RITIRI attesta e VIITILACIO SLI LIL TRITO cere paperi TRI rpg Me en - Lp Air rase Lu di ) ) (i , Ù / i Li \ SP " "4 hi ‘via Ù Pe] Ì fo dI R ME È CORAAA . Ù n x LI "A ATTI REALE ACCADEMIA DEL LINCEI È 0»@( sERIH SECONDA — VOLUME III° PARTE TERZA - MEMORIE. DELLA CLASSE. DI SCIENZE. MORALI, STORICHE £ FILOLOGICHE. COI TIPI DEL SALVIUCCI 1876 bag DELLA REALE ACCADEMIA DEF LINCEI ANNO CCLXXIII. ill375=76 SERIE SECONDA — VOLUME III° PARTE TERZA MEMORIE DELLA CLASSE DI SCIENZE MORALI, STORICHE E FILOLOGICHE De N, \ \749 3 DI > sa 177 Ne A NE7 = LYNCAI ,,9 A ZI 1) ye? n ROMA (GOT SUE 16 SAVINANOOGI 1876 Su i fuochi da guerra usati nel Mediterraneo nell'XI e XII secolo. Memoria del socio M. AMARI letta nella seduta del 16 gennaio 1876. x Voi sapete bene, eruditi accademici, ch'egli è avvenuto all’inventor della pol- vere come ad altri eroi e semidei, a’ quali la fantasia del popolo innalzò gli altari e la critica moderna ha lavorato e lavora a trarneli giù. In vero la storia del medio evo, non ostante la sua credulità, non pronunziò mai con asseveranza il nome di quel novello Prometeo. Il gran trovato fu apposto or all’ uno, or all’altro de’ due luminari della filosofia naturale nel XITI secolo: Alberto Magno e Ruggiero Bacone. Fu attribuito anco ad un Bertoldo Schwartz, monaco tedesco; della cui vita si sa poco, e della morte si dice l’ abbia trovata nelle carceri di Venezia, nella seconda metà del secolo XIV. In oggi le nuove sorgenti storiche d’ Occidente e d’ Oriente venute alla luce o studiate ne’codici, e la critica più sottile, hanno cancellati diffini- tivamente que’ nomi e riconosciuto, in vece della supposta subita invenzione, il successivo perfezionamento d’un trovato che ha percorso a un di presso il medesimo cammino della carta da scrivere e della bussola. Comparso molti secoli addietro nella Cina tra i fuochi di trastullo; applicato alla guerra nell'impero musulmano e nel bizantino; prestava a quest’ultimo l’aiuto di un terrore misterioso nelle fazioni navali; poneva nelle mani già infiacchite dei Musulmani, nel secolo XIII, de’razzi fissi o volanti; alfine, all’ entrare del se- colo XIV, fe’ tuonare le prime artiglierie in Italia o in Germania, non si sa. Il primo documento irrefragrabile è sempre quello pubblicato dal Libri (*): la provvi- sione fatta dalla Signoria di Firenze l’11 febbraio 1326 perchè si fabbricassero, ad uso del Comune, palle di ferro e cannoni di metallo. Dietro a questo viene il racconto della cronica di Metz, la quale senza farne maraviglia, e questo dà molto da pensare, novera la polvere, le colubrine e le serpentine tra gli ingegni adoperati nell’assedio di quella città il 1324 (*). Se fosse indubbiamente contemporaneo si potrebbe allegare un ricordo alquanto più antico: il paragrafo degli Annali di Gand che porta sotto il 1313 troppo laconicamente « Item quest'anno, un monaco inventò in Germania i cannoni » (°). (1) Histoire des Mathémathiques en Italie, IV, 487. (2) Napolgon III Etudes sur le passé el V'avenir de l’artillerie, ouvrage continué, à l'aide des notes de l'empereur, par le colonel Favé, Paris 1862, in 4, tomo III, p. 71, nota. (3) Ibid. citandosi la Revue mililaire belge, tom. III, fase. 12 (Liège 1843); Renard, De l’artil- lerie en Belgique p. 184, e Lenz, Annales gantoîses, anno 1313. DARIO Non mi metterò io a disputare su l’ autorità di questi due ultimi ricordi, nè su ì luoghi di scrittori arabi ne’ quali si è creduto leggere l’uso delle artiglierie innanzi il 1300; non ricorderò il Polistore di Bartolomeo da Ferrara, scritto della seconda metà del XIV secolo, nel quale si afferma che i Bresciani difesero il 1311 la città loro da Arrigo di Luxembourg con bombarde e altri ingegni ('); nè alle- gherò che la nomenclatura tecnica dell'artiglieria esordisce con alcuni vocaboli di pretto conio italiano, come bombarda, cannone, palla, scoppio e indi schioppo, ecc.; donde vien la forte presunzione che le cose siano di qui passate alle altre nazioni insieme coi nomi. È da aspettar che gli eruditi, ricercando e lavorando, s’imbattano in qualche altro documento decisivo. Del resto io non mi propongo oggi di trattare quest’ ultimo stadio dell’ invenzione. Discorrerò lo stadio precedente, nel quale il com- posto di salnitro solfo e carbone non era sì perfetto da produrre l’ accensione quasi simultanea e però lo scoppio e la velocità comunicata a’proiettili; ma ardendo suc- cessivamente, massime a cagione del salnitro mal raffinato, non potea che schizzare fuoco e cagionare talvolta qualche debole esplosione: e però si adoperava come stru- mento incendiario, non già balistico. I lavori moderni su la storia della polvere che hanno stabilita la distinzione di questi due stadii, son usciti alla luce dal 1840 al 1862, per opera de’ Signori Lalanne, Lacabane, Reinaud et Favé, Reinaud solo, e Favé insieme con Napoleone III, il quale, come ognun sa, dilettavasi di letteratura militare (*). Dirò prima il ritratto di cotesti lavori su l’argomento propostomi e poi le nuove notizie che mi è venuto fatto di raccogliere. Della materia da razzi usata in guerra abbiamo attestati di due maniere: tecnici e storici, I primi, che sono i più autorevoli, appartengon tutti al XIII secolo: si leggono nelle opere di Alberto Magno, Ruggiero Bacone, Hasan-er-Rammah, o diremmo noi il maestro di lancia, e Marco Greco. De’ due primi sarebbe superfluo a dar notizia. Hasan scrisse, non molto innanzi il 1295, il libro « Del combattere a cavallo e delle macchine da guerra », dettato, come avverte l’ autore, secondo le dottrine (*) del padre suo, degli antenati e d’altri maestri. Di Marco Greco si ha in latino il « Liber ignium ad comburendos hostes (‘) », che gli eruditi, per argomenti interni, credono compilato nella prima metà del XIII secolo; non sapendosi nulla, (!) Muratori, Rer. ilalic. XXIV, 722. (2) Lalanne (Ludovic) Sur le feu grégeois, nelle Mémoires de divers savants, (Acad. des Inscript.) tom. I. Lacabane (Léon), De la poudre à canon el de son introduction en France, Paris 1844, dalla Bibl. de l'École des Chartes, 2.° série, I, 28 segg. Reinaud et Fayé, Du feu grégeois, des fcux de guerre ele. Paris 1845 in 8.° con atlante in 4.° Viardot (Louis) L'Europe doit aux Arabes le papier, la boussole et la poudre à canon, Paris 1849? estratto dalla Liberté de penser, revue démocratique. Reinaud. De V’Art militaire chez les Arabes au moyen-age. Paris 1848 in 8.° dal Journal Asiatique. Reinaud et Favé, Du feu grégeois ele. Paris 1850 in 8.° dal Journal Asiat. Éludes sur le passé et l’avenir de V'artillerie etc. citato nella pagina preced. (2) Reinaud et Favé, op. cit. del 1845 p. 4. segg. dal ms. arabo della Bibl. di Parigi, con figure colorate, Ancien fonds 1127, ed anche dal Suppl. Arabe 733, (*) Pubblicato da Du Theil, Parigi 1804. IA del resto, su l’autore nè su l'origine dell’opera. Cotesti scritti danno con certo divario la composizione di materie incendiarie di due classi; l’una delle quali torna su per giù a’ fuochi conosciuti ab antico: resine, olii ed altre sostanze; con ciò che s’ attribuisce ad alcuni composti la qualità di inestinguibili e si nota quella men dubbia, di potersi adoperare in recipienti che galleggiassero su l’acqua. Nell’altra classe domina il miscuglio di salnitro (in arabo bardd che in origine significò < grandine » ed oggi si dice della polvere da sparo) solfo e carbone. Marco dà, sotto la rubrica di fuoco greco, delle composizioni sia dell’una sia dell’altra classe. Tutti gli autori citati dicono più o meno del fuoco volante prodotto da’composti di sal- nitro rinchiusi in tubi di varie materie e forme; e dello scoppio loro il quale ci sembra per lo più casuale e debole a paragone degli effetti che or noi conosciamo. Il musulmano particolareggia l’uso della nafta o vogliam dire petrolio, e dei com- posti nitrosi che danno fuochi artifiziali con varii colori e scherzi, da accusarci l'origine cinese. Egli tratta inoltre de’ composti nitrosi per micce e de’fuochi schiz- zanti, or nel « volante » (in arabico Taidr e Sdrakh, che forse era diverso ed oggi significa anche petardo) e nell’ «uovo moventesi e ardente», vero razzo incendiario; or nella mazza di fuoco; or nella lancia, in cima alla quale si attaccava un razzo e non solamente schizzava fuoco ma lanciava anco de’quadrelli o bolzoni e de’ cecî, ne’quali alla materia infiammabile n’era aggiunta una ponderosa ('). Delle figure colorate che illustrano il codice di Hasan il Reinaud e il Favé ci han dati i rami. Ed hanno conchiuso, ragionevolmente, che lo scoppio della polvere, quantunque fiacco, fu usato per lo primo in quelle rozze armi da mano attaccate a un bastone, non già nelle artiglierie, le quali l’opinione comune volea che fossero state conosciute innanzi gli archibusi e le pistole. Precedono di molto a’tecnici i ricordi storici; ma, attestando gli effetti e non le cause, lascian luogo a dispareri. I ricordi storici si riferiscono al fuoco greco. Quantunque autorevoli uomini abbiano sostenuto che le composizioni nitrose non vi entraron mai, abbiam noi in contrario l’attestato di Marco, il quale sotto la rubrica di fuoco greco, come anzi dicemmo, dà de’ composti nitrosi e de’ grassi o resinosi; ond’è da tener come certo che sotto quel nome e sotto il mistero nel quale fu avvolta la composizione, essa era di varie maniere e distingueasi, per lo meno nelle due classi che abbiam poste. Lasciando addietro Callinico supposto rivelatore del trovato e i maravigliosi effetti di quel fuoco ne’dae assedii di Costantinopoli del VII e dell'VIII secolo, l’imperator Leone il filosofo che scrisse la Tattica nel X°, fa menzione di tubi foderati di bronzo, messi a prua delle navi, da’quali il fuoco esciva con tuono e con fumo che avviluppava il legno nemico: e i tubi erano maneggiati da un sifonatore, che si tradurrebbe litteralmente cannoniere se questa voce non portasse equivoco. Leone dice ancora di tubi a mano da buttare infiammati in viso a’ nemici (*). Il suo figliuolo Costantino Porfirogenito ammoniva l’erede presuntivo del trono a badare sopra ogni altro negozio pubblico al fuoco liquido lanciato da’ tubi ed a mantenerne (!) Reinaud et Favé op. cit. p. 23, 24. Oltre il salnitro il solfo e il carbone, si trova in com- posizioni diverse la limatura d' acciaio, i pezzi d' acciarino, il ferro della Cina, ec. (2) Tactica, Lugd. Batav. 1613, cap. XIX. SS. 6, 52, 58. aa il segreto religiosamente ('). Anna Comnena, descrivendo la guerra del padre contro i Pisani, (1100) dice che Alessio avea fatti effigiare in bronzo su le prore de’ leoni, dalle cui bocche vsciano materie infiammate e che i Barbari, così ci chiamava l’au- gusta scrittrice, si spaventarono di quello strano fenomeno del fuoco che, in vece di levarsi in alto come fa per sua natura, volgeasi a piacer di chi lo maneggiava, or dalle parti, ed or di su in giù (°). Circa la materia del qual fuoco tacciono, co- m’egli è naturale, gli scrittori: chè se Anna Comnena stessa, narrando l’assedio di Durazzo del 1106, e i combattimenti sotterranei de’ minatori, dice che i Bizantini bruciavano il viso a’ nemici con bucciuoli di canna ne’ quali era pigiato un miscuglio di pece resina e solfo, ognuno intende che quest’ era chimica rettorica e che la figliuola d’Alessio non volea dire o non sapeva gli ingredienti veri (°). Da’ Bizantini passando a’ Musulmani, i ricordi storici raccolti da’ signori Reinaud e Favé scendono alle Crociate e provengono dagli scrittori occidentali. Questi a tutto il secolo XII fanno menzione soltanto d’olii, resine e simili, adoperati da’ loro ne- mici. Ma verso la metà del XIII e propriamente nella sventurata crociata di s. Luigi, il cronista Joinville, testimonio oculare, dà il nome di greco al fuoco balestrato dagli Egiziani contro i Francesi e descrive certi dragoni volanti di fuoco che piombavano con gran fragore sopra i ripari dello esercito crociato (‘). Paion questi, de’razzi belli e buoni, di quelli che Hasan-er-Rammah insegnava a comporre nel medesimo se- colo. L’orientalista e l’artigliere lodati or ora, il libro de’quali primeggia tuttavia tra i moderni lavori su la materia, hanno conchiuso da tuttociò che i fuochi nitrosi, non usati da’ Musulmani fino al principio del XIII secolo, lo furono verso lo scorcio; nel qual tempo raffinandosi meglio il salnitro si arrivò a grado a grado , o presso i Musulmani stessi o in Europa, a produrre efficacemente l'esplosione. Or a me sembra potersi argomentare, se non con certezza almeno con molta verosimiglianza, che i Musulmani abbiano adoperata due secoli innanzi, come ma- teria incendiaria, la composizione dei razzi, e che quella medesima abbiano usata i Bizantini fin dal X secolo. Caverò gli argomenti in parte da’ ricordi storici già citati e in parte da molti altri testi arabi che non erano usciti alla luce trent'anni addietro, quando scriveva il mio caro maestro M. Reinaud e l’erudito militare suo collaboratore. Tra le opere arabiche apriamo dapprima il Xitdb-el-Fihrist, pubblicato in Lipsia che son tre anni. Sotto quel semplicissimo titolo d’ « Indice » chè tal suona Fihrist e nella modesta forma d’una bibliografia, il dottissimo Ibn-Nedîm dettava un compendio di tutte le dottrine antiche e moderne, straniere e nazionali possedute dagli Arabi fino all’anno 987 dell’era volgare; cioè nel punto culminante del loro sviluppo scien- tifico e sul declinare della potenza politica e della forza militare. Il Mihrist fa men- zione (°) di trattati d’arte militare scritti in pehlewi al tempo de’Sassanidi; di quelli composti in arabico da un Horthoma es-Scia'ràni per uso del califo Mamùn (813-833) (!) De Administrando imperio, presso Banduri, Imper. or. I. 64. (2) Alerias, Parisiis 1651, Lib. XI, pag. 335. 336. (2) Op. cit. Lib. XIII. pag. 383. () Veggansi i luoghi citati da’ Signori Reinaud et Favé a pag. 53 segg. (?) Pag. 314-315. Si le e da un Abd-el-Gebbar-ibn-'Adi pel califo Mansùr (754-775) e di trattati anonimi d’ epoca non determinata, tra i quali leggiamo un « Libro di pirotecnia militare, della nafta e delle zarrakdt». Questo vocabolo, che mi riserbo a spiegare più innanzi, occorre anco in un luogo di antico scrittore trascritto dal Makrizi nella eruditissima opera su 1’ Egitto, ch’ è stata pubblicata in Bulak ai tempi nostri. Narra l’autore (') che l’anno 461 dell’egira (1068-9 dell’ era volgare) appiccatosi il fuoco ad un arsenale del Cairo, tra un'infinità di armi e attrezzi e cose preziose raccoltevi da più d’un secolo, arsero delle diecine di migliaia di kirde, (otri o damigiane diremmo noi), di nafta e delle diecine di migliaia di zarrakdt della nafta. Il dottor Kremer in una bella opera che ha incominciata a pubblicare l’anno scorso col titolo di « Kulturgeschichte des Orients unter den Chalifen» ha trattato anco dall’arte della guerra in quel periodo e in quelle regioni (°). Su la pirotecnia vi si trovano due notizie tratte da autori arabi, che io ho riscontrati su i testi: luna cioè che un corpo di Na/fdt, artiglieri di nafta diremmo noi o fuochisti, militavano nell’esercito de’califi il 222 dell’egira (837 dell’e. y.) contro il comunista Babek all’assedio di Bedds in Aderbaigian (*); l’altra che nella prima guerra di Harùn er-Rascîd contro Niceforo (803 dell’e. v.) un valoroso , vestito l’abito dei MNa/fdt, gittossi a traverso d’una tagliata d’alberi dietro la quale si difendeano i Bizantini e vi avean posto fuoco. Ecco ora parecchi squarci di poesie arabiche ne’quali si fa menzione di fuochi navali. Son tolti da’testi risguardanti la Sicilia ch'io ho pubblicati parte il 1857 e parte l’anno scorso. Si riferiscono ad avvenimenti di un breve periodo, cioè tra il 1085 e il 1122, ma par siano stati composti tutti nella prima quarta parte del XII secolo. Li segno con lettere dell’alfabeto per comodo delle citazioni, che mi occor- reranno, e pongo a capo della lista i versi d’ un poeta affricano ; poi gli squarci dettati da Ibn-Hamdîs da Siracusa , il più rinomato tra i poeti arabi di Sicilia, uscito, com’e’pare, negli ultimi anni della guerra normanna; passato in Affrica, poi in Spagna e alfine in Affrica di nuovo, dov’ei morì nell’estrema vecchiezza. A) Mohammed-ibn-Bescîr dettò una Kasîda — così chiamano lor componi- mento epico che non passa qualche centinaio di versi e tutti sopra una rima — una kasida, io dico, a lode di Ali-ibn-Iehia, principe zirita dell’Affrica propria, sedente in Mehdîa. Ali giovanetto avea meritati gli applausi di tutti i buoni mu- sulmani e patriotti, mandando risolutamente , contro il consiglio de’savii, un’arma- tetta a Kabes, per opporsi a’ soprusi di re Ruggiero di Sicilia, le cui navi erano andate in quel porto ad incoraggiare un capo ribelle. Dicea tra le altre cose il poeta ad Ali (*). «Hai tu apprestate contro i nemici le poderose (’), che difilate muovono sopra di loro, (!) Tomo I. p. 424. (2) Pag. 237. (3) V. anche questo fatto in Ibn-el-Athîr, ediz. Tornberg, vol. VI. p. 330. (*) Biblioleca arabo-sicula, pag. 393. (9) Il singolare maschile motammim significa « camelo robusto, brando che taglia fino all'osso ec. ». Il poeta gioca al solito sul doppio significato tra le «navi poderose » e i « brandi ». ZANE Inaccesse quai monti; se non che a versar sangue s’avanzano e dan dentro. Le lance e le saette, onde son irte d’ambo le parti, rassembrano i cardi e i pruni su’fianchi del poggio. Un negro qual pece accatta in prestito la luce del cielo : è il fumo ch’esce d’una vampa e s’accende nello stesso fuoco di essa; Quando la fiamma vibra sua lingua ne’tubi, con un fuoco schietto che salisce e s’incurva, E’ par di vedere i Selàl (') cacciati fuori dalla Gehenna, ad affocare il fegato de’ nemici e cuocerlo forte ». B) Ibn Hamdîs scrivea, non sappiam l’anno per l’ appunto, ma verosimil- mente, alludendo alla disperata correria che fece in Calabria Bennavert, signore di Sira- cusa, nell’agosto 1085 o a qualche altra simile impresa de’ Musulmani di Sicilia (*): « Percotemmo i nemici della fede nel cuore di lor territorio, con uno squadro- ne che si gitta ad occhi chiusi nel pelago della morte. Una bruna massa nuotando nel canale portava que’ prodi, simile alle aquile Fotkh quando si libran su l’ali. Ecco delle cavalle gravide senza stallone: una catastrofe le fa partorire su la riva de’ Rum (?). Ecco fabbricate e allestite per la guerra, alate (navi) (*) nuotano in mare tras- portando de’ lioni. Le loro poppe somigliano agli archi; e pur gli strali che vi sono incoccati spuntano dalle prore, Gittando nafta che galleggia su l’ onda come il Muh! (*), che nella Gehenna abbrucia i corpi umani: Cittadi che combattono le cittadi de’ Barbari e le espugnano a forza d’armi e saccheggianle ». C) In un’altra kasîda che pare scritta dopo compiuto il conquisto normanno, Ibn-Hamdîs, ricordando quella o alcuna antecedente fazione de’ Musulmani di Sicilia in Calabria, dice così dell’armata de’suoi (°). « Navi da guerra che scagliano il fuoco di loro nafta, ond’emana il soffio mor- tale che ottura le narici: Eccole coperte di rosso feltro e giallo come le figlie dei Zengi (") vestite a nozze. (1) La voce Seldl è plurale di Si, serpente che fa morir l’uomo al solo guardarlo e di Salta spruzzo di pioggia ed anche tratto d'erba. (2) Op. cit. p. 564, 565. (3) Il gran nome romano fu dato dagli Arabi ai Bizantini, agli Italiani del medio evo e talvolta a'Cristiani d’altre nazioni. (!) Qui e appresso metto tra parentesi le parole che conviene aggiugnere per maggiore chiarezza. (3) La bevanda de’ dannati: metallo o altro corpo solido liquefatto, ovvero feccia d'olio bollente. V.il Corano, XVIII, 28; XLIV, 45; LXX, 8. (5) Bibl. arabo-sicula, Appendice, pag. 45. (7) Con questo nome gli Arabi del medio evo designavano i Gallas e forse molti altri popoli abitatori della costiera orientale d’Affrica sopra e sotto lo stretto di Bab-el-Mandeb. Lil Quando fumano in esse i fornelli diresti che qui s’ aprano tanti spiragli al vulcano ». D) Ibn-Hamdîs celebrando l’arrivo d’una sontuosa ambasceria bizantina in Mehdîa il 1115, e la pace o tregua fermata da que’legati, così parla al principe zirita Iehia-ibn-Temîm (*): « Vedi il reggitor di Costantinopoli la maggiore, il quale cerca a difendersi dalla tua spada col calam (?), Temendo l’accensione di quel focile, oh maraviglia, che tu lo butti nell’ onda agitata e (pur) divampa ». E) Morto Iehia quel medesimo anno e succedutogli il figliuolo Ali, al quale si die’incontanente l’isola delle Gerbe, già ribellata, Ibn-Hamdîs attribuiva la sotto- missione al terrore del navilio zirita e diceva al principe in una lunga kasîda (?): «È in tuo potere tal fuoco che va a trovarli galleggiando, acceso da focili che s'annoverano tra i focili mozzi». F) In un’altra poesia, tra le tante indirizzate ad Ali sotto il suo regno (1116-1121), il Siciliano ricordava lo stesso fatto di Kàbes sul quale abbiam citati i versi d'Ibn-Bascîr e sclamava (‘). <« Iddio ti ha spirato un consiglio onde torna a’Barbari umiliazione e vergogna. Han viste le navi da guerra lancianti un fuoco che divampa in guisa da spegner la vita. Par che ne’tubi ond’esce quel fuoco il Muh! infernale s' affretti ad arrostire i corpi umani. Quand’esso squarcia la strozza a un Barbaro ne vien fuori al punto della morte uno strido. Somiglian quelle navi a crateri di vulcani che danno un saggio del fuoco eterno: (Portan) de’ bronzi, ond° escon lingue di fuoco per trarre alla perdizione le anime dei Barbari. Non ha l’acqua virtù nè possanza d’estinguer quella fiamma quand’ essa è accesa ». G) Una kasîda indirizzata al medesimo Ali da Ibn-Hamdîs incomincia (°). « La tua mano fa uscir fuori le nascose ne’foderi; sì che facciano vendemmia di teste e messe di colli ». E dopo alquanti versi continua: <« E le fazioni de’ legni da guerra muniti di fuochi, che calcan le acque con la violenza di loro incendio. Gittano nafta, l’ardore della quale come puoi creder che lasci l’uomo in vita se basta il puzzo a bruciargli il fegato? (!) Appendice citata, p. 40. (2) Diremmo noi con la penna da scrivere. Col predicato di « maggiore » il poeta distingue Costantinopoli da Costantina di Affrica, chiamata anch’ essa dagli Arabi Costantinitah. (*) Append. p. 19. (5) Append. p. 20, 21. (5) Append, p. 17. PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.3 i 2 CIMA Sembra che da quelle (navi) sorga il fumo di folgori gravide di lampi e di tuoni ». 4) In altro incontro Ibn-Hamdîs, lodando Ali, alludeva all’armata con queste parole: (') « E navi da guerra costruite sotto l’oroscopo della felicità (*), i fuochi delle quali tengon sempre vivo l'incendio della guerra. (E sembrano), montagne galleggianti su l’acqua, le quali apprestano a’leoni folte macchie di aste brune e di affilati brandi. (Ovver destrieri) morelli che nuotando recano sul dosso i cavalieri della bat- taglia; destrieri che vanno allo scontro senz’altra bardatura che de’teli di feltro. (Navigli?) muniti di due archi, pronti a scagliare da entrambi gli strali mor- tiferi che percotendo passano fuor fuora. E lanciano della nafta il cui fuoco è nel suo fumo e reca morte di tal guisa che la rossa torna alla nera (*). Diresti vi s’ oda il sospiro della Gehenna che vien fuori svincolandosi con vio- lenza da’tubi». I) Negli ultimi anni della sua vita, indirizzandosi ad Hasan-ibn-Ali-ibn-Iehia esaltato il 1121, del quale egli avea lodato l’avolo al suo tempo, chiama eroe quel giova- netto che poi abbandonò vergognosamente la capitale all’armata siciliana, e tra gli altri vanti gli dà questo (°): « Hai tu fatte costruire delle galee che volano e (pure) hai fabbricate su l’acqua (proprio) della città; Con torri di combattimento che sembrano monticelli per l'altezza de’ loro pinacoli; Le quali (navi) scagliano delle torri ("); sì che cogliendo il nemico gli squar- ciano le viscere. E (gittano) nafta bianca che sembra acqua e pur con essa s’appicca il fuoco». To non dimentico, dotti colleghi, che ne’testi dei quali vi ho presentata la ver- sione va fatta una tara pel vezzo della metafora orientale e per la elasticità del linguaggio poetico. Inoltre nella interpretazione di cotesti e degli altri luoghi citati è da camminare guardingo per l’incertezza che ci possono presentare i vocaboli tecnici: la qual cautela vuolsi anco usare ne’passi degli autori bizantini di già citati. (1) Append. p. 18. (2) Obeid-Allah, detto il Mehdi, fondatore della dinastia fatemita, venuto dall’ estreme regioni orientali dell'impero musulmano, fabbricò di pianta, in cinque anni, dal 915 al 920, la capitale del nuovo Stato occidentale, della quale ei gittò la prima pietra nell’ istante più propizio che gli suggeriva l’astrologia. Del rimanente quell’impostore non mancò di vera scienza. Narrano le croniche che non trovandosi bilance da pesar le massicce porte di ferro della nuova città, il Mehdi le fece caricare sopra una harcaccia, segnò fin dove essa affondava, e poi, tolte le porte, vi sostituì tanta zavorra da arrivare alla medesima linea d’immersione e fece pesare la zavorra con le bilance ordinarie. (?) Cioè si muore insieme di ferite e d’asfissia. (") Append. p. 4l. (9) Cioè de’massi grandi quanto una torre. Sg Ora evitando con ogni cura così fatti scogli, mi par si possa conchiudere che i fuochi da guerra usati dal navilio musulmano di Sicilia allo scorcio dell'XI secolo e da quello dell’Affrica propria nella prima quarta parte del XII, presentino non so- lamente i caratteri del fuoco così detto greco descritto dagli autori Bizantini tra il X e il XIII secolo, ma anche gli effetti de’ fuochi volanti con che combatteano i Musulmani di Siria ed Egitto nel XIII secolo. Il fuoco greco si lanciava per un tubo (otewy) ricoperto di bronzo o rame (yadxos) come scrissero Leone il filosofo, Costantino Porfirogenito, ed Anna Comnena: ed ecco ne’nostri squarci, A, F, MH il fuoco ch’esce da tubi: tubi di bronzo o rame (in arabico nohds) soggiungesi in F; mentre in Cla stessa idea è resa dai tannar somiglianti a crateri di vulcano. Quel vocabolo che vuol dir fornello, ed era di terra nei tempi classici, è passato nel dialetto siciliano col significato di fornelletto portatile di ferro. Sembra che al tempo d’Ibn-Hamdîs avesse già cotesto significato. Il tuono di Leone è ripetuto dal poeta siciliano in G, con l'aggiunta del lampo che accenna anco ad esplosione, e in 7 è chiamato sospiro o gemito della Gehenna. Leone notava il fumo che solea avviluppare la nave colpita: parmi trovarne il riscontro in Ce in G dove Ibn-Hamdîs descrive l’effetto di soffocare il nemico. I fuochi orizzontali o discendenti che faceano tanta maraviglia a’ Pisani, o ad Anna Comnena, sono espressi in A con un lingua di fiamma, o, per tradurre litte- ralmente, col fuoco affilato, uscente dal tubo; e in / la fiamma cacciata dal tubo è descritta col verbo nadhnadh, che si dice propriamente del serpente quando vibra la lingua. La qualità poi de’ veri razzi che non si scorge mai dagli scritti bizantini, ma sì bene nel libro di Hasan-er-Rammàh e negli scritti di Marco Greco, Alberto Magno e Ruggiero Bacone, cioè nella tecnica occidentale dello stesso XIII secolo è descritta chiaramente, s'io mal non m’appongo in A, con l’espressione di « fuoco schietto che uscito da’tubi salisce e s’incurva come i Selàl ». L'immagine del fumo negrò che s’accende, usata da Ibn-Bascîr nello stesso squarcio A, si crederebbe parto di fantasia riscaldata, se Ibn-Hamdîs non la ripetesse in H, affermando che il fuoco stava proprio nel fumo. Que’ due poeti erano coetanei, amici o rivali nella stessa corte e Ibn-Hamdîs non passa per autore scrupoloso in punto di plagi. Pure sembra più verosimile che entrambi abbiano ritratto lo stesso fenomeno, visto con gli occhi proprii o celebrato nel gran dire che si facea in Mehdîa della virtù de’fuochi navali: e il fenomeno sembra questo, che il fuoco correva insieme col fumo come ne’nostri razzi e più dovea parere in quel tempo in cui la celerità dei razzi non agguagliava al certo quella de’nostri. La ferita che apre il fuoco nella strozza de’Barbari accenna anche all'urto di un projottile di que’descritti da Hasan- er-Rammah. Non è da perder parole intorno il supposto fuoco inestinguibile e galleggiante su l'acqua, che appartiene ad una serie di fenomeni meno importante nella storia della polvere; poichè non era mestieri de’ composti nitrosi per produrre quella specie di fuoco. Ma degno è d'attenzione il fatto che le navi da guerra del Mediterraneo, nel XII secolo, si difendeano dal fuoco greco con coperte di feltro. Il Cinnamo narra che il navilio bizantino messosi a inseguire de’ legni veneziani scappati via dal porto CRON di Costantinopoli (1171), lor lanciò invano i fuochi, perch’ essi erano ricoperti di pan- nilani bagnati d'aceto ('). Questo passo serve di comento agli squarci C ed H, ne’ quali Ibn-Hamdîs rassomiglia le galee affricane a fanciulle negre vestite di panni rossi e gialli e a destrieri bardati di feltro. Inoltre uno scrittore arabo d’arte militare citato da M. Reinaud (°) ricorda la nafta mista al balsamo come il sol fuoco capace di bruciare il feltro di cui si coprono i Rum. Questa corazzatura del medio evo era praticata anco nell’Italia meridionale nella seconda metà del XI secolo. Guglielmo di Puglia, descrivendo gli appresti dell’armata normanna, s'intenda l’armata italiana di Napoli, Principato, Calabria, Bari ec. che presentava la battaglia all’armata musul- mana di Sicilia e d’Affrica nell'assedio di Palermo il 1071 (*), dice che i Cristiani, Proque repellendis saxorum vel jaculorum Ictibus, obtectis rubicundis undique Philtris, Ad pugnam veniunt sub conditione virili. Ma dopo ciò che abbiamo notato par che il poeta normanno non abbia saputo del tutto lo scopo di quella difesa. Più notevole ancora pel nostro argomento l’esca o miccia che vogliam dire, alla quale allude Ibn-Hamdîs negli squarci D, £, chiamandola nell’uno il zendd maraviglioso che arde nell’onda; e nell’altra il zendd della specie di que’senza coda. Zendd è propriamente il focile degli Antichi; quello che die’ il nome anatomico alle nostre ossa del braccio e della gamba: un bastoncello di legno la cui estremità si accendea fregandola di forza nella cavità di un’asse preparata apposta. Gli Arabi quando conobbero la pietra focaia la chiamarono anche zendd e poi dettero lo stesso nome all’acciarino ed a tutta la piastrina dell’archibuso, il quale noi col mede- simo procedimento abbiam chiamato fucile. Indi egli è certo che il poeta dava il nome di zendd, indipendentemente dalla forma, a qualunque strumento da far fuoco L'aggettivo ch’io resi «mozzo», e vuol dir propriamente «senza coda», prova che il focile lodato da Ibn-Hamdîs non era già il solito bastoncello, ma un’esca, una mic- cia. E chi ripassa gli scritti di Marco Greco e di Hasan trova la miccia nella tunica ad volandum, e nella tunica ad tonitruum, e nel cartoccino di feltro in forma di doppio cono che si riempiva di un composto di salnitro solfo e carbone e si ponea negli involti di materie incendiarie, sia nitrose anch’ esse o sia resinose, i quali, se- condo la mole, si lanciavano co’ mangani o a mano e vi s’appiccava fuoco pria di scagliarli. Se si voglia anco supporre che non fosse altro che dell’esca vegetale pre- parata, era necessario sempre l’accompagnamento del polverino che levasse fiamma per comunicarla, sia al razzo o sia al recipiente di petrolio, o di materie resinose gittato a galla delle acque o balestrato da’ mangani, come si usava. Secondo le nostre cognizioni pirotecniche parmi che la nafta o qualsivoglia composizione incendiaria diversa dalla polvere e da’trovati della chimica moderna, non possa schizzare da un tubo di metallo fiamma orizzontale sì lunga da appiccare (') Edizione di Parigi, 1670, pag. 165. (2) De t'Arl militaire chez les Arabes, pag. 12 dell'estratto. () Libro III, presso Caruso, Bibl. sicula, I. 119. Egr fuoco a distanza non breve, quale quella di una nave che combatta un’altra senza attaccarvisi. Penso dunque che alcuna composizione nitrosa sia stata adoperata da’ Bizantini come la troviamo in Marco Greco e in Joinville sotto la denomina- zione di fuoco greco ; la quale comprende anche un’altra classe di materie incen- diarie come gli olii minerali o vegetabili, i grassi animali e le resine. I fuochi nitrosi poi e in ispecie il polverino da razzi furono usati dal navilio affricano nel XII secolo, non potendo supporsi diversi da razzi que’che «saliscono e s° incurvano ». Dò un passo innanzi parendomi potersi supporre con fondamento che le due classi di fuoco artificiale fossero state adoperate dall’armata egiziana nell'XI secolo e forse prima. Il Makrizi nel luogo citato ricorda le diecine di migliaia di zarrakdt che arsero nell’incendio al Cairo il 1068 insieme con diecine di migliaia di vasi di nafta. Zarrakah singolare del vocabolo citato or ora, secondo i dizionari arabi significa due cose: una specie di giavellotto, ed «An instrument made of copper or brass for shooting forth naphtha ». Così il Lane, traducendo i lessicografi arabi. Io suppongo che costoro abbiano preso, come tanti altri scrittori di loro gente antichi e moderni, la parte pel tutto ed abbiamo dato il nome di nafta ad ogni maniera di fuoco da guerra; poichè la nafta, di cui v’ha miniere abbondanti in Mesopotamia, fu ab antico adoperata da'Musulmani; si che istituirono il corpo de’Na/fdt negli eserciti loro. Queste zarrakdt mi par che tornino a de’razzi a mano. Il significato -generico dato successivamente al vocabolo nafta che in origine volea dire petrolio, si vede nel <« Vocabulista in Arabico » (*) dove Ignis è spiegato «nafta» e accanto al verbo nafat si legge «ignem excutere ». qui il luogo di rammentare un passo del dottissimo Eustazio arcivescovo di Tessalonica, nel quale è descritto minutamente, anzi diffusamente, l’assedio di quella città, che fu espugnata nel 1185 dall’esercito di Guglielmo II di Sicilia. Eustazio fa parola delle varie genti che militavano sotto le bandiere di Guglielmo , tra le quali egli novera un corpo di Musulmani di Sicilia; fa menzione de’mangani gigan- teschi a’ quali gli assediati dettero, pei terribili effetti di essi, il nome di «figlie del tremuoto», gli stessi forse che compariscono nelle relazioni arabiche dell’assedio d'Alessandria d’Egitto, per le genti di Guglielmo II (1174) e che un secolo appresso veggonsi nel secondo assedio di Messina, maneggiate da’ Saraceni di Lucera sotto il comando di Carlo d’ Angiò (*). Tra le opere degli ingegneri militari contro Tessa- lonica, Eustazio dice degli artefici che s’affaticavano a rovesciar il muro di cinta «stipando in insidiose fosse» del ovpgetos. Cotesta voce, che nella edizione di Bonn fu tradotta per supposizione su/phur, significa propriamente spazzatura e « pulvis stercoribus commixtus», o come dicono in Toscana « polveraccio ». Notisi che Marco Greco chiama ripetutamente pulvis la composizione da razzi a’ quali ei dà il nome di ignis volans, tunica ad volandum, tunica ad tonitruum : e ricordisi che x l’operadi Marco Greco è stata collocata al principio del XIII secolo per mera (!) Pubblicato da C. Schiaparelli, Firenze, 1871, pag. 420, e 206. (2) Ne ho fatta parola nella Storia del Vespro Siciliano, ediz. del 1866,I. 281. citando in una nota che corre fino alla pag. 283 parecchi diplomi dell'Archivio Angioino di Napoli, dati il 23 aprile e il 6 maggio 1284. SS conghiettura, ma potrebbe benissimo risalire, molto più su. Occorrendomi di far uso di questo passo d’ Eustazio nella mia Storia de’ Musulmani di Sicilia, e parendomi che il Brockhoff, traduttore latino della edizione di Bonn, avea ragione nel con- cetto e torto nella conchiusione, ebbi ricorso al professore Domenico Comparetti, che mi può far da maestro in greco e in molti altri studi. Il quale, cortesemente rispondendomi , sostenne doversi qui intendere «il polveraccio » del testo greco de’ pezzetti o trucioli di legno da appiccarvi il fuoco perchè abbruciassero le travi poste a sostegno della mina, come insegnarono i poliorectici dell’ antichità. Ma ricor- dando gli Arabi e un codice latino del nostro Paolo Santini posseduto dalla Bibl. di Parigi, nel quale è la figura e la spiegazione di una mina anteriore al XV se- colo (‘); riflettendo anche sulla rettorica di Eustazio, il quale non avrebbe fatti stivare (rAncovtas dice Eustazio degli artefici che riempivano il cunicolo) i trucioli per bru- ciare i sostegni, mi corse per la mente che si potesse trattare nel caso nostro di una mina fatta con polverino da razzo e che tale significato dovesse darsi a cUpgetòs. Tale opinione annunziai insieme con quella del Comparetti, nella citata Storia de’ Mu- sulmani, III. 539: e non dispero che qualche altro scritto venga alla luce a dimo- strare il vero significato di cvpgetos nel linguaggio tecnico de’ Bizantini. Infine alcuni diplomi angioini del XII[ secolo, in una serie interminabile di ap- pellazioni d’armi, munizioni ed attrezzi navali, citano de'fuochi da guerra. In uno del 18 dicembre 1280, che il Minieri Riccio ha pubblicato non è guari (Grandi Ufiziali del Regno di Sicilia p. 59 ) leggesi, tra tante diverse munizioni, l’égnis silvestris. Per un altro diploma dell’11 maggio 1284, del quale lo stesso sig. Mi- nieri ha fatta menzione nel suo Diario Angioino dal 4 gennaro 1284 al 7 gen- naro 1285 ec. p. 26, il principe di Salerno, apprestandosi a portar in Sicilia la guerra che lo fe’cascare in men d’un mese nelle mani di Ruggier Loria, ordinava al capitano di Castel Capuano di Napoli che consegnasse all’ammiraglio Jacopo de Brusson, tra le altre cose, cannucolas pro proiciendo igne silvestri; il qual diploma è replicato con varianti e con la data del 12 maggio in un altro registro angioino ch'io citai nella mia storia del Vespro Siciliano (*). Donde venga la denomina- zione d’ignis silvestris nol so: le « cannelle » con le quali si lanciava sembra fossero i tubi a mano di cui Anna Comnena e le zarrakdt del Cairo, non che la tunica ad volandum di Marco Greco, i quali lo replico non so immaginare altrimenti che come veri razzi da guerra. Sembra continuata così in Napoli sino allo scorcio del XIII secolo, cioè alla vigilia dell’uso delle artiglierie in Firenze, una tradizione tecnica, della quale si vede un vestigio nell’esercito siciliano il 1185; nel navilio affricano il 1120 o in quel torno e nello egiziano verso la metà dell’XI secolo. E il filo della tradizione tesnica sarebbe un solo; poichè il navilio egiziano l'avrebbe ereditata da quello d’Affrica quando vi passarono i Fatemiti di Mehdîa: e i Musulmani di Sicilia soggetti a quella dinastia medesima avrebbero attinto alla medesima fonte. Ed ove si torni a memoria la copia (1) Si vegga la figura di questa mina nell'opera di Reinaud et Favé, pag. 278, 279 e nella tavola VII. (2) Edizione citata, I. 282. nella nota che comincia dalla pagina precedente. Le di dottrine meccaniche e fisiche recate in Affrica dal Mehedi, fondatore della dinastia fatemita nel 910, non parrà inverosimile di riferire a lui l’introduzione di quello antico trovato, il quale si sa di certo venuto dall’estremo oriente nell'Asia anteriore e suc- cessivamente perfezionato nel bacino del Mediterraneo. Alla fine della tornata nella quale lessi questa memoria, il mio antico amico, il socio professor Govi, m’ avvertì che non gli parevano bastantemente dimostrate le mie conchiusioni. Pregato dunque a farmi conoscere la difficoltà ch’ ei vi incon- trasse, è venuto notandole qua e là nelle bozze di stampa ch'io gli ho sottoposte. La somma delle sue considerazioni è questa. La denominazione di fuoco liquido usata da Costantino Porfirogenito gli fa supporre che si tratti di nafta più tosto che di composti nitrosi. Nei poeti arabi ei trova precisamente il nome di nafta, e talvolta la spiegazione di nafta bianca come l’acqua: e gli effetti del fuoco greco e del musulmano, sì come ci descrivono da una parte i Bizantini e dall’altra gli Arabi, gli par si adattino alla nafta, molto meglio che alla materia da razzi. Ei ricorda che la nafta non preparata sviluppa de’ carburi d’idrogeno molto volatili e facil- mente accensibili; quelli appunto che, nei primi anni ne’ quali la presente gene- razione cominciò ad usare i lumi a petrolio, davan luogo non di rado alle detona- zioni; le quali or si sono evitate adoperando del petrolio distillato. Indi dice il pro- fessor Govi, per la mescolanza di quei vapori coll’aria, i lampi e gli -scoppi, citati sì da Leone e sì da’ poeti arabi. Le canne metalliche e le lingue o serpenti di fuoco che ne uscivano, delle fiamme cioè spinte con tale veemenza da seguire per un certo tratto la direzione dell’asse del tubo, poteano prodursi agevolmente, così pensa il Govi, da una specie di eolipila, nella quale fosse riscaldata la nafta, ponendo poi fuoco allo schizzo di vapore che ne usciva. Il fumo negro e soffocante di che si dice nelle descrizioni, conviene meglio alla nafta, osserva il Govi, che ai composti nitrosi. I fornelli poi fumanti su le navi come crateri di vulcano (C) gli sembrano indizio del processo di porre la nafta in una storta di metallo che cacciasse fuori dal becco la terribile lingua di fiamma. Dopo le osservazioni d’uno scienziato e d’un amico come ii Govi, convien di certo abbassare il tono delle mie conchiusioni; e lo fo senza rammarico. Pure l’amor della verità che tutti ci guida, mi suggerisce qualche difficoltà all'ipotesi del Govi; nè voglio tacerla. La prima cosa noterò gli ostacoli tecnici e i grandi pericoli che doveano im- pedire la immaginata volatilizzazione della nafta su la prora delle navi, in mare sovente agitato e in faccia al nemico. Come si potea fare a tener sempre sul fuoco il corpo della storta metallica, il becco fuor della nave ed a volgerlo su, giù e dalle parti? Si aggiunga che la tensione del vapor della nafta riscaldata non mi par che si potesse tanto forzare da produrre una lingua di fiamma sì potente da bruciar la nave nemica, nemmeno a un metro di distanza. Or ad un metro si potea gittare il fuoco senza tanti ordegni più spiccio e più sicuro. Ma supposto pure il felice scioglimento di ogni difficoltà per le grosse canne da fuoco piantate su le navi, ne rimarrebbe una insuperabile pei piccoli tubi da lanciare a mano. In questi non si poteva usar la nafta riscaldata; conveniva riempirli di combustibile solido. Or ciò ammesso, perchè rigettare l’idea che il gran fuoco navale fosse simile a questo dei oe piccoli tubi, che potremmo chiamare razzi senza andare incontro ad impossibilità, nè ad inverosimiglianza di sorta! E mi fermo qui, non volendo riesaminare d’una in una le citazioni e i ragio- namenti che si leggono nelle opere citate, quelle sopratutto di Reinaud e Favé, e riscontrarle co’ nuovi testi e argomenti offerti nella presente memoria. In vece di questa, sarebbe mestieri un libro, che io per ora non ho tempo nè voglia di scrivere. Presento dunque a’ dotti i nuovi attestati degli scrittori dell'XI e XII secolo per quel che valgano; con la speranza che possano invogliar altri a nuove ricerche negli scritti greci, arabici e latini di quei secoli. Roma 7 febbraio 1876 i Di un nostro maggiore ossia di Cassiano Dal Pozzo il Giovine. Comunicazione Accademica del socio DOMENICO CARUTTI letta nella seduta del 16 gennaio 1876. Sarà forse di buon augurio il presentare in queste prime adunate della rin- novata Accademia un libriccino che rammemora colle debite lodi un dotto e chiaro nostro antenato, per natali piemontese, il quale nel secolo XVII le reliquie della Società del principe Federico Cesi raccolse pietoso , mentre oggi un uomo della provincia stessa tiene il vanto, come già fu detto, di averla ampliata e a nuove fortune invitata. Senza di che parrà dicevole che nella nuova nostra Classe, la quale allo studio dell’antichità greca e romana darà opera attenta, si rinffeschi la me- moria di gentil signore, che nel radunare, difendere e illustrare i classici monumenti spese la miglior parte del viver suo. Tl libretto di cui parlo, viene dalla Olanda. Al qual nome i Colleghi ricor- deranno del sicuro come nel Quadrumvirato del 1603, il quale poco appresso ricevea splendore dal nome di Galileo, noverasi il dottore Giovanni Eckio di Deventer ('). Veramente la memoria delle relazioni fra l’Italia e l’Olanda a questa seconda non torna sempre allegra. Alessandro Farnese e Ambrogio Spinola, glorie della milizia italiana, mantengono verdi le ricordanze delle calamità e dei furori religiosi, di cui quelle nostre spade furono ministre. Il Cardinale Bentivoglio, scrittore insigne, e Famiano Strada, latinista a suoi dì cotanto celebrato, oggi sbattuto assai, sono sto- rici che a quei popoli, combattenti per la loro franchezza di Stato e di Fede, debbono meritamente dispiacere. Bene essi tengono in pregio Lodovico Guicciardini e la sua Descrizione di tutti î Paesi Bassi, altrimenti detti Germania Inferiore, stampata in Anversa nel 1567 e più volte ristampata. Certamente, quanto ai Principi, non sareb- bero senza onore il nome di Emanuele Filiberto e quello più antico e meno noto di Tommaso di Savoja conte di Fiandra, se quei due nostri Reali avessero dimorato più nella Neerlandia che nel Belgio presenti. Ma non dimenticate e non dimentica- bili sono le relazioni letterarie che nel secolo XVII e XVIII passarono fra i due paesi, e delle quali discorrere sarebbe troppo lungo e non di questo momento. (‘) È noto che Federico Cesi, Francesco Stelluti, Anastasio de Filiis e Giovanni Eckio fonda- rono l’ Accademia dei Lincei nel 1603; Galileo Galilei vi fu ascritto nel 1611. Essa è oggidì la più antica delle scientifiche società di Europa. L'Accademia del Cimento, ideata nel 1651 a imita- zione della Lincea, fu aperta il 19 di Giugno 1657; l'Accademia Reale francese nel 1666, quella di Londra nel 1660, quella di Berlino nel 1700; quella di Vienna nel 1705, quella di Torino nel 1757. La Crusca le precede tutte (1582). PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.2 3 ai A chi mi ascolta non è mestieri ricordare le benemerenze dell’Olandese Niccolò Heinsio verso le lettere latine. Non avvi quasi scrittore romano, cui, ora per un verso ed ora per un altro, ei non abbia giovato o col sussidio dei codici o colle ingegnose congetture, le quali, quando anche non tocchino il segno, indicano la via, o per lo manco te ne scaltriscono, e provano che certi luoghi, o non avvertiti o tal- volta anche lodati, contengono non la sincera scrittura dell’autore, ma lo svarione dell’ amanuense sbadato e mal dotto. Nicolò Heinsio, nato nel 1620, visitò due volte la penisola e vi fece non breve dimora; l’ amò come seconda patria, ne conobbe gli uomini eruditi, attinse alla loro dottrina. Poetò anche in latino, e sebbene in Italia, la quale vanta schiera così nu- merosa d’ ingegni in codesta arte eccellenti, non siano di molto conosciute le cose di lui, nondimeno voglionsi annoverare fra le notabili. Parla in lui di frequente il cittadino di una patria che erasi gloriosamente sot- tratta al giogo spagnuolo e vendicata in quella feconda libertà che da tre secoli mantiene, disposandola all’ ordine, alla stabilità delle istituzioni, al culto delle scienze, delle lettere e delle arti. Non sia disgradita una breve citazione in quella lingua che è pure nostra, e che imperò su questo colle ((Stet Capitolium fulgens!).Il poeta olandese piglia commiato dall’Italia e ritorna alle pianure purperee ancora del sangue versato nelle battaglie, durate ottant’ anni, contro alla sformata monarchia ispana, e coronate dalla pace di Vestfalia. Poscimur in patriam : patrià jam vivere tempus. Huc vocor invitus, terra Latina, vale...... Nunc Batavae Dryades, qua desidis ultima Rheni Non bene caeruleis stagna negantur acquis, Lugdunum spatiosa suis nunc induet ulnis. Illa mihi patria est, nec pudet illa domus. Quam sua Libertas, dominis obnisa lupatis, Haud tulit Asturio subdere colla jugo. Nec Ganda Heinsiacis memoraberis unica cunis. Dî melius! famula non ego natus humo. Nutriat inflatos tibi pinguis Iberia vates. Hos fac suspicias: hinc tibi plausus eat. Parcior ingeniis servilibus adflat Apollo Pectora : totus agit libera corda Deus. Del suo affetto per l’Italia fanno fede i due libri delle elegie da lui pubblicati, il primo a Padova nel 1648, l’altro a Leida nel1653//talica sive elegiarum liber alter. — Italicorum liber secundus, sive elegiarum liber tertius). Nel 1666 vennero ristam- pati ad Amsterdam con altre composizioni dell’autore. Dopo la morte sua se ne trovò un esemplare con molte correzioni marginali, e Pietro Burman, al tempo suo, disegnava pubblicarle; il che non potè poi. L’esemplare coi pentimenti di mano dell’Heinsio andò smarrito, ma una copia, fatta dal Burman, giaceva in una pri- vata biblioteca di Amsterdam. Il dotto professore Giovanni Cornelio Gerardo Boot, Coe continuatore di quella insigne scuola Olandese che per quasi due secoli tenne le prime parti nelle filologiche discipline, la discoprì, ne intraprese e compì la ristampa in ni- dito volumetto ( NICOLAI HEINSII ITALICA £ poematum editione elzeviriana a pocta passim correcta edidit F. C. G. BOOT. Amstelodami MDLXXII ), premetten- dovi questa dedica: Italiae — poeseos Latinae matri — novam recensionem ele- giarum — elegantis poetae Batavi — amoris sui testem — grati animi arrham — mittit — Joannes Cornelius Gerardus Boot. II. Il secondo libro delle elegie fu dedicato dall’Heinsio al fiorentino Carlo Dati; il primo a Cassiano Dal Pozzo il Giovine, uno dei nostri illustri maggiori ('). I Dal Pozzo sono antica casata di Biella, contemporanea ai Ferreri-Lamarmora; ebbero autorità e grado nella città, quando reggevasi a Comune, e nel secolo XVI, dopo Antonio, Capitano dei cavalli e scudiero del duca Carlo il Buono, si divisero in due rami. Dal primo discesero Carlo Antonio, Arcivescovo di Pisa e principal ministro del Granduca Ferdinando I; Amedeo, primo marchese di Voghera (1611) e Giacomo, primo principe della Cisterna (1650). Del secondo ramo fu stipite Cassiano Seniore (avolo del nostro Accademico), magistrato, diplomatico e guerriero, il quale molto si versò nei pubblici negozi al tempo di Emanuele Filiberto. Quando nel 1566 il Cardinale Marco Antonio Bobba, Vescovo di Aosta, stato oratore di Savoja al Concilio di Trento, e lodato così dal Sarpi come dal Pallavicino, si ritirò in Roma, levò seco in qualità di segretario il giovane Carlo Antonio Dal Pozzo, già venuto in bella fama di giureconsulto. Era il Cardinal Bobba in molta intrinsichezza col Cardinale Ferdinando de’ Medici, a cui presentò e commendò il Dal Pozzo. Per interponimento di Ferdinando, il Granduca Francesco I chiamò Carlo Antonio a Firenze e lo nominò Giudice della Ruota, quindi Auditor Fiscale. Più tardi avendo egli mostrato inclinazione per lo stato ecclesiastico, il Cardinal Ferdinando gli procurò la elezione all’Arcivescovado di Pisa; e siccome non avea gli ordini sacri, ne fu tosto insignito; onde, dismessa la carica giudiziaria, fu nell’anno stesso sacerdote e Arci- vescovo (1582). Morto nel 1587 il Granduca Francesco I senza prole, gli succedette il Cardinale Ferdinando. Volle seco a Firenze l'Arcivescovo Carlo Antonio e gli affidò gran parte del reggimento (*). « L’Arcivescovo (scrive il Galuzzi nella storia del Gran- ducato) come profondo legale ed intelligente degli affari di Stato, dirigeva princi- palmente il Granduca nelle risoluzioni di giustizia e nella conservazione dei propri diritti (")». Chiamò a Firenze il cugino germano Antonio Dal Pozzo che professava diritto criminale a Torino, e Ferdinando I lo nominò Auditore delle Bande. Chiamòd pure a sè Cassiano il Giovine, figliuolo di Antonio, di sette in otto anni. Tennelo a (') Lo chiamo Cassiano il Giovine per distinguerlo dall'avolo suo, chiaro nella storia del Piemonte per altri rispetti. Di Cassiano Dal Pozzo Seniore, come di tanti altri egregi uomini di Stato Subalpini che fiorirono dal XVI al principio del XIX secolo, manca una buona biografia. (2) V. TINIvELLI, Biografia Piemontese, Decade seconda: Vita di Carlo Antonio Dal Pozzo, Arci- vescovo di Pisa. Torino, 1785. (*) GALUZZI, lib. 5, cap. 12. 0 studio a Bologna e a Pisa, dove si addottorò in leggi quasi ancor sedicenne. Ho ricordati questi fatti, acciocchè si scorga di qual maniera questi Dal Pozzo capitarono in Toscana. Nel 1606 il nostro Cassiano si ricondusse in Piemonte, dove per alcuni mesi si esercitò nelle cause forensi dinanzi al Senato torinese; indi ritornò in Toscana. Fu in così fresca età nominato giudice Ordinario a Siena e vi rimase sino al 1611. Ma l’Arcivescovo era morto nel 1607, Ferdinando I nel 1609; mancatigli i due pro- tettori, nulla più trattenevalo in Toscana. Il perchè, mosso dall’ amor degli studi, trasse a Roma; e qui si affinò quel suo culto verso le scienze, le lettere e le arti e ogni maniera di classica erudizione per cui venne di poi in grido presso i con- temporanei suoi. Visitò Napoli; strinse amicizie illustri, incontrò protettori nuovi. Fu dimestico coi Barberini, e servì nella Corte del Cardinal Francesco; lo accompagnò nelle Legazioni di Francia e Spagna del 1625 e 1626; infermò a Barcellona (*). Della Legazione di Francia scrisse la Relazione (*). Ritornato a Roma cominciarono quelle sue benemerenze in prò de’ buoni studi che sappiamo. Urbano VIII (Maffeo Bar- berini) gli conferì prima l’abbazia di S. Angelo in Tropea, poi nel 1641 quella di Cahorre, come trovo scritto, ma forse dee leggersi Caborre, dal latino Caburrum, che, a quei dì e dopo ancora, dicevasi volgarmente Cavorre, finchè prese la termi- nazione francese di Cavour, nome oggi chiaro al mondo. Madame Reale duchessa reggente di Savoja, cui non garbava che il Pontefice conferisse i benefizi del Pie- monte a sua posta contra l’Indulto di Nicolò V e il diritto dello Stato, ne fece qualche protesto; di che il Dal Pozzo con Monsignor Brizio, Vescovo di Alba, dicea: « Che avea la sua famiglia servito sempre con puntualissima fede ed affetto la Casa di Savoja; avea egli medesimo perso un fratello in suo servizio sotto il primo assedio di Verrua, avere in questa Corte (romana) servito con assai affe- zione, con rispetto gli ambasciatori di S. A. R....., essersi intromesso in casì gra- vissimi in loro servitù, aver tenuto per loro e suoi dipendenti sempre la casa aperta (*)....» La Duchessa cessò le opposizioni. Vivea Cassiano Dal Pozzo signorilmente; il suo palazzo posto se non m’in- ganno in Trastevere nella parrocchia di S. Maria, era il convegno di quanti letterati uomini albergava Roma e di quanti la visitassero forestieri. Godeva, oltre alle due abbazie, una buona commenda dell’ordine militare di S. Stefano, fondata nel 1599 dallo zio Arcivescovo in suo favore, e Ferdinando I gli avea dimessa una pensione ecclesiastica assai opulenta, di cui era provveduto quando era Cardinale. Le facoltà (1) Raccolgo questa notizia dal Libro dei Conti della Legazione di Spagna dal 1° Febbraio al 15 ottobre 1626, che conservasi negli Archivi di Stato di Roma. Cassiano era accompagnato da un padre cappuccino, chiamato Francesco, piemontese. (2) Legazione del Sig. Cardinale Barberino in Francia, descritta dal Commendatore Cassiano Dal Pozzo. m. s. della Biblioteca Barberini. V. Appendice N. VI. (?) Lett. del 7 Novembre 1642 alla Duchessa, recata da JAcoPo BERNARDI nella biografia di Cassiano Dal Pozzo ( V. la Rivista Universale di Firenze, 1874), scritta dall’ egregio uomo colla scorta del carteggio puteano. Nel luogo citato del Brizio credo debba leggersi Verrua e non Verona. Il memorabile assedio di Verrua al tempo di Carlo Emanuele I seguì nel 1625, nel qual anno cadde Francesco Dal Pozzo, cui qui si accenna. LO paterne crescevangli lustro. Benchè primogenito, non volle torre moglie, nè abbracciò vita ecclesiastica. In gioventù il padre lo sollecitava di continuare la famiglia. « Lodo la risoluzione (gli scriveva) di non entrare in preteria, che è conforme agli ordini di Monsignor nostro; abbiamo bisogno di uomini. Quando vi risolviate, non state ad aspettar le cose che portano lunghezza....... Non fa caso di dote, ma sibbene di nobiltà, e che sia di vita tale che si possa sperar posterità atta poter durare fatiche in armi e lettere; chè io non ho in mente, eccetto che nella famiglia vostra vadano continuando uomini di valore, come sono stati, in armi e lettere.... Si farà una primogenitura, fra il vostro e il mio, d’importanza. Ed io, venga la morte quando vorrà, morirò consolato di vedervi accasato » (Apud Ber- nardi 1. c.). Così pensava il gentiluomo piemontese del secolo XVII. Cassiano nol fece di ciò contento; resistette alle preghiere sue e a quelle della madre; lasciò che il fratello Carlo Antonio che con lui dimorava e coltivava i buoni studi, si accasasse, facendogli donazione di porzione del suo. Monsignor Brizio di lui seri- veva alla Duchessa nella lettera sopra citata: « Non vi essere in questa Corte (romana) Cavaliere piemontese che faccia risplendere la nobiltà di S. A. R. che questi, e che sostenga fra tanti porporati l’ onore della patria, tenendo palazzo e corte da Cardinale (') ». Formò ricco Museo, raccolse copiosa libreria, quadri, e stromenti per isperienze scientifiche, fu largo di sovvenimento e di consigli a chiunque, e dondechè a lui facesse ricorso. Carteggiòd col Galileo, col Campanella, coll’Ughelli, col Torri- celli, col Castelli, col Dati, col Tassoni, col Gronovio, con Giovanni Wesseling, collo Spondano, coll’Heinsio, con quanti dotti viveano a suoi dì. Non fu scrittore; con costume signorile favorì, promosse e diresse molte fatiche. Più di trenta sono le opere a lui dedicate, secondochè registra il Dati. Fu Mecenate di Niccolò Poussin. Da questo e da Pietro Testa fece disegnare le Antichità Romane, grande opera in ventitre volumi in foglio, ora dispersa. Chiamavala il suo « Museo Cartaceo ». Molta la varietà degli studi suoi; tutti li signoreggiava l’amore delle greche e latine me- morie. Avverte il Dati che se era grande amatore e veneratore degli antichi, ciò tuttavia non faceva che «vilipendesse i viventi». Anzi tenevali sommamente in pregio « non essendo in lui l’estimazione regolata dall’affetto, ma sì dal merito (°)». Fece dipingere e tenea nella sua biblioteca i ritratti dei letterati suoi amici, pei quali Gabriele Naudé scrisse gli elogi o epigrammi latini (V. Appendice N.° IV). Degli ampi tesori scientifici che possedeva, non era avaro custode, ma liberale dispensatore: e in certo modo bramava d’indovinare i desiderî altrui per antivenirli. Il Napione non dubitò di affermare che «dopo i Medici non so chi abbia meritate nè conseguite più magnifiche lodi (°). L'essere stato Cassiano uomo privato e le (1) Monsignor Paolo Brizio, Vescovo d’Alba fu autore di una Storia de’ progressi della Chiesa occidentale e di altre opere che il Cibrario giudica infelici « per lo stile e la scarsa arte critica ado- perata ». Morì nel 1644. (2) Delle Lodi del Commendatore Cassiano Dal Pozzo. Orazione di CARLO DATI. In Firenze all'insegna delle Stella 1664 in 4.° Ristampata nelle Prose Morentine, parte I, vol. IV, pag. 182. Erroneamente il Conte De Gregori la dice trascritta dal Fontanini nella sua Biblioteca. Il Fontanini ne parla soltanto come fa delle altre opere, di cui trascrive il titolo. (*) NAPIONE, Dell’uso e dei pregi della Lingua italiana. Torino, 1791. gg abbondevoli testimonianze de’ suoi tempi fanno stimare non iperbolica l’affermazione. Ciò che oggi i governi tentano coi denari del pubblico, facevano allora certi Signori colle facoltà proprie. Aggiungo, cosa non saputa dai biografi, essere egli stato di grande carità verso i miseri, tale che in un documento che allegherò più innanzi, viene detto pater pauperum. Nel 1622 fu ascritto all'Accademia dei Lincei e nel 1626 a quella della Crusca. Entrò pure nell'altra degli Umoristi fondata in Roma verso il 1600 da Paolo Man- cini, patrizio romano (V. TiraBoscHI Storia della Lett. It.), e alla quale appartene- vano il Tassoni, il Guarini, Pallavicino-Sforza, Carlo Dati e Fabio Chigi, che fu poi Alessandro VII. Forse non sarà discaro che io rechi come documento la lettera con cui ringraziò del luogo concessogli nella nostra Società e le mandò il libro della Uccelliera del novarese Olina (V. Appendice N. I). Durante la legazione di Francia (‘) non dimenticava i Lincei. In una sua lettera da Fontanablò dell’agosto 1625 così scrive al principe Cesi: « Di soggetti qui non fo gran scoperte, credo in parte che sia per questo lungo confino di quì, dove non vedendo altro che cortigiani che di poc’altro si curano che della stessa Corte e servir Dame, più non posso trovar quel che vorrei per servizio dell’Accademia. M’è ben venuto un libro d'un autore che, se non stesse in Inghilterra, vorrei facessimo ogni opera di averlo dalla nostra; questo è quello che mandò in istampa i Saggi Morali e De Sapientia Veterum, Francesco Bacone; il quale più fa ha messo fuora un’ opera De Dignitate et Augu- mentis Scientiarum, opera gentilissima, e da farne molto profitto per l’avanzamento delle speculazioni in tutte le scienze, perchè sveglia bellissimi punti (*)». Durante la Legazione di Spagna trasse copia delle Relazioni del medico Hernandez sulla Storia Naturale del Messico, e le donò ai Lincei che lavoravano attorno a quell’ opera. Per la morte del principe Cesi (1630) e quindi a cagione dei processi contro al Galileo la Società nostra fu quasi per mancare (*). Francesco Stelluti, uno dei quattro fondatori, scriveva a Cassiano: « La nostra Accademia ha preso gran nome e non è bene di abbandonarla; però bisogna pensare ad eleggere un nuovo principe (‘), ma vi è bisogno di aiuto ». E lui pregava che la raccomandasse al Cardinale Francesco Barberini, suo padrone il quale ne pigliasse il principato e la protezione; perchè vedevala «andare in rovina » se le sue ragioni « nen sono abbracciate da potente signore (°)». Ma il Cardinale non accolse l’onesto desiderio, cotalchè Cassiano nel 1632 (4) Il De Gregory (/storia della letteratura Vercellese p. Terza) dice che Cassiano accompagnò nella Legazione il Cardinale Maffeo Barberini, dimenticando che Maffeo era già Urbano VIII fin dal 1623. Parimente chiama Cardinale il principe Federico Cesi. (2) Giornale dei letterati per l’anno MDCCLI. Roma, Pagliarini, 1753; pag. 286. (?) L'Accademia nel 1613 avea pubblicata la Zstoria e Dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti di Galileo; Roma appresso Giacomo Mascardi, in 4.° Nel 1622 pubblicò pure Il Sag- giatore, Roma appresso Giacomo Mascardi in 4.° (4) «Principe » chiamavasi il capo o presidente dei Lincei negli antichi Statuti accademici del 1614: Consessus Lynceorum princeps. Vedi Praescripliones Lynceae Academiae, curante Ioanne Fabro Iynceo etc. prelo subjectae. Leggonsi nell'opera dell’Odescalchi. (°) Lett. del 17 Agosto 1630. V. Memorie Istorico-Criliche dell’ Accademia de' Lincei e del prin- cipe Federico Cesi ele, raccolte e scritte da D. Baldassare Odescalchi. Roma, 1806. RNA comperò dalla vedova Cesi la libreria del defunto, guardò i manoscritti e le carte Accademiche, preservandole dal peggio. « Accogliendo, scrive il Dati contemporaneo, senza alcun riguardo di spesa nel suo museo le memorie e gli scritti, e nel suo cuore i disegni e i pensieri di così dotta adunanza, prorogò ad essa, che già languiva, pietosamente la vita: anzi assicurandola dai futuri accidenti, con la virtù propria la fe’ divenire immortale ». Queste parole di un testimonio oculare, che stampavale nel 1664, dimostrano che l’Accademia non perì nel 1630 e neppure nel 1651, ma continuò per molti anni ancora; papa Lambertini la rinnovò nel 1740 ('). Del poco che ne rimane degli antichi suoi atti, si può a ogni modo affermare che siamo debitori a Cassiano Dal Pozzo. Fu suo erede il fratello Carlo Antonio, stato tre volte Console Capitolino in Roma e Capitano delle milizie del popolo Romano nel 1642 per quella ridevole guerra di Castro che fe’ piangere Urbano VIII. Come Console, pose il suo nome sotto la lapide che ancora sta nel museo Capitolino in memoria della liberazione di Vienna nel 1683. Amò egli pure gli studi, conservò le raccolte del fratello, e le trasmise al figliuolo Gabriele, stato anch’esso Console Capitolino. Da lui ereditò Cosimo Antonio suo figlio, in cui si estinsero i Dal Pozzo stanziati in Roma, e il quale nel 1703 alienò il museo, i quadri e la libreria di Cassiano. Trapassarono in Casa Albani; di poi andarono dispersi, anzi in buona parte affondati in mare (°). Il carteggio epistolare fu nel 1856 comperato da Emanuele Dal Pozzo principe della Cisterna. Tre volumi già erano iti a Mompellieri dove stanno nella biblioteca della Facoltà Medica; trent' otto sono conservati a Torino negli Archivi di S. A. R. la duchessa di Aosta, figliuvola del principe Emanuele ed ultima discendente della nobile stirpe dei Dal Pozzo. Questa ricca miniera già si esplora e ancora sarà esplorata dagli studiosi (*). Io non ho inteso di ragionare del nostro Accademico; chè il dirne conveniente- mente domanderebbe più tempo e più studii; volli solamente aprirmi la via a leggere il ritratto che Niccolò Heinsio nella dedica delle sue Elegie scrisse dell’uomo che Carlo Dati in sua lettera chiamava « unico delle lettere presidio e decoro in Italia ». Ed eccolo: « Quoties recordor tui, recordor autem saepenumero, toties occurrit menti pul- cherrima virtutum omnium imago. Contemplari quidem videor Romanos illos ve- teres incorruptae probitatis erempla: quorum genuinas reliquias în te venerantur, quotquot virtuti student. Accedit huc de antiquitate, deque universo reconditae eru- ditionis nomine bene merendi prolira et pervica® voluntas. Accedit ambientis (1) È noto che cessò dopo Benedetto XIV; che risorse nel 1801 per opera del benemerito Abate Feliciano Scarpellini. (2) Comperati, anni or sono, dalla Prussia e imbarcati, la nave affondò nelle acque presso Ci- vitavecchia. (*) Oltre alla biografia del Bernardi sopra citata, uscirono poc’ anzi le Notizie sulla vita di Cassiano Dal Pozzo, con alcuni ricordi e una Centuria di lettere, per GIACOMO LUMBROSO , To- rino, 1875. Estratto dal Vol. XV della Miscellanea di Storia Italiana. Nelle diligenti sue Notizie il sig. Lumbroso indica i nomi degli scrittori delle lettere contenute nei trent’ otto volumi di Torino e nei tre di Mompellieri che egli consultò. Ro l'ortunae contemia animus, et sapientiae pracceptis ad miraculum usque instructus. Domum illam tuam, pro sacrario Apollinis sui, quotidie terunt, quicquid Romae litteratorum vivit hominum, aut quicquid Romam Transalpinis ex oris concurrit. Statuarum ac marmorum quorumeumque mihil est, nulla propemodum ex priscis ruinis relicta monumenta sunt, aut în lucem de novo proferuntur, quae non tuis sumtibus describi depingique cures, verus vetustatis Sospitator, Conservator unicus. Nec in vivos minor tua liberalitas. Aegre profecto persuaderi mihi patiar, ex eru- ditioribus per Italiam universam inveniri quemquam, quem non beneficiis frequen- tibus ac tantum non continuis et sis demeritus jam olim, et nunc quoque de die in diem sedulus demereare (*) ». Non vuolsi attribuire a figura rettorica quel Fortunae contemtor animus; con- ciossiachè il Dal Pozzo, da tutti predicato per Cardinale, nè da Urbano VITI nè da Alessandro VII, suoi amici e fautori, ebbe il Cappello o altro grado; nè il chiese. La madre che avrebbelo voluto «vedere al primo onore del mondo», gli scriveva un giorno: «per me resto confusa, atteso tutti quelli che capitano quà mi hanno sempre detto che farete una gran riuscita, e sino a ora non so veder nulla (lett. citata dal Bernardi)». Credo che Cassiano somigliasse a Pomponio Attico, il quale, tanto autorevole nelle cose pubbliche e dei più alti magistrati stimato degno, « neque tamen se civilibus Aluctibus committeret, quod non magis eos in sua potestate ext- stimabat esse qui se his dedissent, quam qui maritimis jactaretur... Qua in re non solum dignitati serviebat, sed etiam tranquillitati (*)». Alle ricchezze non soggettò l’animo e quando gli fu gravata la commenda di S. Stefano di una pensione di mille scudi annui in favore di un suo parente, scrisse a Fabio Chigi: « Colui mi torrà quei danari; piacendo però a Sua Divina Maestà, non mi torrà la quiete, che mi fa star contento col poco; e mi pare molto più appetibile che il molto senz’essa ». (17 Marzo 1640). Il Dati con frasi coperte ci fa comprendere perchè ei non salisse alto; era schietto e libero nella sua bontà. « La libertà dei buoni, osserva il fiorentino, cagiona nel cuor di taluno bene spesso timore, e il timore malavoglienza, perchè chi si teme non si ama, spezialmente da chi scorge nell’ altrui vita un’assidua censura de’ suoi difetti». Fu deputato Cavaliere d’onore presso Ferdinando II di Toscana, presso Vladislao di Polonia, allorchè vennero in Roma; e nientealtro. Fu ancora dal Cardinal Francesco mandato a complire il duca Odoardo Farnese di Parma, allorchè nel 1639 capitò improvviso a Caprarola e quindi venne a Roma, facendo dipoi quella famosa sua visita di commiato, che mise sì grande spavento nel Papa e nei Cardinali (*). Non fu amico solo della ventura; e il mostrò quando i (4) Viro in exemplo saeculi nato CASSIANO PUTEANO, Equestris, qui Divo Stephano sacer, Or- dinis Commendatori, Abbati Caburrensi, NICOLAUS HEINSIUS D. D. Palavii. Pridie Kal. Januarias anni M.DXLVIII. Le lettere di Cassiano Dal Pozzo a N. Heinsio trovansi nei volumi XX e XXI del Carteggio presso gli Archivi della Duchessa di Aosta; nei volumi seguenti quelle dell’Heinsio scritte da Leida, Napoli, Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Milano, Parigi, Amsterdam ete. (2) CorNELIUS NEPOS, Atticus, 6. (*) Nolizia della famiglia Boccapaduli patrizia romana ordinata e distesa da Marco Ubaldo Ricci, Roma, 1762. pag. 524. — 95 Barberini e il Cardinal Padrone furono battuti dalla tempesta. Ne ammiravano in Roma, e lodavalo Fabio Chigi divenuto Alessandro VII. Se i detti onori vivo gli mancarono, incontrò dopo morto quello di avere l’ elogio scritto da Carlo Dati. Il Fontanini, men- tovando nella sua Biblioteca quella orazione, reca il passo di Plinio il giovane, ap- plicandolo al Dal Pozzo: Hic supremus felicitatis ejus cumulus accessit, laudator eloquentissimus ('). Fu di soda religione, e amico al Galileo confinato in Arcetri, al Campanella prigioniero o esulante. Niccolò Heinsio notava in lui: Nec minus in- tactd candida corda mive (*). Depongo ora sul tavolo della presidenza un esemplare delle Italica dell’Heinsio, ristampate dal Sig. Boot. Il quale non solo dimostrò l’animo suo verso 1’ Italia nelle varie erudite scritture mandate fuori e nelle parole pronunziate in qualità di rappresentante dell’ Ateneo Romano al Centenario della fondazione della Università di Leida, ma all’ Ateneo Romano e alla sua libreria fece generoso dono della sua preziosa raccolta Tulliana, sì ricca e sì opportuna agli studiosi dell’antica lingua nostra. E già parte di essa è collocata in una sala dell’ Alessandrina colla menzione del donatore; e l’altra parte desidero che ci giunga molto tardi; perchè non ci per- verrà che quando l’ egregio Amsterdamese abbia cessato di servirsene. Io che ebbi la ventura di procurare l’effettuamento del suo gentile pensiero, compio gradito ufficio rendendogli pubblici ringraziamenti. ILL Ma qui terminando m' avveggo che non ho con questa diceria cresciuto dramma al patrimonio della scienza. Il che senza fallo alcuno essendo riprovevole in ogni accademico e in ogni storico, quei che vanno per la maggiore pispiglieranno con gran ragione che io non logorai gli occhi rifrustando sepolti documenti, contento a ciò che sta sul mercato: Quaeque nitent Sacra vilia dona via (*). Dappoichè sono in tempo, rimedierò al difetto; symbolam dabo. Disputasi in che anno Cassiano Dal Pozzo sia nato, in che giorno sia morto , e perciò a quale età sia giunto. Il Bernardi pone i natali di lui al duodecimo giorno di Febbraio 1583, citando una nota manoscritta dello Stelluti trovata fra le carte di Cassiano, nella quale dichiaralo ascritto ai Lincei nel 1622 e nell’anno trente- simonono dell’ età sua. Confortasi ancora dell’ autorità di Carlo Dati che scrisse non avere l’età di Cassiano ecceduto «l’anno settantesimo quarto ». Credendosi che il Nostro sia trapassato nel 1657, lo Stelluti e il Dati con diverso metodo ci mandano in effetto al 1583. Parrebbe potersi stare colla coscienza tranquilla; ma no. Il prin- cipe Baldassare Odescalchi nell’ elenco dei Lincei lo registra ascritto alla Società nel 1622 in età di anni trentaquattro. Il perchè Cassiano non nasce più nel 1583, ma nel 1588. Il Sig. Lumbroso poi lo dice nato «nel 1589 o 1590 ». (‘) Il Fontanini dice la Orazione del Dati « lunga, ma altrettanto egregia. » V. Biblioteca del- l’eloquenza italiana di Monsignor Giusto Fontanini Arcivescovo di Ancira con le Annotazioni del signor Apostolo Zeno etc. Venezia, 1753. (2) ITALICA Lib. I. el. Xl. Ad Cassianum Puteanum, (*) PROPERTIUS, Lib. II. PARTE TERZA — Von. III. — SERIE 2,3 4 > VG — Disputasi ancora della patria. Il Dati, il Fontanini, Apostolo Zeno, il Napione e il Conte De Gregori, autore della Storia della letteratura Vercellese, io dicono nato a To- rino (‘); torinese lo fa un recente illustratore di Biella e di casa Dal pozzo (*); nei libri mortuari vien detto Torinese, e tale lo pone il Sig. Lumbroso. Altri in quel cambio lo vorrebbero nativo di Biella. Il Bernardi dapprima lo afferma di Vercelli, ma poi si corregge e dice che forse nacque in quella città. Veramente intorno a questo capo Antonio Dal Pozzo, padre dell’Accademico nostro, in una sua lettera del 13 di Giugno 1615 ci ammonisce: « Non possono ignorare che io sia suddito del Duca di Savoia, perchè tutte le procure cantano che io sono di Vercelli » (Apud BERNARDI 1. c.) (*). Se non che il padre nato a Vercelli non prova punto che il figliuolo vi sia egli pure nato. Inoltre trovo che Antonio, il quale si canta di Vercelli, fu ascritto al Col- legio de’ legisti come Torinese (‘).Chi adunque sopra la patria di Omero sentenzierà fra” Vercellesi, Biellesi e Torinesi? Chi sopra l’anno della nascita pronunzierà fra lo Stel- luti, il Dati, 1’ Odescalchi, il De Gregori e i due recenti biografi? Non essendosi finora trovata la fede di battesimo, sarebbe di mestieri interrogare Cassiano stesso , il quale scioglierebbe il nodo. Io pensai di addimandarnelo; ed egli, per somma umanità di Collega, soddisfece alla mia inchiesta umile, certificandomi, con codicillo di suo pu- gno, del quando fu inanellato Linceo ("): Cassianus Puteus Lynceus Ant'' Fil. Ver- cell anno aet8 meae trigesimo quarto Sali Millo Sexcent"® Viges"° secundo. Manw propria. — Chi non mi credesse in parola, consulti il Linceografo (°). Odo per altro il nostro presidente Quintino Sella obbiettarmi quì che Vercel- lensis può indicare la Diocesi, alla quale Biella appartenne sino alla metà dello scorso secolo, e non il vero luogo natio. Il Mullatera che non nomina Cassiano fra gli illustri biellesi, parlando del B. Giovanni de Mosso detto Vercellese, già notava: «Fu costume nelle Religioni di nominare li voggetti col nome del Convento a cui vanno ascritti, oppure col nome della città principale che è capo della Diocesi sotto cui trassero i loro natali (")». Ma Cassiano Dal Pozzo non apparteneva ad alcuna Religione, non era ascritto ad alcun Convento, non era nemanco prete; non veggo perciò come dovesse nominare la Diocesi in luogo della città donde la sua Casa (!) Istoria della Vercellese letteratura ed Arti. Parte Terza, Torino, Chirio e Mina, 1821. (2) Biella ei Dal Pozzo di G. Masserano, Biella, 1867. (3) Nella chiesa di S Marcello in Roma esisteva questa iscrizione: Gulliermo Puleo Vercelien I. V. D. ac protonota—° Aplico Qui an. actalis suae XL obiit die XXV Augusti M.DXXVII Ioannes De Puteo Canonicus Vercellen fratri suo bene merenti lacrimas posuît. V. Inscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, raccolte e pubblicate da VincENZo FoRcELLA, Roma, 1869. (') De GREGORI, Storia etc. pag. 172. L'iscrizione sulla sua tomba in s. Croce di Firenze non indica la patria: Antonius Cassiani summi praesidis Senalus Pedemont. F. De Putco. (9) Ai primi Lincei il principe Cesi dava l’ anello quasi simbolo d’ investitura. (5) È noto che i primi Lincei, fra i quali il Galilei, scrissero di proprio pugno il loro nome e la patria nel volume che l’ Accademia conserva come rara cosa. (7) MuLLATERA, Memorie cronologiche e corografiche della città di Biella. Biella 1778. > Br — traeva l'origine, se egli vi fosse nato veramente. Di certo così non usarono i suoi maggiori. Conviene pertanto che, a dare quel nuovo significato alla dichiarazione di Cassiano il Giovine e del padre suo, sì presenti l’atto di nascita o altro documento equipollente. Trovo bensì che a Biella nacque Carlo Antonio, il benemerito Arci- vescovo fondatore del Collegio Puteano (‘), e che vi nacque pure Francesco, quel fratello di Cassiano, morto all’assedio di Verrua. Aggiungo finalmente che il padre di Cassiano possedeva casa in Vercelli, non so se da lui o da’ suoi maggiori, com- perata dallo spedale di Pavia. Ed egli, dico il padre, era pur così sollecito del lustro e delle memorie della famiglia, che raccoglieva da ogni banda le epigrafi de’ trapassati e le notizie e le date inseriva in un libriccino che distendeva e di cui parla in una sua lettera al figlio, pubblicata dal Bernardi; ciò nondimeno oggi la posterità non è chiara della terra nativa di lui e dubita di quella del suo figliuolo illustre ! Qualche pietoso cerchi con diligenza a Vercelli, a Torino e a Biella e tronchi la disputa innocente. — Per ora rimanga fermata, almeno provvisoriamente, la patria in Vercelli, la nascita nell’anno 1588, l’età vissuta in sessantanove anni. Ma non hasta: vi è controversia ben anco sopra il giorno, che dico? so- pra l’anno della morte. Il Bernardi la pone addì 22 di Febbraio 1657. In con- trario una postilla ad uno dei volumi del carteggio puteano (allegata da lui) ci avverte essere trapassato sul fine di quell’ anno; al che il mese di Febbraio male si acconcia. Dovrebbesi perciò prestare maggior fede al De Gregori che reca la data del 22 di Ottobre.... Ma egli sulla fede, credo, del Fontanini, del Napione e del Tiraboschi , al giorno e al mese recitati ne appiccica l’anno 1658. Il Lumbroso scrive che morì il 22 di Ottobre 1657, e reca una antica dichia- razione della sua sepoltura nella Chiesa di S. Maria della Minerva; ma questa fede che ci rassicura del luogo della sua tumulazione, non ci somministra la data certa della sua morte. Ho fatto pregare i RR. PP. parrochi della Minerva di squadernare le vecchie loro carte ed ebbi dalla loro gentilezza il seguente estratto dell’ Obituario : « Anno millesimo sexcentesimo quinquagesimo septimo, die 22 Octobris. Obiit Illmus et Revmus Dis Cassianus a Puteo filius Illmi Antonii Taurinensis (*) Abbas St'Angeli Tropeae, Eques et Commendatarius Equestris militiae S' Stephani Papae et Mar- tiris, qui fuit vir sapientissimus atque prudentissimus, plenus bonitate, prudentia, magmificentia et doctrina, pater pauperum atque omni excettione (sic) major ; cujus corpus solemni pompa sepultum est in hac nostra Ecclesia per modum de- posîti in Tumulo S" Rosarii. Cujus anima requiescat in pace. Ex parochia S°° Ma- riae Grottae-Pictae (*). Ecco dunque autenticata la data della morte. (1) TINIVELLI, Biografia Piemontese sopra citata:Il De Gregori, non so perchè, lo dice nato aTorino. L'iscrizione posta sulla tomba del Senatore Giacomo, uno di essi dice: Jacopo Puteo — Simonis F. BuGELLENSI; e l’avolo, Cassiano Seniore, per ricordare l’acquisto di Reano faceva incidere: Cas- stanus Pulteus Antonii patritii BuGELLENSIS F. Subalpini Senatus praeses Reani Arcem et Municipium suae gentis patrimonio adjunxit MDLXVI. (2) La indicazione della patria, se si riferisce a Cassiano e non al padre suo, sarebbe diversa da quella dichiarata da Cassiano stesso. (3) Grotta Pinta era il nome dell'antica parrocchia soppressa. La Chiesa esiste tuttora nelle vicinanze di S. Andrea della Valle. osi Tl sepolcreto della Società del Rosario apresi nel pavimento della Chiesa della Minerva fra la Cappella della famiglia Capranica e quella della famiglia Altieri. Forse desiderò riposare in quella chiesa dove giaceva il cardinale Giacomo della famiglia Dal Pozzo di Nizza, colla quale i Dal Pozzo di Biella ritenevano di avere comu- nanza di origine, come aveano comuni il cognome e le armi (V. Appendice N. V). Non risulta che la salma di Cassiano il Giovane, colà portata per modum depo- sitî, sia stata trasferita altrove; vi rimane e vi rimarrà forse finchè al cenno del- l’ultima squilla non rivesta l’antico decoro di polpe e di vita. Vi giace senza una parola di ricordo, sebbene Niccolò Pussino scrivesse a un amico che lavorava alla sua tomba. Nè ricordo alcuno ha in quest’ aula. Unito agli esemplari della edizione del 1864 della orazione del Dati che ho avuti per le mani, trovasi un ritratto di Cassiano colla seguente iscrizione: EQVES CASSIANVS A PVTEO VIRTVTIS LVX NOSTRI SAECVLI DECVS POSTERITATIS EXEMPLAR (') (') 11 De Gregory ne trasse copia e la pubblicò nella sua Storia, ommettendo la iscrizione. =. 990 APPENDICE Schiarimenti e Documenti. I. LETTERA DI Cassiano DAL Pozzo AL PRincIPE F. CESI con cuilo ringrazia della sua nomina fra i Lincei e gli invia l’opera della Uccelliera dell’Olina ('). Ancorchè la grazia fattami da V. E. del luogo concesso tra suoi Lincei sia tale che richieda continua dimostrazione dello smisurato obbligo che le devo, tut- tavia il farlo con lettere sin qui non ho ardito, în riguardo de’ suoi profondissimi studi, da’quali, comechè drittamente incamminati a beneficio pubblico, il distornela benchè per un momento di tempo, sarebbe per così dir sacrilegio; ho dunque dif- ferito fin al presente che, godendo della facoltà da lei medesima data me’stabilimenti della sua Itlma Accademia, che di questo mese sì possa dagli Accademici, anzi su deve dar ragguaglio del suo essere e in consequenza riverir lei che n'è degnissimo Capo e Principe! Vengo în virtù d'essa a ricordarle la mia devotissima servitù, di tutto cuore supplicandola che senza riguardo alla mia poca abilità la voglia farmi grazia de’ suoi comandi, promettendom'io dall'intensa devozione mia verso leè più forse di quello che per altro potessi credere. In segno della medesima, poi- chè con altro più ora non posso, le invio, come tributo del mio ossequio, un libro d’Uccelli stampato da un giovane di Casa, più per prova de’rami ch'io vo’ met- tendo insieme, che per veder se potessi con un po’ di spesa e diligenza dar qualche ajuto alli scritti di questa materia. Spero (°) che per altro V. E. che si rende riguarde- vole a tutti, non meno con l'eccesso di benignità di quello che sì fa con la sublimità del sapere, gradirà l'affetto con che vorrei maggiormente riverirla, e tenendomi per il più certo e umil servitore che le viva, mi farà grazia de’ suoì pregiati comandi. Con che le auguro per fin di questa ogni da lei desiderata prosperità. Di Roma a’ 15 d’Agosto 1622. Cassiano DAL Pozzo. Il libro di cui parla il Dal Pozzo è questo: Uccelliera, ovvero discorso della Natura e proprietà di diversi uccelli e în parti- colare di quei che cantano, con il modo di prendergli conoscergli, allevargli e man- tenergli, e con le figure cavate del vero e diligentemente intagliate dal TEMPESTA e dal VILLAMENA. Opera di Gio. Pietro Olina Novarese dottore di legge dedicata al Sig. Cavaliere Dal Pozzo. La prima edizione, da me non veduta, sembra del 1622; la seconda fu impressa da M. Angelo de Rossi, Roma 1684 in 4°. Le incisioni sono veramente notevoli. Un Avviso @ chî legge c'informa che le figure doveano essere stampate a acquaforte, ma che poi (!) Dal giornale de'Letterati per l’anno MDCCLI. Roma 1753 — Pagliarini — pag. 285. (2) Questa o somigliante parola manca nella stampa. ESA) i= vennero rifatte a bulino, sopra disegno cavato da Vincenzo Leonardi. La edizione porta la seguente dedica: Al Sig. Cavalier Cassiano Dal Pozzo mio Signore : « Hanno i benefitij così gran forza nell’ animo delle persone grate,che gli ca- gionano una perpetua inquietudine, sin tanto che non gli s’ apre la strada, se non ad una degna ricompensa (che talvolta per mancamento di forze viene impedita ) almeno ad una chiara testimonianza dell’obligatione, che in quel mentre ne conserva. Pertanto io, che già molt’anni sostenuto in casa di V. S. Il®* ho ricevuto così se- gnalati favori e benefitij} della liberalità sua, che posso veramente dire di ricono- scere ogni mio bene essere da quella, non solamente confesso di doverle tanto, quanto mai sarò bastante di pagare, ma per non divenir in alcun tempo già mai sospetto d’ingratitudine (vitio da me lontanissimo), bo finalmente voluto, non havend’altra strada, arrischiarmi, dedicando all’ honorato suo nome queste carte, di testificar al mondo gli oblighi miei infiniti, e render a lei tributo di quanto ho acquistato col suo ajuto; sperando anco, che l’Operetta, per il curioso soggetto forse non sia per riuscirle indegna de’ suoi profondi studi, e potendo talvolta esser fraposta alle occu- pationi del Sig. Carl’Antonio suo fratello; il quale ottimamente educandosi appresso di lei, accrescerà col tempo lo splendore del loro antico lignaggio, chiarissimo per arti di pace e di guerra, e per meriti d’honori e dignità Ecclesiastiche; avanzandosi egli già in così tenera età nel corso della peripatetica filosofia, oltre i progressi di molti che di gran lunga l’eccedono col numero degli anni. Supplico dunque humil- mente V. S. Il"* a gradire quest’affettuoso testimonio della mia divota servitù con quella singolar humanità, onde gl’ ingegni e le belle arti son da lei favorite, e che insieme con tant’ altre sue sane qualità, nobili pensieri e soavissimi costumi, la ren- dono amabile a questa Corte e riguardevole alle più remote Nazioni; e le fo pro- fonda riverenza. Dil VeSSS a Humiliss.° Obligatiss. Servitore Giro. PIETRO OLINA. II. Storia Naturale del Messico. Francesco Hernandez, medico spagnuolo, era stato dal re Filippo II inviato nel Messico con mandato di descrivere le piante, gli animali e i minerali di quel regno, notando specialmente quello di che la Medicina si potesse giovare, e disegnando gli oggetti dei tre regni della natura. Le relazioni dell’Hernandez furono, per commis- sione dello stesso re, ordinate e in dieci libri diligentemente distese e distribuite da Nardo Antonio Recchi di Monte Corvino, paese delle provincie napoletane. L’opera del Recchi, da cui erasi la scienza augurati non piccoli acquisti, giaceva da cin- quant’ anni manoscritta e pressochè dimenticata in casa di un nipote del Recchi stesso, quando i Lincei deliberarono di illustrarla e pubblicarla. Vi posero mano nel 1611; Giovanni Terenzio, medico di Costanza, G. Fabri e Fabio Colonna vi spesero le loro fatiche. Nel 1619 fu coll’incisore Giov. Giorgio Nuvolo fatto il contratto per la inci- sione delle figare. Cassiano Dal Pozzo nel suo viaggio in Ispagna trovò nella Lia biblioteca dell’ Escuriale e fece trarre copia delle relazioni dell’Hernandez e donolla al Principe Cesi. Nel Registro delle spese della Legazione in Ispagna del 1626 che si conserva negli Archivi di Stato di Roma, veggo che il Cardinal Barberino, per do- manda di Cassiano, donava al bibliotecario dell’ Escuriale due medaglie papali. Nel 1628 1° di giugno Fabio Colonna mandava al Cesì stesso le sue Adnotationes et Additiones. Morto il Principe, lo Stelluti nella lettera già citata 7 di agosto 1630, scriveva: « Quanto al finire la stampa del libro Messicano, è necessaria per non tener morta così bella fatica et così utile, e lasciarvi quelle poche tavole delle piante che sono stampate dal Sig. Principe, chè le restanti non mi dà l’animo che altri le possa compire, perchè sono solamente sbozzate. Et hora che non v'è più il sig. Fabri, non vi è altri più di me di ciò informato, e la Sig”* Duchessa (Cesi) non credo che vorrà per 200 o 300 scudi che n’andassero di spesa per finire la stampa, aggiungendovi gl’indici, prefatione e lettera dedicatoria, restare di farla per cavarne l’utile di alcune migliaja di scudi per le signorine sue figlie; e perciò se a me darà comodità ch’io possa in ciò servirla, lo farò volontieri per benefitio e onore della nostra Accademia e de’ nostri Accademici, giacchè vi ho fatticato tanti anni e con tanta spesa della mia casa». Ciò non ostante la stampa rimase interrotta fino a che lo Stelluti non indusse Alfonso de las Torres, ambasciatore di Filippo II in Roma, a venirgli in ajuto. L’ambasciatore comperò' il tutto, fece finire quel poco che mancava, e stampar l'opera che uscì nel 1651 con questo titolo: Nova Plantarum, Animalium et Mineralium Mezicanorum Historia a Fran- cisco Hernandez Medico in Indiis praestantissimo primum compilata, dein a Nardo Antonio Recchio in volumen digesta, a Jo. Terentio, Jo. Fabro ei Fabio Columna, Lynceis, notis et additionibus longe doctissimis illustrata. Cui demum ea Principis Federici Caesiù Frontispiciis Theatri Naturalis Phylosophicae Tabulae una cum plurimis Iconibus, ad octingentas, quibus singula contemplanda graphice eriben- tur. Romae MDCLI Sumptibus Blasiù Deversini et Zanobii Masotti Bibliopolarum. Typis Vitalis Mascardi. Nella dedica a Filippo IV Alfonso Turiano (de las Torres) dice di questi libri: « Hi dum, Romam delati, ab eruditissimis Lynceîs, qui tum marime florebant, erpendun- tur,expoliuntur ac multiplici commentatione, Principibus viris etiam adlaborantibus, maturitatem quandam assequuntur, nescio quo facto, propemodum interiere... Ergo... nec laboribus, nec sumptibus mihi parcendum duri, ut haec naturae arcana tan- dem aliquando evulgata bonorum votis faverent satis. Al volume vanno aggiunte le Tavole Filosofiche del Cesì, edite per cura dello Stelluti e dedicate a D. Rodrigo di Mendozza, Ambasciatore di Spagna in Roma, affinchè tantum opus... quod jam diw conclusum et a nemine visum sub tenebris latebat, nunc tutelae tuae jubare ac auspiciis irradiatum, cultoribus omnibus gloriue tuae et Principis libere pandetur. Cassiano Dal Pozzo scriveva nel 1650: « Il libro Messicano o Historia naturale del Messico è compito. L’ opera è pre- sentemente in mano del Sig. D. Alonso de las Torres segretario dell’ imbasciator di Spagna. Questo come persona letterata, visto che quell’ opera restava come persa, ha compro tutti i corpi, e gl’ha fatti raccomodare e sono in poter suo, avendo fatto 9 compir il 8° libro, al quale poco mancava. N’ha imbarcati mille per mandare in Spagna, et al Messico, e da 400 ne restano quì in Roma» (Apud LumBROso op. cit.). III. L’opera delle Antichità Romane. Il Dati scrive che Cassiano facendo i Monumenti, le Statue, le Medaglie ete. «con la sua diligente assistenza per mano di professori insigni esattamente disegnare, e col parere de’ più eruditi investigatori delle cose vetuste ordinatamente disporre, nel corso di lungo tempo, con grande spesa, studio e fatica venne a formare in ven- titrò ampli volumi un corpo di tutte le antichità Romane ». Quindi ci diede, in calce alla Orazione, la sinossi di tutta l’opera; nè parrà superfluo il riferirla, come quella che ci fa conoscere il disegno di un lavoro veramente grandioso e da pochi conosciuto. Synopsis atque Ordo Antiquitatum Romanarum Ilustriss. et Eruditiss. V. Equi- tis Cassiani a Puteo studio ac impensis XXIII voluminibus digestarum. Res DIVINAE Dii Patrii vel peregrini, seu, ut Varro vocabat, Certi vel Incerti. Majores, Medioxumi, Minores; sive, ut Cicero: Caelestes, Indigetes, et Genii; ut Lares, Fauni, Satyri, Nymphae, Flumina. Virtutes, et Urbes Dearum habitu consecratae. Fabulosae Deorum Actiones. Templa et arae, carumque formae et dedicatio, item Obelisci, donaria, vota, et ornamenta. Sacrificia et ritus Publici, victimae, pompae, ludi sacri eorumque apparatus. Privati, nuptiarum, funerum, consecrationes et monumenta. Sacrorum ministri Pontifices, Flamines, Augures, haruspices, vestales, popae. Instrumenta Sacrorum Litui, acerreae, simpula, vasa varia. Res HUMANAE Res publicae seriae ( Pacis ) Magistratus, eorumque vestitus, insignia, ornamenta. Lictores, Fasces, Sellae etc. Judicia, Tribunalia, Subsellia. Manumissiones. Pondera, et mensurae. Res publicae Ludricae — Theatrales seu Scenicae Theatra, Scenae. Apparatus scenicus, Oscilla, Mimi. ERRGa Instrumenta musica, tibiae. Amphitheatrales, gladatioriae et venationes. Circenses, seu Curules, Currus, Aurigae, Circi, metae. Largitiones et munera. Res privatae Vestes variae variorum et insignia. Pontes aedium et varia supellex. Hortensia et rustica. Opificia et Artes. Exercitia et ludi privati. Balnea. Accubitus et Triclinium. Servi et Ministeria. Res publicae Belli Castra eorumque partes. i Personae, Duces, eorumque habitus, insignia. Tribuni, Signiferi, eorumque Aquilae. Milites privati. Classis, naves earumque genera et partes: item Classarii et remiges. Arma, Tela, Scuta, Machinae, Fundae, Glandes. Actiones Militares Commeatus. Decursiones et ludi castrenses. Allocutiones. Munitiones, oppugnationes. Deditiones et captivi. Victoria, Triumphi, Trophaea, Coronae, Columnae, Arcus, eorumque ornamenta. Carlo Antonio Dal Pozzo in una sua lettera del 1666 soggiungeva: « Non solo vi sono tra la raccolta lasciata i 23 volumi dell’ ANTICHITÀ che nell’ oratione scrisse il buon Sig. Carlo Dati, ma ve ne sono degli altri ancora, e si continuerebbe a raccorre degli altri ancora, quando si trovassero le mani atte al disegno di queste cose antiche; ma la carestia Gi queste e le continue molestie che si provano, distolgono da queste curiose applicationi. Che siano per stamparsi, oltre che in me non vi sono talenti simili per illustrazione di materie antiche, ne si richiederebbe spesa più che regia nell’ intaglio di quello che in disegno fedelis- simo s'è nello spazio di molti e molt’anni raccolto. Restano però comunicabili a quelli che di notizie sì fatte si dilettano ». Questo Museo Cartaceo, come Cassiano il chiamava, prezzo di tante cure e dispendi, e importante per gli opportuni raffronti dei monumenti quali ora sono e quali erano nel secolo XVII, passò in Inghilterra nella seconda metà dello scorso secolo, e non è del tutto perduto. Alcuni volumi, trovansi PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.2 5 e liodioeo nel R. Castello di Windsor, altri presso il duca di Hamilton ed il Sig. A. W.Francks (1): Disjecta membra. IV. Ritratti di letterati illustri. Questi ritratti erano collocati nella biblioteca di Cassiano. Gabrile Naudè com- pose gli elogi o epigrammi sotto ciascuno di essi, pubblicati in Roma nel 1641, e ristampati, secondo il Fontanini, dal Cramoisi in Francia. Sono quasi una rarità bibliografica. Alla Biblioteca Corsini di Roma trovasi un esemplare della edizione Romana che porta questo titolo: Epigrammata in virorum literatorum imagines, quos Ius" Eques Cassianus a Puteo sua in Bibliotheca dedicavit. Cum appendicula car- minum. Romae cecudebat Ludovicus Grignanus MDCXLI. Altro esemplare trovasi alla Barberini, non all’Angelica, come erroneamente scrisse il De Gregori. Trentadue sono gli epigrammi, con prefazione e dedica del Naudè a Cassiano. Uno di essi è intitolalo al Galileo, il quale, avendo per mezzo di Fulgenzio Liceti rice- vuto il libretto, ringraziò Cassiano con lettera datata « Dalla Villa d’Arcetri, mio continuato carcere ed esilio dalla città, 20 Gennajo 1641». Essa trovasi inserita nelle Opere dì Galileo Galilei (per cura dell’ Alberi), Tom. VII (Commercio Epistolare Tom. II) pag. 351. Cassiano così gli rispose: Da Roma, 2 Febbrajo 1641 Ho sempre professato verso la persona di V. S. osservanza così singolare, ti- ratovi dal suo gran merito e dal comune sentimento nella stima delle virtù che l’adornano, che non avendo per la distanza potuto godere, come avrei desiderato , la persona, nel meglio modo che mi potè riuscire, procurai supplire con un ritratto che nobilita quel poco di libreria che ho, e mi porge frequenti occasioni di dichia- rare a quei che vi capitano, la servitù cordiale che le professo, e di appagar loro la vista coll’ effigie di un virtuoso eminentissimo quale è il mio Sig. Galileo, degno, non che di ritratti, delle statue. Uno di quelli che con pieno gusto l’ha ammirato, è stato il Naudeo, gentiluomo che serve il Sig. Cardinal di Bagno nella sua libreria, che non contento di quello che intrinsecamente ha sentito di piacere, ha voluto farne anco mostra estrinseca con suoi gentilissimi componimenti; de’ quali godo che per mezzo del Sig. filosofo Liceti ne sia a V.S. stato fatto parte, onde possa venir in cognizione, o per meglio dir conferma, del mio devoto affetto alla persona sua; dal quale sicurissimo riscontro avrebbe quando si compiacesse onorarmi dei suoi co- mandi; de’ quali pregandola, e ringraziandola dell’amorevolezza sua con che mi ha voluto favorire, baciandole di nuovo le mani, le auguro per fine di questa mia ogni più desiderata prosperità. Cassiano Dal Pozzo (Dalle Opere di Galileo Galilei sopra citate, Tom. X. ( Commercio Epistolare Tom. V) pag. 405. Ecco il nome dei letterati per cui il Naudè dettò i suoi versi: Cardinale Maffeo Barberini poi Urbano VIII. — Card. Francesco Barberini — N. C. Fabricio Peyresch — Fortunio Liceto, genovese — Paolo Giovio — Giambattista Doni— (1) Notizie sulla vita di Cassiano Dal Pozzo elc. per Giacomo Lumbroso. Torino 1875. DIRE Galileo Galilei — Federico Pendasio — Gaspare Scioppio -— Leone Alciato — Pie- tro Arcudio — Girolamo Aleandro giuniore — Giacomo Mazoni — Bernardino Te- lesio — Giovanni Morini — Alessandro Tassoni — Giambattista della Porta — Sci- pione Chiaramonti — Antonio Scaini — Stefano Federico Castrense — Enrico Caterino Davila — Giovanni Barclay — Tommaso Campanella — Agostino Mascardi — Gia- como Gaufrido — Claudio Menestrier — Marsilio Cagnati — Cesare Caporali — Be- tisia Gozzadini — Loppio Felice de Vega — Giovanni Crassoti — Ferrante Imperati — Giuliana Morelli — Benedetto Castelli — Pietro Poterio — Gabriele Naudè. Ed ecco, per saggio, alcuni degli epigrammi: Galileo Non vultum, Galilaee, tuum mihi cura videndi est: Ast oculata magis picta tabella placet. Namque oculis reserata tuis qui sidera vidi, Et Coelo per te reddita jura novo, Nunc oculos caeca dudum sub nocte latentes, Aequa non possem cernere mente tuos. Alessandro Tassoni Cur ficum, Tassone, manus gerit altera, teque Ex studiis aliud nil retulisse putas? Cum Situla excivit tantas quae rapta ruinas, Aequalem faciat te prope Virgilio. Tommaso Campanella Effigies miranda viri mirabilis ista est, Si modo naturae par fuit artis opus. Nam geminas torquent oculi sub vertice tedas, Et caput in septem scinditur areolas. Scilicet ingenio potuit qui vincere cunctos, Diversam a cunctis possidet effigiem. Giambattista della Porta Si tibi venturo similis nascatur in aevo, Naturae nullum postea Numen erit. Nam stolido quaecumque facit miracula vulgo Abditas, ferme tuo, Porta, labore patent. Benedetto Castelli Quod bene dimensis Galilaeo nomen ab astris Advenit, hoc Limphae dant, Benedicte, tibi. Sic paribus studiis, laudem tribuere, Magistro Excultum Coelum, Terraque Discipulo. Gabriele Naudè Me quoque sim quamvis nulla versatus in arte, Mixtum praeclaris cernis adesse viris: Cassius ast niveo semper mihi pectore cultus, Hoc nostrae statuit pisnus amicitiae, = 50 — V. Del Cardinale Jacopo Dal Pozzo. I Dal Pozzo di Nizza edi Alessandria sono da Monsignore della Chiesa cre- duti connessi con quei di Biella e i soggetti delle due famiglie si riconobbero sem- pre per congiunti. I Nizzardi ebbero due Cardinali, Lamberto o Giamberto nel 1300 sotto il pontificato di Giovanni XXII, e Giacomo predetto nel secolo XVI; Antonio, suo nipote, Arcivescovo di Bari anch'esso come il Cardinal Giacomo, pose allo zio il monumento nella Chiesa della Minerva. L'iscrizione esisteva in pavimento ante arae marimae gradus in lapide marmoreo; ora più non si vede. Jacopo -Cardinale Dal Pozzo fu dottissimo nell’uno e nell’altro diritto e autore di trattati al tempo suo lodati. Destinato da Pio IV presidente del Concilio di Trento, non vi si potè trasferire per infermità e morì nel 1563, prima che il Sinodo finisse. L’epigrafe posta sulla sua tomba ci fu conservata dal Galletti, ed è questa: D. 0. M. JACOPO PVTEO NICIENSI S. R. E. PRESB. CARDIN. PRAECIPVO AC INTEGERRIMO VIRO QVI SVMMAM IVRIS VTRIVSQVE SCIENTIAM ITA CVM SVMMA PROBITATE CONIVNXIT VT VNIVS REIPVBLICAE CONSTITVENDAE DISCIPLINAEQVE VETERIS RENOVANDAE PRAECIPVVS AVCTOR VOTIS BONORVM EXPETERETVR OBIIT VI KAL. MAII 1563 VIXIT ANNOS 68 ANTONIVS PVTEVS ARCHIEPISCOPVS BARENSIS NEPOS P. (') Nella Notitia della Famiglia Boccapaduli, citata nel testo trovansi assai informa- zioni intorno ai Dal Pozzo, e quelle che riguardano la discendenza di Carlo Antonio fratello di Cassiano, sono meno note. Leggonsi pure alcuni cenni intorno all’ andata di Cassiano a Caprarola per complire il Duca Odoardo di Parma; ma non hanno importanza storica. (1) /scriptiones Pedemontanae infimi acvi Romae estantes opera et cura D. Petri Aloysti Gal- letti Romani. Romae 1766 in 4,° AA VI. . Scritti di Cassiano Dal Pozzo. Ho detto che non faceva professione di scrittore, e scrittore non lo dimostrano le sue lettere; dilettavasi di svariati studi, ma confessava soltanto di essere preso dall'amore delle Antichità : equidem non diffiteor grecae et latinae sapientiae colli- gendae tuendaeque summo me studio teneri », dice in non so quale sua lettera. L’ Odescalchi afferma di aver veduto di lui alcune osservazioni del Modo di usare U Occhial grande, che trovavansi nella Biblioteca Albani e di cui non vedo men- zione nei biografi recenti. Da alcune sue note e da brani di lettere il Sig. Lumbroso cavò e ordinò un Memoriale di Cassiano Dal Pozzo intorno a diverse anticaglie trovate in Roma a’ suoi dì. Contiene notizie importanti per l’° Archeologia, e alcune di altra natura; per esempio nel Settembre 1645 nota: « Si stringe alla gagliarda la redditione de’ conti del denaro maneggiatosi da più offitiali in tempo di guerra e un Em®° si è composto, dicono, per quel più ch’ haveva maneggiato cento mila scudi d’oro con intento di metterli in Castello ». Accenna al sindacato ordinato da Innocenzo X sopra l’ammi- nistrazione di Urbano VIII morto nel 1644. E nel 1652: « Mi vennero alle mani due M. SS. in carta pecora, uno delle epistole famigliari di Cicerone, e l’altro del Seneca tragico, che è scritto più centi- nara d’anni sono, nel quale si vedono alcune note, che non sono disprezzabili. Se ne fece un involto per il Sig. Heinsio. Erano questi due volumi destinati a servir a un battiloro, onde gli salvai con dar al padrone un poco più di quello, che quel- l'artista gli voleva dare per guastargli in servizio delle sue manifatture; e in questa maniera capitano male molti manoscritti e parimente delle iscrittioni un numero grande in capo all'anno si guastano da quelli che fanno il gesso etc. ». La Legazione del Sig. Cardinale Barberino in Francia descritta dal Commen- datore Cassiano Dal Pozzo trovasi manoscritta nella Biblioteca Barberini N° 2870. e forma un grosso volume di 484 pagine. Comincia: Essendo comparso avviso della calata che s' era per fare în breve in Valtellina dalla gente francese etc; e termina; Com- parvero quei pochi della famiglia che vi crano, a baciar i pieli a N. Signore; gli erano Sig. Ascanio Filomarino, Cav. Dal Pozzo, Giroiamo Aleandro, Taddeo Colicola, Gaetano Branconio, Carlo Antonio Dal Pozzo, Don Santi Conti, Bartolo- meo Gasperini, Francesco Colicola, Francesco Gualtieri, Agostino Uliveti. Non con- tiene alcuna informazione politica di momento, ma descrizioni di cerimoniali, rice- vimenti, visite, viaggi e simili. Varie lettere di Cassiano Dal Pozzo si conservano nelle biblioteche e negli Archivi della Duchessa di Aosta. Poche sono stampate. Di quelle a lui dirette il Sig. Tito Cicconi ne pubblicò 63 del Dati, 27 di Girolamo Graziano, 21 di Giambattista Doni, 46 di Giovanni Filippo Marucelli, due del Galilei, una del Chiabrera, con questo titolo: Lettere inedite di alcuni illustri Accademici della Crusca che fanno testo di lingua. Pesaro 1835. Erano nella Biblioteca Albani. Cento scritte da diversi ne stampò ora il Sig. Lumbroso. Una scelta raccolta di quelle di Cassiano alla storia letteraria CE NR e alla erudizione sarebbe desiderabile, In risguardo a questi nostri vecchi non è da temersi la poca discrezione che ne offende più d’una fiata negli epistolari moderni. Chiudo quest’ appendice con un fatto che la collega col testo ed esprime l’in- dole dell’uomo, di cui ho parlato più a lungo che non mi era dapprima proposto. Un medico francese, ripatriando da Roma per mare, fu preso dai Barbareschi. Es- sendone liberato dopo alcun tempo e ricondotto in Italia, fe’ ritorno a Roma misero, dove per procacciarsi il modo di ripigliare il viaggio, trattava la vendita,a peso di carta, di un suo libro di scienza, che poco pria della cattura avea stampato. Cassiano Dal Pozzo, ciò saputo, gli mandò senz’altro i danari bisognevoli; e costui (avverte il Dati) gli era straniero, e neanco il conoscea di veduta. o ga Intorno a un opuscolo rarissimo della fine del secolo XV, intitolato: ANTIQUARIE PROSPETTICHE ROMANE COMPOSTE PER PROSPETTIVO MILANESE DIPINTORE. Ricerche del Prof. G. GOVI lette nella seduta del 16 gennaio 1876. Nel Novembre del 1873, mentre andava rivedendo l’Inventario degl’ incunaboli posseduti dalla Biblioteca Casanatense, mi capitò tra le mani un libretto senza data, senza luogo di stampa e senza nome di stampatore, il frontispizio del quale, inciso in legno, mi rammentò certe figure di Leonardo. Voltai la pagina e con mia grandis- sima meraviglia e con altrettanta soddisfazione vidi in due sonetti ripetuto il nome del Vinci. Presi allora con me l’opuscoletto e mi posi a studiarlo. Era una barbara scrittura intitolata: Antiquarie prospetiche Romane Composte per prospe- ctivo Melanese depictore, nella quale in 133 terzine si descrivevano le cose mera- vigliose di Roma. Il nome: dell'autore nascosto sotto l’ epiteto di Prospettivo Mila- nese è tuttora un mistero per me, a motivo della oscurità nella quale è rimasta fin quì la Scuola Lombarda anteriore a Lionardo da Vinci e al Luino, o contemporanea di questi due grandi maestri. Di congetture se ne potrebbero far molte, e tra i nomi del Civerchio, dello Zenale, del Foppa, del Bramantino (Bartolomeo Suardi), del Ciserano o Cesariano e di qualche altro, credere d’avere scoperto l'anonimo scrit- tore delle Antiquarie; ma il pochissimo che si sa di tali artefici e l’incompatibilità del tempo per alcuni di essi, lascierebber sempre mal sicura la scelta. Se però non possiam dire il nome dell’autore, possiamo almeno assegnare con sufficiente approssimazione la data dello scritto. Nel primo Sonetto i versi : Facendo a nui visiva d’arte fusa Sopr' un caval el padre Lodovico alludonosal famoso colosso equestre modellato da Leonardo in Milano a onore di Francesco Sforza padre di Lodovico il Moro. Questo colosso, attorno al quale il Vinci lavorò 16 anni, e che ricominciò nel 1490, forse nel 1493 era terminato in creta, ma non potè esser gittato in bronzo, nè allora nè poi, per le strettezze dell’ erario sforzesco e per le tristi vicende che tolsero al Moro prima il ducato (1499), poi la libertà (1500). La tomba di Sisto IV, opera del Pollajolo, tanto lodata nelle Antiquarie, stava già in S. Pietro, erettavi da Giuliano della Rovere, fin dal 1493. Quanto alle Grotte o fornici della casa Aurea di Nerone sotto alle terme di Tito che lo scrittore ritrae con affetto speciale, nominando persino un tal Mastro è PARTI Pinzino che vi guidava i pittori, esse erano visitate per cagione di studio fin dal 1493 ( Nibbi - Roma nell’anno 1838 - Parte antica T. II pag. 811-816). Forse i nomi di alcuni possessori di statue antiche come il Cappello da Genova, Mariano Stalla, il Ciampolino, Mario Millino, Giulio Porcaro ec., che s’ incontrano nel poemetto darebber modo di limitare ancor più sicuramente il tempo nel quale comparve, se fosse possibile di raccoglier dati in proposito. Parlando della Mole Adriana, o Castel S. Angelo il Prospettivo dice che : ARIAS per tema di re tramontano Sesto Alessandro si fuggitte inv’ entro Ora Alessandro VI, atterrito dagli eccessi ai quali s° abbandonavano in Roma le sol- datesche di Carlo VIII, riparò in Castel S. Angelo nel dopo pranzo del dì 6 di gen- naio del 1495 e ne uscì il dì 16 quando il Re si fu risolto a inchinarlo. La menzione che poco dopo vien fatta della Meta di Romolo, o degli Scipioni, at- terrata nel 1499 dal Borgia per assicurar la difesa del Castello e sgombrar la via Alessandrina (ora via di Borgo Nuovo ), segnerebbe un altro limite anteriore di tempo, se il Prospettivo non parlasse di codesto monumento come di cosa di- strutta, dicendo: a fronte a lui era d’ eguale altezza una gran meta di pietra murata Ammettendo perciò, che la Meta di Romolo non figurasse più allora fra la Mole Adriana e S. Pietro, le Antiquarie sarebbero o dell’ultimo anno del Secolo XV o dei primissimi del Secolo seguente. Se Pasquino fosse venuto in fama soltanto dopo che il Cardinale Oliviero Ca- raffa lo ebbe fatto levar di terra, del 1501, e collocare su un basamento di pietra, si potrebbe credere di quest'anno, o posteriore ad esso, lo seritto del Prospettivo, che parla di: « mastro pasquille in parione »; ma si tien per sicuro che fin dagli ultimi anni del Secolo XV° mastro Pasquino avesse preso l'abitudine di sbertare e di mor- dere i Papi i Cardinali e gli altri notabili e di Roma e del Mondo. Anche una grande illuminazione, o un fuoco d’allegrezza in Castel S. o cui sembra alludere il Prospettivo là dove dice: Il vidi d’ allegrezze e d’ira fuoco, Che mai vista non fu maggior bellezza; Pareva ove è colui che sempre invoco. potrebbe segnare un anno preciso, se si sapesse quando furono fatte in que tempi luminarie o Girandole al Mausoleo d’Adriano, Le statue che il Prospettivo dice essere nel « dom al cardinal di Siena » as- segnano alle Antiquarie una data anteriore al 1503, nel quel anno Francesco Pic- colomini, detto prima il Cardinal di Siena, fu eletto Papa e morì. Finalmente un nuovo limite di tempo ci vien fornito dalla scoperta del Lao- coonte, avvenuta nel Gennajo del 1506, poichè nelle Antiquarie non si parla di que- sto insigne gruppo, che destò l'ammirazione di tutti gli artisti appena fu tratto dalla casa Aurea di Nerone. —_ dl — Si può quindi ritenere cae 1’ opuscolo del Prospettivo Milanese non venisse in luce prima del 1499, perchè parla della Meta di Romolo come di cosa distrutta, e non dopo il 1506, non dicendo verbo del Laocoonte. Anzi l’essere il poema dedicato a Leonardo da un pittore di Milano, l’ alludervisi al getto in bronzo del colosso di Francesco Sforza a cavallo, getto che la caduta di Lodovico il Moro nel 1500 dovea far credere oramai impossibile, tanto più che il Vinci avea lasciato Milano in quel- l’anno stesso, nè vi tornò se non sul finire del 1506, e il tenervisi parola del cardinal di Siena, che nel 1503 diventò Pontefice danno diritto di credere che le Antiquarie, siano comparse fra il 1499 e il 1500. I caratteri gotici dell’opera non sembrano accostarsi a quelli degli Stampatori Milanesi del tempo (così ritiene il Conte Giulio Porro, uno de’ più eruditi raccogli- tori d’incunaboli milanesi, il quale vide l'opuscolo nel 1874), e piuttosto ricordano le stampe Romane di Giovanni Besicken e Sigismondo de Marchsaz, o quelle d’Eu- cario Silber. La Carta non ha filigrana riconoscibile e non si presta quindi a con- fronti. La lingua e lo stile appartengono a chi dice di sè stesso: SI, io che son delli antichi divoto REATI ARONA PINE RR ERI fui idioto. così che non solo non si può trarne alcun indizio che valga a stabilire una data; ma avvien di frequente che non si riesca neppure ad intenderne il senso. Malgrado però l'incertezza della sua data e la barbarie delle forme, questo opuscolo mi sembra meritevolissimo d’ essere rimesso in luce, e perchè dedicato a Leo- nardo da Vinci, e perchè pieno di notizie sulle ricchezze artistiche della Roma d’al- lora, che si cercherebbero invano nelle Mirabilia, nel Fulvio, nel Fauno, nel Poggio ec. o in altri scrittori di quel tempo. Non bisogna aspettarsi però dal Prospettivo Milanese più di quanto egli poteva dare, e chi volesse trovarvi i segni di profondi studî archeologici, rimarrebbe de- luso. È un popolano che attinge dal popolo le sue cognizioni, e che a mo’ del po- polo storpia vocaboli, nomi, date e vicende. — Ma quando parla di cosa da lui veduta, ne parla colla ingenuità che persuade, o coll’ entusiasmo che seduce — Vivendo fra gli umanisti e i Retori di quei giorni gli sarebbe parso di avvilirsi, dove non avesse sfoggiato erudizione Greca o Latina; e quei fronzoli e quei gioielli pedanteschi, mal raccattati e peggio disposti, lo fanno apparir talvolta ridicolo, quando appunto egli s'ingegna e si crede d’ esser sublime. Però se si ha il coraggio di leggere dal primo all’ ultimo quei poveri versi si finisce per voler bene al loro autore e per rimpian- gere il pseudonimo dietro il quale nascose un nome, che meriterebbe la nostra riconoscenza. Colla ristampa di questo opuscolo divenuto rarissimo, io vorrei poter destare nell'animo degli eruditi il desiderio d’intraprendere la pubblicazione e l’illustra- zione di tanti altri libercoli dello stesso genere che gli studiosi amerebbero procac. ciarsi e che, o per l'estrema loro rarità, o perchè riprodotti soltanto nelle volumi- nosissime raccolte del Grevio, del Gronovio, del Muratori ec. a nessuno quasi riesce di possedere. Ho aggiunto al testo alcuni schiarimenti, che la strettezza del tempo e la mia Parte TERZA — Vor. III. — SERIE 2.3 6 AO poca pratica in materia di erudizione non mi hanno permesso d’ estendere a tutti quei passi che ne avrebbero avuto bisogno; ma che varranno almeno a dimostrare il mio buon volere e a invogliar altri di perfezionarli e d’ ampliarli. Molte cose delle Antiquarie non sono riuscito ad intendere, e sarò grato a chiunque vorrà cercarne il senso. A me basta la compiacenza d’averle tratte dalla oscurità e di poterle ridonare ai cultori delle antiche memorie. Avrei forse aspettato ancora a darle fuori, se ai giorni passati, nel leggere il VII volume della Storia di Roma mel medio evo tradotta in italiano, non mi fossi. imbattuto in una nota, nella quale l’ illustre Gregorovius ricorda il titolo e qualche verso delle Anticaglie Romane. Egli scrive d’aver trovato questo barbarico poema divenuto assai raro nel codice dell’ Hartmann Schedel che si conserva nella Biblio- teca di Monaco (') e sembra propenso ad attribuirlo a Bartolommeo Suardi detto il Bramantino (vissuto dal 1455 al 1536...? ). La lettura di questa nota, confermandomi l’importanza delle Antiquarie , mi ha mosso ad affrettarne la pubblicazione, per tema che ritardandola non avvenga di questo, come di tanti altri rari monumenti della storia d’Italia, i quali prima veggon la luce e sono illustrati in Germania, in Francia o in Inghilterra di quello che tra noi dove da secoli giaciono sconosciuti, dimenticati o negletti. Il poemetto del Prospettivo Milanese non so che sia registrato da alcun Bi- bliografo. Non lo citano nè l’ Hain, nè il Panzer, nè il Maittaire, nè il Brunet, nè il Graesse, nè il Laire, nè l’Audiffredi, nè 1’ Argelati, nè il Melzi, nè il Ran- ghiasci, .... Si può quindi aver per rarissimo, nè fin quì conosco di esso altre co- pie fuorchè le due della Casanatense e di Monaco. È un fascicoletto di 4 carte appena, senza paginatura, senza registro, senza richiami. Il diritto della prima carta è tutto occupato da una incisione in legno colla incorniciatura a rabeschi (°). A mezza altezza dei lati della cornice son due tondi, uno a sinistra con entro un P. l’altro a diritta con un M. (probabilmente le ini- ziali delle parole Prospettivo-Milanese, colle quali si nomina l’autore dell’ opuscolo). Dentro alla cornice ( larg. 85"" alt. 136"" ) si vede un uomo nudo, affatto calvo, inginocchiato sul ginocchio sinistro, colla gamba destra ripiegata e portata in avanti. Nella mano destra alzata egli tiene fra il pollice e l’ indice il gambo sottile d'una specie di Sfera Armillare. Gli occhi della figura paiono rivolti a questa sfera. La mano sinistra abbassata tiene aperto un compasso, che sembra misurare un lato di (!) Nel Catalogus codicum latinorum Bibliothecae Regiae Monacensis dei signori Carlo Halm e Giorgio Laubmann — Monachii 1868 in 8° ( Tom. I. pars I, pag. 137-138) leggesi la nota delle cose contenute nel Codice 716. 2°, così designato: 716 2° S. XV et XVI. 331. fol. liber. H. Sche- delii cum figuris tam calamo delineatis, quam ligno et aeri incisis plurimis. Liber antiquitatum cum epigrammatibus ab Hartmanno Schedelio collectus atque exaratus ». In questo codice son raccolti moltissimi documenti e fra gli altri dal f. 68 al 74: 2 sonetti, 2 epigrammetti e poema col titolo: Antiquarie prospetiche Romane. Inc. 0 sommo Apollo o eterna influentia O machina in mortal diuin aspecto ». Hartmanno Schedel morì nel 1510. (2) Si troverà in seguito a queste Ricerche una bella riproduzione foto-litografica della in- cisione in legno che serve da frontispizio alle Anliquarie. Essa è staia eseguita con singolare perizia dal sig. Ing. Augusto Martelli. SE RSS un triangolo descritto sovra una larga superficie piana orizzontale e circolare, entro la quale stanno i piedi della figura, il ginocchio sinistro appoggiandosi quasi sul centro. Oltre al triangolo tocco dalle punte del compasso, si veggono sulla super- ficie circolare altre figure geometriche. Dietro il Nudo, a sinistra di chi guarda stanno due colonnette sostenenti una cornice, e più lontano, dietro le colonnette, alcuni massi di pietra che non si sa se figurino roccie o rovine. Posteriormente alla spalla destra del Nudo spicca un albero esile e piuttosto alto, con pochi ramuscelli e pochissime foglie. Il capo, parte del torso e il braccio sinistro dell’uomo inginocchiato nascondono una porzione del Colosseo, che apparisce, scorciando, dal piano inferiore sino alla cor- nice superiore delle prime logge che vi stanno sopra. Il tratto rappresentato com- prende soltanto 4 arcate della prima loggia. A pie’ del Colosseo giaciono alcuni grossi pezzi di pietra. Il Nudo è di buon disegno, che sà del fare di Leonardo e ricorda alcuni schizzi di quel sommo maestro. I muscoli ne son segnati con abilità. Non ha ombreggiature. Sul resto del disegno, poche ombre a tratti non incrociati. La dedica di questo lavoro a Lionardo da Vinci apparisce dai due sonetti che occupano il rovescio della prima carta: Nel primo di essi dopo di aver ricordato la Statua Equestre di Francesco Sforza, del Vinci, lo scrittore l’ esalta al disopra di quelle di Prassitele e di Fidia e ritiene che: ...... il Vinci... abbia immortal alma Perchè di Giove tien la invitta palma. Nel secondo sonetto poi (specie di Bisticcio sul nome del Vinci, che fa pensare a quelli del Paciolo, di Girolamo Casio de’ Medici, dello Strozzi, di Fabio Segni, di Vincenzo di Buonaccorso Pitti ec.) il quale incomincia: Vittoria vince e Vinci tu Vittore Vinci colle parole un proprio Cato Il Prospettivo soggiunge: Donde per Vinci dire in alto saglio Scrivendo de’ Romani il bel lavore : Per metter piede ancor nel vostro soglio ignudo mi ci spoglio Bagnando gli occhi con olio e saliva, Perch’hai di noi e la palma e l’uliva. E a confermare l'indirizzo del suo poema, l’autore nella settima terzina dice: A te cordial, caro, ameno socio, Vinci, mi è caro non l'aver per vizio, Se a scriver fossi stato colmo d’ ozio, ....... Appol ti guardi d’ogni to desastro, Che bramo veder te più che il giudizio....... ISTANTI poi alla 67* terzina, alludendo, a quanto pare, alla testa in bronzo di Commodo che oggi ancora si conserva in Campidoglio, ricorda l’amico scrivendo : MEO, un col è pien di come, Di tal bontà qual Lionardo nostro; Chiunque il vede fà sudar le chiome. E forse ad onorare il maestro del suo Lionardo, il Prospettivo nomina pure il Verrocchio (Terz. 63) come abile a modellar vecchie avare. Esso dà poi grandissimi elogii ad Antonio Pollajolo, a proposito del monumento di Sisto IV, che stà nella 2% cappella a destra entrando in S. Pietro: Evvi una tomba di corpo fusario Del quarto di Sauona gran pastore, Com’oue giacque el nemico di Dario. Tutt'è di bronzo e par che sporte in fore Ornato di Virtù, Muse e Scientia Di Laude cinto premio et honore. In sommo sta el pastor per excellentia, Di tal splendor qual’è el car phebeo Che par che sie natiuo in so presentia. Praxiteles e Scopa ouer Perseo Facto nollo hauerebbe, Lucibelio Quer de Andromida el gran Tholomeo, Et Anton Polli fe ’1 proprio modello Per nothomia et ogni neruo et osso Como facto l’hauessi Praxitello. » e ricorda, storpiandoli, il nome di Cimabue e quello di Giotto: di man di Cinabuba Apelle e Giotte. Nella esposizione delle Antiquarie, o Anticaglie di Roma lo scrittore procede con sufficiente ordine e di materie e di luoghi. Esso incomincia da una invoca- zione ad Apollo perchè « Bagni l’aride labbra al Prospettivo » piange sulle rovine dei Templi e delle antiche opere di pittura e di scoltura, poi, dedicato il suo lavoro a Lionardo, entra subito a parlare degli avanzi d’arte tuttora visibili nei luoghi pubblici o presso i privati cittadini di Roma. Piglia le mosse dai due Colossi del Quirinale che da secoli si attribuivano a Fidia e a Prassitele; poi in casa di un tal Mastro Andrea trova un corpo muti- lato, che forse era il famoso Torso di Belvedere; da un Cappello di Genova nota un Apollo; da un Della Valle i due Fauni che ora stanno nel cortile del Mu- seo Capitolino; in casa del Cardinal di Siena le tre Grazie, che poi passarono a. Siena, prima nella Sagrestia, quindi” nel Museo....... e così via via, di casa in casa segna una lunga lista di preziosi monumenti, alcuni dei quali si possono facilmente riconoscere, altri si lasciano malamente ravvisar tra quelli che ancor ne rimangono. NE Alla 362® Terzina abbandona le scolture e si volge agli edifizii, principiando dal così detto Tempio della Pace, che ora si sà essere stato la Basilica di Massenzio o di Costantino. Poi sotto il nome di Templo Maggiore, descrive il Palazzo Maggiore, o Pa- lazzo dei Cesari, dal quale passa al Colosseo, quindi all'Arco di Costantino cui dà il nome medievale di Arco di rase. Viene in seguito la Botte di Termine, vastis- simo serbatojo d’acque delle Terme Diocleziane, distrutto recentemente per dar luogo alla stazione della Ferrovia. Da Botte di Termine passa alla Torre delle Milizie, poi alla Ritonda o al Pantheon di Agrippa, indi alla Guglia di San Pietro e a Castel Sant'Angelo. Parla in seguito della Meta volgarmente chiamata di Romolo che stava presso S. Maria Traspontina, e vi aggiugne la descrizione fantastica d’un altro edifizio, non esistito forse mai fuorchè nella imaginazione del popolo che pro- babilmente si rappresentava a quel modo il Tiburtino, o Terebinto di Nerone citato nelle Mirabilia. Sospesa allora la rassegna degli edifizii, ricomincia quella delle opere di scoltura, ma principalmente delle statue di bronzo. Innanzi a ogni altra si pre- senta il Cavallo di Costantino, ossia la statua Equestre di Marco Aurelio, che al- lora era a San Giovanni in Laterano, e non si conosceva sotto il suo vero nome. Vengono quindi, presso i Conservatori, l’Ercole di bronzo, il frammento di piede colossale, Marzo dalla spina, ossia lo Stadiodromo che si leva una spina dal piede, una Zingara, il frammento di marmo di un Cavallo divorato da un Leone che meritò d’essere ristaurato da Michelagnolo, la testa d’un Cesare, una mano e una palla di bronzo, il capo colossale di Commodo, e tante e tante altre cose. Dal Campidoglio trascorre al Testaccio; avverte passando la Tomba di Remo, vale a dire la piramide di Cajo Cestio; visita la chiesa di S. Saba sull’ Aventino, ea S. Maria Nova addita il sasso che scavarono le ginocchia di S. Pietro, allorchè pregando fece precipitar Simon Mago; nota 1’ Erario; il Tempio di Romolo sacrato ai santi Cosma e Damiano protettori dei Medici; le Colonne Adriana o Trajana, e l’Antonina; e da queste spicca il volo nel paese dei sogni descrivendo un edificio che non sembra corrispondere ad alcun monumento conosciuto. Tornato in terra, sul più bel di Roma (sull’ Esquilino) segna un’ Accade- mia di Virgilio; poi a proposito delle Sette Sale, ch’ ei chiama Sette scole ricomincia il vaneggiamento leggendario. Il Tempio d’Antonino e Faustina lo con- duce all’Arco di Tito; al lago di Curzio; all’Arco di Settimio Severo; a Marforio; a Mastro Pasquille o Pasquino, frammento d’un gruppo che egli battezza per un Ercole e Gerione; e alla tomba di Sisto IV in Vaticano. Poi risale Monte Cavallo per indicarvi quei due Fiumi che ora stanno ai lati della fontana a pie’ del Palazzo Senatorio in Campidoglio. A Porta Lorenza, ossia all’ Arco di Gallieno, nota le Chiavi di Tivoli (o di Viterbo) che vi stettero appese sino al 1825; incontra lì presso i Trofei di Mario sul Ninféo dell’acqua Giulia; e indica fuori e dentro di Roma lo Forme o Acquedotti; Capobove o il sepolcro di Cecilia Metella; ed Antigniano, o le Terme Antoniane. Entra quindi carpone, colla guida d’un maestro Pinzino, nelle Grotte, come dicevansi dal 1493 le volte della casa aurea di Nerone allora allora incomin- ciate a scoprire, e dove poi Giovanni da Udine, Raffaello e tanti altri appreser — 4 —> l'arte dell’ornato gentile, e di quegli accoppiamenti degli stucchi con la pittura, che ne ritennero il nome di Grottesche. A pie” del Campidoglio nel luogo dove si adu- nava il Senato, vede una Ninfa che uccide un Toro (forse un sacrificio Mitriaco); e sù in alto s’arresta al Tempio detto ora d’Ara-coelî, dove la Sibilla Tiburtina (come narra anche l’autore delle Mirabilia Romae) mostrò ad Ottaviano la Vergine Maria col figliolo nello splendore della lor gloria celeste.... e: Però, conchiude il nostro Milanese: Si chi in altri spera ha il pensier vano, Poi che questa ci dà il quieto lito, Con eterno fruire al corpo umano. E così finisce con una pia aspirazione cristiana un Poemetto cominciato sotto l'invocazione d’Apollo e la minaccia di Caronte. In tanta scarsità di notizie relative alla Roma dei primi anni del Risorgimento, perduti gli studi che Raffaello ne aveva incominciati, mutili quelli del supposto Bramantino, inediti ancora quei di Giuliano Giamberti o da San Gallo, sepolte forse negli Archivii o nelle Librerie altre opere migliori, le barbare Antiquaglie Pro- spettiche del Dipintor Milanese non sono cosa da disprezzarsi, e mi parrà d'aver bene speso il mio tempo nello studiarle e nel rimetterle in luce, se da esse trar- ranno altri argomento a nuove ricerche, o a più eruditi commenti, Atti delle A. Accademia dei Lince; Serie I? Vo/.IIT® Antiquarie pipetiche Romane E 6pofte per paofpectino Velanefe vepictoze Folo-Lit. Markelli Roma Antiquarie Prospettiche Momane composte per Prospettivo Milanese Dipintore Car. 1: V° — Col. I.8 Per tribuire solo imafatico al sacro tono dela nimphal musa baguiato dalicona e da medusa de phebo de pernaso tucto amico Qual ce fa degno dogne stillo antiquo lardente gioue ogni suo vitio brusa facendo anui visiua darte fusa soprun caual el padre lodouico Soluna machina e senza scarpello Uchalion non ce a tal natura magnera quel de phidia e praxitello Non ferle antiqui mai si gran sculturta ne ymaginosse comel so medello che deuorasse il cel inho paura per thema layer scura Tenendo il vince chabia immortal alma perche de ioue tien la inuita palma Car. 2. R° — Col. L® Anfiquine prospetiche Romane Komposte per firospoctino Melanese depiefore O sommo apollo o eterna influentia o machina immortal diuinaspecto de fami degnio de to sapientia Tal che fugir di carontel conspecto possa per me vilta sial tucto priua biasmando di mortali el van dilecto O incognita virtu intellectiua la to profondita somma iusticia bagni laride labral prospectina Acio chi possa dar qualche delitia a quei channo fiducialla natura per ampliar di Roma so noticia Di templi sacri picti et di scultura chene son parte impie e guasti in toto facendo per piata piangier lemura Et io che son delli antichi diuoto che serronico ifussi allor negotio scusandome perche fui idioto Ad te cordial caro ameno socio Vinci mie caro nollauer per vitio sì a scriuer fussi stato colmo de otio ParTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.* 10 ll 13 14 15 Victoria vince et vinci tu victore vinci colle parole vn proprio Cato e col disegno di sculpir sigrato che honor ti porti col ferro pictore Tal che dell arte tua ogni auctore resta dal vostro stil vinto e priuato di scopa pare el to lauore ornato o praxitel che fu vero sculptore Po che di marmo fa Vinci vn col core diuino aspecto sopra ognalto intaglio togliendo delantichi el bon valore Donde per vinci dire in alto saglio scrivendo de Romani el bel lauore per mecter piede ancor nel vostro soglio ionudo mici spoglio Bagnando lochi con oglio e saliua perchai di noi ella palma e luliua Soprafluibil del mie soprafitio Appol ti guardidogni to desastro che bramo vederte piu chel iuditio Non bastarebbe strato o geroastro gesia gentil spesippo periandro dir quanto ameni son del to catastro Se tu viuessi piu che mai atandro e non venissi doue policreta non valeresti per antichun landro Col. II.® Que de serpentino marmo e chreta di porfido alabastro et altre gemme di man di phidia praxitele leta Sonci doi gran colosambedo insieme con doi apiedi che lor fren tenea che son perfecti et de grandezextreme Poscia in casa dun certo mastrandrea ve vn nudo corpo senza braze collo che mai visto uon ho miglior diprea Ha el cappel genouesun certappollo che sa gettato el carcasso alle spalle collarcho lento spinto fiacho e mollo Et ecci in casa duno della valle do fauni che san cento la schiena la pel dun capreon con molte calle Ecci nel domal cardinal di siena nude tre gratie et una nimpha troue che par chin ver di lei gran vento mena % 17 13 19 20 21 DI DI 29 30 0) E mariano stalla cose noue trouo consorte adappollo scolpita facta per man di quel che tutto mone Heci vn inclita po hermafrodita producta fu dalli superni dei e parte vn sottil velo ha circuita Han molte cose poi certi maphei giaquato vn nudo vinto dal sopore ve che colar fa spesso gliochi mei Un tauro bagnato de sudore laureato dalla ritta ciancha chal sacrifitio va con gran furore Unaltra nude in casa qui di brancha vn fauno hanno che mira le stelle altro chel spirto elalmanon li mancha Ifreapani han quatro finestrelle ciascuna vn nudo che lor pengue suda che di bonta non vidi mai piu belle Car. 2. V° — Col. I° I chafarellan vna sisa nuda che per stracheze tien so capo chino sero io del pentir piu dur de giuda Vo mentouare vn certo ciampolino chuna parte del mondo ancor si crede dantichita fare calcate pieno Trale quale vn nudo che si sede dun vel coperto saluo chel pie mancho qual fa merauegliar ognihom chel vede E vna nimpha posta insul pie stancho che si tien la tal man sopra galloni cinta dun bel diaffan velo biancho Chi retra vrtar si sole in doi grifoni et altre cose che lui dentro serua pili teste con braccia e fier leoni E in casa san giorgo vna minerua la qual mi fa tornar el cor dincudo con quella di san marco equal conserua E maximi loro hannuna testudo yna nuda ha di sopre assai più meglio con bono aspecto e perfecto attitudo Ecci in vn orto doi armati in treglio sottofitie no» han dilor cappello che per pieta di lor spesso misueglio In nel giardin del cardinal sauello acauallo in vna ocha ecci vn puttino che mai non vidi el miglor di scarpello A dir dun misser mario mellino irestarei senza calamaro se ben tenessi piu cuno amplo tino In casa vw certo Gulio porcaro tanta e la copia de pitaphi antichi et forze anchora che hercule exaltaro 34 35 36 37 39 40 41 43 44 46 47 48 Con molte cose senza chio replichi perche nostra natura e si veloce bramando allaltri dei essere amichi Col. II.® Et ecci in casa dun di santa croce vn nudo et tiene vn zappo scorticato che dessere assai bono ha molte voce Et ancho qui veder poi ruinato templum pace di grande architectura geometrical per terra fracassato Natale quel che gettalla pianura onde ho compassione gran dolore vedendo ruinar tantample mura Et ecci afronte allui templo magiore che piu dun miglie so circumferentia di sommo preze inclito valore Hebel maestro in cio gran diligentia cogliendel stil di Ceto e di Preseo tanto ha mostrato in lui gran sapientia Quasi in mezo acostoro e Culiseo nol possendo narrar mie lengua tase che conuerria che fussi vnaltro orpheo Heui propinquallui larcho di trase historiographo e chel pictor germine queste piu presso chaltra templum pase Assai distante allui botte di termine chera famoso templo dalto hospitie mo e pier di ratti rospi ealtro vermini Ecci vna torre chiamata militie delle tre parte luna e sotto fonda non so se laltre do vedran iuditie Un templo ce chiamato la ritonda che fu di quel famosagrippa marco et anche in pie ogni so riue sponda Tutto e cerchiato et facto di dopiarco al centro del diamatrun spiraculo che alto quasi quanto sputa vn archo Ecci saturno chumbra stabitaculo acio che ioue non fulgur la soma aduenga che de lui siel grandentraculo Caro RR Collane: Difuora ve di porfido vna toma con do leonze de granita petra delle sublime cose che sie aroma Euuna guglia tal duna pharetra son trenta braccia o piu sel dir non erra chi sotto visi pon conuien che retra Et altre tanto dicon sotto terra cuuna pallin cima e cesar dentro che vi fu posto finito lui so guerra 50 ol 52 54 56 57 58 60 6l 63 64 MET Eui castel santagnil di gran centro doue per tema di re tramontano sesto Alexandro si fuggettin ventro Et e si forte che ben da lontano conuien se stia a contemplare elloco se non vogliam buttare el tempo inuano Il vidi de allegreze e dira foco che mai vista non fu magior belleze pareua oue e collui che sempre innoco Afrontallui era dequallalteze vna gran meta di pietra murata di gemme fine et di gran gentileza Nel mezallun allaltrera piantata vna pigna de octon coperta doro con ambe do le machinabraciata Et fructi facti di sottil lauoro conchaue in santo pietro vna ne bella habitacul darlotti ondio ne moro Et era questornata campanella di son diuersi e di musical vose seconde el vento che batteua in ella Sonui altre cose assai marauigliose cha dir dilor saria confusione tanto sonample che son tediose Eui di constantino vn gran ronzone staui quel grande chucise Asdrubello sono ambedui di gran perfectione Col. IT De per tre volte vn natural cauallo et e di tal bonta turpe disquame par che sie viuo e non di dur metallo Hanno i conseruatori vn che di rame collui che spense chacho rapinando che par di man di quel che fece adame Acantallui na fisura grande lungia del pie quale piu picinina equanto la mie brancha longa spande Disopra allui e marzo della spina tiene el pie ritto al sinistro gienochio sta gemmofisso collarcata schina Propinquallui a una circata dochio e vna zingra di magior varizia che non son quelle che fecel verochio Po sulle scale della gran giusticia vn tozze dun caual preso nel ventre dun leon chinho da lui leticia Vedrai vna testa da lui poco arente non so se cesare o octauiano che molto bona et e busciata nel ventre Vedrai di bronzuna palle na mano grandassai piu che non quella del dome del vechio padre che e dentro milano 97 _ 69 70 71 73 74 75 76 78 79 80 81 Distante allui vn col e pien di come di tal bonta qual lionardo nostro cliunchel vede fa sudar lechiome Meduse arpeie priape mostro driade e semidriade e teatri che sol delor copiar son senzinchiostro Leonze capreon tigri et satri et orse tormentarie con camelli belli elephanti con nobil meatri Fogliame fresi con perfectocelli disotto terra son cauerne e grotte tombe sepulchri pitaphi et auelli Car. 3. V° — Col. I.2 Ecci vn moute di vasa in tucto rocte che da Romani testacie chiamato che lebon per tributo et eran giotte Nel mezo delle mura edificato vna gran toma di molta grandeza doue po morte Remul sotterrato Son trenta braccie piu per gian largeza a pie dogni linea de quadranguli dorribil sassi et imo de alteza Corpicolli semicirculi e pentanguli ortagonie titangoni e pil di prea e linee rette pararelle et anguli Maiuchul greche Latine et Caldea hebraice Ethiopie et di Soria et de Canari et Lingue di Sabea El padre col figliol anchor qui fia che fe gierusalem di sangue vn lago poi vendico lamorte del messia Kui la petra doue Simon mago felli farel pastore el longo suario poi diuorato fu dal fernal draco Et ecci vn templo chiamatol herario doue tenea romani lor thesoro altro che de Alexandro serxe o dario Assai de questi piu in roma ne fuora ma questo cie chal popul fu piu grato sempre dargento pieno e di fino oro Et ecci vn templo a medici sacrato horribil molto grosso dun gran masso che cosmo e damiano elle chiamato Et sonci do colonne dun gran sasso comenzano assentir della ruinn se lor cadessen farien gran fracasso Luna e adriana ell altra lantonina ystoriate tutte di battaglie ma meglio tegnian noi la picinina 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 96 97 D 8 Col. II. Son cento braccia de grosso e altintagie ma parte duna el trono in terra giaque che delso gran valor narrar men caglio Era el stipendio del caualier delle aque quel fe collui che la madre entro aperse per vedere cue staua quando naque Ellera tondo edi cose diuerse sicomo culiseo circuito et allimpeto de eul cio sofferse Era su tre colonne per salito colle cornicie lor datthon dorato e colla infodra di marmo granito Di porfida era el primo colonnato formollo marte e per magior forteza con so potentia lhaue circundato So basse capitelli per belleza dagate e di diaspri del più fino lIhuman vedere ombraua per chiareza De ioue era el secondo serpentino smigraldi e capitelli in grosse piastre le basa de granata e de rubino El terzo era diaphene et alabastre producto dalla luna e calgalero como facto lhauessi geroastre Carboncolo e diamante impezo intero era diloro el base el soprafitio chancor veder si po che fussiel vero De piombo era coperto esto hedifitio ; | duna sol piastra questo era el volume | di bronzun poliphemo alfronte spitio Cha cauallo era auederlo in sul fiume e sotto allui passaua ogni alta gabia facendo con so lampa chiaro lume Non vera harena non terra non sabia di solo rame legato era el fondo e pietre sorian degypto arabia Car. 4. R° — Col. I.* Piu de do miglia lera lui circundo nel mezo era vna fonte daqua preinia nolla farebbe adesso tucto el mondo ci di virgilio vna cademia edificata nel piu bel di roma et hor dintorno allei visi vendemia Erano septe scole allalto soma de fin colonne alla circumferentia et hor vene son tre che aqua cola Ciaschuna havea per se la so scientia piu alta o hassa circuita altorno qual danno de pianeti linfluentia Era 99 Era la prima più propinqual giorno 100 101 103 104 106 108 109 110 1Il 114 115 Astrologia che germina lincanto el quale hospitio dato era saturno De sotte ioue con el dolce canto musica ditta allaudar maria che lhomo spegnie dallarido pianto Era la terza poi geometria che porgi allarchitator la ritta giona marte col fondo dela prospetia El quarto e quello chela vista introna e darismetrica iuerel ginatio che ci diriza per via ritta e bona Retorica dudirla mai son satio chal quinto solio staua et ancor venere tutta contraria al casto e bel topatio Mercurio poi experto in tutto genere loica instultiscie e fa lhomo practico mostrando el falso vero el duro tenere Septimo vedi poi esser grammatico doue e piu basso allaterra vicina questo produce infondel ciel lunatico Diuo antonino e diua faustina maiuscul dallontano eui scolpito che perel longo tempo omai sinelina Col. Ja Vespasiano augusto et diuo tito sublime vnarco eronico e poco mene di quel di trasi el circuito Et eui ancora quel famoso loco per patria liberar cursio romano submerse armato nel rabioso foco E drieto al campitolio giu nel piano vn arco circuito de victorie cha mancho testa bracia cossa e mano Giaquatin terra edi fame e di glorie vn dio dacque sotio ve de trone chel sopra nome chiamate marforie Ecci vn mastro pasquille imparione dal sasso spinse el so nimicho in ario questo e collui che extinse gerione Eui vna tomba di corpo fusario del quarto di sauona gran pastore . comoue giaque el nemico di dario Tutte di bronzo e par che sporti infore ornato di virtu muse e scientia di laude cinto premio et honore In somma sta el pastor per excellentia di tal splendor quale el car phebeo che par che sie natiuo in so presentia Praxiteles et scopa ouer perseo facto nollo hauerebbe lucibello ouer de andromida el gran tholomeo 116 117 118 119 122 124 125 59 — Et Anton polli fel proprio modello per nothomia et ogni neruo et osso como facto Ihauessi praxitello Monte cauallo ancor nollo agio scosso cheui son doi gran dei dicati al fiume di tal bonta che dire apena el posso Nudi ambendui in terra cosolumi vn cocodrillo sopra vncorno copia sotto al cubito so cargato gume Car. 4. V° — Col. I.° Che par viua natura et e pur copia prostratin terra sta che par che sciuoli chun tal trouarne ci sarebe inopia Porta lorenza le chapre di tiuoli chaprir non posson piu doue lor soglie son al presente causa de maliuoli Al sommuna ruina son do spoglie che di grandeze son ben dieci braze onde aritrarle non satio mie voglie Ense pharetre archi scudi e maze elmi celate giachi falde e mano schinieri arnesi et pecti con coraze De fore molte cose in vallin piano forme conducti distante dapresso et eui capo boue et antigniano Non e si duro cor che non piangesse lampli palazi corpi e mura rotte de Roma triumphante quando resse Hor son spelonche ruinate grotte di stuccho di rilieuo altri colore di man di cinabuba apelle giotte 127 129 130 131 132 133 Dogni stagion son piene dipintori piu lastate par chel verno infresche secondo el nome dato da lauori Andian per terra con nostre ventresche con pane con presutto poma e vino per esser piu bizarri alle grottesche El nostro guidarel mastro pinzino che ben ci fa abottare el viso elochio parendo inuer ciaschun spaza camino Et facci traueder botte ranochi ciuette e barbaianni e nottoline rompendoci la schiena cho ginochi De sotto al campitoglio al fondo in fine doue el senato stana al conciestoro de porfide coperte serpentine Col. II.* Di marmuna nympha amazun toro sacrata al degnio cesari Romano che sparsel sangue sopral drapo doro Disoprel templo douoctauiano vide maria col figliol vnito coprendo gliochi collarchata mano E tyburtina gliel mostro col dito pero chin altri spera hal pensier vano poi che questa cida el quieto lito con eterno fruire al corpo humano Siniscon fantiquaglie prospe quag P fiche Romani SERA AVVERTIMENTO er Nella ristampa delle Antiquarie Prospettiche si son conservati scrupolosamente l’ortografia e persin gli errori manifesti del testo, togliendone soltanto le abbreviazioni, perchè le tipografie moderne non posseggono i caratteri corrispondenti. Però le lettere aggiunte sono in corsivo, di guisa che i luoghi e la natura delle abbreviazioni vengono così esattamente indicati. Dove più parole erano unite insieme o mal divise non si è creduto conveniente di staccarle, o di correggerle altrimenti. Chi leggerà con qualche attenzione questo poemetto non durerà fatica a ridurlo in miglior forma ortografica, e, vedendo il testo come fu pubblicato dall’autore, potrà interpretarlo a suo modo nei passi dubbi. L’originale non avendo nè paginazione, nè registro, nè richiami, si è indicato nel riprodurlo il numero d’ordine della Carta, il Recto o il Verso di questa, e la colonna, della facciata a due colonne, in cui trovasi quella parte del testo. Le note non hanno per iscopo di ridurre a miglior lezione le parole del testo, se non là dove il farlo può tornar utile alla intelligenza di ciò che il Prospettivo dice delle Anticaglie Romane. Non vi si troveranno quindi raddirizzate le stramna- lerie Mitologiche dello Scrittore, nè quelle che riguardano la Storia dell’arte antica; il farlo sarebbe stato tempo gittato, non trattandosi dell’opera di un erudito. Ogni terzina del poemetto porta il suo numero d’ordine per facilitare i richiami nelle Note. In queste il numero che verrà dopo quello della terzina, segnerà il verso della terzina stessa al quale si riferisce la Nota; così LO, 2, significherà il secondo verso della decima terzina. Pei due sonetti non si è fatta numerazione speciale, riferendosi ad essi una sola Nota che precederà le altre, come i sonetti procedono le Antiquarie. Al frontispizio perfettamente riprodotto colla foto-litografia è stata sottoposta la riproduzione fotolitografica del titolo, messo dal Prospettivo al suo poemetto, sebbene questo titolo si trovi al principio della seconda carta, e non sotto al frontispizio originale. È parso utile di dar così anche un saggio del carattere maggiore impiegato nel testo, affinchè si possa confrontarlo, volendo, coi caratteri d’altri libri di quel tempo, e determinar forse meglio chi fosse lo stampatore dell’opuscolo, e quale il luogo della stampa. Peng SE NOTE Sonetto I° Sopra un caval el padre Lodouico: — Prima di Lodovico, Galeazzo Maria Sforza avea pensato fino dal 1473 ad erigere una Statua Equestre in bronzo a Francesco Sforza suo padre, e ne avea fatto scrivere ai fratelli Mantegazza di Milano, ma il progetto non ebbe compimento. Leonardo da Vinci in quella sua lettera al Duca in cui espone tutto ciò che potrebbe fare se si volesse adoprarlo, dice: Anchora si potera dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale ed eterno honore de la felice memoria del Signor vostro padre e de la inclyta casa Sforzesca. Sicchè venuto al servigio del Moro verso il 1483, egli dovè metter mano immediatamente al modello del Colosso. Ai 23 di Aprile 1490 malcontento del suo primo lavoro ricominciò il cavallo, e nel 1493 pare che avesse sufficientemente condotto innanzi cavallo e cavaliero, tanto da poterli esporre al pubblico in occasione delle nozze di Bianca Maria coll’ Imperatore Massimiliano; (30 Novembre 1493) se pure alludono all’opera di Lionardo:le parole di Pietro Lazaroni, che in certi esametri dedicati all’Augusto sposo dice: (car. 6. R°): Fronte sedel prima quem tolus noueral orbis Sfortia Franciscus ligurum dominator et allae Insubriae, porlalus equo .e...... Baldassarre Taccone in un Poemetto composto per queste stesse nozze, parla così dell'opera di Leonardo: Vedi che in corte fa far di metallo per memoria del padre un gran colosso i credo fermamente e senza fallo che Gretia e Roma mai uide el piu grosso guarde pur come e bello quel cauallo Leonardo uinci a farlo sol se mosso statura (sic) bon pictore e bon geometra un tanto ingegno rar dal ciel simpetra. E se piu presto non se principiato la uoglia del Signor fu sempre pronta non era un Lionardo ancor trouato qual di presente tanto ben linpronta che qualunche chel uede sta amirato e se con lui al paragon safronta Fidia: Mirone: Scoppa e Praxitello diran ch'al mondo mai fusse el piu bello. Dopo questo magnifico elogio, imitato cinque anni appresso dal Paciolo che dice quella statua: dall’invidia di quelle di Fidia e di Prassilele in Monte Cauallo al tutto aliena, il Taccone non aggiu- gne che il modello figurasse in pubblico, mentre poi descrive minutamente tante altre particolarità della festa, che meritavano assai meno di venir ricordate. Dubito per ciò che i versi del Lazaroni alludano al Colosso di Lionardo, il getto del quale nel 1498 non s'era fatto ancora. Però Luca Paciolo nel suo libro: De Divina proportione, dopo d’ aver detto che la Statua dalla ceruice a piena terra era 12 braccia (7 139) ne calcola il peso quando sia gitata in 200000 libre. ..che di ciascuna loncia comuna fia el duodecimo (sarebbero circa 65358,6 kili) — Il Vinci stesso aveva giudicato dover essere lunghissimo il lavoro di quel Colosso, tanto che in una bozza di lettera che si conserva autografa nel Codice Atlantico, egli fà dire da un altro ai Fabbriceri del Duomo di Piacenza, non esserci per le opere in bronzo chi possa gareggiare con « Lonar fiorentino cheffa il chauallo del duca Francesco di bronzo che none bisognia fare stima perchè a che fare il tempo di sua vita, e dubito che per lesere si grande opera che nolla finira mai,...e più in ea giù, con altre parole: Eu vno & quale il Signore per fare questa sua opera attratto di Firenze che e degnio maestro ma atanta tanta facienda nolla finira mai. Se dobbiamo credere infatti a mons. Saba da Castiglione (Ricordi ete.... Vinegia 1554 - carta 51 verso) Leonardo nella forma del cauallo di Milano, ....sedici anni continui consumò, e siccome egli partì di Lombardia sugli ultimi del 1499, o al cominciar del 1500, così si vede che doveva, essersi messo attorno al lavoro del Colosso tino dal 1483, cioè fino dai primi tempi della sua andata al servizio dello Sforza. Ma Lodovico il Moro, assorto in quei maneggi politici che dopo d’avergli dato la Signoria finirono per togliergli principato e libertà, non pare avesse per tutti quei 16 anni avuto sempre la voglia o i mezzi di pagar l’opera del Vinci, così che questi si trovò forzato a sceri- vergli. (Cod. Atl. 328, V°.)... del cauallo non diro niente perche cogniosco i lempi....a vostra Si- gnioria chomio restai avere el Salario di 2 anni del.....con due maesstri i quali conlinovo stellono amio salario esspe...che alfine mi trovai avanzato ditta opera circa a 15 lire....e forse allora fu che il Duca gli fece dono (a’ 26 d° Aprile del 1498) d’una Vigna di 16 pertiche (0,105 Ettari) situata fuor di porta Vercellina. Contuttociò il Colosso, non venne mai gittato, se pure ne fu compiuto il modello. Un Anonimo raccoglitore di notizie relative a Pittura, Scultura e Architettura, assai bene infor- mato, e quasi contemporaneo (Bibl. Naz. di Firenze. Mss. CI. XVII ANON.), così parla di que- st'opera del Vinci: E! in Milano similmente fece uno cauallo di smisurata grandezza suuj il duca Francesco Sforza cosa bellissima, per giltarlo in bronzo, ma vniuersalmente fu giudicato essere impos- sibile, et maximo perche si diccua uolerlo gittare di uno pezzo, la quale opera non hebbe perfeclione. Colla caduta dello Sforza entrate in Milano le soldatesche di Luigi XII, prima nell’ottobre del 1499, poi di nuovo nell’Aprile del 1500, non solo il Colosso fu lasciato viluperosamente roinare, come dice Mons. Saba da Castiglione, ma com’egli stesso soggiugne: ricordo (et non senza dolore et dispia- cere il dico) una così nobile et ingegnosa opera falla bersaglio à balestrieri guasconi. Non è quindi da meravigliare se nel 1501 Ercole 1° da Ferrara scriveva che: ogni die se và guastando, perchè non se ne ha cura, e forse il Cardinale Giorgio d’Amboise che allora reggeva la Lombardia non volle darlo a quel Principe che glielo avea fatto chiedere, per essere del tutto guasto, o ridotto a tal punto da non potersi mostrare senza vergogna. Antiquarie 10. 2. Nell’atrio della Sagrestia di S® Maria sopra Minerva in Roma, si vede nel muro verso il giardino alla destra di chi osserva, un monumento sepolcrale semplice ma elegante negli ornamenti, che in una nicchia emisferica presenta un:busto d'uomo scolpito in marmo bianco, ed ha sotto la seguente iscrizione: D. 0. M. AnprEAE BREGNO EX OSTEN AGRI COMENS STATUARIO CELEBERRIMO COGNOMENTO POLYCLETO QUI PRIMUS CELANDI ARTEM ABOLITAM AD EXEMPLAR MAIOR IN USUM EXERCITATIONEMQ REVOCAVIT Vix AN LXXXV n V D VI BartHoLonEus BoLLis Recesti Pont MAGISTER EXEC ET CATHERINA UXOR pos MDVI. Non è impossibile che questo Andrea Bregno da Osteno, borgo situato sulla sponda di quel braccio del lago di Lugano che appartiene alla provincia di Como, sia appunto il policreta o Policleto del Prospellivo; poichè, se il Bregno morì d'85 anni a Roma e vi ebbe sepoltura nel 1506, poteva esservi PERI nel 1499 o nel 1500. Quindi ii Prospeltivo suggeriva a Leonardo di venire «dov'é Policleto » per potervi conoscere gli antichi. 1 fl 1. 3. 12. I due Colossi, attribuiti a Prassitele e a Fidia, sono quelli del Quirinale, de’quali parlano tutti gli scrittori, e che, tratti dalle rovine delle Terme di Costantino, furono fatti collocare da Sisto V nel luogo dove stanno attualmente, e disporre come ora si veggono per ordine di Pio VI. Chi poi volesse conoscere la strana .fola medievale dei due /i/osofi Prassitele e Fidia, che a’ tempi di Tiberio venuti a Roma ottennero da lui di farsi rappresentare ignudi presso due cavalli in com- penso dell’aver indovinato ciò che l'Imperatore di nottetempo avea detto nella sua camera, legga le Mirabilix Romae edite da Gustavo Parthey (Berolini 1869 in 12° pag. 34-36). 13. Il Mastro Andrea del quale parla quì il Prospettivo potrebbe essere l’Andrea da Roma ricor- dato nella Cronaca rimata di Giovanni Santi padre di Raffaello, scritta verso il 1490 e conservata fra i Codici Ottoboniani della Biblioteca Vaticana sotto il numero 1305. Eccone i versi: do GOLSTAE il chiaro fonte d’umanitate e innata gentilezza che alla pittura e alla scultura è un ponte, Sopra del qual si passa cum destrezza, dico Andrea da Verrocchio, e Andrea da Roma sì gran compositore e cum bellezza. Quanto al corpo nudo senza braccia e collo del quale mai non fu visto migliore in pietra, sì potrebbe crederlo il meraviglioso orso del Belvedere, se a questo non mancassero anche le gambe. È ben vero che quel chiamarlo corpo e non womo o figura lascia intendere che appunto non avesse le gambe, ma presentasse soltanto i tronchi delle coscie, il ventre, il petto e le spalle, cioè quello che volgarmente si suole dir il Corpo. @A. Del Cappello genovese non ho trovato alcun cenno, nè dell’Apollo da lui posseduto, a meno che non si trattasse di quel bellissimo Apollo scoperto a Porto d’Anzio sulla fine del secolo XV e acquistato poi da Giuliano della Rovere, il quale, divenuto Papa Giulio II, lo fece collocare nel Bel- vedere del Palazzo Vaticano dove tuttora si trova. 15. Messer Valerio de la Valle avea nel cortile della sua casa in via della Valle « due satiri MARCELLI È C.STATIV S C.F PAL CRESCENS Li LATERANO - ET: RVFINO:CO L'ANNIV SI AB CPNDEN Ss ROM C.RVBRIV S C.F POLL. VRSVS MVT 7IVVENTINI ; LATER LHERENNIV S L.F FLAV. JANVARIVS.ROM IA IR IRZAGNIO RING SIE RVFINO COS TI.CLAVDIV SS TI.F FAL. PRIMVS CAP A.OPPIV SA.F ANN TITIMANV S CREM M.OCTAV I.FAGIGVLANIVS. L.F VOL. CELADV S_ FAG. M.AVRELIV Sì. M.F CAM IVVENI S RAV Q.CONCO 1.AVRELIV SS L.F AEM. ARTEMAS DVRR C.CORNELIVS . C.F. OFF TAT O TARR L.FVLI.OI L.COCCEIV S L.F POL. CLEMEN S OSTRA M.AVRELIVS M.E AEM ATTALV S DVRE C.SAFINI Q.AMVLLIV S Q.F PAL. VITALI S OST T.SEXTIV S T.F STELL FESTV S BEN L.LVCILI C.PROPERTIVS. C.F FAB OPTATV S ROM Q.ACRINI L.GEMINIV S_L.F FAB ARISC O ROM M.AVREL OPT.ABA.P.ACLIV S P.F. PAL. LVCIANV S. OST. SIGT.FLAVIV ST.F AEMIL.IVSTINNS DOB C.CORNE ? 711. CLAVDIV S_TI.F AEMIL. PRISCV SO UMM CORTR A.SAENI SATVRNINO . ET . GALLO © COS T.CLODIV ST.F PAL MAXIMV S OST T.AELIV S T.F AEMHERMOGENES DVR TLUNIONIAA So O 9 AVIS SO RON SATVRA L.POMPEIV S_L.F. PAL. VICTORINVS OST LANNIDIVS L.F PAL SATVRNINVS OST, L.PAPIR L.MINNIV S L.F.FAL.NESTO RARI SATVRNINO © ET © GALLO COS M.AELIV C.FAKRACIVS C.F.FOR..MARCELLV S_BRIX M.AVRELIV S_M.F AEMIL. PVDEN S DOB T.ANTO M.ORBIV S M.F.MAEC. FELIX NEAP TI VIBIVIAS ION, DAB CTHRS IVANO L.MESSI C.CONSTANTIVS C.F.NVC. TERTIV S CONS T.ATTIV SOMETARMGI LEO INTERAM.PRE P.ACILI M.VINCIV S M.F.IVL. JANVARIVS EMON IONE CIMIVAS ASL A NI PAEMSVIE A OST L.VIVEN C.IVLIV 3 CIT PAD, VEMIO OS TICAEGILI VAS EN ONLI ENI PATAANAVICHO R OST M.VALE 7 SEYERIANI 5 EVO L.SEPTI LATERANO RI RVFINO COS i; M.VALERIV S__M.F FL PROCVLV S PVTEOL LATERANO er RVFINO COS M.VLPIV Ss Rd i MAXIMV S MISEN Q.CREPEREIVS Q.F FAB PVDEN S ROM LATE 7: PRISCIANI C.GALLENIVS = C.F AVG SECVNDV S TREB BrRL.HOST L.VALERIV S L.F. ANN. PRIMVS . VERC. T.RAESIV ST.F AVG IVSTINN S TREB C.MVNISf T.HATERIV S T.F. FAB RYSTICVS ROM L.AELIV Ss L.F t&&L DEMETRIANVS PYTEOL L.VENVIÒ M.ANTONIV S M.F. FAB VALENS PATA. L.VTILIV SL.F &OLL SABINIANVS FAN. FORT SEX . LIB C.GRANIV S C.F. FAB PRISCVS EBVR. M.VIBIV SM.F POLL ANTIQVV S. PARM M.VLPI M.DVENIV S M.F. PAL RKENTINVS SVIR C.MOLLIV. S©.F OFEN NOETV S PRIV C.IVLIV® TRAEC.PR.M.IVLIV SOM.F. PALO !SUMHMNSKWIRNNIS OST Q.SEXTILIV SO Q.F FAB MAXIMV S ROM L.GRANM CSS. 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(GAL SIIIIIIII, +e0001° T.R..........R OA C.NARIVS C.F STEL PROCVLY S ASIS L SN Cd 0.09005000690U00009R90I 0000000 TANTTNIIANIANIVATVAN0009N0N0090N 90990999900 CAMP UM ALIF IEZZO dl vuvseviesore 0000000000000 so res ser 00000000 VRB M FVLVIV S M.F PAL PVDEN S OST C.AMATER C.F VEL SEVERV S CLA MEIVNIVANNNS(A MISE PAT TITIANVA NSA OST M AVRELIVS M.F AEM SYSIMACHVS DYVRR D.POMPEIV SD. FAL ADIVTO CAP M.AVRELIVS M.F AEM ALEXANDER DVRR P.CAESIV. S _P.F MIN SABINV S ARIM A.CREPEREIVS A.F IVI FELIX S TVSDR INO COS P.AEMILIV S L.F PAPI MAXIMV SU NAR EVC.L.RVFELIYS. L.F FAB IVLIANV S ROM Q.CASTRICIVS. Q.F PAL SATVRNINVS OST M.PETRONIVS M.F AEM TRYPHO N DVRR \\1ERANV S PvrEOL Q.FVRFANIVS Q.F PAL FORTVNATVS OST 7 SATVRNINI ; RECVNDV s VEST OPT.M.AFRELIV S M.F PAL SVCESSV S OST LATERANO ET RVFINO CoS AGNV S GRAV M.ARRVNTIVS. M.F MAEC ANTONINV S_FVND M.VALERIVS M.F FAB VALERIANVS ROM RIMV S TREBL I.TIFERNIV S _L.F. 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SATVRNINVS RAV SATVRNINO: RT: GALLO < 008° C.SESTIV S C.F, FAL. SECVNDV S_CAVD. L.AEMILIV S L.F. AEM REGILLV S FVND. I.CARCILIV S L.F. SAB SEPTIMV S AMIT, M.CLVVIV S M.F. UAM, VRBANV S RAV. venire necaieisesee FP, FAB SECVNDINVS ROM ROSI ROM. XVI FF. 7SIGC.VALLIV .SC.F FAB TOLLIANV S. L.AFRANIV S_L.F POLL SEDATV .. SVIR [N] INI VRB L.ROSciv SL.F 9 RA VAMVANI= SSTATIV SC C.F PAL CRESCEN S_Lu SANE S L.F FAB PVDEN S_ ROM / HiporI 7:IVVENTINI ; LATRERANI. LATERANO © ET RVFINO 008 ANO: g RVEINO ALOPPIVO SO A-F ANNO TITIANV S CREM M.OCTAVIV Syfig, . LATERANY 5 M.AVRELIV S. M.F CAM IVVENI S__RAV Q.CONCORDI\S dyeN VERECVNDY S C.CORNELIVS C.F OFF TAT O TARR L.EVLLONIY sf, MAGNY Ss M.AVRELIV S M.P AEM ATTALV SS DVYVRR C.SAFINIV sj PRIMV Ss T.SEXTIV ST.F SIELL FESIV S BEN L.LVCILIV sikiy SAIVRNINV S C.PROPERTIVS. C.F FAB OPTATV S ROM QUAORINIV g (li SAIVANINY S L.GEMINIV SU L.F FAB ARISC O ROM M.AVRELIV $ gp ANNIANV _S SIGU.FLAVIV S.P AEMIL.IVSTINV — S DOB C.CORNETIV $ $AL FELIX N 701.CLAVDIV S_TI.F AEMIL. PRISCV S| CORTR A.SAENIY $ giu ROSCIV Ss T.CLODIV ST. PAL MAXIMV S OST L.ANTONIV S. Q.F FAB AVGVSIV S ROM SATVRNINOÎ GALLO LANNIDIVS L.F PAL SATVRNINYS OST, L.PAPIRIV $tm VICTO R SATVRNINO ET GALLO COS M.AELIV SQpx TORQVATV S M.AVRELIV S__M.F AEMIL. PVDEN Ss DOB T.ANTONIV $ fvpr, PROFVIVRY S LIVIBIV S. 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LIVIV SEL VRBICINIV _S M.VIBIV SO M.F POLL ANTIQVV S PARM M.VLPIV SÉL VALERIV SS C.MOLLIV Ss C.F OFEN NOETV S._PRIV C.IVLIV SÉIN PROCLIANV S Q.SEXTILIV SO Q.F FAB MAXIMY S ROM L.GRANIV 3UB vICTO R L.CESSIV S L.F OFENTVETVRIANVS MEDIOL T.OVEDIV SPM SYCESSY Ss G.PAPIV SU C.F AVG RESIVIV S TREB C.PEMDIV SUL FELICISSIMV S L.IVLLADENIVS L.F FL PRIMVY SPVTEOL M.LICINIV SOI FLORV Ss T.VALERIV SC T.F FAB ANNIANV S ROM T.AELIV SIEM LVCINY Ss M.COSSVTIV S M.F FAB PROCVLEIANYSMEV c.osciv SEM IVLIANV Ss M.TRVTITIV S M.F MEN LIBERALI S_PRAEN Q.CORNVTIY SÀL HONORATY Ss C.IVLIVS C.F PAL SATVRNINVS OST c.vamniv SÙ EstRICATY Ss SATVRNINO ET GALLO COS là S]G T.CELSIVS T.F MEN CRESCEN S PRAEN sl 7 QIORBIVS Q.F FAL TERTVLLINYS ALIF SATVRMIN GALLO Q.CAELIVS Q.F PAL PVDEN SIMMOST O.VETTIVS C.F OFENT. VITALI S_ TARR 1, CALLONI, SATVRNINY S C.NARIVS C.F SDEL PROCVLV S ASIS (RAI «INV S RARA sE ATF see, M FVLVIV S M.F PAL PVDEN S OST M.IVNIVS M.P PAL TINANY S ost D.POMPEIV S_D.F FAL ADIVIO R CAP P.CAESIVO SO P.F MIN SABINV Ss ARIM COS P.AEMILIV S_L.P PAPI MAXIMV S NAR ‘ QCASTRICIVS Q.} PAL SATVRNINVS OST »a PviEoL Q.FVRFANIVS Q.F PAL FORTVNATVS OST VEST OPT.M.AFRELIV S_M.F PAL SVCESSV S OST GRAV M.ARRVNTIVS M.F MAEC ANTONINY S_FyYND TREBL I.MFERNIV S_L.F POLL VERVS FAN. FORT PVIEO M.LOLLIV S M.F PAL RVSTICV S OST PVIEO SEX.CAECILIVS SEX.P CAM CAPITOLINYS TIB PVIEO M.IVLIV SS M.P FAL FORTYNATYS CAP PVIEO 7 ROMANI SVIR LATRRANO ET - RVFINO © COS COS EVC.C.ATILIV S ©.FP OPENT.MAXIMV Ss COM RAVEN C.FLAVIV S C.F FLAV VICTOR TIR DVRR M.OPSIV S M.F FAL SYLVESTE k CAP VERON CN.DOMITIVS CN.F STEL DONATV. S BEN SVAS Q.VALERIV S_Q.F PAL CALPVRNIANVS OST ATESI M.REGINIV S_M.F HER EVIYCHE S LYCAN VOLC L.VLPIDIV S L.F CAM VRBANV S_ RAV CAPVA T.ANNIV S T.FP FAB FELICISSIMVS ROM TVSDR SEX.AVRELIVS SEX.F. OFENTIN INGENVV S_TARR FO. P.PETRONIV S_P.FP IVI BALBINIV S EPRAES SIG. P.ARRIV S P.F SCAT SABINV S ALTIN dog M.DOMITIV S M.F LEM GETVLICV S BON PVIE CAPVA SATVRNINO ET GALLO Cos LVCA MEVMI Q.MARCIV S Q.F OFENTMARCIANVS TAR. a, L.POMPEIV S_L.F VET VALERIANVS. PLA.. son C..RVTILIV S_C.F ESEER DONATVS AS. IST C.SAENIV S. C.F STEL VERECVN.. CAP M.VETIDIV S M.F STEL IANV.. OST M.IVNIVS M.F FAL VICTO. sie M.AQVILIV S M.F SEPT GETV.. STILO QIVLIV S Q.P CAM DON. Soa P.VOLCATIVS P.P FAL PVB.. Q.PVFIOLV S_Q.F VEL FE. CÙS L.AEBVLIV S_L.F VEL PR. C.VALERIY S°_C.F LVL SA. Q.HELVIV S_Q.F co OS SIG.M.MAIV _S A DL È PRAEN 7 C.IVLI EI C.F IYL P ROM *T.CI lg ie oresersanene C.AMATER M AVRELIVS M.AVRELIVS A.CREPEREIVS A L.RVFELIYS M.PETRONIVS 7 LATERANO M.VALERIVS M.CVLCHIVS M.AEMILIVS C.SEXTILIVS O.PVLIV S C.CATIANIVS C.F VEL SEVERV S CLA M.F AEM SYSIMACHVS DVRR M.F AEM ALEXANDER DVRR .F IVL FELIX S _TVSDR L.F FAB IVLIANV S ROM M.F AEM TRYPHO N DYVRR SATVRNINI ET RVFINO COS M.F FAB VALERIANYS ROM M. F STELL FORTVNATVS BEN M.F CL, FELICIANVS IVA C.F SEN RENATV SS IVL C.F AEM CLAVDIANVS DVRR C,F c.nmmr «RR TVD crea Mapasde se JER Gi AESrTR IE TITRITRPUEETOIEE Tg LA FRANTOI PELISIOCA i, farlo SUA 16 p? visa PORRE MILNE PAR ASNE. . » (E FATA va ij FA) j Ùi ° PESO Notizie degli scavi di antichità comunicate dal socio G. FIORELLI nella seduta del 19 marzo 1876. FEBBRAIO I. Concordia — Gli scavi concordiesi nella provincia di Venezia, ricominciati il 21 febbraio verso l’ estremo limite settentrionale del sepolereto cristiano, hanno restituito a luce un’arca, la cui epigrafe non si è potuta leggere ancora, a causa della cattiva giacitura del monumento. Frattanto si sono preparati i mezzi per tenere asciutte le fosse, e per scandagliare il piano sottoposto, ove si ha certezza che alla profondità di circa m. 2,00 si troveranno sepolcri di età più remota. II. Bologna — Alla distanza di circa 14 chilometri dalla città, nel Comune di s. Vitale di Reno, in un podere della marchesa Laura Bevilacqua si scoprirono per caso quattro sepolcri, contornati da latercoli manubriati, e ciascuno di essi con- tenente lo scheletro senza oggetto alcuno. In Bologna poi, essendosi demolito il muro di una cantina nel luogo denominato Porta Ravegnana, venne a luce porzione della strada romana, che immetteva diret- tamente nella prossima via Emilia, della quale in altro tempo si erano trovati alcuni avanzi, descritti dal ch. Gozzadini ne' suoi studî topografici. E devesi alle premure di lui se, in seguito di tale nuova scoperta, si sieno dal Municipio investigati due siti vicini, nello intento di rintracciare altra parte non guasta della strada medesima. Nel primo dei quali alla profondità di m. 1,50 apparve il lastricato della via senza margini, con profondi solchi delle ruote, mentre nell’altro saggio s’incontrarono poligoni smossi, ed un sepolcro fatto di tegole con coperchio testudinato. III. Chiusi — Dall’egregio Ispettore degli scavi avv. Nardi-Dei viene an- nunziato un nuovo acquisto fatto dal civico Museo di Chiusi, consistente in parecchie epigrafi etrusche, rinvenate in tombe scoperte a caso negli ultimi giorni dello scorso anno, sulla collina soprastante al lago verso la parte di tramontana. Le tombe erano forse dieci, della forma consueta e di piccole dimensioni, scavate nel tufo , alcune con ingresso a ponente, altre a mezzodì: nessuno scheletro umano vi rimaneva, ma vi stavano sparse ossa bruciate, ceneri e gusci di uova, vasi infranti di bucchero, e frammenti di terrecotte ordinarie, con tracce di ripetute violazioni, quantunque si trattasse di sepolcreto assai povero. Le epigrafi, che il lodato Ispettore mi ha comu- nicate, sono le seguenti: 1. VAAYI OIA, incisa in tegolo. 2. 23YVA:23911A2:4937, in ossuario di terracotta. 3. 39: AHAO OVDHEI, incisa in tegolo. I. JAM=Z139 : AHI9I30 : OKIA, in ossuario di terracotta. PARTE TERZA — Voc. III° — SERIE 2°, 11 toro, ici ii «ui cr tit O NQONE 5. ITITAHAO AIHAXA, incisa in tegolo. 6. FEL ANE AVLIAM Ti STOT2 2 INNO [he o SERI AM 8. VAOMYIA-1HI21V4-437 9. qQ1VO - 9A + OA-Yl 10. 3VA 3UX Mo, i 11. VqQ7Y932 - OA incise in tegoli 2R1A934374 12. atlt- 437 VCV2417 13. IAMIVY - AH?2HA32? VA 14. LAPCI CVIV a D 15. :3qQVIIlA:IT1t: 93, in ossuario con lettere nere. 16. 3901 = = =" gAJ, in ossuario con lettere rosse: 17. :IMTVAY : V3ITI1: 12UAO 18. MAIAWJI3 : vIv1qIM :OA 19. MAIMIVY :GA:AU24A2:HNVA 20. JYAOMIA: IMI2 IVA : 497 21. AIHATVY - ITIT - AMAO, in ossuario con lettere incise sul coperchio. 22. ENNIA - 9 ©: L © PRIMA HIAT?I9 IHIIXX XI vicino alla quale epigrafe è tracciata in rosso una testa virile, in riscontro di altra che sta nell’opposto lato, entrambe forse rappresentanti divinità infernali. A completare la descrizione degli oggetti raccolti negli scavi comunali, occorre menzionare pochi vasi ed alcune tazze dipinte. Un’anfora a figure nere di stile ar- caico, alta m. 0,51 e rotta a metà, figura Ercole con tunica lorica e faretra, che al- zando la sinistra impugna la clava, e volgesi indietro, stando in mezzo a due figure muliebri, aventi corone in mano e le vesti punteggiate. Nel rovescio vedesi un guer- riero pienamente armato con cane ai piedi, anch’esso di mezzo a due donne, una delle quali gli regge la lancia. Un altro vasetto pure a figure nere alto m. 0,28, esibisce un combattimento fra un cavaliere e cinque guerrieri a piedi, uno dei quali caduto sotto le zampe del cavallo, avendo nel lato opposto ripetuta la stessa scena con due cavalieri e tre pedoni. Un vaso a figure rosse di stile elegantissimo, pre- senta un’Amazzone a cavallo, che scaglia la lancia contro di un guerriero caduto in- nanzi a lei. Altro vaso della stessa forma e del medesimo stile ha un giovane ignudo, assiso su di una roccia, rivolto ad altro giovane in piedi, che con atto confidenziale gli posa la mano sulla spalla, essendo questo accompagnato da leggiadra donzella, cui segue un cigno. Vi sono inoltre due coppe, una delle quali assai frammentata, avente nel mezzo un simplegma erotico, con Satiro berbato e panciuto ed una fan- ciulla interamente nuda innanzi a lui. Dei quindici sarcofagi rinvenuti in vna tomba il passato gennaio, uno ne fu de- scritto appartenente a sacerdote, che tiere ai Jati dell’arca dipinte leggermente alcune figure, il cui movimento non era dato distirguere a cagione del tartaro che ne ri- copriva anche l’iscrizione. Ora quantunque non sia del tutto caduto lo strato bian- castro che nasconde le linee più importanti della composizicne, comincia nondimeno a comparire più vivo il dipinto, che sembra anch'esso raffigurare una lotta di Amaz- zoni; nel lato minore poi del coperchio, dietro Ja testa del sacerdote leggesi chia- ramente l’ epigrafe ZV MVIT IAA : 2 19(Ay), la quale mostra che l’individuo ap- parteneva alla stessa famiglia Parlunia, conosciuta per altre iscrizioni incise sui Sa QRL sarcofagi rinvenuti nella medesima tomba. Facevano parte del corredo sacerdotale una cuspide di lancia acuminata, ed un disco di bronzo in forma di flabello, attaccato forse alla sommità di lungo bastone; i quali oggetti sono ora esposti in quel Museo municipale, unitamente al teschio che fu tratto dall’arca in uno stato di buona conservazione. Gli scavi dei fratelli Marzi nel territorio medesimo della necropoli diedero specchi graffiti, vasi con pitture comuni, ed un frammento notevole di piccolo can- delabro di bronzo, il cui piede è formato da una figura femminile col capo cinto da tenia, il torque ornato di bulla, e le armille alle braccia. Un arnese di terracotta è singolare per la sua forma, consistendo di quattro coppe unite insieme sopra un sostegno a base cilindrica, ed intramezzate da testine umane di stile arcaico. Final- mente è a notare un bellissimo scarabeo intagliato con finezza, rappresentante la lotta di Ercole col leone nemeo, circondato dalle lettere 34>)g3A VII. Palestrina — Non lungi dal luogo in cui si scoprirono gli ori famosi, che formano il vanto della biblioteca Barberini, e propriamente nella terra denominata s. Rocco a mezzodì di Palestrina, ove pure sì fecero ricerche negli anni 1869-1870 illustrate dall'Istituto di corrispondenza archeologica, continuandosi ora gli scavi dagli eredi Frollano, si rinvenne il 29 febbraio una tomba, dalla quale tornarono a luce oggetti di altissimo valore. È noto che in quel territorio, occupato poi dagli edifizi della città nei tempi romani, estendevasi la necropoli antichissima di Preneste, allorchè la città si raccoglieva entro la valida cinta delle mura poligonali, di cui restano ancora notevoli avanzi. Le indagini fattevi ad intervalli vi aprirono numerose tombe con casse di peperino, entro cui erano depositate olle cinerarie, vasi, strigili, specchi e ciste graffite; e rimisero in luce pochi sepolcri di età più remota, costruiti a blocchi di tufo coperti da lastre di pietra, entro cui stavano intorno al defunto tutti gli oggetti che in vita gli erano appartenuti. A tal genere di sepolcri di tipo primitivo è da attribuire una tomba recentemente scoperta. Tolte le lastre di pietra a piccola profondità dal suolo, si trovò una terra finissima e compatta; rimossa la quale, si scoprì una camera lunga m. 5,00 e larga m. 3,00, senza indizio di decorazione alcuna, con fossetta nel mezzo lunga 1 metro, che dal centro della stanza prolungavasi verso il lato orientale. Ivi presso si raccolse una grossa lancia, con alcune figurine ed altri oggetti di bronzo, la testa di una clava di legno rivestita di lamina anche di bronzo e bullettata, vicino a cui si trovarono bel- lissimi oggetti di oro; poco discosto dai quali un parazonio mobile dentro la propria vagina, un fascio di armi, e coppe di argento assai deperite. Andando più oltre verso occidente s’ incontrò un’ altra testa di clava simile alla prima, e quasi nell’ angolo meridionale della stanza una conca di bronzo, due manici, frammenti e figurine di animali in avorio, nonchè fogliette di sottilissima lamina d’oro. Di sotto all’indicata conca altra ve n’era rovesciata, la quale serviva di coperchio al lebete di un tripode pure di bronzo, mentre sulla parete vedevansi addossati tre grandi scudi di forma orbi- colare. In vicinanza del tripode si trovarono da ultimo due grandi caldaie capovolte, ad una delle quali appartenevano quattro teste di grifi, e quattro di animali inde- terminati, con altri pezzi di avorio, ed innumerevoli frammenti di argento e di bronzo. COSTO ge Nel rimuovere ie terre non fu visto residuo alcuno del cadavere, il quale non- dimeno sembra giacesse da oriente ad occidente, col capo non lungi dalla fossa, poichè ivi presso stavano gli ori, che certamente non avevano potuto decorare la parte infe- riore del corpo. Gli ori sono forse i più belli che siano tornati a luce dagli scavi di Palestrina; e sebbene del tipo stesso dei barberiniani, li superano per la rara conservazione. Una lamina lunga cent. 17, larga cent. 10 in forma di parallelogrammo, è divisa in due parti uguali da una fascetta prominente, che agli estremi è terminata da due baston- celli ornati a meandro di grana finissima, i quali alla loro volta escono in teste di animali, e chiudono la lamina dai due lati più brevi. Sulla fascetta stanno accovac- ciati otto leoni, quattro rivolti a destra, quattro a sinistra, ornati di grana a pulvi- scolo, con coda erta riposata sulla schiena, e terminata in picciolissima testa leonina; nel mezzo di essi evvi una duplice protome di leone, formata dalle due metà ante- riori dello stesso animale volte in opposta direzione, tra Je quali, come sul dorso, sta altro piccolo leoncino. Sul piano della lamina dall’ uno e dall'altro lato vedonsi in ordine otto file di animali, quattro da ogni parte, in direzione diversa; di cui le due prime adiacenti alla fascetta di mezzo contengono ciascuna dodici leoni acco- vacciati, le seconde dodici leoni in piedi, le terze quattordici sfingi, e le ultime quindici sirene, che sporgono sui dentelli con cui terminano i lati lunghi della lamina stessa. Nei due lati più brevi si affacciano sui bastoncelli sedici cavallini, otto da ciascuna parte; ed al di sotto di uno dei bastoncelli medesimi sporgono due piccole teste umane, le quali ad uguale distanza dalla fascetta prominente terminano un ordine di piccolissimi cilindri, dentro cui sembra che corresse un filo, destinato a tener ferma la lamina sopra qualche drappo. Tutti i cento trentuno animali, che sono in rilievo e poggiano sopra piccole basi del pari rilevate, pel modo in cui sono disposti fanno credere, che la lamina fosse adoperata orizzontalmente, non comportando altra giacitura, e molto meno quella di trovarsi poggiata sul petto dell’uomo che l’indos- sava, come sarebbe sembrato a prima vista. Oltre la descritta lamina si raccolsero pure tre tubi d’oro, lunghi cent. 20, e del diametro di mill. 15, chiusi negli estremi, e simili a quello conservato nella biblioteca Barberini. Di essi uno è assai deperito, l’altro aperto per avidità dai con- tadini parve ripieno di una sostanza distrutta; il terzo più conservato, ed al pari degli altri ornato a pulviscolo, con meandri ed un ordine consecutivo di linee ad angoli acuti, poggia sopra una lastra di oro massiccio, che sporge dai lati, lasciando il luogo da ciascuna parte a dieci leoni sedenti, volti in direzione opposta dal centro, ove un altro se ne trova a doppia protome, quale nella lamina di sopra descritta. Nella faccia sottoposta della lastra medesima sono fissati con chiodetti piccoli regoli, anche di oro, che dovevano servire a tener fermo l’oggetto, il cui uso non è age- vole indovinare. Frammenti d’oro a guisa di uncinetti accoppiati portano leoni e sirene, che si riscontrano pure in simili gruppi della biblioteca Barberini; ed evvi una lunga serie di pezzi disposti in ordine di fimbria pendenti da lamina sottilissima, su cui sono rilevate a sbalzo rondini o corvi ad ali aperte. Nè va dimenticata una grossa fibula lunga cent. 12, liscia e di stile diverso. CART Fra gli argenti merita di esser notato un piccolo bastone in forma di scettro, destinato forse in origine a sostenere una mano. Da alcuni frammenti di avorio, che somigliano moltissimo a quelli dei Barberini, si deduce ch’ essi formavano un utensile, dalle cui pareti esterne sporgevano teste di grifoni con tutto il collo, e leoni interi pure d’avorio, altri portando in bocca un animale, altri sostenendo sul dorso una persona morta, colle braccia pendenti, e coperta di lunga veste, le cui chiome ricordano le acconciature orientali. Tutti gli animali erano abbelliti da laminette di oro, che nei leoni scendono a guisa di dorsuali, e nei grifi si attaccano al collo a modo di piccole targhe. Si è pure salvato un piccolo frammento, in cui si distinguono tracce graffite rappresentanti una biga con avanzi di doratura, nonchè un pezzo di ala di stile orientale, coi residui del colore che vi stava soprapposto. I bronzi sono singolarissimi pel loro carattere arcaico. Si contano cinque Telamoni di stile assolutamente nuovo, alti circa cent. 9, in aspetto di guerrieri, alcuni con lunghe chiome scendenti sulle spalle, e tutti con corone di piume sul capo. Vi sono inoltre due pezzi incrociati ad angolo acuto, da un estremo terminati in tubi in cui erano infisse aste di legno, dall’ altro in teste di chimere, che stringono nella bocca corpi umani, addentati per la vita e con le gambe e le braccia pendenti. Nel punto in cui i tubi s’ incrociano sta ritto un cane, e dove incominciava il legno sorgono due leoni. Un’altro pezzo simile a questo, terminato con due teste di chimere, sembra appartenuto col precedente ad un medesimo mobile. Due piccole figure umane, intagliate in lamina di bronzo, erano forse incasto- nate in un arnese di legno, se pure non servirono di piastra ornamentale a qualche vagina di cuoio, come farebbe supporre la vicinanza delle armi presso cui furono raccolte. Di uguale stile arcaico è il tripode, avente il lebete del diametro di cent. 30, i cui sostegni terminano superiormente in figurine umane, che si afferrano all’ orlo della coppa sporgendo il viso, mentre negli interstizi si affacciano ad uguale distanza animali diversi, bramosi di scendervi dentro. In mezzo ad altri frammenti alcuni se ne trovarono, che potrebbero ricomporre un tripode simile a quello della biblioteca Barberini, con ornamenti a sbalzo rap- presentanti sfingi ad ali aperte; nonchè due piedi di mobili lavorati a linee e cer- chietti, teste di animali, e taluni dischi con palme e rosoni. Degli scudi non si ebbero che pochi pezzi, bastevoli però a determinarne la forma circolare, nel cui orlo ri- correvano ornamenti a sbalzo con globetti prominenti in linee concentriche, tra le quali un ordine di piccoli cavalli, nel modo stesso che si vede nello scudo prenestino posseduto dal cav. Augusto Castellani. VIII. Roma — Nel Foro romano continuandosi a sgombrare la terra interposta fra il tempio di Giulio Cesare e quello di Antonino e Faustina, cominciarono ad apparire i gradini che davano accesso al pronao di quest’ultimo editizio, spogliati però dei loro rivestimenti marmorei che furon tolti in altra epoca; in vicinanza de’ quali tornarono a luce due di quei basamenti onorari accennati nella relazione dello scorso mese. Entrambi portano la medesima epigrafe, disposta però in modo. diverso, relativa a statue d’insigni artefici fatte rialzare da quel Gabinio Vettio Probiano, SOR Ala prefetto di Roma nel 377 o 416 dell’e. v., il quale altre ne aveva pure fatte collo- care presso la basilica Giulia. I titoli dicono: 1. GABINIVS - VETTIVS 2. GABINIVS - VETTIVS PROBIANVS - VC PROoBIANVS - VC - PRAEF PRAEF . VRB VRBI STATVAM © FATALI STATVAM FATALI NECES NECESSITATE . CON SITATE CONLABSAM LABSAM CELEBERRI CELEBERRIMO VRBIS MO VRBIS LOCO ADHI LOCO ADHIBITA DILIGEN BITA DILIGENTIA:REPARAVIT TIA REPARAVIT Si tolse dal medesimo sito un masso parallelepipedo di marmo, che faceva parte dell’angolo interno di qualche recinto, portante incisa nel modo che segue una pagina dei Fasti consolari, rispondente agli anni 755-760 di Roma, a cui si connette il frammento XXXVI. del Museo Capitolino: PA VI V S EX K. IVL.M. HERENNIVS. M.F./N.N.PICENS IMP. CAESAR. DIVI. F AVGVSTVvS. PONTIF . MAX . TR POTEST . XIII P. VINICIVS. M. F.P. N P. ALFENVS. P.F. P. N. VARVS P. CORNELIVS. CN.F. CN.N.SCIPIO T, QVINOTIVS. T.. F.TO "NOM IMIVS VO EX .K.IVL. IMP. CAESAR. DIVI. F. AVGVSTVS. PONTIF. MN NW EST. XXV L. AELIVS. L.F.L.N.LAMIA. M. SERVILIAMMIMI! OUNEAI ROHBNI CH P. SILIVS. P.. F. PAMMDNo) OTIMTADOO TINO MOTTA L. VOLVSIVS. L. FUMO) DRITTA NC EX. K.IVIL. IMP. CAESAR. DIVI +. F. AVGVYSTVS. PONTIF.| METTA INTE ME ARI Sc VAL SEX . AELIVS.Q.F.,L.N. CATVS. C. SENTISUMUMI MUMMIA TITO TRAVRN CN. SENTIVS.C.F.CN.N.SIMYRNIN C.CLODIVS.C.F.C.N. LICINVS EX .K. IVL. IMP. CAESAR. DIVI. F. AVGVSTYVS. PONTIF . MAX . TR. POT. XXVII TI. CAESAR. AVGVSTI . F. DIVI N. TRIBVN . POTEST. VI L. VALERIVS. POTITI.F. M.N.CN.CORNELIVS. L. F. MAGNI MESSALLA . VOLESVS POMPEI.N.CINNA C. VIBIVS. C.F-.C.N. POSTIMYVS C. ATEIVS.L.F.L. N.CAPITO IMP.CAESAR.DIvI.F. AVGYSTVS. PONTIF. MAX. TR. POTEST. XX1IX TI. CAESAR. AVGYVSTI. F. DIVI . N. TRIBYN . POTEST. VII M.AEMILIV. PAVLLI.F.L.N.L. ARRVNTIVS.L.F.L.N LEPIDVS EX .K.IVL.L.NONIVS. L.F.L.N. ASPRENAS IMP. CAESAR. DIVI .F. AVGVSTVS. PONTIF. MAX.TR. POT, XXIX TI. CAESAR. AVGVSTI. F. DIVI N. TRIBVN . POTEST . VIII Q. CAECILIVS.Q.F.M.N. A.LICINIVS.A.F.A.N.NERVA METELLVS CRETICVS SILAN SILIANVS EX .K. IVL. SIOE Nel presentarne la trascrizione mi giova sperare, che quanto prima ne sarà data la illustrazione dal ch. collega prof. Henzen, al quale spetta di pronunziare il giudizio più autorevole sulla importanza di questo insigne monumento. Un'altra base si trasse pure dal medesimo scavo, appartenuta a qualche statua imperiale, il cui titolo essendo stato abraso, non serba che i nomi dei dedicanti in una delle sue facce laterali: VALERIO * TITO : SPR AVRELIO : CATVLLINO - PP : CVR : COH CVRA - AGENTE P- IVLIO IVSTINO 7 I lavori di sistemazione della via Nazionale al Quirinale portarono la scoperta di una parte del vasto emiciclo dello stadio o palestra, innanzi alle Terme Costan- tiniane, della cui esistenza sotto il giardino Aldobrandini non avevano dubitato i topografi. Delle medesime Terme tornò pure a luce nello scorso mese, presso la via della Consulta, un ambiente largo circa m. 5,80, con residui del suo pavimento marmoreo, nonchè un muro di costruzione laterizia in forma di abside, il quale in- ternandosi sotto il palazzo, in corrispondenza di un muro consimile esistente presso il lato orientale non ancora interamente dissotterrato, costituiva l’altro limite del- l’indicata palestra. All’interno di questo emiciclo è addossato un terrapieno fatto di scaglioni marmorei e selci, e disposto a guisa di gradini. Sembra che tale abside segnasse. il termine occidentale delle menzionate Terme, poichè esternamente ad esso apparvero avanzi considerevoli di una strada lastricata a grandi poligoni, che diri- gendosi verso la non discosta palazzina Antonelli, tiene dall’altro lato una serie di solide costruzioni laterizie dell’epoca antoniniana, con piani soprapposti. Fra le terre si raccolsero taluni bolli di mattoni spettanti alle figuline di Domitia Lucilla, oltre a pochi frammenti insignificanti di epigrafi sepolcrali. Proseguendosi lo spianamento del monticello artificiale detto della Giustizia, a sinistra della Stazione ferroviaria, sì scoprirono i resti di un’ antica abitazione, dentro cui si raccolsero taluni utensili di ferro, cioè accetta, ronca, arpione, forcone, un mortaio di marmo, e monete imperiali di bronzo irriconoscibili, mentre sopra alcuni mattoni dello stesso edifizio fu letto C * OPPI * PRISCI. A sinistra della via del Maccao, per chi viene dalla piazza di Termini, è apparsa in una fogna una colonna di granito higio; e poco discosto tre parti di un’ara dei tempi repubblicani, portante un’epigrafe, la quale offre per la prima volta il nome d’una ignota divinità, col ricordo di una legge, ch’ è omonima di altra, la quale non sembra avesse avuta alcuna relazione col monumento in parola: VERMINO A POSTVMIVS > < Da 5 Ss. i. è o) Sd 4 > qa 5 2 Q_H_ Rai Az o. Sa Hi y o 3 S co Bu SF Pesa PRESE SR IS) È ANESTS®S CRE SRISS dei a Ss CM I DS E °° NH SS io SS fg) e Ss 2 Hd = Q S3_ > Q Hi IÌ, 2 Sa ©. (Si = 5, > 3 E DL VS S S D I DS DS (0) (0) not FVI FON, 8. Tabella seconda e frammentata di un trittico, mill. 117 per 104. L'una pag. è incerata, ma co’ caratteri scomparsi, l’altra non è incerata, e però scritta con l'inchiostro. Appartiene alla categoria di libelli, che hanno il secondo esemplare dell'atto nella colonna accanto a quella dei testimoni. 3 [an] A: © US SS z E 2 SONA AI ci @ Ge E <= > sea [ar 2 pd [ne] © Si ss = ob Ciaoo GS c.e.@ @ s.2 os Eunolb5 SD. è sio Te eo Ra Saas È 23 È a > d O as >» E cz5s65 ui ©) Sa aaa £ 3 E a li SIE nu 5 Sa 3 < Ss mr] o Wi Ei <.6 SB E QQ SS ©) = E. =; > E SI = a 2 È (9) SIC cei HdSEss BET © wu |a O, Ro PARTE TERZA — Von. IIIL° — SERIE 2.2 A MESSÌ QUARRI phileti T'SORNI eutychi N HERENNÎ CI IVST] Net CM M ANTISÙ PRIMIG M.AUTELI FELICIS VEI 23 — 178 — Pe’ supplementi 0. Arrî Phileti cfr. n. 10, 36, 61; T. Sorni Eutychi è uno de’ nomi che ricorrono più frequentemente; M. Aureli Felicis cfr. n. 29. 4. Trittico quasi intero, mill. 135 per 110. 1.* e 6.° pag. covertura, 2* e 3* incerate e con le lettere quasi svanite pel riassorbimento della cera, la 4.° pag. ha nella colonna a d. i nomi de’ testimoni, prima scritti con l’inchiostro, e abbreviata- mente rescritti con lo stilo, 5.° pag. incerata, macchiata, e co’caratteri in parte svaniti. Sull’orlo della 2° tabella: PERSCRIPITO NYMPHI — /! IVNI AQUVILAE. hs. n. milled la... quae SEX*NVMISI IVCVNDI L NERI HYGINI PRON NR q. CAECILI ATTALI ATTALI L CAIICILI IVCVNDI VIINIT . fabi ewporis IIVPO OB AVCTIONIIm nymphi M BADI HERMAE od Ta i p. PACCI CERICIAFI L'IVNI AQVILAN A VETTI DONATI : DON in Idus auGVSTAS PRIMAS PAEFVLANI CRYSANT AITIFV IIIIRCIIDII IIINVS C NVNNIDI SYnN C NVNNIDI SYN ° ° o L'IVNI © aquilae la) © ° ° nymphius manda tu. l. iuni aqui lae scripsi IIVM ACTVIII POIIIPII IV K IVN ACCIIPISSII AB L CAIICILIO IVCVNDO SIISTIIRTIOS MILII QVI IIII/ ACILIO III ASINIO Cos gIINTOS S@eTAGITA NV IIITOS 5. Trittico frammentato, mill. 96 per 75. 1.° e 6.° pag. covertura frammentata, 2». e 3.2 pag. incerate e ‘frammentate; nella 4.° pag. la colonna de’testimoni è intera- mente perduta, 5.° pag. macchiata, frammentata e co’ caratteri scomparsi pel riassor- bimento della cera. - Sull’orlo della 2.° tabella: PERSCRIPTIO — c. atullio meandro. As ccIoo I09 00 c0 00... quae PIICVNIA IN stipulatum L'CAIICILI IVeundi venit OB AVCTIONIIM c. atulli IIIIANDRÎ mercede HiiNvS persoluta HABIIRII SII DIXè C ATVLLIVS II Hiander ab L CAIICILIO Ivevndo ACT POJIÙP . . . 54 p.C. Imi/ AciLI0 IMI asinio cos — 179 — 6. Trittico frammentato, mill. 143 per 85. 1. e 6.* pag. covertura frammentata, 2.2 pag. frammentata e co’ caratteri del tutto scomparsi pel riassorbimento della cera, 3.* pag. simile alla precedente, salvo che vi si legge la sola data, 4.* pag. fram- mentata, macchiata, e scritta con l’atramento, 5.° pag. macchiata, incerata e co’ ca- ratteri scomparsi. M OBELLI-FIRMI . meLISSARi FVSCI dito. eo Loud SNO OLO DO O O ORI OO ORTO I O giugn. ? VE VIS 54 p. C. mn. ACILIO AViola iill ASINIO COS 7. Trittico quasi intero, mill. 117 per 101, 1.° e 6.* pag. covertura, 2.* e 3.* in- cerate e guaste dal soffregamento, 3.° pag. incerata e macchiata, 5.° pag. incerata e guasta da una grossa macchia e dal soffregamento. Il libello è rescritto, e le tracce della precedente scrittura, che appariscono nella 2. e nella 4.* pag. sono anche più evidenti nella 3.? Sull’orlo della 2.° tabella: prescriptio — AMici. HS: N Io0 co c0 COCLXXXX L'LAIILI FVSCI QVAII PIICVNIA IN Q-APPVLILI SIIVIIRI STIPVLATVINI L'CATICILI i IVCVNDI VIINIT OB N-ISTACIDI AIIILICI AVOTIONIIJINI N-ISTACIDI P AIIFVLANI CRYSAN AITICI IN IDV$ ..grani CONIVNCTI IANVARIAS : PRIMAS 1 OR meRcede INTINVS ALU RC PIIRSOLVTA - HABIIRII SII INI (©) Ò ° Masit n. istACIDIVS CATIICILIVS IVCYNDVS ATIITICVS . . ACT POIIIIPIIS ACTvmi PoInrPitis 12 dicemb. ACT POIIIIPIIIS'PRIDVS DIIC 54 p. 0.? RI CVRMILIONO = — 180 — 8. Trittico quasi intero, mill. 120 per 105; 1.2 e 6.% pag. covertura, 2.* e 3.2 pag. incerate e con qualche macchia, 4.° pag. incerata, macchiata e scritta nella sola colonna a dr., 5. pag. macchiata e co’ caratteri interamente distrutti. HS N cclIo9 cceloo ccloo 199 L'ATTITS 0 c0 co LXXVIIII APPVLIIF severi QVAII PECVNIA IN STI LVORITI Leri PVLATVIIII L CAIICILI ATVLLI IlYan IVCVNDI VIINIT LATI RRAGSE OB AVCTIONILIIII LVCORII HVJIINIIRI TI CARI merCIIDis SIISTI JIMI AXS OVINOVAGISIJITANI IIINVSAR eee (©) (©) NVJINIIIRATA HABIIRII SII DIXSIT JIII LVCORIITIVS carus aB l CaeCILIO IVCVNdo 19 febbr. ACT POJIIPIITS XI K IIFEART 55 p. C. NIIRONII i L ANTISTIO . COS Pe’ supplementi: Appulei Severi è uno de’ nomi che ricorrono più frequente- mente; Lucreti Lerî apparisce ne’ n. 45, 71, 104. 9. Trittico intero, mill. 115 per 95, 1.2 e 6.* pag. covertura, 2. e 3.* incerate, 4. incerata e macchiata, 5.% incerata e co’ caratteri scomparsi. HS N Ivo co 00 co COOXXVII [MI QVAII PIICVNIA IN L VIITTI stipuLATVJII L'CAIICILI iVCVNDI VIINIT ob Lo AVCTIONILIMI ! PAPINI III PROBI IN idus fIIBRVARIAS III PRIJILIAS JIIIIRCIIDII SCRIboni JIMI INVS persolVTA POPIDI A hABIIRII sIl DIXsit II (©) (©) (©) ° (©) L PAPINIVS PROBVS aB L CAIICILIO IVCVNDO 15 ott. ACT POIIIIPIIIS IDVS OCTOBR NITRONII CLAVDIO CAIISARII AVG 55 p. C. IIIIIPERATORE L ANtistio COS — 181 — 10. Trittico quasi intero, mill. 143 per 121; 1.2 e 6.2 pag. covertura, 2.? incerata e co’ caratteri in alcuna parte guasti pel riassorbimento della cera, 3.8 pag. incerata e frammentata, 4.* pag. non incerata, 5.° pag. co’ caratteri scomparsi. Sull’orlo della 2.° tabella: perscriptio — BABINAE SECVNDAE HS N 0000 co DCCCXXXIIITI C.CVSPI SECVNDI QVAII PIICVNIA in STIPV © SIP SOVIET Q.ARRI PHILET] LATVIIII L'CAIICILI |VCVN N POPIDI AMARANTI DI VIINIT ob awctIONII|ITT A HERENNI CAST] z . IVNI CORINZH] BABINae secVNDAII ooo FI |IT II RCIIDII IIITI NVS P. ACFVLANI CRYSANTI EBIESORVALAN a 0 ] SYNEROTIS È S . QVIN o T] PRIM] (©) (©) SII DIXSIT bdabdina SIICOVNDA aB L'CAIIcilio iucunD0 act Rompi ti. 55 p.C. NIIRONII CAIIS l. ANTISTIO COS 11. Trittico intero, mill. 144 per 125, 1.° e 6.2 pag. covertura, 2.* e 3.* incerate, 4.2 non incerata, 5.° macchiata e con la cera riassorbita. Sull’orlo della 2.° tabella: perscrIPTIO — MVRTIO ASCLEPAEo HS N loo co 00 XXXIII QVAII L'LAELI FVSCI PIICVNIA |N STIPulatum OI T SORNI EVTYCH L CAITICILI ]VCVNDI VIINIT AELI TROPHIMI OB AVCTIONem l. murti HOLCONCIN ANO e ; ; L IVNI CORINTHI SADIO, GRAOIIO GALE VIBVLLI FELICIONIS VIBVL numerata hABIIRII L SELLI CYTISSI CITISSI SII diXSIT L JIIVRTIVS (©) (©) ° ° ASCLIIPAews ab 2. CATICILIO IVCOVNDO OCCMROLTIESTO nIIRone CAIISARII 5 PC antiSTIO VIITIIre — 182 — 12. Trittico intero, mill. 143 per 124, 1.* e 6. pag. covertura, 2.8 e 8.2 incerate e co’caratteri in parte scomparsi, 4. non incerata e macchiata, 5.* macchiata e con la cera riassorbita. Sull’orlo della 2.° tabella: perscriptio — TIBVRTIO BVTTO. HS N co 00 CCCLXV....quae Q.APPVLEI SEVERI PIICVNIA IN STIPVLAtum P' TIBVRTI BVITI L CAIICILI IVOVNDI VIINIT Dior ea OB aucltionem p. tiburti A*MESSI PHRONIMI BVISI INF RR A'VELASI TERMZNALIS |IIIII ROIIDII |ITI NVS P* SITTI SPERATÌ NV[IIII RATA hadere Mii VENE (©) ° (©) (©) SII DIXIT p. tiburtius buttus ab l. caecilio iucundo act. pomp. . . . 55 p.C. NIIRONII caes. I. aNTIstio COS 13. Trittico quasi intero, mill. 140 per 112, 1.2 e 6.° pag. covertura, 2.2 e 3.* in- cerate, 4.* scritta con l’atramento e macchiata, 5.* incerata, macchiata e frammentata. Sull’orlo della 2.2 tabella: PERSCRIPTIO HISTRIAE — ICHMADI HS N loo 00 CCCCLVII C NVMITORI BASSI QVAII PIICVNIA IN L NVMISI RARI STIPVLATVIIII - L: CATIICILI AÒVEI ATTICI IVCVNDI : VIINIT:-0B D'CAPRASI © GODIO L.VALERI'PEREGR AVCTIONII IIIIT-HISTRIAE CEST ICHI IIITA DISTIII ITRCIIDE i gna FORIO IIIIT INVS-PIIRSOLVTA a. ALFI ABASCAnti ;i fi L SEI ° IEN ° (©) : (©) HABIIRII SII DIXSIT L duvio p. clopio COS HIST'RIA ICHIIIIAS AB o, L'CAICILIO:IVOVNDO histriae ichimadis ipsì PIIRSOLVTA È esse ab l. caecilio iucuNDO HS N 5 nov. ACT-POIII NON NOVII sea millia quadrincIINTOs QVINQVA ginta septetili OB AVOTIONII LITI QUAM Servus eIVS FIICIT 55 p.C. L'DVVIO PCLODIO Cos ack. POMPIIIS — 183 — 14. Trittico quasi intero, mill. 102 per 78, 1.° e 6.3 pag. covertura, 2.2 e 3.° in- cerate, 4. incerata e con cornice nella sola colonna a dr., 5.* incerata e macchiata. Sull’orlo della: 2.° tabella: perScRIPTIO — TROPHIMO. , 55 p.C. L DVVIO AVITO P CLODIO COS 10 dic. INI IDVS DIICIIJIMIBR II° HIILVIVS CATVLLVS SCRIPSI ROGATV VJUIBRICIAII ANTIOCHIDIS IIAIMI ACCIIPISSII AB L CAIICILIO IVCVNDO HS VCCCLII NVJIII JIIIOS OB AVCTIONII JIII TROPHIJITII SIIRVI IIIVS JHIIIRCIIDII! qIIIINVS persoluta ) ©) ° (©) _- ACT pomPIIIS pil * HILVI CATVLLI Ul IILISSAIT* FVSCI FABI PROCVLI VJIMBRICIAII ANTIOCH CATVLL (©) (©) L pvvio avito p. clopio Cos iti (DVS DIICII III HIILVIVS Ca&VLLVS SCRIPSI ROGATVuMbricae IIATII ACCIIPIS AB Ivovndo hs. nm. VCCCLII 0B AVOTIONem tROPHI]IIII SIIRVI II IVS JIIIerCe%IDII . JIMI P ACT POJIIIPII IS 15. Trittico intero, mill. 140 per 120, 1.° e 6.2 pag. covertura, 2.2 3.2 incerate, 4.° scritta con l’atramento, 5.* incerata e macchiata. Sull’ orlo della 2.° tavoletta: perscriptio — VMBRICiac. HS N Ioo 00 XXXVIII QVAII PIICVNIA- IN STIPVLATVIJII:L CAITCI LI IVCVNDI VIINIT OB:AVCTIONIIIII VJIIIBRICIAII IANVARIAII ° (©) ° ©) JIMI ITRCIIDII | III INVS PIIRSOLVTA - HA BIIRII * SII DIXSIT VJIIIBRICIA IANVA RIA AB L CAGCINO IVCVNDO 12 dic. ACT PO|JIIIPI:s PRID DIIC 55 p.C.L DVVIO P CLODIO Cos Q APPVLEI SEVERI M LVCRET . . IVLI ABASCANTI M'IVLI CRESCENTIS P'TERENTI PRIMI M'EPIDI HYMENAEI Q'GRANI"LESBI T:VESONI © LEVIS D'VOLCI © THALLI ©) (©) L DVVIO avito p. CLODIO THRASIIA Cos PR dd. AIICITJIIIBR D VOLCIVS THA//uS SCRIPSI ROGATV V]III BRICIAII TANWARIATI ITAJIII ACCIIPISSII AB L CAIICI/Z0 2UCVNDO HS N > IXXXIX IX AVOTIONO eÎWS JI IIRCIIDI! [III INVS IIX INTIIRrogattoNII FACÎ@ tabellarum signatarum — 184 — 16. Trittico frammentato, mill. 112 per 110, 1.2 e 6.* pag. covertura, 2.a e 3.2 in- cerate e frammentate, 4.* scritta con l'inchiostro e macchiata, 5.° incerata e fram- mentata. Sull’ orlo della 2.° tabella: persCRIPTIO — BLAESIO FRVCOtionz. HS N Io9 co DOCCLXXV L FABI NEP QVAII PIICVNIA IN N OPPI FELICIONIS STIPVLATVINI L CAI agi CILI IVCVNDI VIINIT A CERRINISINE OB AuCTIONII |III se oa n. DIATisi fRVCTIONIS C*VIBI CResimi Si © BA © ©) mIIRCI:DIi mINVS I. duvio p. clodio.THRASEA COS PIIRSOLVTA hABIIRII cv. k. îan. m. DIAIISIVS FRVCTIO scripsi me accepisse ab l. CIICILIO IVCVDO SII DIXSIt n. BLATISIVS sestertios nummos sex MILIA OTOGII FRVCOTIO ab L'CATICILIO ntos septuaginta quinque 0B AVTIONII IVCVNDo mea ex interrogatIONII * FATA 13 dic. ACT pom. XV K IANV tabellarum SiGIINATARV actum POPII IS 59 p.C. L DVVIO P clodio CoS VIDCCClezo 17. Trittico frammentato, mill. 133 per 105, 1.2 e 6.8 pag. covertura, 2° e 3.° incerate e frammentate, 4.* scritta con l’inchiostro, frammentata e macchiata, 5.* in- cerata e frammentata. : Sull’orlo della 2. tabella: perseripTIO — c. babullio FOMAno. HS N cclIo9 co c0 00 COCXXXVII MI [RAV QVAII PIICVNIA IN STIPVLA i L'AEMILI CELERIS TVIII L:CAIICILI IVCVNDI VIINIT OB AVCTIONITTIII C BABVLLI ROIIITANI IN K FIIBRVARIAS PRIM (©) (©) mercede mINVS I. duvio p. clodio cos PIITRSOLVTa RABIRII Ce TOE EE i are 0 TAR scripsi £ SI DES 0) (ELL UNO babulli romani euM ACCIIPISSII ROIITTANVS AB L°CAII ab. l. caecilio incundO HS N CILIO IVCVNDO riti millia terceNTOS TRIGINTA 18 dic. ACT POIMIP-XVK IAN septem ob auCTIONIIM 3 COUSVA SPARSI 55 p. C. L'DVVIO P CLODIO COS XIIICCCIAZVÌÎ — 185 — 18. Trittico frammentato, mill. 125 per 103, 1.2 e 6. pag. covertura frammen- tata; 2.° e 3.* pag. frammentate e incerate, 4. pag. scritta con l’inchiostro, 5.* pag. simile alla 2.8 e 3.%, ma le tracce delle lettere sono incertissime. Sull’orlo della 2.% tabella: PERSCRiptio c. fulvi — TYRRHENI. RO III DOXX. . L CALTILI IVSTI quae pecuniA IN STIPVLA Q APPVLEI SEVERI tum I. caecili. IVCVNDI I° CORNELI * AMANDI * ATVLLI * EVANTI veniît ob aVCTIONIIM 0 C° FVLVI THYRRENI 0 iù c. fulvi. thyrreni IN 5° RVLEL° FLORI IRA AAA VISI PRIMAS ° NINNI OPTATI mercede minus persoluta A°ALFI VBASCANTI © a. betteù - FESTI (©) habere se diasit c. fulvius thyrrenus ab l. caecilio iucundo actum pOIIII_PII iS febbr. SRLITA RIPA‘ 56 p.C. q. VOLVSio P_CORNELI-G - Pel supplemento A. Tetteî Festi cf. n. 64. 19. Trittico frammentato, mill. 80 per 73, 1.8 e 6.* pag. covertura, 2.* e 3.* incerate e frammentate, 4.8 non incerata, ma con la colonna dei testimoni distrutta, 5.8 incerata e frammentata. Sull’orlo della 1.* tabella: PERSCRIPTIO. . . 56 p. C. QVOLVSIO SATVRNINO p. cornetlio cos 18 giug. XIV K IVLIAS VIISdinus (?) popidiae SITRYS SCRIPSI Me accepisse ab L CAIICILIO IVCundo merce DII:MINVS PIIrsoluta hs. n. NIENCINEO VISAE in stipulatu IIIVS VIINIT ob auctionem DOMINA€ meae . . . ° (>) CHIROGRAPYS vesbini (%) servi POPIDIAE * scripsi me accepisse ACTVM Pomp. AB l. caecilio iucundo OB IIIIANCIPIA hs. n. decce.... Mm STIPVLA VIIN ob auction PoPIDidge dominae meae PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.8 24 — 186 — 20. Trittico, di cui la 1.2 tabella è perduta, la 2.8 è frammentata, la 3.8 è in- tera, mill. 110 per 83. La 4.* pag. è incerata ed ha la cornice nella sola colonna a dritta. i Sull’orlo della 2.* tabella: perscRIPTIO — m. allEIO CARPO. ACT POIIIIPILIS Ii ALLITI CARPI TI ALLI! CARP TI ALLII m. AlLITI CARPI ° (©) Q © VOLVSIO SATVRNINO * P_COR NIILIO . COS VIII. K. IVL TUT 'ALLITIVS CARPVS SCRIPSI ]III IT ACCIIPISSII AB L * CATICILIO IVCVNDO'SHS 00 COCXXCOVI OB AVCTIONII ‘* 1III II ° SVP STI PVLATV © ILIVS ACTVIIII POIIIIP 56 p. C. 25 giug. 21. Trittico, del quale si è conservata la sola 3.* tabella frammentata, mill. 110 per 80. QVOLVSIO:SATVRNINO 46 p. C. P.CORNIILIO - SCIPIONII: COS. K IVLIAS 1 lugl. m. alleiuS CARPVS'SCRIPSI IIIT II AccepiSSII AB:L CATICILIO tucundo hs mILLII - TRIICIIN . SeXS - NV]III [INTO e mensa argenTARIA 000000 22. Trittico frammentato, mill. 103 per 85, 1.° e 6.° pag. covertura, 2.2, 3.2, 5.° incerate e frammentate, 4.° incerata, macchiata e frammentata. 9 sett. HS N 00 00 DCOXXXV QVAII PIICVNIA IN STIPVLATVINI*L'CAIICII IVCVNDI'VIINIT:0B AVCTIONIIII ALLIII HYGINI' INK NOVIIIIII (©) (©) PRIIIIAS mercede INMIINVS persoluta habere SII DIXSIT alleius hyginus AB'L'CAIICcil/70 IVCVNDO ACT'PO?%IIPIT III NON SII L'ANNAIIO L'POLLIONII C\ III * INIT AG SIICVNDI L° TII Renti PRITII\ I'NGA CAIO DIICIDIAN pil © Cc NOCE asse COFANO | LUO DIS BOTS ORCIANO ©) (©) L'annaeo l. pollione cos in non sept. IN UERE SSR scripsi rogatw ALlei hygini cum accepisse AB°L° caecilio iucundo cv 06 DCXXaV sest. NUuMMOS Il X NOMI o dd FRVGI SIENA; 6000 NOVITIIIIBR PRIJIII IIITII NSÉS ACTVM pomPIIS a dr., 5.* incerata, macchiata e frammentata. 15 genn. 13 genn. 97 p. 0. — 187 — 23. Trittico frammentato, mill. 130 per 90, 1. e 6. pag. covertura, 2.* e 3.2 in- cerate e frammentate, 4. frammentata e scritta con l'inchiostro nella sola colonna HS N ccloo COCV QVAII PIICVNIA IN STIPVLA ‘© TVIII L CALCILI IVOV NDI VIINIT OB AVCOTI oNII |III |IIIT FABI SIICVNDI mIIRCIIDII [III INVS d o ©) PIIRSO/VTA HABIIRII SII DIXSIT IIII FABIVS SIICVNDVS AB L CAIICILIO IVCVNDO ACT pomp. IDIB IANVAR NIITRONII CATISA II CALpVRNIO C0S CN V M'FABI DIADVMeni N°VEI MARTIALIS N°nerì HYGINI A MESSI PRONIMI N POPIDI SORNIONI M FABI SECVND M (©) (©) nerone caesare II° calpurNIO PISONII cos idib. ianuar. m. fABIVS SIICVNDYS ScripsI JIIIe accepisse AB L CATICILIO IVCV ndo SUST dece]lll JIII ILIA TRIICIIN TOS QVINQVe NU]IINITIIIOS OB AVCTIO NII JIITITA ITX ÎNlerROGALIONII FACTA TABIILLARVIZ/Ù SIgNaTARVM Pel supplemento N. Neri Hygini cf. n. 48, 60, 85. 24. Trittico frammentato, mill. 110 per 75, 1.8 e 6.2 pag. covertura, 2.% e 3.* incerate e frammentate, 4.* incerata nella sola colonna de’ testimoni, che è frammen- tata, 5.2 incerata e con le lettere scomparse. Sull’orlo della 2.° tabella: PERSCRIPTIO — CAEsiae optatae. 27 febbr. 57 p. C. HS N co CCCCXLII QVATII PIICVNIA IN STIPVLATVIINI L CATICILI IVCVNDi venti OB AVCTIonem CAIISIA@ optatae IIIIIIROede minus NVIIII—rata hadere SII DIXStt caesia OPTATA ab l. caecilio IVCVNDO ACT POJIi III K IIIAR NIIRONII caes II L'CALP C LAIIIIPON SIIR pOPPAINI SIIR HVIII... O 00 00 CORO ONO — 188 — 25. Trittico frammentato e rescritto, mill. 115 per 100, 1.* e 6.* pag. cover- tura, 2.2 e 3.* incerate, frammentate, e con la cera riassorbita, la 4.* ha nella colonna a dr. i nomi de’ testimoni prima scritti con l’inchiostro e poi abbreviatamente re- scritti con lo stilo, la 5.* è incerata, ma i caratteri sono illegibili. I segni delle due scritture nell’ autentica dell’ istrumento si confondono in maniera, che non è possi- bile tener dietro alla lettura di ambedue. Sull’orlo della 2.* tabella: perscriptio — M..... T CRASSI Firmi FIRIIILI C MVSTI... EN TIIIYSTI CVNIA IN STI A MESSI INVENÉi IIITTISSI PVLATVINI L CAIICILI M CALAVI secvndi . SIICVNDI ING: 04 Soa, T VESONI PRIMI VIISONI RT Sa C IVLI ACATOclis AGATOCLIs LAELÎ PARIS T TERENTII T TIIRIIN (©) INTINVS NVIIIIIRATA HABIIRIT SI DIXSIT ©... . . RIIITus AB L CAIICILIO IVCVNDO 1 apr. ACT POIIIIP K APRILIBV 57 p. C. NITRONII CAIISARII L CALPVRNIO Cos 26. Trittico intero con tracce di rescrizione, mill. 138 per 115, 1.* e 6.8 pag. covertura, 2.* e 3.% incerate, 4.* scritta con inchiostro nella sola colonna a dr. e macchiata, 5.2 incerata, macchiata e scritta in caratteri greci. Sull’orlo della 2. tabella: PERSCRIPTIO — . . . HS Nilo loo fo (0 TC CITI MESSI BA . QVAII PIICVNIA IN STIPV 3 + SIAE LATVIII L:CAIICILI IVCV Ei È co - RON NDI: VIINIT-0B AVCTIONII ALPEI VITALIS x D PVNI TIIRTI de APRI INIIIRCIIDII MINVS PRONImi ° © © IS PIIRSOLVTA - HABIIRIÎ SII È ni KO DIXSIT D PVNIVS TIIRTIVS “AOYO AMPI NIOC ETC AB L CAIICILIO IVCVNDO KAIKIAIGO EIOYK0uy3w... IV TEPTI AKO TAIA ET Ve IA 7 ap. ACT POINIPIIIS VII IDVS APR DE EE M GE PH "i T NA 57 p. C. NITRONII CAIISARITTI L'CALP COS ,N 5 — 189 — 27. Trittico frammentato e rescritto, mill. 95 per 83, 1.* e 6.2 pag. covertura, 2.2 e 3.° incerate c rescritte, 4.* mancante della colonna de’ testimoni, 5.° macchiata e frammentata. neroN II CA IIsare © SRD: cALPVRNio cos 26 magg. VII : K IVnias RRCHAVDEVSIST SCRIPSI ROGAtw et MANDATV ABAscanti CATISARIS AVgusti LIPPIANI IIVm acce PISSII AB |! cae CILIO ivcundo (©) (©) (©) SPIESILIERIEIA DIVO Mia e. SIIPTIINGIINTOS vi V GINTI DVOS NVMM... Riki: REA RIIS QVAS..... ATE o SELE CORE AS it. X IVOVndo . ACTVM. 0B...G ACT pomp ...IVM 28. Trittico frammentato e rescritto, mill. 110 per 81, 1.* e 6.2 pag. covertura, 2.2 e 3.° incerate e frammentate, nella 4.* i nomi de’ testimoni sono illegibili, la 5.* in- cerata e frammentata conserva debolissime tracce di lettere. — Il testo qui sotto riportato è certamente il contratto posteriore, poichè nella 3.° pag. lo strato di cera, che doveva nascondere la prima scrittura, non essendo stato forse bene spalmato, lo scriptor del secondo contratto non occupò quelle parti, in cui apparivano tracce della scrittura precedente, come nei vs. 2-6. Oggi i caratteri delle due scritture si confondono, perchè il primo e il secondo strato di cera sono stati entrambi riassor- biti dal legno. NIIRONII caesare èè STEP, L CALPVRNIO PISONII:CoS V.. giugno. K - IVLIAS SPIIRATVS SCRIPSI MII ACIIPISII: AB LVCIO CIICLIO : IVCVNDO SIISt CCCXLII ITX - AVTIONII MIIA ° (©) MIIRCIIDe MINVS ABIIRII SII:-DIX SPIIRATVS IX: AVCT- POMPIIS 29. Trittico frammentato e mancante della 1.» tabella, mill. 100 per 55, 3.8 e 5.2 pag. incerate e frammentate, 4.° scritta con l'inchiostro e alquanto macchiata, 6.° pag. covertura. (©) habere se diXSIT cestilius philodespotus AB L caecilio iucuNDO 17 lugl. act. pomp. XV K AVGVS nerone caesare II 57 p.C. 5 È i caesio martiallI CoS M* FABI THELI N POPIDÎ NarcisI MEpidi....MASI M ‘ FABI NYMPODI FABI TYRANI CESTILI PHILOD.. 4 MESSI PRONIMÉ Mm. EPIDI SECVNDI = M AVRELI FELICIS (©) CA (») nerone caesare TI caesto MAVTIALII avi k. avg. M AVRIILIVS felix scripsi roGaTv CII stili philodespoti. 11vM accepiîsse ab l. CAIICILIO tucundo sesterTIA NYVM MIT vb MILIA DVCIITOS a, NOVIIM COS 30. Trittico frammentato, mill. 133 per 107, 1.° e 6.° pag. covertura, 2.% e 3.° incerate e frammentate, 4.° scritta con inchiostro nella colonna a dr., 5. incerata e frammentata. Sull’orlo della 2.° tabella PERScript10 — CN ALLETO : CRYSEROTI SIRENA co coco AD XI QVAII PIICVNIA IN STIPVLAtum l. CAIICILI IVCVNDI VIINIT *: 0B AVOTIONIIIII CN ALLIII CRYSIIROTIS (©) (©) INIIIIRCIIDIi mINVS PIIRSOLVTa HABIIRII SII DIXSIT cn. ALLIIIVS CRYSIIROS ab L CAIICILIO IVCVNDO 5 agost. ACT Pomp NON AVG 5) 7 p.C. NITRONII CATISITLOALPVRN Cos DL LAELI * FVSCI A VEI ATTICI P TERENTI PRIMI L‘ VETTI VALENTI C. POPPAEI FIRMI TI CLAVDI SECVNdi CN AÎ/EI : CRYSEROLiS (©) nerone caesare è L CALPYRNIO non. Aug. Se SIAE SCYIPSI ROGATV ei mandatu cn. allei CHRYSIIROTIS eum accepisse ab l. caicILIO ivcundo hs. n. tria millia DXI OB AVOTIONII eius facta interrogatioNII TABIILI ArUM signatARum act. pOMllIPIIIS — lol — 81. Trittico frammentato e mancante della terza tabella, mill. 110 per 105, 1.2 pag. covertura, 2.* e 3.° incerate e frammentate, 4.* scritta con inchiostro nella. sola co- lonna a dr. e frammentata. Sull’orlo della 2.* tabella perscriptio — m. aTRIO MARCELLO 17 sett. 57 p.C. NITRONII CATISARII II L - CATISIO C- hs. n. ccIoo celoo Ioo CCOLXX quae pecuNIA IN STIPV latum l. CAIICILI IVCVNDI veNIT OB AVCTIONIIIIII m. ATRI IIIARCIILLI mIIRCIIDII INTINVS ©) o persoluta HABIIRII SII dixsit m. ATRIVS-INIIARCIIL lus ab I.CATICILIO : IVCVNDO ACT POIITIPIIISXV K OCTOB M * ATRI MARCELLI N° POPIDI NA?CISSI M © FABI EVPORI M * VOLVSI © FAVSTI L' CORNELI PRIMOGENIS N‘ HERENNI © IANVARI M * EPIDI PAGVRI L° MELISSAEI° ATIMETI M * VBONI © COGITATI O FELICIONIS 32. Trittico frammentato, e in parte guasto dalle macchie e dal soffregamento, mill. 140 per 118, 1.° e 6.° pag. covertura, 2.° e 3.° incerate e frammentate, 4.* non incerata e però scritta con l’inchiostro, 5.° incerata, macchiata e frammentata. Sull'orlo della 2.* tabella PERSCRIPTIO — NOVELLIO settemb ? hs. n.cclao celoo ccloo DCOCCCLII quae pecunia IN STIPVLATVI I. caecili iueVN DI venIT ob auclioneIIII C NO VIILLI fortunati IN K NOVII]II bres primaS |IIT I.LRCIIDII minus persoLVTA - HA BIIRII se dixsit c. NOVII ius (©) (©) FORTVNATVSAB L'CAIICILIO IVCvNDO ACT PO]JIINpIIIS...oCTOBR 57 p.C. NITRONII CAIISAre II-L'CATISIO COS L ° VETTI © NERONIS L° CORNELI MAXSÎMI L° MELISSQgei ATIMEtI LLIVINEI EVI... M * HOLCON * Rufi CRIPOMPENMA: P_TERENTI PRIMI C NOVELLI * FORTVN (©) (©) nerone calls © MATAL * COSVL .. . Octobr. NOVIILIVS FORTVNAT scripsi me accepisSII SIISTIITA ‘TTT Nnongenta quinquacnnTti * DVO ab l. caecilio iuCVDO AVCTO ne mea merceDE ‘I: MIN .. +. ATA act PoPnI 920 33. Trittico frammentato, mill. 110 per 82, 1.* e 6.2 pag. covertura, 2.° e 3.* in- cerate e frammentate, 4.° incerata, macchiata e scritta nella sola colonna a dr., 5* fram- mentata, incerata e co’ caratteri assai guasti. 18 nov. 57 p. C. quae pecunmia in stipw latum I. caeciLI IVCVn di venit ob aVCTIONII OLONA ENNERAN OCIS mercede IIITIN VS persoluta habIITRII SII (©) (©) dixsit....aRTORIVS ....-AB L CAIICILIO iuCVNDO act. pomp. XIV K DIIC nerone caesARII IT Cos caesio MARTIALII P_TIIRIINTII PRIIIMI C PROCVLIII AGAato INIIINI INI HIILVI CATVLLI < e. ‘sa is 6 (e) (e,el cel »\isliete SR 0) Solo TI InI IMI V \ 00 IVI \PARSTE (©) (<>) nerone caes 7 II ARTIALI COS Si V@,! ‘elim cai, Ta, dina l'e, e) CLS]RSZt SI N RS SONO, s4. Trittico quasi intero, mill. 120 per 107, 1° e 6.2 pag. covertura, 2.° 3.° 4. e 5. incerate. 23 dic. 55 p. C. I: N 9) (Cd (CÒ I DI QVAII PIICVNIA 1N STIPV LATVINI L CAIICILI IVCYNDI VIINIT OB AVCTIONITIIII PVLLIAII LAIIIPVRIDIS IIIlIRCIIDII IIMIINVS PIIRSOLVTA HABIIRE ©) ©) ©) ©) SII DIXSIT PVLLIA LATIIPVRIS AB L CAIICIL- IVCVNDO ACT POIIIIP X K IANVAR NIIRONII CAIISARE II COS L CAIISIO IIIARTIN L' VIDI CIIRATI A CAIICILI PHILOLOG CN HIILVI APOLLON IlIl FABI CRVSII RO- D VOLC THALLI SIIX PO]II AXSIOCH P SIIXTI PRIMI C * VIBI ALCIIIII (©) (©) (©) (©) NIIRONII CAIISARII II Cos L° CAIISIO MARTIALII X K IANVARIAS SIIX POIINIPII IVS AXIOCHYVS SCRIPSI ROGATV PVLLIAII LAMPVR?DIS eAM ACCII PISSII AB L CATICILIO IVCV NDO SIISTIIR NVMMYVM octo millia QVINGIINTI SIIXAGIIS DVPVN DIVS OB AVCTIONIIM IIIVS IIX INTIIRROGATIONII FACTA TABIILLARVM 'SIGNATARVM Il dupundius dell'esemplare esterno è nna nuova testimonianza da aggiungere a quelle giù raccolte dal Mommsen (Rom. Mùnz. pg. 302) per dimostrare il raggua- — 193 — glio fra il sesterzo ed un asse più antico e più grave di quello che aveva corso legale. Nel nostro caso però l’asse equivalente al sesterzo non poteva essere il librale, sì perchè questo non trovavasi più in commercio, sì perchè dopo la riduzione quarton- ciale il sesterzo in bronzo pesava un’oncia. Era dunque l’asse onciale, e così pos- siamo stabilire il fatto, che questi assi, rimasti sempre in uso e abbondantissimi, venivano spesi nel primo secolo dell'Impero come sesterzi. 35. Tabella prima e frammentata di un trittico, mill. 110, per 110 1.° pag. co- vertura, 2.° pag. incerata e co’ caratteri in parte distrutti. 33252? p.C.. ... Cornelio L SALVIO CoS S IM. S SCRIPSI INIII sio SISI auctione mea ab l. CATIICILIO iucundo hs. n. sepT II |II |IIIILLIA 5 GITE dVOS NVIII [IIOS 36. Trittico quasi intero, mill. 122 per 106, 1.° e 6.2 pag. covertura, 2.° e 3.% incerate e guaste dal soffregamento, 4.° e 5.° incerate e macchiate. Sull’orlo della 2.* tabella PERSCRIPTIO L — CEI QVARTIO HS N 00 0 DCCXXCVII Querce SIIVIIRI QVAII PIICVNIA IN STIPVLA Q ARRI PHILIITI TV]II L CAIICILI IvcvNDI SR AG SIIX TRAI VIINIT OB AVCTIONII]HI s x l. ce quARTIONIS Sa TINMIRONDII JINMINVS NUJINIRATA 0 00... VAGA HESBIRRITAR SI DISSESTO QVARTI ln GIIVEL OVABILOSI GIO e ERA RAR ERETTA (>) (©) ° ° (S) ©) l î (Sì (e) UO L'ATTO ON e A ESA? COS GOVONE LOTO LL OLE ISONTOLRORCO OMR EONRONTO NOOO Acb pomp. . ... CEORGUANAONISORRA OA ACCH pisse ab L. C. Iucunpo HS 00 co decaacvii IIX INTI?rrogatione factA TABII LLARUM CN nn COS SIGNATARVM PARTE TERZA — Vor, III° — SERIE 2.8 25 = porte 37. Trittico frammentato, mill. 123 per 100, 1° e 6? pag. covertura, 22 incerata e frammentata, 3.° frammentata e con la cera riassorbita, 4.* scritta con inchiostro nella sola colonna a dr., e frammentata, 5.* macchiata e frammentata. (OS Mo o sa QVAII PIICVNIA in stipulatum L'CAIICILI IVCVNDI VIINIT PALLE CA USL 6 06 PRIIIITA S IIIIITRCIIDII IIIT INVS NVIIIIIRATA HABIIRII SII si «TEMI PRISCI SEX POMPEITI "+ AREE TE m. EPIDI VRBAni L.poPIDI AMPLIati DIXSTT Ce E O s Si MIE (©) (©) PAL ASA ab l. cacecilio iVCVNDO ACT POmp...K DIIC CEI 38. Trittico quasi intero, mill. 130 per 115, La e 6.° pag. covertura, 2.* e 3. incerate e frammentate, 4. seritta con l’inchiostro nella sola colonna a dr., 5. in- cerata, macchiata e con incerte tracce di lettere. Sull’orlo della 2.° tabella PERSCRIP - HORDIONIO — ET FABIO : CRYSER. HS Se quae piICVNIA Q * VALERI * BASSI A HORDIONI'PHILOSTOR IN STIpulatum 1. CA II CILI E IVCVNDI VIINit ob av P' TERENTI ' PRIMI N‘ POPIDI * AMARAN Ctionem a. hordio THI 7 i M * RVFELLI FLORI ni phrrLLOSTORGI cet fadi ANA sco CRYSIITROTIS NV|JIITITIRATOS N POPIDI * SODALIO NIS ACCII PISSII SII DIXII RVNT m. faBi CHRYSEROTI SIIStertios N VIII fs CN HELVI APOLLONI (©) (©) (©) A HORDIONius phlostorGVS et FABIVS crySIIROS AB L: CAIICILIO IVeuNDO Ci O OE Ra FOT O DON — 195 — 39. Trittico quasi intero, ma con lo scritto conservato nella sola 4.2 pag., mill. 130 per 104, 1.° e 6.° pag. covertura, 2.2 e 8.2 incerate e con lo scritto scomparso, 4.2 scritta con l’inchiostro, 5.° inceratà, macchiata e non scritta. Sull’orlo della 2,° tabella PERSCRIPTIO — !. cornelI0 MAXS L POSTVMI PRIMI n Q APPVLEI SEVERI A VEI ATTICI . TT. DISZIO GS . QlfAEI VITALIS co 00 EUTICH L CORNELI MAXSI- OCNADA]T ONTIOAVO T AV SANISXYN SAITANIOO P° TERENTI.... N POPIDI AMarant | Li 'ollle}ile Ne Bloi(eUlo[ietlo NALVIAAIIS NJ. VINADHAI.HVAO 000ANSH VIUVIIQHMHH UVIIONHA VNVHULHA.OACT @ VIAIONVN.TO LINHA.IONADAT IMOHVO.T]T HS HJHAVH OTATOS. ILUHI ITUNIOO T r (4 Nell’esemplare esterno, al terzo rigo, la lettera singolare venne dal Mommsen letta per R, e interpretata felicemente per R/atione). 40. Dittico quasi intero, mill. 135 per 114,1. pag. covertura, 2.° e 3.* co' ca- ratteri scomparsi, 4. pag. covertura frammentata, nel mezzo della quale resta la cera fusa dei suggelli, e ai lati con inchiostro NOVELLI FORTVNAT] "AV MESSI PHRONIM]J SNIO NIVIAIITS IAS QUA NON CALVENTI QVETI NOVELLI FORTVnati mou dUoNIND qQ0 “Imi “9009 T AV O N N SH ‘ 0 2$S200990 QU I80À240S SALYNATUOI SAITITAON {) — 196 — 41. Trittico intero, mill. 132 per 120, 1.° e 6.* pag. covertura, 2.° incerata, 3.° in- cerata e macchiata, 4.* scritta con inchiostro nella sola colonna a dr., 5.° incerata, macchiata ed illegibile. Sull’orlo della 2.° tabella perscRIPTIO — EQVITLA SAMATI HS nà LXXIIII Q* APPVLEI SEVERI QVATI PIICVNIA IN Q © ARRI PROCVLI STIPVLATV |IIIL L CAITCILI 7 i pal pi. IVCVNDI VIINIT ‘OB M °° CESTELLI PHILODENI AVCTIONII|[III IITQVITIA II sin na PSA|IIIATI [INT II_RCII De N * popiDI AMARANTI \MIINVS PIIRSOLVTA CN HELVI APOLLONI è ie. ;0) ca. (e, Teil (SY («io e ° ° (©) (©) (©) HABIIRII SII DIXSIT IIQVITIA PSAIIILILAs AB i Caecilio iuCVNDO 42. Trittico intero, ma con lo scritto guasto dalls macchie, e in parte svanito nella colonna de’ testimoni, mill. 130 per 118, 1.° e 6.* pag. covertura, 2.* e 3.° in- cerate, 4.° scritta con l’inchiostro nella sola colonna a dr., 5.° interamente macchiata. Sull’orlo della 2.° tabella PERSCR... HSE ta OR ROIO, RIAD A A NNI QV... quae pecunia IN STIPw MN... latum L'CAIICILI IVOVN ca DI VIINIT OB'AVCOTIONEe. Clicca, (ii i he, L CAIICILI HIIR|JIITAe LS ATTIRA LIENS EA ORA O een numerara HABIIR Il L'CAECILI HERMAE (©) (©) ° se diasit L * CAIICILIVS herma aB L * Call CILIO iucunD0 ACTVm pomp DAOLIO TOR OR ORE ID POLO SPIEDO 43. Trittico frammentato, mill. 130 per 83, 1.° e 6.2 pag. covertura, 2.8 e 3.2 frammentate e con la cera riassorbita, 4.° frammentata e scritta nella sola colonna a dr. con inchiostro quasi svanito, 5.° simile alla 2.* e 3.* e macchiata. Sull’orlo della 2.° tabella PERSCRIPTIO A — MESSIO FAVSTO SENTE CL NOI O debt D'LVCRETI VALENTIS QVAII PII[CVNIA IN STIPVLA Lita TV III| L CAIICILII |VCVNDI Eb ATNIR Cee veNIT OB AVctioNIIm OGTERENTI] eee A IIIIIISS SOUS MN e ROIO ee‘ (ele; 0 ‘a. e e) ce, e. eee ae n ie ao) a en) a N) e e Ro — 197 — 44. Trittico frammentato, mill. 85 per 75, 1.° e 6.* pag. covertura, 2.2 e 3.° ince- rate e frammentate, 4.° mancante della colonna dei testimoni, 5.° frammentata e coi caratteri scomparsi. ‘n Ufifo Mii sfila ee cieli l'afupe (0) el r.alfueb elle e) ce. e quae peCVNIA in sti PYLATV L'CAIICILI iucundi VIINIT OB AVOCtionem HIIRIIDINI Iusti JIN IIRCIIDII Iiiinus HABIIRII se diasit here DINVSIVStus ab I. caecilio IVCVNDO Act pomp.... Old 00 tO 0 0 O MORO RI DIM ORO ROStO 45. Trittico frammentato, mill. 133 per 103, 1.* e 6.2 pag. covertura, 2.* ince- rata e con debolissime tracce di caratteri, 3.° frammentata e co’ caratteri scomparsi per la cera riassorbita, 4.° scritta con inchiostro nella sola colonna a dr., 5.° fram- mentata, macchiata e co’ caratteri scomparsi. RISO ie Q ARRI ° CAELATI quae pecunia in stipulatum M LVCRETI ‘ LERI N. NERI * HYGINI L CAIISili iucundi venit RT GAI OB AVctionem ... popilli HELVI ° AVOTI CLIIRICi IIITercede minus GENICO Nunc POPILLI CLERICÌ HaBII e se diasit . . popillius VETTI DONATI o ©) FO ONTEI HA... 46. Trittico quasi intero, mill. 188 per 120, 1.° e 6.* pag. covertura, 2.° e 3. incerate e co’ caratteri nell’una scomparsi in parte, nell’altra interamente, 4.* scritta con inchiostro nella sola colonna a dr., 5.% simile alla 3.2 INS (IN 09 9 OSS REMI QLCS CAVENAGO NS Va I CIORO MORO RI ORTO ROIO PREVI CATCHESIVO VND e e e SATVRN E SEX NVMISI * IVCVNDI venit ob auCTIONIIJII RANA PR ETRE. A MESSI PRONIMi 0 SE ATA EA ER a MA STAGIOVA LINO (©) (©) ©) — 198 — 47. Trittico frammentato, mill. 123 per 115, 1.2 e 6.2 pag. covertura, 2.2 e 3.8 incerate, l’una macchiata e frammentata, l’altra co’ caratteri interamente scomparsi, 4.° scritta con l'inchiostro nella sola colonna a dr., 5.* eo’ caratteri distrutti. - +... quall PIICVNIA in stipulaTVIIII L CA TI cilì iucundi vIINIT ob auctI O N II |II sex. noni scallITANDRI (©) M RENI ATRI Q° BRITTI BALBI M POSTVMI ... . pi tal ie )ige. <'ai (a Wo/g lo fit) DIMORE ORO OOo SEX e NONI scamandri Pel supplemento sea. noni scamandri cfr. il n. 90. 48. Trittico frammentato, mill. 88 per 76, 1.2 e 6.° pag. covertura, 2.2 e 3.° in- cerate, frammentate e quest’ultima con lo scritto interamente scomparso, 4. ince- rata e co” nomi de’ testimoni scritti nella sola colonna a dr., 5.8 macchiata, fram- mentata e con incerte tracce di caratteri. MERA, . NV[IIIIRATA cd db lai oo olo 00 A POPIDIA co goa... CO RO FABIA N POPIDI NIMPH A IIIISSI PRIIIIII L° CORNIILI IIROTIS N° NIIRI HYGIN? 49. Trittico frammentato, mill. 110 per 45, 1.2 e 6.° pag. covertura, 2.a e 3.2 in- cerate e frammentate, 4.° incerata, rescritta e con la cornice intorno alla sola colonna de’ testimoni, 5.° simile alla. 2.* e alla 3.* {Ra 09.0 010 6 avilius -seripsi mer Vi OE accepisse ab l. CAIICILIo iw 115. 000000200 cVNDO OB AVCTIONIIM Se i i LTS sTIIRTIOS NVMMOS co DCOLXIIII DO. RO: SLIMIALIE I ERE E pe DONO Ano. (OTO (a oto COLORI. ‘01 (Ol Gao AN MI RCIIDII : MINVS ACTVM POMPIIIS CHIROGRAPVM sIl ‘ ATILI SCRI PSI°PII RSOLVTA II SSII AB*L'CA11C\ IVCVND H co DCLXIIIi 0B auctioNe mea sd: nl. “Ol (01, (GU ta; Uel viel ve) (a) Genie Is Ure et. — go — 50. Trittico frammentato, mill. 128 per 104, 1.° e 6.* pag. covertura, 2.2 e 3.* in- cerate e co’ caratteri o scomparsi o guasti, 4." macchiata e scritta con inchiostro nella sola colonna a dr., 5.° macchiata. Sull’erlo della 2.° tabella pERSCRIPT — CN ALLeio nigidio maio CN ALLE] NIGID] MA] Mt, MSM at. MEMO. WES VE OI RA e RE L] LOGJ n 8 ce O: STO o ll O ATA SE ANIA SIONE RO E E avis gui avomoniti -PPON FAVSI dro ua o 0 960 0800 RM A A A MAI ee... iii z AE POmPIIIS WEERRCIAN N GA elite Maliel lie) cel ‘el ‘ero! e. ‘e, e 51. Trittico frammentato, mill. 137 per 110, 1.* e 6.* pag. covertura, 2.* e 3.° in- cerate, frammentate e guaste dal soffregamento, 4.* scritta con l’inchiostro nella co- lonna a dr., frammentata e macchiata, 5.° simile alla 2.* e macchiata. Sull’orlo della 2.° tabella ..... —...CHAENO HISENC O. quae pecunia C*ATVLLI EVANDRI IN STIPVLatum I. caecili iucundi i: osi VIINIT ob auctionem. ..... i i aloni i AFOILONE ACI 310 00 PARO TOMO ORNO IONI AO SARO ESC) 52. Trittico frammentato, mill. 187 per 110, 1.° e 6.° pag. covertura, 2.° e 3.° in- cerate, frammentate e guaste dal soffregamento, 4.° scritta con l’inchiostro nella sola colonna a dr., macchiata e frammentata, 5.° simile alla 2.° e macchiata. Sull’orlo della 2.2 tabella persCRIPTIO — TI LARATIO O) bf de: o) odo bos «Oo RE E one, RIO C:ATVLLI EVANDRI , m. lucRETI LERI .. AERENni PRIMI DST CO NONO EEE TON OMO ORF RIO O RO RO ROIO RN OINNO O TIOTEO ECO RO REORCOMOSSO CO SECO — 200 — 53. Trittico mancante della 1.° tabella e frammentato, mill. 110 per 105, 3.2 e 5.° pag.incerate, frammentate e con incerte tracce di lettere, 4.° scritta con l’in- chiostro nella sola colonna a dr. e frammentata, 6.° covertura. MER... d capRASI FELICIS LAELI TROPHIMI T SORNI EVTICHI è vel e e /00 le, Tel asa oO, CN VIBRI CALLISTI M HELVI ADEPTI Li INDI ESE ab l. caecilio IVCVND acb pomp. . . . 54. Trittico mancante della 1.* tabella e frammentato, mill. 132 p. 105,.3.? e 5.° pag. incerate, frammentate e co’ caratteri scomparsi. Nella 4.* sulla colonna a dr. è scritto con inchiostro: PRECONTIS CORneliae SEXI PRECONTIS CORNELIAE APVN Sulla 6.2 pag. (covertura frammentata) è scritto pure con l'inchiostro: eUgUie)i celgie/(N 0,0 ‘el@ ie ie, penne, ob MANCIPIA QVAE FVERVNT METE LIBVRN 55. Terza tabella frammentata di un trittico, mill. 110 per 60, 5.° pag. ince- rata e frammentata, -6.° pag. covertura. . e} l'e (e) lelilel e. ‘e, le io) e: Deflvei el ts) SVB STIPVLATV IIIVS ACT POJIII 56. Frammento della 2. tabella di un dittico, mill. 92 per 87. La 3.° pag. è incerata, frammentata e co’ caratteri scomparsi, la 4.° pag. aveva nel mezzo i sug- gelli, di cui rimangono cinque impronte, la parte a dr. ora distrutta conteneva i nomi de’ testimoni, e a sin. con l’atramento è scritto: CHIROGRAPVM ‘ C : TETTI FAVSTI — 201 — 57. Ssconda tabella frammentata di un dittico, mill. 114 per 102, la 3.2 pag. è incerata, frammentata e co’ caratteri scomparsi, la 4.* ha nel mezzo quattro impronte di suggelli, nella parte a dr. erano i nomi de’ testimoni ora svaniti, nella parte a sin. rimangono de’ caratteri scritti con inchiostro poche tracce: CORNELIA POLLA L DUO LONEDA TONI GR DI ROSEO NI ORSO NOMI 58. Trittico frammentato, macchiato e guasto dal soffregamento, mill. 138 per 102. Sull’orlo della 2.° tabella è seritto: pERSCRIPTIO — AEFVLANO CRYSAN Niente si legge nelle pag. incerate, nella 4.° frammentata è scritto con inchiostro sulla colonna a dr. Q COELI iusti M HOLCONI PRiscì L MAGVLNI DONATI p. caELI PRIMOgen CO NIA Isa VI FRONTO L'Aviani VERNA... Pe’ supplementi: Q. Coelì Lusti cf. n. 125; P. Caeli Primogenis n. 76, 92; L. Aviani Ve... n. 73. Ì 59. Trittico intero, mill. 132 per 115. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con inchiostro: peRsCRITIO — C: APRAEI ZOENI Nelle pagine incerate niente si legge, nella 4.* sulla colonna a dr. è scritto con l'inchiostro: i P TERENT][ FELICIS P POMPONJ MARCELLI M FABI PHILOCALI T TERENTI M... NVMITORI MAGNI NVMITORI ENONIS N POPIDI OLINTHI N FOPIDI FELICIONIS 60. Frammento della 2.2 tabella di un trittico, mill. 110 per 60. Sull’orlo è scritto con inchiostro: perscriptio — AVDASI HYLAE L SEVI RVFI C- GAVI FIRMI M: OBELLI FIRMI T VIINIIRIVS P TERENTI prIMI N NERI hyGINI N NASENNI HYMPERI A VEI HYMENEI L MINICI ATTICI . © AVDASI HYLAE PARTE TERZA — Vor. III° — SERIE 2.8 26 — 202 — Dopo il 3.° vs. VIINIIRIVS è graffito, non scritto con l'inchiostro, e per 7.° te- stimone fu prima scritto P- MINICI ATTICI, poi annullato con una linea, ed in sua vece inserito A VEI HYMENEI 61. Trittico intero, mill. 132 per 112. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con l’inchiostro: perscriptio — L CEIO ORDEO Niente leggesi nelle pagine incerate, nella 4. sulla colonna a dr. sono scritti con l’inchiostro: A MESSI FAVsti CN VIBRI CALLISTI ..AVRELI SATVRN A: MESSI PRONIM: L'ISTACIDI KB... L-CEI ORDEI A-*PAQVI PHILODES Q ARRI PHILETI (©) 62. Trittico frammentato, mill. 123 per 100. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con l’inchiostro: perscriptio — CLAVDI AGRI Niente leggesi nelle pagine incerate; nella 4.°* sulla colonna a dr. sono scritti con l’inchiostro Q' APPVLEI SEVERI L: POPIDI : AMPLIATI L: LVCILI PHILARGYRI C * COCCAEI : EPHOEBI D:CAPRASI GODIONIS L CEI - FELICIONIS .. CLAVDI ‘ AGRI .. ANTONI OPTATI TOS RISO LI COMMVNIS ° 63. Frammento della 2.* tabella di un trittico, mill. 105 per 65. Sull’orlo è scritto con inchiostro: perscriptio *“*RNELIo NERETO E nella colonna a dr. de’ suggelli, con inchiostro L: LAELI TROPHIMI M-FERRINI F .... N-POPIDI AMARANTI A: DENTATI FATISCI PCANTISTIE E 290008 N - OPPI FELICIonis C: GRANI ABINNI SCORNELISE . STRONNI FAVSTI Q — 203 — 64. Trittico frammentato, mill. 134 per 113. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto con inchiostro: perscriptio — M: EPIDIO PELOPI Niente leggesi nelle pagine incerate; nella 4.* sulla colonna a dr. sono scritti con l’inchiostro: CN ALLEI LO. ... N POPIDI AMPLIAT A MESSI - PRONIM Raz INIVENSESE m epiDI : PELOPIS MEIER RR A TETTEI - FESTI M: LVCRETI - E... M FABI SECVN 65. Trittico quasi intero, mill. 133 per 116. Sull’orlo della 2° tabella è scritto con inchiostro: perscRIPTIO — EPIDI TROPHIMI Niente leggesi nelle pagine incerate; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: i D : CAPRASI EROTIS . +. SESTI MAXSImI LOTO OT ONNOI AS TOMRO NOOO SADOMIRSEOLVesE m. epiDI : BVPOLI Pel supplemento M Epidi Bupoli cfr. n. 71. 66. Trittico frammentato, mill. 136 per 102. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto ‘con inchiostro: PERscriptio — m. fABIO MEMORI Niente leggesi nelle pagine incerate; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: CE DITO 0 oa 0 RONDA . + hereNNVLEI.. . . t. SORNI EVTICHI p. AEFVLANI CRYSA P'TERENTI : EROTIS M - FABI MEMORIS N ISTACIDI PRONIM M EPIN! ZOSIMI — 204 — 67. Trittico intero, mill. 134 per 110. Sull’orlo della prima tabella è scritto con inchiostro: perscrIPTIO SEX HECIO va... Niente leggesi nelle pagine incerate; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: p. tereNTI PRIMI . . ALFAR? vITALIS CALA HERMETIS n. blaesi FRVCOTIONIS eo I: SECVNDI Ma a RI SECVNDI SCENICO ANIA Pel supplemento N Blaesi Fructionis cfr. n. 16; P. Terentius Primus è uno de’ testimoni che s’incontrano più frequente. 68. Trittico quasi intero, mill. 138 per 116. Sull’orlo della 2.* e della 1.2 ta- bella è scritto con inchiostro: perscript:IO — N ISTACIDIO NYCTINO Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ testimoni è scritto con inchiostro: L: VOLVSI FAVSTI C- CALVENTI QVIETI L-:IVNI corinTHI cN : SEI HermAE «CLODI:-- See Per i supplementi L. Zunîi Corinthi cfr. n. 11; Cn. Sei Hermae cîr. n. 78. 69. Frammento della 2.2 tabella d’un trittico, mill. 100 per 52. Sull'orlo è scritto con inchiostro: perscriptio — LIDIN EVCHE A dr. de’ suggelli è scritto pure con inchiostro: Q ATTALI Nella parola ANTHO la ‘ è così fatta, che si può leggere anche C, e sarei stato lieto di trovarci anco (= servo), se la / susseguente non mi avesse fatto preferire — 207 — DI Antho, che è un cognome certamente, ma qui parmi che sia nome servile, come nel suggello del Museo di Napoli ANTHI || Q - IVNI BLAESI 76. Frammento della 2.° tabella di un trittico, mill. 102 per 54. Sull’ orlo è scritto con inchiostro: perscriptio — mELISSAEI A dr. de’ suggelli pure con inchiostro: Q POPPAEI FELICIS L POPIDI AMPLIATI L'MAGVLNI DONATI P CAELI PRIMOGEN M STLABORI NYMP HODOTI Q : POPPAEI SORICIS M- HERENNVLEI. . .. MENICCE IMSS: (©) 77. Trittico frammentato, mill. 132 per 117. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con inchiostro: perscRIPTIO — MESSIO SPERATO Nelle pag. incerate niente si legge; nella 4.8 sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto: ‘ POPPAEI FELICIS * STRONNI SECVNDI * PACCI CERICIAEI * EPIDI STEPHANI ‘* HELVI PHOEBI * CAECILI HERMAE ‘ HELVI SATVRNINI . TERENTI EROTIS ‘ FVRI FORTVNATI * MESSI SPERATI > VIE tRZSHEO 78. Trittico quasi intero, mill. 140 per 122. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con inchiostro: PERSCRIPTIO AVCTIO — NIS MINISI FRucti seritto: Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.? sulla colonna a dr. de’ suggelli è L: TVSSIDI VERI L: BETVTI IVSTI c* GAvI FIRMI Q - MINISI FRVCTI N - FVFIDI PRIMI L: TERENTI APOLLONI SAL‘ ACONI - PRIMI CN - SEI HERMAE Piane: Fio, MioMlger e Me: Mise iene) — 208 — 79. Frammento della 2.° tabella di un trittico, mill. 82 per 50. Sull’ orlo è scritto con inchiostro: perseriptio — P: PACCIO PROCVIo A dr. de’ suggelli pure con inchiostro; Q : POSTVMI : MODEST L - HELVI : PROCVLI C - GAVI PROCVLI A VETTI: CONVIVAI D BRITTI EROS TE n. POPIDI AMARA M FaBI TE Qui TEli, altrove THELI, cfr. n. 28, 80, 98. 80. Trittico quasi intero, mill. 130 per 103. Sull’orlo della 2.* e 3. tabella è scritto con inchiostro: PERscriptio — FENARVM i TVRDI IN ID NOV Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4. a sin. e a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: CN POLI TVRDI M FABI THELI M FABI EVPORI M CLODi AMPLIATI CN POV TVRDI ° ° 81. Trittico frammentato e mancante della 1.° tabella, mill. 104 per 58. Sul- l’orlo della 2.° tabella è scritto con inchiostro: perscriptio I. pOPIDI AMPLIATI Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto: NARA TECA FAVSTI C-SVLPICI : PHOSPORI L:POPIDI : AMPLIATI L'DECCI : HILARIONIS a MESSI * FAVSTI .. POPIDI : DONATI . . MAETENNI © DAT CIECO ROS ORSONO OA Roo: o 0 82. Trittico frammentato, mill. 140 per 116. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con inchiostro: PERSCRIPTIO N — POPIDI Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto: Q APPVLEI SEVERI A VEI ATTICI P TERENTI PRIMI L CEI DECIDIANI C CORNELI ADIVTORIS L LVCILI FVSCI C CORNELI CASELLI ACCO onere DIROMORCO SORDO TORO RIMORSO da Sui — 209 — 83. Trittico quasi intero, mill. 146 per 110. Sull’orlo della 2.2 tabella è scritto con inchiostro: PERSCRIPTIO C — PROCVLEI AGA Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.2 sulla colonna a dr. de’ suggeili è scritto: Q APPVLEI SEVERI L SORNI EVTYCI N HOLCONI IVCVNDI MARS SATTVIENIENI sexo. pOMPEI AXSIOCH m. stlaboRI ‘+ NYMPODOTI . aurELI SATVRNINI c. procuLEI AGATOMENI LA o AMENI Pe’ supplementi: Sea. Pompei Axsiochi cfr. n. 34, M. Stlabori Nympodoti cfr. n. 76, Aureli Saturnini cfr. n. 61. 84. Trittico intero, mill. 135 per 118. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto con inchiostro: perscRIPTIO — P: TERENTIO PROSODO Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.* sulla colonna a dr. de” suggelli è scritto: TI: CLAVDI NEDYNI Q APPVLEI SEVERI A VEI ATTICI . - AVRELI VITALIS n. popidI SODALIONIs E, FORTVNATI p. si TTI ZOSIMI p. tereNTI PROSODI Di Voto nt do 0 0) 0) 100 06 85. Trittico frammentato, mill. 135 per 114. Sull’orlo della 2.2 e 3.2 tabella è scritto con inchiostro: PERSCRIPTIO — m. viBIO SECVNDO I LI.. EIS Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto: Q:BRITTI BALBI SEX : ATTI - AMELI Q : POSTVMI PRIMI N-nERI HVGYNI M : VIBRI CALLISTI TI.IVLI GENNEI M - RVFELLI FloRI M -ALLEI CARPI M : VIBI SECVNDI ° PARTE TERZA — Von, III° — SERIE 2.8 -— 210 — 86. Trittico frammentato, mill. 138 per 120. Sull’orlo della 1.2 e della 2.* ta- bella è scritto pERScriPTIO AVCTION Is ICONVRNAE ptoLOMei matis CI FILI ALEXSANDRINI Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto: PTOLOMEI MATISCI FILI ALEXSANDRINI MIELI. SEX - POMPEI aaSIOCHI C-ARRI AMARANTI N POPIDI SODALIONIS ut A ANTI p. terenti pro SODI ° Pel supplemento P. Terenti Prosodi cfr. n. 84. 87. Trittico quasi intero, mill. 134 per 116. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto: PERSCRIPTIO — . ..... Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4. sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: D:LVCRETI SATRI VALENTIS A*MANLI SECVNDI N: POPIDI: AMARANT T-SORNI- EVTYCHI .. CESTILI - PHILODESP OTI a. MESSI PHRONIMI corNELI TAG . .. OONITISPANIDETE ai" ‘sì Nes Ce) e) ta) fe) (jebl ‘opto; We Mie de cRYSE"gTIS CAESARIS NARCISSIANI 88. Trittico frammentato, mill. 140 per 94. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto: pERSCRIpTIO — ..... Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto: C ATVLLI EVanDRi N° HERENNI IANVARI A - MESSI PHRONIMI CN - VIRRI CALLUISTI L: CORNELI QVARtionis RORIDIE e i (8° Je) ei ce, (ell'e: lei le) \p) e! e\o] el so sUd® — 211 — 89. Trittico quasi intero, mill. 137 per 114. Sull’orlo della 2.4 tabella è scritto: pERSCRIPTIO — ..... Niente si legge nelle pagine incerate; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: NE MEbABIeeÀ SN N POPIDI SODAlionis Eee: FAVSTI A MESSI pHRONIMI CN VIBRI CALLISTI sinto cel Kelclell lesticeltt cel “Sg, elUez e,0 e 90. Trittico frammentato, mill. 145 per 115. Sull’ orlo della 2.° e 3. tabella: perSCriptio — V...... HS Ioo CCCCXX VIII Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: L: LAELI FYSCI SEX - NONI : SCAMANDri P- AEFVLANI CRysanti L: MELISSAEI : COERASI L-CORNELI DEX.... L'NAFVOLEI NYM... 91. Trittico quasi intero, mill. 131 per 108. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto: perscripTtIio N — BI ...... Nelle pagine incerate nulla si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: M- AVRELI LAR . .. SOR VATANIG ERE n. opPI : FELICIONIS ‘oe e Mo plane: celle 'e ge, 0: el CO. se Di VOMERO LO RITA CORTO O CORSO ‘el lle. e, (e) \\relkcet Kei et 19010: ]6) viel ‘e\o Pe’ supplementi: N. Oppi Felicionis cfr. n. 16, 63; 0. Minisi Fructi n. 73, — 212 — 92. Trittico frammentato, mill. 139 per 117. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto: PERscriptio — ....-. Sulla 1.° pag. (covertura) è profondamente graffito DOROPHIS. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con in- chiostro: M. MAGI SECVNDI PCAELI PRIMOGENIS ei ie ceo. e Le Le. la.) SSN IR ®) (e l'en) e; Lal ce”, e1 et SISI A OOO, e; (e. iei-'el, (e) e ‘el c'o,r'e)la fio) PRETE Pel supplemento A. Umbrici Modesti cfr. n. 105. 93. Trittico frammentato, mill. 138 per 117. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto: PErSAIPIIO NT TO Niente si legge nelle pagine incerate; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli rimane scritto con inchiostro: ISPRLIE OI FVSCI si I RI A Ne IALIA (Bio CNEHR IVI RA B. 94. Trittico frammentato, mill. 141 per 113. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto: perscripTi0 M — . ... DI Niente si legge nelle pagine incerate; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con l’inchiostro: C VIBI MACRI A‘APPVLEI : SEVERI T.SORNI - EVTICHI D - CAPRASI : ATICTI ODE — 213 — 95. Trittico frammentato, mill. 130 per 111. Sull’orlo della 2.° tabella è scritto: PERSORIPTio — N..... Nelle pagine incerate niente si. legge; nella 4.2 sulla colonna a dr. de’ suggelli rimane: M - DECIDI : PAVPERIS Miao: EL . 96. Trittico intero, mill. 138 per 109. Sull’orlo della 2.* tabella: perscriptio — .....\1L Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: I. aemili celERIS e. I SEVERI T-SORNII - EVTYCHI p. TERENTII - PRIMI cn. HELVI - APoLLoNI P: PoPPAEI - NARCISSI L: TETTEI - FESTI L: CAECILI: HERMAE P-FVRI F-oRTVNATI Pel supplemento L. Aemili Celeris cfr. n. 17. 97. Trittico frammentato, mill. 150 per 115. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto: perscripiio — . . FI. .... Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: DS Proc SIR | SEVERI L:LAEli TRophimi M- EPIdi FORTVnati Q LOLLI SATVRNINI N-VE] MARTIALIS Did ie onto! a oo 0 dado Pel supplemento £. Laeli Trophimi cfr. n. 63. — 214 — 98. Trittico intero, mill. 145 per 115. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli rimane: CNEALI:e E e . . cLAVDI] . ISTHM] m. fabI THEL] m. epidi HYMENAEI l magulNI DONATI a. herenNVLEI COM MVNIS e. e. ‘eil (9: ei ellie, ce) le) le. NefsNle Pe’ supplementi: M. Fabi Theli cfr. n. 28, 79, 80; M. Epidi Hymenaei cfr. n. 15; L. Magulni Donati cfr. n. 58, 76; A. Herennulei Communis cfr. n. 105. 99. Trittico frammentato, mill. 102 per 80. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: Q-APPVLEI SEVERI D CAPRASI EROTIS L POPIDI AMPLIATI N POPIDI AMARAN A MESSI PHRONI CN VIBRI cAllisti M FABI EVPORI L ALBVC] THESM] L SEXTIL] FAVST] ° Pel supplemento Cn. Vibri Callisti cfr. n. 59, 61, 88, 89, 106. 100. Trittico quasi intero, mill. 137 per 115. Niente si legge nelle pagine in- cerate; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: M IVLI RVFI THORANI SECVNDI p. TERENTI PRIMI ATVLLI VITALIS ARPORI LIBERALIS n. poPIDI - AMARANTI st RO I AVITI-L'FAVSTI Lic ran C)P.. 101. Trittico frammentato, mill. 129 per 102. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: CDOT CO RE OMETTO . . ARTORI PRIMI n POPIDI NARCISSI t. SORNI EVTychi p. AEFVLENI ChrySanti M LVCRETI EI. ... STESAENITEVO IE: ° 102. Frammento della 2.° tabella di un trittico, mill. 92 per 56. Vi è scritto con l’inchiostro: ti. iulì GENNAEI . nuMISI SCAMANDR a. mesSI PHRONIMI © sex. nVMISI IVCVNdi p. stTI ZOSIMI M'FABI PRIMOGENIS m.fabI CHRYSEROTIS Pe’ supplementi: Ti. Iulî Genmnaci cfr. n. 85; A. Messi Phronimi è uno de’ nomi che ricorrono più spesso; Sex Numisi Iucundi cfr. n. 4, 46; P. Sitti Zosimi cfr. n. 41: M. Fabi Chryserotis cfr. n. 34. 103. Trittico quasi intero, mill. 131 per 100. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.* sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: .. FVFICI FVsci A FVFICI CERTI C ATVLLI EVAnti CN HELVI Apolloni P TERENTI PRIMI M EPIDI VRBAni M VRBANI HERMae I. corneLI MAXsimi o Pe’ supplementi: C. Atulli Evanti cfr. n. 18; Cn. Helvi Apolloni cfr. n. 34, 38, 41; L. Corneli Maxsimi cfr. n. 32, 39. — 216 — 104. Trittico frammentato, mill. 103 per 90. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: N N NINN] CALVI IVSTI L HELV] RVF] L ALBVCI IVST] M HOLCON] RVFI M CERRINI RESTITVTI N POPIDI NARCISSI M LVCRETI LERI L VALERI peregrini Pel supplemento L. Valeri Peregrini cfr. n. 103. 105. Trittico mancante della 1.* tabella e frammentato, mill. 100 per 88. Niente si legge nelle pag. incerate, nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è seritto con inchiostro: C- AEMILI SEVERI CO sa TVRNINI Q: APPVLEI SEVERI L: CAELI PRIMOGENIS A HERENNVLEI COMMVNIS T SORNI EVTVCHI A MESSI PHRONIMI L VOLVSI FAVSTI P CORNELI TALLICTI A VMBRoCI MODESTI 106. Frammento della 2.* tabella di un trittico, mill. 108 per 57. Vi è scritto con inchiostro: M-STLABORI : NYmphodoti L: VOLVSI : FAVSTI CN - VIBRI : CALLISTI A HORDIONI : PHILOSTOR A-PACCI phILODESPO a. mesSI: PRONIMI p. aefulani chkYSANTHI SEG AJ SA Da PRIMOGEN Pe’ supplementi: M. Sttabori Nymphodoti cfr. n. 76; P. Aefulani Chrysanthi Già 107. Trittico frammentato e mancante della 3.° tabella, mill. 110 per 110. Niente si legge nelle pagine incerate; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con l’inchiostro: M LICINI ROMANI M STRONNI SECVNDI A-MESSI - PHRONIMI PRIVATI PVBLICI (©) — 217 — 108. Trittico frammentato, mill. 135 per 95. Niente si legge nelle pagine in- cerate; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: m. fabi CRYSEROTIS a. VEI ATTICI M VBONI COCITATI PS Me SECVNDI DMEDAIO SCIOLTO OTO: TRO Di LO 0 O Duri OO DOLO 109. Trittico frammentato, mill. 85 per 71. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4. sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con l’inchiostro: t. sorcNI - EVTICHI P: TERENTI PRIMI M :- RVFELLI FLORI cn. HELVI-APOLLON . DO COMEOornTO. VOfte0 SOSMORNO: FOSSO 110. Trittico frammentato, mill. 140 per 110. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.2, sulla colonna a dr. de’ suggelli è scritto con inchiostro: M LVPATI SATVRN GOA TOI IOMO TOO A VETTI ILIACI FVFIDIFAVSTI n) gcTet premiate) ie) ge) Can tile) edu a) een. DIGO RDIRO CONO ROSA VO RNOENO OOO TOM ORIO 00 rv o CORE 111. Trittico frammentato, mill. 105 per 95. Nelle pagine incerate niente si legge; nella 4.° sulla colonna a dr. de’ suggelli rimane: = fifetalieti dle] l\esMnel'egpisHota\c (e (Vel © OOO) COSI TORE ONEO E OSOGNONINO) OOO SO POR O ROMIO al le) (Nell: 10/ Nip. cU@r ef ei e, ie ie e DIOR DIO OMRON TORTO ORSO PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.° 28 — 218 — b) Solutiones auctionariae. 112. Trittico intero, mill. 135 per 104. 1.* e 6. pag. covertura, 2.2 e 8.2 con la cera riassorbita, e con le lettere visibili solo per le tracce rimaste sul legno, la 4.2 ha nella colonna a dr. i nomi de’ testimoni scritti con l'inchiostro e in parte rescritti con lo stilo, la 5.* ha come la 2.° e la 3.* la cera riassorbita, ma senza le orme delle lettere. Sull’orlo della 2. tabella: c:IROGRAPVM — 54 p. C. NV ACILIO AVIOLA JI ASINIO Cos SALVI * HER* VACCVLAC 29 magg. IM K IVNIAS SULVIVS HINNASINVS . LI IGO PAGO SaDTOS L‘ AELI CERDONIS CIIRDONIS SCRIPSI JIMI H ACCHPISSH AB I. CAHCILIO IVCVNDO SOSTHRTI\ L* VEDI PRIMI VIIDI PRIMI NVMMVJIH TRIA IINILIA QVINQVAGINTA NOVI NV]JIN JIN OS SALVI * HER VACCVL ©) S) ° (©) (©) OR AVCTZONH HIIMA SION e RIT OVARO TIENI ee DIGA SIOE VOLVI ACCES AMET, RR 113. (v. Tv. 1) Trittico frammentato, mill. 91 per 72; 1.2 e 6.8 pag. covertura, 2.26 3.2 incerate e frammentate, nella 4.° la colonna dei testimoni è illeggibile; la 5.° che doveva contenere il secondo esemplare può affermarsi che non venne mai scritta, poichè la cera che è benissimo conservata non ha la minima traccia di lettere. q. volusio SATVRNINO p. cor 56 p.C. nelio scipiONII cos. Iv IDvs NOVIINNMBR 10 nov. trophimus VII BRICIAN ANTIOCHIDIS SHYVUS seripsì ealH ACCIPISSIH AB L CATICiliO iucundo SISTHRTIOS NVJINIIMOS SITSCHNTOS quadragiNTA QVINQVI ob auCTIONII JIN ei, Ole (0) 100 cal l'e) ‘ol le. co. \ete) al l'ai cetkg'ol ,e)0 (OA, ® ASI SO RUBVIS. LANISITICIS VIMAWISI. (0 CR IX QVA SVqIIJIMA accepit ante hane diem (©) ©) (©) SIISTIIRTIOS DVCIINTOS ARBITRIA Rd0s VIGINTI IT ACCessione HS XIH nec pIaHiNVS HS LI IT HAC Die reliovos IGO SIISTIIRTIOS TRIICentos SIIXSAGINTA NvInlImos ActvIn pojimpnls — 219 — 114. Trittico quasi intero, mill. 140 per 120; 1.2 e 6.2 pag. covertura, 2.° e 3.° con la cera riassorbita meno che nel lembo inferiore della 2.* e nel superiore della 3.° pag., la 4. pag. ha nella colonna a dr. i nomi de’ testimoni prima scritti con l’inchiostro e poi rescritti con lo stilo; nella 5.* pag. la cera è completamente riassorbita. Sull’orlo della 2.° tabella sSOLVTIO — TI CLAVDI TI CLAVDI VERI c nvmiToRI AVDI BASSI m-AaNTonîi MANTONITERT SIISTIIRTIA DVO MILLIA ©) ©) ©) ©) e) QVINGIINTOS VIGINTI nvImuIu NOINIINII II AGATHINI ACT POLITI. . 62 p.C. p INIARIO Celso L AFINIO Cos 115. Trittico intero, mill. 137 per 111; 1.° e 6.* pag. covertura, 2.° e 83.2 non incerate e scritte con un calamus tanto duro, che mentre distribuiva 1’ inchiostro incideva anche il legno; 4. e 5.° scritte pure con l’inchiostro, ma non allo stesso modo delle due pagine precedenti. A MAYCIILLO L IVNIO COS PALFENI VAri VI K SIIPTIIMBRIIS P'ALIII NYVS VARVS TRIICIINA TRECENARI-AVG RIVS AVGVSSTI SCRISPI us: MII: ACIIPISSII AB L°CAII P_ALFEN] POllionis CIILIO IVQVNDO HS VIGIN TI QUINQVII QVADRIN ITRkvARVIS TERRA Mense GIINTOS TRIGINTA NOVII ALFENI VARi NYVMMOS IIX AVCTIONII VII NALICIARIA P ALITIINI TRECENARI AVg POLLIONNIS® DIINIIPRI NICIAH P ALFENI POLLi0 (©) (©) © (©) (©) (©) (©) PRO PARTI HIvSs QVAM IRIVNIORC On ROTAIA SELE EPAVEPAVDAVIS POISIRATIa Vi K SIIBT DILIGATV HORVM ALITIINVS Varus trecenarius AVg scripsi IIIII ACCIIPisse aB L cAIICIlio tucundo hs m. xrv CCCXXXiX IIX AVCTIONEe venalicIARia O CARINA PALNIINI Pollionis denepri niciae ACCTVM IVNIANO COS QVAM STIPVLalus IIST IIX AIILIIGATV IIORV]II ACCUMI. è — 220 — 116. Trittico frammentato, mill. 115 per 95; 1.2 e 6.2 pag. covertura, 2.8 3.2 e 5.8 co’ caratteri scomparsi. Sull’orlo della 2.° tabella: CHIROGRAP — VEIBINI VO- DIAS VESS Nella 4. pag. sulla colonna a dr. è scritto con inchiostro: VEIBINI VODIASI VESSINI M VRbani hermae VEIBINI VODIASI VESS (©) Pel supplemento M Urbani Hermae cfr. n. 103. c) Solutiones municipales. 117. Trittico intero, mill. 120 per 101; 1.° pag. covertura su cui è scritto con l'inchiostro: CHIROGRAPVS PRIVATI C-C-V:C S OB FVLLONICAS SOLVTI HS 00 DCLII ANNI PRIMI 2.% 3.° 4.% e 5. pag. incerate, 6.° pag. covertura. SIIX ‘ PO]JINIPIIIO PROCVLO PRIVATI ceves C°CORNIILIO JIIIACRO Il VIR ID SHX POJMIPII PROCVI 19 febbr. XI K JIIIART PRIVATVS COLONIAII SIIR SOS AO] LOCI SCRIPSI IIIII* ACCIIPISSII AB A INIISSI GRATI L'CAIICILIO IVCVNDO SIIST PRIVATI CCYCSs IIRTIOS © IIIIILLII SIISCIINTOS di nd (©) (©) 4 (©) (©) (©) (<>) SIITX * PO JII! PIITTO PROCVLO C'CORNIILIO JIIIACro INIIOS OB FVLLONICAINMI XI K JIIMART QVINQVAGINTA DVO NVINI IIX RIILIQVIS ANNI VNIVS PRIVATVS COLONOR © pOIIlI * SIIR SCRIPSI JIIMII ACCEpISSII ab l. caec. IVCVND HS co Delii od ACT PO]III ì 7 FVLLONICaS ex RIILIQUÌS ANNI VNIVS NIIRONII * AVG © 111 NIIRONII CAINS' III 58 p. C. Cos Iii INIISSALLA TIIMessALLA COS — 221 — 118. Trittico quasi intero, mill. 118 per 106; 1.* pag. covertura, 2.%, 3.2, 4.2 e 5. incerate: L' ALBVCIO * IVSTO * L* VIIRANIO HYPSAIIO * DVV]IIIVIRIS IVR © DIC PRIVATVS COLONIAII SIIRVVS SCRIPSI JIIIII ACCIIPISSII AB L'CAITICILIO* IVCVNDO SIISTIIR TIOS * TIIILLII SIISCIINTOS ©) ©) (©) (©) QVINQVAGINTA DVO NVJIII JIlI 0 S llX RIILIQVIS 0B FVLLONICA ANTII HANC DITITIII * QVAINI DIIIS® FVIT° PR IDVS * IVLIAS 15 agost. ACT POTIII XVIIII K SIIPT 58 p.C. A PACONIO SABINO °A PIITRONIO Cos 6. pag. covertura, su cui è scritto con l’inchiostro: SOLVTIO - 0B : FVLLONICA ANNI SE VNDI PRIVATO CCVCS L'VIIRANIO-HYPSEO L ALBVCIO-IVSTO PR IDVS IVLIAS A_PACONIO;.. .. PRIVATI C°CVC L'ALBVC IVSTI ]II STRO NNI SIICVN L VIIRA- PHILII- PRIVA COLON ©) ©) = © L' Albucio l. veranio IÎ ViR IVRII DIC PRIVatus cv DCLIÉ CHirogr. PRIVA CCvVce DCRIITO L AÎBVCI 1VSTI ITOLEAVITIR INI SO ACT POM ‘A°*PACO C 119. Trittico quasi intero, mill. 117 per 105; 1.2 pag. covertura, 2.?, 3.8, 4.2 65.3 incerate. CN * POJIIIPIIIO GROSPHO GROSPHO C POJIIPIIIO GIOVIANO II VIR'IVR'DIC 10 lugl. “ . VI IDVS IVLIAS PRIVATVS COLONORV]III COLONIAII VIINIIRIAII CORNIILIAIIPOIINIIPIII ANORVIII SIIR SCRIPSI JIIIII ACCIIPISSII'AB L CAIICILIO * IVCVNDO SIISTERTIOS*]JIIILLII SIISCIINTOS ©) (©) ° ° QVINQVAGINTA NV]III JIIIOS NVJuITIIII LIBIILLAS QVINQVII ITX RII LIQVIS OB FVLLONICA ANNI L VIIRANI HVPSAIII IIT ALBVCI IVSTI D V I'D'SOLVT ACT POTIII 59 p. C. JITT OSTORIO SCAPVLA T SIIXTIO AFRICANO Cos PRIVATI CN POJIIIP TI * VOLCI A CLODI PRIVA ) (©) C°*C°V°C SIIR GROPS LICVRG IVST CCAAVEICIS S) ° DVOBVS GROSPHIS DID VI IDVS IVL CHIROGRAPVS PRIVATI °C°C°V°C°S HS c0 DCLI OB VIICTIG- ANNI TIIRTI TLISIISLLROSTORMC- — 222 — 6.* pag. covertura, su cui è scritto con l’inchiostro: CHIROGRAPVM PRIVATI-C-C-%v. c. s. HS co DOLII OB: FVLLONICa ANNI :- TERTI DVOBVS - GROSPIS D-V-I-D M - OSTORIO T - SEXTIO Cos VI IDVS 120. (v.Tv.II, III.) Trittico intero, mill. 132 per 115; 1.° pag. covertura su cui è scritto con l'inchiostro: NERONE CAESAre sIII COSSO cos VII IDVS MATIAS CHIROGRAPVM PRIVATI C-C-V HS co DCOLII OB FVLLONICAm ANNI QVARTI 2. e 3. pag. con la cera completamente riassorbita, e quello che vi si legge dell'atto . è per le orme lasciate dallo stilo sul legno; nella 4.* pag., che non è incerata, sono evidenti nell’incavo le tracce di cinque globetti di cera, ma senza alcun nome a fianco, invece a sin. vi è il cominciamento della seconda copia dell’ atto, che non venne pro- seguita; 5.° pag. con la cera completamente riassorbita, 6.* pag. covertura. N SANDH/é0 èIIIIISSIO BALBO P VHDIO SIRICO duVMVIRIS IVRII DIC s SHX POMPHIO PROCVLO PRAIF L:D 8 magg. Viù idus INI AIAS PRIVATVS COLONIAII POIIIIPIIIANORVIIII 17 SIIRVUS SCripsi 1III]I ACCIIPISSII AB l CAIICI/ÎO TIUCcVNDO SHSTHRTIOS 7A Imnille sescIINTOS QVINQVAGINIA Q0IU]S-0ICHA d:00TVA-OISSIN-ONTHONVS-N © ° (S) © (©) duos nvVuIImos 0B FVLLONICA ANN? Qvarti Acrvini pongmipiils 60 p.C. NIIRONII CAHSARI AVG III COSSO Cos 121. Trittico quasi intero, mill. 120 per 104; 1.2 pag, covertura, 2.2, 3.°, 4.° e 5.° incerate: ò genn. 57 p. C. C CORNIILIO * IITIACRO SIIX pompeio PRIVATI C'C'V'0's PROCVLO DVVJINVIRIS I° D NONIS idaNVARIS SIIX PO]JIUP PROCVL PRIVATVS COLONOR ‘ POIIIPIITANOR d 19 SITR SCRIPSI JIMI ACCIIPISSII AB CNMICOE: CONTI I CAIICILIO IVCYVNDO * SIISTINRTIOS REDS PRITI DVO IIIILLIA*SIISCIINTOS SIIPTVAGINTA QVInque PRIVATI c'c*v'c:s: (©) () (©) (©) (©) (©) (©) ©) NV]lII JIIT OS © ITX_ RIILIQVIS OB PASQVV[III * ANNI JIN’ ODIISTI IIT VIBI SIICVNDI ACT POIIII NIIRONII CAIISARI NI TUII * JIIMIISSALLA CORVINO C CORNIILIO JIIIACRO SIIX PO]III PIIIO proculo ti vir. i. d. NONS “ IANVAY privatus COLONO PO]JIIIPeianor. SIIR SCRIPSI IIITII ACCII PISSII AB L CAIICILI- IVCVNDO hs co 00 ACLXXV IIX RIILIQVIS OB PASQVA aNNI Till O DIISTI IIf VIBI SecvVNDI ACT POJII- - NIIRONII CAIS HI qunissaL corvino Cos 6.2 pag. covertura, su cui è scritto con l’inchiostro: SOLVTIO : 0B PASQVA ANNI : PRIMI PRIVATO DVVMVIRIS POMPEIO - ET : CORNELIO DEBVERA - ANNI - SV PERIORIS HS 00 c0 DOLXXV 122. Trittico frammentato e mancante della 1.° tabella, mill. 125 per 105; 3.* e 4.2 pag. incerate e frammentate, 5.° pag. incerata, 6.° pag. covertura. SII PIVAGINTA QuINQVII © NVJIN JIIIOS OB PASQVO]II IVSSV PO JIII PITT * PROCVLI Jil © VALIIRIO Jiviessalla c. fonteio cos. sIIx POMpei proculi PRIVATI COLONIAII SIIR ©) ° e) ©) SIIX POINIIP1ITO PROCVLO C CORNIILIO JIITACRO duumviRrIS ID do ooo IVLIAS giugno PRIVATVS © COLONIAI * PO]III PII dANORV JIII SIIRVVS SCRIPSI me ACCep/sse AB L° CAIICILIO IVcundo HS N co DCLXXV OB PASCVOM iussw pollll pill * PROCVLI actV HI PO]IIMPIIIS m. valerio quIlIssALLA C* FONTIIIO COS 58 p. C. — 224 — 123. Trittico frammentato e rescritto, mill. 105 per 90; 1.° e 6.° pag. cover- tura, 2.° e 3.2 incerate e frammentate, 4.° mancante della colonna dov'erano scritti i testimoni, 5.° frammentata e macchiata. L. veranio HVPSAIIO LALBVCio iusto DVVIIIVIRIS I D settembpres ala n sg BR privatus Cc. Cc. V. C. Ser scripsi me ACCIIPISSII ab l. caeCILIO IVOVNDO 3 hs. nummos ml L Le 'olAiE Bi soi ‘e; ‘ol Cei ‘S sec. (ei) (el 9 csì) is! (a iuSSV ‘I. albuci I. VIIRANI îî vir. IVRI D act pomp. 58 p.C. a petronio a PACONIO Cos 124. Trittico quasi intero, mill. 125 per 112; 1.° e 6.* pag. covertura, 2.8, 3a, 42 0 5.° incerate. L° VHRANIO HVPSAHO L * ALBVCIO L: VIIRANI HYPSAIII IVSTO DVV ]IiHVIRIS © IVRH DIC 18 giugn. XHI K°IVLIAS PRIVATI C-C*V:C-SIIR PRIVATVS COLONIA II POJIMIPIITAN SIR SCRIPSI JIIITI * ACCIIPISSI AB*L° CAIICILIO IVCVNDO L'ALBVCI IVSTI SHSTIRTIOS puIILLII! SHSCHNTOS SH PTVAGINTA QVINQVII PRIVATI C-C-V-C-SII NVIII JIIT O S° IIT ACCIIPI ANTII HANC DIII HI ‘ QVAMH DIS L° VHRANIO HVPSAHO L ALBVCIO IVS D ID XIV K IVL FVIT © VIII * IDVS * IVNIAS SHST HIILLH NVJIIJHIOS * OB VICTIGAL PVBLICV]III * PASQVO ACT POJIII 59 p.C. C*FONTIIO C vIPstANo Cos PRIVATVS"C'C°V*C*SIR* SCRIPSI JIll li ACCHPISSII AB *L° CAHCILIO IVCVND HS c0 DCLXXYV'HT ACCHPI ANTH HANC * DIH]II * VIII * IDVS * IVNIAS HS 00 NVJIII OB * VIICTIGAL © PVBLICV PASQVORY]I- ACT POJIII C' FONTHIO C VIPS Cos SO 125. (v. Tv. IV.) Dittico quasi intiero, ma con la scrittura in alcune parti scomparsa, mill. 125 per 106; 1.° pag. covertura, 2.2 e 3.* incerate, 4.* liscia, con cinque suggelli nel mezzo, i nomi dei testimoni a dr., e la copia dell’atto a sin. scritti con l’inchiostro: PATRITV]III FVNDI RVDIANI LUVM SACI 0 0 e 4 è è 0 0 010 ITHOOV LH INVICAT ICONA NO]JIIIINII STALI-IVVIINTI Ci i qcOIILIO CALTILIO IVSTO L HebI0 ® È - (e) < S OM 3 - OH ZH i BLAIISIO PROOVLO Il VIR i. dd. i 39235 sromoroe 14 marz. pr. îd. mart. gx E < î S E = = EE SecuNDVs colonoru|]III COLONIAII z È a == L'HELVI BLAESI venerIAII CORNIILIAIL SIIRVas © #33627 Choo È SS qQ'C0En JVSDI ACCIIPI A TIIRIINTIO PRI]|II0 ds Corana SC ERRE HS N dcclezvi OB AVITVIIII et S S a) MS geo RIILIQVOS > E = 3 < CN POPIO?. .. SaS 5; SS 2 S (92) ©) (02) AV USSITHOOY HN ISAIUOS IVSSV CALTILi susti et HIILVI PROCVIi D IVNIO TORQuato 93 p. C. Q'HATIIRIO ANtonino 126. Frammento della 2.* tabella di un dittico, mill. 105 per 92; 3.2 pag. fram- mentata, incerata e co’ caratteri scomparsi pel riassorbimento della cera; 4.* pag. liscia, con le tracce di cinque suggelli in mezzo, i nomi de’ testimoni a dr., e la copia dell’atto a sin. scritti con l'inchiostro: DISIO' OR NONTOr tO CORRO tOSORO M STRONNI SEcundi M CIMINI SECundi TT 0 SH OPUADA[ OTTIOIIVO - T AV OsstAHOOV UN ISAIU?S UUS:O-A-0-0- SALVAINA Vada i ‘ICNAT NWALIAV- TO STADITA 22 “A PRIVATI :CCiv c. s. I.° — SERIE 2.2 29 fd PARTE TERZA — VoL. I 296 — 127. Trittico frammentato, mill. 133 per 120. Sull’orlo della 2.* tabella è scritto con inchiostro: CHIROPRAPVS PRIVATI — col. SER 1.° pag. covertura, su cui rimangono queste tracce di scrittura con inchiostro: privati c. c. V:C°S MATIAS e; Tel ve: e e, ce. ‘e) ce: (0. (n) e) o ‘al ed e. fe\ggal s:, ‘sj-\va) ‘al el lele CN-LENTVLO-C..V...R... 2.°, 3. 5.2 pag. incerate, macchiate e co’ caratteri scomparsi, 6.° pag. covertura, 4.° pag. sulla colonna a dr. vi è scritto con inchiostro: PRIVATI :- C- C - VENER SER PRIVATI - C-C-V-C- SER INDICE DEI NOMI Sal. Aconius Primus 78. P. Aefulanus Chrysantus 4, 7, 10, 58, 66, 71, 90, 101. 106. L. Aelius Cerdo 112. L. Aemilius Celer 17, 96. C. Aemilius Severus 105. L. Albucius Iustus 104, 118, 119, 123, 124. L. Albucius Thesmus 99. Alfaeius Vitalis 26, 39, 67. P. Alfenus Pollio 115. Alfenus Varus 115. A. Alfius Abascantus 13, 18. M. Alleius Carpus 2, 20, 21, 85. Cn. Alleius Chryseros 30. Alleius Hyginus 22. Cn. Alleius Nigidius Maius 50. Cn. Alleius Lo...... 64, 98. M. Antistius Fru...... 69. P. Antistius Secundio 75. P. Antistius..... 63. . Antistius...... 3. Antonius Optatus 62. . Antonius Tertius 114. . Appuleius Severus 94. . Appuleius Severus 10, 12, 15, 18, 39, 41, 62, 69, 74, 82, 83, 84, 99, 105. Appuleius,..... 8. . Apraeus Zoenus 59. . Arrius Amarantus 86. . Arrius Caelatus 45. . Arrius Philetus 3, 10, 36, 61. . Arrius Proculus 41. Artorius Liberalis 190. Artorius Primus 101. Artorius..... DL . Atilius Seranus 49. M. M. 49. Atrius Marcellus 31. Sex. Attius Amelus 85. Q. Attius Florus 75. (DIPLELS) [ca] . Atullius...... . Avianius Verna..... . Atullius Evander 51, 52, 88. . Atullius Evantus 18. - . Atullius Evan..... . Atullius Meander 5. . Atullius Severus 11. 8, 103. Atullius Vitalis 100. 43. Audasius Hyla 60. Audius Bassus v. Numitorius. . Aurelius Felix 3, 29. Aurelius Lar..... 91. . Aurelius Saturninus 61, 83. Aurelias Vitalis 84. SSWA Babina Secunda 10. . Babullius Romanus 17. . Badius Herma 4. . Betutius Iustus 78. . Blaesius Fructio 16, 67. . Brittius Balbus 47, 85. . Brittius Eros 79. . Caecilius Attalus 4, 38, 75. . Caecilius Herma 42, 77, 96. . Caecilius Tucundus 2-5, 7-47, 49, 53, 112-113, 115, 117-124, 126. . Caecilius Philologus 34. . Caelius Primogenes 58, 76, 92, 105. Caesia Optata 24. . Calavius Secundus 25. . Caltilius Iustus 18. Calventius Quietus 40, 68. . Caprasius Atictus 94. . Caprasius Eros 65, 72, 99. . Caprasius Felix 51, 58. . Caprasius Godio 13, 62. . Ceius Decidianus 22, 82. . Ceius Felicio 62. . Ceius Ni..... 73. L. Ceius Ordeus 61. L. Ceius Quartio 36. M. Cerrinius Restitutus 104. M. Cerrinius...... Il Cerrinius...... 16. M. Cestellius Philodenus 41. ISUSNSÌ die dio i Cestilius Philodespotus 13, 29, 87. . Ciminius Secundus 126. Claudius Ager 62. Claudius Isthmus 98. i. Claudius Nedynus 84. i. Claudius Secundus 30. 1. Claudius, S...... 27. i. Clandius Verus 114. O P>aQ . Clodius Ampliatus 70, 80. . Clodius Iustus 119. Clodius...... 68. . Coccaeius Ephoebus 62. i Coc'821 . Coelius (Caltilius) Tustus 58, 125. Cornelia Apun...... 54. Cornelia Polla 57. . Cornelius Adiutor 82. . Cornelius Amandus 18. . Cornelius Casellus 82. Or Caviatus 121. . Cornelius Dex...... 90. . Cornelius Eros 48. . Cornelius Macer 117, 121, 122. . Cornelius Maxsimus 39, 103. . Cornelius Ma...... 925 Cornelius Neretus 63. Cornelius Pa...... . Cornelius Primogenes 31. . Cornelius Quartio 88. Cornelius Tag...... 87. P. Cornelius Tallicus 105. > s8UBaESESRE . Cornelius Tertius 39. Cornelius...... 63. . Crassus Firmus 25. . Cuspius Secundus 10. . Deccius Hilario 75, 81. . Decidius Pauper 95. Deneprius Nicia 115. . Dentatus Fatiscus 63. Domitius Poly...... 65. . Epidius Bupolus 65, 71. . Epidius Fortunatus 97. . Epidius Hymeneus 15, 98. . Epidius Pagurus 31. . Epidius Pelops 64. . Epidius Secundus 29, 41. . Epidius Stephanus 77. Epidius Trophimus 65. . Epidius Urbanus 37, 103. . Epidius Zosimus 66. Epidius...... 94. Equitia Psamas 41. 48. . Fabius Agathinus 3, 73, 114. . Fabius Chryseros 34, 38, 102, 108. . Fabius Diadumenus 12, 23. . Fabius Eupor 81, 74, 80, 99. . Fabius Memor 66. . Fabius Nep...... . Fabius Nymphodus 29, 16. Egr M. Fabius Philocalus 59. M. Fabius Primogenes 102. M. Fabius Proculus 14, 75. M. Fabius Secundus 23, 64, 72. M. Fabius Thelus 29, 79, 80, 98. Fabius Tyrannus 29. M. Fabius...... 80, 89. M. Ferrinius F...... 63. L. Flaminius Strobilus 69. Fonteius Ha...... 45. A. Fuficius Certus 103. Fuficius Fuscus 103. Fufidius Faustus 110. . Fufidius Primus 78. . Fulvius Thyrrenus 18. . Fundilius Primio 74. . Furius Fortunatus 77, 96. Gavius Firmus 60, 71, 78. . Gavius Proculus 79. . Gavius Rufus 71. . Granius Abinnus 63. Granius Coniunctus 7, 45. Q. Granius Lesbus 19. Sex.Hecius Va...... 67. M. Helvius Adeptus 53. Cn.Helvius Apollonius 26, 34, 88, 41, 51, 96, 103, 109. Helvius Auctus 45. M. Helvius Catullus 14, 33. M. Helvius Phoebus 77. L. Helvius (Blaesius) Proculus 79, 125. M. Helvius Pr..... 64. L. Helvius Rufus 104. M. Helvius Saturninus 77. Sex. Helvius Scamander 74. Cn. Hel...... 16, 93. Heredinus Iustus 44. N. Herennius Castus 10. N. Herennius Ianuarius 81, 88. Herennius Primus 52. N. Herennius...... ONNDÌ Herennius...... 10. A. Herennuleius Communis 98, 105. M. Herennuleius....... 76. Herennulcius...... 66. Histria Ichimas 13. M. Holconius Iucundus 75, 83. M. Holconius Priscus 58. M. Holconius Rufus 382, 104. Holconius...... TUE A, Hordionius Philostorgus 38, 106. N. Istacidius Amicus 7. eGe@eàède tea L. Istacidius E...... 61. N. Istacidius Nyctinus 68. N. Istacidius Pronimus 66. Tulius Abascantus 15. C. Iulius Agatocles 25. M. Iulius Crescens 15. Ti. Iulius Genneus 85, 102. C. Iulius Memor 71. C. Iulius Onesimus 3. Tulius Polybius 69. M. Iulius Rufus 100. L. Iulius...... 59° L. Iunius Aquila 4. L. Iunius Corinthus 10, 11, 68,71. L. lunius...... 2 L. Laelius Fuscus 7, 11, 30, 90. Laelius Pra...... 8. L. Laelius Trophimus 11, 58, 63, 70, 97. Laelius...... 8, 25, Lamponius 24. Tiara iusssto2i M. Licinius Romanus 107. Lidinius Euche..... 69. L. Livineius Eu..... 32, 70. M. Livius Secundus 70. Q. Lollius Saturninus 97. L. Loppius Proculus 71. M. Lucceius T...... 76. L. Lucilius Fuscus 82. L. Lucilius Philargyrus 62. M. Lucretius Carus 8. M. Lucretius E.... 64, 101. M. Lucretius Lerus 8, 45, 52, 72, 104. Lucretius Satrius Valens 43, 87. Lucretius Stepanicus 72. M. Lucretius...... 15. M. Lupatius Saturninus 110. Maetennius Dat..... 81. M. Magius Secundus 22, 92. L. Magulnius Donatus 58, 76, 98. Mancia 74. Mancius Dacinus 73. A. Manlius Secundus 87. Ù L. Melissaeus Atimetus 81, 32. L. Melissaeus Coerasus 90. Melissaeus Eur...... 70. Melissaeus Fuscus 6, 14. Melissaeus 75, 76. A. Messius Faustus 48, 61,61. A. Messius Gratus 117. A. Messius Inventus 25. — 229 — A. Messius Phronimus 192, 23, 29, 40, 41, 46, 61, 64, 87, 88, 89, 99, 102, 105, 106, 107. A. Messius Primus 48. A. Messius Speratus 77. A. Messius...... 8. Messius Ba...... 26. Mexsentius 69. . Minicius Atticus 60. . Minicius Atticus 60. . Minisius Fructus 78, 91. Mintullius Faustus 75. . Murtius Asclepaeus 11. . Mustius...en... 25. . Naevoleius Nym.... 90. . Nasennius Hymperus 60. . Nerius Hyginus 4. . Nerius Hyginus 23, 48, 60, 85. Nerius Hyginus 45, 70. . Nevius Martialis 71. Nigidius Vaccula 112. . Ninnius Calvus 104. . Ninnius Iustus 104. . Ninnius Optatus 13. Sex. Nonius Scamander 47, 90. C. Novellius Fortunatus 13, 32, 40. Sex. Numisius Iucundus 4, 46, 102. L. Numisius Rarus 13. Numisius. Scamander 102. C. Numitorius (Audius) Bassus 13. 114. Numitorius Enon 59. Numitorius Magnus 59. . Nunnidius Syn..... 4. . Obellius Firmus 6, 60. . Oppius Felicio 16, 63, 91. . Paccius Cericiaeus 4, 77. . Paccius (Paquius n. 61) Philodespo... 106. . Paccius Proculus 79. . Papinius Probus 9. Cn. Polius Turdus 80. Sex. Pompcius Axsiochus 34, 83, 86, C. Pompeius Giovianus 119. Cn. Pompeius Grosphus 119. Sex. Pompeius Proculus 117, 120, 121, 122. Sex. Pompeius Fi...... 37. C. Pompeius...... 32. P. Pomponius Marcellus 59. Popidia 19, 48. N. Popidius Amaranthus 10, 38, 39, 41, 63,79, 87, 99, 100. L. Popidius Ampliatus 37, 62, 76, 81, 99. N. Popidius Ampliatus 64. Popidius A...... 9. INIASAZIONTOT Ra Bi2z:82; HgeP>q9HZEO N. N. N. N. N. N. N orRete O 1QaOa Blgvgodnddo Fis ia) M. . Rausius Adm...... . Renius Ater 47. . Rufellius Florus 38, 85, 109. . Ruleius Florus 18. Popidius Donatus 81. Popidius Felicio 59. Popidius Narcissus 29, 31, 101, 104. Popidius Nimph..... 48. Popidius Olinthus 59. Popidius Sodalio 38, 84, 86, 89. Popidius Sornio 23. . Popidius...... 82. Popidius...... 88, 125. Popillius Clericus 45. Poppaeus Felix 76, 77. Poppaeus Firmus 30. . Poppaeus Narcissus 96. . Poppaeus Sorex 76. Poppaeus 24. Postumius Modestus 79. . Postumius Primus 39. . Postumius Primus 85. Postumius..... 47. Proculeius Agatomenus 33, 83. Pullia Lampuris 34. . Punius Tertius 26. Quinetius Primus 10. IMSS Salvius Eu...... 101. - Sandelius...... 95. Sandelius Messius Balbus 120. Cn. Seius Herma 68, 78. L. Seius Ien...... IS . Sellius Cytissus 11. . Septumius Phillo 74. Sestius Maxsimus 8. 65. . Sevius Rufus 60, 71. . Sextius Primus. 34. . Sextilius Abascantus 74. . Sextilius Faustus 99. . Sittius Speratus 12. . Sittius Zosimus 41, 84, 102. RISIUGIUSESE . Sornius Eutychus 3, 11, 12. 36, 59, 66, 70, Oo 72, 73, 87, 94, 96, 101, 105, 109. . Sornius Eutycus 83. . Stabius Val..... 46. Stalius Tuventus 125. Statius Stasimus 45. Stlaborius Nymphodotus 76, 88, 106. Stronnius Faustus 63. . Stronnius Secundus 77, 107, 118, 126. > UM) — Q. Sulpicius Iu..... 73. Q. Sulpicius Posphorus 75, 81. A Sui. 192. L. Terentius Apollonius 78. P. Terentius Eros 66, 77. P. Terentius Felix 59. T. Terentius M..... 59. P. Terentius Primus 15, 30, 32, 83, 38, 46, 60, 67, 173; 75, 82,96, 100; 103; 109, 121, 125. . Terentius Primus 22. . Terentius Prosodus 84, 86. °, . Terentius...... 39. . Terentius...... 43. . Terentius 25. . Tetteius Festus 18, 64. . Tetteius Festus 96. . Tettius Faustus 56. Tett..... 86. . Thermius Severus 74. Thoranius Secundus 100. . Tiburtius Buttus 12. . Tussidius Verus 78. . Ubonius Cogitatus 31, 108. Cn. Ufi..... 111. Umbricia Antiochis 14, 115. Umbricia Tanuaria 15. A. Umbricius Modestus 92, 105. M. Urbanius Herma 103, 116. Q. Valerius Bassus 88. L L PROtpHOdHN BEN . Valerius Peregrinus 13, 104, 108. . Vedius Ceratus 34. L. Vedius Primus 112. P. Vedius Siricus 120. Veibinus Vediasius Vessinus 116. A. Veius Atticus 13, 30, 39, 82, 84, 108. A. Veius Hymeneus 60. N. Veius Martialis 23, 97. Veius..... 89. A. Velasius Terminalis 12. L. Veranivs Hypsaeus 118, 119, 123, 124. L. Vera..... Ph..... 118. N. Veratius Atictus 16. L. Vesonius Levis 15. T. Vesonius Primus 25. A. Vesonius..... 70. L. Vettius Auctus 69. 5 A. Vettius Conviva 79. A. Vettius Donatus 4, 45. A. Vettius Iliacus 110. L. Vettius Nero 32. L. Vettius Valens 30. L. Vettius..... 9. C. Veturius Sene..... 69. C. Vibius Alcimus 34. C. Vibius Cresimus 16. C. Vibius Macer 94. C. Vibius Palepatus 74. M. Vibius Secundus 85, Cn. Vibrius Callistus 61, 106. M. Vibrius Callistus 53, 85, 88, 89, 99. Vibullius Felicio 11. M. Voleius Licurgus 119. D. Volcius Thallus 15, 94. L. Volusius Faustus 68, 105, 106. M. Volusius Faustus 31. COSE NOTEVOLI Hennasenus n. 112 (da Henna, come Mylasanus da Milae). — Lippianus Augusti Caesaris n. 27 — (e) Narcissianus Caesaris n. 87. — Trecenarius Augusti n. 115. — Res lanisiticae n. 113. — Statione Nucherina n. 115. ERRORI CORREZIONI Pg. 163, vs. 3 ob fullunicae soluli(onem) ob fullonicas soluli » 1770. 3 HSN co C 00 LXxxV QVAE PECVNIA IN STIPVLATV VENIT * L CAECI IVCVNDI'0B AVCTIONEM DVXI% REM C*IVLI ONESIM] IN IDVSIVLIAS PRIMASMERCEDE - MINVS * NVMERATOS'ACCEPISS SE DIXIT * C © IVLIVS ONESIMVS * AB M * FABIO * AGATHINO NOMINE - L * CAECILI JVCVND]' ACTVM POMPEIS VI ‘ IDVS MAIAS NV 'ACILIO * AVIOLA M * ASINIO * MARCELLO * COS e nella colonna dei testimoni, invece di PRIMIG leggasi PRIMOG. Pg. 178, n. 4 PERSCRIPITO PERSCRIPTIO » 180, n. 8 merCIIDIs merCIIDIN » 183, n. 14 persolula persolulos » 185, n. 18 VBASCANTI ABASCANTI » » n. 19 PIIrsoluta PIIrsolulos » 195, n. 39 SOLVTO SOLVTA Alegre Vol. Ml 3 Ser re 2 Accademia de Lincei della St Arti N 445 Ieri della MR Aocadomia de' VATI cer Sor re DORIA MP° ti DI ite: DORL: È pali i Dos SEARS ZORO baldi sn È della HR Accsdemia de Lincer Serie 2°Vol. MP Par IV? » di Y uu, o e Notizie degli scavi di antichità comunicate dal socio G. FIORELLI nella seduta del 18 giugno 1876. MAGGIO IT. Concordia — Nell’antico sepolcreto cristiano fu rimessa a luce una nuova tomba, formata di varii pezzi, uno dei quali ne costituiva il fondo, mentre pel fianco settentrionale erasi adoperato un cippo di sepolcro pagano, su cui si legge: Li CABDIEVSIE:L... SIBI ET RINCAEMRONE:, NON. CAELIAIL'L:VR... POSTERISS... NOGSE TONGREERIO IBESVETNO ERRE L’ Ispettore Bertolini fa notare, che forse a questa stessa tomba servì di coper- chio una lapide, che porta l’ epigrafe MATERI FLORENTI ET IVLI AE VALERIAE VIVI FECI MVS DE DATA DEI trovata capovolta in quelle vicinanze sul cominciare di ottobre dello scorso anno. II. Modena — Dall’Ispettore Crespellani abbiamo informazioni delle più recenti scoperte modenesi. Nel cortile della casa segnata col numero 25, nella contrada denominata Corso Adriano in Modena, il marchese Gherardo Molza fece praticare un pozzo, per sco- prire se mai vi s’incontrassero avanzi dell’ epoca romana, come era avvenuto nella strada stessa, allorchè si costruì nel 1844 il fabbricato del Ministero, eretto in con- tinuazione della casa del prelodato signore. Egli vi rinvenne da principio lo strato superiore di terreno alluvionale, compatto ed alto circa met. 6.00, solcato in varie guise da avanzi medioevali; e sotto a questo un muro troncato nella sommità, di ottima costruzione, ben conservato, e senza intonaco. Questo muro era formato da mattoni manubriàti, lunghi met. 0.45, larghi met. 0.30, spessi met. 0.05, alternati con altri mattoni lunghi met. 0.44, larghi met. 0.14, spessi met. 0.05, uniti con calce bianca mista a sabbia appositamente preparata: ma non fu possibile determi- narne la lunghezza e l'andamento, a causa delle costruzioni moderne che vi si erano soprapposte. Fra le macerie, che estendevansi innanzi al muro in uno strato di circa met. 1.40, si rinvennero avanzi di mattoni manubriati, embrici, frammenti di anfore, di stoviglie rossicce, e di stucchi con indizi di decorazioni dipinte, per cui si ebbero — 232 — nuove ragioni di credere, che la moderna città poggia su i ruderi della romana, come fu sostenuto dal Cavedoni nella sua relazione sugli scavi modenesi del 1844 (cfr. Bull. Inst. 1846. p. 23 sq.). Sulle alture di Castelvetro, nel luogo denominato Ariano, ch'è il Rovigliano del Tiraboschi, il sig. Nicola Vandelli rovistando una porzione di campo gremito alla superficie di ruderi romani, rinvenne in uno strato di circa met. 0.35 molti fram- menti di mattoni manubriati, embrici, pezzi di anfore, di stoviglie rossicce e nerastre, vetro verde ed azzurro, avanzi d’ intonaco colorato specialmente di rosso, e mattoni esagonali incavati superiormente, per innestarvi forse pietruzze o smalti, oltre a mat- toni interi di varia forma e misura, alcuni dei quali simili a quelli scoperti a Prato- “guarrato in Savignano sul Panaro, adoperati per basi di columellae in sostegno del pavimento di un ipocausto. Si trovò inoltre un pavimento intero e ben conservato ad opera spicata (spica te- stacea), con frammenti di antefisse rappresentanti una figura giovanile di mezzo a fogliami, ed un pezzo di embrice con avanzi del bollo crESCEs, assai comune nelle figuline modenesi. Il luogo, rifrugato altre volte, doveva senza dubbio far parte di uno dei vichi o pagi, posti in vicinanza dell’antica via Claudia alle falde dei colli. Nel Comune di s. Cesario, ad un chilometro e mezzo circa dal ponte di s. Am- brogio, a destra della via Emilia per chi da Modena va a Castelfranco, la corrente del Panaro corrodendo la sponda del podere denominato s. Anna, posseduto dal sig. Venanzio Stanzani, scopriva a più riprese un ricco deposito di anfore romane fram- mentate, alla profondità di circa met. 1.00 dalla superficie del suolo. Il loro nu- mero doveva ammontare a molte centinaia, se schiacciate come si trovarono, coi soli loro frammenti formavano uno strato lungo met. 11.00, e spesso in media circa met. 0.35. Tali anfore stavano accumulate confusamente in tutte le direzioni, alcune capovolte conservando ancora il turacciolo, consistente del piccolo coperchio fittile con presa o risalto informemente cilindrico, che si eleva di pochi millimetri dal disco: le loro forme erano varie, essendovi avanzi di metriti, di anfore, di urne, con varietà nelle anse, negli orli, e negli spuntoni per sorreggerle, con chiari indizi di essere appartenute alla buona epoca imperiale. Avendo lo stesso Ispettore Crespellani fatto scavare nel medesimo luogo, per vedere se mai gli fosse riescito di ottenere qualche anfora intiera con bollo, si ac- corse che invece di una cella vinaria, come pareva a primo aspetto, era da ricono- scere in quel sito un deposito di vecchio materiale fuori d’uso, accumulato all’aperto, nulla apparendo nelle vicinanze che accennasse a costruzioni o ad officine. Da tanto materiale poi non gli fu dato estrarre, che due sole metriti intiere, tre completamente sboccate, qualche pezzetto di embrice, e di vetro giallognolo od azzurro, senza residui di mattoni o di metallo. Moltissimi furono gli orli con bolli o sigilli, che logori in gran parte dall'uso non poterono fornire una sicura lezione: ma i pochi leggibili, ordinati dallo stesso Ispettore nel modo che segue, servirono a completarne altri rinvenuti per lo innanzi nell’agro modenese. 1. ALLEXA* — in collo di anfora. 2. AP» PVLORI: — sigillo rettangolare, simile ad altro impresso sopra l’orlo di — 233 — un’anfora trovata a Magreta, nel luogo detto Gazzoli. cfr. caveDONI, Nuova silloge pi 76; Bull. Inst. 1837. p. 88. 3. A/CHA=HABD- — con caratteri piccoli e regolari, scritti in rettangolo sullo stesso orlo, in direzione opposta. 4. APICI — due volte in caratteri grandi e regolari, una volta con caratteri di decadenza. cfr. cAVEDONI, ib. p. 76. BORTOLOTTI, Spicil. epigr. mod. n. 111. cRE- SPELLANI, Di alcune fornaci rom. p. 9. Bolli simili si trovarono pure sulle anfore raccolte a Magreta. 5. CATI' — in grandi lettere ma logore. cfr. BORTOLOTTI, ib. n. 8. 6. C+ AVRASE -: — 7. LICNVS GA/: — 8. Le \FICIRN- 9 LICI- — in caratteri di decadenza. , 10. MEEPICEN- 11. VNPAEN*' — cfr. cavenoNI, Bull. Inst. 1837. p. 88. WEERPICEN: 12. VMBRIGN: — cfr. cavepoNI, Nuova silloge p. 82. 13. VARI PACC: — due volte sullo stesso orlo di anfora. III. Bologna — Aperte due nuove trincee negli scavi Benacci, si esplorarono nella prima settimana di maggio 65 sepolcri, del tipo stesso di quelli antecedente- mente trovati, rinchiudendo o il semplice scheletro con fibule di bronzo, o i soliti vasi lisci e graffiti, con fibule e spilloni fra le ossa. In tutti i sepolcri si rinvenne il cosidetto rasoio: da uno si estrassero anche due morsi di cavallo, in altro s’ in- contrò un’ascia di bronzo, ed in un terzo una cinta ornata di borchiette a sbalzo con graffiti. Cessata la pioggia, che rese impossibili i lavori nella seconda settimana del mese, e tolta l’acqua dalle incominciate trincee, si scoprirono altri 31 sepolcri, senza notevoli particolarità, se si eccettuino alcune fibule con ambre, una situla di bronzo deposta nel vaso unitamente alle ossa, un anello di argento, ed un’armilla di bronzo raccolti presso gli scheletri. Richiamò speciale attenzione una tomba con pareti di ciottoli a secco, coperta da lastre di arenaria, sopra le quali giacevano le ossa di un cavallo: nell'interno era il vaso con la coppa che lo chiudeva ornati di colore bian- castro, e colle ossa stavano due grandi ascie di bronzo, abbellite da zone a meandri, un così detto rasoio, due ricchi morsi di cavallo, varie borchie, rosette, e frammenti di bardatura. Altri 22 sepolcri combusti si aprirono dal 22 al 27 maggio, dieci dei quali di- strutti a causa di un antico corso d’acqua, che vi passava di sopra; dei rimanenti alcuni presentavano manifeste tracce di violazioni, altri erano di pochissima importanza, ed uno solo fornì non scarsa copia di oggetti. Consisteva questo in una fossa larga e lunga met. 1.70, in cui oltre il vaso delle ossa con fibule ornate di ambra e di vetro, stavano rinchiuse armille di bronzo e di ferro, due morsi di cavallo, più fibule di bronzo, una cista di bronzo lavorata a sbalzo, avendo accanto due altre ciste fittili, alcuni vasi graffiti, un vasetto a guisa di tripode, un amphicypellon di bronzo, ed una situla dello stesso metallo. Negli scavi del pubblico giardino, condotti per cura del Municipio, s’ incontrarono nella prima settimana 17 sepolcri, dei quali tre soli combusti. Uno di essi ch'era stato anteriormente rovistato, oltre la cassa di legno diede pochi frammenti di una cista di PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.8 30 — 234 — bronzo, e tra questi una figurina in atto di sostenere un cantaro, e cinque leoncini, parti delle decorazioni della cista medesima. In altro le ossa stavano rinchiuse in una kelebe a figure rosse: nel terzo erano in un dolio, presso cui trovossi una tazza dipinta a figure rosse, ed una fibula di bronzo. Dei sepoleri incombusti, 11 erano stati ricercati, e tra i rottami si raccolse solo un pendaglio d’oro. Il duodecimo aveva sopra il coperchio le ossa del cavallo, un oenochoe di bronzo, un morso di bronzo, altro in ferro, due lunghe spade ad un sol taglio, fram- menti di una palma di bronzo, ed uno scudo con avanzi di laminetta lavorata a sbalzo. Negli ultimi due si trovarono vasi grezzi, perle di ambra, un pendente di oro allato dello scheletro, e vicino ad altro scheletro taluni piattelli di argilla rossa con ossetti di pollo, una ciotola bruna, una tazza, ed una kelebe dipinta. Ripresi gli scavi verso la metà del mese, si esplorarono inoltre 16 sepolcri in- combusti, ne’ quali s’ incontrarono avanzi di scheletri, frammenti di vasi bruni=e di cotili a figure rosse, una cuspide di freccia, ed un leoncino di bronzo. In una fossa trovaronsi più pezzi di una cista, avente il coperchio sormontato da due statuette, che formano arco della loro persona; in altra erano varii frammenti di una kelebe a figure rosse, una borchia di bronzo, ed un grosso pezzo di aes rude. Sopra quest’ ultimo se- polcro si rinvenne parte della stela, con rappresentazione figurata da entrambe le facce, avente da un lato una barca con nocchiero, remiganti, ed armati; dall’ altro quattro ordini di figure, con la scritta posta al di sotto del secondo ordine: MAMALAM MV4ADIOV.... In un sepolcro vicino giacevano altri pezzi di stela figurata a doppia zona, ove superiormente si lesse: ANZVIOMIA MAMALAYM MV 437 Delle rimanenti tombe una rinchiudeva tre fibule, con frammenti della cintura di bronzo, oltre un'anfora e due piccoli vasetti bruni; un’altra cinque astragali ac- canto allo scheletro di un fanciullo col capo a ponente, vicino a cui erano valve di peduncolo, piattinetti di argilla rossa, vasetti di argilla bruna, un calice, un oenochoe a figure rosse, ossi di pollo, ed un pezzo di guscio d’ovo. Un terzo sepolcro assai mag- giore dei precedenti, rinchiudeva la cassa di legno e lo scheletro, che serbava ancora gli orecchini, un anello, due fibule di argento, ed una bulla con perle di ambra so- spesa sul petto, Vi stavano pure una kelebe ed un cotilo a figure rosse, una ciotola di argilla bruna, due patere di bronzo, un olpe, una situla, ed in un angolo della ‘ fossa un grande candelabro sormontato dalla statuetta di un Satiro. Finalmente nell’ultima settimana del mese si esplorarono 16 sepolcri, i quali presentarono di notevole molti pezzi di vasi dipinti, due tazze in cui a figure rosse erano effigiate una grande testa di nano e quella di un Satiro, ed un grandissimo cra- tere con più ordini di eleganti figure: sul fondo poi del sepolcro giaceva una stela, con rappresentazione di un grande Satiro sul cui braccio posa un uomo a cavallo. IV. Pesaro — Dal Mazzetti, Ispettore di Fano, si ebbe notizia di una ma- trice di patera etrusca in bronzo, trovata fra le masserizie di un certo Cardinali di Pesaro. Vi stanno incavate le figure di Minerva e di Perseo che uccide la Gorgone, con le epigrafi AMAA®, A702HAM, nel modo stesso con cui è raffigurata la patera — 235 — edita dal Buonarroti nella tav. v. delle sue spiegazioni al Dempstero. La perfetta corri- spondenza del disegno, della composizione, e della misura tra il monumento del Buo- narroti e la matrice testè scoperta, fece supporre all’egregio Masetti, che tale matrice desse origine alla patera, di cui una copia esiste nel Museo di Firenze. V. Sarzana — Nel luogo ove sorgeva la città di Luni, a piccola profondità dalla superficie della campagna, si trovarono fortuitamente negli ultimi giorni dello scorso maggio una moneta d’oro, un anello di bronzo, due pietre incise, e parecchie monete di bronzo della prima e seconda forma. L’ Ispettore degli scavi sig. Angelo Remedi, proprietario di quel terreno, riconobbe nella moneta il rarissimo aureo della famiglia Cestia, portante a dr. la testa dell’Affrica con pelle di elefante, e nel rovescio la sedia curule con sopra L'CESTIVS, sotto C: NORBA, ed ai lati SC, PR. L'anello di bronzo esibisce nel castone uno scorpione, e le due pietre incise rappresentano una Baccante col cembalo, ed un Perseo che stringe l’ harpe. VI. Orvieto — La ricca scoperta della tomba presso Porano, di cui feci men- zione nel rapporto precedente, indusse il sig. Menichetti ad intraprendere muove ricer- che nelle terre del cav. Salvatori, e propriamente nel fondo ov’ erasi rinvenuto il se- polcro. Ma riusciti vani i tentativi, furono ripigliati i lavori nella necropoli ch'è sotto le mura di Orvieto, oggi contrada Crocifisso del tufo, dove le ricerche tornarono parimente infruttuose. VII. Bolsena — Nei lavori di sterro presso la Porta Fiorentina di Bolsena, eseguiti con lo scopo di cavarne i materiali occorrenti a rialzare le rampe che con- ducono al nuovo ponte Serena, si rimisero allo scoperto dieci pezzi di fistule aquarie con le seguenti iscrizioni: 1. A° VOLCACI'STVDIO ‘ CVR - «e 2. A°* SEPPIVS - AAODERAT ‘- CVR opposta alla prima nel medesimo pezzo. 3. C- VIBENNIVS : THREPTVS - FEC - Tali pezzi della lunghezza complessiva di met. 10.56 vennero consegnati al Sin- daco di quel Comune, perchè servissero ad iniziare una raccolta municipale, che il Governo non mancherà di promuovere, essendo quel luogo tanto rinomato per le sue classiche memorie. VIII. Viterbo — Nuove ricerche intraprese dai conti Mimmi nelle loro terre di Grotte Bassa, portarono alla scoperta di due tombe etrusche, in cui si raccol- sero cinque specchi graffiti di buona conservazione, due maschere di terracotta, quattro boccali di bronzo, tre colatoi dello stesso metallo, piatti, boccali e tazze di terracotta, una coppa di cristallo a varii colori rotta in nove pezzi, e due cande- labri con figure. i Inoltre nel tenimento s. Francesco, detto anche Sette cannelle, dei proprietarii me- desimi, fu esplorato il terreno in un punto in cui i rovi erano cresciuti più rigogliosi, ed alla profondità di circa met. 3.30 si rinvenne una cassa, nella quale fu trovato un vaso di bronzo, una figura alata che porta sulla testa una tazza, un calice a due manichi di forma non comune, un candelabro con varii animali, uno specchio graffito, ed una situla con ornamenti cisellati. — 236 — Nel Comune di Montefiascone il sig. Pietro Pieri rimise mano, sul principio del mese, alle esplorazioni della contrada Monterotondo, e finì di ricercare una grotta visitata già per lo innanzi, dalla quale raccolse cuspidi di lance in ferro, frammenti di anfore, residui di vasellame ordinario, ed un grazioso pendente d’ oro lavorato a filigrana e giobetti. Esso figura un disco in forma di piccolissimo scudo, ornato in- torno da sei borchiette a smalto turchino, cui è attaccata un’ elegante anforetta, men- tre dai lati pendono quattro catenelle bellissime a guisa di piccole vitte, con cilin- dretti a maglie, quali s’ incontrano nei lavori più fini dell’antica oreficeria. IX. Cornelo-Tarquinia — Gli scavi nelle terre dei fratelli Marzi in con- trada Monterozzi, continuati fino al 27 del passato mese, non diedero risultati di va- lore, essendo state le opere rivolte a colmare il terreno che fu prima esplorato, dal quale vennero fuori soltanto varii pezzi di stoviglie dipinte. Le ricerche municipali nel luogo medesimo ebbero fine il 13 dello scorso maggio, quando fu pure posto termine alle esplorazioni nella tenuta di Civita e Casalta, per rimettervi mano nel prossimo autunno. X. Palestrina — Fra gli oggetti risultati dal tesoro ultimamente scoperto dagli eredi Frollano e sig. Bernardini in contrada s. Rocco, annunziato nelle prece- denti relazioni, si è potuto in questi ultimi giorni ricomporre una tazza di argento del diametro di met. 0.19, ch’esibisce internamente una importantissima rappresenta- zione. Essa è molto simile ad altra pubblicata negli Annali dell’Instituto, che diede argomento a dotte discussioni (Bull. Inst. 1873, p. 130 sg.), per cui credo opportuno di presentarne un disegno, accuratamente eseguito dall’egregio ingegnere Sikkard. Il ch. orientalista prof. D. Enrico Fabiani, pregato di dare su di essa il suo au- torevole avviso, si è gentilmente compiaciuto di comunicarne la seguente illustrazione : « Il monumento di cui si presenta il disegno nella tav. II, come saggio del ritro- vamento fatto in Palestrina, è un nappo di argento leggermente concavo, che nella sua concavità presenta incisi leggiadramente a bulino i gruppi mitici, gli ornati, ed i geroglifici che lo adornano. Fra gli oggetti testè ritrovati esso spicca, e tutti li soverchia per la bellezza dei gruppi, e la destrezza della incisione. La piastra d’ar- gento che lo forma, emula la sottigliezza di un foglio di carta, di uno spessore poco maggiore dell’ ordinario. Nelle fratture non mostra più quella struttura lamellare e quasi fibrosa, che dovè prendere sotto il colpo del martello, che la distese ed incurvò, ma il luccicare degli spigoli e delle punte della intima spontanea e lenta ricristalliz- zazione, che si forma nei metalli lungamente giaciuti o tesi, e che li rende fragili a mo’ di vetro e di acciajo. « Abbandonata questa coppa da principio fra gli oggetti di cui sembrava difficile troppo ottenere il ripristinamento, fu con ulteriori cure felicemente ricomposta e ri- pulita dall’ossido, sicchè lo stato della conservazione ha permesso di vedervi nettamente, all'infuori di poche fratture, anco le più minute parti delle sue rappresentazioni. Alcune di queste si distinguono ed intendono a colpo d’ occhio; come per es. i quattro sog- getti ripetuti nei diametri obliqui, in cui si scorge Iside in piè, che allatta il figlio Oro sotto un vezzoso gruppo di fiori e bottoni di loto, che loro fan padiglione. Sa- rebbe ciononostante azzardato, prematuro, e certamente oscuro il dare qui tutta — 237 — l’interpretazione del monumento. Ciò che la rende chiara e facile, e che forma il pregio più grande di questa coppa, e sembra promettere alla scienza notizie inaspettate sul commercio, sulle superstizioni arcaiche di Preneste e dell’ Italia, sulla diffusione ed origine delle religioni e della civiltà, è la compagnia degli altri vaselli incisi a bu- lino o lavorati a cesello con cui fu ritrovata. Sono essi tanto simili e tanto diversi, che ciascuno di loro spiega e compie gli altri. Aggiuntovi poi il confronto di altri oggetti alquanto simili, che non ha guari furono trovati qui sparsamente nel Lazio ed in Cipro, si potrà formare un complesso di notizie gravissime, che sarebbe impos- sibile stabilire od annunziare, prima che sieno state vagliate dallo studio, e dalla di- scussione degli eruditi. « Accenneremo perciò soltanto a ciò che rivela il primo colpo d’ occhio: l’ ar- caismo cioè e la finezza del lavoro, il tipo egiziaco delle rappresentanze, e la pre- senza insieme di scritture geroglifiche e semitiche. Per altro è ancora visibile al primo sguardo, che l’arte vicinissima alla egiziana, non vi è però fedele in tutti gli ac- cessori -alle forme native di Egitto. Oltre la forma degli oggetti, e l’omissione quà e là di alcuni simboli caratteristici, si scorge la imitazione nei caratteri geroglifici, che girano per due intieri circoli intorno alle rappresentazioni, e formano una linea nel- l’esergo. Le forme di questa scrittura si discostano talora dal pretto rito geroglifico, e sembravi introdotta qualche modificazione nello stesso modo del disporla. Noi non aggiungeremo altro, non volendo arrischiare nulla di nuovo senza più maturo esame. « Queste considerazioni pertanto spingono a credere, che il luogo del lavoro non sia stato l’ Egitto, ma sibbene una contrada ove si studiasse imitare l’arte egiziana, sia per cagione di religione, sia per necessità di sudditanza, sia per rispetto di disce- poli, sia per utilità di commerci. Tale ipotesi può dirsi compiutamente confermata dalla iscrizione fenicia, che ricorre al disopra della rappresentazione centrale: la quale per maggiore chiarezza ingrandita, è ripetuta a piè del disegno. Questa iscrizione, che corre in caratteri minutissimi e quasi microscopici al di sopra dell’ala del sacro spar- viere, presenta all’occhio armato di lente caratteri segnati da mano esperta e decisa, e di una lettura su cui appena può cadere ombra di dubbio. La sua paleografia stessa è pressochè indubitata. La maggior parte delle lettere conservano le forme dell’iscri- sione di Mesa, altre accostansi a quella di Esmunazar; e il complesso assomiglia alle soscrizioni fenicie dei contratti cuneiformi trovati in Assiria, che appartengono al vir. secolo av. l’era volgare. E sembra a quest’ epoca incirca doversi assegnare la fabbri- cazione di questo cimelio. « La minutezza dei caratteri, il luogo in cui è l'iscrizione collocata quasi nel- l'ombra, gli esempi simili di nomi di artefici segnati a quel modo nelle sculture e nelle gemme, invitano a cercarvi il nome dell’incisore. Noi perciò vi leggiamo con piacere Esmunie ar ben asta. NNWY 32 IMDON Questo storico personaggio, contemporaneo e forse predecessore di Euchiro e di Eu- grammo, ha inviato dunque all'Italia esempî da imitare, che non doveron certamente mancare di eccitare la emulazione degli artefici italici. Ometteremo qui alcune que- stioncelle filologiche, che potrebbero sorgere sulla lettura della settima lettera, sulla — 238 — etimologia delle voci, e sul preciso significato della frase den asta. Tali questioni, che posson calere ai meri filologi orientali, saranno discusse più opportunamente nella piena illustrazione del ritrovamento, che si farà nell’Istituto Archeologico. « Osserveremo però, che questo Esmunîe ar è assai verosimilmente il più an- tico orafo di cui ci sia storicamente noto il nome, e che appartiene a tempi assai vicini a quelli, in cui collocavano i Greci le menzioni mitiche dei primi inventori delle arti. Nè di artefici in genere (se non erriamo) molte altre menzioni storiche più an- tiche s’ incontrano, ad eccezione delle contenute nella s. Bibbia, e della lunga nota genealogia dei soprastanti alle fabbriche dei Re Egiziani. Ognuno perciò intende qual valore abbia in un complesso di soggetti di tipo egizio una simile scritta fenicia, sebbene non siano rarissimi i monumenti misti dell’arte e della scrittura di queste due nazioni. « Il paragone poi di questa coppa cogli altri vaselli figurati, che insieme ad essa sono stati diseppelliti, o trovati sparsamente in Italia e fuori, accenna a somiglianze di lavoro, e quasi ad una famiglia o scuola di arte, che cominciando dal puro stile e mito egiziano, se ne va pian piano allontanando, per finire in una mitologia ed in un'estetica ormai occidentale. Sia che appartengano a tempi posteriori, ed abbiali ricon- giunti in un solo seppellimento un età più tarda, sia che fossero lavorati contempo- raneamente con fini di commerci diversi, o imitati in luoghi diversi e ricongiunti dal caso delle compere, pongono mirabilmente alcuni segnali nella storia dell’arte, del commercio, della civilizzazione, prima dell’italica e poi ancora della straniera. Per- tanto è ben chiaro, come sarebbe sventura, che oggetti siffatti andassero divisi o di- spersi, od ancora andassero lungi da questa contrada, che in secoli così remoti sapea — già intenderne il pregio, e formarne tesoro; da questa Roma, ove è già buona parte degli oggetti un po’ simili trovati in Italia, e dove si ha la speranza, che nuove scoperte ci diano ulteriori e più sicuri confronti ». XI. Roma — Negli scavi del Foro Romano presso il tempio di Antonino e Fau- stina, condotti nel punto più prossimo alla scala del tempio, ove si erano fatte ri- cerche nei secoli anteriori ed al cominciare di questo, si trovò parte di un cornicione in marmo con intagli e fogliami; ed in mezzo alle terre di scarico due pezzetti mar- morei con qualche avanzo di lettere. Allo scopo di determinare con maggiore esattezza l’estensione del tempio di Giove Capitolino, i cui avanzi si riconobbero in parte nel giardino del palazzo Caffarelli (Ann. Inst. 1855. p. 882-886. Mon. Inst. vol. vit. tav. xxHT. 2), ed in parte nel giardino del palazzo dei Conservatori (Bull. arch. municip. an. ni. tav. xvi), il ch. prof. Enrico Jor- dan fece eseguire alcuni saggi, nei punti ove supponevasi che l'antica costruzione do- vesse arrivare. Riconosciutone però il limite orientale, nel tratto di platea scoperto sul finire del passato anno nel giardino del palazzo dei Conservatori, rimaneva a de- terminarsi il limite occidentale; ed a tal fine il lodato professore fece praticare un taglio alla profondità di circa met. 5.00, poco lungi dal fianco opposto della platea scoperta nel 1865. Ma non incontrandosi residuo alcuno di mura o di antico edifizio, fu forza concludere che il tempio in questa parte non estendevasi oltre il limite se- gnato dalla linea tornata a luce nel 1865, e poi di bel nuovo ricoperta. Per definire quindi il lato nord si fecero saggi a varia distanza dall'ingresso principale dell’indicato CARRO GE palazzo Caffarelli; e da per tutto alla medesima profondità s’incontrarono blocchi di tufo granulare grigiastro, delle dimensioni medesime di quelli scoperti negli altri lati; ed uguali costruzioni apparvero sul ciglio della rupe, sopra la via di Tor de’specchi, ove sembra che servissero a contenere la terra per ridurre ad un medesimo livello il piano del tempio. Nel partecipare tale notizia mi è grato soggiungere, che il risultato dello scavo darà argomento ad una nuova monografia dello stesso prof. Jordan, nella quale si terrà conto di tutte le ultime indagini fatte per la ubicazione del maggior tempio di Roma. Nell’ orto annesso alla chiesa di s. Maria in araceli, nella parte opposta del Campidoglio, sgombrandosi le terre per la formazione del piano stradale, si scoprirono altri pezzi delle mura antichissime che cingevano il monte. Essi sono di opera quadrata a grandi parallelepipedi di tufo, sopra cui in processo di tempo si aggiunsero nuove costruzioni, con materiale simile a quello adoperato nei contrafforti dell’aggere Serviano. Nella via Nazionale, e propriamente fra l’ orto Mercurelli e la via Mazzarino, sotto il palazzo Rospigliosi, continuò la scoperta di quella località che potè quali- , ficarsi per criptoportico appartenuto a ricca abitazione. Rimesso a luce il lato me- ridionale di esso, comparve l’ ordine medesimo delle decorazioni, con altra fontana avente la scaleita marmorea per la discesa delle acque, ed i quadretti laterali di mu- saico, uno dei quali tuttavia conservato figura un Genio in biga, e porta scritto in let- tere bianche su fondo scuro NOTHI. Si scoprì in quelle vicinanze una fistula aqua- ria, con l’epigrafe TAVIDI QVIET... e XX nell’ opposto lato. Rimpetto al descritto muro altro ne sorgeva in linea esattamente parallela, con eguali ornati a musaico, che insieme al primo formava una specie di ambulacro, il cui termine resta ancora a determinare. Si disotterrò pure l’ estrema parte orientale della grande ezedra dello Stadio o Palestra, situata di fronte alle Terme Costantiniane, e vi si trovò porzione della strada lastricata a poligoni di selce, che rasentando in salita l’emiciclo, continuava dall’ altra parte attraverso le Xtabernae ultimamente distrutte. Dietro l’imbasamento dell’ezedra cominciò poi a comparire una sala od ambulacro, con volta dipinta a pae- saggi nello stile che dicesi pompeiano, e poco discosto si rimisero a luce due ca- pitelli corintii con parte di architrave marmoreo, ed una scala larga più di un me- tro, che dal piano inferiore verso la via della Consulta ascendeva ad un edifizio soprastante. + Inoltre alle spalle del così detto auditorio di Mecenate, sulla via Merulana, poco prima di arrivare alla cinta del muro di Servio, si scoprirono al loro posto due grandi basi di travertino col segno della cava nei tre lati, al livello delle costruzioni fatte in quel luogo nei tempi imperiali; ed inferiormente ad esse, alla profondità di circa met. 5.00 s’ incontrò un pozzo singolarissimo, formato con lastre di tufo poste a perpendicolo, avente da un lato una piccola apertura, entro cui fu riferito essersi visto un mat- tone con impressione di lettere antichissime. In Piazza di Termini, presso i muri di opera reticolata e laterizia dei tempi di Antonino Pio, ove poi venne innalzato un oratorio privato cristiano nel IV. secolo, ai piedi dei due ingressi laterali all'oratorio medesimo, si trovò parte di una fistula — 240 — aquaria con l’epigrafe AVREL: CAES III E COMM II CoS; é nella estremità del medesimo tubo fu letta pure altra iscrizione, che completata con un pezzo rinvenuto più tardi viene restituita così: IMPCAES AVRELI AINTONINI E A/RELI VER Ill SVBCVRACAECILIDIEXTRIAN PROISMA IF Si raccolsero nello stesso luogo altri tubi di conduttura senza epigrafe, frammenti di statuette marmoree, un vasetto di terracotta con colore rosso per dipingere, un manico di grosso vaso con bollo C F CRESCVII, altro col bollo FGRCLVP, e fondi di tazze aretine co’ sigilli P. Hr, LRASINPIS, LRASINPISAM, oltre ad un mor- taio di marmo rotto in varii pezzi, ferrarecce, ed una moneta di Faustina iuniore. Nell’altra parte del colle, lungo la strada di Porta s. Lorenzo, continuarono a disco- prirsi le reliquie dell’aggere Serviano, ed i muri degli edifizi che vi erano addossati. Nel terreno soprastante alla catacomba di s. Ciriaca nel campo Verano, unita- mente a molti titoli sepolcrali cristiani uno ne apparve di travertino che porta scritto : A*ORCIVS-A:L- ANTIOCVS = = = = A‘ORCIVS:A*L'SOSIPATER ORCIA‘A-LLAIS = COSCONTA">"L A'T'PHARNACISxice coneve Da ultimo dietro l’abside della Basilica lateranense, riedificata da Papa Nic- colò IV., e che ora va ricostruendosi per minacciante rovina, alla profondità di circa met. 8.00 nel piano dell’antica casa dei Laterani, venne a luce un vasto pavimento di musaico bianco e nero, di met. 17.00 in quadro, ad un lato del quale trovasi un corridoio o fauce con simile pavimento, che dà accesso a tre cubicoli, delle cui mura dipinte in rosso rimane soltanto conservata una piccola parte. A completare le notizie degli scavi fatti a Tor Fiscale nella via Latina, nel fondo Silvestrelli, ove le ricerche vennero sospese per essere poi continuate in altro tempo, credo opportuno riferire i seguenti titoli di lapidi sepolcrali, rinvenute insieme a quelle edite anteriormente: — 241 — TAMA SE ONT A DIA SIR A Titoli nl, HVGIA 'FECIT: DEVSTVM - HVIVS - HER... SIBI : ET : LIBERTA PERTINENTEM RESTIT.... BVSQVE: POSTE QVOD FVERAT - VLPIS ES... RISQVE EORV DAM PROC : KASTREN.... M ACENSVS © BoNAEMERIA.... VNO DIE PATER QVODQOVE AD NOS PERG.... ET FILIVS VNA HEREDITARIOS PER... HORA DECESIER EVSEBIORV.... MMALLONIV SVRBGVSITE 3. D M MFILIVSMM CLAVDIAE IANV ALLONIVS VRBIC ARIAE-MATRI OS VNO LECTO 153 0 OM ORA GDO ELATI SVNT AVRELIA ARTEMIDORA 4 D M VLPIAE GEMELLAE VLPIVS AGIAVS CORVIGIE:B: ME Nella medesima località, e propriamente nella camera che serba ancora la tettoia, si trovarono alcune anfore, una delle quali porta scritto in rosso e perpendicolarmente FLAVIAE SECVNDILLAE; altra ha sull’ansa il bollo CVT. Finalmente dalle tegole quivi raccolte si ebbero i seguenti bolli: 1. OPVS DOLIARE EX PRAedis aVGN 2. OP DOL EX PRCIVLISTEHAN C: COMINI SABINIANI APRO ET CATVL COS 3. EX Praedis DOMININO 4. OPVSDOLIARE EX FIG FVL STRI auGVSTI VIAN POBLICINI 5. cndomiTI : AMOENI valeat * QVI © FECIT 6. EXFIG DOM LVC OP DOL 7. FAVSTVS DOMITLA P F LVCILL AELI ALEX SAD PAET ET APRONIA COS 8. OP DOL EX - PP- DOM AVGG - NN FIG DOMITIANI FORTVNATI 9. DEPRAEDISLIVIIVRSIVA LERIFLAC SALARESEATA VRIONE A Roma vecchia, presso il quinto miglio della via Latina, non lungi dagli aque- dotti delle acque Claudia ed Aniene nuova, in una proprietà del principe Torlonia si PARTE TERZA — Von. 1Il1.° — SERIE 2,2 31 — 242 — scoprì da principio una scala a due tese, coperta da volta con 67 gradini. Per essa discendendosi alla profondità di oltre 15 metri dal suolo, si penetrò in una camera sepol- crale, in cui si trovarono tre sarcofagi: due dei quali condotti con minore trascura- tezza, e decorati con rappresentanze di leoni in lotta e corse d’ ippocampi, hanno le seguenti iscrizioni : 1. HI-LARINO 2. BENERIO FILIO FILIO MOLLICIA MOLLICIA MATER MATER Vi si raccolse inoltre una tavola marmorea con l'’ epigrafe: ; BARBARO PATRONIO , LVCIVS ALVMNVS Che questo luogo fosse destinato a cimitero cristiano lo ha provato il ch. de Rossi, il quale riconobbe un’ iscrizione cristiana tracciata sulla calce che rivestiva esterna- mente un loculo nel fondo della cella (cfr. Bull. arch. crist. ser. DI. a. I. n. 1. pag. 34). XII. Offida — Le scoperte fatte dell’ Ispettore Allevi nelle terre del signor Mer- colini, indussero il Governo ad accordare un sussidio per la continuazione delle ricerche in una necropoli antichissima della valle del Tronto. Incominciate le opere il 22 mag- gio, si rimisero a luce 28 tombe, del tipo stesso di quelle aperte negli anni an- teriori; e si aspetta la stagione propizia per ampliare le indagini, estendendole verso le origini del Tenna, ove si crede possa trovarsi nascosto un altro sepolcreto. XIII. Tortoreto — Alla distanza di circa 300 metri della stazione ferroviaria, quasi alla foce del fiume Vibrata, sopra un piccolo colle presso l’imboccatura della via provinciale che da Nereto conduce ad Ascoli-Piceno, il barone Ranalli facendo decorare di viali e di alberi una sua villa, rinvenne molti avanzi di antiche mura. IL’ Ispettore de Guidobaldi esaminate quelle rovine, le giudicò appartenute ad uno stabilimento termale assai vasto, di cui vedonsi gli avanzi in musaici, intonachi di- pinti, lastre di marmo, e frammenti di colonne, senza dire del residuo di una vasca rettangolare pur essa di marmo conservata col proprio gradino. Il medesimo Ispettore de Guidobaldi prossimamente a codesti avanzi, nel lato occidentale, potè osservare 30 anni or sono altri resti di mura dipinte, marmi, ed una profondissima cisterna con condotti di terracotta, e segni manifesti di Terme edificate nel periodo imperiale. Se nonchè occorrerebbe istituire in tal luogo nuove indagini, le quali per l’aiuto delle recenti scoperte potrebbero forse condurre a deter- minare il sito dell’antica Albula di Plinio, esistita a giudizio degli eruditi in questa stessa regione. XIV. Giulianova — Un poco più a mezzodì del ricordato luogo, nel punto in cui sorgeva Castrum novum, cioè a’ piedi dell’ attuale Giulianova, essendosi scavato nella contrada di Torre vecchia, ove appariscono non pochi ruderi dell’antica — 243 — città, si rimise a luce un recinto di grosse mura laterizie, con lunga gradinata sot- terranea formata di grossi mattoni, che 1’ Ispettore de Guidobaldi non sarebbe alieno dal credere del tempo in cui fu dedotta nella città 1’ ultima colonia ai giorni di Ne- rone. Fra i pochi oggetti quivi trovati è un frammento di collo di anfora, con la scritta : C.IVLI MARCELLI ed un’antefissa rappresentante in bassorilievo un Genio che conduce una biga. XV. Bellante — La importanza di un trovamento epigrafico mi costringe ad anticiparne l’ annunzio, benchè non sieno ancora pervenuti alla Direzione i rapporti che lo dichiarino pienamente. Nel luogo medesimo, ove si rinvenne l'iscrizione sa- bellica (Bull. Inst. 1876, p. 38, 56) edita la prima volta del ch. de Guidobaldi, il giorno 6 del volgente mese altra ne fu scoperta dell’ identica forma, quantunque più piccola con iscrizione in giro senza rilievo o figura. à XVI. Atri — Dal letto di un torrente posto a mezzogiorno della città, è venuto fuori un busto muliebre di basalte, in grandezza naturale, che parve all’ Ispettore Cherubini doversi attribuire a Sabina moglie di Adriano, a cui non mancarono nel- l’antica Hatria onori e memorie. Quindi nel fondo di un certo Paolo Pallini fu sco- perto un marmo col titolo: : Dee Mas P PETILIVS PRI MIGENIVS SIBI ET PETILIAR:P*F-SABI NAK F:V'P. pi CONIVGI © B a Presso il luogo medesimo s’incontrò pure una grossa anfora spezzata, portante in un manico impresso il bollo CMMVS. XVII. Pompei — Compiutosi lo sterro di una parte del vico ad oriente del- l'Isola 13, Reg. VI. (vico degli scienziati), ricomparvero sul lato orientale dell’Is. 14 le seguenti iscrizioni dipinte. Fra il sesto ed il settimo vano, a contare dall’ angolo sud-ovest in lettere rosse: «.»BI\M PRISOWED: CLODI: FAC: SET. cOPO . PROBE. FECISTI QVOD . SELLA . COMMODASTI Di sotto, sullo zoccolo giallo che imita il marmo, anche in lettere rosse evanescenti SIITIVM - A Sopra una tabella bianca, ora svanita, scritto pure in lettere rosse; M - SAMELLIVM MoDESTVM aED 0F Dopo il settimo vano, sul rozzo intonaco che copre un muro costruito in pietra di Sarno, era stata dipinta di rosso un'iscrizione osca a grandi lettere, delle quali però non s’ intravidero che le sole: SRI: — 244 — Inferiormente, alle quali si lesse, M - C(asellium) + M(arcellum) * W OF Nel medesimo lato della strada tornarono a luce alquanti graffiti : 1. a dritta del sesto vano: 2. a sinistra del medesimo: CRESCES CRES HIC CES CIS CRESCES : CISSON SONIO SAL SAL AEMILIVS HIC Lo stesso saluto, co’ medesimi nomi, s’ incontra in altri siti della città; e pro- priamente nella casa più prossima al Tempio di Venere. i 8. Fra il quarto ed il quinto vano: FILIVS CRESCES : CISSONIO SAL 4. Fra il sesto ed il settimo vano, sullo zoccolo giallo, in mezzo a varii segni si distingue un piccolo cane corrente, e vicino: o) ONESIMVS *) MATIALIS ‘) mali &) MODIISTA TITRMINALIS °) PHOIIBO ?) PRISCVS ?) ABCDIINGHIKL A sin. del settimo vano si riconosce a stento l’immagine di Mercurio gradiente a dr., che porta il caduceo e la borsa. Nel lato orientale dell'Isola 13, continuandosi lo sgombro della casa n. 13, ricom- parve il protiro con pavimento a musaico di semplice lavoro, preceduto da piccolo vestibolo, alla cui sinistra è la bocca di un condotto sotterraneo per lo scolo delle acque: a dr. dell’androne trovasi l’ ambiente n. 14 non ancora disterrato, ed a sin. una cella con ingresso dall’atrio. Questo ha nel mezzo l’ impluvio, a capo del quale sorgono due pilastri di fabbrica destinati a sostenere una tavola, e nel fondo si apre il tablino, fra un oecus finestrato ed il triclinio, comunicante forse con qualche apotheca. Il peristilio è circondato per due lati da colonne, ed ha nella parete occidentale una nicchia con piccolo frontone. Segue a settentrione la cucina col cesso ed il po- sticum. Nel peristilio fu rinvenuto un’ anfora intera, altre rotte, una testina in marmo di Baccante, una lucerna, e diversi oggetti di poco valore. Nel vico occidentale, di cui si è scoperta una porzione, ad oriente dell'Is. 12 veggonsi graffite sopra lo stucco bianco le lettere: GAD0I4IN XVIII. Albanella Silentina — Tra le proposte per gli scavi del corrente anno approvate da S. E. il Ministro, una ve n’ era che riguardava le indagini per — 245 — salvare, se mai fosse stato possibile, i dipinti scoperti nelle vicinanze dell’ antica Posidonia nell’anno 1854, ed ivi rimasti in abbandono (cfr. Bull. arch. nap. nuova serie 1855. p. 93. 143). Le opere dovevano essere anche rivolte ad esplorare, se mai altre tombe esistessero in quel medesimo terreno, ove sorgeva senza dubbio una ne- cropoli greca; ed a tale scopo furono spediti da Pompei soprastanti ed artefici, che misero mano agli scavi il giorno 21 dello scorso mese. Ma riaperte le tre tombe rinvenute nel 1854, si trovarono tutte ingombre di terreno fangoso, tolto il quale sì videro gli affreschi in tale stato di deperimento, da non presentare più che pochis- sime linee delle figure di quegl’ importanti dipinti, de’ quali non si potè in modo alcuno tentare il distacco, essendo tutto marcito il sottilissimo strato d’ intonaco su cui le pitture erano state condotte. Rivolti quindi gli scavi alla ricerca di nuove tombe, se ne aprirono due in quella prossimità, costruite con travertino tufaceo pestano, simile a quello adoperato nelle altre. Se nonchè vi erano tracce di anteriori devastazioni, giacendo i coperchi in sito non proprio; e vi fu solo raccolta una piccola moneta di bronzo pestana, con due unguentari di creta comune, mal conservati ed in parte rotti. In una terza tomba priva di ogni traccia di pittura, s' incontrarono ossa umane ed un piccolo vasetto, una tazza con ornati neri in fondo rosso, e diversi frammenti di stoviglie di nessun conto. XIX. Brindisi — Presso una delle colline onde è circondata la valle, nel braccio occidentale del porto interno della città, si scoprirono sepolcri senza titoli, secondo vien riferito dall’ Ispettore Tarantini. Il primo consisteva in una cassa formata con undici tegoloni, tre per ciascun lato, uno nel fondo, e due maggiori per gli estremi, col coperchio di pietra grezza; e vi si trovarono gli avanzi dello scheletro, con un vaso ordinario di terracotta. A met. 4,00 di distanza stavano quattro urne cinerarie in linea, divise da piccola lastra di calcare dolce: le due prime con dentro balsamari interi o frammentati, la terza con poche ceneri ed ossa combuste, la quarta con un pezzo di specchio metallico. Al di fuori delle medesime urne, ed in mezzo alla terra, si raccolsero altri avanzi di ossa bruciate, uno specchio metallico, ed un balsamario simile ai precedenti. Proseguiti gli scavi nella collina che sorge d’ incontro alla valle, vi si trovò altro sepolcro di tegoloni collocato in un grande strato di argilla, donde pochi anni prima eransi estratti a molta profondità mattoni e frantumi diversi. soia sb: stadi alto RYO: RIN DLE ma artt B8 citolguo De Du salone va Ù sol, Neg pa ‘porti giù il + aPurpi dk otboa n 0608 | RAI Ù n n : Pi DÒ STATI IT ATINOORE > ti M GI STIIOTO IPO È ni 0 He Gini: si (a, , Li i > A == TE AlSiard' Architetto. dis Serie IL? VolIIT?Tav. 0) Lit Martelli Boma. — ur Notizie degli scavi di antichità comunicate dal socio G. FIORELLI al Presidente nel mese di luglio 1876. GIUGNO I. Asolo — In uno scavo praticato dal Municipio di Asolo, in provincia di Treviso, per lavori necessari al nuovo piazzale, si scoprirono avanzi di mura romane, appartenute forse a qualche edifizio balneario. Conferma tale credenza l’essersi trovato un antico aquedotto, ed un musaico a pochi metri distante dalle stesse mura, oltre alcuni frammenti di terracotta rinvenuti recentemente nel luogo medesimo, ne’ quali sono rappresentate in rilievo due Sirene poggiate ad una maschera, che ha la bocca aperta per la uscita dell’acqua. i II. Bologna — Negli scavi Benacci si esplorarono, nella settimana dal 29 maggio al 3 giugno, ventidue sepoleri. In cinque di essi furono scoperti nello strato superiore alcuni scheletri del tempo romano, soprapposti a quattro tombe antichissime, ove presso gli scheletri rimanevano solamente una fibula ed un’armilla di ferro, un frammento di armilla in bronzo, due vasetti di argilla, ed una tazza a vernice nera. Degli altri dodici combusti, uno era in fossa, altro in cassa rettangolare formata di lastre, avente il vaso cinerario fasciato da un cerchio di bronzo con ornati a sbalzo, simile ad altri trovati per lo innanzi. Nei rimanenti vedevansi le pareti ed il coperchio fatti di ciottoli; in sette il consueto vaso liscio o graffito trovossi insieme a fibule di bronzo, ed al così detto rasoio; in altra tomba di proporzioni maggiori stavano due morsi di cavallo, fibule e bardature, oltre una cista di bronzo a cordoni con bor- chiette ed ornamenti a rilievo; finalmente in un medesimo recinto ricomparvero due urne, una con fibule, pezzi di ambra, palettina, e grande ascia di bronzo, l’altra con coltello a lama serpeggiante, una cista di bronzo, e due morsi di cavallo con rela- tiva bardatura. Ripigliati gli scavi nella settimana dal 12 al 17 del mese, furono aperti altri ventidue sepolcri, sei dei quali con gli scheletri. Di questi il terzo aveva due fibule, il quarto alcuni vasettini, il quinto tre fibule e tre penderuole fittili, il sesto final- mente lo scheletro col capo a mezzodì, più vasetti di colore cinereo, ed un’armilla. I combusti erano tutti in fosse, col consueto vaso degli ossami, fibule ed armille. In una fossa più grande, tra numerose fibule di bronzo, se n’ebbero alcune con ambra; da altra simile si tolsero due ciste fittili, due grandi armille a spirali, fibule, ambre, ed un tintinnabulo. Dal 26 giugno al 1 luglio, essendosi la settimana antecedente consumata in appianare le trincee, si rimisero a luce diciotto sepolcri, dei quali sei soli incombusti. — 248 — Presso uno degli scheletri si trovò un’armilla poggiata sull’omero sinistro; in altro soltanto le fibule; in un terzo più vasi, tra cui un’anfora con pitture nere, ed una strigile di bronzo con figure di quadrupedi a punzone, ed il marchio FRINOMI simile ad altro esistente nel Museo di Volterra, e ad uno del Kircheriano di Roma (cf. carRUCCI, Diss. arch. p. 137). Dei combusti, quattro erano stati violati: in altri sei il vaso delle ossa, contornato da altri minori, rinchiudeva fibule e spilloni di bronzo, con globetti d’ambra e di vetro smaltato. Nell’undecimo sepolcro si raccolse una spada ed una cuspide di lancia in ferro; e nell’ultimo, costituito da una fossa quadrata con strati di ciottoli, furono rinvenuti spilloni, due dei così detti rasoi, un amphicypellon, tre ascie, tre fibule di bronzo, due morsi di cavallo con ornati, resti di bardature, ed una spada rotta in sette pezzi, che riuniti misurano met. 0.65. Negli scavi municipali continuati nel pubblico giardino, si scoprirono nella prima settimana del mese undici sepolcri incombusti, sei dei quali con semplici avanzi di sche- letri, e due con frammenti di fittili a figure rosse; in altro rimanevano collo scheletro una collana di ambra intorno al collo, due fibule di argento sul torace, e varii piattini con ossa di pollo e frammenti di guscio d’ovo; nel decimo sepolcro era una stela figurata, alta met. 1.30, larga met. 0.85; l’utimo oltre una kelebe a figure rosse, conservava grossi pezzi di una stela figurata da ambo le facce, in una delle quali sotto la rap- presentanza di una biga vedesi l’ iscrizione VAMJyAJESXAyY24MAYMA, mentre innanzi alle zampe dei cavalli restano le lettere AIV. Della epigrafe scolpita nella faccia opposta, si hanno unicamente le lettere VYA 1 Altri sedici sepolcri esplorati dal 5 al 10 giugno, dei quali due soli combusti, presentarono poco di notevole, essendo in gran parte violati, e non rimanendovi che scarsi rottami. Da uno si ebbe una kelebe a figure rosse, da altro una Kelebe simile con due dadi, e nei rimanenti si raccolsero frammenti di uno specchio in bronzo, e pezzi di altra stela figurata. i I lavori della settimana seguente, dal 12 al 17 giugno, rimisero a luce 17 sepol- cri, e di essi due soli combusti. Le ossa del primo erano in rozzo dolio coperto da sfaldature di arenaria; il secondo più grande, rifrugato però anteriormente, conservava ancora pezzi della stela, ed in mezzo alle ossa due piccole bulle di oro, con pendagli appartenuti senza dubbio ad un ricco monile, nonchè due fibule di argento, ornate negli estremi da laminette di oro a filagrana. Gli altri erano stati frugati in parte, perchè vi si trovarono solo frammenti di vasi figurati, e pezzi di aes rude. Due sepolcri incombusti non toccati anteriormente, diedero pochi vasi rozzi, sei fibule di bronzo, ed un balsamario di vetro azzurro e bianco in forma di anforetta. Sospese le ricerche al terminare del mese, per essere ripigliate nel prossimo agosto, si ebbe inoltre la scoperta di sei tombe con poche fibule di bronzo ornate di ambra, e qualche vaso di argilla senza pregio veruno. Avendo intanto il Municipio bolognese aderito cortesemente alle mie richieste, e spedite per mezzo del ch. Gozzadini le riproduzioni delle stele scoperte nello scorso maggio, delle quali fu fatto parola a pag. 68, credo opporturo di aggiungere il di- segno della più completa di esse, a dichiarazione delle cose già dette (v. tav. 11m). —aiodortz III. Panicale — Con relazione del 24 giugno il solerte Ispettore di Perugia Mariano Guardabassi, tanto benemerito degli studi patrii, riferiva quanto segue intorno a taluni sepolcri recentemente venuti a luce. i « Nella tenuta del Vicinato, a kil. due e mezzo dal villaggio di Vaiano, nel podere vocabolo Brusca-lupo, in una bassa collina con largo altipiano, furono rinvenute alcuni mesi sono dieci tombe, a profondità maggiore del consueto, disposte in due or- dini curvilinei, ed assai avvicinate fra loro. La fertile ed amena collina dista kil. sette da Chiusi verso est-nord-est, e Kil. tre dalla stazione di Panicale verso ovest, ed occupa una posizione intermedia tra il lago Trasimeno e quello di Chiusi. « Sembra che all’epoca etrusca esistesse un villaggio nell’altipiano del colle verso oriente, come può arguirsi dai molti resti di fondamenta che vi s’incontrano; e che tale villaggio si trovasse alla distanza di met. 500 dalla piccola necropoli non ancora completamente esplorata dal sig. Francesco Melampo, la quale però fu visitata e spo- gliata di quanto poteva contenere di apprezzabile dagli antichi discopritori, che vi lasciarono tracce manifeste del loro vandalismo, sconvolgendo e spezzando gran parte del rifiuto del loro bottino. « Non ostante il primo scompiglio, e la mancanza dell’ordine nell’attuale ricerca, ove si confusero gli oggetti ricavati dalle varie tombe, pure il carattere artistico degli oggetti stessi può permettere un criterio approssimativo, circa le varie epoche e gli usi degli antichi abitanti. Le tombe furono aperte in un banco di tufo compatto e solido, con le pareti laterali ripiene di nicchie, ove si rinvennero vasi cinerarii ed utensili domestici, avendo ogni tomba una camera sepolcrale più o meno vasta, ma sempre rettangolare, senza ornamenti di sorta, ed essendo le tombe stesse divise da ampie strade, quantunque brevi e scoscese. Confusi gli oggetti rinvenuti, come sopra è stato detto, non è possibile di farne la descrizione per le singole località, ed è forza contentarsi di enumerarli secondo le epoche a cui vanno attribuiti. « Il primo e più importante avanzo rimesso a luce da queste tombe è un basa- mento di tufo calcare fetido, largo met. 0.63 avente il lato quadrato della base di met. 0.83, fregiato di doppia cornice, che inferiormente e nel di sopra porta una mem- bratura baccellata elegantissima. Il dado centrale presenta a bassissimo rilievo, di stile arcaico e di esecuzione accurata, il funereo banchetto dei parenti del defunto. Dello stesso lavoro si osservano sculture su di un tronco di piramide, della medesima materia, che forse posava sopra la base e ne compieva il monumento, avendo l'altezza di met. 0.48, ed il lato quadrato della base di met. 0.34. In ogni faccia sono tre figure stanti, con atteggiamenti proprii a riti funebri; mentre in alto la piramide è ornata di cornice, di cui fa parte un rilievo spezzato, e tale da non permettere una giusta interpetrazione. « Parecchie furono le urne di terracotta, che dalla tomba medesima si estrassero, e tutte di un periodo posteriore alla stela nominata, essendovi le solite rappresen- tanze a stampa del combattimento di Eteocle e Polinice, e del congedo dai parenti, portando alcune residui di scritture a tinta nera, che il tempo ha rese illeggibili. I coperchi di dette urne hanno figure giacenti, eseguite anch’esse a stampa, eccetto una di proporzioni maggiori, che fu rimodellata a stecca con gusto di buona arte, meno qualche leggiero difetto nelle orbite degli occhi, lasciate incerte ed arrotondate, PARTE TERZA — Vot. III° — SERIE 2.8 32 — 250 — se pur non vuolsi riconoscere che l’abile artista vi abbia inteso rappresentare un cieco, per cui tanto maggiore crescerebbe l’importanza del monumento. «I vasi di terracotta tolti dalle tombe nelle precedenti ricerche dovevano essere finamente dipinti, se si argomenta dai pochi rottami quivi stati lasciati; ma delle altre figuline non si dovrebbe far ricordo, se non vi fossero due vasi cinerarii con iscrizioni. Il primo di forma conica, munito di coperchio, porta nell’orlo superiore il semplice frammento di epigrafe ..... AN1IVI: O ....; mentre nell’altro di forma ugual- mente cilindrica, e mancante di coperchio, leggesi superiormente: IAMNADIAMAIAGAN AZ?IJAM la quale epigrafe merita nondimeno di essere meglio esaminata, essendovi argomenti che la rendono sospetta. « Tra le altre figuline vi è una lucerna di lavoro ordinario, ove inferiormente in bollo circolare vedesi impresso VIEIA N « Parecchi furono i bronzi che si rinvennero, residui anch’essi delle prime depre- dazioni, cioè vasi ansati, specchi mistici, larghe teglie, piccole misure per liquidi; stili e molti frammenti di utensili, ma tutti guasti per forte ossidazione. Per contrario sì conservarono assai meglio due coltelli di ferro, l’uno a taglio curvilineo con manico, della lunghezza complessiva di met. 0.18, l’altro con impugnatura ornata da strisce di legno e di osso, lungo in tutto met. 0.24. Vi si ebbero pure due ronche, la prima simile al pennato lunga met. 0.14, la seconda simile all’ antico falcione con cannello per essere attaccato all'asta, lunga met, 0.39. Finalmente vi si trovò una scure ad un sol taglio lunga met. 0.14, e pezzettini di osso, di vetro, e di piombo che non meritano considerazione veruna. « Essendosi seguito il doppio uso della combustione e della semplice umazione, non mancarono resti di scheletri, in mezzo ai quali si raccolse un cranio diocefalo di giovate ventenne, fratturato nelle ossa nasali, e privo della metà destra della man- dibola inferiore. In una delle tombe fu pure trovato lo scheletro di un cervo adulto, ma ridotto in tali frantumi da non potersi ricomporre. Nè sarà fuori di proposito il ricordare, come non molto tempo addietro si rinvenissero resti delle corna di un cer- viotto, in mezzo a ceneri ed a carboni, in una tomba scoperta nel territorio di Chiusi, visitata dal ch. Brogi che ne salvò gli avanzi. » IV. Orvieto — Sospesi gli scavi nelle vicinanze della città e nei paesi limitrofi, si ebbe il 17 giugno la fortuita scoperta dello ingresso ad una tomba, nel terreno del Sig. Bargiacchi di Labriano, e propriamente nel luogo detto il Mignattaro. Pre- muroso l’Ispettore conte Cozza si recò sul luogo, e fece eseguire alcune esplorazioni in sua presenza, le quali provarono che la tomba in tempo antico era stata fru- gata, essendosi trovate tra le macerie solo due lastre di bronzo con tre chiodi negli estremi. V. Viterbo — Dall’egregio Ispettore Giosafatte Bazzichelli viene comunicato quanto appresso, in proposito delle ultime scoperte dei conti Mimmi, da me annunziate nel mese precedente a pag. 69. « A meglio valutare la importanza dei trovamenti, è necessario premettere alcune notizie intorno alle località ove le tombe si rinvennero. Il versante nord-est e sud — 251 — di Montefiascone è formato da una serie di colline, che abbracciando vasto territorio e molto accidentato, si vanno gradatamente abbassando fino a Viterbo ed a Tosca- nella. In parecchie di dette colline sono scavate le tombe, dove in maggiore e dove in minor numero, le quali anzichè costituire una vera necropoli, formano gruppi isolati a qualche distanza tra loro, senza che si conosca il centro a cui debbansi riferire. « Si potrebbe a prima vista pensare alla città di Cornossa, nel versante ovest verso il Jago, ma questa è troppo distante ed ha le proprie tombe. Rimane dunque la congettura, che tali gruppi di sepolcreti sparsi nella vasta superficie di tutti i colli, appartenessero a piccole borgate o castelli, di taluno dei quali restano tuttora le tracce ed il nome, come ad esempio Montiliano, Belceno, Barlea, Cipollara (o Ci- bellaria), la Castellina, ed altri. Nè sarebbe strano il supporre, che i detti luoghi fossero proprietà di ricche e potenti famiglie, le quali vi possedevano latifondi per le partizioni dell’agro etrusco fatto dai Romani dopo la conquista; e che le famiglie medesime vi abitassero alcuna parte dell’anno, o che almeno vi tenessero i loro servi ed i loro ministri. Tale ipotesi viene suggerita dal carattere romano delle dette tombe, e dall'essersi trovati sulla cima della Castellina, di fronte alle tombe scoperte, i resti di un fabbricato di non grande ampiezza, simile ad altri che sulle prossime colline s'incontrano, con carattere dei bassi tempi, e con completa mancanza di ruderi antichissimi. È « Il tenimento s. Francesco, detto anche delle Sette cannelle, nel territorio di Viterbo, è costituito da varie delle descritte colline, in una delle quali scavarono i conti Mimmi. Le tombe che si scoprirono sono poste in più ordini, ed in giro della collina. Nella zona più alta, ossia nella maggiore pendenza, sono esse in forma di grotte, di stile comunissimo, ricorrendo nell’interno dalla porta al fondo un viottolo fra due banchine, sopra le quali e perpendicolarmente al viottolo è cavata una serie di loculi, entro cui sono disposti i morti ricoperti da tegole. Nella parte bassa e piana le tombe scavate nel tufo hanno forma di cassone, da cui prendono anche il nome; e di queste sono state aperte soltanto due. La prima di cui si fece parola nelle Notizie degli scavi di aprile del corrente anno, unitamente agli oggetti che vi si tro- varono (pag. 54), la seconda poi rimessa a luce nell’ultima settimana di maggio, il cui tipo è quì riprodotto. OT DI | | | Il H « Essa presenta come l’altra una semplice apertura quadrata, alta met. 3.30, nel cui fondo ricorre una crepidine o podio, che s’innalza per circa met. 1.30. Lateralmente — 252 — al basso stava collocata una cassa di peperino per un solo cadavere, mentre nello spazio circostante erano sparsi gli oggetti, salvo la situla posta entro la cassa ai piedi del defunto. 9 = « Nelle tombe della prima maniera non si hanno che vasi grezzi con ornamenti a stampa, senza dipintura alcuna; piatti e tazze con cattiva vernice nera, o rossa ad imitazione dei vasi aretini; pochi specchi e pochi vasellami di bronzo comunissimi, se si eccettuano gli ornati sulle anse pesanti e massiccie. Per contrario molti sono i frammenti di ferro, come lancie, spade ed altro; e potrebbe in questo numero essere annoverata anche una bietta o zeppa da spaccar legna, simile a quelle usate oggidì, rinvenuta in una tomba nel fondo Grottu bassa, se per essersi rifrugato quel luogo non nascesse il sospetto, che tale utensile vi fosse lasciato dai moderni scavatori. « Ma ciò che di particolare danno queste tombe, e che invano si ricercherebbe altrove, sono i vetri, poichè oltre il piccolo vasellame bianco turchino o giallognolo, vi si raccolgono bellissime tazze e patere mirabimente variegate, conosciute in ge- nerale col nome di lumachelle. « Le tombe a cassone presentano invece vasi dipinti di fabbrica locale, poco va- sellame grezzo, ed alcuni piatti e tazze con vernice nera assai mediocre. I bronzi sono meno pesanti e di miglior forma, ornati a disegno assai più accurato, mentre gli specchi si distinguono soltanto per le maggiori proporzioni. « Venendo ora a descrivere i particolari oggetti rinvenuti nelle tombe della tenuta Grotta bassa, per le nuove scoperte annunziate a pag. 69, meritano di essere notati: 1. Un bicchiere di terracotta molto sottile e semigrezzo, della figura di mezza sfera allungata, di color nocciola, ornato con arabeschi a stampa di ottimo stile, avendo nel fondo un rosone a larghe foglie ripiegate e foglie di acanto, intorno una fascia di tralci e di grappoli, e poi altra piccola zona di ovoletti. Vi è inoltre esternamente una vernice nera, ad un terzo del labbro, la quale intensa in principio s’illanguidisce poco a poco, fino a perdersi nel colore naturale dell’argilla. 2. Due maschere di terracotta con tracce di policromia, alte met. 0.12, e rap- presentanti un Satiro ed una Baccante di buona esecuzione. 3. Frammento del corpo di un vaso grezzo a campana, con un combattimento di Amazzoni, in eleganti rilievi a stampa soprapposti; e due figure di Baccanti per- fettamente eguali, destinate forse ad ornare il vano delle anse. 4. Frammenti di due tazze di bellissimo vetro variegato, della forma medesima — 253 — del bicchiere descritto, e simili per la qualità del vetro alle note coppe di Monte- cardone, delle quali una fu depositata nel Museo Etrusco di Firenze. « Nella nuova tomba a cassone, riprodotta di sopra, si ebbero a notare: 1. Una bellissima patera di bronzo ben conservata, del diametro di met. 0.22, avente nel manico una figura di donna alata, alta met. 0.18, che colla testa e colle punte delle ali aperte sostiene il disco. Posata sopra piccola base triangolare, e coi piedi chiusi in alti coturni, essa è in atto di dar movimento ai crotali come per animare la danza, essendo nuda in tutta la persona, se si eccettuano le spalle, ove si annoda una nebride elegantissima. 2. Una bella situla, con manico orecchie ed anello, ma assai guasta dall’ossido, e dalla imperizia degli scavatori. Alta met. 0.15, e del diametro di met. 0.11, porta un ornato in rilievo distribuito in tre zone, la prima ed ultima con meandri e baccelli, quella di mezzo con leoni che combattono ed addentano altri animali. Vi è in fondo un rosone, e superiormente ed inferiormente all’orlo ripiegato due altre piccole fasce con baccelli ed ovoletti. 8. Un candelabro retto da zampe di bue posate sopra tre rane. Il fusto è striato a spirale, e vi si attaccano una gallina ascendente ed un pulcino discendente, con pulcini sulla pozzetta, ed altri sulla ripiegatura della zampa bovina. 4. Vasetto di bronzo elegante, alto met. 0.12 in forma di piccolo cantaro, con doppio ed alto manico. 5. Uno specchio grande del diametro di met. 0.18, con varie figure assai ricoperte dall’ossido, che ne impedisce di riconoscere il soggetto. «Vi sono inoltre bronzi comunissimi, e vasellame fittile senza varticolarità alcuna. » VI. Roma — Nelle ultime opere eseguite presso il Tempio di Antonino e Fau- stina al Foro Romano, nel taglio verso la chiesa di s. Maria Liberatrice, si raccolse una lastra di marmo, larga m. 0.40 alta m. 0.30, col seguente frammento epigrafico: a 1wit \APITO eee SEUUNTPA Ad .IIATAAH N H-ATIO 06€... .ICM@ : EKTONIAIQN.... Vi sì trovò pure un frammentino marmoreo proveniente dagli scarichi, largo met. 0.09, alto met. 0.08, co’ residui delle lettere AVG : Pi || +AD; una testina di statuetta muliebre di mediocre stile; una grande mensola di travertino, alta met. 0.80, larga met. 0.60, che l’egregio sig. Pellegrini reputa facesse parte dell’ antico arco Fabiano; un torsetto acefalo marmoreo, alto met. 0.32, ritraente forse un simulacro votivo; parte di un cornicione dorico con dentelli, lungo met. 1.28, alto met. 0.53; e due tronchi di colonne in marmo scannellati, del diametro di met. 0.45. Fu eziandio rimesso a luce altro tratto dell’antica via con lastrico a poligoni di selce, e si continuò a scoprire di fianco il podio marmoreo del tempio, raccogliendosi nelle terre pochi frammenti di epigrafi di nessun valore, per la loro piccolezza e per la scarsezza delle lettere; pezzi di vetro e di terrecotte comuni; ed una parte di mat- tone con bollo, simile ad altro edito dal Fabretti a pag. 520. n. 333: — 254 — OPVS DOLIARE EX PRAEDIS AVGG NN FIG C TERTIT Nel proseguimento della via Nazionale, continuandosi il taglio delle terre sotto il palazzo Rospigliosi, nel declivio del Quirinale, s’incontrarono altri avanzi di fab- briche private di epoca diversa, sottostanti alle Terme Costantiniane, presso le quali si raccolse una statuetta di putto dormiente sopra pelle di leone, larga alla ‘base met. 0.80; e metà di una testa marmorea, quasi di grandezza naturale, coperta da pileo come nel tipo solito delle figure dei Daci. Vi si scoprirono pure quindici anfore, ed al livello delle Terme, nella parte superiore, un avanzo di musaico bianco e nero a figure geometriche di non cattivo stile. Furono quindi rimessi a luce muri laterizii, attaccati esteriormente alla grande exedra delle menzionate Terme, in direzione dell’orto Mercurelli; archi in continuazione del criptoportico o ninfeo, annunziato precedentemente; ed infine sotto la palazzina Lattanzi, accanto alla chiesa di s. Silvestro, residui delle mura urbane di Servio, con indizi di abitazione privata, ivi costruita nei tempi imperiali. Negli scavi del Monte della Giustizia, a piccola distanza dal luogo in cui si scoprì l’oratorio cristiano, fu rinvenuto uno dei cippi terminali di travertino del corso delle acque Marcia, Tepula e Giulia, simile agli altri due quivi scoperti anteriormente (cfr. Bull. Inst. 1869. p. 212 sq.): HACRIVIAQVAR TRIVMEVNTCIPPI POSITI IVSSV A DIDI GALLI T RVBRI NEPOTIS M CORNELI FIRMI CVRATORVM AQVAR Fu trovato poi altro frammento di fistula aquaria con l'iscrizione: = MPR:PROCVET ARC ERAS- FEC taluni pezzi d’istrumenti di ferro, monete ossidate irriconoscibili, stoviglie insignificanti, ed un mattone col bollo: OP DOL EX PR DOM AVG N FI GVLINAS GENIANAS Nella prossima caserma al Castro Pretorio, scavandosi un pozzo, si scoprì @ piccola profondità un musaico bianco e nero, con ornati geometrici e testa di Medusa nel centro, la quale guasta in gran parte nel viso, è condotta a piccole tessere colorate, ed è chiusa in un ottagono elegantissimo, da cui si diffondono rettangoli e fascette. Presso il Ninfeo detto tempio di Minerva medica sull’Esquilino, nei lavori pel viale Princi- pessa Margherita, ricomparvero altresì alquanti solii semicircolari, paralleli a quelli già noti ai topografi per gli scavi, che nel sito medesimo avevano avuto luogo in epoche anteriori. — 255 — Al campo Verano, e precisamente nella espropriata vigna Caracciolo, oltre molti titoli cristiani appartenuti alla catacomba, fu rinvenuta in un piccolo loculo una lucerna ed un anelletto d’oro, e nel dinanzi l’iscrizione: . D . M . SEPTEMBER-Er CONCORDIA: PARENTES: TIBVRTINO: FILIO : DVLOIS SIMO- BENE: MERENTI FE CERVN'QVI: VIXIT-ANNIS-V MESES'VILD-VI Nella parte a picco del monte, a cui sovrasta la ricordata vigna, ove fu ritrovato alcuni anni or sono il piccolo Ercole del Museo Capitolino, si scoperse altra lastra marmorea, larga met. 0.92, in cui si legge: DM GENNEIE ALEC TE FILIE INFELI CISSIME Q-V X ANTI MESSXA SD EST ALECTVS PATER Lo: Dai lavori medesimi venne fuori, insieme a frammenti laterizii, un mattone col bollo: EX:PR-FVNANIZK FAVSTIN/ E VITRASI POLLIO SAL AX Nella vigna posseduta dal sig. Adelmo Aragni, a due miglia e mezzo da Porta Maggiore, lungo la via Labicana, presso il piccolo ponte della Marranella, in un cavo aperto per raccogliere la pozzolana, si scoprirono reliquie di antichi sepoleri di opera laterizia e reticolata. Pare che il sito fosse stato già frugato, poichè in mezzo alle terre vennero confusamente raccolti cippi di travertino con le seguenti iscrizioni: MMIVAUMETC V S'UVEL 2. SEX AELIVS AQVAE'MARCIAE AGNVS OPPIA C *9 L'PSYCARIO IN FR° P'VII IN FR PXVI IN AGR PXII INAGR® PXII — 256 — 3. CPOPILLIVS 4. P*CALVIVS:y-L°SATVR OL: HILARVS C:CALVIVS:C-C-)-LARISTI M: VALERIVS - EVTICVS IN FR°P° XII D: ANTISTIVS : EVDEM IN AGR P°XII Qc ATTIVS Ace IM O CI Li PAPINI.: (SM SSA AS M<0GV ... ea HIC * OSSA © SITA L*BRV ... AA: Vi si trovarono pure i seguenti titoli marmorei: 6. DIS MANIBVS 7. VIBIDIA : HELENA ANTONIAE ET:L' BRVTEDI : MALGIONIS M F DVO: COIVGES-IN VNV THREPTES nonchè due lucerne fittili, una con rilievo di Pallade che mette il voto nell’ urna e col bollo BASSA, l’altra con semplice bollo CASVICT; ed un mattone col noto mar- chio C-LICINI DONACIS. In vicinanza di questo scavo, nella vigna medesima, fu scoperto un grande masso di travertino, ove a grandi lettere sì lesse: IVNIAE-M- F HERENNI VII. Offida — Le indagini continuate nella terra del sig. Mercolini, sotto la direzione dell’Ispettore Allevi, portarono alla scoperta di 16 tombe nella prima metà di giugno, e degli avanzi di un selciato, che forse determinava l’antica via della necropoli. Trasportati i lavori dal nord all’ovest della città, vi si rinvennero ultima- mente altre sette tombe, del tipo medesimo di quelle per lo innanzi trovate. Il medesimo Ispettore Allevi annunzia inoltre, che a nord-ovast di Acquaviva Picena, eseguendosi gli sterri per una nuova strada, s’incontrarono pozzetti in forma di anfore, i quali essendo simili ad altri che presso Offida servirono di guida al trovamento della necropoli, potranno forse porgere il filo a maggiori scoperte da farsi in prosieguo nelle vicinanze. VIII. Bellante — Intorno alla lapide sabellica, rinvenuta il 6 giugno in Bel- lante, provincia di Teramo, il ch. barone de Guidobaldi Ispettore degli scavi comunica quanto appresso: « La nuova lapide bellantese trovasi attualmente conservata nella masseria Ro- magna, essendovi stata trasportata dal fondo del burrone, ossia dal punto stesso in cui l’altra pietra fu scoperta. Tale burrone detto Pantano, che è anche il nome del fosso, comincia dalla contrada Castel s. Andrea, non molto lungi dall’ex-convento dei carmelitani in Bellante, conosciuto anteriormente col nome di colle della civita, nelle cui vicinanze è ancora facile di trovare ruderi, nei quali vogliono alcuni rico- noscere l’opus incertum, e che essendo frequenti nella provincia, sono volgarmente noti col nome di saracinesche. — 257 — < La lapide è anch’essa un’arenaria, di forma ovale molto allungata, mancante delle due estremità: ha la lunghezza di met. 1.38, la larghezza di met. 0.65, e la spessezza di met. 0.16. Ma il tempo e le forti correnti delle acque l’hanno così consumata nella parte scritta, che della non breve epigrafe sono rimaste soltanto poche lettere, le quali alte circa met. 0.06, corrono in linea bustrofedica, secondo che si rileva dall’annesso disegno: « Bisogna dunque incominciarne la lettura dall’ultima linea inferiore, e continuarla risalendo da destra a sinistra, per ripiegarsi poi nuovamente dalla sinistra alla destra. Stando così le cose s’ incontra prima di tutto TITÌ, dopo del quale sono incerto se venga punto 0 no, non potendosi discernere chiaramente; come non può discernersi se avanti di detta parola sia traccia alcuna di sigla, che accenni a prenome. Che intanto tit possa equivalere al nominativo Titus non vorrei dubitare, essendo noti i nominativi finienti in è, come altrove ho dimostrato con esempi di arcaiche iscrizioni (cfr. T. Vezio p. 10). Segue la voce ENM, colla quale non saprei se volesse in- dicarsi Ennius, o la semplice congiuntiva et, del che lascio il giudizio ai dotti. La terza voce leggibile a stento parmi scritta NEMSSEN, che equivarrebbe al NEM- SVNIVS o NVMERIVS. « Nella impossibilità di leggere altre parole, trovo notevoli le forme delle lettere E, EI, &, V, le quali non s'incontrano nella prima lapide di Bellante. « Il primo segno p<, che si vede nelle lapidi di s. Omero e di Cupra marittima, fu detto dal ch. Mommsen corrispondere ad ss o f, mentre l’Huschke vi riconobbe il valore di v. e « L'altro elemento & che risponde alla F non comparisce nelle iscrizioni sabelliche, ma nelle epigrafi vasculari nolane ed etrusche di Bomarzo, essendo analoga alla lettera umbra 8 . Finalmente il segno W ripetuto molte volte nei titoli sabellici, fu ritenuto dal ch. Mommsen per è, dall’Huschke per a; ed a questa ultima opinione io credo si debba stare, essendo nella iscrizione di s. Omero la parola MAMYN = PAPAS. « Lasciando di notare la simiglianza della punteggiatura, trovo da osservare, che queste lapidi di Bellante per il loro alfabeto rassomigliano maggiormente a quelle di s. Omero e di Cupra, che a quella di Crecchio, essendo nelle prime più rozzezza di forme, indizio forse di arcaismo maggiore ». PARTE TERZA — VoL. III° — SERIE 2.* 38. — 258 — IX. Cassino — Nei varii lavori di costruzioni eseguiti recentemente nel ter- ritorio dell’antica Cassino, si ebbero le seguenti scoperte comunicate nel giugno dal- l’Ispettore sig. Filippo Ponari. Nella villa dei sigg. Petrarcone, insieme a varie epigrafi, tornò a luce un tronco di strada lastricata a grossi poligoni con profondi solchi delle ruote, ed altro tronco simile fu pure disseppellito nell’aprirsi la strada per la Badia di Montecassino. Il primo assai meglio conservato, lungo circa met. 7.00 sembra la continuazione della maggiore strada, che attraversava la città da mezzodì a settentrione, rasentando il Teatro, l’altro in direzione opposta, scende pel declivio del monte, dirigendosi verso l’Anfiteatro. Le epigrafi rinvenute nel primo tratto sono: iù, N:SAVONIO N ‘) ©Y]|KOY, °) ZHNWN 9). HAIKOC °) QIGYMOY, z ) AYT 9) M Mu TIXI l) ATTOAAWNIAOY 1: EYNWMOY K/ CEKOA AYT KANC... À ") ATTOAALNIA (00) ) AMOAAWNIAOY ) AMOAANWNIAOY ANIGOLITI KA ) AI AIOKAA, e dall'altro lato in lettere gialle TICO 5) o1KAx, ì ) F'A-MA, D) GL S BENNIAES SABINAES — 260 — Nel lato settentrionale del viridario stesso si aprono due stanzette rustiche, e la cucina; indi in corrispondenza della prima fauce altra se ne incontra, la cui uscita estrema fu murata. Presenta a dritta un cubicolo, sul cui pilastro a sinistra è graffito: 1. QVIS 2. VITALIO P - CORNIILI Zo... 3. AD MARIVM ed in faccia al detto cubicolo stanno i due vani, che comunicano colla bottega, la quale ha l’ingresso sul lato occidentale dell’isola, ed il podio rivestito di stucco rosso. Due altre anfore rimesse a luce negli scavi medesimi, l’una nella stanza a dritta del tablino nella casa num. 13, l’altra nella bottega che comunica con detta camera, presentano le iscrizioni: 1. HALLEX 2. A* VMBRC| OPTVMA ABASCANT | Tra i vani segnati coi num. 15-16 ricomparvero i programmi: ì. ON HELVIVM 2 GAVIVMAED o? SABIN : N°D'R:P VICINI ROG e dopo il num. 16 si lesse TREBIVM VAL... H(el)VIVM RVF... scritto su bianca tabella in grandi lettere rosse, ricoperte poi di bianco per segnarvi in caratteri più piccoli un altro programma, che ora non è dato di leggere. A destra dell’ottavo vano, a contare dall’ angolo sud-ovest del lato occidentale dell’isola 14, ove fu rimessa a luce una immagine di Mercurio, con altra pittura eva- nescente, che rappresentava forse un’officina di fabri lignarii, FICOPEIe questi noti programmi: 1. TREBIVM - &D 2. M-S:M- AD 3. MARCELLVM 4 TI CLAVDIVm DIGNISSIMVM OVE II'VIRI-DO:V-F Cominciatosi poi a sterrare il vico, che rasenta il lato settentrionale dell’isola 13, vi si scoprirono i due programmi: 1. MODESTVM 2. APPVLEIVM - II * VIR AED 0É LIBIIRALIS XII. Reggio di Calabria — Essendosi fatti alcuni scavi nell’atrio del Quar- tiere militare di s. Agostino in Reggio, vi fu trovata una lapide marmorea alta met. 0.71 larga met. 0 84, con iscrizione greca dei bassi tempi, nella quale secondo il calco spedito dall’esimio Ispettore cav. Domenico Spanò Bolani si legge: ENOAAE,KATAKEITA] O AOVAO/ TOY XY CEPM1OC OENENA v FMYMHI FENAMENOC ATTOETTAPXWN KAI AOVZ ZHCAC XPONOYCNFETEAI O0©0H M IOVNIW KF INA'A OANAFINWCKON EVZHTAI YNEPEM8SAIA TON KN— — 261 — Lo stesso egregio Ispettore in data del 15 giugno riferisce, intorno ad altri tro- vamenti avvenuti in diversi siti, nel modo quì appresso trascritto : « Si scava attualmente nei dintorni della città, ed in maggiori proporzioni nei lavori del porto, verso il lato boreale, al di lù del torrente Lumbone, e negli sterri pel fabbricato delle Salesiane alle falde di una collinetta verso oriente. Gli oggetti rinvenuti consistono specialmente in monete di bronzo, che recano sul diritto la testa «dei Dioscuri, e sul rovescio una persona in piedi con asta, la quale per erdinario suole essere Mercurio con petaso e caduceo, o Diana, o altra figura di donna o di guerriero. Altre monete recano nel diritto la testa di Apollo, nel rovescio la lira: nelle une e nelle altre leggesi nel contorno del rovescio PHTINQN. « Nello sterramento poi pel fabbricato delle Salesiane, si trovarono chiuse in reci- piente fittile molte monete reggine di bronzo, di tipo assolutamente nuovo, essendovi a dritta la testa di Diana coronata di alloro, con dietro un ramoscello della stessa pianta, e nel rovescio la figura intiera di un cane, che colle orecchie tese digrigna i denti, e corre minaccioso. « Non sarà inopportuno il ricordare, come nello scorso anno si trovassero altre mo- nete rarissime nelle fondazioni della nuova casa del sig. Giovanni Andrea Romeo, lungo la strada Belvedere ai confini settentrionali della città. Erano anch’ esse chiuse in urna di terracotta, ed erano di modulo così piccolo, da misurare appena il diametro della quarta parte di un centesimo. Guardate però colla lente d’ ingrandimento vi si vedeva distintauente, sul diritto la testa di leone di prospetto, e nel rovescio le let- tere RE o REC in due ramoscelli di alloro ». XIII Termini-Imerese — Dall’ Ispettore degli scavi sig. Ciofalo viene par- tecipato, come il 22 febbraio 1876 si trovassero vicino al diruto castello, e propria- mente rimpetto al fianco del duomo, quattro pezzi di colonna baecellata in tufo, del diametro di met. 0.75, ed un capitello analogo di ordine dorico. In questa medesima località si era precedentemente scoperto un pavimento a musaico, molto grossolano. Verso il centro del piano suddetto, si rinvenne un doccione di piombo largo met. 0.08, e della lunghezza di circa met. 3.00, nonchè un cippo con la iscrizione : ....OLLIENO th° MIL THERMENSES Fatte queste prime scoperte, il Municipio stabilì che si continuassero per pochi giorni gli scavi nello stesso piano, ed in seguito alle nuove opere si rimisero a luce le fondamenta di un antico edifizio circolare, ed un pezzo di cornice marmorea. XIV. Nuragus — Il solerte Ispettore dott. Gabriele de Ville manda la se- guente relazione, intorno alle scoperte avvenute colà negli ultimi mesi. « Venuto a conoscere che alcuni proprietari di questo circondario, che fu abi- tato dai popoli Valentini, si erano accinti a praticare scavi nei loro predii, mi deter- minai di assisterli, per compiere il dovere impostomi dall’ufficio, e per rispondere alla gentilezza dei signori, che spinsero la loro generosità al segno di regalare al Museo di Cagliari, per mezzo mio, gli oggetti che vi furono rinvenuti. — 262 — « Il primo scavo si iniziò nel villaggio di Nuragus, non lungi dal sito ove sorgeva l’antica Valenza, nel quale comparivano ruderi di forma circolare, da sembrare fon- dazione di Nuraghi. Vi si rinvenne innanzi tutto un fusto di colonnetta cilindrica di pietra vulcanica, lungo met. 0.49, largo met. 0.12, che nella parte superiore pre- senta tracciata linearmente la figura di un Tifone itifallico, rozzo e simile a quelli che si discoprono nelle tombe di Tharros. Si raccolsero pure otto armille di bronzo, una delle quali terminata in testa di serpe, rozzamente lavorata; quattro aghi crinali della stessa materia, ed uno di essi con capulo a testa di chiodo; un manubrio ed altri frammenti insignificanti. In mezzo alle ceneri ed ai carboni si trovò poi una lu- cerna fittile, cotta al sole, e senza indizio alcuno di gusto artistico o di eleganza. « Ma ciò che sorprese fu la quantità delle spade, lunghe circa met. 1.00, tutte ridotte in pezzi della lunghezza di centimetri sette od otto ciascuno, forse de- stinati a servire di valore monetale a guisa di aes rude, secondo che opinarono alcuni dotti in questi ultimi tempi. « In altra località del villaggio di Nuragus e Nuriù si rimisero a luce alcune se- polture romane, da cui vennero estratte figuline ordinarie, tre lucerne, una frammentata con bollo EROTIS, altra intiera col bollo IVNONAS, ed un’ ultima di terra rossa elegantissima con impronta MYRO. Si notarono inoltre un peso con due punti, più vasetti di piombo, alcuni monili di vetro colorato, e monete imperiali di Vespasiano, Traiano ed Adriano. « Nelle sepolture scavate nel predio del notaro Raimondo Sionis, costruite a muro con cemento, s’incontrarono due scheletri, ed in vicinanza di essi una grande lapide con iscrizione, di cui tutto è perduto se si eccettua la parola PRATOREM ». Ut della RAvceriwemia de Lincei -Serte 2° Vol MI VETII/A Roma Fototipra Danesi — 263 — Notizie degli scavi di antichità comunicate dal socio G. FIORELLI al Presidente nel mese di agosto 1876. LUGLIO I. Varallo Pombia — Il ch. prof. Ariodante Fabretti, Direttore del R. Museo di antichità in Torino, annunziando il recente acquisto di una serie di vasi fittili e di bronzo, rinvenuti in alcune tombe sulla riva destra del Ticino presso Varallo Pom- bia e Castelletto, simili a quelli scoperti a Golasecca sulla sinistra del detto fiume, e noti già per le illustrazioni dei ch. Giani e Castelfranco, aggiunge quanto segue: « Il Museo non possedeva oggetti antichi provenienti da sepolcri di quelle loca- lità, alcuni di epoca indubbiamente romana e del primo periodo dell’impero, altri forse anteriori alla romana dominazione; e per tale motivo non sì esitò ad “acquistare i vasi che prima furono offerti, appartenuti tutti all’età imperiale, come viene com- provato da qualche leggenda graffita, e dalla presenza delle monete. Consigliata la continuazione delle ricerche, si ebbero molti altri vasi da trenta sepolcri delle età storiche ora accennate; e la diligenza con cui gli scavi vennero eseguiti, permette che se ne compia la relazione, con tutti i dati richiesti dagli archeologi per le op- portune deduzioni scientifiche ». Di tale scoperta il lodato prof. Fabretti, che assistè egli stesso allo scavo di due tombe presso Castelletto, prepara una monografia cor- redata di tavole, ritraenti le forme e gli ornati dei vasi e dei bronzi, tra i quali sono pregevolissimi un secchietto destinato ad ossuario, alcune fibule, ed un dischetto lavorato a sbalzo. II. Cremona — Alla distanza di cinque miglia a nord-ovest di Cremona, presso Ossolare in un podere della famiglia Jacini, e propriamente nel campo chia- mato Bosco Trecantoni, un contadino lavorando la terra urtò il 30 giugno in un vaso di terracotta pieno di circa duemila monete familiari; ma sopraggiunti i compagni, si gettarono con avidità sopra il tesoro, e questo andò miseramente diviso. Benchè le monete fossero passate per le mani di diversi possessori nel Cremonese, e quindi vendutane subito gran parte in Milano, Roma, Verona, Venezia, l’egregio Ispettore degli scavi dott. Fran. Robolotti, è fiducioso di potere raccogliere altre notizie, che valgano a menomare il danno dello sperpero, e si studia di compilare il catalogo di quella parte che non è ancora uscita dalla provincia. III. Parma — Per riattivare i lavori nei terreni dell’ antica Velleia, ove in questo secolo si fecero soltanto alcuni saggi, fu ordinato d’incominciarsi le ricerche in un fondo già acquistato dal Governo per ampliarvi gli scavi. E principiate le opere il giorno 4 luglio, sotto la guida del solerte Direttore del R. Museo di Parma sig. Giov. Mariotti, assistito dal Soprastante degli scavi di Pompei sig. Ant. Ausiello, — 2604 — fu aperta una trincea nel fondo già appartenuto al sig. Pietro Ciregna, a met. 6.00 dalla siepe settentrionale, ed a met. 2.00 dalla strada ch’è nel lato di occidente, allo scopo di vedere se mai si estendessero, e fino a quel punto gli avanzi dell’ antica città, i cui limiti per le ricerche anteriori non era dato conoscere; e se potesse incontrarsi l’antica necropoli, come pure si era congetturato. Indi scavato un altro fosso alla di- stanza di met. 12.60 dal lato di mezzodì, e met. 7.00 da quello di occidente verso la strada, se ne estrasse una terra argillosa mista a pietre arenarie e calcaree travolte giù nelle frane, senza traccia alcuna di oggetto antico. Ed istituiti contemporanea- mente due altri saggi, uno ad oriente del primo discosto met. 10.60, nel medesimo fondo Ciregna, altro ad occidente lontano met. 4.00 nei terreni di antica proprietà dello Stato, si scoprì in quest’ultimo punto un muro appartenuto a qualche stanza, da cui fu dato conoscere soltanto la profondità del suolo; mentre per la continuazione dello strato argilloso e franoso, intramezzato da massi di arenaria e di calcare, si potè scorgere essere ivi stata una valle, dove riusciva vano continuare le indagini. Epperò rivolte le opere ad un fondo già posseduto dalla sig. Castagnetti, si proseguì pure a ricercare quello del Ciregna, dove il giorno 14 luglio erasi incontrato uno strato di terra. grassa, che faceva sperare prossimo il trovamento di qualche tomba. Nè la speranza andò fallita, poichè alla profondità di oltre met. 2.00 si rinvenne il giorno seguente un'urna di terracotta, rotta in varii pezzi, contenente ossa bruciate, circondata da piccole lastre irregolari della spessezza di due centimetri, e coperta da due lastre simili, sotto le quali stavano eziandio piccoli oggetti in bronzo, cioè un anello, un’ armilla, frammenti di fibule, ed altri pezzetti informi. Poco discosto poi si scoprì un ampio circolo, del diametro di met. 4.60 formato di pietre del luogo, entro le quali rimaneva uno spazio di met. 1.40, in mezzo a cui era collocata un’altra urna con ossa bruciate, schiacciata dal peso della terra superiore, coperta anch'essa di lastre di arenaria, e circondata da frammenti di lancie in ferro contorte o spezzate a bella posta. Informato S. E. il Ministro della singolarità del trovamento, tanto diverso da quelli fatti per lo innanzi nelle medesime località, e dal quale avrebbe potuto aspet- tarsi luce grandissima sopra uno dei periodi più remoti della storia nazionale, ordinò che esaurito l’assegno stanziato per tali ricerche, fossero sollecitamente somministrati nuovi fondi per la continuazione dei lavori, il cui risultato avrò l’ onore di esporre presentando la relazione del Direttore Mariotti, allorchè mi sarà pervenuta. IV. Bologna — Proseguendosi gli scavi nei terreni Benacci, nella prima set- timana del mese si scoprirono tre soli sepoleri combusti, e nella seconda altri otto incombusti. Cinque di essi rinchiudevano il solo scheletro con rozzi vasi; il sesto frugato antecedentemente conservava ancora pochi avanzi di ossa, pezzetti di vasi, ed uno specchio graffito; nel settimo si rinvenne lo scheletro con due orecchini d’oro, un anello di argento, e più vasi fittili di ordinaria fattura. Ma nell’ ottavo fu importan- tissimo trovare lo scheletro con ghirlanda di oro a foglie di lauro sul capo, avente a destra più vasi di bronzo, presso il cranio una patera ed una grande situla, ed ai piedi una lancia, una spada acuminata di ferro, una strigile in bronzo col marchio simile a quello riportato a pag. 82 ed una casside intattissima pure di bronzo, for- nita delle sue buccule e tutta piena di ornamenti. su — 265 — A due kilom. da Castelfranco, l’antico Forum Gallorum, inferiormente alla via Emilia, in un fondo di proprietà del sig. Cuccoli, si scoprirono per caso due sepolcri del tipo stesso di quelli di Villanova, ed ora per iniziativa del ch. Ispettore Goz- zadini si fanno pratiche a fine d’ istituire sistematiche ricerche nei luoghi vicini. V. Roma — Per formare il nuovo piano dell’area capitolina, sul lato di Aracceli sì continuarono a rinvenire mura antichissime di opera quadrata in pietra gabina, nonchè avanzi di sostruzioni, e mensole di pietra albana, con residui di mura la- terizie di tempi posteriori. Vi si raccolse fra l’altro un sigillo figulino con l’epigrafe FVNDVM : SILIANI.... Sul declivio del Quirinale, in continuazione della via Nazionale, di sotto alle fon- damenta degli edifizi, apparve il suolo vergine diviso in quattro strati, dei quali il primo alto met. 0.75 di cappellaccio, il secondo di met. 0.56 di terra vergine di- sciolta, il terzo di met. 1.40 di terra vergine compattissima, il quarto di argilla bian- castra. Nell’ altro taglio delle stesse terre, tra l’orto Mercurelli e la via Mazzarino, si scoprirono mura dell’ epoca costantiniana, con porta di mediocre grandezza ed arco piano, il tutto di opera laterizia. Ivi presso, aperto un profondo fosso per la fogna- tura, seguendo la linea della nuova strada, si rintracciarono grandi muri trasversi a breve distanza l’uno dall’ altro, appartenuti senza dubbio ad un edifizio privato, ricoperto poi nella costruzione delle Terme; e si terminò di rimettere a luce quei muri laterizii, che attaccandosi al raggio esterno della grande eredra, costituivano tre anditi con finestre, cortina e porte di comunicazione fra loro. Tra gli oggetti rinvenuti nei dintorni si notarono parecchi frammenti di vasi italo-greci; una testa di giovinetto in marmo statuario; un torsetto panneggiato in rosso antico ed un frammento d'’ iscri- zione in cui si legge: 0 1919000 das oraGssde suo DODOGDOOSOSOSOOO DSODO VELE GIORDANI REI * TIBERIVS - TRIB... A settentrione del Monte della Giustizia, sul lato che guarda la via di Porta s. Lorenzo, essendo da qualche tempo apparsi residui imponenti dell’aggere Serviano, con numero di filari maggiore che nei punti prima conosciuti, affinchè fossero salvate agli studi le notizie relative a così importante reliquia, ordinai che vi si facessero regolari ricerche per conto governativo. E vi si scoprì dapprima il cadavere di un giovinetto, avente presso il cranio due monete di bronzo, una mal conservata di Fi- lippo padre, l’altra assai ben mantenuta e rarissima, di Domizia moglie di Domiziano (cfr. conEN, tav. xvi. 10); indi a breve distanza, vicino ai ruderi di un muro a sacco presso il cominciamento delle strade, s’ incontrò un monumento di travertino di forma circolare, del diametro di circa met. 3.00, con due ordini di massi tagliati a segmenti di circolo, congiunti tra loro senza cemento. Continuate inoltre le ricerche presso l’ aggere, alla profondità di met. 5.60, fu- rono trovati residui di una casa privata, addossata al muro esterno di esso, con avanzi d’intonachi dipinti; e vi si raccolsero più pezzi di una fistula aquaria, utensili di erro, un’anforetta, tre orciuoli, i rottami di un fregio in terracotta con rilievi di PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.2 S4 — 2660 — scene altletiche (cfr. CAMPANA, tav. xcv), lucerne, e frammenti di vasetti di vetro, in uno dei quali si notano le lettere: M AR YLAE Ma non essendo ancora compiute le indagini intorno a quei resti antichissimi, ri- metto ogni altro particolare al tempo in cui mi sarà dato di presentare il tipo degli avanzi scoperti. Nel gettarsi le fondamenta della nuova Dogana municipale, sul confine dello stesso Monte presso le Terme di Diocleziano, s’ incontrarono latomie profondissime, simili a quelle rinvenute sotto il Ministero delle Finanze ed in altre parti dell’ Esqui- lino; nè molto lungi, nei lavori per la fogna a sinistra della via del Maccao, si rin- venne un pezzo di cornicione marmoreo, largo met. 0.90 alto met. 0.70, con foglie e rosette, dello stile attribuito generalmente all’epoca dei Flavii. Nelle nuove costruzioni sull’ Esquilino stesso, e propriamente nelle ‘aree corri- spondenti alla via Merulona ed alla chiesa di s. Eusebio, ove fu principiato lo sterro per le fondamenta dei grandi edifizi che occupar debbono due isolati, ricomparvero mura di fabbriche laterizie e reticolate, in vicinanza del così detto uditorio di Mecenate, presso la reliquia della cinta urbana di Servio. Lungo il lato sud della nuova piazza Dante, nell’area degli orti Lamiani, si tro- varono in una sala termale un frammento di statua virile; una statua acefala di Mi- nerva; altra statuetta acefala forse di Psiche con residui di ali sulle spalle; e pezzi di una statua maggiore del vero, ritraente forse un Fauno. In altro sito dei giardini medesimi si raccolsero cinque capitelli, una testa marmorea, ed una tessera di osso con qualche avanzo di lettere. Nell’isolato xv. è stata raccolta una statuina della Fortuna sedente; e nell’ iso- lato xI. della prima zona si rinvenne il frammento marmoreo: TELO IS A (GAUDIO, IVGERI - SEMIS : SEMV... CLVSVS - TERMINIS.... FICIO INTRA -QVO CIS =“ PATRICIO - ET. LO... AT - LIBERTOS - LIBE... Finalmente presso il Ninfeo, detto Tempio di Minerva medica, oltre un torso di Fauno, è tornato a luce un plinto marmoreo con l’iscrizione: QU CAECILIO || L- CLODIO RVFO [i Allargato lo scavo pel restauro dell’ abside o tribuna della basilica Lateranense, ricomparve un’ altra parte del musaico dell’ antico atrio della casa dei Laterani, in mezzo al quale eravi una vasca di forma circolare, del diametro di met. 3.50. Sulla destra della via di s. Giovanni, in continuazione del giardino già Tosti al Celio, nel locale segnato col num. civico 87, tagliandosi il colle per un nuovo casamento apparvero avanzi di vetuste costruzioni, massi spettanti a volte precipitate da gran- dioso edifizio, ed un lungo muro di mattoni spesso oltre un metro, parallelo al selciato — 2607 — dell’antica via. Tali avanzi prossimi a quelli, che fino a poco tempo fa erano visibili nel ricordato giardino Tosti, meritano senza dubbio la più alta considerazione, essendo in quei luoghi collocata dai Regionarii la casa dell’ imperatore Filippo, in prossi- mità delle Terme che da lui ebbero nome, e delle quali esistono tuttora considere- voli avanzi. In via dei Cerchi, essendosi principiati i lavori per costruire il grande collettore, che raccogliendo le acque dei nuovi quartieri dell’ Esquilino dovrà anche portare al Tevere quelle del Colosseo, innanzi al fabbricato distinto dal numero civico 20, alla profondità di met. 7.00, si scoprirono pezzi di un pavimento ad opus spicatum, e di due muri laterizii distanti tra loro met. 6.00, appartenuti forse a quel recinto con portici, ove trattenevansi i carri innanzi le carceri del Circo. Quivi poi alla profondità di met. 7.60 per tutto il tratto scavato, ricomparve una platea di tra- vertino, larga met. 4.80, con residui di scala formata a gradini della medesima pietra. Finalmente venne riferito, come al cominciare del mese nella contrada Tre fontane fuori Porta s. Paolo, per la strada moderna di Ardea, a sinistra della via Ostiense e nel punto detto ponticello di s. Paolo, tra le cave di pozzolana si fosse rinvenuto un frammento marmoreo alto un metro, contenente parte di un’ epigrafe riferibile al- l’anno 181 dell'e. v., importantissima per le feste matronali di cui fa ricordo. Tale epigrafe, secondo la trascrizione avutane dal signor A. Pellegrini, è la seguente: DESCRIPTIO FID....... OVAH.IN COHORTE......... CL: MAMERTINO [.......... CONSS MATRONAE CVM CARPENTIS .... SIONI ORI R. de, VI. Cassino — Nel proseguimento delle opere per la costruzione della nuova strada che condur deve alla badia di Monte Cassino, tornò a luce sul principio del mese un piedistallo marmoreo “alto met. 1.40, circondato da larga fascia o cornice, nel cui mezzo si legge: M - OBVLTRONIVS - CVLTELLVS PRAEP - FABR DIVI : CLAVDI : IVSSV - CAESARIS « DEDICA VIT Al di sopra di detta base è un incavo quasi quadrato, per posarvi Ja statua, collo- cata forse in un’ edicola o tempio che doveva trovarsi nelle vicinanze, ove tornarono a luce residui di antiche mura. VII. Piedimonte di Alife — Avendomi il ch. Mommsen notificato il rin- venimento di un nuovo pezzo del calendario di Alife, fui sollecito di chiederne un — 268 — apografo al sig. Giov. Gaspare Egg, il quale con molta cortesia ha voluto rispondere a questo mio desiderio, facendomi sapere che la pietra serviva ad un artefice per macinar colori, e che se ne deve la scoperta al sig. Matteo Angelo Visco, tanto he- nemerito delle antichità del suo paese. Il monumento importante per la ricchezza delle indicazioni, contiene i giorni 12-19 agosto, e si connette con l’altro fram- mento del calendario stesso serbato nel Museo nazionale di Napoli (cfr. Corpus tom. I. p. 299). cd HERCVLI . INVI.... .... ll 7 V.V.H.V.V.FELICIT.... ETDMI La VORTVMNO.IN AVENTINO . HERCVIL INVICTO.AD.PORT.TRICEMNAM.CAST. POLLVCI.IN CIRCO.FLAMINIO.V.AD ... MAXIMYVM ORTI, PORTVNO. AD PONTEM. AEMILIVM JANO.AD. THEATRVM ., MARCELLI DIVO. IVLIO AD FORVM CNR VIII. S. Maria di Capua — Scavandosi una fossa nel piano limitrofo al- l’Anfiteatro Campano, s’incontrò un antico muro largo met. 0.84, costruito di mattoni e di opera reticolata. Si trovarono poi otto pezzi di cornicione in marmo bianco, e diversi frammenti di cipollino, con due tombe addossate alla parte esterna del muro formate di tegole, presso le quali furono raccolti due teschi, un ago crinale, ed una anforetta. IX. Manfredonia — Essendosi istituito uno scavo nei ruderi dell’antica Si- ponto a piccola distanza dalla vecchia cattedrale, con lo scopo di costruire un pozzo, si scoprì il giorno 6 luglio un’ antico recinto, sostenuto da colonna di cipollino, su cui si lesse la importante iscrizione trascritta quì appresso : XIV — 269 — T: TREMELIVs T:L'ANTIOCHus AVENDI DUCA UNOATE ET-ARAM-DE LAPIDE : QVADE AEDIF - ET - OPEre TECTOR © PO Lien ET:SIGN-DIAN FAC: STATVEn DEDIC: DE :SVA PEC: CVRAVIT WES IS X. Pompei — Scavato il vicolo a settentrione dell’ isola 13. Regione VI, sul lato nord del vicolo stesso oltre le due iscrizioni dipinte già riferite, ne tornarono a luce altre molte che qui si ripetono, seguendo l’ordine loro da occidente in oriente. I. PIER in nero evanescente a grandi lettere. 7. CC COMISII ia. 2 HABITVS AE in nero evanescente. 8. RVSTI... in lettere nere scomparse. 3. PVIILATIIFIILATOR graffito leggerm. 9 "VETTI COR....AVGVSTAL... id. 4. NIICIIS a grandi lettere graffite. 10. epACATOS tracciato col carbone. 5. SINCTOLVS .; 11. CVrolVS va.... id. 6. NATN ia. 12. NOVITAS a grandi lettere nere. 13. . ARTIS OPVS QVERI/UY SCRIPTORI..... ET ESSE a caratteri piccolissimi in parte svaniti. 14. SAL graffito 15. SIICOVNDII NIL VIIRI 16. NIICIISITATIS Nel viridario medesimo della casa num. 16, descritta nel passato mese, fu rinvenuta un’altra anfora con la leggenda: ATTOANWNIAOY ANYATROS All’angolo nord ovest dell’isola stessa si scoprì una fontana, e nell’ angolo nord-est un castello aquario, presso cui trovasi un sistema di fistule plumbee per la distribu- zione delle acque. Trasportati i lavori nell’ Isola 14, sul pilastro angolare nord-ovest fu letto in rosso: CASELLIVM :- # SALVIVS.ROG XI. Selinunte — Intorno alle opere eseguite nel corrente anno, fino al tempo in cui fu necessità di sospenderle a causa dell’aria malsana, il ch. prof. Cavallaro, In- gegnere direttore degli scavi in Sicilia, ha presentata la seguente relazione. — Io) — « Gli scavi dell’acropoli di Selinunte cominciarono il 18 gennaio, con la superiore disposizione di preparare una o più rotaie pel trasporto del terriccio e di tutto il ma- teriale di riempimento. Scelto per luogo di scarico un punto prossimo ad una galleria sotterranea, che appartiene forse ad una piscina, segnata col num. 28 nella pianta di Selinunte pubblicata nel num. 5. del Bullettino della Commissione di antichità e belle arti di Sicilia, da questo punto, che è sull’ orlo meridionale della terrazza del- l’acropoli, e si alza sul livello del mare per circa met. 30.00, incominciarono i lavori. « Si distesero dapprima due ferrovie, una da sud a nord, per la lunghezza di m. 123.50, da essere protratta in modo da attraversare tutta quanta l’acropoli, pas- sando ad occidente del gruppo dei tempî; un’altra in curva con raggio di met. 85.00, che dallo scaricatoio s’immette tra il tempio antichissimo segnato col num. 23, e quello più meridionale portante il num. 25 della menzionata pianta, svolgendosi per met. 222.00, compresa una diramazione che s’ interna nel recinto sacro del tempio di Ercole. i «La città di Selinunte fondata nel 678, distrutta dai Cartaginesi nel 409, rioc- cupata dagli esuli sotto la condotta del siracusano Ermocrate, ripresa dai feroci Pu- nici, e spesso ceduta a questi dai tiranni di Siracusa, conservò sempre il tipo delle antichissime città greche. Forse prima della sua fondazione i dintorni ed il luogo stesso ove al presente esistono grandiose rovine, furono in potere dei Fenici, che stanziarono nelle spiagge e nelle isole adiacenti alla costa meridionale ed occiden- tale della Sicilia. < Però la civiltà greca assorbì ogni elemento; e dopo la distruzione di Selinunte, tuttochè la città si dovesse politicamente riguardare come greco-punica, le opere di arte figurata, e l’ architettura dei suoi tempî ed edicole, conservarono nell’ in- sieme il tipo delle arti greche, non avendo per fortuna subiti quei malaugurati re- stauri o riparazioni, che confondendo ogni cosa alterarono le genuine impronte del- l'antica bellezza. E valgano in conferma di ciò le stesse monete, che quantunque puniche, portano l’impronta medesima delle medaglie siracusane. « Gli scavi continuati per lo spazio di quattro mesi, non possono considerarsi che quali semplici lavori preparatorî, non essendosi istituite ancora le regolari indagini, ma ordinato quanto occorre per renderle fruttifere. Pur tuttavolta da queste opere medesime, consumate nel collocare la ferrovia, si ebbero non lievi risultati scientifici per scoperte topografiche e per rinvenimento di oggetti, i quali raccolti in 12 casse spedite al Museo nazionale di Palermo, trovansi descritti nell’annesso notamento. < Si estrassero dal taglio in trincea, per la collocazione della ferrovia in linea retta da sud a nord, metri cubici 2477 di terra e pietrisco, e si rimossero metri cubici 1377 di grandi pezzi squadrati. Le monete e gli oggetti trovati in questo taglio furono cosa di poco momento; ma la scoperta di una strada antica, selciata con pezzi irre- golari, da sud a nord nella direzione stessa della ferrovia, ed a poca distanza ad occi- dente del gruppo dei tempî e delle edicole dell’ acropoli, è un fatto importante per la topografia di Selinunte. « Quest’antica strada, che come grande arteria sembra dividere l’acropoli in tutta la sua lunghezza, s’incrocia con altra strada trasversale, per cui divisa l’area in quattro grandi sezioni, vien data una guida sicura per le ulteriori ricerche, — 271 — « Per giungere al più presto possibile presso il gruppo dei tempî, si collocò un'altra ferrovia di servizio in curva, e si estrassero perciò altri 2244 met. cub. di materiale; e verso la fine di marzo si pervenne alle vicinanze del tempio creduto di Ercole, a cui principalmente erano rivolte le cure, essendovi fondata speranza di rimettervi allo scoperto particolarità architettoniche della maggiore considerazione. «Il tempio di Ercole, o come altri dicono di Melkart, 1’ Ercole fenicio, è quello stesso in cui si trovarono le antichissime metope selinuntine, ed ove si erano ante- cedentemente scoperte tante particolarità architettoniche di epoca remotissima (cfr. le memorie pubblicate nel citato Bullettino n. 4, 5, 6, 7). Esso è collocato nel punto più alto dell’acropoli, e sovrasta il gruppo di tutti i tempî e delle edicole di questa parte di Selinunte, ove si suppone che abitassero le caste privilegiate dei suoi fondatori. «Spinti i lavori in queste vicinanze, poco prima di giungere all’Herakleion, si scoprì un muro, che divide l’acropoli in regioni (cfr. Bullett. n. 5, p. 5); e di questo muro, che corre parallelamente al tempio, e determina il lato destro di una grande strada tra il citato tempio di Ercole e l’altro più meridionale, cominciando dal baluardo orientale dell’acropoli, si scoprirono metri 200 circa senza alcuna interruzione, tranne quella del crocicchio della ricordata strada di sud a nord; traversata la quale si vide lo stesso muro proseguire nella direzione di occidente, probabilmente sino all’ estre- mità dell’acropoli d'incontro al Selinus. ; «La ferrovia in curva si tracciò con la previdenza di farla terminare tangente al descritto muro, per poscia continuarla in linea retta verso il baluardo orientale del- l’acropoli; e per penetrare nell’ Herakleion si dovette, per mezzo di un cambia-via, divergere la linea, utilizzando lo scavo col servizio contemporaneo di tre vagoni di trasporto del materiale inutile. » © e e eee eee e € ODIJue ABOS XI eeeeEeeEeOO=SS Ì ESnpayy iP esoUOSEUI PI PI x eT]o SPILLI] UI eu “a "006 mu vad gseaf pe Ja PP apuoTso 15 1]odo op, JI*P eijbeu inu e]]ep ojobue, ][ep ego cogue canpgg x UO 8 0SsIfejue catia ATII IS 940 mMbonq LÀ È IE. 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L’ antico milanese, il bergamasco, il bormiese, e forse anche qualche altra va- rietà di dialetto lombardo, hanno nella flessione verbale una peculiarità, che al mio parere viene da alcuni romanisti erroneamente dichiarata. Nella persona 1° del plu- rale questi dialetti insieme con un riflesso delle forme latine, quali si hanno gene- ralmente ne’ volgari romani, presentano come più specialmente loro propria una forma o dirò meglio un costrutto che si diparte manifestamente dai tipi latini della detta persona. E così, p. e. per rendere ‘noi portiamo’ l’antico milanese dice um porta e il bergamasco am porta 0 noter am porta. Nel bergamasco questo monosillabo am, quando è preceduto o seguìto da vocale, si riduce ad un semplice m; quindi per es. num porta, noi portiamo; noter m a portat, 'noi altri abbiamo portato’. Il Biondelli nel suo Saggio sui dialetti gallo-italici, p. 16, toccando di questa singolarità verbale nel bergamasco dice che questo dialetto « ha un modo strano di « formare la prima persona plurale nei verbi, interponendo fra il pronome ed il verbo ». In ambedue i lati (del pozzo) e nella parte posteriore innal- zavasi una fabrica di mattoni quadrata co’ muri di 1 palmo di grossezza, divisa nel mezzo da una iscrizione scolpita in travertino (C. J. L. VI 67) onde formava due nicchie. Nell’ angolo sinistro del nicchio inferiore eravi piantata un’ ara di peperino con iscrizione. (Ivi 66). Amendue contenevano dedicazioni votive alla Buona Dea da Marco Vezzio Bolano, e da un Clodus in tutelam insulae Bolanianae. Ora il Canina tace dell’uno e l’altro importantissimo monumento. Altrove, egli occupa con le linee dei septi Giulii tutta 1’ area del Collegio Romano. Ora le memo- rie del p. Donati, che son nelle mani di tutti, descrivono con rara precisione le ro- vine di terme private, di case adorne di pavimenti a musaico, etc., tornate in luce nel gittare le fondamenta della chiesa di s. Ignazio. Così pure egli occupa con parte delle terme di Agrippa l’area del palazzo Serlupi in Via del Seminario. Ora nella tav. x1x del n volume delle antichità del Piranesi è incisa la pianta di un elegantissimo pe- ristilio di privato edificio, scoperto e misurato nello scavare i sotterranei del palazzo. — 301 — 10. Vi mancano le indicazioni di quei monumenti la cui esistenza, e la cui posizione è indicata dalle iscrizioni con assoluta certezza. Nomino a cagion d’esempio la casa degli Aradii sul Celio, quella dei Simmachi nell’orto Teofili, quella dei Turci Asterii alla Subura, quella di Adrasto custode della Colonna di M. Aurelio: il gin- nasio o schola degli atleti nell’orto di s. Pietro in Vinculis; le stazioni de* vigili ete. le sedi dei collegi dei Fontani, e dei Fulloni presso s. Antonio all’Esquilino, gli allog- giamenti degli Equiti Singolari presso la Cappella Corsini al Laterano, etc. 11. Vi mancano le indicazioni di scoperte di monumenti non architettonici, dalle quali la topografia può trarre, nondimeno, utili rivelazioni. A sì fatta classe appartengono le fistole aquarie scritte, i cippi terminali, i labri da bagno, le basi onorarie quanto non contengano l’indicazione di esser state erette in luogo publico, marmi grezzi spettanti ad officine marmorarie, i depositi di scheggie di figuline, i ripostigli di sacre favisse etc. 12. Finalmente vi mancano le indicazioni di quegli edifici de’ secoli di mezzo, specialmente dei sacri, i quali hanno stretta attinenza con la topografia classica. Basta percorrere il Mugnus Catal gus ecclesiarum romanarum del Zaccagni, edito dal Mai, per convincersi quanto grave lacuna sia questa che deploriamo nelle tavole del Canina Qual’altra memoria ci rimane, per esempio, del sito delle posterule lungo la spon- da sinistra del Tevere se non nel titolo dn posterula attribuito ad oratorii Cristiani ? E qui potrei mentovare i titoli di S. Cirîacì în Thermis, s. Mariae in porticu, s. Gregorii in Clivo Scauri, s. Thomae juata formam ovvero in formis, s. Nicolai in porci- libus, s. Stephani de Marima, s. Viti in Macello, s. Georgii ad velum aureum, s. Sal- vatoris de Statera etc. le cui attinenze topografiche non è d’uopo ch'io illustri con soverchie parole. Ho ragionato fin qui dei difetti che rendono meno importante la opera del Canina: per la sola ragione di trarne ammaestramento pel mio lavoro. Ma non intendo con ciò unirmi alla schiera di coloro i quali specialmente d’oltremonte dileggiano e disprez- zano la memoria dell’insigne topografo. Le opere da lui legate alla scienza costitui- ranno sempre il punto di partenza delie nostre prattiche investigazioni: ed anche quando egli propone semplice congetture i fatti e le scoperte recenti son tornati quasi sempre a conferma della sua sagacia. Che se la sua pianta è divenuta oggi la meno utile delle sue opere, ciò dipende in gran parte dall’immenso sviluppo che le scoperte topografiche hanno raggiunto in questi ultimi anni. Aree importantissime siscome quella del palatino, del foro romano, e delle regioni seconda, quarta, quinta e sesta sono state più o meno completamente esplorate: mentre, d’altra parte, le ricerche critiche e filologiche sui testi degli scrittori e delle epigrafi hanno progredito fin quasi ai limiti del possibile. E qui cade in acconcio di mentovare con la debita lode l’opera recentissima dello Jordan, intitolata Forma Urbis Romae nella quale non saprei qual cosa mag- giormente encomiare: se la germanica precisione delle ricerche, la dovizia e la solidità della topografica erudizione, l’eleganza e la ricchezza della forma. ll ch. Jordan non solo ha sottoposto a critico esame i frustuli anche più minuti della pianta marmorea, ricercandone la pertinenza e la correlazione con gli altri frammenti: non solo ha illu- strato con nuove peregrine notizie le tavole maggiori e più note: ma ha facilmente — 302 — ricostituito l’intiera pianta, assegnando alle singole icuografie il posto loro spettante: di guisa che ora soltanto questo insigne documento può ritenersi per veramente e sommamente utile al nostro lavoro. Se io dovessi qui enumerare le altre opere topografiche di recente, o non remota publicazione varcherei i limiti prescritti al mio ragionare senza punta esaurir l’argo- mento. Ma non posso tacer di una fonte dalla quale possono attingersi infinite notizie risguardanti la topografia; e che per mala sorte non è stata fino ad ora conveniente- mente esplorata (almeno sotto questo punto di vista) con sistema uniforme e gene- rale: vo dire de’ codici, de’ manoscritti, ed anche delle schede originali lasciate dai dotti che fiorirono dal secolo XV° al principio del nostro: documenti dispersi per tutte le biblioteche d’Europa — e dei quali ogni giorno vannosi discoprendosi nuovi saggi. Basti consultare l’elenco dei principali redatto dal ch. Matz per persuaderci di quanta utilità può esser ferace il loro studio accurato. Per vero dire io non dovrei mentovare i codici principalmente epigrafici, quali i vaticani del Signorili, del Poggio, del Metello, del Latini, de’ due Aldi, del Panvinio, del Ciacconio, del Grimaldi, del Marini: e i Barberiniani del Morone, del Torrigio, del Donio, dell’Ugonio: e i Chigiani di varii collettori, e i Vallicelliani dei primi esploratori della Roma Sotterranea, e le carte Capitoline del Valesio, e cento altri monoscritti delle biblioteche di Firenze, di Napoli, di Torino, di Milano, di Venezia, di Cingoli, di Basilea, di Bruxelles, di Berlino, di Parigi, di Oxford, di Windsor, perchè i volumi e le schede del Corpus Inscriptionum Lat. et Graec. mi fornirebbero tutte le oppor- tune indicazioni senza grave fatica. Nondimeno i codici originali contengono oltre alle notizie epigrafiche molte altre esclusivamente topografiche, delle quali lo spo- glio o non è fatto o non è pubblicato. Se a questa categoria aggiungiamo i codici principalmente topografici, quali quelli di Francesco di Padlo Giamberti da Sangallo (Roma) di Giuliano da Sangallo (Siena) di Baldassarre Peruzzi (Siena: Uffizi) del Ligorio (Roma Napoli Torino Oxford) di Fulvio Ursino (Roma) del Boissard (Metz) di Francesco di Giorgio Martini (Siena) ed altri: è manifesto quanto grande sia l’im- portanza di questa fonte a cui a pena attinsero fino ad ora topografi. Ma è tempo che io cessi dall’occuparmi delle altrui opere, per esporvi qual sia il sistema da me adottato nella delineazione della pianta di cui ho l’onore di presentarvi un saggio, tuttavia incompleto. Le norme con cui il mio lavoro è diretto son le seguenti: 1. I fondamento della pianta sono le linee della città moderna, quali esistevano al principio dell’anno 1870, delineate a semplice contorno rosso. Ho prescelto questa data particolare, perchè in quest'epoca conservavansi tuttavia alcune linee di sommo valore, testimonii o capisaldi importantissimi dell’antica topografia. Nominerò, fra molte, le vie di Porta maggiore, di s. Bibiana, di s. Matteo in Merulana, la Labi- cana, quella di s. Stefano Rotondo, la via del Maccao etc., corrispondenti quasi esat- tamente alla direzione di altrettante antiche strade. 2. Parimenti a semplice contorno vi sono indicati inuovi quartieri, le nuove costruzioni, le modificazioni parziali di strade: ma con tinta leggermente diversa onde non ingenerare confusione là dove le nuove linee si sovrappongono alle antiche. Tali indicazioni son necessarie onde aver una base di riferimento per le scoperte avvenute ne’ nuovi quartieri, — 303 — 3. Alle semplici linee di perimetro ho azgiunto le piante a contorno di tutte le chiese urbane e di tutti quegli edifici publici e palazzi che sono delineati nelle opere del Letarouilly, del Fontana, del Falda, del Bunsen (Die Basiliken). La ragione che mi ha consigliato ad adottare questo partito si è che tutti o presso che tutti gli accennati edifici contengono opere d’arte preziosissime, e monumenti tanto antichi quanto del rinascimento: e poichè nei fascicoli che illustrano ciascuna tavola, divulgo quasi in appendice la loro statistica, così mi è sembrato opportuno poter indicare anche il sito: preciso del loro collocamento, onde facilitare la loro sorveglianza alle autorità che ne hanno l’ufficio. 4. La proporzione della pianta è di un millesimo del vero, quella cioè delle tavole censuali. Di queste mi sono valso generalmente quando ne ho potuto verificare la precisione: ma non posso nascondervi come sovente esse si allontanino soverchia- mente dal vero. Neon parlo di questioni di dettaglio : poichè, per esempio, delie 300 torri del recinto di Aureliano e d’Onorio non una sola vi si trova rettamente collo- cata, ed in giusta proporzione: ma vi abbondano altre irregolarità di maggiore impor- tanza e di più difficile correzione. Così per esempio quel tratto di cortina ove è compresa la porta maggiore ed il rivo della Claudia ed Aniene nuovo, è inclinata di circa 12° dalla vera linea. Mi è talvolta avvenuto di misurare con cura monumenti di considerevole estensione, come sarebbero gli archi neroniani nell’orto già Strozzi, e di non aver trovata nelle tavole censuali spazio sufficiente per collocarli. La neces- sità di studiare queste correzioni mi ha rapito molta parte del tempc che avrei potuto più utilmente consacrare al rilievo delle antiche rovine: ma mi è grato dichiarare di aver già recato a compimento questa parte men grata del mio lavoro almeno per ciò che spetta alla regione cistiberina. o. Per ciò che riguarda poi l’altimetria del suolo, elemento importantissimo per le nostre ricerche avrei potuto seguire il sistema più perfetto delle curve orizon- tali, valendomi degli egregi lavori già eseguiti dal p. Secchi, dal ch. Canevari, dalla scuola degli ingegneri, dallo stato maggiore. Ma la tema di moltiplicare e sopraporre linee a linee mi ha indotto ad indicare l’altimetria con semplici numeri riferiti al livello del mare, seguendo il sistema adottato dall’ufficio tecnico municipale. Questi numeri son rossi, o turchini secondo che si riferiscono alla città del 1870 ovvero al nuovi quartieri. 6. Su questa specie di orditura dispiegasi la topografia dell’ antica città, il cui tipo, o fondamento sono gli edificii imperiali dal secolo I° a tutto il secolo V°, delineati in nero. Questa tinta indica o gli avanzi tuttavia esistenti: o quelli scoperti o distrutti quasi direi sotto i nostri occhi: o quelli intorno la cui precisa disposizione abbondano documenti di fede non dubbia. Seguono i monumenti intorno ai quali abbiamo bensì autorevoli testimonianze, ma che furono distrutti in epoca troppo da noi lontana per poterne conoscere tutte le singole particolarità. Reco ad esempio l’ arco così detto di Portogallo, il tempio di Minerva nel foro Palladio, il pronao del tempio di Romulo, il cosidetto frontispizio di Nerone, il tempio d’ Ercole al foro boario. Questi edifizii sono indicati con mezza tinta. Alla terza categoria spettano gli edificii di cui si conoscono soltanto il sito a preciso e la disposizione generale senza altra particolarità. Tali sarebbero la Meta di Borgo, gli archi di Fabio, di Lentulo, di Graziano e Valentiniano, di Claudio, la sta- zione della 2° e 5° corte dei vigili, parte degli archi celimontani, un numero infinito di strade, di insulae, di case patrizie ecc. ecc. — Questi saranno ricordati nella pianta con semplici linee di perimetro, o contorni punteggiati — o con un numero da richia- marsi nel fascicolo illustrativo. 7. Quanto ho fin qui ragionato intorno le fabriche imperiali, vale anche pei monumenti republicani e del medio evo, indicati rispettivamente con tinta, mezza tinta, linee, punti e numeri di color sepia se republicani, lila se medioevali. To stesso ho disegnato sul posto, e trasferiti nelle tavole i monumenti descritti — attenendomi sempre alla rigida esposizione dei fatti — e resistendo sempre alla potente seduzione di completare linee, ed edifici che quasi spontaneamente si com- pletano da loro stessi, eccetto nel solo caso di alcune terme perfettamente simme- triche. Quant’ardua opra ciò torni alle deboli forze di un solo individuo, è pur facile immaginare. Cito ad esempio le mura urbane, monumento ancora inedito, se si eccettuino i tipi conosciuti di alcune porte. La linea interna ed esterna sviluppa una lunghezza complessiva di oltre a 70 kilometri, che mi è convenuto misurare palmo a palmo, distinguendone la varia costruzione, la varia grossezza, tutti i più minuti dettagli di torri, di feritoie, di scale, di gallerie, di pilastri, di contrafforti ecc. Ho tratto nondimeno vantaggio dagli studii de’ miei predecessori e de° miei con- temporanei solo in quei casi nei quali sarebbe apparsa stoltezza o presunzione di ri- fare lavori meritamente ammirati per precisione, e per iscienza — Le monografie di Abele Bloitet sulle terme di Caracalla, del Bianchini e dello Scellier de Gisors sul palazzo de’ Cesari, del Raoult sulle terme di Tito, del De Romanis sulla casa aurea di Nerone, del Bartoli sui sepolcri, del Bianconi sui circhi, del Rohault de Fleury sul Laterano, del Valadier sugli edificii scoperti al tempo dell’ occupazione francese, . ‘del Contigliozzi sui portici di Ottavia, del Rossini sugli archi di trionfo, del Bunsen sulle basiliche cristiane, alcune pubblicazioni speciali dell’ Instituto di Corrisp. Ar- cheologica, del Bull. di Arch. Cristiana, del Bull. della Comm. Arch. Municipale, della Beschreihung e altre poche del Piranesi, dell’Uggeri, del Desgodetz, del Canina, hanno fornito al mio lavoro materiali eccellenti, la cui provegnenza sarà indicata nei fascicoli illustrativi. 8. A questo gruppo di indicazioni topografiche aggiungo: a) L’altimetria della antica città, e della medioevale in tutti quei punti ove abbiamo potuto rilevarla; ed io spero che questa non sarà la parte men vantaggiosa del mio lavoro. I costruttori di nuove case e di nuovi quartieri, gli ingegneri inca- ricati dell’abbellimento della città, non solo avranno in tal guisa il mezzo di risol- vere soventi volte il problema della profondità delle fondazioni, e delle condizioni del sottosuolo, ma forse potranno altresì evitare quelle difficoltà che tuttodì ritardano od impediscono il progredimento dei lavori edilizii. b) I trovamenti di iscrizioni, incise in pietra, in marmo, o in bronzo scritte o con lo stilo o pennello, fuse in piombo ecc. dalle quali può trarne vantaggio la topografia. Essi sono indicati con segno convenzionale accompagnato dal numero di riferimento. — 305 — c) Al modo istesso sono indicati i trovamenti di scolture, di rilievi, di cimeli, che hanno carattere monumentale riferibile ad un dato edificio. 9. I differenti piani di ciascun edificio, allorchè è possibile rintracciarli, sono indicati in modo da porre in evidenza quello che sembra più importante, lasciando in seconda linea le sostruzioni, le volte superiori ecc. 10. Finalmente ho escluso dalle mie tavole qualunque indicazione scritta, ad eccezione dei nomi delle strade moderne, senza le quali tornerebbe difficile trovare i riferimenti degli antichi edifici. Due ragioni mi hanno indotto ad abbracciare sì fatto partito: in primo luogo il desiderio di schivare la confusione prodotta dal sovrapporre la scrittura alle icnografie già troppo complicate di per sè stesse, massime nel caso della coesistenza di parecchie costruzioni affatto diverse nel medesimo luogo. Reco ad esempio la basilica di S. Clemente, e l'angolo S. E, delle terme Costan- tiniane. La prima ricuopre una più vetusta basilica; una casa privata degli inizii del III° secolo; ed uno sconosciuto vastissimo edificio de’ tempi republicani. Al di- sotto poi delle terme Costantiniane stiamo attualmente esplorando i resti della casa degli Avidii Quieti e de’ Claudii Claudiani; i quali ricuoprono alla lor volta alcune celle costruite sotto i primi Antonini: ed una più vetusta costruzione di opera qua- drata. È facile per conseguenza imaginare qual confusione nascerebbe dall’attribuire a ciascuno dei quattro edificii sovrapposti la propria indicazione. Il secondo motivo dell’ accennata esclusione è anche più grave. La mia pianta ed i fascicoli illustrativi non debbono contenere alcun elemento che possa attribuirsi ad opinioni individuali. Ora io non ho d’uopo rammentarvi o signori quanto fre- quenti sieno i casi in cui le opinioni dei topografi sieno discordi nell’ attribuire una denominazione ad un dato edificio. Basti il dire che il solo tempio perittero esistente sulla piazza di S. M. in Cosmedin conta sette denominazioni diverse e tutte più o meno speciosamente sostenibili. Ora siffatte questioni debbono rilegarsi ai fascicoli di illustrazione: nei quali io non potrò certo abbandonarmi a disquisizioni che non hanno termine, ma mi limiterò ad esporre il semplice catalogo delle fonti da cui gli stu- diosi possono attingere le opportune notizie. Del resto le mie tavole riceveranno illustrazione da fonte hen più autorevole. Il codex topographicus Urbis Romae, alla cui compilazione attende da lungo tempo il mio illustre maestro comm. de Rossi, sarà per così dire il complemento di questo mio modesto lavoro. E se, con il potente e validissimo soccorso di quei sommi scien- ziati che fino ad oggi mi furono cortesi del loro consiglio e del loro aiuto e che io spero mi sieno per accordare in avvenire, io potrò recare a compimento la mia pianta contemporaneamente alla apparizione del codex topographicus, io mi terrò pago di aver arrecato in sì propizia occasione anche il mio piccolo contributo alla ricostituzione dello splendido edificio della romana topografia. PARTE TERZA — Von. III. —SERIE 2.8 39 — 306 — Notizie degli scavi di antichità comunicate dal socio G. FIORELLI al Presidente nel mese di ottobre 1876. SETTEMBRE I. Torino — Gli scavi in Monteu da Po, nel sito dell’antica Industria, inco- minciati negli ultimi giorni di agosto, si continuarono in tutto il mese di settembre sotto la direzione del ch. prof. Ariodante Fabretti, che volle esplorare i terreni lungo la strada già provinciale, ove il conte di Lavriana non aveva estese le ricerche. La pianta degli edifici da lui scoperti fu accresciuta di qualche tratto di muro; e molti pezzi di marmi, di bronzi, di ferro, di terracotta e di vetro si raccolsero. Tre mo- nete di bronzo del maggior modulo appartengono a Nerva, a Traiano a Gordiano, a cui pare si riferisca un frammento d’iscrizione marmorea. Si trovarono altresì figuline pregevoli per ornati o per bolli, i quali ultimi saranno illustrati dallo stesso prof. Fa- bretti allo espletamento dei lavori. A II. Ventimiglia — Nella pianura terminata dal fiume Roia a ponente, e dal torrente Nervia a levante, ove si estendeva la maggior parte della città degli Inte- melii, scavandosi le fondamenta per un edificio di proprietà del sig. Antonio Balestra, non lungi dalla stazione ferroviaria internazionale, alla profondità di un metro e mezzo, s’ incontrarono sode e robuste mura, in diverse direzioni ramificate, fra le quali, commiste a molti cocci, si rinvennero due capaci diote, due monete di bronzo degli imperatori Claudio e Nerone, molte laminette metalliche ossidate, avanzi senza dubbio di vaso frantumato, e parecchi embrici. Nel punto intermedio della pianura, ove si è maggiormente accumulata l’arena, nello scavarsi un pozzo, alla profondità di met. 4,50 si trovò un altro muro dello spessore di met. 1,20, che correva da levante a ponente; e mentre si attendeva a demolirlo nella parte che aveva forma di pilastro, si scoprirono alcuni tegoloni sotto cui stavano due grosse olle ripiene di ossa bruciate, unitamente ad unguentarii di vetro a lungo collo, alcuni interi ed altri ridotti a massa informe per cagione del calore. Eranvi pure frammenti insignificanti, e tre lucerne fittili, in una delle quali l’Ispettore degli scavi prof. Girolamo Rossi notò il bollo STROBILI. Il medesimo Ispettore, che niente tralascia di quanto può accrescere la notizia archeologica e topografica della regione affidata alle sue cure, riferisce come pei recenti lavori di restauro, eseguiti nella cattedrale di Ventimiglia sotto la direzione dell’illustre conte Arborio Mella, siasi potuto confermare quanto viene ripetuto dalla tradizione paesana, che cioè quella chiesa fosse eretta sopra gli avanzi di un tempio romano. Apertosi un largo scavo nel coro, alla profondità di alcuni metri si presentò un'abside di rozza costruzione longobarda, rischiarata da due finestre a feritoia, con — 307 — resti di un altare, e tracce di una iscrizione in rosso quasi del tutto svanita, che fra geminati interlinei dello stesso colore, ricorre sul pilastro posto a sinistra dell’altare medesimo. Accurate indagini condussero a riconoscere in quel luogo i residui di una chiesa più antica, eretta forse verso il VII od VIII secolo, secondo può arguirsi da numerosi frammenti di fregi, in alcuni dei quali vedonsi croci chiuse in ornati circo- lari, che con molti listelli si intrecciano in nodi, e si alternano con pampini e grap- poli in graziose forme. E che questa chiesa primitiva fosse costruita sopra i residui del tempio pagano, parve al lodato Ispettore essere comprovato dalla scoperta di un muro, con quadrati e mattoni di epoca romana, e sopra tutto da un frammento di iscrizione di buona epoca, ove le due lettere superstiti 95 per la loro forma e gran- dezza si rivelano appartenute al titolo dedicatorio di qualche importante edificio. III Concordia — Essendosi recato a visitare gli scavi del sepolereto sul prin- cipio di agosto il ch. Mommsen, accompagnato dall’ Ispettore Bertolini, potè egli completare la iscrizione, copiata solo a metà dell’Ispettore stesso, e pubblicata nel Bull. Inst. 1876. p. 81. n. 1. In tal modo la lezione dei due primi versi rimane confermata: FLAVIO LAVNION! SEMAFORO DENVMEROBATAORIVNI ete. e la voce semaforo viene forse ad indicare uno di quegli impieghi secondari nella fabbrica di armi, segnalato dal Bertolini nelle voci semissalis e semtorala delle epigrafi concordiesi edite nel decorso anno (Bull. Inst. p. 113. n. 52. 53). Coll’aiuto dello stesso prof. Mommsen fu accertata la lettura dell’altra epigrafe, scoperta nel maggio, e poi sommersa nuovamente, la quale aveva lasciato forte dubbio per le ultime sigle. Esse, a giudizio dello stesso Mommsen, potrebbero interpretarsi: ITE(m)Q(ve) Q(v0d) S(upra) NOSTRIS LICEAT. FLARISTOARCHIATERFIDELIS E T AVRVENERIAE FIDELIS CONIVGES CARISSIMI ARCAM CORPORALE DE PROPRIOSVOVIVI SIBI CON PARAVERVNT SI QVIS POST OBI TVMEORVM EAM APERIRE VO LVERIT DABIT REIPVBLICAE SOLIDOSL'X XX°CIE9IISNOSTRIS LICEAT Nel dare tali comunicazioni l’Ispettore Bertolini fa conoscere, che l’epigrafe edita nelle Notizie di maggio (p. 65. cfr. Bull. Inst. 1876. p. 87. n. 7), deve leggersi nel primo verso M: ATERI; e che si completa nel modo che segue la bellissima iscrizione di Flavio Atalanco (cfr. Bull. Inst. 1874. p. 82. n. 22), la quale è finora la sola, ove si riproduce la sentenza, che Severo Alessandro, avendola imparata dai giudei o dai cristiani, secondo il suo biografo, et în palatio et în publicis operibus praescribi vusserati a o FL-ALATANCVS DOMEST : CVM CONIVGE SV BITORTAARCA\ DE PROPIO SVO SIBI CONI PARAVERVNT PETIMVS OMNÎM CLERVA ET CVNCTA FRATERNITATEM VT NVLLVS DE GENERE NOSTRO VELALIQVISINHAC SEPVLTVRA PONATVR SCRIPTVM EST QVOD TIBI FIERI NON VIS ALIO NE FE CERIS A compimento di queste correzioni il lodato Bertolini aggiunge, come essendosi per consiglio dello stesso prof. Mommsen studiata nuovamente l'iscrizione pubblicata nello scorso anno (Bull. Inst. p. 113. n. 52.), si trovò che nel primo verso invece di EOVIVM deve leggersi EQVITVM, sicchè la lettura dell'intero titolo resta fissata: FL: SAVME BIARCO DE NVMEROEQVITVMBRACCHIATORVM ARCAMILLIEMERVNT FRAEERVIAX - ET EVINGVS SEMTORALA GILDVS BIARCVSSIQVISILLAMAPERIRE VOLVERIT DABIT FISCO AVRI LIBRAM VNAM Sulle urne aggruppate nel lato nord-est si scoprirono poi le seguenti iscrizioni, tra le quali quella segnata al n. 4, non rilevata per intero a causa delle corrosioni, è importantissima per la qualità della pietra in cui è scolpita, e pel lavoro; inoltre la forma intrinseca ed estrinseca del titolo si mostra di qualche secolo posteriore ai precedenti, il che farebbe credere essersi per molto tempo mantenuta in Concordia la famiglia CICRIA, di cui porta il ricordo. Se non che il benemerito Bertolini non osa affer- mare con tutta asseveranza, che il nome sia propriamente CICRIVS VRSVS, quantunque tale sia apparso ai suoi occhi, ed a quelli dei suoi amici: 1. CICRIAE EVTYCHIANE IVLIVS YPERAN THES CONIVGI LARISSIME CASTISSIMEQVE CICRIVS EVTYCHES ET CICRIA MANSVETA PARENTES RATA DVLCISSIME 2. CICRIAE- MANSVETAEK 3. ..... CICRIAR EVTICHIDI CONIVGI- INCONPARABILI CICRIVS :- HERACLEON CONIVGI PATILIVS CICRIVS EVTICHES DVLCISSIMAE 4. CICRIVS VRSVS CON 5. CAEMZOSIMO FIL P PARAVIT ARCA SIBI ET QVIVIXITA NN VIMXID rain e, o CONIVGI XIIICAEMZOSIMVS Rai dit OSIQVI ETVETT-CHARIEPAR i pnt APERIRE DECIO AE CRE MIO AO OO Le ARS OEOI — 309 — Si trovarono poi sotto il livello delle tombe dei militi, i seguenti avanzi di epigrafi, appartenenti al sepolcreto più antico: 6. FABIARBIS\VI!NAE in una tomba senza altre aggiunte, cioè: Fabiae Paulinae. CEN scolpite per l'altezza di met. 0,23, sopra un gran masso profondo met. 1,00, lungo met. 0,75, largo met. 0,47, importato nel sepolcro per farne fondo di tomba. T. TU MIT: ATA 8. CASSIAF... 9. FABIVS FC 10. ...RTORIA VIVA SIE con altri frammenti insignificanti, sui resti di davanzali di altre tombe; e finalmente il titolo assai corroso: 11. "=== PX AEITLNHC 68) \ ) TO) FA MERMIANIe o | ga Tae Pi CIS one i | All’angolo sud-ovest fu rimessa a luce una tomba, con la seguente iscrizione: AYP MAKEAONIOCABBIBAA MOEnNOIKIoYFENNEOYOoPLUNAMAM p ELUNENOAKATAKITEEANTICTOA . p MHCIANYZETHNARKANTAYTHN ANEYTLUNEIAILUNAYTOYALUCIT LLIEIEPLUTAMILUXPYCOY/Xt MIAN — 310 — Dal medesimo sig. Bertolini si ebbe in seguito la copia di altre due epigrafi, accompagnate dalle seguenti dichiarazioni: NOTARI E | Javenarianoerioe || Maser INTO NUA TT OA NETA MIOY I E NoIKIOYCEKAAWPWNXPFXF Val AMAMEWNKOMHCCYPIACCAN TICTOAMHCH# NC WPON RA ENOAAEKATAKIT E AYPEYPANICYIOCHPAC KWNAWNATTOKWMHC ETO CACXWNOPWNETTIDANE YC LWNTHCKYAHCCYPIACCAN Y\H TICTOMHCHANYZHTWNCO PONTOYTONAOYNEAYTWN TWEIEPWTAMIWXPYCOYKA < In riguardo all’èra segnata, il ch. Mommsen la ritiene siriaca, e perciò relativa all'anno 738, che risponde al 426-27 di Cristo, cominciando l’anno siriaco col primo di ottobre. Avendo egli avuto sott’occhio l’originale dell’altra epigrafe greca pubbli- cata anteriormente (cfr. Bull. Inst. 1874. p. 44. n. 21), avvertì che ivi l’anno è dato colle lettere A K Ye non A K Y, come si lesse sul calco inviato; e però rifiu- tando tutte le dotte congetture dell’Usener, svolte nella lettera riferita nel Bullet- tino, per far risalire quell’epigrafe al 37 ®/, dell’èra volgare, riconobbe nelle note l’èra siriaca, e vi lesse l’anno 721, rispondente al 409-10 di Cristo. Ed a tale opinione è forza attenersi, poichè sarebbe impossibile conciliare l’epoca attribuita all’epigrafe dall’ Usener, col monogramma costantiniano che vi è sopra improntato, e colle cir- costanze del luogo e della persona. Abbiamo dunque in tutte queste lapidi la conferma della congettura, che il primo piano del sepolcreto ha la vita di circa un secolo, dalla metà del IV alla metà del V, cioè dal tempo in cui la nuova fede cominciò a mostrarsi senza riserve in ogni luogo, fino all'invasione degli Unni, che distrussero le città fiorenti in quelle contrade, gli abitatori delle quali, rifugiati nelle isole della vicina laguna, posero le fondamenta — 311 —- è di Venezia. Si è detto il primo piano del sepolereto, perchè vi sono nella parte . settentrionale non poche tombe in un livello inferiore di oltre un metro, le quali portano l'impronta di qualche secolo prima, sia per la forma intrinseca ed estrinseca delle epigrafi, sia per la pietra su cui sono tagliate. Di tale sepolcreto primitivo, sospettato dal comm. G. B. de Rossi, ho fatto cenno nel Bullettino dell’Istituto del maggio 1875. Ho pure esternato altrove l’avviso, che i seguaci della nuova religione nell’apparecchiarsi gli avelli, non facessero scrupolo sulla natura dei materiali che usavano all'uopo, mettendo in opera senza riguardo i monumenti della Concordia pagana, per fare il fondo e talvolta anche le pareti alle loro tombe. Questa opinione non ha incontrato il plauso del lodato comm. de Rossi, alla cui autorità professo l’ossequio più profondo; ma non so escogitare un’altra ipotesi, che mi renda ragione delle bellissime epigrafi ed importantissime, intere o frammentate dell’ epoca degli Antonini, dei bassorilievi, architravi, capitelli, colonne che si rinvennero fra i mate- riali di supporto; nè della lapide di L. Caecilius L. L.... (cfr. Notizie del maggio p. 65), convertita a formare il fianco di una tomba di rappezzi; nè del come il giorno 24 settembre mi si sia mostrata sul fianco di un’altra tomba, formata con cinque pietre, la seguente epigrafe, scolpita in magnifici caratteri sopra una cassa, che misura in lunghezza met. 1,75, in altezza 0,75, epigrafe preziosa per la storia locale, aggiun- gendo un seviro ai pochi di cui ci resta memoria: T-VALERIVS:T-F-CLA ROMVLVS- IMI VIR P-Q-Q:V:XX IV. Bologna — Gli scavi del pubblico giardino, ripigliati sul finire di agosto, rimisero in luce 42 sepolcri, dei quali quattro soli combusti. Il primo di questi aveva le ossa in una kelehe a figure rosse, il secondo in grande dolio coperto da sfaldature di arenaria, il terzo in una bella e grande cista di bronzo, con vasetti e due fibule di argento, il quarto finalmente consisteva in una grande fossa rettangolare con pochi frammenti di vasi bruni. Nelle altre tombe si trovarono avanzi di vasi figurati, ed uno scheletro col capo a ponente, che aveva presso la mascella inferiore un gioiello d’oro di squisita bellezza, ed una collana a pendagli di ambra, due dei quali grandissimi ed in forma di animali. Unitamente ai vasi dipinti si rinrenne un’ anfora, portante nel concavo del piede le lettere NOTI. V. Bazzano — Le ricerche intraprese nel sito detto la fornace Minelli die- dero da principio la scoperta di una tomba, ove rimanevano solamente pochi avanzi fittili, ed un frammento di fibula di bronzo, per cui fu creduto quel luogo già anteriormente frugato. Si incontrarono poi alla profondità di met. 1,25 tre altri sepoleri, donde si trassero ossa combuste, con molti frammenti di vasi, schiacciati tutti dal peso della terra, e non meritevoli di considerazione, se si eccettuino alcuni pezzi con giro di lineette graffite. Continuate le indagini nel terzo, si rinvenne un vaso della forma delle ciste a cordoni, simile al noto vaso di Villanova e di altri due sco- perti a Bazzano (cfr. Crespellani, Sepolcr. di Bazzano, tav. 3. fig. 6), ed a Castel- vetro nel modenese. Sotto questa specie di cista si trovò una mascella di pecora coi — 312 — denti conservati, e nelle vicinanze un globetto di vetro azzurro a smalto giallo, de- stinato per ago crinale (cfr. Gozzadini, Necrop. de Villanova p. 49. fig. 18.), ed una stela consistente in grossa pietra ovoidale levigata, unitamente a pochi frammenti fittili di coppe e di vasetti. VI. Pesaro — Avendo l’ Ispettore di Fano spedito alla Direzione la così detta matrice dì patera etrusca in bronzo, di cui fu fatto cenno nelle Notizie comunicate nel decorso maggio (p. 68), si è riconosciuto non potersi attribuire a quell’ oggetto il carattere di autenticità, essendovi segni manifesti che lo dichiarano una contraffa- zione. Senza dire che non avrebbe potuto mai tale matrice, che forma figure in ri- lievo, servire a produrre lo specchio del Museo fiorentino, il quale è piano e graffito, è notevole anche la differenza paleografica del nome di Minerva, che ha nella matrice E in luogo di F nella penultima lettera (cfr. Fabretti, Gloss. ital. n. 107.). VII. Siena — Nel comune di Colle d’ Elsa, e propriamente nel luogo detto Legabbra, podere di Mollano, fu scoperta una tomba etrusca formata di una sola ca- mera rettangolare col pilastro nel centro. Vi si trovarono due piccoli pendenti di oro con ornati di filigrana, una strigile di bronzo, e due vasetti di bucchero. Nel podere Casale dello stesso comune, in una proprietà del sig. Schimd, si scoprì altra tomba con una camera semicircolare e con panchina all’ intorno. Gli oggetti che vi si rinvennero furono due strigili di bronzo, con eleganti scanuellature e di perfetta conservazione, un candelabro di bronzo di semplice lavoro, una piccola patera pure di bronzo tutta liscia, un vasetto ed una lucerna di terracotta. Una seconda tomba rimessa a luce nel podere medesimo, e consistente in una camera terminata in due emicicli, rinchiudeva urne di calcare, condotte grossolana- mente con figura giacente sul coperchio, entro le quali si raccolsero tre piccoli pen- denti di oro, due foggiati a guisa di serpente avvolto, e l’altro a campanello filigra- nato; e tre anelli di bronzo con paste di vetro e residui di doratura. Giacevano presso le urne un prefericolo di bronzo ben conservato, e cinque vasi di bucchero di forma assai ordinaria. - Nel comune di Casole d’ Elsa, nella medesima provincia, furono scoperte altre quattro tombe. La prima nel luogo detto Mamellano, consistente in una camera qua- drata con celle semicircolari ai tre lati (delle quali una resta ancora da esplorare), rinchiudeva un piccolo pendente d’oro coi soliti ornamenti di filigrana, un anello d’oro a cerchio assai grande e senza pietra, due corniole incise, rappresentanti Cupido ed un guerriero, e finalmente diversi frantumi di un’ anforetta di vetro policromo, e globetti di collana della stessa materia. Nella seconda, rinvenuta nel podere s. Niccolò, e formata di una sola camera semicircolare scavata nel travertino, si raccolsero uno specchio liscio in bronzo, un’anello d’oro assai bello con onice senza incisione, altro anello più pic- colo con granato, in cui è rappresentata un’ anfora, un piccolo pendente di oro a fili at- tortigliati, un sestante volterrano della serie con la clava, e sei vasetti di bucchero delle solite forme. La terza tomba conteneva due lance di bronzo, ed un mezzo cilindro di agata forato alle due estremità, destinato forse a servire per manico di qualche istru- mento. La quarta nel luogo detto Legabbra, rinchiudeva un’olla cineraria, coperta di un pezzo di scisto, ed incassata nel gabbro, entro la quale si trovarono sette piccole fibule di bronzo della solita forma a corpo rigonfio, con disegni lineari, altra fibula — 313 — grande di filo di bronzo, diversi frammenti di una catena di bronzo, un globetto ovale di ambra, ed alcuni avanzi di un disco di leggerissima foglia di oro con disegni geo- metrici, i quali oggetti rassomigliano moltissimo a quelli che si vanno discoprendo nelle tombe consimili negli scavi di Bologna. Nel comune di Monteroni fu disotterrato uno schiniere di bronzo, alto met. 0,25, di bel lavoro etrusco, assai ben conservato, che ricorda quelli dipinti nelle tombe ceretane e cornetane, e più specialmente quelli della statua etrusca di Marte del Mu- seo di Firenze. Sul confine della provincia senese con quella di Grosseto, presso Casenuovole, di proprietà del senatore Chigi, costruendosi una strada fu messa allo scoperto una tomba etrusca nella quale erano alcuni frammenti di vasi di bucchero figurati, ma di rozzo lavoro, un pendente di oro fatto a cornucopia lungo met. 0,08, Ema LEO con testa di animale, e ricoperto mirabilmente da sottilissima rete di oro. Finalmente presso la stazione di Monte Amiata nel comune di Monteroni, fu tro- vata una piccolissima anforetta d’oro, parte forse di qualche monile, e furono tra- sportati in Siena vasi di buechero, che si dissero scoperti in una vigna presso le ro- vine dell’ antica Cossa. L' Ispettore degli Scavi e monumenti in Siena march. B. Chigi Zondadara, alla cui operosità debbo le riferite notizie, aggiunge esser questi vasi notevoli per alcune epigrafi, da lui trascritte nel modo seguente: 1. AMVAIIAA.M1138. ANAY. 9AA8. MMIVI7. qAN, in skyphos largo met. 0.15, alto met. 0,09. 2. 24 (COJSYVI, in calix largo m. 0,14, alto met. 0,11. 9. A1I1%:VvV3237, in calia largo met. 0,12, alto met. 0,10. 4 ANAYN71249AV2, graffito in frammento di vaso greco. VIII. Orvieto — Ricominciati il 10 agosto gli scavi, che fino dal 29 maggio erano rimasti sospesi, in contrada Crocifisso del Tufo, a nord della città presso le antiche tombe scoperte dall’ ing. R. Mancini, si incontrò da principio una tomba ri- frugata anteriormente, che in mezzo alle terre onde era stata riempita, conservava solo alcuni frammenti di buccheri e di vasi dipinti. Vi si raccolse pure un utensile di metallo, lungo met. 0,16, formato con base a spirale, avente nel di sopra una statuetta alta met. 0,04, con berretto in testa e rotolo sotto il braccio sinistro. Proseguite le ricerche sulla linea medesima, in continuazione dell’ anzidetta tomba si scoprì un’altra tomba senza volta, tutta ripiena di terra, ove si rinvennero pochi vasetti e tazze di bucchero, un piccolo skyphos di bronzo, due balsamari di vetro scan- nellato a colori, con varii pezzi di terracotta. Tre nuove tombe indiscreto stato, simili per lo stile alle altre, furono rimesse a luce nella parte che confina col terreno del signor Luigi Bracardi, dalle quali si estras- sero circa trenta buccheri ordinari di varie forme e dimensioni, alcuni avanzi di vasi di bronzo, due piccoli anelli di oro a guisa di orecchini, ed un piccolo filo d’oro. Altre tombe già ricercate, scoperte alla metà di settembre, presentarono di notevole il titolo scritto sopra un’architrave nel modo qui appresso indicato: SAMVAIVMSIVIVOVIIIM PARTE TERZA — Von. III° —SERIE 2.2 40 — 314 — ed alcuni pezzi di vasi dipinti di bello stile, un vasetto di bronzo, con frammenti di buccheri ordinari. In mezzo alle terre provenienti dagli scarichi si raccolse infine un piccolo leoncino di metallo, con un vaso di bronzo in forma di lebete, avente nella massima circonferenza il diametro di met. 1,20. IX. Roma — Dalle note settimanali comunicate al Ministero dall’illmo Sindaco di Roma, e dai rapporti dell’ Ufficio Tecnico speciale per gli scavi si raccolgono le seguenti notizie, intorno alle ultime scoperte avvenute nei vari punti della città. 1. In Via del Corso innanzi al n. civ. 182, alla profondità di met. 0,60 s’incontrò un muro laterizio, con due frammenti d'iscrizioni marmoree : 1 OSVMMIDIV 2 CAFE CJMMIDIO CA PATRI:svo. OSS DS Di Avanti il n. civ. 201, alla profondità di met. 1,00 furono trovati sul principio di agosto cinque parallelepipedi di tufo, ed a poca distanza si rinvenne ana mano di statua marmorea mancante delle dita, un frammento di ornato medioevale, ed un pezzo di capitello di un pilastro piano in marmo bianco. In piazza Colonna, alla profondità di met. 0,60 sì scoperse un pezzo di colonna di pavonazzetto, lungo met. 1,00, del diam. di met. 0,30, ed un capitello alto met. 0,49 assai deperito. In piazza Sciarra, alla profondità di met. 0,50 si raccolse un mattone col bollo: Reich OF: DOM S I ed innanzi la chiesa di s. Maria in Via Lata, alla profondità di met. 0,80 fu rinve- nuta una statua di marmo bianco, grande al vero, acefala e monca, destinata in una fogna a servire di copertura. 2. In via della Scrofa, poco discosto dall’ abbattuta chiesa di s. Ivo, furono in- contrati nelle costruzioni delle fondamenta di una casa, questi due titoli sepolcrali: D M D M L:L: THORANIS DL ASHIDIO SABINIO FILIO AGATHONI ET: MARCELLOLB Econ THORANIVS PRISCVs Tighuirona ET : VLPIA CHRESTE pena “i LIB FECIT 3. Nell’ ex-convento di s. Silvestro in capite, nei lavori per lo adattamento del- l'Ufficio centrale delle rr. Poste, alla profondità di circa met. 3,00 nel sotterraneo rispondente al coro, ove i muri medioevali fanno cantonata tra la via del Gambero e quella della Vite, si trovò un masso di trabeazione, lungo met. 2,48, alto met. 0,75, tutto ricoperto di ornati, in quello stile che generalmente suole attribuirsi al tempo — 315 — dei Flavii. Nella continuazione dei lavori si scoprirono poi nel luogo stesso un fram- mento di fregio, con bellissimi fogliami di acanto e bizzarri mascheroni, un’ elegante base di colonna marmorea, del diametro di met. 0,84, con intreccio di foglie di quercia nell’astrangalo; una voluta di capitello composito del diametro di met. 0,25; un fram- mento di grande bassorilievo in marmo, alto e largo met. 0,45, ove rimane una gamba caligata vicino a piante palustri; un torsetto acefalo di putto; altro con testa; la parte inferiore di una statua virile, ritraente un filosofo od oratore; il braccio di una statua di fanciullo, ed altri avanzi. Sotto il presbiterio della chiesa ricomparve un muro di parallelepipedi di pe- perino di varia misura, tolti senza dubbio da edificio antico, e adoperati nella costru- zione della chiesa medioevale: vi si trovò in vicinanza un frammento d’iscrizione cristia- na. Furono poi raccolti due pezzi di statue marmoree, un’ ara votiva, residui di marmi scolpiti, ed una parte di sarcofago cristiano del IV secolo. 4. Nello spurgarsi una piccola fogna presso il Tabulario, alla profondità di met. 0,89 dal piano attuale, fu vista una statuetta muliebre di terracotta panneg- giata, posta sopra ornato a guisa di mensola, alta met. 0,25; ed insieme ad essa una antefissa con rosone, del diametro di met. 0,16, un pezzo quadrilungo in terra cotta, due monete imperiali di bronzo, e due spilli di osso. Sul Campidoglio medesimo ai principi di settembre, nella parte che guarda le reliquie del Tempio della Concordia verso il Foro, apertosi un taglio si penetrò in vasto ambiente con solida volta, tutto riempito di terra e di pietre, in mezzo alle quali si trovò una tazzetta di terracotta a vernice nera, mancante di una parte del labbro, del diametro di met. 0,12. 5. In via Montanara facendosi il cavo ‘per la costruzione di una fogna, alla profondità di met. 1,60 dal livello attuale, innanzi al n. civ. 47 cominciò a comparire parte dell’antica via, costruita a grandi poligoni di lava basaltina, volta nella direzione medesima della moderna strada. Di tale antica via, conosciuta già ai topografi per ante- riori scoperte, s’ incontrarono le tracce per la lunghezza di met. 55,00; e proseguendosi il cavo, si penetrò nell’area del Foro olitorio, nel punto ove sorgevano i tempî che vi erano consacrati. Durante tali lavori si raccolsero tra le terre pezzi di portasanta e di giallo antico, pezzi di travertino e di colonna in bigio, un marmo rettangolare con ornati in rilievo, parte inferiore di una statua con tronco d’ albero e base, e quattro hei frammenti di colonne di bigio, di granito, e di africano, lasciati sul posto per diffi- coltà di estrarli. 6. Nella basilica di s. Pietro in Vincoli, demoliti i gradini dell’ altare mag- giore, alla profondità di met. 2,00 si scoprì un sarcofago cristiano, diviso in sette compartimenti, a varii pezzi di marmo frigio. Due iscrizioni in laminette di piombo, una addossata al pareticolo del primo scompartimento, l’altra trovata fuori del sarco- fago, ricordavano esser ivi deposti gli avanzi dei fratelli Maccabei. Il ch. comm. G. B. de Rossi non tardò di dare alla luce le importanti epigrafi (Bull. arch. crist. IMI. ser. anno I. p. 73. sg.), ed a me basti di ricordare la sua dotta illustrazione, rimandando a quanto l’autorevole archeologo vorrà in seguito pubblicare, per la migliore cono- scenza del primitivo edifizio, sopra cui si eleva l’ attuale basilica. 7. In via dei Cerchi, continuandosi gli scavi per la costruzione della grande fogna, di cui fu parlato anteriormente (p. 101), alla profondità di metri 11,00 si = glo — incontrò nella prima settimana di agosto una fogna antica, ostruita ma che va a shoccare nella cloaca massima, larga met. 2,00, con arco a tutto sesto, nella quale si rinven- nero quindici monete imperiali di bronzo, due frammenti dello stesso metallo, una tessera e due spilli in osso. Fu pure raccolto in vicinanza, quantunque in livello assai superiore, un tintinnabulo con altri frammenti incerti di bronzo, un’ altra moneta im- periale, ed un residuo di tazza di vetro. Nella via medesima sotto i n. civ. 25 e 26, alla profondità di met. 6,00 si sco- prirono due platee: una di peperini, sotto pavimenti, di opera spicata alla profondità di met. 1,00, l’altra di travertini, divise da un muro di fondamento, che si eleva per l'altezza di met. 2,00, ed è superiormente costruito a mattoni, mentre un muro simile racchiude la platea di travertini nel lato di settentrione. Continuando a rimuovere le terre lungo la detta linea, alla profondità di met. 7,00 si raccolsero varie monete, un pezzo di bilancia di bronzo, alcuni frammenti di tessera di osso, ed un torso di statua virile in marmo bianco. Alla profondità di met. 7,50 innanzi la via dei Fienili, s’incontrarono due cu- nicoli lunghi oltre met. 27,00, larghi met. 4,60, costruiti di opera incerta intona- cata. Tali cunicoli, posti verso il lato sud-est e percorsi da canali di acqua, che va ad alimentare il lavatoio di s. Giorgio in Velabro, saranno completamente espurgati e resi accessibili, per lo studio di uno dei punti più importanti del Palatino, del sito cioè ove per comune consenso degli archeologi era posto il santuario del Dio Luperco. Finalmente innanzi al n. civ. 35A, alla profondità di met. 3,00 riapparve un tratto di strada, per la larghezza di met. 2,50 e per met. 6,00 di lunghezza, presso la quale si raccolse un busto acefalo in marmo paneggiato, alto met. 0,33. 8. Nella via Nazionale, continuandosi gli sterri per formare il piano del nuovo tracciato presso gli avanzi delle Terme di Costantino, nella parte espropriata del giardino Altobrandini sul declivio del Quirinale, fu intrapresa la costruzione della grande fogna in molta profondità, e nel più basso strato di argilla che vi è stato scoperto (p. 99). Si incontrarono pozzi antichissimi, scavati nel vergine e rivestiti internamente di lastroni convessi di cappellaccio, con piccoli incavi praticati lateralmente a regolare distanza per potervi discendere, come nell’altro pozzo rimesso a luce sull’Esquilino, non lungi dal recinto di Servio presso il così detto Auditorio di Mecenate. Nei lavori medesimi, fra l’ orto Mercurelli e la via Mazzarino, sotto il palazzo Rospigliosi, abbattuti i pilastri sottoposti alle Terme, si vide che erano essi composti di massì di travertino, larghi ed alti oltre un metro, con linee rosse formanti nessi, nei quali sembrano essere riconoscibili i segni della cava. A poca distanza presso la salita Magnanapoli, per ottenere il piano della nuova via, alla profondità di met. 2,00 si è scoperto il proseguimento della strada, già rin- venuta innanzi alla torre dei Colonnesi, e sotto a questo un’ antica fogna, difesa in parte da lastre di travertino. Furono pure rimessi a luce due grandi archi late- rizi, presso i quali si raccolsero vari mattoni co’ bolli 1. C- COMINI - PROCVLI 9. AGAHOBV. DOMITV.LI EX PRE DOM LVOIL APRILIS — sf — Alla profondità di met. 3,50, avanti la chiesa di s. Caterina, ed a met. 0,50 sotto il vergine, sì incontrarono casse antichissime sepolcrali in cappellaccio, con residui di scheletri; e presso la chiesa di s. Silvestro, sulla piazza del Quirinale, fu ritrovato un sarcofago con rilievi di Baccanti, destinato già a contenere il corpo del cardinale Cor- nelio, trasportato poi a Ferrara. Finalmente nei lavori medesimi della via Nazionale si raccolsero i seguenti 0g- getti. Bronzo. Undici monete, ventinove frammenti incerti, e serrature. Osso. Quattor- dici aghi crinali. Terracotta. Nove lucerne, due anfore, tre frammenti di fregio e di antefissa, quattro vasetti, un mattone col bollo: CALLISTVS CN-DOMT'TVL ed un piccolo avanzo di vaso aretino, con figurina virile ed animali, nonchè il sigillo SEXMP. 9. Nella piazza di s. Maria maggiore sull’ Equilino, alla profondità di met. 3,00 fu rimesso a luce il frammento d’ iscrizione: P-AEMILIO*SO.... EIPARMIME P AEMILIVS SOS... Nelle opere condotte sotto la direzione del Genio militare, nella caserma prossima, al cominciare della via Paolina, s’incontrò nelle fondamenta una grande base con principio di colonna baccellata in un sol pezzo di travertino, simile ad altri scoperti nelle vicinanze, quando negli anni scorsi fu praticata la grande fogna che corre sotto la strada. Poco lungi alla profondità di circa met. 7,00 apparirono bei tronchi di co- lonna di breccia corallina, del diametro di circa met. 0,45, giacenti su pavimento @ lastre di marmo bianco, unitamente a pezzi di una piccola colonna di portasanta. 10. Nella zona degli antichi orti Lamiani, nel punto corrispondente a met. 47,59 della nuova via Beccaria, ed a met. 13,10 da quella Emmanuele Filiberto, alla pro- fondità di circa met. 9,00 si è rinvenuta una stanza, lunga met. 7,80, larga met. 3,50, rinchiusa da muri laterizii, avente nel pavimento tracce di musaico con soprapposte lastre di marmi colorati. Nel lato che guarda la via Filiberto evvi poi una scala, con gradini di opera laterizia rivestiti di lastre di marmo bianco. Nell’ area degli orti Mecenatiani, alla profondità di met. 2,50 si scoprirono altri muri in prossimità dell’ Auditorio, e si raccolsero nei dintorni monete comuni, un frammento di tegola coperta di musaico policromo finissimo, ed una testa virile in marmo bianco. Finalmente si rimisero a luce pezzi di specchio in bronzo, una lucerna di ter- racotta col marchio CIVLI, ed i frammenti d’ iscrizioni: IREAINI, VERA ULI ORE 2 ...VS-FILIE OE E NICIASNI GAL... ...MERENT .. «ET INMO SACERDO.. MOIS ORSACIR.. HONOR — 318 — Nell’ Esquilino stesso fu rinvenuto un mattone col marchio rarissimo: DOMITIAE ATTICILLAE aggiunto alla collezione delle figuline del Museo lapidario dell’ ex-collegio romano. 11. Nel cavo pel fondamento della nuova tribuna nella basilica di s. Giovanni in Laterano, sotto il pavimento a musaico di cui si ebbe altra volta a parlare (p. 74), sonosi discoperti due solii di bagno, appartenenti all’ edifizio su cui sorse il palazzo dei Laterani. 12. Nel proseguimento dei lavori presso le reliquie dell’ aggere di Servio al Monte della Giustizia, si rinvennero tra le terre di scarico che ricoprivano le case ad- dossate all’ antico muro, vari pezzi di sculture marmoree di non cattivo stile, mo- nete di Alessandro Severo e di Gordiano III, la parte inferiore di un cippo marmoreo alto met. 0,32, senza residui del titolo, ed un cippo intero alto met. 0,50 largo met. 0,34, profondo met. 0,29, colla seguente iscrizione: SIUDTARNO è SALRTIVAIRI T-SEVERINIVS SPERATVS: | VETERANVS | AVG: CIONI SNPR CONSACRAVIT: MAMERTINOET-RVFO COS: Vi fu pure scoperto un frammento importantissimo di marmo, lungo met. 0,82, alto met. 0,46, spesso met. 0,11, che fa parte della iscrizione delle Terme di Diocle- ziano, la quale sembra fosse ripetuta in vari lati del grande edificio, e di cui insigni frammenti si conservano nel Museo Capitolino, ed altri furono ultimamente raccolti nel nuovo Museo lapidario dell’ ex-collegio romano. Con questo nuovo trovamento si riempie la lacuna degli ultimi tre versi nel modo che segue : NOMINI CONSECRAV!("7°\ COEMPTIS AEDIFICIIS PRO TANTI OPER fis MAGNÌTVDINE OMNI CVLTV PERFECTAS ROMANIS SVI)SDEDICAVERVNT aio 6 Vee 06 VE 6 10. 13. Demoliti i muri moderni, che si erano addossati alla prima ezedra minore della cinta o stadio delle Terme di Diocleziano sulla piazza di Termini, si vide che nella costruzione posteriore erano stati adoperati mattoni delle Terme, nei quali sì lessero i seguenti bolli, comuni alle figuline di quel grande edificio (cfr. Fabr. n. 317, 59, 308, 309, 316): — 319 — LL. OFFSRF DOM 2. OFF P AVGG ET CAESS NN BR S-P 4 Resi DAS EAIO OF: DOM OF :- DOM OF - TEM S) 2 JONDI SEI SALE 14. Al Campo Verano, sotto la vigna Caracciolo, si scoprirono altri frammenti di lapidi cristiane, lucerne fittili, monete, e le seguenti iscrizioni: OE O ONOR, CORO RO ORO O ORO) iI lo ID o) M BLASTO gf EGGLECTE CONIVGI CARISSIMO CONTIBERNALI - SVO RT DVLCISSIMO FECIT MEMORIAE 6 FEO BE'TVEDIA PROCILLA ET - SIBI CVM QVE VIXIT AN VIII MENS IIIT SENE VLA QVERELA 15. Al termine della via delle sette chiese, di fianco alla basilica di s. Seba- stiano sulla via Appia, furono intraprese nuove ricerche, le quali rimisero allo scoperto molti muri appartenenti alla chiesa primitiva, e molti resti delle tombe ‘cristiane già devastate, in mezzo a cui si raccolsero frammenti di lapidi sepolcrali cristiane con pochissimi avanzi di lettere, ed i seguenti che furono meno danneggiati: 1 - SANCTITI5 2. D OHANNES IVLIANSSMs -MAGNYS: SEMPPTEMYIR Y-ET-INNOCEN ET PORCIA CHR 8. NECOP/ 4. ...ACONIVGECASTA- KAKOÀ ....-ASSECVMHABERE SLA da ..._ECIBABAS SIA ....ETVCRISTVVIDEBIS ...BAS: ...EQVIRVNT: 5. NTIS-SIM 6. NEMEREN XA. DIE DIE IDVS AVG mENSIVINI (IXIT-ANN- 111 :/ MII /D-XV-D PACE DXVIL'KAL-# THEODORVS © VP - CON SIMAE — 320 — L'ultimo di questi frammenti è scritto su due pezzi di lastra marmorea, ado- perata già in un sepolcro pagano, che mostra nel rovescio visibili tracce dell’antica iscrizione, distrutta a colpi di martello, -e della quale sarà poi data la lettura. Vi si trovarono altri pezzetti di epigrafi pagane, cioè DIS: A D WINVOGIT CHA ari PHILA\ e negli ultimi giorni vi fu raccolto il seguente frammento di elogio sepolcrale: ; ISOIM QVOD RE VNAMVSCARMINEM oSCALPENIES LITTERAM ERIVMMAESTOCOMITAM\ NIMVSMEMINISSE HO RR ET MENINFERIASTIBI FORTI: SSOLVMQVEVIRO QVO. IRTVTEFEROXFOR® BONVSQOVE NW Si aggiungano infine taluni mattoni, col noto marchio cristiano: CLAVDIANA a ed un mattone con bollo circolare: ARRONE RESTITVTI 16. Allo scopo di ritrovare altri frammenti dei Fasti delle ferie latine, la Direzione dell’ Istituto di corrispondenza archeologica dell’ Impero Germanico intra- prese il 20 settembre alcuni scavi nell’orto dei pp. Passionisti in Monte Cavo, essendo affidate le ricerche alla diretta sorveglianza del ch. Michele de Rossi. Utilizzando le opere per fissare alcuni dati relativi alla topografia di quel punto importantissimo nella storia, si fecero vari tasti vicino al luogo, ove la strada antica si nasconde sotto una maceria. E si vide che la strada non continuava in linea retta verso il con- vento, secondo che si era creduto, ma piegava a dr. con un angolo ottuso. Si scoprì poi alla profondità di met. 5,00 dalla superficie del suolo una cisterna, e verificato che in fondo ad essa esistevano pezzi di marmo, fu deciso di spurgarla. Vi si rinvennero due piccoli fammenti d’iscrizioni, che facevano probabilmente parte dei fasti ricercati, e che saranno editi dall’ Istituto. Vi si raccolsero pure pezzi di tubi di piombo con iscrizioni, mattoni con bolli, e frammenti di terrecotte. Presso il piano della cisterna ricomparve poi un cunicolo transitabile per circa met. 15,00, più stretto all’imbocco nella cisterna di quello che nel suo corso, al di là del quale stava la cassetta per la distribuzione delle acque. X. Offida — Dopo una sosta di parecchie settimane, furono ripresi i lavori di scavo sopra una collinetta a nord-est della città, ove 1’ antecedente scoperta di un icone tripode e di una situla di bronzo davano speranza di maggiori trovamenti. Sul suolo rimestato si videro frammenti di vasi di terracotta, di collane, di armille, di fibule di bronzo, e parecchi pettuncoli forati alla cerniera. Parve poi all’Ispettore Allevi, che spianandosi il terreno per costruirvi l’attuale cam- posanto, vi si manomettessero molte antiche tombe. Di queste due sole furono trovate intatte coi soliti vasi, e colla suppellettile di ferro e di bronzo, simile a quella scoperta a nord e ad ovest di Offida. Oltre a ciò fra molti avanzi di combustione si rimise a luce uno di quei pozzetti in forma di anfora, del tipo stesso di quelli scoperti nelle vicinanze, e dei quali fu pure fatto ricordo negli scorsi mesi (p. 90). Altre diciannove tombe vennero rimesse allo scoperto nelle terre del sig. Mer- colini, e tutte del solito tipo. Inoltre in contrada Ponticello si scoprì, per alcuni metri quadrati, un nuovo deposito di ceneri, di carboni e di terra arsiccia, con avanzi zoologici ed industriali, come nello. strato che s'incontrò sulla soglia della necropoli. Profondatevi le ricerche, nella speranza di rinvenirvi qualche tomba romana, secondo poteva argomentarsi dai frammenti delle terrecotte ivi cosparsi, a piccolis- sima profondità si videro cinque casse formate di tegole con entro scheletri; ma disgraziatamente le lucerne fittili, ed un vasetto dipinto erano in minuti frantumi. Il sig. Ispettore Allevi, che ha diretto i lavori spendendo tutta la sua diligenza a maggiore incremento delle patrie notizie, volle tentare se mai gli riuscisse di scoprire gli avanzi del tempio romano, che una tradizione del paese diceva collocato nei dintorni, e denominato dal serpente aureo. Rivoite le indagini sul colle che chiamano della Guardia, quantunque si notassero indizi di anteriore devastazione, pure potè ivi riconoscere l’esistenza di un edifizio, che in nessun altro modo po- trebbe meglio caratterizzarsi, se non per tempio. Oltre innumerevoli mattoni, tegole piatte e convesse, pezzi di travertino, ed avanzi d’intonaco con traccia di pitture, sì rinvennero frammenti di patere, un collo di anfora, un manico fittile di lucerna con testa di Giove sotto cui sta l’aquila ad ali aperte, che stringe le folgori: vi si trovò pure un torso di terracotta appartenente a Genio alato, e pezzi di fregio che tra foglie e frondi presentano parti di figure umane, animali, ed intrecci di serpi. Continuate le esplorazioni fino alla metà di settembre, si potè accertare che tutto il suolo aveva subìto un notevole abbassamento di livello, in modo da ren- dere infruttuosa ogni opera ulteriore. XI. Atri — In una stela scoperta sul colle detto della Giustizia, il ch. Che- rubini lesse l'iscrizione: AVFIDENA SECV NIDO ZINIO C-F: MAI: FRONTONI Q Da un’altra lapide rinvenuta in contrada Spiaggia nelle costruzioni della via nuova, lo stesso egregio Ispettore copiò il frammento: M: OCTAVIVS S/AL - PHILEMO QICTAVIA- >: L'DIO V PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.° 41 SUD > gd Nelle pianure poi del Vomano, sotto la città, si trovarono quattro ghiande mis- sili, le cui epigrafi furono così trascritte dal lodato Cherubini : 1. PVS 2. TMR 3. (r)0MA LEGY 4. (ERI: PIS? TOY IR Gio (VII PI LO0 1 GIL XII. Spoltore — Edificandosi una nuova casa presso l’abitato sul cominciare di settembre, e corsa voce di antichità scoperte nel cavarne le fondamenta, il mede- simo Ispettore Cherubini si affrettò a visitare quel luogo, ove ebbe a notare tre lapidi co’ seguenti titoli: ll IMP: CAESARI: DIVI E 8% IAPVS CT AVGVSTO: COS: XI ..ESTVS-SEVR TRIBVNICIA : POTESTATE ...TA TL DECora muti ..BI - FEC: ET 2. (ESTONIA EDITA OPHO ‘ F ar SIDAS EI... Ivi presso vide anche un fusto di colonna di tufo, del diametro di circa met. 0,50, con base e capitello, ed a piccola distanza un cippo sepolcrale della pietra stessa rotto a metà, portante rozzamente scolpita una testa di giovane. Pare che nel luogo medesimo fosse rimessa a luce un’altra testa virile di marmo, di lavoro assai ben condotto. XIII. Manfredonia — Mi è grato poter annunziare, che ai tesori epigrafici del Museo nazionale di Napoli è stato aggiunto il titolo scoperto recentemente a Manfredonia, del quale ebbi a riferire (p. 102. sq.), e la cui lezione dev’ esser cor- retta come si legge qui appresso: T - TREMELIV T:L ANTIOCH AED : DIANZ ET: ARAM - DE LAPIDE-QVADR AEDIF - ET OPE TECTOR © POL- ET SIGN ‘ DIAN FAC - STATVE DEDIC:DE-SVA PEC : CVRAVT V:S°L°M XIV. Pompei — Negli scavi continuati sul lato occidentale dell’Ts. 14. Reg. VI, nella casa detta dell’ Imperatrice di Russia (Fiorelli, Descr. Pompei p. 480. n. 6.), fu scoperta una stanza a sin. del viridario, ed alcune località dipendenti dalla cucina — 323 — con cui comunicano, avendo altro ingresso dalla strada. Nella casa attigua inco- minciarono a comparire le colonne del peristilio. Trovandosi detta casa alle spalle di quella detta di Orfeo (domus Vesoni Primi n. 20), si è pure sgombrata com- pletamente una stanza di quest’ ultima, posta all’angolo nord-ovest del peristilio, e rimasta intatta finora: era decorata da quattro paesaggi, di cui non rimangono che languidissime tracce. Verso l’angolo nord-ovest dell’ Isola, all’ altezza di un piano superiore, dal 5 al 7 di agosto, si rinvennero due scheletri umani, presso i quali si raccolsero i seguenti oggetti: Oro. Otto anelli, due paia di orecchini con altri molti frammentati, sei monete, una collana, ed un paio di braccialetti formati da tredici coppie di mezzi globuli, con piccolissime conchiglie soprapposte. Argento. Un anello, una cazzeruola in frammenti, e 305 monete. Fu poi sterrata la casa con ingresso dal quinto vano a contare dall’angolo sud-ovest dell’isola medesima. Dall’androne si entra in un atrio tuscanico, privo di stanze laterali, ed avente al lati dell’impluvio un pilastro rivestito di stucco colorato, su cui poggiava la tavola di marmo, nonchè il solito puteale di travertino. L’angrone è costeggiato a sin. da un cubicolo, decorato a riquadri gialli sormontati da un festone di foglie di pino, sulla cui parete meridionale leggesi profondamente graffito PI NORV]MM NTCR: e tiene a dr. una stanzetta, dipinta nel più antico stile, ove restano solo due rettangoli rilevati di stucco appartenenti al fregio. Nel primo di essi in fondo verde è ritratta a monocromo una tavola, presso cui è una figura alata ed altra figura muliebre, che pare vi deponga qualche cosa; nell’altro in fondo giallo, e fatto pure a monocromo sta un pavone, che attaccato ad un nastro è condotto verso di una figura panneggiata ed alata, a cui manca la testa. Si notano eziandio in questa stanza due piccoli repositorii, nel subscalare della gradinata che vi è attigua. Di fronte allo ingresso si apre il tablino, ove fra gli altri ornati architettonici delle pareti vedesi Apollo, con sola clamide di color pavonazzo, coronato di alloro tenendo l’arco, la faretra ad armacollo, la lira nella dr, e ia patera nella sin. Vi è pure Cerere seduta, coronata di spighe, e con fascio di spighe sul braccio sin., men- tre colla dr. sostiene la face. Finalmente Bacco ignudo, con corona di edera, il tirso ed il cantaro. A lato del tablino, opposta alla fauce è una stanza spaziosa, ove il 19 settembre tra numerosi bronzi, vetri e terrecotte comunissime, si rinvenne un urceo con iscri- zione GARI FLOS. Da tale stanza si accede al viridario, intorno a cui girava la tettoia sorretta da pilastri e da colonne rivestite di stucco, in una delle quali leggesi ancora il graffito : QVINTVS ROJIIIANVS FELIX Sulla parete tra la fauce ed il tablino in mezzo a vari tridenti gladiatorii si veg- gono pure i graffiti : 1. MENDICES 2. VIAE QVE FATEOR MEN 3. QVIINTVS ROMANVS VA — 324 — Sul lato settentrionale del viridario è un cubicolo, che comunica con vasto triclinio finestrato, a sinistra della cui porta è graffito da un lato una figura itifallica, dall’al- tro RVBELLIO Bi], mentre sul muro a dr. si legge CALOS ACTI. Alle spalle del triclinio è una rustica località, contenente un’altra gradinata pel piano superiore, ed accanto ad essa sul lato settentrionale sta la cucina. Dal lato opposto si trova poi un cecus, a cui seguono due apothecae, e l’adito di ‘una terza scala, col larario ritraente il serpe che si avvolge intorno all’ara accesa. Nel viridario fu raccolto il 12 settembre un vasetto cilindrico, di argilla rossa molto fina, avente nel fondo graffito PYPMOC. La casa seguente, come hanno dimostrato gli scavi, era stata altra volta ricercata. L’androne, sulle cui ante leggonsi i graffiti di cui facemmo parola (p. 78, n. 1. 2), è costeggiato a sin. da un cubicolo, ornato di quadretti rappresentanti pesci ed uc- celli, ed a dr. da una stanzetta, cui è atticua la gradinata. L'atrio tuscanico, come nella casa precedente, non ha stanze laterali; e sul pavimento presso l’impluvio mostra scritto in musaico : LVCRVM GAVDIVM Rimpetto ai trapezofori di marmo, posati su pilastrini, ed in fondo all’atrio fra un cubiculo e la fauce, è situato il tablino, donde si entrava in un ambiente alquanto spazioso che sembra il triclinio. Questo, decorato da figurine volanti, come Baccanti ed Amorini, riusciva al pari della fauce in un piccolo viridario, coperto per un lato da tettoia, in mezzo a cui è un puteale di terracotta, con una vaschetta circolare di marmo addossata ad una delle sue pareti. Per alcuni scaloni di fabbrica, accanto ai quali è il focolare, si accedeva poi ad una stanza superiore, a cui era sottoposta la cella vinaria. Della decorazione del tablino è rimasto soltanto un bel dipinto, sulla parete settentrionale, rappresentante un soggetto che comparisce la quarta volta fra i miti pompeiani (cfr. Helbig. Wendg. p. 59. n. 218; p. 60. n. 21.9; Giorn. Scav. Pomp. II. p. 784-786). Vi è effigiato Ciparisso ignudo, alto met. 0,87 con venabuli, alla cui dr. è accovacciata la cerva, ed a sin. Amore, alto met. 0,18, in atto di scoccare l’arco verso di lui. La cella vinaria, a cui si discendeva dal viri- dario, e dentro della quale si raccolsero anfore e frammenti fittili, immetteva per una fauce in un’angusta celletta, ove era. il larario, con le immagini dei Lari, del Genio famigliare sacrificante sull’ara ardente, ed il Camillo, con sotto il serpente che sì slancia verso l'altare. Tale celletta comunicava con altra, il cui muro divisorio è ora caduto. Nel mese stesso di settembre fu finita di sgombrare la stanza a sin. dell’atrio della casa n. 16. dell'Isola 13. Reg. VI, collocata proprio rimpetto a quella di cui si è finora parlato. Ivi tra numerosi avanzi comunissimi furono trovate due tazze di vetro verde, assai eleganti, ed un astuccetto di bronzo contenente due pillole medicinali. XV. Termini-Imerese — Il ch. Salinas, Direttore del Museo nazionale di Palermo, comunica un accurato calco della iscrizione scoperta in un piedistallo di statua onoraria nella piazza del duomo di Termini, il cui ultimo verso fu inesatta- mente pubblicato (p. 95). La epigrafe quindi va trascritta nel modo che segue : .1OLLIENO I R3O MIL aTHENIENSES — 325 — XVI. Cagliari — Intorno alle ricerche continuate nella Sardegna coi fondi dello Stato, come ebbi ad annunziare nel decorso maggio (p. 60), il chiarissimo sen. Spano, Commissario dei Musei e scavi dell'Isola, comunica la seguente relazione. « Incominciati appena gli scavi nella casa posta all’estremo lembo orientale del campo Viale, che io denominai degli stucchi, esternavo il sospetto, che in quella località si sarebbero fatte scoperte di maggior importanza di quelle che avevano preceduto. A questo giudizio era stato specialmente indotto dai numerosi frammenti di lavori in stucco, che attestavano una grandiosa e ben eseguita opera d’arte, dai moltissimi tesselli di marmo, e finalmente dallo stato di buona conservazione delle mura, che quasi i primi colpi di zappa ci avevano portato a discoprire. Queste mie congetture vennero interamente assodate dal progredire dello sterro, ed ora mi trovo in grado di assicurare, che la fortuna ci condusse a diseppellire una ricca ed im- portante abitazione romana, come si potrà giudicare da quanto mi faccio ora a minu- tamente descrivere. < Le parti dell’ edificio venuto alla luce fin dalle prime esplorazioni, furono le due fauci segnate A e B nell’annessa pianta (tav. VI). Fu specialmente nell’ andito B che si ebbe a ricuperare maggior dovizia di grandi e piccoli frantumi in stucco, la cui ricchezza, non volendo tener conto del valore artistico, tanto per il disegno che per la esecuzione, era attestata da una leggiera tinta giallognola che in massima parte li ricopriva, e che in alcuni punti diveniva smagliante per le pagliuzze di oro ancora aderenti alla superficie. Riattivati gli scavi e rivolti verso il punto F, av- vicinandoci al piano del pavimento, dopo qualche giorno di lavoro si potè disep- pellire una base attica di marmo nero, di assai corrette proporzioni, la quale era incassata fra due piccoli muri tagliantisi ad angolo retto, il cui vertice è nel centro della base di cui si parla. In seguito si potè riconoscere, che il muricciolo avente met. 0,60 di altezza e met. 0,63 di spessore, ricorreva all’intorno di un vano quasi quadrato (met. 4,85 per met. 5,15), ai cui angoli sorgevano quattro colonne, che dalla base possiamo congetturare fossero di ordine ionico o corinzio, e che senza dubbio dovevano raggiungere una bella altezza, dappoichè il diametro all’ imoscapo misura met. 0,67. Delle quattro colonne, due basi sono al loro posto; della terza si scorge l’incavo prodotto dalle sue membrature, nella muratura che in parte la ricopriva, nonchè le costruzioni geometriche di squadratura sul piano di posa per- fettamente orizzontato ; la quarta è totalmente mancante. Dalla parte interna il muro finisce in elegante cornice scolpita in pietra calcarea, quasi marmorea, che gira tutt’attorno, onde inquadrare il bello ed assai fino mosaico, ora alquanto guasto, che decorava il pavimento. Gli oggetti raffigurativi sono, per quanto si può scorgere, pesci, frutti di mare, uccelli soliti a stazionare nello stagno vicino, ed anche una piccola barca (specie di biremis scapha), di cui resta intera la prora e buona parte del suo rematore. I tesselli di cui è formato il mosaico sono piuttosto piccoli, ed onde avere una tavolozza più ricca, e poter meglio imitare i vivi colori dei pesci e degli uccelli ivi riprodotti, l’artista fece largo uso di cubetti di smalto, unitamente a quelli di marmo, producendo così un insieme più vago ed evidente allo stesso tempo. In giro di questo ambiente così ragguardevole si rinvenne il nudo pavimento, ma — 326 — avendo osservato sulla faccia dei muri di perimetro, mancante ad un’altezza costante di met. 0,01a met. 0,10 daì suolo l'intonaco, e nel cavaticcio avendo scorti non pochi avanzi di opera tessellata, è mestieri conchiudere che anche quelle ale fossero rico- perte da mosaico, che a quanto si può congetturare dev'essere stato di quello detto a coda di pavone, con qualche fregio o cornice all’ intorno. « La posizione occupata da questo ambiente, rispettivamente alle altre parti del- l’edifizio restituite alla luce, fece credere in sulle prime ch’esso potesse essere di atrio, tanto più che una sporgenza derivante da opera murale, posta nel bel mezzo del vano, pareva accennasse all’ impluvium. Osservando però meglio una tale sporgenza, si riconobbe essere di forma mistilinea, composta da rette e curve, ed anche rivestita di marmo, come si desume dalle lastre infisse verticalmente nel suolo, che ancora riman- gono ad intervalli e ad una certa altezza lungo il perimetro, sebbene schiantate. Tenuto conto della bellezza del musaico che ricopre il pavimento, per cui sarebbe poco pro- babile lo ammettere, che restasse esposto in sito scoperto all’azione delle pioggie, con- verebbe piuttosto ritenere questo ambiente anzichè un vero atrio, un oecus tetrastylos, per cui la sporgenza intermedia potrebbe qualificarsi, o una base per sostegno di qualche statua, oppure una mensa fissa, la quale poteva essere imbandita in circo- stanze notevoli, quando l’ ordinario triclinio fosse reputato troppo modesto. Questa supposizione avrebbe ragione a sussistere anche quando, credendo non meno antica la muratura che precinge il mosaico, si spiegasse l’incavo ch’essa presenta in tutta la sua lunghezza (incavo avente una sezione rettangolare di met. 0,18 di lungo per met. 0,30 di largo), come un sito acconcio a riporvi della terra per alimentarvi delle rampicanti, e per infiggervi i maggiori assi del graticolato, sul quale doveano intrec- ciare i loro steli pieghevoli le viti, i ciclami, ia candidior cycnis, hedera formosior alba, e le altre erbe, atte a formare coi propri rami una parete di sempre viva ed odorosa verdura. « Continuando l’opera dello sterro nella fauce segnata A, venne alla luce un pic- colo rampante di scala con sette gradini in pietra calcarea, che poi si trovò conti- nuare intercalata da maggiori riposi, fino a raggiungere un’altezza di met. 2,35, pren- dendo il pavimento del supposto triclinio come piano di paragone. La parte posteriore dell’edifizio essendo quella che ebbe manifestamente a subire maggiori trasformazioni, in seguito a lavori appartenenti a tempi diversi e forse anche lontani fra loro, è difficile il dire, allo stato attuale degli scavi, se tutta la scala che si è rinvenuta servisse per intero alla casa romana, oppure se vi sieno state delle addizioni nelle successive varianti ch’essa ebbe posteriormente a subire. Ciò nondimeno non puossi rivocare in dubbio, sì per la posizione stessa della casa sul versante di una collina, per cui riusciva malagevole sviluppare tutto il concetto architettonico in un piano solo, sì per dotarla di più larghe e pittoresche vedute, e maggiormente per la speciale natura degli ambienti trovati a più alto livello, ch’essa anche nei tempi romani fosse dotata di una rampa di scala, poco diversa dall’attuale, la quale conducesse ad un vero piano sovrastante. Giova dire a questo riguardo, che anche in questa parte si rinvennero avanzi di musaici, sebbene condotti in modo più grossolano che nel basso, generalmente con motivi di decorazione geometrica, ed in essi incastrato un pezzo eguale in bellezza ed in stile a quello di cui si è già parlato; per cui si potrebbe — 327 — sospettare che dapprima tutta la casa fosse pavimentata a quel modo, e che gli altri meno accurati si debbano ritenere quali rammendature dei tempi o meno artistici o meno ricchi. Siccome tali mosaici mostrano d’internarsi nella terra sovrastante, oltre al limite a cui si è giunti collo sterro attuale, devesi anche credere ragionevolmente alla presenza di altre camere non ancora diseppellite, e quindi ad una maggiore estensione ed importanza del piano alto, che non sia quella che si argomenta dalla parte venuta in luce finora. « L’altra fauce B, sopra una delle cui pareti restano ancora le ossature di due colonne decorative, è quella che come si è già detto diede maggior numero di fram- menti di stucchi dorati. L'aspetto stesso della muratura ond’'è formata quella parete, che le colonne appena sporgenti sul piano del muro dividono in tre scompartimenti, dimostra una superficie aspra, destinata a ricevere un forte strato d’intonaco, qual’era necessario pe: farvi aderire delle opere in stucco, che a quanto si scorge dai resti dovevano presentare, sia colle cornici sia cogli ornati, dei pronunziati rilievi. I pezzi più integri che fu possibile ricuperare, come teste, mani, dorsi di putti, pesci, fiori, frutta, cornici sagomate, con ovoli ete., accennano ad una elegante composizione archi- tettonica, decorata da festoni di fogliami con frutta (:yxaore:), trattata da mano avvezza al largo modellare, ed il cui fare risoluto e grazioso allo stesso tempo, senza cadere nel leccato, rivela un franco e pregevole artista. Quale fosse la vera destinazione di tale ornamento, ed il perchè sorgesse in un semplice corridoio, non essendosi tro- vato alcun frammento di carattere decisivo, nè alcun che di scritto, non si potrebbe oggi assicurare senza cader nel mare tanto largo quanto pericoloso delle congetture. «Di fronte al triclinio, fra le due mura che formano l’ossatura fondamentale del- l’edifizio, venne in seguito allo scoperto una bella camera, forse il tablinum, avente met. 4,30 di larghezza per met. 5,50 di lunghezza. Apparisce nel modo il più chiaro, come in origine questa camera presentasse all’ala che fronteggiava il supposto per- golato una grande apertura di met. 3,10, il cui architrave era non senza probabilità sopportato dalle due colonne (met. 0,30 all’imoscapo, met. 1,90 di altezza), che si rin- vennero a poca distanza addossate al muretto che precinge il triclinio, nel modo segnato in pianta. Questa apertura, cui le due colonnette opportunamente rivestite dovevano accrescere bellezza e decoro, venne poi in vista di altri bisogni ridotta alle dimen- sioni di una semplice porta (met. 1,00), e più tardi atterrata addirittura come inu- tile, nel modo il più rozzo, con sola terra trattenuta da un grosso strato d’intonaco. « Frammezzo alle terre ond’era tutta ingombrata questa camera, venne estratta una gran quantità e di rottami e di calcinaccio, provenienti senz’altro dalla demolizione del soffitto, costrutto come è detto da Vitruvio (lib. VII. cap. 3.) da più strati d’ in- tonaco distesi colla cazzuola, sopra un graticolato di canne spaccate. Si osservò che tali strati, specialmente negli angoli, raggiungevano un considerevole spessore poco spiegabile, senz’ammettere che ivi la volta piegasse leggermente in arco, e la piattabanda raffigurasse una vela sebbene a monta ribassatissima. Le mura rimaste in piedi essendo ancora di qualche altezza (met. 1,90; met. 3,20; met. 2,60; met. 1,35), lasciano tutt’ attorno delle pitture murali, in cui si potrebbe vedere qualche ras- somiglianza col genere pompeiano, sebbene di tinte meno calde, e con contorni meno eleganti e più secchi. Il soffitto era pur esso dipinto, e da quanto si potè igor arguire, connettendo i non molto grandi pezzi, quand’anche in gran numero, che fu dato ricuperare, il concetto era un grazioso stormo di fate (jumones) svolazzanti in mezzo a scompartimenti mistilinei artisticamente intrecciati. < Si fu anche in questa camera che venne ritrovata una bell’ onice, con incisione rappresentante Giove etoforo, coronato d’alloro, stante a sinistra, e che con una mano porta l'aquila in atto di prendere il volo, coll’altra impugna lo scettro. L’inci- sione osservata colla lente risultò essere di buon disegno, e di pregevole esecuzione. < Allorchè fu intieramente sgombrata dalla terra, si palesò l’intero suo pavimento in mosaico, ch'è quanto dire una superficie di met. quadr. 23,65, perfettamente conservato, ed il cui disegno raffigurante un ben congegnato traliccio di canne, con molta semplicità di linee produce un vago e gradevolissimo effetto. « Vennero frattanto continuati con eguale attività gli sterri nella parte più elevata, dove nel sito segnato G si scopriva un altro andito, corrispondente al primo piane- rottolo del rampante di scala, in senso normale a questo, e per conseguenza parallelo alla camera C. Sotto al pavimento, per tutta la sua lunghezza, corre un canale rico- perto di lastroni, ch’essendo ancora ostruito dalla terra, non si può dire a quale ufficio particolare venisse indirizzato. Più in alto, cioè verso i punti I e K, gli scavi posero in evidenza alcune masse murali sottostanti, le quali c’inducono naturalmente a ritenere la presente disposizione dell’edifizio, in questa parte sopra tutto, come suc- ceduta all’altra, di cui restano a maggiore profondità le vestigia icnografiche. L'am- biente M, parallelo all’andito sopraccennato è una grande vasca per uso di bagno, poichè essa mantiene tuttavia in massima parte lo smalto da cui era ricoperta, conserva tre piccoli gradini per calarvi dentro, e due orifizi a diversa altezza, uno per vuotarla e l’altro per riempierla. Poco lungi da essa, quasi sotto la scala, in sito che non può coordinarsi colle linee e coi piani delle costruzioni posteriori, apparve un piccolo mosaico di carattere alquanto più severo degli altri tornati in luce, rappresen- tante una scacchiera a scompartimenti triangolari, alternativamente bianchi e scuri, bianchi e giallastri, bianchi e verdi, bianchi e rossi, con cornice all’intorno, e che non si è forse troppo lontani dal vero considerandolo come lavoro di un’ epoca precedente. « La camera P sterrata anch'essa in gran parte, mostrò tutt’attorno alle sue pareti una bella incrostazione di marmo, alta dalla linea di terra met. 1,32. Le parti prin- cipali di questo rivestimento ricorrente o podio sono uno zoccolo o base, un dado e la cornice, formanti tutt’assieme delle riquadrature (specula) e dei risalti (expessiones), onde accrescere bellezza e movimento alla ricca decorazione. Sono a notare fra le diverse modanature alcuni listellini, che sebbene di marmo, si amò meglio dipingerli in rosso, probabilmente con ocra. Il pavimento era ancor esso ricoperto di marmo, formato alternativamente da diversi ordini di pianelle quadrate, intercalati fra lastre rettangolari. Attualmente, massime sul davanti della camera, presso ai due ingressi si notano delle rappezzature, abbastanza rozze per attribuirle ai tempi di decadenza, quando la casa cioè venne abitata da persone poco agiate, le quali strapparono qualcuna delle lastre che decoravano le pareti, per raccomodare, ov’ era consumato dall’ uso, il battuto del pavimento. Dalla terra che vi si trovò accatastata si estrassero grossi cunei di pietra calcarea (tufo), derivanti dalla demolizione dei muri, avvenuta — 529 — fino ad una certa altezza, nonchè diversi strati di calcinaccio provenienti dal soffitto, che al pari delle pareti doveva essere abbellito da analoghe dipinture. « La direzione dei muri principali portandoci a stabilire il maggior asse del fab- bricato in senso parallelo a quello delle fauci A e B, nella speranza di trovare al di qua del triclinio qualche rudero che accennasse all’ubicazione della facciata, si aprì una trincea, per esplorare il terreno nelle vicinanze di quella località, così bene indi- cata dalla struttura organica della pianta. Tali escavazioni di ricerca sono indicate nel tipo colle lettere o, p; ma sebbene spinte ad una profondità maggiore del pian terreno, esse furono assolutamente prive di risultato. Ora non essendo punto proba- bile, atteso l’uso generale delle case romane, che questa avesse tre piani scaglionati, l’uno sull’altro, ci converrà ammettere meglio che le mutilazioni avvenute nell’edi- fizio fossero state più grandi verso questa parte, o che la facciata avesse una di- rezione diversa, stabilita sopra un asse secondario. Questa supposizione, essendosi anzi continuati i lavori di sterro verso il punto M, è quella che difatti presenta mag- giori probabilità in suo favore, avvegnachè in quel sito, ove scorgonsi le continua- zioni delle mura in modo da formare un altro ambiente, vennero diseppelliti alcuni grossi blocchi di pietra calcare, i quali appartengono alle decorazioni di un gran- dioso prospetto. Essi consistono in due dischi appartenuti ad una grande colonna striata, in un pezzo della parte più elevata del cornicione fino ai dentelli, in un altro che si suppone appartenga al gocciolatoio, in cui si trova scolpito un grande rosone in pieno rilievo, con accanto una specie di finestrella socchiusa. Altro disco di colonna simile ai due precedenti, ed altri cunei di tufo di ragguardevoli dimensioni, si scor- gono infissi nella terra che ancora resta ad estrarsi. I fatti accertati nelle ulteriori ricerche fino al completo isolamento dell’edifizio, ci permetteranno di stabilire quale delle due congetture debba riguardarsi come la più attendibile. «Il concetto generale che attualmente (mentre resta ancora non poco da sterrare) ci è possibile di formarci intorno a questo edifizio, restituito dopo tanto volger di tempo alla luce, è ch’esso appartenesse a qualche ricco proprietario, il quale cercò di approfittare della favorevole posizione, per farne qualche cosa che stesse fra la casa urbana e la villa. Sorgeva esso di fatti sul versante orientale del contrafforte calcareo, che distaccandosi dal colle ora detto di duon cammino, domina le due val- lette dell’Anfiteatro e dell'Annunziata. Tenuto debito conto delle essenziali modifi- cazioni, che i secoli hanno dovuto portare nell’aspetto generale del luogo, si rileva age- volmente, come esso doveva essere poco distante dai centri più importanti della città, allietata dalla vicinanza di giardini e di ville, posta in sito abbastanza eminente per scorgere il vicino stagno, allora più profondo e men vasto, il quieto ed amplissimo golfo, nonchè l’ondulata e pittoresca catena di monti che le sorgeva quasi di fronte, attesa la sua esposizione al sud-ovest. Pensando a questo, si trova forse la ragione perchè l’ar- tista che decorò di opere musive i pavimenti, vi effigiasse i prodotti che anche oggidì si ritraggono dallo stagno, e si spiega quell’elegante pergolato che sorgeva nel bel mezzo della nobile abitazione. Esposta questa nelle caldure estive ai soffi periodici delle brezze marine, fra il verde delle piante e l’olezzo dei fiori, poteva essa costituire un gradito soggiorno, ove un opulento cittadino od un funzionario elevato trovasse un PARTE TERZA — Vor. III.° — SERIE 2-2 42 — 330 — esilarante riposo dalle cure del censo o della cosa pubblica, e condurvi lieta ed onorata esistenza. « È però incontrastabile, che il nostro edifizio abbia subìto, specialmente nella parte posteriore, alcune modificazioni, atteggiandosi nel corso dei tempi, alla varia for- tuna ed ai cangiati bisogni dei suoi abitatori. Le poche monete che si trovarono or qua or là, a profondità diversa, parlano dell’ alto impero, e di tempi più bassi, nè vi mancano i frammenti di terracotta, che accennano all’età cristiana. È da cre- dere quindi, che trascorsa l’èra romana che lo aveva innalzato sopra altro edifizio più antico, quando la città cominciò a decadere, esso sia passato in mani di gente di poco avere, che provvedendo ai più incalzanti bisogni dell’ uso, si contentò di rap- pezzare alla meglio i musaici,, ragguagliò il pavimento colle lastre che adornavano le pareti, e restrinse i larghi vani con barbara muratura di terra intonacata, Le ale scoperte che circondavano l’ameno e grandioso triclinio, spogliate dell’opera tessellata che le abbelliva, abbattute le quattro colonne di nero marmo che sorreggevano l’archi- trave e il coperto, per rivolgerle ad altro uso, si venne formando dinanzi all'abitazione un vasto vano (oltre met. quadr. 100), che degenerava a dirittura in cortile. Fu allora che in un canto sorsero quei muretti segnati Q nel piano, che la presenza di materie carbonizzate ci disse essere stati dei focolari. Durata ancora in questo stato di semi- rovina per qualche tempo, mercè deboli restauri, non è forse impossibile ch’ essa abbia trovato l’ultimo crollo nella rapacità dei Saraceni, i quali posero a ferro e a fuoco tutte le vicinanze della città. «È deplorabile che nessun monumento letterato sia venuto fuori da questi scavi. Nondimeno per quanto il carattere privato dell’edifizio ci lasci nutrire poca fiducia di rinvenirne, pure attesa la importanza della località, e l’essere rimasto vergine il sito ove sorgeva la fronte, potrebbe avvenire che la lontana speranza fosse in seguito coronata da buon successo. « Gli scavi che ho dettagliatamente descritti alla S. V. vennero ripresi nel giorno 8 di maggio, e continuati senza interruzione, come rilevasi dal relativo Giornale, fino al 3 giugno, cioè fino a quando non si ebbe a risentire assoluto difetto di fondi. Lungo tutta la loro durata essi furono sorvegliati con molto zelo dal ff. di sovrastante governativo sig. Nissardi, sotto la mia direzione, ogni qualvolta lo stato di salute mi permise di portarmi sul luogo, ed in mia vece sotto la direzione del prof. Vivanet, nella cui provincia la natura dello scavo più direttamente rientrava. Nessuna inge- renza potè avervi l’egregio Ispettore degli scavi e monumenti attesochè, essendosi dovuto allontanare da Cagliari qualche settimana prima che si riprendessero i lavori, non è ancora al momento in cui scrivo, per quanto io sappia, rientrato. « Mi lusingo che tanto da questa mia relazione, come dai disegni geometrici e dalle riproduzioni fotografiche, che ho l’onore di unire ad essa, Ella sig. Direttore, abbia a rilevare che il teatro delle nostre esplorazioni non è privo di qualche im- portanza. È infatti un intero edifizio, discretamente conservato, che si diseppellisce, edifizio il quale in mezzo alle molte degradazioni sofferte, contiene in sè prove abba- stanza concludenti del suo antico splendore. Ma quel che più mi pare degno di nota si è, che desso è l’unico monumento che possa dare un'idea positiva e concreta della — 331 — vita privata in Sardegna, quando tutte le testimonianze ci portano a credere, che l'isola godesse in quell’ epoca di una prosperità mai più raggiunta nei tempi venuti dopo. < Ella vedrà inoltre che, sebbene si sia fatto molto, atteso i mezzi di cui sì è potuto disporre, resta ancora non poco da fare, perchè l’intero fabbricato possa dirsi isolato, ed avendolo innanzi agli occhi nella sua postuma interezza, se ne possa fare una intera e definitiva illustrazione. « Nutro piena fiducia che la S. V. porrà questo Commissariato in grado di vedere tornato interamente in luce questo vetusto monumento, che unitamente al grande Anti- teatro vicino, all’ emissario sottostante, alle tombe romane non molto lontane, rico- struiscono una Karales, divisa ora da noi da tante vicissitudini, ed alla quale siamo nondimeno legati da vivi ed imperituri ricordi. — Il Commissario — Grov. SPANO. » ear Pai Ato s SS = x Ò i (9 > L x (e, 155 "6 SS 5 S S x I. 5 È £ GS E im. La e SÌ ' * =) ) A | 1 EA: 7, 77, Ca HT ii giuns pa o, fifa al A, “ei _ 4108 at rr | i | | iS | < 2 x o pi ©) "2, È < IN, EA ui È ò L A : | Si Q LI È 7) ; 3 p | ISS % E È S i I G 3 da x ___ LG AU TV = i $ -_L È lE sai 2 he; | . LI SINZZZA UU VUZZSN x 7) BS (O) a: = | FE “= === SSA © è S 03 | & Pr 79 SS i IE < n°) ì È SS Th } = CS SR TRO S ° a _& Sei à SI fica. RS WGS È SE ‘ESS fo R SS S SIDE i <& i D Zes ts s RS : E SI S NIN N — 374 — Noi c'imbattiamo adunque nella.questione degli Universali (An dentur Univer- salia realia) tanto discussa nelle Scuole del Medio Evo, e connessa intimamente con quella del Principio d'Individuazione. Quantunque il Pomponazzi le tratti sepa- ratamente, l’ una rientra nell’ altra e non è possibile scinderle, come in realtà non furono scisse nella Scolastica. Risaliamo dunque rapidamente alle scientifiche e stori- che origini di queste famose questioni e alle loro attinenze colla Ideologia e colla Metafisica aristotelica. Il problema dell’Universale consiste essenzialmente a domandare che è l’Uni- versale in sè stesso, e quali sono le sue attinenze colla Natura e con l’Intelletto; se è nelle cose particolari, come loro parte e in che modo, o se esiste in sè come realtà separata; e posto che non esista nelle cose, che cosa è, un concetto o modo dell’intelletto, o un semplice nome (/latus vocîs); questioni distinte e coordinate come le parti di un tutto. Il problema della Individuazione consiste a chiedere che cosa sia 1’ Individuo, come costituito, qual sia il principio della sua costituzione, se sia la forma o la ma- teria, o la quantità o qualcosa di affatto proprio e incomunicabile, e come stia il suo principio costitutivo cogli altri elementi che entrano a comporlo; e domanda per con- seguenza questo medesimo problema come si organizzino nell'ordine conoscitivo i con- cetti e gli atti mentali corrispondenti agli elementi dell’individuo nell’ordine onto- logico; dal che appare manifestamente il legame intimo delle questioni che riguardano il Principio d'Individuazione con quelle che concernono l’Universale, e il nesso delle une e delle altre colle dottrine della Ideologia e della Logica. Sono note le oscillazioni della Ideologia di Aristotele fra uno sviluppo intellet- tivo che dipende tutto dai sensi e un’ attività mentale che preparata e determinata dall’esperienza si inalza nondimeno al disopra di essa mediante l’intuizione dei primi principii e una relazione ontologica col Noo causa finale e principio attrattivo della mente umana e dell'Universo. Due dottrine sorte dal comun tronco aristotelico nell'antichità e nel medio evo spinsero all’ estremo 1’ uno e l’altro di questi due indirizzi, cioè quello di Stratone che professò un Naturalismo in cui tutte le forme, compresa l’intelligenza finita, avevano origine dalla materia, e tutte le»cognizioni, compresa la razionale, scatu- rivano dal sensibile, e quella di Averroè che stabilì un intelletto unico, universale, eterno, unito alle anime sensitive e individuali dei singoli uomini. Ci vorrebbero dei volumi per enumerare tutte le varietà e graduazioni interme- die di queste due opposte soluzioni. Conviene intanto al nostro scopo di rammentare che il Realismo, il Concettualismo e il Nominalismo del medio evo, occasionati dallo studio della Introduzione di Porfirio alle Categorie di Aristotele ('), si coordinano na- turalmente alle questioni della origine dei concetti e del valore delle potenze del- l’anima. intellettiva, di guisa che, quando, al principio del 200, fu conosciuta nel- l'occidente latino la Psicologia aristotelica, essi divennero gli antecedenti più o meno consapevoli delle varie direzioni seguite dall’ Aristotelismo nei tempi più maturi della (4) Vedi il Cousin Introduzione al Sicet Non di Abelardo. » Ca — 375 — Scolastica e della Rinascenza, e furono quindi richiamati e discussi nel dibattimento dei problemi connessi della cognizione e dell’ anima. Così avvenne che il primitivo Nominalismo di Berengario e di Roscellino si col- legasse con quello posteriore di Ockam, e il Realismo di Sant’ Anselmo e di Gu- glielmo di Champeaux con quello di Scoto e degli Scotisti. Così accadde pure che Alberto Magno e gli Albertisti, San Tommaso e i Tomisti fuggendo gli estremi si accostassero alla soluzione di Abelardo e al Concettualismo senza troncare ogni re- lazione ontologica dell’ intelletto umano col divino. Il problema della origine delle cognizioni si coordinava negli scritti dei filosofi più recenti con quello della esistenza e del valore degli oggetti loro, la Psicologia si ricongiungeva con la Dialettica e l’ Ontologia anteriormente impegnate sole nella questione degli Universali. Il Pomponazzi tratta anch’ egli nel primo libro del suo Commento la quistione degli Universali sotto questo titolo: Utrum dentur universalia realia. La sua formola dell’ Universale è una sintesi di Concettualismo e di Nominalismo; l’ universale è, se- condo lui, formalmente nell’intelletto e nominalmente nelle cose: diri quod univer- sale est modus considerandi qui formaliter est in intellectu sed denominative in re considerata (Chartae 33 recto). Ma questa conclusione non contiene tutto il suo pensiero; per abbracciarlo in- teramente conviene seguirne lo sviluppo nella forma dialettica che gl’imprimono le abitudini didattiche del suo tempo e le esigenze di un’ investigazione critica che si applica a una grande moltitudine e diversità di opinioni intorno a questo soggetto. Mi sia concesso sperare che l’importanza dell’ argomento, il valore dei ragionamenti condensati dal Pomponazzi in brevissimo spazio, e l’ aspetto nuovo nel quale que- sta trattazione ci presenta il celebre professore di Bologna faranno tollerare l’ aridità di qualche formola scolastica e il peso di qualche distinzione sottile e antiquata. Il Pomponazzi si avvia alla sua formola dell’ universale per mezzo alla storia e alla polemica. Prima di arrivarvi egli combatte la dottrina platonica e il realismo ed espone l'opinione di San Tommaso e dei Nominalisti i quali, fatta astrazione dalle differenze accidentali che egli pone da lato, possono, a suo avviso, conciliarsi e ritenersi per concordi nell’ essenziale della questione. Egli vi aggiunge anche quella parte della dottrina di Averroè che fondandosi sull’ operazione dell’ intelletto passivo proprio dei singoli uomini si distingue da quella che riguarda l’ Intelletto agente comune a tutti ('). (!) Il faut done accorder, scrive il signor Renan (Averroès ct l’Averroisme, Parigi 1861 p. 135), à l’intellect une existence objective, et l’acte de la connaissance n° a lieu que par le concours de l’ intellect subjectif (intellect passif ou en puissance) et de l’intellect objectif (intellect actif). L’in- tellect passif est individuel et périssable, comme toutes les facultés de l’àème qui n’atteignent que le variable; l’intellect actif, au contrarie, étant entièrement séparé de l'homme et exempt de tout mé- lange avec la matière, est unique, et la notion de nombre n°y est applicable qu’en raison des indi- Vidus qui y participent, Sans ètre exprimée avec la précision que nous exigeons maintenant dans les recherches philo- sophiques, cette solution satisfait aux principales conditions du problème, et détermine avec une net- teté suffisante la part de l’absolu et du relatif dans le fait de la connaissance. Les réfutations que le moyen-àge a tentées de la théorie d’ Ibn-Roschd ont, en général, porté à faux, comme toutes — 376 — Il Pomponazzi non attinge la dottrina platonica delle idee alle fonti, ma nei li- bri di Aristotele e segnatamente nei metafisici insieme con le obbiezioni che lo Sta- girita rivolge contro di essa. Platone voleva, dice il Pomponazzi, che ad ogni specie nelle cose naturali corri- spondesse un'idea eterna, che le cose singole esistessero per partecipazione di que- sta, e che essa fosse il vero oggetto dell’ intendere e del sapere. Le ragioni sulle quali Platone fondava principalmente questa dottrina, soggiunge egli, erano la necessità di render conto della generazione nella quale i tipi oltrepassano in du- rata l’azione temporanea delle cause contingenti e immediate, e 1’ esigenza della Scienza il cui oggetto è universale, e non particolare ed è vero in sè e non fittizio, e quindi è distinto dalle cose individue e non è un semplice prodotto dell’intelletto. Ma questa dottrina è confutata da Aristotele con le seguenti quattro ragioni: 1.° se le idee sono il principio della generazione, la generazione è impossibile; di fatto la ge- nerazione avviene fra esseri della medesima specie; ora essendo le idee opposte alle cose singole, come l’ eterno al corrutibile, esse differirebbero dai loro effetti più che di genere; 2.° Frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, et aeque bene. Entia enim non sunt multiplicanda sine mnecessitate, cioè applicando questi adagil: le cause naturali bastano a spiegare la generazione; 3.° Platone pose le idee per l’intellezione delle cose naturali, ma l'intelligenza abbraccia anche le artificiali; perchè Platone non ha ammesso le idee anche per queste? — Veramente, potrebbesi rispondere al Pomponazzi, Platone le ha ammesse come si può vedere nel Cratilo e nella Repubblica, ove parla anche del letto în se e di cose simili, ma ripetiamo che il Pomponazzi ha attinto la sua esposizione in Aristotele; 4.° la quarta obbiezione che egli raccoglie dallo Stagirita è che la scienza delle idee non è la scienza degli ideati e che assegnando per oggetto alla Scienza l’idea si rende inutile la Scienza, o piut- tosto si distrugge, non potendosi con essa intendere il reale. Quarto: positis ideis destrwitun scientia quia potest sciri idea et mon ideata: quod probatur quum de- finitio debet praedicari de definito; idea autem non praedicatur de ideatis; ergo ideata non sciuntur; vanum est ergo ponere ideas ut scianiur ideata quia non pos- sunb sciri. : Viene poscia un’altra opinione dei Realisti che al Pomponazzi sembra ancora più mostruosa della precedente, quae est monstruosior prima, e che attribuisce a Bu- ridano a Paolo Veneto a Scoto. Essi pretendono che esista realmente l’universale, fatta astrazione da ogni operazione dell'intelletto, e lo provano così: 1.° la Scienza ha per oggetto l’ universale e non il siagolare, e il suo oggetto è reale; la realtà del suo oggetto è dunque la realtà dell’ universale; nella sua pri- ma apprensione l'intelletto intende l’ universale, perchè l’ universale è l’obbietto les réfutations, qui cherchent è prendre un système par son còté faible plutòt que parson còté vrai. Certes sil est au monde une révoltante absurdité, c' est !’ unilé des dmes, comme on a feint de l'en- tendre, et si Averroès avait jamais pu soutenir è la lettre une telle doctrine, l’ averroisme meérite- rait de figurer dans les annales de la démence et non dans celles de la philosophie. Cf. il Commento di Alessandro Afrodisiense alla parte che ha per titolo De Inlelleclu Agente. Ne risulta che l’Aver- roismo è una figliazione della dottrina di Alessandro il quale ammetteva pure una relazione onto- logica fra l’Intelletto divino e la potenza umana d'intendere. — 977 — dell'intelletto, il che non potrebbe essere se 1’ universale non fosse reale, se avesse per causa l'intelletto stesso, e non ricevesse in qualche modo l’ azione dell’ oggetto preesistente. 2.° Non si possono immedesimare le cose di cui si predicano i contraddittorii; ma l’ universale e il singolare sono suscettivi di tali attribuzioni, dunque sono di- stinti. Su questo punto osserva il Pomponazzi, il Platonismo e il Realismo sembrano convenire, poichè per 1’ uno come per l’altro il singolare e 1’ universale sono oppo- sti fra loro come il corruttibile e l’ eterno. 3.° Quantunque gli universali siano reali e realmente distinti dai singolari, non ne segue che gli universali siano separati dai rispettivi singolari di luogo e di sog- getto. La mistione dell’ universale col singolare è più forte della mistione dell’ ac- cidente col soggetto. Un'altra ragione di questa unione intima è che se gli univer- sali fossero separati dai singolari non si vedrebbe in qual modo potrebbero servire a dichiarare l’ essenza dei singolari e questo è un argomento in cui i realisti conven- gono con Aristotele contro Platone. Ma questo palliativo escogitato dai realisti per salvare la distinzione sostanziale dell’universale senza compromettere la conoscenza dei singolari e il valore della Scienza non li assolve. Il Pomponazzi giudica il miscuglio immaginato da tale Realismo un estremo di mostruosità e una cosa inintelligibile. « Se questa natura, soggiunge egli, che costoro pongono, fosse almeno incorporea, potrebbe ancora essere tollera- bile, quantunque fosse una chimera, poichè per lo meno essa si potrebbe intendere, come s'intende l’intelletto unico di Averroè; ma a mio giudicio questa opinione vuole che vi sia una natura comune, come sarebbe per esempio quella dell’ uomo, la quale sia nella cosa e sia anche in me, e che sia composta di materia e di forma (cioè sostanziale) ed esista in diversi luoghi. Questa a me sembra una assurdità (una fatwitas) ». Questa forma del Realismo riesce al Pomponazzi così strana che non sa risol versi a credere che i suoi seguaci affermassero coll’animo ciò che avevano sulle lab- bra (‘); perchè 1’ universale deve predicarsi del singolare con una predicazione che dica: questo è questo; ma l’universale reale è realmente distinto dal singolare per se, dunque non potrà predicarsi del singolare con una predicazione che dica: questo è questo (°). Se la natura dell’ uomo fa parte dell’ essenza di Socrate, come potremo noi accordare che la natura dell’ uomo sia eterna, mentre quella di Socrate è corrut- tibile? Tu dirai forse che questa natura è corruttibile per se o per accidente; am- metto questa distinzione, ma non mi risguarda. Intendendo la materia e la forma di Socrate parmi che io intenda perfettamente Socrate senza la considerazione di quella natura che io non so se sia come un manto sulle spalle di un Re. Finalmente se l’ universale è distinto realmente dalla cosa reale, Dio potrà dunque fare un uni- versale senza il singolare e viceversa. Metto dunque da parte questa evidente assurdità. (') Et quod dixerunt hane opinionem ore, corde vero nescio quomodo poluerunt hoc affirmare. (3) Universale debel praedicari de suis singularibus praedicalione dicente: hoc est hoc, sed uni- versale reale est realiler dislinclum a singulari per se, ergo non polerit de singulari praedicari prae- dicalione dicente: hoc est hoc. PARTE TERZA — Von. III. — SERIE 2.2 48 — 378 — Ma non basta al Pomponazzi di avere esposto e confutato le tesi e gli argomenti più noti della scuola de’ Realisti, egli attacca più particolarmente Scoto esponendo e combattendo le ragioni di lui. Scoto definisce l’ universale: natura communis, realis, apta nata esse în plu- ribus secluso (sic) operatione intellectus, cioè una natura comune, reale e nata fatta per essere nei molti senza l’opera dell’intelletto. Supponete, dice fra l’altre cose lo Scoto, che questa natura non esista, allora 1° intelletto nella sua intellezione dell’ nni- versale s’ingannerebbe, poichè crederebbe di apprendere nelle cose l’ universale, quando in realtà non apprenderebbe mai altro che il singolare, ed essendo erronee le sue prime operazioni tutte le altre lo sarebbero, poichè dipendono dalle prime. È 1’ argo- mento degli avversari del Realismo rovesciato e scagliato contro di loro; essi di- cevano: l’ universale, l’ idea platonica non serve a far conoscere il singolare; i Reali- sti rispondevano: il particolare non vale a far conoscere l’ universale; nè la replica era vana; ma la discussione si prolungava all’ infinito, colpa di una dialettica che o dimezzava la realtà o non si avvedeva dei limiti naturali del ragionamento astratto, e quindi cadeva nella sofistica. Il Pomponazzi è uno dei filosofi che nello sciogliere questo problema sono stati più temperati ed hanno, con una soluzione eclettica, meglio tenuto conto di tutte le esigenze della mente che lo pone, il che vuol anche dire dei fatti. La sua soluzione va cercata non soltanto nelle carte ove esamina il problema sotto il titolo proprio, ma anche in quelle ove tratta del Principio d’ Individuazione (Carte 194 a 202) e in quelle ove discorre dei fattori subbiettivi ed obbiettivi della specie intelligibile e della intellezione (Carte 152 - 158 - 172 - 173 e passim) e delle relazioni loro coi fantasmi, colle sensazioni e colle cose sensibili. Il filosofo di Man- tova non ha certamente potuto sfuggire a tutti i difetti che il proposito di trattare la scienza a guisa di commento ha di necessità insinuati nel suo insegnamento: lo spezzamento delle questioni ha dovuto nuocere ed ha difatto nociuto alla potenza e alla fermezza della sintesi; a forza di cercare il probabile di tutti i concetti altrui, la dialettica può disvezzare dal tener saldo il filo dei proprii; nondimeno non si può negare, che a. malgrado di molte incertezze sui particolari, la mente del Pompo- nazzi non abbia ordinato in bell’ insieme le numerose parti del complesso e arduo . problema, e che le sue risposte non formino una sintesi rispettabile e per varii ri- guardi soddisfacente. Il suo procedimento è logico e degno dell’ altezza della questione. Dopo avere messo in rilievo gli errori e le contraddizioni dei Realisti che sono i principali suoi avversarii, e in generale il debole dei sistemi diversi, generalmente incompleti ed esclusivi, egli conclude colla sua formola eclettica dell’ universale, e questa è la parte propriamente logica e dialettica della trattazione. La sua formola è escogitata per rispondere alle difficoltà rimaste insolute nei sistemi predetti. Poscia ripigliando il problema sotto l'aspetto psicologico egli esamina particolarmente i fattori subbiettivi del concetto e della specie intelligibile, determina le attinenze dell’ intelletto possi- bile e dell’ intelletto agente e i varii modi onde esse furono interpretate nella storia dell’ Aristotelismo; finalmente innalzandosi al punto di vista della realtà ob- biettiva egli ne tratteggia successivamente il lato ontologico puro, cosmologico e — 379 — teologico, e mostrandosi coerente a un metodo che senza svincolarsi dal commento, si sforza di sfuggire al sistematismo, egli conclude sulla quistione dell’Universale e su quella del Principio d’ Individuazione con un tentativo di conciliazione, salvo la posizione averroistica dell’ unità dell’ Intelletto che egli combatte sempre a oltranza. \VIL Come già si è detto, l’ opinione del Pomponazzi riguardo all’ Universale è tratta principalmente da Averroè, da San Tommaso e dai Nominalisti i quali, secondo lui, differiscono più nella forma che nella sostanza. Essi di fatto non ammettono che le definizioni e i concetti abbiano per oggetto specie e generi esistenti realmente in sè fuori dell’intelletto, ma vogliono che rappresentino le cose particolari sensibili, che essi per altro intendono in diversi modi in ordine al principio della individualità e alla rela- zione di questo coll’ elemento generico e specifico. Ciò essendo, è chiaro che nel rin- tracciare il processo col quale si forma la notizia dell’ universale e nello spiegare i caratteri e le relazioni sue, il Pomponazzi non possa scostarsi del tutto da loro, e che qualcuna delle vedute e ragioni degli uni e degli altri debba ritrovarsi nella sua dottrina. E prima di tutto vediamo come egli risolva la questione se la specie intelligibile e l’intellezione siano una cosa sola (Utrum intellectio et species intel- ligibilis sint unum realiter a Carte 172 verso); poichè dalla sua soluzione dipende lo scioglimento di quest’ altra, se cioè sia necessario di porre nell’anima intellettiva l’intelletto agente distinto dal possibile e paziente; in altri termini se la funzione intellettiva non sia che una ricettività, spiegabile coi fantasmi e prodotti sensitivi trasformati dall’esercizio delle potenze inferiori del soggetto conoscente, ovvero se sia d’uopo ricorrere a un atto proprio, intermittente o immanente, dell’intelletto. Alla medesima guisa che dai moderni 1’ intellezione vien riguardata nel doppio rispetto soggettivo e oggettivo, cioè come modo del pensiero e come suo contenuto, e inoltre come atto di energia conoscitiva e come prodotto di quest’ atto o nozio- ne disponibile, così gli Scolastici facevano sul concetto considerazioni in parte iden- tiche in parte diverse sotto altri nomi. Anche pel Pomponazzi la specie ha significato e rapporto obbiettivo, oltre quello di prodotto intellettuale, ed è come una rappresenta- zione mentale che l’intellezione compisce. Egli dunque distingue le due cose e ripete l’adagio celebre nelle scuole che: ex specie et potentia fit cognitio rei. Ma quali sono le ragioni su cui si fonda la distinzione? 1.° È un principio evidente che: mon sunt eadem realiter quorum uno non esistente alterum remanet (Ch. 173 recto). Ora la specie è precisamente in questo rapporto verso l’intellezione; 1.° la specie rimane in noi quand’ anco non ci pensiamo e non l’intendiamo; altro è la cognizione, altro è la conservazione dell’ idea nella memoria. 2.° Se la specie intelligibile non è distinta dalla intellezione, quale sarà il termine di questa? Se è il sensibile reale, come spie- gare l’intellezione dei non esistenti, dei possibili e anche degl’impossibili? Se i fan- tasmi, come spiegare con essi e cogli oggetti sensibili, sempre singolari gli uni e gli altri, Y universale che è 1’ oggetto della intellezione? 3.° La rappresentazione gene- x nerale, la specie non è così perfetta come l’intellezione che la compie. Diversi sono — 380 — i pareri soggiunge il Pemponazzi intorno a questo compimento, volendo gli uni che vi avvenga come l’ aggiunta di un quid assoluto che trasformi ed elevi la specie alla intellezione, e tenendo gli altri che la diversità sia soltanto relativa. Egli mantenendo la distinzione sta nondimeno per la seconda opinione. L’ intellezione è essenzialmente più perfetta, ma l’ aggiunta che essa fa alla specie è relativa e non assoluta; finezza tutt’ altro che oziosa perchè mantiene la continuità del processo che lega l’ ultimo apice della facoltà conoscitiva al suo primo nascimento nel senso. I, intelletto adunque, secondo 1’ opinione adottata dal Pomponazzi, riceve nella sua pura e vuota potenza la specie, ma informato da essa diventa capace d’intelle- zione per la migliore disposizione del soggetto ricevente (‘), poichè è per lui un prin- cipio generale non solo di Fisica ma anche di Psicologia che in ogni cosa vi è azio- ne e passione e che l’ una è sempre proporzionata all’ altra. Tali sono le ragioni per le quali il filosofo di Mantova mantiene la distinzione della specie intelligibile dall’ intellezione, discostandosi dal parere della maggior parte dei Latini il cui consentimento comune all’opinione contraria egii riconosce, e allon- tanandosi ben poco per altro dal dottor Angelico pel quale come per altri la specie e l’intellezione sembrano differire soltanto come il più e il meno perfetto, ed essere una cosa radicalmente medesima e diversa solo in quanto come specie ha un rap- porto all’obbietto ad extra e come intellezione lo contiene in forma spirituale ad intra. La distinzione della specie intelligibile dalla intellezione mena a quella dell’ in- telletto possibile e dell'intelletto agente. Questa materia che Aristotele ha trattata alla fine del De Anima e in qualche passo delle Etiche in modo da sollevare le più grandi controversie fra i suoi seguaci è esaminata dal Pomponazzi nelle Questioni: Utrum intelle- cius agens et possibilis sint duae res realiter distinetae et quomodo — Utrum sit necesse ponere intellectum agentem propter intellectiomem causandam stante priori necessi- tate — da carte 158 a 170. Egli espone dapprima le opinioni principali, ne confronta e ri- leva le opposizioni, ne pesa le difficoltà. Temistio, Alessandro, Averroè e gli Aver- roisti sono gli autori che egli ora chiarisce, ora confronta e oppone fra loro, ora combatte direttamente. Due principalmente sono le ragioni su cui fonda la distin- zione; la prima è che una semplice e nuda potenza, una facoltà simile a una tavola rasa, non basta per ispiegare la intellezione degli universali; ci vuole una causa mo- trice che la riduca all’atto, e di più fra il motore e il mosso, fra 1’ agente e il pa- ziente vi deve essere proporzione (*). Ora la causa che può mettere in moto i fantasmi (*) Ullerius cum dicitur unde causalur illa diversitas speciei ab intelleclione, dicunt provenire hoc ex agente et passo melius disposilo, el cliam quia in puro inlellectu recipitur species, inlelleclio vero recipilur in inlelleclu specie informato. Tune ad rationes in oppositum dicitur. Ad primam cum vel additur aliquid absolutum vel relalivum, dicilur quod inlelleclio in se est absolutum, dico tamen et conslat, relalivum. Ad aliam cum dicitur quod istud obieclum superaddilur specici, dico quod est ipsa inlelleclio. Ad aliam cum dicilur an sit ejusdem ralionis dico quod non, imo inlellectio est essen- tialiter perfeclior specie. Ad allerum cum dicilur unde causalur isla diversitas, hoc: quod causatur ab agente et melius disposito. Ad aliam cum dicitur in vanum poneretur unumistorum, dicitur quod non, quia species sola non polest facere istud quod facil intelleclio, quum species sit imperfeclior intel- leclione et isla opinio comuniter tenetur (Ch. 174 recto). (2) /lem aclivum et passivum debent adaequari, itaque quanta sit possibililas patientis tanta sil aclivitas agentis (Ch. 170 recto). — 381 — in guisa da estrarne la specie intelligibile non può essere una facoltà inferiore; l’azione della Cogitativa posta al disotto dell’intelletto non è che istrumentale, dice il Pom- ponazzi riferendo l'opinione della maggior parte dei commentatori; una facoltà inferiore non può operare nella superiore: perciò si è immaginata una sostanza astratta, una prima o un'ultima intelligenza, o un’ intermedia, una virtù in somma della quale ora non ci curiamo, destinata a muovere i fantasmi e a produrre la specie intelligibile. Questa la ragione principale di porre l’intelletto agente; esso è poi anche necessario per evitare la posizione degli universali in sè, la realtà degli universali ante rem. D'altra parte la ragione principale per cui sì distingue l’intelletto possibile dall’agente è che la nostra intelli- genza non è sempre in atto, e che ora l’esercitiamo e ora no; la mutazione dal non intendere all’intendere suppone una potenza di recezione; tanto più che mentre l’ in- tendere, in quanto astratto dalla materia, si fa dall’ intrinseco, la specie recata all’ in- tellezione vien dall’ estrinseco, cioè dal sensibile. E d’ altra parte la specie nuda, cioè l’obbietto ideato, senza l’ universalità, è dispositiva e non effettiva : della intelle- zione. Come è chiaro, dice il Pomponazzi, che si mutano e rinnovano le nostre in- tellezioni, io domando quale è ia causa loro produttiva. Sarà o l'intelletto possibile, o il fantasma, o la specie, o l’intelletto agente. Non il primo, perchè l’ intelletto possibile è in potenza passiva verso l’intellezione, è soggetto, non è in rapporto di azione verso di essa; non la specie che si è già distinta dall’ intellezione, come meno perfetta dell’ operazione intellettiva e come suo obbietto: la specie concorre in modo dispositivo e non effettivo; il fantasma neppure, perchè inferiore alla specie che ne è estratta, secondo l’adagio, de quo magis videtur inesse et non est, ergo nec de quo minus (Ch. 168 recto). Resta dunque l’intelletto agente. La conclusione del Pom- ponazzi sul semplice concorso dispositivo della specie e del fantasma non è per al- tro sempre così recisa come in questo passo notevole per la sua chiarezza e preci- sione. Egli guidato dal probabilismo della sua dialettica dichiara un pò più oltre che < aliter potest dici quod fantasma et intellectus agens ambo concurrunt effective ad speciem causandam sicut unum totale agens » e più oltre dopo aver distinto an- cora i due rispetti di questa condizione dell’ atto d’ intendere « dico quod non in- convenit idem concurrere effective et dispositive » e finalmente termina la più im- portante di queste questioni sull’ intelletto con queste parole in cui l'ufficio suo es- senziale è di nuovo affermato: Necessitas igitur tota intellectus agentis ponitur ad speciem intelligibilem causandam, quae est sententia Alerandri in comento 28. Ma come opera finalmente l'intelletto agente? come si esercita 1’ intelletto con- siderato sotto questo rispetto? In che relazione psichica sta precisamente col possi- bile? Il Pomponazzi non fa di essi due entità distinte: contrariamente alla tesi aver- roistica dell’ unità cosmica dell’ intelletto agente, egli li unifica e individua entrambi nell’ anima umana, e coerente al principio della unità sostanziale dell’individuo che egli concilia colla varietà delle potenze nella determinazione e nello sviluppo reale delle forme e delle funzioni, egli professa la dottrina che i due intelletti costituiscono una cosa sola e sono fra loro come la materia e la forma (') la potenza e l’atto (0.163 v.). (1) Tenel ergo hacc nostra opinio quod ex inlellectu agente et possibili conslitualur verum unum sicut ca maleria el forma, ee aclu et polentia. = 98 Intellectus possibilis est sicut materia, agens vero sicut forma. Egli ripete le pa- role di Aristotele che l’intelletto possibile è atto a tutto divenire (tò rAvta Yiyv:08a), e l’intelletto agente a tutto fare (t@ mavta moetv). Quanto all’ esercizio dell’ intelletto agente il Pomponazzi o il suo Commento non si spiega molto chiaramente sul punto delicato di sapere se si debba ammettere in esso un atto immanente oltre i suoi modi transitorii; ma dall’ insieme di questa parte della trattazione e delle altre ancora di tutta questa dottrina sembra risultare sicuramente che l’atto immanente dell’ intelletto umano non differisca da un atto co- stitutivo della sua materia e della sua forma o funzione, potenza e atto che per se stessi son tutto e non son nulla, in quanto l’ una per ricevere e l’altro per fare 1’ in- tellezione determinata, abbisognano del lavoro delle funzioni inferiori, della cogitativa, della fantasia, della memoria e dei sensi. Giù abbiamo veduto a proposito delle cognizioni sensibili che queste funzioni intervengono nell’esercizio dei sensi aggiungendo alle sensazioni le relazioni che con- corrono nelle prime percezioni. Ora da esse pure dipende secondo il Pomponazzi la elaborazione dei materiali dell’intelletto. Prima di tutto egli ritiene per dimostrato dall’esperienza e non meno conforme al parere di Aristotele che in ogni nostra intellezione noi abbiamo bisogno di fantasmi. Egli riconosce bensì che l’intellezione è distinta dall'immagine e si fa l’ob- biezione che essendone distinta e supposto pure che l’immagine sia un aiuto necessario a formarla, quando finalmente sia formata, e l’abito di contemplarla e usarla sia stabilito, l’aiuto diventa inutile, e per conseguenza si può ammettere che l'intelletto non abbia sempre bisogno d’immagini. Ma risponde pure che l'argomento vale contro chi non ammette un iegame necessario fra l’ordine dei fantasmi e quello dei concetti, come fanno appunto i Tomisti, e non ha forza contro coloro che l’ammettono, come professa di fare egli stesso. San Tommaso non nega il fatto di tal legame, ma lo riguarda come un effetto dell’ordine naturale (voluto da Dio), un risultato contin- gente e temporaneo dell’unione dell’anima col corpo, e non come una conseguenza ne- cessaria della essenza di quella ( Utrum intellectus în omni sua actione egeat fanta- smate, Chartae 191). Un altro lato della difficoltà medesima è che vi sono degli oggetti spirituali e separati dalla materia. Ora se li intendiamo, non li intendiamo certo con le imma- gini che sono quantitative e materiate; a che dunque sostenere l’unione di tali intel-. lezioni coi fantasmi? La risposta è che prima di tutto le osservazioni patologiche provano che il moto normale del cervello dal quale dipende pure la fantasia è neces- sario all’esercizio dell’intelletto; poscia un corretto filosofare peripatetico richiede am- mettersi che noi intendiamo gli oggetti spirituali soltanto in relazione ai materiali quantunque dividendo da essi le condizioni della materia (solum in ordine ad ista materialia intelligimus, negando et dividendo ab illis conditiones materiae Ibidem). Questo lavoro di astrazione nel quale è compreso anche l’hic et nune (Chartae 223) vien fatto, secondo il parere del Pomponazzi, dalla cogitativa, virtù interiore sì ma estesa e materiale, e nondimeno propria dell’uomo e negata ai bruti, con un moto che trae la specie non sensata dalla sensata, sopprimendo il quantitativo e il sensi- bile delle determinazioni senza troncare ogni relazione colle sussistenze individue. — 583 — Il Pomponazzi sa bene che questo processo della cogitativa, cioè di una facoltà cerebrale, che quindi è fisica, sembra a molti una cosa contraddittoria, poichè si ammette come intangibile l’adagio: quod omne receptum recipitur secundum na- turam recipientis, e che per conseguenza il ricevuto in questo caso invece di spiri- tualizzarsi ed apparecchiarsi alla forma universale del concetto, sembra invece doversi materializzare; ma egli sta con quelli che non accettano questo principio in tutto il suo rigore e ritengono che invece di natura si debba dire capacità del ricevente. Ma lasciamo questa distinzione poco istruttiva e degna delle entità scolastiche e notiamo piuttosto il modo con cui risponde a coloro i quali, come Giovanni Filo- pono, vogliono che a causare le specie intelligibili basti per le cose sensate la im- maginativa e per le non sensate la memorativa. Egli oppone a questa opinione due argomenti. Il primo è che altro è ritenere le nozioni e le intenzioni correlative ed altro il formarle; altro è intendere, altro ricordare. La conservazione delle specie dipende dalla fantasia e dalla memoria, la loro produzione no; per questa è neces- sario un moto, un processo. Il secondo argomento somiglia troppo a quel ragiona- mento che i vecchi astronomi fondavano sulla perfezione della figura circolare per determinare l’orbita dei pianeti, ed è che la cogitativa è più nobile della immaginativa e della memorativa ed appartiene solo all’ uomo (Utrum cogitativa vel alia virtus serviat inteltectuali operationi a Carte 191 e 192. — Utrum cogitativa denudet spe- ciem substamtiae a sensibilibus propriis et comunibus a Carte 223 verso). Fin dove vada l’ufficio della cogitativa secondo il Pomponazzi è dunque ormai chiaro. Riassumendo diciamo ch’essa secondo lui è un moto astrattivo che separa dalle qualità conerete del sussistente le determinazioni quantitative e sensibili, ridu- cendole a forme semplici, e collegando queste forme fra loro in guisa da costituire sinteticamente le specie relative agl’ individui e alle immagini da cui son tratte le somiglianze e nondimeno senza l’universalità che abbraccia tutti i singoli reali e pos- sibili di una data classe ed è il privilegio dell'intelletto. Infine la cogitativa colla sua funzione risolutiva arriva fino alla sostanza che spoglia di tutti i sensibili rendendone apprensibile la specie propria. Ora, alcune osservazioni. Il Pomponazzi si è evidentemente proposto fra i fini principali della sua dottrina psicologica quello di seguire il moto evolutivo e non interrotto che dalle sensazioni conduce alla intellezione degli universali. Tutto il suo Aristotelismo ha questo indirizzo e questo carattere. La Natura, ripete egli spesso coi suoi colleghi peripatetici, va dal meno al più, dall’imperfetto al perfetto. Fra la memoria delle sensazioni, o i fantasmi e la intellezione della specie intelligibile non vi può essere un vuoto; il posto è occupato dalla cogitativa; è dessa che con una doppia opera- zione, quella cioè che astrae i semplici, e quella che unisce e-separa i simili e i diversi costituisce con sintesi di astratti le specie e i generi e le gerarchìe loro, e con essi ammanisce le specie intelligibili le quali informano l'intelletto o vi sono ricevute e finalmente intese, ossia nella veduta intellettiva vengono considerate in sè e universalizzate. Con la suddetta duplice operazione del pensiero il Pomponazzi crede spiegare altresì sufficientemente la differenza dell’a priori e dell'a posteriori nella Scienza e nell'ordine logico, mentre con altre considerazioni relative alle cause dell’ universale rd ee nel Cosmo e in Dio egli intende, come si vedrà più oltre, a mantenerne i tondamenti tutti nella realtà. Egli avverte che la Scienza ha per oggetto l’universale e non è pos- sibile se non quando la specie intelligibile è formata, cioè quando esistono i concetti di seconda intenzione e con essi i generi e le specie. Ora secondo il Pomponazzi vi è nelle cose individue una convenienza, astrazione fatta dall’intelletto, e questa convenienza è a posteriorî perchè è privativa e non è altro che l’eliminazione delle differenze (conosciute empiricamente). Ma il principio positivo di convenienza, il posi- tivo universale in cui due termini convengono è formalmente nell’intelletto e per denominazione soltanto nelle cose. Questa unità ‘intellettiva che domina nella Scienza è pure, secondo lui, l’a priori della Scienza; con essa e per essa la convenienza positiva apparisce nelle cose; quella si manifesta come la misura e il principio, queste come il misurato e la conseguenza quantunque l’una sia tolta dall’altre. Vedremo fra poco se questa spiegazione dell’a priori e dell’a posteriori acquisti valore per tutto ciò che l’autore vi aggiunge dal punto di vista obbiettivo e metafi- sico, e ammettendo l’esattezza della distinzione fra la specie intelligibile considerata come rappresentazione del simile e la medesima intesa come rappresentazione del- l’universale, ci domanderemo: 1° se il Pomponazzi ha colto veramente tutta la fun- zione dell’intelletto; 2° se egli ne ha riconosciuto tutto il pregio elevandola, fino alla ultima sua condizione, e cioè fino a quel punto in cui non è più soltanto intelletto, ma ragione o funzione conoscitrice della suprema ragion delle cose o dell’Assoluto; 3° se il rapporto che ha stabilito fra essa e l'Assoluto sia tale da guarentire la sua importanza, cioè da raggiungere il fondamento ultimo dell’Universale, e costituire la Verità sopra la sua base collegando l'intelligenza e l’essere in una relazione intrinseca ed essenziale. Ma prima di fare questo rapido esame, dobbiamo dar un cenno sulla relazione dell'intelletto con se stesso, ossia sulla coscienza intellettiva che il Pomponazzi trat- teggia nelle questioni speciali « Utrum intellectus intelligat se per se an per aliud » (Chartae 150) e « Numquid intellectus suam operationem intelligat » (Chartae 151). Che l’intelletto intenda se stesso e che ciò avvenga per riflessione, egli lo dice e ripete in molti luoghi e lo ammette come un fatto provato dall’osservazione. Egli accoglie pure altrove come un assioma indubitabile che nessuna potenza materiale può rivol- gersi sopra se stessa e che una facoltà spirituale è sola capace di questa operazione. Qui egli analizza e spiega il fatto. È certo, dice egli, che l'intelletto non intende sempre se stesso; ciò essendo non si può ammettere che intenda se stesso per essenza, e prima di aver inteso altre cose. L’intellezione che l’intelletto ha di sè ha dunque per condizione l’intuizione mentale di una specie diversa dalla sua; ma quale? Essendo l’intelletto (in quanto possibile) indifferente a tutte le specie, essendo esso tutte le specie in potenza, si ammetterà che la necessità della predetta condizione non riguarda una data specie, ma una specie qualunque; nondimeno sorge dubbio circa il rapporto pre- ciso della intellezione di questa specie colla intellezione di sè. Si tratta di sapere in che modo una specie meni l’intelletto alla cognizione dell’oggetto suo proprio e a quello dell’intelletto stesso, o se a ciò richiedasi qualch’ altra cosa e qui sta il punto (‘). (i) Sed stat lamen dubilatio si per quamcumque speciem polest se inlelligere, quomodo est pos- sibile quod una species ut asini ducat inlelleclum in cognitionem asini et ipsius ‘inlellectus, vel requiral aliud el in hoc stat punclus. do — I Vi sono due modi di spiegare questo rapporto, addotti dal Pomponazzi ; il primo e il meno probabile è che mediante la specie sola l'intelletto possa essere condotto alla cognizione di se, perchè la specie può rappresentare tanto l’ oggetto al quale propriamente si riferisce, quanto il soggetto conoscente, per l’inerenza che ha in lui e pel concorso effettivo di esso intelletto a renderla intesa; cosicchè in primo luogo la specie produrrebbe la cognizione dell’ oggetto e in secondo luogo quella del soggetto. Ma questa sentenza che è forse pur quella di Averroè, sembra am- bigua al filosofo mantovano e la sua fina analisi prosegue su questo punto delicato come segue. Se l’intelletto intende se stesso per una specie aliena, questo atto è volontario o è naturale. Non può avvenire per volontà, perchè non possiamo sempre produr!o, e inoltre perchè la volontà suppone la cognizione dell’intelletto lungi dall’esserne il principio; nè per natura, perchè il naturale è anche costante e generale; ora nè il nostro intelletto intende sempre se medesimo tutte le volte che intende un obbietto; nè in tutte le classi di uomini avviene l’intellezione di cui si tratta. Inoltre altra difficoltà è la seguente. Se l’intelletto conosce un oggetto è se stesso per una specie, poniamo quella di un bruto, questa cognizione si farà con un atto solo o con due; se con uno, la cognizione dell’ intelletto dovrebbe dunque accompagnar sempre qualunque co- gnizione (contro il fatto giù ammesso); se con due, bisognerebbe ammettere che le rispettive specie siano distinte in modo assoluto, o che suppongano qualcosa di assoluto. La spiegazione, che piace di più al Pomponazzi, consiste nell’ammettere un con- cetto distinto dell’intelletto oltre la intellezione della specie o dell’oggetto. L'intel- letto già informato dalla specie opera in se stesso e cagiona l’intellezione di sè, cosicchè la specie intesa concorre alla produzione della seconda intellezione come condizione strumentale. Tale è il modo col quale, nel suo Aristotelismo, il Pomponazzi rende conto della coscienza intellettiva. Questo grado superiore della coscienza fa riscontro a quello della coscienza sensitiva; mentre il senso esteriore non intuisce se stesso, il senso comune unificatore delle sensazioni di specie diverse è già in certo modo una coscienza sensibile; poichè è un senso delle sensazioni e dei sensi; ma come potenza materiale, il senso non riflette sopra se stesso e sulle sue operazioni; questo processo è il privilegio dell’intelletto, esso solo ne è capace perchè è spirituale. VII. Ora finalmente possiamo trasportarci col Pomponazzi dal punto di vista subbiet- tivo all'aspetto obbiettivo della doppia e connessa questione psicologica e metafisica dell'Universale. Le sue considerazioni sotto questo riguardo discorrono per tre sfere dell’essere, come già l’abbiamo avvertito, e cioè, l’ontologica, la cosmologica, la teo- logica. Percorriamole per ordine. Quanto alla prima egli vi attinge le ragioni di un temperato realismo trattando del principio della Individuazione. PARTE TERZA — Von. III. — SERIE 2.8 49 — 3860 — La questione del principio d’ Individuazione, dice il Pomponazzi, consiste nel domandare che è ciò per cui il singolare è uno ed è questo dato ente in particolare ('). Ora questo principio può considerarsi sotto due aspetti, come intrinseco'e come estrinseco; il quesito può dunque avere una doppia soluzione (°). Sulla prima parte della questione il filosofo di Mantova enumera e discute quattro opinioni; quella cioè di San Tommaso, di Scoto, di Averroè e dei Nominali. Per San Tommaso il principio intrinseco della Individuazione sta nella materia quanta, nella materia determinata dalla quantità materia cum quantitate) e ivi sta pure il principio di distinzione di un individuo da un altro nella medesima specie, cosicchè, secondo questa opinione, la ragione per cui io e tu ci distinguiamo l’uno dall’altro, è che la materia che ho io nou è quella che hai tu e viceversa. Per lo Scoto invece il principio intrinseco della Individuazione e della distin- zione individuale è l’ecceità, un principio peculiare cioè d’individualità distinto dalla forma generica e specifica per cui io per es. son Pietro e mi distinguo dagli altri uomini nonchè dagli individui d’altre specie (°). Per Averroè, o almeno secondo l’opinione che è comunemente seguita come con- forme alla sua mente in tale questione, il principio intrinseco suddetto sarebbe la forma, qual causa vera della unità dell’ente, e prima base della sua determinata natura; cosiechè, soggiunge il Pomponazzi, ecco che secondo il Commentatore, la materia s'individua e si determina nel composto di un ente particolare mediante la forma (‘). Pei Nominali finalmente ogni cosa s’ individua ed è contrassegnata intrinseca- mente colle parole questo ente, per se stessa, e non pel quantitativo della materia come vuole Tommaso o per l’ ecceità di Scoto, o per la forma di Averroè. Di queste opinioni, soggiunge il professore, nessuna io combatterò interamente, nessuna interamente abbandonerò, ma da esse accoglierò ciò che mi sembra confor- me alla verità. Ora per 1’ intelligenza del mio pensiero in questa materia, dovete av- vertire che tutto ciò che è, 0 è semplice, o è composto. Ogni cosa semplice è per se stessa individuata e in ciò piacemi l’ opinione dei Nominali, ma pel composto la hi- sogna è diversa. Il composto non è più semplicemnte o materia o forma, ma l’ unione d’ entrambe. Ora facendo astrazione da Dio e dalle intelligenze superiori, tutto nel (1) Proponimus ergo quaestionem hane quod sit principium individuationis quod est quaerere per quod singulare est unum el hoc ens. (2) Quare ut perfeste disseramus hanc maleriam primo quacramus per quid lamquam per prin- cipium inlrinsecum individuum sil hoc ens, secundo quacremus per quid lamquam per principium castrinsecum individuum est hoc ens et singulare. (3) Et ita per islam Petreitatem dicor hoc ens, ut Petrus, el per cam distinguor a quocumque alio individuo quod non est ego (C. 194 recto). (!) È da notare che il Pomponazzi non afferma in modo assoluto che questa sia 1’ opinione di Averroè (el hoc videtur dicere Commenltator in hoc secundo in comento seplimo); che anzi altrove e specialmente là dove tratta la questione se la cogitativa può spogliare la sostanza della quantità, afferma che secondo il Commentatore l’individualità dipende da questa; e ciò conferma il Renan nel suo libro sopra Averroè (pag. 155-156 ediz. del 1861); ma la distinzione fatta dal Pomponazzi circa il principio intrinseco della Individuazione spiega il fatto che al filosofo Arabo abbian potuto attri- buirsi due vedute che non sono due dottrine ma due parti di una medesima dottrina sullo stesso soggetto. — 387% — mondo è misto di questi due principii. Ma 1 uno di questi, la materia, è la condi- zione di ogni moltiplicazione e distinzione numerica degli enti, e 1’ altro, la forma, ne condiziona la determinazione interna e l’ unità. Ogni individuo reale è dunque uno per l’unità della forma e quella della materia o per 1’ unità del composto. Si suole attribuire 1’ universalità alla forma e l’ unità singolare alla materia in causa del pro- cesso della generazione e della loro relazione coi tipi e colle specie, poichè la prole nasce e cresce simile nella specie ai parenti, ma si moltiplica e individua in mate- rie diverse; con tutto ciò nell’ individuo vivente la sola forma si mantiene mentre la materia cambia. La forma, causa di unità nell’ essere, si concilia dunque col princi- pio intrinseco della individuazione, e le determinazioni generiche e specifiche da essa contenute si particolareggiano nel composto sussistente in guisa da terminare. nelle ultime differenze, vere ecceità che si distinguono le une dalle altre per se stesse, e in astratto sono incomunicabili, ma concretamente considerate convengono, perchè unite nelle singole sussistenze coi loro contrarii, cioè cogli attributi da cui dipendono le somiglianze. E per tal guisa non hanno nè del tutto ragione nè del tutto torto i Nomi- nali sostenendo che ogni ente si distingue per se stesso da ogni altro: nè ha torto Scoto ricorrendo a un elemento qualitativo di distinzione individua che si concilii con l’ele- mento generale, quantunque s’ inganni nel concetto realistico del medesimo; ha ragione S. Tommaso derivando dalla materia quanta la pluralità degli individui o distinzione loro numerica; e finalmente, conchiude il Pomponazzi, convengo con Averroè perchè la unità del composto procede piuttosto dalla forma che dalla materia. E così dalle quattro anzidette opinioni traggo questa nostra differente e conveniente con esse ('). Abbiamo esaurito il punto di vista della metafisica generale; consideriamo ora l'aspetto cosmologico e teologico della questione. È nota l’importanza che il Pom- ponazzi continuando le tradizioni della scuola di Padova e specialmente gl’ insegna- menti di Pietro d’ Abano attribuisce all’influsso dei corpi celesti nei destini del globo terrestre e degli uomini.. Il suo acuto ingegno non seppe emanciparsi da questo pregiu- dizio che intorbida e guasta in più d’un punto il suo Aristotelismo d’altronde così illu- minato. Il trattato degli Incantesimi, e degli Effetti maravigliosi delle Cause Naturali, e quello del Fato, a malgrado degli sprazzi di luce di cui sfavillano, ne rimangono oscu- rati. Qui adunque per ispiegare il-corso uniforme della natura e coll’ unità del- l’ ordine cosmico anche l’ unità dell’ ordine ideale e sopratutto il moto dell’ intel- letto che per funzionare nelle intellezioni deve determinarsi ad atti speciali, egli ri- corre all’azione delle intelligenze astrali, immaginarie mediatrici di tutto ciò che accade nel nostro mondo. Dinanzi alle obbiezioni dei Realisti relative al nesso dell’universale cogl’individui nella generazione e nel mantenimento della specie, la mente acuta del professore di Bologna si accorge bene della vanità della soluzione nominalista che egli respinge espressamente come sofistica e protesta che vuol rispondere da fisico; ideo aliter re- spondebimus et magis physice. Egli ben vede che è impossibile di spiegare 1’ unità della natura con dei concetti e dei nomi. La similitudine stessa delle cose sensibili (!) Et ila ex qualuor illis opinionibus recilalis clicio hanc noslram differentem el convenientem cum illis (Chartae 199 recto). i — 388 — non gli basta e per ciò mentre respinge le idee platoniche, egli invoca il concorso delle cause mondiali, cioè dei corpi celesti, che, nel suo sistema, condizionano ciò che vi ha di perpetuo e universale nelle cose umane e terrene. Diamo infine col Commento esaminato un ultimo passo ascendendo col suo autore dalla intellezione dell’ universale alla natura della Verità e da questa all’ Assoluto, ultimo termine del pensiero filosofico. Egli esamina la questione della essenza della verità e delle sue relazioni con lo spirito umano e divino a carte 174 del suo Com- mento sotto questo titolo: Utrum in rebus sit veritas et falsitas, vel în solo intellectu ed io citerò in parte e in parte compendierò le sue parole: Dico che la Verità è ana- loga alla sanità; al modo stesso che la sanità è un ordine e un’adequazione degli umori all’ animale, così la verità è un’adequazione e commisurazione della cosa al- l'intelletto o dell’intelletto alla cosa.......... « Ma voi mi chiederete che cosa è « una verità che consiste nell’ adequazione della cosa all’ intelletto e dell’ intelletto < alla cosa? Dico che se si paragona la cosa all’ intelletto pratico, essa è vera se- < condo la sua relazione con tale intelletto, e in questa guisa è vera per quanto si < paragona ed ha relazione con l’ intelletto divino: poichè in quanto le cose sono ef- « fetti di Dio, sia nel genere della causa efficiente, sia nel genere della causa finale, « tutte hanno le idee loro nella mente divina, e sono vere secondo che hanno somi- « glianza con l’idea loro, e hanno un maggior grado di verità secondo che più si <« assomigliano ad essa.......... . La cosa adunque è detta vera in quanto è pa- « ragonata con l’ intelletto da cui dipende e questo modo di vedere non è tanto un « platoneggiare quanto un conformarsi al pensiero di Aristotele espresso nel 12.9, « dei Metafisici e a quello di Averroè il quale pone in Dio l’idea di ogni cosa come « nella mente di un artefice superiore. Imperocchè non sarebbe peripatetico il dire « che in Dio non è scienza delle cose inferiori ('). Ma ecco forse sorgere un’ obbie- < zione: Tu dici che la cosa è vera per quanto è riferita all’intelletto pratico e fat- « tivo contenente tutte le forme. Io domando se questo intelletto alla sua volta è « vero 0 no ». — Fatta l’obbiezione, il Pomponazzi risponde: «io credo di sì, in causa « dell’ intelletto speculativo; 1’ intelletto pratico presuppone lo speculativo del quale < è un estendimento. Di fatti si concepisce una casa prima di fabbricarla; se 1’ arte- « fice l’ha eseguita secondo il disegno appreso nella sua immaginazione si dice che è « la vera, altrimenti è falsa. L’ intelletto pratico tiene dunque la sua verità dallo « speculativo, e così si è detto qualmente la verità consista nell’ adequazione della < cosa all’ intelletto; è ora da dirsi qualmente la verità consista anche nell’ adequa- « zione dell’intelletto alla cosa. Dico che ciò si verifica massimamente a rispetto no- « stro; imperocchè le nostre intellezioni sono vere quando si conformano alla cosa ad « extra ». In questa guisa secondo il Pomponazzi la cosa sostiene alla sua volta la parte che prima sosteneva 1’ intelletto, e 1’ intelletto speculativo (umano) si riferisce al pratico (divino) e tale relazione è da misurato a misura; perocchè nella verità prima (!) Questa sentenza aristotelica non contraddice all'altra: che Dio non si occupa dei contingenti e degli individui. Altro è la scienza delle cose inferiori e altro 1° occuparsi di queste; la scienza versa nell’ universale. — 389 — è la cosa che è misurata e l’intelletto è la misura; nella seconda la cosa è la misura e l'intelletto è il misurato ('). Il professore di Bologna insiste notando che le cose non son vere o false asso- lutamente in ordine al nostro intelletto, altrimenti una sola e medesima cosa po- trebbe essere vera e falsa in causa della discrepanza delle opinioni umane; esse son dette vere per rispetto a noi, non perchè il nostro intelletto abbia realmente in sè la misura loro, ma perchè sono atte a generare di sè in noi una scienza conforme ; e in quanto alla loro verità assoluta essa dipende dall’ intelletto divino, il quale è vero im sommo grado. Così si chiarisce la definizione della verità come adequazione della cosa all’intelletto e dell’intelletto alla cosa. Fin qui il Pomponazzi. Ora conosciamo tutta la sua mente intorno al problema dell’ Universale e alla Verità. L’ Universale non è per lui nè un’ idea platonica, nè un nome, nè un semplice concetto. L' Universale considerato come forma pensabile e pensata, come unità rap- presentativa di tutti gli individui è nell’ intelletto, ed ecco la parte che fa al Concet- tualismo; sotto questo medesimo rispetto 1’ Universale è per denominazione soltanto nelle cose, ed ecco la sua concessione al Nominalismo; finalmente il Realismo ha ra- gione contro il Nominalismo sostenendo che vi è qualcosa di più che la pura e incomu- nicabile individualità; gl’ individui hanno fra loro delle somiglianze di fatto da cui sì possono ricavare le convenienze razionali e le forme dei generi e delle. specie, e questo è il primo fondamento dell’ universale nella realtà naturale, e il primo ob- bietto della cognizione intellettiva di cui il senso porge i materiali, che la fantasia e la cogitativa trasformano e preparano per l’ atto superiore della intellezione; ma vi sono due altri e superiori fondamenti del medesimo; l’uno è 1’ influsso delle cause perpetue dell’ ordine cosmico da cui tutto è regolato nel mondo sublunare e che muovono l'intelletto finito alla sua propria funzione, secondo 1’ adagio aristotelico: che mentre le essenze inferiori non possono operare nelle superiori, queste invece in- fluiscono in quelle; l’altro infine è la mente divina, la cui essenza è fonte di verità ideale e reale, ossia dei tipi ai quali le cose create si accostano in diverso grado, e che l’uomo ricava imperfettamente da esse per farne il criterio dei suoi giudizii e delle sue operazioni; di guisa che nè la realtà nè l’idea sono per l’ uomo il fonda- mento unico della Verità, ma l una e l’altra insieme, o piuttosto la relazione loro, e così il sistema del Pomponazzi non è nè un Realismo (-nel senso di Empirismo ) nè un Idealismo (nel senso di Platonismo ), ma una dottrina media e relativa che intende a evitare le direzioni esclusive e a conciliare gli estremi. Dall’ esame della vasta e profonda trattazione di cui ci siamo occupati il filo- sofo di Mantova si presenta a noi coi larghi tratti di un pensatore pel quale il com- mento è occasione a trattare le questioni più alte e più comprensive della filosofia. (*) V. nell’ Appendice i Supplementi. Cf. sull’ intelletto pratico e lo speculativo il De Fato, de Libero Arbitrio ete. libro III, pag. 776 ediz. di Basilea 1567. — Cf. pure un Commento mano- scritto inedito del Pomponazzi al regi Eppsvsias di Aristotele. Me ne è stata comunicata una copia dal prof. Berti. Ne estraggo questo passo: Regulatum per regulam cognoscilur; regula vero regulatur per scmelipsam; et ila regula regulac alios habilus; se ipsam vero per accidens, id est regulando alia Tegulal semelipsam. — 390 — La sua copiosa erudizione storica, la sua critica acuta, la forza della sua dialettica, l'indirizzo eclettico e indipendente del suo Aristotelismo, tutto il suo metodo in somma avrà, a quanto sembraci, fornito le prove di quanto asserimmo in principio, cioè che egli non è veramente nè un avversario sistematico di Averroè o di S. Tom- maso, nè un seguace senza riserbo dei commentatori greci e di Alessandro. Non ostante la sua adesione ad Aristotele e il suo fermo proposito di spiegarlo con lui stesso e con l’aiuto dell’ Afrodisiense, il buon senso e la ragione lo sollevano non di rado al di sopra del principio di autorità e delle abitudini dominanti nel suo tempo, secondo ciò che egli stesso obbedendo a un intimo sentimento ha espresso nella sua XVII.*® Dubitazione al 4.° dei Meteorologici di Aristotele: Magna est Arz- stolelis auctoritas, magnus est etiam rationis impetus (Venezia, 1563). Un giudizio completo sulla dottrina del Pomponazzi intorno all’ universale e al- l'intelletto, ci condurrebbe necessariamente a un esame dei fondamenti dell’ Aristo- telismo; non intendiamo di allargare a così vaste proporzioni questo lavoro. Ripren- diamo soltanto le domande che qui sopra ci siamo fatte e rispondiamo brevemente sui tre punti che contengono. Pel Pomponazzi l'intelletto non è che una funzione astraente superiore, una fun- zione universalizzatrice. Ora se l’ universalità è uno dei caratteri più importanti del concetto e uno dei criteri della funzione intellettiva, esso non è peraltro nè il solo nè il più essenziale alla loro natura. I concetti e le intellezioni si corrispondono come i pro- dotti e gli atti produttivi e negli uni come negli altri vi è un’unità sintetica, un or- ganismo, nel quale sta propriamente l’intendere e l’inteso. L’intendere è una funzione inseparabile da quella di giudicare ; si afferma o si nega nel giudizio ciò che si ap- percepisce legato o slegato nelle idee; vi sono delle relazioni di dipendenza o d’indipen- denza per cui si formano gli aggregati ideali o i concetti; e come queste relazioni costituiscono fra loro un ordine alla cima del quale vi sono le più semplici ed ele- mentari coi termini rispettivi, così le prime nozioni o categorie sono la hase del lavoro col quale si compongono e scompongono i concetti. L’intendere è dunque con- nesso intimamente colla facoltà di giudicare e coll’uso delle categorie; e come le ca- tegorie si combinano fra loro nei giudizii fondamentali dell’ intelletto e si applicano come regole ai dati della esperienza, così la questione della origine delle categorie o delle prime nozioni è intimamente connessa con quella dei primi e fondamentali giudizii. Ora la posizione chiara e consapevole di questi problemi piglia data dal Kant e dalla sua Critica della Ragion pura. Per l’Aristotelismo e in generale per l’ antichità essi sono rimasti o sconosciuti o senza connessione fra loro, e tali sono stati pure pel Pomponazzi e per la filosofia della Rinascenza. Solo i filosofi che sono venuti dopo il Kant, per esempio il Rosmini, ne hanno capito l’importanza e il nesso. L'origine e la sintesi degli elementi intellettivi: tali sono le due questioni maggiori intorno a cui si travaglia la filosofia dei nostri tempi con un movimento che cominciato dal pensatore di Konisberga abbraccia ormai un secolo di ricerche critiche, di costru- zioni sistematiche e di osservazioni. Oggi ancora una Scuola empirica si sforza di dimostrare che le più alte combinazioni intellettuali non sono altro che complica- zioni di elementi sensitivi, e la funzione unificatrice dell’ intelletto una trasforma- zione delle associazioni del senso. Il largo spirito sperimentale dell’ Aristotelismo — 591 — deve avere la sua parte alla soluzione definitiva deli’ arduo problema; ma per se stesso l’ Aristotelismo: non è stato capace d’intenderlo pienamente. Oltre all’ esser- gli sfuggita l’importanza del nesso che unisce il giudizio e le categorie all’ intel- letto, esso non ha ricavato dalla coscienza dell’ intelletto stesso considerato come ener- gia funzionante quelle categorie del Dinamismo interno che il Fichte volle dedurre idealmente ie une dalle altre, ma che i psicologi più modesti delle Scuole scozzese, francese e italiana di questo secolo hanno realmente ritrovate nell’ analisi interna del- lo Spirito ('‘). Ma prescindendo dal vuoto universalizzare a cui si riduce l’intelletto del Pom- ponazzi e. dell’ Aristotelismo, sorge contro di esso un altro rimprovero ed è che questa funzione non è elevata a quella unità mentale a cui, indipendentemente dalla questione del suo valore, giunge di fatto il concepimento filosofico e scientifico. Che si chiami ragione l’applicazione dell'intelletto al ragionamento e alla dimostrazione cogli Aristotelici, o si riserbi coi Kantisti questo nome alla unificazione delle ca- tegorie e dell’ordine ideale nella suprema unità mentale, ossia nel pensiero dell’ As- soluto, poco monta; l'importante è di distinguere le due funzioni, e di descriverle e cer- carne i fondamenti. Ora tale distinzione e descrizione mancava all’ Aristotelismo. Esso ci parla di un primo motore, lo riguarda come energia perfetta, lo determina come pensiero, ma non precisa la relazione della mente con esso. Ora pretende raggiun- gerlo con una induzione che lo fa cadere nel finito, ora ce lo presenta come l’ 0g- getto vacillante di una intuizione che arieggia il Platonismo. Questa incertezza ha influito sul Pomponazzi; per lui pure il pensiero dell’ Assoluto interviene, come s° è visto, nella costruzione del sistema, ma l'origine di questo pensiero non è appro- fondita, i suoi vincoli coll’ intelletto non sono scientificamente determinati, sono anzì intricati cogli errori di una strana Mitologia astrologica; cosicchè nonostante la bel- lezza speculativa che si ammira nella maniera con la quale il filosofo di Mantova determina le attinenze della Verità col Cosmo e con Dio, tutta questa parte della trattazione manca di una sufficiente base scientifica. VILI. Lo sguardo che abbiamo dato alla dottrina del Pomponazzi sulla Verità e sull’Uni- versale ci conduce naturalmente ad estrarre dal manoscritto che stiamo esaminando il suo pensiero intorno alla questione dominante del suo tempo, a quella che più lo ha occupato durante tutta la vita, vogliamo dire la doppia questione della immortalità e immaterialità dell'anima; poichè egli ne subordina la soluzione alla natura della funzione intellettiva e alla dipendenza o indipendenza di questa dal senso e dall’orga- nismo. Se l’anima, dice in sostanza il Pomponazzi, se l’anima in quanto è intellettiva, ha un'attività propria e indipendente dal senso e dal sensibile, essa potrà pure ren- dersi, dopo la morte, indipendente dal corpo, separarsi dalla materia e vivere di vita propria. Ove invece il primo non sia, e neppur l’altro potrà essere, nel qual caso (!) Stewart, Cousin, Galluppi, Rosmini ete. AGE perirebbe col corpo, Ora secondo Aristotele le intellezioni non sono separabili dai fan- tasmi, quindi neppure dagli oggetti sensibili e neppure dalla causa loro, cioè dal corpo. L'argomento è in perfetta forma, soggiunge il Pomponazzi, dunque secondo Aristotele l’anima è mortale ('). Il trattatello stampato sull’Immortalità svolge ampiamente questa conclusione e nel volume manoscritto che stiamo esaminando, la medesima è nuovamente discussa e confermata nella Questione che ha per titolo « Utrum anima sit mortalis ». Ma nella questione della immortalità è implicata quella della spiritualità. Il Pom - ponazzi le connette, le svolge e risolve insieme. La soluzione che ne dà è essa la medesima nelle due opere; e se è la medesima, qual è? è negativa o è critica, o è un quid medium fra gli opposti sistemi del Materialismo e dello Spiritualismo? Se la sua soluzione avesse quest’ultimo carattere, bisognerebbe applicare al suo sistema una designazione sotto la quale Materia e Spirito potessero contenersi e unirsi in qualche modo, nonostante i difetti dell’Aristotelismo e le incertezze che ne derivano nelle speculazioni teocosmiche di qualunque dei suoi seguaci. Il sig. Fiorentino, nel suo libro intitolato: Pietro Pomponazzi, studii storici su la Scuola Bolognese e Padovana del secolo XVI (Firenze 1868) giudica che nel pen- siero del filosofo Mantovano sia avvenuta, circa la questione della natura dell’anima intellettiva, una specie di evoluzione la cui prima fase sarebbe espressa nel Trattato della Immortalità, la seconda nella Apologia, la terza nel De Nutritione. Da quanto pare al sig. Fiorentino, secondo l’autore del De /mmortalitate 1° intelletto alberga nella materia accidentalmente; l’autore dell’ Apologia invece ammetterebbe che l’in- telletto non è più nella materia per semplice concomitanza, ma in virtù della materia stessa; mutazione sostanziale, poichè mentre nel primo concetto l'intelletto era estraneo alla materia, nel secondo le diverrebbe intrinseco e congenito. Finalmente il Pomponazzi scrisse un ultimo lavoro su la Nutrizione; quivi egli professerebbe apertamente come consentanea alla ragione ed al sistema Aristotelico, non pure la materialità dell’ anima, ma altresì quella dell’ intelletto (Vedi l’ opera suddetta del Fiorentino da pagine 172 a 175). Queste mutazioni nel pensiero del Pomponazzi, a mio avviso, non ci furono (°) e credo si possa dimostrare esponendo le ragioni secondo le quali procede la sua argo- mentazione nel De Immortalitate e allegando i passi e le formole onde risulta che egli non se n’ è discostato nelle opere successive. Dico dunque 1° che nell’ultima come nella prima delle sue opere che trattano la questione dell'immortalità il Pomponazzi, come s’è detto, coordina questo problema con quello della spiritualità dell’anima in- tellettiva, o dell'intelletto, e conseguentemente con quello della separabilità o insepara- bilità sua dal corpo; 2° che la formola la quale, secondo lui, corrisponde a una esatta interpretazione della mente di Aristotele sulla questione della natura dell’intelletto è (!) Vedi il secondo dei Supplementa quarumdam quaestionum quae prius imperfecte lradita sunt, a carte 250 del manoscritto. È riferito negli Estratti pubblicati in appendice a questa Memoria. (2) In un articolo sul Pomponazzi pubblicato or sono cinque anni, nell’ Archivio Storico Ita- liano (Serie terza, tomo XV) fondandomi sulla esposizione del sig. Fiorentino ho ripetuto la sua opinione circa questa pretesa evoluzione della dottrina del Mantovano. — 393 — questa: che l'intelletto umavo ha bisogno del corpo, si serve del corpo, non come di soggetto, ma come di oggetto, indiget, ulitur corpore non tanquam subjecto sed tanquam objecto, e ciò perchè, secondo Aristotele e anche secondo ciò che al Pom- ponazzi pare essere la verità, l’intelletto o è fantasia o non è senza fantasia, intel- lectum aut esse phantasiam aut non esse sine phantasia ; 3° questa formola è ripro- dotta dal Pomponazzi costantemente in tutti i suoi scritti dal De /mmortalitate fino al De Nutritione compreso l’Apologia e il Commento inedito al De Anima ; 4° il modo con cui egli stesso spiega e svolge questa formola dimostra che dalla prima all’ul- l’ultima delle suddette opere egli ha sempre attribuito all’intelletto umano una origine comune ad esso e alle facoltà inferiori, cioè alla fantasia e al senso, e nondimeno un grado superiore di funzione, e una forma specificamente ma non sostanzialmente distinta, e legata, in ordine genetico, come le altre alla materia; 5° che quindi nella prima come nell’ultima delle medesime opere il Pomponazzi ha professato una certa corporeità dell’intelletto, obbiettiva peraltro, o come oggi direbbesi di contenuto, non formale o di funzione, ma tale da conciliarsi con alcune espressioni del De /m- mortalitate che sembrano negare o mettere in dubbio la derivazione dell’ intelletto dalla materia quando non si considerano nel tutt’ insieme della dottrina e non si rischiarano cogli elementi diversi e contemperati di una soluzione nè assoluta nè semplice, ma relativa e molteplice; 6° nonostante quello che pare avere di con- traddittorio una soluzione come quella del Pomponazzi sul problema della spiritualità dell’intelletto, cioè la soluzione che afferma la materialità oggettiva e la immaterialità soggettiva, e riconosce da una parte che esso viene dalle potenze inferiori e corporee e dall’ altra che le oltrepassa e si eleva col concetto e l’ universale sopra le con- dizioni organiche; si può nondimeno assolvere il filosofo di Mantova avvertendo che nell’Avistotelismo suo, d’accordo certo con quello di Aristotele, la materia è una cosa e il corpo e l’organismo un’altra; l'organismo e il corpo sono forme individuate e sensibili della materia. La Materia in sè, la Materia nella sua essenza, distinta dalle sue determinazioni, non si confonde nemmeno colla corporeità, quantunque secondo il Pomponazzi e chiunque ammette, come egli fa, l'eternità del mondo, non ne sia mai priva. Ma a tutto l'andamento della dimostrazione di cui ho enumerato le parti deve premettersi un passo importante del capitolo 4° del Trattatello dell’ Immortalità il quale, lo abbiamo già detto, ne è la ragione logica. Lo analizzo e riassumo qui con- tentandomi di citarlo in nota ('). (1) «+... . ad inseparabilitatem concludendam sufficit secundum Aristolelem quod sil vel virtus organica, vel si non organica, sallem quod sine objeclo corporali non possit exire in opus; dicil enim lex. 12 lib. 1 De Anima, quod sive inlelleclus sit phantasia, sive non sit sine phantasia, non con- lingit ipsum separari; cum aulem se) arabililas inseparabilitati opponatur, disjunclivaque affirmativa contradicat copulativac affirmativae faclae de parlibus oppositis; si igitur ad inseparabilitalem sufficit allernalive vel esse in organo lanquam subjeclo, vel ab ipso dependere tanquam ab objeclo, igilur ad separabililatem conjunclim requirilur neque dependere ab organo tanquam a subjeclo, neque lanquam QORODICCIO SOLARI PECORE II Amplius quando aliquid habet duas causas veritatis, una ablata el allera remanente, non minus iWllud remanel ul ex se nolum est, cum ad verilalem disjunclivac sufficit unam partem esse veram; sed PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2. 50 — 394 — La inseparabilità dell’intelletto dal corpo è significata da Aristotele in una pro- posizione affermativa disgiuntiva della quale la contraddittoria non può essere che una copulativa affermativa. La inseparabilità o corporeità del conoscente dipende in altri termini dall’una o dall’altra di queste due condizioni, o essere identico alla fantasia, energia corporea, o averla sempre per motrice e concorrente, dal che risulta pel cono- scente una doppia possibile esistenza organica, o soggettiva cioè od oggettiva. Volendo dunque dimostrare la separabilità o spiritualità assoluta dell'intelletto umano, è necessario di abbracciare in una proposizione copulativa affermativa della separabilità le due condizioni comprese nell’alternativa dell’inseparabilità. Non basta dunque per provare l’essenza affatto spirituale e indipendente dello spirito dalla materia il dimostrare che non dipende-dal corpo come soggetto, conviene anche dimostrare la stessa cosa per riguardo al corpo come oggetto. Il Pomponazzi nega ripetutamente che si possano, nella questione dell’intelletto, convertire il soggettivamente organico e il materiale da un lato e il non soggettiva- mente organico e l'immateriale dall’altro; ergo positio ponens organicum subjective et materiale converti, falsa est; poichè ogniqualvolta ad una cosa sono assegnati due modi sotto la condizione disgiuntiva, quella cosa può indifferentemente essere separata dal secondo o dal primo senza per ciò cessare di esistere, come per esempio la mancanza di generosità (i/liberalitas) può verificarsi in due maniere, o per avarizia o per prodigalità : e di fatto vi può essere un ingeneroso avaro senza prodigalità e un ingeneroso prodigo senza avarizia; se questi difetti non potessero separarsi, non vi sarebbero due modi distinti di mancare di generosità, ma o tutt’e due coincide- rebbero reciprocamente, o ambedue congiuntamente e necessariamente concorrerebbero alla negazione della generosità; e in altre parole, se non vi fosse ingeneroso il quale nello stesso tempo non fosse anche prodigo e avaro, non si potrebbe far dipendere la ingenerosità dall’uno o dall’altro di questi due difetti ma da tutt'e due insieme. Del pari se la inseparabilità dell’intelletto dipende dall’essere lui fantasia o connesso con la fantasia, ne segue che la sua inseparabilità dal corpo è legata all’una o al- l’altra di queste due condizioni indifferentemente o ad entrambe con determinazione reciproca o con necessaria concorrenza. È dunque fermo che l’immaterialità (assoluta) esige copulativamente le due condizioni del non essere fantasia nè connesso con la fantasia. Ma come la im- materialità è il contrario della materialità, a costituire quest’ ultima basta d’aver bisogno del corpo come soggetto o come oggetto; ciò che si enuncia disgiuntamente, inlellectum inseparabilem esse a materia verificatur, quoniam est phantasia, vel non est sine phantasia, ul patel, De Anima; remoto igitur quod sit phantasia, non minus verificaretur ipsum esse malerialem dummodo non esset sine phantasia; sed secundum positionem (la tesi che pareggia la materialità, genere, colla materialità del soggetto, specie), ‘stud esset falsum, quia impossibile est secundum cam intellectum esse inseparabilem el non esse phantasiam, cum apud cam illa convertantur: ergo posilio ponens organicum subjeclive et materiale converti, el pariler opposila corum, scilicet non organicum subjective el immateriale converti, falsa est. Adhuc quandocumque alicui rei duo modi sub disjunetione assignantur, res illa indifferenter potest ab allero illorum separari, avl sallem ab uno illorum ipsa remanenie; esempli gratia illiberalitas dupliciter contingit. aut per avaritiam, aul per prodigalilalem, ideo el reperitur illiberalis avarus sine prodigalilate, et illiberalis prodigus sine avaritia; si enim sì verifica alternativamente; e la proposizione aristotelica circa la relazione dell’in- telletto colla fantasia è una disgiuntiva. La materialità dell’intelletto intesa nel senso obbiettivo sumenzionato è dunque professata dal Pomponazzi nel Trattatello dell’Immortalità e quindi o egli l’ha profes- sata di poi in senso diverso e cioè nel senso subbiettivo che è il secondo dell’alterna- tiva da lui posta, nel qual caso, egli avrà veramente variata la sua opinione ammettendo nelle opere successive una specie di materialità dell’intelletto che prima non ammet- teva; o il secondo senso, quello della corporeità subbiettiva, non si rinviene nell’Apo- logìa e nel De Nutritione etc. e così sarà chiaro che non avrà variato. Quindi serve al nostro scopo ed anzi è necessario di insistere sul significato della materialità dell’ anima intellettiva intesa nel primo senso e di riferire alcuni. dei passi più importanti del Trattato dell’Immortalità che dileguano ogni dubbio al riguardo. Nel capitolo X l’autore ricorda ciò che del resto ha abbondevolmente dimostrato nel capitolo VI (') e cioè che non ammette pluralità di forme sostanziali nell'uomo; quindi come in molti altri luoghi egli afferma l’identità secundum rem del vegetativo, del sensitivo e dell’intellettivo nell’uomo, e per conseguenza escludendo la possibilità logica di asserire i contraddittori intorno a un ente unico, esclude pure che possa attribuirsi semplicemente (simpliciter) la mortalità o l'immortalità, la materialità o l’immaterialità all’ anima intellettiva umana, mentre è possibile attribuirle le due contrarie qualità sotto due aspetti e in due gradi diversi, e questi due modi sono che in sè (secundum se) è immateriale, ma che nella sua connessione continua coi fantasmi è materiale, ossia il suo essere dipende necessariamente dal prin- cipio stesso da cui dipendono i fantasmi, cioè dal principio corporeo. Che se si insiste, soggiunge il Pomponazzi, domandando se l’anima intellettiva è una forma materiale, diciamo che in parte è e in parte non è, poichè in quanto partecipa dell’immaterialità, separari mon possenti, non essent ulique duo modi ‘illiberalitatis, sed aut ad invicem coinciderent, aut ambo copulalive et non disjunclive necessario concurrerent ad illiberalitatem; elenim si nullus illibe- ralis esset misi simul prodigus el ovarus esset, non recle dicerelur ad illiberalitatem requiri prodiga- lilalem vel avariliam, sed prodigalilalem el avariliam conjunctas constituere illiberalitatem; si igilur ad inseparabilitatem sufficit ipsam (intellectivam) esse phantasiam, vel non sine phantasia, vel igilur slal ipsam esse inseparabilem sine altera carum condilionum indifferenter, vel sallem delerminale: si primum, ergo stabit quod intelleclus non sit sine phanlasmate, et tamen non sit phanlasia, et per consequens quod semper indigeat corpore tanquam objecto, et non lanquam subjecto ete. — De im- mortalitate animae caput IV. (1) Ponere autem pluralitatem formarum substantialium in codem composito . . . .... +... hoc ab Aristotele et a mullis Peripalelicis videtur alienum: verum duo adducam per quac omnes su- periores modi mihi videntur et a veritate et ab Aristotele remoti. Primo quidem hoc videtur experimento contradicere: ego enim qui hace scribo mullis crucia- libus corporis angustior, quod opus esl sensitivae: idemque ego qui crucior discurro per causas me- dicinales, ut refellam hos crucialus, quod misi per intellectum fieri non potest: si ‘igilur altera esset essentia qua senlio, el qua inlelligo, quo igitur modo fieri posset ut idem qui sentio sim ille qui in- lelligo: sic elenim dicere possemus quod duo homines simul conjuncli sic muluas, habent cogniliones, quod ridiculum est. Quod autem hujusmodi opinio sit ab Aristotele remota non difficile est videre: elenim 2 de anima ponil vegetalivum in sensitivo veluti lrigonum in telragono, sed manifestum est Irigonum in lelragono non esse lanquam rem realiler ab eo dislinclam ete. — De immortalitate caput VI, — 390 — conosce bensì se stessa ma per specie aliena e non per specie propria, e può nondi- meno secondo il suo essere, e in ogni modo riflettere sopra se stessa e conoscere i suoi atti, quantunque non immediatamente nè perfettamente come le intelligenze pure; e che lo possa non fa maraviglia, perchè l’anima nell’intendere non si serve di organo corporale nè degli amminicoli della materia; e se si insiste ancora dicendo l’anima ha il suo essere nella materia e lo ha per le prime qualità e per la quantità (inerenti alla materia), ma come tale è l’operare quale è l’essere, e quindi senza quelle non può operare; per conseguenza non può operare neppure senza gli ammi- nicoli della materia, e ciò è in opposizione con quel che dici, ...... non vede l’oppo- sitore che tutte queste obbiezioni provano contro la mia come contro le altre opinioni, perocchè anche secondo esse, l’anima non è nella materia se non pel quale e pel quanto, nè senza di esse potrebbe operare? Il perchè *se ci è una risposta per esse, la medesima vale anche per la mia. ......... realmente l’intelletto umano non può intendere se nella materia non sono il quale e il quanto sensibile, come non può operare se non è, e non può essere senza una disposizione (organizzazione) con- veniente; non ne segue per altro che esso intenda per questa disposizione ('). Difatto secondo Aristotele l’intelleito per adempiere all’ufficio suo deve essere capace di tutte le forme e non averne nessuna in particolare, tanto che possa comprendere in sè non solo tutti i sensibili, ma le forme opposte del corporeo e dell’incorporeo; il che non avverrebbe se avesse qualche qualità fisica determinata. L’intelletto si congiunge con la materia per mezzo del senso (*); quindi se nell’atto del sentire il suo essere parte- cipa alle qualità sensibili, non è così nell’ atto intellettivo, perchè l'intelletto, come tale, nou è qualitativo nè organico (*). Ecco ora spiegato il senso del passo che viene immediatamente dopo, cioè che l'intelletto umano è nella materia quasi per una certa concomitanza (intellectus huma- nus est in materia quasi per quamdam concomitantiam) o che l’intendere è in qual- che modo nella materia, ma abbastanza accidentalmente (et ipsum intelligere (*) Quod si dicilur numquid est forma malerialis? Dicimus quod in parte sit, in parte non: et quantum ad id quod de immaterialitate participat, licet non cognoscat se per speciem propriam, sed aliorum ul dicitur 3° De Anima, secundum tamen illud esse, potest (intellectus) quoquo modo, supra se ipsum reflectere el cognoscere actus suos, licet non primo el ita perfecle sicul inlelligentiae (coelestes): nec mirandum est quoniam anima inlelligendo non ulilur organo corporali, neque appenditiîs maleriae: el si ulterius instletur: ipsa anima non habe! esse nisi in materia, el per qualilales primas una cum quanlilate; sed cum operari sequilur esse, ergo sine illis operari non polest, ergo non potest operari sine appenditiis materiae cujus opposilum dicis: praeterea secundum philosophum ele. . . ...... 6 verum sic opponens non videl quod el haec omnia sunt et contra alias opiniones; nam et secundum eas anima non esl in materia nisi per quale el quantum, quare et sine illis operari non polteril: quod si qua esl responsio pro cis el pro hac eril: verumtamen ad primum dicitur quod revera îin- lelleclus humanus non potest intelligere nisi in materia sint quale et quantum sensibile, cum non possit operari nisi ipse sit, ipseque esse non polest nisi cum disposilione convenienti, non tamen sequilur quod per tales disposiliones inlelligat . ........ Ibidem caput X. (2) Convien ricordare che la fantasia o facoltà dei fantasmi, è una potenza sensitiva interiore, una dipendenza del senso, e quindi del corpo. (*) Ad illud vero de organo dicitur jurta praedicla ipsum indigere co ut objeclo, non subjeclo: quod autem ulrumque horum sit superiori capile dictumest: el si insletur: nonne conjungilur materiae — 397 — quodam modo est in materia sed satis accidentaliter). Poichè, come vien detto dopo in perfetta connessione con quel che precede, accade all’intelletto di essere nella materia; per altro l’intendere stesso non è posto in qualche parte del corpo, ma nel tutto preso come principio materiale nella sua unità categorica (sed in toto catego- rematice sumpto), perocchè se fosse localizzato sarebbe organico, e o non conosce- rebbe tutte le cose, o se le conoscesse, le conoscerebbe soltanto singolarmente come la cogitativa (cogitativa) e non universalmente; il perchè come l’intelletto così anche l’indendere è nel tutto...... E se di più si cerchi se l’intelletto umano riceve le specie delle cose in modo indivisibile (indivisibiliter recipiat), si risponde che in quanto intende, il suo modo di ricevere è indivisibile, e in quanto sente o vegeta è divisibile, e non ripugna che una natura tanto molteplice abbia tante diverse maniere di ricevere e di operare ('). È chiaro, la concomitanza di cui si tratta dipende dalla posizione dell'intelletto nello sviluppo delle forme e nel loro procedimento dalla materia; se fra la forma or- ganica e l’ intelligenza non ci fosse nulla di mezzo, l’ intelligenza sarebbe una funzione organica, la sua materialità sarebbe una relazione di modo a soggetto, ma questa immediatezza non c'è; fra gli elementi e processi corporei da una parte e l'intelletto dall’ altra vi è la vita vegetativa, la sensitiva e le funzioni della fantasia, della me- moria e di una energia cogitativa che è pure inerente all’ organismo. L'intelletto umano adunque è bensì con tutte queste funzioni parte di un’ anima sola, di una for- ma unica che appartiene a una data materia, ma salva la mediazione loro e un pro- cesso proprio che lo innalza al di sopra delle condizioni materiali e gli assicura una natura speciale. Nondimeno la dipendenza sua naturale dalla materia è necessaria, se- condo il Pomponazzi, per quattro ragioni principali; in primo luogo perchè la mate- ria indeterminata e intesa come potenza è il principio genetico di tutte le forme; in secondo luogo perchè la materia intesa e determinata come corpo organico è la condizione sine qua non dell’esistenza dell'anima che ne è la forma; in terzo luogo per qualilales primas, qualis igilur utique fiet, quare aut calor aul frigus, non igitur omnia cogno- scel: ad quod dicitur non conjungi maleriae qua inlelleclus est, sed qua conjungitur sensui: quare elsi in opere senliendi qualis fiat, non tamen in opere intelligendi, propler quod ul inlelleclus est non est qualis, neque organicus. Ibidem caput X. Convien pure avvertire che secondo 1’ Aristotelismo tutte le forme inferiori all’ intelletto sono forme per rispetto alle materie antecedenti, ma sono anche materie per riguardo alle forme susse- guenti nello sviluppo gerarchico dell’ essere umano; così avviene del senso, forma della vita animale e materia della funzione fantastica, e della fantasia, materia dell’ intelletto, mentre in atto 1° intel- letto dell’uomo essendo la forma suprema non è materia di altra forma, ma energia e funzione che sorpassa tutte le altre. i (') Quod si ullerius quaeralur quod inlelligere humanum sit accidens, quod sine subjeclo esse non polest, in quo igilur ponelur ipsum intelligere: ad quod dicilur vere secundum essentiam ipsum inlelligere esse in ipso intellecltu, juzta illud 3 de Anima, anima est locus specierum, non tolta sed inlelleclus: verum quoniam intellectus humanus est in maleria quasi per quandam concomilantiam, el ipsum inlelligere quodam modo est in materia sed salis accidentaliler, quoniam inlelleclui, qua inlelleclus est, accidil esse in materia, non tamen in aliqua parle ponilur corporis ipsum inlelligere, sed in tolo calegoremalice sumplo; non enim in aliqua parle, quoniam sic esset organicus intelleclus; ci vel non omnia cognoscerel, vel si omnia cognoscerel ul cogilaliva, lantum singulariler et non uni- versaliler cognoscerel, quare sicul inlelleclus est in tolo, ita el inlelligere. Ibidem caput X. — 398 — perchè non vi è pluralità di forme sostanziali nell’ uomo, ma unità di forma e di natura; in quarto luogo perchè la necessità di considerare l’ universale nel particolare, il concetto nel fantasma, l’ intelligibile nel sensibile dimostra che la funzione dell’in- telletto in se spirituale non potrebbe esercitarsi senza l’ organizzazione. Chiarita in questa guisa la dottrina professata dal Pomponazzi sulla relazione dell’anima intellettiva col corpo e colla materia nel libro dell’ Immortalità, vediamo se egli se ne sia scostato nelle opere posteriori. IX. Cominciamo dall’Apologia. Essa consta di tre libri. Il primo principia colla espo- sizione delle tesi e degli argomenti attribuiti dal Contarini al Pomponazzi e che il professore di Bologna riproduce opponendo le sue risposte alle difficoltà fatte. Il Contarini sostiene che la dipendenza dell’intelletto dalla fantasia è un carat- tere dello stato presente dell’ anima, ma che vi può essere un altro stato in cui tale dipendenza non esista e quindi non esista neppure la dipendenza dal corpo. Il Pom- ponazzi risponde che non possiamo arguire il possibile se non dal reale, e che nel fatto l’ intelletto umano non è mai privo di fantasmi, il che mostra che se non ha bisogno del corpo come di soggetto, lo richiede come oggetto e ne è inseparabile. Se- cundum sic indigere organo tanquam objecto et non tanquam subjecto infert ipsam esse inseparabilem. Che se insistendo, soggiunge il Pomponazzi, si dica che 1’ argo- mento procede contro di noi, perchè l’ animo umano, in quanto intende, non abbi- sogna di organo, e che l'essere così condizionato è semplicemente immateriale e che quindi come tale dev’ essere proclamato l'intelletto, il ragionamento sarebbe evidente, se l’ animo umano, intendendo, non avesse bisogno di organo in maniera alcuna. Ma continua il Pomponazzi, è detto nel primo de Anima che se 1’ intendere è fantasia o non è senza fantasia, l’ animo non può essere separato, e nel 2.° del medesimo : è impossibile che nei mortali l’intellettivo sia separato dal sensitivo, e nel 3.°: senza di ciò l’anima nulla intende. Il perchè se ne deve argomentare che l’anima è semplicemente inseparabile e secundum quid separabile, poichè non abbisogna di un organo come di soggetto, quoniam non indiget organo ut subjecto (Apologia li- bro I capo I al foglio 52 verso dell’edizione di Venezia del 1524) e poco più oltre (foglio 58): « Diciamo che così stando la cosa, nel genere dei conoscenti si trovano « due estremi ed un medio; ora uno di questi estremi è l’intelligenza (pura) la quale « nell’intendere e nel conoscere non abbisogna di organo nè come di soggetto, nè come di « oggetto, come è noto; l’altro estremo è l’anima bestiale della quale è proprio l’aver « bisogno dell’organo come di soggetto e di oggetto; il termine di mezzo è quello de- < gli uomini che è l’anima razionale. Essa deve partecipare di queste due proprietà «in una maniera mezzana; ma nessun termine di mezzo può essere assegnato fra quelle due contrarietà se non questo: non abbisognare dell’organo come di soggetto, ma < come di oggetto. Questo è dunque il proprio dell’animo umano; che se l’oltrepas- « sasse in guisa da non aver bisogno in modo alcuno del corpo, esso trascorrerebbe « nella natura di un estremo più mobile, e così non sarebbe più medio e non sarebbe A — 399 — « di natura razionale: perocchè il raziocinare si fa per discorso e con tempo; il che non < può farsi senza dipender dal corpo, perchè il tempo presuppone il moto (seconlo Ari- < stotele il tempo sì definisce col moto, è numero del moto), ora il moto non è senza ) rasura in codice, Chartae 1 Ch. recto I verso Ch. 2 recto Ch. 2 verso — 422 — propter hoc ipsum esset subiectum, cuiuscumque scientiae possemus assignare infinita subiecta. Ad argumentum P. V. dico quod argumentum supponit falsum quod corpus ma- teriale sit subiectum in libro Physicae, imo principia naturalia sunt ibi subiectum. Quem locum occupet iste Liber. Quaestio secunda. Haec est secunda quaestio mota in prima textus (sic) de ordine huius libri, quem- nam locum obtineat iste liber inter ceteros libros philosophiae naturalis. Ordo enim necessarius est in scientiis, et loquor hic de ordine doctrinae, et non perfectionis; quia ordine perfectionis est primus iste liber. In hac materia sunt opiniones. Avicenna in Naturalibus, quem fere omnes latini insequuntur, tenet quod sit sextus in ordine; et ponunt librum De plantis in septimo loco, et librum De animalibus in ultimo loco. Huic sententiae multi adversantur. De ordine priorum omnes conveniunt, quia Aristoteles ponit illum ordinem in principio Metaphysicorum. De aliis vero dissentiunt. Averroes in primo Metapbysicorum tenet quod liber De plantis et De animali- bus praecedat librum De anima; et ita volunt Graeci. Isti tamen discordant inter se, quia Averroes in loco citato vult quod liber De plantis praecedat librum De anima- libus. Alii vero volunt oppositum; et ratio est quia volunt quod liber De animalibus praecedat librum De anima, quia partes animalium et animalia, plantae et partes plan- tarum habent se ut materia respectu animae: materia autem est prior forma. Amplius in definitione animae plantae et animalia ponuntur; et sic secundum istos liber De ani- ma est non sextus in ordine. Isti autem bipartiti sunt, quia aliqui volunt quod liber De animalibus ponatur in sexto loco et liber De plantis in septimo: et adducunt pro se dictum Aristotelis in libro Metaphysicorum, ubi dicit: « determinato de motu, oportet determinare de ani- malibus et plantis». Ecce quod ponit librum De animalibus ante libram De plantis; et ratio est quia a notioribus incipiendum est; sed sic est quod organa in animalibus sunt notiora quam organa in plantis, quia tantum cognoscimus organa in plantis per si- militudinem ad animalia. Unde Aristoteles hic in secundo huius dicit, quod radices assimilantur ori; et ista est opinio Themistii et Graecorum. Alia est opinio, quam tenet Averroes in Paraphrasi Metaphysicorum, quod liber De plantis praecedat librum De animalibus; et ratio sua est, quia natura tendit de im- perfecto ad perfectum: ideo (libro) De plantis quae sunt imperfectiores animalibus debet praecedere liber De animalibus. Quae autem istarum opinionum sit verior indicium est difficile, nec multi facio hoc. Tamen Avicenna in libro dicto dicit, quod si alius alium fecerit ordinem non multi facit: et Averroes in loco dicto dicit, quod si quidem est ordo necessarius sicut in principiis, in aliis vero non. Dico tamen unum, quod secunda opinio mihi magis placet, et videtur magis consona veritati. Quod autem Avicenna non loquatur ad mentem Aristotelis, patet in extremis verbis De motu animalium, ubi dicit: « dixi- mus de animalibus et plantis»: et in calce libri De longitudine et brevitate vitae dicit: «perfecto libro De anima et Parvis naturalibus, est perficere scientiam de animalibus». Hoc autem non esset si adhuc sequeretur liber De animalibus. Sciendum quidem quod — 423 — ista dicta possent glosari: sed glosa destruit textum, quia Aristoteles fuit ordinatissimus. Quare videtur dicendum quod post libruam De mineriis ponatur liber De animalibus; deinde liber De plantis; deinde liber De anima. Ad opposita autem respondetur quod Avicenna et alii recte dicunt loquendo de ordine naturae; sed notandum est, ut bene dicit Aristoteles quinto Metaphysicorum, quod non est semper unde natura incipit, unde etiam apparet nobis: quia autem liber De animalibus est facilior, imo dicitur historia quae aeque nota est grammaticis ac phi- losophis, ideo ab eis liber incipit. Ad Averroem similiter dicendum est quod verum est quod ordine naturae imper- fecta praecedunt perfecta; sed quia non possumus cognoscere plantas nisi cognoscamus organa earum; haec autem non sunt cognita nisi cognitis organis animalium, (hoc est) quare liber De animalibus praecedit. Et Aristoteles primo Metaphysicorum praeponit librum De animalibus libro De plantis: et ita habet textus graecus. Consuli enim ego Graecos in hoc. Nobilitas scientiae a quo sumatur. Quaestio est a quo sumatur magis nobilitas scientiae, an a nobilitate subiecti, an a certitudine demonstrationis, vel aequaliter ab ambobus. Thomas eleganter dicit quod impossibile est quod aequaliter ab ambobus suma- tur, quia sunt diversarum specierum; et quia sunt diversarum specierum, habent se secundum prius et posterius. Sed est dicendum quod magis sumitur a nobilitate subie- Gti; et ratio est quia subiectum est essentia rei; modus autem declarandi est instrn- menttm adventicium superadditum rei, sicut qualitas quaedam; ergo magis sumitur a nobilitate subiecti. Et Aristoteles in primo De partibus animalium, capite ultimo, dicit: « melius est scire modicum de honorabilibus, etiam si topice illud sciamus, quam mul- tum scire de ignobilioribus etiam demonstrative». Sed contra argumentatur, quia si a nobilitate subiecti sumitur nobilitas scientiae, sequitur quod scientia de Deo esset infinitae perfectionis. Consequentia probatur, quia sicuti se habet subiectum ad subiectum, ita scientia ad scientiam. Assumo ergo scien - tiam de anima, quae cum sit aliquante perfectionis, sit ut unum: et probo quod scientia de Deo est infinita, quia proportio Dei ad animam est infinita; ergo et scientia de Deo est infinita. Apollinaris respondet, et est responsio Thomae in 3.° Contra gentiles ubi quaerit an scientia de Deo, quae habetur in patria, sit infinitae perfectionis. Isti qui te- nent scientiam capere nobilitatem a subiecto, negant illam similitudinem, quia illa scientia est in intellectu humano qui finite apprehendit. Ista responsio non placet mul- tis, quia dato quod Deus sit infinitus et scientia sua finita, sequeretur quod daretur aliqua cognitio alicuius creaturae nobilior cognitione Dei. Sit enim, verbi gratia, co- gnitio quae habetur de Deo, ut octo; cognitio vero de anima sit ut unum: et cum quae- libet cognitio ipsius Angeli sit perfectior cognitione ipsius animae, erit, verbi gratia, cognitio Angeli ut duo: et cum Deus quocumque Angelo dato, perfectiorem eo possit producere Angelum, ita perfectum, ut eius proportio ad animam nostram erit ut decem; et ita cognitio talis Angeli erit perfectior cognitione de Deo. Et hoc est maximum in- conveniens. Sed noscitur quod nullum horum argumentorum procedit secundum Phi- losophum, quia Philosophus tenet Deum esse finiti vigoris; nec posse producere Angelum novum, nec addere sibi illam perfectionem, quia ea quae facit necessario facit. Ch. 3 recto Ch. 5 verso Ch. 4 recto Ch. 4 verso — 4124 — Quomodo scientia de anima excedat alias certitudine demonstrationis. Quaestio est quomodo scientia de anima excedat alias scientias certitudine demon- strationis, ut dicit hic A verroes; cum tamen ipsemet Averroes secundo Metaphysicorum com- mento ultimo dicit quod demonstrationes mathematicae sunt in primo gradu certitudinis, naturales vero sequuntur; et habet ibi Aristoteles quod astrologia et mathematica non est in omnibus expetenda, et in primo Metaphysicorum enumerans conditiones sapientiae dicit quod ipsa habet demonstrationes certiores: quare videtur contradictio et ideo de- bemus conciliare ista dicta. In oppositum est Averroes hic, pro quo est notum quod Thomae et Averrois ex- positio non se compatiuntur ad invicem. Dicebat enim Thomas certitudinem de ani- ma ideo esse quia eam in nobis experimur, et si sic, expositio Averrois non potest stare, nec potest dictum Averrois verificari, quum hac ratione etiam scientia de ani- malibus et libri Parvorum naturalium excederent alias scientios, quum certiores de talibus reddamur, quia in nobis experimur ea; et etiam scientiam divinam excederent, cum de intelligentiis parum aut nihil sentiamus, nec eas in nobis experimur. Dato ergo hoc, non tamen scientia de anima haberet hoc privilegium, nec etiam divina scien- tia excederet hoc modo alias scientias. Nec etiam si tgneamus expositionem Themistii, dictum Averrois potest verificari; dicit enim Themistius certitudinem de anima, quia con- sideratur de intellectu qui omnium est regula et mensura; sed hac ratione etiam ista scientia excederet divinam, quum divina non considerat de intellecta nostro. Sequendo autem expositionem istorum patet solutio ad argumentum et ad contradictionem. Ad primum dicitur quod aequivocatur de certitudine hic et ibi, quia in hoe loco dicit quod scientia de anima est certa certitudine obiecti, quia est de rebus in nobis existenti- bus, et in secundo Metaphysicorum loquitur de alia certitudine, scilicet demonstra- tionis. Et in aequivocis non est contradictio. Ad secundum respondetur ponendo distinctionem quoad nos et quoad naturam. Mathematica est de maxime notis naturae . . . ..... sed volendo salvare dietum Averrois dicemus certitudinem demonstrationis duplicem esse, quoad nos et quoad na- turam: talis distinctio est manifesta ex primo Posteriorum sexto. Dicitur notior quoad nos, quia est minus dubia nobis; quoad naturam vero est cognitio rei quae de se est manifesta, sed si nos lateat, hoc est ex defectu nostri et non sui, ut dicitur se- cundo Metaphysicorum textu commenti primi; et ita dico quod mathematicae quoad nos sunt in primo gradu cognitionis (?), quia causae eorum sunt nobis certiores quam effe- ctus, abstrahunt enim a motu; et ideo Philosophus sexto Ethicae, cap. nono, dicit quod pueri possunt bene in mathematicis instrui, et ab hoc doctrinales dicuntur cum bene possunt doceri. In secundo autem loco ponuntur naturalia cum in eis ab effectu sen- sibili noto in cognitionem causae deveniamus: sed cum effectus sint variabiles, unum et idem a diversis causis poterit provenire. Unde erunt plura media ad unam conclusio- nem, quia naturalia non possunt esse ita certa sicut mathematica (?) tantum unum medium habentia, sed divina ipsa (scientia) in ultimo loco est ponenda cum sub nullo sensu cadant ipsa abstracta; et ita nec de causa nec de effectu eorum sumus naturaliter certi. Sed si volumus loqui de cognitione quoad naturam, est totaliter ordo praepo- sterus; et in primo loco divinam collocabimus tamquam perfectiorem, et quae est ma- ioris entitatis; in secundo vero loco ponetur naturalis quae firmiorem entitatem habet — 425 — ipsis mathematicis; et inter eas scientia de anima est primum, quia anima intellectiva habet firmius esse omnibus a naturali consideratis, et est certior in se; licet quoad nos sit oppositum, et propter hoc forte Aristoteles vocat scientiam de anima historiam, propter non esse tantam certitudinem de illa sicut de aliis. Et ita hic vult Commen- tator habere scientiam de anima quoad naturam excedere omnes alias scientias prae- ter divinam, cum anima ipsa sit perfectioris entitatis omnibus generabilibus et cor- ruptibilibus: et ita patet solutio quia est aequivocatio de demonstratione. Sed si diceret Commentator: dixisti mathematicam quoad nos esse certiorem; hoc vi- detur falsum, quia mathematica est de sensibili communi, naturalis vero de sensibili ‘ proprio. Sed iuxta Philosophum secundo huius, sensibile commune non habetur nisi per proprium sentiri; ergo et quoad nos naturalis erit certior. Tum etiam quia ma- thematica procedit demonstratione propter quod (') naturalis vero demonstratione quia (°); demonstratio autem quia est notior nobis demonstratione propter quod. Ergo. Item exemplum de astrologia et geometria non accommodatur nisi de notitia quoad nos; quomodo ergo Averroes loqui potest de notitia quoad naturam? Item idem esset dicere habere nobilius subiectum et certitudinem demonstrationis quia unum de- pendet ab altero. Ad primum respondetur quod licet naturalis scientia sit de obie- cto certiori, non tamen eius scientia erit certior, cum esse obiectum certum dicat tan- tum cognitionem simplicem: sed esse scientiam certiorem dicit relationem causae super effectum, et ita, licet obiectum scientiarum materialium sit minus notum quoad nos, ta- men eorum causae sunt magis notae et sensatae quoad nos, ex quibus procedimus. Et hoc non viderunt moderni. Ulterius est alia dubitatio, penes quod attendatur certitudo quoad nos et quoad naturam. Respondetur quod certitudo quoad nos habet attendi penes notitiam causae su- per effectum, et perhoc excluduntur omnes vel quasi omnes dubitationes; quod si aliquando procedamus ab effectu super causam, est via indirecta, et sodomitica proprie dici debet, et semper, sive a causa sive ab effectu procedamus, a notioribus. nobis procedimus; sed diversimode; aliquando enim in mathematicis procedimus a notioribus nobis, et na- turae, aliquando solum ex notioribus nobis, numquam a notioribus naturae tantum. aan Pe eee. aromi (en \evf,\\e,W\\g. lei celjleg (el e) certe, Dicendum igitur est aliter quod consideratio de omni anima est naturalis. De vegetativa et sentitiva non est dubium; sed tota lis est de intellectiva; quod si tenea- mus eam mortalem, ut tenuit Alexander, clarum est hoc quia educitur de potentia materiae: sed quia haec opinio est falsa, ideo relinquo eam. Dicimus ergo quod. sive intellectus sit unus, sive plures, est naturae ancipitis, et (est) medium inter aeterna et non aeterna, quia natura vadit ab extremo ad extremum cum medio .... videmus ut in animalibus; sunt enim quaedam animalia media inter plantas et animalia, ut spungiae marinae, quae habent de natura plantarum, quae sunt affixae terrae, habent etiam de natura animali pro quanto sentiunt. Similiter inter (*) To drori. (2) Too. PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.° 54 Ch. 5 recto Ch. 9 verso Ch. 11 recto Ch. 14 recto Ch. 14 verso = 60 animalia est simia, de qua est dubium an sit homo an animal brutum; et ita ani- ma intellectiva est media inter aeterna et non aeterna; et ideo Plato ponebat eam crea- tam in horizonte aeternitatis. Quibus stantibus, oportet ponere cam duplicis naturae et habere duplicem operationem, unam nullo modo dependentem a corpore, et hoc patet se- cundum fidem in anima, et etiam secundum Platonem, ut infra determinabimus de mente Aristotelis et Averrois tenendo autem quod sit unica. Habet etiam operationem de- pendentem a corpore, de qua non est dubium: quo stante patet quod non est consi- deratio in dictis Aristotelis, quia si anima est naturae ancipitis, partim est de con- sideratione naturalis; in quantum mobilis et transmutabilis, est physicae considerationis; inquantum vero ad suam operationem separatam, est considerationis divinae; et haec opi- nio mihi videtur concordare cum dictis Aristotelis ibi. Mihi autem contingit quod dicit Hieronymus quod contingit de se: «multi latrant in foro contra me, et scripta mea legunt, et honorant in thalamo »; nam concurrentes nostri ascribunt sibi nostra. funga scientia dle anima stt di duo Rel el ei rie eil le te) Sa SII: ORE AO data PIO I DIO ei. ele. e e. =. e)fig, (le) (e fiele Ex quia sequitur auioà nihil intelligitur nisi Si in actu; anima enim intel- ligit, et non nisi recipiendo; nihil autem movet nisi quod est in actu: quod si aliquid occurrat nostro intellectui quod non sit in actu, per accidens intelligitùr, sicut est materia prima, quae non est in actu, vel parum, saltem ita ut non sit sufficiens mo- vere intellectum de se, sed per suffragia et intellectiones aliorum intelligitur. Quia autem omnia non sunt in actu aequaliter, sciendum est quod quaedam sunt in actu perfecto, ut merito debilitatis intellectus nostri nequeant intelligi, sicut Deus et In- telligentiae, sunt enim hic in maximo actu: imo Deus est totus actus. Unde quamvis intellectus noster sit in pura potentia, et abstracta sint multum activa, non est cre- dendum quod intellectus possit ea recipere, quia intellectus noster est debilis ita ut non possit tantum lumen sustinere, ideo non movetur ab ipsis: et propter hoc poetae finsunt quod Iuppiter quando accedebat ad aliquam mulierem, deponebat suam divi- nitatem. Sic est de intellectu nostro, quamvis (non) sitin pura potentia; quia tamen est debilis entitatis, non potest recipere maximum lumen Intelligentiarum et Dei qui est purus actus; et hoc maxime est verum secundum fidem quae tenet Deum esse infi- niti vigoris. Aliqua autem sunt quae etsi sint in actu, tamen intellectus non potest illa recipere ratione debilitatis quam in se includunt talia entia, et ex hoc non pos- sunt agere in intellectu nostro, sicut sunt motus et tempus, de quibus dicitur quod non sunt apta intelligi ratione debilitatis eorum, non autem ratione intellectus. Re- linquitur ergo quod media inter ista, sicut proportionata intellectui nostro et ex parte modi cognoscendi et ipsius obiecti, sunt intelligibilia ab intellectu nostro; et hoc est quod dicit Philosophus secundo Metaphysicorum textu commenti noni, quod difficultas cognoscendi in nobis nascitur vel ex parte rei cognitae vel ex parte modi cognoscendi; ideo dicitur ibi quod sicut se habet oculus noctuae ad lumen solis, sic intellectus noster ad manifestissima in natura. Intellectus ergo bene cognoscit intermedia quae ipsi sunt proportionata. Aliud est advertendum, quod ex quo anima intellectiva est naturae ancipitis inter bruta et abstracta, non intelligit nisi cum adminiculo sensuum iuxta illud: «necesse est quemeunque intelligentem phantasmata speculari». Ex quo — 4127 — sequitur quod quae offeruntur sensui a nobis faciliter possunt intelligi, quae non pu- tantur difficulter; et ista difficultas (est) ex parte nostri modi cognoscendi; quia nonnisi per sensum cognoscimus. Aliud etiam est notum, quod triplex est anima, vegetativa sensitiva et intellectiva. Stantibus his, dico quod metaphysica est in supremo gradu difficultatis; et ratio est clara ex praedictis, quia difficultas creatur in nobis ex eo quod non sumus capaces tanti luminis quantum est Intelligentiarum et Dei, qui in meta- physica considerantur. Ad hoc accedit secunda ratio, quia intellectus noster non in- telligit nisi per fenestras sensuum, quae vero in metaphysica considerantur sunt re- motissima a sensu. Sed dices: nonne abstracta habent accidentia per quae possunt cogno- sci, ut motus et tempus? Respondeo, ut bene dicit Commentator, quod ista accidentia non ducunt in cognitionem Dei et aliarum Intelligentiarum ut sunt de consideratione me- taphysici, sed ut de naturali: meternitas enim motus creat notitiam naturalem: quod enim sunt Intelligentiae pertinet ad naturalem; metaphysicus autem considerat altiores operationes Intelligentiarum; non quia est sed propter quid Intelligentiarum considerat. Nei» (Nel Mal e (e ne e o e a . Ico OO TE TOOL Gio RO OO MORE e OE] Utrum dentur umiversalia realia. -*Praestat maius perscrutandum, quia dicit Aristoteles: « Universale aut nihil est aut posterius est». ) Quomodo est de ipsis universalibus, an dentur universalia realia; et ut obtrun- cemus obtruncanda et dicamus dicenda, quatuor cecurrunt opiniones, quas intendo de- clarare cum suis fundamentis. Prima est opinio Platonis, quae volebat quod in rebus naturalibus singulae speciei corresponderetur sua idea quae esset aeterna. Ista vera sin- gularia dependentia sunt propter participationem illius ideae. Et ista talis idea est quae vere intelligitur et quae vere scitur, et quantumcumque habeat multas rationes per se, tamen adducemus solum secundas (sequentes?) omnes alias comprehendentes. Plato, ut bene recitat Aristoteles decimo libro Metaphysicorum, imaginatus est illam idealem formam, primo ut salvaret generationem; quia ut bene ad longum habet videri in duodecimo Metaphysicorum textu commenti tertii et decimoctavo, cum videmus Socratem generari mortuo patre, tune quaerebat a quo generatur Socrates. Non enim a patre, quia ilie non est: nihil enim agit nisi ut est in actu; non a virtute seminali, quia est imperfecta; nihil autem agit ultra gradum proprium; quare oportet recurrere ad ideam quae est vere agens. Quod si hoc est verum de genitis per propagatio- nem, idem erit de genitis per putrefactionem. Similiter est dicendum de inanimatis. Secunda ratio Platonis ad ponendum ideas fuit ex parte scientiae et modi intelligendi: nam aliquando intelligimus naturam hominis in se esse risibilem, et ita quia, ut ma- nifestum est, possumus intelligere hominem in universale absque intellectione singu- larium. Ista ergo intellectio aut est vera, aut falsa. Non falsa, esset enim inconve- niens intellectus ficticie operari; ergo est vera; ergo aliquid correspondet ei in re. Non singularia; ergo ideae. Ratione etiam scientiae, quum scientia differt ab opinione: quia opinio, ut singularium et contingentium, non potest esse scientia, sed tantum opinio; ergo alicuius perpetui erit scientia, et talis est idea secundum universale: ergo. Hanc opinionem damnat Aristoteles primo et septimo Metaphysicorum; primo quum destruit generationem univocam; nam ideae sunt aeternae, singularia vero Ch. 15 recto Ch. 24 recto Ch. 24 verso Ch. 25 recto Ch.25 verso — 428 — sunt corrùptibilia; modo si corruptibile ab incorruptibile generatur, ergo genera- tio non est univoca, quia generabile et incorruptibile differunt plusquam genere. Secùndo, frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, et aeque bene; en- tia enim non sunt multiplicanda sine necessitate; Sed generatio potest absque ideis salvari, quum sol et homo generant hominem; ergo. Tertio, ista opinio destruit modum intelligendi; quando volo intelligere aliquid artificiale, universaliter possum intelligere; et non posuit Plato aliquam ideam in artificialibus. Quarto, positis ideis destruitur scientia, quia potest sciri idea, et non ideata: quod probatur, quum definitio est prin- cipium determinationis, et definitio debet praedicari de definito; idea autem non prae- dicatur de ideatis; ergo ideata non sciuntur; vanum est ergo ponere ideas ut sciantur ideata, quia non possunt sciri. Secunda opinio est Realium, quae est monstruosio® prima, quam numquam potui recipere, cuius inventores fuerunt Buridanus, Paulus Venetus, et Scotus, qui voluerunt quod, seclusa omni operatione intellectus, detur universale reale. Quod probant: quum scientia est de ente reali, ergo subiectum vel erit universale, vel singulare: non sin- gulare, quum singularium non est scientia ut singularia sunt; ergò istud erit universale. Secundo, intellectus in prima sui apprehensione intelligit universale, quia uni versale est obiectum intellectus; sed non potest dici quod tale universale sit causa- tum ab intellectu, quia numquam fuit ab intellectu nisi nunc; ergo tale universale est reale: et sic dicendum est de omnibus. Tertio, desiderium est . . . et potius in universali et non huius vel illius; sed de- siderium est ad reale: ergo datur universale in re. Quarto, contractus est universaliùm, quum emptio frumenti non. limitatur ad hoc vel illud frumentum, sed ad frumentum in generale. Contractus autem non fiunt de conceptibus, sed de realibus. Quinto, Socrates et Piato magis conveniunt quam Socrates et Brunellus: sed ista convenientia non est conceptuum, imo realitatum . .......- e TESO: Sedili fo ... +++. Secunda consideratio est quod universale reale realiter distin- guitur a singulari; quae consideratio probatur sic: illa non sunt idem realiter, de quibus praedicantur contradictoria; sed universale et singulare sunt huiusmodi ; ergo distinguuntur. Anterior patet, et brevior probatur; quia universale est aeternum, et singulare corruptibile: universale non est de numero singularium, nam universalia praedicantur de pluribus, singularia non. Et in bis duabus considerationibus videtur conveniri cum opinione Platonis. Tertia consideratio: licet universalia sint realia et realiter distincta a singularibus, non tamen propter hoc universalia sunt separata a suis singularibus loco et subiecto; patet ex dictis Averrois septimo Metaphysicorum textu commenti trigesimiprimi: Mixtio universalis cum singulari est fortior mixtione accidentis cum subiecto. Secunda ratio: si universalia essent separata a singularibus, non videretur quomodo possent declarare essentiam singularium; et hoc est in quo Aristoteles arguit Platonem. Est ergo consideratio responsalis ad quaesitum quod uni- versalia sunt res distinctae realiter a singularibus. Ista secunda opinio mihi videtur in extremo monstruositatis, non intelligibilis: om si haec natura, quam ponunt isti, esset incorporea, adhuc posset esse tolera- bilis, quum ad minus posset intelligi sicut unicus intellectus Averrois, quamvis — 429 — esset ‘una chimera. Sed ista opinio iudicio meo vult quod sit una natura communis verbigratia hominis, quod sit in re, et eadem in me, et quod sit composita ex ma- teria et forma, et quod sit in diversis locis. Haec mihi videtur una fatuitas. Unde videtur mihi quod isti fuerunt astricti propter aliqua argumenta ad incurren- dum in hune manifestissimum errorem, et quod dixerunt hanc opinionem ore, corde vero nescio quomodo potuerunt hoc affirmare: et isti mihi videntur similes Zenoni qui patiebatur infinita tormenta, et videbat unum motum causari, et propter quan- dam ratiunculam negabat motum esse. Secundo, quando generatur aliquid singulare, quomodo hoc singulare ingreditur hanc naturam compositam ex materia et forma? Tertio, universale debet praedicari de suis singularibus, praedicatione dicente hoc est hoc; sed universale reale est realiter distinctum a singulare per se; ergo non poterit de singulari praedicari praedicatione dicente hoc est hoc; ergo si natura homi- nis est de essentia Socratis, quomodo poterimus concedere naturam hominis esse aeter- nam, quum natura Socratis erit corruptibilis® Dices hanc naturam non esse corruptibilem per se sed per accidens; saltem habebo quod haec natura erit corruptibilis vel per se vel per accidens. De hoc nihil ad me. Quarto, intelligendo formam et materiam Socratis videtur mihi quod perfecte Socratem intelligam absque consideratione illius naturae, quam nescio si sit una tunica sicut in rege. Quinto, universale est quid distinctum realiter a re reali; ergo Deus poterit facere universale et singulare distincta reali- ter. Ideo dimitto hanc fatuitatem expressam. Tertia opinio est Scoti in hac materia, sicut narratur ab ipso secundo Senten- tiarum et septimo Metaphysicorum, quaestione propria, quae tres habet considerationes; quarum prima est ista, quod universale est natura communis realis apta nata esse in pluribus seclusa operatione intellectus; et in hoc convenit cum secunda opinione. Quae consideratio sic probatur: si non esset vera ista consideratio, sequeretur quod intellectus sua prima apprehensione falsa intelligeret; quod probatur quia si ex parte rei non esset nisi singulare, intellectus semper intelligeret singulare in quantum universale: ista autem intellectio esset falsa. Antecedens probatur quia obiectum intel- lectus est universale et non singulare; si ergo obiicitur singulare, intellegitur ut uni- versale, et sic apprehendet semper singulare sub opposito actu, et per accidens; et si intellectus errabit in sua prima apprehensione, errabit etiam in aliis intellectionibus, quum aliae a prima dependent; et si haec prima est falsa, aliae quoque falsae sunt, nisi per accidens sint verae; sicut ex falsis verum concluditur. Secundo, obiectum alicuius potentiae semper praecedit operationem illius potentiae; sed universale est obiectum intellectus; ergo quamlibet intellectionem praecedit universale: ergo.... ('). Tertio, obie- ctum alicuius potentiae praecedit operationem illius potentiae: sed universale est obie- ctuùm sensus, ergo universale est ens reale nullo modo spirituale. Anterior est evidens; brevior probatur; quum aut obiectum sensus est universale aut singulare: non singulare, quia dicas tu quod obiectum sensus, ut puta visus, sit hic color: contra obiectum alicuis potentiae movet illam potentiam; sed sensus visus potest moveri ab alio colore, quam ab isto; ergo iste color non est obiectum adaequatum visus. (!) Quì manca la transizione dall’ argomentazione precedente, fondata sul supposto dell'univer- sale come obbietto dell'intelletto, alla seguente che pone la tesi dell’universale come obbietto del senso. Ch. 26 recto Ch. 26 verso Ch. 27 recto Ch. 27 verso — 430 — Et sicut dictum est de uno, ita dicatur de aliis; quare relinquitur quod obiectum adaequatum sensus sive potentiae sensitivae est universale. Ergo universale est ens reale et non spirituale. Quarto, scientia est rei realis; non enim determinamus risi- bilitatem inesse conceptibus, sed determinamus hoc praedicatum reale, scilicet risibi- litatem inesse homini per se “primo: et similiter definimus res et non conceptus. Quaero ergo aut ista res realis, verbigratia risibilitas, insit per se primo singu- lari hominis aut universali naturae hominis. Non primum, quia tantum iste homo esset risibilis: ergo haec risibilitas inest per se primo universali naturae hominis, et sic est ens reale sicut dietum est. Ergo universale est illa natura communis realis. Quinto, in omni genere est unum quoddam ;anquam metrum et mensura aliorum in eo genere, sicut in genere colorum est albedo; sed mensura entis realis est realis, quia mensuratum reale est a mensura reali. Quaero ergo: aut ista mensura est hoc singulare, verbigratia . ...... et quia hoc singulare est corruptibile, talis ergo mensura erit corruptibilis; ergo universale reale erit hoc tale quod est mensura. Sexto, contrarietas quae cadit inter contraria est realis; sed calidum non contrariatur frigido per hanc frigiditatem vel caliditatem particularem, quum etiam alia caliditas et frigi- ditas sunt contraria; ergo contrariantur per calidum, et sic in universali; dabitur ergo universale reale. Septimo, comparo eadem inter species et inter genera, sicut dicit Aristoteles septimo Metaphysicorum et septimo Physicorum: sed in conceptibus specificis potest cadere comparatio; ergo Aristoteles per genera et species intelligit universalia rea- lia, aliter dictum eius esset falsum; ergo. Similitudo fundatur super qualitate, et non su- per qualitate secundum numerum sed secundum speciem in universali; sed qualitates multae supra quibus fundantur similitudines sunt res; ergo universalia erunt entia realia. Octavo, si non darentur universalia realia, sequeretur quod omnia entia realia inter se solo numero differrent. Consequens est falsum et impossibile; ergo et antece- dens. Consequentia probatur; quia differentia est ens reale: sed per se nihil est reale nisi singulare; ergo omwis differentia erit singularis; quare nulla erit specifica; sed quae differunt, tantum per differentiam differunt; ergo omnia quae differunt, tantum secundum numerum differunt. Consequentis impossibilitas patet, quia omnia aequaliter differunt. Stante ergo hac prima consideratione, ponitur secunda consideratio per quam discrepat Scotus a Buridano quae talis est: ùniversalia realia non sunt realiter distineta a singularibus: probatur, nam quae sunt realiter distincta, possunt ad invicem separari; sed per se universale reale est distinetum a singularibus; ergo singularia possunt esse absque eorum natura universali. Secundo, si sic esset ut isti volunt, universale non posset praedicari de pluribus praedicatione dicente hoc est hoc. Tertia consideratio: uni- versalia distinguuntur a singularibus ex natura rei; probatur, quia si non distinguerentur ex natura rei, sequeretur quod praedicata contradictoria praedicarentur de eodem; nam incorruptibilitas praedicatur de universali, corruptibilitas de singulari. Ista opinio licet sit doctissimi viri, tamen mihi videtur esse falsa, et primo contra primas consequentias arguo unico argumento, quod facit Thomas in libello De ente et essentia: prima enim consideratio fuit quod secluso omni opere intellectus datur una natura communis apta esse in pluribus; sed contra dicit Thomas: aut ista natura communis apta nata esse in pluri- bus est ens reale, aut intentionale scilicet per opus intellectus. Si secundum, habeo inten- tum; si primum, ergo omne praedicatum attributum speciei, vel ei attribuitur per se, — 431 — vel per accidens; si per se, ergo quidquid de intrinseca ratione inest alicui rei est aptum natum praedicari de quovis contento sub illa re; et isto modo cum singulare conti- neatur sub universali suo, praedicabitur de multis. Si autem dicas quod hoc praedi- catum, verbigratia humanitas realis, attribuatur speciei hominis per accidens, quaero: aut hoc praedicatum attribuitur huic speciei per accidens proprie, sicut esse risibile attribuitur speciei hominis; et tune arguitur ut prius; aut per accidens attribuitur speciei verbigratia quod primo attribuatur individuis, secundario et per accidens speciei, sicut nigredo speciei corvi; ergo hoc praedicatum de pluribus attribuitur primo et per se proprie singularibus, secundario vero et per accidens universalibus, quod est incon- veniens; et hoc argumentum. Secunda consideratio est admiranda, quum si unum et idem est singulare cum universale, quot erunt singularia, tot erunt universalia. Item corrumpetur universale ad corruptionem unius singularis. Quarta opinio iudicio meo est Averrois, Thomae, Aegidii, et Nominalium, licet Nomi- nales in solo modo respondendi non conveniant cum istis. Quae opinio dicit quod secluso omni opere intellectus non est ponendum universale, et per universale intelligunt quod est aptum natum esse in pluribus et de multis praedicari, indifferenter se habens ad multa singularia: imo nullum reale est indifferens ad plura singularia, sed omne reale est singulare . . . . . . quod probatur per Averroem hic in commento octavo, ubi dicit quod definitiones non sunt generum et specierum existentium extra animam, sed sunt rerum particularium extra intellectum, sed intellectus est qui facit universalitatem in rebus. Et primo Metaphysicorum textu commenti sexti dicit speciem esse intentionem existentem in pluribus secundum numerum, et adnuc evidentius in textu commenti vigesimisexti et vige- simiseptimi eiusdem primi et in multis aliis locis. Advertendum tamen est quod univer- sale causatum ab intellectu duplex est, unum quod dicitur indifferens, quod sumitur pro quadam natura communi indifferenter se habente ad omnia sua singularia. Alio modo su- mitur universale pro quanto non intelligiturilla natura communis indifferens, sed ultra hoc attribuitur huic naturae communi intentio. Utrumque enim istorum fit per opus intelle - ctus, primum enim fit per intellectum agentem, quando verbigratia intelligo hominem indifferenter se habentem, et de hoc intellexit Commentatorin hoc primo commento octavo; et communiter tale universale dicitur prima intentio. Secundum universale fit per compa- rationem suorum singularium inter se, et collationem similitudinis inter sua individua. Unde maxima similitudo ex comparatione individuorum inter se per opus intellectus ele- cta causat speciem specialissimam; non ita magna causat genus respectu illius speciei; et ideo minima similitudo causat genus generalissimum, et hoc voluit Averroes duode- cimo Metaphysicorum commento quarto. Unde in assimilanda individua inter se potest fieri intensa vel remissa assimilatio, ut large extendamus vocabulum. Sed dubitatur; mirum enim videtur quod tantum ex parte rei sit singulare, et intellectus habeat potestatem causandi istud universale. Unde enim intellectus habet tantam potestatem causandi hoc universale quod non est re? Ad hoc dicitur quod habet hoc ex sua perfectione et excellentia, cum coniungit separata per collationem similitudinis sumptae ex comparatione, et coniuncta disiungit abstrahendo quum multum habet de divino. Sicut enim ideae omnium entium coniunctae sunt in mente, sic intellectus potest congregare similia in uno conceptu et secundum altiorem vel Ch. 28 recto Ch. 28 verso Ch. 29 recto — 432 — breviorem similitudinem causat genus et speciem: ex quo apparet quod secundum diversas constructiones intellectus causat diversos effectus. Altera dubitatio est . . . .°si ex parte rei non sunt: nisi singularia, quae sunt entia determinata, et intellectus ea indifferenter intelligit, intellectus ergo intelligit determinatum in quantum indeterminatum, et sic intelligit res aliter quam sint; quare erit falsum. Ad hoc dicitur quod duplex est operatio intellectus: una est eius prima apprehensio, quae est simplicium intelligentia, in qua sua prima operatione causat primam intentionem, abstrahendo a conditionibus singularibus unam naturam commu- nem pluribus singularibus, eam intelligendo non ut limitatam, sed ut se habet indiffe- renter ad hoc vel illud. Secunda operatio intellectus est comparare individua inter se, et ex collatione similitudinum attribuere alicui naturae indifferenter (?) esse genus vel esse speciem. Et sì ............. quantum ad operationes istas; sed potest errare intellectus quando attribuit alicui rei quod non est, sicut si diceret hominem esse asinum, vel omnes homines esse unum hominem, vel diceret lineas consideratas a metaphysico non esse sensibiles: et do exemplum de lineis quae considerantur a meta- physico; possunt enim dupliciter considerari, uno modo ab intellectu abstrahente ipsas a sensibilitate, et in isto omnes confitentur in via Aristotelis quod intellectus non errat, quum abstrahentium non est mendacium; quamvis enim illae lineae sint sen- sibiles, tamen intellectus non curat considerare illam sensibilitatem. Alio modo possunt considerari illae lineae, ut puta dicendo illas non esse sensibiles, et si intellectus assen- tiret huic considerationi scilicet quod lineae mathematicae sint insensibiles, cum sint in materia sensibili, mentiretur. Sic dico ad rem quod quando intellectus apprehendit hominem indifferentem, quod non mentitur, quamvis Socrates et Plato sint entia determi- nata, hoc enim non inconvenit quum intellectus abstrahit a consideratione talis termi- nationis; si enim intellectus assentiret huic propositioni « homo est animal » carenti ter- minatione, capiendo huiusmodi (?) homo prout est idem quod prima intentio, procul- dubio mentiretur, sicut si gustus comprehendens dulcedinem lactis, non sentiendo eius albedinem, et tamen non errat; ideo intellectus etsi erret componendo et dividendo, tamen non errat abstrahendo ('). Dubitatur iterum, quia non videtur quomodo sit verum illud dictum quod homo sît prior suis singularibus, quum dato pro possibile vel impossibile quod numquam fuerint homines nisi praesentes, tune singulare eius in eodem tempore vel aeque primo est: sicut natura humana indifferens, vel arguitur sic: ab aeterno semper fuerunt singularia hominis; ergo non est verum dicere naturam communem indifferentem esse priorem. (!) Conf. Commento manoscritto al Ilegi ‘Eppnvsias esistente nella Biblioteca dell’Università di Bologna. Ne tolgo il seguente estratto: An in secunda operalione intellectus solum sit verilas et falsilas. Videlur Aristoteles sibi contrarius in primo De anima et seato Metaphysicorum, nam hie dicit quod ubi est enunliatio est verum et falsum, el ejus oppositum dicit . ..... terlio De anima: intelleclus simplicium semper verus esl; el idem nono Melaphysicorum: sunt longae ambages de hoc . ..... + Vult ergo dicere quod'inlellectus aliquando judicat, aliquando non judical. Quando est sine judi- cio, neque verus neque falsus est. Quando vero judical, est cum vero el falso. Quod vero alibi dicil quod ‘intelleclus simplicium est verus, legiltur de vero qui est sine judicio; unde sciendum quod quando album videlur el judicatur esse album, est verus, quia species repraesental objectum sicut est; si vero judicatur nigrum, lune est falsum, quia species non repraesentat objeclum sicut est. Ila cliam dicalur — 433 — Respondetur quod argumentum concludit ex parte rei hominem nou esse prio- rem Socrate vel Platone; sel pio tanto dicimus priorem quolibet suo individuo, ut lujusmodi quolibet stat divisive, quum potest esse homo et non essa hoc vel illud individuum hominis; et ideo dicimus hominem priorem natura Socrate, quum in ordine ad naturam prius est esse hominem, quam esse Socratem dicta de causa. Secundo dici- mus hominem esse priorem Socrate ex parte modi intelligendi; nam possum intelligere nhominem non intellecto Socrate, quum res primo concipitur modo universali quam modo particulari. Ad argumenta in oppositum adducta respondendum est, nec volo adducere rationes Nominalium, quum ille modus est sophisticus. Ideo aliter respondebimus, et magis piysice. Ad argumentum primae opinionis: ad. primum dico quod salvatur generatio univoca absque ideis, quumin genitis per propagationem corpora caelestia concurrunt tanquam causae umniversales; iste vel ille homo tamquam causa particularis; semen cunî spiritu gignitivo tanquam causae instrumentales: et quod dico de homine re- spectu generandi hominis, est etiam de aliis individuis aliarum speciarum generandi individua propriae speciei. In talibus autem genitis per putrefactionem corpora caelestia cum aliqua causa particulari sunt causa generationis talium animalium. Ad secundum argumentum, cum dicitur: «sicut se habet res ad esse, ita et ad cognosci»; (concedo) quantum ad secundam operationem intellectus, non autem quantum ad primam, quae est simplicium apprehensio; aliter sequeretur lineas non posse intelligi absque materia. Ad tertium dico secandum Thomam quod scientia realis est de obiecto reali quoad considerationem, non quoad modum ceonsiderandi; idest scientia realis consi- derat ista particularia, sed non sub modo particulari, sed secundum quandam naturam communem illorum consideratam, ut est apta nata esse indifferentem in hoc vel illo individuo; et hoc est idem quod dicere secundum modum universalem; sic enim mathe- matici considerant lineas sensibiles, seu secundum modum abstrahendi a sensibilitate. Mathematica enim scientia considerat res sensibiles, et quantum ad hoc dicitur scientia realis, quum obiectum suum ab ipsa consideratum est reale, modus tamen abstra- hendi tale obiectum non est realis; ideo mathematica et omnes aliae scientiae reales dicuntur reales ab obiecto, non autem a modo considerandi, quum talis modus fit penopustanvelleetust Dices: uo iii : È SI, 3 DI. È . quomodo ergo differt ui are a ria lafionani? Dico tod differt primo ab obiecto, quum obiectum scientiae realis est reale, sed obiectum scientiae rationalis est rationale. Secundo modus considerandi ens reale est prima de gustu, el aliis sensibus, el de intellectu. Unde quando species repraesentat rem, sic est verus; quando non, non est verus. El sic proprie esl verilas el falsilas in enuntialione, secundum simitiludinem in simplicibus. Est ergo veritas in enuntiatione secundum judicium si sic loquitur hic (Mep “Eppavetzs); verilas vero sine judicio est in simplicibus, et sic inlelligit in altis locis. Sciendum est quod alio modo est veritas in sensu, alio modo in intellectu; nam ‘in sensu ila est, quia species repraesental sicul est, ul si species mellis repraesentat dulcedinem, est. sensus verus, si vero aliter, est falsus; quia mel est dulce. Sed cur hic absolute negavit veritatem et falsitatem esse in simplicibus, in aliis vero locis hoc concedit® Cur fecit istam diversitalem ? Respondeo sic ad islam dubitalionem, el dico quod loquutus est de veritate et falsitate quae per- linent ad logicam . ...... de illa autem quando species conferuntur objeclo, loquilur in Physica. PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.* 55 Ch. 29 verso Ch. 30 recto Ch. 80 verso Ch. 31 recto — 434 — intentio, modus considerandi ens rationis est secunda intentio: similiter definitiones sunt rerum, sed modus considerandi illas res est intellectualis; definitiones enim sunt rerum particularium universaliter consideratarum, ut bene dicit Averroes. Est tamen sciendum quod scientia non dicitur necessariorum, eo quia sit universalium, quum sic scientia esse posset de entibus per accidens; sed pro tanto scientia dicitur necessariorum, quum requirit necessariam dependentiam inter subiectum et praedicatum, sicut est in homine et risibile, eb non requiritur quod semper subiectum sit in actu, sicut multi opinantur, quum ut dicitur ab Averroe, sive homo sit sive non sit, semper possum de- monstrare hominem esse risibilem. Ad argumenta Buridani pro secunda opinione, et ad primum patet ex dictis solu- tio. Ad secundum dicitur quod voluntas consequitur ad intellectum; et ideo licet non proprie appetat universale, tamen appetit singulare sub esse indifferenti, quod singu- lare ab Alberto solet vocari individuum vagum. Sed dices: unde habet hoc voluntas? Dico quod ex eo quod intellectus potest fieri per indifferentiam super singularia excel- lentia et perfectione sua: ideo cum voluntas multum appropinquatur naturae intellectus, ex sua perfectione poterit hoc facere. Ad alterum, cum dicitur: Socrates et Plato magis conveniunt quam Socrates et Bru- nellus, quia Socrates et Pluto essentialiter conveniunt in specie, Socrates et Brunellus in genere tantum; non quia in re sit unum positivum formaliter in quo conveniant, quum hoc est impossibile; sed quia Socrates et Plato producunt effectum secundum speciem, quod ex maxima similitudine provenit: Socrates vero et Brunellas producunt minorem similitudinem, quae est genus; et ideo nos scimus a posteriori quomodo conveniunt ista entia particularia, scilicet Socrates et Plato magis quam Socrates et Brunellus, quum ex similitudine maxima vel minima inferimus altiorem (?) vel minorem convenientiam, ta- men in re sunt maioris vel minoris convenientiae, maior scilicet et minor similitudo (sic); sed haec altior vel brevior convenientia causatur in rebus, quam primum illud in quo So- crates et Plato sunt apti nati convenire, causatur per opus intellectus. Unde secluso opere intellectus, entia realia non possunt convenire in aliquo. Tertio, possunt esse similia et de facto sunt: similitudo autem illa est apta nata causare secundum sui intentionem, vel remissionem intensam, vel remissam convenientiam. Ecce ergo quod in re non est con- venientia secundum principium convenientiae; sed contra tu dicis talem convenientiam cognosci a posteriori; contra cum convenientia aliquorum sit in aliquo tertio conve- nientia, et illud tertium in quo conveniunt, verbigratia Socrates et Plato, scilicet uni- versale, non sit adhuc causatum remoto omni opere intellectus; ergo nunquam erit ista convenientia nisi post opus intellectus, et per consequens prius erit in intellectu quam in re; ideo a priori scietur, et non a posteriori. Ad hoc dicitur quod remoto omni opere intellectus, aliqua convenientia est in re, et non in aliquo positivo est ista convenientia, sed privative Socrates et Plato dicuntur convenire; sed cum intellectus causat unum positivum, verbigratia universale in quo conveniunt, causatar una alia convenientia, quae formaliter est in intellectu, denomi- native tamen in re; et prima convenientia scitur a posteriori, secunda vero a priori. Hic est notum quod universalia dicuntur esse semper et ubique, non quod actuali- ter acquirant locum sicut corpus, sed quum abstrahunt a loco, et dicuntur esse semper quum abstrahunt a tempore, et dicuntur aeterna quum abstrahunt a corruptibilitate. — 435 — Adargumenta Scoti pro tertia opinione, et ad primum patet responsio per ea quae dicta sunt. Ad secundum dicitur quod duplex est obiectum, motivum scilicet et termi- nativum; obiectum intellectus est phantasma, te: minativum vero est illud quod terminat operationem intellectus, et illud est universale; ideo ad argumentum dicitur quod ante- rior debet intelligi de obieeto motivo, aliter non esset vera; necesse est enim intelli- gentem plantasmata speculari; brevior vero est falsa, quum universale non movet intel- lectum, sed terminat eum. Ad tertium dico quod sensus aliter sentit omne sensibile; non tamen sensus sentit sensibile in universali, quum obiectum sensus est individuum sensibile indifferens. Nam sensus non magis se ad hoc sensibile limitat quam ad illud, quum ambo sensibilia aequaliter sentit, et hoc individuum indifferens ab Alberto dicitur individuum vagum. Sed dices: quae differentia est inter particulare intellectum indifferenter sub universali conceptu, et individuum indifferens, quod est obiectum sensus, cum ambo indifferenter se habeant respectu suae potentiae? Ad hoc dicitur quod particulare indifferens sub universali.conceptum abstrahit ab hic et nunc et ab ommibus conditionibus individualibus, particulare vero indifferens, quod vagum dicitur, abstrahit a determinatione huius vel illius individui. Ad quartum dico quod scientia est rei realis consideratae tamen in universali, nec me volo intromittere in ratione Nominalium, sed volo dare responsionem Thomae quam bene notetis; et accipiamus exemplum usitatum in via peripatetica: scientia mathe- matica est scientia realis, et tamen est de quantitatibus immersis materiae sensibili. Ubi notum, quod obiectum mathematicae duo includit, unum quod est quantitas, aliud quod abstrahitur a materia; quoad primum est realis, quoad secundum est intentio rea- lis, quod enim quantitas abstrahatur a materia sensibili habetur per opus intellectus; si igitur mathematicae sumantur quantum ad obiectum intellectus sunt reales; trianguli enim et aliae figurae sunt reales. Quod si quantum ad modum considerandi ipsam quantitatem considerentur, sunt intentionales; et est id quod dicit Thomas quod est idem considerare id de quo est scientia, et est realis; et modum considerandi, et sic est rationalis; consideratur enim sub conceptu universali, quia aliter de eo non esset scientia; hoc autem est per intellectum. Similiter dicendum est quod scientia non potest esse de Socrate et Platone in suo esse singulari. Ideo intellectus abstrahit speciem sive conceptum universalem ab illis, de quo deinde est scientia, et quoad hoc ipsa scientia dependet ab operatione intellectus; et sic scientia illa quoad modum considerandi est ens rationis; quo vero ad rem consideratam, erit realis. Et cum dicis: scientiae dicuntur reales; dico quod sufficit quod sit realis quoad rem consideratam, etsi quantum ad modum abstrahendi sit per opus intellectus; et volo ut sciatis quod Thomas adorasset Averroem nisi fuisset infidelis, qui quidem dixit quod definitiones sunt rerum singula- rium; quando ergo dicis: sequeretur quod quaelibet scientia esset ens rationis; mentiris, quia scientia dicitur realis . . .... non a modo considerandi, quia sic aequaliter esset rationis, sed a re considerata; sic in proposito dico quod quando dicitur defi- nitio non primo competit singulari, ct quod quando dicitur homo est rationalis, non dicitur ista esse praedicatio realis. Similiter nec ista: homo est primo risibilis; sed sunt rationes dependentes nempe ab ipso intellectu, quod probatur; quia si illa esset praedicatio realis, vel esset Ch.31 verso Ch. 32 recto Ch. 32 verso Ch. 33 recto — 436 — per se in primo modo, vel in secundo medo, vel esset per accidens; sed quomodocum - que sit, dicetur de aliquo supposito; et sic aliquid singulare esset primo risibile; sed. cum sint praedicationes intentionales, idleo non possunt verificari de rebus ad extra, nisi ut sunt per opus intellectus abstracte consideratae. Quando ergo dicitur homo ut primo risibile, duo sunt ibi: primum risibilitas inexistens Socrati; sed ad facien- dum quod insit primo, oportet assignare secundum universale esse; hoc autem fit per opus intellectus seu per intellectum. Unde non oportet: homo est primo risibilis; Socrates est homo, ergo Socrates est primo risibilis; sed est fallacia figurae dictionis, quia in prima homo supponitur simpliciter sive materialiter, in secunda personaliter, quum in prima universaliter consideratur: ideo dicimus quod risibilitas demonstratur de ente reali secun- dum esse universale consideratum; bene risibilitas ista demonstrata inest Socrati, ta- men risibilitas in communi, non autem in hoc, aut in illo. Ad quintum: mensura realiter refertur ad mensuratum; dico quod etsi mensura secundum esse reale sit singularis, tamen in volendo tradere scientiam de ipsa, oportet considerare etiam non in esse singulari, sed (ut) de ipso universaliter assumpta (est). Ari- stoteles ergo ibi dat scientiam de mensura in esse universali; et sic quantum est ex parte, rei mensura est singularis; ergo ad modum considerandi de ipsa est universalis, quia non cadit sub scientia nisi universaliter assumpta. Ad aliud dico quod contrarietas est singularis, sub universali tamen modo con- siderata. Ad aliud de Aristotele septimo Physicorum dico quod comparationes debeut fieri secundum speciem, et non secundum genus, quia debent fieri secundum maxi- mam similitudinem, et non parvam. Negavit ergo comparationem a genere non a spe- cie, quia genus causatur a parva similitudine, species vero a magna, ut bene dicit Themistius hic; comparatio enim in specie specialissima dicit omnimodam similitudi- nem essentialem; ut Socrates et Plato comparantur, in hoc sunt omnino similes, non autem Socrates et Brunellus. Ad octavum dico quod omnia entia realia, secluso cmui opere intellectus, solo numero differunt; datur tamen altior et brevior diversitas, quum Socrates et Plato non tam differunt inter se sicut Socrates et asinus: hoc autem cosno- scitur a posteriori per operationes, quia Socrates et Plato sunt apti causare conceptum specificum, non autem Socrates et Brunellus; sed causant conceptum genericum: et hce quia est altior vel brevior similitùdo in uno quam in alio fundamentaliter et ex parte rei; quamvis formaliter secluso omni opere intellectus, non plus differant Socrates et Plato quam Socrates et Brunellus. Et sic de ista quaestione tam difficili haec dieta sufficiant. Sed notemus utrum universale sit aggregatum ex re considerata et modo considerandi, an sit modus considerandi tantum. Dixi quod universale est modus considerandi qui formaliter est in intellectu, sed denominative in re considerata. Finis quaestionis. Utrum accidens ducat in cognitionem substantiae. Circa commenta 9, 10, et 11 (') moventur nonnulla dubia; primum autem est; utrum accidens ducat nos in cognitionem substantiae: circa quod Joannes et Caietanus multa faciunt argumenta, quae pono quia ex dictis patebunt et haec quaestio: an substantia (!) Il Commento citato senz’altra indicazione è quello di Averroe; il lesto del Commento è il testo aristotelico, quale si trova nella versione latina del Commento stesso. Averroe è designato col nome di Commentatore.-Vedi Aristolelis De Animalibri lrescumAverrois Commentariis= Venetiis apud Junclas 1562. — 437 — scilicet cognoscatur per propriam speciem, an (vero) ex solo discursu ut tenet Sco- tus, forte bene pertractabitur tertio huius. Quia tamen hic solet moveri, ideo volo de hoc aliqua dicere. Multi modi recitantur ab istis quorum unus est: Accidens ducit in cognitionem substantiae, quia sicut virtus phantastica brutorum ex specie rei sensatae elicit insen- satam; sic intellectus noster ex specie sensata accidentis elicit speciem insensatam substantiae. Nam agnus et ex figura, facie, et colore lupi, et voce statim elicit speciem inimicitiae quae est insensata, et fugit; et sic ex specie sensata elicit insensatam pa- riformiter, quia nullus sensus profundat se ad substantiam, sed intellectus est, qui eam cognoscit cognitis primis accidentibus per sensum; et sic per viam resolutionis acci- dens causat speciem insensatam substantiae; ex quo enim accidens tantum causat suam speciem ex accidentibus cognitis, statim intellectus per quamdam congenitam natu- ram elicit speciem substantiae. Nolo autem recipere impugnationem quam facit hic Joannes. Secundus modus dicendi est, quia ita est in actione spirituali sicut in reali et materiali; sed in materiali non inducitur forma substantialis in materia nisi prius inductis qualitatibus accidentalibus in materia; videmus enim experientia quod in ma- teria non inducitur forma ignis, nisi prius inducatur caliditas et raritas convenientes pro forma ignis; sic et intellectus non potest causare conceptum substantiae nisi prius dispo- natur per conceptus accidentium; cum actus activorum non sint nisi in patiente bene disposito, et actio spiritualis debet proportionari actioni materiali. Erit ergo sensus huius opinionis: sicut accidentia faciunt ad generationem substantiae, ita ad cognitionem eius. Etsi multi sint concordes in hoc modo dicendi, sunt tamen adhuc diversi de generatione speciei in intellectu. Joannes imaginatur quod in virtute phantastica sit simul species sub- stantiae et accidentis, et quod intellectus non potest recipere speciem substantiae nisi prius recipiat speciem accidentis disponentem et praeparantem pro receptione speciei substantiae; tamen cum hoc etiam species substantiae generat notitiam substantiae, mediante tamen specie accidentis. Alii dicunt quod sicut in actione reali caliditas prius generat caliditatem in vir- tute propria, in virtute vero substantiae formam substantialem, sic in spiritualibus; et haec est via Thomistarum volentium sensum se profundare usque ad substantiam; et talem cognitionem substantiae Joannes, Caietanus et Apollinaris appellant intuitivam, sed valde improprie et male, quia notitia intuitiva terminatur ad rem; nullam autem talem habemus in hoc mundo, sed habebimus in patria. Quod si in hac vita cognitio ter- minatur ad rem, quia phantasma formaliter terminatur ad rem, non propter hoc est intuitiva. De istis modis nihil dico nunc, quia in tertio huius dicetur. Unum dico quod nullus istorum est ad mentem Philosophi, quia in isto loco non loquitur de ista co- gnitione intuitiva sine discursu, sed loquitur de cognitione cum discursu, ut patet per Philosophum dicentem: videtur autem non solum quod quid est cognoscere utile; ubi patet qued loquitur de processu demonstrativo, ubi per cognitionem causae venimus in cognitionem effectus. Et quod verum sit quod non loquitur ad mentem Philosophi patet, quia dicit Philosophus: non solum accidens ducit in cognitionem substantiae, sed etiam e converso. Non potest autem substantia ducere in cognitionem accidentis nisi discur- sive: non cnim per speciem substantiae ducimur in cognitionem accidentis. Et ideo Ch. 33 verso Ch. 84 recto Ch. 34 verso Ch. 35 recto — 438 — aliter est dicendum, per accidens ducimur in cognitionem substantiae et e converso, sed per discursum, nam causa in aliquibus est apta dare cognitionem effectus, et quia, et propter quid; in aliquibus vero non solum propter quid, ut in regressu, nam ali- quando cognita causa per effectum, devenio a cognitione causae in propter quid effe- ctus; et prima notitia est perfectissima, secunda vero non. Ideo dixerunt et bene, quod confert; sed videatis Themistium hic dicentem quod est quasi circulus, volens dare intelligere quod quandoque causa notificat effeetum, et quia et propter quid; quan- doque vero propter quid tantum, et tune est demonstratio causae tantum; quandoque e converso, et dicitur demonstratio signi. Est et alius modus quem Thomas hene tangit dicens; quomodo ultra a di- scursivam accidentia conferant; et est quia multoties habemus cognitionem accidentium propriorum et ignoramus ultimas differentias; et ut dicit Commentator octavo Metaphy- sicorum commento quinto, loco ipsarum ponimus accidentia propria, et per accidens de- venimus in cognitionem substantiae. Unde cum aliter non possumus facere, facimus si- cut possumus, et substantia confert ad cognitionem accidentis non solum discursive, sed quia substantia ponitur in definitione accidentis; et sic in via definitiva et discur- siva accidens confert ad cognitionem substantiae, et e contra; et ideo non approbo illos modos dictos, non quia sint falsi, sed quia non sunt ab intentionem Aristotelis hic. Ex his sequitur quod stat me habere conceptum accidentis, et conceptum sub- stantiae; et tamen quod accillens ducat me in cognitionem substantiae et e contra; sic quia cognitio substantiae confert ad cognitionem accidentis et e contra, patet de demonstratione propter quid, quae habita prius notificat quia est ipsius causae per effectum, et ducit nos in notitiam propter quid ipsius effectus. Similiter stat quod co- gnoscam substantiam et accidens, et quod tamen accidens conferat ad cognitionem substantiae, quia stat . Sar io MEER. DE est maxime verum de sota accidentis imposto prius uva perfecta enim cognitio accidentis non potest haberi nisi post cognitionem substantiae; ex quo patet nostram consequentiam esse veram, scilicet quod stat substantia et accidens ambo esse cognita, et tamen cognitio accidentis confert ad cognitionem substantiae et e contra; et hoc in via discursiva et definitiva non oportet dubitare, nam ipsum accidens definitur per substantiam et e contra; et sic non semper est verum quod substantia ducat in co- gnitionem accidentis, sed bene propter quid et e contra, ut dictum fuit. Stat tamen cum hoc quod notitia substantiae ducat in cognitionem accidentis, wbi prius nullam notitiam haberemus de accidente; patet in demonstratione simpliciter, in qua ex cau- sa nota nobis et naturae ducimur in cognitionem quia est et propter quid ipsius acci- dentis. Similiter notitia quia est accidentis ducitin cognitionem substantiae, nulla prius habita notitia de ipsa; patet quando ex notitia accidentis proprii devenio in notitiam substantiae. Ex hoc patet quod cognitio accidentis non semper causatur ab ipso phan- tasmate, ubi per viam discursivam devenio in notitiam accidentis ex notitia ipsius sub- stantiae. Ex quo patet quod ille modus dicendi non est universaliter verus: sicut res se ha- bet ad actionem realem ita ad spiritualem; bene aliquando est verum, non tamen semper; quia nunquam forma potest esse et recipi in materia, nisi prius materia fuerit disposita per accidentia. Stat autem totum oppositum in actione spirituali, ut dictum est.In mate- rialibus prius est substantia quam passio; in spiritualibus multoties est totum oppositum, — 439 — ut quando substantia esset nobis ignota, passione existente nota; et hoc modo est verum de imperfecta notitia, non autem de perfecta; et quantumeumque accidens notificet substan- tiam et e contra, verius tamen substantia notificat accidens, quam accidens substantiam, et definitio definitum quam e contra. Omnia sunt clara. Unum tantum hic esset dubi- tandum, quum ex causa notificatur effectus et ex definitione accidentis, numquid illa cognitio sit habita per discursum an per propriam speciem; non enim est verum quod quidquid est per propriam speciem cognoscatur; multa enim cognoscuntur quae non habent speciem propriam et substantiae separatae et relationes: imo tenet Scotus quod substantia solum discursive cognoscatur. Sed de hoc in sequentibus. Aliud oportet scire, quod substantia ducit in cognitionem accidentis et. e contra via discursiva et demonstrativa; quia dicit Averroes quod definitiones et demonstra- tiones, quae non declarant accidentia, sunt vanae; quod eodem modo contingit quum accidentia declarantia ipsam substantiam sunt maxime propria; quae vero non sic, non sunt propria saltem eodem modo. Sic enim perfectissima definitio declarat omnia ac- cidentia. Numquid vero proprium . ..... et non aliud ducat in cognitionem sub- stantiae, credo quod non semper; bene verum est quod quanto magis est proprium et essentiale, tanto magis ducit in cognitionem substantiae. Vie el Calo cell al (ore o eldie: 0. l'on io). le: le “e, (e, Le _0'. n° - o) ie: ‘e e. (0. e DECIO Me... . . . + «+ + + Et sic finis imponitur quaestionibus super primo libro De anima, Deo favente. Ch. 35 verso Ch.45 verso Ch.48 verso — 440 — QUAESTIONES MAXIMI ILLIUS PHILOSOPHI PETRI SCILICET POMPONATII SUPER SECUNDÒ DE ANIMA Utrum definitio animae sit bene assignata. Visa definitione animae in maltis textibus, Pomponnacius cam exanimat in textu undecimo (‘). Et prim) circa pimam particulam dubitatur utrum sit actus, et videtur quod non, quia si esset actus, esset forma; sed non est forma; igitur ete. Antecedens patet, quia forma et actus idem sunt: brevior probatur, quia si anima esset forma, esset vel substantialis vel accidentalis; sed non est aliqua istarum; ergo. Quod non sit accidentalis patet per Averroem secundo huius, commento secundo, ubi dicit quod secundum quod dat nobis prima cognitio naturalis, anima est substantia, et etiam pars substantiae est substantia. Secundum probatur quod non sit forma substantialis sic: proprium est sub- stantiae in subiecto non esse; anima est in subiecto; ergo. Anterior patet ex praéceden- tibus; brevior probatur, quia Arisfoteles iam probavit animam non esse corpus, quia est in subiecto. Item proprium est substantiae per se stare et accidentibus substare; sed anima non per se stat, nec accidentibus substat; ergo. Anterior patet ex praece- dentibus, et brevior probatur, nulla enim est anima quae per se stat, nec intellectiva; nam dicitur in primo huius, quod si quis dixerit animam per se intelligere, est ac si diceret, eam texere vel filare; et hoc est in textu commenti sexagesimiquarti, et haec est prima quaestio quam tangit Joannes. Dubitatur secundo utrum sit actus primus; et videtur quod non, quia ille non est actus primus quem praecedunt alii actus; sed animam in corpore multi actus prae- cedunt tam substantiales quam accidenteles; ergo. Prima patet, quia primo non datur prius; brevior probatur dupliciter, primo quia animam ipsam in corpore praecedunt actus essentiales et accidentales; ergo. Dè accidentali patet, quia actus activorum sunt in patiente bene disp»sito, ut dicit Aristoteles; unde quomodo anima posset informare materiam, nisi illa esset disposita et per debitas organizationes et per debitam pro- portionem qualitatum primarum? Item praecedunt in corpore animam multae formae substantiales tam partiales quam totales; non enim est homo nisi prius sit corpus, et nisi sit cor et epar, et alia; quis enim diceret omnia ista membra unica forma informari, cum habeat tam diversas operationes et complexiones? Deinde ponitur actus primus ad differentiam secundi: hoc non est universaliter verum quod anima sit actus primus, ut distingnatur contra secundum, quia quando homo nutritur in homine, non esset actus prmus, quum in eo non est actus secundus; quare ibi non esset actus primus, et hic tangitur quaestio quae tangitur ab Averroe commento octavo. Dubitatur tertio utrum anima sit actus primus corporis; et videtur quod non, quia si ipsa esset actus corporis, tunc esset accidens; hoc autem est falsum; ergo. Con- (!) Il testo di Aristotele è questo: dio Luyn értiv Evrsdéysia n mpwrn owpatos puormov duvapei Cono Ey0ytos. TOLoÙTo de, 0 dy 7, bpyavizoy. De anima II. 1. 6. — 44l — Consequentia probatur, quia omnis forma adveniens enti in actu est accidens ex secundo De generatione, textu commenti quarti huius secundi; anima autem estt alis quia per se advenit corpori, quod est in actu; ergo. Dubitatur quarto super illud verbum « physici» quia non videtur bene positum esse, quia in definitione substantiae non ponitur accidens; sed physicus ponitut in defini. tione animae et anima est substantia; ergo. Brevior probatur, quia si loco « physici » ponitur sua definitio, quae est esse principium motus et quietis; tune in definitione animae ponitur accidens. Item ablata ista particula « physici » non minus erit perfecta et completa ista definitio animae; ergo superfiue ponitur. Consequentia patet; antecedens probatur, quia dicunt quod ponitur « physici » ad differentiam artificialium, modo suf- ficit pro distinctione corporum artificialiam «in potentia vitam habentis» et est definitio completa; vera autem definitio non continet superfluum ut in octavo Metaphysicorum. Dubitatur quinto circa illam partem « organici» quia in definitione organici ponitur quantitas, qualitas et situs, quae sunt accidentia quorum nullum debet poni in definitione substantiae. Secundo anima est simplicior formis elementornm, cum magis accedat ad divinum; ergo debet habere subiectum simplicius quam elementa; quare non debet ha- bere pro subiecto corpus organicum. Consequentia potest patere, quia nobilioris for- mae nobilius est subiectum; quanto autem aliquid est simplicius, tanto nobilius est, quia magis accedit ad illud quod est maxime simplex. Tertio illa particula non competit omnibus quia aliquod (?) est animae (?) quod non est organum, quia non sunt dissimilia in partibus suis, sicut homogenea, sicut ossa et caro. Item et quarto vel habens «organici» vel habens «in potentia vitam habentis » superfluit, cum esse organicum sit in potentia vitam habentis et e contra; organicum enim est illud quod potest exercere opera vitae. Dubitatur sexto et ultimo circa illam partem «in potentia vitam habentis». Videtur quod non sit bene posita. Nam duplex est sensus istius propositionis, unus quem dat Thomas et Aegidius, quod per corpus vivens in potentia intelligatur corpus quod est in potentia ad ipsam animam pro quanto corpus est compositum ex materia et forma corporeitatis, sive modo forma corporeitatis distinguatur realiter ab anima, sive non. Secundus sensus est quod anima sit actus corporis prout corpus dicit compositum ex anima et ipso corpore, quod quidem est in potentia ad operationem animae. Modo in quocumque sensu accipiatur non i bene posita. Nam primus sensus non est ad men- DOME nISTOWelisi nina e I INCA O IO SIE IRONICO GRIN NRE uti . Unde si non adi in =cqundo sensu, vinne Li mite Illiomiae contra hoc, quia idem vel definiretur per se ipsum, quod est falsum. Consequen- tia probatur. Resula est Aristotelis in sexto Topicorum (') quod quando ponitur aliquis terminus in aliqua definitione, si loco illius termini ponatur definitio erit clarior et expressior, si ergo vonitur corpus animatum in definitione animae, sumatur definitio corporis animati, scilicet compositum ex corpore et anima, et tune patet consequentia. Ulterius si ponatur corpus animatum in definitione animae, oportet intelligere illam parte « in potentia vitam habentis» ad opera vitae, sed tunc non conveniret de- finitio omni contento sub definito. Probatur consequentia, quia non conveniret animae nutritivae, quae semper est in actu secundo nutritionis et nunquam est in potentia ad actum nutritionis. Satis. (1) Topica - VI cap. 4, parag. 8. ur D PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2. Ch. 49 recto Ch. 49 verso Ch. 50 recto Ch. 55 verso Ch. 56 recto — 442 — In oppositum est Aristoteles qui eam ponit, et omnes exponentes eam approbant, et non adduco aliam rationem, nisi probationem Aristotelis, qui cum divisisset ens in. substantiam et accidens, assumpsit quod anima est substantia; et cum substantia sit triplex, scilicet materia, forma, et compositum, assumpsit quod anima est forma; et cum perfectio sit duplex, prima et secunda, probavit quod anima est prima perfectio et quod est actus corporis, et tandem in textu septimo conclusit totam definitionem animae. Solum restat solvere argumentum. Ad primum: cum dicitur quod anima non est substantia, quia non per se stat, di- missis aliorum nugis, et maxime Gregorii Ariminiensis in principio Sententiarum quod te- net Deum esse in praedicamento; dico quod nec forma, nec materia est in praedicamento, quia solum composita sunt in praedicamento; et quod substantia divisa superius est analoga non praedicabilis; tune dico quod argumentum peccat per fallaciam aequationis, quia cum Aristoteles dixit quod proprium est substantiae in subiecto non esse, intelligitur de substantia praedicabili eo modo quo anima est substantia; similiter diciter quando arguitur quod substantia substat accidentibus. Ad secundum principale quando dicitur quod anima non est actus primus quia eam alii actus praecedunt in materia, in qua ha- bet recipi, hoc argumentum est difficile et magnam erigit dubitationem quae talis est. Utrum aliquid accidens praecedat forni substantialem in materia. une ergo td argumentum principale din cum dicitur alii actus praece- dunt, ergo etc. dico quod non dicitur anima actus primus, quia nullus praecedat eam in materia, imo multi praecedunt eam vel secundum esse, vel secundum intelle- ctum; sed ponitur primus ad differentiam secundi actus, sive modo sit operatio, sive anima operans actu, et sic peccat per fallaciam argumentationis. De illo autem arti- culo quo dicitur quod anima advenit enti in actu, corpori, pertractabimus in tertio verbo «corporis». Sed ulterius arguebatur quomodo anima est actus primus, quod si di- citur actus primus quia ab ea non provenit operatio, quae est apta nata provenire, sequeretur quod cum sentirem in, me, non esset (') actus primus; unde Themistius di- cebat: cavendum est ne vigilemus, quia proderemus actum primum. Pro hoc argumento notanda est discordia in definiendo actum primum et secundum. Latini volunt quod forma sit actus primus, operatio vero secundus. Si ergo sic definimus, secundum argu- mentum nihil valet; non enim probaret animam non esse animam actu operantem , sed non esse ipsam operationem. Sed tamen Themistius, Alexander, Averroes et Ari- stoteles videntur velle quod actus primus sit forma, a qua non provenit operatio apta provenire, actus vero secundus est forma a qua provenit operatio; sed quomodo- cumque intelligatur non est magna difficultas. Nam ipsi dicunt quod debet intelligi disiunctive, scilicet quod in aliqua anima est actus primus et in aliqua actus secundus; in quibus non est actus operans est actus primus; non facit autem mentionem de actu secundo, quia non est dubium, quod quando anima est operans in aliquo, quod ibi sit actus primus; bene est dubium quando non est operans, an sit actus primus cum appareat mortuus. (1) Probabilmente è sottinteso : amplius. — 443 — Utrum sint plures formae substantiales în codem composito. Quinta opinio quae mihi probabilior videtur, et est authenticorum virorum scilicet Thomae, Aegidii et Alberti hic in libro De anima, licet contrarium videatur dicere in tertio Coeli. Dicit haec opinio quod in uno composito non possunt esse plures formae substantiales realiter distinctae sed unica tantum; eadem enim forma est per quam So- crates, animal, corpus, mixtum, oculatus et huiusmodi; et pro hac duo tantum fundamenta adducam, quia alia patebunt. Primum de ratione formae substantialis est dare esse simpliciter, accidentalis vero per accidens, ut primo De generatione dicitur. Modo si quaelibet forma substantialis dat esse simpliciter, tune tale compositum habebit duo esse simpliciter; quare non esset unum, sed duo. i Alterum fundamentum est quod Aristoteles semper, ubi loquitur de hac materia, dicit quod omne quod advenit enti in actu est accidens, quod pariter vel esset falsum vel limitatum. Volendo ergo sustinere hanc propositionem, quae mihi verior videtur; restat solvere argumenta. Ad id quando dicitur: unde sumeretur numerositas praedicatorum, pro hoc notetis, ut bene notat hic Albertus et Thomas, non incorvenit aliqua dispersa in diversis con- cludi eminenter in uno perfectiori; est enim substantia sine corpore ut in abstractis, et etiam corpus sine vivente, et vivens sine animali, et animal sine homine. Ecce quomodo ista sunt dispersa in diversis. Cam quo tamen stat quod ista dicantur esse collecta in uno, ut in homine ratione suae perfectionis; exemplum accommodatum dat Albertus: in civitate sunt tribuni, praetor, et consul; praetor est perfectior tribuno, et consul est prior praetore; quae tamen omnia sunt collecta in rege sive in principe: potest enim ipse facere omnia quae possunt ipsi de per se. Unde iste est ordo: quando aliqua subordinantur ad invicem, prius debet esse in posteriori eminenter, sicut trigo- num in tetragono: anima intellectiva ex sui perfectione omnia quae sunt in aliis di- spersa in se eminenter continet illa. Quo stante faciliter dicitur ad illud argumentum: dico quod est unica res materialiter, tamen plures virtualiter, a quo sumitur ista numerositas praedicatorum. Ex enumeratione enim virtutum sensatarum in ipsa anima intellectiva sumuntur illa praedicata; quare patet quod ista numerositas sumitur a re continente illas perfectiones eminenter, ut patet in exemplo Alberti de rege. Ad se- cundum: quando dicebatur quod substantia separatur a corpore et corpus a vivente, et vivens ab animali in his quae sunt dispersa, ergo ita debet esse in humine; sed in rei veritate, hoc potius arguit oppositum. Nam in imperfectis sunt dispersa, uniun- tur tamen in homine propter perfectionem animae suae comprehendentem omnes gra- dus imperfectos ex sui magna perfectione, sicut verbigratia rex continet omnes ma- gistratus qui sunt dispersi iu inferioribus; imo et Deus qui est perfectissimus omnium continet eminenter omnes rerum perfectiones, et hoc est unum ex fundamentis Thomae. Difficultas autena est respondere rationibus Scoti tenentis dari formas partiales et formas mixti distinctas ab aliis. Ad primum si non remanet eadem forma, quae- rebatur de generante illam formam ita nobilem, et de generante illa accidentia, et idem effectus numero proveniret a distincetis specie. Hoc argumentum est fortissimum Ch. 56 verso Ch. 62 verso Ch. 63 recto Ch. 64 recto Ch. 64 verso Ch. 65 verso Ch. 66 recto Ch. 70 verso — dd — quod cognoscitur ex diversitate responsionum. Thomistae digladiantur inter se m hoc. Aliqui dant unam responsionem, alii aliam. Gregorius dat aliam in secundo Sententia- rum distinctione decimasexta, quaestione secunda. Dicam ego quod mihi magis placet. Videtur mihi primo quod Scotus et sequaces habeant contra se easdem angustias quas habet Thomas, quia si bos interficiatur gladio, frigiditate et quomodocumque moriatur, semper est idem bos; modo est difficile v:dere quomodo per solum motum localem possit corrumpi bos. Unde reflectitur argumentum contra ipsum. Dicebat ipse quomodo per solum motnm localem potest generari bos nulla praecedente alteratione; ergo sicut omnes generationes praecedit alteratio, ita et omnes corruptiones; et sicut est inconveniens de uno, ita est de alio. Tunc reflecto contra te hoc idem argumen- tum. Si bos corrumpitur gladio, frigiditate, illa forma substantialis corrumpitur ec est idem effectus numero; ergo a diversis secundum speciein potest provenire idem effectus numero. et RE MARA RIME UE AMERICANE RISSA CATA MCO POTE POETA DARE Dices et subtilius: hoc non videtur verum de effectu positivo, sed bene de privativo; quomodo enim est possibile quod per solum gladium generetur forma cordis et epatis, et cadaveris, et tot et tanta membra? Hoc argumentum dixi esse fortissimum, licet apud me non concludat; nam sumo dictum Aristotelis in secundo De generatione, ubi dicitur quod terra potest generare ignem, aerem, et alia multa: si enim terra agat in aerem per siccitatem nec non per caliditatem, tune generabitur ignis qui est ca- lidus et siccus; similiter si agat in aerem per frigiditatem, tunc generabitur aqua, quae est frigida et humida. Ecce quomodo est possibile quod idem agens secundum speciem causet effectus diversos secundum speciem, et quod idem effectus secundum speciem proveniat a diversis secundum speciem. Hoc.autem, ut dicit Aristoteles, pro- venit ex dispositione, et quorsum hoc dico? quod non solum effectus privativus sed etiam positivus potest a diversis causis secundum speciem causari, et idem agens secuudum speciem potest diversos effectus producere. Quare patet quod non inconvenit quod per frigidum generetur cadaver et per humidum et calidum, sic et in aliis; quare quando caliditas agit in hominem, cum hoc subiectum sit maxime dispositum pro forma ca- daveris, ideo non est mirum si ex eo generetur cadaver. Similiter humiditas agens in hominem generat cadaver, similiter et siccitas, et gladius et talia; non ergo est mi- rum; quia tale subiectum est dispositum pro forma cadaveris. Unde si hoc est incon- veniens erit destruere processum Aristotelis in secundo De generatione, ut supra di- ctum est; et si argumentum Scoti concluderet, esset etiam contra Aristotelem. Respon. sio ergo stat in hoc quod non inconvenit, imo est necessarium ratione dispositionis passi, eundem effectum produci a diversis causis; et haec est nostra responsio a nullo accepta, imo idem effectus positivus potest a diversis causis provenire, ut dolor pro- venit a calido, frigido, humido, sicco et tamen dolor est quid positivum, quia est tri- stis sensatio, sed instabilis. Utrum omnis anima sit divisibilis. Alia quaestio est utrum omnis anima dicatur esse divisibilis; et ne in aequivoco laboremus, non est sero noster de divisione secundum speciem; quia hoc modo sunt — 445 — divisibiles (animae), quum non sunt eiusdem speciei; nec est intentio nostra loqui utrum sit divisibilis in partes eo modo quo compositum dividitur in materiam et for- mam, nec de divisione quae est in partes essentiales, quia in tertio huius de hoc vide- bitur: sed sermo est de divisione per accidens sicut ad divisionem corporis in quo est. De qua Aristoteles quinto Metaphysicorum capite « de quanto » Jocutus est, nec loquor utrum anima sit divisibilis per se, quia hoc modo nihil est divisibile praeter quantitatem, ut dicitur in primo Physicorum textu commenti septimi, ubi dicitur quod omne quod est divisibile, ratione quantitatis est divisibile; ipsa autem quantitas per se est divisibilis. Et notamus propter sophistas quod non sumo hic « per se » in primo vel in secundo modo, sed in tertio, idest per se solitarie; sic intelligendo, substantia est per se indivisibilis, idest solitarie sumpta et considerata seclusa quantitate. Sed disputatio nostra est utrum quaelibet anima sit divisibilis per accidens sic, quod ipsa extensa ad extensionem corporis dividatur ad eius divisionem; et sermo est de ani- mabus eductis de potentia materiae, quia anima intellectiva clarum est quod nori est divisibilis, dimissa opinione Platonis et Pythagorae, qui tenent omnem animam esse indivisibilem. In via peripatetica invenio tres opiniones famosas. Una opinio Thomae in prima parte quaestionis 76 art. 8; et etiam Albertus est istius opinionis. Tune haec opinio dicit quod per se et per accidens anima est indivisibilis: de per se est manifestum, et omnes concedunt cum sola quantitas sit per se divisibilis; quod autem et per accidens sit indivisibilis, probant multis rationibus. Pro nunc duas tantum adducamus: prima est supponendo quod totum animal aut planta informetur per animam, totum enim et quaelibet pars est animata, quod non est nisi per praesentiam animae. Non ergo di- cunt isti est putandum, quod anima sit in una parte per essentiam ut in corde et in aliis per virtutem, sed in toto per essentiam. Secundo isti accipiunt quod definitio de anima sit vera, scilicet anima est actus corporis. Tune dicit Themas: sumamus plan- tam; si enim de quo minus videtur inesse et inest, ergo de quo magis: clarum est quod anima plantae est in tota planta, et non tantum in parte. Impossibile autem est quod aliquid extensum sit in pluribus partibus simul. Si ergo anima sit extensa, non potest esse in pluribus ipsius; et ita dicatur de anima sensitiva hominis. Dicit autem Thomas, si sit indivisibilis, quod potest esse praesens omnibus partibus cor- poris, sicuti Deus qui praeest toti universo. Hoc ergo est argumentum Thomae: anima informat totam et quamlibet partem, et est actus corporis; ergo est indivisibilis, quia si esset divisibilis non posset hoc facere. Hic etiam Albertus facit rationem multum efficacem, quam assumpsit Petrus Mantuanus concivis meus in (scripto?) suo De primo et ultimo instanti, credo capite secundo: ratio est ista, nisi anima esset indivisibi- lis, non possemus salvare identitatem individui a principio usque ad finem. Proba- tur quia homo a principio sul, quando erat embryo, erat digitalis quantitatis, et nunc tantae, quod non potest esse nisi quia actuatus est, et materia est variata pro- pter continuam resolutionem humidi ad renovaticnem novae materiae propter nutri- mentum. Quomodo ergo si continue a principio usque ad finem uniatur materia, potest esse idem numero? quia si anima est divisibilis ad divisionem materiae, cum continue varietur materia, etiam et forma variabitur; et ita cum non remaneat eadem mate- ria, nec eadem forma, nec erit idem individuum. Si autem ponatur anima indivisibilis, remanet identitas individui, quia esse insequitur formam, et quia quando anima est in- Ch. 71 recto Ch. 71 verso — dd6 — divisibilis semper remanet eadem aliam induens et aliam materiam: ideo facit identi- tatem in supposito; sicuti si esset vas perforatum, in quo continue nova aqua subin- traret, et alia exiret, semper utique esset idem corpus, non existente tamen. eadem aqua, quae tamen induit se in alias materias. Quae opinio multis displicuit volentibus animas plantarum esse divisibiles; quae quidem multum assimilantur formis elemen- torum, in tantum quod Plato in Timaeo non dignatus est eas vocare animas sed vo- cavit naturas. Ulterius autem isti volunt animas animalium esse indivisibiles et per se et per accidens, et ratio est, nam videmus sì aliquid animal pungatur in digito pedis, statim septit puncturam per totum corpus, quod non potest esse nisi quia anima est indivisibilis cuiquam parti corporis praesentis (sic). Si autem anima esset divisibi- lis, quonam modo illa sensatio transiret tam cito a calce ad caput? et si sensatio fiat per spiritum, quomodo spiritus tam cito potest transire de uno loco ad alium, cum tamen spiritus sit corpus? Aliis non placet haec opinio; sed volunt quod anima ani- malium perfectorum sit indivisibilis, imperfectorum vero divisipilis; quam opinionem insequitur Thomas in secundo Contra Gentiles capite septuagesimo secundo ('). Imper- fecta vero quae densa (secta) vivunt, perfecta quae densa (secta) non vivunt. Istam opinionem probant, quia si densantur (secantur) talia animalia, ut anguillae, partes densae (sectae) vivunt; per oppositum vero est in perfectis, quia ipsa habent animam indivisibilem, prima vero divisibilem (?). Tertia opinio est, quae magis mihi videtur peripatetica, quae tenet quod quaeli- bet anima praeter intellectivam est divisibilis, cum sit constituta in esse per subiectum, educta de potentia eius. Quae opinio magis videtur sensata; et ratio pro hac opinione est, quia si sunt formae eductae, prima facie denotare videntur quod sint extensae et divisibiles, quia debent habere conditiones materiae. Primum autem inhaerens mate- riae, disponens eam pro eductione formaruw, est quantitas; ergo cum omne receptum recipiatur secundum conditiones recipientis, ipsae formae erunt divisibiles et extensae. Pro hoc facit dictum Aristotelis tertio Coeli textu commenti septimi ubi probat passiones et accidentia esse divisibilia, ex eo quod sunt in subiecto divisibili; quod (!) Dicitur ergo lolum et secundum quanlilalem et secundum essentiae perfeclionem. Tolum autem et parles, secundum quanlitatem dicla, formis non conveniuni nisi per accidens, scilicet in quantum dividuntur divisione subjecli quantitalem habentis; lolum autem vel pars, secundum per- fectionem essentiac, invenitur in formis per se. De hac igitur tolalilate loquendo quae per se formis competit, în qualibet forma apparel quod est tola in lolo et tolta in qualibet parte ejus. Secus autem est de totalitale quae per accidens allribuilur formis; sic enim non possumus dicere quod tota albedo sil în qualibet parte. Si igilur est aliqua forma quae non dividatur divisione subjecli, sicut sunt ani- mae animalium perfeclorum, non erit opus dislinclione, cum eis non compelat nisi una lolalilas; sed absolute dicendum est cam tolam esse in qualibet corporis parte — Sancli. Thomae Contra Gentiles Lib. II cap. 72. — Si avverta che quando le citazioni di san Tommaso non sono accompagnate espressamente dal titolo Contra Gentiles o da altro titolo specificato, ma solo dal richiamo a Parti, Questioni ed Articoli, si intendono riferite alla Somma Teologica dell’ Angelico. (2) Uno dei passi di Aristotele a cui si riferisce la questione quì trattata e che giustifica la cor- rezione proposta allo sbaglio commesso dall’amanuense, alle parole densa e densantur, è; odrws 6p@psv . cupRfeivov èTi to» èvrouwv èv trois Bratepvopevors: vai yao alcInow Sndrspov tùv pepòv &gel, noi zivnow rav nerd r670v capo 2 del libro II, paragrafo 8. Cf. capo 5 del libro I, ultimi paragrafi del De Anima e Problemata, sezione IX, paragrafi 13-65 e 67 della edizione Didot. — 447 — si ratio sua procedit de illis accidentibus, eadem ratione procedit de istis formis edu- ctis; et Commentator in primo capite De substantia orbis in fine, dicit quod ex eo quod forma est constituta in esse per subiectum, est divisibilis et e contra; sic quod se mu- tuo inferunt divisum et constitutum in numerum per subiectum, in diversis tamen ge- neribus causarum, quia primum est a posteriori et secundum a priori. Item Aristoteles in octavo Physicorum ubi devenit ad primum motorem, probat eum esse indivisibilem, ex eo quod est abstractus a materia: modo si animae plan- taru:1 essent indivisibiles non valeret suum arsumentum ex eo quod primus motor est indivisibilis. Probat quod est immobilis; ergo etsi animae plantarum essent iu- divisibiles, essent etiam immobiles. Item comuniter dicitur si anima esset indivisibilis idem moveretur et staret simul. i Ad rationes in oppositum potest dici; ad primam quae est Thomae cum dicitur unum divisibile non potest informare aliud secundum diversas partes; dico quod illa definitio « anima est actus etc.» debet intelligi de una anima totali et non de partibus animae. Unde sicut domus est forma camerae secundum unam partem et tecti secun- dum aliam partem, ita et anima est forma nasi secundum unam partem et pedis se- cundum aliam; et sic de singulis. Ad rationem Alberti dicitur quod licet anima sit divisibilis et materia semper fluat et refluat, quia tamen a principio generationis est contractum humidum radicale, quod semper manet idem numero; ideo salvatur iden- titas numeralis. Non tamen expectes totam veritatem in generabili, sicut in aeterno, nec tantam flexibilitatem, sicut in fluvio, sed est media inter illa. Ad argumentum Mar- silii « si pungatur animal » dicitur primo: si tenemus illam sensationem fieri per rea- lem transmutationem spirituum, dico: non demonstrat quod subito fiat illa sensatio, sed in tempore imperceptibili, sive modo illi spiritus currant ad cor tanquam ad princi- pium secundum Aristotelem, sive ad cerebrum secundum Galenum. Vel potest dici et melius quod sensatio illa non fit per realem transmutationem, sed per spiritualem, et hoc non inconvenit sicuti et camera in instanti illuminatur: Ad aliud quod dicit altera opinio de Albertistis dico quod illud est pro nobis; et cum dicit haec opinio quod anima est indivi- sibilis, quia animalia perfecta secta non vivunt; dicitur quod hoc non concludit; unde dico quod hoc provenit pro tanto, quia in animalibus perfectis est complexio temperata et mensurata respectu aliorum animalium; et, ut utar semone Aristotelis, una pars de- pendet ab alia. Ideo si dividatur una pars ab alia, moritur animal; et haec est ratio Aristotelis in quinta particula Problematum problemate vigesimosecundo, ubi quaerit propter quid corpora maxime perfecta de facili aegrotant, et hoc dicit esse propter ma- ximam et optimam suam complexionem et compositionem in partibus quarum una de- pendet ab altera; ideo una laesa, aliae laeduntur; sicut in cithara perfecta una corda laesa tota laeditur; non sic imperfecta. Quod ergo una parte laesa totum laedatur est ex sui perfectione, et non ex indivisibilitate animae; quia enim in talibus animalibus est complexio et compositio, ideo partes sunt magis unitae, et dependentes ad invicem; ideo si una pars talium animalium laeditar vel separatur ab alia, solvitur illa pro- portio, et commensuratio membrorum talium animalium ad invicem; quare to- tum animal moritur, quia vita consistit in illa proportione; et loc tamen secundum Averroem, quia fides aliter sentit. Quod si homo in duas partes divideretur, non statim periret anima loquendo de ea quae est educta; cuius signum est quod manus Ch. 72 verso Ch. 75 recto Ch. 73 verso — 4483 — abscissa palpitat, et vidi caput sectum in decapitatis palpitare; et multi dicunt loqui, quod tamen negatur ab Aristotele. Quare autem non diu vivat anima diviso corpore non est ex indivisibilitate animae sed ex sui perfectione; quia haec anima est maxime per- fecta, ideo indiget partibus ad invicem unitis. Recitavimus quatuor opiniones, quarum quartam tanquam magis oiran acceptavimus, quae certe est Commentatoris. Unusquisque tamen potest defendere suam opinionem, sed non ut puto ad mentem Aristotelis; sed pro clariori intelligentia huius quaestionis oportet movere unum dubium, quia in solutione unius argumenti dictum est quod prima definitio animae intelligitur de una anima totali et perfecta non de- pendente. Modo hoc est dubium, quia per ea quae dicta sunt anima non tantum informat totum sed unamquamque partem; si sic, ergo quaelibet pars est animata, ergo anima est ani- . mata. Quaero de anima unius partis vel est actus corporis, vel non. Si non, ergo non est anima; si sic, ergo ponitur quod sit actus corporis; ergo sibi competit definitio animae quae est actus corporis physici organici; quod tamen est falsum, quia illa pars non est organica ut aliqua particula carnis. Si ergo sic sit, illa pars non habebit animam, et sic anima non erit extensa sed indivisibilis. Ad hoc dicitur quod anima informat totum corpus, et quamlibet partem, et quaelibet pars est animata: et (ad ea) quae dicis contra, quia non est actus corporis, dico quod eadem quae primo informat totum, secundario partem; et sic haec pars secundaria est animata per animam totum informantem. De- finitio autem illa habet intelligi de eo quod primo informat et non secundario. Dices: ista expositio est cavillosa, neque solvit dubitationes. Bene verum est quod anima primo informat totum, sed accipit animam quae precise informat minimum carnis. Quaero de illa: vel est anima vel non; si sic, cum anima sit actus corporis physice organici istud minimum esset organicum. Multi moderni, quorum caput est Petrus Mantuanus, concivis meus, respondent quod quaelibet pars est animata, et quod in uno homine sunt infiniti homines, quod quidem non consonat viribus (sic), et est contra Aristotelem supra in textu commenti noni ubi dicit: «si oculus esset animal»; non ergo dicit, quod sit ani- mal, sed loquitur dubitative « si sit »; et istud est contra Aristotelem in quinto De ani- malibus, ubi cum derenit ad hominem, docet eum esse constitutum ex carne et osso. Et si diceres Aristotelem loqui de uno animali, hoc nihil est. Verum oportet suam rationem salvare, quia sumendo tale minimum ut est animatum vel non, dico quod Aristoteles numquam diceret tale minimum esse animatum in actu, nec animal in actu, quia definitiones dantur eorum quae sunt primo et per se et simpliciter et in actu. Ideo illa definitio debet intelligi de anima per se in actu, et non potentia; quia autem illae partes non proprie dicuntur animatae cum sint in toto in potentia; ideo illa definitio non datur de illis. Sed adhuc instant isti, quia definitio explicat essen- tiam definiti; si ergo partibus integralibus animae non competeret haec defipitio, ergo in definitione animae poneret « primo et per se »; et cum hace conditiones sint acciden- tales, et sic definitio animae esset data per additamentum scilicet per particulas « per se, primo ». Hoc argumento Petrus Mantuanus concedit quod quaelibet pars animalis est animal. Sed contra; quia similis (ratio) est contra eos, nam animal et unum animal convertuntur quarto Metaphysicorum; sed per se hoc est animal, ergo unum animal tan- tum: quare in uno non erunt infinita animalia, ut tu concedis. Sed quia possent — 449 — negare quod unum et ens convertuntur; ideo dico ad argumentnm: primo quod ad hoc quod aliquid definiatur, oportet habere has conditiones, scilicet « per se primo »: non ta- men quod hae conditiones sint in quidditivo conceptu definibilis. Alii dicunt, et in idem coincidunt, quod in generatis in quibus terminus ut homo dicit secundo animam et corpus; si definiatur, semper est cum connotatione, ut ex illis partibus fiat unum per se et in actu; et sic licet hae conditiones non ponantur in definitione, tamen connotantur inesse illi subiecto. Utrum potentiae animae distinguantur realiter ab anima. Circa textum trigesimum secundum Pomponacius dubitat utrum potentiae ani- mae distinguantur ab anima realiter. Ista quaestio est difficilis, et habet multas opiniones. In ea tamen tres principales invenio; prima est Thomae in prima parte, quaestione septuagesima septima articulo primo, quam imitantur Aegidius et Joannes Gandavensis, et multi alii qui volunt quod potentiae animae sint de secunda specie quali- tatis et sint reales realiter distinctae ab essentia animae ; et licet de hoc sint fere infinita argumenta, ego tamen potiora adducam. Primum argumentum est Thomae in prima parte quaestione quinquagesimaquarta articulo tertio, ubi quaeritur utrum potentia Angeli sit eius essentia. Argumentum est quia in Deo esse et essentia sunt idem; in aliis vero non, aliter enim divinae simplicitati derogarent; sicut autem esse etssessentia non sunt idem in creaturis, ita nec essentia et potentia erunt idem. Unde si essent idem, agerent sine aliquo instru- mento, sed agerent immediate per essentiam solam, quod Deo repugnat. Et propter hoc tenet Thomas quod esse et essentia, essentia et potentia non sunt idem nisi in Deo. Secundum argumentum est: actus et potentia sunt eiusdem generis; cum ergo actus animae, ut visus, sit accidens; ergo potentia ad videndum erit accidens, quare non erit idem quod anima. Tertium argumentum: si anima esset idem quod suae potentiae, tunc anima semper actu operaretur; quod tamen est falsum, quia aliquando ob omni opere cessat. Consequentia probatur; sicut enim animae est facere esse vivum illud in quo est, et quamdiu stat in subiecto, ad eam sequitur esse; ita si essentia animae sit sua po- tentia ad eam semper sequitur operari et esse in actu. Quarta ratio est, in qua multum miratur Aegidius, quia non est transire de extremo in extremum sine medio; ex quo ergo anima est substantia, et operatio est accidens, oportet dare aliquid quod non sit totaliter substantia, nec totaliter accidens, et hoc est potentia animae. Quinta ratio: potentia est de secunda specie qualitatis, qualitas autem realiter differt a substantia, quia sunt praedicamenta distincta; ergo anima et eius potentia non sunt idem. Sextum argumentum: anima est una, potentiae plures; ergo anima non est suae potentiae realiter. Septimum argumentum: sequeretur quod in pede esset potentia visiva, et sic pes posset videre, quod est falsum. Consequentia probatur: si enim anima sit idem quod suae potentiae, cum anima sit in pede; ergo potentia visiva erit in pede. Octavo et ultimo: quaecumque sunt eadem uni tertio sunt eadem inter se; si PARTE TERZA — Vo. III.° — SERIE 2. 57 Ch. 74 recto Ch. 74 verso Ch. 75 recto — 450 — ergo potentiae animae sunt idem realiter quod anima, erunt idem inter se; quare potentia auditiva erit visiva vel olfactiva erit tactiva, et sic de aliis. Alia est opinio huie ex toto contraria, quae tenet quod potentiae animae sint idem realiter quod anima, et quod differant ab anima, et inter se sola ratione. Cuius sententiae fuerunt Nominales, quorum primus est Gregorius in secundo Sententia- rum, disputatione decimasexta, quaestione tertia, articulo primo; et habet tres rationes principales, quarum prima est haec quae videtur efficacior: frustra fit per plura quod fieri potest per pauciora et aeque bene. Sed omnia salvantur, ac si ponamus eas distingui realiter ab illis; ergo. Anterior est clara; brevior probatur, quia non aliqua ratio neque auctoritas est quae cogat ad hoe, ut patebit in ratione ad obiecta. Secunda ratio: si anima et suae potentiae differrent realiter, itaque potentia sit accidens; cum omne accidens sit in subiecto, ergo ista potentia erit in anima sicut in subiecto. Vel ergo erit in ea mediante aliqua potentia, vel non; si non, ergo anima poterit ex se sola aliquid accidens recipere, quare poterit recipere actum sine potentia intermedia. Si primum, quaero de illa potentia, et ita vel procedetur in infinitum, vel erit deve- nire ad aliquam potentiam quam anima ex se sola recipiat; quia anima ex se sola poterit aliquid accidens recipere; quare erit standum in primo, scilicet quod anima ex se sola possit facere suam operationem; quando enim debemus resecare, melius est resecare in principio, quam in fine ex secundo huius textu commenti centesimi trigesi- misexti. Tertium argumentum: materia prima non differt a sua potentia; ergo nec anima. Et confirmatur quod caliditas agit non mediante aliqua potentia intermedia; quare videtur esse dicendum idem de anima, quod ipsa faciat suas operationes debitas sine potentia intermedia. Tertia est opinio Scoti, quae est media inter ista, quae opinio constat ex dua- bus conditionibus. Prima conditio est, in qua convenit cum nominalibus, quod anima est idem realiter cum suis potentiis; quod probant quia eorum quae sunt abso- luta, Deus potest creare unum sine altero, et quorum unum non sit pars alterius. Notamus: dicitur absolutum quod de relativis est impossibile, ut de patre et filio; et notamus: dicitur « quorum unum non erit pars alterius », quia Deus non potest causare compositum sine materia; et hoc quia materia est pars illius: potentia autem animae non est pars animae, aut relativum, sed absolutum. Sed dices: non potest facere poten- tiam sine anima; ergo sunt idem ,realiter; nec etiam potest creare animam sine potentia; quod probatur, quia si Deus crearet animam nutritivam, certum est quod nutriret, cum sit nutritiva; ergo haberet potentiam nutriendi. Item istae potentiae sunt sicuti propriae passiones, quae non possunt esse sine subiecto proprio. Secunda con- ditio est, in qua differt a Gregorio, quod potentiae differunt ab anima non tantum ratione, sed ex natura rei; quod probatur, quia illa quae secluso omni opere intel- lectus babent diversas denominationes, non sunt distincta sola ratione; anima autem et suae potentiae se habent hoc modo; ergo sunt distincta ex natura rei. Anterior est; manifesta, et brevior probatur, quia secluso opere intellectus, adhuc ‘anima est una potentiae autem plures. Item anima est causa suarum operationum; ergo sunt distin- ctae plusquam ratione. Sed dices quae harum opinionum est melior? Dico quod quae- libet potest sustineri, et de hoc ego nescio determinatam veritatem, multa enim sunt problemata quae omnino non habent de se veritatem determinatam, ut numerus — 451 — stellarum; quis enim scit an stellae sint pares an impares? similiter et grana arenae. Dico tamen quod opinio Thomae mihi magis placet, est enim magis consona dictis Ari- stotelis; fuit etiam sententia Platonis et Dionisii. Sustinendo ergo eam dicitur ad rationes Nominalium volentium potentias animae differre ab anima sola ratione: ex eo enim quod anima potest videre, dicitur potentia visiva, et ex quo potest olfacere, dicitur olfactiva; et sic de aliis dicatur. Ad primum cum dicitur; frustra etc., dicitur concedendo ante- riorem; sed negatur minor, quod aeque bene potest salvare. Et cum dicitur: patebit ete. dico quod argumenta quae fiunt pro Thoma sunt magis probabilia; et multum ad hoc cogunt ut patebit infra. Ad secundum, cum dicitur: ista potentia vel recipitur in anima mediate vel non; dico quod accidens est anima, sed non proprie; sunt enim in composito, nec sunt in corpore solo; istae enim potentiae non producuntur ab anima secundum Thomam, sed producuntur a producente animam qui est Deus; et ipse dicit hoc modo in prima parte, quaestione sexagesima tertia, articulo quinquagesimo, ubi vult quod diabolus in primo instanti suae creationis non potuit peccare. Quidquid habebat, a Deo habebat et sic peccatum a Deo esset; sicut quando ex ligno generatur ignis, tam forma ignis, quam motus eius sursum est a generante. Et cum dicitur: vel recipitur in anima mediante aliqua altera potentia vel non; dico quod secus est in principio et in principiato, quia principia non sunt talia proprie sicut principiata, sicut prima principia quae sunt causa quod alia sciantur; ipsa tamen non sunt proprie scita, et relatio quae est causa referendi alia non refertur alia relatione quam se ipsa; et quantitas quae est causa extensionis aliorum per semet extensa est. Ita de anima dicemus, quod recipit actum mediante potentia, sicut videre mediante potentia visiva, immediate tamen et per se sola recipit potentiam ‘visivam, quae potentia habet se sicut principium ad videndum. Altera responsio est, quod sicut est de potentia et de actu, quia actus est quid extrinsecum ab ipsa anima, potentia vero est quid medium; natura autem non transit de extremo ad extremum sine medio. Ad tertium, quod potentia materiae sit idem quod materia; multi tenent quod potentia materiae differat a materia; sed puto hoc esse falsum. Quare dico negando consequentiam quia materia recipit formam sub- stantialem, et cum actus et potentia sint in eodem genere, receptum autem sit sub- stantia, potentia quoque ad illud recipiendum erit substantia. Et cum dicitur: potentia caliditatis, per quam agit non differt a caliditate, ergo in simili nec potentiae ani- mae differunt ab anima; dico quod, sicut dicitur in secundo Coeli textu commenti sexa- gesimiquarti et sexagesimi sexti, aliqua sunt ita in fine naturae, quae propter sui imperfectionem consequuntur aliquam imperfectionem paucis motibus; aliqua vero sunt quae et propter sui magnam perfectionem consequuntur perfectam bonitatem paucis motibus. Alia vero sunt, quae habent perfectam bonitatem sine aliqua operatione ut Deus. His habitis dico quod si qualitates primae agunt absque aliqua potentia inter- media, hoc est propter sui maximam imperfectionem; unde forma prima, quae est imperfectissima immediate potest formas substantiales recipere; anima autem cum sit, pars perfectissima omnium istarum formarum inferiorum, non potest agere absque potentiis intermediis. Ad argumenta Scoti, ad primum quod eorum quae sunt absoluta Deus potest facere unum sine altero, dantur duae responsiones; prima negando anteriorem, et Ch. 75 verso Ch. 76 recto Ch. 76 verso Ch. 77 recto — 452 — multi eam negant quum etsi materia et forma sint absolutae, tamen Deus non po- test unum sine altero facere. Et Thomas et Aegidius tenent oppositum; nec forte posseti producere formam asini sine sua materia, ex eo quod ad invicem dependent. Nec aliquam aliam formam materialem, nec a Thoma oppositum invenio; nec istam pro- bavit Scotus. Alia est responsio, quam dabat praeceptor meus concedendo Deum posse creare unam animam sine potentiis; et cum dicitur: ista vel posset nutrire vel non; dico quod posset nutrire non in potentia propinqua sed remota; sicut si in materia non esset quantitas, materia posset recipere albedinem non in potentia pro- pinqua, quia albedo recipitur in materia mediante superficie; sed in potentia remota posset albedinem recipere. Quum vero dicitur potentias distingui ex natura rei ab ipsa anima, diceret Thomas negando illam distinctionem, quam omnis differentia vel est realis vel rationis, nulla vero ex natura rei; sed quum argumenta Thomae non concludunt, ad ea volo respon- dere. Ad primum, quod si anima ageret sine aliquibus potentiis intermediis esset ita perfecta sicut Deus: istud argumentum est probabile sed non concludit; ideo dico quod hoc modò non sequitur: ad probationem dico quod propter hoc non sequitur esse ita perfecta sicut Deus quae a Deo dependent et sunt magis potentialia ipso: sunt enim composita ex perfecto et imperfecto, quorum unum attestatur forma, alterum materia. Deus autem a nullo dependet et est purus actus. Ad aliud, actus et potentia sunt in eodem genere, plures dicuntur ad hoc responsiones; ad Nominales qui tenent sub- stantiam et accidens esse idem realiter, et quod qualitas, excepta tertia specie, sit idem realiter, sed non in Deo; ad hoc dico quod anterior propositio intelligitur de potentia obiectiva, unde potentia caliditatis et actu caliditas sunt in eodem genere, non autem intelligitur de potentia subiectiva per quam aliquid accidens in aliquo reperitur subiecto, et ista est responsio Scoti. Ad tertium quando dicitur, si essent idem ergo anima semper actu operaretur, cum ita se habeat ad cperari sicut anima ad esse: dico quod licet potentiae sint idem realiter cum anima, differunt tamen ratione, et propter hoc anima non semper actu operatur sicut in Deo potentia creandi et essentia sunt idem quod Deus, et tamen non semper actu creat et hoc quia istae potentiae diffe- runt ratione et plus requiritur ad hoc quod anima operetur quam quod det esse, si enim debet exire in operationem ipsa anima, requiritur obiectum extrinsecum; non autem ad hoc quod det esse requiritur aliquid extrinsecum, quia dat esse materiae quando in ipsa est, et ideo non semper actu operatur sicut dat esse, quia aliud est in ratione essentiae, aliud in ratione potentiae. Ad quartum non est transitus, dico quod non est necesse, si sit transitus de uno extremo ad alterum, quod fiat per omnia media, et sicut qualitates primae agunt immediate, ita et anima potest agere im- mediate. Ad alterum, quod potentiae sunt de secunda specie qualitatis, dico secundum Scotum quod istae potentiae ex quo idem sunt realiter quod anima, quod erunt in eodem praedicamento in quo est anima. Aliter dicunt Nominales quod aliquid accidens realiter est substantia et tunc anima, ut est potens, erit in secunda compositione qualitatis; sed istae responsiones non videntur multum valere, ut aliquod accidens sit substantia, et ideo dixi opinionem Thomae magis veram apparere. — 453 — Ad ultimum quod una est anima, et multae potentiae: dicitur quod potentia dicit duo: subiectum et terminum; ratione termini sunt plures potentiae, sicut poten- tia visiva est alia ab auditiva, ratione coloris et soni, respectu autem animae et subiecti sui sunt idem, sicut in deo iustitia et misericordia realiter sunt idem, in ratione tamen termini sunt diversa. Ad alterum quod potentia visiva esset in pede, dico quod in pede est potentia visiva, in potentia remota, ex eo quod anima non videt nisi mediante or- gano debito quod est oculus. Ultra enim animam, ad sensationem causandam requiritur debitum corpus quod habeat adiuvare animam in tali sensatione ferenda; et si dicitur: cum potentia visiva sit in pede in potentia, ergo aliquando reducitur ad actum et aliquando pes videre poterit: dico quod non inconvenit aliquam potentiam remotam numquam reduci ad actum. Ad ultimum quod istae potentiae essent idem inter se, dico quod sunt idem in potentia remota, non propinqua. miifio.Fol “e. \e' (e) e. ‘e. o CEROTDI MONEO CO MEDORO MI O RO OR OO O RDIEO ROGO Quomodo potentiae ab anima fluant. Viso hoc restat videre quomodo et quo ordine potentiae animae fluant ab anima, et quomodo sit possibile tot potentias fluere ab essentia animae; cum tamen sit communis regula quod ab uno non provenit nisi unum. Thomas ibi in quaestione sexta, arti- culo quarto et septimo, dicit quod duplex est ordo, scilicet perfectionis, et originis. Secundum primum ordinem,potentiae intellectivae sunt priores sensitivis, sensitivae nutri- tivis; secundum vero secundum ordinem, e contra se habent, quod enim est in perfectione nobilius, in via generationis est posteritus, et sic potentiae nutritivae erunt priores sensitivis, et sensitivae intellectivis, quae sunt intellectus et voluntas. Sed quaenam sit nobilior potentia an intellectus vel voluntas. Moderni theologi ut Aegidius et Scotus tenent quod voluntas sit nobilior, et hoc quia magis unimur Deo per actum volun- tatis, qui est amare, quam per intelligere, quod est actus intellectus; secundum tamen Aristotelem et Platonem et theologos antiquiores, et etiam secundum Thomam intel- lectus est nobilior voluntate. Habetis ergo quomodo ab anima quae est una, possunt plura provenire ordine qnodam, prius enim via originis producit potentias nutritivas, postea sensitivas, demum intellectivas. Post textum quinquagesimum, Pomponacius movet multa dubia; primum quia in vigesimosecundo ettrigesimotertio textus, dictum est quod operationes sunt notiores poten- tiis, et obiecta operationibus: idem vult in « De somno et vigilia »;,ideo quaeritur utrum hoc sit verum, utrum scilicet potentiae distinguantur per actus et actus per obiecta. Nec sermo noster est de potentia obiectiva aut respectiva, sed de potentia quae est de secunda specie qualitatis; nec est sermo de distinctione essentiali, sed de extrinseca, hoc enim non est possibile nec imaginabile, quia actus non sunt intrinseci potentiis, nec obiecta actibus. Sed dices: propter quid differunt intrinsece? dico quod differunt per suas differentias; et quia istae differentiae non sunt notare, ideo Aristoteles non facit mentionem de hoc, et quia hoc est clarum, quia omnia differunt per suas diffe- entias; sermo ergo non est de differentia intrinseca. In hac quaestione ponam quatuor articulos; primas erit de distinctione numerali, secundus de distinctione specifica, tertius de generica; in quarto dicetur quid senserit Aristotiles de omnibus his articulis et alii de quarto tantum loquuntur. Ch. 79 recto Ch. 79 verso Ch. 80 recto — 454 — Utrum unitas obiecti secundum numerum arguat operationem umnam secundum numerum, et e contra. Quaeritur ergo de primo articulo utrum unitas obiecti secundum numerum arguat operationem unam secundum numerum, et e contra. Si ita dicatur de unitate operationnm respectu potentiarum, de hoc patet quod non valet: si est unum obiectum numero, ergo una operatio numero; quia ego sum unum obiectum, quem vos omnes videtis, et tamen multae sunt visiones, quia quot sunt homines,tot sunt visiones. Sed quid dices respectu unius obiecti et unius potentiae? adhuc non valet, quia nune Socrates videt hanc albedinem, et prius infinities vidit; in hoc casu est idem obiectum, eadem potentia, non tamen eadem operatio numero; et hoc est quod dicitur in quinto Physicorum quod diversorum motuum stat quod sit idem terminus numero; et ita de hoc dicatur, quia licet terminus, scilicet obiectum et potentia sint una numero, non tamen operatio est una numero et unitate numerali obiecti et potentiae sit una operatio numero. Dico quod stat operationem non esse unam numero, stante unitate numerali omnium istorum; nam sit ita quod una et eadem res sit volita et intellecta a me; nam una pulchra puella simul et eodem instanti potest esse intellecta a me, non tamen amata et desiderata, quia ego non vellem eam, et tunc patet quod sunt diversae operationes, et tamen est idem obiectum; sed hoc est quia non est idem obiectum formale, sed bene materiale, Obiectum re formale intellectus est Ens, et verum obiectum voluntatis est Bonum, nihil enim appetitur nisi sub ratione boni contra Scotum; quod si sic, semper ex unitate formali subiecti licet inferre unitatem operationis stantibus aliis conditionibus, sicut mihi videtur. Utrum autem e contra valeat: est una operatio numero, ergo unum obiectum numero; et videtur quod sic, ut vult Aristoteles in quinto Physicorum, quando tractat de unitate motus. Unde plura requiruntur ut ex unitate obiecti inferatur unitas operationis, quam e contra; eoque una operatio non potest habere nisi unum obiectum, sicut unus motus unum terminum. Unde in quinto Physicorum dicit Aristoteles quod unius motus est tantum unus terminus. Sed numquid, si sint duo obiecta numero distincta, sint duae operationes numero distinctae? Ex una parte videtur quod sic, quia si duae sunt albedines numero differentes, certum est quod sunt duae visiones numero differentes; si enim visio, ut multi tenent, est idem quod species visibilis, cum duae sint species albedinis, duae quoque erunt visiones numero distintae. Si vero dicas quod species visibilis non sit idem quod visio, sed visio causatur a specie visibili, tune sunt duae causae; ergo duae operationes. Sed in oppositum videtur quod ex diversitate obiecto- rum non liceat inferre diversitatem potentiarum, quia vos estis plura obiecta numero distincta, et tamen uno intuitu video vos. Etiam et per hoc est ratio, quia videtur, ut dicitur in quarto Topicorum, quod qui unum non intelligit nihil intelligit; et con- firmatur a Thoma, quia una et eadem cera non potest simul informari a pluribus fivuris, ut triangulari et rotunda simul; ergo nec visio potest plura videre nec aliqua alia potentia. In hoc Scotus et Thomas sunt oppositi; vult enim Scotus quod una potentia possit simul habere plures operationes; Thomas vero vult quod hoc non sit possibile, et ideo de hoc difficile est inquirere et bene determinare. Videtur forte quod ambo bene dicant, nec est differentia in se, sed in verbis tantum; cum enim dicit Scotus: sunt plura obiecta visa, ergo plures visiones; dico quod est unum — 455 — obiectum primo visum actu, et sunt plura in potentia; sicut si videam domum, tota domus est unum obiectum primo visum in actu; partes vero visae sunt in potentia, et sicut obiectum est unum actu, ita visio est una in actu. Unde si audiamus harmoniam, in harmonia est grave et acutum, ettamen tota harmonia est unum primo auditun in actu, pluresin potentia, sicut lapides in domo; et ita ego concilio Scotum et Thomam, quia quando Scotus dicit quod sunt plures operationes, si plura sunt obiecta ut de duabus albedinibus; dico quod sunt duo obiecta in potentia, et aggregatum est unum obiectum numero in actu; et ita si sunt plura obiecta totalia secundum actum, sunt plures operationes actu; et si est unum obiectum totale in actu, uti de tota domo, est etiam una operatio. Restat modo videre de operatione et potentia; et primo utrum valeat «sunt plures operationes numero, ergo potentiae numero ». Hoc modo clarum est quod non videtur valere, nec valet quia eadem potentia est visiva omnium colorum, quae potest habere diversas operationes numero distinctas, successive tamen; nec e contra valet: est una potentia, ergo una operatio numero: patet hoc de his quae sunt ab una potentia in diversis temporibus. Numquid vero valeat: si sint duae operationes numero differentes in eodem tempore, sint etiam diversae potentiae? Respondeo quod non valet argunentum; potest enim una operatio vel potentia simul habere duas operationes. De activis hoc est clarum, idem enim sol simul calefacit me et te; et istae operationes sunt distinctae quia istae calefactiones sunt in me et te; motus enim est in moto; in pas- sivis esset forte hoc modo etiam verum saltem in actione spirituali ut dicit Scotus. Utrum ex unitate specifica obiecti liceat inferre unitatem specificam actus. Secundus articulus est: utrum ex unitate specifica obiecti liceat inferre unitatem specificam actus; et ex diversitate specifica obiecti liceat inferre diversitatem actus specificam. Eodem modo quaeritur de operationibus; èt primo videndum est de obiecto et operatione. Utrum, si obiectum sit unum specie, et operatio sit una specie. Primo in passivis hoc non videtur verum; nam potentia visiva canis differt specie a potentia visiva hominis, et tamen obiectum quod est color est unum specie. Deinde in activis dictant hoc modo: si erim homo comedat carnes vitulinas et etiam canis, obiectum est unum specie, scilicet caro, vituli; et tamen potentia non est eadem simpliciter. Sed forte dices ad hoc, quod istud obiectum non est idem formaliter, sed solum mate- rialiter; et non propinquum obiectum, sed remotum. Sed esto hoc; ego quaero, si homo ab homine et a cane videatur, utrum hae visiones sint idem, cum obiectum sit idem specie, imo idem numero. Multi tenent quod sint distinctae specie, sicut istae poten- tiae, ut est Thomas, sicut etsi duae intelligentiae intelligant Deum, istae duae intelli- gentiae differunt, et tamen obiectum est unum. Alii tenent, ut Apollinaris, quod istae potentiae in cane et in homine sunt eiusdem speciei, de quo infra dicam. Diceret ergo aliquis, secundum primam opinionem, quod valeat: hoc obiectum est unum specie, ergo operatio est una specie, stando in eodem homine, non in eodem ani- mali; sed hoc non videtur verum quod sit ita: in eodem tempore oculus videret a, et sensus, et phantasia, et cogitativa, et intellectiva potentia. Obiectum est unum specie, et unus est homo; et tamen istae operationes differunt specie. Quis diceret has omnes operationes sensus scilicet et intellectus esse easdem specie? et ideo videtur mihi ad Ch. 80 verso Ch.81 recto Ch. 84 recto — 456 — volendum hoc concludere, opus esse dicere quod si obiectum est formaliter unum specie respectu unius hominis et eiusdem potentiae, quod operatio sit una specie; et hoc clarum est universaliter quod si operatio est una specie, etiam obiectum est unum specie: quia unus motus est ad unum terminum tantum. Utrum autem ex pluralitate obiecti secundum speciem arguatur pluralitas operationis secundum speciem, mihi videtur dicendum quod sic. vi ala, ie: Ie: Pje) Mie ieft Co) caffe alto.) cel iaaio (e) \nt@lel ielaen ca, ‘(ult o elle SMS VBRORECRO RO ERI devi oo Utrum sensus sit aclivus. Circa textum sexagesimumquintum dubitat Pomponacius primo utrum sensus sit activus vel passivus. Ad quam (quaestionem?) dico quod est passivus; et ratio est quia omne quod de novo recipit denominationem intrinsecam et absolutam transmutatur; sed sensus est hoc modo; ergo. Anterior patet, quia denominatio fit ab intrinseco; quia si esset ab extrinseco non esset transmutatio in recipiente, sicut si ex paupere fiam dives. Et dico absoluta, quia relativus potest advenire alicui absque aliqua transmutatione facta in eo; sicut si aliquis fiat pater: quando ergo erit transmutatio absolute et ab intrinseco, erit trasmutatio in subiecto in quo est; quod si in illo erit transmutatio, talis virtus erit passiva. Breviter etiam probatur, quia sensus est de novo sentiens, et similiter sen- satio est absoluta, et est ab intrinseco, quum sensatio est immanens, ex nono Meta- physicorum. Non tamen negamus sensus esse activos; unus enim agit in alterum, ut exterior in interiorem; sed sermo noster est utrum ad sensationem concurrat active. Nec etiam loquimur de oculo mulieris menstruatae, ille enim agit in speculum infi- ciendo illud: sed hoc non est ratione visionis, sed quia vapores exeunt ab oculo, qui inficiunt speculum; sed quaestio est utrum in sentiendo patiatur vel agatur, et nos diximus quod sic, ratione dicta; et sic patet sensum esse virtutem passivam. Viden- dum est modo quid recipiant sensus, ut puta oculus aut auris. Peripatetici antiqui dicunt quod recipit speciem sensibilem, quae est repraesentativa obiecti, de qua infra dicit Aristoteles quod sensus est susceptivus specierum sine materia; et in «De sommo et vigilia » dicit quod a sensibilibus in sensu relinquuntur quaedam imagines et simu- lacra rerum; sed istae compositiones non habent esse cum materia, scilicet cum calido et frigido. Verum quidam pharmacopolae et pigmentarii sunt in oppositum, et dixerunt contra Aristotelem quod sensus nihil recipit. Aliqui dixerunt quod bene recipit species sensibiles, sed recipit istas (juxta?) naturas rerum. Quae opinio non est intelligibilis. Viso quod sensus recipiat speciem sensibilem, videndum est modo quid sit illud quod producit speciem sensibilem, et brevi dicendum est quod obiecta sunt, quae producunt species sensibiles, et hoc dixit in textu commenti quinquagesiminoni et sexa- gesimi quod sensus reducitur ad actum a sensibilibus quae sunt ad extra; sed tune est dubitatio, quae est mota ab Averroe in commento sexagesimo, quomodo est possibile ut sensibile ad extra, quod habet esse in materia, producat speciem sensibilem, quae est perfectior obiecto. Cum tamen nihil producat aliquid perfectius se, licet et Joannes extorqueat illam auctoritatem, quod Averroes movet illud dubium per sensationem, tamen rei veritas est quod illam dubitationem movet pro specie sensibili. De hoc sunt diversi modi dicendi. Aliqui dixerunt propter dictum Averrois, quod quum obiectum, — 457 — ut puta color, producit speciem sensibilem, quod producit in virtute wnius -intel- ligentiae appropriatae ad hoc, quae ducit de potentia sensibilibus actu sensibilia; sicut ponitur etiam de intellectu, quam intelligentiam aliqui dixerunt esse Deum, qui est idem quod intellectus agens, et pro quanto facit de potentia intelligentis actu intelligenda, dicitur intellectus agens; pro quanto vero facit de potentia sensibilis actu sensibilia, dicitur sensus agens. Aliqui dixerant quod bene intellectus agens est Deus, sed sensus agens est intel- ligentia movens orbem lunae, et hoc quum sensatio est imperfectior intellectione, ideo etiam requirit agens minus nobile. Alii dixerunt quod est una intelligentia assistens animalibus, ut anima, sicut intel- lectus in bovem. Sed isti errant, si enim intelligunt quod ista intelligentia immediate concurrat ad sensationem, errant in via Aristotelis qui tenet nullam intelligentiam agere. Si vero intelligant mediate, non est ad propositum. Aliqui tenuerunt quod sit una virtus quae sit in organo, et per illud organum agat producendo speciem, per organum vero recipiat speciem; sed hoc non videtur verum, quia ego quaero, quae sit ista actio. Albertus videretur tenere quod omnis forma, ut forma est, agit spiri- tualiter; ut vero in materia, realiter agit. Quae opinio bene intellecta habet veritatem quum, ego puto, species sensibilis alteret medium et agat in oculum. Sed tunc est dubitatio quum res imperfecta pro- ducit rem perfectiorem se; Thomas et Aegidius dicunt quod in virtute superiorum agunt spiritualiter, ut vero sunt entia realia agunt realiter. Non tamen nego quod in virtute corporum caelestium agant actione reali, sed hoc non est ita appropriate in reali ut in spirituali. Quare non est mirandum obiectum producere species in virtute superiorum, et hoc consonat dictis Aristotelis hic et in quinto De animalibus, ubi dicit istas formas produci ab elementis in virtute superiorum; quod si ita est in prima eorum perfectione, ita et in ultima; et si replicatur: pariter non dabitur intellectus agens, quum ego dicam obiectum in virtute superiorum producere species intelligi- biles; respondeo quod ex perfectione hominis est ut activum sit coniuncetum passivo: unde elementa quae sunt multa imperfecta non habent activum sui motus coniunctum cum passivo, qualiter est in animalibus quae perfectiora sunt, et sic patet totum illud quod dicis Averroes in illo commento. Utrum species sensibilis et sensatio sint idem realiter. Altera dubitatio est, quia dictum est quod obiectum in virtute superiorum pro- ducit speciem. Quaeritur modo utrum ad talem sensationem requiratur aliquid alte- rum praeter organum et speciem; et hoc est quaerere utrum species sensibilis et sen- satio sint idem realiter. Videtur primo quod non; quia sicut est in intellectu, ita est in sensu; sed ad creandam intellectionem in intellectu requiritur aliquid alterum praeter intellectum et speciem intelligibilem; ergo ita est in sensu. Anterior patet per convenientem similitudinem: brevior probabitur; quia in intellectu aliquando sunt species, et tamen non est intellectio. Item aliquando in sensu est species sensibilis, non tamen tune sentimus; aliquando enim delata sub oculis non videmus, ut dicitur in De sensu et sensato, nec tamen est credendum tune speciem non esse in sensu, quum istae species agunt mere materialiter. Item tertio apparet hoc ex sententia PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2. 58 Ch. 84 verso Ch. 85 recto Ch. 85 verso Ch. 86 recto — 458 — Aristotelis in secundo huius, textu commenti trigesimiseptimi, ubi dicit quod anima est causa effectiva omnium operationum, quae sunt in corpore: modo si sensus (*), et species essent per se sufficientes causae (sensationis ?) tunc anima non esset effectiva omnium suarum operatiorum. Item ex nono Metaphysicorum intellectio et sensatio sunt actiones immanentes; cum autem actio immanens sit quae manet in agente, tunc sensus erit causa activa sensationis, cum etiam concurrat passive. Item et est quintum argumen- tum quod sumitur a Joanne, in quo multaum insistit, quia si solae species cum sensu essent sufficientes causae sensationis, tunc sensibile esset perfectius sensu; consequens est falsum ut patet; ergo. Falsitas consequentis probatur; quia, ut dicit Aristoteles in quinto De animalibus, quod sentit est perfectius eo quod non sentit. Consequentia pro- batur quia illud est perfectius cuius perfectissima operatio est nobilior perfectissima operatione alterius; si ergo sensus concurrit passive ad sensationem creandam, et obie- ctum active, quum sit nobilius concurrere active, quam passive, tunc sensibile erit perfectius. In oppositum arguitur: « frustra fit per plura etc.» sed absque hoc quod pona- mus aliquid alterum praeter speciem sensibilem et sensum, possumus omnia salvare; ergo. Anterior est per se nota, brevior patebit in solvendo rationes in oppositum factas. Item dicit Aristoteles in textu commenti quinquagesiminoni et sexagesimi buius, quod sensibile reducit sensum de potentia ad actum. Item hic et ubique, et in De sensu et sensato dicit Aristoteles sensum esse virtutem passivam. Item dicit Averroes in commento sexagesimosecundo, quod sensibile reducit sensum ad postremam perfectionem, et dicit quod si (sensus?) producerent colorem realem, non esset comprehensio; quare credit ibi quod species sensibilis et sensatio sint idem realiter. Eadem est sententia Thomae in secundo huius super textum commenti centesimi quadragesimiseptimi, ubi dicit quod sensus est tantum virtus passiva. De hoc sunt diversae opiniones. Aliqui tenent primam partem, scilicet quod sensatio distinguatur realiter a specie sensibili, et quod istae non sunt sufficientes causae sensationis; et sì quaeratur quia producat effective ipsam sensationem, de hoc aliqui dicunt quod illa virtus quae producit speciem sensibilem producit sensationem, et quod talis sensus agens principaliter concurrit ad sensationem, sive modo illud sit Deus, aut aliqua alia intelligentia, aut una virtus in sensu. Aliis non placet hoc, quia tune non solveretur, si anima non concurrit ad sensa- tionem, quomodo sensatio sit actus immanens; ideo alii aliter dicunt, et (inter eos?) est Albertus, quod sensatio producitur a sensu mediante specie sensibili; in sensu enim reci- pitur species, quae species recepta et sensus causant sensationem; et. hoc dicit ut solvet quomodo anima concurrat effective ad operationes suas, et quomodo est actio immanens ipsa sensatio. Contra istam opinionem multa dicit Gandavensis, et stotum eius posse est in hoc: quia impossibile est eamdem virtutem concurrere active et passive ad eam- dem operationem; ideo si sensus concurrit passive ad sensationem, non concurrit active. Item species est dispositio ad sensationem; ergo non concurrit effective ad ipsam, et imaginatur ipse alium modum. Quod si ista non sunt per se sufficientia ad sensibile, tunc quid causat sensationem? Dicit ipse quod in omni sensu sunt duae potentiae una passiva et altera activa, et quod per passivam recipit sensationem, et per (*) Nel significato di senso materiale o di organo. — 459 — activam eam causat; et arguit contra se Joannes, quia Aristoteles non ponit in sensu istam virtutem activam: dicit ipse quod bene Averroes eam ponit, quasi velit praeponere Averroem Aristoteli. Altera est opinio, quae ut videtur est Thomae, quae ponit sen- sationem (?) non differre realiter a specie sensibili, et quod ultra speciem sensibilem non requiritur aliquid alterum pro sensatione creanda; quam expresse ponit super textum commenti quadragesiminoni, licet aliqui Thomistae non confiteantur istam esse eius opinionem, quam opinionem videtur ponere Commentator in fine commenti sexagesimi secundi, ut ibi notavimus. Volendo ergo sustinere istam opinionem, sic potest dici ad argumenta in oppositum facta: ad primum quod sicut est in intellectu ita est in sensu, potest primo dici negando breviorem. Ad probationem aliqui Thomistae concedunt quod intellectio et species intellectionis sunt idem, et cum dicitur remanere species, non tamen est intellectio; dico quod illa species est imperfecta, et species imperfecta non est idem quod intellectio; aliter potest dici negando similitudinem, et ratio (est) quia sensatio est cognitio quae immediate terminatur ad rem; sed intellectio terminatur ad aliquid alterum a re, scilicet ad speciem intelligibilem, sicut in intellectione Beatorum in qui- bus ultra intellectum possibilem et intellectionem non requiritur aliquid alterum nisi Deus, qui est eorum species. Ad alterum: « quia aliquando delata sub oculis non vide- mus >; beatus Augustinus dicit hoc esse quia ad sentiendum oportet ut intentio sit copulata cum virtute, idest oportet ut anima advertat, et velit sentire obiectum. Quod dictum non bene intelligo, nisi velit dicere hoc esse, quia virtutes interiores sunt rectae, et una operante, altera non operari potest, omnes enim virtutes habent spiritus deter- minatos per quos operantur; et Avicenna in sexto Naturalium dicit quod hoc arguit colligantiam ipsarum virtutum; et puto istam esse copulationem virtutis, qua utuntur theologi. Stante hoc, dico quod species sensibilis non est idem quod sensatio, quomo- documque sentiatur species sensibilis; si enim species sensibilis sit in sensu depau- perato spiritibus, tune non est cognitio, et hoc quia subiectum non est bene dispo - situm. Agens enim non agit nisi in agente bene disposito; si autem sit in patiente optime disposito, clarum est quod est sensatio. Ad alterum: «quod anima non esset causa effectiva omnium suarum operationum », ista ratio est multum difficilis; pro quo notamus quod sensatio ex ea parte qua est cognitio, nou dicit actionem, aut passio- nem; sed accidit cognitioni quod sit cum actione aut passione. Unde intellectio Dei non est cum actione aut passione, nec intellectio Dei formaliter est actio, sed in nobis, qui de novo intelligimus, accidit quod nostra cognitio sit cum actione aut passione, ut bene dicit Scotus in Quodlibet, quaestione decimatertia; et licet (ut dicit Burida- mus in Sex principiis) existimetur quod intellectio et sensatio sint actiones gram- maticaliter loquendo, philosophice tamen loquendo sunt magis passiones; et quia ita est quod illud, quod recipit sensationem aut intellectionem, dicatur sentiens vel intel- ligens, non autem illud quod efficit illam. Stante ergo hoc, quod intellectio formaliter non dicat actionem vel passionem, dico quod revera est ita, quod anima non est causa effectiva omnium suarum operationum; et cum dicitur: Aristoteles est in oppositum: dico, ut dicit Averroes ibi, quod existimatur quod sit causa suarum actionum, non tamen est ita quod sit causa effectiva earum: imo dicit Averroes ibi, ut quidam repu- tant. Similiter ad quartum quando dicitur, quod sensatio est actio immanens, dico quod sensatio non est actio, imo potius est passio, quam actio, licet formaliter nullum Ch. 86 verso Ch. 87 recto Ch. 87 verso — 460 — horum sit. Ad quintum quando dicitur, quod sensibile esset perfectius sensu, Thomas in loco dicto dicit, quod licet sensibile agat in sensum, non tamen est eo perfectius, quia (habet?) tam perfectiorem operationem, quam ipsum sensibile. Possumus nos dare duas responsiones ad hoc: primo quod licet sensibile agat in sensum, non tamen est eo nobilius, quum non agit in sensum in virtute eius: sed in virtute superiorum. Altera responsio est negando consequentiam: ad probationem, quando dicitur: « obiectum con- currit active ad sensationem», dico quod sensatio, prout est cognitio, non dicit forma- liter actionem aut passionem; et licet obiectum, in quantum agit, sit perfectius sensu, qui patitur, non tamen absolute est perfectius, quia sensus sentit, obiectum autem non sentit; quod autem sentit est perfectius eo quod non sentit, Ista ergo est opinio Thomae non multum usitata; sed opinio Alberti est multum usitata, et qui vult eam tenere potest ad obiecta faciliter respondere; sensus enim, ut nudus, concurrit passive ad sen- sationem, ut informatus specie sensibili concurrit active; Similiter ad secundum dico quod species concurrit effective, non principaliter sed dispositive. Opinio Joannis nullo modo est vera. Utrum sensibilia communia comprehendantur ab omnibus sensibus. Restat modo dubitare circa sensibilia communia; et primo quaeritur utrum sen- sibilia communia comprehendantur ab omnibus sensibus. Averroes in commento sexage- simoquarto, reprehendit Themistium dicentem ab omnibus sensibns comprehendi, et dicit ipse quod tria eorum, motus quies et numerus ab omnibus comprehenduntur , alia vero duo, scilicet magnitudo et figura, a visu tantum et a tactu. Dubitatur ergo, primo utrum olfactus possit cognoscere magnitudinem; et videtur primo quod sic, quia numerus percipitur ab auditu, et numerus causatur ex divisione continui; ergo si au- ditus comprehendit numerum, videtur etiam quod comprelendat continuum, scilicet ma- gnitudinem. Sed dices tu quod numerus qui sentitur ab auditu, licet causetur ex di- visione continui, non tamen causatur ex divisione magnitudinis; numerus enim qui causatur ex divisione continui permanentis non sentitur ab auditu, sed bene numerus qui causatur ex divisione continui successivi, ut puta motus, sentitur ab auditu; motus enim est de numero continuorum, tertio Physicorum; sed contra tu dicis quod nu- merus qui causatur ex divisione continui successivi sentitur ab auditu. Contra, quia si (quis) sentit numerum, qui est ex divisione continui, hoc non est merito auditus, sed est propter sensum interiorem, scilicet propter memorativam; unde si aliquis habe- ret debilem memoriam, non posset sentire talem numerum, sed semper putaret tan- tum esse unitatem. Sed dices quod bene auditus non cognoscit istum complexi- ‘ ve; sed talis virtus est memorativa. Sed pro tanto dicitur sensibile comune, quia me- morativa, mediante auditu, cognoscit talem numerum ; sed tune est dubitatio, quo- modo numerus per se sentitur. Ulterius etiam probo quod magnitudo per se com- prehendatur ab auditu, quia auditus comprehendit differentias magnitudinis; ergo et magnitudinem. Antecedens probatur, quia cognoscit utrum sonus veniat a dextris vel a sinistris, ab ante vel a retro, a sursum vel deorsum; et si dicitur deci- pere circa hoc, concedo; non tamen sequitur ut non cognoscat istas differentias. Con- sequentia probatur, quia si cognoscit differentias magnitudinis, videtur conveniens ut cognoscat magnitudinem. Item videtur implicare quod sit sensus et non cognoscat — 461 — magnitudinem, quia sensus non cognoscit nisi cum hic et nunc; magnitudo autem est cum hic et nunc. Similiter etiam arguitur de olfactu quod ipse cognoscit magnitudi - nem; sed est dubitatio utrum olfactus cognoscat numerum; et videtur quod non; si enim olfactus cognoscat duos odores in eodem tempore, videtur quod cognoscat eos in unum, non autem duo. Si vero cognoscat eos in diversis temporibus, hoc non videtur officium olfactus sed memorativae, quae recordatur praeteritorum. Si vero dicas quod cognoscat duos odores specie distinctos, ut duos in eodem tempore, contra quia non videtur verum quod ponat differentias inter odores specie diversos, in ista positione videtur esse necessarium dicere quod omnes sensus cognoscant magnitudinem; et ideo dicit Aristoteles quod-omnia sensibilia communia sunt omnibus sensibus communia, ut bene dixit ibi Themistius; sed puto, ut dicitur in De sensu et sensato, quod magnitudo perfecte co- gnoscitur a tactu et a visu; certitudinaliter enim comprehendunt quae et quanta sit magnitudo; alii autem sensus non habent hoc; et ideo Aristoteles videtur appropriare comprehensionem figurae tactui et visui, non tamen ita, quod alii non comprehen- - dant. Quod vero dicitur quod sensus exterior non cognoscit numerum, sed illud est oificium virtutis interioris; dico quod completa et perfecta comprehensio numeri est virtutis interioris, sed initiative est in sensu exteriori: unde pueri et lethargici, qui non habent bonam memoriam, bene sentiunt horas, non tamen possunt eas numerare. Et aliter potest dici quod hoc intelligitur de duabus campanis simul sonantibus, quarum una sit debilis soni, altera vero mediocris; similiter etiam de duobus odoribus dicatur, quod simul ab olfactu sentiuntar; sì enim sint diversi specie, tune ol- factus poterit cognoscere illos ut duos, et non tantum(?) poterit hoc virtus sensitiva in- terior, verum et exterior. Restat modo quaerere utrum motus et quies ab omnibus sensibus comprehendantur; et videtur quod non. Primo de motu; quia motus est de nu- mero successivorum; sed successiva non possunt a sensu comprehendi; ergo. Anterior patet ex tertio Physicorum; brevior probatur, quia si sensus exterior non potest mo- veri nisi ab eo, quod actu existit, sed successiva non actu existunt, ergo. Anterior patet, quia moveri est pati; omne autem quod patitor, patitur ab eo quod est in actu. Brevior probatur, quia de ratione successivornm est quod pars sit praeterita, parsque futura sit; si ergo sic est, totum non poterit esse simul in actu; quare non poterit movere sensum. Similiter etiam dicatur de quiete, quum quies men- suratur tempore, tempus autem non totum simul est; cum ergo per praedicta motus non sentiatur, nec etiam quies sentietur. Item privatio per accidens sentitur; quies est privatio; ergo per accidens sentitur; ergo non est sensibile per se. Ad quae- stionem hanc est duplex responsio: ‘prima quod argumenta concludant veritatem, quod sensus exterior formaliter et proprie non potest cognoscere motum aut quietem; et cum dicis: Aristoteles numerat ea inter sensibilia per se; dico quod sunt per se ad hunc sensum, quia sensus interior non potest ea cognoscere sine motu et quiete; ex eo enim quod video hunc esse in tali, vel tali loco, deinde in alio esse in tali loco, comprehenditur a sensu; quod autem componit esse in hoc loco cum esse in alio loco, est virtus interior; similiter etiam et quies. Cognoscere enim quod hoc nune non moveatur, est sensus cxterioris:, componere autem prius cum posteriori pertinet ad virtutem interiorem. Alii vero dicunt quod sensus exterior cognoscit motum et quietem. Ch. 88 recto Ch.88 verso Ch. 89 recto Ch 89 verso — 462 — Ad argumenta in oppositum dicunt, quod eo modo quo motus habet esse, eo modo sentitur; et quia motus non est nisi quia mutatum esse est, ideo propterea quod istud mutatum esse sentitur per propriam speciem, ideo et motus sentitur; et etiam quia in sensu remanent species praceteriti et futuri per aliquod tempus: sed quantum ad hoc quod dicunt de praeterito, puto verum; imo hoc dicit Aristoteles in De sensu et sensato, quia per aliquod tempus species remanent in sensu. Quod vero dicunt quod species futuri sit in sensu, hoe non videtur verum. Ad alterum de quiete di- citur, quod sensus per se cognoscit quietem; est enim de intrinseca natura sensus, ut sentiat quietem; et licet sentiatur per motum, non tamen est per accidens sensibile, quum hoc tantum arguit, quod non sit primo per se sensibile, non vero quod non sit sensibile per se. Utrum sensibilia communia comprehendantur per proprias species. Altera quaestio est, utrum sensibilia comunia comprehendantur per propria species. Joannes tenet quod comprehendantur, et adducit pro hoc dictum Aristotelis in secundo huius, textu commenti centesimitrigesimitertii, ubi dicit quod sensibilia communia faciunt motum in sensu. Alii vero, ut Thomas, tenent quod non cognoscantur per proprias spe - cies, sed tamen cognoscantur per species sensibilium propriorum, nec aliquid faciunt nisi faciunt diversum modum sentiendi; aliter enim albedo sentitur in magna quantitate, Alte Ripa va STR i quum visibile a propinquis et a remoto potest per eamdem speciem siii aliter tamen a remotis movet, et aliter a propinquis. Ita dicunt quod sensibile commune sentitur per speciem proprii, aliter tamen et aliter immutat sensibile proprium secundum quod est in magna vel parva quantitate. Alii volunt (et haec tertia opinio) quod magnitudo et figura habent proprias spe- cies per quas sentiuntur. Alii vero non; et adducunt pro hoc Aristotelem in secundo huius textu commenti centesimitrigesimitertii, ubi exemplificat de magnitudine, et figura, et dicit ibi quod alia comprehenduntur magis per suam positionem, sic quies per motum. Tertia opinio mihi magis placet; sed opinio Joannis non videtur vera; opinio Thomae® est multum probabilis. Utrum sensibilia communia percipiantur non percepto sensibili proprio. Alia quaestio est utrum sensibilia communia percipiantur non percepto sensibili proprio; et videtur expresse dicere Averroes quod non, in fine commenti sexagesimi- tertii. Item expresse opponit quod si non sit color aut lux, non percipitur quantitas, sicut patet de igne, quae est in concavo orbis lunae, et tamen non videtur. In oppositum arguitur de tactu supponendo unum (verum?) quod aequaliter calida et aequaliter frigida non sentimus, ut dicit Aristoteles inferius; tunc ergo sit una manus aequaliter calida et aequaliter frigida, sicut mea; tune manus mea non sentit caliditatem aut frigiditatem istius manus, et tamen sentit quod ista manus est quanta; ergo quan- titas, quae est sensibile commune, sentitur absque hoc quod sentiatur sensibile proprium. Confirmatur quia est imaginabile et non repugnat quod unus tangat coelum: sit ergo ita quod unus tangat, tune coelum non sentitur. calidum nec frigidum, nec humidum nec siccum, et tamen sentitur quod sit quantum; ergo. Item hoc videtur in motu, quia aliquando sentitur pulex serpens super carnem — 463 — meam; tune sentitur motus, non tamen sentitur aliquid sensibile proprium. Item dato quod aliquis caederetur; tune iste sentit solutionem continui quae est numerus; nu- merus autem est sensibile commune; tamen potest esse quod iste non sentiat calidi- tatem aut aliquid sensibile proprium ipsius ensis. In hac quaestione dico quod sensibile commune non potest sentiri sine sensibili proprio. Ad rationes; ad primam: dimitto rationes medicorum quorumdam, qui volunt quod aequaliter calida possimus sentire; et cum dicitur: nihil patitur a simili; glosant quod ista est vera in actione spirituali tantum: sed ista responsio est contra Aristotelem qui ibi loquitur de actione spirituali, scilicet de sensatione; et credo ego aliter. Dico primo quod quantitas non percipitur nisi primo percepta resistentia; et ideo aeris non per- cipimus quantitatem ipsius, et hoc quia aer non resistit tangenti. Ego aliter dico con- cedendo assumptum; et cum dicitur; non percipitur sensibile proprium; nego, imo per- cipitur durities, quia est proprium sensibile a sensu tactus; ex eo enim quod percipio quod manus non cedit tangenti sentitur durities; et ex consequenti sentitur quantitas. Ad confirmationem dico quod si quis ponat manum in coelo, sentiret quantitatem coeli ex eo quod sentiret coelum resistere tangenti; et si dicatur: ergo coelum erit durum; dico quod sicut sua quantitas non est eiusdem rationis cum ista, ita nec sua duri- ties, quia est magis quaedam soliditas quam durities. Ad aliam de motu, dico quod aliquando sentimus sensibile commune cum sensi- bili proprio nobis noto; sensus enim aliqua confundit in istis sensibilibus propriis, sicut in emissione spermatis sentitur illa delectatio, non tamen sentitur aliquid sen- sibile proprium nobis notum; ita in illo motu bene sentitur aliquid sensibile proprium, illud tamen non est nobis notum. Similiter cum dicitur de solutione continui quae est numerus, dico quod solutio continui (est) ex mala complexione; ex eo enim quod in solutione continui causatur mala complexio, ideo sentitur dolor; mala autem com- plexio est qualitas per se sensibilis: vel possumus dicere quod non sentitur solutio continui nisi prius sentiamus duritiem et compressionem ensis. Alia dubitatio est, utrum sint plura sensibilia communia quam ista quinque; et videtur quod sic, quia aequale et inaequale, magnum et parvum, simile et dissimile, intensum et remissum, videtur quod ista sint sensibilia communia, quia ab omnibus comprehenduntùr; et tamen ista non sunt numerata ab Aristotele. Aliqui dicunt quod omnia ista habent ad ista quinque reduci, ut patet discurrenti. ° 0 ° ° ° 0 ° . ° O . ° 0 ° . , ° O . ° ° ° O . . . ° Utrum servatis tribus conditionibus datis a Themistio, erretur circa sensibile proprium. Alia dubitatio est, quia videtur quod servatis illis tribus conditionibus datis a Themistio, adhuc contingat errare circa sensibile proprium. Aliquando sentitur color, non tamen sentitur quis color est; sic puto esse dicendum quod visus non decipitur in colore in eo quod color, sed in eo quod talis color. Non enim opus est visum cognoscere in qua specie coloris sit iste color, forte quod potest dici sensum visus decipi, quia istae species coloris confunduntur ad invicem. Sed quia superius ad- ductum est argumentum de coelo, utrum sit tangibile, et dicebatur quod sic, quia coelum resistit tangenti; contra hoc argumentum, quum istud quod dictum est, Ch. 90 recto Ch. 90 verso Ch. 91 recto Ch. 91 versa — 464 — videtur esse contra Aristotelem in quarto Physicorum textu commenti septuagesimi- sexti, ubi dicit, quod si esset aliquod corpus denudatum ab omni qualitate sensibili, adhuc faceret distare tantum quantum ipsum est; si enim imaginemus taxillum de- nudatum ab omni qualitate sensibili, tantum faceret distare, quantum si haberet illas qualitates; et tunc in tali corpore non percipitur qualitas sensibilis, et tamen perci- pitur eius quantitas, quia tantum facit distare quantum faciebat prius; ergo nec potest evadere in hoc sicut in coelo, quum in coelo est una qualitas, quae est per se sen- sibilis, scilicet illa soliditas. i Ad hoc dicendum quod perficitur (percipitur?) qualitas sensibilis: imaginor enim quod tale corpus, ut puta taxillum, comprimat manum meam, et pars compressa recipit ficuram illius corporis, et tune illa figura sentitur pro quanto recipitur in manu mea, non autem est in tali corpore; figura autem recepta in manu mea non sentitur nisi prius recepta qualitate sensibili, quae est in manu tantum. Breviter dico quod figura quae sentitur non est in tali corpore sicut in subiecto, et causatur in manu per compres- sionem. Alia dubitatio est, quia ausi sumus taxare Averroem contra dicentem in commento sexagesimotertio et sexagesimoquinto huius secundi, quod sensus exterior cognoscit suh- iectum, eo magis quod diximus eum sibi contradicere in tam parvo spatio hic et in commento centesimotrigesimoquarto huius; modo videtur esse magna verecundia quod eum taxarim. Taxabam etiam in fine expositionis textus commenti sexagesimiquinti huius; et ostendi expositionem Averrois non esse bonam. Quidam satis ingeniose dixerunt quod Aristoteles in textu commenti sexagesimiquinti non debet stare ut jacet, sed debet stare hoc modo: unde patitur ab hoc sensibili per se, sed patitur ab hoc secundum ac- cidens; et tune est congrua expositio Averrois, quum si pateretur ab hoc per se, non pateretur ab alio. Quantum sit de primo dubio, quidam dixit quod non est intentio Aver- rois hic sensum exteriorem cognoscere substantiam, sed intelligit de sensu interiori; et si Averroes dicat quod sensus exterior cognoscit substantiam, debet intelligi quod per accidens cognoscit; quod per accidens est duobus modis; uno modo quia per sen- sum exteriorem sensus interior deveniat in cognitionem substantiae, sicut ovis quae per vocem agni cognitam a sensibili auditus, cognoscit agnum esse suum filium; et ita est sensibile per accidens, quia per sensibile proprium sensus interior devenit in eius notitiam: non tamen ita est quod sensus exterior cognoscat substantiam; et iste modus per accidens est communis tam brutis quam hominibus. Alio modo est hoc per accidens quum accidit sensui, ut sensus est, quod deveniat in cognitionem substantiae, ut sub- stantia est; si enim ex cognitione coloris vel figurae cognoscatur substantia, ut sub- stantia est, hoc non est sensus, ut sensus est, sed ut est sensus animalis intelligentis. Unde quod sensus hominis interior cognoscit equum, ut equus est per sensus exteriores, hoc non accidit sensui hominis, ut sensus est, sed ut sensus animalis intelligentis. Totum ergo stat in hoc, quod si dicat- sensum exteriorem cognoscere substantiam, debet in- telligi per accidens; quod quidem est duobus modis: primo, vel ita quod per sensum exteriorem deveniamus in cognitionem substantiae; alio modo quod per sensum exte- riorem deveniamus in cognitionem substantiae, ut substantia est:in quo modo includuntur duo modi per accidens, scilicet ut per sensum deveniam in cognitionem substantiae, et quod per sensum exteriorem deveniam in cognitionem substantiae, ut substantia — 465 — est; et hoc est illud quod dicit Averroes in commento sexagesimotertio de illis duobus modis per accidentalitates, et hoc est etiam ad mentem Thomae et Aegidii hic, et est verum in se. Sed licet hoc sit verum, non tamen est ad mentem Averrois, quia aperte vult quod sensus exterior cognoscat substantias; nam in commento sexagesimotertio dicit haec verba; quod sensus, circa hoc quod comprehendant sua sensibilia propria, comprehendunt intentiones individuales praedicamentorum. Responsio: quid apparet apertius? Quid enim comprehendit sua sensibilia propria nisi sensus exterior? Deinde in fine commenti dicit quod ista intentio comprehenditur a cogitativa et ab imaginativa, et dicit, in ultimis verbis, quod comprehensio, quae est imaginativa, est magis spiritualis. Tune ego quaero hoc < magis spirituale » ad quam comprehensionem referatur: non ad comprehensionem cogitativae aut memorativae, quia illae (istae?) apprehenduntur magis spiritualiter ex li- bro De somno et vigilia; ergo hoc magis refertur ad comprehensionem sensus exterioris: quare secundum Averroem sensus exterior cognoscit substantiam. Item confirmatur ex dicto Averrois in commento sexagesimoquinto, quum movet ibi dubium Averroes, utrum sensibilia per accidens sint sensibilia per se, et ponit ibi rationem unam, quam dam- nat; dicit quod aliquis posset dicere quod ideo non sunt per se, quum sunt communia omnibus sensibus, et removet istam rationem. Dicit quod ista responsio nihil (valet) quum intentiones individuales sunt communiores omnibus sensibilibus propriis. Altera responsio, quae correspondet illi suae argumentationi, est quod licet sensibilia per accidens comprehendantur ab omnibus sensibus, non tamen ab omnibus simpliciter, sed tamen ab omnibus sensibus humanis. Ecce quod in hac responsione non ne- gat sensibilia per accidens comprehendi ab omnibus sensibus; quare si ab om- nibus, etiam ab exterioribus; et si nollet ipsa cognosci per propriam speciem a sensu exteriori, potuisset dicere ad illam quaestionem quod non sunt sensibilia per se, quia non cognoscuntur per propriam speciem. Quare est concludendum Averroem hie non bene......(dixisse)...... et sibi contradicere. De altero dubio, quod textus sit corruptus, dico primo quod in graeco non invenitur ille textus, quem tu adducis, nec talem exponit Ale- xander; nec etiam Themistius, nec etiam textus quem nos habemus sic iacet; nec textus Averrois. Et esto quod differentia sic staret; tune peius esset, quum Aristoteles non diceret ibi aliquid novi de sensibili per accidens, quum illud dictum ita esset verum de sensibili proprio, sicut de sensibili per accidens; sensus enim non patitur ab ali- quo sensibili secundum quod, ut tale; propterea in textu dicitur: « unde nihil pa- titur ». Modo ego quaero ad quid referatur unde dum ille textus acque bene pro- cedat de sensibili per se, sicut de sensibili per accidens. Alter autem modus expo- nendi est bonus, quum non volumus quod sensibile per accidens sentiatur per propriam speciem. ; Alia dubitatio est, quia dicit Averroes in commento sexagesimotertio quod cogi- tativa expoliat speciem substantiae a quantitate. Contra: si sic est, ergo in cogitativa erit species substantiae sine quantitate; et cum quantitas sit principium determina- tionis, ergo ista species erit universalis. Ad hoc non est alius modus dicendi nisi di- cere quod substantia habeat ecceitatem propriam, per quam sit hoc, et non sit hoc per suam quantitatem, sed per suam ecceitatem, sicuti voluit Scotus. PARTE TERZA — Von, III.° — SERIE 2.* 59 Ch. 92 recto Ch.92 verso Ch.96 verso Ch. 97 recto Ch. 97 verso — 4660 — Quid sit sonus. Post textum septuagesimum primum quaerit Pomponacius, primo quid sit sonus; in qua materia est unus modus respondendi, quod sonus formaliter est motus, et ratio sua est quia Philosophus hic et ubique dicit quod sonus est motus aeris, et di- citur in definitione vocis quod est percussio; percussio autem est motus; et ratio, quia sonus vel est res permanens vel successiva; sed non est permanens; ergo successiva. Anterior patet ex sufficienti demonstratione; brevior prebatur, quia esse soni constituitur in fieri; si ergo est successivus, vel est motus, vel locus (?) de praedicamento quantitatis; sed non est locus, ut patet, ergo motus. Sed tune in qua specie motus reponetur? Di- cunt quod non est generatio aut corruptio, quum generatio et corruptio non sunt motus, sed termini motus; nec est motus augmenti, quum ille est tantum in animatis; sonus autem est in animalibus; nec est motus alterationis, quia ille est ad tertiam speciem qualitatis, sonus autem non est ad (istam?) qualitatem, quum vel esset ad primam vel ad secundam: non ad primam, quia per illam acquiritur calefactio, et frigefactio, quae non acquiruntur per sonum; mec est motus ad qualitatem secundam, quia illa non acquiritur nisi prius cognita prima, ex sexto Physicoram, textu commenti decimi- quarti; si autem debet esse sonus, non oportet ut prius acquirantur qualitates primae, Item quia qualitates primae et secundae sunt res permanentes, motus autem est. de numero successivorum; quare sequitur quod sonus erit motus localis; et quia videbant quod non omnis motus localis est sonus, imaginati sunt, quod tantum motus localis cum illa percussione aeris et cum illis dispositionibus datis ab Aristotele sit sonus; ita tamen quod sonus formaliter non sit nisi motus, sed connotet istas conditiones dictas. Haec opinio defecit, primo quia motus est sensibile commune, sonus autem est sensibile proprium, sensibile autem proprium et commune distinguuntur. Sed istud ar- gumentum non videtur valere, quia licet motus sit sensibile commune, quia a pluribus sentitur sensibus, non tamen sequitur quod unus motus numero sit sensibile commu- niter, qualiter est sonus. Sed licet ista sententia evadat ab hoc argumento, non tamen videtur vera; quare quando dicitur: sonus est formaliter motus, ego quaero an verberans et verberatum imprimant aliquid in aerem, vel non; si non, quid ergo facit illa verberatio aeris? si sic, ergo oportet per verberans et verberatum ponere unam qualitatem quae formaliter est sonus. Item aeris motus non acquiritur nisi ubi; si ergo sonus est motus, non acqui- ritur per aerem nisi ubi; et ita sensus auditus non cognoscit nisi ubi, et cum ubi, vel sit locus, ut tenet Thomas, vel respectivus, ut dicit Scotus; tunc a sensu exteriori per se primo cognoscetur respectivus. Si vero est locus et quantitas, cum ista sint sensibilia communia, non sentientur ab auditu nisi per sensibile proprium; et istud erit sonus qui est qualitas distincta a motu, qui est obiectum proprium auditus. Ideo ponitur altera opinio, pro qua sciendum est: primo, quod sonus est qualitas sen- sibilis de tertia specie; vel enim sonus est substantia, vel accidens; non substantia ut patet, ergo accidens; vel ergo in qualitate, vel in alio praedicamento quam in qua- litate; ergo est qualitas, et non est in alia specie quam in tertia. Ulterius oportet scire quod esse soni consistit in fieri; et hoc apparet experimento, quia cessante motu, cessat sonus. Ulterius scire oportet quod est qualitas secunda sensibilis distineta a — 467 — primis, et licet qualitates secundae generentur ex primis, ex septimo Metaphysicorum, textu comenti decimiquarti, non tamen sonus praesupponit omnes qualitates primas, vel solum unam, vel saltem non omnes; supponit enim humiditatem in aere. Ad ar- gumenta dicitur; ad primum de Aristotele quod ista praedicatio «sonus est motus» non est formalis, sed est causalis, quia sonus causatur a motu. Ad secundum, dico quod est de numero permanentium; sed quia est coniunctus motui, ideo non habet esse per- manens, sed successivum; vel potest dici quod sonus est motus alterationis, scilicet illius qualitatis quae est sonus. Ad aliud cum dicitur: « vel est prima vel secunda qualitas »; dico quod est secunda qualitas: et cum dicitur: ergo generatur a primis, dico quod non generatur ab omnibus primis, sed bene praesupponit aliquas primas, ut disposi- tiones aeris: vel dicatur quod illud non est verum in sono, ut videtur dicere Averroes in septimo Physicorum commento decimoquarto. Ad alterum, cum dicitur: omnis qualitas secunda est permanens; dico quod est verum, si non pendeat a motu sicut est sonus, qui in esse et conservari dependet a motu. Utrum sonus percipiatur ab auditu. Altera quaestio est: utrum sonus percipiatur ab auditu, ct quomodo; et videtur quod non possit percipi, quia sensus exterior non movetur nisi ab eo quod actu est; sonus autem non habet esse in actu nisi per instans, sicut et alia successiva. Si ergo sonus sentitur, tantum per instans sentitur; hoc autem videtur impossibile, quia in- divisibile non potest sentiri, ex fine De sensu et sensato. Ad hanc quaestionem dicitur quod istud argumentum potest fieri de motu quoad alios sensus, quia de motu non est in actu nisi mutatum esse. Dicitur tamen quod sicut motus potest movere sen- sum, esto quod non sit in actu nisi per instans, ita ut sonus. Ad argumentum dico quod non plus requiritur movere sensum quam ad esse; ad esse autem soni non re- quiritur nisi instans; ergo nec ad motorem sensuum. Ad alterum potest dici quod illud dictum Aristotelis in De sensu et sensato est verum de indivisibili in magnitudine, non in tempore; illud tamen indivisibile quod est in sono, licet sit indivisibile secundum tempus, est tamen divisibile secundum magnitudinem; potest enim esse ita magnum, ut repleat hanc totam scholam. O . ° . ° 0 ° ° ° O ° ° ° ° ° ° O O O ° è O ° ° ° Utrum motus amhelitus sit ea pectore vel pulmone. Alia dubitatio est circa hoc caput, utrum motus anhelitus sit ex pectore vel pulmone. De hoc enim Commentator commento octuagesimo tertio facit verba contra Galenum; pro quo sciendum est quod Galenus voluit anhelitus motum esse volun- tarium, et ratio sua erat quia possumus anhelare et non anhelare, magnificare et diminuere anhelitum quando votumus. Item motus qui fit a nervo est voluntarius; motus anhelitus fit a nervo, ergo. Anteriorem supponimus tanquam claram; brevior probatur. Si enim incidatur nervus rediens a cerebro ad pectus, tunc statim cessat anhelitus: ex quibus concludit quod si iste motus est voluntarius, cum pulmo de se non sentiat, quod iste motus non erit nisi a pectore. In oppositum est sententia Averrois hic et in secundo Colligeti capite decimo- nono, quia dum dormimus anhelamus. Item motus anhelitus proportionatur motui pulsus; Ch. 98 recto Ch. 102 verso Ch. 103 recto Ch. 103 verso — 468 — sed motus pulsus est naturalis; ergo et iste. Item apparet quod aliquando non pos- sumus retinere anhelitum, ut in magnis tristitiis, et in magno timore; quare conclu- detur hunc motum esse compositum ex naturali et voluntario; magis tamen esse naturalem, sicut motus palpebrae oculi: quare si est naturalis, non tantum procedit a pectore, sed etiam a pulmone; sed si partim est in nostra voluntate , tunc argu- mentum concludit illud quod nos dicimus, quia est compositus ex naturali et volun- tario. Ad alterum de nervo dicit ibi Commentator quod Galenus ignoravit logicam, quia in tali argumento arguit a positione antecedentis ad positionem consequentis; arguit enim sic: si non est nervus, non est respiratio; ergo posito nervo, ponitur re- spiratio; quare motus respirationis erit a nervo. Alio etiam argumento utitur Gale- nus, quia qui vulneratur in pectore non potest respirare; ergo ille motus est a pectore. Ad hoc dicit Averroes quod non est quia pectus est causa huius motus, sed quia per ingressum aeris frigidi laeditur pulmo, unde non potest respirare: quare con- cludendum est quod cum iste motus non sit tantum naturalis, et quia pulmo desiderat aerem pro sui refrigerio, quod iste motus non est tantum voluntarius, ut dixit Ga- lenus, nec tantum est a pectore, sed a pulmone causatur. Utrum homo su peioris odoratus aliis animalibus. Circa textum centesimum primo dubitat Pomponacius, quia Aristoteles videtur dicere hic quod homo est pravi odoratus. Idem quoque dicit in De sensu et sensato et in primo de Natura animalium capite decimoquinto; et non est pro hoc, quia ardor consistit in calido et sicco; homo autem habet olfactum nimis humidum et frigidum quia habet cerebrum maius aliis animalibus. \ In oppositum videtur sententia Aristotelis in quinto De generatione animalium capite primo et secundo, ubi in primo dicit quod omnis sensus hominis est perfectis- simus. In secundo specialiter loquitur de odoratu, et ratio est pro hoc quia. cum homo sit perfectissimum animalium, videtur conveniens quod habeat olfactum valde bonum. De hoc non oportet ulterius quaerere, quum habemus sententiam apertam Ari- stotelis in quinto De generatione animalium capite secundo; et Averrois hic et in De sensu et sensato. Sententia Philosophi est ista, quod quoad sentire a remotis ipsa sensibilia, multa animalia excedunt hominem, quod vero ad distinete percipere ipsa sensibilia homo excedit omnia animalia. Quorum primum Philosophus attribuit situi ipsius organi; sicut enim si manus admoveatur oculo, longius videt homo, quam si non ponat, ita propter situm nasi, longius tale animal percipit odores, quam homo. Quod non distincte percipit odores, adscribit Philosophus ibi ipsi complexioni humanae quae est nobilissima. Conciliantur illa dicta ex his quae dicit Aristoteles ibi; nec ta- men putes quod sit idem a longe sentire et bene distinguere inter differentias sensi- bilium, quum aliqua a longe percipiunt sensibilia , non tamen sciunt inter ea di- stinguere, sicut sunt aliqui senes qui de longe vident colores, non tamen sciunt inter hos bene distinguere. ° o ° 0 . ° O . o ° ° O O ° ° O ° e O ° ° O O o O Alia est dubitatio mota in textu commenti nonagesimi secundi, quia Aristoteles dicit quod non est facile determinare de odore, quia differentiae odoris a nobis — 469 — difficulter cognoscuntur: modo nos diximus, quod hoc videtur falsum, quia differentiae odoris bene ab homine cognoscuntur. Ad hoc puto dicendum quod licet differentias odoris bene cognoscat, faciliter tamen non possit devenire in notitiam eorum, sed cum magna difficultate inter ea possumus distinguere; aliquando enim de aliquo ha- bemus scientiam, tamen ad illud cognoscendum cum magna difficultate pervenimus. Utrum per tactum cognoscatur hominis prudentia. Alia dubitatio est quia dixit Aristoteles quod per tactum cognoscitur hominis prudentia et non per alium sensum. Ideo quaeritur utrum hoc sit verum; et videtur quod hoc possit fieri per alios sensus, quum in primo De natura animalium Aristo- teles dat modum quo cognoscantur mores hominum per oculos, nares, aures et similia. Videtur autem quod magis visus et auditus hoc faciant, primo quia per visum iudi- camus de corporalibus et incorporalibus, per tactum vero solum corporalia iudicamus; cum ergo visus ad plura se extendat, videtur quod per visum magis arguatur inge- niositas, quam per tactum. Item quia nullus sensus ita certe iudicat sicut (iste) sensus. Item quia est magis immaterialis ipso tactu; magis ego accedit ad intellectum; quare videtur quod exillo magis argaatur ingeniositas. Unde in procemio Metaphysicorum dicitur quod visus maxime diligitur: videtur etiam hoc esse magis in auditu, quia auditus est magis spiritualis tactu, et magis accedit ad intellectum. Item auditus est sensus disciplinae. In oppositum est Aristoteles hic. Item tactus est fundamentum omnium aliorum sensuum; cum ergo nobiliori complexioni attribuatur anima nobilior, videtur quod ex tactu arguatur prudentia magis quam ex aliquo alio sensu. In hac materia mihi videtur esse dicendum quod tactus magis faciat ad pru- dentiam, non quia per se hoc faciat, ut argumenta concludunt, sed quia tactus est universalis sensus per omnes partes animalis diffusus, et fundamentum aliorum sen- suum tam interiorum, quam exteriorum; hinc est quod tactus magis est argumentum ad prudentiam alio sensu, ex tactu enim percipimus quod cogitativa et omnes alii sensus sunt boni. Nullus autem sensus potest hoc facere, quia nullus alius est ita universalis sicut est iste; licet enim ex visu arguamus aliquam dispositionem în ho- mine, non tamen arguimus universalem dispositionem, sicut arguitur ex tactu, et hoc est quia tactus per totum disseminatur. Ad rationes in oppositum dicitur; ad primam, dico quod visus per se ratione eorum quae cognoscit magis facit ad hoc; sed tactus, prout est fundamentum omnium virtutum, magis facit ad cognoscendum prudentiam; non tamen negamus quando ex visu et aliis sensibus cognoscatur bonitas ingenii, sed dicimus quod magis ex tactu hoc cognoscitur. ° O O ° . O ° ° ° O ° O ° O O . . ° ° ° ° ° ° O ° ° O Utrum sensus eaterior cognoscat suam operationem. Post textum 149 dubitatur primo a Pomponacio circa primam rationem Aristo- telis qua probatur dari sensum communem, et dubitatur utrum aliquis sensus exterior cognoscat suam operationem, et dicitur quod sic; et primo de visu, quia Thomistius in tertio huius, commento quarto in fine, expresse dicit quod omnis sensus exterior co- gnoscit suam operationem, et aliqui in florentissimo gymnasio patavino hoc tenebant. Ch. 104 recto Ch. 118 verso Ch. 119 recto Ch.119 verso — 470 — Et ratio potest esse quia si sensus seutit se, ergo et suam operationem. Consequentia patet, quia est difficilius quod sensus se cognoscat, quam suam operationem , quia est maior reflexio cognoscere se. Antecedens probatur, quia sentio me sentire, imo hoc non potest esse nisi per unam et eamdem virtutem, ergo ete.; et confirmatur quia Aristoteles in tertio huius, textu commenti noni, dicit quod intellectus possibilis se in- telligit, quando, intelligendo alterum, illud alterum fit ipse intellectus; sed si haec ratio valet, valet etiam de sensu, quia sensatum fit ipsum ‘sensitivum, et ita, sentiendo sensatum, sentiet se ipsum. Item est ratio Aristotelis quia unusquisque.cognoscit se videre. Vel ergo hoc est per visum, vel non. Si primum, habetur intentum; si se- cundum, scilicet quod cognoscatur ab alia virtute, quaero de illa alia; vel ergo pro- ceditur in infinitum, vel aliquis sensus cognoscit suam operationem, quare et primus, quia melius est resecare in principio, quam in fine. In oppositum est sententia Alexandri, hic in Paraphrasi de anima, ubi bene con- cedit hoc de intellectu, non de sensu; et etiam Themistius in fine hujus capitis dicit quod etsi supra dictum sit quod sensus cognoscit suam operationem, non tamen est verum. Kt etiam Averroes in textu commenti centesimitrigesimisexti dicit hoc, et omnes latini in hoc conveniunt, sed quid plus? Aristoteles ipse in De somno et vigilia huius est sententiae, sed licet hoc sit verum, tamen ratio non est adducta pro hoc, ideo est inquirenda ratio de hoc. Alexander adducit hanc rationem quia sentire consistit in pati, sed sensus non potest ‘Îmoveri, nisi a suo obiecto; sensatio autem non est suum obiectum, ergo non potest moveri ab ea, quave nec eam sentire; quae ratio vi- detur frivola, quia Aristoteles videtur solvere hanc rationem, primo negando assum- ptum quia lux et tenebrae videntur, non tamen sunt color. Aliam responsionem dat Philosophus quod visio visus quoquomodo est colorati (2). Themistius autem hic in octavo commento nude protulit hanc quaestionem sine ratione, et etiam in De somno et vi- gilia. Averroes adducit considerationem. Dicit ipse: si oculus sentiret visionem, idem ageret in se ipsum respectu eiusdem; quia pro quanto reciperet visionem esset patiens, quia ageret in eum visio, et pro quanto ipse visus esset, cognitus esset agens in seip- sum, quae ratio videtur dubia. Primo, si teneamus quod sensatio realiter differat a specie sensibili, ut multi Averroistae tenent, haec ratio non poterit stare, quia idem sensus esset agens et patiens: agens prout producit sensationem, patiens prout recipit speciem sensibilem. Sed vos dicetis illa non est opinio Averrois, sed contra quod de intellectu possibili dicemus; qui intelligit suam intellectionem, et tamen haec ratio est contra hoc de hoc intellectu; quum si intelligeret se, idem esset activum et pas- sivum. Si vero dicas hoc non inconvenire de intellectu quia datur intellectus agens, pari ratione dicam quod datur sensus agens, et dicam quod sensus potest sentire se, et cum dicitur idem esset activum et passivum, dico quod non inconvenit secundum diversas considerationes; nam sensus ut est passivus, non intelligit se, sed ut est acti- vus, et per speciem sensibilem; sic et intellectus, qui ut est in potentia non potest se intelligere, sed ut informatus speciebus aliorum; et sic idem potest (se) movere, non primo: imo Averroes in quarto Coeli tenet quod elementum potest movere se secun- dum diversas rationes; similiter et ego dicam quod sensus potest sentire se, non ut passivus sed ut activus est per suam speciem. Tdeo latini adducunt aliam respon- sionem, quia nulla virtus materialis super se ipsam reflectitur ex libro De causis; e — 471 — sensus autem est virtus materialis, ergo non potest sentire suam operationem. As- sumptum probatur ibi, quia nihil potest se ipsum movere; virtus autem materialis, si intelligeret se, moveret se ipsam. In rei veritate auctoritas magna est, sed ratio non videtur bona, quare ipsi habent concedere in motu locali quod idem potest se movere, et ita hoc potest esse in sensu, et etiam ego non intelligo quid sit reflectere se super se. Ego dicam quod idem potest agere in se secundum diversas rationes. Post hos sequitur Joannes de Janduno hic in quaestione propria, qui credit se ‘ demonstrare in hoc; et ratio sua est, quia si sensus cognosceret suam operationem, tune idem esset in aliquo subiecto secundum esse reale et spirituale, quia sensus realiter habet sensationem et cognoscit cam ipse sensus. Sed contra, dato hoc, intellectus non posset intelligere suam intellectionem, quia habet eam et realiter et spiritualiter, quia eam cognoscit: et hoc non est impossibile, quia in oculo est qualitas, tamen in eo reci- pitur species quanti, et etiam non inconvenit hoc, cum tale esse reale est esse spirituale; et in proposito de hoc non habeo aliquam rationem. Credo tamen considerationem unam esse propter auctoritatem tantorum virorum; probabiliter tamen potest dici quod ratio latinorum est vera, et forte volunt dicere, quod nulla virtus materialis supra se reflectitur, idest non cognoscit se primo, et istam rationem videtur ponere Ale- xander in Paraphrasi ista, capite 26, ubi tractatur de intellectu in actu; et hoc bene verum est quia hoc est difficillimum ipsi intellectui, ergo multo magis virtuti materiali, et ratio quia species repraesentat illud obiectum cuius est species; sed quod repraesentat se et suum obiectum, hoc arguit magnam spiritualitatem, et quia virtus materialis non est multum spiritualis, ideo non potest se cognoscere per speciem obiecti quod recipit. Unde Deus qui est maxime spiritualis se ipsum per se solum perfectissime cognoscit, nec per species alienas: sed sensus eo quia est minime spiritualis et multum imperfectus, ideo non potest se ipsum cognoscere, quae ratio videtur mihi probabilis; illa Alexandri non videtur bona, quia Aristoteles eam solvit in textu centesimotrige- simo octavo, et ratio Averrois nihil valet neque illa Joannis. Ad argumenta dico quod Themistius se ipsum retractat infra, commento octavo. Ad secundum dico quod illud est per figuram sinechdochen, in qua sumitur pars pro toto; anima enim sensitiva cognoscit se ipsam, quare per unam partem cognoscit etiam aliam partem et per sensum communem exteriores. Ad aliud nego similitudinem, quia intellectus potest hoc facere quia est maxime spiritualis, quod non est in sensu. . Ad ultimum, dico quod est devenire ad intellectum qui per se, et suam operationem cognoscit propter sui immaterialitatem. Restat modo videre quia Philosophus dixit quod, si sensus communis cognoscit contraria, ergo patitur simul a contrariis. Aristoteles dicit quod sensus communis est unus .subiecto, non forma; quae responsio videtur accedere ad dubium motum, ut patet, quia arguit quod contraria erunt in eodem, et ipse dicit quod est unus secun- dum obiectum (?) et ita non respondet. Alexander, Themistius et omnes dicunt ad hoc; et dicit Themistius quod sentiens album et nigrum non est album et nigrum, et breviter dicunt quod secundum esse spiritualem non habet veritatem, licet secundum esse reale; et cum dicitur causae sunt contrariae, ergo effectus sui sunt contrarii; dico quod est verum in actione univoca, et haec est responsio Averrois in quarto Metaphysicorum: species autem et obiectum sunt Ch. 120 recto Ch. 120 verso Ch. 121 recto — 4722 — diversarum rationum. Sed quare Aristoteles non posuit (eas), dico quod dimisit hoc, quia erat notum. Sed statim erit dukitatio, quia male videtur dicere Aristoteles dicendo quod sensus communis est unus subiecto, et multa ratione, et tamen ipse non potest negare hoc, quia est unus subiecto et plures, quia est visus, gustus, et omnes alii sensus, pro quanto terminat sensationem omnium. Ad hoc dico quod argumentum concludit, nec Averroes negat hoc, sed dicit quod melius est putare quod sit unus secundum formam et multa secundum materiam, quam quod sit unus subiecto, et multa secundum formam. Nec ista sunt opposita; est enim multa pro quanto terminat omnes quinque sensus, est autem unus ut iudicat omnia sensibilia. Et quia potentia secundum operationem suam recipit unitatem, cum dignior operatio eius sensus com- munis sit iudicare de sensibilibus, quam recipere sensibilia, et indicare sit a forma, recipere vero a materia, ideo dicit Averroes, quod dignius est quod dicatur unus secundum formam, et multa secundum materiam, quam quod dicatur unus secundum materiam, et multa secundum formam, non tamen ita quod istud non possit dici; imo ita est, quod est unus subiecto, et multa ratione, quia est omnes quinque sensus, ut supra dictum est; sed quia haec unitas est a materia, illa vero a forma, ideo di- gnius est, et non est quod sit unus forma, et multa secundum materiam. Et sic in nomine Dei et Beatae Virginis finit secundus liber quaestionum se- cundi De Anima, — 473 — QUAESTIONES LIBRI TERTII. Utrum isia propositio: omne recipiens debet esse denudatum a natura recepti, sit vera in actione reali. in commento quarto Pomponacius examinat istam propositionem, scilicet: omne recipiens debet esse denudatum a natura recepti, quia Commentator secundo huius, commento sexagesimoseptimo, dicit quod est vera in actione reali. et spirituali. Primo videndum est in actione reali quoad primam partem, scilicet quod essentia unius non sit de essentia alterius. Primo dico quod stat ut sint diversae genere, quum materia prima est receptiva qualitatis, et tamen recipiens quod est materia prima, et receptum sunt diversa genere; et quamvis sint diversorum generum, non tamen oportet esse ita diversa ut nullo modo conveniant, quia oportet agens et passum in materia convenire . ... «+. + ideo materia prima non potest intelligentias recipere, quia nulla est uni. genitas inter ipsa; possunt ergo esse ambo diversorum generum in actione reali, sed quod sint idem secundum speciem impossibile (est), quia receptivum habet rationem potentiae, receptum vero actas; non autem videtur duo in eadem specie fumdari, et a fortiori nec idem numero poterit se ipsum realiter recipere. Stat etiam quod sint eiusdem praedicamenti, sed remoti, quando illud genus dicitur de illis analogice, ut materia et forma, quae non sunt sub aliquo genere univoco; forte etiam quod possunt esse ejusdem praedicamenti univoci, quia -formae elementorum recipiunt formam mixti. Est ergo vera de naturali receptione, sed hoc non facit ad propositum, quia quae- ritur de esse spirituali; nam intellectus recipit hoc modo; ideo quaestio consistit in hoc: Utrum aliquid possit recipere speciem suimet, vel alicuius quod est idem specie cum eo, et primo dicamus in quo est possibile. Primo quod sint distincta genere est certum, nam oculus spiritualiter recipit quantitatem; modo potentia visiva et quan- titas non sunt eiusdem praedicamenti. Quod autem aliquid recipiat speciem sui ipsius est impossibile, nam idem esset recipiens et receptum. Ex qua ratione concludebat Averroes intellectum possibilem esse immaterialem, et videtur quod ista ratio sit nulla, quia ego dicam quod intellectus est materialis, et cum dicis: tunc non reci- peret omnes formas materiales, dico quod hoc verum esset si intelligeret omnes formas materiales per propriam speciem. Sed si (se?) ipsum intellicit per speciem alienam ut infra dicetur? Sed contra tu dicis quod si intellectus intelligit se per speciem alienam, alia tamen intelligit per speciem propriam. Sed contra arguitur, quia vel cogitativa cognoscit se vel non. Si primum, vel per speciem alienam vel per propriam; si per suam ergo intellectus, quamvis sit materialis, poterit se per speciem propriam intelligere; si autem intelligit se per speciem aliorum cogi- tativorum, cum sint eiusdem speciei istae cogitativae, recipiens non erit denudatus in specie a natura recepti. Si dicas quod cogitativa non cognoscit se, sed intellectus eam cognoscit, contra: intelleetus non cognoscit per se, et directe nisi ea quae prius fuerant in cogitativa; ergo debet intelligere cogitativam, quod cogitativa PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.8 60 Ch. 126 recto Ch. 126 verso Ch. 127 recto Ch. 127 verso — 474 — prius se ipsam intellexerit, quare et idem de intellectu dicetur. Si dicas quod cogitativa intelligitur ab intellectu per speciem aliarum rerum, pari modo dicam quod intel- lectus intelligit se per speciem aliorum, et sic non sequitur quod, etsi intellectus sit materialis, quod non omnia intelligat. Et si dicas quod idem ageret in se ipsum, respondetur quod hoc non inconvenit in actione aequivoca, ut concedit Scotus; quando autem intellectus se ipsum intelligit est actio aequivoca. Item experientia docet quod homo potest se ipsum in speculo videre, ergo idem recipit speciem sui. Sed ad hoc potest dici quod tu deciperis, quia credis quod quando oculus videt se, idem sit recipiens et receptum, sed non est verum, et recipiens est potentia visiva, et rece- ptum est color, et idem non sunt eiusdem speciei. Ad id quod dicitur de Scoto, commu- niter dicitur quod est contra Aristotelem in septimo et octavo Physicorum, sed contra adhuc instatur, quia idem amat se, et amare praesupponit cognoscere. Item equus amat suos filios, qui sunt eiusdem speciei cum eo;sed dices quod equus scit tantum figuram et colorem, contra in fine secundi huius dicitur quod homo sentit se sentire; modo si sentio me sentire hoc non potest esse nisi reflectam me super me, scilicet quod ego me cognoscam, sed ego sum virtus materialis, ergo virtus materialis potest se cognoscere. Ad hoc respondetur quod non est per idem, quia cognoscens est sensus communis, quod autem cognoscitur est sensus exterior, nec idem est ex toto, unde sensus commu- nis non sentit se sentire. Et ita alias solvi hoc argumentum. Sed hic sermo non videtur verus, quia Themistius in secundo De anima videtur dicere quod sensus sentiat suam operationem. Ad illud quod dicebatur de Scoto quod est contra Aristotelem, de hoc Deus scit veritatem. Unde per accidens potest aliquid movere se, et reflexe intelligit se. Quare videtur quod ista propositio, omne reci- piens etc. sit vera in actione reali, sed in spirituali est dubia, et ideo videtur quod ratio Philosophi sit vix persuasiva, et non transcendat rationem probabilem. Quantum sit de secunda parte suae propositionis, scilicet omne etc. secundum substantiam, primo dicemus de receptione reali, et primo dico quod receptio alicuius entis realis habeat aliquid reale, et alterius generis ab eo; ut materia prima si debet recipere qualitatem, oportet ut prius habeat quantitatem, sed hoc est secundum diversa genera, et aliquando recipiens habet aliquid de recepto secundum idem genus, imo non potest recipere illud nisi habeat aliquid ex illo. Verbigratia si materia debet recipere qua- litates secundas, oportet quod prius habeat primas, sed tamen sunt eiusdem generis proximi; sed loquendo de his quae sunt in eodem genere proximo, semper recipiens debet habere qualitatem oppositam, ut si materia debet recipere caliditatem, oportet ut prius habeat frigiditatem. Sed loquendo de his quae sunt eiusdem speciei, dico quod in qualitatibus intensibilibus et remissibilibus, recipiens debet carere specie eius quod recipitur non absolute, sed solum sub illo gradu; verbigratia si materia debet recipere caliditatem ut octo, debet carere solum hoc gradu caliditatis quae est ut octo, et non aliis, imo est necessarium ut habeat caliditatem sub alio gradu magis remisso. Et de hoc sunt duae opiniones. Aliqui ut Scotistae et multi Thomistarum tenent quod accidentia, solo numero differentia, possunt esse in eodem. Alîi tenent quod non, nec naturaliter nec per potentiam divinam quamvis putem istos non esse mul- tum discordes et hoc quoad esse reale; sed tota difficultas est de esse spirituali; pro sù — 475 — quo est sciendum, quod hoc potest intelligi tribus modis. Primo, quod recipiens aliquid secundum esse spirituale, sit denudatum a natura recepti spiritualiter, ut si debeo reci- pere speciem a, oportet quod non habeam speciem a, et iste sensus non est ad pro- positum. Alio modo, quod recipiens aliquid sub esse reali, debet carere eo sub esse spirituali, et iste non est ad propositum. Alio modo, quod recipiens aliquid sub esse spirituali debet carere eo secundum esse reale, et iste tertius modus est de inten- tione Aristotelis et Averrois; unde non est necessarium, si debeat recipere aliquid sub esse spirituali, quod sit denudatus omnino ab esse spirituali. Nam si ego de beo habere notitiam consequentis, oportet prius me habere notitiam praemissarum; sed tota contentio est utrum recipiens sit denudatum a recepto secundum genus, vel secundum speciem. Ex una parte videtur quod sic de oculo icterici, qui, propter colo- rem citrinum qui est in eo, non potest alios videre; videtur ergo quod receptivum rei alicuius generis debet carere omni eo quod est eiusdem generis. Ex altera parte videtur oppositum quia tactus est receptivus qualitatum extremarum, et tamen habet illas, quia habet medias; quo stante est magna difficultas, quare ita sit in tactu, et non in aliis sensibus, et ita ratio Philosophi non videtur vera. Contra experientia est in oppositum, quia visus recipit speciem figurae et tamen realiter est figuratus. Item cogitativa est quanta et recipit speciem quantitatis. Ad hoc posset dici, quod non est simile de istis virtutibus ad intellectum, quia intellectus ultra hoc quod cognoscit alia, cognoscit etiam se, sed istae virtutes non cognoscunt se, saltem potentia visiva. Contra, quomodo Deus et Intelligentiae sunt immateriales et tamen cognoscunt omnia sub ratione sui, et etiam cognoscunt se, ita et intellectus, quamvis sit materialis poterit tamen omnia cognoscere sub ratione illius formae materialis, quam haberet; cuius op- positum superius dicebatur. Insuper ista ratio fundatur super hoc quod omne recipiens debet esse denudatum, etc., sed contra, quia ex hoc probabitur illum esse materialem, quia comprehendit materialia, ergo non debet esse immaterialis. Item sicut se habet materiale ad immateriale, ita immateriale ad materiale ; sed materiale poterit recipere materiale. Et ita circa hoe sunt dubia; sed quia Aristoteles, Themistius, Averroes et Thomas habent hanc rationem pro manifesta, et quia Aristo- teles numquam dixit aliquid nisi cum ratione, et quia, ut dicit Alexander supra ser- mone istius viri, quis est magis remotus a contradictione, ideo conabimur defendere istam rationem, quae ratio bene intellecta, si non est demonstrativa, tamen ei multum approximatur. Pro qua est sciendum duo esse in mundo multum similia: Intellectus possibilis et Materia prima in tantum quod aliqui dixerunt quod essent idem. Ad quae cogno- scenda philosophi processerunt eadem via; ex eo enim quod materia prima recipit omnem formam, concluditur in primo Physicorum quod non est aliqua earum: ita intel- lectus possibilis ex eo quod recipit formas materiales concludunt quod non habet aliquam carum. Sed differunt inter se, quia intellectus recipit tantum spiritualiter sub esse universali, sed materia prima recipit realiter sub esse signato, et ideo intellectus potest se intelligere et non materia prima. Videns ergo Aristoteles hoc, ex sensatis in sensata procedens, cum cognitum fit cognoscens secundum esse spirituale, sic amans amatum, et sensus recipit spiritualiter; dixit quod intelligere est sicut sentire et in textu tertio disit quod oportet intellectum esse in potentia ad intelligibilia. Ulterius vidit Ch. 128 recto Ch. 128 verso Ch. 129 recto Ch. 129 verso nie Aristoteles quod esse materiale impedit spirituale, vel in toto vel in sensibus aliis a tactu, nam oculus ictericus non potest omnes colores recipere; vel in parte ut in tactu, qui cum habeat qualitates medias inter extrema quae habet sentire, perfecte non potest sentire qualitates tangibiles. Unde aequaliter calida, et aequaliter frigida non sentimus. Et si dicatur quod omnis sensus tam interior quam exterior recipit quantitatem, non tamen est denudatus a quantitate: potest responderi quod quantitas, aut qualitas, nec aliquid sensibile commune sentitur per propriam speciem, ut tenent Thomas et Aegi- dius; et dato quod cognoscantur per propriam speciem, dico quod non sentiuntur nisi permixta cum propriis sensibilibus. Et quod dicitur de sensu exteriori, dico quod non sentitur per propriam speciem; scilicet vel si sentitur, diminute sentitur. Resumendo ergo dicamus quod cum cognitum fiat cognoscens secundum (esse) speri- tuale, et quod esse materiale vel impedit cognitionem in toto vel in parte; cum ergo intel- lectus habeat omnia materialia sub esse spirituali, et sincere et perfecto modo ea cogno- scat, oportet ut careat omnino esse materiali. Unde cogitativa, quae est materialis, nonnisi involute et modo imperfecto istas res materiales cognoscit , et hoc est illud quod dixit textu commenti quadragesimiprimi, quod si haberet aliquam formam materialem, reci- pere probiberet extraneam et obstrueret ipsam, et propter hoc Aristoteles maxime laudat Anaxagoram ponentem intellectum, ad hoc ut imperet omnibus, esse abstractum. Aristo- teles autem hoc dixit propter intelligere: nam cum perfectissime materialia intelligat, de- bet ab eis esse denudatus et hucusque ista ratio est probabilis; videtur enim rationabile quod si omnes formas recipit ut sit denudatus ab eis, sic ut materia prima est denudata ab omnibus formis materialibus, et ideo dicit Aristoteles textu commenti sexti quod rationabile est ipsum non esse corpus, nec virtus in corpore; nec aliquis negaret hoc, quamvis non sit demonstrativum, quia aliqui tenent quod cogitativa omnia materialia et etiam se cognoscat, et tamen ipsa est materialis. Sed alia ratio est quae probat necessitatem huius, quia scilicet omnia intelligit, ut universalia et particularia et etiam abstracta; si esset materialis, abstracta et universalia efficerentur materialia; quod pro- batur quia omne quod recipitur, recipitur secundum conditiones recipientis; si ergo intellectus est materialis, cum intellectus recipiat universalia et abstracta, ipsa quoque abstracta efficerentur materialia quia reciperentur in divisibili; quod recipitur in divi- sibili est divisibile, si ergo sunt divisibilia sunt et materialia. Unde quamvis omnes qualitates de natura sua sint indivisibiles, tamen efficiuntur divisibiles a subiecto quanto in quo sunt, ut dicitur primo Physicorum textu commenti decimioctavi et ista est ratio Aristoteles per quam probat animam esse immaterialem. Unde in textu commenti quarti dicit quod si omnia intelligit, necesse est immixtum esse; non dicit si tantum materialia intelligit. Et si dicas quod ratio Aristotelis fundatur super illam propositionem: omne reci- piens ete. ut dicit Averroes, dico quod Aristoteles fundat se super illam propositio- nem, quoad probabilitatem rationis, non quoad necessitatem; demonstrativa autem ratio est super hoc, quod, quia omnia tam materialia quam immaterialia intelligit, oportet ut sit abstractus. el ri0.! bel: je Leu. e) Le) a) a le) all''Je) 0. (6) e) (el 0. ‘e, (@,:. (60 16) .01 ‘Gi @l (19, (GMT UO!I CALCO] MOIO ONTO) TAO NOIA A OPS SAN CA A SI PNRA — 477 — Utrum anima sît mortalis. In textu octavo quaerit Pomponacius utrum anima sit mortalis, vel non; et primo quaerendum est utrum sit materialis; si enim est materialis est mortalis, si est imma- terialis est immortalis; et primo arguo quod sit immortalis quia in hac parte arguit Aristoteles; et cum duplex sit effectus animae intellectivae, silicet intelligere et velle, ex utroque probabimus eius immortalitatem. Primo ex intelligere per rationem Aristo- telis superius factam. Cum enim Aristoteles viderit animae operationem esse intelligere, ex quo quandoque actu intelligimus, quandoque potentia, cum ista (non?) sit operatio immanens, oportet quod intelligere in quodam pati consistat. Ulterius vidit quod cum haec passio assimiletur sensationi, cum sensatio fiat per spiritualem receptionem, con- cluditur quod intelligere non fiat per realem, sed spiritualem receptionem. Ex his conclusit quod si intelligit omnia materialia, recipiet species eorùm spiritualiter, quare rationabile videtur quod, cum esse materialiter impediat spirituale, quod intellectus sit immaterialis; unde tactus quia habet in se qualitates tangibiles, non bene omnes percipit. Intellectus vero, quia perfecte habet recipere omnes formas materiales, cum intelligat recipiendo, rationabile videtur quod non sit materialis, sed abstractus. Non enim esse materiale et immateriale bene si compatiuntur insimul (sic), et nos diximus non esse simile de materiali et immateriali, quia materiale impedit cognitionem; esse vero spirituale et abstractum non impedit, imo auget cognitionem, et ideo imaterialia | possunt cognoscere materialia, et non e contra. Sed Averroes adducit aliam rationem: quod si intellectus esset materialis non posset se cognoscere, quia cum intelligat, reci- piendo reciperet (deciperet?), quare se moveret; quod tamen est falsum (') in forma mate- riali, quamvis in forma immateriali hoc non sit inconveniens. Unde Deus se cognoscit, et aliae intelligentiae. Contra hoc tamen sunt adducta quaedam, quia etsi haec ratio videatur concludere, non tamen cogit, quia nos vidimus tot et tanta fieri ab anima- libus brutis, ut aliqua superent nos in iustitia, amore, et artificio, ut scribitur in Commento de natura animalium. Unde et videtur quod se ipsa possent cognoscere ; non igitur argumentum valet quod sit immaterialis ex hoc quod faciat ita perfectas operationes, quia et alia animalia hoc faciunt. Etsi ratio haec sit ingeniosa, tamen in ratione Aristotelis (non) continetur. Ad obiecta autem dicit Avicenna in primo Natura- lium: esto quod bruta habeant tam perfectam operationem, et quod se cognoscant, quare hoc concedit, tamen cognoscunt se, in quantum compositum'illud, et non segregando se a materia et a quantitate; et dicit hic Alexander, anima non rationalis (non) cognoscit naturam suam distinguendo se a corpore, et a quantitate, quia anima rationabilis se distincte cognoscit, anima vero brutorum non cognoscit (distincte), quia non est sepa- rata a materia et quantitate, sed cognoscit se totum cognoscendo, et dicit ex hoc apparere, eam non esse immaterialem quia non potest se segregare a materia. Ope- ratio insequitur esse. Si ergo non potest se extra materiam cognoscere, non potest esse extra materiam. Amplius non possumus dicere quod sit materialis quia universaliter cognoscit, quod non posset esse si intellectus esset materialis et extensus, operatio enim insequitur esse; (!) Nel senso di causa di errore. Ch. 130 recto Ch. 130 verso Ch. 131 recto Ch. 1831 verso — 478 — et hoc notavit Aristoteles, cum dicit quod si intelligit omnia necesse est immixtum esse. Ad hoc accedit quod intelligit indivisibilia; separat enim punctum a linea et longitudi- nem a latitudine, quae virtus materialis non potest cognoscere, nullus enim sensus exte- riorum aut interiorum cognoscit indivisibile; cognoscit etiam unitatem quae est puncto abstractior. Item intelligit Deum, et Intelligentias, quod non posset facere si materialis esset, quia operatio supponit esse; si ergo esset materialis non posset operari circa imma- terialia. Unde dicit Plato in Phaedone: Quomodo purum possit ab impuro cognosci? Item nulla virtus materialis habet operationem infinitam. Intellectus habet operationem infi - nitam, ergo non est materialis. Anterior est Aristotelis 8° Physicorum; brevior patet quia intellectus, intelligendo universalia, infinita intelligit,ut intelligendo hominem in commu- ni, infinitos homines intelligit, quia homo est ut homo multiplicatus in infinitum; et etiam cognoscit numeros infinitos et dividit continuum in infinitum, et intelligit infi- nitum tempus, et motum et relationes, quae sunt modicae entitatis, et secundas inten- tiones. Item habet operationes circa ens et non-ens; cognoscit enim utrumque, et utrum- que misurat (mensurat). Item dispersa colligit et unit, ut individua in specie; species vero in genere, quod non facit virtus materialis, et ista est prima ratio. Secunda ratio. Nulla res in sua perfectissima operatione imperficitur. Unde aqua si non moveatur marcescit, et etiam ignis; perfectissima enim operatio animae est intelli- gere, ergo maximum intelligere erit maxima eius perfectio ; cum vero maxime intelligat quando abstrabit a corpore, rationabile est quod ipse quoque (intellectus) sit abstractuss aliter enim si esset materialis, quanto magis esset in materia magis perficeretur; ipse vero quanto magis a corpore abstrahitur tanto magis perficitur. Unde videmus quod isti, qui a sensibilibus istis abstrahunt, magis intelligunt; illi vero qui in istis materialibus versantur ignari sunt, et hanc rationem posuit Plato in Phaedone. Item nulla res naturaliter sibi repugnat; intellectus maxime corpori repugnat, ergo intellectus non est materialis. Brevior declarabitur in nobis, ratio enim et appetitus aliquando repugnant in materia. Corpus enim in malum sua natura inclinatur. Intellectus ab hoc retrahere nititur: si omnino esset materialis, quomodo esset ista rebellio ? Item intel- lectus liber est et libere agit; (quid) si autem esset materialis? Quia quae materiae affixa sunt necessario agunt, et quamvis mirabilia agant, non tamen ex ratione sed ex quadam naturali inclinatione id faciunt; unde omnia talia animalia simile oportet ut consti- tuant, ut hirundines quae tanta arte nidum faciunt, omnes tamen uno et eodem modo faciunt. Tertia ratio ex voluntate sumitur. Diximus quod ex quo infinita intelligit est immaterialis. Item etiam potest dici de voluntate, voluntas enim nostra in infi- nitum fertur; appetimus enim per infinitum tempus esse; virtus autem materialis non potest in infinitum ferri, ex 8° Physicorum; intellectus ergo non erit materialis, quare nec mortalis. Forte huic rationi aliquis respondebit quod etiam bestiae appetunt hoc: scilicet, semper durare; videmus enim quod fugiunt mortem; vel ergo bestiae erunt immateriales, vel anima nostra propter hoc non erit dicenda immortalis. Sed istud nihil valet, quia bestiae non appetunt hoc appetitu cognoscitivo, quia appe- titus non fertur in incognitum, bestiae autem non cognoscunt infinitum sed tantum secundum hic et nunc, et si fugiunt mortem, hoc non est quia futurum cognoscant, sed quoniam videtur malum sibi praesens; imo Themistius in multis locis clamat — 4799 — quod non cognoscunt nisi obiectum praesens. Sed adhuc instabitur, quia iste appe- titus erit vanus, non autem naturalis, quia appetitus naturalis ex toto non frustra- tur. Iste autem appetitus est ad impossibile, quare istud non arguet immortalitatem animae. Dico haec nihil valere, imo appetitus iste est naturalis, et est a volun- tate nostra intrinsece; cognito enim aeterno cupimus et nos aeternos fieri et immor- tales; quod etiam declaratur quia iste appetitus est in omni homine; homines enim omnes appetunt esse immortales; si autem est in omni, erit naturalis. Quod vero dicunt istum appetitum esse ad impossibile nihil valet, et contra eos reflecto argu- mentum quia iste appetitus est in omni homine, ergo naturalis; si ergo appetitus ad esse semper, est naturalis, non poterit frustrari; quare argumentum est contra eos. Unde dico quod homo, vel sit intellectus ut voluit Plato, et videtur etiam esse sen- tentia Them. 3° De anima s.'° 27°, vel saltem est (sit) per illum, ut tenuit Averroes, iste appetitus non erit frustra: quia homo est aeternus saltem quoad animam rationalem ; et facit multum ad istud hoc quod illa quae propter animam sunt necessaria in infi- nitum appetimus; existimatur enim quod homo infinitas appetit divitias, etsi istud sit impossibile; unde appetitus divitiarum numquam terminabitur, sensitivus autem qui est magis propter corpus terminatur, ut si quis sitiat et famescat. Item homo cupit Deum maxime imitare, ut intelligendo, et huiusmodi quae non potest virtus materialis. Item cum duplex sit scientia, practica et speculativa, in operationibus practicis multa animalia conveniunt cum homine, ut in construendo nidos hirundo, et apes in aedificando, araneae in texendo, et in virtutibus quoque mora- libus, sicut rex apum in iustitia, amore et fortitudine et pietate, sicut legitur in 2° De historia animalium. In spsculativis vero nullus nisi homo mentis divinae secreta intelligit, atque illa ordinat; quare verisimile non videtur quod, cum homo ita excelsa intelligat, et in tam excelsis delectetur speculabilibus, et a voluptuosis rebus, et ab omnibus materialibus (se) retrahat, quod anima eius sit materialis, imo videtur oppositum in adiecto quod anima intelligat et sit materialis. Causa enim intellectionis est abstractio a materia. Unde Deus qui maxime est abstractus, maxime intelligit et intelligentiae quae sunt minus abstractae minus intelligunt. Istae tres rationes sunt physicae, sed ex operationibus procedentes. Aliae sunt rationes theologicae hic multo fortiores quas ex Divo Augustino elicio. Prima ratio quae est 4° in ordine est: quia videmus quod inter omnia alia terrena solus homo potest suum opificem cognoscere, quod testatur figura recta hominis, quae ad hoc ei donata est ut coelum aspiciat, et adorationes et templa et similia; cetera vero non habent hoc quia tantum terram aspiciunt sicut mortalia et terrena; homo ergo Deum cognoscit, notitia vero rei comprehensae semper, ratione boni, causat amo- rem, ergo homo amabit Deum; cum vero amans in amatum transmutetur, sicut intel- ligens in intellectum, homo in Deum transmutabitur. Ex his autem duobus sequitur delectatio. Ista autem unio Dei cum homine, quae fit per intelligere et amare, non accidit nisi in anima purgata a vitiis et istis sensibilibus. Unde Eustratius in primo Ethicorum dicit: etsi virtutes morales sint propter humanum genus, sunt tamen ut se Deo uniat, quia non potest eum homo cognoscere nisi animus sit purgatus a vitiis, et ista praeparant nos ad felicitatem summam. Forte dices quod Aristoteles non ponit ista. Dico quod sic in 12 Metaphysicorum, textu commenti 28 et 39, ubi dicit Ch. 132 recto Ch. 132 verso Ch. 133 recto Ch. 133 verso — 480 — quod voluptas in amando Deum est in nobis parvo tempore, in Deo autem semper; haec ergo est vera felicitas (per) intellectionem et unionem Dei, quamquam non potest haheri nisi mens sit ab omni vitio purgata; quaero ergo an intellectus noster istam felicitatem intelligat aut non; si non, quomodo ista esset felicitas si homo non cognosceret se esse felicem? Si dicas quod intelligit, et per se anima aliquando non erit, quia est mor- talis, ergo homo cognoscit se aliquando non esse; si sciat se quandoque non esse, quo - modo erit felicitas? quare opus erit concedere quod anima sit immaterialis et immor- talis, quod omnes philosophi fatentur. i Quinta ratio. Certum est quod si aliquod est animal quod peccet in complexione, compositione et unitate vel infirmabitur vel morietur, ut dicunt medici: in simili dicit Aristoteles primo Politicorum, quod si sit aliqua civitas in qua non sit iustitia, quod non potest multo tempore durare; cum ergo iniusti faciant aliquod malum, qui tamen honorantur a multis imo ab omnibus, et etiam corpora eorum honorifice sepeliuntur post mortere, quaero tum an Deus scit ista, an non; si non, quomodo est possibile hoc quod omnium custos ista non sciat; si scit, vel punit istos vel non; non est intelligendum quod non, quia esset iniustus, ergo punit; si sic, vel ergo in vita vel post mortem; si in vita, hoc non videtur verum quia isti multum honorantur iu terris et quasi Dei habentur; si post mortem, vel punitur corpus eorum vel anima, non corpus quia videmus oppositum, quia corpus solemniter tumulatur; si anima punietur, si esset mortalis non posset puniri, quia non esset; si ergo debet anima puniri, necesse est immortalem esse. Quod si dicas virtutes esse praemium hominis virtuosi, vitium autem esse damnum vitiosi et pravi dum sunt in vita, hoc nihil esset; tolleretur enim omnis iustitia, quiasi aliquis rex viderit aliquid malum fieri ab aliquo et eum non puniret ex eo quod ex vitio quod habet esset punitus, iste rex iniustus haberetur. Cum autem Deus sit maxime iustus debebit hoc facere. Unde et Aristoteles ubique concessit omnia a Deo provenire. Istae rationes etiam contra Averroem procedunt animarum pluralitatem negantem. Asserit enim omnes animas, scilicet rationales unam tantum esse. Sextum argumentum est, quod si anima est mortalis nihil erit homine infelicius; quod probatur quia felicitas hominis vel erit ante annos discretionis vel post; non ante, quia nec prima movetur, intelligit autem aliquid aliud et facit sicut servus. Sed ista feli- citas est post annos discretionis, est merito bonorum corporis; et hoc non; quia multa animalia fortitudine, decore et talibus nos vincunt, et istud provenit merito naturae, et non nostri. Item multae extalibus rebus moriuntur. Vel ergo est propter bona fortunae ut honor, divitiae, cognitio, et hoc non; imo ista impediunt nos a felicitate et aliqui illa spreverunt. Ergo ista felicitas erit in bonis naturae; vel erit in moralibus, vel in spe- culativis (virtutibus); non in primo tantum, quia illae non complent felicitatem, sed sunt potius contrariae et sicut praeparatio ad felicitatem. Nec felicitas est in bonis intel- lectivis, scilicet in scientiis speculativis. Aliqui enim sunt qui eas habent et tamen non sunt felices. Consistit ergo felicitas in utrisque bonis intellectus, scilicet in moralibus et in speculativis. Si ergo anima cognoscit se quando in felicitate est con- stituta et per se ipsam sit mortalis, cognoscit se aliquando non fore et tune trista- bitur cognoscendo se morituram, taleque bonum perdituram; tunc autem homo felix non erit, nec prius etiam felix. Sicut ergo nunquam homo felix esse ex signo — 481 — cognoscitur propter quod homo verecundatur solus inter cetera animalia, et solus etiam synderesin habet; hoc autem non potest esse nisi quia solus cognoscit se offendere suum creatorem. Et istae sunt rationes probantes animae immortalitatem tam physice quam theologice. Pro qua parte sunt viri doctissimi et integerrimi: Plato, Aristoteles, Chaldaei, et omnes leges et omnes prophetae, quamvis aliqui dicant quod Plato non fuerit huius sententiae, et quod ea quae dixerit, propter vulgares dixerit; quod dicere impium est, cum in suis operibus tam maledicit mendacibus. Aristoteles etiam fuit huius sen- tiae, quem, ut puto, Alexander in hoc non intellexit. Est enim sententia Aristotelis in primo De anima, textu commenti 49, ubi dicit quod est difficile ponere animam corpori commisceri, item textu commenti 63 et 66, ubi dicit quod est impossibile ipsum intelleetum misceri; item textu commenti 92 secundi De anima dicit de intel- lectu esse alterum animae genus; in textu commenti 11 et 21 idem clamat in tertio isto, textu commenti 3, 4, 5 et 14 et per totum hunc librum tertium. Idem in secundo De generatione animalium textu commenti 3, ubi dicit quod solus intellectus extrinsecus accidit et cum eo non comunicat actio corporalis; et in secundo Metaphysicorum, textu commenti 7, dicit quod nihil prohibet ut aliquid post mortem remaneat, scilicet intel- lectus, et secundo Oechonomicorum dicit quod mulieres debent fidem viris servare, quia a Diis in alio seculo felicitabuntur. Alii deinde sunt etiam dicentes eam mortalem esse, ut fuerunt Epicurei nihil nisi corpora cognoscentes, ut Sardanapalus et Aristippus quia omnia in luxuria pone- bant, et eiusdem sententiae fuit impius Lucretius, quia cum animam esse mortalem scripsisset, etiam se gladio interemit, et istam sententiam videtur sequi Alexander in libro De anima. Quam nititur probare multis rationibus, quas ponit in commento 4° et 5° suae Paraphrasis. Et prima est talis: omnis forma generabilis et corruptibilis est materialis, anima nostra est talis, ergo materialis. Anterior patet, brevior probatur quia anima est terminus generationis et corruptionis; tunc sic (generatio) est de non esse ad esse, ergo anima prius non erat ante generationem ; corruptio vero est de esse ad non esse et anima est terminus corruptionis, ergo anima corrumpitur; nunc corrumpitur et prius generabatur, ergo est generabilis et corruptibilis. Quod si dicis hoc est verum in asino sed secus est in homine, quia potius est quaedam separatio animae a corpore quam animae corruptio: istud nihil valet, quia motus et terminus motus sunt in eodem genere, et si motus est materialis, forma est materialis; motus autem ad animam est materialis, quoniam est per quantitates proprias (qualitates primas?), ergo forma (quae) est acquisita per talem motum, quae est anima, erit materialis. Item asinus verius generatur quam homo, quia (homo) tantum applicaret activa pas- sivis sicut agricola in generatione grani; quod probatur; quia, si anima est aeterna, vel fit a Deo vel non: si fita Deo, tunc ergo non eduxit eam de potentia materiae; asinus vero educit formam asini de potentia materiae; eodem modo dicatur si sit aeterna et non facta a Deo. Secunda ratio Alexandri est quod omnis forma inseparabilis a materia est mate- rialis, anima est inseparabilis a materia, ergo est materialis. Anterior est manifesta et brevior probatur, quia homo est homo per animam; sed id, quo aliquid est tale, est eius forma; ergo anima est forma hominis, ergo est terminus; terminus autem non potest separari ab eo cuius est terminus; ergo anima non potest separari a corpore; et etiam PARTE TERZA — Von. III.° — SERIE 2.* 61 Ch. 134 recto Ch. 134 versa Ch.135 recto Ch. 135 verso — 482 — quia actus non potest a sua potentia liberari; anima autem est actus corporis, ergo non potest a corpore separari, quod patet ex eo quod actus et potentia sunt relativa; posito autem uno correlativorum, ponitur et alterum, sicut posito patre necessario ponitur filius. Si dices, ut dicit Averroes, quod Alexander peccat per fallaciam aequi- vocationis, quum anima aequivoce dicitur de rationali et materiali, et quod ea quae dicit Alexander sunt vera de materiali anima, rationalis vero anima est a corpore separabilis, ut dicitur 2° huius, textu commenti 11; contra hoc subtiliter arguit Ale- xander, quia quando anima non est in corpore, vel est substantia vel accidens; non est accidens, ut dat nobis prima cognitio, ut dicit Averroes secundo huius, textu com- menti 2; ergo (est) substantia quae est per se stans. Ex altera vero parte etiam corpus per se stat; ergo ex anima et corpore per se actu existentibus unum fiet, quod est falsum quia ex duobus entibus in actu non fit unum, quia unum ab altero non dependet, sed fit unum per accidens, sicut ex nauta et navi; ex quo patet quod homo non erit quod est per suam formam, sed forma in eo erit sicut motor in mobili. Item si anima potest esse sine corpore, quae est causa quod corpori uniatur? Vel hoc est per voluntatem, vel in potestate alterius; si primum, erit ista opinio Pythagorae et anicula-. rum; si secundum, quod (quum) ista unio fiat per primas qualitates, ergo anima materialis erit, quia educitur de potentia materiae per istas qualitates, corrumpitur per motum eorum, et hoc sensui apparet. Qui enim bene sunt complexionati bene addiscunt, unde molles carne aptos mente, duros vero ineptos (esse) 2° huius, textu commenti 94. Insuper quomodo hoc esse posset quod iret de corpore in corpus, nisi esset hoc per motum localem; anima autem non movetur local'ter, quia non est corpus; quod si dicas, ut tenet nostra fides, quod vadit ad paradisum, quomodo hoc fit nisi per motum localem? Insuper per quam viam vadit? Item si est separata, vel intelligit vel non; si non, esset frustra, quia nihil est sine sua operatione; si dicas quod intelligit, quomodo hoc fit cum intelligere animae sine immaginatione non sit? Tertia ratio Alexandri: si anima est aeterna, immaterialis, aut est una vel plures; sed nec est una aut plures; ergo non est immaterialis: brevior probatur, quia si dicas quod sit una, aut dat esse aut non; si non dat esse sicut Thomas, Albertus et multi alii attribuunt Averroi, istud non est imaginabile quod sit una forma homini tantum assistens, quare homo non intelligeret sed tantum cogitaret, quia ego per aliquid quod non est pars mei (non) intelligo sed tantum cogito. Quod si dicas fabulam quam fingit Gandavensis, quod homo, sumendo hominem pro aggregato ex corpore et intellectu assistente, intelligit, non autem si sumatur pro corpore tantum; contra hoc arguit Thomas et bene, quia hoc modo paries videret, quia aggregatum tale videt per partem aliquam sui, scilicet per oculum, dato quod oculus videat parietem. Eodem autem modo se habent phantasmata ad intellectum sicut colores parietis ad visum. Item aggrega- tum ex curru et bove intelligeret. Ideo posteriores Averroistae melius dixerunt intel- lectum dare esse, et hoc tangit Thomas in 2° Contra gentiles, ut infra dicemus. Sed tune si dat esse, ergo forma Platonis erit idem quod forma Socratis; est enim una anima; si dicas eos differre per animam sensitivam, contra: quia per eam homo non est homo. Postea quaero quare uno intelligente alii non intelligant: quod si dicas, ut dicit Averroes, diversificari intellectum per phantasmata, contra: vel intellectus recipit vel non: si non, hoc est contra Aristotelem, qui dicit, quod ita se habet intellectus E si — 483 — ad intelligibilia sicut sensus ad sensibilia. Sed de hoc infra dicemus. Si recipiet, ergo idem simul et semel recipiet formas infinitas, et idem simul contradictoria recipiet. Opiniones enim contrariorum sunt contrariae; loc fuit argumentum Avicennae. Si vero ponas animam plurificatam, contra: multitudo individuorum est per materiam quantam, ergo animae essent materiales, quare et mortales, et non recipient nisi sin- gulariter, et non universaliter. Si vero dicas animas differre specie, hoc est fatuum. Ulterius, vel ponis diversas animas secundum numerum individuorum, vel quod anima sufficiat pluribus individuis. Sit quod quandoque est in uno, quandoque in alio, sed hoc est fabulosum et opinio Pythagoricorum. Demum vel hoc fit per motum localem, quia quod mobile est corpus est; si vero per motum alterationis, anima educitur de potentia materiae, cum idem sit subiectum motus et terminus motus. Si vero dicas primum, ergo vel mundus est ab aeterno, vel non; si sic, ut est sententia Aristotelis et Platonis, videre (sic) meo, infinitae animae erunt, cum infinita individua processerint, nam aliter (2) non patitur infinitum. Si dicas mundum non esse ab aeterno, erunt quasi infinitae animae, cum mundus fuerit per tot saecula. Simplicius vero, primo Coeli, refert apud Aegyptios fuisse annales de centum millibus annis, etPlato de daobus millibus. Item quaero si est immortalis anima, quare egreditur (ingreditur) corpus; vel fit de novo a Deo vel non; si non, ergo infinitae animae erunt in aliquo loco determinato. Deinde quando Socrates generatur, quare una magis informat Socratem quam alia, et si una informat quare non alia, et cum omnis non informet, nulla erit quae informabit. Si primum, quod fiat a Deo immediate, ergo est novum et omne novum est generabile et corri- ptibile, ergo anima erit generabilis. Nam, primo Coeli, omne quod incipit esse desinit esse. Item aut anima immediate a Deo fit vel mediate; non immediate quia ab aeterno simpliciter non fit aliquid novum, quia aliter mutaretur (Deus); nam nunc facit et im- mediate ante hoc, non faciebat, ergo mutatur et in Deo esset nova voluntas, et electio; quod eleganter dixit Averroes 8° Physicorum commento 15°; si fit mediate erit mediante motu, ergo generabilis erit et corruptibilis, quia per motum inducta est in materia. Item maxima esset Dei iniustitia, quia poneret animas aeternas et immortales in materia corporali, a qua quodam modo ligantur. Item poneret animas, quae sunt ita nobiles, in materia ita rudi et admodum grossa, sicut in aliquibus hominibus, qui ignari sunt. Item dicit Aristoteles, primo Coeli, quod immateriale non potest formare materiale, dicit enim: immortali immortale est bene conflatum. Item Aristoteles non fuit huius sen- tentiae quod anima esset immortalis, imo in decimo Ethicorum ponit felicitatem haberi in hoc saeculo per scientias speculativas, et primo Ethicorum cap. 15, dicit quod mortuis non contingit felicitas. Si ergo non ponit felicitatem post mortem signum est quod non ponit animam immortalem. Cuius signum est etiam quia Aristoteles num- quam de hoc determinavit, et miror multum de Alexandro quod non fecit hanc rationem, sed credo hanc esse causam quia ipse non putabat aliquem esse huius sententiae quod anima esset una; imo nullus ante Themistium et Averroem hoc putavit. Et ista sunt argumenta facta pro utraque parte. Si enim ponis mortalem hoc non est con- sonum veritati philosophorum et legum; si immortalem et ponis sententiam Averrois, hoc videtur impossibile; si ponis eas esse plures difficile est salvare quod non sint materiales. Et ita ego sum in maximo discrimine. De hac quaestione ego vellem esse ieiunus. Dicam tamen quod sensit Alexander, et quod ad obiecta responderet contra Ch. 186 recto Ch. 186 verso Ch. 137 recto Ch. 137 verso — 484 — se facta. Circa quod est notandum quod omnes qui ponunt animam intellectivam, con- stituunt eam in horizonte aeternitatis, et quod est media inter aeterna et mortalia. Sed est. differentia, quia Christiani ponunt eam abstractam et aeternam. Alii vero, ut Alexander, ponunt cam materialem et mortalem; esse tamen primam formarum materia- lium. Ulterius est sciendum quod medium participat naturam extremorum. Unde The- mistius in prologo Physicae, commento secundo, ponit quaedam viventia esse inter plantas et animalia quae participant naturam extremorum; anima ergo in medio constituta habebit aliquid in quo conveniet cum aeternis et hoc est intelligere, et aliquid in quo convenit cum animalibus, et hoc est sentire; habet etiam aliquid in quo con- venit cum plantis et hoc est nutrire. Eminenter ergo conlinet omnes formas anima, licet forte hoc non concederet Averroes, et ista opera diversificantur ex modo agendi; nutrire enim, secundum esse, penitus materiale; sentire vero, secundum esse, spirituale; quod tamen non fit sine conditione materiae, quia cum hic et nunc recipit; intelli- gere autem non perficitur cum materia, aut cum conditione materiae, sed universaliter tantum sine loco et tempore. Christiani igitur volunt, quod cum in medio sit aeter- norum et non aeternorum, quod ipsa sit in latitudine aeternorum, et quod induat materialitatem secundum vires sensitivas et nutritivas, et hoc est ratione suae imper- fectionis. Alexander vero ponit eam in latitudine generabilium et quod, secundum aliqud sui, cum aeternis conveniat, scilicet per intelligere et velle; quod provenit ex eo quod est media inter aeterna et non aeterna et quod est prima formarum materialium. Hoc (non) dicit Alexander quod anima sit tantum facta ex elementis, ut sibi falso imponit Averroes, sed vult quod sit facta ab Intelligentia, et videtur sententia Aristotelis 2° De generatione animalium capite tertio; et secundum illud quod appropinquat aeternis non indiget corporeo organo, ut recte dicit Alexander, et ista est sententia Aristotelis, quod anima intellectiva est sicut locus specierum; et si bene consideres, ista opinio non est magis miranda quam opinio fidelium, et ita est intelligendus Aristoteles ubi- que, cum dicit animam rationalem esse abstractam. Ad argumenta ergo adducta Alexander sic responderet. Ad auctoritatem primi De anima posset dicere quod (ut est sententia The.) Ari- stoteles ibi loquitur dubitative tantum, cuius signum est quia dicit Aristoteles: forsan vel dicitur quod anima, prout habet hanc actionem quae est intelligere, non eget cor- poreo organo: et ita dicitur ad omnes auctoritates primi De anima, secundi et tertii. Unde quando dicit Aristoteles quod nihil est in actu eorum quae recipit, intelligitur hoc de anima secundum quod habet illas operationes, et Averroes sibi falso imponit quod intellectus sit tantum privatio; habet enim in commento 2° quod est magis similis praeparationi tabulae, quam ipsi tabulae: dicit enim, primo ipsius, tabulae agra- pho, id est inscriptionis carentiae (sic) est quam tabellae similior; ipsa enim praeparatio tabulae est quasi quoddam separatum a tabula omnia recipiens lineamenta: ita intel- lectus, quoad illam potentiam, abstractus est et universaliter recipitomnes formas mate- riales, quae sunt (cum) hic (et nunc). Quod vero dicit quod solus est abstractus, et quod extrinsecus accidit, respondit Alexander, commento 28, quod istud est verum de intelle- ctu agenti, imo Aristoteles textu commenti 20 loquitur de agente et non de possibili. Quod vero dicitur de libro Echonomicorum, dico quod illud est dictum ut inducat homines in amorem castitatis. non quod ita sit. — 485 — Ad argumentum: quomodo se ipsam intelligit, et secundum eam partem non est in materia, et cum dicitur quod cognoscit universalia, dicit Alexander quod cognoscit universale comparando unam rem alteri, sed non fit hoc per virtutem immaterialem, sed per materialem. Cum dicis quod Deum intelligit, dicit quod Deum anima non cognoscit nisi caecutiendo ex eo quod non intelligit nisi per phantasmata, et hoc non arguit eam esse immaterialem; imo opponitur ex eo quod non bene cognoscit, et similiter dico quod non intelligit infinitum nisi caecutiendo et confuse, pro quanto aliquid de infinito percipit; et cum dicis: implicat esse materialem et intelligere, dico quod - ‘ intellectus indiget abstractione, sed non omnimoda, quia per phantasmata intelligit; imo arguit nostram sententiam, quod, cum per phantasmata intelligat, partim sit abstra- ctus, et partim non, non ex toto. Ad secundam rationem respondetur: non omnimode abstrahitur a corpore, quia eget eo ut phantasmate, et argumentum non concludit nisi quod, secundum eas partes per quas anima intelligit, non sit materialis, sed a materia abstracta, non tota anima. Et cum dicis: corpori repugnat, dico quod hoc est per accidens, unde et canis se per accidens interimit aliquando, et ita quod corpori repugnat, hoc est per accidens et per illam partem quae abstracta est. Quod autem dicis quod libera est, respondeo: ut est a corpore abstracta libera est, ut vero est in materia, serva est. Ad tertium cum dicitur: apprehendit (desiderare) se esse in infinitum, dicitur quod, ex eo in infinitum durare, cum hoc esse non possit, arguit eius imperfectionem et materialitatem: apparet' quod im- possibile est esse. Ad aliam cum dicis quod implicat, dico quod non implicat, quoniam, quoad illam partem quae intelligit, abstracta est. Ad rationes theologorum dicitur: ad primam quae est quarta in ordine, cum dicis: si anima est felix et cognoscit se non futuram, ergo non est felix, dicitur quod oble- ctatur anima et contentatur in eo, quia cognoscit se habere illud quod est ei possibile. Est autem impossibile eam semper durare sicut in simili, cum (sit?) secunda intelligentia, intelligit: primum vel cognoscit se vel non; non est dicendum quod non; si se intel- ligit et intelligit se non esse ita perfectam sicut est prima, ergo esset invida. Unde intelligentia secunda est felix et cognoscit se hahere id quod possibile est ei. Textus autem Aristotelis est contra te; dicit enim illud esse nobis in modico tempore, non autem dicit semper. -Ad quintum dico quod est contra te facere animam immortalem et ponere eam in corpore mortali, et dico quod Deus ponit malos reges qui hunc mundum guber- nant, alios autem non cognoscit, quia quasi per accidens sunt, sicut magnus rex cogno- scit tantum primitates et proceres qui sunt in regno, alios vero multos non cognoscit. Ad sextum argumentum, scilicet quod nullum animal esset infelicius homine, nego hoc, imo aliquod animal non cognoscens se est infelicius homine. Vel dico quod, licet anima cognoscat se morituram quando est felix, non tamen propter hoc restat quod non sit felix, quia contentatur eo quod est possibile ei habere; est autem impos- sibile eam semper permanere, Cum vero dicis quod pro hac parte quod anima est aeterna sunt viri optimi, pro altera vero parte impii, respondeo quod illud est per accidens;imo multi docti istud concedunt, ut Alexander et alii; imo isti sunt magis docti et virtuosi, quam qui ponebant esse eam immortalem; nam si quid boni fecerunt. propter proemium fecerunt, scilicet venturum; qui vero ponunt eam mortalem non Ch. 138 recto Ch. 188 verso Ch. 139 recto Ch. 39 verso — 4860 — fecerunt bonum propter praemium, sed solo virtutis zelo. Aliqui etiam dixerunt animam esse immortalem propter vulgares. Ista sententia non est ad mentem Aristotelis, ut puto, nec in se vera. Primum probatur, et prima huius coniectura sumitur ex eo quod Theophrastus, ut voluit The- mistius,in hoc tertio, commento 39°, voluit hoc de mente Aristotelis.Theophrastus autem melius habuit mentem Aristotelis, cum eius discipulus fuerit; quam Alexander. Item quia Alexander, commento 28°, tenet intellectum agentem esse deum, et primam causam, nec partem esse animae nostrae. Aristoteles autem vult, ut infra patebit, quod sit pars animae nostrae; modo si Aristoteles vult quod sit pars animae nostrae, quemodo hoc esse potest, si unum sit aeternum et alterum non? Item Alexander se declarans quo- modo intellectus abstractus sit, exponit dictum Aristotelis, quando dicit, quod est immixtus; dicit sic: quoad est in sui operatione, non indiget organo corporali quoad illam partem abstractam; ideo est abstractus, et quoniam species recipiuntur in sola ani- ma non in organo corporeo, et citat locum Aristotelis textu commenti 6°, quod anima est locus specierum et non tota, sed intellectiva, et in hac operatione corpus concurrit (non) nisi ut obiectum non subiectum. Et secundum De generatione animalium glosam, in- telligit de intellectu agente, sed ista glosa non salvat suam sententiam; quaerit enim ibi Aristoteles utrum omnis anima sit ante animatum, vel nulla, vel aliqua sic et aliqua non; et solvit, quod illa quae utitur corpore sicut organo in sui operatione, non advenit ante animatum. Sed illa que non utitur organo corporeo, extrinsecus advenit; et hoc est contra Alexandrum, quia per eum ideo est separata, quia non indiget organo corporeo; ergo si non utitur organo, erit abstractus (intellectus) per Aristotelem ibi, et ve- niet de foris; quare non erit mortalis. Ecce quomodo Aristoteles ibi non intelligit tantum de intelligentia agente, ut tu dicis, et istud nihil concludit. Potest hoc Alexander sol- vere, et in se ista opinio est impossibilis. Quando enim Aristoteles vocat intellectum esse mortale, respondet (Alexander) quod in ista operatione sola sine corporeo organo erit in opus; et anima intellectiva intelligit immaterialia, et se ipsam et etiam indivisibilia. Sed contra, quomodo hoc est possibile quod se ipsam et immaterialia cognoscat, ipsa tamen sit mortalis; etsi sola hoc faciat, et non sit abstracta, si non habet operationem pro- priam sine corpore? Operari autem praesupponit esse; ergo ipsa est a corpore abstracta. - Et ista est ratio Avicennae optima. Sed dicis, quod in hoc est aequivocatio, quia animam egere corpore est duobus modis, ut iufluente (inferente) et ut organo; ita quod intelligibiles species in corpore etiam reciperentur. Tunc dico quod si anima posset ope- rari sine corpore ut subiecto et inferente species, bene esset separabilis a corpore: sed quia eget eo ut subiecto et inferente species, ideo non separatur ab illo; pendet enim ab eo essentialiter. Sicut non valet: oculus non potest videre sine corde, ergo visio est in corde; quod ideo non valet, quoniam oculus eget corde, tamen ut ab eo species ad oculum trasmittantur; ita anima eget quoque corpore ut subiecto, et ut eo a quo trasmittuntur species, non autem eget eo ut organo. Sed ista responsio est appa- rens et non bona, quum dicere quod anima non est separata, quia eget corpore sicut subiecto, aut inferente, nihil est dicere, et omnes hoc concedunt; sed secus est de tuo exemplo, et de hoc quia oculus non est in corde ut in subiecto sicut anima in corpore est sicut in subiecto; cum autem omne quod est causa causae sit causa causae in codem genere causae, quomodo est possibile quod cum anima a corpore causetur, et — 487 — intellectio recipiatur in anima, quod etiam non recipiatur in corpore? — Item est mirum quod anima sit mortalis intelligatque semper (secundum?) eas potentias quas (ille) ponit in ea; quia ego credo Alexandrum ponere eam extensam, sed solum in quo est. Tune quaero an intelligere fundetur in anima, an in parte animae; si in tota anima, cum sit extensa non recipiet universaliter, sed siguate merito quantitatis. Si dicas secundum, cum non constet in indivisibili, erit in aliqua parte, ergo erit organica; cuius oppositum tu dixisti. Sed dicis contra; istud procedit contra Christianos, quia per eos anima est in corpore. Dico quod non procedit hoc contra eos, quia ponunt animam esse abstra- ctam, non eductam de potentia materiae, et non est in corpore nisi per accidens. Ale- xander autem vult quod essentialiter sit in corpore et ita ipsi bene possunt dicere quomodo possit se sola intelligere, et species recipere, sine corpore, non enim per corpus est constituta in esse, ut Alexander voluit quod sit educta de potentia mate- riae, et quod constituatur in esse per subiectum; nec potest salvare quod cum omnis homo appetat se esse aeternum secundum individuum, et iste sit naturalis appetitus, quod in totum frustretur. Licet enim bruta appetant aeterno tempore esse, hoc non est secundum individuum sed secundum speciem; nec bene respondet rationibus theo- logorum quando dicit quod anima est felix, etsi sciat se quandoque non esse, quod est, quia cognoscit se habere id quod est ei possibile habere; et cum est aeque felicitas sicut in Deo, Responsio satisfacit quum tenet Alexander quod intellectus noster Deo uniatur, et in instanti omnia cognoscamus. Sed quomodo est possibile hocy quod res materialis Deo uniatur, quia ut dicit Averroes in hoc tertio, commento 36° generabile efficeretur aeternum et ingenerabile? Quae sententia quomodo valeat infra dicemus. Item quod dicit de divina iustitia non valet, quia tune aliqui mali non puniren- tur, et qui bene facerent non mererentur; postea videatis quod habeant isti dicere: scilicet, quod si boni dicerent animas esse immortales, ut homines ducerent in vir- tutem, tunc omnes leges essent delusiones. Item redeamus ad aliam opinionem quae tenet animam immortalem, quae bipartita est. Aliqui volunt quod sit una, et ista opinio videtur magis fatua opinione Alexan- dri. Alii vero tenent quod sit plurificata secundum substantiam quae informat; et ra- tiones primae opinionis sunt: prima quae est Themistii, hic commento 32°, quod si esset plurificata, ergo materialis; multitudo enim individuoram est per materiam quantam, 12.° Metaphysicorum, textu commenti 43°; secunda ratio, quia ponendo mundum aeternum, ut Plato et Aristoteles volunt, si animae essent multiplicatae. vel essent (ita) quia omnis homo qui est vel erit vel fuit, habuit unam animam, vel progredirentur de corpore in corpus animae: si primum, hoc est impossibile, quia da- retur infinitum actu, quod non capit intellectus; si secundum, erit fabula Pythagorae, quod una anima modo intret corpus unum, modo aliud; et istae sunt (rationes) fortio- res huius opinionis, et ista aperte fuit sententia Themistii, licet Thomas in libro contra Averroistas non dicit istam esse sententiam Themistii, quamvis ego non credam illum esse librum Thomae; et hanc opinionem ex hoc coniecturo quod in commento 32° probat intellectum esse unum, quia si essent plures, esset materialis, eadem autem est ratio de agente et de possibili cum ambo sint abstracta. Item ex alio, quia in commento 31° vult quod intellectus agens non sit Deus, sed sit pars animae nostrae; modo si isti duo intelleectus faciunt unam animam numero, quomodo uno multiplici existenti Ch. 140 recto Ch. 140 verso Ch. 141 recto — 488 — alterum est unicum? Item ex alio, cum dicit quod si intellectus non esset unus, quo modo discipulus addisceret a magistro? Non enim addiscimus aliquid nisi sit aliquod commune nobis et magistro. Quod ista sit mens Averrois est clarum, licet ego audi- verim esse quemdam venerabilem doctorem senensem qui tenet de mente Averrois animam esse plurificatam; quod evenit quia in dies novae opiniones insurgunt. Istud tamen voluit Averroes, ut manifeste apparet. Quod autem senserit Aristoteles dicemus in opinione Christianorum. Sed tunc restat difficultas, et est comunis ambabus opi- nionibus praedictis, quia si anima est aeterna, non per corpus sed per (se) stans, tunc habebit se ad hominem sicut gubernator ad navim, et motor ad motum, non sicut forma ad subiectum; quare non erit forma per quam homo est homo. Item esto quod sit immaterialis, quomodo est possibile quod unum nunc districtum a quocumque alio sit in toto mundo? Ideo posteriores Averroistae videntes hoc, dixerunt quod anima (est), in quo est forma, non vera sed assistens tantum, sicut rex in regno; et dicunt non inconvenire hoc in formis abstractis, sicut dicunt philosophi quod Deus est ubique. Unde poeta dixit: Jovis omnia plena. Et istud de mente Averrois tenuit Albertus, Thomas, Aegidius, Scotus, Gregorius Ariminiensis, Johannes de Gandavo. Sed ista opinio non est intelligibilis nec ad mentem Averrois, ut aliqui propter rei difficultatem tenuerunt, et propter verba in commento 11° huius secundi, cum dicit: nondum est manifestum utrum (anima) sit in homine, sicut nauta in navi. In multis etiam locis dicit quod est forma separata. Primum quod dixi probatur; si enim anima intellectiva non est forma intrinseca ho- mini per quam homo est homo, tune nullus homo formaliter intelligeret, ex eo quod non est forma nostra, Item ego experior me intelligere et scire propositiones universales, qua- les non facit cogitativa. Item est argumentum Thomae quod tunc homo non intelligeret; quod si fingas fabulam Joannis quod homo, pro aggregato (sic) ex corpore et intellectu, intelligit, sed non pro composito tantum, tunc, in simili, aggregatum ex oculo et muro videret, quoniam ita se tenet murus ad oculum sicut corpus ad animam; nec ista est mens Thomae, commento 27° et 28°, dicentis intellectum agentem esse formam et essentiam nostram. Primo secundum Averroem homo est intellectus agens, ipse autem intellectus agens est pars animae nostrae. Item non est mens Averrois ista. Videte vos quanta com- prehendimus in quaestione ista; ipse enim in commento primo huiustertii, aperte dixit quod per animam intellectivam distinguitur homo ab omnibus aliis speciebus, eadem enim sunt principia differendi et essendi. Item in commento 36° tertii huius, dicit A verroes quod non est movens tantum, sed et forma. Item in commento 36° dicit quod ita se habet anima ad hominem sicut Intelligentia ad orbem; sed Intelligentia dat esse orbi; ergo et anima homini. Quod autem Intelligentia det esse orbi probatur, quoniam Averrois, capitulo primo De substantia orbis, dicit quod prius Intelligentia unitur coelo quam dispositiones et accidentia coeli, ut quantitas, figura, et alia accidentia quae sunt in eo; quod si Intelligentia uniretur coelo, tantum ut motorem eam praesupponeret. Coelum esset quan- tum et figuratum, quia nihil movetur nisi corpus: si ergo Intelligentia tantum moveret coelum, opus esset orbem prius esse quantum, quam motum ab Intelligentia. Item primo Coeli, textu commenti 95°, dicit quod dubium est an orbis per aliquid alterum sit sensibilis et intelligibilis, et dicit quod sic: imo de se est tantum in pura potentia, imo aliqui volunt quod orbpis de se sit in pura potentia ex illo loco: imo 2° Coeli bi ehe — 489 — textu commenti 3' Intelligentia verius unitur (ei) quam materiae forma; quomodo au- tem hoc esset nisi Intelligentia daret esse orbi? Istam sententiam dicit Thomas; Al- bertus, et isti alii imponunat hoc Averroi, et istud ei ascripserunt, qnia viderunt quod altera potentia, scilicet quod (quam?) intellectus, det esse, videtur magis impossibile. Cum vero dicis Averroem dicere quod intellectus est abstractus, intelligit quod non est edu- ctus de potentia materiae. Sed tune augetur difficultas: si anima per se stat et etiam corpus, quomodo ex duobus entibus in actu fit per se unum? de coelo et Intelligentia hoc salvare non est difficile insequendo Averrois verba, quia Intelligentia est quae dat esse actu orbi; quoniam ibi textu commenti 95' dicit quod orbis, seclusa Intelligentia, non est nisi in potentia, nec intelligibilis, sed tantum sensibilis; et ideo fit unum, quia unum est actu alter (alterum?) in potentia (?). Sedin homine est difficilius, quia in homine est cogitativa quae est constituens hominem in specie. Alias ego dixi quod anima intelle- ctiva realiter est idem quod sensitiva, et quod sensatio corrumpitur quoad potentiam tantum, sicut est sententia Thomae. Marsilius vult hanc sententiam Platonis; et tunc multa possumus ex hoc solvere. Sed est durum ponere in intellectu abstracto has po- tentias esse, et non assevero hoc, quoniam nullus dixit ante me, et quomodo hae po- tentiae possint fundari in avima. Aliud notabile est quia Intelligentia est vera forma in orbe: quod autem aliqui dicunt quod materia coeli est in pura potentia, hoc non puto verum esse, imo Averroes in De substantia orbis, cap. ultimo, dicit quod ma- teria coeli est media inter materiam, hoc est puram potentiam, et actum purum; et octavo Metaphysicorum textu commenti 12°: non habent aeterna materiam talem qualem ge- nerabilia habent. Sed quoniam auctoritates possunt glosari, induco rationes, (ex quibus hanc) quae olim concurrenti meo fuit difficilis:quia si materia coeli esset ens in pura poten- tia, ergo coelum cum Intelligentia non esset per se motum, quia esse quod per se mo vetur dividitur in partem per se moventem et per se motam; pars per se movens est Intelligentia, pars per se mota est orbis, quae per se, si est in pura potentia, non po- terit resistere Intelligentiae, unde non erit motus. Ad hanc rationem isti respondent negando primam compositionem, quoniam in coelo pars per se movens est Intelligentia, pars per se mota est materia coeli una cum eius forma. Sed sì ista responsio esset vera, maxime in via Averrois, tunc in elemento esset pars per se movens et per se mota, quoniam forma elementi esset per se movens et compositum esset per se motum, quod tamen est contra Averroem 4.° Coeli, textu commenti 22. et in aliis locis. Sed tunc tu dices: si materia coeli esset aliquid ens in actu, non posset fieri unum per se cum Intelligentia, sicut dicit Averroes primo Physicorum commento 63°; et ideo dico quod ex anima intellectiva et corpore infor- mato per cogitativam fit per se unum, quia cogitativa non est hominis essentia per se complens, sed adhuc corpus tale est in potentia ad intellectum; et si dicitur ex primo capite De substantia orbis: impossibile est idem habere duo esse, dico quod est verum de duobus esse ultimatis, et aeque perfectis. Vel dicitur aliter quod hoc non intervenit si unum sit eductum de potentia materiae, alterum non; sed tune est angustia, quia omnium hominum esset idem esse, nec Socrates a Platone distingueretur, eadem enim sunt principia essendi, et distinguendi. Sed ista (positio) Averrois potest persuaderi ex eo quod Christiani etiam tenent quod in homine sit una tantum anima iudicialis, tota in toto et tota in qualibet parte, ut quod tota sit in manu, tota in pede. Sic ergo dico quod PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2. 62 Ch.141 verso Ch. 142 recto Ch.142 verso Ch. 143 recto Ch. 143 verso — 490 — omnium hominum est idem esse intellectuale, sed quoad sensitivam et cogitativam dif- ferunt, cuius signum sunt proportiones omnibus communes. Sed Alexander diceret utram- que opinionem esse impossibilem; ego tamen dico quod opinio Christianorum est ve- | rior: potest etiam persuaderi ex eo quod una Intelligentia dat esse orbi ita magno, et tamen una pars differet ab altera per accidens, ut stellata a non stellata, omnium tamen earum partium est idem esse intellectuale. Sed dicet quis: orbis non habet esse ab Intelligentia, sicut est sententia Alexandri hic,in Paraphrasi de anima, commento 8°; et Thomas et Christiani dicunt quod, quamvis anima informet omnes partes corporis, non tamen per se primo sed per accidens, et per accidens differunt istae partes; sed intellectus dat per se omnibus hominibus, et inter se differunt homines actu etiam. Sed ad hoc aliquis dicet quod partes sunt aètu ab anima informante et non în po- tentia, et quod inter se actu differunt. Sed est dubium si anima sit talis quod sit una numero in omnibus hominibus. Quomodo intelliget, an recipiendo an non reci- piendo? Et est quaerere utrum dentur species intelligibiles de novo in intellectu rece- ptae. De hoc est una opinio Burlaei 7.° Physicorum, commento secundo, quae vult quod anima non recipiat de novo speciem; quam inserunt aliqui moderni, quorum scripta non vidi sed audivi ab eis; erant enim mei concurrentes, et rationes istorum sunt: A primo est auctoritas Averrois 12.° Methaphysicorum, commento 25°, ubi dicit quod quae- dam sunt substantiae quae non recipiunt accidentia, et substantiae abstractae; intel- lectus autem est abstractus et substantia abstracta. Item si habet species de novo, hoc esset quia phantasmata imprimerent in intellectum illas species et cum phantasma sit materiale, tunc immateriale a materiali pateretur. Item si de novo reciperet species, cum istae species sint singulares, non repraesentabunt universaliter; quare intellectus non intelliget universale. Item si anima reciperet species, tune plura accidentia, solo numero differentia, essent in eodem contra Aristotelem, 5° Metaphysicorum, textu com- menti 15°. Item si, respectu unius obiecti, plures essent species in intellectu, tune essent materiales, quia plurificatio individuorum est per materiam, ut dictum est supra. Sed tunc quomodo fiat intellectio, discordant inter se. Unus dicit quod fit hoc modo quia anima intellectiva est forma mei, et omnia intelligit per essentiam suam; non tamen ista mihi dicitur intellectio, nisi dum ego cogitem, et quod ego non intelligo asinum, nisi prius cogitem de asino; quia iste est ordo naturalis, quod, si debeo anima intelligere, debeo de omnibus cogitare. Alii dicunt quod bene intellectus est in po- tentia, sed non ad species recipiendas; sed per virtutem intellectus agentis forma asini eadem realiter quae est in re ad extra in intellectum nostrum recipitur, accidentalis tamen facta; et istud est magis impossibile primo; etenim hoc intelligere non possum sicut primum. Istae tamen opiniones sunt impossibiles, nec ad mentem Averrois et Themi- stii: dixit enim Themistius in commento 15.° quod intellectus est aptus et (se) tenet ad recipiendum omnes formas, sicut cera ad figuras, et dixit Aristoteles quod ita se habet intellectus ad intelligibilia, sicut sensus ad sensibilia. Sed aliqui dicunt, et magis con- sentanee loquuntur, quod visio non fit per species, ut dixerunt in suo tractatu quem fecerunt, et dicunt illud esse contra intentionem Aristotelis et Averrois, commento 4°, qui oppositum huius aperte dicit, quando dicit quod recipit omnes species materiales; et prima ratio est, quia si nihil de novo recipit intellectus nisi aequivoce ut tu dicis, quaero tune, quando Averroes probat intellectum possibilem immaterialem esse, ex eo — 491 — quod recipiens est denudatum a natura recepti, et sì recipiens haberet aliquid de na- tura recepti, tunc idem se reciperet, et idem in se ageret; de qua actione loquitur Averroes? Si de vera habeo intentum, quia tunc aliquid verum aget et recipiet intel- leetus de novo; si de actione aequivoca, tunc non est inserviens; idem ageret in se ipsum actione aequivoca ut dicitur ab Averroe; 8° Physicorum, commento 4.° Secunda ratio: si anima per sui essentiam (intelligeret), non esset necessarium ponere intellectum agentem, cuius oppositum dixit Averroes, commento 5°, cum dixit quod Aristoteles intelligit intellectum agentem et (intelligit quod) habet speciem, et intel- lectus discurrit et componit praedicatum cum subiecto; quod non esset si per essentiam intelligeret, et tunc intellectus non esset in potentia sed esset actus purus. Item si per essentiam omnia intelligit, omnia eminenter continebit et omnia crea- bit; cum autem non dependeat asinus ab intellectu, non intelliget asinum. Sed aliquis dicet ad hoc quod hoc non valet, quia secundum Averroem in felicitate, quam ponit Averroes, intellectus possibilis intelliget omnia per essentiam intellectus agentis et ta- men ipse non est causa omnium. Ad hoc dico quod intellectus agens est causa omnium, et si non in esse reali, est saltem in esse spirituali; omnia enim quae sunt potentia intellecta facit actu intelle- cta. Item quomodo verificaretur dictum Aristotelis quod se per accidens intelligeret? item intellectio est (esset?) operatio immanens absoluta, non relativa, quae non potest esse absque aliqua alteratione intellectus per quam homo de intelligente in potentia fit actu intelligens. Sed dices quod denominatur intelligens non quod fiat intelligens; contra tune homo non de novo intelligeret sed tantum de novo cogitaret, sicut (est) de beatis in patria, quibus licet Deus non sit sua intellectio, tamen fit eis nova spe- cies. Ad rationes et ad Averroem, dico quod loquitur ibi de Intelligentiis perfectissi- mis; intellectus autem possibilis est infima intelligentiarum indigens corpore in in- telligendo. Cuius signum quia dicit ibi quod non intelligunt ista inferiora ipsae In- telligentiae. Loquitur ergo de non dependentibus a corpore. Ad 2”, cum dicitur quod phantasma imprimeretur in intellectum, dico quod intel- lectus agens ea universalizat propter quod possunt agere in intellectum, et ista est causa ponendi intellectum agentem. Ad 3", cum dicitur quod singularitas intelligentis aut speciei, per quam intellectus intelligit, non excludit universalium intelligentiam, alioquin cum Deus et Intelligentiae ipsae sint quaedam substantiae singulares, non possunt universalia intelligere, (hoc non inconvenit) sed materialitas cognoscentis et speciei, per quam cognoscunt ipsae res, universalem cognitionem impediunt. Ad alterum quod plura accidentia, numero differentia, essent in eodem, dico quod est necessarium, quia in (mundo?) sunt plures species numero distinctae, vel saltem sì est una, habet plures modos diversos essendi, ut tenent aliqui Thomistarum. Ad Aristotelem dico ut ibi dicit scoliastes (?) et ante (?) eum Aegidius loquitur ibi de accidentibus quae bene con- trarium habent acquisibilibus per alterationem. Item si per essentiam intelligeret qua- tuor qualitates, intelligeret (false, cum) altae (tamen) Intelligentiae non intelligunt falsa. Altera est angustia quae (est): cum contrariorum contrariae sint operationes 4.° Metaphy- sicorum et primo Posteriorum, si anima sit una, in uno essent contraria: ut quod Socrates sit papa vel non papa sicut nune est, et hoc est argumentum Avicennae. Sed dicet quis quod hoc argumentum esset contra Christianos, qui tenent quod eadem anima quae est in Ch. 144 recto Ch. 144 verso Ch. 145 recto Ch. 145 verso — 492 — pede sit in manu; tune sic est eadem anima vel sunt contrariae. Sed Christiani dicunt quod secus est, quia etsi motus gaudii et tristitiae eidem animae attribuatur, hoc est per accidens; intelligere autem est per se in anima, non enim est anima quae gaudet et dolet nisi per accidens, sed per se est pes aut manus, et bene argumentum procedit contra po- nentes in anima fieri immediate sensationem, sicut est Gregorius Ariminiensis. Sed nos tenemus sensationem fieri in organo. Averroes posset et ipse dicere quod anima con- sideratur dupliciter: in se ut est una intelligentia, et quoad nos, prout est forma nostri; et hoc secundum eius duplicem operationem; quoad primum intellectum ipsa (intelligit) per essentiam intellectus agentis, ut ego puto; quoad alterum qui dependet a corpore intelligit per species, et quoad hune non debemus dicere solam animam intelligere sed totum compositum, et quod illa sit per quam homo intelligit; unde, cum compositum intelligat, non potest dici unum hominem simul habere opiniones contrarias, sicut di- cuni Christiani, quod pes et manus laetantur se non anima, contra: est eadem anima et habet opiniones contrarias; dico quod aliqua in uno esse habent contrarietatem non in altero, puta in reali non in spirituali, sicut albedo et nigredo in materiali esse sunt opposita non in spirituali; possunt enim eorum species esse in eodem puncto et simul in oculo possent recipi, et ista quae contrariantur in esse materiali, in Deo et Intelligentiis uniuntur. Unde quae in natura inferiori opponuntur, non opponuntur in natura superiori, quare illa quae sunt in intelligentia non habent contrarietetem sicut ea que sunt in cogitativa, quod provenit propter materialitatem et imperfectionem cogitati- ae, et aliqua uniuntur in sensu communi et simul cognoscuntur:quare dico quod opiniones contrariorum in intellectu non habent contrarietatem; sunt enim contrariae ut quod, sci- licet respectu determinati individui, quia dicitur unum individuum potest habere diversas opiniones; respectu de eodem modo tamen sunt contrariae ut in quo, scilicet respectu sub- stantiae in quo sunt; sunt scilicet per respectum ad animam quae est una. Alterum argu- mentum adducebatur: quomodo, si est una, potest tot species habere et tot falsitates intel- ligere? Dico hoc non intervenire (inconvenire) sicut non intervenit (inconvenit) unam intelligentiam habere duo opera, movere in quo pendet a corpore et intelligere; ita anima in se non intelligit falsa, aut habet tot falsitatum species, sed respectu individuorum a quibus in hac operatione dependet, potest falsa intelligere, et tot species habere; est etiam in hac operatione dubium an sensitiva et intellectiva sint idem. Mihi videtur Aver- roem non esse huius sententiae inferius in commento 2° et primo capitulo De substantia orbis, quia necesse est, secundum eum, quod in mixto omni sit una forma extensa se- cundum subiectum, et hoc tenere est durum. Sed, si hoc sentiamus, videtur esse contra experientiam, quia ego scio quod sum illemet quod sentio, et intelligo: quomodo autem hoc esset si non tantum una anima esset? quod si dicas esse unum aggregatum, est multum difficile sustinere, quia 2° huius, textu commenti 31 dicitur ut est trigonum in tetragono in potentia, ista anima imperfectior (est) in perfectiori. Sed vos dicetis quod una (anima), non ratione in altera, sed analogia (se habet?) sed tune ego non video quomodo haec (propositio): homo est animal, sit in primo modo di- cendi per se, quia non est plus dicere quam dicere quod habens sensum habet intellectum, et ista:habens colorem habet superficiem, nisi diceres quod animal, pro ut a (ut pro) sen- sitivo tantum capitur, non est de intellectu formali hominis; sed si sumatur animal pro eo quod sentit et intelligit, sic est de intellectu formali hominis, eo modo capiendo animal, quo — 493 — dicis quod coelum est animal, et ita animal hoc modo analogiae sumptum praedicabitur per se de homine in primo modo dicendi per se. Altera est difficultas quomodo una forma aeterna informat corpus generabile; et Ari- stoteles, octavo Physicorum, dicit quod aeternum coaptatur aeterno. Diximus supra quod cum participet partim de aeterno, partim de mortali, cum sit infima intelligentiarum, et generabile, habet uniri cum aeterno per aliquid medium, poterit intellectus infor- mare aliquod mortale. Quod vero dicis de 8.° Physicorum, dico quod secus est de anima intellectiva et de Intelligentia, quia si Intelligentia informaret corpus generabile, tale corpus esset fa- ctum, ergo ab altero; et sic, nisi esset aliquod corpus aeternum motum ab Intelligentia, produceretur in infinitum, et ideo quoniam corpus motum ab Intelligentia est primum corporum, non potest esse nisi aeternum, ut bene deducit Averroes 8.° Physicorum; sed quia non habent omnia ista inferiora facere, non oportet ut instrumentum, per quod anima producit suas operationes, sit corpus aeternum, cum non sit primum corporum. His opinionibus expeditis, quas puto impossibiles, altera restat quae tenet animam aeternam esse et plurificatam, in qua plures sunt difficultates: prima, quia tunc erit unum per se stans in actu, et etiam corpus est in actu ens; ergo ex duobus entibus inactu fit per se unum. Thomas qui inter Christianos primus est, dicit quod in ho- mine non est nisi una anima, et quod unitur ipsa materiae primae sine medio, et cum sit forma, potest informare materiam primam, et communicare ei suum esse, et sic non erunt secundo in actu. Si vero volumus tenere quod ex duobus in actu potest unum fieri, sicut ex orbe et Intelligentia, quam opinionem Thomas in libro Contra gentiles attribuit Aristoteli, in textu commenti 27', possumus dicere quod ex duobus entibus in actu non ultimato, quorum unum ordinatur ad alterum, fit per se unum. Secunda difficultas: si animae multiplicantur, quando separantur a corpore, quo- modo differunt, cum differentia individuorum eiusdem speciei sit per materiam quan- tam? Vnde 12° Metaphysicorum: si duo essent dii, essent materiales; ita anima, si esset plurificata, esset materialis, quod repugnat eius simplicitati. De hoc Aristoteles, sexto Naturalium, dixit se credere esse plurificaatam, sed se ignorare modum dixit. Dicemus tamen nos, quantum vires nostrae poterunt, te.endo viam Aristotelis. Argumentum est difficile, sed eam non tenendo non est difficile. Nam in via Platonis et Scoti, ui dixerunt animas differre per suas ecceitates, argumentum nihil valet; concedendum est enim, ex una specie intelligentiarum, esse plures intelligentias solo numero dif- ferentes. Sed tota difficultas stat in via Aristotelis. Inter omnes alios Thomas est minus ab Aristotele remotus, et Aegidius in secundo Quodlibeti tenet, quod distinctio individuorum completorum fit per materiam quantam, sed principia differunt per ha- bitudinem ad materiam quantam. Cum autem animae non sint ipsa individua, sed eorum principia, non differunt per materiam quantam, sed per habitudinem ad eam. Sed tum est difficultas de una anima quae informaret duo corpora, an una an plures essent. Item una est prior istis respectibus; nullum autem differt ab aliquo per id quod est posterius eo, et istam opinionem sequurtinr multi Thomistarum. Ego tamen puto aliter esse dicendum, (scilicet) quod, quando dicitur quod differunt animae per ha- bitudinem ad materias diversas, quod sit dicere hoc: quod si istae animae essent talis naturae, quod (ut) non possent informare nisi eamdem materiam, non differrent numero, Ch. 146 recto Ch. 146 verso Ch. 147 recto — 494 — sicut una Intelligentia, quae, quia potest informare totam suam materiam, non habet plura individua sub se; sed animae, ex eo quod possunt informare plura corpora numero diffe- rentia, et esse per se generabiles et corruptibiles, possunt esse diversae, numero differen- tes, et ita ista habitudo erit: posse informare plures materias, quae habitudo non differt ab anima, cum sit relatio quae non differt a fundamento in via praesertim Thomae. Et ita animae per se ipsas realiter distinguuntur, et circumlocutive tamquam a signo per istas habitudines. Sed dices propter quod est, quod non possunt informare mate- rias specie diversas? Respondeo quod hoc est merito imperfectionis earum; ex hoc enim quod sunt aptae informare corpus generabile propter sui potentialitatem, et idem corpus non posset idem numero permanere sed tantum specie. Quod enim non potuit perpetuari in individuo, saltem in specie perpetuatur, secundo huius, commento 34.° Ideo et animae quae habent informare ista corpora generabilia, erunt ciusdem speciei, solo numero differentes; Intelligentiae autem quae, ex sui perfectione, possunt informare totam materiam eiusdem speciei, ideo ipsae non differunt specie, et eorum materia eadem numero semper durare potest; quare ulterius dico quod si Deus crearet duas animas simul, quod puto possibile et verum, licet aliqui Thomistarum fuerint in op- positam, qui Parisiis fuerunt condemnati, dico quod non differrent, ex eo quod possunt duo corpora informare ex sua natura, et esse pars generabilis et corruptibilis, non per diversas habitudines ad materiam. Sed dices: istud non videtur satisfacere Ari- stoteli 12° Metaphysicorum. Dico quod bene sequitur quod si essent plures Dii, non essent puri actus, quia non essent perfecti, ex hoc quod non possunt informare unam materiam, nec etiam anima est purus actus, sed aliquod habet potentialitatis, nec etiam Aristoteles voluit ibi quod Deus esset materialis, sed quod mundus esset ge- nerabilis et corruptibilis. Et opinio Scoti (?) mihi in hoc non placet. Altera difficultas est quod, cum mundus sit aeternus, vel animae erunt infinitae vel de corpore in corpus transibunt. In hoc variae sunt rationes. Quidam dixerunt mundum esse aeternum, et quod animae actu sunt infinitae, et huius sententiae fuit (fuerunt) Avicenna, Algazeles et Scotus dicentes non repugnare apud Deuna dari infini- tum, licet Aristoteles hoc negaret. Aliqui aliter dicunt quod in essentialiter ordinatis non datur infinitum, sed non inconverit in accidentaliter ordinatis, animae non sunt accidentaliter ordinatae. Et quod istud infinitum non sit simpliciter infinitum, sed secundum quid, sicut totum tempus (est) simpliciter, sed futurum est infinitum secundum quid a parte post, et prae- teritum est infinitum a parte ante, ita animae a parte ante sunt infinitae, a parte post etiam sunt infinitae, sed secundum quid. Ista ratio mihi non placet, quia da- retur etiam infinitum in essentialiter ordinatis, quia numeri sunt essentialiter ordi- nati. Istae autem animae sunt numeratae; est enim una, duae, tres et sic de singulis; ergo si animae essent infinitae daretur in numeris processus in infinitum. Ad hoc quidam' dicunt quod bene esset multitudo infinita, sed numerus infinitus non; quia numerus creatur ex divisione continui; non datur autem continuum infinitum, ex primo Coeli, et 3° Physicorum, ergo nec datur numerus infinitus. Ponunt ergo isti differentiam inter multitudinem et numerum, et multi tenent hanc responsionem, sed nugae sunt, nec în isto est disputandum, quia ego non credo omnem numerum creari ex divisione continui, imo numerus prior est continuo et illo abstractior. Unde in — 495 — primo Posteriorum dicitur quod unitas est puncto abstractior, et arithmetica geome- tria, et hoc est contra Aristotelem 3° Physicorum, ubi cum probavit non dari infi- nitum in entibus materialibus, probat etiam non dari in spiritualibus, quia implicat contradictionem, nec intellectus mensurae (?) capit quod apud Deum detur infinitum, nec Deus posset facere unum corpus infinitum; totum enim locum occuparet, nisi fides sit in oppositum; sed puto eam ah hoc non dissentire. Ideo quod dicit Scotus de in- finito secundum quid, est contra Aristotelem in tertio Physicorum; ubi vult quod si aliquod est infinitum secundum quid, est etiam infinitum simpliciter. Alii dixerunt, et fuit Origenes, quod Deus a principio mundi creavit multa pro una generatione, qua completa, non amplius creabit aliquas animas. Sed hoc est voluntarie dictum, nec habet aliquam auctoritatem ad hoc cogentem. Alii dicunt: in aliquo certo tempore renovabi- tur, etquod fit resurrectio et regressum animarum ad corpus, ut dixit Plato quod mun- dus renovabitur in anno magno, quod est in tribus millibus annis, quum orbis tune erit in ea dispositione, in qua nunc est. Causae autem similis effectus similis est. Haec opinio de resurrectione est contra Aristotelem in 2° De generatione in fine, ubi habet quod idem numero non potest redire. Postea videtur iniustum quod qui nunc sunt beati, possint ad corpora iterum redire; possent enim peccare et a corpore paterentur. Cuius opinionis fuit Pythagoras et Plato. Alii dixerunt quod mundus est aeternus, sed per infinitum tempus homo non fuit, et istud non videtur esse rationabile dictum, quia mundus eo tempore non fuisset perfectus. Tanta enim perfectione, quanta est homo, caruisset. Aegidius dicit in 2° quolibetico quod Aristoteles putavit animas esse multiplicatas et aeternas, sed non vidit hoc argumentum, sicut forte non vidit multa alia. Cuius signum est quod Averroes numquam videtur formasse hoc argumentum contra se, quod si vidisset aliquod formasset. Thomas tandem defaticatus dicit quod ipse Aristoteles vidit hoc argumentum. Certum est enim quod non est contra Chri- stianos ponentes mundum finitum a parte ante et a parte post. Ego non credo quod sic (?) Averroes putet animas esse aeternas et plurificatas, et forte ponit animas iterum ingredi in corpora dimissa sicut Plato tenuit. Cuius signum est quod numquam de hoc loquitur contra antiquos. Sed de hoc Aristoteles forte fuit ambiguus, vel tracta- vit de hoc in libris qui ad nos non pervenerunt. Et si dicas tunc daretur resur- rectio: dico quod forte Aristoteles non negaret in hominibus, licet forte in brutis. Resolvendo ergo, sto in ratione Thomae, quod Aristoteles non intellexit se sicut forte nec in aliis. ) Altera est difficultas, quod, cum anima sit aeterna, utrum aliquando inceperit esse. In hoc Aristoteles videtur utrique parti favere; quod enim inceperit esse duae sunt auctoritates; prima est duodecimo Metapbysicorum, textu commenti 16 et 17', ubi Aristoteles dicit quod causae moventes sunt animae effectuum, sed causa formalis incipit esse cum re (?) etin quibusdam formis, ut de intellectu, nihil Philosophus habet (censet) post mortem remanere. Ecce ergo quod secus (sic) Aristoteles, ut ibi notat Thomas: anima intellectiva incipit esse cum corpore, et remanet post subiectum compositum. Altera est in secundo De generatione animalium, cap. 3°, ubi dicit, quod anima sen- sualis et intellectualis prius sunt in actu; si ergo aliquando sunt in actu et aliquando in potentia, non sunt omnino aeternae. Pro altera parte sunt auctoritates eiusdem in capitulo eodem, ubi quaerit utrum omnes animae sint ante corpus vel non; et dicit quod solus Ch. 147 verso Ch. 148 recto Ch. 148 verso Ch. 149 recto — 496 — intellectus est ante corpus. Si est ante, ergo non incipit esse cum corpore simul. Altera auctoritas est primo Coeli, ubi vult quod omne aeternum a parte ante est aeternum a parte post. Item sequeretur quod anima crearetur; vel ergo immediate a Deo, vel mediante coelo. Si primum, ergo novitas esset in Deo, quoniam actio nova ab agente antiguo immediate procederet, et novitas quae est in effectu debet in causa reduci. Si mediante coelo, ergo materialis, quare generabilis et corruptibilis esset. Sed ad istas Averroes posset dicere: ad illam de 12° Methaphysicorum, dicit quod non fecit expresse mentionem de ince- ptione; est enim clarum quod omne aeternum a parte post est aeternum a parte ante, in via saltem Aristotelis. Sed tune est dubium quare dixit quod remanet post mortem, cum eadem ratione esset clarum, aeternum enim a parte ante est aeternum a parte post. In hoc difficile est respondere, tamen pro nunc dico quod Aristoteles ita dixit quia libitum est. ei. Ad alteram dico dupliciter: primo modo, quod hoc intelligitur quoad operatio- nem; prius est enim in potentia intelligens quam sit actu intelligens. Vel aliter di- catur quod si Aristoteles loquitur ibi de anima et non operatione, dico quod anima in se non est in potentia priusquam in actu informet, sed semper est actu. Sed re- spectu Socratis, est in potentia ad informandum prius Socratem, quam actu informet. Tenendo tamen aliam opinionem possumus dicere ad auctoritatem in oppositum: ad pri- mum, quod anima intellectum praecedit ita non secundum tempus; quamvis enim anima in eodem instanti beetur (creetur) a Deo et in corpus infundatur ut dicit Augustinus, prius tamen natura a Deo creatur, quam in corpus infundatur. Aliae autem non sic se habent, quia educuntur de potentia mateziae et non veniunt de foris. Ad ultimum: quod omne aeternum a parte ante est aeternum a parte post. Aliqui negant aperte Aristotelem in hoc. Thomas aliter dicit quod illud intelligitur de his quae acquiruntur per generationem et corruptionem, sed de his quae sunt in sola Dei voluntate non habet verisimile illud dictum. Ista (propositio) tamen modo valeat quantum potest. Aristoteles enim ibi universaliter est loquutus. Ad aliud, cum dicitur quod crea- ret (?) concedo hoc; solus enim Deus potest creare, est enim primus agens, nihil praesup- ponens. Et cum dicitur mediate velimmediate, dico quod in creatione animae est duo con- siderare. Primum est creatio animae; secundum est corporis organizatio. Quoad primum, solus Deus concursit; creatio enim nulli creatrarae tradita est, sed solus enim Deus creat nullo alio mediante. Quoad secundum concurrit Coelum et causae secundae, et hoc dico se- cundum ordinem naturae. Cum autem corpus est debite organizatum, anima in eo infun- ditur, et cum dicitur ab antiquo non provenit novum quia Deus mutaretur: dico quod non sequitur hoc, quia ista mutatio innovatio non est ex parte Dei, sed ex parte corporis vel animae, et hoc habent dicere etiam illi, qui ponunt Deum esse intellectum agentem, quia ipse immediate causat species intelligibiles a phantasmatibus abstrahendo eas. Et si dicerent quod pariter Deus posset mundum de novo creare, ex eo quod ista novitas non in Deum sed in mundum reduceretur, dico quod ratio Aristotelis, in 8° Physicorum, per quam ponit mundum esse aeternum non concludit, et in via sua patitur angustias. Sed quantum sit in proposito, dico quod secus est de anima et de mundo, quia bene Deus potest de novo creare animam, sed non mundum; quia si crearetur mundus mutatio non esset nisi in Deo et non in mundo, quia novitas quae est in effe- ctu, debet reduci in causam suam, ergo nihil aliud a Deo esset. Ista novitas non — 497 — reduceretur in aliud corpus, quia non esset, sed in solum Deum qui est causa: sed in anima novitas non est in Deo, sed in corpore organizato. Alia difficultas est: si anima simul cum corpore non corrumpatur, sed remaneat, quaero an ingrediatur aliud corpus an non; primum non est dicendum. quare est fabulosum; sed si secundum, vel vadit in paradisum, vel in infernum, vel in purga- torium: quaero per quid fit iste motus; vel per alterationem, vel per motum localem, et quaero de via per quam vadit. De hoc nibil dicit Aristoteles, forte quia nescivit. Sed argumentum nihil valet et est contra Averroem, etiam quia, quando Socrates ge- neratur, quaero quomodo intellectus incipit eum informare, et quando moritur, quomodo desinit informare. Sed ego dico quod iste motus non est continuus, nec rationis ciusdem cum istis motibus inferioribus, sed per generationem, intelligendo et volendo, ut voluit Thomas, vel est motus definitivus ut voluit Scotus. Altera difficultas est quod operetur anima a corpore separata. Si nihil, anima erit frustra; nihil autem videtur operari, quia hoc maxime esset intelligere, quia anima per phantasmata intelligit, quae sunt in corpore. Si autem non habet intelligere, nec habet velle. Dico quod anima, cum est separata, non intelligit per phantasmata, sed per species infusas a Deo; anima enim habet duas operationes; prima est intelligere cum phantasmate, secunda intelligere sine phantasmate quando est separata, sed me remitto Ecclesiae, et notetis quod de inferno et paradiso, non tantum meminit Ecclesia sed etiam Plato et philosophi, praeter sceleratum Aristotelem. Stat et altera dubitatio: si anima esset aeterna, homo non esset vere generabilis et corruptibilis. Thomas dicit ad hoc, quod vere generatur quia portat ipse tertiam entitatem distinctam a partibus. Sed ego puto non dari illam tertiam entitatem. Ideo dico quod homo non vere generatur nec corrumpitur, sed potius generatio hominis est quaedam unio et corruptio (vel) segregatio; et hoc habet etiam dicere Averro6es; et Aristo- teles sensit hoc idem dicens, < separatur autem hoc ab hoc sicut sunt». Stat argumentum pro Averroe: quod si intellectus non esset unicus, scientia esset quantitas activa. Re- spondet Thomas quod magister et discipulus in aliquo conveniunt non ut subiecto, sed ut obiecto, et in primis principiis quoad speculabilia, et de quolibet dicitur esse vel non esse, et in operabilibus, ut in isto: quod tibi non vis fieri alteri ne feceris. Ultima ratio erat: quia singularitas impedit intelligere. Dico quod non, sed ma terialitas est quae impedit, et ad rationem suam, dico quod non oportet quod ex duo- bus numero distinctis causetur tertius conceptus sicut secundum Nominales. Isti ter- minus tertius signant se ipsum terminum per se ipsum et non per aliquem distin- ctum (sic). Haec est quae volui dixisse in hac quaestione. Volo tamen unum dicere quod, philosophice loquendo, potest probari (quod) anima est aeterna contra Scotum. De unitate multum dubito. Averroes Themistius, Theophrastus fuerunt huius opi- nionis, sed tenendum est quod est multiplicata et aeterna secundum fidem, quia ali- ter periret iustitia divina in qua Angelicus multum insudavit. Utrum intellectus intelligat se per se an per aliud. Pomponacius in textu decimosexto, omissis nugis Joannis, breviter dubitat an intellectus intelligat se; de re in se non est dubitatio, quia in nobismet experimur hoc, sed est dubitatio (per) quod intellectus intelligat se. Certum est quod non per sui PARTE TERZA — VoL. III.° — SERIE 2.* 63 Ch. 149 verso Ch. 150 recto Ch. 150 verso — 498 — essentiam, non habendo conceptum distinctum a se, ut habet Commentator primo Poste- riorum; quia si sic, semper intelligeret se, quod est falsum, nisi prius alia intellexerit; probatur autem quod hae essent causae sufficientes intelligibilis, quia esset intellectus intelligens et ipsa intellectio, et etiam scientia et scibile essent idem. A priori etiam probatur hoc: intellectus possibilis est in pura potentia, modo omne quod intelligitur, intelligitur quantum est in actu, nono Metaphysicorum. Cum ergo ita sit, videndum est quid sit illud per quod intellectus se intelligit. Philoso- phus, in textu commenti octavi, dixit quod intelligendo alia se intelligit, quia intelli- gendo asinum quodammodo fit asinus; videndum°est ergo an requiratur una species determinata magis quam alia, sic qued solum per unam speciem vel per quameum- que possit se intelligere; et quoad mihi videtur, dicendum quod per quameumque speciem indifferentem possit se ipsum cognoscere, et hoc docet experientia, et Aristoteles dicit hoc superius, quod non determinat se ad aliquam speciem in loco illo; sed stat tamen dubitatio: si per quameumque speciem potest se intelligere, quomodo est possibile quod una species, ut asini, ducat intellectum in cognitionem asini et ipsius intellectus, vel requirat aliud, et in hoc stat punctus. Requiruntur duo modi dicendi, unus minus probabilis, et est quod per speciem solam intellectus possit devenire in sui cognitio- nem, quia species habet duo repraesentare: primum, illud a quo deciditur, et hoc per se (patet?); secundario, subiectum illius, cum non debeat esse ingnota suo subiecto. Sic ergo per quameumque speciem duo intelliguntur, subiectum et obiectum; sed primo ducit in cognitionem obiecti, secundario subiecti, et hoc est quod intellectus concurrit effective ad hanc actionem, et hoc videtur dicere Averroes, commento octavo, ubi dicit quod intelligendo asinum fit asinus aliquo modo. Sed haec sententia videtur ambigua; quia si per speciem se intelligat, vel hoc est voluntarium, vel naturale; non volun- tarium quia non semper hoc possumus; et etiam cum voluntas praesupponat cogni- tionem intellectus, hoc prius esset cognitum de intellectu: si naturale, cum naturalia eodem modo se habeant semper in omnibus, ideo rustici intelligentes asinum, per speciem asini etiam suum intellectum intelligerent, et nos quando aliquando intelli- geremus, semper nostrum intellectum intelligeremus. Secundo, hoc videtur inopinabile, quia, vel per unam cognitionem intellectus cognosceret se et asinum, vel per duas; si per unam, semper quando una intelligeret, aliud etiam intelligeret; si per duas, sic etiam cum sint distineta obiecta, quaero quomodo illi actus sint distincti .... si (ea) sint distineta, vel sunt absoluta, vel praesupponunt aliquid absolutum; ergo istae duae intellectiones habebunt duo absoluta distineta quae erunt species vel aliquid alterum, licet forte sint ab eodem agente; sic exempligratia ego et tu calefimus ab eodem agente, igne, tamen hoc est per diversas caliditates; alia est enim caliditas in me et in te. Alius modus dicendi est quod non tantum intellectus, intelligendo se, esset specie aliena, sed ultra illam requiritur aliud, scilicet conceptus unus distinctus a specie; ad quem causandum concurrit species ut efficiens instrumentale: et sic cessat secunda dubitatio, quia dicam quod duobus conceptibus distinctis intelligitur asinus et intellectus; et. species asini est ut primo modo, et fit ista intellectio hoc modo: ex ev quod intellectus est informatus specie, agit in scipsum causando intellectionem sui aliam a prima et hunc modum videtur tangere Averroes in commento octavo in fine, ex mente Alpha- rabii; nec credo intellectum, statim quod est informatus specie, ducere se in — 499 — cognitionem sui, sed requiritur discursus et multa alia. Considerat enim istam speciem a quo causata sit, et in quo modo suscipiatur, et ita veniet in notitiam sui, et nota quod est differentia inter conceptum et speciem, quia de abstractis habemus conce- pium et non speciem; de materialibus speciem et non conceptum, quia habemus de eis phantasmata, et intellectus intelligitur conceptu diverso a specie asini, specie diversa. Numquid intellectus suam operationem intelligat. Quaeritur quomodo intellectus suam operationem intelligat. De se non est dubi- tatio, sed de modo. Joannes hic dicit fatuitates. Duo sunt dicendi modi, unus, quo, per eamdem intellectionem per quam intelligo obiectum, intelligam etiam intellectiones; nec hoc inconveniret immaterialibus quod idem duo reputet, ut in divina essentia repu- tantur omnia entia et ipse Deus; et hoc dicit Joannes, sed credo hoc esse falsum; ‘quia vel ista actio est una, vel plures; si primum, cum aliquid intelligam, semper intelligam me intelligere quod est falsum; si vero ita quod sint diversae, quomodo differunt istae actiones inter se? Altera est opinio Thomae in prima parte, quaestione octuagesimaseptima, articulo tertio, quod non sit eadem intellectio; et quod potest operatio esse tune cum ipsa quae intelligitur non sit illud mediante quo nos intelligimus, sed est id quod. nos intelli- gimus cum et ipsa sit intellectus, et si diceremus tune procederemus in infinitum in actibus animae. ; Dicit ad hoc Thomas in prima parte, quaestione octuagesimasexta, articulo secundo, quod in actibus animae non est inconveniens procedere in infinitum, ut bene dicit Thomas, et in hac secunda operatione intellectus concurrit effective. Sed tunc est diffi- cultas utrum sensus habeat talem actionem. Themistius, in secundo huius, videtur dicere quod sic; tamen ut est sententia Aristotelis in De somno et vigilia: nullus sentit suam operationem. Ego puto quod non, sed quae est altera ratio quare intelligat (se intellectus) non autem sensus? Dico quod quia intellectus est super se reflexus, potest se intel- ligere; nulla autem virtus materialis potest cognoscere se, quia nihil potest agere in se in his materialibus, licet in abstractis hoc possit esse verum; aliquid enim est in superiori quod non est in inferiori, et ideo abstracta possunt se intelligere, et hoc ex perfectione eorum. Altera dubitatio est utrum Aristoteles in hoc capite tractet de obiecto intellectus. Dicitur quod sic, ut etiam omnes Latini dicunt in textu commenti noni. Ex altera parte videtur quod non, quia tune Aristoteles non observaret id quod dixit in hoc secundo, scilicet quod prius est tractandum de obiecto quam de potentia. Scilicet in primo capite huius tertii, et in secundo tractaret de obiecto, scilicet in hoc capite secundo et in textu commenti vigesimiprimi inciperet tractare de ratione intellectus. Forte dices quod Latini male exponant; Theophrastus autem et Averroes melius; cum ipsi aliter introducant. Istud nihil est, quia prius debuerunt determinare obiectum et operationem quam potentiam; de hoc nullus dicit, ego tamen dicerem quod prius quoquomodo determinavit de obiecto quam de operatione, et hoc quum dicitin textucommenti quarti: SERRE Oer oo omnia fintelligitrensfest{suumWobiectum:tet si diceremus: non descripsit suum vbiectum, dico quod ens non habet descriptionem, cum nihil sit notius ente; ideo non descripsit, et cum dixit quod intelligit, tractavit de Ch. 151 recto Ch. 151 verso Ch. 152 recto Ch.152 verso — 500 — operatione; in hoc vero capite magis determinavit de obiecto et in textu commenti 21 magis determinate locutus est de operatione intellectus, imo idem facit in 2° huius in cap. De sensu, quia prius tractat de sensu in communi et deinde tractat de obiecto scilicet sensibili communi et proprio. Utrum singulare cognoscatur ab intellectu ci quomodo. Quaeritur etiam quomodo singulare cognoscatur ab intellectu nostro et utrum cognoscatur distincte, quamvis aliqui dicant quod non; sed ista opinio videtur falsa. Primo Aristoteles in textu commenti noni dicit quod singulare cognoscitur vel a diver- sis virtutibus vel ab una aliter se habente. Ecce ergo quod concedit (?) ab una virtute cognosci; ista autem virtus non potest esse sensus, quia sensus tantum circa singularia versatur, ergo est intellectus, quia ambo (') cognoscit. Item intellectus separat universale a particulari; eadem autem est virtus quae cognoscit aliqua et ponit diffe- rentiam inter illa, secundo huius textu commenti centesimiquadragesimisexti. Item inductio est a particularibus ad universalia. Eadem autem est virtus quae ex par- ticularibus colligit universale; nec est dicendum inductionem fieri a diversis virtutibus, quia hoc est falsum; imo audivi unum doctorem hoc inconveniens (esse) concedere. Item nonne sunt syllogismi particulares quos non potest facere aliqua virtus sensitiva? Pro- cedunt enim ex una universali, vel ex alia particulari, quia regulantur pro dici de omni et de nullo, sensus autem non cognoscit universalia. Sed videndum est de modo per quem intelligitur singulare. Hic sunt duae opiniones: prima est Nominalium, quae etiam videtur Alexandri, quae stat in tribus considerationibus. Prima consideratio est quod singulare cognoscitur per propriam speciem, quia intellectus ponit distinctam differentiam inter universale et particulare; hoc autem non potest esse nisi habeat distinctam cognitionem de illis, et hoc non potest fieri nisi per eius conceptum. Item vel cognoscitur per propriam speciem, vel per speciem universalis. Si primum, habeo in- tentum; si secundum, cum ista species ducat nos in cognitionem omnium singularium in communi vel in confuso, non potero habere notitiam unius determinati individui ut Soc.“ aut Plat." Secunda consideratio patet. Quod intelligitur ab intellectu est singulare; quae consideratio probatur quia illud primo intelligitur quod primo phantasiatur; singula- re autem primo phantasiatur, ergo primo intelligitur. Prima propositio est manifesta ex eo quod intelligere nostrum dependet a phantasmatibus; brevior patet quia phantasia est sin- gularis. Item sic se habet singulare incomplexum, sed singulare complexum prius cogno- scitur quam universale complexum. Ergo et ita est de incomplexo. Anterior patet ex convenienti similitudine; brevior probatur, quia sic cognosco quod reubarbarum (sic) pur- gat coleram (sic) sicut dicitur in secundo Posteriorum in fine, et est primo Posteriorum, in capite de ignorantia, quod deficiente sensu deficit scientia illius sensibilis quod habetur per sensum illum. Item est tertia ratio quod uti non cognoscitur nisi abstrahendo a par- ticularibus, sed abstractio non fit nisi a noto, ergo singulare prius fuit cognitum ab intellectu. Tertia consideratio (est) quod uti non cognoscitur nisi ex comprehensione mul- torum singularium, et ex similitudine reperta in singulari causatur universale, sicut accipiendo Socratem et Platonem, ita maxima eorum similitudine, causant conceptum specificum; et videndo hominem et asinum ambos habere virtutem sensitivam, causatur (') Scilicel singulare et universale. — 501 — alius conceptus, ut puta genericus, quia non habet tantam similitudinem quanta est in Socrate et Platone. Non ergo universale primo et simpliciter fit, sed ex collatione mul- torum individuorum, et pro hoc est auctoritas Alexandri hic, et in Paraphrasi et in capite vigesimosecundo, ubi videtur hoc aperte dicere: dico enim quod cum sensus cognoverit hoc vel hoc album, statim intellectus ex his sensuum intentionibus album cognoscit. Quid clarius? idem videtur dicere Themistius in primo huius, capite quarto, commento quarto; et Averroes, in duodecimo Metaphysicorum commento quarto, dicit quod universalia apud Aristotelem sunt collecta ex particularibus in intellectu, qui accipit inter ea similitudinem et facit ea unum in actu. Haec ipse. Quid ergo clarius quam dicere particularia sunt in intellectu? Dicunt ergo quod particulariter ab intellectu cognoscitur, et ratio est quod nulla alia res videtur posse causare universale, et ista fuit opinio Buridani in primo Physicorum, Gregorii Ariminiensis in primo Sententiarum, distinctione tertia, quaest. prima, art. primo, quod scilicet cognoscatur singulare ab intellectu per propriam speciem; istam tamen speciem habet a sensu, non enim potest intelligere singulare nisi prius id senserit sensus, et quod conceptus communis sit posterior conceptu particularium. Altera opinio est quae huic ex toto opponitur quam imitantur Albertus, Thomas, Scotus, quae et ipsa stat in tribus considerationibus; prima, quod singulare non cogno- scitur ab intellectu per propriam speciem; prima ratio, quia receptum nou recipitur secundum naturam recepti, sed secundum naturam recipientis; cum ergo intellectus habeat recipere ipsum, non recipit secundum naturam sirgularis, scilicet singulariter, sed secundum naturam intellectus, id est universaliter. Item nos diximus superius quod intellectus in hoc differt a sensu, quia intellectus universaliter, sensus singulariter recipit. Ergo illud quodin intellectu recipitur non singulariter recipitur, sed sub conceptu universali recipitur. Item non esset necessitas ponendi intelleetum agentem; quod probatur, quia intellectus agens non ponitur nisi ratione universalis quod ab intellectu debeatrecipi. Et ista est opinio Averrois, in commento decimo octavo, in fine. Si autem singulare recipiatur in intellectu, ad quid esset ponendus intellectus agens? Item arguunt moderni argumento quod reputant Achillem. Si intellectus haberet concepts singulares ipsorum singularium, sciret ponere differentiam inter duo individua eiusdem speciei, et cognoscere differentiam quae est inter talia individua : hoc autem est falsum de duobus repraesentatis, quorum unum sit repraesentatum in una hora, aliud in alia. Verbigratia pono hic unum ovum. Vel habeo proprium conceptum huius vel non. Si non, habeo intentum; si sic, nolo quod aliud ponatur: tu credis illud esse idem ovum, ergo non scias ponere differentiam.Secunda consideratio (est) quod intellectus non intelli- git primo singulare, quod declaratur quia intelligit reflexe, ergo non directe. Consequentia probatur quia linea recta non est reflexa; assumptum patet hic in textu commenti decimi. Item quod per accidens intelligitur non primo intelligitur; singulare per accidens in- telligitur, ergo; assumptum patet quia per se non sunt idem numero, (brevior?) pro- batur per famosam propositionem, quae dicit universale per se, singulare per accidens intellisitur ab intellectu. Item quod est primum obiectum prius intelligitur, universale est primum obiectum intellectus, ergo prius cognoscitur ab intellectu. Anterior est clara; brevior probatur quia, ut communis est sententia, intellectus est universalium, sensus vero particularium. Ch. 158 recto Ch. 153 verso Ch. 154 recto — 502 — Tertia consideratio est quam isti in sua tertia consideratione sibi condicunt, quia singulare prius intelligitur, et universale non intelligitur nisi per comprehensionem multorum singularium, et collectio singularium non est nisi universale. Ergo univer- sale cognoscitur ante universale quod est inconveniens; restat ergo dicere quod uni- versale per speciem universalis primo cognoscitur, et singulare secundario cognoscitur; nec oportet habere conceptus praedictos primo, quoad hoc quod universale intelligatur; sed tunc ego quaeram si particulariter non cognoscitur ab intellectu per speciem pro- priam, quomodo fiat intellectio singularium? Dicitur quod species decisa ab obiecto, secundario repraesentat, vel per se primo; et quia est imago decisa a phantasmate, repraesentat etiam singulare, licet non primo, sed reflexe; de qua reflexione di- ctum est in commento decimo. Utraque horum partium potest teneri, et Deus de hoc scit veritatem, ego autem nescio; dico tamen quod prima opinio mihi ma- magis placet. Quia tamen sua argumenta non concludunt ad illa respondebimus. Ad primum, quod intellectus ponat distinctionem inter universale et particulare, hoc argu- mentum non est facile; dico tamen quod ponit differentiam inter ea, non per speciem particularem distinctam a specie universalis, quia non potest haberi speciem singu- laris. Sed dices unde est quod ponit differentiam (ad) intelligere ea? Dico quod in prima operatione quando directe intelligit universale, tantum universale cognoscit. Sic in secunda quando revertitur ad phantasmata, ponit differentiam inter universale et par- ticulare, sed haec responsio non multum valet; quia si non est diversitas specierum, ergo nec intellectionum, cum duae intellectiones non proveniant ab eadem specie; quare si non habebit speciem singularis non poterit inter ea differentiam ponere; cum tamen unum cognoscat, scilicet universale, quia eius solius habet speciem. Ad secundum, quod species universalis causat confusam cognitionem particularium, dicitur quod species universalis, quantum est de natura sua, non causat distincte cognitionem paticularium; per accidens autem, in quantum causatur ab hoc vel ab hoc particulari determinato, ducit in cognitionem alicuius particularis et non alterius, et ita per accidens causat distinctam cognitionem particularium. i Ad argumenta facta pro secunda consideratione, ad probandum: quod primo phan- tasiatur primo intelligitur, negatur assumptum, et ratio quia nos phantasiamur parti- cularia tantum et particulariter, intellectus autem tantum universale et universaliter intelligit. Ad secundum sicut se habet complexum ad complexum ete., dicitur primo concedendo assumptum; ad anteriorem, dico quod non semper necesse est ad hoc quod intelligam universale complexum, ut prius intellexerim particulare complexum; quia possem habere conceptam' universalem complexum non habendo singularem. Quod autem dicitur de Aristotele, dico quod illud est verum in principiis quae habent ortum a sensu, non de principiis sicut accidit in geometria, ubi aliquando habemus conceptum universalem alicuius considerationis, absque hoc quod habeamus conceptum singularem suorum singularium. Et in libro De historia animalium Aristo- teles docet nos de moribus aliquorum animalium, tune de his animalibus habemus conceptum communem, numquam tamen habemus conceptus particulares istorum ani- malium. Aliter potest dici negando assumptum et similitudinem illam, et ratio est quia quando comprehenditur universale incomplexum repraesentatur natura communis, sed comprehendendo universale complexum repraesentatur suppositum ratione de — 503 — limitatione «omnis»; quod sì adiungitur, licet stet primo pro natura in communi, ut dicen- do omne reubarbarum purgat coleram, ratione de limitatione «omnis», repraesentatur suppositum; licet enim stet pro natura in communi, inter tamen naturalia habet exerceri in suis suppositis, et ita non valet similitudo. Ad aliud: universale abstrahitur, et ista abstractio non fit ab ignoto: dico quod est aequivocatio de abstractione ; non enim abstrahitur eo modo quo argumentum concludit, ut quando notum a noto abstra- hitur. Sed est abstractio ad hunc sensum, quia singulare quod est in potentia intel- lectus fit actu intellectus. Ad illud quod dicitur in tertia consideratione, scilicet istam esse sententiam Alexandri, Themistii et Averrois, dico quod suae (tuae?) auctoritates non sunt verae pro universali quod est prima intentio, sed pro universali quod est secunda intentio. Homo enim et animal possunt haberi sine collatione multorum singularium, si pro prima intentione capiantur; si autem sumantur pro secunda, ut sunt genus et species, hoc non potest esse sine illa particularium collatione ab intellectu facta; quum genus et species habent de multis praedicari, quod non potest esse sine illa colla- tione; sed ista responsio non est ad intentionem Alexandri, quia Alexander ibi dicit de albo et albo, et ita non valet; nec videtur esse illa mens Averrois quia arguit contra Platonem:; non est autem necessarium quod Plato voluerit alias intentiones esse a materia separatas qualiter ponebat ideas. Si non volumus tenere quod intellectus intelligat singulare sicut mihi videtur esse tenendum, possumus ad argumenta contra hoc facta dicere. Ad primum, quod recipiens recipit secundum naturam suam, possumus dicere: quod intellectus, secundum scilicet quod sit abstractus, et quod sit forma materiae etultima intelligentiarum: quoad primum habemus quod tantum universalia intelligat; quo vero ad secundum quia est forma materiae, et quia est naturae ancipitis inter abstracta et non abstracta, cum medium participet naturam extremorum, habemus quod singularia possit intelligere, quia a materia, saltem quoad operari, dependet. Ad secundum quod est ista differentia inter sensum et intellectum, dico quod est differentia inter sensum et intellectum quia sensus non recipit nisi singulare, intellectus vero universale et singulare, sed intelligit universale pro quanto est abstractus a materia, singulare vero in quantum a materia dependet in operari. Ad tertium quod tolleretur neces- sitas intellectus agentis: dicit Bur. ( Buridanus?) in primo Physicorum quod ideo ponitur intellectus agens, quia materiale non potest agere in immateriale. Sed ista responsio non est ad mentem Averrois in commento decimo octavo, ubi ponit intelle- ctum agentem solum per utilitatem faciendam. Ideo dico aliter, negando consequen- tiam, quod si solum singulare intelligeret non esset necesse ponere ipsum; sed quia ultra hoc et universale cognoscit, et hoc est magis proprium ei quam singulare in- telligere, ideo ponitur intellectus agens; quod si diceres a quo habet cognitionem singularis, dico quod habet a sensu. Fit enim transitus de ordine in ordinem, a sensu ad intellectum. Ad quartum de duobus ovis, dico quod si hoc argumentum conclu- deret, etiam de sensu concluderet, quia non cognosceret sensus singulare, quia virtus cognitiva nescit ponere differentiam inter ea, et tamen species potuerunt in memoria conservari, et ideo ad praesens aliter non dico. Ad argumenta facta contra secundam considerationem; ad primum, dico quod singulare intelligitur reflexe. Buridanus, pri- mo Physicorum, dicit de reflexione quam dicit Averroes in commento decimo; sed quia illa expositio non est ad mentem Aristotelis, ideo aliter dicimus quod illa reflexio non Ch. 154 verso Ch. 155 recto Ch. 155 verso Ch. 172 verso — 504 — est sicuti imaginati sunt nostri Latini; sed cognoscit singulare reflexe, quia sicut linea reflexa est gemina, ita est cognitio singularis quia est per sensum et intellectum. Ad secundum, quod per accidens intelligitur: dico quod aliquando accidit universali quod non est accidens in particulari, ut visibile accidit in animali et non homini; ita in proposito quod intellectus intelligat singulare, hoc accidit intellectui ut humanus est, non tamen accidit ei ut intellectus est, quia ut bumanus potest intelligere singularia, non ut intellectus est;nam duodecimo Metaphysicorum intellectus, ut intellectus est et abstra- ctus, non intelligit (singulare). Ad tertium ..... dico quod universale est obiectum intellectus per exclusionem, nt dicit Gregorius, quia intellectus pro universali differt a sensu; potest enim intellectus apprehendere universale quod non potest sensus, quia circa particularia versatur, sicut est in sensu communi, qui colores, sonos et omnia sensualia cognoscit, quae a sensibus particularibus cognoscuntur; et ultra hoc (sensus communis) cognoscit operationem sensuum exteriorum, et tamen non distinguitur sensus communis a particulari per hoc quod talia sensibilia cognoscat, sed quia operationes sensuum exteriorum cognoscit, ideo distinguitur. Ad quartum: quod ante universale cognosceret universale, dico quod ista particularia quamvis habeant causare conceptum communem non sunt universale nisi in materiali, sicut sensus cognoscit duo alba quae possunt causare conceptum communenm, et tamen non sequitur quod sensus cognoscat univer- sale; ita ista singularia, quamvis possint causare conceptum communem et universalem, non tamen sequitur quod sit universale in actu, et ita non cognoscitur universale ante universale. O 0° 0 0 00 e) è Le. Venezie Ce) le ls, e: lo ‘er ie) Lila, ca. “e l'a, cel ‘ei ai e 1.0 e) 18' SS) (0006 AP RIÈNA RS OSIO Utrum intellectio et species intelligibilis sint idem realiler. Quaeritur ulterius utrum iutellectus et species intelligibiles sint idem realiter; posset enim aliquis ex praedictis habere quod non sint idem realiter, quum intellectus agens (ut dictum est) est etiam causa speciei intelligibilis, non autem intellectionis. De hoc nulli est dubium quod differant ratione, quum species repraesentet tantum ipsum obiectum non autem intellectio. In hac materia est una opinio quae tenet quod non distinguantur realiter, quia vel intellectio adderet aliquid absolutum vel respectivum ipsi speciei; sed nullum horum addit intellectio ipsi speciei, ergo non differunt rea- liter. Anterior patet: brevior probatur pro prima parte, quia si intellectio adderet ali- quid absolutum, per speciem non acquireretur nova intellectio nisi aliquid absolutum de novo acquireretur. Modo non est fingere tale absolutum quod intellectio superaddat ipsi speciei. Item non videtur quod intellectio sit aliquid absolutum, quia illud non est absolutum cuius esse est ad aliud se habere. Intellectio est talis, ergo; anterior patet ex praedicamento relationis: illud enim dicitur esse ad alterum cuius esse est ad alte- rum se habere; brevior patet quia intellectio. ut intellectio, est alicuius intellectio. Item pulchrum esset videre (quod) si intellectio est quid absolutum, non erit aliud nisi species intelligibilis perfectior; modo quaeritur an sint eiusdem rationis istae species an non. Si sic, tune plura accidentia, solo numero differentia, erunt in eodem, quod est contra Aristotelem quinto Metaphysicorum, ubi dicit quod quaecumque sunt in eodem subie- cto numero, differunt specie. Item tantum una harum specierum esset necessaria, alia superflua. Nam (aut?) nihil facit superflua. Quod si dicas istas species esse diversarum iso rationum, primo non est videre penes quod distinguantur, cum sint eiusdem substan- tiae et obiecti, sicut intellectio asini et species asini. Item in vanum esset unum isto- . rum, vel species vel intellectio, quum species est illa per quam res cognoscitur, et intellectio est etiam per quam res intelligitur. Probatum est ergo quod intellectio non addat aliquid absolutum super ipsam speciem. Quod etiam non addat aliquid relativam probatur, quia si adderet aliquid relativam tunc intellectio esset de praedicamento relationis quod est falsum, quia intellectio est de praedicamento actionis vel passionis; cum antem praedicamenta sintimpermixta,intellectio non poterit esse de praedicamento ad aliquid. Item arguitur secundo, et est argumentum Scoti in decimatertia quacstione, nono libro, quod illud in quo consistit fecilitas et perfe- ctissima operatio hominis non est relativum, sed in intellectione consistit fecilitas, ergo. Anterior probatur quia intellectio dicit aliquid quod perficit hominem; relativam autem, ut tale est, nullam perfectionem includit; brevior patet ex primo et tertio. Et hic ubi vult Aristoteles quod felicitas consistat in actu intellectionis, idem etiam vult Aver- roes in prologo Physicorum, et ita cum intellectio non addat aliquid absolutum aut relativum ad ipsam speciem, non erit ab ipsa specie differens. In oppositum, et pro Ch.173 recto altera parte, arguitur quod illa non sunt eadem realiter quorum, uno non existente, alterum remanet. Sed species et intellectio tali modo se habent inter se quod unum remanet altero non existente, ergo. Anterior patet quia illa quae sunt eadem generatione generantur et corrumpuntur. Brevior patet quia dormiens non habet in- tellectiones et tamen habet speciem; aliter enim sì species non remaneret in intellectu hominis (docti?) non esset rammemoratio, quod est contra Aristotelem primo Poste- ricrum. Item illa non sunt eadem quorum unum ab altero efficitur, sed species et intellectio hoc modo se habent, ergo. Anterior patet quia nihil potest se speciem ef- ficere, brevior patet quod, ut dictum est, ex specie creatur intellectum, et est dictum Angelici quod ex specie et potentia fit cognitio rei. Item quia ita se habet intellectus ad intelligibile sicut sensus ad sensibile, quia utraque cognitio terminatur ad obiectum proprium, modo possum intelligere existentia et non exi- stentia, nec possibilia existere. Tunc quaero ad quod terminatur ista intellectio non-entis; non ad obiectum quia obiectum non est nec potest esse; non ad phan- tasmata cum sint singularia, ergo ad speciem intelligibilem: quare necessario dabitur species intelligibilis, ad quam cum terminetur intellectio, erit ab ea distineta sicut species sensibilis est distincta a sensatione. In hac quaestione sicut et in aliis sunt diversi modi dicendi. Avicenna tenuit quod species intelligibilis et intellectio sint penitus idem, et quod cessante intellectione cesset species intelligibilis, quum ipse non potuit videre qualiter sit in virtute comprehensiva et non sit cognitio rei. . . . . 48 Hanc opinionem quasi omnes Latini impugnant. : . ......-. 0046440 0 IO URLO NO PONI RO RA E IR A ARS Rca Cha l7oxverso MR. . . + + Ideo cmnes fere Latini posuerunt species et intel- lectiones non distingui realiter; sed dubium est, si differunt, quid superaddat intellectio speciei. De hoc sunt multae opiniones: prima est quae est usitata quam tenuit Scotus in 13? quaestione Quolibeti, ‘et Gregorius Ariminiensis, secundo Sententiarum, distin- ctione septima, quaestione secunda, articulo primo. Tenent isti quod intellectio formata PARTE TERZA — Von. III,° — SERIE 2.° 64 Ch. 174 recto Ch. 174 verso — 506 — non dicat relationem. Connotat tamen relationem et relativum ad obiectum: et hoc propter secundum argumentum, et hoc tenet Thomas. Utrum vero connotet duos re- spectus, vel unum tantum non est praesentis loci, similiter et utrum sint relativa secundum dici et non secundum esse, ut aliqui voluerunt. Tenet tamen Scotus quod species et intellectio non sit una et eadem res formaliter, sed tenet quod species sit imperfectior intellectione, ita quod intellectio sit altera species multo clarior et lu- cidior ipsa specie prima. Et dicitur an sint eiusdem rationis, an diversae. Dicunt quod non sint eiusdem rationis formalis, quia intellectio est essentialiter perfectior specie; et hoc dicunt esse quia natura procedit de minus perfecto ad magis perfectum, et ita procedit de specie ad intellectionem; et si dicatur quod est necessitas ponendi spe- cies intelligibiles, dicunt cum (quod?) intellectio terminatur ad speciem sicut supra dixi- mus. Ulterius cum dicitur unde causatur illa diversitas speciei ab intellectione, dicunt provenire hoc ex agente et passo melius disposito, et etiam quia in puro intellectu recipitur species, intellectio vero recipitur in intellectu specie informato. Tune ad ra- tiones in oppositum dicitur: ad primam cum vel addit aliquid absolutum vel rela- tivum, dicitur quod intellectio in se est absolutum; dico tamen, et constat, relativam. Ad aliam: cum dicitur quoad istud absolutum superadditum speciei, dico quod est ipsa intellectio. Ad aliam: cum dicitur an sit eiusdem rationis, dico quod non, imo intel- tectio est essentialiter perfectior specie. Ad alterum cum dicitur unde causatur ista diversitas, hoc quod causatur ab agente et melius disposito. Ad aliam: cum dicitur in vanum poneretur una istorum, dicitur quod non, quia species sola non potest fa- cere istud quod facit intellectio quum species sit (imperfectior) intellectione et ista opinio communiter tenetur. Altera est opinio quae tenet quod species et intellectio sunt idem realiter, et quod differunt ut magis perfectum et minus perfectum. Species enim est quaedam in- tellectio imperfecta, et ita videtur esse quaedam additio non in alteram speciem sed in unum ab alio esse, et ita videtur dicere semper Thomas, non assevero hane esse sententiam Thomae, et dicitur species pro quanto repraesentat obiectum ad extra, di- citur vero intellectio pro quanto per cam obiectum ad intra intelligitur. Differt autem haec opinio a prima, quum prima non ponit speciem esse eadem qualitate cum intel- lectione. Ista vero ponit esse eadem qualitate cum specie et tunc faciliter potest (re- sponderi) ad argumenta in oppositum facta. Utrum in rebus sit veritas et falsitas vel in solo intellectu. Circa textum 37 sunt aliquae difficultates, et primo utrum in rebus sit veritas et falsitas, an in solo intellectu. Et arguitur quod in rebus, quia communiter dicitur aurum est verum vel falsum, et in duodecimo Metaphysicorum, textu commenti quarti, dicitur quod unumquodque, sicut se habet in veritate, ita se habet in entitate, unde primum ens est maxime verum. Quod etiam apparet ex theologia nostra. Dixit enim Christus: Ego sum via, veritas et vita. Et probatur etiam hoc ratione, quia ens et verum convertuntur. Ens autem attribuitur rei, ergo et veritas rei attribuitur. Item verum est obiectum intellectus, sed quod est obiectum intellectus non est in intellectu, ergo verum non erit in intellectu. Anterior patet quia dicitur communiter quod intel- lectus fertur in verum sicut appetitus in bonum. Brevior patet quia obiectum praesupponit — 507 — potentiam. Item propter quod unumquodque tale, et illud magis (est?); sed oratio est vera propter esse ad extra, ergo res est magis vera. Prima nota (est): brevior patet ex primo Physicorum, ubi dicitur quod ex eo quod res est vel non est, oratio dicitur vera vel falsa. In oppositum est Aristoteles hic in textu commenti 27! et 22! et in primo Physicorum, ubi dicit quod in compositione et divisione tantum consistit veritas et falsitas, et in 6.° Metaphysicorum, textu ultimo, dicit quod bonum et malum sunt tantum in rebus, verum et falsum intellectu. Omissis quae dicit Joannes quia nescit quod dicat, explicabo quod dicit Tho- mas in prima parte quaest. decimaeseptimae, et in fine libri Metaphysicorum, et in primo Perihermenias. Pro soluiione accipio primo quid nominis istius termini: veritas. Dico quod ita se habet de veritate sicut de sanitate: ut enim sanitas consistit in adaequatione humo- rum in ordine ad ipsum animal, ita veritas est quaedam adaequatio vel commensuratio rei ad intellectum, vel intellectus ad res; ex quo patet veritatem intelligi non posse sine in- tellectu, etideo in sexto Metaphysicorum, textu commenti ultimi, dicit Aristoteles verita- tes tantum esse in intellectu, bonum et malum in re. Quia autem veritas sit analogum quoddam definita (sic) est definitione. Vos dicetis in quo consistit veritas illa quae con- sistit in adaequatione rei ad intellectum et intellectus ad rem? Dico quod si res com- paratur ad intellectum practicum, talis est vera pro quanto comparatur ad talem in- tellectum, et sic omnia sunt vera pro quanto comparantur ad intellectum divinum : ex quanto enim omnis res est effectus Dei, vel in genere causae efficentis, vel finalis, omnia habebunt ideam suam in mente divina, et res, secundum quod habent simili- tudinem ideae suae, sunt verae, et quanto magis assimilabuntur suae ideae, tanto magis erunt verae. Unde dicimus aurum esse verum pro quanto fert veram similitudinem suae ideae, scilicet auri qui est in mente divina. Res ergo dicitur vera pro quanto comparatur ad intellectum a quo dependet, et hoc non est tantum platozinare, sed est acceptum ex duodecimo Metaphysicorum, textu commenti decimioctavi, ubi Averroes aperte ponit omnia esse in Deo sicut in Artifice superiori. Non enim est peripateticum dicere Deum non hahere scientiam istorum inferiorum. Si autem quaeratur: Tu dicis quod res est vera pro quanto comparatur (cum) intellectu practico et factivo habente formas rerum omnium; ego quaero utrum iste intellectus sit verus an non. — Ego credo quod sic, propter intellectum speculativum; intellectus enim practicus praesupponit speculativum, nam prius concipitur domus quam fiat. Unde infra dicit Aristotelcs, intellectus speculativus extensione fit practicus. Idem quoque dicitur sexto Ethicae, et ideo si artifex facit domum secundum imaginationem apprehensam, di- citur vera domus; si non, falsa. Intellectus vero practicus erit verus in ordine ad speculativum. Dictum est igitur qualiter sit veritas in adaequatione rei ad intellectum; dicendum est modo qualiter in aliquo veritas consistat in adaequatione intellectus ad rem. Dico quod illud verificatur maxime quoad nos. Nostrae enim intellectiones sunt verae quando conformantur rei ad extra. Itaque ita sit ex parte rei, sicut per intel- lectum sequitur, et hoc modo intellectus speculativus se habet ad practicum, et talis relatio est mensurati ad mensuram; nam in prima veritate res est mensurata, intel- lectus mensura, in secunda vero res est mensura, intellectus autem mensuratum. No- tamus tamen hic quod scilicet res non absolute dicantur verae aut falsae in ordine ad nostrum intellectum: aliter enim una et eadem res esset vera et falsa, quum unus Ch. 175 recto Ch.175 verso Ch. 187 verso — 508 — homo opinatur uno modo et alius alio modo, quae opinio improbatur quarto Meta- physicorum textu commenti deciminoni; tamen quoquomodo dicmutur verae in ordine ad nos, non quia intellectus realiter habet mensurare talem rem, sed quia talis res est apta facere talem scientiam de se in nostro intellectu; sed res absolute dicuntur verae in ordine ad intellectum divinam qui maxime verus est, et sic patet definitio veri- tatis, qualiter est adaequatio rei ad intellectum et intellectus ad ipsam rem. Si autem quaeratur utrum Deus sit verus, dico quod in Deo omnibus modis est veritas, sicut dicit hic Themistius de agente quod est verus, non quoad alia, sed quoad se tantum qui verus est intellectus. Quanto magis ergo Deus hoc modo unus erit et maxime verus, quum ex se ipso verus est, et non ex alio extrinseco sicut nostra veritas! Est etiam verus omnibus modis, quum in Deo est adaequatio rei ad intellectum et intellectus ad rem; tanta enim est sua essentia quanta est sua intellectio, et tanta est sua intellectio quanta est sua essentia, nec aliquo modo de se ipso potest facere aliquam deceptio- nem. Ad quaestionem ergo possumus dicere quod veritas semper habet ordinem ad intellectum. Ponimus tamen aliquam veritatem in intellectu, quoad scilicet ad intelle- ctum speculativum cuius veritas mensuratur a re. Ponimus etiam aliquam veritatem in re, scilicet quoad intellestum practicum qui mensurat veritatem in re essentialiter. In Deo autem est mensura et mensuratum, non quidem realiter distincta, sed secun- dum nostrum modum intelligendi. Si quis ergo dicat veritatem esse inter intellectum et verum, dicit quum (quod?) in intellectu non intelligitur veritas; sicut autem in subiecto, veritas potest esse in re. Ad rationes responsio patet. Ad primam, dico quod aurum est verum et eius veritas consistit in adaequatione rei ad intellectum, non quidem nostrum sed divinum. Est enim verum quia imitatur veram ideam auri qui est in mente divina, et non ponimus veritatem consistere in ordine ad intellectum nostrum, aliter enim sequentur inconvenientia quae adducit Ari- stoteles, quarto Metaphysicorum contra antiquos putantes omnia, quae videbantur nobis, esse vera. Ad alias quoque patet solutio; veritas enim, ut dictum est, aliquo modo est in re, et de deo iam dictum est quod in eo est veritas. DIRORCORCORCO RO RO O ORC CO EOLO ROMEO LO MORO IO ORION OMRON TO O CECO ER ee Utrum substantia materialis intelligatur per propriam speciem. Quaeritur hic, propter dicta Averrois, utrum substantia materialis intelligatur per propriam speciem. Joannes movet hanc quaestionem supra, sed iste locus videtur mihi convenientior de substantiis immaterialibus. Clarum est quod non intelligatur per spe- ciem propriam, sed ex discursu, et arguitur quod sic, primo ex dictis hic, ubi dicitur quod lapis non est in anima sed species lapidis; item in textu commenti decimiquarti ubi dicit quod est in potentia ad omnes formas. Confirmatur, quum Averroes volens probare intellectum possibilem esse immaterialem*,fundatur super hoc quod, quia est receptivus omnium formarum, et omne recipiens debet esse denudatum a natura recepti, quare non habebit aliquam materialem. Supponit ergo Averroes quod intellectus reci- piat omnes formas, quod non est intelligendum secundum esse materialem. In oppositum arguitur: illud non intelligo per propriam speciem quod non habet proprium phantasma, sed substantia non habet proprium phantasma ergo ete. Anterior videtur esse nota, et brevior probatur quia, cum phantasma sit motus factus a sensu — 509 — secundum actum, cum sensus exteriores non possint c,gnoscere substantiam, quia sensus non se profundat usque ad subiectum rei, nec etiam phantasia poterit substantiam cognoscere. In hac quaestione sunt nonnullae opiniones Joannis cum quo sunt omnes fere Aver- roistae; putant substantiam intelligi per propriam speciem, et confirmatur hoc ex dicto Averrois, secundo huius, textu commenti 163', ubi dicit quod cogitativa recipit intentiones omnium decem praedicamentorum; quod si cogitativa potest hoc facere quanto magis in- tellectus! Quomodo autem phantasia cognoscat substantiam et non sensus exteriores, de hoc sunt diversac opiniones. Aliqui dicunt quod sensibile producit speciem suam_ et cum sua specie est immixta species substantiae, et primo producit eam in sensu exte- riori, deinde in communi, demum in phantasia, et dicunt quod species substantiae, licet sit in sensu particulari ant communi, ipse tamen non cognoscit eam, sed sola phan- tasia inter omnes virtutes eam cognoscit. Sed dices: unde est quod species substantiae cognoscitur a phantasia, et non a sensibus intermediis inter eam et sensibile? Dico quod agens non agit nisi in passo bene disposito, et quia alii sensus sunt multum materiales et imperfecti, ideo species substantiae nonest apta nata producere sui notitiam in sensibus aliis a phantasia; quia vero ista est multum spiritualis et perfecta, ideo potest speciem substantiae cognoscere. Alii vero sunt dicentes speciem substantiae non esse in sensu proprio aut communi tamen esse in phantasia. Et si dicatur: unde est quod non est in intermediis sicut in phantasia, dicunt quod simile est de hoc sicut de existimativa in ove quae infert spe- ciem insensatam ex sensata. Ovis enim videndo torvitatem et audiendo vocem in lupo, ex istis specichus sensatis elicitis, infert speciem inimicitiae quae est insensata; quia istud videtur dicere Averroes in De sensu et sensato, ubi dicit quod sensus exterio- res cognoscunt (per) corticem, interiorem medullam; pariformiter isti dicunt quod ex sen- sibus exterioribus creatur species substantiae in phantasia. Isti ergo tenent substantiam cognosci per propriam speciem a phantasia, sive modo sit secundum primam opinionem, sive secundum secundam, et tenent uniuscuiusque substantiae materialis esse proprium phantasma. De cogitativa non loquor nunc, quia de ea inferius erit sermo. Iste modus deinde improbatur a quibusdam posterioribus, pluribus rationibus. Sed ego adduco tantum argumentum Scoti quod est tale: data hac positione, tunc quilibet infidelis esset christianus; probo, et suppono quod illud, quod per propriam speciem cognoscitur, in sui praesentia creat notitiam, et eius absentia non creat cognitionem; sed quia lex (?) per propriam speciem cognoscitur, ideo in sui praesentia creat eius cognitionem, et ex sui absentia non movet virtutem. Sit modo ita quod sit unus sacerdos qui consecret unam Eucharestiam, tune infidelis, antequam sacerdos consecraverit eam, cum per se panis cognoscatur per propriam speciem, species panis potuit movere sensum infidelis quia potuit videre et cognoscere illum esse panem. Deinde vero, quum copsecrata est, am- plius non est substantia panis, et si prius videbat ibi esse panem et nunc non videat, cum non sit talis substantia, pro certo cognoscet quod, ubi prius fuit panis, nunc non; quare efficeretur christianus hoc cognoscendo, et sicut ipse tenet (?) quod nulla substantia cognoscatur per propriam speciem, sicut et Deus cognoscitur a nobis ut ex discursu, scilicet ex eo quod (est) ut aliquid quod est primum movens, et quia non est procedere in infinitum in causis efficientibus essentialiter ordinatis. Sed istud argumentum non Ch. 188 recto Ch. 188 verso Ch. 189 recto Ch, 189 verso — 510 — videtur valere, quia dato hoc modo loquendi tune nec homo aut brutum deciperentur aut raro. Cuius experientia est in oppositum; contrarium probatur, et ponemus exemplum de quodam pictore, qui ita pingebat uvam ut aves credentes eam esse veram ad illam accipiendam volabant (sic); tunc ista avis quae movebatur ad uvam decipiebatur, et tamen ibi non erat vera uva, ergo aliquid quod sentitur per propriam speciem, quam- vis sit absens, potest creare sui cognitionem cuius oppositum dixit Scotus. Sed contra quis diceret non esse similem, quum uva non cognoscitur ab ave per propriam speciem, sed tantum avis cognoscebat accidentia, panis autem cognoscebatur per propriam spe- ciem; contra sequitur quod aliquid cognoscatur per propriam speciem, et tamen in eius cognitione sit deceptio; quia si sit aliquid album quod videatur esse lac ex colore modo substantiae, et similibus, non tamen sit lac, tune movebor ad tale obiectum ra- tione dulcedinis; ergo per propriam speciem cognoscitur, et tamen decipior, quia si tale obiectum gustetur non est dulce; ergo non sequitur ut non decipiamur circa illud quod per propriam speciem cognoscitur. Sed dices ad hoc quod illa deceptio non pro- venit merito sensus exterioris qui habet indicare talem dulcedinem, sed provenit error merito phantasmatis qui non habet indicare de istis sensibilibus propriis; quia enim aliqua phantasia videt albedinem coniunetam dulcedini, cum tali modo substantiae, ideo nunc quoque putat quod in tali subiecto sit dulcedo, sed hoc est mutare argumentum. Ideo et ego do aliam responsionem, et dico quod proprium est phantasiae recipere spe- ciem substantiae, dummodo ipsa sit bene disposita, et recipiat accidentia propria istius substantiae. V. gr. si volo cognoscere endiviam (sic), non oportet tantum cognoscere eam per sensum, sed oportet multa sensibilia congregare ad invicem, ut quod sit telis odoris, saporis, coloris, numeri, substantiae, operationis et similia; et ista videtur esse expressa mens Philosophi primo huius, textu commenti undecimi, quando dicit quod quando cogno- verimus multa accidentia propria, tunc de substantia habebimus aliquid ultimae dif- ferentiae; et ita tuum argumentum non valet, quia infidelis, quando Eucharistia non erat consecrata, non cognoscebat substantiam panis, quum non habebat accidentia propria ipsius panis. Si enim ea cognovisset, etiam panem cognovisset, cum accidentia propria sint inseparabilia a suo subiecto; sed hoc videtur mirabile quia videtur quod infidelis cognoscat tam propria quam communia accidentia panis. Sed dices talia acci- dentia esse communia et non propria, quum ista accidentia possunt separari a pane, propria vero non possunt; quae si cognoscerentur ab eo, etiam panis cognosceretur. Sed breviter isti tandem necessario confitentur quod substantia cognoscitur per discursum ex collatione piurium accidentium ad invicem, propriorum scilicet et communium. i Altera responsio ad argumentum Scoti posset esse: pro quo sciendum quod ali- quae propositiones reputantur verae et necessariae, interius tamen speculatae apparent falsae, quamvis ab aliquibus accipiantur quam maxime, inter quos Scotus, et ita illa propositio quam assumit tamquam concessam non est semper vera: quando enim dicit: si est aliquid quod habet propriam speciem, in eius praesentia movet virtutem, non autem in sui absentia, ista propositio est vera et habet veritatem in sensu exteriori, et ratio est quia immediate movetur a re et ad extra. Sed in intellectu aut in sensu interiori non est vera qualiter propositio debet accipi in proposito, nam sensus interior cogno- SCI SUDSCAIUI ATE CRIMINI CEI — 51 Sustinendo tamen opinionem Scoti quia contra eum non est demonstratio, ad ea quae sunt in oppositum potest dici: cum dicitur lapis non est in anima et intellectus est in potentia ad omnes formas, dico quod, etsi talis non habeat propriam speciem, habet tamen proprium conceptum qui quoquo modo reputat talem rem, quo conce- piu intellectus devenit in notitiam ejus. Sicut Deus non potest cognosci a nobis (') et ita dicatur quod lapis est in anima per proprium conceptum, similiter et intelle- ctus possibilis est omnia fieri per hunc modum; dico tamen unum quod Averroes vi- detur esse in oppositum huius, quia dicit (?) in secundo huius, quod accidit sensui, ut humanus est, cognoscere substantiam, licet dictum illud possit extorqueri, sed eius sententiam veram esse ita concedit eiiam Scotus, quod sensus aliquo modo et invo- lute cum ipsis sensibilibus vognoscit substantiam. Cognoscendo enim aliquid aggre- gatum ex multis accidentibus, et ipsam substantiam cognoscit, sicut sunt rustici qui cognoscunt lactucam et alias herbas ex aggregatione multorum accidentium simul. Forte quod isti possent simul conciliari, sed de hoc vide quae dicta sunt, secundo huius, con- tra expositionem textus commenti sexagesimitertii. SEN eee Neri re re) iollu'o to A0, e] ele. lei ‘arie: (01, ie! L'spllie) “(eten e, Ce. lele. “ellé: cen ie. de. lei ‘e. \anl'e ca DISARMO ROSE ROSSO Utrum substantia producat speciem substantiae în phantasia, an aliud. Altera est dubitatio, si species substantiae sit in phantasia, quid est illud quod producit eam ibi? non substantia quia substantia iramediate non agit, ignis enim non agit in quantum ignis, sed in quantum calidus ex libro De sensu et sensato; si accidens, quomodo accidens potest producere speciem substantiae, cum nihil agat ultra terminum proprium? Propter hoc aliqui Thomistarum putant quod species accidentis proprii produ - cat inintellectu speciem utriusque, sed producit speciem substantiae in virtute substantiae. Aliqui putant quod praeparato intellectu per speciem accidentis proprii, introducatur species substantiae ab ipsa substantia, et hoc tenet Joannes: et concedit ipse substan- tiam immediate agere; vel potest glosari illa propositio quod substantia non agit im- mediate, quod sit vera tantum in actione reali; ista autem actio non est nisì spiritualis. Utrum intellectus în omni sua actione egeat phantasmate.- Altera quaestio est utrum intellectus in omni sua actione egeat phantasmate, et hoc, loquendo de intellectione coniuncta, quae est respectu nostri, per quam non de novo denominamur intelligentes, iuxta illud in primo huius, quod intelligere vel est phantasia vel non sine phantasia. Im hac materia duo sunt quae faciunt difficultatem. Vi- detur enim primo quod in omni nostra intellectione non egeamus phantasmate, ex textu Philosopohi, ubi dicit quod si omnia sunt in imagine, non possumus intelligere sine phantasmate; quare cum sit aliquid abstractum a materia ut Deus, et Intelligentiae, illud poterimus intelligere sine phantasmate; et pro hoc maxime facit expositio Themistii super textum trigesimum nonum. Item est ratio, quia si aliqua non sunt in materia ut substantiae abstractae et intentiones, ad quod opus est uti phantasmate ad intelli- gendum illa? Tune enim phantasma communicaret falsam cognitionem de talibus rebus quum phantasmata sunt quanta et materialia, talia vero sunt abstracta ab istis. (*) In sè per la sua sostanza. Ch. 190 recto Ch. 190 verso Ch. 191 recto Ch. 191 verso — 512 —. Secundum, quod facit difficultatem, est quia, si post actualem intellectionem, re- manent species in intellectu, postquam intellectus fuerit habituatus per istas ‘species, vi- detur quod nullo modo egeamus phantasmate. In oppositum est Philosophus primo huius, textu commenti duodecimi, et hic te- xtu commenti 35', ubi dicit quod nequaquam est intelligere sine phantasmate, et expe- rientia est.in oppositum aeque, quia si non egeremus phantasmate ad intelligendum, tune laesa cogitativa, bene possemus intelligere ac si non esset laesa. Similiter etiam di- catur de qualibet alia virtute interiori. Ad nibil enim istae virtutes prodessent intel- lectioni. Hoc autem est falsum, quia isti phrenesi laborantes, etsi sint viri docti, ex altera tamen parte non possunt intelligere, licet in intellectu eorum sint multi ha- bitus et species. Mihi videtur quod, peripatetice loquendo, nihil possemus intelligere sine phantasmate, loquendo de inteilectione coniuncta. Cum vero dicatur: ad quid de- serviret intelligendo ea quae non sunt coniuncta materiae: de hoc Plato voluit quod intelligendo abstracta non utamur phantasmate et hoc est verum secundum eius opi- nionem, quia ipse voluit quod ab aeterno anima nostra esset plena speciebus a Deo datis et non de novo acquisitis, eo modo quo posuit Aristoteles. Sed secundum sen- tentiam Aristotelis aliter est dicendum, supponendo: primo, quod si abstracta intelli- gimus, solum in ordine ad ista materialia intelligimus, negando, et dividendo ab illis conditiones materiae, sicut dicit hic Themistius quod immaterialia materialiter co- gnoscimus; qued si haberemus perfectam notitiam de abstractis, qualiter habent Intelli- gentiae, aliter esset dicendum ad argumentum. Ergo dicitur quod phantasmata deserviunt nobis ad intelligendum abstracta, quia aliter non possemus ea intelligere, et non con- cluderet si abstracta perfecte intelligeremus. Ad auctoritatem Aristotelis dicitur quod suum argumentum peccat per fallaciam consequentis, quae est a destructione antece- dentis, qualiter non valet; vel aliter, quod alludit ad cognitionem illam per quam sumus felices, in qua non egemus phantasmate; ideo dicit Themistius quod illa propo- sitio est vera de intellectione quoad nos. Ad alteram difficultatem, quando dicitur: sì habitus sunt in intellectu ad quid egemus phantasmatibus? Hoc argumentum non habet vim contra Averroem, quum in textu commenti trigesimi, aperte dicit universalia intellecta colligata esse cum imagi- nibus, et ideo si sunt cum eis colligata, semper egemus phantasmate, sed contra Chri- stianos et maxime contra Thomam argumentum habet vim, quum tenemus quod in anima separata remaneant hae species acquisitae in hoc mundo, et tamen tune non egemus phantasmate; ergo eadem ratione videtur quod nec nune egeamus. Thomas sie dicit quod iste est ordo naturalis ut quamdiu anima sit coniuncta corpori, semper egeati phantasmate ad intelligendum, non autem cum separata est a corpore. . ....... doh Lo a (dI do, e nt nia) e let LAI Clo) ee le SR) e I SA SO Utrum cogitasiva vel alia virtus interior serviat intellectuali operationi. Altera quaestio est: cum sint tres virtutes interiores, imaginativa, cogitativa, et memorativa, quaeritur quaenam sit illa quae immediate serviat intellectuali operationi, Notum est enim operationem intellectus dependere ab istis virtutibus; non est autem possibile quod dependeat aeque primo ab omnibus tribus, quare erit una quae imme- diate serviat ipsi. Ista difficultas consistit in hoc, quia ex quo intellecta universalia — 513 — sunt colligata cum intentionibus universalibus, ut dixit Averroes in commento 39°, et dependent ab eis in esse et conservari, et cum ponimus habitus remanere in intellectu cessata actuali intellectione; licet Avicenna sit in oppositum, tamen in secta Peripa- teticorum videtur sibi contradicere. Si ergo hahitus remanent in intellectu et dependent a phantasmatibus, videtur quod cogitativa non sit illa quae immediate “serviat intelle- ctuali operationi, quia cogitativa non servat phantasmata, sed est in medio imaginativae, quae servat species sensatas, et memorativae quae conservat species insensatas. Cum ergo species in cogitativa non conserventur, sed statim deleantur, videtur quod si ipsa esset ministra ipsius intellectus, quod etiam species non remanerent in intellectu, ex quo species sunt colligatae cum intentionibus imaginatis; quare videtur dicendum quod virtus serviens intellectui sit memorativa respectu specierum insensatarum, aut ima- ginativa respectu specierum sensatarum; ex altera parte videtur quod talis non sit imaginativa aut memorativa quum virtus immediate serviens intellectui debet esse nobilissima omnium formarum materialium, et propria hominis ut homo est, sed talis virtus non est memorativa aut imaginativa, ergo. Anterior patet ex dictis supra et maxime in commento vigesimo et trigesimo tertio; brevior probatur quia memorativa aut imagitativa non est forma nobilissima inter alias formas nobiles, sed talis est ‘cogitativa quae est propria hominis in quantum homo; per eam enim virtutem homo differt ab aliis animalibus, cum ipsa careant cogitativa, licet memorativam et imagi- nativam habeant, et loco cogitativae habent aliam virtutem ut existimativam. In hac quaestione ut in ceteris multi sunt modi dicendi. Joannes in quaestione 15* et satis ingeniose, videtur dicere quod ad creandam intellectionem non solum requiritur species intelligibilis, sed etiam actus virtutis cogitativae, quia actus est sicut dispositio necessario requisita ad creandam intellectionem; sed ad hanc speciem intelligibilem non requiritur iste actus, scilicet immediate quantum ad speciem pendentem (?) a virtute memorativa, quae, cum sit virtus conservativa, potest conservare species existentes in intellectu; et ita tenet Joannes quod ad causandam speciem intelligibilem in intel- lectu, non requiritur iste actus virtutis cogitativae, imo nihil facit ad hoc; sed illud quod immediate ministrat intellectui, quoad causandas species intelligibiles, est virtus imaginativa aut memorativa: memorativa quoad species insensatas, imaginativa quoad species sensatas, et quia hoc non videtur sufficere pro ivtellectione causanda, ideo pro hoc ponit alium actum specialiorem acta imaginativae aut memorativae, qui actus est sicut dispositio necessario acquisita ad intellectiones, et quoad istum actum im- mediate dependet a cogitativa, et cessante ista actione cogitativae cessat actualis intellectio, et ita vult quod, quoad ea quae remanent in intellectu, dependeat a memo- rativa et quoad intellectiones a cogitativa, et habet pro se dictum Commentatoris com- mento 33° ubi, in fine commenti, dicit quod sine hac virtute imaginativa nihil anima intelligit. Si quis teneret hanc opinionem, huberet modum respondendi ad hanc quae- stionem satis probabilem, et tune secundum hoc patet responsio ad argumentum. Quia enim dicebatur non remanent in cogitativa species, sed bene in aliis virtutibus: di- citur quod, quoad istum actum qui est conservare species, non dependet a cogita- tiva, sed bene in hoc actu dependet a memorativa. Et patet etiam responsio ad al. terum quum dependet etiam a cogitativa quoad illum actum. Secundum sententiam Thomae esset difficilius respondere. Licet non viderim hanc materiam infinite tractam PARTE TERZA — Von. III. — SERIE 2.8 65 Ch. 192 recto Ch. 192 verso Ch. 193 recto Ch.221 verso — 514 — ab eo, posset tamen secundum eum dici quod immediate operatio intellectus dependet a cogitativa; et cum dicitur: cogitativa non retinet species, ergo nec intellectus poterit cas retinere cessante actuali intellectione, secundum Thomam esset negandum quod species intelligibiles sint colligatae cum intentionibus imaginatis, quia dicit ipse quod anima separata a corpore retinet habitus et species quas acquisivit in hoc mundo. Mihi tamen videtur quod dictum Averrois sit magis sensatum, scilicet quod species intelligibiles sint colligatae cum intentionibus imaginatis, quum si non essent colligatae, cum species re- manearit in intellectu, non deberemus unquam oblivisci, quod non sequitur secundum Averroem, et licet istud argumentum non demonstret quia posset dari aliqua responsio apparens, est tamen multum probabile; et si dicatur quae ergo est virtus immediate ministrans intellectui, vel dicatur ut dicit Joannes, vel aliter quod cogitativa sit immediate serviens intellectuì; et cum dicitur species non remanet in cogitativa, dico, quoad con- servari, species pendent ab imaginativa seu memorativa; quo vero ad produci pendent a cogitativa, numquam enim intellectus posset intelligere aliquid quod sit in memorativa aut imaginativa, nisi cogitativa prius illud cogitaret, et iste modus posset teneri; sed habet contra se instantiam, quia si species quae sunt in intellectu pendent a cogitativa quoad produci, et non conservari, tunc non erit idem producens et conservans, quod vi- detur inconveniens in istis operationibus intellectus; sed aliqui non habent hoc pro incon- venienti sicut dant exemplum de sono producto in aure: qui sonus, etsi obiectum pro- ducens talem sonum, non sit praesens, tamen per aliquod tempus durat in aure; si- militer oculus qui diu versatus est in colore viridi, licet auferatur obiectum producens talem speciem, tamen per aliquod tempus remanet species coloris viridis in oculo. Ecce ergo qualiter non est inconveniens agens producens non esse conservans, quum talis species conservatur in oculo, licet non sit agens eam producens. Si quis ergo (non) habet hoc pro inconvenienti potest istum modum acceptare, possent et alii modi imaginari de quibus non loquor ad praesens et sic finis tractatus de intellectu. 0 la e, e e se lelt-a ‘el ie) ‘el lello (el “el. le) sl (er esi (8, e) le. \e. el le) fej.\@| .e. \°'g\ ‘e, 'ellisil(e) (Sl e. W) 06) (© XMISIMNU SINIS RNENANE VANNI Utrum in absentia sensibilis possit creari sensatio. Quum dictum est quod hoc modo fit sensatio, scilicet quod sensibile imprimit suum simulacrum in ipsum sensum, et quod sensatio nihil aliud est quam illud simulacrum existens in potentia sensitiva debite et sufficienter dispositum per san- guinem et per spiritus, cadit modo dubitatio an in absentia sensibilis possit creari sensatio; et videtur quod non, quum Aristoteles, in textu commenti sexagesimi libri ecundi, dixit quod sensatio est alteratio et passio sensus a sensibili; ergo si non adsit sensibile non alterabitur nec movebitur ab eo sensus, ergo non fiat sensatio secundum Aristotelem, quare. Item secundum nos hoc videtur impossibile, quia sen- satio non est aliud quam simulacrum; modo si non existet sensibile, non existet cius simulacrum, ex quo tale a sensibili effective producitur; ergo implicatur quod sensibili non existente sit sensatio. Oppositum tenet Commentator in libello De somno et vigilia et in libro de Colliget; unde, ut ipse ostendit, duobus modis accidit quod sensatio fiat sine sensibili. Unum modum ponit in libro De somno et vigilia et alium modum in Coll. In libro De somno ponit quod in somno accidit quod sentiamus sine sensibili, sicut quandoque intirmi sentiunt dulcedinem vini, licet non biberint a — 515 — vinum, vel si biberint, illud tamen non est dulce et est alterius saporis. Ecce quod aeger gustat et sentit dulcedinem vini, licet dulce illi von sit praesenus. Quomodo autem sit possibile, dicat Commentator, et dicit quod hoc modo fit: natura primo sen- sibile agit in sensum exteriorem imprimendo in illum suum simulacrum, demum sensus exterior imprimit simulacrum quod in se habet iu sensum communem, sensus vero communis eodem modo agit in imaginativa, et inimaginativa reservatur ipsa species et hoc fit in ordine recto. In ordine vero retrogrado fit modo contrario. Ima- ginativa enim quae sibi reservavit speciem sensibilem, eam imprimit in sensum exteriorem, et sic sensus exterior movetur iterum a specie sensibili, licet ipsum sen- sibile actu non existat, et non sit praesens. Alium modum dat Commentator in libro Coll. quomodo idem contingat, et dicit quod hoc etiam contingit in vigi- lia. Natura sunt quandoque aliqui ita abstracti cogitando circa aliquod quod prius senserunt, ut eodem modo sensus exterior principiet simulacrum ipsius rei de qua co- gitat, licet talis res non actu existat; et isti (ita?) sunt angeli visi, dicit Commentator, non quod angeli videantur, sed quia aliquis ita intense cogitat de angelis visis (ut) species angelorum producatur ab imaginativa in sensu communi, et a sensu communi in sensu exteriori, et sic iudicabit sensus exterior se videre angelos, quod non erit ita. Quod si ita esset, ut dicit Commentator, quid erit de lege nostra quae ponit quod angelus Raphael visus est a Tobia? et quid de angelo Gabriele qui visus est a Beata Virgine? Possemus enim dicere quod isti angeli numquam visi suit ab aliquo homine, sed homines cogitantes de angelis crediderunt se vidisse angelos. Similiter possemus dicere de Christo quod ipse non intravit ad apostolos ianuis clausis, quia ita imaginabatur de Christo, et sic periret tota lex nostra; quod si ita esset quid facerent isti miseri patres et maxime isti zoculantes, qui tantam abstinentiam fa- ciunt? sed peius est quod Thomas, qui fuit vir ita divinus et sapiens, fuit huius opinionis. Videatis ipsum in Quaestionibus disputatis, ubi expresse affirmat quod dia- bolus multoties mittit speciem alicuius sensibilis delectahilis ad sensus hominis, ut in eis inducat malas cogitationes et faciat eos peccare, et citat Rabbi Moysen qui dicit quod homines aliqui sunt qui dicunt se loqui cum Deo, et falsum est, quia non est verum quod cum eo loquantur, sed cogitando de illo, videtur eis quod secum loquatur. Si ergo ita sentit Thomas, quid erit de lege nostra? Hanc opinionem in- nititur impugnare Gregorius Ariminiensis; et primo, quia data ista opinione, auferretur tota lex nostra et omnis certitudo de lege, clarum est ex dictis, quam secendum illam opinionem possent multa negari quae lex affirmat. Quod autem omnis certitudo au- feratur, data illa opinione, ostendo quum, secundum illam opinionem, non essem certus an essem nunc in schola ista, aut in aliquo alio loco; similiter non certus an vos essetis hic an non; quia facile mihi videtur quod nos omnes simus in ista schola quia cogito nos esse in ista schola, et sic erit de quacumque alia re, et ita nulla erit certitudo in nobis. Multa alia sophismata adducit Gregorius ad destruendam istam opinionem quae transeo ne sim taedio. Credo quod in parte verum sit quod dicitur a Commentatore; neque ex hoc aufertur certitudo, quia, ut huic vel simili argumento respondet Commentator, quod unus sensus decipiatur est possibile sicut oculus in visione baculi existentis in aqua, quia iudicat ipsum esse fractum et quod in rei veritate non est fractus; sed quod omnes aut plures Ch. 222 verso Ch. 223 recto Ch. 223 verso ER sensus decipiantur circa idem obiectum non contingit, quia (unus) certificat alterum sicut tactus certificat nos de baculo quod non sit fractus, quum per visum iudicatus est esse fractus. Si ergo ibi dicit Commentator quod certitudo sensibilis non sumitur ab uno sensu, solum quia unus sensus potest decipi circa unum obiectum, sed sumitur cer- titudo ipsius sensus ab omnibus aut pluribus sensibus exterioribus, quia non accidit quod plures sensus decipiantur circa idem obiectum, ita dico ego in proposito quod ex opinione Thomae non tollitur omnis certitudo, quia licet in visione ipsius Abraam contigisset quod unus homo fuisset deceptus, non possemus tamen dicere quod totus populus qui vidit Abraam sit deceptus. Consimiliter quando Christas apparuit disci- pulis et intravit ianuis clausis, non possemus dicere quod hoc fuerit quia ita visum est omnibus apostolis quia cogitabantv de illo; quia licet hoc possemus dicere de uno, quia hoc est satis probabile, non tamen de omnibus apostolis possemus hoc dicere, quia non est credendum quod omnes, qui erant sexaginta, imaginarent de eadem re, sed unus cogitabat de una et alter de altera re; ideo non possemus dicere quod omnibus illis per eam:lem visionem visum sit videre Christum intrare ianuis clausis. Unde recitatur in una epistola Sancti Petri quod cum apostolis supervenisset Spiritus Sanctus, et loquebatur unusquisque magnalia diversis sermonibus. Credebant apostoli, se esse hebraeos, sed quum unusquisque videret omnes alios eodem modo loqui diversis linguis, certificati sunt omnes se non esse hebraeos, sed hoc esse quia repleti spiritu sancto, et ita cum nostra opinione salvatur veritas legis, salvatur etiam omnis certi- tudo, quia sensus certificant me quod sim in hac cathedra; et tunc ad argumentum dico quod sensatio fit cum sensibile agit in sensum. Dicitur quod Aristoteles loquitur de sensatione quae est actio recta, non de actione reflexa qualis est sensatio quae fit sine ipso sensibili, et ad argumentum supra quod maxime fundatur Gregorius, scilicet: si est sensatio oportet quod sensus moveatur a sensibili, ergo si sensus debet moveri a sensibili, oportet quod sensibile existat in actu, quia omne quod movetur secundum quid, movetur etiam in actu, ergo repugnat quod sit sensatio et sensibile non sit praesens; item Aristoteles infra, in capite de olfactu, dicit nihil aliud est olfactus, nisi quod olfactibile sit praesens ipsi olfactui et moveat sensum, quare; dico quod primum argumentum nihil est, quia infirmus patitur a vino dulci quod sibi videtur amarum; si ergo fiat istud argumentum: iste aeger sentit et gustat hoc vinum esse amarum, ergo hoc vinum est amarum, clarum est (quod) argumentum non valet. Ita non valet argumentum Gregorii: sensus patitur, ergo sensibile est praesens, et in re ad extra; sed sufficit quod, si habet fieri sensatio, quod sensatio existat secundum esse spirituale; si autem habet sentiri sensibile secundum esse reale, oportet, dicit Themistius, quod solvantur tres conditiones, scilicet debita dispositio ex parte organi, et similiter ex parte medii et debita distantia sensibilis a sensu. Sciendum tamen quod, licet sentiamus id quod non est modo dicto, non dicimus tamen tunc quod sentimus, sed dicimus quod videmur sentire; sicut ego cum eram iuvenis delectabar mirum in modum audire sonum ti- biarum, et immorabar per duas vel tres horas ubi sonarent tibiae, dein exibam et ibam domum, et cum eram domi videbar audire sonum tibiarum quia adhuc reser- vabatur species soni tibiarum, et dicebam videor audire quia sciebam quod non sonabant tibiae ibi, sicut mihi videbatur; ratio autem quare, verbigratia, dicimus — 517 — audire tibias sonantes est quia tune decipimur, et non vere audimus, quia in re non est sonus tibiarum. Similiter dicimus quod remus videtur nobis fractus et non dicimus quod est fractus, quia rei veritate non est fractus, et sic verum est quod nihil vere sentitur nisi illud sit existens praesens, et hoc forte volebat Gregorius in secundo argumento. Ad aliud dicatis quod de olfactu loquitur, (de ea) quae est actio recta, non autem de sa quae est actio reflexa, sicut ad praesens nos loquimur de sensatione. Utrumcogitativa denudet speciem substantiae a sensibilibus propriis et communibus. Dicebat Commentator quod cogitativa denudat speciem substantiae a sensibilibus propriis et communibus. Circa hoc dubitatur quia non videtur verum; quia si cogi- tativa denudaret speciem substantiae a sensibili communi et proprio, tune cognosceret speciem substantiae sine quantitate et loco, et similiter tempore, et tunc cogitativa cognosceret universaliter, quia omnis virtus cognoscens aliquid abstractum a quan- titate et loco cognoscit universaliter, et sic esset intellectus. Item implicat quod recipiatur species substantiae sine quantitate, quum secun- dum Commentatorem, primo Physicorum, quantitas est principium individuationis. Re- pugnat ergo quod una species sit in cogitativa sine quantitate. Secundum quod facit difficultatem est quia omne receptum recipitur secundum naturam recipientis; sed cogitativa est cum quantitate, cum sit virtus materialis et extensa; ergo species substantiae recipietur in ca secundum quantitatem. Ad hanc dubitationém dari pos- sunt duo responsiones; prima est, quod argumenta differunt; sed Commentator noluit quod cogitativa denudet speciem substantiae ab omnibus scilicet sensibilibus commu- nibus, quia de facto cognoscitur talis species cum quantitate, sed voluit Commentator quod ab aliquibus sensibilibus communibus denudet speciem, scilicet a motu et a numero. Sed haec responsio videtur extranea, primo quod faciat Commentator intel- lectum perfectum; secundo, quia cum video album, video iosum cum quantitate et similiter cum figura, motu aut quiete, et cum numero, quia aut est unum aut plura; quare videtur quod illa expositio non sit conveniens. Ideo do aliam responsionem concedendo quod cogitativa denudet speciem substantiae ab omnibus sensibilibus communibus. Et tunc, ad primum dicatis quod licet cogitativa apprehendat speciem substantiae sine quantitate et situ, non tamen sequitur quod cogitativa cognoscat universaliter, quia illa intentio est una et singularis licet sit sine quantitate; quod si quaeritur per quod talis species sit una, dico quod est una per se ipsam et non per ipsam quantitatem; formae enim per se ipsas sunt unum et non per quan- titatem, nec quantitas est causa distinctionis unius ab altera, sed formae ex se ipsis distinguuntur et priores sunt quantitale; et sic ad primum prima responsio. Ad secundum vero dicemus quod, licet species substantiae sit recepta in cogitativa per modum quantitatis eb extensionis, non tamen oportet quod extense, et per modum quantitatis reputemus. Aliter possemus dicere, sicut Thomas et alii, quod omnes animae animalium perfectorum sint indivisibiles, et dicunt ad illud argumentum quod fit contra eos; omne receptum recipitur secundum naturam. recipientis, sed materia est quanta et extensa, ergo anima quae in ea recipitur est extensa et divisibilis: dicunt isti negando anteriorem illam, secundum quod sic absolute profertur, quia secundum eos non oportet si aliquid recipiatur in materia extensa, ut illud receptum sit Ch. 224 recto Ch. 224 verso Ch. 225 verso — 518 — extensum et divisibile. Sed dicunt quod illa anterior currens per ora philosophorum debet intelligi secundum capacitatem; sic dico ergo ego in proposito, quod non oportet ut species substantiae recipiatur cum quantitate, licet recipiatur in virtute mate- riali et extensa, et ad illam propositionem omne receptum ete. . ..... secundum capacitatem. Quare. Utrum tactus sit nobilior visu. Circa textum et commentum 34" cadunt aliquae difficultates. Prima est quia videtur contradictio in dictis Philosophi hic, et in principio Metaphysicorum. Similiter et in De sensu et sensato, quum hic dicit quod habemus perfectissimum tactum, in prooe- mio Metaphysicorum dicit quod perfectior est in nobis sensus visus quia plus (sic) nobis differentias ostendit, ideo ipsum valde diligimus quia et subcoelestia et ipsa cor- pora coelestia nobis ostendit, quod non sic est de aliquo alio sensu. Ideo talis sensus est valde perfectus. Item in De sensu et sensato dicit Aristoteles quod sensus auditus est valde perfectus quia est sensus disciplinae; per auditum enim percipimus verba praeceptoris, quorum signis (?) explicitis a doctore fimus scientes, et ita in uno loco videtur dicere Aristoteles visum esse in nobis perfectiorem tactu, in alio vero loco ipsum auditum: hic autem dicit tactum esse perfectissimum in nobis, quare expressa apparet contra- dictio. Dicatur quod verum est quod visus est perfectior quantum ad id quod facit cognoscere, quia multa plura et perfectiora cognoscimus per visum quam per tactum; per accidens tamen tactus perfectior est ipso visu, scilicet ratione suae complexionis, tum quia est fundamentum omnium aliorum sensuum, tam interiorum quam exte- riorum; pari ratione dicatur de auditu, quod scilicet auditus est perfectior quantu:n ad id quod facit nos cognoscere, tactus vero ratione complexionis. al'isfitta;t ro Nel Nm elia) 0) den Colere Lerner) Utrum gustus sit perfectior olfactu vel e contra. Tertia dubitatio est quam hic movet Themistius: quia quod dicitur ab Aristotele videtur falsum, scilicet quod nomina odorum transferantur ab ipsis (aliis?) sensibilibus, quia gustus est in nobis (magis) manifestus, seu maior olfactu; modo hoc, ut dicit The- mistius, videtur falsum, scilicet quod gustus in nobis sit perfectior, quia gustus videtur esse aeque perfectus sicut olfactus, quod probat Themistius assumendo rationem Phi- losophi, qua ipse ostendit quod olfactus sit in nobis imperfectissimus. Ratio Philosophi fuit, quia non olfacimus nisi cum laetitia aut tristitia, ergo iste sensus est in nobis valde imperfectus. Modo dicit Themistius eodem modo arguo de gustu, quia quae equidem gustamus, gustamus cum laetitia aut tristitia, quia sapores sunt dulces aut amari, aut ex illis commixti; si dulces, apprehendemus a gustu cum laetitia, si ama- ros cum tristitia: sic etiam est de mediis secundum quod magis appropinquantur dulci aut amaro; ergo si ratio quare in nobis sit imperfectus olfactus, est quia non olfacimus nisi cum laetitia aut tristitia, eadem ratione concludam gustum esse in nobis ita imperfectum sicut olfactum. Ad hanc dubitationem, non praeferens me Themistio, credo quod posset sic redici. Notamus, dixi «credo» dubiose loquendo et non assertive, quia responsionem quam dabo, non dabo per modum determinantis, quia si Themistius — 519 — non est ausus solvere hanc dubitationem, qui fuit tantus philosophus, tanto ma- gis debemus mos modeste loqui; sed quod dicam, dicam coniecturando, pro quo sciendum quod aliqui sunt qui non laetantur aut tristantur nisi in re magna, licet Stoici dixerint quod nec in magnis nec in parvis debemus laetari aut tristari. Verum Plato et Aristoteles oppositum tenuerunt: in rebus maguis licet nos tristari aut laetari, quia hoc est naturale. Neque est opinio Stoicorum quod non liceat in re magna. Unde, ut scribitur, cum quidam stoicus haberet iter versus Athenas, dum esset in intinere cecidit ex aere tempestas maxima; ex cuius adventu maxime turbatus est ille stoicus; quod cum vidissent qui cum eo erant, dixerunt: tu qui stoicus es turbaris ita ista tempestate? At ille dixit, conturbor quidem quia in re magna licet contristari. Aliqui ergo sunt, qui in re magna solum tristantur, et laetantur modo in re parva; aliqui vero sunt qui licet prudentes sint, ex aliqua modica re tristantur et laetantur, quod est ex affectione et amore. Sicut cum essem Paduae accidit ut ibi fieret praeludium. Erat au- {em quidam senex, qui habebat filium in praeludio, qui si modicum bene se habebat, di- latabatur os eius usque ad aures pro laetitia quam habebat erga filium; si non modice, male se habebat et angustiabatur senex pro tristitia. Multi ergo in parvis laetantur, aut tristantur. Ubi autem non sit affectio aliqua aut passio, in parvis non licet lae- tari; hoc enim faciunt stulti, sed in rebus magnis licet tristari aut laetari. Hoc stante possumus arguere quod olfactus sit in nobis imperfectus, quia cum non sit multa unigenitas naturae hominis circa affectionem ad sensum olfactus, ideo sì non olfa- cimus nisi cum laetitia aut tristitia, hoc arguit quod olfactus solum percipit magnas differentias odorum, et ita olfactus arguitur imperfectior. Modo cum sit unigenitas maxima naturae hominis ad gustum cet tactum, quia sunt sensus salvantes individuum in vita, ideo sive parvae, sive magnae sint saporum differentiae,in perfectione earum laetatur aut tristatur gustus, et ideo licet non gustemus nisi cum laetitia, aut tristitia, non tamen sequitur quod sit gustus aeque perfectus sicut olfactus: quia ex quo non est laetitia aut tristitia in parvis, sed solum in nagnis, ubi non est affectio et homo non haheat affectionem ad olfactum, ergo si non olfaciat nisi cum laetitia aut tristitia non perci- piemus nisi magna olfactibilia; et ita sequitur olfactus imperfectio; modo cum homo habeat affectionem ad gustum, licet non percipiamus gustabilia nisi cum laetitia aut tristitia, non tamen ex hoc sequitur gustus imperfectio; quia licet non gustemus (nisi) cum laetitia, aut tristitia, tamen ex affectione quam habemus ad gustum, non solum circa magna sed et circa parva gustabilia laetamur aut tristamur in perfectione eorum. Ideo non sequitur etc. Quare. 'oMloliite e, vel el ce. is. en è 06 RISE OE OO RORRSO RN MO OCA GEO DM O SIOE OO DONO LEONI O Quomodo gustus sit quidam tactus. Circa textum et commentum 101° oritur dubitatio quam movet Thomas, et praecipue circa illam partem in qua Aristoteles probat quod gustus sit quidam tactus. Dubi- tatio ergo est quia si gustabile est quidam tangibile, et gustus est quidam tactus, ut dicit Aristoteles, non essent nisi quatuor sensus exteriores, non autem quinque; quia gustus non ponitur in numerum cum tactu, quia species non ponitur in nu- merum cum suo genere. Gustus autem est species tactus, est enim quidam tactus, ut dicit Aristoteles, quare etc. Respondet Thomas quod, cum dicitur quod gustus sit quidam Ch. 226 recto Ch. 226 verso Ch. 228 verso Ch. 229 recto — 520 — tactus, hoc potest intelligi duobus modis: uno modo, quod sit species tactus sic quod et gustus percipiat qualitates tangibiles, et hoc modo est falsum quod gustus sit quidam tactus, imo gustus et tactus sunt diversae potentiae diversa obiecta respicientes. Alio modo potest intelligi quod gustus sit quidam tactus similitudinarie, et isto modo in: telligit Aristoteles cum dicit gustum esse quemdam tactum: similitudo autem est quia sicut tactus non indiget medio extrinseco, ita gustus eo non indiget; ideo gustus, se- cundum hoc, videtur esse quidam tactus; nihil aliud dicit Thomas. Ista responsio, licet sit conveniens, non tamen videtur ex toto satisfacere, quia si ideo gustus dicitur quidam tactus quia, sicut tactus, non indiget medio extrinseco, sed solo intrinseco, ita ut gustus; pari ratione olfactus dici posset quidam visus, quia, sicut visus eget medio extrinseco, ita olfactus: sed olfactus non dicendum qui- dam visus; mullibi enim hoc dixit Aristoteles, quare nec illa ratione assignata a Thoma gustus deberet dici quidam tactus. Dices forte quod aeque bene olfactus potest dici quidam visus sicut gustus dicitur quidam tactus, licet Aristoteles dixerit de gustu et non de olfactu; sed licet ita posset dici, illa tamen responsio Thomae non quadrat responsioni quam dixit Aristoteles quod ideo gustus est quidam tactus, quia gustus est quidam humor, et humor est quoddam tangibile; et ita videtur velle Aristoteles quod ideo gustus est quidam tactus, quia percipit humorem qui est quoddam tangibile, seu perceptibile a sensu tactus. Unde, ut dixit Commentator, impossibile (est) quod gustus percipiat saporem nisi prius percipiat humorem, et ita non vult Aristoteles quod gustus dicatur quidam tactus ratione quam adduxit Thomas, sed ratione quam adduximus nos. Sed tunc stat altera difficultas quia humor non est sensibile proprium sensus tactus, quia sensibile proprium est quod per se sentitur ab uno sensu tantum; sed humor non solum a tactu percipitur sed etiam a gustu; quomodo ergo erit humor sensibile proprium, quare. Nec nostra responsio videtur sufficiens. Ad hoc possent dari multae responsiones. Primo dicerem quod gustus non per- cipit illum humorem, sed cum gustus et tactus in lingua fundetur, in eodem nervo, ille nervus est qui percipit illum hamorem, non autem gustus. Unde gustus non posset percipere saporem, nisi ille humitieret, nec ob hoc sequitur quod gustus percipiat talem humiditatem. Non enim sequitur: hic sensus non potest percipere sapores nisi me- diante humiditate, sicut non sequitur: visus non percipit colores nisi habeat humidi- tatem, nam si distillaretur illa humiditas ab oculo, non posset oculus percipere colores, ergo visus percipit illam humiditatem, quare. Sed ista responsio non videtur consona verbis Commentatoris, quia Commentator non dicit quod gustus non percipit sapores nisi humefiat, sed dicit nisi percipiat humorem, et ita vult Commentator quod sicut gustus percipit sapores, ita percipiat humorem. Tdeo posset aliter dici quod Commentator erravit, et fuit illius opinionis, vel et aliter susti- nendo Commentatorem, gustus, in materia gustus, percipit illum humorem et non potest gustus percipere sapores nisi illius materia scilicet nervus percipiat illum humorem. Ut etiam aliter dicatis quod gustus in rei novitate (veritate?) percipit illum humorem, et sic etiam percipit saporem, et non perciperet saporem nisi prius perciperet humorem. Et cum dicitur quod tune humor ille non esset sensibile proprium sensus tactus, conse- quenter ete.; cum autem dicitur quod sensibile proprium est quod ab uno solo sensu sentitur; dicitur quod sensibile proprium ab uno solo sensu sentitur per se et solitarie, sed bene potest tale sensibile ab alio sensu sentiri non solitarie, sed ut est coniun- ctum cum alio sensibili; et sic in proposito, licet humor percipiatur a gustu, non tamen ex hoc tollitur, quando sit sensibile proprium sensus tactus, quia asolo tactu solitarie percipitur, et non ut est coniunetus cum alio sensibili. Si autem percipiatur a gustu, non percipitur ab eo solitarie, sed ut cum eo est sapor, qui est obiectum proprium gustus. Et sic satis. Teneatis responsionem quam volueritis. diamo OTO OMAR DIS E SEO e ee E Di IO, CEROTTI OE ENO TORA RITI RO MIO RIO DIOR RO OO) Utrum grave et leve sint substantiae. 0 SUA e, el (eli (el fe, (e: la e. |a e 0» O DO ear Liste el NE SMTIILI Modo in hoc quod dixit Commentator est dubitatio an grave et leve sint substan- tiae. Pro parte affirmativa est Commentator, quì expresse hoc fatetur; pro parte vero negativa sunt plurimae auctoritates Philosophi et rationes. Prima est auctoritas Phi- losophi quinto Metaphysicorum textu commenti, 15' ubi expresse dicit quod sicut cali- ditas et frigiditas sunt in tertia specie qualitatis, sic gravitas et levitas sunt in tertia specie qualitatis, non ergo sunt gravitas et levitas formae substantiales. Secunda auctoritas Philosophi est in secundo De generatione, textu commenti, ubi vult idem, quare. Aliquae auctoritates adducerem, sed quia in istis duobus locis, cxpressa intentione et per se determinat de gravi et levi, si vero alibi de hoc dicit aliquid, ut in septimo Metaphysicorum ex incidenti, et cum (?) non ex propria intentione, hoc modo, scilicet ideo, volo (vos) esse contentos his duobus rationibus. Rationes vero pro ista parte adsunt plures, prima vero est haec. Nulla contraria sunt substantiae, grave et leve sunt contraria, ergo non sunt substantiae. Alteram ponimus per Aristote- lem in cap. de substantia, ubi dicit quod in substantia non est contrarietas, ergo quae sunt contraria non sunt substantiae. Illud idem dixit Aristoteles in quinto Physicorum. Quod autem grave et leve sint contraria ponimus per Aristotelem quarto Coeli et in secundo De generatione, quare. Secunda ratio est: nullum immediate productivum operationum est substantia. Propositio haec accipitur a Philosopho in De sensu et sen- sato, ubi dicit quod ignis, quatenus ignis, non est activus, (sed) quatenus calidus, et sic non vult Philosophus quod iguis concurrat ut agens immediatum et per se ad aliquam operationem effective, sed grave et leve immediate producunt motus ascensus et de- scensus, ut ponimus ex primo Coeli, ergo. Tertia ratio. Nullum per se sensibile a sensu exteriori est subiectum. Ista est communis conceptio, et quasi una maxima, quia, ut communiter dicitur, sensus non se profundat usque ad substantiam rei. Verum est quod Commentator voluit quod sensus non in quantum sensus, sed in quantum sensus humanus, cognoscit substantiam. Sed Commentator in hac sua fatuitate deviat a veritate et sibi ipsi contradicit. Sed grave et leve per se sentiuntur secundum sententiam Aristotelis. Non enim est obiectum, sicut dicunt quidam paedagogi, quod grave et leve sentiuntur per accidens, quia Ari- stoteles vult quod contrarietas levis et gravis cum contrarietate calidi et frigidi faciat tactum esse plures sensus; quod non esset si grave et leve essent sensibilia per accidens; sensibilia enim per accidens non plurificant sensum, quare. Item vide- tur irrationabile quod substantia cognoscatur a sensu, quia vix intellectus potest PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.2 66 Ch. 229 verso Ch. 280 recto Ch. 230 verso Ch.231 recto — 522 — cognoscere ipsam substantiam; imo, ut dixit Scotus, substantia non cognoscitur nisi per magnum discursum, licet in hoc opinio Scoti contradicat Aristotelem. Cum ergo laboret intellectus ad cognoscendam substantiam, irrationabile est concedere quod sub- stantia a sensu coguoscatur, sive quatenus est sensus, sive quatenus est humanus; imo concedendo quod gravitas et levitas sint substantiae, non solum habemus concedere quod sensus, qualis talis sensus, sed qualis sensus, cognosceret substantias, quia non solum homo, sed etiam bestiae sentiunt gravitatem et levitatem. Item secundum fidem et secundum tenentes quod substantia non suscipiat magis et minus, non possumus tenere quod gravitas et levitas sint substantiae. Secundum fidem hoc sustineri non potest quia Eucharistia est gravis, quia videmus quod descendit, et tamen illa gravitas non est substantia, quia in Eucharistia non est aliquid de substantia, quod erat in illa ante- quam consecraretur, neque substantia corporis Christi est gravis; ergo gravitas a qua provenit ille motus descensus est accidens, et quaedam qualitas. Secundum etiam te- nentes substantiam non interdi aut remitti, non possumus hoc sustinere quia gravitas et levitas suscipiunt magis et minus, et nulla substantia recipit magis et minus; ergo gravitas et levitas non sunt substantia, sed accidens. Sed quod ad Commentatorem qui expresse dicit quod sunt substantiae? Primo, possumus dicere quod Comentator erravit, nec est adhibenda fides ipsi Commentatori, quia in hac difficultate reperitur solus Commentator et in contradictione; in pluribus enim locis dixit oppositum, ubi voluit quod sint qualitates et non substantiae. Ideo possemus dicere, sicut dicunt legistae, quid quando inveniunt aliquem suorum doctorum in uno loco dicentem unum, et in alio oppositum, dicunt quod est una bestia, quia sibi contradicit; nec talis debetur sustineri, quia nescimus quam partem tenuerit pro firmo, cum in uno loco dicat unum et in alio contrarium, sicut nos possumus dicere; volentes tamen honorare Commen- tatorem, dicemus quod una et propria opinio Commentatoris est quod gravitas et le- vitas sint qualitates de tertia specie et non substantiae. Quod autem dixit Commen- tator in hac digressione, scilicet quod sunt substantiae, non dixit secundum propriam opinionem. Unde non possumus non mirari de quibusdam fatuis, quia adseribunt hane opinionem Commentatori tamquam sit illius sententiae,quia solum in isto Commento hoc reperietis: in infinitis vero locis reperietis ipsum dicere quod sunt qualitates et accidentia non autem substantiae. Teneatur ergo pro firmo quod opinio propria Commentatoris est quod grave et leve non sint substantiae, sed qualitates de tertia specie. Sed dices si haec opinio est Commentatoris quomodo vocabitur sua ratio, quae probat quod tangibile non est unum obiectum, quia scilicet calidum et frigidum sunt in praedicamerto quali- tatis, grave vero et leve in praedicamento substantiae? Dicatur quod non probat illud per hoc, sed quia grave et leve habent diversum (modum) immutandi sensum tactus a ca- lido et frigido, quum grave et leve immutant per motum localem, illa vero alia sine motu. Ideo ex diversitate modi immutandi sensum tactus sequitur pluralitas in ipso tactu. Utrum grave et leve cognoscantur absque motu. Circa idem commentum 107” cadent difficultates, numquid grave et leve non cogno- scantur nisi per motumut vero (?) diceret Commentator. Videtur enim quod non possint cognosci sine motu locali, sicut experientia testatur, quia non sentimus an aliquid sit grave vel leve nisi illud ponderemus, ponderatio vero non fit nisi cum motu — 523 — locali. Haec etiam videtur sententia Commentatoris in digressione quae dicit quod non cognoscuntur grave et leve nisi mediante motu. In oppositum arguitur quod, cum motus sit sensibile commune, si non percipiatur grave aut leve nisi mediante motu, non sen- tiuntur nisi mediante sensibili communi; cum autem sensibile commune non percipiatur sine sensibili contrario prius percepto, per quod ergo proprium sensibile perciperetur motus ille mediante quo cognoscimus grave et leve? Quod si dicatis quod sensibile proprium per quod motus cognoscitur sit calidum aut frigidum, hoc non videtur, quia possumus sentire gravitatem aut levitatem nulla harum qualitatum percepta, quod ergo erit proprium et per se sensibile per quod iste motus comprehenditur, non vi- detur esse nisi calidum, quare. Ad hane dubitationem consuevi alias aliter dicere, sed inveni unam aliam re- sponsionem quae melior est quam illa alia. Dicendum ergo quod prius percipio hoc esse grave quam percipiam ipsum moveri, et sic de levi dicatur, et mediante gravi- tate percipio motum gravis qui est sensibile commune. Sed dices: quod dices ad Commen- tatorem quod dixit quod non sentitur gravitas aut levitas nisi mediante motu? Dico quod hoc non dicit Commentator si bene inspiciantur verba eius, sed dicit Commentator: non sentitur gravitas aut levitas nisi grave aut leve moveatur, et diceret: ergo non percipitur gravitas et levitas nisi mediante motu. Primum enim verum est, secundum vero falsum. Unde, licet motus sit prior natura quam perceptio illaram qualitatum, prius tamen illae a sensu cognoscuntur quam talis motus, quare. i Miele lite (en Ce) celle Cia lel es le. 00 ‘al MeN Me N nes Nel ee: e) o erre lie ia Neli Mel en lla! Nov ‘ale et fire Cel cell iel (ien\cell cev]) \eil ve Numquid sensus tactus sint plures. Circa illam quaestionem. numquid sensus tactus sint plures secundum sit una potentia, factum est argumentum quod est tale: si tactus essent plures sensus, non tantum essent plures sensus exteriores, sed plures quam quinque; sed tantum sunt quinque sensus exteriores, ergo tactus non est plures sensus sed unus. Ratio est bona quia est contradictio talis facta ex destructione consequentis ad destructionem ante- cedentis. Argsumentum declaratur, quum si sensus tactus non esset unus sed plures, ad minus essent duo sensus, quia minor numerus qui potest reperiri est numerus binarius; sed alii sensus exteriores a tactu sunt quatuor: visus, auditus, olfactus et gustus; modo duo et quatuor faciunt sex, ergo ad minus essent sex, et sic essent plures quam quinque et non tantum quinque ........ Aristoteles ubicumque loquitur de sensibus exterioribus et etiam Ecclesiastes dicit: peccasti in quinque sensibus; quare sequitur quod sensus tactus non sit plures sensus. In oppositum est Aristoteles in capite hoc. Ad hoc argumentum difficile est respon- dere. Respondet enim Thomas quod sensus exteriores sunt tantum quinque, et sensus exteriores sunt plures quam quinque, nec ista contradicunt, quod declarat; nam sensus ex- teriores, secundum species, sunt plures quam quinque, quum tactus sunt plures secundum speciem,cum plures sint potentiae tactivae secundum speciem; et ita enumerando potentias tactivas cum aliis quatuor potentiis aliorum quatuor sensuum exteriorum, secundum spe- ciem plures sunt quam quinque sensus exteriores, seu potentiae sensuum exteriorum. Se- cundum vero genus proximum, tantum sunt quinque sensus exteriores, quum potentiae ta- ctivae conveniunt omnes in uno genere proximo, ratione cuias sunt ut una potentia: et sic Ch. 231 verso Ch. 233 recto Ch. 233 verso Ch. 234 recto Ch. 234 verso BOU sensus, secundum genus proximum, fit unus sensus; et sic numerando tactum cum aliis sensibus sunt tantum quinque. Genus autem proximum secundum quod potentiae tacti- vae conveniunt seu in quo conveniunt et fiunt quodammodo una potentia, sunt (sic) quia omnes potentiae tactivae percipiunt proprias contrarietates, per se, per medium intrin- secum, et per accidens, per medium extrinsecum; et ideo quia omnes potentiae tactivae in hoc genere proximo, scilicet in uno modo percipiendi sua tangibilia, ideo ratione huius generis proximi, omnes fiunt ut una potentia et tactus fit unus sensus; secun- dum ergo speciem sensus exteriores sunt plures quam quinque, secundum vero genus propinquum sunt praecise quinque; et hoc modo loquitur Aristoteles de sensibus exte- rioribus cum dicit illos esse quinque, et non primo modo secundum speciem. Sed ista responsio licet videatur prima facie satisfacere, interius tamen perscrutanti videtur non posse stare, quia si concedis quod potentiae tactivae sint plures quam quinque, et una se- cundum genus proximum, quod sumitur ex modo sentiendi per se, per medium in- trinsecum, et per accidens, per medium extrinsecum; si ista sit causa praecisa quare potentiae tactivae sint una potentia, quia scilicet omnes sentiunt per se, per medium intrinsecum, sequitur quod tantum essent quatuor sensus exteriores, quum, cum gu- stus et tactus eodem modo sentiunt, scilicet per medium intrinsecum, gustus et tactus essent unus sensus, quia conveniunt in uno genere proximo quod est sumptum ab uno modo sentiendi. Item non tantum quatuor, sed duo essent sensus exteriores. Probatur quia tres sensus, visus, auditus et olfactus sunt unus sensus, cum conveniunt in uno genere proximo sumpto ex eodem modo immutandi seu sentiendi, quia omnes illi tres sen- tiunt per se, per medium extrinsecum; gustus vero et tactus essent unus alius sensus, ut visum est, quare tantum duo essent sensus exteriores. Ideo Thomas in prima parte et in Quaestionibus disputatis dedit aliam responsionem et eum secutus est Aegidius hic in expositione. Dicunt enim quod sunt quinque sensus exteriores, quia sunt quinque modi immutandi ipsos sensus: sumuntur autem isti modi sic: quia in mutatione sen- suum exteriorum, aut obiectum tantum specialiter. immutatur, et ex isto modo immu- tandi sumitur una potentia quae est potentia visiva; aut obiectum realiter immutatur per motum localem, organum vero specialiter, et ex isto modo sumitur una alia po- tentia quae est potentia auditiva; aut obiectum convenienter immutatur per motum alterationis et organum specialiter, et ex hoc modo sumitur tertia potentia quae est potentia olfactiva, fit enim olfactio per fumalem evaporationem quae non est sine motu alterationis; in tactu vero et gustu est etiam immutatio realis ex parte obiecti, et ex parte organi et sensus, sed aliter et aliter. Omnia aliter immutantur tactus et aliter gustus, quia tactus immutatur realiter a qualitate propria et tangibili cuius est perceptivus: gustus vero realiter immutatur non secundum qualitatem propriam, sed secundum qualitatem alienam, quia immutatur realiter ab humore et specialiter recipit sapores. Non enim opor- tet quod si gustus habeat percipere dulcedinem, ut gustus fiat realiter (dulcis), sed bene oportet quod fiat actu humidus. Oportet autem quod, si debeat percipere caliditatem et alias qualitates tangibiles, ut tactus fiat actu calidus, frigidus et sic de altis. Et ideo ex ista diversitate, quae est inter immutationem realem tactus et immutationem realem gustus, sumitur diversitas potentiae tactivae a potentia gustativa, et sic sumun- tur isti duo sensus. Primum ergo ex istis quinque modis immutandi, quibus sensus exteriores contingit immutari, sumitur numerus sensuum exteriorum. Redeundo modo sani J — 525 — ad propositum argumenti, dicunt quod potentiae tactivae in specie sunt plures; in ge- nere tamen proximo omnes sunt ut una potentia, quia omnes potentiae tactivae con- veniunt in hoc, quod eodem modo immutantur ut dictum est. Quare. Licet in quarta responsione esset difficultas quam tetigi supra, dum legerem com- mentum de humido, quum dicunt gustum percipere, ad hoc ut species saporis compre- hendat; quia, ut supra diximus, non videtur possibile quod gustus percipiat humorem, quia sensibile proprium est quod non contingit altero sensu sentiri; cum ergo humor sit sensibile proprium sensus tactus, quomodo possibile erit talis humor a gustu per- cipi? Sed de hoc satis dictum iam.... Verum circa hanc responsionem Thomae et Aegidii, insurgit multo maior difficultas; quia, licet verum sit quod, si tactus debeat percipere calidum, frigidum, humidum et sic- cum, (debeat eadem fieri) licet hoc de sicco non appareat; non enim mihi videtur, nec ita est quod si manus mea sentiat aliquid siccum ut manus mea fiat sicca; non tamen verum est in qualitatibus sequentibus quatuor qualitates primas. Nec si tango aliquid leve, ma- nus mea fit levis, nec si durum dura, nec si molle mollis, nec si asperum aspera. Dice- rem enim: hoc est extrema fatuitas; mihi videtur, quod ratione continui (?), quia asperum leve et aliae qualitates tangibiles sequentes primas qualitates non sunt qualitates activae, sed bene eas sequuntur; ideo non oportet quod si tango aliquid grave quod illud tale indu- cat gravitatem in manu mea, et sic de aliis et ita non videtur quod omnes potentiae tactivae habeant eumdem modum immutandi ut dicit Thomas,quia ut diximus, licet duae potentine tactivae habeant eumdem modum immutandi, scilicet potentia perceptiva calidi et frigidi, et potentia perceptiva humidi et sicci, licet de sicco non videatur verum; aliae tamen poten- tiae habent modum immutandi. Ideo potentiae tactivae non possunt esse una potentia in genere proximo si deberet sumi genus proximum ab illo modo immutandi quem po- suit Thomas in ipso tactu; quia, ut diximus, illud non potest esse unum genus pro- ximum, cum non sit idem modus immutandi omnes potentias tactivas; ideo do aliam responsionem. Sustinendo itaque opinionem Aristotelis et ceterorum peripateticorum dicemus quod sumitur unitas in tactu penes unum genus proximum in quo omnes qualitates tangibilium conveniuntin hoc alquodsunt differentiae corporum generabilium et corruptibilium......generabilia sunt ut dixit Aristoteles. Dicebat enim Philosophus quod obiecta sensus tactus sunt differentiae corporum generabilium et corruptibilium; hae au- tem sunt caliditas, frigiditas, humiditas, et siccitas, asper, lene, grave, et leve. Non sic autem est (de) quatuor obiectis aliorum sensuum. Nam non omne corpus generabile aut corruptibile est album vel nigrum, similiter nec dulce vel amarum, sed bene omne tale corpus aut calidum aut frigidum, aut humidum aut siccum. Et ideo secundum omne genus proximum, quod est differentia corporum generabilium et corruptibilium, obiecta sensus tactus sunt ut unum obiectum, et omnes potentiae tactivae sunt una potentia in genere proximo, et sic sensus tactus est unus sensus, licet, secundum speciem, poten- tiae tactivae sint plures et sic tactus fit sensus plures. Sed est adhuc difficultas, quum ratio Aristotelis, quae probat quod tactus sit sensus pluralis, non videtur valere nec concludere quod intenditur. Arguebat enim sic | Avistoteles. Illa potentia sensitiva non est una quae percipit plures contrarietates, ergo tactus non est una potentia sed plures. Modo obiiciendo quod ista ratio nulla sit, quia eodem modo, arguo de sensu communi quia sensus communis percipit plures Ch. 235 recto Ch.235 verso Ch. 236 recto Ch. 236 verso — 526 — contrarietates, ut contrarietatem albi et nigri, dulcis et amari et alias contrarietates sen- suum exteriorum, ergo sensus communis est pluralis sensus; consequens tamen est fal- sum, et contra Aristotelem, ut videbimus infra in capitulo proprio, ubi apparebit sensum communem esse unam potentiam: si ergo ratio mea non valet, nec etiam ratio Ari- stotelis valebit, quare non videtur sequi necessarie: sensu tactus percipi plures con- trarietates, ergo sunt plures sensus. Ad hoc dicitur communiter quod illa propositio: unius potentiae debet esse sola contrarietas, debet intelligi per se primo: non enim percipit sensus communis aliquam contrarietatum primarum per se primo, ut contrarietatem calidi et frigidi, dulcis et amari, sed per se primo percipit unam contrarietatem communem innominatam quae ex. gr. dicatur a et bo. Non sic autem est de tactu, quum tactus per se primo percipit omnes contrarietates tangibiles. Ideo ratio valet de tactu quum per se primo percipit plures contrarietates, non valet autem de sensu communi, quum sensus communis non est per se primo perceptivus plurium contrarietatum, sed per se primo percipit unam contrarietatem innominatam. Sed ista responsio non videtur sufficiens quum ista dicam de tactu, quod scilicet tactus non per se primo comprehendit illas contrarietates, sed per se primo tactus est perceptivus unius contrarietatis innominatae, quae similiter vocetur a et b; et ita sicut sensus communis est unus, ita sensus tactus erit unus. Dixit Thomas, in prima parte, in Quaestionibus disputatis, quod probabiliter potest teneri quod sensus tactus sit unus sensus, nec aliqua ratio demonstrativa est in apprehensione; sed quod dicemus sustinendo Aristotelem? Sustinendo opinionem Aristotelis dicemus, quod non est eadem ratio de sensu communi et de tactu, quia non est eadem ratio de servo et de domino, quia enim sensus communis est sensus interior, et communis virtus pro eius unitate non requirit unitatem contrarietatum; imo stat cum unitate eius pluralitas contrarietatum; modo in sensu parviculari et exteriori est bene neces- sarium quod, si sensus est unus, debeat esse unius contrarietatis tantum per se primo perceptivus. Cum ergo tactus sit sensus particularis et exterior, si non erit unius contrarietatis tantum per se primo perceptivus, non erit unus sensus; modo, ut ap- paret, sensus tactus est per se primo perceptivus plurium contrarietatum, ut contrarietates calidi et frigidi et similiter contrarietates humidi et sicci, quorum nulla ad alteram reducitur, quare. Ideo necessario tactus debet poni plures sensus non autem unus; non autem est sic de sensu communi. Sed adhuc contra nostram determinationem insurgit difficultas, quam (fugiemus) fugiendo ad sensum particularem, quod si talis sensus percipit plures contrarietates est plures sensus, et si percipit tantum unam contrarietatem est sensus unus. Modo obiiciendo dicet quis quod non possumus ad hoc fugere, quum visus est una potentia particularis, et tamen percipit sua obiecta quae magis distant quam obie- cta sensus tactus, visus enim perceptivus est coloris et lucis; modo magis distant lux et color, quam calidum et frigidum, humidum et siccum et quam aliae diffe- rentiae, seu contrarietates qualitatum tangibilium,. quum lux est qualitas aeterna, color vero est qualitas non aeterna; omnes autem qualitates tangibiles sunt genera- biles et corruptibiles; modo plus differunt aeternum et corruptibile, quam corruptibile et corruptibile; ergo color et lux magis differunt quam qualitates tangibiles, seu contrarietates earum ad invicem differant; non ergo est concludendus sensus tactus — 527 — esse plures sensus ex eo quod est sensus particularis perceptivus contrarietatum plu- rium omnino distinctarum, quia videmus quod visus est una potentia ut communiter conceditur, et tamen visus est una potentia particularis percipiens sua obiecta magis differentia quam obiecta et contrarietates sensus tactus, quare. Ad hoc dari possunt duae responsiones secundum quod duae sunt opiniones de luce. Prima responsio est secundum tenentes quod lux sit idem subiecto quod color, licet. color et lux forma- liter distinguantur; nam secundum istos, color nil aliud est nisi lux obumbrata, et ista lux et color sunt idem subiecto et materialiter, distinguuntur autem formaliter, quia lux est lux pura, color vero lux non pura. Secundum ergo hane responsionem negatur quod color et lux magis differant quam contrarietates tangibiles, imo sunt unum et idem subiecto, licet formaliter distinguantur. Secundum vero alteram opi- nionem quae tenet quod non sint realiter idem color et\lux, est dicendum quod in comparatione ad ipsos sensus magis differunt obiecta tactus, quam lux et color, licet in se et essentialiter magis differunt lux et color quam obiecta tactus, ut probat ar- gumentum. Quomodo autem in comparatione ad ipsos sensus altera est diversitas inter calidum et frigidum, et humidum et siccum, verbigratia, quam inter lucem et colorem, declaro, quia comparando lucem et colorem ad visum, lux et color se habent in qua- dam analogia; primo enim percipitur lux dein color; color enim mediante luce perci- pitur, ut supra dixit Aristoteles, cum dicebat: color est actus diaphani secundum actum in actu illuminati, ut exponebat Commentator, et sic color percipitur mediante luce. Modo in contrarietatibus tangibilium non est talis analogia quum omnes tales con- trarietates per se primo percipiuntur a tactu, nec una percipitur mediante alia, ideo remanet quod tactus sit plures, licet sensus visus sit unus sensus. Sed circa totum quaesitum est una difficultas per se et seorsum distincta ab his quae hucusque dicta sunt, quia non videtur omnino necessarium quod. ta- ctus sit una potentia et unus sensus, non autem plures, quum illa potentia, quae iu- dicat circa plures contrarietates est una potentia; sed tactus iudicat circa plures contrarietates, per tactum enim et non per alterum sensum iudicamus an hoc sit calidum, frigidum, humidum et siccum; ergo sensus tactus est unus sensus et una potentia. Hac ratione utitur Philosophus hic inferius, ubi probat quod datur alius sensus a quinque sensibus, qui est sensus interior, quare. Ad hoc dicatur quod non est tactus qui ponit differentiam inter tangibilium contrarietates, neque est una ali- qua potentia tactiva, quae afferat iudicium de pluribus quam de una contrarietate tangibilium, sed sensus communis est qui de omnibus illis iudicat. Decipimur autem nos et credimus quod sit sensus tactus (illud) quod de omnibus illis iudicet, quum potentiae tactivae concurrunt initiative, sed non principaliter ad hoc iudicium. Cum enim unaquaeque potentia percipit suam contrarietatem, sunt occasiones sensui communi ut omnes illas contrarietates comprehendens de illis iudicet; ideo cum potentiae tactivae sunt ut principium occasionale huius iudicii, credimus nos quod hoc iudicium fiat ab una potentia tactiva, sed non est ita. Ideo error est in ista existimatione. Sed rursus instabit quis nostrum quando ita dicam quod visus non est qui iudicat de istis coloribus, sed dicdm quod est sensus communis, qui affert hoc iudicium, et. ponit differentiam inter unum colorem et alterum, sicut tu dicis de tactu, sed secundum communem existimationem visus est, quod iudicat de istis Ch. 237 recto Ch. 237 verso Ch. 238 recto — 528 — coloribus; ergo et tactus iudicabit de omnibus qualitatibus tangibilibus et sic tenebimus quod sit una potentia tactiva, quae omnes qualitates tangihiles comprehendat, ad hoc ut inter illas possit ponere differentias et convenientiam. Dici possit primo conce- dendo quod verum est quod non est visus qui iudicat de coloribus, sed est sensus communis; visus autem solum initiative concurrit ad hoc iudicium, sicut quod di- cebatur de tactu. Vel aliter dicatis quod visus est qui ponit differentiam inter ipsos colores, tactus autem non est qui ponit differentiam inter tangibiles qualitates, quum est aliqua diversitas in visu et tactu: sed super hoc considera tu. Utrum sensus tactus sint finiti vel infiniti. Cum determinatum sit in praeterita quaestione quod sensus tactus est plu- res, oportet secundo loco videre an sensus tactus sint infiniti, an finiti et quia clarum est quod non sunt infiniti, ergo finiti. Ideo cum sint finiti quaerimus de modo eorum, quot scilicet sint sensus tactus, seu potentiae tactivae. Im hoc quae- sito reperiuntur multae ac variae opiniones. Aliqui tenuerunt quod duae tantum essent potentiae tactivae, aliqui quod quatuor, aliqui quod quinque, alii sex, alii septem, ut diximus, ergo. Una est opinio quae tenet quod potentiae tactivae sunt tantum duae, una quae est perceptiva calidi et frigidi, et mediorum, alia quae est perceptiva humidi et sicci et intermediorum. Aliae vero contrarietates tangibilium aut reducuntur ad has duas contrarietates primas et ab eisdem percipiuntur potentiis tactivis, aut sunt sensibilia communia. Unde potentia perceptiva humidi et sicci perceptiva est duri et mollis, quum durum siccum est, molle vero est humidum. Ideo per eamdem potentiam hanc contrarietatem comprehendimus per quam comprehendimus humidum et siccum; de gravi autem et levi dicit haec opinio quod sunt sensibilia communia, ut videtur dixisse supra Commentator, ubi dicit quod ista duo percipiuntur sine motu; et ita cum motus sit sensibile commune, et grave et leve aut sunt motus, aut non percipiuntur nisi me- diante motu; erunt ergo grave et leve sensibilia communia; de aspero autem et leni aliqui dicunt quod reducantur ad humidum et siccum, quia asperitas, scilicet in qua una pars supereminet alteri, provenit ex siccitate: lenitas vero ubi omnes partes sunt aequales et nullum alteri supereminet, provenit ab humiditate et ita reducitur haec contrarietas ad contrarietatem quae est in humido et sicco. Ponimus ergo, secundum hanc opinionem, qualiter omnes contrarietates tangibilium percipiuntur a duobus po- tentiis tactivis, et ita quod tactus sit tantum duo sensus. Aliquibus autem non placuit haec opinio, et primo quoad hoc quod diximus de duro et molli, quod reducuntur ad humidum et siccum, quia non cognoscimus durum per solam siccitatem; non enim cognoscimus aliquid esse durum ex eo quod est siccum, sed ex eo quod est comprehen- sivum (compressivum?) a tactu non cedit tactui; similiter nec percipimus aliquid esse molle percipiendo illud esse humidum, sed ex eo quod videmus illud cedere tactui, et sic haec opinio videtur falsa. Nec stat talis opinio cum mente Commentatoris, quia in hoc capite Commentator vult quod per aliam potentiam percipiantur omnes hae qualitates tangibilium. Unde, secundum ipsum, alia est potentia calidi et frigidi, alia humidi et sicci, alia gravis et levis; non autem secundum eius intentionem potentia perceptiva calidi et frigidi, et potentia perceptiva humidi et sicci sunt potentiae perceptivae omnium aliarum iszzle — 529 — contrarietatum tangibilium, quare secundum sententiam Commentatoris non tantum sunt duae potentiae tactivae, sed plures quam duae. Quod etiam dixit haec prima opinio de gravi et levi, quod sunt sensibilia communia et non percipiuntur nisi mediante motu, non videtur esse ad mentem Aristotelis, quum hoc numquam posuit Aristo- teles, sed ista enumerat inter differentias tangibilium, tamquam obiectum proprium sensus tactus, neque videtur forte necessarium quod percipiatur motus, si debeat gra- vitas et levitas comprehendi: quia si ista duo perciperentur mediante motu, cum motus sit sensibile commune, per quod percipietur ipse motus® Aut enim per sensibile pro- prium, aut per sensibile commune; sed non videtur quod motus percipiatur mediante sensibili proprio, neque mediante sensibili communi. Non videtur ergo quod si debeam grave et leve comprehendere, (oportere) ut motum ipsum comprehendam. Quod autem dixit haec opinio de aspero et levi, quod scilicet reducuntur ad figuram, videtur esse satis tolerabile dictu. Quia ergo haec opinio videtur in multis deficere, ideo altera re- peritur opinio quae tenet quod potentiae tactivae sunt quatuor, scilicet: prima quae percipit contrarietatem calidi et frigidi, secunda quae percipit contrarietatem humidi et sicci, tertia quae perciplt contrarietatem gravis et levis, quarta quae percipit contrarie- tatem duri et mollis. De aspero autem. et de leni non ponitur potentia ab illis quatuor distineta, quae talis contrarietatis sit perceptiva, quia haec aut reducuntur ad figuram, aut ad contrarietatem quae est in humido et sicco, et ideo percipiuntur ab illa. po- tentia, quare. I Aliqui alii, non contenti his quatuor potentiis tactivis, ponunt unam aliam poten- tiam tactivam, quae attenditur penes dolorem et laetitiam. Ratio autem cur po- nant hanc potentiam tactivam, est quia per tactum cognoscimus delectationem et tri- stitiam, sed non per aliquam potentiam determinatam ista cognoscimus; quia aliquando sentimus delectationem auttristitiam, et tamen (non) comprehendimus calidum et siceum, durum et molle; sicut si quis vestrum pingat papillas mulieris, ex illo tactu sentietis magnam delectationem, et tamen in tali delectatione non sentietis an id quod tangitis sit calidum, frigidum, aut humidum et siccum, aut grave et leve. Similiter si quis patiatur magnum dolorem sentit maximam tristitiam, et in percipiendo dolorem sentit quanta est (sic), quum nescit an sit calida vel frigida, humida vel sicca; ergo delectatio et tristitia percipiuntur per tactum, et clarum est ad sensum; et cum non percipiatur ab aliqua quatuor potentiarum, videtur esse necessarium ponere quintam potentiam, quae sit delectationis et tristitiae perceptiva. Istam opinionem insequentes inter se diversificati sunt; quia quidam volunt quod haec sit tantum una potentia tactiva di- spersa per totum animal, aliqui vero volunt quod sint duae potentiae, una quae est in membris genitalibus, et haec potentia percipit maximam delectationem, quae possit esse in ipso tactu; delectatio enim quae datur in actu venereo est tanta, ut dixit Divus Hieronimus, ut si angeli coirent, dum essent in concubitu, obliviscerentur de omni- bus rebus. Aliqui alii ponunt aliam potentiam tactivam in gutture, et haec perceptiva est delectationis in gusta secundum contemperantiam cibi, in qualitatibus primis, secun- dum quam ipsum cibum est conveniens animali; ista autem delectatio gulae est ibi vere et proprie delectatio, sed non est tanta quanta in venereis. Cum autem istae duae delectationes non sunt in quacumque parte nostri corporis, sed unaquaeque illarum PARTE TERZA — Vo. III° — SERIE 2.° 67 Ch.238 versa Ch. 239 recto — 530 — fit in certo et determinato loco; ideo posuerunt isti has duas virtutes sensitivas par- tiales in membris nostri corporis, unam scilicet in membris genitalibus et alteram in gula. Aliqui alii ponunt tertiam potentiam perceptivam tristitiae et laetitiae, quam Ch.239 verso dicunt esse dispersam per totum corpus animalis, et ista tertia potentia est perceptiva laetitiae et tristitiae, quae fiunt in toto corpore, sicut quando habemus scabiem, sen- timus magnum pruritum per totum corpus, quem cum quaerimus manu amovere, car- pendo ipsam cutem, sentimus magnam delectationem per totum corpus; verum post hanc delectationeom quae est in pruritu, insequitur magnus dolor et tristitia, qualiter non est in delectatione venerea et delectatione gulae; nec ista delectatio est tanta, sicut sunt illae duae. Licet Conciliator fuerit vir magnus, mihi tamen videtur quod ista sua opinio ponens illam quintam potentiam tactivam, quae est perceptiva laetitiae et doloris sit contra Aristotelem, quum si, praeter illas quatuor potentias, esset ponere hanc quintam potentiam, Aristoteles fuisset valde diminutus, quum Aristotelis (sit sen- tentia), ego credo quod sit in textu commenti 119, quod obiecta tactus sunt diffe- rentiae corporum generabilium et corruptibilium. quatenus generabilia et corruptibilia, quod non est de dolore et tristitia; neque Aristoteles in hoc loco, neque alibi ut in quinto De animalibus enumerat dolorem et tristitiam inter obiecta tactus, sed bene enumerat semper alias contrarietates. Argumentum tamen hoc non est demonstrativum sed probabile, quia posset respondere Conciliator quod Aristoteles solum enumerat obiecta tactus magis famosa. Secunda ista opinio non videtur nimis sufficiens, quia non potest bene evadere difficultates, quia cum tactus, secundum Conciliatorem, do- lorem sentiat, tactus cognoscet se dolere et sic cognoscet tactus suam operationem propriam, quae est sentire, quare tactus erit virtus reflexiva sui super se, quod est falsum. Tertio deficit haec opinio, quum, licet laetitia et dolor non fiant sine cogni- tione tactiva, non tamen ista duo sunt operationes potentiae tactivae, sed operationes Ch. 240 recto apprehensivae, quae est una virtus distineta a virtute tactiva; ideo cum dolor et tri- stitia non sentiantur a virtute tactiva, sed ab apprehensiva, non est ponenda illa quinta potentia tactiva, quae habeat laetitiam et dolorem comprehendere, quare nullo modo potest stare opinio Conciliatoris. Quare puto quod melius sit tenere quod tantum sint quatuor potentiae tactivae. Pro solutione autem argumenti Conciliatoris, est tria con- siderare in ipso dolore aut laetitia: primo causam doloris et tristitiae (sic), secundo res quae est dolor, vel laetitia, tertio cognitionem doloris et laetitiae. Tune dico quod causa laetitiae est impressio conveniens in ipso tactu, causa vero tristitiae est mala et disconveniens impressio facta in ipso tactu atangibili,et haec causa percipitur ab ipso tactu. Tristitia vero et laetitia sunt qualitates factae, seu genitae in virtute apprehensiva, quae qualitates insequuntur cognitionem tactivam, scilicet illarum passionum convenientium aut disconvenientium. Unde si tactus cognoscat impressionem sibi illatam a tangi- bilibus sub modo convenientiae, virtus apprehensiva, quae sequitur cognitionem ta- ctivam, laetatur: si vero tactus cognoscat impressionem sub modo disconvenientiae, virtus apprehensiva contristatur; neque ex hoc quod virtus apprehensiva dolet, aut tristatur (sic) ex convenienti, aut disconvenienti impressione facta in tactu, oportet ut ipse cognoscat laetitiam aut dolorem; non ergo est necessarium ponere quintam po- tentiam tactivam ex eo quod laetamur aut tristamur, aut ex eo quod cognosci- mus laetitiam aut tristitiam, sicut posuit Conciliator, quia, ut diximus, non est — 5381 — potentiae tactivae laetari aut tristari, sed bene potentiae tactivae est percipere qua- litatem impressam convenienter aut disconvenienter, ex qua convenienti aut discon- venienti impressione originatur dolor et tristitia, quare argumentum Conciliatoris nul- lius est valoris. Sed dices: tu ponis quod tactus non est qui doleat, sed tamen oportet quod virtus tactiva sit in operatione, si virtus apprehensiva habeat dolere aut tri- stari. Sed contra: quia in usu venereo maxime laetamur, et tamen non sentimus ca- lidum, frigidum, humidum et siccum, ergo non oportet virtutem tactivam esse in operatione dum percipimus laetitiam: similiter dicatur de dolore. Quomodo ergo hoc reducis ad aliquam quatuor potentiarum tactivarum cum a nulla potentia tactiva percipiatur? Illud argumentum reputatur insolubile, sed istud argumentum aeque bene vadit contra Conciliatorem quam contra nos: quum licet Conciliator ponat quod lae- titia et tristitia sint qualitates tactivae, quae percipiuntur ab illa quinta potentia; . oportet tamen ut det causam ipsius delectationis, aut contristationis, quod prius debeat cognosci ab aliqua potentia tactiva; non possunt autem creari lactitia et tristitia, nisi a primis quatuor qualitatibus; ergo oportet illas esse cognitas ab aliqua potentia ta- ctiva, et ita oportet etiam concedere, quod virtus tactiva perceptiva calidi et frigidi, et virtus perceptiva humidi et sicci sint in operatione; si illa scilicet quinta potentia debeat percipere laetitiam et tristitiam, quia laetitia et tristitia non fiunt sine cognitione praecedente; quare aeque bene contra Conciliatorem procedit argumentum factum de venereis sicut contra nos, quia in (hoc) casu sentitur maxima delectatio, et tamen non sentitur calidum, frigidum, nec humidum et siccum: quare ideo oportet solvere argu- mentum pro nobis, et pro ipso Conciliatore. Dico ergo itaque quod in actu venereo, ubi sentimus tantam delectationem, sunt calidum, frigidum, humidum et siccum re- ducta ad temperamentum, sed tamen tactus non cognoscit an hoc sit calidum an frigidum, humidum an siccum; nec hoc inconvenit, sicut videmus quod boni coqui faciunt quandoque sapores adeo delicatos ut nescimus an sint dulces, aut alicuius al- terius certi saporis; similiter pictores, admiscendo varios colores ad invicem, faciunt unum quoddam quod non est albedo, neque nigredo, nec per visum iudicamus nos illud esse albedinem aut nigredinem, sed percipit visus unum quoddam, quod nescit an sit album aut nigrum. Bene tamen cognoscit visus quod illud tale commixtus est color, sed quis color sit, non potest discernere, et similiter de tactu in venereis; in emissione enim seminis illa delectatio creatur ex commixtione temperata calidi et frigidi, nec sentio an ibi sit calidum (vel) frigidum. Sed contra hanc responsionem insur- git difficultas, quia diximus quod in emissione seminis est caliditas, et tamen non cogno- scit tactus an illud contemperamentum sit calidum, frigidum; sed (item) contra, quia si ita esset, sequeretur quod sensus deciperetur circa proprium sensibile, quod est contra sententiam Aristotelis superius, ubi dixit: quod’ sensibile proprium est quod ab uno sensu contingit sentiri, et circa ipsum non decipitur sensus; quia in illa emissione seminis est calidum, frigidum et tamen tactus non percipit calidum ibi existens. Si vellem ad hoc dare responsionem communem, facile evaderemus argumentum, dicendo quod sènsus non decipitur circa proprium sensibile secundum genus, sed bene deci- pitur visus (non) quum color, sed quum est bic vel ille color ut albus vel niger. Ita dicerem quod tactus in emissione seminis non decipitur in iudicando an ibi sit qualitas prima, sed bene decipitur in iudicando quae illarum quatuor sit ibi, sed quia Ch. 240 verso Ch.241 recto Ch. 241 verso Ch. 242 recto — 532 — haec responsio non est ad mentem Commentatoris ut iam diximus, ideo do aliam responsionem quam iudico esse veram, et ad mentem Aristotelis et Averrois. Dico ergo quod tactus non decipitur circa proprium obiectum secundum genus, nec secun- dum speciem, similiter nullus alius sensus, si salventur tres conditiones positae a The- mistio: scilicet debita distantia sensibilis ab ipso sensu, debita dispositio ex parte organi, et debita dispositio ex parte medii. His tribus servatis, non decipitur sensus circa proprium sensibile, sed bene decipitur altera earum deficiente, et sic est in actu venereo; decipitur enim sensus tactus quia ibi est defectus ex parte organi, et propter talem defectum non potest tactus rectum iudicium afferre de illo sensibili; hic autem defectus potest propter alteram duarum provenire. Secunda causa est ma- xima delectatio, seu appetitus et passio: passiones enim corrumpunt iudicium, ex ni- mio enim dolore aut laetitia potest tactus impediri a recto iudicio. Altera causa est, quia, sicut si oculus habet colorem citrinum, sicut habent aegrotantes febre colerica, talis visus quodcumque videt iudicat citrinum propter indispositionem organi visus, seu oculi, sic dico quod in tactu, ex eo quod in emissione sunt quatuor qualitates multum commixtae cum emittitur semen, una species confundit aliam et non permittit tactum rectum afferre iudicium de altera. Illud ergo commixtum ex quatuor primis qualitatibus percipitur a potentia perceptiva calidi et frigidi, et a potentia perceptiva humidi et sicci. Sed non recte percipitur calidum et frigidum; quare salvatur quod potentia tactiva sit in operatione dum apprehensiva laetatur aut tristatur, et Conci- liator, iudicio meo, ad hoc idem debet devenire. Sed dices: ex toto non solvitur diffi- cultas quam tu non potes negare, quando sentiamus dolorem et laetitiam: et tune stat argumentum Conciliatoris: quum cognoscimus dolorem et laetitiam et non per aliam potentiam quam per potentiam tactivam, non per aliam quatuor dictarum po- tentiarum, ergo debet dari quintam potentiam tactivam quae cognoscet laetitiam aut tristitiam. Quare si non esset auctoritas Aristotelis, adherirem opinioni Concilia- toris: sed quia Aristoteles numquam posuit laetitiam et tristitiam inter obiecta po- tentiarum tactivarum, ideo puto esse aliter dicendum, quae scilicet sit potentia cogno- scitiva doloris et laetitiae. Pro quo debetis scire quod circa hoc sunt variae et diversae opiniones, quae scilicet sit virtus cognoscens laetitiam aut dolorem. Gentilis in secundo, ibi in illa parte Doloris, et Jacobus de Forlivio (qui) est eum insecutus dicunt quod virtus cognoscitiva doloris et laetitiae est sensus communis. Ugo vero Senensis ponit quamdam imaginativam imperfectam dispersam per totum corpus quae cognoscit dolorem et laetitiam. Conciliator vero vult quod sit illa quinta potentia tactiva, et sic circa hoc quod sit potentia cognoscitiva doloris et laetitiae sunt opiniones (?) iudi- cabiles (judicabitis?) autem quae sit melior; quae enim opinio sit vera Deus scit; sed mihi videtur quod tristari aut laetari non sit operatio virtutis tactivae, sed est operatio ap- prehensivae, quae virtus, in sua operatione, insequitur cognitionem potentiarum tactiva- rum, quae sunt in operatione. A qua vero virtute cognoscatur laetitia, et tristitia sum cum Ugone aut Jacobo, nullo modo cum Conciliatore. Quare. Et sic Deo duce expliciunt quaestiones Maximi Philosophi Ponponatii Mantuani super tres libros Aristotelis de Anima. — 533 — SUPPLEMENTA QUARUMDAM QUAESTIONUM QUAE PRIUS IMPERFECTE TRADITAE SUNT. Utrum mobilitas scientiae sumatur a mobilitate subiecti vel a certitudine demon- strattonis. Circa quaestionem illam primi De anima, numquid nobilitas scientiae sumatur a subiecti nobilitate, vel a certitudine demonstrationis, et praecipue contra rationem quae tenet quod a nobilitate subiecti sumatur nobilitas scientiae; circa quam ra- tionem dubitatur, quia haec responsio uon videtur vera, nam magis videtur quod perfectio scientiae est sumenda a certitudine quam a nobilitate subiecti. Ratio satis evidens est, quia cum certitudo sit qualitas, et se habeat ut forma, subiectum vero ut materia; modo forma est perfectior, materia; ideo, cum perfectio certitudinis sit ut forma, perfectio vero subiecti ut materia, altior et nobilior erit perfectio certitudinis, quam subiecti, (et) sequeretur quod scientiae, quae sunt de eodem subiecto essent aequaliter perfectae, quod est falsum; quia si una scientia conside- raret Deum in quantum est intelligens, et alia in quantum est primus motor, valde perfectior est scientia quae consideret Deum in quantum est intelligens, quam illa quae consideret Deum in quantum est primus motor. Contraria videtur nota, quia istae duae scientiae considerant de eodem obiecto, ergo sunt eiusdem perfectionis, cum perfectio scientiae attendenda sit penes perfectionem in subiectis. Tertio arguitur: data illa positione, sequeretur, quod scientia quae esset de subiecto infinitae per- fectionis, illa scientia esset infinita, contraria tenet quod si subiectum est ali- quantisper perfectum, scientia est aliquantisper perfecta, et (si) subiectum sit in du- plo perfectius, scientia erit in duplo perfectior et ita procedendo; ergo si subiectum sit infinitae perfectionis, scientia illius erit infinite perfecta; sed contra est falsum quia Metaphysica et Theologia quae considerant de Dec sint infinitae, quia cum tales scientiae sint qualitates in nostro intellectu, qui est actu finitus, non possunt esse infinitae, aliter finitum actu reciperet actu infinitum; tamen quia soli Deo conceditur infinitas perfectionis, sustinendo Thomam, dicitur vel primum: cum dicis quod nobi- litas sit a certitudine demonstrationis nego, et cum probas quia certitudo se habet ut forma, cum sit qualitas, perfectio vero obiecti ut materia; modo forma est nobilior materia; dico quod illa propositio: forma est nobilior materia, intelligenda est in eodem genere; itaque si aliquo duo sint eiusdem generis quorum unum se habeat ut for- ma, alterum vero ut materia; illud quodse habet ut forma est nobilius eo quod se ha- bet ut materia, sed si sunt diversorum generum, (dico) quia, ut dictum est, obiectum se habet ut substantiale, et certitudo ut accidentale. Ad argumentum, cum dicis: sequeretur quod scientiae quae essent de eodem subiecto essent aequaliter perfectae; dicas quod illa propositio: perfectio scientiae attenditur penes subiectum, habent intelligere de subiecto formali. Ad argumentum ergo non inconvenit id quod deducitur sì illae scientiae sint de eodem subiecto formali et eodem modo considerato , sed non sunt duae scientiae quae eodem modo considerant Deum; nam una scientia est, quae considerat Deum Ch. 248 recto Ch. 248 verso Ch. 249 recto Ch.250 verso — 594 — in quantum est intelligens, alia vero quatenus primus motor. Prima consideratio est valde perfectior, quia Deus ut intelligens habet rationem perfectiorem quam ut pri- mus motor. Ad tertium, si teneamus non esse aliquid infinitum in actu, tune fal- sum esset quod scientia Dei esset infinita, et sic faàciliter solveretur argumentum; sed quia fides catholica tenet Deum esse infiniti (sic), ideo oportet respondere ad ar- gumentum, quod est valde difficile. Ideo isti negant similitudinem ut primum in quaestione principali, quia dicunt quod licet Deus sit infinitus tamen finite compre- henditur, ergo. Ad quod aliqui dicunt negando consequentiam. Ad probationem, dicunt ad anteriorem negando eam, quia secundum quod isti dicunt, non oportet probatio- nem scientiae adaequari prascise perfectioni obiecti, et ita falsum est quod assumebatur, quod si obiectum sit perfecticnis ut duo, quod scientia illius sit perfectionis ut duo, et sic de aliis, quare non sequitur: obiectum est infinitae perfectionis, ergo scientia illius est infinita. Ratio et fundamentum huius opinionis est quia intelligens non potest perfecte intelligere Deum, neque est capax infinitatis Dei, et sic neque scientia Dei est infinita. DIMORE e REONMNTA OSRIORO TO, CO PO ei ce) el e) ne) tie lol tie) ie) e, ce lle, 0.‘ le, e, 0. (‘allo ez el 0). tO) Roll (LOUIS SONA NEO) Utrum anima sit immortalis secundum Aristotelem. Circa commentum duodecimum dubitatur et moveo quaestionem quam etiam tetigi in quaestione mea de immortalitate animae, quia tenent Thomas et Commentator, quod secundum Aristotelem anima intellectiva sit immortalis, licet diversificetur in eorum positione. Tune arguo, sic abiiciendo animam esse immortalem secundum Ari- stotelem. Si intelligere est phantasia aut non sine phantasia, ipsa anima est inseparabilis a materia, sed intelligere non est sine phantasia ergo anima non est separabilis a cor- pore. Ratio est conditionalis cum positione accidentis, qualiter argumentum valet de forma. Prima propositio est Aristotelis in textu 12°, secunda etiam est Aristotelis, quod apparet per ipsum, ubique locorum ubi loquitur de ipso intelligere, et in tertio De anima, quod intelligere non potest esse sine phantasia, quia necesse est intelligentem phantasmata speculari: hoc idem habetis ab ipso Philosopho in quinto De sensu et sen- sato, et in primo Posteriorum et in infinitis locis, nec prohibemur quod in breviori propositione non acceperim illa duo, sed solum illud ultimum «anima non est sine phantasia», quia idem est ac si adeo illa accipiam, cum ab una parte disiunctive ad totum valeat argumentum; quare sequitur quod anima sit mortalis. Sed dices quod illa absolute est falsa, quia solum est verum de ipso intelligere animae nostrae pro hoc saeculo, non autem pro alio statu; vel secundum Averroem, solum habet veritatem . illam brevior de intelligere animae nostrae secundum quod anima est naturalis for- ma, non autem secundum quod se intelligit, quia in ista intellectione non indiget phantasmate. Sic ergo illa secundum Thomam est vera in hoc statu, non autem in alio in quo nostrum intelligere est sine phantasia; secundum vero Averroem est vera secundum quod nobis est forma, non autem secundum quod se intel ligit. Sed contra, quum ista dicta Thomae et Averrois praesupponunt animam esse immortalem, sed hoc est quod inquiritur, utrum, scilicet, sit immortalis et utrum habeat aliquam talem operationem. Sed dices, ut dicit Thomas, quod oportet primo probare utrum anima sit immortalis et abstracta, deinde probare utrum habeat operationem propriam. Sed dico: si ita est, quod somniavit Aristoteles in texto 12°, — 539 — quod ista quaestio est necessaria ad cognoscendum abstractionem animae, simili- ter et Commentator quod oportet ponere ante oculos nostros utrum anima ha- beat aliquam operationem sibi propriam necne, si volumus cognoscere abstractio- nem animae? Si enim prius oporteret probare quod anîma sit immortalis et dein, hoc habito, quod habemus aliquam talem operationem propriam, quomodo quaestio quaerens de anima utrum habeat operationem aliquam propriam sibi, esset necessaria ad cognoscendum quod anima est abstracta, cum Aristoteles dicat oppositum, ut di- ximus? Similiter non oporteret ponere istam quaestionem ante oculos nostros, scilicet utrum habeat operationem aliquam sibi propriam, in volendo cognoscere qualitatem abstractionis animae ad probandum quod anima intellectiva sit immortalis in textu quinto et sexto et septimo. Prima ratio quia recipit omnes formas materiales, et secunda ratio quia intelligere non est in organo, cum non intelligat anima cum hic et nunc. Tertia ratio quia in hoc est differentia inter sensum et intellectum, quia sensus post magnum sensibile non comprehendit minus sensibile, intellectus autem post magnum sensibile, intelligibile apprehendit etiam minus intelligibile: ex quibus concludit (con- cluditur!) quod anima nostra est immortalis. In omnibus enim (autem?) istis rationibus supponit Aristoteles quod egeat corpore tanquam obiecto, ergo in omnibus istis supponit Aristoteles quod anima sit mortalis. Vultis videre quod ad principia Aristotelis sequatur quod anima non possit separari a corpore? Quia ponit Aristoteles in definitione il- lius corpus organicum, ergo vult Aristoteles quod anima intellectiva, sicat” et aliae animae, sit virtus organica; ergo secundum Aristotelem anima semper est cum corpore, eb ita non potest a corpore separari. Dices forte quod non oportet ad sciendum ani- mam esse immortalem scire an labeat aliquam operationem propriam et abstractam, sed voluit Aristoteles quod, si perfecte debeamus scire quod anima sit immortalis,oportet scire quod nec egeat corpore tanquam subiecto, et ita non est necessarium scire ista secundo De anima, ad sciendum animam esse immortalem, et hoc est ultimum ad quod possunt confugere, sed contra hic deficit una ratio. Item vultis videre quod secundum Aristotelem anima non sit immortalis, et quod non habeat aliquam operationem propriam et abstractam a corpore, (advertatis) quia tunc, secundum Aristotelem, consideratio quidditiva in genere causae formalis non staret usque ad animam intellectivam; quia anima nostra in aliqua operatione per se non egeret materia, et sic quantum ad istam operationem qua, secundum Averroem, intelligit semper, vel secundum Thomam, pro alio statu, non consideraretur (a physico) sed a me- taplysico, ex quo non eget corpore in ista operatione, et sic dictum Aristotelis in secundo (primo? De anima) plus non esset verum quia consideratio naturalis stat usque ad ani- mam. Item ex felicitate ad idem arguo, quia Aristoteles numquam somniavit illam felici- tatem Thomae, quia nihil posuit Aristoteles post mortem, sed existimavit Aristoteles quod felicitas animae nostrae solum sit in hoc mundo et in scientiis speculativis. Imo ipse Thomas, in libro Contra gentiles, asserit quod de mente Aristotelis omnis feli- citas est in hoc saeculo et quod felicitas animae est in cognitione scientiarum specu- lativarum, et maxime in metaphysica, nec somniavit illam felicitatem quam ponit Averroes de copulatione intellectus possibilis cum agente; quia si videatis omnes libros Aristotelis ubi loquitur de felicitate et maxime libros Ethicae, ubi ponit felicitatem in scientiis speculativis, (videbitis quod) felicitatem non in alio mundo, quam in hoc Ch. 251 recto Ch.251 verso Ch. 252 recto Ch. 252 verso — 536 — mundo, posuit Aristoteles, nec illam Thomae, quia aliam vitam non credidit; quare concludendum est secundum Aristotelem animam esse immortalem (sic) (*). Utrum definitio de anima sit bene assignata. Contra arguitur quod non sit convenienter assignata sic. Haec definitio non com- petit cuilibet contento super definito, ergo non est convenienter assignata, patet consequentia; anterior probatur quia non competit animae intellectivae, quod patet quia intellectus nullius corporis est actus, quia sic oporteret intellectum uti organo corporeo, quod est falsum et contra Aristotelem, et omnes Peripateticos. Quare. Ad hoc argumentum primo respondeo secundum Thomam, secundo -secandum Commentatorem, tertio secundum nos. Dicit ergo Thomas in prima parte, in Quae-, stionibus disputatis, et in multis aliis locis ubi pertractat hanc materiam semper dat hanc responsionem, dicendo quod intellectus noster, quantum est de ratione sui et ratione potentiarum intellectivarum, sic non est actus corporis; sed ratione poten- tiarum sensitivarum sic est actus corporis. Quando ergo dicitur intellectus nullius ‘ corporis est actus, intelligitur de intellectu ratione potentiarum intellectivarum. Sed contra hane ratiocinationem arguo sic: quia si anima intellectiva, quatenus intellectiva est, non est actus, ideo quatenus intellectiva est, non erit anima quod est contra Ari- stotelem ponentem illam esse definitionem communem omni animae; imo, secundum Thomam, dictam univoce de omnibus animabus, et sic etiam non essent quatuor gradus animatorum, quod est contra Aristotelem ponentem quatuor gradus animae in quorum numero ponit animam intellectivam. Posset ad hoc forte dicere Thomas, quod intel- lectiva essentialiter, et, quantum est ratione sui intellectus, non est anima, et, ut sic, non sunt quatuor gradus animatorum, sed tamen est anima, prout (intellectus) est coniumetus sensitivae, et sic, ratione sensitivae, sunt quatuor gradus animae. Sed miror de hac ratio- cinatione, quia expresse non potest stare cum eius sententia, quum ipse ponit, quod Deus non posset eam facere quin essentialiter dependeat a corpore, ideo non videtur quod sit actus corporis, nisi quatenus intellectiva est. Item sumo essentiam animae intellectivae in homine: tune ipsa est substantia, vel ergo forma, vel materia, vel com- positum. Non compositum, quia sic non esset pars hominis; nec materia ut omnes con- cedunt, ergo forma et non nisi corporis; ideo intellectiva, quatenus talis, non est forma nisi corporis. Item ipse dicit quod intellectiva est actù pars essentialis ipsius hominis, ideo oportet, quod cum ex ipsa et corpore fecit (fiat) unum per se, quod ipsa sit actus et corpus potentia, aliter non fieret unum per se, et per consequens non videtur quod sit alicuius quam corporis, ideo non video qualiter illa ratiocinatio stare possit. Ad hoc forte diceretur, quod non oportet animam intellectivam actu semper dependere a corpore, licet corpus ponatur in eius definitione, sed sufficit quoad aptitudinem, sicut moveri sursum est definitio levis, quantumeumque leve non semper moveatur sursum, sed sufficit quod moveatur, vel posset moveri, et est simile illi quod dicunt theologi de accidente ut est quantitas, quia quantitas essentialiter dependet a subiecto, sive sit in subiecto, sive sit non in subiecto, ut in sacramento altaris. Istud videtur incredibile, (4) Il MS ha ammortalem in luogo di mortalem, confusione evidente del copista come risulta da tutto il contesto della questione, il cui senso complessivo non può esser dubbio, non ostante qualche incertezza che la trascrizione deve aver fatto subire alla compilazione primitiva. » — 9397 — quod anima intellectiva essentialiter et in se dependeat a corpore et non dependeat ab ipso in suo opere quod (est) intelligere. Item Deus et natura nih'1 agunt frustra; si ergo Deus de necessitate, ut tenet Thomas, infundat animam corpori sic quod non posset Deus creare animam, quin infandat corpori, valde frustratoria esset ista unio animae ad corpus si in quacumque sua operatione non indigeret corpore. Item Ari- stoteles in Prooemio Metaphysicorum: omnis homo natura scire desiderat ; cuius si- gnum, ut ibi dicit Philosophus, est sensuum delectatio, ut ibi expresse vult quod intelligere animae nostrae ortum habeat a sensu. Ad hoc credo quod Thomas diceret, et est ultima ratiocinatio quam possit dare, quod verum est quod intellectus eget corpore pro sua operatione, sed non semper, sed pro statu isto; pro alio vero non. Sed haec ratiocinatio non consonat auribus (sic) Aristotelis, quia esset maximum in- conveniens quod Deus incarceraverit ipsam per tam paucum tempus in corpore, et de- finiatur quod non egeat corpore nisi pro statu isto. Ad illud vero quod dicunt theologi de accidente, quod possit esse sine subiecto et tamen semper dependeat a subiecto, dico quod accidens existere sine subiecto est merum impossibile apud Aristotelem, et ad illud quod dicunt, quod non oportet animam intellectivam actu semper dependere a corpore, sed aptitudine: istud non est impossible, quia sì sola aptitudo sufficeret in definitionibus, tune dici primo posset quod aliquid esset homo, etactu tamen non esset animal rationale; sufficeret enim secundum ratiocina- tionem quod esset aptitudine. 3 Quare relinquamus istum modum dicendi, et ponamus illum Averrois qui sic re- spondet. Convenit Commentator animam esse immortalem, sed unicam in omnibus ho- minibus, in qua positione surrexit quaedam nova secta de novo incipientium philosophari dicentium, ad mentem Averrois, quod anima intellectiva, in intelligendo, semper eget organo non tamquam subiecto, sed ut obiecto, et ita anima intellectiva est actus cor- poris. De hoc nihil vel parum dixi in mea quaestione, quia non credebam aliquem esse ita fatuum, qui hoc diceret. Sed ista ratiocinatio est contra sententiam Commen- tatoris in commento duodecimo primi De anima, ubi dicit quod non est intelligendum, sicut intellexit Alexander, quod intelligere non sit sine imaginatione ('). Vult ergo Com- mentator quod anima intellectiva intelligat sine indigentia organi. Item est contra Commentatorem in commento tertio huius tertii, qui dicit quod intellectio qua anima intelligit est sine corporeo organo. Quare opinio illa cum verbis Commentatoris stare non potest. Ideo aliter dicunt alii et magis ad mentem Commentatoris, quod anima intellectiva habet duas intellectiones, unam in ordine ad nos, scilicet quoad nos, et ut sic, non potest intelligere nisi mediante organo, et ideo, ut sic, anima intellectiva est actus corporis, quae opinio mihi videtur extrema fatvitas: primo, quia ponere illam ciconiam (sic) est somnium, quod somniavit Commentator praeter omnem rationem, quia anima intellectiva non esset quidditative considerabilis a phisolopho naturali, sed a metaphysico. Ideo omissa etiam ista opinione Commentatoris, remanet tertia ratio- cinatio quam solam puto esse ad mentem Aristotelis, licet in se falsa sit ; et quod haec sit opinio Aristotelis confirmant sanctissimi et sapientes viri, Gregorius Nazianzenus 1 El non intendit per hoc, hoc, quod apparet ex hoc sermone, superficie tenus, scilicet quod inlelligere non sil nisi cum imaginatione. Vedi Averroe al Commento 12 del De anima, versione latina, Venezia, 1562. PARTE TERZA — Von. III° — SERIE 2.2 68 Ch. 258 recto Ch. 253verso Ch. 254 recto — 538 — et Gregorius Nyssenus, quod scilicet anima inteilectiva sit mortalis, quae opinio est impossibilis, quia oppositum monstravit nobis redemptor noster et attestatur ma- gnis martyriis. Dico ergo quod intellectus, ut intelligens est, non est actus corporis, quia Deus henedictus in intelligendo et volendo non eget corpore, quia ipse est ante corpus, et similiter aliae Intelligentiae in intelligendo non egent corpore; sed quia secundum Aristotelem Intelligentiae non influunt in haec inferiora, nisi per corpora coelestia, ideo ut sic Intelligentiae dicantur animae corporum coelestium, sed hoc est improprie, et non vere. Cuius triplex ratio potest assignari, quod scilicet Intelligen- tiae non sint vere, nec proprie dici possint animae corporum coelestium. Prima ratio, quia Intelligentiae sunt vere et complete existentes, absque aliqua indigentia corporis coelestis, cuiusmodi non sunt verae animae, ideo. Secunda ratio est quia Intelligentiae nihil recipiunt a corporibus coelestibus, imo dant aliquid ipsis, verum autem animae aliquid recipiunt a corporibus. Ideo. Tertia ratio est quia Intelligentiae creant effective, etsi non productive, tamen conservative corpora coelestia, sed verae animae non effective, sed formaliter creant sua corpora. Quare Intelligentiae non sunt vere et proprie animae appellandae, ideo istis non proprie competit definitio, sed aliquo modo. De intellectiva autem dico quod, secundum Aristotelem, essentialiter et in essendo et in intelligendo dependet a corpore, neque potest esse sine corpore, neque intelli- gere sine organo corporeo; quod enim post mortem intelligamus non est ratio, sed in hoc mundo quod intelligamus per organum corporeum tanquam per obiectum est ratio, quia videmus quod dormientes non intelligunt. Item quia intelligimus quodeum- que velimus; semper enim se affert nobis aliquid obiectum corporeum, et ita sive in- telligamus materialia, sive immaterialia, semper, in intelligere intellectus nostri, apparet organum ut obiectum intellectus; ergo, quatenus intellectus, non indiget corpore, quia non omnis intellectus indiget corpore, quia intellectus quales sunt Deus et Intelli- gentiae nullo egent corpore in suo intelligere, non ut subiecto, sed ut obiecto; et ita anima nostra intellectiva est media inter abstracta et bruta, quia animae abstractorum nullo modo egent corpore neque ut obiecto, neque ut subiecto; animae autem bruto- rum omnino egent corpore, tanquam obiecto et subiecto, quia cognoscunt cum hic et nunc; anima autem nostra secundum quod est intellectiva realis (utitur) in intel- ligendo organo corporeo, nec ex toto absolvitur ab organo corporeo, nec enim ex toto et omni modo in intelligendo eget organo corporeo, quia non eget eo ut subie- cto, cum intellectio non fiat cum hic et nunc, sicut vegetatio et sensatio, quae sunt operationes eiusdem animae; hic autem et nunc est conditio materiae; anima autem nutritiva secundum quod realiter eadem est cum vegetativa et sensitiva, et sic in suis operationibus, quae sunt pertinentes ad vegetationem et sensationem, indiget corpore ut subiecto, quia omnes tales operationes fiunt cum conditionibus materiae, quae sunt hic et nunc; ideo in talibus operationibus anima intellectiva, quatenus sensitiva aut vegetativa, indiget corpore ut subiecto; modo cum operatio eiusdem animae intelle- ctivae, quatenus intellectiva est, quae est intelligere, fiat sine conditionibus materiae, quae sunt hic et nunc: ideo in ista sua operatione non eget corpore ut subiecto, sed bene ut obiecto, quia quidquid intelligatur ab anima nostra intelligitur per aliquid corporeum; ideo media est inter animas coelestium et brutorum, Sy Casei — 539 — Quomodo potentiae animae fluant ab anima. Circa quaestionem illam: quomodo potentiae fluant ab ipsa anima. nota quod ista quaestio est perfectior quam illa sit quae est in Expositione magna. Est igitur videndum ex quo modo potentiae fiuant e subiecto; utrum quodam ordine germinent ab anima vel inordinate, quod est quaerere utrum potentiae animae servent determina- tum ordinem sie quod una sit prior et altera posterior, vel inordinate fluant ab anima sic quod illa potentia, quae nunc est prior, aliquando erit posterior, et sic de aliis animae potentiis. Ubi dicatis quod non inordinate procedunt istae potentiae ab ipsa anima, imo servant ordinem certum ac determinatum, quia natura in operationibus ordinate pro- cedit; si ergo inordinate fluerent istae potentiae ab anima, non fluerent ab anima se- cundum opus naturae; tum quia istae potentiae differunt ad invicem specie, ergo ha- bent ordinem essentialem ad se invicem. Sciatis ergo quod cum triplices sint animae in genere, scilicet vegetativa, sensitiva et intellectiva, quae talem ordinem ad se in- vicem servant, quia vegetativa, via originis, prior est sensitiva et intellectiva, ita potentiae animae vegetativae, via originis, sunt priores potentiis animae sensitivae et intellectivae. Similiter quia, via originis, anima sensitiva est prior intellectiva, ita potentiae sensitivae, via originis, sunt priores potentiis intellectivae. Si er- go sit Sorates generandus, quando generatur, prius producuntur potentiae animae vegetativae, postea sensitivae, demum intellectivae. Cuius ordinis signum est quia una potentia alteri ministrat; vegetativa enim ministrat sensitivae, quod (obii- citur?) nam si quis vestrum ieiunet, ita debilitabitur ut non erit (sic) quasi in se, nec quasi poterit videre. Hoc non est ex alio, nisi quod anima vegetativa non ministravit sensitivae, sicuti solet; nec loquor de istis bonis patribus, quia in illis hoc ex ieiunio non evenit; similiter sensitiva ministrat intellectivae, quia ministerio sensus accipiuntur species intelligibiles in intellectu. Cum ergo anima vegetativa ministret sensitivae cet sensitiva intellectivae, ideo anima vegetativa, via originis, prior est sensitiva, et sen- sitiva intellectiva. Loguendo vero de ordine perfectionis est modo contrarium, quia intellectiva est prior sensitiva, et sensitiva vegetativa. Talis etiam ordo intelligatur de suis potentiis: quia hucusque locuti sumus de potentiis animae in generali, nunc modo de potentiis animae in speciali quaerendum est, utrum potentiae animae, puta vegitativae, ordinate fluant ab anima aut inordinate. Ad hoc dico, quod potentiae cuius- cumque animae ordinate fluunt ab anima, ut si loquamur de petentijs vegetativae , dico quod tales potentiae servant ordinem certum inter se. Unde si loquamur de or- dine, secundum viam originis, potentia vegetativa est prior, quam augmentativa et augmentativa prior quam generativa; prius enim Socrates genitus verbigratia nutritur, quam augeatur;nutritiva enim administrat augmentativae. Si enim Socrates debet augeri, oportet ut nutriatur, si tamen potentia augmentativa prior est, via originis, quam sit potentia generativa, quia augmentativa administrat generativae; non enim in quacum- que aetate potest Socrates generare, sed cum per virtutem augmentativam pervenit ad aetatem idoneam (ad) generare. Sed, via perfectionis, generativa prior est quam augmen- tativa, et augmentativa quam nutritiva. Idem ordo est in potentiis sensitivis. Via enim originis, sensus exteriores priores sunt sensibus interioribus et illis ministrant, nam sensus interior non potest discurrere, nisi praecesserit operatio alicuius sensus exterioris, Ch.254 verso Ch. 255 recto Ch. 255 verso Ch. 256 recto — 540 — Via vero perfectionis, sensus interior prior est exteriori. Idem accidit de potentiis intellectus, quae sunt duae, scilicet intelligere et velle. Via enim originis, intelligere prius est quam veile, et illi ministrat, nam non possumus aliquid velle, nisi intel- ligamus illud. Via vero perfectionis, est in contrarium. Visum est ergo quod, et in gene- rali, loquendo de potentiis unius animae ad potentias alterius animae, et etiam loquendo de ipsis animae potentiis in speciali, scilicet comparando ad invicem potentias eiusdem animae, semper potentiae animae servant certum et determinatum ordinem. Oritur modo dubitatio de sensibus exterioribus, utrum sensus exteriores ordinate proveniant ab eadem anima aut inordinate. Haec quaestio est valde difficilis, et causa et ratio dif- cultatis est quia, cum nullus quinque sensuum exteriorum ministrat alteri, videtur quod nullus sit altero prior, et sic non videtur quod habeant aliquem ordinem ad se invicem, nec videtur quod inordinate proveniant ab eadem anima, cum sint specie dif- ferentes; modo ab eadem causa non possunt effective (potentiae) differentes specie aeque primo provenire. Quare. Et banc dubitationem tetigit Thomas in prima parte. Ad quam dixit quod non est aliquis ordo inter istas potentias, sed bene servatur ordo inter eorum obiecta. Unde, via originis, obiectum tactus prius est quam obiectum gustus; nam tangibile est prius, natura, gustabili et obiectum gustus est prius, natura, quam sit obiectum olfactus, et obiectum olfactus est prius obiecto auditus, et obiectum auditus est prius, quam obiectum visus, sed in hoc mihi non sitisfacit Thomas, quia necesse est inter istos particulares sensus et exteriores ponere ordinem perfectionis et originis, cum non possint, via originis, simul ab eadem anima provenire, ut dictum est, ne- que sunt aequalis perfectionis secundum. Aristotelem. Ideo credo aliter esse dicen- dum in hac materia, quam dixerit Thomas. Dico igitur quod in sensibus exteriori- bus est ponendus ordo perfectionis, et similiter ordo originis. De ordine perfectionis non dubitandum secundum Aristotelem: visus enim est perfectior quam alii sen- suum exteriores, et ita vult Aristoteles quod unus sit altero perfectior et ita sit ordo perfectionis ipsis sensibus exterioribus; etiam inter istos sensus exteriores servatur ordo secundum originem; ubi do vobis regulam cognoscendi quis sensus sit prior, via originis, et quis posterior. Ubi advertatis, quod semper sensus exterior est prior, via originis, qui est imperfectior, et ille est posterior qui est perfectior; quia ergo visus est perfectior omnibus aliis, ideo via originis est posterior omnibus aliis. Visus enim praesupponit omnes alios sensus exteriores, nam in quocumque est visus, sunt alii quatuor sensus, et ita gradatim procedendo semper perfectior est posterior, via ori- ginis, imperfectiori, et ipsum praesupponit. E contra vero, sensus imperfectior prior est, via originis, perfectiori, neque imperfectior praesupponit perfectionem;et ita tactus, qui est imperfectior omnibus aliis sensibus exterioribus, prior est illis, via originis, nec quemquam illorum praesupponit Non puto tamen quod inter hos exteriores sensus sit tanta connexio sicut in aliis potentiis animae, quia in aliis animae potentiis sem- per una est ministrans et altera ministrata; nec sic autem est de sensibus exterio- ribus, quia nunc non est (unus) ministrans et alter ministratus, sed bene in exterioribus sensibus unus praesupponit alterum via originis. Sed contra hanc nostram senten- tiam arguitur quia, si ita esset ut diximus, omne habens visum haberet auditum. Consequentia patet, quia, secundum nos, visus, via originis, praesupponit omnes alios — 54l — quatuor sensus exteriores, sed consequens est falsum, quia dixit Aristoteles in Prooemio primi Metaphysicorum quod apes non habent auditum et tamen habent visum. Nam, ut experentia constat, apes habent oculos et vident: nam dixit Virgilius in Georgicis de apibus quod invedunt per viginti millia ad colligenda mella, et etiam videmus nos quod omnes ingrediuntur in alvearium per tam parum foramen, quod non esset si apes non haberent visum. Item dictum fuit mihi quod duo sunt genera colubrorum, unum quod non videt, sed audit, aliud genus quod non audit, sed videt. Unde dicitur quod coluber ille qui non videt posset videre, et qui non audit posset audire. Homines non possent in terris vitam degere propter malignitatem talium serpentium; propter hoc dicitur quod natura uni nesavit auditum, alteri visum; ergo in aliquo animali repe- ritur visus ubi non reperitur auditus, et est contra nostram opinionem. Stando ergo in nostra opinione quod inter sensus exteriores sit ordo originis, ut diximus, scilicet quod sensus imperfectior est prior, via originis, perfectiori: ad pri- mum argumentum possemus primo dicere quod Aristoteles in Prooemio Metaphysicorum fuerit illius opinionis, quod apes non audiant, sed in nono De historiis animalium fuit alterius opinionis, quia ibi dixit quod multum delectantur apes sonis, quia rustici cum volunt advocare examen apum dispersum, sonant instrumenta rusticana, ad quem sonum currunt apes, quae cum sic adunatae fuerint, rustici apponunt aliquem alvearium in quo intrant apes quae erant dispersae. Possemus aliter dicere quod illud prooemium non est Aristotelis, ut communiter creditur; fertur enim communiter quod illud prooemium fuerit Theophrasti; et dicatis quod, concesso quod illud prooemium sit Aristotelis, non tamen assertive dicit Philosophus quod apes non audiant, sed lo- quitur cum hac particula et dictione « forte » et ita in illo prooemio fuit dubius an apes habeant auditum an non, sed in nono De historiis animalium, determinando de apibus, dixit assertive quod apes habeant auditum, et dat experientiam dictam quod apes multum laetantur sono, quare nostra opinio est multum consona cum mente Aristotelis. “Adaliud de colubro quod habet auditum et non visum, credo quod illud mihi dietum sit una fanfalucata (sic) et impossibile. Dedimus in hesterna lectione nonnullas ratiocina- tiones ad argumentum quod probat contra nos de apibus. Ultra illas ratiocinationes posset dari una alia ratiocinatio, quae est quod verum est quod omne habens visum habet auditum; sed non oportet, si aliquid animal habeat visum perfectum, quod tale animal habeat auditum perfectum, et sic de aliis sensibus dicatur. Dico ergo in pro- posito quod apes et habent visum et anditum, sed visum habent valde perfectum, auditum vero valde debilem, et ita debilem ut non audiant sonum nisi sint prope ipsum; nec inconvenit quod apes habeant auditum et non perfecte audiant, nec quod in eis frustretur perfecta auditio. quia non inconvenit secundum Aristotelem, quod aliqua potentia frustretur in individuo, sed bene inconveniret quod in toto genere ani- malium frustraretur visio sine auditione; videmus enim quod in mulo et mula sunt omnia organa servientia generationi, et vulva in mula et virga satis magna in mulo et tamen non possunt generare. Ecce quoil in his frustratur potentia ad generationem, nec hoc inconvenit, nec dedit natura mulo virgam tam magnam nec mulae vulvam ut ex mulo et mula proveniat generatio, sed hoc fecit natura ad ornamentum talium animalium; sed bene esset inconveniens quod in quolibet animali frustraretur potentia ad generationem; sic in proposito dico de apibus quod apes habent organum auditus, Ch. 256 verso Ch. 257 recto — 542 — et audiunt sonos, sed valde debiliter audiunt, et non nisi ex loco propinquo, et ex suo debili auditu dicebat Philosophus in provemio Metaphysicorum dubitative, quod forte apes non habent auditum, verum in nono De historiis animalium fuit certificatus Aristoteles quod habeant auditum et quod audiant, licet valde imperfecte. Quare. Utrum species sensibilis et sensatio sint idem realiter. Circa quaestionem illam: utrum species sensibilis et sensatio sint idem realiter, praeceptor meus tetigit unam novam opinionem quae est unius excellentissimi doctoris. Iste enim vir doctissimus, volens salvare doctores antiquos, dicit quod ad visionem crean- dam, albedo producit speciem sui in sensu, et tunc ab ista specie et ab anima effective producitur sensatio. Unde dicit quod species, ut species, producitur effective a sensibili: ut autem ista species est cognitio, producitur ab anima, et sic obiectum concurrit mere effective ad sensationem, anima vero active producendo cognitionem, et passive reci- piendo speciem, et sic salvat iste vir quod sensibilia reducant animam de potentia ad actum, scilicet mediate. Salvat etiam quod sensatio sit operatio animae, quia non solum passive concurrit anima ad sensationem, sed etiam effective cum ipso simulacro; et sicut dicit de sensatione, quod species dependet effective ab obiecto, sed ut cognitio ab anima, ita dicit esse de voluntate. Sed ista opinio in multis est defectuosa, primo quia ista opinio contradicit doctori suo Thomae, qui dicit in expositione textus commenti cen- tesimi quadragesimi huius secundi, ubi digreditur disputando de sensu communi an sit perfectior sensibus exterioribus propriis, expresse dicit quod licet sensus exterior agat in sensum communem producendo in illo speciem sensibilem quae est in eo, ut Ch.257 verso oculus speciem albedinis, unusquisque tamen sensus particularis et proprius passive et recipiendo concurrit ad sensationem propriam. Esto enim quod concurrant sensus proprii effective ad creandam sensationem alienam ut sensus communis, non tollitur tamen propter hoc, ut recte dicit Thomas, quod sicut sensus communis solum pa- tiendo concurrit ad propriam sensationem, ita sensus exteriores soli passive ad suas. proprias sensationes concurrant. Ubi expresse fatetur Thomas quod quilibet pure pas- sive et nullo modo active concurrit ad .proprias sensationes. Dico, secundo, quod illa opinio contra Thomam est etiam in se falsa, ponendo quod ad cognitionem creandam, et simulacrum et anima sensitiva concurrant effective, quum si duo agentia simul effective concurrant ad productionem alicuius effectus, hoc potest contingere tribus modis: primo, quod ambo agentia sint eiusdem rationis, quorum utrumque sit insuf- ficiens et impotens ex se producere talem affectum, sed ambo eum possint simul producere; secundo modo accidit quod duo agentia simul concurrant, quorum utrum- que est alterius rationis ab altero, et unum disponit, alterum vero inducit; tertio modo accidit quod duo agentia concurrant, unum ut instrumentum, alteram vero ut prin- cipale, nec aliquo alio modo possunt aliqua duo concurrere ad eumdem effectum. Primo modo concurrant duo agentia ad eundem effectum sicut Socrates et Plato concurrant ad trahendam navim; nam si Socrates sit solum poterit movere ut duo, similiter et Plato, navis autem resistere ut tria, verbigratia, nec Socrates de se nec Plato de se erit potens trahere navim, sed amho simul bene essent potentes trahere navim, et Socrates et Plato sunt eiusdem rationis in potentia motiva; isto modo primo, non potest haec opinio dicere quod sensus et sensibile concurrant ad sensationem creandam: primo — 543 — quia sensus et sensibile sunt diversarum rationum, tum quia si in infinitum auge- retur potentia sensitiva, similiter et ipsi sensus poterunt de se sine altero producere sensationes. Quare. Secundo modo, accidit quod duo agentia simul concurrant ad eumdem effectum, quorum unum subordinatum alteri, et est ut agens instrumentale, agens in virtute alte- rius; alterum vero agens est principale. Hoc accidit in scissione lignorum de scindente et securi. Nam Socrates, verbigratia, scissor ligoorum concurrit, ut agens principale, ad istam actionem quae est scissio, securis vero concurrit ad eamdem actionem, ut agens instrumentale, quod agit in virtute principalis agentis. Isto etiam modo concnurrit sol et homo ad productionem hominum, quia sol ut principale agens concurrit, homo vero ut instrumentale et in virtute solis. Isto etiam modo non potest dicere haec opinio quod sensus et sensibile concurrant effective ad sensationem, ponendo scili- cet quod unum horum duorum agentium effective concurrat ut agens principale, et alterum ut instrumentale, quum, si sic, aut sensus concurreret effective, ut agens prin- cipale, et sensibile ut instrumentale motum a sensu et agens in virtute eius; et est maxima fatuitas, quia fatuum est dicere quod coelum aut pars coeli, ut polus arcticus, qui a nobis ita longe abest, concurrat ad visionem motum (sic) a virtute mea visiva, et in virtute oculi mei; aut erit e contra, scilicet sensibile concurret ut principale, sensus vero ut instrumentum: et hoc modo non potest dicere, quia tenet iste quod sensus prin- cipalius concurrat ad sensationem quam ipsum sensibile. Item si ita esset, cognitio esset prior simulacro, quia actio potentiae sensitivae immediatius concurreret ad sen- sationem quam actio ipsius sensibilis, sed actio sensus non est aliud quam cognitio, actio vero obiecti est simulacrum. Quare. Tertio modo contingit ut duo agentia effective concurrant ad producendum ali- quem effectum, unum disponendo materiam pro actione alterius, alterum vero indu- cendo formam in materia disposita sibi oblata. Sicut si habeat fabrefieri navis, in ista factione navis, concurrit agens seu artifex, qui habet secare ligna, ex quibus habet navis constitui; quae cum fuerint secta, alius artifex, machinator et aedificator navium compaginat et format navim. Istae autem duae actiones sic se habent quod prima, tempore, praecedit secundam; nam sector lignorum, prius, tempore, secat ligna quam architectus inducat in illis formam navis; sed nec hoc modo potest ista opinio ima- ginari quod sensus et sensibile effective concurrant ad sensationem producendam, quum operationes talium agentium, sic effective concurrentium ad eumdem effectum, sunt ope- rationes diversae, et diversorum agentium, et sic operatio sensibilis esset diversa ab operatione sensus; non ergo concurrerent simul sensus et sensibile ad sensationem, cum sensatio sit sola una operatio, scilicet ipsa cognitio; tamen quasi sic concurrerent sensus et sensibile. Tunc sensibile concurreret dispositive ad sensationem, et sic converteretur ista opinio cum prima opinione, quia tenuit prima opinio quod species sensibilis disponat animam sensitivam ut reducat se de potentia ad actum. Item multoties est imaginatio in oculo, et tamen non est visio, scilicet cum non est intentio ad illud, sed ad aliquid aliud; cum vero advertis, subito fit cognitio et sensatio. Aut ergo aliquid est genitum de novo in imagine, vel intentio ipsius simulacri, vel ali- quid aliud. Non intentionem imaginis, nec aliquid aliud generat sensus in simulacro; quomodo ergo concurrit effective sensus ad sensationem, cum recepto simulacro, mihil Ch. 258 recto Ch. 258 verso — 544 — in eo generet? Dico e contrario quod ista opinio habet eadem argumenta contra se quae et prima opinio; nam cum ista attribuat actionem sensui, non recte dixisset Aristoteles quod sensatio fit ab ipso sensibili, quia sensibile solummodo disposi- tive concurrit, sensus autem est principale efficiens; et ita tamen saepe errasset Ari- stoteles in attribuendo operationes efficienti disponenti, quae debebant attribui effi- cienti principali. Quare non evasit iste vir ab argumentis quae fiunt contra commu- nem opinionem. Alias autem duas opiniones circa hanc materiam videas in expositione magna et in quaestione propria: numquid species sensibilis et sensatio sint idem realiter. DEO AUSPICE, ET VALETUDINE BONA COMITE FINIS IMPONITUR QUAESTIONIBUS TOTIUS ANIMASTICI NEGOCII MAXIMI ILLIUS PHILOSOPHI PETRI POMPONATII MAN'UANI DUM AN. XX PUBLICE PHILOSOPHIAM PROFITERETUR BONO NIAE SA $.79 fPnsam 706 | alici cala: i loris uric CAST | quat i FI RAMI SE ect LA lot AA: Jactorts arme) 4 ave gionale 44 I Legodi Iligrdh los PRC Sad prufegor: {63 Irocii efe: 3 SO dii ion gel ea Cer (1 nafi ££ [tera he Sfro yrubi vede; fufleng-: Al novi RA PAT < 2 gi eta ci ePrfrs 7. farai Casto. È SA dd - daria nl, La pr [rx oa iii i fi gere da i ira | | | nin ISCAPT ii i AMAT AI PCN INDICE Urum anima sit subiectum in libro De CIR 0 0 0° 6a do pag. Quem locum occupet ‘iste Liber. Quaestio SCCUNA ON O Nobililas scientiae a quo sumatur . . » Quomodo scientia de anima ercedal alias certitudine demonstrationis . . . » Utrum speclet ad naturalem considerare Cla GM È o DIS Numquid scienlia de anima sil difficillima. » Ulrum dentur universalia realia. . . >» Ulrum accidens ducat in cognitionem sub- SIMO CRIME Utrum definilio animae sil bene assignata. » Utrum aliquid accidens praecedat formam subslunlialem in materia. . . . » Ulrum sint plures formae subslantiales in COCCNOACOM POST ORRORI Ulrum omnis anima sit divisibilis . . » Ulrum polentiae animae dislinguantur rea- liter ab anima . . . SIND MMCRIOO) ‘| Quomodo polentiae ab anima a nd Ulrum unitas obiecli secundum numerum arguat operalionem unam secundum numerum, et e contra. . Ò » Ulrum ex unitate specifica obiecti da in- ferre unitatem specificam actus. . >» IM STRTOS DECIO SOI Ultrum species sensibilis et sensalio sint idem realiter . . A RI Ultrum sensibilia communia comprehendan- tur ab omnibus sensibus . . . . » Ulrum sensibilia communia comprehendan- lur per proprias species . . . . >» Utrum sensibilia communia percipiantur non perceplo sensibili proprio . . » Ulrum servaltis tribus condilionibus datis a Themistio, erretur circa sensibile pro- PPC SG i o I a TÀ Da i FIS oe ao Ulrum sonus percipialur ab auditu. . » Utrum motus anhelilus sil ex pectore vel OULIMONERRENTATO DI NORTE UGO) Utrum homo sit peioris cdorati aliis ani- GUIDI 6 0 olo a e 6 0 600 D Utrum per lactum cognoscatur hominis pru- CIVICA TUO PARTE rERZA — Vox. III° — = DEGLI ESTRATTI 421 422 425 424 425 426 427 436 440 442 443 444 449 453 454 455 456 457 460 462 » 463. 466 467 » 469 SERIE 2.° Ulrum sensus exlerior cognoscal suam ope- COMORE: Ulrum ‘ista propositio: omne recipiens debet esse denudalum a matura recepli, sit DETORMMOC MONACO Ulrum anima sit morlalis . . . . . >» Ultrum intellectus intelligat se per se an VO CIO. CIRENARE RT AO O, Numquid intellectus suam operationem in- (Mg, o 6 ec . » Ulrum singulare Ca NS D intellectu COROOMO AO I > Ulrum ‘intelleclio el species intelligibilis sint Ularo RAMI do 9 c » Utrum in rebus sil verilas et falsitas nei in SOLOMINICIeC ERE. Lo» Ulrum subslantia malerialis intelligatur per propriam speciem . . . MMS Utrum substanlia producat speciem a liae in phantasia, an aliud . . . >» Ultrum intelleclus in omni sua actione egeal OLA TASTO VE AO od Ulrum cogitativa vel alia virlus Calia servial intellecluali operationi . . >» Ulrum in absentia sensibilis possit creari SOTISOONA ANA Ar Utrum cogilativa denudel speciem substantiae a sensibilibus propriis el commumibus » Ulrum tacltus sit nobilior visu. . . . >» Ulrum gustus sit perfectior olfaclu vel e COMANDI BO on e A o Quomodo gustus sit quidam tacltus . . >» Ulrum grave el leve sint subslantiae. . >» Ulrum grave et leve cognoscantur absque ROCUTNORITIONTINO CO CATO. Numquid sensus taclus sint plures . +. >» Utrum sensus taclus sint finili vel infiniti. » Utrum mnobililas scientiae sumalur a nobi- litate subiecli* vel a certitudine demon- SIRO MONSANTO SITO VCISIEI I) Ulrum anima sit a secundum Ari- SII (vivo lo 5 AS O, Utrum definilio de anima sit i assignata » Quomodo potentiae animae fluani ab anima » Utrum species sensibilis et sensalio sint idem TOMBE SN orto n or O 69 469 500 504 » 912 o14 2. An An — 546 — QUAESTIONES ANIMASTICAE EXCELLENTISSIMI MAGISTRI PETRI POMPONATII MANTUANI. (Bisio rHECA MAGLIABECHIANA Cop. XII-16). TABULA QUAESTIONUM CONTENTARUM IN HOC VOLUMINE. anima sit subjectum an corpus animatum. negotium de anima obtineat (propriam?) sedem inter libros philoso- phiae naturalis. An scientia de anima sumat mobilitutem a subjecto vel @ certitudine de- monstrationis. An An An An An An An An An scientia de anima sit nobilior ommibus aliis scientiis praeter divinam. scientia de anima sît utilis ad ommes alias scientias. spectet ad naturalem considerare de omni anima. speclet ad naturalem considerare de intelligentiis. scientia de anima sit difficillima. scientia de Deo sit difficilior scientia de anima. sit una communis methodus investigandi. actus ei potentia sint ejusdem praedicamenti. accidens ducat nos in cognitionem substantiae. quodcumque esse (?) sit medium demonstrationis. naturalis definiat per materiam, logicus autem per formam. naturalis definiat per formam sensibilem. mathematicus definiat per formam intelligibilem. substantia sit nobilior quolibet accidente. anima sit forma substantialis corporis. definitio de anima sit bene assignata. aliquod accidens praecedat formam substantialem in matera. sint tantum quatuor gradus viventium. ommis anima sit divisibilis. unitas objecti secundum numerum arqual operationem unam secun- dum numerum et e converso. An An An An An An An ex unitate specifica objecti liceat inferre unitaiem specificam actus. ex unitate generica objecti arguatur unitas generica aclus. sensus sit activus vel passivus. species sensibilis et sensatio sint idem realiter. sensibilia communia comprehendantur ab ommibus sensibus. sensibilia communia comprehendantur per proprias species. sensibilia communia percipiantur non percepto sensibili proprio. — 547 — 31. — An sint plura sensibilia communia quam quinque. 32. — An magis contingat errare circa sensibilia communia quam circa propria. 33. — An singulare cognoscatur ab intelleciu. 34. — An universalia realia dentur. 39. — An sint plures formae in composito. 36. — An în hoc praeter animam rationalem sit alia forma. 37. — An actus moster intelligendi distinguatur ab anima rationali, vel potentia intellectiva. 38. — An întellectio distinguatur a simulacro reî inltelligibilis vel aliquid aliud. An per tactum cognoscatur hominis prudentia ('). An molles carne sint apti, duri (?) non inepti (*) mente. An aqua pura possit calefieri. An in sensatione extrinsecorum semper egeamus medio eatrinseco. An potentiae animae realiter distinguaniur ab ipsa anima. An subjectum potentiarum sit anima vel corpus. An anima sit causa potentiarum suarum. An potentiae ab anima fluani. An potentiae animae servent determinatum ordinem. : An potentiae distinguantur per actus et actus per objecta. An potentia visiva hominis et canis sit ejusdem speciei. An in rebus sit veritas et falsitas, an în solo intellectu. An veritas sit tantum in prima vel in secunda operatione intellectus. An copulae verbali correspondeat similitudo rei. An propositioni affirmativae vel negativae correspondeat unus conceptus vel plures. An Deus cognoscat malum. An non-ens intelligatur. An contingat simul et semel plura intelligere. An pisces habeant vocem. An animalia în loco proprio sentiant qualitates sui loci naturalis. An color, sonus et odor agant în omne corpus. An color sonus et odor actionem spiritualem habeant et realem. An medium possit sentiri. An aliquis sensus exterior cognoscat suum operationem. An sensus communis sit in cerebro vel in corde. An virtutes interiores sint plures aut una. Amiphantasta SU MOUS. > An illa propositio: omne recipiens et cetera, sit vera în actione reali. An anima sit mortalis. An servatis tribus conditionibus Themistii contingat errare circa sensibile proprium. An objectum proprium visus (?) sit ejusdem rationis. An sonus sît realiter în re sonata sicut in subjecto. (!) A partire dalla Questione 88 le altre non sono più numerate. Ch. 42 de — 548 — An amnhelitus sit ex pectore vel pulmone. An homo sit pejoris odoratus ceteris animalibus. An sensus olfaclus indigeat medio extrinseco (?) ad hoc quod multiplicetur spiritualiter. An gustus sit quidam tactus. An sapor dulcis et amarus sint extreme contrarii. An tactus sit una potentia. An caro sit organum tactus. An gravitas et levitas sint formae substantiales elementorum. An duo corpora dura in aere vel în aqua possint se tangere ('). SPECIMEN Utrum omnis anima sit divisibilis (°). Examinando hanc quaestionem ne in aequivoco laboremus, est notandum quod sermo noster non est de divisione secundum speciem, quia hoc modo sunt divisibiles, quum non sunt eiusdem speciei; nec est intentio nostra loqui utrum sit divisibilis in partes, eo modo quo dividitur compositum in materiam et formam, nec de divi- sione quae est in partes essentiales, quia in tertio hoc videbitur, sed sermo noster est de divisione per accidens, scilicet ad divisionem corporis in quo est. De qua Aristoteles 5 met. c. de quanto locutus est, nec loquor utrum anima sit divisibilis per se, quia nihil hoc modo est divisibile praeter quantitatem ut dicit p. phy. tex. co. et ubi dicitur quod omne quod est divisibile ratione quantitatis est divisibile, ipsa autem quantitas est per se divisibilis, et notate propter sophistas quod non sumo hoc «per se» in primo vel in secundo modo, sed in tertio per se, id est solitarie. Sic intelligendo, substantia est per se indivisibilis, id est solitarie sumpta, et consi- derata seclusa quantitate. . ..... ; a IRA Stio RT Tertia opinio quae mihi videlur magis A penifaristica (sic) quae tene quod quaelibet anima propter intelligentiam est Givisibilis cum sit constituta in esse per subiectum educta de gremio eius; quae opinio magis videtur sensata, et ratio pro hac opinione est quia si sunt forme, (sic) educate (sic) de persona materie (sic) prima facie denotare videntur quod sint extense et divisibiles quia debent habere conditiones materiae, pri- mum autum inhaerens materie disponere eam pro eductione formarum est quantitas. DEBORA or COSO nilo: in cel iiey (on e) tte dadi toda) Falle) 0 el SOL a STA n Mete Nell lena) e na Let e e eee) (1) Ho già avvertito che il testo contiene soltanto la trattazione di 34 Questioni. Esso non va al dilà della 37%, An actus noster inlelligendi ele. e mancano quelle che sono ‘comprese fra la 812 e la 35%, quantunque non vi sia interruzione nella numerazione dei fogli e nello scritto. Il codice. di Firenze è cartaceo, della fine del secolo XVI. Ne do quì sopra un brevissimo specimen affinchè si vegga quanto poco differisca, nelle Questioni che vi sono trattate, da quello di toma. Il divario è minimo e puramente verbale; salvo che il fiorentino è talvolta più scorretto e meno preciso nelle citazioni; la qual cosa può servire a confermare il giudizio che esso sia poste- riore a quello di Roma. (2) Cf. Ch. 70 verso del MS di Roma. — 549 — INDICE DELLA PARTE TERZA Memorie della Classe dì scienze morali, storiche e filologiche. Amari. Sui fuochi da guerra usati nel Mediterraneo nell'XI e XII secolo. pag. Carutti. Di un nostro maggiore, ossia di Cassiano Dal Pozzo il Giovine. » Govi. Intorno a un’opuscolo rarissimo della fine del secolo XV, intitolato: Antiquarie prospettiche romane composte per prospettivo milanese dipintore (con una tavola) SO SE ALE SARRI Fiorelli. Notizie degli scavi di antichità. Cino SR RO ge Id. id. id. He bTa OMR ME Berti. Storia dei manoscritti Galileiani della Biblioteca Wi ivnola di Fi- renze, ed indicazione di parecchi libri e codici postillati da Galileo. » KiorelliMA\oriziedegliliscavi di antichità. Marzo”... <.0. 00.0. >» Id. id. id. Aprile (con una tavola) . . . >» Luzzatti Il centenario della pubblicazione dell’opera di Adamo Smith.» Henzen. Osservazioni sul brano di fasti capitolini scavato nel Foro Ro- mano dinanzi al tempio di Antonino e Faustina . . . » De Petra. Le tavolette cerate di do rinvenute il 3 e d luglio! 1875. (con quattro tavole) —. \. . . RI RINO O Fiorelli. Notizie degli scavi di Lui nos (contunattavol RNA Id. id. id. Giugno (con una tavola) . . . » Td. id. id. Luglio (con due tavole) . . . » Flechia. Intorno ad una i di flessione verbale in alcuni dialetti lombardi |... . I Ne Fiorelli. Notizie degli scavi di Aa AGOSLO Ra a e AT Lanciani. Intorno alla grande pianta di Roma antica . . . ... . > Fiorelli. Notizie degli scavi di antichità. Settembre (con una tavola) . . » Ferri. Intorno alle dottrine psicologiche di Pietro Pomponazzi, contenute nel manoscritto della Biblioteca Angelica di Roma, intitolato: Pomponatius INglibiost deg nimat(confuna tav) RR 389 » » — 550 — ERRATA CORRIGE 355 linea 15 nel medesimo del medesimo 359 » 25 si ode si odono 361 » 22 quantità qualità 864 Nota 1, linea 2 melanchonicus melancholicus 366 linea 12 sente sente solo 867 Nota linea 14 comunis communis 381 linea 27 fantasma phantasma 2 » 29 fantasmate phantasmate 392 Nota 1, linea 1 Mradita traditae 422 linea 85 indicium judicium 440 » 4 Pomponnacius Pomponacius » » » exanimat examinat 445 » 17 quaestionis quaestione » 40 uniatur variatur 448 » 29 precise praecise 453 » 43 Aristotiles Aristoteles 467 » 2 comenti commenti 486 » 98 trasmittantur transmittantur 490 » 18 methaphysicorum metaphysicorum 505 » 48 Quolibeti Quodlibeti 913 » 44 tractam tractatam (2) 929 » 88 Hieronimus Hieronymus 59 » 26 adherirem adhaererem 599 » 17 8i Si » » Sorates Socrates ERRATA-CORRIGE alla Comunicazione intorno a Cassiano Dal Pozzo il Giovane. g. 20 » linea » 29 18 il suo palazzo, posto se non m' inganno in Trastevere nella parrocchia di S. Maria, era il convegno ete.; leggi: avea un palazzo posto, se non m' inganno, in Trastevere nella parrocchia di S. Maria; e un altro presso S. Andrea della Valle colla ricca sua biblioteca che divenne il convegno etc. i Alfonso de las Torres, ambasciatore di Filippo II di Spagna; leggi : Alfonso de Las Torres segretario dell’ Ambasciatore di Filippo IV di Spagna. fece finire quel poco che mancava e stampar l’opera che uscì nel 1651; leggi: fece stampare quel poco che mancava e l’opera uscì nel 1651. Theatri Naturalis phylosophicae Tabulae; leggi: Theatri Naturalis phyto- sophicae Tabulae. le Tavole Filosofiche del Cesi; leggi: le Tavole Fitosofiche del Cesi. A pi SA Mido | SMITHSONI | | PL LL] LU,