lege ie feed Va rn pe da raevan Rotari to donc noe Rete Lo nno init pontoiore dee dd DO e rit deter o tt rene Geri pt prrtera nd nto dA rina © TLT seri den eo e n Gofiiion vini e - fast poema Toro clip rid Mo rgione add buie ident nelle pe e dei iinirtpinbo dt iii ATTI DELLA ACCADEMIA GIOEMA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA NNINORISS SIN (30,07% SRO TIA RA. VOLUME X. CATANIA COMNTPIPI DI CACNLNTOLA 1897. ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI IN CATANIA e Cariche Accademiche per l anno 1896-97 UFFICIO DI PRESIDENZA SCIUTO-PATTI Cav. Prof. CARMELO — Presidente RICCÒ Cav. Prof. ANNIBALE — Vice-Presidente GRIMALDI Prof. Dott. GIOVAN PIETRO — Segretario PENNACCHIETTI Prof. Dott. GIOVANNI — vice-segretario per lu sezione di Scienze fisiche e matematiche. FELETTI Prof. Dott. RAIMONDO — vice-segretario per la sezione di Scienze naturali. CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE BERRETTA Uff. Prof. Dott. PAOLO ARDINI Prof. Dott. GIUSEPPE CAPPARELLI Cav. Prof. Dott. ANDREA GRASSI CRISTALDI Prof. Dott. GIUSEPPE CAFICI Rev. P. D. GIOVANNI -- Cassiere RONSISVALLE Cav. Prof. Dott. MARIO — Bibliotecario. Ecenco nominativo DEI Soci ONORARI, EFFETTIVI E CORRISPONDENTI SOCI ONORARI NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO Gemmellaro comm. prof. Gaet. Giorgio Chaix prof. Emilio Macaluso comm. prof. Damiano Cannizzaro gr. uff. prof. Stanislao Mosso comm. prof. Angelo Blaserna comm. prof. Pietro Villari comm. prof. Emilio Beltrami comm. prof. Eugenio Naccari uff. prof. Andrea Striiver comm. prof. Giovanni Ròiti uff. prof. Antonio Cerruti gr. uff. prof. Valentino Berthelot prof. Marcellino Rowland prof. Enrico Grassi cav. prof. Battista SOCI EFFETTIVI 1. Tornabene cav. prof. Francesco 2, Cafici rev. p. d. Giovanni 5. Berretta uff. prof. Paolo 4. Sciuto-Patti cav. prof. Carmelo 5. Ardini prof. Giuseppe )». Tomaselli comm. prof. Salvatore 7. Clementi comm. prof. Gesualdo 8. Orsini Faraone prof. Angelo 9. Ronsisvalle cav. prof. Mario 10. Basile prof. Gioachino 11. Capparelli cav. prof. Andrea 12. Mollame cav. prof. Vincenzo 5. Aradas cav. prof. Salvatore 14. Di Sangiuliano March. gr. uff. Ant. 15. Amato cav. prof. Domenico . Ughetti cav. prof. Giambattista . Fichera uff. prof. Filadelfo . Chizzoni prof. Francesco . Feletti prof. Raimondo . Pennacchietti prof. Giovanni . Petrone uff. prof. Angelo . Riccò cav. prof. Annibale Curci prof. Antonio . Bucca prof. Lorenzo 5. Grimaldi prof. Giovan Pietro . Grassi Cristaldi prof. Giuseppe . Di Mattei cav. prof. Eugenio SOCI EFFETTIVI DIVENUTI CORRISPONDENTI PER ALLONTANAMENTO DI RESIDENZA Speciale prof. Sebastiano Ricciardi prof. Leonardo Pellizzari prof. Guido Stracciati prof. Enrico Peratoner prof. Alberto Chiarleoni prof. Giuseppe Leonardi comm. avv. Giovanni # SOCI CORRISPONDENTI NOMINATI DOPO L’ APPROVAZIONE DEL NUOVO STATUTO Maggi prof. Giovanni Antonio Martinetti prof. Vittorio Meli prof. Romolo Papasogli prof. Giorgio Condorelli Francaviglia dott. Mario Pisani dott. Rocco Bassani prof. Francesco Gaglio prof. Gaetano Moscato dott. Pasquale Guzzardi dott. Michele Alonzo dott. Giovanni Distefano dott. Giovanni Cozzolino prof. Vincenzo Baccarini prof. Pasquale Magnanini prof. Gaetano Sella dott. Alfonso Pagliani prof. Stefano Chistoni prof. Ciro Galitzine Principe B. Battelli prof. Angelo Guglielmo prof. Giovanni Volterra prof. Vito Cardani prof. Pietro Garbieri prof. Giovanni Giannetti prot. Carlo Cervello prof. Vincenzo Albertone prof. Pietro La Monaca dott. Silvestro Luciani prof. Luigi Guasti prof. Paolo Zona prof. Temistocle Bazzi prof. Eugenio Chirone prof. Vincenzo Morselli prof. Enrico Raffo dott. Guido Materazzo dott. Giuseppe Borzì prof. Antonino Falco dott. Francesco Del Lungo dott. Carlo Capellini prof. Giovanni Righi prof. Augusto Kleinenbergh prof. Nicolao Giovannazzi prof. Giovanni Kohlrausch prof. Francesco Zambacco dott. N. Donati prof. Luigi Viedemann prof. Eilhard Marchesano prof. Vincenzo De Heen prof. P. Pernice prof. Biagio Caldarera dott. Gaetano Salomone Marino prof. Salvatore Pandolfi dott. Eduardo Lo Bianco dott. Salvatore Guzzanti cav. Corrado D’Abundo prof. Giuseppe * Divenuto socio corrispondente per dimissione del grado di effettivo. Memoria I. Sulla tubercolosi in Catania Note di statistica medica del Prof. G. B. UGHETTI con la collaborazione di G. AMORE-BONELLI Stud, med, Se da un lato le conoscenze che oggi possediamo sulle cau- se e sulla patogenesi della tubercolosi spingono i lavoratori del- la scienza a dirigere la maggior parte dei loro sforzi verso uno scopo di evidente importanza, quello della cura della malattia , dall’ altro lato la necessità di determinare tutte le possibili con- dizioni in cui la malattia si sviluppa, fa sì che non siano nep- pur da trascurare le ricerche dirette verso quest’ ultima meta. Gli studî che mirano a renderci esatto conto della distribuzione geografica della tubercolosi acquistano poi una speciale impor- tanza da ciò, che non solo rischiarano uno dei momenti etiolo- gici della malattia, ma forniscono utili dati alla conoscenza delle condizioni igieniche delle singole località. Tutto ciò che concerne la tubercolosi desta il più alto in- teresse. Anche recentemente, in uno studio sulla tubercolosi nel Belgio, si è potuto accusare l’ umanità di assistere indifferente allo scempio che la malattia produce, ma in realtà cotesta apa- tia è più apparente che reale, è più dovuta alla convinzione della nostra impotenza che ad una rassegnazione definitiva. L'indifferenza non è che alla superficie; non esiste nelle clini- che e nei laboratori, ove ogni giorno che passa segna un nuo- vo tentativo per combatter la malattia, una nuova conquista che ci giova a sempre meglio conoscerla. E poi, è bensì vero che il pericolo della tisi non desta il panico che vien prodotto dall’ annunzio di certe malattie epi- ArTI Acc. Vor. X, SerIE 48 — Mem. I. 1 D) Sulla tubercolosi în Catania. demiche, ma non per questo non è malattia temuta per la sua contagiosità. In Catania, per esempio la possibilità del contagio è da lungo tempo nella coscienza popolare, e da lungo tempo, negli ospedali, sono assegnate ai tisici sale apposite. Sta bene che questo isolamento è praticato in modo da non raggiungere altro risultato che quello di non preservare gli altri infermi e di peggiorare le condizioni dei tubercolosi, ma la buona inten- zione mostra per lo meno che da molti anni il pericolo era sta- to preso in considerazione. Alcuni anni fa io pubblicai una nota sui rapporti fra il cli- ma e la tisi pulmonale, in cui, contrariamente all’ opinione di qualche autore, dimostravo, valendomi anche dei dati statistici di Catania, che, se la tisi tubercolosa è molto frequente nei cli- mi caldi della zona temperata, lo è però meno che nei climi freddi. Dopo d'allora, senza cessare di tener conto di quanto riferivasi a tale questione, della quale mi ero già occupato an- che precedentemente in uno studio sul clima di Catania, non credetti però opportuno di farne oggetto di altra nota, ove pri- ma non fosse passato un numero d’anni sufficiente a fornirmi delle cifre statistiche dotate di un alto grado di approssimazione. Ora poi che è passato tempo sufficiente a fornirmi quei dati statistici che allora difettavano, vediamo quali siano le proporzioni che la tubercolosi ha assunto e mantenuto in Catania. Però va- lendomi delle cifre desunte dalla Rassegna demografica che pub- blica mensilmente il municipio di questa città, devo far precedere la loro classificazione da alcune considerazioni. Innanzi tutto, per quanto sia facile la diagnosi della ma- lattia, tantochè non si può pensare ad errori di statistica, deri- vanti da errori diagnostici, come può avvenire per altre af- fezioni, non per questo tuttavia la tisi polmonale è sempre de- nunciata sotto il suo vero nome all’ufficio di stato civile. È tale il timore che si ha per questa malattia, che, alla morte di un tubercoloso, il medico viene talvolta pregato da qualche parente di esso, per ragioni ovvie di famiglia e di interesse, di non scri- Sulla tubercolosi in Catania. 5 vere sulla scheda il vero nome della malattia. Ed i medici, trat- tandosi di cosa che non ritengono nocevole ad altri che alla statistica, bene spesso consentono. Ecco perchè se si volessero comprendere tutti casi di tisi polmonale, bisognerebbe tener con- to di molte delle cifre inscritte coi nomi di pneumonite eroni- ca, di bronchite cronica, di pleurite e fors’ anche di malattie de- gli altri apparecchi, di enteriti, diarrea ecc. Facendo calcolo dei soli casi notati come tubercolosi pol- monale si è certi che tutti si riferiscono a tale malattia, ma si può star certi del pari che si hanno delle cifre al disotto del vero. Si presenta poi un'altra difficoltà. Secondo la classificazione nosografica suggerita dal ministero ed adottata dal Municipio di Catania dal 1885 in poi, la classe VII. comprende al N. 71 la tubercolosi polmonale, mentre nella classe III. malattie costi- tuzionali, comprende al N. 30 la tubercolosi generale e sue ma- nifestazioni locali. Invece nei rendiconti statistici che risalgono dal 1884 al 1878, la tubercolosi è addirittura esclusa dalla classe delle ma- lattie del respiro, e messa fra le costituzionali (classe III); nella statistica anteriore al ’78 era posta in un fascio col rachitismo e la scrofola. Da queste considerazioni risulta che per ottenere delle ci- fre sempre paragonabili, benchè certamente inferiori al vero, debbo limitarmi a quelle che vanno del 1878 al 1895 (18 anni). L'errore che può derivare dall’ essere state molte denunzie fat- te sotto altri nomi è presumibilmente lo stesso nei varii anni, cosicchè il rapporto fra essi non è molto alterato. Sarà invece maggiormente alterato ogni rapporto che si vo- glia instituire con le cifre di altri paesi, redatte con criterii dif: ferenti secondo i luoghi; epperò su tale rapporto non insisterò più di quanto l’inesattezza dei dati consenta. Fatte queste riserve, incominciamo dal constatare che nella nostra città dove pure la tubercolosi non infierisce con le pro- l veruna (Rav. estigati) Itre contrade, la mortalità per tale ma- cronica na Sulla tubercolosi în Catania. de da non essere superata da quella d x che assume . x la e cosl gran altra malattia acuta 0 porzioni labt 91 [ect [2a [Scr | #a | 68|6 |69 | 68 [27 [cor |sr |s9 [rog [ee |SFI 7 zig |2gx |g [oct | 19] 96. # [Se | ze [oe -[es |te [sza |eet [ea [WI 3 0.3 |stt |6 |ozr| ox | sw | o1]|se | ze Lr [ea |e |L |rer [se [801 = |p|F|a|s|®|î|=|ooza} e s/c3|cs| = | 9g [sa/Fges/z2|S°ela|z|3|3|=]|353|/f°|fòo È CRESO O) chi Hi D S' aa [CO : i ® | ® D 3 o + De i ‘E C[OABL Sulla tubercolosi în Catania. Ponendo poi a confronto le cifre annuali della mortalità per tubercolosi polmonale con quelle della mortalità totale e del- la mortalità per tutte le malattie dell’ apparecchio respiratorio in Catania (Tav. II e Fig. B) ne risulta che in questa città la Tavola KI. Popolazione| Mortalità Mortalità A Tao pia Mortalità per DORen ANNO della Der DUSer malattie |zioni cronic.| __ Don a Città totale GQIORI Apparato | Brouchi- Su 100 | Su 10000 polmonale: regie || WPolm «| doGessil abitanti 1878 90423 2958 120 565 86 4,05 13,2 1879 91045 3098 141 557 62 4,55 15,0 1880 91685 3134 140 622 66 4, 46 15,2 1881 92845 3190 156 D44 146 4,89 16,8 1882 102418 3033 157 586 173 5,11 15,3 1883 102117 3244 192 545 146 5} 8) 18,8 1884 103715 2942 157 55 156 5,34 ka; al 1885 104868 2968 157 606 158 5, 62 14,9 1886 106118 3156 179 629 160 5, 66 16,3 1887 106600 4031 146 565 150 3, 64 13,98 1888 106847 4185 127 737 193 3, 03 11,8 1889 108922 2892 118 596 136 4,09 10, 7 1890 109162 3481 140 817 227 4,02 12,8 1891 111066 2998 135 691 170 4,50 TOT 1892 112152 3321 153 783 234 4, 60 13, 6 ! 1893 113345 3335 163 838 242 4,88 14,3 1894 114639 3104 158 813 270 5,03 13,7 1895 115992 3446 144 888 317 4,17 19,4 mortalità per 1878 al 1883, per diminuire negli anni successivi e toccare in tubercolosi polmonale è andata crescendo dal questi ultimi anni le cifre dei primi della serie o quasi. Nel 1887 e nel 1888 è stata bassa, relativamente all’ au- 6 Sulla tubercolosi în Catania. mento degli anni precedenti, la cifra della mortalità tubercolare, mentre, precisamente negli stessi anni, è stata altissima la cifra della mortalità generale, influenzata nel primo anno dal colèra che diede un contributo di 679 morti, nel secondo dal vaiuolo, che ha mietuto un numero di vittime anche più grande (869). Nell’ anno successivo a queste due epidemie, e cioè nel 1889 si è avuta la cifra più bassa, tanto nella mortalità generale ri- dotta a meno di */, dell’anno precedente, quanto nella mortalità per tubercolosi. Sembra che il succedersi di due epidemie avesse già tolto di mezzo gli organismi più deboli e più suscettibili di essere col- piti da qualche infezione. In questo stesso anno perfino la mortalità per ileotifo è di- scesa alla cifra di 78, mentre nella statistica studiata dal Di Mattei e che si estende fino al 1887, troviamo che la cifra più bassa è stata quella di 125 toccata nel 1886. È soltanto nel successivo 1890 che torna a salire la morta- lità generale e quella per tubercolosi, ma l'accrescimento della prima, proporzione fatta, è molto più notevole, essendo essa sta- ta influenzata, più che non dalla tisi, da un epidemia di mor- billo ( 213 morti, mentre la cifra annua ordinaria è minima ) e dal gran numero di pneumoniti acute , anche questa una vera epidemia, poichè fu superato di un centinaio la cifra media or- dinaria (210). Si noti poi che durante tutto il periodo contemplato nella nostra tavola la popolazione della città era salita da 90 a 110 mila abitanti. Vediamo ora quale sia l'andamento della mortalità per tu- bercolosi nei singoli mesi. Premetto che questa parte delle ricerche, che suole avere un’ alta importanza nelle infezioni acute, ha un’ importanza se- condaria in una malattia come questa, il cui termine è per lo più lontano dall’ esordire dell’ infezione di parecchi anni. Sulla tubercolosi in Catania. Ti Dall’ esame della tavola III si rileva che le cifre più basse si sono avute in Febbraio, Maggio, Giugno e Settembre ; le Tavola EEE. -2 s ° ° 5 È ® E È SS cea eee i ae |A * 1878 11 9 9 12 J6l: 16 5 15 9) 8 9 10 120 1879 7 6 13 20 10 17 4 16 12 10 8 8 141 1880 7 5 14 19 10 6 17 16 7 10 15 14 140 1881 15) 10 17 14 11 12 11 16 5, 9 19 17 156 1882 19 10 17 18 Yi lo) DI 15 | 10 7 13 12 157 1883 14 10 19 22 20 19 20 15 9 19 14 17 192 1884 19 13 15 14 14 9 19 12 8 10 14 10 157 1885 10 14 14 8 21 16 10 25 11 20 15 13 157 1886 18 9 19 16 19 11 17 14 11 15 15 15 179 1887 17 18 14 8 17 22 9 6 7 10 13 15 146 1888 13 14 18 12 2 12 10 1 13 5 8 13 127 1889 10 1l 8 14 10 11 14 9 19) 3 8 15 118 1890 20 21 10 5 9 8 10 14 9 Tit 9 14 140 1891 10 12 10 8 14 12 14 12 11 8 9 14 135 1892 6 14 12 19 10 11 12 17 Dali TS 14 14 159 1893 12 9 14 12 16 14 13 17 13 1 tr 17 19 163 1894 9 11 14 13 13 18 14 19 11 11 1) 12 158 1895 9 10 9 14 11 18 15 6 8 21 13 10 144 Media 12 11 1163 13) 12 12 13 13 9 11 12 13 |148,21 più alte in Marzo, Aprile, Luglio, Agosto e Dicembre; ma evi- dentemente tali oscillazioni sono soltanto causali poichè la dif- ferenza tra la massima e la minima non è punto considerevole ed inoltre le cifre più basse si hanno subito dopo le più alte (Tav. V. Fig. C). Non è così per le altre malattie polmonari non 8 Sulla tubercolosi in Catania. bercolose. Studiando la mortalità per tali affezioni nella tavola IV e nel diagramma €, sì nota come i mesi più freddi, a co- A Tavola EV. fa È © SES eee Anno È £ S E 3) soi zo S E E E © È E = (SÌ si Ba = S » ° = osi el Va E 1878 | 47) 57| 48| 30| 37) 23| 18] 21] 28) 30) #| 61| 435 1879 | 46| 48] 58| 46| 33| 33) 41] 17) 21) 36| 24| 38| 436 1880 59) 48| 55| 55| 42) 32| 33| 27] 28| 36) 24| 43] 482 1884 46 | 29 38 | 47 sl 280 880) L7 17 23 | 23 | 26 358 1887 | z0| 42) 45| 30| 51] 42] 21| 9| 11| 10) 36| 52| 419 1888 | 77] 71] 65! 730 69) 66) 34) 25! 17] 291 41] 47] 610 1889 | 57) 72) 68) 46| 40) 27] s3| 14| 25| 26] 29] 41| 478 1890 | 98|101| 73| 5s4| 39| 49) 34| 34| 81| 48] 55) 66| 677 1891 58.| 91 80| 46) 42) 30| 23 18 | 19) 23| 53| 73 556 1892 81 80 | 88| 62) 57| 45) 31| 35) 3L| 29) 351 76 630 1893 66 | 70| 64| 61 63 | 48] 54] 48| 48) 36] 55| 72 675 1894 120 | 108| 86] 59) 39] 26) 31] 27) 36] 29) 42) 53 655 1895 69| 93 112| 124) 75| 58) 34] 27) 28| 22) 37| 65 744 Medie | 64| 60| 62| 50) 44 37) 31) 23| 24| 26) 34| 52 minciare dall'ottobre, dieno la più forte mortalità, la quale rag- giunge il culmine nel Gennaio e nel Febbraio, per poi discen- dere gradatamente nei mesi successivi, mentre le oscillazioni della tubercolosi sono relativamente insignificanti. Sulla tubercolosi in Catania. 9 A questo punto sarebbe senza dubbio di grande importanza il potere rilevare dai dati statistici la maggiore o minore fre- quenza della tubercolosi secondo le varie località di Catania e più ancora secondo le professioni, il sesso, e le età. Senonchè a voler raccogliere delle cifre sotto questi punti di vista si va incontro a difficoltà insormontabili e, anche senza di queste, a molte cause d’ errore. E prima di tutto, sotto il rap- porto dell’ ubicazione e delle professioni, la statistica municipa- le non offre alcun dato; bisogna dunque limitarsi a richiedere certi dati di alcune località ove si raccolgono molti tubercolosi, per esempio nelle Carceri o negli ospedali. Ma non ho potuto avere le cifre che desideravo dalle prime, ed ho dovuto limitar- mi a trarre qualche dato da quelle raccolte nei registri dell’Ospe- dale V. Emanuele, gentilmente posti a nostra disposizione. An- che quei registri però non sono completi che nel periodo dal 1886 al 1895, e la classificazione delle professioni lascia molto a desiderare. Basta dire che il maggior numero degli infermi so- no designati sotto la denominazione di industriosi, denomina- zione vaga che può comprendere merciaj, sensali, etc. Comunque sia , dalla statistica di detto Ospedale (in cui i morti per tubercolosi rappresentano i quattro quinti di tutti i decessi) si dedurrebbe (V. Tav. V) che la maggiore mortalità sì manifesta fra 1 20 e 30 anni. Tavola V. Mortalità E GRA PROFESSIONI i nell’Ospedale = a ;. | 0|10|20!30]|40]|50 Coe se “la n RESI? 3 CRE gs|a|alala|a]|a = £ Fio eta 5 SE È ca Fe 5 n'È 72 s|gleae[afa|o|S|a|S|a|5]|del&|3]|8|fs|s EA E |10|20|80|40/50|e0/£|S|#/EÉ|#EIS|A|S|&|a ASSE S8]8 1886 96 87 — 200/031 17 9/10] — 1|-|T- 2| ji 2 2 2|- 6 4{-|_-|18 46 1887 50 54 3 | 12 9 9|/11/10|—-|—-|-|—-|- 2|- 2 i 1|-- | —- 3 4 213) 20 1888 78 45 —_ 4 | 20 | 12 di 2|-|-|—- tl 1 i 4 1 1 1 1|- 3 si 8 5|24 il 1889 79 63 160140 ILA \E14N TO 3|-| 1|- 4 1|-|--[|- 1 2|-|- 2 6a |E33; 1890 93 73 — | :13| 21/2011 8|-|- 2 3 1|- 2 ll 1 i 3 S| 16139 1891 108 80 di 21002210 9 1 1|- 1|-|-{|- ll 1 VS 1 1 7|25 | 40 1892 86| 75 Te e i eat 386 ii 34151037 1893 | 174) 7 | 3|/17|18|13/16| 9|—| 2] 1| 1| 1 1 023061005) 4483: 60 1894 158 75 — | 12/26|15]|12'! 10 oi 1|—-|—-{|- 2|-|- 2 3 2 4 4 7 8]13/28 1895 166 ita: — | 12| 20| 17 | 15 T\|-|-|_- — |-|_-]|_ 2 il 2 4 4 2|11|19|25 Tot. 108 | 699 11 [128 [203 |156 |112 | 77 3 5 7 9 9 9 9 9| 12] 17|17]|20]| 23 | 24 | 45 [150 [322 ArtI Acc. Vor. X, Serie 4° — Mem. I. 2 10 Sulla tubercolosi în Catania. Si noti però che la differenza fra la cifra della mortalità in questo periodo della vita e quelle dei successivi decennii è molto limitata ; cosicchè non se ne può punto dedurre che, come per molto tempo si è creduto e da molti tuttavia si crede, la tuber- colosi colpisca di preferenza la giovinezza. Il Manfredi ha fatto giustamente osservare che finora non si era tenuto conto del rap- porto fra il numero dei morti per tubercolosi e quello della po- polazione vivente, nelle varie età; prendendo in calcolo questo rapporto ha dimostrato che è invece nell’ adolescenza che si ha il minimo di mortalità per tubercolosi e che questa va crescen- do dopo i 15 anni sino all’ estrema vecchiaia. Mi mancano le cifre per controllare nel caso nostro la legge del Manfredi; tuttavia notando come il maggior numero di morti per tubercolosi si abbia fra i 20-30 anni e la cifra vada poi de- crescendo meno rapidamente di quanto decresca per ogni de- cennio la cifra dei viventi, si può credere che anche la statisti- ca dell’ ospedale dia una più alta percentuale nella vecchiaia che nella giovinezza. In quanto alle professioni risulta che le più colpite dalla malattia sono quelle del contadino o bracciante, del calzolaio, del fabbro-ferraio. In realtà la cifra più alta sarebbe data dagli industriosi, ma ho già detto che valga questa denominazione; dopo di essi e dei contadini, i quali figurano pel maggior nu- mero perchè i più poveri, vengono i civili. Sembra una contrad- dizione, che allato ai contadini vi siano i civili, ma non lo è, perchè con questo nome qualificano se stessi quei membri del proletariato borghese, che si credono superiori d’ un gradino a chi viene del lavoro delle braccia, eppure soffrono la miseria più degli ultimi paria della società. Sempre con le riserve di cui ho detto sopra, estendiamo ora il campo di osservazione al di fuori di Catania , notando quale sia il posto che nella mortalità per tubercolosi, la nostra città tiene fra le altre d’ Italia. Dall’ esame del diagramma D, in cui sono poste a con- Sulla tubercolosi in Catania. 11 fronto la mortalità per tubercolosi e quella per malattie polmo- nali non tubercolose con la mortalità per malattie respiratorie in genere, sì rileva quanto segue. Catania ha un numero di morti per tubercolosi. polmonale inferiore a quello di ogni altra città d’ Italia. Nè ci sarebbe da fare gran caso della differenza se essa non fosse così notevole co- m' è in rapporto ad un’ altra città, che sotto molti riguardi è tanto rassomigliante a Catania, voglio dire Palermo. Le condizioni climatiche, igieniche, economiche delle due cit- tà sono così simili fra loro che appena si scorge la grande dif- ferenza fra le due cifre, nasce subito il sospetto di qualche cau- sa d’ errore intervenuta nel computo. Ma in realtà l’ esame del modo in cui queste cifre sono state desunte allontana subito il sospetto accennato. La cifra di Palermo è stata tolta da un eccellente lavoro del De Blasi che comprende un periodo di dieci anni. Il De Blasi ha compreso sotto la denominazione di tubercolosi queste cate- gorie : 1. Tubercolosi polmonare e meningea. 2. Tabe Meseraica. 3. Scrofolosi. 4. Tumori bianchi ed ascessi freddi; ed ha trovato che la mortalità per 10000 abitanti era rappresentata da 30. Se sì fosse eliminata da questa cifra ciò che non era propria- mente tubercolosi polmonale, sì sarebbe trovata una cifra molto più bassa; siccome nel periodo 1881-90, i morti di Palermo per tubercolosi in genere furono 7977 e di tubercolosi polmonale e meningea 5344, così la proporzione dei primi per 10000 abitanti fu di 30, dei secondi 21. Lasciando dunque la cifra di 30, ho però voluto includere nella cifra di Catania tutto ciò che il De Blasi ammette per quella di Palermo, e ciò non ostante essa non sale che da 12 a 14 per 10000 abitanti. La differenza fra le due città è sempre considerevole. An- che quando per Palermo si ammetta che un certo contributo sia 12 Sulla tubercolosi în Catania. dato da che, come stazione climatica, essa è più frequentata di Catania, resta tuttavia il fatto che la mortalità per tubercolosi è realmente a Catania molto più bassa ove si paragoni a quella di tutte le altre grandi città. Né sulla differenza della percentuale deve influire gran fatto la diversa serie di anni presa a considerare. Non si tratta di una infezione che come il tifo possa crescere o diminuire d’un tratto per l’ immissione di certe acque o di certe altre; trattasi d’ una malattia bensì infettiva, ma che dipende in gran parte dalle con- dizioni della nutrizione, e dall’ eredità del trofismo organico, e perciò da fattori etiologici e patogenetici le cui variazioni sono molto limitate e molto lente. Esaminiamo ora la diffusione della malattia, non più nelle varie città, bensì nelle varie regioni d’Italia. Qui le cause d’er- rore non possono essere molto rilevanti nelle differenze tra una regione e l’altra, perciò che la tavola è stata compilata con uni- co criterio dagli ufficii ministeriali della statistica. Dalla tavola VI e dal relativo diagramma (Fig. E) si trae Tavola VE. Mortalità per tubercolosi diffusa, polmonale e meningea. REGIONI PopoLazione |Mort.assoluta|Per 10000 ab.| Per 100 m- Riti età e 881043 1848 19 7 | COmbard oe eee 3622986 7157 18 7 Toscana ne E ug aio 2209494 4215 18 7 Emilia o 0 A te det 2186995 4012 17 6 Lazio. ente es EL 845443 16052 17 6 REMO ONE RR 3054071 4926 15 6 IVIGN e LO SS, e 2790265 4457 14 6 ISAdE P 9 NT 663401 118 12 5) Ubr lese e ee 570519 746 12 D Nine o le 931344 1188 11 4 CAMPANIA A 2861590 3457 11 3 Buolie fears Re eee 1506289 1835 10 3 Stalla Mi e e 2769178 2966 9 3 ADENZZO e 1325504 1253. 8 3 Bas cato e e 528514 386 t/ DI Cla bio ReRe 1254059 949 7 2 MEcutta elica 28010695 41158 med. 13 med. 4 Sulla tubercolosi în Catania. 13 che il maggior numero di tubercolosi si ha nell’ alta Italia e più che altrove in Liguria, il minor numero si ha nelle provincie meridionali ed in ispecie in Basilicata ed in Calabria. La Sici- lia occupa il quartultimo posto ; e tanto in proporzione al totale dei morti, quanto in proporzione al numero degli abitanti le ci- fre della sua mortalità per tubercolosi sono precisamente la metà di quelle rispettive della Liguria. La veridicità della tavola , o per meglio dire l’ esattezza della proporzione tra le varie regioni è confermata dalla geografia nosologica del Sormani che è de- sunta dal numero dei riformati di leva. Il maggior numero dei riformati per scrofola corrisponde appunto al maggior numero dei morti per tisi della nostra tavola. Le tavole VIII e IX ci danno poi le cifre della tisi tuber- Tavola VEH. Tavola IX. Mortalità per tuberc. polmonale nei diversi Stati d’ Europa in un periodo di sei anni (1887-1892) Mort. p. tub. su 100 deces. STATI Med. Annuale/Su 10000 abit. MEG 29 Marsiglia . .... 25 Irlanda. . . . 10061 21,15 Pari go i a 95 Londra. . 0.0.0. 23 Germania. . . 33971 31,29 New-Jork. . . . . 19 Belgio. . . .| = 12110 19, 87 Borno e ca ato Stoccarda . . . . 16 Olanda. . . . 8668 19,21 Copenhaghen. . . 13 Palermo eee 12 Svizzera . . . 6197 21, 07 Cura e 4 Francia . . . 23774 33,00 Ital 40800 15, 61 14 Sulla tubercolosi în Catania. colare per varie città d’ Italia, d’ Europa e d’ America; la VII Tavola VEE. 1 Mortalità rel. a 10000 ab. MORTETITA son TÀ RESINA RI A ir LR | dor ;i TE Cari Milano tato feci oe 39 92 1021 206906 | RIOMAl tai cata e n ein serenita 37 19 867 234380 VICNEZIArAIR:, cao So fano 3L 75 427 125816 BOLO ONE e 33 80 371 112464 Palermo ne. 0° i 30 54 691 230348 (Genovar st ca 24 57 391 163220 Napoli ti aly Rats lio a 24 101 1081 450686 Orgiani ea 19 43 407 214222 Catania i i 14 61 126 90114 per varii stati. Anche in esse constatiamo che l’Italia in genere e Catania in ispecie tengono l’ultimo posto; ma tali cifre non rappresentano che un rapporto approssimativo, riferendosi a pe- riodi diversi ed essendo tratte da statistiche redatte con criterii non sempre identici. In conclusione, dai dati surriferiti si dedu- ce che : 1. In tutta Italia le vittime della tubercolosi sono non me- no di 40800 all’ anno. 2. In Catania sono ogni anno non meno di 204, di cui 149 di tub. polmonare, 55 di tub. intestinale. 3. Nella mortalità per tubercolosi, calcolata in proporzione agli abitanti, Catania occupa uno degli ultimi posti fra le città d’ Italia, e fra le principali d’ Europa. e ] | | | | (SÌ (SÌ ° o o ° S Si © WE Ta - ° o o (sj (SÌ (Sì S S SI s DI S Co] = t 6 © 3 (e) Q SJ TEsg EE MEP II a TR: 3 3 SIMS i SIE CO MEO Si È ESME ITER) (CA) i ih È [a E CLOSO [eta | 100 TT) 20 si | È ila sia LR RATA CHESS Si a id ki it N i To I 'vrlatiboi per lubrorcol. polmon. PAZZA Modalita pe lubercot polmon pre E oi ner vartimeotin (Gloria n varie: 7 su 4000 |850|490 3300|800|480 3600 |j50|470 3100|00) 460 3000\ 600|140 i 80 1) Epidencia di colera (+4 679) LARE] SIN (2) Epideruta di vajuobo (11,869) Virltalita lubercolosi per regioni ve 10000 al e su 100 morti Memoria II. Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi ( con una tavola ) del Dr. SALVATORE CALANDRUCCIO Nella maggior parte dei Teleostei sono stati osservati dei rami dorsali del nervo trigemino, i quali, originando dai plessi formati dalle radici di questo nervo, montano nel grasso della cavità cranica, o alla superficie interna delle pareti laterali del cranio. Riguardo alla forza e all’ ampiezza del loro dominio si comportono molto diversamente. Di spesso si ramificano soltanto nel grasso della cavità cranica e nelle meningi cerebrali. In al- tri casi uno di questi rami ascendenti trapassa la parete cranica per espandersi sotto gli integumenti della testa; può pure acqui- stare una anastomosi con un ramo dorsale analogo del nervo vago. Molto sviluppati sono questi nervi, destinati alla cavità cra- nica nei Cyprinides e nel SWurus. In molti pesci questi nervi della cavità cranica derivano dal principio del ramus lateralis, il quale in complesso deve essere considerato come uno sviluppo progressivo dei rami dorsali del nervo trigemino e può anche svilupparsi in rami particolari che circondano tutte le pinne. Questo ramo laterale è stato scoperto da E. H. Weber nel Stilurus glanis nel 1820. Cinque anni più tardi venne descritto anche da Desmoulins nei Gadoidi e Siluroidi. Altri studi fece lo stesso Weber nel 1827, segnalandolo an- che nella Lota vulgaris. ATTI Acc., Vor. X, SERIE 48— Memoria II. 1 2 Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi Più tardi se ne occupò Cuvier, segnalandolo nella Perca, nel Labraa, nella Lota, nel Gadus, nel Stilurus e nel Bagrus. Se ne occuparono in seguito lo Swan, descrivendo quello del Gadus; Giovanni Miller, descrivendo quello del Gymmnotus e so- pratutto lo Stannius, il quale 1’ ha osservato nelle seguenti for- me: nella Perca vulgaris, nell’ Acerina cernua, nel Cottus scor- pius, nel Sebastes norwegicus, nel Zoarces viviparus, nel Mugil Plumieri, nell Ophicephalus striatus, nel Cyclopterus lumpus, nel Labrus carneus, nel Belone longirostris, nel Gadus callarias ed aeglefinus, nel Merlangus vulgaris, nel Raniceps fuscus, nel Phycis furcatus, nel Brosmius vulgaris, nel Lepidoleprus norwegicus, nel Silurus glanis, in parecchie specie di Pimelodus, in una specie di Callichthys, in alcune specie di Hypostomum e finalmente nel- I Anguilla vulgaris. Lo Stannius medesimo non l’ ha trovato nell’ Agonus cata- phractus, nella Trigla gunardus ed hirundo, nello Scomber scom- brus, nel Carana trachurus e carangus, nell’ Acanthurus mnigri- cans, nel Trichiurus haumela, nel Brama Iaji, nel Lophius pi- scatorius, in tutti 1 Pleuronectidi esaminati, nel Cyprinoidi, nel Salmo, nel Coregonus, nell’ Esox, nella Clupea, nella Alosa, nel Butirinus, nell’ Ammodytes, nel Diodon, nel Tetrodon, nell’ Alu- teres, nel Balistes, nell’ Ostracion, nell’ Acipenser, nel Polypterus, nel Carcharias, nello Spinax e nella Raja, nella Chimera artica e nel Petromyzon fluviatilis. In conclusione questo ramus lateralis manca in tutte le classi dei pesci (1), eccetto i Teleostei e manca pure del tutto in un certo numero di questi ultimi. Esso si estende nella cavità cranica in su e all'indietro per abbandonarla, attraversando l’ osso parietale, o la regione occipi- tale, però dopo di aver ricevuto un ramus communicans vagi. Differentemente si comporta a questo riguardo nell’Anguilla, come si dirà più avanti. (1) Per i Dipnoi occorrono però nuove ricerche. Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi 3 Dopo l’ uscita del cranio il ramus lateralis in generale, o forma un ramo dorsale submediano, o dà nello stesso tempo ra- mi ventrali e particolarmente rami destinati per le estremità. In ambidue i casi esso riceve elementi di rinforzo dai nervi spinali. E mi spiego. Quando il ramus lateralis forma un semplice ramo submedia- no dorsale, va al dorso e lo percorre, andando all’ indietro fino alla coda; là dove vi sono muscoli delle pinne dorsali, stando sot- to di questi, dove mancano, stando immediatamente sotto la cute. In tutta questa strada esso riceve dal ramo dorsale di ogni nervo spinale un ramo comunicante, comunemente semplice, di raro doppio e diventa così un collettore di elementi di tutti i nervi spinali. Da un tronco misto così formato, si dipartono fini rami per i muscoli dei raggi delle pinne, per la cute del margine del dorso e per i raggi medesimi. In parecchi Teleostei il ramo laterale non si limita al mar- gine dorsale, ma dà altri rami; a questi rami appartengono : 1. Rami diretti in avanti per gli integumenti del capo, 0s- servati in differente grado di robustezza e di estensione nell’An- guilla e in parecchi Gadus ; 2. Rami per le pinne addominali che furono trovati in tutti 1 Gadoidi; 38. Rami per la cute e i raggi delle pinne pettorali; 4. Robusti rami cutanei per diverse parti del tronco, verifi- cati in tutti i Gadoidi; 5. Un robusto ramo ventrale che, nella regione caudale, si comporta colla pinna caudale come al dorso colla pinna dorsale, è stato osservato nel Gadus callarias, aeglephinus e nel Rani- ceps fuscus. Così accennata in generale, colla scorta dello Stannius , la disposizione del ramus lateralis del quinto, negli altri Teleostei in cui esiste, passo a considerare come esso si comporta nel- l’ Anguilla. i Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi Nell’ Anguilla vulgaris il ramus lateralis non risale nella cavità cranica, ma l’ abbandona subito dopo la sua origine , uscendo fuori immediatamente dietro il nervo facciale per un proprio foro dell’ osso petroso. Quindi si addossa strettamente al nervo facciale per, subito dopo, dividersene di nuovo. Di qui si porta all’ indietro, esternamente coperto dalle parti superiori dell’ osso temporale (pterotico) e monta in alto dietro il robusto elevatore dell’ opercolo e allora soltanto riceve dal ganglio del vago, che sta fuori della cavità cranica, un corto ramo anasto- motico trasversale. Dopo aver ricevuto questo ramo comunicante, manda due filetti. Un filetto, passando sotto la commessura oc- cipitale dei canali mucosi, si estende sul muscolo temporale (1) e sotto la cute dall’ indietro all’ avanti, fino alla regione sopraor- bitale. L’ altro filetto si porta sul muscolo elevatore dell’ opercolo sotto la cute. Dopo d’ aver dato questi due filetti, il tronco del ramo laterale si divide in due rami, cioè nel tronco submediano dorsale, il quale fu seguito fino all'estremità caudale e nel tronco ventrale più grosso. Questo ramo ventrale (di cui Giovanni Miller ha conosciu- to appena il principio), coperto dapprima dall’ estremità superio- re dei raggi branchiostegali, corre direttamente indietro , passa al di sopra della pinna pettorale, stando collocato sotto la cute. Prima d’ arrivare alla pinna pettorale, esso manda un sottile ramo cutaneo in giù. A livello della pinna pettorale le fornisce un ramo cutaneo sottile. Dietro la pinna pettorale , si. distende poi obbliquamente in giù e indietro e, apparentemente senza emet- tere alcun filetto, arriva vicino alla linea mediana dell’ addome e prosegue direttamente sotto la cute fino all’ ano. Qui giunto, gira attorno all’ ano per andare dietro di esso alla pinna anale, che accompagna fino all’ apice della coda. Non si poterono con- statare anastomosi con i rami ventrali dei nervi spinali, nè rami- (1) Questo ed altri muscoli del capo nei Murenoidi dovrebbero essere riveduti in base alle nuove ricerche di Vetter. I Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi ficazioni alla pinna anale. Esse però forse esistono, ma sfuggo- no per la loro estrema finezza. Ho così fatto conoscere esattamente ciò che si sapeva sul- l'argomento, prima che io prendessi a studiare # ramo laterale del trigemino nei Murenoidi, prendendo per punto di partenza le ricerche dello Stannius sull’'Anquilla. Quando io mi cominciai ad occupare dell’ argomento , ave- vo presente alla memoria il grande principio, sviluppato princi- palmente dal Gegenbaur e dai suol scolari, che, mentre i vasi e i muscoli sono soggetti a grandissimi cambiamenti in una stessa classe, invece i nervi sono di gran lunga più costanti, sicchè io mi aspettavo di trovare negli altri Murenoidi fatti più o meno simili a quelli, tanto esattamente descritti dallo Stannius nella Anguilla, e supponevo anzi che il ramo laterale del quinto dovesse esistere più o meno semplice, o semplificato in tutti i T'eleostei. Con questo preconcetto teorico, mi misi all’opera e lavorai parecchi mesi. Oltre alla semplice dissezione, che pur dà tanti risultati , quale si usava ai tempi di Stannius, io ricorsi ai seguenti altri metodi : 1. Trattamento con l’ acido nitrico ; 2. Trattamento con l’ acido acetico ; 3. Trattamento con l’ acido osmico ; 4. Sezioni microsropiche in serie, fatte col microtomo, di gio- vani individui, conservati con i metodi migliori, che ci insegna la tecnica microscopica. Il primo metodo, già stato usato da molti altri autori, io l’ ho applicato così come segue : Si aggiungono due grammi di acido nitrico in cento di acqua comune, e in questa soluzione sì pone l’ animale. La soluzione deve essere in quantità molto abbondante. L’ animale vi deve rimanere immerso nella soluzione da una mezz’ ora a cinque e più ore, a seconda della sua grossezza. Do- po si passa in acqua semplice, nella quale si fa la dissezione. 6 Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi Ho tentato anche la formalina , che per tanti altri scopi , riesce tanto utile: non mi diede però alcun profitto nel caso attuale. Nella ricerca del nervi il grasso disturba moltissimo, perciò si debbono preferire le forme magre. Nella investigazione dei nervi può nascere errore con 1 vasi, scambiando per rami nervosi i rami vascolari: di solito il colo- rito del sangue basta a distinguerli. In altro caso si ricorre al microscopio. Ho esaminato tutti i Murenoidi, che ho potuto procurarmi a Catania, ossia ho studiato tutti i Murenoidi comuni, cioè: 1. Anguilla vulgaris ; Crongomuraena balearica (Cirimirro) ; Crongomuraena mystax (Buttocanale); Ophichthys serpens (Serpe imperiale) ; . Ophichthys hispanus (Serpe monaca di fondo); . Ophichthys imberbis (Serpe monaca); . Muraena helena (Murena); 8. Myrus vulgaris (Serpe corta); 9. Conger vulgaris. u9S È A o Do Quanto all’ Anguilla posso confermare punto per punto quel- lo che ha trovato lo Stannius, alla cui descrizione classica, di sopra riportata, io perciò mi riferisco; soltanto posso ritoccarla nel seguente punto. Esistono le congiunzioni già supposte dallo Stannius del tronco ventrale coi rami ventrali (anteriori) dei nervi spinali, come pure esistono le ramificazioni alla pinna anale. Questi par- ticolari erano sfuggiti allo Stannius per la grande delicatezza dei ramuscoli. Invece posso con tutta sicurezza asserire, contrariamente al preconcetto teorico, che il ramo laterale del quinto manca to- talmente in tutti gli altri Murenoidi da me esaminati. Che questa mancanza sia reale, e non dovuta a difetto di metodica , lo di- mostra la circostanza che io ho scoperto nell’ Anguilla un ramo, che era sfuggito totalmente allo Stannius , cioè il ramo dorsale Sul ramo laterale del trigemino nei Murenoidi 7 submediano (o marginale che si voglia dire) del tronco laterale del decimo pato dei nervi cranici. Questo ramo esiste in tutti gli altri Murenoidi da me studiati. Difficile riesce a spiegarsi come mai un ramo di tanta esten- sione, quale è il ramo laterale del quinto, non esista dunque tra i Murenoidi da me studiati, che nella sola Anguilla. Spiegazione delle figure. Fig. 12 Anguilla vulgaris. Fig. 22 Conger vulgaris. BIBLIOGRAFIA. 1. Allis, E. P., The Anatomy and Development of the Lateral Line System in Amia calva. Journ. Morphology. 1889, vol. II. pp. 463-569, pls xxx. XU: 2. Bridge, T. W., and Haddon, A. C.—« Contributions to the Anatomy of Fishes.—II. The Air-Bladder and Weberian Ossicles in the Siluroid Fi- shes. » Phil. Trans. 1893 pp. 65-333, pls. 11-19. 3. Collinge, Walter, E., « The Sensory Canal System of Fishes. Pt. I. Ga- noidei. » Quart. Journ. Micros. Sci 1894, vol. XXXVI. pp. 499-537, pis. 39, 40. 4. Collinge, Walter. E. « Some Researches upon the Sensory Canal System of Ganoids. » Proc. Birmingham N. H. et Phil. Soc. 1895, vol. IX pp. 77-81. 5. Hyrtl, F.—« Ueber den Seitencanal von Lota. » Sitzungsb. d. K. Akad. d. W., Math-naturn. Cl. 1866, Bd. i pp. 551-557, 1, pl. 6. Leydig, F.— « Ueber die Schleimkanaàl der Knochenfische. » Arch. f. Anat. und Phys. 1850, pp. 170-181 Taf. Iv. 7. Leydig, F.—« Neue Beitràge zur anatomischen Kenntniss der Hautdecke und Kautsinnesorgane der Fische » Festschrift d. Naturf. Ges. zu. Halle, 1879, pp. 1-58, Taf. vII.-x. 8. Leydig, F.—« Zur Kenntniss der Hautdecke und Mundschleimbaut in- discher Cyprinoiden. » Bonn. 1883, pp. 1-28, T. 1-11. 9.. M Donnell, R.—« On the System of the Lateral Line in Fishes » Trans. Roy. Irish Acad. 1862, vol. xxIx, pp. 161-187, pls. Iv-vI. 13. 14. Sul ramo laterale del trigemino neù Murenoidi . Me. Murrich. J. P.—« The Osteology of Amiurus catus (L). Gill. » Proc. Canadian Jnst. 1884, vol. 11. N. S. pp. 270-310, pl. II. . Pollard, H. B.— « The Lateral Line System in SWwuroîdes. » Zool. Jahrb. 1892, pp. 525-550, pls. XxxVI. . Wright. R. Ramsay. — « On the Skin and Cutaneous Senseorgans of Amiurus. » Proc. Canadian Inst., 1884, vol. 11. N. S. pp. 255-269, part of pi. iL Wright. R. Ramsy.—« On the Nervus System and Senseorgans of Amiu- rus. » Ibid. pp. 352-386 pls. I. Iv-vI. Collinge Walter E. « On the Sensory Canal System of Fishes Teleoste. Suborden A Physostomi. From the Proceedings of the Zoological So- ciety of London April. 2. 1895. . Hermann Stannius. « Das peripherische Nervensystem der Fische, ana- tomisch und physiologisch untersucht. Rostock. Druck von Adler’s Erben 1849. CONGER VULGARIS DE Ramo Loire. io) cano IA Lwonco EA Vel becimo 9 ANGUILLA VULGARIS amo lalerale dl quilo eo iii iraniani Albino RT IC org. IA Aat Ie lugemino che va al orso. LT? Reno discendente al perbie; LT3 RR cutaneo Vrelto in avanti! LTA. Aero culaneo Virello lateralmente Questi lrerouni/ LT è, 304) appartengono al 3) DÀ lugemino x Tono Vowvale sulmediano Il tronco lalerale: del Iecimo Memoria EEE. Azione cronica del selenio del D.r ORAZIO MODICA Nel volume 32 dell’ Arch. f. experiment. Pathol. u. Pharm. è comparso il lavoro di Czapech e Weil « Ueber die. Wirkung des Selens und Tellurs auf den thierischen Organismus » in cui si sostiene che farmacologicamente il selenio deve collocarsi nello stesso gruppo dell’ arsenico per la rassomiglianza dei fenomeni tossici che le due sostanze producono. Non credendo io che fos- sero sufficienti perchè sì potesse venire a tale conclusione i pochi esperimenti che i predetti autori hanno fatto intorno all’ azione acuta del selenio, ho stimato necessario studiarne, oltre all’azio- ne acuta, quella cronica e quella sul ricambio materiale , simil mente a quanto si è fatto per l’ arsenico. Solamente dal com- plesso di osservazioni cosìffatte potrà concludersi se veramente il selenio agisca allo stesso modo dell’ arsenico ovvero se ne dif- ferisca. In questa nota pertanto mi occupo dell’ azione cronica. I primi esperimenti fatti sull'argomento sono dell’ anno scorso; se non che, siccome allora tenevo i giovani conigli d’espe- rimento nelle umide e pochissimo soleggiate stanze del labora- torio, non potei venire a delle coscienziose conclusioni. I conigli d’ esperimento che ricevevano il selenio sotto forma di acido se- lenioso sia per iniezione ipodermica sia per bocca, sempre in soluzione diluita e neutralizzata con soda, morivano dopo 8-15 giorni d’esperimento anche quando si somministrava una quan- tità di sostanza davvero sparutissima, !/w- o di mg. nelle 24 ore. I giovani conigli fin dai primi giorni della somministrazione Arti Acc., Von. X, Serie 42— Memoria III. l 2 Azione cronica del selenio del selenio (1) perdevano l’ appetito, divenivano apatici, stavano rincantucciati e col pelo arruffato; avevano spesso diarrea nonchè albumimuria, e morivano denutriti dopo 8-15 giorni. All’autopsia si trovava degenerazione grassa del fegato e degli organi paren- chimali. La morte, come ho detto, avveniva in capo a 1-2 settima- ne; soltanto un piccolo coniglio, cui al 15° giorno dalla nascita, si cominciò a dare quotidianamente per bocca !, di mg. di acido selenioso neutralizzato con soda, visse per molto tempo , ma in capo a circa 3 mesi fu ucciso per vedere quali altera- zioni il selenio aveva prodotto nei varii organi e nelle ossa. Ecco in riassunto |’ esperienza. Esperienza 12—24/v 21/vim 1895.—Due conigli di gr. 140 dello stesso parto nati da 15 giorni. Uno riceve per bocca ogni lio di mg. di acido selenioso neutralizzato con soda e il giorno sciolto in ‘5 cm. c. d’acqua distillata; l’altro serve di paragone. Dopo circa 3 mesi, mentre il coniglio normale pesava gr. 1305, quello che aveva ricevuto il selenio non pesava che gr. 660, cioè circa la metà del primo. All’ autopsia oltre a un dimagrimento generale nel coniglio col selenio non si potè notare alcun ispes- simento speciale nelle ossa lunghe, le quali, in corrispondenza al poco sviluppo dell’animale, erano molto più piccole di quelle del coniglio di confronto, più fragili, ed inoltre con le pareti delle diafisi della sottigliezza di un grosso foglio di carta, mentre quelle del coniglio sano avevano lo spessore di circa 1! mm. Le condizioni sfavorevoli in cui furono eseguite l’anno scorso le suaccennate esperienze, ed i risultati così differenti da quelli che produce l' arsenico dato quotidianamente ed a piccole dosi, mi obbligarono a rifare le osservazioni mettendomi in condizioni per quanto ho potuto migliori. Infatti quest’ anno, anzicchè te- (1) In tutto il presente lavoro per brevità sarà detto “ selenio ,, invece di “ acido sele- nioso neutralizzato con soda. , Azione cronica del selenio 3 nere 1 conigli d’esperimento nelle stanze: del laboratorio, li ho tenuto liberi in una terrazza molto soleggiata in cui sono state poste delle apposite cuccette che servivano loro da riparo e da giaciglio. I conigli che ricevevano il selenio erano tenuti separati da quelli che servivano di paragone, e ciò per evitare il possibile inquinamento del cibo dei sani per mezzo delle feci, delle urine o altro dei conigli seleniati (1). Essi avevano l’acqua a dispo- sizione ed il nutrimento somministrato due volte al giorno , la mattina dalle ore 9 alle 10 e la sera dalle 16 alle 17. Il cibo era dato a sufficienza ; esso consisteva per ogni coniglio di 40 gr. di crusca impastata con acqua, e di circa 400 gr. di erba fresca nelle 24 ore. Ai conigli adulti invece di 40 gr. di crusca si dava 60 gr. di frumento. Le esperienze fatte furono molte, come si rileva dagli spec- chetti in seguito riportati, ed ebbero lo scopo di vedere quale influenza avesse il selenio in dosi piccolissime e ripetute sulla nutrizione, sullo sviluppo dell’ organismo giovane, nonchè sul sangue e sulle ossa. I. — Azione sulla nutrizione e sullo sviluppo del corpo. Animali d’ esperimento furono soltanto i conigli. Non potei sperimentare su altri animali per mancanza di locali adatti. Dei conigli alcuni furono adulti, altri giovani in via di sviluppo. Per vedere l’ influenza del selenio sulla nutrizione e sullo sviluppo degli animali giovani si teneva conto dello stato gene- rale degli animali e del loro peso. Questo veniva determinato costantemente in giorni alterni, e sempre alla stessa ora, dalle 9 alle 10 di mattina, immediatamente prima della somministra- zione del selenio e del cibo. Per brevità, e per non generare confusione per le molte cifre, negli specchietti riassuntivi non (1) Per brevità saranno così denominati i conigli che ricevevano 1’ acido selenioso. 4 Azione cronica del selenio sono riportate che le pesate di 10 giorni in 10 giorni. Per i co- nigli adulti, come si rileverà in seguito, non ho usato esatta- mente questo procedimento. Sostanza adoperata fu sempre il selenito di sodio che io pre- parai neutralizzando esattamente con soda una soluzione di acido selenioso, e mettendo il tutto ad essiccare su cloruro di calcio. In quanto alle dosi adoperate esse variarono da !/,o di mg. a 1 mg. e più al giorno. Vie di somministrazione della so- stanza sono state la gastrica e la ipodermica, e sempre in solu- zione molto diluita per attenuare 1’ azione irritante sullo stomaco o nel tessuto sottocutaneo. Quando la sommimistrazione si faceva per bocca si adoperava sempre la siringa di Pravaz, ponendone il becco, senz’ ago, dietro gl’incisivi. I conigli inghiottivano nei movimenti di deglutizione il liquido che veniva spinto lenta- mente dalla siringa. Le esperienze si possono dividere in due serie : quelle ese- guite sui conigli adulti, e quelle eseguite sui conigli giovani in via di sviluppo. 1.8 Serie.— Conigli adulti. Sui conigli adulti furono fatte 5 esperienze. Ciascuna espe- rienza durava o finchè l’ animale moriva, ovvero per il periodo minimo di 20 giorni. È inutile dire che il vitto rimaneva co- stante per quantità e qualità prima e dopo la somministrazione del veleno. Ecco i protocolli delle esperienze. Esperienza 28.-—Coniglio adulto di gr. 2100. i Selenito di sodio PESO Perdita in peso PERIODI DATA somministrato alla fine dell’osserv. in gr. in grammi in grammi i 22 .II 96 2100 1° Senza selenio \ (8 giorni) | 2 0 2180 ZH 2150 Azione cronica del selenio 5 | Selenito di sodio PESO Perdita in peso PERIODI DATA somministrato lalla fine dell’osserv. in gr. in grammi in gr. 3 » » 8 l 2090 9» » |0,0002 al giorno SUL 20 Con selenio 105 CERO PI 2035 (20 giorni) ica lst 2005 23 5 E. 1975 11245) 24» » Si sospende l'osservazione. Osservazioni.—Il coniglio, ad onta che non ha sofferto nello stato generale ed ha mangiato sempre con appetito la sua ra- zione, purnondimeno dopo 20 giorni di somministrazione di se- lenio aveva perduto gr. 125 del suo peso. Le urine non contennero mai nè zucchero, nè albumina. Esperienza 8. — Coniglio adulto di gr. 2015. Selenito di sodio PESO Perdita in peso PERIODI DATA somministrato alla finedell’osserv. in gr. in grammi in gr. 27 III 96 2015 lo Senza selenio \ 30.0. 9040 (6 giorni) ZUNE 2005 3 n» SAR 1970 DYa Dos(oneseleni IRAN 0,0005 al giorno Ia a 7 e 18 per iniez. ipod. 1855 Giai vasti. In tutto 0,0130. È Qin 1700 ZE e: 1605 30,» 1415 590 Muore nella notte del 30. Osservazioni. — Nei primi 10 giorni il coniglio non ha mo- strato di risentire molto l’ azione del selenio, ed è di poco di- 6 Azione cronica del selenio minuito di peso. In seguito incominciò a sporcarsi la coda, a stare apatico, ad essere debole. Ha mangiato però sempre con appetito e non ha avuto diarrea, solamente qualche volta ha emesso feci a poltiglia. Negli ultimi 3 giorni ha rifiutato il cibo. L’ urina fin dal principio ha contenuto tracce di albumina. All’ autopsia sì sono trovati due punti d’infiammazione nel tessuto sottocutaneo in corrispondenza a due iniezioni. Esperienza 4..— Coniglio adulto di gr. 1880. uri aggira ta Senio di slo "PRSO | Penita in peso PERIODI DATA RSA alla fine dell’osserv. De 56 gr, Roe: in grammi in grammi È : L: V_ 96 1880 1° Senza selenio Q o 1800 ——_r_—__|#_#——————@—"—muuu—mm———mm_——emu__m—___m_m_n@e i 9» » 0, 0005 Ì 10 » Ù » | al » » » 19, » » ) 1725 Il; » » » 14 ) » ) 165) » » » 16 » » » te er riposo 20 Con selenio | 180» » 0, 0008 1630 (18 giorni) 19» » » 20» » 0, 001 DAL » » » DO » » » 923 » » » 1625 | DA » » 25» » riposo 26» » 0, 001 PO » 1370 505 28» » Si trova morto. Osservazioni. — Simili a quelle dell’ esperienza precedente. All’autopsia non si trovò alcun che di speciale. Esperienza 5... — Coniglio adulto di gr. 1690. Selenito di sodio PESO Perdita in peso PERIODI DATA somministrato Si alla fine dell’osser. ; è in grammi ; ; n grammi in grammi Jo Senza selenio 8 V 96 1690 (€ giorni) \ 1h ) » 1750 14» » 1750 stette Azione cronica del selenio 4 PERIODI Selenito di sodio sumministrato in grammi PESO im grammi Perdita in peso alla fine dell’osser. in grammi 20 Con selenio (20 giorni) en DATA 15 V 96 20 » 25 » » 30 » » 4 VI » Si sospende l’esperienza 0, 003 al giorno per bocca. In tutto 0, 060 1700 1650 1655 1630 120 Osservazioni. — Il coniglio non ha mostrato alcun fenome- no speciale per tutta la durata dell’ esperimento. Però perdette gr. 120 in peso. L’ urina soltanto negli ultimi giorni ha contenuto qualche traccia di albumina. Esperienza 6° — Coniglio adulto di gr. 2000. Selenito di sodio PESO Perdita in peso PERIODI DATA somministrato alla fine dell’osser. per bocca in gr. in grammi in grammi / Tico DI 1° Senza selenio \ x vi su SIA Giorno er a 1950 | 14 ’ 0, 001 | 15 » » n 16 » » » 17 ] » 1965 8 » » " 19 » ’ » 20. » 0, 002 91 » » » SOR » 1800 DI » » » Ze 5) 0, 003 95 » » » 2° Con solenio i 26 NI A 5 (23 giorni) 97 > » 28» » 0, 004 1700 29» j » 30.» » » 1 VII » » 2» » 0, 006 3» » » 1620 4 v » » O riposo 6 » » D 7» » » 1500 480 Muore nella notte del 7. 8 Azione cronica del selenio Osservazioni. — Dal 14° giorno in poi il coniglio sta rincan- tucciato, col pelo arruffato e si sporca un po’ la coda: rifiuta frequentemente il cibo, ha emissione di feci a poltiglia. Negli ultimi giorni mangia pochissimo, si trova morto al 23° giorno di avvelenamento. L’ urina era albuminosa. All’ autopsia si è trovata la mucosa dello stomaco (cul di sacco) e quella dei primi tratti del tenue di un colore rosso pao- nazzo diffuso. Gli organi parenchimali degenerati in grasso. Da tutte e cinque le esperienze surriferite risulta chiaro il fatto dell’ azione deleteria dell’ acido selenioso sulla nutrizione dei conigli adulti. Quantunque essi introducano costantemente lo stes- so nutrimento, pure diminuiscono di peso in modo notevole, spe- cialmente quando la dose di selenio è un po’ grande. Quando il selenio si somministra per bocca sì manifestano più facilmente i fenomeni da parte dello stomaco e dell’ intesti- no (mancanza di appetito, feci a poltiglia), e ci vogliono dosi relativamente grandi per aversi la morte dell’ animale. Le dosi piccolissime non producono alcuna alterazione ; 1 anno scorso ho somministrato per bocca ‘To di mg. di selenito di sodio a un coniglio di Kg. 2 per più di due mesi, ed esso rimase dello stesso peso e senza presentare il minimo disturbo per tutto questo tempo. La spiegazione di questi fatti deve trovarsi in due circo- stanze: 1° nella irritazione che la sostanza data per bocca a gros- se dosi produce nello stomaco, per la qual cosa ne deve venire ostacolato 1° assorbimento, e 2° nel fatto che l’ acido selenioso in presenza del contenuto dello stomaco e del succo gastrico, vada incontro in gran parte ad una riduzione con origine di selenio metallico, il quale pare che sia inattivo, come in altro lavoro ho avuto occasione di dimostrare (1). Il coniglio inoltre non acquista alcuna abitudine al selenio. (1) Azione acuta del selenio. —In corso di pubblicazione. Azione cronica del selenio 9 2% Serie.--Conigli giovani. Sui conigli giovani in via di sviluppo furono fatte 9 espe- rienze. Per ciascuna esperienza si adoperarono 2-4 conigli dello stesso parto e dello stesso peso iniziale: a uno o a due dei co- nigli di ciascuna esperienza si somministrava il selenio, gli altri, tenuti nelle identiche condizioni, servivano di paragone. Ciascuna esperienza non durò mai meno di 30 giorni, al- cune ebbero la durata di 40 giorni e più. Il selenio si somministrò sempre sotto forma di selenito di sodio in soluzione molto diluita, e sempre per iniezione ipoder- mica. Per alcuni conigli si sono adoperate dosi costanti, per altri dosi crescenti, come risulta dai protocolli delle singole esperienze. Esperienza 7... — Quattro conigli giovani dello stesso parto. Dose quotidiana costante *,y» di mg. di selenito di sodio. Dura- ta dell’ esperimento giorni 30. CONIGLIO N. 1 SELENIATO CONIGLIO N. 155 NORMALE — ce I a era — {se —— È Aumento in peso alla fine HIS Aumento in peso alla fine Giorni | Peso dell'esperimento in gr. LIO dell'esperimento in gr. DATA d'esperi- SE Cena pagg 0 coli mento in gr. Dssnluto medio in gr. RE medio iù giornaliero a giornaliero 10 III 96 450 405 20» » 100 700 640 30» » 20) 910 875 9 IV» 300 1095 645 21, 50 1070 665 22, 16 Si sospende l'osservazione. CONIGLIO N. 2 SELENIATO CONIGLIO N. 23 NORMALE —____ OTT GIRI Rare __ PP ss Ge —— ata G P Aumento in peso alla fine Pes Aumento in peso alla fine SS pe? dell'esperimento in gr. Se dell'esperimento in gr. DATA d'esperi- eda ae — ee o mento in gr. medio in gr. | medio assoluto , 5 assoluto E ; giornaliero giornaliero 10 III 96 430 430 20» » 100 615 625 30» » 20° 830 860 OMUIVAS5) 30° 980 550 18, 33 | 1100 670 99599 Si sospende l’ osservazione. Arti Acc., Von. X, SerIE 48— Memoria III. 2 10 Azione cronica del selenio Osservazioni. — I due conigli seleniati di questa esperienza non mostrarono alcun fenomeno speciale sia nel mangiare, come nello stato generale, essi però aumentarono in peso meno di quelli di paragone. Le urine, saggiate di quando in quando, non con- tennero mai nè albumina nè zucchero. All’ autopsia i conigli che avevano ricevuto il selenio non mostrarono alcuna alterazione speciale agli organi. Alla pelle non portavano traccia alcuna di focolai d’ irritazione o d’ infiam- mazione. Esperienza 8.*— Due conigli dello stesso parto. Dose quoti- diana costante di selenito di sodio ‘/;, di mg. Durata dell’ espe- rimento 40 giorni. CONIGLIO N. 3 SELENIATO CONIGLIO N. 3bis NORMALE e EER ta _-—° oO, Piag Aumento in peso alla fine DESÙ Aumento in peso alla fine Dai ui I gr. dell'espermasheonni gr. 14 III 96 530 525 24 0» » 100 715 760 3 IV » 200 890 980 13» » 300 19 ks 1240 23 » 400 1260 730 18,25 1420 895 22, 25 Si sospende la sumministrazione del selenio. Osservazioni. — Il coniglio col selenio non mostrò alcun fe- nomeno speciale per tutto il tempo dell'esperimento, mangiò sem- pre con appetito la sua razione, non emise che debolissime tracce di albumina colle urine negli ultimi giorni. Sospeso al 40° giorno il selenio, i conigli sì tennero in os- servazione per altri 10 giorni; durante questi il coniglio selenia- to in media aumentò in peso di gr. 1,50 al giorno, mentre il normale aumentò ancora di gr. 12 al giorno. Azione cronica del selenio ll Esperienza 9.2 — Due conigli giovani dello stesso parto. A uno si somministra ogni giorno Durata dell’ esperimento 40 giorni. !/; di mg. di selenito di sodio. CONIGLIO N. 4 SELENIATO CONIGLIO N. 4bi: NORMALE = e sii = = —___ —P e —€6 = PE Aumento in peso alla finef o Aumento in peso alla fine HIORNI HRO dell'esperimento in gr. Peso dell'esperimento in gr. DATA d’esperi- Se Ria pa a mento in er. ; medio in gr. e medio assoluto oh 5 assoluto n ; giornaliero giornaliero 14 III 96 465 455 24 » » 100 650 665 3 IV » 200 850 870 13» » 300 1065 1130 23 n » 400 Trai 710 17,72 | 1285 330 20, 75 Si sospende la somministrazione del selenio. Osservazioni. — Come nell’ esperienza precedente. Il coniglio seleniato tenuto in osservazione per altri 10 gior- ni dopo sospeso il veleno, è aumentato in peso di gr. 5 al giorno, mentre quello di paragone è aumentato ancora di grammi 12 al giorno. Esperienza 10.. — Due conigli dello stesso parto. A uno si somministra ogni giorno */ di mg. di selenito di sodio. Durata dell’ esperimento 30 giorni. CONIGLIO N. SELENIATO _ Se ca CONIGLIO N. 5bis NORMALE ” Aumento in peso alla fine Dai Aumento in peso alla fine GIORNI Peso dell'esperimento in gr. LSo dell'esperimento in gr. DATA d’esperi- _ dA] e mento in gr. n medio in gr. 1g medio ARI giornaliero assoluto giornaliero 24 IV 96 540 490) 4 Vo» 100 695 695 14» » 200 865 890 24 » » 300 1020 480 16,00 1070 550 19,35 i Si sospende l'esperimento. 12 Azione cronica del selenio Osservazioni. — Lungo il tempo dell’ esperimento il coni- glio seleniato si è mostrato meno vispo dell’ altro: il pelo sì è mantenuto arruffato , specialmente negli ultimi giorni, ma la coda non si è sporcata. L’ urina ha contenuto albumina, ma non zucchero. Quantunque al principio dell’ esperimento pesasse più di quello di paragone, alla fine esso pesava di meno. Sospeso il veleno, è subito sacrificato. All’ autopsia sì trova mancanza di grasso, i muscoli emaciati, ma nessuna alterazione macroscopicamente visibile agli organi parenchimali, ovvero nel- lo stomaco e negli intestini. Nessun focolaio d’ irritazione nei punti delle iniezioni. Esperienza 114—Quattro conigli dello stesso parto. Due ri- cevono ogni giorno !/ di mg. di selenito di sodio, due servono di paragone. Durata dell’ esperimento 30 giorni (1). CONIGLIO N. 6 SELENIATO CONIGLIO N. 6% NORMALE ei REATO Aumento in n alla fine bad Armento in peso alla Lo DI AS ele: pere gr dell SEpeT ento AE 24 IV 96 665 600 4 Vo» 100 830 860 14 » » 200 1015 1105 24» » 300 1120 455 15,16 1265 665 22, 16 Sì i la somministrazione del selenio. Osservazioni. — Simili a quelle dell’ esperienza precedente. Questi conigli si tengono ancora in ‘osservazione per 14 giorni dopo la sospensione del veleno, in capo ai quali vengono sacrificati. In questi 14 giorni il coniglio seleniato è cresciuto in peso di gr. 8, 50 al giorno, mentre quello di confronto creb- be ancora di gr. 12 al giorno. (1) Per brevità riferisco i risultati di due soli conigli. Azione cronica del selenio NS All’ autopsia non si è notato alcun focolaio infiammatorio nei punti delle iniezioni. Il fegato conteneva parecchie cisti da echinococco degenerate. L’ urina trovata in vescica conteneva ancora dell’ albumina, ma non zucchero. Esperienza 122—Due conigli dello stesso parto. Uno riceve 0,00002 di selenito di sodio dal 1° al 24' giorno; 0,00004 dal’ 25€ al 290; 0, 0001 dal 30° al 33°;.0,0002 dal' 340 al 400, L’ altro serve di paragone. Durata dell’ esperimento 40 giorni. CONIGLIO N. 7 SELENIATO CONIGLIO N. 7bis NORMALE TT e LIIIZICZII__ _ — IE = or urucu-<* << TP G Più Aumento in peso alla i ns Aumento in peso alla fine Dunk Gs Loo dell’ esperimento in er. PESO dell'esperimento in gr. ASL speri- _ ——— n — nn mento in gr. A SoInio medio in gr. aGsoluto medio ua giornaliero ue, giornaliero 14 V 96 495 500 24 » » 100 740 750 3 VI» 200 910 1005 13» » 300 1125 1260 23» » 400 | 1160 665 16, 62 1370 870 DIO Si sospende la somministrazione del veleno. Osservazioni.-—Nei primi 30 giorni d’ esperimento il coniglio è vispo, non si sporca la coda, mangia con molto appetito; negli si lascia altri 10 giorni si sporca la coda, ha il pelo arruffato , prendere facilmente, è debole. Ha piaghe sanguinanti nella re- gione delle calcagna ed albumina nelle urine. In questo periodo è aumentato pochissimo di peso, appena 35 gr. in 10 giorni. Questi due conigli sono stati tenuti in osservazione per un mese dopo la sospensione del veleno. Il coniglio seleniato in tut- to questo tempo, quantunque mangiasse la sua razione, ha per- duto in media 2 gr. di peso al giorno, mentre quello di con- fronto è aumentato di gr. 21 ogni giorno. L’ autopsia non ci ha fatto scoprire alcuna causa che aves- Li) 14 Azione cronica del selenio se potuto spiegarci lo stato di questo coniglio : si sono trovate 6 piccole cisti nel mesentere dello stomaco, ed una piccolissima nel fegato. Nessuna alterazione microscopicamente visibile. Esperienza 15%. — Due conigli dello stesso parto. Uno ri- ceve gr. 0, 00004 di selenito sodico per 24 giorni; 0,0001 per 4 giorni; 0, 0002 per 5; 0,0003 per 7. L’altro serve di paragone. Durata dell’ esperimento 40 giorni. CONIGLIO N. 8 SELENIATO CONIGLIO N. 8b!iS NORMALE —— _— —_r____— III _ = = = 00R | Aumento in peso alla fine __|Anmento in peso alla fine SIORNI Peso dell'esperimento in gr. Peso dell'esperimento in gr. DATA d'esperi- RO e e DES mento in gr. Ato medio in gr. | assoluta medio palla giornaliero giornaliero 14 V_ 96 385 340 24 » » 100 519)9) 455 SVELA 200 760 620 Lego 300 | 950 | 810 DI 400 | 1020 635 17,62 935 595 14,87 | Si sospende la somministrazione del selenio. Osservazioni. — Nei primi 20 giorni d’esperimento il coni- glio è stato vispo; poi ha incominciato a sporcarsi la coda, ma non ha perduto l’ appetito; è diventato debole e col pelo arruf- fato. L’ urina è divenuta albuminosa. Il suo aumento in peso alla fine dell’ esperimento è stato maggiore di quello del coniglio normale per il suo peso iniziale più grande. È stato sacrificato 5 giorni dopo la sospensione del veleno. All’ autopsia si sono trovati 6 piccoli focolai infiammatorii nel tessuto sottocutaneo dell’ addome. Pesava gr. 1040, aumentando così in media gr. 2,50 al giorno, mentre in quello di confronto si ebbe un aumento di gr. 10 al giorno. Azione cronica del selenio 15 Esperienza 14°. — Due conigli dello stesso parto. Uno rice- ve gr. 0, 0001 di selenito di sodio per 13 giorni, 0, 0002 per 5 giorni; 0,00025 per altri 5 giorni; 0, 0003 per 7 giorni. L’ altro serve di paragone. Durata dell’ esperienza 30 giorni. CONIGLIO N. 9 SELENIATO CONIGLIO N. 9°: NORMALE = — e ___T—__ -—— —P G so Aumento in peso alla fine si | Aumento in peso alla fine SOL, Peso dell'esperimento in er. Peso dell'esperimento in er. DATA d’esperi- e a ge SII] esa e pre at Daf mento in gr ta medio im gr. | pino medio SOR giornaliero ss giornaliero 24 V_ 96 490 480 3 VI » 100 670 700 13 » » 200 835 905 23 » » 300 835 345 TRE so) 1080 600 20, 00 Ù ' Si sospende la somministrazione del selenio. Osservazioni. — Soltanto negli ultimi 10 giorni d’ esperi- mento il coniglio seleniato mostrasi sofferente: quantunque esso mangi la sua solita razione, pure aumenta poco in peso, è mol- to debole, un po’ tremante nei movimenti e col pelo arruffato. Sì lascia pigliare facilmente, sì sporca la coda, anzi ha sempre bagnata la parte degli arti posteriori che poggia per terra. L’ urina è albuminosa. In questi 10 giorni esso non è au- mentato affatto in peso, e, tenuto in osservazione per altri 2 giorni dopo sospeso il veleno, è diminuito di peso, in media di 5 gr. al giorno. Sacrificato, all’autopsia non si trovò alcun focolaio infiam- matorio sotto la pelle. Esperienza 158. — Due conigli dello stesso parto. Uno rice- ve gr. 0, 0002 di selenito di sodio per 14 giorni; 0, 0003 per 4 giorni; 0, 0004 per altri 4 giorni; 0, 0005 per 3 giorni. Durata dell’ esperienza 30 giorni; il selenio si somministrò per 25 giorni. 16 Azione cronica del selenio CONIGLIO N. 10 SELENIATO CONIGLIO N. 10bis NORMALE oss PE Aumento in peso alla fine Pes Aumento in peso alla fine ESSO Leo dell'esperimento in gr. uSO dell'esperimento in gr. DATA d'esperi- Re ere age ra MI mento in gr. a medio in gr. medio 5 assoluto ; 3 S assoluto CRE giornaliero giornaliero 24 V_ 96 590 570 3 VI» 100 135 815 iso 200 505 1020 23M 30° 850 260 8, 66 1170 600 20, 00 Si sospende l’ osservazione. Osservazioni. — Fin dal principio dell’ esperimento il coni- glio che riceve il selenio è meno vivo del normale, però mangia con molto appetito. Nell’ ultimo periodo di 10 giorni è molto debole, col pelo arruffato, e non fugge se si tocca o vede avvi- cinare qualcuno. Si sporca la coda, ha albuminuria. Quantunque il suo peso iniziale fosse maggiore di quello del coniglio normale, pure dopo 30 giorni è aumentato in peso meno di questo, che anzi nell'ultimo periodo, quantunque sospeso a metà di esso il selenio, è un po’ diminuito di peso, mentre il normale seguitò a crescere regolarmente. L’ urina fin da principio dell’ esperimento cominciò a con- tenere albumina. All’autopsia non sì è trovato alcun focolaio d’ infiamma- zione sotto la pelle, nè parassiti agli organi parenchimali. Da tutte le surriferite esperienze possiamo adunque conclu- dere che anche nei conigli giovani il selenio spiega quella noci- va azione che abbiamo visto manifestarsi in quelli adulti: du- rante la somministrazione del selenio i giovani conigli crescono meno di quelli di confronto, quantunque talvolta il peso iniziale degli uni sia stato maggiore di quello degli altri. E ciò verifi- casi financo con delle dosi giornaliere davvero sparutissime, / vw ti; di mg. Le dosi maggiori ostacolano più intensamente lo svi luppo dei detti conigli: abbiamo visto che esso può perfino ve- Azione cronica del selenio 17 nire arrestato, come dimostrano le esperienze 14% e 152, per la somministrazione di dosi crescenti di selenito di sodio da ‘/ a Slo di mg., e da %/ & *a mg. L’ostacolo allo sviluppo è adunque in ragione diretta della dose di selenio somministrata. Nè Vl’ azione del selenio si dissipa sottratta la sua sommini- strazione. All’ uopo ho tenuto in osservazione per varil periodi di tempo alcuni conigli delle suddescritte esperienze, e così per 2 giorni 1 conigli dell’ esperienza 14, per 5 quelli dell’ esperien- za 13°, per 10 quelli delle esperienze 82 e 9a, per 14 quelli del- la esperienza 11®, per un mese quelli dell’ esperienza 122. Co- me si rileva dalle osservazioni fatte alle singole esperienze tutti i conigli che ricevettero il selenio, sospeso questo, o aumentaro- no pochissimo in peso in rapporto a quelli normali di confronto, ovvero non aumentarono affatto, talvolta anzi diminuirono. Tutti i fatti notati non si possono riferire ad un impedi- mento nella perspirazione cutanea, dappoichè, tranne in pochis- simi conigli, non sì sono trovati segni di aderenze o di infiam- mazioni nei punti delle iniezioni. IT.—Azione sul sangue. Mentre studiavo 1’ azione del selenio sullo sviluppo dell’ or- ganismo giovane, mi è occorso di fare sul sangue alcune ricer- che che espongo quì in un capitolo a parte. Queste riguardano il comportarsi del numero dei globuli rossi e della quantità del- l emoglobina sotto l’azione di dosi piccolissime e ripetute di se- lenito di sodio. Per la determinazione del numero dei globuli rossi mi son servito del contaglobuli di Thoma-Zeiss, e per la determinazione della quantità dell'emoglobina dell’ emoglobinometro di Gowers e dell’ emometro di von Fleisch. Per lo più le osservazioni emometriche sono state fatte con quest’ultimo apparecchio. Di- sponendo di 5 amopipette era facile adoperare sempre la stessa emopipetta per lo stesso animale. ATTI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria III. 5 18 Azione cronica del selenio Il sangue che serviva per le esperienze veniva preso dai vasi dell’ orecchio mercè puntura con lancetta ben pulita. Le osservazioni facevansi sempre nelle ore di mattina , pri- ma della somministrazione del pasto. Trattandosi di animali i quali non furono tenuti in osser- vazione prima di cominciare la somministrazione del selenio, ho fatto contemporaneamente le stesse ricerche nel sangue di alcuni dei conigli normali che servivano di paragone. In questi casi per i due conigli della stessa esperienza usavo la stessa emopi- petta dell’ emometro di Fleisch. Esperienza 16.8 — Stessi conigli dell’ esperienza 10. Quan- tità di selenito di sodio somministrata ogni giorno !lo di mg. Durata dell’ esperimento 30 giorni. CONIGLIO N. 5 SELENIATO CONIGLIO N. 5bis NORMALE e GIORNI Grano Globuli rossi Grano T Globali rossi DATA d’ esperi- |dell''emometro in dell’ emometro in mento Fleisch 1 mm. c. Fleisch 1 mm. c. 24 IV 96 80 5,200,000 85 5,000,000 30 » » 60 80 5,300,000 80 4,800,000 NO, 110 o 4,350,000 85 4,900,000 peo 170 70 4,550,000 85 5,000,000 IHS be 230 70 3,690,000 80 4,552,000 23» » 290 70 4,262,009 80 4,850,000 Esperienza 17.8-—Coniglio N. 6 dell'esperienza 112. Quantità di selenito di sodio somministrata ogni giorno ‘l; di mg. Durata dell’ esperimento 30 giorni. GIORNI GRADO *LOBULI ROSSI DATA di dell’emometro in esperimento FLEISCH lmm. c. 24 IV 96 85 5,450,000 29» » Bo | 85 5,300,000 Vo» 180 80 3,950,000 13 » » 190 | 80 | 4,000,000 23» » 290 70 4,202,000 Azione cronica del selenio 19 Esperienza 18.2 — Stessi conigli dell’ esperienza 132. Quan- tità di selenito di sodio somministrata per 40 giorni, da gram- mi 0,00004 a 0,0003. CONIGLIO N. 8 SELENIATO CONIGLIO N. Sbis NORMALE — x__r "tt — —__ _ _ _______ — ———_r-_TT_ / GIORNI GRADO Globuli rossi GRADO Globuli rossi DATA d’ esperi- |dell'emometro in dell’emometro in mento Fleisch 1mm. c. Fleisch IÙ pesdena (ES 14 V 96 80 4,890,000 85 4,400,000 22» » 80 80 5,000.000 80 4,600,000 27» » 16% 80 4,550,000 85 4,250,000 3 VI » 20° 75 4,367,000 80 5,500,000 13» » 30° 70 4,100,000 80 5,000,000 18» » 350 65 4,100,000 80 4,590,000 23» » 400 65 | 3,890,000 | 80 _ Esperienza 19. — Stessi conigli dell’ esperienza 148. Quan- tità di selenito di sodio somministrata per 30 giorni da 0, 0001 a 0, 0003. CONIGLIO N. 9 SELENIATO CONIGLIO N. 9bis NORMALE ——_—_—_—r-<-= __ _r________-gg smqmue _ ___ - GIORNI GRADO Globuli rossi GRADO Globuli rossi DATA di dell’emometro in dell’emometro in esperim. Fleisch 1mm. c. Fleisch 1mm. c. 24 V 96, 75 5,050,000 80 5,200.000 (19) 5,200,000 85 5,000,000 70 4,250,000 80 5,101,000 60 3,952,000 80 5,000,000 60 3,600,000 80 4,900,000 SIOVI 5, 120 70 4,850,000 85 4,800,000 Azione cronica del selenio Esperienza 20..—Coniglio N. 10 dell’ esperienza 152. Quan- tità di selenito di sodio somministrata per 30 giorni da gr. 0,0002 a 0,0005. Dalle esperienze una diminuzione del GIORNI GRADO GLoBuLI Rossi DATA di dell’emometro in esperim. Fleisch 1unm. e. 24 V 96 85 4,950,000 0 gie Pe 7o 85 5,000,000 1 VAL E: 14° 75 4,100,000 1 INI 190 60 3.410,000 TR 949 55 3.600,000 DE a 30° 55 3.300,000 suesposte due fatti risultano costanti, e cioè numero dei globuli rossi del sangue e una diminuzione della quantità dell’ emoglobina. Sia l'uno che 1’ al- tro di questi due fatti è più evidente colle dosi relativamente più grandi. Nei conigli adulti avviene la stessa cosa. Ho fatto al pro- posito delle ricerche simili alle precedenti sui conigli delle espe- rienze 38 e 48, Eccone i risultati. Esperienza 21.— Stesso coniglio dell’ esperienza 32. Peso PI200: GIORNI GRADO DATA di dell’emometro osservaz. Fleisch N II 96 80 SOMNE - 85 DMS 85 BIT VORO Al STRA SR TAR O 100 75 IT 200 60 30 ng 270 55 GLoBuLi Rossi in limni.te Osservazioni 5,321,000 5,100,000 Bu id: cen (ey Gai così Celiera ‘e 4,230,000 4,100,000 Dal 27 III al 2 IV si tiene in osservazione senza somministra- zione di selenio. Si somministra gr. 0,0005 di sele- nito di sodio ogni giorno per inie- zione ipodermica. Il coniglio muore nella notte del 30. Lenna Azione cronica del selenio 2il Esperienza 22.8 — Stesso coniglio dell’ esperienza 4%. Peso FÉ gr. 1880. GIORNI GRADO GLoBuLIi Rossi DATA di dell’emometro in Osservazioni osservaz. Fleisch 1tmm. c. 1 V 96 75 4.900.000 Dall 1 all'8 V si tiene in osser- vazione senza somministrazione Ain a 75 4,950,000 di selenio. Sec, 75 5,020,000 OR E PR Si somministra per iniez. ipoder. gr. 0,0005 di selenito di sodio dal dig, 70 60 _ giorno 9 al 16, gr. 0,0008 il 18 e 19, gr. 0,001 dal 20 in poi. DOOR Ri 80 DO 4,100,000 26, s 170 50 4,210,000 Il coniglio muore il 27. III. — Azione sulle ossa. Come ho già precedentemente detto, le ricerche sulle ossa sono state fatte allo scopo di vedere se il selenio producesse su di esse gli stessi effetti che vi producono le piccole dosi di ar- senico. Quest’ azione è stata studiata su parecchi dei giovani conigli che sono serviti per le osservazioni dianzi descritte. All’ uopo, quando i conigli venivano sacrificati, si mettevano a macerare in acqua tutte le ossa lunghe e le ossa piatte del cranio. Dopo un mese esse erano perfettamente pulite, si lascia- vano per un giorno al sole e, dopo la determinazione del peso, sì misurava nelle ossa lunghe la lunghezza di esse da una carti- lagine epifisaria all’ altra. Quindi, segandone alcune nel senso longitudinale, ed altre nel trasversale (alla stessa altezza sia. quelle dei conigli seleniati che quelle dei normali), se ne stu- diava la circonferenza esterna, lo spessore della corticale e l’am- piezza del canale midollare. In quanto alle ossa piatte del cranio osservavasi se esse erano più o meno compatte di quelle dei conigli sani di con- fronto. 2 Azione cronica del selenio Ecco in quadri i risultati delle osservazioni fatte. Esperienza 283.2 — Ossa dei conigli dell’ esperienza 7°. Sele- nito di sodio somministrato */% di mg. al giorno per 30 giorni. I conigli si sacrificano da 3 a 4 giorni dopo la sospensione del veleno. Riporto soltanto le osservazioni di 2 soli conigli dei 4 del- l’ esperienza. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN gr. Coniglio Coniglio Coniglio Coniglio Osservazioni Ossa SE Il bis con selenio | normale g con selenio | normale femore. . . 65 64 1,80 Da (89) Nessuna differenza macroscopi- camente visibile notavasi nelle DIDIA e all 71 1,90 1,86 ossa lunghe, nonchè nelle ossa i piatte dei due conigli. OMero. . . 45 48 1,00 1,15 ulna . 3 52 02 0, 58 0, 60 radio . . . 44 43 0, 40 0, 36 i totale 5, 68 5, 72 | Esperienza 24%.—Ossa dei conigli dell’ esperienza 82. Selenito di sodio semministrato */, di mg. al giorno per 40 giorni, I conigli si sacrificano 10 giorni dopo la sospensione del veleno. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN gr. Coniglio Coniglio Coniglio Coniglio Osservazioni Ossa 3 gpis 3 zpis seleniato normale seleniato normale femore. 70 72 DI 2,2 La troclea non si può distac- care dagli omeri dei due co- tibia TATA 78 3,93 2, 50 nigli. In tutte le ossa non si nota alcuna differenza nei due omero . 51 03 1,02 1,22 conigli, esclusa quella della lunghezza e del peso. ulna 56 59 0, 65 0,80 radio . 47 49 0, 46 0,51 | 6.63 1,32 totale | Azione cronica del selenio 23 Esperienza 25.2— Ossa dei conigli dell’ esperienza 92. Sele- 8 Il nito di sodio somministrato */; di mg. al giorno per 40 giorni. I conigli si sacrificano 10 giorni dopo la sospensione del veleno. LUNGHEZZA IN mm Coniglio Coniglio Coniglio Uoniglio Ossa 4 4bIS 4 4bis seleniato normale seleniato normale femore. 70 72 2, 65 2,80 tibia 78 79 2,85 3,00 omero. . . 02 53 1,03 1,20 ulna 58 58 0, 70 0, 75 radio . 49 49 0, 44 0, 50 totale 7,67 8,25 Esperienza 26..—0Ossa dei conigli dell’ PESO IN gr. Osservazioni Nella lunghezza degli omeri è compresa la troclea, la quale però si può distaccare. Nessuna differenza macroscopi- camente visibile osservasi nelle ossa dei due conigli. esperienza 102. Sele- nito di sodio somministrato !/y di mg. al giorno per 30 gior- ni. I conigli si sacrificano immediatamente dopo la sospensione del veleno. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN or. Osservazioni Quantunque nessuna differenza notisi nelle ossa dei due coni- gli, pure quelle del coniglio normale, quantunque della stes- sa lunghezza di quelle del co- niglio avvelenato , pesano di Coniglio Coniglio Coniglio Coniglio Ossa LIS 5 5bIS seleniato normale seleniato normale femore. 65 65 1,87 201 tibia 74 73 2,02 2,29 omero . 49 48 0,85 0, 90 ulna 54 54 | 0, 58 0, 65 più. radio . 45 45 0, 38 0, 48 | totale 5, 70 6, 26 24 Azione cronica del selenio Esperienza 2 dl. a-—Ossa dei conigli dell’ esperienza 11%. Sele- nito di sodio somministrato !/ di mg. al giorno per 30 giorni. I conigli sì sacrificano 14 giorni dopo la sospensione del veleno. Si mettono a macerare soltanto le ossa di 2 conigli. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN gr. or clin i sal Coniglio Coniglio Coniglio Uoniglio Osservazioni Ossa 6 Gris 6 GDiS seleniato normale Î seleniato normale femore. 68 72 1,96 2020) Nessuna differenza notasi fra le ossa dei due conigli tranne tibia TOT 80 2, 00 2,31 quelle qui a fianco riportate. OMErOo . 02: 54 0, 98 1,00 ulna ON 59 0,65 ORE) radio . 48 00 0, 45 0, 56 totale 6,04 6, 84 Esperienza 288—Ossa dei conigli dell’ esperienza 122. Sele- nito di sodio somministrato per 40 giorni dosi crescenti da /so a *, di mg. I conigli si sacrificano 1 mese dopo la sospensione del veleno. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN gr. T_T _t_m " I —___ — uoniglio Coniglio Coniglio Uoniglio Osservazioni Ossa I os 7 70ÎS seleniato normale seleniato normale femore. 68 81 2,02 2,90 Le troclee nei 2 conigli erano fortemente saldate, così pure tibia 78 91 2,00 3,05 una delle epifisi dei due radi del coniglio normale. In ragione Omero . 54 63 1,10 152 della lunghezza minore e del minore spessore delle pareti ulna 57 66 0, 65 0, 86 delle diafisi, le ossa del co- niglio seleniato sono meno gros- radio . 48 59 0, 40 0, 61 se di quelle del normale , ed hanno il canale midoliare più ampio. totale 6, 17 8,94 INS) bi] Azione cronica del selenio Esperienza 29.+—Ossa dei conigli dell’ esperienza 13%. Sele- nito di sodio somministrato per 40 giorni dosi crescenti da !/g, a lo di mg. I conigli si sacrificano 5 giorni dopo la sospensione del veleno. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN gr. E 3 n e ZZZ »°—“"{9°P-_>___ ssa x Uoniglio Coniglio Coniglio Uoniglio Osservazioni Ossa 8 guis e) guis seleniato normale seleniato normale femore. . . 61 60 1,57 1,93 Quantunque le ossa del coniglio normale siano un po’ più pic- LIDIA 69 67 1,86 1590 cole di quelle del coniglio av- velenato, pure sono più pesanti. Omero... 46 46 0,81 0,90 Alla sezione longitudinale e tra- sversale può osservarsi un mae- Ulma 0. 51 49 0, 56 0, 62 giore spessore delle pareti delle diafisi nelle ossa normali ri- radio +‘. + 49 41 0893 0,39 spetto a quelle del coniglio avvelenato. totale 5, 13 5,74 Esperienza 830.8 — Ossa dei conigli dell’ esperienza 142. Se- lenito di sodio somministrato per 30 giorni dosi crescenti da Yo @ o di mg. I conigli si sacrificano 4 giorni dopo la sospen- sione del veleno. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN er. «er n i rn a Coniglio Coniglio Coniglio Coniglio Osservazioni Ossa 9 guis 9 OL seleniato normale seleniato normale femore. . . 56 63 | 1,20 1,95 Le pareti delle diafisi delle ossa del coniglio avvelenato sono More 64 70 1,20 DA90 molto sottili e fragilissime, in corrispondenza a ciò il canal Omero... 43 50 0, 55 0,75 midollare è più ampio che nelle ossa del coniglio normale, quan- ulna . .. . 47 53 0, 40 0, 62 tunque queste abbiano un mag- giore diametro trasversale. radio . . . 39 47 0,24 0,44 Nelle ossa piatte non esiste al- cuna differenza. totale 3,59 6, 06 Arti Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria ILI. 4 26 Azione cronica del selenio Esperienza 81.. — Ossa dei conigli dell'esperienza 152. Sele- nito di sodio somministrato per 30 giorni dosi crescenti da !/ a !/, mg. I conigli sì sacrificano 4 giorni dopo la sospensione del veleno. LUNGHEZZA IN mm. PESO IN er. 5 — i — == Ze. È ” Coniglio Coniglio Coniglio Uoniglio Osservazioni Ossa 10 10bis 10 Jobis seleniato normale seleniato normale femore. . . 59 68 1,32 2,05 Simili a quelle dell'esperienza 302. tibla . - + 66 75 1,27 2,25 omero. . 43 ol 0, 62 0, 93 BOE) O 48 58 0,41 0, 78 NAOMI ARI A, 40 49 020, 0, 53 totale 3,87 6,54 I risultati di queste esperienze sono così chiari che non han- no bisogno di alcun commento : per le dosi piccolissime di aci- do selenioso (*/ — ‘/1o di mg. nelle 24 ore) il sistema scheletri- co non ne soffre molto (esp. 23, 24, 25, 26), per le dosi un po’ 2-3 ro più grandi (5} a di mg.) invece le ossa restano più corte, e nel complesso più piccole (esp. 27, 28, 29), mentre per le dosi ancora più grandi (& a !5-' mg.) esse, oltre al rimanere più piccole rispetto alle ossa dei conigli normali, subiscono una spe- cie di atrofia, divenendo sottilissime e molto fragili le pareti del- le diafisi, con ampliamento del canale midollare (esp. 30, 31). In rapporto a tutto questo il peso delle ossa dei conigli avvele- nati col selenio è sempre minore di quello delle ossa dei conigli normali, anche quando pochissima differenza esiste nelle loro dimensioni. Nelle ossa piatte non notasi alcuna manifesta differenza. Azione cronica del selenio 21 IV. Considerazioni tra l’ azione cronica dell’ arsenico e quella del selenio. Ed ora credo opportuno fare qualche considerazione di con- fronto tra 1 azione cronica dell’ arsenico e quella del selenio per vedere se questo può veramente comprendersi nello stesso gruppo farmacologico dell’ arsenico, come Czapech e Weil credono d’ aver dimostrato studiandone l’azione acuta. In queste considerazioni sarò brevissimo, anzi non mi limiterò che a ricordare esclusiva- mente il lavoro sperimentale del Gies pubblicato parecchi anni fa nel Band. 8° dell’Archiv. f. exper. Path. und Pharmakologie. Il Gies, avendo somministrato dosi piccole e ripetute di aci- do arsenioso ad animali adulti (conigli) e ad animali giovani (co- nigli, galli, porci), ha visto prodursi una vitalità eccezionale in tutti gli animali d’esperimento : ingrassamento, notevole aumen- to in peso, lucentezza del pelo, maggiore vivacità, e finalmente maggiore sviluppo organico negli animali giovani. Le ossa di tutti gli animali, e specialmente dei giovani, portavano dei se- gni particolari: ispessimenti speciali, duri, compatti al di sotto delle epifisi delle ossa lunghe, maggiore accrescimento di que- ste, maggiore spessore e maggiore compattezza delle loro diafisi con conseguente impicciolimento del canale midollare. Proprio l’ opposto osservasi per l’uso del selenio. Questo, lun- gi dal produrre quel rigoglio di vita che abbiamo visto seguìre all’ uso dell’ arsenico, produce dimagrimento, diminuzione del pe- so corporeo, stato generale depresso, inceppamento dello svilup- po dei giovani conigli fino all’ arresto completo di esso, minore accrescimento delle ossa, mancanza di qualunque ispessimento al di sotto delle epifisi delle ossa lunghe, anzi atrofia di tutte que- ste ossa. Un'altra differenza tra l’ azione dell’ arsenico e quella del selenio sì può constatare nel fatto che mentre l’ organismo ani- male si abitua all’ uso dell’ arsenico, non può affatto abituarsi a quello del selenio. 28 Azione cronica del selenio Volevo paragonare ancora l’azione che manifestano sul san- gue le due sostanze in parola, ma siccome le esperienze che esi- stono riguardo all’ azione dell’ arsenico sul sangue hanno avuto risultati disparati, e forse pochissimo attendibili, e dall’ altra par- te io non me ne son potuto occupare, così debbo lasciare in so- speso questo paragone. In ogni modo le esperienze che ho fatto sono più che suffi- cienti per poter concludere che l’azione cronica del selenio non è simile a quella dell’ arsenico; le due sostanze producono non solo effetti differenti, ma opposti, e quindi, secondo me, il se- lenio, almeno per quanto concerne la sua azione cronica, non st può collocare nello stesso gruppo farmacologico dell’ arsenico. Vedremo altrove se neanche l’azione acuta rassomigli a quella dell’ arsenico. Pertanto da tutte le osservazioni fatte sull’ azione cronica del selenio si possono trarre le seguenti CONCLUSIONI 1. L'acido selenioso, somministrato sotto forma di selenito di sodio in dosi piccolissime e ripetute (0, 0002 per iniez. ipod., 0,003 per bocca), produce dimagrimento nei conigli adulti. Per dosi maggiori (0,0005 per iniez. ipodermica, 0,001 - 0,006 per bocca) al dimagrimento segue la morte. 2. Somministrato per 30-40 giorni a giovani conigli, finan- co in quantità piccolissime ('/-!/ di mg.), ostacola lo svilup- po regolare del loro organismo. 3. L’ ostacolo allo sviluppo dell’ organismo giovane è in ra- gione diretta della dose somministrata, essendo di poca entità / per le dosi giornaliere di !/,o - /5o di mg., e notevole per le do- si maggiori (!/o5 - !» mg.) 4. Sospesa la somministrazione dell’ acido selenioso l’ orga- nismo giovane non è più capace di ripigliare il suo sviluppo re- golare, il peso corporeo aumenta poco o niente, anzi talvolta diminuisce. Azione cronica del selenio 29 5. L'organismo non acquista alcuna abitudine al selenio. 6. A dosi piccole e ripetute produce nel sangue una dimi- nuzione della quantità dei globuli rossi e dell’ emoglobina. Questi fatti sono tanto più accentuati per quanto maggiori sono le dosi adoperate. 7. Le ossa lunghe dei conigli giovani crescono meno del nor- male in tutte le loro dimensioni, e sono più leggiere. Per le dosi relativamente grandi (4 a *;-!/ mg.) le pareti delle loro diafisi diventano sottili e fragili, ed il canale midollare relativamente molto ampio. 8. L'azione cronica del selenio non è simile a quella del- l’ arsenico. Dal laboratorio di Farmacologia della R. Università di Catania. Agosto 1896. Memoria EV. Azione del selenio sul ricambio materiale del D.r ORAZIO MODICA Non ho trovato nella letteratura alcuna notizia riguardo al- l’azione del selenio sul ricambio materiale. Solamente Zapha (1) accenna al fatto, da me altrove ricordato, che il selenio metal- lico, ingerito da lui stesso, ha prodotto del dimagrimento gene- rale. Io non ho potuto confermare questo risultato: ho fatto in proposito alcune esperienze su rane e su conigli cui ho dato per molti giorni del selenio libero, secondo sarà esposto dettagliata- mente in altro lavoro (2), ma tutti gli animali d’ esperimento non hanno mostrato di risentirne il minimo disturbo, e si sono mantenuti in quanto al peso e allo stato generale come quelli di confronto, tenuti nelle identiche condizioni di sito e di alimen- tazione. Il selenio metallico perciò pare che non abbia sul ricam- bio materiale quella influenza che gli attribuiva Zapha. Ben altrimenti vanno le cose quando invece del selenio me- tallico sì somministra un suo composto solubile. Io ho usato l’ a- cido selenioso esattamente neutralizzato con soda, il quale in tutte le esperienze del presente lavoro è stato dato in soluzione diluita e per iniezione ipodermica, per evitare la sua azione irritante sul tubo gastro-intestinale e i consecutivi disturbi della digestione. Animali d’ esperimento sono stati cani, conigli e rane. (1) Experimenta nennulla de vi Selenii in organismum animalem—Dissert. Halle 1842. (2) Azione acuta del selenio. In corso di pubblicazione. AmtI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria IV. 1 2 Azione del selenio sul ricambio materiale. Esperienze sul cane. Ho fatto sul cane due esperienze. Mi servì all’ uopo lo stesso cane, un cane da pastore robusto, il quale era abituato ad uri- nare in bicchiere tre volte al giorno, quando si menava a spasso. Esso era tenuto a dieta costante di gr. 500 di pane diviso in 3 razioni e di 300-400 cm. c. di acqua nelle 24 ore (1). Stava le- gato nel suo giaciglio, per la qualcosa non soffriva; passeggiava tre volte al giorno, circa 15 minuti alla volta. Ciascuna delle esperienze constò solamente di 2 periodi : il l° senza somministrazione di selenio (2), il 2° colla somministra- zione di esso (3). Dovetti rinunziare al 3° periodo di contropro- va (nuovamente senza selenio), perchè il cane, sospesa la sommi- nistrazione della sostanza, non ritornava allo stato normale, ri- manendo per parecchi giorni con diarrea, poco appetito e de- presso. Le urine appena emesse venivano volta a volta conservate in luogo fresco; le analisi si eseguivano ogni 48 ore. In esse ol- tre la quantità, il peso specifico, la reazione, le sostanze anor- mali, si determinava l’ azoto totale, 1’ acido fosforico, il solfo to- tale, il solfo acido, il solfo neutro ed i cloruri. Le varie determinazioni sono state fatte con i metodi che sì adoperano comunemente nei laboratoril. Per l azoto usai il metodo di Ayeldhal-Wilfarth, riscaldan- do a bagno di sabbia 5 c. c. d’ urina con 40 c. c. d’ acido solfo- rico concentrato e 0, 50 gr. di solfato di rame anidro, finchè tutto il liquido diveniva incolore e trasparente. Per essere sicuro della (1) Non ho fatto esperienze su animali a digiuno, perchè si sa che durante l’inanizione l’a- zoto segue una curva abbastanza irregolare, diversa nei singoli individui. Veggasi al proposito il lavoro di F. I. Heymans “ Recherches esperimentales sur l’inanition chez le lapin ,, pubblicato negli Archives de Pharmakodynamie vol. 2°, fascicoli 3° e 40. (2) Si somministrava la sustanza quando l’animale si metteva in equilibrio d' azoto. (3) Si sospendeva la somministrazione del selenio quando l’ animale incominciava a rifiutare il nutrimento. DS 9 Azione del selenio sul ricambio materiale. distruzione completa delle sostanze organiche, riscaldava per 2 ore e più, essendomi convinto del fatto che spesso non era sufficiente allo scopo un tempo più breve. Dopo neutralizzazione con soda, di- stillavo l ammoniaca in una soluzione titolata di acido solforico. Il solfo totale è stato determinato in una quantità piutto- sto grande di urina, (50 c.c.), per mezzo della combustione con carbonato sodico e nitrato potassico. Dopo tutte le operazioni ne- cessarie avevo cura di lavare con acqua e poi con alcool e poi con etere il precipitato di solfato di bario ottenuto, per sottomet- terlo alla calcinazione, previa ebullizione con acido cloridrico di- luito, secondo le indicazioni di Mresenius (1). Il solfo acido veniva determinato col motodo di Salkowské in altri 50 c.c. d’ urina. Il solfo neutro si aveva per differenza. L’acido fosforico si dosava col metodo di Neubauer ed i clo- ruri con quello di Vol/hard, secondo le indicazioni dì Saltowsche. Esperienza I. — 17-27 aprile 1895 — Cane da pastore di Kg. 16. Analisi delle urine. ei ni = È sÉ 5 E 3 E SE rai sea ea ss S SaS e SEZ) SE i oo 2ES| » » » ES) » 8 _» » » 9 » » » 33 = 10 » » ”» O È Il » E 12 » » » =; 13 » » ) + 14 » » » oe) » io » lio » 18» » » 19 » » » 20 » » ) | DI 1 » » » 2030 9 3} 180 460 250 000 940 600 810 Il selenito di sodio si som- ministrò sempre per inie- zione ipodermica. 0, 400 350 0, 220 0, 230 Si perdono le urine e le feci. 0, 305 0, 402 0, 390 0, 326 Azioni del selenio sul ricambio materiale. 7 Esperienza VI. — 28 Marzo - 20 Aprile 1895. 5 AR È Azoto | Azoto S sodico eso in| delle delle 2000, 5 De somm. in gr. urine in| feci in io Si gr. gr. gr. (©) ‘A 28 III 95 1970 2 |29 » » oa 1.960 | 0.195 2a 30 » » 2050 S 31 » » ICOR 1.870 0. 232 © 1 IV. » 3 DI DIE) 1.900 0.180 (ar 3 » » | 0.0005 | 2005 Il selenito di sodio si è dato per 4 » » » iniezione ipod. 5 » » » 2.100 0).240 6 d » » 7 » » » sola 2.050 | 0.222 .2 8 » » 1970 5 9 i) » a 3. 102 Si perdono le feci. © 10 » » » = 11 » » » Si perdono le feci e le urine. ls) 12 D » » i 13 »_» » 1920 3.300 0. 198 DZ 14 » » 15 » » » Si perdono le feci e le urine. 16 » » » 17 » » » SE 3.470 | 0.302 18 SE no » 1855 19 » » » dl a 4.100 0. 208 Esperienza VII. — 2-24 Maggio 1895. = Selenito Azoto Azoto 2 DATA di sodio | Peso in delle delle Usseraioni E somm. gr. urine in | feci in ip m gr. gr. gr. _ 2 È 2 V. 95 1805 3 3 » » sa 1.832 | 0.204 ca 4 » » S 5 »_» 1900 1.714 | 0.192 A 6 » » n i » » 1.800 Si perdono le feci. i @€ 8 » » | 0.0005 | 1875 Il selenito di sodio si è sommi- 9 » » » nistrato per iniez. ipod. 10 » » ; 1.940 | 0.269 11 » » 12 » » » 1725 2.242 | 0.192 2 13 » o» » dd J4 » » » 2. 324 0.210 © 15 » » a 16 » » » Si perdono urine e feci. S 17 » » | riposo 1 18 » » | 0.0008 | 1630 3.302 Si perdono le feci. Si 19 » » » 20 »» » "RA 3. 506 0.301 21 » 0.001 1625 22 » o» » 3.988 | 0.228 23 » » 24 ». » » 3. 601 Si perdono le feci. Azione del selenio sul ricambio materiale. Per fare rilevare più facilmente le differenze che esistono nei componenti delle urine prima e dopo la somministrazione del selenio, ho raccolto i risultati delle sette precedenti esperienze nei seguenti .specchietti riassuntivi. Le medie in questi riportate sì riferiscono sempre a 24 ore. Specchietto I. relutico all esperienza I. (Cane) x ® e SE i id; 9 5 2 Ss |BaES|ok0O| .L PERIODI ES AS 3 Fica È S3| E p let SUA DES F i a = sservazioni delle esperienze | TE | © £ £ I E 3 . hei 5 OS S 3, d eg ee I. Senza selenio | 4.030 | 0.894 | 0.251 | 0.201 | 0.050 | 79. 90 | 20. 10 | 8. 087 (6 giorni) II. Con selenio . | 5.653 | 1.727 |0.325|0.293|0.032|90.13; 9.87|8.968| Selenito di sodio (4 giorni) sommin. mg. 41 Specchietto II. relativo all’ esperienza II. (Cane) E SD © Ss e n ci usi 5 Siro ini O PERIODI o-|o38| 8 E di SSR iii mai "> a ch, UYU Zoo nZ* z à O No| 8g E ° hi | ISRINNA Osservazioni delle esperienze | TE | © £ & 5 2 |SA_|SA_| & = & © D o |Sos|9® ba N n Dale) o £ I. Senza selenio | 4. 055 | 0. 804 | 0. 292 | 0. 237 | 0. 055 | 81. 23 | 18. 77 | 8.063 (6 giorni) II. Con selenio 5.052 | 1.354 |0.321|0.290|0.031|90.23| 9.77|9.367| Selenito sodico (4 giorni) somm. mg. 16 Specchietto III. relativo all’ esperienza III. (Coniglio) PERIODI delle esperienze I. Senza selenio (6 giorni) II. Con selenio (4 giorni) Azoto totale in gr. 1.095 1.807 Acido fosforico 0. 209 0. 337 Osservazioni Selenito di sodio somministrato mg. 4 rie fg Azione del selenio sul ricambio materiale. Specchietto IV. relativo all’ esperienza 1V. (Coniglio) PERIODI delle esperienze I. Senza Selenio (6 giorni) II. Con selenio (4 giorni) Azoto Acido Osservazioni totale in gr. fosforico 1. 066 0.254 1. 59L 0.391 Selenito di sodio semministrato mg. 4. Specchietto V. relativo all’ esperienza V. (Coniglio) PERIODI Azoto Azoto delle urine delle feci Osservazioni delle esperienze in gr. in gr. I Senza selenio (6 giorni) 1, 106 0, 140 II Con selenio (18 giorni) 1, 524 0, 164 Selenito di sodio somministrato in tutto gr. 0,0038. Specchietto VI. relativo all’ esperienza VI. (Coniglio) PERIODI AZOTO Azoto delle urine delle feci Osservazioni delle esperienze in gr. in gr. I Senza selenio (6 giorni) 0, 955 0, 101 II Con selenio (16 giorni) 1, 510 0, 117 Selenito di sodio somministrato in tutto gr. 0, 0085. Specchietto VII. relativo all’ esperienza VII. (Coniglio) PERIODI Azoto AzoTO delle urine delle feci Osservazioni delle esperienze in gr. in gr. I Senza selenio (6 giorni) 0, 891 0, 100 II Con selenio (16 giorni) 1, 493 0, 120 Selenito di sodio somministrato in ArtI Acc., Vor. X, SerIE 48*— Memoria IV. tutto gr. 0, 0109. 10 Azione del selenio sul ricambio materiale. Risulta chiaramente dallo studio comparativo delle tavole riassuntive su riportate che sotto l’ azione del selenio : 1. Aumenta 1 azoto, il solfo, il fosforo, il cloro nelle urine, 2. Aumenta la quantità del solfo acido, mentre diminui- sce rispettivamente quella del solfo neutro. 3. Aumenta, quantunque in modo lieve, 1° eliminazione dell’ azoto per le feci. Esperienze sulle rane--Comportamento dell’ eliminazione dell’ CO”. Avevo l’ intenzione di studiare in modo completo le modifi- cazioni dello scambio respiratorio sotto l’ azione del selenio, ma per mancanza di mezzi adatti, ho dovuto smetterne l’ idea, e con- tentarmi semplicemente di occuparmi del comportamento dell’ eli- minazione dell’ CO? nelle rane. Per dosare Vl CO? nell’ aria espirata dalle rane ho disposto l’apparechio in questo modo : 1. Un depuratore dell’ aria costituito da una boccia di Ér- lenmeyer contenente una soluzione soprassatura di potassa cau- stica, e da un cilindro strozzato ripieno di piccoli pezzetti della stessa potassa. 2. Una campana di vetro della capacità di circa 4 litri, chiusa ermeticamente alla parte inferiore e contenente un po’ di acqua, per accogliere le rane. 3. Un apparecchio fissatore dell’ CO? costituito da 3 bocce di Fresenius contenenti una soluzione titolata di idrato baritico, di cui la terza serviva di riprova, per vedere se le 2 precedenti avessero fissato tutta l’ C0?. 4. Una valvola di Miller ripiena a metà d’acqua per re- golare con facilità la rapidità della corrente. 5. Una piccola pompa di Gezsler innestata ad un rubi- netto d’ acqua. Mancandomi un contatore, per potere misurare la quantità d’aria che passava per l’ apparecchio in un dato tempo, teneva Azione del selenio sul ricambio materiale. ll costante la corrente d’acqua della pompa, che dava 1 litro ogni 6 minuti. Era presumibile adunque che in un dato tempo, ad ap- parecchio montato, fosse aspirata sempre la stessa quantità d’aria. Tutto l'apparecchio era ermeticamente chiuso, dappoichè si paraffinavano, ogni qualvolta si rimuovevano, tutti i tappi di su- ghero, e si usavano dei tubi di gomma di ottima qualità per la riunione dei varil recipienti. Montato l’ apparecchio, si faceva agire in bianco per liberare dell’ CO? l’ aria contenuta nella campana. Quando ciò era avve- nuto, il che si desumeva dal fatto che non variava più il titolo della soluzione di barite della prima boccia di /resenzius, si comin- ciava l’ esperienza. Ogni esperienza constava di due parti, nella prima parte si dosava 1’ C0? emessa in un'ora da un dato numero di rane, nella seconda si determinava la quantità di CO? emessa in un’ ora dalle stesse rane durante l’ avvelenamento col selenio. Prima di cominciare la seconda parte dell’ esperimento si epura- va nuovamente dell’ CO? l’aria della campana, come si era fatto prima di cominciare. Le rane sia la prima, come la seconda volta , s' introduce- vano nella campana per il collo di questa, allontanandone a metà il turacciolo. Esse, dopo la prima ora di esperimento, s1 mettevano fuori, e si avvelenavano in modo non intenso con piccolissime dosi di selenito di sodio per iniezione ipodermica. Si usavano dosi piccolissime ('/; di mg.), per non avere in campo i disturbi della meccanica respiratoria, ovvero la morte o altro durante la secon- da parte dell’esperimento, la quale si cominciava dopo 45-60 mi- nuti dalla somministrazione del selenio. In ogni singola esperienza venivano adoperate varie rane per evitare gli errori individuali, e nello stesso tempo per non avere delle quantità non molto piccole di CO. Ecco i risultati delle esperienze. isperienza VIII. 10 Settembre 1896.—Sei rane pescate da 12 giorni e digiune, del peso complessivo di gr. 35, 05, emettono in 1 ora gr. 0,0228 di C0*; dopo che ognuna riceve ’/ di mg. di 19 Azione del selenio sul cambio materiale. selenito di sodio, emettono in un'ora gr. 0, 0320 di CO0.? Diffe- renza in più gr. 0,0092. Le rane s1 trovano morte l’ indomani. Esperienza IX. 12 Settembre 1896. — Cinque rane digiune, pescate da 14 giorni, del peso complessivo di gr. 80,15, emetto- no in 1 ora gr. 0,0356 di C0?; dopo l'iniezione di !/, di mg. di selenito di sodio, emettono nello stesso spazio di tempo g. 0,0480 di CO”. Differenza in più gr. 0,0124. Le rane muoiono da 2 a 6 ore dopo finito 1’ esperimento. Esperienza X. 13 Settembre 1896.—Otto rane del peso com- plessivo di gr. 91,80, pescate da 15 giorni e digiune, emettono in 1 ora gr. 0,0372 di C0?. Dopo l’ iniezione di '/; di mg. di se- lenito di sodio emettono nello stesso spazio di tempo gr. 0,0532 di C0?, con una differenza in più di gr, 0,0160. Le rane si trovano morte l'indomani. Dalle tre suesposte esperienze risulta che nelle rane sotto l’azione del selenio aumenta in modo non trascurabile l’ emis- sione dell’ CO?. Brevi considerazioni bastano per potere interpretare tutti i fatti osservati. Dal complesso delle esperienze sugli scambii nutritizii è ri- sultato che sotto l’ azione dell’ acido selenioso aumenta l' elimi- nazione dell’azoto, del fosforo, del solfo e del cloro per le urine. Questi risultamenti sono dovuti a un aumento nell’ introdu- zione, ovvero ad una maggiore distruzione dell’albumina dei tes- suti ? Possiamo dir subito che sia l albumina dei tessuti che si decompone più facilmente che allo stato normale, dappoichè l’in- troduzione non è aumentata. E che l’ introduzione non sia au- mentata lo provano diversi fatti : 1° l’alimentazione costante in cui sono stati tenuti gli animali d’esperimento dal principio alla fine di ogni singola espe- rienza; ei Azione del selenio sul cambio materiale. E 2° il non essere aumentato l’ assorbimento da parte dello intestino. Facciamo anzi notare che quest’ assorbimento è dimi- nuito, come dimostra l'aumento dell’ azoto delle feci (esp. 5, 6, 7), nonchè il dimagrimento, la diarrea ecc., che spesso gli ani- mali presentano. Una ulteriore conferma del fatto che è Y albumina dei tes- suti che si distrugge, l’abbiamo nei risultati delle esperienze sugli scambii respiratori nelle rane: abbiamo visto in questi animali aumentare notevolmente l'eliminazione dell’ C0? colla respirazio- ne (esp. 8, 9, 10). Questo fatto invero non indica sempre au- mento della distruzione dell’ albumina del corpo; ma noi non possiamo concludere in altro modo, dappoichè le nostre rane era- no emaciate e digiune da parecchi giorni (12-15). Ora questa abnorme distruzione dell’albumina dei tessuti de- vesi a un aumento dei processi ossidativi dell’ organismo ? I risultati delle esperienze 18 e 22, che cioè è aumentata notevolmente | eliminazione del solfo acido, e diminuita rispet- tivamente quella del neutro, potrebbero farci concludere in que- sto senso. Però noi non crediamo poter dire che siano aumentati i processi di ossidazione dell’ organismo. 1° perchè non abbiamo potuto studiare se insieme al solfo ossidato emesso colle urine aumenti la quantità dell’ ossigeno assunta colla respirazione. 20 perchè abbiamo notato in altre esperienze (1) che il sangue, sotto l’ azione del selenio, non solo s’' impoverisce di emasie e di emoglobina, ma per di più si disossida con maggiore difficoltà sia spontaneamente, sia con i mezzi riducenti (solfidrato ammonico), fatti questi i quali indicano piuttosto che minore e non maggiore quantità di ossigeno possa essere assunta colla respirazione. Dal complesso di tutte queste osservazioni io credo potere (1) V. Azione aenta del selenio — Azione cronica del selenio. Lavori in corso di pubblica- zione. 14 Azione del selenio sul ricambio materiale ammettere che nell’avvelenamento per selenio i tessuti vengano a trovarsi in un ambiente molto povero di ossigeno, e questo fatto, nonchè l’ alterazione che può subire il protoplasma cel- lulare col contatto diretto del selenio, deve determinare quella maggiore decomposizione dell’ albumina dei tessuti che abbiamo notato. Catania — Dal laboratorio di Farmacologia della R. Università, Settembre 1896. Memoria WV. Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. Nota del PROF. A. RICCO Conoscendo gli ottimi risultati forniti dai simometrografi a lungo pendolo di Roma e di Rocca di Papa, pensai di farne co- struire uno per l'Osservatorio nostro, approfittando della circo- stanza di avere a disposizione nel ricetto della scala un'altezza di ben 20 metri, sovrastante al sotterraneo ove sono gli altri strumenti sismici, talchè con un foro praticato nella vélta, si poteva avere in un ambiente del sotterraneo stesso un pendolo col punto di sospensione a più di 25" d’ altezza. Perciò si è collocata una forte trave di ferro a doppio 7° murata su due muri opposti del recinto della detta scala : una staffa d’ acciaio infilata nella trave, sostiene una sospensione car- danica cui è attaccato un filo d’ acciaio ? (fig. 1) di 6 millim. i Fig. 1. Grande sismometrografo del R. Osservatorio di Catania. (Da una fotografia alla luce del magnesio ) Ami Acc., Vor. X, SERIE 48— Memoria V. l 2 Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. di diametro, che scendendo verticalmente, passa per il detto foro nella volta e nel sotterraneo e regge un cilindro di lava del peso di 300 Kg. Il meccanismo registratore è stato costruito a Roma dal Sig. Ceccarelli , meccanico della R. Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri, sotto la direzione del chiarissimo sismologo, Dott. A. Cancani. Il filo d’ acciaio è preso fra due asole d’ acciaio dorato 4 , poste ad angolo retto, le quali formano i bracci corti di due leve a squadra : i bracci lunghi % sono costituiti da lunghi triangoli rettangoli di alluminio a traforo, che terminano con pennine articolate ed equilibrate, le quali sono così disposte, che nelle grandi oscillazioni passano l'una dinanzi e sopra 1’ altra, senza urtarsi fra loro; i lunghi fulcri verticali delle leve hanno punte coniche, girevoli entro imboccature di agata: due contrappesi p equilibrano esattamente i bracci lunghi. Le due asole tengono esattamente, senza gioco, fra di loro il filo d’acciaio, cosicchè ogni suo minimo movimento è ingrandito nel rapporto di 1 a 12, 5, e decomposto in due componenti ortogonali che nel nostro sismo- metrografo hanno le direzioni NE—SW e NW—SE. Un cilindro e d’ottone del diametro di 0%, 191, mosso da un peso e regolato da un movimento di orologeria a pendolo , conduce sotto le penne una striscia s di carta senza fine (lun- ghezza di un rotolo 101", il quale dura giorni 7) svolgentesi dal rullo » con velocità uniforme di 0”,60 all’ ora. Una leva, mossa da un elettromagnete e, in cui passa una corrente elettrica ad ogni ora, per il toccare e chiudere che fa l indice dei minuti di un cronometro di marina una delicata molla di platino foggiata a pinzetta (#), solleva la pennina per circa 6°, e produce una interruzione nella linea da essa segnata, notando così il tempo. (*) Questa disposizione è migliore di quella adottata da altri di far passare la corrente elet- trica dalla molletta (semplice) all’ indice, e quindi al meccanismo del cronometro; perchè la cor- rente può perturbarne l’ andamento in causa dei pezzi di acciaio che esso meccanismo contiene. Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. 3 Questo meccanismo è sostenuto da due powutrelles di ferro che posano su due pilastri in muratura n, i quali hanno comu- ne la base ed il fondamento fino alla roccia lavica. Il filo d’acciaio, che, come si disse, è steso nel centro del vano della scala, è protetto in tutta la sua lunghezza , fino al sotterraneo, da un tubo di zinco divergente in basso, sostenuto in alto da altra staffa di ferro indipendente, pure accavalcata alla trave superiore : inoltre il tubo è mantenuto verticale da molti tiranti di fil di ferro, ed è sorretto in basso da solida base di legno. Si credè da prima che così l'apparato fosse abbastanza di- feso dalle correnti d’ aria e da altre cause perturbatrici, ma quando fu messo in azione, sì vide che ogni volta che ci acco- stavamo ad esso, le penne indicavano una oscillazione. Si pensò fosse la pressione esercitata dall’ osservatore col suo proprio peso sul terreno circostante che faceva questo effetto , e si circondò lo strumento di un ponte di legname /, che posa solo sulle pa- reti dell’ ambiente; ma le perturbazioni continuarono; finalmente ci accorgemmo che era l’ urto dell’aria, spinta dal nostro avvi- cinarsi che colpendo la massa di 300 Kg. la metteva in movi- mento ! Infatti circondata questa di una cassa s di legno, ogni perturbazione cessò come per incanto, e lo strumento non regi- strò più che scosse causate da terremoti vicini o lontani, o dal- l’ urto del vento e del mare. E quì si deve notare che il recinto della nostra scala, essendo circondato da altri fabbricati, non ri- ceve l’ urto diretto del vento, per cui (ad eccezione forse delle vio- lenti burrascate) il punto di sospensione del pendolo non si scuote, ma è la terra stessa che si agita sotto la pressione variabile delle raffiche di vento o sotto l’ urto cadenzato dei marosi che battono la spiaggia. Parlando ora solo delle onde di origine sismica, registrate dal nostro strumento, esse si distinguono non solo per l’ampiez- za , dipendente dall’ ampiezza ed intensità del movimento del suolo, ma ancora per il periodo: abbiamo infatti ottenuto : 4 Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Cutania. a) Vibrazioni più rapide della oscillazione pendolare, la quale compiesi in 56,2. b) Oscillazioni pendolari. c) Vibrazioni più lente delle pendolari, colla durata della oscillazione semplice di 7° a 85. d) Oscillazioni lentissime che richiedono mezzo minuto o più per oscillazione semplice. La meccanica insegna che in un solido elastico, omogeneo, indefinito, possono prodursi oscillazioni o vibrazioni elastiche lon- gitudinali di condensazione e rarefazione, come le acustiche nel- l’aria, ed inoltre se ne possono produrre delle trasversali, dovute alla gravità , analoghe al movimento ondoso del mare, che si propagano con una velocità che è metà di quella delle onde lon- gitudinali. Ed infatti nei terremoti oltre le oscillazioni rapide longitu- dinali che producono i noti effetti avvertiti dalle persone e re- gistrati dagli strumenti sismici, sì producono pure delle onde lente, per lo più non avvertite dalle persone, e non sempre da tutti gli strumenti sismici. Gli effetti di queste ondulazioni si- smiche erano però stati osservati dagli astronomi e dai sismologi, sia come spostamento delle immagini degli astri, sia come irre- quietezza ed oscillazioni lente delle bolle dei livelli, indicanti appunto inclinazione variabile e periodica del suolo, sia come spostamenti della verticale nei pendoli e termometri, sia come oscillazioni delle acque del mare, degli stagni, dei laghi (sezches in Isvizzera). Il Prof. Milne le ha chiamate pulsazioni della ter- ra (earth pulsations), termine che esprime assai bene questa spe- cie di palpito del suolo. Il Dott. Cancani (1) ha messo in chiaro il fatto che pei terremoti hanno luogo le due sorta di oscillazioni indicate dalla teoria, e che, come questa insegna, hanno effettivamente velocità di propagazione le longitudinali doppia di quella delle trasversali (1) Annali della Meteorologia Italiana Vol. XV, parte I2, 1893. Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. D essendo per distanze da 1000" a 12000", il valore della pri- ma crescente da 4°° 5 a 64° 8 e la velocità delle altre onde da Dean | Più recentemente egli altresì ha segnalato l’esistenza del ter- zo sistema di onde, pure longitudinali, ancora più lente, sfuggite finora alla osservazione per la loro minima ampiezza od inten- sità, ma indicate pur esse dalla teoria. (2) Stabilito dunque colla teoria e coll’ osservazione che la velo- cità delle onde sismiche longitudinali è doppia di quella delle trasversali principali, ne viene la possibilità (quando si abbia una registrazione ove le due sorta d’ onde sieno ben distinte) di determinare la distanza ed anche la posizione approssimata del centro dal quale proviene la scossa, quando si conosca la velocità di propagazione: infatti, sia S la detta distanza, £ e #' i tempi che impiegano ad arrivare le onde longitudinali e le traversali, V e V' le rispettive velocità ; la differenza Af# del tempo d’ arrivo data dal sismometrografo, supposto uniforme il moto di propa- gazione dei due sistemi di onde, sarà S S Aes ad I REI À V' V donde Gu VV por. ipa ed''ammesso NV = 2° SI=QNTAOPPUNTSE— VAL Siccome il sismometrografo può dare anche la direzione della scossa, si potrà avere dunque la posizione approssimata dell’ epicentro. Però questa verrebbe determinata meglio se in due o più osservatorii opportunamente situati si fosse fatta la precedente determinazione della distanza, poichè evidentemente l’ epicentro sarebbe nel luogo d’incontro degli archi circolari tracciati sulla sfera terrestre colle dette distanze come raggio. (2) Bullettino della Società Sism. ital. Vol. II. 1596. 6 Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. Questo metodo sarebbe utilissimo per le determinazioni almeno approssimate dei centri dei terremoti d’ignota provenienza, per- chè residenti in terra disabitata od in alto mare. Nol abbiamo fatto una felice applicazione di questo metodo nel caso del terremoto del 15 giugno 1896: avendo rilevato la differenza del tempo d’arrivo delle due sorta d’ onde At = 33m, dis ed avendo ritenuto approssimativamente V= 5,0, risultò S = 5 X 2021 = 1010552. avendosi inoltre la registrazione delle oscillazioni nella compo- nente NE-SW alquanto più ampia dell’altra, si concluse che molto probabilmente quel terremoto doveva aver avuto origine nel Giap- pone, che trovasi esattamente a quella distanza da Catania, nella direzione E-NE, e che inoltre è paese di notevole attività endo- gena: le notizie pervenuteci due giorni dopo, confermarono pie- namente la nostra supposizione. È da notarsi che il meccanismo della registrazione delle due sorta di onde, longitudinali e trasversali, dev’ essere ed è diverso. Le oscillazioni più rapide prodotte dalla prima vengono re- gistrate perchè, mentre la terra e con essa l apparato registra- tore vibrano, la massa pendolare del sismometrografo per la sua inerzia resta immobile, almeno per un certo tempo, finchè poi talora il pendolo entra pur esso in oscillazione, ed allora si ha la registrazione di oscillazioni puramente pendolari, regolari col periodo di 5°,2, oppure di oscillazioni composte, meccaniche e si- smiche, assieme, alterate dalla mutua interferenza o combinazio- ne, e con periodo vario. Le oscillazioni di lungo periodo si osservano solo per terre- moti lontani, perchè allora esse si separano dalle altre, arrivando dopo: non possono esser prodotte da movimento di va e vieni del suolo, come succede per le scosse longitudinali, perchè le trasver- sali effettuandosi con estrema lentezza, il pendolo seguirebbe nel suo movimento il punto di sospensione, senza entrare in oscilla- 1 Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. zione (come è facile dimostrare sperimentalmente), e non si avreb- be tracciata dalle penne alcuna curva. Deve dunque essere una oscillazione angolare del terreno , dell’ edifizio e del punto di sospensione, come quello dell’ albero di una nave in mare ondoso, per cui il pendolo restando verti- cale, mentre il fabbricato sì inclina, ha luogo un movimento re- lativo della massa pendolare rispetto all’ apparato registratore fis- sato al suolo, e quindi nasce la registrazione. Ecco alcuni dati numerici risultanti dalle onde lunghe re- gistrate dal nostro sismometrografo. La distanza fra vertice e vertice delle più lunghe curve segnate è circa un centimetro, quindi la durata dell’ oscillazione completa è di un minuto e quella dell’oscillazione semplice è di mezzo minuto, nel qual tem- po il movimento sismico propagato da queste onde si avanza di circa 30x3"—90 chilometri: dunque le onde semplici di questo movimento ondoso della scorza terrestre hanno la lunghezza di 90 chilometri. L'ampiezza delle oscillazioni registrate raramente supera il millimetro : supponiamola di un millimetro ed un quarto, ossia 1®® 25; essendo l'ingrandimento di 12,5, il movimento reale o relativo fra il suolo e la massa oscillante sarà di solo un decimo di millimetro; a compiere questo minimo movimento occorre mez- zo minuto; dunque la velocità media è di /2 meMlimetri all'ora, impercettibile all'occhio, perchè lo spostamento è lentissimo, come quello dell'indice delle ore di un orologio da tavolo: quindi si comprende che se si spostasse orizzontalmente il punto di sospen- sione del pendolo con tale lentezza, il peso lo seguirebbe restando verticale, e senza oscillare. Si deve dunque avere una inclinazione del suolo, una deviazione della verticale al passaggio di queste onde, perchè esse sieno effettivamente registrate : vediamo qual'è l’angolo di questa deviazione; il pendolo essendo lungo 25”,30 e lo spostamento lineare di qua e di là dalla verticale essendo di 0”,0001, l'angolo sarà : 0,00005 2010 si 2 ang tang 8 . Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. dunque la variazione dell’ inclinazione del suolo è minore di un secondo d’arco. Tali sono i movimenti che il nostro sismometrografo è capace di registrare. Vediamo ora quale forza sollecita il pendolo deviato per ritor- nare alla verticale, e per converso quale è la resistenza che esso oppone a lasciarsi deviare: in altri termini, cerchiamo di co- noscere il grado di astaticità dello stramento: per la supposta deviazione totale di 0",0001 (ossia per la deviazione semplice, da un lato, di 0" ,00005), la componente che lo riconduce alla ver- ticale è 0,00005 (de MENTO rn = 0,000002 g dunque circa 2 milionesimi della forza di gravità: quindi il peso di 300 kg. tende a ritornare alla verticale colla forza di 300% x 0, 000002 = 08", 6; per uno spostamento 10 volte maggiore la resistenza sarà 6 gr.: dunque sempre assai piccola. Corrispondentemente a queste deviazioni il pendolo si innalza di altezze espresse da i = ie) AIR e si ha un valore che è sensibilmente nullo finchè la deviazione semplice, da un lato, non arriva al valore di 100" ossia 1’ .40'', cui corrisponde una grande deviazione di 12” del pendolo, di 0,15 delle penne; allora la massa del pendolo si innalza di ap- pena di 0"®,005. Dunque per le piccole oscillazioni è proprio come se il peso sì muovesse orizzontalmente e con resistenza piccolissima relati- vamente alla grande sua massa. Quindi per minime oscillazioni l’astaticità del pendolo può ritenersi perfetta; ma essa è note- vole anche per oscillazioni di un centimetro, corrispondenti a quelle dei terremoti disastrosi. Grande sismometrografo dell’ Ossercatorio di Catania. 9 È poi evidente che rispetto alla grande inerzia della massa di 300 kg., sono trascurabili le minime resistenze passive, deri- vanti dall’ attrito della penna scrivente sulla carta e dagli attriti della trasmissione meccanica, specialmente poi perchè questa è costruita con la massima delicatezza e precisione, come si disse. Si comprende quindi come il nostro sismometrografo abbia potuto segnalare anche le onde sismiche pressocchè morenti , provenienti da un terremoto del Giappone, ossia dalla distanza di 10000 chilometri. Ma queste onde lunghe decine di chilometri, quantunque con minima incurvatura od inclinazione, importano sensibile alzamento ed abbassamento alternato del suolo, il quale, perchè compientesi con grande lentezza ed in grande estensione , riesce ordinaria- mente impercettibile ai nostri sensi, ed in generale anche agli strumenti sismici, pur troppo ancora imperfetti per la registra- zione del moto o componente verticale dei terremoti. Non sappiamo quale sia esattamente la forma delle onde ter- restri, nelle quali oltre la gravità deve aver un’ azione notevole la coesione e l’ elasticità del suolo: supponendola regolare sinu- soidica, conoscendo la deviazione angolare massima, (che è l’ an- golo massimo della tangente alla curva coll’ asse delle ascisse) e la lunghezza dell’ onda stessa , si può calcolare il movimento verticale del suolo. Infatti, diamo alla equazione della sinusoide la forma 7. = sen, oppure y = a sen [1] E == ‘e yy = a a pie) J db ove a è un parametro variabile secondo che la sinusoide è più o meno piatta, ossia secondo l'ampiezza delle oscillazioni, e il raggio dell’arco, che sviluppato costituisce le ascisse 2, le quali supponiamo orizzontali : Se chiamiamo « l’ angolo che la tangente alla curva fa con l’asse delle 2, sarà : dy a by t o er: cos 6 e LT ATTI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria V. DO 10 Grande sismometrografo dell Osservatorio di Catania. per x =0, sarà: a 0A tanga = (#) donde a = dtang ay PI] e sostituendo nelle equazioni [1] della curva : IC y = b tanga, sen "i : [3] E evidente, ma si può dimostrare facilmente, che l'angolo % della tangente all’ origine è massimo: infatti, eguagliando a zero la derivata dell’espressione della detta tangente trovata sopra, sarà d tang a a E x 0 —— = — sen — = da b? db i da cui si ha il valore che rende massima la tangente , dato dara =20. Ma la massima inclinazione della tangente all’ onda sismica rispetto all'asse delle ascisse, ossia rispetto all’ orizzontale, cor- risponde alla massima deviazione del pendolo del sismometro- grafo dalla verticale, che si deduce dalla deviazione degli indici: quindi il detto angolo « è noto; l’ordinata massima o saetta della sinusoide, o semi-ampiezza dell’ oscillazione , corrisponde ad = 90°, e sarà Y= bd tang a ossia, se / sia la lunghezza dell’ onda sismica semplice, determi. nata dalle osservazioni geodinamiche, come si è visto precedente- (*) Si può dimostrare questa relazione anche in modo elementare: infatti gli archi piccolis- simi si possono ritenere uguali al loro seno, cioè nella sinusoide, Ù X . ‘ a 2A = 74 ossa pe = a x b Ma in un arco piccolissimo di sinusoide, all’ origine y PR RE — = tang xo Oss1a = ’ x Ha da quindi anche ; a angoo = —°* b Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. ul mente, v la velocità di propagazione dell’onda sismica, # il tempo della oscillazione semplice, sarà OI b= —, {=0t Va È 2 2ot Y= — tanga = tang 7 ove % è dato dalla metà dell’ oscillazione angolare del pendolo, per cui se sia A l ampiezza risultante dell’ oscillazione registra- ta nelle due componenti, / l’ ingrandimento operato dalle leve che portano le penne scriventi, ZL la lunghezza del pendolo, sarà RT È A a, = ang tang Te OssIla, SIL = tang 00, e sostituendo È vtA == x E formola semplicissima, che dà la saetta o semi ampiezza dell’on- da terrestre ; ed il movimento verticale sarà IF ZA Applicando ai due sistemi di onde lunghe o trasversali , registrate dal nostro strumento e fra i dati dei diversi casi sce- gliendo le cifre tonde, abbiamo per il primo in ordine di tempo, ossia per le onde lunghissime V= 25000, #— 30, A4=0%,001%, 1=12,5, L= 25,3 Vr" 004 ter = 0188 e per le onde lunghe che arrivano appresso facciamo : v = 30000, #—=8, A= 09,003, I= 12,5, L= 95m 53) e risulta Vi e 10 Ad Nei grandi terremoti osservati da lontano si presenta però un fatto sul quale il Dott. Oddone ha recentemente richiamata l’attenzione dei sismologi (1), fatto il quale fa dubitare che la propagazione del movimento sismico non sia così semplice e con- (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei vol. TIVERp. 425: 12 Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. forme alla teoria, come si è esposto sopra. Il fatto cui si allude è il prolungarsi della durata del movimento e della sua regi- strazione al crescere della distanza; mentre presso l’ epicentro la scossa dura al più alcuni minuti, a grandissime distanze , comparabili al raggio terrestre, la registrazione può essere rile- vata per una ed anche per più ore. Ciò fa pensare che il movi. mento sismico, propagandosi da profonde regioni della scorza terrestre attraverso strati di varia costituzione, abbia, secondo le vie percorse, velocità differenti, non solo, ma ancora subendo inevitabilmente, nel passaggio da strato a strato diverso, rifles- sioni e rifrazioni che ne allungano in vario modo il percorso, debba arrivare alle grandi distanze in tempi successivi , cioè prolungandosi notevolmente; ed inoltre producendosi nelle sue manifestazioni varii massimi e minimi di intensità, dipendenti dalla interferenza delle onde provenienti per vie diverse ed incon- trantisi in fasi or coincidenti, or discordanti. Il Dott. Agam- menone, che sostiene validamente questo modo di vedere, fa una ingegnosa ed esatta comparazione del terremoto col tuono , il quale pure, come è noto, si prolunga e presenta parecchi massi- mi e minimi in causa di rifrazioni, riflessioni ed interferenze delle onde acustiche, passando per gli strati eterogenei dell’ at- mosfera burrascosa. (1) Ciò però non escluderebbe l’esistenza delle due sorta di onde longitudinali e trasversali, ie quali anzi rappresenterebbero ap- punto modi di propagazione per vie diverse (l’ interno e la su- perficie della sfera terrestre) e con differenti velocità , e quindi è pure una ragione del prolungarsi del movimento sismico a di- stanza. Ma la cosa sì complica , e risulta sempre più manifesta la scarsità delle nostre cognizioni sul meccanismo dei terremoti e l'utilità anzi le necessità delle indagini e degli studii accurati che con tanto impegno e con mezzi e per via diversa si fanno dai moderni sismologi. (1) Bollett. della Soc. Sism. Ital. pag. 169. ole Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. DL Riportiamo alcuni esempi delle registrazioni di questo stru- mento : Terremoto vicino: 23 agosto 1896; forte ad Adernò e Bian- cavilla, ove produsse panico nella popolazione. A. circa ore 11 lievissime registrazioni; sì ripetono più forti e numerose dopo le ore 14; dopo le 15" diminuiscono di nuovo e non arrivano ol- tre le 16°, A 17°. 45". 58° gruppo isolato e breve di alcune oscillazioni rapide col periodo di circa 2° (oscillazione semplice) ed ampiezza massima di circa 0"", 6, corrispondente al terremoto in discorso : prima e dopo alcune deviazioni od oscillazioni iso- late lievissime fin quasi a 20°. Vi è stato dunque un leggero movimento del suolo, indicato dal sismometrografo parecchie ore prima del terremoto avvertito dalle persone, ma la scossa propriamente ha avuta una breve registrazione. Terremoto lontano: 15 giugno 1896: terremoto e maremoto disastrosissimo del nord del Giappone, che distrusse quasi com- pletamente la città Kamaishi (lat. = + 39° 5, longit. Est. Green- wich = 142°). A 11°. 47”. 12° principio di minutissime regi- strazioni sulle componenti NE-SW che vanno aumentando di ampiezza : sulla componente NW-SE cominciano più tardi: il loro periodo è di circa 8°. A circa 12°. 9".0° cominciano delle onde molto piatte, alquanto irregolari, aventi presso a poco il periodo medio di 24, l’ ampiezza minima, appena di 1°" sulla componente NE-SW, pressochè nulla sull’ altra. A_ 12°. 20". 53° subentrano a queste, altre oscillazioni ben di- stinte dalle altre, men lunghe, più regolari, più ampie, aventi in media il periodo di 75, le quali arrivano ad un massimo di am- piezza di 3°" a 12% 29". 15%, pol si indeboliscono e sì estinguo- 0) El E LIRA Dunque abbiamo ben distinti tre sistemi di onde : brevi e rapide, lunghissime e lente, di media lunghezza e lentissime. Queste tre categorie di onde, come si disse, sono previste della teoria e furono già osservate anche dal Dott. A. Cancani con 14 Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. un sismometrografo e grande pendolo in Rocca di Papa e dal prof. Vicentini col suo sensibilissimo microsismometrografo in Padova (1). Le differenze di tempo dell’ arrivo della prima e delle se- conde onde è 21". 485; la differenza di tempo fra le prime e le terze (che son quelle che secondo la teoria hanno velocità che stanno tra loro come 2 : 1), è 33". 415, e colla formola preceden- te la loro velocità di propagazione è data da S 10000 ae= = — km, 47 ZAC i 140498 che corrisponde abbastanza bene con quella trovata dal Dottor Cancani e da altri sismologi direttamente, cioè conoscendo oltre la distanza dell’ epicentro, il tempo in cui ivi ebbe luogo la Scossa. Conoscendo la velocità di propagazione di un sistema d’on- de e la distanza, si può calcolare la velocità del 2° sistema col- la formola PENE EEN: facendo'‘in ere tonde s.— 10000 |) —= 52 1ha i AED Velocità intermedia a quelle del 1° e del 2° sistema. Se per spiegare il ritardo dell’ arrivo delle onde trasversali, si suppone che esse si propaghino da un luogo all’ altro lungo l'arco di circolo massimo terrestre, mentre le longitudinali si propaghino per la via più corta della corda, nel caso di questo terremoto del Giappone, la differenza di lunghezza fra l’ arco e la corda da Catania a Kamaishi, che è di 990 km. sarebbe stata percorsa in 21”. 48° ( considerando le prime onde trasversali): il che darebbe una velocità di 0°", 76, troppo piccola, ed affatto inammissibile. (1) Bullettino della Società Sism. ital. Vol. II, N. 4, pag. 38. Grande sismometrografo dell’ Osservatorio di Catania. a Neppure è possibile che il detto ritardo delle onde trasver- sali dipenda dall'aver esse percorso 1’ arco più lungo, cioè quello di */, del circolo massimo terrestre, mentre le onde longitudinali avrebbero percorso il più breve di */j: perchè allora le dette onde trasversali avrebbero impiegato i 21”. 48° per la differenza di 20000", il che darebbe una velocità di circa 15%, troppo gran- de, ed altrettanto inammissibile. Bisogna dunque concludere che le onde trasversali. hanno veramente una velocità propria di propagazione diversa e mino- re di quella delle longitudinali. Veramente non era necessario dimostrare questo, mentre è indicato anche dalla teoria, ma lo si è voluto fare perchè que- st'esempio mette la cosa fuori di dubbio, senza bisogno di ricor- rere a teoria od ipotesi alcuna. Ma la registrazione complessiva dura 2°. 15”, bisogna dun- que ammettere anche le accennate cause di prolungamento del movimento sismico colla distanza, come abbiamo indicato prima. Memoria VI. Avvisatore sismico a pendolo elastico Nota del socio 0. GUZZANTI Mentre altri con maggiori mezzi si ingegnano a studiare e analizzare con appositi apparecchi (stsmometrografi) i terremoti di lontana provenienza, io con quei pochi dei quali ho potuto | Hi I LOCALO I1ItULKAKttrtaReto IS) n disporre mi son fermato ad avere soltanto l'indicazione del moto sismico lontano e col mio « microsismoscopio », altre volte ri- cordato, mi pare sia in qualche modo, riescito all’ intento. AntI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria VI. 1 2 Avvisatore sismico a pendolo elastico. Mi è parso ora necessario intrattenermi sullo studio dei ter- remoti vicini o locali, specialmente trovandomi vicino all’ Etna facile a produrre, ad ogni semplice risveglio eruttivo, delle com- mozioni, spesse volte passate inosservate per mancanza di stru- menti adatti a poterle rilevare. Il mio apparecchio Fig. I ben rispondeva anche a questo scopo, ma per il costo un po’ elevato , non potendo essere di- sgiunto dall’ analogo registratore, non poteva essere adottato in tutte le stazioni, come allora io credevo. Il Chiar.mo Prof. Riccò , Direttore di tutto il servizio sl- smico della Sicilia, mi invitò a costrurre uno strumento econo- mico, sensibile come il microsismoscopio e adatto specialmente ad indicare le scosse vicine. Dopo lunghi e svariati esperimenti, mi convinsi che non bisognava allontanarsi dal principio su cui aveva costrutto il microsismoscopio , cioè: sulla elasticità delle verghe metalliche e quindi ridussi di molto, e, proporzionatamente le dimensioni del pendol E Costrutti due esemplari di questo pendolo , ne disposi uno al pianterreno e 1’ altro al 26 piano del mio Osservatorio, cia- scuno con un contatto elettrico proprio e così li ho tenuti per oltre due anni in esperimento. Sarebbe lungo 1’ enumerare qui quante volte essi funzionaro- no benissimo per scosse vicine, affermando veri e propri periodi sismici locali, e per scosse anche lontane d’ accordo coi grandi sismometrografi di Catania, Ischia, Roma, Rocca di Papa, Pa- dova etc. Talvolta le indicazioni di scosse vicine o locali non veniva- no date dal mzcrosismoscopio e perciò nella nuova costruzione per i modelli di Catania, Caltagirone, Palermo, Reggio Calabria e Bucarest vi introdussi anche questo pendolino, con ottimi risultati. Avvisatore sismico a pendolo elastico. 3 shock Bisognava quindi tradurre in atto questi esperimenti e co- struire il sismoscopio o avvisatore tenendo presente le raccoman- dazioni del Prof. Riccò: la semplicità e l'economia, questa soprat- tutto, avuto riguardo al presente disaggio economico generale. Fu quasi da pertutto provato che i sismoscopii a verghetta dei Brassart, di cui furono generalmente fornite, 10 anni fa, le nostre stazioni, non rispondono alle attuali esigenze, perchè tal- volta sì scaricano per cause puramente accidentali, mentre nei veri e propri terremoti, anche di una certa entità , spesso re- stano affatto insensibili. Pensai allora di modificare questo apparecchio , 0 meglio prendere da questo la base di ghisa e l'orologio e applicare a questi pezzi il pendolino elastico, da me ideato , formando così l’ avvisatore rappresentato dalla fig. IL. 4 Avvisatore sismico a pendolo elastico. Sulla base B al posto ove era il punto di appoggio della verghetta, ho collocato il sostegno a braccio S, a guisa di pila- strino, alla cui estremità , per mezzo della vite di pressione V tiene sospesa r79:damente V asticella di acciaio A del diametro di millim. 2,3 lunga millim. 360. Questa asticella reca la palla, o massa di ottone P del pe- so di grammi 290 la quale ha, inferiormente, un ago di platino che penetra in uno dei forellini del dischetto metallico D che vi sta sotto, sul piccolo sostegno costrutto in modo da potersi alzare o abbassare e girare sopra se stesso per ben regolarsi; 1’ ago però non tocca l'orlo platinato del foro stesso. Il dischetto ha quattro forellini del diametro di mill. 1 — 1! 1!—-2 all'asse del pendolo può essere collocato con qualanque dei fori e trovandosi in posizione eccentrica rispetto e rendere così più o meno sensibile 1’ apparecchio. Sulla medesima base ho fissato 1’ elettrocalamita £ la quale ha l’ ancora coll’ estremità ricurva ad uncino in modo da tenere fermato, per mezzo della leva Z, 1’ orologio O tenendo alzato verso sinistra il suo pendolino. Sopravvenendo una lievissima scossa, 1’ ago del pendolo P tocca l'orlo del foro del dischetto e, per mezzo di comunicazioni elettriche, invisibili nello strumento, chiude il circuito e l'ancora dell’ elettrocalamita viene attratta lasciando libera la leva che tie- ne fermo il pendolino dell’ orologio il quale così si mette in moto. Frattanto l’ estremità più pesante di detta leva cade SOpra l’incudinetta metallica sottostante, invisibile nella figura, e chiu- dendo un altro circuito, fa suonare il campanello d'allarme: così si ha l'avviso e lora precisa in cui avviene la scossa. I due serrafili x e x’ servono per le comunicazioni colle pile e col campanello. Quando poi, oltre la prima scossa, si volessero le indicazioni di quelle successive , bisognerà aggiungere il mio registratore a carta continua, descritto in altre pubblicazioni, e ultimamente nel Bollettino della Società sismologica Italiana vol. I fas, VI. Avvisatore sismico a pendolo elastico. 5) Lo strumento così come è costrutto è sensibilissimo e in questo Osservatorio ha dato, per due anni di seguito, risultati soddisfacenti, indicando ogni sorta di scosse tanto ondulatorie , quanto miste, percui fui indotto a sopprimervi il pendolo a dop- pia spirale, rendendolo così maggiormente semplice e più eco- nomico. Per tutte le ragioni esposte io lo credo molto utile per le nostre stazioni e spero che presto si possano avere i mezzi di fare un largo esperimento, almeno in quelle etnee, come le più vicine a risentire gli effetti di ogni risveglio eruttivo. Molto, è vero, ha progredito da noi la sismologia in que- st’ ultimo decennio ; sì per il grande impulso che ha ricevuto dall’ Ufficio Centrale di Roma, auspice il Comm. Tacchini, sì anche per l'iniziativa privata; e noi abbiamo il vanto che al- l'estero si adottano i nostri strumenti e che un assistente del nostro Ufficio centrale, (Il D.r Agamennone) è stato chiamato ad impiantare il servizio geodinamico a Costantinopoli, ma mol- to ancora ci resta da fare per lo studio esatto del terribile fe- nomeno. Mineo, 10 Dicembre 1896. Memoria VELI. Ricerche petrografiche e geologiche sul Capo Tindari e dintorni di Patti DESCRIZIONE TOPOGRAFICA Sulla costa settentrionale dell’ isola di Sicilia e proprio in mezzo all’ampio golfo limitato a Levante dal capo Milazzo (My- lae) e a Occidente dal capo Calavà , si avanza il capo Tindari a mo’ di promontorio ad Ovest di Olivieri, piccolo Comune del Circondario di Patti, di cui ne limita la piccola ed amena in- senatura, detta baia di Olivieri. Elevasi maestoso a picco sul mare per un'altezza di 280 metri, in media, e sopra un fronte lungo circa 2200 m., lasciando solo alcune centinaia di metri di spiag- gia sabbiosa e ghiaiosa in alcuni punti, mentre in altri è diret- tamente lambito dalle onde. Il capo Tindari è uno scoglio, un braccio avanzato della catena Peloritana. Dal monte Bissolco, che trovasi sulla detta catena, hanno ori- gine due diramazioni di montagne, che a guisa di contrafforti, allontanandosi dalla catena principale, sì dirigono: da principio tutte e due verso Nord, poi divergono. La prima piega legger- mente verso N. N. EF. e, terminando colle colline della Scala, che vanno fino a Sud delle colline tindaritane: forma la valle della Scala e le estreme colline Pignataro e Pirrera, lambite tutte e due dal Timeto o fiume di Patti. La seconda sì dirige, pria po- co sensibilmente a N. N. O. poi, vicino Librizzi, si divide in quattro rami secondari. Di questi, uno, molto breve, termina a Sud di Patti colle colline San Paolo e Cucrasi; an altro, più ArtI Acc., Vor. X, SerIE 48— Memoria VII. Il 2 Ricerche petrografiche e geologiche sviluppato, cinge ad Ovest Patti e, formando i monti Agatersi, Caruso, Montagna-Reale e Gioiosa-abbandonata, va a terminare col capo Calavà; un terzo termina al capo Negro, e il quarto al capo Piraino vicino Brolo (Circondario di Patti). In generale queste montagne, come tutte quelle del resto della catena Peloritana, offrono un aspetto eminentemente pitto- resco. Esse sì presentano come masse di sollevamenti irregolari, in alcuni punti attaccate in brevi catene; in altri in masse iso- late e disordinate, erte e rocciose, e qua e là denudate, dirupa- te, e divise da profonde vallate, ricolmate da frantumi e da de- trito delle stesse roccie. Conseguenza di questa conformazione orografica è la man- canza di grandi corsi d’acqua e la presenza, nella stagione pio- vosa, di fiumi a sistema torrenziale, che scorrono in valli profon- de, tortuose ed incassate; le quali in molti luoghi si rendono dif- ficili e pericolose per le frequenti frane che vi sì determinano. I corsi d’ acqua più importanti, che fan parte di questo ter- ritorio sono, procedendo da Est ad Ovest: Il fiume Oliveri (He- licon) che tocca Montalbano d’ Elicona e riceve tutti i precipitosi e brevi torrenti, che scendono dalle erte montagne, componenti il primo ramo, da noi accennato, e termina con larga foce ad Est di Oliveri; il torrente Lavatore, che scorre nella valle della Scala e sbocca tra la collina Mongiò e il capo Tindari; il fiume Timeto (‘Timethos) o fiume di Patti, che scorre nella vallata, for- mata dalle due catene principali menzionate, ne riceve gli af- fluenti e mette foce ad Est di Patti. In seguito ad Ovest di Patti vi sono : il torrente di Monta- gna-Reale, il Majaro, il Fetente, il Calavà , il torrente delle Ca- sine, quello di Gioiosa nuova, il Malarma, il Monterosso, il Pi ramo e il rio San Angelo colle due fiumare di Lacco e di Brolo. Tutti questi torrenti scorrono nelle vallate formate dai rami se- condari della seconda catena da noi accennata. Essi esercitano su questa erta e scoscesa sezione di monta- gne un'azione denudatrice assai considerevole; tanto che la for- Le sul Capo Tindari e dintorni di Patti. mazione di trasporto, che a poco a poco si avanza sulla spiag- gia, è assai rilevante. Il gruppo delle colline tindaritane che forma il capo dello stesso nome, collo spazioso altipiano sovrastante, ove sorgea l’ an- tica città, stanno a Nord, poco distante delle colline della Scala; le falde dell’ uno e l’altro gruppo formano una specie di altipiano, sottostante al tindaritano. Procedendo da Est ad Ovest il capo Tindari presenta un primo sprone, detto capo as, dal lato Est è forato dalla galleria ferroviaria, detta tindaritana. Questo sprone è alpestre e roccioso, ed è attaccato ad una collina detta Carruba. Lo stesso capo a Nord cade con largo fronte perpendicolare sul mare, lasciando, solo nella stagione estiva, alcuni metri di spiaggia. Ad Ovest forma una curva rientrante, ch’ è limitata ad una sporgenza rocciosa assal più alta, detta rocca San Filippo, su cui è fabbricato il santuario della Madonna del Tindari, ad un'altezza di 273, 97. Tra questi due punti cioè, tra il capo Ras e la rocca San Filippo, si apre una valletta con una piccola rupe in mezzo detta rocca La Jacono. Dalla rocca San Filippo andando verso Ovest, il fronte Nord presenta una costa, che s’ innalza sempre alta e perpendicolare sulla piccola spiaggia, e prende il nome di Canale della Madon- na; ad un certo punto questa costa forma un piccolo rientramento a cul si dà il nome di Valle Damosella. Proseguendo, la costa torna ad avanzarsi di più verso il ma- re e prende il nome di Costa della Cisterna, limitata da un se- condo sprone, che sporge grandioso sul mare a forma di un'alta balza, perpendicolare sulle onde. Questo grande sprone è detto Capo Serrieruci e si compone: di un promontorio a destra detto rocca Donnavila e di due al- te vette erte e scoscese a sinistra, che stanno l'una dietro l’ al- tra poggiate sopra la stessa rocca Donnavila. Queste due vette formano il punto più alto e più sporgente nel mare di tutto il capo Tindari. 4 Iticerche petrografiche e geologiche Sulla rocca Donnavila, vi è una profonda caverna detta Grotta di Donnavila, ma ad altezza quasi inacessibile al visita- tore. Sul dorso e proprio al lato destro della stessa rocca è in- cavata una via privata, fatta costruire dal Barone Sciacca della Scala, la quale conduce dalla sommità dell’ altipiano tindaritano alla spiaggia. In questo punto, e proprio un po’ verso la Costa della Cisterna, v'è una massa d’acqua, chiusa tra la roccia e la sabbia, formante una specie di laghetto, detto Marinello. Talvolta, durante la stagione invernale, il mare comunica con questa massa d’acqua e forma una specie di bacino, detto porto di Tindari, ove trovano ricovero barche pescherecce, anche di me- diocre tonnellaggio. Pria di lasciare il capo Serricroci, notiamo che alla sua base vi è una considerevole quantità di blocchi, giacenti in mezzo alle onde. Andando sempre verso Occidente, a sinistra di questo capo st apre una profonda ed amena valle, detta dell’ Olmo, il cui limite ad Ovest è formato da un terzo ed ultimo sprone. Questo da principio forma una balza detta rocca del Cacciatore e una altra più sporgente, che cade perpendicolare sul mare, detta roc- ca Magazzinaccio ; indi gira isolato e forma il limite occidentale dell’ altipiano tindaritano ; poi volge a mezzogiorno e tenendosi sempre alto e perpendicolare, forma un’ alta balza, detta rocca della Femmina. Questa cade a picco sul terreno sottostante, segue verso Est formando l’orlo meridionale dell’ altipiano tindaritano e fa- cendosi meno ripida vicino la strada che porta al Santuario, va ad unirsi alla rocca San Filippo, che, come abbiamo detto s° in- nalza a destra del capo Pas. Così da questa rocca vien formato 1’ orlo dell’ altipiano che guarda ad Est. Riassumendo osserviamo, che il gruppo delle colline tinda- ritane s' innalza : ad Est sulla piccola spiaggia di Oliveri, a Nord sul mare, ad Ovest sulla valle del Lavatore ed a Sud sul- sul Capo Tindari e dintornì di Patti. 5) l altipiano sottostante, proprio sulle fertili contrade dette: ,Scrozzo, Mendolito e Santa Panta. Quella porzione del gruppo delle colline della Scala, che guardano verso il Tindari, risulta formata da due parti: Una, più sviluppata, comincia sopra Oliveri con un piccolo poggio detto Ctarametaro, continua con due alte colline dette /7zz4-Marnca e termina con due altre più alte dette P/zz:-Palmentelli; V altra sviluppasi dalla collina Carubba e segue fino al Pizzo dell'Uovo. Quest’ ultimo pizzo è staccato dai Palmentelli da uno sco- sceso burrone detto burrone Zangara. Sulle falde di quest’ ulti- ma parte di colline è tagliata la strada che da Oliveri porta a Patti, passando per 1’ Osteria del Tindari. I contadini del luogo chiamano montagne anco le piccole colline, la cui massima altezza raggiunge poco più dei 300 me- tri, fatta eccezione di quelle della Scala, che s’innalzano fino a 500 metri. I nomi di cui ho fatto uso, li ho raccolti dalla bocca degli stessi contadini del luogo. STUDIO PETROGRAFICO Calcare--La roccia principale che forma le colline del gruppo tindaritano è costituita di calcare cristallino, iniettato in tutti 1 sensi ed in tutte le direzioni da filoni granitici. È ricoperta ge- neralmente dal detrito delle rocce circostanti, spesso da vegeta- zione e in alcuni punti dagli scisti cristallini che su di esso sì appoggiano. Esso viene a giorno alla Grottaccia e, continuando alla collina Carrubba e al capo Ras, gira intorno a tutta la rocca della Femmina, e segue fino alle colline della Scala. In generale questo calcare è di color grigio-cinereo-oscuro 0 bianchiccio, a struttura saccaroide, di tanto in tanto lamellare © squamoso e spesso variamente colorato da sostanze estranee ad esso frammiste. Talora è attraversato da larghe venature bianche spatiche, che alla rottura mostrano il clivaggio del romboedro della calcite. 6 ricerche petrografiche e geologiche Le fenditure e le caverne, che abbondano in tutta la roccia, sono tapezzate da incrostazioni e da stalattiti calcaree. Le varietà di questo calcare cristallino sono numerose, noi ne esamineremo brevemente le principali : a) Alla collina Carrubba è di color grigio-cinereo, finamente granulare, abbastanza duro e attraversato da venature spatiche; nella parte sovrastante e proprio nella cava corrispondente sulla strada , il calcare ha un colore che tende al bianco-sporco , la struttura in alcuni punti è squamosa, in altri finamente cri- stallina; è quà e là frammisto ad una verietà a grana finissima e tendente al color giallognolo. b) Al capo Ras assume un color grigio-plumbeo-oscuro, a grana fina, attraversato in tutte le direzioni da innumerevoli venature spatiche che in certi punti gli comunicano una certa sfaldatura distinta. Quà e là, sparse nella massa sono innume- revoli fenditure e geodette ripiene da venuzze di calcite cristal lizzata di color giallo-chiaro, e ricoperte da una materia ocracea pulverulenta; le geodette più grosse sono tappezzate da cristallini di calcite scalenoedrici ben distinti e ricoperti di ocra. Inoltre in alcuni punti si osservano piccoli granuli di materia talcosa. Nel suo insieme la roccia presenta un aspetto scistoso. Da un punto all’ altro questo calcare varia, in fatti men- tre in un luogo è finamente cristallino, saccaroide e d’ un bian- co-ceruleo , in altri diviene bruno e ricco di venature spatiche (vedi i campioni n. 8). La massa superiore tende al color gialliccio e gli strati sono talmente tortuosi e rotti che la roc- cia si presenta quale informe ammasso senza stratificazione. Caratteri microscopici—Al microscopio la roccia si mostra minutamente granulare, i granuli sono completamente incolori, e talora lasciano scorgere le linee di sfaldatura del romboedro ; in alcuni punti questi granuli si fondono assieme per costituire CI sul Capo l'indari e dintorni di Patti. dei romboedri molto grandi, in cui è più appariscente la sfal- datura. Cosparsa nella roccia si trova una minuta polvere nera , opaca, alcune volte addensata in modo che forma delle macchie per lo più molto allungate. I singoli granelli di questa polvere mostrano un contorno regolare, tanto da lasciarsi riferire a dei cristallini. La presenza nella roccia di cristallini di limonite, pseudomorfica nella pirite, ci fanno sospettare che la natura dei descritti granelli sia la stessa (vedi preparato n. 8). Questo fatto spiegherebbe la ragione, perchè nei punti più esposti alle intem- perie la roccia diventi giallastra o rossastra. c) Procedendo verso ovest, quasi sotto la rocca Lo Jacono, il calcare varia gradatamente di aspetto, la grana cristallina diviene più grossetta, la struttura leggermente granulare, il co- lore più oscuro, quasi plumbeo. La polvere ocracea abbonda di più, tanto che toccando i campioni rimane attaccata alle dita, 1 cristallini scalenoedrici si fanno più rari. Un po’ più avanti ritorna finamente cristallino, molto duro e con frattura quasi regolare. d) Sotto proprio la rocca S. Filippo, in certi punti limitati si trova un calcare a grana un po’ più grossa, i cui campioni sì fendono in tutti i sensi e presentano nelle facce di frattura degli straterelli di argilla scistosa, che la rendono un po’ fragile ed incoerente. Nelle geodette e nelle facce di separazione trovansi le solite incrostazioni di calcite, i cui cristallini si presentano più grossetti e molto splendenti. e) A questa varietà succede un calcare simile a quello componente il fronte Nord del primo sprone, ed in generale si ripetono le varietà anzi accennate, così che dal color grigio-scu- ro sì vede passare al ceruleo, al biacchiccio, al gialliccio ecc. Quel che importa notare in questa località si è la presen- 8 Ricerche petrografiche e geologiche za di grossi noduli spatici a struttura lamellare, con sfaldatura romboedrica , di color bianco-cinereo tendente un poco al roseo e con una certa lucendezza madraperlacea. Ad essi sono associati minuti cristallini di pirite d’ un bel colore giallo-ottone ; nelle superficie di frattura abbonda la solita ocra gialla e sottilissime incrostazioni d’ una sostanza verdastra cloritica. f) Vicino la porta della via che dalla spiaggia porta allo altipiano, il calcare è eminentemente saccaroide ed accenna una certa scistosità, il colore è grigio-ceruleo ed in alcuni punti quasi bianco. Quivi abbondano più che altrove le solite incrostazioni di calcite, coperte di limonite e di polvere ocracea. 9) A sinistra della sovraccennata porta, affiora rasente al terreno un calcare di color-verdastro-scuro, cloritico, con vena- ture spatiche splendenti, associato ad una varietà calcarea gra- nulosa di color giallo-ferruginoso (vedi camp. n. 7). Interessante è la presenza di questa varietà verdastra che affiora appena , sotto forma di lente e non si ripresenta altrove. Caratteri microscopici. — Al microscopio questa roccia sì presenta formata principalmente da grosse lamelle spatiche, spes- so flessuose e solo in alcuni punti sostituite da una minutissima granulazione di calcite. L'insieme della roccia sia in lamelle che in granulazione mostra una micro-fluttazione attorno a dei granuli di natura differente ( vedi preparato n. 7 ). Questi ultimi sono di felspato, di quarzo e di sostanza cloritica di cui non si saprebbe precisare l’ origine. Potrebbe considerarsi questa roccia come zona di contatto cogli scisti, ma la distanza che la separa da questi ci avverte di esser cauti in simile deduzione. Non è impossibile però che qui si tratti di un calcare cristalli- no rigenerato, ossia fatto a spese dei calcari circostanti, dei gra- niti e degli scisti. Va notato in questa roccia la frequente presenza di cristal- Nol sul Capo Tindari e dintorni di Patti. lini di pirite ben conservata che talora si osserva anche ad oc- chio nudo in forme cubiche. h) In tutto il capo Serricruci il calcare è durissimo, resi- stente alla rottura , di color grigio-plumbeo-scuro , saccaroide e traversato da poche venature spatiche (v. comp. n. 3). Associate ad esso qua e là compariscono le solite varietà di calcare, ma in pochissima quantità. Sono frequenti nella roccia delle fenditure tappezzate di cristallini di calcite ricoperti di os- sido di ferro. Altre volte queste fenditure si presentano cosparse di lamelle di mica. Questa varietà di calcare si estende dal capo Serricruci a tutta la rocca della Femmina, ed affiora fin sotto gli scisti delle colline della Scala, lungo la via che porta a Patti. Caratteri microscopici. — La roccia al microscopio si mo- stra formata da grosse lamelle spatiche, intrecciantisi con delle granulazioni minute, e cosparsa di granelli opachi, neri, di cui abbiamo parlato avanti. Nelle grosse lamelle è frequente il fenomeno della distorsio- ne, e spesso della frattura con sgretolamento in minuta granu- lazione (v. preparato n. 3). Si ripetono qui tutti quei fenomeni di piegamenti, scivolamenti e scorrimenti, che si ottengono an- che artificialmente, sullo spato calcare. ?) Nei blocchi giacenti al suolo , staccati dalla roccia dello stesso capo, vi sono filoncelli di spato calcare, d’ un bel colore bianco con lucentezza madraperlacea; hanno struttura spiccata- mente fibrosa e qua e là sono incrostati di ossido di ferro: que- sti filoncelli appaiono dapertutto , ma è qui che presentano la struttura grossamente fibrosa. k) Sugli stessi blocchi v'è un’ altra varietà di calcare, che raramente si presenta altrove: esso ha struttura saccaroide, AmtI Acc., Vor. X, SERIE 48— Memoria VII. 2, d 10 Ricerche petrografiche e geologiche molte geodette e venature, ripiene delle solite incrostazioni, e un color rosso-violaceo abbastanza pronunziato e diffuso, irregolar- mente ove più ove meno (vedi camp. n. 6). È duro e relativa- mente assai resistente alla frattura. Caratteri microscopici. — Questa roccia al microscopio si presenta molto lamellare e in certi punti proprio fibbrosa , que- ste lamelle si alternano con minutissima granulazione. Nella roc- cla sono cosparsi dei granuli opachi, epperò non più neri, ma rossi, che evidentemente sono il prodotto dell’ alterazione (idra- tazione ) di quei granuli opachi, di cui abbiamo parlato nelle rocce precedenti. Questo fenomeno ci spiega la colorazione ros- so-violacea che presenta la roccia. 1) In molti punti della località in discorso e specialmen- te alla base del capo Serricruci il calcare è bituminoso, e dalla rottura emana un odore bituminoso-solfureo abbastanza pronun- ziato. m) Sull’altipiano del Tindari in generale si ripetono le stes- se varietà, predomina però la varietà bruno-plumbea con molte venature spatiche, incrostazioni di ossido di ferro e nelle facce di frattura incrostazioni cloritiche (v. camp. n. 13). Curatteri microscopici. — Questa roccia al microscopio si mostra formata da grosse lamelle alternate con grossi granuli di calcite, nei quali appare chiaramente la sfaldatura romboe- drica. Sono distribuiti nella roccia i soliti granuli neri, opachi, di cui abbiamo più volte parlato. Ma qui essi raggiungono mag- giori dimensioni e si lasciano riferire a forme cubiche. Sono im-' portanti in questa roccia dei granuli di quarzo e delle lamelle di mica, intimamente connessi agli elementi calcari. sul Capo Tindari e dintorni di Patti. Il n) Infine resta a notare che in molti punti dell’ altipia- no il calcare è molto alterato ed impuro. Nella valle dell’ Olmo diviene, per graduali passaggi nettamente scistoso, ricco di pa- gliette di mica, poco duro e facilmente disgregabile. Passa a po- co a poco a calcare marnoso e frammischiandosi alle argille, for- ma le marne, che sì riscontrano nell’ anzidetta valle. In certi punti diviene terroso e friabile. Granito Non meno interessanti sono le varietà delle rocce graniti- che che affiorano e s’intercalano fra il calcare. Prevale la pe- gmatite che mostra con chiarezza i suoi principali elementi, cioè: quarzo, feldspato e mica. a) Una prima varietà di pegmatite, (1) presa sulla parte più alta dell’ altipiano, si presenta d’ un color bianco tendente al roseo. Il quarzo, di aspetto vitreo, v'è disseminato a granuli distinti; il feldespato, molto più abbondante, sì presenta ad ele- menti più grossi, di color bianco lucido, tendente un po’ al ro- seo e la mica v'è sparsa irregolarmente in piccole laminette. Questa è di color bianco a lucentezza perlacea, con ritlessi leg- germente dorati; in certi punti assume un color bruno-gialliccio o verdastro, ed in altri un bel giallo d’ oro. Nei piani di frat- tura della roccia, dove la mica è specialmente accumulata , si associa all’ossido di ferro, e prende un colore rossiccio-giallognolo- bruno; mentre nella pasta feldspatica conserva il color bianco- perlaceo con bella iridiscenza (vedi camp. n. 16). L’ ossido di ferro comparisce pure nelle numerose venature della massa rocciosa. (1) HorFManN, nelle sue Geog. Beob. riguardanti la Sicilia pag. 357, chiama questi filoni di pegmatite, strisce di gneis. 12 Iticerche petrografiche e geologiche Caratteri microscopici. —Gli elementi essenziali che presenta al microscopio sono: quarzo, feldspato ( ortoclase e plagioclase ) e mica chiara; gli elementi accessorii sono : clorite ed apatite (Vil prepaa.io.. Il feldspato ed il quarzo s' intrecciano a costituire la strut- tura pegmatitica. Il quarzo è ricco d’ inclusioni minutissime li- quide, ed inoltre presenta molte linee di rottura, distribuite ir- regolarmente, che per lo più non influiscono sulla direzione di estinzione ; altre volte invece producono un’ estinzione ondulosa, e più raramente dividono il granulo di quarzo in altri granuli più piccoli ad estinzione differente. Ciò dimostra che la roccia, benchè sottoposta a delle forti contrazioni, non ha subìto delle distorsioni rilevanti. Il feldspato ortoclasico è molto caolinizzato e non lascia riconoscere il suo contorno, venendo questo deter- minato dal quarzo, col quale s’ intreccia. Il plagioclase è in generale meno alterato dell’ ortoclase. e, dal piccolo angolo di estinzione, va riferito alla serie più acida, con molta probabilità all’ oligoclase. Non è stato possibile constatare la presenza del microklino, ciò avvalora l’ ipotesi suesposta a proposito del quarzo. La mica chiara, muscovite, sì presenta spesso accompagnata da un po’ di clorite, la quale è anche sparsa qua e là isolata- mente, e devesi riferire, con molta probabilità, ad alterazioni di biotite. Delle macchiette nere circondate da limonite rossastra, non che delle venature della stessa limonite, e delle fenditure nella roccia riempite da questa sostanza, fanno arguire la presenza di un po’ di magnetite nella roccia fresca. L’apatite è poco abbondante. b) Nello stesso luogo dell’ anzidetto campione, evvi una varietà di pegmatite (v. camp. n. 16 bis) che in massa si pre- senta d'un colore più oscuro del primo : il quarzo è di aspetto simile a quello del precedente, però i granuli sono più grossi e sal Capo Tindari e dintorni di Patti. 15 più frequenti, il feldspato è di color bianco-grigiastro, la mica bianca con lucentezza perlacea. Importa notare in questo cam- pione una sostanza verdastra-oscura , a struttura minutamente scagliosa, untuosa al tatto, tenera da farsi scalfire con l'unghia, e dà una polvere grigio-biancastra. Questi caratteri fisici por- tano con molta probabilità alla clorite. In alcuni punti però la sostanza si presenta compatta, traslucida in modo che fa sospet- tare la presenza della steatite. Gli elementi di questa roccia si dispongono quasi a strati, formando una specie di grossa scisto- sità : infatti, esaminando attentamente i blocchi di mediocre grossezza , gli elementi si vedono schiacciati in un dato senso, di modo che ricordano la struttura dello gnels. Caratteri microscopici. Questa roccia al microscopio si pre- senta molto simile a quella anzi descritta, però il quarzo è molto più abbondante da superare in certi punti lo stesso feldspato. Anche la mica è abbondante. La sostanza cloritica, ch'era appena accennata nella roccia precedente, quì ha maggiore sviluppo. L’ apatite vi è in molta abbondanza. c) Nella parte superiore del capo Serricruci, sul pizzo che resta a sud, affiora, tra gli scisti argillosi ed il calcare, un filo- ne granitico a fina grana somigliante ai graniti del capo Mi- lazzo. È di color grigio tendente al roseo, il quarzo v'è dissemi- nato a granuli grigio-oscuri, che s'intrecciano col feldspato bian- chiccio, e la mica è diffusa a piccole squamette. Questa roccia per il modo di presentarsi è riferibile alle api. Caratteri microscopici.—Gli elementi di questa roccia sono gli stessi di quelli delle due rocce precedentemente descritte ; (1) HoFFManN op. cit. la chiama granito. 14 ticerche petrografiche e geologiche ma si avvicina di più alla seconda per la sua ricchezza in quarzo. Questo è frequentemente fratturato e presenta la estinzione ondulosa, o la disorientazione dell'estinzione dei diversi granuli; non raramente la sua superficie è sagrinata. Il feldspato è molto caolinizzato , pur tuttavia sì può an- cora riconoscere che esso va riferito in parte all’ortoclase e in parte al plagioclase. La mica è abbondante e costituisce delle fasce lamellari, intercalandosi tra i singoli granuli di quarzo e di feldspato; altre volte forma delle masse a struttura fibro-rag- giata. Essa è perfettamente incolora; ma spesso accompagnata da clorite giallastra, la quale dà a sospettare 1’ esistenza della biotite nella roccia fresca. Questa roccia è ricca di apatite. d) Sulla stessa località si trovano delle varietà di pegma- tite con grossi noduli di quarzo laminare di color bianco-por- cellana, tendente un po’ al latteo ; il feldspato vi scarseggia, ab- bonda invece la mica, ch’ è disposta a lamelle ammassate le une sulle altre, lucentissime e di color bianco-argenteo. e) Qua e là si trova, a grossi noduli, una varietà di peg- matite, che fa passaggio alla quarzite; sono blocchi formati d’ una pasta finamente granulare, color grigio. Il feldspato vi è in quantità scarsissima ed è laminare con un bel colore bianco-roseo; la mica manca quasi del tutto. f) I cristalli isolati di quarzo scarseggiano, anzi sono rari, ne ho trovato alcuni impiantati nella roccia pegmatitica che affiora lungo la via che dal Santuario conduce alla rocca della Femmina. 9) Il gneis è scarsamente rappresentato , affiora di tanto in tanto al capo Serricruci, alla cui base si mostra un po’ chia- ramente; ma la scistosità di questo gneis è imperfetta. sul Capo Tindari e dintorni di Patti. 15 VWcisti. Interessanti pure sono gli scisti per le varietà che presen- e 1 DE ; tano. Essi stanno superiormente al calcare; e nella Valle dell'OI- mo e sulle falde meridionali dei pizzi del capo Serricruci , si vedono rovesciati in giù da un filone pegmatitico. a) Un primo campione di scisto è lucente, duro, di colo- re bruno-scuro, tendente al violaceo. Osservandolo attentamente (v. camp. n. 11) risulta composto di due parti: una oscura, luc- cicante, costituita da squamette di mica, che colla loro distribu- zione in istrati paralleli determinano la struttura scistosa della roccia; l altra parte è chiara minutamente granulare a splendore tra il vitreo ed il grasso, e forma delle lenti schiacciate, caratteri stiche anche della struttura scistosa. Di tanto in tanto si nota qualche venatura quarzosa, che attraversa la massa della roccia. Caratteri microscopici—Al microscopio mostra di essere una roccia costituita essenzialmente di quarzo e mica oscura (biotite). Il quarzo è in granuli, piuttosto grandetti, ma alla luce pola- rizzata si risolvono in un aggregato a mosaico. La biotite mostra delle sezioni trasversali con pleocroismo fortissimo, mentre secondo la base non ne mostra affatto e pre- sentasi sempre con una tinta bruno oscura. A luce convergente mostrasi uniasse ; presenta inclusi aciculi fortemente rifrangenti riferibili a ruzzlo. Nella roccia sono anche presenti dei granuli di feldspato , benissimo conservati, tanto da confondersi facilmente col quarzo, il quale è realmente molto abbondante, da far valere alla roccia il nome di gneis quarzoso (v. prep. n. 11). b) Un altro campione, preso a poca distanza del primo, è di color più rossastro ed oltre alla scistosità normale, ne presenta una trasversale, che gli dà l'aspetto fibbroso come il legno; la- 16 Ricerche petrografiche e geologiche sciandosi riferire a quelle varietà di gneis chiamato legno-gnets (Holz-gueis), oppure gneis-fibbroso (Fraser-gneis) dei Tedeschi. Questo scisto si può facilmente sfaldare secondo la direzione delle fibbre in lamine di varia grossezza. Caratteri microscopici. — Questa roccia al microscopio si mostra simile alla precedente ; ma essendo un po’ alterata il feldspato vi comparisce più nettamente e vi si mostra più ab- bondante, pur restando un gneis ricco di quarzo. c) Delle altre belle varietà di scisti cristallini violacel sì rinvengono nello stesso luogo, sono duri e si possono dividere in foglie di vario spessore ; in essi la mica è lucente ed esilissima. d) Altri campioni si presentano a scistosità meno perfet- ta degli anzidetti, sono poco lucenti e impuri; non hanno uni- formità di colore nè di struttura, anzi sembrano formati dalla riunione delle specie sopra descritte. Contengono interclusi no- duli di quarzo bruniccio e di feldspato sensibilmente tubulare ; sono duri e non ben divisibili in lamine o fibbre. e) Ben rappresentati sono gli scisti argillosi nella Valle dell’ Olmo, dove gradatamente passano a veri argilloscisti ed as- sumono un color grigio-verdastro. Sono buone argille plastiche adattatissime per la ceramica. Anzi sono ritenute dal compe- tente cavaliere canonico Ajello, di gran lunga superiori a quelle che si scavano a Patti. Ad esse succedono le argille ferruginose, scagliose, che cuo- prono buona parte della detta valle; e queste hanno aspetto si- mile alle eoceniche che si trovano a Patti. Una roccia importante per la struttura che presenta , gia- ce alla base delle mura occidentali dell’ antica Tindari, e forma il tratto di terreno, su cui era la Necropoli. Essa non ha che fare cogli scisti anzidetti; infatti la scistosità è molto imperfet- sul Capo Tindari e dintorni di Patti. rd ta, e gli elementi vi sono sparsi irregolarmente ed a grossi gra- nuli. Vi sono noduli di quarzo bruniccio in molta abbondanza , noduletti di feldspato in minore quantità e laminette di mica, color giallo d’oro. Questa roccia mostra evidentemente di essere il prodotto della decomposizione della pegmatite. In massa pre- senta una tinta in cui predomina il giallo d’ oro. Essa, ch’ è poco resistente, facilmente disgregabile e friabile, forma tutto 11 terriccio del terreno circostante. Brecce. — Nelle linee di frattura, prodotte nella roccia cal- carea dai filoni di pegmatite, tra le due rocce, si sono formate delle brecce, composte di frammenti di calcare cristallino e di pa- gliuzze di mica. Sono fortemente cementate e resistenti alla rottura, però non compatte, perchè attraversate da innumerevoli venature e geodette, ripiene o tappezzate di ossido di ferro, e di bei cri- stallini scalenoedrici di calcite ricoperti di limonite, ed alcuni, raramente, con facce nude e lucenti. Molte di queste brecce sono colorate d’ un bel violetto, o sono rosee, rossicce ecc.; però non possono servire per l’ industria ornamentale a causa delle nume- rose geodette ed incrostazioni ferrose. Arenarte.-— Lungo la via, che dall’ Osteria conduce al ,San- tuarto della Madonna di Tindari, quasi a metà strada, ove il pendio si fa più ripido; riposa, sul calcare, un banco di arena- ria, arcose: che per graduali passaggi va dalla varietà a grana grossolana, cogli elementi discernibili ad occhio nudo, poco ce- mentata e facilmente disgregabile, ad un’arenaria a grana fina, dura e compatta, mista a pagliuzze di mica, Esaminando la gra- dazione della grana, ho scelto sei campioni: Il primo è um’ ar- cose, che mostra a vista i frammenti arrotondati provenienti dalla decomposizione delle antiche rocce; è poco cementata e si presenta allo stato di tufo: appena toccata, si sgretola. Il se- condo ha grana più fina, è della stessa natura del primo, ma più consistente. Il terzo, quarto e quinto passano sempre gradata- ArtI Acc., Vor. X, Serir 42— Memoria VII. 3 18 Ricerche petrografiche e geologiche mente a grana più fina, finchè il sesto risulta compatto, duro ed a grana finissima. Un po’ più in alto ricomparisce un banco di argille scagliose , simili a quelle della valle dell’'Olmo; esse poggiano colle arcosi, e sono frammiste a calcari ed a scisti in decomposizione. OSSERVAZIONI STRATIGRAFICHE, GEOLOGICHE E STORICHE Esaminate così brevemente le rocce di questo gruppo di col- line, sotto l’ aspetto petrografico, daremo ora un cenno geologico sulla loro complicata formazione. Dalla somiglianza dei caratteri petrografici, che passano tra il terreno cristallino del capo Tindari e quello che affiora al capo Milazzo, a Rometta a S.8 Lucia del Mela, a Castroreale, al monte Scuderi, a Itala e qua e là lungo la catena Peloritana; il Prof. Se- guenza e gl’ingegneri Baldacci e Cortese ritenere il calcare delle colline tindaritane del Laurenziano od Huroniano. È, secondo quanto è detto nella Descrizione della carta geologica e in varî lavori dei sopra citati autori, la formazione /aurenziana e la hu- roniana, in Sicilia, sarebbero rappresentate dagli scisti cristalli- ni, dagli gneis e micascisti centrali e dal calcare grigio o bianco cristallino. Le filladi, i graniti con altre rocce accessorie rappre- senterebbero il SWurzano. Crediamo ancora molto azzardata la determinazione geolo- gica dei terreni sopracennati. Sicuramente essi appartengono alla serie più antica, rappresentata con rocce analoghe sulle Alpi e nella Catena metallifera. Dal complesso dei caratteri della nostra formazione è proba- bile, che essa debba riferirsi alla parte superiore dei terreni cri- stallini, senza però precisare se debbasi riguardare come Lauren- ziano, Huroniano, oppure Cambriano. Calcare. — Il calcare, coperto qua e là dai relativi scisti cristallini, è riferibile, secondo quanto abbiam detto avanti, alla sul Capo Tindari e dintorni di Patti. L9 formazione medesima. Viene da principio, e proprio sopra Oliveri, a contatto con le rocce granitiche e scistose, formanti il lembo Est del gruppo delle colline della Scala. Per queste rocce , i sopra detti geologi non si pronunziano definitivamente , se deb- bano riferirsi al Siluriano o Cambriano. Il calcare in discorso co- mincia al poggio Ciarametaro e venendo a giorno alla Grottuc- cia e alla collina Carruba si sviluppa al capo Ras, e gira per tutto il capo e Vl altipiano tindaritano, estendendosi fino a for- mare la collina Mongtò. Dalla collina Carruba fino ad un poco in là dell’ Osteria del Tindari il calcare viene a contatto coll’ Eocene inferiore, rap- presentato dalle arenarie argillose e grossolane, dalle marne-com- patte verdastre, e qua e là da macigni e conglomerati di ciot- toli di diversa natura. Questa formazione riposa in alto, a sini- stra della via che porta a Patti, sulle falde settentrionali delle colline della Scala, e si estende molto lontano, fino al di là delle colline Pignataro. (1) Dal punto anzi detto, cioè vicino l’ Osteria, fino a tutta la collina Mongiò, la formazione calcarea vien saparata dal con- tatto coll’ eocene inferiore, da una striscia di eocene medio, com- posto dalle argille variegate scagliose e dai calcari marnosi, che si estendono fino alla riva destra del finme Timeto e stanno in intimo contatto, da un lato con / eocene inferiore, e dell’al- tro col recente alluvionale. Da quanto abbiam detto, risulta che la roccia predominante delle colline tindaritane è il calcare cristallino. Esso è netta- mente stratificato, a strati abbastanza spessi, inclinati da S. S. E. a N. N. O., con direzione da N. a S.; questi strati sono spesso rotti, inflessi e contorti in tutti i sensi dai filoni pegmatitici , che, infiltrandosi nella massa rocciosa, la sconquassarono talmente, da renderla eminentemente franosa. Vi abbondano perciò inac- cessibili ed oscure caverne, tappezzate di stalattiti e larghe e (1) Vedi carta geologica della Sicilia, foglio di Castroreale n. 253. 20 Iicerche petrografiche e geologiche profonde fenditure, che percorrono la roccia in tutti i sensi. Ove gli strati sì presentano più o meno inclinati regolar- mente è alla base del capo as e della rocca ,S. Filippo; a sì- nistra di questa sl osserva una discordanza tra i superiori e gli inferiori, e ciò causa di un filone di pegmatite, che spostò gli strati superiori riportandoli in alto. È bene notare che gli strati non hanno lo stesso spessore in tutti i punti; ma variano da un livello all’altro, come da un capo all’ altro. In alcuni punti raggiungono uno spessore che va dai 25 ai 30 cm. in altri non giungono che appena ad un decimetro. Bisogna osservare pure che da uno strato all’ altro il calcare varia, e cambiando di colore, dà alla roccia un aspetto zonato. Graniti.—Il massimo sviluppo dei filoni granitici è al capo Serricruct : quivi è un vero caos, una gran confusione di rocce, la calcarea è del tutto frantumata e sconvolta, gli scisti sparpa- ghati qua e là disordinatamente e la pegmatite in grandi filoni, che serpeggia in tutti i modi e in tutte le direzioni, attraverso il calcare e gli scisti. Le diramazioni della pegmatite sono innumerevoli ed ab- bastanza frastagliate, lunghe e sottili ; s1 vedono continuare fino al taglio della strada, che porta a Patti, ove si presentano molto irregolari, flessuose e franate in mille guise. Scisti-Gli scisti in generale riposano sul calcare, compari, scono al poggio Ciarametaro, coprono le falde inferiori setten- trionali dei pizzi Palmentelli, in quella parte ov'è tagliata la por- zione di strada, visibile dalla stazione ferroviaria, e si estendono in gran parte sull’altipiano dell’Osferza del Tindari. Quivi per buon tratto scompariscono, per ricomparire in alcuni punti della via che porta al Santuario; ma si vedono sottostare alle arcose e agli ammassi di argille scagliose-ferrose. Dove si vedono confusi col calcare, coi graniti e con le argille, è sul dorso del capo ici sul Capo Tindari e dintorni di Patti. 2. Serricruci; e sono pure franati lungo il pendio dello sprone /own- navila, ov è scavata la via privata del Barone della Scala. In questa località, scisti, calcare e pegmatite, per un tratto della larghezza di circa 100 metri, sono coperti da brecce e conglomerati diversi, da cumuli di ciottoli fluviali e marini (incrostati abbondantemente di ossido di ferro), non che da ghiaie ed altri prodotti che dimostrano evidentemente essere provenienti dal trasporto fluviale delle rocce antiche circonvicine. Ghiaie.--Quasi su tutta la parte occidentale dell’ altipiano, specialmente nella valle dell’ Olmo e nel piano Cercadenari, vi- posano banchi di ghiaie, che vanno dalle grossolane alle fina- mente granulari e alle sabbie. Esse, insieme a tutto il terriccio sovrastante, provengono dalla scomposizione continua della peg- matite e degli scisti. Le ghiaie, quasi esclusivamente prodotte dalla pegmatite , sono abbastanza ferruginose; e sono utilissimo materiale all’ im- piego della fabbricazione dei mattoni refrattari. Ciò assicura il Rev. cav. Ajello ch'è competentissimo in tale industria. Anche il terreno è fertilissimo, di fatti belli e floridi vigneti vegetano su questo esteso altipiano, e specialmente le viti ame- ricane; vi crescono pur bene i cereali, i legumi e gli alberi da frutta. Credo opportuno, dopo quanto si è detto , di esporre al cune osservazioni intorno alla disastrosa frana, che diciannove secoli addietro, precipitò in mare , trascinando seco gran parte dell’ antica città di Tindari. Nella valle Damosella e lungo la costa della Cisterna, specialmente nel tratto ov’ è incavata la via privata, che dall’ altipiano conduce alla spiaggia, appariscono ancora i segni da dove si staccò l’ antica frana. Qui si vede la roccia viva, da cui dovette staccarsi il grande ammasso, tagliata 22 Iicerche petrografiche e geologiche a picco, dimostrando chiaramente l'origine della catastrofe. Alla base, nella spiaggia sottostante, si vedono in mezzo al mare, co- perti completamente dalle onde, una serie di grossi blocchi, che si estende dal capo Serricruci fino a quasi tutta la costa della Cisterna; è chiaro che questi blocchi ebbero origine della frana anzi accennata. Ora se dopo diciannove secoli il mare, che quivi d'inverno è quasi sempre burrascoso, non ha potuto completamente distrug- gere tutti gli avanzi delle antiche rovine; è segno evidente che grandissima dovette essere la frana, che precipitò. A confermare questo basta notare che, lungo il tratto di spiaggia dalla base del capo Serricruci fino ad Oliveri, abbon- dano le ghiaie, 1 ciottoli ed i detriti, provenienti dalle rocce, formante le colline tindaritane; ed in mezzo ad essi vi sono numerosi pezzi di vasi, di mattoni, di cementi e di altri avanzi dell’ antica città. Ciò prova, in qualche modo, che questo tratto di spiaggia ha preso serio sviluppo dall'epoca della catastrofe a questa parte. È risaputo che nella battaglia avvenuta nell’ anno 258 a- vanti Cristo (vedi Cloverio), ai tempi della guerra punica, men- tre i consoli Attilio Catalino e C. Salpicio andavano in spedi- zione a Lipari, si accorsero che delle navi cartaginesi erano na- scoste sotto il promontorio tindaritano. Dove poteano nascondersi queste navi ? Certo, o almeno con molta probabilità, dietro il capo Ras, sotto cui ora si elar- ga una piccola pianura, che va fin sotto il poggio Ciarametaro, nella quale dovea esservi il porto di Tindari. Di fatti, in alcuni punti alla base delle colline, che limitano la detta pianura, sì possono rintracciare, osservando attentamente la roccia denu- data, delle erosioni marine. Del resto nulla di più naturale, che i frantumi, deposti dal mare, assai abbondanti dopo la grande frana, e i detriti trasportati dalle acque torrenziali, avessero , dopo tanti secoli, ricolmato il tratto dell’ antico mare, che ser- viva di porto alla distrutta città. A conferma di questo fatto , sul Capo Tindari e dintorni di Patti. Do basta pensare che il fronte settentrionale del capo Tindari, es- sendo allora, come tuttora, elevato a picco sul mare, non potea offrire neanco mediocre ricovero alle navi africane. Nè queste certamente si sarebbero nascoste sotto la rocca, perchè la città, essendo ostilissima ai Cartaginesi, le avrebbe combattute e cacciate facilmente. Sicchè resta in qualche modo provato , che le navi in di- scorso doveano essere ricoverate, nella detta insenatura, che forse allora formava, nella parte più rientrante , il porto di Tindari. Stabilito il fatto che la frana caduta dovette essere abba- stanza grande, resta ora a dire qualche cosa intorno ad un di- sparere, esistente tra gli storici, che si sono occupati dell’antica città di Tindari, e cioè: se la frana abbia trascinato seco nel mare più di mezza città, come dice Plinio, oppure una piccola parte. Secondo quanto mi è stato possibile di esaminare, e per il naturale succedersi dei fatti, sono indotto a credere, che la frana fu causa, non nello stesso tempo e tutto ad una volta, ma a poco a poco ; della distruzione di gran parte della città. Ciò lo rilevo dal seguente fatto: La città si estendeva in gran parte nel piano Cercadenari che corrisponde a Nord della rocca della Femmina, e si avanzava verso l’ orlo dell’ altipiano , occupando tutto lo spazio, che va fin sotto l’attuale Santuario. Quivi il terreno è eminentemente franoso, perchè formato da una miscela di argille, di scisti sconvolti, di calcare e di pegmatite, allo sta- to di avanzata decomposizione; non che dai ciottoli e da conglo- merati d’ un antico letto di torrente. Or essendo stato portato via, dalla grande frana, l’ orlo della roccia, naturalmente il piano sovrastante dovè prendere una ac- centuata inclinazione con discesa verso il mare , fatto che tut- t' ora si osserva. Ridotto |’ altipiano in tale condizione , man mano che le acque s’ infiltravano , si determinavano delle frane parziali, che grado grado spostavano il terreno, facendolo scivo- lare, parte nella valle dell Olmo e parte sul dorso e sul pendio 24 Ricerche petrografiche e geologiche dello sprone Donnavila. Quivi lungo il taglio della strada fatta costruire dal B.ne della Scala, la quale conduce dall’ altipiano alla spiaggia , ho trovato frammisti ai ciottoli, alle ghiaie e al terriccio, pezzettini di anfore, di vasi, di mattoni, di pavimen- ti ecc: ruderi tutti della distrutta città. Questi fatti a parer mio mostrano , che l'antica città, dopo la tremenda frana, dovè se- guitare a ruinare, poco alla volta, causa delle parziali frane, che si succedevano. Per conseguenza gli abitanti, atterriti, dovettero in principio cercare di opporre riparo, ma poi finire, coll’abban- donare completamente gli edifici, che coll’ andar del tempo crol- larono e furono sepolti dalle frane. Basta osservare bene la posizione e la natura del terreno di questa parte di altipiano, per essere persuasi che , realmente la maggior parte della città, fu distrutta dalla disastrosa frana e da quelle che da essa ebbero origine. Esiste ancora un’ altra discrepanza tra gli scrittori, che si sono occupati della storia di Tindari, relativamente alla vera causa che determinò la famosa frana. Plinio, nella sua Naturalis Hi- storia. Libro LI, pag. 206 (dimidiam Tyndarida urbem), conserva memoria della grande catastrofe, toccata alla misera città ; di- cendo, che le erosioni marine tolsero alla Sicilia metà della città di Tindari. Or alcuni vorrebbero far risalire la causa alla sola erosione marina e alla natura della roccia, altri a forte terre- moto. Quanto a me son d’ avviso che fu il complesso di questi fattori, che concorse a determinare la frana; essendo di seconda- ria importanza la erosione marina. Noi abbiamo già notato la roccia calcarea scossa e frantu- mata in tutti i sensi dalla pegmatite, che è in molto avanzata scomposizione, e perciò eminentemente franosa e cadente, tanto sul Capo Tindari e dintorni di Patti. 25 che i blocchi si staccano, con massima facilità là dove il filone pegmatitico è iniettato. L'acqua, che dall’ ampio suolo dell’altipiauo, s° infiltra nelle fenditure e nelle piccole e grandi vene, non trovando via di uscita, esercita una forte pressione nell’ ammasso roccioso e ne prepara, e spesso determina, il dislocamento dei grossi blocchi. Inoltre il capo Tindari e le contrade circostanti sottoposti all’ azione sismica vulcanica dell’ Etna da una parte e delle isole Eolie dall’altra dovette sentire, come sente tutt'ora, le continue scosse prodotte dai due centri eruttivi. L'azione risultante da tutte le accennate circostanze ha preparato la grande frana, e qualche terremoto, anco leggiero, ne ha determinato la caduta. Questa mia opinione viene confermata dal fatto, che in Si- cilia dall’ anno 126 avanti Cristo , all'anno 79 dopo Cristo , si successero a brevi intervalli una gran quantità di terremoti. Gli storici, che non sono d’ accordo nel precisare 1 epoca esatta del la grande catastrofe toccata a ‘T'indari, concordano in ciò, che essa dovette avverarsi, o nei primi anni dell’ Era volgare, o po- chi anni avanti. Or dalla Storia dei terremoti in Italia rilevo quanto segue : Nel 126 avanti Cristo : eruzione dell’ Etna ; presso Lipari eru- zione sottomarina, e forte terremoto a Catania (vedîé Diodori St- culi Epistolae in Gr. Th. X.X. 438). Nel 122 a. C. altra rovi- nosa eruzione dell’ Etna. Negli anni 62, 55, 49, 48, e 43, a. C. fortissime e ruinose eruzioni a Vulcano ; e nel 42, 31, 18 e 1, a. C. altre fortissime all’Etna. Naturalmente il capo Tindari do- vè risentire durante tali eruzioni continue scosse. Di più negli anni 3, 20, 38-40, 50, 54. 65 e 72 dopo Cristo, l Etna eruttò fortemente, e scosse tutti i terreni circostanti. Nel 18 dopo Cri- sto si ebbe un forte e rovinoso terremoto in Sicilia, che devastò molte contrade; altri due se ne ripeterono nel 53 e nel 65 do- po Cristo, che si estesero a tutta l’Italia. Fortissimo e disastro- sissimo fu quello del 5 febbraio dell’anno 63 d. C., che devastò gran parte del Napoletano. 26 Ricerche petrografiche e geologiche Osservando che Strabone, nessun cenno fa del disastro di Tin- dari, nè altri storici a lui anteriori ne fan parola ; sono indotto a credere che la disastrosa frana dovè cadere mediante l’influen- za di qualcuno dei terremoti, che si successero dall'anno 18 al 63 dopo Cristo. Memoria VEHEE. Sull' uremia febbrile Ricerche sperimentali di G. B. UGHETTI Prof. di Patologia. Da molto tempo ha dominato in patologia ed in clinica la convinzione che l’ uremia sia sempre contrassegnata da abbassa- mento della temperatura del corpo, tanto che, quando non ha molto, furono notati dei casi in cui la temperatura era salita ol- tre la normale, si attribuì questa apparente anomalia a nuove circostanze sopravvenute. Per non citare che un autore, Jaccoud ha affermato ripetu- tamente che l’ uremia è sempre apiretica, e che per conseguenza ogni qualvolta si presenti un’ ipertermia in un uremico si debba ricercarne la causa nell’ infiammazione di qualche viscere o di qualche sierosa. E molti altri, prima e dopo di lui, hanno detto lo stesso. Il Bourneville però nel 1873 incominciava a fare eccezione per l’ uremia eclampsica. Quasi contemporaneamente Rosenstein aveva notato che nell’ uremia convulsiva l’ elevazione termica può mancare se la morte avviene fin dalle prime crisi, ma non man- ca mai quando lo stato convulsivo dura da molti giorni. Dipoi Bartels, Guyot, Moussous, Tenesson, Chantemesse, Ri- chardière e Thérèse, Gillet, Courdoux ed altri hanno pubblicato casi abbastanza numerosi di uremia con elevazione di tempera- tnra, perchè la cosa meritasse di fermare l’attenzione dei patologi. Infatti, quale spiegazione si può dare dell’ ipertermia ure- mica, che, per quanto si moltiplichino le osservazioni, costituisce pur sempre l’ eccezione di fronte alla ipotermia, che è la regola ? ArtI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria VILI. Il 2 Sull’uremia febbrile. Tutti gli autori che si sono occupati dell’ argomento, rife- rendo qualche caso di uremia febbrile, hanno tentato di illustrar- ne la patogenesi, ma l’ insufficienza della base sperimentale e delle conoscenze sulla patogenesi della febbre in genere, ha fatto sì che le ipotesi fossero molte e nessuna soddisfacente. Chi ha creduto indispensabile una concomitante infiamma- zione, chi ha voluto la coesistenza di convulsioni, e chi è ricor- so alle solite sostanze termogene dell’ urina senza però determi- narne nè dimostrarne l’ origine, e senza dirci se, mancando in- fiammazioni e convulsioni, tra la immensa maggioranza di casi ipotermici ve ne possano essere alcuni febbrili. In presenza di tanta incertezza sulla causa per la quale la temperatura , abbassata nel più dei casi di uremia , sì elevò in altri pochi casi al disopra del normale, ho instituito una prima serie d’ esperimenti allo scopo di ricercare quale sia 1’ anda- mento termico nell’ uremia sperimentalmente ottenuta , e se, dato che si abbia di regola l’'ipotermia, la temperatura possa venire risollevata da qualcuno dei mezzi coi quali si ottiene l’ipertermia negli animali sani. Ho scelto come animali d’ esperimento il cane ed il coni- glio, ma più l’ultimo per tre motivi : 1. perchè la più gran parte delle mie indagini sulla febbre essendo state praticate su questi animali, avevo già in queste ricerche un solido punto di partenza; 2. perchè, data la sensibilità della temperatura dei conigli, questi sì prestano molto a sperimenti del genere; 3. per- giovava confrontare i miei risultati con quelli avuti nel cane da Hughes e Carter. Ecco una breve descrizione degli sperimenti : 4) Cagna bastarda, peso K. 6—Previa cloroformizzazione, chè mi pratico la legatura di un solo uretere. L'animale presenta il primo giorno i soliti fenomeni che seguono ad un’ operazione del genere—La temperatura si ab- bassa di un grado. — Al terzo giorno ha ripreso il livello nor- male. L’ animale allora viene ucciso per cloroformio. Si trova pe Sull’uremia febbrile. 3 l’uretere legato, grosso, turgido, ed il rene corrispondente ha acquistato un volume doppio dell’ altro. Temperature. 17 sett. alle ore 14—39°2 (prima dell’operaz.) 18 settembre alle ore 11 — 38505 15—3802 (dopo » ) 14 — 38526 18—3808 re SS 20 - 38°6 20 — 3807 18 « » » 5—3805 19 » » vv 12 — 3902 8—- » 13 — 3902 B) Cane barbone bastardo, del peso di K. 3 !,— Legatura degli ureteri, previa narcosi clorof. Il cane si mostra fin dal giorno seguente abbattuto, rifiuta il cibo, beve e vomita tosto dopo, è preso da lieve tremito dif- fuso. Tali fenomeni si vanno sempre più pronunziando. La tem- peratura va sempre abbassandosi. Dopo 4 giorni e 3 ore, l’ani- male muore a 36°9 di te. L’autopsia mostra fatti di peritonite semplice limitata al campo operativo. I reni ingranditi circa il doppio. Temperature. 22 nov. alle ore 14—39°4 (giorno prima dell'oper,) 25 novembre alle ore 16 — 3902 23» » » 13—39°4 (prima dell’operaz.) 18 — 390 14—3907 (dopo ») 26» » » 6 — 38°8 18—400 8 — 3807 20—3908 10 — » 22—3905 JO 2200 24 » » » 6—39%4 14 — 390 8—- » 16 — 3902 10—- » 18 — 3904 12- » 19 — 3902 14—-3902 27 » » » 6 — 3893 16—3903 8 — 38° 18—3902 10 — 3799 20—3904 11 — 3792 25» » » 6—39°05 12 — 3791 8 » 3 10-- » 14 — 37° 12—3906 15 — » 14— » L6. — ‘3609 + Sull’uremia febbrile. C) Cane bracco bastardo—peso K. 8—Cloroform. e lega- tura ureteri. Stessi fenomeui del precedente—Vomiti dopo aver bevuto acqua 0 latte—Defecazione—"Tremori intermittenti —Temperatura discendente fino alla morte che ha luogo al 4° giorno. All’autopsia si trova uno dei reni enormemente ingrandito l’altro un po’ meno. Temperature. 1 dic. alle ore 15—39°8 (giorno anteced. operaz.) 4 dicembre alle ore 7 — 3803 2 n n «a 7—39%9 9 — 3804 13—3909 (prima dell’'operaz.) 11 — 3803 14—-39°9 (dopo » ) 13 — » 17—3905 15 — 3798 3» » » B—3904 ÙT—- » 8— » 19 — 3709 10—3902 5) » n» 7 — 36°8 18—3809 8—_ » 15—3807 9 — 3605 17—3806 12 — 36°4 19—3805 13 — 860 21-38°5 15 — 3505 17 — 35092 D) Cane inglese bastardo, di K. 4 !—Cloroformizz. e le- gatura degli ureteri. Presenta gli stessi fenomeni dei precedenti; sopratutto vomiti, abbattimento progressivo, tremolio generale ad intervalli. La temperatura scende gradatamente fino a toc- care 85° 7 il 5° giorno, in cui muore. Temperature. 1 dic. alle ore 15—39°5 (giorno antecedente) 4 dicembre alle ore 9 — 3802 DS » T—3993 11 — 8893 13— 39°5 ( prima dell'operaz. ) 13 — 880 14—38°5 (dopo » » ) log 117-390 17 —- » 3} » » 6—3806 19 — 3605 8— » 5 » » » 7 — 36095 10— » 8—_ » 13—-8807 9 — 3603 15—3805 12— » 17—38°6 13 — 3602 19—3895 15 — 35098 21—3804 7 =- » 4 » » » T_-3802 f9 = 3507 Sull’uremia febbrile. 5 A) Coniglio del peso di K. 1, 800.— Si pratica una pro- fonda incisione lombare bilaterale, come se si volesse eseguire la nefrectomia. Si introduce un dito nella ferita fino ad affer- rare il rene; poi lo si lascia in posto, si lava, si medica e si su- tura la ferita con le norme di prammatica. Tutto ciò senza cloroformizzazione, la quale del resto non viene adoperata in nessuno dei conigli seguenti. La temperatura si abbassa di due gradi subito dopo l’ atto operativo, per risalire in breve al livello normale. Nessun fenomeno degno di nota. Temperature. 17 dic. alle ore 13'/»— 399 (prima dell’ operaz.) 19 dicembre alle ore 8 — 400 15 —88° (snbito dopo » ) 10 — 3908 16 —3807 13 — 3907 18 —39%6 16 — 3906 18 » » » 8 —400 20» » » 8 — 8905 10 —4001 10 — 3906 13 —4001 13 — 3907 16 —40° 16 — 3907 3a] » » » 8 = 8904 A”) Dopo quindici giorni essendo lo stesso coniglio A per- fettamente ristabilito, lo opero di nefrectomia bilaterale, legando l’ ilo al catgut. L'animale è abbattuto, ha tremore fibrillare non continuo e poche scosse convulsive prima della morte, che ha luogo ven- tiquattr’ ore dopo 1’ operazione. La temperatura si era gradata- mente abbassata fino a 35°, cifra segnata !/, d’ ora prima della morte. L’ autopsia non rivela nulla di notevole, salvo le tracce della subita operazione. Temperature. 5 genn. alle ore 14'/,—40° (prima dell’ operaz.) 6 gennajo alle ore 10 — 3505 15 —3704(subito dopo » ) 12 — 3502 6 » » » 7 —3605 13 — 350 6 Sull’ uremia febbrile. B) Coniglio del peso di K. 1,750—Si pratica la nefrectomia di destra. La temperatura abbassata di 1° e !/, dopo l’operazione, risale presto all’ altezza normale. L° animale non presenta di- sturbi apprezzabili e in pochi giorni si mostra del tutto rista- bilito. Temperature. 28 dic. alle ore 14—40°2 (prima dell’operaz.) 30 dicembre alle ore 8 — 8908 15—39°2 (subito dopo» 10 — 3909 16—38°95 12 — 3998 29» » » 8--3905 14 — 3997 9—-3906 16 — 39°6 18— » 31 » » » 8 — 3908 16—3904 13 —-39%7 16 — » bi 3°") Dopo 14 giorni dalla prima nefrectomia, opero lo stesso coniglio B di nefrectomia del rene sinistro. L’ animale si mostra il primo giorno in buone condizioni. Solo il giorno se- guente sopravviene un po’ di tremore, poi delle brevi e lievi convulsioni, dopo le quali muore. Prima della morte la tempe- ratura era discesa di 6 gradi. Temperature. 11fgenn. alle ore 13!/,—40°1 (prima dell’oper.) 12 gennajo alle ore 7 — 350 14 —39°5 (subito dopo » ) 8 — 3409 16 —3807 9 — 3498 18 —38092 10 — 3405 20 —3801 11 - 340 229 —880 C) Coniglio del peso di K. 1,565. Si pratica la legatura in massa dei vasi all’ ilo dei reni (Taglio dorsale bilaterale — estrazione del rene—legatura—rientramento—sutura). L'animale sta tranquillo e immobile il giorno seguente. Il 3° giorno si mostra abbattuto e, dopo un breve ma violento accesso convulsivo, muore. La temperatura scesa di 3° subito Sull’uremia febbrile. ti dopo l’ operazione, risale la stessa sera a 38°, 5 per poi ridiscen- dere fino a 36° un’ ora prima della morte. L’ autopsia mostra 1 reni piccoli, anemici. Temperature. 30 genn. alle ore 9--39°6 31 gennajo alle ore 11 — 3799 13—3904 (prima dell'eperaz.) 13 — » 14—36°7 (subito dopo ,, ) 15 — 3796 16—3804 16 — » 18—35°5 18— » 31» » » 7T—38° 1 febbr. » » 7 — 3695 9—3801 8 — 360 D) Coniglio di K. 1,500—Legatura dei vasi renali come nel precedente. Gli stessi fenomeni del coniglio C—Morte al 4° giorno. Temperature. 2 febbr. alle ore 10 —40°2 3 febbraio alle ore 17 — 3902 131/,—39°6 (prima dell’ operaz.) 19 — 390 14 —3605 (subito dopo » ) 21 — 3809 16 —38°6 + » » » 7 —- 3804 183 — » 9 — 83892 3 Gr » » 7 —39%4 11 — 38°1 9 —3898 13 — 880 11 —3902 15 — 3797 13 —3805 17 — 3702 15 —390 19 — 3607 21 — 3605 E) Coniglio di K. 1,920—Legatura dei vasi renali il 13 febbraio a ore 13 !/,. La temperatura fa la solita discesa seguita da nuova elevazione fino a 38°,5. Il mattino seguente essendo la tem- peratura a 38°,7 pratico l’injezione nella vena marginale dell’o- recchio, di 40 c.c. di acqua salata al 0,75 e tenente in sospen- sione il 3 °/. di carminio. Il liquido è stato filtrato al pannili- no, come nei miei esperimenti sulla febbre, viene iniettato con lo stesso apparecchio , a 25° e con la velocità di 3 c. c. al 1. 8 Sull’'uremia febbrile. La temperatura del coniglio si abbassa immediatamente e rapidamente risale a un livello superiore alla normale. Gradata- mente poi ridiscende fino a 369,1. Il mattino appresso essendo la temperatura a 37°,1 si pra- tica una nuova injezione di carminio come jeri, ma in dose di 18 c. c. La temperatura nuovamente risale a 38°,2 e solo alla sera dello stesso giorno è scesa a 36°. In sostanza le due inje- zioni hanno avuto per effetto un’ ascensione termica, e una mag- gior durata in vita dell’ animale. Temperature. 13 febb. alle ore 13. —39° (prima dell’oper.) 14 febb. alle ore 20—36% 14 —37° (subito dopo » ) Q1—-3601 16 —3893 15 »_» » 7-37 18° --58°5 8—3701 14» » » 7 — 3804 9—370 (iniez. di carm.) 8 —3807 10—37°2 (dopo l’iniezione) 9 —3808 (iniez. di carm.) 113802 9'/,—37°5 (subito dopol’iniez.) 12—38°1 10 —38°6 13— » 11 —39°1 14—-37°%6 12 — » 15— » 13. —3897 16—37°4 14 —8804 17--37°2 15 —38° 18—370 16. —3798 19—36°5 17 —3793 20—3694 18. —3698 21—3599 F) Coniglio di K. 1,920—Legatura dei vasi renali. Dopo l’ operazione, come sempre della durata di pochi mi- nuti, si trova la temperatura notevolmente depressa. Il mattino seguente si pratica un’ injezione di 40 c. c. di acqua salata sem- plice, nelle stesse condizioni di velocità e di temperatura del co- niglio E. La temperatura non si rialza come all’ injezione di carmi- Sull’uremia febbrile. de) nio, ma prosegue a scendere fino alla sera, in cui tocca 350,9 poco prima della morte. All’ autopsia nulla di notevole, tranne i reni piccoli, anemi- ci, bianchicci. Temperature. 18 febb. alle ore 8—3907 13—39°5 (prima dell'oper.) 14--37°9 (subito dopo l’op.) 16 — 3894 7—3804 8—3802 (inîez. di acqua salata) 9—37°2 (subito dopo l'in.) 19 febbraio alle ore 12 14 - 16 G) Coniglio di K. 1, 860 — Legatura di un solo uretere. La temperatura, discesa all’ atto operativo, risale 1 giorni se- guenti al livello normale. Solo al n 5° giorno, col manifestarsi di un po’ di prostrazione, col cessare I’ urinazione, la temperatura comincia a discendere, e in due giorni raggiunge DI (DÌ os 25 La morte è preceduta da brevi accessi convulsivi. Temperature. 16 dic. alle ore 8 141/,--37°6 (subito dopo » ) 15 !/a—38° —39°7 (prima dell’oper.) 18. —3805 lib i oi 10 —3898 12 —388%8 15. —3809 18° —3807 18» »n n 8° —83809 18 dicembre alle ore 10 12 3905 3906 3906 Gli esperimenti surriferiti, dai quali ho eliminato solo quelli che qualche incidente operatorio rendeva incerto o poteva in- durre in errore, non sarebbero abbastanza numerosi, se da essi ATTI Acc., Vor. X, Serie 42— Memoria VIII. 10 Sull uremia febbrile. si volessero trarre più ampii corollarit di quelli che il limite dello scopo propostomi, mi assegnava; ma avendo voluto con essi indagare soltanto le modificazioni termiche, mi è parso che fossero più che sufficienti. Così nei cani ho potuto constatare che la legatura di un solo uretere non è stata segnata nei giorni immediatamente suc- cessivi da alcun abbassamento di temperatura, mentre invece la legatura di entrambi gli ureteri è stata seguìta da una depres- sione termica che è andata fino a 5° sotto la normale; e la sopravvivenza, durante la quale si sono manifestati i noti feno- meni morbosi, è stata di 5-6. giorni. Nel coniglio ho potuto constatare che la legatura di un solo uretere non era seguìta per quattro giorni da abbassamento di temperatura, ma dal 2° giorno in poi non veniva più emessa urina, ed incominciavano a manifestarsi 1 fenomeni uremici, e la temperatura prendeva a discendere gradatamente, abbassan- dosi di circa 4° in meno di due giorni. Ho praticato poi in un caso una nefrectomia simulata, per assicurarmi degli effetti dell’ atto operativo ; ed ho potuto con- statare come l’ operazione non fosse seguita nè da modificazioni della temperatura, nè da alcun altro disturbo apprezzabile. Similmente la nefrectomia unilaterale non è seguìta da di- sturbo alcuno nè della termogenesi nè delle altre funzioni. Un coniglio così operato, sottoposto due settimane dopo all’ ablazio- zione dell’ altro rene, è preso allora soltanto dai -fenomeni ure- mici, fra cui la discesa della temperatura di 6 gradi al disotto della normale. Gli stessi effetti ha dato la nefrectomia bilaterale, praticata in un coniglio, che due settimane prima aveva subito la nefrectomia simulata. La legatura dei vasi renali ha dato luogo agli stessi effetti, con la sola differenza che la temperatura abbassatasi subito do- po l’ operazione è risalita poi per parecchie ore fino quasi alla normale; d’ onde è ricominciata la discesa. Nei conigli operati di nefrectomia o di legatura dei vasi Sull’'uremia febbrile. ll e renali, la durata della vita non si è protratta al di là di 57 ore, ed i lievi fenomeni convulsivi non sì mostrarono che negli ul- timi istanti. Ma ciò che più mi importava constatare era l’effetto che sulla temperatura del coniglio operato produceva 1’ iniezione di quelle sostanze, la cui azione sulla temperatura del coniglio sano era stata da me studiata e resa nota in precedenti lavori. A tal fine in un coniglio, operato il giorno innanzi, di le- gatura dei vasi renali pratical |!’ iniezione endovenosa di carmi- nio in quelle condizioni che le mie ricerche avevano mostrato essere atte ad elevare la temperatura fino a 41°. Ebbene non vidi seguirne che leggiere perturbazioni tem- poranee, quali risultano dallo esame delle cifre del coniglio €, dopo la prima injezione. Una seconda injezione elevò ancora la cifra termometrica , ma anche quest’ ascensione fu di breve durata. Però 1’ injezione di sola acqua clorurata, come si è eseguita nel coniglio #" non ha prodotto neppure le elevazioni del coniglio precedente. Nella memoria di Hughes e Carter sembra strano a tutta pri- ma di trovare che mentre gli autori citano 44 casi clinici di uremia in cui la temperatura fu quasi sempre inferiore alla media nor- male, ed in un solo caso toccò 38°8 (102 F.) abbiano poi avuto negli esperimenti sui cani delle elevazioni di temperatura tali da far loro conchiudere che : « it seems probable that uraemie blood contains a poison which is capable of producing a rise of tem- perature. » Ma è probabile invece che negli esperimenti gli AA. siano caduti in errore, e che l’ errore dipenda esclusivamente dalla tecnica. Non posso qui trattenermi a discuterla, nè lo credo ne- cessario, perchè ho già nei miei lavori sperimentali sulla febbre trattato ampiamente la questione. Ponendo ora in rapporto fra loro i risultati : a) Delle osservazioni cliniche, le quali, salvo pochissime ec- cezioni, concordano nel mostrare come nella immensa maggio- ranza dei casi l’ uremia sia caratterizzata da abbassamento di 12 Sull'uremia febbrile. temperatura, e nei casi in cui vi è stata elevazione abbiano coe- sistito dei fatti infiammatorii o delle convulsioni. b) Degli esperimenti surriferiti, i quali mostrano come la legatura degli ureteri, la nefrectomia e la legatura dei vasi renali siano operazioni seguìte sempre da depressione della temperatura. c) Degli esperimenti sulla patogenesi della febbre, coi quali ho dimostrato che, tranne | urea, la cui azione è ancora dubbia, non si conosce alcuna sostanza chimica che, senza produrre emo- lisi o senza dar luogo a convulsioni, elevi la temperatura. d) Degli esperimenti di Alonzo sull'azione dell'urina, dai quali risulta che l’ ipertermia osservatasi in seguito alle injezioni endovasali di urina è dovuta alla sua azione emolitica ed alla convulsiva:; si può conchiudere che : 1. L’uremia pura è sempre accompagnata da abbassamento della temperatura. 2. Quando nel corso dell’ uremia si manifesti un’ elevazione di temperatura, questa non è da addebitarsi ad alcuno dei co- stituenti dell’ urina, ma all’ essersi aggiunta qualche energica causa d’ipertermia, quale un'intensa infiammazione o delle con- vulsioni. Memoria EX. Sull’ azione acuta del selenio Ricerche sperimentali del Dott, ORAZIO MODICA Quantunque varii lavori si siano fatti sull'azione acuta del selenio, pure essa non ci è totalmente nota. Io, per consiglio del prof. Curci, da circa tre anni attendo allo studio dell’azione di esso sull’ organismo animale, ed ho già pubblicato alcune espe- rienze sull’ azione cronica (1) e sul ricambio materiale (2); ne pubblico ora alcune sull'azione acuta. Esse non solo serviranno come contributo alla conoscenza dell’azione di una sostanza tan- to tossica, qual’ è il selenio, ma anche per vedere se veramente l’azione di esso è identica a quella dell’ arsenico, e se per que- sto le due sostanze si possano porre nello stesso gruppo farma- cologico, come Czapeca e WEIL vorrebbero (3). Il confronto tra l’azione dell’ una e dell’altra sostanza sarà però oggetto di una prossima memoria, dovendo ripetere coll’arsenico molte delle espe- rienze fatte col selenio. Come materiale di studio per il lavoro presente mì è servi- to il selenio metallico amorfo, l'acido selenioso e l’acido selenico, prodotti avuti dalla cessata fabbrica di prodotti chimici di Trom- sdorff. Avevo intenzione di studiare anche l’azione dell’idrogeno seleniato e dei seleniuri alcalini, ma difficoltà tecniche me l’han- no impedito; si sa del resto che l'idrogeno seleniato è dotato di una potente azione irritante locale, e che i seleniuri alcalini sì (1) V. questi atti volume X. 1896-97. (2) V. questi atti volume X. 1896-97. (3) Arch. f. exp. Pathol. u. Pharmak. Bd, 32. ArTI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria IX. 1 2 Sull’azione acuta del selenio. decompongono con molta facilità, mentre sono estremamente tos- sici. Questo fatto ho avuto anch’ io occasione di vedere in alcu- ne esperienze sulle rane, che poi non continuai, perchè le solu- zioni lasciavano presto depositare del selenio metallico. AZIONE DEL SELENIO METALLICO. JAPHA (1), avendo ingerito del selenio metallico, osservò su se stesso del dimagrimento generale e della stitichezza. Io inve- ce, avendolo somministrato a rane e conigli, non ho potuto os- servare alcuna modificazione apparente negli animali d’ esperi- mento. Ho condotto nelle rane un’ esperienza in questo modo : Esperienza 1.* — Quindici animali presso a poco della stessa grossezza, e pescati nello stesso giorno, furono divisi in tre grup- pi di 5 ciascuno. Un gruppo A del peso di gr. 66,20, un grup- po 5 del peso di gr. 64, un gruppo Cl del peso di gr. 60. Il gruppo C( è stato tenuto per paragone; a ciascuna rana del grup- po A è stato dato del selenio metallico in polvere per lo stoma- co (’/ cg. ogni 3 giorni), a ciascuna rana del gruppo 5 inve- ce esso è stato posto nel sacco linfatico dorsale (sempre '/, cg. ogni 3 giorni ). Tutti e tre i gruppi furono tenuti nelle stesse condizioni di sito e di nutrimento ; ogni gruppo cioè. fu posto sotto imbuto su piatto con poca acqua, e nutrito ogni 3 giorni con uguali porzioni di carne di rana. Dopo 28 giorni le rane furono ripesate : il gruppo A era diminuito di gr, 0,30, il grup- po 5 di gr. 0, 75, e il gruppo C' (di paragone) di gr. 0, 60. Lungo tutto il tempo dell’ esperimento le rane non mostrarono alcun manifesto disturbo. Risulta da questa esperienza che il selenio libero nelle rane non ha prodotto alcun notevole effetto. Uguali risultamenti ho avuto nei conigli. (1) Experimenta nonnulla de vi selenii in org. anim. -- Dissert. Halle 1842. Sull’azione acuta del selenio. 3 Esperienza 2* — A due conigli A e B, di gr. 500 l'uno e di gr. 475 l’altro, si fece ingerire giornalmente 1 cg. di selenio metallico in polvere in mezzo alla crusca che serviva di nutri- mento. Dopo un mese d’ esperimento erano aumentati in peso di circa 600 gr. ciascuno, ugualmente a un altro, C, tenuto nel- le stesse condizioni e nutrito allo stesso modo, ma che non ri- ceveva selenio. Risulta quindi dai miei esperimenti che non si può attri- buire al selenio libero quell’azione che gli attribuiva JAPHA. AZIONE DEGLI ACIDI SELENIOSO E SELENICO. Per evitare l’azione locale irritante di questi due acidi li ho usati sotto forma di sali sodici. Questi sono stati preparati neutralizzando esattamente con soda le loro soluzioni, e metten- do il tutto a essiccare su cloruro di calcio anidro. I sali così ot- tenuti sono bianchi, e, conservati bene asciutti, non subiscono alcuna modificazione. A Animali d’ esperimento sono stati rane, cani e conigli. Azione generale. Rane. Nelle rane il selenito di sodio, introdotto per iniezione sot- tocutanea nei sacchi linfatici, non produce alcun fenomeno no- tevole a dosi piccolissime, al disotto di '/o di mg.; al massimo può notarsi un lieve indebolimento nei movimenti, sia spontanei che riflessi; ma, se sl sorpassa questa dose, si osservano dei gravi fenomeni di avvelenamento. Questi però, a seconda della grandezza della dose, insor- gono più o meno presto (da 20-30 minuti a 2 ore dopo l’ inie- zione), hanno un decorso più o meno rapido (da qualche ora a uno 0 più giorni), e sono più o meno intensi. La dose media 4 Sull’azione acuta del selenio. per potere bene osservare il quadro dell’avvelenamento è quella di 1-2 mg. per una rana di 10-15 gr. Il primo fenomeno di avvelenamento che si osserva nelle rane è l’indebolimento dei movimenti spontanei. Questi esistono, la rana sfugge prontamente agli stimoli, cerca di nascondersi fug- gendo, ma nei salti i muscoli non ubbidiscono del tutto alla vo- lontà. La rana non può eseguire che dei piccoli salti, e nella caduta resta cogli arti posteriori un po’ distesi. Essi però vengo- no subito ritirati. Il primo fenomeno che notasi adunque nelle rane non è una incipiente narcosi centrale, come CzapecH e WEIL dicono, poichè una rana che incomincia a narcotizzarsi non ha il sen- so dell’orientamento come lo presentavano tutte le mie rane, nè dirige il salto verso quella parte che più le convenga, sia per evitare ostacoli, come per andare in posti reconditi, ovvero in parti da cui spera un salvamento. Era molto notevole in alcu- ne rane questo istinto, il quale si rilevava dal fatto che, trovan- domi io ad esperimentare dietro i vetri di una finestra , dirige- vano i salti costantemente verso di essi, credendo di potere an- dare all’ aperto. In seguito il movimento volontario si perde, la rana sta accovacciata, sdraiata sul ventre, si muove solamente se viene stimolata, il sacco ioideo si gonfia, e le sue escursioni, dapprima superficiali, si aboliscono del tutto, le pupille si restringono, nel mentre 1 riflessi generali e corneali persistono ancora poco inde- boliti. Poi tutti questi riflessi diventano tardi e il movimento molto debole. La rana stimolata non fa più un salto, ma muove soltanto l’arto stimolato, messa sul dorso tenta di rivoltarsi, ma non lo può, restando in posizione laterale e cogli arti distesi. Sti- molata sulla testa e sul dorso s’incurva fortemente e resta sol- levata per varî secondi sui 4 arti. Finalmente qualunque stimo- lo resta senza azione, la rana perde tutti i movimenti, e non dà più alcun segno di vita. Se invece d’iniettarlo nei sacchi linfatici il veleno si pone o Sull’azione acuta del selenio. nello stomaco, ovvero sulla cute, il quadro dell’ avvelenamento non si modifica in niente. Gli stessi fenomeni si osservano se invece del selenito si ado- pera il seleniato di sodio; però, acciocchè essi abbiano la stessa intensità, si devono adoperare dosi 3-4 ed anche 5 volte più grandi. Cami. Nei cani il quadro dell’avvelenamento da me osservato cor- risponde quasi in tutto a quello già visto da RaButEAU (1), da CrHagriè e LaPIQUE (2) e da Czapeca e WEIL (3). Non faccio adunque che accennarlo a grandi tratti. Il primo fenomeno che si osserva nei cani dopo l’ iniezione sottocutanea di pochi mg. di selenito di sodio è il vomito. Es- so si ripete a brevi intervalli, ed è accompagnato in seguito da emissione di feci dapprima solide, poi liquide, puzzolenti, e final- mente costituite di sierosità miste a muco. Fino a questo punto dell’avvelenamento l’animale gira per le stanze del laboratorio, è un po’ abbattuto , chiamato mostra di sentire; ma ben presto la respirazione diventa superficiale , stentata, apparisce bava alla bocca, la lingua e le mucose di- ventano cianotiche, aumenta l’ affanno, l’animale si accovaccia, sì rialza, poi si accovaccia di nuovo , non trova una posizione in cui possa stare; vi ha profonda apatia e sonnolenza. Intanto l’ affanno aumenta sempre più, l’animale si alza più di rado e stentatamente, finchè i tentativi di alzarsi rimangono senza effetto, e resta accovacciato, sonnolento, cogli occhi spesso semichiusi. Subito dopo i riflessi generali si aboliscono , ma 1’ animale chiamato mostra ancora di sentire. Finalmente anche questa fa- coltà si abolisce, si spegne il riflesso corneale finora conservato, fuoresce dalla bocca e dalle narici una grande quantità di liqui- (1) Gazette hebdom. 1869. (2) Comp. rend. T. 109 e 110. (Ale. 6 Sull’ azione acuta del selenio. do schiumoso bianco o roseo, e la respirazione, già molto super- ficiale e irregolare , si arresta, nel mentre il cuore, alquanto ral- lentato , batte ancora ritmicamente per qualche minuto dopo l’arresto della respirazione. Arrestata la respirazione, se l’ avvelenamento ha avuto un decorso rapidissimo, sopravviene qualche contrazione tonico-cloni- ca generale, e con essa la morte; ma se 1’ avvelenamento ha avuto un decorso lento di 2 ore o più, raramente avvengono convulsioni agoniche, e il cane si spegne insensibilmente. Tutto il quadro dell’avvelenamento descritto si svolge in va- rio tempo a seconda della dose adoperata. Può insorgere 15-20 minuti dopo l'iniezione, ed anche dopo ' ora, e durare da po- che ore fino a qualche giorno o due se la dose è stata grande (3-4 mg. per Kg. di animale). Quando l’avvelenamento ha un de- corso rapidissimo possono mancare, restando tutti gli altri fenome- ni, i fatti da parte dell’ intestino, come CzapecH e WEIL hanno pure constatato. Come nelle rane, anche nei cani l’ acido selenico è meno tossico del selenioso; talora bastano quantità quadruple o quin- tuple per averne gli stessi effetti, tal altra la quantità dev’ es- sere molto più grande. Conigli. Nei conigli i fenomeni generali dell’ avvelenamento acuto sono essenzialmente gli stessi di quelli che abbiamo descritto nei cani, però essì risentono meno di questi ultimi l’ azione delete- ria dell’ acido selenioso. Gli animali stanno rincantucciati, poi gradatamente diven- tano affannosi, con respirazione talvolta profonda, e le mucose cianotiche. In questo momento dell’ avvelenamento stanno sdra- iati al suolo profondamente narcotizzati , senza riflessi e senza movimenti, non rimanendo come segno di vita che la respira- zione (la quale del resto è molto superficiale ) , i riflessi palpe- =] Sull’ azione acuta del selenio. brali, molto indeboliti, ed 1 battiti cardiaci anch’ essi indeboliti. Finalmente si aboliscono i riflessi corneali , si ferma la respira- zione, ed il coniglio, cadendo di fianco, gradatamente muore. La morte talvolta è preceduta da qualche contrazione tonico-clonica generale. Il cuore seguita a battere ancora per qualche mimuto dopo l’ arresto della respirazione. Nei conigli non ho potuto constatare la fuoruscita di schiu- ma dalla bocca come si vede costantemente nei cani, i polmoni però sì negli uni come negli altri animali sono sempre edema- tosi. Da parte dell’ intestino non si osserva mai diarrea, al mas- simo, e soltanto nell’ avvelenamento prolungato, qualche emissio- ne di feci a poltiglia. Ugualmente che nei cani, anche nei conigli l’ acido seleni- co è 4-5 volte meno tossico del selenioso. Azione sugli organi della circolazione e sul sangue. Riguardo all’ azione del selenio sugli organi della circola- zione esistono nella letteratura pochissime notizie ; nessuna ne esiste riguardo all’ azione sul sangue. Riferirò perciò con qualche dettaglio 1 risultati delle esperienze da me all’ uopo eseguite , specialmente perchè essi non sono totalmente conformi a quelli avuti dai precedenti sperimentatori. Azione sul sistema cardio-vascolare delle rane. — Per dosi piccolissime, che non raggiungano i gr. 0,00025, è difficile notare alcun fenomeno permanente e importante nel cuore delle rane messo allo scoperto : esso può divenire un po’ oscuro, ma ritmo, frequenza , forza, ecc. non vengono modificati; se però la dose raggiunge il quarto di mg., e più ancora se essa sl eleva fino a 2-4 mg., dopo un tempo variabile dai 20 ai 45 minuti, secondo la dose, due fenomeni chiarissimi si notano nel cuore della rana, e cioè un indebolimento della sistole ed uno sfiancamento di tutto l’ organo. 8 Sull'azione acuta del selenio. L’ indebolimento delle contrazioni cardiache avviene grada- tamente; ad avvelenamento inoltrato queste sono così deboli che, quantunque ancora numerose, restano quasi invisibili, e non se ne può percepire il tempo in cui avvengono che per uno spo- stamento di tutto il cuore fortemente dilatato. Finalmente nem- meno questo fenomeno si osserva più, e il ventricolo è fermo , nel mentre le orecchiette, già molto dilatate, seguitano ancora a pulsare per varii mimuti. Generalmente il ventricolo si ferma in diastole; ma, se nelle ultime sistoli arriva a fuoruscire una parte del sangue contenu- tovi, sangue che non vi ritorna più, perchè si accumula nelle ore- chiette, esso si ferma in uno stadio medio tra la sistole e la dia- stole, e quindi appare piccolo e quasi vuoto. Questo avviene quando l avvelenamento ha avuto un decorso piuttosto lungo. La frequenza dei battiti cardiaci non viene influenzata in modo notevole : quando 1’ avvelenamento dura a lungo, dopo 2-3 ore, può osservarsi una leggiera diminuzione del numero di essì battiti. Il ritmo si mantiene abbastanza regolare, talvolta, poco pri- ma che il cuore si arresti, può osservarsi aritmia. Più frequente dell’aritmia è invece l’apparire di alcuni punti (2-4 o più) rossi, sollevati, come capocchie di spillo, sulla super- ficie visibile del ventricolo, i quali sono molto appariscenti men- tre questo, per la contrazione sistolica, impallidisce. Quando questi punti, che possiamo chiamare di diastole permanente, sono molti, il cuore assume la forma di una mora. Insieme, ovvero indipen- dentemente dai descritti punti di diastole, possono vedersi delle chiazze più o meno estese, le quali restano sempre pallide, in contrazione, anche quando il ventricolo è in ampia diastole. Sia l’uno che l’altro dei due fenomeni fa assumere al cuore una for- ma abbastanza irregolare. Quando il cuore è fermo ha sempre un colore bruno-viola- ceo, sia che si fermi ampiamente pieno, sia che si fermi vuoto. Se, appena l’organo non accenna più a movimenti, si tocca Sull'azione acuta del selenio. 9 con una pinza, e meglio ancora se si stringe tra le punte di essa, si nota che si contrae soltanto nel punto toccato. Questo punto resta contratto. Lo stesso avviene se si stimola con una debole corrente indotta. Ma, se si fa passare qualche minuto da che il cuore si è fermato, esso non risponde più ai più forti stimoli elet- trici, mentre tuttora il sistema nervoso centrale e periferico ed i muscoli scheletrici sono perfettamente eccitabili alla corrente indotta. In quanto al meccanismo d’ azione del selenio sul cuore di rana CzapecH e WEIL ammettono che questa sostanza agisca alla periferia, « paralizzando quei sistemi dai quali il muscolo cardiaco riceve l’ incitamento all’ attività ritmica, e lasciando intatta la musculatura dell’ organo. » E tutto ciò perchè l’ atropina non modifica per niente l’azione del selenio sul cuore, e perchè la di- gitalina e la fisostigmina sono capaci di produrre ancora forti contrazioni quando il cuore sta per arrestarsi o si è arrestato in diastole. Le esperienze sono state fatte sul cuore in sito. Io ho cambiato il processo sperimentale, ed ho studiato que- sto meccanismo d’azione sul cuore staccato dall’organismo. Tolta a questo modo l'influenza dell’ innervazione centrale, e mante- nendo nel cuore la circolazione artificiale col miscuglio nutritizio cui si è aggiunto del selenito di sodio, si è osservato che l’azio- ne del selenio sul cuore si svolge come se l'organo fosse ancora in connessione con l’ organismo. All’ uopo mi è servito l’apparec- chio di WiLLiams. Il liquido nutritivo che facevo circolare si com- poneva di 4 parti di soluzione 0,75 °/, di NaCl e 1 parte di san- gue di bue. Aggiungevo il selenito di sodio in proporzione di 1 mg. per ogni c. c. di liquido nutritivo. Risultò dalle mie esperienze che l’azione del selenio sul cuore è veramente periferica. Restava perciò a determinare su quali parti della periferia essa si manifestasse. Per fare ciò mi sono avvalso del suddescritto processo sperimentale; ed ho preferito studiare ciò sul cuore isolato, perchè, dovendo eccitare 1’ organo AmtI Acc., Vor. X, Serie 4°— Memoria IX. 9 10 Sull’azione acuta del selenio. colla digitalina o colla fisostigmina, ero più sicuro che queste so- stanze passassero per il cuore per mezzo della circolazione arti- ficiale, anzicchè colla naturale. E dico ciò, perchè, dovendo iniet- tare queste sostanze quando il selenio aveva già molto alterato il sistema cardio-vascolare, mi si sarebbe potuto obbiettare, nel caso che non ne avessi visto l’azione, che esse non fossero pas- sate per il cuore, tanto più che avevo visto, per alcune espe- rienze che riferirò in seguito, che nelle rane, per azione del se- lenio, la circolazione sì arresta molti minuti prima che si arre- stino le pulsazioni cardiache. Riporto qui alcune esperienze. La digitalina e la fisostigmi- na, come ho detto, si facevano agire sul cuore, come il selenito sodico, per mezzo del liquido nutritizio circolante, ma talvolta si aggiungevano al liquido in cui si teneva immerso il cuore. Esperienza 3%. — 14 Marzo 1896. Rana di gr. 13. Si estir- pa il cuore e si applica all’ apparecchio di WiILLiams alle ore Loro - Pulsazioni Pressione Ore in in Osservazioni 1 minuto mm. Hg. TML2: 50 ID 11 30’ 48 12 ale e] + | Al liquido nutritizio circolante si aggiunge 1 mg. di selenito sodico per ogni c.c. di li- 11 45° 48 9 quido. Lea 40 8 La diastole è molto ampia. 12 2’ 40 8 19 166 38 6 Si aggiungono 2 mg. di digitalina al liquido circolante. T28260 35 8 12 40’ 30 8 Si sospende l'osservazione. pr Sull’ azione acuta del selenio. 11 Esperienza 48. — Rana di gr. 20. Si estirpa il cuore e si ap- plica all’ apparecchio di WiLuiams alle ore 11. Ore bor 11 10° as 11 18 11.22” 11 30’ 11 35’ Pulsazioni in 1’ Pressione in mm. He. 119) e 15 Osservazioni Si aggiungono 2 mg. di selenito sodico per ogni c.c. di liquido nutritizio. Si aggiunge 1 mg. di solfato di fisostiemina al liquido circolante. La diastole è ampia. Si sospende l’osservazione. Risulta da queste due esperienze, e da altre simili che per brevità non trascrivo, che quando la pressione sanguigna non è molto bassa, quantunque il cuore sia molto sfiancato, la digi- talina e la fisostigmina manifestano su questo la loro azione, sebbene un po’ indebolita. Esperienza 5*.—1 Aprile 1896. Rana di gr. 15. Si estirpa il cuore alle ore 7 e si applica all’ apparecchio di WIuuams Ore ES 2 Pulsazioni Pressione in Osservazioni in 1’ mm. Hg. 52 ll 48 1l Si aggiungono 2 mg. di selenito sodico per ogni c.c. di liquido nutritizio. 45 10 42 6 La diastole è molto ampia. 42 2 Si aggiungono 2 mg. di digitalina al liquido circolante. 38 2 38 2 Si aggiunge 1 mg. di solfato di fisostigmina al liquido circolante. Il cuore si ferma in diastole. La pressione non si è elevata. 12 Sull’azione acuta del selenio. Esperienza 6.:—10 Aprile 1896. Rana di gr. 12. Alle ore 8 si estirpa il cuore e si applica all’ apparecchio di Williams. Osservazioni Si aggiungono 2 mg. di selenito sodico per ogni La diastole è molto ampia, le sistoli deboli. Al liquido dove si tiene immerso il cuore sì aggiunge 1 mg. di solfato di fisostigmina. Sistoli debolissime, appena percettibili. Si aggiunge 1 mg. di digitalina al liquido in Si arresta il cuore in diastole. La pressione Pulsazioni Pressione Ore in indi mm. Ho. Baal 38 12, 8 5 38 12 86 ) c.c. di liquido circolante. 8 16° 39 10 8 26” 36 6 8 30” 38 5 S 33° 38 3 8 40° 40 2 8 41° 8 45’ 38 2 8 50” cui si tiene immerso il cuore. 8 55 non si è elevata. Da queste esperienze e da altre simili risulta che la digi- talina e la fisostigmina, quando la pressione è molto bassa e il cuore si avvicina all’arresto in diastole, non sono più capaci di agi- re sull’ organo , sia che sl facciano agire su di esso per mezzo. del liquido circolante, sia dall’ esterno per mezzo del liquido in cul sì tiene immerso il cuore. Siccome la digitalina e la fisostigmina agiscono sul muscolo cardiaco, e specialmente la fisostigmina (1), i suddetti risultati ci dicono che esso gradatamente viene alterato dal selenio. Insieme a questa alterazione del muscolo cardiaco sì ha però la paralisi del sistema nervoso periferico del cuore. Questo ci (1) Nota—La digitalina parrebbe che agisse anche sul sistema nervoso cardiaco—V. Arch. di Farm. e Terap., 1886, p. 155. Sul azione acuta del selenio. 15 viene dimostrato dal fatto che la corrente indotta, applicata al- l'organo, quando la sua musculatura è ancora eccitabile alla corrente elettrica, vi produce delle contrazioni locali e non generali. In conclusione adunque l’azione del selenio sul cuore di rana è periferica, e si manifesta sia sul muscolo come sul siste- ma nervoso. L’asserzione di CzAapecH e WeIL, che cioè il muscolo cardiaco non venga interessato dal selenio, deve spiegarsi col fatto che essi anzicchè iniettare la digitalina o la fisostigmina quando il cuore stava per fermarsi, l’ iniettavano o sul principio dell’ av- velenamento, ovvero financo prima che il cuore risentisse l’azione del selenio; ciò si sospetta dal fatto che essi stessi riferiscono, che cioè iniettavano precocemente queste sostanze per essere si- curi che il loro assorbimento avvenisse. È ingiustificata però la conclusione a cui vengono dalle loro esperienze che cioè la di- gitalina e la fisostigmina siano capaci di agire sul cuore fermo o quasi fermo in diastole per azione del selenio. Oltre del cuore anche il sistema vascolare delle rane viene influenzato dal selenio; infatti la circolazione generale ne viene molto a soffrire, dilatandosi 1 capillari, e fermandosi quella molto prima del cuore. Studiavo questi fatti avvelenando le rane col selenito di so- dio , e osservando da un canto il cuore messo allo scoperto , e dall’ altro canto la circolazione capillare del mesentere conve- nientemente preparato, ovvero quella della membrana interdigi- tale. Ecco alcune esperienze. Esperienza 7% — 23 Maggio 1896. Rana di gr. 18. Alle ore 14,55 si scopre il cuore e si dispone al microscopio il me- sentere di un’ ansa intestinale. Alle ore 15,10 s’iniettano 4 mg. di selenito di sodio in * sirimga di Pravaz d’acqua sotto la pelle della coscia destra. La circolazione capillare si arresta e ripiglia il suo corso a vari intervalli, finalmente si ferma definiti- 14 Sull’ azione acuta del selenio. vamente dopo 12 minuti dalla iniezione, mentre il cuore non sì fermò che dopo 35 minuti dell’ iniezione, rimanendo la rana tut- tora eccitabile, e coi movimenti volontarii. Si constatò lievissima dilatazione del capillare osservato. Esperienza 8. — 29 maggio 1896. Rana di gr. 19. Alle ore 9,10 si mette il cuore allo scoperto e si dispone il mesentere di un’ansa intestinale al microscopio. Si paralizza con qualche goc- cia di curaro. Alle ore 9,40 s° iniettano 3 mg. di selenito di so- dio sotto la pelle della coscia sinistra. La circolazione capillare sì arrestò dopo 22 minuti, il cuore dopo 62 minuti dell’iniezione. Esperienza 9. — 30 maggio 1896. Rana di gr. 12. Alle ore 7, 15 si mette il cuore allo scoperto, e si dispone al mi- croscopio il mesentere di un’ ansa intestinale. Si paralizza con curaro. Alle ore 8 s’ iniettano 2 mg. di selenito di sodio sotto la pelle della coscia destra. La circolazione capillare si ar- resta dopo un’ ora, il cuore dopo un’ora e 15 minuti dall’ inie- zione. Esperienza 10.—22 maggio 1896. Rana di gr. 14. Alle ore 12,50 si mette il cuore allo scoperto e si dispone al microscopio la membrana interdigitale dell’ arto destro. Alle ore 13,5 s’iniet- tano 3 mg. di selenito sodico sotto la pelle della coscia sinistra. La circolazione capillare si fermò dopo 40 minuti e il cuore dopo 50 minuti dell’ iniezione. I capillari osservati mostrarono una lieve dilatazione. Esperienza 11.2 — 27 maggio 1896. Rana di gr. 16. Alle ore 8,15 si scopre il cuore e si dispone al microscopio la mem- brana interdigitale dell’ arto destro. Si paralizza con curaro. Alle ore 8,32 s' iniettano 3 mg. di selenito di sodio sotto la pelle del- l'arto posteriore sinistro. La circolazione capillare si arrestò do- Sull’azione acuta del selenio. 15 po 32 minuti e il cuore dopo 59 minuti della iniezione. Il capil- lare osservato si dilatò un poco. Da tutte queste esperienze si rileva che per azione del se- lenio la circolazione capillare nelle rane si ferma molto prima del cuore (10-40 minuti), le ultime pulsazioni che fa questo sono quindi fisiologicamente inutili. Avviene inoltre una lieve dilata- zione vascolare. Il fermarsi precocemente della circolazione non dipende per- ciò soltanto della debolezza delle contrazioni cardiache, ma an- che della concomitante dilatazione vascolare. Azione sul sistemi circolatorio degli animali a sangue caldo. — I fenomeni che si notano da parte del cuore negli animali a sangue caldo (cani, conigli ), non sono molto notevoli all’ inizio dell’ avvelenamento : frequenza, forza e ritmo delle contrazioni cardiache non vengono molto influenzati dal selenio ; ma, tra- scorsa una mezz’ ora dall’ iniezione del veleno somministrato in dosi medie, e molto prima che si paralizzi il centro respiratorio, la forza delle contrazioni e la frequenza diminuiscono notevol- mente , solo il ritmo resta normale : questo diventa irregolare soltanto dopo che si è fermata la respirazione. Tutto ciò ho ri- levato sia colla palpazione, sia anche pigliando dei tracciati sfigmografici collo sfigmoscopio di MAarEy nei varii periodi di avvelenamento nei cani. Il fenomeno più notevole consiste però nel tipico compor- tarsi della pressione sanguigna. Riassumo a questo proposito i risultati delle mie esperienze sui cani. La pressione del sangue, già dopo pochi minuti da che si è manifestato il vomito e sono incominciati i fenomeni generali dell’avvelenamento, principia ad abbassarsi. Quando 1’ avvelena- mento decorre lentamente, in 3-4 ore, l'abbassamento della pres- sione sanguigna continua gradatamente , e senza interruzione alcuna, fino alla morte; ma quando l’avvelenamento decorre ra- pidissimo, in ultimo può notarsi un lieve aumento di essa pres- 16 Sullazione acuta del selenio. sione durante le convulsioni agoniche finali, ed eccezionalmente durante l’avvelenamento, quando intervengono irrigidimenti mu- scolari, come ho avuto occasione di notare in due cani. ‘zAPecH e WeIL credono che quest’ abbassamento continuo della pressione del sangue sia dovuto alla dilatazione dei vasi della cavità addominale dipendente da paralisi dello splacnico. Venivano a questa conclusione per il fatto che, aprendo la ca- vità peritoneale degli animali su cui sperimentavano, ed eccitan- do lo splacnico, non osservavano il restringimento dei vasi me- senteriali, nel mentre l’ eccitazione del simpatico cervicale negli stessi animali produceva ancora impallidimento dell’orecchio del- lo stesso lato, e il centro vasomotorio era eccitabile (fino agli ultimi stadii ) agli stimoli elettrici riflessi. To, quantunque abbia fatto costantemente subito dopo la morte, la sezione di tutti gli animali che ho avvelenato col selenio non ho potuto vedere questa grande iperemia degli organi addo- minali descritta da CzapecH e WrrL. Questi esponevano all’aria il pacchetto intestinale dei conigli ancora viventi; la dilatazione dei vasi mesenteriali non era quindi dovuta al selenio, ma alle con- dizioni anormali e sfavorevoli in cui essi vasi e l'intestino veni- vano a trovarsi. In queste condizioni niente di sorprendente che l'eccitazione dello splacnico rimanesse senza azione vasomotoria. A tale metodo sperimentale non si può prestare fiducia alcuna, dappoichè, come già lo ScHwarzENBERG fa osservare fin dal 1849, « Vl apertura della cavità addominale e l’esposizione dell’intesti- no all'aria oltre all’ avere l'inevitabile conseguenza di tenere ben poco in vita l’animale, e di fare raffreddare presto gl’ inte- stini, produce in questi una variazione del contenuto in sangue, in quanto che possono diventare iperemici, cianotici, e vi sì pos- sono produrre financo delle ecchimosi » (1). Le accennate espe- rienze di Czapeca e WreIL non hanno quindi alcun valore: non (1) Di peristaltische Bewegung des Dundarms. (Zeitsch. f. ration. Med. Bd. 7° p. 311.) Sullazione acuta del selenio. IL si può concludere da esse per una dilatazione dei vasi addomi- nali per paralisi dello splacnico dovuta al selenio. Io ho ripetuto le suddette esperienze, ma mettendomi in al- tre condizioni sperimentali. Per evitare l’azione dell’ aria fredda sul pacchetto intestina- le, io aprivo la cavità addominale in un ambiente di aria calda. Ho fatto costruire all’uopo una cassetta di latta a doppia pare- te lunga cm. 52, larga 26 e alta 12, e senza coperchio. In uno dei lati corti la doppia parete era sostituita da una tavoletta, che si poteva levare a volontà. Questa tavoletta era divisa per metà nel senso longitudinale; ciascuna metà portava , distante egualmente dalle estremità, una incavatura semicircolare. Queste incavature, corrispondendosi quando le due metà della tavoletta mettevansi a posto, venivano a formare un foro circolare del dia- metro di 3 cm., il quale foro poteva contenere comodamente il collo di un coniglio di media grandezza, senza che la respira- zione ne venisse menomamente influenzata. Esso in tal modo non solo serviva da apparecchio di contensione della testa del- l’animale, ma permetteva anche che questo venisse a respirare l’aria ambiente, e non l’aria calda della cassetta. L'animale veniva legato ad una tavoletta comune da con- tensione colla testa libera, in modo che il collo potesse venire adattato al foro suddetto, e posto dentro 1’ apparecchio. In que- sto stava un termometro , e poi tutto ciò che poteva occorrere per l’esperienza: soluzioni, bacchette, pennelli ecc., per avere tut- to pronto alla temperatura dell’ animale. Quando l’animale era a posto, la cassetta veniva chiusa dal- la parte superiore con due lastre di vetro mobili in tutti i sen- si, in modo che potevansi introdurre le mani, gl istrumenti, l’eccitatore elettrico ecc., scostandone una in un dato senso, ov- vero inclinandola un poco sul piano orizzontale, e praticare co- sì comodamente tutte le operazioni occorrenti. La temperatura interna dell’ apparecchio si teneva sempre fra i 390-400, e si regolava con una lampada a gas posta sotto ArntI Acc., Vor. X, SERIE 48— Memoria IX. 3 18 Sull’azione acuta del selenio. di esso. Quando la temperatura dell’ acqua della doppia parete raggiungeva 1 60°, la temperatura interna della cassetta era di 38°-40°, L'ambiente interno della cassetta intanto si teneva umido mercè dell’ acqua che evaporava da un piatto. Così s° impediva, per quanto era possibile, il disseccamento dell’ intestino. Non es- sendo però questo mezzo del tutto sufficiente allo scopo, dovevo di tanto in tanto umettare quest’ organo, per mezzo di un fi- nissimo pennello, con una soluzione di cloruro di sodio 0,60 0/, alla temperatura dell'animale. Il maggiore inconveniente consisteva nell’ appannarsi delle lastre di vetro che servivano da coperchio, il che impediva che sì potesse ben vedere quello che succedeva nell’ interno della cassetta. Si poteva ovviare a questo inconveniente tenendo calde le dette lastre, facendovi spesso passeggiare con molta accuratezza la punta di una fiamma a gas. Questa manovra, fatta bene, non faceva variare in modo apprezzabile la temperatura interna della cassetta. Con questa disposizione sperimentale la cavità addominale del- l’animale in esperimento aprivasi in un ambiente molto umido e alla temperatura di 38°-40°, condizioni sufficienti perchè nè i mo- vimenti dell’ intestino, nè il contenuto in sangue di questo, nè l’eccitabilità venissero di molto influenzati dal contatto dell’aria. L'apparecchio da me fatto costruire era superiore per due ragioni a quelli finora usati: 1° perchè permetteva che l’animale respirasse l’aria ambiente e non quella calda dell’ interno della cassetta; 2° perchè colla descritta mobilità del coperchio si evi- tavano le aperture alle pareti laterali (per introdurre le mani ecc.) dell’ apparecchio, aperture dalle quali era più immediata la pe- netrazione dell’ aria ambiente esterna e il contatto di essa con il pacchetto intestinale. Descritto così l’ apparecchio, ecco per sommi capi alcune delle esperienze che con esso ho fatto. Sull’ azione acuta del selenio. 19 Esperienza 12.2 — 5 febbraio 1895. Ore 9. 30' Si colloca un coniglio di gr. 1830 nell’ apparecchio. » 9. 45' Essendo la temperatura interna della cassetta di 39°.2, si apre la cavità addominale con un lungo taglio nel- la linea alba, e s’ iniettano sotto la pelle del collo 8 mg. di selenito di sodio in 3 c. c. d’ acqua distillata. » 1O. 30' Non notandosi fenomeni notevoli da parte dell’ inte- stino, s' iniettano sotto la pelle del collo altri 8 mg. di selenito di sodio e si prepara lo splacnico sinistro. » 11. 2' L’intestino tenue accentua un po’ i suoi movimenti peristaltici, il contenuto in sangue non si modifica. L’eccitazione elettrica dello splacnico produce chiaro impallidimento dell’ organo. » 11. 20' L’intestino è un po’ iperemico. L’ eccitazione dello splacnico vi produce il solito impallidimento. » 11. 35' Stesso stato. Il coniglio è sonnolento. L’ eccitazione dello splacnico produce impallidimento dell’intestino, ma meno accentuato di prima. L° eccitazione del sim- patico cervicale sinistro, messo allo scoperto, non pro- duce perfetto impallidimento dell’ orecchio dello stesso lato. » 11. 50' Morte dell’ animale per arresto della respirazione. Esperienza 13.8 — 10 Febbraio 1895. Coniglio di gr. 1100. Stessa disposizione dell’ esperienza precedente. Ore 8. 35' Si apre la cavità addominale alla temperatura di 38°.8, e s’ iniettano 10 mg. di selenito di sodio sotto la pelle del dorso. » 9. 10' Iniezione di altri 4 mg. di selenito sodico. » 9. 40'L’eccitazione dello splacnico sinistro produce impal- lidimento dell’ intestino. » 9. 55' Stesso effetto eccitando lo splacnico. Si prepara il sim- patico cervicale destro. La sua eccitazione produce impallidimento dei vasi dell’ orecchio dello stesso lato. 20 Sull’ azione acuta del selenio. Ore 10. 32' L'animale è molto sonnolento e paralizzato. L'inte- stino un po’ iperemico. L’ eccitazione dello splacnico produce ancora restringimento dei vasi mesenteriali. » 10. 50' L’eccitazione dello splacnico non produce più restrin- gimento dei vasi mesenteriali, l’ eccitazione del sim- patico cervicale sinistro non fa restringere i vasi del- l'orecchio dello stesso lato. Dopo qualche minuto se- gue la morte dell’ animale. Esperienza 14. — 15 Marzo 1895. Coniglio di gr. 1230. Stesso procedimento sperimentale delle esperienze precedenti. Ore 13. 5' Si apre ampiamente la cavità addominale alla tem- peratura di 39.° 2, e s'iniettano 20 mg. di selenito di sodio sotto la pelle della coscia sinistra. Si prepa- rano gli splacnici e il simpatico cervicale sinistro. >» 14. L’ eccitazione elettrica degli splacnici e del simpati- co cervicale producono rispettivamente restringimen- to dei vasi mesenteriali e auricolari (a sinistra). » 14. 20'L’animale è paralizzato , sonnolento. L’ eccitazione degli splacnici e del simpatico cervicale come sopra. L' intestino mostrasi un po’ iperemico. » 14. 30' L'animale muore improvvisamente. Da queste esperienze si rileva come fino a pochi minuti prima della morte dell’ animale, gli splacnici rispondano all’ ec- citazione elettrica con il normale restringimento dei vasi dell’in- testino, allo stesso modo come vi risponde l’ eccitazione dei sim- patici cervicali per i vasi dell’ orecchio. Gli effetti dell’ eccita- zione dello splacnico riguardo ai vasi intestinali diminuiscono un poco col progredire dell’ avvelenamento, ma allo stesso modo diminuiscono gli effetti dell’ eccitazione del simpatico cervicale riguardo ai vasi dell’ orecchio. E quindi la diminuzione della pressione che si nota nell’avvelenamento per selenio, non si può attribuire soltanto alla paralisi dello splacnico, come CzapecH e WEIL dicono. Sull’azione acuta del selenio. 21 Io quindi ho fatto le comuni esperienze sulla eccitabilità del sistema nervoso vasomotorio. Questo veniva eccitato sia colla corrente elettrica, sia con l'iniezione endovenosa di sali di sodio. Per brevità riporto qui soltanto quattro esperienze, quelle in cui i risultati sono stati più netti. Esperienza 15.:—7 Luglio 1896. Cagna del peso di Kg. 4,900. Manometro con sfigmoscopio alla carotide sinistra. Pressione media Ore in mm. He. ll 180 ua io 11 20’ 180 MED: 180 11 830” 150 1131’ 210 11 40’ 130 11 42’ 19 11 56’ 120 12 105 12 20’ 80 12 26” 70 1DRO7A 90 Osservazioni Iniezione di 40 mg. di selenito sodico sotto la pelle del dorso. Coagulo. Si rimuove. Per eccitazione dello sciatico destro. Per eccitazione dello sciatico destro. Coagulo. Si rimuove. Per eccitazione dello sciatico sinistro. Si sospende l'osservazione. Esperienza 16*.—Cane da pastore di Kg. 7, 200. Manome- tro alla carotide sinistra. (9 Luglio 1896). Pressione media Ore in Osservazioni mm. Hg. 14 45° 160 Do in tro Iniezione di 40 mg. di selenito sodico sotto la pelle del dorso. 7 15 16’ 150 n se 220 Per eccitazione dello sciatico destro. 0 150 15 30” 150 Coagulo. Si rimuove. 15 36’ 190 Per eccitazione dello sciatico destro. 15 40’ 130 10 30 160 Per eccitazione dello sciatico sinistro. 100 16 21’ 120 Per eccitazione dello sciatico sinistro. Si sospende l'osservazione. Si rileva dalle due suesposte esperienze che, se quando la pressione sanguigna ha accennato ad abbassarsi si stimola il 292 Sull’azione acuta del selenio. moncone centrale dello sciatico, si nota nei cani un aumento di essa pressione. Però col progredire dell’ avvelenamento l’ ec- citazione elettrica dello sciatico non dà più quegli aumenti di pressione, che si notano a principio dell’esperimento. Questo risul. tato non si deve attribuire ad esaurimento del nervo stimolato varie volte, dappoichè osservasi lo stesso comportamento dell’ele- varsi della pressione sanguigna eccitando in ultimo l’altro sciatico rimasto finora intatto. Se però 1’ avvelenamento ha un decorso tumultuoso, non può notarsi questo tipico e regolare comporta- mento della pressione del sangue verso lo stimolo degli sciatici. Identici risultamenti si hanno se si stimola il sistema ner- voso vasomotorio coi sali di sodio. Ecco due eperienze. Esperienza 17.+:—12 Luglio 1896. Cane di Kg. 6. Manome- tro alla carotide sinistra. Press. media Ore in Osservazioni mm. He. 13 150 Iniezione sottocutanea di 50 mg. di selenito sodico. 13 10’ 150 138128 . +. +. + | Coagulo. Si rimuove. 13 20’ 150 194226 150 Iniezione nella giugulare di gr. 1 di carbonato sodico in 10 c.c. d’acqua distillata. 13 30 50 13 50’ 140 14 120 14 12” 90 Iniezione nella giugulare di gr. 1 di carbonato sodico. 14 19 105 14 40’ 80 14 45° 60 Iniezione nella giugulare di gr. 1 di carbonato sodico. 14 50’ 65 14 59’ «+ + + + | Morte dell'animale. Sullazione acuta del selenio. 23 Esperienza 182—5 Luglio 1896. Cane di Kg. 8. Manometro alla carotide sinistra. Press. media Ore in UlsEsseiniviaziono tn mm. Ho. 9 145 Iniezione sottocutanea di mg. 60 di selenito sodico. 9 30’ 120 9 50” 105 Iniezione nella giugulare di gr. 1,20 di carbonato sodico in so- luzione acquosa. 59 130 10 6’ 110 ll 110 Coagulo. Si rimuove. 11 10° 90 Iniezione di 1 gr. di carbonato sodico. Io! 95 1117 «+. + «+ «| Morte dell'animale per arresto della respirazione. Si rileva da queste due esperienze, che il carbonato sodico è capace di fare innalzare nei cani la pressione sanguigna ab- bassata per azione del selenio. Col progredire dell’ avvelena- mento però il sale sodico non produce che lievi aumenti di essa pressione. Ora, siccome per gli studii del prof. Curci (1) è noto che il sodio fa innalzare la pressione sanguigna ecci- tando il sistema nervoso vasomotorio, è chiaro come il selenio abbia alterato questo, dal momento che il sale di sodio non vi ha potuto spiegare intieramente fino all’ ultimo la sua azione. Forse anche il sistema muscolare cardiaco e vasale viene alterato dal selenio, analogamente a quanto avviene nelle rane. Non è adunque vero quanto affermano CzapecH e WEIL, che, cioè, nell’avvelenamento per selenio il sistema nervoso vaso- (1) Alcune ricerche sul meccanismo d'azione dei comuni metalli alcalini ed alcalino-terrosi. (Annali di Chimica e di Farmacol., serie Iv., vol. 1. 1886.) DA Sull'azione acuta del selenio. motorio resti intatto fino alla morte. Dalle mie esperienze risulta che esso va mano a mano paralizzandosi, e che a questa para- lisi devesi l'abbassamento della pressione del sangue. Certamente avrà la sua influenza su questo fatto anche la diminuzione del- la forza delle contrazioni cardiache. Azione sul sangue. Ho già pubblicato in un altro lavoro (1) le modificazioni, che induce nel sangue il selenito di sodio nell’ avvelenamento croni- co. In questo lavoro mi occupo di alcune alterazioni che vi pro- duce nell’ avvelenamento acuto. Czapecni E WEIL non hanno notato alcuna alterazione nel sangue; RABUTEAU (2) vi avrebbe trovato dei cristalli speciali che, secondo lui, erano la causa diretta dell’asfissia degli ani- mali. Sono stato indotto a studiare il sangue nell’ avvelenamento acuto col selenio dalla osservazione di un fenomeno, che è cadu- to sotto i miei occhi studiando al microscopio la circolazione ca- pillare del mesentere delle rane. Ho visto allora come, poco do- po l'iniezione del selenio, in mezzo al sangue normalmente co- lorato, esistessero delle zolle di globuli rossi perfettamente deco- lorati. Occupandomi delle modificazioni che subisce il sangue nel- l’avvelenamento acuto per selenio, ho studiato la sua riduzione, sia spontanea che provocata, l’isotonia e le alterazioni quanti- tative dei globuli rossi, nonchè dell’ emoglobina. 1°. Azione dell’ acido selenioso sulla riduzione del sangue. Per istudiare la riduzione spontanea o provocata del sangue sotto l’ influenza dell’ acido selenioso, facevo una soluzione tito- (1) Vedi Azione cronica del selenio. Questi atti 1896-97. MIT Sull'azione acuta del selenio. 25 lata di sangue in acqua distillata e bollita, e per le osservazioni spettroscopiche adoperavo dei tubetti lavati prima all’ acido clo- ridrico, e poi all’ acqua distillata e sterilizzata. La soluzione di sangue si faceva sempre con sangue defibrinato, e nella propor- zione di 10 gocce di questo per ogni 30 ce. c. d’ acqua. La solu- zione si distribuiva nei suddetti tubetti che avevano il diametro di 7-8 mm., in modo che ognuno ne contenesse 4 c. c., e, fatte le operazioni dovute, si facevano le osservazioni allo spettroscopio a varil intervalli. Si sono fatte due serie di esperimenti : in una 1 serie il se- lenito di sodio sì è fatto agire sul sangue fuori dell’ organismo, in una 2° serie si è fatto agire sul sangue circolante. 1a Serie. — Il selenio si fa agire sul sangue estratto dallo organismo.— Preparate 10 provettine colla soluzione di sangue, due di queste si lasciavano in bianco, nelle altre 8 si aggiungeva- no dosi progressivamente crescenti di selenito di sodio in solu- zione; si agitava capovolgendo due volte ogni provetta chiusa col dito ben pulito, e si esponevano all’ aria ambiente. Ecco alcune esperienze. Esperienza 19.» 2 Giugno 1896. — Sangue di vitella preso al macello da 24 ore. La soluzione normale si riduce spontanea- mente dopo 36 ore. Le soluzioni contenenti da 1 a 4 mg. di se- lenito di sodio sì riducono quasi tutte dopo 72 ore, quelle con- tenenti 5-8 mg. di sostanza dopo 96 ore, quelle che ne conten- gono 1-5 cg. dopo 152 ore. È da notare, che la soluzione di san- gue contenente il selenio riducendosi non mostra una stria ben netta (dell’ emoglobina ridotta) come la mostra il sangue delle provettine in bianco, ma piuttosto un’ ombra, nel mentre tutto lo spettro mostrasi un po’ oscuro. Dopo 171 ore ho agitato all’ aria, e per tempi uguali, il contenuto di ciascuna provetta. Mentre la soluzione sanguigna normale acquista ancora ben chiare le due strie dell’ ossiemoglo- bina, le quali dopo un’ora vengono sostituite dalla stria dell’ e- moglobina ridotta, il sangue col selenio acquista invece due strie ATTI Acc., Vor. X, SERIE 48— Memoria IX. 4 26 Sull’ azione acuta del selenio. molto sbiadite al posto di quelle dell’ emoglobina ossigenata , le quali non scompariscono che dopo 3-7 ore, secondo che è piccola o grande la quantità di selenio. Esperienza 20.* 4 Giugno 1896. — Sangue di vitella preso al macello da 3 ore. Si riduce spontaneamente dopo 20 ore e 15 minuti. Quello contenente 1-3 mg. di selenito di sodio dopo 3-7 ore, quello che ne contiene 1-5 cg. dopo 59-79 ore, a seconda della dose. Devo- no farsi le stesse osservazioni fatte nell’esperienza precedente in quanto alla chiarezza delle strie d’ assorbimento e dello spettro. Dopo 79 ore, in seguito ad agitazione all’ aria, il sangue normale acquista le due strie d’ assorbimento dell’ ossiemoglobi- na, e sì riduce dopo 2 ore e 10 minuti, mentre quello conte- nente il selenio acquista due strie molto sbiadite, le quali sl ve- dono ancora immodificate dopo 4 ore. Esperienza 21.* 8 Giugno 1896.—Sangue di vitella preso da un’ ora al macello. Il normale si riduce dopo 25 ore. Quello contenente 1-5 mg. di selenito sodico dopo 39-50 ore a seconda della dose, quello che ne contiene dosi maggiori dopo 62 ore mostra ancora le due strie dell’ ossiemoglobina, quantunque sbiadite. Dopo 96 ore, agitato all’ aria per tempi uguali, il sangue normale acquista le due strie dell’ossiemoglobina che scompari- scono poi dopo |1 ora e 50 minuti, mentre quello col selenio ac- quista due strie molto sbiadite, ma che non sono scomparse an- cora dopo 5 ore. Da queste esperienze si deduce che il sangue con l’aggiunta del selenito sodico si riduce difficilmente, e per di più subisce delle alterazioni, in quanto che, agitato all'aria, non si ossida più così bene come il normale. Come bisogna spiegare il detto ritardo nella disossidazione ? Esso o dipende dal fatto che 1’ os- sigeno del sangue resta più tenacemente fissato ai globuli rossi Sullazione acuta del selenio. 27 ovvero che nuovo ossigeno venga a mano a mano fornito dal se- lenito sodico, in cui dovrebbe ammettersi una riduzione ; ed in ciò niente di sorprendente : si sa che un selenito alcalino si de- compone facilmente in presenza di sostanza organica mettendosi in libertà del selenio libero e dell’ O. Io credo più probabile però che nel nostro caso avvengano nel sangue delle modificazioni tali per cui l'ossigeno resti più te- nacemente fissato al globuli rossi, non saprei in altro modo spie- gare perchè, agitando all'aria il sangue cui da varii giorni sì è aggiunto il selenito, quando cioè è da presumere che questo si sia tutto decomposto, si osservi pure un ritardo nella sua riduzione. Col sangue che mi è servito per le esperienze precedenti ho fatte altre esperienze per studiare il suo comportamento verso il solfidrato ammonico e verso il nitrito di sodio. La soluzione di solfidrato ammonico era fatta in modo che 2 gocce di essa riducessero 4 c.c. della soluzione di sangue in circa 20 minuti ; la soluzione di nitrito sodico, nelle stesse pro- porzioni della precedente, faceva scomparire le due strie dell’os- siemoglobina in circa 8 minuti. In queste esperienze non potei adoperare forti dosi di selenito di sodio, perchè, in questi casi, l aggiunta del solfidrato am- monico dopo qualche tempo (20-40 minuti) produceva nella solu- zione di sangue un forte intorbidamento , che non lasciava più distinguere lo spettro. Le dosi di selenito adoperate non poteva- no superare i 3 mg. per ogni provetta. Il metodo sperimentale seguìto era il seguente: fatta la so- luzione di sangue nelle proporzioni descritte, preparavo 12 tu- betti, in ciascuno dei quali ponevo 4 c.c. di essa. Dei 12 tu- betti 6 servivano per l’ aggiunta del solfidrato ammonico, e 6 per l’ aggiunta del nitrito di sodio. Di ciascun gruppo di sei poi 3 erano con selenito sodico, e 3 in bianco per paragone. Esperienza 22.2 2 Giugno 1896.—Stesso sangue servito per l’esperienza 192. Due gocce della soluzione di solfidrato ammoni- 28 Sull azione acuta del selenio. co riducono il sangue normale in 23-25 minuti, e quello col se- lenio in 35-40 minuti. Due gocce della soluzione di nitrito sodico fanno scompa- rire le due strie dell’ ossiemoglobina dopo 6-7 minuti nel sangue normale, dopo 4-5 in quello col selenio. Esperienza 23.* 4 Giugno 1896.—Stesso sangue servito per l’esperienza 20*. Due gocce di solfidrato ammonico riducono il sangue normale in 15-22 minuti, e il sangue col selenio in 29-33 minuti. Due gocce della soluzione di nitrito di sodio fanno scompa- rire le due strie dell’ossiemoglobina dopo 10 minuti nel sangue normale, e dopo 5-7 in quello col selenio. Esperienza 24.8 8 Giugno 1896.—Stesso sangue servito per l’esperienza 21.* Due gocce della soluzione di solfidrato ammonico riducono il sangue normale in 33 minuti, e quello col selenio in 40-42 minuti. Due gocce di nitrito sodico fanno scomparire le due strie dell’ ossiemoglobina dopo 8 minuti nel sangue normale, dopo 3-4 in quello col selenio. Da tutte queste esperienze risulta che il selenito sodico ag- giunto ad una soluzione di sangue : 1° ne ritarda la riduzione spontanea, nonchè quella pro- vocata dal solfidrato ammonico. 2° ne altera la composizione sia perchè il sangue, agitato all’ aria, non è più capace di ossidarsi così bene come il normale, sia perchè si lascia più facilmente decomporre dal nitrito di sodio. 22 Serie. — Il selenio si fa agire sul sangue circolante.—Le stesse esperienze che ho fatto sul sangue cui veniva aggiunto del selenito di sodio, sono state fatte sul sangue degli animali avvelenati con questa sostanza. Animali d’ esperimento sono stati cani e conigli. Il meto- Sull’azione acuta del selenio. 29 do sperimentale seguito per lo studio della riduzione del sangue è stato quello delle esperienze precedenti. Esperienza 25. 27 Giugno 1896. — Coniglio grigio di gram- mi 1010. Alle ore 14. 55' si estraggono dalla giugulare 5 c. c. di sangue, il quale viene defibrinato. Se ne fa la solita soluzione e subito le osservazioni che saranno più sotto riferite. Intanto s’ iniettano a varie riprese, dalle ore 15 alle 16. 15', 14 mg. di selenito di sodio sotto la pelle del dorso. Appena |! animale muo- re, se ne estrae il sangue contenuto nel cuore mercè un taglio trasversale, si agita con bacchetta di vetro per defibrinarlo e se ne fa la solita soluzione. Si osserva che sia il sangue estratto dalla giugulare prima dell’ avvelenamento, sia quello estratto dal cuore dopo la morte, si riducono in capo a 19 ore e 35 minuti, nel mentre il solfi- drato ammonico riduce il primo in 12 minuti e il secondo in 28-29 minuti, ed il nitrito sodico fa scomparire le strie d’ assor- bimento dell’ ossiemoglobina nel primo dopo 5-6 minuti e nel secondo dopo 2 */ - 3 minuti. Esperienza 26.* 30 Giugno 1896.—Uoniglio di grammi 1090. Alle ore 15. 25' si estraggono 4 c. c. di sangue dalla giugulare e se ne fa la solita soluzione. Alle ore 15. 32° s'° iniettano sotto la pelle del dorso 8 mg. di selenito sodico, e intanto sul sangue estratto si fanno le osservazioni sotto indicate. Morte alle ore 20. Si estrae il sangue dal cuore. Sia il sangue estratto dalla giugulare come quello estratto dal cuore si trovano ridotti la mattina del 1° Luglio. Il solfi- drato ammonico riduce il sangue normale in 20' e quello estratto dopo l’ avvelenamento in 30‘; il nitrito sodico fa scomparire le strie dell’ossiemoglobina nel primo dopo 7' e nel secondo dopo 1'. 30''. Ripetute le esperienze l'indomani, sì sono avuti gli stessi risultati. 30 Sull’azione acuta del selenio. Esperienza 27.* 3 Luglio 1896. — Coniglio di gr. 1160. Si avvelena con 2 cg. di selenito sodico. Muore dopo 1 ora dalla iniezione del selenio. Il sangue estratto dalla giugulare prima dell’ avvelenamen- to si riduce spontaneamente dopo 20 ore, quello estratto dal cuore dopo la morte si riduce invece dopo 26 ore. Il solfidrato ammo- nico riduce il primo in 26' e il secondo in 30'. Il nitrito sodico fa scomparire le strie dell’ ossiemoglobina nel primo dopo 4' e 30" e nel secondo dopo 1'. 45". Esperienza 28.2 26 Giugno 1896. — Cane di Kg. 7 servito per le esperienze sulla circolazione. Muore dopo 2 ore dall’ inie- zione di 40 mg. di selenito di sodio sotto la pelle del dorso. Il sangue estratto dalla carotide prima della somministra- zione del selenio si riduce spontaneamente dopo 23 ore, quello estratto dal cuore dopo la morte, dopo 30 ore mostrava ancora le due strie dell’ ossiemoglobina, sebbene sbiadite. Col solfidrato ammonico il primo si riduce in 18'19', il secondo in 30'-32'; col nitrito di sodio nel primo scompariscono le strie dell’ ossiemo- globina dopo 5’-7’” e nel secondo dopo 1'. 15''—2". Esperienza 29.8 28 Giugno 1896.—Cane di Kg. 6 servito per lo studio del selenio sulla circolazione. Si avvelena con 1’ inie- zione sottocutanea di 3 cg. di selenito sodico, dopo avere estratto dalla carotide sinistra 5 c. c. di sangue. Muore dopo 1 ora e 5 minuti dall’ iniezione e si estrae il sangue dal cuore. Il solfidrato ammonico riduce il sangue estratto dalla giu- gulare dopo 18'-19' e quello estratto dal cuore dopo 26'-28' ; il nitrito sodico fa scomparire le strie dell’ ossiemoglobina nel pri- mo in 7'—9'.30" e nel secondo in 1’. 30'"—2'. Il sangue normale e quello avvelenato si trovano ridotti spontaneamente la mattina seguente. I risultati di queste esperienze confermano adunque quelli avuti nelle esperienze, in cui il selenito di sodio veniva aggiunto Sull’ azione acuta del selenio. Sl al sangue estratto dal corpo, colla differenza che in quest’ ulti- mo caso è molto più manifesto il ritardo alla riduzione spontanea. 2. Azione dell’ acido selenioso sulla isotonia. Per la valutazione della isotonia ho adoperato il metodo di HamBuRGER un po’ modificato (1). Ho preparato 16 soluzioni di cloruro di sodio da 0,30, 0,32, 0,34 ecc. °/, fino a 0,60 °/.. Disponevo in 16 provettine del diametro di 7-8 mm. Lc. c. di ciascuna soluzione, e vi facevo cadere per ognuna 20 mm. c. di sangue. Questo veniva misurato colla pipetta dell’emoglobino- metro di Gowers. Facevo un’ osservazione immediata, secondo il metodo di Mosso, segnando la prima provetta in cui non si di- scioglieva il sangue immediatamente, e perciò la prima provetta che rimaneva torbida (2), ed un'osservazione dopo 24 ore, segnan- do la prima provetta che rimaneva perfettamente incolore. Ecco alcune esperienze : Esperienza 80°. 27 Giugno 1896. — Stesso sangue (defibri- nato) del coniglio dell’ esp. 25.2 Sangue estratto dalla giugulare prima della somministrazio- ne del selenio, isotonia: osserv. immediata 40, dopo 24” 42. Sangue estratto dal cuore dopo la morte, isotonia : osserva- zione immediata 40, dopo 24 ore 54. Esperienza 31°. — Stesso sangue (defibrinato) del coniglio dell’ esperienza 26°. Sangue normale, isotonia: osserv. immed. 40, dopo 24 ore 40 » seleniato (3) » » » 46 » » >» 48 (1) Arch. f. Physiol., 1886, p. 476 e 1887 p. 31. (2) Rendic. dell’ Accad. dei Lincei, seduta 3 Aprile 1887. (3) Sarà detto così il sangue estratto dall’ animale morto col selenio. 392 Sull’ azione acuta del selenio. Esperienza 82.:—Stesso sangue (defibrinato) del coniglio del- l’esperienza 27.* Sangue normale, isotonia: osserv. immed. 36, dopo 24 ore 42 » seleniato » » » 40 » » | SIMO Esperienza 33.:—Stesso sangue (defibrimato) del cane dell’e- sperienza 28.” Sangue normale, isotonia: osserv. immed. 34 seleniato » » » 38 Non si sono fatte le osservazioni dopo 24 ore. Esperienza 34.-—Stesso sangue (defibrinato) del cane dell’ e- sperienza 29.* Sangue normale, isotonia: osserv. immed. 38, dopo 24 ore 50 » seleniato » » >» 42 » >» » 56 Esperienza 35.*-—Sangue di cane avvelenato con l’ iniezione sottocutanea di 40 mg. di selenito sodico. Morte dopo 3 ore e 11 minuti. Sangue normale, isotonia: osserv. immed. 36, dopo 24 ore 46 » seleniato » » » 40 » » SAI Esperienza 36..-—Sangue di cane avvelenato con l’ iniezione sottocutanea di mg. 60 di selenito sodico. Morte dopo 2 ore. Sangue normale, isotonia: osserv. immed. 38, dopo 24 ore 50 » seleniato » » » 42 » » » 58 Le stesse osservazioni, che sono state fatte nel sangue degli animali avvelenati col selenio e che morivano dopo poche ore dalla somministrazione della sostanza, sono state fatte sul san- gue degli animali, i quali soccombevano dopo varii giorni di av- velenamento. Il sangue veniva preso colla pipetta dell’ apparecchio di Gowers dai vasi dell’ orecchio. Ecco due esperienze: Sull’azione acuta del selenio. gr. 33 Esperienza 37. 28 Giugno—-13 Luglio 1896. — Coniglio di 1300. gr. 28 al 29 Data VI '96 VII » » » )) » » » » » » » » » » ’ » » » » » » » » » » Peso in gr. 1500 1290 1250 1100 Si trova morto. Selenito sodico somm. per iniez. Isotonia A me a Osservazioni sott. in gr. osservaz.| dopo 24 imm. ore 0 38 46 0 36 46 0, 0005 su Si comincia la somministrazione » del veleno. 0, 001 40 02 Il coniglio mangia meno di pri- » ma, è debole, si sporca la coda. 0, 0015 0, 002 SA - » 40 52 0, 0025 42 56 Esperienza 88.2 29 Giugno—25 Luglio 1896. — Coniglio di 1290. Data VI ’96 VII » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » DI » ) » ATTI Acc., 1065 Selenito sodico somm. per bocca in gr. (0) (0) 0, 0005 » 0,001 0, 0015 0, 002 » 0, 0025 riposo 0, 003 0, 004 » 0, 006 » » » Si trova morto. Vor. X, Serie 4*— Memoria IX. Isotonia imm. 32 32 36 40 vi tt a osserv. | dopo 24 ore 40 42 Usservazioni Si comincia la somministrazione del veleno. Il coniglio è apatico , debole , rifiuta il cibo, ha piaghe alla regione delle calcagna, il pelo arruftato. 34 Sull azione acuta del selenio. Da tutte queste esperienze si può concludere adunque, che sotto l’ azione del selenito di sodio, sia che questo uccida in po- che ore o dopo alcuni giorni, il sangue del cane e del coniglio si disfà più facilmente nelle soluzioni di cloruro sodico: il grado isotonico di queste aumenta notevolmente, specialmente nelle osservazioni dopo 24 ore. 3. Azione del selenio sulla quantità dell’ emoglobina e sul numero dei globuli rossi del sangue. Studiando nei cani e nei conigli la forma dell’ avvelena- mento acuto per acido selenioso, ho fatto delle osservazioni sulle variazioni del numero dei globuli rossi del sangue e della quan- tità dell'emoglobina; però ho dovuto constatare che questi ele- menti non venivano alterati nella loro quantità nell’ avvelena- mento che durava poche ore. Per brevità quindi non trascrivo le esperienze. Ma nell’ avvelenamento subacuto, allo stesso modo che in quello molto prolungato (1), sia il numero dei globuli rossi, sia la quantità dell'emoglobina vengono ad essere notevolmente alterati. Esperienza 39%. — Stesso coniglio dell’ esp. 372. Selenito somm. Grado Globuli rossi Data all’emometro in gr. di Fleisch inl1mm.c. 28 VI '96 0 75 6, 300, 000 INI) 0 75 6,000. 000 D > » 0, 0005 3 » » » 4» » » (19) 5, 800, 000 5» >» 0,001 6 » » » 7 » DI 0, 0015 65 4, 020, 000 80» » 90» » 0, 002 10 » » » 11 » » » 12 » » 0, 0025 50 4, 000, 000 13 » » Si trova morto. (1) Vedi Azione cronica del selenio —Atti dell'Accademia Gioenia, 1896-97. Sull’ azione acuta del selenio. 35 Esperienza 40.--Stesso coniglio dell’ esp. 38.2 | Selenito Grado Globuli rossi Data somministrato all’ emometro per bocca di Fleisch in! mm. c. 29 VI ’96 0 75 4.900, 000 VAI 0 ti) 5, 210, 000 2 » » 0,005 3 ) ) » 4 » » Ù » » 0, 001 60». » » 75 5,000, 000 ri » » 0, 0015 te] » ‘ » 9» » 0,002 75 5, 100, 000 10 » » » 115 » » » 12 » 0, 0025 13» » riposo 70 4, 500, 000 4 » » 0, 003 Is » 0,004 16 » » » 17 » » » 10}9) 4, 000, 000 18 » ») ) 19 » » » 20.» » 0.006 45 4, 250, 000 91 UÙ » » DO » » » 23.» ” " 40 3, 800, 000 24 » » » DO i Si trova morto. Espertenza 41.* — Coniglio di gr. 1390. ' Selenito somm. Grado Globuli rossi Data iper iniez. ipod.| all’emometro in gr. di Fleisch Dil nmene: 1 VII '96 (0) 80 5, 700, 500 dll a 0 80 5, 100, 100 5» » 0,001 6° » » » ti ” 80 4,900, 000 8» » 0, 0015 Gr» » o 4, 100, 000 10» » » 11 » » 0,003 I 12» » ” 50 3, 800, 000 130» » Sì trova morto. Da queste tre esperienze si rileva, che nell’avvelenamento subacuto per selenio, sia che la somministrazione si faccia per iniez. ipodermica, sia che si faccia per bocca, diminuisce notevol- 36 Sull'azione acuta del selenio. mente sia la quantità dell’ emoglobina sia il numero dei globuli rossi del sangue. Azione del selenito sodico sul sistema nervoso e meccanismo d’ azione nelle rane. Dal modo di succedersi dei fatti generali osservati nei mam- miferi, chiara appare l’azione paralizzante dell’ acido selenioso sul sistema nervoso centrale, e prima sulla corteccia cerebrale e poi sul midollo spinale; in ultimo si paralizza il centro respiratorio, causa diretta della morte, e dopo il centro circolatorio. Anche nelle rane la paralisi è centrale; facendo le solite esperienze, togliendo cioè la circolazione ad un arto inferiore mer- cè una stretta legatura di tutto l’ arto, ad eccezione del nervo, dopo l’ iniezione del selenio nel sacco linfatico del dorso, osser- vasi in quest’ arto la paralisi come osservasi nell’ altro arto non legato, nel mentre sia 1 muscoli che i nervi dei due arti non mostrano alcuna differenza manifesta verso lo stimolo della cor- rente elettrica indotta. Riservandomi di studiare meglio come si modifichi l’eccitabi- lità elettrica dei nervi e dei muscoli col progredire dell’ avvele- namento allorquando , colle esperienze di paragone, farò un pa- rallelo tra 1 azione dell’ arsenico e quella del selenio, espongo per ora alcune esperienze che ho fatto allo scopo di vedere se nell’av- velenamento acuto, il sistema nervoso venga colpito direttamente dal veleno o piuttosto che non siano i disturbi della circolazione e le alterazioni del sangue che lo alterino secondariamente. È inutile dire che tali esperienze non si possono eseguire che nelle rane. In questi animali ho fatto quindi due serie di esperienze : in una prima serie ho determinato quale relazione esistesse tra l’azione del selenio sul sistema cardio-vascolare e lo sviluppo dei fenomeni generali e la morte; in una seconda serie ho determinato quanto duri dopo la morte l’ eccitabilità elettrica del sistema nervoso centrale sia nelle rane normali, come su quelle avvelenate coll’ acido selenioso. 23 Sull azione acuta del selenio. 1° Serte. dio-vascolare e i fatti generali e la morte. Ecco per sommi capi i risultati di alcune esperienze. Rapporto tra l’azione del selenio sul sistema car- Esperienza 42." 25 Aprile 1896.—Rana del peso di gr. 12 molto emaciata. Ore 15, 15’ Si fissa con cordicelle e si mette il cuore allo sco- perto. » 15,45’ S' iniettano 2 mg. di selenito di sodio sotto la pelle della coscia sinistra. » 16,30’ cioè dopo 45 minuti dall’ iniezione, il cuore è oscu- ro, enormemente dilatato e fermo; solo le orecchiette fanno qualche pulsazione. Slegata, la rana salta ener- gicamente anche che non venga stimolata, ha il senso dell’ orientamento e i riflessi come una normale. Esperienza 48.2 25 aprile 1896.—Piccola rana di gr. 7 ema- ciata. Ore 10, 15° Si mette il cuore allo scoperto dopo che la rana è fissata con cordicelle. » 10, 45° S'inietta sotto la pelle della coscia sinistra 1 mg. di selenito di sodio. » 11,45° cioè dopo un'ora dall’ iniezione, il cuore è arrestato. Si slega la rana, la quale ha ottimi i movimenti spontanei e 1 riflessi. > cioè dopo 15° dall’ arresto del cuore incomincia l’ in- debolimento nei movimenti spontanei e nei riflessi. Esperienza 44.* 20 Maggio 1896. — Piccola rana di gr. 12 fresca. Ore 12 Si fissa la rana con cordicelle e si mette il cuore allo scoperto. » 12, 17’ S'iniettano mg. 2 di selenito sodico sotto la pelle del dorso. 38 Sullazione acuta del selenio. Ore 13, 7’ cioè dopo 50 minuti, si arresta il cuore. Slegata, la rana per nulla differisce da una normale. Esperienza 45.* 20 Maggio 1896. — Piccola rana di gr. 14 fresca. Ore 13, 10° Si fissa con cordicelle e si mette 11 cuore allo sco- perto. » 18, 30’ S’iniettano 3 mg. di selenito di sodio. » 14 20’ cioè dopo 50’ si arresta il cuore. Si slega la rana, la quale ha il senso dell’orientamento ed i movi- menti spontanei buoni. » 14, 32° cioè dopo 12°’ dall’arresto del cuore, si vanno indebo- lendo i riflessi e i movimenti. Credo inutile riferire altre esperienze simili. Si conclude da, esse che nelle rane, finchè il cuore funziona, non si manifestano segni visibili di avvelenamento ; soltanto dopo 10-15 minuti da che esso sì è fermato, incomincia l’indebolimento dei movimenti e dei riflessi. Altre esperienze sono state fatte allo scopo di vedere in quanto tempo muoiono le rane normali dopo che si è legato o tagliato il cuore, ed in quanto tempo muoiono invece quelle avvelenate col selenio dopo che il cuore si è fermato per azione del veleno. Esperienza 46.* 8 Aprile 1896.—Due rane di gr. 12 fresche. Ad una si escide il cuore con un colpo di forbice, all’ altra si mette il cuore allo scoperto e s’ iniettano 3 mg. di selenito sodio nei sacchi linfatici dorsali. La rana dissanguata muore dopo 20’ dall’ escissione del cuore, mentre quella avvelenata col selenio muore 29’ dopo che si è fermato il cuore. Esperienza 47.8 10 Aprile 1896.—Due rane del peso di gr. 16 l'una e di gr. 17 l’altra. Alla prima si escide il cuore, alla seconda si mette il cuore allo scoperto e s’ iniettano 3 mg. di Sull’ azione acuta del selenio. 5 selenito sodico sotto la pelle della coscia destra. La rana dissan- guata vive 22° dopo il taglio del cuore, l’ avvelenata vive anco- ra 35° dopo l’ arresto del cuore. Esperienza 48.* 16 Aprile 1896.—Due rane del peso ciascu- na di gr. 12.—Ad una si mette il cuore allo scoperto e s'inietta 1 mg. di selenito sodico, all'altra si lega fortemente il cuore in modo da impedirne la funzione. La rana col cuore legato vive 28' dopo la legatura, e quella avvelenata vive ancora 45’ dopo l'arresto del cuore. Esperienza 49.* 18 Aprile 1896.— Due rane di gr. 15, 10 l'una, di gr. 14, 70 l'altra. Alla prima si lega il cuore, alla se- conda si mette il cuore allo scoperto e s' iniettano 2 mg. di se- lenito sodico sotto la pelle della coscia sinistra. La rana col cuore legato muore 26’ dopo la legatura, quella avvelenata muore 38' dopo l'arresto del cuore. Ho moltiplicato queste esperienze, ed ho dovuto convincer- mi dell’esattezza dei risultati di esse. Di modo che io posso con- cludere, che sopravvive maggior tempo all’arresto della funzione del cuore una rana avvelenata col selenio, anzichè una rana normale. Questo ci indica che il sistema nervoso della rana viene poco influenzato direttamente dal selenio, ed ha poca importanza sulla morte di esse. Risultati opposti hanno avuto CzaprcH e WeIL, i quali di- cono d’aver visto che, legando l’aorta ad una rana normale, essa muore in 20’, mentre la stessa operazione uccide una rana in 10’, se essa era precedentemente avvelenata col selenito. Essi non dicono però in qual momento legavano l’ aorta nella rana avvelenata: è evidente che si debbono avere risultati diversi a seconda del tempo in cui la detta legatura è stata praticata. Intanto come spiegare i fatti da me trovati? Parrebbe ve- ramente paradossale che una rana avvelenata sopravvivesse al- l’ abolizione della funzione del cuore più a lungo di una rana 40 Sull’ azione acuta del selenio. sana. lo credo si possa spiegare il fenomeno col fatto che il san- gue, il quale contiene del selenito sodico tal quale o modificato, si riduce, ossia cede il suo ossigeno, più lentamente del sangue normale, e quindi se una rana sana, a cui si sia abolita mecca- nicamente la circolazione, vive per un dato tempo, quello che è necessario finchè sia esaurita la quantità di ossigeno contenuta nel suo sangue, una rana avvelenata col selenio, se questo non agisce che sul sangue, vivrà di più, dopo l’ abolizione della cir- colazione del sangue, appunto perchè questo cederà lentamente la sua provvista di ossigeno. Mi pare meno probabile il fatto che i tessuti vengano ossidati per maggior tempo mercè l'ossigeno che si sviluppa dal selenito sodico, se questo si decompone. Del resto questo non possiamo ammetterlo con sicurezza; nulla di sicuro sappiamo sul destino di questo sale nell’organismo, dappoicchè, stando alle sue proprietà chimiche, non possiamo nemmeno prestare fiducia alle antiche ricerche del RaBUTEAU (1), il quale dice che questo composto si rin- viene immodificato nelle urine degli animali cui sì è somministrato. Pertanto da tutte le esperienze fatte sul meccanismo d’ a- zione del selenito sodico risulta, che i fatti generali dell’avvele- namento nelle rane non si sviluppano che dopo l arresto della circolazione , e che questo fenomeno è la causa se non unica , certamente la più importante, della morte. Il sistema nervoso verrebbe poco interessato direttamente. Questo ci è confermato anche dalle seguenti esperienze. 2* Serie. — Durata postmortale della eccitabilità elettrica del sistema nervoso centrale sta nelle rane normali, come in quelle avvelenate col selenio. Il sistema nervoso centrale delle rane veniva eccitato per mezzo dell’eccitatore elettrico, che si strisciava sul dorso in cor- rispondenza dell’ encefalo e del midollo spinale. Si riteneva spenta l’ eccitabilità elettrica dei detti centri (1) I. c. Sull’azione acuta del selenio. 41 allorquando lo stimolo non produceva più alcuma reazione gene- rale. In questo momento i nervi periferici e la sostanza musco- lare erano ancora eccitabilissimi alla corrente indotta. Esperienza 50.* 8 aprile 1896. — Due rane fresche di g. 12. Una si uccide escidendo il cuore, all’ altra s° iniettano 3 mg. di selenito sodico sotto la pelle del dorso. Nella prima 1 eccitabi- lità elettrica dei centri nervosi si spegne dopo 2", 30° dalla mor- te e dopo 2", 50' dall’arresto del cuore, e nella seconda dopo 1", 45' dalla morte, e dopo 2", 12' dall’ arresto del cuore. Esperienza 51. 10 aprile 1896.—Due rane del peso di gr. 16 luna e di gr. 17 l'altra. La prima si uccide coll’ escissione del cuore, la seconda coll’iniezione sottocutanea di 3 mg. di selenito di sodio. Nella prima l’ eccitabilità elettrica dei centri. nervosi si spegne dopo 2°, 10, dalla morte e dopo 2°, 32' dall’ arresto del cuore, e nella seconda dopo 1", 52' dalla morte e dopo 2", 27 dall’arresto del cuore. Esperienza 52.* 16. Aprile 1896. — Due rane del peso di gr. 12 ciascuna. A una sì lega fortemente il cuore, all’ altra sì inietta 1 mg. di selenito sodico. L’ eccitabilità elettrica dei cen- tri nervosi si spegne nella prima dopo 2°, 830' dalla morte e do- po 2°, 58' dall’ arresto del cuore, e nella seconda dopo 2 ore dal- la morte, e dopo 2°, 45’ dall’arresto del cuore. Esperienza 53,% 18 aprile 1896. — Due rane di gr. 15, 10 luna e di gr. 14,70 l’altra. Alla prima si lega il cuore, alla seconda s’ iniettano 2 mg. di selenito sodico. L’ eccitabilità elet- trica dei centri nervosi dura nella prima 2°, 50' dopo la morte e 3°, 16' dopo l’ arresto del cuore, e nella seconda 2 ore dopo la morte e 2°, 38' dopo l’ arresto del cuore. Da queste esperienze si può concludere, che 1’ eccitabilità elettrica dei centri nervosi nelle rane avvelenate col selenito so- 49 Sull'azione acuta del selenio. dico resti bene e a lungo conservata : essa non spegnesi, dopo la morte, che poco prima di quel che si spegne nelle rane sane morte per arresto meccanico della circolazione. Se pigliamo come punto di partenza non la morte delle rane, ma 1° arresto del cuore, vediamo come la detta eccitabilità sì spegne in tempi presso a poco uguali sia nelle rane avvelenate col selenio , sia nelle normali, appunto perchè, come abbiamo precedentemente dimostrato, una rana sopravvive all’ arresto della circolazione di più quando questo arresto è dovuto al selenio, anzichè quando è dovuto ad una causa meccanica. T'alechè abbiamo una confer- ma a quanto abbiamo detto precedentemente, che cioè nell’ av- velenamento acuto per selenio il sistema nervoso centrale della rana non viene influenzato direttamente dalla sostanza, o poco. Sono principalmente i disturbi della circolazione e del sangue che lo alterano secondariamente. Dal Laboratorio di Farmacologia della R. Università Catania, Novembre 1890. Memoria X. Ricerche sulla ipertermia negli animali del Prof. A. CAPPARELLI Dopo gli studi classici del Bernardt, confermati in massima e con piccole modalità dal Vallin, sui limiti di temperatura, che gli animali possono impunemente sopportare; e sulla causa della morte nei medesimi per ipertermia, vi fu in questo genere di ricerche una vera sosta: ammettendosi apoditticamente che la morte negli animali sopra riscaldati, avveniva per coagulazione della miosina delle fibre muscolari cardiache, principalmente del ventricolo sinistro, o in altri termini per paralisi cardiaca.—Ma dopo che i signori Iolyet et Lagrolet, graficamente ebbero dimo- strato : che la funzione respiratoria nella ipertermia si sospende prima, che il cuore si arresti; vi fu una ripresa di questi studi. I quali ebbero un impulso considerevole per opera di quel ge- niale osservatore, che è il chiarissimo Richet, che ha fermato principalmente l’attenzione sopra i fenomeni respiratori, che presentano gli animali in ipertermia. Il Vincent, in uno studio esauriente dell’ argomento e ser- vendosi di tutti 1 mezzi di ricerca moderna, ha tentato di dare la spiegazione della causa della morte per ipertermia; argomen- to che, malgrado le molteplici indagini, era ed è ancora circon- dato di grande oscurità.—Ed egli ammise, come causa prossima della morte, una autointossicazione per la produzione sotto l’in- fluenza del calore di sostanze tossiche nell’ organismo. Un esame però attento della questione e dei lavori. che vi sì riferiscono, lascia scorgere nettamente, come l’argomento della ipertermia animale è tutt’ altro che esaurito; ed è ancora allo stadio di problema, e, come buona parte dei fenomeni osservati e che vi si riferiscono, non sono che sfiorati ed incompletamente ATI Acc., Vor. X, Serie 48— Memoria X. Il 2 Iticerche sulla ipertermia negli animali. conosciuti. Di fronte alla difficoltà dell’ argomento, io mi sono proposto il compito modesto, di tentare, con nuovi mezzi, di adden- trarmi nello studio di alcuni dei fenomeni più appariscenti, che accompagnano la ipertermia e che debbono avere un’importanza non trascurabile, nella determinazione della morte degli animali. Per tanto, servendomi di un apparecchio, da me ideato da parecchio tempo, che mi permette di studiare con molta esattezza graficamente la funzione respiratoria, ho voluto vedere quale sia l'andamento di questa importante funzione, negli animali iper- termizzati. Come è già noto, gli animali che vengono situati in un ambiente, la cui temperatura è superiore a quella del loro corpo, sì riscaldano e presentano oltre un certo limite di temperatura il fenomeno della polipnea, detta termica. Dopo le cennate osservazioni di Iolyet e Lagrolet, i quali hanno dimostrato, che il respiro si arresta prima del cuore, nei casì di ipertermia mortale; i fatti respiratori hanno assunto una importanza grande. Vedremo effettivamente come, per 1 eccessivo riscaldamento, la funzione respiratoria si allontani grandemente dal tipo normale. Prima di entrare nella disamina di questo argomento, ac- cennerò brevemente al metodo da me impiegato per la determi- nazione degli effetti della ipertermia. Per riscaldare gli animali mi sono servito di stufe a pareti doppie, quelle istesse adoperate per la cultura dei microbi. — Per ovviare alla lentezza, con la quale procedeva il riscaldamento dell’ ambiente, in cui veniva immerso l’animale e costretto a respirare, adoperai recipienti a pareti semplici di metallo, che potevo rapidamente riscaldare; e tenuto conto della breve durata, in cui aveva luogo il riscal- damento dell’ animale, mi riusciva facile, accendendo e spe- gnendo la fiamma a gas, di fare oscillare la temp. per il breve tempo della durata dell’esperimento nei limiti voluti, rinunziando così all’uso del termostato ordinario. Il riscaldamento dell’ animale, progressivo nei primi esperi- Ricerche sulla ipertermia negli animali. D) menti e lento, quando adoperavo un’ ordinaria incubatrice, du- rava parecchie ore; durante le quali la temperatura dell'animale ascendeva gradatamente sino al limite mortale. Nel secondo caso, il riscaldamento dell’ animale era invece rapido.—Quanto agli effetti del calore, sui fenomeni respiratori erano, presso a poco, identici, Nelle numerose osservazioni 10 ho adoperato animali giovani del peso di grammi 800; ed adulti del peso di grammi 1200 circa. Veniva prima dell’esperimento presa la temp. nel retto e nel torace in corrispondenza del cavo articolare di un arto anteriore. Adoperavo dei termometri centigradi, così detti pronti, cioè- a bulbo lungo e sottile per avere indicazioni istantanee e fatti costruire appositamente dal Baudin— graduati in *; di grado, con una graduazione complessiva dentro i limiti della tempera- tura da 0 a 50.—Era quindi preso il tracciato della respirazione in condizioni normali. Appena l animale veniva ritirato dalla stufa, era legato sul tavolo e la testa veniva introdotta nell’ ap- parecchio e preso il tracciato della respirazione.—In alcuni espe- rimenti il tracciato era preso in continuazione, in altri a periodi di tempo.—Gli animali erano quindi pesati di nuovo, venivano raccolte le urine e nel caso di morte veniva praticata l'autopsia; nei casì In cui sopravivevano, allora era ripresa la temperatura nei giorni seguenti, esaminata l'urina e qualche volta veniva ripreso il giorno successivo il tracciato del respiro. L'animale veniva quotidianamente osservato sino al 7° 0 8° giorno, oltrepassato il quale ordinariamente seguitavano a vivere apparentemente, come i conigli normali. Come è noto ed ho sopra accennato, gli animali che vengono situati in ambienti la cui temperatura è superiore a quella del loro corpo, si riscaldano e quando il riscaldamento ha raggiunto un certo limite, sì inizia la frequenza respiratoria, la quale va gradatamente crescendo con il crescere della temperatura del corpo, sino ad un limite massimo, in cui la frequenza è così grande, da sembrare l’animale scosso da una vibrazione delle pareti del torace. 4 cicerche sulla ipertermia negli animali. Rimanendo elevata la temp. del corpo dell'animale, dopo un certo tempo il respiro diventa irregolare, sì rarefà e quando la rare- fazione è massima; sopravviene la morte dell’ animale. I fatti re- spiratori sulla ipertermia meritano adunque grande considerazione. I tracciati dimostrano: che sopra tutto negli animali giova- ni, conigli, gli atti respiratori in principio della ipertermia dopo i 41° sono frequenti, ma regolari, solo alquanto superficiali. a a Fig. 1. In questa figura 1* il tracciato « a della respirazione nor- male è ottenuto da un piccolo coniglio del peso di gr. 800. b. è il tracciato dello stesso animale al principio della po- lipnea, che non differisce dal tracciato normale, che per la tre- quenza e la superficialità della escursione toracica. Cresce in generale la frequenza respiratoria e la superficia- lità della escursione respiratoria, proporzionatamente al riscal- damento del COrpo dell’ animale. Quando questo ha raggiunto una temperatura di 42-43°, si trasforma in una vera vibrazione toracica (vedi tracciato fi- gura 2*), il cui tracciato normale respiratorio prima del riscalda- mento è rappresentato nella fig. .1*, trac. a a. Ricerche sulla ipertermia negli animali. 5) Le modificazioni respiratorie non si riducono a questo so- lamente; in generale, quando la frequenza è massima, principal mente se l animale è stato lentamente riscaldato ed ha quindi dimorato lungamente nell'ambiente caldo, nel momento in cui la temperatura dell'animale è vicina al 42° e la frequenza è mas- sima, si produce il noto fenomeno della respirazione periodica di Cheyne-Stokes ; cioè, abbiamo, con grandissima regolarità , dei gruppi di escursioni toraciche, dove i primi atti respiratori sono superficiali, poi crescono gradatamente, per decrescere con la identica regolarità. Solo questo tipo respiratorio da me trovato negli animali sopra riscaldati differisce da quello descritto dal Cheyne-Stokes, poichè i gruppi di escursioni toraciche gradata- mente crescenti é decrescenti non sono separati dalla pausa po- stespiratoria, che è caratteristica di questo tipo respiratorio. Il fenomeno è interessante, anche perchè ci illumina sulle cause probabili, che determinano le modificazioni respiratorie e sul con- corso delle medesime nel determinare la morte per ipertermia. Fig. 4. Il fenomeno si fiproduce costantemente ed io ho potuto os- servarlo in 18 esperienze, nelle quali ho preso i tracciati respi- ratorii. La fig. 3. rappresenta il tracciato normale di un coniglio prima del riscaldamento. La fig. 4. il tracciato respiratorio dopo il riscaldamento dell’ animale medesimo. Ma il fenomeno costante nelle sue linee generali, non sem- 6 Ricerche sulla ipertermia negli animali. pre si riproduceva con la medesima regolarità, pur conservando, come ho detto, il carattere generale del tipo respiratorio indica- to, come sì può osservare nel tracciato qui appresso riportato. Fig. 6. La fig. 6. rappresenta il tracciato normale prima del riscal- damento, la fig. 5 quello preso durante la ipertermia. La respirazione da me trovata negli animali ipertermizzati, presenta un’ altra particolarità cioé, le escursioni toraciche gra- datamente crescenti e decrescenti, prese isolatamente, fanno ve- dere che la precedente è più profonda dalla seguente, quantun- que ciò non avvenga con grande regolarità, pure è abbastanza evidente nei tracciati, come in questo che qui sotto riproduco. (Fig. 7. tracciato normale). —] Ricerche sulla ipertermia negli animali. Il tracciato fig. 8, che riproduce il tracciato respiratorio dello stesso animale durante la ipertermia, in gran parte rap- presenta il fenomeno, al quale ho cennato e che ho potuto os- servare ripetersi un certo numero di volte nei miei esperimenti. Negli animali adulti, quando si prolunga il soggiorno nello ambiente caldo oltre il limite della temperatura tollerabile, cioè oltre i 43°, la respirazione diventa irregolare a scosse e perde l’accennato tipo. Ben differentemente si comportano gli animali sottoposti in condizioni identiche e alla medesima temperatura, quando si fanno respirare in una miscela di aria e di ossigeno. Ordinariamente, per queste esperienze, 10 mi servivo dei pic- coli conigli, nati nell’ istesso giorno dalla stessa madre, dove le alterazioni respiratorie per il riscaldamento, sono maggiormente evidenti. Collocava nella istessa stufa e nel medesimo istante 1 due animali, la testa di uno di essi veniva chiusa in una cas- setta dove con un sistema di tubi faceva penetrare gradatamente una miscela di aria e di ossigeno, che per un altro tubo era poi assieme ai prodotti espirati condotta fuori della cassetta e della stufa medesima. Il ricambio della miscela gassosa, in cui era im- mersa la testa dell’ animale, per la relativa ampiezza della cas- setta di metallo che la conteneva, era lento; ed un termometro che segnava la temperatura dell'ambiente dimostrava, che du- rante l'esperimento, la temperatura dell’aria di respirazione del. l’altro animale di paragone era identica. La temperatura esterna oscillava fra 1 45 e 50° C. I risultati dell’ esperimento ripetuti e numerosi furono con- cordi, cioè mentre negli animali che respiravano l’aria riscal data, si producevano le alterazioni respiratorie, alle quali ho poco anzi cennato, in quelli, nei quali l’ossigeno era amministrato, man- cava costantemente la polipnea termica. Vedi tracciato fig. 9 a, tracciato respiratorio normale d, lo stesso durante il riscaldamen- to in ambiente ossigenato c, d, e, tracciato respiratorio durante il riscaldamento all’aria libera. Dove nel coniglio riscaldato con ossigeno la respirazione è quasi normale, mentre nel compagno 0 Iicerche sulla ipertermia negli animali. che respira aria ordinaria, la respirazione è frequentissima e rag- giunge il carattere vibratorio al quale ho già accennato. d b Fig. 9. L'azione dell'ossigeno sulla polipnea termica è manifesta, evidentissima, anche negli animali, che per il semplice fatto del riscaldamento hanno presentato la polipnea; se ai medesimi vie- ne amministrato dell'ossigeno il respiro si rarefà immediatamente, come lo dimostra il presente tracciato (fig. 10), che appartiene ap- punto ad un animale, in cui, dopo avere determinato la polipnea viene fatta respirare in una miscela egualmente calda di ossigeno ed aria ed immediacamente cessa la polipnea, in 4 si osserva il tracciato della polipnea termica, in d si ha la rarefazione imme- diata facendo respirare aria ed ossigeno. a Fig. il. Ricerche sulla ipertermia negli animali. 9 I miei esperimenti dimostrano inoltre, che maggiore è la quantità dell'ossigeno amministrato, più forte è il riscaldamento dell’ animale e più grande la rarefazione degli atti respiratori, che diventano anche profondi. È distrutto perfettamente in que- sti casi, il parallellismo tra polipnea ed ipertermia. Quest’ influenza dell’ ossigeno rallentatrice nei casi di poli- pnea termica, è per me molto significativa e ci illumina, assie- me alla produzione della respirazione alternante, sulla vera cau- sa della polipnea termica. È noto come il Ch. Richet, con quell’intuito che tanto lo distingue, dopo avere sapientemente illustrato le alterazioni re- spiratorie dell’ipertermia, emise l’ opinione che la polipnea o ri- flessa o centrale, fosse ingenerata dal bisogno dell'organismo di perfrigerarsi, rinnovandosi l’ambiente polmonare di frequente, de- terminandosi così un’abbondante evaporazione e quindi produ- zione di freddo: da questa ingegnosa ipotesi venne ad emettere nel bulbo un centro regolatore del calore, per mezzo dell’ atto respiratorio. A. parte il fatto, che anche in un ambiente umido, dove 1 evaporazione polmonale è ostacolata , si produce nelle identiche condizioni di calore la polipnea, 1 azione inibitrice dell’ ossigeno sarebbe perfettamente inspiegabile. Per la introduzione di ossigeno non verrebbe ad essere turbata la condizione fisica dell’ evaporazione. Non solo l’ossigeno attenua la polipnea, che quando è abbondante nel miscuglio respiratorio produce un rallentamento significantissimo e dannoso per l’ani- male facendo ancora più elevare la temp.* dell'animale. Ma altri gas, come l’anidre carbonica come hanno dimostrato altri, eser- cita un'influenza sull'andamento della polipnea termica. È certo che la polipnea è rappresentata, come lo dimostra- no 1 tracciati, da atti brevissimi, quindi il rinnovamento dell’a- ria del polmone, non sì può effettuire che nella porzione alta; ne- gli strati profondi alveolari, non si rinnova che incompletamente: un accumulo di anidride carbonica e di gas irrespirabili o nocivi deve aver luogo; la polipnea quindi è dovuta all’ asfissia, per lo ATI Acc., Von. X, Serie 48— Memoria X. 2) 10 vicerche sulla ipertermia negli animali. meno in gran parte, non raggiungendo l’animale Vl obbiettivo di una maggiore evaporazione di acqua e quindi produzione di freddo per la superficialità grandissima delle escursioni respirato- rie, che danno un incompleto rinnovamento dell’ambiente alveolare polmonale; tanto più, che diventa sempre più superficiale con il crescere della temperatura sino all’ esaurimento dell’ animale. In questo periodo la respirazione rassomiglia ad un vero atto con- vulsivo, determinato da eccitazione abnorme del centro bulbare respiratorio , eccitato dalla composizione anormale del sangue e e forse dalle alterazioni periferiche nervose, in contatto diretto con l'aria calda, sulla superficie alveolare. Tanto più sono tentato ad ammettere quest’ ultima ipotesi, dal trovare all’ autopsia un vero prosciugamento del parenchima pulmonare, uno stato vera- mente coriaceo del polmone, come dirò a suo tempo. Ho accennato come il respiro di Cheyne Stokes, conferma l'ipotesi che i fenomeni polipnoici negli animali ipertermici siano di origine asfittica. Secondo il Traube, il fenomeno è determinato da eccitazio- ne dei centri nervosi della respirazione, per accumulo di anidri- de carbonica. Malgrado l’ opinione contraria del Filehne e la interpretazione diversa del fenomeno del prof. Mosso, il concetto del Traube, per chi ha visto in quali condizioni esso sl produ- ce e che segno grave esso sia, negli individui che lo presentano, resta il modo di vedere del Traube il più probabile. Dai fatti raccolti graficamente emerge chiaramente : che i fenomeni che si producono nella ipertermia nella respirazione, sono rappresentati da perturbazioni imponenti dell'importante funzio- ne respiratoria, ed è talmente compromesso lo scambio gassoso , che il sangue, deve per questo solo fatto modificarsi ed acquistare una composizione assolutamente anormale ed insufficiente ai biso- gni della vita. Iticerche sulla ipertermia negli animali. Li Alterazione del sangue per l’elevata temperatura. In un precedente lavoro, ho dimostrato: che il sangue degli animali bovini riscaldato in vitro, se il riscaldamento è rapido e di breve durata, si può portare sino alla temperatura di 60,650, senza che perda le sue salienti proprietà fisiologiche, cioè, quella di fissare alternativamente l’ ossigeno e 1’ anidride carbonica. Se il riscaldamento è lento e prolungato, allora temperature inferiori alterano definitivamente le sue proprietà. Ho trovato pure, che il sangue si può impunemente riscal- dare alle temperature indicate, se durante il riscaldamento il siero sanguigno è saturo di ossigeno e l’ambiente ne contenga. Degli autori che si sono occupati della ipertermia, principal- mente il Vincent, ha accennato alle alterazioni del sangue. Que- sto esame a me pare della massima importanza nella ricerca della causa della morte per ipertermia. Uno dei fatti più evidenti e costanti che si osserva negli animali ipertermizzati è l’ alterazione apparente, manifesta del liquido sanguigno. Il sangue degli animali appena morti in se- guito al riscaldamento si presenta nero, piceo, fluido. I corpuscoli rossi al miscroscopio si osservano rigonfi; ed è facile rinvenire le ombre dei medesimi, fatto che depone per il loro parziale disfacimento. I corpuscoli bianchi non sembrano alterati. Ho voluto anche assicurarmi, se durante il riscaldamento, prima della morte degli animali o anche nei casi di sopravivenza avvenisse in vita la distruzione corpuscolare. Ho disposto così l'esperimento. Ai conigli sani, veniva pri- ma del riscaldamento, per una piccola incisione nel padiglione dell’ orecchio, sottratta la piccolissima quantità di sangue stret- tamente necessaria per l’ osservazione e determinato il numero dei corpuscoli rossi. Ad un certo punto del riscaldamento, quando la temperatura dell'animale era vicina ai 43° C. veniva ripetuta 1 incisione e 12 vicerche sulla ipertermia negli animali. presa un'altra goccia di sangue, veniva con il metodo antece- dente fatta la numerazione. I risultati dell’osservazione sono i seguenti : 1. Coniglio del peso di gr. 960. — Numero dei corpuscoli rossi prima del riscaldamento 5,040,000 temp.* ambiente. Dopo mezz’ ora di riscaldamento tra 45° e 50" 1° animale ha raggiunto una temperatura rettale di 41, 8. Il numero dei corpuscoli rossi e di 4,480,000. Dopo 10 giorni è fatta una nuova determinazione dei cor- puscoli rossi e si trova la cifra di 4,508,000. I risultati di questo esperimento sono adunque i seguenti ; cioè, per il riscaldamento è diminuito il numero dei corpuscoli rossi e dopo un tempo relativamente lungo, la cifra normale non è più ripresa dell’ animale. 2. Coniglio del peso di 1580 gr.—Il numero dei corpuscoli rossì è di 6,920,000, viene riscaldato in modo che dopo mezz’ora raggiunge la temp. rettale di 43, 2, il numero dei corpuscoli rossi discende a 6,240,000. Anche in questo caso 1 ipoglobulia è notevole. — Dopo 24 ore la cifra si eleva alquanto e si ha 6,560,000. Dopo 4 giorni essa è di 6,120,000. Anche in questo caso adunque sì ha, che per un certo tempo del riscaldamento persi- ste, anzi si accentua la deficienza dei corpuscoli rossi. 3. Peso del coniglio 540 gr. — Numero dei corpuscoli rossi prima del riscaldamento 5,960,000, per mm. c. Dopo mezz’ ora di riscaldamento ad una temp. tra 50° e 55° c. al retto presenta una temp. di 44°,2, il numero dei corpu- scoli rossi scende a 4,880,000. In questo caso che l’animale raggiunse una temperatura elevatissima, la distruzione corpuscolare fu veramente grande.— Nessun dubbio adunque, che la temperatura esercita un’ azione diretta energica sul liquido sanguigno circolante, disfà alcuni corpuscoli rossi, e altera profondamente alcuni, che non arriva a distruggere.—La materia colorante sanguigna, deve fra i compo- leicerche sulla ipertermia negli animati, 15 nenti del sangue essere fortemente danneggiata, oltre alle alte- razioni di colorito, che il sangue presenta, fa fede di questa alte- razione il rinvenirsi nel sangue di certa quantità di metaemo- globina, che si riscontra in quantità maggiore, se il sangue appartiene ad un animale, che fu prolungatamente riscaldato.— Alterazioni sanguigne, che come ho precedentemente dimostrato, devono essere accentuate dalla insufficiente ossigenazione del sangue per le alterazioni del ritmo respiratorio. Attribuisco principalmente a queste alterazioni del sangue, il consecutivo dimagrimento che alcuni animali riscaldati presen- tano, nei giorni successivi: e la morte, che sorprende principal mente gli animali giovani, dentro il primo settimo, che segue al riscaldamento, nei casi in cui Ja temperatura che raggiunse l’ani- male non era quella massima che suole produrre la morte imme-. diata : come lo dimostra la conseguente diminuzione globulare che consegue qualche volta al riscaldamento dell’ animale. Credo infine, che il calore debba per le alterazioni sanguigne che produce, considerarsi come un veleno ematico. Nei miei esperimenti, non ho trascurato di raccogliere ed esaminare le urine; tanto più, che costantemente gli animali ad un certo periodo del riscaldamento, urimano spontaneamente e in alcuni casi per 2 volte di seguito, nel breve termine del ri- scaldamento. Le urine di questi, alquanto torbide, di reazione alcalina , contengono in granuli precipitati i carbonati calcari, urato di ammoniaca, tracce piccole di albumina e peptone e piccola quan- tità di zucchero.—Nulla ho riscontrato di morfologico, che possa accennare ad alterazione del tessuto del rene. I reperti anatomici degli animali morti per riscaldamento, oltre le già note alterazioni del sangue e di emorragie piccole che si rinvengono sulla superficie delle mucose, fa rilevare no- tevole iperemia di tutti gli organi. Un fatto degno di nota e per me di grande significato, è l'aspetto coriaceo, asciutto, che presenta il polmone di alcuni 14 Ricerche sulla ipertermia negli animali. animali riscaldati; massimamente se la temperatura fu molto elevata e il soggiorno nell'ambiente caldo molto lungo. — A me pare, che in queste condizioni, il polmone diventa inadatto al suo ufficio respiratorio; ed è ciò più che sufficiente, per spiegare la morte rapida negli animali riscaldati, o dopo breve tempo ; inquantoehè; le mutate condizioni fisiche degli alveoli polmonali permanenti, devono parzialmente o totalmente, secondo il grado di prosciugamento, ostacolare lo scambio gassoso nell’ambito al- veolare. Ad ogni modo a me sembra assodato, che la morte nel ri- scaldamento artificiale degli animali, non avviene esclusivamente per l’ alterazione speciale di un solo organo o tessuto; o per un vero processo di autointossicazione, ma contribuiscono alla fine prossima o relativamente remota dell’ animale molti fattori: le alterazioni del sangue, del parenchima polmonale e le modifica- zioni delle masse muscolari cardiache e toraciche, hanno una importanza primaria, nel determinare i fenomeni di asfissia, che causano la cessazione della vita. Il calore esagerato, spiega una vera azione tossica e deve considerarsi per l organismo vivente come un vero veleno. Il Bernadt ammise come causa della morte, lo irrigidirsi del ventricolo sinistro: ora chi si è occupato, come me, di questo ar- gomento con numerose osservazioni, avrà potuto facilmente con- statare; che in tutti icasi mortali di riscaldamento, ciò avviene: ma principalmente nei casi in cui la temperatura del corpo del- l’animale ascenda rapidamente e ad un limite molto elevato; nei casì anche mortali, in cui l’animale viene lentamente riscaldato e la temperatura non è moltissimo elevata al disopra del normale ma sempre mortale, io ho potuto frequentemente osservare come sia il respiro che prima si arresta.— Dunque non in tutti i casì ma or l'uno or l’altro fattore potrebbe essere invocato come causa della morte; sebbene l’arresto del cuore e la cessazione del respiro, non sarebbero fenomeni primitivi o legati all’alterazione dei centri nervosi o dei gangli propri; ma nel primo caso, l’ar- ricerche sulla ipertermia negli animali. 1) resto è devoluto all’alterazione della fibra muscolare e nel secon- do caso probabilmente a semplice esaurimento, per la frequenza straordinaria del respiro—In fatti, il fenomeno respiratorio cessa con il raffreddamento dell’ animale, ne più si ripete : e nei casi in cui l’animale muore dopo molte ore o qualche giorno dopo, non si osservano notevoli modificazioni respiratorie. Non dipen- dendo da un'azione tassativa del calore sui centri nervosi, che ne opera la cessazione della funzione dei due organi, è chiaro, che secondo la resistenza individuale di ciascuno animale o delle fibre cardiache o del parenchima polmonale o del modo di am- ministrare il calore, debba variare la causa della morte. Fu anche supposto che la causa della morte unica risiedesse in una speciale autointossicamento operato dal calore. A parte l’obbiezione fatta, che non fu constatato dall’ autore l’azione tossica dei tessuti viventi dell’ animale riscaldato, su animali sani, la cosa a me, in base alle esperienze, sembra poco probabile, per il fatto, che spesso gli animali per azione del calore soccombono dopo alcuni giorni, ma evidentemente, se la morte è dovuta a produzioni di tossine, formatesi eccedentemente sotto l'influenza immediata del calore, cessando questo, se non erano in quantità mortali, cessata la causa, cesserebbe la nuova produzione, anzi dovrebbe aver luogo la distruzione od elimina- zione di quelle preesistenti. Mentre ho fatto notare, come non infrequentemente gli animali che furono riscaldati entro un certo limite di temperatura, soccombono dopo pochi giorni e l'autopsia oltre i fenomeni anemici null’ altro fa rilevare. Laboratorio di Fisiologia Sperimentale della R. Università di Catania — anno 1597. Memoria XI. Studî sulla Rabbia. NOTA Il. La Rabbia sperimentale nel lupo Ricerche del Prof, EUGENIO DI MATTEI A taluno uno studio sulla rabbia sperimentale del lupo può sembrare a prima giunta non tanto importante, circa le sue pra- tiche applicazioni, quanto al certo originale, specialmente se con- sidera la natura e 1’ indole non mite degli animali adoperati nelle esperienze, la difficoltà di poterne avere a disposizione un numero sufficiente, il disagio non lieve della manualità operato- ria, ed anche infine la possibilità del pericolo di potere andar soggetti ad accidenti sinistri, da parte di questi animali riottosi e dagli istinti sempre selvaggi, durante il periodo dell’ infezione rabbica, loro trasmessa sperimentalmente. E certamente tutto considerato, in quanto alla originalità del lavoro egli non s’ ingannerebbe di certo, tanto più se a tutte le considerazioni sopraesposte aggiungesse l’altra non meno ri- levante, cioè che la bibliografia in proposito tace completamente. Però se egli st è occupato con amore dell’argomento e in ispecie per ciò che riguarda lo sviluppo e il decorso dell’infezione rabbica nei diversi animali, non potrà più disconoscere che la originalità e l’importanza del presente studio vanno alla pari, perchè non potrà certo dissimulare a sè stesso che una vera lacuna e di grande interesse esiste nello studio di tale infezione, lacuna propriamente determinata dalla mancanza di ricerche sperimentali nell’ indirizzo di quelle da noi intraprese; infatti AmtI Acc., Vor. X, Serie 4*— Memoria XI. 1 2 Studî sulla rabbia. non potrà egli negare la parte non piccola che in questa inte- zione ha il lupo, tanto nella diffusione epidemica di essa, in altre specie animali, quanto per l esito ben funesto nella sua trasmissione all’ uomo. Kd in vero che il lupo possa andar soggetto alla rabbia e che in detto animale questa possa svilupparsi, come nel resto dei carnivori del genere canzs e felis, è cosa notissima ed antichis- sima. La scienza registra la famosa epizoozia di rabbia dei lupi avvenuta nel 1590 a Montbeliard (1) grave per la durata, per la diffusione in altre specie animali (volpi, cani, sciacalli) e per la mortalità degli individui morsicati. Non meno celebre fu poi l’epizoozia di rabbia dei lupi nella Slesia, avvenuta nel 1725, e quell’ altra nella Svezia nel 1824, nelle quali i lupi diffusero più tardi l'infezione nelle volpi, nei cani e nei gatti. (Dechambre). E vuolsi anche che la terribile epidemia di rabbia delle volpi in Europa, che durò più di 30 anni, dal 1803 al 1838 e che co- minciò ai piè delle Alpi giurassiche, abbia avuta la sua prima origine nell’ infezione dei lupi, animali che sembrano realmente più degli altri carnivori disposti a tale infezione. In Rumania poi la rabbia dei lupi è comunissima e sono questi animali che poi la diffondono colle morsicature ai cani. (*) Ma se da queste notizie d’ ordine epidemiologico e pura- mente generale, noi passiamo più direttamente alla sostanza della questione che riguarda lo sviluppo, il decorso, l’ esito di questa infezione nel lupo, allora ci troviamo a dirittura in un campo di vaghe supposizioni, per le quali intanto ci sfugge la possibi- lità di accrescere le nostre conoscenze sulla patologia di questa infezione, come ci sfugge altresì l’altro fatto, tanto utile per la profilassi, cioè quello degli effetti funesti, ai quali 1’ infezione rab- bica di questo animale quasi costantemente conduce, quando per avventura l uomo ne ha avuto trasmessi i germi del contagio. (#) Sulle epizoozie rabbiose degli animali rapaci vi sono molte osservazioni di Franque Ké- chlin, Oertel e poi la vasta collezione di Schmidt—Zool. Klinik. Bd. I pag. 322. Berlin 1872, Studî sulla rabbia. 3 Nè questo è tutto; di fronte alle incertezze accennate, an- che il metodo di cura che ha basi tanto solide nella comune in- fezione rabbica dei cani, deve risentirne senza dubbio gli effetti, e diventa infatti anch’ esso poco sicuro; cosicchè si avvilisce da un lato il coraggio di coloro che vittima della ferocia dei lupi arrabbiati si vedono votati alla morte, e si scuote dall’ altro la fede di coloro che praticando il comune metodo profilattico Pa- steur ne vedono spesso fallire l’ efficacia. Da cui poi i dubbî sulla bontà ed utilità di tal metodo curativo. E d’altro canto, se noi consultiamo la statistica della mor- talità dei morsicati da lupo in genere, sì vede che questa è ad- dirittura scoraggiante, come del pari triste è quell’ altra che ri- specchia la mortalità dopo la cura. E intanto tutti gli autori che sì sono occupati degli effetti ultimi della rabbia del lupo , trasmessa all'uomo e in questo curata o non curata, si trovano concordi nell’affermare la gravità dell’infezione nei morsicati da questi animali, e si adoperano alla meglio a mettere avanti degli argomenti induttivi, che purtroppo aspettano ancora la loro con- ferma nel controllo delle ricerche sperimentali, che non sono facili, e che prima delle presenti, finora nessuno ha condotto. L'importanza dell'argomento del resto si faceva anche sen- tire da un altro punto di vista, come appresso più estesamente diremo; cioè che la vera statistica sulla efficacia della cura Pa- steur si doveva fondare sui morsicati da lupo, come i veri e soli casi che potevano fare fidanza della sicurezza dell’ avvenuto con- tagio e della certezza del decorso grave dell’ infezione. Si aggiunga a ciò che la infezione rabbica da parte dei lupi non può nemmanco dirsi rara, poichè pur troppo disgraziatamente in alcuni nostri paesi e specialmente nella Russia, questi animali, che ne sono più comunemente affetti fra gli animali selvaggi , danno un contributo notevole alla malattia, che comunicano an- che di frequente all’ uomo, contro cui inveiscono. Da ciò la triste realtà della statistica, che dopo la grossa percentuale della ma- 4 Studî sulla rabbia. lattia del cane registra immediatamente quella del lupo, col con- trassegno della gravità e della temibilità. A proposito di questa gravità delle morsicature da lupi ar- rabbiati Arloing (2) dice che esse sono sempre più gravi di quelle dei cani e che « quante persone sono morsicate, altrettante sono votate alla rabbia. » Galtier (3) poi a più riprese manifesta lo stesso concetto; egli dice che fra i carnivori, a condizioni uguali, il lupo morden- do trasmette più sicuramente e più gravemente la rabbia che il cane; e poi più in là aggiunge che i lupi arrabbiati si attacca- no alla vittima con una ferocia inaudita, facendo morsicature di una estrema gravità. Anche Bouley e Brouardel (4) dicono che i lupi diffondono la rabbia d'una maniera tanto più terribile, in quanto sembra che il virus rabbico passando per il loro organismo acquista una più grande attività; e dal punto di vista delle loro conseguenze le ferite inflitte dai lupi arrabbiati sono di una grande gravità di fronte a quelle inflitte dai cani. Roger (5) si limita soltanto ad accennare il concetto comu- ne senza approfondirlo, cioè che le morsicature sono più gravi quando sono fatte dai lupi, che allorquando sono prodotte dai cani; e colla statistica rileva la corrispondente grande mortalità nei morsicati da lupi di fronte ai morsicati da cani. Zagari (6) non dice al di là degli altri, anzi forse meno, poichè egli si limita ad accennare che la rabbia del lupo ha una grande prevalenza sulla statistica della mortalità; e ciò perchè le morsicature di questo animale, sia per la molteplicità come per la gravezza, più sicuramente innestano e lasciano attecchire il virus rabbico. Come si vede egli dà maggior peso alla quantità di vi- rus inoculato che alla natura del virus istesso. Ma Bollinger (7) dopo avere affermato che fra tutti gli animali, le più pericolose sono le morsicature dei lupi arrabbiati, a proposito della gravezza delle ferite, dice che queste non pos- sono spiegare tutte le tristi conseguenze della infezione, tanto Studi sulla rabbia. 5 più che si sa che le grandi ferite in generale sono meno peri- colose delle piccole, fatto riconosciuto da Dioscoride 18 secoli or sono, giacchè le prime sanguinando si sbarazzano meglio del virus. Il Pasteur (8) poi, nelle sue numerose memorie all’Accade- mia delle Scienze, insiste abbastanza sulla gravità delle morsi- cature da lupo arrabbiato, e dice che la mortalità per esse è considerevole, se si paragona agli effetti delle morsicature del cane. E Gamaleja e gli altri scolari del Pasteur ne convengono. E per non andar molto a lungo, tutti gli autori si mostra- no preoccupati della sorte dei morsicati da lupi arrabbiati. Anzi in Russia, dove più frequenti sono questi casi, è tanto temuta la gravità del morso del lupo arrabbiato, che oramai è pene- trata nella coscienza popolare la convinzione che chi è morsi- cato da lupo arrabbiato è condannato inesorabilmente alla morte per rabbia. (Arloing, Galtier). Ma vediamo almeno, prima di passare alla statistica della mortalità, di dare un cenno della statistica delle morsicature. Petermann (9) dell’ospedale militare di Mosca su 112 indi- vidui morsicati, ne contò 88 per cani arrabbiati, 18 per lupi e 6 per altri animali. Parschensky (10) a Samara fra 47 individui morsicati ne aveva 36 da cani, 4 da lupi, senza contarne altri 3 morsicati da lupi, non venuti al suo Istituto per la cura, e gli altri 4 da altri animali. Wissokowitscky (11) nel 1889 a Karkoff porta 194 morsi cati da cane e 17 da lupo. Pasteur (12) nel solo anno 1887, fra 389 morsicati che ri- corsero per la cura al suo Istituto ne contò 38. morsicati da lupi, e il resto da altri animali. Cosicchè senza più bisogno di rilevare ulteriori cifre, si vede che la percentuale dei morsicati da lupi, stando a quelle riferite che sono esatte, perchè rilevate dai registri degli Istituti anti- rabbici, va a più del 10 °/,. E dico più, perchè non tutti 1 6 Studî sulla rubbia. morsicati da lupo ricorrono o sono in grado o fanno a tempo di ricorrere agli stabilimenti di cura; nelle predette statistiche infatti figurano soltanto, come abbiamo detto, quelli che richie- sero nei vari Istituti antirabbici la cura Pasteur. Molti altri o muoiono subito 0 poco dopo che sono stati avventati dai lupi, o anche in un tempo relativamente breve, tanto da non essere più al caso di ricorrere agli Istituti di cura e figurare nelle loro statisti- che. La statistica di mortalità intanto ha risultati più scorag- gianti, specialmente se essi si paragonano a quelli per rabbia di cane. Vale la pena di intrattenercene per un momento. È noto dalle statistiche fatte nel dipartimento della Senna per gli anni 1881, 1882, 1883 che su 100 persone morsicate da cani, ritenuti arrabbiati, ne muoiono in media 15 secondo Leblanc (13) e Dujar- din-Beaumetz (14); come altresì è noto che questa media può oscil- lare secondo altre numerose statistiche soltanto di poco in. più; così arriva a 16-17 secondo Arloing (1. c.), Galtier (1. c.), Fa- ber (15), Brouardel ecc.; raggiunge 20-23-25 secondo i dati rac- colti dal De Giaxa (16) ed altri. Va ben inteso che noi non fac- ciamo molto assegnamento su medie di mortalità che sono molto più basse della prima da noi accennata, cioè quella di 15 ; poi- chè le statistiche di Austria portano medie molto basse, cioè di 12, 11, 10, 5! morti su 100 morsicati (Galtier) (17). Nei morsicati da lupo invece la mortalità diventa desolante. Nella seduta dell’8 Aprile 1886 Mathieu (18) ricordava alla Società centrale di Medicina veterinaria un fatto riferito nel 1826 quello di 27 persone morsicate da due lupi arrabbiati e delle quali ben 18 soccombevano alla rabbia. Nella stessa seduta Chuchu (19) ricordava un altro fatto ben più grave accaduto nel 1820, di im altro lupo arrabbiato che aveva morsicato ben 30 persone , tra le quali qualcuna soltanto scampò alla morte. Venendo ad epoche più vicine a noi rileviamo subito quanto Pasteur (20) in una comunicazione all’ Accademia delle Scienze riferiva a pro- posito dei dati raccolti dalle statistiche dei morsicati da lupi. 1 Studî sulla rabbia. In una 1* osservazione parla di 8 persone, morsicate da un lupo arrabbiato, le quali soccombono tutte alla rabbia. In una 2* osservazione riferisce di 9 persone, morsicate da un lupo arrabbiato, delle quali ben 8 soccombono all’ infezione. In una 3* osservazione narra che di 19 individui morsicati da un lupo, 11 soggiacciono all’infezione. In una 4* osservazione accenna a un individuo morsicato da lupo arrabbiato, e che muore ugualmente. In una 5* osservazione dice che di 3 persone morsicate da lupo arrabbiato, nessuna si salva. In una 6* osservazione racconta il caso di altre 3 persone morsicate da un lupo arrabbiato, che soccombono tutte e tre egualmente alla rabbia. In una 7* osservazione sono 4 persone che morsicate da un lupo arrabbiato soccombono tutte alla rabbia. In un’8* osservazione infine, di parecchie persone morse al solito da un lupo arrabbiato, nessuna riesce a salvarsi. Anche Parschensky (21) narra di 3 individui morsi da un lupo e che soccombono tutti e 3 di rabbia; e Hoin (22) rapporta l’ osservazione di 17 persone morsicate da un lupo arrabbiato . delle quali ben 12 perirono. Queste osservazioni scoraggianti e che io abbrevio, si riflet- tono tristamente nella statistica. Infatti i dati raccolti da Pa- steur, Brouardel, Du Mesnil stabiliscono che nelle morsicature di lupo arrabbiato la mortalità è del 70 °/, (23)! E Galtier (24) la rende più triste ancora portandola ad 8-9 su 10, cioè all’80- 90 °/. Secondo le ricerche di Mathieu e Chuchu (25) la morta- lità sarebbe dell’ 82 °/ e troverebbe un certo riscontro nella mortalità elevata delle osservazioni del Pasteur. Secondo poi le statistiche di Renault e basate sopra 254 casì suoi, su 395 casì di Wallet, su 342 di Du Mesnil, su 168 di Bombarda e su 137 di Gamaleja (26), la mortalità sarebbe del 62 °/0- 64 0/, . Come ben si vede in ogni caso il confronto tra la media di mortalità dei morsicati da cane e la media di mortalità dei 8 Studî sulla rabbia. morsicati da lupo non si regge; abbiamo nel primo caso la tenue media del 15-16 °/,, nel secondo la gravissima media del 70-80 °/,. E il confronto continua a non reggersi quando dalla stati- stica di mortalità dei morsicati non assoggettati alla cura Pa- steur, si passa a quella dei morsicati che han fatto la cura predetta. Petermann (27) racconta di Gorbounoff di Perim che mor- sicato da un lupo arrabbiato, soccombeva all’ infezione rabbica durante la cura. Gamaleja (28) narra di un certo Saitchik (osserv. di Bardach), morso da un lupo arrabbiato che se ne moriva di rabbia dopo il trattamento. Narra ancora che nel Caucaso ben 18 persone furono morsicate da un lupo arrabbiato; 13 delle quali si sotto- posero alla vaccinazione, e di queste ne morirono ben 8 durante la cura. Rioche (29) racconta di un certo Mallard che morsicato da lupo arrabbiato, ricorre alla cura e muore durante il tratta- mento. Pasteur (30) dice che egli dispera dalla vita di quei Russi, che morsicati da lupi arrabbiati ricorrono a Parigi per la cura; infatti erano parecchi i decessi che egli contava di questi scia- gurati morti durante o dopo la vaccinazione. Lo abbiamo visto di già che di 19 Russi venuti da Smolensk, 3 sono morti mal- grado la cura; e del 9 di quelli venuti da Wladimir 3 sono morti non ostante la cura. E Gamaleja (1. c.) mentre curava 2 individui morsi da lupi, scrivendo al Pasteur diceva: Ho sotto cura una ragazza di 16 anni e un uomo, morsicati da lupo, ed io tremo ad ogni mo- mento della loro vita ». Da ciò egli traeva argomento a combat- tere le pretese statistiche di guarigione della rabbia in seguito alla cura, ed era disposto a ritenere che la vera statistica della efticacia della cura Pasteur dev’ essere fornita dai morsicati da lupi arrabbiati. E dopo aver discusso le statistiche di Renault sul casì di Wallet, Dumesnil, Bombarda ece., rileva che sempre Studî sulla rabbia. 9 grave è la mortalità delle persone morsicate da lupi arrabbiati , anche quando esse vengono assoggettate alla vaccinazione. Si ha infatti all’ Istituto Pasteur su 52 casi 9 morti; in quello di Odessa su 46 casi 8 decessi, in quello di Mosca su 18 casi 2 decessi, in quello di Samara su 4 casì 0 morti, un com- plesso così di 120 casi con un totale di 19 morti, ciò che corri- sponde a una mortalità media del 16 °/o. Questa cifra però vie- ne attenuata dal Suzor, (31) il quale facendo una statistica so- pra un numero maggiore di casi, 199 in tutto, curati in Russia e a Parigi, viene ad una media del 12, 6 °/, di mortalità. Se noi però ci riferiamo ad altri dati, raccolti dal Pasteur, Brouardel, Du Mesnil, vediamo che la media di mortalità per la cura sarebbe ridotta a 14,06 °/, (Arloing); e noi crediamo che essa sia più prossima al vero, rappresentando la media delle medie, cioè la cifra intermedia fra la prima media di 16 °/, e la seconda di'L9 to Certamente non volendosi mostrare troppo preoccupati di ciò che è nella coscienza popolare, dobbiamo convenire, studiando sere- namente la cosa, che la vaccinazione opera dei prodigi anche nei morsicati da lupi arrabbiati, quando essa è capace di ridurre la mortalità del 70-80 °/, al 14-15 °/° (Vulpian) (32); ma non pos- siamo d'altro canto negare che se queste cifre si mettono in rap- porto con le altre, provenienti dalle persone morsicate da cani arrabbiati e sottoposte al trattamento della vaccinazione, il con- fronto non regge più e rimane sempre scoraggiante per i morsi da lupo; poichè per quanto riguarda i cani abbiamo una mortalità minima del 0,5 °/,, e per quanto riguarda i lupi il 14-16 0/0. Ciò che in altri termini ci fa concludere che di 100 individui morsi- cati da lupi arrabbiati e sottoposti alla cura Pasteur ne muoiono lo stesso numero che ne muore su 100 individui morsicati da cani arrabbiati, non sottoposti alla cura. Cosicchè ne consegue che corre lo stesso grado di pericolo, la stessa probabilità di poter ugualmente soccombere all’infezione rabbica, tanto chi morsicato AmrtI Acc., Vor. X, SERIE 4%— Memoria XI. 2 10 Studî sulla rabbia. da lupo arrabbiato ricorre alla cura, quanto chi morsicato da cane arrabbiato non vi ricorre ! Ed ecco perchè di fronte a questi dati eloquenti della sta- tistica, nasce naturalmente la domanda della causa della inegua- glianza di azione del virus nei due animali, uno che dobbiamo chiamare virulentissimo, chè miete tante vittime, l’ altro relati- vamente debole, chè ne uccide pochissime. È proprio qui che noi troviamo la grande lacuna sperimen- tale da tutti riconosciuta, e per la quale tutti si sono sforzati, in mancanza di opportune ricerche, di dare delle spiegazioni alla buona, in verità anche ingegnose e razionali, basate in parte sulla pratica e su quel cumolo di circostanze complesse che formano il patrimonio della clinica. Ma ad onta di ciò, mancando le ricerche sperimentali, la lacuna resta tal quale, tanto più che non manca una certa di- screpanza nelle vedute degli autori. Mathieu (33) per esempio pensa, abbastanza giudiziosamente secondo Galtier, che la nocività del virus rabbico del lupo è superiore alla nocuità del virus rabbico del cane di strada, e che la virulenza può essere attenuata nella più parte dei cani domestici, in seguito a certe influenze, come il regime ecc. a cui sono sottoposti questi ultimi animali. Gamaleja (34) che pur tanto teme per la vita dei suoi vac- cinati se morsicati da lupo, pensa invece che la gravità possa dipendere dalla quantità di virus abbondante penetrato coi morsi. Dello stesso parere, come abbiamo visto, è Zagari, (35) che a conferma, porta in campo le esperienze del Poppi, (36) il quale con inoculazioni multiple riesce nei conigli ad abbreviare il pe- riodo di incubazione. Galtier (op. cit.) però come chi volesse conciliare le superiori vedute, pensa che la morsicatura del lupo è più dannosa di quella del cane, sia perchè essa è sempre più profonda e inocula meglio il virus, sia perchè la bava del lupo ha delle proprietà più ener- giche. Studî sulla rabbia. 11 Ed il Pasteur istesso ne convenne più tardi. Infatti mentre egli dapprima non credevasi autorizzato ad ammettere che il virus del lupo fosse più attivo di quello del cane, pel fatto che l’inoculazione di midollo allungato di perso- ne morte di rabbia del lupo, fatta a cani, conigli, cavie avesse prodotto la morte di questi animali quasi nello stesso periodo di tempo e con la stessa incubazione delle solite inoculazioni prove- nienti da virus di strada, tanto da ammettere che « il virus del lupo e quello del cane avessero sensibilmente la stessa virulenza », più tardi invece egli fu pronto a ricredersi. Ed invero non più molto sicuro delle precedenti ottimistiche affermazioni, impressionato fortemente degli insuccessi di Gama- leja ad Odessa, insuccessi dovuti a terribili casi di morsicature in gran parte causate dai lupi, scrivendo più tardi a Duclaux diceva: «10 ho potuto costatare sui numerosi Russi morsicati che vennero a reclamare a Parigi le inoculazioui preventive della rabbia, fino a che punto in certe circostanze in Russia le ferite da lupo ( e anche da cane qualche volta), potevano essere come desesperdes età courte incubation (37).» E perciò consigliava il Gamaleja a fare tutte le inoculazioni di vaccinazione in 24 ore. Del resto si poteva obbiettare alla prima affermazione del Pasteur, che nella inoculazione del midollo dell’ individuo morto per morso da lupo, il passaggio del virus attraverso l’ organi- smo umano aveva potuto subire una certa attenuazione, analo- gamente al virus quando passa attraverso 1’ organismo della scimmia. Ma il Galtier che nella maggiore o minore nocuità del vi- rus del lupo, che pur ammette, non vede la vera ragione della grande proporzione dei casi di rabbia, dati dalle morsicature di questo animale, crede più ragionevolmente di spiegare il fatto colla natura ed entità della ferita , diversa nei due animali : il cane si limita a mordere le parti del corpo che sono alla sua portata e spesso rivestite di abiti, il lupo invece più furioso si avventa alla testa, alla faccia, al collo con vera ferocia e fa delle 12 Studî sulla rabbia. morsicature vaste ed estese, interessando tessuti molto profonda- mente e ledendo nervi, gangli, glandole, e inoculando così più profondamente del cane, una abbondante quantità di virus, mag- . giore di quella del cane istesso, in tessuti che meglio si prestano al- l'assorbimento. Dopo tutto ciò egli ammette sempre che il virus del lupo è poi per sopraggiunta più attivo, più dannoso di quello del cane e così conclude : « In allora io lo ripeto non ripugne- rebbe punto alla ragione di ammettere che il virus rabbico, pas- sando nell’ organismo del lupo o in quello di alcuni cani che gli s' avvicinano dippiù, potesse ivi trovare un terreno dei più favorevoli ed acquistare un grado d’ intensità superiore; e se l'esperimento (non molto facilmente attuabile ) non ha potuto ancora confermare il fatto, non ha però completamente dimostrato la sua impossibilità; e 1 osservazione piega in suo favore, tanto più che il virus rabbico si attenua sicuramente o si esalta, secon- do lo sì fa passare attraverso un tale o tal altro organismo ani- male, erbivori, scimmie, conigli ecc. » (38). Ma il Pasteur quando correggeva la sua prima affermazione non diceva soltanto che le ferite da lupo erano desespéerees, ma aveva aggiunto « à courte incubation » , cosa che mentre im- plicitamente appoggia il concetto di una maggiore virulenza del virus, ci fa eziandio ritenere necessario di approfondire le notizie sulla durata del periodo d’ incubazione del virus da lupo. Esiste infatti una vera e notevole differenza fra il periodo di incubazione del virus di cane e quello del virus di lupo, come almeno si può rilevare dai casì meglio studiati. Petermann (l. c.) racconta che un suo morsicato da lupo arrabbiato, un certo Gorbounoff, fu preso dallo sviluppo della ma- lattia dopo soli 15 giorni; ed è a notare che costui si trovava in corso di cura. Gamaleja (1. c.) riferisce un’ osservazione di Bardach, in cui un altro individuo morso il 15 Giugno, moriva anch’ egli durante la cura il 30 Giugno, cioè dopo 15 giorni. Studî sulla rabbia. io Riferisce ancora di altri 13 individui, dei quali 8 morirono in poco tempo, e fra essi alcuni in poco più di 35 giorni. In un’ osservazione di Rioche, un altro individuo morsicato il 14 Aprile, moriva il 19 Maggio, cioè in 35 giorni. Nei 18 casì di Mathieu la durata dell’ incubazione fa nella maggior parte dei casi di 19 a 30 giorni, e in 2 casì di 40 a, 42 giorni, e in un sol caso di 52 giorni. Nelle osservazioni raccolte da Pasteur abbiamo che 8 per- sone morsicate, muoiono tra 17 a 68 giorni; che Il altre perso- ne muoiono dopo un periodo d’ incubazione di 7, 13, 15 e qual- cuna di 70 giorni; un altro individuo muore dopo 32 giorni ; altre 3 persone muoiono dopo 22, 23, 38, giorni; altre due per- sone muoiono dopo 25-30 giorni; altri quattro individui muoiono rispettivamente dopo 9, 13, 15, 19 giorni. Se ora consideriamo i pochi casi di morte già enumerati che sono 58, troviamo che in circa la metà di essi la morte è sopravve- nuta in poco più di 15 giorni, senza contare quei casi ad incuba- zione più breve, di 7, 9, 13 giorni; nel resto dei casi la morte è so- pravvenuta fra 22 e 35 giorni; solo in pochi individui, veri casi isolati, si è avuta un’ incubazione più lunga, di 40, 42, 52, 68, 70 giorni. Ora, benchè sappiamo quanto siano variabili le condizioni che possono far modificare i dati statistici, relativi al periodo d’ incubazione nell’ uomo, e quindi non scevri di difficoltà i po- steriori confronti tra il periodo d’incubazione del virus del cane e quello del virus del lupo, pure abbiamo sempre tanto in mano da rilevare nei due casi delle differenze così marcate da per- metterci conclusioni sicure. La mortalità per rabbia in seguito a morsicature dei cani cade nella maggioranza dei casì nei primi due mesi dopo l'in- fezione ; entro i 3 mesi si manifestano i ‘/; dei casi, il resto si distribuisce in periodi più lunghi, divenendo sempre più rari a misura che il tempo aumenta (Pasteur, Bauer, Brouardel, Bouley, Schivardi, Bordoni-U ffreduzzi). Come si vede dal sopradetto, la differenza nel periodo d’in- 14 Studî sulla rabbia. cubazione dei due virus è notevolissima. Pel virus del lupo la mortalità umana per rabbia cade in circa la metà dei casi in ‘/. dei casi sì manifestano in cir- poco più di 15 giorni; che i ca 30 o in poco più di 30 giorni; il resto dei casi, che sono i pochi, si distribuiscono in periodi di tempo più lungo, oscillante da 40 a 60-70 giorni. Cosicchè il periodo d’ incubazione nell’ uomo per la. morsi- catura del lupo arrabbiato si riduce a un terzo o a metà al mas- simo di quello del cane. Ed era appunto sull’evidenza di queste cifre che Pasteur diceva che « la durata d’ incubazione della rabbia umana per morsicature di lupo arrabbiato è spesso cortis- sima, molto più corta che quella della rabbia per morsicatura di cane. » Dato adunque che la rabbia del lupo non è rara, che di essa abbiamo frequenti epizoozie, che si diffondono per contagio negli animali selvaggi e nei domestici, che le morsicature di questo temibile animale arrabbiato hanno una gravezza straor- dinaria, che il virus di esso è ritenuto come esasperato, che il periodo d’ incubazione nell’ uomo è cortissimo, che la mortalità è massima, e che la comune cura Pasteur riesce spesso inefficace, ad onta delle modificazioni fatte subire al trattamento, è natu- rale che la ricerca sperimentale, come dice lo stesso Galtier , sì impone e diventa necessaria, per portar luce a tutte le questioni predette e per veder quali, fra le affermazioni ed ipotesi emesse, fossero quelle che il controllo sperimentale avrebbe potuto con- fermare. Ma l'esperimento non è facile, seguita il Galtier, e tale dif- ficoltà rende la lacuna quasi impossibile ad essere colmata. Ed in vero quando io pensai all’ argomento per portare il mio piccolo contributo alla questione , resi giustizia al Galtier, poichè mi resi subito edotto delle difficoltà gravissime che avrei potuto incontrare e sopratutto per la deficienza che avrei potuto avere di tali animali, e poi per la loro poca mitezza. Però alcune Studî sulla rabbia. 15 circostanze favorevoli sopravvenute d’un tratto, mi fecero dissipare i primi dubbî. Infatti un bel dì, in uno dei boschi delle nostre provincie, dai contadini, che vanno espressamente alla caccia dei temuti animali, furono presi vivi 7 lupetti e furono condotti in città per esser venduti al Giardino pubblico, ove trovasi una piccola sezione zoologica. Conosciuto 1’ avvenimento a tempo, gli animali furono subito da me intercettati, e fu fin d’ allora che mi accinsi alle prime prove. Da quell’ epoca mi agitai, scrivendo nei paesi più noti per aver qualcuno di questi annnali ; e devo dire con ogni mia sorpresa che non mi fu tanto difficile d’averli, come io dapprima supponeva. E infatti il lupo nei boschi della provincia di Catania è un animale tutt’ altro che raro : anzi v’ ha dippiù, nei boschi della provincia di Messina e Sira- cusa esso è comunissimo. Vi sono paesi in queste due provincie (come Melilli, Carlentini, Sanfratello ecc.) i quali sono ritenuti ce- lebri fra noi per la quantità e frequenza dei lupi che vi si tro- vano e che spesso sì avanzano fino alle porte dei villaggi in cerca di preda. Però con tutto ciò non potei mai averne un numero tale da permettermi molte esperienze; intatti se qualche cosa mi ad- dolora in queste ricerche è il fatto che benchè di lupi nel tutto io ne abbia avuto un discreto numero, pure il mio lavoro do- vette essere sospeso e ripreso ad intervalli, a misura che il ina- teriale difettava o aumentava; e quindi l'ho dovuto limitare sempre in un indirizzo modesto. Così il lavoro fu ripreso tre volte, ma ad ogni volta però cercai sempre di completare una parte del piano di ricerche che mi proponeva. Ed è dopo pa- recchi anni dacchè cominciai, che soltanto oggi posso rendere di pubblica ragione i risultati ottenuti. Colle mie esperienze io ho cercato di rispondere ai seguenti quesiti, allo scopo di colmare le maggiori lacune che vi sono intorno all’ argomento ; 1. Il virus di strada (virus di cane) e rispettivamente il 16 Studî sulla rabbia. virus fisso (virus di coniglio) come si comportano e quali modi- ficazioni subiscono, passando attraverso l'organismo del lupo ? 2. Il virus di strada e rispettivamente il virus fisso, come sì comportano, quando passano successivamente in serie attra- verso l organismo di altri lupi ? 3. Il virus di strada e rispettivamente il virus fisso, natu- ralizzati nel lupo per una serie di inoculazioni successive at- traverso l’ organismo di questo animale, come si comportano quando essi vengono inoculati negli animali domestici, e spe- cialmente nel cane e nel coniglio , ai quali appartenevano ori- ginariamente i virus? 4. Il virus degli animali domestici, morti rabbici per ino- culazione di virus naturalizzato nel lupo, come si comporta pas- sando attraverso animali della stessa specie ? 5. Il virus di strada e rispettivamente il virus fisso, artifi- cialmente attenuati, come si comportano in riguardo alla viru- lenza, passando attraverso l’organismo del lupo ? Soltanto con questi dati alla mano , ottenuti con l’ esperi- mento e col controllo, noi potevamo portare un po’ di luce in quel buio che ancora involge la questione; e così soltanto sì pote- vano risolvere i dubbî che si hanno relativamente alla virulenza, alla incubazione, alla gravità del virus del lupo, e così infine si poteva contribuire alla miglior conoscenza della questione pratica, che in simili casì consiste tutta nel buon successo della cura. Intanto, benchè la tecnica operativa e sperimentale è ben nota in questo genere di ricerche e nei comuni animali da la- boratorio, pure non sarà del tutto inutile qualche accenno, trat- tandosi di animali come i lupi, niente affatto comuni nelle espe- rienze di laboratorio. Anzi stimo utile cominciare da qualche notizia generale , relativa ai predetti animali d’esperimento. Il lupo delle nostre contrade di Sicilia, parlo almeno per le tre provincie Catania, Messina, Siracusa, le quali mi fornirono 1l Studî sulla rabbia. 17 materiale, non diversifica gran fatto dal lupo delle altre contrade del mezzogiorno e nordiche. Il colore del pelame e la lunghezza di questo sono forse le note che più fanno differenziare questi animali da quelli delle altre regioni. Da noi il lupo è magro, ha le gambe svelte ed asciutte, la coda cadente e pelosa , la te- sta piuttosto grossa, il muso aguzzo, le orecchie piccole, dritte, corte, gli occhi grandi, biechi, mobili, feroci. Il suo pelame è piuttosto corto, molto ruvido , un po’ più folto al collo ed alle cosce ; il suo colore è molto lontano dal bianco, dal rosso, dal giallo o giallo più 0 meno fulvo, come si descrive per i lupi di altre regioni, specialmente nordiche: da noi il lupo ha un pe- lame dal fulvo scuro al grigio cupo, con macchie nerastre a strisce alla faccia, al dorso, all'addome; le mucose esterne, spe- cialmente delle guance, del muso e del palato sono macchiate di nero. Il lupo piccolo di 6 a 8 settimane ha un pelame più chia- ro, più rado e più fino, che poi facilmente gli cade , per rive- stirsi del pelo fulvo grigio, ispido, corto, testè descritto. Nessun'altra differenza degna di nota. getti all'esperimento avevano un’ età I lupi che furono sog che oscillava da 4 a 6-7-8 mesì: uno solo era di un anno; età però anche quella dei primi mesi che bastava a render temibili gli incorreggibili animali. I lupi sono, come i cani, molto sensibili al cloroformio . e quindi per poterli operare bisognava adescarli col cibo entro un’apposita cassa di legno, la cui parete anteriore era mobile a sipario, e rappresentava la porta d’ entrata. Per aprire o chiu- dere bisognava alzare o abbassare detta parete, facendola scorre- re sul telajo a sfregamento. Appena entrato l’ animale si abbassava la porta d’ entrata: e poi dall’alto della volta della cassa, munita di fori e di una fi- nestrina centrale a vetri che s'apriva e chiudeva a piacere e che permetteva di vigilar l’animale, s'introduceva una spugna im- bevuta di un miscuglio di etere e cloroformio. L’ animale dap- AmtI Acc., Vor. X, Serie 40— Memoria XI. 3 18 Studî sulla rabbia. prima si dibatteva per un pezzo, ma finiva per cadere in ane- stesia. Si profittava di questo momento per portar subito l’ ani- male sul tavolo operatorio, sì fissava al solito carpone e sempre sotto la cauta narcosi di etere e cloroformio a parti eguali sì procedeva alla trapanazione, come per i cani, cioè incidendo la pelle della volta del cranio, scollando i tessuti, asportando col trapano un tassello di osso, fino a mettere allo scoperto la dura madre e facendo sotto la meninge la inoculazione dell’emulsione del virus rabbico. La volta del cranio nei lupi è durissima; le ossa sono compatte, resistentissime, ma 1’ operazione decorre al solito senza difficoltà operatorie. Si deve però badar bene a che l’ animale non arrivi a ri- destarsi durante l’atto operatorio, poichè le conseguenze spesso non tutte prevedibili, possono anche esser gravi; intatti l’animale che si sveglia dalla incompleta narcosi, e che resta in uno stato d'ebbrezza, si mostra inferocito talmente da rompere qualunque legatura e può riuscire financo mediante sforzi enormi a slegarsi, rendendo così impossibile affatto la continuazione dell’esperimento, e restando gli operatori esposti ulteriormente alla sua ferocia e a conseguenze anche gravi. (*) Riferiremo adesso brevemente le diverse serie di ricerche, li- mitandoci soltanto alla descrizione per esteso di qualche esperien- za che poteva interessarci per lo studio accurato dello sviluppo e decorso della malattia nel lupo. (*) Fu durante una di queste disgraziate esperienze che io andai incontro alla iattura di accidentale inoculazione di virus rabbico di lupo, fattami nel momentaneo trambusto della ferocia dell'animale che, ridestato dalla insufficiente narcosi, stava svincolandosi. Per la responsabilità di danni peggiori non potei badare immediatamente alla mia ferita ; e quindi benchè |’ avessi più tardi incisa per farla sanguinare e poi causticata, pure stimai opportuno per ogni buon fine recarmi a Palermo per intraprendere in quell'Istituto antirabbico la cura Pasteur. Anche l'inserviente andò incontro a parecchi morsi di qualcuno di questi animali, ma fortu- natamente prima dello sviluppo dei sintomi rabbici o subito dopo l'operazione. Studî sulla rabbia. 19 SERIE PRIMA. Inoculazione del virus di strada nel lupo. Scopo di questa prima serie di esperienze era sopratutto quello di vedere il periodo d’ incubazione, la forma di rabbia, coi sintomi relativi, che si sarebbero sviluppati nel lupo per inocu- lazione del virus di strada. 2 Giugno. Col midollo preso da un cane morto d'idrofobia sì fa emulsione che s’inocula, previa trapanazione , nella quantità di alcune gocce sotto la dura madre di due lupi. Nessun incidente operatorio. Uguale inoculazione per trapanazione, con la stessa quantità di virus adoperata pei lupi, si fa in due cani, come controllo. E ciò per cercare di stabi- lire uguali condizioni di esperimento. I. ESPERIENZA. Lupo di 6 mesi, forte, robusto, di natura molto irrequieta. 2 Giugno. Inoculazione per trapanazione. Svaniti i disturbi della narcosi l’animale si rimette al normale. 11 » Dal 2 al giorno 11 l'animale sta bene, non mostran- do in apparenza nessun sintomo degno di nota. 12-13 » L'animale mostra un po’ di cambiamento nel suo umo- re; si presenta dapprima un po’ irrequieto e più tardi sempre più; gira per la gabbia senza posa, digrigna i denti, e s' avventa facilmente, specialmente se aiz- zato; ha gli occhi iniettati e qualche raro tremito del treno posteriore. 14 » I sintomi precedenti sono in aumento, le smanie cre- scono, i guaiti sono frequenti da somigliare a veri ululati. 20 Studî sulla rabbia. 15 Giugno. L’ irrequietezza è al massimo, l’animale va, viene, 16 urta, s' avventa contro le pareti della gabbia, è in pre- da a grandi smanie. Addenta tutto con rabbia, e il cibo con voracità, ma viceversa poi non mangia che poco. È in preda ad una specie di misoneismo. La bocca è piena di bava, ed è sanguinolenta, perchè morde anche il ferro o la scodella ove gli si porge il cibo. A_volte come preso da stanchezza cade e sta per un poco fermo; ma poi si rialza per ricominciare senza tregua a smaniarsi, a mordere, ad avventarsi. Gli occhi sono enormemente iniettati. Il lupo, oltre ai predetti fenomeni, presenta aumentati i tremiti delle membra posteriori, e il tremito pare diffuso anche alle membra anteriori; non coordina più bene il passo; se chiamato, sente; e se caduto sl rialza ancora ma con stento. In piedi si regge male, cammina a piccoli passi, vacillante, barcolla e cade spesso. La sua voce è trasformata; ulula come soffe- rente, rifiuta il cibo, ha la respirazione superficiale e frequente. Verso sera i fenomeni predetti sono accentuatissimi. Il lupo si trova coricato sul fianco come morto; tiene tutto il giorno quella posizione. Respira superficial- mente, lentamente, spesso la respirazione è interrotta da atti inspiratorî profondi. Ha sempre bava sangui- nolenta alla bocca; è assai denutrito; ha scosse teta- niche agli arti posteriori. L’ occhio è semispento con cispo agli angoli palpebrali. Nelle ore antimeridiane |’ animale è trovato morto ; dura ancora la rigidità cadaverica; si desume sia mor- to nella notte del 17. Autopsia. 1° animale è enormemente dimagrito. Le solite alterazioni anatomiche della rabbia : liquido vi- scido sanguinolento , nerastro, spumoso nella cavità Studî sulla rabbia. Dil dello stomaco, con pezzi di stoppa, di legno, di penne di animali; un po’ d’iperemia a chiazze limitata al duodeno e al crasso; reni, fegato, milza, fortemente congesti; trachea e grossi bronchi iperemici e pieni di spuma; polmoni congesti con macchie emorragiche diffuse ed ipostatiche alla base; dura meninge ade- rente alla volta cranica al punto di trapanazione : cervello iperemico e molto più la sostanza grigia di esso. 2.* ESPERIENZA Lupo di 4 mesi, con istinti meno ribelli, si lascia avvicinare con familiarità dall’inserviente che abitualmente gli somministra il cibo. 10 Giugno. Dal 2 giugno, giorno dell’ imoculazione , fino al 10 nulla di anormale, tranne un po’ di depressione e di timidezza insolita e di guardatura sospetta. il » L'animale è preso da una certa irrequietezza, rifugge dalla sua cuccia, gira su e giù per la gabbia insoli- tamente; e mentre fino a ieri ci fidavamo di lui rela- tivamente, oggi vediamo che s’ avventa per un non- nulla contro tutti e contro tutto, compreso il reci- piente ove gli sì somministra il cibo; addenta in- fatti la scodella e rovescia il contenuto per terra e non ne mangia fino a che c'è qualcuno presente. 12-13 » L'animale è preso da strana irrequietezza che cresce sempre enormemente , addenta la gabbia, morde furiosamente la sua catena, s'avventa contro il canile, emette lunghi ululati. A questi periodi succedono mo- menti di stanchezza e di tregua. Durante il giorno rosicchia una robusta doga della gabbia, mangia poco e digrignando. Si cominciano a marcare i crampi alle gambe e un certo inceppamento nei movimenti. Ha feci diarroiche. Gli occhi iniettati. 29 Studî sulla rabbia. 14 Giugno. L'animale è accovacciato; gli occhi gli luccicano e sono fortemente iniettati. Dal di fuori della gabbia con bastoni si aizza per smuoverlo dalla cuccia. Esso s'avventa, ma tarda ad alzarsi e barcolla : ha paresi del treno posteriore. Ha bava sanguinolenta alla boc- ca e trisma. Alla sera i disturbi sono aggravati; 1 ani- male non può più alzarsi; se stimolato, emette ululi. Mostra avventarsi, ma la sua testa ha delle scosse all’ingiù e cade di peso come se fosse a stento sorretta. 15 » L'animale si trova disteso sul fianco in completo ab- bandono: ha la respirazione saccata a scosse, non reagisce più agli stimoli, neanche quando gli sì reca dolore; ha scosse tetaniche agli arti. Muore nella notte. Autopsia.—Animale dimagrito;—mucosa delle labbra e lingua piena di abrasioni: — stomaco pieno di roba indigesta, paglia, erba secca, crine, stoppie, fecce; inte- stini fortemente iperemizzati, con materiale poltaceo; fegato, milza, fortemente congesti; reni colla sostan- za corticale in incipiente degenerazione grassa. Nulla al torace, tranne un po’ di edema e di congestione passiva alla base del polmone sinistro e qualche mac- chia emorragica; trachea e grossi bronchi con bava sanguinolenta; cuore in diastole. Nel cranio, inspessimento della dura meninge e ade- renza alla scatola ossea. Iperemia delle pie menin- gi. Emorragie puntiformi in tutta la sostanza bian- ca e grigia del cervello. 3.2 ESPERIENZA Piccolo cane terrier. 2» Inoculazione endocranica del virus rabbico del cane predetto. 17 » Cominciano a manifestarsi i primi sintomi di rabbia nell’ animale. Studî sulla rabbia. 23 21 Giugno. Morte dell’animale in paralisi. — Durata in vita 19 giorni. 4* ESPERIENZA Cane razza bastarda. 2» moculazione endocranica del virus rabbico, nella quan- tità del cane della sopradetta esperienza. 19 » Comincia a manifestarsi un po’ di debolezza agli arti dell’animale. 21» Completo sviluppo dei fenomeni rabbici. 23» L'animale è da jeri disteso sul fianco, e sembra morto, respira appena. 24 » Morte dell’animale—Durata in vita 22 giorni. Dalle predette esperienze risulta che il virus di strada ino- culato al lupo gli conferisce una forma di rabbia furiosa quasi analoga alla rabbia furiosa del cane; se non che i fenomeni di eccitazione nel lupo decorrono con maggior gravità. Il periodo d’ incubazione è di circa 8-10 giorni, e la morte sopravviene fra 13-15 giorni. Questi dati, confrontati con l ordinario periodo d’ incuba- zione e di vita del cane si mostrano più brevi e certamente più gravi. E tenuto presente la variabile intensità del virus di stra- da, noi abbiamo voluto apposta aver l’ appoggio delle esperien- ze predette di controllo nei cani, nei quali a parità di condizio ne, il periodo d’ incubazione è durato 14-17 giorni e la morte è sopravvenuta dopo 19-22 giorni. Ciò ci conferma sempre più nel fatto che il virus di strada attraverso 1’ organismo del lupo si è un po’ rinforzato nella sua virulenza, per la relativa brevità del periodo d’incubazione e per la precocità della morte dell’ animale. 94 Studî sulla rabbia. SERIE SECONDA Comportamento del virus di strada nei passaggi successivi attraverso l’ organismo del lupo. In questa seconda serie di ricerche ci proponevamo di ve- dere se e quali ulteriori modificazioni di attenuamento o di rin- forzamento può subire il virus rabbico passando successivamente da lupo a lupo, per poi rispettivamente vedere le relative mo- dificazioni del decorso della malattia, della durata dell’ incuba- zione, etc. E ciò naturalmente ha una certa importanza, poichè i risultati avrebbero potuto portare un po’ di luce sullo sviluppo delle epizoozie rabbiche in questi animali. Col midollo del primo lupo, morto di rabbia dopo 15 giorni per l'inoculazione del virus di strada, si fa emulsione e s’inocula per trapanazione un secondo lupo; la quantità di virus inocula- ta è di 02. e. €. 1% ESPERIENZA Lupetto di circa 4 mesi, non molto riottoso, ma abbastanza temibile, soltanto remissivo con l' inserviente che gli somministra cibo ed altre cure. 20 Giugno Trapanazione ed inoculazione del virus predetto. 21,22 L'animale sta bene, mangia colla solita voracità, è allegro, svelto, del solito umore. LA RT L'animale non mostra la sua fisonomia abituale , sembra un po’ depresso, giace volentieri nella sua cuccia, ma non può dirsi che accusi disturbi appa- renti speciali. Conserva il solito appetito, ma manca della prima vivacità e fierezza; è piuttosto buono e mite. 26.» Il lupo presenta dei crampi appena apprezzabili agli arti anteriori, posteriori e alla testa, tuttavia mangia, ma non più colla consueta voracità; ama molto la Studî sulla rabbia. 29 sua cuccia, non è irrequieto nè irritato; se si eccita però reagisce. 27 Giugno. Aumenta l’incoordinazione dei movimenti degli arti anteriori e posteriori. La sua fisonomia ha preso un rabbonimento speciale; se si chiama è propenso ad avvicinarsi, ma cammina vacilloni e traballante. Mangia poco. Verso sera 1 tremiti si diffondono al corpo e al capo che si mostra penzoloni, e le scosse cloniche toniche degli arti sono in aumento. 28.» Il lupo giace disteso sul fianco in perfetta paralisi; la sua respirazione è leggiera e superficiale; benchè co- ricato, lambe la scodella del brodo e riesce mala- mente a deglutirne qualche sorso. Arriva a volte ad addentare un pezzetto di carne, ma esso gli si sofferma in bocca, perchè egli è incapace a masticare e a de- glutire: sente ancora se chiamato, ma si mostra incapace a qualunque movimento. 29 » (riace tuttora nella posizione di ieri, ma in condizioni molto peggiorate. Respiro lievissimo, bava alla bocca, insensibilità agli stimoli, occhi semispenti con muco- pus agli angoli palpebrali. Muore alle ore 2 p. m. Autopsia — Nessuna lesione importante oltre le comuni note anatomiche della rabbia: anzi i fatti d’ iperemia al cervello e agli altri organi non sono così imponenti come negli animali precedenti. da ESPERIENZA. Lupo di 4 mesi e mezzo mite e familiare. Col midollo del predetto lupo, morto dopo 9 giorni dall’inocu- lazione si fa emulsione, e con essa ss’ inocula per trapanazione un altro lupo dell’ età accennata; quest’ animale ha istinti piut- Ami Acc, Vor. X, Serie 4%,— Memoria XI. 4 26 Studi sulla rabbia. tosto miti; durante la sua dimora in Laboratorio ha mostrato una certa familiarità e dimestichezza. 1° Luglio. Trapanazione e inoculazione di 0,2 c.c. di emulsione. 2-3-4-5 » L'animale mostra di stare apparentemente bene, un po’ più obbediente del solito e un po’ meno vivace. 6» L'animale mangia a riprese, e non con la voracità di prima; dopo alcuni bocconi, pei quali mostra grande avidità, smette e va ad accovacciarsi. Ripete ad ogni pasto lo stesso fatto. Ama stare nella sua cuccia ; ogni tanto è preso da lunghi brividi che si estendono sino alla testa. Se si tira fuori dalla sua cuccia, cammina come se avesse debolezza alle gambe; non cè ancora un vero incoordinamento di movimenti. Si mostra piuttosto assai spaventato. I >» Si accentua rapidamente la paralisi degli arti poste- riori ; se l’animale vien costretto a camminare, cade, non sì regge più sulle gambe; pare che conservi an- cora il senso della fame, poichè si avventa sul cibo, cerca masticarlo, ma lo rigetta subito appena tenta deglutirlo. 8» La paralisi è completa e forte, l’ animale giace sul fianco, respira superficialmente e lentamente, emette bava dalla bocca, non risponde più agli stimoli anche dolorosi. Le congiuntive oculari sono iniettate. 9» L'animale si mostra in condizioni ancora più aggra- vate di ieri, e muore nelle ore meridiane. Autopsia — Pochissime lesioni apprezzabili al re- perto macroscopico; bocca, faringe iperemizzate, sto- maco pieno di spuma sanguinolenta e di liquido gri- giastro con detriti alimentari indigesti; intestini piut- tosto iperemici; fegato, milza, reni congesti. Edema leggero al polmone sinistro e stasi alla base di esso; molta schiuma nella trachea. Iperemia nelle meningi e nella sostanza cerebrale. eee 1 Studî sulla rabbia. D 38 ESPERIENZA. Lupo all’età di 5 mesi, di umore abbastanza vivace e d’ istinti non molto benigni. Col midollo del sopradetto lupo, morto in ottava giornata Ì ; g dall’inoculazione, si fa emulsione, e con essa s’ inocula un altro lupo. 11 Luglio. Trapanazione ed inoculazione di 0,2 c.c. di virus. 12-13-14-15 L'animale si mostra di apparente benessere, mangia colla solita voracità, è sempre vivace e conserva an- cora i suoi istinti ribelli. 16-17 » L' umore del lupo sembra cambiato, comincia in esso un po’ di irrequietezza ; nel camminare si nota un po’ d'incertezza e spesso le gambe posteriori gli ven- gono meno. 18» Incoordinazione manifesta dei movimenti, e verso sera la paralisi del treno posteriore è avanzata; l’animale preferisce stare nella sua nicchia, impossibilitato a muoversi; rifiuta il cibo; respira superficialmente, ri- sponde ancora poco agli stimoli, ed emette ululi de- boli se gli si fa dolore. 19.» Continua nelle condizioni di ieri ma più aggravate— Muore nelle ore p. m. Autopsia—Reperto simile ai precedenti, nessuna lesione de- gna di nota, oltre le comuni accennate. Benchè le esperienze accennate siano poche , pure non si può fare a meno di restare impressionati dei risultati ottenuti. E se teniamo anche conto del risultato delle esperienze della prima serie, in cui il virus di strada, dopo un solo passaggio attraverso l’ organismo del lupo, subiva un certo rinforzamento nella sua virulenza, dobbiamo ora convenire come nei successivi passaggi nel lupo, questo rinforzamento fu notevolissimo e ra- pido. Il virus di strada ammazza il lupo 18-15 giorni conferen- 28 Studî sulla rabbia. dogli la rabbia furiosa; il virus di questo lupo ammazza un 2° lupo in 9 giorni, il virus di questo 2° ammazza un 3° lupo in 8 giorni, e il virus di questo 3° ammazza un 4° lupo ugualmente in 8 giorni, e tutti muoiono di rabbia paralitica. Ciò ci fa rilevare come l’ esaltamento di virulenza del virus di strada attraverso il lupo non è graduale, ma raggiunge to- sto dopo 1-2 passaggi una virulenza costante che è di 8 giorni. Non possiamo certamente dire, a causa della mancanza di altre esperienze, se questa virulenza venga ad esaltarsi ulteriormente nei successivi passaggi in altri lupi: ma il fatto che fin dal 2° passaggio la durata in vita scende a 9 giorni per andare a 8 e mantenersi costante nei successivi passaggi, ci può far credere che se forse un rinforzamento di virus ci potrà ancora ulterior- mente essere, questo non dovrà essere tale da andare che poco al di là degli 8 giorni. Così il virus di strada acquista, attraversando l'organismo del lupo, quella virulenza quasi fissa, che nel coniglio sì ottiene dopo molti passaggi (50-100). Non meno importante è il periodo d’ incubazione che è bre- vissimo, oscillante tra 4-5 giorni, e tale da uguagliare il perio- do d’ incubazione dei conigli inoculati con virus fisso. Come al- tresì degna di studio ci pare la mancanza dei sintomi di vera rabbia furiosa in tali animali; si è notato invero in essi un po’ di irrequietezza, ma questa non ha avuto nulla a che fare con l'enorme e terribile eccitamento che presentarono i primi due lupi inoculati con virus di strada direttamente. Osiamo ammettere che questi ultimi lupi abbiano presentato la forma paralitica della rabbia analogamente a quanto avviene d’ ordinario negli animali inoculati con virus fisso. Non possiamo intanto emettere ulteriori giudizii sulla persistenza o cambiamento di tale forma, non essendo stati possibili ulteriori esperimenti. Stadè sulla rabbia. 24, SERIE TERZA Comportamento negli animali domestici del virus di strada dopo i successivi passaggi attraverso il lupo. Lo studio di questa questione ci parve di una certa impor- tanza pratica, poichè il lupo nello sviluppo della sua rabbia può morsicare, oltre gli animali selvaggi della sua specie e del suo genere (sciacallo, jena, volpe ecc.) anche altri animali che con- vivono con l’uomo, sui quali del resto manifesta più facilmente la sua ferocia (greggi, armenti ecc.), senza parlare dei comuni animali, come i cani, contro i quali i lupi hanno odio istintivo grandissimo, e di altri animali ancora, come i gatti, i conigli e gli animali da cortile in genere, che in un modo o in un altro possono aver avuto trasmesso il virus dal lupo. Era quindi naturale di conoscere il destino di questi ani- mali, o almeno di quelli che sono più alla mano nei nostri la- boratorî , per vedere come essi sì comportassero nello sviluppo della malattia in rapporto alla incubazione, ai sintomi, alla forma di questi, alla durata ecc. Oltre a ciò 1’ inoculazione in questi animali, in cui è ben noto l'andamento del virus di strada genuino, ci poteva fornire altri criterî sulle modificazioni subite dal predetto virus, passato attraverso l'organismo dei lupi. Non staremo a riferire tutte le esperienze per disteso, pre- ferendo per la loro uniformità di raggrupparle in tabelle, rite- nendo eziandio inutile di ricordare che col virus di strada fu inoculato soltanto il primo lupo, e gli altri lupi col virus del lupo di serie, morto in precedenza. Gli animali adoperati sono stati cani, conigli, gatti, cavie, non comportando i mezzi dell’ Istituto di estendere le ricerche sugli altr animali, come gli ovini, bovini etc. L’ inoculazione è stata fatta sub-durale. Abbiamo però te- nuto conto del peso degli animali che è stato in media per i Studî sulla rabbia. conigli di gr. 1200 a 1500, per i cani di Kg, 5 a 7, per i gatti di gr. 900 a 1200, per le cavie di gr. 400 a 600. Inoculazione col virus rabbico del 1° lupo. (Vedi Serie Ia — Esper. 1). | a x A A T < ; GIORNO | GIORNO | GIORN DURATA ANIMALE î ur O | DU | DELLA SUBENTRANO DELLA DELLO i D’ ESPERIMENTO — : SINTOMI i | INOCULAZIONE | DI PARALISI MORTE ESPERIMENTO i Coniglio . . | 20 Giugno | 26 Giugno | 29 Giugno 9 giorni Coniglio, +" 20 » 29 » 50 » 10 » | Cane . 20 >» 28» 1 Luglio | 11 >» te È Rit | Cane . 20 » 27 » 50 Giugno | 10 » Gattara 30% a 20 » 26 » 30 » 10 » oto de e MI » Zi » 30 » 9 » NICEA elit sal: a 0520 » 28 » 30 » 10 » cavi L gio, SZ » 24 » 30 » 0, » Il Inoculazione col virus rabbico del 2° lupo | (Vedi Serie II. — Esper. 12) Coniglio . 1 Luglio 7 Luglio 9 Luglio 8 giorni Coniglio, 4 4 l » 6 » 9 » 8 » Cane e 02 » 5 » 9 » ri » Cane ee 0. 2 » 6 » 10 ” 8 » Gatto . l > 5 » 8 > ti » | Gatto . 1 » 6 » 8 » T » /Caviak (ol. a ep? » 8 » 10» 8 » cavia a se Sa 8» 9» rie" Ì Inoculazione del virus rabbico del 3° lupo. i (Vedi Serie II. — Esper. 22) | Coniglio. . . . .|12 Luglio | 16 Luglio | 19 Luglio {7 giorni Coniglio 2. 0 IRE » i » LO » fi » COS ae » 17 » 20 » Ù » (BESANA 3 » 18 » 20 » 7 » Gato neo » 18 » 20 » 7 » Gatto. 0: è e a ia » 17 » I, » 61, >» Gant Ra a MI » 16 » io » Ti » Cava sato » 17 » 19 » ri » | Studî sulla rabbia. dI Inoculazione col virus rabbico del 4° lupo. (Vedi Serie II. Bsper. 3?) GIORNO DI PARALISI GIORNO GIORNO | DURATA | ANIMALE Ra » | DELLA SUBENTRANO DELLA DELLO D’ ESPERIMENTO SINTOMI INOCULAZIONE MORTE ESPERIMENTO | Coniglio . 21 Luglio 26 Luglio 28 Luglio 7 giorni Comelio. «21 » QoR ZE x » Cane . 2il » 2A » 28 » T » Caneioee AZI » 26 » 28 » Ti » | Gatto . 99 > 26» 28 > Grab N Gatto . 22» D9° Cip 28 > 6 » | Candace #22 » 259 » 28 » | 6 » | Cavia. 29» 2» 28» |6» | . Per aver meglio sottocchio i risultati finali dell’ esito dei diversi animali a seconda i passaggi del virus di strada nei di- versi lupi, raggrupperemo quelli nella seguente tabella : Durata di vita in giorni degli animali inoculati con virus. I del 1° lupo | del 2° lupo | del 8° lupo | del 4° lupo || | Conigli 9-10 giorni 8 giorni { giorni | 7 giorni Cani 10-11» | 78» 7» bo » Gatti . 9-10.» lo » 6-0» 6 » : Sal inca | CAVI ita 10 (8 » 1» 6 » I risultati rassegnati nelle singole tabelle e raggruppati qui sopra in succinto ci fanno pervenire a considerazioni di qualche interesse. Resta intanto assodato come fatto fondamentale che gli animali domestici in seguito alla inoculazione del virus di D2 Studî sulla rabbia. strada che ha attraversato l'organismo del lupo, soccombono alla rabbia molto più rapidamente di quando vengono inoculati col solito virus di strada. Come resta del pari assodato che quanto più il virus di strada si è rinforzato per successivi passaggi nell’ organismo del lupo, tanto più rapidamente produce la morte negli animali, fino ad arrivare un limite di tempo quasi costante, che è paragonabile a quello impiegato dal virus fisso di coniglio per produrre in alcuni di essi lo sviluppo della malattia. E dico in alcuni di essi perchè i cani, per es., inoculati con virus di strada, rinforzato attraverso il lupo anche per uno 0 due passaggi, muoiono assai più rapi- damente di quando vengono inoculati con virus fisso di coniglio. “ Infatti al 3°, al 4° passaggio la virulenza è tale che i cani soc- ti combono alla rabbia in 7 giorni, analogamente ai conigli per via del virus fisso. È bene intanto notare che il virus di stra- da al 3° o al 4° passaggio del lupo, mostra nel cane una viru- lenza costante, come si verifica per l’ innesto nel lupo che poi rimaneva quasi stazionario ad 8 giorni. Per tutti gli altri animali, conigli, cavie, gatti abbiamo il fatto costante ed importante che fin dal 2° passaggio nel lupo, il virus di strada sì comporta nella sua virulenza rinforzato co- me il virus fisso del coniglio, poichè i predetti animali soccom- bono in seguito alla inoculazione in un periodo di tempo oscil- lante fra 6-7 giorni. Si può dunque ammettere che il virus di strada , passando attraverso l’ organismo del lupo , si esalta nella sua virulenza , acquistando le proprietà del virus fisso del coniglio e compor- tandosi nel cane con una virulenza maggiore che negli altri ani- mali, e propriamente con la stessa gradazione di virulenza che nel lupo, come se il cane continuasse la serie di passaggio del lupo istesso. La morte di tutti gli animali è avvenuta per rabbia para- litica. Studî sulla rabbia. 33 SERIE QUARTA Comportamento del virus degli animali morti rabbici per inoculazione del virus di lupo, in animali della stessa specie. Rimaneva intanto ancora a sapersi quale forza avesse il virus degli animali morti rabbici per inoculazione di virus di strada rinforzato attraverso il lupo; cioè se la virulenza del midollo di questi animali si mantenesse uguale o no a quella posseduta dal virus con cui vennero in precedenza inoculati, potendosi ben dare il caso che un dato animale, (coniglio p. es:) inoculato con. virus rinforzato attraverso il lupo, fosse morto in un breve periodo di tempo, ma che poi esso stesso o meglio il suo virus inoculato ad animali della stessa specie non fosse più capace di mantenere co- stante la virulenza di quel virus che lo fece in un dato periodo di tempo soccombere. In altri termini bisognava sapere se il virus di strada rinforzato attraverso il lupo, e che concedeva una du- rata di vita relativamente corta agli animali cui si inoculava , si modificasse poi nella sua virulenza, quando dai predetti animali venisse passato in altri della stessa specie. Le esperienze su questo indirizzo, essendo poche, possono ag- grupparsi nella seguente tabella. Ho scelto gli animali, morti in seguito all’ inoculazione del virus di strada, passato attraverso il primo lupo e quelli morti in seguito all’ inoculazione del virus di strada, passato per ben 4 passaggi nel lupo. Così le differenze erano meglio apprezzabili. Per meglio intendere la tabella aggiungiamo che col virus di strada proveniente dal passaggio del 1° lupo s' inoculava un primo coniglio, col virus di questo un 2° coniglio, col virus di questo un 3° coniglio e così via. Per gli altri animali si prati- cava altrettanto; s' inoculava sempre il primo col solito virus del 1° lupo e gli altri animali con il virus di quello morto in pre- cedenza. La inoculazione veniva sempre fatta per trapanazione. ATI Acc. Vor. X, SERIE 48,— Memoria XI. 5 34 Studi sulla rabbia. Virus di strada dopo il solo 1° passaggio nel lupo. lar Numero \passaggi dei ANIMALE di ESPERIMENTO GIORNO di INOCULAZIONE GIORNO in cui SUBENTRANO SINTOMI DI PARALISI GIORNO della MORTE DURATA dello ESPERIMENTO I risultati generali Coniglio Cane » » (1atto Virus di strada dopo i Coniglio Cavia » » 20 Giugno 1 Luglio 12 Luglio 25 Luglio 3 Agosto | 14 Agosto 1 20 Giugno 1 Luglio | 14 Luglio 20 Giugno 1 Luglio | 11 Luglio 20 Luglio 30 Luglio 20 Giugno 1 Luglio 10 Luglio | 17 Luglio 21 Luglio 28 Luglio 4 Agosto ll Agosto 18 Agosto 25 Agosto 21 Luglio 28 Luglio 4 Agosto 13 Agosto | 22 Luglio 28 Luglio 3 Agosto 10 Agosto i 15 Agosto 21 Agosto 22 Luglio 28 Luglio 4 Agosto 10 Agosto 26 Giugno 9 Luglio 21 Luglio i Agosto 10 Agosto 21 Agosto 28 Giugno 10 Luglio 22 Luglio 26 Giugno 8 Luglio | 18 Luglio 27 Luglio Agosto Giugno Luglio Luglio Luglio 26 Luglio 2 Agosto 8 Agosto 16 Agosto 24 Agosto 30 Agosto 25 Luglio 2 Agosto 9 Agosto 18 Agosto 26 Luglio 1 Agosto 8 Agosto | 14 Agosto 19 Agosto 25 Luglio 2 Agosto 8 Agosto 29 Giugno Il Luglio 25 Luglio 3 Agosto 15 Agosto 23 Agosto 1 Luglio 13 Luglio 24 Luglio 50 Giugno 11) Luglio 20 Luglio 29 Luglio Agosto 30 Giugno 10 Luglio 17 Luglio 29 Luglio > passaggio nel lupo. 28 Luglio 4 Agosto 10 Agosto 18 Agosto 259 Agosto 31 Agosto 28 Luglio 4 Agosto 12 Agosto 20 Agosto 28 Luglio 3 Agosto 10 Agosto 15 Agosto 21 Agosto 22 Agosto 28 Luglio 4 Agosto 10 Agosto 13 Agosto pendiare brevemente per la loro uniformità. 9A giorni 10 » ll » 9 » 1 0 » 9 » ll » 2 » 10 » 10 » 9 » 9 » 9 » 8 » 10 » 9 » Vi » 8 ‘ giorni (LU erts ferie NI SMS HerfTertis Ko sEes E Ferie N ere ES delle due esposte tabelle si possono com- Nella 18 parte della tabella (1° passaggio nel lupo) abbiamo Studî sulla rabbia. 35 che il virus di strada, rinforzato attraverso l'organismo del lupo uccide, come anche prima sè visto, gli animali, conigli, cani, gatti e cavie in un periodo di tempo che è più corto di quello impiegato dall’ ordinario virus di strada, e che questo rinforza- mento nella virulenza si mantiene costante attraverso 1 successivi passaggi nelle singole specie animali. Anzi, quando il virus di strada non ha raggiunto attraverso il passaggio nel lupo il suo massimo di virulenza, inoculato negli animali segue, coi succes- sivi passaggi in questi, la legge naturale del suo ulteriore rimforzo, quando , ben inteso, la specie animale sì presta : (conigli, gatti, cavie); per i cani invece la virulenza si mantiene in quel grado di rinforzamento cui è stato elevato dal passaggio subito attra- verso il lupo. Nella 2* parte della tabella (4° passaggio nel lupo) dove il virus di strada è passato successivamente attraverso 4 lupi, rag- giungendo quasi il massimo di virulenza, noi vediamo che il virus così rinforzato uccide gli animali in un periodo di tempo rela- tivamente corto, paragonabile a quello del virus fisso di coniglio. Tale virulenza si mantiene ancora costante nei successivi passaggi attraverso le diverse specie animali, e anche nei cani il cui orga- nismo non sarebbe naturalmente favorevole (CELLI, MaRINO-Zv00). Adunque le specie animali, alle quali viene inoculato un virus di strada rinforzato attraverso uno o più passaggi nel lupo, man- tengono costantemente o favoriscono coi successivi passaggi alle singole specie quel grado di virulenza che portava originariamente il virus a seconda il rinforzo subìto. SERIE QUINTA Comportamento nel lupo del virus di strada attenuato. Era infine importante pel nostro studio di vedere come si comporta l'organismo del lupo per il virus di strada attenuato. Accade spesso che animali rabbici possano trasmettere 1 infezio- 36 Studî sulla rabbia. ne ad animali poco suscettibili e che possono attenuare il virus. Ma quando il virus è naturalmente o artificialmente attenuato, si mantiene sempre tale, oppure si esalta passando attraverso il lupo; e in questo caso qual n’ è la differenza di fronte agli altri animali ? EsPERIENZA 1.8 Circa 5 grammi di midollo tolto da cane rabbico (virus di strada) si diluiscono in acqua distillata sterilizzata e l’emulsione si tiene in stufa a 35° per 50 ore. Dopo tal tempo le particelle del midollo si trovano in fondo al tubo, lasciando la parte superiore del liquido quasi rossastra e piuttosto limpida. Si agita bene il tutto, si filtra a un pannolino di lino e s’inietta in un lupo, in un cane, in un coniglio. L’ inoculazione in tutti e tre gli ani- mali è subdurale. La quantità inoculata è di 0,2 cc. pel lupo e pel cane, di 0,1 cc. pel coniglio. I risultati sono i seguenti : I. Lupo piccolo di 5 mesi, addomesticato in Laboratorio da circa due mest. 20 Maggio. Imoculazione dell’ animale. 2 Giugno. Cambiamento d’ umore e irrequietezza. 5.» Paralisi. 9» Morte. L'animale visse 20 giorni. II. Cane piccolo. 20 Maggio. Inoculazione. 25 Giugno. Cambiamento d’ umore e irrequietezza. 27» Paralisi. 29.» Morte. L'animale visse 40 giorni. evi ] Studi sulla rabbia. III. Coniglio di media taglia. 21 Maggio. oculazione. 19 Giugno. Paralisi. 2285 Morte. L'animale visse 31 giorni. ESPERIENZA 2.8 Col midollo del 1° lupo vissuto 20 giorni, morto nella predetta esperienza si fa inoculazione per trapanazione in un 2° lupo. I. Lupo piccolo di 4 mesi relativamente mansueto. 9 Giugno. Inoculazione. 15.» Cambiamento d’ umore e irrequietezza. li.» Paralisi. 19 » Morte. L'animale visse 10 giorni. II. Cane di media taglia. Viene inoculato con emulsione di midollo del 1° cane morto il 29 Giugno e vissuto 40 giorni. 30 Giugno. Inoculazione per trapanazione. 31 Luglio. Comparsa dei primi sintomi. 3 Agosto. Paralisi. 5» Morte. L'animale muore dopo 39 giorni. III. Coniglio di media taglia. Col cervello del 1° coniglio morto il 22 Giugno e vissuto 31 giorni sl fa il 23 Giugno. Inoculazione per trapanazione. 10 Luglio. Comparsa dei primi sintomi. SO, (oo) Studî sulla rabbia. 12 Luglio. Paralisi. 15 » Morte. L'animale muore dopo 22 giorni. Come si vede dalle precedenti esperienze con la inoculazione di virus di strada attenuato, la durata di vita nel 1° cane fu di 40 giorni, nel 2° fu di 39 giorni, nel 1° coniglio fu di 81 giorni, nel 2° fu di 22 giorni, nel 1° lupo invece fu di 20 gior- ni, nel 2° fu di 10 giorni. | Per mancanza di altri lupi non si proseguì 1 esperimento , ma pur tuttavia i due dati accennati dimostrano che il virus di strada attenuato artificialmente, passando attraverso 1 organismo del lupo, sì rende già molto rinforzato fin dal primo passaggio, tanto che al 2° passaggio si è avvicinato nella sua virulenza al periodo stabile del virus fisso. Gli altri animali invece, cane, coniglio non mostrano nulla di così spiccato. SERIE SESTA Inoculazione del virus fisso nel lupo. Dopo quanto si era sperimentato a proposito del virus di strada, non meno importante si presentava allo studio la que- stione della durata d’ incubazione e del modo di svolgersi della rabbia nel lupo, in seguito all’ inculazione del virus fisso. Infatti col midollo di un coniglio di serie si fa emulsione e s'inoculano per trapanazione due lupi. ESPERIENZA 1.® Lupo di 5 mesi abbastanza riottoso, forte. 26 Maggio. Inoculazione di c.c. 0.2— Dopo l'operazione il lupo mangia con la solita voracità e nulla dimostra di aver risentito dell’ atto operatorio. Studî sulla rabbia. 59 Si -> lo) NE ; = 1° Giugno. Maggio. L'animale mangia col solito appetito vo- race; manifesta sempre l'indole sua aggressiva, ma non mostra nulla di anormale. L'animale mangia meno di prima; si cominciano a notare piccoli tremiti all’ arto posteriore sinistro e qualche crampo al destro; il suo umore è però meno vivace. L'animale sì è trovato giacente sul fianco con pa- ralisi progredita del treno posteriore; sorregge an- che a stento la testa, ha ancora ansia di mangiare ma non deglutisce. Non grida, non emette ululati. Continua la paralisi; l’animale si mostra più ab- battuto, ha crampi forti agli arti posteriori; respira superficialmente e a volte a scosse; ha bava alla bocca, e verso sera non reagisce più a nessun sti- molo. L'animale vive ancora, respira appena, muore nelle ore p. m. Autopsia — Reperto anatomico senza alcuna nota di rilievo: le solite note di iperemia più o meno intensa al cervello e al midollo, e congestione agli organi interni. ESPERIENZA 2.® Lupo di circa 6 mesi molto ribelle. 26 Maggio. Inoculazione di cc. 0,3 di emulsione del midollo 27,28, 29 predetto. L'animale dopo l'atto operativo è rimasto molto avvilito e pauroso, guarda con occhi biechi, ma senza intendimenti ostili; non è più vivace come prima ed ha piuttosto paura nel veder persone avan- ti la gabbia; mangia discretamente ma quando è solo; ama restare rincantucciato. 40 Studî sulla rabbia. 30 Maggio. Non è facile notare, stando esso sempre nella cuc- cia, gli ulteriori disturbi dell’animale. Tirato fuori, si mostra restìo a camminare, e in qualche passo tiene sospesa la zampa posteriore sinistra. È preso spesso da brividi generali o da stanchezza, per cui si accovaccia sempre. 51 >» S' inizia la paralisi degli arti posteriori; l’ animale rifiuta il cibo e ha diarrea; ha i fianchi molto magri; se sì stimola, anzichè avventarsi, dimostra sempre più la sua paura , rannicchiandosi e pie- gando la testa. 1° Giugno. Giace disteso sul fianco preso da crampi agli arti; ha la bocca piena di bava e la lingua sporgente ; ad ogni urto circostante o a ogni rumore si ripe- tono le scosse clonico-toniche degli arti; respira superficialmente e acceleratamente. 2» Si trova nelle condizioni di ieri più gravi: è insen- sibile a qualunque stimolo: muore alle ore 11. Autopsia — Nulla di rilevante, tranne le solite e comuni note anatomiche descritte. Le due esperienze accennate ci sembrano importanti per le considerazioni a cui fanno pervenire. Si nota infatti che il virus fisso trasmette al lupo la rabbia con tutti i sintomi della forma paralitica e con un periodo d’incubazione brevissimo corrispon- dente a quello dei conigli inoculati con virus fisso. Se si para- gona questo risultato con quanto avviene nei cani inoculati con virus fisso, i quali hanno un periodo d’ incubazione superiore agli 8-10 giorni e una durata di vita quasi ordinariamente più lun- ga dei 10-12 giorni, non sì può fare a meno di concludere che l'organismo del lupo di fronte al virus fisso si comporta come l'organismo del coniglio, e in via generale riconfermare quanto s'era assodato sul virus di strada, cioè che il lupo è per il virus rabbico un organismo assai più recettivo del cane e simile al co- niglio. Studî sulla rabbia. 41 SERIE SETTIMA Comportamento del virus fisso nei passaggi successivi attraverso l'organismo del lupo. Essendo il lupo un animale molto recettivo all’ infezione rabbica, nasceva naturale la domanda , se il virus fisso dopo il primo passaggio nel lupo, attraversando ulteriormente l’organi- smo di altri lupi, mantenesse costante la virulenza spiegata nel primo, o invece subisse delle attenuazioni o piuttosto un rin- forzamento. Poteva intatti darsi che il lupo facesse pel virus fisso quello che il coniglio fa pel virus di strada, riducendone cioè sempre più corto il periodo di incubazione; come poteva del resto darsi benissimo il caso contrario, cioè, che il virus fisso, termine ul- timo di virulenza del virus rabbico, attraversando un organismo diverso, benchè recettivo, poteva regredire nella virulenza. Erano necessarî degli esperimenti. ESPERIENZA 1.* Lupo di 6 mesi, molto riottoso e vivace. Col midollo del primo lupo, morto per inoculazione del virus fisso in 7 giorni, sì fa emulsione e s° inocula per trapanazione un 2° lupo ; la quantità di virus inoculata è di 0,3 cc. 3 Giugno. Trapanazione ed inoculazione. 4-5 » L'animale non manifesta alcun segno di sofferenza ; mangia col solito appetito; guarda bieco e diffidente. 6 » L'animale ha istinto di mangiare, s'avventa contro il cibo, ma poi mangia poco, sta spesso rincantucciato nella sua cuccia , pare d’ umore tetro ed evidente- mente cambiato. 7 » 1 tremiti agli arti posteriori sono visibili, 1 animale cammina, ma cogli arti inflessibili come irrigiditi ; mangia poco, è tetro e ama stare rannicchiato. Anti Acc. Vor. X, SerIE 4%,— Memoria XI. 6 42 Studi sulla rabbia. 8 Giugno I movimenti sono incoordinati, l’animale si regge poco; mangia quasi nulla di cibo solido, beve un po di brodo, sembra avere paralisi al faringe. 9» L'animale è trovato disteso sul fianco in perfetta pa- ralisi, ha schiuma viscidosa alla bocca. Da ieri il suo cibo è intatto nella scodella. Non reagisce che poco agli stimoli, ha crampi agli arti posteriori. 10 » L'animale continua nello stato precedente, è immobile e sembrerebbe morto, se non fosse il respiro lievissi- mo e a volte saccato che fa vedere che esso è an- cora in vita. Muore nelle ore di sera. Autopsia — Meningi e cervello poco iperemici; polmoni, enfisematici con congestione passiva alla base; stomaco ed inte- stini pieni di materiale liquido giallastro, viscidoso; fegato, reni milza, congesti. EsPERIENZA 2°. Lupo di 1 anno, forte, vigoroso e discretamente riottoso. 11 Giugno. Con emulsione di midollo del 2° lupo s’ inocula per trapanazione un 3° lupo. 12-13-14 » L'animale è rimasto un po’ depresso dopo l’operazione; ma per altro mangia a divorare e s'avventa facilmente, ha lo sguardo bieco e ringhia quando lo si avvicina con qualche bastone in mano, o quando lo si eccita. 15 » L'animale si mostra sempre più depresso ; sta volen- tieri nel suo giaciglio, non mangia in presenza di persona, ma vuota la scodella quando è solo. Si nota qualche tremito fugace agli arti posteriori ed ante- riori. Quando cammina si osserva meglio che le gam- be non conservano la loro perfetta funzionalità. 16 » Mancanza d’ appetito, rifiuta il cibo, incoordinazione di movimenti, grande stanchezza, poca reazione agli stimoli. Studî sulla rabbia. 43 17 Giugno. L'animale sì trova in paralisi, ha spuma alla bocca, gli occhi pieni di muco e socchiusi, respira a stento. Paralisi degli sfinteri. 18.» Muore nelle ore di mattina. Autopsta -- Le stesse note anatomiche degli animali pre- cedenti. ESPERIENZA 82. Lupo dell’ età di 5 mesi, abbastanza vivace. 19 Giugno. Con emulsione del midollo del 3° lupo s' inocula un 4° lupo. 20-21-22 x L'animale non mostra alcuna sofferenza; appare nor- male. 28 » L’arto posteriore sinistro è in preda a crampi; l’ani- male si mostra un po’ stordito, ma gironzola per la gabbia e conserva ancora il suo buon appetito. 24 » I crampi dell’ arto sinistro sì estendono al destro ; l’animale non coordina bene i suoi movimenti, fa fa- tica a stare sulle gambe, mangia poco o nulla, sta rincantucciato. 25 » L'animale è in paralisi, respira affannosamente , ha spuma giallo-verde alla bocca. 26 » È trovato morto. Autopsia — Lesioni anatomiche di poca entità, un po’ di iperemia alle meningi, al cervello, agli organi addominali. Sto- maco ed intestini pieni di materiale nerastro, come melena. Le esperienze predette lasciano venire alla conclusione ge- nerale che il virus fisso nei successivi passaggi attraverso 1’ or- ganismo del lupo mantiene costante la sua virulenza. Ciò che di conseguenza fa ammettere che l’ organismo del lupo nella trasmissione della virulenza si comporta analogamente all’ orga- nismo del coniglio. d4 Studî sulla rabbia. È bensì vero che dati i pochi passaggi non si potrebbe as- sicurare in via assoluta che il virus fisso non possa ulterior- mente modificarsi. Ma in via d’induzione noi dobbiamo credere che la virulenza del virus rabbico fisso, attraverso il lupo debba mantenersi costante, dopo quanto abbiamo visto avvenire per il virus di strada che subì un notevole rinforzamento, dopo soltanto 1-2 passaggi, arrivando quasi alla virulenza del virus costante del coniglio. Così noi crediamo con molta probabilità che 1’ organismo del lupo non possa rinforzare ulteriormente il virus rabbico fisso più di quanto faccia l'organismo del coniglio, ma anche crediamo che esso virus non possa ulteriormente attenuarsi, dopo che ha acquistato una vera naturalizzazione nel suo organismo, da po- terlo fin anco farlo chiamare dopo i predetti passaggi virus fisso di lupo. La forma con cui gli animali sono morti è stata quella di rabbia paralitica, analogamente a quella data dal virus fisso originario. SERIE OTTAVA Comportamento negli animali domestici del virus fisso, dopo i successivi passaggi attraverso il lupo. Dopo quanto sì era sperimentato, e analogamente a quanto si era fatto pel virus di strada, interessava conoscere se il virus fisso che manteneva costante la sua virulenza attraverso i suc- cessivi passaggi nel lupo, subisse modificazioni quando sì ripor- tava negli animali domestici, presso i quali è ben noto il suo meccanismo e il comportamento. Si sono scelti i midolli del 1° e del 4° passaggio nel lupo, e si sono fatti esperimenti nei cani, conigli, cavie; l’inoculazione sì è sempre fatta per trapanazione. Studî sulla rabbia. Inoculazione col virus rabbico del 1° lupo. (Vedi Serie V. — Esper. 12) ANIMALE GIORNO GIORNO GIORNO DURATA della si ERI della dello ei PIREREGRIE SUBENTRA DS SERIO INOCULAZIONE LA PARALISI MORTE ESPERIMENTO f Coniglio . 5 Giugno 8 Giugno | 10 Giugno € giorni Coniglio . 3 » ti » 10 ) Ti 3 Coniglio . 3 » 7 S 9 ; 6 ; Cane D » 9 > 12 ) 9 > Cane 4 » 9 » 12 » ni » Cane 4 > 9 » 01! ) 7 » Cavia ° 4 » 9 DI TO. » 6 » Ca via. d » 9 » dl » Ti » Cavia 3 4 » la ) 10 » 6 » Gatto . 9) » 10 » 12 » 7 » Gatto . 5) » Il » I) » 8 » Inoculazione col virus rabbico del 4° lupo. (Vedi Serie VI. — Esper. 32) A >N A 5 5 a ANIMALE GIORNO GIORNO GIORNO DURATA della Tori (Anti della dello Ra SUBENTRA E ORIENTO INOCULAZIONE LA PARALISI MORTE ESPERIMENTO Coniglio . 27 Giugno 2 Luglio 4 Luglio 7 giorni Coniglio . ZI » 1 » D S 6 L Cane 27 » 3 » 5 » 8 DI Cane . 2 » 3, » 4 » T » (Caviar 28 » % » 3 » 5 » Cavia. 28 » 3 » 4 » 6 » (Gatto o ot; 28 » 3 » 5 » T » CO, ea 28 » 4 » 6 » 8 » 46 Studî sulla rabbia. La conclusione di questa serie d’ esperimenti è abbastanza evidente. Viene dimostrato che il virus fisso, dopo uno o più passaggi attraverso l’ organismo del lupo , inoculato al coniglio mantiene la sua virulenza costante, producendo a questo la mor- te in 6-7 giorni e comportandosi analogamente al virus fisso na- turale originario. Altrettanto può dirsi per la cavia e per il gatto, nei quali animali il periodo d’incubazione e la durata in vita furono anche normali. Ciò fa confermare ancora più che il virus fisso attraverso lo organismo del lupo non subisce ulteriori modificazioni di rinfor- zamento o di attenuamento, in quanto che inoculato negli ani- mali mantiene la sua virulenza costante primitiva. Fa eccezione il cane il quale, in seguito alla inoculazione del virus, che ha subìto diversi passaggi attraverso l'organismo del lupo, sembra mostrarsi recettivo, perchè ha un periodo d’in- cubazione e una durata di vita più breve di quelli che ha in seguito alla inoculazione dell’ ordinario virus fisso. Altrettanto s'è osservato per i cani, come abbiamo visto, che sono stati ino- culati col virus di strada rinforzato attraverso il lupo. SERIE NONA Comportamento del virus rabbico degli animali inoculati con virus fisso di lupo, nei passaggi successivi sugli animali della stessa specie. Un' ultima ricerca che ci parve interessante di istituire fu quella di vedere se il virus rabbico dei diversi animali dome- stici, morti per inoculazione di virus fisso di lupo , (originaria- mente virus fisso di coniglio, rimasto invariato attraverso i di- versi passaggi nell'organismo del lupo, tanto da potersi permet- tere, anche per intenderci e per abbreviare, di chiamarlo virus fisso di lupo) subisse delle modificazioni passando in altri ani- mali della stessa specie. Lo scopo della ricerca è quasi analogo a quello della Se- rie IV, e ad essa ci riferiamo senza quì spendere ulteriori parole. Studi sulla rabbia. 47 Ho scelto come virus rabbico da inoculare il midollo preso dagli animali morti per inoculazione di virus fisso dopo 4 pas- saggi nel lupo. Riporto gli innesti e i passaggi fatti nella se- guente tabella : Virus rabbico di animali dopo il 4° passaggio del virus fisso nel lupo. (Vedi Serie VI. — Esper. 32) Numero ANIMALE GIORNO GIO RNO | GIORNO DURATA dei di di SUB x as NO della dello passaggi ESPERIMENTO INOCULAZIONE Deco MORTE ESPERIMENTO il I Coniglio 27 Giugno 1 Luglio 3 Luglio 6 giorni II » 3 Luglio 7 Luglio 8 Luglio 5) » HI » 8 Luglio 13 Luglio 15 Luglio il » IV » 15 Luglio | 20 Luglio | 21 Luglio 6 » I Cane 27 Giugno 2 Luglio 4 Luglio ti » II » 4 Luglio 10 Luglio 12 Luglio 8 » II » 13 Luglio 19 Luglio | 21 Luglio 8 » IV » 22 Luglio | 27 Luglio | 29 Luglio Ti » I Gatto 28 Giugno 3 Luglio 5 Luglio ti » II » 5 Luglio 9 Luglio 11 Luglio 6 » I » 11 Luglio 19 Luglio 19 Lnglio lo » IV » 19 Luglio | 23 Luglio | 24 Luglio D » | I Cavia 28 Giugno 2 Luglio 3 Luglio 5 » | II » 3 Luglio 8 Luglio 9 Luglio 6 » | III » 9 Luglio 13 Luglio 14 Luglio o » IV » 14 Luglio 18 Luglio 19 Luglio 5) » | I risultati di questa serie di esperienze si possono breve- mente compendiare così: che il virus fisso passato per uno o più passaggi attraverso il lupo, quando viene riportato negli ani- mali (conigli, cavie, gatti) per la continuazione normale delle inoculazioni in serie, non perde alcuna delle sue proprietà pri- mitive, poichè si comporta su questi come se la serie non fosse mai stata interrotta per gli eterogenei passaggi, continuando la sua costanza nella virulenza. 48 Studî sulla rabbia. Infatti la morte degli animali avviene in 7, 6, 5 giorni a secondo la specie con 3, 4, 5 giorni d’ incubazione e nè più nè meno come il virus fisso a serie non interrotta; ciò che in altri termini vuol dire che il virus fisso di serie passa nel lupo come in un organismo omogeneo, ossia come in un animale avente la stessa proprietà dell’ organismo del coniglio, cioè di rinforzare o mantenere costante rispetto alla serie la virulenza del virus rab- bico fisso. Fa eccezione il cane, il quale mantiene nelle inoculazioni in serie quel grado di rinforzamento superiore al virus fisso che gli proveniva in seguito ai passaggi nel lupo; ciò che del resto abbiamo visto anche avvenire nelle altre serie di esperienze, e ciò che anche CeLLi e MARINO-Zuco hanno visto avvenire per il pas- saggio del virus fisso da cane a cane. | SERIE DECIMA Comportamento nel lupo del virus fisso attenuato. Bisognava infine iniziare delle ricerche analoghe a quella della Serie quarta, per vedere come si comportasse nel lupo il virus rabbico fisso a sua volta artificialmente attenuato. I risul- tati st prevedevano analoghi a quelli della Serie IV. predetta , ma tuttavia nulla si poteva stabilire, per quanto riguardava la durata della virulenza e il rapporto con gli altri animali. L’ i- noculazione del virus fu fatta subdurale e fu estesa al lupo, al cane, al coniglio. Per | attenuazione si prese un pezzetto di midollo di serie, sì emulsionò in acqua distillata sterilizzata e si tenne per 60 ore alla temperatura della stufa a 35°. ESPERIENZA là I. Lupo piccolo di 4 mesi piuttosto mansueto. 15 Febbraio. Inoculazione. 21 » Comparsa dei primi sintomi. Studî sulla rabbia. 28. Febbraio. Paralisi. 24» Morte. Durata in vita dell’ animale 9 giorni. II. Cane di media grandezza. 15 Febbraio. Inoculazione. 28 » 2 Marzo. ) » _i I » N della penetrazione della stessa nell’ interno degli elettrodi, con la capacità iniziale che si ha per p=0,%=0 e che solo sembra sì debba prendere in considerazione quando si voglia paragonare un voltametro a un condensatore o ad un sistema di condensatori uniti in serie. Questa capacità iniziale per le lamine sottili è stata ricer- cata in un solo caso dal Bartoli (1). Per mezzo dell’interruttore Felici convenientemente modificato , egli constatò che per cari- che date in tempi brevissimi il vetro platinato, cioè rivestito di uno strato sottilissimo di platino, si comportava in modo identico alle lamine di platino. Ciò dimostra come sia interessante misurare le f. e. m. di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime in confronto con quella delle lamine di spessore relativamente grande, a par- tire da tempi tanto piccoli da potere trascurare la dissipazione spontanea della polarizzazione e la penetrazione delle cariche nell'interno degli elettrodi, durante le misure. Le ricerche che esponiamo in questa memoria hanno avuto per scopo lo studio di un tale argomento. II. Metodo sperimentale. Per eseguire tale genere di misure era necessario anzitutto un apparecchio che ci permettesse di caricare i voltametri per un tempo molto breve, esattamente determinato. (2) Non potendo disporre dei mezzi necessari per l’ acquisto di un interruttore di precisione, ne abbiamo fatto costruire uno in questo Laboratorio, che ha corrisposto molto bene al suo scopo (1) Memorie della R. Accad. dei Lincei, Ser. 3 Vol. VIII, 1880. (2) A tutto rigore, essendo nostro scopo principale l’ eseguire misure relative sul compor- tamento dei voltametri a foglie rispetto a quello dei voltametri a lamine, non sarebbe stata indispensabile la conoscenza esatta dei tempi di carica in valore assoluto. 4 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottolissime. e ci ha permesso di sperimentare con tempi di carica fino a un millesimo di secondo. Il nostro interruttore è a pendolo, sul principio di quello adoperato nel 1880 dal prof. Macaluso per le sue ricerche sulla polarizzazione elettrica prodotta dai depositi metallici. (1) Però ne differisce completamente per la sua costruzione. Le fig. 1 e 2 (tav. I) mostrano l’ apparecchio in profilo e prospetto a !/ della grandezza di esecuzione. 45B è il pendolo (interrotto nella figura in 40 per 57 cm.). Esso è formato di un’ asta CD di legno verniciato di sezione quadrata e che porta una lente £ di piombo del peso di 40 kg. circa, fissata per mezzo di un pernio a vite cd. All’ estremità inferiore di CD è incastrato un robusto pezzo di ottone BE; in B è praticata una fenditura nella quale per mezzo di quattro viti v sì possono fissare delle molle di ac- calo pe All’ estremità superiore C è incastrata l'asta /, che ter- mina in un anello assai robusto di ferro G alquanto appiattito superiormente in A. Ivi è fissato per mezzo di due viti un col- tello triangolare di acciaio temperato , il cui spigolo inferiore accuratamente lavorato forma l’ asse di sospensione del pendolo. Il coltello A poggia sulla intersezione di due piani ad angolo ottuso tagliati in un pezzo di acciaio non temperato /, il quale a sua volta è fissato con viti sopra una robusta mensola MM so- lidamente murata in uno spesso muro. Un’ apposita disposizione, non disegnata nella figura, per- mette d’ innalzare il pendolo in modo che il coltello, rimanendo discosto dal pezzo / non si logori inutilmente quando l’apparec- chio non lavora. Credevamo che sarebbe stato necessario rifare di tanto in tanto lo spigolo del coltello; ma esso, dopo parecchi (1) Atti Acc. Gioenia, 1880. Questo interruttore esiste ancora in questo Laboratorio, e dà a un dipresso il centesimo di secondo, limite più che sufficiente per le accurate e minuziose ri- cerche allora eseguite dal suddetto professore. Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 9) mesi di lavoro quasi continuo non mostra ancora traccia di al- terazione. Due cilindri di piombo /, f=, che possono scorrere sopra un’asta Ah' tagliata a vite ed essere fermati in qualunque punto di essa mediante quattro dadi, servono a regolare la posizione di riposo dell’ apparecchio. A poca distanza, al di sotto dell’ estremità inferiore del pen- dolo, è collocata la piattaforma di ottone NA", la quale può scorrere sulla spranga metallica YY' e venirvi fissata in un punto qualsiasi mediante le viti di pressione P,/%. L'asta YY' è im- perniata su due colonne 44, le quali a loro volta sono fissate sopra un pezzo di bronzo U in forma di T, disegnato a parte in pianta nella fig. 3 (tav. I) che deve immaginarsi collocata al di sotto della fig. 2. Tre colonne verticali «,u,3 tagliate a vite, fissate rigida- mente sopra una mensola triangolare N (murata anch’ essa nel muro) passano attraverso tre fori oblunghi del pezzo U. Tre coppie di larghi dadi gg' permettono di fermare il detto pezzo in qualsiasi posizione sulle colonne 003. È facile vedere che con questa disposizione l’ asta YY', € perciò anche la piattaforma XX", può essere innalzata, abbassa- ta, trasportata alquanto a destra o a sinistra parallelamente a sè stessa, inclinata in avanti o indietro, e finalmente può gira- re un poco attorno ad un asse verticale. Questi movimenti si possono fare con sufficiente esattezza alzando i dadi g' e mano- vrando i dadi g. I dadi g' si abbassano poi si multaneamente e con precauzione per fermare il pezzo U senza spostarlo. Sulla piattaforma YA" vengono collocati successivamente i pezzi mediante i quali si chiudono i contatti elettrici e che chiameremo pezzi dei contatti. (1) (1) Nel nostro apparecchio abbiamo evitato i contatti mobili a mercurio, a cagione della nota causa di errore che in essi si verifica: una punta, cioè, che scorre sopra una superficie di mercurio trasporta davanti a sè una gocciolina liquida, che prolunga il contatto più del previsto. 6 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime La fig. 4 (tav. I) rappresenta in pianta (* del vero) uno di tali pezzi. Esso consiste in una lastra di ebanite di 15"" circa di spessore sulla quale, per mezzo delle sbarre metalliche 27, d'î' e delle viti 00, 0'0' si possono fissare delle lamine di rame 9, € e di ebanite 29, 2 e 7 nell'ordine col quale sono disegnate nella figura. Le lastre 4, è, #, è, 7 hanno uno stesso spessore di 2°" circa e sono spianate ai bordi in modo da combaciare esattamente l'una con l’altra; invece le metà esterne a’ e Y delle lamine o e 7 sono lavorate a cuneo ed hanno ai bordi uno spessore sensibilmente nullo. Dopo che le diverse lastre sono fissate sulla tavoletta, vengono spianate in guisa da formare un unico piano da « a 7; esse sono isolate dalle lastre % ?' mediante una serie di fogli di carta imbevuti di paraffina. Le chiusure dei circuiti elettrici sono prodotte dal contatto delle molle fissate in B sulle lastre è ed e, quando il pendolo , spostato dalla sua posizione di equilibrio, è messo in oscilla- zione. Il pezzo rappresentato nella fig. 4 permette di operare una prima chiusura di una durata variabile da 05,002 a 05,010 circa, e dopo 05,003, una seconda chiusura di circa 05,003. Questi due ultimi tempi si possono far variare agevolmente sostituendo le lamine # ed © con altre di diversa larghezza. Nelle nostre ricerche abbiamo adoperato 5 di tali pezzi di forma e dimensioni diverse. Essi venivano fermati sulla piatta- forma AN mediante due apposite morsette a due viti che non sono disegnate nella figura. Perchè il pendolo possa operare la chiusura di un circuito per un tempo costante e determinato è necessario che venga L'aumento nella durata del contatto può raggiungere 05,003 ed anche tenendone conto , nei casi più favorevoli, si commette un errore di 05, 0001 (Bouty, Ann. de Chim. et de Phys. 6e série, t. XXIV, pag. 402, 1891; t. XXVII, pag. 64, 1892.) Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 7 messo in moto da una posizione iniziale esattamente stabilità , senza ricevere alcun impulso o scossa. Serve a tale scopo 1 ap- parecchio disegnato in pianta nella fig. 5 (tav. 1). Un filo di rame gq legato alla staffa @ scorre nella gola di una carrucola A' fissata a un telato 58'l"D'E murato anch'esso in una parete normale a quella nella quale è fissato il pendolo. Il telaio porta la vite fissa 27° girando la quale si può muovere la madrevite M', che scorre a sfregamento dolce sulle aste B'E' e C'D'. In M' è fissato l’estremo del filo g, dopo che viene piegato ad angolo retto sulla gola della carrucola A'. È facile compren- dere che in questo modo si può innalzare il pendolo senza scosse e condurlo esattamente alla posizione richiesta. La carrucola A' si può spostare in modo da collocare il filo di rame sensibilmente nel piano di oscillazione del pendolo. La posizione iniziale del pendolo si determina facendo coin- cidere il piano della molla centrale # (fig. 1 e 2) (della quale parleremo in seguito), con un tratto 7' inciso sopra una spessa lastra L' di ottone (fig. 6 tav. I) fissata rigidamente sopra un’asta murata nel muro in posizione conveniente. La lunghezza del filo g da @Q ad dA' è di 60° circa quando il pendolo è in riposo. Per mettere in moto il pendolo dopo averlo innalzato al punto voluto , si tagliava con una pinza il filo metallico in q. Di tutte le disposizioni provate questa ci diede i migliori risul- tati e ci attenemmo ad essa. Ci assicurammo che l'allungamento del filo, durante il taglio, era trascurabile. (1) Il problema meno agevole a risolvere fu certamente quello di ottenere un buon contatto elettrico fra l estremità del pen- dolo e le lastrine di rame del pezzo dei contatti. (1) Per evitare che il filo g dovesse essere sostituito a ogni misura, esso era diviso in tre parti, riunite per mezzo di piccoli uncini; le due parti laterali erano fissate rispettivamente in ( e in M', e soltanto la parte centrale , lunga pochi centimetri, veniva volta per volta rin- novata. 8 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Adoperammo dapprima un apparecchio composto di tre ci- lindri di bronzo che scorrevano l’uno dentro l’altro. Il cilindro esterno era fissato al pendolo in D ; il cilindro intermedio ve- niva fissato sul cilindro esterno, nella posizione voluta, mediante una vite di pressione; il cilindro interno era massiccio e scorre- vole nella cavità del cilimdro medio, però una molla a spirale lo spingeva in fuori fino a un limite fissato da un arresto. Il detto cilindro interno era lavorato inferiormente a. col- tello : questo, quando il pendolo era messo in moto, veniva ad urtare sul piano inclinato di ebanite #° ed innalzandosi alquan- to, per la pressione della molla aderiva scorrendo sulle lastrine di rame. Tale disposizione, dalla quale ci ripromettevamo un buon risultato, non corrispose però allo scopo: perchè , per quanto si modificasse e regolasse Il apparecchio, sì aveva sempre uno di questi due inconvenienti: o la pressione della molla era troppo forte, e l'attrito diventava tale da alterare il movimento oscil- latorio del pendolo; o la pressione era troppo piccola, e allora il contatto elettrico non era sicuro. Dopo tale risultato ci decidemmo ad adoperare uno dei so- liti contatti a molla, e sperimentammo con molle di lunghezze larghezze e spessori diversi, per esaminare quali convenissero me- glio al nostro scopo. In seguito a questi tentativi adottammo, in- vece di una molla unica, un sistema di tre molle, larghe 8®®, spesse 0",2, la centrale sporgente 40" dall’ estremità 8 del pezzo di ottone e le laterali 4"" più corte e alquanto divaricate in modo da restare inferiormente 2" circa discoste dalla molla centrale. La posizione del pezzo O (fig. 4) era regolata in guisa che durante 1’ oscillazione del pendolo la molla centrale venisse a urtare sul piano inclinato « e si piegasse alquanto fino a venire a contatto con una delle molle laterali, che la rinforzava. Si aveva così il più lieve urto col miglior contatto possibile; se pure la molla centrale cominciava a vibrare, le sue vibrazioni Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 9 si smorzavano subito ed essa rimaneva in contatto continuo col piano . Ciò sl può constatare facilmente sia affumicando le lastrine, sia osservando semplicemente il solco tracciatovi dalla molla, quando le lastrine sono alquanto ossidate. Abbiamo fatto un gran numero di osservazioni in proposito e constatato che il contatto era rigorosamente continuo, quando le lastrine a,3,8,5,7, erano bene spianate in un piano unico. Una prova del buon andamento dell’interruttore si aveva an- cora, formando un circuito contenente una pila normale, un gal- vanometro balistico col telaio avente un numero di giri non ec- cessivamente grande, e una resistenza a coefficiente di autoindu- zione sensibilmente nullo. Chiudendo il circuito per mezzo del pendolo. se 1 apparec- chie funzionava bene, si dovevano avere deviazioni costanti, per le chiusure operate sopra una stessa lastrina, e per le chiusure con diverse lastrine deviazioni proporzionali ai tempi di chiusura, calcolati nel modo che indicheremo in seguito. Abbiamo eseguito molte misure in proposito e abbiamo os- servato che quando l'apparecchio era ben regolato, queste condi- zioni erano verificate con un limite di precisione ancora maggiore di quella che richiede l’indole di queste ricerche, di guisa che il nostro apparecchio può venire adoperato per misure più delicate. Per dare un’ idea del limite di precisione raggiunto ripor- tiamo una serie fatta con le lastrine 4, bd, c, che producevano rispettivamente delle chiusure di 0%,0022 ; 0%,0046:; 05,011 : Arti Acc. Vor. X, SeRrIE 48,— Memoria XII. 2 10 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Tabella I. a b c 13,6 28,6 67,0 13,6 28,6 67,0 13,6 28,7 67,0 | 13,7 67,0 14:88 1975 il TRS 13,8 13. 8 media media media 13.7 28, 6 67,0 d d si d 2 —=6,2 — —6,2 =6,1 t PS pr Nelle colonne 4, d, c sono riportate le deviazioni impulsive galvanometriche corrette d, e il rapporto d/f (£ espresso in mil. lesimi di secondo) la costanza del quale dimostra la proporzio- nalità delle deviazioni ai tempi calcolati. Ciò avveniva malgrado che durante le misure a ragion veduta fossero eseguiti degli spo- stamenti nell’ apparecchio, che veniva poi rimesso a posto. Per fare bene funzionare il pendolo occorreva raggiungere. con sufficiente approssimazione, le seguenti condizioni : 1° Orizzontalità dello spigolo del coltello e verticalità del piano di oscillazione. 2° La spranga YY' doveva essere perpendicolare al piano d’ oscillazione del pendolo. 3° La piattaforma XA' doveva essere orizzontale. 4° Le linee di separazione delle lastrine di rame e di ebanite del piano 22 dovevano essere parallele a VV. Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Il Tali condizioni furono realizzate con disposizioni facili ad immaginare. Fissando con un cannocchiale a reticolo 1’ estremità della molla che giaceva nel piano verticale passante per lo spigolo del coltello, quando 1’ apparecchio era in riposo, si constatò che esso ritornava sempre alla stessa posizione dopo che l’ apparecchio era spostato, messo in oscillazione e nuovamente fermato. Ci assicurammo pure che la molla, strisciando sulle lastrine, non subiva deformazioni permanenti sensibili. È da avvertire del resto che il pendolo veniva fermato sempre dopo un numero pari di oscillazioni, e quindi dopo che la molla era stata piegata lo stesso numero di volte in senso opposto. Quando il pendolo era in riposo, i pezzi dei contatti si tra- sportavano dietro la molla. I diversi pezzi di contatto erano poi sempre collocati alla stessa altezza, in modo che la molla centrale, scorrendo sopra di essi subisse una deformazione a un dipresso uguale. La molla #, quando il pendolo era in riposo e le tavolette erano portate avanti e dietro di essa, coincideva sensibilmente con gli estremi % e 2 di una retta 2% tracciata sul piano O parallellamente alle linee di separazione delle lastrine di ebanite e di rame. Per determinare i tempi # di chiusura di un circuito abbia- mo ritenuto poter applicare con sufficiente approssimazione la formola: dd XL ALC (COSìi==-—= ate Così — aa 180 a a dove a, 2’, x indicano gli angoli di spostamento del pendolo dalla posizione di equilibrio al principio dell’ oscillazione, al prin- cipio e alla fine della chiusura, e 7 la durata di una oscillazio- ne del pendolo. Occorreva quindi conoscere le seguenti quantità : 1° La distanza d tra lo spigolo del coltello e il piano @. 12 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Veniva misurata mediante due letture col catetometro. Nel no- stro caso era uguale a 1465" 0. 2° L'angolo a. Per determinarlo , innalzata la molla # fino a che l’ estremità 5 (fig. 6 Tav. I) coincidesse esattamente col piano a 7, si spostava il pendolo tino a che il piano della molla coincidesse con la linea di riferimento 47' della lastra L'e dal punto H (dove arrivava l estremità della molla) si ti- rava nella lastra £L' una verticale. Rimesso poi il pendolo nella posizione di riposo sì determinava XB per mezzo di un metro campione di Starke e Kammerer. Conoscendo XB= HD' e d si poteva facilmente determinare 4. 3° Il valore assoluto degli angoli a e 2', che si calcolava dal valore in millimetri dei rispettivi archi. Non occorre, come faremo vedere in seguito, conoscere con molta precisione il valore assoluto di x e ', purchè si conosca esattamente a'—a=l. Si deduceva perciò a dalla misura diretta di 70 e 2/0 (fig. 4) (che erano sensibilmente eguali), e si deduceva ' dalla relazio- ne suddetta. Nella determinazione di x sì teneva conto del fat- to che quando il pendolo passava per la sua posizione di equi- librio, durante le chiusure elettriche, la molla non si trovava in B, ma era piegata fino in £'. La distanza 85' veniva misurata con sufficiente approssimazione collocando in vicinanza della molla un filo metallico orizzontale, nel quale scorreva a sfre- gamento dolce un tappo di sughero, che la molla spostava permanentemente, quando si piegava scorrendo sulle lastre dei pezzi dei contatti. La distanza B5' rimaneva perfettamente costante per uno stesso pezzo, se questo veniva ricollocato esat- tamente nella stessa posizione, ed era compresa fra 10° e 127 pei diversi pezzi. Nella maggior parte delle misure l angolo a aveva il valo- re di 5° 13' 36°. 4° Il valore di /=2'—x. In questa, come nella misura RS Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Li precedente, sì riteneva che la curvatura della circonferenza di raggio d fosse trascurabile fra 2’ ed 2, e quindi si determinava I direttamente misurando con la macchina da dividere la lar- ghezza delle lastrine di rame è; tali misure erano eseguite con l’ approssimazione di circa un centesimo di millimetro per le piccole larghezze. 5° La durata 7 di un’ oscillazione semplice del pendolo. Veniva determinata misurando, con un cronometro precedente- mente controllato, la durata di molte oscillazioni della stessa ampiezza di quelle adoperate nelle esperienze. Tali misure vennero eseguite sia facendo oscillare il pendolo libero, sia facendo scorrere la molla # su uno dei pezzi dei con- tatti: si ottenne nei due casì lo stesso risultato. Riportiamo una fra le molte serie di osservazioni fatte, che concordarono tutte in modo soddisfacente. Tabella II. Tabella IIbis = 7 F ; —_--- aÌ | N t, IR N t va 0 1”. 595, 7 0 40M, 575,0 Ì \ 15, 006 \ 15, 004 50 2. 50, 0 50 MIEI ZAN. 1, 004 1, 006 100 DMLO NO ) 100 42. 37, 5 Nella tabella II sono esposti i risultati delle misure con la molla libera; nella tabella II" quelli ottenuti con la molla scor- rente sul pezzo dei contatti. N indica il numero delle oscillazioni, t, 1 tempi corrispondenti e 7" la durata media di un’ oscillazione semplice. I cinque pezzi di contatto adoperati ci permettevano di far 14 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. variare, rimanendo costante l'angolo 4, i tempi di carica dei voltametri nei limiti indicati dalla seguente tabella : Tabella III. Lastre L t (1) mm 17 05, 00095 a di 65 0, 0022 b 565 0, 0047 | e 13, 59 0, 011 d 26, 0 0, 021 e 65 2 0, 054 m 100, ri 0, 083 S 179 3 0, 147 La colonna /? indica le lunghezze in mm. delle diverse la- stre, e # il tempo in secondi durante il quale rimaneva chiuso Il circuito quando la molla del pendolo scorreva sopra di esse. La lastra s di 179,3 rappresenta la massima larghezza adoperabile nelle nostre condizioni; e ancora essa agisce un poco stentatamente e dà risultati meno precisi delle altre. Perciò, per avere chiusure più lunghe abbiamo in qualche caso adoperato con maggior vantaggio la lastra m, diminuendo 1 angolo ini- ziale di oscillazione del pendolo. Esamineremo ora brevemente il limite di approssimazione raggiunto nella determinazione di #. La quantità / é certamente quella che richiede maggior precisione nelle misure, specialmente per i tempi piccoli. È fa- cile però vedere che un errore di un decimo di millimetro pro- duce nel caso più sfavorevole all’ incirca un errore di 0%,0001. Ora nelle misure eseguite con la macchina da dividere era im- possibile commettere un tale errore, anche tenendo conto delle’ piccole irregolarità dei bordi delle lastre di rame. È da avver- tire in proposito che, per quanto si spianasse bene l’ estremità Sulle capacità dì polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 15 inferiore della molla #, essa toccava sulla lastra di rame per una, parte soltanto dalla sua larghezza. Le misure di / furono fatte precisamente nella parte dove avveniva il contatto, che si aveva cura fosse sempre la stessa nelle diverse serie. Per le misure dell’ angolo a è facile vedere che un errore di un minuto d’arco avrebbe prodotto, nella determinazione di 7, un errore di 05,00002 per la lastra «, e di 05,0001 per la lastra d. Per commettere un tale errore bisogriava sbagliare di 0"",5 circa nella misura di A (fig. 6) e di una quantità più grande an- cora nella misura di d ; il che difficilmente poteva accadere nel nostro caso. Gli errori commessi nel far collimare l'estremità della molla # con la linea di riferimento erano anch'essi molto più piccoli di mezzo millimetro. Si potrebbe credere che 1’ attrito della molla sul piano @ influisse in modo sensibile sulle misure. Quantunque ciò si possa ritenere escluso dalle esperienze riferite nella tabella IL, pure abbiamo voluto assicurarcene direttamente eseguendo delle misure simili a quelle riportate nella tabella I, ma in questo caso fatte alternativamente alla prima oscillazione del pendolo e alla terza, quando cioè la molla era passata due volte sulla lastra. I risul- tati furono sensibilmente uguali. La resistenza del contatto fra la molla e le lastre di rame, misurata col ponte di Wheatstone risultò inferiore a 0°", 003. Da quanto abbiamo detto risulta che il nostro interruttore permetteva chiusure di circuiti per tempi che potevano ridursi fino a un millesimo di secondo con un errore inferiore a un de- cimillesimo di secondo. (1) Nel lungo uso che ne abbiamo fatto esso ci ha dato piena (1) Tale apparecchio , con opportune modificazioni dei pezzi di contatto, permette di stu- diare anche la depolarizzazione delle foglie e delle lamine metalliche , a partire da un tempo piccolissimo dopo la carica. Esso quindi ci servirà a completare le estese serie di ricerche che abbiamo eseguite in proposito e delle quali è stato pubblicato un breve cenno nella nota accen- nata in principio di questo lavoro 16 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime soddisfazione per la costanza e per la regolarità dei risultati. Solamente era necessario spianare di tanto in tanto i pezzi di contatto per eliminare le irregolarità prodotte dall’ uso. Caricati i voltametri per il tempo richiesto, si determinava la f. e. m. di polarizzazione prodotta dalle diverse cariche, chiuden- do il voltametro per un tempo sufficientemente piccolo con un galvanometro balistico ed una resistenza (a coefficiente di auto- induzione sensibilmente nullo) talmente grande da permettere di ritenere trascurabile la diminuzione di f. e. m. nel voltametro durante la chiusura del circuito. A tale scopo serviva la lastrina e fig. 4 od altra simile che sì trovava in ognuno dei pezzi dei contatti. La fig. 7 (tav. I) indica la disposizione impiegata. P è la pila normale che, per mezzo dell’interruttore quando il pendolo P_ scorre sulla lastrina 3, carica alternativamente il voltametro a foglie / 0 quello a lamine Z attraverso una resistenza / pur essa a coefficiente di autoinduzione sensibilmente nullo. Quando in- vece la molla centrale del pendolo tocca : si chiude il circuito che contiene uno dei voltametri, il galvanometro balistico e la resistenza P'. In seguito il pendolo solleva due interruttori (non disegnati nella figura) collocati rispettivamente in s: ed sò di guisa che le successive oscillazioni non producano chiusure elettriche, Un commutatore (" serve per tarare il galvanometro con l’imviare, in una nuova oscillazione del pendolo, la corrente di una pila /' attraverso il medesimo circuito. (1) Siano : d la deviazione impulsiva corretta del galvanometro balisti- co in questo secondo caso : (1) Il filo S7 permette di caricare i voltametri anche per parecchi secondi. Si chiude a tale uopo l'interruttore Z e dopo il numero di secondi richiesti si taglia il filo q (fig. 5). Il pendolo, dopo che la molla w tocca la prima lastra del pezzo dei contatti, apre l’ interrut- tore Z. In questo caso si adopera una delle erandi lastre. la m o la s ed è facile calcolare il tempo di chiusura. | Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. La : la forza elettromotrice della pila /' : t il tempo di chiusura del circuito ; p la resistenza totale del circuito del galvanometro. Come è noto, si ha st GHT 3 = d (1 p 776 dove 7 è la durata di oscillazione dell’ ago, / la componente oriz- zontale del magnetismo terrestre e ( il coefficiente di riduzione del galvanometro. (1) Nel caso di uno dei voltametri se la resistenza del circuito è rimasta costante, ed # e d’ indicano rispettivamente la f. e. m. di polarizzazione, e la nuova deviazione del galvanometro, si ha =; da GHT d' È p Ca Dalle (1 e (2 s1 deduce pan gidi (8 d i La pila P era una normale di Raoult, la P' in certi casi era la stessa Raoult, in altri casì una Daniell a solfato di zinco, precedentemente confrontata con la Raoult. Le resistenze £' ed R nella maggior parte delle misure erano delle resistenze liquide formate con tubi pieni di soluzione di solfato di rame, ed elet- trodi di rame elettrolitico ; sì verificava precedentemente che non si polarizzavano in modo apprezzabile nelle nostre condizioni. Il valore di p ordinariamente differiva un poco nella (1 e (2 a causa della diversa resistenza interna della pila e dei volta- metri. In generale la differenza si poteva ritenere trascurabile : in qualche caso si compensava con resistenze sensibilmente prive di autoinduzione. (1) Se invece del valore assoluto della polarizzazione si desidera conoscere soltanto il rap- porto fra la polarizzazione del voltametro a lamine e quella del voltametro a foglie, non è ne- cessario tarare il galvanometro. Arti Acc. Vor. X, Serie 48,— Memoria XII. 3 18 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Come galvanometro balistico adoperammo : 1°) un galvanome- tro Magnus ad aghi astatici, a forte resistenza, e a leggero smor- zamento, nel quale per diminuire il numero eccessivo di giri si adoperava un solo dei due rocchetti; 2°) un galvanometro Deprez d’Arsonval, nel quale si soppresse lo shunt, si rallentarono i fili inferiori e per aumentarne la durata di oscillazione si sospese al telaio una lastrina di rame che portava due pezzi di piombo. Entrambi gli strumenti davano risultati sensibilmente eguali. Le deviazioni d e d' venivano dedotte con la formola ap- prossimata : dove 4 indica la prima e « la terza elongazione del galvano- metro. Le relazioni (1 e (2 poc’ anzi riportate sono state stabilite prescindendo dai fenomeni d’ induzione. In realtà e facile vedere che tali fenomeni non hanno influenza sensibile nel nostro caso. Infatti se si tien conto dell’estracorrente di chiusura, l’equa- zione (1 diventa : pi gu: DA AA == d, p p 7 nella quale Z indica il coefficiente di autoinduzione nel circuito. L’equazione (2 diventa : e la (3 rimane inalterata. È facile comprendere che simile risultato si deve avere per l’ estracorrente di apertura, se si ammette che l'interruzione del circuito avvenga in modo identico nei due casi. ‘ . UA RE Del resto è da osservare che il rapporto Sat sensibilmente Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 19 uguale a zero a causa della forte resistenza /'. Come abbiamo sopra accennato tale resistenza era necessaria affinchè la f. e. m. di polarizzazione non diminuisse sensibilmente durante la chiu- sura del circuito. Non ostante tali considerazioni abbiamo creduto opportuno di verificare sperimentalmente l equazione (1. Abbiamo perciò fatto diverse misure con una o due Daniell in serie e con diversi valori di £', e abbiamo visto che, nel li- mite di precisione delle nostre ricerche, le equazioni suddette si possono adoperare nelle misure delle f. e. m. di polarizzazione. Riportiamo una serie di risultati ottenuti col galvanometro Deprez d’ Arsonval. Tabella IV. & p' K i Il 1 7560hm 336 1 1256 TR) 2 453 326 2 853 333 | 2 1353 337 | Nella prima colonna sono indicati i valori della f. e. m. in elementi Raoult ; nella seconda i valori della resistenza e; nel- la terza 1 valori della costante mi K= 10 GHf in unità arbitrarie. Si rileva facilmente da questa tabella che i valori di A sono costanti per le diverse f. e. m. e resistenze del circuito. Queste verifiche e il fatto che i due galvanometri, per quanto di diversa costruzione, davano sensibilmente gli stessi risultati 20 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. si devono ritenere come prove soddisfacenti della nessuna influen- za che i fenomeni d’ induzione esercitavano nel nostro caso. Le lamine di oro brunite (spessore 0"",09), prima di venire immerse nel voltametro, erano ripulite con smeriglio finissimo , lavate con acido nitrico bollente e poi ripetutamente con acqua distillata. Le foglie di oro venivano distese sopra fili sottili dello stesso metallo ricoperti di un leggero strato di mastice chatterton, e lasciati scoperti in alcuni punti per stabilire il contatto elettrico. Con questa disposizione la costruzione degli elettrodi di foglia d’oro era resa più agevole di quello che non fosse con le disposizioni precedentemente adoperate , e nello stesso tempo si poteva ot- tenere con buona approssimazione l’ eguaglianza fra la superficie delle foglie e quella delle lamine. In queste ricerche sono state adoperate esclusivamente fo- glie di oro fabbricate dal Miiller di Dresda del titolo 5/00) e dello spessore (dedotto dal peso) variante fra limiti abbastanza ristretti e in media di 942" Xx 107°. In ogni serie di esperimenti si poneva la massima cura a che le superficie delle foglie e delle lamine fossero eguali. La resistenza interna dei voltametri, misurata col metodo di Kohlrausch, variò nei diversi casi da 2° a 20%", I recipienti nei quali erano immerse sì le foglie che le la- mine erano di grandi dimensioni rispetto alla distanza fra gli elettrodi. Abbiamo cimentate in queste misure otto coppie di foglie di oro con superficie variante da 3 cm? a 8 cm° circa e per buona parte di esse abbiamo fatto delle lunghe serie di esperi- menti. Appena immerse le foglie e le lamine si ottenevano spesso dei risultati alquanto irregolari, onde in generale le misure sì cominciavano dopo che i voltametri erano stati chiusi in corto circuito per 24 ore, talvolta anche per un tempo più lungo, fino a quando cioè, riunendo i due elettrodi con un galvanometro Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 21 molto sensibile, non si aveva deviazione apprezzabile. Dopo uno o due giorni le misure riuscivano molto regolari e i risultati sensibilmente costanti, anche per lunghi intervalli di tempo. Dopo ogni misura sì mettevano i voltametri in corto cir- cuito per un tempo sufficiente a che la polarizzazione residua non avesse influenza apprezzabile nelle misure successive. Si facevano poi degli esperimenti di controllo dopo che i voltametri erano rimasti in corto circuito per un’ intera notte ; ottenendo sensibilmente gli stessi risultati. ODE Risultati. Sin dalle prime esperienze osservammo che, rimanendo co- stante la f. e. m. polarizzante, quando le cariche venivano da- te per tempi piccoli la f. e. m. di polarizzazione delle foglie era minore di quella delle lamine, contrariamente a quello che ave- vamo ottenuto per cariche date in tempi lunghi. Con l'aumentare del tempo di carica # (e quindi anche del- la carica stessa) la differenza tra la f. e. m. di polarizzazione delle lamine e delle foglie tendeva a diminuire, fino a diventa- re eguale a zero per un dato valore di #: aumentando ancora il tempo di carica la f. e. m. di polarizzazione delle foglie di- ventava superiore a quella delle lamine, conformemente ai ri- sultati delle esperienze da noi precedentemente pubblicate. Riportiamo qui sotto due tabelle che dimostrano questo com- portamento complesso dei fenomeni. Ognuno dei valori in esse contenuti rappresenta la media di molte osservazioni ripetute anche in diversi giorni e sufficientemente concordanti. Le mi- sure furono eseguite dopo 15 giorni da che le lamine e le foglie erano immerse nel liquido. Il circuito del galvanometro si chiu- LN) (SO) Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. deva circa 0,€003 dopo l'interruzione del circuito polarizzante e la chiusura durava anche 0,003 all’incirca. Tabella V. Tabella VI. Blettrodi M = s=7,75 p= 425% Elettrodi M = s=7,75 p= 1000 t 39 r L/F t L F L/F i 0,80022 | 0,4!045 | 0,9! 033 1,36 0,5 00095] 0,4! 089 | 0,4! 059 1,50 0, 0047 | 0, 084 | 0, 068 1,28 0; 0022 | 0; .192 |v0, 137%|a540 0, 011 0, 1700, 139 Reg 0, 0047 | 0, 297 | 0, 233 1,30 ‘o, 021 |o, 260|0, 224| 1,16 0, 011 |0, 422|0, 328| 1,29 0, 054 |0, 434|0, 377 | 1,14 0; ‘021 0, «51402 4071 RISO lo 147 |0, 5460, 526| 1,03 0, ‘054 |'0,. 623.0, (531 |dad7 | 0, 295 | 0, 606 | 0, 605 1,00 0, 147 |0, 671/0, 735 0,91 | Le due tabelle si riferiscono a elettrodi aventi ognuno la su- perficie di 7, 75 cm°. per faccia. Negli esperimenti della tabella V la resistenza 2 del circuito di carica era 425°, in quelli della tabella VI era 100°; la pila di carica, come si è detto era sempre una normale Raoult. Nella 1° colonna sono indicati i tempi di carica in secondi, nella 22 le f. e. m. di polarizzazione ZL per le lamine, prenden- do come unità la f. e. m. della pila normale; nella 3 colonna le f. e. m. di polarizzazione / per le foglie e nella 4% il rap- porto L/P, cioè il rapporto tra le f. e. m. di polarizzazione rag- giunte dalle lamine e quelle raggiunte dalle foglie, dopo uno stesso tempo di carica, data da una stessa f. e. m. attraverso un circuito di identica resistenza. Questo rapporto, dapprima notevolmente maggiore di 1, ten- de a diventare eguale all’ unità con l’ aumentare il tempo di ca- rica e poi, per valori di # sufficientemente grandi, diventa mi- nore di 1. Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 29 I risultati delle dette tabelle sono rappresentati grafica- mente nella fig. 1 della tavola II, dove le ascisse indicano 1 tempi £ e le ordinate le f. e. m. di polarizzazione L ed /. Le curve risultanti si confondono sensibilmente con delle linee ret- te fino al valore di # = 0°, 005 circa per e = 425° e al valore di # = 05, 003 circa per e = 100°; le linee relative alle foglie sono meno incurvate di quelle relative alle lamine e perciò le incontrano in un punto corrispondente a £ = 05,30 circa per pP= 425° e in un punto corrispondente a f#= 0%, 115 circa per Fe TOO Qualitativamente tutte le foglie sì sono comportate allo stes- so modo; quantitativamente però il rapporto L/F in generale, per tempi eguali di carica, era un poco differente nei diversi casi, anche quando i valori di L rimanevano costanti. Nella seguente tabella sono riportate alcune delle serie di valori di L/F ottenuti in condizioni diverse. Tabella VII. Tabella VIII. Elettrodi M s= 7,75 Plettrodi N SMATO L/F | L/F t __per P ui È { i Sdi I 1000h | 4250h | 250001 1200n 4950N 0,5 00095 1,50 —_ - 0,5 0022 2,07 2, 08 0, 0022 1, 40 1, 36 —_ 0, 0047 1,80 _ 0, 0047 1, 30 1,23 1,28 0, OLL 1,50 —_ 0, Oll 1929 1,22 1,19 0, 021 1,33 — 0, 021 1, 26 1,16 1,15 0, 054 1,25 1,40 0, 054 1,17 1,14 1,00 0, 147 1,00 — 0, 147 0, 91 1,08 —_ 0, 295 —_ 1,00 _ 24 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Tabella IX. Elettrodi H IIa pe((0, L/F 7 l per p = i “ dazoh | 18500n | 25000h — | 0,5 0022 DS, 1, 50 — 0, 0047 1gi8) 16235) _ Ì OGE01 1, 40 = 2, 00 | 0, 021 1,20 2a 1, 85 | 0, 054 - — | 1, 20 Nella 18 colonna di ogni tabella sono indicati al solito i tempi / di carica, nelle colonne successive i valori su accennati di L/F per le diverse resistenze di carica. Come si vede, i valori di £/F per piccoli tempi, sono sem- pre maggiori di 1 e diminuiscono col crescere di 4. Tali risultati ci sono stati anche confermati da molte altre misure che per brevità non riportiamo. Se indichiamo con @ la quantità di elettricità fornita al voltametro e con p la f. e. m. di polarizzazione prodotta dalla medesima, la quantità @,p esprime (1) la capacità media appa- rente del voltametro fra 0 e p. Nelle nostre esperienze comparative, in verità a causa del- la diversa polarizzazione, le cariche Q fornite al voltametro a foglie, per uno stesso tempo di carica, risultano alquanto mag- giori di quelle relative al voltametro a lamine; potremo però trascurare in prima approssimazione tale differenza e 1’ errore commesso sarà tanto minore quanto più piccola è la f. e. m. di polarizzazione. Avremo allora che il rapporto L/F ci esprimerà /4 capaci- (1) Boury, Ann. de Chimie et de Physique; 7 série, t. III, octobre 1894. Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Da tà apparente del voltametro a foglie riferita a quella del. volta- metro a lamine. Diminuendo p e 7 le capacità apparenti tendono a diven- tare eguali alle capacità iniziali di carica e irapporti £//F, per t molto piccolo, ci daranno dei valori approssimati dei rapporti di tali capacità. Dai risultati delle tabelle precedenti possiamo quindi dedur- re le seguenti conclusioni : 1) La capacità iniziale di polarizzazione, per {= 0, p=0, è molto più grande per le foglie che per le lamine d'’ oro. 2) Con l aumentare di £ la capacità apparente di carica delle lamine aumenta più rapidamente della capacità apparente di carica delle foglie in modo da raggiungere il valore di que- sta e sorpassarlo per tempi sufficientemente lunghi. Queste esperienze sono adunque perfettamente d’ accordo con le precedenti; esse contengono inoltre un risultato che da quelle esperienze non si poteva prevedere , perchè erano state eseguite con tempi di carica relativamente molto lunghi. Come allora facemmo osservare, il maggiore aumento della capacità apparente delle lamine relativamente a quella delle fo- glie, sembra si debba attribuire alla penetrazione delle cariche , cioè alla diffusione degli ioni nell’ interno degli elettrodi e di- mostra che in un tempo relativamente breve la carica attraver- sa tutto lo spessore delle foglie d’ oro. Infatti col crescere di # e di @ cresce la quantità di ioni occlusi e quindi anche la capacità apparente del voltametro. Ora se nel tempo nel quale si compie il fenomeno la carica non può arrivare a penetrare per tutto lo spessore della foglia d’oro, sembra assai probabile che le lamine e le foglie deb- bano presentare, per questo riguardo, identico comportamento e il rapporto della loro capacità debba conservarsi costante. Se però il tempo nel quale avviene il fenomeno è tale da permet- tere agli ioni di attraversare tutto lo spessore delle foglie, il flus- so di essi (che negli elettrodi di spessore indefinito , secondo il Ati Acc. Vor. X, Serie 48, Memoria XII. 4 26 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Witowski, (1) segue la legge del Fourier) molto probabilmente deve modificarsi, e il rapporto tra le capacità delle foglie e quella delle lamine deve diminuire. Ora dalle tabelle sopra riportate e dalle altre misure fatte risulta che le variazioni di tale rapporto erano nel nostro caso sicuramente accertate dopo uno o due centesimi di secondo dal principio della carica. Questi valori sembrano indicare quindi un limite superiore del tempo impiegato dagli ioni a penetrare nell’interno delle fo- glie per metà del loro spessore, considerato come uniforme, cioè per circa 00 x 107°, Se si volesse ammettere che tale risultato valga anche per spessori più grandi, si avrebbe per uno spessore di 0,1 un tempo da 20 a 40 secondi circa. È utile avvertire che in questa deduzione non si è tenuto conto della perdita della carica per convezione. Tale perdita, ol- tre a essere, secondo il Witowski, piccola relativamente alla ca- rica penetrata nell’ interno degli elettrodi, secondo le interessan- ti ricerche del Bouty, (2) sarebbe a un dipresso trascurabile per le polarizzazioni del platino in un voltametro contenente un sa- le neutro, anche quando il tempo di carica dura una diecina di secondi. Sembra ad ogni modo che nel nostro caso, trattandosi di misure relative, non possa avere grande influenza. Ricorderemo in proposito che il Root (3), per suggerimento di v. Helmholtz, fece una determinazione del tempo impiegato dagli ioni a diffondersi nelle lamine di platino. Egli costruì un sistema di due voltametri, in ognuno dei quali pescava una del- le lamine di platino A e 8, e che erano separati da una lami- na Cl di 0”®,02 di spessore. Con l’ elettrometro di Lippmann si determinava la differenza di potenziale tra 5 e C che dopo (1) Wied. Ann., Bd. XI, S. 759; 1880. (2) Mem. citata, pag. 29. (3) Pogg. Ann., Bd. 159, S. 416; 1876. Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 27 alcuni giorni di osservazione diventava molto piccola. Se allora sì chiudeva un circuito con due Daniell, che comprendeva (l'e A, si osservava, dopo soli cinque minuti, una differenza di po- tenziale fra B e C di 0%,015 circa, dovuta al gas che aveva attraversato in quel tempo la lamina l. Sarebbe interessante ripetere gli esperimenti di Root con le foglie d’ oro. Riguardo alla differenza della capacità iniziale delle foglie e delle lamine di oro, trattandosi in questo caso di cariche su- perficiali, sembra difficile ammettere che essa sia dovuta al dit- ferente spessore degli elettrodi. Piuttosto bisogna ricercarne la causa nello stato diverso del- la loro superficie. Nel nostro caso la differenza in parola si spiega perfettamen- te se si ammette che le foglie d’oro siano più porose delle la- mine dello stesso metallo tirate al laminatoio , di guisa che la superficie elettrica nelle prime sia più grande di quella delle se- conde, relativamente alla superficie geometrica. Accenneremo sul riguardo un esperimento riferito dal Bar- toli (1) nelle sue ricerche sulla polarizzazione elettrolitica, che egli eseguì con un metodo simile a quello adoperato in questo lavoro, salvo che i voltametri venivano polarizzati per tempi bre- vissimi mantenuti costanti e sì faceva invece variare la f. e. m. di carica. Polarizzando degli elettrodi di carbone da pila o di lastre di grafite e confrontandoli con elettrodi di cera metalliz- zati superficialmente con grafite, egli trovò che la superficie elet- trica dei primi, a causa delle loro porosità, era 200 volte più grande della loro superficie geometrica. Ricorderemo pure che il Blondlot (2) ha trovato e il Bou ty (3) e altri hanno confermato che riscaldando al calor rosso delle lamine di platino, in modo da renderne i pori più atti al- (1) Mem. cit. pag. 17. (2) Journ. de Physique, t. X, 1°"e série, p. 444; 1881. (3) Mem. cit., pag. 57. 28 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. l'assorbimento degli ioni, la capacità iniziale di un voltametro formato con tali elettrodi, da principio molto grande, va succes- sivamente diminuendo fino a ridursi a un quarto dopo qualche giorno d’ immersione. Sulla porosità delle foglie metalliche sottilissime si è dibat- tuta di recente un’ interessante polemica fra Arons e Luggin. Com’ è noto Arons osservò (1) che se 1 due elettrodi di un voltametro , contenente acido solforico diluito , si separano me- diante una lamina di oro, argento o platino, e una corrente cir- cola nel voltametro in modo che tutte le linee di corrente at- traversino la lamina di separazione , si osserva sulla superficie di questa, sviluppo d’ idrogeno da una parte e di ossigeno dal- l’altra e in pari tempo la corrente polarizzatrice diminuisce. Ciò si comprende facilmente perchè in tal caso | apparecchio si comporta come un sistema di due voltametri disposti in serie. Se però alla lamina metallica di separazione si sostituisce una foglia dello stesso metallo di spessore piccolissimo, cessa lo sviluppo di gas e scompariscono le polarizzazioni sulle facce della foglia. Tale fatto, che fu studiato dal Daniel (2), si spiega, secondo l Arons, con l’ ammettere che le polarizzazioni contrarie sl egua- glino per la diffusione degli ioni attraverso il piccolissimo spes- sore delle foglie. Il Luggin (3) misurò direttamente con l' elettrometro di Lippmann, la differenza di potenziale da una parte e dall’altra della foglia di separazione e ne dedusse la resistenza apparente della stessa per le diverse intensità della corrente polarizzante. Dalle sue esperienze concluse che il passaggio della corrente av- viene attraverso i pori delle foglie metalliche. Secondo il Luggin, per spiegare la conduttività delle foglie d’ oro da lui esaminate (1) Wied. Ann., Bd. 46, S. 169; 1892. (2) Philos. Mag. t. XXXVIII, p. 185 e 228; 1894. (3) Wied. Ann., Bd. 56, S. 347; 1995. Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 29 (circa 38" di superficie) basta ammettere che la somma delle sezioni dei canali formati dai pori sia di 28", 5 x 107°. L’Arons rispose (1) interpretando dal suo punto di vista gli esperimenti del Luggin e insistendo nella sua primitiva spiega- zione del fenomeno. Nella replica il Luggin (2) mantiene la propria interpetra- zione, illustrandola con nuovi esperimenti e fra le altre cose os- serva che la diffusione degli ioni nei pori degli elettrodi è stata solamente dimostrata per notevoli polarizzazioni e per il solo platino. (Le nostre ricerche la dimostrano ora per le lamine e foglie d’ oro anche per polarizzazioni relativamente piccole). Egli suggerisce infine di costruire delle foglie metalliche sottili. più “ solide , delle comuni battute a martello, tirandole al lamina- toio con un metodo simile a quello immaginato dal Wollaston per ottenere fili sottilissimi di platino. Non è da maravigliare, conclude il Luggin, che le ordina- rie foglie d’oro possiedano dei pori: esse non si distendono sot- to il martello del battiloro, come una lamina sull’incudine, per la pressione del martello; ma perchè le pelli elastiche fra le quali le foglie d’oro sono racchiuse, distendendosi sotto i colpi di mar- tello, le tirano da ogni lato. * In un ultimo lavoro (3) I Arons, seguendo il consiglio del suo contraddittore , ha sperimentato con lamine sottilissime di platino (0°, 001 di spessore) costruite nel modo sopra cennato. ottenendo sensibilmente gli stessi risultati. Senza entrare nel merito della controversia sostenuta con tanta sagacia dai due fisici, ci limiteremo a fare osservare che, anche in seguito ai risultati delle nostre esperienze, ci sembra non improbabile che i due fatti coesistano. Se però, nel nostro caso , si volesse ritenere l’ aumento di capacità iniziale delle foglie d’oro dovuto unicamente ai pori in forma di canali, che (1) Wied. Ann.. Bd. 57, S. 201; 1896. (2) Wied. Ann., Bd. 57, S. 700; 1896. (3) Wied. Ann., Bd. 58, S. 650; 1596. 30 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. attraversano la superficie delle foglie da una parte all’altra, bi- sognerebbe ammettere l’ esistenza di un numero eccessivamente grande di tali canali, di piccolissimo raggio. Invece la spiega- zione riesce assai più plausibile se sì ammette che nella super- ficie delle foglie si trovi un sufficiente numero di pori in massima parte chiusi formanti delle cavità accessibili agli ioni. Esaminando al microscopio anche con forti ingrandimenti le foglie d’ oro non si osserva altro che un picciol numero di fori, mentre però le superficie sembrano molto scabrose. Le nostre esperienze ci permettono anche di dedurre con una certa approssimazione 1 valori assoluti delle capacità apparen- ti di carica medie fra 0 e p per le diverse polarizzazioni e delle capacità iniziali delle lamine e delle foglie per p= 0 e #t=0. Per determinare le prime, dalle curve della fig. 1 (tav. II) eseguite su grande scala, abbiamo dedotto i valori di p per di- versi tempi di carica per le lamine e per le foglie, come sono riportati nella seguente tabella : Tabella X. Elettrodi M p== 425% | É | ob a t iL, F {0s, 0020. | 0,41 040 0,401 028 0,8 050 0,all 422 0,dll 365 Do. | 45 3 60 451 396 30 56 | 44 0, 080 491 442 40 | 2. 60 0, 100 515 475 50 | 0, 087 72 120 550 500 60 0, 102 82 150 547 525 70 IOIGIOÌ 0. 095 180 563 552 so 130 | 0, 106 200 572 564 | 0, 0090 145 118 225 582 576 ll 0,010 | lot 126 250 592 588 20 | 250 214 0, 300 0, 607 0, 607 30 326 | 273 Coi suddetti valori si possono calcolare le varie quantità di elettricità fornite al voltametro in un dato tempo. Infatti sia Q;, la quantità di elettricità fornita a un volta- metro durante il tempo 4, quando la polarizzazione ha raggiun- Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. DI to il valore pi, e @. la quantità di elettricità fornita allo stesso durante il tempo 4 7 4, quando la polarizzazione ha raggiunto il valore p,; se #, e £ sono vicini tra loro e p;, differisce poco da ps sì può scrivere in via d’approssimazione Pi + Pe ) l do = Ri + 12) L’ approssimazione è tanto maggiore quanto più esattamen- te sono verificate le condizioni sopra dette. Ammettendo che la nostra pila normale abbia la f. e. m. di 08,96, bisogna moltiplicare Q per questo coefficiente e al- lora se f è espresso in secondi e 2 in ohm si hanno i valori di Q in coulomb. Moltiplicandoli poi per 10° e dividendoli per i valori di p ridotti in volta si hanno le capacità apparenti ( medie fra 0 e p espresse in microfarad. Abbiamo in tal modo calcolato la seguente tabella : Tabella XI. Elettrodi M p= 42500 LAMINE FOGLIE | t K | | Q Cr Q Cp 0,8 0020 4 me 44 116 mf 4, me 47 166 mf 14801 25 5. 52 120 5, 56 170 1, 42 30 6, 63 123 6, 64 157 1, 28 40 8, 7 126 8,8 IZ 1, 21 50 11,1 130 10, 9 158 1201 60 1289 135 13, 0 166 1, 23 70 14, 9 134 15, 1 166 IRA 80 16, 9 136 582 169 1, 24 0, 0090 Is}: 15) 138 6) DI 169 JRRO9 0, 010 20, 9 141 21, 2 175 1 23 20 39, 0 159 40, 4 197 1, 24 30 54, 8 175 DID 215 1, 23 50 83, 8 208 88, 7 253 1, 22 60 96, 6 223 103, 1 271 Ty62 0, 080 120, 6 256 129, 4 305 1, 19 0, 100 143, 4 290 153, 9 338 JR 120 165, 0 324 Egr sì 369 1, 14 150 196, 5 374 210 415 i DI 180 227 419 241 455 1, 09 200 246 449 261 483 1, 08 225 270 484 286 516 1,07 250 204 517 309 548 1, 06 0, 300 339 582 355 GIO 1, 05 oa Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. Nella 1* colonna sono indicati i tempi # di carica, nella 2* e 3* 1 valori di @ e C; ( rispettivamente in microcoulomb e microfarad ) per le lamine ; nelle due successive 1 valori di Cr CU, Il rapporto A per piccole polarizzazioni è abbastanza vici- () è C, per le foglie ; nell’ ultima il rapporto A = no al quoziente L//, ciò che giustifica i ragionamenti precedenti. 1 valori di /, pur decrescendo con il crescere di # e @Q pre- sentano qualche oscillazione; ciò non deve sorprendere se si con- sidera che un errore anche piccolo nei valori di p influisce no- tevolmente sul rapporto A (1). Inoltre per calcolare Q con maggiore approssimazione, sa- rebbe stato necessario suddividere i tempi £# in intervalli molto più piccoli degli attuali, specialmente per le polarizzazioni più forti, ciò che ci avrebbe condotto a calcoli molto lunghi senza alcun notevole vantaggio. Così come sono stati ottenuti, 1 valori di (, e C',, mostrano come queste quantità crescono notevolmente con l’ aumentare della carica. Se si rappresentano graficamente tali risultati, co- me nella Tav. II fig. 2, prendendo per ascisse i valori di @ e per ordinate i valori C, e C, si ottengono delle linee che a partire da un dato valore di Q sono sensibilmente delle rette. Da queste curve si possono ricavare con sufficiente appros- simazione i valori di C, e Cr per Q==0. Si ha C=115®", O, = 1550î, Se sì eseguiscono 1 medesimi calcoli per i dati della tabel- la VI sl ottengono curve simili, sebbene un po’ meno regolari, il che sì comprende facilmente, essendo in tal caso in giuoco cariche più notevoli. I valori di C, e Cx per Q=0 risultano in questo caso rispettivamente 105"* e 147"*. Attribuendo le dif- ferenze agli errori inevitabili in determinazioni di tal genere, e prendendo la media , abbiamo rispettivamente per la capacità (1) Per esempio per t = 05,004 basta fare p = 0,073 per le foglie e p = 0,059 per le lamine, invece di p= 0, 074 e p= 0,058, perchè il rapporto A diventi 1,25 invece di 1,21. en Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. dI iniziale di carica dei voltametri a elettrodi di lamine e foglie CM lb emnicltrà conda, È da osservare in proposito che per uno stesso valore di @ le capacità apparenti dedotte dalla tabella V sono maggiori di quelle dedotte dalla tabella VI, ciò che dimostra che le dette capacità oltre che da Q dipendono anche da £ e per uno stesso valore di Q crescono col crescere di /. Questo risultato è d’ ac- cordo con quanto ha trovato il Bouty per le lamine di pla- tino (1). I valori sopra trovati delle capacità iniziali di carica si ri- feriscono a voltametri con elettrodi di 7°, 75 di superficie. Am- mettendo, secondo 1 risultati delle ricerche del Collev, (2) che un voltametro possa paragonarsi a un sistema di due condensatori riuniti in serie, la capacità di ogni elettrodo è data dalla for- mola NET na I CREMASI KS,” dove l' indica la capacità totale del voltametro , A la capacità iniziale di un elettrodo in microfarad per centimetro quadrato di superficie , S, ed ,S, le superficie in centimetri quadrati. Nel mem2 noOsvuro caso == Sa 15 b (sommando la superficie delle due all 2 SO ERE, . I DE 2C 2 faccie delle lamine), (3) sl ha perciò A =, cioè per ledlamine Ki=U14n22 per le foglie (elettrodi M) K = 19®f 4. Le capacità iniziali di polarizzazione in misura assoluta so- no state determinate da un gran numero di sperimentatori; però la maggior parte delle determinazioni sono state eseguite sul platino, e per l'oro si hanno dati molto scarsi. Ricorderemo al- cuni fra i risultati ottenuti che hanno maggiore attinenza con queste ricerche. (1) Mem. cit., pag. 25. (2) Wied. Ann. Bd. VII. S. 206; 1879. (3) Cfr. Bouty, mem. cit. pag. 18. AmrtI Acc. Vor. X, Serie 4%,— Memoria XII. His d4 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. ‘ Il Blondlot (1) trovò per il platino, nei diversi casi, valori compresi fra 7®*,77 e 31"*,08 (2). Il Bouty (3) per gli elettrodi di platino arroventati nella fiamma a gas o lasciati immersi nei liquidi per lungo tempo , trovò nei diversi elettroliti valori che variano da 8”° a 65*f, e ne dedusse essere ben difficile stabilire le capacità di polariz- zazione considerate come costanti specifiche e invariabili. Oberbeck (4) pubblicò un. interessante lavoro sperimentale sulla misura delle capacità iniziali di polarizzazione per l’argen- to, l'oro, il platino, il palladio e l'alluminio. Egli impiegò le correnti alternate precedentemente adopera- te dal Kohlrausch (5) e dal Wietlisbach (6). In una prima memoria egli dà per la capacità di un elet- trodo d’oro in una soluzione di cloruro di sodio il valore di 30" per cm'; però in queste sue prime ricerche le superficie degli elettrodi e quindi le cariche variavano troppo poco per poterne dedurre con sicurezza il valore della capacità per Q = 0. Di- fatti in una successiva memoria, (7) riferendo 1 risultati ottenuti dal Falck con lo stesso suo metodo, egli trova per un elettrodo d’oro nel solfato di potassio il valore di 7"*,14 per cm? e nel cloruro, bromuro e ioduro di potassio il valore medio A = 16,6. Nelle diverse misure le cariche variavano da 2”"° a 5”° per ogni mezza oscillazione della corrente, il numero normale delle oscil- lazioni era di 80 al secondo. Il nostro risultato per le lamine d’oro nell’acido solforico è compreso fra 1 due valori sopra indicati. Per il platino nelle suddette soluzioni Oberbeck trovò valori varianti da 4"* a 18"% (1) Mem. cit., pag. 443. 2) Vedasi a pag. 27. (3) Mem. cit. pag. 56. (4) Wied. Ann., Bd. 19, S. 625; 1883. (5) Pogg. Aun., Bd. 148, S. 143; 1573. (6) Wiedemann, Electricitit, Bd. II S. 792; 1594. (7) Wied. Ann., Bd. 21, S. 139; 1554 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. 05 Il Lietzau (1) eseguì una serie di interessanti ricerche me- diante la scarica di un condensatore attraverso un voltametro e per il platino trovò anch'egli delle variazioni col tempo d’im- mersione delle lamine e con | arroventamento ; a prescindere dall’aumento di capacità prodotto da quest’ ultima causa, egli ottenne dei valori compresi fra 13"% 5 e 27"* per cm°. Il Wien (2) in un accurato lavoro sull’ argomento adoperò anch’ egli le correnti alternate e un ponte di Wheatstone, nel quale tre bracci erano formati da resistenze variabili e il quarto conteneva il voltametro e un sistema di due rocchetti a coetti- ciente di autoinduzione variabile. Il numero delle oscillazioni variava da 64 a 256 al secondo. Anch'egli dice in generale che solamente in circostanze particolarmente favorevoli sì può avere una costanza nella polarizzazione. Cimentò il nichelio, l'argento, il platino, e avendo osservato per quest’ultimo le irregolarità precedentemente riferite, sperimentò quasi sempre con superficie arroventate di fresco. Si aveva, subito dopo l’ immersione, una grande capacità che diminuiva rapidamente e dopo 24 ore ac- cennava a rimanere all’ incirca costante. Trovò così dei valori varianti da 23"5 a 26"4 per cm. per un elettrodo di platino nella soluzione concentrata di sal marino e da 35"58 a 39° 5 nella soluzione diluita di acido solforico. In un’ altra serie di ricerche ottenne con altri elettrodi, 48 ore dopo 1 immersione , 452% 4 a 49% 8 nella soluzione concentrata di sal marino. C. M. Gordon (3) recentemente fece pure delle misure con un metodo simile ma con una diversa disposizione dell’ apparec- chio. Egli ottenne per il platino brunito il valore di 9", 06 per cm. Dali’ esposizione dei risultati sopra accennati si rileva che la maggior parte delle misure assolute delle capacità iniziali di polarizzazione sono state eseguite sul platino, che, per la sua (1) Wied. Ann., Bd, i 3 (2) Wied. Anm., Bd. 58, 3 (3) Wied. Ann.. Bd. 61, a e 38; 1895. (; 1597. pl 1897. 56 Sulle capacità di polarizzazione delle foglie metalliche sottilissime. attitudine a occludere notevoli quantità di gas, non dà risul- tati molto regolari. Per l’oro invece, per il quale le nostre ricerche sembrano dimostrare che si hanno risultati più costanti, vi ha un numero ristrettissimo di determinazioni. La misura dunque delle capacità iniziali delle lamine d’oro in diverse condizioni e in diversi elettroliti, non sarebbe priva d’ interesse. È nostra intenzione d'intraprenderla dopo che avremo per- fezionato il nostro apparecchio, che è stato stabilito in vista di esaminare specialmente la differenza di comportamento tra le foglie e le lamine d’oro, in modo da renderlo più adatto alle misure assolute. Dal Laboratorio di Fisica della R. Università di Catania. Maccio 1897. ERRATA - CORRIGE pag. 16 lince 14 e 15: il pendolo 7nvece di il pendolo P (0A 1 3) a È ARCA LS —— mecc di d=a,+- LF >) 18» l:d=a + » SU» 20: del z?nvece di nel lille capacità Di polarizzazione ece TAV. I b = iS NENFLENFAFNEATITVI TAGLIE TITAN o e Ilatania sutra Glania mafe 1] Memoria XEEI, Sull’azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio del Prof. ANTONIO CURCI Dei derivati del pirazolo pochi sono noti farmacologicamente e sono quelli studiati dal Tappeiner ( Archivio f. exp. Path. u. Parmalkol. 1891, Bd XXVIII, pag. 2966 1892,.bd. XXX, pag. 231) ed il jodometilato di fenilpirazolo, studiato dal Dottor Luigi Sabbatani nel Laboratorio del Prof. Albertoni (Annali di Chimica e di Farmacologia, vol. XVIII, pag. 209, 1893). Il prof. Luigi Balbiano, parecchi anni or sono, 1887, gen- tilmente mi offrì per lo studio farmacologico ‘il ioduro di fenil- etilpirazolammonio, C*H?N?.C°H?.C°H?, da Lui scoperto, allo scopo di vedere se questa sostanza possa avere qualche applicazione nella terapia. In attesa di qualche indizio buono, non feci alcuna comunicazione. Ma poi visto che dal lato pratico , non può avere alcuna importanza , così pubblico queste eperienze perchè servano alla storia farmacologica della serie pirazolica. Questa sostanza differisce pochissimo da quella studiata da Sabatani, perchè la differenza consiste nel gruppo etilico invece del metilico. Esperienza. —- Ad una rana s' iniettano 2 cg. del joduro di feniletilpirazolammonio, nei sacchi linfatici dorsali alle ore 12,35". Alle 12,50' paralisi generale, aboliti i riflessi, pupilla dila- tata, occhi immobili. Alle 14 idem; il cuore pulsa e funziona benissimo. Espertenza.— Ad una rana s' injettano 5 cg. del composto pirazolico sotto la cute della coscia destra, alle ore 11,40". Alle 11,45', rilasciamento degli arti posteriori, pungendo si hanno dei movimenti riflessi limitati agli arti anteriori ed alla AmTI Acc. Vor. X, SERIE 42 — Mem. XIII. 1 2 Sull’ azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. testa, mentre mancano negli arti posteriori; in generale i riflessi suddetti sono alquanto deboli. Alle 11,55', paralisi generale completa, pizzicando gli arti posteriori non sì hanno movimenti riflessi, ma si ha appena qualche movimento del pavimento della bocca. Midriasi notevole, occhi protubenti, immobili. Il cuore pulsa normalmente e benissimo. Muscoli eccitabi- lissimi direttamente. Passando gli elettrodi sul capo o sul dorso, non sì hanno movimenti degli arti posteriori. Alle 12,40' paralisi e morte reale, però il cuore continua a pulsare bene. Eccitando i nervi nessun effetto, mentre i muscoli sì contraggono se eccitati direttamente. Queste esperienze sono sufficienti per dimostrare che 1’ etil- fenilpirazolammonio ha un’ azione paralizzante sul sistema ner- voso; che questa paralisi è ascendente e cioè comincia dalle estre- mità posteriori per salire alle anteriori ed ai centri. Durante la paralisi, il cuore viene poco influenzato e funziona bene a lungo. In fine si abolisce l’eccitabilità dei nervi, mentre è conservata quella dei muscoli, a guisa del curaro. Si chiarisce meglio l’azio- ne con la seguente esperienza. Esperienza-— Ad una rana, legato un arto posteriore verso la radice della coscia, eccettuato il nervo sciatico, s° injettano nei sacchi linfatici dorsali 2 cg. del pirazolo, alle 12,34". Alle 12,50’, paralisi generale, abolizione dei movimenti, mi- driasi ed immobilità degli occhi. Alle 13,30' lo stesso stato di paralisi: ma stimolando una zampa anteriore o posteriore o qualunque altro punto, si hanno dei movimenti riflessi solamente nell’ arto posteriore, a cui fu in- tercettata la circolazione mediante la legatura. Questo risultamento non poteva essere più netto e dimo- strativo del fatto, che la sostanza agisce paralizzando le estre- mità nervose periferiche motrici, mentre lascia intatta la incita- bilità od almeno la conducibilità dei nervi centripeti e dei cen- tri nervosi. Sull’azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonto. 3 Alle 15,30' ancora perdura un poco di eccitabilità nell’ arto legato, ma non si ottengono più i riflessi generali. Infatti ecci- tando direttamente con gli elettrodi i nervi lombari e del plesso sacrale dall’ un lato o dall’altro non segue alcun movimento. Invece eccitando lo sciatico dell’ arto legato, al di sotto della legatura, si ha contrazione dei muscoli dipendenti. I muscoli tutti eccitati direttamente si contraggono bene. Il cuore pulsa bene ancora. Quest’altro risultamento ci dimostra, che la sostanza dapprima paralizza le estremità periferiche dei nervi motori, in seguito al tardi paralizza anche i cordoni nervosi ed i centri. Esperienze sui mammiferi. Cagna piccola di Kg. 5, 300 Polso Resp. Temp. rett. . Temp. ascellare 120 20 99, 7 38, 3 Alle ore 11, 50' iniezione ipodermica di 25 cg. di pirazolo. Alle 12, 15' 60 duro 28 4001 Be}09) 2501 80 81) affanno 3998 9801 » 14 88 2) 3998 3804 > ld 88 DE SOR 38° Cagna di Kg. 3, 400 Polso Resp. Temp. vett. Temp. ascellare 120 24 2905 39%5 Alle ore 11 iniezione ipodermica di 25 eg. di pirazolo. Alle" 11, 20! 68 forte 26 40° 39°3 » 12 152 50 400 3993 > 140 debole 28 3992 3801 » 14 148 20 38°6 37°4 L'animale cammina barcollante, specialmente è fiacco negli arti posteriori; abbattimento, vi è insensibilità e mancanza com- pleta dei riflessi per tutto, meno sulle palpebre , leggiera mi- driasi, iride sensibile alla luce. Ore 15, Polso 182, Resp. 32, Temp. rett. 3608, Temp. ascel- lare 34°6—A patia generale, sensibilità e riflessi molto diminuiti; mentre prima vi era mancanza di riflessi. Ore L6P- 130; -R. 6. IL r. 369,8, Ta, 3495. Mucose. cia- notiche, prostrazione, movimenti convulsivi alla faccia, orecchie, occhi ed arti anteriori; respiro lento paralitico. Ore 16, 15' Polso 80 debole; respirazione agonica , superfi- 4 Sull' azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. ciale, rara, insufficiente, e poi arrestata, e poco dopo arrestato anche il cuore. Sangue nero in tutti gli organi, anche nel ventricolo sinistro; congestione del pulmone , fegato etc. Cuore eccitabile ; erasi fermato, ma all’aria ha ripreso un po’ le sue pulsazioni. Da queste esperienze si rileva che la sostanza produce nei mammiferi un rallentamento notevole del cuore, ma il polso è forte, duro, pieno, poi ad azione avanzata il rallentamento scom- pare, mentre il polso ritorna al normale e, quando poi vi è l’av- velenamento verso gli estremi della vita, il polso si rallenta di nuovo, ma questa volta è debole. La temperatura si abbassa e le respirazioni pure diminuiscono. Infine l’animale manifesta altera- zioni di ordine generale cioè presenta debolezza, prostrazione, feno- meni di asfissia, sangue scuro e morte per paralisi respiratoria. Avendo visto nelle rane che la sostanza ha azione curarica e poi che paralizza anche i centri nervosi ed i cordoni nervosi, mentre rispetta il cuore, è naturalmente agevole spiegarsi 1 fe- nomeni generali osservati nei cani: l’ invadente paralisi cura- rica produce indebolimento della respirazione, finchè diventa in- sufficiente, donde il sangue scuro e la mancanza di ossigeno all’ organismo; perciò mentre si ha la paralisi nervosa per opera della sostanza da una parte, vi è l’asfissia dall’ altra, la quale determina la morte. Ci resta a determinare meglio i fenomeni dell’ azione sugli organi della circolazione. Espongo dapprima le esperienze fatte, e dopo faremo i commenti. Da queste esperienze si ebbero lunghi tracciati sfigmografici, e per risparmio di spesa io non li pubblicherò ma ne indicherò qualche fatto interessante. Esperienza—Cane di Kg. 3,300, non curarizzato—Manometro alla carotide. Ora Pressione Polso 11,52 160 120 Si fa Vl’ iniezione ipodermica cg. 30 11,58 180 12,2 190 150 12,10 200 150 Tracciato più alto Sull azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. o [Ger [IS | . 5» da dl I (>) i i a e IT T dI 19 LI DI LINO GL LL DNA O! I 153,90 15,40 14- 14,30 14,40 14,55 15 210 210 200 190 150 180 140-160 120 140 120 110 80 80 99 90 50 80 80 160 88 Tracciato con ampie discese diastoliche Alto, ampio ed eguale idem Respirazione intermittente Basso e piccolo Iniezione ipodermica di eg. 30 alto ed ampio alto ampio e forte alto ed ampio alto ed ampio alto ed ampio Taglio dei vaghi al collo, a cui segue maggiore rallentamento ed arresto improvviso del cuore, con nostra relativa sorpresa. Espertenza.— Cagnolina di Kg. 4, curarizzata. Ora 12,22 12,24 12,29 12,30 0) 12,594 12,90 12,99 12,40 12,42 12,45 12,50 12,53 12,54 12,56 12,59 13,5 13,10 13,20 13,35 Pressione 160 165 250 225 210 185 210 200 200 180 165 190 170 60 140 160 135 140 125 100 Polso 120 Iniezione nella giugulare di 1 mg. Iniezione di 1 mg. Iniezione di 1 mg. Iniezione di 1 mg. Iniezione di 4 mg. sempre nella giugulare. Taglio dei vaghi e grande acceleramento del da non potersi contare. Iniezione di cg. 10 nella giugulare. Iniezione di cg. 10 nolla giugulare Iniezione di cg. 10 Iniezione di cg. 50 polso Gli eccitamenti ripetuti e forti dello sciatico non fanno aumentare la pressione, il cuore pulsa discre- tamente. S’'interrompe l’ esperienza. 6 Sull azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. Esperienza.— Cane di Kg. 5,700 non curarizzato. Ora Pressione Polso 12 190 140 Iniezione ipodermica di cg. 30 12,12 200 92 12,27 210 84 Impulso del cuore forte. Polso alto ed ampio. 12,51 210 84 Tagliati i vaghi il polso si fa frequente e celere. e (12.55 220 200 Iniezione ipodermica di eg. 50 1990 L'animale comincia ad avere rilasciamento ed in- debolimento della respirazione. in L’ animale tutto paralizzato , abolizione dei rifles- si per tutto; ampia midriasi, iride immobile ed insensibile alla luce. Insufficienza di aria nei polmoni. 14,50. 80 96 14,35 65 06 14,538 50 Coll’ eccitamento del nervo crurale la pressione ap- pena sali a 65. 14,45 50 84 Coll’ eccitamento del nervo crurale la pressione non si eleva; il polso si anima un poco. 14,50 45 12 Si eccita lo sciatico, nulla. 14,55 40 72 Si eccita fortemente lo sciatico, nulla. 5° interrompe l’ esperienza. Espertenza.— Cane di Kg. 4. Distrutto il midollo allungato. Respirazione artificiale. Ora Pressione 13,30 155 \ Iniezione ipodermica di cg. 30 di sostanza. 3.99, 60 13,95 170 13,37. 100 13,40 95 13,42 140 13,47 160 13,48 175 13,50 180. polso sempre della stessa frequenza. 13,54 119 14 di 14,3 80 l4-12° 155 14,15 110 | Iniezione ipodermica di 5.20, 14,18. 60 14,259 35 14,30. 3 Sull’ azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. 7 Da queste quattro esperienze sui cani si rilevano diversi fatti principali: cioè 1’ aumento della pressione arteriosa; il quale si mantiene per lungo tempo e quando l’azione è intensa , è seguìta da abbassamento. L'aumento della pressione arteriosa manca se previamente sia distrutto il midollo allungato, ciò che significa essere quell’aumento dipendente da eccitamento del centro vasomotorio. Passato il periodo di eccitamento, all’ aumento segue l' ab- bassamento della pressione; in questo frattempo si trovano molto diminuiti ed infine aboliti completamente i riflessi vasomotorii , cioè che l’eccitamento dei nervi sensitivi non ha più influenza sulla circolazione ; tanto sui vasi che sul cuore ; vale a dire che in qualche parte il sistema nervoso vasomotorio ne è paralizzato. Per analogia forse sì potrà pensare ad un’ ipotesi, e cioè che siano paralizzati i nervi vasomotorii periferici: ma questa avrebbe bisogno di essere dimostrata. Il polso dapprima viene rallentato, ma nello stesso tempo rinforzato, ed i tracciati sfigmografici dimostrano ciò con curve più alte e più ampie, con diastoli prolungate, con linea ascen- dente o sistolica più alta e più vicina alla verticale. In questa fase vi è eccitamento dei centri moderatori del cuore, perchè ab- biamo veduto che il rallentamento manca se si recidono i vaghi o se viene distrutto il midollo allungato. Ma dopo questo ral- lentamento il polso ritorna alla frequenza normale pur conser- vando la sua forza, e finalmente si rallenta di nuovo ma alquanto indebolendosi, ed il cuore infine si arresta. Anche quando sono recisi i vaghi al collo, il polso torna poi a rallentarsi. In questo secondo rallentamento, l abbassata pressione e l’impiccolimento del polso ci dicono esservi dimi- nuita energia degli apparecchi eccitomotori cardiaci e vasali. Lo stesso sarebbe del sistema vasale: dapprima vi è eccita- mento del centro vasomotorio con quello del centro moderatore cardiaco, ma in seguito vi è paralisi dei nervi vasomotori peri- 8 Sull’ azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. ferici ; per cui dapprima aumento della pressione e poi abbas- samento della stessa. Dunque, come era da prevedersi, l'azione del jodoetilato di fenilpirazolo è simile a quella del jodometilato studiato dal Sab- batani ed anche a quella del joduro e cloruro di fenildimetilpi- razolo, studiato dal Tappeiner. Quest’ ultimo ha pure studiato alcuni acidi pirazolici, in cui vi è per nucleo uno dei composti sumenzionati , acidificato dall’ acido solforico o da uno o più carbossili, cioè 1 acido fenil- dimetilpirazolsolforico, il fenilmetilpirazolcarbonico, il femilpira- zoldicarbonico ed il difenilpirazolcarbonico. Tappeiner ha studiato questi acidi sotto forma di sali sodici e, quardando le sue esperienze, cioè : i pochi effetti ottenuti diffe- renti da quei dati dai composti precedenti, l’azione diuretica e le dosi adoperate, io giudico (giacchè sono pratico dell’azione dei sali di sodio) che l’ A. abbia osservato fenomeni dipendenti dal sodio e non dall’acido: perchè nelle rane la pretesa paralisi cen- trale sarebbe ordinario effetto dell'arresto del cuore; perchè nei mammiferi la morte per arresto della respirazione (la respirazione si arresta per tetano inspiratorio in seguito all’ aumentata ecci- tabilità del sistema nervoso centrale e periferico e degli stessi muscoli) ed i crampi degli arti ecc. sono fenomeni che si osser- vano appunto nell’ avvelenamento per sali di sodio, carbonato , acetato, citrato, cloruro ecc. alla dose circa di 2 gram. per chi- logramma. In modo che risulta che io non vedo un’ azione speciale caratteristica da attribuirsi all’ acido pirazolico. Questo fatto, secondo mio modo di vedere ha importanza, nel dimostrare 1’ influenza che esercita un carbossile su di un gruppo atomico più o meno complesso; il quale fino a quando ha funzione di idrocarburo, di fenolo, di alcaloide ha un’azione caratteristica sul sistema nervoso e sull’ organismo in generale ; ma perde quest’ azione caratteristica o la cambia, allorchè per uno o più carbossili acquista funzione acida o cioè che diventa Sull’ azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. s) un acido più 0 meno tossico. In questo caso la base che lo sali- fica è quella che agisce mentre l’acido agisce più o meno tossico, più 0 meno innocuo ma sempre come un'acido qualunque. Non guasta questa regola il fatto che alcuni acidi sebbene salificati agiscano da notevoli tossici in modo speciale proprio ed ignoto: l’azione è sempre diversa. Tale osservazione sul!’ influenza del carbossile sull'azione di un gruppo atomico fu da me primieramente rilevata e più volte dimostrata nei miei lavori fino dal 1890, e fu riconosciuta più tardi da Nenki e Butmy in alcuni composti aromatici, s'intende come idea loro originale, tenendo in non cale la mia pregressa idea e la maggior copia di fatti nella serie grassa ed aromatica da me presentata. Non pertanto il mio concetto più vecchio ed anteriore, per cui ne reclamo la priorità , è anche più esatto ed esprime me- glio il fatto; e cioè: che il carbossile fa perdere l’ azione carat- teristica già riconosciuta del composto e non sempre la tossicità, perchè l acido risultante può essere più o meno tossico od inno- cuo : (bisogna fare distinzione tra tossicità e tipo di azione ca- ratteristica), ma sempre di diversa azione ove ne abbia. Infine a proposito di questo studio farmacologico vi sarebbe: da rilevare l’ azione curarica, la quale, secondo lunghe mie os- servazioni , risulta coincidere con una particolare costituzione atomica; cioè quando un composto è costituito da più gruppi atomici (i quali isolatamente, ognuno per sè, abbiano azione cen- trale) l’azione diventa periferica. Così p. e. ogni idrocarburo i più noti della serie grassa ed aromatica (metile, etile , propile , ecc. fenile, naftile ecc.) ha azione paralizzante centrale; ma riu- niti tre o quattro dei suddetti gruppi in uno complesso, come negli ammonii composti, come nella trimetilsolfina e come nei pirazoli in parola, e nelle piridine ed in altri, (in cui avete riu- niti diversi gruppi idrocarburici grassi ed aromatici), I’ azione è periferica o curarica. 10 Sull azione biologica del joduro di feniletilpirazolammonio. CONCLUSIONI Il feniletilpirazolammonio produce paralisi nervosa ascen- dente, la quale comincia dalle estremità periferiche dei nervi motori, a guisa del curaro, e poi raggiunge i centri. Rispetta la eccitabilità muscolare. Eleva momentaneamente la temperatura e poi 1’ abbassa. Nei mammiferi la morte avviene per asfissia, in seguito alla paralisi dei muscoli respiratorii. Rallenta momentaneamente il polso per eccitamento dei nervi moderatori del cuore, perchè colla recisione dei vaghi il polso non si rallenta, o ritorna frequentissimo. La pressione arteriosa aumenta al principio dell’ azione e poi in seguito diminuisce. L'aumento della pressione arteriosa si ha per eccimento del centro vasomotorio bulbare, perchè essa manca quando è distrutto il midollo allungato. Quando la pressione è bassa, sono anche aboliti i riflessi vasomotorii; ciò indica essere paralizzato il sistema nervoso va- somotore, che cagiona | abbassamento della pressione. Istituto di Farmacologia Sperimentale della R. Università di Catania, Marzo 1897. Memoria XEYV, Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria del Dr S. CALANDRUCCIO. Gli studî sulla febbre malarica sperimentale cominciarono col tedesco Gerhardt, il quale, inoculando nel cellulare sottocu- taneo del sangue malarico, riprodusse in due casi la febbre ma- larica, che tosto guarì col chinino. Poco dopo Marchiafava e Celli ne pubblicarono cinque casi, nei quali operarono la inoculazione intravenosa di sangue ma- larico; e, in tre casì, ebbero la riproduzione d’ una vera febbre malarica (1). Nel 1889 nella clinica di Roma i dottori Gualdi ed Anto- losei pubblicarono due casi di febbre malarica sperimentale , fa- cendo iniezioni intravenose di circa tre centimetri cubici di sangue malarico in individui neurastenici. Un altro esperimento di febbre malarica fu dai medesimi dottori eseguito nella medesima clinica, inoculando sangue ma- larico nelle vene di un individuo atfetto da demenza. parali- tica. (2) Gli stessi AA. pubblicarono nel medesimo anno altri due casi. In seguito, circa sei anni or sono, venne alla luce la Me- moria « Contribuzione allo studio dei parassiti malarici dei pro- fessori B. Grassi e I. Feletti. » e quasi. contemporaneamente fu pubblicata una Nota sperimentale dal Prof. Di Mattei e quindi la Memoria clinica del Feletti. Avrei dovuto sin d’allora, per come era stato promesso (3), (U) Marcgrarava e CeLLi — Archivio per le scienze mediche — Vol. IX N. 15. (2) Riforma Medica 1889. (3) Contribuzione allo studio dei parassiti malarici—Grassi e Feletti pag. 56—Dagli Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze Naturali. Vol. V Serie 48 Tip. Galàtola. ArtTI Acc. Vor. X, SerIE 48 — Mem. XIV: il 2 sirevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. pubblicare anche io una Memoria sperimentale su tale argomento, ma per ragioni indipendenti della mia volontà, mi sono dovuto contentare dei semplici cenni, riportati nella suddetta Memoria di Grassi e Feletti e aspettare fino ad ora per sintetizzare le osservazioni sperimentali da me fatte sull'uomo. In questo studio sperimentale mi ero proposto un doppio scopo : da una parte cercare di poter stabilire se ogni forma clinica della malaria avesse o pur no uno speciale parassita a SÒ, dall’altra, se fosse possibile, fare dei tentativi di cura della scrotola, iniettando sangue malarico negl’ individui scrofolosi , come esporrò in un altro lavoro. Ed ora passiamo agli esperimenti. Il primo dicembre 1890 (1) colla siringa di Pravaz. steri- lizzata ;, tolsi da una delle vene superficiali del braccio sinistro di un individuo affetto da quartana or tripla or semplice, con- statata clinicamente e col microscopio , circa un grammo di sangue e subito lo iniettai nel cellulare sottocutaneo del mio braccio sinistro. La puntura non provocò l'uscita d’alcuna goccia di sangue. Dopo alcuni giorni nel luogo della iniezione apparve una chiazza di colore bluastro, che poi man mano fecesi gial- lastra. Per lo spazio di diciassette giorni stetti sempre bene; in seguito, cioè dal 18 dicembre al 9 gennaio, fui travagliato da una febbre quartana or tripla or semplice. Il reperto microscopico confermò la diagnosi. Il chinino troncò subito questa quartana, però l’ esame miscroscopico del sangue periferico , fatto consecutivamente faceva non di rado riscontrare qualche rara Hemamoeba malariae. Dopo due mesi le HMemamoebae crebbero di nuovo e la stessa quartana sì riprodusse; fu vinta da altra somministrazione di chinina : la febbre scomparve un’altra volta per riapparire dopo circa tre altri mesi. L'esame del sangue veniva fatto, nel periodo (1) Circa tre mesi dopo l' esperimento negativo col sangue sbattuto insieme coll’ acqua di- stillata (Vedi lavoro — Tentativi di cura della scrofola). DD) Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. 5 dell'esperimento, quasi giornalmente, ed ebbi sempre a constatare solamente l’Hemamocba malariae. È bene sapere che io non avevo mai sofferto febbre di ma- laria , nè ero stato in luoghi palustri, ragioni per cui, questo mio primo esperimento non può dare adito ad alcun dubbio. Con questo primo esperimento ero riuscito a confermare il fatto che la malaria si può propagare da uomo ad uomo mercè le iniezioni ipodermiche di sangue malarico. Ripetei tale esperimento sopra due altri individui col po- stumi scrofolosi (1), ma il risultato fu negativo ; ciò comprova sperimentalmente la refrattarietà di certi organismi alla malaria. Questo fatto indussemi intanto a fare delle ricerche nei luoghi malarici, ove potei constatare che individui i quali lavo- ravano e pernottavano in luoghi molto malarici ( Acquicella , Pianotta , Ficarella presso Fiumefreddo) non ebbero mai a sof- frire accessi febbrili. L’ esame minuto dei loro organi interni diede sempre risultato negativo. Fatti ripetuti esami microscopici del loro sangue non ebbi mai a constatare alcun parassita malarico. Era da escludere, per altro in tali individui la infezione cronica. È bene notare che essi erano nati e cresciuti in quei medesimi luoghi malarici e che avevano fatto sempre uso di buon nutrimento. Esaminati invece altri individui delle medesime contrade , ebbi a riscontrare la milza straordinariamente ingrandita ed una anemia pronunziatissima, però senza accessi febbrili. Costoro eb- bero a confessare d'aver sofferto per molti anni consecutivi feb- bre di malaria. L'esame microscopico del sangue, eseguito parecchie volte e in giorni diversi, fu sempre negativo. Ciò conferma sempre più quanto la clinica avea già con- statato. Ed ora, ritornando al mio esperimento, posso affermare che (1) Vedi Nota sulla cura della serofolosi colle iniezioni di sangue malarico. 4 Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. dopo l’uso dei sali di chinina ed un nutrimento ricostituente fui pienamente guarito. Trascorso un certo tempo e assicurato che il mio sangue era sgombro della H. malariae, mi iniettai, per via ipodermica, circa un grammo e mezzo di sangue con sole Laveraniae (infe- zione primaria) e dopo sedici giorni fui preso da intenso brivido e da fortissima febbre. L’ esame microscopico del sangue periferico riuscì negativo, solo dopo il terzo accesso febbrile si cominciarono a riscontrare delle Laveranie a diversi stadî di sviluppo. In seguito l’ esame microscopico del sangue veniva fatto giornalmente e spesso se- guivasi ora per ora, ma giammai ebbi a riscontrare alcuna H. precor adulta, o in riproduzione. Constatato il fatto, domai la febbre con la chinina, però ebbi a notare che le Laveranie non erano del tutto scomparse, ed ebbi perciò a soffrire diverse recidive, che vennero sempre debellate col medesimo farmaco. Anche questa seconda volta ebbi a constatare in me che la infezione artificiale di Laveranie non riprodusse che sole Lave- ranle. Temevo intanto in me avvenisse quello che suole avvenire in quegli individui che sono infettati in luoghi palustri di sole Laveranie, i quali non vengono guariti nè dalla chimma, nè da altro farmaco, ma spontaneamente. Con mia sorpresa invece ebbi a conoscere, sia in me come in altri, che qualunque infezione malarica atificiale viene sempre tosto debellata dai sali di chi- nina. Un terzo esperimento io feci nel 1891 sur un mio congiunto che volle spontaneamente aiutarmi nelle mie ricerche. Col solito metodo iniettai circa un grammo di sangue, tolto da un individuo affetto di quartana. Dopo sedici giorni sì svi- luppò in lui quartana semplice. L' esame microscopico del sangue veniva eseguito giornalmente e spesso ora per ora, € sì OSServa- rono sempre le forme tipiche dell’ 7. malarzae. Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. D Con l’ esame continuato potei stabilire approssimativamente l’ora iu cui sarebbe dovuto avvenire l’ accesso febbrile (sporula- zione). In questo individuo per ben quattro mesi la quartana sl mantenne sempre quartana e l’ esame del sangue periferico € della milza mostrò sempre la sola 7. malariae. AI quarto mese iniettai in questo quartanario circa un gram- mo e mezzo di sangue tolto da un individuo infetto di sole La- veranie e dopo quattordici giorni la febbre quartana si mutò in continua per parecchi giorni. L’ esame del sangue periferico, fatto al quindicesimo giorno, sì mostrò negativo, come nei giorni pre- cedenti; mi spiego meglio, non si riscontrarono Laveranie, ma qualche rarissima /. malariae, dopo una serie di preparati. Lo stesso reperto si ebbe al sedicesimo e al diciottesimo giorno. Fu appunto al diciottesimo giorno in cui con l'ago della siringa di Pravaz sterilizzato punsi la milza, e nel sangue da essa tratto, rinvenni parecchie Laveranie adulte, ma nessuna //. malariae. Dal ventesimo giorno in poi le Laveranie apparvero piutto- sto numerose nel sangue periferico in diversi stadî di sviluppo, e, non di rado, dopo una molto lunga serie di preparati, si con- statava qualche rara /M. malariae. L’ esame del sangue veniva fatto ogni giorno: nell’ inizio del brivido, nello stato febbrile, nella remittenza etc., ma per quanto abbia cercato, non ebbi mai a trovare l’ HM. precor, nè mai la Laverania in via di sporulazione. Soltanto riscontrai per ben due volte una Laverania in via di strozzamento col nucleo intera- mente bipartito. Questo terzo esperimento durò ben cinque mesi e con l’uso dei preparati di chinina le febbri vennero tosto domate, però si ebbero due recidive: una prodotta dall’ 7. malariae e l'altra da Laverania. L’ uso di altre dosi di sali di chinina guarì intera- mente l’ individuo. Non ebbi mai a constatare MH. preco» adulte, o in sporula- zione. 6 Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. TI riferiti esperimenti furono per me dalla più alta impor- tanza, perchè mi spiegarono in modo chiaro e netto le infezioni miste, che si riscontrano spesso in natura e diedero l’ ultimo crollo all’ opinione del polimorfismo: infatti essi mi illuminarono ancora sul caso di un individuo, il quale, affetto di febbre ir- regolare venne sotto la mia cura, e, avendo esaminato spesso il suo sangue oltre alle uumerose Laveranie, ebbi talvolta a costa- tare qualche rarissima /. vivar. Dopo molti mesi che io lo esaminavo giornalmente, e men- tre abitava in una località del tutto immune da malaria , la febbre irregolare sì mutò in terzana. Certamente se questo caso fosse stato esaminato superficial- mente avrebbe grandemente appoggiato l'opinione del polimor- fismo. Con lo scopo di poter confermare le ricerche di Canalis, di Bastianelli, di Bignami etc., con tutte le cautele antisettiche , imitando le ricerche dei due ultimi nominati autori, 10 punsi in diversi malarici, infetti di sole Laveranie, la milza, ma non ebbi mai la fortuna di riscontrare alcuna figura di sporulazione : trovai è vero, spesso delle Laveranie, divenute rotonde, e qualche ra- rissima volta col corpo nucleoliforme in via di divisione, ma giammai sporulazione nè di semilune (Laveranie), nè di //. precox o immaculata, che secondo la Scuola romana, accompagnano sempre le Laveranie. Nel sangue periferico come in quello tolto dalla milza ebbi non di rado a riscontrare delle Laveranie in tutti gli stadî di sviluppo: da una semplice amibola alla vera semiluna che, di- venuta, sotto il microscopio, rotonda, mandava dei flagelli. Ed in quattro individui scrofolosi, curati con le iniezioni di sangue malarico, ho potuto costatare, dopo una lunga serie di Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. 7 * osservazioni coscienziose e pazienti , sì del sangue periferico co- me pure del sangue tratto dalla milza dei medesimi, che il pa- rassita malarico sì mantiene sempre quello iniettato (1. vivar nel primo; /. malariae nel secondo; Laverania nel terzo e /. vivar nel quarto), ripetendo l’analoga forma clinica senza ri- scontrarvi giammai polimorfismo. Ma ancora molto più importante dei precedenti esperimenti, a mio credere, fu un caso di perniciosa che venne da me osser- vato in un individuo di Fiumefreddo. Nel suo sangue periferico la H. precor era numerosa quasi sempre in via di sporulazione. Le iniezioni intravenose di chinina lo guarirono. Ulteriormente venne in questo individuo da me punta pa- recchie volte la milza e, nel sangue tolto dalla medesima come in quello periferico giammai rinvenni Laveranie. E quindi 1 casì citati dai diversi autori che dopo la guari- gione delle perniciose si siano trovate consecutivamente nel san- gue periferico delle Laveranie erano dovuti sicuramente ad in- fezioni miste. Ma quello che ha viemmaggiormente attirato la mia at- tenzione e che corrobora clinicamente 1 risultati sperimentali è stata l’ osservazione ben accertata, che in certi luoghi malarici ben determinati e da me studiati, l’uomo s' infetta di sola quar- tana (gebbia di Liberto), in altri di terzana (Scala di Caggi, presso il palmento dei fratelli Cipolla), in altri infine non ben determinati, di perniciose, di irregolari e di forme miste. Queste constatazioni, a mio credere, del tutto nuove, hanno, come di leggieri si può dedurre, la più grande importanza, per- chè provando la diversa distribuzione topografica delle varie forme del parassita malarico, costituiscono, per la teoria del polimorfi- smo, la controprova clinica delle deduzioni sperimentali. 8 Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. È la Zanzara ospite intermedio della malaria ? Il Laveran aveva per il primo emessa 1’ opinione che la zanzara potesse essere ospite intermedio dei parassiti malarici. Quantunque teoricamente io fossi contrario a tale opinione, purnondimeno mi accinsi nel 1890 a fare delle ricerche in luo- ghi malarici e ad istituire degli esperimenti che non avrei pub- blicato, essendo già stati accennati nella Memoria di Grassi e Feletti, se affatto recentemente il Ross non avesse risollevata la quistione, istituendo delle esperienze, e se il Manson e il Bi- gnami non gli si fossero dichiarati partigiani. Però nel campo sperimentale il Ross è venuto a risultati punto concludenti; e l'ipotesi del Manson e del Bignami rima- ne semplicemente nel campo speculativo. Riassumo le ricerche. Nella prima di esse raccolsi numerose zanzare in una bet- tola presso la riva del Simeto (luogo malarico), come pure in di- verse altre località malariche della Piana di Catania e giam: mai ebbi a riscontrare nel loro sangue alcun parassita malarico. Nello stesso anno misi a dormire per due notti in una stanzetta di un infimo albergo, ove erano numerosissime zanza- re un individuo affetto di Laveranie, e per due giorni consecu- tivi raccolsi le zanzare del luogo e, sottopostole ad un minutis- simo esame microscopico, potei è vero , riscontrare nel sangue succhiato delle Laveranie. ma esse erano molto alterate, nè mi fu dato riscontrarne alcuna giovane. Un secondo individuo: atfetto di quartana nel 1890 fu mes- so nelle medesime condizioni del primo: vennero esaminate un certo numero di zanzare, che ne avevano succhiato per due notti il sangue, appena catturate, ed in molte si rinvennero abbon- dante ZH. malariae nei noti varî stadi di sviluppo con chiarissi- mi caratteri d’ alterazione: evidentemente erano morte (vacuolate, pigmento in movimento brovviniano, gonfie etc.) Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della maiaria. 9 Alcune altre delle medesime zanzare vennero esaminate dopo dodici ore e non si rinvenne alcun parassita malarico. Volli fare ancora dei tentativi con Vl /irudo officinalis , fa- cendole attaccare (1890) sul petto di individui malarici (terzana pura, quartana pura, e irregolare): in tutti i casi, fatto l’ esame nel medesimo giorno, si poterono constatare i parassiti malarici, però in via di distruzione: negli altri giorni i medesimi erano ScOMparsi, Così adunque rimanendo sempre ignoto il modo come l’ uo- mo s’ infetti di malaria, ed essendo state risollevate le vecchie quistioni dell’acqua potabile e dell’ aria, non credo superfluo ac- cennare le mie poche esperienze sul proposito. . Parecchie volte io e il Prof. Grassi (1) abbiamo bevuto del- la rugiada raccolta in luoghi malarici col noto metodo del Mo- scati sempre con risultato negativo. Ulteriormente io inghiottii impunemente varie quantità di melma proveniente da luoghi palustri. K benchè queste poche esperienze concordino con quelle della Scuola romana, pur nondimeno non credo esaurita la qui- stione, e a mio parere, le esperienze si dovrebbero ripetere su larga scala. Mi dispenso di accennare la bibliografia sull’ argomento, con- secutiva ai miei esperimenti, perchè di data così recente che cer- tamente è nota.a tutti. Tentativi di cura della scrofola colle iniezioni di sangue malarico Da molti anni mi sono occupato a fare delle ricerche stati- stiche comparative intorno alla scrofolosi nei Inoghi in cui infe- (1) Grassi e Feletti 1. c. pag. 76. 10 Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria. risce la malaria e in quelli sani delle due provincie di Messina e di Catania, e sono venuto nel convincimento che la scrofolosi alligni ben poco nei luoghi palustri, come del resto era stato os- servato da altri. Ho potuto convincermi che nei paesi palustri i pochi indi- vidui che soffrono di scrofolosi sono per lo più refrattarii alla malaria. Ho tenuto dietro a parecchi casi di individui scerofolosi che, in seguito ad accessi malarici, migliorarono non poco. Da questi fatti comuni arguì un metodo di cura speciale contro tale malattia quando non è grave, ma limitata ad ingor- ghi ghiandolari (anche con suppurazione), ad infiammazioni cu- tanee, a cheratiti etc. Questo mio metodo di cura consiste nell’ iniettare sotto il derma del braccio di individui scrofolosi da un grammo a un grammo e mezzo di sangue fresco, tratto d’ un malarico di co- stituzione sana. Con questo metodo dopo il sesto, il decimo, od il quattor- dicesimo giorno si sviluppava la febbre malarica, ed allora per alcuni giorni i fenomeni scrofolosi rimerudivano. Le ghiandole, per esempio, s' ingorgavano vieppiù, la superficie della pelle delle ghiandole ingorgate diventava rossa, calda, dolorosa; ma dopo sei o otto accessi febbrili le manifestazioni serofolose anda- vano migliorando fino alla guarigione. lo potei con questo metodo di cura eseguire sei esperimenti. I. C. B. di anni dodici, mostrava tutti i segni d’una scro- tolosi incipiente. Gli si iniettò nel 1890 un grammo e mezzo di sangue di individuo terzanario : al quattordicesimo giorno ebbe a svilupparsi la terzana, constatata clinicamente : il reperto mi- croscopico del sangue periferico, mostrò l’ IH. viva. Nei primi accessi febbrili le ghiandole del collo s° ingorga- rono di più: diventarono rosse, calde, dolorose. Al nono accesso il quadro fenomenico della serofolosi co- minciò a scomparire fino alla guarigione. Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria Il Allora con l’ uso del chinino, dei preparati di ferro e un buon nutrimento l’ individuo guarì e dalla infezione malarica artificiale e dalla scrofolosi. Questa guarigione, sono già trascorsi sei anni, si mantiene tuttavia. II. R. C. ragazza di nove anni soffriva di cheratite scrofo- losa pronunziata, con ascessi corneali, ed aveva già perduta la vista dell'occhio sinistro allorquando si sottopose alla cura delle iniezioni del sangue malarico (quartana) (1890). Al decimo giorno comparve la febbre e la cheratite dell'occhio destro si rinerudì, però dopo la sesta febbre cominciò il miglioramento, e, perchè esso fosse duraturo, per un mese sì mantenne la febbre, che dopo sl fece tosto guarire con 1 uso del chinino e coi soliti ricosti- tuenti. Sono già trascorsi sei anni e la ragazza si è sviluppata sana, rimanendole solo le vestigia della cheratite sofferta. III e IV. R. e V. F. entrambe scrofolose guarirono con la medesima cura. La prima mostrasi tuttavia sanissima , mentre la seconda, del tutto guarita dalla malaria e dalla scrofola, è morta dopo circa quattro anni per meningite cerebro spinale. Gli altri due esperimenti ebbero un risultato negativo. Dopo questi esperimenti mi venne l'idea di prendere del sangue malarico, mescolarlo ad acqua distillata (metà sangue e metà acqua distillata) e poscia dopo averlo sbattuto per mezza ora, perciò coi parassiti malarici morti, e quindi inattivi, lo niettai su di me stesso e dopo parecchi mesi su S. P., R. P. che avevano l’abito scrofoloso (leggieri rigonfiamenti glandolari). La iniezione si fece una sola volta, usando la stessa dose di sangue che era servita per gli esperimenti precedenti , diluito come si è detto, coll’acqua distillata : la malaria non si sviluppò e tutti restarono in buona salute : soltanto scomparvero , dopo circa quindici giorni i rigonfiamenti glandolari. A questo proposito posso con sicurezza asserire che l’acqua 12 Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria distillata e la sbattitura uccidono i parassiti malarici, come ho potuto constatare nel 1890 e 91 in quaranta esperienze eseguite nella Clinica dermosifilopatica del defunto Prof. Ferrari, nelle quali in seguito alle iniezioni di sangue malarico misto come sì è detto ad acqua distillata e sbattuto per mezz’ ora. non si ebbe mai febbre. mete e Memoria XV. + Mammiferi fossili dell’antico lago del Mércure (Calabria) dei Proff. G. DE ANGELIS D'OSSAT e F. BONETTI INTRODUZIONE Nel Gennajo 1895 ebbi 1 onore di comunicare alla rispetta- bile Accademia Gioenia una notizia intorno al rinvenimento di residui fossili di Z/ephas antiquus e di materiali diatomiferi, nel territorio di Laino-Borgo (provincia di Cosenza), contrada Prato, vicino alla via provinciale. (1) Promisi in quella circostanza di presentare uno studio più dettagliato e preciso. Ora tengo tanto più volentieri la promessa in quanto la squisita gentilezza dei Dott." Pandolfi e Longo mi permette di potere aggiungere anche altri rinvenimenti di resi- dui fossili di mammiferi. Di più il prof. Bonetti, cortesemente si degna d’inserire nel mio il suo pregiato lavoro intorno alla mi- croflora. Nulla allora dissi intorno al valore cronologico degli strati che contenevano l E. antiquus; giacchè questa forma visse tanto nel Pliocene giovine, quanto nell’ antico Diluvium. Nello stesso anno il dr. Flores pubblicò il catalogo dei Mam- miferi fossili dell’Italia meridionale (2). Ivi non solo riporta il rinvenimento da me comunicato; ma aggiunge che pur altre ossa elefantine , poco però concludenti per la specificazione, sì trovano nel Gabinetto Geologico della R. Università di Napoli (pag. 31). (1) De AneeLis G. — L’ Elephas antiquus Falc. nei dintorni di Laino-Borgo (Provincia di Cosenza) Bull. Ace. Gioenia Sc. nat. fas. XXXIX, Catania 1895. (2) FLores E.—Catalogo dei Mammiferi fossili dell’Italia merid. contin:—Mem. Acc. Pon- taniana. Vol. XXV. Napoli 1895. ATTI Acc. Vor. X, SERIE 48 — Mem. XV. 1 2 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) Nello stesso lavoro è citato a Mormanno la presenza di un Cervo (pag. 21) e di un dente di Equus Stenonis, Cocchi. In base a questo rinvenimento è riportato al Pliocene il giacimento di marna con- chigliare presso Mormanno. Contemporaneamente l’ ing. Cortese (1), nella sua Descrizio- ne geologica della Calabria, riferiva i conglomerati superiori di Laino al Pliocene superiore (pag. 169), e altri materiali che presso Mormanno e Laino riempiono il fondo della depressione al Qua- ternario lacustre (pag. 193). Il De Lorenzo (2) in un suo pregiato lavoro parlò dell’ antico lago quaternario del Mércure, che comprende i depositi di Mor- manno e Laino. Dopo avere opportunamente ricordato come prima di ogni altro se ne fosse occupato il Fortis nel 1784 (3) e poi il Bruno ed il Cortese, osserva che nei sedimenti del bacino del Meércure predominano i più fini materiali argillosi e marnosi sui conglomerati. Parla quindi di una specie vicina alla Dreyssentia polymorpha trovata negli strati più profondi del bacino del Mér- cure e dell’ E. antiquus da me citato. Porge poi un elenco di diatomee, spugne, molluschi di acqua dolce, senza indicare la loro località precisa, nominandole complessivamente per tutti i laghi post-pliocenici. Laonde l elenco delle specie che io indicai per il bacino del Mércure viene solo accresciuto dalla Drezssensia, (pag. 103-106). Anche in un altro lavoro il De Lorenzo col Bose si occupa- rono della stessa località, ma quasi di passaggio (4). : Finalmente il Di Stefano in nota ad un suo lavoro riporta il suo apprezzamento cronologico intorno ai depositi di Laino, che (1) Cortese E.— Descrizione geologica della Calabria. —Mem. descrit. Cart. geol. d’ Italia Vol. IX. Roma 1895. (2) De Lorenzo G.—Studii di Geologia nell'Appennino meridionale. Mem. R. Accad. Sc. fis. mat. di Napoli. Vol. VIII, Napoli 1896. (3) Fortis G. B.—Lettere geografico-fisiche sulla Calabria e la Puglia.-- Napoli 1784. (4) Bose E. und pe Lorenzo G.—Geologische Beobachtungen in der stidlichen Basilicata und dem nordwestlichen Calabrien (Iahrb. d. K. K. geolog. Reichsanstalt, 1896. Bd. 46, Heft. 2. Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) 3 senz’ altro riferisce al Post-pliocene (1). Ecco quanto di Biblio- grafia conosco intorno alla località che fornì il materiale in istu- dio. Nella conclusione poi avremo occasione di riparlare di que- sti lavori. Il materiale, da cui furono estratte le ossa dell’ Elefante e probabilmente degli Equidi e dell’ Ippopotamo, è costituito pre- valentemente da marne con moltissimi molluschi di acqua dolce, molto mal conservati. Essi sono : Planorbis (Hippeutis Agas.) complanatus. Lin. (Helia). 1805. Draparnaud. Hist. nat. Moll. terrestr. et fluv. de la France; pag. 47, tav. II, fig. 20. Syn. PI. fontanus, Moquin-Tandon. Molti frammenti; solo due esemplari ben conservati. È forma vivente nelle acque dolci. Lo Statuti la cita come rara nei Ca- nali Pontini. Limnaea (Limnus Montfort.) truncatula, Mull. 1835. Rossméssler's Iconographie der eoropeischen Land-und Stsswas. Moll. Vol. I, pag. 100, tav. II, pag. 57 (L. minutus). Moltissimi esemplari nella roccia. Interi ne ho estratti 6 individui. È vivente in molti luoghi, senza però essere comune. Il Ponzi la trovò nei travertini tiburtini; il Clerici nel calcare argilloso di M. Verde presso Roma. Helix (Vallonia, Risso) pulchella, Mill. 1805. Draparnaud, op. cit., pag. 112, tav. VII, fig. 30, 31. 1835. Rossméissler’s. op. cit., vol. II, pag. 5, tav. XXXI, fig. 44. È frequentissima e la più facilmente isolabile. Vivente è piuttosto rara. Il Clerici la cita nel tripoli marnoso della Sedia del Diavolo presso Roma. Bithynia tentaculata, Lin. (Helix.) (1) De Srerani G.—Per la Geologia della Calabria settentrionale. — Boll. Soc. Geol. ital. Vol. XV, fas. 3 — Roma 1896 -—- pag. 8. 4 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) Syn. e rappres. sotto i nomi di Cyclostoma impurum, Drap.= Paludina impura, Rossm., = P. tentaculata, Kister = Bithynia tentaculata, Moquin-Tandon. Ho veduto molti frammenti e parecchi opercoli. È specie comunissima nei nostri materiali diatomiferi marnosi. Vive ora frequentissima nei laghi e nelle Paludi. A queste poche forme si deve aggiungere, come dicemmo , una specie molto atftine alla Dreyssentia polymorpha, trovata dal De Lorenzo negli strati inferiori del bacino del Mércure. Questi cita altresì alcune altre forme trovate nei laghi post-pliocenici, senza però precisarne la località ; esse sono : Valvata piscinalis HyQdrobia stagnalis ) ventrosa Limnaea ovata » stagnalis » palustris Dreyssentia De Stefanii, di Stefano. Anche la flora grossa è rappresentata da banchi di lignite, intercalati fra le marne. La lignite è terrosa e di non buona qualità. Non credo che la sia stata mai sfruttata, giacchè, per il piccolo numero di calorie di cui è capace, non avrebbe com- pensato certamente il lavoro di escavazione. Nell’unico esemplare che posseggo non si scorgono traccie riconoscibili di vegetali. Spesso in quelle contrade i banchi di lignite si accendono spontaneamente, dando luogo al foco agresto , come localmente è chiamato. Le marne circostanti ne rimangono cotte e lasciano colare delle scorie silicee. Probabilmente una buona parte della silice è organogenica; ma non tutta. Le marne così cotte acqui- stano il colore, la durezza, il suono e la leggerezza dei laterizi. Riuscirebbe utile il conoscere la successione dei materiali che riempiono il bacino del Mércure, ma disgraziatamente non ho dati sufficienti per poterlo fare. Interessantissima è la microflora racchiusa in queste marne; ma questa ebbe per illustratore il Bonetti, cui lascio ben volen- Mammiferi fosstli dell’ antico lago del Mercure (Calabria) D tieri la parola, dopo aver ricordato che nel residuo del lavaggio della marna, ho potuto osservare una metà di un corpicciuolo sottile, calcareo, foggiato a modo di uno sporangio di Chara; di cui presenta anco le dimensioni. MICROFLORA FOSSILE Uno studio dettagliato del materiale diatomifero che rin- viensi presso Laino-Borgo in contrada Prato, per quanto io co- nosco, non è stato fino ad ora fatto da alcuno. Nella comunicazione che il D.r G. De Angelis fece all’ Ac- cademia Gioenia (adunanza del 27 gennaio 1895), come pre- liminare alla presente memoria, si trovano citate solo sei for- me di diatomee, riconosciute in un primo esame sommario del detto materiale, e vi si annuncia nel tempo stesso che la deter- minazione completa e particolareggiata dell’importante micro- flora fossile è stata affidata a me. Infatti io ne aveva già rice- vuto l’ invito dal mio carissimo amico D.r De Angelis, e mi stava accingendo all’ opera. Inviti di tal fatta sono per me sem- pre graditissimi, ma questo lo era in modo speciale; perchè mi avvidi subito di aver a fare con un tripoli abbastanza puro, e dei più belli d’ acqua dolce che abbia veduto. Se lo possedessero i noti fabbricanti di preparati microscopici, p. e. il Moeller, il Thum, sono certo che ne caverebbero dei preparati veramente splendidi. Ho trattato il materiale, come è d’uso, prima di tutto con acido cloridrico (a freddo), per iscioglierne la parte calcarea; poi con ripetute levigazioni ho cercato di liberarlo il più possibile dal detrito siliceo grosso e fino, separando contemporaneamente le forme più pesanti da quelle più leggiere. In ultimo I’ ho trat- tato con acido solforico e clorato di potassio (a caldo), per di- struggerne la materia organica e sbiancarlo perfettamente. Fatto questo, ne ho ottenuto molte preparazioni parte al balsamo , 6 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) parte allo storace, e qualcuna anche ai monobromuro di nafta- lina, eccipiente che si presta in modo speciale allo studio delle forme minute e di ornamentazione delicata. Alcuni dei prepa- rati contengono le forme più grandi, altri quelle mezzane ed altri le più piccole. Questa separazione del materiale da studiare in forme grandi, mezzane e piccole agevola molto l’analisi e la determinazione delle specie. Le preparazioni che ho studiato so- no in numero di dieciotto: nel Museo Geologico della R. Uni- versità di Roma ho depositato alcuni dei preparati più ben riusciti. Aveva quasi terminato il mio lavoro, quando il D.r De An- gelis mi fece conoscere la bella Memoria del ch. D.r Di Lorenzo in cui si parla dei depositi diatomiferi postpliocenici della Cala- bria, fra i quali si trova il nostro. Il Di Lorenzo cita nella sua Memoria un elenco di forme di diatomee determinate dal D.r De Gasparis, senza però dire da qual deposito in particolare sono tratte. Mi faccio un dovere di riprodurre qui il detto elenco, aggiungendovi qualche sinonimia, necessaria per fare il confronto tra le forme determinate dal De Gasparis e quelle determinate da me nel materiale di contrada Prato. Giacchè, quantunque io non sappia se sì tratti dello stesso deposito , è certo in ogni caso che si tratta di depositi vicini e probabilmente della stessa natura: il confronto è sempre quindi interessante. Segno con un asterisco le forme comuni all’ elenco del De Gasparis e al mio. * Campylodiscus costatus (= C. hibernicus Ehr.) si » spiralis (= Surirella spiralis Ktz.) * Himantidium pectinale (= Eunotia pectinalis Ktz.) » Soleirolii Pleurosigma attenuatum (= Gyrosigma attenuatum Ktz.) # Gomphonema constrietum. Gymatopleura elliptica Cyclotella operculata * È » comta Diatoma vulgare » Ehrenbergii * Epithemia ventricosa (= E. gibba v. ventricosa Ktz.) Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) { * Epithemia Argus » Zebra È » Hyndmanii » turgida » saxonica » alpestris (1) Cymbella lanceolata Cocconeis pediculus a) » placentula » lineata » salina » Helvetica Achnanthes exilis Tetracyclus lacustris Melosira distans È » arenaria a » granulata Pinnularia nobilis Navicula elliptica (= Diploneis elliptica Ktz.) » radiosa Fragilaria mutabilis (= Odontidium mutabile W. Sm.) » Harrisonii Amphora aponina (2) Grunowia tabellaria * Stauroneis punctata (= N. tuscula Ehr.) * * * Ed ora ecco il mio elenco delle specie e varietà che ho potuto determinare con sufficiente sicurezza nel materiale in questione. Ordino queste specie in tribù e famiglia secondo il noto sistema (1) Se qui si tratta dell’ E. a/pestris Kiitzing, questa forma, essendo ritenuta come identica all’E. longicornis W. Smith, sarebbe comune anche al mio elenco. Se invece si tratta dell’ E. alpestris W. Smith, faccio osservare che questa specie figurata e descritta da Smith (B. D. p. 13 t. 1, f. 7) è tutt'ora d' incerta interpretazione. Secondo alcuni sarebbe identica all'E. Argus v. amphicephala Grun. (in V. Heurck Syn.), trovata anche da me; secondo altri, ai quali piuttosto mi attengo , sarebbe un' altra varietà della Argus, che nei miei preparati non avrei riscontrato. (2) Se s'intende qui l'A. aponina Ktz., è interessante il trovarla nei tripoli calabresi: perchè è stata rinvenuta la prima volta nelle sorgenti termali di Abano (donde il nome), e ritenendola identica, come fa Cleve, all’ A. coffaciformis Agardh sarebbe specie o di acque minerali calde o di acque salmastre. L'A. aponina Neupauer è forma incerta. 8 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) di H. L. Smith (1), che è il più comunemente seguito. Nella classificazione delle rafidee (naviculoidi) mi attengo all’autorevo- lissimo e recentissimo lavoro di Cleve « Synopsis of the Navi- culoid Diatoms by P. T. Cleve (2).» In questo lavoro il Cleve con saggio pensiero ha provato a mettere ordine definitivo nella nomenclatura delle rafidee , sopprimendo un'infinità di specie e varietà create con troppa leggerezza dai diversi autori ; e con molto senno ha diviso il genere Nav/cula, che conteneva fin quasi un migliaio di specie, in parecchi altri generi, come era deside- rato d'altronde e suggerito già dai migliori diatomologi. Per le pseudorafidee e quelle poche criptorafidee, che ho rinvenuto nel nostro tripoli, mi attengo se non esclusivamente, almeno princi- palmente all’ opera del De ‘Toni « Sylloge Algarum omnium hucusque cognitarum — Vol. II, Bacillarieae — (3). » CLasse Cryptogamia Sorto-CLasse Algae — Orpine Diatomaceae © Tripù I° Rhaphideae Famicnia I° Cymbelleae Gen. CymBeLLa Agardh C. Leptoceros Granow ( Cocconema leptoceros Ehrenberg ? ) — Cleve N. D. parte I°, pag. 162—Van Heurck « Synopis des Diatomées de Belgique, Anvers 1880-85» Atl. t. 2 (1) Nel periodico * The Lens — A quarterly journal ot Microscopy and the allied Natural Sciences — Vol. I, Chicago, Ian. 1872 n. 1. , (2) Estratto dai “ Kongl. Svenska Vetenskaps-Akademiens Handlingar -- Bandet 26 n. 2, B. 27 n. 3, Parte I2 Stockholm, 1894 — Parte IIa Stockholm, 1895. (3) Patavii — 1891-94. Mammiferi fossili dell'antico lago del Mercure (Calabria) 9 f. 18. [C. leptoceros (Ehr?) Kg. Rabh.]—acque dolci — ARUBI do) Qualche esemplare può riportarsi alla f. elongata in V, Heurck Syn. Suppl. t. A f. 2. C. Ehrenbergii Kitzing—C1. N. D. I*., 165—A. Schmidt Atlas der Diatomaceen Kunde, Aschersleben, 1874-97 t.9. f.9—a dolci — R. C. (Encyonema) ventricosa Ktz. (Frustulia ventricosa Ktz.)— CI. N. D. I*. 168 riunisce a questa specie 1’ Encyonema prostratum Ktz. e VE. caespitosum Ktz.— V. Heurck Syn. t. 3 f. 16 [E. ventricosum Ktz..--William Smith « A. Synopsis of the British Diatomaceae, London 1853 » t. 55 f. 346 [E. caespitosum Ktz.|.—a dolci secondo CI. 1. c., a dolci, salmastre e marine secondo De Toni «Syl- loge » p. 373. — R. C. (Encyonema) lacustris Ag. (Schizonema lacustre Ag.) -C1. N. D. I*, 167—V. Heurck Syn. t. 15 f. 40 [Schiz. lacu- stre Ag.|—a dolci e leggermente salmastre — R. C. affinis Ktz. — CI. N. D. I*, 171 —— V. Heurck Syn. t. I f. 19 — a. d. — F. C. parva W. Smith (Cocconema parvum W. Sm.) — CI. N. DU. 172 —W. Sm. B, D. t. 25 222 V. Heurék Syn t. 2 f. 14 [C. (cymbiformis var.) parva W. Sm. (Cocc. parvum W. Sm.)] — a. dolci — A. F. O. cymbiformis (Ag.?) Ktz. (Prustulia cymbiformis Ktz.) — ClaN. I, 172 — VW. Heurek Syn..t. 2, £ 11 b[O. (Cocc.) cymbiformis Ehr.] — A. Schmidt atl. t. 9 f. 79 [Cocc. cymbiforme W. Sm.] — a. dolci—R. Nelle figure citate di V. H. e di A. Schm., come anche nella; fig. di W..Sm. B. D. t..23 £. 220, non è disegnato quel punto isolato che sta dalla parte ven- (1) Le abbreviature « FF., F., AF., NR., R. » significano rispettivamente che la forma citata è « frequentissima, frequente, abbastanza frequente, non rara, rara. » ATTI Acc. Von. X, SERIE 48 — Mem. XV. DI 10 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) trale del nodulo centrale in corrispondenza della stria mediana, e che pure è caratteristico della specie; mentre lo sì vede nettissimo negli esemplari del nostro mate- riale. C. Cistula Hempr (Bacilaria Cistula Hem.) — CI. N. D. I°, 178 — A. Schm. Atl. t. 10 f. 2, 3-[Cocc. Cistula W° Sm.] — a. dolci e leggermente salmastre — F. C. aspera Ehrenberg (Cocc. asperum Ehr.=C. gastroides Ktz.)— CI. N.D. Is, 175 — V. Heurck Syn.t. 2-84, stroides Ktz.] — a. dolci — FF. Cleve (1. c.) limita la lunghezza dei frustuli di que- sta specie da pw. 150 a 4. 180; mentre nel nostro ma- teriale dominano forme da re. 200 a #. 300. Gen. AmpHora Ehr. A. ovalis Ktz. var. libyca Ehr. (A. libyca Ehr.=A.affinis Ktz.).— Cl, N. D. I°; 104 — V. Heurck Syn, i. I-42M6 affinis Kg. ovalis var. ? |]. — a. dolci e salmastre.—R. FamicLia II. — MNaviculeae. Gen. MasroGLora Thwaites M. Smithii Thw. var lacustrîis Grun. — CI. N. D. II°, 152 — V. Heurck Syn. t. 4 f. 14 [M. (Smith var. ?) lacustris Grun.] — a. dolci — N. R. Gen. SrAuRONEIS Ehr. St. phoenicenteron Ehr. var. genuina C1I.—C1. N. D. I°, 149— V. Heurck Syn. t. 4 f. 2 [St. phoenicenteron Ehr.|] — a. dolci — R. » » » var. amphilepta Ehr.— CI. N. D. I°, 149 — W., Smith B. D.t. 19 136» [iStegiacie Ehr.] — a. dolci — R. Gen. NavicuLa Bory (Cleve emend. 1895). N. radiosa Ktz-—CI1. N. D. II*, 17—V. Heurck Syn t. 7, f. 20— À, Schmz Atl. tt. 47,350; (bha dolci AdH? Mammiferi fossili dell’antico lago del Mercure (Calabria) 11 N. tuscula Ehr. (Pinnularia tuscula Ehr.)—CL. N, D. II°, 19— V. Heurek Syn. t. 10 f. 14 [N. #uscula (Ebr.) Grun.] a. dolci e leggermente salmastre—R. N. oblonga Ktz. — CI. N. D. II*, 21— V. Heurck Syn. t. 7 f. 1—W. Sm. B. D. t. 18, f. 165 [Pinnularia oblonga W. Sm.]—a. dolci o leggermente salmastre —A. F. N. placentula Ehr. (Pinnularia Ehr.)—CI. N. D. II*, 23 — V. Heurck Syn. t. 8, f. 26 [N. placentula Ehr. f. minor] — a. dolci—R. N. anglica Ralfs — CI. N. D. II*, 22 — V. Heurck Syn. t, 8, f. 29 [N. (Placentula var.?) anglica Ralfs}—W. Sm. B. D. t. 17 f. 146 [N. fumida W. Sm.].—a. dolci—R. N. «cincta ) specie che il Pomel stesso sì contenta di chiamare specie prov- visorie. Laonde ben giustamente si può accettare la denomina- zione che io adotto per togliere i motivi di quistione. Lo stato della scienza attuale ci conduce a considerare 1’ /7. 224/07, come una semplice varietà forte dell’. amplibius vivente (Zittel). Credo però più giusto ritenere l’ 7. amplibius come una razza più debole dell’ /7. major. Così si spiega come alcuni vollero denominare la specie: /. amphibius fossilis. Appunto a causa di questa riunione mi è stato possibile da- re un nome specifico al miseri avanzi che ho innanzi di me; per- chè solo avanzi di questa specie, così ampiamente intesa, furono trovati in terreni sincroni di tutta Italia. Questo rinvenimento ha certo un qualche valore paleonto- logico, dacchè nel Catalogo citato dal Flores (op. cit., pag. 21-22) sl trova citata questa specie nell’ Italia meridionale continentale a Roccasecca, ad Ortona, ad Arpino, a Serramonacesca, nella Val- le Vibrata: ed avanzi indeterminabili nella grotta delle Striare nella provincia di Lecce: tutte località non vicine alla nostra. Sul valore cronologico della specie si dirà a suo luogo. le») (®) ELEPHAS (EUELEPHAS) ANTIQUUS, Farc. Tav. Fig. 11, 12, 15, 14, 15. Nel territorio di Laino-Borgo; contrada Prato, vicino alla via provinciale, sul finire del 1894, rinvenne il dott. B. Longo, pa- recchie ossa elefantine, di che gentilmente volle farmi graditis- simo presente. Esse furono da me riferite a questa specie, senza DI Mammiferi fossili dell’antico lago del Mercure (Calabria) darne dettagliata descrizione: ciò che ora mi proverò di fare, avendomi lo stesso donatore favorito un altro pezzo del dente, che ora è riuscito quasi completo. Questo rinvenimento gentil- mente fu menzionato dal Cortese, dal Flores, dal de Lorenzo ed ultimamente dal di Stefano, nei lavori già citati. Dal lavoro del Flores (pag. 31, in nota) apprendiamo che nel Gabinetto di Geologia della R. Università di Napoli esistono della stessa località « un moncone di osso ed un frammento di difesa, che probabilmente appartengono all’ £ antiguus» Il de Lo- renzo (Appen. merid. pag. 104) parlando dell’ E antiquus, da me determinato, soggiunge: « di cul alcuni denti ed ossa si trovano anche nel nostro museo geologico » Finalmente il ch. dott. Pan- dolfi, slede gli avanzi ricordati in un sua nota (1) e cioè: un fram- © gentilmente mi comunica per lettera, che egli ancora pos- mento di ileo, pezzo di cranio e coproliti. Ecco la descrizione degli avanzi che riferisco a questa spe- cie; cioè un dente e quattro ossa frammentarie appartenenti alle estremità posteriori: FEMORE SINISTRO (fig. 11). Si ha la sola estremità superiore, in due frammenti, molto malconci, per la subita compressione. Ben conservato è il collo e la testa sferoidale del collo. Non si scorgono chiaramente nè le eminenze trocanteriche, nè le linee. Riuscirebbero, a causa della rottura, inutili le misure comparative. Per farsi un concetto della grandezza del residuo basta conoscere la lunghezza totale del frammento che è di cent. 61: mentre il diametro della testa sferoidale del collo otfre un diametro di cent. 17. (1) PaxpoLri E. Sulle ossa fossili di un elefante calabrese. Aun. Acc. aspir. nat. Napoli. Vol. VI. 1866, pag. 9. DI DI Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) FEMORE DESTRO (fig. 12). È rappresentato dall’ estremità inferiore, distale. Molto ben conservata è l’ epifisi, con 1 due condili, tanto l’ esterno che Vin- terno e la relativa depressione per la rotula. Ben visibile è la fossa poplitea. Nel lato esterno di ciascun condilo si nota un’ eminenza scabrosa o tuberosità del condilo. Distanza massima fra le due tuberosità . . . . cent. 24 » » «fra i due condili. . .. ......» 21.5 » fra la depressione della rotula ela fossa poplitea » 17 Lunghezza totale del frammento. ......,..» 44 TIBIA DESTRA (fig. 13). Molto mal conservata è la parte prossimale di questo osso. Si scorgono chiaramente i due condili (interno ed esterno) corri- spondenti esattamente a quelli del femore. Ben marcata è l' e- minenza intercondilidea. Facilmente si riconosce la tuberosità anteriore. Distanza massima fra i due condili. . . . cent. 29 Lunghezza totale del frammento... . » 33 I quattro frammenti adunque appartengono tutti alle estre- mità posteriori. Data la vicinanza in cui furono trovati gli avan- zi e tenuto il debito conto delle loro relative dimensioni, si può asseverare che probabilmente appartengono allo stesso individuo, molto adulto. Questo probabilmente portava il dente che ora de- scriveremo. Ciò chiaramente dimostra che se le ossa furono pur traspor- tate, ciò avvenne quando le ossa erano riumite dalle parti car- nose e quindi l’ elefante sempre contemporaneo al giacimento che lo conteneva. ArTI Acc. Vor. X, SERIE 48 — Mem. XV. 5 S4 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) Dente (fig. 14, 15) Il dente è stato restaurato con quattro frammenti, senza però riuscire completamente intero, mancando una piccolissima porzione della parte anteriore. Le misure complessive sono : Lunghezza massima cent. 29 Altezza » » 14 Larghezza » » 8,5 Il dente è molto curvato, ciò che dimostra essere esso man- dibolare; il senso della curva, la direzione della superficie tritu- rante, quantunque appena comparsa, ce lo fanno riconoscere per destro. Le lamine che sono riuscito a contare dalle coste late- rali son ben 19, compreso il tallone posteriore. Dalla parte po- steriore è certamente intero, mentre che nella parte anteriore dovrebbe mancare parte di una sola lamina; giacchè una lamina corta, strettissima, che mi è dato osservare, verso la parte radi- cale si deve ritenere come tallone anteriore. Laonde con moltis- sima probabilità la formola del dente è la seguente : (sistema Pohlig ed altri.) 0 ko Si; Tale elevato numero di lamine nel dente ci dimostra chiara- mente l’età adulta dell’individuo, essendo certamente il terzo molare vero M°”. Lo stesso numero delle lamelle, senz’ altro, esclude tanto VE. africanus, Lin quanto l’ E. meridionalis, Nesti, lasciandoci incerti fra VE. antiquus, VE. trogontherit e VE. primigenius. Non è punto difticile escludere quest’ ultime due forme, riflettendo alla lunghezza ed alla relativa strettezza del dente; senza tenere conto dei caratteri che si possono desumere dalla forma delle lamine, dallo sviluppo dello smalto, dall’ indice dentale, ecc. Infatti il nostro dente è molto allungato, alticoronato, an- gusticoronato, pachiganale. Sono questi caratteri diametralmente Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) 35 opposti a quelli che si attribuiscono all’ £. primigenius ed all’ E. trogonthertî, che hanno denti laticoronati ed endioganali. Nulla posso dire intorno alla forma delle lamine, essendo appena cominciata a comparire la superficie di erosione. Tuttavia nella prima lamina comincia a rilevarsi abbastanza chiaramente il carattere loxodiscodonte e la crispazione delle lamine, lo spes- sore dello smalto, ed il grande numero di digitelli che costitui- scono le lamelle. Lunghezza massima della corona (non intera) centimetri 19 Larghezza » » » 6, 8 » » della sola lamina visibile » 6 Indice dentale (Pohlig). . z . . . » 0, 10 Spessore dello smalto . : 5 A ; . >» 0, 2 È necessario però avvertire che il valore dell'indice dentale preso colle norme del Pohlig ed altri, non gode qui di gran va- lore essendo appena cominciata | erosione del dente. Dalla di- stanza però delle coste si può facilmente comprendere che siamo vicini al valore che si attribuisce alla specie. Già quando mancava della parte posteriore lo riferii a que- sta specie, ora ciò viene confermato dallo studio del dente che si può ritenere completo. CONCLUSIONE Riassumendo la fauna mammalogica studiata ed aggiun- gendovi il Cervus sp. ind. trovato a Mormanno, di cui parla il Costa O. ed il Flores, noi abbiamo : Equus Stenonis, Cocchi. » asinus, L. Hippopotamus amphibius major, Cuv. Owen. Cervus, sp. ind. Elephas antiquus, Falc. Quantunque 1’ elenco sia molto breve, tuttavia le forme che lo costituiscono, per la loro importanza, danno luogo a molte 36 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) riflessioni. Esse saranno esposte prima singolarmente e poi dal loro assieme si procurerà di trarre il miglior partito possibile , sotto il punto di vista cronologico. Naturalmente i risultati do- vranno riuscire concordi con le conclusioni dello studio della microflora e del resto della fauna. L’' Equus Stenonis, Cocchi è generalmente ritenuto come una specie esclusiva del Pliocene dell’ Inghilterra, dell’ Europa meridionale e dell’ Africa settentrionale. Nulla meno troviamo ci- tata la specie anche nel post-pliocene dal De Stefani (Les terz. tert. sup. bas. de la Mediterranée Liegé 1893, pag. 194) e nella fauna di limite fra il Pliocene ed il Post-pliocene, corrispondente alla formazione dei Pampas, dallo Zittel (Traité de Paléont. Paris 1894, pag. 763, 764). Laonde la specie non è esclusiva- mente pliocenica come sono, a detta dello stesso Zittel: 1 Elephas meridionalis, Rhinoceros etruscus, Ursus arvernensis.. Le altre forme, fra cui V #. Sfenonis, assicura lo Zittel essere state trovate nel Diluvio inferiore tipico, il quale fa parte del Pleistocene. Quantunque il Weithofer A. (Ann. des K. K. natur. Hof- Museums. Wien. 1888 vol. III.) creda che l E. asinus non sia ancora accertato nel vero Diluvium, tuttavolta tenendo conto dei lavori di Schaafhausen, Nehring, Woldrich e Brandt e Lvdekker, noi possiamo ritenere la specie anche pleistocenica nell’ Europa e nell’ India. Ciò che è confermato dall’ elenco ci- tato dello Zittel. Finalmente ricordo come il Forsyth-Major cita (loc. cit.) l Equus asinus nei dintorni di Roma in strati che il Portis riporta al Pliocene. Anche il Gastaldi (1) trovò questa forma nell’ isola di Pianosa in un terreno che il Cornevin (2) riporta al Pliocene. Quest’ ultimo riferimento però è moltissimo dubbio secondo ciò che scrive il Simonelli (3). (1) GasraLpi B. Intorno ad alcuni fossili del Piemonte e della Toscana, Torino. 1866. (2) CornevIin CH. Traité de Zootechnie generale, Paris 1891. (3) SimoneLLi V. Terreni e fossili dell’ Isola di Pianosa nel mar Tirreno, Bol. Com. Geol. ital. vol. X. 1889. 1] Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) 3 Con una rara erudizione il prof. Portis (loc. cit. pag. 344), largamente dimostra la pliocenicità dell’ ZZippop. amphibius = IH. major in Italia. Ciò egli naturalmente può fare, giacchè mentre esclude del tutto il Diluvium, include il Siciliano di Doderlein nell’ Astiano e quindi nel vero Pliocene. Altri invero, fondan- dosi specialmente sopra cinque elementi paleontologici (De Ste- fani, loc. cit. pag. 180) desunti dall'intera fauna e flora, am- mettono l’ippopotamo nel Post-pliocene , che fa parte del Qua- ternario. Laonde mentre noi possiamo trovare questa specie in- sieme alle caratteristiche del vero Pliocene, possiamo altresì rin- venirla nel Quaternario. Infatti questa specie figura ancora nello elenco di quelle diluviali e post-plioceniche dello Zittel. Questi altrove (loc. cit., pag. 347) ci avverte che fu esumato l’ ippopo- tamo nel Pliocene superiore e nel Pleistocene dell’ Algeria, del- l’ Europa meridionale e centrale e dell’ Inghilterra. L'E. antiquus ha vissuto nel più giovane Pliocene dell’Italia, dell’ Inghilterra, e della Francia, insieme all’ £. meridionalis, Ne- sti. Il suo maggiore sviluppo però lo raggiunse nel Pleistocene e nel Diluvio preglaciale ed interglaciale, insieme col /. Merkia- nus Etruriae, Hippopotamus amphibius major, Trogontherim Cuvieri, Cervus capreolus, Cervus ecuryceros var. Ruffit, Corbi- cula fluminalis. Si rinvengono gli avanzi del più grande mam- mifero terrestre finora conosciuto nei terreni di quest'epoca della Germania, della Svizzera, della Francia, dell’ Inghilterra, dell’I- talia, del sud della Spagna, del Marocco e del sud della Russia. Se nella fauna di Mammiferi, ora studiata, mancasse 1° _X. asinus, noi potremmo con saldo criterio cronologico inferire che il giacimento appartiene al Pliocene, quantunque tutte le forme si trovino anche nel Post-pliocene. E ciò specialmente a causa della presenza dell’ £. Stenonis, che quasi generalmente si ritiene caratteristico del Pliocene. Infatti lo stesso Flores appunto ne 38 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) dedusse la pliocenicità del deposito di Mormanno (loc. cit.). È necessario però avvertire che le vere specie caratteristiche del Pliocene fra 1 Mammiferi, cioè: 1 E. meridionalis, Mastodon ar- vernensis, M. Borsoni, Ursus etruscus, etc. mancano assolutamen- te. La presenza poi dell’ £. asinus stabilita sopra di un dente trovato, come si disse, dal Pandolfi, ci fa escludere il riferimento al Pliocene. Quindi, col De Lorenzo e col di Stefano, credo che il giacimento si debba ritenere coetaneo di quelli che general- mente si chiamano post-pliocenici o del diluvio antico tanto in Italia che fuori. Non è dell’ indole del presente lavoro agitare la quistione se il postpliocene, a causa della sua fauna caratteristi- ca di Mammiferi, si debba ascrivere nel Pliocene o nel Quaterna- rio. Ella è cosa di tale gravità, chè io non mi sobbarco. Certo si è che la fauna mammalogica, detta post-pliocenica, offre mag- giori riscontri con quella pliocenica, che non colla quaternaria. Al nostro apprezzamento cronologico convergono altresì le conclusioni tratte dal rimanente della fauna, dalla flora e dal com- plesso di ragioni che adduce il De Lorenzo, tratte dalla tettonica della regione. Intorno al modo di formazione dei sedimenti del bacino del Mércure sono generalmente d’ accordo tutti coloro che se ne oc- cuparono. Già nel 1895, traendo partito dall’ abbondanza delle Ciclotelle, avevo inferito trattarsi di un ampio bacino di acqua, senza decidermi intorno alla presenza della salsedine o meno. La stessa spiegazione fu data dal Cortese e dal De Lorenzo. Anzi costoro, conoscendo più bacini sincroni e di identica faczes della Calabria, poterono, con maggiore cognizione di causa, dichiarare che gli strati si erano deposti nel seno di un lago. Lo stesso corso d’acqua che aveva allagato la regione ora si apre un varco dentro le antiche sue deposizioni. Il De Lorenzo osservando saga- cemente come il bacino del Mércure sia complessivamente costi- Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) 39 tuito da materiali più sottili che non gli altri, a ragione, ne trae come conseguenza il tenue declive del corso d’ acqua, che doveva dare il maggior tributo al lago. Questo intanto era il mondo di una miriade di molluschi di acqua dolce e di un’ affollatissima popolazione di diatomee pur esse di acqua dolce. È cosa più ardua lo stabilire se il lago fu sempre d’ acqua dolce o se lo divenne dopo essere stato salmastro ; cioè se si deve considerare come lago di reliquato o meno. Il Cortese evi- dentemente crede che il lago sia stato sempre di acqua dolce :; del parere contrario è il De Lorenzo. Gli argomenti paleonto- logici che finora abbiamo raccolti ci persuadono della prima opi- nione. Infatti non v' ha niuna forma che sia salmastra esclu- sivamente; ma tutte come della flora, così della fauna, sono, se non continentali, d’acqua dolce. Il De Lorenzo, fondandosi sulla presenza di una specie atfine alla Drezissensia polymorpha del Quaternario della Prussia. della Francia settentrionale, della Crimea e dei dintorni del Mar Nero. da lui trovata negli strati più bassi del bacino del Mércure, ne inferisce che il lago dapprima salmastro, divenne posteriormente d’acqua dolce. Il Di Stefano poi, che conosce molto bene quei giacimenti mi comunica gentilmente, per lettera, che egli ha solamente rinvenuto la sua Drezssensia de Stefani, specie esclu- sivamente d’acqua dolce. Laonde egli ne deduce senz'altro l’ori- gine assolutamente d’acqua dolce. Se vi fosse anche la D. poly- morpha dovremmo ricordarci, che se noi la troviamo nelle acque salmastre, non è certamente esclusiva di queste e quindi non può assolutamente essere sufficiente da sola per far riconoscere questo giacimento come salmastro. La microflora qualora fosse vissuta in un ambiente salma- stro avrebbe senza dubbio ricettato elementi sicuri e distintivi di tale /uczes. Questi non mi è stato dato riconoscere nel cata- 40 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) logo del De Gasparis compilato con i materiali fornitigli dal solerte De Lorenzo che li raccolse nei vari bacini sincroni. Lo stesso Bonetti afferma che fra tutte le sue numerose specie tro- vate nel materiale diatomifero di Laino-borgo, non una ve ne ha che viva solamente nelle acque salmastre. Non è necessario avvertire che tanto i residui dei mammi- feri come la presenza dell’ ela, non depongono nè in favore , nè sontro una delle due opinioni. Con quanto asserisco non voglio punto disconoscere il va- lore generale delle conclusioni tratte dal De Lorenzo dalla tet- tonica della regione; che anzi esse potrebbero ancora estendersi per il nostro bacino: ma conviene però affermare che per la di- mostrazione della presenza di un lago di reliquato mancano asso- lutamente i documenti paleontologici. Laonde il nostro lago, se vuolsi, può entrare fra quelli cui accenna il De Lorenzo con queste parole : (pag. 105) « Se qualche volta sotto i sedimenti « lacustri mancano quelli marini pliocenici e 7 primi st appog- « giano direttamente sui terreni più antichi, ciò non vuol dire « che quei punti fossero emersi durante il pliocene ; perchè la « mancanza dei depositi marini di questa età può facilmente « spiegarsi con un cumulo di ragioni già enunciate , tra cui « primeggiano 1’ abrasione costiera e il lavorio di erosione e di « trasporto esercitato dalle correnti sottomarine e finalmente «“ anche la mancanza di sedimentazione. » La paleontologia finora dichiara schiettamente che il lago fu sempre d’acqua dolce. Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) 4l APPENDICE Rinvenimenti di residui fossili di Mammiferi nell’ Italia meridionale continentale Nel luglio 1894 il capitano medico, Giacomo Lucciola, donò al Museo geologico della R. Università di Roma un grosso osso fossile, trovato sul declive di una collinetta, ad un metro di profondità entro un argilla a Pignataro Interamnia (Caserta). La forma dell’ osso ci fa riconoscere, una tibia sinistra. Tav. Fig. 16. Infatti, si scorge bene il corpo superiore triangolare, la cresta, i due condili con la eminenza intercondilidea, la tuberosità anteriore della tibia ecc.. Non si osserva nè il malleolo interno, nè la incesura peronea, essendo mancante della parte distale. L'enorme grossezza dell’ avanzo fossile e la grande similitu- dine che corre con i corrispondenti ossi appartenenti ad indivi- dui proboscidiani e specialmente con quelli del gen: E/ephas, ci fa sorgere l’idea, che appunto ad un individuo di questo ge- nere esso debba essere riferito. Potrebbe nascere il dubbio del riferimento al gen. Mastodon tanto affine al gen. Elephas. Colla lettura però della descrizione di una tibia di un Mastodonte (1) si possono rilevare parecchie differenze apprezzabili. L’ incertez- za viene poi completamente sventata, quando si considerano le differenze riscontrate già dal Cuvier (2) fra le tibie dei due ge- neri citati. Accenno alle principali differenze che intercedono fra la nostra tibia e quella di un Mastodonte. Essa è proporzio- nalmente non molto grossa rispetto alla lunghezza. La cresta an- teriore superiore è piuttosto sottile ed acuta. Le facce per l’arti- colazione femorale sono piuttosto simili a quelle dei Mastodonti; ma con la faccia interna meno scavata. I margini interno ed esterno sono piuttosto acuti. Non ancora pago per le riscontrate differenze ho voluto (1) Sismonpa E. Osfeografia di un Mastodonte angustidente. Torino IS51—pag. 42. (2) CuviER. Recherches sur les ossements fossiles. Tom. II. Paris pag. 317. ArmTI Acc. Vor. X, SERIE 48 — Mem. XV. 6 42 Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure (Calabria) prendere alcune misure, sia per dar conto della enorme grandez- za dell’ osso, sia per paragonarle ad una altra tibia corrispon- dente certamente di Elefante. A tale scopo ho tolto a confronto la tibia dell’ Elephas (Euelephas) antiquus, Falc. trovata a Ri- gnano Flaminio, i cui resti furono studiati da molti fra cui : Falconer, Lartet ecc. Per dare l’idea dell’ età dell’individuo ri- cordo che nei mascellari sì vedono presenti il primo e secondo molare vero (M, M;), quest’ ultimo con tutte le lamine figuranti sulla superficie di triturazione. Pignataro interamnia Rignano flaminio Lunghezza sino alla fime della cresta esterna . . . . cm. 70 | 43 Larghezza masssima della testa superiore... . » 31 19 » alla fine della cresta esterna... » 14 9,8 Largh. ant. post. mass. del condilo interno ) Nella direzione 17 9,5 interna esterna \ i due condili s0- » » » » ” esterno ' no uguali. » 12 Queste dimensioni quantunque dimostrino la grossezza del- l'osso di Pignataro, pure sono proporzionali mirabilmente fra di loro, come si può ricavare per mezzo di proporzioni. Ciò mentre ci assicura la pertinenza del residuo al gen. Zlephas, ci dimostra altresì la grande probabilità che esso appartenga al più grosso mammifero continentale, cioè all’ £. antiguus. Ogni determinazio- ne però più che generica non riesce scevra di dubbi. Colgo questa occasione per dar notizia del rinvenimento di una intera difesa di Elefante, lunga oltre 3 m., trovata in quel d’ Arpino, nel sobborgo distrutto, entro uno strato di ghiaja. Tale notizia mi fu favorita dallo stesso scopritore tal Giuseppe Testa fu Clemente, di Arpino. Museo Geologico R. Università di Roma, 1897. SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA eccettuate le figure i, 60,8, 9, tutte le altre sono state riprese direttamente » » » Jo 2. 3. 4. 15. 16. con la fotografia Gonphonema procérum, n. sp. Fortemente ingrandita, Epithemia Argus Ehr. forma inflera, nov. Fortemente ingrandita. Cyclotella Comta Ehr. Fortemente ingrandita. Equus Stenonis. Secondo premolare, superiore, sinistro, permanente. Grandezza naturale. Equus Stenonis. Secondo premolare, superiore, sinistro, permanente. Da una serie completa 53/55 del museo geologico di Pisa. (Dalla tavola XII, fig. 3 del lavoro cit. del Baraldi). Equus caballus. Secondo premolare, superiore, sinistro. Razza da corsa, puro sangue inglese, età 9 anni. Museo zooiatrico di Pisa. Grandezza naturale (Tav. cit. fig. 4, Baraldi). Equus asinus. Primo molare, superiore, destro, permanente. Figura tolta dal dente artificialmente lisciato. Grandezza naturale. Equus asinus. Primo premolare, superiore, sinistro. (Dalla tavola cit. fig. 8, Baraldi). Questa e la seguente figura è presa dai denti artificialmente lisciati. Grandezza naturale. Equus asinus. Primo premolare, superiore , sinistro. (Tav. citata, fig. 9, Baraldi) Grandezza naturale. Hippopotamus amphibius major. Estremità del canino destro infe- riore. Grandezza naturale. . Elephas antiquus. Parte prossimale del femore sinistro, in due frammenti. Grandezza 1/6. Elephas antiquus. Parte distale del femore destro. Grandezza 1/6. Elephas antiquus. Parte prossimale della tibia destra. Grand. 1/6. Elephas antiquus. Dente mandibolare destro M* Veduto lateral- mente dalla parte interna. Grandezza 1/3, 5. Il medesimo veduto dalla parte della superficie triturante. Gran- dezza 1/3, 5. Elephas sp. Parte prossimale della tibia sinistra. Grandezza 1/6. (Pignataro Interamnia). Mammiferi fossili dell'antico lago del Méreure (Calabria). UTI TTI LL Fot. Bonetti de Angelis d'Ossat. Roma Fototipia Danesi Memoria XVI. Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie per il Dr. S. CALANDRUCCIO. Descrivo due nuove specie di T'urbellarie interessanti , che ho riscontrato molto comuni in qualunque epoca dell’anno nella sabbia della spiaggia di Torre di Faro presso Messina. Questa sabbia in cui vivono ora è coperta dall’ acqua del mare ed ora no, a seconda delle correnti, dei venti etc. In ogni caso non asciuga mal. Le mie nuove Turbellarie preferiscono la sabbia fina, ma st trovano talvolta anche nella sabbia grossa. Raccogliendole colla loro sabbia in un vaso con un po’ d’acqua di mare, si possono tenere vive per molto tempo, purchè si abbia cura di aerarle. Premetto fin d’ora che le mie due Turbellarie appartengono al gruppo dei Rhabdocoelidea , del quale solamente io mi oc- cuperò. Dopo le monografie del Graff e della signorina russa Pe- reyaslawzewa Sophie , riesce inutile che io premetta a questo mio lavoro la storia dell'argomento , tuttavia ho creduto oppor- tuno qua e là di farne qualche cenno per i punti più essenziali. Premesse alcune notizie sui caratteri macroscopici, 0 quasi, esporrò prima l anatomia delle due forme , passerò quindi alla parte sistematica in senso stretto. E SEA Delle due forme in discorso, la prima (specie prima) è pic- cola, non oltrepassando la sua massima lunghezza un millimetro circa; è poco appiattita ; ha forma lanceolare ; ha un colore ArtI Acc. Vor. X, SerIE 4° — Mem. XVI. 1 2 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie bianco-latteo allorquando è digiuna, mentre quando ha mangiato, presenta sulla linea mediana un colorito nerastro o rossiccio sporco , dovuto alla feccia umana di cui si ciba e che si trova sempre in abbondanza alla spiaggia del Faro. La seconda forma (specie seconda), mentre ha come la pri- ma il corpo poco appiattito, se ne distingue : 1° per la lunghezza massima quasi doppia, cioè di circa sei millimetri, con una larghezza massima di poco meno di un millimetro ; 2° per la forma del faringe ; 3° per certe macchie gialle sparse qua e là per il corpo, specialmente alla parte caudale; queste macchie sono visibili con una semplice lente. Sì luna che l’altra specie nuotano e strisciano bene. l'ecnica Mi sono servito delle osservazioni a fresco in acqua di mare, aggiungendovi delle goccie di cloroformio per far star ferme le bestioline. Buoni servigi mi ha reso l’ aggiungervi qualche gocciolina di acido acetico, acido osmico etc. Ho fatto dilacerazioni a fresco, o coll’alcool al terzo, o colla miscela di acqua di mare, acido osmico ed acido acetico etc. Per le sezioni ho dovuto fare molti tentativi, perchè le be- stioline si contorcevano su sè medesime e morivano sformate. Il miglior modo è quello di porle sopra un vetro porta oggetti , coprirle con acqua di mare e cautamente passare il vetro alla lampada, finchè siano morte, ciò che avviene in pochi secondi. L'operazione è molto delicata, perchè se si scalda troppo, i tes- suti si alterano, come pure se si scalda troppo poco. Il giusto mezzo ce lo insegna la pratica. Quando si è tenuto questo giu- sto mezzo, i tessuti restano in bonissime condizioni per gli studi Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie 3 anatomici ordinari. Certamente se si volessero fare degli studi citologici, occorrerebbero altri metodi. Appena l animale è morto , si trasporta in una soluzione alcoolica di sublimato corrosivo (1’ alcool deve essere di gradi cinquanta e il sublimato corrosivo cinque grammi per cento). In questa soluzione si fa stare non più di cinque ore e dopo viene trasportato in alcool a gradi settanta, ove sì aggiungono alcune goccie di jodio. Dopo un giorno si passano in alcool a gradi novanta, dove sì conservano bene. Per la colorazione 1 migliori servigi mi resero l’ematossilina di Delafield, il picrocarminio e sopratutto la doppia colorazione col carminio boracico alcoolico, unito ad una soluzione acquosa di bleu di Lione, nella proporzione di uno a dieci (dieci di car- minio e uno di bleu). Coi ben noti metodi ho messo i miei animaletti in paraf- fina e li ho sezionati col microtomo. Anatomia INTEGUMENTI Gli integumenti delle Turbellarie restarono quasi del tutto sconosciuti fino al 1851. In quest'anno Max Schultze intravide la struttura cellulare dell’epitelio dermico delle Turbellarie. Questa struttura negli anni successivi fu oggetto di molte controversie, finchè venne riconosciuta definitivamente per opera di Schnei- der, Paradi, Hallez, Iensen, Iehring e sopratutto per opera di Graff, i cui studi vennero confermati dalla signorina russa. Le mie due Turbellarie, esaminate vive al microscopio nella stessa acqua di mare , mostrano la superficie del corpo coperta d’uno strato d’epitelio a cellule che appaiono poco distinte alla superficie dorsale e ventrale, mentre sono invece distintissime ai lati del corpo. .Con le dilacerazioni si riesce, dopo una certa pratica , ad 4 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie ottenere dei piccoli lembi d’epitelio ciliato. Le cellule di questo epitelio sono di forma cilindrica con un protoplasma finamente granuloso ed un nucleo evidente. Ciascuna cellula ha il margine libero, dove pare un poco più slargata, guarnito di ciglia finissime che vibrano attivamente, e sono d’ una lunghezza doppia della medesima cellula. Questi piccoli lembi d’epitelio ciliato si possono avere sempre dalla fac- cia ventrale, esclusa la parte caudale, delle due mie Turbellarie, dal dorso invece si ottengono dei lembi di epitelio senza ciglia, come pure dalla parte caudale della faccia ventrale. Passiamo alle sezioni. Le sezioni trasversali dell’ estremità anteriore presentano, sia alla faccia ventrale come ai lati, un epitelio a cellule cilindriche , alte, ciliate, con un nucleo ben distinto. Solo in un ben piccolo tratto del dorso le cellule di tale epitelio sono interamente sfornite di ciglia ; in complesso sono meno alte di quelle ciliate : qua e là se ne intercala qual- cuna ancora meno alta. Sezioni simili sì ottengono fino alle fos- sette ciliari. Oltrepassate le quali, in tutto il resto del corpo l’epitelio ciliato si restringe alla sola faccia ventrale, esclusa , come ho già detto, la regione caudale, che è sprovvista di ciglia e presenta un epitelio identico a quello dorsale, già di sopra descritto. Osservando a fresco, si vedono all’ estremità anteriore del corpo numerosi ciuffetti di peli più o meno lunghi: ciuffetti più corti e più sottili, fatti di un minor numero di peli, si vedono pure ai lati del corpo e principalmente alla coda. Si tratta dei ben noti peli, frequentissimi nelle Turbellarie. La signorina russa asserisce che hanno un carattere vibra- tile; 10 ho osservato che talvolta vibrano, talvolta no, e queste condizioni di movimento, o di riposo possono succedersi irrego- larmente. Anatomia e sistematica di due specie nuove dil'urbellarie 5 Ad ogni ciuffetto corrisponde una cellula epiteliale sottile ed alta, che probabilmente sarà in rapporto con un filamento nervoso sensitivo, ma che io non ho potuto verificare, non es- sendomi mai riuscita la reazione di Golgi, nè quella del bleu di metilene. Bastoncelli Furono scoperti da Oersted nel 1844. Max Schultze li studiò con molti dettagli. Molti altri autori se ne occuparono e com- pletarono le cognizioni fornite da Max Schultze. Sono notevoli sopratutto gli studi di Graff e della signorina russa. Graff divide i bastoncelli in quattro gruppi: Nematocisti , Sagittocisti, Rabditi e Pseudorabditi. Le Nematocisti, o cellule urticanti, sono equivalenti agli organi dello stesso nome nei Ce- lenterati. Le Sagittocisti hanno invece di filo, un ago indipendente, che venendo lanciato sì stacca completamente dalla capsula. I Rabditi sono bastoncelli di un aspetto omogeneo e vitreo, sono rifrangenti e sprovveduti di fili orticanti o aghi. Gli Pseudorabditi differiscono per avere una forma meno regolare, una superficie irregolare, un contenuto poco granuloso e per la mancanza d’ ogni splendore. La signorina russa ammette le stesse categorie, ma fa una distinzione riguardo ai Rabditi fra quelli epiteliali e quelli della cavità del corpo, come aveva già ritenuto Max Schultze. Essa sostiene che da per tutto dove si trovano Rabditi, quelli dell’in- terno del corpo si distinguono da quelli dell’ epitelio per una lunghezza tale che esclude ogni possibilità di sostituzione degli uni agli altri nel senso di Graff. I Bastoncelli, secondo l'autrice, restano al posto dove si trovano. Tutti gli autori ammettono che i bastoncelli possono essere isolati, o a pacchetti e che hanno origine dentro cellule, le quali sarebbero, secondo Graff soltanto ectodermiche , secondo la si- gnorina russa ectodermiche in parte e in parte mesodermiche. -6 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie Riguardo alia funzione varî autori attribuiscono ai baston- celli una funzione puramente difensiva. La signorina russa ri- tiene invece, che rendono un servizio molto più importante , dando al corpo resistenza nel caso di collisione con oggetti acuti e duri. Nelle mie due Turbellarie non sì trovano che Rabditi. Questi Rabditi si presentano isolati nella seconda specie. Nella prima specie alcuni sono isolati, altri a gruppo; quelli a gruppo hanno un certo ordine, cioè , sono disposti in linee longitudinali, mentre quelli isolati si trovano negli spazi lasciati dalle limee di Rabditi a gruppo. Questi Rabditi isolati o a gruppo si trovano tra le cellule epiteliali. La cellula, a cui appartengono, si constata sui tagli facilmente, perchè assume intensamente il carminio; essa, come ha descritto la signorina russa, non mostra nucleo. Nel parenchima si constatano pure dei Rabditi molto piccoli dentro cellule. In complesso io posso confermare quanto sostiene la signo- rina russa che i Rabditi del parenchima sono tutt’ altra cosa che i Rabditi dell’ epitelio dermico. vo * Gli organi velenosi mancano. Ventose In varie Turbellarie alla parte inferiore del corpo tra le cellule epiteliali sì trovano le ventose o cellule succhianti. Con l’aiuto di questi organi l’animale può fissare la sua coda a di- versi oggetti e, nel medesimo tempo che allunga l’estremità an- teriore, tasta gli oggetti circostanti. Queste ventose nel loro stato di riposo, presentano delle cellule rotonde che differiscono dalle altre per la loro maggiore dimensione, ma quando l’ animale si Pu dd Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie {| fissa, esse sporgono dalla superficie dell’ epitelio, mostrandosi in forma di corti cilindri: la parte sporgente del cilindro è dentel- lata e apparentemente questi dentelli gli servono per fissarsi. Sotto questo aspetto s'incontrano le ventose in varî generi (È Monotus, Provenetes etc). Nel genere Monotus si trovano appe- na nella regione caudale; in altri generi si trovano anche sui lati, benchè non si sia mai visto che l’animale si attacchi colle parti laterali. Questi sono 1 risultati delle ricerche di Graff e della signorina russa. Nelle mie Turbellarie l’ estremità caudale si trova rivestita di numerose cellule succhianti, come quelle precedentemente ac- cennate dagli autori; esistono meno numerose ai lati del corpo. G©uiandole Iinucose. Sono state scoperte da Schneider. Graff le descrive come cellule grandissime, aventi un grosso nucleo e un nucleolo molto spiccato. In alcune forme hanno un nucleo doppio. Veniamo alle mie Turbellarie. Le cellule mucose mancano nella seconda specie, mentre nella prima formano un singolaris- simo anello poco lontano dell’ estremità anteriore del corpo, anello che a tutta prima parrebbe distinguesse la testa dal tronco. Fenditure cefaliche (fossette ciliari) Esse si conoscono per molte Turbellarie. Stanno in rapporto col sistema nervoso (Veydovsky). Secondo Graff queste fenditure sono guarnite non solo di un rivestimento epiteliale, con lunghe ciglia, che è continuazione dello integumento del corpo, ma si trova in oltre sotto questo rivestimento epiteliale, uno strato muscolare speciale. Sotto questa muscolatura si trovano delle cellule piriformi , che hanno il carattere di ghiandole. La signorina russa non ha trovato lo strato muscolare e ri- 8 Anotomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie tiene che l’ epitelio tegumentale, ridotto ad uno strato, sia sotti- lissuno e senza struttura, benchè guarnito di quelle lunghe ciglia che hanno veduto gli autori. Sotto questo strato amorfo si trova lo strato delle cellule pi- riformi, descritte dal Graff. I rapporti delle fenditure cefaliche coi nervi non sono stati dimostrati in modo positivo. Nei miei animali si trovano le due fenditure cefaliche. In quanto alla loro struttura si distinguono i tre strati descritti dal Graff, le cui conclusioni perciò io qui confermo. Pigmento. Il corpo delle Turbellerie è spesse volte colorito di pigmento che può essere solido o liquido. Graff afferma che il pigmento appartiene soltanto al tessuto parenchimatoso. La signorina russa l’ammette legato anche alla parete intestinale, al parenchima e ai tegumenti. Nella mia prima specie manca il pigmento, mentre nella seconda si trova nei tegumenti, nel parenchima e nell’ intestino, come asserisce la signorina russa. Questo pigmento è finamente granuloso. Sistema mervoso. Venne scoperto nel 1836 da Focke. Successivamente molti autori se ne occuparono. Sopratutto sono degne di nota le ricer- che di Schultze nel 1851 e quelle recenti di Délage. Questo au- tore dimostra falsa l asserzione di Graff che gli Aceli non ab- biano sistema nervoso. Il sistema nervoso di tutte le Turbellarie consiste in due gangli cefalici-cervello-legati più o meno intimamente secondo la specie. Ognuno dei due gangli dà origine ad una grande pro- paggine nervosa (tronco laterale) che si prolunga, per tutta la lun- Ve) Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie ghezza delle pareti del corpo, verso il suo estremo caudale; in oltre i gangli danno ancora parecchie propaggini secondarie che sl portano alla periferia del corpo. Il sistema nervoso consiste sempre di una massa punteggia- ta, o di Leydig e di cellule nervose disposte alla periferia del ganglio, o all’ interno della massa ganglionare punteggiata a se- conda dei varî generi. La signorina russa per il sistema nervoso distingue le T'ur- bellarie in tre gruppi. Primo gruppo, Pseudocoela, o Acoela de- gli autori, è caratterizzato : a) Dal grado insignificante di confluenza dei gangli ce- falici ; b) Dal loro allargamento in direzione trasversale ; c) Dal loro passaggio impercettibile nei tronchi laterali : d) Dalla quantità considerevole di rami secondari che montano verso la periferia del corpo ; e) Dall’ anastomosi dei tronchi e dei rami ; f) Dalla disposizione delle cellule nervose in uno strato unicellulare circondante la massa centrale punteggiata dei gan- gli e la massa delle fibre nervose dei nervi : 9) Dalla mancanza di qualunque gangliolemma o nevri- lemma. Secondo gruppo. Rhabdocoela con due occhi, caratteriz- zato : a) Da una notevole estensione dei gangli cefalici nella di- rezione longitudinale ; b) Da una grande confluenza dei gangli stessi; c) Dalla differenziazione spiccata dei gangli stessi dai tronchi nervosi principali, ciò che mostra una più avanzata cen- tralizzazione del cervello propriamente detto; d) Dalla disposizione delle cellule nervose in modo simme- trico e in vari strati alla superficie della massa punteggiata : e) Dall’ assenza di ogni gangliolemma, o nevrilemma : f) Dalla presenza di nervi ottici ben distinti. Terzo gruppo. Turbellaria con quattro occhi, caratterizzato: ArtI Acc. Vor. X, SERIE 48 — Mem. XVI. 9 a 10 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie a) Da una confluenza completissima dei gangli cefalici , che formano un cervello quadrato ; 6) Dalla presenza d’ un gangliolemma ; c) Dalle cellule nervose presentantisi come uno strato cellulare inviluppante la massa punteggiata centrale, ma non formante però lo strato esterno e periferico che confinerebbe con il gangliolemma, perchè tra questo e le cellule sta disposto uno strato sottile di sostanza punteggiata; d) I nervi ottici non sono affatto sviluppati; e) Gli occhi sono collocati nella massa del cervello e si trovano sempre circondati da ogni parte di quest’ultima. Nelle mie due specie il sistema nervoso presenta un cervel- lo, formato da un grosso ganglio rotondeggiante , senza alcuna traccia esternamente rilevabile della divisione , nei due gangli cerebrali primitivi. Da questo ganglio sì dipartono posteriormente due robusti nervi, longitudinali ventrali. Anteriormente dallo stesso cervello si dipartono altri due nervi, che non ho potuto ulteriormente seguire. Commessure tra i nervi sia anteriore che posteriore non ne ho potuto constatare. Esistono altri nervi come dimostrano i tagli, tra cui uno impari, che si diparte dalla superficie ventrale del cervello, ma per questi nervi occorrerebbero ulteriori ricerche. Manca il gan- gliolemma ed il nevrilemma. Sulle sezioni si constata che il cervello è formato da due nodi di sostanza punteggiata da ogni lato, ravvolta da varî strati di cellule nervose : questi due nodi si sono totalmente fusi l’uno coll’ altro sul piano mediano. (1) Perciò mentre esterna- mente non c’è traccia della divisione dei due gangli cerebrali primitivi, questo viene dimostrato con sicurezza dalla or qui accennata struttura istologica. Le cellule nervose rivestono non soltanto il cervello ma an- che i nervi per lo meno in gran parte. (1) Indicato perciò da varî strati di cellule. Anatomia e sistematica di due specie nuove di T'urbellarie 11 Il sistema nervoso qui descritto rassomiglia abbastanza a quello del secondo gruppo della signorina russa. Nella prima specie si trova annessa all’ estremità posteriore del cervello una sorta di ghiandola , che deve essere ulterior- mente studiata. Otocisti L’otocisti delle Turbellarie e stata scoperta da Oersted che la ritenne un occhio. Frey e Leuckart furono i primi a riconoscerne la vera na- tura. Se ne occupò molto nel 1886 Délage. Consta di una vescicola membranosa e di un otolite ; tra luna e l’altra trovasi un liquido. Secondo Délage quest’ organo avrebbe una funzione mecca- nica e tattile e non avrebbe nulla di comune coll’ udito, ciò che però è ben lungi dal potere essere dimostrato. Nelle mie due specie esiste un’ unica otocisti grande e ro- tonda. Essa risulta : I. Da una parete membranosa che consiste in uno strato di cellule epiteliali ampie ed appiatite ; II. D’ una otolite tondeggiante nella prima specie, tondeg- giante anche nella seconda, ma fornita di due sporgenze , cioè una destra e l’ altra sinistra, a forma di uncini (alla parte an- teriore laterale). Talvolta oltre alle due sporgenze se ne vede una terza, che io sospetto esista costantemente, benchè non mi sia riuscito di constatarla in molti individui: III. Di un liquido evidente, il quale si trova tra 1 otolite e la parete della otocisti ed in scarsa quantità. Una membrana attorno alla otolite, che è stata descritta per altre specie, non venne da me constatata nelle mie due specie. L’otocisti nella prima specie riposa, sulla faccia anteriore 12 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie del cervello, senza che vi produca però alcun segno di schiac- ciamento, tanto meno di insenatura, mentre nella seconda spe- cie sì trova posta, rispetto al cervello, alquanto anteriormente. Organi tattili e occhi Forse devono considerarsi come organi tattili i ciuffetti di ciglia di cui si è parlato a proposito dei tegumenti. L'organo tattile, noto col nome di tromba, manca in am- bedue le specie. Mancano pure gli occhi. Parenchima Il parenchima delle Turbellarie è un termine stato adotta- to da Schultze, che così chiamava quella massa semiliquida che nelle Turbellarie viventi ha somiglianza col protoplasma degli infusori (questo ai tempi di Schultze veniva denominato paren- chima degli infusori). Intorno a questo parenchima esistono an- cora moltissime discussioni. Seguendo la signorina russa, abbandonerò questo termine e riferirò nei successivi paragrafi quanto si potrebbe mettere fa- cilmente a conto del parenchima , osservando semplicemente a fresco. Sistema muscolare Schultze fu il primo a studiare per bene il sistema musco- lare delle Turbellarie. Questo studio fu completato da Graff. Ri- spetto alla musculatura egli divise tutte le Turbellarie in tre gruppi : I. Quelle che hanno una musculatura esterna circolare e interna longitudinale ; II. Quelle in cui questi due strati muscolari sono separati da un terzo composto di fibre longitudinali ; Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie 15 III. Quelle infine in cui esistono soltanto due strati, ma l'esterno è longitudinale e l'interno circolare. Graff constatò delle biforcazioni frequenti delle fibre musco- lari; però non vide mai nuclei muscolari. Secondo la signorina russa, nol possiamo trovare tessuto muscolare nelle Turbellarie, formato da fibre liscie e sottili, be- nissimo differenziate e aventi perduto totalmente la loro natura cellulare; ovvero da cellule fusiformi , formanti, o no, dei veri fasci muscolari (fibrocellule). Le fibre si trovano nelle parti del corpo, manifestanti più contrattilità che elasticità , viceversa le fibrocellule nelle parti aventi maggiori elasticità. Queste fibro- cellule formano appunto il parenchima di cui si è parlato nel precedente paragrafo. Nelle mie due specie esiste una muscolatura circolare su- perficiale ed una longitudinale profonda enormemente sviluppata alla faccia ventrale. Esistono inoltre moltissime fibrocellule , Ie quali meritano uno studio ulteriore. Un rivestimento muscolare trovasi anche attorno all’ inte- stino e muscoli svariati trovansi anche in corrispondenza al pene. Celoma La signorina russa ha fatto gli studi più attendibili sullo argomento , ed è arrivata alla conclusione che in tutti i casi esiste un celoma (cavità viscerale) contenente un liquido così detto periviscerale. Anche io sono d’avviso che nelle mie due specie esista una cavità del corpo e un liquido periviscerale , e ho osservato dei fenomeni simili a quelli descritti dalla signorina russa. Alcune volte si vede un’ampia cavità viscerale, altre volte questa parrebbe sostituita da numerose e piccole cavità; ciò pro- babilmente si spiega coi complicatissimi movimenti di contra- zione che può fare l’animale. 14 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie Tubo digerente Esso si compone nelle Turbellarie di una bocca, di un fa- ringe, delle glandole salivari e dell’intestino propriamente detto. HBocca e faringe Vennero studiate da Ehrenberg, Leuckart, Max Schultze e sopratutto da Graff. Quest’ ultimo distingue un faringe sem- plice ed un faringe composto. Il faringe composto viene distinto in bulboso e tuboloso. Il faringe bulboso può essere rosolato (a forma di bolla ) , dolioliforme, o variabile. Nella prima specie il faringe è semplice (pharyna simplea), nella seconda tubuloso (pharyna plicatus). Al solito vi distinguo una musculatura circolare, una muscolatura radiale e un epitelio vibratile. In ambedue le specie la bocca trovasi posta presso a poco al punto di riunione del terzo medio e il terzo posteriore del C( po . Intestino Gravi quistioni ancora esistono intorno all’ intestino degli Aceli e qui sarebbe troppo lungo di entrarne a parlare. Nelle altre Turbellarie l'intestino è molto ben noto. Nelle mie due specie l'intestino è diritto, senza traccia al cuna di estroflessione laterale, ed è tapezzato di grandi cellule con nuclei e confini ben distinti. Glandole salivari In corrispondenza al faringe si trovano nella prima specie numerose ghiandole piriforme come sono note per molte altre Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie 15 Turbellarie. Sono ghiandole unicellulari. Si trovano anche in corrispondenza al faringe della seconda specie, ma sono in mi- nor numero. Organi di riproduzione Lo studio di questi organi è stato fatto estesamente da Graff. Tutte le Turbellarie eccetto i Macrostomidi sono ermafroditi. Negli organi genitali distinguo : 1. L'apparato maschile , il quale è formato da più parti : organo copulatore, vescicola del secreto (sperma e secreto glan- dolare), canale seminale, vasi deferenti, testicoli e diverse glan- dole accessorie ; 2. L'apparato femminile che consiste : in ovarii, ovidotti , borsa seminale, utero, vitellogeni e glandole accessorie. Le mie ricerche sugli organi genitali femminili sono imper- fette, perchè non sono riuscito ad avere degli individui che pre- sentassero tali organi maturi, o vicini a maturare: Ho riscon- trato soltanto due estesissime masse laterali congiungentisi tal- volta all'indietro nella seconda specie, formate da tanti lobi, che dovrebbero corrispondere agli ovaril. Organi speciali o parti distinte delle suddette masse che si potessero interpretare come vitellogeni, io non ho potuto trovare. Veniamo all'apparato genitale maschile. I testicoli sono pari, cioè uno destro e l’altro sinistro. Occupano circa il terzo medio del corpo dell'animale. Hanno una forma molto allungata; sono abbastanza discosti dalla linea mediana, mediali rispetto agli ovarii. I quali perciò possono dirsi laterali. Ogni testicolo consta d’una serie di vescicole (quattordici nella prima specie). Ho seguito la spermogenesi senza trovare nulla di speciale, I zoospermi sono lunghi fili, senza una testa ben distinta , quando sì esaminano a fresco. Oltre al testicoli ho distinto i due vasi deferenti che sì riu- 16 Anatomia e sistematica di due specie nuove di Turbellarie niscono nel canale seminale. Distinguo inoltre nell’apparato ge- nitale maschile una ghiandola, una vescicola del secreto (sperma, secreto glandolare) e il pene. Il pene è estroflessibile, curvo, munito di numerosi stiletti apperentemente chitinosi, aventi in generale forma di uncini. Alcuni di questi stiletti sono invece molto complicati. Vi è un altro organo, forse una ghiandola che meriterebbe uno studio speciale. Così nella prima specie. Nella seconda il pene ha una forma stranissima , quasi a forma di ombrello, rivestito di sostanza apparentemente chitinosa, Apparato acquifero Mi resta di parlare dell’ apparato acquifero , del quale la signorina russa non sì è occupata. Nelle mie due Turbellarie l'apparato acquifero è molto svi- luppato. Ho potuto vedere in tutto il corpo numerose fiamme vibratili e complicatissimi canalicoli, ma non sono mai riuscito a vederne la riunione in canali principali e lo sbocco esterno , ragione per cui sono portato a credere che manchino. Posizione sistematica delle mie due Turbellarie Le uniche forme che possono rassomigliarsi alle mie sono quelle descritte dal Repiachoff nel Zool. Anz. del 1884 pag. 717 e del 1888 pag. 141. Si tratta di una Turbellaria parassita di un crostaceo e propriamente di una Nebalia. Essa è stata tro- vata a Trieste, a Marsiglia e a Napoli. Riunisco in un prospetto i caratteri differenziali delle mie due specie e delle forme del Repiachoff, per quanto è possibile rilevarli dalla descrizione di questo autore. Anatomia e sistematica di due specie nuove di T'urbellarie 17 Specie I* di Calandruccio Specie I1® di Calandruccio Testicoli molto allungati, divisi in Testicoli molto allungati, divisi in tanti lobi. tanti lobi. Pharyna simpler. Pharyna plicatus. Piede (musculatura ventrale) svilup- Piede sviluppato. pato. Anello ghiandolare anteriore che manca in tutte le altre specie. Libera. Libera. Specie III di Trieste (anche di Napoli) Specie IV di Marsiglia Repiachotf Repiachotf Testicoli ovali compatti Testicoli ovali compatti Phraynx bulbosus dolioliformis a for- Pharynx bulbosus dolioliformis a for- ma di cilindro. ma di botte. Piede più sviluppato Traccia di un piede Parassita Parassita Un'altra forma è stata descritta da Vejdovschy nella Revue Biologique du Nord de la France Tom. IL 1889-90. Egli l' ha trovata nel fimo e l’ha nominata Microplana humicola. Appar- tiene però ai Dentrocoela. Essa pure non è ciliata alla faccia ventrale; è molto lontana dalle mie forme. Le forme da me studiate e quelle del Repiachoff sono cer- tamente imparentate, e sono dei /labdocoela. Io propongo di farne un nuovo genere da denominarsi Hypotrichina. Questo nuovo genere, che dunque appartiene alla tribù dei Rabdocoela, è caratterizzato dall’ avere ciglia soltanto alla faccia ventrale. A questo nuovo genere ascrivo quattro specie : I. Hypotrichina circinnata, dal cercine di cellule ghiandolari. II. Hypotrichina sicula, dalla regione ove è stata trovata. III. Hypotrichina tergestina, idem. IV. Hypotrichina marsiliensis, 1\dem. I caratteri distintivi risultano dal prospetto sopra riprodotto. Fig. Ia Spiegazione della tavola, 12 Hypotrichina circinnata, veduta a fresco. Oc. 3. Ob. 4. Kor. 2% Hypotrichina sicula, veduta a fresco. Oc. 3. Ob. 4. Kor. gl. cercine di cellule glandolari. 0. otocisti. GI cervello. 0' ovario. testicoli. Ig faringe. Di pene. Fig.7e 3° 42 52 63 e 7.2 Sezioni trasversali dell’ Hypotrichina sicula... 0e;3! Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Fig. Ob, 8. Kor. È: cervello. 0. otocisti. bst. bastoncelli. 8a Cervello molto ingrandito dell’Hypotrichina circinnata. gl. glandola 9a Otocisti ingrandita di MH. circinnata. 10% Otocisti ingrandita di /7. sicula. 11% Frammento di muscolo di /H. circinnata disegnato a fresco Oc. 3. Ob. 8. Kor. 12% cellule epiteliali dell’ intestino. 13% Organo genitale maschile molto ingrandito di H. circinnata. 14% una cellula epiteliale ciliata dell’ integumento, designata a fresco. Oc.3000.*8Kor:; Fig."© 152 162 e 172 tre stadi diversi di spermagenesi. | Memoria XVI. Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione, (Generalizzazione delle proiezioni di Werner, Bonne e Sanson-Flamsteed). del Prof. G. SANA. Partendo dal teorema di Guldin sul baricentro, ho già este- so a qualunque superficie di rivoluzione (1) data graficamente a mezzo della generatrice meridiana e dell'asse di rotazione, i me- todi della proiezione geografica equivalente Sanson - Flamsteed e della proiezione naturale (policentrica) dell’ Istituto geografico militare italiano. Ora, partendo da semplicissime considerazioni d’ ordine geo- metrico differenziale, mi riesce di estendere a qualunque super- ficie di rivoluzione, data graficamente, non solo i metodi della proiezione equivalente Sanson - Flamsteed, ma anche quelli delle proiezioni equivalenti geogratiche di Bonne e di Werner. Tali proiezioni equivalenti vengono così a derivarsi da un unico principio geometrico; e le chiamo rappresentazioni naturali per la semplicità, quasi intuitiva, che presentano nella costru- zione del reticolato dei meridiani e paralleli; costruzioni che pos- sono farsi (approssimate) anche quando non sì conosce l’ equa- zione della generatrice. Per rappresentare in piano una superficie di rivoluzione, conviene supporla decomposta in quadrilateri rettangolari a mez- zo di due sistemi di linee coordinate ortogonali, e cioè : i paralleli che sono sezioni circolari fatte con piani perpendicolari all’ asse ed i meridiani che sono sezioni (tutte eguali fra loro) fatte con semipiani condotti per | asse. (1) Le protezioni centrobariche. Rivista di Topografia e Catasto, vol. ZX, Torino 1897. ATTI Acc. Vor. X, SERIE 48 — Mem. XVII. 1 2 Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. Per determinare la posizione di un punto 7’ della superficie di rivoluzione (fig. 1), lo riferisco con lunghezze metriche super- ficiali al primo meridiano, Leg Z ch'è uno qualunque dei me- ridiani, ed all’ equatore, ch’ è il parallello che divide in due parti di eguale lunghezza ret- tificata ciascun meridiano. Chiamo (latitudine metrica del punto 7’ la sua distanza metrica / meridiana dall’ equatore, cioè la lunghezza rettificata dell’ arco me- ridiano £7 compreso fra il paral- lelo del punto 7° e l’ equatore. Chiamo longitudine metrica del punto 7 la lunghezza rettificata p dell'arco MY del parallelo di 7° (raggio 7), arco compreso fra il me- ridiano di 7’ ed il primo meridiano. Per ottenere esattamente la lun- ghezza metrica /, bisogna conoscere l'equazione differenziale della curva meridiana 458 ed integrarla fra i limiti £ e 7’; se poi non si conosce l'equazione differenziale, o non è facilmente integrabile, si può ricor- rere, per avere la lunghezza £7, ad un integratore meccanico, oppure se ne fa la misura con successivi archetti di compasso. Riguardo alla longitudine me- trica p, misurata sul parallelo, es- sa sì può sempre determinare aritmeticamente o graficamente, perchè si conosce la lunghezza r del raggio del parallelo, e ba- Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. 3 . . - n 90 . sta prendere una parte proporzionale di 27” nel rapporto in- VOU dicando con p° l’ angolo compreso fra il piano del meridiano di T ed il piano del primo meridiano, cioè p° è la longitudine : DI angolare del punto 7’; e st ha p = 3 quand La latitudine angolare del punto 7 è poi il complemento della colatitudine angolare €°, intendendo per colatitudine l’an- golo acuto che la normale in 7 alla curva meridiana, forma con l’asse HX di rotazione, (fig. 1). Le rappresentazioni piane naturali di una superficie di ri- voluzione, sono quelle che si ottengono riportando rettificato in vera grandezza, lungo una data retta del quadro, un meridiano qualunque, in generale il primo; e poi riportando in vera gran- dezza, lungo un sistema di circoli concentrici equidistanti, aven- ti il comune centro sul prolungamento del meridiano rettificato e tracciati per le graduazioni di questo, è corrispondenti paralleli. Tutti gli altri meridiani si ottengono per punti, riumendo con. li- nee continue le graduazioni omonime dei paralleli. Per ottenere minori deformazioni lineari ed angolari, con- viene assumere il meridiano rettificato per asse di simmetria, riportando ciascun parallelo metà a destra e metà a sinistra di esso. Le proiezioni naturali di una data superficie di rivoluzione sì distinguono tra di loro per la posizione del centro comune dei paralleli. Teorema — Le rappresentazioni naturali di una superficie di rivoluzione sono equivalenti, cioè conservano le aree. Il quadrilatero obbiettivo curvo infinitesimo rettangolare, compreso fra i due paralleli di latitudine metrica /, / + dl, e fra i due meridiani di longitudine metrica p, p + dp ( longitudine misurata sul parallelo di latitudine /), per la sua piccolezza si 4 Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. può supporre rettilineo piano, e pertanto la sua area è espressa da d$S= dp. dl. Al predetto quadrilatero obbiettivo corrisponde, nella rap- presentazione naturale, un quadrilatero obliquangolo piano cur- vilineo infinitesimo, con due lati circolari concentrici, che per la sua piccolezza può considerarsi. parallelogrammo rettilineo, la cui area è data dal prodotto della base dp per l’altezza dI, cioè dS,= dp. dl. L'eguaglianza dei due differenziali superficiali dimostra l’e- quivalenza delle rappresentazioni naturali delle superficie di ri- voluzione. Per stabilire le relazioni generali che sussistono fra le coor- dinate dei punti della superficie di rivoluzione obbiettiva e quel- le dei corrispondenti punti di una sua rappresentazione natura- le, indico con /è il raggio arbitrario 0,É della rappresentazione dell’ equatore (fig. 2), raggio arbitrario che può dirsi complesso delle rappresentazioni naturali, perchè col variare di esso si han- no tutte le possibili rappresentazioni naturali di una data super- ficie di rivoluzione. Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. | D Ad un punto qualunque 7 obbiettivo (definito sulla super- ficie di rivoluzione dalle due coordinate curvilinee metriche /, p) corrisponde nel reticolato piano naturale il punto 7, (fig. 2), le cui coordinate polari metriche del piano (prendendo per polo il comune centro 0, dei paralleli, e per origine delle direzioni dei raggi vettori il primo meridiano rettificato 0,402) sono : il raggio vettore p= 0,7), l’ascissa circolare a = M,T,. Evidentemente si ha: p= O.\Eo == M,Eo — VO = (a 90 a — M,T, uni p = ANI ZRaNA L'espressione angolare dell’ascissa « è Mentre i paralleli conservano la lunghezza obbiettiva e la forma circolare, i meridiani, ad eccezione del primo, non con- servano nè lunghezza nè forma. Considero nella fig. 2 i raggi vettori r, #-d? relativi agli estre- mi del differenziale (7.6=dm) della rappresentazione naturale del meridiano, rispondente al punto 7, di coordinate @ © P. Il differenziale dm è la rappresentazione naturale del diffe- renziale d/ del meridiano obbiettivo. Dal triangoletto infinitesimo rettangolo 7,40, si ha A ab = ali. tang a T,b. Chiamo / l’angolo 67,M, formato nella rappresentazione fra il parallelo ed il meridiano, angolo che sulla superficie obbietti- va di rivoluzione è di 90°; e chiamo è l'angolo 47,5. 6 Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. Dalla figura si ha 3= 900 — I, e quindi è rappresenta la deformazione nel punto 7, subita nel reticolato piano naturale dagli angoli retti del reticolato obbiettivo. Differenziando rispetto alla variabile indipendente /, si ha ale =xdpe=re2 dl: = fre (n= pane, ila, ea so | î Ri) È ga =2r Pl + ese). Nella fig. 1 all’ incremento +d/ corrisponde I’ incremento — dr, e st ha — dr=dl..eos' o. Il modulo di alterazione lineare lungo i paralleli, cioè il rap- porto m'' = 5” è costantemente eguale ad 1, per la relazione fon- damentale a-p delle rappresentazioni naturali. TI modulo di alterazione lineare lungo i meridiani è dm mne — tali Ora, dalla fig. 2 sì ha: CH T,b cos Db) dl = dm. cosè, e quindi mii==SCe0l0: Senza conoscere l'equazione della generatrice meridiana A, ho determinato, per la rappresentazione naturale (4?) : il modulo lineare 7 dei meridiani; il modulo lineare dei paralleli m'=1; <= il modulo superficiale / Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. “7 l'alterazione è degli angoli retti del reticolato obbiettivo: l'angolo / secondo cui nella rappresentazione si tagliano i meridiani ed i paralleli. Noti questi elementi, fondamentali per lo studio delle rap- presentazioni piane, è facile determinare il modulo m della di- rezione i cui angoli azimutali obbiettivo e subbiettivo sono w ed 2, Ricorro alle formule del $ 1 della magistrale Memoria del Fio- rini « Le proiezioni quantitative ed equivalenti della Cartogra- fia » (Roma, 1887), e ponendovi g°=1, m'==sect è, ottengo: cotg £ = cotg I + sect* d cotg w, Cos dò sen w sengQ | m = Ricorro poi alle formule del $ 8 della stessa Memoria, ed ottengo : i a) i moduli lineari principali #2,, n, (cioè i valori mas- simo e minimo dei rapporti amplificativi delle grandezze lineari elementari); b) gli azimut obbiettivo e subbiettivo 9, ® delle due dire- zioni principali, contati a partire dal parallelo, direzioni alle quali competono i moduli principali; c) l'errore 2e dell'angolo più alterato. Si ha , SANE, y/ l 2 N il Foe + AO 1 | 4 1 Dede 9 tq è + | Odia, Il tgp= tm E°, Mg TI SR UA vasi = i tq è Wi ip: 1a PSI 8 Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. Im tutti 1 punti del primo meridiano (il rettificato) non si hanno alterazioni, perchè per essi avendosi m'=1, m'=1, d=0, risulta m=1, Q=®. La scelta del valore del complesso R dà speciali caratteri alla rappresentazione naturale di una data superficie di rivolu- zione. Si voglia che in tutti i punti del parallelo di latitudine L (©) Ì ? relativo al punto obbiettivo 7, non si abbia alcuna alterazione. Basta porre kK=Lt+t, indicando con # la lunghezza della tangente 70 alla generatri- ce A4B nel punto 7 (fig. 1). Infatti il parallelo L verrà tracciato nella rappresentazione col raggio vettore p=# e per i punti di questo parallelo sì avrà lo sviluppo del cono tangente alla superficie di rivoluzione se- COI1 xd ) esso. risulta p° tgò =27x = (cosc— cosc) : 900° a re—: () I —= 90° (110 | nil met 1): e quindi in tutti i punti del parallelo £ non si ha alcuna al- terazione. Supponendo che la superficie di rivoluzione sia il globo ter- restre, e che il parallelo di alterazioni nulle sia il parallelo me- dio della carta da costruire, le formule diventano quelle del $ 11 della citata Memoria del Fiorini. Si ritrova così la. ben nota Rappresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. 9 protezione equivalente di Bonne, chiamata anche proiezione del- la Carta di Francia o del Dèpéot de la Guerre. IRE Quando la generatrice 45 taglia in un punto / (polo) Vas- se di rotazione, si può scegliere l'estremo /, della generatrice rettificata, come centro dei paralleli della carta. Così le alterazioni nulle sono nel polo stesso, ed il raggio vettore / dell'equatore è eguale alla metà della generatrice ret- tificata. Supponendo che la superficie di rivoluzione sia la sfera ter- restre, le formule diventano quelle del $ 9 (Proiezione 2*) del- la Memoria del Fiorini. Si ritrova così la proiezione equivalente di Werner. DE Facendo R= infinito, cioè supponendo il centro O, dei pa- ralleli della carta a distanza infinita, tutti i paralleli diventano seementi retti ortogonali al primo meridiano, e le solite formu- le fondamentali, introducendo nel piano le coordinate rettangolari, danno pil VA p no ERE | NERE id d — " 3600 COS ( i = A =SIIARI Supponendo che la superficie di rivoluzione sia il globo ter- restre, le formule coincidono con quelle del $ 29 della Memoria del Fiorini. Si ritrova così la proiezione sinusoidale equivalente San- son—Flamsteed. 10. appresentazioni equivalenti naturali di una superficie di rivoluzione. ove Infine è da notare che se la superficie di rivoluzione è svi- luppabile, il comune sviluppo geometrico può considerarsi come un caso particolare di rappresentazione naturale. Lo sviluppo del cilindro di rivoluzione è la proiezione na- turale (42= : (0,7 20/0, 40 Di 60 Fata 0,m 20 | 0,m40|0,m60 Tae LN QUINQUENNIO do e quelle dell'aria 1892-96 Quinquennio 1892-96 130,32 | 140,47 | 130,67 | 130,80 | 110,97 | 120,90 | 149,06 | 1 19,74 00,23 10,16 20,32 10,45 | 11,33 | 10,99 | 10,82 | 9,14 | 10,22 | 11,15] 939 | —0,25| 0,83 1,75 11,00 | 11,12 | 11,26 | 10,68 | 10,10 | 10,75 | 11,34 | 1050 | —0,40 0,25 0,84 13,22 | 12,69 | 12.41 | 12,99 | 12,45! 12,92 | 13,03 | 12,09 0,36 0,83 0,94 15,12 | 15,13 | 16,92 | 13,61 | 15,13 | 15,47 | 15,81 | 14,39 0,74. 1,08 0,94 19,71 | 18,83 | 19,33 | 17,95 | 18,91 | 19,38 | 13,88 | 18,02 0,59 1,36 0,86 23,43 | 23,34 | 23,52 | 22,47 | 24,02 | 24,19 | 23,38 | 20.68 1,34 1,51 0,70 27,48 | 27,09 | 27,74 | 26,52 | 27,46 | 27,89 | 27,19 26,34 1,12 1,59 0,85 27,40 | 28,12 | 28,12 | 27,88 | 27,65 | 25,08 | 27,78 | 25,91 1,74 2,17 1,87 27,12 | 27,23 | 26,05 | 26,02 | 25,25 | 26,05 | 26,32 | 24,20 1,05 1,85 2,12 23,78 | 22,61 | 22,24 | 21,80 | 20,66 | 22,05 | 22,42 || 20,42 0,24 1,63 2,00 18,40 | 18,27 | 18,84 | 17,75 | 16,19 | 17,30 | 18,25 | 15,81 0,38 1,49 2,44 11,59 | 12,31 | 11,97 | 11,77 | 10,40 | 11,29 | 12,18| 10,54 | —o,14 | 0,75 1,64 16,02 | 15,55 | 16,22 | 14,86 | 15,49 | 15,92 | 15,74] 14,83 0,66 1,09 0,91 26,10 | 26,18 | 26,46 | 25,62 | 26,38 | 26,72 | 26,11 | 24,98 1,40 1,74 1,13 23,10 | 22,70 | 22,38 | 21,86 | 20,70 | 21,50 | 22,33 | 24,14 0,56 1,66 2,19 19,20 | 19,19 | 19,26 | 18,53 | 18,24 | 18,93 | 19,09 | 17,624] 0,62 1,31 1,47 llo in cui figurano, perchè gli anni da noi considerati sono meteorologici. no ancora incominciate le osservazioni della temperatura del suolo. 22 La temperatura del suolo all’ Osservatorio di Catania TAVOLA IL Medie QUINQUENNIO 1892 1893 1894 1895 1896 1892-96 e i ssi fe n cslisee—| | ossa. ca M m E M m E M m E M m E M m E M m E Temperature estreme del suolo a 0,» 20 di profondità Pe de Pa gr ne Dicembre. . . . 120,9 S0.4| 40,5 |150,1| 70,3 | 79,8 [140,2] 90,3 | 40,9|140,1| 99,6 | 40,5 |140,1| 80,7 | 59,4 Gennaio . . . - {11,61 92| 24{10,71 6,3) 44[10,9) 7,6] 330107] 72) 35[104| 70| 34|10,9| 75) 34 Febbraio . . . . [13,7| 9,6) 4,1|12,8| 6,9) 59[105| 80| 25[11,7| 7,4) 43|122| 82] 4,0/12,2| 80| 4,2 Marzo rà 15,8|11,6) 42/144]|102| 42f140/11,0| 3,0[15,7! 9,1] 6,6/13,4/10,8| 2,6|147|10,5| 4,2 Aprile . . ..- 17,8/13,5|] 43|192/130| 6,2[17,9/12,2] 5,7]18,7|15,7| 3,0[15,5|114| 41|178|13,1| 4,7 Maggio. . . . . 93,2|165| 6,7[22,3|184| 3,9|21,7|15,6| 6,1/216|170) 4,6[19,5|149) 46|21,7|165) 5,2 Giugno. . . . + 26,6 | 23,4 3,2] 26,6 |22,3| 4,3]25,8|21,5) 4,3/26,0/212) 4,8|25,4|20,2| 5,2/26,1|21,7 4,4 Ioelortetee 29,0|25,7| 3,3] 29,2/26,9) 2,3|28,0|25,7| 2,8|28,8/25,1| 3,7 28,4|25.0] 3,4/(28,8 25.7) 351 Aposto n° 30,1|24,1| 6,0[27,9|26,2| 1,7|28,0|26,6| 1,4[28,9|26,1| 2,3|29,1|245| 4,6|28,8|25,5| 3,2 Settembre . . . | 27,1|21,6| 5.5|278|249| 29|274|241| 3,3|268|218| 5,0] 26,3/218| 45|27,1|228| 43 Ottobre. . . .. 24,0|18,0|] 6,0|25,2|18,2| 7,0|23,3|18,7| 4,6|/22,9/15,5) 7,4f22,5|17,9| 4,6|23,6|17,6| 6,0 | | Novembre . . . |19,7|11,3|] 8,4{19,9|12,4| 75|20,3/143| 6,0|194 15,0| 4,4|19,7 12,2] 7,5|]198|13,0| 6,8 Inverno. . . . 19,0) 63) 6,6|/151) 78| 78142) 72) vol] vol 740 eee Primavera . .|23,2|13,5| 9,7f223/10,2|12,1|21,7|110|107]21,6| 9,1[12,5|19,5|10,8| 8,7121,6|10,9|10,7 state. . . .. 30,1|23,4| 6,7|292|22,3| 6,9|28,5|215| 70|28,9|212]) 7,7|28,4|20,2) 8,2|290|217| 78 Autunno . . . |27,1|11,3|15,8]27,8|124]|15,4|27,4|143]|13,1]26,8|15,0|11,8|26,3|12,2|14,1|27,0|13,0|14,0 Anno... .. 30,11 92|20,9|292| 6,3|22,9]28,5| 7,3|21,2]28,9| 72|21,71291| 7,0|22,1]291] 7,4|21,8 - Abbreviazioni: M Massimo, m minimo, E escursione. nel quinquennio 1892-96. Do TAVOLA lIli° Temperature estreme del suolo a 0, 40 di profondità Medie - na _ _ . QUINQUENNIO 1892 1898 1894 1895 1866 1892-96 M m E M m E M m E M m 10) M m E M n K Dicembre . . . 130,0|100,3| 20,7 [150,4/100,1| 50,3 [15°,2/100, 4| 40,8 {15°,3/11°,2| 40,1 [14° 7|10°,5| 40,2 Gennaio . . . . [120,0|/100,7] 10,3] 12,0] 8,2] 3,8[11,,1| 9,6] 15|115| 8,3] 3,2[108) 86] 22/115| 91) 2,4 Febbraio... .|13,5|10,8| 2,7|12,7| 8,9| 3,8|118| 90| 28|120| 8,8| 3,2[11,8| 9,2| 2,6|124| 91| 30 Marzo . |... 15,3|125| 2,8[144|11,8| 2,6|140|112| 28|15,5|105| 5,0[140|114| 2,6[146|115| 3,1 Aprile . . ... 176/140) 3,6|190/13,8] 5,7|17,8|12,5] 5,3/188|15,7] 3,1/15,8|124| 3,4/178|13,6] 42 Maggio. . ... 99,8117,3] 5,5|22,1|193| 28[221|16,1| 60|21,9|18,2| 8,7]19,9|155| 44[198|17,3| 2,5 Giugno. . . .. 26,6|23,1| 3,5[265|224| 41|261|22,1| 40|26,8|21,9| 49|2:,7|20,3| 5,4/26,9|219| 50 Luglio... .. 28,9|26,1| 2,8|29,1|26,7| 2,4/290|26,1| 2,9|291|264| 2,7|28,6|25,7| 2,9[28,8|262| 2,7 Agosto... .. 297|25,1| 4,6/285|270| 15|28,9/277| 12/293|27,3| 2,0[293|25,9] 3,4/291|26,6| 25 Settembre . . . |27,5|23,3| 42|28,0|26,1| 1,9|28,1|25,3| 28[27,7|23,6| 4,1/26,9|23,7| 3,2/27,6|244| 3,2 Ottobre . .. .|24,4|19,2| 5,2|25,9|20,1| 5,8[249|205| 44|23,9|17,5| 6,4|23,3|193| 40|245|193| 5,2 Novembre . . . |20,1]13,£4| 6,7]20,8|14,3| 6,5]21,2|153| 5,9]20,3|15,7) 4,6|20,1|13,0| 7,1|20,5|14,3| 6,2 Inverno. . .. 13,0] 8,2) 48/154) 90| 64|152| 8,8] 6,9[15,3| S,6| 6,7/147| 85) 6,2 Primavera. . . | 22,8 | 12,5 | 10,31 22,1|11,8|10,3|22,1|11,1|11,0{21,9|10,5|11,4[19,9|11,4| 8,5|21,7|11,5|10,3 Estate. . ... 29 Autunno . . . |27,5|13,4|14,1[28,0|14,3|13,7|28,1|15,3|12,8/27,7|15,7|12,0|26,9|13,0|13,9|27,6|14,3|13,3 Anno. ...|29,7|107]|190]|29,11 821209290] 9,0120,0]29,8 8,3]21,0|29,3| 8,6]20,7]29,3] 9,020, 24 La temperatura del suolo all’Osservatorio di Catania TAVOLA IV. Dicembre. . . . Gennaio . . . è» Febbraio . . . . Marzo Aprile Maggio. . . . . (tiugno Birds e Bot Agosto Settembre . . . Novembre . . . Inverno . .. . Primavera . . Estate. . 4 Autunno . . . Anno Temperature estreme del suolo a 0, 60 di profondità 18920 1893 1894 1895 1896 Calpe pae ia n sega age, (des M m E M m E M m 19) M m ID) M m E 140,6/110,7| 20,9 [150,9|120,1| 30,8 [160,1|110,4| 49,7 [160,6|120,4| 40,2 12°,6|11°,6| 10,0/12,8| 9,6 | 32|129|104| 2,0|11,7|95|22|120|99|21 136/11,6| 20 |125| 99|26|122|98|24|122/99|23|118|99|19 14,9 |13,0! 1,9 [141/125] 16 |[138/111) 2,7 [147/114] 8,3{15,6|11,6| 40 16,9|144| 2,5 |17,713,6|4,1|174|129] 45 [183/150] 33|15,4|12,8| 26 21,4|17,2| 42 [214/181] 38 |21,8|169| 4,4 [218 184/29 [104/154 40 25,6|21,8| 3,8 [25,4|21,6| 3,8 |253|214] 3,9 [246/215] 3,1 |24,7|195| 52 28.0|25,7| 2,3 [28,3 [257] 2,6 [284/254] 3,0 |28,6|25,7]20|28,4|249| 35 28,7 (25,6 | 3,1 23,0126,9| 1,1 [286/277] 0,9 |287|274| 13 |284|265|19 74241 33 lo7r.6|264| 12 [27,9|25.8| 21 |275|234| 41|267|244| 28 244|20,0| 44 |261|21,1|5,0|25,5|21,6| 3,9 [24,1|19,3] 48 |23,9|20,1] 3,8 20,3|148| 5,5 |211|15,6| 5,5 |21,7|16,2| 5,5 [20,6|169] 3,7 [203|140| 6,8 146) 9,6) 5,0]15,9) 98 | 61|16,1| 95] 6,6 [166] 9,9 6,7 214|130| 84 [214|125] 89 [213|11,1|10,2|21,3|114| 9,9 [19,4|11,6| 7,8 287|218| 6,9 |283|21,6| 6,7 [28,6|214| 72 [28,7|215|] 7.2 [284/195] 8,9 274|148|12,6|27,6|15,6|120|27,9|16,2|11,7]27,5|16,9|10,6|26,7|14,0|12,7 287 |11.6|171|283| 9,6|18,7]28,6]| 9811881287] 95|192/284| 9,9|18,5 Medie QUINQUENNIO 1892-96 M | m| E 150,8|110,9|39,9 12,4|10,3| 2,1 12,4|10,2| 2;2 146|11,9| 2,7 17,1|13,7|3,4 20,9 | 17,2| 3,7 25,1|21,1| 4,0 28,3 25.5) 2,6 28,5 |26,8| 1,7 27,4|24,8| 2,6 24,8|204| 4,4 20,8 | 15,4| 5,4 15,8| 9,7| 61 20,9 | 11,9] 9,0 285|21,1| 7,4 AR AS) ILILO) 28,6 | 10,1|18,5 nel quinquennio 1892-96. 25 TAVOLA V. Temperature estreme annue Massima dell’ aria Minima Massima del suolo a Om 20 I Minima / 5 \ Massima del suolo | a om ci Minima | Massima del suolo \ a om, "| Minima 1899 18983 1894, DIO, 390, 0 360, 3 2 Agosto |25 Settem. |7 Settembre 1,8 0,0 0, 1 20 Dic. 91 | 23 Gennaio | 30 Dic. 93 30, 1 2 Agosto 9,2 , 30 Gennaio 29, 3 Agosto 10, 7 S1 Gennaio 28, 7 4 Agosto 11, 6 lo Febbraio 24 Luglio 6, 3 25 Gennaio 29, 1 25 Luglio 8,2 26 Gennaio 28, 3 26 Luglio 9, 6 27 Gennaio 29, 0 29 Luglio 9,0 21 Febbraio 28, 6 3 Agosto 9, 8 22 Febbraio ESCURSIONE MEDIA 1895 1896 | 00 quinquennio 1892-96 980,9 41°. 1 5 Luglio — 1,8 19 Febbraio 28, 9 2 Agosto (82. 6 Gennaio 998 3 Agosto 8,3 6 Gennaio 28, 7 5 Agosto - 9,5 6 Gennaio 11 Agosto 0, 9 8 Gennaio DOM 13 Agosto TOO 9 Gennaio 29,3 13 Agosto D pla 10 Gennaio pi 28, 4 15 Agosto 9,9 25 Gennaio 380, 6 [9] SS QD 18, 5 INDICE MEMORIA Prof. G. B. Ughetti — Sulla tubercolosi in Catania (con una tavola) Dr. S. Calandruccio — Sul ramo laterale del trigemino mei Mu- renoîdi (con una tavola), Dr. 0. Modica — Azione crynica del selenio Detto — Azione del selenio sul ricambio materiale Prof. A. Riccò — Grande Sismometrografo dell’ Osservatorio di Ca- tania (con una figura intercalataà) 2/0. C. Guzzanti —- Avvisatore sismico a pendolo elastico (con due figure Mmiercalate RR Prof. G. Bruno-Spampinato — Ricerche petrografiche e geologiche sul capo Tindari e dintorni di Patti Prof. G. B. Ughetti — Sull'uremia febbrile. . ...... Dr. 0. Modica — Sull'azione acuta del selenio Prof. A. Capparelli — /icerche sulla ipertermia artificiale negli animali (con 10 figure intercalate), Prof. E. Di Mattei — Stud? sulla rabbia — Nota I. La Rabbia spe- rimentale nel Lupo Proîf. G. P. Grimaldi e G. Platania — Su//e capacità di polavizza- ‘zione delle foglie metalliche sottilissime (con due tavole) Prof. Ant. Curci — Sul! azione biologica del joduro di feniletilpi- razolammonio Dr. S. Calandruccio — Brevi contribuzioni allo studio sperimentale della malaria Proff. G. De Angelis d’ Ossat e F. Bonetti — Mammiferi fossili dell’ antico lago del Mercure ( Calabria ) (con una tavola) Dr. S. Calandruccio — Anatomia e sistematica di due specie di Turbellarie (con una tavola) . Prof. G. Saija — appresentazioni equivalenti naturali di una su- perficie dì rivoluzione (Generalizzazione delle projezioni di ] XVI Werner, Bonne e Sanson-Flamsteed) (con 2 figure intercalate) , . XVII Dr. E. Tringali — La temperatura del suolo all’ Osservatorio di Catania nel quinquennio 1892-96. ......+ +. XVIII ATTI DELLA a | accapputa cioenL IN CATANIA ANNO LXXIV (ST.B9.7 sere A RCD A VOLUME x. CATANIA COI:TIPI DI GG. GALATOLA 1897. ii MUELTAM LAUO a MITA 3 9088 01315 6880