasma porti con se un agglomeramento, una densitä maggiore per cosi dire dei condrio- somi nel citoplasma stesso; mi pare che questo fatto, dico, possa essere interpretato coli’ ipotesi che il numero dei condriosomi si mantenga ap- prossiniativamente costante nelle varie generazioni, per mezzo di una divisione trasversale di essi seguita da un loro allungamento nel successivo periodo di riposo nucleare^). 1) Da alcune indagini preliminari che ho condotto su scarso materiale di Sala- mandrina perspicillata, mi sono convinto della presenza negli spennatogoni di condrio- conti in tutto simili a quclli sopra descritti nel Geotriion. 2) Questo allungamento non si verificherebbe affatto, invece, negli elementi che emergono dalle ultime divisioni del periodo di moltiphcazione; infatti — come vedremo nel prossimo capitolo — gli spermatociti all’inizio del periodo di accrescimento posseg- gono dei condrioconti brevissimi. Puö darsi che la causa del mancato accrescimento post-cinetico risieda nella grande rapiditä colla quäle lo ultime mitosi somatiche si SHCcedono l’uha all’altra. Conclriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 37 Ad ogni modo, nelle ciiiesi spermatogoniali si ottiene una giusta ripartizione fra le due cellule figlie dei condriosomi e, poco dopo la mitosi, in molte generazioni un ripristinamento nelle due cellule figlie di un quantitative di materiale condriosomico presso a poco eguale a queUo di cui era dotata la ceUula madi'e. Ma — ripeto — questi sono dati indirettamente raccolti, die condizioni sfavorevoli alla dimostrazione dei condi'iosomi nelle ultime fasi della mitosi, non mi hanno permesso di dedurre obbiettivamente. 2. Aecrescimento dello spermatocita. Sin daU’inizio dei periodo di aecrescimento, esistono negb spermato- citi delle formazioni condiiosomiche. Per quanto non ci sia stato possibile di seguire nitidamente il destino dei condriosomi durante le divisioni spennatogoniaU — e, per conseguenza, neanche dm'ante la divisione che ha dato origine agli Ultimi spennatogoni destinati ad entrare nel periodo auxocitario — pure ho ogni ragione per ritenere che i condriosomi di questi Ultimi siano della stessa natura di quelli descritti negli spermatogoni e che siano con quelli in continuitä attraverso rultima mitosi geniale. La fig. 4 rappresenta due auxociti da breve tempo emersi dal- Fultima divisione somatica e che si trovano in uno stadio presso a poco corrispondente a quelle della fig. 9 dei mio lavoro precedente (’lla). I con- driosomi, sotto forma di brevi filamenti assai fini, sono sparsi a quasi tutto il citoplasma — eccezion fatta per il territorio occupato dall’idiozoma e per un brevissimo spazio ad esso contiguo — e non mostrano alcuna tendenza ad accumularsi ad un polo piuttosto che aU’altro dei nucleo. Come ho accennato altrove (vedi nota a pag. 36), ritengo verosimile che la brevitä dei condrioconti in questo stadio sia dovuto aUa rapiditä colla quäle si susseguono le ultime mitosi goniah; non credo aU’incontro che si abbia, nei primi momenti deha tappa auxocitoria, uno spezzetta- mento di filamenti condriosomici preesistenti. Nei primissimi stadii deiraccreschnento, non sono riuscito a mettere distintamente m evidenza (forse per insufficenza di tecnica) organuli periidiozomici, ne ho potuto indaganie la sorte durante Fultima divisione geniale. L’idiozoma e al contrario evidente [vedi Terxi (’ll, pag. 32)] fin dai primi momenti dei periodo di aecrescimento. Chiare fonnazioni dittosomiche ho potuto dimostrare solo a partire daUo stadio della fig. 4^). 1) Faccio rilevare che l’interpretazione da me fornita altrove diqueste formazioni (’lla), non mi e sembrata iilteriormente — nel corso delle ricerche qui esposte — esatta. Per le mie pregresse indagini (che avevano in special modo di mira — relativamente 38 Tullio Terni Fiii dallo loro prima comparsa, i filamenti periidiozomici preseutano i caratteri strutturali clie serberamio quasi invariati per Tmtero periodo d’accrescimento. Sono formazioni filamentose, incurvate ad ansa oppure ad S piu 0 meno disteso, situate in inimediato contatto della superficie deiridiozoma o^"S'ero a qualche distanza da esso: nel quäle ultimo caso uno degli estremi del dittosoma e vicinissimo all’idiozoma. I dittosomi hanno da priiieipio un calibro relativamente esiguo e ter- minano con estremitä appuiitite. La loro lunghezza e varia e oscilla intonio al terzo deUa circonferenza massima deU’idiozoma; il loro numero (20—30?) non e determinabile esattamente, perche la loro netta düuostra- zione — quäle e quella necessaria per una conta — e incompatibile con uno spessore della sezione tale, da poter garantire la coesistenza di tutti i dittosomi in una sola sezione. I filamenti periidiozomici hanno giä in questo stadio un decorso all'incii'ca parallelo alla superficie della sfera idiozomica; quelli perö fra di loro che si emancipano alcun poco dairimmediata contiguitä del- l’organo centrale, sono spesso diretti radialmente rispetto a quest’ultimo. Sono frequenti poi i casi in cui il filaniento dittosomico e composto di una porzione, prossimale rispetto all’idiozoma, incurvata concentricamente alla superficie di esso e di una porzione distale diretta perpendicolar- mente aUa superficie medesima. I pochi filamenti periidiozomici che, quasi in ogni auxocita nello stadio che andiamo descrivendo, sono situati ad una qualche distanza daU’idio- zoma, vengono a trovarsi circondati strettamente dai condriosomi; da essi perö possono facihnente esser riconosciuti per la loro caratteristica morfologia. In taluni casi si osseiTano dei filamenti dittosomici situati ad una distanza dall’idiozoma maggiore che d’abitudine e che si direbbero emancipati dal rapporto con quest’ultimo. Data la scarsezza di cotali apparenze, non credo di dover attribnire ad esse importanza: sia in vista di un possibile meccanismo di genesi dei condriosomi, sia in rapporto all’even- tualitä di un particolar comportamento biologico dei dittosomi (ditto- cinesi?) — dato il lunghissinio tempo (4—6 mesi) che intercede fra lo stadio che esaminiamo e la prima divisione di maturazione. Xon posso escludere che le manipolazioni tecniche abbiano influenza nel determinare un distanziamento di questi Ultimi daU’idiozoma: basandomi sugli esami al periodo spermatocitogenetico — I’evoluzione della sostanza croniatica) mi ero valso di preparati sovrattutto adatti a studii siii cromosomi. Successivamente, con nna tecnica piü adeguata alle speciali ricerche citologiche riferite in questo lavoro, ho potuto condurre un’analisi piü accurata e fnittiiosa delle formazioni periidiozomiche. Conclriosomi, idiozoma e formazioni periicliozomiche ecc. 39 a fresco, credo probabile che i dittosomi abbiano abituahnente nel vivente rapporto piü o meno intimo, in ogni stadio, colla periferia dell’ idiozoma. La reale esistenza delle individualitä periidiozomiche — cosi come dei condriosomi — mi si e dimostrata fin da questo stadio, per mezzo dell’osservazione a fresco; su ciö insisteremo a proposito di uno degli stadii successivi del periodo auxocitario. Meutre prosegue revoluzione dell’auxocita, si ha di pari passo un mutamento lento e graduale nell’aspetto dei condriosomi, determinato dall’allungamento di essi: do\Tito codesto allungamento — io credo — ad un vero e proprio accreschnento interstiziale o terminale e non alla confluenza lineare dei brevissimi condrioconti preesistenti. Credo di poter categoricamente escludere quest’ultimo processo; in primo luogo perche non ho mai incontrato dei condriomiti nel senso di Benda o, comimque, dei filamenti foggiati a hnea tratteggiata ; m secondo luogo perche il uumero assoluto dei condiioconti non mi sembra sensibilmente diminuito in confronto a stadii anteriori a questi. Piuttosto si e verificata, per l’au- inento del citoplasma, una disseminazione dei condrioconti in esso (vedi fig. 5). I condriosomi cominciano a raccogliersi prevalentemente nella zona paraidiozomica del protoplasma, in modo da fomire all’idiozoma un alone sferoidale. Lo strato piü esterno del citoplasma rimane quasi privo di condriosomi. Durante il lungo spazio di tempo interposto fra lo stadio della fig. 4 e la profase della prima divisione di maturazione, le formazioni ditto - somiche subiscono dei cambiamenti pochissimo accentuati. La fig. 5, che riproduce un auxocita che si trova nello stadio dei filamenti cromatici sottiU, illustra la posizione dei dittosomi a ridosso dell’idiozoma, e la loro forma di filamenti im poco piü lunghi e piü spessi di quelli raffigurati nella fig. 4. Oltrc che dalla loro posizione piü rigorosamente vicina che per l’addietro all’idiozoma, la distinzione di queste formazioni dalle con- di’iosomiche e segnata, ancor piü decisamente che negli stadii precedenti, dal loro calibro alquanto superiore a queUo dei condriosomi. Senza soffemiarci a descrivere tutti gli stadii intermedii, che offrono grande interesse per lo Studio dell’evoluzione cromatica, ma attraverso ai quali il condrioma e l’apparato periidiozomico si evolvono lentisshna- 40 Tullio Terni mente, veniamo a parlare senz’altro dell’auxocita nello stadio delle anse cromatiche spesse (bivalenti) orientate verso l’apparato centrale. II fatto piü evidente che colpisce l’osservatore e il notevole allun- gamento subito dai conchiosomi, che posseggono omiai la fonna di luiighi filamenti ad andamento rettihneo, rigidi, di cahbro uniforme, raccolti all’intorno dell’idiozoma (vedi fig. 6). II numero dei condrio- conti senibra essere approssimativamente lo stesso di quello dello stadio giä descritto; il loro cahbro pure si e conservato inalterato. La dhezione dei coiidrioconti rispetto aU’idiozoma e disordinata; la lunghezza loro oscilla fra limiti piuttosto ristretti. Il numero dei condriosomi nei diversi elementi e sensibihnente costante — come si puö arguire anche da un confronto deUe due ceUule riprodotte daUa fig. 6. I filamenti periidiozomici sono piü ordinatamente che per l’addietro disposti attonio aU’idiozoma, in quanto sono in gran prevalenza diretti paraUelamente alla superficie di esso. Lioltre i dittosomi tendono sempre piü — e questa mi sembra che sia la loro caratteristica piü sahente — ad assumere tutti una identica forma a bastoncino arcuato ad estremitä appuntite. Le figg. 7—9 si riferiscouo ad auxociti al limite quasi estremo dei periodo di accresciniento : in uno stadio cioe in cui le anse cromatiche bivalenti cominciano a perdere rorientamento verso Tichozoma, per orien- tarsi secondo una direzione che sta ad angolo retto con quella precedente (bouquet trasverso). Come risulta anche da un confronto fra le figure 6 e 7, i condi’ioconti hanno subito un notevole incremento iu lunghezza, mentre sono rimasti addensati attorno all’idiozoma. E questo lo stadio dei periodo auxocitario nel quäle l’anahsi dei condriosomi ha potuto essere piü inmuta, per la relativa facilitä colla quäle questi Ultimi si lasciano studiare sia a fresco che in preparati fissati. Ripeto brevemente quanto ho altrove riferito (’12 a): che cioe, dal- Fesame a fresco mi sono convinto come la morfologia dei coiidrioconti (e dei dittosomi), quäle appare nel materiale congruaniente fissato che ha servito alle mie indagini, coincida perfettamente con Faspetto che i medesimi organuli hanno nel vivente. A partire da questo stadio i condrio- sonii posseggono un notevole grado di rifrangenza e sono dotati di una certa consisteiiza in confronto al citoplasma ambiente — il quäle si pre- senta sensibihnente oniogeneo sia a fresco, che nei preparati fissati nei qiiali sono lien evidenti i conchiosomi. Converrä insistere alquanto sulla morfologia dei coiidrioconti a questo stadio, dappoiche essa si manterrä assolutamente costante per tutto il J Condliosomi, idiozoma e formazioni perriidiozomiche ecc. 41 periodo di maturazione e di trasformazione dello spermatide. Si tratta di filamenti piuttosto lunghi, al niassimo poco piü dei piü lunghi coiidrio- conti osservabili nelle fig. 7—9, spesso alquanto piü brevi. Difficilissimo e stabilire i limiti entro i quali la lunghezza varia; io ritengo pertanto — an che per fatti rilevati a 'posteriori — che i limiti siano assai ristretti: molto piü di quello che non mostrino le figure, nelle quali l’apparente svai'iatissima lunghezza dei condrioconti e determinata naturahnente dalla diversa prospettiva secondo la quäle essi sono visti, oppure dall’essere stati mutilati piü o meno profondamente dal tagho. II calibro dei condrio- conti e approssimativamente costante; le differenze che a volte si no- tano a questo proposito fra preparato e preparato (quasi mai negli ele- menti di una medesima sezione) sono da attribuirsi alle diversitä di fissa- zione o di differenziazione dal colore. In questo, conie nei precedenti stadii, i condrioconti hanno una super- ficie assolutamente liscia e mai sono risolvibili in granuli ne a fresco ne previa fissazione, neppure cogli ingrandinienti piü potenti ne con le piü forti sorgenti di illuminazione. Questa constatazione porta natural- mente ad escludere nel nostro caso — come ho accennato piü sopra — un processo di allineamento di granuli destinati a confluire; alla medesima conclusione ci inducono anche le osservazioni piü sopra riferite suU’evolu- zione dei condrioconti, che ci hanno dimostrato l’assenza di granuli con- driosomici durante l’intero periodo auxocitario. II decorso dei condrioconti e nella maggioranza dei casi rettili- neo; dal che deriva quell’ aspetto rigido, come di ago, che i condriosomi posseggono : di un ago posseggono anche le estreniitä appuntite. Si man- tengono indipendenti l’uno dall’altro lungo tutto il loro decorso; pur tuttavia si stabiliscono talvolta fra condrioconti vicini dei rapporti di contiguitä che non sapremmo come interpretare. Si osservano" cioe qua e la delle coppie di condrioconti paralleli e strettamente rawicinati fra loro; altre volte due condrioconti convergono in modo da formare un angolo acuto, il cui vertice e costituito dalle estreniitä corrispondenti di due condrioconti — cosi vicine da toccarsi. Come negli stadii precedenti, i condriosomi sono affoUati in quella parte dei citoplasma ove e situato l’idiozoma e lo circondano da ogni parte, pur essendo di solito scarsissimi o fin’anche assenti nello spazio (talora virtuale) compreso fra idiozoma e nucleo. La direzione che i condrio- conti assumono rispetto aH’idiozoma e svariatissima, e non ho potuto chiarire se prevalga la direzione radiale o tangenziale di fronte all’organo centrale; a volte si riceve Timpressione che i condrioconti siano in preva- lenza diretti con una certa inclinazione armonica verso la periferia dei- 42 Tullio Tenii ridiozonia. La estreiiiitä clei condrioconti rivolta prossimalinente si arresta sempre ad una qiialche — se pure piccolissima — distanza dal- ridiozoma. Inoltre, per quaiito prevalentemente accumulati attorno all’idiozoma, talimi condrioconti sono talvolta situati anche nella porzione piu peri- ferica del citoplasma paraidiozomico, oppure anche nel sottile strato proto- plasmatico che involge distahnente il nucleo. I condrioconti situati nello Strato piü periferico del citoplasma contiguo all’idiozoma, presentano a volte la particolaritä di terminare obliquamente o perpendicolarmente in esatta corrispondenza della superficie cellulare — quasi inserendosi, per cosi dire, alla periferia citoplasmatica. Altre volte i condrioconti piü periferici paraidiozomici sono diretti parallelamente alla periferia cellulare (vedi fig. 7). Quello che andiamo descrivendo e lo stadio nel quäle sono riuscito ad anahzzare con maggior successo le formazioni periidiozomiche. Queste ultime hanno assunto ormai tutte la forma di fUamenti arcuati, notevol- mente piü spessi nella loro parte centrale che non alle estremitä, foggiati a colpo d’unghia, e come modellati alla periferia delFammasso idio- zoniico sferoidale. Come per gli stadii precedenti, anche in questo l’esame sul vivente fornisce pei dittosomi dei dati, che collimano perfettamente con quelh desunti daUo Studio dei preparati su cui sono fondate queste osservazioni. L’aspetto sotto cui si presenta l’aggregato dei filamenti periidiozomici e naturalmente diverso, a seconda che la sezione comprenda solo la por- zione equatoriale dell’idiozoma (vedi fig. 7) oppure comprenda in se un emisfero o una calotta deH’idiozoma stesso (vedi fig. 9). Le immagini che megÜo danno idea della realtä sono evidentemente quelle che si hanno in quest’ultimo caso; perö, per lo studio minuto degli organuli periidio- zomici servono forse meglio le prime, piü facihnente rmvenibih nelle sezioni t molto sottili. L’indipendenza morfologica e la conseguente riconosci- bilitä dei dittosomi dai condriosomi, sono anche in questo stadio asso- j lute; quasi mai si puö restare in dubbio sulla vera essenza delle formazioni ( in esame. In questo momento evolutivo mai si trovano filamenti peri- *1. idiozomici distanziati dalla sfera. ^ Eiguardo al nuniero dei dittosomi, suppongo che esso sia approssi- | mativaniente costante nei diversi elementi e non si discosti dal numero | che si riscontra in stadii antecedenti. Eelativamente alla lunghezza dei i dittosomi, riteniamo che essa non subisca variazioni notevoli; cause d’er- ^ rore nel giudicare sia dello spessore che della lunghezza dei suddetti sono J 1 Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 43 sovente rappresentate dal vario grado di differenziazione dal colore, nonclie dal diverso augolo sotto ü quäle qiiesti organuli si prospettano — quando siano visti di scorcio — aU’occhio dell’osservatore. 3. Divisioni di maturazione. AUorquando ha inizio la scissione longitudinale dei filamenti cronia- tici bivalent! nei futuri cromosomi delle diadi eterotipiche [vedi Terni (’ll a)], coniincia la Serie dei caratteristici spostamenti dei condi'iosomi, che si susseguono gli uni agli altri durante l’intero periodo delle divi- sioni di maturazione, costituendo una sorta di condriocinesi. L’esposi- I zione dei destino dei condrioma nel corso di codesto periodo sarä possibil- mente piu esauriente di quel che non sia stato nella mia nota preliniinare (’ll b) — specialmente per quel che riguarda il comportaniento profasico dei condrioconti. Confrontando fra loro le figure 7 e 10, il lettore si renderä chiaramente conto degli spostamenti subiti, all’approssimarsi della prima divisione maturativa, dai condriosomi. Questi Ultimi sono venuti a situarsi in una posizione rispetto al nucleo e all’idiozoma che e per cosi dire la eomplementare di quella che antecedentemente possedevano. Mentre per l’addietro la quasi totalitä dei condrioconti era agglonierata in prossimitä dell’idiozoma, mentre pochissimi ne esistevano a distanza da esso, ora si ha invece un affollamento dei condrioconti — ammettendo che ne nucleo ne idiozoma si sieno spostati nel frattempo — nella porzione di citoplasma dove prima i condrioconti erano scarsissimi e, viceversa, e rimasto quasi deserto il territorio paraidiozomico dei citoplasma. Ri- teiigo che questo fatto sia determinato da uno spostamento dei con- drioconti, piuttosto che da uno spostamento deiridiozoma attorno al nucleo o da una rotazione di quest’ultimo accompagnata da una trasla- zione dell’idiozoma. Questa mia opinione e principalmente fondata suUa constatazione che l’idiozoma rimane, durante il processo descritto, neUa parte dell’auxocita nella quäle il citoplasnia e piü abbondante; mentre i condrioconti al termine dei processo stesso vengono a trovarsi situati nel sottile strato di citoplasma che involge distalmente il nucleo. Quivi i condrioconti sono stipati in una specie di coppa quasi emisferica nella quäle e accolto il nucleo ; nell’interno della coppa i condriosomi sono diretti in prevalenza concentricamente (quando siano un poco incurvati) 0 tangenzialniente (quando si mantengano rigidi) alla superficie dei nucleo. Il distanzianiento dall’idiozoma non si effettua perö rigorosaniente per tutti i condrioconti: di essi alcuni rimangono in prossimitä dell’organo 4i Tullio Terni centrale, talvolta raccolti in maggior numero di quanto non mostri la fig. 10. I condriosomi hanno conser\"ato la forma che possedevano alla fine del periodo di accresciniento ; solo in numero im poco maggiore di prima sono incurA’ati leggermente, evidentemente per ragioni meccaniche deter- minate dallo stipamento in piccolo spazio di formazioni piuttosto lunghe. Nonostante perö la forte agglomerazione dei condiioconti, questi Ultimi conservano rigorosamente la loro reciproca indipendenza morfologica. Nello stadio rappresentato nella fig. 10, i dittosomi sono ancora nettaniente visibile e si presentano — come in passato — sotto forma di bastoncini arcuati. Per l’aumento in volume dell’idiozoma, che si e plan piano determinato (aumento che immediatamente precede il primo abbozzarsi neU’interno di esso del fuso centrale), i dittosomi sembrano essere sospinti dalla superficie dell’idiozoma stesso e, m conseguenza di ciö, si sono un poco distanziati Funo dalFaltro. Con lo stadio illustrato daUa fig. 11 si e oltrepassato il periodo della cosiddetta tensione nucleare e il nucleo si e a\"\'allato leggermente, in corrispondenza del suo polo prossimale, in una escavazione che accoghe Fidiozoma giä notevolmente ingrandito. Nel nucleo sono giä bene individualizzate le diadi cromosomiche eterotipiche^). I conchiosomi sono — come neUn stadio or ora descritto — ancora in gran parte addensati attorno alFemisfero distale del nucleo, al quäle 1) Come risulta dalla fig. 11, ciascun cromosomo figlio I profasico delle diadi eterotipiche, mostra a sua volta le tracce di una scissione longitudinale interessante i singoli cromioli, alla quäle e dovuta la prima comparsa dei cromosomi figli II che si separeranno nella seconda divisione maturativa. Come e noto, codesto processo e stato osservato in un larghissimo materiale, specialmente di Invertebrati. Nel mio lavoro precedente (’lla) non ero riuscito ad osservare tanta precocitä nella formazione dei cromosomi figli II, nia riconoscevo l’esistenza di questi Ultimi solo a partire dal> l’inizio dell’anafase. Poichö la constatazione di una scissione profasica dei cromosomi figli I nei futuri cromosomi figli II ha una grande importanza, qualora la si consideri alla luce delle idee di Gregoire e degli Schreiner sul meccanismo della riduzione cro- matica; ho voluto riferirne in questo lavoro — nel quäle pur tutta\aa non ci siamo occupati che del citoplasina e delle sue parti differenziate. Inoltre voglio far rilevare che, d’accordo con codesta scissione profasica, ho osservato talvolta nel comportamento delle cstremitä dei cromosomi profasici I di una stessa diade, degli intrecci che spiegano talime apparenze dei cromosomi metafasici eterotipici. Le raodalitä di questi intrecci corrispondono a quelle riconosciute anche in altro materiale gonocitario: ad alcune di quelle, per esempio, minutamente descritte da Gr.\nata (’IO) nelle tetradi del Farn- phagus. Coiulriosomi, idiozoma e formazioni periidiozoniiche ecc. 45 formano la su descritta coppa: essa e div'enuta assai piu spessa nel suo fondo che non verso l’orlo; talche, in sezione meridiana in rapporto al maggior asse deU’elemento, la coppa assume l’aspetto di una falce lunare. I condrioconti situati in prosshnitä deU’idiozoma sono alquanto aumentati in numero — evidentemente per il ritonio, nella loro sede primitiva, di alcuni dei condrioconti contenuti nell’orlo della coppa perinucleare condriosomica. Fin da questo niomento comincia a delinearsi una certa tendenza aUa direzione approssiinativamente radiale rispetto all’idio- zoma, dei poclii condriosoini che si trovano vicini a quest’ ultinio. Uno sguardo aUa fig. 11 ci rivela che i dittosomi non sono piü visibili. Infatti, aUorquando la sfera ha raggiunto un considerevole voluine, press’a poco corrispondente a quello che e rappresentato neUa fig. 11, ho consta- tato che i filamenti periidiozoinici coininciano a divenire irreperibih. Suppongo che essi vadano incontro ad una frammentazione o, meglio, ad uno sgretolamento ; risultato dei quäle sono verosimilmente molti dei granuli i quah, di pari passo colla scomparsa dei dittosomi, divengono via via piü numerosi nello strato periidiozomico dcl citoplasina. Anche con l’esame a fresco mi sono reso conto deUa scomparsa di codesti organuli a partire dai primi momenti deUa profase; si aggiunga che ho osservato spesso delle forme che ritengo di transizione fra i ditto- somi ed i granuli che da essi deriverebbero. La fase deUa scomparsa dei filamenti dittosomici coincide con quella dei maggior volunie assunto daU’idiozoma per il dehnearsi, neU’üiterno di esso, dei fuso centrale teso fra i due centrioh. Credo non inopportuno riprodurre una figura dalla quäle appare chiaramente Forigine endoidiozomica dei fuso centrale (vedi fig. 13bis); SU tale processo intendo qui soffermarmi un poco, riferendo breve- mente le opinioni di altri Autori in proposito. Dalle ricerche di Rawitz (’96) non e possibile di farsi un’idea chiara dei precisi rapporti esistenti fra sfera centrale (idioÄoma) e origine dei fuso centrale negli sper- matociti di Salamandm, dappoiche gli ammassi che secondo Rawitz darebbero origine ai corpuscoli polari e ulteriormente coopererebbero all’accrescimento dei fuso, mi sem- brano difficilmente identificabili colla sostanza costituente la sfera disgregata — come vuole l’autore. Il fuso avrebbe origine tuttavia nell’area di citoplasina concentrico contiguo all’idiozoma e, fin dal suo primo apparire, avrebbe le stesse dimensioni (al- meno in lunghezza) dei fuso metafasico. In un altro lavoro Rawitz (’98) afferma ehe la sfera attrattiva (idiozoma) degli auxociti di Salamandra non e un corpo compatto, ma e costituito da fini granuli situati attorno al nucleo, i quali alla profase si addensano ad un polo di quest’ ultimo in una formazione affusata, che a poco a poco si trasforma 46 Tullio Terni nel fiiso acromatico; i corpuscoli polari di esso non deriverebbero da centrioli preesi- stenti (che non esisterebbero secondo l’Autore). Perö MEVEs(’99a) oppone a queste idee che Moore (’95) ha dimostrato l’esistenza di sfere compatte negli spermatociti appartenenti allo stesso materiale spermatogenetico usato da Rawitz. Meves (’96) nega, per gli spermatociti di Salamandra, che i frammenti nei quali si spezza nella profase l’idiozoma partecipino alla formazione del fuso ; al con- trario essi permangono come tali durante la mitosi, nella quäle si ripartirebbero fra le due cellule figlie. Non avrebbe luogo la ricostituzione di im idiozoma compatto dopo Tespletamento della prima divisione maturativa. A me sembra che le figure 9 e 10 de) lavoro di Meves, tolte da profasi di grossi spennatogoni, dimostrino una almeno parziale origine endoidiozoniica del fuso centrale. Altri Autori parlano di una partecipazione dell'idiozoma (arcoplasma di taluni di essi) alla costituzione del fuso centrale, intesa nel senso di una diretta trasformazione deH’organo centrale stesso nelle fibre del fuso; cosi per esempio Moore (’95) nella prima divisione maturativa degli Elasmobranchi, Calkins (’95) nel Lombrico. Mentre Meves (’97b) riteneva che il disintegrarsi dell’idiozoma permettesse ai centrioli di liberarsi e di entrare in diretta unione colle radiazioni protoplasmatiche, per completare la figura acromatica giä iniziata coll’abbozzarsi del fuso; Lenhossek (’98) descrive al contrario negli spermatociti del Ratto una uscita dei centrioli dalla sfera, la quäle conserva la sua integritä fino alla metafase, si diffonde quindi nel cito- plasma — per ricostituirsi poi in un corpo compatto negli spermatociti del secondo ordiiie. Regaud (’IO) divide le medesime idee di Lenhossek, nel suo studio sulla Sperma togenesi dei Mammiferi. Secondo Montgomery (’98), l’idiozoma degli spermatogoni e degU spermatociti del primo ordine di Pentatoma, non prende parte alla formazione del fuso, poiche i centrioli emigrano dal loro involucro e le fibre acromatiche si tendono fra di essi, mentre si allontano l’imo dall’altro. Bolles Lee (’98, -02) ritiene — come abbiamo esposto altrove riferendoci a lavori precedenti (’95, -96) dello stesso Autore — che il Nebenkern dei Gasteropodi polmo- nati (idiozoma) sia un pacchetto di raggi fusoriali in degenerazione, che non ha nessun importante ufficio neH’economia degli spermatociti. Byrnes (’OO) descrive l’abbozzo del secondo fuso dl maturazione dell’uovo di Limax contenuto dentro una centrosfera, che e e\üdentemente un idiozoma. Gurwitsch (’OO), studiando le divisioni oogoniali dei Mam- miferi, suppone che dall’idiozoma derivi una parte o fors’anchel’intera figura acromatica. Sostenendo Torigine endoidiozomica del fuso centrale, vengo ad ammettere che l’idiozoma abbia un importante ufficio nella formazione del fuso stesso: forse di significato assai piü profondo che non quello di una semplice azione protettiva. Non ho perö dati sufficienti per definire la portata reale della partecipazione materiale deU’idiozoma alla formazione del fuso centrale; credo tuttavia che la sostanza idiozomica non si esaurisca tutta nella produzione del giovane fuso centrale i), nia che di essa una parte permanga anche m stadii profasici assai avanzati. Vedi'emo che 1) In queste ricerche — come neanche nelle mie precedenti — non mi ^ riuscito di dimostrare l’esistenza dei due mezzi fusi perlferici nella profase della prima dmsione di maturazione. Condliosouli, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 47 in questi Ultimi stadii (vedi figg. 12—15), i grossi granuli, derivanti dalla frammentazione dei dittosomi, situati in prossimitä della periferia del- ridiozoma, vanno riducendosi in granuli via via piu minuti di pari passo aU’incremento del fuso e rimangono a formare un alone tutto all’ intomo del fuso neoformato ; ne sono ben separabili allora dai residui di sostanza idiozomica, che permangono ancora per lungo tempo. CoU’ inoltrarsi deUa profase della prima divisione di maturazione, il condrioma sottostä a interessant! modificazioni del suo assettamento. Xella fig. 12, neUa quäle le diadi eterotipiche hanno ormai il carattere di croniosomi definitivi, si vede che, pur persistendo una cospicua coppa condriosomica distale, un notevole numero di condrioconti e toniato ad affollarsi in prossimitä deiridiozoma — sfuggendo evidentemente dall’orlo della coppa stessa. Non perö esclusivaniente in quest’ ultima guisa ; perche fin da questo stadio e cominciato il processo, che vedremo piu pronunciato ulteriormente, del passaggio dei condriosomi dal fondo della coppa attraverso l’area prima delimitata dalla membrana nucleare, in direzione deiridiozoma. Fin da questo momento si determina adunque rorientamento con sensibile prevalenza radiale dei condrioconti verso l’idiozoma; non tutti perö sono ancora orientati: molti di essi sono ancora imprigio- nati entro la calotta perinucleare condriosomica. La disposizione radiale dei condrioconti attorno all’idiozoma e chiaramente riprodotto neUa fig. 13, che e tolta da un elemento, tagliato perpendicolarmente al maggior asse, che si trova in uno stadio prossimo a quello della fig. 12. La constatazione dell’orientamento profasico dei condrioconti verso l’idiozoma e un fatto sul quäle conviene di soffermarci. Mentre il rapporto che i condriosomi grannlari contraggono coll’apparato centrale e stato assai stiidiato, specialmente da Benda (’03); i rapporti dei condrioconti — lä dove si e dimostrato che sono tali — coU’apparato centrale della cellula (idiozoma, centrioli e relativamente corpuscoli polari) non sono che scarsamente conosciuti. Benda credeva che i mitocondri allineati costituissero i filamenti dell’aster protoplasmatico polare nelle mitosi spermatogoniali e spermatocitiche della SaJamandra. L’Autore che meglio ha visto dei condrioconti orientati verso il sistema centriolarei) e stato Meves (’lOb), il quäle, nelle cellule dello strato limitante linfatico del fegato larvale e nei grossi leucociti mononiicleati di Salaniandra, ha messo in e\'idenza dei condrioconti leggermente flessiiosi, diretti radialmente verso la centroteca circon- 1) Anche Dubreuii- (’ll) illustra dei condrioconti in parte radialmente raccolti attorno alla «centrosfera» (idiozoma) in un fibroblasta di embrione di Montone. La concisione del testo e la figura appena schizzata lasciano incerti perö sulla reale essenza dell’ organulo centrale. 48 Tullio Terni dante i centrioli, e situati fra mezzo alle radiazioni che in certi leucociti fanno capo ai centrioli c che sono ben conosciute per gli stiidii di M. Heidenhain (’92). Meves, anche in pubblicazioni precedenti (’07c, ’08), riteneva che i condrioconti non rappresen- tino l’unica struttura filamentosa della cellula, ma che esistano accanto ad essi altri filainenti indipendenti dal condrioiua, invisibili a fresco, i quali sono rappresentati dai raggi protoplasmatici che hanno capo ai centrioli deUe ceUule in di\'isione o anche in riposo. A questi ultinie formazioni Meves (’08) propose di riservars il classico nome di «massa filare» o «niitoma». Su questo modo di vedere ritorna Meves anche in uii lavoro piü recente (’12b)e insiste suUa convinzione che i condriosomi siano sempre contenuti fra le radiazioni protoplasmatiche — come appunto awiene nei leucociti di Salamandra (’12, fig. I nel testo) oppure nelle mitosi di cellule connettivali dell’em- brione di Polio (’12, fig. II nel testo)^). Quantunque io non sia riuscito a diniostrare nell’auxocita profasico delle radiazioni protoplasmatiche cosi evidenti quali sono, per esempio, quelle dei leucociti di Salamandra [Heidenhain (’92)] o quelle degli spermatociti di Salamandra [Meves (’96)]; pure nei preparati trattati coi coniuni liquidi osmici che servirono alle mie ricerche suUa spermato- genesi del Geotriton (’ll a) (nei quali il protoplasina assunie una struttura filamentoso-reticolare), esiste iiella profase di maturazione un deciso orientamento radiale delle trabecole citoplasmatiche (vedi fig. verso la superficie delT idiozonia — in corrispondenza | della quäle superficie le trabecole stesse si arrestano, come inserendovisi^). Questo irraggiamento protoplasmatico non si lascia apprezzare nelle cellule sottoposte ad un trattamento atto a mettere in evidenza i condrio- conti; in esse — come abbiamo sopra veduto — il protoplasina interposto ai condriosomi appare di struttura omogenea: di identico aspetto cioe a quello che presenta nelFesame a fresco (vedi Terni ’12a), col quäle non e apprezzabile nessuna struttura filamentosa all’infuori dei condrioconti. Per quanto adunque io non sia riuscito a diniostrare contemporanea- niente radiazioni protoplasmatiche e condrioconti, m modo da poter m modo assoluto escludere una qualsiasi identitä fra i due ordini di formazioni; ciö nonostante ritengo che si tratti di organi distinti: gli uni (condrio- i conti) visibili anche a fresco, gli altri (raggi) rivelabili solo con un oppor- tuno trattamento tecnico. Un confronto fra le figure 13 e 13 bis persuaderä S Sulla fondatezza della mia opinione. I condrioconti sono assai piü brevi j 1) Weber (’13) ha recentementedescritto, nei leucociti di Gongylus, dei condriosomi talvolta filamentosi radialmente orientati attorno alla sfera attrattiva (idiozoma); i condriosomi stessi riposerebbero sui fini filainenti dell’aster, poco nitidamente dimo- strabili. 2) Al contrario cioe di quanto hanno veduto Heidenhain (’92) e Meves (’lOb) ( nei leucociti di Salamandra, Drüner (’95) negli spermatogoni — i quali Autori ammet- j tono che i raggi protoplasmatici facciano capo ai centrioli. ' i Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 49 infatti dei raggi protoplasmatici, i quali si spingono dal contomo del- ridiozoma fino alla periferia cellulare; il numero dei prinii e incom- parabilmente nrinore di queUo dei secondi, i quali costituiscono quasi l’intera massa dei citoplasma — si da rappresentare ima vera e propria stnittura di quest’ultinio. Inoltre Torientamento dei condrioconti non e rigoroso come quello delle trabecoie citoplasmatiche. Relativaniente al meccanismo inediante il quäle si determmano le mano\Te profasiche di orientamento dei condrioconti e di assettaniento radiale dei citoplasma, e relativamente alla questione se l’una manovra possa aver Influenza suU’altra, non voglianio qui discutere, perche ci mancano i dati su cui basarci; solo voglio insistere su di un fatto che Credo importante: la constatazione cioe della coincidenza nel tempo fra il determinarsi deirorientamento in senso radiale dei condrioconti e il primo apparire delle radiazioni citoplasmatiche periidiozomiche. Con l’inoltrarsi deUa profase, noi vediamo aecentuarsi il processo, giä prima iniziato, della fuoruscita dal fondo della coppa condrio- somica di alcnni condrioconti, che si spostano verso Fidio- zoma passando attraverso all’area per Faddietro ben delimitata dalla membrana nucleare. La fig. 14 mostra, in confronto alla fig. 12 (piü sopra presa in esanie), un progresso nelFattivitä migratoria dei con- drioconti, i quali, non appena hanno abbandonato lo strato condiio- somico periferico nel quäle erano allogati, si dirigono — disponendosi col loro asse nel senso della traiettoria loro — verso Fidiozoma, nel quäle giä si e delineato il fuso centrale (mvisibile perö neUa fig. 14). I condrio- conti si awüano verso Fidiozoma, passando fra i cromosomi profasici che scno ormai liberi nel citoplasma. Di pari passo colla disintegrazione della coppa condriosomica e il susseguente orientamento radiale di nuovi conchioconti attomo all’ idio- zoma, quest’ultimo viene a poco a poco a trovarsi situato piü profonda- mente neU’elemento profasico, fmo ad assuniere una posizione quasi centrale nel citoplasma. I cromosomi si sono nel frattempo sparsi nel citoplasma e si sono disposti concentricaniente aU’idiozoma — come e visibile nella fig. lö (nella quäle, colla tecnica seguita, non fu possibile di mettere in evidenza il fuso centrale endoidiozomicoi). Xegli interstizii fra i cromosomi sono situati i condrioconti, alcnni dei quali arrivano fino aUa periferia cellu- 1) Nei preparati che servono alla dimostrazionc dei condriosomi, e possibile di mettere chiaramente in e^^denza il fuso centrale solo allorquando esso e giä assai evoluto. Archiv f. Zellforschung. XII. 4 50 Tnllio Terni lare ; i loro caratteri morfologici si mantengono al solito identici a quelli degli stadii antecedenti. Xella fig. 15 si nota la presenza di imo straterello di materiale granu- loso applicato contro la periferia cellulare, nel quäle appaiono indecisa- mente alcuni condrioconti. Ritengo probabile che questa formazione — che si incontra assai spesso — rappresenti il residuo della primitiva calotta condriosomica, disintegratasi per la diffusione nel citoplasma degli organuli che coiiteneva. Contmua frattanto rincremento in grandezza del fuso; parallela- mente a ciö si commcia a notare un perturbamento nella direzione preva- lentemente radiale dei condi'ioconti attorno aU’organo suddetto. Si osserva cioe che i condi’ioconti tendono a raggrupparsi in prevalenza ai poli del fuso (vedi fig. 16) e ad orientarsi verso i corpuscoli polari, pur rinianendo sparsi in un certo numero per tutto il citoplasma. Ormai coniincia l’apposizione dei croniosomi eterotipici al fuso cen- trale che si e rapidamente ingrandito (vedi fig. 17); i condrioconti non subiscono notevoli spostamenti dallo stadio or ora descritto. Nella fig. 17 si vedono alcuni condrioconti sovrapposti al fuso : niai essi — ne in questo ne in stadii ulteriori, sia deUa prmia che deUa seconda divisione — in- vadono il territorio occupato dal fuso. Sussiste adunque la regola della impenetrabilitä del fuso da parte dei condrioconti. Ab- biamo visto del resto che ciö vale an che per l’idiozoma, in ogni mo- niento della vita cellulare. Il processo mitotico incalza; sianio giä in piena metafase: le diadi eterotipiche sono giä apposte al fuso nel piano equatoriale (vedi fig. 18) - e i condriosomi sono sparsi nel citoplasma, prevalentemente accuniulati ai poli e con spiccata tendenza alForientamento verso di essi^). Al ternime della metafase, col primo accenno dell’anafase, ha mizio la parte della tattica condriosomica che costituisce la parte piü saliente delle mie osservazioni. Non appena i cromosomi figli I si distaccano l’uno : . . . . i 1) Per i rapporti topografici fra condrioconti ed aster protoplasmatici polan — * da rae visti, questi Ultimi, cd illustrati precedentemerite (’Ha) — valgano le stesse | considerazioni da me fatte per le radiazioni profasiche. Aggiungo qui che la coincidenza da me rilevata fra orientamento dei condrioconti verso i corpuscoli polari e comparsa degli aster protoplasmatici polari, mi sembra che confermi la supposizione ammessa da Meves (’97b, ’99a), d’accordo con numerosi Autori e successivamente da diversi altri confermata, che i raggi polari facenti capo ai centrioli siano neoformati durante la niitosi: non derivino cioe da una struttura filare preesistente. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozoniiche ecc. 51 dall’altro in ogni cliade eterotipica (svolgendo i loro attorcigliamenti temiinali o discontinuando le loro temporanee saldature) e cominciano a risalire ai poli (giä completamente scissi, dalla fenditura che abbiamo visto accennata fin dalla profase, nei cromosomi figli II), i condiioconti cominciano a spostarsi (fig. 19) secondo le norme seguenti: Dalla primitiva posizione prevalentemente polare che occupavano, i condrioconti vanno pian piano emigrando verso il piano equa- toriale della figura cinetica; nella loro traslazione, essi si manten- gono col loro asse diretto secondo la hmghezza del fuso. La fig. 20 illustra come i gruppi di condriosomi prima sitiiati polarmente, tendano a con- fhiire neUo spazio di citoplasma che circonda il fuso nella sua porzione paraequatoriale e come, per far ciö, i condrioconti si spostino mante- nendosi paraUeli alle fibre mantellail (invisibili nelle figure) delle due metä del fuso, e cioe : leggermente inclinati daU’intemo e dall’ alto (o dal basso) verso l’esterno. In tale dislocazione i condrioconti seguono rrno spostamento anta- gonistico a queUo subito dai cromosomi. In piü codesta traslazione e approssimativamente sincrona con quella dei cromosomi; hrfatti — come si vede nella fig. 22 — Taccrrmulo dei condrioconti nel piano equa- toriale della figura acromatica e quasi compiuto, allorche i cromosomi hanno raggiunto i poli del fuso. La fig. 21 riproduce una ascesa polare delle dodici coppie di cromo- somi II, dominata dal piano equatoriale, in un elemento che e colpito dal taglio in corrispondenza di quest’ultimo ; in tale figura si vedono i condrioconti sorpresi in un momento della loro traslazione che di poco precede lo stadio della fig. 20, e si ha un idea approssimativa del loro irumero. Nel momento in cui si determma il primo accenno al solco equa- toriale che dividerä il citoplasma, i condrioconti sono quasi tutti orien- tati nel piano equatoriale aU’intomo del fuso centrale. La fig. 23 e tolta da un elemeirto anafasico in cui e appena iniziato lo strozzamento annulare del citoplasma (la seziorre e perpendicolare aU’asse del fuso e comprende in se la porzione dell’elemento attigua al solco equatoriale) e mostra il mantello perifusoriale dei condrioconti, molti dei quali veduti in sezione ottica. Tanto rapidanrente si determina la dmsione del corpo cellulare e incalza essa si dappresso nella eterotipia la manovra di orientamento dei condrioconti, che non rni e stato possibile di accertarmi recisamente del fatto che sono portato a supporre: che cioe tutti i condrioconti 52 Tiülio Terni si trovino ad un dato momento colla loro porzione media posta nel piano equatoriale. CoU’effettuarsi dclla separazione dei citoplasmi delle due cellule figlie, ci troviamo nel culniine della tattica dei condrioconti, rappresen- tata dalla loro divisioue trasversale nel piano equatoriale della figura cinetica. Mentre perö non per tutti i condrioconti situati piü periferica- niente lio potuto in via di assoluta certezza dimostrare nna divisioue trasversale, per queUi situati piu profondamente (in vicinanza cioe dei fuso centrale) ho invece potuto convincermi di un tal fatto. Per i condriosomi ehe si trovano situati m quest’ulthna posizione, vi e tempo sufficiente per osseiTare il rigorose orientaniento prhna che arrivi fino a loro rmvaginazione della niembrana cellulare; mentre invece per i condrioconti situati piü vicino alla periferia cellulai’e suppongo che la scissione in due metä trasversali avvenga istantanea- mente dopo che essi si sono orientati nel futuro piano divisorio dei cito- plasmi. In tal modo, se per la prima categoria dei condrioconti vi e agio di osservare distmtamente il conseguimento della posizione oppor- tuna per ima divisioue trasversale — per i secondi invece (queUi cioe situati piü superficiahnente nella ceUula), fra orientaniento e diidsione non intercede il tempo necessario alla dmiostrazione obbiettiva dei loro comportamento, forse simüe a quello della prima categoria di con- drioconti. La fig. 24 mostra paleseniente la disposizione rigorosaniente equato- riale dei condrioconti contigui al fuso (molti dei quali appaiono nella figura stessa sovrapposti ad esso). Un altro fatto che ho accertato (e che contribuisce a rendere difficile la diniostrazione obbiettiva della divisioue trasversale di tutti quanti i condrioconti) e che le due metä trasversali di molti dei condrioconti si allontanano runa dall’altra non appena separate. Si puö arguire codesto processo da un esame della fig. 24, nella quäle noi vedianio dei condrio- coiiti evidentemente giä divisi che si sono giä aUontanati alquanto dal piano equatoriale divisorio. In stadii anafasici un poco piü precoci di quello della figura suddetta (in un momento cioe nel quäle e ancora assente ogni traccia di solco divisorio, ma che precede hnmediatamente un tal processo) e perö da escludere che esistano dei condrioconti situati a notevole distanza dal piano equatoriale. La ragione per la quäle molto spesso i condrioconti appaiono — ancor prima di esser divisi — notevohnente piü brevi (vedi fig. 24) che non in stadii precedenti, e rappresentata dairincurvamento ehe i condrio- conti molto spesso mostrano hnmediatamente prima della loro divisioue Coiuliiosomi, icliozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 53 trasversale: per modo che, se visti in proiezione, appaiono tanto piu corti quanto piü sono incurvati. La fig. 25 illustra im momento appena successivo allo stadio della fig. 24, nel quäle i condrioconti sono giä quasi tutti divisi. Nello stesso elemento si ossei'va un fatto (che anche piü spiccato appare nella fig. 26) apparenteniente contrario all’asserzione di una divisione trasversale dei condrioconti: il fatto cioe che i condrioconti eniersi dalla divisione sono assai piü lunghi della nietä delle lunghezze apparenti dei condrioconti nietafasici. Io sono propenso a ritenere (in via naturahnente congetturale) che ciö dipenda dalla proprietä che avrebbero i condrioconti di accrescersi in hmghezza imraediatamente dopo la loro divisione. Eammentando rallungamento progressive che abbiamo ammess o per i condrioconti dei periodo di accrescimento, non ci sembra improbabile il verificarsi di codesto processo. Del resto noi non abbiamo alcun dato sicuro per asserme (almeno per la mitosi eterotipica) che la divisione avvenga nella parte esattamente centrale di tutti i condrioconti ; invero una divisione ineguale potrebbe dare origine a dei condrioconti figli di dimensioni superiori a quelle che avrebbe la nietä esatta di un condiioconto mdiviso. Un’ altra causa che ci potrebbe far errare nel farci supporre una di- versitä notevole fra la hmghezza di un condriosoma figho e la lunghezza della nietä di un condriosoma non ancora diviso, puö esser costituita dal fatto che nelle sezioni non si ha mai (data la loro relativa sotti- gliezza, compatibile con una netta dimostrazione dei condriosomi) l’esatta nozione della lunghezza dei condrioconti e che i filanienti piü Imiglii sono piü faeihnente frazionati dal taglio che non i condrioconti piü brevi. Con ciö voghamo concludere che Fapparente egiiale lunghezza dei condrio- sonii-padi'e e di quelli che secondo noi sono i condiiosomi-figho, non e di ostacolo alla nostra asserzione della divisione trasversale dei primi. Vedremo come codesto processo si effettiii con particolare evidenza nella seconda divisione di maturazione. Del resto non posso obbiettivaniente escludere in via assoluta che qualche conchioconto non passi indiviso in una deUe cellule fighe. Proseguendo rinvaginazione annulare deUa membrana cellulare, si effettua di pari passo la divisione trasversale dei conchioconti situati via via piü profondamente — fino a che la cHvisione interessa anche quelli situati in immediata vicinanza dei fuso centrale strozzato dal progredire dei solco divisorio. La fig. 26 riproduce im’anafase inoltrata, neUa quäle e completa la separazione dei condrioconti delle due cellule figlie; ne e piü possibile in essa di vedere condrioconti che si continuino indivisi 54 Tiillio Terni attraverso Tanello citoplasmatico oraiai sottile che, so^Tapposto concen- tricamente al residuo del fiiso, riunisce ancora le due cellule figlie. La fig. 28 mostra tre diversi momenti anafasici di elementi che si trova- vauo vicini rimo all’altro nella medesüna ampoUa testicolare; dünostra la regolaritä coUa quäle si compie il processo condi'iocmetico, cosi come la coiiipletezza e la costanza della messa m evidenza dei condriosomi. Meiitre i condriocouti che si sono divisi per i primi (cioe queUi situati piü perifericamente) perdono mimediatamente dopo la divisione l’orienta- meuto loro equatoriale e si sparpaghano disordmatamente nella porzione di citoplasma che sta in contiguitä del piano ch separazione deUe due cellule figlie; i condrioconti situati piü profondamente consercano invece il loro orientamento caratteristico, come a clessidra, all’ intomo del residuo fusoriale: orientamento che e giä apprezzabüe nello stadio della fig. 26. Questa persistenza nell’ orientamento di un certo gruppo di condi’ioconti si mantiene durante la telofase; un esempio di ciö e fornito daUa fig. 27, nella quäle alcuni condriosomi, ancora. orientati, aderiscono alla superficie esterna del residuo fusoriale, assottighato c fornito di un netto corpo intermedio. Questo rapporto e perö di sola contiguitä: i condrioconti sono asso- lutaniente indipendenti dal residuo fusoriale, al quäle sono semplicemente sovrapposti, e dal corpo intermedio — ad una certa distanza dal quäle si sono ormai ritirati i condrioconti, per appro- fondü’si nello spessore della zona di citoplasma prossima aUa membrana cellulare divisoria. Piü tardi anche i condriosomi deUa clessidra perifusoriale perdono il loro orientamento caratteristico e si confondono cogli altri conchiosonii. 1 granuh che, come abbiamo \dsto, rappresentano i detriti della porzione di idiozoma che non ha partecipato alla forniazione del fuso e il prodotto ulthno della frammentazione dei dittosomi, sono ancora visi- bili nella metafase e nell’anafase in corrispondenza dell’equatore e spesso in prossiniitä dei poh della figura cinetica. Speciahnente gh aniniassi gra- nulari equatoriaü sono ben AÜsibiü (anche a fresco) e segnano nettamente la regione nella quäle a\"\’^errä lo strozzamento del citoplasma. Questo processo, effettuandosi, determina la divisione m due parti degli aniniassi suddetti. A telofase hioltrata ho osservato una forniazione enigmatica, alla quäle non ho saputo quäle significato assegnare; si tratta di ima sottile lingua citoplasmatica, che si distacca nel piano equatoriale dal corpo delle cellule figlie, nella quäle lingua si insüiuano nunierosi condrioconti Condliosomi, idiozoma e forinazioni periidiozomiche ecc. 55 (vedi fig. 27). Qiiesta formazione conserva per breve tempo i caratteri coi quali l’abbiamo descrittai). Durante la telofase si hamio dei mutamenti nei reciproci rapporti fra le varie parti contenute nella cellula, che non abbiamo avuto agio di seguire ininntamente nella prima divisione ; descriveremo questi spostamenti (ammesso pure che vi sia fra le due divisioni identitä riguardo a questo processo) nella seconda divisione, dove sono par- ticolarniente chiari ed istruttivi. Veniamo invece senz’altro ad illu- strare lo stadio deUa fig. 29, il quäle appartiene ormai al periodo inter- cinetico: la figura rappresenta cioe due giovanissimi spermatociti del secondo ordine. I condliosomi sono tutt’ora raccolti in corrispondenza dell’antico piano equatoriale, in una zona Mmitata del citoplasma che fa prominenza in im cono, del quäle non saprei escludere il rapporto genetico coUa sottile Imgua citoplasmatica, neUa quäle abbiamo visto durante la telofase insi- nuarsi numerosi condrioconti. Nel cono condriosomico (che e di soüto assai piü aUungato di quel che non sia raffigurato nella fig. 29) sono affol- lati i condrioconti, dhetti in prevalenza parahelaniente all’asse del cono. Al polo opposto del nucleo esiste l’idiozoma, aUa cui periferia vanno ricomponendosi i filanienti periidiozomici ; in \icinanza dell’ idiozoma giunge una estrcmitä del residuo fusoriale. Nello spermatocita del secondo ordine, che si a\^icma, attraverso al breve periodo intercinetico, alla profase della seconda divisione matura- tiva, l’accumulo conico dei condiioconti, che abbiamo descritto, ben presto si deprime al suo apice, riducendosi ad una coppa quasi emisferica che accoglie neUa sua concavitä l’emisfero nucleare opposto aU’idiozoma ; questa coppa e simile a quella che abbiamo incontrato nell’auxocita \’icino alla profase. Questo speciale assettamento del condrioma e visibüe nella fig. 30, la quäle dimostra come Taddensamento dei condrioconti nel sottile strato citoplasmatico che abbraccia distahnente il nucleo sia rigoroso, poiche nessuno dei condrioconti rimane nella porzione di citoplasma raccolto in maggior copia al polo prossimale. 1) Una particolaritä forse paragonabile a questa e stata osservata da Mont- GOMERY (’ll), il quäle ha descritto e raffigurato, nelle due divisioni spermatocitiche di Euschistus, delle protuberanze del citoplasma, neUe quali sono spesso contenuti dei con- drioconti (non sempre) e che, secondo Montgomery, non sono certamente dovnte a compressioni esercitate dalle altre cellule, ma forse a movimenti pseudopodici dei citoplasmi. 56 Tullio Terni L’aspetto dei dittosomi, alFapprossimarsi della seconda profase (vedi fig. 30) dhdene distintissimo e appare straordinariamente simile a qiiello dei dittosomi dell’auxocita. Questi orgaimli sono in numero sensibilmente minore che non nel periodo di accrescimento e — pur essendo situati all’intonio dell’idiozoma — non contraggono con esso dei rapporti molto Intimi di contignitä. Airinizio della profase — nello stesso modo conie nella prima divi- sione — i filamenti dittosomici si sgretolano e sembrano cosi perdere la loro individualitä morfologica. Questo fatto si compie parallelamente all’incremento in grandezza dell’idiozoma; in esso non siamo perö stati in grado di dimostrare il primo delinearsi dei fuso centrale, conie abbiamo fatto per la prima diAnsione. Pur tuttavia neUe mie ricerche pregresse (’lla) ho dhnostrato Fesistenza dei coi-puscoh centrah entro Fidiozoma profasico; allorquando perö il fuso e dimostrabile, il contorao delFidio- zoma non e piü nettamente dehneato. Eiprendiamo lo studio dei condriosomi e seguiamone il comportaniento durante la mitosi omeotipica. Il processo e neUe sue linee essenziali identico a quello che si compie nella prima di\nsione. Per un certo tempo i conch’ioconti rimangono stipati nella coppa permucleare (vedi fig. 31) ; appena il hmite fra nucleo e citoplasma non e piü apprezzabile, essi passano negli intervalli fra i croniosomi ormai emancipati nel protoplasma am- biente, per dirigersi radialmente verso Fidiozoma giä ingrandito considere- volmente (fig. 32). Nella fig. 33 e assai spiccata la prevalente direzione in senso radiale dei condiioconti verso il centro delFelemento profasico — dove giä esiste ben delmeato il fuso. Anche negli stadii ulteriori della mitosi i conch’ioconti (i quali conser- vaiio gli identici caratteri che avevano nella eterotipia) si coni- portano secondo un determinismo identico a quello che seguono nella prima mitosi. La fig. 34 riproduce uno stadio assai avanzato deUa profase, nel quäle i conch’ioconti cominciano a perdere Forientaniento radiale; coUa fig. 35 siamo omai in piena metafase, aUorquanclo i condrioconti sono pre- valcntemente accumulati ai poli deUa figura cinetica. Successivamente si effettua la discesa dei conch’ioconti dai poli verso il piano equatoriale, sincrona alFascesa polare anafasica dei cromosomi figü II (fig. 36). L’im- penetrabilitä dei fuso da parte dei conchiosomi e al soUto assoluta. L’ordinamento dei condrioconti nel piano equatoriale e molto piü rigoroso e completo che non nella prmia clivisione; la facihtä colla quäle si possono incontrare inimagini simili alla fig. 37 e verosimilmente legata al relative ritarclo (in rapporto all’ordmamento equatoriale dei condrio- Concliiosomi, idiozoma e formazioiii periidiozomiclie ecc. 57 somi) col quäle lia iiiizio lo strozzamento equatoriale della membrana cellulare. La figura stessa mostra una disposizione tipica dei condrio- conti, che si trovano colla loro parte centrale ad esatto livello del piano equatoriale; e particolarmente istruttiva la posizione dei condrioconti che appaiono sottoposti al fuso centrale. Allorquando ha inizio il solco equatoriale, i condrioconti si inflettono in un primo tempo ad arco; in un secondo tempo si dividono tras versa! mente. Nell’eleniento da cui fu tolta la fig. 38, la divisione trasversale dei condrioconti non era ancora completa, poiche nella parte piü profonda della clessidra perifusoriale esistevano ancora dei filamenti che passavano indivisi da una cellula aU’altra. In questo stadio si apprezzano facilmente dei condrioconti giä divisi, nia di cui e possibile di rintracciare per ciascuno le due metä corrispondenti. Nello stadio telofasico riprodotto dalla fig. 39 i condrioconti sono giä quasi tutti divisi; queUi situati piü perifericamente rispetto al residuo fusoriale (che e na- scosto dai condi’ioconti) cominciano giä a spargersi disordinataniente nella zona contigua al piano divisorio della mitosi. Per qualche tempo ancora invece, i condiioconti cUrettamente sovrapposti al residuo fusoriale, ri- mangono ad esso aderenti nel tipico atteggiamento illustrato dalla fig. 40. In questa figura l’indipendenza dei condrioconti dal residuo fusoriale e dal corpo intermedio e evidente. Poco dopo, anche i condilosomi che costituiscono la clessidi’a perifusoriale perdono il loro orientamento e si confondono cogli altri condiioconti. In corrispondenza del piano equa- toriale esiste, a telofase inoltrata (fig. 40), una lingua di citoplasma ap- puntita (simile a queUa descritta neUa telofase della eterotipia) neUa quäle si insinuano nunierosi condrioconti. Analogamente a quanto si e visto nella prima divisione, in prossimitä della periferia cellulare esistono, in corrispondenza del piano equatoriale metafasico, degli ammassi di granuli, i quali vengono suddivisi fra i due spermatidi dal solco divisorio del citoplasma. Puö darsi che questi granuli abbiano lo stesso significato di queUi analoghi piü su descritti neUa prima mitosi di maturazione. A telofase inoltrata della seconda divisione e assai chiaraniente apprezzabile la prima comparsa delP idiozoma e dei suoi ännessi. La fig. 41 coglie appunto un momento assai caratteristico del riabbozzarsi deU’idiozoma che — come per la prima divisione — si dehnea in corrispon- denza del primitive polo deUa figura cinetica. La posizione costante neUa quäle si individuaÜzza l’idiozoma, nii fa ritenere che esista un qualche 58 Tiillio Terni rapporto fra la porzione polare deUe fibre acromatiche del fuso (forse niantellari) e la fomiazione deU’idiozoma stesso^). Perö, il non aver potuto seguire le sorti del corpuscolo polare e del suo eventuale sdoppiarsi nei centrioli deU’ intcrcinesi (prima divisione) e dello spermatide (seconda divisione), mi lia tolto la possibilitä di decidere quäle sia la portata reale della sudderta trasformazione. La prima comparsa dei dittosomi si determina poco dopo rindividualiz- zarsi telofasico, in seno al protoplasma, dell’idiozoma. Non escludo che essi traggano origme dai granuli che — conie sopra ho esposto — stanno a rappresentare, durante la cmesi, i filamenti periidiozomici sgretolati. Fin dal loro prinio abbozzarsi in brevi e tozzi filamenti, questi organuli si distmguono per la loro tendenza a disporsi aU’intomo deU’idiozoma, che va organizzandosi in im ammasso sferoidale compatto. Nella seconda divisione, aUo stesso modo forse che nella prima, nia assai piü chiaramente che in essa, si conipie, durante la telofase inoltrata, nn graduale cambiamento dei reciproci rapporti di posizione fra idiozoma (e annessi) e residuo fusoriale, che nierita di essere iUustrato. Un esanie della fig. 41 fornü-ä al lettore la rappresent azione del pro- cesso che ora nii accingo a descrivere. H residuo fusoriale, una volta liberatosi della clessidra condriosomica, viene a poco a poco a trovarsi in prossimitä degli idiozoma delle cellule fighe. Immagino che ciö av\"euga per il ruotare sincrono e in senso inverso delle due cellule figlie intorno ad un asse immaginario che passa per il loro centro — mentre che il residuo fusoriale non muterebbe posizione rispetto allo spazio. Per quanto possa sembrare strano che la parte piü periferica del cito- plasma si lasci attraversare dal cilindro fusoriale, pure non posso altri- menti che cosi spiegarmi quello che si osserva — dato che ammasso dei con- driosonii, direzione assile dei cromosomi telofasici e idiozoma rimangono situati, durante la telocinesi, su di una stessa retta. Volendo fare un sem- plice paragone fisico, si puö rievocare il fenomeno del rigelo, che per- mette ad un filo — quando sia tratto con una certa forza — di passare lentamente attraverso ad un blocco di ghiaccio, senza lasciar dietro a se soluzione di continuo. 1) Secondo Meves (’99a) Tidiozoma delle cellule figlie non awebbe nessun rap- porto con quello della cellula niadre, ina si neoformerebbe — dopo ogni mitosi — a spese di una sostanza contenuta fra le fibre fusoriali. Platner (’89b) ammetteva invece la provenienza di una formazione riconducibile all’ idiozoma, dalP estremitä polare dei filamenti del fuso. Condiiosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 59 I Quäle sia nel nostro caso la trazione che determma rawicinanieiito del residuo agli idiozomi (i quali farebbero — secondo la nostra interpreta- zione — corpo col protoplasma) non sapremmo dire: puö darsi che il residuo fusoriale sia in contmuazione degü icüozomi per niezzo di fibre j superstiti del fuso (che perö non mi e riuscito di inettere in evidenza): ; un ÜTigidimento cü queste supposte fibre potrebbe determinare il descritto I avvicinamento del residuo equatoriale del fuso airicüozonia. Credo debba eschidersi la possibihtä che, nei niovimenti telofasici che andiamo descrivendo, siano il nucleo e l’idiozoma ai spostarsi entro il citoplasma, poiche in tal caso i condrioconti dovrebbero sincronicamente , spostarsi in massa per rendersi antipodici aUa posizione dell’idiozoma : condizione questa che ritengo inverosiniile. Un’ altra ragione che mi rende incredulo sii di una possibile rotazione del nucleo che accompagni la tras- lazione intracitoplasmatica deU’idiozoma, mi sembra sia rappresentata dal fatto che quest’ultimo, fin dal suo prinio sorgere, si trova ad una notevole distanza dalla periferia del nucleo; cosicche l’idiozoma e lungi dall’avere col nucleo rapporti tali di contiguitä, da poterlo trascinare col suo eventuale moto. Gli Autori che han.no descritto una rotazione telocinetica del nucleo, haimo invero ammesso che l’apparato centrale avesse intimo rapporto topografico col nucleo; cosi Moore (’95) negli spermatogoni di Elasmobranchi e Lauterborn (’96) nelle Diatomee, hanno descritto una rotazione telofasica del nucleo e dei centrosonii (centrioli) che giac- ciono in una insenatura di quest’ultimo. Negli spermatociti di Elasmobranchi Moore (’95) ha osservato poi uno spostamento telofasico dei soli centrioli, involti da un invo- lucro arcoplasmatico (idiozoma), attorno alla superficie del nucleo; parimenti Meves (’96) negli spermatogoni grandi e piccoli e negli spermatociti di Salamandra: in questi Ultimi lo spostamento dei centrioli e accompagnato daH’evoluzione di complesse radia- zioni che da essi si dipartono. Solo V. Erlanger (’96e; 97 b) e Kostanecki (’97a) hanno osservato una rota- zione telofasica, di 90° e piü, delle cellule figlie; il primo, nell’epiteho branchiale delle larve di Salamandra e nella prima divisione maturativa della Blatta; il secondo, nelle uova in segmentazione dclla Physa f. . — Sono adunque propenso a ritenere — per le ragioni che ho sopra esposto e che sono quelle che tentano di spiegare il fenomeno nel modo che mi sembra piü sempUce e razionale — che avvenga una rotazione in senso inverso delle due cellule figlie telofasiche attorno ad un asse centrale immaginario, nientre il residuo fusoriale con- serva fissa nello spazio la sua posizione. La rotazione ha termine quando l’idiozoma, che e l’indice piü evidente del movimento in questione, ha percorso un intero quackante e si e venuto a porre in immediata vicinanza di una estremitä del residuo fusoriale (vedi fig. 42). 60 TuUio Terni 4. Istogenesi dello spermatozoo. Collo stacüo riprodotto nella fig. 42 sono terminati gli spostamenti telocinetici delle cellule figlie (spermatidi). I condiioconti sono stipati nel cono protoplasmatico situato al polo distale del nucleo (che si awia verso lo stato di riposo) in nna zona, la quäle — da quanto abbiamo altrove esposto — deve ritenersi conie topograficamente corrispondente al piano equatoriale. E possibile che la digitazione protoplasinatica che abbiamo visto formarsi nella telofase a livello del piano equatoriale sia collegata geneticamente al cono infiltrato di condrioconti che andiamo descrivendo. Quivi i coiuhiosomi sono diretti neUe guise piü svariate; predomina tuttavia Forientazione secondo Fasse del cono suddetto. (L’apparente maggior quantitä dei condriosomi esistenti nella fig. 42 in confronto alla fig. 41, e determinata dalla chcostanza che in quest’ulthna la sezione interessa incojnpletaniente il piano equatoriale ove e accolto il condi’ioma.) Kella fig. 42 si vedono gh idiozomii) di una coppia di spermatidi, a liveUo dei quali e teso il residuo fusoriale prowisto del corpo inter- medio; i due idiozomi sono giä perfettamente ricostituiti ed appaiono assai piü piccoh di queUi intercinetici. Alla loro periferia sono situati i brevi filamenti arcuati (dittosomJ), simili a quelh che abbiamo descritto altrove, i quali, fin dal loro primo apparh’e, contraggono un iiitimo rapporto colla superficie della sfera. Il loro numero e notevohnente minore di quello dello spermatocita del secondo ordine — il quäle era a sua volta assai piü ridotto del numero dei dittosomi auxocitarii. Superata la telofase, si ha uno stadio che e riprodotto nella fig. 43. Al polo distale del nucleo (ormai definitivamente nello stadio di riposo) 1) Per quanto Pevoluzione ulteriore dello spermatide dimostri — come ho esposto altrove (’lla) — che nell’interno delPidiozoma non sono contenuti i centrioli, credo ciö nondimeno giustificata l’opinione di MEVEs(’97b, ’99a) che si tratti di una formazione omologabile aUidiozoma dello spermatocita del primo e del secondo ordine. Slalgrado che alcuni Autori — fra i quali anche Regaud (’IO) — abbiano rilevato la contraddi- zione esistente fra il significato etimologico del nome in questione e i caratteri del pre- sunto idiozoma dello spermatide; pure mi sembra che si possa conservare il termine ormai generalmente accettato, quando sia assodata con qualche mezzo la omologia di questi organuli nelle tre generazioni di elementi del periodo di matmazione. La dimostrazione da me fornita per lo spermatide (vedi oltre) di organuli periidiozomici identici a quelli presenti attorno aH’idiozoma di taluni spermatogoni e delle due gene- razioni cellulari precedenti alla spermatidica, nonche la dimostrazione del particolare rapporto che assimie il presunto idiozoma dello spermatide col residuo fusoriale — mi sembrano essere due fatti sufficenti a farci stabilire la omologia suddetta. Condriosomi, idiozoma e fonnazioni pcriidiozomiche ecc. 61 i conclriosomi sono raggruppati, come nello staclio prccedente, in uiia zona di citoplasnia foggiata a cono, di dimcnsione variabilc. L’idiozoma e gli organuli dittosoniici conservaiio quasi gli stcssi ca- ratteri che abbiamo sopra descritto; e avvcnuto perö im modellamento piü perfetto dci dittosonii sulla superficie deirammasso idiozomico e si e andata manifestando ima certa indetenniiiatezza nei limiti fra dittosoma e dittosoma, che fa talvolta pensare alla esistcnza di una continuitä lineare di due 0 piü di essi. (Non escluderei che un inetodo di impregnazione, qualora riuscisse a colorare nitidamente i filamenti periidiozomici, non possa forse mettere in evidenza, nel caso dcllo spcrmatide, delle anastosomi fra dittosomi e forse anche delle fonnazioni reticolari, in luogo di organuli indipendenti.) Dopo lo stadio descritto, comincia il vero e proprio processo di isto- genesi dello spermatozoo ; a proposito del quäle saranno qui piü special- mente descritte le sorti del condrioma. Le linee essenziali e i numerosi dettagli del processo di metamorfosi dello spermatide furono da me esposti altrove (’lla); a codeste mie ricerche intendo di riferirmi per quanto concerne le modalitä del processo medesimo. I condriosomi conseiTano, nello spermatide m trasforniazione, una forma e delle proprietä fisiche (consistenza, rifrangenza, colorabilitä previa fissazione) identiche a quelle che possedevano nel periodo sper- matocitogenetico : sono cioe dei condrioconti rettilinei, lisci, irrisolvibili otticamente in granuli, rigidi, di calibro uniforme, di lunghezza alquando variabile. Con questi stessi caratteri si mantengono i condriosomi fino ai momenti piü avanzati della metamorfosi e li rintracceremo anche nello spermatozoo adulto. II comportamento dei condriosomi durante tutto il periodo trasfor- mativo e nel Geotriton quanto mai caratteristico ; non si riallaccia strettamente a nessun altro dei processi descritti sn altro materiale, cosicche merita di essere dettagliatamente esposto. L’assettamento del condrioma subisce durante un periodo di circa un mese talune modificazioni che portano ad un aspetto dello sperma- tide quäle e queUo riprodotto neUa fig. 44. In essa si osserva che I’idio- zoma e venuto a situarsi in prossimitä dei condriosomi e che questi Ultimi hanno occupato una sede caratteristica, in rapporto ad una particolare forma deUo spermatide. Quest’ultimo e infatti fornito di im lungo pro- 62 Tiillio Terni lungamcnto citoplasmaticoi), la cui base d’mipianto e per lo piü situata in prossimitä deU’idiozonia. (II prolimgamento di taluni spernia- tidi e assai piü lungo di qnello di cui e prov^nsto l’elemento deUa fig. 44.) 11 decorso dei prolungamenti e rettilineo oppure lievemente incurvato; queUi appartenenti ad una stessa spermatociste, fanno di solito capo coUa loro estremitä distale aUa periferia deU’ unitä struttuiale stessa — oppure, nei casi nei quali permane una fessura a rappresentare la cavitä sperniatocistica, giungono fino in conispondenza del lurae virtuale della medesinia. I coudrioconti sono situati iiell’ iutemo della liugua citoplasmatica e vi si addensano, lasciando libero tutto il rinianente citoplasma — ecceziou fatta per il cono d’origine deUa digitazione. I coudrioconti sono tntti diretti col loro maggior asse secondo la lunghezza del processo proto- plasmatico ed occupano a preferenza — specie nella sua porzione media — 10 Strato periferico del medesimo. Le sezioni trasversali del prolimga- niento mostrano i concbloconti regolarniente situati neUa zona corticale, mentre che la parte centrale e priva di füamenti condriosomici. Il pro- lungamento non ha un cahbro uniforme in tutto il suo decorso; a partire da un determinato moinento (che di poco precede lo stadio rappresentato daUa fig. 44) la porzione terminale della digitazione appare leggerniente rigonfiata a mo’di clava; in corrispondenza di codesto rigonfiamento 11 citoplasma e sprov^dsto di coudrioconti ed ha una struttura finemente granulosa. Xon nii e stato possibile di convincermi perentorianiente, se ogni spermatide possegga piü di un prolimgamento o se invece la regola sia rappresentata da un solo prolunganiento. L’esame di preparati ottenuti per dissociazione di elementi, da materiale vivente o fissato, non e utüe a decidere tale questione, poiche i prolungamenti citoplasmatici si spez- zano nelle manoATe che tendono ad isolare gli elementi. Io credo che nei casi dei quali im esempio e la fig. 44, l’esistenza di un secondo pro- lungamento sia illusoria e suppongo che la regola sia rappresentata da un solo prolunganiento ^). Ciö accorda colla supposizione che il processo 1) Questi prolungamenti sono particolarmente endenti nei preparati che servotio alla dimostrazione dei condriosomi. Questo spiega il perche nelle mie ricerche anteriori (’lla) non mi sia esplicitaniente occupato di queste forinazioni — per quanto le fig. 66 e 67 di quel mio lavoro mostrino il distaccarsi dei prolungamenti dal citoplasma degli spermatidi. 2) Meves (’97 a) ha illustrato negli spermatidi di Salamandra dei prolungamenti citoplasmatici che corrispondono forse a quelli da me osservati; la moltiplicitä in ogni elemento delle formazioni descritte daMEVES mi trattiene perö dallo stabilire una sicura Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 63 citoplasmatico di cui parliamo, sia in continuitä evolutiva col proliinga- mento foggiato a cono pieno di condriosomi, che al)biamo stndiato nei primi stadii dello spermatide e che e indiscutibihnente imico. Questa supposizione implica che i cambianienti nel reciproco rapporto di posizione fra idiozoma e organnli condriosomici, siano determinati da nno spostamento deU’idiozoma (accompagnato dall’apparato centrio- lare) attorno al nucleo, per circa 180°. Codesta traslazione deU’idiozoma sembra apparentemente negata dalla constatazione che Fidiozoma, andre dopo il subito spostamento, risiede in una zona della cellula che e ricca di Protoplasma. Non mi sembra perö che questo argomento inJirmi reci- samente la mia supposizione, dato che essa contempla Feventualitä piii verosimile — se si ammette come vera Fidentitä fra il prolunganiento citoplasmatico che abbiamo descritto nella anafase, il cono presente nei pni precoci stadii dello spermatide e la lunga digitazione che abbiamo piü SU anaüzzato. In breve volger di tempo, la formazione a clava, che abbiamo sopra descritto in corrispondenza delFestremitä distale del lungo prolunganiento dello spermatide, si rigonfia ancora un poco; in imo stadio immediata- mente successivo si presenta escavata: quasi si fosse liberata della sostanza granulosa che conteneva. Il significato biologico di questo processo ci e restato del tutto oscuro ; credo di poter tuttavia escludere che esso porti ad una eliminazione, morfologicamente apprezzabile, di condriosomi. Per quanto neUa fig. 44 non siano visibili i filamenti periidiozomici attorno aU’ithozoma (nel quäle giä si e formata la vescicola che darä origine al 'perforatoriwn), in questo stadio ancora sono dimostrabili tutta- via, in certi preparati, dei dittosomi applicati aUa superficie deUa hmula idiozomica, con un aspetto che illustrerenio a proposito della fase suc- cessiva. AlFinizio del secondo periodo da me (’lla, pag. 78) distinto nella metamorfosi dello spermatide, si determmano a carico degli organnli che qui ci interessano dei notevoli cambiamenti, quah: la scomparsa della clava terminale della lingua citoplasmatica descritta, Faccorciamento della lingua medesima e Finizio di una corrente di condrioconti diretta verso la porzione perinucleare del citoplasma. Si ha Fimpressione che il progressive ridursi del prolunganiento citoplasmatico faccia si che i con- omologia fra le medesime e quelle che io ho descritto. Secondo Meves l’ufficio dei prolungamenti citoplasmatici sarebbe quello di assicurare la mutua disposizione pa- r.allela degli elementi che si alhingano durante il processo di metamorfosi. 64 Tiillio Tenii driosomi vengano scacciati fuori di esso e sospinti verso il corpo citoplas- iiiatico dello spermatide. La fig. 45 rappresenta appunto imo spermatide all’mizio del secondo periodo suddetto (caratterizzato da uu mutamento iniziale nei niutui rapporti di posizione fra idiozoma e corpuscoli centrali). Esaminando codesta figura, si constata che i conch’iocoiiti commciano ad abbandonare revaginazione citoplasmatica iiella quäle giä da tempo risiedevano per affluire verso il corpo dello spermatide; durante questa migrazioiie, si mostrano fin da principio dotati di ima proprietä che conser- veranno (anzi, accentuata) in stadii ulteriori: la tendenza cioe ad occupare la zona piii periferica del citoplasma, si da mettersi in contatto quasi immediato colla periferia cellulare. Kella fig. 45 si apprezzano attorno alFidiozoma alcuni filanienti un poco piü spessi dei conchiosomi, adagiati alla periferia della superficie convessa della liinula idiozomica. Mentre nel periodo attuale questi filanienti (che sono verosiinilniente i medesimi di quelli studiati nelle prime fasi di vita dello spermatide — per quanto appaiano ridotti in numero) sono ancora ben visibih; in uno stadio che lo segne assai da viciiio non sono piü dimostrabili coi comuni metodi, mentre d’altra parte i metodi usati di solito per mettere in evidenza Tapparato reticolare interno non ci resero buoni servigi. La progressiva tUminuzione in numero dei filanienti periidiozomici rivelabili, fino aUa loro completa indiniostrabilitä, nii senibra parli infavore deUa supposizione di un cambiamento reale della costituzione loro fisica 0 chimica — piuttosto che di una parziale iusufficenza tecnica. Il non poter rintracciare, al posto dei dittosomi che vanno scomparendo o che sono del tntto scomparsi, delle forniazioni granulari o d’altro aspetto, che possano far pensare ad una perdita dell’individualitä dei snddetti, parla contro Fipotesi di una vera e propria disintegrazione dei dittosomi. Pro- pendo a supporre che i fUanienti in questione riniangano saldati intinianiente alla parete della vescicola idiozomica. La fig. 46 riprodnce una fase di poco posteriore alla precedente. Lo spermatide appare provvisto del solito prohmganiento, ormai molto ridotto in lunghezza e quasi disertato dai condrioconti, i quali si sono disseniinati per il citoplasma. La vescicola idiozomica — apparentemente priva di organuü dittosomici e fissata al nucleo — ha giä coniinciato a niuo- versi per compiere il sno spostaniento di 180°. La direzione dei condiio- conti e prevalenteniente paraUela alla superficie dello spermatide; palese e la proprietä, a cui abbiamo sopra accennato, di disporsi quasi a ridosso della periferia cellulare. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 65 Allorquando ha inizio rallungamento del nucleo, anzi, quando esso ha assunto presso a poco la hmghezza che ha nella fig. 47 a, si manifesta nei condrioconti la tendenza ad orientarsi col loro maggior asse secondo la lunghezza della futura testa dello spermatozoo. La disposizione periferica in intimo contatto coUa periferia cellulare e ormai coniune a quasi tutti gli organuh. Un altro fatto che si rileva, si e che la presenza dei condriosomi e limitata alla porzione caudale dello spermatide, mentre quasi privo sembra rimanerne il segmento anteriore piü affilato. Le figg. 47 b e 47 c, tolte da sezioni trasversali di elementi al medesimo stadio di evoluzione della fig. 47 a, confermano la presenza e la ca- ratteristica disposizione periferica dei condrioconti nella porzione posteriore dello spermatide e rindimostrabilitä dei medesimi nel tratto piü anteriore. Nella fig. 47a si nota poi l’esistenza di un tozzo prolungamento situato nella zona di citoplasma prossima ai centrioh, il quäle contiene numerosi condrioconti. Si tratta di una formazione costante, della quäle non sapremmo con sicurezza asserire la derivazione dal primitivo caratteristico prolungamento dello spermatide. Col progredire della metamorfosi dello spermatide, di pari passo cioe coH’aUungamento del nucleo in una aUa trasformazione (ingrossamento e cihndrificazione) del corpuscolo centrale prossimale, ha luogo un sempre piü rigoroso allineamento, secondo Tasse dello spermatozoo evolventesi, dei condrioconti; i quali si mantengeno strettamente addossati alla periferia cellulare. La fig. 48a, che riproduce solo il terzo posteriore di uno spermatide in evoluzione e nella quäle (conie nella fig. 47 a) sono disegnati anche alcuni condrioconti sovrapposti al nucleo, illustra i particolari ora esposti. La fig. 48 b e tolta da un elemento nel medesimo grado di sviluppo della fig. 48 a, sezionato trasversalmente alTaltezza della porzione della testa che e prowista di condrioconti; questi Ultimi mostrano — ancora piü netta che nello stadio precedente — la loro situazione corticale. Mentre prosegue Tevoluzione dello spermatide, si osserva da questo momento in avanti la lenta e progressiva diminuzione nella rifrangenza e nella colorabilitä dei condrioconti, che ne rende impossibile la visibilitä nello spermatozoo adulto — qualora ci si contenti di im esame condotto coi metodi istologici comuni. Le figg. 49 a— c si riferiscono ad uno stadio giä molto evoluto, nel quäle il corpuscolo centrale e suUa via di trasformarsi nel collo dello spermatozoo. Le figg. 49 b e 49 c sono tolte da sezioni trasversali di sper- matidi nelTidentico stadio della fig. 49 a: nella prima di esse, la sezionc Archiv f. Zellforschung. Xll. 5 66 Tullio Terni cade suUa porzione della testa sprorsdsta di con diio conti ; nella seconda, sul corpuscolo centrale prossiniale allimgato. Per qnanto giä nello stadio ora descritto si cominci a notare un’ inci- piente diminnzione nella colorabilitä dei condriosomi, pure anche in stadii assai piü inoltrati essi sono dimostrabili con sufficente chiarezza. Special- mente neUe sezioni trasversali di spermatidi anche molto evoliiti, sono an- cora riconoscibili i condrioconti: i quali, perche poco colorati, sono assai piü evidenti se visti in sezione ottica che non se si prospettano in superficie. Le figg. öOa— e, tolte da sezioni trasversali condotte a diverso livello SU spermatozoi ad un identico stadio di evoluzione, mostrano rallineamento e la disposizione caratteristica dei condrioconti aUa periferia deU’invo- lucro citoplasmatico, in una fase evolntiva molto avanzata — caratterizzata dall’ allungamento delpessario centriolare [Terni (’lla), pag. 84 e seg.]. Anche ulteriorniente, quando il pessario si e giä notevohnente allun- gato e la membrana on du lata e giä ben riconoscibile (cioe sul finire dell’nltimo periodo della metamorfosi dello spermatide), e possibile di- stingnere ancora, su sezioni trasversali di spermatozoi, nel sottile strato di citoplasma che involge la porzione posteriore della testa, il coUo e un piccolo tratto della parte prossimale deUa coda, la sezione ottica dei con- drioconti. * * Cogli esami microscopici comuni, sia a fresco che in preparati opp or- tunamente fissati e colorati, sia nell’esame microscopico ordinario che nell’esame col condensatore parabolico — non e possibile di rintracciare negli spermatozoi adultii condriosomi, nella sede che il suesposto deter- minismo spennatistogenetico ci indica che sono andati ad occupare. Dopo ripetuti tentativi ho trovato un niezzo tecnico, col quäle sono riuscito neU’intento che mi ero prefisso e nel quäle avevo insistito — data rimportanza che ad esso era legata. Come ho esposto diffusamente altrove (’13), sono riuscito, con una soluzione acquosa di cloruro di sodio {Optimum della concentrazione : 7%) lasciata agire suUo sperma di Geoiriton per varii giorni, a rigonfiare opportunamente la cromatina della porzione posteriore della testa e a mettere in tal modo anche a fresco in evidenza i condriosomi. Abbiamo visto nel corso della istogenesi dello spermatozoo il progres- sivo ravvicinarsi fra loro dei condrioconti serrati fra membrana cellulare e cromatina ; e da arguirsi che in stadii piü avanzati di quello della fig. 50 essi siano cosi ra\"\dcinati l’uno a lato dell’altro, per il ridursi dell’involucro Conclriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 67 citoplasmatico e per l’affmarsi del calibro del cilindro cromatinico, da formare (lä dove sono presenti) come ima raembrana continua che raddoppia verso Finterno la membranella citoplasmatica che involge lo spermatozoo. Col rigonfiamento della cromatina provocato dall’azione su di essa della soluzione salina, si ottiene evidente mente un distendimento del sot- tilissimo involucro che involge nella testa la cromatina, al quäle sono saldati verso Fintenio i condrioconti — ciö che induce un tale diseosta- mento di questi Ultimi, gli uni dagli altri, da permetterne la visibihtä. AU’esame a fresco gli organuli, in tal modo messi in evidenza, sono in tutto simili a quelli che ho potuto osservare pure sul vivente nel periodo di maturazione e negli spermatidi; cosicche non dubito deUa natura condriosomica di essi. Sono riuscito a fissare e a colorare gli spermatozoi adulti, previamente trattati col metodo su esposto, in modo da dimostrare in essi nitidamente i condrioconti. La fig. 51 rappresenta appunto uno spermatozoo sotto- posto a questo trattamento: illustra — con maggiore evidenza — i parti- colari desunti colFesame a fresco, La indimostrabihtä con questo artificio tecnico dei condrioconti nel collo e nella parte iniziale della coda, dipende evidentemente dal fatto che — per ragioni che ci sfuggono — il mezzo da noi usato non e stato capace di rigonfiare le sostanze che costituiscono il collo e il filamento assile della coda. V. Riepilogo e considerazioni. 1. Idiozoma e formazioni periidiozomiche. Nel citoplasma di tutti gli elementi in istato di riposo nucleare del ciclo spermatogenetico del Geotriton, esiste un organulo assai ben definito, sensibihnente sferico, identico alle formazioni con svariati nomi descritte da moltissimi Autori in un gran numero di specie animali: questo organo e l’idiozoma. Esso deve esser tenuto distinto dalle altre forma- zioni differenziate nel citoplasma, quaü i condrioosmi, gli organuli periichozomici e il residuo fusoriale ed ha per caratteristica di con- tenere nel suo internoi) (eccetto che nello spemiatide) i corpuscoli centrali — dimostrabili in un determinato periodo della vita cellulare — e di contrarre rapporti di contiguitä coi particolari organuli cho abbiamo convenuto di chiamare «dittosomici» o «periidio- zomici». 1) Relativamente airicliozoma dello spemiatide, vedi le considerazioni esposte nella Nota a pag. 60. 5* 68 Tullio Terni Conie e noto, molti Autori (]\Ie\t;s, Rawitz, Erlaxger, Eisex, Gurwitsch, ecc.) haimo dimostrato i centrioli nell’idiozoma delle cellule in riposo, ancora lontane dalla mitosi; a me e stato possibile di identifi- carli con assoluta sicurezza negli spermatociti alquanto prima della mitosi e, precisamente, all’inizio della concentrazione della basicromatina nelle diadi cromosomiclie. Ho assistito, inoltre, allagenesi endoidiozomica di un fuso centrale nel senso di Hermaxx, teso fra i due centrioli dive- nuti corpuscoli polari; suppongo che codesto processo si compia coUe medesime modalitä m quel materiale nel quäle alla mitosi preesiste im idiozoma organizzato. Ritengo non improbabile infine che Tidiozoma si origini per trasfor- mazione della porzione polare dei filamenti centrali o manteUari del fuso. * * * Gü organuli periidiozomici sono nel Geotriton diniostrabili nel vivente in tutti i momenti nei quali con tecnica oppor- tuiia e possibile di metterli in evidenza nei preparati; con questa constatazione resta dimostrata sia la loro esistenza reale, sia la fondatezza deUe osseiwazioni desunte da materiale fissato, le quah corri- spondono, m quanto a morfologia minuta dei dittosomi, a quelle con- dotte sid vivente. Le formazioni periidiozomiche non sembrano anastomizzarsi, in guisa da costituirsi m una formazione reticolare. I filamenti periidio- zomici posseggono (specialmente negli spermatociti del 1° e del 2° ordine) una caratteristica forma arcuata, ad estremitä assottigÜate e sono applicati alla superficie dell’idiozoma, contraendo con esso un rapporto topografico piü 0 meno intiino. II numero dei dittosomi si manifesta sensi- bilmentecostantein ogni generazione del periodo sperniatocitogenetico ed e certamente minore (deUa metä?) nelle cellule figlie in con- fronto alla cellula madre. Mentre i dittosomi serbano dei caratteri presso a poco costanti nei diversi momenti del riposo nucleare, si dissolvono in granuli all’inizio della profase (in ambo le divisioni di maturazione) allorche l’idiozoma aumenta di volume per il delinearsi nel suo interno del fuso centrale. Questi granuh persistono probabihnente nella cmesi — rimanendo situati ai poli (e all’equatore?) deUa figura acromatica. Nella telofase üioltrata delle due dinsioni di maturazione si ridilineano i filamenti cUttosomici all’intonio dell’idiozoma. Nello spermatide l’apparato periidiozomico e rmtracciabile per un certo tempo, ma finisce poi con lo scomparire : non e improbabile che Conclriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 69 gli elementi ond’e costituito si saldino alla parete della vesci- cola idiozomica, destinata a dar liiogo al perforatorium. Agli organuli periidiozomici da noi descritti sono da ricondursi molte delle formazioni, con svariati nomi descritte da molti Autori nella spermatogenesi di an gran niimero di animali, e che abbiamo altrove enumerato e discusso. Anche nella oogenesi troviano un organulo che — d’accordo con Meves — stimiamo omologo aU’idiozoma della spermatogenesi: questo e il nucleo viteUino (Balbiani), presente negli oogoni e in nn limitato periodo dello stadio di accrescimento ovocitario di molti animali. L’identificazione di qnesta parte della cellnla coll’idiozoma, oltre che daUa dimostrazione di centrioli nel suo interne ormai fornita (Gurwitsch, ecc.), e giustificata, secondo il mio modo di vedere, anche dalla esistenza in contiguitä del nucleo vitellino stesso di organuli (van der Stricht, Levi, ecc.) riconducibili a qiielli dittosomici. Quest’ultima considerazione vale naturalmente anche per la identificazione deirinvolucro che circonda i centrioh nelle cellule preseminali. L’occorrenza di organuli dittosomici, la quäle, insieme aUa frequente presenza concomitante dei centrioh, depone evidentemente per l’esistenza di un idiozoma contenuto nello spazio che i mede- simi organuli deliniitano, e stata dimostrata, oltre che nei gonociti (Levi, v. Berenberg-Gossler), anche in numerose cellule somatiche (Ballowitz, Deineka, Barinetti ecc.). Se si voghono sinteticamente ordinäre le principali idee espresse dai diversi Autori suUa particolar morfologia e suUa sorte deU’apparato ditto- somico, occorre raggrupparle partitamente, riferendosi a tre diversi momenti della vita ceUulare: 1° allo stato di riposo nucleare; 2° aUa divisione mi- totica; 3° al caso particolare deUa nietamorfosi della spermatide. Nello stato di riposo della cellula: E stato supposto da alcuni che si tratti di füamenti indipendenti (bastoncini del Neben- kern di Platner, di Bolles-Lee, ecc.; anse archiplasmatiche di Her- iLVNN, di Meves, ecc.; pseudocromosomi di M. Heidenhain, di van DER Stricht, ecc.; dittosomi di Terni, di Levi, ecc.). Altri si sono pronunciati per una formazione di aspetto reticolare, a filamenti cioe anastomizzati fra loro; cosi Heidenhain (per le Centralkapseln), Ballo- witz, Perroncito, Deineka, Barinetti, Berenberg-Gossler, ecc. Mentre quest’ ultima categoria cü Autori (eccettuato Pilat), ammette una posizione periferica rispetto aU’ idiozoma deU’apparato dittosomico, 70 TuUio Terni alcimi dei priini Autori citati non definiscono nettamente un tale rap- porto, ma parlano invece di organuli che fanno parte integrante dell’idio- zonia (paranucleo di Platner, di Bolles Lee, ecc.) o che derivano dallo spezzettarsi di esso. Nella dirisione mitotica: Platner ha osservato il raggrupparsi dei suoi bastoncini attorno a ciascuno dei corpuscoh polari, dei quali ulteriorniente formano i raggi principali, distiati dai raggi citoplasmatici. Hermann ha presunto la bipartizione, fra i due sperinatidi, di formazioni certamente dittosomiche, desumendola da un -ordinamento profasico in due centri delle sue anse archiplasmatiche. Anche Murray ha evidente- mente descritto, coUa sua frammentazione dei paranucleo e con la ri- partizione ai due poli della figura cinetica dei detriti cosi originati, un comportamento tattico di formazioni periidiozomiche. Perroncito, colla sua nota dittocinesi, ha descritto lo spezzarsi nella initosi dell’apparato di Golgi in membri arcuati (dittosomi) i quali si ordinano in due gruppi, ognuno dei quali passa a ciascuna cellula figlia per ricostituirvi il reticolo endocellularei). Durante la spermatistogenesi: L’apparato periidiozomico sa- rebbe espulso dallo spermatozoo parziahnente (Popoff) o interamente (Sjövall). Secondo altri (Perroncito, Hirschler, Weigl) esso coopere- rebbe alla costituzione definitiva dello spermatozoo. Relativamente alla genesi e alla natura probabile dei filamenti dit- tosomici, ecco le varie ipotesi fonnulate: Natura cromidiale, cioe origine nucleare dei suddetti (prima ipotesi di Platner, Popoff, Jörgensen, ecc.); natura condriosomica (Heidenhain, Fahre -Fremiet) ; origine idiozomica (Platner, Murray) e üifine Tinterpretazione di Perroncito, che fa provenire il suo apparato reticolare da un identico apparato preesistente neUa cellula madi'e. Nessun fatto ho ossen'ato io in favore deUa provenienza dal nucleo deirapparato dittosomico. Il primo apparire di quest’ultimo non comcide affatto col periodo di accrescimento dello spermatocita (come ammettono alcimi dei sostenitori di questa ipotesi), bensi esistono formazioni peri- 1) Duesberg (’12) discute il valore delle ricerche di Perroxcito, asserendo che l’apparato reticolare interne della Paludim corrisponde airidiozoma o per lo nieno alle Strato superficiale di esso e che i dittosomi di P. sono frammenti dell’idiozoma. Poiche io ammetto la identitä dell’apparato medesimo cogli organuli periidiozomici (vedi pagg. 7 — 16) c con ciö l’indipondenza di questi Ultimi dall’idiozoma, e o\"vio insistere sul mio disaccordo con Duesberg a questo proposito. Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 71 idiozomiche fin negli spermatogoni. Relativamente alla supposta natura mitocondiiale delle suddette, io ho dimostrato essere codeste for- mazioni in ogni moniento della vita cellulare morfologica- mente indipendenti dalle condriosomiche, per cui non esito ad asserire l’inesistenza di rapporti genetici fra le due sorta di organuli. Suir indipendenza morfologica dei filamenti dittosomici dair idiozoma, che sussiste malgrado lo stretto rapporto di contiguitä che essi con quest’ultimo contraggono, ho giä insistito sopra. Infme, nel materiale da me studiato, non sembra verificarsi un pro- cesso dittocinetico quäle e quello illustrato brillantemente da Perron- ciTO, del quäle processo non e stato ancora fornito alcun nuovo esempio altrettanto dimostrativo. Sono pertanto incline a ritenere che i filamenti periidiozomici (ditto- somi) rappresentino anche nel Oeotriton (e verosimUmente nel larghissimo materiale nel quäle e possibUe riconoscerli attaverso alle descrizioni degli Autori) delle formazioni morfologicamente ben definite le quali per la costanza della loro presenza nelle varie generazioni cellulari (e per la parte che forse prendono alla formazione dello sperma- tozoo), debbono ritenersi biologicamente importanti. Special- mente probativo a tal riguardo mi sembra sia la costanza di dimensioni dell’apparato periidiozomico negli elementi di una stessa generazione (spermatociti del primo, del secondo ordine e spermatidi) e la manifesta dimmuzione notevole nel numero degli organuli componenti l’apparato medesimo, da una generazione di elementi (spermatociti del primo e del secondo ordine) alla successiva. Quest’ultimo fatto puö interpretarsi; o colla supposizione che le dimensioni dell’apparato dittosomico debbano essere proporzionali alla grandezza della cellula nella quäle e contenuto, oppure (e questa mi sembra l’ipotesi piü verosimile) ammettendo che, malgrado l’apparente scomparsa delle individuaütä dittosomiche durante la mitosi, si effettui ciö nono- stante un’equa ripartizione fra le cellule figlie del materiale dittosomico destinato ad organizzarsi (senza subii’e un sensibile accresciniento) in reintegrate individualitä, nel periodo telocmetico. 2. Condriosomi. Un materiale favorevole mi ha permesso di condurre una minuta analisi morfologica su formazioni, delle quali mi sembra di avere esau- rientemente dimostrato in modo implicito la natura condriosomica. 72 Tullio Terni Noiiostante infatti Faspctto di filameuti rettiliiiei, diverso da quello di altri condrioconti, che per iin limgo periodo posseggono — pure la cou- statazione del caratteristico comportamento loro diirante la mitosi e della loro partecipazione diretta alla costituzione dello spermatozoo, non lascia adito a dubbii suUa natura di essi: intesa nel senso della loro oniologia con molte delle note forniazioni descritte da Bexda e dopo di lui da imo stuolo di Autori; in materiale animale gonocitario e somatico e nei vegetali [vedi anche Pensa (12), Guillermond (’12), ecc.)]. Anche la visibilitä dei condriosomi nel vivente, della quäle nii sono potuto assicurare, oltre a rendermi persuaso della esistenza loro reale, ha convalidato la loro identificazione, poiche — come e noto — molte ricerche, fra le quali quelle di v. Brunn (’84), di Benda (’03), di KoLTZOFF (’06), dil\lEVES(’07b), diDUESBERO (’IO), diFAURE-FREMIET(’lO), di Montgomery(’II), ecc., si accordano nel ritenere dotati i condriosomi di un indice di rifrazione maggiore del citoplasma ambiente. Ho orientato le mie indagini tecniche in modo da cercar di raggiungere la consen’azione della struttura apprezzabile a fresco; ho cosi avuto agio di espletare le mie ricerche su materiale sottoposto a talimodalitä tecniche» da permettere delle osservazioni che quasi esattaniente coincide- vano con quelle possibili su materiale vivente. La presenza dei condriosomi e costante in ogni generazione del ciclo spermatogenetico. Su questo assioma val la pena di in- sistere perche — sebbene giä reiteraniente enunciato — solo raramente e stato desunto da uno studio completo, su di uno stesso oggetto, della spermatofilogenesi, della spennatocitogenesi e della spennatistogenesi, quäle io nii sono proposto di compiere col presente lavoro. Come risulta anche daUa bibliografia esposta, nella maggior parte delle ricerche e stata ü püi spesso indagata una sola tappa del processo gonogenetico, mentre le rimanenti o erano solo sfiorate o addirittura taciute. I condriosomi presenti in ogni generazione di cellule della spermatogenesi del Geotriton posseggono la forma di filamenti: flessuosi ed intrecciati negli spermatogoni, rettUinei e rigidi nel periodo spermatocitogenetico e spermatistogenetico. Sono dei veri condrioconti: hamio cioe una superficie liscia e non sono niai otticamente risolvibili in granuli allineati. La presenza di condrioconti nella gonogenesi dei Verte- brati e un fatto del quäle l’unico esempio era fino ad ora costituito dalla breve osservazione di Duesberg (’IO) sugli spermatogoni di Salamandra. Queste mie ricerche tolgono perciö la distanza che esisteva — specialmente Conclriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiclie ecc. 73 per le divisioni di maturazione — fra la morfologia dei conclriosomi sper- matici dei Vertebrati (ritenuti granulari) e degli Invertebrati (spessissbno filamentosi). Aggiungo che sono disposto a supporre che in un materiale molto piü vasto di quello che fin’ora le varie ricerche (non sempre esau- rienti e persuasive) non lascino pensare, esistano — anche in Vertebrati — conclriosomi filamentosi piuttosto che condriomiti e mitoconch’i; ciö e perö da escludersi verosimilmente pei Mammiferi. * * * La dimostrazione da me data di condriosomi negli spermatogoni, oltre che contribuire ad avvalorare le basi deUe idee di Benda, di Meves, di Duesberg, di Levi, ecc. suli’importanza e il significato possibili clel condrioma, mi sembra che fornisca gli elementi iitili ad una breve discus- sione delle vedute fondamentahnente espresse da Goldschmidt (’04, ’09) e di quelle emesse da Rubaschkin (’IO, ’12). Se si ammette come assoclata Tidentitä di molte delle formazioni cromidiali della gonogenesi (principalmente studiate nei lavori altrove citati della Scuola di Monaco) coi conclriosomi, e chiaro che la constatazione da me fatta (d’accordo con numerosi Autori) di un cospicuo condrioma negli spermatogoni, parla contro l’idea della provenienza nucleare, durante il periodo auxocitario, di quei cromidii che sono riconduci- bili alle formazioni conchiosomiche. — E vero perö che, secondo taluni dei sostenitori della idee di Goldschmidt, un apparato cromidiale esisterebbe fin negli spermatogoni (Wassilieff, Büchner, ecc.), ma e pur vero che, secondo tali ricercatori, in ogni caso il maggior incremento clell’apparato medesimo (e per conseguenza anche dei condrioma) si otterrebbe mediante attivitä clel nucleo, speciahnente durante il periodo di accrescimento, allo scopo di ristabilire requilibro plasmatico-nucleare. Del resto l’ac- certamento delF esistenza di condriosomi negli spermatogoni acquista maggior valore come obbiezione aUa ipotesi della loro origine nucleare durante il periodo auxocitario, qualora sia integrato daUa constata- zione clü-etta, da me compiuta, deUa assoluta indipendenza genetica, durante tutto il suddetto periodo, dei cromidii (conclriosomi, dittosomi) dal nucleo. Eelativamente ai concetti svolti da Rubaschkin, le mie osservazioni sugli spermatogoni, che mi hanno climostrato l’esistenza di conclr io conti fin negli archispermatociti, mostrano la inestensibilitä di coclesti concetti per lo meno agli Anfibii. — Come e noto, secondo le ricerche di Rubasch- kin (’IO, ’12) le cellule della via germiaale dei Mammiferi (per es. della Cavia) sarebbero contrassegnate da mitocondii granulari, identici a queUi 74 Tullio Terni prcscnti nei primi blastomeri — nientre nelle cellule embrionali soina- tiche assai prccoceniente i mitocondri confluirebbero in condrioconti. Ora, se effettivamente dalle ricerche di Rubaschkin su embrioni di Älamniifcri 1), di Tschaschin (’IO) sugli Uccelli, risulterebbe la struttura granuläre dei condi'iosomi delle cellule germinali delle varie generazioni, non altrettanto puö dirsi per le altre classi di animali. Levi (’12a) ha infatti dimostrato la esistenza di condrioconti nei gonociti di Bufo v. ; le ricerche di D’Holländer (oogenesi degli Uccelli), di Wilke, di Duesberg (spermato- genesi degU Insetti), di Dingler (spermatogenesi di un Verme), ecc., hanno dimostrato la presenza di condriosomi decisamente filamentosi nei periodo spermato- e oogoniale. La supposizione avanzata da Duesberg (’12, pag. 683), evidentemente per salvare la portata generale delle idee di Rubaschkin, che negli spermatogoni la regola sia rappresentata da con- di'iosomi granulari e che, ad es., i condrioconti da lui stesso veduti negli spermatogoni (di quäle generazione?) di Triton risultino da fusione di granuli mitocondriali forse presenti in cellule progenitrici — non e basata SU alcun dato obbiettivo di fatto. Adunque riteniamo che l’ipotesi di Rubaschkin non abbia valore per quanto concerne le cellule preseminali (e preoogoniali) degli Anfibii. Non ho potuto formarmi idee chiare sul comportamento, nelmio caso, dei condriosomi degli spermatogoni durante la initosi; di essa non sapremmo dire altro se non che opera un’equa distri- buzione, alle cellule figlie delle varie generazioni, dei con- driosomi preesistenti. Negli spermatogoni delle prime generazioni e da arguirsi Taccrescimento dei condrioma durante il tempo che inter- cede fra una cinesi e la successiva. I condrioconti degli spermatogoni sono affatto indipen- denti morfologicarnente dalle formazioni periidiozomiche — piü faeihnente dimostrabili nelle ultime generazioni degli spermatogoni. * * * Airinizio dei periodo di accrescimento i condrioconti sono assai brevi; parallelaniente al progressivo incremento in grandezza dell’auxocita, codesti brevi filamenti si allungano a poco a poco per un vero e proprio accrescimento autonomo (terminale o interstiziale non sapremmo 1) Da ricerche ancora inedite privatamente comunicatemi dal Prof. Levi, ri- sulta che gli oogoni e gli oociti di Mammiferi all’inizio deU’accrescimento {Lepus c., Bos /.) sono caratterizzati da condriosomi filamentosi e non da granuli. Condriosonii, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 75 diro) e non per fusione di mitocondri o dei brevi condrioconti fra loro. Questa mia opinione e principabnente basata su due fatti: assenza di grannli o di condrioconti foggiati a linea tratteggiata ; mancanza di di- minuzione apprezzabile nel numero delle entitä condriosomiche attra- verso il lungo periodo auxocitario. Questa niodabtä di accrescimento dei condrioconti — contraria a queUa comuneniente ammessa per U pe- riodo di accrescbnento — e a nostro awiso un carattere che appoggia la ipotesi della conservazione della individualitä dei condriosomi e della relativa fissitä nel loro nimiero. I condriosonii — che nel corso dei periodo di accrescimento sono divenuti dei filamenti rettilinei, fini, rigidi, assai rifrangenti, dotati di notevole consistenza [Terni (’12)], indipendenti l’uno dall’altro cosicome dalle formazioni periidiozomiche — subiscono prima, durante e dopo le due divisioni di maturazione, dei notevoü sposta- menti, consei'vando la loro forma originaria inalterata. Essi possono trovarsi e addensarsi in una determinata limitata zona dei citoplasma (alone periidiozomico deU’auxocita, coppa perinucleare deUo spermatocita dei primo e dei secondo ordine, ecc.), disertando anche completamente altri territorii dei citoplasma considerevohnente estesi. Vale rigorosamente la regola della impenetrabilitä dei fuso centrale da parte dei condriosomi; allo stesso modo questi Ultimi non invadono mai l’idiozoma — in seno al quäle abbiamo visto (l’a'ltronde originarsi il fuso. La partecipazione attiva dei condiioconti alle divisione cellulare puö essere concretata in questi tennini: nelle due divisioni di matura- zione si ha, consecutivamente a complesse manovre profasiche di orientamento, una tattica cinetica dei condrioconti, la quäle trova il suo culmine immediatamente dopo le manovre mitotiche della cromatina cromosomica. Le due condrio- cinesi di maturazione hanno ciascuna per effetto una divi- sione trasversale dei condrioconti nel piano equatoriale, che si effettua sincronicamente al determinarsi dei solco equa- toriale divisorio dei citoplasmi. [Speciahnente neUa seconda divisione e obbiettivamente dmiostrabile la divisione trasversale di tutti i condrioconti; mentre nella prima divi- sione alcune cause determinano la impossibiUtä di tale constatazione per tutti i condiioconti; si che non e escluso che alcuni di questi possano eventualmente sfuggire alla divisione condriocinetica.] 7G Tullio Terni Durante la mitosi adunque i condrioconti sono contenuti e si spo- stano iiel citoplasma in modo simile ai cromosomi e — come questi non sono parte integrante del citoplasma pur essendovi contenuti — aUo stcsso modo i condriosomi si mantengono morfologica mente indipendenti dal citoplasma ambiente, pur essendovi im- mersi. Per qnanto non intenda di addentrarmi nella qnestione della struttnra del Protoplasma (Flemmixg, Alt^l^nx, Arxold, Heidenhaix) — che e stata messa sotto nuova luce, ma non risolta, dalle ricerche sui condrio- sonii — e indispensabile tuttavia che dedichi qualche parola alla idea che mi sono fatto sni rapporti fra condriosomi e citoplasma. Per qnanto si debba riconoscere che Flejdiixg — come afferma ME^^:s(’07c, ’08) — abbia visto colla sua «massa filare» anche dei condrioconti, pure mi sembra che non si possa mettere il condrioma a base di nna teoria di struttnra del protoplasma. Io mi sono convinto che i condrioconti rappresentino degli organnli ben individualizzati e morfologicamente indipen- denti dal mezzo ambiente; il qnale appariva nel mio caso a struttnra omogenea, ma che puö in altri casi — come e noto — presentarsi alveo- lare, ecc. Come abbiamo visto, i conchioconti si spostano neUa mitosi con molta vivacitä, attraverso a queUo che si puö chiamare citoplasma propriamente detto o, con Meves, «sostanza fon damentale», ecc.; e piü che probabile che l’antico paramitoma di Flemmixg corrisponda solo ad nna parte piccoUssima di esso. Le radiazioni protoplasmatiche periidiozomiche della profase e polari della metafase, appartengono come fonnazioni temporanee a codesto citoplasma propriamente detto — nel qnale si manifesta, in determinati momenti, la tendenza a stnittnrahnente disporsi secondo mi orientaniento di fini trabecole che, invisibili a fresco, divengono patenti con particolari trattamenti, che non coincidono affatto con qnelli atti a mettere in evidenza i conchdosomi. Per qnanto non mi sia stato possibile di di- mostrare contemporaneamente le due sorta di fonnazioni, in modo da obbicttivamente provarne la coesistenza le nne accanto aUe altre, ri- tengo pur tuttavia che esse debbano esser tenute affatto distinte le nne dalle altre e che, piü precisamente, (in ciö d’accordo nelle liiiee essenziali con i\lEVEs) i condrioconti giacciano negli spazii interposti alle radiazioni citoplasmatiche. Eicordianio in fine che esiste coi neiden za nel tempo fra il primo presentarsi delle radiazioni periidiozomiche e deirorientamento raggiato periidio- zomico dei condrioconti, da nna parte ; daU’altra, fra prhno a^^^’ento delle Conclriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 77 radiazioni polari e della tendenza all’orieiitamento metafasico pericentrio- lare dei condrioconti stessi. Gli spostamenti multipli e complessi che i condriosomi subiscono, speciahnente nel periodo spermatocitogeiietico, in seno al citoplasma ambiente, nii inducono adunque ad escludere nel modo piüesplicito che i condrioconti rappresentino una strnttura del citoplasma; non sembri superflua questa mia insistenza nel ribattere codesta veduta, quando si consideri che anche nn autorevole ricercatore quäle e Retzius se ne mostra implicitamente fautore allorche ammette, discutendo le ricerche di Meves (’08), che i condriosomi non siano altra cosa se non i filamenti provvisti di granuli costituenti Tenigmatico mitoma di Flem- MiNG, messi in evidenza piü o meno completamente nei loro dettagli (’12). Per quel che conceme la possibile interpretazione teorica delle condrio- cinesi di maturazione, l’ipotesi di uno special significato riduttivo della tattica condriosomica (Giglio-Tos e Granata, Duesberg ecc.) mi sembra — data la somma delle nostre conoscenze al riguardo — ancora prematura ; dal momento che non sappiamo positivamente se e in quanto il comporta- mento dei condriosomi durante le divisioni di maturazione differisca da quello dei condriosomi nelle comuni cellule somatiche. Infatti, esiste talora in queste ultime un comportamento del condiioma tale, che sembra aver per effetto la ripartizione sensibilmente eguale dei condriosomi i). Perö si deve in ogni caso riconoscere che le osservazioni su di un materiale assai disparato provano il fatto che, nelle divisioni riduttive spermato- genetiche (Benda, IVIeves, Giglio-Tos, Granata, Duesberg, Gerard, Faure-Fremiet, Montgomery, ecc.), si effettua con particolare evidenza una partecipazione spesso attiva dei condriosomi ; nel caso da me studiato il processo ha assunto una sorprendente chiarezza e regolaritä. SuUa duphce divisione trasversale dei condrioconti che ho osservato non mi sembra adunque che per ora si possa costruire alcuna ipotesi nel senso di una possibile riduzione quantitativa o quahtativa dei condrio- somi— anche perche abbiamo notato che, subito dopo le divisioni suddette, si ha con tutta verosimiglianza un accrescimento in lunghezza dei condrio- conti dimezzati (speciahnente desumibile daUo studio della prima divi- sione di maturazione). 1) Vedi, ad esempio, le ricerche a tal proposito di Meves (’08), di Duesberg (’IO), di CoMES (’09, ’IO), di Levi (’ll), ecc. In un lavoro di Levi in corso di pubblica- zione si insiste sulla grande somiglianza esistente fra le mitosi di alcune cellule soma- tiche deir ovaio di Mammiieri e quelle sessuali, quali sono state da me e da altri illustrate. 78 Tullio Terni Piuttosto voglio insistere sul fatto evidente che le due condrio- cinesi dimostrano la continuitä morfologica dei condrioconti da un elemento cellulare all’altro, la quäle e strettamente legata alla loro individualitä e alla loro persistenza, sotto la loro abituale morfologia, durante l’intera fase cinetica del periodo spermacitogenetico. II determinismo del processo condriocinetico parla in un senso generale in favore di un avvaloraniento deU’importanza del condi’ioma, in quanto che le idee oggi dommanti in morfologia asse- gnano giustaniente un grado elevato a quelle parti costituenti della ceUula, che si comportano attivamente durante la divisione cellulare. =i= * ^ I condriosomi da noi seguiti nel periodo di maturazione, persistono con gli identici caratteri esteriori durante il periodo sperma- tistogenetico, mostrando i segni di una squisita attivitä e partecipando in ultimo in modo affatto caratteristico aUa costituzione dello spermatozoo adulto. Non ripeterö le modalitä di questo processo ne insisterö sugli spostamenti, di significato quanto mai oscuro, che i condrioconti subiscono all’inizio del periodo di trasformazione : spostamenti che servono a con- vahdare il nostro modo di vedere su esposto sui rapporti che corrono fra citoplasma e conch'iosomi. Intendo di soffermarmi solamente sul fatto che la sede, ove prevalentemente si locahzzano i condriosomi deUo sper- matide, e la testa dello spermatozoo. Il grado deUa partecipazione dei condrioconti aUa definitiva costituzione deUo spermatozoo e nel caso del Geotriton il seguente: tutti i condrioconti presenti nello sper- matide vengono utilizzati nclla formazione dello spermatozoo, rimanendo compresi fra rinvolucro di citoplasma che va via via assotti- ghandosi sempre piü neH’allungamento della testa deUo spermatozoo, e il cilindro di cromatina; in modo da formare in ultimo come un invo- liicro di filamenti stipati che raddoppia verso Tintemo, in corrispon- denza della parte posteriore della testa, la membranella citoplasmatica involgente la cromatina. E possibile, con particolari mezzi tecnici, di di mostrare i condrioconti nello spermatozoo adulto. [E da supporre che anche in corrispondenza del coUo e di una bre- vissima porzione iniziale del filaniento assile della coda esistano dei con- drioconti, per quanto — al contrario dei condriosomi situati nella testa — non sia possibile di dimostrarveli con opportune niezzi nello spermatozoo adulto.] Come e noto, tutti gli Autori (salvo rare eccezioni) sono concordi nel ritenere, che, nella spermatistogenesi di tutti gli animah studiati, i condrio- Condriosomi, idiozonia e formazioni periidiozomiche ccc. 79 somi intervengano nella costituzione dello spermatozoo maturo, contri- buenclo a formare di esso ima porzionc della quäle si deve ritcnere certa la penetrazione nell’uovo nell’atto della fecondazione. [Ormai numerose ricerche hanno obbiettivamente dimostrato Tingresso nell’uovo dei con- driosomi maschili: quelle degli Zoja (’91), di Meves (’lOc, ’ll a) e di Held I (’12) suU’Hsmm; quelle di Retzius (’IO) e di Meves (’llb, ’12a, b) sul I ParecJiinus; quelle di Van der Stricht (’02, ’09), di Lams e Doorme ! (’08), Lams (’IO), ecc. su taluni Maminiferi.] ' Le modabtä invero dell’intervento dei condriosomi nella istogenesi dello spermatozoo sono delle piü svariate, come dalla esposizione biblio- grafica si puö desumere ; non sempre poi nello spermatozoo adulto conser- vano inalterata la loro individualitä morfologica. NeUa spermatogenesi I dei Geotriton la partecipazione dei condrioconti alla forniazione dello : spermatozoo adulto si compie con una decisa persistenza delle singole individualitä condriosomiche, Dunque, filamentositä dei condriosomi, loro sede cefalica e conservazione della loro individualitä morfologica nello spermatozoo adulto, rappresentano la triplice caratteristica di questo e, presumibümente, di altri Urodeli ; in contrasto, cioe, con quanto riteneva Renda a proposito degli spermatozoi di Urodeli (vedi pag. 30). Del resto, altre ricerche di Renda (’03) parlano nel senso della presenza di formazioni mitocondriaU neUa testa degli spermatozoi di alcuni Vertebrati, come nel Bomhinator, nella Lacerta, nella Columba; niai era stata perö data esplicitamente la prova sicura e documentata della partecipazione di condriosomi — e per di pm filamentosi — alla istogenesi degli spermatozoi filiformi. Come ho esposto altrove (’13), ritengo che le fibriUe messe da Ral- LOWiTZ (’06) in evidenza colla macerazione negli spermatozoi di Geo- triton, corrispondano ai nostri condrioconti. Le osservazioni di Koltzoff (’08), condotte con tutt’altro intento che non fosse la dimostrazione dei condriosomi, verranno prese in esame nella discussione della sua ipotesi. L’esistenza dei condrioconti nella testa dello spermatozoo ci rende adunque sicuri della penetrazione neH’uovo dei con- drioma paterno. Se la sede che i condriosomi occupano nello spermatozoo ha in se un grande interesse teorico in quanto ci informa sul possibile destmo bio- logico di codesti organuli, la particolar morfologia di essi merita speciale attenzione, qualora la si ricoUeghi alla osservazione di Levi (’12 c), che ha dimostrato come gli ovociti dei Geotriton abbiano dei con- driosomi filamentosi; non occorre insistere nel far rilevare la grande 80 Tullio Tenii iniportanza dottrinale che questa identitä morfologica porta indiscutibil- mente con se. Kon possediamo dati positivi da cui desumere il vero destino cito- genetico dei condriosomi maschili durante la segmentazione dell’uovo e durante la fomiazione dei primi abbozzi embrionarii. Del resto, nean- che negli animali le di cui cellule sessuali posseggono dei condriosomi granulari (ad esempio nei Mammiferi), e ben conosciuto in quäle guisa i condriosomi paterni penetrati nell’uovo cooperino alla costituzione dei condrioma delle cellule embrionali. Tsel materiale a condriosomi sessuali granulari, questi ultimi, nei primi stadii dello svüuppo em- brionario, mostrerebbero la tendenza ad allungarsi [Duesberg (’IO)] oppure a riunirsi [vedi anche Duesberg (’12 pag. 759)] in catenelle, per trasfonnarsi in quei filamenti lisci ed omogenei che'sono i caratteristici condrioconti delle cellule embrionali. Non e da escludersi che nei materiale caratterizzato da condriosomi filamentosi nelle cellule sessuali — un esempio dei quäle e il Geotrüon — si abbia una derivazione diretta dei condrioconti embrionali da quelli genninah, fatto questo che avrebbe una notevole iniportanza: sia nei convahdare la legittimitä di una oniologizzazione dei condriosomi embrionali con quelli delle cellule sessuali, basata suUa identitä della loro forma; sia neiraffermare ancora ima volta la persistenza attraverso le varie fasi della vita cellulare, di codesti organuli a struttura costante. Le ricerche di Levi (’ll, ’13) — che parlano m senso contrario alla teoria paraplastica di ^Iex-es e di Duesberg — si collegano a questo ordine di idee, in quanto haimo dimostrato la persistenza di conch'iosomi shnih agli embrionah negli elementi adulti e la non partecipazione loro cüretta al substrato morfologico della differenziazione cellulare: e con ciö la continuitä delle individualitä condriosomiche stesse (natural- mente soggette ad mcrenientoj attra verso in numereroligenerazioni cellulari. Tali studii hanno indicato quäle profondo significato bisogni annettere alla morfologia costante e alla intrasforniabihtä degli organuli condriosomici — qualora se ne arguisca ima loro funzione diret- tiva, di presenza, nei determinismo dei processi istogenetici. ♦ * * Noi abbiamo adunque seguito in tutto il ciclo spermatogenetico dei Geotriton i condriosomi ; dapprima atteggiati ad una particolare morfo- logia negli elementi prespermatocitici, essi acquistano ad un dato momento delle caratteristiche proprietä strutturaU, le quali si mantengono costanti Condriosomi, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. 81 per uii lunghissinio periodo (di mesi) attraverso a divisioiii cellulari e a complessi meccanismi trasformativi degli elementi cellulari — per venire in Ultimo a situarsi nello spenuatozoo, conservando invariata la forma che possedevano alla soglia del periodo di maturazione. Kessun’ altra parte differenziata della cellula si mostra dotata di si spiccata disposizione a mantenere la propria individualitä, da persistere con una identica morfo- logia attraverso varie generazioni cellulari e attraverso al complicatissimo processo che trasforma lo spermatide in un elemento cosi altamente diffe- renziato, in rapporto alla sua struttura e alla sua funzione, quäle e lo spermatozoo. Se e possibile o, niegho, necessario trarre da questi fatti la convin- zione deUa grande importanza biologica dei condriosomi, e altrettanto possibile definhe di quäle natura essa sia, su quäle funzione attuale o potenziale della cellula essa si rifletta? L’ ipotesi di Bexda, che vedeva nei mitocondii (oltre che degli orga- nuli presumibihnente depositarii di proprietä ereditarie) soprattuto un centro dei movünenti cellulari, non puö nel nostro caso essere invocata; nello spermatozoo del Geotriton la parte mobile e solamente la coda (mem- brana ondulata) ed in essa e assente, eccezion fatta per una parte minima, Finvolucro condriosomico. Come e noto, Koltzoff e stato condotto daUe sue ricerche sugli spermatozoi dei Decapodi, aUa ipotesi che i condriosomi rappresentino lo scheletro deUa cellula, deUa quäle determinerebbero la particolar forma. Questa ipotesi della funzione di sostegno (sia essa essenziale o accessoria) — per quanto suggestiva — non puö essere accettata nel nostro caso, quando si pensi che i conch’ioconti sono, nello spermatozoo del Geotriton, raggruppati solo nella porzione posteriore, assai hmitata, della testa; non si vede per quäle ragione debba esser necessaria una impalcatura per nian- tenere la forma di una porzione modica del cilindro cromatinico, se di esso la maggior parte puö — senza pregiudizio della forma — esseme priva. D’accordo con Duesberg (’12), ritengo che Fufficio che attribuisce Koltzoff ai condriosomi sia soltanto occasionale e affatto accessorio. Vi sono infatti casi nei quah i condriosomi certamente non disimpegnano una funzione di sostegno ed altri, nei quah haimo evidentemente un tale ufficio formazioni non condiiosomiche. Fra queste ultinie, oltre al fila- mento spirale della testa degh spermatozoi dei Selaci, Duesberg pone le formazioni da Koltzoff (’08) studiate in tahmi spermatozoi filiformi, anche di Urodeh: il filamento longitudinale e il filamento spi- rale — interposti fra la cromatina della testa e la menibrana citoplas- matica che la involge. Informandomi alle mie osservazioni, io non saprei Arcliiv f. Zellforschung. XU. 6 82 Tiillio Terni invece escludere che codeste formazioui siaaio condi'iosomiche, per quanto di aspetto assai diverso da quello da me constatato. L’ipotesi di Regaud (’09), secondo la quäle il coudiüoma dello sperma- tozoo sarebbe ima parte deila cellula «joiiant un röle actuel de fixation et de concentration des substances ambiantes, destinees ä etre consom- mees lors de la coiitraction du filament axile» e — per quanto verosimile — troppo meramente ipotetica, perche possa aceampare diritti alla sua generalizzazione. Secondo la nota ipotesi di (’07, ’08) il condrioma deUo sperma- tozoo sarebbe da considerarsi coine la sostanza idioplasmica del proto- plasma; i condriosomi dell’uovo fecondato sarebbero i depositarii delle proprietä ereditarie del citoplasma. Diversi sono i dati su cui si posa co- desta ipotesi, secondo la quäle i condriosomi, dal punto di vista deUa localizzazione dei caratteri ereditarii sarebbero, di fronte al citoplasma, quello che i cromosomi sono di fronte al nucleo. R fatto che i condriosomi rappresentano la parte preponderante del citoplasma maschile che interviene nel meccanismo deUa fecondazione, e senza dubbio un Inion argomento in favore dell’ ipotesi di Meves, per coloro che ritengono che i condriosomi siano parte integrante del proto- plasnia; noi riteniamo, invece, che essi siano organuli individualizzati e bell disttnti dal citoplasma proprianiente detto (del quäle del resto rimane uuo Strato a rivestire determinate parti deUo sperniatozoo). Lo speciale comportamento dei couchiosomi nella mitosi, mediante U quäle si ha (salvo forse rare eccezioni) un’ equa ripartizione del condrioma tra le due cellule figlie, talvolta con una divisione trasversale di condrio- conti, mentre depone per la contmuitä dei condriosomi da una cellula iiiadre alla figha, e un fatto che richiama alle mente — speciahnente per la sua analogia col processo cariocinetico — la possibüitä di una localizzazione di caratteri ereditarii nei condiiosomi. Conie ho giä detto piü sopra, ritengo perö alnieno prematura la supposizione che assegna alle divisioni di maturazione, nei riguardi del condrioma, un particolar significato ri- diittivo simile a quello accertato per la sostanza cromatica del nucleo. L’ultimo fatto sul quäle e piincipahnente basata la con^^nzioue di ilE\'ES e la supposta diretta trasformazione dei condrioconti delle ceUide embrionali (formatisi a spese dei mitocondri sessuali) negli organuh fibril- lari che fonnano il substrato della differenziazione cellulare. Malgrado le nunierose ricerche che si accordano con quelle di üextes su questo pmito, sono state avanzati anche dei fatti e delle idee che si oppongono a tal modo di vedere [Gurwitsch (’IO citato da Duesberg, ’12), Lsm (’ll), ecc.] ; per cui sarebbe invece da assegnarsi ai condriosomi (Levi) l’ufficio di Condriosomi, idiozoma e foniiazioni periidiozomiche ecc. 83 regolare.con azioiii direttive il processo della differenziazioiie cellulare. Nou intendo soffenuarmi sulla questione della base morfologica del- Fereditarietä e se essa sia monopolio di alcune piuttosto che di altre parti della cellula, poiclie uscirei in tal modo dai limiti deU’analisi obbiettiva e deUa discussione dei fatti che mi sono imposto. Tengo ad affermare perö che — a mio giudizio — l’ipotesi che considera nei condriosomi i portatori delle proprietä ereditarie del citoplasma non sia sufficentemente resa probabile e convalidata dai fatti. Malgrado che, adunque, le nostre conoscenze attuali non possano ancor darci fondatamente ragione del sigmificato funzionale dei condrio- somi, resta pur tuttavia ancora una volta e con particolar evidenza di- niostrato daUe mie ricerche, che essi entrano a far parte integrale dello spermatozoo adulto, dopo aver partecipato in modo attivo e caratteristico alle varie fasi della vita cellulare nelle generazioni preseminali. Spetta adunque ai conchiosomi un importantissimo posto nel complesso cellulare poiche — come abbiamo dimostrato — gli orga- nuli stessi si comportano secondo norme generali ben definite e costanti, che singolarmente avvalorano la loro dignitä morfologica. Elenco bibliografico. Altjiann, R. 1894. Die Elementarorganismen imd ihre Beziehungen zu den Zellen. Leipzig. 2. 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Meno le figure 1, 2, 3 e 45 (le quali furono ricavate da testicoli fissati in liquido di iLiXiMOW modificato) e la figura 13 bis (tolta da materiale fissato in liquido di Flemmixg) — tutte le altre figme furono disegnate da materiale fissato col procedimento di Bexda pei ilitocondri. In tutto il materiale qui riprodotto — eccetto che per la fig. 51 (ricavata da un prepa- rato, il cui trattamento e specificato nella spiegazione annessa) — si operö rimbianchi- mento deUe sezioni e Tematossihna Heideyhaix. L'ingrandimento indicato si riferisce agli originali deUe figure; nella riproduzione la grandezza delle figure venne ridotta di poco piü di 1/4. Fig. 1. Spermatogonio primitivo (Archispermatocita). Ingr. 2800x . Fig. 2. Spermatogonio delle prime generazioni. Ingr. 2800x . Fig. 3. Spermatogonii delle xütime generazioni. Ingr. 1800x . Fig. 4. Spermatocita aU’inizio del periodo di accrescimento. Ingi'. 2800x . Fig. 5. Auxocita piü evoluto del precedente. Ingr. 2800x . Fig. 6. Spermatociti giunti quasi al termine del periodo di accrescimento. Ingr. 2800 X . Fig. 7. Auxocita neUo stadio terminale della sua evoluzione. Ingr. 2800 x. Fig. 8. Auxocita, nello stadio della Fig. 7, tagliato trasversalmente al maggior asse (a livello deU’idiozoma). Ingr. 2800 x . Fig. 9. Auxociti nello stadio della Fig. 7. Ingr. 1800 x . Fig. 10. Profase iniziale della I^ dimsione di maturazione. Ingi-. 2800x . Fig. 11. Stadio profasico, piü avanzato del precedente, della 1® dimsione di maturazione. Ingr. 2800 x Fig. 12. I^ profase piü avanzata dello stadio precedente. Ingr. 2800 x. Fig. 13. Elemente che si trova nello stadio della Fig. 12, sezionato (perpendicolar- mente al suo maggior asse) a livello dell’idiozoma. Ingr. 2800x . Fig. 13 bis. Idem. Fig. 14. Stadio deUa 1* profase alquanto piü inoltrato di queUo della Fig. 12. Ingr. 2800 X . Fig. 15. Stadio ulteriore della I® profase. Ingr. 2800 x . Fig. 16. Stadio terminale della I* profase. Ingr. 2800x . Fig. 17. Inizio deUa I'^ metafase. Ingr. 2800x . Fig. 18. I* metafase inoltrata. Ingr. 2800x . Fig. 19. ilomento inziale deUa I^ anafase. Ingr. 2800 x. Fig. 20. Stadio della 1® anafase piü avanzato del precedente. Ingr. 2800 x. Fig. 21. Elemente che si trova in imo stadio simile a quelle della Fig. 20, sezionato trasversalmente al suo maggior asse (a livello, circa, del piano equatoriale). Ingr. 2800 X . Fig. 22. Momente della I® anafase leggermente piü inoltrato di quelle della Fig. 20. Ingr. 2800 x . Fig. 23. Elemento anafasico che si trova in uno stadio appena successivo a quello della figura precedente, sezionato trasversalmente a livello del piano equatoriale. Condliosomi, idiozoma e fürmazioni periidiozomiche ecc. 95 Fig. 24. Anafase della divisione di maturazione. Ingr. 2800 x . Fig. 25. Idem. Fig. 26. Momente terminale della anafase. Ingr. 2800x . Fig. 27. !“• telofase iniziale. Ingr. 2800x. Fig. 28. Diversi momenti anafasici della I^ divisione di maturazione. Ingr. 1800 X . Fig. 29. Intercinesi. Spermatociti del 11° ordine da poco emersi dalla I^ divisione di maturazione. Ingr. 2800 x . Fig. 30. Intercinesi. Spermatocita del 11° ordine all’approssimarsi della II^' pro- fase. Ingr. 2800 X . Fig. 31. Inizio della II^ profase. Ingr. 2800 x . Fig. 32. Momente della II^ profase un poco piü avanzato di quelle della figura precedente. Ingr. 2800 x . Fig. 33. Stadio tardivo della IP profase. Ingi-. 2800x . Fig. 34. Stadio terminale della IP profase. Ingr. 2800 x . Fig. 35. Metafase della IP divisione di maturazione. Ingr. 2800x . Fig. 36. Anafase della IP divisione di maturazione. Ingr. 2800x . Fig. 37. Momente della IP anafase piü progredito del precedente. Ingr. 2800 x . Fig. 38. Stadio terminale della IP anafase. Ingr. 2800x . Fig. 39. Fine dell’anafase e inizio della telofase della IP divisione di maturazione. Ingr. 2800 X . Fig. 40. Fig. 41. Fig. 42. Ingr. 2800 x . Fig. 43. Fig. 44. Fig. 45. 2800 X . Telofase iniziale della IP divisione di maturazione. Ingr. 2800 x. Stadio quasi terminale della IP telofase. Ingr. 2800 x . Due spermatidi appena emersi dalla IP divisione di matimazione. Giovane spermatide. Ingr. 2800 x . Spermatide nel primo periodo della sua metamorfosi. Ingr. 2800 x. Spermatide airinizio del secondo periodo della spermatistogenesi. Ingr. Fig. 46. Spermatide in una fase che segue da presso quella della figura prece- dente. Ingr. 2800 x . Fig. 47a. Spermatide in cui va progredendo Tallungamento del nucleo. Ingr. 2800 X. Fig. 47b. Sezione trasversale di uno spermatide alto stesso stadio della fig. 47a, condotta a llvello della porzione anteriore del nucleo. Ingr. 2800 x . Fig. 47 c. Sezione trasversale di uno spermatide allo stesso stadio della fig. 47a, condotta a livello della porzione posteriore del nucleo. Ingr. 2800 x . Fig. 48a. Spermatide giä molto allungato. La figura riproduce l’estremitä anteriore colla vescicola idiozomica apicale e il terzo posteriore dell’elemento ; i 2/3 an- terior! vennero omessi. Ingr. 2800 x . Fig. 48b. Sezione trasversale di uno spermatide, allo stesso stadio di sviluppo di quello della Fig. 48a, condotta a livello della parte posteriore della testa. Ingr. 2800 X. Fig. 49a. Spermatide in uno stadio assai piü progredito di quello della Fig. 48a. riprodotta solo una breve porzione della parte posteriore delTelemento. Ingr. 2800 x . Fig. 49b. Sezione trasversale di uno spermatide aUo stesso stadio di quello della Fig. 49 a, condotta a livello della porzione anteriore della testa. Ingr. 2800 x . 96 Tullio Terni, Condriosonii, idiozoma e formazioni periidiozomiche ecc. Fig. 49c. Sezioüe trasversale di uno spermatide allo stesso stadio della Fig. 49a, che cade a livello del coUo dello spennatozoo (corpuscolo centrale prossimale allungato). Ingr. 2800 X . Fig. 50a — e. Sezioni trasverse condotte a diverso livello su spermatidi che si trovauo ad uno stesso grado di evoluzione molto progredito (ultimo periodo della spermatistogenesi): a — a livello della porzione anteriore della testa; l — a livello della porzicne posteriore della testa; c — a livello del collo; d — a livello della coda (ap- paionole sezioni trasversali del filamento assile scavato a doccia, del semianello del pessario centrosomico e della membrana ondulata); e — sezione pure a livello della coda, ma piü posteriore deUa precedente (appaiono le sezioni trasversali del filamento assile e deUa membrana ondulata). Ingr. 2800 x . Fig. 51. Spermatozoo che, dopo 3 giorni di permanenza in una soluzione al 7% di -NaCl, e stato fissato in liquido di Flemmixg-Benda e successivamente colorato col metodo di Altjianx. Ingr. ITOOx . Archiv für ZrJJforsclumg. Bd. XII. Tafel I. Fig. 11 Fig. 12 Verlag von Wilhelm Engeln i Archiv für Zellforschung. Bd. XII. Fig. 7 Fig. 8 T erni. \ j rr Tafel II. Ii in Leipzig und Berlin. Fig. 13 bis Archiv für Zellforschung. Bei. XII. i'ig. 14 Fig. lö Tafel III. i'ig. nn in Leipzig und Berlin. F,g. 21 Archiv für Zellforschung. Bel. XII. Fig. 23 , Fig. 22 Fig. 25 Fig. 26 T e r n i. Verlag von Wilhelm En: 1 Tafel IV. lann in Leipzig und Berlin. Archiv für Zellforschung. Bd. XIL Fig. 33 T e r n i. Verlag von Wilhelm Eng I Fig. 30 Fig. 34 Tafel V. Fig. 31 Fig. 35 ann in Leipzig und Berlin. Archiv für Zellforschung. Bd. XU. Te rn i. i Verlag von Wilhelm Engr,, Tafel VI. Fig. 40 Fig. 41 Fig. 39 inn in Leipzig und Berlin. Archiv für Zellforschung. Bd. XII. Terni. Verlag von Wilhelm Enge. Tafel VlI. Leipzig und Berlin. A critical study of the cytology of Crepis virens. By L. Digby. With plates VIII to X. The view that the permanence of chromosomes, froni one cell genera- tion to another, may be establishecl by the presence of chromatic bodies or ‘prochromosomes’ in resting interkmetal iiuclei, has evoked much Interest, disciission, and criticism, during the last few years. A study of the literature dealing with the siibject reveals considerable lack of unanimity in the conclusions reached by different writers. It is there- fore proposed, in this introduction, to sketch briefly the development of the arguments, and to outhne the different vievs held Ijy cytologists. Further detail will be discussed at the end of the paper following the description of the mitoses of Crepis virens. Auerbach (2) working on animal cells foimd that by iising a double stain, he could distinguish the nucleolus from certain other sniaU bodies present in the resting nucleus which he termed ‘kyanophile Nukleolen’. These are the chromatic aggregations or ‘prochromosomes’ of later in- vestigators. Kosen (43) recognised the ‘kyanophile nucleoli’ in vegetative nuclei of plants, and called them ‘pseudo-nucleoli’ as opposed to the true, or ‘eu-nucleoli’. Zacharias (63) in Cucurbita Pepo ascertained that the ‘pseudo- nucleoli’ were chromatic, “nucleinhaltiger Körper” (p. 221). Some years later Rosenberg (44) identified these bodies in Capselia Bursa-pastoris, in Zostera marina and in Calendula sp. and described them as being chromatic in staining reaction, and according fairly closely in number with the chromosomes characteristic of the particular plant concerned. Archiv f. Zellforschung. XII. 7 98 L. Digby Laibach (26) subsequently confirmecl Rosenberg’s observatious regarcling the resting nuclei of Capsella Bursa-pastoris, but he cloes not oonsider that the chromatic aggregations actually represent chi'omo- somes, but that they coiistitute clu-omosome centres — “es kann sich vielmehr in den Körnern bloß um Zentren handehi, um die zwar der größte Teil der Substanz der Chromosomen angesammelt ist, daß aber nicht die ganze Substanz der Chromosomen m ihnen gespeichert ist...” (p. 198). In 1904 Strasburger (52) showed, m the presynaptic stages of Tlialictmm purpurascens and in Galtonia candicans, that the chromatm forms ‘Körnchen’ which collect at definite centres ‘Gamozentren’, cor- responding to the number of the future heterotype chromosomes. He called the ‘Chroniatinkörner’ ‘Gamosomes’. The ‘Gamosomes’ paii- to form a ‘Zygosom’, and each Zygosom gives rise to a bivalent chromo- some. A subsequeiit paper by Strasburger (53) which was published shnultaneously with those by Overton (40), Miyake (33) and Allen (1) brought the question of the permanence of chromosomes into still greater prominence. In this paper Strasburger States that he could not definitely count the “dichteren Partien im Gerüstw'erk” (p. 7) of the resting somatic nuclei either in Galtonia candicans or in Funkia siebol- diana as the “Stellen” are too indefinite m outline and too variable m size (p. 13). He endorsed his previous observatious with regard to the pairing of the ‘gamosomes’ to form the ‘zygosonies’ in the presynaptic phases. Miyake (33) likewise described ‘zygosonies’ in the heterotype prophases of Galtonia candicans, whilst m later investigations by Gre- GOiRE (20) and the author (9) no definite zygosonies could be recognised. It was Overton (40) who first introduced the term ‘prochromo- some’ into literature. He believes that in well nourished nuclei “mag ein Überfluß an Chromatin vorhanden sein, der um die Zentren gesammelt blieb, ohne sich auf das Netzwerk der Chromosomen zu verteilen. Um diese Zentren sammelt sich auclL das anderweitige Chromatin, wenn die ZeUe sich zur Teilung anschickt. Diese Chromatinansammlungen scheinen mm ein fast sicherer Beweis für die Fortdauer eines Chroniosomen- teils, somit auch für die Individualität der Chromosomen zu sein” (p. 124). In Thalictnim pnirparascens, CaJycanthus floridiis, Campanula grandis, and Helleboms foetidus he found ‘jirochromosomes’ in the resting somatic nuclei, and these reappear in the prenieiotic resting nuclei, and pair as they pass into synapsis. In a later paper (41) he substantiated these views with certain modifications. A critical study of the cytolog\' of Crepis virens. 99 Allen (1) described chromatic aggregations in the presynaptic pliases of Lilium canadense, but ascertained that they are more numerous than the chromosomes. A similar conclusion was reached by Miyake (33). Gregoire (20) exaniined Lilium martagon and his results agree with those of Allen; Gregoire does not consider the chromatic aggrega- tions to be true ‘ganiosomes’. Miyake (33) observed that m the heterotype prophases of Galtonia candicans, Allium Victorialis, Tradescantia virginica and various species of Iris that the nnmber of the paired chromatic bodies, or ‘zygosomes’ approximated to that of the rediiced nnmber of chromosomes. On the other hand in Lilium the nnmber of bodies appeared to be greatcr, whilst in Funkia sieboldiana it appeared to be less than that of the specific num- ber of chromosomes. Sykes (56) also exaniined the early heterotype prophases of Funkia sieboldiana, and described ‘knots’ composed of dark granules embedded in a colourless substratum. She was unable to count the knots accurately, but found that their nnmber far exceeded that of the somatic chromosomes. Gregoire (20) studied the heterotype prophases of Allium fistu- losum, and his results do not corroborate those of Miyake. Gregoire recognised two types of presynaptic phases, in the one type chromatic aggregations were far more developed than in the other. He does not consider the ‘noeuds’ to be ‘gamosomes’ as the chromatin is not entirely relegated to them, but is partially distributed as granules in the reticulum. Tischler (60) described the chromatic contents of the resting pre- meiotic nuclei in Bryonia as “eine Ansammlnng von Körnchen an be- stimmten Punkten, die Ähnlichkeit mit den OvERXON’schen Prochromo- somen aufweisen. Sie sind aber, so weit ich sah, wechselnd an Zahl und Größe, und ich vermag nicht anzugeben, ob schließlich jedes Mal genau alles Chromatm in diesen Punkten aufgeht” (p. 85). Mottier (35) could not determine the exact nnmber of the chromatic masses in Podophyllum peltatum and moreover found that they varied both in size and in degree. Eosenberg has extended the investigation of resting nuclei over a wide ränge of plants, and has contributed his results in a series of in- teresting papers (44, 45, 46, 47 and 48). He has shown that the restmg somatic nuclei of niany plants possess chromatic bodies which correspond approximately in nnmber to that of the chromosomes. In the pre- synaptic prophases these bodies pair, in preparation for the formation of the bivalent chromosome of the heterotype division. He has adopted the name ‘prochromosome’ for these bodies, though he is of opinion 1* 100 L. Digby that tliey woiüd have beeil more correctl)" designated as cliromosome ‘centres’ (47). OsTENFELD aiid lie have also shown that in Hierammi auricula and in H. venosum (39) the number of the prochroinosomes approxiniates to that of the chroniosomes. In Crepis virens (46) Rosenberg was able to check the nuinerical identity of chromosomes and prochromosonies, and States that “die Anzahl der Prochroniosonien beträgt in wirklich ruhenden Kernen 6, in den Pollenzellkernen 3” (p. 75). This is not in accordance with Beer’s observations. In a receiit paper (3) on spore development in the Compositae, in which Crepis virens is included, he States that, “durmg the period just preceding sjmapsis the nuclei of those Compositae which have been examined were found to contam a more or less fine reticuluni. No definite aggregations of chroniatin which could be regardcd as prochromosonies Avere in any case found upon this reticuluni” (p. 722). According to Rosenberg (47) the number of the prochroinosomes in the vegetative restmg nuclei of Xuphar luteum and of Pinguicula vul- garis is frequently less than that of the chromosomes, and he attributes this fact to an amalgamation of several prochroinosomes. In the pre- synaptic stages of Drosera longifolia, D. rotundifolia and the hybrid D. ohovata, the prochromosonies and the chromosomes coincide in theK respective numbers. Lagerberg (25) described honiogeneous deeply staining bodies in the restmg enibryo sac mother-cell nucleus of Ädoxa moschatelUna cor- responding to the gamosomes of Strasburger, biit he was not able to correlate their number AA'ith that of the chromosomes. Yamanouchi (61) has ascertained that ‘prochromosonies’ are present in restmg nuclei throughout the life history of Pohjsiphonia violacea, in about the same numbers as the chromosomes. He describes the resting nucleus of the germmating tetraspore as possessing a delicate reticuluni dotted AA'ith chroniatic granules. Prior to niitosis the iietAvork beconies coarser, and the granules collect to form chains of beads of Awyüig lengths. These are ‘prochromosonies’. They gradually Iiecome more pro- nounced, and theh- bead-like structure is transformed into the more honiogeneous rod shaped chromosomes. ÄIooRE and Embleton (34) haA'’e found that chroniatic rods are present in the resting nuclei of Triton and that their number generally corresponds to that of the chromosomes. These rods pair to form the gemini in the heterotype prophases. “The chief interest of these bodies lies in the fact that they obAÜously represent the chroniosomes of division A critical study of the cytology of Crepis virens. 101 diiring rest; and \ve may say without reserve that their presence at all stages of rest between the successive premeiotic divisions seems to con- cliisively prove the permanence of the chromosomes froni one cell genera- tion to another” (p. 558). Malte (30) has shown that the enth-e chromatic substance of the resting nuclei in the Euphorbiaceae is concentrated into isolated “Chroma- tinkörner”. In the resting vegetative nuclei of Mercurialis annua the Körner not only agree in number, but also in size and in shape with the chromosomes. This fact convinces him “daß sie in der Tat Chromosomen darstellen, die im Ruhezustand des Zellkerns ihre Individualität bei- behalten” (p. 87). Kichols (38) working on the development of the pollen of Sarracenia conld neither establish any constancy in the number of points round which the chromatm collected, nor that they were coincident with the number of the chromosomes. Lewis (27) describes the chromatic conteuts of the resting nuclei of Pinus and Tlinja as somewhat large granulär lumps, connected liy dehcate anastomosing linin Strands. The number of the lumps is greatly in excess of that of the somatic number of chromosomes. Schaffner (49) has shown in the young microsporocyte nuclei of Agave virginica that chromatic masses appear which approxiniate to the reduced number of chromosomes. As the prophase advances they become increasingly conspicuous. Schaffner believes that these masses are the ‘pro chromosomes’ of Overton, and that they represent pairs of individual chromosomes which are orientating theniselves preparatory to sph’eme formation. Lundegardh (29) examined Calendula officinalis, Achülea mille- folium and Trollius eurofaeus. He found that ‘gamosomes’ are definitely paired in Calendula and in AchiUea, whereas in Trollius some of the chromatic aggregations are paired and some are single. Düring pro- phase these collect into ‘Chromatinklumpen’ whose number is consid- erably in excess of that of the somatic chromosomes. Lundegardh suggests that in the case of Trollius these should be caUed ‘Prochromo- somenteile’ instead of ‘prochromosomes’. Gates (16) has described chromatin bodies m the nuclei of the mer- istematic ceUs of Oenothera ruhrinervis which lie appressed against the nuclear membrane. In the presynaptic phases similar deeply staining bodies accuniulate near the periphery of the nucleus and are swept by the reticulum into synapsis. These bodies exhibit no constancy in their number, size, or shape. 102 L. Digby 1« Davis (5, 6 and 7) has devoted considerable attention to the subject of chroinatic bodies in a series of papers on tlie Oenotheras. These bodies are present in the somatic and prenieiotic resting nuclei of 0. grandiflora (5) and 0. Uennis (6). They sometimes niunber more, and sometimes less, than the chroniosonies. Subsequently in 0. Lamarcldana (7), he was able to trace the identity of the chroniosonies of the telophase of the last archesporial divisions with the deeply staining bodies of the pre- nieiotic resting nuclei. “These are the chroinatic bodies described by the author for Uennis and grandiflora, and there can be no doubt that they are derived from the chroniosonies of the preceding niitosis; they apparently correspond to the prochroniosomes of Overton, Rosen- berg, and others” (p. 944). They are however distributed iivegularly throughout the nucleus, and exhibit no evidence of a paired arrangement, but their position with regard to one another suggests rather that of an eiid-to-end relationship on the linin Strands. Tahara (58) foimd no definite chroinatic aggregations in the young poUen niother-nuclei of Morus, but “kurz vor dem Eintreten zur Synapsis kommen die jetzt immer mehr wachsenden Prochromosomen welche sich schon paarweise anordnen, zum Vorschein” (p. 283). He was not able to obtain defmite counts. Nakao (37) has described a similar case to that of Morus in the cereals Hordeum distichon, Trüicum vulgare and Secale eereale. The resting vegetative and premeiotic nuclei show no definite structure, but gradually chroinatic bodies appear, whose number increases until it attains to ap- proxünately that of the chromosomes. These are the so-called prochronio- somes. As the reticulum jtasses into sjmapsis, the chroinatic bodies “are fmely divided and more or less evenly distributed in the linin ground, forniing nuclear threads” (p. 176). In sonie of the Primulas (10) pre- nieiotic restmg nuclei are Ukevise somewhat devoid of chroinatic con- tents, but, with the approach of prophase, chroniatic bodies gradually make their appearance. These origmate as droplets from the nucleus, which detach theniselves and gradually beconie chroniatic. Frisendahl (15) has described small ‘Körnchenpaare’ in the resting nuclei of Myricaria germanica and has shown that two of these pairs represent a chroniosome. He has traced their honiology with the chromo- sonies of the telophase of the preceding niitosis, in which each chroniosome not only splits longitudinaUy, but also breaks apart traiisversely, either once, or occasionally more often. “Ein Chromosom wird also jetzt durch zwei Paare von Chroniatinkörnern, die durch parallele Linien- fäden verbunden sind, repräsentiert” (p. 6). The pairs of ‘Chroniatm- A critical study of the cytology of Crepis virens. 103 körner’, in haploid nuclei, number approximately twice as niany as the haploid number of chroinosomes, and any deviation that may occur is considered to be due to a Variation in the number of transverse divisions siistained by the chromosomes of the telophase of the preceding division. This short resume of pubhshed observations with regard to the pres- ence and significance of chromatic bodies in specified resting nuclei testifies to the confhct of opinion on this subject. Of all the forms enumerated, Crepis virens seems to lend itself most favourably for Investigation, inasmuch as the extreniely low number of its chi'omosomes necessarily shnpUfies examination. Crepis virens was therefore selected for critical study with a view of possibly obtaining additional data, not only with regard to the subject of ‘prochromosomes’ but also concerning the Interpretation of the manner of pairing of the univalent Strands in the bivalent combmation of the heterotype chronio- some. The phases of the resting nuclei were comparatively simple to foUow, but the extremely viscous character of the chromatic contents of active nuclei greatly impeded an elucidation of the involved phenomena connected vdtli the evolution of the heterotype chromosome. Methods. Flower heads of Crepis virens were fixed in Solutions of strong Flem- :mixg, Hermanx, and Merkel’s fixatives and in Alcohol and Acetic. Merkel’s fluid proved a very fine fixative for this material. The buds were usually cleared m cedar wood oil, and were kept in melted paraffin about four hours. Sections were prmcipally cut at 6 «. Various stains were used including Heidexhain, Flemming’s Triple, Breixl, Acid Fuch- sin and Malachite Green, Anilin Blue and Eosin, etc. Archesporial divisions. It is proposed to commence the description of a somatic mitosis in the archesporial nucleus at the anaphase, for the task of tracing the transition between the telophase of the preceding division, and the pro- phase of the subsequent division is faciUtated, when the starting point is a defhiite and uucontroversial stage. The selection of archesporial nuclei for the study of telophases and early prophases has been confined exclusively to those young anthers which have as yet developed but one or two parietal layers. The anther is ultimately protected by four rows of ceUs ; the outer or epidermal layer and three parietal layers of which the innermost becomes the tapetuni. This precaution ensures that one 104 L. Digby is dealing witli telopbases and interkinetal stages of progi-essive arche- sporial divisions, and not witli telophases of the last archesporial mitosis leading to the prenieiotic rest whichwül be described later on in this paper. Crepis virens bas been sho^^^l by Eosexberg (46) to possess only six soniatic clu-omosomes, the lowest nnmber hitherto recorded in plants. This character considerably siiuplifies the investigation of its nnclear divisions. Teiophase. The chi-oniosomes, at anaphase, are grouped at either pole of the fast disappearing spindle (PI. VIII fig. 1) ; they proceed to di'aw closely together into a compact niass. The phases which immediately foUow are rendered some-\vhat obscure owing to the contracted form of the nncleus, and to its diffuse staining reaction, which obscures detail. As the nnclear wall forms, the chroniosomes separate from one an- other, and become transformed into a more or less continuous beaded spireme (fig. 2). The nncleoh are siirroimded by a clear space, which is traversed by fine radiating threads, and these connect the nucleoÜ with the more or less peripherally arranged spii'eme. The chromatic granules of the spireme continiie to fragment nntil the nncleus eventually acquires a finely chromatic granulär character, which is difficult to reproduce accurately m a chawing (fig. 3). Beer (3, PI. 67 fig. 73) has figured such a teiophase in Crepis virens and vTites that “the material of the chromo- somes beconies gradually dispersed through the nncleus nntil it again reaches the state of a more or less even reticulum, or assunies the ap- pearance of a cloudy flocculent precipitate” (p. 721). The spünUe fibres rapidly give place to a reticulum, and the famüiar large chromatic ‘bodies’ are to be seen scattered in the cytoplasm (fig. 4). Theü- origin has not been definitely ascertained, but it is probable that they are fragments of nucleolus and other substances extruded during mitosis as suggested by SiRASBEmGER (51). So characteristic are they of teiophase views that their presence affords a useful criterion for de- termining the stage of nuclear activity, for they gradually disappear during the subsequent prophase. It wiU be reaUsed that the ahnost complete dissolution of the chromo- somes into a granulär precipitate, renders it impossible to trace the rela- tionship between the chromosomes of the teiophase and the chromatic aggregations of the interkhietal resting stage. In this respect, therefore, Crepis virens does not lend itself to so critical an investigation as sonie plants, such as the Oenotheras m which Davis (7 ) was able to trace the A critical study of thc oytology of Crepis virens. 105 honiology betweeii the chromosomes of tlie tclopliase of tlie last arche- sporial division, and the chromatic bodics of the succceding heterotype prophase, and States that he has no donbt but that these chi’omatic bodies are derived froin the preceding mitosis (p. 944). On the other hand Nakao (37) found that in certain cereals, the nncleus, in the phase preceding the so-called resting stage, has no definite structure, bnt stains soniewhat inore deeply than the surrounding cytoplasm, and posseses one large nucleolus (37, PI. X, fig. 1); it was only snbseqnently that the chromatic bodies niade their appearance. A somewhat similar con- dition prevails in some of the Priniulas (10). Resting stage. When the ceU wall has beeil laid down between the two daiighter nuclei, and the iinclei have increased in size and beconie more or less spherical, theii’ fine granulär character becomes transformed into one more typical of rest. The chromatin tends to concentrate at fii’st into small granules, and these gradually coUect together in groups to form more definite chromatic aggregations (fig. 4 and 5). The rounded chroni- atic bodies which are thus formed take a deep stain, and are sharply de- fined from the almost colonrless and finely granulär reticulum in which they are suspended. Care has been taken, throughout the study of those phases concerned with chromatic bodies, to restrict the examination exclusively to whole nuclei, that is to say to nuclei untouched by the razor. Scctions 6 /< in thickness give a large proportion of such nuclei. Perhaps it will not be inopportune to emphasize the extreme importance, when counting ‘pro- chromosomes’, of ascertaining that the nuclei in question are really entire. In published records this point is constantly ignored. It is probably impossible to find complete resting nuclei m the rapidly dividing archesporial tissue. In typical resting nuclei, as exemplified by those of the tapetuni (PI. X, figs. 118, 119, and 120) of an older anther, the linin reticulum is colonrless, and niost of the chromatin seems to be confined to the few chromatic bodies and to the nucleolus. On the other hand, in the nuclei of the archesporium which exhibit the nearest approach to rest (PI. VIII, figs. 5 and 6), the linin, though colonrless, is definitely recognisable, and the chromatin may not be exclusively concentrated in the chromatic bodies but may also be present in the form of numerous small beads. Laibach (26) has similarly shovm in some of the Cruciferae that only a portion of the chromatin may be collected in the “Körnchen”, the remainder being distributed throughout the reticulum giving it a 106 L. Digby sliarper outline. The chromatic bodies, witliin the nucleus, coustantly exhibit a paired arrangement (figs. 4, 5, 6, 7, 8, and 9), and the sanie phenomenon may also be observed in the extra nuclear bodies scattered in the cytoplasm (figs. 4, 5, 6, and 7). It is beüeved that tliis pah’ing represents an early fission for the next .mitosis. The origm of the pahed arrangement is difficult to determine owing to the fact that the chromatic bodies are evolved by gradual chromatic concentration. It is probable that the pairing may somethnes be due to an early association of separately Condensed daughter segments, but as a rule it appears to be the result of fission of a segment Avliich has Condensed as a Avhole. In the upper nucleus of fig. 4, the chromatic granules are evidently as- sociatmg, whilst in the lower nucleus, and m fig. 5, fission seems to be takmg place. The chromatic bodies have been counted m the, relatively speaking, ‘restmg’ nuclei that have been found in the archesporial tissue. The number of these bodies is small, probably it does not exceed six, the somatic number of the chromosomes, but the number is variable and inconstant. It is not advisable to attach too inucli importance to the variability in numbers of the chromatic bodies within the archesporial nuclei, for, as these nuclei are not in complete ‘rest’, they do not lend themselves to critical examination. Kosexberg (45) has expressly stated that ‘prochromosomes' are most constant in number in the resting nuclei of mature tissues (45, p. 402). This condition of ‘rest’ can hardly be applied to the young and quickly dividing archesporial cells. Resting nuclei of the tapetum have therefore also been studied, and the re- sults of those observations ^Yill be given at the end of the description of the archesporial niitoses. Moreover, though the typical bodies stand out distmctly from the other nuclear contents, yet smaller chromatic aggregations and particles present in the nucleus, afford controversial points as to their nature. Should they be regarded as chromatic bodies or as portions of chromatic bodies, and hence be included in the counts ? Or are they merely nucleolar fragments, or independent chromatic granules? Davis (6 and 7) has emphasized this difficulty in considering the counts of chromatic aggregations in restmg nuclei of sonie Oenotheras. Figs. 5—9, inclusive, are drawings taken from uncut nuclei m the coneütion of so-called ‘rest’ which intervenes between successive archespo- rial mitoses. The study of these nuclei strongly suggests that the chromatic bodies present in the nucleus are concentrations, or storehouses of chromatin (Laibach 26, Rosexberg 47, Lundegardh 29), whose substance will A critical study of the cytology of Crepis virens. 107 subsequently be clrawii upon for the evolution of the chroraosomes. It is probable that, in some cases, the chromatic bodies may be actual por- tions of the chroniosomes of the preceding mitosis which have remained concentrated during the late telophase; but, as a rule, the fact that the late telophase is finely granulär in character, and shotvs no defmite chroni- atic aggregations, points to the conclusion that the bodies, present in the resting stage, are for the most part formed ‘de novo’ by a progressive concentration of chromatm. Prophase. As the ‘restmg’ nucleus passes into prophase the linm reticnlum be- comes more defmite in character (fig. 10) and extends throughout the nuclear cavity (fig. 11). The chi'omatic bodies gradually disintegrate, and theu- substance is dispersed throughout the reticulum as chromatic beads, which take up a position at the intersecting points of the Strands (figs. 11 and 12). Nakao (37) has noticed that the chromatic granules seem to be closely associated with the linin, whereas the ‘prochromo- somes’ appear to be independent of it. Li Crepis, as in Oenothera (5), the chromatic bodies evidently coutribute their substance to the linin, beconiing themselves at length unrecognisable. The transition froni ‘rest’ to the ensuing prophase may therefore be recognised by the gradual disappearance of the bright refractive bodies in the cytoplasni, and by the breaking up of the chromatic bodies into beads withm the nucleus. The beads, carried on the linin reticulum, are arranged and grouped in many different ways. They may form an irregulär duster (fig. 15), or two, three, or four may üe together (figs. 13 and 14), or they may be arranged serially on an isolated linin Strand (fig. 16) or two such beaded Strands may run closely parallel to one another (figs. 13 and 16). At this stage it is easy to acquire an exaggerated idea of the number of paired Strands, for those that lie at the periphery of the nucleus coustantly appear to be defiiiitely pah’ed (fig. 12), when in reality this may be mainly due to their position relative to the curve of the nucleus. Nevertheless, in nearly every nucleus, even in the very early prophase, closely ap- proximated or paired Strands can usually be seen, indicating the origin of the future chromosomes, for each Strand will become a daughter chromosome at the approaching mitosis. As the prophase advances the linin reticulum graduaUy fornis thicker and more definite tracts which become increasingly impregnated with chroniatin. Sometimes the beads may join closely together leaving no length of linin thread ff 108 L- Digby betweeu them (figs. 17 and 18). The beads niay retain their individuality or they may coalesce to form a chromatic Strand. When two such beaded or more or less homogeneous chromatic Strands approximate, a faintly staining medium blends the two together (figs. 18, 19 and 20). ^leanwhile the nucleus has increased in size. The further stages of prophase are marked by a massing and con- centration of the paired chromatic strands (figs. 19 and 20) to fonn long bands, or thick aggregations. The various groupings of the nuclear Contents are nnited by fine Connections. All degrees in the approximation and condensation of the strands for the fomiation of the chromosomes are to be seen (fig. 20). This description of the evolution of the chromosomes in the somatic dimsions is closely in accord with that recently pubhshed by Beer (3). He has, moreover, found that an uneven concentration of chromatin may take place resulting in the production of a spiral spireme. This phenom- enon was described by Gregoire (19) in the roots of AUium etc. and he is shortly pnbhshing an account of the same in the nuclei of Crepis virens (21). In these preparations no such method of concentration has been observed; but when one considers the plastic character of the nucleus, and the endless variety of phases which it exhibits throughout the pro- gressive stages of chromosome evolution, it is not remarkable that the constmctive processes may develop on various lines. The fnrther concentration of the pahed chromatic strands results in the formation of large, thick, deeply staining chromatic segments, which as a mle show no trace of theh original double character. They ai'e many m number and nearly fül the nuclear cavity (fig. 21). Grad- ually these segments lengthen out, and curve (fig. 22) fonning a some- what wavy and not continuous spireme (fig. 22). Fission in parts of the spireme can now be seen (fig. 23). At this, and the previous stages, a nucleus appears to be preparing to evolve a far larger number of somatic chromosomes than the six characteiistic of this species. Couversely, in the anaphase of the hetero- type (PI. X. fig. 87) and homotype di^isions, the individual chromo- sonies tend to break up, transversely, into one or more portions. These facts point to a loose cojnbination of segments as fonning the real basis of each mature chromosome. Eosexberg (46) has figured a homotype anaphase (46, Taf. 1, fig. 27) with apparently four chromosomes, and puts forward the significant Suggestion that this ‘Querteilung’ may in- dicate that the chromosomes of C. i'ireyis are “eine Art Sammelchromo- somen” (p. 72). This hypothesis is strengthened by the fact that within A critical study of the cytology of Crepis virens. 109 the genus there is a somewhat wide ränge of chroinosome numbers, re- calling tliat of the family Ascaridae. Counts of the chromosonies of Crepis taraxacifolia have been made, and the numbers added to the ah'eady published list. The chromosonies of C. biennis are too numerous to deterniine accurately. Species Somatic Number Reduced Number of Chromosomes of Chromosomes C. virens 6 3. Rosexberg (46) C. tectorum 8 4. JUEL (24) C. taraxacifolia 8 4. Digby C. lanceolata var. flaiij- phyllum 10 5. Tahara and Ishi- C. japonica 16 8. KAWA (59) Tahara (57). Fraser and Sxell (14) have shovn that the chromosonies, in the somatic mitoses of Vicia faba, are frequently constricted into segments, and suggest that this phenonienon may explain “the often recorded Varia- tion in the chroinosome nimiber, and possibly also of the Mendelian phen- onienon of coupling” (p. 853). Gradually the lengths of spireme (PI. VIII. fig. 24) join together to form six twisted chromosonies (fig. 24). These are often orientated to- wards the nucleolns (fig. 25). The chromosonies contract and thicken and for a time the fission m their substance may be again lost to view (fig. 26). They then move aivay froiii the nucleolus; the nuclear cavity enlarges, and they appear to be propelled to the liniit öf, and sonietinies beyond, the nuclear boundary, before they are drawn in upon the spindle. Metaphase. The polar view of an equatorial plate (fig. 27) shows clearly the different sizes of the six chromosonies. In the words of Rosexberg (46) “von diesen 6 Chromosomen sind 2 entschieden größer, 2 kleiner und 2 nehmen eine Mittelstellung ein” (p. 65). The daughter chromosomes may have separated froni one another before they go on to the spindle, or they may still be in contact. Anaphase. The chromosomes pass to the poles (fig. 29) and thus the cycle is completed (fig. 30). 110 L. Digby Resting nuclei of Tapetum. A critical study of ‘restiug’ nuclei has been made from the tapetum, as uuclei in typical ‘rest’ are not to be found m the rapidly dividmg arche- sporial tissue. Overto^" (40) observed that ‘prochroniosomes’ were onlv present in “gut ernährten Zellkenien” (p. 124), a condition characteristic of tapetal cells, which should accordingly be a favourable tissue for ‘pro- chroniosoine’ investigation. In a completely resting tapetal nucleus, the hnin forms a fme colour- less reticulum which is arranged peripheraUy. The nucleolus stains deeply, and apparently the enth'e chromatic contents of the nucleus are con- fined to the nucleolus and to the deeply staining chromatic bodies. These bodies are fe^y in number and niay probably not exceed six. The nuclei selected for cb•a^Ying sliow severally one (PI. X, fig. 118), two (fig. 119) and three (fig. 120) chromatic bodies. There are often sniaU granules and faintly staining aggregations aniongst them, wliose nature it is difficult to determine. It is apparent, therefore, that the number of cliromatic bodies in the resting nuclei of the tapetum is variable, and is constantly lower than that of the somatic chromosomes. Eosexberg (46) has figured a resting nucleus of Crepis virens (Tafel 1 fig. 1) taken from the peduncle (Blütenstandachse) showing a colourless reticulum and six definite ‘prochromosomes’. Ei this comiection he writes “Im Kuhestadiiun des Kerns ist es auffallend, wie wenige ‘Chro- matinkörner’ im Kern enthalten sind. Ich habe darum auch ohne Schwie- rigkeit die Anzahl der Prochromosomen auf 6 feststeUen können” (p. 66). Xuclei with six chromatic bodies may be found, but just as ofteii nuclei witii less than six. Similar variable results have been obtamed from the study of resting poUen mother -nuclei before the onset of the heterotype prophase, and from the resting tetrad. Consequently it is not possible to bring the results of this investigation into hne with any far reaching conclusions based on the assumption that the number of the bodies is constant, and is identical with that of the chromosomes. The meiotic phase. The foregoing description of the telophase, interkmesis, and early prophase stages of archesporial mitoses, has been taken exclusively from immature buds whose anther walls consist of but one or two parietal layers of cells. In tracmg the telophase of the last archesporial division into the ‘rest’ which precedes the heterotype prophase, some difficulty has been A critical study of the cytology of Crepis virens. 111 experienced in ascertaining that a particular telophase is in fact that of a last archesporial division, and not one of a progressive series. In Order therefore, to obviate error as far as possible, flower heads were selected, some of whose buds had pollen mother-nuclei in presynapsis and synapsis. Buds can be found in such an inflorescence whose anthers are so far mature that they have cut off the four outer layers of cells (i. e. epidermis + tapetum), yet whose sporogeneous nuclei are still divid- ing somatically. Such nuclei are completing their last archesporial divi- sion, and the telophases will pass into the resting state preceding the heterotype prophase. Buds of this character have been studied through a series of transverse sections, and the various stages are represented by PI. VIII, fig. 31, to PI. IX, fig. 41 inclusive. The true sequence of the stages of the passing of the telophase into rest may be traced by foUowing out the obliteration of the spindle fibres ; the decrease in the number of the deeply staining chromatic bodies in the cytoplasm, indicative of a recent division; the enlargement of the area of the loculus, accompanied by a sharp definition of the sporogeneous tissue distinguishing it from the surroimding parietal layers; and, finally, the concentration of the chromatic contents of the nucleus into fewer and more definite aggregations. From the telophase of the last archesporial division to the with- drawal of the nuclear contents into sjmapsis, only entire nuclei have beeil studied and chawn. In those nuclei whose linm is arranged peripherally, the Strands at the extreme upper and lower focus have been omitted, as it was found that they soniewhat obscured the detail of the nuclear contents. Other- wise an attempt has been made to represent actual portraits of entire nuclei. Telophase of the last archesporial division. In late anaphase the chromosonies are massed together and the spindle fibres are replaced by a reticulate cytoplasm (PI. VIII, fig. 30). The chi-omosonies subsequently, once more separate from one another and fragment ; a limiting nuclear membrane fornis ; and generally two nucleoli make their appearance. Few data have been acqub'ed regarding those stages concerned with the inirnediate fragmentation of the chromosonies, for the staining reaction during this period is diffuse, and obscures the course of events. By the time, however, that the cell wall is laid down between the daughter nuclei, the chromosomes have usually resolved themselves completely into rounded chromatic granules united by fine 112 L. Digby threads, forming a reticulum (fig. 31). Tliere is undoubtedly some latitude in the degree of dissolution sustained by the chroinosomes. Probably sometimes the fragmentation is not so complete, and conseqnently portions of chromosomes niay be left entire. No definite Statement can how- ever be made on this point, as difficulty was experienced in following those stages, and they are apparently passed thi’ough with great rapidity. On the other hand the events of the late telophase, as ‘rest’ approaches, can be easily traced. and a complete series of nuclei illnstrating these can be found. There is a gradual withdrawal of the nuclear contents to the periphery, and the chromatic granules tend to concentrate into more definite and larger rounded beads (fig. 33), or to collect into small aggregations or groups, whose multiple character is clearly displayed (fig. 32). The ünm reticulum becomes more defined and is partly chromatic as shown by the readiness with whicli it aljsorbs a basic stain. Gradually the chromatic contents of the nucleus are increasingly concentrated into the chromatic bodies which accordingly decrease in number (figs. 34, 35 and 36). Small beads of chromatin may be found aniongst them, whose substance is apparently about to be absorbed (figs. 34, 35 and 36). The nucleolus, surrounded by a clear space, usually occupies the centre of the nucleus, whilst the bodies and the Imin are arranged peri- pherally. The chromatic bodies gradually become fewer (PI. IX, figs. 37 and 38) until they can be definitely counted, and number 7 (fig. 39), 5 (fig. 40), 3 (fig. 41), etc. By this time the nuclei may be considered to have entered upon ‘rest’. The area of the loculus has meanwhile considerably enlarged. Rest before first meiotic division. In the ‘rest’ between the last archesporial division and the heterotype prophase, the chromatin of the nucleus is apparently concentrated in the nucleolus and in the very few chromatic bodies. These take a deep bright stain and stand out sharply and clearly froni the pale linin reticulum. Faintly staining masses may also be present resembling portions of Imin (fig. 45), and it becomes a matter of personal judgment as to whether they should be regarded as chromatic bodies. If, as in C. virens, where the number of the bodies is exceptionally low, the results of counts may be open to criticisni, it follows how proportionately difficult, if not im- possible, it must l)e to acquire accurate estimates where the chromatic bodies attain to large numbers. A critical study of the cytology of Crepis virens. 113 The differences in nuniber, form, and arrangcment of chroniatic bodies might be described ‘ad mfinitiim’ (figs. 42, 43, 44 and 45). The result of this Investigation seenis to point conclusively to the.fact that the number of the chromatic bodies in premeiotic resting nuclei is inconstant. Apparently the number niay vary between one and six, for in a completely resting nucleus not more than six have been seen. These facts point to the conclusion that the chromatic bodies instead of being ‘prochromosomes’ in the sense of Overton (40), are rather store- houses of chromatin, a Suggestion formulated by Tischler (60), Laibach (26) and others. In C. virens, and forms which show definite chromatic bodies, designated by Rosenberg (44) as the Capselia type, the chromatin is concentrated or stored in a variable number of definite masses, instead of being more or less diffused throughout the nucleus as in the Fritillaria type. The resting nucleus passes imperceptibly into the prophase of the heterotype division. Prophase of first meiotic division. The first indication of the onset of prophase is to be seen in the more definite appearance of the linin (fig. 45), and in the fission observable in the hitherto homogeneous chroniatic bodies (fig. 46). At first sight it would be impossible to deterniine whether the paired appearance of the bodies might be due to the approximation of two individuals, or to the fission of a single individual. Rosenberg (46) considers that the paired chromatic bodies of the heterotype prophases represent the association of two homologous chromosome Segments. On the other hand, the result of this study of initial stages points strongly to the conclusion that this double character is due, not to approximation, but to fission. A refractive line appears in the substance of a chromatic body (figs. 47 and 48), and this gradually separates the two sides which may divaricate to form a V (fig. 47 and Fl. X, fig. 113). A definite linin strand is seen to proceed from both of the free ends. Gradually the two sides separate, and become once more rounded in form resulting in two closely approxi- mated chromatic bodies (PI. IX, fig. 49 and PI. X, fig. 114). Occasionally they are so disposed towards one another, as to form a cross (PI. IX, fig. 47). At this stage nuclei may be found showing clearly the fission of the bodies, the segments of the several pairs being united by fine threads (fig. 54). Sometimes there may be three or four such bodies in the act of Splitting (fig. 52), or there may be fewer (fig. 50) or there may be more (fig. 54). It is again realised that their number is inconstant. As the Archiv f. Zellforschung. XII. 8 lU L. Digbv bodics split, their sides tend to fragment and to become beaded (fig. 51). The absolute similarity m the constituent parts of the two sides is very clearly inarked (figs. 51 and 52). The split bodies are at first inore or less peripheraUy ananged, but as the linin network, preparatory for synapsis, collects round the nucleolus, it withdraws the chromatic portions to the centre of the nucleus. The view that the paired chromatic bodies are the result of fission of a single body entails the assumption that each whole body represents a portion of a wliole somatic chromosome. Consequently, the fission ■which divides it into two daughter halves is homologous with the fission in the chromatic bodies of the “resting” somatic nuclei, and in the spireme of the somatic prophases. The fission visible in the heterotype prophase wiU ultimately divide the univalent chromosomes into their daughter halves on the homotype spindle, whereas the fission in the somatic pro- phase will take effect at the approaching mitosis. It is not possible to testify by actual proof, to the true nature of the chromatic bodies, owing to the fact, that, during interkinesis, all individ- uality of the chromosomes is lost to view, and hence no relationship can be traced between the chromosomes of the telophase of the last arche- sporial division. and the chromatic aggregations of the heterotype pre- S}maptic prophases. In Galtonia (9), on the other hand, where there is no interkinetal rest. the paired portions of the heterotype presynaptic prophases can be identified with the paired chromosome segments of the preceding archesporial telophase, and these are recognised as result- ing directly from the alveolisation and fission of the chromosomes. In the study of Crepis virens two facts can easily be determined which advocate the view that the paired aspect of chromatic bodies in the early heterotype prophase is due not to approximation, but to fission. 1. The two parallel sides of the chromatic bodies are iden- tical in size, shape and character: 2. The number of the chromatic bodies increases as the nucleus proceeds towards synapsis, whereas if it were a matter of approximation the number would decrease. Apart from the value of evidence afforded by critical Observation of actual phenomena, it is also significant that similar paired bodies are to be found in resting somatic nuclei, in the resting tetrad nuclei, and in the extra nuclear cytoplasm. In the somatic resting nuclei the pairing represents a reassociation of daughter halves of somatic chromosomes which had separated durmg the preceding telophase. The space between them represents an early fission, the fission which will later divide the daughter chromosomes. A similar Interpretation must be A critical study of the cytology of Crepis virens. 115 placed on the pairod chromatic bodies of the resting tetrad nuclei. It is evident that in the tetrad nuclei there can be no question of approxinia- tion of homologoiis chromosonies as only one set of chromosomes is present. No ineaning can be attached to the occurrence of paired chromatic bodies in the cytoplasni otving to their extra nuclear position. It is essential, when results are being considered, that precisely com- parable stages should be taken into accoimt. It has been shovm that, in the late telophases, the chromatic nuclear contents trend towards an ever increasing concentration, and consequently to a gradual decrease in the number of the chi’oniatic bodies, whilst, in the early prophases, division and fragmentation of the chromatic bodies once more increase their number. Viewed in the light of this interpretation, the paired ar- rangement of ‘prochromosomes’ figured by Rosenberg (46, Taf. 1, fig. 6) would be regarded merely as the relative position of two chromatic bodies, a position frequently met with in ‘resting’ nuclei (fig. 4.3), or at a slightly later stage, as the result of fission (figs. 49 and 51) of a single body. Presynapsis. Gradually the beaded sides of the chromatic bodies separate from one another (fig. 55), and the several beads he more or less independently in the linin which becomes definitely reticulate and tends to contract from the nuclear periphery (fig. 56). As the linin coUects round the nucleolus, carrying with it the roimded chromatic beads, some of the substance of the beads diffuses into it, giving it a coarser and more pronounced appearance (fig. 57). Contraction proceeds and the hnin may withdraw to one side of the nucleus (fig. 58). In cross section it appears to occupy the centre of the nucleus, and is attached to the nuclear limiting membrane by fine Strands (figs. 58, 59 and 60). As the association of the linin with the chromatic beads becomes more intimate, it takes an in- creasingly deeper stain. The beads begin to loose their identity, and tend to break up into smaller granulös and thcse are closely packed together in the linin substratum, forming a dose and granulär synaptic knot (fig. 61). It is a remarkable cii'cumstance that synapsis may also be achieved as the result of a series of presynaptic phases very different in character from those above described. In this alternative series, the chromatin occurs in smaller aggregations and is more evenly distributed through- out the nucleus. It is evident that Beer (3) ia his exammation of the early heterotype prophases of C. virens chanced to see only the finely 8* 116 L. Digby chromatic presynaptic pliases, and did not observe those characterised by the presence of chromatic bodies. He describes the presynaptic stages of certain Compositae inclnding C. virens as “a ratlier coarse network with chromatin aggregates which are irregulär in size and form, and of no con- stant nnmber” (p. 707). And agatn, “so far as the presynaptic poUen mother-ceUs of the Compositae are concerned, I find definite prochromo- somes or gamosomes to be nonexistent” (p. 708). The occurrence of various types of prophases proceeding on different Hnes towards the same end has already been described by the Schreiners (50), by Gregoire (20) and by Mottier (35). It is proposed to defer the account of these fine pre- synaptic stages to the end of the description of the meiotic phase. Synapsis. Close synapsis has a finely granulär appearance. The nucleolus can be seen lying within, but apparently independent of, the synaptic knot (fig. 61). The density of the synaptic knot obscures the course of events there taking place, but it is noticeable that when the synaptic knot is about to loosen (figs. 62 and 63), the chromatic beads are larger and more definite than those of early synapsis (fig. 61). Düring close synapsis fine linin Strands, and occasionally thick loops of spircme (fig. 62), escape froni the laiot. This stage is of long duration as it is not uncommon to find all the pollen mother-nuclei of a bud m close s5Tiapsis. AMien the knot begins to imravel it may give off roundcd globules of a faintly staining substance (fig. 63). These droplets pass out of the nuclens into the surrounding cytoplasni where they remain throughout the second contraction pliases as very bright rcfractive chromatic staining bodies (figs. 64, 69, 70, 74 and 76). In Galtonia candicans (8) similar glo- bules of eu-nucleolar substance escape from the synaptic knot, and these subseqnently become chromatic. Lubbienko and Maige (28) have de- scribed the extrusion of nucleolar fragmehts into the cytoplasni. In Crepis virens this budding may lie contmued throughout the unravelling of the synaptic knot, and may still be proceeding during second contraction (figs. 74 and 75). Sometinies the ivhole s^maptic knot breaks up into chromatic portions, but such extreme fragmentation undoulitedly fore- shadows nuclear disintegration. From s^niapsis onwards, individual loculi, or even all the loculi of an anther, may show complete disorganisation of their pollen mother-cells. Rosenberg (46) has stated that sometinies the action of the. fixing fluid has been so violent “daß der Kern hier und A critical study of the cytology of Crepis virens. 117 da durch die Zellwand hindurch und in die benachbarte Zelle hinein- gepreßt wird” (p. 68). There is a typical extrusion of bodies in Crepis taraxacifolia, and these pass into the adjacent cells as in Galtonia candicans (8), a phenom- enon which in Galtonia cannot be ascribed to faulty fixation. To eliminate misunderstanding, it seems advisable to define the pre- cise meaning of the terms ‘univalent and bivalent’, which will constantly be used in the succeeding description of the meiotic phase. A ’univalent’ Segment of spireme signifies that which will eventually constitute a ‘uni- valent’ chromosome; a ‘univalent’ chromosome being characteristic both of somatic and of homotype divisions. A ‘bivalent’ Segment of spireme is of a duplex character, and represents the association of two ‘univalent’ lengths of spireme, in preparation for the formation of the ‘bivalent’ chro- mosome ; the bivalent chromosome, characteristic of the heterotype division alone, represents a combination of two ‘univalent’ chromosomes. Further, the signtficance of the two forms of fission must be borne m mind. Fission in the substance of the ‘univalent’ spireme, or chromosome, divides it into two daughtcr halves preparatory for the next vegetative or homo- type mitosis ; whilst the so-called ‘fission’ in the substance of the bivalent spireme disjoins the two univalent Segments or chromosomes, in prepara- tion for their dissociation on the equatorial plate of the heterotype division. It is proposed to confine the term fission exclusively to the split in the substance of the univalent spireme and of the univalent chromosome, and to use other descriptive words for the disjunction of the univalent Seg- ments of the bivalent combination. Passing out of synapsis, Whcreas during the presynaptic phases the split univalent Segments concentrate for the evolution of the future univalent chromosomes, so during synapsis, as revealed by the course of subsequent events, there is a further sorting out, and also an approximation in pairs, of these uni- valent Segments preparatory for the association of two univalent chromo- somes for the heterotype combination. (In Primula this association takes place during the hoUow sph-eme stage.) The Strands and loops, as they come out of synapsis, are therefore of the bivalent Order, though they Show all stages in the Separation of their component univalent Seg- ments. This, combined with their viscous character, gives them a varied appearance. The clear line in the substance of the bivalent spireme indicates the Separation of the univalent spiremes, and must not be con- fused with true fission which for the time is invisible, the individual 118 L. Digby univalent Segments being temporarily concentrated. True fission reappears in the univalent segments as they come out of second contraction (fig. 78), but it is not easily seen until alter the lieterotype metaphase, when it occurs as tlie cleavage so ölten visible in the daiighter chromosomes as they retreat to the two poles (PI. X, lig. 84). The l)ivalent spireme, as it conies out ol synapsis, displays all degrees in the Separation ol its uni- valent Segments. These may be either 1. approximated so closely side by side showing no apparent space betwecn the two; or 2. partially separated; or 3. completely separated throughout their length but united at their ends to lorm a loop. The junction ol two univalent lengths ol spireme is always emphasized by a chroniatic swelling. 1. Some ol the thick bivalent loops and Strands 2nay be homogeneous, and hence display no sign ol their duplex nature, though in character, and in thickness, they resemble others in which traces ol Separation into their univalent segments can be seen. These homogeneous bivalent portions ol spireme point to an intimate side to side association ol uni- valent lengths ol spireme arranged diiring synapsis (PI. IX, ligs. 64 and 65). 2. All degrees ol partial Separation ol univalent Strands can be lound. The line ol luture Separation may be inerely indicated as a clear space in the substance ol the bivalent spireme (ligs. 66 and 67); or the two uni- valent segments may have recently beconie dissociated, their edges being still somewhat ragged and beaded (lig. 67); or the univalent segments may be entirely parted lor an appreciable length, and be rounded in outhne (ligs. 65 and 68). 3. Paired univalent segments ol spireme, although separate through- out their lengths, may be united at their ends to lorm a loop (ligs. 69 and 73). It is evident that such univalent lengths ol spireme have separated and are not in the act ol approximatmg lor the two lengths are identical, and may constantly be joined by Ime thread-like cross Connections (ligs. 69 and 73). These univalent scgmeiits demonstrate an end to end association. Gradually the loops and Strands extend mto the nuclear cavity, and a lew may reach the peripheiy, but as a rule they remain congre- gated more or less in the centre ol the nucleus (lig. 70). In C. virens there is no ‘iiollow spii'eme’ stage, lor the spireme, as it conies out ol synap- sis, passes ahnost dnectly into second contraction. In only one series ol sections was the spneme lound to be evenly distributed throughout the nucleus. It is evident, that the phases, Irom spiapsis onwards to diakinesis, are quickly passed through, as nuclei in very (üllerent stages ol pro- A critical study of the cytology of Crepis virens. 119 gression are to be found in the same loculns. This fact, together with the exclusion of the hoUow spireme stage, somewhat facilitates the study of the history of the univalent spirenie, froni the time that it can be distin- guished as it passes out of synapsis, to its fmal connection as a univalent Segment of the heterotype chroniosome. Second contraction. As the bivalent loops of spireme go into second contraction, their component univalent Segments may still show indications of Separation. The line of Separation may be clearly visible line in the substance of the bivalent spireme (fig. 71), or the two univalent segments may diverge widely (figs. 70, 72 and 73). Sometimes the independent univalent seg' ments are üvisted round one another (fig. 71). Gradually most of the bivalent loops contract into a mass, which is often so dense that little detail is apparent (fig. 74); those loops that protrude are thick and homogeneous and seldom reveal their duplex character (fig. 74), owing to the dose reassociation of the univalent Seg- ments. Lightly staining globules may be exuded from the contracted chro- matic mass (fig. 74). Coming out of second contraction. Eosexberg (46) has noted (p. 69) that the number of loops that emerge from second contraction is in excess of that of the chronio- somes. There is much variety in the character and appearance of these loops as they extricate themselves from the chromatic mass of the second con- traction. In some, the associated pairs of univalent segments appear as fine threads united at mtervals by large beads of chromatin (fig. 76); whilst in others the univalent segments are independent lengths of con- centrated spireme (figs. 75, 77 and 78). Again hi others, the univalent spiremes are widely separated, and are only united at their ends to form a loop (fig. 75), and even this pomt of juncture may break do\ra (fig. 78.) Somethnes two imivalent segments may run closely parallel and be joined together by fine cross Connections (fig. 75). At this stage it is occasionally possible to recognise fission in the substance of a imivalent segment (fig. 78), the fission that will eventuaUy clcave the univalent chroniosome into its daughter halves on the homo- type spindle. 120 L. Digby It will be gatherecl from this descriptioii that the appearaiice and disposilion of associated univalent Segments as they enter, and as they come out of, second contraction is often very siniilar. The decision arrived at from the study of the phases of the hetero- type division conforms to the view first expressed by Farmer and Moore (11), that the association of univalent Segments, initiated m previous stages, is completed during second contraction. The phases concerned with second contraction must be quickly passed through, as nuclei üi very different progressive stages may be found in the same loculus, and even in the same section of a loculus. AMien the nuclear contents have come out of second contraction they are extremely viscous in character, and the separated univalent Segments may be dra^vn out as fine Strands (fig. 79). The various parallel lengths are connected by concentrated niasses (fig. 80). It is generally ini- possible, at this stage, to individuahze the future three bivalent chromo-, somes, for, hke the soniatic chromosomes, they originate m portions and it is only immediately prior to the appearance of the spmdle fibres that these fuse together to form the mature heterotype chromosomes (figs. 81 and 82). The chromosomes are in fact evolved out of what appears to be a tangle of viscous nuclear contents. The typical heterotype chromosomes are of three distmet sizes (PI. X, fig. 83) as described by Rosenberg (46). MTien they have completed their growth the ahnost colourless nucleolus collapses, and its substance is distributed in the form of globules. Metaphase of the heterotype division. The dlfference in size of the chromosomes, when on the spindlc (fig. 83), is very appareut. The large one is generally C shaped, the middle sized one niore or less V shaped, whilst the small one resembles a dyad. Anaphase of the heterotype division. The smaU chromosome is the fh’st to separate, and its rounded univa- lent Segments may have already arrived at the poles, whilst those of the larger chromosomes are stUl in contact (fig. 84). Fissiou of the two large univalent chromosomes almost cleaves theh- daughter halves, causing them to be V or U shaped, their apices being directed towards the spindle poles (figs. 84 and 85). ln the polai’ view of a late anaphase the chronio- somes sometimes appear to be more than three in number (fig. 87). This is due to a transverse division of the chromosome segments. Rosenberg A critical study of the cytology of Crepis virens. 121 (46) has described (p. 72) and figiu’cd (PI. 1, fig. 27) a “Querteilimg der Chromosomen” in the anaphase of the homotype division. Many brightly staining refractive bodies are scattered in the cyto- plasm aronnd the spindle and the daughter nuclei (figs. 86 and 87). Telophase of the heterotype division. The chromosomes, having massed together in the manner charac- teristic of a late anaphase (fig. 86), begin once tnore to separate from one another, and to extend towards the periphery of the nucleus, the clear nuclear cavity being sharply distinguished from the denser cytoplasm. They become beaded and show beautiful fission in their substance (figs. 88 and 89). Sometimes the fission divides two beaded sides (figs. 88 and 89), or it may divide two fine Strands joined at intervals by large beads of chromatin (fig. 89), precisely as is sometimes seen in the Separation of the univalent Strands after second contraction (PI. IX, fig. 76). By this time one nucleolus has generally made its appearance in either daughter nucleus. Fine connecting thi’eads join the portions of dissolving chromosomes to one another (PI. X, fig. 89). There is only a partial dispersion of these portions, for they immediately proceed to reconcentrate in preparation for the homotype division (fig. 90). There is no interkinetal rest. Second meiotic division. The passing of the heterotype telophase into the prophase of the homotype division can be recognised by the gradual disappearance of the spindle fibres of the heterotype mitosis, and by the elongation of the axes of the daughter nuclei, at right angles to the plane of the previous division (fig. 90). Prophase. The homotype prophase shows the concentration of the split frag- ments of the chromosomes derived from the heterotype telophase. Con- stantly a space remains between the concentrating portions (fig. 90), and represents the future line of fission between the daughter chromo- somes 011 the honiotype spindle. The chromosomes are evolvcd in portions as in the heterotype (see ^ page 120), and archesporial (see p. 108) prophases. Sometimes it is not possible to recognise the limits of the three chromosomes even though the spindle fibres may be indicated (fig. 91). Fission, separating the condensing daughter chromosomes, is not apparent during the later stages of concentration (fig. 91). L. Digby 1 22 Metaphase. A polar view of a homotype equatorial plate (fig. 92) sliows the three concentratecl chromosomes to be more or less V shaped, due to the partial cleavage of the daughter chromosomes. As they pass to the poles the large chromosomes are constantly hooked (fig. 93) (cf. Rosexberg 46, Taf. 1, figs. 25 and 26). It is possiblc that this appearance may not always be due to a bending over of the chromosome, but that it may represent the opening out of the fission which is visible in the subsequent retro- gressive telophase stages (fig. 95). Anaphase. Arrived at the poles, the chromosomes mass together in the usual characteristic way (fig. 94). x\s they separate out once more, they tend to break apart transversely. Consequently, in late anaphase, there fre- quently appears to be a larger number of chromosomes present than the three typical of the reduction divisions. Rosexberg (46) has emphasized this fact and has figured these stages. He suggests that this evident loose adhesion of the units which go to build up a chronio- some, may indicate that the chromosomes of C. virens are of a collective character, that is to say that they may represent associations of chromo- somes. This Suggestion is further corroborated by the observation that the portions of the several chromosomes remain unconnected until, as concentrated clmomosomes, they take up their position on the equatorial plate. It is only therefore at metaphase, and as they proceed to the poles, that they are distmet entities. Telophase. Great variety is exliibited by the nuclei as they pass through the retrogressive phases into rest. Sonie of the chromosome portions may remain more or less entire as large rounded bcads (fig. 96), suggesting a previous transverse Segmentation of v'hole chromosomes, vliile other portions may show fission in their substance (fig. 95), with paired threads joining the sides of one split portion to those of another (fig. 95). Rosexberg (46, Taf. 1, fig. 29) has figured beautiful examples of fission in the chromatic contents of the telophases of tetrad nuclei, and he conceives it to be the fission preparatory for the next nuclear division (46, p. 72). As the tetrads are about to separate from one another (fig. 96) the chromatic nuclear contents are distributed in the form of rounded beads A critical study of the cytology of Crepis virens. 123 (fig. 96j, tvliich gradually resolve themselves into smaller granules (fig. 97). As the nuclei enter rest, the beads once niore concentrate into larger chromatic aggregations (figs. 98 and 99). Resting tetrad nucleus. The passing of the telophase of the honiotype division into rest has been closcly followed in Order that the origin of the chromatic bodies present in the resting nncleus of the tetrad might be deterinined. Once more it has not been possible to trace any direct relationship between the chromatic bodies of the resting tetrad nucleus and the chromosomes of the preceding homotype telophase, for during late telophase the sub- stance of the chromosomes is more or less distributed as small beads. It can only be definitely ascertained, therefore, that in the retro- gressive stages leading to the resting tetrad, as in the interkinetal rest between the last archesporial division and the heterotype prophase, the chromatic staining contents apparently decrease, and those that remain collect into a few deeply staining chromatic bodies, the ‘prochromosomes’ of Kosenberg. Rosenberg (46) has figured (Taf. 1, fig. 30) a resting tetrad nucleus with thrce ‘prochromosomes’. Whole nuclei have alone been taken into account for this investiga- tion. The number of chromatic bodies in a completely resting nucleus has again been found to be inconstant. It is always low, probably it does not exceed three, but it may often be less. In both the nuclei figured (figs. 100 and 101) two definite deeply staining chromatic bodies alone arc present. These bodies, as in the somatic and premeiotic resting nuclei, may show a duplex character (figs. 100 and 101) indicative of the future Separation of the daughter chromosomes. Rosenberg (46) has inter- preted this appearance in premeiotic resting nuclei as the association of homologous (diploid) chromosome segments, but this cxplanation cannot be applied to the precisely similar appearance eiicountered in the tetrad nuclei, in which only onc (haploid) set of chromosomes is present. Fraser and Snell (14) have emphasized this point in the gametophyte of Yicia faba. In a resting nucleus, apart from the chromatic bodies (figs. 99, 100 and 101) smaU faintly staming beads are usually present. These beads may be arranged in pairs, and paired threads may join group to group. Their appearance suggests that they are portions of linin which have lost their chromatin, the latter having beconie concentrated into fewer but larger masses (figs. 100 and 101). 124 L. Digby It is not wise to attach undue significance to the fact that the num- ber of tlie cliromatic bodies in resting tetrad nnclei may be identical ■\vitli that of the chromosomes, for the niimber of the chroniatie bodies is inconstant, and niay be often less than that of the chromosomes. Alternative series of presynaptic stages. The fact that the polten mother-nuclei of Crepis virens show two distinct tj-pes of presynaptic phases has already been mentioned (see p. 115), but in Order that the two methods may be clearly distinguished from one another only the description of that series characterised by the definite but debatable chi’omatic aggregations has been incorporated into the account of the meiotic phase. Both types are so distinct in character that there is no difficulty in de- ciding along which conrse the nuclei of any one particidar bnd are proceeding. The fundamental difference between the two series is based on the distribution of the chromatic contents. IMiereas in the ‘chroniatie body series’, the chromatin is concentrated into a few definite masses, in the ‘finer reticulate series’, it is distributed in the form of small beads. Both may be found in the same flower head but apparently not in the same bud. It is believed that the finer distribution of chromatin occurs more frequently than the coarser distribution. This would account for the fact that Beer (3) did not chance upon the definite chromatic aggregation type of prophase, but describes the presynaptic nuclei of certain Compo- sitae including C. virens as having a somewhat “coarse network with clironiatin aggregates which are irregulär in size and form, and of no constant number” (3, p. 707). The difference in the two types of pres^niaptic prophases probably originates in the late telophase, when, instead of the chromatin of the reticulum condensing to form the definite chromatic masses, it remains distributed as smaU beads or granules throughout the nucleus. Occa- sionally these beads concentrate into larger aggregations (fig. 102) but as a rule they remain individually distinct. The linin fonns a beautiful reticulum with the chromatin beads situated on its Strands, and at the points of intersection (fig. 103). The threads, with their beads, are arranged in pairs (figs.103 and 104) and this pairing becomes more accentuated as the nucleai’ contents are increasingly ag- gregated preparatory for synapsis (figs. 105 and 106). It is not possible, for reasons already given, to trace the origin of this pairing back to the telophasic fission of the preceding mitosis. It can only be assumed from comparative investigations, and from the clear A critical study of the cytology of Crepis virens. 125 eviclence afforded by Galtonia and other forms, that the parallelisms of tliese presynaptic prophases represent the reassociation of the two longitudhial halves of a univalent chromosome which separated during the preceding telophase. This pairing of threads is therefore to be regarded as the preparatory concentration of the daughter halves of univalent chromosomes which will separate on the homo- type spindle, and consequently as homologous with the con- centration of paired threads of somatic prophases. As the nucleus approaches synapsis, the chromatic contents begin to aggregate (fig. 105). The beads arrange themselves into niasses, into groups, or into squares (figs. 105, 106 and 107). The parallel arrang- ment of threads and beads is constantly most marked (figs. 104 and 106). Aggregation proceeds (fig. 107) and the chroniatin becomes increasingly concentrated, sometimes leaving the linin as a colourless reticulum (fig. 107). GraduaUy the linin contracts front the nuclear peripher)^, and the more or less finely beaded reticulum collects round the nucleolus (fig. 108). The chromatin exhibits varying degrees of concentration; in some nuclei it may be in the form of fine beads (fig. 108), whilst in others it may be collected into relatively larger rounded portions (fig. 109). The nuclear contents draw more and more closely together (fig. 110), until they are massed at one side of the nucleus in the typical beaded s\maptic knot. At first this Imot may be more finely granulär than that resulting front the definite chromatic aggregation series of prophases, but it would be impossible to distinguish front which mcthod the dose synaptic tangle, that immediately follows, had enstted. Between the two distinct tj’pes of presynaptic phases, there may be an intermediate series in which definite chromatic aggrcgations are present in the resting nucleus (figs. 111 and 112). These chromatic bodies elongate and divide into rounded beads (figs. 113 and 114) which are larger in size than those of the fine presynaptic phases (figs. 102 and 103), but are smaller and more numerous than the typical longitudinally divided chront- atic bodies of the coarser chromatic series. GraduaUy (figs. 115 aitd 116) the beads collect into synapsis (fig. 117). Such a series has been found in material fixed with acetic alcohol. Parallel cases to that of Crepis virens have been described by Gre- GoiRE (20) and Mottier (36) in plants, and by the Sciireixers (50) in animals, showing the occurrence of different types of somatic and hctero- type prophases due to the niethod of distribution of the chromatic contents. Gregoire (20) found two distinct series of presynaptic phases m the pollen mother-nuclei of Allmm fistulosum. The one has a fine reticulum 126 L. Digby (20, PI. 2, fig. 37) which passes iiito synapsis, the otlier, a inore clevelopecl rcticuluni with larger chroiuatic aggregations (20, PI. 2, fig. 36). The same type of synapsis ensues from botli series. x\lso in the presynaptic stages of Liliion martagon he has shown that the ‘plages’ of chroinatin are of different sizes and shapes, and in sonie nuclei they may be niore developed than in others. Mottier (.35), working on the same plant, describes a siniilar diver- gence m the character of the propliases, and States that this difference also embraces the synaptic phase. A finely granulär synapsis (35, PI. 28. fig. 21) results from the series of propliases whose chromatin is distri- bnted in more or less imiformly sized granules, whilst a relatively lumpy synapsis (35, PI. 28, fig. 22) results from the series of propliases whose chromatin is in large irregulär masses. He has also found two types of propliases in the resting vegetative and pollen mother-nuclei of Podo- phylhm peltatum. In the resting pollen mother-nuclei the chroinatin may be in medium sized granules (35, PI. 27, fig. 1) or in large lumps (35, PI. 27, fig. 2). In early presynaptic prophases, nuclei, even in the same locuhis, may exhibit diverse characters. In one, the chromatin may be aggregated into irregulär shreds (35, PI. 27, fig. 3) whilst in an- other, it may be distributed throughout the linin as small granules (35, PI. 27, fig. 4). Subsequently Mottier (36) has extended these obser- vations and has experimented in fixing the embryosac mother-cells of Lüium martagon and Lilium candidum. He cut away the waUs of the ovaries, in sonie cases leaving the cavity enclosed by a thin layer of tissue, whilst in others the cavity was laid bare. When the fixmg fluid had to penetrate a tissue, six or seven layers of cells in thickness before it reached the ovule, the chromatin of the embryosac mother-cell nu- cleus was found to be precipitated in large angular lumps (36, PI. 23, fig. 2) whereas when the fluid had direct access to the ovule, the chromatin of the embryosac mother-cell nucleus was precipitated in fine granules (36, PI. 23, fig. 1). Mottier ascribes this difference to the action of the fixing fluid. If the fluid be rendered weaker owing to its passage through several layers of cells it caiises a coarser precipitation of chroinatin, whereas if its strength be unimpaired a relatively fine precipitation ensues. ]\Ieves (32) has figured resting spermatogonial nuclei, fixed in Her - 5IAXXS fluid, from different portions of the testis of Salamandra maculosa. The nuclei of the anterior lobe show their chromatin to be somewhat massed into irregulär aggregations, ‘Chroniatinbrocken ’(32, Taf. 1, fig. 4) whilst the nuclei of the extreme tip show a fine chromatic precipitation (32, Taf. 1, fig. 5). A critiral study of the cytology of Crepis virens. 127 The ScHREiXERS (50) have checkcd the action of different fixing fluids on the resting spermatogoiiial niiclei of Mijxine glutinosa. They found that, fixed in Herilvxx’s formula, the chromatic contents of the nncleus were distribiited as “feine Chroniatinkörnchen, die hie und da zn etwas größeren gesammelt sind” (p. 197), (50, PI. 6, fig. 3 a), whereas fixed in a chromo-snbliniate solution (Zexker) “sieht man nie eine so feine Verteilung des Chromatins. Es zeigt sich hier zu gröberen Klumpen und Fäden gesammelt” (p. 198), (50, PI. 7, figs. 17 a and i). The evidence afforded by the observations and experiments ennme- rated above, strongly snggests that the definite aggregations of chromatin which are visible in some resting nuclei are inerely the expression of chromatic concentration, and do not represent ‘pro-chromosomes’ in the strict sense of that term. Kot only has it been shown that the degree of precipitation may be modified experimentally by the action of different fixing formulae, and by the control of their penetration, bat also that nuclei, though subjected to precisely the same treatment, may exhibit widely varying degrees of chromatin precipitation. A consideration of the above mentioned facts may perhaps lead to a possible reconciliation of the divergent views expressed by those who have studied the supposed relation of prochroniosomes to the genesis of the chromosomes themselves. General considerations. It is now proposed to discuss 1. the significance of the chromatic bodies in resting nuclei, and 2. the evolution of the heterotype chromo- somes. I. Significance of the chromatic bodies. It is a widely held view that chromosomes have a permanent individ- iiality which is maintained throughout successive generations of cell division. One of its chief opponents is Fick (Iß), who regards the chromo- somes as tactical entities which appear at the time of nnclear division and act as “mobile Manöverirverbände des Chromatins” (p. 202). Stras- BURGER (54 and 55) has discussed at length two facts which strongly Support the theory of the permanence of chromosomes; firstly, theü' ap- pearance in each successive nnclear division, not only in specific numbers, but also in characteristic shapes and sizes ; and secondly, the pairing of homologous chromosomes in somatic niitoses. These are familiär facts and need no further comment. Moreover Strasburger (55) believea 128 L. Digby that “sehr entschieden läßt das Fortbestehen der Chromosomen in dem Enhezustand des Kernes auch durch die Fälle sich stützen, in welchen die einzelnen Chromosomen durch eine dichtere Stelle im Gerüstwerk dauernd sich markieren” (p. 497). Discussion centres round this State- ment. The individuality of the chromosomes can be recognised in resting nuclei accordmg to the degree of dissohition sustained by the chromo- somes of the preceding division. Disintegration niay be so slight as to allow of identification of the chromosomes with the deeply staming bo- dies of the succeedtng resting phases ; it may however be so complete as to obüterate aU visible chromosome mdividuality. Between these two extremes all grades of intemiediate indications of chromosome identity may occur. Martixs (31) and Davis (7) have shown that the chromatic bodies of the resting stage are identical with, or are certainly derived from, the chromosomes of the preceding telophase. Frisexdahl (15) States that the paired ‘Chromatinkörner are transverse segments of the lon- gitudinaUy spht chromosomes of the preceding telophase. A somewhat siniilar condition was found in Galtonia (9) though the facts, as to the origin of the paired chromatic portions. were not so definitely ascertain- ed. Gregoire (20) described alveohsed chromatic concentrations in the presynaptic stages of certain plants, and considered theni not as ‘gamo- somes’ but as “troncons de bandes chromosomiques”. Or again the chro- mosomes at telophase may resolve themselves into elementary reticula, as described by Gregoire (18) and by Oi’ertox (42), and these retain their independence during the resting period. and reconcentrate during prophase. In Periplaneta amerkana Farmer and Moore (11) have ob- sen ed cloudy areas which represent the future chromosomes, and gra- dually condense to fonn theni. Complete chromosome disintegration is to be found in certain resting nuclei, as in some cereals (37 ) and Primulas (10), and consequently these resting nuclei possess little visible chromatic Contents. Kakao (37) describes the resting nuclei as being slightly darker than the surrounding cytoplasm. and the chromatic bodies as gra- dually niaking their appearance at the approach of prophase. In Primula the nucleolus exudes droplets of its substance which become chromatic and thereupon resemble defmite chromatic bodies. The above observations demonstrate that there is a wide ränge in the degree of dissohition exliibited by the chromosomes at telophase, and this results in varied concentrations of chromatic elements in the ensuing rest. In some cases the identity of the chromosomes remains more or less recognisable, whilst in others it is completely obhterated, though invisibUity need not involve loss of real identity. A critical study of the cytology ol Crepis virens. 129 The controversial matter concerns the definite chromatic bodies found in certain resting nuclei; do they represent chromosomes, and thus testify to the indmduaüty of chromosomes throughout interkinesis, or are they mere aggregations of chromatm? In the introduction, the obsercations and views of certain investiga- tors have been briefly recorded. At first sight it would appear as if their divergent resiüts could not be coordinated. Contradictory data have even been derived from the examtnation of identical tissues. Never- theless, if the matter be analysed, some reasons for the diversity of ex- pressed opinion can be found. In the first place, it has been shown by Rosexberg (44) that resting nuclei may be broadly divided into two classes ; the Fritülaria-tj^e having a fine reticulum with somewhat indefinite chromatic aggregations, and the Capsella-type having definite chromatic bodies. Many of the Mono- cotyledons belong to the first type, and of the Dicotyledons to the second. Rosexberg (45) in this connnection has written “daß besonders unter den Monokotyledonen die Feststellung der Zahl der ‘Chromatin- kliimpchen’ mit großen Schwierigkeiten verbunden ist und in vielen Fällen überhaupt nicht gelingt” (p. 401). The matter is further comphcated by the fact that resting nuclei of any one animal or plant may exhibit varied degrees of concentration of their chromatic contents, and in fact both the FritUlaria and CapseUa types may be present in the same individual. It is this circumstance which may account for the fundamentally different observations recorded. In the same animal or plant the chromatic nuclear contents may be more or less concentrated into definite aggregations and these may approximate in number to the chromosomes, or they may be distributed throughout the reticulum as smaU deeply staining granules. It has already been noted that Gregoire (20) and Mottier (35 and 36) have described two distinct types of presynaptic phases in various plants (see pp. 125 & 126) which are characterised by the relative distribution of the chromatic contents. Moreover, this phenomenon undoubtedly explains the different results arrived at by Rosexberg (46) and by Beer (3) with regard to the resting nuclei of Crepis virens. Rosexberg observed the definite chromatic aggregation or ‘prochromosome’ type, whereas Beer saw that of the finer chromatic distribution. In this investigation both series of presynaptic prophases have been found in the same capitulum, but not in the same bud. In a section of a capitulum the resting nuclei, prior to the heterotype prophase, may show definite chromatic bodies in one bud, whilst in another they may have a fine reticulate structure. The .Archiv f. Zellforschung. XK. 9 130 L. Digby fact that nuclei subjected to precisely the same treatment respond in various ways to the action of the fixing fluid, suggests the presence of different physiological characters. Further experinients have proved that the Chemical constituents of the special fixing niedia used produce diverse effects, as sho^vn by the disposition of the nuclear contents. The Schreiners (50) in their experinients on animal cells foimd that resting nuclei fixed with Hermaxx’s fluid showed a far finer chromatic precipitation than those fixed with acid Sublimate which caused the chro- matin to coalesce into larger masses. According to Rosexberg (48) ‘pro- chromosomes’ are far niore indefinite in preparations fixed with Fleihüixg’s fixing formula than with that of Carxoy. “In mehreren Fällen habe ich gefunden, daß Prochromosomen mit großer Deutüchkeit in Carxoy fixier- tem Material haben nachgewiesen werden können, während in FLEiDiixG- fixierten Präparaten von derselben Pflanze Prochromosomen nur mit Schwierigkeit sich nachweisen heßen” (p. 50). It has, moreover, been sho\vn that not only is the precipitation of chromatin affected by the constituent elements of the particular fixing fluid used, but also that the results are modified according to the speed of its Penetration. Mottier (36) in his experinients on the ovules of Lüium, which have already been described (see p. 126), found that direct Penetration caused a fine chromatic precipitation, whereas if the fluid had been weakened by pre\nously passing through several layers of cells, the chromattn was precipitated in coarser lumps. i\lEVES (32) observed that the chromatin of the resting nuclei of the extreme tip of the testis of SaJamandra maculosa was so finely precipitated as to be indistinguishable as such, whüst that of the nuclei of the anterior lobe was massed into irregulär aggregations. Again, nutrition plays an important part in the development of the nuclear chromatic contents. Overtox (40) has stated that prochromo- somes are only to be found in “gut ernährten ZeUkemen” (p. 124). Huie (23) and Eosexberg (47) have experimented on feeding Drosera with chemically different foods, and have obtained ^nsibie modifications in the nuclear contents. Huie has shown that white of egg and peptone produce a great increase in the chromatic sübstance, whereas such foods as nuclein and nucleic acid produce no such results. Rosexberg (47) has given an interesting series of drawings of resting nuclei taken from the tentacles of Drosera, demonstrating the response to the Stimulation of food as shown by the increase or decrease of chromatin. He believes that the size of the prochromosomes is alone affected and that their nuniber reniains constant. A critical study of the cytology of Crepis virens. 131 The age of the tissue may also have sorae bearing on the character of the chromatic contents of its resting nuclei. Rosenberg (45) found that “Chromatinklümpchen” are more constant in nuniber in nuclei of tissues that have completed their growth (p. 402). The facts enunierated above show that the same series of nuclei may exhibit different degrees of chromatic concentration ; that this concentra- tion may be altered by the specific fixmg reagent used, and by the strength of the Solution, and that physiological conditions such as nutrition and age affect the aniount and disposition of the chromatic contents. When it is reahsed that all these factors have to be taken into consideration it is not to be wondered at that the results of observations on resting nuclei are often not iu accordance. Another, though minor, explanation for the diversity in pubüshed records is the difficulty of obtaining accurate counts of chromatic aggre- gations. Even Overton, who introduced the term ‘prochromosome’ into literature, and definitely correlated the numbers of the ‘prochromosomes’ with those of the chromosomes, was mistaken in his calculations. In his first paper on Thalictrum (40) he States that 24 is the somatic number of chromosomes, and that 24 prochromosomes appear in the presynaptic phases and pair as they go into synapsis. Subsequently (41) he realised that there were in fact 48 prochromosomes, the 24 representing pairs of prochromosomes. The oversight was due to the dose association of the individuals of each pair. Moreover it is often difficult to discrimüiate between typical chromatic aggregations and other bodies, possibly chro- matic granules and nucleolar fragments, which are constantly present in resting nuclei, and which afford controversial arguments as to their identity. Davis (6 and 7) has emphasized the impossibility of arriving at an ac- curate determination of the numbers. On the other hand, Rosenberg (48) foimd httle difficulty in counting the prochromosomes of resting nuclei as he included all bodies that took the Haematoxylin stain (p. 51). Those who regard chromatic bodies as ‘prochromosomes’ believe their appearance in the same number of the chromosomes to be indicative of their true nature. On the other hand, those who consider chi’omatic bodies to be merely aggregations of chromatin, in view of their number being variable, regard the fact that the number of chromatic bodies present in the resting nucleus is sometimes identical with that of the chromosomes, as a matter of chance to which no imdue importance should be attached. The unstable nature of the chromatic bodies has already been dis- cussed, and it seems to be hardly possible to regard such variable struc- tures as ‘prochromosomes’. It now remains to enumerate two definite 9* 132 L. Digby reasons for regarding these chromatic bodies as expressions of mere chrom- atic concentration. Firstly, they vary in number, in size, and in development, and secondly, as expressly pointed out by Gregoire (20), Tischler (60) and Laibach (26), the entire chroniatic contents of the nucleus is not always concen- trated in tbese bodies, but the residue may be distributed throughont the reticuluni often marking the angles of the meshes. For this reason sonie cytologists have objected to the name ‘pro- chroinosome’. Laibach (26) and Kosexberg (47) have suggested the terni ‘Chromozentren’. Rosexberg States that although he has been able to show that in some plants the ‘Körper’ may appear in resting nuclei in the number of the chromosomes, yet he does not consider that the name ‘prochroniosonie’ aptly describes them. “Diese Benennung ist entschieden nicht die glückhchste und ich fühle mich oft versucht, andere Namen vor- zuschlagen, etwa Chromozentren oder dgl, die eigenthch nichts anderes aussagen soUen, als daß die chromatische Substanz des Kerns bei ihrer Entstehung in den Prophasen von gewissen Zentren ausgeht” (p. 163). Luxdegardh (29) considers that the chroniatic aggregations should rather be temied ‘Prochromosomenteüe’ than prochromosomes, because the aggregations are frequently more numerous than the chromosomes. The results of this investigation of the resting nuclei of Crepis virens confirm the \’iew that the chromatic bodies are merely expressions of chrom- atic concentration, and are not ‘prochromosomes’ in the strict sense of that term. II. The evolution of the heterotype chromosomes. Farmer (12) has recently drawn attention to the confusion attending the terms ‘telosynapsis’ and ‘parasynapsis’, used as signifying the nianner of pairing of soniatic chromosomes m preparation for the heterotype division. AMiether the somatic chromosomes are associated end to end or side by side in the spireme, is a matter of little importance, and it is generally agreed that both arrangenients do occur. The fundamental, and important difference which is involved, rests ou the interpretation to be placed on the presynaptic phases. Those who advocate the telo- synaptic theory regard the paraUelisms of the heterotype presynaptic prophases as honiologous with those of the somatic prophases, and consequently as representing the condensation of two longitudinal halves of a single soniatic chromosonie derived from the pre- ceding telophase; whilst those who advocate the parasynaptic theory regard the paraUeÜsms of the heterotype presynaptic prophases a& re- A critical study of the cytology of Crepis virens. 133 presenting the approximation of two entire (homologous) somatic chromosomes. The telosynaptic interpretation of the heterotype prophases is en- dorsed both by Goldschjiidt (17) and by Häcker (22). They consider the paired arrangement in the chromatic contents of the heterotype pro- phases to be the expression of the future longitudinal fission. Häcker States that they are not the associations of “ursprünglich selbständiger Elemente” but the “Anlage eines frühzeitig gespaltenen Spirems” (p. 78). Telosynaptists and parasynaptists are for the most part in agreement tvith regard to the evolution of the somatic mitosis. They recognise the Separation of the longitudinal halves of each chromosome during the telophase, theh- reassociation during the ensuing prophase, and their gradual condensation until each longitudinal half becomes a daughter chromosome. Telosynaptists place the same interpretation on the parallel and condensing portions of the paired nuclear contents of the heterotype presynaptic prophases, whereas the parasynaptists regard these paired chromatic portions as representing the association in pairs of homologous chromosomes. The telosynaptists base their views largely on the dose similarity between the somatic and heterotypic presynaptic prophases, which makes it difficult to beheve that the paired portions can have a different significance in the two mitoses. Again, in those forms where there is no interkinetal rest between the last premeiotic mi- tosis and the meiotic prophase, it is possible to trace the origin of the paired portions of the heterotype prophases as Segments of the longi- tudinaUy spht chromosomes of the preceding telophase. Fraser and Snell (14) have contributed an important piece of evidence in favour of the telosynaptic view. They have compared the heterotype prophases with those of the gametophyte where “there is no question of the as- sociation of paternal and maternal structures since only a single set of chromosomes is present. But in the poUen-grain, exactly as in the ceUs of the root or flower, a double reticulum was observed, and here also the first evidence of duplication appears in the late telophase” (p. 848). On the other hand, parasjmaptists base their views largely on the similarity between the paFed portions of the nuclear contents of the presynaptic and post synaptic phases. Their interpretation of the paired portions of the heterotype prophases involves a complete rearrangement of the elements of the chromosomes of the last premeiotic telophase. Frisendahl (15) has shovni that the different significance attached to the parallehsms of the heterotype presynaptic prophases as compared to those of the somatic prophases, is revealed by the fact that whereas 134 L. Digby in the somatic prophase, each fine thread wliich severally connects onesplit side of a chromatic portion ^Yith that of the next is single, in the hetero- type prophase this thread is double, signifying that each side of the paired segments represents a portion of a whole imivalent chromosome. According to the telosynaptic view fission dividing the chromosomes into two longitudinal halves at the telophase of the last premeiotic divi- sion, reappears in the heterotype presynaptic prophase. On the other hand according to the parasynaptic view this fission is not visible in the presynaptic phases. Both sets of observers are in fairly dose agree- ment as to its subsequent reappearance. It is more or less obliterated during the postsynaptic phases and then reappears in the univalent Segments of the bivalent heterotype chromosomes, and after being strikingly visible during the heterotype anaphase and telophase, it finaUy takes effect and cleaves the daughter chromosomes on the homotype spindle.- The study of Crepis virens does not throw much light on these contro- versial questions. During the telophase of the last archesporial division, the chromosomes become completely mirecognisable, so far as separate identity is concerned, and the chromatic bodies of the resting stages appear ‘de novo’ by chromatic concentration. Eosenberg (46) holds that the paired chromatic bodies of the prophases represent the associations of homologous chromosomes. On the other hand evidence afforded by this mvestigation pohits strongly to the conclusion that these paired bodies are the result of fission and not of approximation. The chief reason for this view lies in the fact that the chromatic bodies increase in number as the prophase advances, and furthermore that all stages in the process of fission can be recognised. Chromatic bodies exhibiting a similar paired arrangement are to be seen both in the ‘resting’ nuclei of the archesporium, and in the resting tetrad nuclei. In both these cases the pairing is interpreted as an early fission preparatory for the next mitosis. Rosenberg (47), m his experinients in feeding Drosera, found similar cases of closely paired bodies. He was not able definitely to decide whether they were the result of fission or of association, but inclined to the view of association. If the interpretation that the paired bodies originate from fission be correct, then the original chromatic body, formed by the concentration of chro- matin, must represent a portion of a whole chromosome. In the alter- native series of presynaptic phases in which the chroniatin is more finely distributed as beads in a linin reticulum, a converse series of events ensues. Beaded threads, each of which is regarded as a longitudinal haK of a univalent segment resulting from the preceding telophasic fission. A critical study of the cytology of Crepis %urens. 135 nin parallel to one another and condense to form whole univalent Strands. The space between the condensing halves is the line of fission which wUl divide the daughter univalent chromosomes on the homotype spindle. The pairing of the threads in these presynaptic pha'ses is therefore homologous with the pairing of the ttu’eads in the somatic prophases. Reference has already been made to the fact that it matters little whether the association of the univalent Segments in the postsynaptic phases be end to end, or in parallel series. Telosynaptists attach particular importance to the second contraction, during which, as first observed by Farmer and Moore (11), the pairing of univalent Segments is com- pleted. On the other hand, parasynaptists regard the whole series of post- synaptic phases as equally concerned in the fuLfilment of the pairing of univalent chromosomes inaugurated during the presynaptic prophases. Again, in Crepis virens, the evolution of the heterotype chromosomes, notwithstanding their low number, is not easy to foUow on account of the extremely viscous character of the nuclear contents. Many of the lengths of spireme, as they come out of synapsis, can be recognised as bivalent in nature, whilst other lengths afford no clue as to their character. The association of the univalent segments of the bivalent Strands may be complete, showing no trace of Separation, or the association may be loose, the univalent segments being widely parted along lengths of their course. There is no typical open spireme stage, the spü’eme passes ahnost im- mediately into second contraction. In the phases centring round second contraction the univalent spirenies may be associated end to end, or side by side, or in many intermediate ways. As the associated univalent seg- ments come out of second contraction they concentrate, and each pair becomes a heterotype chromosome. By closely following the sequence of events it can be ascertained that, the univalent segment of spireme, which emerges from synapsis, is homologous with the univalent segment which issues from second contraction, and this has then but to concen- trate to become the univalent segment of the bivalent chromosome. The study of the heterotype phase of Crepis virens suggests that during synapsis, not only a sorting out of univalent segments takes place, but also an association in pairs of the said univalent segments, an associa- tion which is completed during second contraction. Summary. 1. Definite chromatic bodies have been found in the resting nuclei of the tapetum, in the resting nuclei between the last archesporial division and the heterotype prophase, and in the resting tetrad nuclei. Their 136 L. Digby number is inconstant and appears to vary between one and six, but ap- parently seldoni exceeds six. On account of the inconstancy in the number of the bodies, and the fact that the entire chromatic contents of the nucleus are not concentrated in them, they are believed to be merely aggregations of chromatin and not true ‘prochroniosomes’. No completely ‘resting’ nuclei were found amongst the archesporial tissue, but in those which exhibited the nearest approach to ‘rest’, chro- matic bodies were present, and the remainder of the chi'omatin was distributed as granules in a definite linin reticulum, giving the nucleus a somewhat active appearance. 2. In the premeiotic resting nuclei the chromatin is for the most part concentrated in the deeply staining bodies and in the nucleolus. As the nucleus passes into the heterotype prophase the bodies split longi- tudinally, their spht sides fragment, become rounded, and enter sy- uapsis as large beads. 3. It is impossible, owing to the complete disorganisation of the chromosomes during interldnesis, to trace the homology between the Segments of the chromosomes of the telophase of the last premeiotic division, and the chromatic bodies of the ensuing rest which precedes the meiotic prophase. The fine chromatic precipitate gradually recondenses to form chromatic beads, and these concentrate into fewer and fewer chromatic bodies as the niore definite resting phase is approached. From the sequence of events, and from comparative analogies, it is considered that the chromatic bodies represent portions of entire somatic chromo- somes, and consequently that the fission which appears in their substance and eventually separates each into two daughter halves, is homologous with the fission in the substance of the spireme of the somatic prophases, and wül eventually cleave the daughter-chromosomes on the homotype spindle. Similarly the relationship between the chromatic bodies of the resting tetrad nucleus and the chromosome segments of the homotype telophase could not be ascertained, on account of the fragmentation of the chro- mosomes during telophase, and the su])sequent gradual condensation of the chromatic contents into definite bodies. 4. Crepis virens shows two alternative series of presynaptic phases, and these may occur in the same inflorescence. In the one series, the chromatic contents are aggregated mto definite chromatic bodies, while in the other, the chromatin is more finely distributed as smaU beads through- out the nuclear reticulum. In the first type the chromatic contents enter synapsis as large chromatin beads derived from the spht sides of the A critical study of the cytology of Crepis virens. 137 chromatic bodies, whilst in the second, the chromatic Contents, in the form of fine granules, are withdrawn with the reticulum, into synapsis. 5. Globules of a faintly staining substance may be given off from the synaptic knot, and from the mass of the second contraction. These globules are at first attached to the nuclear contents, but the Connections are broken as they pass into the cytoplasm where they become chromatic in staining reaction. 6. The evolution of the heterotype chromosomes is somewhat obscure o-wing to the viscous nature of the chromatic contents. IMevertheless, events strongly suggest that, durtng synapsis, homologous univalent Segments are for the most part arranged side by side, in pairs. As the loops come out of synapsis all degrees in the Separation of the univalent Segments can be seen. Throughout the postsynaptic stages the imivalent Segments of each pair may either show a parallel (parasynapsis), or a terminal (telosynapsis) association, or many an intermediate an'angement. In some cases the lengths of parallel spireme are so closely approximated that the resulting bivalent Segment exhibits no trace of its duplex nature ; in others the univalent lengths may diverge for part of their length, whUe in others they may be entirely separate except at their ends which join, and thus form a loop. The univalent spireme segments graduaUy concen- trate, and finally disjoin, as univalent chromosomes, on the heterotype spindle. 7. In the meiotic phase true fission (homologous vnth that of the somatic divisions) which ultimately divides the univalent chromosomes into their daughter halves on the homotj^pe spindle, makes its first ap- pearance as the spüt in the chromatic bodies of the coarser chromatic presynaptic prophases. These chromatic bodies are considered to be portions of whole somatic chromosomes. In the finer chromatic presynap- tic phases the future fission is represented by the space between parallel beaded threads, which are condensing to form lengths of whole univalent spireme. The fission becomes obhterated tlu’oughout the postsynaptic and second contraction phases. It may be once more recognised in the substance of the univalent segments as they condense to form the hetero- type chromosome, and later is evident in the chromosomes as they pass to the poles of the heterotype spindle; and again is once more strikingly apparent at the telophase of the heterotype division. There is no rest between the heterotype and homotype divisions, and the fission directly cleaves the univalent chromosomes, into their daughter halves, on the homotype spindle. 138 L. Digby 8. Each chromosome of the premeiotic and meiotic divisions is evolved in portions, and these only join together to form the completed chromo- soine, prior to the indication of the spindle. Conversely, one or more chroniosomes may scgment transversely at anaphase, thus causing the chromosomes to appear more in number than the six typical of the somatic divisions, and the three of the meiotic divisions. In conclusion I vrish to express my thanks to Professor J. Bretlaxd Farmer for the valuable advice and criticism that he has given me throughout the course of this investigation. Eoyal College of Science, London. Bibliography. 1. Allen, C. E. (’06). II. Das Verhalten der Kernsubstanzen während der Sy- napsis in den Pollenmutterzellen von Lilium canadense. Pringsh. Jahrb. f. wiss. Bot. Leipzig. Bd. XLII. S. 72 — 82. 2. Auerbach, L. (’90). Zur Kenntnis der tierischen Zellen. Sitzungsber. d. Kgl. preuß. Akademie d. Wissensch. zu Berlin. II. Halbband. S. 735 — 749. 3 Beer, R. (’12). Studies in Spore Development. II. On the Structure and Divi- sion of the Niiclei in the Compositae. Ann. of Bot. Vol. XXVI. Xo. 103. July. p. 705— 726. 4. C.ARDiFF, I. D. (’06). A study of synapsis and reduction. Bull, of the Torrey Bot. Club. Vol. XXXIII. p. 271—306. 5. Davis, B. M. (’09). Cytological Studies on Oenothera. I. Pollen Development of Oenothera grandiflora. Ann. of Bot. Vol. XXIII. No. 92. Oct. p. 551 to 571. 6. (’IO). Cytological Studies on Oenothera. 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Hom. imm. Zeiss, N.A. 1,40 with comp. oc. 18 x about 2,900. Figs. 1 — 30. Crepis virens. Archesporial divisions. Figs. 31 — 45. Rest between the last archesporial division and the heterotype prophase. Figs. 46 — 89. First meiotic division. Figs. 90 — 96. Second meiotic division. Figs. 97 — 101. Tetrad nuclei going into rest. Figs. 102 — 110. Alternative series of presynaptic phases. Figs. 111 — 117. Presynaptic phases fixed with acetic alcohol. Figs. 118 — 120. Resting tapetal nuclei. Plate VHI. Fig. 1. Early telophase of an archesporial division. Fig. 2. Late telophase in which the chromosomes have lost their individuality and have formed a beaded spireme. 142 L. Digby Fig. 3. Fui'ther dissolution of the chromosomes resulting in a fine chromatic precipitation. Fig. 4. A cell wall has been laid down between the two daughter nuclei ; the chromatic nuclear contents are aggregating into definite beads, some of which show a paired arrangement. Note the chromatic bodies in the surrounding cytoplasm may also be paired. Fig. 5. Further concentration of the chromatic contents into fewer and more definite bodies. Fig. 6. The nearest approach to a resting nucleus found amongst the archesporial divisions. Some of the chromatin is concentrated into twm bodies, one of which is paired, the remainder is distributed in the reticulate linin. Note the paired chromatic bodies in the cytoplasm. Fig. 7. Very early pröphase. The chromatic bodies have begun to disintegrate and their substance is being distributed as small beads. The linin forms more definite Strands. Figs. 8 and 9. Shghtly later pröphase in which the chromatin is scattered in the meshes of the reticulate linin as beads of various sizes. The beads may stiU be paired. Fig. 10. The nuclear contents are more or less pcripherally arranged, and con- sist of fine strands with chiomatic beads arranged in the angles and along the lengths of the reticulum. Fig. 11. The strands with their chi'omatin beads begin to show’ a parallel arran- gement. Fig. 12. The strands situated at the nuclear periphery often appear to show accentuated parallelisms. Fig. 13. The chromatin concentrates into strands and larger beads. Note the condensation of two parallel strands. Figs. 14, 15 and 16. Show' progressive stages in chromatin concentration. At the same time the chromatin begins to diffuse throughout the linin reticulum. Figs. 17, 18, 19 and 20. The chromatic portions collect into groups; in some condensing portions the beaded sides are distinct, w'hilst in others a faintly staining area alone indicates their future line of Separation. Fig. 21. The concentrated portions have become more or less homogeneous. In parts fission in their substance is visible. At this stage, more than the six tj’pical chromosomes appear to be about to be evolved. Fig. 22. The Condensed segments unite end to end to form lengths of spiremc. These are for the most part homogeneous, but fission can be seen in portions. Fig. 23. The joining together of the spireme segments proceeds, and at the same time fission in their substance becomes more apparent. Fig. 24. The spireme has sorted out into the six chromosomes which are wavy in outhne, and are constantly orientated tow'ards the nucleolus. Fig. 25. F urther concentration of the chromosome segments which may be still orientated towards the nucleolus. Fig. 26. The chromosomes separate from one another and pass to the periphery of the nucleus. Fig. 27. Polar \new' of an equatorial plate. Note the different sizes of the six longitudinally split chromosomes. Fig. 28. Profile view of an equatorial plate. A critical study of the cytoLogy of Crepis virens. 143 Fig. 29. Polar view of an early anaphase. The daughter halves of the small chromosome have already separated from one another, whilst those of the two larger chromosomes are in process of separating. Fig. 30. Early telophase of the last archesporial division. Fig. 31. Late telophase of the last archesporial division, showing the dissolution of the chromosomes into small, and more or less uniformly sized, chromatic beads, scat- tered in a very fine reticulate linin. Figs. 31 — 45 illastrate the grad ial transition into the ‘rest’ between the last archesporial telophase and the heterotype prophase. Fig. 32. Later stage in which the chromatin is coilecting into definite groups leaving the linin as a sharply defined reticulum. Fig. 33. The chromatin is becoming increasingly concentrated into large chro- matic beads. Fig. 34. Concentration of the chromatic nuclear contents procceds, leaving the linin as a more or less colourless reticulum. Figs. 35 and 36. The chromatic bodies become fewer in number as the nuclei pass into the premeiotic rest. Plate IX. Figs. 37 and 38. As the chromatin concentrates into fewer aggregations these bodies become larger, more definite, and more deeply staining. Fig. 39. Shows a nucleus going into rest with seven definite chromatic bodies. Fig. 40. The chromatic bodies are reduced in number, but smaller chromatic granules are scattered in the reticulum. Fig. 41. A nucleus with three bodies and a few chromatic granules. Fig. 42. Completely resting nucleus showing two definite chromatic bodies and a possible third which is in dose association with the nucleolus. The linin is a color- less and fine reticulum. Fig. 43. Nucleus with apparently six chromatic bodies, one of which is closely associated with the nucleolus. Fig. 44. Nucleus with four chromatic bodies, one of which shows a paired ar- rangement. Fig. 45. A nucleus with three definite bodies and one which is more faintly staining. Fig. 46. Heterotype division : In the chromatic body situated to the north of the nucleolus the first indication of a split is dsible, causing the body to be slightly V shaped. Fig. 47. Chromatic bodies showing two stages in the process of Splitting. In the one case the two halves are merely separated by a light area and are V shaped; in the other they are disposed to one another as the arms of an x. Fig. 48. The two split sides of one of the chromatic bodies appear as rods with a small space between them. Fig. 49. Two of the chromatic bodies have split, and the rounded sides lie closely approximated to one another. A thread passes to each of the halves, and the two threads run parallel to one another. Fig. 50. In the right portion of the nucleus a split chromatic bödy is seen which has apparently also segmented transversely, and the segments of each side are con- nected by parallel threads, this shows the beginning of the breaking up of the daughter halves of the chromatic bodies prior to synapsis. 144 L. Digby * » Fig. 51. The segmented sides of the split chromatic body may become beaded as shown by the body situated in the left portion of the nucleus. Fig. 52. A nucleus with three, or possibly four spht chromatic bodies. The posterior portion of the second one lies at a higher focus than the anterior portion, and is pro- bably independent of it. The split sides of the bodies are beginning to fragnient and to round themselves off as beads. Note the increasingly definite character of the linin. Fig. 53. The chromatic bodies exhibit degrees of fission and disintegration. Fig. 54. Shows the longitudinally divided bodies and the parallel linin threads which join the various paired portions to one another. Fig. 55. The split sides separate and at the same time fragment. Fig. 56. The linin begins to contract away from the nuclear periphery, prepara- tory to synapsis. It draws in with it the beaded portions derived from the segmented split sides of the chromatic bodies, and these collect round the nucleolus. Fig. 57. As synapsis approaches the linin becomes more definitely reticiüate, and the substance of the chromatic bodies graduaUy diffuses throughout it. Figs. 58, 59 and 60. Show stages in the contraction leading to sjmapsis. The portions of chromatic bodies appear as rounded beads lying in the linin matrix. Fig. 61. The chromatic beads break up into smaller granules. By this time the nuclear contents are closely aggregated round the nucleolus. Fig. 62. Complete synapsis showing the massing together of the chromatic beads and linin forming a finely granulär synaptic knot. Fig. 63. A synaptic knot which as it begins to loosen, is exuding globules of faintly staining material from its substance. Fig. 64. The loosening of the synaptic knot. Some of the bivalent beaded loops may occasionally show a clear space in their substance, this space separates univalent lengths of spireme. Fig. 65. As the spireme comes out of synapsis it may lose its beaded character and become more or less homogeneous. The univalent segments may be widely sep- arated for a length and then so closely associated as to form, apparently, a single thick bivalent segment. Figs. 66 and 67. When the spireme has come out of synapsis it once more assumes a more or less reticulate character, the chromatin being concentrated into beads. Where the bivalent spireme lengths are more concentrated, a space indicating the Separation of the univalent spiremes is often to be seen. Fig. 68. The nuclear contents proceed at once to prepare for second contraction. The substance of the chromatic beads becomcs agaiu diffused into more or less homo- geneous bivalent and univalent lengths of spireme. Fig. 69. Shows loops of spireme going into second contraction. The two uni- valent sides of the loop, on the right, are separate except at their ends. This point of junction is marked by a chromatic swelling. Fig. 70. Further concentration for second contraction. The univalent segments of the loop in the north part of the nucleus are in dose approximation for a certain length, and then become widely separated. Fig. 71. In the lower loops the univalent segments are twisted round one another and then diverge. Fig. 72. Shows various phases in the Separation of univalent lengths of spireme. In the Segment in the right side of the nucleus the two univalent threads are united by large beads of chromatin. A critical study of the cytology of Crepis virens. 145 Fig. 73. In one bivalent segment the univalent lengths are completely separate, whilst in the other they are joined at their ends to form a loop. Fig. 74. Complete secondcontraction. The hoinogeneous bivalent loopsshowno sign of their duplex character, their component univalent segments being closely associated. Fig. 75. Complete second contraction, the segment in the south part of the nucleus has di\aded into its two univalent lengths; a chromatic swelling marks their point of Union. Fig. 76. The coming out of second contraction. Two bivalent loops shovr traces of Separation of the univalent segments. Fig. 77. Loosening of the second contraction. Some of the portions are concen- trated, whilst others show indications of the Separation of the univalent segments. Fig. 78. Shows the sorting out of the segments as they come out of second con- traction. There is great diversity in their appearance. In some cases the univalent segments have separated along their lengths, and have but to condense to form the bivalent chromosomes. True fission in the substance of the univalent segment is to be seen in the segment situated in the left portion of the nucleus. Fig. 79. A nucleus which has just come out of second contraction. The separat- ing univalent strands, owing to their extremely viscous character, are drawm out pro- ducing a very confused appearance. Fig. 80. As the univalent segments separate, they gradually become concentrated. Even at this stage it is impossible to distinguish the limits of the three chromosomes. Fig. 81. As concentration proceeds the individual chromosomes can be recognised. Fig. 82. The three bivalent chromosomes. Plate X. Fig. 83. Equatorial plate of the first meiotic divLsion. Fig. 84. The passing of the chromosomes to the poles, at which the small chro- mosomes are the first to arrive. Fig. 85. The arrival of all the chromosomes at the spindle poles. Fig. 86. Close association of the chromosomes in anaphase. Fig. 87. Anaphase of the heterotype division with apparently five chromosomes probably due to the transverse Segmentation of two of the chromosomes. Fig. 88. The chromosomes have separated out and are dividing into their longi- tudinal halves. In the upper nucleus the identity of the three chromosomes is still maintained, whilst in the low’er it is partly obliterated. Fig. 89. Further stage in the dissolution of the chromosomes. Fig. 90. Homotype division: showing the reconcentration of the chromatic segments and the elongation of the cytoplasm at right angles to the plane of the prevnous spindle. Fig. 91. Concentration of the chromosomes, but the limits of the three chromo- somes are as yet not clearly defined. Fig. 92. Polar view of the equatorial plate of the homotype diAÜsion. Fig. 93. The passing of the chromosomes to the poles of the homotype dmsion. Fig. 94. Late anaphase of the homot5q)e di\nsion showing the Separation of the chromosome segments. Fig. 95. Telophase of the homotype division. The remains of the chromosomes may be recognised either as homogeneous chromatic portions, or as paired beads, or the portions may show fission in their substance. Archiv f. Zollforschnng. XII. 10 146 L. Digby, A critical study of the Cytology of Crepis virens. Fig. 96. The tetrads are about to separate. The chromatic contents of the nu- clei are visible as rounded beads. Fig. 97. Tetrad nucleus. As the tetrad nuclei pass into rest the chromatic beads fragment. Fig. 98. The beads gradually conceutrate to form larger aggregations. One such aggregation is seen in this nucleus. Fig. 99. Shows the diminution in number of the clmomatic beads as they gra- dually amalgamate. Fig. 100. Resting tetrad nucleus with two definite chromatic bodies, one of which is composed of two rounded chromatic beads. Linin Strands with other faintly staining beads traverse the nucleus. Fig. 101. Resting tetrad nucleus with two chromatic bodies. The linin with its faintly staining granules shows a paired arrangement. Fig. 102. Alternative series of presynaptic phases. Early prophase showing the linin reticulum and a fine distribution of chromatin in its meshes. In parts the chromatic contents are concentrated into larger masses. This series Figs. 102 — 110 has beeil fixed with Merkel and has been taken from the same slides as Figs. 40 — 62. Fig. 103. Later stage in which the chromatin is more widely distributed as small beads throughout the linin. Fig. 104. The beads begin to collect together, and the pairing of beaded threads is to be seen. Fig. 105. Further concentration of the chromatin especially at the periphery of the nucleus. Figs. 106 and 107. The concentration of the chromatin, and the approximation of paired strands, results in the formation of thickened beaded portions, and dense amalgamations of chromatin. Figs. 108 and 109. Show stages in the withdrawal of the reticulum with the various sized chromatic beads preparatory to synapsis. Fig. 110. The nuclear contents are becoming closely massed prior to complete synapsis. Fig. 111. Resting nucleus between the last archesporial division and the hetero- type prophase showing definite chromatic bodies. This series of presimaptic phases Figs. 111 — 117 has been taken from a slide fixed with acetic alcohol. Fig. 112. Resting nucleus with chromatic aggregations. Fig. 113. Early heterotype prophase. The chromatic bodies are beginning to Show signs of fission. Fig. 114. Each split side of a chromatic body rounds itself off as a bead; a chromatic body therefore is often represented by a pair of beads. Figs. 115 and 116. The beads begin to conceutrate, and to collect in groups prior to synapsis. Fig. 117. A superficial section of a nucleus whose contents are massing together preparatory for synapsis. The chromatic substance diffuses throughout the linin, leaving 110 aggregations of chromatiii. Fig. 118. Tapetimi. Resting nucleus with one chromatic body. Fig. 119. Resting tapetal nucleus with two chromatic bodies. Fig. 120. Resting tapetal nucleus with three chromatic bodies. Tar.VUl. änn i.01pzia UnciJiiSTLin Lith AnstvhA FuuVc.Leip;?!^ r i: W'- w - -'^ 4:iVS# Jg’ia ' > -‘.«v". ■ ^ i AT'cfüv für ZellforscluLTtg Bd.Xll. 5'r ■fH. Ta/: IX. anii • ArchJi’ fhr ZfUforscltuTig Bd.XJL V»r;da V Willielm Eil Taf.X. \ naim ir. Lsipzm -iin d E ernn Lith Anst \’E.A.FuMlfe. Leipzig Uber eigenartige, spiralig strukturierte Spermien mit apyrenem und eupyrenem Kopf bei Insekten. Von Professor Dr. med. et phil. E. Ballowitz, Direktor des anatomisclieii Instituts der Westfalischen Wilhelms-Universität Münster i. W. Vit Tafel XI. Spiralig strukturierte Spermien mit korkzieherartigem Kopf werden bei den Tieren in großer Verbreitung angetroffen, wohl aus dem Grunde, weil die Bohrerform besonders geeignet ist, das Eindringen des Samen- körpers in das Ei zu erleichtern. So besitzen unter den Wirbellosen z. B. die Spermien vieler Mollusken einen in Windungen gedrehten Kopf und oft auch eine spiralig strukturierte Geißel. Hierher gehören auch die merkwürdigen Samenkörper der Ostracoden. Unter den Wirbeltieren finden sie sich bei den Selachierni), bei den Amphibiengattungen Pelobates^) und Discoglossus^) und vor allem bei den SingvögehH). Bei den letzteren gleicht der Kopf dem Modell eines Tiefbohrers und kann als ein förmliches Wunderwerk mikroskopischer Feintechnik bezeichnet werden. Aber auch um die Geißel bis gegen ihr Endstück hin ist an diesen Spermien ein Spiralfaden in zahlreichen Win- dungen gelegt. 1) Vgl. E. B.vllowitz, Untersuchungen über die Struktur der Spermatozoen. Teil III. Fische, Amphibien und Reptilien. Ai'cliiv für mikroskopische Anatomie. Bd. XXXVI. Taf. XI, Fig. 1. 2) E. Ballowitz, 1. c. Taf. XI, Fig. 54. 3) E. Ballowitz, Die merkwüi-digen, 21/4111111 langen Spermien des Batrachiers Discoglossus pictus Otth. Archiv f. mikroskopische Anatomie, Bd. LXIII, Taf. XVL 4) E. Ballowitz, Untersuchungen über die Struktur der Spermatozoen, zugleich ein Beitrag zur Lehi-e vom feineren Bau der kontraktilen Elemente. Teil I. Die Spermatozoen der Vögel. Archiv f. mikroskopische Anatomie. Bd. XXXII. 10+ U8 E. Hallowitz Zu envälinen sind hier auch die Spiralbildimgen, welche ini Verbin- dungsstück und bisweilen auch iin Hauptstück der Geißel bei Reptilien, bei den nicht zu den Passeres gehörenden Vögehi und bei vielen Ham- nialieni) in weiter Verbreitung Vorkommen. Von den Insekten sind spiralig strukturierte Samenkörper bisher noch nicht bekannt geworden; nur G. Retzius^) hat kürzlich von einer Libellula Spermien abgebildet, an deren Geißel sich eine Spiralfaser um eine etwas dickere Hauptfaser in mehreren AVindungen herumlegt; es kömien sich hier aber auch die beiden Fasern gegenseitig um einander winden. AVie ich bei meinen früheren Untersuchungen^) feststellte, setzt sich die Geißel bei den Insekten ganz allgemein aus drei oder mehr parallel nebeneinander angehefteten Fasern zusan)men. Bei vielen Coleopteren bildet die eine davon eine unbewegliche Stützfaser, während die andern Fasern sich zu einem in zierliche Krausen umgefalteten Flimmersaum zu- sammenfügen, welcher einseitig an der Stützfaser angeheftet ist. Die kon- traktilen Fasern bestehen aus feinsten Elementarfibrillen, welche gleich- falls parallel neben einander liegen und durch geringe Kittsubstanz mit einander verbunden sind. Kur an den Spermien ohne Stützfaser kommt eine stäi'kere spiralige Einbiegung des Gesamtspermiums zur Beobachtung, wie sie auch che Samenkörper andi’er Tiere, z. B. die in Bewegung befind- lichen Spermien der urodelen Amphibien zeigen können. Eine eigentliche spiralige Struktur fehlt aber auch, soweit l)ekannt, den Insektenspermien ohne Stützfaser. Auch der Kopf der Insektenspermien, von den abweichenden, von mir beschriebenen Kopfformen bei Dylims, Hydaticus, Colymbetes, Cala- thus u. a. abgesehen, besitzt nur die Form einer Nadel, die höchstens die Andeutung einer langen, einfachen Spiralwondung zeigt. Bei meinen fortgesetzten Spermienstudien fand ich nun auch bei Insekten Spiralstrukturen auf. In Folgendem will ich zunächst meine 1) Vgl. E. B.vllowitz, Weitere Beobachtungen über den feineren Bau der Säuge- tiersperinatozoen. Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. LII. 1891. 2) G. Retzius, Biologische Untersuchungen. Neue Folge. Bd. XIAA Taf. XXL 1909. Vgl. auch die übrigen spermatologischen Arbeiten von G. Retzius in dessen Biologischen Untersuchungen. Neue Folge. Bd. XI, XII, XIII, XV, XVI und XA'II. ®) A^gl. E. Ballowitz, Untersuchungen über die Struktur der Spermatozoen, zugleich ein Beitrag zur Lehre vom feineren Ban der kontraktilen Elemente. Die Sper- matozoen der Insekten. 1. Coleopteren. Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. L. Derselbe. Die Doppelspermatozocn der Dyticiden. Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. LX. Vgl. auch; Internationale Alonatsschrift für Anatomie nnd Physiologie. Bd. XL Hft. 5. 1894. über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien usw. 149 bei einem Neuropter, der sogenannten »Skorpionsfliege «, Panorpa communis L., erhaltenen Befunde beschreiben, welche umso mehr Interesse bean- spruchen dürften, als ich hier zwei differente Spermienformen, die eine mit apyrenemi), die andre mit eupyrenemi) Kopf an traf. Ich zergüederte etwa 25 frisch gefangene Exemplare von Panorpa, welche zum Teil Männchen, zum Teil Weibchen waren. Die Hoden der Männchen und das Receptaculum seminis der Weibchen wurden in physio- logischer (0,75%) Kochsalzlösung zerzupft, und das so gewonnene Sperma meist durch Einwirkung von Osmiumsäuredämpfen fixiert. Ein Teil des Materials wurde sodami mit Gentianaviolett oder RosaniHn gefärbt und darauf feucht, meist nach Zusatz einer konzentrierten Lösung von Kali aceticum, untersucht. Den andern Teil verarbeitete ich zu Deckglas- Trockenpräparaten, welche teils mit Gentianaviolett, teils mit Alaun- karniin tingiert und in Kanadabalsam eingeschlossen wurden. Die Samenkörper von Panorpa sind außerordenthch lang und bilden relativ dicke, in großen Windungen verlaufende Fäden. Sie lassen sich daher nur schlecht isoheren. In den Zupfpräparaten reifer Hoden erhält man sein’ lange, gewundene Bündel von Spermien, die zum Teil in ihre Elemente zerfallen. Der Inhalt des Receptaculums bildet eine anschei- nend verfilzte Fasermasse. Es ist mir daher trotz aller Bemühungen auch nicht geglückt, ein einzelnes Spermium in ganzer Länge \'öllig zu isoheren, so daß ich che Länge der Fäden nicht feststellen konnte. JedenfaUs ist sie sehr beträchthch und beläuft sich auf mehrere, wenn nicht auf viele Millimeter. Die Fadenstücke, welche frei hervorragten und sich daher isoliert gut verfolgen heßen, zeigten ein Ausmaß von 1,3— 2,7 mm ; indessen steckte der wohl noch beträchtliche Schwanzteil in dem Fadenknäuel und war hier nicht weiter abgrenzbar, sodaß das ganze Spermium wohl noch wesentlich länger sein dürfte. Eine Bewegung habe ich in den frischen Zupfpräparaten nicht ge- sehen. In den Präparaten fällt nun an vielen Fäden sofort das eigenartige Kopfende der von mh für apyren zu haltenden Spermien auf. Fig. 1 der Tafel zeigt es bei schwacher Vergrößerung. Man unterscheidet an Uim zwei differente Abschnitte. Der vordere, kürzere Abschnitt ist etwas dicker, weniger gebogen und läuft in eine sehr feine Endspitze aus. Daran schließt sich nach hinten hin eine längere, sehr regelmäßig gebogene 1) Die Bezeichnungen »apyi'en«, »oligopyren«, »eupyren« sind von Fr. Meves auf den Vorschlag Waldeyers eingeführt worden. Siehe Fr. Meves, Über oligopyrene und apyrene Spermien und über ihre Entstehimg, nach Beobachtungen an Paludina und Pygaera. Archiv f. inikr. Anat. und Entwicklungsgesch. Bd. LXI. Seite 3. 1903. 150 E. Ballowitz Spirale an, welche hinten allmählich in den mehr gerade verlaufenden Faden übergeht. Die Fig. 3—10 führen diese beiden Abschnitte bei starker Immersions- Vergrößerimg (Zeiss, homogene Immersion 2 mm und 1,5 mm, Kompens. Ocnlar 12) nach verschiedener Behandlung vor und lassen weitere be- merkenswerte Einzellieiten erkennen. Fig. 3 und 4 entstammen Präpa- i'aten, welche nach Fixierung durch Osmiumdämpfe und Tmktion mit Gentianaviolett ganz frisch in AVasser untersucht wurden. An dem vor- deren Abschnitt erschienen alsdann zwei sehr zarte, schmale, membran- oder saumartige, längliche Anhänge, welche nur schwach, aber doch deut- lich gefärbt waren. Beide standen sich ziemlich gegenüber und waren un- gleich lang, der eine auch etwas breiter, noch einmal oder etwas über einmal so lang als der andre; das hintere Ende des längeren Saumes ließ sich oft nicht deutUch abgrenzen. Diese beiden Anhänge sind sehr ver- gänglich. Nach längerem Liegen unter dem Deckglase (Fig. 5, 7, 8 und 9) werden sie undeutlich und verschwinden ganz. In frischen ungefärbten Präparaten sind sie nur schwer erkennbar, in den tingierten Deckglas- Trockenpräparaten (Fig. 4) war nichts mehr von ihnen zu sehen. Der Abschnitt, welchem die Saumanhänge ansitzen, ist länglich, schmal und färbt sich intensiv mit Gentianaviolett. Nach hinten geht er am intakten Spermium scheinbar kontinuierüch in die Spirale über ; die Übergangsstelle erscheint leicht verdickt. Des öfteren habe ich aber in den Präparaten eine Ablösung des vorderen Abschnittes von der Spirale angetroffen, wie die Fig. 5, 7 und 8 illustrieren. In Fig. 8 hat sich der xVbschnitt ganz abgetrennt, in Fig. 5 und 7 sitzt er mit seinem äußersten Ende noch der Spirale an. Bei der Ablösung wird deutlich, daß sich der Abschnitt nach hinten hin allmählich verjüngt und in eine feine Spitze ausläuft. Dieser zugeschärfte Teil legt sich an das gleichfalls zugespitzte Ende der Spirale an und verbindet sich mit ihm. An der Vereinigungs- stelle macht sich bei den ungefärbten oder nur schwach tingierten Spermien (Fig. 9) eine schmale, helle, nadelöhrartige Stelle bemerkbar (Fig. 9). Auch das andre Ende des vorderen Abschnittes ist fein zugeschärft und zwar noch mehr als das hintere. Es läuft in emc längere, äußerst feine Spitze aus, welche sehr oft gerade gestreckt ist (Fig. 3, 5, 7 und 8). Häufig ist sie aber auch gebogen (Fig. 4) oder deutlich spiralig gedreht, wie in den Fig. G, 9 und 10. Die Umbiegung der Spitze gegen den Haupt- teil erscheint dabei bisweilen noch stärker, als in Fig. 10 dargestellt. Auch an den mehr grade verlaufenden Spitzen macht ihre Basis oft den Ein- druck, als ob sie leicht torcpiiert wäre. Das gleiche gilt von dem dicken über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien usw. 151 Hauptteil des vorderen Abschnittes, der oft leicht spiralig gedreht aussieht (Fig. 6 und 9j. Nach allem macht dieser vordere Abschnitt also ganz den Eindruck eines Sperniienkopfes. Die Spirale, welcher der Kopf vorne ansitzt, ist sehr eigenartig. Wie schon erwähnt, ist ihr vorderes Ende dort, wo es sich mit dem Kopf ver- bindet, fein zugeschärft (Fig. 5,7, 8j. Die Spiralwindungen smd sehr zierlich und regelmäßig. Man zählt konstant fünf bis sechs Windungen, meist sind es sechs. Die hinteren AVmdungen sind etwas schmäler als die vorderen, die sechste vermittelt den Übergang zu der gerade gestreckten Geißel. An der Übergangsstelle wird erkennbar, daß die Geißel merklich (Ucker ist als die Spirale. Auch färbt sich die letztere nicht oder nur sehr schwach, während die Geißel bei Färbung mit Gentianaviolett eine intensive Tinktion annimmt. Im übrigen macht die meist gerade gestreckte Spirale einen ziemlich starren Eindruck und ist nur selten in einer größeren Biegung umgebogen. In den tingierten Deckglas-Trockenpräparaten hatte es oft den An- schein, daß die Spirale sich aus zwei Fäden zusammensetzt (Fig. 6) ; doch habe ich eine völlige Trennung der Fäden auf größeren Strecken an ihr nicht gesehen. An der Übergangsstelle der Spirale in die Geißel wurden Differen- zierungen, etwa Endknöpfchen oder dgl., von mir nicht wahrgenommen. Die Spirale geht hier vielmehr kontinuierlich in die dickere Geißel über und stellt wohl einen modifizierten Teil der Geißel dar, vielleicht vergleich- bar einem Verbindungsstück. Dafür spricht auch, daß die Befestigung der Spirale jm der Geißel eine sehr innige zu sein scheint; nur in einigen wenigen Fällen habe ich in der Nähe der Übergangsstelle abgebrochene Spiralen mit dem noch daransitzenden Kopf angetroffen, aber auch bei diesem waren Differenzierungen an dem Bruchende nicht vorhanden. Die an die Spirale sich anschließende, wie oben bemerkt, außerordent- lich lange Geißel, ist relativ dick und scheint diese Dicke in ihrer ganzen Länge gleichmäßig zu bewahren. Da es mir nicht gehngen wollte, ein hi- taktes Spermium in seiner ganzen, nach Millimetern zählenden Länge zu isolieren, kann ich nicht mit Bestimmtheit aussagen, wie das hintere Ende des Spenniums aussieht. Ich traf aber, besonders in den Zupfpräparaten des Hodens, wiederholt fein auslaufende, bisweilen etwas umgebogene Geißelfäden ohne sonstige Differenzierungen an, che ich für das hintere Ende dieser Spermien halten möchte. An diesen langen Geißeüaden wird nun bei üntersuchung mit Inimer- sionsvergrößerung ein Spiralfaden sehr auffällig, welcher in vielen regel- 152 E. Ballowitz mäßigen Windungen die Geißel lumvindet, wie die Figuren 4—12 dartiin. Fig. 12« zeigt ein Geißelstück bei hoher Einstellung mit den regelmäßigen Windungen des Fadens an der oberen Seite der Geißel. In Fig. 12 h ist dasselbe Geißelstück bei tiefer Einstellung gezeichnet, so daß die in ent- gegengesetzter Eichtling verlaufenden Windungen des Spiralfadens an der unteren Seite der Geißel sichtbar sind. Durch Bewegung mit der ^Mikrometerschraube lassen sich diese oberen und unteren Windungsstücke des Fadens mit einander in Zusammenhang bringen, so daß kein Zweifel bestehen kann, daß dieser Faden in Spiralwindungen sich um die Geißel herumlegt und nicht einseitig angeheftet ist, wie sonst bei den Insekten- spermien. Diese Feststellungen lassen sich sowohl an dem ungefärbten wie an dem intensiv tingierten, feuchtliegenden Präparat machen. Der Spiralfaden ist sehr dünn und fein und liegt der Geißel dicht an. Nur seltener wh'd ein etwas breiterer, heller Raum zwischen ihm und der Geißel erkennbar, wie in Fig. 11 dargcstellt. Dieser Spiralfaden löst sich bisweilen auf kürzere Strecken ab, be- wahrt aber seine spiralige Umwicklung, falls er bei dem Ablösungsprozeß nicht zerrissen ist. So sehen wir in Fig. 10, daß er sich von der Geißel abgehoben hat und eine kleine, frei vorragende Schleife bildet. Diese Alllösung ist gerade an der Übergangsstelle in die oben beschriebene Spirale erfolgt, so daß man den Einch'uck gewinnt, daß der feine Spiral- faden sich auch auf che Spirale erstreckt. Ist der Spiralfaden eingerissen, so kann er sich auch auf größere Strecken ablösen und bewalirt dann nur an einem Ende den Zusammenhang mit der Geißel. Alsdann kann er auch ganz abreißen. In den mit Gentianaviolett tingierten Ziipfpräparaten des Inhalts des Receptaculums trifft man zahlreiche isolierte, längere, feinere Fäden an, welche jedenfalls abgelöste Stücke des Spiralfadens darstellen. Wie ich in meinen früheren Arbeiten nachgewiesen habe, macerieren in dem mit Samen erfüllten Receptaculum der Insekten immer mehrere Spermien, die sich in ihre fädigen Bestandteile auflösen. Auch bei Panorpa erhielt ich Beweise, daß die Geißel noch eine weitere, und zwar fällige Struktur besitzt. Schon bei der Untersuchung der intakten Geißel will es liei genauester Einstellung mit stärkster Vergrößerung bisweilen schei- nen, als ob zwischen den Windungen des Spiralfadens noch eme weitere, anscheinend spiralige Struktur, vielleicht noch eines andern Fadens, vor- liegt, auch an den Stellen, an welchen sich der Spiralfaden bereits ab- gelöst hat. Doch sind diese Dinge so subtil, daß man kem bestimmtes Urteil gewinnt und es auch nicht möglich ist, diese Eindrücke durch Zeich- nung genau wiederzugeben. An den macerierten Bruchstücken war aber ein Zerfall in zwei Fäden und in feinste Fibrillen festzustellen. Auch über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien usw. 153 iii den Präparateti aus dem Hoden machte ich wiederholt tUese Beob- achtung. Es kann daher keinem Zweifel iinterhegen, daß die Geißel ehren fätUgen und fibrillären Aufbau besitzt. Im einzehien bin ich diesem fei- neren Bau der Geißel bei Panorpa, aber weiter nicht nachgegangen, da das Material nicht ausreichte, um feinere Macerationen anzustellen. Erwähnen muß ich noch, daß ich an den Enden von Geißeln oft ein deuthches, intensiv gefärbtes Endknöpfchen antraf, \vie es in Fig. 11 dargesteUt ist. Auch das unmittelbar daran anstoßende Ende der Geißel konnte eine intensive Tinktion mit Gentianaviolett annehmen. Ich werde auf cUese Beobachtung alsbald noch zurückkommen. Um an diesen eigenartigen Samenkörpern festzustellen, was der chromatinhaltige Kopf wäre, wandte ich spezifische Chromatinfärbungen an. Mit der BioNoischen Lösung hatte ich keinen Erfolg. Auch bei An- wendung gut färbender wässeriger Alaunkarmin-Lösungen, welche sonst sehr zuverlässig das Chromatin tingieren, erhielt ich zu meiner größten Überraschung kein Resultat. Ich stellte sowohl von Hodenzupfpräparaten wie von dem Inhalt des Receptaculums nach Fixierung mit Osmium- dämpfen Deckglas-Trockenpräparate her, welche ich längere Zeit mit Alaunkarmin färbte, in destilliertem Wasser abspülte und in Kanadabal- sam einschloß. Alle die oben beschriebenen Bildungen, die sich in diesen Deckglas-Trockenpräparaten sehr gut erhalten hatten und deutüch, wenn auch ungefärbt, bei genauer Einstellung hervortraten, hatten mit Alaun- karmin nicht die geringste Färbung angenommen, der oben beschriebene Kopf und die Spirale waren völlig ungefärbt gebheben. Ich muß daher nach meinen Befunden annehnien, daß der Kopf und die Spirale der oben beschriebenen Spermien des Chroniatins entbehren, und es sich hier um eigenartige apyrene Spermien handelt. ln diesen mit Alaunkarmin gefärbten Deckglas-Trockenpräparaten entdeckte ich nun noch andi’e Spermienköpfe, welche gleich gestalteten Geißeln aufsaßen, aber ohne die oben beschriebene Spirale (Fig. 2 und 13—16). Diese Köpfe sind schmal, lang und nadehörmig. Nach vorne laufen sie allmähhch in eine feine Spitze aus, hinten endigen sie an der Ver- bindungsstelle mit der Geißel quer abgestutzt. Sie sind meist etwas un- regehnäßig hin und her gebogen (Fig. 2 und 13—15), vielleicht auch spi- rahg gedreht, seltener mehi’ gerade gestreckt (Fig. 16). Die Färbung dieser Köpfe mit iVlaunkarmin ist sehr deutlich und charakteristisch braunrot, so daß sie dadurch in den Deckglas-Trockenpräparaten aus dem Recepta- cuhmi sofort auffallen, weil sie che einzigen Bestandteile sind, welche sich in diesen Alaunkarmin-Präparaten gefärbt haben. Sie treten daher auch 154 E. Ballowitz in (len dicker ansgestrichenen Spermienlagen in den Deckglas-Trocken- präparaten deutlich hervor, während die apyrenen Köpfe in solchen Stellen nicht zu unterscheiden sind. Die Unterschiede werden besonders auffällig, wenn die beiden Kopfarten an dünn ausgestrichenen Stellen dicht neben einander liegen, was mehrfach beobachtet wurde; die apy- renen Köpfe ließen in den Alaunkarmin-Präparaten stets jede Färbung vermissen, obwohl sie wesentlich dicker sind, als die färbbaren. Die mit Alaunkarmin tingiblen Spermien müssen daher als eupyren bezeichnet werden. Fig. 2 der Tafel illustriert den vorderen Teil eines solchen eupyrenen Samenkörpers bei der gleichen schwächeren Vergröße- rung, bei welcher das apyrene der Fig. 1 danel)en gezeichnet ist. Diese Figur zeigt die auffälligen Unterschiede der beiden Kopfformen, ebenso wie die Fig. 13—16 bei stärkerer Vergrößerung. ]\Ian stellt an ihnen fest, daß der eupyrene Kopf wesentlich länger, dafür aber dünner ist, als der apyrene Kopf ; der mit Alaunkarmin fingierte Kopf bleibt aber hinter der Gesamtlänge des apyrenen Kopfes und der Spirale wesentlich zurück. Daß die Spirale den eupyrenen Spermien völlig fehlt und auch nicht ein- mal in Andeutungen vorhanden ist, wurde oben schon erwähnt und geht auch aus den Fig. 2 und 13—16 hervor. Wie ich oben bemerkt habe, ist es mir bei der enormen Länge der Panorpa-S])enmen nicht gelungen, ein einzelnes Spermium in ganzer Länge hier völlig zu isolieren. Ich kann daher auch bei den eupyrenen Spermien nicht aussagen, wie ihr hinteres Ende aussieht. Die Möglich- keit dürfte aber doch wohl sicher auszuschließen sein, daß die beiden Bildungen der Fig. 1 und 2 die beiden Enden eines und desselben Sper- miums seien. Diese Mögüchkeit zugegeben, müßte der chromatinhaltige Kopf der Fig. 2 das Vorderende, die apyrene Bildung der Fig. 1 aber das Hinterende des Sperndums darstellen. Eine solche Differenzierung des Hinterendes eines Spermiums ist bis jetzt aber noch bei keinem Faden- spermium irgend eines Tieres beobachtet worden, vielmehr läuft das Hinter- ende der Geißel aller Fadenspermien stets fein fadenförmig aus oline weitere besondre Bildungen. Auch der Einwand, daß die mit Chromatin-Kopf versehenen Spermien vielleicht eine unreife Vorstufe der apyrenen, durch die Spirale ausgezeich- neten Sanienkörper sein könnten, kann nicht gemacht werden, denn ich habe die chromatinhaltigen Spermien nicht allem im Hoden, sondern auch im Lihalt des Eeceptaculums zahlreich angetroffen. Fig. 16 stellt den fadenförmigen Kopf eines eupyrenen Spermiums aus einem Zupf- präparat des Hodens dar. Der Kopf ist hier mit Gentianaviolett intensiv gefärbt, im übrigen aber von dem gleichen Aussehen und der gleichen über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien usw. 155 Größe tvie an den eupyrenen Spermien des Receptaculums ; nur an seinem vorderen Ende setzt sich eine sehr feine und kurze, heller gefärbte Spitze deuthch ab, die in den Alaunkarniin-Präparaten aus dem Receptaculum nicht zu erkennen ist. Die Fig. 13, 14 und 15 stammen aus mit Alaun- karmin gefärbten Deckglastrockenpräparaten des Inhaltes des Recep- taculunis, worin die eupyrenen Spermien ziemlich häufig sind; indessen schienen mir die apyrenen Sanienkörper darin wohl ebenso häufig zu sein ; das Zahlenverhältnis beider Formen ist schwer abzuschätzen. Es ist wohl kaum anzunehmen, daß unreife Bildungsstadien, wenn sie von der definitiven Form noch so verschieden sind, sich in dem Receptaculum semmis so zahh'eich und so gut erhalten vorfinden würden. Nach Obigem bleibt daher nur die Annahme übrig, daß die beiden Spermienenden die Köpfe zweier differenter Spermienformen smd, emer apyrenen und einer eupyrenen Form. Von großem Interesse würde sein, die Entwicklung dieser Ijeiden differenten Spermienformen näher kennen zu lernen. Das Vorkommen zweier nach ihrem Chr omatingehalt verschiedener Arten von Spermien bei demselben Tier ist bekanntlich bei zahFeichen Mollusken, insbesondere den Prosobranchiern, schon längst festgestellt und in neuerer Zeit mehrfach untersucht wmrden. v. Siebold entdeckte be- reits im Jahre 1837 diese merkwürdige Tatsache bei Paludina vivipara und bezeichnete die beiden, hier außerordentlich verschiedenen Formen als »haarförmige« und »wurmförmige« Samenkörper. Kürzheh ist die Literatur hierüber von Meves (1. c.) und G. Retzius (1. c.) eingehend berücksichtigt und zusammengestellt w^orden, so daß ich mich darauf beschränken kann, auf diese beiden Autoren zu verw^eisen. In der zitierten Arbeit berichtet Meves i) ausführlich, daß er auch bei einer Insektengruppe und zwar den Spinnern unter den Lepidopteren, eupyrene und apjrrene Spermien nebeneinander im Hoden angetroffen hat; von der Spinnerart Pygaera lucephala beschreibt er diese dimorphen Spermien eingehender und bildet sie auf Taf. VII seiner Abhandlung (1. c.) auch ab. Diesen Befunden von Meves reihen sich meine Beobachtungen bei Panorpa, welche zu einer ganz andren Insektenorchiung, den Neu- ropteren, gehört, an, so daß w’ahrscheinlich wFd, daß dieser eigenartige Spermiendiniorphismus bei den Insekten noch w^eitere Verbreitung hat. 1) Fr. Meves, Über oligopjTene und apyrene Spermien und über ihre Entstehung, nach Beobachtungen an Paludina und Pygaera. Archiv für mikroskopische Anatomie und Entwicklungsgeschichte. Bd. LXI. Seite 62 und folgende. 1903. 156 E. Ballowitz Tafelerklärung. Vorbemerkung. Alle Figuren der Tafel stammen aus Zupfpräparaten, welche aus dem Hoden bzw. dem Receptaculum seminis der »Skorpionsfliege«, Panorpa communis L., gewonnen wurden. Mit Ausnahme von Fig. 1 und 2 sind alle Figiuen bei ziemlich gleicher, 1500 bis 2000facher Immersionsvergrößerung gezeichnet worden. (Zeiss homogene Immer- sion 2 mm und 1,5 mm, Kompensations-OciUar Nr. 12.) Tafel XI. Fig. 1. Kopf und vorderes Geißelstück eines apyrenen Spermiums aus dem Receptaculum seminis, von einem mit Alaunkarmin behandelten Präparat. Bei x ist die Geißel abgeschnitten zu denken. An dem Kopfende ist nicht die geringste Färbung wahrzimehmen. Die Abbildung ist in demselben Größenverhältnis gezeichnet, wie die Figuren meiner früheren Arbeiten über Insektenspermien; ein jeder Teilstrich des WixKELschen Ocular-Mikrometers Nr. 2, mit welchem die Objekte bei WTxkel, homo- gene Immersion 1/24 (Tubus nicht ausgezogen) gemessen wurden, und bei welchem dann jeder Teilstrich = 0,001 mm wirklicher Objektgröße beträgt, wurde in der Zeich- nung gleich 1 mm gesetzt. Fig. 2. Kopf und vorderer Geißelteil eines eup}Tenen Speniiimns aus dem Re- ceptaculum seminis, von einem mit Alauncarmin behandelten Präparat; bei x ist die Geißel abgeschnitten zu denken. Der chromatinhaltige Kopf ist deutlich gefärbt. Die Vergrößerung ist die gleiche, wie in Fig. 1. Fig. 3. Kopf und vorderes Geißelende eines apyrenen Spermimus. Die zarten, saumartigen Kopfanhänge sind deutlich. Das vordere Geißelende ist bei tiefer Ein- stellung gezeichnet. Hodenpräparat, physiologische Kochsalzlösimg, Fixierimg durch Osmiumsäuredämpfe, Färbimg mit Gentiana\’iolett, frisch imd feucht imtersucht. Fig. 4. Wie in Fig. 3. Das vordere Geißelende ist bei hoher Einstellung ge- zeichnet. Zupfpräparat aus dem Receptaculum. Fig. 5. Kopf und vorderes Geißelende eines apyrenen Spermiums. Der apyrene Kopf hat sich vou der Spirale abgelöst; die samnartigen Anhänge sind nicht mehr er- halten, da das mit GentianaNiolett tingierte Präparat schon einige Zeit unter dem Deckglase gelegen hatte. Fig. 6. Kopf und vorderes Geißelende eines apyrenen Spermiiuns. Die Spirale ist anscheinend in zwei Fäden zerlegt. Aus einem mit Gentianaviolett gefärbten Deck- glas-Trockenpräparat aus dem Receptaculum seminis. Fig. 7. Kopf und vorderes Geißelende eines apyrenen Spermiums. Der ap}Tene Kopf hat sich bis auf seine hintere Spitze von der Spirale abgelöst. Im übrigen wie Fig. 5. Fig. 8. Kopf und vorderes Geißelende eines apyrenen Spermiums. Der ap}Tene Kopf hat sich vollständig von der Spirale abgelöst. Im übrigen wie Fig. 5. Fig. 9. Kopf und vorderes Geißelende eines apjTenen Spermiums. Die vordere Spitze des apyrenen Kopfes erscheint spiralig gedreht. ^Vn der Ansatzstellc des hinteren Kopfendes ist eine helle, schmale, längliche Stelle sichtbar. Aus einem ungefärbten Präparat aus dem Hoden. Fig. 10. Kopf und vorderes Geißelende eines apyrenen Spermiums. An dem vorderen Geißelende hat sich die feine Spiralfaser in Form einer Öse an einer Stelle ab- gel öst. Archiv für Zellforschung Bd. XU. Taf XI. über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien usw. 157 Fig. 11. Stück einer Geißel, an deren Ende ein deutliches, mit Gentianaviolett intensiv gefärbtes Knöpfchen sichtbar ist. Die Windungen der feinen Spiralfaser sind sehr deutlich und haben sich von der Hauptfaser ein wenig gelockert, so daß auf der rechten Seite zwischen der Spiralfaser und der Hauptfaser ein schmaler, aber deutlicher heller Abstand sichtbar ist. Aus dem Receptaculum seminis. Physiologische Koch- salzlösung, Osmiumsäuredämpfe, Gentiana^^olett. Fig. 12 a und b. Dasselbe Stück Geißel, a bei hoher Einstellung, b bei tiefer Einstellung, um die in einander übergehenden, regelmäßigen Windungen der feinen Spiralfaser zu zeigen. Aus dem Receptaculum seminis, Osmiumsäuredämpfe, Gen- tianaviolett. Die beiden Abbildungen sind bei ein wenig stärkerer Vergrößerung ge- zeichnet als die übrigen Figuren. Fig. 13, 14 und 15. Mit Alaunkarmin deutlich gefärbte, eupyrene Spermium- köpfe mit daran stoßendem Geißelende. Nach Deckglas-Trockenpräparaten aus dem Receptaculum seminis, welche nach Fixierung durch Osmiumsäuredämpfe mit Alaun- karrain gefärbt waren. Fig. 16. Kopf und anstoßendes Geißelende eines eupjTenen Spermiums aus dem Hoden. Aus dem dunkel gefärbten Kopf ragt vorn eine kurze, sehr feine, blasse Spitze hervor. Färbung mit Gentianaviolett. ..-»fl ■■?i '''i;-u -f "-■ ‘'••^' 'fc.V*! * ’ ‘ • ^'-' ts»' ’ jM. 1<1 ^ •<_ - * • -1 •’ .lirtl- ■ ' *. '■•''■ jX'Ä3^kij_l' S I »äL /i' l »'iljftijfW .-r.i ■• %* I jinti.a?*^ »Äf, .'■»>'5^”’ -l/sI V, ( T V rJlf* ^ . •■ .'H' '•'V”-» ■ ■' ^yYi»*5 • <(AM%f«^y,r.-f.'y\>^ > / '• .*'fi#.-K.‘ -«7- . -t I " ."• ’■ i. ‘A <’ f •• ■.•'ifc? '* ' : ■'.kji^- N.iUi.*«'» %. ■ .••(• *' ''4pp ’i^'-ÄSI ,Jb‘inr-» i J; i:.' 'V.irKl"-»*'- ' -■'■■— ’i '»<’^ ü.>:«- 'w* ’i > j' oijf _ -*. i W.Ti - I. tlW., ies, giä citati, avevan fatto supporre i reperti del Gia- coMiNi (1895), del Crety (1893), di Regaud et Policard (1901) e di altri, che misero in evidenza, dentro al citoplasma dei suoi elementi, granuh, fili ergastoplasmici, lipoidi ecc. Ma nessuno aveva dimostrarto con prove di fatto l’esistenza e il meccanismo della secrezione. Qual- 206 Bruno Monterosso cuno anzi, dalla presenza di cellule piü o meno alte aveva creduto poter considerare anche la granulosa ovulare come formata da un tessuto di piü Strati di cellule i). Ponti protoplasmatici tra l’ovo e la granulosa. Una quistione importantissima e qiiella che si connette ai cosidetti ponti protoplasmatici tra le cellule del disco proligero e Tovoplasma. Tali formazioni, viste primamente da Pflüger, studiate da Paladixo, da Retzius, da v. Ebner (1900), da Kolossow (1898) e da altri, furono recentemente descritte da R. van der Stricht (1911) nella Gatta. Anche Rubaskin (1905) le trova nel follicolo niaturo (sprungreife Follikel) della Cavia, ma dice che essi «laufen in die Zone hinein, ver- lieren bald ihr protoplasmatisches Aussehen, werden dünner und durch- dringen als dünne homogene Fädchen die Zone» (pag. 520)^). Dopo le esaurienti osservazioni del Russo (1906—1908) il quäle dimoströ, basandosi anche su materiale ottenuto sperimentalmente, la natura di tali formazioni, io non a\Tei qui insistito su di esse, se, proprio mentre redigevo il presente lavoro non fosse apparsa una monografia del Retzius (1912) il quäle, riprendendo la tesi giä sostenuta in seno alla Anatomische Gesellschaft (1899), cerca di mostrare l’esistenza di »proto- plasmatische Fortsätze« che daUe cellule deUa granulosa, attra verso alla zona peUucida andrebbero airooplasma^). Per dar maggiore sviluppo al 1) Regaid iii qualche lavoro e recentemente Lacassagxe (1912) descrivono l’epitelio ovulare come costituito da un ammasso di cellule a contorno mal definito, tanto da dar l'idea d’un sincizio. Ora. per limitarmi alla Cagna, dirö che in questo animale siffatto carattere non si riscontra mai, in nessun periodo dell’istogenesi folli- colare. Nci buoni preparati insomma, l’epitelio del cumulo proligero e costituito da elementi piü o meno alti, sempre cilindrici e a contorni precisi e netti. 2) Secondo me, tale descrizione, e la piü prossima al vero, anzi, ove se ne tolga l’interpretazione che l’autore ^'ul dare ai filamenti, addirittura esatta. Infatti egli riconosce che questi »Fädchen« non hanno «apparenza protoplasmatica»; riconosce ancora che nella Zona pellucida mancano dei veri e proprii canali : »Ebensowenig lassen sich irgendwelche Kanälchen in der Zone bemerken. Sowohl bei den normalen, wie auch bei den zugrunde gehenden Eiern sind nur diese Fasern zu sehen, die selb- ständig die homogene Substanz der Zone durchbohren, ohne in Kanälchen oder Lücken mit deutlichen Konturen zu liegen«. 3) Mi sia lecito, a proposito di questa Monografia, esprimere la sorpresa provata nel leggere, dopo un riassunto bibliografico non molto particolareggiato, bensi esteso, la seguente fräse: »Aus den darauf folgenden Jahren (cioe dal 1905) sind mir keine neuen speziellen Arbeiten über dieses Thema bekannt«, mentre bastava scorrere le idtime annate delT Anatomischer Anzeiger e dei Rendiconti dell’ Accademia dei Lincei, periodici tutt’altro che secondarii, per trovare le osservazioni del Russo (1906 — 1908) che sono le piü recenti e le piü specifiche fra quelle fatte suH’ argomento ! L’lteriori ricerche sulla granulosa dcl follicolo ovarico nei Mammiferi (Cagna). 207 suo tema, il Retzius prende in esame la granulosa ovarica delle diverse classi dei Vertebrati (Mammiferi, Uccelli, Rettili, Pesci) passando in rassegna un ricchissimo materiale, ma servendosi di metodi tecnici, a mio parere, specificamente inadatti. Per limitarmi ai Mammiferi, le figme, molto belle del resto nello insieme, che l’A. da della granulosa del Coniglio e del Topo, mostrano chiaramente una profonda alterazione, do^mta al fissatore adoperato. E noto infatti come i liquidi a base di sublimato e acido acetico, specie quando questo e in quantitä rilevante (come nelle miscele di Carnoy e Zexker adoperate dal Retzius), alterino gli elementi proto- plasmatici molto delicati, qual’e appunto il caso della granulosa. Nelle rieche tavole che accompagnano il lavoro del Prof. Retzius, le ceUule in parola vengono rappresentate come se fossero costituite da un proto- plasma grossolanamente reticolato, mentre con liquidi piü adatti e a fresco — secondo osservazioni mie — esse sono formate da un citoplasma compatto, finamente granuläre. Nei preparati ottenuti da pezzi fissati in diversi liquidi. specialmente con quello di Renda, di Flejeuing, d’HERJiAXx, troppo noti ormai aicito- logi perche se ne descriva qua la superioritä rispetto al sublimato, anche quando questo formi la base d’una miscela (Liq. Zexker, ^Iixgazzini ecc.) si vede chiaramente la pellucida, in determinati periodi deU’istogenesi foUi- colare, attraversata da catene di granuli dette, con felice e precisa espres- sione dal Russo, «correnti» di sostanza deutoplasmica. Tale sostanza, dapprima visibile come s’e detto sopra, aUa base deUe cellule del disco ooforo, si dirige verso l’ooplasma, ove si ritrova in modo evidentissimo. Del resto, non bisogna dimenticare che, come e andato dimostrando il Russo stesso, la zona pellucida e una membrana permeabile. Che si tratti di correnti e non di fUamenti risulta anche daUe seguenti osservazioni: a) Il numero e la grossezza di esse e in rapporto con Tetä e collo stato di nutrizione del follicolo — mentre se si trattasse di filamenti, essi avreb- bero una certa fissitä neUe dimensioni e neUa forma. b) Quando l’ovo ha raggiunto 1’ ultimo stadio deUa maturitä, la pellucida per lo piü ridiventa chiara e sfornita delle righe in parola, mentre le cellule del disco prohgero assumono una tinta chiara e sono sfornite di SOStanze nutritizie. c) Quando le sostanze che passano dalle ceUule deUa ovulare aU’oo- plasma raggiungono il massimo valore, la zona peUueida presenta l’aspetto di un anello compatto. Ora, tutte queste struttm'e mal si potrebbero spiegare ammettendo l’ipotesi di filamenti protoplasmatici ed escludendo quindi la permeabilitä di detta membrana. Archiv f. Zellforschung. XII. 14 208 Bnmo Monterosso cl) Iiifine, iin’osservazione di gran peso, secondo me, e la conformazione speciale della porzione basilare delle cellule della granulosa ovulare. Tale porzione, luiigi dall’essere appuutita o ramificata, come vorrebbe il Retzius, e, ad un’atteiita osservazione, piatta, e si modella tiitt’attorno alla zona peducida (Fig. 13 e 16). Questa caratteristica, che credo per il primo di prendere in seria considerazione, e in qualche modo evidente anche in qiialcuna deUe microfotografie che accompagnano il lavoro pubblicato nel 1911 dal Prof. 0. van der Stricht: al disopra della zona pellncida, dal lato esterno si trova come un merletto, risultante dalla proiezione ottica ch tutte le regioni basah, triangolari o coniche delle cellule del disco, ima sull’altra o le altre sottostanti. Tale fenomeno ottico da l’apparenza di nna membrana, detta dal Retzius (1889) e dal Rubaskix (1895) »das perizonale Fasernetz« o anche »periovuläre Netzwerk« (Retzius 1889). La presenza di granuli dentro queste regioni basah, mascherando i loro limiti, ha fatto si che tale strato rieevesse da alcuni autori la designazione di «strato granulai’e». Prima di por termine aha descrizione deha granulosa, sia ovulare che parietale, voglio fare una osservazione ahe vedute di 0. van der Stricht (1912) e di Sobotta e Burckhard (1910) i quali han notato, come a\wücinandosi allo scoppio il folhcolo riduca la parietale a iino strato di due, tre assise ceilulari. Quantunque 1’ osservazione in linea di massima possa ricevere conferma dalle ricerche presenti, io dö al reperto un’inter- pretazione ben differente, tenendo fernio cioe che la pluristratificazione e apparente e non reale. Nel folhcolo pronto allo scoppio difatti la granu- losa e piü bassa; dimodo che i nuclei deUe cehule follicolari sono piü vicini gli uni agli altri, e molti sovrapponendosi danno l’apparenza notata dagli Autori sullodati; mentre, quando le cellule foUicolari sono piü alte, le linee che possono determinare i nuclei sembrano piü numerose. Del resto, se le cellule dimmuissero numericamente, non potrebbero far ciö se non subendo dei processi involutivi. E vero che in questo moniento deha vita folhcolare avwengono delle degenerazioni, ma il loro nuniero e troppo esiguo per spiegare la riduzione voluta dagli Aa. citati. Costituzione delT antro e del liquido follicolare. L’antro si forma generalmente quando la granulosa presenta per lo nieno quattro linee di nuclei. In questo stadio, per lo piü il fohicolo e leggermeiite ovale e la granulosa ha l’apparenza d’un tessuto meno compatto; essa contiene dei vacuoh, rappresentati da spazi irregolari, piü 0 meno ahungati e situati fra le cellule contigue. Di norma, la costitu- zione deh’antro incomincia col forniarsi di una stretta fessura lungo una Ulteriori ricerche sulla granulosa clcl follicolo ovarico nei Mamniiferi (Cagna). 209 linea intermeclia tra la membrana follicolare e la zona pellucida, la quäle ultima ancora non ha raggiunto il suo pieno sviluppo. Tale fessura va man mano estendendosi circolarmente sieche la granulosa resta divisa in due sezioni delle quali una a contatto con l’ovocite (granulosa ovulare), l’altra a contatto con la membrana di Slawiansky. Mancano, nella Cagna, i cosidetti retinacula, tanto evidenti nella Coniglia. Quando il foDicolo ha forma decisamente ovale, l’antro risulta dalla fusione di due cavita che si producono ai due poli, per cosi dire, nei due fuochi deirellisse che rappresenta il follicolo. Nella maggior parte dei casi, costituitosi com- pletamente l’antro, l’ovocite con la granulosa che lo circonda, resta libero in esso; qualche volta, e ciö forse in rapporto con il modo primitivo della costituzione della cavitä follicolare, o anche con lo sviluppo che essa raggiunge, una sezione della granulosa ovulare poggia su un punto della parietale, tenendovi fisso in contatto, l’ovocite. Certo, sulla causa che agisce per formare l’antro e suirintimo processo di formazione, noi sap- piamo molto poco. Eppure e quasi spontaneo chiedersi, considerando la granulosa come costituita d’un solo strato cellulare, conie avvenga che alcune cellulc vadano a formare la zona ovulare, le altre la parietale. Son esse predeterminate, cioe hanno dei caratteri differenziali, quantunque ci sembrino, prima della differenziazione, addirittura uguali? La questione e troppo delicata e complessa per poter decidersi senza studi specifici. Posso perö affermare, riservandomi di tentare la soluzione in altro lavoro, che la differenziazione deve avere per fondamento la forma delle cellulc, le quali presentano delle regioni di minor resistenza, nella loro estremitä affilata, la quäle, come si evisto avanti,e impiantata ora sulla membrana propria ora sulla zona pellucida. Del resto, dal lato morfologico, la granulosa ovulare, giä prima che l’antro si formi, si puö spesso distinguere da quella porzione destinata a costituire la parietale, perche fin dallo stato a 2—3 linee di nuclei alcune cellule si allungano maggiormente, si colorano meno, si assottigliano, mentre i loro nuclei acquistano una spiccatissima tendenza ad allontanarsi molto piü degli altri, dalla zona pellucida. Sono appunto queste cellule che costitueranno gli elementi della granulosa ovulare, come puö vedersi osservando diversi stadi. L’antro, fin da quando e rappresentato da una fessura e ripieno di un liquido detto «Liquor folliculi». Esso nella Cagna si colora difficil- mente, anzi, a dire dei Regaud et Policard (1901) esso si mostra ab- solument incolore. Quando perö si e costituita una larga cavitä folli- colare, e l’ovocellula s’avvia alla maturazione, il Liquor diventa com- patto, molto colorabile, finamente granulöse. AUora nei Liquor stesso, intorno alle cellule della granulosa appariscono quei vaeuoh semihmari che 14* 210 Bruno Monterosso cosi bene descrisse il vax der Stricht, interpretandoli come espressioni morfologiche del fenomeno fisiologico della secrezione delle cellule stesse. £ uotevole il fatto che queste forniazioni vacuolari non esistono quando il foUicolo e giovane, quantunque la secrezione delle cellule appartenenti alla granulosa sia, come risulta da altri caratteri di cui sopra e stato fatto cenno, anche in questo stadio, in piena attivitä ; tuttavia la loro esistenza costante in periodi determinati dell’ istogenesi foUicolare, la facilitä di metterle in evidenza con qualunque processo di fissazione, ci indica chiaramente trattarsi d’un fenomeno normale. Il non vederle prima deve dipendere dalle condizioni del Liquor, che, come vedenuno, e in- coloro. Del resto, su questo, come su altri feuomeni fondamentali che si avverano nel foUicolo e neU’oocite, vera luce poträ farsi quando si incominceranno a studiare i feuomeni fisico-chimici dell’ ovo e del Liquor che lo circonda, in rapporto ai fenomeni morfologici presentati da questi. Tali ricerche dom’ebbero avere per base la permeabilitä deUa Zona peUu- cida, secondo quanto il Russo pote constatare sperimentalmente. Difatti dobbiamo ammettere che a\"Tengano dei processi osmotici tra l’ovocite e il Liquido foUicolare, giacche costantemente si trova che ad una maggior densitä deU’ ooplasma corrisponde una maggior densitä del Liquor stesso. La Granulosa nei follicoli in degenerazione. Quantunque l’ai'gomento del presente capitolo menterebbe piü estesa trattazione, nii sembra opportuno accennare qui al comportamento del- l’elemento epiteUale del foUicolo quando questo entra in processo involutivo. A tal riguardo bisogna cUstinguere tre classi di foUicoü: a) FoUicoli in cui la granulosa conserva caratteri che possiamo dire normaU, men tre l’ovoceUula e degenerata completaniente. b) FoUicoli in cui la granulosa e in involuzione, mentre l’ovoceUula presenta caratteri normali o e solo in principio di degenerazione. c) FoUicoli in cui l’ovoceUula e la granulosa degenerano contempo- raneamente. Nel primo caso vanno compresi molti oociti a degenerazione grassa. AUora, mentre l’ooplasma viene infarcito d’una quantitä straordinaria di gocciole lipoidee, la vescicola germinativa si rompe, lasciando uscire la cromatina, che si sparge iiell’ ooplasma. Anche la pellucida non tarda a spezzarsi in uno o piü punti, e aUora per lo piü uno degU estremi fornia- tisi con la rottura si ripiega in dentro e penetra nell’ ooplasma, ove si rawolge su se stesso in modo che in sezione la zona peUucida presenta la forma d’una spirale. Contemporaneamente, delle ceUule di connettivo Ulterioii ricerche sulla granulosa del follicolo ovaiico nei IMammiferi (Cagna). 211 iiivadono l’ovo. Intanto la granulosa conserva i suoi caratteri e non niostra uessun segno di involiizione, contrarianiente a quanto sostiene Hoxore (1900) il quäle, appoggiandosi anche alle opinioni di Flemmixg, Schottländer, Henneguy, Janosick, Rabl, afferma che nella degenera- zione grassa, l’atresia che colpisce un follicolo interessa in primo luogo le cellule epiteliali della granulosa, le quali mostrerebbero le alterazioni caratteristiche della degenerazione cromatolitica, mentre l’ovulo non verrebbe colpito che ulteriormente. E vero che lo stesso A. descrive nua eccezione a tale fenonieno; ma l’eccezione riguarda il caso particolare d’un follicolo pluriovulare. Le mie ricerche fan fede che il detto caso non e un’ eccezione, anzi e piuttosto frequente, anche nei follicoli a un solo ovo. Quando l’ovocellula dunque ha raggiunto uno stadio avanzato di degenerazione, la granulosa che costituisce la corona radiata assume caratteri speciali: le sue cellule diventano piü lunghe, piü colorate, piu grosse. Talvolta si mostrano infarcite d’uii prodotto che deve esser liquido perche appare coagulato sotto l’azione del fissatore. Esiste quasi sempre il cosidetto «centrosoma» del van der Stricht, coi caratteri de- scritti sopra. In seguito le cellule diventano piü hasse, mentre le sfere grasse delFovoplasma si avvicinano fra loro in modo da costituire nna niassa, in cui perö si arriva ancora a distinguere con forti ingrandimenti una sferula dall’ altra. Infine tutta la sostanza lipoide si fonde in un liquido oniogeneo che verrä in seguito assorbito. Contemporaneamente alla base delle cellule della granulosa ovulare appaiono dci gross! corpuscoli sferici di natura adiposa; piü tardi le cellule si arrotondano, si staccano dalla zona pellucida e vengono riassorbite dal liquor follicoli che in questo momento ragginnge una compattezza e una colorabihtä straordi- naria. Anche la parietale viene ad essere colpita dal processo involutivo. Contemporaneamente, conie giä videro il van der Stricht (1908) e il V. AViniwarter e Sainmont (1908) la membrana vitrea prolifera, dando delle gittate di connettivo che si spingono airinterno dell’antro e rag- giungono e abbracciano, spesso, l’ovo. Talvolta il follicolo stesso da tali gittate connettivali vien diviso in tanti tubi piü o men diritti e re- golarmente cilindricii). E notevolissimo il fatto che spesso la parietale anche in questo estremo stadio di involiizione foUicolare e quasi intatta, 1) Tali tubi presentano caratteri tanto simili ai tubi midollari (vedi avanti) che e facilissimo, anche ad un occhio esercitato, scambiarli con quelli. Generalmente perö essi, a differenza dei primi sono circondati da uno strato di cellule connettivali irregolari o vali (Thecazellen ?) mentre quelli sono circondati da connettivo fibrilläre comune. 212 Bruno Monterosso e mostra caratteri normali. In essa e facilc scorgere un tessuto mono- stratificato di cellule cilindriche sottili, con nucleo apicale o mediano, d’apparenza normale. Perö dopo nn certo tempo non precisabile, anch’essa degenera. Come secondo caso ho considerato quello in cni la granulosa degenera nientre rovocellula resta intatta o tale apparisce. Ciö forse avviene per niancato scoppio del follicolo. La involuzione degli elementi deUa grann- losa ha liiogo per riduzione snccessiva del volnnie e specialmente dell’al- tezza di essi. Infine Telemento si stacca e degenera in seno al liqnor follicnli. Anche rovocellula finisce col degenerare. Xotevole e in qnesti follicoli lo sviluppo enorme della Teca di Hexle. Nel terzo caso (degenerazione contemporanea deH’oocite e della granulosa) rientrano alcuni follicoli che subiscono 1’ involuzione pigmen- taria e ialina descritta dal Paladixo (1887), ma anche la degenerazione lipoide. Epitelio dei tubi midollari. Xell’ovario adulto di cagna si trovano speciali tubi a sezione cilin- drica o ovale, secondo la direzione del taglio, isolati o anastomizzati fra di loro. Sul significato di tali formazioni le opinioni degli Autori sono quant’ altre niai disparate; nientre alcuni difatti assegnano ad esse un ufficio nella costituzione dei follicoli, altri lo negano. H. vox Wixi- WARTER (1900) ha invero notato la partecipazione di essi, in un deter- niinato periodo dello sviluppo ovarico, all’edificazione dei follicoh, ma considera questi Ultimi come destinati tutti all’atrofia. La maggior parte degli istologi perö li interpretano come organi rudinientalii) e quindi sforniti di funzione. Senza voler minhnamente toccare la questione della loro origine e del loro ufficio neU’ovaia. credo opportuno far cntrare nel pre- sente lavoro la descrizione delle cellule che tappezzano la parete interna di essi, allo scopo di notare i rapporti con 1’ epitelio dei follicoli normali. Tali cellule sono allungate, filiformi, cilindriche e contengono nn nucleo ovoide, perfettamente simile al nucleo delle cellule della granulosa e in posizione ora prossimale, ora mediana, ora distale (Fig. 15). Una sezione longitudinale di uno di questi tubi, presenta all’osservazione una caratte- ristica forma a paüzzata, costitnita da cellule allungate, come s’e detto, disposte regolarmente una dopo l’altra, e i cni nuclei son situati su due 0 piü linee parallele, avvicinate aUe due linee che delimitano la sezione del tnbo in parola, come puö vedersi nella Fig. 17. Li una sezione tras- 1) Vedi Prexaxt et Borix. Traite d’Histologie 1911. Vol. II. p. 1087. Ulteriori ricerche sulla granulosa clel follicolo ovarico nei Mammiferi (Cagna). 213 versa invece si vede un cerchio delimitato da una parete continua, con le cellule disposte come tanti raggi (Popoff, 1911) convergenti dunque verso il centro del cerchio stesso, e contenenti una o piü linee di nuclei come meglio d’ogni descrizione puö dare un’idea laFig, 18. Gli apici delle cellule si riuniscono fra di loro nel centro del cerchio, formando talora un reticolato (Fig. 18). In questo punto si scorge qualche volta uno stretto lume, ma anche quando manca, si puö considerare come virtualmente presente, data la sottigliezza dell’estremo interno deUe cellule. Non mancano tubi in cui il lume e bene sviluppato, nel quäle caso contiene un liquido omogeneo, compatto, poco colorato del resto, ma molto so- migliante al Liquor folliculi delle vescicole ovariche mature. Qual sia il destino e la funzione di tale liquido mi e per ora ignoto; e certo perö che la sua presenza basta per far supporre la possibilitä di una funzione, qlialunque essa sia. Onde e inesatta Faffermazione del Winiwarter (1900) pel quäle i tubi midollari «hanno una funzione nuUa». Il liquido proviene dall’elaborazione delle cellule epiteliali, le quali contengono normalmente granuli di sostanza lipoide. Bisogna aggiungere che queste cellule sono spesso oltremodo lunghe, in rapporto al grande sviluppo che puö raggiungere il diametro del tubo. Perö noto che lo stretto le- game che si stabilisce tra elementi diametralmente opposti da, nelle se- zioni longitudinali Fapparenza che le cellule attraversino tutte da un punto alFaltro il tubo, mentre in vero solo alcune fanno questo. Gli spostamenti che i nuclei subiscono entro tali cellule, presentandosi prossimali, distali o mediani; la forma deUe cellule stesse; la presenza nel citoplasma, come anche mise in evidenza il Regaud e Policard (1901), di granuli che nei miei preparati son tinti dalFacido osmico o dalF Ematossilina ferrica, previa fissazione con hquido Benda, rendono legittimo il paragone di stretta simiglianza con gli elementi della granulosa, somiglianza del resto giä intravista da Mac Leod (1881) nel Pipistrello, quantunque basata su dati differenti. Riassunto e conclusioni. Nonostante la Concorde affermazione degli Aa, antichi e moderni, che la granulosa d’un follicolo ovarico nei Mammiferi risulti costituita d’un tessuto polistratificato, Fosservazione minuta e metodicamente condotta mostra invece come trattisi di un tessuto a un solo strato. Tale reperto, mentre e valso a mettere in maggiore evidenza la natura glanduläre del- Fepitelio follicolare, mostrandone il meccanismo e il prodotto di secrezione, indica come taluni fenomeni (formazione delFantro follicolare, distinzione 214 Bruno Monterosso di uua granulosa oviüai'e e d’una gr. pai'ietale ecc.) richieggano im’inter- pretazione diversa di quella che precedeuti osservazioni han reso di comune dominio degli istologi. L’istogenesi del foUicolo insonima va modificata nei suoi particolari: essendoche la gramdosa fin dalla sua origine e monostratificata, cade 0 vieii diversamente intesa la consueta divisioue dei foUicoli in mono- bi-polistratificati — nientre la normale niancanza di divisioni cariocine- tiche si rende di facile spiegazione. L’esatta determinazione della forma delle cellule follicolari, ottenuta non solo studiando sezioni di ovaie trattate in modi diversi, e quindi di reciproco controUo, ma anche a fresco o per dissociazione in liquidi maceratori, escludendo assolutamente la presenza dei filamenti proto- plasmatici congiungenti fra di loro le cellule stesse e queste con l’ovo- plasma, mostra conie le sostanze di nutrizione destinate aU’ovoplasma passino senz’altro attra verso la zona pellucida proveniendo daUe cellule del disco proligero ; la zona pellucida cosi va intesa conie una membrana permeabile, giusta la determinazione datane per il primo da Russo. La scarsa quantitä di granuh osmiofili esistenti nelle cellule della granulosa^), renorme accumulo di grasso nell’ooplasma dell’ovo in via di maturazione ; la niancanza di corpi di Call e Exaer, nonche il limitato s\üluppo della circolazione sanguigna e linfatica, confrontato con i carat- teri del foUicolo ovarico del Malaie, da me precedenteniente (1912) studiato, mostra come per un’osservazione che vogha esser sicura e niinuta, le for- mazioni o^■^dari di due mammiferi diversi presentano differenze di non trascurabüe valore e quindi come sia poco esatta Fabitudine di genera- lizzare fatti e strutture specifiche^j. E lecito affennare che se i processi esphcati da organi omologhi sono paragonabili, non sono identici, perche i niezzi con cui tali processi si svolgono non sono uguali. A tal proposito vuolsi notai'e come da uno Studio compai'ato deUa struttura niinuta dei foUicoli ovarici nei Manimi- feri, ove fosse fatto con larghezza e precisione di metodo, potrebbe scaturire qualche nuova luce su fenomeni e su forme di dubbia interpretazione o addirittura oscuri. Prima di por terniine a questo breve riassunto generale dei piü im- portant! fra i fenomeni descritti nei presente lavoro, parmi opportune 1) Che il grasso nornialmente manchi o sia poco rappresentato nella granulosa tli eerti animali, mentre abbonda in altri, fu giä visto da J. Plato (1897), il quäle assegnö il fenomeno a una differenza nei modo di nutrizione dell’ovocellula. 2) Del resto, anche il Trixci (1905) ebbe a notare che la granulosa di due ani- inali appartenenti a generi e anche a specie diverse, presenti caratteri distinti. Ulteriori ricerclie suUa graiiulosa dcl follicolo ovarico iiei Maminifcri (Cagna). 215 notare come l’osservata funzione glanduläre degli elementi della granulosa spieghi meglio certi fatti niessi in luce da ricerche piuttosto recenti. Di- fatti, gli studi di Sobotta (1896—1899) e di Honore (1899) condotti con vero rigor di metodo, nonche le osservazioni di v. Winiwarter hanno mostrato come le cellule deUa parietale persistano anche dopo lo scoppio del follicolo, subendo ulteriormente una trasformazione che le cambia nelle cellule luteiniche del corpo luteo, la cui funzione e di secrezione interna. Insomma, la loro natura glanduläre vien conservata, anche dopo aver espücato il loro compito rispetto all’ovoceUula. Lo stesso puö dirsi delle cellule che costituiscono il disco proligero, le quali anzi pare acuiscano la funzione glandolare, come fan fede le ricerche istituite sulle ova tubariche da Sobotta (1910), Rubaskin (1905), 0. van der Stricht (1908) ed altri, Dai reperti ottenuti studiando l’ovaia di Cagna adulta, traggo le conclusioni seguenti: 1. La granulosa dei foUicoli ovarici di Cagna, qualunque sia il periodo istogenetico che il follicolo attraversa, e costituita da un semplice strato di cellule, derivate per differenziamento da un sincizio periovulare, esi- stente primitivamente tra la periferia dell’oocite e il connettivo dello Stroma ovarico. 2. Mancano o sono eccezionali, normalmente nei follicoli in cui non s’e ancora costituita una cavitä follicolare, le divisioni cariocinetiche, che, ammettendo una polistratificazione progrediente collo sviluppo folli- colare dovrebbero essere numerose. Di tal guisa, se gli elementi della granulosa aumentano numericamente, ciö e dovuto a una serie di divi- sioni amitotiche, attiva soprattutto durante lo stato di sincizio della granulosa, e avverantesi per uno speciale processo di sfaldamento che interessa i nuclei. 3. Fin dai prinii momenti, la granulosa niostra una funzione secretoria ben evidente, le cui fasi sono in specie indicate da peculiari spostamenti dei nuclei nell’interno del corpo cellulare e daU’esistenza di prodotti granulari o fluidi. 4. Gli elementi della granulosa son tutti fondamentalniente simili di forma, differendo soltanto per l’altezza e per modificazioni del contorno, rispondenti ai momenti che attraversano durante l’atto secretorio. Gli elementi dell’ovulare e della parietale son simili ed esplicano entrambi funzione secretoria. 5. Nelle cellule deUa granulosa normale non esistono, o esistono solo in quantitä sparuta, granuli lipoidi. Quando perö il follicolo § molto avanzato nello sviluppo, si nota qualche cumuletto di granuli osmiofili, 216 Bruno Monterosso specialmellte nel clisco proligero. Esistono invece corpuscoli minutissimi in quantitä e disposizione diversa dentro il citoplasma, a seconda della fase secretoria che attraversa la cellula. 6. La Zoiia pellucida e ima membrana permeabile attraversata da correnti formte dai sopradetti granuli puntiformi esistenti nelle cellule dell’ovulare. Mancano le connessioni protoplasmatiche ammesse da di- versi Autori. Tali correnti costituiscono nn materiale deutoplasmico destinato a nntrire rovocellula. 7. Non esistono formazioni oniologhe ai cosidetti retinacula, descritti in altri follicoli, e l’ovocite e per lo piü libero nel centro della cavitä, sieche Fantrum viene a costituire iina fessura piü o meno larga fra Fovocelliila circondata dalla corona radiata e la parietale. 8. La degenerazione della granulosa, sia parietale che ovulare e spesso contemporanea alla degenerazione delFoocite, ma in certi casi ne e indipendente. 9. I tiibi midollari delFovaia sono forniti di nn epitelio parietale costituito di cellule coniche sottili, spesso filiformi e allungatissime, molto simili a quelle che formano la granulosa follicolare. Esse sono dotate di funzione secretoria. Catania, Giugno 1913. Bibliografia. 1907. CoMES, S. Alcuni particolari istologici d’onde proviene il materiale nutritivo delFoocite dei Mammiferi. Arch. ital. d’anat. e d’Embr. Yol. VII. 1907. Ricerche sperimentali suUe modificazioni morfologiche della zona pellucida e degli inclusi dell’uovo dei Mammiferi. Arch. Zool. Vol. III. Fase. II. 1893. Crety, C. Contributo aUa conoscenza delFovario dei Chirotteri. Ric. dei Lab. d’anat. R. Univ. Roma. Vol. III. 1908. Dcbreii., G. et Regaud, G. Sur les productions exoplastiques des cellules foUicideuses de Fovaire chez la lapine. Anat. Anz. 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Xouvelles recherches siu Tovogenese et Torganogenese de Tovaire des Mammiferes (chat). Arch. de Biol. T. XXIV. Fase. 1. Spiegazione delle Tavole, Tutte le figiue sono disegnate alla camera lucida Xachet con proiezione sul tavolo di lavoro. Tavola XV. Fig. 1. Ovocite e follicolo primordiale: la granulosa ö rappresentata da due nuclei posti in una massa indifferenziata di protoplasma. Liq. Bexda — Ematossilina Ferrica. Oc. 4, obb. 8*, Koristka. Fig. 2. Xuelei deUa granulosa d’un follicolo primordiale. U protoplasma in- differenziato non sl e disegnato. Prepar. come sopra. Oc. 4. obb. semiap. 1 : 15. Fig. 3. FoUicolo giovane per mostrare la granulosa costituita d’uno strato di nuclei cellulari a citoplasma indistinto (simplasto). Prep, come sopra. Oc. 4, obb. 8*. Fig. 4. Follicolo giovane per mostrare lo spostamento contemporaneo dei nuclei della granulosa verso la membrana propria folliculi. Sublimato alcool. acet. Emat. F err. Oc. 4, obb. 8*. Fig. 5. Sezione di follicolo in cm" non s’e ancora formato Tantro. I nuclei degli elementi epiteliali sono disposti su due linee. La monostratificazione e evidente. Bexda — Emat. Ferrica. Oc. 4, obb. 6. Fig. 6. Cellule deUa granulosa d’un follicolo « bistratificato ». a) con nucleo prossimale, b) con nucleo distale. • — mpf = membrana propria folliculi; Zp = mem- brana o^^llare. Bexda — Emat. Ferrica. Oc. 4, obb. 1 : 15 semiap. imm. Archiv für Zellforschung. Bd. XII. B. Houterosso del. Verlag von Willielni Taf. A'I 4' inn in Leijjzig und Berlin. IM. XII. Taf. XVI. [rdnv für Zdlforsdiuiig. f B. Monterosso del. Verlag von Wilhelm Engelmann in Leipzig und Berlin. Ulterioli ricerche suUa gramilosa del follicolo ovarico nci Mammiferi (Cagna). 219 Fig. 7. Nuclei delJa gramilosa allo stato di sincizio d’im follicolo giovane, per mostrare le diverse fasi della scissione per clivaggio. Bexda — Em. Ferr. Oc. 4, obb. imni. 1 : 16. Fig. 8. Nuclei della gramilosa d’iin follicolo primordiale. Bend.\ — Em. Ferr. Oc. 4, obb. 1 : 15 imm. omog. Fig. 9. Cellule della gramilosa d’un folbcolo «tristratificato». Bexd.\. — Em. Ferr. Oc. 4, obb. 1 : 15. Zp = zona pellucida; mp = membrana propria foUiculi. Fig. 10. FoUicolo ovarico normale in cui si vede conie la stratificazione degli elenicnti della gramilosa e apparente, e dovuta alla posizione dei loro nuclei. Bexda — Em. Ferr. Oc. 4, obb. 8*. Proiezione con camera N.achet a livello del tavolino del llicroscopio. Fig. 11. Cellula della gramilosa d’un foUicolo con grande cavitä follicolare. c = «centrosoma di Vax der Stricht». Bexda — ■ Em. Ferr. Oc. 4, obb. 1 : 15. Fig. 12. Cellula della gramüosa d’un follicolo «bistratificato». Prep, e ingrand. come sopra. Fig. 13. Sezione d’im ovo circondato dal disco proligero. Bexda — Em. Ferr. Oc. 4, obb. 8. Fig. 14. Cellule della granulosa ovulare d’un ovo appartenente ad un foUicolo pronto allo scoppio, per mostrare le diverse fasi deUa secrezione. Bexda — Em. Ferr. Oc. 4, obb. 1 : 15. Fig. 15. CeUule deU’epiteUo interne d’un tubo midoUare deU’ovaia di cagna adulta. a) con nucleo distale, b) con nucleo prossimale. Bexd.a — Em. Ferr. Oc. 4, obb. 1 : 15 seniiap. Tavola XVI. Fig. 16. Sezione della granulosa omilare d’un folUcolo bene svüuppato per mo- strare la zona peUueida {Zp) e il modo con cui le ceUule si impiantano su di essa. Bexda — Ein. Ferr. Oc. 4, obb. semiap. 1 : 15. Fig. 17. Sezione longitudinale d’un tubo midoUare deU’ovaia di Cagna adulta. Prep, e ingrand. come sopra. Proiezione a UveUo del tavoUno del Microscopio. Fig. 18. Sezione trasversale d’im tubo midoUare. Prepar. e ingr. come sopra. Zum Chromatindualismus der Pflanzenzelle. Von M. V. Derschau (Anerbach-Hessenj. Mit Tafel XVII. Einleitung. Geeignete Doppelfärbungen von chcmiscliem Eeaktionsvcrt wie z. B, die bekannte JMischung von Säurefucbsin-Methylgrün (Ehrlich-Biondi- färbung) haben einwandfrei das Vorhandensein zweier »Chromatine« in pflanzlichen wie auch in tierischen Zellkernen erwiesen. Das Plastin (Oxychromatin) speichert den sauren Farbstoff, das Nuclein (Basi- chromatin) den basischen. Mit Ehrlich-Biondi gefärbte Präparate zeigen daher das Plastin leuchtend rot, während das Nuclein verschie- dene Abstufungen von Grün, je nach seiner Dichtigkeit zuläßt. Häufig erscheint es auch als unreine Mschfarbe. Dies rühi't von dem darunter liegenden Plastin her. Ist das Nuclein besonders mächtig, so entstehen auf diese Weise schmutzig violette Töne. Dieses Plastin ist der Sitz der Reizempfänglichkeit. Schon die Beobachtung, daß bei Anwendung von Fixiermittehi irgendwelcher Ai’t diese Substanz und mit ihm das Cytoplasma unter Wasserabgabe dem andringenden Stoffe auszuweichen sucht, also schrumpft, zeigt die eben erwähnte Eigenschaft. — Unter- suchungen, welche das Verhalten der Zellbestandteile äußeren Einwir- kungen gegenüber zum Gegenstände hatten, besagen daher im Grunde nur, daß je nach der Art und dem Grade einwirkender Reize Ausdeh- nung, Zusammenziehung, lähmungsartige Zustände des Pla- stins die Folge sind [W. v. WasielewskyI), B. Nemec^), M. Koernicke^), 1) Theoretische und experimentelle Beiträge zur Kenntnis der Aniitosen. Jahrb. f. '«•iss. Bot. XXXVni. 1903. Vgl. auch XXXIX. 1904. 2) Über die Einwirkung des Chloralhydrates auf die Kern- und Zellteilung. Jahrb. f. wiss. Bot. XXXIX. 1904. — Das Problem der Befruchtungsvorgänge usw. Berlin 1910. 5) Über die Wirkung von Röntgen- und Radiumstrahlen auf die Pflanzen. Ber. d. Deutsch, bot. Ges. 1905. Zum Chromatindualismus der Pflanzenzelle. 221 Ch. F. Hottesi), K. ScHRAmiEN 2)]. Da nun das Plastin mittels der Kernbrücken sich auch auf das ganze Cytoplasmanetz erstreckt, ja sogar die Waben desselben mittels feinster Verzweigungen erfüllt, so ist natür- licherweise auch dieser Teil der Zelle denselben Keizbewegungen unter- worfen. Diesem Kern und Plasma völlig durchtränkenden Oxychro- matin lagert in Form größerer oder kleinerer Tröpfchen oder Körner das Nu dein auf. Es erscheint stets in eben beschriebenem morphologischem Sinne, Ausdehnung und Zusammenziehung scheinen ihm völlig abzugehen. In »ruhenden« Zellen, wie bei der Karyokinese ist seine Fortbewegung- rein passiver Natur. Wir finden das Nuclein auf den Wabenwänden des Plasmas in Form größerer und Ideinerer Körnchen oder Tröpfchen dem Plastin aufliegend als »Mikrosomen« verteilt. Diese periphere An- orchaung im Kerne und der Zelle überhaupt macht es möglich, daß bei etwaigen Reizbewegungen des supponierten Plastins, dieser Stoff leicht nach den jedesmaligen Verbrauchsherden gelangen kann, wo es den Wachstumsfunktionen zu dienen hat 3). Unter den geschilderten Ver- hältnissen kann man sich keine geeigneteren Transportbahnen denken. Beide Substanzen, die in der Zelle niemals isoliert anzutreffen sind, wie entsprechende Verdauungsversuche zeigten, leiten direkt zu jenen Bil- dungen über, welche von den Autoren als Kinoplasma (Strasburger), Ergastoplasma (Bouin) und Mitochondiien bzw. Chondriosomen (Meves, Heidenhain, Duesberg, Hoven, Lewitzky, Fohrenbacher, Rudolph) beschrieben wurden. Die Kinoplasmastrahlungen wurden von Strasburger bei der Karyokinese als UmwancUungsprodukte des Cytoplasmas (allerdings nur in morphologischem Sinne) angesehen und als reizempfindendes, nervöses Plasma betrachtet. Der Spindelapparat stellte dieses Kinoplasma vor. Auch bei der Cilienbildung der Schwärm- sporen und den Spermatozoiden wurde es konstatiert^). Das Ergasto- plasnia Bouins nahm als individualisierte Plasmastruktur Anteil an der Ernährung junger Embryosäcke der Liliaceen. Was nun die Herkunft 1) Bei T. R. ScHR.VMMEN, über die Einwirkung von Temperaturen auf die Zellen des Vegetationspunktes von Vicia jaba. Verhandl. d. naturbist. Vereins d. preuß. Rheinlande. 59. Jahrg. 1902. 2) Ebendaselbst. 3) Hier sei bemerkt, daß es mir manchmal schien, als ob das Nuclein in gewissen Fällen auch in diffuser dem Plastin ähnhcher Form auf treten könne, z. B. in den Tetradenstadien der Embryosackanlagen, in den Antipoden von Nigella arvensis usw. Jedoch lasse ich diese Frage dahingestellt. *) Über Reduktionsteilung, Spindelbildung, Centrosomen und Cilienbildner im Pflanzenreiche. Histolog. Beiträge. 1900. 222 II. V. Dei'schau der ^ilitochondrien, Chondi’iosomen in Pflanzenzellen anlangt, so nimmt gegenwärtig wohl noch der größere Teil botanischer wie zoologischer Forscher deren Abstammung aus dem Cytoplasma an, gerade wie Bouins für ihr Ergastoplasma. In jüngster Zeit führten nun besonders die Forschungen Stauf- fachers 1) auf zoologischem Gebiete zu Resultaten, welche geeignet sind, diese Bildungen sowie ihre Herkunft in andrer Weise zu interpretieren. Im Gebiete pflanzlicher Cytologie gelangte ich zu denselben Resultaten^). Geeignete Fixierung sowie zweckmäßige Doppelfärbung (es MTirde aus- schließlich nach Ehrlich-Bioxdi gefärbt) ergaben, daß die oben er- wähnten Phänomene sämtlich unter der Hauptmitwirkung des Kernes zustande kommen. Es ließ sich leicht erkennen, daß Plastin und Xuclein, vermittels der »Kernbrücken« den membranlosen Kern passierend, auf die Wabenwände des Plasmas hinübergleiten. Je nach der schwächeren oder stärkeren Durchtränkung der Plasmawabenwände mit diesen Kernsubstanzen, werden uns dann Gebilde wie die Mitochondrien, Plastochondrien, Ergasto-, Kino-, Deutoplasma, und wie sie aUe heißen mögen, verständlich. Fig. a und i stellen cf und Q Archesporanlagen von Tiilipa Gesn. und Frittillaria imperialis dar, in denen die als »Mito- chondrien« bezeichneten Fäden zum großen Teil gerade den Kern ver- lassen. Sie sind sämtlich dem Plasma zu verjüngt und verzweigen sich auch mitunter. Dagegen finden sich auch perlschnurartige Fäden von annähernd gleicher Dicke, aber auch diese entstammen Kernen, da ihre Bestandteile dieselbe Tinktion wie die Kemsubstanzen aufweisen, also vor allem basichromatische Bestandteile darstellen. Nach meinem Dafür- halten sind die ergastoplasmatischen Fäden Bouins identisch mit den »Mitochondrien«. Auch sie stellen nichts andres dar, als Nuclein und Plastin, das den Kern verlassen hat und als Wanderungsbahn die Wände der Plasmawaben benutzt. Newec^) beobachtete in Riesenzellen von Heterodera dieselben als scharf abgegrenzte und stark lichtbrechende Fäden, welche ihm den Em druck von langen dünnen Proteinkristallen machten (S. 156 1. c.). Seite 159 erwähnt er ihrer als fadenförmige Chro- 1) Beiträge zur Kenntnis der Kernstrukturen. Sonderabdr. a. Zeitschr. f. wiss. Zool. XCV. Hft. 1. 1910. — Neue Beobachtungen auf dem Gebiete der Zelle usw. Sonderabdr. a. Zeitschr. f. '»iss. Zool. XCVIII. Hft. 3. 1911. — Die Rolle des Xu- cleins in der Fortpflanzimg. Sep.-Abdr. a. Verh. d. Schweiz, naturf. Ges. 94. Jahres- vers. Solothurn 1911. Bd. I. 2) L'ber Kernbrücken und Kernsubstanz in pflanzlichen Zellen. Sonderabdr. a. Archiv f. ZeDf. Bd. VII. Hft. 3. 1911. 8) Das Problem der Befruchtimgsvoigänge usw, Berlin 1910. Zum rhromatindualismus der Pflanzenzello. 223 midien; auch in Riesenzellen von Gardenia beobachtete der Autor diese Gebilde. Bei Prüchardia konnte Nemec zwei Formen feststellen, eine dünne fadenförmige und eine dickere stark gekrümmte mit einem ab- gerundeten Körperchen am Ende. Diese dickere Form kann man auch in jungen Embryosackanlagen beobachten und zeigen mit Ehrlich- Biondi dieselbe Färbung wie die dünneren Fäden. Allerdings erzielte dieser Forscher mit Paracarmin keine Färbung der »Mitochondi’ien «, während sich das Kernchromatin mit diesem Stoffe fingieren ließ. Der Autor kommt daher auch zum Schluß, daß cs unrichtig sei, die »Mitochondrien « als Chromatin zu bezeichnen. Vielleicht hätte der Autor mit Ehrlich- Biondi, einer Mischung von chemischem Reaktionswert, die Abstammung der Mitochondiien vom Kerne bestätigen können. Die Färbung mit Paracarmin möchte vielleicht mein- physikalischer Natur sein. Bei ge- nügend feinen Schnitten kann man die »Mitochondrien« ihren Ursprung von dem basichromatischen Endkörperchen der Kernbrücken nehmen sehen. — Auch bin ich jetzt völlig überzeugt,, daß die »Centrosomen« ausgewanderte oxychromatische Substanz mit auflagernden basichroma- tischen Partikeln darstellen. Bei stärkster Vergrößerung löst sich das »Centralkorn« in mehrere kleinere basichromatische Körner auf. Dies schließe ich aus den photographischen Aufnahmen der Figuren 20, 22, 23 meiner letzten Abhandlung^). Das Studium der »Chondriosomen« wurde botanischerseits in der jüngsten Zeit besonders von Lewitzky^), Fohren- BACHER^), N. Roncati^) und andern Autoren gepflegt. Diese Forscher halten an der Abstammung dieser Gebilde aus dem Cytoplasma fest. Fohrenbacher sucht sogar die Chromatophorenbildner von den Chondrio- somen herzuleiten. Roncati hält sie für Plasmagebilde. Nach Lewitzky sollen sich in der Stengelspitze des Pflanzenkeimlings Chondriosomen zu Chloroplasten umwandeln, in der Wurzelspitze zu Leukoplasten. Bevor ich zu den Beobachtungen Lewitzkys übergehe, möchte ich noch erst der Kontrollbeobachtungen Stauffachers Erwähnung tun. Stauf- acher fixierte Wurzelspitzen von Pisum sativum in absolutem Alkohol und behandelte vor der Methylgrünfärbung die Schnitte mit Pepsin- 1) 1. c. 2) Über die Chondriosomen in pflanzlichen Zellen. Sonderabdr. a. Ber. d. Deutsch, bot. ües. Jahrg. XXVIII. 10. 1910. — Vergleichende Untersuchungen über die Chon- driosomen in lebenden und fixierten Pflanzenzellen. Vorl. Mitt. Ber. Deutsch, bot. Ges. XXIX. 1912. ®) Die Chondriosomen als Chromatophorenbildner. Ebenda. XXIX. 1912. p'ormazioni mitochondriali negli elementi sessuall maschili delPHelleborus foetidus L. Estratto dal Bull, della Soc. bot. ital. 1910. Archiv f. Zellforschung. XII. 15 224 il. V. Derschau Salzsäure längere und kürzere Zeit, um das Plastin zu verdauen. Die darauf erfolgende Metliylgrüntinktion zeigte deutlich die Nucleintröpfchen von derselben grünen leuchtenden Farbe wie diejenigen des Nucleolus, sie waren perlschnurartig vom Kern ausgehend an ge ordnet. Man kann den Versuch auch umgekehrt anstellen, und es gelang mK bei ^/2— 2% Kalilauge das Kuclein zu lösen. Es erhält sich dann das Oxychromatin (die Grundsubstanz des Nucleolus), welches kontinuierlich mit dem im Plasma vorhandenen Fühlung hält. Es stellte sich also heraus, daß 1. die »Chondriosomen« als Unterlage die Plasma- wabenwände haben, welche mit Oxychromatin und basi- chromatischen Bestandteilen des Kernes belegt sind, und 2. daß beide Substanzen dem Nucleolns entstammen. Der orga- nische Zusammenhang mit dem Kerne wird durch die Kern- brücken vermittelt. — Aber gerade letzterer scheint Lewitzky und den andern Autoren entgangen zu sein, was auch deutlich aus den Figiu-en der betreffenden Abhandlungen hervorgeht. Man sieht daselbst den Kern als annähernd runde Scheibe mit deutlicher Membran umgeben, ohne jeden Konnex mit dem umgebenden Plasma. Die »Chondriosomen« liegen sämtlich frei in demselben. Bezüglich des chemischen Verhaltens von Kernmembran und Cytoplasma bemerkt übrigens NiaiEc (1. c. S. 328): . Die Kernmembran bleibt ebenfalls lange erhalten, so daß sie sich in dieser Beziehung dem Cytoplasma nähert. Es stimmt dies auch mit der Auffassung vieler Cytologen überein, daß sie eigentlich eine Vacuolenmembran ist, die aus dem Cytoplasma entsteht.« (Von mir gesperrt.) Diese Auffassung Nemecs macht die Annahme einer besonderen Kernmembran nur noch unwahrscheinlicher. Em weiterer strittiger Punkt ist die Frage der Fixierung. Lewitzky rechnet den absoluten Alkohol zu den chondriosomenzerstörenden Mitteln. Dem ^ ) liei dieser Gelegenheit möchte ich aut eine Abhandhmg von Löwschin (»Mye- linformen« und Chondriosomen. Ber. d. deutsch, bot. Ges. XXXI. Hft. 4. 1913) hinweisen, in der die »Myelinformen«, welche sich bei Einwirkung emulgierender Stoffe auf Fettsäuren bilden, sehr in Gestalt und Form den »Chondriosomen« gleichen. Der Autor stellte mittels käuflichen Lecithins Myelinformen her und untersuchte sie in Wasser und den verschiedensten Salz- und Albuminlösimgen. Der Verfasser neigt in der Folge seiner Ausführungen dahin, daß Myehnformen und Chondriosomen analoge Bildungen seien. — Von besonderem Interesse scheint mir die Beobachtung Russos (Arch. f. Zellf. Bd. VIII. Hft. 2) zu sein, der die Zunahme der »Mitochondrien« an Kaninchenoocyten sah, nachdem er die Versuchstiere mit Lecithin injiziert hatte. — Vom botanischen Standpunkt wäre vielleicht diese Erscheinung dahin zu erklären, daß die Kerne in dieser Weise besonders gut ernährt werden, so daß auch eine größere Menge Plastin und Xuclein abgegeben werden kann. I Zum Chromatindualismus der Pflaiuenzelle. 225 kann ich durchaus nicht zustimnien, denn die schönsten Färbungen von Plastin und Nuclein erzielte ich noch an FrtiiZZaria- Wandbelegkernen, welche bereits 6 Jahre in absolutem Alkohol gelegen hatten. Desgleichen beobachtete Stauffacher bei direkter Verwendung des Methylgrüns an Präparaten, die mit absolutem Alkohol fixiert waren, nicht die mindeste Zerstörung des Chromatinsi). Ich glaube nun, daß die gemachten mikroskopischen Befunde hin- reichen dürften, der Legende von Chondriosomen als selbständiger Plasma- gebilde ein Ende zu machen und ebenso der Behauptung chiomatin- zerstörender Eigenschaften des absoluten Alkohols. Wirklich brauchbare Präparate erzielten Stauffacher und ich stets mit dieser Fixierung und nachfolgender EHRLiCH-BioxDi-Färbung. Ausführlich wird sich Stauffacher in seiner kommenden IVIitochondrienarbeit auch vom chemischen Standpunkt äußern. K. Rudolph 2) unterwarf die Be- obachtungen Lewitzkys einer Nachuntersuchung. Der Autor fand als jüngste Ausgangsstadien im Urmeristem des Vegetationspunktes von Asparagus officiruilis Körnchen verschiedener Größe. Einige derselben wuchsen heran, vermehrten sich rasch durch Teilung und wurden zu Chromatophoren. Aus den restierenden Körnern der Meristemzellen gingen kürzere oder längere Fäden hervor. Diese Gebilde hält der Autor für Mitochondrien. Jedenfalls nehmen auch nach K. Rudolph die in Frage stehenden Gebilde ihren Ursprung aus dem Cytoplasma. Daß diese »Chondriosomen« auch an lebendem Material zu beobachten sind, kann ich aus eigner Erfahrung bestätigen. Sie erscheinen als stark lichtbrechende, bald dickere, bald dünnere Fädchen. Nur auf die Interpretation derselben kommt es au. Daß Chondriosomen und Chro- matophoren in genetischem Zusammenhänge ständen, lehnt auch K. Rudolph ab^). 1) Es dürfte aiiffaUen, weshalb Lewitzky in seiner ersten Abhandlung nach dein 10%igen Formahn noch 5 Tage lang starken Flemmixg ohne Essigsäure auf sein ilaterial einwirken ließ (S. 540). Nun soll gerade das 10%ige Formalin chondriosomenerhaltend wirken, warum dann noch die Behandlung mit starkem Flemmixg? Und das noch 5 Tage lang ! — Nun ist ein derartig langes Verv’eilen der Objekte in einer Fixierflüssig- keit nur verderbhch, indem durch postmortale Veränderungen in der Zelle leicht Fehl- schlüsse hervorgerufen werden können. Es gesellen sich hierzu noch Widersprüche, indem in des Autors erster Abhandlung starker Flemmixg ohne Essigsäure chondrio- somenerhaltend, in der folgenden (Ber. d. deutsch, bot. Ges. XXIX. Hft. 10. S. 601.) chondriosomenzerstörend wirken soll. 2) Chondriosomen und Chromatophoren. Berichte d. Deutsch, bot. Gesellscb. XXX.) Hft. 9. 3) 1. c. S. 627. 15* 226 ]M. V. Dersrliaii I. Kernsubstanz und Chlorophyllkörner. Auch die Abstammung der Chloropiasten ist wie die der »Mitochon- drieii« heute noch sehr umstritten. Im allgemeinen gilt heute noch die ScHiMPERsche Theorie als maßgebend. Die Chlorophyllkörner vermehren sich im Plasma durch Teilung und sind individuelle Organe desselben. Sie entstehen nicht de novo aus diesem. Schimpers Theorie unterstützen in einleuchtender Weise ChmielewskyI) und Tröndle^) an Spirogyra- Arten. Sie fanden nach der Kopulation in der Zygote nur einen Chloro- plasten, indem der andre zugrunde geht. Eine Entstehung de novo aus dem Kern konnte nicht gefunden werden. Nemec^) untersuchte Anthoceros dichotomus imd fand im Gameto- phyten einen Chromatophor, im Sporophyten (Kapsel) einen oder auch zwei. Die Spore hatte wieder einen und von diesem stammen durch fort- laufende Teilung alle Chloroplasten des Gametophyten. Also auch bei An- thocerus konnte der Autor nie einen Chloroplasten de novo entstehen sehen. Haberlandt^) fand in den Zellen der Vegetationsspitzen von Selaginella Krausiana und Martensn kleine kugelige Leukoplasten. Jede Meristem- zelle enthielt einen Chloroplasten und jede weitere Zellteilung begleitete eine einmalige des Chromatophors. Auch dort gab es keinen Anlaß, eine Neubildung von Chlorophyllkörnern aus dem Nucleus anzunehmen. Nemec hat gerade diese Verhältnisse bei Selaginella Martensii genau untersucht, wo er die Abstammung aller Chromatophoren von dem der Termmalzelle feststellen konnte. Der Autor fügt hinzu, daß der Chromatophor dort ganz klein sei und dem Kern dicht anliege. (Von mir gesperrt.) Ich möchte nun einwenden, daß gerade die letztere Beobachtung des Autors den Anhängern von der Kernabstammung der Chloroplasten gewissermaßen entgegenkommt. Es entsteht die Frage: entstammt der kleine, dem Nucleus dicht anliegende Chromatophor dem Kerne oder nicht? Nach neueren Beobachtungen an Chlorophyceen scheint mir ersteres ziemlich wahrscheinlich. Möglichst dünne Schnitte und scharf differenzierende Doppelfärbung dürften in diesem Falle vielleicht doch noch eine Entstehung de novo aus dem Kerne ergeben. Schon weiter 1) Eine Notiz über das Verhalten der Chlorophyll bänder in den Zygoten der Spirogyra-Arten. Bot. Ztg. 1890. 2) Über die Kopulation und Keimung von Spirogyra. Bot. Ztg. Bd. LXV. 1. Abt. 1907. 3) Das Problem der Befruchtungsvorgänge usw. Berlin, Gebr. Bornträger. 1910. S. 273. Physiologische Pilanzenanatomie. 3. Auflage 1904. Zum Chromatindualismus der Pflanzenzelle. 227 ijis Plasma vorgerückte und vom Kern isolierte Körner sind natürlich dem von Schiaiper und seinen Anhängern beobachteten Teilnngsmodus unterworfen. Abgesehen von der Tatsache, daß der Kern eigne Substanz (Nuclein) zu vegetativen Vorgängen in das Plasma der Zelle abgibt^), hatte J. Schiller 2) auf Anregung Moroffs die Entstehung der Chromato- phoren ans dem ZeUkern nachzuweisen versucht. Ihnen folgte Pensa^). Dieser Autor beobachtete bei Ldliuni candidum, Yucca filamentosa, Tulifa protoplasmatische Bildungen, die an mitochondriale Formen erinnerten und er leitet aus diesen letzteren namentlich bei Yucca filamentosa alle Phasen der Chloroplastenentwicklung ab. Der Autor läßt somit die Chlorophyllkörner im letzten Grunde aus dem Cytoplasma hervorgehen. A. Fohrenbacher ‘^) betrachtet die »Chondriosomen« als Chromato- phorenbildner lind kommt zn denselben Schlüssen wie Pensa. Dem- gegenüber betone ich noch einmal den organischen Zusammenhang der Pyrenoide mit den Zellkernen bei den Chlorophyceen^). Man vergleiche hier auch die Arbeit von Lidforss®). Bereits oben bin ich auf die Figuren der Abhandlungen Lewitzkys und Fohrenbachers zu sprechen ge- kommen und habe darauf hingewiesen, wie dieselben den tatsächlich vorliegenden Verhältnissen kaum genügen dürften. Lewitzky^) betont ferner ausdrücklich, daß die über dem Kern liegenden Chondriosomen nicht diesem, sondern dem Cytoplasma entstammten. Den Konsequenzen nun, die Fohrenbacher aus seinen Chondiiosomen als Bildner der Chromatophoren zieht, vermochte ich leider nicht zu folgen. Aus dem organischen Zusammenhänge von Kern und Pyrenoiden schloß ich naturgemäß auf ähnliche Beziehungen zwischen Chlorophyll- korn und Kern bei den höheren Pflanzen. Die eigenartige kreisförmige Gruppierung jüngster Chloroplastenanlagen um den Kern auch in leben- 1) Y. Derschau, Die Entwicklung der Peristomzähne des Laubmoossporogoniuins. Sep.-Abdr. a. Bot. Centralbl. Bd. LXXXII. 1900. — Beiträge zm pflanzlichen Mitose, Centren, Blepharoplasten. Jahrb. f. wiss. Bot. Bd. XLVL 1908. 2) Über die Entstehung der Plastiden aus dem Zellkern. Österr. bot. Zeit- schrift. 1909. 3) Alcune formazioni endocellidari dei vegetali. Boll. Soc. Med. chir. di Pavia 1910. 4) 1. c. ®) v. Derschau, Beziehungen zwischen Zellkern und Pyienoiden bei den Chloro- phyceen. Vorl. Mitt. a. Ber. d. Deutsch, bot. Ges. 1909. ®) Über kinoplasmatische Verbindungsfäden zwischen Zellkern und Chromato- ])horen. Univ. Arsskr. Limd. N. F. IV. 2. 1908. 7) 1. c. S. 540. Anm. 4. 228 M. V. Deischaii (len Zellen wurde auch von Stauffacher i) bemerkt und kam dieser Autor im Verlaufe seiner Beobachtungen zu denselben Resultaten wie ich; nämlich zu ihrer Herkunft vom Kerne. Um eine »Systrophe« im Smne ScHiMPERS kann es sich nach den des näheren darzulegenden Verhält- nissen nicht handeln. Wohl aber mag dieselbe für frei im Plasma liegende Chloroplasten Geltung haben, wenn durch Fixierung eine Kontraktion von Plastin und Plasma auf den Kern zu eintritt. Am zweckmäßigsten eigneten sich nun zum Studium dieser feinen Strukturen und Gebilde Epidermen junger Blätter und auch besonders die assimiherenden Ge- webeschichten junger Fruchtknoten. Es kamen zur Beobachtung Ni- gella arvensis, Lilium candidum, Martagon, Chrysanthemum leucanthemvm, Primus cerasus, Fritülaria imperialis. Wie stets, wurde ans guten Gründen mit absolutem Alkohol fixiert und mit Ehrlich-Biondi gefärbt. Die Schnitte betrugen meist 4 ,n Dicke. Wo es anging, dienten als Kontrolle lebende Zellen von Epidermen. Bei Chrysanthemum gaben besonders die Zellen der verdickten Griffelbasis gute Bilder. Wie ich schon früher bemerkte^), dienen die Kernbrücken mit den basichromatischen End- körnchen dem werdenden Chlorophyllkorn als Ausgangspunkt®), Fig. 1, 3—16. In Fig. 6, 7 ist die erste Verteilung von Basichromatin auf die Plasmawabenwände veranschaulicht. Fig. 11, 13 zeigen dessen feinere Ausbreitung, womit gleichzeitig eine Volumzunahme der Körner ver- bunden ist. Diese Ausdehnung auf das Wabennetz des Plasmas deckt sich mit der Beobachtung Stauffachers^), der dies Phänomen mit den sechs- eckigen Verbleiungen der alten Butzenfenster vergleicht. Diese sechs- eckigen Grundlagen stellen kein besonderes Chlorophyllstroma vor, sondern sind kleine Territorien des Plasmanetzes. Die Beteihgung von Plastin kann man häufig bei älteren Chlorophyllkörnern feststellen. In Fig. 9 fällt eine rot sich tingierende Masse auf. In weiter vorgeschiittenen Körnern findet eine innigere Vermengung beider Kernsubstanzen statt, so daß bei der Fäi'bung eine bräunliche Mißfarbe zustande kommt (Fig. 2, 8, 11). Die in den ChlorophyUkörnern vorhandene rot sich färbende Substanz (Plastin) dürfte vielleicht den Pyrenoiden als Homologon an die Seite gestellt werden. Dem AVachstum der Chloroplasten entspre- chend, vermindert sich die Kernmasse, die schüeßlich völlig aufgebraucht 1) Über Chlorophyllkörner und Erytlirocyten. Sep.-Abdr. a. Verh. Schweiz, naturforsch. Ges. 93. Jalires Versammlung. Basel 1910. Bei. I. 2) 1. c. S. 441. 3) Über Chloroj)hyllkörner und Erythrocyten. Sep.-Abdr. a. d. Verhandl. d. Schweiz, naturf. Gesell. 93. Jahresversammhmg. Basel 1910. Bd. I. D 1. c. Zum (’hromatindualismiis der Pflanzenzellc. 229 wird (Fig. 1). Auch kann man häufig an Stelle des fast verbrauchten Kernes dessen cytoplasmatische Begrenzung erkennen. Kerne, die in mitotischer Teilung begriffen sind, können auch zu gleicher Zeit Chloro- plasten produzieren, wie aus den Fig. 10, 11 hervorgeht. Fig. 10 zeigt eine Anaphase, wobei besonders viel Basicluomatin zur Bildung der Körner verwendet wird. Fig. 11 gibt ZAvei Tochterkerne wieder, die, von mehreren Chloroplasten umgeben, deutlich die verbindenden Brücken zeigen. Auch an Kernen in der Metaphase konnte ich gleich- zeitig Chloroplastenentwickhmg beobachten, jedoch nur in den assimi- lierenden Schichten der Fruchtknoten. Leider ist mir das betreffende Präparat abhanden gekoimnen, so daß ich auf zeichnerische Wieder- gabe verzichten mußte. Die Kernbrücken erscheinen bald grün, bald rot tingiert, je nach der gerade passierenden Kernsubstanz. Fig. 14, 15, 16 sollen die Verhältnisse intra vitam wiedergeben. Die Chloroplasten ergrünen bereits, während sie noch mit dem Kerne in Verbindung stehen. Mit der Abnahme der Kernsubstanz nimmt auch natürlicherweise die Tinktionskraft ab (Fig. 1, 5). Die in Fig. 6 und 7 abgebildeten Chloro- phyllanlagen (Ehrlich-Biondi) entstammen den Zellen der verdickten Griffelbasis von Chrysanthemum leucanthemum und haben übrigens große Ähnlichkeit mit den von Miss Browne i) beschriebenen und abgebildeten »Mitochondrien«. Da wir nun wissen, daß in unserm Falle wK es mit Oxy- und Basichromatin zu tun haben, so liegt die Möglichkeit sehr nahe, daß die BnowNESchen »Mitochondrien« aus denselben Kernsubstanzen bestehen dürften, welche sich nur auf die Wabenwände des Plasmas begeben haben. In dem BnowNESchen Falle dürften sich ganz besonders Färbungen mit Ehrlich-Biondi empfehlen. Austretende Kernsubstanz kann aber verschiedensten Zwecken dienen und damit auch sehr in der Form variieren. In dem von Miss Browne studierten Falle gelegentlich der Reifungsteilung des Eies von Änodonta findet eben eine direkte Ver- wendung der Kernstoffe zu Ernährungszwecken statt. Die von der Autorin erwähnte Chromatinverminderung bei Trennung der Chromo- somenenden {Ascaris megalocephala und A. lumhricoides) scheint ebenfalls Ernährungsvorgängen zu dienen, wie dies auch für den »Chromatinring« bei Dytiscus der Fall zu sein scheint. Zur Zeit des Ergrünens der jungen Chlorophyllanlagen zeigen ge- färbte Präparate gleicher Phasen ein bedeutendes Überwiegen des Nu- cleins im Verhältnis zum Plastin. Es scheint dies auf besonders nahe 1) E. N. Browne, Study of the Male germ cells in Änodonta. Journ. of Ex- perimental Zoology. Vol. XIV. Nr. 1. 1913. 23U il. V. Derschau Beziehungen des ersteren zur Chlorophyllbildung hinzuweisen, wie ja das Xucleiu stets da in größerer Menge anzutreffen ist, wo Wachs tn ms - Vorgänge erledigt werden sollen. — Die vorgeführten biologischen Tat- sachen durften daher geeignet erscheinen, den Urspnmg der Chloro- phyllkömer vom Kerne abzuleiten, denn eine Entstehung de novo aus dem Plasma konnte in keinem Falle beobachtet werden. Eine Abstam- mung von j)Mitochondrien« halte ich für vollkommen ausgeschlossen. Nach meinen Studien dienen die als )AIitochondriena bezeichneten Plastin- und Nucleinbestandteüe des Kernes im Werdegang der Zelle ledigüch der Plasmaemährung. So erklärt es sich daher auch, daß wir dieselben in embryonalen Zellen, Tapetenzellen, Keifungsphasen von Geschlechts- zellen reichhch vorfinden, wo sie bald im Plasma verschwinden. Auch intra vitam konnte ich nie Chloroplastenentwicklung an den stark licht- brechenden »Mitochondrien« beobachten, die dann doch jedenfalls längst durch ihr Ergrünen hätten festgestellt werden können. Am Schlüsse dieses Abschnittes erhielt ich durch die Güte des Herrn Professor Wl. Akn’oldi^) ein Separat seiner Forschungen an Meeres- Siphoneen zu- gesandt. Der Autor bestätigt daselbst meine Beobachtungen hinsichtüch der Herkunft der Chloroplasten und Pyrenoide imd ist auch geneigt, bei der Ovogonese der Gymnospermen einen organischen Zusammenhang von »^litochondriena imd Kernen anzimehmen. II. Vorgänge bei der lokalen Wandverdickung von Zellmembranen. Bei Besprechung der Frage, ob der Zellkern als Träger des Idio- plasmas aufzufassen sei, hat Haberlaxdt^) sich dahin geäußert, daß dann jene Bewegungszustände, durch welche das Idioplasma bzw. der Zellkeni den ganzen Plasmakörper beherrscht, auf größere Entfernungen hin fortgepflanzt werden. S. 14 ebendaselbst sagt der Autor: •. . . Wir sehen hier ganz ab von der Frage, ob zur Fortleitung jener Bewegungs- zustände das Cytoplasma in allen seinen Teilen gleichmäßig befähigt ist oder ob sich in ihm hierzu besonders bestimmte Leitungs- bahnen differenziert haben.« (Von mir gesperrt.) Haberlaxdt läßt die Möghchkeit zu, daß die Einwirkung des Kernes auf das Plasma sowohl eine dynamische wie eine stoffliche sein kann. (Von mir gesperrt.) Wir werden später sehen, daß beide Formen zur Geltimg 1) Wl. Arxoldi, Materialien zur Morphologie der Meeressiphoneen. II. Bau des Thallorus von Dietyosphaeria. Flora Bd. V. Heft 2. 1913. 2) Beziehungen zwischen Funktion und Lage des Zellkerns bei den Pflanzen. Jena 1887. Zum Chromatindualisüius der Pflanzenzelle. 231 küinmen. Townsend^) kommt es zur Klärung dieser Fragen besonders auf die Forderung des Zusammenwirkens von Kern und Cytoplasma an, da er beobaehtete, daß eine Störung desselben die Hautbildung ver- hindere. Die näheren Ursachen wären ihm jedoch nicht erkennbar. Jedenfalls könne man dem Kern allein nicht die Zellhautbildung zuschrei- ben. Es ist uns jetzt verständlich, weshalb dem Kern bei dieser letzteren Funktion der Hauptanteil zufällt. Townsend läßt es dahingestellt, ob die Bildung der Zellhaut durch Energieform oder materiellen Austausch vor sich gehe. Diese Fragen konnten meines Erachtens nicht eher gelöst werden, solange man an einer Kermnembran festhielt. Die Wechsel- beziehungen zwischen Kern und Plasma, ob dynamischer oder materieller Art, bzw. beider, mußten erklärt werden auf mehr oder minder komplizierte Weise, wodurch der wahre Sachverhalt nur noch mehr verdunkelt wurde. Ich erinnere nur an die hypothetische Annahme einer Diffusion ge- löster Stoffe durch die Kernmembran. Welche Hindernisse für einen regen Stoffwechsel zwischen Kern und Plasma? Auf materielle Abgabe von Kernsubstanz deutet nach Strasburger^) die Entstehung des linsen- förmigen Trägers der Gihen in den Zoosporen von Oedogonium. Aller- dings verliere nach dem Autor der Kern den Nucleolus hierbei nicht, sondern es zieht sich dieser scheinbar intakt nach vollzogener Haut- schichtverdickung wieder in das Innere zurück. Ich bin nun der Ansicht, daß der Zellkern recht wohl nucleolare Substanz während dieses Vor- ganges abgeben kann, ohne darum in jedem speziellen Falle seinen Nu- cleolus emzubüßen. Sowohl Haberl andt wie auch Townsend und Strasburger lassen also die Möglichkeit einer direkten Substanzabgabe zu. Es gelang mir später, diese Tatsache festzustellen^). E. Küster^) weist darauf hin, daß der Beweis noch zu erbringen wäre für die Annahme, daß in der Lage des Zellkerns der Ausdruck für die Bolle, die er beim lokalen Dickenwachstum der Zellwand spielt, zu suchen sei. Harper^) 1) Der Einfluß des Zellkerns auf die Bildung der Zellhaut. Jahrb. f. wiss. Bot. XXX. 1897. S.506. 2) Über Reduktionsteilung, SpindelbQdung, Centrosomen und Cilienbildner im Pflanzenreich. Histol. Beiträge. Heft 6. Jena 1900. S. 188. 3) Die Entwicklung der Peristomzähne des Laubmoossporogoniums. Ein Bei- trag zur Membranbildimg. Bot. Centralbl. LXXXll. 1900. Desgl. »Wanderung nucleolarer Substanz während der Karyokinese und in lokal sich verdickenden Zellen«. Sonderabdruck aus Ber. d. Deutsch. Bot. Ges. Bd. XXII. Heft 8. 1904. Über die Beziehungen der Lage des Zellkernes zu Zellenwachstum luid Mem- branbildung. Flora. Bd. XCVII. S. 23. 1907. 5) Kernteilung und freie Zellbildung im Ascus. Jahrb. f. wiss. Bot. XXX. S. 276. 1897. 232 M. V. Derschau betont gelegentlich der freien Zehbildnng im Ascns, daß der Kern bei der Bildung der kinoplasmatischeu Grenzschicht eine ^vichtige Rolle spiele und schließt dies aus der eigenartigen Einrichtung des Schnabel- fortsatzes desselben. Der Kern und die Centrosphäre blieben während des ganzen Prozesses innig miteinander verbunden, (Von mii- gesperrt.) Auch konnte Harper sich nicht von der Selbstän- digkeit der Centrosphäre bei den Ascus- Kernen überzeugen. Ferner nimmt der Autor an, daß che Centrosphäre nichts andres als den Ver- mittelungspunkt zwischen Kern und Plasma bedeute, von wel- chem das im Kern gebildete Kinoplasma sich verbreite und dann die formativen Gestaltungsprozesse in der Zelle durchführe. Diese Auffassung Harpers koimnt der unsrigen sehr nahe, nur mit dem Unterschiede, daß eine «Chromatiiiausschüttung« aus dem Kerne, wie wir heute sagen würden, noch nicht direkt ausgesprochen wü’d. Magnus i) findet, daß bei der Cellulosebildung ein Substanzverlust der Kerne eintritt, der schließ- lich zu völliger Atrophie derselben führen könne. Füi' die Beziehungen des Kernes zur Cellulosebildung spricht ferner der Befund Tischlers 2), daß der Kern im Verlaufe desselben gänzlich aufgebraucht werde. NEmec^) äußert sich folgendermaßen: ». , . Häufig bemerkte ich, daß an den Kern eben da, wo über seine Oberfläche ein Körnchen hinausragt, ein feiner plasmatischer Faden ansetzt, der sich meist bis zur Zellwand oder in das wandständige Cytoplasma verfolgen läßt. Er färbt sich zwar nicht, enthält auch keine Chromatinkörnchen, dennoch ist es aber nicht ausgeschlossen, daß hier ein fadenförmiger Kernfortsatz vorliegt.« — Hier möchte ich bemerken, daß, wenn der feine cytoplasmatische Faden sich auch einmal nicht färben sollte, er dennoch dem Transporte von Plastin und Kuclein dienen kann. Bei den feinen Verbindungsfäden, die Kern und sich verdickende Wand bei der Peristombildung verbanden, war jedenfalls recht häufig Chromatin auf denselben zu beobachteiH). Seite 392, 1. c., nimmt Nemec an, daß nach Haberlandt, Miehe, W. Magnus, v. Derschau geschlossen werden könnte, daß die Wirkung des Kernes auf das Cytoplasma beschränkt wäre. Diese Ansicht liegt mir fern. Da wir wissen, daß das Oxychromatin und Basichromatin bis an die äußersten Teile des Protoplasten zu verfolgen ist und wm also auch die Mikrosomen (Kuclein) überall verteilt sehen, erstreckt sich der Ein- 1) Studien an der endotrophen Mycorrhiza von Neoüia uidus avis. Pringsheims Jahrb. f. wiss. Bot. XXXV. 1900. S. 52. -) Die Bildung der Cellulose. Biol. Centralbl. XXI. 1901. S. 254. 3) 1. c. S. 284—285. *) 1. c. Zum ('hroniatiiuliialismus der Pi'lanzenzelle. 233 fluß des Kernes auf den ganzen Protoplasten der Zelle. Aus diesem Grunde trete ich auch für die SACHSsche Auffassung nicht ein. Das Plastin eines Zellkernes kommuniziert überdies mittels der Plasmodesmen mit dem der benachbarten Zelle, infolgedessen ich mir recht gut Fermvh’kungen auch stofflicher Art seitens einer kernhaltigen Zelle auf eine andre be- nachbarte kernlose vorstellen kann. (Vgl. Townsend, 1. c.) Die Beobachtungen Pallas i), daß kernlose Plasmateile (Ehizoid- stücke, Plasmateile in den Brennhaaren von Urtica) fähig waren, eine Membran zu bilden, stehen höchstwahrscheinlich nur scheinbar mit den Beobachtungen von Townsend in Widerspruch. Ich kann mir aus dem oben Gesagten dieses Phänomen nur erklären, wenn ich annehme, daß im isolierten kernlosen Plasmateil das vorhandene Plastin noch fähig war, Nuclein zur Membranbildung zu verwenden. Ebenso ließe sich das Verhalten des lebend gebliebenen Plasmarestes im Pollenschlauch von Galanthus nivalis erklären, wenn er nach Verlust des vegetativen und generativen Kernes noch fähig war, sich gegen den verletzten Scheitel hin, durch eine CeUulosekappe abzuschließen^). Diese meine Auffassung wird durch den Schlußsatz Pallas bekräftigt, daß kernlose Plasma- partien eine Zellhaut zu bilden imstande seien, wenn sie zur Zeit ihrer Isolierung einen zur Membranbildung verwendbaren Stoff als Reserve- substanz enthalten. — Ich habe nun angesichts dieser Fragen nochmals die Entwicklungsvorgänge bei Wandverdickungen an den Laubmoos- peristomzähnen verfolgt und bin zu der Überzeugung gelangt, daß nach- weisbar beide Kernsubstanzen an dem Aufbau der Peristomwände sich beteiligen, ob auch Plasma, ließ sich direkt nicht nachweisen, ist aber möglich. Auch an den jungen Deckelzellen der Laubmooskapseln lassen sich recht gut die in Frage stehenden Vorgänge beobachten. Das Oxy chromatin durchströmt vom Nucleolus ausgehend, schon in frühen Phasen, den Protoplasten in der bekannten Mitochondrienform. Wo die Verstärkung der Membran vor sich gehen soll, ist auch die Hauptmasse des Plasmas anzutreffen. Das Plasma dürfte hier wohl mehr als V ermittler der Leitungs- bahnen für die Kernsubstanzen in Betracht kommen als im Sinne einer direkten Verwendung zur Membranverstärkung. Man findet nämlich schon in recht frühen Phasen die Plasmaverteüung ziemlich gleichmäßig vollzogen. In bestimmten Abständen lassen sich nun im Plasma mito- chondiienartige Bahnen nach den zu verdickenden Lamellen hin verfolgen. 1) Über Zellhaiitbildung kernloser Plasmateile. Ber. d. Deutsch, bot. Gesellsch. XXIV. 1906. 2) 1. c. S. 409. 234 ir. V. Derschau Sie bestehen aus Plastin und iS'ucleintröpfchen und nehmen ihren Aus- gangspunkt von den basichi'oniatischen Endkörnchen der Kernbrücken (Fig. 17). Das Basichromatin wird in Körnchen- oder Tröpfchenform an der Membran abgesetzt. Junge, sich verdickende Membranen der Deckelzellen z. B. zeigen nach geraumer Zeit die grüne Tinktion wie das angelagerte Kuclein. Das Oxychromatin scheint bei diesem Vorgänge sich nur als Transportmittel zu beteihgen, da diese Substanz aber stets als Unterlage des Kucleins gefunden wird, so liegt ja die Annahme nahe, daß es ebenfalls als Baumaterial Verwendung finden dürfte. In seiner Eigenschaft als reizbare kontraktile Substanz dürfte es jedoch wohl nur dem Zwecke des Transportes von Basichromatin dienen. Emen Ab- bau eigentlicher plasmatischer Substanz zu Verdickungszwecken konnte ich dü-ekt nicht wahlnehmen. Allerdings schwindet das Plasma mit zunehmender Wandverdickung, aber es können hier auch direkte Schrump- fungen des Protoplasten durch Wasserverlust im Spiele sein. Ich ver- mute, daß eher die basichromatische Substanz eine Umwandlung in Cellu- lose erfahien dürfte. Damit ist ja direkter Plasmaverbrauch nicht aus- geschlossen. Für einen geringen eventuellen Plasma verbrauch sprechen die Beobachtungen von L.^xge i), wo nach Entwicklung und Verholzung der Tracheiden und Gefäße immer noch Plasmareste in denselben vorhanden wai'en, während der Kern inhaltsarm ■nnirde und völlig degenerierte. Seite 36 bemerkt der Autor, daß bis zur Vollendung der Verholzung eine erhebliche Abnahme des protoplasmatischen Inhaltes der Tracheen nicht beobachtet werden konnte, und fügt hinzu, daß bis dahin noch Baustoffe von außen zugefühit werden. Die Baustoffe der Tracheen dürften nach meinen Beobachtungen wohl dem Kern entnommen werden in der schon des öfteren dargelegten Weise. Diese Vorgänge legen den Gedanken nahe, daß starke Verholzung und Neubildung von Gefäßen, Libriform usw., bei sensiblen Pflanzen infolge von Kontakt weniger der Reizbarkeit des Protoplasten als der Gnmdsubstanz des Nucleolus, dem Oxychromatin, zuzuschreiben ist. Dieses letztere ist in diesen Fällen besonders reizbar, es dehnt sich zentrifugal vom Kern in das Plasma aus und bringt zugleich das Nuclein als Baustoff an die zu verstärkenden Membranen. Mit Ausbildung dieser oxychromatischen Stränge im Plasma überträgt sich natürlich auch die Reizempfindlichkeit auf den Proto- plasten, Wie Wänne wirkt also auch Kontaktreiz ausdehnend auf die Grundsubstanz des Nucleolus. — Ich hatte früher (1904) bereits darauf 1) Beiträge zur Kenntnis der Entwicklung der Gefäße und Tracheiden. Inaug.- Diss. Marburg 1891. Zum Chromatindualismus der Pilanzenzclle. 235 aufmerksam gemacht, daß beim lokalen Verdickungsprozeß der Kern häufig an einer oder mehreren Stellen zu einer Spitze ausgezogen er- scheint und daß an denselben häufig Körperchen anzutreffen sind, welche sich wie der Nucleolus färben und den HARPERSchen Centrosphäreni) an die Seite gesteht werden müssen. Damals nahm ich an, daß es auch extranucleare Kucleolen sein könnten, bin aber heute überzeugt, daß die schnabehörmigen Verlängerungen des Kernes die bekannten Brücken mit ihren basichromatischen Körnchen darstellen. Fig. 12 (Abhdlg.: »Wanderung nucleolarer Substanz während der Karyokinese usw.«) zeigt die von basichromen Körnchen ausgehenden oxychromatischen Bahnen, auf denen das Kuclein zu seinem Bestimmungsorte gelangt. Dasselbe gilt auch für die lokal sich verdickenden Epiderniiszellen von Olea aquifoha (siehe ebendaselbst Fig. 14—16). Die oxychromatischen Bahnen sind identisch mit Strasburgers Kinoplasmafäden. Die Strukturen, welche wir soeben an Laubmoosen beschrieben haben, decken sich in ihrer Ent- wicklung und Funktion so auffaüend mit den von Harper an den Asken von Erysiphe usw. beobachteten Vorgängen, daß man nicht umhin kann, sie als gleichartig anzusehen. Die »Strahlensonne«, welche nach Harper von der »Centrosphäre« ausgeht, sind Chroniatinemissionen von Oxy- und Basichromatin. Die Umbiegung der Kadien derselben um den Kern vor unmittelbarer Membranbildung dürften auf Kontraktionswirkungen des reizbaren Chromatins zurückzuführen sein, die vom Nucleolus aus- gehen. (Man beobachte die Abbildungen 19, 20, 21 bei Harper.) Da- mit stimmt auch die Beobachtung des Autors, daß in diesen Phasen die nucleolare Substanz, sowie das Chromatin im Kern wieder zunimmt; und damit das Kernvolum. Die sich umbiegenden Radien verschmelzen auf beiden Seiten des Kernes zu je einem großen Oxychromatinstrang, auf dem das Nuclein reichlich vorhanden ist. Das hierauf einsetzende starke Weiterwachsen dieser beiderseitigen Stränge im Plasma bis zur gegenseitigen Vereinigung um den Kern, dürfte wieder der Expansion der nucleolaren Grundsubstanz und speziell dem Nucleolus beizumessen sein. Nach Harper speichert das entwickelte Sporenhäutchen (Erysiphe) bei Gentiana-Safranin-Orange-Färbung den blauen Farbstoff (S. 266). Das Nuclein färbt sich nun bei dieser Tinktion blau. Mit Ehrlich- Bioxdi würde man eine intensive Methylgrünreaktion erhalten. Wieder ein Beweis, daß höchstwahrscheinlich ausschließhch Nuclein zur Häut- chenbildung verwendet wird. Ob bei der Umwandlung in Cellulose speziell dem Nuclein eigentümliche Enzyme mitwirken, steht noch dahin. Auf 1) Kernteiliuig und freie Zellbildung im Ascus. Jahrb. f. wiss. Bot. XXX. 1897. 236 M. V. Derschau die Vermittlung dm-ch Kernbrücken bei der Chromatinemission weisen ferner folgende Angaben Harpers (S. 250) hin: »Das Chromatingerüst erscheint dort, wo die Centrosphäre liegt, gleichsam befestigt und bildet dort häufig eine verdickte Masse. Meist zeigen sich Chromatinfasern auch gegen diese Stelle in bestimmter Weise orientiert. Die ganze Er- scheinung weist auf das bestimmteste darauf hin, daß »Chromatin und Centrosphäre durch die Kernwand hindurch in Verbindung stehen, (c (Von mh gesperrt.) Bis auf die »Kernwand« ähnelt die Be- schreibung des Autors meinen Beobachtungen. Über die Entstehung der Strahlenbildung konnte Harper keine endgültige Entscheidung fällen. Er läßt es zweifelhaft, ob sie infolge besonderer Anordnung des Cyto- plasmas entständen oder ob sie aus der Centrosphäre hervorgingen. Von unsrer hier des öfteren vertretenen Anschauung aus stellen sie Oxy- cliromatinprotuberanzeu mit Xuclein dar, die iliren Ausgang vom End- körnchen der Kernbrücke nehmen und auf den Plasmawabenwänden in das Cytoplasma des Ascus gelangen. Für diese Auffassung spricht auch wieder die Anschauung Harpers, daß die Substanz der Strahlen unter Mitwirkung des Kernes entstünde. (Von mir gesperrt.) IM. Nudeln und Fortpflanzung. An der Hand einer Reihe vegetativer Prozesse in der Pflanzenzelle ist versucht worden, die Bedeutung des Xucleins als physiologisch er- nährenden, das Wachstum des Zellorganismus nach verschiedenen Rich- tungen fördernden Faktor nachzuweisen. Bei den verscliiedenartigen Modi pflanzlicher Embryobildung tritt die Bedeutimg des Nucleins be- sonders charakteristisch hervor. Wir wissen aus den Untersuchimgen von Zacharevs i), daß pflanz- hche Eikenie vieler höherer und niederer Pflanzen nur spurenhaft Kucleiu aufweisen, daß z. B. der Eikern von MarchatUia polymorpha nach diesem Autor keine nachweisbaren Mengen dieser Substanz mehr besaß. Ander- seits konnte Stauffacher z. B. bei Hellehorus, Leucofuvi fertige Embryo- säcke mit bedeutenden Mengen von Kuclein feststeUen. Stauffacher zieht hieraus den Schluß, daß letztere mehr zm spontanen Samenbildung hinneigen, da sie die Bedingungen dazu (Kucleinreichtum) in sich selbst trügen 2). Kucleinarme Q Sexualzellen sind aber unter allen Umständen 1) Die chemische Beschaffenheit von Protoplasma und Zellkern. Progr. rei bot. III. 1910. Die EoUe des Nucleins in der Fortpflanzung. Sep.-Abdr. a. d. Verh. der Schweiz, naturforsch. Ges. 94. Jahresvers. Solothurn 1911. Bd. I. Zum Chroniatindualisinus der Pflanzenzolle. 237 auf Isucleinzufuhi- von außen, also auf Befruchtung, angewiesen. Hier bieten nun wieder die Embryosäcke der Liliaceen ein charakteristisches Bild. Das üsuclein schwindet während der Ausbildung des Einbiyosackes bis zum fertig entwickelten Ei inmier melm und der Kontrast mit den umgebenden somatischen Zellen wird immer auffallender. Der Aufbau des Q Geschlechtsapparates war hier mit sehr starkem Nucleinverbrauch verknüpft. Das Weiterwachsen der Eizelle kann hier durch den nuclein- reichen cT Kern gewährleistet werden. Kach meinem Dafmhalten tragen die Vorbedingungen zur spon- tanen Embryobildung alle diejenigen Pflanzenzellen, denen eine genü- gende Menge Nuclein zur Verfügung steht. Hierher gehören die Fälle von Parthenogenesis, somatischer wie generativer Apogamie, Symmixis. Der genügende Gehalt an Nuclein braucht nun jedoch keineswegs an die dop- pelte Chromosomenzahl gebunden zu sein, \ne die bis jetzt bekannten Fälle von Lastraca pseudomas var. cristata apospora Druery und Nephro- dium molle Desr. zeigen i). Hier werden ProthalhumzeUen ohne Verdoppe- lung der Chromosomenzahl zum Embryo weiterentwickelt; und es ent- steht ein Sporophyt mit der halben Chromosomenzahl. Interessant ist ein Vergleich sexuell entstandener pflanzhcher Embryonen m.it parthe- nogenetischen gleichaltrigen. Während bei ersteren das Nuclein meist nur auf die Kerne beschränkt ist, findet sich bei den letzteren Kern und Plasma mit Nuclein prall angefüllt. Zusammenfassung. In vorliegenden Ausfühi’ungen sollte gezeigt werden, von welcher Tragweite die Bedeutung der beiden Kernsubstanzen für das Zellenleben der Pflanze ist. Bei den verschiedensten physiologischen Funktionen spielen Nuclein und Plastin die Hauptrolle, während die Rohe des Cyto- plasmas eigentlich sehr in den Hintergrund tritt, und für die sich unter der Energie der Kernsubstanz abspielenden Wandlungen in der Zelle mehr die vermittelnde Folie abgibt. Das Cytoplasma scheint vorzüglich ein System von Transportwegen darzustellen, vermittels welcher die Substanzen des Kernes in die entlegensten Teile der Zelle gelangen können. Einen eigentlichen direkt nachweisbaren Abbau plasmatischer Substanz vermochte ich nirgends nachzuweisen. Auch eine Unterscheidung zwischen Kino- bzw. Trophoplasma im alten Sinne dürfte wohl nicht mehr ange- 1) Winkler, Über Partheno^nesis und Apogamie im Pflanzenreiche. Prosrr. rei bot. II. 1908. 238 M. V. Derschau braclit sein, zumal wii' wissen, daß die »Kinoplasmafaseni« die Waben- wände des Cytoplasmas zur Grundlage haben, auf welchen sich Oxy- und Basichromatin fortbewegen. Dieselbe stoffliche Beschaffenheit haben die sogenannten Mtochondrien, Plastochonchien, Centren usw. Nicht anders verhält es sich mit den ergastoplasmatischen und verwandten Bildungen. Selbst die so heiß umstrittene Frage nach dem Ursprünge der Chlorophyllkörner muß dahin entschieden werden, daß wü- es mit Kernderivaten zu tun haben. Auch bei den bekannten Vorgängen der Verholzung von Gefäßen, Tracheiden, lokalen Wandverdickungsprozessen, der freien Zellbildung, wird das Nährmaterial wohl fast ausschließlich vom Kern bestritten. Die restierenden Plasmareste sind meist noch so beträchtlich, daß eine aktive Betätigung des Plasmakörpers mindestens niu' sehr gering erscheint. Die Mikrosomenanhäufung, die man beim Auf- bau lokaler Wandverdickungen beobachten kann, sind Kernderivate, die in das Plasma auf die oben erläuterte Weise gelangt sind. Unter diesen Gesichtspunkten wächst die Bedeutung des Kernes gegenüber der des Cytoplasmas ganz außerordentlich und man wird nicht fehlgehen, den Centralpunkt aller Lebenserscheinungen der Zelle, sowohl der tierischen vie der pflanzlichen, im Nucleolus zu suchen. .\u erb ach (Hessen), im August 1913. Literaturverzeichnis. Arxoldi, Wl. Materialien zur Morphologie der Meere.ssiphoneeii. II. Bau des Thal- loras von Dictysphaeria. Flora. Bd. V. Hft. 2. 1913. Bocix, ^I. und P., Sur la presence de filaments particuliers dans le protoplasme de la cellule mere du sac embryonnaire. Bibliographie anatomicjue. 1898. Browxe, E. X. Study of the Male gerni cells in Anodonta. Joinn. of E.xperimental Zoology. Yol. XIV. Xr. 1. 1913. C'hmielewsky, V. 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Chlora perfoliaia. Fig. 14, 15. Viola tricolor. (In vivo). Fig. 16. Prunus cerasus. (In vivo). Fig. 17. Kerntätigkeit bei der lokalen Wandverdickung der Peristomzähne {Funaria hygromelrica). Vergr. 1000. Archiv f ür Zcllforschium Bd .XII. Taf .X\ II. dei vBerschau Verlag von Wilhelm Engclmann mlcLpzig ti Berlin Lith.Anstv.A. Giltsch, Jenoo. A Comparative Study of the Chromosomes in the Spermatogenesis of Enchenopa binotata (Say) and Enchenopa (Campylenchia Stal) curvata (Fabr.). By Sidney I. Kornhauser. (Contributions from the Zoölogical Laboratoiy of the Museum of Comparative Zoölogy at Harvard College, No. 244). With 8 Textfigures and Plates XVUI — XXII. Synopsis. Page I. Introduction 242 II. Synopsis of previous papers on the chromosomes in Hemiptera .... 242 III. Material and methods 246 IV. Systematic relation of the insects 247 V. Structme of the festes and ovaries 249 VI. Observations on spermatogonia and oögonia 250 A. Enchenopa hinotata 250 B. Enchenopa curvata 252 C. Comparison of the diploid groups of Enchenopa hinotata and Enchenopa curvata 254 VII. Growth period of Spermatocytes 255 A. Enchenopa hinotata 255 B. Enchenopa curvata 261 C. Comparison of the growth period and tetrad formation in Enchenopa hinotata and Enchenopa curvata 267 VIII. Division of first spermatocyte 269 A. Enchenopa hinotata 269 B. Enchenopa curvata 270 C. Comparison of the first spermatocyte division of Enchenopa hinotata and Enchenopa curvata 271 IX. Division of the second spermatoc}de 272 A. Enchenopa hinotata 272 B. Enchenopa curvata 273 C. Comparison of the second spermatocyte division of Enchenopa hinotata and Enchenopa curvata 274 16* 242 Sidncv I. Koriihauser Page X. Discussion 274 A. Syndesis and tlie matnration divlsions 274 B. The sex-chromosomes 279 XL Summary 286 Bibliography 287 Explanation of plates 293 I. Introduction. The work on tliis paper was done at the Zoölogical Laboratory of Harvard University during the years 1909 to 1912, and at the Biological Laboratory of the Brooklyn Institute at Gold Spring Harbor, Long Island, during tlio sunimers of 1908, 1910, and 1911. I am especiaUy indebted to Professor E. L. Mark of Harvard University for his guidance and advice in directing my work, and to Dr. C. B. Davenport, of Gold Spring Harbor, for his many valuable suggestions and aid, which permitted me to obtain and study an abundance of material during three summers. I also wish to express to thosc who aided me in procuring material appreciation of theü' Services, likewise to ]\Ir. Ignaz ÄIatausch, Pro- fessor E. D. Ball and JHr. G. W. Johnson for the loan of speciniens, and to jVIr. E. P. Van Puzee, Professor E. D. Ball and Professor Herbert Osborn for their opinions regarding the systematic relation of the species considered. The paper is an attempt to foUow in some detail and in a comparative manner the behavior of the chromosomes in the spermatogenesis of two nearly related membracids, Enchenopa hinotata (Say) and Enchenopa (Campylenchia^) curvata (Fahr.). The insects in question not only bear a niarked resemblance to each other externally (Plate XVIII, Fig. 1 and 2), but the general make-up of their chromosomal complexes is quite similar (Plate XIX, Figs. 15, 18, 20—28 and Plate XIX, Figs. 33—38); however, there is this one marked difference, E. curvata has a definite and well mai'ked unpaired “X-chromosome”^); E. Unotata has no such unpaked chromosome. 1) As there is some question whether or not Campylenchia {Stä\) is a well founded subgenus of Enchenopa, I shall consider “binotaia” and ''curvala” as members of the genus Enchenopa Am. et Serv. A discussion of this question follows in the text. 2) “X-cliromosome” or “X-element” refers to the unpaired chromosome found first in Pijrrhocoris by Hexkixg (’91) in his study of the spermatogenesis of that insect and designated by the letter “X” in his figures. It was later called the “acces- sory cliromosome” by McClung, the “heterotropic chromosome” by Wilson, and the “monosome” by Moxtgomery. A Comparative Study of thc Chromosomes etc. 243 II. Synopsis of Previous Papers on the Chromosomes in Hemiptera. The literature on the spermatogenesis of the Homoptera (Hemiptera homoptera) may be saicl to begin with the study of Cicada tibicen by WiLcox (’95). His material consisted of only three specimens, which did not Show division stages. He States, however, that the spermatogonia contain 12 chromosomes, and the sperniatocytes of the first Order 24 sphe- roidal bodies and one or two nucleoli. From his figures or account, we gain 110 evidence for or against the presence of “sex-chi’omosomes” in this insect. Ten years later Stevens (’Oöa, ’Oöb) described the sperniato- genesis and oögenesis of a niiraber of aphids. Both spermatogonia and oögonia were described as having the same (even) number of chromo- somes in a given species, and therefore no “ A'-chromosonie” in the male, althoiigh one chromosome was described as lagging in the anaphase of the first spermatocyte division (’Oöb, Figs. 217—218). Later, however, when the works of Morgan and of von Baehr on the aphids and phyl- loxerans had appeai’ed, she (Stevens, ’09b) reexamined her material and showed that this lagging chi’omosome was in reality an ‘LY-elenient”, and that the male possessed an odd number of chromosomes in the spermatogonia. Both Morgan (’08, ’09) and von Baehr (’09) have shown that the males of Äphis, Phylloxera, and Pemphigus have a de- finite “A'-elenient”, which in certain cases, as in Phylloxera caryaecaulis, may be represented by two clu’omosomes, and that this “X-element” passes to that one of the two secondary spermatocytes which finally gives rise to two functional spermatozoa, while the otlier secondary spermatocyte, lacking the “X-elenient”, degenerates. The male is pro- duced parthenogeneticaUy from an egg which reduces its “X-chromatin” through maturation to one half that of the female sonia. In turn, since only feniales are produced from fertilized eggs, only “female determining” spermatozoa, those with an “X-element”, iiiature. Stevens (’06) also described the spermatogenesis of Aphrophora quadrangularis, one of the Cercopidae, a family not distantly related to the Membracidae. This form agrees closely with E. curvata in the be- havior of its chromosomes. It possesses a single “X-element”, which, like that of most of the Orthoptera, passes undivided to one of the se- condary spermatocytes. She also figured a pair of very large cm'ved chromosomes 3) and a pair of small “m”- or micro- chromosomes. 3) A similar pair of large chromosomes occurs in E. curvata and E. Unotata, as well as in several other Homoptera. I shall refer to them as the macro-chromosomes, or “J/-chromosomes-’. 244 Sidnev I. Kornhaiiser Tlie paper which bears most dii'ectiy on the present work is tbat of Borixg (’07), which deals with the spermatogenesis of tweuty-two species of the Membracidae, Jassidae, Cercopidae, and Fulgoridae. She includes here short accounts of the chromosoines in the spermatogonia, and in the first and second spermatocytes of both the species which I ha%'e studied. In the case of E. curvata, I am able to confirm, in the mahl, her obsercations. In E. hinotata, however, I cannot substantiate her conclusions, which are based upon a tentative account of material which she herseif considered unsatisfactory and puzzling. In her final conclusions she States that the spermatogonial number is uneven (19) and that there is a definite “X-element” (Borixg ’07, Fig. 123, the largest chromosome in the figure). This, unhke the condition of the other twenty- one species examined by her, divides in the first maturation dinsion, but in the second division passes undivided to one pole (Borixg ’07, Fig. 135fl— &). She, however, counted two spermatogonial plates with 20 cliromosomes. This I can show beyond doubt to be correct for both the male and female of E. binotata in diploid number; also that there is no lagging, unpahed chromosome in either division. Tliis fact, however, does not preclude the formation of two kinds of spermatozoa, as I shall try to show in the foUowing description. The work hitherto done on the Honioptera deals mainly with the number and distribution of the chi-omosomes in regard to sex-determmation. In the Heteroptera (Hemiptera), however, we have more detailed studies on the question of syndesis and reduction. This Order of insects has been studied for many years and by numerous mvestigators. The com- binations and distribution of the “sex chromosoines”, first discovered by ÜEXiaxG (’91) in this group, present a variety of conditions, and in no Other order has such a discordance of conclusions on similar objects been reached. One merely needs to mention such fornis as Anasa, Pyr~ rhocoris, Syromastes and Euscliistus to bring this fact to niind. Thanks mainly to the efforts of IVilsox (Studies on chromosoines, I— VII) and his students, many of the errors of the earher investigators, including Hexkixg, Paulwier, Moxtgomerv, and Gross, have been brought to light, and we now have a fairly clear and precise knowledge of the rela- tion of the chromosoines in both sexes, and the behavior of the “sex”- and “m”-chromosomes in spermatogenesis. Recently Morrill ('10) has shown that the matured egg of certain Coreidae contain the number of chi'omosomes expected from the study of the spermatogenesis and from the oögonial numbers. Foot and Strobell’s (’07) contention over the non-existence of an “V-element” in Anasa (based mainly on smear pre- A Comparative Study of the Chromosomes etc. 245 parations, which they w^ere the first to employ) has been answered by Lefevre and McGill (’08), whose work agrees with that of Wilson. Tliat smear preparations often present very misleading appearances, I shall try to show in this paper. Henning (’91), Paulsuer (’99), Gross (’04a, ’04b, ’06), Wilke (’07), and Montgomery (’ll) have dealt in soine detail with the formation and coinposition of the tetrads in sper- matogenesis oi various Hemiptera, and with the deportment of the tetrads in the matiiration divisions. With the revival and increased study of the qiiestion of the syndesis, and the evolution of the gemini found in the first sperniatocyte, much has been done in the past ten years to give us a better idea of the early and later stages of the growth period. Hen- king’s conclusions with regard to the coinposition of the tetrads is con- firnied by more recent work. This is also true of Pauliher’s conclusions, although the method of conjugation by metasyndesis may be questioned. Gross’ interpretation of the formation of the tetrads, by the lengthening of the short arms of cross tetrads of early prophase of the first maturation division, has not been substantiated by further investigation. Nor have we any case parallel to that of Wilke (’07), who describes the same number of chromosomes in the spermatogonia and spermatocytes of Hydronietra, and concludes that the tetrads are univalent, being made up by the end-to-end conjugation of half chromosomes. This results in prereduction and synmixis by metasyndesis of unlike halves. In Hygrotrechus, a near relative of Hydronietra, Montgomery (’06) has found the spermatogonial number (21) and reduced number (11) to be in accord with that of other Hemiptera possessing an unpaked “N-chromosome”. Browne (’IO), in a paper entitled “The Relation Between Chromo- some-Number and Species in Notonecta", gives a very interesting com- parison of the chromosomes in several species of these closely related insects. The diploid number of chromosomes in Noctonecta undulata is 26, in N. irrorata 24. This reduction in number in irrorata comes about by the tendency of a small autosome pair to fuse with a larger autosome pair. N. insulata represents transitional conditions (between N. undulata and N. irrorata) in this fusion, sometimes exhibiting 24 and sometimes 26 chromosomes. There is however, another possibility, namely that the smaller number of chromosomes (N. irrorata 24) is the more primitive condition and that the larger number (N. undulata 26) has come about by a tendency of the large autosome pair to separate into two autosome pairs. Wilson (’lla) has also shown that in Nezara there exists a compound chromosome, probably made up of a small and large pair fused together laterally in the form of a butterfly. 246 Sidney I. Kornhauser Eecently Montgohiery (’ll) has brought together in a more de- tailed 'way bis results obtained from the study of Euschistus. He follo’ws the entire bistory of tbe cbromosomes and tbe cytoplasmic structures. He Claims parasyndesis witb prereduction for tbis insect. III. Material and Methods. Enchenopa curvata was obtained in large numbers eitber by “swecp- ing” in meadows containing clover and golden rod, or merely by picking tbe insects from tbe individual plants. Tbe insects were transported to tbe laboratory, and a supply was kept on band in several large insect cages containing potted clover plants. Tbe cages were kept in the sunlight. The insects lived very weU, mated, and layed eggs in large numbers, deep in the tissue of the clover stems. Nyinphs before tbe final moult (Plate XVIII, Figs. 3, 4) were obtained in June. These are remarkable in sbowing no external sexual dimorphisni, the abdomen ending in a tube of telescoping segments, a striking difference to tbat of the adult female, for instance, witb her weU fornied ovipositor for piercing tbe stems (Plate XVIII, Fig. 6, middle row, tbird individual from the left). These nympbs do not have tbe sex glands well developed, and it is better to obtain material from adults. Adult males appeai’ earlier in June than the females and show numerous spermatogonial and sperinatocyte divi- sions. A little later tbey also contain mature spermatozoa. Tbe females sbortly after tbe last moult have very smaU ovaries, wbicb increase greatly in size later in the season, untü tbey fül the abdomen almost completely. Males become very scarce in August, wbereas the females live longer and lay best during tbat montb. Tbe absence of males is accounted for by tbe fact tbat copulation takes place before the females have produced mature eggs, the spermatozoa living for some time in tbe spermatbeca. Considerable numbers of E, Unotata were obtained in Pittsbmgb and in Gold Spring Harbor feeding on the locust, Robinia pseudacacia L. These were kept aüve near the laboratory by enclosing them in large cylinders of absorbent cbeese cloth slipped over brancbes of small locusts and closed at the ends by cords tied witb bow knots. Tbe insects Uved weU, mated, and layed eggs. In E. binotaia, tbe laying season lasts into late September. The Same methods of preservation and staining were used in botb species. In addition to E. curvata and E. binotata, I also obtained material of the large membracid Thelia bimaculata (Fahr.), and of tbe fulgorid A Comparative Study of tlie Chromosomes etc. 247 Amphiscepa hivittata (Say), and I shall at times refcr to certain fcatures in the sperniatogenesis of these Homoptera in Connection with E. curvata and E. binotata. The testes and ovaries were dissected, under a dissecting microscope, from the living insects in physiological salt solution and immediately transferred to the fixing fluid. For the testes and young ovaries, Hermann’s fluid, Flemming’s fluid (strong) and Bouin’s fluid were principally employed. Hermann’ s fluid gave the best fixation, the clearest figures and the finest cytoplasmic preservation. It has less tendency than Flemming’s fluid to increase the contraction at synizesis. Flemming’s fluid was used according to the method employed by Meves und Duesberg (’08), viz. treated, after fixation, with pyroligneous acid and chromic acid and stained in crystal violet and alizarin. Bouin’s fluid makes the chromosomes appear sharply defined, but is not satis- factory for studying the growth period in spermatogenesis. Wlienever possible, the material w^as immediately embedded. The Chloroform method, with evaporation at low temperature, was employed and sections were cut five micra in thickness. Heideniiain’s haematoxylin, with Bordeaux red or Congo red as counterstains, was found to be the best method of staining. Crystal violet and alizarin, although failing to establish the presence of a definite mitochondrial mass, gave most excellent figures for the study of the growth period, and differentiated the “X-element” well. Safranin and Lichtgrün, Flemming’s triple stain, gentian-violet and thionin were also used on sections of testes in both species. Smear preparations were made by crushing the testis and spreading its substance as evenly and quickly as possible over the surface of the slide, and then inverting the still moist surface over a dish of w’arm Flemming’s fluid. The vapor of the fluid immediately Condensed on the surface of the preparation and generally prevented its drying, although at times the edges did dry. The smears, after exposure to the fumes for about five minutes, Avcre washed in running water and then stained in Heideniiain’s haematoxylin. Testes crushed in physiological salt solution containing a small amount of neutral red were examined in the fresh condition. They showed the chromosomes and spindles, which corresponded w’ell wdth those of the fixed material. IV. Systematic Relation of the Insects. In making a comparison of the chromosomes of two nearly related animals, it is well to know, as far as possible, their exact systematic relation. 248 Sidney I. Kornhauser Botli species liave a wide distribution, being found practically all over the United States. I have examined not only my own speciniens, about 800 of E. curvata and 310 of E. hinotata, collected in New York, Pennsyl- vania and Massachusetts, but also tlie collections of the Philadelphia Academy of Natural Sciences, those of IVIi'. I. JLvtausch, those in the Boston Society of Natimal History^ and those of the Museum of Com- parative Zoölogy. These collections include specimens from all parts of the United States. Both E. hinotata and E. curvata are extremely variable in external form. Especially is this true of the pronotal horn, which has been used by Stal as the basis for subdividing the older genus Enchenopa Am. et Serv. into subgenera, of which Carnpylenchia is one. Figure 6 (Plate XVIII) shows some of the more common variations of E. curvata. These specimens were selected from individuals all of which were gathered in the same field. My specimens of E. hinotata, however, were more constant, showing a much smaller ränge of Variation. Never- theless, I have secured some unusual forms from different localities, which are shown in Figure 5, Plate XVIII. The males in both species are smaller than the females, and have a shorter pronotal horn. The generic distinction between Enchenopa and Carnpylenchia is not satis- factory, being founded, as Professor E. D. Ball says, on “evanescent characters”. Mr. E. P. van Duzee States in a letter that the difference between Enchenopa and Carnpylenchia is merely one of degree of deve- lopment, and that it is all but impossible to di’aw a line between the two. In the present paper, I shall consider hinotata and curvata as species of the genus Enchenopa. Although each species, E. hinotata and E. curvata, is variable in itself, the two are certainly distinct species. E. hinotata has two yellow Spots 011 the back(Fig. 1, Plate XVIII, more distinct in the upper figure), while E. curvata is seif colored (Fig. 2, Plate XVIII). There are also cer- tain differences between the two in their habits of feeding and ovipositing. Both species deposit their eggs in the tissuc of the food plant and for this purpose are provided with long knife-like ovipositors, by which a slit is made in the steni or brauch. E. hinotata, living on the locust, has its ovipositor admirably adapted for cutting the hard bark and wood and spreading apart the edges of the cut for the reception of the eggs. The eggs are not placed so deeply in the tissue as those of E. curvata and the exposed ends are covered with a white sticky “frosting”, which is the product of a pair of large glands, one of which, with its reservoh’, is shown at gl.muc. in Figure 9 (Plate XVIII). E. curvata, on the other hand, lays its eggs in the pith of clover and other small non-woody plants; A Comparative Study of the Chiomosomes etc. 249 the edges of the ciit dose imniediately and are not “frosted” over. It is quite clear that E. Mnotata is a less plastic form than E. curvata, and certainly more spccialized. This is also shown by the restriction of E. binotaia to specific food plants, while curvata is a more general feeder. It is also an interesting fact that sonie internal parasites of E. binotata (larvae of certain diptera) are not found in specimens of E. curvata occurring in the same locality. The parasite apparently has not yet adapted itself to this species. The specific difference of the two species is substantiated in a most emphatic way by constant differences in their chi’omosomes, twenty being the diploid nnmber in the males of E. binotata and nineteen that in E. curvata. V. Structure of the Testes and Ovaries. The festes of both E. curvata and E. binotata are so much alike that a single description will serve for both species, and the same is true of the ovaries. The testes (te.) are paired, and each testis consists of eight conical tubules {tbl., Fig. 7, Plate XVIII) with their free or apical ends pointing anteriad. The tubules join at their basal ends and the mature spermatozoa pass through the vas deferens {va.clf.) into the large vesicula seniinalis (Plate XVIII, Fig. 7 vsl.sem.). A longitudinal section of the free end of a tubule more highly magnified (Plate XVIII, Fig. 8) shows the large apical cell, with its long processes, surrounded by undifferentiated spermatogonia and by jmung cysts. Following this, toward the basal end, One sees larger cysts in various stages of growth, of maturation and of differentiation into spermatozoa. The sequence froni younger to older stages corresponds fairly closely to the arrangements of these cysts from the apical end to the basal end of the tubule. The ovaries are also paired, and each consists of eight ovarioles (Plate XVIII, Fig. 9). Each ovariole {oal.) ends anteriad in a terminal Chamber (cam.trm.), which is attached to the dorsal region of the thorax by a long thin terminal filament (fil.trm.). In the terminal chamber arise ova and nutritive cells, the latter supplying a strcani of nutritive substance to the developing follicles in the egg string. The older eggs are posterior, and usually only a single one in each ovariole is fuU grow. The two oviducts {o'clt.) unite inta a short single uterus (ut.), which bears the large spermatheca {s'p'thc.) and in E. binotata the large mucUaginous glands (gl.muc.). For the study of the diploid groups of chromosomes, sections of very young ovaries in which only the terminal chamber and very young ova had developed were found best. Here many mitoses 250 Sidiiey 1. Kornhauser were eucountered, usually in two regions: near the attachment of the terminal filament and near the base of the chamber or Keindager (Plate XVIII, Fig. 10). VI. Observations on Spermatogonia and Oögonia. A. Enchenopa binotata. Spermatogonia of several generations occur at the apex of each tnbule and are usually limited to the space bounded by the radiating protoplasmic processes of the large apical cell. At the extreme tip of the tubule are spermatogonia not enclosed in cyst walls. Often a single one is seen dividing (Plate XVIII, Figs. 11, 12), and this division is the first in a series of divisions the cells resulting from Avhich belong to a single cyst. Small spheroidal cysts of 8, 16, or 32 cells are found dose to these primary spermatogonia and below these, interlaced by processes of the apical cell, are older cysts. The last spermatogonial division of a cyst occurs when the cyst has reached the lower limits of the processes of the apical cell; here a large percentage of enthe cysts degeneratc {E. binotata-, Plate XVIII, Fig. 8; E. curvata, Plate XVIII, Figs. 11, 12) and are utilized, I believe, as nutritive material for the earlier spermatogonial generations, the work of assimilating and redistributing this material being done by the apical cell. Some of the evidences for this conclusion are as foUows: First, the substance of the degenerating cysts gradually decreases, leaving large spaces between the broken down ceUs; moreover, ruptures in the cyst waU are sometimes found in immediate proximity to the long processes of the apical ceU, and the degenerating ceUs themselves are occasionally found imbedded in the protoplasm of this immense nurse cell. When degenerating cysts ai'e present, the cell body and pro- cesses of the apical ceU are large and easily traceable; but when no de- generating cysts are being absorbed, the processes are smaU. At such times the nucleus is ofteii surrounded on one side by a deeply staining mass (Plate XVIII, Fig. 13), which may be made up of waste products accumulated duriug the period of high metabolic activity and thrown out of the nucleus during the period of lower metabolic activity; for the nucleus contains very little basic staining material during the period in which the cell is accumulating substance. Secondly, the critical period in the life of a cyst is immediately after the last spermatogonial division, for at no other point in the tubule is there evidence of degeneration; it is only in the region of transition from A Comparative Study of the Chromosomes etc. 251 the last spermatogonial telophase to the early leptotene stage that this phenomenon occurs. A comparison of cclls of the last spermatogonial generation (PI. XIX, Figs. 17, 18, 19) with those of earlier generations (Plate XIX, Figs. 14, 15, 16) from the same tubule shows that the degree of stainability in the quiescent period increases in the later generations and that the chromosomes in division, although more closely massed, are not notice- ably smaller than those of earlier generations. The chromatin, therefore, increases from generation to generation more rapidly than the other constituents of the cell. It is possibly the lack of non-chromatic ele- ments, upon which the chromatin should distribute itself, and the diffi- ciilty of interchange between nuclear and cytoplasmic substance which cause the ceUs to degenerate. The chromatin becomes vacuolated, hyaline and clumpcd together in irregulär masses. There are twenty chromosomes in the spermatogonia (Plate XIX, Figs. 15, 18, 20—23), the most noticeable ones being a large pair, the macrochromosomes (M), which are often somewhat curved and occasion- ally show a constriction at the middle. Sometimes the second largest pair can also be made out, but the others cannot be paired accurately, nor is it possible to distinguish any single one of the eighteen sniaUer chromosomes which differs from the others in size, in staining reactions, or in any other way, sufficiently to allow its being identified with either a large or a small idiochromosome. These conelusions are substantiated by the fact that in all the gemini formed by the union of the chi’omosomes in pairs in the fii’st maturation division the components of each pair are of equal size. After comparing the relative value of sniears and sections in studying the chromosome numbers in spermatogonia, I am convinced that sections are far more reliable. Sniears, in fact, are often misleading. Although the chromosomes are well separated in smears (Plate XIX, Fig. 24), yet there is a tendency for the long macrochromosomes to separate into two, thus giving the appearance of twenty-two chromosomes. Since in Anasa the X-chromosome is as long as the macrochromosomes in Enchenopa, it is possible that we may here have an explanation of the fact that Foot and Strobell count 22 chromosomes in smears of this species, whereas Wilson (’05a, 05b), Montgojiery (’06), and Lefevre and McGill (’08) find only 21. The material at my command in the form of sections was very abundant and always showed with remarkable clearness twenty well defined chromosomes, never nineteen, which was the number pre- viously reported by Boring (’07). My conclusion is based on the study 252 Sidney I. Kornhauser of a large nuniber of nuclei, many of them carefuUy drawn. The chromo- somes are well separated and stand out with a clearness not exaggeratcd by tlie drawings. The chromosomal counts were made exclusively from material fixed in Hermann’ s fluid, which gives the clearest imagcs. In no animal in which I have made counts was there to be found any Variation from the normal number. While there were deeply staining chromatic bodies in ihe quiescent nuclei of early generations of spermatogonia, these were of such variable size, shape, and number that it was impossible to establish the identity of any of them with the pair of sex chromosomes of the spcrmatocyte. Nor was there any constancy as to the size and number of chromatic nucleoli until the last spermatogonia! division was reached. Figure 14 (Plate XIX) shows a condition characteristic for the quiescent nucleus of earlier generations. Xear the centre of the nucleus are found a few chromatic bodies, usually ill defined. In figure 17 (Plate XIX) — a quiescent nucleus of the last spermatogonial generation — a well defined chromatic body is present and also a less deeply staining clu'omatic nucleo- lus. These two chromatic bodies are found with great constancy, the less deeply staining one being often larger than the darker more compact body. This gives the first clew to the condition found in the growth period of the spermatocyte, where a single pair of chromosomes behaves differently from all the others. The chromosomes of the oögonia were studied in sections of young ovaries. While the number of counts made was not so large as in the case of the spermatogonia, owing to the difficulty of obtaining perfectly flat equatorial plates, stiU I feel quite certain that the number is twenty. Figurcs 25—28 (Plate XIX) represent cases in which there was not the least doubt as to the correetness of the counts made. While the size of the cells and of the chromosomes in the terminal chamber of the ovary is rather variable, yet the relative sizes of the chromosomes in a given cell compare exactly with those of the spermatogonia. In all cases the pair of macrochromosomes (dl) is very easily identified, and sometimes the second largest pair is also recognizable. As in the male, it is im- possible, from an examination of the diploid group, to recogmize any sex chromosome. B. Enehenopa curvata. The relation of the spermatogonia to the apical ceU is similar to that in E. binotata-, degenerating cysts are present also and show the same conditions as in E. binotata. Figures 11 and 12 (Plate XVIII) re- produce two successive sections cut at an angle of about thirty degi'ees A Comparative Study of the Chromosomes etc. 253 with the longitudinal axis of a tubule, At the tip of the sections may be seen a single spermatogonium in anaphase. Figure 11 (Plate XVIII) shows part of the nucleus of the apical cell, and processes of cytoplasm niay be followed to the degenerating cyst on the right. Figure 12 (Plate XVIII) shows part of the cytoplasm of the apical cell, likewise degene- rating cells at both right and left of it. In Figures 39—44 (Plate XIX) are shown types of degenerating cells. They closely resemble figures by Flemming (’87) of degenerating ceUs in the testis of Salamandra, by WiLcox (’95) in the testis of Cicada, by Schäfer (’07) for Dytiscus and by Büchner (’09) for Oedipoda; but I do not think that one is likely to confuse tliem with synizesis, as clainied by Büchner (’09). The younger cysts are spherical and the spermatogonia are roughly conical, their apices pointing toward the center of the cyst (Plate XIX, Fig. 29). Düring the entire quiescent period there remain in the nucleus deeply staining cliromatic Centers, which lie dose to the nuclear mem- brane and are connected with one another by achromatic fibers. Figures 30 and 31 (Plate XIX) are optical sections of a single spermatogonium at different levels. After a series of counts, I am convinced that these chromatic Centers correspond in number to the spermatogonial chromoso- mes, and represent the Centers about which the chromosomes form pre- ceding the spermatogonial divisions. This is also substantiated by the manner in which the chromosomes arise in the prophase, these resulting from condensations of the chromatin at particular points in the nucleus, rather than from the Segmentation of a spireme thread. While the chro- matin aggregates into comparatively short, weU defined, longitudinaUy split rods, apparently independent of each other, still the rods remain in Connection with one another by means of linin fibers, throughout the entire process of mitosis. The prophase chromosomes can never be con- fused with the chromatin of early stages in the growth of the spermato- cytes, which exhibits long thin chromatic threads. In the spermato- gonial mitoses the halves of the chromosomes separate simultaneously, the daughter chromosomes never adhering by theii- ends. The number of chromosomes in the spermatogonia of E. curvata is nineteen (Plate XIX, Figs. 32—36), as was contended by Boring (’07). Here, also, the large pair, the macrochromosomes, is the most striking characteristic. They are usually a little more curved than those of E. bino- tata, but are of practicaUy the same size, judging from camera drawings. Here also the second largest pair may sometimes be distinguished, but the remaining fifteen cannot be paired with accuracy, nor is it possible here to distinguish the single unpaired chromosome by its size or staining reactions. 254 Sidney I. Kornhauscr It has been inipossible to establish the identity of the X-chromosome by its beliavior at auy stage in the spermatogonial generations. Kot luitil the chromosouies of the telophase of the last spermatogonial divi- sion had becoine indistinct, did a well marked deeply staining nucleolus appcar, The oögonial nuinber of chromosomes in E. curvata is twenty (Plate XIX, Figs. 37, 38), one inore clu’omosome being present in the female diploid group than in the male diploid group. The macrochromo- somes and the second pair in size can here be rccognized, and the remaining clu-omosonies agree weU -svith those of the male. It is im- possible to recognize in the oögonia which is the pair of X-clmomo- somes. A study of the first spermatocytes shows that the X-chromosome is one of the smaller round chromosomes, not differing greatly in size froni the components of the eight smaller bivalent chromosomes. This makes it impossible to distinguish vith certainty the X-chromosome in the sperniatogonia, or the pah' of X-chromosomes in the oögonia, from the other sixteen smaU chromosomes. Reasoning from work on other hemiptera, — Protenor (Moxtgomery, ’Ol, ’06; Morrill, ’IO) and Anasa (Montgomery, ’06; Wilsox, ’06; Morrill, ’IO), where the X-chromo- some is characterized by its size from all the other chi'omosomes, and is represented in the female by two X-chroniosonies, — we are safe in assuming that the difference in the number of chromosomes between the male (19) and female (20) of E. curvata is due to the presence of 2 X- chromosomes in the female soma. In Thelia Mmaculata, a membracid, the X-chromosome is the largest of the 21 chromosomes in the sperniatogonia (Plate XXI, Fig. 191). In the female diploid group (Plate XXI, Fig. 192) there are two large chromosomes and the \Yhole number is 22. The size of the X-element in this species is ^Yell brought out in the groYYth period and mitotic stages of the first spermatocyte (Plate XXI, Figs. 193—198). This is merely additional proof of the kind offered by Anasa and Protenor, and extends the facts to the family Membracidae, of which Enchenopa curvata and Enchenopa linotata are members. C. Comparison of the Diploid Groups of Enchenopa binotata and Enchenopa curvata. In E. bmotata the chromosomal numbers are 20 in the male and 20 in the female: in E. curvata 19 in the male and 20 in the female. A com- parison of the spermatogonial and oögonial groups of E. binotata and E. curvata shows a great similarity, not only in the relative size of the A (’oniparative Study of the Chromosomes etc. 255 chromosomes, but also in actual size'^). The large pair (ili) is present in both species. The one great difference in the spermatogonia is the pre- sence of eighteen small chromosomes in E. binotota as compared with seventeen in E. curvata. From a study of the maturation divisions of E. curvata, we know that one of the seventeen is an unpaired Z-chromo- some. In E. binotota, on the contrary, we have ten bivalent chromo- somes in both maturation mitoses, none of which are composed of asym- nietrical halves. We ai'e therefore led to the conclusion that, if any sex chromosomes are present in E. binotota, they must be paired and equal in size. This would be contrary to all cases so far reported among the Homoptera, and only one such case, that of Oncopeltus (Montgomery, ’Ol, ’06; Wilson, ’lla), remains among the Heteroptera, since Wilson (’lOa, ’lla) has found his former description of Nezara {'Odai) to be in- correct. Montgoihery (’06) claimed that the idiochromosomes of Nezara hilaris were of unequal size. In the Heteroptera the components of the idiochromosome pair iisually remain separate in the first maturation division and pair only in the second division. This gives a clew to the presence of definite sex chromosomes, which are usually unequal in size. Since the maturation mitoses afford no evidence which enables us to deterniine the presence of definite sex chromosomes in the spermatogonia of E. binotata, we are left entirely to the study of the growth period of the spermatocytes for any facts which may lead us to believe that they are present. VII. Growth Period of Spermatocytes. A. Enchenopa binotata. After the last spermatogonial division, the autosomes can not be followed directly as individuals through the various stages leading up to the formation of the leptotene threads. The nuclei of the early sper- niatocytes are characterized by a very fine network, along which the chromatin granules are scattered. At the points where the fibers forming the network unite, the chromatin forms larger masses, which give the nucleus a characteristic dotted appearance (Plate XIX, Fig. 45). The uet- 4) It is of utmost importance, in making comparisons of the size and shape of chromosomes in different species to use material which has been fixed and stained in exactly the same way. Thus Figure 36 (Plate XIX) represents a spermatogonium of E. ciirvaia from a testis killed in Bouin’s fluid. While the chromosomes are clear and distinct, yet they differ greatly from those killed in Hermaxx’s fluid (E. curvata, Figs. 32 to 35; E. binotata, Figs. 20 — 23), being more angidar and ha\nng the curvatme of the macrochromosomes increased. ArchiT f. ZellforscLung. XII. 17 256 Siclnev I. Konihauser work is filier aucl the particles more evenly distributed than diuing the quiescent periods of the sperniatogonial generations. One deeply stainiiig chromatin iiucleolus is present and also a second, less deeply staining, body, whicli is often larger than the fü’st, but less distinct in outline. FoUoiving tliis stage the chromatin granules gradually assemble along definite portions of the network leaving niany of the linin threads devoid of clu-oniatin (Plate XIX, Fig. 46). The clironiatic nucleolus is no longer visible, but one often finds instead a fine deeply staining thread, ivhich probably owes its origüi to this body, although it has been impossible to foUow the history of the chroniatic nucleolus continuously. The chromatin next fornis definite threads (Plate XIX, Fig. 47), which later become more distinct, finer, and less ragged (Plate XIX, Figs. 48, 49). At no time was a continouous spireni found, but the leptotene threads reniaiu connected to one another by fine linin fibers through- oiit this Stage. The number of the leptotene thi'eads could not be deter- mined with accuracy owing to the tortuous form and scattered arrange- ment of the threads. However, in ceUs küled in Hermaxn’s fluid (Plate XIX, Fig. 49), in which the threads were loosely scattered and distinct, one can be sure that theh number corresponds fairly weU with the diploid number of chi-oniosomes^); that the number is greater than the reduced number of cliromosonies is certam. At the edge of sections stained in crystal violet or Heedexhaix’s haeniatoyxhn foUoMiug fixation in Heiolvxx’s fluid, many nuclei of the leptotene stage show a single straight non-grauular and deeply stammg tliread (Plate XIX, Figs. 47, 48). Several cases were found, such as that shown in Figure 48, where one end of this dark thread had united with a broader less deeply staining thread. Transitions from the leptotene to the zygotene condition coidd be foUowed in single cysts, but in no case could a gradual transition in thick- ness from the single to the double threads be found. Only occasionally did nuclei present a polar arrangement of the leptotene thi'eads (Plate XIX, Fig. 50) at a stage when they run side by side beforc their union, such as has been described by the Schreixer’s for Myxine, Toinopteris, Spinax and Salamandra, by Jaxssens for Älytes, and by Agar for Lepidosüen. Leptotene and zygotene threads appear in the same nucleus and often two leptetene threads partially united along their lengths were found ®) In none of the figures have I attempted to draw all the threads in the nuclens, for the overlapping threads seen at different focusses would give a far more confused appearaaice than that seen in the object itsclf. Üptical sections, or actual sections, of teils have been employed for the sake of simplicity whenever recpiired. A Comparative Study of the Clu'omosomes etc. 257 (Plate XIX, Figs. 51, 52). The iinion never takes place by a twisting of two threads about each other, but merely by the parallel approximation of two single threads, which show the plane of union as a light straight line when the thi’ead is viewed at a favorable angle. The zygotene threads, showing their doubleness well in osmic acid material, soon enter the bouquet stage, with the free ends of the loops pointing toward one side of the nucleus, that is, toward the positive pole (Figs. 53, 54, 55). The presence of a centrosome at this pole could not be determined in my material. Stages where one (or more) of the zygotene threads had not yet formed a complete loop, as in Figure 53, were often encountered. I could not detect at this stage an exact correspondence of the granules of the two components of the double threads such as has been maintained by adherents both of metasyndesis and of parasyndesis. In E. curvata the granules are more distinct, and I shall refer to theni in the description of that species. As the polar arrangement of the loops is assumed, there is a gradual shortening and thickening of the threads to the pachytene condition. It is here that synizesis occurs, which, however is not of long duration. In properly fixed material, especially that fixed in Hermann’s fluid, the chromatin never clumps together into a shapeless, homogeneous mass, but the shortencd loops, which crowd together at one side of the nucleus, maintain theh- general form and position, exhibiting their doubleness when cut in cross section. The threads soon become longer and less deeply stained, and show the light longitudinal clef t more clearly (Plate XIX, Fig. 55). This is the stage most favorable for a study of the double threads. Side views show that there is always one loop (Fig. 55 M.) which is longer than any of the others, and this doubtless corresponds to the pair of macrochromosomes seen in the spermatogonia. Another characteristic is the presence of a single pair of deeply staining threads which do not form a loop (Plate XIX, Fig. 55). This pair is peculiar in several other ways. The halves are often united by one end merely (Fig. 54), and only later become approxünated tlu’oughout their entire length. But by far the most strikhig peculiarity is the difference in structure exhibited by the components of this pair, one {x) being compact and homogeneous, the other {y) more like the members of the autosome loops; however, the latter {y) stains more deeply than the autosome threads and is made up of larger and more distinct granules (Plate XIX, Fig. 55 xy). This pair can be foUowed through the entire growth period, appearing with re- markable clearness in the stages foUowing the polar arrangement of the loops. Its cüstinctness depends, however, a great deal on the degroe 17* 258 Sidnev I. Koniliaaser to which the staiii is extracted. In favorable cells, correspoiiding to tbat of Figiire 55, but seeii in end view (Fig. 56), one can distinguish, by its compactness, this deeply staining paii’ from the eighteen ends which correspond to nine longitudinally double loops, or to the eighteen autosomes of the spermatogouia. After the polar arrangement is lost, the loops can still be foUowed and counted. Figure 57 shows aU ten loops; the line of union of the components of each loop being still clearly visible. The increase in size of both cytoplasni and nucleus is noticeable at this stage. The growth continues until the beginning of the formation of the tetrads in the late leptotene stage, when the maxinmm cell size is reached. As the autosome loops elongate and become less distinct, the deeply staining pair also increases in size and is more conspicuous (Plate XIX, Figs. 58, 59, 60), its halves being again strikingly different from each other; one (x) is a solid rod of chromatin, the other (y) a beaded string of chromatin gra- nules of various sizes. While the members of this pair are fused together at one end only, they are never in intimate contact any where eise, al- though generally they ai’e exactly pai'allel. It can haidly be doubted that they arise from the pan seen in Figures 48 and 54 (xy) by their end to end fusion followed by parallel apposition of the thieads throughout their whole length. That the affinity for each other of the two chronioso- mes forming this pair is not so great as that displayed by the pairs form- ing the autosome loops, is shown by their slowness in becoming parallel, by the space between them when parallel, and by their early sepai'ation, which has already begun in the stage represented by Figure60(PlateXIX). As seen in the study of the spermatogouia (Plate XIX, Figs. 15, 18, 20—23), there were twenty chromosomes in E. iimtata, not nineteen as previously reported by Boeing (’07). This author describes one of the nineteen as a large curved a:-chroniosome, which makes its appearance in the growth period as a long twisted deeply staining body. That this “deeply staining body” represents a pair of chi'omosonies, is shoAvn not only by its own structure and origin, but also by the spermatogonial counts. It therefore cannot represent an a>chromoscme, but must be an allosome pair, differing less from the autosomes in behavior than do the idiochroniosonies of the Heteroptera, even where these {Oncopeltus fasciatus and Nezara hilaris) are of equal or nearly equal size. These are the only paired allosomes so far described in the Homoptera. It can not be doubted that they differ from the autosomes and that the halves, judging from the amount and character of the chromatin in each of them, are not of equal value. Since they lead to the formation of two sorts of A Comparative Study of tlie Chi'omosomes etc. 259 sperniatids, as will be shown fartlier on, they can certainly be associatecl with the so-caUed “sex-chromosomes”. I shall therefore designate them as the xy pair; x being darker, more homogeneous, and richer in chromatin than y, its mate. The beginning of the strepsistene condition is characterized by the Separation of the threadlike chromosonies forming each of the double loops. That this Separation coincides with the line of apposition of the chromosomes during syndesis cannot be doubted, for at no time has there been a complete fusion of the components of the double threads, the light longitudinal cleft being always evident. The Separation niay begin either at one end or along the middle of each pair (Plate XIX, Figs. 60, 61). Often both ends of a pair remain connected while the chromosomes lengthen out and twist about each other (PlateXIX,Figs. 62, 64, 65), Later they stain more diffusely, thus becoming less distinct than in the early strepsistene stage. The components of the xy pair separate along their entire length early in the strepsistene stage (Plate XIX, Fig. 61), but still retain their deep stainability. The ^-component now shows its beaded conditions to a less extent than at an earlier stage, and stains nearly like the auto- somes, but darker. The aj-component shortens and remains deeply stained (Plate XIX, Figs. 62—65). The formation of the tetrads from the twisted strepsistene timeads will be described in more detail in E. curvata, where the process can be observed with greater clearness. In brief, it is this: the partially sepa- rated halves of the paired twisted threads shorten, stain more deeply, gradually untwist and each component of a pair splits longitudinally. The longitudinal split is a true division of each chromosome, such as occurs in the early prophase of the somatic and spermatogonial mitoses, and can in no way be confused with the Separation of the components of the diploid threads which were formed by the parallel union of pairs of chromosomes in syndesis. Often the pairs of chromosomes remain connected at both ends, forming rings. EspeciaUy is this evident in the macrochromosome pair. Soon, however, the two extremities where the chromosomes are joined together to form rings, become diffcrentiated from each other. That which is to persist in the formation of the tetrad corresponds to the short arms of the cross-shaped tetrads and marks the point of Separation of the chromosomes in the first spermatocyte division. Each chromosome is flattened or band like and this end is somewhat broader than that opposite. IVlien one views face wise the ends of the chromosomes that remain in contact during the formation of the tetrad. 260 Sidnev I. Kornhauser it is seen that the ends are iii contact at tbeir thin edges by thick f ihres, but that elsewhere they are separate ; thus an oval opening appears between the two ends, as seen in the ring occupying the upper part of Figure 66 (Plate XIX). The opposite end, where the union is only temporary, shows no thickening, and the ends are united only by fine linin fibres. IVith the shortening of the cliromosome bands, these narrower ends separate froni each other, and the linin fibers are thus soon stretched apart and become invisible before the tetrad has beconie completely straightened out (Plate XIX, Figs. 67, 68, 70). The longitudinal division of each chromo- some band becomes more noticeable as the tetrads become less ragged and more deeply stained (Figs. 68, 70). The shorter chromosomes usually separate at one end in the strepsinema, and in condensing form ITs and V’s. These straighten out, thus giving rise to short tetrads, usually in the form of crosses (Plate XIX, Figs. 67—69). There are eight of these, which con’espond to the sixteen small autosomes of the sperniatogonia, and they form the eight small dumb-beU shaped tetrads of the first sperniatocyte (Plate XIX, Figs. 67—69)®). In addition to the macrochroniosome tetrad and the eight small tetrads, we have stiU another double cliromosome, the xy pah, which we have already followed to the strepsinema (Plate XIX, Fig. 65). The K-component was there represented as short and deeply stamed, the ?/-component as longer and granulär. Between the stages represented bj' Figures 65 and 66, this pair could not be followed. AVhen, however, the tetrads became less scattered through the nncleus, it could be distinguished in three ways: 1. by its staining reaction, 2. by the dissiniilarity of its two component parts, and 3. by the method of union between the com- ponents. This pair stains more deeply than the ordmary tetrads before complete condensation, the a:-component being noticeably darker than the y (Plate XIX, Fig. 66). The ^-component is larger and less regulär in outline, and it often shows one or more light regions quite devoid of chromatin. Xeither shows a longitudinal division. The two are connected by a single, short, deeply staining Strand, which is probably referable to the intimate end-to-end union of this pair (Plate XIX, Figs. 54,58—61). A little later, the y-component also condenses and stains quite as deeply as the Ä-component (Plate XIX, Figs. 68, 70). The rod of chromatm con- necting the two components appears with great clearness; it is in this Figure 67 (Plate XIX) is diawn from a smear preparation luade without cliying, aiul fixed in fumes of Flemmixg’s fluid while still moist. There is in this case httle distortion of the chromosomes or cell body, as may be observed by a comparison with sections. A Comparative Study of tlic Chromosomes etc. 261 iorni that they enter the first spermatocyte division. The a;-component is now of practically the same size as the y-component. B. Enehenopa ourvata. The history of the autosomes in the growth of the sperniatocytes of E. curvata presents nothing fundamentally different from that of E. - hinotata. There are, however, several points of interest, which are worthy of consideration: first, the disposition of the chromatin granules in the zygonema and strepsinema; secondly, the formation of the macrochromo- sonie tetrad; and, thirdly, the behavior of the a;-chromosome and its relation to the autosomes and chromatic nucleoli. The beginning of the growth period in E. curvata is niarked by the gradual condensation of the chroniatin along definite lines of the very fine network into which the spermatogonial chromosomes of the last generations have resolved themselves (Plate XX, Fig. 71). When the leptotene tkreads first appear, they preserve in their angular courses an indication of their origin from a chromatic network. They are loose in texture, and connected one with another by fine linin fibers (Plate XX, Fig. 72). In preparation for syndesis, the threads lose their angularity, and also become finer and more distinct (Plate XX, Fig. 73). Here, also, it is possible to make only approximate counts of the leptotene threads, on account of their tortuous condition. I am convinced, however, that theh’ number is nearer that of the spermatogonial chromosomes than of the spermatocyte or reduced number. The parallel union of the thi’eads is shown in E. curvata even more clearly than in E. linotata, and often in a nucleus containing many lep- totene threads, one or two zygotene threads are found which are fre- quently parallel in pairs either along their whole length or part of their length (Plate XX, Figs. 76, 77). A polar arrangement of the leptotene threads was not found in E. curvata. Figures 74, 75, and 77 (Plate XX) Show the first zygotene threads forming in nuclei in which most of the chromosomes are in the leptotene stage. It is not unusual to find a pair of long threads united at both ends, but not in dose contact along their entire lengths (Plate XX, Figs. 74, 75, 78). When the double chromosome threads have been formed, they assume a definite polar arrangement. The ends of all the loops usuaUy point toward one side of the nucleus; but occasionally exceptions were found in which a loop was inverted. A comparison of the chromatin granules on either side of the interchromosomal cleft of each double loop shows that very often the granules do not coincide either in size or position. 262 Sidnev I. Kornhauser While this is true for only the early zygotene stage, yet it argues agaiust the origin of the double threads by a longitudinal division. Soon the loops shorten to the zygopachytene condition and the nucleus goes through the stage of synizesis. The loops remain distinct, although they are closely crowded together and very deeply stained. Gradually the loops loosen out and the bouquet stage is entered upon. As in E. hinotata, there is present one very long loop, which can be seen in side views of the bouquet stage. It doubtless represents the pair of niacrochromosomes, which are easily distinguished in the later stages of the growth period. The macrochromosome loop often bends so that its apex (middle of the bend) conies into dose approximation with the apex of one of the shorter loops. These loops, seen in profile, then show, where they approach each other, a light line, which at first niight be interpreted as the point of union of two chromosomes (Fig. 80) and used as an argument for metasyndesis. Careful focussing, however, shows that this is not the case, but that the light line, such as seen in figure 80, is between two independent loops, not a point of approximation of half loops. In polar views one can foUow the contours of each loop, and their apices do not show any evidence of end to end conjugation. Moreover, if this light hne seen in side views were the line of fusion between two chromosomes, it would be necessary to explain why the conjugants are very frequently of such different lengths. The total number of autosome loops can be got by counting the ends of the loops at the positive’) pole of the nucleus. There are eighteen such ends, which correspond to nine double chi'omosomes. The longitudinal or interchromosomal cleft is often plainly visible in these polar views (Plate XX, Fig. 81). As the loops give up their regulär polar arrangement, the cytoplasm and nucleus both increase in volume; the threads beconie narrower and less deeply stained, and they do not show the interchromosomal hght line very distinctly. Figures 82 — 84 give three successive optical sections of a cell at this stage in which all nine autosome loops could be foUowed from end to end. These sections are combined in the diagram Figure A. I have not attempted in this diagram to indicate the doubleness of the threads or the distribution of the chromatin granulös, but merely represent the extent of the loops and their relation to the nucleolus and to the .c-chromosome. 7) I designate as “positive” pole of the nucleus the pole toward wliicli the free ends of the loops are directed. A ('omparative Stiuiy of the (’lironiosomes etc. 263 The J^-chromosome is conspicuous throughout the eiitire growth period. It can be seen as a deeply staining body in the early leptotene nuclei (Plate XX, Figs. 71, 72), and it soon applies itself to the nuclear inembrane at the side of the nucleus toward which the ends of the zygotene loops later converge, that is, at the positive pole of the nucleus. Here, in the early bouquet stage, it is seen as a rounded knob-like niass of chro- matin attached to a larger chromatic body, which is either flat or elongated into a rod (Fig. 80). A little later the a;-chromosome elongates and be- comes Club shaped, the narrow end pointing toward the positive pole of the nucleus, where it terminates in a mass of very deeply stain- ing chromatin. This mass of chromatin, in dose connection with the a>chromosome, is at first single, then it beconies bilobed (Plate XX, Figs. 83, 84), and usually divides into two, or sometimes three, chi’omatic nu- cleoli (Figs. 85, 86), which often remain in direct connection with the ic-chromosome (Plate XX, Figs. 89—93). As illustrated in textfigure A, the autosome loops do not come into dose contact with the «-chromosome, but they do converge toward the chro- matic nucleolus. AVhen this nu- cleolus breaks up into two or three nucleoli, each portion remains in intiniate contact with one or more autosomes by means of linin fibers (Plate XX, Figs. 85, 92, 93), which radiate from the nucleoli like the spokes of a wheel. Since these nucleoli usuaUy remain connected with the x-chromosome (Figs. 89, 90, 92, 93), they form a secondary means of connection between the x-chromosome and the autosomes. These chromatic nucleoli, deeply stained, are very conspicuous in the strepsi- nema until the autosomes become very hazy in outline; then they become more granulär, gradually give up their stainable substance, grow smaller, though still exhibiting radiating fibers (Plate XX, Figs. 94, 95), and finally disappear before the tetrads arise (Fig. 96). The chro- matic nucleoli are doubtless those seen and figured by Boring (’07, p. 490, Plate IV, Fig. 113) and designated by her as m-chromosomes Textfigure A. Diagram of first spermatocyte of i'. curvata, basecl on Figures 82 — 84 (Plate XX), representing the end of the bouquet stage. Xine loops (actually double), the x-chromosome and the chromatic nucleolus are shown. 264 Sidnev I. Kornhaiiser 011 accoimt of their stainability in the growth period. There are, however, niany facts which argue against theii- identity with the w-chromosomes of Wilson: namely, 1. that there is no small compact pair of chromo- somes in the prophase of the first spermatocyte division; 2. that these chromatic nucleoli are variable in number and size; 3. are often in dii'ect Connection with the x-chromosome, and 4. lose their stainable substance in the late leptotene stage. The Ä-chromosome itself exhibits a variety of forms. Very often it is club shaped (Plate XX, Figs. 82, 86, 93—95) and contains a large vacuole, the chromatin being peripheral and concentrated more toward one end. The presence of the fluid-filled vacuole gives the a>chromosome the appearance when seen in optical section (Plate XX, Fig. 86) of being longitudinally divided. There is a clear area of cytoplasm around the ic-chromosome, which is not traversed by the double loops. Possibly there is a repulsion between the autochromatin and the a>chromosome, or its by-products, due to some special metabolic activity of this body. In the late strepsistene stage the vacuole of the a;-chromosome disappears and the chromatin condenses into a deeply staining rod, which is usually somewhat bent and may even beconie ring shaped (Plate XX, Figs. 91, 96—100). Later this shortens and forms a deeply staining spherical chromosonie, while the autosomes are still tetrads of a ragged form (Plate XX, Fig. 101, 120). It is seen to be attached to one or more tetrads by linin fibers (Plate XX, Fig. 101, 120); these may possibly represent the former connections between the a-chromosome and the chromatic nucleoli which have chsappeared during the formation of the tetrads. The autosomes have been described only as far as the stage where the polar arrangement of the double threads (Plate XX, Figs. 82—84) was being lost. As this proceeds further, the interchromosonial clear line becomes more distinct and there appears to be an exact correspondence in the size and position of the chromatin granulös on either side of the line. Inasmuch as this was not true of the early zygotene threads, it must be a secondary condition. It seems improbable that the granules have changed position automatically, but we may find a possible mecha- nisni for this rearrangement in the shortening of the threads to the zy- gopachytene condition of synizesis — which brings the granulös into dose contact — and in their subsequent elongation. For, as the linin basis of each loop expands, those chromatin granules which are approxi- mated in pairs and have an affinity for each other might remain together. The early strepsisteile stages (Plate XX, Figs. 87, 88, 90) show the pairing A Comparative Study of the Cliroinosoines etc. 265 of the granules best, for the portions of the threads between the graniiles graclually lose their staining capacity. As the chromosomes of the early strepsistene stage separate, they begin to twist about each other; but they remain joined together at one or both eiids (Plate XX, Figs. 87, 89, 90). The outlines of the threads become hazy and only the granules stain (Fig. 91). Soon the granules also become smaller and less distinct and finaUy only ill defined threads of loose texture still in connection with the chromatic nucleoli can be seen (Plate XX, Figs. 92, 93). Then, judging from the scarcity of cells in this stage, for a short period, during which the chromatic nucleoli disappear and the x-chromosome condenses, the substance of the autosomes is very indistinct and can not be traced as individual chromosomes (Plate XX, Figs. 94, 95). The cells at this stage have attained their maximum size and the transition to tetrad formation is rapid, for all the successive stages may be fol- lowed in a single cyst. As the chromatic matter condenses and regains its affinity for basic stains, it is seen to take on a variety of forms. The members of a pair may be twisted about each other several times (Plate XX, Figs. 98, 100), they may lie parallel with each other, being connected at one or both ends (Fig. 96), or they may simply form U’s or V’s. In follow- ing the tetrad formation, I have taken the macrochromosome pah- as an example, since they are largest, clearest, and can not be confounded with the smaller tetrads, even in early prophases, on account of their size (Plate XX, Figs. 98, 99). Figures 103 to 118 illustrate sonie of the various phases which this tetrad may assume. The two chromosomes which form it may be closely united along nearly their whole length (Plate XX, Fig. 103), or they may be twisted about each other while still United at both ends (Fig. 104), or, thircUy, they may be connected at one end only (Fig. 105). This Variation doubtless accounts for the different forms which are shown in Figures 106 to 115. The twisted chro- mosomes contract and split longitudinally. This split usually begins to be noticeable at that end which will lie in the equatorial plane of the spindle at the first spermatocyte division, which is likewise the end of attachment of the two chromosomes to each other in late prophase. The partial Separation of the halves of both chromosomes of the tetrad (Plate XX, Figs. 106, 107) leads doubtless to cross-shaped forms, such as are seen in Figures 102 and 114 (Plate XX). The force of the longitudinal contraction of the linin groundwork may cause the production of the short arms of the cross from the partially separated halves, such as seen in Figures 99 and 106 (Plate XX). As the 266 Sitbiev I. Kornhauser cliromosomes coutract, the short arms of the Grosses l)ecome snialler. Remnants of them remain for some time (Fig. 116); but they disap- pear before the dissolution of the nuclear membrane. The quadripar- tite form of the tetrads is usually lost in the last stages'of contraction (Fig. 117). When the cliromosomes remain connected at both ends (Figs. 108, 109), either rings or figure-eight tetrads are formed (Plate XX, Figs. 110 tü 112). The Connection which is to remain until the complete Separation of the chromosome in the first spermatocyte division shows an oval open- ing between the points of union (Figs. 110, 111). The other ends of the two cliromosomes are attached to each other less intimately — nierely by fine fibers, which are stretched apart (Plate XX, Figs. 113, 115) in the forniation of the double-rod tetrad of the first division (Fig. 117 to 119). The rings are not formed by a secondary approximation of the ends of two ribbon-like chromosomes, but are the resiüt of the per- sistence of the union between the ends of the chromosomes which united in pairs parallel to each other and then in the strepsinema separated only in the region between the two ends. One of these persisting Con- nections is lost before the spindle is formed, the other at the anaphase of the first division. Thus this first maturation division separates whole chromosomes which are connected end to end. and is therefore a pre- reduction division. If oiie compai'es the macrochromosome tetrad of Anifhiscepa^) hivittata Say, with that of Enchenopa one finds very iuteresting similaiä- ties and differences. The large tetrad in this fulgorid arises froni two very long spermatogonial chromosomes. The chi-oniosomes of the prophase of the fiist spermatocyte division before condensing and splittmg longitudinaUy, show points of connection at both ends (Figs. B and C). Later it can be seen that one of these pomts of Union (Fig. D, right hand side) broadens considerably iiiore than the other and shows an oval opening. This union doubtless corres- ponds to that characterized by the short arms in cross-shaped tetrads, such as shown in Figure 114 (Plate XX). Unlike E. curvata and E. hinotata, the ring form is usually not lost in Amphiscepa when the chronio- somes coutract, but both ends remain connected. The interchromosonial area - - the opening of the ring — (Fig D) decreases, changes froni a circle to an oval (Fig. E), and fmally to a thm slit-like opening, which ®) I am indebtcd to Miss Axnie P. Hexchmax for the use of her very excelleiit preparations of Amphiscepa, from which figures D to H were drawn. A ('omparative Stad}' of thc Chromosomes etc. 267 corresponds to the line of unioii of the clironiosomes in syndesis. In this form, parallel to each other along their lengths, the two chromosomes forming this macrochromosome tetrad lie in the eqiiatorial plane of the spindle of the first spermatocyte division (Fig. G). Occasionally the macrochromosome tetrad enters the spindle with the chromosomes end to end (Fig. H). This is due to the loss of the ring form and is similar to the condition found generally in Enchenopa. In Figures G and H the same resnlt is attained; that is, whole chromosomes are separa- ted; but in Figure G it is by a longitudinal Separation and in Fi- gure H by a transverse Separation. Tetrads of both forms were found in neighboring cells of the same cyst. Before the first maturation di- vision of E. curvata, one can distin- guish in both sinears (Plate XX, Fig. 121) and sections (Plate XX, Figs. 101, 102) the macrochromo- sonie tetrad, eight small tetrads corresponding to sixteen small auto- somes of the spermatogonia, and the round compact ic-chromosome with linin fibers radiating from it. The a>chromosome does not usuaUy Show the future plane of division, but in smears (Plate XX, Fig. 121) it could sometimes be detected. Textfigxires B to H. Figs. B — H. The macrochromosome geminus in the first spermatocytes of Ämphiscepn bivittata. Figs. B — C. Macrochromosome geminus of early prophase, previons to longitudinal division. — Fig. D. Same at later stage showing longitudinal differentiation of the ends that are in contact. — Figs.E— F. Late prophase. Jf. microchromosome geminus. — Fig. G. Spindle of first maturation division. df. bivalent with both ends of components in contact. — Fig. H. Samo stage M. bivalent with only one end of components in contact. C. Comparison of the Growth Period and Tetrad Formation in Enchenopa binotata and Enchenopa curvata. A comparison of the behavior of the autosomes in the growth period of E. hinotata with that of E. curvata shows that there is a niarked simi- larity between the two species. The double threads of the bouquet stage are formed by the parallel union of pairs of leptotene threads. There are nine of these double loops in the bouquet stage, one of which is much longer than the others, and this doubtless represents the macrochromo- some paii’ Seen in the spermatogonia. This long loop forms a ring in the 268 iSidney I. Kornhauser. early prophase, ^Yhich later straigliteus out to form the large tetrad of the first spermatocyte. Eight smaUer tetrads are formed in each species, and these correspond to sixteen small chromosomes of the spermatogonia. The allosomes, however, differ greatly in the two species; E. binotata lias an equal pair of allosomes ; E. curvata has a single a:-chromosome, \Yhich is of about the size of one of the allosomes of E. binotata. The be- havior of the allosome pair in E. binotata shows that it resembles to a great extent the autosome pairs, inasmuch as its components lie parallel for a considerable period and finally form a double chromosome in the early prophase. The argunients for considering them allosomes have beeil given in the description of E. binotata. They were there designated as the xy pair, x being richer in stainable substance and remaining com- pact throughout the growth period; y being more granulär, looser in texture and less easily recognized in the strepsinema and early tetrad formation. In E. curvata there is a typical unpaired .'C-clu'oniosome recognizable during the entire growth period. It is often in direct connection with two or tliree chromatic nucleoli, which stain deeply and are connected by linin fibers to the double autosome thi-eads. It was shown that these nucleoli disappear in the late strepsistene stage by a gradual loss of chro- inatin. The a;-element forms a spherical and deeply staining chromosome, which shows its future plane of division only in smear preparations. It is also characterized by distinct linin fibers connecting it to neighboring tetrads. These fibers are again in evidence at the first maturation division. Comparative Suniniary up to the First Maturation Division. Enchenopa hinoiata Enchenopa cunata Spermatogonia] 1 f 2 macrocliromosomes 2 macrochromosomes Chromosomes j |l8 smaller chromosomes 17 smaller chromosomes Total : >0 19 Growth Period of Spermatocyte Autosomes T long double thread 1 long double tluvad 8 shorter double threads 8 shorter double threads Allosomes 1 pair allosome threads 1 a:-chromosome -1- 2 or 3 chro- {xy pair) matic nucleoli fl large tetrad 1 large tetrad Prophase of| First Sper-> 8 small tetrads 8 small tetrads 2 small allosomes, xy pair, 1 small spherical x-chromosome connected to each other connected to tetrads by dis- matocyte | by a thick deeply stain- ing Strand. tinct linin fibers. A Comparative Study of the ('hromosomes etc. 269 VIII. Division of first Spermatocyte. A. Enchenopa binotata. In the metaphase of the first spermatcyte division there are seen in the equatorial plate ten chromosomes®) connected with one another by fine linin fibers (Plate XX, Figs. 126, 127). The macrochromo- sonie geminus is conspicuoiis on account of its size. Lateral views of the spindle show this pair extending lengthwise, also eight smaller geinini and the allosome pah’ (Plate XX, Figs. 122—125). UsuaUy it is ini- possible to see the longitudinal division of the chroinosomes, but it lias beeil possible to deinonstrate their quadripartite compositioii in a rather peciiliar and striking manner. Near the edges of material fixed in Her- mann’s fluid, after staining first in alizarin and then in crystal-violet, when decolorizing with acetic acid, the chromosoines seein to give up the violet stain rather rapidly, but not the alizarin. The result, repre- sented in Figures 119 and 136 (Plate XX), shows each geminus to consist of four deeply staining rods. Sometimes (Plate XX, Fig. 119) the outline of the whole chromosonie, stained orange in alizarin, can be seen. ln such cases a comparison of the decolorized chromosome with a deeply staining one (Plate XX, Fig. 118) froiii the deeper por- tions of the material shows clearly which are the homologous chromo- sonies. üccasionally a small tetrad which has not yet contracted fnlly enters the spindle still retaining its quadripartite form (Plate XX, Fig. 128). Gross (’04b) has also found cases similar to this in Syromastes. The allosome pair (Plate XX, Figs. 128—135 xy) is characterized by the thick single strand connecting the two components, which show a considerable Variation in form. In such ceUs as Figure 136 (Plate XX) represents this pah’ has greater affinity for crystal-violet than any of the other chromosomes. The allosome pair stains deeply and falls to show any evidence of a longitudinal division. These characteristics in form and staining reaction are the same as those exhibited by this pair in the late prophase. While there is often a considerable difference in the form of the two components of this allosome geminus, it is impossible to decide by nieans of either size or form wliich of the two is the a;-com- ponent and which the i/-component. 9) The discrepancy in the size of the chi-omosomes in different cells is due to tlie method of fixation employed. The relative sizes of the chromosomes in a single cell remain the same, but after fixation in Hermann’s fluid (Plate XX, Figs. 127, 135, 137) the chromosomes appear larger than after the use of Flemming’s fluid (Plate XX, Figs. 126, 128, 129). 270 Sidnev I. Kornhauser Figure 137 (Plate XX) represents an early auapliase of the first spermatocyte division. On the left is seeii the macrochromosonie geminus with two fibers stiU connecting its component halves. In the middle is the xy pair, the connecting Strand having just broken. Figure 138 (Plate XX) shows a cell located at the edge of a section stained in crystal-violet after flsation in Hermann’s fluid. The xy pair has stained deep purple, the autosomes niuch lighter. The xy connecting strand also shows well. The Separation of all the chromosomes is synchronous (Plate XX, Fig. 139), the xy pair neither preceding nor lagging behind the autosomes. As the chromosomes near the poles of the spindle (Plate XX, Fig. 140), they appear much shorter in side view and often form a nearly flat plate; this enables one to study them in polar views with- out confusion. Figure 141 (Plate XX) represents a late anaphase group seen in end view. It is composed of ten chromosomes, the macro- chromosome, longitudinally split, eight smaller chromosomes also split, and one showing no division. IVhether the undivided chromosome is the allosome, which is slow in dividing, cannot be stated with certainty, but in no case was it possible to count niore than nine chromosomes which showed the future line of Separation of the second division. There is no interkinetic period, the second spermatocyte division foUowing imme- diately upon the first. Often metaphase stages of the second division and anaphases of the first division are found in the same cyst. B. Enchenopa eurvata. As in binotata, there are ten chi'omosonies in the metaphase of the fhst spermatocyte division (Plate XXI, Figs. 142, 143). Side views (Plate XXI, Figs. 144—147, consecutive sections of one cell) show the macro- clironiosome paii', eight smaller gemini and one smgle spherical chromo- some, the a>-element, which is usuaUy peripheral in position (Plate XXI, Figs. 142, 147 x) and nearer one pole than the other (Figs. 148, 149 x). This ic-element may also be distinguished by the thick linin fibers which connect it to the neighboring gemini. These fibers stam niore deeply than those connecting the autosomes with one another and play an im- portant part in the behavior of the a;-chromosome during the first divi- sion. They are, I believe, the same fibers that were seen in the prophase of the first spermatocyte (Plate XX, Fig. 101, 120) and are referable to the Connection which existed between the ic-chromosome and the chro- matic nucleoli which, after the bouquet stage, became connected with the autosome loops (Plate XX, Figs. 85, 92, 93). A Comparative Study of the Chromosomes etc. 271 Occasionally a longitudinal division of the a^chromosome was seen extending in the direction of the spindle (Plate XXI, Fig. 147). This is probably the normal Orientation of the a:-chromosome, but it may be that it is altered in the anaphase. As the chromosomes separate (Plate XXI, Fig. 150), the a>element, connected to the autosomes, is drawn nearer the axis of the spindle, and as the autosomes approach their centrosomes, it is located between the two chromosome plates, being elongated in the axis of the spindle and still showing plainly the connecting fibers (Plate XXI, Figs. 151, 152). The fibers stain darker than the interzonal filaments and are not necessarily parallel to them, often making a considerable angle with the axis of the spindle. NormaUy the a;-element is drawn nearer to one pole than to the other and is included undivided in one of the two second spermatocytes (Plate XXI, Figs. 153, 154). But in exceptional cases (Figs. 155—163, Plate XXI) the ic-element seems to be pulled with equal force by the fibers connecting it with the two groups of chromosomes. In some cases it is turned 90° on its axis (Plate XXI, Figs. 155, 157— 159) i®); in other cases it is simply drawn out in its normal Orientation (Plate XXI, Fig. 161) and divided (Plate XXI, Figs. 162, 163). Abnormal divisions of the a;-element have been described by Baum- gartner (’04) for Gryllus and lately by Stevens (’12b) for Diabrotica, Brunelli (’09) has suggested that the division described by Baumgartner was that of a lagging autosome pair and not of the rc-element. In E. curvata, however, the presence of the thick fibers and ,a consideration of the usual behavior of the a^element show that here the cases where this element is divided are caused merely by an exaggeration of normal processes. NormaUy ten chromosomes pass to one pole and nine to the other. Fach shows a longitudinal cleft in late anaphase and immediately enters upon the second division, as in E. Unotata. C. Comparison of the First Spermatoeyte Division of Enehenopa binotata and Enehenopa curvata. The behavior of the autosomes is aüke in both species. The gemini are elongated in the axis of the spindle. This is most clearly seen in the macrochromosome tetrad, and from the history of this pair of chromo- somes it is clear that the spindle fibers are inserted upon those ends of 1®) Figure 159 was made from a smear slide, first dried and then fixed and stained. Oniy two fibers connecting with the a:-element remained visible after this treatment. Archiv f. Zellforscliung. XII. y8 272 Sidney 1. Kornhauser the chromosomes ^Yhicll in early prophase were sometimes connected to form the large ring-tetrad (Plate XX, Figs. 110 and 111), but later, as the tetrad shortened, puUed apart (Plate XX, Figs. 113, 115). The first spermatocyte division separates "whole chromosomes, which are joined end to end to form gemini in both E. hinotata and E. curvata. The division, being transverse, is reductional and corresponds to the hetero- typic division of such forms as often retain the ring form of tetrad in the first division after parasyndesis, as described by the Schreiners (’06a) for Toinopteris and by Janssens et Willems (’09) for Älytes. In ÄmpMscepa (p. 267, Figs. B— H) both ends of the large ring-tetrad often remain connected; the insertion of the spindle fibers is lateral, not terminal, and the first division, though reductional, separates two chromo- somes which lie parallel to each other with their long axes transverse to that of the spindle. In E. hinotata, the x- and ?/-components of the allosonie pair separate froni each other reductionally and neither lag behind nor precede the autosomes in division. In E. curvata, the a;-element normaUy passes to one of the two daughter cells undivided. It is always lengthened in the direction of the spindle owing to its attachments to the separating auto- somes and is sometimes divided into two parts, although this phenomenon is unusual and probably abnormal. IX. Division of the Second Spermatocyte. A. Enchenopa binotata. There are ten chromosomes in all the second spermatocytes (Plate XXI, Figs. 164—168). The macrochromosonie is broad (Fig. 169) and not elongated in the axis of the spindle. IMien seen in end view (Figs. 164 to 166) it therefore appears larger, in proportion to the other chromo- somes, than it did in the first maturation division. The shape of the macrochromosonie in this division is corrclated with its longitudinal division, which was already seen in Figure 141 (Plate XX). There is nothing unusual about the second division. The chromo- somes separate concomitantly (Plate XXI, Figs. 170—172, 174), and are weil separated from one another lateraUy, so that it is possible to count late anaphases with perfect accuracy (Plate XXI, Fig. 173). In such anaphase plates and in spermatids from smear slides (Plate XXI, Fig. 175, 176, 177) there were always ten well defined chromosomes. I found no evidence of an unequal distribution of the chromosomes A Comparative Study of the Chromosomes etc. 273 to the two daughter nuclei in the second division, though Boring (’07) described that condition for this species. In each spermatid one chromosome retains its stainability after the others have become less conspicuous (Plate XXI, Figs. 177—179). This is doubtless the descendant of the allosonie pair, and since both the x- and the ^-components stained deeply during the growth period and in the first maturation spindle, and since the pair divided in both mitoses, it is only natural to find that all the spermatids possess a deeply staining chromosome. It was impossible to separate the spermatids into two categories depending upon the degree of stainability of this chromosome; but from the behavior of the xy pair in the early growth period, in the prophase of the first spermatocyte and in the maturation divisions, two classes of spermatids must be formed. This is shown in a diagrammatic way in Plate XXII, to which I shall refer later. B, Enchenopa curvata. In E. curvata equatorial plates of the second division show nine or ten chromosomes with about equal frequency (Plate XXI, Figs. 180, 181). The macrochromosome is often broad and short (Fig. 185), which means that the second division is longitudinal. It is therefore an equa- tional or homeotypic division. All the chromosomes divide and the a^chromosome is not distinguishable from the small autosomes. Fi- gures 186 and 187 (Plate XXI) show two sister anaphase plates from neighboring sections, the plane of section having passed through the equator of the spindle. Occasionally second spermatocyte metaphases contain nineteen chro- mosomes (Plate XXI, Fig. 188). This is probably due to the failm'e of the ceU body to divide in the first spermatocyte division. This view receives support from an exaniination of side views of such double second spermatocytes, for they often showtripolar spindles and other irregularities. Aside from these indications, no giant spermatocytes were encountered, but there were found giant spermatids and giant spermatozoa, which probably owed their origin to these undivided first spermatocytes. In E. curvata there are two classes of spermatids of equal frequency, those containing a deeply staining a;-chromosome (Plate XXI, Fig. 189), which are descendents of second spermatocytes with ten chromosomes, and those without a deeply staining chromosome, descendents of nine- chromosome second spermatocytes (Fig. 190). In Thelia himaculata the a>element is the largest chromosome (Plate XXI, Figs. 191—199) and half the spermatids have a large deeply staining chromosome (Fig. 199). 18* 274 Sidney I. Kornhauser C. Comparison of the Second Spermatocyte Division of Enchenopa binotata and Enchenopa curvata. In E. Unotata all the second spermatocytes contain ten chromosomes, wliich divide concomitantly. Each spermatid receives ten chromosomes, one of which owes its origin to either the x- or the ?/-component of the allosome pair. A deeply staining chromosome is present in each spermatid. In E. curvata half the second spermatocytes contain nine, the other half ten chromosomes. AU these chromosomes divide and there thus arise two classes of spermatids, those with an a:-chromosome and those without this element. Half the spermatids show a deeply staining chromo- some when the other chromosomes have become gramdar. The second division in both species is equational or homeotypic, and the plane of division of the chromosomes corresponds to the longitudinal division first seen in the formation of the tetrads in the early prophase of the first spermatocyte and again evident in the anaphase of the first maturation division, this plane being at right angles to the first plane of division. ^Vhile the formation of two classes of spermatids is more evident in E. curvata than in E. Unotata, the history of the xy pair of E. Unotata leads to the conclusion that here, also, two categories of spermatids are forme d. X. Discussion. A. Syndesis and the Maturation Divisions, The importance of the study of the chromosomes in maturation rests upon the foUowing assumptions, partly theoretical and partly ob- servational; 1. that the chromosomes are the bearers of hereditary qual- ities (Roux-WeiSjviann); 2. that the inheritance of a sexually produced animal is dual and that certain portions, at least, of this inheritance can be resolved into units, which are paired and usuaUy behave indepen- dently of each other, being segregated in accordance with the law of pro- babUity at the time of the production of gerni cells (Mendel); 3. that the chromosomes of a single germ ceU are qualitatively different from one another (Boveri, Wilson); 4. that two homologous sets of chromo- sonies are brought together in the production of a zygote, one set maternal, the other set paternal (Montgomery); 5. that there is genetic conti- nuity of the chromosomes from cell generation to cell generation of the germ ceUs through all the s iccessive generations — oögonia and oöcytes, spermatogonia and spermatocytes — (Boveri, Sutton); 6. that in the A Coniparative Study of the Chromosomes etc. 275 early growth period of the germ cells there is an intmiate approximation of the chromosomes (parasyndetically or metasyndetically) into pairs, each of which is composed of two homologous chromosomes, one maternal, the other paternal (Moxtgomery) ; 7. that during the growth period there is either a) a transfusion of substance between the members of a double thread, or b) the two chromosomes fuse together into a single thread, which later may fall to separate along the line of fusion, or c) whole Seg- ments (internodes of the strepsistene stage) of the twisted threads are transposed from one chromosome to the other, or d) the chromosomes remain unaltered in themselves and synmixis is brought about by the maturation divisions (rotation, permutation, etc.); 8. that the matura- tion divisions bring about the Separation of chromosomes which are qualitatively unlike, and thus reduce the number of chromosomes (and the determiners) to one half that of the soma cells. Thus we have two complementary sets of phenoniena, one mani- fested in the inheritance of organisms, the other manifested in the pro- duction of their germ cells; there can be no doubt that the rediscovery of Mendel’ s law has done much to increase the study of maturation of the germ ceUs and to throw light upon the significance of the pro- cesses seen there. It is to Montgomery (’Ol) first of all that we owe theideaofthe pairing of the diploid complex of chromosomes bymeans of size relations into two groups, one set maternal, the other set paternal, and the formation of the gemini of the first maturation division by the Union of homologous pairs of chromosomes of the two groups. Later it was maintamed that the cliromosornes could be paired, not only in the matter of size, but also because of similarity of form (Baumgartner ’04; Blackman ’IO). SuTTON (’03) and Boveri (’04) found in these facts a mechanism for the explanation of the phenoniena exhibited in alternative inheritance (Mendehan inheritance). Assuming that the chromosomes of a germ ceU are qualitatively different, then in the pairing of the chromo- somes previous to maturation allelomorphic pairs of determiners are brought together by the conjugation of homologous chromosomes (one maternal, the other paternal) ; then, by the Separation of the components of the gemini (reduction division) and the inclusion of one set of chromo- somes, partly maternal and partly paternal (following the law of pro- babüity), in each of the two resulting ceUs, the members of the aUelomor- phic pah's would be segregated as required to explain Mendelian inheri- tance. This would be in perfect agreement with Mendel’ s law, were a single chromosome the bearer of only one unit character, an assumption which is not, however, borne out by the facts of breeding, for there seem 276 Sidney I. Kornhauser to be many raore units which behave independently in inheritance than there are chromosomes in the germ cells, to say nothing of the disparity in the number of chromosomes in nearly related animals and plants. If, then, each chromosome bears a number of determinants, there must be some mechanism for the redistribution of these determinants other than a mere chance Separation of the diploid complex of chromosomes into two unlike groups. Many phenomena exhibited in the conjugation of the chromosomes have been described in the past ten years and many theories to explain their relation to heredity have been propounded. Theory has often run far ahead of established fact, and the opponents of the chromosomal basis of heredity have not failed to bring this state of affairs to light. The whole question rests mainly on the rnethod of syndesis, the formation of the tetrads, and the meaning of the maturation divisions. The wärmest controversies have arisen over the rnethod of the origin of the double loops seen in the bouquet stage. In spite of the vehement objections of those who maintam that this doubling is nierely a longitudhial division (Me\t;s ’08; Goldschmidt ’08b; Haecker ’IO, ’ll), there has been a steady increase in the data, gathercd from both zoölogical and botanical research on diverse and often widely separated forms, going to show that the double threads result from the side-by-side union of the chromosomes in pairs. Winiwarter et Sainmont (’09) have main- tained the position taken by "Winiwarter (’OO), that in mammals it is parasyndesis which takes place in the oöcytes. Their view differs from that of the Schreiners — who are also strong adherents of parallel conjugation of the chromosomes and have described this rnethod of syndesis for many invertebrates as well as vertebrates (’06a— ’08b) — as regards the degree of intimacy of the union between chromosomes. Winiwarter et Sainmont Claim an absolute fusion of the conjugants, and in this they are supported by Bonnevie (’ll). The Schreiners, on the other hand, maintain that the interchromosomal line remains throughout the period of the lateral approxiniation of the threads and that the line of Separation in the strepsistene stage corresponds to the interchromosomal line of the zygotene stage. The facts gathered from the study of Enchenopa support the view of the Schreiners. Gregoire (’05, ’09, ’IO) has upheld the rnethod of syndesis and reduction described by the Schreiners and has attempted to apply this rnethod (parasyndesis followed by hetero-homeotypic division) universaUy to both plants and animals. The first division is reductional and se- parates the chromosomes which paired side by side; the second division A Comparative Study of the Chromosomes etc. 277 is equational. This is essentially the type which the Schreiners described for Tomopteris (’06a) and used as a model in their subsequent work. Other cases of parasyndesis have been described by Agar (’ll), Mont- GOMERY (’ll), Janssens (’05), and Janssens et Willems (’09). Janssens (’09) has suggested that synmixis takes place not by transfusion or ab- solute fusion of the double threads, but by a niethod which he calls the “chiasraatype”. After parasyndesis the chromosomes of a pair, in his opinion, twist around each other in the strepsistene stage and each beeomes longitudinally divided. The nodes, where the twisted chromosomes are in intimate contact, fuse and the internodes of the two longitudinally split chromosomes may become transposed from one chromosome to the other. His theory is based upon observations of the amphibian Batracoseps. It would seem, however, that the transfer of whole inter- nodes of chromosomes would bring about the coupling of hereditary characters to a greater extent than has been found in breeding experi- ments (Morgan ’ll). The insects appear to be particulary favorable objects for the study of syndesis and reduction; especially is this true for the groups of Ortho- ptera, Hemiptera and Diptera. The chromosomes are usually well de- fined and no such astounding discrepancies in the diploid number of chromosomes and the number in the first maturation spindle of a single form have arisen as in the case of less favorable material, such, for example, as Zoogonus, which has been studied by Goldschmidt (’08a), the Schrei- ners (’08b), Gregoire (’09), and Wassermann (’12) with widely different results. Cases of parasyndesis in insects have been described for Locusta (Otte’06; Schreiners ’06b), for Stenobothrus (Gerard ’09), for Ceutho- philus (Stevens ’12a), and for Euschistus (Montgomery ’ll). In all these cases, as in Enchenopa, the chromosomes of the last spermatogonial di Vision were not followed as individuals to the leptotene stage; but by comparison with other insects, especially Orthoptera in which each spermatogonial chromosome enters a small vesicle of its own (Sutton ’02; Davis ’08; Büchner ’09) and retains its individuality, it is not unlikely that the leptotene threads are merely modified chromosomes of the last spermatogonial division. Where a fine network is formed from the spermatogonial chromosomes, as in Enchenopa, we cannot say, how- ever, that synmixis does not take place before the leptotene threads are formed. The Union of the leptotene threads does not take place in such an orderly manner in the insects as in the vertebrates described by Wmi- WARTER, the Schreiners, Janssens, and Agar. In the former there 278 Sidney 1. Kornhauser seems to be previous to syndesis no polar arrangement of the threads followed by a gradual parallel union progressing from tlie positive pole. Instead, leptotene thi'eads, parallel or partially united in pairs, cross one another m an irregulär fasliion. Gerard has described the fonnation of a double spirem not by Splitting, but by the apposition of the gra- nules from a network into two long tortuous filaments lying side by side and later segmenting. The cases of parasynapsis described in insects are irreconcilable with the vievs of those who maintain that there is first a polar arrangement of the threads united end to end in pairs (metasyndetically), and that this is followed by a gradual broadening and Splitting of the granules (Davis ’08; Büchner ’09). In Enchenopa it was found that doubling took place before the bouquet stage, that no gradual broadening of the leptotene threads could be discerned, and that the chromatic granules of the double threads in the early zygonema were not symmetrically placed on the two sides of the light longitudinal line of union. Montgomery (’OO, ’Ol, ’03, ’04) maintained that the chromosomes paii’ed end to end, although he suggested (’Ol, p. 225) that the bivalent chromosomes of vertebrates might be formed by two univalent chronioso- mes becoming apposed to each other along their whole length, and that a subsequent opening out of the chromosomes along the line of union, the ends remaining connected, might thus form the ring-shaped chromo- somes of heterotypic divisions (amphibians, annelids, and insects). This method of conjugation of the chi'oniosomes (parasyndesis), he finally described for the hemipteron EmcMsius, and he also convinced himself (’ll, p. 754) of the reality of parasyndesis in the amphibian Plethodon. The ring-shaped bivalents of the prophase of Euscliistus originated, not by a secondary approximation of the ends of two chromosomes previously joined end to end into U-form bivalents, but from the persistence of the Connections at their ends of two chromosomes which had been parallel along their whole length. This has also been found to be true for the ring-shaped bivalents of Enchenopa (Figs. 103—117, Plate XX) and Äm- phiscepa (Figs. B— H). The latter often retained the double connection in the first maturation division. In Euschistus, as in Enchenopa, the rings do not persist, but straighten out before the spindle is formed. Recently, Stevens (’12a) has described parasyndesis for the ortho- pteran Ceuthophilus. The method of chromosomal union which she has described is not merely a parallel apposition of two leptotene threads, but, in addition, a twisting of the two about each other. It is here, per- liaps, that suitable material for a consideration of Janssens’ “chiasmatype” A Comparative Study of the Chromosomes etc. 279 may be found. Miss Stevens describes the Separation of the conjugants in the strepsistene stage as taking place by a process of unroUing. So far as regards ^ncÄenopa, the threads are so indistinct in the late strepsis- tene stage that no evidence could be gathered either for or against syn- niixis during this stage. The reasons for believing that the hetero-hoineotypic niethod of division takes place in Enchenofa have been given in the description (p. 271—272, 274), the evidence being based mainly upon the deport- nient of the macrochromosomes. In niost of the recent investigations of the spermatocyte divisions in numerous insects, this is the type that has been found to exist. Gregoire (’05, ’IO) has given a complete review of these cases, as weil as of those which differ froni this type, namely, those described by McClung (’05), Gross (’04a, ’04b, ’06), Otte (’06), and Wirke C07). B. The Sex-Chromosomes. During the past several years niuch has been done to extend our knowledge of the so called sex-chromosomes. A complete history of their behavior in the matnration divisions in both sexes has been foUowed in the insects (Morrill ’IO) and in the nematodes (Gulick ’ll), and the results agree perfectly with the hypothesis first brought out by Stevens and Wilson: namely, that the female is homozygous in regard to sex chromosomes (2a:), while the male soma is heterozygous {x) or (x+y)’, that (in general) all the matured eggs have the sanie chromosomal Con- stitution, but that the spermatozoa are of two kinds, those with an x~ chromosome, “female determining spermatozoa”, and those without an a>-chromosome (or with a ^-chromosome in place of an x-chromosome) “male determining spermatozoa”. It has also been shown that there is a definite association of these heterochromosomes (assuming that they are not the primary determinants of sex, but nierely an index of sex) in the case of the sexual and hermaphrodite generations of the nematode Angiostomum (Schleif, ’lla, ’llb; Boveri, ’ll), likewise in partheno- genetic and sexual generations of the aphids and phyUoxerans (Morgan ’08, ’09; VON Baehr ’09), and in the hybridization of the ($) guinea fowl with the (cT) common fowl (Guyer ’12). The facts brought out by these researches also lend Support to the hypothesis that, in these cases at least, the male normally produces two sorts of spermatozoa and that in those cases where only one sex results from sexual reproduction, one of the two classes of spermatozoa either fails to develop or is non-func- tional. 280 Sidney 1. Kornhauser A more detailed study of the composition and behavior of the hetero- clu'omosomes in spermatogenesis shows: 1. that the a;-chromosorae is often complex; 2. that the a>chromosome is often found associated with metabolic products in the growth of the sperniatocytes; 3. that 'when a pair of idiochromosomes is present, the x- and ?/-chromosonies show their affinity for each other in varying degrees in the different species examined; 4. that the relative size of the paired heterochromosoines varies greatly, and that this pair niay be connected with the autosomes; 5. that the unpaired a:-chroniosome, or heterotropic chromosome, either may be coupled with a pair of autosomes in the maturation divisions and only occasionally separate from them, or may be partially or entirely independent of the autosomes, lying outside the spindle in division and tending to form a nucleus of its ovm. These five propositions will now be discussed. 1. Gases where the x-chroniosome is represented by several chroniatic bodies which are still intimately associated with one another have been reported from diverse groups of animals. In Syromastes (Wilson ’09a, ’09b) the a;-element is in the form of two chromosomes in the male, and these two a:-elenients are represented in the female by four chromosomes. Guyer (’IO) has reported a similar condition in the spermatogenesis of man. This'case, however, would seeni to need confirmation, for both Gutherz (’12) and Montgomery(’12) have, in the main, been unable to Support Guyer’s contention. An interesting possible transition stage from a single to a double a’-chromosome may be that of Cicindela (Ste- vens ’09a), where the a>-chromosome is markedly bilobed. Payne (’09) has shown that in Fitcliia the a-element is represented by three chromo- somes, in Prionidus by four and in Gelastocoris by five; in all these cases the a-complex has as its synaptic mate a single i/-chromosome. In Ascaris lunibricoides (Edwards ’IO) the a-element is composed of five chromosomes with no synaptic mate, the diploid numbers of chromosomes being 43 in the male and 48 in the female. One of the most interesting cases is that of Thyanta custator (Wilson ’lla), IMiereas the typical form has an unequal pair of idiochromosomes, the a-chromosomes being considerably larger than the ?/-chromosome, another race of the same species was found in which the a>element, though no larger than that of the usual type, was represented by two chromosomes. Wilson, foUow- ing Stevens (’06), suggests that the a’-chromosome is complex and that the paired idiochromosomes may be formulated as xy+y, wherein xy is the larger idiochromosome, and y the smaller idiochromosome. This interpretation would then lend an explanation to the origin of the un- A Comparative Study of the Chromosomes etc. 281 paifed rr-chromosome by the subtraction oi y+y from xy + y. The ques- tion immediately arises, what has become of y+y in forms which have au impaired a>chromosome {E. curvata for instance)? Does y+y form a separate pair of chromosomes, either different from or similar to the autosomes in the growth period (for the ?/-chroniosome stains deeply in forms having paired idiochromosomes), or is the substance of y+y taken up by the autosomes? I shall return to a consideration of this question in a discussion of the probable origin of the unpaired a>chromosome of E. curvata. 2. The sex chromosomes are usually characterized by their form and stainability in the growth of the spermatocyte; they remain Condensed and seldom lose their affinity for basic stains to the same degree as do the autosomes. Gases have been described in which the allosomes are vacuolated or are intiniately associated with plasmasomes during the growth period of the sperniatocytes (Wassilieff ’07, Dederer ’07, Büchner ’09, Payne ’09). Both Büchner and Wassilieff attribute to the x-chromosome the production of cytoplasmic granulös or mitochon- dria. The x-chromosome is often surrounded by a clear area of cytoplasm (as in E. curvata), which may indicate sonie special metabolic activity of this body affecting the autochromatin. Brunelli (’IO) has suggested that the a;-chromosonie may be associated with the transformation of oxy- chromatin into basichromatin in the formation of the tetrads at the end of the growth period. All these cases would seem to indicate that there is a special “x-chromatin”, physiologically different from the “auto- chromatin”. Goldschmidt (’IO) and Büchner (’09, ’IO) have considered the x-chromosome merely as a special configuration of tropho-chromatin, comparable to Giardina’s ring and to basic nucleoli of oöcytes, but not a true chroniosome. The last conclusion is hardly justifiable, for in oögonia, spermatogonia and soma cells of animals possessing definite sex-chromo- somes it is known that the behavior of these bodies in mitosis is similar to that of the autosomes. That they may be different physiologically but still be chromosomes is not unlikely. However, we cannot have a clear idea of their function until a careful comparative study of their behavior in the oöcytes and spermatocytes of the same species has been made. 3. The behavior of the components in the case of the paired idio- chromosomes seems to differ in the various Orders of insects. In the spermatogenesis of Orthoptera (Randolph ’08, Stevens ’IO) they unite just before the fh’st maturation spindle is formed. This has also been shown to be the case in many Coleoptera and Diptera (Stevens ’06, ’08, ’09a). In the Hemiptora (heteroptera) the idiochromosomes fail to unite 282 Sidney 1. Kornhauser uiitil the second niaturation division, at which time they come together end to eud and subsequently separate reductionally (Wilson ’Oöa, ’Oöb, ’06; Moxtgomery ’OO, ’ll). The allosomes certamly exhibit less affinity for each other than do the autosomes. In E. hinotata it was shown that the xy pair was formed (alter the pairing of the autosomes) in the zj'go- nema by an end to end fusion of two threads followed later by their ap- proxiniation side by side. In the Orthoptera and Coleoptera this union occurs still later, and in the Hemiptera (heteroptera) it is delayed until the second spermatocyte division. Can we in any way account for the Variation in the degree of attraction or repulsion which these chromo- somes exhibit toward each other? If we assume that the idiochromosome pair is represented by the formula xy + y, and that y and y tend to attract each other (perhaps representing the basis of allelomorphic cha- racters), while the “a;-chromotin” is indifferent to “y-chromatin” or “auto- chroniatin”, then the attraction between the large idiochromosome and the small idiochromosome would depend upon the amount of “y-chro- matin” still remaining in the large idiochromosome (assuming that y+y tend to separate froni xy+y). 4. The deportment of the y-chromosome and “y-chromatin” is of utmost importance in a consideration of the probable origin of the un- paired a-chromosome frorn a pair of idiochromosomes. Formulating the paired heterochromosomes as xy+y, it is logical to suppose that in its unniodified form xy (the larger idiochromosome) should contain more chromatin than y (the smaller idiochromosome). This seems to be true of the majority of cases, for only a very few examples of equal hetero- chromosomes have beeil described: Oncopeltus (Montgomery ’06, Wil- son ’lla), Änisolabis (Randolph ’08), PMlosamia (Dederer ’07), and other Lepidoptera (Cook ’IO). In E. linotata it was shown that, although it was impossible in metaphase to distinguish in size between the two components of the allosome pah, yet the behavior of its two components in the growth period showed that one contained more stainable sub- stance than the other. This might indicate that it may not always be the amount of chromatin which determines the size of a chromosonie, but that size may also depend upon the linin which forms the ground- work for the chroniatin. In Acholla multispinosa (Payne ’09) the ^-chromosome is larger than the ic-complex, which is made up of five chromosomes. It is possible that here we have a case in which tliere is a breaking up of the x- chronio- some and a loss of some of its “i/-chromatin”, which tends to link itself to the original ^-chromosonie. A Comparative Study of the Chromosomes etc. 283 In Anopholes (Stevens ’ll) both members of the heterochromosome pair are united to the ends of a long pair of autosomes. Examination of the diploid groups showed that these heterochromosomes are of unequal size in the male and equal in the female. In the first spermatocyte division, they may be seen as two knobs at the opposite extremities of a long autosome geminus fornied from the two chromosomes to which they were connected in the spermatogonia. This would indicate, under the assump- tion that the pair of idiochromosomes equals xy+y, that “^-chromatin” and “auto-chromatin” are not antagonistic. In Nezara hilaris there is a pair of idiochromosomes nearly equal in size, but in Nezara viridis the y-chromosome is very small, the a:-chromo- some about the same size as that of N. hilaris (Wilson ’lOa, ’lla). Should it be proved that the “i/-chromatin” is taken up by the autosomes, N. hilaris might represent an intermediate form, which one might expect to find between two forms such as E. Unotata (with x equal to y in size) and E. curvata (with only x). 5. The unpaired sex-chromosome or heterotropic chromosome may be associated more or less intimately wüth one or more autosomes. In the Orthoptera McClung (’05) and Sinety (’Ol) have shown that the a^chromosome may be connected to one end of an autosome geminus in the maturation divisions. In Ascaris megalocephala (Boeing ’09, Boveri ’09, Edwards ’IO) the a>element is recognizable only occasion- ally, being usuaUy fused to an autosome. This may also be the explanar tion of the asymmetrical tetrad of Ascaris felis (Edwards ’ll). In other Cases there are heavy fibers connecting the ic-element to one or more autosomes in the maturation divisions (Davis ’08, Fig. 91, Plate VI; Demoll ’12, Fig. 43, Taf. VI). This was also true of E. curvata and probably accounted for the lagging and lengthening of the Orelement. FinaUy, the archromosome may be entirely independent of the autosomes. It may lie in a separate vesicle during the growth period of the sperma- tocyte, take a position outside the spindle in the maturation divisions, and tend to form a nucleus of its own (Sutton ’02, Baumgartner ’04, Davis ’08, Brunelli ’09). Following out the preceding considerations, I have attempted to suggest in a diagrammatic way (Plate XXII) how the unpaired ic-chromosome of E. curvata may have arisen from the allosome pair of E. bimtata. In these diagrams are included the macrochromosome pair, one of the eight smaUer autosome pairs, the allosomes and the chromatic nucleoli. As far as possible, within the limits of diagrammatic clearness, the typical form of the chromosomes in the given stages is adhered to. 284 Sidney I. Kornhauser The Symbols, black for “autochromatin”, white (i. e. ontlines only) for “ic-chromatin”, small cii’cles for “2/-chromatin” and dots for liniii, are of coui’se only hypothetical. Figure 200 (Plate XXII) represents the bouquet stage of E. Unotata. The autochromosomes are paired side by side, the allosonies {x and y) have united end to end. The a;-component contains “a>chroniatin” and “;y-chromatin”, the ^/-component contains only “y-chromatin”, but equal in amount to that of the a:-component. Figure 201 shows the lateral approximation of the aUosomes, diie possibly to the attraction of “^-chromatin” for y-chromatin. The auto- somes have given up their polar arrangenient. In the strepsistene stage (Fig. 202) the aUosomes separate, the a;-component shortens and the y- component appears less granulär. The paired autosomes separate along their lengths and twist about each other. In Figure 203 the aUosomes have contracted still farther, the a;-component more so than the y- component, and they show a thick connecting Strand between them. The autosomes have contracted and split longitudinally. Figure 204 represents a stage slightly older than Figure 203 and shows a complete condensation of the aUosomes and the straightening out of the tetrads. FoUowing this is the metaphase of the first spermatocytedivision (Fig, 205). This is a reduction division for both the autosomes and the aUosomes. The rc-component passes to one of the resulting cells (a, Fig. 206), the ?/-component to the other ceU (b, Fig. 206). The divisions of the second spermatocytes are represented in Figures 207 and 208. The division of cell a gives rise to two spermatids (Fig. 208 a^ and a^) of like compo- sition. Each contains half the substance of the o^component of the allosome pair and is “female determining”, having both “ä- chromatin” and “y-chromatin”. CeU b gives rise to two “male determining” sper- matids (Fig. 210 bl and b^), which contain no “a>-chromatin”, but chromatin” equal to that of a^ and a^ (Fig. 208). Turning now to E. curvata (Figs, 211—222), the bouquet stage is re- presented in Figure 211. It shows two paUs of autosomes (one the macro- chromosonie pair), the a;-element (composed of “x-chromatin” and a smaU amount of “^/-chromatin”) situated at the positive pole of the nucleus, and the chromatic nucleolus, which is in intimate relation with the a:-element. It is assumed that this nucleolus, which stains like an aUosome, is composed of “^/-chromatin”, part of which originaUy be- longed to the rc-element, and that when the autosomes passed froni the fine network stage (foUowing the last spermatogonial division) into the early leptonema and began to pair, this “«/-chromatin”, stül attracted by the “?/-chromatin” of the a;-element, gathered at the positive pole. A Comparative Study of the Chromosoraes etc. 285 With the loss of the polar arrangement of the autosomes (Fig. 212), the chromatic nucleolus divides and comes into close contact with the auto- somes, but still retains its Connection with the x-element. As the strepsis- tene stage advances (Fig. 213), the chromatic nucleoli become smaller (giving up their substance to the autosomes?). When the tetrad form is reached (Figs. 214, 215), only linin fibers, upon which the “t/-chroma- tin” was scattered, remain connecting the x-chromosome with the auto- somes. Since the rc-chromosome has retained some of its “^-chromatin”, it is attracted by the “?/-chromatin” now contained in the autosomes; but should the x-element lose all its “?/- chromatin”, it would be indifferent to the autosomes and behave entirely independently of them, as in Oedipoda (Büchner ’09), BrachystoJa (Sutton ’02), and Oryllus (Baum- gartner ’04, Brunelli ’09), Figure 215 represents the metaphase of the first spermatocyte division. The a>element is spherical, its future plane of cleavage is parallel to the axis of the spindle, Linin fibers connect it to the autosomes. As the autosomes separate (reductionally) the linin fibers pull the a>chromosome toward both poles and it lengthens (Fig. 217). Sometimes, as seen in Figures 162, 163 (Plate XXI), it breaks into two parts at this stage, but normally it passes undivided in late anaphase to one of the two daughter cells (a, Fig. 218). The second division (Figs. 219, 221) is equational and all the chromosomes (lying with their plane of division parallel to the equator of the spindle) separate simultane- ously. The spermatids resulting from the division of the second spermato- cyte a (Fig. 219) are represented in Figure 220, (a^ and a^). Fach con- tains half the ^c-chromosome and is “female determining”. Those coming from cell b (Fig. 221), represented by b^ und b^ (Fig. 222), contain no rc-chromosome and are “male determining”. Thus, in the distribution of the “aj-chromatin” the same end resuit is achieved in both E. iinotata and E. curvata (compare Figs. 208, 210, with Figs. 220, 222, respectively, Plate XXII), but the distribution of the “«/-chromatin” may be unequal in E. curvata, depending upon the breaking up of the chromatic nucleoli (Fig. 213). This, following the Suggestion of Wilson (’lla, ’llb) and Morgan (’ll), may off er a possible basis for the association with the a>element of characters borne by the “?/-chromatm” and situated in the a;-element or autosomes. E. binotata probably represents the allosomes in one of the least modified forms, phylogenetically speaking, and suggests that it may still be possible to discover scme difference between the components of the aUosome pairs in the growth period of the spermatocytes of such forms as the Lepidoptera. Transitional forms between such hetero- 286 Sidnej’ I. Kornhauser chromososomes as are found in E. binotata and E. curvata may also be found in the homopterous Hemiptera. XI. Summary. 1. In Enchenopa bimtata and E. curvata the large apical cell at the distal end of each tubule of the testis functions in the nutrition of the spermatogonia. Its long cytoplasmic processes are larger and more distinct when degenerating cysts are present. 2. The sperniatogonial number of chromosomes in E. binotata is twenty; two macrochromosomes, and eighteen smaUer chromosomes. 3. The spermatogonia! number of chromosomes in E. curvata is nineteen; two macrochromosomes and seventeen smaUer chromosomes. 4. The oögonial number of chromosomes in both species is twenty; two macrochromosomes and eighteen smaUer chromosomes. 5. The double threads of the bouquet stage are formed by the side- by-side union of the leptotene threads in pairs (parasymdesis) in both species. Syndesis takes place before a regulär polar arrangenient of the loops is assumed. In both E. binotata and E. curvata there are nine double loops equivalent to eighteen autosomes of the spermatogonia. One loop is much longer than any of the others and doubtless corresponds to the macrochromosomes. 6. In E. bimtata a pair of deeply staining threads come together end to end in the early bouquet stage and afterwards become approximated side by side. One is a solid rod, the other is granulär and contains less chromatin. This pair of threads forms a geniinus (xy) in the early pro- phase of the first spermatocyte before the autosomes have fuUy contracted. It is characterized by its deep stainability, by a single thick Strand con- necting the two components, and by the absence of a longitudinal line of division. This pair of aUosomes (xy) bears characteristics of both heterochromosomes and autosomes. 7. In E. curvata there is a single a:-chi-oniosome, deeply stainable throughout the growth of the sperniatocytes, and in Connection with it are several chromatic nucleoli. These nucleoli offen retain their Con- nection with the a^chroniosome and also become attached to the auto- somes. They gradually disappear in the late strepsistene stage leaving the deeply stained a:-chromosome connected to the autosomes by distinct hniii fibers. 8. In the metaphase of the first spermatocyte of E. bimtata there are ten bivalent chromosomes: viz. one macrochromosome geminus, eight A Comparative Study of the Clu-oniosomes etc. 287 smaller autosome gemini aud a pair of allosomes {xy). In E. curvata there are nine bivalent chroniosomes and one univalent chromosonie (ä); here, also, there are present a macrochromosome geminus and eight smaller autosome gemini, The univalent ai-chromosome retains its Con- nections with the autosomes. 9. The first spermatocyte division is transverse and reductionaL In E. hinotata aU the chromosomes separate simultaneoulsy ; in E. curvata the avchromosome lags, and is lengthened in the direction of the spindle. This lagging is probably due to the thick fibers connecting the rr-chromo- some to the two groups of separating autosomes. The x-chromosome usuaUy passes undivided to one of the two second spermatocytes, but exceptionaUy it is pulled in two. 10. The second spermatocyte division is longitudinal and equational. In both species all the chromosomes separate siniultaneously. All the spermatids of E. Unotata contain ten chromosomes, one chromosome {x or y) retains its stainabihty longer than the other nine. In E. curvata half the spermatids contain ten chromosomes, and the other half nine. In those with ten chromosomes one (x) chromosome retains its deep stainability. Cambridge, Mass., April 15, 1912. Bibliography, Agar, W. E. 1911. The Spermatogenesis of Lepidosiien paradoxa. Quart. Journ. Micr. Sei., N. S., No. 225. Vol. LVII. Part 1. p. 1 — 44. pl. 1 — V. 1 textfig. Baehr, W. B. von. 1909. Die Oogenese bei einigen viviparen Aphididen imd die Spermatogenese von Aphis saliceti, mit besonderer Berücksichtigung der Chromatinverhältnisse. Arch. f. Zellf. Bd. III. S. 269 — 333. Taf. XII — XV. Baumgartner, W. J. 1904. Some new Evidences for the Individuality of the Chro- mosomes. Biol. Bull. Vol. VIII. No. 1. p. 1 — 28. 3 pl. 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The combination used in aU the figures, wnth the exception of Figure 29, Plate XIX, was a Zeiss 2 mm apochromatic objective and a No. 18 compensating ocular, giving a magnification of 3300 diameters. The figures were subsequently reduced one third. Figures 7 — 13 (Plate XVIII) are photomicrographs of preparations, and were made with the Edinger apparatus of Leitz. Abbreviations. cam.tr m. = terminal chamber; cl.apx. = apical cell; cys.deg. = degenerating cyst; fil.trm. = terminal filament; gl.muc. = mucilaginous gland; M. = macrochromosome ; nll.chr. = chromatic nucleolus; oal. = ovariole; o’(P. = o\aduct; ov. = ovary; np'tlie. = spermatheca; tu. = tubule; te. = testis; ut. = Uterus; va.df. = vas deferens; vsl.sem. = vesicula seminahs; X = a;-chromosome or a:-component of paired allosomes ; xij — aUosome pair of Enchenopa hinotata ; y = ü/-component of allosomo pair, Enchenopa binotato. Plate XVin. Fig. 1. Enchenopa binotuta, characteristic form. Female above, male below. x 2,1. Fig. 2. Enchenopa curvata, characteristic form. Female above, male below. x 2,1. Fig. 3. Nymph of E. binotata previous to final moult. x 1.6. Fig. 4. Nymph of E. curvata previous to final mo>ilt. x 1.6. Fig. 5. E. binotata. Types to show Variation of this species. Specimens from \ndely separated localities of the United States. Nine females above, six males below. X 1.6. Fig. 6. E. curvata. Types to show Variation of this species. Specimens from a single field of the same locality. Eleven females above, eight males below. x 1.6. Fig. 7. Testis of E. curvata. x 25. Fig. 8. Longitudinal section of distal half of a tubule (testis of E. binotata), the section passing through apical cell. Degenerating cyst is seen below the apical cell, x 240. Fig. 9. Immature ovary of E. binotata. x 25. 294 Sidnev I. Kornliauser Fig. 10. Longitudinal section of terminal chamber of ovariole {E. hinotaia) show- ing mitoses near terminal filament. x 485. Figs. 11, 12. Successive sections through distal end of tubiüe from testis ot E. curvata, cut at an angle of about 30° with the axis of the tubule. Figure 11 shovs part of the nucleus of the apical cell and a degenerating cyst on the right. Figure 12 shows part of the cytoplasm and processes of the apical cell \rith degenerating cysts on both right and left. x 320. Fig. 13. Section through a))ical cell (testis of E. bim(ala) of a tubule sbowing no degenerating cysts. x 240. Plate XIX. Figs. 14 — 28. Enchenopa hinotaia. Fig. 14. Spermatogonium of early generation, quiescent state. Fig. 15. Spermatogonium of early generation, metaphase, polar new. Fig. 16. Same stage, lateral new. Fig. 17. Spermatogonium of last generation, quiescent state. Fig. 18. Spermatogonium of last generation, polar new, metaphase. Fig. 19. Same stage, lateral new. Figs. 20 — 23. Spermatogonia, polar views, metaphase. Fig. 24. Spermatogonium from smear preparation. Figs. 25 — 28. Oögonia, metaphase, polar view. Figs. 29— 43. Enche nopa curvata. Fig. 29. Section through small spheroidal cyst of spermatogonia. x 656. Figs. 30 — 31. Two optical sections of single quiescent spennatogonium from section shown in Figure 29. Figs. 32 — 36. Spermatogonia, metaphase, polar view. Figs. 37 — 38. Oögonia, metaphase, polar new. Figs. 39 — 43. Tjqjes of cells degenerating during transition from last spermato- gonial generation to first spermatocytes. Fig. 44. Degenerating cell from E. hinotaia. Figs. 45 — 70. First (primary) spermatocytes of Enchenopa hinotaia. Fig. 45. Fine network of stage following last spemiatogonial division. The nucleoli plainly nsible. Fig. 46. Sh'ghtlv more advanced stage than Fig. 45. One deepl)’ staining tliread distinguishable. Nucleoli no longer nsible. Fig. 47. Early leptotene stage. One deeply staining thread is present. Fig. 48. Later leptotene stage. Deeply staining thread luiited at one end with a more granulär thread. Fig. 49. T}q)ical nucleus of leptotene stage. Figs. 50 — 52. The transition from the leptotene stage to the zygotene. Fig. 50 shows a tendency toward a jmlar arrangement of the threads. Fig. 53. Begimiing of the bouquet stage. Fig. 54. Bouquet stage, xy pair united end to end. Fig. 55. Bouquet stage, xy pair laterally approximated. Macrochromosome loop at the right. Fig. 56. Ends of loops and xy pair in bouquet stage, viewed from positive pole. A Comparative Stiuly of the Chromosomes etc. 295 Fig. 57. Löss of polar arrangement of the loops after the bouquet stage. Figs. 58 — 60. Early stages in the formation of the strepsistene threads. The 37/ pair plainly visible. Figs. 61 — 65. The strepsistene stage showing the early Separation of x and ?/. The autosomes also separate laterally and twist around each other. Fig. 66. Early prophase of first maturation di\nsion. The macrochroinosome geniinus (upper part of nucleus) has the form of a ring, x much more Condensed than ij. Fig. 67. Later prophase from a smear preparation, showing all ten bivalents. Figs. 68 — 69. Two consecutive sections of a single cell in the some stage as Figiire 67; all the chromosomes contained in the two sections. Fig. 70. Later prophase. xi/ fully Condensed. Plate XX. Figs. 71 — 102. First spermatocytes of Enchenopa curvata. Fig. 71. Netw’ork following last spermatogom'al division. The deeply staining nucleolus is probably the a;-chromosome. Fig. 72. Beginning of the fonnation of leptotene threads. Fig. 73. Leptotene threads fully formed. Fig. 7-1. Beginning of zygotene stage. Figs. 75 — 76. Two consecutive sections of a single cell, showing both leptotene and zygotene threads. Figs. 77 — 78. Two sections of a cell showing transition from leptonema to zygonema. Fig. 79. Early zygotene stage previous to polar arrangement of double threads. Fig. 80. Bouquet stage. Lateral ^^ew' showing a;-chromosome at positive (lower) pole. Fig. 81. Bouquet stage showing ends of the loops viewed from positive pole, ar-chromosome indicated by a dotted outline. Figs. 82 — 84. Optical sections of late bouquet stage showing all the loops, the a;-chromosome, and the chromatic nucleolus. Fig. 85. Segmentation of chromatic nucleolus, and loss of polar arrangement of the loops. Fig. 86. Slightly more advanced than Figure 85. Fig. 87. Beginning of strepsistene stage. Figs. 88 — 93. Successive stages of the strepsinema, showing the attachment of the chromatic nucleoli to the x-chromosome and to autosomes. Figs. 94 — 95. Late strepsistene stage, showing the disappearance of the chromatic nucleoli. Figs. 96—100. The formation of the tetrads from the strepsistene threads. The condensation and shortening of the x-chromosome is very noticeable. Figs. 101 — 102. Consecutive sections of prophase of first spermatocyte division, showing all the chromosomes. Figs. 103 — 117. Stages in the formation of the macrochromosome bivalent of E. curvata. Figs. 118 — 119. Macrochromosome tetrad of E. linolala. Figure 118 from deep part of tubule, Figure 119 from edge of section. Material fixed in Hermann’s fluid and then stained in crystal violet and alizarin. 296 Sidnov I. Kornhauser Fig. 120. Propliase of first spermatoc3’te of E. curvala sliowing attachment of rr-cliroinosoine to autosome bivalents. Fig. 121. Late prophase of first spermatoc^'te of E. curvala, showing all the chroniosomes. The a:-elenient is longitudinally cleft. Smear preparation. Figs. 122 — 141. First sperniatocyte division of Enchenopa hinotaia. Figs. 122 — 125. Consecutive sections (122 — 124 optical sections) of metaphase. Lateral view, sho\ving all ten bivalents. Figs. 126 — 127. Metaphase in polar view. Figs. 128 — 135. Lateral views showing the allosome pair (xy). Fig. 136. Lateral view of metaphase, from edge of section, stained in crj'stal violet after fixation in Herm.vxx’s fluid, showing quadripartite form of autosome gemini and deepl}- staining xy pair. Fig. 137. Early anaphase, lateral view. The connecting strand of the xy pair just broken. Fig. 138. Early anaphase from edge of section. xy pair deeply stained. Fixation in Hermaxn’s fluid, crv’stal violet stain. Fig. 139. Later anaphase. Fig. 140. End of anaphase. Clu-omosomes in flat plate. Fig. 141. Polar \iew of chromosome complex belonging to onc of the second spermatocjTes. The chromosomes are longitudinally cleft in preparation for the second division. Plate XXI. P'igs. 142 — 163. Division of first sperniatocyte of Enchenopa curvala. Figs. 142 — 143. Polar views of metaphase. Figs. 144 — 147. Consecutive sections (144 — 146 optical sections) during meta- phase. Lateral view showing all the chromosomes. Figs. 148 — 149. Lateral views of metaphase showing the thick fibers betw’een the a:-chromosome and the autosomes. Fig. 150. Section of a cell in early anaphase. Lateral view% showing the x-element. Figs. 151 — 152. Later anaphase in lateral view. The Separation of the auto- somes and the lengthening of the a;-clu'omosonie is here normal. Fig. 153. Late anaphase and passing of x-chromosome to the npper cell. Fig. 154. Stage corresponding to Figure 153, showing only the cell to which the o'-chromosome passes, ^iewed from the equator of the spindle. Figs. 155 — 163. Anaphase. Lateral views showing unusual cases in w'hich the y-element is either rotated 90° on its axis (Figs. 155, 157 — 159), or is dr.awn out in nor- mal Orientation and sometimes divided (Figs. 156, 160 — 163). Figs. 164 — 179. Second spermatocyte division of Enc/»e«opa hinotaia. Figs. 164 — 166. Metaphase in polar view. Figs. 167 — 169. Consecutive sections of a single cell in metaphase. Lateral view showing all ten chromosomes. A Comparative Study of the Cliromosomes etc. 297 Figs. 170 — 174. Siiccessive stages in the Separation of the daughter chroinosoincs. Fig. 173. Polar view of anaphase group seen in stage corresponding to Figure 172. Fig. 175. Telophase group of chromosomes betöre they lose their Condensed condition. Figs. 176 — 178. Spermatids of E. hinotata from smear preparations. The allo- some (a: or y) remains Condensed. Fig. 179. Spermatid of E. hinotata from a section. The allosome {x or ]]) plaiidy ^■isible. Figs. 180 — 190. Second spermatocyte division of Enchenopa curvata. Fig. 180. Metaphase seen in polar view. ATne-cluomosome cell. Fig. 181. Metaphase of ten cliromosomes, second spermatocyte. Figs. 182 — 184. Consecutive sections of metaphase. Lateral view. Aine-chromo- some cell. Fig. 185. Section showing lateral view of metaphase, and the broad macro- chromosome. Figs. 186 — 187. Chromosomes of anaphase showing two corresponding groups of chromosomes. Sections are from one cell cut through the equator. Fig. 188. Double second spermatocyte with nineteen chromosomes. Fig. 189. Spermatid with j-chromosome. Fig. 190. Spermatid without a:-chromosome. Figs. 191 — 198. Thelia himaculata. Fig. 191. Metaphase of spermatogonium, polar ^'iew, showing the large x-chio- mosome. Fig. 192. Metaphase of oögonium, polar view, showing two large a:-chromosomes. Figs. 193 — 194. Growth period of spermatoccdes. Fig. 195. Metaphase of first spermatocyte diidsion, polar view. Fig. 196. Same in lateral view. Fig. 197. Anaphase of first spermatocyte division, the ar-cliromosome lagging. Fig. 198. Late anaphase of first spermatocyte and the passage of the rr-element to the upper of the two poles. Fig. 199. Spermatid showing the large Condensed x-chroniosome. Plate XXII. Figs. 200 — 210. Enchenopa hinotata. Diagrammatic representation of the behavior of the allosomes and autosomes during the growth period and divisions of the spermatocytes. The macrochromosome, one pair only of the smaller autosomes and the allosome (xy) are represented. As described in Part B (p. 284) of “Discussion”, sohd black = “autochromatui” ; white (i, e. outlines only) = “a:-chiomatin” ; small circles = “^-chromatin” ; dots = linin. Fig. 200. Bouquet stage, x and y united end to end. Fig. 201. Löss of polar aivangement; x and y laterally approximated. Fig. 202. Strepsistene stage; x and y separated along their lengths; autosomes twisted aroimd each other. Figs. 203 — 204. Contraction of the xy pah’ and formation of the autosome gemini. Fig. 205. Metaphase of first spermatocjde. 298 Sidney I. Korahai;ser, A. Coinparative Study of the Chromosomes etc. Fig. 2ü6. Late anaphase of first spermatocyte ; x passes to second spermatocyte a; // passes to second spermatocyte b. Fig. 207. Di\ision of second spermatocyte a of Figure 206, containing the x- component. Fig. 20S. The spermatids (a^ and a^) resulting from the division of a, Figure 207. Fach contains half of the x-component and is “female determining”. Fig. 209. Di\-ision of second spermatocyte b of Figure 206, containing the //- component. Fig. 210. The spermatids (b^ and b^) resulting from the division of b, Figure 209. Fach contains half of the y-component and is “male determining”. Figs. 211 — 222. Enchenopa curvaia. (Compare vcith Figures 200 — 210.) Diagrammatic representation of the behavior of the allosomes and autosomes during the grovvth period and divisions of the spermatocytes. The macrochromosome, one pair only of the smaller autosomes, the x-chromosome and the chi'omatic nucleoli are represented. .\s described in Part F (p. 284) of “Discussion”, solid black = “autochromatin”, white (i. e. outline only) = “x-chromatin”, small circles = “^-chromatin”, dots = linin. Fig. 211. Bouquet stage; x and chromatic nucleoh at the positive pole. Fig. 212. Löss of polar arrangement. Chromatic nucleoli connected to the autoso- some and to the x-chromosome. Fig. 213. The strepsistene stage. The chromatic nucleoli give up their substance to the autosomes. The linin fibers connecting the x-chromosome to the autosomes remain. Figs. 214 — 215. The formation of the autosome gemini. The x-chromosome is fully contracted. Linin fibers connect it to the autosome gemini. Fig. 216. Metaphase of first spermatocyte division. Fig. 217. Anaphase of first spermatocyte division. The .x-chromosome lengthencd in the direction of the a.xis of the spindle. Linin fibres connect it to the separating autosomes. Fig. 218. Late anaphase. x passes to one of the second spermatocjiies (a) un- divided. Fig. 219. Division of the second spermatocyte (a, Figure 218) vvhich contains the x-cliromosome. Fig. 220. The spermatids (a^ and a^) resulting from the division of a, Figure 219. Fach contains one half of x and is “female determining”. Fig. 221. Division of the second spermatocyte (b of Figure 218) vvhich contains no “x-chromatin”. Fig. 222. The spermatids (b^ andb®) resulting from the division of b, Figime 221. They contain no “x-chromatin” and are “male determining”. Archiv für Zellforschung. Bd. XII. 9 [ 3 ' 4 Kornhanse r. Verlag von Wilhelm Ei il Plate XVIII. cyö.c/ej. 11 4 . r> S ir'* '<• I «, , 'CX\ - “ ^ iJ ^ i iinann in Leipzig und Berlin. Archiv für Zellforschung. Bd. XIl. I riate XIX. + ! inn in Leipzig und Berlin. Ä. kA Archiv für Zellforschung. Bd. XII. Kornliauser. Verlag von Wilhelm Em| Plate XX. K h. 1 e 103 113 i ■jO 104 105 106 107 "^4 108 109 4**^ 122 123 128 129 125 126 130 120 124 in in Leipzig und Berlin. I Archiv für Zellforschung. Bd. XII. / \ I ““i / L?/ \ ' I ' / f ) \ •* / 170 171 172 174 173 175 Kolnhäuser. Verlag von Wilhelm En^ Plate XXL m in Leipzig und Berlin. ArcJliv für Zellforschung. Bd. XII. K 0 r n Iv a 11 s e r. Verlag von Wilhelm E:i Plate XX U. ann in Leipzig und Berlin. ■r.v*' Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellulären Erscheinungen. I. Teil! Die Ovogenese von Tnbifex (Ilyodrilns) bavaricus^). Von Albert Osclimann. (Aus dem Zoologischen Institut in München.) Mit 16 Textfiguren und Tafel XXIII— XXVII. Inhalt. Seite Einleitung 300 Spezieller Teil. Material imd Methoden. Serierung 301 Verlauf der Ovogenese. 1. Ovogonien 304 2. Teilung 305 3. Synapsis 306 Häufige Abschnürimg kleiner Kerne bei Sjmapsis 306 4. Erste Wachstmnsperiode. -Waehetufflsperiode der einzelnen Ovocyten 307 6. Verschmelzungsperiode 308 Chromatische Strukturen und Nucleolenverhältnisse vor der Verschmel- zungsperiode 312 Chromatische Strukturen und Nucleolenverhältnisse während der Ver- schmelzungsperiode 314 Veränderungen des Verschmelzungskomplexes nach beendeter Ver- schmelzung imd Modifikationen des Verschmelzungsprozesses . . 317 Überblick über die chromatischen Veränderungen während der ersten Wachstumsperiode und der Verschmelzungsperiode 317 6. Zweite Wachstumsperiode. Wachstumsperiode des, aus Verschmelzimg der Ovocyten hervorgegangenen, unreifen Eies 318 Entwicklung des Kernes während derselben. (Erstes Stadium: Bildung eines Nucleolus. Zweites Stadium: Vergrößerung des Nucleolus. Drittes Stadium: Zerfall des Nucleolus) 318 1) Beschrieben im Zool. Anz. Bd. XLII, Nr. 12. Archiv f. Zellforschung. XII. 20 300 Albert Oschmann Seite Veränderungen des Plasma: Bildung einer Wachstumszone. Dotter- bildimg 319 Weitere Entwicklung des Kernes: Viertes Stadium: Bildung einer zweiten Nucleolengeneration . . . 321 Fünftes Stadium: Zerfall der zweiten Nucleolengeneration . . . 323 Sechstes Stadium: Bildung der dritten und letzten Nucleolengenera- tion 324 Siebentes Stadium: Zerfall der letzten Nucleolengeneration . . . 325 7. Bildung der Reifespindel 326 Mechanismus der Spindelbewegung 327 Auflösimg und Nutzbarmachung des Dotters 327 Lage der Eier und Korrelation derselben mit dem Muttertiere .... 328 Allgemeiner Teil. I. Zellstrukturen. a) Chromatine imd Grundsubstanzen 329 b) Nucleolus 333 c) Chromosomen 339 d) Beziehung zwischen Kern und Plasma 340 e) Bedeutung der Zellstrukturen. Über die Erscheimmgen und Funktionen der Zelle im allgemeinen. Schaumstruktur 342 II. Zellverschmelzung. a) Verlauf imd Vereinheitlichung bei der Zell Verschmelzung: 1. Befunde am Ovar 347 2. Befunde an den degenerierenden Hodenresten 350 b) Vergleich der Zellverschmelzung bei der Ovogenese von Tubifex bavaricus mit der Verschmelzimg bei der Befruchtung, der Verschmelzung von Eiern (Ascaris) und von Ei und Eichtungskörper (Ästerias) imd Versuch einer Erklänmg der Unterschiede (Assimilation von gleichen Systemen in Wachstum bei Verschiedenheit des Zustandes, Unmöglichkeit einer Wechselwirkimg bei Gleichheit desselben) 352 Einleitung. Bei der Untersuchung von geschlechtsreifen Tubificiden fielen mir merkwürdige Befunde an der weiblichen Geschlechtsdrüse auf, die mir das Studium der Eibildung dieser Tiere für notwendig erscheinen heßen. So wurde dieses der Ausgangspunkt zu einer Eeihe von Untersuchungen über die Zellverschnielzung, speziell bei Ovogenesen. Die Ovogenese von Tubifex bavaricus kann ich umso eher als ersten Teil dieser Arbeit ver- öffentlichen, als die Befunde, welche sie ergab, relativ am eüifachsten sind und zu den komphzierteren bei andern Objekten direkt überführen. Zugleich waren die cellularen Elemente, wegen ziemlicher Größe, für die Beobachtung der chromatischen Zellstrukturen äußerst günstig, sodaß die diesbezüglichen Ergebnisse, welche zum Verständnisse der ganzen Beitrag zum Studium der Zellverschmeizung und der cellularen Erscheinungen. 301 Frage von fundamentaler Bedeutung sind, bei dem später untersuchten Materiale, das in mancher sonstigen Beziehung noch interessanter ist, nicht oder mindestens nicht so leicht hätten aufgefunden werden können. Es war mir vergönnt, diese Arbeit, sowie alle meine zoologischen Studien, im Münchener Zoologischen Institute zu machen und ist es mir eine Freude, auch an dieser Stelle meinem hochverehrten Lehrer, Herrn Geheinmat Richard von Hertwig, sowohl für die Mühe, die er sich bei meiner Ausbildung zum Zoologen gab, und seine Güte, Liebens- ^vürdigkeit und die Geduld, welche er mit mir hatte, als auch für seine Unparteilichkeit und das rege Interesse, das er meiner Arbeit entgegen- brachte, meinen tiefempfundensten Dank und Erkennthchkeit aussprechen zu können. Auch habe ich bei meinem Studium Herrn Professor Dr. Richard Goldschmdt sehr viel zu verdanken, und möchte nicht versäumen, auch ihm von Herzen den schuldigen Dank auszusprechen. Dann habe ich Herrn Professor Dr. W. Michaelsen des Natur- historischen Museums in Hamburg vielmals und herzlichst zu danken für die große FreuncUichkeit, welche er hatte, die Tubificide, deren Ovogenese ich untersuchte, zu bestimmen, wobei sich herausstellte, daß es sich um eine neue Art handelte. Spezieller Teil. Material und Methoden. Das Material entstammte dem Tümpel des Münchner Zoologischen Institutes, welcher des öfteren mit Schlamm aus dem Dachauer Moose und der Umgebung des Stambergersees angefüllt worden war. Die Tiere, welche Februar— März geschlechtsreif sind, wurden aus dem Schlamme isohert, indem eine kleine Portion desselben auf großen Tellern mit etwas Wasser verdünnt wurde. Nach Absitzenlassen und nachdem das Wasser sich geklärt hat, kann man die Tiere in der dünnen Schlammschicht deut- lich herumkriechen sehen und mit aller Bequemlichkeit mit einer Pin- zette herausfangen. Hierauf wurden sie von anhängendem Schmutz be- freit und in einen mit Leitungswasser gefüllten Teller gebracht. In diesem verbheben sie, mit einem Karton bedeckt (da sie sich in der Dunkelheit in reinem Wasser nicht zusammenknäueln), einige Stunden lang, bis der Darm sich mindestens in den ersten Segmenten des Tieres, welche ein- gebettet wurden, von seinem Inhalt befreit hatte. Dann wurden die Tiere fixiert, und zwar indem jedes einzeln auf einen Objektträger gelegt und 20* 302 Albert Oschmann vermittels eines Pinsels der Länge nach mit der Fixierflüssigkeit bestrichen wurde, worauf es ganz in die Fixierflüssigkeit kam. Auf diese Art erhält man die Tiere völlig gestreckt. Von Fixiergemischen wiu-den angewandt ein Sublimatgemisch, welches Bugxion und N. Popoff in: la sperma- togenese du louibric terrestre, Arch. de Zool. exper. etgener., 1905 T. III, angeben (Sublimat 15, konz. Salpetersäiu’e 7,5, Eisessig 2,5, sechzigpro- zentiger Alkohol 50, dest. Wasser 450) ; diese Fixation leistete bei meinem Objekte Vorzügliches. Ebenfalls ausgezeichnet fixierten Flemmixg imd Hermann, nur daß man dann nicht die unbegrenzte Auswahl der Farben hat. Die ersten 16 bis 20 Segmente des Tieres wurden abgeschnitten und in Paraffin eingebettet, hierauf in Seriensclmitte von 5 u zerlegt. Die Schnitte fäi’bte ich teils mit Hämalaun-Eosin (2—4 Stunden in 8— 10 fach verdünnter Hämalaunlösung, kurz in Eosin), w’as bei aller Einfachheit der Handhabung eine ausgezeiclmete Färbungsweise ist, teils mit Eisenhämatoxylin, ferner mit Karmin nach P. Mayer, Mitt. Zool. Stat. Neapel Bd. 2, referiert in Böhm und Oppel, Taschenbuch der Mi- kroskopischen Technik. Diese Farbe färbte Schnitte sehr intensiv und dennoch durchsichtig, was für eine Färbung sehr angenehm ist, da die übereinanderliegenden Teile sich nicht so leicht verdecken. Jedoch mußte ich die Farbe jedesmal neu hersteUen, da bei längerem Stehen der größte Teil des Farbstoffes ausfiel. Dann habe ich noch dreifach Fle^qiing an- gewandt, und zwar nach einer Modifikation von Winiwarter, nur daß ich statt Orange Lichtgrün anwandte, welches sich von den übrigen Farben viel besser abhebt (Safranin alk. 1, Alkohol 50, destill. Wasser 50, färben 24 Stunden; destill. Wasser abspülen; Gentianaviolett 1, destill. Wasser 100, färben 3—4 Stunden; destill. Wasser abspülen; Lichtgrün 0,5, destill. Wasser 100, färben 1 IMinute; destill. Wasser abspülen, dann absoluter Alkohol 1—2 Sekunden, bis sich eben etwas Violett zu lösen beginnt, differenzieren in Nelkenöl mit wenig absolutem Alkohol, hierauf reines Nelkenöl, Xylol, Canadaxylolbalsam). Diese Färbung gab selir schöne Resultate, insbesondere wiu’de das Grundw^abenwerk sehi‘ deutlich gefärbt. Bevor ich nun an die Besprechung der Ovogenese gehe, möchte ich kurz einiges über die Serierung der Bilder vorausschicken. Die Reihen- folge der ersten Stadien, jüngste Ovogonien, Teilung, Synapsis, kurze Wachstumsperiode, Verschmelzung ergeben sich von selbst und es kann da kein Zweifel herrschen. Innerhalb der Verschmelzungsperiode kann man das Alter einer verschmolzenen Gruppe zunächst an ihrer Größe erkennen und ob die Kerne zum gi’ößten Teil noch nicht verschmolzen sind, d. h. noch dieselbe Größe, wie die Kerne der umliegenden Zellen auf- Beitrag zum Studium der Zellverschmelzimg imd der cellularen Erscheinungen. 303 weisen (Fig. 63, Taf. XXV). Das relative Alter weiter vorgeschrittener Gruppen, welche nicht mehr wachsen, kami man an der Größe und Zahl der Kerne unterscheiden, von denen die erstere zunimmt, während die letztere immer abnimmt, bis nur ein einziger Kern in der Verschmelzungs- gruppe mehr vorhanden ist (Textfig. 12, Fig. 30, Taf. XXIII, entsprechend Fig. 32, Taf. XXIII.) Die weitere Entwicklung bringt nun das aus der Ver- schmelzung hervorgegangene Ei außerhalb des Komplexes der übrigen Zellen zu hegen (Fig. 63, Taf. XXV und Fig. 43, Taf. XXIV). In der zweiten AVachstunisperiode hat man anfänghch zwischen Fig. 43 und Fig. 45, Taf. XXIV, als Kriterium die Größe des Kernes und der Zelle. Von dem Stadium der Fig. 45 an, findet keine Veränderung in der Größe des Kernes mehr statt, w^elche ungefähr 45 ,u beträgt. Wo demnach die Figimen ge- ringere Dimensionen aufweisen, rührt es daher, daß nicht der Schnitt mit dem gi’ößten Diu'chmesser wiedergegeben ist. Außerdem haben Avir in den Verhältnissen des Plasma ein sicheres Kennzeichen fiü' das Fort- schreiten in der Entwicklung; schon in Fig. 43 beginnt sich um den Kern eine eigenartige plasmatische Zone abzuscheiden, welche sich stets ver- größert, Fig. 65, Taf. XXV, Fig. 32, Taf. XXIII, entsprechend dem Kerne auf Fig. 44, Taf. XXIV; in noch späteren Stadien beginnt in dieser Zone die Ab- scheidung von besonderen Körnchen, welche zur Dotterbildung beitragen und eine ebenfalls immer größer werdende Schicht markieren, Fig. 71 und Fig. 72, Taf. XXV. Bei Auflösung des ersten Xucleolus der zweiten Wachs- tumsperiode hat nun die Dotterbildung schon eingesetzt, noch ziemlich spärlich und einen Teil um den Kern herum noch wenig berührend, Fig. 73, Taf. XXV, entsprechend den Kernen auf Fig. 45, 47, 48 und 49, Taf. XXIV. Hingegen ist die Dotterbildung bei Entstehung des zweiten Xucleolus schon viel weiter vorgeschritten, Fig. 51, und die Dotterkörner sind viel zahlreicher geworden. Immerhin sind aber noch viel plasmatische Substan- zen im Ei enthalten und der gi'ößte Teil der Dotterkörner hat die definitive Größe noch nicht erreicht. Diese Entvücklung schreitet nun immer vorwärts, Fig. 74, Taf. XXV, Fig. 86, Taf. XXVII, und bei Zerfall dieses zweiten Xucleolus ist sie völlig beendet, Fig. 88 und 89, Taf. XXVII, welcher die Kerne der Fig. 56 und 57, Taf. XXIV entsprechen. Die Stadien der Fig. 58, 60, 61 und 62, Taf. XXIV, können nun wiederum nm’ auf die Stadien des Zer- falles des zweiten Xucleolus folgen, nicht etwa vorher liegen, da bei ihnen die Dotterbildung völlig beendet ist, ganz abgesehen davon, daß die dichte Kernstruktiu’ sich nur an die Stadien nach Auflösung des zweiten Xucleolus angliedern läßt. Da zudem die Veränderungen der Kerne, wie aus der Besprechung der Ovogenese hervorgehen dürfte, wohl allein zur Serierung 304 Albert Oschmann genügten, so denke ich, daß man an ihrer Richtigkeit nicht zweifeln kann. Einen andern Punkt möchte ich noch hervorheben. Bei der Bespre- chung der verschiedenen Stadien der Ovogenese habe ich, bei der Schil- derung der einzelnen Bilder gleich meine Interpretation derselben gegeben und nicht zuerst noch den Befund, ohne Deutung desselben geschildert, da sich ja dieser aus den Figuren von selbst ergibt, welche ich stets be- strebt war, möglichst natingetreu wiederzugeben. Der Leser wird an der Figur ersehen köimen, ob er meiner Interpretation zustimmt oder nicht. Da ich infolgedessen nicht immer denselben Vorgang zweimal durchnelmien mußte und eine unnötige Weitschweifigkeit vermeiden konnte, glaube ich hierin im Interesse des Lesers gehandelt zu haben. Verlauf der Ovogenese. Die Kerne der jüngsten Ovogonien haben eine auffallende Ähnlich- keit mit denen der peritonealen Zellen. Ihr Chromatin besteht, wie bei diesen, aus kugelrundeu Körnchen, die recht regelmäßig auf der Kern- peripherie verteilt sind (Fig. 1, Taf. XXIII). Nur sind die Ovogonien- kerne größer als die der gewöhnlichen Peritonealzellen, doch kaim man von letzteren, zumal denen, die in das Ovar zu liegen kamen und wahrschein- lich eingewandert sind, alle möghchen Übergänge bis zur Größe der Kerne der Ovogonien finden (vgl. oben zitierte Fig. 1). Groß sind hingegen die Unterschiede in der Färbbarkeit der chromatischen Teile dieser jüng- sten Ovogonien, sowohl mit denen der Peritonealkerne, als auch der Ovo- gonien des unmittelbar folgenden Stadiums. Während das Chromatin der zwei letzteren Gruppen sich intensiv basisch färbt, also z. B. nach Doppelfärbung mit Hämalaun-Eosin eine tiefblaue Färbung durch den Hämalaun amiimmt, zeigt das Chromatin der jüngsten Ovogonien eine starke Affinität zu den sauren Farbstoffen, fingiert sich also bei obiger Färbung rot durch Eosin oder mindestens rot-violett (vgl. ebenfalls Fig. 1, Taf. XXIII). Diese Tatsache ließe sich sehr wohl damit in Einklang bringen, daß es sich, wie ich schon oben berührte, um eine Entstehung der Ovogonien aus den Peritonealzellen handelt; wir können bei jeder Ovogenese in spä- teren Stadien die Beobachtung machen, wie beim Eintritt in eme neue Periode, bei offenbar starker Inanspruchnahme des Kernes, die Farben- affinität seiner chromatischen Substanzen umschlägt, und eine analoge starke Inanspruchnahme dürfte wohl bei der Limbildung der Peritoneal- zellen in Ovogonien gegeben sein. Beitrag zum Studium der Zellverschmelzuug und der cellularen Erscheinungen. 305 Die Ovogonienkerne besitzen einen kleinen, meist central gelegenen, bläschenförmigen Nucleolus, der ebenfalls mit sauren Farbstoffen sich färbt und zu geringe Dimensionen besitzt, um eine bestimmte Struktur erkennen zu lassen. Es sieht aus, als ob feine, schwer sichtbare, unge- färbte, und daher nur durch verschiedene Lichtbrechung erkeimbare Fasern von ihm zur Kernperipherie ziehen, dort die einzelnen Chromatin- körncheu netzwerkartig verbindend. Das Plasma tingiert sich acidophil, weist hie und da dichtere Schollen auf und läßt auf diesem Stadium absolut keine Zellgrenzen unterscheiden, was ebenfalls in der Abstammung der Gonaden seine Erklärung finden würde. Das Chromatin nimmt später in den Ovogonienkernen eine intensiv basische Färbbarkeit an, verteilt sich, in feinere Körnchen zerfallend, auf dem Keticulum, die Bahnen zum Nucleolus treten deutlicher hervor, offenbar durch Imprägnation mit chromatischen Teilchen, der Nucleolus selbst erscheint aus mehreren Bläschen zusammengesetzt, und so haben wir denn das typische Bild des leider als »Ruhe «-Kern bezeichneten Sta- diums (Fig. 1, Taf. XXIII). . Diesen Kernen findet man dicht angelagert und sie zum Teil kappen- artig umschließend, scharf umschriebene, intensiv färbbare (acidophile) Gebilde, in denen manchmal festere Schollen zu unterscheiden sind (Fig. 1, Taf. XXIII, die Kerne rechts in der Figur). Dieselben werden später im Plasma nicht mehr erkennbar, welches, von diesen Stadien der Eibildung an, eine intensiv basische Färbbarkeit annimmt, die es un- verändert bis gegen Ende der Genese beibehält, bis fast sämtliche außerhalb des Kernes befindliche Substanzen sich in deutoplasmatische verwandeln. Inmitten der soeben beschriebenen Ovogonien findet man die Tei- hmgsbilder, von denen ich zwei in Fig. 2, Taf. XXIII, wiedergegeben habe. Ich kann es, an Hand des zurzeit untersuchten Materiales, nicht ent- scheiden, ob dieselben aus den letzteren Ruhekernen entstanden sind, oder nicht schon aus den jüngsten, metamorphosierten Ovogonien, da mir nur Tiere, die schon reifere Eier enthielten, Vorlagen, und bei solchen die Ovarialteile jüngeren Stadiums, falls noch vorhanden, spärlicher ge- worden sind. Da nun in diesen sowohl jüngste Ovogonien als auch Ruhe- kerne, Teilungen, Synapsisbilder und ihre Auflösung regellos durcheinan- derliegen, ist eine Serierung in bezug auf die Teilung unmöglich. Doch dürfte diese Frage für die vorliegende Untersuchung belanglos sein. Die Beobachtungen, die ich bei den Teilungsstadien machte, spielen für das Verständnis des Verlaufes der Ovogenese keine Rolle, und so werde ich sie. 306 Albert Oschmami tun AViederholungen zu vermeideu, im allgemeiiieu Teile, im Zusammen- hänge mit der Richtungsspindelbildung, besprechen. Nach der Teilung hätten wir dann wieder Ruliekerne, wie die oben beschriebenen, hierauf folgt, der Lagerung im Ovar nach zu m’teilen, offenbar sehr schnell die Synapsis. In dieser finden wir die typischen Bil- der, entweder ein langes aufgewickeltes und oft polar zusammengeknäueltes chromatisches Band (eigentliche Synapsis), wie in Fig. 93 und 94, Taf. XXVII, oder, aus diesem hervorgegangen, einzelne clu'omatische Schleifen (Bu- kettstadium), Fig. 95, 96, 97. Die Kernsubstanzen müssen in starker Strömung begriffen sein, wie gerade das Zusammenballen des Knäuels und die polare Anordnung beweisen, und es muß im Kerne ein ziemlicher Druck entstehen, wie z. B. Fig. 98 erkennen läßt, bei welcher die von Clu’omatin freie Kernhälfte stark vorgewölbt wird. Es mag daher nicht wunderbar erscheinen, wenn hierbei hie und da Zerreißungen entstehen und von den spitzen chi’oniatischen Schleifen die eine oder andre durch- bricht und in das Plasma zu liegen kommt, wie Fig. 97 einen solchen Vor- gang unter vielen darstellt. Ferner ragt oftmals ein Ende der chromati- schen Schleife weit über den normalen Kernbezirk hinaus, wie in Fig. 100, 101 und 102, und dürfte wohl nachträghch vom Kerne abgeschnürt wer- den, ja manchmal verläuft diese Schleife sogar über den normalen Zell- bezii'k, wie in Fig. 101 und 102. (Fiü’ den Kern der Fig. 102 lag diese Schleife nicht in der optischen Ebene, sondern fast senkrecht dazu, man sieht daher auf der Figur nur ihre Projektion. In AVirküchkeit ist sie viel länger wie die Schleife der Fig. 101.) Um Kunstprodukte kann es sich hier- bei nicht handehi, z. B. durch das Messer herausgerissene Teile, da diese chromatischen Schleifen den Schnitt in verschiedenen optischen Ebenen diu'chziehen, ferner manchmal so groß sind, daß sie in der Form, welche sie aufweisen, keinen Platz in dem Kerne gefunden hätten. Es ist walu- scheinlich, daß aus jedem Kerne, mindestens aus den meisten Kernen, bei der Synapsis etwas Clu’omatin in das Plasma gerät, denn nach Ab- lauf dieses StacÜums sieht man im Plasma jeder Zelle bei Eisenhäma- toxylinfärbung eine Menge kleiner, runder Kügelchen, die sich intensiv, schwärzen und kein andi'es Aussehen haben, wie die Chromatnikörnchen im Kern selbst (Fig. 107 und 108). Dieselben werden später aufgelöst; man findet sie in keinem andern Stadium der Ovogenese. Inmitten der Synapsiszellen fielen mir eine Reihe von Kernen auf, von unterschiedhcher, aber stets winziger Größe, die nie eine »ruhende« Kernfigur aufwiesen, mit Nucleolus und Kernnetz, sondern immer indi- vidualisierte, stark chromatisch sich tingierende Schleifen oder Körner zeigten, wie die Synapsiskerne selbst (Fig. 100, 103, 104, 105, 106). Eine Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellidäien Erscheimmgen. 307 Erklärung als degenerierende Kerne ist nicht stichhaltig, denn einmal sind sie viel zu klein, um degenerierende Ovogonien sein zu können, und dann gibt es keine Degeneration, bei der zuerst differente Chromosomen gebildet würden. Eingewanderte Zellen können es ebenso wenig sein, denn das Tier hat keine derartigen Zellen, weiter spricht die Kernstruktur mit differenzierten chromatischen Elementen ebenfalls hiergegen. In- folgedessen halte ich es für wahrscheinlich, daß es sich um abgeschnürte Teile aus Synapsiszellen handelt ; einmal weil ich die Gebilde nur inmitten von solchen gefunden habe, dann weil die Struktur ihrer chromatischen Teile identisch ist mit derjenigen der Kerne bei Auflösung der Synapsis. Außerdem wird dieser Prozeß durch Fig. 104 und 105 und ganz besonders durch Fig. 103 höchst wahrscheinlich gemacht. Betrachtet man ferner Fig. 93, 101 und 102, so ist es sehr leicht denkbar, ja fast zu postulieren, daß das Ende der chromatischen Schleife, welches soweit über das Kern- gebiet ragt, abgeschnürt und einem Miniaturkerne Entstehung geben würde. Diese Verhältnisse sind sicherlich nicht normaler Natur, jedoch scheinen die Zellen, unbeschadet derselben, weiter leben zu können, da Degenerationen von Zellen äußerst selten Vorkommen, während man die oben beschriebenen Prozesse (Abschnürung von Kernteilen oder Chro- matinschleifen) relativ häufig findet. Der Umstand, daß die Kerne sehr dicht aufeinander liegen und bei Synapsis noch anschwellen, sich also gegenseitig pressen, möchte solche Abschnürungen begünstigen. Die- selben Ursachen dürften auch die in Fig. 109 wiedergegebene Erscheinung hervorgebracht haben, daß ein Kern sich vollständig in zwei Teile teilt, was zu den größten Seltenheiten bei dieser Eibildung gehört, da ich nur diesen einen Fall beobachtet, habe. Die oben beschriebenen IVIiniaturzellen degenerieren pyknotisch und werden nachher aufgelöst. Ich habe noch nachzuholen, daß man in den meisten Synapsiskernen einen Nucleolus vorfindet, Fig. 93, 98, 99, 100 (der eventuell auch nur einen Restkörper des Nucleolus darstellen kann). Vielleicht ist ein solcher in allen Kernen vorhanden und nur manchmal durch die Chromosomen- schleifen verdeckt. Dieser Nucleolus färbt sich mit Eisenhämatoxylin tief schwarz, mit Hämalaun-Eosin dagegen ganz durchsichtig rot, sodaß er sich vom Chromatin der Chromosomen unterscheidet. Die Auflösung der Synapsis zeigt keine Besonderheit und hierauf folgt eine kurze Wachstumsperiode, die ich, zum Unterschiede von der späteren Wachstumsperiode des unreifen Eies, als die erste bezeichnen möchte. Die üvocyte wächst in dieser nicht besonders heran, ihr Kern wird vielleicht doppelt so groß, wie zu Beginn (Fig. 1 gegen Fig. 10, Taf. XXIII), 308 Albert Oschmana wichtig ist jedoch, daß viel Plasma gebildet mrd, sodaß die Kerne weit auseinander rücken und um sie eine beträchthche plasmatische Zone ent- steht, welche die ZeUgrenzen nunmehr auf das deutlichste hervortreten läßt (vgl. Fig. 65, Taf. XXV, und in den Fig. 63, 66, 67, 68, Taf. XXV, und den Textfigimen auf S. 310 und 311 die Zellen um die Verschmelzungsherde). Hierauf treten die Ovocyten in eine neue Periode ein, in welcher die einzelnen Zellen ihre Selbständigkeit auf geben, nämlich in die Ver- schmelzungsperiode. In dieser verschmelzen sie schubweise in Mengen zu einem größeren Komplex, zuerst die Plasmamassen, in denen, wie syn- cytial, die Kerne zu liegen kommen, dann die Kerne, viele zugleich, oder einer um den andern, wie es die Lage ergibt, zu einem einzigen großen Keimbläschen. Die Fig. 63 und 64, ferner 65 bis 70, Taf. XXV, und die Textfiguren, welche nur wenige Bilder aus einem sehr viel größeren Material darstellen, mögen den Verlauf dieses Prozesses illustrieren. Die Fig. 63 auf Taf. XXV zeigt eine ganz junge, noch kleine Ver- schmelzungsgruppe. Das Plasma der Zellen ist zusammengeflossen und scheint noch Beste von nicht vollständig aufgelösten Zellwänden auf- zuweisen. Die Kerne haben teils noch dieselbe Größe, wie die umliegenden Ovocytenkerne, sind also noch unverschniolzen, teils sind sie eben im Be- griff sich zu vereinigen, wie die zwei Kerne rechts auf Fig. 63, Taf. XXV, und Fig. 64, Taf. XXV, die den folgenden Schnitt wiedergibt, oder sie sind gerade aus einer Verschmelzung hervorgegangen, wie der Kern links in der Gruppe, was sich an seiner Sti’uktur leicht erkennen läßt. (In Fig. 20 und 21 auf Taf. XXIII ist derselbe Kern in zwei optischen Ebenen stärker vergrößert gezeichnet.) Gruppen, wie die eben besprochene, werden durch Hinzutreten der umliegenden Zellen weiter vergrößert und die Fig. 66 bis 70, Taf. XXV, die aufeinanderfolgende Schnitte wiedergeben, stellen uns einen auf diese Weise entstandenen, älteren und bedeutend größeren Komplex vor. Im Verschmelzungsherde liegen (es ist nur ungefähr che Hälfte der Schnitte der Serie dargestellt) eine beträchtliche Anzahl Kerne, von denen ein Teil aus größeren, durch Verschmelzung entstandenen, besteht, während andere noch klein und unverschmolzen sind. Mehrere Kerne der Gruppe sind gerade im Begriff, sich zu vereinigen, wie uns z. B. die Fig. 25, Taf. XXHI, (die zwei Kerne rechts) zeigt, welche stärkere Vergrößerungen solcher Kerne gibt. Der erste Schnitt ist in Fig. 65, Taf. XXV, dargestellt und trifft nur die umliegenden Zellen der Verschmelzungsgruppe, dann beginnt auf dem nächsten Schnitte, Fig. 66, diese Gruppe selbst, die sich, wie die Fig. 68 und 69 zeigen, noch sekundär durch weiteres Einbeziehen von Zellkom- plexen vermehrt. Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 309 Die Textfig. 1 bis 6 geben uns einen andern Verschmelzungsherd wieder, der ungefähr gleiche Größe, wie der vorhergehende besitzt, dagegen wegen der vorgeschrittenen Kern Verschmelzung größere und infolge- dessen weniger zahlreiche Kerne aufweist. Wir finden einen Kern (der in den Textfig. 3 und 4 linksgelegene), welcher gerade aus Verschmelzung Textfig. 1—12. mit einem darunter gelegenen Kerne entstanden ist, und sich schon wie- der mit dem rechts von ihm liegenden Kerne zu vereinigen beginnt (Text- fig. 4 und 5 und Fig. 26 auf Taf. XXIII, welche die Verhältnisse genauer darstellt), während dieser letztere Kern selber ebenfalls im Begriffe ist, einen andern Kern einzubeziehen (Textfig. 2). In dieser Gruppe habe ich auch das einzige Mal beobachten können, daß Kerne bei der Verschmelzung 310 Albert Oschmann degenerierten. Es handelt sich dabei um di'ei -winzige Kerne, -welche die Verschmelzungsgröße noch nicht erreicht haben und offenbar zufällig Textfig. 13. einbezogen wurden. Sie degenerieren durch tropfigen Zerfall ihres Chro- matins, das sich (Färbung mit Hämalaun-Eosin) leuchtend hellrot imd ganz durchsichtig tingiert, sodaß sich diese Kerne auf das deutlichste von den normal verschmelzenden unterscheiden: In Textfig. 1 sind von den drei kleinen Kernen die zwei oberen in Degeneration begriffen, während Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellulären Erscheinungen. 311 der untere Kern, der offenbar gerade eindrang, noch unverändert ist und sich intensiv blau (mit Hämalaun) färbt. Auf der nächsten Textfig. 2 Textfig. 15 und 16. sieht man, daß auch die Substanzen dieser degenerierenden Kerne von den andern aufgenommen und verwendet werden können, da das eben- falls degenerierende Kernchen, oberhalb von dem großen Kerne, von letzterem aufgesaugt wird. Ein Vergleich der Größe dieser tropfig zer- fallenden Kerne mit den Kernen der umliegenden Zellen auf Textfig. 3 312 Albert Oschmann zeigt, daß die erstercn füi- die Verschmelzung unmöglich reif sein konnten, und erklärt somit diese Degeneration. Es handelt sich also um ein Zufalls- bild, das aber insofern interessant ist, als es uns zeigt, daß degenerierende Kerne, die in Verschmelzungsgruppen Vorkommen wüi’den, ganz auf- fällig sich wahrnehmen lassen müßten. Von einem gewissen Stadium an werden keine weiteren Zellen mehr einbezogen, imd wir finden dementsprechend in solchen Gruppen immer weniger und dafür umso größere Kerne, bis schließlich alle zu einem ein- zigen Keimbläschen zusammengeflossen sind. So liegen in dem Komplex, den die Textfig. 7 bis 11 medergeben und der ebenfalls die ungefähr gleichen Dimensionen, me die zwei vorhergehenden aufweist, nur noch vier große Kerne, von denen di'ei im Begriffe sind, sich zu vereinigen; der hnksgelegene Kern verbindet sich, nach Textfig. 8, mit seinem rechts über ilim liegenden Nachbar und beginnt wiederum mit dem unter ihm gelegenen Kerne zu verschmelzen (Textfig. 10). Der vierte Kern liegt auf dem späteren Schnitt (Textfig. 11). Die Textfiguren auf S. 310 und 311 geben einzelne Schnitte aus jeweils einer verschiedenen Gruppe wieder. Endlich zeigt Textfig. 12 auf S. 309 einen Schnitt durch einen Ver- schmelzungsherd, der nur mehr einen einzigen großen Kern aufweist. Der ganze Ovarialkomplex, der einem größeren Ei anliegt, ist im Über- sichtsbilde, Fig. 32 auf Taf. XXIII, bei schwächerer Vergrößerung (250 mal) wiedergegeben. Es erübrigt nun, die chromatischen Strukturen und die des Nucleolus und ihre Veränderungen, sowohl vor Beginn der Verschmelzungsperiode, als auch während des Verlaufes derselben durchzunehmen. Die Fig. 3 l)is 19 auf Taf. XXIII stellen uns die Kernverhältnisse der Ovocyten am Ende der ersten Wachstumsperiode dar. Betrachten wir die Nucleolen, so fallen uns einerseits ihre riesigen Dimensionen auf, wie in Fig. 3, 4, 10, 11, 12, 18, die uns wohl schon zu schließen erlaubten, daß die Nucleolen nicht zu den unwichtigsten Bestandteilen für das Zelleben gehören könnten, falls man überhaupt von mehr oder weniger wichtigen Bestandteilen sprechen dürfte. Dagegen finden wir in andern Kernen, wie auf Fig. 8, 13, 14, 15, nur mehr geringe Teile von Nucleolen, und die Figuren 5, 6, 7, 9 zeigen uns, wie der Nucleolus sich zerteilt und zerstückelt, sodaß wir aUe Übergänge finden zwischen einem einheitlichen großen Gebilde und geringen Resten. Bei dem einen Typus enthält der Nucleolus in seinem Innern eme große Blase (Fig. 3, 4, 10, Taf. XXIII) und man sieht oft in dieser ein chromatisches Reticulum, das ganz einem Kernnetze gleicht (Fig. 18 und 16, die Zelle links, auch in Fig. 10 erkennbar). Wir werden auf einem viel späteren Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 313 Stadium (nämlich der Bildung des vorletzten Nucleolus vor der Reife- spindel (Fig. 51, 52, Taf. XXIV) erkennen können, worauf dies zurückzufüh- ren ist. Um diese große Vacuole herum hegt eine beträchtliche Anzahl kleinerer Bläschen, die, je nach Menge der vorhandenen chromatisch sich tingierenden Bestandteile, bald vacuolär, bald granulös aussehen. Die Fig. 5, 6, 7, 8 und 9 zeigen uns, wie Nucleolen des eben besprochenen Typus Teile abschnüren und sich zerlegen. Bei den Nucleolen der Fig. 6 und 7 wird wohl die große Vacuole geplatzt sein, und dadurch sind die um- hegenden Bläschen und Körner frei zu hegen gekommen. Eine von der vorigen etwas verschiedene Gestalt besitzen die Nucleolen der Fig. 11 und 12; diese wurden offenbar nach einem ein wenig abweichenden Vorgänge gebildet, wie vir ihn auf einem späteren Stadium, der Bildung des letzten Nucleolus vor der Reifespindel |(Fig. 59, 60, 61, Taf. XXIV, vgl. auch S. 324), erkennen werden. Die Fig. 13 und 14 geben wohl durch Zerfall von Nucleolen der letzten Art entstandene Bilder wieder. Das im Kern suspendierte Chromatin hegt besonders in Nähe der Kernmembran angehäuft und zu dieser ziehen vom Nucleolus (Fig. 10, 11, 12) melir oder minder färbbare Fasern, an welchen derselbe gleichsam aufgehängt erscheint. Diese Fasern bleiben ebenfalls sichtbar, wenn der Nucleolus sich schon zerstückelte (Fig. 5, 8, 13, 14). Die eigentliche Kern- struktur, die auch an besonders vorteilhaft fixiertem Material und in den späteren Stadien, in denen die Kernstrukturen viel (hchter geworden sind, direkt erkennbar ist, wird man vielleicht folgendermaßen ausdrücken können: Die Kemgrundsubstanz bildet ein Schaum- oder Wabenwerk. Die Chromatinkörnchen hegen in den Wabenwänden, zumeist in den Waben- ecken und verteilen sich besonders an der Kernmembran, die selber durch die letzten, wohl besonders stark imprägnierten Wabenwände dargestellt sein dürfte (man vergleiche hierzu das viel spätere Stadium der Fig. 51, Taf. XXIV, bei welcher auf der Kernmembran ein deutliches Wabenwerk zu sehen ist). Ungefähr in der Mitte des Kernes befindet sich der Nucleolus. Diejenigen Wabenwände, welche gerade besonders viel tingierbare Bestand- teile enthalten, treten im Bilde deutlicher, ja vielfach allein hervor, und diese stellen infolgedessen das sogenannte chromatische Kerngerüst dar, in welchem der Nucleolus, gleichsam wie in einem Spinngewebe, aufgehängt erscheint. Es fragt sich nun, was liefert der Nucleolus bei seinem Zerfall. Hierüber geben uns schon die Fig. 16, in der Zelle rechts, und Fig. 17 auf Taf. XXIII Aufschluß, und spätere Stadien der Ovogenese werden uns keinen Zweifel mehr darüber lassen können. In Fig. 16 entspringt von dem Nucleolus der rechts liegenden Zelle strahlenartig eine Menge chromatischer Körner. 314 Albert Oschmann Der Rest des nur mehr blaß gefärbten Nucleolus ist noch vorhanden. In Fig. 17 ist auch ein solcher vollständig versch^vunden und an seiner Stelle hegt eine Menge intensiv sich fäi’bender chromatischer Körner, die sich übrigens von den auf dem Kernnetze liegenden durch ihre viel regehnäßigere Gestalt unterscheiden. Also schon aus diesen Befunden kann man schüeßen, daß aus dem Nucleolus Chromatin entsteht und die Bildung von solchem wohl seüie Aufgabe sein vird. Was geschieht nun weiter, wenn der Nucleolus sich ganz aufgelöst hat? Das beantwortet uns auch schon in dieser Periode, die der Ver- schmelzung vorangeht, der interessante Zellkern, den die Fig. 19, Taf. XXIII, darstellt. In ihm finden w den alten Nucleolus verschwunden und statt seiner eine große Zahl chromatischer Körner, inmitten dieser bildet sich ein winziger, rötlich sich färbender Nucleolus aufs neue. Den homologen Prozeß werden wir im Verlaufe der Ovogenese selm oft näher verfolgen können. Die Verschmelzungsperiode bestätigt uns die obigen Befunde m viel- leicht noch präziserer Form. Bei jeder Verschmelzung, also Aufgabe der Selbständigkeit des Kernes, zerfällt der Nucleolus. Diese Tatsache zeigt uns, daß der Nucleolus das empfindlichste und individuellste Zellorgan ist, welches bei Ander img .des Zustandes des Kernes, unter dem es gerade arbeitete, bei DezentraUsierung der Kerntätigkeit, wie eine solche durch Verschmelzimg notwendig herbeigeführt wrd, seine Funktion sofort ein- stellen muß. Eine solche Empfindlichkeit kann wiederum allein einem sein’ aktiven Organe zukommen. In Fig. 63 und 64, Taf. XXV, besitzen die zwei Kerne rechts, die gerade nur zu verschmelzen beginnen, noch ihre Nucleolen, dagegen lösen sich im Kerne Ünks, der aus Verschmelzung soeben hervorging, die Nucleolen auf, und man sieht an ihrer Stelle, außer größeren, noch nicht zerfallenen Bruchteilen, eine Menge intensiv färbbarer, chromatischer Kügelchen (Fig. 20 und 21 auf Taf. XXIII, che den Kern stärker vergrößern und zwei optische Ebenen durch denselben Sclinitt darstellen). Desgleichen ist der Nucleolus aufgelöst bei dem über dem letzteren gelegenen Kern (Fig. 21, Taf. XXIII), der wohl auch schon durch Vereinigung von zweien gebildet wm’de, ja schon in dem oberhalb dieses letzteren (in Fig. 63, Taf. XXV) gelegenen kleinen Kerne hat sich der Nucleolus total zerstückelt, wie Fig. 22 auf Taf. XXIII zeigt. In Fig. 25, Taf. XXIII, die den Schnitt der Fig. 70, Taf. XXV, der oben besprochenen Gruppe stärker vergrößert, sehen wir in dem großen Kerne links den Nucleolus in mehrere Stücke zerfallen und um diese, ihnen teil- weise noch angelagert, regelmäßig konturierte, chromatische Körner, die daraus gebildet vmrden. Im Kerne rechts in der Gruppe ist der Nu- Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 315 cleolus so gut wie vollständig zerstückelt und seine Bruchteile verteilen sich auf die Kernnetze. In dem mittleren oberen Kerne ist von dem ur- sprünglichen Kernnetze gar nichts mehr zu sehen und nur die Nucleolen- teile treten hervor. In dem oberen Kerne der Textfig. 7 und 8 ist der Nucleolus ebenfalls zerfallen, während er in den zwei darunter ge- legenen Kernen (Textfig. 9 und 10) eine verklumpte Masse vorstellt, die nichts mehr von einer nucleolären Struktur besitzt und später zerfallen wird, wie der vierte Kern der Gruppe, von dem ein Schnitt in Fig. 29, Taf. XXIII, genauer dargestellt ist, uns zeigt. Dasselbe gilt für die Nucleolen der Textfig. 3, 4, 5, welche in der Fig. 26, Taf. XXIII, nochmals dargesteUt sind. Nach Fig. 31, Taf. XXIII, zerfließen teilweise solche Gebilde. Wenn zwischen einer Verschmelzung bis zur nächstfolgenden einem Kerne etwas Ruhezeit bleibt, so bildet er sofort wieder einen neuen Nucleo- lus, wie der Kern der Textfig. 6 zeigt, dessen Struktur auf Fig. 27 und 28, Taf. XXIII (aufeinanderfolgende Schnitte), präziser wiedergegeben ist. Auf der ersten dieser zwei Figuren sehen w, wie ein junger Nucleolus mit großer, innerer Vacuole, um die erst nur wenige, substanzarme Bläschen angeordnet sind, gebildet wird, während auf dem nachfolgenden Schnitte ersichtlich ist, vde die früheren Nucleolen sich zu einem Geflechte auf- gelöst haben. Desgleichen können auch alle riesigen, zerklumpten oder zerfallenden Nucleolenreste der Fig. 26, 31, 25, Taf. XXIII, nur von nach Verschmelzung neu entstandenen Nucleolen herrühren, wie ein solcher durch den Nucleolus der Fig. 24, Taf. XXIII, offenbar dargestellt wird (in Fig. 23, der nächste Schnitt von Fig. 24, sind noch Reste der alten Nucleolen zu sehen). Die durch Zerfall der Nucleolen frei gewordenen chromatischen Sub- stanzen verteilen sich zu einem Netzwerk und man findet sie oft zvsischen den Teilchen der alten Struktur, dm’ch ihre regelmäßigere Form und bessere Färbbarkeit erkennbar, während die Elemente der früheren Struktur um’egelmäßig konturiert sind und einen mehr korrodierten Charakter auf- weisen (Fig. 23, Taf. XXIII). Jedoch zerfällt einerseits das alte Chromatin- gerüst, und zwar entstehen aus den größeren Schüppchen und ihren An- sammlungen feine Fasern, die sich durch den ganzen Kern verbreiten (ebenfalls die gleiche Fig. 23). (Wir werden in der nächsten Periode, bei Anwachsen der Zellelemente erkennen können, daß diese Fasern aus anein- ander gereihten Körnchen oder Bläschen (Fig. 45, Taf. XXIV) zusammen- gesetzt sind und den ganzen Prozeß genauer verfolgen köimen.) Es wird somit ein dichteres und ein feineres chromatisches Kerngerüst wahrnehm- bar, ein Unterschied, welcher naturgemäß auch auf den früheren Stadien Archiv f. Zellforschung. XII. 21 316 Albert Oschmaim vorlianden sein mußte, jedoch der lüeinheit der Elemente wegen noch nicht so leicht erkennbar war. In dem unteren Kerne auf Fig. 26, Taf. XXIII, (Textfig. 4 und 5) ist eine spontane Umwandlung des größten Teiles der gröberen Kernstruktur in die feinere eingetreten und man sieht die hierdurch entstandenen Fasern dicht verstrickt gegen den oberen Kern gelagert. Bemerkenswert ist, daß nur diejenige Partie des Kernes, welche durch den vor der Verschmelzung links gelegenen Teil hergestellt wii’d, diese Umwandlung zeigt, während der andi’e Teil, der aus dem rechten Kerne entstanden ist, von dieser plötz- lichen Veränderung nicht berühi’t wird. Die Sache ist an und für sich leicht erklärlich, denn jeder Kern hatte vor der Verschmelzung seine be- sondere Entstehungsgeschichte, von der er auch nach derselben physio- logisch noch abhängen muß, und es hätte einen kolossalen Zufall gebraucht, besonders bei den intensiven Veränderungen in der Verschmelzungsperiode, wenn die beiden Kerne zu derselben Zeit gerade in dem genau gleichen Stadium hätten sein sollen. Diese, nach der Verschmelzung noch eine gewisse Zeit andauernde Selbständigkeit der Stoffe der einzelnen Kerne, sodaß durch die bloße Verschmelzung nicht eine neue Einheit und Kern- individualität entsteht, sondern diese erst langsam gebildet werden muß, werde ich im allgemeinen Teile, bei Besprechung der Verschmelzung noch durch andi’e Befunde erläutern können. Die neue großkörnige chromatische Struktur, welche aus dem Nu- cleolus entstanden ist, wird natürlich dasselbe Schicksal haben, wie ihre Vorgängerin, und später ebenfalls zu einer feineren zerfallen, denn bei jeder neuen Verschmelzung geht dieser Prozeß vor sich, und so folgen demi mit den Verschmelzungen einerseits die Xucleolengenerationen auf- einander, anderseits die Generationen der dichten und weiter diejenigen der feinen clu’omatischen Geflechte, sodaß jedesmal die eine Phase aus der nächst höheren Phase der vorhergehenden Generation entsteht. So bilden also nach einer Verschmelzung die Nucleolen der zusamniengeflos- senen Kerne die dichte chromatische Struktur des neuen Kernes, ihre dichte chromatische Struktur das feine clu'omatische Geflecht. Was nun das letztere anbetrifft, so wäll ich gleich einer besseren Übersicht \vegen vorausgreifen, daß dieses in die Bildung des neuen Nucleolus eingeht (wie wK bei der Entstehung des vorletzten Nucleolus vor der Reifeteilung, Fig. 51 und 52, Taf. XXIV, genau werden verfolgen können), sodaß der ganze Umbildungsprozeß cyklisch verläuft. Durch die Vereinigung der Substanzen vieler Kerne zu einem ein- zigen, und vielleicht auch durch nebenbei verlaufende Neubildungen von Kernstoffen, wird die Struktur der Kerne, bei zunehmender Verschniel- Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellulären Erscheinungen. 317 zung immer dichter und reicher an chromatischen Bestandteilen. Die Fig. 29 auf Taf. XXIII zeigt den Kern der Textfig. 11 (ein andrer Schnitt) stärker vergrößert und man erkennt in ihm ein reichliches Flechtwerk feiner chromatischer Fasern mit sehr viel dichtem chromatischem Ge- rüst und eine Menge großer chromatischer Schollen, die von Nucleolen herrühren. Im einzigen Kerne der Gruppe der Textfig. 12, von der Fig. 30 auf Taf. XXIII einen Schnitt wiedergibt, findet man, bei Durchsicht der Serie viele Beste von verschiedenen Nucleolen und die ganze, innere Kernkon- figuration zeigt aufs deutlichste, daß es noch zu keiner einheitlichen Kern- struktur gekommen ist (vgl. z. B. mit dem späteren Stadium auf Fig. 43, Taf. XXIV). Nachdem sämtliche Kerne sich vereinigt haben, rundet sich der Ver- schmelzungskomplex ziemlich ab, und tritt aus dem Verband der ihn umgebenden Zellen heraus, dem er noch eine zeitlang anliegen kann (Fig. 63, Taf. XXV, Fig. 65-68, Taf. XXV, Fig. 32, Taf. XXIII, und die Textfiguren auf S. 311). Die andern Zellen schließen wieder zusammen, um so wiederum eine neue Verschmelzungsgruppe geben zu können. Der eben besprochene Verschmelzungsprozeß, daß sofort eine Menge zentral gelegener Zellen inmitten eines größeren Komplexes verschmilzt, um dann später noch weiter die am Bande gelegenen Zellen einzubeziehen, ist der typische und weitaus häufigste, der stets eintritt, wenn viel Zellen vorhanden sind. Nun gibt es aber manchmal Partien im Ovar, bei denen dasselbe zwischen andern Organen nur als ein dünner Strang sich durch- ziehen kann, oder wo, nach einer beendeten Verschmelzung, nur noch wenige Zellen übrig bleiben. In solchen Fällen können nicht auf einmal viele Zellen sich vereinigen, da nur wenige Zusammenstößen, sondern es verschmilzt eine geringe Zahl, oftmals zuerst gar nur zwei — es sind selbst- verständlich alle Kombinationen möglich — die dann einen einheitlichen Kern bilden, darauf wiederum eine oder zwei Zellen einbeziehen, wonach diese Kerne mit den andern verschmelzen usw. Es liegt darin kein wich- tiger Unterschied mit der andern Verschmelzungsart und die Abweichung ist nur in den Bedingungen des Quantums und der Verteihmg der Zellen gegeben. Um nicht die Figuren unnötig zu vermehren, habe ich es unter- lassen, von diesem an und für sich ganz selbstverständlichen Vorgang Abbildungen zu geben. Fassen wir die Besultate der Beobachtung der chi’omatischen Ver- änderungen während der ersten Wachstumsperiode und der Verschmel- zungsperiode km’z zusammen, so ergibt sich, daß der Nucleolus größere, dichtere, intensiv färbbare chromatische Körner oder Bläschen aus sich 21* 318 Albert Oschmann entstehen läßt. Es ist klar, daß die Abgabe dieser Substanzen nicht an den vollständigen Zerfall des Nucleolus gebunden ist, sondern daß er reife Chromatinkörner bei ruhigem Fortbestehen und Weiterfunktion fortwäh- rend an den Kern abgibt; so zeigt z. B. Fig. 4, Taf. XXIII, wie der Xucleolus einen Chroniatinteil abgeschnürt hat, ohne im geringsten dabei zu zer- fallen, und um die Xucleolen finden w recht oft sehr regehnäßige Chro- matinkörnchen, die höchstwahrscheinhch aus ihm entstanden sind. An vielen DrüsenzeUen läßt sich diese stetige Chromatinabgabe ganz ein- deutig verfolgen. Jedoch tritt eben bei Zerfall des Xucleolus seine Tätig- keit ganz besonders augenfäUig zutage. Diese aus dem Xucleolus ent- standenen, dichten Chromatinkörner werden im Kerne verteilt und zerfallen selbst wieder zu kleineren Körnchen oder Bläschen, die zu feinen Fasern (Wabenwänden) gruppiert, sich weiter ausbreiten. Falls der Xucleolus zerfallen war, bildet sich wiederum ein neuer. Alle diese Prozesse werden wir in der nächsten Periode durch viel deutlichere Strukturen bestätigt finden. Dieselbe köimen wir, zur Unter- scheidung von der kurzen Wachstumsperiode der Ovocyten vor der Ver- schmelzung, als die zweite Wachstmnsperiode bezeichnen. In dieser wächst das Ei vor der Dotterbildung noch um ein vielfaches heran (vgl. Fig. 63, Taf. XXV, mit Fig. 71 derselben Tafel) und wird auch während der Dotter- bildimg noch stark vergrößert. Zu Ende der Verschmelzung zeigte das Keimbläschen eine ziemliche WÜTnis in seiner Struktur und enthielt eme Menge großer chromatischer Schollen als Reste von zerstückelten Xucleolen (Fig. 30, Taf. XiXIII). Diese Schollen geben nun Chromatinkömern Entstehung, die sich ziemlich regel- mäßig auf dem Kerngerüste verteilen und ein sehi' dichtes chromatisches Geflecht ergeben. Zugleich hat sich ^viederunl ein neuer Xucleolus gebildet (Fig. 43, Taf. XXTV). In der nächsten Etappe (Fig. 44, Taf. XXIV) finden wir den Kern etwas vergrößert, wie auch das Ei um ein beträchthches Stück gewachsen ist (vgL Fig. 65, Taf. XXV, mit Fig. 63, Taf. XXV). Das Kerngerüst dagegen ist ein viel spärhcheres geworden. Es sind nur mehr wenige dichtere chroma- tische Körnchen vorhanden, dafür viel feine Fädchen, die aus aneinander gereihten kleineren Bläschen zusammengesetzt sind. Der Xucleolus weist einen stark chromatischen Teil aixf, welcher, wie der ganze Xucleolus des vorhergehenden Stadimns, aus einer Reihe von dichten Körnern imd Bläschen besteht, die um eine hellere Vacuole gelagert sind. Diese Partie liegt polar einem viel größeren, schwächer färbbaren Gebilde aufgelagert (Fig. 35, Taf. XXIII). Eine Erklärung dieser Struktim werde ich im allge- meinen Teile versuchen. Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung imd der cellularen Erscheinungen. 319 Die Umwandlung des Chi’omatins ist im folgenden Stadium (Fig. 45, Taf. XXIV) noch weiter vorgeschritten und wir finden dort gar keine Chro- matinkörner der früheren, dichten Struktur mehr, sondern nur die klein- sten Bläschen, die sich optisch zu mehr oder weniger unterbrochenen Fädchen auf dem Kernnetze gruppieren. Zur Bildung einer neuen Chro- matingeneration gibt der Nucleolus sein Chromatin an den Kern ab, um nachträghch vollständig zu zerfallen. In oben zitierter Figur sehen wir, wie in der polaren, dichteren Partie des Nucleolus die einzelnen Bläschen sieh von einander lockern und aus dem Verbände austreten (noch besser auf dem nächsten Schnitt durch den Nucleolus sichtbar, Fig. 46, Taf. XXIV). Zu einem sehr großen Teile haben sie sich schon in dem Kernnetze ver- breitet. Die zweite Partie des Nucleolus ist aber ebenfalls sehr chromatisch geworden, wenn auch etwas schwächer wie die andi’e, und auch sie beginnt mit der Abgabe ihrer färbbaren Stoffe, wie man an dem unteren Teile des Nucleolus in der Fig. 45 und 46 leicht ersehen kann. (Ein ganzes Ei dieses Stadiums ist bei halber Vergrößerung, wie Fig. 45, in Fig. 73, Taf. XXV, wiedergegeben.) Diese Chromatinausscheidung schreitet nun weiter fort, sodaß in der nächsten Epoche (Fig. 47, Taf. XXIV) von dem Nucleolus nur mehr eine große, scharf umschriebene, ungefärbte Kugel zurückbleibt. Alles Chro- matin hat sich in Gestalt gi'ößerer, regelmäßiger Kugehi und Körner auf dem Kernnetze ausgebreitet und nur ein geringer Teil haftet dem Rest- körper an als ein gelockerter chi'omatischer Knäuel. Bei dem nächsten Stadium, welches die Fig. 48 und 49, Taf. XXIV, in aufeinanderfolgenden Schnitten wiedergeben, finden wir die ungefärbte Kugel vöUig frei (Fig. 48) und daneben (Fig. 49) zwei Gebilde aus kleinsten chromatischen Bläschen, wie solche durch die letzte Umbildung des Chro- matins im Kernnetze entstehen (vgl. S. 318). Dieselben entsprechen offen- bar dem weiter umgebildeten chromatischen Knäuel der Fig. 47. Die Chromatinverminderung in dieser Wachstumsperiode steht wahr- scheinlich mit den Vorgängen im Plasma im Zusammenhang und dürfte vielleicht durch diese direkt begründet sein. Gleich zu Beginn der Wachstumsperiode, sobald sich die Struktur des Keimbläschens geordnet hat, und ein Nucleolus sich gebildet, sehen wir, wie um den Kern eine plasmatische Zone sich abzuscheiden beginnt, die eine viel regelmäßigere, wabige Struktur aufweist, wie das übrige Plasma, das durch Verschmelzung der Ovocyten entstanden war und einen mehr zerfaserten Eindruck macht. Außerdem unterscheidet sich die um den Kern gelegene Partie in der Färbung von der peripheren (Fig. 63, Taf. XXV, und Fig. 43, Taf. XXIV). Diese centrale Zone wächst nun immer 320 Albert Oschmann mehr heran, das alte Plasma vor sich herdrängend (Fig. 32, Taf. XXIII, Fig. 65 und 71, Taf. XXV). Ich will diese Zone um den Kern als IVaehs- tumszone bezeichnen, da sie offenbar einen Zuwachs und eme Neubildung an plasmatischen Stoffen darstellt. Der oben beschriebene Strukturunterschied zwischen der centralen Plasmapartie und der peripheren, das Fehlen eines innigen Zusammen- hanges zwischen beiden, brmgt es mit sich, daß oft bei Fixation diese zwei Teile sich von einander trennen und eine lüuft zwischen ihnen ent- steht (Fig. 43, Taf. XXK, Fig. 65, Taf. XXV, und Fig. 32, Taf. XXIII), aber auch bei der für Plasmastrukturen besten Fixation, bei der ab- solut kein Abreißen stattfindet (z. B. Fig. 71, Taf. XXV), ist die centrale Zone scharf umschrieben und augenfällig von der andern zu erkennen. Kurz vor der Dotterbildung sehen wir, vie che IVachstumszone mit einer Umnenge regelmäßig konturierter, kugehger Körnchen angefüllt wird, die sich mit Karmin nach ]\Lvyer intensiv und durchsichtig rot tingieren (Fig. 71, Taf. XXV), mit Hämalauu-Eosin ebenfalls rot (Plg. 72, Taf. XXV) und mit Safranin-Gentiana-Lichtgrün leuchtend grün. Durch Eisenhämatoxjdin werden sie zimi Unterschiede des reifen Dotters, der intensiv schwarz wird, nicht gefärbt. Gleichzeitig mit der weiteren Vergrößerung der IVachstumszone füUen diese Körnchen, das periphere Plasma zu einer immer dünner wer- denden Schicht zusammench'ängend, den weitaus größten Teil des Eies an (Fig. 72, Taf. XXV). (Diese plasmatische Zone ist manchmal auch im fixierten Präparate noch so regehnäßig, daß dieKörnchen wie auf Strahlen angeordnet erscheinen.) Die ersten größeren Körnchen, welche dann sicher als Dotterkörnchen anzusprechen sind, bilden sich stets am äußersten Bande. Da nun optisch eine kontinuierliche Reihe zwischen den großen Dotterkörnchen, die peripher in dem Ei gelagert sind, bis zu den Meinen Körnern um den Kern besteht, ist es schwer zu sagen, ob diese letzteren sich direkt in die Dotterkügelchen verwandeln oder noch aufgelöst werden, während che Dotterkügelchen entstehen. Die Bilder dieser Stadien wür- den das erstere wahrscheinlich machen (der Unterschied in der Färbbar- keit mit Eisenhämatoxylm würde dann nur in einer chemischen Änderung der Meinen Körnchen zum fertigen Dotter gegeben sein, was ja sowieso etwas sehr Naheliegendes wäre). Doch läßt sich eine absolute Sicherheit hierm nicht erzielen; daß aber diese Körnchen, die in der ‘Wachstums- zone direkt zum Beginn der Dotterbildung erscheinen, mit letzterer in unmittelbarem physiologischem Zusammenhänge stehen müssen, ist ohne Zweifel. Beitrag ziun Studium der Zellverschiuelzung imd der cellultären Erscheinungen. 321 Die Dotterbildimg schreitet sodann, unter Aufbraiich der plasnia- tischen Substanzen vom Rande aus gegen den Kern weiter, sodaß in mittleren Stadien derselben (z. B. bei Auflösung des ersten Keimbläschen- nucleolus) eine Zone zu unterscheiden ist, die noch weniger davon berührt wird (Fig. 73, Taf. XXV, und Fig. 48, Taf. XXIV). Diese Zone, die zumeist bei der Fixation abreißt, da sie zum Unterschiede der Randpartie noch dichteres Plasma besitzt, ist selbstverständlich zu unterscheiden von der IVachstumszone jüngerer Stadien, wie z. B. auf Fig. 65, Taf. XXV. Sie stellt natürlich nur mein- einen geringen Teil der ganzen Wachstumszone dar, es sei denn der Fall, daß es sich sogar um eine in der Zwischenzeit neu gebildete Partie handeln sollte. In weiteren Stadien, z. B. der Neubildung des zweiten Keimbläschen- nucleolus (Fig. 51, Taf. XXIV, und Fig. 74, Taf. XXV), ist die Dotterbil- dung so weit vorgeschritten, daß alles Plasma bis zur Kernmembran sich umwandelt. Die Dotterkörnchen wachsen noch weiter heran, bis fast gar nichts mehr von dem Plasma, wie ganz spärliche, kaum sichtbare Reste übrig bleiben, denen keine große Bedeutung mehr zukommen kann. Dieser Prozeß ist bis zum Verfall des zweiten Keimbläschennucleolus vollständig beendet (vgl. Fig. 88 und 89, Taf. XXVII), sodaß man sagen kann, daß auf diesem Stadium sich alle außerhalb des Kernes gelegenen Substanzen bis auf ganz geringe Spuren, (he um die Dotterkörnchen verlaufen, sich in deuto- plasmatische Stoffe verwandelt haben und außerhalb des Kernes keine V eränderung mehr stattfinden kann, bis der Dotter wieder aufgelöst wer- den wird. Kehren wir nun, nachdem wir das Plasma erledigt haben, zu dem Kerne zurück. Die letzte Periode endete mit dem Verfall des Nucleolus; es wird nun die Aufgabe des Kernes sein müssen, wiederum einen neuen zu l)ilden, der also zum zweiten Keimbläschennucleolus wird. Dieser Prozeß läßt sich nunmehr’ auf diesem Stadium, der Größe und der Über- sichtlichkeit der Elemente wegen, leicht verfolgen und ist geeignet, uns in morphologischer Beziehung vollständige Klarheit über die Entstehung des Nucleolus zu verschaffen. In Fig. 51, Taf. XXIV, sieht man, wie das Kernnetz unter Strahlung zusammengezogen ist (dieselbe ist bei schwächerer Vergrößerung, da man dann mehr optische Schichten zugleich überblickt, noch viel auffälliger) und im Mittelpunkte dicht zusammengepreßt, ohne aber von seiner reti- kulären Struktur etwas einzubüßen. Dieser, im fixierten Präparate ver- dichtete Teil des Kernnetzes stellt den neuen Nucleolus dar. (Eine aus- führlichere Deutung des Vorganges werde ich im allgemeinen Teile geben.) Nun wh’d auch auf einmal verständlich, was in ihrer Entstehungsweise, 322 Albert Oschmaim ja in ihrem Wesen selbst begründet wii'd, warum die jungen Nucleolen in ihrem Innern ein Kernnetz auf weisen, und umgekehrt ist dieses Vor- handensein eines Kerm-eticulums für die Nucleolen der verschiedenen Generationen ein Beweis, daß sie alle aus einem Teil des Kemnetzes ent- standen sind, wiewohl man auch a priori annehmen wird, daß sie sämtlich eine prinzipiell einheitliche Bildungsweise haben werden. Als Vergleich habe ich in Fig. 51a, Taf. XXIV, unter gleicher Vergrößerung eine Ovocyte wiedergegeben, deren Xucleolus auf ungefähr dem entsprechenden Sta- dium (nur ein wenig mehr vorgeschritten) wie derjenige der Fig. 51 steht. Da wir nun aus den vorhergehenden Kapiteln erkennen konnten, daß das aus dem Xucleolus entstandene Chi'omatin durch seinen Zerfall das Kernreticulum liefert (feinste Fasern mit den kleinsten chromatischen Bläschen) und wir nunmehi’ dieses Kernreticulum in die Bildung des Xucleolus eingehen sehen, so ergibt sich, daß die chromatischen Um- wandlungen durch den Xucleolus wieder rückläufig gemacht werden, wie ich oben bei der Durchnahme der chromatischen Veränderungen im Kerne anfühi'te. So jung aber auch der Xucleolus der Fig. 51 sein muß, so hat er doch schon seine Tätigkeit begonnen, indem er nach dem einen Pole, allerdings noch recht wenige blaßfärbbare, chromatische Vacuolen abschied (in Fig. 50 ist der vorhergehende Xucleolusansclmitt, der diesen dünnen Saum zeigt, wiedergegeben), wähi'end sein größter Teil, nach der andern Eich- tung gegen den Kern noch vollständig frei ist (Fig. 52, welche den auf Fig. 51 folgenden Schnitt zeigt). Bezüglich der Fig. 51 muß ich folgende Berichtigung geben: die kleinen Körnchen auf dem Kernnetze wurden mit dem Zeichenapparat eingezeichnet. Um den Faserverlauf der Strahlung verfolgen zu können, mußte bei der starken Vergrößerung die Mikrometerschraube verändert werden und hierdurch wurden die Körnchen mehrerer optischer Schichten eingezeichnet, sodaß die Struktur im Kerne zu dicht ist. Die folgende Fig. 52, bei deren Zeichnung die Miki'ometerschraube nicht verstellt wurde, gibt für das Kerngerüst die richtigen Verhältnisse. Die Entwicklimg des Xucleolus geschieht, indem er immer mehr chromatische Vacuolen abscheidet, sodaß die polare Schicht derselben so- wohl an Breite wie an Umfang zunimmt, wie Fig. 53, Taf. XXIV, darstellt. Zugleich umgreift sie, an Dicke gegen die eine Seite stark abnehmend, den ganzen Xucleolus, sodaß sein Gerüstwerk membranartig durch sie gegen dasjenige des Kernes abgeschlossen wird, wahrscheinlich aber oline dadurch den Zusammenhang mit letzterem aufzugeben. (Daß ein Teil Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 323 der großen Vacuole im Nucleolus den chromatischen Saum etwas vor- wölbt, während dafür ein Teil des Kernreticulums sich einstülpt, wird wohl durch eine Strömung bei der Fixation erfolgt sein. Es macht uns aber gerade das zuletzt besprochene plausibler. Im allgemeinen Teile werde ich auf diese Frage noch näher eingehen.) Auf Fig. 54, Taf. XXIV, ist die Bildungstätigkeit weiter fortgeschritten und der ganze Nucleolus ist jetzt von einer dickeren Schicht von chromatischen Vacuolen umgeben, während durch die Bildung derselben die innere Vacuole verkleinert wurde. (Einen ganzen Kern in diesem Stadium gibt bei halber Vergrößerung Fig. 74, Taf. XXV, wieder.) Endlich stellt Fig. 55, Taf. XXIV, (Karmin nach Mayer) einen reifen Nucleolus dar. Die innere Vacuole ist hier vöUig zurückgebildet und der ganze Nucleolus in intensiv chi'omatische Vacuolen abgeteilt, von denen besonders ein polargelegener Teil so dicht imprägniert wurde, daß sie sich in vöUig kompakt aussehende Körner verwandelten. IVIit Eisen- hämatoxylin färbt sich solch ein Nucleolus undurchsichtig schwarz und man kann eine weitere Struktur an diesen Präparaten nicht mehr erkennen (Fig. 86, Taf. XXVII). Das Kernnetz ist auf diesem Stadium vollständig frei von Resten dichterer chi'omatischer Struktur oder gar von solchen ues alten Nucleolus, alle sind zu den kleinsten Kügelchen zerfallen und der Kern weist demgemäß ein sehr regelmäßiges Wabenwerk auf, nur von den winzigen chromatischen Bläschen durchsetzt (wie auf Fig. 56, Taf. XXIV und Fig. 86, 88, 89, Taf. XXVII zu ersehen ist). Infolgedessen werden wir nach alldem, was wir schon gesehen haben, erwarten können, daß der Nucleolus sein Chromatin an den Kern abgibt. Dieses tritt auch in der Tat ein, wie die Fig. 56 und 57, Taf. XXIV und die Fig. 87, 88 und 89, Taf. XXVII zeigen, und zwar wird das Chromatin polar aus dem Nucleolus ausgestoßen, teils als unabhängige Körner, welche dann weiter zerfallen (Fig. 88 und 87, die den folgenden Schnitt vdedergibt), teils mehr zusammenhängend, so- daß es aussieht, als entspränge eine lange Schleife dem Nucleolus (Fig. 56, 57, Taf. XXIV, und Fig. 89, Taf. XXVII). Diese Schleife verbreitet sich im Kerne bald mehr spiremartig aussehend (Fig. 89), bald mehr, offenbar durch teilweisen Zerfall, den Eindi-uck einzelner chromatischer Fäden erweckend (Fig. 90). Sie verschwindet sehr rasch, indem die größeren Bläschen sich in kleinere aufteilen, die wiederum die kleinsten Bläschen der letzten chromatischen Etappe ergeben, wie man es auf Fig. 56, Taf. XXIV, sehen kann. Manchmal erfolgt dieser Zerfall so plötzlich, daß die Schleife un- mittelbar nach ihi’em Austritt aus dem Nucleolus aufgelöst wird (Fig. 91 und 92, Taf. XXVII). (Mit ähnhchen Vorgängen werden wir es wohl auch bei Fig. 47 und 49, Taf. XXIV, zu tun haben.) An diesen Präparaten kann man 324 Albert Osehmaim außerdem besonders deutlich erkennen, daß aus dem zerfaUenden Cliro- matin nicht allein die kleinsten Bläschen, welche auf den Vacuolenwänden hegen, entstehen, sondern auch die Vacuolen selbst. AVährend wh also bei der Bildung des Nucleolus eine Mitverwendung, einen Verbrauch an Grundwabenwerk hatten, finden wir hier eine Neubildung von solchem. An Stehe des Nucleolus bleibt eine scharf umschriebene, unfärbbare Kugel zurück, wie eine solche auch beim Zerfall des Nucleolus des letzten Stadiums entstand. Auf einigen seltenen Bildern, wie z. B. anf Fig. 92, Taf. XXVII, kann man erkennen, daß diese nicht aus einer total homogenen Masse besteht, sondern aus einzelnen Bläschen oder Kügelchen, die aller- dings unter sich voUstänchg gleichartig sind und frei von jeglicher Inkrusta- tion, auch den Zusammenhang mit dem Kernnetz völlig verloren haben. Diese Kugel wird, wie ich beobachten konnte, aus dem Kerne ausgestoßen. Möghcherweise kann sie auch in andern Fällen im Kerne aufgelöst wer- den, wofür ich jedoch keine Bilder vorfand. Da das Chromatin, welches der Nucleolus abgegeben hatte, einem sofortigen Zerfalle anheimfiel, erhalten ^^■ir demgemäß als nächstes Sta- dium Kerne, in denen außer dem Grundwabenwerk mit den kleinsten Bläschen absolut nichts mehr zu erkennen ist, wie Fig. 58, Taf. XXIV, einen solchen Kern viedergibt. Dieses Grundwabenwerk ist ziemlich dicht und mit den Chi’omatinbläschen letzter Etappe stark beladen, wie es nach Auf- lösung der großen Chi'omatinmenge zu erwarten ist. Der chitte und nunmehr letzte Keimbläschennucleolus baut sich etwas abweichend von seinen beiden Vorgängern auf. Der Grund hierzu könnte wohl in dem verschiedenen Zustande des Kernreticulums, nämlich seiner größeren Dichte gegeben sein. Das Kernnetz wd nicht nach einem einzigen Punkte zusammengezogen, sondern nach mehi'eren zugleich und gibt auf diese Weise Entstehung mehrerer Teilnucleolen, die ein jeder die Gestalt eines selbständigen Nucleolus aufweisen (Fig. 60 und Fig. 59, Taf. XXIV, welche die beiden vorhergehenden Schnitte der Fig. 60 wiedergibt). Diese Teilnucleolen entwickeln sich aber in demselben Kern- bezii'ke, der in den beobachteten Fällen immer etwas peripher lag, und bleiben bis zu ihrer Reife zusammen, einen traubenförmigen Gesamt- nucleolus bildend, der also als zusammengesetzter Nucleolus eine andi-e morphologische Wertigkeit wie die Nucleolen der beiden vorhergehenden Perioden hat. In Fig. 60, Taf. XXIV, ist der Nucleolus in seiner ersten Anlage begrif- fen, an zwei Stellen sieht nur das Reticulum wie verdichtet aus, ohne schon zu einem Nucleolus abgegrenzt zu sein, die bereits differenzierten Teil- nucleolen haben nur wenig Chromatin gebildet. Dagegen ist in Fig. 61, Beitrag ziim Studium der Zellverschmelzimg imd der cellularen Erscheinungen. 325 Taf. XXIV, die Entwicklung schon weiter vorgeschritten ; wir sehen auf dieser Figur, vde jeder Nucleolusteil central seine große, helle Vacuole besitzt, ringsherum den Saum stark chi’omatischer Bläschen, ein jeder also einem ganzen Nucleolus, wie z. B. in der Fig. 43, Taf. XXIV, entspricht. Daß diesem Unterschiede zwischen den letzten und den beiden ersten Keimbläschennucleolen kein besondrer Wert zukommen würde, sondern daß derselbe lediglich durch die verschiedenen Bedingungen (An- reicherung des Bildungsmaterials), unter denen sie entstehen, hervorge- rufen sein dürfte, würden uns die Befunde bei den Ovocyten vor der Ver- schmelzungsperiode wahrscheinlich machen. Bei diesen finden wir in derselben Periode nebeneinander die zwei Formen von Nucleolen, sowohl die einfachen (Fig. 3, 4, 10, Taf. XXIII), wie die zusammengesetzten (Fig. 11 und 12, Taf. XXIII). Besonders der noch nicht reife Nucleolus der Fig. 11, bei dem jeder Teil innen die große Vacuole zeigt, sieht demjenigen der Fig. 61, Taf. XXIV, äußerst ähnlich. Es kann sich nun bei diesen Ovocyten um keinen Unterschied in der physiologischen Wertigkeit und der Aufgabe der Nucleolen handeln und demgemäß würde dasselbe auch für die Keini- bläschennucleolen der verschiedenen Etappen der Fall sein. Der in Fig. 61, Taf. XXIV, wiedergegebene Nucleolus hat aber noch nicht die definitive Größe erreicht, sondern muß noch weiter heran- wachsen, wie aus den Bildern, welche den Zerfall des Nucleolus zeigen, hervorgeht. Doch lagen die Stadien mit größerem, noch unzerfallendem Nucleolus in meinem Materiale nicht vor, was natürlich belanglos ist. Was die Struktur des Kernes des eben besprochenen Nucleolus-Sta- diunis anbetrifft, so ist dieselbe so fein, daß man ihr auch bei stärkster Vergrößerung keine besondere Form zuschreiben kann. Der ganze Kern färbt sich bei Hämalaun-Eosinfärbung durchsichtig bläulich und sieht völhg homogen aus. Dahingegen finden wir in dem nächsten Stadium (Fig. 62, Taf. XXIV) den ganzen Kern angefüllt mit regelmäßig konturierten Kügelchen, die sich intensiv violett färben und dasselbe Aussehen besitzen, wie das aus dem Nucleolus entstandene Chromatin der vorhergehenden Perioden. Nur ist seine Menge (entsprechend der Masse der zerfallenen Nucleolen) so groß, daß es nicht die Gestalt eines den Kern durchziehenden, mehr oder minder cüchten Flechtwerkes hat, sondern ganz regelmäßig den Kern anfüllen muß. Von den Teilnucleolen haben die peripher gelegenen ihr Chromatin abgegeben und bestehen nur noch aus einer völlig durch- sichtigen, fast ungefärbtenKugel. Es ist naturgemäß, daß die peripher gelegenenen Nucleolen, welche die andern umschlossen, zuerst zerfallen, und aus Analogie mit den vorhergehenden Stadien müssen wir annehmen. 326 Albert Oschmann daß dieser Prozeß weiter schreiten wird und die im Stadium der Fig. 62 noch übrig gebliebenen i^sucleolen ebenfalls zerfallen werden, zumal in der jüngsten Spindelanlage (Fig. 77 bis 83, Taf. XXVI) keine Spur mehr von ihnen vorhanden ist. Außerdem sehen wir in Fig. 62 a, welche die Xucleolengruppe eines andern Kernes darstellt, wie in den centralen Xu- cleolen das Chromatin sich gelockert hat, was nur durch eine begonnene Entleerung möglich ist. Die nächsten Stadien, die ich finden konnte, stellen schon die Keife- spindel dar, und zwar Fig. 77 bis 83, Taf. XXVI, (aufeinanderfolgende Schnitte) die jüngste Anlage derselben, bei wlecher die Chromosomen noch unausgebildet sind. Über die Veränderungen, welche zwischen dem vorher beobachteten Stadium (Fig. 62, Taf. XXIV) und der Spindelbildung vor sich gehen werden, können wir nur folgendes erschließen: Das dem Xucleolus entstammende Chromatin wird sich zu einem Teile, wie wir in den andern Perioden der Ovogenese gesehen haben, umwandeln und hierdurch schließ- lich wiederum ein Grundwabenwerk mit den kleinsten Bläschen bilden. In der Tat bestehen die Sphäi'en aus einem Waben- oder Schaumwerke und die Fasern (Wabenwände eines weitmaschigeren Waben Werkes), welche aus ihm entstehen und in die es kontinuierlich übergeht, weisen aneinander- gereiht die winzigen Bläschen auf, die wir bei dem Umbau der Kern- produkte in allen vorhergehenden Perioden erkennen konnten. Ein andrer Teil des Chromatins whd in die Bildung der Chromosomen einbezogen werden. Die genaue Entstehung der Spmdel selbst habe ich leider bisher nicht feststellen können, denn, wie das fiü- diese Bildung wohl immer der Fall ist, sind die Zwischenstadien schwer zu erhalten. Dieser Prozeß muß im Verhältnis zu den andern Vorgängen der Eientwicklung äußerst rasch erfolgen, weswegen man so wenig Chance hat, eine Serie verschiedener Bilder zu erhalten. Dieselben Gründe dürften auch dafür maßgebend sein, daß ich von der Entwicklung und dem Zerfall des letzten Nucleolus so wenig Stachen habe, während man eine Menge Bilder für che Entleerung des zweiten Xucleolus der zweiten Wachstumsperiode und wiederum eine Menge in der Entwicklung fortgeschrittener Keifespindehi findet. Die gesamte Teilungsfigm* der Reifespindel wird bei unserm Objekt ausschließlich von dem Kern gehefert. Sie besteht aus den beiden Sphären, welche durch Umbildung aus den zwei Endteilen des gestreckten Kernes entstanden sein müssen; zwischen diesen verläuft, sie verbindend, einmal die eigentliche Spindel, welche die Chromosomen aufnehmen wird, und rings um dieselbe herum der übriggebliebene, nicht in diese Spindel auf- genommene Teil des Kernplasma, welcher, gröbere Vacuolen hefernd, zu- Beitrag ziim Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheimmgen. 327 gleich mit den Sphären in das Ei auswachsen wird, und den wir als peripheres Kernplasma der Spindel unterscheiden wollen. Dieses periphere Kern- plasma ist bei unserm Objekte nicht sehr mächtig entwickelt. Auf Fig. 81 sieht man, wie ein Teil desselben und der centrosphäre in das Ei ausge- wachsen ist und gleichsam ein Gitterwerk um die Centralspindel bildet, ferner erkennt man an Fig. 83 sehr schön, wie ein Teil dieser auswachsen- den Partie in ihrem Verlauf, oder in einer Strömung bei der Fixation, von einer Gruppe von Dotterkörnchen aufgehalten wird und sich um dieselbe herumschlängelt. In die Spindel treten keine fertigen Chromosomen ein, sondern diese werden erst in der Spindel ausgebildet. In jungen Spindeln findet man denmach eine Menge deutlich von einander getrennter Ctu’omosomen- körnchen (Chromiolen), welche sich teilweise schon in einzelne Gruppen abzusondern beginnen, wie dieses aus den Fig. 79 und 80 hervorgeht. In weiter entwickelten Spindeln sehen wir, daß die Chromosomen- körnchen sich nunmehr zu richtigen Chromosomen vereinigt haben, näm- lich zu längeren, kompakteren Stäbchen, die stets paarweise nebeneinan- der liegen, und an denen ihre Zusammensetzung aus einzelnen Körnchen noch deutlich erkennbar ist (Fig. 84.) An solchen Spindeln kann man auch den Mechanismus der Spindel- expulsion erschließen. Würden beide Centrosphären vollständig gleich arbeiten, so könnte es nie zu einer Ausstoßung der Richtungskörper kom- men. Dagegen wächst nur die eine Sphäre von der Spindel weg gegen die Eiperipherie und etwas seitlich, die Spindel also nach der entgegen- gesetzten Richtung di’ängend, die andre Sphäre erstreckt sich fast gar nicht gegen die Peripherie, in dieser Richtung nur eine kleine Spitze bil- dend, die gleichsam als Brecher dazu dienen kann, die Dotterkörnchen beiseite zu schieben und der Bewegung also förderlich ist. Dagegen dehnt sich ihre Hauptmasse der Spindel entlang gegen den Spindeläquator und darüber hinweg aus, sodaß sie in demselben Sinne und Richtung wie die andre Centrosphäre arbeitet und die Tätigkeit beider sich summiert. Schon von diesem Stadium an beginnt die Auflösung und Nutzbar- machung des Dotters, und zwar geht diese unter dem Einflüsse der Spindel vor sich. Man sieht an derjenigen Stelle, wo die eine Centrosphäre am meisten gegen die Peripherie des Eies hinarbeitet, wie die Dotterkörnchen, die sonst überall kugelrund und regelmäßig konturiert bleiben, sich aus- buchten, in die Länge fließen und zerfallen, während um sie herum wie ein blaßgefärbter, weißlicher Schaum entsteht, der nichts als eine Neu- bildung plasmatischer Substanzen sein kaim (Fig. 85, Taf. XXVI). 328 Albert Oschmann Von diesem Stadium der Spindel ab erfolgt keine weitere Veränderung des Eies im Muttertiere mehr, sondern es ist nunmelir reif abgelegt zu werden, sodaß also hiermit die Ovogenese abschließt. Kur eines habe ich noch nachzuholen: Wir hatten oben schon ge- sehen, daß nach beendigter Verschmelzung das Ei aus dem Ovarialverbande austritt und ihm nur noch eine Zeitlang anliegt; in späteren Stadien be- findet es sich jedoch vollständig frei in der Leibeshöhle. Dieses gilt nun un- bedingt für die Eier mit reifem Dotter, für die in dem elften Segmente höchstenfalls fin zwei Stück Platz vorhanden ist, sodaß in denjenigen Fällen, in welchen noch mehr Eier Vorkommen, diese durch die Dissepi- niente durchbrechen müssen, und in die nächst zurückliegenden Segmente (meist ein Stück in jedes Segment) zu liegen kommen. Ich habe oft vier Eier mit entwickeltem Dotter in den Tieren vorgefunden. Es ist nun interessant, daß, obwohl diese letzteren Eier, der Bildungsweise im Ovar gemäß, unmöglich gleichaltrig sein können, sic dennoch stets auf dem genau gleichen Stadium stehen, was nur durch eine Korrelation des Eies mit dem Muttertiere erklärlich wird. War z. B. in dem einen Ei ein junger (zweiter) Keimbläschennucleolus vorhanden, so stand in allen übrigen der Kucleolus auf demselben Stadium, oder war der Nucleolus in Ab- gabe seines Chroniatins begriffen (wie z. B. in Fig. 89),' so galt dies für alle dotterenthaltenden Eier des Tieres. Oder war in dem einen die Keife- spindel ausgebildet, so war dies auch für alle andern der Fall, und zwar hatten sämtliche Spindeln den genau gleichen Entwicklungsgrad, ent- weder Spindel mit unfertigen Chromosomen (wie Fig. 79) oder mit ab- geschlossener Chromosonienbildung (wie in Fig. 84). Diese an und für sich sehr interessante Tatsache war für die Unter- suchung der Ovogenese weniger angenehm, da in jedem Tiere, das über- haupt reifere Eier enthält, natürlich inmier nur ein emziges Stadium zu finden ist, wenn auch verhältnismäßig noch so viel Eier voi'handen sind. Auch die Abgabe der Eier kann man ohne eine Korrelation }nit dem ganzen Organismus nicht erklären, denn abgesehen davon, daß diese unbe- dingt nötig ist, damit das Ei auf dem richtigen Stadium abgelegt wird, weder zu früh noch zu spät — sehen die Veränderungen an den Chromosomen, um die es sich nur mehr handelt, doch so unscheinbar aus — ist es anders unbegreiflich, wie die mehrere Segmente zurückliegenden Eier wieder nach vorn durch die Dissepimente hindurchwandern, um die so geringen Öffnungen im eKten Segmente zu finden. Daß die großen Eier, wenn ein- mal dabei angelangt, die enge Genitalöffnung durchpassieren, ist dagegen leicht verständlich, denn wir haben schon gesehen, daß außer den Dotter- kügelchen und flüssigen Substanzen nur Spuren kompakterer Stoffe vor- Beitrag zum Studium der Zellverschmelzimg imd der cellularen Erscheinungen. 329 kommen, sodaß die Dotterkörnchen leicht gegeneinander verschiebbar sein müssen, und die Eier ohne Schaden an jeder beliebigen Stelle stark sich einschnüren lassen. Ein solches Ei kann also dementsprechend über- all direkt durchfheßen, wo nur die Kichtungsspindel, die ihren dichtesten Teil vorstellt, dimchkommt. (Durch Dissepiniente stark eingeschnürte Eier kann man beim Durchwandern durch dieselben auch öfters sehen.) Allgemeiner Teil. I. Zellstrukturen. a) Chromatine und Grundsubstanzen. Wir wollen in dieser Arbeit den Begriff »Chromatin« lediglich mor- phologisch fassen, und zwar morphologisch genetisch, derart, daß wir alle diejenigen Zellteile, welche aus den färbbaren Substanzen der Chi’onio- sonien entstehen und in die Bildung derselben als ein Bestandteil ein- gehen. Chromatin nennen, wenn sie geformt und färbbar sind und so lange sie diese äußerlichen Eigenschaften besitzen. Unberücksichtigt lassen wir hierbei, wie diese Stoffe sich chemisch verändern, durch Ver- bindung oder Abspaltung molecular vergrößert oder verringert, und ob sich die Gestalt und Färbbarkeit selber geändert hat. Ferner wird aus der obigen Begriffsfassung wohl klar hervorgehen, daß wir nicht etwa annehmen, daß aus Chi’omatinen nur Chromatine, d. h. färbbare und im mikroskopischen Präparate geformt erscheinende Teile entstehen wür- den, sondern es wäre denkbar, daß durch eine Reaktion mit einem Chi’O- matin zugleich chromatische und nicht chromatische Substanzen ent- stehen könnten. (Daß chi’omatische Substanzen in die Bildung nicht chi'o- matischer völlig aufgehen, werde ich unten besprechen.) Die Bezeichnung »Clu-omatin« vird infolgedessen für uns ein Sammehiame sein für eine Reihe von Substanzen, welche genetisch Zusammenhängen und durch ihre Färbbarkeit leicht verfolgbar und auffällig sind. Bei unserer, so gut wie völligen Unkenntnis über die chemische Konstitution dieser Stoffe und den Chemismus ihi'er Umsetzungen, wird es wohl auch schwer sein, den Begriff Chromatin brauchbar anders zu umgrenzen, und von einer Richtung, welche jenen lästigen Mangel an elementarer Erkenntnis dimch phantasievolle Spekulationen zu ersetzen sucht, möchte ich mich durch- aus fernhalten. Wie che Chromosomen bei der Umbildung der Teilungsfigur zum »Rulie- kern« sich verhalten, ist des öfteren beschrieben worden. Als Resultat erhält man ein in dem Schaumwerk der Grundsubstanzen verlaufendes 330 Albert Oschmann Flechtwerk größerer und kleinerer Körnchen chromatischer Stoffe und schließlich die Bildung eines Nucleolus. Es wäre unbedacht, zu behaupten, daß es sich dabei um eine bloße Auflockerung und Verteilung der Chromo- somen handelte und daß die Chromatine des Euhekerns genau dieselbe Zu- sammensetzung besäßen, wie diejenigen der Chromosomen, zumal sie im mikroskopischen Präparate schon für unser Auge, besonders in bezug auf Färbung, ein ganz andi'es Aussehen besitzen. Ebenso ungerechtfertigt wäre es, anzunehmen, daß bei diesem Prozesse nur die Chromatine in Keaktion treten und nur Chromatine gebildet wüi’den. Besonders eindeutig zeigt uns dieses alles die Entstehung von Karyomeren, wo vermittels eines einzelnen Chromosoms, ohne daß Grimdsubstanzen aus der Spindel mehr zur Verfügung stehen, ein ganzer Kern, also auch Grundsubstanzen gebildet werden. Daß das Chromosom dieses allein nicht ausführen kann, sondern mit den umgebenden Substanzen (in diesem Falle des Eiplasma) in Reaktion kommen muß, braucht wohl kaum hervorgehoben zu wer- den. Schließlich dürfte uns auch die bloße Überlegung, daß ohne Um- setzung überhaupt keine Veränderung möglich ist — denn wo sollte sonst die Energie zu der letzteren herstammen— sagen, daß sich mit Ausdrücken wie » Auflockerung K und »Verteilung« kein biologischer Prozeß abtun oder unsrer Erkenntnis näher rücken läßt. Wir haben soeben erschließen müssen, daß Chromatine kerne starren Gebilde sein können (sollte es für höchstkomplizierte organische Verbin- dungen noch nötig sein, auf derartige Fragen einzugehen?), sondern fort- währender Veränderlichkeit und Zersetzlichkeit unterwoiden sind und auf dem Rhythmus derselben für alle Stoffe, welche den Organismus aus- machen, werden wohl die Lebensprozesse beruhen und überhaupt das, was wir als Leben bezeichnen. Wir haben nun im Laufe der vorliegenden Untersuchung derartige Veränderungen der Chromatine auch sehen können, Prozesse, welche ich im speziellen Teile als verschiedene Phasen (in allgemeinem, nicht in physikalischem Sinne) oder besser Etappen des Chromatins unterschied. Damit soll ja nicht gesagt sein, daß diese Etappen die einzigen Veränderungen der chromatischen Stoffe darstellten, denn es ist in höchstem Grade unwahrscheinlich, daß alle Veränderungen für unser Auge erkennbar werden müßten, und ebenso wenig, daß es sich dabei um besonders wichtige Veränderungen handelte, dann aus der Auffällig- keit eines Prozesses läßt sich durchaus nicht auf seine relative Wichtig- keit schließen. Es sind emfach Veränderungen, welche fin uns sichtbar wurden und deren Eintreffen wir demnach konstatieren konnten, ohne daß wir über ihre physiologischen Qualitäten im geringsten orientiert wären. Beitrag ziim Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 331 Von theoretischer Bedeutung (wenn auch dieser Vorgang sich schon aus der Entstehung eines Karyoniers vermittels des einzelnen Chromosoms erschließen ließe) ist dagegen, daß wir feststellen konnten, daß das End- produkt dieser Umwandlungen der Chroniatine Grundsubstanzen sind. Wir haben demnach einen Übergang von chromatischen Stoffen in achro- matische gefunden und können erkennen, daß die Grundsubstanzen selbst eine Etappe in den Umwandlungen der protoplasmatischen Stoffe dar- stellen. Die Bilder, welche uns diesen Vorgang illustrierten (vgl. S. 323) und zu den wichtigsten der vorliegenden Ovogenese gehören, sind die Fig. 91 und 92 auf Taf. XXVII. Sie stellen Schnitte dmch zwei Kerne aus demselben Ovar dar und die Schnittserie ist auf demselben Objektträger behandelt. Fixation und Färbung ist demnach für beide Kerne völlig identisch. Das Kernstadium ist die beendigte Entleerung des vorletzten Keimbläschen- nucleolus. Auf Fig. 92 ist der Restkörper dieses Nucleolus ersichtlich, für den Kern der Fig. 91 lag er auf einem andern Schnitt. Die chromatische Schleife, welche dem Nucleolus entstammte und die anfänglich schmal und intensiv gefärbt war (vgl. Fig. 88, 89 und 90) ist hier aufgequollen und hat das Aussehen der umgebenden Grundsubstanz angenommen. In Fig. 91 ist dieser Prozeß noch nicht völlig beendet und es ist in der Schleife noch ziemlich viel färbbares Chromatin vorhanden, die Schleife ist dementsprechend noch nicht ganz so breit wie in der folgenden Figur. In Fig. 92 ist die Umwandlung zu Grundsubstanz beendet, nur vier kleine Körnchen sind noch chromatisch, die neugebildete Grundsubstanz geht an verschiedenen Stellen kontinuierlich in die alte über und sie ist von dieser nur noch daran zu unterscheiden, daß sie noch nicht so gleich- mäßig gequollen und verteilt ist und demnach in ihrer Masse etwas dich- ter erscheint. Das Grundwabenwerk in beiden Kernen findet nur in regelmäßig verteilten winzigen Bläschen seinen Ausdruck, welche wie auf den Ki-eu- zungspunkten eines unsichtbaren Tülls gelegen sind. Durch Eisenhäma- toxylin werden dieselben nicht gefärbt und haben ein gelbliches Aussehen. Mit andern Farbstoffen z. B. Hämalaun-Eosin, Carmin, Safranin, nehmen sie eine ganz blasse Tinktion an. Ich habe im speziellen Teile, um nicht die Beschreibung zu komplizieren, diese immerhin noch geformt und etwas gefärbt aussehenden Teile als letzte Etappe des Chromatins unterschieden, zugleich bemerkend, daß gleichzeitig (besser: »etwas frühzeitiger«) mit ihnen auch die dazwischen gelegenen Substanzen entstehen müßten (S. 324). Dieses letztere hatte ich schon, bevor ich die Stadien der Fig. 91 und 92 gefunden hatte, konstatiert, da, wenn eine noch so kleine, chro- matische Partie zerfällt, die dabei gebildeten, winzigen Bläschen nie Archiv f, Zellforschung. XU. 22 332 Albert Oschmann Fäserchen bilden, sondern sofort wie um einen Hohlraum gnippiert er- scheinen. Was sind nun diese Bläschen? Sind es nur die Wabenecken, welche durch die Fixation so koaguliert werden? Dieses erscheint als unwahr- scheinlich, denn ihre Gestalt ist dazu viel zu regelmäßig. Jedenfalls ge- hören oder stammen sie aus der AVabenwand und das Wahrscheinhchste ist, daß es Vacnolen — Gnmdsubstanzbläschen — sind, welche sich in der AYabenwand, zum Ersatz für die andern, ausgebildeten A^acuolen, abzuscheiden beginnen. (Beim Chromatinabbau würde demnach Fig. 56, Taf. XXIV, hinter Fig. 57 zu setzen sein, welch letztere die Bildung oder Quellung zu einer ersten Etappe von — in diesem Falle stark chromatischen — Vacuolen zeigen würde, während in Fig. 56 in der Wabenwand neue — ebenfalls noch chromatische — Bläschen in Bildung begriffen wären.) AYie in unmittelbar aufeinanderfolgenden Stadien aus einer Grund- substanz, in welcher nur che Bläschen zum Vorschein treten, eine völhg vacuolisiert aussehende richtige Schaumstruktur ohne jene Bläschen ent- steht, kann uns Fig. 86 gegen Fig. 88 imd 89 illustrieren. Ich habe diese Figuren gezeichnet, bevor ich die Umbildungen ziu’ Grundsubstanz fand und hatte nur das Bestreben, das Aussehen des Präparates möglichst naturgetreu wiederzugeben, ohne daß ich hätte begreifen können, um welche Erscheinungen es sich genau handelte. Als ich hernach auf diese A'erhältnisse aufmerksam wurde, habe ich jene Bilder nochmals mit den Präparaten verglichen und gefunden, daß sie tatsächhch denselben ent- sprachen. Gleichsam die Kontrolle oder Probe für diese A'^eränderungen bietet uns das nächstfolgende Plasmastadium wälirend der Ausbildung des letzten Keünbläschennucleolus (Fig. 61, Taf. XXIA^). Bei diesem sind auch che letzten Bläschen, welche in den Fig. 88 und 89, Taf. XXAHI, imd Fig. 60, Taf. XXIA^, noch an den AA^abenwänden vorhanden waren und zu ihrer A^’er- deuthchung beitrugen, geqnoUen, sodaß hier che Struktur ganz unsicht- bar geworden ist und das Plasma einen völhg homogenen, glasklaren Ein- druck macht, in welchem kein einziges Pünktchen mehr erkennbar ist (S. 325). Aus dem Gesagten geht hervor, daß der letzte Grad der Um- bildung der ZeUbestandteile nach einer Richtung hin in der Überführung in den flüssigsten Zustand besteht, und dies ist eigenthch, vom physio- logisch-chemischen Standpimkte aus, etwas ganz Selbstverständhches. AYir haben demnach bei der UmwancUimg der Zehstoffe einen Gegensatz zwischen dem wenigst flüssigen, konzentriertesten Zustande, dem Chro- matin erster Etappe, wie es aus dem Xucleolus oder den Chromosomen entsteht, und der sehr flüssigen Lösung in der Grimdsubstanzvacuole. Zu (heser werden die Zehstoffe umgewandelt, sei es, daß sie zur Beschaffung von Energie gänzlich abgebaut werden, sei es, daß sie nur in Verbindungen Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung imd der cellularen Erscheinungen. 333 übergeführt wurden, welche als Bausteine zu neuen Synthesen dienen, worunter auch die Rückgewinnung neuen Chromatins einbegriffen ist. In diesen ganzen Prozeß ist die Verwendung der importierten Stoffe ein- geschaltet und die einzelnen Vacuolen sind die Laboratorien, die Reak- tionsgefäße der Zelltätigkeit. b) Nucleolus, Im Kerne findet eine fortwährende Umbildung von Chromatin statt. Das Chromatin wäre bald verbraucht, falls nicht ein Ersatz dafür ge- schaffen würde. Der Ort, in welchem diese Bildung von Chromatin statt- findet, wird durch das als Nucleolus unterschiedene Gebilde dargestellt. Der Nucleolus ist demgemäß ein Teil des Ruhekernes, in welchem sozu- sagen die entgegengesetzte Reaktion wie in dem übrigen Kerne statt- findet. Diesem entsprechend besteht der Nucleolus in seinem jüngsten Zustande, in welchem wir ihn als solchen definieren können, aus einem Teil des Schaumwerkes des Kernes, dessen Tätigkeit sich dadurch gekenn- zeichnet hat, daß auf seiner Peripherie fertiges Chromatin in Bläschen sich abzuscheiden beginnt, wodurch das Gebilde selber abgegrenzt wird (Fig. 50, 51 u. 52, Taf. XXIV). Wir haben nach den eben zitierten Figuren (vgl. auchS. 321) gesehen, daß das »Kernnetz« im Nucleolus kontrahiert ist, sodaß das lunliegende »Gerüstwerk« eine strahlenartige Anordnung nehmen muß. Es ist aber nicht wahrscheinlich, daß diese Verhältnisse auch in Wirk- lichkeit ein treten: Im Nucleolusteile geht eine andre Reaktion wie im übri- gen »Kernnetze« vor sich, seine physikalische und chemische Zusammen- setzung ist demnach eine andre und so ist es klar, daß die Fixierflüssig- keit auf beide Teile nicht von gleicher Wirkung sein kann, wodurch die Spannung zwischen denselben hervorgerufen wird. Im Innern des Nu- cleolus ist demnach ein Schaumgerüstwerk, in welchem bald größere und kleinere chromatische Körnchen abgeschieden werden (Fig. 51, 52, 53 und 54, Taf. XXIV. — Diese Struktur ist schon des öfteren gesehen und beschrieben worden, wenn auch eine Deutung derselben bisher unmöglich war, man vgl. z. B. G. Trinci: Studii suU’oocite dei Celenterati durante il periodo di crescita. Ai-chivio di Anatomia e di Embriologia. Vol. V Fase. 4 p. 601, 602. Tav. XXXIV— XXXV, Fig. 29 e 30. Tiarella parthenopea) und welches mit seinen vielen Abteilungen, den Schaumblasen, auch sehr’ wohl geeignet ist, eine chemische Fabrik im kleinen darzusteUen, in wel- cher das Chromatin gebildet wird. Die umschließenden Bläschen fun- gieren als Behälter für die fertige Ware, sie werden immer dichter gefärbt imd zahlreicher, wodurch der Innenraum immer mehi- zurückgedrängt und auf gebraucht wird (Fig. 54, Taf. XXIV), und wenn dieser Prozeß beendet 22* 334 Albert Oschmaim ist (Fig. 55), hört die Entwicklung im Nucleolus auf und er zerfällt. Trotz der peripher umgebenden chi-omatischen Blasen behält jedoch das Kern- netz im Innern des Nucleolus seinen Zusanmienhang mit dem äußeren Kernnetze; an sehr’ gut fixiertem Material kann man deutlich erkennen, wie die Kernstruktur in feinen Fasern (Wabenwänden) an dem Nucleolus ansetzt. Freilich bildet der festere periphere Kranz von Chromatinkugeln einen Schutz des Nucleolus gegen die Verzerrung durch die Fixations- ströniung: Wähi'cnd das Kerninnere zu einem künstlerischen Flechtwerk wird, in dem jedes mathematische Prinzip derart verdrängt erscheint, daß wir alle Mühe haben, es halbwegs so ungezwungen zeichnerisch nach- zubilden, kontrastiert der Nucleolus mit seiner abgezEkelten, kugel- runden Fonn derart, als sei er vollständig unabhängig und ginge ihn der Rest der Zelle gar nichts an und wir in der Tat geneigt sind, ihn als etwas ganz Besonderes anzusehen. Betrachten wii’ aber Nucleolen, welche che chi’o- matische Schutzkapsel noch nicht so vollständig entwickelt haben, wie che Fig. 110, 111 imd 112, Taf. XXVII, uns solche mit graduell verschiedenem Chromatingehalt darsteUen, so sehen wir, wie sie gerade so geschmeidig wie das äußere Kernnetz alle Verzerrungen mitmachen und wie ihi' imieres Netzwerk kontinuierhch in dasjenige des Kernes übergeht, so daß es uns offenbar wird, daß der Nucleolus nicht ein Ding für sich, sondern wirk- hch ein Teil, noch besser ein »Gebiet« des Kernes und weiter der Zelle ist. Die Bildungs- und Entwicklungs weise des Nucleolus bringt es mit sich, daß derselbe gleich in seiner fertigen Größe erscheinen kann (in dem Momente, in welchem an seinem Rande Chromatin sich abzuscheiden beginnt; damit soll nicht vernemt sein, daß der Antrieb zu seiner Ent- stehung von einem Punkte ausgegangen sein könne). So ist der Nucleolus im reifen Zustande (Fig. 55, Taf. XXIV) nicht größer als bei seiner Bildung (Fig. 51 und 52 auf gleicher Tafel). Wenn nun ein Nucleolus noch nicht reif imd zerfallen ist und in der Zelle die Bedingungen zur Entstehung eines neuen gegeben sind, so bildet sich dieser dicht neben dem alten, sodaß der letztere, stark chromatische, dem neuen, wenig chromatischen, kappenartig aufgelagert erscheint, was man zweckmäßig als apponierten Nucleolus bezeichnen kann. Die Fig. 35, Taf. XXIII, und 44, Taf. XXIV, veranschaulichen uns diese Vorgänge. Alle Kerne des Stadiums der Fig. 44—45, Taf. XXIV, zeigen der- artige apponierte Nucleolen, so daß, da der neu hinzugetretene Nucleolus wh’klich eine neue Generation darstellt, man m der zweiten Wachstums- periode eigentlich vier Nucleolengenerationen zählen müßte, abgesehen von der Möglichkeit, daß sich dieser Appositionsprozeß mehrmals hintereinan- der wiederholen könnte, während jedesmal der alte Nucleolus verbraucht Beitrag zum Studium der Zellverschmelzimg und der cellularen Erscheinungen. 335 wurde. (Da ich im speziellen Teile nicht auf diese Fragen eingehen wollte, welche zu weit geführt hätten, habe ich dort nur von drei Generationen von Nucleolen gesprochen.) Wenn nun kurz nacheinander sich viele Einzel- nucleolen apponieren, so erhält man einen zusammengesetzten Nucleolus, wie solche oft während der ersten Wachstumsperiode entstehen (Fig. 11 und 12, Taf. XXIII, vgl. S. 313). Desgleichen ist der letzte Nucleolus vor der Reifespindel nach diesem Typus aufgebaut (Fig. 59, 60, 61, Taf. XXIV). Solche zusammengesetzten Nucleolen können sich sekundär mehr oder minder vereinfachen, indem die Innenräume von mehr oder weniger Einzel- nucleolen zusammenfließen (Fig. 33, Taf. XXIII, vgl. auch unten die Chromo- sonienbildung). Bei dem letzten Keimbläschennucleolus kommt es hin- gegen nicht zur Vereinheitlichung (mindestens nicht zur völligen), son- dern die Teilnucleolen trennen sich sogar bei ihrem Zerfall (Fig. 62 und 62a, Taf. XXIV). Diese relative Unabhängigkeit der Teilnucleolen von ein- ander kann man wohl als Übergang zu Formen betrachten, bei denen im Kerne zahlreiche Nucleolen vorhanden sind, da es für große Kerne, bei Bildung von Teilnucleolen, zweckmäßig sein wird, daß diese, anstatt zu- sammen zu liegen, auf verschiedene Gebiete des Kernes verteilt werden. Es ist klar, daß der Unterschied von einfachen und zusammengesetzten Nucleolen, welche für einander während derselben Periode (der ersten Wachstumsperiode Fig. 3, 4, 10, 18 und 11, 12, Taf. XXIII) vikarieren und, wie eben gesehen, ineinander übergehen können, ein rein äußerlicher ist und daß es funktionell gleichgültig sein vird, ob der chromatinaufbauende Kernteil räumlich einheitlich oder in mehrere Teile abgegrenzt erscheint. Über das Verhalten des Nucleolus bei der Zellverschmelzung, welches auch von allgemeinem Werte für die Beurteilung seiner Natur sein kann, habe ich im speziellen Teile ausführlich berichtet (S. 314). Der Zerfall des Nucleolus, seine Abgabe von Chromatin und die Ver- wendung des letzteren auf dem Kernnetze habe ich im speziellen Teile zur Genüge besprochen. Nur auf einen Fall möchte ich noch kiirz ein- gehen, da er sonst zu Mißverständnissen Anlaß geben könnte. Wir haben gesehen, wie in der zweiten Wachstunisperiode dem zweiten Nucleolus (eigentlich dem (hätten, wenn vir den apponierten Nucleolus mitzählen) nach seiner Reife eine lange chromatische Schleife entquillt (Fig. 56 und 57, Taf. XXIV, Fig. 88, Taf. XXVII). Man darf sich mm die Sache nicht etwa so vorstellen, als würde der Nucleolus im Kern an derselben Stelle bleiben und von dieser aus einen langen Faden aus sich herausschießen, der sich in Spiraltouren umlegt. Das Chroniatin, welches aus dem Nucleolus heraus- kommt, gevunnt sofort Beziehung zu dem Kernnetze, es verbreitet sich auf demselben, verwandelt sich in andere chromatische Etappen, welche 336 Albert Oschmann mehr Raum einnehmen, schließlich in Grundsubstanz, welche mit der andern sich verbindet, und der Chromatinfaden wird durch diese Prozesse gewissermaßen sofort verankert. Was sich demnach bewegen muß, und zwar in umgekehrter Richtung wie die Ausstoßung des Chromatins, ist der Rest des Nucleolus selbst, der sich förmlich mit Hilfe des Chromatin- fadens wegschiebt, zumal der Restkörper desselben mit dem Kernnetze nicht mehr verbunden ist (S. 324 und Fig. 92, Taf. XXVII). Wie imd wodurch das Clnomatin selbst aus dem Nucleolus herauskommt, entzieht sich, wie die Begründung von so gut wie aUen Bewegungen in den Zellen, einstweilen total unsrer Erforschung, vir können nur sagen, daß es Resultate und Er- scheinimgen des Stoffwechsels sind, aber das ist recht wenig. Obwohl Beziehungen des Nucleolus zu dem Chromatin oder den Chro- mosomen von vielen Forschern angegeben wurden, so gibt es doch eine Reihe von Autoren, welche der gegnerischen Ansicht sind. Wenn ich auf diese Streitfrage eingehe, so ist es nicht, daß ich es für nötig halte, die Befunde dieser Arbeit gegen die letztere Meinung verteidigen zu müssen, denn es wäre merkwihdig, wenn man es für notwendig erachtete, Tat- sachen gegen eine Theorie zu verteidigen. Sondern es erscheint mir in- teressant, zu untersuchen, wie es eigentlich kommt, daß man bisher so wenig Positives über die auffälligste Erscheinung in der Zelle wußte, daß man sich nicht einmal über die fundamentalsten Fragen einigen konnte, während es doch nach dieser Aiheit scheinen sollte, daß der Xucleolus vor allem andern am allerleichtesten verfolgbar wäi'e. Die Gründe hierzu kömien einmal an den untersuchten Objekten liegen. Der vorliegende Typus von Eibildung hat in der Tat eine Besonderheit; dmeh die Kern- verschmelzung werden ehe Xucleolen (vgl. S. 314) plötzlich in ihrer Ent- wicklung aufgehalten und müssen zerfallen. Dies ermöglicht, auf das genaueste zu verfolgen, was aus ihnen entsteht und wie es verwendet whd. Entsprechend imd vielleicht veranlaßt durch ehe tiefgreifende Verände- rung der Verschmelzung, verläuft die Weiterentwicklung des Eies perioden- weise, sodaß wir sogar die Generationen der Xucleolen in der letzten Wachstumsperiode zählen können und Bildung und Zerfall der letzteren uns über ihre Bedeutung keine Zweifel mehr lassen. Dagegen gibt es sicher Fälle, bei denen die Xucleolen von Anfang bis zu Ende persistieren, in- dem sie fortwährend das ersetzen, was sie konstant, aber in kleinen Por- tionen abgeben. — Man denke an den Mechanismus der Appositions- nucleolen. — Xachdem einmal die Tätigkeit des Xucleolus erkannt ist, läßt sich dieser Prozeß, mindestens was die Stoffabgabe anbetrifft, an ver- schiedenen Objekten, besonders DrüsenzeUen, sehr schön verfolgen. Wenn nun aber der ganze Kern sein dicht mit Chromatinkörnchen erfüllt ist. Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 337 wer wird es da, wenn auch die Tätigkeit des Nucleolus noch so rege ist, auf sich nehmen wollen, zu erklären, dieses oder jenes Körnchen sei vor kurzem aus dem Nucleolus ausgestoßen worden? In einem solchen Falle erscheint uns der Nucleolus genau so unveränderlich, wie das Kernnetz selbst, und er ist es in der Tat gerade so wie ein Wasserfall. Ein der- artiges Material beweist selbstverständlich ebensowenig gegen, wie für die Tätigkeit des Nucleolus und kann zur Lösung der Frage nicht bei- gezogen werden. Jedoch gibt es aber noch Gründe, die nicht an dem Objekte, sondern an der Art der Untersuchung liegen. Viele Arbeiten verfolgten andi’e Probleme und beschäftigten sich nicht mit dem Nucleolus, sodaß wir darin keine Angaben über denselben oder nur sehi* flüchtige finden, ja diese Nichtbeachtung war sogar in vielen Fällen beabsichtigt, da man der Frage nach der Tätigkeit des Nucleolus gar kein Interesse schenkte. So merkwürdig dieses Verhalten erscheinen mag — denn ist doch der Nucleolus sicher der allerauffälhgste Teil des Zellbildes, welcher die eigen- tümlichste Struktur aufweist — so wird es doch verständlich, wenn vir bedenken, daß cüese Arbeiten von der eine Zeitlang fast allein herrschenden Theorie beeinflußt waren, daß es sich bei den Erscheinungen der Zell- funktionen um (persistente) Zellorgane handelte. (In der Bezeichnung »Organ« ist der Begiiff »Persistenz« an und für sich enthalten.) In dieses System paßte eben der Nucleolus absolut nicht hinein, denn man sah ihn nicht in die Teilungsfigur eingehen, dafür aber vollständig verschwin- den, und da er sehi’ groß war, größer als alle andern Zellteile, konnte man für ihn nicht wie fiü- die Chi’omosomen in Ruhekernen die Entschuldigung anführen, er würde sich bloß verstecken. Da er sich der Theorie nicht ein- fügte, paßte man ihn eben der Theorie an und betrachtete ihn als etwas von sehr geringer Bedeutung. Sehr’ bekräftigen mußte es diese Ideen, daß der Nucleolus oftmals nicht nur verschwand, was man noch als ein Aufbrauchen als Nährmaterial oder sonstwie für einen Prozeß von einiger relativen Wichtigkeit ansehen konnte, sondern daß er vor der Teilung aus dem Kerne förmhch ausgestoßen wurde. Hier erschien er gar cürekt als schädlich und in der Tat fassen ihn einige als Exkretionsorgan auf. — Ein Exkretionsorgan, welches für alle diejenigen Fälle, in denen es vor der Teilung nicht expulsiert wird, und das sind bei weitem die meisten, che Eigenschaft hätte, alle schädlichen Stoffe mitten in der Zelle aufzu- stapehi, um sie auf einmal wieder abzugeben; man betrachte hierzu die Fig. 16, 17, 20, 21, 25, 28, 29, 30, 31, Taf. XXIII, Fig. 45, 46, 47, 48, 49, 56, 57, 62, Taf. XXIV, 87, 88, 89, 92, Taf. XXVII. — Was nun diese in mehreren Fällen beobachtete Expulsion des Nucleolus vor der Teilung anbetrifft. 338 Albert Oschmann SO haben wir in dieser Ovogenese verfolgen können, wie der Restkörper des vorletzten Xiicleoliis aus dem Kerne ausgestoßen wird. In diesem Falle ist er vollständig ungefärbt. Die ebenfalls eliminierten Restkörper der letzten Kucleolengeneration haben dagegen von zurückgebhebenen geringen Chromatim-esten noch eine deutliche Färbung (Fig. 62 und 62 a Taf. XXIV). Was man also als ganzen Xucleolus auffaßte, war in den meisten Fällen nur sein Schatten, welcher fast gar kein Chromatin mehr enthielt. Xun konunt es in einigen Ovogenescn sicher vor, daß ein noch sehr substanzreicher Xucleolus ausgeschieden wird. Wie ist nun dieses aufzufassen? In der großen Mehrzahl der Fälle wird bei der Ovogenese in den letzten Stadien mehr Chi-omatin gebildet, als in die Spindel auf- genonmien wird. Der Überschuß wird mit Kernteilen abgeschmolzen oder aus dem Kerne ausgestoßen. Kichts anders liegt bei dem Ausstößen eines chromatinreichen Xucleolus vor: Es wurde im Verlaufe der Ovogenese mehr Chromatin aufgebaut, als für das reife Ei, welches notwendig seine aktiven Stoffe auf das äußerste reduzieren muß, nötig war; mit einem Teil Chromatin, den der Xucleolus abgegeben hatte, war für die Spindel schon genügend vorhanden und der große Rest des Xucleolus nimmt infolgedessen an dieser Spindel keinen weiteren Anteil. Bei Amphibien, bei Daphnien und melu-eren andern Objekten wird für che Reifespindel von dem ganzen Kern kaum der hundertste Teil verwandt. Wird es jemanden in den Sinn kommen, zu behaupten, der ganze Kern sei des- wegen für che Zelle unnütz gewesen, und doch könnte man es hier für den Kern mit dem genau gleichen Rechte schließen, wie dort für den Xu- cleolus. Weitere Gründe zu unsrer bisherigen geringen Keimtnis der Xu- cleolenverhältnisse können im folgenden gegeben sein; In vielen Beschrei- bungen von Ovogenesen fehlen uns die letzten Stadien, welche für das Studium des Verhältnisses von Xucleolus und Chromatin die wichtigsten wären, in manchen haben wir zwar die Reifespindel beschrieben, dagegen vermissen wir die Stadien unmittelbar vorher. Ich erinnere an das Sta- dium dieser Ovogenese, das auf die Auflösung des vorletzten Xucleolus folgt, Fig. 90, Taf. XXVII: Der Dotter ist in dem Ei vollständig fertig gebildet, außerhalb des Kernes kann keine Veränderung mehr vor sich gehen. Von dem Chromatinband, welches der Xucleolus ausschied, haben sich Teile völlig gelockert, die übrigbleibenden treten als Schleifen hervor. Köimte man da nicht von Chromosomen reden, welche nur »sich zu- sammenzuziehen«, »konzentrieren« brauchen, um in die Reifespindel ein- zutreten. Wieviel liegt aber noch zwischen beiden Stadien, was gewiß nicht vorauszusehen war (Fig. 58 bis 62 a) und in wie mancher Ovogenesen- Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der celliüären Erscheinungen. 339 beschreibiing ist die lOuft zwischen dem als vorletzten beschriebenen Stadinin, welches unmittelbar (?) in die Spindel aufgehen soll, und dieser Spindel mindestens gerade so groß, wie zwischen dem hier beschriebenen Stadium der Fig. 90 und der Reifespindel? c) Chromosomen. In der Reifespindel werden die Chromosomen aus einzelnen, anfänglich völlig getrennten chromatischen Körnchen zusammengesetzt (Fig. 79 ii. 80, Taf. XXVI, zeigt die noch getrennten Körnchen, welche sich zu gruppieren beginnen, während in Fig. 84 schon Chromosomen gebildet sind, welche ihre Zusammensetzung aus einzelnen Körnchen deutlich ersehen lassen.) Die Entstehung und den Bau der einzelnen Körnchen konnten wir jedoch hierbei nicht verfolgen, dagegen sind diese recht deutlich erkennbar bei der Bildung der Chromosomen für die Teilung der Ovogonien und Hoden- zellen. Hier sieht man, wie diese Chromatinkörnchen zuerst helle Bläschen sind, von denen zunächst nur die Oberfläche chromatisch gefärbt ist. Von solchen Bläschen wird eine Menge zur Bildung eines Chi'omosoms zu- sammengelagert, wie dies z. B. Fig. 34a für Elemente des Hodens zeigt (Safranin, Gentiana, Lichtgrün-Färbung). Die einzelnen Bläschen können teilweise durch Zusammenfließen sich vereinigen. Eine Abbildung hier- für gibt uns Fig. 34 b nach Stadien der Vorbereitung zur Ovogonienteilung (EisenhämatoxyUn-Färbung). Die chromatische Kruste der einzelnen Bläs- chen wird gegen das Innere immer dicker, bis diese schließlich den Ein- (huck kompakter Körnchen machen. Die Ähnlichkeit zwischen der Bildung eines Chromosoms und derjenigen eines zusammengesetzten Nucleolus ist demnach äußerst auffällig. Man vgl. z. B. die Bildung der Chromosomen auf Fig. 34a (1500 Vergr.) mit der Bildung zusammengesetzter Nucleolen der ersten Wachstumsperiode, Fig. 11 und 12, Taf. XXIH, oder gar des letzten Nucleolus vor der Reifespindel Fig. 59, 60, 61, Taf. XXFV, (beides 1000 Vergr.) und das Zusammenfließen der Bläschen der Chromosomen, Fig. 34b, Taf. XXIII, (1500 Vergr.) mit demselben Prozeß bei zusammen- gesetzten Nucleolen, Fig. 33, Taf. XXIH, (1500 Vergr., vgl. hierüber S. 335). Nur scheint es, als würde in die Clu-omosomen bei ihrer Bildung nicht der Inhalt der größeren Schaum vacuolen aufgenommen, jedoch geschieht dies auch nicht bei der Bildung der Nucleolen in jungen Zellen (Fig. 19 und 27, Taf. XXIII, Fig. 51 a, Taf. XXIV). Hand in Hand mit der Ähnlichkeit der Bildung und des Baues von Nucleolus und Chromosomen geht die Ähnlichkeit ihi’er Funktion: Der Nucleolus liefert die für den Kern be- nötigten Stoffe, Chromatine bis Grundsubstanzen während der sogenannten Ruheperiode, die Chromosomen tun dasselbe für die Periode nach der 340 Albert Oschmann Teilung (man vgl. das oben S. 330 für die Karyomeren Gesagte). Chromo- somen und Isucleolen vikarieren demgemäß für einander und lösen ein- ander ab. Auf keinen Fall handelt es sich bei der Chroniosomenbildung um ein bloßes »Zusammenlesen« oder »Zusammenziehen« von Ckromatinen des Kernnetzes (vgl. oben über die chromatischen Veränderungen S. 330). d) Weeliselbezieliung zwischen Kern und Plasma. Dem Kerne fällt die Aufgabe zu, aus chromatischen Stoffen Grund- substanzen aufzubauen. Es fragt sich nun, ob diese letzteren weiter um- gesetzt werden, ob sie dem Plasma zugute kommen und zu dessen Bil- dung beitragen, wie die Produkte des Kucleolus für den Kern, und ob diese Umsetzungen erkennbare Erscheinungen geben? Diese Fragen müssen entschieden bejaht werden: Wir haben in der Hauptwachstumsperiode des Eies (der zweiten AVachstumsperiode) verfolgen können, vde der Plasnia- zuwachs, die Bildung neuen Plasmas von der Peripherie des Kernes aus- geht (S. 319 und folg.). Zuerst entsteht nur eine schmale Schicht (Fig. 43, Taf. XXIV ; Fig. 63, Taf. XXV), welche an Ausdehnung immer zunehmend (Fig. 32, Taf. XXIII, Fig. 65 und 71, Taf. XXV), das Ei schließlich um ein vielfaches vergrößert, sodaß das frühere Plasma (bis zu Beginn der Dotter- bildung) zu einer engen Partie am Bande des Eies verckängt wird (Fig. 72, Taf. XXV). (Alit dem homologen Prozesse werden vir es wohl bei der Enstehung der kalottenartigen Gebilde zu tun haben, welche den Kernen der jungen Ovocyten anliegen [S. 305 und Fig. 1, Taf. XXIII]. In beiden Fällen ist auch das neue Plasma zu Beginn stärker acidophil.) Auf den ersten Blick scheint es unwahrscheinlich, daß dieser grob- blasige, inhaltsarme Kern ein so dichtes, substanzreiches Schaumwerk erzeugen könne, vie den Plasmazuwachs der Zelle. AVenn wir aber die Sache überdenken, so spricht gerade die Stoffarmut des Kernes für seine starke Tätigkeit nach außen hin: Denn wir sehen, Avie während der zweiten AA'achstmnsperiode in einem fort im Kerne die Unmengen Amn Chroma- tinen, welche bei der Kernverschmelzung aufgestapelt wurden, imige- bildet Averden, und doch findet im Kerne selbst keine Substanzanreicherung statt. AA'o kommen demnach alle die gebildeten Stoffe hin? Dagegen, AA’enn der PlasmazuAvachs des Eies aufgehört hat und das Plasma in Deuto- plasma sich umzuwandehi begiimt — der Kern demnach nicht mehr vom Plasma beansprucht Aurd — können wir A^erfolgen, wie Schritt für Schritt die Kernstruktur dichter und feinschaumiger AA'ird, bis schließlich der Kern von einem äußerst dichten Schaumwerke völlig ausgefüllt ist (Fig. 58 und 60, Taf. XXIA^, gegen Fig. 44). Die nahe Beziehung dieser im Kerne angehäuften Stoffe zu den plasmatischen — eine Beziehung, welche uns Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellulären Erscheinungen. 341 völlig plausibel macht, daß es sich bei den ersteren um das entsprechende der vorher als Plasmazuwachs abgegebenen Substanzen handelt — zeigt uns das Stadium der Keifespindel. Zur Zeit derselben ist das Plasma völhg zu Deutoplasma umgewandelt. Der Kern liefert notwendigerweise allein die ganze Teilungsfigur und eine (bei diesem Objekte geringe) Rand- partie, welche mit den zwei riesigen Sphären das ganze Ei durchwächst, den Dotter wieder umbildend und nutzbar machend (Fig. 85, Taf. XXVI, und S. 327). Hier vikariert also die Kerngrundsubstanz — das Kern- plasma — direkt für das Plasma selbst und übernimmt seine Rolle und wir können sagen, daß von dem Stadium der Beendigung der Dotter- bildung an die plasmatische Komponente im Kerne sich befindet. Von der Kerntätigkeit überhaupt sahen wir seine Bildung und Ab- gabe für das Plasma wichtiger Stoffe zu einem sichtbaren Ausdi’uck ge- bracht. Es ist nun klar, daß diese Tätigkeit hiermit nicht erschöpft ist, daß der Kern nicht allein zum Plasma hin arbeiten kann, sondern auch vom Plasma her Stoffe zum Ersatz seiner Umsetzungen beziehen muß, und während der Periode seiner regsten Tätigkeit zur Plasmavermehrung ver- größert er sich sogar selbst (Fig. 43 bis 45, Taf. XXIV, vgl. auch S. 303). Der Kern kann überhaupt die von außen importierten Stoffe nur in- direkt durch das Plasma erhalten. In der vorliegenden Ovogenese war jedoch die Zelltätigkeit »vom Kerne her« derart auffällig, daß sie den er- setzenden Prozeß »zum Kerne hin« verdeckte. Es wäre jedoch ein Irrtum, wenn man annehmen wollte, daß dieses stets der Fall sei. Auch in dieser Beziehung liefert die vorliegende Ovogenese einen extremen Fall. Von An- fang an ist in dem Ovar fast kein Plasma vorhanden. Die Kerne liegen dicht an- und übereinander und dazwischen ist kaum etwas zu erkennen. Es ist demnach die Hauptaufgabe während der ganzen Ovogenese, da ver- hältnismäßig riesige Eier mit Unmengen von Dotter produziert werden, plasmatische Stoffe zu bilden. Die kurze Wachstumsperiode, welche die Ovocyte durchmacht, liefert aber auch nur ganz wenig Plasma (Fig. 10, Taf. XXIII), in der hierauf folgenden Verschmelzung werden demnach ver- hältnismäßig viel mehr Kern, als plasmatische Stoffe vereinigt. Wir haben, wenn ich mich so ausdrücken darf, einen reichen Kern und wenig Plasma. Da nun eine große Plasmamasse gebildet werden muß (Fig. 71, Taf. XXV), so ist es klar, daß der Kern in seiner plasmabildenden, ab- gebenden Tätigkeit am auffälligsten hervortreten muß. Hingegen gibt es Zellen, sogar bei Ovogenesen und sogar nach Zellverschmelzung, welche sich in dem entgegengesetzten Zustande befinden; wo wir ein reichliches Plasma und einen substanzarmen Kern vorfinden. Hier vürd die Auf- nahmetätigkeit des Kernes »vom Plasma her« in den Vordergrund treten 342 Albert Oschmann müssen. Derartige Verhältnisse bei Zellverschmelzungen in Ovogenesen, denke ich in der Fortsetzung dieser Arbeit zu behandeln. e) Bedeutung der Zellstrukturen. Über die Erscheinungen und Funktionen der Zelle im allgemeinen. Schaum Struktur. Betrachten wir nun die Tätigkeit in der Zelle in ihrem Zusammen- hang. AVir haben gesehen, daß der Nucleolus die Funktion hat, bestimmte Stoffe der Zelle zu synthetisieren und an den Kern abzugeben. Diese Stoffe sind (sicher mindestens zum größten Teil) dadurch ausgezeichnet, daß sie sich nach Fixation leicht färben lassen und udr nennen sie des- wegen Chromatine. Durch diese Tätigkeit und durch sie allein ist der Kucleolus gegeben; er ist nichts als der Ort in der Zelle, in welchem die bestimmte Reaktion des Chromatinaufbaues stattfindet. Durch die Ab- scheidung des Clmomatins an der Peripherie seines Tätigkeitsgebietes wird er überhaupt nur für uns sichtbar und unterscheidbar von dem übrigen Kerne ausgezeichnet. Mit Beendigung dieser Tätigkeit hat auch der Nucleolus zu bestehen aufgehört, seine Produkte werden vom Kern aufgenommen und verarbeitet und mit AViederbeginn der Reaktion des Chromatinaufbaues ist dadurch wiederum ein neuer Nucleolus entstanden. Der Nucleolus fällt demnach mit seiner Tätigkeit zusammen und ist nichts andres als das Bild, der sichtbare Ausdi’uck derselben. AAhe der Nucleolus durch den Chromatinaufbau ausgemacht wird, so ist der Kern durch die A^erwertung und A^ eränderungen des Chroniatins gegeben. AVir haben gesehen, wie in demselben die chromatischen Stoffe stufenweise umgebaut werden bis zu Grundsubstanzen, und aus diesen verschiedenen Umbauprodukten besteht er. AAhr haben auch nachge- wiesen, wie er aus diesen seinen Bestandteilen Stoffe für das Plasma aufbaut, dafür als Ersatz auch Stoffe von dem Plasma beziehen muß und die Grenze dieser Reaktionen nach außen hin und von außen her wird wie auch beim Nucleolus ihn abgrenzen und das bilden, was wir als Kernmembran unterscheiden. Es ist klar, daß diese Abgrenzung nichts Festes, Starres sein kann, sondern daß sie, je nach der verschiedenen Inten- sität dieser Reaktionen sich verschiebt. Diese Verschiebungen werden meist kontinuierlich verlaufen, z. B. vie beim AA'achsen des Kernes (Fig. 43 bis 45, Taf. XXIV), jedoch können dieselben auch plötzlich eintreten. In äußersten Fällen kommt es vor, daß der Kern fast das ganze Plasma in sich aufnimmt und dann tatsächlich auch völlig wie Plasma aussieht (möglich bei Aufnahmestadium des Kernes). Ich werde einen solchen Fall, den ich bei der Ovogenese einer Tubularia beobachten konnte, später behandeln. Beitrag zum Studium der Zellverschmelzmig und der cellularen Erscheinungen. 343 Auch der umgekehrte Prozeß fmdet statt, daß ein großer Kandteil des Kernes plötzUch dem Plasma zufällt (möglich bei Abgabestadium des Kernes), sodaß nur ein kleiner Teil des Kernes für den früheren ganzen eintritt (pars pro toto). Dieses geschieht bei vielen Reifespindelbildungen. In dieser Ovogenese konnten wir sehen, wie in jenem Stadium der Kern, außer den Sphären, noch ein peripheres Kernplasma zurückläßt, welches ebenfalls zu Plasma auswächst. Diese Schicht war bei T. (Ilyodrilus) bavaricus nicht sehr mächtig. Bei andern Tubificiden ist sie dagegen viel stärker entvückelt, wie ich später ausführen werde. Bei Amphibien (Carxoy und Lebrun) und Daphnien (Kühn) sind chese Verhältnisse am extremsten ausgebildet. Dieses Verhalten ist jedoch nicht auf Eibildungen beschränkt, sondern kommt auch bei gewöhnlichen Gewebszellen vor, wie Fig. 36, Taf. XXIII, für die DarmzeUe eines Limnodrilus zeigt. Hier wird ebenfalls für die Spindel (deren Entstehung aus einer Schaumstruktur deutlich hervor- geht) nin ein kleiner Teil des Kernes verwendet, wähi’end der Rest plas- matisch werden muß. Beide Zellarten, sowohl die Eier, wie die DarmzeUe haben das gemeinsam, daß der größte Teil ihres Plasma in metaplasma- tische Substanzen (Dotter, Stützfasern) umgewandelt ist, was das Ein- treten eines Teiles Kernplasma fih das frühere Plasma nötig macht, zm’ Bewerkstelligung der bei Zellteilung nötigen, tiefgreifenden Umbil- dungen. Was nun das Plasma anbetrifft, so wird seine Tätigkeit vornehm- Uch darin beruhen, seine Stoffe umzubauen zur Bildung von Sekreten, Deutoplasma (in Ovogenesen Dotter), aUe Arten Stützsubstanzen, kon- traktile Gebüde, InterceUularsubstanzen, den Import und erste Verar- beitung der Stoffe von außen her zu bewerksteUigen, die Abbauprodukte des Stoffwechsels herauszuschaffen, kurz diejenigen Leistungen zu ver- sehen, welche in dem direktesten Zusammenhang mit den benachbarten ZeUen, dem Gesamtorganismus und der Außenwelt stehen. Auch das plasmatische Bild ist nach der jeweiligen Intensität dieser verschiedenen Prozesse verschieden und drückt dieselben in sichtbarer Form aus. Wir erkennen demnach in der Zelle einen regen Stoffwechsel und fort- währenden Umbau; die Chi-omatine werden abgebaut, liefern Grimd- substanzen, von solchen wird ein Teil zum Chromatinaufbau wieder mitverwendet, die Hauptsache der Kernstoffe wh'd zu plasmatischen umgesetzt, diese wieder zu metaplasmatischen usw., dafür werden Stoffe importiert und wiederum assimiüert, wir finden nichts Beständiges, sondern stete Veränderung und Verwandlung. Das Zellbild, welches wir nun im miki’oskopischen Präparate vor uns haben, ist nichts wie der Ausdruck, 344 Albert Oschmann das sichtbare (mein- oder minder verzerrte) Bild der Zelltätigkeit im ^Momente ihrer Fixation, die sichtbare Erscheinung ihrer unsichtbaren Veränderungen. Die einzelnen Teile, welche dieses Zellbild ausmachen und die wir als Kucleolen, Chromosomen, chromatische Strukturen, Kerne, Grundwabenwerk, Sphären, Plasma usw. zu kennzeichnen pflegen, sind und können nichts andres sein, als Teile dieses Gesamtbildes, Teilerschei- nimgen der momentanen Zelltätigkeit, der Ausdruck einer bestimmten Reaktion innerhalb jener Gesamttätigkeit. Leider können wir mir die Bilder erkennen und müssen uns be- gnügen, sie zu beschreiben und zu serieren; die Tatsachen, auf denen sie beruhen, der Stoffwechsel selbst, ist uns noch gänzUch unbekannt und wir müssen warten, bis uns die physiologische Chemie zu Hilfe gekommen ist, damit uns diese Bilder Kennzeichen für das wirkliche Geschehen, nicht für das Hervorgebrachte, sondern für die hervorbringenden Ur- sachen werden können. Es ist klar, daß der Stoffwechsel der Zelle ein Ki'eislaufprozeß sein muß, das was umgesetzt vmrde, muß notwendigerv'eise wieder entstehen können. Dieses wird durch den Import und die Verwendung von Stoffen von außen her bewerkstelligt. Weiter wird der Stoffwechsel kein willkürlicher, dem Zufall über- lassener, chaotischer Prozeß sein können, sondern die den Teilerscheinun- gen entsprechenden Einzelreaktionen eines jeden Momentes (einer jeden Etappe) werden stets in einem ganz bestimmten Korrelationsverhältnisse zu einander stehen müssen. Aus diesem Grunde finden wir fim gleiche Verhältnisse auch immer che gleichen Bilder, welche wir demgemäß diag- nostisieren und den Zusammenhang mit den übrigen Bildern erforschen können, sodaß die Erkennung der Aufeinanderfolge, die Serierung der Zellbilder möglich wird. Bei Betrachtung des Stoffwechsels muß notwendigerweise die Gesamt- tätigkeit innerhalb des der Zelltätigkeit unterstehenden Gebietes berück- sichtigt werden. Eine Veränderung in einem Teile dieses Gebietes, welches auch außerhalb der näheren Zellgrenzen liegt, ivird natürlich auch eine eventuell mittelbare Ersatzreaktion innerhalb dieser Zellgrenzen hervor- rufcn müssen. Ferner vird auch zu berücksichtigen sein, daß der Stoff- wechsel wie jede Reaktion von den Bedingungen des Milieus abhängig ist. Unter verschiedenen Bedingungen wird man auch verschiedene Bilder erhalten, falls unter denselben noch der Gleichgewichtszustand herstellbar, also ein Leben möglich ist. Die oben postulierte Korrelation der Einzelreaktionen des Stoff- wechsels wird darauf beruhen müssen, den Gleichgewichtszustand unter Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung imd der cellulären Erscheinungen. 345 denselben herzustellen, (Ich ziehe hierbei nur die ausgebildeten Organis- men und ihre Abteilungen in Betracht.) Während der Lebensbetätigung selber wird derselbe jedoch nicht oder jedesmal nur für kurze Zeit erreicht, denn während an einer Stelle zum Ersatz für verlorene Energie wieder aufgebaut wird, muß an einer andern Stelle wieder Energie an die Außen- welt abgegeben werden, was nun einen erneuten Verlust bedeutet, der wiederum ersetzt werden muß. Hierauf beruht eben die konstante Be- tätigung, das Leben, und die Außenwelt hat nicht nur die Aufgabe, durch Darbietung von verwendbaren Stoffen den gestörten Gleichgewichts- zustand wieder herstellbar zu machen, sondern diesen hinwiederum neu zu stören, wodm’ch die Betätigung angeregt wird. Wenn der Gleichgemchtszustand wirkhch einmal erreicht wird, so- daß er im nächsten Augenblick nicht wieder zerstört werden kann, das organisierte System also dieser Einwirkung der Außenwelt entzogen ist, so kommen wir zu Ruhezuständen, bei denen keine Lebensäußerung mehr vonstatten geht. Dieselben finden wir bei Encystierungen, Eiern, Samen. Damit diese zu neuem Leben erwachen, muß eine bestimmte, von außen kommende Reaktion eintreten (die auch in einer physikalischen Änderung der Milieubedingungen, z. B. Wärme, Feuchtigkeit, beruhen kann), welche das Gleichgewicht wieder stört, wodurch die Wechselwirkung mit der Außenwelt, das Leben, ^vieder hergesteUt wird. Der in diesem Kapitel ausgesprochene Gedankengang ist auch ge- eignet, uns den Unterschied zwischen dem Unbegrenzt-weiter-w^achsen der KiistaUe und der Größenbeschränkung der Lebew^esen klar zu machen: Bei den ersteren findet von dem Milieu, in welchem sie w^achsen, nur eine Stoffzufuhr statt, dagegen keine Stoffwegnahme, sodaß sie so lange sich vergrößern, als die Stoffzufuhr vor sich gehen kann, dagegen muß bei den letzteren die mit der Stoffzufuhi’ gleichzeitig stattfindende Stoff- wegnahme (Stoffverbrauch zu Energiezw’ecken) notwendigerw'eise zu einer Größenbestimmung des Systemes führen, d. h. ziu- Unmöglichkeit des Weiterwachsens von einem bestimmten Stadium an. Diese conditio sine qua non für Lebewesen, die Wechselwirkung (Geben und Nehmen) mit der Umwelt, welche naturgemäß nur bei einer relativ kleinen Größe durch- führbar ist, wird auch erklären können, warum größere lebende Systeme sich in kleine Unterabteilungen, Organe und Zellen, die der Wechsel- wirkung mit der Umw'elt (auch indirekt dm'ch Wechselwirkung zwischen den einzelnen Teilen) zugänglich sind, einteilen müssen, oder vielmehr werden größere Systeme nur unter dieser Bedingung möglich sein. Die- selben w'erden hierdurch von der Umwelt gewissermaßen durchdrungen und durchspült und ihr in ihrem Innersten zugänglich gemacht. 346 Albert Oschmann Bei Besprechung des Bildes der Zelle haben ^^•ir chei x\bteilungen derselben unterschieden: das Chromatin erster Etappe, wie es im Nu- cleolus oder den Clu'omosomen aufgebaut wird, den Kern und das Plasma. Es ist jedoch nicht nötig, daß diese di'ei Abteilungen auch stets vorhanden sind: Das Chromatin erster Etappe geht bald in Kern über und von den Abteilungen Kern und Plasma kann ebenfalls wälu'end der Zelltätigkeit die eine oder die andre ausfallen und bis zu ihi’er Wiederbildung durch die zurückgebliebene ersetzt werden. So kommt es nach Teilungen (vgl. z. B. die Karyomerenbildimg) oft vor, daß anfänglich nur Chromosomen und Plasma vorhanden sind, der Kernteil muß wieder neu gebildet werden. Während der hier besprochenen Ovogenese fanden wir gegen Ende der Eibildung das Plasma in Dotter umgewandelt und in seiner Tätigkeit durch den Kernteil ersetzt (vgl. S. 341). Dieses zeitweilige Vikarieren einer x\bteihmg für zwei führt uns zu Formen über, welche zeitlebens mit zwei Abteilungen allein auskommen, wie viele niedere Organismen. Im Gegen- sätze hierzu kommt es vor, daß im Kerne oder im Plasma nochmals eine Arbeitsteilung eintritt, sodaß mehr als ch’ei ZeUgebiete unterscheidbar sind. Als Beispiel mögen dienen die Kerne der Keimbläschen einiger Echinodernien, gallertbildende Plasmaschichten bei mehreren Protozoen, das Hyaloplasma der Amöben. Schließlich will ich noch bemerken, daß ich bei Besprechung des Stoffwechsels in der Zelle nur die hauptsächlichsten Punkte berühi’t habe, um einen Einblick in die Zelltätigkeit, in die Veränderungen, Be- wegungen und Umsetzungen in der Zelle zu erhalten. Dieser Versuch soll nicht den Anspruch erheben, auch nicht einmal in niiki’oskopisch- anatoniischer Beziehung, vollständig zu sein. So soll z. B. nicht gesagt sein, daß die Produkte der Tätigkeit des Nucleolus und der Chromosomen lediglich aus chromatischen Stoffen, auch in unsrer weiten Begriffsfassung, bestehen, daß die Stoffe, welche aus dem Kerne dem Plasma zufallen, sämtlich unbedingt der Rubrik der Gnmdsubstanzen sich einreihen lassen müssen. Da wir nicht einmal wissen, welcher Art die Stoffe sind, welche wir als Chromatine und als Grundsubstanzen bezeichnen, wäre eine allzu- genaue nominelle Einteilung der Stoffe in der Zelle auch zwecklos. Die Hauptsache ist, daß vor überhaupt Umsetzungen in der Zelle, und zwar von allen bisher berücksichtigten und bezeichneten Zellbildteilen, miki'os- kopisch nachweisen konnten. Die vorliegende Betrachtung über die Morphologie des Stoffwechsels in der Zelle wäre nicht möglich gewesen, wenn wir nicht über die Struktur der Zellbestandteile schon bestimmte Vorstellungen gehabt hätten. Ich meine die Theorie Bütschlis über die Schaumstruktur der protoplasma- Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 347 tischen Stoffe (in Tätigkeit d. V.), auf deren eminente biologische Be- deutung besonders Hofmeister (Die chemische Organisation der Zelle. Braunschweig 1901) aufmerksam machte. Daß diese Schaum- oder Va- cuolenstruktur für alle Stoffe in der Zelle zutrifft, dürfte aus meiner Ai'beit hervorgehen. Man vergegenwärtige sich nochmals die Bildung des Chro- matins und seine Speicherung im Nucleolus (Fig. 50, 51, 52, 53, 54, 55, Taf. XXTV, S. 333 und 334) und in den Chi’omosomen (Fig. 34a und Taf. XXTTT, S. 339), den Zerfall des Chrom atins (Fig. 57 und 56, Taf. XXIV, S. 332, Fig. 91 und 92, Taf. XXVII, S. 331), die Bemerkung über die kleinsten Bläschen in den Wabenwänden (Fig. 86 und 92, Taf. XXVII, S. 331, 332) und schließlich über die Vacuolen der Grundsubstanzen selbst (Fig. 88 und 89, Taf. XXVII, Fig. 61, Taf. XXFV, S. 332). Wir könnten uns Umsetzungen im Protoplasma, ohne daß dadurch die Schaumstruktur entstünde, über- haupt nicht vorsteUen und müssen die Ai’beit, welche auf diese Struktim zum ersten Mal aufmerksam machte (0. Bütschli, Untersuchungen über mikroskopische Schäume und das Protoplasma. Leipzig 1892)) als die grundlegende der exakten biologischen Forschung ansprechen. II. Zellverschmelzung. Was im Verlaufe der besprochenen Ovogenese wohl am meisten auf- fällt, ist die Zellverschnielzung. In der Tat ist dieser Prozeß geeignet, uns in mancherlei Beziehung einen Einblick in das Zelleben zu gestatten. Weniger wichtig, da es sich dabei um nichts Neues mehr handelt, ist das Ergebnis, daß das Ei nicht inehi’ das Elaborat einer einzigen Zelle ist, sondern von "vielen gebildet wird. Schon bei der gewöhnlichen Phago- cytose von Eizellen findet ein derartiger Prozeß statt, indem die Nälm- zellen nicht gefressen werden wie etwa Bakterien von einem Protozoon, die Eizelle ist für sie nichts Feindliches, sondern es sieht im Gegenteil aus, als wanderten sie, wenn ich mich so ausdrücken darf, selbständig hinein, um ihre Eigenexistenz aufzugeben zum Nutzen der Eizelle. Zu diesem Zwecke haben sie sich sogar frühzeitig in ihi’er Entwicklung spezialisiert, und diese ihre Entwicklung ist ohne Annahme einer Korrelation mit der Eibildung undenkbar. Das gleiche gilt für NährzeUen, welche, ohne selber in das Ei einzuwandern, demselben Nährstoffe zu seinem Aufbaue zukommen lassen, für welchen Prozeß die Nährkammern der Eier man- cher Schmetterhnge ein besonders interessantes Beispiel bilden. Weiter ist direkte Verschmelzung von Ovogonien ohne jegliche Diffe- renziation derselben für viele Cölenteraten beschi’ieben worden. (Eine Zusammenstellung und Besprechung der Literatur hierüber findet man Archiv f. Zellforschung. XII. 23 348 Albert Oschmann bei G. Trinci, Stucüi sull’oocite dei Celenterati dui-ante il periodo di crescita, Archivio di Aiiatomia e di Embriologia Vol. V, Fase. 4, Firenze 1906.) In diesen Ovogenesen tritt besonders typisch zutage, wie eine Menge völlig gleichgebauter Zellen zusanimenschließen, um eine einzige Zelle, das Ei, zu bilden. In allen eben angeführten Fällen konnte man aber immerhin noch behaupten, daß mindestens das Keimbläschen von einer einzigen Zelle abstamme — was für die Fälle gewöhnlicher Phago- cytose oder Kahrungszufuhr von außen ja sicher steht — und das sei doch die Hauptsache. Dieses ist bei der Ovogenese von T. {Ilyodriliis) havaricus nicht mehr der Fall. (Die Entstehung des Keimbläschens ist bei den Cölenteraten nicht genau verfolgt, sicher ist nur, daß die Kerne nicht verschmelzen.) Für die Ovogenese von Dinopliilus apatris hat Freüierr H. von j\Lvlsen (Geschlechtsbestimmende Einflüsse und Eibildung des Dinophihis apatris. Arch. inikr. Anat. u. Entw., Bd. 69, 1906) ebenfalls ZeUverschnielzung auf- gefunden und gibt sogar an, daß ein Teil der Kerne hierbei zum Keim- bläschen verschmelzen soll, während der andere Teil aufgelöst wird. Diese Art der Eibildung ist denkbar und durchaus möglich. Wälu'end nun aber die Figur, welche die Auflösung der Kerne demonstriert, ganz eindeutig ist — die Bilder sehen denen bei Cölenteraten erhaltenen ganz ähnlich — ist die einzige Figur, welche die Kernverschmelzung illustriert (die Fig. 3 der oben zitierten Ai’beit) nicht gänzlich überzeugend. Die zwei Zellen, welche verschmelzen sollen, könnten auch eine etwas eingeschnürte Zelle darsteUen, wie man solche in ZelUiaufen, bei denen die Zellen dicht gedrängt liegen, des öfteren finden kann. Demnach muß che Kernver- schmelzung bei der Ovogenese von Dinopkihs einstweilen noch als nicht völlig sicher gelten, mindestens war der Prozeß der Kernverschmelzung in seinem Detail an cüesem Materiale nicht verfolgbar. Wir wollen denselben nunmehr, wie ihn uns die Ovogonese von T. (Ilyodrüus) havaricus deutlich vor Augen fülu't, näher untersuchen. Die Grundsubstanz des Kernes besteht, Avie wir gesehen hatten, aus einem Schaumwerke, welches kontmuierlich zusammenschheßt. Wo au irgend einer Stelle im Kerne eine Verschiebung eintritt, findet nicht etwa eine Zerreißung oder Lockerung dieses Grundgerüstes statt, sondern es fließt sofort wieder zusammen, wie das Durchführen des vorletzten Ku- cleolus durch den ganzen Kern ein klares Beispiel hierfür liefert (S. 335 und Fig. 88, 89, 92, Taf. XXVII). Desgleichen fließt alte und neue Grundsub- stanz zusammen, wie wir aus Fig. 92 ersehen können ; das alte Kern- gerüst vereinigt sich mit den neuen Teilen, welche durch Umsetzung des dem Xueleolus entstammten Chromatins gebildet wurden. Demnach Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 349 werden wii’ erwarten müssen, daß auch bei Verschmelzung die Grund- substanzen an ihren Berührungspunkten zusammenschließen, was in der Tat auch stets der Fall ist. Hierdurch ist eine Wechselwirkung zwischen denselben bewerkstelligt, welche zu einer Vereinheitlichung führen muß. Diese Vereinheitlichung kann jedoch nicht durch das bloße Faktum der Verschmelzung gleichsam wie durch eine magische Kraft erreicht sein, sondern die Substanzen der verschiedenen Kerne werden von ilirer Genese und bisherigen Entwicklung anfänghch noch abhängig sein. Und weil der Zeitpunkt für die Bildung und Umsetzungen der Stoffe in den ver- schiedenen Kernen verschieden waren — da die Bedingungen in einem Zellhaufen ungleiche sind und die Zellen auch tatsächlich nie auf dem genau gleichen Stadium stehen — so müssen sich diese Stoffe verschiedener Provenienz auch nach Verschmelzung noch abweichend verhalten, bis, dm’ch Umbau und Wechselwirkung mit den andern, sämthche Be- standteile auf den jeweils gleichen Zustand gekommen sind, sodaß ein gleiches Verhalten, eine Koordination derselben dadurch hergestellt ist. Diese zeitweilige Unabhängigkeit oder vielmehr Nichtkoordination der einzelnen Komponenten können wir zwar an den Grundsubstanzen, welche ja keine von einander unterscheidbare Strukturen aufweisen, nicht ver- folgen, jedoch finden wir diese an den chi'omatischen Teilen sehr’ schön verdeutlicht, bei denen, wie öfters besprochen, verschiedene Etappen unterscheidbar sind. Besonders klar zeigt uns dieses Verhalten Fig. 26, Taf. XXIII. Die Struktur des unteren Kernes in derselben läßt erkennen, daß dieser aus Vereinigung eines links unten und rechts darüber gelegenen Kernes hervorging. Eine chromatische Etappe löst sich nun zu einem feinen Fasergerüst auf, und zwar erfolgt dies nur für die betreffende chro- inatische Etappe, welche aus dem vor der Verschmelzung links unten gelegenen Kerne entstammt, während die Chromatine des andern Kernes von dieser Veränderung durchaus unberührt bleiben, obwohl beide Kerne vollständig vereinigt sind. Eines hat jedoch die Entwicklung auch der clu:omatischen Substanzen aller Kerne gemeinsam, sie fülnt zum selben Eesultate, nämlich zum Zerfall (selbstverständlich nur in morphologischer Beziehung gemeint) der chroinatischen Stoffe, vie wir ihn schon kennen gelernt haben. Unter Mit- verwendung von chesen Zerfallsprodukten wird in einem neuen Nucleolus ein neues Chromatin erzeugi;, welches nunmehr sowohl zeitlich genetisch als physiologisch gleich ist, sodaß, nachdem alles alte Chi’omatin zerfallen und der Nucleolus ein neues gebildet hat, auch für das Chromatin ein koor- diniertes Verhalten im Kerne gegeben ist. (Für die Grundsubstanzen war dasselbe wohl schon bei der Bildung des neuen Nucleolus eingetreten.) 23* 350 Albert Oschmann Was mußte nun in der Zwischenzeit mit dem alten Kucleolus ge- schehen sein? Wir können aus der Bildungs- und Entwicklungsweise und der Funktion des Nucleolus ableiten, daß derselbe in seiner Tätigkeit von den Umsetzungen der Kernstoffe abhängig ist. Mit diesen muß er sich in einem Gleichgewichtszustände und einer damit verbundenen Gleich- gewichtslage befinden. Durch die Verschmelzung muß notwendigerweise eine völlige Verschiebung dieses Gleichgewichtes erfolgen, durch welches das Arbeitsgebiet der Nucleolen gegeben war. Die Folge ist, daß sie in ihrer Funktion gehemmt sind und zerfallen, wohingegen später, in der neu gegebenen Gleichgewichtslage, ein neuer Nucleolus entsteht. Wir haben diese Verhä tnisse bei Betrachtung der Ovogenese (spezieller Teil) in jedem einzelnen Falle durchgefühiT gefunden. Aus dieser Betrachtung der Kernverschmelzung geht hervor, daß bei derselben nicht etwa eine Vereinigung und ein zur Deckungbringen von Strukturen stattfindet. Sie ist im Gegenteil eine Summierung von Sub- stanzen, welche samt ihren Strukturen umgebildet werden, sodaß neue an ihre Stelle treten. Durch Umbildung aus den Stoffen der alten Kerne entsteht demnach gewissermaßen der neue Kern: Die Vereinheitlichung ist dann eingetreten, wenn alle Stoffe nach einer Eichtung hin umge- baut wurden und ein neuer, nunmehr gemeinsamer Kreislauf beginnt. Das anfänglich selbstständige Verhalten der Kernstoffe verschmol- zener Kerne beweisen uns auch Befunde an Hodenteilen. Ln zehnten Segmente der Tiere befinden sich zur Zeit der Eibildung noch geringe Eeste von Hoden. Dieselben produzieren aber keine Samenzellen mehr, sondern degenerieren. Um den Prozeß dieser Degeneration verstehen zu können, ist es notwendig, zuerst die Grundzüge der wirldichen Samen- bildung kennen zu lernen. Hierzu konnte ich zwar bei T. (Ilyodrilus) lavaricus kein Material finden, da mir keine Exemplare im Stadium der Samenbildung Vorlagen, dagegen aber bei mehreren verwandten Arten, deren Ovogenese derjenigen von T. lavaricus ganz ähnlich verlief. Daraus wird man schUeßen können, daß die Spermatogenese dieses Tieres auf die gleiche Art vor sich geht, womit auch die Befunde der Degeneration der Hodenreste völlig im Einklang stehen. Die Samenbildimg verläuft der Eibildung anfangs völlig analog, in- dem ebenfalls ein Teil der Zellen verschmilzt, der immer central in einem Komplexe gelegen ist. Während aber bei der Eibildung dieser Verschmel- zungskomplex es ist, welcher die Geschlechtszelle liefert, dagegen che um- liegenden Zehen während des Eiaufbaues unverändert hin umsclüießen, findet bei der Spermatogenese cUrekt das Gegenteil statt. Die Zehen, welche den Verschmelzungsherd umgeben, pressen (der Ausdruck ist Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der ceUulären Erscheinungen. 351 selbstverständlich niu' eine Verlegenheitsbezeichnung) einen Teil ihi'es Körpers in diesen ein und ernähren sich von ihm, während sie ihren Bildungs- gang zum Spermatozoon ausführen, Synapsis (Fig. 37, Taf. XXIII), Wachs- tum, Eeifeteilungen, Differenziation, sodaß sie als reife Spermatozoen mit den Köpfen in dem Verschmelzungsherde stecken, während die Schwänze alle herausragen. Diejenigen Elemente, welche also in der Ovogenese das Ei bildeten, führen in der Spermatogenese nie zu Geschlechts- zellen, während gerade die Zellen, welche den bei der Ovogenese zuerst nicht verwendeten Teilen entsprechen, das Sperma üefern. Wir finden demnach in Ovo- imd Spermatogenese denselben Prozeß, die Verschmel- zung, mu- in umgekehrter Anwendung. In der Ovogenese ist die Differen- ziation der Zellen nur eine zeitliche, indem die Zellen, welche den Ver- schmelzungsherd umgeben, nach Austritt des aus diesem Herde gebildeten unreifen Eies wieder zusammenschließen und einer neuen Verschmelzung Entstehung geben. Dagegen vmrde die Differenziation in dem männlichen Organe zu einer vollständigen histologischen, indem die verschmelzenden Zellen den Xährkörper abgeben und die nicht verschmolzenen die Ge- schlechtszellen liefern. In den degenerierenden Hodenresten ist nun das Gefüge der Zellen ein sehr lockeres, und es sind überhaupt nicht viel Zellen vertreten; das Organ ist sehr reduziert. Trotzdem macht es mindestens Versuche zur Samenbildung. Es kommt ebenfalls, wie bei normaler Spermatogenese zur Verschmelzung eines Teiles der Zellen zu einem Komplex (Fig. 38, Taf. XXIII). Da nun aber zu wenig oder gar keine Zellen vorhanden sind, welche diesen Herd follikelartig umgäben und sich von ihm ernährten, fällt offenbar hierdurch die Komponente weg, welche diese Verschmelzung aufrecht erhalten würde, und es kommt wiederum zu einem Teilungs- versuch des Komplexes, mindestens zur Vorbereitung der Kernteilung. Hierbei finden wir vier Arten von Bildern. 1. Viele einfache Spindeln in einer einzigen Plasmamasse, Fig. 38, Taf. XXIH. 2. Multipolare (oft rie- sige) Spindeln, Fig. 39 und 40. 3. Spindeln, welche zwar ziemlich einheit- lich sind, jedoch eine Unmenge von Chromosomen aufweisen, sodaß dadurch die Spindel selbst beträchtüch deformiert wh’d, Fig. 41. 4. Endhch einfache Spindeln, Fig. 42. Die ersteren werden wohl da- dmch erklärt, daß nur das Plasma zusammengeflossen war, als der Trieb zur Teilung eintrat. Die zweite Art kann nur durch Kemverschmel- zung entstanden sein und beweist uns das anfänglich unabhängige Ver- halten der Kemstoffe verschiedener Provenienz. Die dritte kann eben- falls nur aus einer Kemverschmelzung hervorgegangen sein. Für div. letzte Art beweist uns die riesige Plasmamenge im Verhältnis zu wirk- 352 Albert Oschmann liehen Spermatogonien und auch Ovogonien (Fig. 2, Taf. XXIII), daß es sich um eine Verschmelzung handeln muß. Außerdem wäre es äußerst unwahi’schemlich, daß in diesen alten degenerierenden Teilen noch wirk- liche Spermatogonien vorhanden gewesen sein sollten. Hier hätten also die Kerne die Zeit zu einer Betätigung imd Umsetzung zur Vereinheit- lichung gefunden, bis der Versuch einer Teilung eintrat. Vergleichen wir das Resultat der Verschmelzung bei der vorUegenden Ovogenese mit demjenigen bei der Befruchtung, so finden wir einen großen Unterschied; in dem einen Falle keine Veränderimg der Chromosomen- zahl, in dem andern Summierung derselben. Dasselbe gilt für die Ver- schmelzung der Eier von Ascaris, welche zun Strassex beschrieb (Über die Riesenbildung bei Ascaris-Eiern. Ai'ch. Ent. Mech. Bd. 7), ferner für die künstliche Parthenogenese des As^erias-Eies, infolge von Verschmel- zung des Kernes des zweiten Richtungskörpers mit dem Eikern (Büchner, Paul, Die Reifung des Seesterneies bei experimenteller Parthenogenese. Arch. f. Zellf. Bd. 6). Hand in Hand mit der Verschiedenheit der Resul- tate geht aber auch die Verschiedenheit der Prozesse selber, welche kaum miteinander vergleichbar sind: In dem einen Falle haben wir Vereinigung von Gewebszellen, in dem andern Falle unabhängige Individuen. Ver- einigung von Zellen in dem Wachstumszustande (der Möglichkeit, sich zu vergrößern, ohne Vermehrung der numerischen Eigenschaften) gegen- über Vereinigung von fertigen Gebilden, bei welchen für jedes einzelne, ohne vorherige tiefgreifende Umbildung, ein Wachstum unmöglich ist. Bei dem einen Vereinigung von Zellen inmitten ihres Tätigkeitszustandes, wobei die verschiedenen Etappen ihrer Stoffe gleichzeitig vorhanden sind, in dem andern Zusammenlegen von Organismen im Begriff ihrer Umbil- dung aus einem Ruhezustände, mit einer geringen ^lenge einer aktiven Etappe und einer großen Masse inaktiver Stoffe, welche umzubauen sind. Wie eine große Zelle durch Abteilung sich in einzelne Zellen zerlegen kann, welche eine jede, weil sie aus denselben Substanzen besteht Avie das vor- herige Ganze, auch dieselben Eigenschaften, mithin auch Chromosomen- zahl, wie jenes aufweist, so muß sich auch ein Komplex gleichartiger Zellen zu einem einheitlichen Ganzen vieder zusammenfügen lassen, welcher, da er aus derselben Substanz wie der einzelne Teil besteht, auch wiederum dieselben Eigenschaften wie dieser besitzen muß, Denken wir uns z. B. eine Zelle, deren Eigenschaft es ist, bei Teilung 20 Chromosomen zu liefern (z. B. ein befruchtetes Ei oder irgend einen embryonalen Teil), welche sich in 64 Zellen einteilt, so wird ein jeder Teil, also jedes 64stel, auch die Eigenschaft haben, 20 Chromosomen zu l)ilden. Und denken wir uns eine Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung imd der cellularen Erscheinungen. 353 Zelle, ebenfalls mit der Eigenschaft von 20 Chromosomen, welche 64 mal anwächst (z. B. bei einer Eibildung), so wird sie, auch wenn sie 64 mal größer geworden ist, doch nur 20 Chromosomen liefern können. Denken wir uns nun 64 Zellen, jede zu 20 Chromosomen, und cüese 64 zu einer ein- zigen Zelle verschmolzen, so wird auch diese 64 mal größere Zelle die gleiche Eigenschaft haben können, wie jeder Teil, demnach auch 20 Chro- mosomen zu liefern. Dieses alles macht uns plausibel, daß bei der Zellverschmelzung, wie wir sie in dieser Untersuchung kennen lernten, und der Vereinigung von Ei und Sperma oder von Eiern untereinander oder von Ei und Rich- tungskörper, ein wesentlicher Unterschied auch in den Resultaten ein- treten muß. Wenn vir uns aber nun fragen, welcher Unterschied in dem Pro- zesse wesensvichtig für die Differenz des Endergebnisses ist, so können wir wohl sagen, daß diese Unterschiede in den komplizierten Verhält- nissen der Assimilation zu suchen sind; Bei der Verschmelzung der Ovo- cyten liegt im hier besprochenen Falle eine völlige x\ssimilation vor. Assi- milation von vollständigen in sich abgeschlossenen Systemen (wie den OvocytenzeUen) wird jedoch — falls für das einzelne System überhaupt die Möglichkeit zur Vergrößerung besteht, es sich demnach auf einem Entwicklungs- und Wachstumsstadium befindet — nur möglich sein, weim dieselben zusammen in Wechselwirkung, in Reaktion treten können. Eine solche ist aber nur denkbar zwischen von einander verschiedenen Stoffen. In einem ZeUhaufen, wie ihn das Ovar von Tubifex darstellt, und der naturgemäß noch ungleichmäßig ernährt wird, muß, wie ich schon hervorhob, jede Zelle auf einem andern Stadium stehen. Durch che auf- einanderfolgenden Verschmelzungen können diese Unterschiede nin noch vergrößert werden. In einem verschmolzenen Komplexe sind also alle vorher freien Teile in einem verschiedenen Zustande und ihre einzelnen Stoffe sind demnach substantiell voneinander verschieden (vie wir im Verlauf der Verschmelzung auch sehen konnten, vgl. S. 349). Sie müssen folglich mit einander in AVechselwirkung treten (da es sich selbstverständ- lich um assimilierbare Substanzen handelt). Der eine Prozeß wird durch die Veränderung infolge der Verschmelzung gehemmt, der andre geför- dert, zwischen allen Umsetzungen muß sich sodann schließlich ein Mittel bilden und hierdurch ist für das Ganze ein einheitlicher Gleichgewichts- zustand erreicht. Diese Ableitungen sind mit den Befimden bei der Ver- schmelzung, welche wir oben besprochen haben, völlig vereinbar. Dagegen haben wir bei der Befruchtung oder der Vereinigung von Eiern oder des Eies und Richtungskörperkerns, eine Vereinigung von in sich abgeschlossenen Systemen, w^elche gleich sind und auf der genau 354 Albert Oschmann gleichen Stufe stehen. Die Umsetzung derselben muß (es sind ja dieselben Bedingimgen vorhanden) gleichzeitig erfolgen und ihre Produkte müssen demgemäß von einem zum andern stets gleich sein. Eine Wechsehvirkung und Eeagierbai'keit zwischen den Teilen der einzelnen Komponenten ist eben wegen ihrer Gleichheit völhg ausgeschlossen, infolgedessen verhält sich jede Komponente, wie wenn die andre nicht da wäre und macht un- gestört ihren Cyklus durch. Kach Durchlaufen eines vollständigen Cyklus muß natm’gemäß derselbe Zustand wie am Ausgangspunkte wieder ein- treten. Daß es hierbei auf den genau gleichen Zustand an imd für sich ankommt und daß nicht etwa das Chroniosomenstadium für diese Art Vereinigung notwendig ist, zeigt ims che Karyomerenverschmelzung. Es fragt sich nun, ob es nicht möglich wäre, auch in den Fällen von Befruchtung cIotcIi Samen oder Richtungskörper oder Eivereinigung dwch geeignete Maßregeln eine mehr oder minder weitgehende cytolo- gische Vereinheitlichimg herbeizuführen. Ist es doch sogar möglich, Embryonen derart zu vereinigen, daß ein völlig einheitlicher Organismus daraus entsteht, wie Driesch nachgewiesen hat (Stucüen über das Regu- lationsvermögen der Organismen. 4. Die Verschmelzung der IndinduaU- tät bei Echinidenkeimen. Arch. Entw. Mech. Bd. 10). Man müßte z. B. versuchen, durch Einwirkimgen, welche auf einen der zwei zu vereinigen- den Teile stärker reagieren, che Gleichheit zwischen denselben zu zerstören, sodaß sie in Wechsehmkung treten könnten. Die Versuche Büchners am Ei von Asterias (1. cit.) spezieU in betreff der lähmenden Wirkung der Kohlensäure, könnten vielleicht einen Ausgangspunkt dafür darstellen. Daß man dabei auf einigen Erfolg hoffen könnte, ließe eine Anmerkung in der betreffenden Ai'beit schheßen, welche besagt, daß che Chromosonien- zahl infolge der Vereinigung des zweiten Eichtungskörpers mit dem Ei- kern zur doppelten derjenigen des Eikems wird, »soweit nicht Vielpohgkeit und andre pathologische Dinge die Chromosomenzahl irritieren«. Leider hatte ich bisher noch keine Gelegenheit, derartige Versuche zu unter- nehmen. Fenier hat zur Strassen nach seiner oben zitierten Arbeit bei der Vereinigimg von Mscam-Eiem in einem Fähe vöUige cytologische Vereinheithchung gefunden, indem ein Embryo aus einem befruchteten Ei von Ascaris megal. hivalens, welches vorher aus Vereinigung von zwei (unbefruchteten) Eiern entstanden war, che normale Chromosomenzahl vier (anstatt sechs, wie man hätte erwarten soUen) aufwies. Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 355 Tafelerklärung. Alle Figuren mit dem Zeichenapparat auf Objekttisflihöhe projiziert. Zeiss 2 mm Apochromat imd die Kompensationsoculare 2, 4, 8, 12. Wo in den Figuren nichts Besonderes angegeben ist, wmrde Ocular 8 mit lOOOfacher Vergrößerung verwendet. Die andern Vergrößerungen wurden in lateinischen Ziffern hinter der Figiurennummer angegeben: Ocular 2 = CCL, 4 = D, 12 = MD. Die Klammern um einige Figuren- nummern sollen angeben, daß die betreffenden Figuren mit den vorhergehenden oder folgenden in keinem Zusammenhänge stehen. Schnittdicke 5 fx, außer für Fig. 72, Taf. XXV, 10 fl. Tafel XXIII. Die Präparate sämtlicher Figuren dieser Tafel mit Hämalaun-Eosin gefärbt außer Fig. 34 a und l imd Fig. 35. Fig. 1. Beginn des Ovars am Dissepimente. Eechts von p je zwei Peritoneal- kerne mit intensiv blauen Chromatinkömchen. Zwischen diesen die jüngsten Ovogonien mit runden, rötlich sich färbenden Chromatinkörnchen (S. 304). Kechts davon um- gewandelte Ovogonien mit Netzwerk von mehr basophilem, violettem Chromatin (S. 305). Diesen Kernen liegen kalottenartig vom übrigen Plasma differente Gebilde an (S. 305 und 340). Fig. 2. Ovogonienteilung (S. 305). Fig. 3 bis einschließlich 19. Erste Wachstumsperiode. Nucleolen Verhältnisse (S. 312—314, und 335). In Fig. 16 rechts und Fig. 17 Abgabe von Chromatin durch den Nucleolus (S. 313). In Fig. 19. Neubildung des Nucleolus (S. 314 und 339). Fig. 20 bis einschließlich 30. Verschmelzungsperiode. Fig. 20 bis einschließlich 22. Kerne einer jüngsten Verschmelzungsgruppe (der Kg. 63 und 64, Taf. XXV) (S. 314). Fig. 23 bis einschließlich 25. Kerne einer weiter vorgeschrittenen Verschmelzungs- gruppe (der Fig. 65 — 70, Taf. XXV) (S. 314 und 315). Fig. 26 bis einschließlich 28. Kerne einer noch älteren Verschmelzungsgruppe (der Textfig. 1 — 6, S. 309). In Fig. 26 Umwandlung des Chromatins in dem imteren Kerne, welcher aus zwei kürzlich verschmolzenen Kernen besteht, und zwar geht diese Umwandlung nur in dem einen Kernteile vor sich, den Best, von einem anderen Kerne stammenden Teil, nicht berührend. Dieses beweist, daß durch die bloße Verschmelzung der Kern nicht ein- heitlich geworden ist (S. 316 und 349). Fig. 27 und 28. Aufeinanderfolgende Schnitte durch denselben Kern. In Fig. 27 Neubildimg eines Nucleolus, in Fig. 28 die Beste der alten (S. 315). Fig. 29. Ein Kern der Verschmelzungsgruppe der Textfig. 7 — 11, S. 309, die Auflösung der Nucleolen und Veränderungen des Chromatins zeigend (S. 317). Fig. 30. Einziger Kern einer Verschmelzungsgruppe, durch Verschmelzung von allen Kernen der Gruppe entstanden (S. 317). (Der ganze Ovarialkomplex in Fig. 32 wiedergegeben.) Fig. 31. Kern in einer Verschmelzungsgruppe, das Zerfließen des Nucleolus zeigend (S. 315). 356 Albert Oschmann Fig. 32. Übersicht durch einen Ovarialteil. Links ein aus dem Zellverbande ausgetretenes unreifes Ei (S. 317), inmitten der Ovocyten ein Verschmelzungsherd nach beendigter Kemverschmelzimg. Fig. 33. Nucleolen die Vereinheithchung in ilner Konfiguration zeigend (S. 335 imd 339). • Fig. 34 o. (Safranin-Gentiana^^olett-Lichtgriin.) Chromosomenbildung im Hoden (S. 339). Fig. 34 b. (Eisenhämatoxj'hn.) Chromosonienbildung in Ovogonien (S. 339). Fig. 35. (Safranin-Gentiana\-iolett-Lichtgrün.) Apponierte Nucleolen (Stadium der Fig. 44, Taf. XXIV) (S. 334). Fig. 36. Teilung in einer Darmzelle eines Limnodrilus. Nur ein Teil des Kernes wird zm- Teilungsfigur verwandt (S. 343). Fig. 37. Etappe in normaler SamenbUdung bei Tubificiden (S. 351). Fig. 38 bis einschließlich 42. Degenerative Veränderungen in den Hodenresten während der Eibildung. Dieselben beweisen die anfängliche Selbständigkeit der ein- zelnen Teile in einem durch Verschmelzung entstandenen Kerne (S. 351). Tafel XXIV. Wachstumsperiode des aus der Verschmelzung hervorgegangenen, unreifen Eies bis ziu Spindelbildimg. Fig. 43. (Hämalaun-Eosin.) Umordnung des Kernes (S. 318). Um denselben beginnt sich eine plasmatische Schicht abzuscheiden (S. 319 und 340). Fig. 44. (Hämalaim-Eosin.) Weiter vorgeschrittenes Stadium (S. 318). Bildung eines apponierten Xucleolus (S. 334). Fig. 45 und 46. (Hämalaun-Eosin.) Aufeinanderfolgende Schnitte. Beginn des Zerfalls des Doppelnucleolus (S. 319). Fig. 47. (Hämalaun-Eosin.) Vorgeschrittener Zerfall des Xucleolus (S. 319). Fig. 48 und 49. (Hämalaun-Eosin.) Aufeinanderfolgende Schnitte. Beendigter Zerfall des Xucleolus (S. 319 und 323). Fig. 50, 51 und 52. (Safranin-Gentianaviolett-Lichtgrün.) Aufeinanderfolgende Schnitte. Bildimg einer neuen Xucleolengeneration (S. 321, 333 imd 347). (Durch Safra- nin wrude das Grundwaben werk des Kernes gefärbt, durch Gentiana der den Xucleo- lus imigebende dünne Saum neugebildeten Chromatins, durch Lichtgrün das im Kern zerstreute alte Chromatin und die Dotterkörnchen.) In Fig. 51 weist die Kern- membran ein Wabenwerk auf (S. 313). Fig. 51a. (Safranin-Gentianaviolett-Lichtgrün.) Jimge Ovocyte den Xucleolus im gleichen Stadium wie das unreife Ei der Fig. 51 zeigend (S. 322). Fig. 53. (Carmin nach Hayer) und 54 (Lichtgrün). Fortschreitende Stadien der Ausbildung des Xucleolus (S. 322 und 323). Fig. 55. (Carmin nach Mayer.) Reifer Xucleolus (S. 323). Fig. 56 und 57. (Carmin nach Mayer.) Entleerung des Xucleolus (S. 323, 332, 335 und 347). Fig. 58. (Safranin-Gentianaviolett-Lichtgrün.) Die dem Xucleolus entstammende chromatische Schleife ist schon aufgelöst worden (S. 323), der Kern weist, außer dem Grundwabenwerk mit den kleinsten Bläschen, keine geformten Elemente mehr auf (S. 324, 332, 340, 347). Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. 357 Fig. 59 und 60. (Hämalaun-Eosin.) Drei aufeinanderfolgende Schnitte. Bildung der letzten Nucleolengeneration als zusammengesetzter Nucleolus (S. 324, 335 und 340). Fig. 61. (Hämalaun-Eosin.) Weiter vorgesclu-ittener Nucleolus, das Kernplasma völlig homogen aussehend (S. 325 und 332). Fig. 62. (Hämalaun-Eosin.) Abgabe des Chromatins von dem Nucleolus an den Kern (S. 325, 335 imd 338). Fig. 62a. (Hämalaun-Eosin.) Dieselbe weiter vorgeschritten, auch die centralen Nucleolen haben sich zu entleeren begoimen (S. 326). Tafel XXV. Fig. 63. (Hämalaun-Eosin.) Jimge Verschmelzimgsgruppe. Rechts in der Gruppe beginnen zwei Kerne zu verschmelzen, hnks ist die Verschmelzung für zwei Kerne eben beendet, der größere obere Kern ist ebenfalls aus einer Verschmelzung hervorgegangen (S. 308). Links oben ein unreifes Ei, welches aus dem Verbände der Ovocyten austrat imd ganz zu Begiim seiner Wachstumsperiode steht. Um den Kern hat gerade ein dünner Saum neuen Plasmas sich abzuscheiden begonnen (S. 319 und 340). Links seit- lich liegt dem Ovar ein größeres unreifes Ei an, von dem nur ein kleines Stückchen auf der Figur sichtbar ist. Fig. 64. (Hämalaun-Eosin.) Nächster Schnitt durch die Verschmelzimgsgruppe der Fig. 63 (S. 308). Fig. 65 bis einschließlich 70. (Hämalaun-Eosin.) Aufeinanderfolgende Schnitte einer Verschmelzimgsgruppe (S. 308). In Fig. 65 sind nur die Ovocyten, welche den Verschmelzungsherd umgeben, getroffen. Dem Ovarialkomplexe liegt ein unreifes Ei, in der Mitte seiner Wachstums- periode, an. Um den Kern hat sich eine breitere Schicht neuen Plasmas als Wachstums- zone differenziert (S. 320 und 340). In Fig. 66 — 68, welche den Verschmelzimgsherd, umgeben von den Ovocyten, darstellen, ist das unreife Ei nur in Konturen angegeben. Nur in Fig. 66 ist die Plasma- stiuktur eingezeichnet. Fig. 69 imd 70 geben nur den Verschmelzimgsherd wieder, die umgebenden Ovo- cyten wurden in den Figuren weggelassen (S. 308). Fig. 71. (Carmin nach Mayer.) Unreifes Ei gegen Ende der Wachstumsperiode. In der Plasmazone um den Kern liegen eine Menge runder Körnchen, welche offenbar mit der Dotterbildung in Beziehung stehen (S. 320). Fig. 72. (Hämalaun-Eosin.) Die Zahl der Körnchen und die sie enthaltende Plasmaschicht hat stark zugenommen (S. 320 und 340). Fig. 73. (Hämalaim-Eosin.) Die Dotterbildung hat von der Peripherie aus gegen den Kern eingesetzt. Eine Zone um den Kern ist davon noch unberührt (S. 321). Fig. 74. (Hämalaun-Eosin.) Die Dotterbildung ist bis zur Kernmembran vor- geschritten (S. 321). Tafel XXVI. Reifespindel. Färbung der Präparate sämtlicher Figuren mit Hämalaun-Eosin (Tiischezeichnimgen). Fig. 75 und 76. (Aufeinanderfolgende Schnitte.) Das Stadium dieser Spindel dürfte, was die Chromosomenbildung anbetrifft, wohl zwischen demjenigen der Spindel Fig. 79 imd 80 und der Spindel Fig. 84 liegen. Da jedoch das Präparat durch Alkohol 358 Albert Oschmann, Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung usw. geschrumpft ist, läßt es sich nicht mit voller Sicherheit verwenden. Die chromatischen Verhältnisse dürften jedoch weniger davon berührt sein. Fig. 77 bis einschließlich 83. Aufeinanderfolgende Schnitte durch eine jimge Reifespindel. In Fig. 79 imd 80 sieht man die chromatischen Körnchen, welche noch nicht zu Chromosomen gruppiert sind (S. 339). Fig. 81 zeigt, vüe das Schaumwerk der in das Ei auswachsenden Teile der Centrosphären und des peripheren, die Chromo- somenspindel lungebehden Kernplasmas (S. 326 und 341) gleichsam ein Gitterwerk um die Spindel bildet. In Fig. 83 erkennt man, wie ein Teil dieses Schaumwerks in seinem Verlauf von einer Gruppe von Dotterkörnchen aufgehalten wird imd sich um dieselbe herumschlingt (S. 327). Fig. 84. Zwei aufeinanderfolgende Schnitte durch einen Teil einer älteren Reife- spindel, die ausgebildeten Chromosomen zeigend (S. 327). Fig. 85. Ein Schnitt durch die Spindel der Fig. 84, das Auswachsen derselben mid die Auflösung des Dotters zeigend (S. 327 und 341). Tafel XXVn. Sämtliche Figinen nach Eisenhämatox}Tin-Präparaten, außer Fig. 90 (Carmiu nach Mayer). Fig. 86. Kernstadium: ausgebildeter Kucleolus der vorletzten Generation (S. 323). Über das Kernplasma S. 332 und 347. Die DotterbUdung ist noch nicht beendet (S. 303 und 321). Fig. 87 und 88. Aufeinanderfolgende Schnitte. Entleerung des vorletzten Nu- cleolus (S. 323). Dotterbildung beendet (S. 303 und 321). Fig. 89. Dasselbe Stadium wie Fig. 88. Uber das Kemplasma beider Figuren S. 332. Fig. 90. Das aus dem Kucleolus ausgestoßene Chromatin hat, nach einer par- tiellen Umbildung, die Gestalt chromatischer Schleifen (S. 323 und 338). Fig. 91 und 92. Umbildung des, dem Kucleolus entstammenden Chromatins zu Kernplasma. In Fig. 91 sind in demselben noch chromatisch tingierbare Teilchen vor- handen, in Fig. 92 sind sie bis auf einige Körnchen verschvninden und die unigebildete chromatische Schleife geht völlig in die Grundsubstanz des Kernes über (S. 323, 324, 331, 336 und 348). Fig. 93 bis einschließlich 106. S}Tiapsis und Auflösung derselben (S. 306). Fig. 99, 100, 101, 102. Ausragen eines Kernteiles oder einer chromatischen Schleife aus dem Kerngebiete (S. 306). Fig. 109, 104, 105, 106 und 100. Abschnürung oder abgeschnürte kleine Kerne bei Umbildimg der Synapsis (S. 306 und 307). Fig. 107 und 108. Zellen nach Umbildimg der Synapsis. Sie zeigen, daß nach derselben in jeder Zelle einige chromatisch tingierbare Körnchen im Plasma liegen (S. 306). Fig. 109. Amitotische Teilung inmitten von Synapsiskernen (S. 307). Fig. 110, 111 und 112. Kucleolen mit verschiedenem Chromatingehalt. Sie be- weisen, daß das Grundwabenwerk des Kernes in den Nucleolus übergeht und sich in diesem fortsetzt (S. 334). Archiv für Zellforschung 3d. XII. Oschmann gez. Verlag von WUhelni t fi CiS MD). 13‘t'^MD) (32 CCD. »ooP (3‘t^^MD ) Tar. XXI/l. 136 MD) (38 D) (39 DJ ■ ntmn in. Leipzig und Berlin.. LiihAnst.v.Joh/mnesAmdi.Jena. *4^ l51aJ Archiv für Zellforschung Bd. XII. Oschmann gtz. Verlag voa WiUiebti Taf.KXIV. •bnann in Leipzig und Berlin. Lith.Ar^t.v.Johanrxs Aindtjena. 62 a. 62. Archiv für Zellforschung Bd.XlI. VtrloLg von WUhelm\ Oschmann gez *••• . * ‘.T»* -‘.Vl** 5.'** t *1 ♦ ' V • • * 6^0. •?y{ '•'WX: BSWi?:*.?** »lA Taf. XXV. tflmann inLtipzij vM Berlin. LitkAnstr Johannes Arndt, Jena. Archiv für Zellforschung Bd XII. Oschnumn gtz Verlag von Wilhelm b Tar. XXVI. Er mann in Leipzig und, Derliri. Lith.Anst. v. Johannes. ^mdt, Jena Archiv für ZeUforschiing. Bd. XII. Taf. XXV IL Oschmann. Verlag von Wilhelm Engelmann in Leipzig und Berlin. über die Prophasen der ersten Reifeteilung in Pollenmutterzellen, insbesondere bei Thelygonum Cynocrambe L Von Haus Schneider. Mit Tafel XXVIU. In der Frage nach der Bildung der diakinetischen Doppelchromosomen stehen sich ((wenigstens in der botanischen Cytologie) hauptsächlich die »Faltungs«- und die »Junktionsatheorie gegenüber. Mit Bezug auf die Stellungnahme zu den durch diese Schlagworte gekennzeichneten An- sichten lassen sich allgemein zwei Eichtungen unterscheiden. Während manche die eine oder die andre Theorie als allein richtig betrachten, neigen neuerdings verschiedene Forscher mehr der Annahme zu, daß beide Weisen der Doppelchromosomenbildung nebeneinander, aber sich gegen- seitig für ein bestimmtes Objekt ausschließend, im Pflanzenreich ver- wirklicht seien. Diese zweite Richtung findet eine ihrer besten Stützen in der Tatsache, daß ein so guter Beobachter wie Yajla.nouchi bei Ne- phrodium molle (08) und bei Osmicnda cinnamomea (10) die Doppelchromo- somen durch Parasyndese, bei Fucus (09) dagegen durch Metasyndese entstehen läßt. Für die Entscheidung zwischen den beiden Richtungen, wie überhaupt für die Erforschung der geschlechtlichen und der an diese geknüpften Vorgänge (vgl. E. Strasburger 94, 09, 10 a) ist nach meiner Ansicht die phylogenetische Betrachtungsweise von größter Bedeutung. Die Reduktion der Chromosomenzahl ist ja (was vielleicht Betonung verdient, da dieser Gesichtspunkt nur selten berücksichtigt zu werden pflegt) tatsächlich nicht nm’ ein ontogenetisches, sondern doch auch ein phylogenetisches Problem. Geschlechtliche Sonderung, Befruchtung, Reduktionsteilung: das sind die Fortschritte, die in den Gruppen lebender Wesen mit merkwürdiger Analogie eintreten und zur Ausbildung und schließlichen Herrschaft der diploiden Generation führten. Aber es handelt sich doch hier nur um Analogie, denn sicherlich ist dieser Entwicklungs- 360 Hans Schneider fortscluitt im Laufe der Stammesgeschichte (— ich habe die der Pflanzen im Auge — ) nicht einmal, sondern öfter und unabhängig von seinem sonstigen Eintreten getan worden. Daher braucht es nicht zu verwundern, wenn sich zeigt, daß dasselbe Ziel, die Herabsetzung der diploiden Chromo- somenzahl auf die ursprüngliche haploide, nicht überall auf vöUig gleiche Weise erreicht wird. Viel eher sollte unsre Verwunderung der Tatsache gelten, daß die betreffenden Vorgänge auch als bloße Analoga (infolge der Eigenschaften des lebenden Substrates, wie Steasburger annimmt) in so vielem übereinstimmen. Von hier aus erscheint der Ausspruch Tischlers 1) (10, S. 656), »daß tatsächlich eine große Einheitlichkeit im Verlaufe der Reduktionsteilung im Tier- und Pflanzenreiche« statt- finde »und die eine solche Einförmigkeit noch ausschließenden Angaben auf unrichtige Deutung der mikroskopischen Bilder zurückzuführen« seien, in seinem zweiten Teil als zu weit gehend, und das Bemühen, die Reduktionsvorgänge für alle Lebewesen einem einzigen Schema unter- zuordnen, als wahrscheinlich wenig aussichtsreich, wenn auch heuristisch wertvoll. Von diesem Gesichtspunkt aus sind auch die Angaben Ya- MANOucHis wohl Verständlich. (Ob seine Deutungen im einzehien richtig sind, ist eine Frage, von der hier natürlich ganz abgesehen werden kann.) Die Möglichkeit der Verschiedenheit in den Reduktionsvorgängen bei Farnen und Braunalgen liegt jedenfalls auf der Hand, da ja die phylo- genetische Systematik bisher für die Phaeophyten keine sicheren Be- ziehungen zu den Corniophyten hat nachweisen können und es überhaupt fraglich erscheint, ob letztere an lebende Vertreter der Thallophyten sich anknüpfen lassen (vgl. Wettstein 11, S. 103 u. 234). Andrerseits gestatten dieselben phylogenetischen Erwägungen starke Zweifel an der Richtigkeit der neuerdings geäußerten Meinung, daß bei den Angiospermen, also innerhalb einer phylogenetisch streng geschlossenen Gruppe, verschiedene Arten der Reduktionsteilung nebeneinander statt- haben könnten, einer Meinung, die z. B. Gates (09, S. 195) mit den Worten ausdi'ückt: “Evidence from this and other work shows that there are two general methods of chromosome reduction in plants, one in- volving a side-by-side pairing of chromatin threads (parasynapsis) to form a double spireni, the other involving an end-to-end arrangement (telo- synapsis) of the maternal and paternal chromosomes to form a single spirem, which may split longitudinally.” Sie führen uns vielmehr not- wendig zu der Ansicht, daß Faltungs- und Junktionstheorie sich nicht nur für die einzelne Pflanze, sondern wenigstens innerhalb des Stammes 1) Wie aus einem Referate Tischlers über die unten zitierte Arbeit von Davis (11) in Archiv f. Zellforschung zu ersehen ist, hat er seine Meinung neuerdings geändert. über die Prophasen der ersten Reifeteilung in Pollenmutterzellen usw. 361 der Cormophyten überhaupt ausschließen, daß also hier (wenn überhaupt eine von ihnen richtig ist) nur eine der beiden Theorien zu Eecht be- stehen kann. Ähnlichen Gedanken, wenn auch ohne diese spezielle Anwendung, gab E. Strasburger (00, S. 215) folgendermaßen Ausch'uck: »Mit Bestimmtheit scheint mir ein Überblick des ganzen Gebiets . . . zu ergeben, daß die Übereinstimmungen, welche die Karyokinese der höheren Pflanzen und höheren Tiere bietet, nicht auf Homologie, d. h. auf der Übereinstimmung der Vorgänge bei gemeinsamen Vorfahren beniht, sondern nur auf Analogie, d. h. auf übereinstimmenden Aus- lösungen, welche auf einer gewssen Stufe der phylogenetischen Entwick- lung an der lebendigen Substanz sich vollzogen. Die gewonnene Höhe der Organisation des Protoplasten schuf die Bedingungen, welche den Eintritt bestimmter Gestaltungsvorgänge veranlaßten. So allein ist es zu begreifen, daß nicht niu- die Vorgänge der typischen Karyokinese, sondern auch die . . . atypischen Kernteilungen bei Metaphyten und Metazoen in so ähnlicher Weise sich vollziehen. — Dabei bestehen aber auch Unterschiede, wie sie eben die unabhängige Ausbildung unter ver- schiedenen Bedingungen mit sich bringt. Daher ist nicht zu verlangen, daß in allen Punkten Übereinstimmung herrsche . . .« Diese Bemer- kungen, meine ich, lassen sich ohne weiteres auch auf die verschiedenen Gruppen innerhalb des Pflanzem’eichs übertragen. Meine Ansicht geht also dahin, daß sebr wohl verschiedene Reduk- tionsmodi im Pflanzenreich verkommen können, aber nicht innerhalb des engeren Kreises der Cormophyten. Ich weiß es wohl, daß heute viele Forscher sich Erörterungen obiger Ai’t gegenüber skeptisch verhalten, weil ihnen das phylogenetische System des Pflanzenreichs noch nicht sicher genug begründet erscheint, um von seinem Boden aus Schlüsse zu ziehen. Vorläufig scheint mir aber meine Annahme vorsichtiger und berechtigter zu sein, als die zweier nebenein- ander vorkommender Reduktionsmodi, auch deshalb, weil diese letztere auf einem methodologischen Fehler beruht. In der Tat, wäre von vornherein, und von mehi'eren Untersuchern, bei der einen Pflanze der Junktionsmodus, bei der andern der Faltungsmodus (in dieser oder jener Form) in der Reduktionsphase gefunden worden, so wüi’den wir uns damit abzufinden und die Auffassung von Gates zu akzeptieren haben. Indessen liegt die Sache doch so, daß beide Vorstellungen über den Reduktionsvorgang auf Beobachtungen an zum Teil den selben Pflanzen gestützt worden sind; und daß die gleiche Pflanze das eine Mal so, das andre Mal anders die Reduktion vollziehen sollte, 362 Hans Schneider ist doch wohl nicht anzunehmen. So ist es eben die Frage, ob die beiden Theorien auf reinen Tatsachen aufgebaut sind. — Bei den folgenden Bemerkungen werde ich hauptsächlich Bilder in Betracht ziehen, die mir bei der Untersuchung von Thelygomm Cyno- crambe L. in den PoUenmutterzellen entgegentraten (Taf. XXVIII). Die Figiu-en 1—7 stellen einige Stadien bis zur Synapsis dar. Sie zeigen die Entstehung der Chromatinfäden und ihren Parallelverlauf. Bemerkens- wert ist, daß die Fadenbildung von einem Punkte ausgeht, der in der Nähe des Nucleolus zu suchen ist. Daraus ergibt sich die Polarität des Fadensystems, die in Fig. 2 und 3 deutüch zu erkennen ist. — In Fig. 4 und 7 fällt auf, daß der Nucleolus an einer Seite eine PapiUe hat, eine Erscheinung, die schon häufiger beschrieben worden ist und zu verschie- denen Spekulationen über ihi’e Entstehung Anlaß gegeben hat. Da ich in den Fällen, wo sie mh begegnete, immer feststellen konnte, daß der Rand der »Papille« glatt und fast kreisbogenförmig war, möchte ich im Anschluß an Miyake (05, S. 92) und Gates (08) die Meinung vertreten, daß es sich einfach um enge Aneinandeiiagerung, vielleicht auch be- ginnende Verschmelzung zweier Nucleolen handelt. Es liegt keine Ver- anlassung vor, als Ursache eine durch das Fixiermittel herbeigeführte »tropfenweise Ausquetschung des weicheren Inhalts« des Nucleolus zu betrachten, wie Lagerberg (09, S. 25) will, oder den Nucleolus anzu- sehen als “the store-house for chromatin, which it deburses by exuding droplets of its substance into the nuclear cavity” (Digby 12, S. 363). Dafür kommt die Erscheinung nach meiner Erfahrung nicht häufig ge- nug vor. Bekannthch ist es noch immer unentschieden, ob die synaptische Kontraktion natürlich ist oder dm'ch Einwirkung der Fixiermittel herbei- geführt wird. Unter denen, die die Synapsis als natürliche Folge der im Kern sich abspielenden Vorgänge ansehen, nimmt A. A. Lawson eine besondere Stellung ein. Er schi-eibt (11, S. 602): “My interpretation of the phenomena known as synapsis is simply that it represents a growth- period of the nucleus — a condition that is in harmony with the peculiar Organization of sporemotherceUs. It is a period during which the increas- ing karyolymph exerts a great osmotic pressure from within. This pressure results in the extension of the nuclear cavity towards an interspace where there is least resistance from the neighbouring cells. The clu’omatin mass is left behind, and its characteristic position at one side of the nuclear membrane is a perfectly natural one.” Wie man sieht, liegt hier eine von theoretischer Begründung begleitete Verwertung der bereits früher ge- machten Beobachtungen über die Vergrößerung des Kernraumes während über die Prophasen der ersten Reifeteilung in Pollenmutterzellen usw. 363 der Prophasen vor, welche schon vorher Gkegoire (10, S. 335) zum Teil für die Auffälligkeit der Kontraktion verantwortlich gemacht hatte: «l’agrandissement que subit certainement en ce moment la cavite nucl^ane est de nature ä faire paraitre plus accentue qu’il ne l’est en realite le ramassement des anses pachy tenes ». In der Tat ist die Größenzunahme der Kerne bis zum Synapsis- stadium oft beträchtlich. Und es muß ferner ohne weiteres zugegeben werden, daß die Größenschwankung für die LAwsoNsche, bestechend einfache Hypothese sprechen kann. So fand ich z. B. als Mittel zahlreicher Messungen an Kernen von Allium cepa folgende Zahlen i): Durchmesser: Prosynapsis (Fädchenbildung) . . , 18,9 i-i Synapsisknäuel 21,3 » Ungespaltenes Spirem 18,2 » Sich spaltendes Spirem 17,8 » Gespaltenes Spirem 17,8 » Diakinese 17,5 » Der Kern von Allium ist also tatsächlich während der Synapsis am größten; auf den späteren Stadien nimmt sein Volumen ab, wie es die Theorie verlangt. Ist dem aber immer so? Die ausgezeichneten, bei gleicher Vergrößerung gezeichneten Figuren in Lagerbergs Adoxa-hxhAt (09) zeigen zunächst, daß die Kerne von Adoxa im Zygonemastadium ' und schon vorher nicht kleiner sind als im ausgeprägtesten Synapsis- r' knäuel (vgl. seine Fig. 4—6). Das ist der LAwsoNschen Auffassung schon nicht günstig. Ich maß ferner bei Tradescantia, in derselben Weise wie bei Allium, Prophasenkerne mit folgendem Resultat: Kerndurchmesser: Synapsis .... 22,2 /.i Pachynema . . . 22,4 » Strepsinema . . . 23,1 » Hier also nehmen die Kerne, wenn auch nur wenig, nach dem Sy- napsisstadium an Größe zu; und so ist es auch bei Thelygonum, wo das 1) Die mir vorliegenden Schnitte waren 8 /x dick; also waren die Kerne durch- schnitten. Um trotzdem sichere Zahlen zu bekommen, wählte ich stets etwa zehn der größten Kerne des betreffenden Entwicklungszustandes in jeder Anthere, d. h. also die, welche mir ihren größten Kugelkreis zeigten. Für jedes Stadium wurden so etwa 110 — 130 Kerne gemessen. Bei Kernen mit elliptischem Querschnitt wurde dabei als Durchmesser das arithmetische Mittel des langen und kurzen Durchmessers gesetzt. Archiv f. Zellforschung. XII. 24 364 Hans Schneider allerdings sehr geringe Wachstum bis zur Diakinese anhält. (Bei Trades- cantia stand mir leider dies Stadium nicht zur Verfügung.) Nach Lager- berg (1. c., S. 29) vergrößert sich auch hei Ädoxa der Kern vom Ruhezustand bis zm Diakinese, und zwar soviel, daß sein Diu-chmesser verdoppelt wüd. Wie will nun in solchen Fällen^) Lawson die Ausknäuelung des Synapsisknotens erldären? Hier muß seine Theorie, wenn nicht Hilfs- annahmen gemacht werden, versagen, weshalb sie denn auch für die ihr günstigeren Fälle nicht zutreffen kann. Noch ein andrer Umstand, auf den Tn. Stomps (10) besonders nach- drückhch hingewiesen hat, spricht gegen Lawsons Theorie. Wähi'end des Synapsisstadiums liegt nänihch der Nucleolus nicht mehr’, wie vorher, innerhalb des Fadengewirrs, sondern außerhalb des synaptischen Knäuels, meist nur in loser Verbindung mit ihm und der Kernmitte genähert (Fig. 4, 7). Wenn aber, wie Lawson annimmt, schon das zarte Faden- werk bei der osmotischen Ausdehnung der Kernhöhle zm'ückgelassen wird, sollte das doch in weit größerem Maße für die kompakte Masse des Nucleolus der FaU sein, und diese dürfte demnach nicht nahe der IMitte des Kernes, durch den Synapsisknäuel von der Kernbegrenzung ge- treimt liegen. Hingegen erkläi’t sich diese Tatsache leicht diu'ch die ältere Annahme einer — aktiven oder passiven — Kontraktion der Fadenmasse, die den Nucleolus in Ruhe läßt, so daß er seinen ursprünglichen Platz bei- behält. — Die oft kugehge Gestalt des Synapsiskerns steht auch mit der einseitigen Ausdehnung der Kernhöhle, wie sie doch durch die stets em- seitige Lagerung des Synapsisknäuels verlangt wh'd, nicht recht in Einklang. Aus aU diesen Gründen scheint mir die Theorie Lawsons nicht den Anspruch erheben zu können, das Synapsisproblem gelöst zu haben. Wie man aus dem relativ häufigen Vorkommen der Fadenknäuel schheßen kann, ist die Synapsis ein Zustand, der recht lange dauert. Nach Strasburger (09, S. 95) mag »die Durchführung der Paarungen unter den homologen Chromosomen« diesen Zeitaufw’and bedingen. Man könnte sich auch vorstellen, daß die Umstimmung der Fädchen, welche erfolgen muß, um ihnen die sich bald äußernde Tendenz zur Ausknäuelung niitzuteilen, diese Zeit einer gewissen Ruhe verlange. Diese Vorstellung würde wenigstens den Vorzug haben, weniger hypothetische Elemente in sich zu bergen. Strasburger selbst hat sie ja auch (a. a. 0.) für das Stadium der Kernplatte bei somatischen Teilungen entwickelt. Voraus- setzung ist dabei, daß die Synapsis kein Kunstprodukt darstellt, was bekanntermaßen noch nicht feststeht. 1 j Vgl. hierzu die Bemerkungen von Br. M. Davis (11, S. 964). über die Prophasen der ersten Reifeteilung in PoUenniutterzellen usw, 365 Bei der Entwirrung des Synapsisknäuels kommen Schlingen zutage (Fig. 7), die sich allmähhch verlängern (Fig. 8) und schheßlich wieder den Kerm-aum durchziehen (Fig. 9). Es zeigt sich, daß die Dicke dieser Fadenschlingen bedeutend größer ist als die der präsynaptischen Fäden. Damit ist das Pachynemastadium erreicht. Der Übergang von den parallelen präsynaptischen Fäden zu den dicken Spü’emschlingen voll- zieht sich also bei Thelygonum wähi'end der dichten Zusammenknäuelung der chromatischen Substanz. Ein Einbhck in die Ai't dieses Übergangs ist daher bei der Pflanze schwer zu gewinnen. Insofern ist sie also ein ungünstiges Objekt. Immerhin sieht man an einzelnen Kernen, z. B. an dem in Fig. 7 dargesteUten, noch während der Ausknäuelung ganz deutlich doppelte Schlingenstrecken, die man späterhin (Fig. 8, 9) nicht mehr wahrnimmt. Dies läßt den Schluß zu, daß das Pachynema sich durch Parasyndese aus den präsynaptischen parallellaufenden Fäden (Zygonema) bildet. Bekanntlich herrscht unter den Cytologen, die für Parasyndese ein- getreten sind, keine Einigkeit dai’über, ob die korrespondierenden Fäden jedes Paares getrennt bleiben (Gregoire 07, 10; Yamanouchi 10, u. a.), oder ob eine mekr oder minder weitgehende Verschmelzung erfolgt. Strasburger (08) wüft gegenüber Gregoires Auffassung die Frage auf, wozu denn aUe die Veränderungen dienen sollten, die die Chromosomen bis zu diesem Augenblick schon hätten durchlaufen müssen. Dieser Einwand ist natürhch unberechtigt. Man kann doch nicht theoretische Vorstellungen, die man sich auf grund von — vielleicht richtigen — Be- obachtungen gebildet hat, zur Kritik ins Feld führen gegen Ansichten, die gerade jene Beobachtungsgrundlage als unsicher betrachten. Übrigens bricht Gregoire dem Einwurf Strasburgers auch die Spitze ab: «II est toutefois loin de notre pensee de nier toute possibüite d’interaction entre les füaments associes» (07, S. 403). Wenn über diese Frage nach jahrelangen Forschungen noch keine Einigung hat erzielt werden können, so ist es klai’, daß hier eines der schwierigsten Probleme der ZeUenforschung vorliegen muß, zu dem nur mit größter V ersieht Stellung zu nehmen ist. Lagerberg (09), Stomps (10), Tischler (10) sind geneigt, sich auf seiten Strasburgers zu stellen, wogegen z. B. A. Frisendahl (12, S. 16) Gregoire zustimmt und mit ihm die »augenschemliche EinheitÜchkeit des Spiremf adens » bei andern Objekten durch Verklebung der Fäden, die von »viskoser Konsistenz« sein soUen, erklärt. Dieser Erklärungsversuch, der an sich einleuchtend ist, scheint mir jedoch nicht auszureichen, die z. B. in Fig. 8 und 9 hervor- tretende Einheitlichkeit auf der ganzen Fadenlänge plausibel zu machen. 24* 366 Hans Schneider Solche Bilder bestimmen vielmehr auch mich, eine wenigstens zeitweise wirkliche Verschmelzung der Komponenten anzunehmen. Doch möchte ich an diesem Punkte nicht unterlassen hervorzuheben, daß es vor allem sein- günstiger Objekte bedarf, um ein (subjektiv) richtiges Urteil ab- geben zu können. Ich stütze mich hier deshalb auch nicht auf Beobach- tungen an Thelygonum allein, sondern habe daneben eingehend Allium cepa-C^ und Tradeseantia virginica-(S untersucht, wobei ich wieder fand, daß die Parallelkonjugation als Resultat völUg einheitliche dickere Chromosomen (spireme epais) liefert. Nach der Zusanmienstellung bei K. Bonnevie (11, S. 214) stimmt das mit den Beobachtungen fast aller Untersucher überein. Ist es aber wirklich so, daß die Fusion der Fäden während der Syndese eine vollständige, nicht nur scheinbare ist, so muß man Kristine Bon- nevie Recht geben, wenn sie (08, S. 271) sagt: »Wenn aber die Vereinigung der beiden Chromosomen auf irgend einem Stadium genügend intim gewesen ist, um einen Austausch ihrer Teile zu erlauben, denn läßt sich nicht mehr entscheiden, ob die später sich tremienden Hälften der biva- lenten Chromosomen dieselben sind, die früher konjugiert haben.« Die Wahl zwischen der Ansicht, die Längsspaltung des Spirems ergebe die- selben Chromosomen wieder, die sich vorher vereinigt hatten, und der BoNNEViEschen (außerdem nur von Vejdovsky und Winiwarter et Sainmont geteilten), nach der eine völlige Verschmelzung der Konju- ganten eintritt, wodurch die Zahlem’eduktion der Chromosomen bewirkt wird (— prophase eumeiotique par zygotenie definitive, Gregoire 10 — ), so daß in den beiden Reifeteüungen eine zweimalige Längsspaltung der Konjugations Chromosomen (»Mixochromosomen«) vollzogen wird, kann, meine ich, nicht schwer fallen, wenn man die bivalenten Chi’omosomen des «spireme epais » in deutlicher Einheitlichkeit vor sich hat. Die Bonne- viESche Art, die Dinge zurechtzulegen, läßt sich mit den vererbungs- theoretischen Vorstellungen, mit denen man an die heterotypische Teilung heranzutreten pflegt, so gut und so schlecht vereinigen wie das «Schema höterohomeotypique », das die Cytologen unter den Botanikern, die Para- syndese annehmen, fast alle zu seinen Anhängern zählen darf. Das will freilich nicht viel besagen; so wie heute die Dinge liegen, muß in vorigem Satze auf das Wort »schlecht« der Nachdi’uck gelegt werden. Wir wissen ja nicht einmal sicher, ob der Kern allein an der Vererbung beteiligt ist, und noch viel weniger, ob irgend eine seiner Substanzen, ob speziell das, was in unsern Präparaten als »Chromatin« sichtbar ist, als Ver- erbungssubstanz bezeichnet werden darf. Man muß sich also hüten, das morphologische Bild der Reifeteilungen mit Gewalt so zurechtzurücken, Üljer die Prophasen der ersten Reifeteilimg in Pollenmutterzellen usw. 367 daß es dem augenblicklichen Stande der Vererbungslehre angepaßt erscheint. Die Cytologie täte vielleicht gut, einmal das Problem der Reife- teilungen als rein morphologisches aufzufassen und zur Klarheit zu bringen, ohne Seitenbhcke auf die Vererbungslehre, der sie augenbhckhch nach- hinkt, zu tun. Auf Grund meiner Beobachtungen betrachte ich mit Kristine Bon- NEviE die parallele Konjugation je zweier somatischer Chromosomen als den wichtigsten Charakter der ersten Reifeteilung, da sie, als eine totale Verschmelzung, die Zahlenreduktion der Chromosomen bewirkt. (Dazu kommt das Ausbleiben einer Ruheperiode zwischen den beiden Reife- teilungen.) Aber ich sehe nicht ein, warum die erste Reifeteilung nicht als Reduktionsteilung bezeichnet werden soUte. In ihrem Verlaufe voll- zieht sich doch tatsächlich eine Herabsetzung der Chromosomenzahl auf die Hälfte, und das ist das Einzige, was meiner Ansicht nach der Mor- phologe von einer »Reduktionsteilung« verlangen kann. In solchen Kernen, die ein vollständig entwirrtes Spirem enthalten, tritt manchmal die bekannte Perlschnurstruktur zutage (Fig. 10), an die sich schon so viele Diskussionen geknüpft haben. Auch in der folgenden Fig. 11, die das Spirem beinahe überall gespalten zeigt, fäUt sie auf, be- sonders da die dunkler fingierten Stellen in den Parallelfäden korrespon- dieren. Sie liegen übrigens nicht sehr nahe beieinander. Ich glaube nicht, daß dieser Struktur eine besondere Bedeutung zukommt. Schon Overton (05, S. 141) bemerkt, daß die Chromatinscheiben oder Chro- momeren des Spirems bei einigen Pflanzen deutlich sind, bei andern nicht. Man trifft sie tatsächlich häufig, aber lange nicht immer. Oft sind in einem Kern einige Fäden mit ihr ausgestattet, andre nicht. Diese Unregelmäßigkeiten beweisen, daß die dunkleren Scheiben keine auto- nomen morphologischen Einheiten sind, sondern wohl, wie Gregoire (07, S. 411) sich ausdrückt, «simplement des tractus plus epais et plus chromatophiles des filanients chromosomiques ». Diese Einsicht scheint sich jetzt allgemein Bahn zu brechen. Zum Teil wird dies eine Folge der andern sein, daß das Chromatin nicht das »Idioplasma« sein kann, daß letzteres eher im Linin vermutet werden darf (vgl. Häcker, 04, S. 217ff.; Strasburger 05, S. 32; 07, S. 123; Tischler 08, S. 133f.). Es ist klar, daß bei solcher Anschauung den erwähnten, so unregelmäßig auftretenden Strukturen keine große Bedeutung beigelegt werden kann. Die in der Fig. 11 deutlich hervortretende Längsspaltung des Spirems scheint mir nicht immer erst dann eintreten zu müssen, wenn das Spirem bereits wieder den ganzen Kernraum durchzieht. Mir begegneten wenig- 368 Hans Schneider stens verschiedentlich solche Bilder, wie Fig. 12 eines darstellt. Fünf Schlingen kommen aus dem im übrigen noch großen und dichten Synapsis- knäuel hervor, die schon vollständig gespalten sind. Es handelt sich hier übrigens nicht um Doppelfäden mit freien Enden, denn der Kern war vom Mikrotommesser durchschnitten. Das gilt auch für die Fig. 13, die aber doch (oben) zeigt, wie die Fäden wieder zu ihrem Centrum zurück- kehi'en. Ein solches Centrum der Spü-emschlingen läßt sich in den Fig. 9 bis 14 überall erkennen. Sein Vorhandensein scheint mir eine ganz natür- liche Folge der einseitigen Synapsiskontraktion zu sein. Von der Stelle des Ivnäuels aus müssen sich die Schlingen in den Kerm'aum hinein er- strecken. Diese Stelle, die natürlich in der Nachbarschaft des Nucleolus liegt (Fig. 6, 7), stellt also einen Pol für die Entwicklung der Spireni- schlingen dar, auf den diese stets hinweisen. Die Polarität des Spu'ems verliert sich allmählich im Strepsinemastadium. Während sie sich in Fig. 13 und 14 noch deuthch bemerkbar macht, ist sie in Fig. 15 schon nicht mehl- ohne weiteres erkennbar. In diesem Bilde hat man zweifellos schon die einzelnen Doppelfadenstücke, die bivalenten Chromosomen, vor Augen. Auch in Fig. 14 scheinen sich schon einige solcher freigemacht zu haben. Sicher stammen aber hier die meisten freien Enden vom Schnitt des Messers her. Die Frage, ob ein durchlaufendes Spii-em exi- stiert oder ob von vornherein die Fäden, welche Chromosomen repräsen- tieren, gesondert ausgebildet werden, konnte ich bei Thelygonum nicht entscheiden. Die größere Wahi-scheinlichkeit hat jedenfalls die letztere Ansicht für sich, nicht allein wegen der Analogie zu somatischen Tei- lungen, sondern auch deshalb, weil die Untersucher von Pflanzen mit Kernen geringer Chromosomenzahl (z. B. Eosenberg 09, Stomps 10). freie Enden leicht beobachten konnten und daher ein «spireme continu» leugneten. In der Fig. 15 könnte man vielleicht eine Stütze für die Faltungs- theorie erblicken, die bekanntlich die Bildung der Gemini durch Ver- einigung von Schleifenschenkeln vor sich gehen läßt. Die Umbiegungen der Fadenstücke erklärt sich aber leicht aus dem eben über die Polarität des Spirems Gesagten. Danach ist es klar, daß aus einem solchen spireme deroule, wie es Fig. 10 darstellt, gebogene Doppelfadenstücke resultieren müssen, gleichgültig, ob sie von vornherein individualisiert existieren oder durch Segmentierung entstehen. Die Fadenstücke sind hier, wie wohl bei den meisten Pflanzen, so lang, daß sie sich in der Kernhöhle durch Krümmungen und Biegungen Platz verschaffen müssen. Vor allem aber entspricht die ganze Entwicklung des Strepsinema nicht den Forderungen der Faltungstheorie. Die Dualität der Spiremfäden läßt sich nämlich über die Prophasen der ersten Reifeteilnng in Pollenmutterzellen usw, 369 bis in das Diakinesestadium gut verfolgen, und es läßt sich feststellen, daß die Verkürzung der Doppelfäden diese gerade streckt (Fig. 15—20), Die Unabhängigkeit der beiden Komponenten, die eine wesentliche Stütze für ihre Auffassung als ursprüngliche Ganzchromosomen sein soll, übrigens von Kristine Bonnevie, die diese Ansicht nicht teilen kann, doch auch als einer der heterotypischen Charaktere der ersten Keifeteilung bezeichnet whxl (08, S. 231, 270), tritt schon hier zu- tage. Sie entfernen sich verhältnismäßig weit voneinander. Meist bleiben sie an einem Ende oder in dessen Nähe in Zusammenhang. Durch weitere Verkürzung findet nunmehr der Übergang zur Diakinese (Fig. 20) statt. Ich habe also keine Beobachtung machen können, die mich genötigt hätte, der Faltungstheorie zuzustimmen. Nach meiner oben dargelegten Anschauung von der Einheitlichkeit des Verlaufs der Reduktionsteilung bei den Cormophyten muß ich die Meinung vertreten, daß es bei dieser Pflanzengruppe Metasyndese nicht gibt. Die Fig. 17—19 stellen Kerne mit beginnender Diakinese dar. Es treten in ihnen die schon oft beschriebenen verschiedenen Chroniosomen- figuren auf: Ringe, Kreuze, auseinandergespreizte sowie verschlungene Chromosomen. Fig. 18 stellt ein Extrem in bezug auf Mannigfaltigkeit dieser Gestalten dar (Anomalität?). Im Zustande der ausgesprochenen Diakinese (Fig. 20) findet man bei Thelygonuni fast stets Vereinigung der beiden Chromosomen an einem Ende und geringe Spreizung an dem andern, während z. B. bei Ädoxa (Lagerberg 09, S. 12; Taf. II, Fig. 18 bis 20) noch in der Metaphase verschiedene »Gemini «-Bilder zu sehen sind. — Der Übergang zur Diakinese braucht sich übrigens, wie noch bemerkt sei, in einem Kern nicht überall gleichzeitig zu vollziehen. Fig. 17 zeigt einen Kern, der im oberen Teil bereits Diakinesechromosomen ent- hält, im unteren aber noch langgestreckte Doppelchromosomen führt. Auf diese Erscheinung hat besonders A. Frisendahl in seiner Abhand- lung über Myricaria (12) des öfteren hingewiesen. Die Zählung der Chromosomen in der Diakinese ergab für Thely- gonum Cynocrambe im Haploid die Zahl 10. Dieses Ergebnis ließ sich beim Studium der Anaphasen dieser ersten Teilung und derjenigen der folgenden haploiden Teilungen bestätigen. Eine solche Nachprüfung der Chromosomenzählungen an Diakinesekernen muß allgemein gefordert werden, seitdem es feststeht, daß die Chromosomen der Diakinesepaare sich auch ganz voneinander trennen können (Strasburger 04, Fig. 4; 09, S. 73, Taf. III, Fig. 69; 10b, S. 246, Taf. VII, Fig. 6; K. Miyake 05, S. 98, Taf. III, Fig. 29-32; Th. Stomps 10, Taf. I, Fig. 6; Taf. II, Fig. 16 370 Hans Schneider usw.), wodurch die Gefahr des doppelten Zählens einzelner Chromo- somen nahe gerückt wird. Hiermit sei die Besprechung der heterotypischen Prophasen bei Thelygonum geschlossen. Wenn in ihr manche Fragen offen gelassen worden sind, die man sonst wohl im einen oder andern Sinne ganz positiv beantwortet findet, so bedarf das keiner Kechtfertigung. Der gordische Knoten der Keduktionsteilung läßt sich nicht durchhauen; er will in mühevoller Arbeit gelöst sein. Das Wichtigste dessen, was ich zeigen wollte, ist folgendes: 1. Unsre heutige Einsicht in die Phylogenie des Pflanzenreichs läßt den Schluß zu, daß verschiedene Keduktionsmodi bei Pflanzen Vor- kommen, aber nicht im Stamme der Cormophyten nebeneinander exi- stieren können. 2. Die LAWsoNsche (osmotische) Theorie ist nicht ausreichend zur Erklärung der Synapsisphänomene. 3. Die Parallelkonjugation der Chromosomen in der Prophase führt zu völliger Verschmelzung und bewirkt so die Zahlenreduktion der Chromo- somen. Auf sie folgt eine echte Längsspaltung, die die Diakinesechromo- somen liefert. 4. 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Handbuch der systematischen Botanik. 2. Aufl. Wien. Yamanouchi. 1908. Sporogenesis in Nephrodium. Bot. Gaz. Vol. XLV. 1909. Mitosis in Fucus. Bot. Gaz. Vol. XLVII. 1910. Chromosomes in Osmunda. Bot. Gaz. Vol. XLIX. 372 Hans Schneider, Über die Prophasen der ersten Reifeteihing usw. Erklärung der Tafelfigureni Tafel XXVIII. Fixierung: Flemmixg oder Regaud (1908). 1900fache Vergrößerung mit 1mm. 1/16 Leitz und Kompens.-Oc. 12. Zeichnung auf Objekttischhöhe ausgefiilirt. Fig. 1. Aus der Ruhe kommender Kern. Fig. 2. Leptotenisierung. Fig. 3. Lepto-Zygonema. - > Fig. 4. Zygonema. Beginn der Synapsis. Fig. 5, 6. Simapsis. Fig. 7 — 9. Pach}'nema. Fig. 10 — 12. Längsspaltimg des Spirems; in Fig. 12 sehr früh einsetzend. Fig. 13, 14. Übergang zum Strepsinema. Fig. 15. Strepsinema. Fig. 16. Beginnende Yerküi'zung der Doppelchromosomen. Fig. 17 — 19. Vorstadien der Dialdnese; in Fig. 17 ungleichmäßige Verkürzung. Fig. 20. Dialdnese. A)\ ]iiv für ZcllforscJnimf. lid. XII. Taf. XXVIII. Schneider. Verlag von Wilhelm Engelmann in Leipzig und Berlin. Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. * Von Dr. Ludwig Grräper, Erster Assistent an der kgl. Anatomie Breslan. Mit 3 Textfiguren und Tafel XXIX. Fast in allen Organen des erwachsenen Individuums findet man mito- tische Kernteilungen, die eine Zellvermehrung in ihnen anzeigen. Wir wissen aber, daß die Zellgröße konstant bleibt, und unter normalen Ver- hältnissen auch die Organe nicht wachsen. Wenn also fortwährend Zellen neu geschaffen werden, so müssen doch genau so viele Zellen aus dem be- treffenden Organ wieder eliminiert werden, damit das Gleichgewicht erhalten bleibt. Wie dies geschieht, ist meines Wissens nie ernstlich unter- sucht worden. Die Kenntnis dieser durchaus normalen, physiologischen Vorgänge ist aber außerordentlich wichtig, nicht nur weil, worauf unter andern auch Eeichenow (34) richtig himvies, gelegentlich Bilder, die ge- nau so aussehen, wie physiologische Zelldegeneration, für Parasiten ge- halten worden sind, sondern wtü überhaupt die Kenntnis dieser Vorgänge sehr wenig verbreitet ist und auch in der naturwissenschaftlich-anato- mischen Literatur die Bilder teils unrichtig beschrieben sind, teils zu sehr gekünstelten Deutungen Veranlassung gegeben haben. So will Young (43) die Entstehung von Kernen aus dem Protoplasma beobachtet haben. Leider sind aber die dieser Arbeit beigegebenen Mikrophotogramme so undeutlich, daß eine Entscheidung unmöglich ist; so weit man sehen kann, scheinen die »entstehenden Kerne« aber nur Kerndegenerationen zu sein. Guieysse-Pellissier (16) bildet in seiner Fig. 17 eine Zelle mit einem Einschluß ab, die ganz meinem Schema einer normalen Zelle mit auf- genommener degenerierter Zelle entspricht. Er hält den Einschluß aber für einen in die Zelle eingedrungenen Leucocyten, der dort mit der Zelle in Synbiose leben und unter Umständen später den alternden, eigentlichen 374 Ludwig Gräper Zellkern ersetzen soll. Für Leucocyten scheinen derartige degenerierende Zellen öfter gehalten worden zu sein, so z. B. von Martin (24) und Mi- chaelis (25) bei der Milchsekretion, von Arnold (2), von Heidenhain (17), von Amann (3), wobei gesagt sein muß, daß im Gewebe zugrunde gehende Leucocyten natürlich auch Chromatolyse zeigen. Man darf aber nicht jedes Chromatolysebild für einen zugrundegehenden, durchwan- dernden Leucocyten ansehen. H. Rabl (33) beschreibt untergehende, intracellulär gelegene Chromatinmassen als Nebenkern der Zelle und fand diese Gebilde auch in mitotisch sich teilenden Zellen. Auch die von van DER Stricht und Dekhuysen beschriebenen, sich stark färbenden Kör- per in Knorpelzellen hält H. Rabl (35) für Nebenkerne. Champy (6) beobachtete in den Darmepithelzellen von Anuren Körper, die er gleich- falls für Nebenkerne erklärt. In ähnlicher Weise erklärt Lukjanow (23) typische intracelluläre Chromatolysen an der Schleimhaut des Salamander- magens für Nebenkerne und normale Strukturverhältnisse der Zellen. Auch C. Rabl (32) fand im Inneren von Epithelzellen Körperchen, die sich sehr intensiv färbten, hielt sie aber für Zelleinlagerungen oder Zell- produkte mehr sekundärer Art, die nicht auf den Zerfall von Kernen zu beziehen seien. Nussbaum (28) sah ähnhche Bilder, deutet sie aber als »verdichtetes Protoplasma«. Man sieht, wie vielerlei Deutungen Bilder erfahren haben, die ich sämt- lich für den Ausdruck der Ehmination überflüssiger oder lebensschwacher Zellen halten muß. Es haben offenbar alle früheren Beobachter nicht für möglich gehalten, daß eine beUebige Zelle eines Gewebes eine gleich- artige Nachbarzelle einfach in sich aufnehmen und verzehren kann. Be- sonders deutlich tritt die Scheu vor einer solchen Annahme in einer Arbeit M. Heidenhains (17) hervor, der in den Drüsen der Kloake der Salamander- arten Zellen fand, welche Körper enthielten, die von ihm richtig als dege- nerierte gleichartige Zellen erkannt wurden. Er bedarf aber einer um- ständlichen und meines Erachtens unzulänglichen Beweisführung, um zu zeigen, daß diese Gebilde nicht innerhalb der Zelle selbst lägen, sondern nur in sie hinein invaginiert wären. Bisher sind, wenn wir von den Verschmelzungen der ersten Furchungs- zeUen und Befruchtungsvorgängen (Boveri) absehen, nur recht wenige Beispiele bekannt geworden, wo ganze Zellen von andern desselben Organismus aufgenommen werden. Die Phagocytose, der die roten Blut- körperchen durch Leberzellen, Endothelzellen, Erythi'ophagen der Milz und des Knochenmarkes unterliegen, brauche ich hier nicht zu besprechen. Aichel (1) nimmt — rein theoretisch, ohne jede Beobachtung — Ver- schmelzung von gleichartigen Somazellen und Verschmelzungen von Soma- Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. 375 zellen mit Leucocyten an, Erstere sollen gutartige, letztere bösartige Geschwülste geben! Auerb.\ch (4) deutet seine Befunde von rnehrkernigen Spermioblasten der Schnecke (Paludina) auf Verschmelzung einkerniger. Ferner haben zum Beispiel Jörgensen (20) bei Schwämmen (Syconen), Büchner (5) bei Sagitten, Kühn (21) bei Daphnien neben anderen Untersuchern nach- gewiesen, daß die Oocyten sich durch Aufnahme, also Phagocytose, von Nährzellen vergrößern. Auch Schaxel (40) läßt die Ascidieneier umgebende Testazellen aufnehmen, denen er eine ganz eigenartige Be- deutung zuschreibt. Von den Wirbeltieren ist mir nur eine einzige der- artige Beobachtung bekannt geworden: Wetzel (42) sah in den Ovarial- eiem von Pelias lerus eine Anzahl von Kernen; für eine bestimmte Deu- tung entscheidet er sich nicht, glaubt aber nicht, daß es sich um Rück- bildung des Eies — höchstens um sehr junge Stadien — handele. Auf das Vorkommen sogenannter Nebenkerne im Säugetierei will ich nur kurz hinweisen, da ihr Wesen und ihre Bedeutung unbekannt sind. Die Beobachtungen von Rüge (39) und seine Literaturzusammenstellungen weisen deutlich darauf hin, daß das Eindringen von Zellen in das Wirbel- tierei stets den Untergang des Eies bedeutet. Diese Arbeit und die im folgenden angeführten bestärken mich in meiner durch das Studium meines Materials gewonnenen Ansicht, daß eine Zellschädigung, insbesondere eine Altersschädigung der Zelle sich zuerst in einer Neigung der Zelle geltend macht, ihre Eigenart als in sich abgeschlossenes Ganze aufzugeben, die sich in der Regel in einer Verschmelzung mit einer Nachbarzelle äußert. Eine rein mecha- nische Erklärung dieses Umstandes, wie einen Hinweis auf die die Zell- größe überhaupt möglicherweise bestimmenden Faktoren werde ich in einer späteren Abhandlung zu geben versuchen. Es folgt die Aufzählung einiger obige Ansicht bekräftigender Beobachtungen: Schon Fleheviing (12) sagt in seinem klassischen Werk, daß im Sala- manderhoden in Spermatocysten Zellen mit mehr als zwölf Kernen ver- kommen und in einer späteren Arbeit (13) sagt er, daß in solchen Sperma- toeysten Chromatolyse sehr häufig sei. Tandler und Gross (41) er- wähnen in ihrer Arbeit über den Saisondimorphismus des Maulwurfhodens während der Zeit der Rückbildung des Hodenparenchyms das Vorkommen vielkerniger Zellen im Lumen. Ferner haben Nusbaum und Oxner (29) am Dann von Nemertinen und Citron (7) bei Sycorus Sarsii bei längerem Hungern die ZeUgrenzen schwinden sehen. L. Loeb (22) sah, daß, wenn bei der Heilung von Hautwunden Epithelreste getrennt von dem übrigen Epithel in die Tiefe zu liegen kommen, diese unter Bildung von Riesen- 376 Ludw-ig Gräper zellen zugrunde gehen, und weist dabei auf Arxolds Ansicht hin, daß der- artige Riesenzellen durch Verschmelzung mehrerer entstehen können. Ditlevsen.(9) zeichnet sogar im verhornenden Plattenepithel meln-kernige Zellen, erklärt sie aber als durch Kernknospung entstanden. Ährdiche An- sichten scheinen sehr weit verbreitet zu sein und überall, wo man in geschä- (hgten oder sich rückbildenden Organen Zellen mit zwei Kernen gesehen hat, hat man immer versucht, ilu’e Entstehung diu’ch Kernknospung, bzw. Amitose zu deuten und hat immer nach Bildern gesucht, die diese Ver- mutung zu bestätigen schienen. Das ist in vielen Fällen auch gelungen, wenn die Autoren auch gelegenthch durchblicken lassen, daß diese Bilder sehr selten, wenn nicht gar vereinzelt sind. Die viel einfachere Erklärung, für die ich genügend Beweise erbringen werde, daß bei Schädigung des Organes zwei einkernige Zellen verschmelzen können, findet sich nirgends. So sagt Kauwerk (26) in einer Abhandlung über amitotische Kern- teihuigen: »Es ist seit längerer Zeit bekannt, daß in der Leber bei Dege- nerationsprozessen i) die Zahl der zwei- und mehi'kernigen Leberzellen zuninmit. « Gleichzeitig sieht man nach ihm in geringer Menge Mitosen. Auch Eeinke (35) läßt che zweikernigen Leberzellen durch Amitose ent- stehen. Eeichenow (34) findet, daß degenerierende Zellen im Anuren- darm häufig melu'kernig gefunden werden. Auch er glaubt, diese Tat- sache durch amitotische Teilung erklären zu müssen. Alinlich ist die Ansicht von Eeuter (36), auf die ich weiter unten näher eingehen werde. Ob auch die vielfach, zum Beispiel durch Zaw'Arzin (44) untersuchten, eigenartigen Bilder des Epithels der Descementschen Membran, an der man vielkernige Zellen findet, sich dinch Zellverschmelzung und physio- logische Zellelimination infolge unzureichender Ernähi’ung erklären lassen, entzieht sich meiner Beurteilung. Wichtig für meine Auffassimg ist der gelegentlich schon von Fleieviing (12) (S. 333) erhobene Befund, daß bei mehreren erst etwa eine Stunde p. m.^) fixierten Schweinslebern 1/4 bis ^/sder Zellen zweikernig, viele di’ei- und melu’kernig waren; ferner folgende Angabe Fle3»eviings (S. 335): »Wenn man Gewebe, die reich- liche indirekte Zellteilungen enthalten, absterben^) läßt (z. B. Amphi- bienepithelien), so findet man nach einiger Zeit (z. B. bei Amphibien nach mehreren Stunden) darm keine oder nur ganz einzelne Teilungs- figuren, dagegen viel zahlreichere zweikernige Zellen, als sie im lebens- kräftigen Gewebe Vorkommen.« Dabei ist es gleichgültig, ob nun Flem- MiNGS Erklärung, nach der bei der abnehmenden Lebensenergie die be- gonnenen Teilungen in solchen Zellen es nicht zur Zellteilung, sondern nur 1) Von mir gesperrt. 2) Im Original gesperrt. Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. 377 zur Kernteilung gebracht haben sollen, oder ob meine Annahme der Whk- lichkeit näher kommt, daß die erste Schädigung des überlebenden Ge- webes sich in einer Verschmelzung von Zellen bemerkbar machte, — die einzige Erkläi’ung, die die eben mitgeteilten Beobachtungen Flem- MiNGS an Schweinelebern zulassen würde. Jedenfalls ersieht man aus den FLEMMiNGschen Beobachtungen, daß das Auftreten mehrkerniger Zellen mit der Abnahme der Lebenski’aft innig verknüpft ist. Nur der Analogie wegen möchte ich erwähnen, daß R. Hertwig (18) einzelne seiner Beobachtungen an durch Überfütterung geschädigten und zugrunde gehenden Actinosphärien durch Verschmelzung zweier Individuen erklärt. Ich komme nun auf die Chromatolyse selbst zu sprechen. Im Jahre 1885 beschrieb Flemming (11) in zugrundegehenden EifoUikehi eine Art des Kemzerfalles, die er Chromatolyse nannte, während gleichzeitig und unabhängig von ihm Nissen (27) beim Studium der Milchsekretion ganz ähnliche Bilder fand und abbildete, die er gleichfalls für zugrunde gehende Kerne hielt. Beide Untersuchungen wurden bald reichlich bestätigt, und seither gehören Chromatolysen zu den alltäglichen Beobachtungen der pathologischen Anatomen, sodaß es zwecklos erscheint, hier auf die Lite- ratur näher einzugehen. Es kann sich nur um eine Erwähnung einzelner ad hoc ausgewählter Ai’beiten handeln, neben solchen, in denen physio- logischerweise vorkommende Chromatolyse beschrieben ist, und auch bei ihnen kann der Anspruch der Vollständigkeit nicht erhoben werden. Chromatolyse muß physiologisch in allen Organen zu finden sein, wo Zellen aus dem Verbände eliminiert werden. Das kann geschehen: erstens zum Zweck des regelmäßigen Ersatzes altersschwacher Zellen, ein Vorgang, der am schwierigsten zu beobachten ist; zweitens bei Ver- kleinerung von Organen, deren Funktion im Laufe der Entwicklung ein- geschränkt oder überflüssig wird (z. B. Dottersack, Darm und andere Organe der Anm’enlarven usw.); drittens bei Organen, che physiologisch starken Volumenschwankungen unter’worfen sind (z. B. Maulwurfshoden); viertens in drüsigen Organen, in denen die abgestoßenen Zellen selbst zum Sekret werden (z. B. Mammarmüch, Uterinmilch). Im folgenden möchte ich nun, zum Teil aus der Literatur, zum Teil aus eigenen Beobachtungen erweisen, daß in sehr vielen Fällen — und ich bin persönlich der Ansicht, daß es sich in den allermeisten Fähen so ver- hält — die chromatolysierten Kerne innerhalb von anderen Zehen liegen, daß also die Zehemission in der Weise vor sich geht, daß die geschwächte Zehe von einer gleichartigen Schwesterzehe aufgenommen und dann zur Chromatolyse gebracht wird, ein Vorgang, den ich als intracelluläre Chromatolyse bezeichnen wih. 378 Ludwig Gräper Ich bin mir wohl bewußt, daß dies nicht der einzige Weg zu sein braucht. So habe ich selbst einzelne Fälle gesehen, in denen Chroniatolyse erfolgt war, ohne daß man eine Phagocytose nachweisen konnte. Ich glaube aber, daß derartige Stellen, wo es sich um intercelluläre Chromatolyse zu handeln scheint, die Ausnahme bilden. Gelegentlich war der Nachweis der Phagocytose sehr schwer, sodaß diese Fälle hier außer Betracht bleiben müssen. So sieht man öfter in verödenden Kapillaren, wie ich sie bei- spielsweise am Dottersack der Vögel beobachtet habe, in einem blind endenden Stück eine Eeihe kernhaltiger Blutkörperchen, die, je weiter sie nach dem blinden Ende zu liegen, desto weiter fortgeschrittene Chro- matolyse zeigen. Während nun für die späteren Stadien hier die intra- celluläre Lage sicher erscheint, ist sie von den vorhergehenden nicht sicher zu erweisen. Ähnliche Bilder sind z. B. von Fuchs (15) in der Literatur gezeichnet, ohne daß er näher auf unsere Fragen eingeht. Daß man die Zelleinschlüsse, die Guieysse-Pellissier (16), Martin (24), Michaelis (25), Arnold (2), Ajviann (3) und andere als eingewanderte Leucocyten, C. Eabl (32), Champy (6), Lukjanow' (23), H. Eabl (33) als andere Zell- einschlüsse oder Nebenkerne beschrieben, für phagocytierte und chroma- tolysierte Nachbarzellen halten darf, ist mir nicht zweifelhaft, zumal H. Eabl (33) seine »Nebenkerne« besonders an hungernden Larven und C. Eabl (32) die beschriebenen Gebilde an untergehenden Teilen der Linsenanlage beobachtete. Wenn man ferner die Zeichnungen, welche Nissen (27), Michaelis (25), Ottolenghi (50) und andere bei der Beschreibung der Milchsekretion geben, betrachtet, so fallen sofort die vielen zweikernigen Zellen auf, und zwar erschemen in manchen beide Kerne normal, in anderen der eine normal, der andere in typischer Chromatolyse begriffen. Im Text sind diese Dinge höchstens beiläufig erwähnt. Es handelt sich also hier um typische Intracelluläre Chi'omatolyse Innerhalb von gesunden Nachbar- zeUen mit normalem Kern. Hier macht sich auch ein Eingehen auf eine Arbeit M. Heidenhains (17) erforderlich, der sich mit aller Energie — ganz offenbar aus theore- tischen Gründen — dagegen wendet, daß eine chromatolytische ZeUe in eine andere aufgenommen werden könne. Er bedarf daher zur Stützung seiner Invaginationstheorie sehr kompüzierter Annahmen, um seine eigenen Bilder, die doch deutlich eine intracelluläre Lage der Chromatolyse zeigen, zu erklären. Deswegen braucht er auch für den Fall eine besondere Er- klärung durch Kernsprossung, in dem er Ideinere chromatolytische Ele- mente innerhalb der Zelle sieht. Der Umstand, daß er nie eine zweikernige Drüsenzelle gesehen haben wiU, ist nicht schwerwiegend, denn einerseits Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. 379 kann dieser Zustand ein sehr rasch vorübergehender sein, indem bei dem einen Kern nach der Zellverschmelzung sehr- schnell Chi’omatolyse auf- tritt. Anderseits hat er auch einen gewissen Teilungsvorgang, den er für zweifellos bestehend annimmt, nicht beobachten können. Auch der Wert, den Heidenhain auf den Kontur der umschlossenen Zelle legt, wird gleich Null, wenn man bedenkt, daß jede Vacuole einen Kontur zeigt, der durch Kontrastwirkung und andere rein optische Bedingungen stärker vorgetäuscht werden kann. Somit fällt auch der Einwand, den Heiden- hain gegen Nissens (27) Fig. 5 erhebt. Die späteren Stadien der Chroma- tolyse, bei denen nur noch kleine Partikel übrig sind, sind ja auch von Heidenhain überall intracellulär gesehen wmrden. Von dem genauen Zitieren der Literatur über Kernzerreißung — Albrecht und andere — auf die ich an dieser Stelle kurz hinweisen möchte, kann ich wohl absehen. M. Nussbaum (28), der die Rückbildung embryo- naler Organe studiert hat, hat auch innerhalb der Zellen kugelige Degene- rationsprodukte gesehen bei völlig normal aussehendem Kern. Deshalb glaubt er nicht an eine Herkunft von diesem Kern, etwa durch Kern- sprossung, sondern meint, die Degeneration habe in diesen Fällen im Protoplasma begonnen. An die MögUchkeit einer Zellverschmelzung hat er offenbar nicht gedacht. Vielleicht handelt es sich bei der »cytoplasma- tischen Degeneration« Ehrlichs (10) im Ascarisdarm wenigstens zum Teil in ähnlicher Weise um falsche Deutung der Bilder. Zu registrieren ist hier auch die Angabe von Friedmann (14), daß er die Zwischenkörper- chen des Hodens beim Frosch, die er wie auch andere für zugrunde ge- gangene Keimzellen hält, im Inneren der Spermatogonien findet. Sehr interessant sind bei meiner Auffassung die Befunde von Des CiLEULs (8), der in der Uterusschleimhaut des Kaninchens wähi’end der Entwicklung des Corpus luteum erst Mtosen, dann Amitosen (d. h. w^ohl weiter nichts als zweikernige Zellen?), dann bei einem Teil der Kerne Pyknose, Chromatolyse, Karyorrhexis, Leucocyteninfiltration fand; liegt doch gerade in dieser Reihenfolge eine Stütze für meine Auffassung. Ich selbst habe in der Uterusschleimhaut der Katze zahlreiche intracelluläre Chromatolysen gefunden (vgl. Fig. 6) und werde weiter unten noch aus- führhche Gründe für ihre wirklich intracelluläre Lage angeben. Auch die Zeichnungen der Uterusschleimhaut von Henricus (14) zeigen sehr zahl- reiche, wenn auch im Text nicht weiter erwähnte mehrkernige Zellen der Uterusschleimhaut während der Bildung der »Uterimnilch«, d. h. zu einer Zeit, wo große Mengen von Schleimhautzellen unter Chromato- lyse zugrunde gehen. Also ist auch hier die Chromatolyse intracellulär. Die Absonderung der »Uterinmilch« ist dabei nur ein Ausdruck dafür, Archiv f. Zellforschnng. XII. 25 380 Ludwig Gräper daß das Zugrimdegelien der Schleimhautzellen so massenhaft geschieht, daß die chromatolysierten Zellen nicht restlos von den übrigen Zellen, die durch che Aufnahme einer Masse von Zellen selbst in ihrer » Kernplasma- relation gestört« sind, aufgelöst werden können. Es tritt also eine Aus- stoßung der chromatolysierten und häufig auch der dadurch stark zer- rissenen chromatolysierenden Zellen ein. Ganz ähnhch sind die Verhältnisse bei dem klassischen Material Flemjiings (11). Auch ich habe einige zugrunde gehende Follikel, deren Eier abnorme Reifungsspindeln zeigten, beim Meerschwein beobachtet. Dabei fiel mir auf, daß dort, wo die Chromatolysen sichtbar waren, eine Zellgrenze so gut wie nie Zusehen war, d. h. eine Art Syncytium von normalen und chromatolysierten Zellen gebildet war. Die oberflächlichsten Zellen sind gelockert und gelangen in das Follikellumen. Dabei reißt natürlich die Protoplasmamasse dort, wo sie am schwächsten ist, d. h. dort, wo die eingeschlossenen, zu Kugeln gewordenen chromatolysierten Zehen sich am meisten nähern, und dann erhält man gelegentlich Bilder wie Fig.. 10, die die HEiDENHAixsche Ansicht zu stützen scheinen, daß die chromatolysierten Kugehi in DeUen der normalen Zehe invaginiert seien. Jedoch muß ich ausdi'ücklich betonen, daß das Protoplasma an den Zehgrenzen einfach als Maschenwerk ohne jeden schäi'feren Kontur aufhört, also von eigentlicher Zellgrenze nichts zu sehen ist. Anderseits sieht man auch Bilder wie Fig. 10 rechts vom Kern und Fig. 11, bei denen die intraceUuläre Lage der Chromatolyse ohne weiteres ersichtlich ist. Diese Vorgänge leiten direkt über zu denen am Amphibiendarm, wo besonders bei der Metamorphose massenhaft SchleimhautzeUen zugrunde gehen. Sehr gute Abbildimgen über diese Vorgänge gibt Eeichexow (34). Viele seiner Abbildungen stimmen prinzipiell mit den meinigen überein. Seine Deutung ist aUerdings anders. So glaubt auch er, daß die Zellen mit zwei anscheinend normalen Kernen durch Aniitose entstanden seien. Dunkle .Chromatinkugeln, die er in der Höhlung eines Kernes liegen sieht, (vgl. seine Fig. 17), hält er für von diesem abgestoßenes Chromatm, wäh- rend es wohl nur der Rest des Chi'omatins einer weitgehend »verdauten« Zelle ist. Seine Fig. 24 bis 26 zeigen innerhalb einer Zehe mit ganz normal erscheinendem Kern — die Eindellimg ist nicht als Zeichen geringerer Lebensenergie anzusehen, sondern lediglich bedingt durch die intracellulär gelagerten phagocytierten ^Massen — typische chromatolysierte Zellen. Er hält beide für degenerierende Zellen, che sekundär verschmolzen sind. Er sagt wörtlich: »Dadmcli, daß miteinander Zellen auf sehr verschie- denen Graden der Degeneration verschmelzen, ergeben sich die eigen- artigsten Bilder, von denen die Fig. 24 bis 27 eine kleine Auswahl dar- Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. 381 stellen. « Die viel einfachere Erkläi'ung, die auch die eben erwähnten Tat- sachen leicht miterklärt, ist die, daß primär die Zellgi’enze zwischen beiden Zellen geschwunden ist, dann im Kampf der Teile der eine Kern über den andern obgesiegt hat und die Chromatolyse in der Reihe über die REiCHENOwschen Fig. 8, 24 bis 26, 17, 16 fortgeschritten ist. Daß da- bei auch die obsiegende Zelle durch Überfütterung in einen Depressions- zustand geraten imd ihrerseits dm'ch Einwirkung andrer Zehen chro- matolysiert werden kann, wenn sie nicht inzwischen durch fortschreiten- den Epithelzerf aU aus dem Verbände des Epithels gelöst ist, soU nicht bestritten werden, ist aber von Reichenow' nicht erwähnt. Selnr interessant erscheint ferner die Arbeit von Reuter (36) über die Rückbildungserscheinungen am Darmkanale der Larve der Geburts- helferkröte. Schon während der Vorbereitung dieser Rückbildungserschei- nungen beschreibt und zeichnet Reuter eine Anzahl zweikerniger ge- wölmhcher EpithelzeUen. Auch er ist der Ansicht, daß sie durch Amitose entstehen und zeichnet eine Anzahl darauf hindeutender Bilder. Ich kann diese jedoch alle nicht als absolut beweisend anerkennen, da viele Kerne — nicht nur die der Leucocyten — außerordentlich plastisch sind und sich leicht jedem gegebenen Raume anpassen; und gerade an dem Material Reuters ist nach seiner eigenen Beschreibung eine große Raumbeengung im Epithel anzunehmen. Ich selbst habe scheinbar auf Amitose deutende Bilder an den Ejemenplättchen von Salamanderlarven gesehen, aber dabei immer einen auffallenden Raummangel konstatieren können; so lag z. B. gerade auf der Brücke zweier hanteKörmig ausgezogener Epithel- kerne ein selu’ dicht erscheinender Kern einer andern Zelle, sodaß die scheinbaren Amitosen als einfache Kernimpressionen aufgefaßt werden mußten. Ich will damit gar nicht das gelegentliche Vorkommen der Amitose leugnen, sondern nur zur Vorsicht bei der Deutung derartiger Bilder raten. Reuter beschi'eibt nun zwei Arten von Zellen, die wälu-end der Rückbildung des Darmepithels entstehen sollen; beide sind mehr- kernig, beide liegen vorzugsw'eise in der Nähe der Basalmembran, beide sind Abkömmhnge der Epithelzellen. Besondere Sorgfalt verwendet er unter eingehender Berücksichtigung der Literatur, die ich deshalb über- gehen darf, auf den Nachweis, daß die eine AiT — Rundzellen — ver- änderte EpithelzeUen und nicht etwa dirrchw'andernde Leucophagocyten seien. Darin ist ihm entschieden Recht zu geben, wenn ich auch die REUTERSchen RundzeUen fiü’ eine solche EpithelzeUe halten muß, die eine andre in sich aufgenommen und chromatolysiert, bzw. plasmolysiert hat, also in gewissem Sinne doch ein Phagocyt ist. Die RundzeUen werden nach Reuter allmähUch ausgestoßen, und ziuück bleiben nur die »Riesen- 25^ 382 Ludwig Gräper zellen«, d. h. wohl besser gesagt, ein Epithelsyncytium ohne Zollgrenzen mit sehr polymorphen Kernen. In diesem Syncytium treten nun allmählich wieder Zollgrenzen und Älitosen auf. Bei ganz objektiver Betrachtung und Vergleich mit meinen Befunden kann der ganze — nach Reuter recht kompüzierte — Vorgang eine höchst einfache Erklärung erhalten: durch die das Epithel während der Darm Verkürzung treffende Noxe wer- den zunächst einzelne Zellen geschädigt und durch Zellverschnielzung zwei- und mehrkernige Epithelzellen gebildet, die durch Degeneration der unterliegenden Zellen zu mehrkernigen Rundzellen werden. Während dieses Vorganges wirkt die Noxe inuner stärker ein; es gibt immer zahl- reichere ZeUverschmelzimgen, d. h. nach Reuter Riesenzellenbildung. Die degenerierenden Zellen können bei der Massenhaftigkeit der Degene- ration nicht völlig aufgelöst werden imd werden ausgestoßen, oft wohl mit den phagocytierenden Zeilen zugleich. Hört mm die Noxe auf, so erholen sich die Epithelzellen, an denen Zollgrenzen nicht mehr nach- zuweisen waren, soweit die Chromatolyse noch nicht an ihnen begonnen hat, und die Zellgrenzen werden wieder hergestellt, worauf dann rasch che restitutio ad integrum erfolgt. Ich wende mich nunmehr zur genaueren Besprechung meiner Befunde am Dottersack des Acmüliias. Der Dottersack ist ein Organ, das sich in demselben Maße verkleinert, als der Dotter zum Aufbau des Embryos verwendet wird. Diese Verkleinenmg kann einerseits durch Faltenbildung, anderseits durch ZeUelimination geschehen. Zellschrumpfimg findet da- gegen nicht statt. Die ZeUelimination interessiert uns hier in erster Linie, und che Art und Weise, wie sie vor sich geht, ist recht gut am Dottersacke des Acanthias zu sehen, dessen Epithelgrenzen sowohl an Querschnitten, wie auch ganz besonders bei der Flächenansicht des Epithels deutlich sicht- bar sind. Außerdem ist das Epithel streng einschichtig, was seine Unter- suchung sehr erleichtert. Vorweg sei gesagt, daß ich unter einer nicht zu schätzenden Menge von Kernen aUe Stadien der Chromatolyse ganz ausnahmslos intra- cellulär, d. h. nur an solchen Kernen sah, die innerhalb einer andern ZeUe lagen, deren Kern kein Zeichen der Schädigimg erkennen Ueß i). Kein Zeichen der Schädigimg ist es, daß diese Kerne muldenförmig eingedeUt sind. Das scheint mit den Rouxschen Ansichten nicht in Einklang zu stehen. Roux (38) sagt, daß die ZeUe mit größter Druckfestigkeit — imd den Ausdruck dafür findet er in einer Einwölbung in eine andre — 1) Dies gilt für ältere Embryonen (etwa 20 cm).^ Bei jüngeren (etwa 7 cm) gibt es ganze Bezirke mit massenhaften Chromatolysen. Daim fehlen aber die Zell- grenzen und es handelt sich um eine Art von Syncytium. Eine neue Anschauung über physiologische ZeUausschaltung. 383 Sieger bleibt im Kampf der Teile und fügt nur eine einzige Ausnahme hinzu, indem er sagt; »Freilich kann auch die beim Absterben eintretende Kontraktion zur Kugel bei noch nicht zu bleibender Gestalt differenzierten Zellen, z. B. bei Furchungskugeln ähnliche Gestaltungen hervorbringen«. Wenn nun die HEiDENHAiNsche Ansicht zu Recht bestände, daß die ab- sterbenden Zellen in andre invaginiert und nicht von ihnen aufgenommen ^vürden — was aber wenigsten am Dottersack des AscantMas gänzlich ausgescldossen ist — , so würde hier eine zweite Ausnahme der Roux- schen Regel bestehen. Nach meiner Auffassung aber handelt es sich ja um Zellen, die äußerlich ihre Gestalt, abgesehen von einer Vergrößerung im allgemeinen, völlig erhalten haben, und deren Kern nur dmxh die kuge- ligen Inhaltsmassen deformiert ist, wie ähnliche Deformationen bei Schleim- zeUen, Fettzellen und phagocytierenden Leucocyten häufig sind. Der Kern ist also normalerweise in viel höherem Grade Gestaltveränderungen unterworfen, als die Zelle, ohne daß damit etwas über die Konsistenz beider Gebilde gesagt sein soll. Am Dottersack des Acantliias von etwa 20 cm Länge finden sich die im folgenden zu besprechenden Bilder besonders zahlreich an der dem Tier abgewendeten Seite, gewissermaßen am Grunde des Dottersackes, also an einer Stelle, wo die ZeUverminderung für die Verkleinerung des Organes am wirksamsten erscheint. Die Abbildungen Fig. 1 bis 4, Taf. X, vom Dottersack des Acanthias sind Flächenansichten des Epithels, während Fig. 5 einen Querschnitt darstellt. Der Vorgang der Zellehmination spielt sich nun in der Weise ab, daß che Grenze zwischen zwei Zellen verschwindet, wobei man wie in Fig. la noch deutüch an den seitlichen Einsenkungen die Lage der ge- schwundenen Grenze erkennen kann. Die beiden Zellen verschmelzen und die Kerne rücken nahe aneinander wie in Fig. Ib und 2 a. Wenn man auch in diesem Stadium morphologisch noch nichts von einer Schädigung eines der beiden Kerne bemerken kann, so glaube ich doch aus einer sehr großen Anzahl von Bildern schließen zu müssen, daß das Schicksal der Kerne schon längst entschieden ist. An weiter vorgeschrittenen Stadien sieht man nämlich die chi'omatolysierten Kerne in der weit überwiegenden Mehrzahl in den spitzeren Raumwinkehi der Zelle hegen, während die obsiegenden Kerne in solchen Teilen der Zellen hegen, die dem ur- sprünglichen Zellmosaik am meisten ähneln, deren Raumwinkel sich also einem Winkel von 120° am meisten annähern. Das deutet darauf hin, daß die obsiegende Zehe ihre Lage im Epithel annähernd beibehält, wäh- rend die später unterliegende in die erstere unter Nachrücken der sie um- gebenden Zehen einbezogen wird, etwa so, wie ich es in der Textfig. 3, 384 Ludwig Gräper X und ?/ schematisch gezeichnet habe, wobei die punktierten Grenzen die des ursprünglichen Epithelmosaiks darstellen sollen. Demnach wäre in Fig. Ib (Taf. XXIX) der nach oben ünks liegende Kern als der unterliegende zu bezeichnen. Die Chroniatolyse geschieht nun in der Weise, daß das Chi'o- matin sich an einzehien offenbar dazu prädisponierten Stehen (Xucleolen?) sammelt, wobei man eine netzförmige Anordnung noch deuthch erkennen kann (Fig. 5 a). Die Kernmembran erhält eine mein’ oder weniger un- regehnäßig kugehge Oberfläche. Das Protoplasma der unterhegenden Zehe scheint zum größten Teil direkt als lebendes Zehprotoplasma der obsiegenden Zehe übernommen zu werden, während einzelne Bilder, wie z. B. Fig. 5 a (unterhalb des Kernes) darauf schließen lassen, daß ein Teil desselben einem ähnlichen Verflüssigungsprozeß unterworfen whd, wie der Kern, was auch nach den von Romeis (37) mitgeteilten Befunden, wo- nach bei Ascaris die Chonchiosomen zugrunde gegangener Spermien vom Uterusepithel aufgenommen und verflüssigt werden, durchaus erklärhch wäi’e. Freihch kann man bei solchen Bildern nie mit Bestimmtheit aus- schließen, daß es sich um die Reste der Chi’omatolyse einer vorher ver- dauten Zehe handelt, sodaß die betreffende Zehe zwei andi’e in sich auf- genoninien hätte. Andre Bilder wie Fig. 4 (Taf. XXIX) deuten darauf hin, daß ein Teil des Protoplasmas der unterhegenden Zehe den zugrunde gehenden Kern auch weiterhin umgibt und mit ihm aufgelöst wii'd. Dabei ist aber zu betonen, daß alle Auflösungsfiguren, sie mögen aussehen, wie sie wohen, selbst wenn um sie herum eine färbbare Randschicht (Rest der Kern- membran oder des Protoplasmas) vorhanden ist, stets durch einen hellen, kugelförmigen Hof von dem Protoplasma der obsiegenden Zehe getrennt sind, also in einer Ai't Vacuole liegen. Die größeren dieser Vacuolen liegen dem Kern unmittelbar an ohne sichtbare Protoplasmazwischenschicht und rufen Eindrücke in ihm hervor, die genau der Oberfläche einer Kugel entsprechen. Wenn jene Verdichtung des Chromatins stattgefunden hat, geschieht die weitere Chroniatolyse auf verschiedenem Wege, stets aber mit dem- selben Endeffekt der vöhigen Auflösung. Der am leichtesten zu beob- achtende Auflösungsmodus ist der, daß das gewöhnlich an zwei Stehen der inzwischen bläschenförmig gewordenen Kernmembran gesammelte Cliromatin sich verflüssigt und an der Lmenfläche der Kernmembran — wenn man von einer solchen noch reden kann — wie ein Flüssigkeitsmenis- kus sich ausbreitet, wie es in Fig. 4 dargesteht ist, in der man auch etwas in Auflösung befindliches Protoplasma kugelförmig um den Kera ange- ordnet und beides von einer Vacuole umgeben sieht. Die Bläschenwand Eine neue Anschauimg über physiologische Zellausschaltiing. 385 — ehemals Kernmembran — wird nun immer dünner, vielleicht wird ein Teil ihrer Substanz in die Chromatintropfen mit einbezogen, während gleichzeitig auch der Kernsaft an Masse geringer wird, sodaß die dünne Bläschenwand nicht mehr imstande ist, die offenbar zähen Chi'omatin- tropfen in ihrer Form zu beeinflussen. Diese bilden daher, ihrer Ober- flächenspannung zufolge. Formen, die sich immer mehr der Kugel an- nähern und die dünne Bläschenwand vorbuchten. Ein solches Stadium ist in Fig. 2 b links vom Kern zu sehen und außerordentlich charakteri- stisch. Bei weiterer Schwächung der Bläschenwand ist diese überhaupt nicht mehr imstande, die Chromatintropfen zusammenzuhalten, die nun austreten. Die zurückbleibende Bläschenwand schließt sich wieder um die zurückbleibenden Chi’omatintropfen, sich dadurch als zähflüssige Substanz dokumentierend. In dieser neuen, nur viel kleineren Blase kann sich derselbe Vorgang, wenn auch in kleinerem Maßstabe, wiederholen. Vielfach nehmen auch die austretenden Chi’omatintröpfchen etwas Kern- saft und Bläschenwand mit, sodaß auch sie nicht immer homogene Kugeln bilden, sondern oft in ihrem Innern eine exzentrisch gelagerte Kugel schwach oder nicht gefärbter Substanz enthalten. In Fig. 3 b ist nun die Mehrzahl dieser Gebilde — das dem Kern zunächst gelegene noch von einem deutlichen Bläschenrest umgeben — in einer gemeinsamen Kugel einge- schlossen, die wohl ebensowohl Protoplasmareste als Kernsafteiweiß ent- hält und in einer Vacuole liegt, während zwei sehr kleine Chromatin- partikelchen sich völlig von den übrigen getrennt haben und mit etwas Eiweiß umgeben in eigenen Vacuolen liegen. Diese Zerstückelung kann gelegentlich sehr weit gehen, und die Resorption dürfte dann schneller vonstatten gehen. Gewöhnlich bleibt aber längere Zeit eine größere Kugel erhalten, deren Inhalt immer formloser und immer schwächer färbbar wird, bis schließlich auch sie völlig resorbiert wird und nur noch eine leere Vacuole zurückbleibt, die — wie Fig. 2 c zeigt — immer noch eine Delle im Kern hervorrufen kann. Schließlich schwindet dann auch diese Vacuole, wenn nicht inzwischen neue Zellverschmelzungen eingetreten sind und die Bilder komplizieren. Man sieht nämlich öfter in Zellen so viel Chromatolyse- figuren, daß man sie nicht recht von einem einzigen Kern herleiten mag. So muß ich die in Fig. 2 b enthaltenen ckei Chromatolysebilder, die drei Eimh’ücke im Kern hervorgerufen haben, auf den Untergang mindestens zweier Zellen beziehen. Für die Entstehung solcher Bilder gibt es zwei Erklärungen. Einmal könnte man annehmen, daß ursprünglich drei Zellen miteinander verschmolzen seien und ein Kern über zwei andre gesiegt habe. Richtiger scheint mir aber die Annahme, daß eine Zelle, nachdem sie eine andre phagocytiert hatte, dadurch in einen Depressions- 386 Ludwig Gräper Zustand gekommen war — Depressionszustände nacli Überfütterung sind ja experimentell reichlich ei-wiesen — und deshalb einer andern, noch nor- malen Zelle selbst leichter unterlag. Für diese Auffassung spricht auch die Tatsache, daß in solchen Zellen, in denen die Chromatolysebilder reichhch erscheinen, auch meist der eine Teil der Chromatolysen eine viel weiter fortgeschrittene Auflösung zeigt als der andre. Vor allem aber lassen solche Bilder che Richtigkeit dieser Anschauimg erkennen, bei denen man in einer gi’oßen Zelle neben zwei Kernen, die noch keine Schä- digung zeigen, emen in Chroniatolyse befindlichen wahrnimmt. Von der Wiedergabe einer derartigen Zeichnung sehe ich aus äußeren Gründen ab. Oben war envähnt, daß es viele Wege gäbe, die vom Beginn der Chro- matolyse bis zm völhgen Auflösung fühi’en. Ich brauche hier nur kurz das andre Extrem zu erwähnen, zu dem es eine Unzahl von Übergängen gibt. Dieses Extrem ist in Fig. 1 c abgebildet. Der dort gezeichnete Kern ist der Auflösung verfallen, ohne daß es zu einer Chromatinanhäufung gekommen wäre. Mit fortschreitender Auflösung hat nur die Fäi'bbarkeit immer mein- abgenommen. Ob dem Loch in der Kernmembran bei dieser Abweichimg vom gewöhnlichen Verlauf eine ursächliche Bedeutung zu- kommt, mag ich nicht entscheiden. Es bleibt mir nur noch übrig, die Frage zu erörtern, woher es kommt, daß die Chromatolysebilder innerhalb von Zellen mit sonst normalen Kernen liegen. Meine Anschauung geht aus dem Vorhergesagten deutlich hervor und ich habe im folgenden nur nötig, meine Gründe anzugeben. Über die Ansicht Heidenhaixs (17), daß derartige Gebilde gar nicht intracellulär liegen, kann ich, nachdem ich eben schon einiges darüber gesagt habe, rasch hinweggehen, denn am Dottcrsack des Äcantliias sind die Bilder so klar und die ZeUgrenzen so deutlich, daß gar kein Zweifel über die intracelluläi'e Lage möglich ist. Intercelluläre Chi’omatolysen wurden hier nie beobachtet i). An diesem epithelialen Material habe ich auch nirgends Bilder gefunden, die eine Kernknospung oder Abschnürung oder sonst irgend ein Zeichen dafür erkennen ließen, daß die intracellu- lären Chromatolysen vom Kern derselben Zelle abstanunen. Es haben die Kerne viehnehr eine völlig glatte, der ZeUform entsprechende Ober- fläche und sind nur durch die die Chromatolysen einschließenden Vacuolen eingedeUt. Bei sorgfältiger Beobachtung kann man derartige Dellen nicht für Löcher im Kern halten, dinch welche Chromatinmassen austreten. Auch die von den Autoren immer behauptete und der Kernsprossung qualitativ gleich erachtete Aniitose konnte hier nicht ein einzigesmal auch 1) Siehe Anmerkung auf Seite 382. Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. 387 nur angedeutet beobachtet werden. Dagegen sind die zweikernigen Zellen sehr häufig. Im folgenden wird nun der Beweis erbracht werden, daß es sich im vorhegenden Falle ausschließlich um Zellverschmelzungen handelt. Aus hier nicht zu erörternden Gründen stehen die Zehen eines ruhen- den, einschichtigen Epithels im ahgemeinen sechsseitige Prismen dar und an einer Prismenkante stoßen mit großer Gesetzmäßigkeit immer nur drei Zehen aneinander. Für ein annähernd rein »kubisches« Epithel, wie es im vorliegenden Falle vorhanden ist, gilt diese Regel noch in viel höherem Grade, als für ein Cylinderepithel, wo die Zellen nicht immer in der ganzen Höhe die gleiche Dicke haben. Fünf- und siebenseitige Prismen bilden die Ausnahme, und ebenso stoßen nur ausnahms- Textfig. 1. weise einmal vier Zellen an einer Prismenkante (optisch an einer Ecke) zusammen und dann ist immer mindestens eine der vier Zellen ein fünfseitiges Prisma. Daß mehr als vier Zellen unter gewöhnlichen Verhältnissen an einer Zellkante zusammenstoßen, ist ausgeschlossen. In Textfig. 1 ist schematisch das Mosaik ge- zeichnet, wie es im ahgemeinen die Flächenansicht eines ein- schichtigen Epithels zeigt. Jede Zehe wird von sechs andern be- gi’enzt. Wenn sich nun em Keni amitotisch teilen würde, so würde das auf die Mosaikfigur überhaupt keinen Einfluß haben, und selbst wenn man annimmt, daß die Zehe dabei wächst, was bei degenerierenden Zehen in einem sich verkleinern- den Organ doch sehr unwahrscheinlich ist, so müßte sie schon sehr groß werden, um nur mit einer einzigen andern als den sechs sie primäi' umgebenden Zehen in Berührung zu konmien (so große Zehen werden höchstens bei dreikemigen beobachtet). Die Zehe würde also im ahgemeinen sechsseitig und sechseckig bleiben und an jeder Ecke würden nur zwei Nachbarzehen an sie anstoßen. Solche zwelkemige oder mit größerem chromatolytischem Einschluß versehene Zehen finden sich aber nicht im hier besprochenen Material. Denkt man sich nun eine Grenze zwischen zwei benachbarten Zehen, z. B. zwischen x und y, verschmolzen, so wird eine große, zweikemige Zehe daraus entstehen, cUe im ahgemeinen 388 Ludwig Gräper von so viel Zellen begrenzt wii’d, als beide zusammen vor der Versckmel- zimg begrenzten, die also, wie aus der Figur ohne weiteres abzusehen ist, von acht — jedenfalls von mehr als sechs — Zellen begrenzt wird. Es ist nun bemerkenswert, daß die Zellen, die einmal mit der Doppelzelle zu- sammenhingen, ihren Zusammenhang auch dann noch eine Zeitlang be- wahren, wenn die Doppelzelle sich durch Eesorption schon beträchtlich verkleinert (s. Fig. Ic, Taf. XXIX) oder gar schon die ursprüngliche Größe wieder erreicht hat. AUmählich wird natürlich auch das ursprüngliche Sechseckmosaik wiederhergestellt, indem zwei überzählige Zellen sich von der Begrenzung zurückziehen, aber noch eine Zeitlang an einer Ecke des Sechseckes mit spitzen 'Winkeln haften bleiben, wie es schematisch die Textfig. 2 {v und iv) zeigt, Textfig. 2. nur daß der Prozeß ge- wöhnlich nicht an beiden Seiten gleichzeitig erfolgt. Einen Spezialfall der Mo- saik\’eränderung, wie er am Dottersack des Acan- thias besonders häufig vorkommt , stellt Text- fig. 3 dar. Hierbei ver- schmelzen Zelle X und y, und zwar in der Weise, daß X ihre Lage im all- gemeinen beibehält und y in sich einbezieht. Dabei rückt y aus ihrer Stellung heraus in die Zelle x hinein. Xun rücken während dieses Vorganges die fünf (außer x) y umgebenden Zellen centripetal vor, indem sie den Kontakt mit y + x beibehalten und den freiwerdenden Kaum auszufüllen streben. So kommt es, daß schließlich an einer Stelle sechs Zellen zusammenstoßen, wie es Fig. 3, Taf. XXIX, u. Textfig. 3 zeigen. Bei solchen gewiß recht seltsamen Rosettenbildern werden die Zellfiguren Fünfecke, stoßen aber doch mit acht Xachbarfiguren zusammen. Der- artige Bilder können also schon durch eine emzige Zellverschmelzung zustande kommen, häufiger sind aber zwei oder mehrere — ich habe bis zu fünf gefunden — teils gleichzeitig, teils hintereinander stattfindende Verschmelzungen an der Rosettenbildung beteihgt. Dabei erscheint es zunächst merkwürdig, daß dann in der Regel auch nur sechs oder sieben Zellen die Rosette bilden. Wenn man sich aber die Verschmelzung zweier beoachteter Rosettenzellen (z. B. p und q in Textfig. 3) vorstellt, so dürften Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltung. 389 den Pfeilen entsprechend nur eine, höchstens zwei Zellen bis zum Cen- trum nachrücken können. Schließlich ist in einer Rosette auch nur für eine bestimmte Anzahl von Zellen, die ja doch immer das Bestreben der Abrundung haben, Platz, und diese Höchstzahl (6 bis 7) hängt von dem Minimum des Raumwinkels ab, den eine Zelle haben kann. Auch folgende Erklärung würde sich mit den Rosettenbildern bei mehi’eren Verschmel- zungen gut vereinbaren lassen; Man könnte näznlich annehmen, daß, wenn einmal eine Rosette gebildet ist, außen angrenzende Zellen mit den Ro- settenzellen verschmelzen und deren Stelle einnehmen; liegen doch die Chromatolysen immer nach dem Centrum der Rosette, die Kerne nach der Peripherie zu. Das aber geht mit Sicherheit aus den Rosetten- bildern hervor, daß sie nur durch EUmination von vorher im Cen- trum gelegenen Zellen, und bei Berücksichtigung der Tatsache, daß die Chromatolysen intra- cellulär nach dem Centrum zu liegen, nur durch Verschmel- zung von Zellen entstanden sein können. Hiernach lag es nahe, der- artige Rosettenbilder auch in andern Organen zu suchen, in denen reichlich Chi’omatolyse auftritt. Oben habe ich schon erwähnt, daß ich die Vorgänge bei xAbscheidung der sogenannten »Uterinmilch« auch für intracelluläre Chromatolyse halte, und habe bei dieser Gelegenheit schon auf die Fig. 6, Taf. XXIX, hingewiesen, die die chromatolysierten Kerne intracellulär liegend zeigt. Bei Durchmusterung der Schnitte nach Flächenanschnitten des Uterusdi’üsenepithels zeigten sich nun die Rosettenfiguren an solchen Stellen, wo sich zahlreiche Chromato- lysen befanden, in überraschend großer Anzahl, oft so dicht liegend, daß eine Rosette unmittelbar an che andre angrenzte. So zeigt Fig. 8, Taf. XXIX, ch’ei Rosetten, die unmittelbar aneinandergrenzen, sodaß einzelne Zellen zwei Rosetten angehören. Die Pfeile a, h, c weisen auf die Centren der Rosetten. Die Rosette c konnte nicht weiter ausgezeichnet werden, weil die dem Lumen zugewendeten Epithelgrenzen nicht mehr angeschnitten waren. Der Pfeil ä weist auf eine Zelle, die offenbar durch Verschmelzung zweier Textfig. 3. 390 Ludwig Gräper zustande gekommen ist. In Fig. 7 ist eine Eosette aus einer andern Uterus- drüse dargestellt. Wenn ich mir auch wohl bewußt bin, daß man die Mosaik- verhältnisse bei einem hohen Cyhnderepithel, zumal wenn es um röhren- förmige Hohlräume herum angeordnet ist (wobei die Zellen höhere, etwas umegelmäßige Säulen sind), nicht so regelmäßig erwarten darf, so lehren doch Flachschnitte durch die verschiedensten Epithehen, z. B. Magen- gruben, daß selbst hier das Epithehnosaik das bekannte Sechsecknetz fast schematisch zeigt. Daher sind wir berechtigt, stärkere Abweichungen von diesem Bilde auf besondere Vorgänge zurückzuführen. Somit stellt auch hier che Eosettenfigur gemeinsam mit den intracellulären Clu'oma- tolysen einen sicheren Beweis für stattgefundene Zellverschnielzungen dar. Xim sind nicht in allen Organen die Zellgrenzen so leicht und sicher festzustellen, wie in einschichtigen Epithelien, und man wird oft nicht entscheiden können, ob eine Chromatolyse intracellulär liegt oder vielleicht doch intercelluläi’. Oben habe ich angegeben, daß alle Chromatolysen bei intracellulärer Lage einen kugelrunden, wandungslosen, d. h. direkt vom Zellprotoplasma umgebenen heilen Hof besitzen, den ich für eine Flüssigkeitsvacuole ansprechen muß. Ich kann mir aber nur dann vor- stellen, daß eine z\vischen mehi-eren Zellen liegende Flüssigkeitsvacuole kugelrund ist, wenn sie unter einem sehr hohen Druckt) steht, was mir in diesem Falle nicht recht wahrscheinlich ist. Daher halte ich mich dazu berechtigt, auch alle jene Chi’omatolysen im Gewebe für intracellulär an- zusehen, die in einem kugeligen, hellen Hofe liegen und eme entsprechende Lnpression in einem Kern hervorrufen. Eine derartige Zelle bilde ich noch aus den Kienienplättchen des Salamanders in Fig. 11, Taf. XXIX, ab. Hier handelt es sich ja um ein Organ, das trotz zahlreicher Kernteilungs- figuren, unter Umständen z. B. beim Hungern, wenig wächst und dann stänchg Zellemissionen bewerksteUigen muß. In dem von mir beschriebenen Xormalvorgang, der in allen Organen physiologisch Vorkommen dürfte 2), geht die Chi'omatolyse bis zur restlosen Auflösung weiter. Li besonderen Fällen, wo der ZeUuntergang massen- haft geschieht, wie bei Abscheidung der Uterinmilch, der Mammarmilch, 1) Anmerkung: Nun konuut es sicher vor, daß außerhalb der Zellen liegende Dinge sich in dieselben, ja sogar in den Zellkern kugelig vorwölben. Dann handelt es sich aber immer um Dinge, die einen besonderen Druck auszuüben vermögen, wie beispielsweise durch mitotische Teilung entstandene auseinanderrückende Tochter- zellen, die, Kugelform annehmend, das Gewebe mit großer Gewalt auseinanderdrängen, oder wenn Zellen verschiedenartiger Gewebe, denen verschiedene Festigkeit zukommt, nahe aneinanderriicken. 2) Inzwischen habe ich auch in Organen des Menschen intracelluläre Chroma- tolysen beobachtet. Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschaltimg. 391 der Rückbildung des Darmes während der Anurenmetamorphose und beim Zugrundegehen von EifoUikeln, vermögen die restierenden Zellen die Massen nicht völlig aufzulösen und diese werden — oft unter Mitnahme einzelner umschließender Zellen, eventuell auch nackter Kerne — aus- gestoßen. In allen bisher beschriebenen Fällen von Chromatolyse liegen diese Gebilde innerhalb von Zellen, die sich in lebhafter Lebenstätigkeit be- finden oder sind doch mindestens von solchen Zellen unmittelbar um- geben. Nun kommen aber auch zahlreiche Zellemissionen vor an solchen Stellen, wo die Lebenstätigkeit der benachbarten Zellen bereits stark eingeschränkt ist und die Zehen durch scharfe Grenzen — um nicht zu sagen Membranen — von einander getrennt sind. In solchen Fähen finden wir keine Chromatolyse, sondern andere Erscheinungen, wie sie z. B. an den Kernen verhornenden Epithels bekannt sind. Wenn man diese Tat- sache mit meinen Befunden zusammennimmt, so wird ersichtlich, daß die Chromatolyse ein rein vitaler Vorgang ist, der nur durch Einwirkung lebender Zehen auf zugrundegehende Kerne hervorgerufen werden kann. Zum Schlüsse möchte ich noch einmal die Ergebnisse der vorliegen- den Abhandlung zusammenfassen: 1. Eine Zehschädigung, insbesondere eine Altersschädigung, macht sich zuerst in einer Neigung der Zehe geltend, ihre Eigenart als in sich ab- geschlossenes Ganze aufzugeben, die sich in der Regel in einer Verschmel- zung mit einer Nachbarzehe äußert. 2. Dementsprechend haben die Zehen der meisten Organe (insbeson- dere leicht nachweisbar bei den Epithelien) die Fähigkeit, schwache Schwesterzehen in sich aufzunehmen, sodaß zweikernige Zehen entstehen, in denen dann der eine Kern der Chromatolyse verfäht. 3. Auf diese Art geschieht die physiologische Zehelimination, wie sie stattfindet: a) bei der ständigen Ge webs Verjüngung, b) bei Verkleinerung von Organen, deren Funktion im Laufe der Entwicklung eingeschi'änkt oder überflüssig wird, c) bei Organen, die während des Lebens physiologischen Volum- schwankungen unterworfen sind, d) bei manchen Drüsen mit einem aus zugrunde gegangenen Zehen bestehenden Sekret. 4. Echte Chromatolyse ist ein vitaler Prozeß, der bedingt ist durch Einwirkung lebender Zellen auf zugrunde gehende. Er kommt nicht vor in Zehen, die durch die Art ihrer Lage oder Abgrenzung vor der Einwirkung andrer geschützt sind, z. B. bei verhornendem Epithel, nicht 392 Ludwig Gräper in Zellen, die diu'ch äußere Einwirkung, durch Veränderung ihi’es Ei- weißes (z. B. Koagulation) getötet worden sind. 5. Chroniatolyse kommt meist dadiuch zustande, daß eine ge- schwächte Zelle von einer Schwesterzelle aufgenommen und intra- cellulär verändert wird (intracelluläre Chromatolyse), 6. Gelegentlich konunt wohl auch Chromatolyse durch Einwirkung der Kachbarzellen vor ohne Aufnahme in dieselben oder ohne Ver- schwinden der Zellgrenzen (intercelluläre Chromatolyse). Literatur. 1. Aichel, Über Zellverschmelzimg mit qualitativ abnormer Chromosomenverteilimg als Ursache der Geschwulstbildimg. Vortr. u. Abhandl. über Entwicklungs- mechanik. Hft. 13. 2. 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Wetzel, Das Vorkommen von Kernen der Granulosazellen in den Ovarialeiern von Pelias berus. Verhandl. der physiolog. Gesellschaft Berlin. Jahrgang 1901/1902. 43. Young, The somatic nuclei of certain cestodes. Archiv für Zellforschung. Bd. VL 44. Zawarzin, Beobachtungen an dem Epithel der Descemetschen Membran. Arch. f. mikr. Anat. Bd. LXXIV, Tafelerklärung. Tafel XXIX. Fig. 1 — 1 Flächenansichten des Dottersackepithels von Acanthias vulgaris. (Em- bryonen von etwa 20 cm Länge). Hom. Immers. 1/12. Ocul. III. Fig. 1. a. Zweikernige ZeUe kurz nach der Verschmelzung, l. Zweikernige Zelle mit aneinandergelagerten Kernen, c. Kern tief durch eine Vacuole eingedellt, in der die Beste einer phagocytierten Xachbarzelle liegen. Fig. 2. a. Zweikemige Zelle mit dicht aneinanderliegenden Kernen. 6. Zelle mit drei Vacuolen, die drei Eindellungen im Kern hervorgerufen haben, und Inhaltsmassen, die in verschiedenen Stadien der Chromatolyse sich befinden, aber auf mehr als eine aufgenommene Zelle bezogen werden müssen. c. Zelle mit Vacuole, die auch den Kern eindeUt, als letzter Rest einer Phagocytose. Fig. 3. Tj'pische »Rosette«, a und l zwei Zellen mit verschieden weit fortge- schrittener Chromatolyse. Fig. 4. Einzelne Zelle mit aufgenommener, chromatolysierter Nachbarzelle, von sieben Zellen begrenzt, deren eine nur noch mit einer Spitze an die Zelle stößt. Fig. 5. Querschnitt durch das Dottersackepithel des Acanthias. а. Zelle mit frühem Stadium; б. Zelle mit spätem Stadium der intracellulären Chromatolyse. Hom. Immers. 1/12. Ocul. III. Fig. 6. Querschnitt durch das Epithel der Utenisdrüsen der Katze. Zwei Zellen mit intracellulärer Chromatolyse. Hom. Immers. 1/12. Ocid. HL Fig. 7 imd 8. Flachschnitte des Drüsenepithels des Katzenuterus. Rosettenbil- dung. Hom. Immers. 1/12. Ocul. III. Fig. 7. Rosette von sechs Zellen. Fig. 8. a. Rosette von sechs (bis sieben) Zellen; h. Rosette von sechs Zellen; c. Rosette von sechs Zellen; d. Zelle, offenbar aus zwei eben verschmolzenen Zellen entstanden. Fig. 9. Schnitt durch einen EifoUikel mit abnormer Richtungsspindel vom Meer- schweinchen. Zwei an die innere freie Oberfläche (rechter Rand) anstoßende Zellen. In den die Kerne eindellenden Vacuolen Chromatolysen. Zellgrenzen nicht sichtbar, Hom. Immers. 1/12 Ocul. III. Fig. 10. Aus demselben Schnitt. Gewebsbröckel aus dem Innern des Follikels nur mit einer Brücke bei a mit der Wand zusammenhängend. Bei l und e Chromato- lysen in Hohlräumen des zerrissenen Protoplasmas. Hom. Immers. 1/12 Ocul. III. Fig. 11. Aus einem Kiemenplättchen eines Salamanders. Die chromatolytischen Figuren liegen in zwei Vacuolen, die den Kern eindellen. Zellgrenzen nicht bestimmbar. Hom. Immers. 1/12. Ocul. I. Archiv für Zellfoi'schung. Bd. XII. Gräper. Verlag von Wilhelm En| Tafel XXIX. Fi-, 11 inn in Leipzig und Berlin. Die Besamung der jugendlichen Ovocyte und die Befruchtung bei Saccocirrus, Von Paul Büchner. (Aus dem Zoologischen Institut München.) Mit 2 Textfigm-en und Tafel XXX — XXXI. Inhalt. Seite 1. Das Vorkommen frühzeitiger Besamung im Tierreich 395 2. Die Spermiogenese von Saccocirrus 399 3. Bau der Geschlechtsorgane des Saccocirrus 403 4. Die frühzeitige Besamung der Ovocyte und das Verhalten des Spermiums bis zum Beginn der ersten EeifeteUung 404 5. Die Ausbildung der beiden Vorkerne und Befruchtung 410 1. Das Vorkommen frühzeitiger Besamung im Tierreich. Die Zeit der Besamung des tierischen Eies gemessen an seinem Ent- wicklungszustand unterliegt nahezu allen erdenklichen Schwankungen. Sowohl die jugendhche Ovocyte, als auch die nahezu zur Reifeteilung bereite Ovocyte, die eben die Teilungen erleidende und die mit definitivem weiblichem Vorkern ausgestattete Zelle vermag besamt zu werden. Der einzelne Typus aber ist jeweils erblich fixiert, Variationen dieses Zeit- punktes fehlen. Denn, entweder ist es ein ganz eng begrenzter Ent- wicklungszustand, in dem das Ei besamt wird und den das Ei nicht über- schreitet, es sei denn unter dem Anreiz eines eingedrungenen Spermiums. Das ist z. B. in den nicht seltenen Fällen so, wo die Ovocyte das Stadium der Äquatorialplatte der ersten Reifeteilung unbesamt nicht in die Ana- phase übergehen läßt. Oder aber ein längerer Aussclmitt aus der Ent- wicklungsgeschichte der Ovocyte ist in gleicher Weise befähigt, das Sper- ArcMv f. Zellforschung. XII. 26 396 Paul Buclmer mium aufzuiielinien, dann ist ebenso das hierzu erst mögliche Stadium streng fixiert, allerdings nicht immer morphologisch, sondern durch einen uns in seinem Wesen noch unbekannten »Eeifeazustand. So beim Asterias-^\, das von diesem schon vor Auflösung des Kernes zur ersten Reifeteilung gelegenen Zeitpunkt an bis zum Ablauf der Reifeteilungen das Spermiiun aufzunehmen vermag. Bei diesem Objekt folgt unmittelbar auf das Besamen das Einsetzen der Reifeteilung. »Besamungsreife« und Teilungsreife decken sich also zeitlich, eine Änderung in der Cliromosomenstruktur des Eikernes oder ähnliches findet nach dem Eindringen des Spermiums nicht mehr statt. Alle Fälle nun, bei denen dies nicht der Fall ist, müssen w’ir als vor- zeitige Besamung auffassen, als Besamung jugendlicher nicht teilungs- reifer Ovocyten, und eine erst noch nach ihr ablaufende morphologische oder auch nur rein physiologische Veränderung im Ei muß sich nacli- weisen lassen. Man hat ein solches Verhalten wiederholt aufgefunden, nur sind die Umwandlungen natürheh, wenn die zeitliche Differenz zwi- schen Besamungsreife und Teilungsreife kurz ist, entsprechend gering- fügig und zudem meist nicht genau studiert. Als Ort der letzten Ver- änderungen kommt dann nur der Kern in Frage. Als Beispiel sei Bra- chycoelium nach den Beobachtungen von v. Kemxitz angeführt (s. Text- fig. 1). Wenn am Ende der Wachstumsperiode das Spermium eintritt, sind die Tetraden des Bukettstadiums nahezu rückgebildet und im Kern ein Reticulum vorhanden ; während der nun einsetzenden Reorganisation und Kondensation der Tetraden liegt das Spermium abwartend und sich nur wenig verändernd im Plasma. Mit geringen Variationen scheint em solches Verhalten bei den Trematoden allgemein verbreitet zu sein und ähnliches scheint bei andern AVürmern vorzukonimen (rhabdocöle Turbellarien [Bresslau], Dicrocoelium [Goldschmidt, Schellexberg], Zoogonus [Wassermann]). Immer aber ist auch hier das Wachstum und die Reservestoffbildung des Eies zur Zeit der Besamung vollendet. Eine noch frühzeitigere Besamung, die auch vor dem Wachstum und den damit verknüpften Prozessen stattfindet, ist dagegen ein ganz ver- einzeltes Vorkommen und bisher nur in zwei völlig gesicherten Fällen bekannt geworden. Auf einen von beiden beziehen sich die nachstehenden Älitteilungen ; es sei daher auf die Literatur dieser Fälle etwas genauer eingegangen. Die ersten, ziemlich kurz gehaltenen Angaben bringt F. Hempel- MANN für Saccocirnis (1906). Er beschreibt, wie die Spermien aus dem Receptaculum durch einen feinen Kanal in die Gonade wandern und nur deren Köpfe in diejenigen Eier eindringen, die mit der Dotterbildung Die Besamung der jugendlichen Ovocyte und die Befruchtimg bei Saccocirrus. 397 fertig sind. »Vereinzelt kommt es auch vor, daß ein Spermatozoon in eine der hellen Ovocyten dringt, die noch in der Bildung des Dotters be- griffen sind«, und etwa die Hälfte der definitiven Größe erreicht haben. Unmittelbar darauf und unabhängig von Hempeliviann erschien im gleichen Jahre eine Mitteilung von van Gaver und Stephan über das gleiche Objekt, die ebenfalls von frühzeitiger Besamung, aber verbunden mit Polyspermie spricht; die Autoren hielten jedoch specifische Dotter- kugeln für Eesorptionsfiguren der nach ihnen lediglich trophische Be- deutung besitzenden Spermien. Textfig. 1. 1907 zwingt sie bereits die Kenntnis der HEMPELMANNschen Unter- suchung, ihre gänzlich irrigen Ansichten zu verbessern; sie erkennen nun die wahre Natur der »zerfallenden Spermien«, finden das von Hempel- iviANN gefundene wirkliche Spermium in allen Ovocyten auch der dotter- bildenden Eier wieder und machen die richtige Beobachtung, daß in den jungen Stadien nur der Kopf, in späteren auch der sehr lange Schwanz nachweisbar ist. Diese Merkwürdigkeit erklären sie nach wie vor durch Polyspermie. Figuren enthalten beide Mitteilungen nicht. 1912 kommt Hempelmann abermals gelegentlich einer eingehenden Darstellung der Geschlechtsorgane von Saccocirrus auf die Frage zurück, ohne bezüglich der uns interessierenden Dinge viel über seine ersten 26* 398 Paul Büchner Allgaben von 1906 und die von van Gaver und Stephan hinauszugehen. Als Zeitpunkt der Besamung wird nun die Zeit kurz nach Auflösung des Bukettstadiums festgestellt, die Beteihgung des Schwanzfadens und Polyspermie jedoch in Abrede gestellt und die Umbildung des Kopfes zum Vorkern beschrieben. Soweit die Literatur über Saccocirms. (Siehe auch Nachtrag.) Ihm reihen sich seit 1907 allöocöle TurbeUarien an. Van Hofsten, ohne die »Saccocfrms-Literatur zu kennen, be- richtet anläßhch einer anatomischen Studie, daß sich bei Oiomesostoma auditivum^oroX u. Du Plessis nicht nur in den Lücken des Ovarialparen- chynis überall Spermien finden, sondern auch in jeder einzelnen Ovocyte auf allen Entwickhings- stadien, bis zu den aUerkleinsten. Sie lassen keinen Schwanz erkennen, — er wird wohl, wenn er mit ein- dringt, rasch resorbiert, — und liegen mehr oder weniger gebogen dem Kern dicht an (Textfig. 2). Man hat diesen Befund van Hofstens angezweifelt. C. H. j\L\rtin und Bresslau haben die Ansicht ausgesprochen, daß es sich um eine Täuschung handle und daß tat- sächlich Dotterkerne vorlägen. Man muß gestehen, daß die ersten Ab- bildungen des Verfassers eine solche Vermutung wohl berechtigten. Seine eingehendere Darlegung, die durch diese Bedenken veranlaßt wurde, macht seine Angaben aber zur Gewißheit. Aus seinen Figuren geht als wahi’scheinlich hervor, daß die Ovocyte schon vor dem leptotänen Bukettstadium infiziert wird, jedenfalls steigt das Volumen der Zelle nach der Besamung noch etwa um das 100 fache! Van Hofsten macht nun auch noch die ergänzende Mitteilung, daß auch andre allöocöle Tur- beUarien {Otoplana intermedia du Plessis und Plagiostommn lemani Forel u. du Plessis) eine relativ frühzeitige Besamung im Ovar aufweisen. Da Bresslau nach wie vor die Existenz einer so ungewöhnlichen Besamung nicht einräumen will (1911), und es vorzieht, an eine Verwechs- limg mit Dotterkenien zu glauben, kommt van Hofsten zum dritten Male auf die Frage zurück (1911) und weist die olme Zweifel nicht gerecht- fertigten Einwände und die scldießlich von Bresslau zu Hilfe genommene Hypothese einer lediglich trophischen Bedeutung des Spermiums zurück. Die Besamung der jugendlichen Ovocyte und die Befruchtung bei Saccocirrus. 399 Neben diesen Turbellarien und neben Saccocirrus muß nun endlich noch über Angaben Shearers bezüglich Dinophüus berichtet werden (1911), die jedoch so viel des zunächst Unglaublichen enthalten, daß sie vorerst lediglich gebucht seien. Nach ihm werden schon die embryonalen Geschlechtsdi'üsen von Spermien durchsetzt und die jüngsten Ovogonien besamt. Der Spermakopf verschmilzt mit dem Ovogonienkern, und erhält sich in ihm, meist in Verbindung mit der Kernmembran. Die Vermeh- rungsteilungen sollen amitotische sein nnd der männliche und weibliche Kernteil unabhängig voneinander sich in gleiche Teile zerschnüren. 40 bis 50 solche Teilungen sollen stattfinden, bis eine differenzierende Teilung einsetzt, bei der nur eine Zelle das Spermaderivat bekommt ; die Ovocyten, mit männlichem und weiblichem Anteil werden zu Weibcheneiern, die mit nur weiblichem zu Männcheneiern. Ich habe Dinopliilus-Ovarien auf jene Kerndnplizität hin geprüft nnd zunächst nichts Atypisches gefunden, was sich mit Shearers Figuren decken würde. Am wahi’scheinlichsten dünkt es mir, daß der Autor auf seine Angaben von einer Kernduplizität durch etwas atypische Nucleolarverhältnisse gekommen ist^). Durch Zufall beobachtete ich die frühzeitige Besamung bei Sacco- cirrus und begann sie zu studieren, bevor ich von der darüber bereits vorhandenen Literatur Kenntnis hatte. Da diese voll von Widersprüchen und Lücken ist, und die Abbildungen hierzu manches zu wünschen übrig lassen, habe ich die Untersuchung dennoch zn Ende geführt und glaube mit ihr die Kenntnis dieses Unikums in der Befrnchtungslehre um einiges gefördert zu haben. Lücken zeigt die Darstellung auch jetzt noch, die auszufüllen mir aus zwei Gründen nicht möglich war. Einmal war das mir vorliegende Material lediglich mit Sublimat fixiert, während eine Färbung mit der BENOASchen Methode zum genaueren Studieren des Schicksals der Mitochondrien nötig gewesen wäre und ferner stellte sich das Studium lebender zerzupfter Ovarien als sehr wünschenswert für die Erkenntnis der frühesten Besamungsstadien heraus. 2. Die Spermiogenese von Saccocirrus. Um die Wertigkeit der in das Ei eindringenden Teile des Spermiums mit Sicherheit festzustellen, obliegt es uns zunächst, die Histogenese des 1) Herr Dr. Nachtsheim, der die Dinophilus-FTage einer eingehenden morpho- logischen lind experimentellen Untersuchung unterzieht, ermächtigt mich, mitzuteilen, daß nach seinen Beobachtungen allerdings die Dinophilus-Eier (lläimchen- wie Weibchenerzeugende) als junge Ovocyten erster Ordnimg besamt werden, die ^Angaben Shearers über Besamung und amitotische Teilungen der Ovogonien aber nicht zu Recht bestehen. 400 Paul Bucluicr (Sflccoctrj-ws-Spermiums kurz zu erörtern. Dies ist um so nötiger, als die Darstellung, die Hempeljiann hiervon gibt, als nicht ganz zutreffend bezeichnet vrerden muß. Die Spermatocyten erster Ordnung liegen, durch einen Cjdophor vereinigt, als Rosetten in der Leil3eshöhle. Die beiden Reifeteilungen haben -wii’ nicht weiter studiert, da das Objekt hier wie bei der Eireifung für chromosomale Studien recht ungeeignet ist. i\Ian wird daher wohl auch Hempelmaxns Darstellung der Tetradengenese nicht so olme weiteres hinnehnien dürfen. Wenn er das Bukettstadium als ein Spirem auffaßt, das erst später in die Normalzahl von Chromosomen zerfällt, setzt er sich in starken Widerspruch zu den wohl allgemein angenommenen Dar- stellungen dieses Punktes, zumal er nichts von emeni natürhch auch hier deutlich zu konstatierenden leptotänen und pachytänen Zustand spricht. Das Vorhandensein der Mitochonchien entging ihm hier wie auf den Stadien der Spermiogenese. Wir finden sie bereits während der Verniehnmgsteihmgen in fein-staubförmigem Zustand. Sie umgeben die Spindelfigur als ein Mantel, sie selbst und die äußerste Peripherie der Zelle frei lassend und bleiben auch während der Teihmgsruhe erhalten. Ob die Beobachtung, die ich wiederholt machte, daß vor das Stadium eines einheitlichen Kernbläschens ein lockerer, sich erst allmählich ver- dichtender Karyomeritenhaufen eingeschaltet wird, auf eine ständige Er- scheinung schließen läßt, weiß ich nicht mit Bestimmtheit anzugeben. Die Mitochondrien konzentrieren sich in der jungen Spermatide zu einem ziemhch dichten Haufen, der dem Kern eng anliegt (Fig. 23). Ans dieser reichlichen Ansammlung verdichten sich alhnählich drei regelmäßige Mitochondrienkugeln, die sich durch ihre homogene Struktur, ihre scharfen Umrisse und einen schmalen, körnerfreien Hof scharf von den zu ihrem Aufbau nicht verwendeten Mitochondrien (Fig. 24—27) abheben. Während sie ihren größten Umfang allmählich erreichen, verändert der Spernia- tidenkern, der einen feinen punktförmigen Nucleolus enthält, seine Form. Er flacht sich zunächst dort, wo die Kugehi anliegen, etwas ab, die Basis wird entsprechend den Kanten des Kugekh-eieckes ebenfalls etwas diei- eckig (Fig. 25) ; diese Abflachung schreitet immer weiter fort, so daß alle Übergänge zu einem Kern führen, der die Form eines Pilzhutes be- kommt (Fig. 29, 30). Die Seitenansichten dieser Stadien wechseln natür- lich, je nachdem eine oder zwei der Kugeln zu sehen sind. Entsprechend verengt sich der Kern im ersten Fall nach unten (Fig. 28 oben links), und überragt die IMitochondrienkugel, oder die Kugeln sehen im zweiten Fall seitlich über dem halblo-eisförmig aufsitzenden Kern hervor (Fig. 28). Zu dieser Zeit ist der Kerninhalt noch fast gar nicht verdichtet ; zunächst Die Besamung der jugendlichen Ovocyte imd die Befruchtung bei Saccocirrus. 401 neigt hierzu nur die basale Begrenzung desselben. Diese wird dadurch, zumal wenn sie beginnt, sich etwas nach oben in den Kern einzudrücken, sehr scharf begrenzt (Fig. 29). Der größte Teil der nicht verwendeten Mitochondrien schwindet in der Folge (auf den E. H.-Präparaten. Es macht jedoch den Eindruck, daß sie nicht im Spermatidenplasma sich zerstreuen und auflösen, sondern daß sie allmählich noch in die Kugeln einbezogen werden; dafür sprechen Bilder wie Fig. 26, wo der letzte Best diesen dicht angelagert ist). Regelmäßig sind außer diesen noch drei weitere, kleinere Kondensa vorhanden, die sich rasch nach der ersten Anlage des ersten Kugeltrios bilden. Es sind viel kleinere Kügelchen, die zwischen diesen in den drei freien Winkeln stehen. Ich sah sie zum ersten Mal, als der Kern sich abzuflachen begann, diesem an der äußersten Peripherie ansitzend. Das Schicksal dieses zweiten Kugeltrios weiter zu verfolgen, wäre von Interesse. An meinen Präparaten bot dies jedoch Schwierigkeiten. Etwas später fand ich sie oft abgerückt und durch eine feine chromatische Brücke mit dem ursprünglichen Platz am Kern ver- bunden (Fig. 28). Die drei großen Kugeln, die, wie ihr späteres Schicksal erkennen läßt, dem gewöhnlichen Nebenkern der Spermatide entsprechen, zeigen konstante Größendifferenzen. Stets ist eine Kugel beträchtlich größer, was besonders deutlich wird, wenn die Lage der Zelle eine der- artige ist, daß eine kleinere daneben liegt (Fig. 28—30). Wenn der Kern sich abflacht, ist auch die erste xVnlage der Schwanzgeißel vorhanden, die sich von der Zollgrenze bis zwischen die drei Kugeln verfolgen läßt (Fig. 28 ff.). Aus diesen geht die mitochonchlale Umhüllung des Schwanzfadens hervor. Sie strecken sich in die Länge, indem sie sich zunächst nach unten etwas zuspitzen. Hierbei wird ihre verschiedene Größe besonders deutlich, da anfangs eines der Teilstücke beträchtlich tiefer reicht als die übrigen (Fig. 20). Der Kern flacht sich hierbei noch mehr ab und rückt etwas weiter weg von dem Nebenkernapparat, der sich bald rettich- förmig verlängert, ohne seine Dreiteiligkeit zu verwischen. Auf einem nächsten Stadium erscheint plötzlich der vordere gebogene Teil des Kernes stark verdichtet, der hintere, dem nun ein deutUches Centriol ansitzt, dagegen chromatinärmer als vorher (Fig. 31). Auch das Gesamtvolumen ist nun stark verringert worden und der hinter der chro- matischen Kappe liegende Teil des Kernes wird dunkler und homogen (Fig. 32). Die Streckung des Kopfes und die rasche Verlängerung des Mitochondrienmantels um die auswachsende Geißel leiten über zum de- finitiven Spermatozoon. Zunächst färbt sich der ganze Kopf intensiver und spitzt sich etwas herzförmig vorn zu (Fig. 33), wenn die Mitochondrien- 402 Paul Büchner hülle noch ein großes Stück des Schwanzes frei läßt. Mit der Verlängerung des Kopfes geht natürlich seine Verschmälenmg Hand in Hand (Fig. 34). Es resultiert die lange Stahfonn, die sich selten im Hoden, aber stets in den Receptakeln des Weibchens findet und wie wir sehen werden, auch stets in den jungen befruchteten Eiern vorliegt. Die Länge des ganzen Spermiums konnte ich nicht feststellen, da ich keine lebenden Tiere zu Ausstrichen besaß. HEnPELiLvxx teilt uns mit, daß sie wenig kürzer als 1 mm sind. Wir haben es also mit außerordentlich längs chwänzigen Sper- mien zu tun, was verwundern muß, wenn man bedenkt, daß die Gelegen- heit zur Bewegung eine nur sehr geringe ist (vgl. Abschnitt über Be- gattung und Bau der weiblichen Geschlechtsapparate). HE:MPEL:^L\xx hat auch bereits beobachtet, daß der Schwanzfaden später gespalten wird. Ich konnte nicht feststellen, ob dies durch eine tatsächliche Spaltung der Schwanzfibrille bedingt ist, oder, was ebensowohl mögUch ist, nur mit einer Umordnung in der mitochondrialen Hülle zusammenhängt. Hempel:nl\xx hat von der Genese der Spermienteile wohl einige Stadien gesehen, sich in ihrer Deutung aber geirrt. »Das Chromatin sammelt sich etwas hinter dem Äquator des Kerabläschens, das selbst sehr heU und durchsichtig erscheint. Dabei fallen immer cKei große, in der Mitte zusanmienstoßende kugelige Gebilde auf, die sich ebenso intensiv färben, -wie das am Rande verteilte Chromatin. Hinter dem Kernteil bildet sich eine nicht ganz so dunkel zu färbende Masse, das Mittelstück, von dem nach hinten der Schwanzfaden ausgeht. Das Ganze streckt sich mehr und mehr. Es wird auch eine Ai't Spitzenstück vor dem Kern gebildet. Die dunkle Masse des Mittelstückes zieht sich bei der Streckung immer dünner werdend weit nach hinten . . . Teilweise lassen diese Sperniatiden auch jetzt noch einen dreiteihgen Querschnitt des Kopfstückes erkennen, der wohl von dem erwähnten, aus drei Kugeln zusammengesetzt erscheinenden Körper herrührt.« Der Vergleich dieser Schilderung und der sie illustrierenden Bilder mit unseren oben auseinandergesetzten Beobachtungen ergibt, daß Hem- PELWAXX die ^litochondrien in der Spermatide vor der Verdichtung zu Kugeln entgangen sind. Die Kugeln hält er für Kernchromatin, während tatsächlich nur der kleine helle Teil dieses enthält. Das erwähnte weniger dunkle ]klittelstück stellt den allmählich schwindenden Teil der Mitochon- driengranula dar, hefert also nicht (oder höchstens noch zu einem ganz kleinen Teil) die SchwanzhüUe, die vielmehr den für Kernchromatincon- densa gehaltenen Kugeln ihren LTsprung verdankt. Der stabförmige Kopfteil enthält also lediglich Kernchromatin, hinter ihm liegt ein Cen- triol, an dem die von Mitochondrien umhüllte Geißel inseriert. Die Besamung der jugendlichen Ovocyte imd die Befruchtung bei Saccocirrus. 403 Eine reinlichere Scheidung von Kernchromatin und 3Iitochondrien als die Hempelivianns ist bei der augenblickhchen Bedeutung der Frage nach der RoUe der letzteren im besamten Ei natürlich ein notwendiges Erfordernis. Von allgemeinerem Interesse für die Kenntnis der Spermiohistogenese ist aus dem Voranstehenden vielleicht die Ausbildung des Mitochondrial- apparates. Eine so allmähliche Kondensation von dichten scharf um- schriebenen Mitochondrienkugeln aus staubförmigen Mitochondrien nach der letzten Reifeteihmg dürfte ziemlich selten sein. Meist stellt der Nebenkern ja sogleich ein kompaktes Gebilde dar. x\uffallend ist ferner die absolut regelmäßige 3-Zahl der Kugehi. Hierzu gibt es eine Anzahl Parallelen. Bei Echinodermen und Würmern stellen die i\Iitochondrien öfters regelmäßige Kugeln dar, die hinter dem Kopf gelegen sind. Dort aber bleiben sie im definitiven Spermium als solche erhalten, während beim Saccocirrus, wie gewöhnlich, die allmähliche Streckung des Neben- kernapparates einsetzt. 3. Bau der Geschlechtsorgane des Saccocirrus. Bevor ich in den cytologischen Teil meiner Beobachtungen eintrete, möchte ich kurz über den Bau der Geschlechtsorgane und die Nephridien berichten, soweit ilme Kenntnis zum Verständnis der Begattung und Besamung notwendig ist. Ich schließe mich dabei lediglich referierend an Hempelmanns Ergebnisse an. Die Saccocirriden sind durchweg getrenntgeschlechtlich. Soweit der Mitteldarm die Segmente durch- zieht, d. h. bei Saccocirrus pa'pillocercus meist vom 15. Segment an, bei S. major beim 20., finden sich Gonaden. In jedem dieser Gonaden tra- genden Somiten trifft man im männlichen Geschlecht zwei Spernia- ducte. Sie beginnen mit einem weiten Wimpertrichter in der Leibes- höhle, durchbrechen das nächste Segment, bilden einige Schleifen, nehmen kurz vor ihrer Mündung eine Vesicula seminalis auf und enden seitlich auf der Spitze eines vorstreckbaren mit Cuticularstäben gestützten Penis kurz vor dem Parapodium. Einfacher gebaut ist der Oviduct des Weibchens. Er beginnt im Cölom mit einem kleineren Trichter, »durchbricht das betreffende Septum, und läuft als gerader Kanal mit bewimpertem ziemlich weitem Lumen in dem oberen Winkel der Seitenkammem des Cöloms, der durch das Herantreten der Transversalmuskeln an die Körpei-wand gebildet wird, nach hinten und biegt dann rechtwinklig nach der Ventralseite zu um, wobei er seinen Weg zwischen dem ventralen Längsmuskelfeld und der Haut nimmt. Schließlich mündet er etwa in der Mitte des Querschnittes jenes Muskelfeldes, also seitlich ventral, ins Freie«. 404 Paiü Bucliner Schon längere Zeit kennt man außerdem am weiblichen Apparat einen gemeinsam mit dem Oviduct mündenden Gang, der den Haut- muskelschlauch senki’echt durchquert und zu einem mächtigen Blind- sack, dem Receptaculum seniinis erweitert. Hempelmann machte die interessante Beobachtung, daß es sich hier tatsächUch um ein ursprüng- liches Nephridium handelt. Denn das »Receptaculum« verengt sich wieder und geht in einen engen Kanal über, der dem Ovarium dicht an- liegt und von ihm fast ganz umwachsen wird, dieses so durchzieht, das nächste Segment durchbricht und neben dem Trichter des Oviducts einen ebensolchen, nur kleineren, entfaltet. Das Exeretionsorgan hat also sekundär die x\ufgabe übernommen, den Samen aufzustapeln und in das Ovar zu leiten. Die Gonaden entstehen am hinteren Rande der Dissepimente, in ungefähr gleicher Weise in beiden Geschlechtern. Die Hoden bleiben jedoch klein, da sich die Spermatocyten vom Keimlager lösen und in der Leibeshöhle die Reifung vor sich geht ; die Ovarien wachsen beträcht- lich heran. Die Ovogonien und jüngsten Ovocyten finden sich stets in un- mittelbarer Kähe des vom Receptaculum kommenden Nephridialkanales, von dem aus die Spermien diese Region des Ovars infiltrieren und die Ovocyten besamen. Die Eireifung und — nach meinen Beobachtungen in den selteneren Fällen — auch die Verschmelzung der Vorkerne geht noch im geschlossenen Verbände des Ovars vor sich; dann erst fallen die Eier in die Leibeshöhle, die sie oft nahezu erfüllen, da sie nur ruckweise in gi'oßer Zahl entleert werden. Erst der Übertritt in das Seewasser ermöglicht das Einsetzen der Furchung. Die Receptacula sind stets alle prall gefüllt, so daß man schließen muß, daß bei der Begattung die zahlreichen männlichen und weiblichen Geschlechtsöffnungen sich genau decken. 4. Oie frühzeitige Besamung der Ovocyte und das Verhalten des Spermiums bis zum Beginn der ersten Reifeteilung. Nach unsern Beobachtungen stellt sich nun die Besamung des Sacco- cfm -J- . 32 33 Gille. o - 2 o : ■ili V>v / '\. J o 1. X ‘^■ d. /'■ 3 2' •^( 'N--- — 3 / hi. Verlas von Wilhelm Enili; Tafel XXXIV. ti-2. manu in Leipzig und Berlin • Ricerche sulla fine struttura dell’ epidermide umana normale in rapporto alla sua funzione eieidocheratinica. Nota 1. 11 corpo malpigliiaEO e la produzione fibrilläre deir epidermide. Del Dott. Leonardo Martinotti, (Ainto e libero docente) (Clinica dermatologica della R. Universitä di Modena, Direttore Prof. P. Colombini.) Con tavola XXXV. I. In precedenti comunicazioni i) ho esposto i risultati di miei studi intesi a riconoscere la fine struttura deU’ epidermide umana in relazione specialmente aUa sua funzione cornea normale. Ho dato colä anche un dettagliato elenco dei metodi, delle numerose SOStanze coloranti adoperate, e dei nuovi procecümenti tecnici proposti. Non starö qui a ripetermi per ciö che riguarda questa parte dei miei studi, mi limiterö solo a esporre nei singoli capitoli la tecnica usata. In questo mio lavoro mi sono prefisso soprattutto di studiare il feno- meno della corneificazione quäle esso si effettua nella cute umana nor- male. A tale uopo in una prima serie di ricerche mi sono servito di ma- teriale freschissimo, ancora caldo, tolto da operazioni chirurgiche e gen- tilmente fornitomi da colleghi, e specialmente di polpastrelli di dita deUe mani e dei piedi. Essi venivano fissati in formolo al 10% (Formalina Schering cc. 10, acqua destillata cc. 90) per 3—6 giorni e poi eventual- mente conservati in formolo al 4% oppure in alcool a 60°— 80°. 1) Martinotti, Seduta dei 21. Giugno 1913 deUa Societä Medica di Modena. — XV. Riunione deUa Soc. Dermatologica italiana. Roma, Dicembre 1913. [Anat. Anzeiger 1914.] ArchiT f. Zellforschung. XII. 30 458 Leonardo Martinotti In una seconda serie ho provato sempre sulle stesse regioiii della cute, l’azione di altri fissativi e dei diversi metodi di inclusione. In una terza, avendo potuto disporre di altro materiale e special- mente del cadavere (subito dopo la morte) di un giovane uomo di 20 anni deceduto per meningite cerebrospinale, ho esteso questi miei studi alle varie regioni della cute umana, ed anche ai peü e alle unghie. iVltrettanto ho fatto in cadavere di giovane donna. Non ho praticato estese ricerche nella pelle di persone di diversa etä, non essendomi finora occorso materiale adatto allo scopo. Andrö esponendo, in memorie successive, i risultati delle mie ricerche intorno alla funzione fibrilläre, alla funzione cheratojalinica, alla eleidinica e cheratinica. Descriverö quanto ho potuto constatare sotto questo ri- guardo a carico dei peli e delle unghie, e finalmente prenderö in consi- derazione il processo della corneificazione umana dal punto di vista bio- chimico. A scanso di inesattezze debbo avvertire che, quando nuUa e detto in contrario, tutte le ricerche sono state eseguite sopra sezioni libere, fatte al congelatore, di pezzi fissati in formolo, che dopo esser state sotto- poste ai vari 'trattamenti venivano passate in alcool assoluto, benzolo, xilolo^), balsamo del Canadä neutro di Grübler. ' II. Spetta al Malpighi (1628—1694) il merito di per aver primo dato un’ esatta descrizione della cute umana, di cui egli distinse repiderniide e il derma (al quäle assegnö il pannicolo adiposo); suddivise il primo in due Zone: la cuticola (cioe lo strato corneo) che egli descrisse come un complesso lamellare, e il corpo niucoso, de cui vide esattamcnte la con- formazione e la struttura nei suoi rapporti col corpo papillare, fatto come una membrana pertugiata a modo di reticolo (donde il nonic datogli di rete mucosa). Della pelle si occuparono anche il Leeuwenhoeck, il Fontana, il Purkinje. Piü tardi il Gaultier ammise P esistenza di una membrana chiara, trasparente, posta fra le due zone descritte da Malpighi e la cliiamö pellucida su])crficiale. 1) E niio USO passare le sezioni deH’alcool in benzolo, perche questo si scioglie anche a voliuni eguali in alcool a 90°: e necessario perö usare Benzolo piuissiino cristal* lizzabile di Merck. Ricerche sulla fine struttura deU’ epidermide umana normale ecc. 4:59 In appresso il Dutrochet, vi aggiunse la pellucida profonda, e chiamö Strato colorato il corpo di Malpighi. La distinzione di Malpighi in corpo mucoso e strato corneo e stata da ultimo definitivamente sanzionata da tutti gli studi degli istologi e dei derniatologi moderni, e da molti anclie oggi si ammette che in niolte regioni deUa pelle sia la sola distinzione possibile. Forse ciö non e perfettamente esatto, ma in qualunque modo e indiibitato che essi co- stituiscono i due strati piü appariscenti e piü costanti della cute umana. Mertschixg e Kaposi dividono 1’ epidermide in corpo mucoso, Strato lucido e strato corneo, ma la divisione non e piü seguita. Unna distingue lo strato spinoso, il granuloso e il corneo; questa classificazione perö come la prima e incompleta perche mette in secondo ordine lo strato lucido che, come vedremo, esiste costantemente. E piü logico di seguire le distinzioni fatte dagli autori moderni com- prendenti come strati fondamentali il corpo malpighiano, il granuloso, il lucido, il corneo (Ranvier, Darier, Branca, Ehrjiann e Fick, Ma- jocchi, Mibelli, Krojuyer ecc.). Nel corpo Malpighiano, o corpo mucoso, o reticolo del Mal- pighi, vanno prese in considerazione due zone; la zona basale, e quella filamentosa. Lo strato basale (Str. germinativo di Ranvier, Robin), zona genera- trice (Remy, Kölliker), assise basilaire (Branca), str. cilindiico, ecc., e costituito di cellule i cui caratteri fondamentali sono dati da un nucleo grande, ovale, o rotondo, ricco di cromatina, fortemente colorabile, spesso in atto di scindersi per cariocinesi, e da un corpo cellulare di forma cubica 0 cilindrica, col grande asse diretto perpendicolarmente alla superficie della cute. Questi elementi, compressi gli uni contro gli altri, per lo piü disposto in un solo, di rado in piü strati, hanno essenzialmente per ufficio di riprodurre gli elementi cellulari che nell’evolvere successivo delle loro funzioni vanno continuamente perduti. Lo strato filamentoso, o str. spinoso, o corpo di Malpighi propr. detto, rappresenta un prodotto di ulteriore evoluzione dello str. basale, col cpiale si continua insensibilmente. Esso comincia a presentare prestissimo e soprattutto in certe regioni, i primi prodotti dell’ attivitä chimica speci- fica delle cellule epidermiche. Bare che il Weber sia stato il primo a intravvedere delle formazioni negli elementi di un epitelioma che egli paragonö a delle ciglia vibratili. ScHRÖN nel 1864 chiamö poro-canali, dei proiungamenti che riunivano tra loro le varie cellule e che egli interpretö come canalicoli adibiti alla circolazione della linfa nella cute. Schultze ritenne che le stesse for- 30* 460 Leonardo Martinotti mazioni fossero appendici che si toccassero tra di loro come i denti di ruote dentate: Raxvier (1879), le descrisse come »Spine« delle cellule epiteliali che potevano essere seguite nell’ interno del corpo cellulare : Bizzozero infine (1883) le considerö come ciglia emananti dalla mem- brana cellulare, che si univano tra loro direttamente (queUe di una cellula con quelle di un’ altra) con un contatto diretto per mezzo di un piccolo nodo. Gli spazi interciliari dovevaiio invece servire alla circolazione hnfa- tica; spazi che secondo Axel Key e Retzius erano suscettibih di essere iiiiettati. CoLOMiATTi, Lott, i\LuoccHi, confermaroiio il concetto di Bizzozero, solo il Lott ammise che runioiie avvenisse per un contatto laterale. Rax- vier ulteriorniente completö tali studi e sostenne che gli elementi dello Strato spinoso dovevano paragonarsi alle cellule della nevroglia, e che i filanienti di unione (come egli li chiama) rappresentavano formazioni elastiche. Vide che le cellule del corpo niucoso erano attraversate da fini fibrille che poi si continuavano nei ponti intercellulari. Cajal sostenne che vi era un nesso tra la fibrillazione dell’ epiderniide malpighiana e il processo di corneificazione. Dopo gli studi del Bizzozero e di Raxvier la struttura fibrilläre del corpo nialpighiano fu definitivamente fissata e le richerche ulteriori non fecero che ampliare e completare i dati fondamentalmente stabiliti dai due autori. Ed io raninienterö a questo proposito le ricerche di Blaschko, Kro- MAYER, KÖLLIKER, HeRXIIEIMER, BeXECKE, ReIXKE, V. DER StRICHT, Rabl, Schultz, Uxxa, Eddowes, Ehrmaxx, Locatelli, Migliorixi, Pasini, Schridde, Biach, Thompsox, Rosexst.\dt, ecc. Dal coniplesso di tutti questi studi e risultata una conoscenza quasi completa della struttura delle cellule epidermiche del corpo nialpighiano, le quaii dai tedeschi, per la loro forma particolare, scno state anche dette cellule alate. Esse sono descritte come elementi grandi, con un nucleo voluminoso, rotondo, chiaro (a doppio contorno) niunito di nno o due niicleoli. Tutto attorno e stato osservato uno spazio chiaro in immediato rapporto col nucleo (endoplasma di alcuni autori) e piü esternaniente una zona piü scura protoplasmatica (esoplasma). In questa per Tappunto si manifesta evidentissima la produzione di particolari formazioni f'brillari e piü specialmente in quelle regioni della cute nelle quaii la strato fila- mentoso e piü spesso (regioni volare e plantare in genere e parti limitrofe). Suir esistenza di queste fibrille (tonofibrille di alcnni autori) non vi e piü discussione, ma se ne discute invece la natura, Porigine, i rapporti reciproci, la funzione. Ricerche siüla fine struttura dell’ epidermide umana normale ecc. 461 Benecke, Schütz, Rexaut ritengono che le fibrille esistano solo nella parte piü periferica del protoplasma (filainenti esoplastici di Benecke). Unna distingue una zona endoplasmatica perinucleare molto cromo- fila ed una esoplasmatica, assai meno colorabile, a eui assegna il signi- ficato di una membrana: questa niembrana non si osserva nello strato l)asale, dove al suo posto si trovano gli spazi linfatici di Key e Retzius ma si forma negli strati superiori. La maggioranza degli autori ritiene che tutto il corpo protoplasmatico sia attraversato dalle fibrille, le quali disposte in senso parallele, o raggiato, si intersecano in vari sensi formando un reticolato che riempie tutto il corpo cellulare e che si dispone nella cute umana normale con una certa regolaritä. Uscendo dal protoplasma le fibrille si continuano coi cosi detti ponti intercellulari (Kölliker, Darier, Kromayer, Pianese, Rabl, Ramon Y Cajal, Ranvier, Unna, Weidenreich) che si osservano fra celliila e cellula. Qui perö vi e discussione: mentre questi ponti furono interpretati come prodotti di sostanza interfibrillare da Ranvier, furono invece con- siderati come provenienti dalla membrana cellulare da Cajal, da Kro- MAYER e da Manille; e Kölliker li ritenne originati dal protoplasma. Air incirca verso la metä di questi ponti intercellulari si osserva una specie di rigonfiamento, di punto nodale, che e stato descritto da Ranvier e da questo considerato come un ispessimento.prodotto dalla retrazione dei filainenti di unione, che sarebbero di natura elastica. Bizzozero con- divide tale parere. Manille, Reinke, AVeidenreich li considerano come gli omologhi dei corpiiscoü che si osservano nelle fibrille vegetali, cioe dei dermato- sonii. L’opinione di Ranvier e Bizzozero, aniniessa da nunierosi autori, senibrerebbe essere contraddetta dal reperto di Polverini, che avrebbe visto questi rigonfiamenti conservati nell’ edenia dove le cellule sono allontanate Luna daU’altra. Contro a tale reperto sta a sua volta quello di Kussbaum che, nelle niedesinie condizioni, li avrebbe invece vediiti scomparire; nonche di Cajal, Kolossow, AA'eidenreich, che avrebbero notato il formarsi di veri e propri rigonfiamenti alhingati, fusifornii. Rosenstadt nega l’esistenza di nodi; essi sarebbero una piira par- venza e corrisponderebbero ai piiiiti di intersecaniento delle fibrille se- zionate. Rabl e dopo di lui Reinke ammisero che appartenessero a una mem- brana ravvolgente le cellule epiteliali, e i loro punti di unione formassero 462 Leonardo Martinotti precisamente ima linea ininterrotta che da un lato dava saldezza al siste- nia fibrilläre, dall’ altro veniva di per se stessa a costituire la membrana. A riprova della sua ophiione fece osservare come col procedimento della digestione, gli elenienti piü alti dello strato filamentoso lasciano apparire un involucro al pari delle cellule coniee. ÜKNA e Studnicka, amniisero essi pure l’esistenza di una meni- brana, che per rappunto sarebbe data da un ispessimento della sostanza protoplasniatica pericellulare. Per Ida Manille (1888) sarebbero le fibrille stesse che darebbero un denso reticolo, d’aspetto membranoso, e la formazione nodulare altro non sarebbe se non il coniplesso dei nodi dei reticolo da cui partono le fibrille che si portano nella cellula adiacente. Anche Cajal aminette Fesistenza della membrana, e sostiene che i filamenti siano costituiti da due guaine concentriche, di cui una pro- verebbe dalla membrana stessa. Secondo tale autore le fibrille epiteliali sarebbero propaggini endocellulari della membrana. Fra cellula e cellula, e attraversati dai filamenti di unione, esistono speciali spazi intercellulari che furono variamente interpretati. Renaut sostenne che essi contengono dei cemento che si raccoglie in forma di perle rifrangenti attraversate dai ponti di unione. Parimenti Retterer attrilmi loro il valore di una sostanza inter- cellulare incolora (jaloplasma), che sarebbe attraversata dai ponti inter- cellulari. Ranvier, Flemming, Cohn, Branca attribuiscono invece il signi- ficato di spazi linfatici intercellulari nei quali circolerebbe la linfa epi- tehale di Flejeviing. Ciö e appoggiato dal reperto molte volte notato di globuli rossi e bianchi in seno ad essi e dagli esperimenti di Key e Retzius che avrebbero potuto riempirli con iniezioni, come i vasi lin- fatici. Si studiarono pure le forme, il decorso, i rapporti reciproci delle fi- brille epiteliali. Giä Ranvier ed Unna avevano fatta distinzione fra le fibrille corte e quelle lunghe, e Unna aveva potuto constatare anche delle fibrille giganti. Rosenstadt ha fatto sistematicamente sezioni trasversali (o fron- alti), sagittali e parallele alla superficie cutanea e in tutte ha sempre tro- vato le stesse configurazioni fibrillari. Fasci di fibrille disposti in senso longitudinale col maggior asse delle cellule. In base a ciö egli distingue tre categorie principali di fibrille (a cui vanno poi aggiunte tutte le forme di transizione): Ricerche sulla fine struttura dell’ epidermide umana normale ecc. 463 1. Fibrille longitudiiiali, decorrenti dal lato prossimale verso quello distale. 2. Fibrille trasversali, che si dirigono a destra e a sinistra della cel- lula, e che, all’ esterno di questa, vanno a formare i ponti intercellulari. 3. Fibrille perpendicolari che dallo strato cilindrico dell’ epidermide si dirigono verso quello granuloso. In base a tale classificazione Rosenstadt amniette che in ogni spazio intercellulare esista una sola specie di fibrille, e nei tagli frontali e paralleli, le fibrille trasversali vengono naturalmente a trovarsi sezionate. ScHRiDDE, Rosenstadt, Anitschkoff, hanno veduto fasci di fi- brille arciformi che partendosi dallo strato basale si dirigono verso l’alto e terminano nello strato spinoso a varie altezze. Schridde e Anitschkoff descrivono la parte terminale delle fibrille come appuntita, Herxheimer ritiene che essa di regola sia invece in- grossata. Si e discusso ancora sopra alcune formazioni descritte da Herx- heimer; questo autore avrebbe visto delle particolari fibrille foggiate a spirale, che hanno sede specialniente nello strato basale^) e le inter- pretö dapprinia come sbocchi di un sistenia di canali, di poi come con- torni cellulari. Eddowes e Jadassohn le considerarono come fibrina, Benecke, Schütz, Ehrmann, le ritennero artefatti. Per Unna e Kromayer, Migliorini e Locatelli, fanno parte delle fibrille epiteliali: tutt’al piü si debbono ritenere fibrille piü colorabili deUe altre. Weidenreich, Anitschkoff, e molti altri ritengono che l’aspetto spirale rappresenti appunto una forma particolare con cui le fibrille coni- paiono nello strato basale. Herxheimer ha descritto anche particolari ciuffi di fibrille extra- cellulari situate a un polo del nucleo, irradianti verso la cute, che piü tardi egli stesso ha ammesso far parte delle fibrille epidermiche. Altre speciah fibrille trasversali (contestate da Weidenreich e da Anitschkoff) sono state osservate da Rabl. Per riguardo alla natura delle fibrille epidermiche, Sheridan Dele- PiNE e dopo di lui Ida Manille (1890) hanno sostenuto che esse rappre- sentano l’avanzo dei filamenti acroniatici sperdutisi nel processo deUa citodieresi. Tale opinione, severamente criticata da Henneguy e da Branca, non e oggi comprovata dalle ricerche piü recenti. 1) Va ricordato che Ranvier per primo e dopo di lui molti altri autori, negarono l’esistenza delle fibrille nello strato basale. 464 Leonardo Martinotti Arnold crede le fibrille epiteliali costistuite di plasmosomi, e le ravvicina alle forniazioni analoghe delle cellule epatiche (filam. di Pflüger e Kuppfer), di queUe renali e via dicendo. Pappenheim le ravvicina alle fibrille del sistema nervoso. Unna estendendo alle cellule epiteliali la sua teoria della presenza di uno spongioplasma e di un granoplasraa come costituenti elementari di tutte le cellule, ritiene che le fibriUe rappresentino un prodotto evolu- tivo, funzionale delle cellule stesse (soprattutto destinate a scopo di di- fesa), situati fra le maglie dello spongioplasma. Migliorini accoglie almeno in parte la teoria di Unna. Herxheimer accetta la teoria di Bütschli, ainmette uno spongioplasma alveolare e propende invece a ritenere il granoplasma come un prodotto patologico dovuto alla frammentazione del reticolo. In massima la maggioranza degli autori moderni li ritiene una produzione protoplasmatica (esoplasma di Studnicka). Per i ponti e i canali intercellulari sono noti i metodi di Kolossow, Mitrophanow, Keinke ecc. Per la dimostrazione delle fibrille sono stati preconizzati vari me- todi. Ranvier le esaminö coi prismi di Nicol e notö la loro birifrangenza, e Blaschko attesta che si possono vedere anclie senza colorazione su se- zioni di pezzi fissati in liquidi cromici. Kro>uyer, Fischel, Benecke, Unna usarono varie modificazioni al metodo Weigert (violetto di metile, sol. di Lugol, anilina-xilolo). Reinke adoperö la safranina, poi liquido di Lugol e acido picrico. Van der Stricht usava una fissazione prohmgata in liquido di Flemming 0 di Altmann, trattaniento con acido pirolegnoso, colorazione con safranina. Schütz attesta che le fibrille epidermiche possono rilevarsi con Fenia- tossilina ferrica di Benda e di Heidenhain, col carminio ferrico di Za- charias, e in particolar modo consiglia di colorare con estratto di legno di campeggio e successivamcnte trattare con acido picrico e poi con sol- fato di ossido di ferro. Weidenreich, Tischutkin, Anitschkoff raccomandarono special- niente il metodo Heidenhain all’ ematossihna ferrica. Herxheimer raccomandö alcune modificazioni al metodo Heiden- hain (sostituzione deU’ allume con percloruro ferrico, dell’ ematossihna con alizarina) e soprattutto si servi del metodo Weigert per la nevroglia; Ricerche siüla fine struttura dell’ epidermide umana normale ecc. 465 raccomandöinoltreunparticolaremetodo al chreslylcchtviolettoed aU’etere aceto-acetico. Unna dopo aver dato una speciale niodificazione al metodo Weigert, ne raccomandö imo particolare basato suirazione inordente reciproca del Wasserblau coirorceina in soluzione acetica. Pasini ha dato una buona niodificazione di tale procedimento. ScHRiDDE ha usato il suo metodo per la colorazione delle granulazioni cellulari. Alla questione: quäle di questi metodi sia il migliore, e assai diffi- cile rispondere. Intanto i procedimenti proposti da Schridde, da Herx- HEiJiER (metodo Weigert per la nevroglia) sono lunghi e difficili. Il metodo Keinke puö dar buoni risultati quando si dispone di una buona safranina (che oggi non e facile trovarej ; i metodi Weigert-Kromayer, Weigert-Fischel e quello recente di Unna (specialmente nella niodi- ficazione di Pasini) sono da considerarsi forse come i migliori. Nemmeno essi perö vanno esenti da difetti, e ciö e stato notato da altri autori; cosi Anitschkoff fece rilevare le alterazioni che si produ- cono coir essiccamento nel metodo Weigert, Ehrjiann il raggrinza- niento portato dalP uso dell’ anilina xilolo e via dicendo. Si veggano, per le critiche dei metodi di dimostrazione delle fibrille in genere i lavori di Biach e di Anitschkoff. Ma soprattutto, e, secondo me, da osservare che tutti i metodi pro- posti danno inconstanza di risultati: un miglioraniento grande si ottiene servendosi di sezioni libere, precauzione questa che sarebbe bene ognuno usasse in tutte le ricerche accurate e minute di citologia: rappiccicamento delle sezioni ed altre manipolazioni, tanto comode per chi ha molto la- voro, possono far variare grandemente le af finita coloranti fin al punto da mutarle totalmente. Ad ogni modo perö anche con tale precauzione i metodi non vanno esenti da difetti. Per questa ragione nello studiare il processo della eleido-cheratinizza- zione cutanea normale, ho coniinciato le ricerche ab ovo, nei piü niinuti particolari di tecnica e di struttura, e ho cercato quali siano i mighori mezzi di fissazione, inclusione, colorazione. III. E necessario anzitutto servirsi di pezzi freschissimi, presi da opera- zioni chirurgiche o da biopsie. Dopo 24—48 ore dalla iiiorte, molte fibrille pvobabilniente per un fenomeno di autolisi, non sono piü nettamente dimostrabili. 466 Leonardo Martinotti I fissativi che meglio si prestano sono il forniolo in soluzione allO°o^), i] forniolo con ferroeian. di K (fissativo di Bulliard), o con sali di Carls- bad (fiss. di Bonn), il liquido di Orth, quello di Helly, il fiss. di ÄIaxi- mo\v2), l’alcool, il fiss. di Telliesxizky»), quello di Perenyi, e quello di UxNA^l. Bisogna invece diffidare di certi altri mezzi di fissazione coine ad es. il metodo della cottura, i liquidi che contengono molto acido osmico o molto acido acetico (liquidi di Flemmixg, Hermann, LindSay, Marchi, Benda, Alt>lann), coi quali puo apparire un minor numero di fibrille. Le formole piü in uso di fissatori a base di acido osmico contengono per lo piü anche dei sali cromici i quali hanno ottimo potere fissatore delle fibrille e allora l’azione deleteria deiracido osmico e deH’acido acetico puö essere in parte controbilanciata. Dei fissativi a base di acido osmico, uno di quelli che da le migliori immagini e quello di Maximow; assai meno bene, ma ancora discreta- mente, possono rilevarsi le fibrille con i liquidi di Flemming e di 1\L\rchi. II niezzo di inclusione adoperato non ha importanza eccessiva, se non in quanto, producendo coartazione o deforniazione dcl pezzo, puö alterare i rapporti reciproci delle varie parti. Molte SOStanze coloranti tingono in maniera piü o meno elettiva il Protoplasma delle cellule malpighiane: la Vesuvina, la Tropeolina 000, la Brillantcrocein 3BX, il Bordeaux R, la Brillantcrocein 00, la Crocein- scharlach, rEchtscharlach, il Blauschwarz B, il Rosso Congo, il Brillant- congo R, il Congocorinth G, il Ivristallponceau, il Diaminreinblau, il Pa- latinchromblau, le Alizarine (soprattutto la Xitroalizarina), il Bleu di Chinoleina, la Cerulein S, TOrceina, il Verde liice, il Verde jodo, le Fenil- rosaniline in genere, come pure le Ftaleine, le Rodamine e le Safranine. Fra tutti questi colori quelli che soprattutto si prestano bene per dimostrare le fibrille epidermiche sono il Bleu di chinoleina, l’Eritrosina, la Rodamina B, il Girofle. PAzzurro di indoina, il Victoriablau B. E notevole la affinitä naturale che verso le fibrille hanno le Safranine : colorando con fenosafranina o tolusafranina acquose (1%) e successi- vamente trattando con acido picrico acquoso saturo, e differenziando in alcool, si ha la colorazione di alcune fibrille epidermiche e dello strato eleidinico. Perö le safranine che meglio servono a tale scopo, sono il Gi- rofle, e rindoina. 1) Formolo di Schering cc. 10; acqua distiUata cc. 90. 2) Liquido di Zenker cc. 100 + formolo cc. 10 + acido osmico al 2% cc. 10. 3) Alq. modificato: Bicromato di potassio 3% acido acetico 1%. Acido picrico, acido tannico, aa. gr. 1; acido nitrico 0,1; acqua distiUata cc. 100. Ricerche sulla fine struttiira dell’ epidermide umana normale ecc. 467 Vengoiio dopo l’eritrosina e le cianine e infine le rodamine, e fra queste soprattutto la safranilina (Rhodamin B) e piü iudicata delle altre. In conclusione i seguenti metodi mi hanno dato i migliori risultati per la dimostrazione delle fibrille: Fissazione in soluzione di formolo al 10%, oppiire nel liqnido di Tellyesnizki modificato. Sezioni al congelatore, oppure inclusione in paraffina mediante il benzolo, ranilina-benzolo, sparaffinate e trattate libere. Colorazione con metodi che ora andrö esponendo, 1. Metodo alla Rodamina. 1. Soluzione di ematossilina ferrica di Weigert alcoolica^); 2. Alcool cloridrico; acqua di fonte; 3. Soluzione di Safranilina (Rodamin B) acquosa al 0,5 1,0%, 5'] 4. Acqua destillata; 5. Soluzione acquosa satura di picrato di ammonio 1'; 6. Acqua destillata; 7. Alcool assoluto; 8. Benzolo-Xilolo-Balsamo. Con tale metodo risultano: Le fibrille epidermiche colorate in rosso vivo; I muscoli in azzurro; Lo Strato lucido in rosso scarlatto; La cheratojaUna in violetto (ematossilina). II metodo serve anche per sezioni appiccicate al vetro; in questo caso perö si corre il pericolo che non tutte le fibrille vengano colorate. 1) Do iina volta per sempre la formula della modificazione da me usata alla solu- zione di ematossilina ferrica di Weigert. j I Ematossilina gr. 2 ( Alcool metilico assoluto puro (Merck) . . . . cc. 100. Lasciar maturare aUa luce, in boccetta ben tappata la soluzione per 4 — 8 — 10 giomi. (Acido cloridrico cc. 2 Percloruro di ferro (tint. officinale) » 8 Alcool metilico puro assoluto » 90. Mesci le due soluzioni a p. uguali. La miscela cosi ottenuta in boccetta gialla, ben tap- pata, e pronta subito all’uso, stabile e inalterabiie. Si colora per 2' — 3': si differenzia in alcool cloridrico previo lavaggio in acqua ecc. 468 Leonardo Martinotti II. Metodo al Girofle. 1. Soluzione all’ 1% di Girofle (dimetilbenzoxililsafranina) 5'— 10'; 2. Brevissinio lavaggio in acqua; 3. Soluzione acquosa satura di acido picrico (la soluzione alcoolica decolora eccessivamente) 1'— 2'; 4. Lavaggio in acqua; 5. Differenziamento in alcool assoluto (controllando!); 6. Alcool assoluto rapidissimamente ; 7. Benzolo, Xilolo, Balsamo. Fibrille, cheratojalina e strato lucido rosso ciliegia intenso. Strato corneo giallo. Si puö fare agire antecedentemente rEmatossilina ferrica, che perö riesce piü o meno decolorata dall’ac. picrico. Colle sezioni appiccicate al vetro non serve. Su pezzi fissati in Bicromato di K si ha anche una bella colorazione nucleare, e le immagini sono nettissime. III. Metodo al Victoriablau B — Kristallponceau. 1. Soluzione acquosa di Victoriablau B 1%, 5'; 2. Lavaggio in acqua; 3. Controcolorazione e mordenzaniento in soluzione acquosa di Kristallponceau l°o, 1'; 4. Lavaggio in acqua; 5. Differenziamento in alcool assoluto (fintantoche il connettivo sia roseo); 6. Alcool assoluto — Benzolo — Xilolo — Balsamo. Fibrille bleu violette. Muscoli rossi. Strato lucido rosso scarlatto. Membrane cellulari, fibrillature del corneo azzurre. Molti nuclei, come pure molte fibre elastiche e prodotti degenerativi del collageno e dell’ elastina (collacina, collastina ecc.) sono colorati in azzurro violaceo^). Le immagini sono elegantissime, e il metodo, che e forse il migliore, serve anche per sezioni appiccicate. 1) La colorazione di tali elementi e ancora piü intensa se si fa agire (dopo 4) una soluzione di tannino orange. Ricerche suUa fine struttiira dell’ epidermide umana normale ecc. 469 IV. Metodo all’ Indoina-Eli antina. 1. Colorazione con azzurro d’iiidoina (cloridrato di Safraninazo-/?- Naftolo)!), acquosa concentrata 5'; 2. Lavaggio in acqua; 3. Soluzioiie acquosa di Eliantina al 0,5%, 1'— 2'; 4. Lavaggio in acqua; 5. Differenziamento in alcool fino a tinta giallo oro del connettivo. 6. Alcool assoluto — Benzolo — Xilolo — Baisamo. Fibrille epidermiche gigrio-nere nettissime. Si puö antecedentemente fare una colorazione con litiocarniinio, e successivo differenziamento in alcool cloridi'ico: si possono allora vedere bene i rapporti fra nuclei e fibrille. V. Nella stessa maniera dei due metodi precedenti puö usarsi il Vic- toriablau B 0 r Indoinblau o il Janusgrün colla Xeucoccin (colore analogo al Kristallponceau). VI. Delicatissime immagini delle fibriHe epiteliali e preparati molto eleganti si hanno combinando l’azione dell’eritrosina con quella deUa cianina^ Queste due sostanze hanno di per se una affinitä naturale verso il Protoplasma fibrilläre dello strato spinoso: facendole agire successiva- mente esse manifestano un potere mordenzante reciproco ; se si differenzia successivaniente con picrato di ammonio (e volendo si fa precedere una colorazione con rosso d’acridina — che non serve nel metodo particolare come colore nucleare, nia anch’esso agisce da mordente) si ha complessi- vamente un metodo che da elegantissimi preparati. Esso perö e un po’ piü lungo degli altri, e occorre un po’ di pratica per ottenerne buoni risultati. Su sezioni appiccicate non serve affatto. Ecco in breve i vari passaggi (il rosso di acridina non e necessario): 1. Soluzione acquosa di eritrosina all’ 1%, 3'— 5'; 2. Acqua distillata; 3. Soluzione alcoolica di cianina (bleu di chinolina) all’l^o in alcool a 95°, 5'— 10'; 4. Acqua distiUata; 5. Soluzione acquosa satura di picrato di ammonio 1'; 6. Acqua distillata; 1) Il bleu di indoina e im azoderivato della Safranina, ossia un cloridrato di Safra- ninazoß-naftolo. Va notato che la soluzione acquosa si conserva poche ore, assumendo subito une consistenza gelatinosa, e la soluzione alcoolica non serve. E bene preparare ogni volta la soluzione con ima punta di coltello di sostanza entro due dita di acqua distillata, in una comune piovetta. 470 Leonardo Martinotti 7. Alcool assoluto (controUare il differenziamento) ; 8. Alcool assoluto, benzolo, xilolo, balsamo. Cheratojalina e fibrille epidermiclie violette. Strato lucido rosso o aranciato i). Di tutti questi metodi, i piü seinplici e piü sicuri sono quelli airazzurro di indoina e piü ancora al bleu Vittoria^). E necessario in ogni caso fare preparati in cui il diverso grado di differenziamento ottenuto coll’alcool permetta di aver tutte o parte delle fibrille colorate ; in tal maniera si possono vedere nieglio i rapporti, il modo di forniarsi, l’evoluzione, il modo di disporsi, il quantitativo delle fibrille stesse. Le sezioni appiccicate al vetro possono falsare i risultati. Solo col metodo alVictoriablau + Kristallponceau possono usarsi sezioni attaccatc, e quindi con questo si possono fare sezioni in serie, secondo tagli trasver- sali e superficiali, in maniera da avere un buon orientamento sotto ogni aspetto per la dimostrazione delle fibrille. IV. Nella Gute palmare e plantare si osserva che di regola lo strato basale vero e proprio non mostra fibrille di sorta. Perö in zaffi ampi, a larga base, SU preparati intensamente colorati con indoina e eliantina e facile riscontrare nelle cellule a nuclei ovali e ben colorabili che hanno diretto rapporto col derma papillare fibrille nettissime poste fra cellula e cellula (quasi si potrebbe dire fra nucleo e nucleo, data la scarsitä del protoplasma cellulare), fibrille che hanno i caratteri tipici delle spirali di Herxheimer: nel loro primo apparire sernbrano quasi appendici della parete nucleare. Sono queste formazioni allungate, dirette in senso perpendicolare alla superficie degli zaffi, poste fra nucleo e nucleo, formate di nunierose spire strette piü o meno ondulate, le quali nel loro complesso danno tutto l’as- petto che su preparati per striscio colorati col Giemsa hanno gli spiro- cheti pallida e refringens 3). 1) Si puö in luogo deH’eritrosina adoperare il Rosa Bengala, o il Rosso floxina. 2) Dcbbo ricordare che una debole e imperfetta colorazione delle fibrille si ha con niiscele di eosina-aiirantia-indiilina; di metilblau-eosina; colorazione con Coerulein e successivo trattamento con tannino orange, ecc. 2) Xon posso fare a meno di fare rilevare la grande intinia rassoniiglianza che esiste fra spirali di Herxheimer e spirocheti risp. refring. e pallida. Non intendo solle- vare il diibbio che in certe forme papulöse, con fenomeni acantosici evidenti o con ne- crosi di zaffi epiteliali, queste spirali di Herxheimer abbiano potuto essere interpretate per spirocheti; e bene perö che tale estrema rassoniiglianza (la quäle in certi casi quasi si impone come una identita assoluta) non sia dimenticata. Riccrche sulla fine struttura dell’ epidermide uniana normale ecc. 471 In alcimi pezzi ho potuto vedere queste fibrille a spirale internarsi in certi punti fino nel derma. Per quanto ciö accada non troppo di frequente, pur tuttavia diinostra che repiderniide puö mandare delle sue fibrille nel connettivo, stabilendo un nesso intimo e reciproco fra i due tessuti. Perö le fibrille cominciano a niostrarsi con regolaritä maggiore e piü abbondanti soltanto sopra lo strato basale; e ciö accade nella grande maggioranza dei casi. Si vede nettamente allora il distacco tra lo stato basale povero o privo di filanienti e lo stato spinoso, ricco di questi. II primo apparire delle fibrille e sempre perinucleare, perö varia il modo con cui inizialmente si presentano. Alcune volte di fianco ad un nucleo si vede apparire una fibrilla spirilliforme che e piü o nieno ricurva e situata quasi tangenzialmente al contorno nucleare, altre volte invece di una ve ne sono due o piü, e sovente esse circondano e abbracciano il nucleo ad arco per un tratto piü o meno lungo. Talora due sole fibrille circondano interamente il nucleo, taP altra ■ basta una sola ad avvol- gerlo tutto. Dove gli zaffi interpapillari sono molto sottili, si nota questo fatto che esternamente lo zaffo e costituito da uno strato di cellule cubiche basali, e neH’interno esiste uno spazio ristrettissimo picno zeppo di fi- brille, disposte quasi tutte nel senso delFasse dello zaffo, e raggiungenti qui il massimo del loro aspetto a spirale e il massimo del loro volume, sia in lunghezza, sia in grossezza. Si direbbe quivi che ogni nucleo fosse schiacciato e compresso dalla invadente formazione fibrilläre. Perö nei preparati colorati con ematossilina di Weigert, e poi con Rodamina, come con litiocarminio, indoina ed eliantina, nei quali si puö fino ad un certo punto osservare la colorazione nucleare degli strati piü bassi, si puö vedere come attorno al nucleo esista quasi sempre una liste- rella reguläre circolare, incolora, netta, sempre assai sottile che separa il nucleo stesso dalle prime fibrille che si formano nello spazio perinucleare. Non sempre questo alone incolore e visibile, non saprei dire allora se manca 0 piuttosto se la sezione sia caduta in maniera che esso non appaia pale- semente. Facendo esami a fortissimi ingrandimenti si puö andare ancora oltre e vedere allora come tutto intorno al nucleo che per la presenza della listerella chiara appare quasi a doppio contorno, compaiono delle goccio- line dapprima piccole e pallide, che poi si ingrossano, si fanno fortemente tingibili coi reattivi delle fibrille e vengono a riempire una stretta zona perinucleare, internamente circolare, esternamente di forma piü o meno poligonale. Questa piccola zona rappresenta tutto il protoplasma cellu- lare che si osserva nei primi stadi della produzione fibrilläre. 472 Leonardo Martinotti Fra cellula e cellula esiste un eviclentissimo spazio chiaro, costante che, illuminando tangenzialmente il preparato, appare attraversato in tutto il suo spessore da stretti filamenti di unione, incolori, rifrangenti. Qiiesti che altro non sono che i primi abbozzi dei ponti di unione, compai- 0110 precocemente, prima ancora che in seno al citoplasma comincino a manifestarsi le priine produzioni fibrillari. Quando il protoplasma e limitatissiino, come accade negli stadi ini- ziali, i granuli citoplasmatici si addensano spesso a formare un anello con uii puuto nodale situato a nn polo della cellula, o con due posti ai due poli di essa. Per lo piü questi due nodi polari sono situati secondo una direzione parallela all’asse degli zaffi interpapillari. Talvolta a un polo stanno due nodi e all’ altro uno solo, tal’altra un solo nodo e visibile. Spesso poi questo anello appare incompleto e si maiii- festa lungo un solo tratto perinucleare. Altre volte ancora si osservano tre 0 quattro punti nodali piü o meno simmetricamente disposti. Questi diversi aspetti e figure altro non rappresentano se non stadi diversi di sviluppo della produzione fibrilläre. Il graduale snccessivo for- iiiarsi dei filamenti risulterebbe dall’ accumnlarsi e dal sommarsi di tutti questi granuli. Molte volte ad apparato fibrilläre giä costituito accade di vedere ancora attorno al nucleo, e per tratti piü o meno estesi delle Zone, dei granuli, piü grandi per lo piü dei precedenti che hanno un lon- tano aspetto di gocce cheratojaliniche ; probabilmente sono fibrille o spire di fibrille sezionate. Col progredire della funzione fibrilläre si nota che mentre il nucleo non subisce modificazioni degne di nota, a%’Adene un ampliamento pro- gressivo dei corpo protoplasmatico, di pari passo un aumento dei numero dei filamenti e forse un maggior sviluppo (soprattutto in lunghezza) delle singole fibrille: dico forse, perche si puö discutere se realmente si possa parlare di un allungamento di queste fibrille (delle quali molte appaiono giä assai lunghe fino nei primissimi stadi) o piuttosto se si possa accennare ad una specie di saldamento fra le fibrille di nn corpo cellulare e quelle di un’ altra cellula limitrofa e ciö per quelle fibrille che con grande evidenza si possono vedere, negli stadi piü avanzati, passare da una cellula all’ altra. L’ ampliamento dei corpo cellnlare che si osserva constantemente si fa palese soprattutto negli stadi ulteriori. Si vede allora che la cellula e venuta a poco a poco assumendo un aspetto poligonale a bordi piü o meno rientranti, una figura abbastanza regolare, sempre restando separata dalle cellule vicine mediante una listerella apparentemente priva di qnal- siasi formazione in certi punti, in altri attraversata da ponti intercel- 1 ulari. Ricerche sulJa fine strnttura dcll- epidermide umana normale ecc. 473 Nel suo accrescersi il corpo protoplasmatico lascia talvolta intra- veclere una sostanza fon damentale, d’aspetto appena finemente granii- loso, che e quella che comunemente si tinge coi colori basici piü in uso. Si deve quindi distinguere il prodotto di elaborazione specifico del proto- plasma cellulare epidermico che e rappresentato dalla fibrilla, dalla sostanza fondamentale coniune non differenziata La moltiplicazione delle fibrille e un fenomeno evidentissimo e si avvera sia per la produzione di nuovi elementi, sia per lo sdoppiarsi in senso longitudinale delle fibrille piü vecchie. E facile vedere da una fibrilla piü spessa il formarsi di fibrille piü sottili. I punti polari nodali che si sono visti nei primi stadi diventano un centro di sfibrillamento che si manifesta sotto forma di ciuffi di filamenti che si allargano ad abbracciare il nucleo, nientre rimangono annodati ai poli. Successivamente anche ai poli le fibrille si sfasciano e allora si vede il nucleo avvolto come in un canestro di filamenti. Negli zaffi piü lunghi l’aspetto che assume la cellula e abbastanza •costante e caratteristico : i filamenti sono quasi tutti disposti in senso longitudinale allo zaffo e solo tendono con curve elegant! e regolari ad incrociarsi diagonalmente, per portarsi in corpi cellulari limitrofi. Mano mano che ci si avanza negli strati piü alti, le fibrille si fanno sempre piü sottili, per la maggior parte perdono il loro aspetto spirale, mentre assu- mono dei rigonfiamenti fusiformi leggermente allungati che coincidono colla fuoriuscita delle fibrille dal corpo cellulare. Ciö e evidente sopratutto nei preparati fatti col Girofle in cui la decolorazione e stata spinta abbas- stanza fino a colorare solo parte delle fibrille medesime. Si vede allora come nei punto in cui le fibrille escono dal corpo cellulare, assumono un ispessiniento fusiforme, che su fasci parallel! appaiono in forma di una palizzata. Nello spazio intercellulare essi si continuano coi ponti di unione e quando raggiungono il corpo protoplasmatico della cellula vicina, subiscono lo stesso ispessiniento fusiforme. Ho parlato di continuazione dei filamenti coi ponti di unione. Come ho detto, stando alle mie ricerche, allorche il corpo cellulare e ancora estremamente limitato e ridotto ad una specie di aneUo che circonda il nucleo, esistono dei ponti di unione rappresentati da filamenti non co- lorabili i quali uniscono i due corpi cellulari contigui. Allorche le fibrille si sviluppano e penetrano nei corpo delle cellule vicine, seguono con pro- babilitä questi ponti di unione. Piü tardi quando si accresce il corpo cellulare, le fibrille, che si sono allungate e moltiplicate per sfibriUamenti successivi, lasciano, interposte fra loro, delle maglie e formano nei loro complesso un organo a struttura di rete o di spugna, quäle per l’appunto Archiv f. Zellforschung. XII. 31 474 Leonardo Martiuotti e lo Strato fibrilläre cleirepidermidc. Va nqtato ancora che nel tragitto tra cellula e cellula, i tratti tli iinione o prolungamenti estracellulari delle fibrille, assuinono sempre iina colorazione piü pallida dei filamenti intra- cellulari, e in certi preparati colorati con Victoriablau e Ki-istallponceau, questi Ultimi si colorano sempre colla prima, mentre molte volte i tratti iiitercellulari assuinono il Kristal Iponceau. Un fatto si nota spesso ed e che sulla stessa sezione le fibrille mostrano una direzione parallela a zone: negli zaffi coniuni, non ramificati, esse hanno una direzione prevalente longitudinale, cioe parallela all’asse dello zaffo. Successivamente esse si allargano a ventaglio, assuinono una dire- zione obliqua che ulteriormente si fa orizzontale e si confonde con quella dei filamenti dello zaffo vicino. Tale e rimpressione prima che si riceve neirosservare la disposizione pii'i semplice delle fibrille. Ma, esaminando meglio il preparato, osservandolo lä dove piü spessa e Tepidermide, si possono trovare fibrille che si impiantano perpendicolarmente suH’endo- plasnia e da questo passano, dopo attraversato tutto il corpo cellulare nel corpo di una cellula vicino, altre descrivono un arco o un S piü o meno accentuato. In altri punti e evidentissimo lo speciale aspetto di reticolato a ma- glie losangiche che queste fibrille assuinono per lo intrecciarsi di due Serie in senso diagonale. Altrove ancora esse avvolgono con sph’e lunghe e asseriate il nucleo. La descrizione minuta dei modo come si producono le fibrille epi- dermiche nella cute palmare e plantare porta ad alcune considerazioni. Queste fibrille appaiono nel loro primo inizio come elementi dal ca- rattere spiraliforme o spirillare e sono poste tra le cellule per lo piü dallo Strato corneo basale : piü sopra difficilmente si trovano, e in ogni caso la loro presenza non e costante, o, per meglio dire, esse non sono cümostra- bili con quei nietodi che le mettono in evidenza nello strato sottoposto. Molte volte invece si vedono nettamente internarsi nel collageno; il dubbio che si tratti di elementi propri di quest’ ultimo strato adden- tratisi neirepiderniide, mi pare sia da escludersi, perchc nel collageno non ho potuto mai rilevare fibrille aventi le reazioni delle fibrille epider- iniche. Il fatto perö apre la questione dei rapporti fra derma ed epider- niide ai quali voglio accennare di sfuggita. Alcuni autori hanno descritto fra derma ed epidermide una meni- branella anista, oniogenea, rifrangentissima, che e stata chiamata mem- brana inter mediaria (Henle), membrana pri ma (Hensen), citc- blastenia (Krause), basement membrane (Tood, Bowmaxn), mem- brana basale (Kanvier), pellucida profonda (Dutrochet), mem- Ricerche suUa fine struttiira dell’ epidermide imiana normale ecc. 475 brana vitrea e via diceiido. Andre autori recenti come il Duval e il Braxca, la animettono e la descrivono. Essa sarebbe sopratutto ben visibile su sezioni trattate con alcool e acido osmico, in forma di una liste- cella a doppio contorno, sottilissima, che si ispessisce a livello dei peli e delle gl. sudoripare. Eesiste agli acidi, si colora in giallo col picrocar- minio, in lilla pallido coiremateina, in rosa coU’eosina. Secondo alcuni antori apparterrebbe al connettivo, secondo altri all’ epidermide. Le fibrille del collageno terminerebbero addossandosi su di essa ai lati e alla sommitä delle papille, dove si trovereblrero inoltre delle incavature d’attacco tanto dal lato della vitrea, quanto da quello del collageno. Senza soffermarmi a discutere, dirö subito che tale membrana e molto problematica, e senza volere negarne assolutamente l’esistenza, debbo perö dichiarare che nel corso delle mie ricerche non ni’e stato dato niai di poterla nettamente riscontrare ; nei casi nei quali rilevai una presenza di essa, non era possibile escludere il dubbio si trattasse di un prodotto artificiale o d’un apparenza fallace. D’altra parte non va dimenticata raffermazione di Balzer, Bexecke, Schütz, Secchi (contraddetta perö da Herxhedier e Müller), secondo la quäle fibre elastiche potrebbero passare in seno all’ epidermide, e l’altra di Krojlwer che a\Tebbe potuto constatare dei rapporti tra le fibrille del collageno e quelle deU’ epidermide. Ciö che ho potuto constatare nel corso deUe mie ricerche non mi porta a condividere ropinione di questi autori. Ho giä fatto rilevare rimportanza che ha l’osservazione che qualche fibriUa epiteliale si inoltra in seno al derma. Ora debbo aggiungere che su sezioni di pezzi fissati in soluzione di bicromato di K + acido acetico l°'o inclusi in paraffina oppure sezionati al congelatore, colorate (senza appiccicamento al vetro) con una niiscela di eosina, aurantia, indulina, analoga a quelia di EhriichI), per 3'— 5', lavate in acqua, passate in alcool, benzolo, xilolo, balsamo ; le cellule basali deU’epidermide appaiono come pro\xTdute di un piede, simile a quello che si osserva in cellule epi- teliali di altri organi e che corrisponde alla zona di contatto fra il connettivo e l’epidermide. Esaminato attentamente e a forte ingrandiniento, ecco di che cosa in realtä si tratta. Il collageno neUo strato piü prossimo all’ epidermide forma talora una sottile listereUa di fibrille che e piü o meno appariscente e (üstinto. Altre volte le fibriUe giungono, perpendicolari alla superficie 1) Per la formiila v. fiinzione cheratinica. 31* 476 Leonardo Martiiiotti della eilte, fino ad addentrarsi framezzo agli elementi basali i qiiali sem- braiio avere cosi iin lungo fiocco fibrilläre che si immette entro al connet- tivo stesso. Qiieste fibrille si condensano alla base deH’epidermide, si internano per qiialclie tratto fra le celliile di qiiest’iiltima e danno cosi rimpressione perfetta che gli elementi epidermici della base posseggano iin piede, il quäle invece altro non e se non il condensaniento delle fibrille connet- tivali piü prossinie airepidermidei). Qiiesta particolaritä di striittiira dimostra che il derma e repidermide sono intimamente collegati fra di loro dairinsinuarsi e dalF incatenarsi di fibrille del collageno in seno airepidermide ; mentre (con minor fre- qiienza) i filamenti di qiiest’ ultimo si addentrano nel primo. Un’altra particolaritä giä ricordata e la esistenza di filamenti non colorabili che disposti in Serie parallele vanno in senso trasverso da una cellula airaltra. Di rado si manifestano nello strato basale, ma appaiono invece subito al di sopra di questo, non appena cioe la cellula epiteliale incomincia a manifestare la sua funzione specifica di produrre l’apparato fibrilläre, anzi molte volte prima ancora che di questo si manifestino le prinie traccie. Questo fatto lascia supporre che ponti intercelhilari e fibrille siano formazioni diverse intimamente connesse runa airaltra. Indubbiamente negli stadi iniziali dobbiamo riconoscere Fesistenza inchpendente di queste due formazioni: Funa extracellulare ad appari- zione precoce ; Faltra di natura prettaniente endoplasmatica che si mani- festa poco dopo o puö anche non apparire, perche vi possono essere ponti intercelhilari lä dove non si ha nessun accenno a produzione fibrilläre. Inoltre le filnille sono intensamente colorabili con speciali mezzi mentre i ponti, non colorabili, si manifestano sopratutto come filamenti aventi una spiccata rifrangenza. Xegli stadi ulteriori bisogna ammettere che o le fibrille si insinuino lungo i ponti intercelhilari, oppure che sopra di questi si depositi la sostanza stessa che costituisce il filamento epiteliale. Tn tutto lo Strato filamentoso e nei successivi fino al corneo, esiste lo spazio intercelhilare chiaro che separa fra loro le varie cellule e che apparentemente e vuoto. Si ammette da niolti che esso serva alla cir- colazione della linfa, opinione piü che probabile, confortata dalFesperi- mento di Key e Ketzius che sopra ho ricordato. 1) Si puö veder bene tutto ciö specialinente su sezioni trasversali di unghia, a livello dello strato basale deH’epidermide sottoungueale. Ricerche suUa fine struttiira dell’ epidermicle umana normale ecc. 477 Perö con speciali metocli si puö nello spazio chiaro mettere in evi- denza una particolare formazione che ha tutto l’aspetto di una mem- brana. Cosi se si colora con solnzione di nitroorceinai) una notte, silavain acqua, si colora per 2'— 5' con solnzione acquosa all’ 1% di porpora bril- lante di Hessisch ; poi si passa in acqua, alcool assoluto ; benzolo ; xilolo ; balsanio; le membrane cellulari sono evidentissime fino nello strato fi- brilläre e tinte in rosso bruno. Per mettere in evidenza la membrana cellulare si puö ancora colo- rare colle soluzioni acetoniche sature di purpurina o di antrapurpurina ; colla solnzione semplice alcoolica satura di purpura di Hessisch. Facendo agire la solnzione alcoolica di ematossilina ferrica, e trattando subito dopo con un cromato o un bicromato (sopratutto di magnesio, di sodio, di potassio), la membrana si manifesta pure evidente^). Di questa membrana se ne possono talora vedere traccie nello strato basale; si vede quasi sempre, tranne in vari casi nel fibrilläre; si mani- festa poi evidentissima nel cheratojalinico e negli strati successivi. Essa appare in forma di una linea sinuosa e seghettata che circonda le singole cellule ; in taluni punti sembra attraversata da spazi chiari che corrispondono con probabilitä ai ponti interceUulari, ma altrove man- cano tali spazi ed essa appare in forma di una linea continua. Si puö porre la questione se essa sia veramente una membrana oppure rappresenti il deposito delle sostanze coloranti negli spazi interceUulari. In favore deUa sua natura membranosa stanno due fatti: il primo che negli strati successivi essa prende sempre piü consistenza finche nel corneo appare evidentissima e costituita di cheratina (Uxxa); il secondo che altri autori sono riusciti ad isolarla col procedimento della digestione. Su tale membrana dovremo ancora ripetutamente trattenerci. E interessante studiare le oscillazioni e le variazoni che si osser- vano neUa produzione fibrilläre. Giä sulle stesse regioni dei polpastreUi deUe dita e facile constatare una produzione variabile di filamenti che perö oscilla entro limiti abbastanza ristretti. NeUe regioni palmari e plan- tari vi sono piccole cüfferenze; ma in ogni modo rappresentano sempre il massimo della produzione. A seconda che gli zaffi sono piü o meno 1) Orceina Schuchardt gr. 0,5, ac. nitrico cc. 2,0; alcool a 80° cc. 98. 2) Hessisch Brillant Purpur (Grübler) ; e solubile in acqua; non si puö usare la Hessisch Piupur, solubile in alcool, perche decolora troppo l’orceina. La solnzione di Brillant Purpur va cambiata sovente perche assume una consistenza gelatinosa. 3) Il miglior niezzo per dimostrare questa membrana e perö dato dalle reazioni dei grassi che descriverö nella parte biochimica. 478 Leonardo Martinotti larghi, che la funzione filamentosa e piii o meno attiva.abbondano anche le forme spirali dello strato basale. Xel rimaneiite in riguardo alla dispo- sizione e alla morfologia vi sono poche differenzei). In quasi tutte le altre regioni si osserva un tipo che, con qualche lieve differenza, appare costante. La linea degli zaffi interpapillari e quasi scomparsa o ridotta a lievi ondulazioni. Lo strato basale, fatto di ele- menti cilindrici o cubici mostra fibrille per lo piü scarse ma tozze e lunghe, di aspetto grossolanamente spmllare, rivolte in senso perpendicolare alla eilte e internantesi per breve tratto nel dermal). Esse sono poste fra ceUiila e cellula e si trovano in numero di una 0 due 0 poco piü. Piü sopra esistono poche linee di elenienti che da cubici si sono fatti quach’ati o poligonali. Tutti, al pari delle cellule basali, presentano i se- guenti caratteri: un nucleo rotondo o leggermente ovale, di forma rego- lare piü o meno ricco di cromatina, di aspetto piü o meno granuloso, e attorniato dalFarea chiara circolare nettissima e molto regolare. Essa si manifesta con una costanza quasi assoluta. Intorno aH’area chiara esiste una strettissima zona citoplasmatica che e appunto quella che da luogo alla formazione fibrilläre. Essa si colora intensamente coi reattivi di esse e mostra una, due 0 tre grosse fibrille, disposte a semicerchio, oppure in senso perpendicolare alla superfice della cute. Si possono vedere anche le forme granulari iniziali e ponti intercellu- lari non colorabili che solo rarissimamente sono sostitniti da fibrille pas- sant! da un corpo cellulare all’altro. ]S>gli Strati piü alti si vedono gli elenienti disporsi quasi improvvi- samente in senso parallelo alla superfice della cute, assumere un aspetto fusato, con fibrille che circondano il nucleo e con l’area chiara alla maniera di un elissi ad estremita appuntite. Questo aspetto si osserva con varianti di poca importanza nelle gene- ralitä delle regioni cutanee. Jvel passaggio alle pseudomucose la produzione fibrilläre va facen- dosi sempre piü scarsa finche nelle mucose scompare. Si puö considerare la funzione fibrilläre delle varie regioni cutanee all’ infuori di quella palmare e plantare, come in stato quasi rudimen- tale (e difatti vi si riscontrano i primi stadi di essa) ed anche di latenza, 1) Kiguardo al quantitativo e alla preseiiza o meno di forme spirillari pongo in gnardia coiitro agli errori che possono provenire dalla tecnica (vedi). 2) E evidentissimo in queste regioni il cinffo dl fibrille collagene che sembra for- mare il piede delle cellule basali deirepidermide. Ricerche suUa fine struttura delF epidermide umana normale ecc. 479 capace cioe di assumere maggior sviluppo qiiando le circostanze lo richieg- gano. Nel cavo deU’ascella (dove la cheratinizzazione segue il tipo comuno alla massima parte delle regioni del corpo) e caratteristica la formazione di pieghe numerose, ondulate, le quali si acconipagnano a zaffi alti e sot- tili, come anche ad ispessimenti spesso notevoli del corpo malpighiano che sono irregolari per forma e localizzazione. L’apparato filamentoso e quivi ben sviluppato, ma anziche assumere il tipo ehe si osserva in cor- rispondenza delle regioni palmari e plantari subisce piuttosto una specie di ipertrofia conservando i caratteri di quello delle altre regioni. Le regioni nelle cpiali meno evidente e la funzione fibrilläre sono quelle pelose e particolaremente il cuoio capelluto, dove nella massima parte_, dei casi riesce difficilissimo constatarvi formazioni filamentose. Tutte le cellule hanno l’aspetto di elementi giovani epidermici. Vedremo come queste regioni rappresentino per l’appunto quelle dove piü scarsa o nulla e la produzione cheratinica. In conelusione, dai risultati delle mie ricerche, credo cosi si possa sintetizzare la funzione fibrilläre del corpo malpighiano. Il derma e Fepidermide sono fra di loro connessi mediante un invio reciproco di fibrille da un tessuto aH’altro: rare perö sono le fibrille epi- dermiche che si internano nel derma, piü frequenti e costanti sono invece gli elementi filamentosi del collageno che si introducono fra le cellule ba- sali deU’epidermide ; esse si condensano poi fra i due tessuti ed a questo condensamento corrisponde la membrana basale, descritta e ammessa da molti autori. Quando le cellule dello strato basale possiedono fibrille queste hanno l’aspetto spirale o spirillare, quäle e stato descritto da Herxheimer. Il primo prodursi delle fibrille e sempre intracellulare e lo si puö spesso constatare in forma di goccie che si depositano nello strettissimo corpo protoplasmatico e si aggruppano a cercine o ad anello. Fra nucleo e protoplasma esiste un’area chiara, pure anulare, che si mantiene fino negli strati piü alti deU’epidermide. Fra cellula e cellula si osserva pure un’area chiara permanente che e sede di particolari for- mazioni : neUe parti piü hasse deU’epidermide essa e attraversata da specie di ponti che uniscono due corpi ceUulari liniitrofi e che hanno la parti- colarita che coi metodi finora usati non si colorano : si vedono solo per la loro forte rifrangenza. Piü tardi quando si vedono fibriUe passare da un corpo ceUulare aU’altro, allora esse sembrano seguü’e questi filamenti acromatici, i quaU in seguito vengono mascherati dalle fibrille stesse. 480 Leonardo Martinotti !Xello stesso spazio iiitercellulare si vede formarsi assai precocemente una meinbrana che all’iiiizio e rilevabile con difficoltä e seinbra costituirsi in forma di tante goccie che si depositano negli spazi lasciati liberi dai ponti di unione. Piü tardi essa appare in forma di una linea ininterrotta. II corpo cellulare intanto arricchisce il suo apparato filanientoso di nuovi elementi, prodotti per lo piü da sfibrillature dei filamenti preesi- stenti. Le fibrille si dispongono tangenzialmente o perpendicolarmente alla parete nucleare, ma assuniono ben presto una direzione principale- corrispondente a quella dell’asse degü zaffi: le singole cellule prendono allora il carattere di fusi, formati dal nucleo posto al centro e da fasci di fibrille che lo avvolgono con numerose ed eleganti spire. -Uscendo dagli zaffi e entrando in pieno corpo malpighiano, le cellule fusate si obliquano, si spandono a ventaglio, le fibrille passano da un corpo cellulare aH’altro formando dei ponti intercellulari colorabili cogli stessi reattivi delle fibrille. Questi ponti presentano spesso uno o due ingrossamenti di forma piü o meno fusata e spesso asseriati in numer» di 3-6. Questa e la struttura che si osserva dove la cute e piü spessa (regioni palmari e plantari), ed e a notarsi il fatto che dove piü ricco e l’apparat» filanientoso, piü spesso e il corneo. I^elle altre regioni, con oscillazioni piü o meno grandi si osserva un tipo di produzione fibrilläre abbastanza costante, dato da un apparato quasi rudimentale: lo stretto citoplasma che circonda l’area chiara peri- nucleare e costituito da due o tre grosse e tozze fibrille, disposte a semi- cerchio in senso dapprima perpendicolare alla superfice cutanea, e poi negli Strati piü alti parallele a quest’ultima. La produzione filamentosa e rudimentahssima o mancante nelle re- gioni pelose, manca a livello delle mucose. Come ho detto essa e piü intensa dove piü spesso e lo strato corneo, ossia nelle parti sottoposte a maggiori pressioni. E logico quindi porre in relazione con tale fatto la funzione dell’apparato fibrilläre. Bibliografia. Adler. Struktur d. Oberhaut u. d. 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The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus and the Hybrids of the Fi and F2 Generations. By Katharine Foot and E. C. Strobell. With 2 Text figures and Plate XXXVL The chromosomes of Euschistus variolarius and Euschistus servus are peculiarly fitted to test the relation, if any exists, between the so- called sex-determining chromosomes and the transmission of an exclu- sively male or female character. The X Y chromosomes («sex-deternii- ning chromosomes») of both variolarius and servus are morphological structures which are sharply defined. There has beeil no controversy as to their presence and behaviour in these tivo species of Hemiptera and they are therefore most favoiirable for experiment. In order to test the relation between these two so-called sex-determining chromosomes and the transmission of an exclusively male character, we selected the deeply pigmented spot on the male genital segment of variolarius as a character well adapted for such an experiment. This spot appears only in the males of this species and is therefore an exclusively male character (text fig. 1). It seems only logical to conclude that if a given chromosome carries the factors for the male genital segment, it carries also the factors for the pigmented area on this segment — especially as there is no other siniilar pigmented area on any other part of the insect. Further the pig- mented area is never transmitted to the female, it is as exclusively male as are the male genital organs themselves. This pigmented area of vario- larius — the genital spot — is absent in the males of E. servus, and a cross therefore between these two species should offer a trustworthy experiment of the value of the X Y chromosomes in the transmission of an exclusively male character. 486 Katharine Foot and E. C. Strobell These two species of Hetniptera offer another favorable fcature — büth have only 14 diploid chromosomes and this limited number makes it quite impossible to confuse the X Y chromosomes with the so-called ordinary chromosomes. Methods. Both sections and smears were used for the parent species {E. variolarius and servus)\ biit the smear method only ^Yas used for the hybrids. A comparison of smears with sections shows, in all cases, that the form of the chromosomes is demonstrated more clearly in smears than in sections and the smears have the added advantage of showing every chromosome in the group and each in its entirety. Those tvho conclude that smears give imrehable results cannot have used the method properly. We never smear an entire testis on one slide iinless this is necessitated by scarcity of material, for if too much material is used it is impossible to isolate the cells properly. We place a testis on one end of the süde and with a fine needle (Xo. 14) cut front it the area containing the cells at the stage required, the location of the cells having beeil first ascertained by the examination of sections. The selected area is dissected from the testis in a th'op of water and these cells are then pushed by the point of the needle to the centre of the slide. The cells are then gently tapped apart by the point of the needle — never roughly spread over the shde by the length of the needle as is the usual method in sniea- ring. The aini is to separate whole cells front each other and allow theiii to flatten and th’y in a single layer, exactly as we isolate germinal vesicles front the growing eggs by pricking each egg and allowing the cytoplasm to flow out, carrying the germinal vesicle with it. In smearing the testes, we have found it an advantage — when the chromosomes only are needed — to acidulate, with acetic acid, the (h'op or two of water in whicli the cells are tapped apart. This disintegrates somewhat the cytoplasm; but does not disturb the chromosomes, wliicli are cpiite as perfect as the chromosomes of germinal vesicles for which we use only distiUed water, have found acidulated water offers no advantages for any of the ovarian stages; but a trace or more of acetic acid in the water used for the testes and embryonic cells acts like a gentle disintegrating agent and aids in separating the cells with as little disturbance as possible. We have found it advisable to use both methods (with and without acid) for in sonie stages one or the other may give the best results. We have found the use of acetic acid a disad- vantage for the ovaries we have studied, for it behaves as a fixative for these cells and this coagulation makes it more difficult to separate the cells properly. For the testes, on the contrary, even 5% or The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. -187 more does not cause the cells to adhere together as in the case of ovarian cells. The work should be done under a dissecting microscope at a niagni- fication high enough to show the ihdividual cells. Descriptive. We have several hundred photographs of the chromo- some groups, of variolarius and servus, inchiding the soinatic chromosomes of both species as well as the chromosome groups of the first and second sperniatocytes and the first oocytes — but owing to the expense of the bromide print method of reproduction we have had to limit our illustra- tions to a few examples of the first and second spermatocyte groups. These groups demon- strate that the difference in Text figure 1. size between the XY chro- mosomes of servus is quite as great as the difference in size of the XY'” chromosomes in variolarius, and therefore the relative size of these chro- mosomes is not a differential feature of these two species — compare for example the XY chromosomes of vario- larius (photos 1 to 9) with thosc of servus (photos 10 to 15). IVe would draw atten- tion to this fact because Wilson, ’06, found in the in- dividuals studied by him that the relative size of the XY chromo- somes of variolarius and servus was a differential feature of the two species. He found the difference so marked that he could distinguish the species by the chromosome groups. He says; “The above described species of Eusehistus, while agreeing precisely in the general relations, present individual differences so marked as to show that even the species of a single genus may be distinguishable by the chromosome groups. In this case the most interesting feature is the series shown in the inequality of the idiochromosomes, which beconies progressively greater in the series 1. E. servus, 2. tristigrnus, fissilus, 3. iciericus, 4. vario- larius, the inequahty in the last case being fully as great as Lijgaeus" Male and female Euschiatus variolarius^ showiug the black spot oii tho genital segment of the maleij, and the absence of a spot on ihe genital segment of the f«male. The figares demonstrate the marked difference in the form of the genital segment of the two sexes, showing that the spot could not appear in the feraale wilhout a modification of the entire segment. 1) The male segment is slightly pulled out to show the entire ventral surface. 488 Katharine Foot and E. C. Strobell (p. 17). He demonstrates a markecl difference in the relative size of the idiochromosomes of E. variolarius and servus in a and c of liis fig. 4. We have found no such difference in the individuals \ve have studied. IVe have not found it possible to distingiiish the two species by their chromosomes, and differences found in individual chroniosonie groups can be of no genetic value, unless they prove to be constant for the species. Such a differential feature would have permitted an experi- mental test of the individuality of the chromosomes. In Wilsox’s fig, 4 the Y chromosome of servus is relatively so large that it is nearly as large as the X chromosome of variolarius. If such a rclation existed in our material and wc assume a male-producing Spermatozoon, the rela- tive difference in the size of the XY chromosomes of the Fj hybrids should be conspicuously different from that of pure variolarius. If, on the contrary, relative size of the chromosomes is merely a structural feature which may be transmitted by either parent, this should be demonstrated by the Fi and F2 hybrids. As our material shows no ap- preciable difference in the relative size of the X Y chromosomes of variolarius and servus we were unable to put the individuality of the chromosomes to this interesting experimental test. Our experiments, however, are quite adequate to determine whether either the X or the Y chromosome is necessary to the transmission of the genital spot of variolarius, and the experiments give evidence in no uncertain terms as to whether the so-called sex-determining chromo- somes are necessary factors in the transmission of an exclusively male character. They show conclusively that the genital spot oi vario- larius (an exclusively male character) can be transmitted Avithout the aid of either the X or the Y" chromosome. The details of Crossing variolarius X servus are published in full (Foot and Strobell, ’14) and the evidence demonstrated by a com- plete set of photographs. Briefly the results are as follows, from E. va- riolarms $ X E. servus o raised to maturity 11 males and 16 females of the Fl generation. Seven of these pairs were isolated and the offspring from each pair raised in separate cages. From these seven pairs of Fi hvbrids we raised 249 9 and 204 (^. From the back cross (Fi 9 X pure variolarius 0') 8 9 and 18 In our preliminary report of these experiments Ave discussed recent chromosome theories in the light of the results of our experiments, accep- ting, for the sake of the argument, the assumptions invoh'ed in the theo- ries. IVe quote the folloAAÜng from this preliminary report: “Recent experimental results have caused a marked modification The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. 489 of the views of some of the adherents of tlie more extreme chromosome hypotheses, forcing them to modify the theory of the individuaUty and continuity of the chromosomes so far as to admit that there must be an interchange of chi’omatin between individual chromosomes and that the chromosomes which emerge from synapsis are ‘probably' not identical with the original conjugants’ (Wilson, ’12, pag. 422). They do not, how- ever, extend this Interpretation to the X Y chromosomes : ‘the degree of Union may vary in different cases, involving sometimes no fusion, as is suggested by the history of the X Y pah-’ (Wilson, ’12, pag. 417). This would seeni to be an inevitable conclusion, otherwise any facts that could be assumed to be explained on the supposition of an interchange of factors between X and Y would be inexplicable for those forms in which no Y is present. In analyzing the results of our recent experiments we shall accept, for the sake of the argument, the above assumption that there is no inter- change of material between the XY chromosomes, and also the hypo- thesis of male- and female-producing spermatozoa.” The maturation divisions of the X Y chromosomes of the sperma- tocytes of variolarius and servus were described by Wilson (’06). The typical behaviour of these chromosomes is to divide in the first division as independent univalents, and to separate in the second division — each going to the opposite pole, thus producing a visible morphological dif- ference in the resulting spermatids. The X Y chromosomes of variolarius are demonstrated in photos 1 to 9. In photo 2 they appear as a tetrad at the extreme left of the group — this photo demonstrating that these two chromosomes may form as distinct a tetrad as the ordinary chromo- somes. In the preparation, the 4 parts are clearly attached though the longitudinal and transverse clefts are so deep that they almost obscure the connecting chromatin. Compare this tetrad with the cross-shaped tetrad in the F2 group of chromosomes in photo 24. Such a cross-shaped bivalent is often met among the ordinary chromosomes of both vario- larius and servus. The first spermatocyte metaphase groups of chromosomes of vario- larius are shown in photos 1 to 4, and they demonstrate that the XY chromosomes divide as independent univalents, while the so-called ordi- nary chromosomes divide as bivalents. In all the photographs every chromosome is present in each group and the X Y chromosomes are easily identified. Photos 1 to 4 show typical chromosome groups of the first sperniatocytes of variolarius, and photos 10 to 12 show typical chromosome groups of the first Archiv f. Zellforschung. XII. 32 490 Katharine Foot and E. C. StrobelJ spermatocytes of servus. In photos 10, 11 and 12 the X Y cliromo- somes of servus are side by side and it is obvious that the difference in the size of these two chroniosomes is qnite as marked in servus as in variolarius. The second spermatocyte chi'oniosonies of variolarius are demonstra- ted in photos 5 to 8 and those of servus in photos 13 to 15. These photos demonstrate that the X Y chroniosomes of both species separate in the second division, the two going to opposite poles. A late telophase of this division is shovn for variolarius in photo 9. This stage is frequently met in both variolarius and servus and also in the Fi and F2 genera- tions. Comparative. A comparison of the above mentioned 3 stages of variolarius and servus with the saine stages in the Fi and Fg generations will show that the chroniosomes in the two parent species and in the two hybrid generations are apparently ahke in their form and their behaviour — they have no differential features that are constantly present and therefore their morphological individiiality caniiot be put to the test of experi- mental breeding. The first metaphase chroniosomes of variolarius are shown in photos 1 to 4, those of servus in photos 10 to 12, those of the Fl hybrids in photos 16 and 17, and those of the F2 hybrids in photos 24 to 27 (photo 28 shows a fhst telophase). The second metaphase chi’oniosonies of variolarius are sliowii in photos 5 to 8, those of servus in photos 13 to 15, those of the F i hybrids in photos 18 to 23 and those of the F2 hybrids in photos 29 and 30. A late telophase of the second division is shown for variolarius in photo 9, and photo 31 shows the sanie stage in an F2 hybrid. A comparative study of these photographs falls to reveal any dif- ferential character in the chi'oniosonies that is sufficiently marked and constant to be of gcnetic value as a fest of the individiiality of the chro- mosonies — they nierely support AYilsox’s (’06), and later Montgo:mery’s T06) observations as to the behaviour of theXA^ chroniosomes in mno- larius and servus. The visible morphological difference in the sperniatids resulting froni the second division (photos 9 and 31) is one example of the evidence dis- covered in the insects that there are two types of sperniatozoa differing in the form or nuniber of their chroniosomes, this discovery having raised the important question whether a morphological difference in their cliro- niosonies involves a functional difference in heredity. This question has The Chromosomes of Eiischistus variolarius, Euschistus servus etc. 491 revived tlie hypothesis that the chromosomes are the bearers and distri- buters of all hereditary characters. In our preliminary note we stated the case as follows: “Behef in such a fundamental significance of the chromosomes has led its firmest adherents to Interpret every phase of their morphological and physiological expressions into terms of a causal nature, even to the point of claiming that definite chromosomes — such as the so-called sex- chromosomes — are the determining factors of sex and of all sex-linked characters. On the other hand a large number of cytologists have Studie d the clu’omosomes from an entirely different point of view — Iteheving that their morphological phases are not to be interpreted in terms of a causal nature, but like many other organs of the cell they are the expression rather than the cause of cell activities. These opposing interpretations can be strikingly demonstrated l)y a few quotations from recent papers. Morgan (’ 11) writes: “The experiments on Drosophila have led me to two principal conclusions : First, that sex- limited inheritance is explicable on the assumption that one of the material factors of a sex-limited character is carried by the same chromosomes that carry the material factor for femaleness. Second, that the ‘association’ of certain characters in inheritance is due to the proximity in the chromosomes of the Chemical substances (factors) that are essential for the production of those characters” (pag. 365). Wilson (’12) gives the stamp of his approval to Morgan’s conclusions. He says Morgan’s results “bring strong support to the view that the chro- mosomes are such bearers of unit-factors, for the whole series of pheno- mena determined in Drosophila, complicated as they seem, become at once intelligible under the assumption that certain factors necessary for the production of the sex-limited characters are borne by the X chro- mosome; and without this assumption they are wholly mysterious” (pag. 420-421). As opposed to these definite expressions of faith in the causal nature of the chromosomes, we may quote Child’s latest repudiation of all such hypotheses. “Lct us take the case of the chromosome, for example, which plays so important a part in recent biological hypothesis. WTiat is the chromosome? If it is what many authors seem to believe, it is an autonomous being endowed with something more than human intelligence. But if we are not willing to believe this, then we must regard the chromosome as an incidcnt or result of dynamic processes 32* 492 Katharine Foot and E. C. Strobell in the organism, like other morphological entities. If this is the cor- rect view, then it is nothing ultimate or fundamental. We must analyze it into terms of the processes which have made it, and in this analysis we shall sooner or later find nothing more or less than the whole complex of processes which constitute the organism. The organism makes the chromosomes, not the chromosomes the organism” (pag. 33). Our cytological studies have eaused us to sympathize with the many investigators "syho have expressed skepticism of the causal nature of the cliromosomes. For several years we have argued that the chromo- somes in the forms we have studied show too much variabihty, both in their morphological and physiological expressions, to justify those theories which obviously demand a rigid compliance to a definite mode of expression. We demonstrated in 1905 that the form and relative size of the chromosomes in Allololophora foetida are inconstant and in every publication since that date we have demonstrated variability in the form, relative size and behaviour of the chromosomes in every form we have studied, and we have consistently argued that such variability attacks the very foundations upon which the populär chromosome speculations of this decade have been built.” Even the few examples of variolarius and servus preparations given in this paper show some inconstancy in the relative size of the chromo- somes which can be apprcciated by a careful comparison of the photo- graphs. In photo 6 the two ordinary chromosomes at the upper left peri- phery of the group show a budding off of a part of their chromatin, which causes each to appear astonishingly like the XY chromosomes which are in the centre of the group. Occasionally such constricted portions become independent of the mother chromosomes and divide as individual chromosomes. In a recent paper on Euschistus crassus (T2 pag. 58) we described in some detail the occurrcnce of the Separation of such small portions of the chromatin from the chromosomes of the spermatocytes, and from the chromosomes of the embryos, and we called attention to their resem- blance to the supernumerary chromosomes described by Wilson (’09) in Metapodius, of which he says: “In behaviour they show an unmista- kable similarity to the idiochromosomes; and for reasons given beyond I believe theni to bc nothing other than additional small idiochromo- sonies, the presence of which has resulted from irregularities of distri- l)ution of the idiochromosomes in preceding generations” (p. 150). A similar Separation of chromatin from the mother chromosomes The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. 493 is seen in servus and in the and F2 hybrids. In the thread-like chro- mosomes of the ernbryos the constriction frequently occurs at quite a definite point in one or both members of a diploid pair and frequently more than one pair show like constrictions or small detached portions which appear as independent chromosomes. "WTiether such appearances (which are present in both sections and smears) are normal, or patho- logical, or due wholly or in part to the technique, we have not been able to determine. The X Y chromosomes and the genital spot. If the transmission of the genital spot is dependent upon the pre- sence of either the X or the Y chromosome this should be determined by our breeding experiments, in which we have crossed two species of Hemiptera — the genital spot being present in one species and absent in the other. A necessary step in determining this point is an analysis of the chromosomes based on the current assumptions as to their beha- viour in the maturation divisions. We have attempted to illustrate the first and second divisions of the spermatocytes by a simple diagram (text fig. 2) in which we have used the methods of designating Univalents by the letters of the alphabet, bivalents being represented as AB— CD— EF. First Sp. Cyte Cbromosomes. ABCDEFXY< Text figure 2. Sp. Tid. CItromosomes. Second Sp. Cyte Chromosomes. C E X Q .ACExy< ^'A C E Y — (3 /B D F X — Q ^BDFxy/ \ BDFY (3 Scheme of the two maturation divisions of Euschistus variolarius and Euschistus servus based on the assnmption tbat tbe iirst maturation division separates autosomes of maternal and paternal origin and tbe second division balves tbem. Tbe XY cbromosomes on tbe contrary being balved in tbe first division and separated in the second division. Tbe relative positions of the autosomes may le changed nnless definite cbromosomes are always destined to the same pole, but reversing their position in this regard does not alter tbe end result— tbat tbe only chromosome common to both so-calied male-producing spermatids is the Y chromosome'). The above diagram illustrates the important point that on the above assumption as to the maturation divisions the Y chromosome is the only 1) For the sake of simplicity only six of the 12 autosomes are designated. 494 Katharine Foot and E. C. Strobell chromosome that can be in both so-called male-procliicing spernia- tozoa. The two types of spermatozoa demoiistrated in the diagram, i. e. those having the Y clnomosome and those having the X clu-oniosome, have given rise to the assumption that such a morphological difference involves an important functional difference, viz. when the spermatozoa which contain this Y cliromosome fertilize the eggs, niales are produced and when the spermatozoa which contain the X chromosome fertilize the eggs, females are produced. These so-called male- and female-pro- ducing spermatozoa are supposed to carry the factors which determine sex. A belief in the fundamental significance of the chromosomes — that they are the bearers and distributors of unit factors — leads logically to very defhiite conclusions that may be tested by experiment. Of the Y chromosome Castle ('09) said: “1 would off er the Suggestion that we have a mechanism suitable for the transmission of characters exclusively male in the Y element described by YTlsox, the ‘synaptic mate’ of the X element”. Of the X chromosome Morgax (TI) said: “YTiat is most important is the discovery that the X chromosome contains not only one of the essential factors in sex determination ; but also all other characters that are sex-limited in inheritance”. Experimental Ijreeding with the aim of studying the transmission of such an exclusively male character as the genital spot of variolarius should be able to determine whether the X or A" chromosome is necessary to the transmission of such an exclusively male character, and we believe that the answer to this question will give significant evidence for or against the assumption that these two so-called sex chromosomes are the bearers of factors essential to the determination of sex. It is certainly logical to believe that if a given chromosome carries the factors that mould a definite Segment of these insects into the form essential to the functioning of the male genital organs, that the factors for a definite pigmented spot 011 the same segment are carried by the same chromosome. The spot is a character that is as exclusively male as the genital organ itself and it is not logical to assume that the two characters have a different mode of transmission. We therefore claim the right to assume that if the results of our experiments show that the genital spot can be transmitted without the aid of either the Y or the X chromosome, it is a clear indication that the male genital organs themselves are transmitted independently of these chromosomes and therefore the assumption of sex-determining chromosomes in these insects does not stand the test of experiment. The Chromosomes of Euschistiis variolarius, Euschistus serv'us etc. 495 In Order to prove that the genital spot can be transinitted without the aid of the Y chromosome, it is necessary to show that it can be inherited directly through the female, and to prove that it can be transinitted with- out the aid of the X chromosome, it is necessary to show that it can be inherited directly from the male. Both these facts have been denionstrated by our breeding experiments with E. variolarius and E. servus. A full report of the facts is in print and the results illustrated with a complete set of phptographs, showing the exact appearance of the spot in the Fi and Fo males, as well as the results from a back cross, in which it is proved that the male can cUrectly transmit the spot. The bearing of these facts on the populär modern chromosome theo- ries was discussed in our preliminary report, from which we quote the following: “An analysis of the maturation divisions would seeni to support Castle’s Suggestion that the Y chromosome may be the bearer of exclusively male characters, for this chromosome is the only one that can be in both the so-called male-producing spermatozoa of each quartette of spermatids resulting from the two maturation divisions, assuming that these divi- sions occur as illustrated in the text figure. It would seem quite logical to conclude that if a character associated exclusively with the male sex can be inherited from thefather, the factors which produce it should be in the so-caUed male-producing Spermatozoon and if they are to be located in a given chromosome it must be the one and only chromosome that ex hypothesi can be present in all the so- called male-producing spermatozoa, othervise the character would not be a constant feature. If Castle’s Suggestion is correct, then all characters exclusively male can be inherited only through the father, as the Y chromosome is never in the female. If then Euschistus variolarius is fertihzed by Euschistus servus — a form which lacks the spot — none of the offspring should have it, neither the F^ nor the F2 generation. As a matter of fact, however, the spot of Euschistus variolarius is trans- mitted through the female — appearing in a slight degree in the males of the Fj generation and much more intensely in the F2 generation — some of the offspring of this generation having the genital spot quite as conspicuous as that of their E. variolarius ancestors”. “If we attempt to locate the spot factors in the X chromosomes, we cannot expect these factors to be transinitted through the male-pro- ducing Spermatozoon and therefore if an Fj female hybrid is fertihzed 496 Katharine Foot and E. C. Strobel! by a pure E. variolarius, we shoukl expect to liave a no more pronoun- ced spot in the offspring than we obtain by matings of two Fj hybrids. The facts, however, demonstrate that the spot is transmitted through the pure male E.variolariiis far more intensely than it is through the Fi male”. This is strikingly iUustrated by a comparison of the male offspring of an F 1 female and pure variolarius male t\*ith the 204 males tve have succeeded in raising from seven pairs of the F^ hybrids. "We have 18 males from the former pair and the proportion with a strong variolarius spot is 14 out of the 18, whereas in F2 generation the proportion is 18 out of 204. Further, none of these 18 males from this back cross are without any spot, whereas 84 of the 204 males of the F2 generation have no spot whatever. Our facts seem to have demonstrated two points: First, that the spot is inherited through the female without the aid of the Y chromo- some, and second, that the spot is inherited from the male without the aid of an X chromosome. IVe seem forced then to admit that in this case neither of the so-called sex chromosomes is necessary to the inheritance of an exclusively male character, the factors of which, it would seem, ought to be contained in a chromosome which determines sex, if, in fact, sex-determining chromosomes exist. The spot in E. variolarius is a part of the male genital segment and it is only logical to assunie that the fac- tors which produce it are associated with the factors which produce the male genital segment itself, wherever or whatever those factors are. As the facts do not seem to warrant the assumption that these factors are confined to either of the so-called sex chromosomes, we may re-examine them in the light of placing these factors in some other chromosome or chromosomes. As the so-called male-producing Spermatozoon of many forms has no Y” chromosome and therefore no male sex chi’omosome, it is obvious thai if this Spermatozoon is assumed to carry a factor which produces sex, this factor must be placed in some other cliromosonie, by those who bclieve that the chromosomes are the vehicles of such factors. Realizing this Mokgan (’ll) concluded that “the factors for producing the male must be located in some other chromosome” and he places these factors in a pair of homologous chromosomes, as shown by his scheine. Gametes of female — XAI — XM Gametes of male — XAI — M. A glance at text fig. 2 will show that placing the male factors in an homologous pair of chromosomes (in A and B of fig. 2 for example) ne- The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. 497 cessitates their presence in all the spermatozoa of both sexes, thus giving to the so-called female-producing Spermatozoon the male-producing fac- tors in addition to the female-producing factors. The female-producing Spermatozoon is therefore heterozygous for sex and the male-producing Spermatozoon honiozygous for sex”. “If we assume with Morgan that both members of a definite diploid pair of chromosomes contain the factors for producing a male, this must hold for the same diploid pair in both the female and the male, and if the factors producing exclusively male characters are linked with the factors for maleness, then each meniber of this diploid pair should contain the factors for producing the spot, which in E. variolarius is an exclusively male character. As this diploid pair is in the female as well as in the male, it would seem necessary to assume that in E. variolarius the female carries an in- hibitor of such exclusively male characters. But one is embarassed in considering where to place this inhibitor; if we locate itin both members of an homologous pair of chromosomes, then it would be in the male as well as in the female. If we place it in only one member of an homolo- gous pair (in A, for example, of text fig. 2), this would involve selective fertilization, for if the female is fertilized by the so-called female-produ- cing Spermatozoon that is without the A, and she has by chance discarded the other A in her polar body, she also would have the spot, and further, half the male-producing spermatozoa have the A chromosome and there- fore they must not function or the spot would be absent in half the vario- larius males. If we place the inhibitor in the three X chromosomes, the assumption obviously would not work, for the male has one of the three X chromo- somes and the spot would therefore be inhibited in the male as well as in the female. It would therefore be necessary to assume that in E. variolarius two doses of inhibitor are necessary to cancel the spot. This assumption, which apparently would hold for E. variolarius, is, however, found to be untenable if used to explain the results of the cross between E. variolarius and E. servus, for the female hybrid cannot receive a double dose unless we assume that E. servus carries an inhibitor for inhibiting in the female a male character which is never present in the male. If, however, we feel justified in assuming that the female hybrid has a double dose of inhibitor, this would fall to explain the absence of the spot in those male hybrids, which do not have it, for they have only one X chromosome and therefore only one dose of inhibitor. AVe might avoid this by assuming that one dose only would be necessary for the 498 Katharine Foot and E. C. Strobell female hybrid, as she presumably has only one dose of spot factors ; but this would involve inhibiting the spot in all the Fi niales also, which is opposed to the facts, as the spot is not inhibited in all the Fi hybrids. The facts show that the spot factors — -whatever they are — are latent in the female and if they are suppressed by an inhibiting factor, it would seeni that this cannot logically be located in a definite chromosonie.” “If we assume that eacli member of one diploid pair of chromo- somes contains the factors for the genital spot, in addition to the factors for inaleness, then the ripe egg of E. varioJamis contains one such chro- mosomc and it follows when the egg is fertilized by E. servus it will have one diploid pair of chromosomes that is homozygous for the factors pro- ducing a male, but heterozygous for the factors producing the spot. Such a diploid pair should be present in all the offspring — both males and females, and if we cancel it in the females by assuming an inhibitor some^Yhere, w^e still have it in the males and therefore the spot should be quite as pronounced in the Fi hybrid males as in E. variolarius." The facts, however, are as follows ; None of the 11 male hybrids have a spot as strong as E. variolarnis, 2 have no spot whatever, 4 have a spot so faint and small that it is barely visible, and 5 have a spot about one- third as pronounced as that of E. variolarius. “Assuming that the diploid pair of chromosomes in the egg of E. variolarms which was fertilized by E. servus is heterozygous for the spot factors (that they are in chromosonie A, for example, of the pair AB), then it must be asked why those in chromosonie A are completely suppressed in sonie of the Fi hybrids, while part of theni find expression in other hybrids. AVe might siniply assume that sonie of the factors of chromosonie A have dropped out, but the facts show this to be untenable for the spot reappears in the F2 generation — in sonie cases quite as pronounced as in the pure E. variolarius. AA"e must thus assume that the female va- riolarius has at least half the spot factors which she transmitted to the male hybrids, although these Fj hybrids show either 110 spot at all or an incomplete spot. To account for these facts we must assume that the male hybrids differ froni the pure males in having an inhibitor that inhibits those spot factors which are present but which are not expressed. AVe have seen that the facts will not allow placing the inhibiting factors in either the X chromosomes or the ordinary chromosomes and we are thus forced to admit that inhibiting factors — whatever they are — must be located outside the chromosomes — in the region of pure hypothesis. The facts force us to consign to these hypothetical inhibitors, not only The Cliromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. 499 the responsibility of suppressing the spot factors in all tlie females, but also of cletermining just how many spot factors shall find expression in the males of the Fi and F2 generations, and thus they practically re- lieve the chroniosomes of the bürden of unit distribution.” The results of much of the experimental breeding of the past decade have been confidently offered in Support of the hypothesis that factors determining the transmission of unit characters are carried and distri- buted by definite chroniosomes. It is claimed that the transmission of some ofthe secondary sexual characters and “sex-linked characters” is explicable on the assumption that the factors essential to their determinatio aren linked mth the factors which determine sex, and that these factors are contained in a definite chromosome — the X chromosome. This hypo- thesis, offered in explanation of the transmission of sex-linked characters, is clearly stated by Morgan (TI). His fine experimental work on sex- linked characters in Drosophila led him to the above-quoted conclusion: “MTiat is most important is the discovery that the X chromosome con- tains not only one of the essential factors in sex-determination, but also all other characters that are sex-limited in inheritance.” Such extreme views of the function of the chromosomes in here- dity are hehl by only a few of the investigators who have experimented with the inheritance of sex-limited characters. Other students of genetics, v’hile accepting the hypothesis that the factors determining secondary sexual characters are hnked with the factors determining sex, do not definitely locahze them in the germplasm. These investigators treat both series of factors as purely hypothetical, the sex-linked factors being in some cases theoretically linked with the male — or female — determining factor, as the observed results of inheritance in their cross-breeding ex- periments seem to demand. In most of these cases the morphological facts of cytology are ignored, due to a scepticism of the existence of sex- determining chromosomes, or to the fact that the material is unfavorable for determination of the necessary cytological data. In the latter case the investigator who believes in sex chromosomes must simply assume his cytological facts. If the results of his experiments demand that the female be heterozygous for sex, the female should have the odd chromo- some, and woe to the cytologist who dares to find an odd chromosome associated with the wrong sex! A case in point is Guyer’s (’09) claim that the male chick has an odd (X) chromosome. This is embarassing to the cytologist who beheves that the presence of this odd chromosome is a proof that the male chick is heterozygous for sex, for it is claimed that the results of experimental 500 Katharine Foot and E. C. Strobell breeding of fowls have demonstrated that it is the female, not the male, that is heterozygous for sex. Arkell’s and Davexport’s (’12) theoretical Interpretation of the results of Crossing horned with hornless sheep is a case in which the mor- phology of the chromosomes is a pure assumption, for they assume the female has two X chromosomes, and the male the odd X chromosome, w’hereas these all important cytological details are still undetermined. Front the point of view of the cytologist, it is disappointing that so niiich of the experimental work on the transmission of “sex-linked cha- racters” has been done on material in which the morphology of the chromosomes is a very uncertain factor. The recent important dis- covery that in some forms it is possible to denionstrate a morphological difference between the chromosomes of the male and female has strengthened the hope that the chromosome theories might be put to the test of practica! experimental breeding, and it is probably due to this important cytological discovery that so much valuable work has been done on the transmission of “sex-linked characters”. But the value of this work as a practical test is forfeited if the mor- phology of the chromosomes is unknown, or even doubtful, and this im- portant factor must be supplied as a pure assumption. This difficulty is avoided in Euschistus. The morphology of the chromosomes of vario- larius and serms can be demonstrated by photographs as clear as those of the genital spot. Euschistus variolarius offers a still greater advantage, for the spot on the male genital segment is more than a sex-limited character, in the sense in which this term is frequently used by authors. As far as we are aware, scarcely any of the sex-limited characters which have been put to the test of experimental breeding are exclusively of one sex, for in some generations they appear in the opposite sex also, for example, Dox- caster’s pioneer experiments with Ahraxas, the cross-brceding experi- ments with horned and hornless sheep, the transmission of spurs in fowls, the sex-linked characters in Drosophila etc. The spot on the male genital segment of variolarius, on the contrary, never appears in the female, and it therefore cannot be classed vith the sex-linked characters, nor the secondary sexual characters that can be inherited by both sexes — it is a character that is part of the male genital segment and is as exclu- sively male as is the genital segment itself. This spot, therefore, would seem to be an exceptionally favorable character for testing the hypo- thesis that factors essential to the determination of sex and sex-limited characters are carricd by “sex chromosomes”. The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus ser\nas etc. 501 The results of oiir cross-breeding experiments demonstrate that this exclusivelj" male character can be inherited without the aid of the X cliro- mosome, and without the aid of the Y chromosome, and fiirther, they demonstrate that the factors deterniining the transmission of this ex- clusively male character cannot logically be confined in one or both inein- bers of any definite pair of the ordinary chromosomes. The facts, there- fore, challenge all those hypotheses that are based on the assumption that the factors deterniining the transmission of unit characters are car- ried and distributed by definite chromosomes. Recently Federley (T3) has drawn some important conclusions based on his observations as to the behavior of the chromosomes in the Fl hybrids obtained from Crossing Pygaera curtula, anachoreta etc., and he has offered these in explanation of some of the results of his cross- breeding experiments. He finds the inheritance of certain characters in the Fl hybrids quite as difficult to classify as we find the genital spot in the hybrids of Euschistus. He says : »Ich konnte nämlich keine unzweideutigen Beweise für eine alter- native Vererbung finden, aber gleichzeitig schien mir das Vorkommen der sogenannten konstanten intermediären Vererbung noch unwahr- scheinlicher . . . . « (pag. 5). The observations upon which he bases his cytological explanation of the fact that he finds no distinctly intermediate or Mendelian type of inheritance are as follows: »Die primären Bastarde. In der Prophase der ersten Reifungs- teilung kommt entweder gar keine Konjugation der artfremden Chro- mosomen vor, oder eine solche von einzehien Chromosomenpaaren. Im ersten Fall gehen alle Chromosomen selbständig in die Kernspindel ein, welche also die diploide Chromosomenzahl aufweist. Die Chromosomen teilen sich also äquationell. Eine Chromosomenreduktion findet also nicht statt. Werden dagegen diejenigen Fälle, in welchen eine Konjugation zwischen einzelnen Chroniosomenpaaren geschieht, mit in Betracht gezogen, so ist die erste Reifungsteilung eine kombinierte Äquations- und Reduktionsteilung . . . « (pag. 48). His text fig. D, pag. 71 shows clearly his conception of the rela- tion between the mode of inheritance and the behaviour of the chro- mosomes : “I. alternativer” (conjugation of all univalents at synaptic period) “II. intermediärer” (no conjugation), “III. kombiniert alternativer und intermediärer Vererbung” (one or more pairs conjugate). 502 Katharine Foot and E. C. Strobell »Die Folge des Ausfalls der Konjugation ist natürlich das Ausbleiben der Reduktionsteilung, tyodurcb also keine Spaltung möglich wird, und alle die gebildeten Gameten einander gleich werden und fortwährend eine vollständige Genengarnitur beider Eltern enthalten. Es herrscht also gar keine hochgracUge Affinität zwischen den artfremden Chro- mosomen, welche in einer Verschmelzung derselben Ausdruck nehmen würde, sondern es findet umgekehrt eine starke Repulsion zwischen den Chromosomen statt, welche Genenreinheit zur Folge hat. Die’ Reinheit der Gene ist also nunmehr kein Kriterium der MEXDELSchen Vererbung allein.” »Die beiden jetzt beschriebenen und in der Textfig. D I und II ab- gebildeten VererbungstyiJen bilden Extreme. Sie können aber dennoch kombiniert auftreten und kommen sogar bei dem Bastard curtula X ana- choreta vor, wo wir den Modus II kennen lernten. Bei den andern pri- mären Bastarden ist die Kombination der beiden Typen sogar die Regel. Dieser kombinierte Modus ist in dem Schema D III dargestellt.« (Pag. 70.) In the majority of cases the genital spot in the Fi hybrids from vario- larius and senus shows the inheritance from both parcnts (intermediate type); but we find no evidcnce of what Federley describcs as lack of affinity between the chromosomes. The first spermatocyte niitosis in the Fl hybrids differs in no perceptible way from the first spermatocyte mitosis of pure variolarius or senus. Compare photos 1 to 4 — 10 to 12 — 16 — 18. If, as Federley supposes, the behaviour of the chromosomes in this spindle is an index of the behaviour of the chromosomes in inheri- tance, the phenomenon belongs to Ins above-mentioned dass I, and the genital spot of these hybrids should show a pure alternative type of in- heritance, which is not the case. It niight be of interest to examine the results of our experiments in the light of those theories which ignore the clnomosomes, but which offer an explanation of the transmission of sex-limited characters on the assumption of a definite Segregation of hj'jDOthetical unit factors, and a coupling or repulsion of these factors with the factors which deterniine sex. A comparison of our results with those explained by the above as- sumptions would, however, be unprofitable, for all these ingenious schemes which seem to offer a plausible explanation of many sex-limited cha- racters are obviously inadequate to explain the transmission of the ge- nital spot of variolarius, for this character belongs exclusively to one sex; whereas nearly all the “sex-limited” characters of authors are inherited in some generations by a definite number of the opposite sex. The Chromosomes of Euschistus variolarius, Eusdiistus servus etc. 503 The only exceptions 'whicli we recall are the cases of exclusively female characters in certain species of butterflies, Colias philodice, Colias edusa and Papilio memnon. In Colias, for example, the females have either yellow or white wings, whereas the wings of the niales are always yellow. ’WTiite wings, therefore, in this species, are an exclusively female character, very niuch as the genital spot of E. variolarius is an exclu- sively male character, with the important clifference, that the spot of vario- larius is characteristic of all the males, whereas white wings are not characteristic of all the females of C. philodice, the females having either white wings or yellow wings. These two sex-limited characters have another feature in common. The spot of variolarius can be transmitted through the female when she is crossed with a species which has no spot, and the white wings of these butterflies can be transmitted through the yellow- winged male. These facts in the butterflies have been explained by Gerould 1911, on the assumption that white -wings are dominant in the females, and recessive in the niales ; but this does not explain the fact that white wings are completely absent from all the F2 males, whereas theoretically they should be present in 25 per cent of these males. Gerould suggests a pos- sible explanation on the assumption that for some reason the males that have the white wings do not survive. This solution of the difficulty is criticised by Goldschmidt (’12), who attempts to explain the fact by theoretical assumptions of his own. He assumes : First: that each sex has the factors for both sexes. Second: that the female is heterozygous for the male sex, and ho- mozygous for her own sex^). Third: that the male is homozygous for both sexes. Using the letter G to designate the factor for the female secondary sexual characters, and the letter A for the factor for the male secon- dary sexual characters, his formulae for the two sexes are as follows: $ F F G G Jil m A a (JFF G G MM AA. 1) His assumption that the female is heterozygous for the male sex has no morpho- logical Support from the chromosomes, which in these forms are very unfavorable for the determination of this important point. 504 Katharine Foot and E. C. Strobell He assumes that F and G are linked, that M and A are linked, and that m and a are linked, and expresses this by Amting bis formnlae as füllows : $ (F G) (F G) (M A) (ni a) c?(FG) (FG) (MA) (MA). He simpUfies these forraulae by dropping F and M, tlius: ? G G A a cJ G G A A. He designates a inutation in the feniale secondary sexual cliaracter (the above-mentioned tvliite wings, for example) by G', and assumes that G'is dominant to G. He assumes furtlier that A is dominant to G. (»A über G epista- tisch ist.«) Applying liis scheine to the case of CoUas, Goldschmidt shows that in three different combinations of his theoretical factors, the ex- pected results are in accord with Gerould’s facts: First: On the assumption that the wild feniale CoUas is heterozy- gous for the factor for white wings, and that it is absent in the male. Seeon d: On the assumption that the male is heterozygous for the factor for white wings, and that it is absent in the feniale. Third: On the assumption that both male and feniale are heterozy- gous for the factor for white wings. Although in this last case the ratio of white or yellow wings in the feniale is not in accord with the demands of his forniula, he believes this discrepancy will be corrected by more data. On page 84 Goldschmidt gives three more combinations of his theoretical factors; these reniaining to be tested by experimental bree- ding. These three combinations theoretically demand that all the females should have white wings, and in these cases, therefore, white wings are an exclusively feniale character, for they are characteristic of all the fe- males, just as the genital spot of variolarius is characteristic of all the iiiales. It is evident, then, that if Goldschmidt’s scheine can theoreti- cally explain the results of our cross-breeding experiments with Euschistus, one of these three combinations must be used, for no scheine can be of valiie for the variolarius hybrids that is not ajiplicable to the pure form The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistiis serviis etc. 505 also, and the theoretical deniands of all the above three combinations are in accord with the facts of pure variolarius to a certain extent, for tliey theoretically demand that the character shall be a constant feature of the sex to whicli it is hniited. The three formulae are based on the following assuinptions: Formula No. 1. The male is homozygous for the white wings factor, and the female is without this factor. Formula No. 2. The male is homozygous for the white wings factor, and the female is heterozygous for this factor. Formula No. 3. Both male and female are homozygous for the white wings factor. As the genital spot of variolarius is a male character, instead of a female character, Goldschmidt’s scheme must be adapted as follows: First: The factor for the spot must be hnked with A instead of G (A' instead of G'). Seeon d: G must dominate A instead of the reverse. Third: The male must be heterozygous for the female sex, instead of the female being heterozygous for the male sex. To test the worldng of formula No. 1 for pure variolarius, we must make the female, instead of the male, homozygous for the factors for the genital spot, for No. 1 assumes that the sex that is homozygous for white wings, is homozygous also for sex, thus: $ G G A' A' x G g A A. This formula obviously will not fit variolarius, for the spot is a con- stant male character and therefore the male must be either heterozygous or homozygous for the spot factors. To test the working of formula No. 2 for pure variolarius we must make the female (instead of the male) homozygous for the factors for the genital spot, and the male (instead of the female) heterozygous for the spot factors, thus : $ G G A' A' x G g A' A. ' This formula would not work for variolarius, because half the males and half the females from such a pair would be heterozygous for the spot factors, and 25 per cent of the males from these heterozygous pairs would be without the spot. Formula No. 3 when applied to pure variolarius, works out as follows: ? c? Gg A'A' GA' gA' Soma G G A' A' Gametes G A' X Zygotes G G A' A' (no spot) G g A' A' (spot). Archiv f. Zellforschung. XII. 33 500 Katharine Foot and E. C. StrobelJ As the formula is always the same in tlie zygotes as in the pa- rents, it is evident that in all snbsequent generations the spot will be ab- sent in all the females, and present in all the males, which is in accord whit the facts; but when we apply the same formnla to the cross between variolarius and servtis, the facts are clearly out of harniony with the theo- retical demands. As Goldschmidt's formula (Xo. 3) is the only oiie that works with pure variolarius, we must adopt it for the variolarius female used for the cross, thus: ^GGA'A' and as E. servus never has a spot on the male genital segment, the formula for servus must be G g A A, as follows ; $ variolarius 'S servus Soma GGA'A' GgAA Gametes G A' G A gA Zygotes G G A' A (no spot) G g A' A (spot). Kesults expected: All the males should have the spot. Facts: All the males do not have the spot (2 of the 11 Fi males have no spot whatever, and none of the remaining 9 have the spot as stroug as variolarius: it is present from a mere indication of a spot, to a spot about one third as strong as that of pure variolarius). Obviously, it will not help the Situation if we vary the formula for the male, and the formula for the female cannot be altered, for it is the only formula of Goldschmidt’s that will work for pure variolarius. It therefore seems cpiite clear that Goldschmidt’s formulae are ina- dequate as a theoretical explanation of the results of our cross-breeding experiments with Euschisius. In spite of persistent effort we have been unable to harmonize our results with any of the ingenious Scheines we have seen offered as theo- retical explanations of the transmission of characters that are inherited exclusively by one sex, or belong to the so-called sex-linked groups. IVe are considering two appearances, the genital spot of variolarius and absence of spot of servus, and each of these characters can be trans- mitted to the offspring. IVe have shown from the back cross p. 496, that one of these exclusively male characters (the genital spot) can be trans- mitted directly from the male and therefore through the so-called male producing Spermatozoon. Further, the off spring of this back cross show, not only the inheritance of the spot from the pure variolarius father but they also show the influence of the heterozygous (Fi) niother. The Clu'omosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. 507 The lower two specimens of photo 62 and the lowest specimcn of plioto 66 (Foot and Strobell ’14) show only a very faint and small variolarius spot, and thus the inheritance of the servus character (absence of spot) is clearly denionstrated. The Fi female inherited this servus cha- racter through her pure variolarius mother, whosc eggs wcre fertilized by the male servus, therefore it was conveyed to them by the so-called feniale- producing Spermatozoon of servus. Thus we have evidence from this back cross that one of these two exclusively male characters (the genital spot) can be transmitted by the male-producing spermatozoa and the other male character (the absence of spot) can be transmitted by the female-producing spermatozoa, therefore these two tj’pes of spermatozoa do not differ functionally in their transmission of an exclusively male character, and it may well be questioned whether they differ in their transmission of exclusively female characters. Appendix 1). After this paper was sent to press a notice of our results appearcd in the following publications : “Heredity and Sex” — Morgan (13) and “Chroniosomes, Heredity and Sex”, Doncaster Q. J. M. Sei. Vol. LIX (14). Doncaster disposes of our results in a footnote, as data irrelevant to a paper entitled “Chroniosomes, Heredity and Sex — A Eeview of the Present State of the Evidence with Regard to the Material Basis of Heredity Transmission and Sex-Determination”. From his report of the evidence he {h’aws the following conclusion; “The facts of sex-limited^) transmission thus Support the hypothesis that both ordinary Mendelian factors and the sex-determining factor or factors are borne by chroniosomes”, p. 511, and in the above mentioned footnote he adds: “The recently published work of Foot and Strobell cannot be iised as an argument against this proposition. They have slioini (as was previously known in birds and moths) that a secondary sexual character in Hemiptera can be transmitted through the sex that does not shoiv it; biit the character was not sex-limited^) in transmissicn; their results, therefore, have no bearing in the present disciission”. As opposed to this decision we Claim that the very fact that the genital spot is not linked with one of the so-called sex chroniosomes is a point that 1) The italics are ours. 2) Sex4imitecl is used by Doncaster in the sense that sexdinked is used by L 508 Katharine Foot and E. C. Strobell calls for a satisfactory explanation by tliose ^Yho believe in sex-detcr- mining chromosomes, and oiir results cannot be cancelled by a dogmatic assertion that they liave no bearing on the subject. ^loRGAX treats the facts with more consideration and attempts to give an explanation of them, tliough his explanation appears to ns more as an attempt to excuse the facts than to explain them. Part of his explanation is merely a restatement of oiir conclusions and the remainder is not in harmony with the facts. We concluded that our results demonstrate that the spot can be transmitted without the X or the Y chi'omosome and Morgan accepts this as follows, “these results may be explained on the assumption that the factors lie in other chromosomes than the sex-chronio- somes”. "We concluded that if one assumes (for the sake of the argument) that the spot factors are in a diploid pair of chromosomes, it becomes necessary to assume other factors outside the chromosomes. called such hypothetical factors ‘‘inhibiting factors” and we said of them — “We are forced to aclniit that inhibiting factors — whatever they are — must be located outside the chromosomes — in the region of pure hypo- thesis.” Morgan appears to accept this, calling such hypothetical factors “things in the cell”, and symbolizing them as A.B.C. He says “the result (or character) that a factor produces depends on its relation to other things in the cell, (here A.B.C.)” and he adds, “We are dealing, then, not with the relation of X to S alone, but this relation in turn depends on the proportion of both X and S to A.B.C.” In the above quoted paragraph he includes in his explanation the assumption of a relation between the spot factors and the X chromosome and this we believe is a part of his explanation which is not sustained by the facts. The spot can be transmitted directly front the male to his male offspring — and therefore this must be by the male-producing Spermatozoon — (if there is such a thing) and the so-called male-pro- ducing Spermatozoon has no X chromosome. It is impossible to believe that in such cases the inheritance of the spot is depcndent upon the relation of the spot factors of the sperm to the X clmomosome in the egg, especially if the cross is made with a pure semis egg. Morgan evidently thinks this is possible, however, for in his explanatory diagram he illustrates a cross between E. serms $ x £. variolarnis (J, a cross which we explaiiied we were unable to attempt on account of scarcity of material. The Chromosomes of Euschistus variolarius, Euschistus servus etc. 509 His cliagram, if assumed to be an explanation based on the facts of our experinients, is further in error in its illustration of the Fi hybrids. In his simple Mendelian scheine all the Fi hybrids are illustrated as typieal heterozygotes and the fact is ignored that two ont of the eleven of our Fl hybrids are like servus in having no spot. If such a niodification of the spot can be cansed by “other things in the cell”, it would seeni that merely caUing these “A.B.C.” is no explanation of the resnlts. Morgan excuses his attempted explanation on the gronnd that we have failed to explain our resnlts. We make no apology for this. We lielieve the duty of the scientist is to curb the natural teniptation to force an explanation of individual resnlts, for Science to-day is over- burdened by premature and undigested generalizations. We would aim rather to follow the example of those scientists who are willing patiently and conscientiously to collect data sustained by the hope that some day the facts inay be of value. Both Morgan and Doncaster dass the genital spot of variolarius with the secondary sexual characters of authors and they therefore Interpret our resnlts as not having the bearing on the theories of sex- determination which we Claim for them. Aow our Claim has been that the genital spot of variolarius is an inte- gral part of the male genital segment — the structure of the feniale genital Segment being such that the spot coulcl not be present in this segment without changing the form of the segment itself — and we have claimed that therefore a study of the transmission of the genital spot should give a trustworthy indication of the inethod of transmission of the entire genital segment. This Claim that the method of transmission of the genital spot should be an Index of the method of transmission of the genital Organs of the male, has been completely jiistified by further work on these hybrids. We quote the following from the appendix of a paper now in press (Foot and Strobell [14]). “Since this paper was finished, striking corroborative Support has been given to the resnlts of our experinients. In expressing to Professor PouLTON our desire to find an experienced Entomologist who would look over the parent species of our hybrids for some distinguishing cha- racter, (other than the genital spot) that might give additional evidence in Support of our experinients, Professor Poulton kindly siiggested Dr. Harry Eltringham of New College, Oxford. We feel very grateful to Professor Poulton for his interest and courtesy in this matter, and 510 Katharine Foot and E. C. Strobell we are deeply indebted to Dr. Eltrixgham for bis very valuable dis- covery of the marked difference in the length of the intromittent organ of E. variolamis and E. servus. As a result of bis observations, we bave beeil able to follow out tbe inberitance of tbis second exclusively male cbaracter in tbe bylirids froni tbis cross, as -svell as froni tbe cross be- tween E. variolamis and E. ictericus. A full description of tbese results will be publisbed sbortly, in Con- nection witb Dr. Eltrixgham’s description of bis work oii the parent species". Bibliography, Arkell and Davexport. ’12. Are Horns in Sheep a Sex-limited Character? Science, March 8. 1912. Castle, E. W. '09. A Mendelian View of Sex-Hereditjx Science, X. S., Vol. XXIX. ’12. The Inconstancy of Unit-characters. Amer. Xatiualist. Child, C. M. T2. The Process of Reproduction in Organisins. Biol. Bidl. Yol. XXIII. Federlea', Harrat. T3. Das Verhalten der Chromosomen bei der Spermatogenese der Schmetterhnge Pygaera anachoreta, curtula und pigra, sowie einiger ihrer Bastarde. Zeitschr. f. induk. Abstamm, u. Vererb.-Lehre. Bd. IX. Hft. 1 u. 2. Foot, K. and E. C. Strobell. ’Ol. A New Method of Focussing in Photomicrography. Zeitschr. f. wiss. Mikr. Bd. XVIII. '05. Prophases and Metaphase of the First Maturation Spindle of AlloJobophora Foetida. Amer. Joimn. Anat. Vol. IV. Xr. 2. T3. Preliminary Xote on the Results of Crossing two Hemipterous Species with reference to the Inheritance of an Exclusively Male Character and its Bearing on Modern Chromosonie Theories. Biol. Bull. Vol. XXIV. Xr. 3. TI. The Results of Crossing Euschistus variolarius and Euschistus servus with Reference to the Inheritance of an Exclusively Male character. VII Plates of Photographs. Proc. Linn. Soc. London. Vol. XXXII. Gerould, F. H. TI. The Inheritance of Polymorphism and Sex in Colias philodice. Amer. Xat. Vol. XLV. Goldschmidt, Richard. T2. Bemerkungen zur Vererbung des Geschlechts, Poly- morphismus. Zeitschi', f. induk. Abstamm.- u. Vererb.-Lehre. Bd. VIII. Hft. 1 und 2. Gua'er, Michael F. ■09 b. The Accessory Chromosonie in the Domestic Chick. Anat. Anz. Bd. XXXIV. Xr. 22 u. 24. Moxtgomera', Th. H. '06. “Chromosomes in the spermatogenesis of the Hemiptera heteroptera.” Trans. Amer. Philos. Soc. Vol. XXL Morg.ax, T. H. TI. “An Attempt to Analyze the Constitution of the Chromosomes on the Ba.sis of Sex-limited Inheritance in Drosophila.” Journ. Exp. Zool. Vol. XL Xr. 4. PrxxETT, R. C. TI. Mendelism. The Macmillan Company. The Chromosomes of Euschistus variolarius, Eusehistus servus etc. 51 1 Wilson, E. B. ’06. Studies on Chromosomes III. The Sexual Differences of the Chromosome groups in Hemiptera, with Some Considerations on the Deter- mination and Inheritance of Sex. Journ. Exp. Zool. Vol. III. Nr. 1. • T2. Studies on Chromosomes VIII. Observations on the Maturation-Phenomena in Certain Hemiptera and Other Forms, with Considerations on Synapsis and Reduction. Journ. Exp. Zool., Vol. XIII. Nr. 3. Explanation of Plate. Plate XXXVI. The photographs were taken by our method of focussing described by Foot and Strobell ’Ol, and in all cases the magnification of each photograph on the plates is 1000 diameters (Zeiss 2 mm. apo. immer. lens, com^ oc. 4). The photos are from smear preparations, and in the chromosome groups of each photograph every chromosome of the group is demonstrated. The reproductions are bromide prints. Photos 1 — 9. E. variolarius. Photos 1 and 2. Late prophase chromosomes of the first spermatoc3'te mitosis. In photo 1 the X Y chromosomes appear well separated on the right periphery of the group. In photo 2 they appear as a tetrad on the left periphery of the group. Photos 3 and 4. Sletaphase chromosomes of the first spermatocyte mitosis. In photo 3 the X Y chromosomes are below the bivalents and are dividing as univalents, and in photo 4 also each is di\nding as a univalent, while the autosomes are dividing as bivalents. Photos 5 — 8. Metaphase chromosomes of the second spermatocyte mitosis. In each of the 4 groups the X Y chromosomes are clearly distinguished on account of their inequahty in size. On the left periphery of photo 6 are shown two of the autosomes apparently constricting off a small particle of their chromatin, as described on p. 492. Photo 9. Telophase of the second spermatocyte mitosis. The chromosome groups of the two spermatids show the X chromosome in the center of the left group and the Y chromosome in the center of the right group. Photos 10 — 15. E. servus. Photos 10 — 12. Metaphase chromosomes of the first spermatocyte mitosis. In each of the 3 groups the X Y chromosomes are nearly in contact and are clearly dist- inguished from the autosomes. Each is dividing as a univalent while the autosomes are dividing as bivalents. Photos 13 — 15. Metaphase chromosomes of the second spermatocyte mitosis. The X Y chromosomes are nearly in the center of each group and are easily identified on account of their inequality in size, which is fully as marked as the inequality in size of the XY chromosomes of variolarius. (Compare photos 10 — 15 with photos 1 — 9.) We have selected these photographs of servus from material that was collected in both Texas and N^orth Carolina. Photos 10, 14 and 15 are from North Carolina specimens and photos 11^ — 13 from Texas material. 512 Katharine Foot and E. C. StrobeU, The Chromosonies of Euschistus etc. Photos 16 — 23. The First Generation of Hybrids (F^) from E. variolarius Q x E. servus d. Photos 16 and 17. Late prophase chromosomes of the first spermatoeyte mitosis. In both photographs the X Y chromosomes are clearly differentiated from the auto- somes. Both X and Y are preparing to dhdde as individuals while the autosomes are prepared to divide as bivalents. Photos 18 — 23. Metaphase chromosomes of the second spermatoeyte mitosis. In each of the six groups the X Y chromosomes are easily identified and show the tj-pical featimes of both parents. Photos 24 — 31. The second Generation of Hybrids (F^). Photo 24. Prophase chromosomes of the first spermatocjde mitosis. The X Y chromosomes are alniost in contact on the lower periphery of the group. Their method of division is clearly indicated, each preparing to divide indiA*idually. On the upper peripher}’ of the group one of the autosomes appears as a cross — a form sometines seen in both variolarius and serms. Photos 25 — 27. Late prophase or metaphase chromosomes of the first sperma- toc}’te mitosis. In photo 25 the X Y chromosomes are widely separated, the Y chromo- some being on the lower periphery of the group and the X chromosome on the right periphery. On the left periphery the two halves of one of the autosomes are far apart, probably due to the technique. In photo 26 the X Y chromosomes are sharply differentiated from the autosomes, the X chromosome indicating clearly a longitudinal division. The two halves of one of the autosomes are far apart. The relative size of the X chromosome to the autosomes shows an irregidarity which is sometimes seen both in variolarius and servus. In photo 27 the XY chromosomes are almost in contact on the lower periphery of the group. On the upper left periphery the two halves of one of the autosomes are apart. Photo 28. Telophase of the first spermatoeyte mitosis. In the center of each group is one half of the Y chromosome, a clear demonstration of its division in the first mitosis. The halves of the X chromosomes can be identified as the smallest in the circle of chromosomes. All the autosomes appear as dyads. Photos 29 and 30. Metaphase chromosomes of the second spermatoc}’te mitosis. In each of the two groups the X Y chromosomes are in contact and can be clearly recogni- zed by their inequality in size. Photo 31. Telophase of the second spermatoeyte mitosis. The chromosome groups of the two spermatids show the X chromosome in the center of the right group and the Y chromosome in the center of the left group. Compare these spermatids with those of variolarius in photo 9. /\rchiv für Zellforschung. Band XII Taf. XXX9I. 1 * 4t ^ 5 6 7 8 9 ** 11 12 M CO .CV * »» *• > 16 , # #• «w « • ^ */ /,,w • * » • 1 •f». 17 18 19 ••.'C r 21 22 23 «s •> * ' ♦ * (5;- •* r 26 27 28 29 30 31 TeiUg roQ WillMim Cn(*lm«u In Uptli and Bnriln. Fon« * BtnbnU photan. Sulla fine struttura delle cellule endoteliali dell’endo- cardio e delle cellule che tappezzano le fenditure di Henle. Per Francesco Speciale, Interno. iDair Istituto di Anatomia umana normale della R. Universitä di Palermo, diretto dal Prof. R. Versari.) Con 4 Figm'e nel Testo. Scopo delle ricerche che formano l’oggetto di questa breve nota e stato quello di stabilire se nelle cellule endoteliali dell’ endocardio ed in quelle che tappezzano le fenditure di Henle si riscontra l’apparato reticolare interno descritto da Golgi ed in seguito da molti altri osser- vatori nella maggior parte degli elenienti cellulari. E perö ho trattato col ben noto metodo Golgi piccoli pezzi dell’endocardio e miocardio di cavia. Riferirö brevemente i risultati ottenuti. Nelle cellule dell’ endocardio (fig. 1—2) il metodo anzidetto mette in evidenza granuli piccoli rotondeggianti , distribuiti per tutto il corpo cellulare. Oltre a tali granuli disseniinati si riscontra general- mente un mucchio di granuli addossato ad un punto della periferia del nucleo. Questi Ultimi granuli sono intimamente uniti ed e quindi difficile il poterli distinguere l’uno daU’altro. In qualche cellula invece di un mucchio di granuli si vede conie un tenue filamento, piü o meno ag- grovigliato, lungo il quäle sono disposti granuli a corona di rosario: in qualche cellula ancora si ha un filamento di calibro uniforme avvolto SU se stesso. Nelle cellule a nucleo ovoidale che tappezzano le fenditure di Henle (fig. 3—4), e riscontrabile la presenza di granuli disseminati che con- tornano piü o meno regolarmente il nucleo. Inoltre ad un polo del nucleo si vede una formazione intensamente impregnata col nitrato di argento 514 Francesco Speciale e che csaminata a forte ingrandimento appare o come un filainento di calibro non uniforme, che segne per un certo tratto il contorno de! nucleo, Fig. 1. Fig. 2. [ .p-'j- •: V.- Fig. 1. Cpllule endoteliali dell’ endocardio di Cavia. Metodo Golgi all’ acido osmico. Oc. 3-Ob. >/i2 immers. omog. Fig. 2. Una cellula endoteliale dell' endocardio Cavia. Metodo come sopra. Oc. S compens. Ob. '/le immers. omog. 0 come un bastoncino tozzo intensamcnte coiorato, o come un vero e proprio anello. Fig. 3. «L- Sezione trasversa del miocardio di Cavia. Metodo come sopra. Oc. 3. Ob. >/ie immers. omog. Riassumendo, nelle ccllule endoteliali dell’ cndocartüo ed in quelle che tappezzano le fenditure di Hexle, si mettono in evidenza con il metodo Fig. 4. n i * Cellule che tappezzano le fenditure di Hexle. Oc. 8 compens. Ob. >/i2 immers. omog. Golgi, due formazioni distmte: l’una e rappresentata da granuli disse- minati nel corpo cellulare, l’altra e rappresentata da un filainento o da un anello e talora anche da un bastoncino piü o meno lungo. Quanto alla interpretazione di queste due formazioni, io ritengo, che, basandoci Sulla fine struttura delle cellule endoteliali dell’ endocardio e delle cellule ecc. 515 sul loro aspetto morfologico, si debbono iiiterpretare i granuli come for- inazioni plastosomiali mentre il filamento, piü o meno aggrovigliato, e gli anelli si debbono considerare come un vero e proprio apparato reticolare interno , piü o meno modificato. Questi reperti portano quindi ad ammettere che, contrariamente aU’opinione sostenuta da alciini autori, i plastosomi e l’apparato reticolare interno siano due formazioni distinte. Essi si accordano con le ricerche di Perroncito il quäle ha riscontrato le due formazioni anzidette in uno stesso elemento cellulare, con quelle di Luna, il quäle nella fibra muscolare cardiaca mise in evidenza attorno al nucleo plastosomi ed apparato reticolare interno, e finalmente con quelle di Sanchez il quäle, confermando pienamente le ricerche di Luna, riscontrö nella fibra muscolare di sanguisuga delle formazioni granulari e bacillari che interpretö come plastosomi ed apparato reticolare interno. Bibliografia. Domingo Sanchez y Sanchez. Sobre la estructura intima de la fibra musciilar en los invertebrados. Erabayos. 1913. Luna. Sulla fine struttura della fibra muscolare cardiaca. Arch. für Zellf. Bd. VI. Perroncito. Contributo allo studio della biologia cellulare. Acc. dei Llncei, seduta del 6 Marzo, 1910. über die Spermatogenese von Schistosomum haemato- bium Bilh. (Bilharzia haematobia Cobb.) mit besonderer Berücksichtigung der Geschlechtschromosomen. Von Erwin Liiiduer. (Aus dem Zoologischen Institut München.) Mit 1 Textfigur und Tafel XXXVII-XXXVIII. Inhaltsverzeichnis. Seite Einleitung 516 Literatur 518 Material und Technik. 518 Anatomie — Topographie 519 Die Spermatogonienteilungen 521 Die Spermatocyten I. Ordnung bis zur ersten Reifeteilung 523 1. Reifeteilung 527 2. Reifeteilung 531 Spermiogenese 532 Zusammenfassung 533 Literaturverzeichnis 534 Tafelerklärung 538 Einleitung. In den verschiedensten Gruppen des Tierreichs wurden Geschlechts- chromosomen und Beziehungen derselben zur Zweigeschlechtigkeit fest- gestellt. Auch für den zwittrigen Zustand ergaben sich solche (Schleif, Boveri, Demoll). Durch alle bisherigen Untersuchungen über die Entwicklung der Ge- schlechtszellen bei Trematoden wurde gezeigt, daß ihre Eier wie ihre Spermatozoen dieselben Chromatinverhältnisse aufweisen. Untersucht über die Spermatogenese von Schistosomum haematobium Bilh. usw. 517 wurden Pohjstomum integerrimum von Goldschmidt, I'icrocoelium lan- ceatum von Dingler und Goldschmidt, Fascicola hepatica von Schel- lenberg, Zoogonus mirus von Goldschmidt, A. und K. E. Schreiner, Gregoire und Wassermann und neuerdings Bracliycoelium salamandrae von V. Kemnitz. Es war nun denkbar, daß Schistosomum, die einzige getrenntge- schlechtliche Form in der völlig zwittrigen Trematodengruppe doch viel- leicht zweierlei Spermatozoen bildete und daß das Geschlecht des aus der Befruchtung hervorgehenden Produktes von der Art des verwendeten Spermatozoons abhängig sei. Es war von Interesse, damit zeigen zu können, wie in einer Tiergruppe, in welcher Hermaphroditismus und Gonochorismus nebeneinander stehen, dieser Spaltung in zwei Abteilungen, auch das Fehlen und Vorhandensein von Geschlechtschromosomen ent- sprechen, der Gonochorismus also offenbar in engster Alihängigkeit von dem Auftreten von Geschlechtschromosomen steht. Von diesem Gesichtspunkt aus riet mir Herr Professor Goldschmidt, die chromosomalen Verhältnisse und Beziehungen der beiden Geschlechter von Schistosomum zu untersuchen. Die Arbeit wurde im zoologischen Institut in München ausgeführt. Es ist mir eine angenehme Pflicht, meinen hochverehrten Lelu’ern, Herrn Geheimrat Richard v. Hertwig für das lebhafte Interesse, mit welchem er den Fortgang meiner Arbeit überwachte, und Herrn Professor Richard Goldschmidt für seinen mir oftmals wertvollen Rat meinen aufrichtig- sten Dank auszusprechen. ■ Daß ich so wertvolles Material untersuchen konnte, verdanke ich Herrn Professor Looss in Kairo, der es Herrn Professor Goldschmidt zur Verfügung gestellt hatte. Herrn Dr. Katsucki, der aus Japan Schistosomum japonicuni be- sorgte, das jedoch für meine Zwecke leider zu ungünstig konserviert war, danke ich auch an dieser Stelle bestens für seine Bemühungen. Leider konnte ich meine Arbeit nicht in dem Umfange durchführen, in dem sie beabsichtigt war. Von vornherein mußte ich auf die Unter- suchung der Keimzellenentwicklung im weiblichen Geschlecht verzichten, da die Verhältnisse in der weibhchen Keimdrüse so ungünstig vYaren, daß es unmöglich war, die geringe Zahl gut fixierter Tiere erfolgreich zu v^er- werten. Weiteres Material ließ sich nicht beschaffen. Ungünstige Momente bot auch die männliche Keimdrüse insofern, als eine Einteilung des Hodeninhalts in Zonen völlig fehlte und als alle Elemente von außergewöhnlicher Kleinheit waren. Günstig war die verhältnismäßig geringe Chromosomenzahl. 518 Erwin Lindner Literatur über Schistosomum. Bilharz selbst, der Entdecker der Sch. haematobium, wie -auch Leuckart (1863 ) konnten als Hodeninhalt nichts weiter finden als »immer nur eine körnigzellige Masse und keine Samenfäden«. Looss betont, daß der Inhalt der Hodenbläschen aus denselben Gründen, die ich oben bereits angeführt habe, sehr schwer zu analysieren ist. Er gibt eine Darstellung des Prozesses der Sperniatozoenbildung, »jedoch nur unter aller Reserve«. Er beschreibt Kerne von 0,0028 bis 0,0056 mm Durchmesser mit dem verschiedensten Chromatininhalt, hat jedoch wichtige Stachen nicht gesehen; nach seiner eignen Angabe hat er ein lockeres IHiäuelstadium beobachtet, doch ist cs ihm nicht geglückt, »irgendwelche andre Phasen einer Teilungsfigur aufzufinden«. Material und Technik. Das kostbare Material hatte ich, wie bereits mitgeteilt, aus Ägypten erhalten. Es sei mir hier gestattet, zu einer systematischen Frage Stellung zu nehmen. Die von mir untersuchten Tiere waren zum größeren Teil Schistosomum haematobmm Bilharz, die aus den Darm- und Blasenvenen von Ägyptern stammten, zum kleineren Teil Sch. bovis Sons., Exemplare, die aus den Mesenteriälvenen von Sudanrindern gesammelt waren. Letztere Form ist etwas größer, sonst konnte ich keinen Unterschied feststellen. Vor allem konnte kein solcher, wie aus einigen meiner Äb- bildungen auch hervorgeht, in dem Chromatinl)cstand wahrgenommen werden. Soxsixo, der 1876 die neue Art Sch. bovis beschrieb, fand selbst keine wesentlichen Unterschiede der beiden Aiden. Er stellte nur fest, daß Sch. bovis etwas größer und dicker ist und allerdings, daß die Form der Eier eine ganz andre ist wie bei Sch. haematobium. Wenn dieser Unterschied wirklich besteht, so ist gegen die Aufstellung einer neuen Art nichts einzuwenden. Das Ei von Sch. haematobium soll die Form der Schalendrüse annehmen (Fritsch). »Diese hat die Gestalt einer oben leicht zugespitzten Frucht auf kurzem Stiel.« »Die fertigen Eier erhalten einen Seiten- oder einen Endstachel.« Vergleicht man mit dieser Darstellung die Abbildung, die Soxsixo 1876 vom Ei von Sch. bovis gegeben hat, so kann eine große Ähnlichkeit der beiden Eifornien nicht geleugnet werden. An lebendem Vergleichsmaterial müßte sich die Frage sofort entscheiden lassen. Ich konnte solches nicht unter- suchen. über die Spermatogenese von Schistosomum liaeniatobium Billi. usw. 519 Mein Verdacht, daß es sich um ein und dieselbe Aid handelt, gründet sich auf drei Funkte: Einmal ist die Beschreibung von SoNSixo (1876) doch schon ziemlich alt. Dann sind die übrigen Unterschiede der beiden Formen sehr geringfügiger Natur; vor allem ist die Chromosomenzahl ein und dieselbe. Und schließlich dürften sich in Ägypten Mensch und Vieh doch wohl auf dieselbe Weise mit dem Parasiten infizieren, ganz gleich, auf welche Aid das nun geschieht. Es ist dieser Punkt ja noch nicht ganz aufgeklärt. Vielleicht gelingt es einmal dem Experiment, diese Frage, und damit auch die systematische zu lösen. Ich werde bei der Darlegung meiner Befunde nur von einer Aid spre- chen und nur in der Erklärung der Abbildungen auch die andre {Sch. bovis) berücksichtigen. Mein Material war leider nicht so gut fixiert, wie wünschenswert erschien. Der Umstand, daß einige Tiere ziemlich gute Verhältnisse auf- wiesen, in andern jedoch statt voneinander geschieden Plasma und Chromatin, nur eine mehr oder weniger trübe Masse in den Geschlechts- zellen zu finden war, läßt vermuten, daß viele Tiere erst als sie schon tot waren, fixiert worden waren. Die Fixierung war zum Teil mit Sublimat, zum Teil mit Formol geschehen. Beide Fixierungsmittel waren an und für sich brauchbar; das zeigen einige gut erhaltene Tiere der einen wie der andern Fixierungs- art. Daß die größere Menge nicht mehr verwendbar war, mag daran liegen, daß sie wahrscheinlich nicht rechtzeitig genug fixiert worden war. Je nach der Fixierung mit Sublimat bzw. mit Formol wurde mit Hämatoxylin HEiDENiiAiN-Eosin oder mit Hämatoxylin Delafield ge- färbt. Andre Färbemethoden versagten, so z. B. Magenta, zum Teil wegen der Art der Fixierung. Alle Schnitte fertigte ich in einer Dicke von 5 ju an. Anatomie — Topographie. Da ich durch das Studium meines Materials mit der Anatomie von Sch. haematobium näher bekannt wurde, möchte ich die Kenntnis über das männliche Geschlechtssystem in Kürze darstellen und ergänzen. Leuckart (Parasiten, 1. Auflage) beschreibt die Hoden folgendermaßen: »Sie er- scheinen als rundliche Blasen von etwa 0,12 mm Durchmesser, die sechs bis acht an der Zahl, der Länge nach etwas alternierend aneinander gereiht sind und den Zwischenraum zwischen den Darmschenkehi einnehmen. Ein Cirrusbeutel mit Samenblase ist nicht vorhanden.« Später konnte Leuckart (Parasiten, 2. Auflage) eine wesentlich bessere Darstellung geben. Er erkannte den Hodenapparat als einen 520 Erwin Lindner zickzackförmigen Kanal, der sich dorsal zu mehreren aneinanderstoßenden Blasen ausstülpt. Der Ausführungsgang zieht dann vom vordersten Hodenbläschen ventral nach vorn, Avendet sich dorsal nach rückwärts und schwillt zur Vesicula seminalis an. Von ihrem hinteren Ende geht der Ductus ejaculatorius ventral zum Porus genitalis. Er liegt in der Medianebene, und zwar in einer Entfernung hinter dem Bauchsaugnapf, die dem Durchmesser desselben entspricht. Die dichte Auskleidung des Canalis gynaecophorus mit durch Häma- toxylin stark färbbaren Stacheln tritt im Umkreis des Porus genitahs zurück und fehlt am Porus selbst vollständig. Textfigur. Ein äußerst günstiger Schnitt durch Vesicula seminahs, Ductus ejaculatorius und Porus genitalis setzt mich in die Lage, die Verhältnisse wie sie Looss auch in einer Abbildung wiedergibt, zu ergänzen (s. Text- figur). Der Ductus ejaculatorius mündet wohl auf einer niedrigen Er- hebung nach außen, doch ist das, was als solche gewöhnlich erkannt wird, ein ringförmiger Wulst, der über der eigentlichen Endigung des Ductus ejaculatorius einen Hof bildet und bei der Begattung offenbar weit geöffnet und dabei Amrgestülpt werden kann. Dieser Zustand ist durch die Loosssche Abbildung dargestellt. Es besteht also doch eine Art Begattungsapparat. Was Looss sonst über den histologischen Aufbau des Genitalapparates sagt, kann ich nur bestätigen, besonders was das cuticulaartige Aussehen der Auskleidung von Ductus ejaculatorius und Vesicula seminalis betrifft. Deutlich ist auf dem in meiner Textfigur abgebildeten Schnitt auch zu sehen, wie im unteren Teil der Hodenbläschen nur Spermatozoen sich über die Speruiatogenese von Schistosomum haematobium Bilh. usw. 521 befinden und wie dieser untere Raum von dem oberen offenbar durch eine Art Filter, welches eben nur die Spermatozoen durchläßt, geschieden ist. Durch enge Öffnungen stehen die aufgeblasenen 'Teile des Hoden- kanals auf der Ventralseite, da wo sie Zusammenstößen, miteinander in Verbindung, so daß bis zur Vesicula seminalis ein kontinuierlicher Weg, ein Vas deferens, besteht. Nicht bestätigen kann ich die Angaben andrer Autoren, daß die Vesi- cula seminalis immer fast ganz leer sei. Im Gegenteil, ich fand sie häufig mit Spermatozoen gefüllt. Die Spermatozoen scheinen ziemlich beweglich zu sein; sie finden sich im ganzen Hoden und mögen wohl zum Teil durch eine ständige Bewegung des Hodeninhalts den Mangel jegheher Zoneneinteilung ver- ursachen. Jugendliche Spermatogonien, reife Spermatozoen, überhaupt alle möglichen Stadien finden sich in buntem Wechsel, und Schwester- zellen können kurz nach der Teilung schon sehr weit voneinander ent- fernt sein, was für die Untersuchung nicht gerade angenehm ist. Die Spermatogonienteilungen. Von einer eigentlichen Wandung oder peripheren Wandschicht der Hodenbläschen kann nicht gesprochen werden. Diese bilden vielmehr Hohlräume im Parenchym, das in dieser Gegend etwas dichter geschichtet erscheint; einzelne lange Faserzüge umgeben die Hodenbläschen konzen- trisch und sie sind es auch, welche die Wandung bilden. Die Kerne sind in diesen Schichten ebenfalls langgestreckt (Fig. 1) und liegen oft in ziemheh großer Menge nahe beisammen. Teilungen konnte ich hier keine beob- achten. Die Ursamenzellen rücken allmählich aus der Wandung gegen das Innere der Hodenbläschen vor und bilden so linsenförmige Vorwölbungen (Fig. 2). Auf diesem Stadium ist das Chromatin gewöhnheh auf einige unregelmäßige Schollen und Stränge verteilt. Außerdem sind ein oder zwei Nucleolen vorhanden. In letzterem Fall ist fast immer ein deut- hcher Unterschied in der Größe sowohl wie auch in der Chromatizität zu bemerken. Ob in diesen Unterschieden bereits die Vorbereitung zur Bildung von zweierlei Samenzellen zu erblicken ist, wage ich nicht zu entscheiden. Je weiter die Loslösung der Ursamenzellen von der Wandung fort- schreitet, desto regelmäßiger wird das Chromatin verteilt (Fig. 3 u. 1). Es ist dies die erste Vorbereitung zur ersten Spermatogonienteilung im Hoden. Wieviel solcher stattfinden, läßt sich nicht bestimmen, da die junge Archiv f. Zellforschung. XII. 34 522 Erwin Lindner Spermatogonie in der übrigen Masse sofort imtertaucht und da alle Stadien im Hoden durcheinander liegen und während sämtlicher Tei- lungen die Teilprodukte vollständig getrennt werden. Es ist deshalb auch unmöglich, eine lückenlose Reihe der Vorgänge bis zur ersten Reifeteilung wiederzugeben. Vor der Spermatogonienteilung verdichtet sich das Chromatin zu größeren Partikeln unter Auflösung der Nucleolen (Fig. 4 u. 5). Allmählich entstehen daraus Stränge, die rosenkranzförmig segmentiert erscheinen. Die Anzahl der Segmente beträgt mehr wie die Kormalzahl, offenbar die doppelte. Ich muß also darin bereits den Beginn einer Spermatogonien- teilung erblicken, zumal ich nirgends sonst etwas finden konnte, was eine entsprechende Deutung gestattete (Fig. 7). Ob wähernd der Metaphase erst noch eine Konzentration der Chromo- somen zu einer Äquatorialplatte stattfindet (Fig. 8) oder ob Bilder wie das wiedergegebene überhaupt keinem natürlichen Vorgang entsprechen, muß ich dahingestellt sein lassen. Die Gestalt des Zellkörpers hat ja nicht viel zu besagen. Immerhm lassen sich eine »Tochterplatte« mit ungefähr 14 Chromosomen und darunter eine mit wohl derselben Zahl unterscheiden. Fig. 9 ist schon etwas weiter fortgeschritten, wenn es auch sehr schwer ist, darin die beiden Tochterplatten zu unterscheiden. Die Gesamtzahl der vorhandenen Chromosomen läßt sich mit ziemlicher Sicherheit auf die doppelte Normalzahl, also 28 schätzen. In Fig. 10 hegen die aus einer derartigen Teilung hervorgegangenen Tochterzellen vor, und zwar dürfte es sich in diesem Fall um die letzte Spermatogonienteilung handehi. Ob wir es in Fig. 11 mit der Äquatorialplatte einer Spermatogonien- teilung oder mit einer Anaphase der ersten Reifeteilung zu tun haben, erscheint mir zweifelhaft. Wahrscheinlicher ist letzteres. Hierfür spricht die Chromosomengröße; vor allem die Größe der paarweise beieinander liegenden Chromosomen ist auffallend. Klar ist das Bild deshalb nicht, weil etwas abseits von den eben betrachteten Chromosomen zwei bis drei Gebilde liegen, die nicht ohne weiteres als Chromosomen angesehen werden können, eher wohl als Fremdkörper. Fig. 12 dürfte aber sicher eine Anaphase einer Spermatogonienteilung darstellen. Nachdem ich nachgewiesen hatte, daß die Zahl der Chromosomen bei der Sperniatogonienteihmg 28 beträgt, suchte ich auch für das weib- liche Geschlecht die Normalzahl festzustellen. Ich fand jedoch in meinem ganzen Material nur ein paar Zellen mit je acht Chromosomen, also wahr- scheinlich Ovocyten (Fig. 13). über die Spermatogenese von Schistosomum haematobium Bilh. usw. 523 Die Spermalocyten I. Ordnung bis zur ersten Reifeteilung. Wenn ich im folgenden versuche, eine Reihenfolge der Vorgänge während des Wachstuinstadiums zu beschreiben, so will und kann ich damit nicht Anspruch erheben, eine vollkommen klare Folge wiederzu- geben, wie das wohl möglich gewesen wäre, wenn mir besseres Material zur Verfügung gestanden hätte. Die Deutungen, zu denen ich bei meinen Untersuchungen gelangt bin, gründen sich vor allem auf Einzelbefunde, die ich mit entsprechenden Bildern und Beschreibungen andrer Autoren verglich. Nach der letzten Spermatogonienteilung tritt der Kern in ein Ruhe- stadium ein (Fig. 14). Das Chromatin ist in Form kleiner Schollen auf reinem Reticulum verteilt. Außerdem ist gewöhnlich ein Nucleolus vor- handen, manchmal ist aber auch keiner aufzufinden und dieser Dimor- phismus beherrscht auch die folgenden Stadien. Beide Fälle kommen in ein und demselben Hodenbläschen vor. Allmählich ordnet sich das Chromatin in Fadenform an (Fig. 15, 16 u. 17). Ob hier anfangs ein kontinuierliches Spirem vorliegt oder ob ein- zelne dünne Schleifen wirr durcheinanderliegen, wie das die Anhänger der Parallelkonjugation fordern (v. Winiwarter 00, Janssens 05, A. und K. E. Schreiner 06, Gregoire 10), konnte ich nicht feststellen. Auch hier wurde bei einem Teil der Spermatocyten ein, bei einem andern kein Nucleolus beobachtet. Fig. 18 läßt schon ziemlich deutlich einzelne Schleifen erkennen, deren sich eine gewisse Ordnung bemächtigt. Es folgen nun Fig. 19, 20, 21 und 22. Bezüglich der Nucleolen möchte ich nur auf eine Möglichkeit hinweisen. Ich habe den Eindruck gewonnen, als werde dann, wenn in der Spermatogonie zwei Nucleolen vorhanden waren, einer mit übernommen in die Spermatocyte. Ist dagegen in der ;Spermatogonie nur ein Nucleolus vorhanden, so fehlt in der von ihr ab- zuleitenden Spermatocyte ein solcher. Die Spermatocyte in Fig. 15 :Stammt also von einer Spermatogonie mit zwei Nucleolen. Was die Streitfrage betrifft, ob die Synapsis wirklich einem natür- lichen Zustand des Kernes entspricht oder ob sie eine Schrumpfung, hervorgerufen durch unsre Fixierungsmittel darstellt, so kann ich mit meinem Material dazu unmöglich Stellung nehmen. Immerhin neige ■ich der Ansicht zu, daß wir in Fig. 19 und in Fig. 22 die echte Synapsis, V W 62 69 •70 ^ 60 00 y .V «V 61 73 »V 74 •1 •w* 71 L i n d n e r. Verlag von Wilhelm Engel Tafel XXXVIIL in Leipzig und Bei’lin 1- II comporiamento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. Per il Dottor Luigi Torraca. (Lavoro eseguito nella stazione zoologica di Napoli.) Con Tavola XXXIX. Benda vedendo ehe nelle fibre niuscolari striate, trattate col suo metodo di colorazione, compaiono, nel sarcoplasma, minutissime catenelle di granuli, mentre la stria Q delle fibrille assume un colorito violette, ha supposto che il disco Q si originasse dai mitocondri. Godlewsky (8) crede che la formazione delle fibrille striate sia preparata dalla comparsa di piccoli granuli, sulla cui natura egli non si pronunzia, i quali granuli, disponendosi a Serie regolari, formano le sotti- lissime fibrille primitive. Dalle ricerche di Meves (15) risulta invece che il materiale, per le fibrille primitive, non si forma affatto in un determinato stadio delle giovani cellule niuscolari, bensi e presente in esse fin dal principio, e, di regola, non sotto forma di granuli, ma sotto forma di filamenti (condrioconti), dai quali deriva tutta, e non solo in parte, la fibrilla muscolare. Secondo Duesberg (4) i mitocondri, che si trovano nei miotomi, si allungano fino ad estendersi dall’una aU’altra estremitä dei mioblasto; rimanendo sempre intorno al nucleo dei mito- condri non modificati. Piü tardi i mitocondri, allungati, si trasformano in fibrille; divengono monihformi, i rigonfiamenti divengono dischi Q, negli intervalli fra questi compaiono altri rigonfiamenti, che sono i dischi Z. Intorno al nucleo e tra le fibrille restano sempre mitocondri indifferenziati. Luna (12) ha, su per giü, confermato la descrizione di Duesberg, salvo per qualche particolare. Egli attribuisce la segmentazione delle fibrille, non a rigonfiamenti moniliformi di una sottiMssima fibrilla, ma alla comparsa di strozzamenti regolari, che dividono le fibrille in tanti 35* 540 Luigi Torraca segmenti eguali ed eqiiidistanti. Di piü, secondo il Luxa, la comparsa del disco Z e piü tardiva di quel che non ammettano il Duesberg e Io Heidexhaix ed altri che la vogliono precoce contemporanea alla coni- parsa di Q (Nasse). Contrariamente a questi, Regaud (17 j, Regaud e Favre (18) negano la natura mitocondriale delle miofibrille, secondo essi sono mitocondri solo quei granuli e fili ammassati alle estremitä degli accumoli proto- plasmatici fusiformi perinucleari, e disposti in serie regolari tra le colonnine contrattih. Levi (11), pur riconoscendo che alcune apparenze stanno in favore della supposta possibilitä di trasformazione diretta di condriosomi in miofibrille, preferisce non pronunziarsi suH’argomento, pur essendo con- vinto che la differenziazione dei mioblasti non si coinpie nella maniera schematica descritta da Duesberg. Gli Autori citati son d’accordo neirammettere che mitocondri e condrioconti interfibrillari corrispondono ai plasmosomi di Arxold, ai granuli interstiziali di Hexle e Rölliker, ai sarcosomi di Retzius, ed ai granuli Q ed I di Holmgrex. Viceversa Holmgrex, nella sua ultima comunicazione (10), trova la dottrina dei mitocondiü. aUo stato attuale, cosi vaga e »an Inadver- tenzen so reich,« da dover per ora rinunziare alla nomenclatura re- lativa. E cioe a dire egli non crede che i granuli da lui osservati possano chiamarsi mitocondri ^ ). Per gli studi di Waldaa'er, Barfurth, Bremer di Colucci (3), di Fraisse (6), di Galeotti e Levi (7), e piü recentemente di Schmixcke (20), sembra ormai stabilito che la rigenerazione muscolare, se non in tutti gli animali, per lo meno in molti, e tra questi nel tritone, e dis- continua. Questo termine, che prendo da Schmixcke, significa che le nuove fibre muscolari non sono una emanazione diretta delle fibre divise dal taglio. Fra le vecchie e le nuove fibre e interposto uno stadio inter- medio rappresentato da elementi caratteristici cui si sono dati svariati nonii (sarcoblasti, mioblasti, sarcoplasti). Questi elementi provengono 1) In un lavoro comparso mentre io aveva giä finito questo: Romeis (Das Verhalten der Plastosomen bei Regeneration. Anat. Anz. Bd. XLV. Nr. 1) per provare che nei processi rigenerativi le cellide riassumono i caratteri embrionali, ha ricercato ed ha trovato nelle cellule della coda del tritone in via di rigenerazione un aumento di plasto- somi. Questi sono numerosi aei mioblasti ancora poco sviluppati, aunientano poi in numero ed in dimensioni, ripetendo per lo sviluppo delle miofibrille, esattamente il processo descritto da Duesberg. 2) Citati da Schmixcke. II coniportamento dei condriosomi nclJa rigenerazione dei niuscoli striati. 541 seiiz’alcun dubbio dalle fibre tagliate, delle quali, la sostanza contrattile degeiiera, meiitre i nuclei restano, se non tutti almeno in gran parte, vitali ed attivi. Essi niigrano nel connettivo cicatriziale, dove si circon- dano di un corpo fusiforme, dando cosi luogo alla formazione di sarco- blasti. Da questi, per fusione dei protoplasnia dei diversi sarcoblasti (Schmincke), 0 per moltiplicazione dei nuclei (Galeotti e Levi), si for- mano le nnove fibre mnscolari. ln questo stato di cose, m’e parso interessante lo Studio dell’apparato niitocondriale durante la rigenerazione dei tessuto muscolare striato, ed i risultati delle mie osservazioni espongo brevemente nelle pagine seguenti. Piano dei lavoro e metodi di ricerca. Come animale da esperimento mi e convenuto scegliere il tritone, sia per la facilitä e la potenza rigenerativa dei tessuti, sia per la spiccata striatura dei muscoli. ün certo nuniero di tritoni {triton cristatus) tenuti in acqua di frequente rinnovata, a digiuno, subirono ramputazione della coda a circa metä della sua lunghezza. Gli esperimenti erano compiuti col fissare le code, in via di rigenerazione, a diversi periodi di sviluppo. Per fissare i pezzi ho usato i liquidi di i\L\xiMo\v, seguito dall’ imbi- anchimento alla Rubaschkin, e di Regaud, ma solo col secondo ho ottenuto buoni risultati, e tutte le descrizioni di questo lavoro si riferiscono a pezzi fissati col fissatore di Regaud. Trattandosi di pezzi contenenti uno scheletro osseo mi e convenuto pensare alla decalcificazione ; ho usato l’acido nitrico in soluzione acquosa (3%), l’acido cromico (l°o), un miscu- glio a parti eguali di queste due soluzioni, avendo dato tutti e tre questi metodi risultati eguahnente buoni. Ecco in breve la tecnica seguita. La coda rigenerata era tagliata due o tre millimetri circa al disopra dei punto di amputazione primitive, in modo da avere, oltre il Cono d’ac- crescimento, anche una parte dei tessuti preesistenti. Fissazione, per 4 giorni, in liquido di Regaud, rinnovato al minimo intorbidamento. Decalcificazione per tre giorni in acido nitrico, o per 5—6 giorni in acido cromico, o per 4—5 giorni in miscuglio nitro-cromico. Prohmgato lavaggio (12 ore) in acqua corrente, cromizzazione in bicromato potassico (3%) rinnovato piü volte, per 10 giorni. Lavaggio in acqua per 12 ore, disidratazione in alcool, inclusione in paraffina. 542 Luigi Torraca Tagli in serie dello spessore di b u. Per la colorazione ho usato rematossilina ferrica di Heidexhain: 1. Mordenzatura in allume ferrico (2^/2%) per 24 ore. 2. Colorazione in ematossilina (1% acquosa) per 24 ore. 3. Breve lavaggio in acqua di fönte. 4. Decolorazione nella stessa soluzione di allume nsata per mor- denzare. 5. Lavaggio in acqua corrente, proliingato fino ad ottenere una bella colorazione azzurro carico dei condriosomi, disidratazione in alcool, chiusura in balsamo del Canadä. E noto che colorando con rematossilina ferrica di Heidexhaix una fibra muscolare essa prende un aspetto caratteristico, perche non tutte le sue parti costitutive assumono il colore con eguale intensitä. E cosi in primo luogo si distinguono le fibriUe dal cosi detto sarcoplasma, il quäle non si colora in bleu, nelle stesse fibrille poi si distinguono le strie ani- sotrope (Q), ben colorate, daUe isotrope (I) che rimangono piü chiare, e i dischi M e Z, il primo (Mesophragma di Heidexhaix) nel centro della Stria di Hexsex, il secondo in niezzo alla stria I (stria di Amici, Telo- pliragma di Heidexhaix). Con la decolorazione, neirallume ferrico, si decolora prima la stria I piü tardi impallidisce il disco Z e scompare. Infine non restano che due granuli fortemente colorati che sono le parti marginali di Z ; tali proprietä della colorazione sono, secondo Heidexhaix (9) (dal quäle e presa la precedente descrizione), attribuibili alla differente densitä delle diverse sezioni delle fibrille. Tson entra neirambito del presente lavoro discutere tal problema, ho ricordato il comportarsi delle fibrille nella colorazione con Tematossihna ferrica solo, perche e necessario, per vedere i mito- condri ed i condrioconti delle fibre niuscolari, spingere ancora l’estrazione del colore oltre il limite descritto da Heidexhaix, decolorando completa- mente le fibrille ; cosi facendo si avranno delle immagini identiche a quelle descritte e disegnate da Regaud. I condriosomi, in tali preparati, assumono l’aspetto di granuli, 0 di bastoncelli, piü 0 meno lunghi, disposti in serie longitudinali tra le colonnine contrattili (Fig. 1). I filamenti sono piü numerosi dei granuli : essi sono per lo piü ondulati, sembrano assolutamente indipendenti dai dischi delle fibrille contrattili, nel senso, che spesso, essi sono cosi lunghi da occupare uno spazio corrispondente a parecchi dischi; divengono piü numerosi e piü voluminosi ai punti di inserzione delle fibre niuscolari. Si trovano anche, ben distinti, nei fusi protoplasmatici perinucleari, dove II comportamento dei condriosomi nella rigenerazioiie dei muscoli striati. 543 assumono una disposizione a goniitolo (Fig. 1). Neirinsieme nella sua forma e situazione il condrioma dei muscoli dei tritone somiglia abba- stanza esattamente a quello descritto da Luxa nei muscoli dei Bufo. E noto che le fibre muscolari tagliate subiscono in corrispondenza dello estremo interrotto un processo degenerativo che si estende poi a tutta la fibra o solo ad una parte di essa (Marchaxd [14]). Nel tratto degenerato la sostanza contrattile perde i suoi caratteri, diviene omogenea ed infine si frammenta in zolle. Secondo le mie ri- cerche le fibre in preda a fenomeni regressivi sono piü o meno assottigliate, alcune si presentano serpeggianti, altre rettilinee, il sarcolemma gene- ralmente e ben conservat'o, e per parecchio tenipo resta la striatura longi- tudinale, ben distinguibile, specialniente verso l’estremo tagliato, in corrispondenza dei quäle la fibra si sfiocca molto distintamente. Durante 10 svolgersi di questi fenomeni nel tratto della fibra in degenerazione, i condrioconti interfibrillari sembra seguano in grau parte, se non tutti, la Sorte deUa sostanza contrattile ; essi diniinuiscono rapidamente di numero e finiscono con lo scomparire dei tutto. Poiche nelle fibre tagliate da parecchi giorni (p. es. 13 giorni — esperimento LXVII) e giä ridotte a sottili guaine contenenti pochi nuclei, si trovano in quantitä notevole dei granuli, che trattengono rematossilina, mentre non vi si veggono piü che rarissimi condrioconti, se pur vi sono; mi pare probabile che i granuh possano esser dovuti ad un processo regressivo che sminuzzi i condrioconti, e li riduca in piccolissimi frammenti, tanto piü che, pro- gredendo ancora la degenerazione delle fibre, i granuli diniinuiscono prima, e alla fine scompaiono andre essi. I detti granuli sono piuttosto piccoli, sensibihnente eguali, e durante 11 periodo di tempo in cui sono visibili si colorano bene con rematossilina, beuche meno intensaniente dei condriosomi ben conservati. Non mi sembra che abbiano una speciale topografia. sono invece sparsi senz’ordine, in tutta la fibra. Processi regressivi dei condrioconti sono stati descritti dal Romeis (18), negli spermatozoi deirascaris, e da Luxa (12), nelle cellule di quella parte dei rene primitivo dei Bv.fo che e destinata a scomparire. Essi consistono in un processo di frammentazione che niette capo alla riduzione in granuli dei condrioconti. Io non sono riuscito a colpire il moniento in cui condrioconti si risolvono in granuli, nia poiche questi Ultimi si trovano nelle fibre quando i primi sono scomparsi, poiche essi hanno la caratteri- stica cromatica delle formazioni mitoconch'iali e finiscono poi con lo svanire essi stessi, mi credo autorizzato a ritenere i granuli, una fase regressiva dei conch-ioconti muscolari, in preda ad un processo che corrisponde alla 544 Luigi Torraca plastorexi di Luna, ma che in omaggio alla nomenclatura da me adottata chiamerö coiidriorexi. I nuclei contenuti nelJe fibre niuscolari non seguono le sorti della sostanza contrattile ; non saprei dire se tutti assolutamente sopravvivano, ma non mi pare di aver notato accenni a processi cariolitici. Certo e che un buon nümero di nuclei rimangono ben colorabili, ma, quel che piü conta, presso di loro restano ben (üstinguibili un certo numero di condrioconti e di mitocondri, e piü speciahnente quelli che nella fibra normale formano nel protoplasma perinucleare i due goniitoli ai poh del nucleo. Questi nuclei, cosi circondati, spiccano abbastanza sul restante della fibra degenerata (Fig. 2 e 3). Potrebbe darsi il caso che, in un tempo piü lungo, aiiche questa parte superstite del condrioma muscolare dovesse andare incontro a degenerazione, ma riflettendo al fatto che, presso a cotali fibre in via di degenerazione, e pur contenenti nuclei con il loro conch’ioma perinucleare, di frequente lungo una linea che ne continua la direzione, e in qualche caso ancora a contatto col suo estremo, si vedono sarcoblasti, e che questi contengono condrioconti, credo di poter af- fermare che i condrioconti perinucleari sopravvivono, almeno in parte, insieme con i nuclei, al disfacimento della fibra muscolare e con essi passano nei sarcoblasti. In altre fibre la degenerazione sembra limitarsi ad un breve tratto in prossimitä dal punto in cui il taglio e caduto. L’estremo interrotto di tali fibre si assottiglia ed appare come sfibrato. In questo tratto com- pare un nucleo circondato da conch-ioconti, numerosi, e aggrovigüati. In altre fibre non si tratta piü di un solo nucleo, ma di due o tre, disposti in catena e circondati tutti da condrioconti. Al chsopra di questo punto, la fibra muscolare non sembra altrimenti alterata. Certamente essa possiede ancora le sue fibrille in cui, malgrado la decolorazione, e dato di riconoscere nettamente la striatura e, tra esse, i condrioconti sono ben distinguibili, come nelle fibre normali, salvo che aumentano di volume e di numero verso l’estremo interrotto (Fig. 4). In un periodo un po’ piü avänzato, presso Testremo assottigliato di tali fibre, si vedono nuclei ovali, identici a quelli contenuti neirinterno di esse, circondati da un corpo piü o meno fusiforme; alcuni di questi nuclei sono ancora vicini alle fibre altri se ne sono giä allontanati. La fuoruscita dei nuclei dalle fibre tagliate e stata giä descritta da (taleotti e Levi, essa avverrebbe, secondo i due autori, soltanto dopo la degenerazione di quelle. Da quanto ho potuto osservare mi sembra invece, che i nuclei si raccolgano verso Testremo interrotto, anche in fibre che ancora conservano la loro struttura normale. Tali fibre potrebbero I] comportaniento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. 545 degenerare ulteriormente, ma a me sembra che ciö non debba necessaria- mente awenire, tanto piü che e giä stato osservato che talora non tutta una fibra, ma solo nna parte di essa degenera^). I condrioconti delle fibre muscolari recise dal taglio, che esse de- generino o no, sembra passino, perciö, almeno in parte, nei sarcoblasti. I sarcoblasti si presentano come elementi fusiformi, a nucleo roton- deggiante o ovale, il loro protoplasma contiene im numero variabile di condrioconti sottili, flessuosi, abbastanza lunghi, quasi esclusivamente raccolti in due gomitoli, ad anse molto lasse, presso i poli dei nucleo (Fig. 5). Contrariamente ai reperti di Galeotti e Levi e di Schmincke, non ho potuto notare nei nuclei dei sarcoblasti figure cariocinetiche. Questo fatto, giä notato da Fraisse (6), potrebbe mettersi in rapporto con l’assoluta mancanza di processi mitotici nello sviluppo dei mioblasti embrionali, su cui insiste particolarmente il Duesbekg che cita in pro- posito una numerosa bibliografia a cui rimando. Comunque sia, i sarcoblasti aumentano rapidamente di numero. Essi sono di rado isolati; per lo piü si trovano riuniti in gruppetti, di un numero variabile di elementi, che, in questo primo periodo, sono ancora ben distinti, gli uni dagli altri. In qualche sarcoblasto fin da questo momento comincia la differen- ziazione delle fibrille. I condrioconti aumentano di numero, il loro spessore cresce, pur restando uniforme, e si dispongono in direzione paraUela all’asse maggiore della cellula (Fig. 6 a), compaiono in alcuni degli strozzamenti che li dividono in segmenti eguali (primo accenno alla stria Q), separati da intervalli chiari regolari (stria I), avendosi cosi la formazione di una vera e propria fibrilla. Tale evoluzione progredisce man mano che i condrioconti si allon- tanano dal nucleo ; e infatti intorno a questo essi sono ancora indifferen- ziati, mentre lungo la parete dei sarcoblasto, si nota giä la segmentazione delle fibrille, e tra questi due estremi vi sono tutti i gradi intermedii (Fig. 6 c). Volendo osservare, sopra una stessa sezione, Tintiero processo evo- lutivo dei condrioconti, si deve scegliere una coda rigenerante che sia ricresciuta per una lunghezza di 6—7 millimetri o piü. Prendendo, per esempio, una coda rigenerata al trentesimo giorno (esperimento LXIX); 1) Die nach der Durchschneidung unausbleibliche Nekrose beschränkt sich auf die zunächst angrenzenden Teile der Fasern . . . (Marchand [14, pag. 291]). 546 Liügi Torracu si noterä subito che i diie fasci muscolari, che corrono parallelamente, ai lati clell’abbozzo della colonna vertebrale, sono, nella parte prossiniale, formati da fibre muscolari a tipo adulto, mentre airestremitä distale continuano a crescere per moltiplicazione di sarcoblasti. E iiiutile che insista nella descrizione di questi, che sono identici a quelli osservati nei primi momenti del processo rigenerativo, presso le fibre tagliate: fusi- formi, piü o meno allungati, con un contenuto variabile di condrioconti essi si riuniscono in gruppi consecutivi, secondo la direzione dell’asse della coda, i quali aunientano rapidamente di importanza per il numero di elementi che li compongono e per il volunie di questi. I confini delle singole cellule, che sono ben distinguibili nei primi istanti, divengono sempre meno netti, e probabile perciö che avvenga la fusione dei corpi cellulari (Schmixcke), e che nella massa protoplasmatica, cosi formata, continui a svilupparsi la parte fibrilläre (Fig. 7). In questo stadio i condrioconti si allungano molto, essi continuano ad essere sottili, alcuni sono varicosi mentre altri presentano un calibro uniforme, sono ancora flessuosi, ma le loro curve aunientano di ampiezza, adattandosi al contorno dei nuclei; oltre i condrioconti vi sono giä delle fibrille, che trattengono Fematossilina meno dei condiäoconti, e che appaiono quindi nei preparati meno intensamente colorate in bleu. Questo, della piü facile decolorabilitä, e un attributo delle fibrille adulte; si puö quindi ammettere che si debba cessare di parlare di conchäoconti allungati per parlare di fibrille primitive quando essa comincia a presentarsi. 11 Lrx.A., che descrive anche questo fenomeno, ammette che esso compaia dopo la formazione della stria di Hexsex, ma a me senibra che si verifichi anche prima ; certo questo e un punto difficilissimo a stabilire, tanto piü poi con un metodo di colorazione regressiva, come e qiiello deireniatossilina ferrica di Heidexhaix; con Farrestare la decolorazione a diversi momenti, perö, io mi sono convinto che la fibrilla cominci a trattenere molto meno tenacemente il colore dopo la prima segmenta- zione. Comunque sia la comparsa di fibrille e molto precoce, perche esse sono distinguibili gieü nei terzo, e talora nei secondo, gruppo di sarco- blasti, a cominciare dalla punta della coda neoformata. Con Faunientare del numero delle fibrille i nuclei dei sarcoblasti pren- dono una situazione laterale (Schmixcke). Le cellule si dispongono in situazione alterna, in modo che i nuclei vengono a trovarsi gli uni sotto ^li altri, mentre le cellule sono ancora ben distinte ; in tale periodo i con- drioconti perinucleari sono raccolti a gomitolo ai poli del nucleo. Quando i confini dei singoli elementi scornpaiono ed i sarcoblasti si fondono, le fibrille aunientano enormemente di lunghezza e si dispongono in fasci II comportamento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. 547 paralleli; tra questi i nuclei restano ordinati in colonne. Tra un niicleo e l’altro alciini dei condidoconti, di mezzana lunghezza, restano intrecciati a gomitolo, i piü diventano flessuosi e si dispongono parallelamente ai nuclei ed alle fibrille (Fig. 9). Tra queste dapprima sono molti i con- drioconti assai lunghi anch’essi, poi questi vanno diminuendo. E molto difficile dire se tali condrioconti molto allungati continuino a trasformarsi in fibrille, quello che e certo e che, in uno stadio piü evoluto della fibra, essi non si veggono piü, mentre sono presenti numerosi con- drioconti bastonciniformi, piü o meno allungati, ma che mai raggiungono dimensioni molto considerevoli. Perciö, delle due l’una, o i condrioconti lunghi si cambiano in fibrille, od essi si spezzettano per dar luogo alle forme piü corte. Certa cosa e che la trasformazione dei condrioconti in fibrille continua ancora in un periodo abbastanza avanzato dello sviluppo. E cosi in mezzo a fibrille distintamente striate si trovano ancora condrioconti allungati moniliformi che secondo tutte le apparenze sono in via di trasformarsi in fibrille striate (Fig. 8). Che questo possa continuare nelle fibre com- pletamente evohite e quello che non so dire, ma nella parte piü prossi- male della coda rigenerata, nelle fibre muscolari a tipo adulto, condrio- conti lunghi non se ne vedono piü, restano solo i mitocondri, e dei con- drioconti a bastoncino con tutti i gradi di passaggio tra i due tipi. L’ulteriore sviluppo delle fibrille ha luogo con un processo identico a quello embrionale: il segmento Q comincia a strozzarsi assumendo la forma di un biscotto; a questo punto giä si puö notare la comparsa di un punto oscuro intermedio tra due segmenti Q consecutivi (disco Z). Col procedere dello strozzamento si ha la separazione dei disco Q in due puntini e la formazione della stria di Hessen. Un fatto che si constata molto facilmente e l’indipendenza reciproca delle fibrille che dura un poco andre dopo la comparsa dei disco Z, ma che termina quando i dischi M e Z si estendono nel sarcoplasma (Grundmembrane di Krause, dischi di M e Z di Heidenhain). Conclusioni e discussione. Dalle osservazioni riassunte nelle pagine precedenti si possono trarre a mio parere le conclusioni seguenti: Nel processo di rigenerazione delle fibre muscolari striate gli ele- menti mitocondriali sembrano avere una funzione importantissima, per- fettamente simile a quella che vien descritta a proposito dello sviluppo embrionale dei mioblasti (Meves, Duesberg, Luna). 548 Luigi Torraca Se la fibra muscolare, interrotta dal taglio, degencra parzialmentc o nella sua totalitä, i suoi condrioconti interfibrillari in gran parte si ridu- cono in grannli che poi quando la sostanza contrattile si frammenta, scompaiono. Tale distruzione dei condriosomi mi pare abbia qualclie somiglianza con quella descritta da Luxa (13) (plastorexi), neirinvolu- zione del pronefro degli anfibi. I condrioconti e mitocondii che circon- dano i nuclei snperstiti restano invece ben distinguibili e passano coi nnclei nei sarcoblasti. Anche alcuni nnclei di fibre tagliate, ma non ancora degenerate, circondati dei loro condrioconti, vanno a formare nna parte dei sarcoblasti. I condrioconti dei sarcoblasti si allungano in proporzione deirallunga- mento degli eleinenti che li contengono, e si trasformano in fibrille omo- genee. Aelle fibrille hanno luogo precocemente mntamenti strutturali pro- fondi, rivelati dalla variazione del coniportamento rispetto al colore, e precisamente da nna decolorabilitä niolto maggiore di quella dei mito- condri. Tale decolorabilitä compare dopo il prinio accenno della striatura delle fibrille. L’ulteriore sviluppo delle fibrille non differisce da quello descritto per lo sviluppo embrionale. Una parte dei condrioconti rimane indifferenziata sia nel proto- plasina perinucleare, sia negli spazii tra le fibrille, e probabile che questi Ultimi corrispondano alle formazioni che sono state descritte da Kölliker, da Eetzius, e da Arxold. ]\Ii pare invece debba assolutamente escludersi un qualsiasi paragone coi grannli di Holmgren, queste, infatti, descrive un sistema di granuU che corrisponde alla disposizione delle diverse strie delle fibrille. II sistema mitocondriale invece, descritto dal Re- GAUD, dal Luxa, e da me, e composto da grannli e da filanienti che non hanno rapporti determinati e fissi coi periodo delle strie fibrillari, ma sembrano del tutto indipendenti da esso. Per quanto nei limiti che mi sono imposti in questo lavoro non cntri la discussione della dottrina generale dei condriosomi, non posso fare a meno di notare come il risultato dei niiei esperimenti, in un certo senso, possa mettersi a confronto con l’ipotesi avanzata da Levi in un lavoro piü volte da me citato (11). L’A. discutendo della possibile funzione dei condriosomi, che egli pensa possano essere «destinati a regolare lo svolgi- mento del complesso e misterioso fenomeno della differenziazione, stimo- lando le attivitä formative del protoplasma quando gli organuli debbano costituirsi ed accrescersi » finisce coi supporre che: «Nelle ceUule che hanno raggiunto il loro sviluppo completo, i condriosomi potrebbero rappresentare una riserva destinata a manifestare la sua funzione quando 11 coniportamento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. 549 ‘ la cellula si riproduce; poiche quaiido una cellula giä differenziata si riproduce essa si sdiffercnzia, cioe riacquista caratteri embrionari; ed a questo momento i condriosomi riprciiderebbero la funzione che essi ave- vano esplicata durante routogenesi, ridestando in ciascuna delle due cellule figlie Tattivitä formativa, la quäle conduce alla differenziazione di nuovi organuli cellulari. E negli elementi stabili e perenni nei quali, neU’organismo a completo sviluppo, si e estinta la capacitä riproduttiva, i condrioconti riprenderebbero a funzionare, soltanto quando in essi, in seguito a nuitilazioni artificiali, si ridesta l’atti- vitä rigenerativa». Kel caso particolare dei tessuto muscolare, l’attivitä dei condrioconti qualunque essa sia, sembra a me non possa svolgersi che nei sarcoblasti, non e quindi mestieri di far notare quanto l’ipotesi di Levi, per qiianto enunciata nei campo teorico, possa rispondere alla realtä dei fatti. Una delle obbiezioni mossa alla dottrina di jVIeves e la permanenza negli elementi cellulari, completamente differenziati, di un certo numero di condriosomi allo stato embrionale, dato che «all’atto della differenzia- zione della cellula la loro funzione dovrebbe ritenersi esaurita» (Levi). Una volta che sia dimostrato il passaggio dei condi'iosomi da un elemento differenziato (fibra striata), in un altro a tipo embrionale (sarcoblasto), durante un processo rigenerativo dei tessuto adulto, si puö ritenere essere i condriosomi indifferenziati della fibra striata un materiale di riserva, destinato ad entrare in funzione solo quando l’attivitä rigene- rativa vieii ridestata, ma niente impedisce che questo materiale invece di avere una funzione semplicemente direttrice e stimolatrice della evolu- zione degli elementi cellulari nuovi, vi porti un contributo morfologico secondo le idee appunto di Meves e di Duesberg; e con ciö intendo dire che ripotesi dei Levi, della possibile entrata in funzione dei condrioconti nella rigenerazione, ha una base di veritä cosi solida che la si deve ri- conoscere per esatta anche quando non si condividano le idee deH’autore sul destino finale dei condriosomi. In conclusione, e per queUo che riguarda il risultato dei miei esperi- menti, mi pare di poter considerare i condriosomi della fibra muscolare adulta come un materiale di riserva indifferenziato, che, quando il tessuto muscolare deve rigenerarsi, passa con i nuclei delle fibre, nei sarcoblasti, nei quali, iniziatosi che sia il processo di differenziazione, da luogo alla formazione delle nuove fibrille niuscolari primitive. Ma se questo significato funzionale mi sembra perfettamente di- mostrato per i condriosomi perinucleari delle fibre muscolari striate, non 550 Luigi Torraca iiii pare si possa dir lo stesso per quelli interfibrillari, questi, come si e visto, regrediscono con le fibrille duraiite la degenerazione della fibra inuseolare tagliata, e certo quindi che ad essi non puö assegnarsi la fun- zione di passare nei sarcoblasti. Luna (12) propende a credere che questi condriosomi possano entrare in attivitä producendo nuove fibrille nel processo di iperplasia muscolare, per quanto Duesberg non ammetta piü la trasformazione dei condrioconti in fibrille nelle fibre muscolari, dopo che queste hanuo raggiimto un certo grado di sviluppo ontogenetico. A chi nega la possibilitä della trasformazione dei condrioconti in fibrille nelle fibre giä sviluppate, si potrebbe perö rispondere che, se anche ciö e vero in condizioni normali, non e eguahnente diniostrato per condizioni patologiche sopravvenienti di per se o artificialmente prodotte, e che, come i nuclei delle fibre muscolari entrano in attivitä e si moltiplicano solo quando il tessuto muscolare deve, in seguito a parziale distruzione, rigenerarsi, puö anche darsi che un certo numero di elementi rimasti indifferenziati sia stimolato ad.evolversi soltanto quando il bisogno se ne faccia sentire. Ammettendo Forigine mitocondriale delle fibrille e volendo attri- buire a tutti i condrioconti residuanti nelle fibre muscolari lo stesso signi- ficato, mi pare che Fipotesi dei Luna sia la sola che possa reggere, per quanto abbia bisogno di essere confermata. Altrimenti si deve credere che una porzione dei condrioconti (quella perinucleare) sia una riserva di elementi embrionali; e Che Faltra porzione (interfibrillare) possa avere una evoluzione divergente dalla prima e prendere una qualche parte alla funzione muscolare. Quäle possa essere questa funzione dei condriosomi, quanto ci sia di vero in ipotesi giä avanzate (Arnold, Kegaud), e se ci sia veramente una differenza fun- zionale tra le due parti dei condi'ioma, ulteriori esperienze dovranno decidere. Napoli, Stazione Zoologica, Novembre 1913. II coinportamento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. 551 Lavori consultati. 1. Arnold. Das Plasma der somatischen Zellen im Lichte der Plasmosomen-Gra- nulalehre und der Mitochondrienforschimg. Anat. Anz. Bd. XLIII. 1913. 2. Benda. Die Mitochondria. Erg. der Anat. u. Entwicklungsgesch. 1913. 3. CoLUCCi. Intorno alla rigenerazione degli arti e della coda nei tritoni. Mem. dell’Acc. delle Sc. di Bologna, 1884. 4. Duesberg. Les chondriosomes des cellides embryonnaires du poulet et leur role dans la genese des myofibrilles. Arch. f. Zellforsch. 1909 — 1910. 5. Plastosomen, «apparato reticolare interno» und Chromidialapparat. Erg. d. Anat. u. Enhvdckhmgsgesch. 1912. 6. Fraisse. Die Regeneration von Geweben und Organen bei den Wirbeltieren, bes. Amphibien und Reptilien. Kassel u. Berlin, 1885. 7. Galeotti e Levi. Beitrag zur Kenntnis der Regeneration der quergestreiften Muskelfasern. Zieglers Beitr. zur path. Anat. Bd. XIV. 8. Godlewsky. Die Entwicklung des Skelet- imd Herzmuskelgewebes der Säuge- tiere. Arch. f. mikrosk. Anat. Bd. LX. 9. Heidenhain. Plasma und Zelle. Jena, Fischer. 1911. 10. Holmgren. Von den Q- und I-Körnern der quergestreiften Muskelfasern. Anat. Anz. Bd. XLIV. 1913. 11. Levi. Sulla presunta partecipazione dei condriosomi alla differenziazione cellulare. Arch. ital. di Anat. ed Embr. 1911. 12. Luna. Sulla importanza dei condriosomi nella genesi delle miofibrille. Arch. f. Zellforsch. 1912. 13. Sui fenomeni di plastorexi e di plastolisi riscontrabili nel processo di involuzione dei pronefro degli anfibi. Monit. Zool. Ital. 1913. 14. Marchand. Der Prozeß der Wundheilung. Deutsche Chirurgie. Jena, Fischer. 1901. 15. Meves. Über Mitochondria bzw. Chondriokonten in den ZeUen junger Embryo- nen. Anat. Anz. Bd. XXXI. 1907. 16. Über Neubildung quergestreifter Muskelfasern nach Beobachtungen am Hiihnerembryo. Anat. Anz. 1909. 17. Regaud. Sur les mitochondries des fibres musculaires du coeur. C. R. de l’Acad. de Sc. Paris 1909. 18. Regaud et Favre. Granulations interstitielles et mitochondries des fibres mus- culaires striees. C. R. de l’Acad. de Sc. Paris, 1909. 19. Romeis. Beobachtungen über Degenerationserscheinungen von Chondriosomen. Arch. f. mikr. Anat. Bd. LXXX. 1912. 20. ScHMiNCKE. Die Regeneration der quergestreiften Muskelfasern bei den Wirbel- tieren. Verhandl. der Physik. -Med. Gesellsch. z. Würzburg, 1908. 552 Luigi Torraca, II comportamento dei condriosomi nella rigenerazione ecc. Spiegazione delle figure. Tavola XXXIX. Le figure sono state riprese da preparati osservati con microscopio Koristka con tubo allungato a 160 mm, obbiettivo semi-apocromatico ad immersione omogenea 1/15, oculare compensatore 12; tranne le figure 2 e 5 per le quali si usöToculare com- pensatore 8. Fig. 1. Apparate mitocondriale di una fibra muscolare striata normale. Le fibrille sono quasi completamente decolorate, ma se ne vede tuttavia la striatura. I condriosomi sono in parte accumolati ai poli del nucleo sotto forma di filamenti flessuosi ed intrecciati ed in parte distribuiti tra le fibrille sotto forma di bastoncelli e di filamenti (condrioconti) e di granuli (mitocondri). Fig. 2. L"na fibra muscolare in degenerazione. Un nucleo, ben conservato e circondato da condrioconti e mitocondri ben distinguibili, mentre i condriosomi inter- fibrillari sono ridotti a soli granuli pallidi. Fig. 3. Un nucleo di fibra degenerata osservato a piü forte ingrandimento. In- torno ad esso mitocondri e condrioconti numerosi e ben conservati. Fig. 4. Fibre striate interrotte dal taglio che amputö la coda. La degenerazione della sostanza contrattile e limitata alla regione piü prossima al taglio. Verso Testremo delle fibre si vedono nuclei ben conservati circondati da numerosi condriosomi. Fig. 5. Una catena di giovani sarcoblasti con nuclei allungati, e condrio- conti sottili e flessuosi. Fig. 6a. L’n sarcoblasto in uno stato di evoluzione piü progredita di quelli rap- presentati sulla figura precedente: i condrioconti, molto aumentati di numero e di di- mensioni, si dispongono parallelamente all’asse maggiore della cellula. Fig. 66. Sarcoblasto in cui i condrioconti cominciano a differenziarsi in fibrille: presso il nucleo restano dei condrioconti indifferenziati intrecciati in due gomitoli polari. Fig. 6c. L’n sarcoblasto in cui si vede che la differenziazione procede man inano che i condrioconti si allontanano dal centro della cellula. Fig. 7. Un gruppo di sarcoblasti fusi insieme, numerosi condriosomi in diverse fasi di differenziazione. Le fibrille primitive si ordinano in fasci. Fig. 8. Fibra neoformata in un avanzato stadio di evoluzione: tra le fibrille giä distintamente striate e completamente decolorabili vi sono numerosi condrioconti, allun gati, alcuni sono omogenei, altri in via di segmentazione. Fig. 9. Un nucleo della fibra precedente: si vede come i condrioconti perinucleari tendono a mettersi in una direzione parallela a quella delle fibrille. Nota: Le figure 2 — 5 sono tolte da sezioni deH’esperimento LXVII: Coda rigene- rante al tredicesimo giorno di sviluppo. La figura 6 da una sezione dell’esperimento LIX: coda rigenerante al diciottesimo giorno, la figura 7 da una sezione deiresperimento LXIX: coda rigenerante al trentotte- simo giorno, le figure 8 e 9 da una sezione dell’esperimento LXI: coda rigenerante al ventiquattresimo giorno. Archiv für Zellforschung Bd. XII. Torraca. VeAdjj ron Wühdm E Taf. XXm. % inLitpzig md Berlin. Ittk.Anst V. Johtumts Arndt, Jem. Vier Momentaufnahmen der intracellulären Pigmentströmungen in den Chromatophoren erwachsener Knochenfische. Von Professor Dr. med. et. phil. E. Ballowitz, Direktor des anatomischen Instituts der Westfälischen Wilhelms-UniTersität Münster i. W. Mit Tafel XL. Die intracelluläre Strömung der Pigmentkörnchen in den Chromato- phoren der Knochenfische ist in voller Intensität bei dem erwachsenen Tier bis jetzt noch von niemand gesehen worden, wtU es bisher an einem günstigen Beobachtungsobjekt gefehlt hat. V. Fraxz^) ist der einzige, welcher erwähnt, daß er die »Strömung« oder »Verschiebung« der Pigmentkörnchen in den Farbstoff zellen bei durchsichtigen kleinen Fischlarven beobachtet hat. Abgesehen davon, daß, wie die Abbildungen Fig. 1—3 der FnANZschen Abhandlung zeigen, die Chromatophoren der von ihm untersuchten Fischlarven noch wenig entwickelt sind und sich nicht unwesentlich von den charakteristischen großen, meist sternförmigen Farbstoff zellen der erwachsenen Fische unterscheiden, macht Franz weiter gar keine Angaben über die Er- scheinungsformen dieser Pigmentbewegung. Bei meinen Untersuchungen über chromatische Organe und Farb- zellenkombinationen bei lüiochenfischen 2) glückte es mir nun, in der 1) V. Franz, Die Struktur der Pigmentzellen. Biol. Centralbl. Bd. XXVIII. Xr. 16 und 17. 1908. 2) ' E. Ballowitz, Die chromatischen Organe in der Haut von Trachinus vipera CuY. Ein Beitrag zm' Kenntnis der Chromatophorenvereinigungen bei Knochenfischen. Mit Taf. XIV — XVIII. Zeitschr. f. wissensch. Zool. Bd. CIV. 1913. — Derselbe; Über chromatische Organe in der Haut von Knochenfischen. Mit 15 mikrophoto- graphischen Abbildungen. Anat. Anz. Bd. XLII. Nr. 7/8. 1912. — Derselbe: Über schwarz-rote Doppelzellen und andre eigenartige Vereinigungen heterochromer Farb- stoffzellen bei Knochenfischen. Mit 29 mikrophotographischen Abbildungen. Ana- tomischer Anz. Bd. XLIV. Nr. 5. 1913. — Derselbe: Über chromatische Organe, Archiv f. Zellforschung. XII. 30 554 E. Ballowitz Hirnhaut bestimmter Gobiiclen ein sehr günstiges Studienobjekt auf- zufinden, welches gestattete, die Pigmentströmung unter dem Mikroskop bei stärkster Vergrößerung viele Stunden lang zu beobachten. Es gelang mir, von dieser Körnchenströmung bei Ölimmersion auch kinemato- graphische Serienaufnahmen herzustellen. Auf der 27. Versammlung der Anatomischen Gesellschaft in Greifswald am 10.— 13. Mai 1913 konnte ich davon bereits einen 30 m langen Film demonstrieren i). Über meine Beobachtungen habe ich kürzlich in Pflügers Archiv für die gesamte Physiologie eine größere Abhandlung^) veröffentlicht, welche auch eine Anzahl in bestimmten Abständen den Filmserien entnommener Mikro- photogramme bringt. Inzwischen entdeckte ich in Neapel in den Erythrophoren der Haut der Seebarbe ein ähnlich günstiges Objekt für das Studium der Pigment- ströniung3). schwarz-rote Doppelzellen und andre eigenartige Chromatopliorenvereinigungen, über Chromatophorenfragmentation und über den feineren Bau des Protoplasmas der Farb- stoffzellen. Mit Demonstrationen. Mit Textfiguren. Vortrag, geh. auf der 27. Vers, der anat. Gesellsch. am 25. — 29. Mai 1913 in Greifswald. Verhandl. der anatomischen Gesellschaft auf der 27. Versammlung in Greifswald. G. Fischer, Jena 1913. — Der- selbe: Über Erythrophoren besonderer Art. Mit Taf. XIV. Arch. f. mikr. Anat. Bd. LXXXII. Abt. I. 1913. — Derselbe:' Über die Erythrophoren in der Haut der See- barbe, MuUus L., und über das Phönomen der momentanen Ballung und Ausbreitung ihres Pigments. Xach Beobachtungen an der lebenden Zelle. Arch. f. mikrosk. Anat. Bd. LXXXIII. Abt. 1. 1913. — Derselbe:* Das Verhalten der Zellkerne bei der Pig- mentströmung in den Melanophoren der Knochenfische. Nach Beobachtungen am lebenden Objekt. Biol. Centralbl. Bd. XXXIII. Nr. 5. 20. Mai 1913. — -'Vgl. auch meine Mitteilung über das Verhalten des Zellkernes bei der Pigmentströmung in den Erythrophoren der Knochenfische. Nach Beobachtungen an der lebenden MuUus- Zelle. Biol. Centralblatt. Bd. XXXIII. 1913. 1) E. Ballowitz, Über chromatische Organe, schwarz-rote Doppelzellen und andre eigenartige Chromatophorenvereinigungen, über Chromatophorenfragmentation und über den feineren Bau des Protoplasmas der Farbstoffzellen. Mit Demonstrationen. Mit 4 Textfiguren. Vortrag gehalten auf der 27. Versammlung der Anatomischen Gesell- schaft am 25. — 29. Mai 1913 in Greifswald. Verhandl. der Anatomischen Gesellschaft auf der 27. Versammlung in Greifswald. G. Fischer, Jena 1913. 2) E. Ballowitz, Über die Pigmentströmung in den Farbstoffzellen imd die Kanälchenstruktur des Chromatophoren- Protoplasmas. Nach Beobachtungen an der lebenden Pigmentzelle und nach kinematographischen Aufnahmen. Mit 6 Textfiguren und 4 Tafeln mit kinematographischen Mikrophotogrammen. Pflügers Archiv für die gesamte Physiologie. 1914. 3) 'E. Ballowitz, Über die Erythrophoren in der Haut der Seebarbe, MuUus L. und über das Phönomen der momentanen Ballung und Ausbreitimg ihres Pigmentes. Nach Beobachtungen an der lebenden Zelle. Mit 2 Tafeln. Archiv f. mikroskopische Anatomie. Bd. LXXXIII. Abt. I. 1913. Vier Momentaufnahmen der intracellulären Pigmentströmungen usw. 555 Um auch die Aufmerksamkeit weiterer Fachkreise auf die Gobiiden- zellen hinzulenken, will ich an dieser Stelle noch vier charakteristische Momentaufnahmen der Pigmentströmung in den Melanophoren erläutern. Sie sind vier verschiedenen Serien des Films beliebig entnommen und stellen um das Fünffache vergrößerte Filmbilder dar; die Vergrößerung ist etwa 2500. In den vier Mikrophotogrammen tritt als auffälligste Erscheinung die Anordnung der Pigmentkörnchen in radiären Reihen überall sofort hervor. Sie ist nicht nur an den Stellen zu erkennen, von welchen das Pigment schon zum Teil abgewandert ist, und die Fortsätze der Pigment- zelle dadurch pigmentarm geworden sind, sondern läßt sich auch an den dunklen, mit Pigmentkörnchen vollgestopften Pigmentarmen, falls sie durchsichtig genug geblieben sind, feststellen. Wie ich in den oben zitierten Abhandlungen näher begründet habe, ist die reihenweise radiäre Anordnung der Pigmentkörnchen darauf zu- rückzuführen, daß das Protoplasma der Chromatophoren kanahsiert ist, und die Körnchen in den vielen engen radiären Kanälchen gleiten. Die Bewegung der Körnchen wird durch Kontraktion des Protoplasmas, welches die zarte Wandung der Kanälchen bildet, verursacht. Daraus ergibt sich, daß auch die Bewegung der Pigmentkörnchen durchaus in radiären Reihen erfolgt, wie die Vorführung des Fihns auf das schönste zeigt. Die radiäre Anordnung der Körnchen ist am lebenden Objekt noch viel deutlicher, als in dem bestfixierten Präparat. Es ist daher irrtümlich und wird durch meine Beobachtungen und Filmaufnahmen widerlegt, wenn Fraxz 1. c. S. 545 sagt: »Nur eine ver- hältnismäßig geringe Bedeutung kann ich der oft beobachteten Reihen- gruppierung der Pigmentkörnchen beimessen. Ich habe gefunden, daß von einer solchen stets um so weniger bemerkt wird, je lebensfrischer das Material ist. Die Reihengruppierung der Pigmentkörnchen ist also als Absterbeerscheinung aufzufassen. « Auch ist die tangentiale, d. h. zirkuläre Anordnung der Körnchen, von welcher SolgerI) und Franz sprechen, nur eine scheinbare. Solger glaubte sie an abgestorbenen bzw. fixierten Präparaten zu erkennen. In den beiden Abbildungen, welche Franz davon 1. c. S. 546 in seinen Fig. 12 und 13 aus einer Larve des Dorsches gibt, handelt es sich um einfache partielle Stauungen des Pigmentes, wie auch der Autor selbst 1) B. Solger, Über pigmentierte Zellen und deren Centralmasse. Mitteilungen aus dem naturw. Verein für Neu-Vorpommern u. Rügen in Greifswald. XX. Jahrg. 1889. — Derselbe, Zur Struktur der Pigmentzelle. Zoolog. Anzeiger 1889. 2) L. c. S. 545 und 546. 36* 556 E. Ballowitz hervorhebt und wie sie bei der Kontraktion des Zellprotoplasmas der Chromatophoren nicht selten auftreten. Pigmentströmung in zirkulärer Eichtling habe ich niemals beobachtet, viehnehr erfolgt dieselbe stets radiär, im peripherischen Bereich auch mit geringer seitlicher Abweichung, jedenfalls infolge des Vorhandenseins zahlreicher Anastomosen der Kanäl- chen in diesem Bezirk. Die Fig. 1 und 2 der meiner Abhandlung beigefügten Taf. XL sind zwei Serien entnommen, welche bei der Abdrehung des Films die Körnchenströniung auf das prachtvollste verführen. In beiden Figuren ist ein breiter, dünner, keilförmiger Fortsatz eines Melanophors eingestellt. Aus den peripherischen Teilen ist das Pigment unter dem direkten Ein- fluß des Lichtes schon zum Teil ausgewandert und hat sich centralwärts angehäuft. Besonders gilt das für Fig. 2. Die Bewegung der Körnchen ist eine lebhaft strömende, eigenartig ruckende, wobei besonders her- vorzuheben ist, daß ein Teil der Körnchenreihen sich centripetal, ein andrer Teil genau entgegengesetzt bewegte. Das Miki'ophotogramm der Fig. 3 zeigt di'ei Pigmentarme. Der mittlere, breitere ist am schärfsten eingestellt. Die Länge dieser Pig- mentarme entspricht etwa der halben Länge der Protoplasmaarme dieser Schwarzzelle, so daß die Hauptmasse des Melanins etwa bis zur Mitte des Protoplasmaarmes reicht, während die peripherische Hälfte des letzteren bis auf vereinzelte Pigmentkörnchen schon vollständig pigment- frei und damit unsichtbar geworden ist. Bei der Vorführung dieser Filni- serie sieht man nun den von mir beschriebenen, so überaus charakteristi- schen Körnchentanz auf das schönste. Man erblickt an den peripherischen Enden der verkürzten Pigmentarme und zwar nur hier, nicht an ihrem Seitenrande, verschieden weit vorgeschnellte, beziehungsweise wieder zurückweichende Melaninkörnchen und kleine Körnchenreihen. Sie drin- gen dabei in den unsichtbaren, pigmentfreien Teil des Protoplasmaarmes ein. Ihre jonglierenden Bewegungen spielen sich aber stets in radiärer Richtung ali, weil sie in den Radiärkanälchen des liegenbleibenden Chro- matophorenprotoplasmas gleiten. Die isolierten Körnchen zeigen daher auch hier an dem freien Ende der Pigmentarme eine auffällig radiäre Anordnung. In Fig. 4 der Tafel ist die centrale Zusammenballung des Pigments schon zum größten Teil erfolgt. Oben befindet sich in dem Mikrophoto- gramm der größte Teil der centralen, zusammengeballten Pigmentscheibe. Ringsherum ist sie aber noch umgeben von zahlreichen Körnchen und Körnchenreihen, die in den Radiärkanälchen der Protoplasmaarme des Melanophors liegen geblieben sind und allmählich in radiärer Richtung Archiv für Zellforscinoig. Bd. XII. Figl l-'ig. 2 Verlag von Wilhelm Er^l 1 B al 1 0 wil z. Tafel XL. :ann in Leipzig und Berlin. Vier Momentaufnahmen der intracellulären Pigmentströmungen usw. 557 nachrutschen, um sich mit der centralen Melaninmasse zu vereinigen. Sehr beachtenswert ist bei allen diesen Körnchenreihen der Figur die streng radiäre Anordnung der Pigmentreihen in diesen Momentaufnahmen. In betreff aller Einzelheiten über diese interessanten Bewegungs- vorgänge, die auch auf die Protoplasmastruktur dieser Zellen, wie ange- deutet, wichtige Schlüsse zulassen, verweise ich auf meine oben zitierte, in Pflügers Archiv für die gesamte Physiologie erschienene Abhandlung. Zur Kenntnis des feineren Baues des Chromatophoren- Protoplasmas. Von Professor Dr. med. et phil. E. Ballowitz, Direktor des anatomiscliea Instituts der Westfälischen Wilhelms-Universität Münster i. W. Mit Tafel XLI— XLII. Über den feineren Bau des Chromatophorenprotoplasmas ist bisher sehr wenig bekannt geworden. Die meisten Autoren, welche das pigment- freie und alsdann gewöhnlich unsichtbare Protoplasma der Chromato- phorenfortsätze überhaupt gesehen haben, konnten darin keine weitere Struktur erkennen. Kur B. Solger, M. Zimmermai^n und insbesondere V. Franz haben Angaben gemacht, daß den Chromatophoren eine be- sondere Struktur zukommt. B. SolgerI) bemerkte einerseits an den zusammengeballten schwarzen und gelben Chromatophoren des Härings »einen feinen farblosen Strahlen- kianz, der den Farbstoffhaufen einsänmt. Die einzelnen pseudopodien- artigen Strahlen sind von verschiedener Länge und verschiedenem Kaliber, sie scheinen sich dichotomisch zu verästehi und sich dabei zu unmeßbarer Feinheit zu verjüngen«. Einen feineren Bau vermochte der Autor an diesen pigmentfrei gewordenen Fortsätzen nicht wahrzunehmen; er er- schien ihm an den frischen Präparaten »vollkommen homogen«; auch Bew’egungserscheinungen waren nicht zu erkennen. Anderseits konnte B. Solger an den dunklen Chromatophoren des Hechtes einige Male in frischen Schnitten »feine geradlinige, farblose Fortsätze des Zellcnkörpers wahrnehmen, die aber auch hier in starrer Buhe verharrten. Sie erreichten nur einen geringen Durchmesser, so daß ein weiteres Eindringen in den feineren Bau derselben ausgeschlossen war.« Zu dem Komplex dieser Fortsätze gehörte, wie ein Sektor, ein 1) B. Solger, Über pigmentierte Zellen und deren Ceutralmasse. Mitteilungen des naturwissenschaftlichen Vereins von Neu-Vorpommern und Rügen. 22. Jahrg. 1890. Zur Kenntnis des feineren Baues des Chromatophoren- Protoplasmas. 559 nach innen sich zuspitzendes Gebiet des pigmentierten Zellenleibes, welches sich durch die auffallend regelmäßige Anordnung der Pigmentschollen von der übrigen Masse des Zellenleibes deutlich abhob. Im Bereich dieses dreieckigen Feldes waren nämlich die Farbstoffpartikelchen deut- lich radiär aneinandergereiht. In den Fig. 2a und 1) seiner Abhandlung hat Solger diese »feinen, fadenartigen Fortsätze« an einem Melanophoren des Hechtes nach Be- handlung mit Flemmings Chromosmiumessigsäuregemisch abgebildet; sie überragen in der Zeichnung den Band der Pigmentmasse. Innerhalb der letzteren scheint der Autor sie aber nicht erkannt zu haben; wenig- stens wird im Text nichts davon erwähnt und ist in seinen Zeichnungen nichts davon zu sehen. Auch enthält sich der Autor einer bestimmten Deutung dieser »Fortsätze«; er scheint sie für pigmentfrei gewordene Protoplasmafortsätze der Farbstoffzelle anzusehen. AV. ZimmermannI), w’elcher die pigmentfrei gewordenen Fortsätze der Melanophoren bei Knochenfischen in Schnittpräparaten durch Fär- bung sehr deutlich darstellen konnte, macht die wenig beachtete An- gabe, daß »die pigmentfrei gewordenen Ausläufer bis in die äußersten Enden hin eine bestimmte, aber zarte Längsstreifung« in seinen fingierten Präparaten zeigten. Zimmermanx hält diese Streifung nach Befunden an gebleichten Zellen für »eine Fortsetzung der Archiplasmastrahhmg«. Eine eigenartige Anschauung über den inneren Bau der Chromato- phoren hat V. Franz^) entwickelt, welcher die Farbzellen an lebenden durchsichtigen Fischlarven studierte. Diese Fischlarven sind zwar wegen ihrer Durchsichtigkeit ein sehr günstiges Studienobjekt, zeigen aber die Farbstoffzellen noch nicht in der vollkommenen Ausbildung, wie bei dem älteren und erwachsenen Tier. Franz beobachtete nun in seinen Prä- paraten eine reihenweise Anordnung der Pigmentkörnchen und stellte fest, daß diese Körnchenreihen neben und zwischen hellen, pigmentlosen, schmalen Streifen verlaufen, die er als starre »skelettartige Stäbe« deutet. AVie die Textfig. 4—8 seiner Abhandlung zeigen, können sich diese Streifen auch verzweigen. Seine schematische Fig. 9 (1. c. S. 541), welche die von dem Sphärenfleck ausstrahlenden »Stäbe« innerhalb des Zellkörpers demonstrieren soll, ist nicht beweisend, da sie nicht nach direkten Be- obachtungen gezeichnet, sondern vielmehr schematisch konstruiert ist. Es wird nicht klar, ob Franz diese »Stäbe« nur in den Fortsätzen oder 1) W. Zimmermann, Über die Kontraktion der Pigmentzellen der Knochenfische. Verhandl. der anat. Gesellschaft in Göttingen. 1893. 2) V.*Fr.anz (Helgoland), Die Struktur der Pigmentzelle. Biologisches Central- blatt. Bd. XXVIII. 1908. S.536. 560 E. Ballowitz auch in dem Zellkörper der Pigmentzelle selbst gesehen hat, da er sagt, daß er hinsichthch der centralen Endigung der »Stäbe« bei der Unter- suchung derselben am lebensfrischen Material »nicht allzuweit« gekom- men ist. Der Autor kommt schließUch zu der Annahme, daß die Pigmentzelle in sich ein aus Stäben bestehendes Skelett birgt, »dessen Centrum mit dem dynamischen Centrum der Pigmentattraktion zusammenfällt«. In betreff der Stäbchen heißt es dann 1. c. S. 543: »Die Frage ist wohl nicht allzu schwer zu beantworten, warum die Pigmentzelle ein solches Skelett enthält. In der Pigmentzelle finden viel regere intracelluläre Verlagerungen statt, als in irgendeiner andern Zelle, und die Ausbildung eines, die Erhaltung der Form der ganzen Zelle gewährleistenden Skelettes wurde damit zur Notwendigkeit. Zu- gleich haben die Stäbe diejenige Anordnung, welche am allerbesten die bald central, bald peripher gerichteten Verschiebungen der Pigment- körnchen ermögücht «. Wie sich der Autor diese »Verschiebungen der Pigmentkörnchen« denkt, welche &äfte sie veranlassen sollen, wii’d nicht angedeutet. In einer in Pflügers Archiv für die gesamte Physiologie nieder- gelegten Arbeit 1), auf welche ich hier verweise, habe ich meine eignen Beobachtungen an den lebenden Chromatophoren der Knochenfische niedergelegt. Durch Studien an einem sehr günstigen Objekt bei stärk- sten Immersionsvergrößerungen und durch Analyse kinematographischer Aufnahmen der Pigmentströmung innerhalb der Melanophoren, bin ich zu dem Schluß gekommen, daß das Chromatophorenprotoplasma von vielen feinsten, radiären, unter sich anastomosierenden Kanälchen durch- zogen wird, in welchen die Pigmentkörnchen centripetal und centrifugal strömen. Die Bewegung der Körnchen wird, wie ich annehme, durch abwechselnde Kontraktion und Erschlaffung des Wandungsprotoplasmas der Kanälchen hervorgerufen. 1) E. Ballowitz, Über die Pigmentströniung in den Farbstoff zellen und die Kanälchens trnktur des Chromatophorenprotoplasmas. Nach Beobachtimgen an der lebenden PigmentzeUe und nach kinematographischen Aufnahmen. Mit 6 Textfiguren u. 4 Tafeln mit kinematographischen Mikrophotogrammen. Pflügers Arch. f. d. ges. Phys. 1914. — Derselbe, Über chromatische Organe, schwarz-rote Doppelzellen und andre eigenartige Chromatophoren- Vereinigungen, über Chromatophoren-Fragmentation und über den feineren Ban des Protoplasmas der Farbstoffzellen. Mit Demonstrationen und kinematographischer Vorführung der Pigmentströmung. Vortrag geh. auf der 27. Vers, der Anat. Ges. am 25. — 29. Mai 1913 in Greifswald. Verh. d. anat. Gesellsch. auf der 27. Vers, in Greifswald. G. Fischer, Jena 1913. Zur Kenntnis des feineren Baues des Chromatophoren- Protoplasmas. 561 Nachdem ich diese meine Anschauungen durch Beobachtung der Pigmentströmung an der lebenden Zelle i) erschlossen und begründet hatte, mußte es meine Aufgabe sein, für das Vorhandensein der Kanälchen und Kanälchenwandung im mikroskopischen Präparat direkte histologische Beweise zu erhalten. Diese Untersuchungen sind aber nicht so leicht, da, wie ich schon erwähnt, das pigmentfrei gewordene Chromatophoren- protoplasma im frischen Präparat gewöhnlich ganz unsichtbar bleibt, und die frischen Präparate nach dem Absterben der Zelle sich schnell verändern und für feinere Untersuchungen unbrauchbar werden. Bei meinen ausgedehnten Studien über Chromatophoren, chromatische Organe und Chromatophorenvereinigungen 2) konnte ich bisher nur gelegentlich darauf bezügliche Beobachtungen machen, und fehlte es mir bis jetzt an Zeit, die Studien über den feineren Chromatophorenbau systematisch durchzuführen. Auch ist es oft sehr schwierig, das geeignete Fischmaterial dafür in die Hände zu bekommen. Wenn daher die in folgendem mitzu- teilenden Untersuchungen auch noch nicht abgeschlossen sind und Re- sultate gebracht haben, die mir selbst in ihrer Deutung noch nicht ganz geklärt erscheinen, so will ich diese Beobachtungen doch hier schon ver- öffentlichen, da sie mir wichtig genug zu sein scheinen und eine wesent- liche Ergänzung zu meinen physiologischen Beobachtungen an der strö- menden Pigmentmasse der lebenden Zelle bilden. Alle folgenden Beobachtungen sind an dem frischen, in physiologischer Kochsalzlösung liegenden Flächenpräparat der Pigmentzelle bei stärkster Immersionsvergrößerung (Zeiss, homogen. Immers. 1,5 mm, Apert. 1,40, Kompens.-Ocul. 12 j, zum Teil während eines Studienaufenthaltes an der 1) Vgl. auch E. B ALLO WITZ, Über die Erythrophoren in der Haut der Seebarbe, Mullus L., und über das Phönoinen der momentanen Ballung und Ausbreitung ihres Pigmentes. Nach Beobachtungen an der lebenden Zelle. Arch. f. mikrosk. Anat. Bd. LXXXIII. Abt. 1. 1913. 2) E. Ballowitz, Die chromatischen Organe in der Haut von Traehinus vipera Cuv. Ein Beitrag zur Kenntnis der Chromatophorenvereinigungen bei Ivnochenfischen. Mit Taf. XIV — XVIII. Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. CIV. 1913. — Derselbe: Über chro- matische Organe in der Haut von Knochenfischen. Mit 15 mikrophotographischen Ab- bildungen. Anat. Anz. Bd. XLII. Nr. 7/8. 1912. — Derselbe: Über schwarz-rote Doppelzellen und andre eigenartige Vereinigungen heterochromer Farbstoffzellen bei Knochenfischen. Mit 29 mikrophotographischen Abbildungen. Anat. Anz. Bd. XLIV. Nr. 5. 1913. — Derselbe: Über chromatische Organe, sch\varz-rote Doppelzellen imd andre eigenartige Chromatophorenvereinigungen, über Chromatophorenfragmentation und über den feineren Bau des Protoplasmas der Farbstoffzellen. Mit Demonstrationen. Mit 4 Textfiguren. Vortrag, geh. auf der 27. Versammlung der anat. Gesellsch. am 25. — 29. Mai 1913 in Greifswald. Verhandl. d. anat. Gesellsch. auf der 27. Ver- sammlung in Greifswald. G. Fischer, Jena 1913. 562 E. Ballowitz zoologischen Station in Neapel im April 1913, gemacht. Die vier Figuren derTaf. XLI undXLII wurden gleichfalls nach dem frischen, beziehungs- weise lebenden Objekt bei stärkster \"ergrößerimg gezeichnet; sie stellen eine Auswahl aus einer Zahl ähnlicher Skizzen dar. Die Fig. 1, 2 und 4 wurden in Neapel angefertigt. Fig. 1 stammt aus einem Hautpräparat von Mulhis iariahis, Fig. 2 und 4 aus einem solchen von Elennius ocellaris; Fig. 3 wurde nach einem Hirnhautpräparat von Gobius minuhis gezeichnet. Fig. 1 stellt die Hälfte eines Melanophoren dar, dessen Pigment- masse sich dem Stadium der maximalen Pigmentballung nähert; einige größere Pigmentkügelchen sind noch in einiger Entfernung von der Haupt- masse des Melanins isoliert liegen geblieben. Li der Nachbarschaft des Pigmentklumpens, dort wo sich vorher die ausgebreiteten Pigmentfort- sätzei ) befanden, erbhckt man zahlreiche, feine, lineare Streifen von ver- schiedener Dicke, welche von der Pigmentmasse radiär ausstrahlen. Sie befinden sich der Lage nach im Bereich der ursprünglichen Pigment- fortsätze, sind aber sehr viel dünner, als die letzteren. Sie können daher auch nicht den pigmentfrei gewordenen Protoplasmafortsätzen selbst entsprechen, sondern stellen nur Strukturbestandteile der letzteren dar und befinden sich innerhalb derselben. Ein Teil der Protoplasmafortsätze ist auch noch an der centralen Pigmentmasse in Form von nnregehnäßigen Pigmentvorsprüngen angedeutet. Bei Gobins wurden auch Teilungen der Streifen beobachtet. Fig. 2 fülirt einen Melanophor mit völlig zusammengeballtem Melanin vor. Die Scheibe ist rings herum umgeben von einem sehr auffälligen Kranze sehr zahlreicher linearer Strahlen, welche verschiedene Länge und Dicke besitzen. Ein Teil dieser Strahlen ist ein wenig dicker und deutlicher als die übrigen ; ihnen kommt auch die größte Länge zu. Gegen die Peripherie hin werden sie dünner und hören schließlich unmerklich auf. Zwischen diesen dicken Strahlen konnte ich nun deutlich zahlreiche, andre radiäre Linien erkennen von eigentümlichem Aussehen. Sie sind sehr fein, wenig scharf begrenzt und machen einen sehr zarten, etwas verschwommenen Eindruck. Bei der Wiedergabe der Zeichmmgen auf den Tafeln sind sie zu bestimmt ausgefallen. Sie verlaufen radiär jiind dort, wo sie zahlreicher sichtbar sind, dicht nebeneinander, doch so, daß ein schmaler radiärer, heller Raum zwischen ihnen bleibt, der den radiären Reihen des ausgebreiteten Pigmentes an Breite und Rich- 1) Ich unterscheide zwischen Pigmentfortsätzen und Protoplasmafortsätzen; als Pigmentfortsätze bezeichne ich die in den liegenbleibenden Protoplasmafortsätzeii in verschiedener Ausdehnung befindliche Pigmentmasse. Zur Kenntnis des feineren Baues des Chromatophoren-Protoplasmas. 563 tung etwa entsprechen würde. Diese feinsten, äußerst zarten Linien tauchen nur hier und da auf und sind nur bei genauester Einstellung und stärkster Vergrößerung deutlicher sichtbar. Sie scheinen auch ein leicht vergängUches Strukturclement darzustellen, da sie meist nur kurze Zeit sichtbar bleiben, um dann zu verschwinden. Auch scheinen sie nur in einem bestimmten Zeitpunkt, anscheinend kurz nach oder bei dem Absterben der Zelle, aufzutreten. Auch werden sie durchaus nicht an jeder Zelle und in jedem Präparat angetroffen, sondern nur hier und da. Es war bei meinen Untersuchungen immer ein besonderer Glücksfall, wenn ich sie deutlich sah. Bei Blennius (Fig. 2 aufTaf. XIjI) machte ich an ihnen nun noch eine besondere, wohl nicht unwichtige Beobachtung, die auch in der Fig. 2 ihren Ausdruck findet. Diese feinsten Eadiär- linien erschienen nämlich hier deutlich körnig, wie aus körnigem Proto- plasma bestehend. Die reihenweise angeordneten Körnchen waren äußerst fein, sehr zart und mattglänzend, weit kleiner als die Melaninkörnchen. Wie die Figur zeigt, waren sie auch nicht an allen feinen Linien zu sehen und schienen leicht vergänglich; vielleicht stellen sie auch schon ein Zerfallsprodukt der feinen Strahlen dar. Diese Beobachtung an Blennius machte ich während meines kurzen Aufenthaltes in Neapel; die Zeit fehlte mir, um diese Beobachtung noch weiter zu verfolgen. Auch bei andern Fischen konnte ich diese feinsten radiären Linien feststellen. Ich habe sie schon in meiner Arbeit über die Erythrophoren von Mullus erwähnt. Besonders oft und deutlich nahm ich sie an den Melanophoren der Hirnhaut von Gobius minutus und Gobius pictus wahr, wenn das Pigment sich maximal zusammengeballt hatte. Die schwarze Scheibe war dann bisweilen fast ganz umgeben von einem dichten Strahlen- kranz feinster, zartester, dicht stehender Linien, unter denen hier und da gröbere hervortraten. Die Linien standen so dicht aneinander, daß sie nur ganz feine, schmale, radiäre Räume zwischen sich ließen. Die gleiche Bildung außerhalb der Pigmentmasse hat Solger wohl schon gesehen, wie oben bei der Literaturbesprechung ausgeführt ist. Die Deutung dieser Befunde ist nicht leicht. Die feinen radiären Linien sind mir nicht scharf genug, um sie für Fibrillen halten zu können. Vielmehr bin ich geneigt, in ihnen den optischen Ausdi’uck der proto- plasmatischen, feinsten, kontraktilen Wandung der radiären Kanälchen zu sehen, in welchen letzteren die Pigmentkörnchen hin und her gleiten. Ihr ganzes Aussehen, insbesondere auch die feinkörnige Zusammen- setzung schien mir dafür’ zu sprechen. Bestärkt werde ich in dieser Annahme durch Beobachtungen, welche ich an den Melanophoren in der Hirnhaut von Gobius machte, wenn sich 561 E. Ballowitz das Pigment zusammengeballt hatte. Wie ich oben geschildert habe, sieht man hier bisweilen die Pigmentscheibe von einem dichten Strahlen- kränze feinster Linien umgeben, die nur bei horizontaler Lage und schärf- ster Einstellung deutlich erkennbar sind. Es kam nun bisweilen vor, daß im Bereiche dieser Linien eine leichte Faltung des Gewebes oder eine Abknickung der Linien erfolgt war, so daß man alsdann ein Schräg- be- ziehungsweise ein Querschnittbild der letzteren erhielt. Diese Linien erschienen alsdann aber nicht als Punkte, sondern in Form eines äußerst zarten Maschen- oder Netzwerkes mit rundlichen Maschen. Die Netz- lücken hatten denselben Durchmesser wie die mit den Körnchenreihen erfüllten hellen Räume zwischen den zarten Streifen. Ich gewann daher den Einch'uck, daß hier das Querschnittbild eines kanalisierten Gewebes mit sehr zarter dünner Kanälchenwandimg vorlag. Die gröberen, radiären Linien sind wohl stärkere xAnhäufungen des Chromatophorenprotoplasmas. Es schien mir, daß diese gröberen Linien den Begrenzungen und Randpartien der Protoplasmafortsätze der Chro- matophoren entsprechen. Hierfür scheint mir zum Beispiel Fig. 4 der Taf. XLII zu sprechen. Diese xAbbildung zeigt die Hälfte des centralen Teiles eines Alelanophors von Blennius ocellaris. Die Zusammenballung des Melanins ist noch nicht vollständig erfolgt, vielmehr ragen noch die Basen von vier Pigmentfortsätzen eine Strecke weit aus der Pigment- scheibe hervor. Von den Rändern dieser Pigmentfortsätze gehen nun gröbere, dunklere, radiäre Streifen aus, die sich eine längere Strecke verfolgen lassen, und die wohl zusammenfallen mit den Rändern der pigmentfrei gewordenen Protoplasmafortsätze. Sonst war in diesem Präparate von den letzteren, wie gewöhnlich, nichts zu sehen; nur in zwei Protoplasmafortsätzen ließen sich zwischen den gröberen Seiten- streifen noch feine Radiärlinien undeutlich wahrnehmen, die Andeu- tungen der intracellulären Kanälchenwandungen. .Aber nicht allein in den pigmentfrei gewordenen Protoplasmafort- sätzen der Chromatophoren bei zusammengeballtem Pigment habe ich die intracellulären, zarten Streifen, wie ich annehme, als xAusdruck der Kanälchenwand, wahrnehmen können, sondern auch bei völlig ausge- breitetem Pigment vermochte ich sie häufig zwischen den radiär strömen- den Pigmentreihen auf das deutlichste und ganz unzweifelhaft festzu- stellen. Fig. 3 ist nach dem lebenden Objekt (Hirnhaut von Gohius) ge- zeichnet, in welchem die radiären Körnchenreihen der Melanophoren in lebhaftester Bewegung strömten. Die Abbildung stellt einen breiten Fortsatz eines Melanophors dar. Oben am peripherischen Rande und unten gegen die centrale Sphäre hat sich das Pigment noch mehr an- Zur Kenntnis des feineren Baues des C'hromatophoren-Protoplasmas. 565 gehäuft. Dazwischen ist dagegen die Körnchenmasse infolge der direkten Einwnrkung des Lichtes schon zum größten Teil abgeflossen, da das Pig- ment bei Gasglühlichtbeleuchtung schon einige Zeit beobachtet worden w'ar. An solchen Stellen, die durch Abwanderung des Pigmentes durch- sichtiger gew'orden sind, habe ich nun an günstigen Präparaten (Gobius) ganz regelmäßig viele feinste, radiäre Streifen zwischen den Körnchen- reihen gesehen, die freie Räume zwischen sich ließen, in denen die Körn- chenreihen strömten. Diese Streifen waren äußerst fein und zart, aber nicht scharf begrenzt. Wären es isoliert im Protoplasma verlaufende Fibrillen, so mußten sie wohl schärfer begrenzt sein. Ich sehe daher auch diese zarten, radiären Linien als optischen Ausdruck der proto- plasmatischen Kanälchenwand an. Besonders deutlich w'urden sie über oder unter der Kerngegend, wenn auch hier das Melanin etwas spärlicher geworden ist. Auf diesen Umstand habe ich schon in meiner Abhand- lung über die Erythrophoren von Miülits hingew'iesen. Die betreffende Stelle (1. c. S. 303) lautet; »Es sei nur noch erwähnt, daß es mir noch nicht gelungen ist, an den pigmentlos gewordenen Fortsätzen dieser Mullus-ZeWen die Kanälchenwandungen in ganzer Ausdehnung zu er- kennen. Mein Aufenthalt in Neapel wor dieses Mal zu kurz, um nach dieser Richtung hin noch eingehendere Studien nach verschiedenen Me- thoden anstellen zu können. Es sei nur noch betont, daß ich an dem frischen Objekt alsbald nach der Zusammenballung und dem Absterben der Zellen in dem Präparat des öfteren einige derbe, schmale, radiäre Streifen wahrnahm, welche in der Richtung der Fortsätze von der Pig- mentscheibe ausstrahlten. Diese radiären Streifen schienen der Be- grenzung der Fortsätze zu entsprechen, doch war es mir noch nicht mög- lich, die Bedeutung dieser Streifen mit Sicherheit festzustellen. Bei genauer Einstellung der meist nur spärlichen Pigmentreihen, welche an der oberen und unteren Fläche des Kernes über letzterem in radiärer Richtung hinweggleiten, habe ich oft den bestimmten Eindi’uck erhalten, daß äußerst feine Linien über den Kern radiär hinwegziehen und schmale, helle Räume begrenzen, die etwa die Breite der Pigment- körnchen haben, und in denen die Körnchen strömen. Dies schien mir der optische Ausdruck der Kanälchenstruktur des Protoplasmas zu sein. « Diese von mir an den ausgebildeten Chromatophoren erwachsener Tiere beobachteten feineren Strukturen sind, wie ich glaube, identisch mit den von Franz an wohl noch unreifen Chromatophoren von durch- sichtigen Fischlarven beschreibenen »Stäben«, nur daß hier diese Struk- turen noch nicht in der feinen Ausbildung vorhanden sind, wie bei dem erwachsenen Tiere. Ich kann mich daher der Deutung von Franz, daß 566 E. Ballowitz, Zur Kenntnis des feineren Baues usw. es sieh um ein System von starren Stäbchen zur inneren Stütze der Zelle handeln soll, nicht anschließen. Ob die gröberen Streifen, welche ich oben beschrieben habe, vielleicht dieser Aufgabe dienen und Form und Lage der zarten Protoplasmafortsätze befestigen, vermag ich noch nicht zu entscheiden. Wahrscheinhch gehören hierher auch die von Keeble und Gamble, Dofleix, Fraxz und neuerdings E. Degxeri) beschriebenen »Achsen- stränge oder Fibrillenstrukturen« der Crusterchromatophoren, die nur bei ausgebreitetem Pigment sichtbar sind, nach dessen Abwanderung aber unsichtbar werden ; ich vermute, daß den Chromatophoren der Krebs- tiere im wesentlichen die gleiche Protoplasmastruktur zukommt, wie den Farbzellen der Knochenfische, da auch die Bewegungserscheinungen der Körnchen innerhalb der Crusterchromatophoren, welche von Degxer kürzlich näher beschrieben worden sind, mit denen der Knochenfische die größte Ähnlichkeit haben. Erklärung der Abbildungen. Alle Figuren stellen Teleostier-Melanophoren oder Teile davon dar und \^'urden bei stärkster ZEiss-Immersionsvergrößerung (Zeiss homogen. Immersion 1,5 mm, Apert. 1,40, Kompens.-Ocul. 12), nach dem lebenden, beziehungsweise frischen, eben abgestorbenen, in physiologischer Kochsalzlösimg liegenden Präparat gezeichnet. Tafel XLI— XLII. Fig. 1. Teil eines !Melanophors mit zusammengeballtem Pigment aus der Haut von Mullus larbatus mit Strahlenkranz. Fig. 2. Melanophor mit völlig zusammengeballtem Pigment aus der Haut von Blennius oceUaris. Die Pigmentmasse ist ringsherum von einem Ivranze verschieden dicker Strahlen umgeben, deren feinere zum Teil eine körnige Zusammensetzung er- kennen lassen. Fig. 3. Stück eines Melanophors mit zum größten Teil abgewandertem Pigment, nach dem lebenden, in lebhafter Pigmentströmimg begriffenen Präparat. Die Pigment- kömchen sind in ausgesprochen radiären Reihen angeordnet, in denen sie sich auch centrifugal und centripetal bewegen. Zwischen den Pigmentreihen sind zahlreiche feinste, radiäre Linien sichtbar. Aus der Hirnhaut von Gobius ^ninutus. Fig. 4. Stück eines Melanophors mit zum größten Teil retrahiertem Pigment aus der Haut von Blennius oceUaris. Edvard Degaer, Über Bau und Fimktion der lÄrusterchromatophoren. Eine histologisch-biologische Untersuchung. Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. CII. Hft. I. 1912. Archiv für Zellforschung Bd. KU. K. Schlick gcz. E.BoMomtz. Vfr^/i 7 '-m WilhfJni £l % Taf. XLI. ng. 2 tann üiLeipzig und Berlin. Lith.Anstr. Johannes Arndt, Jena. Archiv für ZeUforschimg Dd. XU. Taf XLII. ••• •• *•••• ** •••• ••••••• ••••*•,«. .tCvfc! . .••••* •• • •••• .rr?»*!** . •%• •••• • • • ••• • V* • ••• •• f •• •••• • ••• — - • ** •.OS • ... — • .»»jwV«** { • • *• ji« • • >: • * V, .5* vV-.-.. X. K. Schlick gen E BallowUz. Verlag von Wilhelm Engelnuum in, Leipzig and Berlin, Luk Anst-aJohannesAriuk, Jena Beiträge zur Kenntnis des Spermatozoen-Dimorphismus. Von Dr. Gustav A. von Kemnitz. (Aus dem Zoologischen Institut München.) Mit Tafel XLIII-XLIV. Inhalt, Seite 1. Einleitung . 567 II. Spezieller Teil 568 A. Material und Technik 568 B. Byihinia tentaculata L 569 a) Tj^pische Reihe 570 b) Atypische Reihe 572 C. Valvaia piscinalis L 575 D. Galleria melonella Fahr. (Wachsmottc) 575 a) Typische Reihe 576 b) Atypische Reihe bll III. Allgemeiner Teil 579 A. Vergleich der Spermatogenese von Byihinia tentaculata mit der der übrigen Prosobranchier 579 B. Über die mutmaßliche Bedeutung der atj'pischen Spermien 582 I. Einleitung. Die Frage nach der Bedeutung des Spermatozoen-Dimorphismus im Tierreich gehört zweifellos zu denen, die ein ganz besonderes Interesse bieten, weil eine befriedigende Lösung des Rätsels bisher auch noch nicht einmal auf rein spekulativem Wege — geschweige denn auf dem genauer Beobachtung — gelang. Der Wunsch nach Aufklärung veranlaßte mich im Sommer vorigen Jahres bei Paludma vivipara neuerdings den Versuch zu machen, etwas über die Bedeutung der oligopyrenen Spermien zu er- fahren. Wie mein Vorgänger Popoff (07) mußte ich aber sehr bald 568 Gustav A. von Kemnitz erkennen, daß Paludina zur Lösung des Problems wohl so ziemlich das ungeeignetste Objekt ist, das man sich denken kann. Ich beschloß daher, die beiden andern bei uns heimischen Süßwasserprosobranchier zu unter- suchen, nämlich die zwittrige Valvata piscinalis und die getrenntgeschlecht- liche Bythinia tentaculata. Die Laichperiode der Tiere war aber bereits vorüber, außerdem galt es zunächst festzustellen, wie es sich bei diesen Formen mit dem Spermatozoen-Dimorphismus verhält. Mußte es doch schon ein gewisses Interesse bieten, zu erfahren, ob die hermaphrodite Valvata überhaupt zweierlei Spermien bildet wie ilire Verwandten oder nicht. Es sei hier gleich vorweg genommen, daß das letztere der Fall ist. Valvata besitzt nur normale eupyrene Spermien. Die gono- choristische Bythinia dagegen bringt zweierlei Spermien hervor, aber so völlig abweichend von allem bisher in dieser Richtung bekannt gewordenen, daß eine eingehende Besprechung der Resultate gerechtfertigt erscheint. — Schließlich füge ich dieser Mitteilung noch die Schilderung eines weiteren Falles von Spermatozoen-Dimorphismus aus der Gruppe der Schmetter- linge bei. Es handelt sich um einen Mikrolepidopteren, die Wachsmotte (Galleria melo7ieUa), bei der ich den Dimorphismus der Spermien zu- fällig entdeckte. Beobachtungen über die Funktionen der atypischen Spermien kann ich, ^ne gleich vorweg bemerkt sei, um den Leser nicht zu enttäuschen, heute noch nicht mitteilen. Ich hoffe aber im Frühling dieses Jahres an der leicht züchtbaren Bythinia ein Objekt zu finden, das sich weniger spröde zeigt als die bisher untersuchten. II. Spezieller Teil. A. Material und Technik. Die etwa 7— 8 mm langen Bythmieni) unsrer Gewässer ähneln in ihrem Gehäuse sehr den bekannten Limneen, unterscheiden sich aber auf den ersten Blick von diesen durch den Besitz eines Deckels. Der Hoden liegt zum Teil in die Leber eingebettet und läßt sich nur schwer heraus- präparieren, weshalb es am besten ist, die obere Hälfte des Tieres ein- fach in toto zu konservieren. Ebenso verfährt man bei Valvata. Material von der Wachsmotte, die bekanntlich in Bienenstöcken parasitiert, habe ich zum Teil käuflich erworben, zum Teil durch das Entgegenkommen des hiesigen Landesinspektors für Bienenzucht, Herrn K. Hofmank, er- 1) Für die Beschaffung des Materials sage ich dem Conchyologen der hiesigen Staatssammlung, Herrn Benefiziaten Weber, auch an dieser Stelle meinen besten Dank. Beiträge ziir Kenntnis des Spermatozoen-Diniorphismus. 569 halten, dem ich ebenfalls an dieser Stelle für seine Bemühungen meinen' besten Dank sage. Als ein vorzügliches Mittel, um in wenigen Minuten einen über- blick über die Cytologie der Geschlechtszellen zu erhalten, habe ich Aus- strichpräparate befunden, die mit dem von Salkind (12) angegebenen Polychromfärbungsgemisch simultan fixiert und gefärbt waren. Nament- lich hat sich dieses Verfahren an Hodenausstrichen von Bythinia und der Wachsmotte bewährt. Im übrigen wurden an Ausstrichen und ganzen Stücken alle bekannteren Konservierungsmittel angewandt. Bei der Wachsmotte mit Erfolg nur die Osmiumgemische, besonders Fleadiixg mit nachfolgender Bleichung der Schnitte in Wasserstoffsuperoxyd, und Bendas Gemisch. Bei Bythinia und Valvata hat sich Pbtruxkewitschs Gemisch am besten bewährt. Von Färbungen wurden außer der Sal- KiNDSchen besonders Eisenhämatoxylin nach Heidexhain angewandt. Daneben auch Safranin-Lichtgrün, Ehrlich-Bioxdi-Heidenhaixs Ge- misch und die BEXDASche Mitochondrienfärbung. Die Schnittdicke be- trug 7,5 jK. — Nachdem ich durch ein vergleichendes Studium aller Prä- parate über die Art des Ablaufes der einzelnen Prozesse orientiert war, habe ich mich bemüht, die Figuren für jedes der untersuchten Objekte jeweils möglichst aus ein und demselben Objektträger zusanimenzu- stellen, da, wie die Erfahrung lehrte, bei der Einreihung der einzehien Stadien nur auf diese Weise einigermaßen berechtigte Eückschlüsse auf Grund von Größen- und Massenverhältnissen möglich waren. B. Bythinia tentaculata L. Das erste, was bei Betrachtung eines Hodenquerschnittes in die Augen fäUt, sind die meist zu Dutzenden nebeneinanderliegenden Stadien der ersten Reifeteilung der atypischen Reihet). Wir wollen indessen mit der typischen Reihe beginnen. Die Auseinanderhaltung beider bietet bei Bythinia ganz erhebliche Schwierigkeiten, da wie bei den übrigen Prosobranchiern beiderlei Entwicklungsreihen nebeneinander in ein und derselben Cyste liegen. Dazu kommt die Ivleinheit der Zellen und der Mangel charakteristischer Größenunterschiede zwischen beiden Reihen. Ich war daher zunächst geneigt, anzunehmen, daß die Trennung in zwei verschiedene Reihen erst bei der Prophase der ersten Reifeteilung be- ginne. Später indessen begegneten mir Bilder, die stark dafür sprechen, daß ebenso wie bei Paludina, Yermetus und Conus bereits die jungen Spermatocyten oder gar Spermatogonien dimorph sind. Es muß freilich 1) Ich benutze im folgenden diese von Kuschakewitsch (13) eingeführte Be- zeichnung. Archiv f. Zellforschung. XII, 37 570 Gustav A. von Kemnitz zugegeben werden, daß ohne die Analogie besonders von Paludina diese Auffassung aus den oben genannten Gründen nicht hätte wahrscheinlich gemacht werden können. a) Typische Reihe. Spermatogonienniitosen sind nih verschiedentlich zu Gesicht ge- kommen, meist allerdings ohne daß auch nur der Versuch einer Analyse der Chromosomenzahl hätte gemacht werden können. In den Fig. 1 und 2 sind je zwei Äquatorialplatten in Polansicht wiedergegeben, die ich für Spermatogonienteilungen halten muß. Hierfür spricht: 1. Ihre Lage inmitten von Zellen, die nur als ruhende Spermatogonien oder junge Spermatocyten angesehen werden können, weshalb es sich bei den in Frage stehenden Mitosen auch nicht um solche von »Basal- zellen« (Nährzellen) handeln kann. I 2. Die Form der Chromosomen. Im Gegensatz zu den kugelförmigen Chromosomen der Eeifeteilungen sind sie deutlich bogen- oder haken- ! förmig. Auf letzteren Punkt muß ich besonderes Gewicht legen, da das wichtigste Kiiterium die chploide Zahl gegenüber den Prophasen I hier offensichtlich versagt, worauf noch einzugehen sein wird. Ich habe mich bemüht, durch Eintragung der Chromosomen mittels Zeichenapparat in vier Quadranten eine annähernde Zahlenbestimmung auszuführen und bin dabei zu Zahlen gekommen, die zwischen 22 und 28 liegen. Mehr als 30 Chromosomen dürften keinesfalls vorhanden sein, wie überhaupt nicht eine einzige Mitose mit höherer Chromosomenzahl- beobachtet werden konnte. Ich muß ferner auschücklich bemerken, daß die in Fig. 1 und 2 abgebildeten vier Mitosen jeweils in ein und demselben Schnitt liegen, daß also Zählungsfehler durch Anschneiden der Zellen ausgeschlossen sind. ; Die Stadien der Wachstumsperiode folgen in bekannter Weise auf- einander. Li Fig. 3 sind junge Spermatocyten dargestellt, darauf folgt ; in Fig. 4 die Chroniatisierung des Kernnetzes unter Verschwinden der f Nucleolen, hierauf das leptotäne Stadium der Fig. 5, an das sich eine > deutliche Synapsis ( »Synezisis «) — Fig. 6 — anschließt. Es reiht sich daran das pachytäne Stacüum der Fig. 7 und die diplotänen der Fig. 8 und 9, auf denen die Desorientierung und allmähliche Kondensierung der Schleifen zu den deutlich bivalenten Elementen der Prophase I (Fig. 10, 11 und \2a—d) zu erkennen ist^). Auf dem Stadium der Pro- 1) Auf eine genaue Schilderung der synaptischen Stadien bei der kleinzelligen J Bylhinia verzichte ich um so lieber, als ich an Paludina ein Objekt gefunden habe, ^ das gestattet, jene Prozesse mit seltener Klarheit zu verfolgen. Ich beabsichtige, darauf in einer besonderen Abhandliuig einzugehen und will liier niu andeuten, daß Hoden- Beiträge zur Kenntnis des Spermatozoen-Dimorphismus. 571 phase I läßt sich eine genauere Zählung der Chromatinelemente vor- nehmen. Die Fig. 10 und 12 beziehen sich auf Schnittpräparate, die Fig: 11 dagegen auf ein — etwas gepreßtes — Ausstrichpräparat. Eine größere Keihe von Zählungen haben mir stets Zahlen zwischen 24 und 28 geliefert. An eine Zahl, die der Hälfte, also etwa 12—14 entspricht, ist garnicht zu denken. Ebensowenig aber kann aus den Spermatogonien- mitosen die doppelte Zahl der in der Prophase I erscheinenden Elemente — also mindestens 50 — herausgelesen werden. Wir stehen also vor der überraschenden Tatsache, daß trotzdem alle synaptischen Stadien deutlich in Erscheinung treten, trotzdem die Prophasenelemente un- zweideutig bivalentes Gepräge tragen, ihre Zahl doch annähernd die gleiche ist, wie die der Spermatogonienmitosen. Die Reifeteilungen bieten im übrigen nichts Besonderes, In Fig. Viä ist eine Äquatorialplatte in Polansicht, in Fig. 12e eine ebensolche in Seitenansicht abgebildet. In der ZeUgruppe der Fig. 13 zeigt a eine frühe Anaphase in sclu'äger Lage (daher die große Zahl der Chromosomen), &, c, d und e Anaphasen in verschieden weit vorgerücktem Stadium, 13 / endlich eine Telophase I. Fig. 14 stellt Seitenansichten von Äquatorial- platten der zweiten Reifeteilung dar, Fig. 15 und 16 ihren weiteren Äb- lauf. In der Mehrzahl der Fälle konnte ich während der zweiten Reife- teilung einen mit E.H. sich intensiv färbenden Körper bemerken (vgl. Fig. 14 und 16), der durch die zweite Reifeteilung einer Spermatide zu- gewiesen wird. Er erinnert oberflächlich an den »Chromatoid body«, den Wilson (13) bei ))Pentatoma« gefunden hat und darf wohl als Spindel- rest oder mitochondriale Substanz aufgefaßt werden. Der Körper ist meist in annähernd einem Viertel der beieinanderliegenden jungen Sperma- tiden zu sehen. In andern Fällen war er aber während der ganzen zweiten Reifeteilung nicht sichtbar. Die nun folgende Spermiogenese ist bei Bythinia schwer zu verfolgen, da das Objekt zu kleinzellig ist. In den Fig. 17—24 ist eine Reihe von Stichproben abgebildet, die lehren, daß der Prozeß im wesentlichen so abläuft, wie es an Prosobranchiern Meves (02) für Paludim, Kuschake- wiTSCH (13) für Vermetus und Conus geschildert haben. In den oberen Abschnitten des Vas deferens haben die eupyrenen Spermien noch die Gestalt der Fig. 24. Die Streckung des Kopfes erfolgt also erst sehr spät und führt schließlich zu den in Fig. 25 abgebildeten fertigen eupy- renen Spermien. ausstriche mit Sicherheit die Feststellung erlauben, daß bei Paludina die Chromosomen- konjugation eine spiralige ist. So läßt sich im Pachynema klar erkennen, daß jede der bivalenten Schleifen eine Doppelspirale darstellt. 37* 572 Gustav A. von Kemnitz b) Atypische Reihe. Die Diagnose früher Stadien der Wachstumsperiode aus der atypi- schen Reihe bereitet, wie schon erwähnt, erhebliche Schwierigkeiten. Ich kann daher die Stadien der Fig. 26—28 nur mit einer gewissen Re- serve an den Anfang dieser Reihe stellen. Immerhin scheint es mir ziem- lich sicher, daß ebenso wie bei den von Kuschakewitsch untersuchten Formen, besonders aber wie bei Paludina synaptische Stadien in der atypischen Reihe fehlen. Auf ein Stadium der Ruhe (Fig. 26 a—e) folgen Stadien, die durch eine stärkere Kondensierung des Chromatins an der Peripherie ausgezeichnet sind. Es folgen die in der Zeichnung schwer wiederzugebenden Stadien der Fig. 27 und 28. Zunächst erfolgt eine etwas schärfere Herausarbeitung der chromatischen Elemente (Fig. 27 bis 286), die aber bald wieder durch ihre Tendenz, sich an emem Pol zu sammehi (Fig. 28 d und e) oder sich an die Kernmembran dicht anzu- drängen (c), verwischt wird. Diese Bilder erinnern an die Bukettstadien der typischen Reihe. Koch mehr tritt diese Analogie etwas später in den Fig. 29 a und 6 hervor, die im Präparat fast den Eindruck schlecht konservierter echter Bukettstadien erwecken. Es folgt nun ein — sehr kurz dauerndes — Stadium noch schärferer Herausdifferenzierung der Prophasenelemente (Fig. 29 c und d), das aber sehr bald den folgenden der Fig. 30 und 31 Platz macht. Während bei den Prophasen I der typischen Reihe die Chromosomen wie mit gleichem Abstand voneinander abgezirkelt, im Kerm'aum liegen, zeigen sie' in der atypischen Reihe die Tendenz, sich zusammenzuscharen und untereinander zu verklumpen. Die Chromosomen machen dabei einen eigentümlich hohlen Eindruck. Auf diesem Stadium läßt sich auf den ersten Blick eine atypische Spernia- tocyte von einer typischen unterscheiden. Die Verklumpung der Chromo- somen hält sich anfangs in mäßigen Grenzen (Fig. 30), so zwar, daß sich zunächst noch annähernd 24—28 Elemente feststellen lassen (Fig. 29 c bis 316). Hierbei treten nochmals Bilder auf, die stark an jene Bukett- stadien erinnern, in denen die Schleifen einen Aufbau aus Chromiolen erkennen lassen. Später indessen ist eine genaue Angabe über die Zahl der Chromosomen kaum mehr möglich (Fig. 31 und 32). Bei Zählungen bewegt sich das Resultat anfangs um 20 herum (Fig. 32). Später liegt die Zahl der noch individuahsierten Elemente zwischen 10 und 15 (Fig. 33 und 34). Bereits etwas früher (Fig. 32) treten die Centriolen auf, von denen das eine, welches dem dichten Chromosomenhaufen gegenüber- liegt, stets deutlich erkennbar ist, während der gegenüberliegende Partner meist verdeckt ist. Inzwischen schreitet die Chromosomenverklumpung Beiträge zur Kenntnis des Spermatozoen-Dimorphismus. 573 weiter fort und führt über Bilder wie Fig. 33, 34a und b, 35a, zu Stadien, die den Fig. 35 i, 36 und 37 a entsprechen. Ihre Merkmale sind dadurch gegeben, daß einem dichten, aus den mehr oder weniger miteinander verschmolzenen Chromosomen bestehenden Körper eine Gruppe von meist zwei, manchmal aber auch drei bis vier oder nur ein Chromosom gegenüberstehen, die infolge der nunmehr einsetzenden Teilung der Zelle an den einen Pol wandern, während der hyperpyrene Kestkörper — wie wir ihn von jetzt ab nennen w'ollen — Centrum des andern Teilproduktes wird (Fig. 37a 385 und 39). Das Resultat sind demnach zw'ei Zellen, von denen die eine jenen massigen chromatischen Restkörper enthält (Fig. 34e, 375, 385, 38c, 40d, i2g, 44 d und c), während die andre oiigo- pyrene einen Chromatinbestand von ein bis vier Chromosomen hat. Die Frage ist nun, welche Wertigkeit diese Chromosomen besitzen. Ein Entscheid ist in dieser Richtung sehr schwer zu fällen, da, wie wir oben sahen, die Tendenz zur Verklumpung der Chi’omosomen bereits sehr früh einsetzt, und es daher völlig ausgeschlossen ist, mit Sicherheit festzu- stellen, ob wir in jenen ein bis vier Chromosomen bereits Verschmel- zungsprodukte vor uns haben oder nicht. Der Sachverhalt dürfte wohl so liegen, daß die oligopyrene Spermatocyte im allgemeinen zwei bi- valente Chromosomen erhält (Fig. 34(1, e, /, 355, Fig. 36e, d, e). Diese beiden bivalenten Chromosomen können aber ihrerseits wieder zu einem Körper verschmelzen, wobei ihre Valenz meist noch sichtbar bleibt (Fig. 37 a, 39 5 und c), oder aber die Bivalenz wird bereits durch früh- zeitige — manchmal sich nur auf ein Element erstreckende — Zwei- teilung aufgehoben, wodurch zwei univalente und ein bivalentes, oder vier univalente Elemente entstehen (Fig. 35c, 36a, 5, c und 38a). Der hyperpyrene Restkörper erleidet keine w^eitere Teilung. Die oligopyrene Spermatocyte zweiter Ordnung dagegen macht offenbar eine nochmalige Teilung durch, wie auf Fig. 37c und d, 40a, 5 und c zu sehen ist. Außer diesen sehr deutlichen Metaphasen, in denen die Vierwertig- keit, wenn es sich um einen Körper, die Bivalenz, w’enn es sich um zwei handelt, meist sehr deutlich zutage tritt, sind mir weitere Stadien — besonders Anaphasen — nicht zu Gesicht gekommen. Für eine noch- malige Teilung der oligopyrenen Spermatocyten zweiter Ordnung spricht auch der Umstand, daß die Zahl der atypischen Spermatiden meist be- trächtlich größer ist, als die der hyperpyrenen Restkörper, was unver- ständlich wäre, wenn nur eine Teilung erfolgte. Das Resultat ist jeden- falls eine oligopyrene Sperniatide mit einem bivalenten oder zwei univa- lenten Chromosomen (Fig. 34d, e, /, 41a, 5, c, 43c, d, e). — Es liegt in der Katur des sehr kleinen Objektes, daß über einige zuletzt besprochene 574 Gustav A. von Kemnitz Punkte, besonders bezüglich der Valenzfrage, vöUige Sicherheit nicht zu erlangen war. Verfolgen wir nun die weiteren Schicksale des hyperpyrenen Rest- körpers und der oligopyrenen Spermatide. Der Restkörper macht in manchen Fällen noch Anstrengungen zur Spermienbildung. Er kann seinen kompakten Zustand einbüßen und zu einer dickwandigen Blase werden (Fig. 44iax findet man auch eine Zusammenstellung andrer Angaben über Filarstrukturen und dgl. im Plasma der Pflanzen. Die Literatur hierüber ist ziemlich ausgedehnt, doch hegen sehr wenige kiitische Unter- suchungen vor. Kausal weiß man sehr wenig über diese Strukturbildungen und über die Entstehung der oben erwähnten Entmischungsstrukturen überhaupt. Die »Entmischung« ist natürlich nur ein physiologisches Moment. Orm.\n hat in den Embryosäcken der Liliaceen mittels der »Mito- chondrienniethoden« kleine Körper gefunden, die die Merkmale der Mito- chondrien besitzen, sich jedoch niemals autonom teilen. Ormax konnte nicht entscheiden, ob diese Körper Spezialformen des »Deutoplasmas « oder Embryonalstadien der Plastiden, oder endlich einfach Ehemente des Körner- plasnias wären. Leider vertritt Lewitsky (5, 6) nicht einen derartig liberalen Standpunkt. Er sucht in zwei neuen Mitteilungen die schon von Arthur Meyer (9), Schmidt (16) und mir (Arch. f. Zellforsch. Bd. VIII S. 640) bestrittene Hypothese von dem Entstehen der Chloroplasten aus Filarstrukturen (»Chondriosomen«) des Plasmas zu beweisen. Ähnliche Bemühungen machen Pexsa (12) und Guillermoxd (9), von welch letzterem eine wahre Flut von Chondriosomenabhandlungen emaniert. Da alle diese Ai-beiten nichts wesentlich Neues hinsichtlich der Methodik und Beweisgründe bringen, kann ich einfach auf die oben zitierten kriti- schen Einwände verweisen. Wenn Lewitsky bemüht ist, die Existenz von Filarstrukturen in lebenden Zellen von Elodea canadensis nachzu- weisen, so ist dies eine kleine nette Ai’beit. Aber hat denn wohl jemand bezweifelt, daß es Filarstrukturen in der lebenden Zelle gibt? Ich habe in einer früheren Arbeit i) einige Angaben hierüber zusammengestellt. Sehr zweifelhaft ist dagegen die Behauptung Lewitskys, daß die Leuko- plasten aus diesen Fäden hervorgingen. Dies meint auch Rudolph, der die Angaben Lewitskys über Asparagus officinalis nachgeprüft hat. Die Ergebnisse Rudolphs (13) gehen in der Richtung, daß im Urnieri- stem des Vegetationspunktes »Körnchen« von etwas verschiedener Größe vorhanden sind. Von diesen Körnchen wachsen einige rasch heran und werden zu Chromatophoren (Chloroplasten, Leukoplasten), die restierenden 1) Jahrb. f. wiss. Botan. Bd. XLVIII. 1910. S. 360. 590 H. Lundeeärdh Körner verharren in ursprünglicher Größe und gehen als integrierende Elemente in die Struktur des Plasmas ein (Rudolph bezeichnet sie als Mitochondrien). Die Teilungsfiguren der Leukoplasten sind bisweilen — auch in älteren Geweben — stark in die Länge gezogen, so daß sie sich Stäbchen- und Fadenformen mit angeschwollenem Ende annähern Kach der Meinung Rudolphs beruhen also die Angaben Lewitskys auf einer Verwechslung der Jugendstadien von zwei physiologisch ganz verschieden- artigen Bildungen, den Chromatophoren und den Granula- oder Filar- strukturen (»Mitochondrien«; warum bevorzugt man diesen schlechten Namen?). Neulich hat auch Scherrer (15) gefunden, daß bei AnUio- ceros Husnoii Chromatophoren und Filarstrukturen nebeneinander Vor- kommen, ohne daß irgendwelche morphologische Beziehungen zwischen ihnen erkennbar sind. Eine ganz sichere Unterscheidung zwischen jungen Chromatophoren und Granula oder Filarstrukturen im Plasma läßt sich niemals auf morpho- logischem, sondern erst auf physiologischem Wege erzielen. Auch be- treffs der vielen überall aufgefundenen pflanzlichen Filarstrukturen bleibt noch zu untersuchen, ob sie nicht etwa wie die von Boresch untersuchten Fäden in den Moosen aus Fett beständen, denn kein Cytomorphologe will wohl behaupten, daß die Chromatophoren ihren Ursprung aus Lipoid- tröpfchen nehmen ! Über die ernährungsphysiologische Bedeutung der PVlarstrukturen und Granula (»Mitochondrien«) weiß man etwas nur in den oben ge- schilderten Fällen, in denen man auch chemisch gearbeitet hat. Sonst finden sich hier bekanntlich viele Hypothesen. Zoologischerseits hat man u. a. vermutet, daß die Mitochondrien Vorstadien verschiedener Zellpro- dukte wie Secrete, Dottersubstanz, Fibrillen wären oder daß sie ein Zell- skelett darstellten oder etwas mit Enzymbildiuig zu tun hätten. Diese Bereitwilligkeit, mit der man in den Mitochondiäen allerlei P'unktionen untergebracht hat, erinnert an die Bemühungen der älteren Gehirn- anatomen, alle Seelenvermögen in bestimmten Gebieten der Großhirn- rinde zu lokalisieren. Offenbar handelt man hier auf Grund eines apriorischen Prinzips unsrer Vernunft. Es bietet nämlich große Schwierig- keiten, uns eine Funktion deutlich vorzustellen, ohne dieselbe an ein Substrat zu binden. Deshalb ist man bemüht gewesen, in der Zelle Organe für ihre vielseitigen Funktionen und Eigenschaften aufzufinden, und so entstanden viele Vererbungstheorien und die soeben genannten Hypothesen über die Organnatur der Mitochondrien. In der Wirklichkeit dürfte es nun aber sehr wenige echte, autonom sich fortpflanzende Organe geben, nämlich Kern und Plastiden, die ja bestimmte Funktionen ausüben. I Protoplasmastruktur. 597 Die meisten Fähigkeiten der Zelle kommen aber durch Zusammenarbeit zwischen diesen Organen und den verschiedenen Teilen des Protoplasmas zustande, und was wir als besondere Strukturen erblicken, sind entweder Zwischenprodukte im Stoffwechsel (wie die Fettstrukturen, vgl. oben, die Strukturen in Ascaris, vgl. von Kemnitz) oder aber die aus- geschiedenen Endprodukte einer unsichtbaren Stoffwechseltätigkeit in der Zelle (Fibrillen usw.). Bei den erwähnten Hypothesen über besondere Funktionen der Chondriosomen stützt man sich meistens auf das Auftreten derselben in Zellen, die eine spezielle Tätigkeit entwickeln, also gleichzeitig mit bestimmten Stoffwechselvorgängen, und macht dabei den Fehlschluß, daß sie die Ursache dieser Vorgänge seien. Oder man beruft sich ein- fach darauf, daß die Mitochondrien mit kleinen Körnchen besetzt sind und spricht dann von einer »secretorischen« Tätigkeit der ersteren (Guillermond [2]i), Lewitskv [7]), ohne irgendwelche physiologische Beweise zu versuchen. Es sei betreffs der morphologischen Schilderungen der genannten Autoren nochmals als Vergleich auf die oben erwähnten Untersuchungen Löwschixs und Boreschs verwiesen. Als ein Beispiel für die staunenswerte Gestaltungfähigkeit plasma- tischer Elemente sei eine Untersuchung von H.\rper und Dodge (3) über die Bildung des Capillitiums in gewissen Myxomyceten erwähnt. Unter Capillitium versteht man bekanntlich isolierte oder netzförmig ver- bundene spiralgedrehte Fasern oder Röhrchen, die im Plasma zwischen den Sporen gebildet werden. Wie schon Str.\sburger geschildert hat, beginnt die Bildung des Capillitiums mit dem Auftreten von ovalen oder unregel- mäßig gestalteten Vacuolen, welche frühzeitig zu Serien und anastomo- sierenden Systemen von eckigen Höhlungen im Plasma miteinander ver- bunden werden. Nach Harper und Dodge bewegen sich die Kerne gegen diese Vacuolen und bilden in einem Stadium eine Schicht um den entstehenden Faden. Um die Capillitiumvacuolen werden ferner »fibrillär asters « sichtbar, welche aus feinen fadenartigen Zügen bestehen, die von dem Capillitium ausgehend in allen Richtungen das umgebende Plasma durch- setzen. Nach den Verfassern stellen sie cytoplasmatische Strömungen vor, welche Material an die Capillitiumwandung transportieren. Die Capillitium- fäden bestehen anfangs aus Körnchenreihen, welche nachher verschmelzen. 1) Nach Guillermond (2) wären die Mitochondrien nicht nur «generateurs des leuco-chloro- et chromoplastes », sondern hätten auch «un röle beaucoup plus general», indem sie beim Zubereiten «des produits de secretion et de differenciation divers de la cellule» mitwirkten. Ferner vertritt er die Hj.'pothese von der Autonomie der Mitochondrien. 598 H. Lundegärdh, Protoplasmastruktur. Besprochene neue Abhandlungen (Botanik). 1. Boresch, K. Über fadenförmige Gebilde in den Zellen von iloosblättern und Chloroplastenverlagerung bei Funaria. Zeitschr. f. Botanik. Jahrg. G. Hft. 2. 1914. S. 97— 156. Taf. I. 2. Guillermoxd, A. Recherches cytologiques sur le mode de formation de l’amidon et siu: les plastes des vegetaux. Arch. d'anat. microsc. T. XIV. Fase. 3. 1912. 3. H.\rper, R. A. and Dodge, B. 0. The formation of the capillitium in certain myxomycetes. Annals of Botany. Vol. XXVIII. Xr. 190. Jan. 1914. S. 1. 4. Lepeschkix, IV. IV. Über die Struktur des Protoplasmas. Ber. d. d. botan. Gesellsch. Jahrg. XXIX. 1911. S. 181 — 190. 5. Lewitsky, G. Vergleichende üntersuchungen über die Chondriosomen in leben- den und fixierten Pflanzenzellen. Ber. d. d. Bot. Gesellsch. Bd. XXIX. Hft. 10. 1912. S. 685—696. Taf. XXVII. 6. Die Chloroplastenanlagen in lebenden und fixierten Zellen von Elodea cana- densis Rieh. Ebenda. S. 697—703. Taf. XXVIII. 7. Die Chondriosomen als Secretbildner bei den Pilzen. Ebenda. Bd. XXXI. Hft. 9. i913. S. 517—528. Taf. XXI. 8. Löwschix, A. M. »Myelinformen« und Chondriosomen. Ber. d. d. bot. Gesellsch. Bd. XXXI. Hft. 4. 1913. S. 203—209. 9. Meyer, A. Bemerkungen zu G. Lewitsky: Über die Chondriosomen in pflanz- lichen Zellen. Ber. d. d. bot. Ges. Bd. XXIX. 1911. S. 158. 10. Magxus, W. Über zellenförmige Selbstdifferenzieriing aus flüssiger Materie. Ber. d. d. botan. Gesellsch. Bd. XXXI. Hft. 6. 1913. S. 290 — 303. 11. Orm.\x, E. Recherches sur les cbfferenciations cytoplasmiques (ergastoplasme et chondriosomes) dans les vegetaux. I. Le Sac embrj’onnaire des Liliacees. La Cellule. T. XXVIII. Fase. 2. 1912. p. 365—437. PI. I— IV. 12. Pensa, A. Osservazioni di morfologia e biologia cellulare nei vegetali (mito- condri, cloroplasti). Arch. f. Zellforsch. Bd. VIII. 1912. 13. Rudolph, K. Chondriosomen und Chromatophoren. Ber. d. d. botan. Gesellsch. Bd. XXX. Hft. 9. 1912. S. 605— 629. Taf. XVIII. 14. Ruhlaxd, W. Weitere Untersuchungen zim chemischen Organisation der Zelle. Ber. d. d. botan. GeseUsch. Bd. XXXI. Hft. 9. 1913. S. 553—556. 15. ScHERRER, A. Die Chromatophoren und Chondriosomen von Authoceros. Ber. d. d. botan. GeseUsch. Bd. XXXI. Hft. 8. 1913. S. 493—500. Taf. XX. 16. Schmidt, E. W. Pflanzliche Mitochondrien. Progr. rei botan. Bd. IV. Hft. 2. 1912. S. 163—181. 6 Fig. 17. Szüzs, J. Über einige charakteristische Wirkungen des Aluminiumions auf das Protoplasma. Jahrb. f. wiss. Bot. Bd. LII. 1913. S. 269 — 332. Referate. Huth, \V. Zur Entwicklungsgeschichte der Thalassicollen. In; Arch. f. Protistenk. Bd. XXX. S. 1—124 mit 20 Tafeln u. 21 Textfiguren. Durch die vorliegende Untersuchung werden die bisher nur unvollkommen be- kannten Entwicklungsvorgänge der interessanten Radiolariengruppe in cytologischer Hinsicht so weitgehend geklärt, daß sich die komplizierten und zunächst recht wider- spruchsvoll erscheinenden Bilder nunmehr relativ einfach verstehen und aneinander- reihen lassen. Zwei Entwicklungsreihen sind danach zu unterscheiden, die von Hl'TH als »Schlauchkemserie« und »Spindelkernserie« bezeichnet werden. Beide gehen auf ein gemeinsames Jugendstadium zurück, das durch einen eigenartigen, aus »wasser- klarem Kernsaft« und einem großen gelappten »Binnenkörper« bestehenden Kern charakterisiert ist. Auch die Weiterentwicklung stimmt bei beiden Serien zunächst insofern überein, als der ursprünglich wohl das gesamte generative Material enthaltende Binnenkörper chromatische Substanz an den Außenkern abgibt und allmäldich zerfällt. Die chromatische Substanz findet sich dann im Kern in Form von Körnern, Klumpen und zahlreichen Strängen. Bei der »Schlauchkernserie« nun treten die Chromatinstränge immer mehr hervor und knäueln sich spiremartig. Jedes derartige Spirem verhält sich im weiteren ganz wie bei einer gewöhnlichen Kernteilung. Es kommt also auch hier zu zahlreichen Tei- lungen und im Zusammenhänge damit zur Ausbildung zahlreicher kleiner Kerne inner- halb des großen Primärkernes. Diese Sekundärkerne ordnen sich unter ständigen weiteren Durchschnürungen in Reihen, und zwar innerhalb einer hyalinen schlauch- artigen Grundsubstanz. In solchen Schläuchen bleiben sie weiterhin zusammenge- schlossen, um dann in dieser Form die starke Kernmembran zu durchbohren und in das Plasma überzutreten, das sie zunächst radiär nach allen Richtungen durchsetzen. Der Primärkem kann auch nach dem Austritt der »Schläuche« lange erhalten bleiben, um erst auf späteren Stadien allmählich zugrunde zu gehen. Die Schläuche lösen sich späterhin im Plasma auf, die Kerne treten unter ständiger weiterer Vermehrung aus- einander, und jeder von ihnen umgibt sich mit einer Plasmapartie, so daß schließlich die gesamte Centralkapsel des Radiolars von kleinen Sporen erfüllt ist. Sehr charak- teristisch für diese ganze Entwicklungsreihe sind die glockenförmigen und sehr chromatin- reichen Teilungsfiguren. Die achromatischen Komponenten treten daneben stark zurück, so daß besonders bei den späteren Teilungen nur noch Centriole, aber kaum mehr Spindelfasem zu erkennen sind. Dem gegenüber wird die zweite Entwicklungsreihe, die »Spindelkernserie«, die gleichfalls zur Ausbildung zahlreicher »Sporen« führt, durch das Auftreten tönnchen- förmiger, relativ chromatinarmer Teilungsspindeln mit sehr klaren Spindelfasern und Centriolen charakterisiert. Und wesentlich anders und komplizierter als bei der Schlauch- coo Referate. kernserie erscheint nach den Angaben des Verf. hier die ganze Genese. Während bei der Schlauchkernserie die im Kern des »indifferenten« Jugendstadiums entstandenen chromatischen Fäden sich zu Spiremen zusammenknäuelten und unmittelbar Sekundär- kerne bildeten, lösen sie sich bei der zweiten Reihe vollständig auf, und die gesamte chromatische Substanz des Kernes wird staubförmig verteilt. In dieser Form soll sie nun durch Poren der Kernmembran in das Plasma übertreten und sich dort stark ver- mehren, um alsdann sekundär zum völlig achromatisch gewordenen Kern zurückzu- wandern und diesen allmählich wieder zu »rechromatisieren«. Bei dieser Rückwanderung nach IIuTH sind dann an der Kernmembran beginnend und im weiteren Verlauf immer deuthcher werdend chromatinarme mitotische Teilungsfiguren zu beobachten. — Ob sich nun die Genese in dieser von Hl'th angegebenen komphzierten Folge abspielt oder ob es sich nicht — wie Ref. plausibler erscheinen will — beim Achromatisch- und späterhin Wiederchromatischwerden des Primärkernes vielleicht nur um Wechsel in der Färbbarkeit der Kernsubstanzen auf verschiedenen Stadien handelt — , jedenfalls zer- fällt abweichend von dem Verhalten bei der Sclilauchkernserie hier der ganze Primär- kern nach seiner Rechromatisierung in zalüreiche Teilstücke. Die Sekundärkerne zerschnüren sich dabei immer weiter unter Bildung der oben erwähnten chromatin- armen Tönnchenfiguren und werden von sich sondernden Plasmapartien umgeben, sr daß auch hier schließlich zahlreiche Sporen entstehen. Zu erwähnen wäre noch, daß die aus der Spindelkernserie hervorgehenden Sporen stets Fettsubstanzen enthalten, während bei der Scldauchkernreihe das in der Central- kapsel ursprünglich gleichfalls reichlich vorhandene Fett im Laufe der Sporengenese vollständig verbraucht wird. Beide Entwicklungsreihen (die in seltenen Fällen — bei zweikernigen Individuen — im selben Radiolar nebeneinander verlaufen können) enden also mit dem Zerfall des Radiolars in zahlreiche kleine sogen. »Sporen«. Die Weiterentwicklung dieser Stadien konnte nicht verfolgt werden, doch sprechen sonst vorliegende Beobachtungen durch- aus dafür, daß es sich hier um Gameten (»Makro-« und »Mikrosporen«) handelt. Verf. weist nun auf mannigfache Übereinstimmungen zwischen den cytologischen Bildern bei der Spindelkernserie und mancher Oogenesen imd anderseits zwischen den Schlauchkernmitosen imd denen der Spermatogenese zahlreicher Metazoen hin. Aus diesen Ähnlichkeiten schließt er, daß die Schlauchkernreihe die Entwicklung der männ- lichen, die Spindelkernserie, die der weibUchen Gameten darstellt. Zugunsten dieses Schlusses spricht natürlich auch das Vorhandensein von Reservestoffen in den Sporen der Spindelkernserie (dagegen aber Beobachtungen an Collozoen, Ref.). Auf Einzelheiten der mannigfachen interessanten cytologischen Beobachtungen des Verf. einzugehen, ist im Rahmen eines Referates natürlich nicht möglich, hinge- wiesen sei aber noch auf die überaus zahlreichen, der Arbeit beigegebenen Mikrophoto - gramme, durch die die meisten der erwähnten Angaben dokumentarisch festgelegt sind. Aber auch für allgemeine cytologische Anschauungen bietet die Untersuchung wertvolles Material: So ist wiederum für eine Protozoengruppe klar das \ orhandensein von Centren bei der Kernteilung gezeigt und vor allem ein besonders schönes Beispiel »polyenergider Kernbildung« (H.vrtm.vxn) gegeben. Wird doch Scliritt für Schritt bei der Schlauchkernserie (und nicht ganz so klar auch bei der Spindelkernreihe) die Ent- stehung und Vermehrung vollständiger kleiner Kerne innerhalb des Primärkerns nachgewiesen, Vorgänge, die wohl nur — dann aber auch ohne weiteres — vom Stand- punkte der erwähnten, von Hartm.\>.'x entwickelten Anschauung aus verständlich sind. V. Jolloä (Berlin). Referate. 601 Wenyon, C. M. Observations oii Herpetonionas muscae domesticae and some allied flagellates. In: Arch. f. Protistcnk. Bd. XXXT. S. 1— 36. Genauere Untersuchung des Baues und der V’erniehrung des wegen seiner Ver- wandtschaft mit den Trypanosomen verschiedentlich beschriebenen Darmflagellaten der Fliege. Hauptkern und Kinetonucleus (Blepharoplast) dieser zur Gruppe der »Binu- cleaten« (Hartm.\xn) gehörigen Form besitzen im Prinzip den gleichen Bau: ein kom- paktes Karyosom, Außenkern und Kernmembran. Im Hauptkern ist ein Centriol nachweisbar, das meist im Innern des Karyosoms, gelegentlich auch im oder an der Kemmembran liegt. Ob sich im Kinetonucleus gleichfalls ein derartiges Teilungsorganeil befindet, kann Verf. wegen des dichten, keine feinere Differenzierung zulassenden Baues nicht entscheiden: für seine Existenz spricht die zu Beginn der Ivinetonucleusteilung zu beobachtende Streckung des Karyosoms, — dagegen, daß (nach Ansicht Wenyons) das dem Kinetonucleus anliegende Basalkorn die Rolle eines Teilungscentrums bei ihm zu übernehmen scheint. Die Durchschnürung des Kernes wird stets durch eine Teilung des Centriols eingeleitet; der weitere Verlauf ist dagegen sehr variabel. Zum Teil wohl infolge der variablen Lage der Centriole. Das Karyosom kann sich entweder einfach strecken und dann hantelförmig durchschnüren, oder aber es zerfällt in verschieden zahlreiche Stücke, die an die beiden Pole wandern. Manche der zu beobachtenden Bilder können dabei Stadien einer echten Mitose Vortäuschen. Die Geißel wird bei der Vermehrung niemals geteilt, sondern stets vom Basalkorn aus neu gebildet. Die neue Geißel kann sich aber bei ihrem Wachstum eng an die alte legen, sodaß man Bilder erhält, wie sie häufig bei verschiedenen Flagellaten irriger Weise als Geißelteilung beschrieben worden sind. — Verschiedene andre zum Vergleich vom Verfasser herangezogene Binucleaten weisen ganz entsprechende Kern- und Geißei- verhältnisse auf, während bei Cercomoms eine klare Mitose nachweisbar ist, bei der die Basalkömer als Teilungscentren fungieren. [In cytologischer Hinsicht sind die Befunde Wenyons an den Binucleaten im wesentlichen eine Bestätigung der älteren Angaben von Rosenbusch für Tr}panosomen. Nim die von Rosenbusch sowohl für den Kern wie für den Kinetonucleus beschriebenen Mitosen werden von Wenyon wie auch von andern angezw’eifelt, wohl mit LTnrecht. Denn die Mitosestadien Rosen- BUSCHS erscheinen derartig klar, daß sie trotz ihrer relativen Seltenheit gegenüber andern Teilungsbildern schwerlich anders gedeutet werden dürfen. Ref.] V. Jollos (Berlin). Fermor, H. Einige neue Befunde aus der Entwicklungsgeschichte von Arcella vulgaris. In: Arch. f. Protistenk. Bd. XXXI, S. 39— 46. In Kulturen von Arcella konnte die Verf. nach einer Periode intensiver Vermeh- rung den Austritt des Weichkörpers aus der Schale und im Anschluß daran die Bildung kugeliger (als »Cyste« bezeichneter) Körper verfolgen. Der Inhalt jeder dieser Cysten zerfällt in eine Anzahl von einer Hülle umgebener Amöben, die späterhin auskriechen und sich in t3T)ische Arcellen verw'andeln, unter Umständen sich aber weiter in eine Anzahl kleiner Amöben teilen. Die ursprünglichen Kerne sollen bei diesen Vorgängen degenerieren und neue aus dem »Chromidium« entstehen. — Auch bei den lange be- kannten, innerhalb der ArceZia-Schale entstehenden Cysten beschreibt die Verf. voll- ständigen Kemzerfall, so daß der Cysteninhalt schließlich nur eine »homogene fein- Archiv f. ZellforschnDg. XJI. 39 602 Referate. körnige Masse« darstellt. Eine Weiterentwicklung solcher Cysten ist bisher nicht erzielt. — [Der prinzipiell wichtigste Punkt, die so oft behauptete Entstehung neuer Kerne diu-ch Kondensierung von Clu-omidien, erscheint auch in diesem Falle diu-chaus nicht bewiesen. Bei den als »Kernanlagen« beschriebenen und abgebildeten angeblichen Chromidienverdichtungen dürfte es sich nach zahlreichen Beobachtungen des Ref. um vollständige kleine Kerne handeln, die nur zum Teil durch die »Chromidialsub- stanz« überdeckt sind.] V. Jollos (Berlin). Prowazek, S. v. Studien zur Biologie der Protozoen. VI. Li; Arch. f. Protistenk. ßd. XXXL S. 47—71. Der erste Teil der vorliegenden Veröffentlichung bringt an tatsächlichen Be- funden nur die wohl kaum mehr eines Beweises bedürfende Feststellung, daß die form- bestimmenden Elemente bei Infusorien wie Trj'ijanosomen »hauptsächlich im Ecto- plasma im weiteren Sinne des Wortes zu suchen sind«. Daneben enthält der Absclmitt längere Auseinandersetzungen über den Begriff der »Morphe«, ein Begriff, der Ref. kaum zur Vertiefung des Verständnisses beizutragen scheint. Im zweiten Abschnitt werden Versuche über die Färbbarkeit von Lecithinen mitgeteilt, aus denen hervorgeht, daß sich derartige Verbindungen färberisch ganz wie Kernsubstanzen verhalten können. »Diese Beobachtungen gemahnen uns bei der Anwendung des alten Chromidieubegriffes, der in der letzten Zeit so weitgehende Ein- schränkungen bereits erfahren mußte, zu einer noch erhöhten Vorsicht.« Ein dritter Abschnitt enthält Mitteilungen über die Anordnung des Chromatins und die chromosomalen Bildungen bei Ciliaten, Euglena und AcUnophrys. V, Jollos (Berlin). Wherry, W. B. Studies on the biology of an Amoeba of Limax group. In: Arch. f. Protistenk. Bd. XXXL S. 77—94. Beobachtungen an einer vom Verf. zur Lima.vgruppe gestellten gut kultivierbaren Form unter verschiedenen Ernährungs-, Temperatm- und chemischen Bedingungen. Neben den gewöhnlichen einkernigen fanden sich auch vielkernige Formen — sowohl vegetative wie Cysten — ; neben promitotischer Kernteilung auch »amitotische« Durch- schnürung, und zwar anscheinend vor allem bei Sauerstoffmangel. [Bei dieser »Amitose« dürfte doch wohl nm eine schneller verlaufende und weniger klar hervortretende »Promitose« vorliegen — Erscheinungen, die ja auch bei andern Protisten unter veränderten Außenbedingungen zu beobachten sind. Ref.] Wherry spricht ferner von einer “endogeneous bud formation’\ bei der es sich aber, soweit die beigegebenen Abbildungen zeigen, offenbar nur um auf genommene Fremdkörper bzw. gefressene kleine Individuen und Cysten der gleichen Art handelt. — Unter bestimmten Kultimverhältnissen (höhere Temperatur, Sauerstoff- reichtum) endlich traten zweigeißelige Flagellatenstadien auf, entsprechend den Beobachtungen von Wasielewski und Hirschfeld, Whitmore u. a. an verschiede- Referate. 603 nen liinaxamöbenartigen Formen. [Es empfiehlt sich daher wohl, diese Arten mit geißeltragenden Stadien nicht zn den übrigen Amöben, sondern zu den Flagellaten zu stellen. Ref.]. V. Jollos (Berlin). Fiebiger, J. Studien über die Sclnvimniblasencoccidien der Gadus- Arten {Eimeria gadi n. sp.). In: Arch. f. Protistenk. Bd. XXXI. S. 95-137. Beschreibung des Entwicklungskreises einer in der Schwimmblase von Gadiden in großen Mengen vorkommenden Coccidienart. Schizogonie wie Sporogonie spielen sich vollständig im selben Wirte ab, und auch die Sporen können sich im gleichen Tiere weiter entwickeln und neue Teile derselben Schwimmblase befallen. Bei der Masse der Parasiten und ihrer Anhäufimg im Lumen der Schwimmblase war auch eine für para- sitische Protozoen selten günstige Gelegenheit zu einer chemischen Untersuchung ge- geben. Von den (von P.vnzer) hierbei gewonnenen Resultaten sei der relativ große Ge- halt der Coccidienleiber an Lipoiden sowe ein wesentlicher Unterschied in der Zusammen- setzung des Fettes gegenüber dem der Wirtstiere erwähnt. Merkwürdigerweise konnten weder Xucleoproteide noch deren Spaltungsprodukte nachgewiesen werden ! V. Jollos (Berlin). Beauch.\mp, P. de. Recherches sur les Rhytidocystis parasites des Oplielies. In: Arch. f. Protistenk. Bd. XXXI. S. 138— 168. Verf. gibt eine Darstellung der Wachstums- und Sporenbildungsvorgänge eines dem Aussehen nach gregarinenartigen Parasiten von Ophelia necjleda soväe der von ihm hervorgerufenen Veränderungen in den Geweben des Wirtes. Cytologisch von Interesse sind vor allem die Kemvermehrungsprozesse vor der Sporenbildung: Der große Priinärkern gibt chromatische Substanz an das Plasma ab und wandert von der Mitte der Zelle an die Peripherie. Hier verliert er seine frühere scharfe Begrenzung und bildet eine sich ständig peripher weiter ausbreitende Kappe, während der anfangs cin- heithehe Binnenkörper in seinem Innern in zahlreiche kleine Stücke zerfällt. Nach der weiteren Ausbreitung der Kernsubstanz ist ihre Trennung in viele einzelne ober- flächlich gelegene stark färbbare Brocken zu beobachten, an denen sich bei guter Diffe- renzierung mitotische Teilungen erkennen lassen. Aus dem Primärkern (bzw. seiner generativen Komponente) sind demnach zahlreiche Tochterkerne entstanden, die sich noch intensiv vermehren. Auf späteren Stadien der Vermehrung treten Centriole mit Centrodesmose und clu-omosomenartige Bildungen deutlich hervor, während bei den ersten Teilungen keine derartigen »Chromosomen« nachweisbar waren. Verf. weist mit Recht darauf hin, daß man bei unzureichender Differenzierung und nicht genauer Beobachtung leicht den unmittelbaren genetischen Zusammenhang zwischen Primär- und Sekundärkenien und auch die ersten Teilungen der Sekundär- kerne übersehen und demgemäß dann die weiteren Stadien fälschlich als Entstehung von Sekundärkernen aus Chromidien deuten kann. [Und in der Tat erklärt sich wohl manche der augenblicklichen Entstehungen von Kernen aus Chromidien in ähnheher Weise. Ref.] (Berlin). 39* 604 Referate. Dobell, C. Observations on the life-history of Ciexkowskys »Arachnula «. In; Arch. f. Protistenk. Bd. XXXI. S. 317— 353. Verf. schildert die Bewegung und Xahrungsaufnahme sowie besonders Fort- pOanzungsvorgänge des interessanten, von Ciexkowsky entdeckten und seitdem nur wenig untersuchten Rhizopods. Bei der Bewegung der Arachnula kommt es zu einer Schleimausscheidung an der ganzen Oberfläche. Die Nahrung wird in der für Rhizo- poden übhchen Weise durch Umfließen aufgenommen, danach aber bildet Arachnula charakteristische »Verdauungscysten«, aus denen sie unter Zurücklassung unverdau- licher Nahrungsüberreste (Diatomeenschalen u. dgl.) nach längerer Zeit, vermutlich mindestens zwei Tagen, weder ausschlüpft. Die Vermehrung erfolgt nach Dobell gleichfalls nur innerhalb einer Cystenmembran, wenn man von selten zu beobachtenden Zerschnürimgen ausgebreiteter Plasmodien absieht. Die frei beweglichen Formen besitzen meist eine große Anzahl kleiner Kerne, die aus einem centralen Karyosom, einem schwach entwickelten Aussenkern und wahrscheinlich einer sehr feinen Membran bestehen. Außerdem ist das Plasma von körnigen »Chromidien« erfüllt und enthält mehr oder weniger zahlreiche kontraktile Vacuolen. Zu Beginn der Bildung der »Ver- mehrungscysten« stößt Arachnula alle Nahriingsüberreste aus, und ebenso schwinden die Chromidien, so daß ein klares Plasma übrig bleibt, in dessen inneren Partien sich die Kerne befinden, während die kontraktilen Vacuolen sämtlich peripher angeordnet sind. Im weiteren Verlauf der Entwicklung entsteht im Innern der Cyste eine ständig wach- sende und schließlich den ganzen centralen Teil einnehmende Vacuole, um die herum sich die Kerne gruppieren. Die Kerne selbst sollen Chromidien neu ausscheiden und im Zusammenhang damit immer schlechter färbbar und unscheinbarer werden, um sich sclüießhch, nach Meinung Dobells, gänzlich aufziüösen. Immerhin bleiben größere Chro- matinkömer erhalten, die sich aus dem Chromidium herausheben und die Dobell selbst für die Karyosome der insprünglichen Kerne zu halten geneigt ist. Die Weiterentwcklung soll nun in der Weise erfolgen, daß das Plasma sieh segmentiert und die einzelnen Diuch- sclmürimgsstücke frei werden. In jedem von ihnen entständen dann unter gleich- zeitigem Heranwachsen aus den Chromidien echte Kerne, so daß damit das vegetative. Ausgangsstadium erreicht wäre. Nach Dobells Darstellimg würden also die Primärkerne in Chromidien zerfallen und aus diesen sekundär weder neue Kerne entstehen. Gegenüber der entsprechenden Anschauung R. Hertwigs möchte Dobell in der »Chromidienausstoßung« eine miUtiple Kernteilung imd in jedem einzelnen der entstehenden chromidialen Körner bereits einen vollständigen Kern sehen, der späterhin nur noch anwächst. Er wiederholt damit natürlich im Gnmde genommen nur die vor allem von H.vrtm.\xx entwickelten Vor- stellungen über »polyenergide Kerne« imdmidtiple Kernteilung — mit dem Unterschiede nur, daß H.\rtm.\xx sich auf günstigere Objekte stützen konnte, bei denen die dem midtiplen Zerfall vorausgehenden, von Dobell bezweifelten, intranucleären Teilungen nachweisbar waren, während im Falle von Arachnula, wie Dobell selbst erklärt, die überaus geringe Größe der Kerne und Kemderivate jede weitere Analyse ausschließt. Ref. möchte es demgemäß auch dahingestellt sein lassen, ob bei Arachnula tat- sächhch eine dcrarBge multiple Kernteilung stattfindet oder ob nicht die primären Kerne dennoch erhalten bleiben (vgl. z. B. Entamoeha cob), aber zeitweilig schlecht färbbar und durch die darüber liegenden chromidialen Substanzen verdeckt werden, eine Auffassung, an die das auch von Dobell für möglich erklärte Überdauern der Karyosome denken läßt. V. Jollos (Berlin . Referate. 605 Robert Braune. Untersuchungen über die im Wiederkäuermagen vor- kommenden Protozoen. In: Arch. f. Protistenk. Bd. XXXII. S. 111-170. T. 3-6. Die Untersuchung der Protozoen aus Pansen von Rind und Schaf sowie Cöcum vom Pferd ergab Erweiterungen und Berichtigungen der bisherigen Ergebnisse (von ScHUBERG, Eberlein, Günther und Liebetanz). Die Amoeba bovis Liebetanz ist nach Bewegung und Kernstruktur eine Entamöbe; ihre Kernteilung wurde nicht beobachtet. An Flagellaten fanden sich Monas [= Sphaeromonas Liebetanz] communis und Piromonas communis, ferner drei neue Arten: Von Trichomastix mminantium und Trichomonas mminantium wurde keine Fortpflanzung beobachtet. Callimastiz frontalis nov. spec. besitzt zwölf zu einem »Schlagband« v'erklebte Geißeln. Diese inserieren mit zwölf Basalkörnern auf dem körnchenarmen und schwach färbbaren »Stirnfeld«, das von Weissenberg bei Callimastix cyclopis als »Macronucleus« beschrieben war. Den »Micronucleus« Wrissenbergs faßt Braune als den eigentlichen Kern auf. Von Callimastix frontalis bildet Verf. einp t^'pische Mitose mit Äquatorialplatte und Centriolen an beiden Polen ab. Der Hauptteil von Braunes Arbeit beschreibt die Morphologie der parasitieren- den Ciliaten ; der Holotrichen Isotricha mminantium [ = Dasytricha v. Schuberg], Iso- Iricha prostoma und Isotricha intestinalis sowie der Ophryoscoleciden Entodinium bursa und Ophryoscolex purkynjei. Bei Isotricha konnte Verf. die Basalkörper der Cilien klar darstellen; die Cilien gehen proximal von ihnen noch bis zu einer zweiten Membran, auf der sie mit Verdickungen endigen. Besonders eingehend wurden die Fibrillen unter- sucht, die in komplizierten Systemen auftreten. Die »Kernstiele« Schubergs (bei Isotricha) erklärt Br.aune als »Schlundstützen«, die erst sekundär die Kerne zwischen sich aufgenommen haben«; ihnen analog dienen andre Fibrillen als »Afterstützen«. Bei den Ophryoscoleciden wird der komplizierte Stützapparat mit Längs- und Quer- fibrillen eingehend beschrieben. Die »Myoneme« Günthers in den stachligen Körper- fortsätzen von Ophryoscolex sind elastische Stützfibrillen. Bei der Teilung von Ento- dinium treten im Innern des Micronucleus Centriole auf, die durch eine deutliche Centro- desmose verbunden sind. Als physiologische Bedeutung der Ciliaten, die übrigens nicht frei im Mageninhalt herumschwimmen, sondern zwischen den festen Nahrungspartikeln »wühlen«, vermutet auch Braune die Umwandlung der Cellulose in Stoffe, die das Wirtstier resorbieren Walter Malsow ^Be^lla). CoNKLiN, E. G. Experimental Studies on nuclear and cell division in the eggs of Crepidula. In: Journal of the Academy of Natural Sciences of Philadelphia. Vol. XV, 2d Ser. Philadelphia 1912. p. 501—591. 16 Plates. Die vorliegende umfangreiche Untersuchung erstreckt sich über einen Zeitraum von 10 Jahren und umfaßt im ganzen 260 Experimente. Verf. bespricht zunächst die an den Eiern von Crepidula auf tretenden: 1. Abnormitäten in der Natur: Es findet sich häufig ein Plasmalappen gegen- über einem oder beiden Spindelpolen, eventuell sogar schon vor Ausbildung der Spindel, deren Lage er so bereits anzeigt. Es handelt sich wohl um einen Ausdruck 606 Referate. verminderter OberfJächenspaiuiung an dieser Stelle. Eine offenbar durch Druck her- vorgerufene Anomahe ist die Verlagerung einer Fiuchungsspindel in toto in eine der Tochterblastomeren, wobei aber die »Zwischenkörper« an der Stelle der Einschnürung verbleiben. Weitere Anomalien sind: Bildung von sechs bis acht — anstatt von nur vier — Makromeren, die aber sämtlich den Wert von einer und zweier Blastomereu haben, da jede später ihre drei ilikromeren liefert (also kein »Anachronismus« [Roux])! Eine AnomaHe, die — wie Versuche lehren — auf Verdünnung des Seewassers beruht, ist die Erscheinung, daß die Mikromeren den Dotter nicht umwachsen und auf diese Weise »Exogastrulae« hefem. — Die ■nichtigsten Ergebnisse der Versuchsreihen CoxKLixs sind folgende: 2. Furchung isoherter Blastomeren: Die Furchung ist streng determiniert. Bei Isolierung auf dem Zweizellenstadium teilt sich jede halbe Blastomere in zwei Makro- meren, worauf jede der Makromeren drei Mikromeren liefert. Bei Isolation airf dem Vierzellenstadium setzt sofort die Mikromorenbildung ein. Die Eier von Crepidula sind demnach tj’pische »Mosaik «-Eier. 3. Wirkimg von Druck: Durch Druck kann bereits die erste Teilung zu einer inäqualen werden. Ferner treten auf: Triaster und Tetraster, ’achrome Spindeln, große Mikromeren mit Dotterkugeln usw. 4. Wirkung des elektrischen Stromes: Bezüglich der Versuchsanordnung sei auf das Original ver'Ä'iesen. Am zuverlässigsten war eine Einrichtung, bestehend aus zwei Graphitplatten, die mit der Batterie verbunden waren, imd zwischen die die Eier ge- bracht •wurden. Wie in allen übrigen Versuchen, so litten auch hier die frühen Stadien am meisten. Der Haupteffekt bestand in Chromatinverklumpungen ähnhch der Sjm- apsis der Geschlechtszellen, ferner darin, daß die Tochterkeme keine Bläschenform annahmen. Verf. kommt auf Grimd seiner Experimente zu dem Schluß, daß die »elek- trische Theorie« der Mitose nicht richtig sein kann, daß die Spindel- imd Strahlungs- phänomene vielmehr der Ausdruck von Diffusionsvorgängen zwischen Centrosomen, Kern und Plasma seien. 5. Wirkung abnormer Temperatur: Besonders interessant ist die Wirkung hoher (32—37°) Temperatiu. Sie äußert sich in einer Herabsetzung der Oberflächenspannung (die Kontiuen der Kerne werden unregelmäßig), in Verlust der Spindelfasem imd Centrosomen, Zerstreuen der Chromosomen, die oft aus der mitotischen Figur eliminiert werden, in Karyomeritenbildung u. a. 6. Einwirkung von Äther führt zu unregelmäßigen Mitosen, Chromatinverklum- pungen usw. 7. Verminderte Oberflächenspannung verzögert oder sistiert die Weiter- entwicklung. 8. Einwirkung von CO2 äußert sich darin, daß die Zellmembranen chromatisch werden und der Dotter ungefiucht bleibt. 9. Verdünntes Seewasser bewirkt Anschwellen der Eier, verzögerte Entwickhmg, Polyasterbildimg, Unregelmäßigkeiten in der Chromosomenverteilung, so'wie der Fiu- chung des Dotters. 10. Die Einwirkung von hiqiertonischem Seewasser hat Verf. besonders ein- gehend studiert. Die Hiqiertonie ■müde dmch Zusatz von (meistens) NaCl, ferner von MgC]2, KCl u. a. erzeugt. Eine »spezifische« Wirkung einzelner Salze zeigte sich dabei nicht. Die beobachteten Erscheinungen sind im weseuthchen folgende: a) Unter- (hückung der Teilung des Dotters, ohne Unterdrückimg von Plasma-, Kern- und Centro- somenteilung. b) Unterdrückung von Dotter- und Plasmateihmg, ohne solche von Referate. 607 Kern und Centrosomen, e) Unterdrückung jeder Art von Teilung, ohne Sistierung von Kemwachstum, oder Tötung der Zelle, d) Schrumpfung von Plasma, Kern, Chro- matin und mitotischer Figiu. e) Bildung von Cytastern und Polyastern, f) Unregel- mäßigkeiten in der Chromosomenbewegimg. g) Trenmmg von Chromatin und Achro- matin. Was die Cytaster betrifft, so leiten sie sich von abgesprengten Teilen der acluo- matischen Figur ab. Sie nehmen »Asteraform während der Jlitose, Bläschenform während der Ruhestadien an. Ein Entstehen von Centrosomen »de novo« konnte Verf. ebensowenig beobachten, wie eine Ausbildung der Cytaster zu Centren von Mitosen. Daß die Polyasterbildung nicht auf Kosten der Cytaster vor sich geht, erhellt u. a. daraus, daß man erstere in jedem Ent'wicklimgsstadium, letztere fast nur auf dem Zwei- zellenstadium findet. — Auf Grund theoretischer Erwägungen kommt Yerf. zu der Überzeugung, daß dieFurchimgscentrosomen sowohl vom (5 als auch vom Q Pronucleus stammen können. Bei Crepidida liefert der Q Pronucleus die Teilungsorganelle. Be- züglich der Mitosenanomahen in hj'pertonischen Lösungen sei erwähnt, daß sich alle Übergänge zwischen normalen Mitosen und Amitosen finden. Ein vermittelndes Glied zwischen beiden Grenzfällen bilden die Fälle, in denen Karyomeritenbildung und Verschmelzung einzelner Chromosomen auftritt imd letztere sich längs der Spindel- fasem ausbreiten. — Was die merkwuirdige Erscheinung der Abgrenzung von Chromatin und Achromatin in h\T)ertonischen Lösungen anlangt, so sei noch bemerkt, daß die Tochterkeme kleine, dichte chromatische Körper bilden, denen sich das Achromatin in Gestalt eines kleinen Bläschens anlegt. In diese »Achromatinkerne« geht alles Achromatin mit Ausnahme von Centrosomen und Sphäre ein. — Eine übersichtliche tabellarische Zusammenstellung sämtlicher Versuche bildet den Schluß der interessanten Untersuchimg. T. Kemnitz (München). Wasserjuxn, F. Die Oogenese des Zoogonus mims Lss. In: Arch. f. mikr. Anat. Abt. II. Bd. LXXXIII. S. 1-140. 4 Tafeln. 1913. Goldschmidt (05) hatte folgende Darstellung der Oogenese von Zoogonus ge- geben : Chromosomennormalzahl = 10, Pseudoreduktion findet nicht statt, 10 Chromo- somen rücken in die Prophase I und werden so verteilt, daß 5 an jeden Pol gelangen {»Primärtypus«). Schreiners (08) fanden dagegen an Goldschmidts Präparaten: Chromosomennormalzahl = 24 — 26, Pseudoreduktion durch parallele Konjugation, reduzierte Zahl (12 — 13) in der Prophase I, hetero-homöotv-jiische Reifeteilungen (also kein »Primärtypus«), Goldschmidt (09) hielt seine ursprüngliche Darstellung auf- recht. Gregoire (09), wieder an Goldschmidts Präparaten, gibt folgendes an: Chro- mosomennormalzahl = 10 — 14, Pseudoreduktion durch parallele Konjugation, redu- zierte Zahl (5 — 7) in der Prophase I, hetero-homöotjihsche Reifeteilungen (also kein »Primärt\T)us«). Wasserm.vnx gibt nun folgende Darstellung: die Chromosomen- normalzahl läßt sich nicht sicher ermitteln. Sie kann — nach Zählungen an Ovogonien- und Furchungsmitosen — zwischen 10 und 14 schwanken. (Verf. hat ^^el Mühe darauf verwandt, diese Verhältnisse aufzuklären, ohne zu einem bestimmten Resultat zu ge- langen. Ref. kann die Frage nicht für prinzipiell ansehen, nachdem in letzter Zeit eine ganze Reihe von »Chromosomenkoppelimgen« bekannt geworden sind, wie z. B. bei Hymenopteren [Nachtsheim, Armbruster 13], Noioneda [Browne 13], Geschlechts- chromosomen von Ascaris [Edwards 10, Frolowa 13]. Da Verf. weiterhin eine end to end-Konjugation beschreibt, liegt es wohl am nächsten, die wechselnden Chromo- somenzahlen auch auf solche »Chromosomenkoppelungen« zurückzuführen.) Im jungen 608 Referate. OvocA'ten treten nun zwölf (Normalzahl!) häufig längsgespaltene Chromatinfäden auf, die sich aber nicht polar orientieren, vielmehr durch endweise Aneinanderreihung ein kontinuierliches Spirem bilden, das bald darauf wieder in sechs vielfach längs- gespaltene Schleifen zerfällt, die sich nunmehr zur Bildung des PachjTiema polar orien- tieren. Die Schleifen verblassen dann und es beginnt das eigentliche Wachstum der Ovocyte, in deren Verlauf es zu einer Bildung von Chromidien kommt. Eine eigentliche Synapsis konnte Verf. nur in nachweislich schlecht konserxiertem Material be- obachten. In der Prophase I erscheinen mm die sechs bivalenten durch end to end-Konjugation entstandenen längsgespaltenen Chromosomen und teilen sich in der I. Reifeteilung gemäß dem Längsspalt äquationell. Die II. Reifeteilung koimte nicht genau verfolgt werden. Sicher ist nur, daß die Chromosomen hier abermals nach einem Längsspalt getrennt werden ! Ein Verhalten gemäß dem Primärt}*pus liegt also keinesfalls vor. Aus den eingehenden theoretischen Erörterungen Verf.s sei noch hervorgehoben, daß er die S>Tiapsis für ein Kunstprodukt hält und die zugunsten der Parallelkonjugation von den Anhängern dieser Art von Pseudoreduktion an- geführten Momente als nicht stichhaltig verwirft. (Ref. möchte bemerken, daß nach der vorliegenden Darstellung die Reifeteilungen bei Zoogonus immer noch nicht klar sind, was übrigens Verf. selbst zugibt. Nach der Schilderung Verf.s müssen beide Reifeteilungen Aquationsteilungen sein, also so, wie es Matschek [10] für Copepoden beschreibt, auf welche Arbeit Verf. indessen nicht eingeht. Die Figuren der Reife- teilungen selbst sprechen aber entschieden mehr für die Auffassung Gregoires! Zoogonus ist und bleibt eben für den Entscheid dieser Fragen ein denkbar un- günstiges Objekt.) Kemnitz (München). Cresswell Shearer and Dorothy Jordan Lloyd. On methods of Producing artificial Parthenogenesis in Echinus esmlentus and the rearing of the parthenogenetic plutei through metamorphosis. In: Quart. Journ. niicros. Sc. Vol. LVIII. Part 3. p. 523—551. 3 Plates. 1913. Den Verf. ist es gelungen, Plutei aus normal befruchteten Eiern zur Metamorphose zu bringen. Es wurde nun versucht, parthenogenetisch erzielte Plutei zurMetamorphose- zu veranlassen. Es gelang die« im ganzen bei 15 Plutei, die aber kurz nach der Meta- morphose zugrunde gingen. Die besten Resultate bei der künstlichen Parthenogenese wurden mittelst einer Kombination der Methoden von Loeb und Delage erzielt (Membranbildung mit Buttersäure, dann Behandlung mit Tannin-Ammoniak. Genaue Technik im Original). Die so behandelten Eier erreichen das Pluteusstadium in der halben Zeit der normal befruchteten. Die parthenogenetischen Larven lassen sich stets von normalen, besonders an der Länge der Anne, unterscheiden (gegen Delage). T. Kemnitz (München). Hirt, Dr. med. Walter. Das Leben der anorganischen Welt. Eine naturwissenschaftliche Skizze. Verlag von Ernst Reinhard, München. 150 Seiten. 1903 Geb. Mk. 4,—. Ausgehend von der Überlegung, daß das Problem der Urzeugung in dem Augeh- blick im Prinzip gelöst ist, in dem man zugibt, daß auch die anorganische Welt lebt, versucht Verf. den Nachweis zu liefern, daß es in der anorganischen Welt eine ganze Referate. 609 Reihe von »Lebenserscheinungen (< gibt. Nach einleitenden Bemerkungen über das Leben im allgemeinen und einer Einteilung der lebenden Substanz in vier Zustände (die aber sehr anfechtbar ist) gehtVerf. dazu über, diese Lebenserscheinungen der an- organischen Welt im einzelnen nachzuweisen. Einen breiten Raum in diesen Aus- führungen nimmt die Schilderung der »Atmung« in der anorganischen Welt ein. Dar- unter versteht Verf. im wesentlichen die Fähigkeit vieler Flüssigkeiten und fester Körper Gase zu absorbieren. Er übersieht aber bereits hier, um nur einen Punkt herauszu- greifen, daß, besonders für die höheren Organismen, die Sauerstoffaufnahme eine con- ditio sine qua non ist, im Gegensatz etwa zu einer Pyrogallollösung. — Auch für die pathologischen Prozesse in der organischen Welt sucht Verf. Analoga in der anorganischen. In diesem Sinne sucht er u. a. die sogenannte Zinnpest, das »überpolte« Kupfer und . die Erscheinung, daß mit Schwefelammonium »vergiftetes« Platin Wasserstoffsuper- oxyd nicht mehr zu zersetzen vermag, zu verwerten. Hierzu ist zu bemerken, daß man bezüglich der allerdings sehr merkwürdigen Erscheinung der »Zinnpest« zunächst untersuchen muß, worum es sich eigentlich handelt, bevor man von einer »Erkrankung« im Sinne der Pathologie spricht. Warum das »überpolte« Kupfer (d. h. solches Kupfer, das durch zu langes Umrühren im geschmolzenen Zustand Kupferoxyd enthält und dadurch spröder ist als nicht CuO-haltiges) als »krank« bezeichnet werden soll, ist nicht verständlich. Krank ist doch wohl nicht sjmonym mit »unrein«. Noch weniger stich- haltig ist das Beispiel vom Platin. Zum Schluß geht Verf. dazu über, in der anorgani- schen Welt auch. »Gedächtnisvorgänge « nachzuweisen. Als solche faßt er die »Hysteresis « des Eisens auf! — Ref. muß wohl doch annehmen, daß hier mehr als sonst üblich »der Wimsch der Vater des Gedankens« gewesen ist, wemigleich nicht verkannt werden soll, daß sich mancherlei Analogien- zwischen organischer und anorganischer Welt bei- bringen lassen. Besonders gilt das für die »flüssigen Kristalle«. Verf. würde wohl auf weniger Widerspruch stoßen, wenn er sich in dem Bestreben, die Grenze zwischen organischer und anorganischer Welt aufzuheben, darauf beschränkt hätte, auf die Analogien zwischen den »flüssigen Kristallen« und Kleinlebewesen hinzuweisen, was freilich schon durch Lehm.vnx (11) selbst geschehen ist. Kemnitz (München) Alice M. Borixg and Ravmoxd Pearl. The odd chromosome in the spermatogenesis of the domestic c-hicken. In: Joiirn. of Exper. Zool. Vol. XVI. Nr. 1. p. 53—84 (with 6 Plates). 1914. Die Angaben Guyers (09) über das Vorhandensein eines unpaaren X-Chro- mosoms in der Spermatogenese der Hühner sind unrichtig! Das ist in dürren Worten das Resultat der ungemein mühsehgen Untersuchung, der sich die beiden Autoren unterzogen haben. Man kann wohl sagen, daß nach den Angaben und Zeichnungen der Autoren die Hühner so ziemlich das ungeeignetste Objekt zum Studium der Geschlechtszellen sind, das man sich denken kann. Die vorliegende Untersuchung wurde bereits 1907 von Surface und Paerl begonnen, von Borixg fortgesetzt, 1910 — 1912 von Stevens weiter- und schließhch von Borixg und Pearl zu Ende geführt! Es läßt sich zwar nicht leugnen, daß in einigen Fällen Spermatocyten ge- funden wurden, die den von Guter beschriebenen Körper enthielten. L’^m ein X-Chromosom handelt es sich aber keinesfalls, wie vor allem eine genaue statistische Untersuchung an im ganzen 1003 Spermatocyten lehrt! Von diesen enthielten im ganzen nur etwa 12% Spermatocyten 1. Ordnung und etw^a 3% Spermatocyten II. Ordnung den Körper. Im übrigen ist der Körper auch sowohl in Form, als auch 610 Referat«. Größe und Zahl so variabel, daß es sich nicht um ein X-Chromosom handeln kann. Vermutlich sind die wenigen Fälle, wo der Körper überhaupt sicher zu beobachten ist, so zu erklären, daß es sich um ein oder mehrere Autosomen handelt, die den Anschluß an die übrigen noch nicht erreicht, bzw. (in der Anaphase) schon wieder aufgegeben haben. Eine gena.’.e Zählung der einzelnen Chromosomen ist über- haupt nicht vorzunehmen, da sie fas' in allen Stadien, bei Anwendung der verschieden- sten Technik, so miteinander verklumpt sind, daß nicht einmal eine halbwegs sichere Schätzimg vorgenommen werden '.ann. — Da durch eine sehr große Zahl mendelisti- scher Untersuchungen sicher ges eilt worden ist, daß bei Hühnern das Weibchen be- züglich des Geschlechts und der geschlechtsbegrenzten Merkmale heterozygot, das Männ- chen dagegen homozygot ist, liegt jetzt nicht mehr der geringsteGrund vor, auf Grund von cytologischen Untersuchiuigen das Gegenteil anzunehmen. T. Kemnitz (München). Charles Packard. The effect of radium radiations on the fertilization oi Nereis. In: Journ. of Exper. Zool. Vol. XVI. Nr. 1. p. 85— 130 (with 3 Plates). Die vorliegenden Bestrahhmgsversuche an den Geschlechtszellen von Xems wurden mit 4 mg des reinen Bromids in vier verschiedenen Richtungen vorgenommen, nämlich: 1. normale Eier x bestrahlte Spermien, 2. bestrahlte Eier x normale Sper- mien, 3. normal befruchtete und dann bestrahlte Eier und 4. Bestrahlung der Eier vor und nach der Befruchtung mit normalem Sperma. — Zu 1. : Die bestrahlten Spermien verhalten sich verschieden. Entweder können sie überhaupt nicht melir regulär ins Ei eindringen, sondern sich nur außen anheften. Dann nimmt das Ei einen Anlauf zu parthenogenetischer Entwicklung, und zwar ohne Strahlung, kommt aber nicht über die erste Furchimgsspindel hinaus (im Gegensatz zu Seeigeleiern [G. Hertwig 12]). Oder das Spermium dringt zwar ein und kann mm entweder mit dem Eikern verschmelzen, worauf regelrechte Furchung eintritt, oder aber der Spermakern entwickelt sich inner- halb des Eiplasmas nicht und das Ei geht zugrunde. Falls es nun zur Furchung kommt, so zeigen sich zunächst keine Anomalien. Diese treten erst bei der Bildung der Wimper- kränze und des Pigments auf. Letzteres wird überhaupt nicht gebildet, erstere zeigen eine Reihe von Abnormitäten. Auf diesem Stadium bleiben dann die Larven meist stehen. Genau die gleichen Anomalien lassen sich aber auch diuch einfache Pressung der Eier unter einem Deckglas erreichen ! Es handelt sich also sicher nicht um eine »spezifische« Schädigung des Chromatins. Noch deutlicher wird dies Ergebnis bei der folgenden Versuchsreihe (2): Bei Eiern, die vor der Befruchtung bestrahlt wurden, wird nämlich die für normale Befruchtung charakteristische Rindenschicht nicht aus- gebildet, die Folge dieser rein plasmatischen Schädigung ist eine ganz irreguläre Rich-^ tungskörperbildung, die aber w^eniger die durchaus normal erscheinenden Chromosomen als die achromatische Substanz betrifft. Furchungsmitosen wuirden in solchen Eiern nicht beobachtet, wohl aber Protoplasmateilungen. Die Versuchsreihen 3 und 4 zeigen ähnliche, meist noch verstärkte Wirkungen als 1 und 2. Überall aber zeigt sich deut- lich, daß sowohl Kern als Plasma durch die Bestrahlung geschädigt werden (gegen 0. G. und P. Hertwig), vermutlich in der Weise, daß autolytische Enzjune aktiviert werden, die nunmehr Kern und Plasma angreifen. — Kemnitz (München). Druck von Breitkopf & Härtel in Leipiig. ARCHIV FÜR ZELLFORSCHUNG HERAUSGEGEBEN VON DR. RICHARD GOLDSCHMIDT PROFESSOR AN DER UNIVERSITÄT MÜNCHEN ZWÖLFTER BAND ERSTES HEFT MIT n TAFELN AUSGEGEBEN AM 20. JANUAR I9J4 LEIPZIG UND BERLIN VERLAG VON WILHELM ENGELMANN I9J4 Preis: M. 2J.— . Mitteilung au die Herren Mitarbeiter. Sämtliche Beiträge für das Archiv für Zellforschung, deren Veröffentlichung in deutscher, französischer, englischer und italienischer Sprache erfolgen kann, bittet man an die Adresse des Herrn Professor Dr. R. Goldsclimidt, Zoologisches In- stitut, Miincheu, Alte Akademie zu senden. Die Herren Mitarbeiter erhalten an Honorar Jl 40. — für den Druckbogen. Überschreitet eine Arbeit den Umfang von 4 Bogen, so wird für den Mehrumfang ein Honorar nicht gewährt. Dissertationen sind von der Honorierung ausgeschlossen. Den Herren Mitarbeitern werden 40 Sonderdrucke von ihren Abhandlungen und Aufsätzen unberechnet geliefert. ^Veitere Exemplare stehen auf Wunsch gegen Erstattung der Herstellungskosten und unter der Voraussetzung, daß sie nicht für den Handel bestimmt sind, zur Verfügung. Die Manuskripte sind nur einseitig bcschriebm und drnckfertig einzuliefern, d. h. 80, daß das Lesen der Korrektur in der Ausmerzung von Satzfehlern besteht, nicht in einer stilistisclieu oder sachlichen Umarbeitung. Jedes Einschieben von TV'orten und ähnliche Änderungen sind mit entsprechenden Kosten verknüpft und sie müssen, wenn dadurch die normalen Korrekturkosten wesentlich erhöht werden, den betr. Herren Autoren zur Last gelegt werden. Die Zeichnungen für Tafeln und Textabbildungen (diese mit genauer An- gabe, wohin sie im Text gehören) werden auf besondem Blättern erbeten, auch wolle man beachten, daß für eine getreue und saubere Wiedergabe gute Vorlagen unerläßlich sind. Anweisungen für zweckmäßige Herstellung der Zeichnungen mit Proben der verschiedenen Reproduktionsverfahren stellt die Verlagsbuchhand- lung den Herren Mitarbeitern auf Wunsch zur Verfügung. Bei photographisch aufgenommenen Abbildungen wird gebeten, die Negative bei Absendung des Manuskripts unmittelbar an die Verlagsbuchhandlung zu schicken. Die Veröffentlichung der Arbeiten geschieht in der Reihenfolge, in der sie druckfertig in die Hände der Redaktion gelangen, falls nicht besondere Umstände ein späteres Erscheinen notwendig machen. Die Korrekturbogen werden den Herren Verfassern von der Verlagsbuch- handlung regelmäßig zugeschickt, und es wird dringend um deren sofortige Er- ledigung und Rücksendung (ohne das Manuskript) an die Verlagsbuchhandlung gebeten. Vo^i ehcaigen Änderungen des Aufenthalts oder vorübergehender Ab- wesenheit bittet man, die Redaktion oder die Verlagsbuchhandlung sobald als möglich in Kenntnis xu setxen. Bei säumiger Ausführung der Korrekturen hat der Verfasser es sich selbst xuxuschreiben, wenn seine Arbeit etwa für ein späteres Heft xurückgestellt werden muß. Kedaktioii und Yerlagsbuchhandlung. ARCHIV FÜR ZELLFORSCHUNG HERAUSGEGEBEN VON DR. RICHARD GOLDSCHMIDT PROFESSOR AN DER UNIVERSITÄT MÜNCHEN ZWÖLFTER BAND ZWEITES HEFT MIT J3 TEXTFIGUREN UND H TAFELN AUSGEGEBEN AM J7. FEBRUAR J9I4 LEIPZIG UND BERLIN VERLAG VON WILHELM ENGELMANN 1914 Preis: M. 17. — . Mitteilung an die Herren Mitarbeiter. Sämtliche Beiträge für das Archiv für Zellforschung, deren Veröflfentlichung in deutscher, französischer, englischer und italienischer Sprache erfolgen kann, bittet man an die Adresse des Herrn Professor Dr. R. Goldschmidt, Zoologisches In- stitut, München, Alte Akademie zu senden. Die Herren Mitarbeiter erhalten an Honorar Jl 40. — für den Druckbogen, Überschreitet eine Arbeit den Umfang von 4 Bogen, so wird für den Mehrumfang ein Honorar nicht gewährt. Dissertationen sind von der Honorierung ausgeschlossen. Den Herren Mitarbeitern werden 40 Sonderdrucke von ihren Abhandlungen und Aufsätzen unberechnet geliefert. "Weitere Exemplare stehen auf Wunsch gegen Erstattung der Herstellungskosten und unter der Voraussetzung, daß sie nicht für den Handel bestimmt sind, zur Verfügung. Die Hantisl^ipie sind nur einseitig beschrieben und driicli fertig einzuliefern, d. h. so, da8 das Lesen der Korrektur in der Ausmerzung von Satzfehlern besteht, nicht in einer stilistischen oder sachlichen Umarbeitung. Jedes Einschieben von M^orten und ähnliche Änderungen sind mit entsprechenden Kosten verknüpft und sie müssen, wenn dadurch die normalen Korrekturkosten wesentlich erhöht werden, den betr. Herren Autoren zur Last gelegt werden. Die Zeichnungen für Tafeln und Textabbildungen (diese mit genauer An- gabe, wohin sie im Text gehören) werden auf besondem Blättern erbeten, auch wolle man beachten, daß für eine getreue und saubere "Wiedergabe gute Vorlagen unerläßlich sind. Anweisungen für zweckmäßige Herstellung, der Zeichnungen mit Proben der verschiedenen Reproduktionsverfahren stellt die Verlagsbuchhand- lung den Herren Mitarbeitern auf MTmsch zur Verfügung. Bei photographisch aufgenommenen Abbildungen wird gebeten, die Negative bei Absendung des Manuskripts unmittelbar an die Verlagsbuchhandlung zu schicken. Die Veröffentlichung der Arbeiten geschieht in der Reihenfolge, in der sie druckfertig in die Hände der Redaktion gelangen, falls nicht besondere Umstände ein späteres Erscheinen notwendig machen. Die Korrekturbogen werden den Herren Verfassern von der Verlagsbuch- handlung regelmäßig zugeschickt, und es wird dringend um deren sofortige Er- ledigung und Rücksendung (ohne das Manuskript) an die Verlagsbuchhandlung gebeten. Von eticaigen Änderungen des Aufenthalts oder vorübergehender Äb- tcesenheil bittet man, die Redaktion oder die Verlagsbuchhandlung sobald als möglich in Kemitnis xu setxen. Bei säumiger Ausführung der Korrekturen hat der Verfasser es sich selbst xuxuschreiben, wenn seine Arbeit ehea für ein späteres Heft xurückgestellt werden muß. l^edaktioii und Terlagsbuchhandlung. ARCHIV FÜR ZELLFORSCHUNG HERAUSGEGEBEN VON DR. RICHARD GOLDSCHMIDT PROFESSOR AN DER UNIVERSITÄT MÜNCHEN ZWÖLFTER BAND DRITTES HEFT MIT 21 TEXTFIGUREN UND J2 TAFELN AUSGEGEBEN AM 24. MÄRZ 1914 LEIPZIG UND BERLIN VERLAG VON WILHELM ENGELMANN 1914 Preis: M. 21. — . Mitteilung an die Herren Mitarbeiter. Sämtliche Beiträge für das Archiv für Zellforschung, deren Veröffentlichung in deutscher, französischer, englischer und italienischer Sprache erfolgen kann, bittet man an die Adresse des Herrn Professor Dr. K. Goldschmidt, Zoologisches In- stitut, MUncheii, Alte Akademie zu senden. Die Herren Mitarbeiter erhalten an Honorar Jl 40. — für den Druckbogen, überschreitet eine Arbeit den Umfang von 4 Bogen, so vrird für den Mehrumfang ein Honorar nicht gewährt. Dissertationen sind von der Honorierung ausgeschlossen. Den Herren Mitarbeitern werden 40 Sonderdrucke von ihren Abhandlungen und Aufsätzen unberechnet geliefert. Weitere Exemplare stehen auf Wunsch gegen Erstattung der Herstellungskosten und unter der Voraussetzung, daß sie nicht für den Handel bestimmt sind, zur Verfügung. Die Ma7iuskripte sind nur einseitig beschrieben und druckfertig einzuliefern, d. h. 80, daB das Lesen der Korrektur in der Ansmerznng von Satzfehlern besteht, nicht in einer 'stilistischen oder sachlichen Umarbeitang. Jedes Einschieben von Worten und ähnliche Änderungen sind mit entsprechenden Kosten verknüpft und sie müssen, wenn dadurch die normalen Korrekturkosten wesentlich erhöht werden, den betr. Herren Autoren zur Last gelegt werden. Die Zeichnungen für Tafeln und Textabbildungen (diese mit genauer An- gabe, wohin sie im Text gehören) werden auf besondem Blättern erbeten, auch wolle man beachten, daß für eine getreue und saubere Wiedergabe gute Vorlagen unerläßlich sind. Anweisungen für zweckmäßige Herstellung der Zeichnungen mit Proben der verschiedenen Reproduktionsverfahren stellt die Verlagsbuchhand- lung den Herren Mitarbeitern auf Wunsch zur Verfügung. Bei photographisch aufgenommenen Abbildungen wird gebeten, die Negative bei Absendung des Manuskripts unmittelbar an die Verlagsbuchhandlung zu schicken. Die Veröffentlichung der Arbeiten geschieht in der Reihenfolge, in der sie druckfertig in die Hände der Redaktion gelangen, falls nicht besondere Umstände ein späteres Erscheinen notwendig machen. Die Korrekturbogen werden den Herren Verfassern von der Verlagsbuch- handlung regelmäßig zugeschickt, und es wird dringend um deren sofortige Er- ledigung und Rücksendimg (ohne das Manuskript) an die Verlagsbuchhandlung gebeten. Von etwaigen Änderungen des Aufenthalts oder vorübergehender Ab- wesenheit bittet man, die Redaktion oder die Verlagsbuchhandlung sobald als möglich in Kenntnis xu setzen. Bei säumiger Ausführung der Korrekturen hat der Verfasser es sich selbst xuxuschreiben, wenn seine Arbeit etwa für ein späteres Heft xurückgestellt werden muß. Redaktiou und Verlagsbuchhandlung. ARCHIV FÜR ZELLFORSCHUNG HERAUSGEGEBEN VON DR. RICHARD GOLDSCHMIDT PROFESSOR AN DER UNIVERSITÄT MÜNCHEN ZWÖLFTER BAND VIERTES HEFT MIT 7 TEXTFIGUREN UND JO TAFELN AUSGEGEBEN AM 26. MAI J9J4 LEIPZIG UND BERLIN VERLAG VON WILHELM ENGELMANN 1914 Preis s M. 20. — . Mitteilung an die Herren Mitarbeiter. Sämtliche Beiträge für das Archiv für Zellforschung, deren Veröffentlichung in deutscher, französischer, englischer und italienischer Sprache erfolgen kann, bittet man an die Adresse des Herrn Professor Dr. R. Goldschmidt, Zoologisches In- stitut, München, Alte Akademie zu senden. Die Herren Mitarbeiter erhalten an Honorar Jl 40. — für den Druckbogen. Überschreitet eine Arbeit den Umfang von 4 Bogen, so wird für den Mehrumfang ein Honorar nicht gewährt. Dissertationen sind von der Honorierung ausgeschlossen. Den Herren Mitarbeitern werden 40 Sonderdrucke von ihren Abhandlungen und Aufsätzen unberechnet geliefert. Weitere Exemplare stehen auf Wunsch gegen Erstattung der Herstellungskosten und unter der Voraussetzung, daß sie nicht für den Handel bestimmt sind, zur Verfügung. Die Manuskripte sind nur einseitig beschrieben und druckfertig einzuliefern, d. h. BO, daß das Lesen der Korrektor in der Ausmerzung von Satzfehlern besteht, nicht in einer stilistischen oder sachlichen Umarbeitung. Jedes Einschieben von Worten und ähnliche Änderungen sind mit entsprechenden Kosten verknüpft und sie müssen, wenn dadurch die normalen Korrekturkosten wesentlich erhöht werden, den betr. Herren Autoren zur Last gelegt werden. Die Zeichnungen für Tafeln und Textabbildungen (diese mit genauer An- gabe, wohin sie im Text gehören] werden auf besondem Blättern erbeten, auch wolle man beachten, daß für eine getreue und saubere Wiedergabe gute Vorlagen unerläßlich sind. Anweisungen für zweckmäßige Herstellung der Zeichnungen mit Proben der verschiedenen Reproduktionsverfahren stellt die Verlagsbuchhand- lung den Herren Mitarbeitern auf Wunsch zur Verfügung. Bei photographisch aufgenommenen Abbildungen wird gebeten, die Negative bei Absendung des Manuskripts unmittelbar an die Verlagsbuchhandlung zu schicken. Die Veröffentlichung der Arbeiten geschieht in der Reihenfolge, in der sie druckfertig in die Hände der Redaktion gelangen, falls nicht besondere Umstände ein späteres Erscheinen notwendig machen. Die Korrekturbogen werden den Herren Verfassern von der Verlagsbuch- handlung regelmäßig zugeschickt, und es wird dringend um deren sofortige Er- ledigung und Rücksendung (ohne das Manuskript) an die Verlagsbuchhandlung gebeten. Von etwaigen Änderungen des Aufenthalts oder vorübergehender Ab- wesenheit bittet man, die Bedaktion oder die Verlagsbuchhandlung sobald als möglich in Kenntnis xu setzen. Bei säumiger Ausführung der Korrekturen hat der Verfasser es sich selbst xuxuschreiben, wenn seine Arbeit etwa für ein späteres Heß xurückgestellt werden muß. Redaktion und Yerlagsbucbhandluiig. luhalt des 4. Heftes. Seite Leonardo Mautinotti, Ricerche sulla fine strnttura dell’ epidermide umana normale in rapporto alla sua funzione eleidocheratinica. Nota I. II corpo malpighiano e la produzione fibrilläre dell’ epidermide. Con tavola XXXV 457 Katharine Foot and E. C. Strobell, The Chromosomes of Euschistus variolarius, Enschistus servus and the Hybride of the Fi and F) Generations. With 2 Figures in the Text and Plate XXXVI. . . . 485 Francesco Speciale, Sulla fine strnttura delle cellule endoteliali dell’ endo- cardio e delle cellule che tappezzano le fenditure di Henle. Con 4 Figure nel Testo 513 Erwin Lindner, Über die Spermatogenese von Schistosomum haematobium Bilh. (Bilharzia haematobia Cobb.) mit besonderer Berücksichtigung der Geschlechtschromosomen. Mit 1 Figur im Text und Tafel XXXVII bis XXXVIII 516 Luigi Torracä, U comportamento dei condriosomi nella rigenerazione dei muscoli striati. Con Tavola XXXIX 539 E. Ballowitz, Vier Momentaufnahmen der intracellulären Pigmentströmungen in den Chromatophoren erwachsener Knochenfische. Mit Tafel XL 553 E. Ballowitz, Zur Kenntnis des feineren Baues des Chromatophoren- Protoplasmas. Mit Tafel XLl und XLII 558 Gustav A. von Kemnitz, Beiträge zur Kenntnis des Spermatozoen-Dimor- phismus. Mit Tafel XLIII— XLIV 567 H. Lundegardh, Protoplasmastruktnr (Sammelreferat) 589 Referate. Huth, W., Zur Entwicklungsgeschichte der Thalassicollen. ( V. Jollos) 599 Wenyon, C. M., Observations on Herpeiomonas mmcae domestieae and some allied flagellates. ( V. Jollos) 601 Fermor, H., Einige neue Befunde aus der Entwicklungsgeschichte von Areella vulgaris. (V. Jollos) 601 Prowazek, S. v., Studien zur Biologie der Protozoen. (V. Jollos) . . . 602 Wherry, W. B., Studies on the biology of an Amoeba of Limax group. ( V. Jollos) 602 Fiebiger, J., Studien über die Schwimmblasencoccidien der Gadus- Arten (Eimeria gadi n. sp.). (V. Jollos) 603 Beauchamp, P. de, Recherches sur les Rhylidocystis parasites des Ophelies. ( V. Jollos) 603 Dobell, C., Observations on the life-history of Cienkowskys >Arachmda<^. (V. Jollos) 604 Braune, Robert, Untersuchungen über die im Wiederkäuermagen vor- kommenden Protozoen. ( Walter Mulsow) 605 CoNKLiN, E. G., Experimental Studies on nuclear and cell division in the eggs of Grepidula. (v. Kemnitx) 605 Wassermann, F., Die Oogenese des Zoogonus mirus Lss. {v. Kemnitx) 607 Cresswell Shearer and Dorothy Jordan Lloyd, On methods of Producing artificial Parthenogenesis in Echinus esculentus. (v. Kemnitx) 608 Hirt, Dr. med. Walter, Das Leben der anorganischen Welt. Eine natur- wissenschaftliche Skizze, (v. Kemnitx) 608 Alice M. Boring and Raymond Pearl, The odd chromosome in the spermatogenesis of the domestic chicken. (v. Kemnitx) 609 Charles Packard, The effect of radium radiations on the fertilization of Kereis. (v. Kemnitx) 610 Verlag von Wilhelm Eugelmann in Leipzig nnd Berlin Vorträge und Aufsätze über Entwicklungsmechanik der Organismen unter Mitwirkung von zahlreichen Gelehrten ^Ton^' Wilhelm Roux. Or. 8 Heft 1: Die Entwicklungsmechanik, ein neuer Zweig der biologischen Wissenschaft Eine Ergänzung zu den Lehrbüchern der Entwicklungsgeschichte und Phy- siologie der Tiere. Nach einem Vortrag, gehalten in der ersten allgemeinen Sitzung der Versammlung deutscher Naturforscher und Ärzte zu Breslau am 19. September 1904 von Wilhelm Roux. Mit zwei Tafeln und einer Text- figur. XIV, 28^ S. Jl 5.— Heft 2: überden chemischen Charakter des Befruchtungsvorganges und seine Bedeutung für die Theorie der Lebenserscheinungen von Jacques Loeb. 32 S. Jt —.80 Heft 3: Anwendung elementarer Mathematik auf biologische Probleme. Nach Vor- lesungen, gehalten an der Wiener Universität im Sommersemester 1907 von Hans Przibram. Mit 6 Figuren im Text. VI, 84 S. Jl 2.40 Heft 4: über umkehrbare Entwicklungsprozesse und ihre Bedeutung für eine Theorie der Vererbung von Eugen Schultz. 48 S. Jl 1.40 Heft ö: über die zeitlichen Eigenschaften der Entwickiungsvorgänge von Wolfgang Ostwald. Mit 43 Figuren im Text und auf 11 Tafeln. VI, 71 S. Jl 2.80 Heft 6: über chemische Beeinflussung der Organismen durch einander. Vortrag, gehalten am 9. Dezember 1908 in der Naturforschenden Gesellschaft zu Halle a. S. von Ernst Küster. 25 S. Jl 1. — Heft 7: Der Restitutionsreiz. Rede zur Eröffnung der Sektion für experimentelle Zoologie des 7. internationalen Zoologenkongresses zu Boston von Hans Driesch. 24 S. Jl 1. — Heft 8: Einige Gedanken Uber das Wesen und die Genese der Geschwülste. Vortrag, gehalten in der Gesellschaft zur Bekämpfung der Krebskrankheit, im Januar 1909. St. Petersburg, von Gustav Schlater. 44 S. Jl 1.20 Heft 9: Das Vererbungsproblem im Lichte der Entwicklungsmechanik befrachtet von Emil Godlewskijun. Mit 67 Figuren. 301 S. Jl 7. — Heft 10: über die gestaltliche Anpassung der Blutgefäße unter Berücksichtigung der funktionellen Transplantation von Albert Oppel. Mit einer Original- beigabe von Wilhelm Roux, enthaltend seine Theorie der Gestaltung der Blutgefäße, einschließlich des Kollateralkreislaufs. IX, 182 S. Jl 4.40 Heft 11: Die physiologische Isolation von Teilen des Organismus von Charles Manning Child. VII, 157 S. Jl 4.— Heft 12: Autokatalytical substances the determinants for the inheritable characters. A biomechanical theory of inheritance and evolution by Arend L. Hage- doorn. IV, 35 S. 1.20 Heft 13: über Zellverschmelzung mit qualitativ abnormer Chromosomenverteilung als Ursache der Geschwuistbildung von Otto Aichel. Mit einem Vorwort von W. Roux. Mit 25 Abbildungen im Text. VII, 115 S. Jl 4.40 Heft 14: über Periodizität und Reize bei einigen Entwicklungsvorgängen von Eugen Schultz. 26 S. - Heft 15: Gutachten Uber dringlich zu errichtende Biologische Forschungsinstitute, insbesondere über die Errichtung eines Institutes für Entwicklungsmechanik für die Kaiser Wilhelm-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften. Er- stattet von Wilhelm Roux. IV, 30 S. _ Jl 1-80 Heft 16: Die Bedeutung der entwicklungsmechanischen Forschung für die Embryo- logie und Pathologie des Menschen von Alfred Fischei. VII. 69 S. .7/2.40 Heft 17: Die entwicklungsmechanisch-metaplastischen Potenzen der tierischen Gewebe von Jöz. Nusbaum. VI, 39 S. LSO Heft 18: LichJ, Farbe und die Pigmente. Beiträge zu einer Pigmenttheorie von Slavko Secerov. III, 65 S. >^11 3. — Heft 19: über die bei der Vererbung von Variationen anzunehmenden Vorgänge nebst einer Einschaltung über die Hauptarten des Entwickelungsgeschehens von Wilhelm Roux. Zweite, verbesserte Auflage. V, 68 S. M 2.— Heft 20: Zelle und Gewebe in neuem Licht von Emil Rohde. Mit 40 Figuren. VIII, 136 S. j — In diesem Hefte befindet sich eine Ankündigung der yerlagsbnchbandlnng Wilhelm Engelmann in Leipzig und Berlin über »Internationale Zeitschrift für physikalisch-chemische Biologie*. Druck von Breitkopf & Härtel in Leipzig. I Inhalt des 3. Heftes. Seite Albert Oschmann, Beitrag zum Studium der Zellverschmelzung und der cellularen Erscheinungen. I. Teil: Die Ovogenese von Tubifex (Ilyo- drilus) bavaricus. Mit 16 Figuren im Text und Tafel XXIII — XXVII 299 Hans Schneider, Über die Prophasen der ersten Reifeteilung in Pollen- mutterzellen, insbesondere bei Thelygonum Cynocrambe L. Mit Ta- fel XXVIII 359 Ludwig Gräper, Eine neue Anschauung über physiologische Zellausschal- tung. Mit 3 Figuren im Text und Tafel XXIX 373 Paul Büchner, Die Besamung der jugendlichen Ovocyte und die Befruch- tung bei Saccocirrus. Mit 2 Figuren im Text und Tafel XXX — XXXI 395 Karl Gille, Untersuchungen über die Eireifung, Befruchtung und Zell- teilung von Gyrodactylus elegans v. Nordmann. Mit Tafel XXXII bis XXXIV 414 Verlag Ton Wilhelm Engelmann in Leipzig und Berlin Zeitschrift für wissenschaftl. Zoologie Begründet von Carl Theodor v. Siebold und Albert v. Kölliker Heransgegeben von Ernst Ehlers > t Professor an der Universität zu Göttingen Hundertachter Band, 4. Heft Seite 499 — 692. Mit 41 Figuren im Text und 2 Tafeln. Gr. 8. Jt 11.— Inhalt: M. Rimsky-Korsakow, Über den Bau und die Entwicklung des Spinnapparates bei Embien. Mit 1 Figur im Text und Tafel XVII und XVIII. — FriedrichVolkmarColditz, Beiträge zur Biologie des Mansfelder Sees mit besonderen Studien über das Zentrifugenplankton j und seine Beziehungen zum Netzplankton der pelagischen Zone. Mit einer Karte und Abbildung I des Sees und 32 Figuren im Text. — Kurt Lantzsch, Studien über das Nannoplancton des 1 Zugersees und seine Beziehung zum Zooplancton. Mit 6 Figuren im Text. Hundertneunter Band, 1. Heft Seite 1—184. Mit 16 Figuren im Text und 4 Tafeln. Gr. 8. M 9. — Inhalt: Jacob Rehs, Beiträge zur Kenntnis der makroskopischen und mikroskopischen Anatomie insbesondere der Topographie des elastischen Gewebes des Palatum durum der Mam- malia. Mit 7 Figuren im Text und Tafel I— IV. — Walter Kühn, Beiträge zur Biologie der Weinbergschnecke (Helix pomatia L.). Mit 9 Figuren im Text. f Yerlag von Wilhelm Engelmann in Leipzig und Berlin Demnächst beginnt zu erscheinen: Internationale Zeitschrift für Physikalisch-chemische Bioiogie Unter Mitwirkung von M. Ascoli (Catania), L. Asher (Bern), 0. Bail (Prag', W. M. Bayliss, (London), H. Bechhold (Frankfurt a. M.), G. Bertrand (Paris), J. Bordet (Brüssel), F. Bottazzi (Neapel), J. F. Mc. Clendon Minnesota), F. Cza- pek (Prag), C. Delezenne (Paris), Ph. Eisenberg (Breslau), H. v. Euler (Stockholm), H. Freundlich (Braunschweig), U. Friedemann (Berlin), H. Fühner (Freiburg i. B.), 0. v. Fürth (Wienl, G. Galeotti (Neapel), P. Girard (Paris), 0. Gros (Leipzig), W. H. Hardy Cambridge), E. N. Harvey (Princeton), L. J. Henderson (Cambridge Mass.), A.H erlitzka (Turin), G. Izar (Catania', N. Koltzoff (Moskau), A. von Koranyi (Buda- pest), K. Landsteiner (Wien), A. B. Macallum (Toronto), Th. Madsen (Kopenhagen), A. P. Mathews (Chikago), A. Mayer (Paris', B. Moore (Liverpool), M. Nicolle (Paris', Sven Od^n (Upsala'. J. W. Osterhout (Cambridge Mass.), Th. Paul (München), W. Pauli (Wien), L. Popielski (Lemberg), E. Przibram (Wien), C. Regaud (Paris), T. B. Robertson (Berkeley), P. Rona (Berlin), W. Ruhland (Halle), S. P. L. Sörensen (Kopenhagen), K. Spiro (Straßburg), W. Straub (Freiburg i. B.), S. B. Schry ver (London), H. v. Tappeiner (München', A. J. J. V andevelde (Gent), E. Weil (Prag), H. Zangger (Zürich), E. Zunz (Brüssel) sowie anderen Fachgenossen herausgegeben unter Mitarbeit von H. I. Hamburger (Groningen), Y. Henri (Paris), J. Loeh (New York) von J. Traube (Charlottenburg- Berlin) Die Zeitschrift wird im Interesse schnellster Veröffentlichung in zwanglosen Heften erscheinen. Sechs Hefte bilden einen Band, der 30 — 33 Bogen umfaßt. Ein ausführlicher Prospekt gelangt demnächst zur Versendung. Druck von Breitkopf & Härtel in Leipzig. Inhalt des 2. Heftes. Seite Hermann von Voss, Cytologische Studien an Mesostoma ehrenbergi. Mit ö Figuren im Text und Tafel XII — XIV 159 Bruno Montekosso, Ulteriori ricerche sulla granulosa del follicolo ovarieo nei Mammiferi (Cagna). Con tavole XV— XVI 195 M. V. Dersciiau, Zum Chromatindualismus der Pflanzenzelle. Mit Tafel XVII 220 SiDNEY I. Kornhauser, A Comparative Study of the Chromosomes in the Spermatogenesis of Enchenopa binotata (Say) and Enchenopa (Campy- lenchia Stal) curvata (Fabr.). With 8 figures in the text and plates XVIII-XXII 241 Yerlag von Wilhelm Eugelmann in Leipzig und Berlin Licht, Farbe und die Pigmente Beiträge zu einer Pigmenttheorie von V Slavko Secerov (Vorträge und Aufsätze über Entwicklungsmechanik der Organismen von W. Roux.) Gr. 8. III u. 65 Seiten. Jl 3. — Der Verfasser gibt eine neue Theorie der Entstehung der verschiedenen Farben der Pigmentzellen und der Wirkung des Lichtes auf die Pigmente. Anatomischer Anzeiger : Die ebenso interessante wie wenig geklärte Frage vom Pigment in seinen Beziehungen zum Licht und über die Farbenanpassungen findet hier eine er- wünschte Behandlung — Sehr lesenswert. In der obigen Sammlung erscheint in Kürze: Zelle und Gewebe in neuem Licht von Prof. Dr. Emil Rohde in Breslau Mit 41 Figuren im Text, im Umfange von etwa 8>/2 Bogen Preis etwa Jl 4.20 Yerlag von Wilhelm Engelmanu in Leipzig und Berlin PHysikaliscHe Chemie der Zelle und der Gewebe Von Rudolf Höher Dritte, neubearbeitete Auflage. Mit 55 Figuren im Text XV und 671 Seiten. Groß-Oktav In Leinen gebunden Jl 17.25 Das Buch ist auch in seinem neuen Gewände, das die weiteren enorm schnellen Fortschritte gerade dieses Gebietes bringt, als ein hervorragend gutes Buch zu bezeichnen, Zentralblalt für Biochemie and Biophysik. Auch die vorliegende neue Auflage ist dem Fortschritt der Wissenschaft sorgfältig gefolgt, und insbesondere darf man mit Freuden konstatieren, daß die rapiden und tiefgreifenden Fort- schritte in dem neuen Erkenntnisgebiete, welches die Kolloidchemie der Wissenschaft und nicht zum wenigsten der Physiologie eröffnet hat, eine sachgemäße und eingehende Berücksichtigung erfahren haben. Zeitschrift für physikalische Chemie. Ce livre de Höher, est un des meilleurs dans ia litterature scientifique de ces dix dernieres annees .... Nous ne saurions conseiller de meilleur livre que celui de Höher, auquel il ne manque pas beaucoup pour devenir un Traite complet de chimie physique physio- logique. Scientia. Demnächst erscheint: Änatomische und entwicklungsgeschichtliclie Monographien herausgegeben von Willielm Roux 8. Heft; Remarques sur le mecanisme du modelage des embryons humains. Courbes embryotectoniques von Dp. Eugene Bujard Mit 43 Figuren im Text. Etwa 6 Bogen. Preis etwa 6. — In diesem Hefte befinden sich ein Prospekt der Verlagsbuchhandlung B. G. Teubner in Leipzig über »Kultur der Gegenwart«, sowie der Anzeiger No. 1 des Antiquariats von Wilhelm Engelmann in Berlin. Druck von Breitkopf & Härtel in Leipzig. Inhalt des 1. Heftes Seito l'uLLio Terni, Condriosomi, idiozonia e formazioni periidiozomiche nella spermatogenesi degli Anfibii. (Ricerche sul Geotriton fiiscus.) Con tavole I — VII 1 L. Digby, A critical study of tlie cytology of Crepis virens. With pla- tes VIII to X 97 E. Ballowitz, Über eigenartige, spiralig strukturierte Spermien mit apy- renem und eupyrenem Kopf bei Insekten. Mit Tafel XI 147 Verlag von ^Villielin Eugelmann in Leipzig und Berlin Zeitschrift für wissenschaftl. Zoologie Begründet von Carl Theodor v. Siebold und Albert v. Kölliker Herausgegeben von Ernst Ehlers Professor an der Universität zu Göttingen Huudertsiebenter Hand, 4. Heft Seite 573— 7G0. Mit 109 Figuren im Text und 7 Tafeln. Gr. 8. Jl 9. — Inhalt: V. Dogiel, Embryologische Studien an Pantopoden. Mit 109 Figuren im Text und Tafel XVII — XXII. — J. J. Schmalhausen, Zur Morphologie der unpaaren Flossen. 111. Die Entwicklung des Skelettes der hypochordalen Caudalis von Pristiurus und der unpaaren Flossen von Acipenser. Mit Tafel XXIII. Hnndertachter Band, 1. Heft Seite 1 — 174. Mit 104 Figuren im Text. Gr. 8. M 11. — Inhalt: Karl Herbers, Entwicklungsgeschichte von Anodonta cellensis Schrot. Mit 104 Fi- guren im Text. Archiv für Entwicklungsmechanik der Organismen herausgegeben von Dr. Dr. Wilhelm Roux 0. 5. Professor der Anatomie in Halle a. S. Achtuuddreißigstev Baud, 1. Heft Seite 1 — 186. Mit 37 Figuren im Text und 2 T’afeln Gr. 8. jn^.— Inhalt: Max W. Myer, Contributions to the Analysis of Tissue Growth. XI. Autoplastic and Homocoplastic Transplantations of Kidney Tissue. — Carlo Ceni, Spermatogenesi aber- rante consecutiva a commocione cerebrale. (Con tavole I— II.) — Janina Zielinska, Über die Wirkung des Sauerstoffpartiardruckes auf Regenerationsgeschwindigkeit bei Eisenia foetida Sav. (Mit 1 Figur im Text.) — Bruno Hausding, Studjen über Actinoloba (.Metridium) dian- thus. (Mit 34 Figuren im Text.) — Ignaz Schiller, Über somatische Induktionen auf die Keimdrüsen bei den Säugetieren. I. Mitteilung. (Mit 2 Figuren im Text.) — Besprechungen. — Referate. — Literaturverzeichnis 1912 zu 1913. — Personale. Verlas; von WILHELM ENGELMANN in Leipzig und Berlin Zoologisches Praktikum von August Sclmberg In zwei Bänden I. Band: Einführung in die Technik des Zoologischen Laboratoriums Mit 177 Abbildungen XII, 478 S. Gr. 8. Geheftet Jl 11. — . In Leinen geb. J( 12.20 Repetitorium der Zoologie Ein Leitfaden für Studierende von I>i*. Karl Eclistein Professor am Zoologischen Institut der Forst- Akademie Eberswalde ' Zweite, ningearbeitete Auflage = r= \ Mit 281 Figuren iin Text ' j Vlll 11. 435 Seiten. Gr. 8. Geh. Jl 8.— ; in Leinen geb. .U 9.— Lehrbuch der Zoologie von Dr. Alexander Goette ord. Professor der Zoologie an der Universität Straßburg i. E. Mit 512 Abbildungen im Text XII u. 504 Seiten. Gr. 8. Geheftet statt M 12. — .U 9. — ; gebunden statt 13. — Jl 10. — Diesem Heft ist der Verlagsbericht 1913 der Verlagsbuchhandlung 1 «heim Engelmann in Leipzig und Berlin beigefügt. ) Druck von Breitkopf