0) la serie (1) converge in fine’ in egual grado in tutti
i punti di un intervallo finito qualsivoglia. (*)
2. Il risultato, che abbiamo richiamato nel $ precedente ci servirà di base per la ri-
cerca dei criteri di convergenza, ai quali in principio abbiamo accennato, relativi alle serie
di funzioni sferiche di prima specie :
(2) Li
Questi criteri otterremo, facendo in modo che la serie (1), in cui si riguardi 2 fisso,
al decrescere di /, ammetta per limite la serie dei limiti (2). Le condizioni a tal’ uopo ne-
cessarie e sufficienti sono, per un teorema del 27727, le seguenti :
a) che la serie (2) converga,
6) che per ogni numero e, positivo, arbitrariamente piccolo, e per ogni numero,
intero, positivo, comunque grande , 777°, si possano trovare due numeri &' ed 72, dei quali
il primo diverso da zero e positivo, ed il secondo intero, maggiore di 772°, in modo che
per tutti i valori di % fra zero e &' (lo zero escluso) il resto /?,, (£) della (1), calcolato
a partire dal termine 772°, risulti numericamente minore di 9.
Ciò posto poniamo :
vantr
p y (v)
Recco) = di CIALE
veti
van+tr
Rar(x,0)= f1v (0) pi Xx),
ve)
(*) Cfr. la mia Nota: Sulla rappresentazione analitica delle funzioni reali discontinue di ‘variabile reale.
Rendic. della R. Acc. di Torino 1899.
Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. 3
donde :
vazn+tr (©)
Ray (x, k) —- Rn,r (x,00) = Z [C, (£) My (0) Rao
v—n
e sostituendo al posto di Cy(X#) ed fi,» (0) le loro espressioni :
*L c0 "LI
Sv = n=,
I — È i (o 1
G) Ran (3) Rar(,0)= dl CA n] Lf + = f 0] PA) de. PP 0),
i IT VEH n
eli 00 ea
come subito si vede con alcune ovvie trasformazioni.
Ammettiamo ora che per un valore di x, compreso fra — 1 e -|--1 esista una co-
stante positiva, finita M, di cui sia sempre minore, in valore assoluto, la somma :
DINT
(
, (4) )
CIRIE NPA)
Ala |
qualunque siano 72 ed % variabile nell’ intervallo ( —2, -+2).
In tale ipotesi si può evidentemente determinare una quantità positiva a, abbastanza
grande, perchè risulti, qualunque siano 77, 7 e # (a s'intende fisso):
iQ =- a "+.I
; I — n? a ave 3 Deo (ve, 0) Za
(4) Ru, (x, k) — Rn (00 — Î dite du LI (oz) {IP (dx P (x) (9
03 nl (È
ana! PA)!
e/
6 essendo un numero positivo, prefissato piccolo a piacere.
Ammettiamo inoltre che, per il valore considerato di x, si possa assegnare un numero
positivo, non nullo, 7°, siffatto che, quando è |X] = #°, si abbia, qualunque sia 7:
[
Ria
1 Sese Ù
> na] La + = far. Pa.
I
Si ricava allora dalla (4), per ogni £R_ < Da
(5) | Ray (x, k) — Rn (O o) | = 30
’
qualunque siano 7 ed 7. Da ciò segue facilmente che, nelle dette ipotesi, sono soddisfatte
entrambe le condizioni contemplate nel teorema del Dz77.
by
; , ed un valore 72 di 72, abbastanza gran-
Fissato infatti un valore #' di & minore di
4 Carlo Severini [MemorIA VIII.]
de, perchè sia, se 2 > 7:
| Rn,r (x, k') | = 9,
si deduce dalle (5) che deve essere:
| Rae (40) |< 40 (2/=%),
il che prova la convergenza, nel punto x considerato, della serie (2).
L’ altra condizione, contenuta nel detto teorema, è poi anch'essa manifestamente sod-
. ” . x , h' »:
disfatta, giacchè per x = #, k£ <= — risulta:
= TRO)
sa (v)
DA ON CAI (A) =="
NES
Aggiungiamo che la (2) converge uniformemente in un tratto dell’ intervallo (—1, +1)
che può concidere coll’ intervallo stesso, e ad essa tende uniformemente la (oc. E)gal
tendere a zero di 4, se le quantità M ed /' esistono per ciascun punto di quel tratto e pos-
sono determinarsi in modo, che abbiano rispettivamente un limite superiore finito ed un
limite inferiore maggiore di zero, per ogni valore assegnato di 0.
Ricordando la nota formola:
= (n41) (n) ___(n)_ (n+1)
(6) so 2v+1I (v) i ar Po LA) LL
e CPC E CRETA.
ve=0
noi arriviamo così al seguente teorema :
A. Nelle ipotesi poste in principio ($ 1) per la f (x), la serie:
ART
,
(2) 3 = Î f(x) DE dx'. P° %)
=_=
uu
è in un punto x dell’ intervallo (— 1, + 1) convergente, e rappresenta il limite, a
cui tende, al tendere a zero di k, la :
I ARE " e £
FINI =Ce= fi, (U) è \ k 5
T TE,
se, qualunque siano n ed h (|h| < 2), si ha:
(RI (n+1) _(n) (n) _(n+1)
n+1 EA Laos)
dx' |<=M (M costante),
2 aci
Î tf, (x + b)
SIDE
Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serze ecc. o)
ed esiste inoltre una quantità h, maggiore di zero, tale che, per |h| < h', risulti:
SS'=ST pet) PU PI pi!)
Dc (0) Ra CO
i wi Î [Rea] SI LE x = dx' S Di
| STI di
o essendo un numero positivo, prefissato piccolo a piacere. In un tratto dell’inter-
vallo (— 1, 4 1), che può anche essere l'intervallo stesso, per tutti i punti del
quale le quantità M ed h' esistano, e possano determinarsi in modo che abbiano
rispettivamente un limite superiore finito ed un limite inferiore maggiore di sero,
la serie (2) converge in egual grado, e ad essa tende in egual grado, al tendere
di k a sero, la F (x, K).
3. Alla medesima conclusione si arriva, se si ammette che in un punto, o in un tratto
dell’ intervallo (— 1, + 1), risulti, qualunque siano 72 ed X (|X| <= 2):
@
ai (+1) (0) _ 0) (+1)
= Î LEICA DA SC BLIORAI, dx | < My (Mi costante).
2 h s—_ x == ì
—I
Riprendendo la (3) del $ precedente, si trova infatti in questo caso:
+%
2M,k — u?
| Rn, (x, k) — Rn,r (x, 0) | = L Î |u| e du ,
Va
ir 00
che evidentemente basta al nostro scopo.
Abbiamo pertanto il teorema:
B. Nelle ipotesi poste în principio ($ 1) per la tf (x), la serie:
fo
ni E) PP) (56 pi° %
T
Pe)
(a) »
a)
è in un punto x dell'intervallo (— 1, | 1) convergente e rappresenta il limite, a
cui tende, al tendere di k a zero, la:
se, qualunque siano n ed h (|h|= 2), sî ha:
Sata (+1) (n) ___(M) (+1
nr {fh&+bh_-f) Pa _ Pa) Po) PE) 9 |< M (M costante).
2 h FIERA ="
—I
e
6 Carlo Severini [Memoria VIII.]
In un tratto dell'intervallo (— 1, + 1), che può anche coincidere coll’ inter-
vallo stesso, per tutti i punti del quale esista la quantità Mi, e st possa determi-
nare in modo che abbia un limite superiore finito, la serie (2) converge in egual.
grado, e ad essa tende in egual grado la F (x, k).
4. Il teorema A del $ 2 può, nel caso che si tratti di un punto o di un tratto interno
all intervallo (— 1, + 1), porsi sotto altra forma, che giova indicare.
Ricordiamo che, se è è una quantità positiva, diversa da zero, arbitrariamente scelta,
per tutti i punti dell’ intervallo (—1-+d, 1—ò) e per ogni 7 > 0, si può porre:
1
Di Ion Î T ] 6)
(7) (uo _ (7 Te LET E
i Px) nr sen l) a aa 2, ni Ai n |
ove è x = cos 8, ed « (72, 0) rappresenta una funzione, il cui valore assoluto, nell’intervallo
(—1--òd, 1—ò), e per ogni 7 > 0, è minore di una costante positiva, finita.
Sostituendo nel secondo membro della (6), se ne deduce:
(+1) (n) _ (0) VOI [ .
Lar: Pa) 200 de Pa) << (#41). | B (x, Dita) |
È a 2 | x--x' | .Ju(n+1)
e quindi :
(021) RSI (72) (1) ,it1) |
n+1 (x) Pa) (x) Pa) _ [bm
2 va ss x- x e)
ove f (a, x, 7) rappresenta una funzione che è in valore assoluto minore di una costante
positiva, finita per ogni 72 > 0 e per ogni a ed x' compresi nell’ intervallo (1 +,
1 — ò). Di una costante positiva, finita, si mantiene pertanto minore il secondo membro
della precedente disuguaglianza se, oltre alla condizione dianzi detta, si pone che x ed a'
soddisfino all’ altra :
IV
loi
e’ essendo una quantità positiva non nulla, arbitrariamente scelta.
Dopo ciò è chiaro che possiamo senz’ altro enunciare il seguente teorema, che facil-
mente si deduce dal teorema A.
A'. Nelle ipotesi poste in principio ($ 1) per la f (x) la serie :
CHI
S 2 0) 0)
(2) DE EI (Cc) RAS (Cc) TARRA (Co)
M=0
II
è in un punto x interno all’ intervallo (— 1, + 1) convergente, e rappresenta il
re
bi
Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. Ù
limite, a cui tende, al tendere di k a zero, la
se esistono due numeri positivi, non nulli, ed e’, fra loro indipendenti, tali che st
abbia, qualunque stano n ed h (|h|=2):
"ite x+ I (n41) _(n) più piùd 3
+1 (x) CLIO Pagin
: i NE sil Sil fi (x, D) EST, dx'| =M (M costante);
—1 ww & I-e
e di più, per ogni h minore, in valore assoluto, di una quantità positiva h', ab-
bastanza piccola
*—I+ /x+e Ci (H+1) (n
Mola set
Sta ua sia Di (xa + D) TIME] 5 Sui dx'| 0
o essendo positivo, arbitrariamente scelto.
In un tratto interno all’ intervallo (— 1,-| 1) per tutti i punti del quale le
quantità M', s, °° ed h' esistano, e possano determinarsi in modo che abbiano, la
‘prima un limite superiore finito, le altre ciascuna un limite inferiore maggiore di
sero, per ogni valore assegnato di s, la serie (2) converge in egual grado e ad
essa tende în egual grado, al tendere di k a sero, la F (x, k).
r
5. Conviene ora mettere in relazione la / (x, #) colla funzione data f (x).
È UE . x 5
Sostituendo 2 ad 7» SI puo scrivere :
f+0%0
I —- u?
fi (x + ku) e du .
2%
Se quindi G indica il limite superiore dei valori assoluti di / (x), e c è una quantità
positiva, tale da avere :
o essendo il solito numero positivo, piccolo a piacere, si otterrà a maggior ragione, qua-
lunque siano x e & (kE>0):
/® +c
I — u? D;
ER fi (x + ku) e mez bi
Jc
8 Carlo Severini [Memoria VIII.]
Si fissi ora un valore x di x nell'intervallo (—1, +1) e si chiami con D7 l' oscilla-
zione della fi (2) in quel punto.
Sarà possibile determinare un intorno (a— 2, x-+-%/ del punto x (% quantità positiva)
tale che, per ogni punto x di esso, risulti :
(0)
|A CO, (x) ISDr +7.
Se pertanto # indica un numero siffatto, che si abbia :
(ZIONE
risulterà per ogni & = &:
i
I e ile -- 5
a I CAOS a IE
a S 3
ai
ed osservando che si può scrivere :
PEIRA
Ei — u?
fai Im CANE du ,
Lal E
e quindi:
Sea
— —u 5
po) TG Tacame du Sei 5
Er si
verrà in ultimo, tutte le volte che è £ =:
LE hei Dalai
Da quanto abbiamo dianzi detto si deduce che si può, assegnati due numeri o e À po-
sitivi, piccoli a piacere e fra loro indipendenti, escludere dall’ intervallo (— 1, + 1) un
numero finito di tratti, la cui somma sia minore di À, in modo che nelle parti rimanenti,
per valori di # che non superano un determinato limite £°, opportunamente scelto, risulti :
|Fabh-fa|=s.
In particolare, se la f (x) è in un punto x continua, si ha :
mez i=9A 005
k=0
e se è continua in tutto un tratto, la £ (x, #), al tendere a zero di £, converge unifor-
memente, per tutti i punti di questo, ad f (2). In un punto, nel quale la f (x) abbia una
Sullo sviluppo di una funzione reale di due variabili reali in serie ecc. 9
discontinuità di prima specie, risulta infine :
lim F (x, 4) = f (x sO) vi (XxX —0) | (8)
=0 r
6. Da quanto abbiamo detto nei $$ precedenti si traggono alcune conseguenze im-
portanti.
Posto che in ogni punto di un tratto (x1, 2) dell'intervallo (-— 1, | 1) siano soddi-
sfatte le condizioni di uno dei teoremi A, A‘, B, (**) sotto le quali la serie :
0)
ridente
I
i)
(659) P° 4) dx'. P" ()
A xo 2VI
(2) 3
PA
converge, e rappresenta il limite al quale tende, al tendere di / a zero, la F (x, #), risulta
in tutti i punti di quel tratto :
+1
(ce)
ESM dea e) Pa) dx'. PAGES 0: 5
ME=O RITO
ove D,. indica, come sopra, l'oscillazione della f (x) nel punto a che si considera, e però
la serie (2) rappresenta in (x1, x2) la f (x), fatta al più eccezione per i punti di un in-
sieme di misura nulla; e prefissati due numeri positivi o e À, fra loro indipendenti, pic-
coli a piacere, si potranno, escludere da (1,2) dei tratti in numero finito, la cui somma
sia minore di %, in modo che nelle parti rimanenti si abbia :
| (al
(v
(v) )
TE (CCIE (0) CS DARI (0) < G.
Dai!
Dopo ciò, convenendo per brevità di dire che le condizioni di uno dei suddetti teo-
remi sono uniformemente soddisfatte nel tratto (1, 2), quando le quantità, di cui si parla
in dette condizioni, possono essere fissate in modo che valgano per tutti i punti di (1, v2),
è chiaro che siamo ora in grado di enunciare il seguente teorema :
C. Sza f (x) una funzione reale, ad un valore, della variabile reale x, limi-
tata, atta all’ integrazione nell'intervallo (— 1, + 1).
Se per un punto x di questo sono sodisfatte le condizioni di uno der teoremi
A, B, A’, la serie:
) 2V4 og i Ù ,
(2) 3 - FOR. 4) dx Pax),
(*) Cfr. la mia nota: Sulla rappresentazione delle funzioni reali di variabili reali ecc.; Rendic. del Cir,
Mat. di Palermo, T. XIX, (1900).
(**) Il tratto non può avere come estremi nessuno dei punti —1, +1 quando si tratti del teorema A”.
ATTI Acc., SeRIE V, Voc. II. Mem, VIII. 2
10 Carlo Severini [Memoria VIII.]
converge, e soddisfa alla disuguaglianza .
2 (1 N
i Gale= dii SEZ ICE a) dx. PP. x =D:
U
ove D. indica l'oscillazione della f (x) nel punto x, che si considera ; e se in que-
sto la f (x) non ha una discontinuità di 2° specie, risulta inoltre
TRFZIONI
DREI I
PONSO I
5
s (ce)
Ji Ea) so 2vt1
li
In un tratto (x1, x2), dell'intervallo (—1, -;1) per tutti i punti del quale siano
soddisfatte le condizioni di uno di quei teoremi, la serie (2) rappresenta la f (x),
fatta al più eccezione per i punti di un insieme di misura nulla ; e prefissati due
numeri o e ì positivi, piccoli a piacere, fra loro indipendenti, si può escludere da
(x1, xe), dez tratti in numero finito, la cui somma sta minore di ì, în modo che
nelle parti rimanenti si abbia
| CH I (°)
| 2 2v+41 (v)
4 CI IE) =
=
v_8
Se in particolare la f (x) è îm (x1, xe), continua, e le condizioni sopra dette
sono ivi uniformemente soddisfatte, la (2) converge alla f (x) in egual grado.
7. Vogliamo ora mostrare che la prima condizione del teorema A è uniformemente
soddisfatta per tutti i punti di un intervallo (—14-òè, 1—d), interno all'intervallo (—1,--1),
se fra — 1 e + 1 la f (x) è a variazione limitata.
In tale ipotesi possiamo scrivere :
(8) fx) (x) - è (2),
ove % (x) e $ (x) sono funzioni positive, limitate, non decrescenti fra — 1 e + 1, e
quindi per ogni % fisso (|k| <= 2):
(9) fi (a +) =, (x +4)— 4, (x +5),
ove con gi (x) e di (a) intendiamo due funzioni dedotte rispettivamente da 4 (x) e d (2°)
cOomenani (25) daM (05) A (CITRISAIO:
Posto per comodità di scrittura :
(n+1) (n) (n) (n-+1)
n+1 Pa) /Pa)- Pa Pa) }
2 L'aia = $ (x,.X, N),
(*) Cfr. la mia nota negli atti del R. Ist. Ven. citata in principio.
Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale în serie ecc. bi
si ottiene :
SCIST (+1) (n) (n) _(n41) tro alt
n+1 } P(x) Pix) — P(x)P(x) y e Po, o ì a ; ;
O) t(x°-+5) =: dx' = o, (x + S(x de - |, (a+ Db) Sx) dx.
JI JI IT1
Mostriamo che ciascuno degli integrali, che figurano nel secondo membro della prece-
dente eguaglianza, è in valore assoluto minore di una costante positiva, finita, qualunque
siano 7 ed % (|lR| <= 2) e per ogni x appartenente all’ intervallo (— 1 + d, 1 — ò),
ove è è una quantità positiva non nulla, prefissata piccola a piacere.
Basterà considerare il primo dei suddetti integrali, il medesimo ragionamento potendosi
identicamente ripetere per l'’ altro.
Posto :
cominciamo col considerare l'integrale :
_-1+òd
©, (x° +1) S(x, x, n) da.
ai ==I
Applicando il secondo teorema della media otteniamo :
— 149" i Boy Zio
(11) o, (x'4- h) S(x, x, n) dx =o,(-1+h+0) [{S(x,x,mMdx' +0, (-1+d+1—0)JS(x,x,m) dx,
I JI . DETIENÙ
ove è” è una quantità soggetta alla condizione 0 <= d” <= d', dipendente dai valori di x,
h ed n.
Anche qui, dei due integrali che figurano nel secondo membro di questa eguaglianza,
basterà che ne consideriamo uno, ad es. il primo. Sostituendo in questo, al posto di
S(x, a, n), la sua espressione ed applicando nuovamente il secondo teorema della media,
posto — 1+3=x<1— è, abbiamo:
/--1+d” | pito ai ap ATA CA
DES ,_n+1 (x) (1) ; Pix) Garto) ,
S (xa, n) dx = Î eg prode "a: Pe ded
e == i! sn
(12)
(n+1) —1-+d” (n) —-1+d”
P(2) (n) Pix) (141) |
ni IemeS)4 ves (xi = Tae 9 2s (x°) dx \ ’
A 1-13 RESI
lO Carlo Severini [Memoria VIII.]
Tenendo conto della nota formola :
(1) Di (n+1) d (1-1)
(13) Q5TE1) Pg Poe), ge Pa)
si riconosce immediatamente che ciascuno degli integrali del secondo membro della (12)
è in valore assoluto minore di ; TR Ciperogsithal:
n 1
ao 143”
; RR, | pù
S (xx, n) dx FIERE: Pa)
(A+ I TOA
PA) o SGIEIESNT t Tae
il
ed a maggior ragione :
— IL" \ |
fran 2184 e
Siccome | P$3 |, al crescere di 7, tende a zero uniformemente per tutti i valori di
x nell’ intervallo (— 1-4 è, 1 — 3), il medesimo può dirsi dell’ integrale :
do rallo
Î SERE
I
Di
ed analogamente dell’ altro :
CSTEIESL
Î SIT) Edd
—14+-9”
sicchè per la (11) si conclude che, al crescere di 72, l’ integrale :
lion
| o, (2 +h) S (x, n) da
SII
converge uniformemente a zero, per tutti i valori di X (|X|=2), e per tutti i valori di
+ nel detto intervallo.
Della medesima proprietà gode l’ integrale :
ai]
Î o, (x + b)S(x, x, n) da.
} Id
Da quanto abbiamo detto nel $ 4 appare evidente che si può assegnare una costante
Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. 9
positiva finita, di cui, qualunque siano 7. ed X (|| = 2), è minore in valore assoluto
ciascuno dei due integrali :
A
"x--p amo;
i (2° + db) S (x, u) dx; pi (a+ S(x,x%, n) da.
IA
—1+60 SIMO)
Restano i due integrali:
ho RAS
OC) EIA ESCE CE
Jan Jx
dei quali ci limiteremo a considerare il primo, lo stesso ragionamento potendosi analoga-
mente ripetere per l’ altro.
Applicando il secondo teorema della media, otteniamo :
"x "x x
(14) Py (4° + h) 5 (x, x, n) do Spi — Ah 4 »fs (x, 2°, n) dx' +, (x + 1) S(x,x,u)dx .
JV Sii Jap
ove pw è una quantità, soggetta alla condizione 0 (0 + 6)
I Vv
Sullo sviluppo di una funzione reale di variabile reale in serie ecc. 15
la prima è minore, in valore assoluto, come facilmente si vede, di una costante positiva,
(co) I ,
È . P E E 3 a cos(v+ ——) (0”+ 6)
finita per ogni 7, 9, 0"; e riguardo alla seconda si ha che la serie Di 2
7 pers | v
converge in egual grado per tutti i valori di 0 -|- ©" compresi in un intervallo interno a (0, 27),
ò
il che si verifica se x appartiene a (— 1-|-d, 1 — d), essendo p < 3°
Il medesimo ragionamento si può ripetere per la rimanente parte della (16), e resta
pertanto pienamente stabilito quanto abbiamo detto al principio di questo paragrafo, che
cioè la prima condizione del teorema A è uniformemente soddisfatta per tutti i punti
di un intervallo (— 1 + è, 1 — d), interno all’ intervallo (— 1, 4 1), se fra — le +41
la f(x) è a variazione limitata.
8. Ferma restando l’ ipotesi che la f(x) sia a variazione limitata fra — le + 1,
vogliamo mostrare che la seconda condizione del teorema A è del pari uniformemente
soddisfatta per tutti i punti di un intervallo (1, 22), se inun intervallo (xi — e, x2 4 2),
che comprende questo, ed è interno a (— 1, + 1), la f(x) è anche cuntinua.
In quanto è stato detto nel $ prec. noi possiamo intendere che la quantità è ivi con-
siderata sia minore di e, e soddisfi alla condizione :
D)
a
— 1+disai—e E to | 39) v
E So Se ea ‘RS 2 + E
pae: Prtiz; = oi es: ia)
De, Vea GEE 2° = S < e! 53;
(onice ZIO s> cs co 53) 5 50
= Dea 9) ira Cor DO 2 ce)
- RL HT ®) o) Gai (elo] Co) (3)
È Ca |» e 2 7 te)
E u°) L [a D
(e) tuDI Mur SI nm ! nm 9/o
Inventor (rale ci Aa: Lo, 5 LI, 8 0,12 | —2,7 |+0,21 |—162,5| —2,2 |-+0,06
| Primavera... .. . . . | +0,3 | +0,5 |-0,36 | —3,9 |+0,29 |+ 31,3] +3,4 [+0,06
| Estate)... 0.0... | +0,6 | +0,2 |+0,19 | —1,4 |+0,92 |— 16,0] —2,1 |+0,06
| Autunno . . . «xx 0,9 | +9,7 |—-0,16 | -+2,4 |--0,90 |+181,7| 42,3 1+0,03
|
AMIDO Me e fe Se LE ONRI +0,8 l-o0,11 — 1,4 |+0,13 [+ 34, 51 40,4 1+-0, 06
Nessun fenomeno speciale si è osservato nell’anno 1908, solo è degna di nota la grande
quantità di pioggia (156"" 4) caduta il 18 novembre; la temperatura (399,2) del 7 agosto
prodotta dal vento di porzerte caldo, nonchè l’evaporazione (14"" 05) dello stesso giorno
che è stata più di due volte e mezzo la normale.
Osservazioni meteorologiche del 1908, ecc.
Quadro N. 1 —- 18908
Ì
}
|
E | © e
Gal Medie er Cc e 9 (S)
«Frs dei massimi diurni ss ‘SII Q2 | |a»
cp di temperatura 55 Ea ce La cia
à.. |deiminimiedelleescurs.| 92 | 3 10 |E£60| ES
cel cd E e uffi) x O ua
do Voli 3 QUE a a v
E È M m È 23 | H SI Ss =
0/
o lo) lo) le) e) o mm mm /0
IDICEnaibre too 7g ii e INR AANTON 8,4 Uso 14,4 TOI 7507 7363 64,4
Gennaio 1908... . 10,9 14, 6 1383 100 13,0 16,2 | 759,6 6,71 65,5
Febbraio . . ...°. 10, 6 14, 8 6, 6 8,2 THIRTO. DS 90 Ro 6, 07 60, 3
INI NIZ ORE I2501 15,8 8,0 VS 12,8 TOO M/9507 TOS 63,9
allo ele e 14,0 18,0 9, 6 8,4 13,4 TO, 75374 TRA 59, 8
(Maggio cla i = a 201 DIR ig | LUbS 16,0 16,2 | 758,9 | 9,20 47,0
(Giuro re e 24,3 28,1 19,4 (5}.09) 18,9 TO 77,40 n2002 51,0
EL Re o n 20, 2010030, 2-0) 2008 co ario ia 1954
Agosto... ... .| 26,5) 30,3 | 21,4 89| 22,4 16,5 | 755,8 | 14,15 52,3
Settembre... .. . 2255 26,0 18, 4 MG DT) o |a 61, 3
Ottobre... .... 19,3} 22,8 Sos TS) 19, 6 16,6 | 759,4 | 11,98 68,9
Novembre... . . . .| 143 | 17,9| 10;7 Mae 6,8) ci6,4i | 790,604 037% 733
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Dicembre... 0. . 10,9 | -14,2 OE 6,5 13,7 T0N2 So 7,69 75,0
IMVEEnO AEREE IG Ise 7,4 7,8 ig TOO N79 6,71 63,4
|
Bfimavera i Ae TISno/ 19.9 IRON) 8,8 14,1 10,1 | 756,0 7.90 56,9
| Estate |... 25,6 29, 5 20, 6 9,0 20:00 aa 956,4. |b13,.15 50,9
| Autunno e E 7 222, TATO 740 Erg, VOSGI” SION TINO. I 67,8
| Anno meteorico, . . . 170 217 Ti3N6S 52 16, 8 E 9, 82 59, $
|
GLU Cn 17,07 DITRIS IR 8, I 16, $ L6;3/0/7510,3 9, 5 60, 6
A. Riccò e L.
Taffara
[Memoria IX.]
Quadro N. 2
- 190S
Dicembre 1907 .
Gennaio 1908
Febbraio
Marzo .
Aprile .
Maggio .
Giugno.
Luglio .
Agosto .
Settembre .
Ottobre.
Novembre.
Dicembre .
Inverno
Primavera .
Estate .
Autunno
Anno meteorico.
» civile .
Evaporazione
all'ombra
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2,39
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46,0% 150,2. 2ossni Mo,
45330 || S0x10 031233 o, 48
63:91 160,3 | (3/0,40) 00,45
48,6 | 220,5 | 394,4 | 0, 56
20,8 | 298,4 | 435,4 o, 68
26,7 | 280,2 | 439,9 o, 64
10,1 | 339,8 | 446,6 | 0,76
12,2 | 314,0 | 419,0 O57S
30100 (2241 | 37008 o, 60
53,3 | 180,5 | 34558 | 0,52
53,5 | 126,7 | 303,1 o, 42
55,7 | 106,8 | 296,5 0, 36
48,2 | 439,8 | 913,9) 0,48
47.4 | 679.2 |1203,2 o, 56
16,3 | 934,0 [1305,5 | 0,72
47,6! 531,3 |1019,7 O, 51
39,9 |2584,3 |4442, O, 57
41,0 |2561,1 |4442,3 o, 56
TRASPARENZA
atmosferica
Frequenza
media della
massima
26) 0, 02
2,3 o, 02
2,7 O, 17
1,3 0, OI
2,5 0, 06
2,7 0, 03
2 0, 00
2,4 0, 02
2,7 0, 0
2,9 0, 22
2500 0, 05
204] 0, 07
2,1 0, IO
2,6 O, 07
299 0, 03
2,4 0, 02
2065 ©, TI
|
Dadi | o, 06
2,4 O, 07
.
Osservazioni meteorologiche del 1908, ecc. a)
Quadro N. 3 — 190S
2 z o ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI
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NW . . 9 4 2) S 20 |
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| Tensione 19, 78 2, 49
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Velocità i 7 I
i 8 km. da W
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ì con scariche elettriche 9 6 I 34 50 e direzione 10 aprile 17° |
A. Ricco e. L. Taffara [Memorra IX.]
Quadro N. 4 - Medie 1892 — 1908
TEMPERATURA | PRESSIONE 9 | _ v 2 s
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dell’aria atmosferica di oe SE 5 È: 2
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Febbratoto 10,9 10,2 | 755,9 | 761,3 6, 61 61,7 DIGLI Sw7ot7] 49:30 MON40
| Marzo... .| 12,3 | 12,7 | 755,5 | 7609] 7,20] 65,9) 2.33 | 53,5 | 47:3| 049
Aprile. . 14,8 Ts vZAN M/i5.5 01 CON SALON OZ DTT 35,6 | 46,5 O, 47
Maggio . . . 18, 6 19,1 | 756,0 | 761,3 9, 40 56,4 NOR 22,4 38,3 O, 54
(Giunone 2258 23000 750,01 OA 11167 $2,.0 4,57 6,1 20,7 o, 60
Luglio meat: D'IOURI da | zi SOLI 5,52 4,0 12,8 o, 69
Ac oston ego: 26,1 DI 75 NS 76010070 MIDO 54,0 5,46 i L537 o, 68
Settembre. . . DET] DIANO 757 OZ IA? 59,7 4838, 56,0 3352 O, 55
(Olga. Rat 19,9 | 20, 30 07577 200 7 G2SSS ITI20OR 66, 8 2,08 90, I 49; 3 O, 47
Novembre . .| 15,3 gi 70209 9, 59 69, 8 2000) MISTO,RI 53,4 O, 42
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Dicembre. . . 11,6 Teo Mensa zoro 7, 40 7Osnl TE OZA) MAII12:0S 52,9 o, 36
Inverno . . . 10, è TZ i O. ZOO 6,83 66,1 T,91'| 256,8 50, 4 0, 42
Primavera. . . 15,2 SONS, S| 0700,9 8, 26 60, 8 200108 MIMICIS 44,0 O, 50
| n
Estate e 25,0 O 620 0 2.100 SONO CAIO) DS 18,4 o, 66
ACIDO OR 19, 6 20, 0 Î ris 0702/08 (ADE, 08 65,4 3 o Mo. 622 4533 0, 48
ADORA 7307 LOU ZO AN 717 9, 93 61,2 3,20 || 05230 39, 5 OTIS
Ì
Osservazioni meteorologiche del 1908, ecc.
Quadro N. 5 - Differenze delle medie di periodi crescenti
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n 1903 oa 0,00 |+0, 1 0,00 |+ 7.8 |—0,2 0,00
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Memoria X.
Il pleroma tubuloso, l’ endodermide midollare, la frammentazione stelare
e la schizorrizia nelle radici della Phoenix dactylifera L.
NOTA PRELIMINARE
dei Professori L. BUSCALIONI e G. LOPRIORE
Il gran numero di radici che talune Palme, come la PWoenzx dactvlifera, svilup-
pano alla base dello stipite, ci ha indotti a studiare il modo di origine di questi organi, i
quali crescono, date favorevoli condizioni di temperatura ed umidità, sol quando rincalzasi
la terra al piede della pianta.
Riassumeremo qui brevemente i principali risultati delle ricerche finora compiute , ri-
servandoci a trattarne diffusamente in una memoria più estesa.
Le radici epigee e le ipogee sono, come del resto avviene in molte altre Monocotiledoni,
‘ di origine avventizia. Questa origine, però, non dipende dalla disposizione ed orientazione
speciale delle foglie, grazie alle quali l’ acqua di pioggia vien condotta verso la base del
fusto (ipotesi del WINTER), poichè ad es. anche alla base del fusto della Lzvzstona a-
stralis havvi abbondante sviluppo di radici, le quali, per decorrere nello spessore della
corteccia, rimangono tuttavia sottratte al benefizio immediato dell’ acqua di pioggia.
Dal punto di vista morfo-fisiologico possiamo distinguere quattro tipi di radici :
a) radici a tipo pneumatodico: queste sono per lo più esili, rigide e presentano
l'estremità libera rigonfiata, rugosa e ricoperta da squame, o placche suberose, di color bru-
nastro. Esse decorrono obliquamente dal basso verso |’ alto.
b) radici trasversali : (1) queste nascono o dalle radici a tipo pneumatodico o da
quelle che descriveremo ben tosto. La loro origine, come del resto quella di tutte le radici
secondarie, va ricercata nel periciclo della radice madre (Fig. 3).
Anche queste sono piuttosto esili e rigide, ma non presentano la estremità notevolmente
ingrossata. Il loro accrescimento è per lo più limitato, avanzandosi nel terreno in senso
perpendicolare alla direzione della radice madre. Occorre tuttavia rilevare che talune delle
stesse segnano il passaggio a quelle pneumatodiche, per cui una netta separazione non
esiste fra le due sorta di radici. Frequentemente, infine, le radici trasversali nascono ap-
pajate e sono spesso reperibili nel punto dove la radice madre si sdoppia.
c) radici dicotomiche : Sono di calibro medio, od anco relativamente grosse. Esse si
(1) A rigor di termini queste non sono altro che le ordinarie radici secondarie, le quali qui devono tut-
tavia esser considerate a parte a causa della presenza di radici dicotomiche.
ATTI Acc., SerIE V, Vor, Il. Mem. X. I
2 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [Memoria X.]
sviluppano rigogliose nel terriccio, ma coll’allungamento vanno soggette alla dicotomia, che
può anche diventare tri- o politomia, potendo risolversi in due o più radici, partenti oppur
no da uno stesso piano. In generale la dicotomia è il caso più frequente. Gli assi secondari
tornano pure a loro volta, dopo un percorso più o meno lungo, a dicotomizzarsi, dopo di
che, a quanto pare, non hanno più luogo ulteriori sdoppiamenti, non avendo noi incontrato
radici portanti più di 4-5 assi secondari (Fig. 1-3).
d) /eadici ordinarie : Somigliano a quelle dicotomiche, ma di rado presentansi
biforcate, mentre invece portano numerose radici laterali (trasversali), gracili e con decorso
a zig-zag.
Siffatte radici nascono per lo più dalla base del fusto e crescono perciò quasi in di-
rezione verticale. Non di rado tuttavia, lungo il loro percorso, si piegano una o più volte
bruscamente ad angolo retto, per riprendere di lì a poco la primitiva direzione. Nel punto
in cui avviene la genicolatura danno per lo più attacco ad una radice laterale piuttosto
robusta. È probabile pertanto che lo sviluppo della nuova radice sia dovuto al cambiamento
di direzione (Morfoestesia di NOLL).
Questi quattro tipi di radici, ma in ispecie quelle piatte e dicotomiche, spesso mo-
strano una superficie anulata a mo’ di trachea (Fig. 2 e 3) o più di rado striata, con vere
striature parallele, limitate alla porzione giovane e terminale. La causa che determina sia
le une che le altre è alquanto oscura; tuttavia non crediamo di andar errati ammettendo
che le sculture o rugosità più accentuate siano l’ effetto delle contrazioni, cui va soggetta
la radice, come ha dimostrato il DraBBLE per altre Palme (CoryvpXa). (On the Anat. of the
Roots of Palms. Trans. of the Linn. Soc. London 1904). Però non è da escludersi che le
anulazioni a trachea si formino nel momento in cui la radice secondaria attraversa la cor-
teccia della radice madre e sotto l’azione dei cordoni fibrosi sparsi nel parenchima corticale
di questa, che, a causa della loro compattezza e resistenza, lederebbero gli strati super-
ficiali della giovane radice. Occorre tuttavia, perchè il solco si formi, che la radice, in
via di sviluppo, rimanga un po’ a lungo in riposo, per subire un certo tempo e con certa
intensità l’ azione lacerante delle fibre corticali.
I fatti testè segnalati si osservano soltanto nelle radici crescenti entro il terriccio ;
quelle rimaste allo scoperto imbruniscono ben tosto, cessano di crescere, perdono la punta
e probabilmente si accorciano, poichè sono quasi sempre solcate trasversalmente. È d’uopo
intanto rilevare che la dicotomia nelle radici della PXoenza dactvlifera rappresenta una
disposizione morfologica quanto mai singolare ed eccezionale, che trova unicamente ri-
scontro nelle radici fasciate della Vicia Faba, state studiate da uno di noi (LopPRrIORE (1) )
e in quelle della 7ecoma radicans e del Ahus illustrate dal FRANKE. Assai meno affini
sono le cosiddette radici gemelle del Van TrecHEm. (Cfr. anche Lopriore, Zwillingswurzeln,
Wiesner Festschrift, 1908).
*
* X*
Noi dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione alla struttura del sistema radicale.
Nella forma tipica ed allo stato adulto, siano le radici dicotomiche, pneumatodiche,
trasversali o normali, troviamo innanzi tutto una corteccia, delimitata esternamente, se gio-
vane, dal così detto /z772/77r1g-Zaver del DRABBLE, o strato limitante esterno, a cellule
(1) LoPRIORE, Ueber bandfòrmige Wurzeln. Nova Acta d. Leopold. Akademie. Bd. LXXXVIII N. 1.
Il pleroma tubuloso, l endodermide midollare, ecc. 3
con pareti ispessite (Fig. 7). Non esistono peli radicali, come già ebbe a rilevare il DRABBLE,
e ciò per la ragione che nel seme la radice è concrescente col cotiledone (GatIN, Recher-
ches anat. et chim. sur la germination des Palmiers, Paris 1906). Tuttavia noi abbiamo
osservato in un caso alla superficie della radice qualche rara produzione d’indole tricomatosa.
A questa zona succede uno strato di cellule meccaniche (Verstàrkte Interkuten di
KroMER), per lo più sdoppiato per la comparsa di un anello di parenchima ordinario. Il
tutto forma il sistema tegumentale di DraABBLE. Poi viene il grosso della corteccia, costituita
da elementi di parenchima ordinario e da fasci di sclerenchima circondati dalle note cellule
contenenti i granuli di silice (Stegzzata del Kont). Negli strati periferici e mediani del
tessuto s’ incontrano numerosi canali aerei (Fig. 10), d’ origine lisigena, specialmente ab-
bondanti in alcune radici. In più di un caso noi abbiamo osservato nel loro interno la pre-
senza di tilli, dovuti a proliferazione delle cellule parenchimatose circostanti. In un esem-
plare , in cui si aveva un canale addossato all’ endodermide, le cellule di questo strato,
notevolmente ingrandite, avevano occupato tutto quanto il canale aereo.
L’endodermide è caratterizzata dai soliti punti di Caspary, molto distinti nelle radici
giovani, o dalla presenza d’ ispessimenti ad U, reperibili però soltanto nelle radici adulte.
L’ispessimento manca tuttavia nelle cosiddette cellule di passaggio (Durch/asszellen),
abbastanza numerose. Per ragioni che discuteremo in seguito, è d’uopo rilevare che la parte
ispessita delle pareti cellulari è rivolta, come del resto è la norma, verso il cilindro centrale.
In quest’ ultimo troviamo alla periferia uno strato periciclico (pericambio), le cui cel-
lule sono qua e là lignificate e punteggiate. Seguono i fasci vascolari, alternativamente
floematici e xilematici (questi ultimi spesso accoppiati parzialmente in modo da costituire
un V e comprendervi nel mezzo un fascio liberiano). Le due sorta di fasci vascolari sono
‘ avvolti dal tessuto fondamentale lignificato, che uno di noi (Buscationi, Sull’anatomia del ci-
lindro centrale nelle radici delle Monocotiledeni, Malpighia 1901) ha denominato mantello.
Nelle grosse radici, all’ interno della cerchia vascolare, troviamo grandi vasi legnosi isolati
(vasi metaxilematici interni), avvolti parimenti da un’atmosfera di cellule del mantello.
Nel centro del cilindro centrale, se le radici hanno dimensioni piuttosto grandi, s' in-
contra poi il midollo, i cui elementi differiscono da quelli del mantello per avere le pareti
sottili e cellulosiche.
Aggiungeremo, da ultimo, che, nelle radici conformate sullo stampo normaie, il cilindro
centrale presenta, in sezione trasversale, contorni circolari; esso è quindi prettamente ci-
lindrico, come il nome stesso indica. Non di rado, però, esso si apre da una parte, con-
formandosi a doccia (BUSCALIONI).
Alquanto diversa è la costituzione delle radici dicotomiche, sulle quali quasi esclusiva-
mente noi abbiamo fissata la nostra attenzione. Queste presentano un cilindro centrale che
solo verso la base è di forma cilindrica, poichè, a poca distanza dal punto di origine
della radice, il pleroma tende ad assumere, in sezione trasversale, forma ovale od anche
ad 8, quando, come vedremo ben tosto, non si presenta assai più complicato. Questa mo-
dificazione strutturale precede costantemente la scissione della stela (Fig. 9 e 10).
La bipartizione di questa per lo più avviene in un periodo in cui la lignificazione del
cilindro centrale è ancor poco accentuata; allora noi vediamo che, lungo la linea, in cui deve
effettuarsi la cosiddetta schizostelia, gli elementi sono tutti a pareti sottili e cellulosiche.
Prima ancora che il processo di divisione siasi effettuato, i fasci xilematici e floe-
matici, circostanti alla linea di separazione, cambiano di orientazione e di forma, dispo-
4 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [MEMORIA X.|
nendosi sui lati della linea in cui deve avvenire la scissione, di guisa che, a sdoppiamento
compiuto, essi riescono a .completare le due sorta di cerchie vascolari, rimaste dimezzate per
effetto dello sdoppiamento e ricostituiscono così la struttura che è propria delle stele ordinarie.
La scissione è accompagnata e determinata dallo invaginamento dell’endodermide, che
da un lato si affonda sempre più nel tessuto della stela, sino a raggiungere gli elementi
endodermici del lato opposto. Dopo di che le due stele si separano, mentre lungo la linea
di distacco penetra il tessuto fondamentale della corteccia che, come si sa (cfr. BUSCALIONI),
e omologo a quello del cilindro centrale (Fig. 10).
La schizostelia 0, per essere più esatti, la frammentazione della stela, si compie quasi
sempre in modo irregolare e quanto mai curioso.
Avviene infatti spessissimo che la endodermide, mentre s’ invagina in senso trasver-
sale, invia pure delle introflessioni, quasi delle invaginazioni, foggiate a dita di guanto,
verso l'alto, le quali decorrono per un certo tratto (talora per parecchi centimetri circa) nel-
l'interno della stela e parallelamente alla direzione di questa. Perciò, quando si sezionano, in
serie trasversale e dalla base all'apice, le stele in via di divisione, prima ancora che siasi
raggiunto il punto in cui ha luogo l’ invaginazione, s'incontrano, in seno al pleroma, e più
o meno lontano dall’ endodermide che lo avvolge, stele di varie. dimensioni, costituite
per lo più da un anello di endodermide, racchiudente un cordone di tessuto fondamentale.
Noi denomineremo siffatte produzioni psexdostele d' invaginazione, in quanto che colle
stele genuine non hanno altro di comune che l’ endodermide, la quale è qui conformata
sullo stampo normale (Fig. 8 e 9).
Le pseudostele di grandi dimensioni hanno spesso un contorno quanto mai irregolare
e talvolta, per effetto di ripiegamenti della loro endodermide, diventano concamerate. Non
mancano poi i casi, in cui le digitazioni si ramificano nello spessore del cilindro centrale e
allora troviamo due o più pseudostele d’ invaginazione, di varie dimensioni, le une accanto
alle altre, che solo più: in basso si fondono in una sola, come può rilevarsi dai tagli in serie.
Procedendo verso. l’ apice, si osserva che le pseudostele si allargano, avvicinandosi
sempre più all’endodermide della stela madre : da ultimo la loro endodermide si fonde in
un punto con questa ed allora la pseudostela si apre da un lato. A questo punto il taglio ha
raggiunto la sede della vera e propria invaginazione endodermica che, addentrandosi sem-
pre più nel tessuto del cilindro centrale, finisce per provocare la frammentazione della stela.
Che siffatte pseudostele costituiscano degli infundiboli o diverticoli a fondo cieco, do-
vuti a invaginazioni, in senso longitudinale, dell’ endodermide, lo prova anche il fatto che
tutte quante le pseudostele, a prescindere da qualche rara eccezione che accenneremo fra
breve, hanno un'endodermide cogli ispessimenti a U rivolti verso la periferia, cioè in senso
inverso a quello offerto dalle cellule endodermiche delle vere stele (Fig. 10 e 11).
Nelle stele molto grandi l’ invaginazione è accompagnata da incurvamento a ferro di
cavallo del cilindro centrale, il quale perciò s’ incava a doccia su una delle faccie, quasi
volesse abbracciare o meglio inglobare nel suo interno una porzione di tessuto corticale (1).
In tal caso | endodermide dal lato concavo diventa ondulata o pieghettata, quasi ad
(1) È occorso qualche volta di osservare che il tessuto corticale incluso nelle concavità delle stele pre-
senta i cordoni meccanici apparentemente simili a quelli digeriti. Ciò porterebbe a credere che si sviluppino
per parte del cilindro centrale, in attivo rimaneggiamento, speciali enzimi, o che piuttosto il mancato ispessi-
mento delle fibre dipenda dalle mancate esigenze meccaniche della zona che viene là a formarsi.
Il pleroma tubuloso, l’endodermide midollare, ecc. 5
attestarci che è avvenuto un accorciamento nel diametro trasversale della stela. Per effetto
di una tale condizione di cose capita frequentemente che le porzioni introflesse dell’ en-
dodermide si emancipino da questa. Allora noi troviamo nello spessore del periciclo , ed
anco fra i fasci vascolari, piccole pseudostele formate quasi esclusivamente da cellule en-
dodermiche , cioè senza l’ interposto parenchima fondamentale (Fig. 10). Le estroflessioni
dell’ endodermide provocano all’ opposto — sempre in virtù dello stesso processo di eman-
cipazione — la comparsa di pseudostele negli strati della corteccia interna. Noi dobbiamo
dunque distinguere diverse sorta di pseudostele (Fig. 9). Le une nascono da digitazioni a
fondo cieco, che l’endodermide introflessa invia nello spessore della stela, le quali digita
zioni si portano in alto, verso cioè la base della radice; le altre sono dovute semplicemente
alle pieghettature, che forma l’ endodermide in corrispondenza della faccia concava della
stela, le quali poi si isolano. Queste ultime sono psexdostele periblemiche, quando stanno
nella corteccia ; p/eromiche se invece sono incastrate nel cilindro centrale. Dove si for-
mano siffatte pseudostele pleromiche ha spesso luogo più tardi la scissione della stela, nel
qual caso vediamo le singole pseudostele pleromiche aprirsi nelle invaginazioni dell’endo-
dermide in via di scindere la stela.
Le pseudostele pleromiche hanno parimenti gl’ispessimenti ad U delle cellule endoder-
miche rivolti verso |’ esterno, mentre quelle periblemiche o corticali li presentano dal lato
interno, ciò che è in perfetta armonia col loro modo di formazione.
Tanto le pseudostele pleromiche quanto le corticali, se di piccole dimensioni, dopo un
percorso più o meno lungo attraverso il cilindro centrale o risp. attraverso la corteccia, si
esauriscono, quando, come sopra è stato detto, non si fondono colle invaginazioni endo-
dermiche che danno origine alla frammentazione stelare.
Qualche rara volta però si formano anche delle endostele nell’ interno del cilindro cen-
trale per un processo che ha nulla a vedere coll’ invaginazione. Questo tipo fu da noi os-
servato in un solo caso. Si trattava di una stela molto anomala pel fatto che l’endodermide,
anzichè formare un vero anello attorno al cilindro centrale, rappresentava quasi una spi-
rale, di cui un capo si perdeva in seno al periciclo, senza venir a contatto coll’altro estre-
mo. Nel centro della stela, così incompletamente separata dalla corteccia, presentavasi un
fascio xilematico, isolato, fiancheggiato da due piccoli cordoni di libro, innanzi ai quali
notavasi una pseudostela formata dall’ endodermide inglobante un cordone di tessuto fon-
damentale. Seguita in tutto il suo percorso, non si potè mai constatare alcun accenno di
relazione coll’endodermide normale, per cui è d’uopo concludere che tale pseudostela aveva
un’ origine autonoma. In altre parole era una pseudostela originariamente eterotipica. Il
fatto, rimasto finora isolato, meriterebbe tuttavia la conferma di ulteriori osservazioni.
Come particolarità degna di nota, rileveremo, da ultimo, che le pseudostele d’invagi-
nazione, occupanti quasi l’ asse del cilindro centrale, sono circondate quasi sempre da fa-
scetti legnosi e liberiani alternanti fra loro, per cui il cilindro centrale assume una struttura
quanto mai singolare ed anomala, che ricorda certe disposizioni ancestrali, delle quali il
legno metaxilematico ordinario delle radici sarebbe 1’ ultima espressione.
Abbiamo detto che i fasci legnosi alternano con i liberiani ; però a rigor di termini è
d’uopo rilevare che questi ultimi sono spesso in maggior numero dei legnosi attorno alle
pseudostele d’ invaginazione (Fig. 11).
Un tale comportamento trova la sua spiegazione nel fatto che i fascetti xilematici
inglobati nell’ asse del pleroma non trovano modo di esplicare le proprie funzioni e quindi,
6 __ Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [MEMORIA X.]
qua e là, si atrofizzano, mentre i fascetti floematici sono sempre in grado di funzionare,
e perciò ovunque presenti.
E pure molto importante far rilevare che nelle pseudostele d’ invaginazione il paren-
chima centrale, avvolto dall’ endodermide, contiene spesso fascetti meccanici, rudimentali
o in via di formazione (Fig. 8). Questo fatto, che si osserva soltanto nei casi, in cui le
pseudostele siano esaminate presso l’apice vegetativo della radice, dimostra chiaramente che
tale tessuto non è altro che l’ordinario parenchima corticale, all’ esterno del quale vi ha
l’endodermide circondata a sua volta dal periciclo e dai fascetti liberiani e legnosi. Perciò
riesce giustificata la denominazione di psexdostele d'invaginazione 0 inverse, in quanto
che la corteccia è in posizione centrale rispetto all’endodermide, i fasci liberiani e xilema-
tici sono invece esterni a questa, mentre l’ opposto succede nelle ordinarie stele.
Lo studio degli apici vegetativi c'informa sullo sviluppo delle pseudostele d’invaginazione,
poichè dallo stesso risulta che il pleroma è quivi spesso scavato ad imbuto (Fig. 4), il
quale poi, ad una certa distanza dall’apice in attivo accrescimento, si scinde in un certo
numero di ramificazioni secondarie, che rimangono parimenti incluse nel pleroma. Non man-
cano poi i casi in cui il pleroma apicale è attraversato da due o più tubulature. Per effetto
dell’ invaginazione pleromica apicale, il tessuto periblemico protrude nell’ insenatura e ia
riempie sviluppando, al limite del pleroma, un’'endodermide che, per essere in posizione
invertita presenta pure invertita, la orientazione degli ispessimenti a V.
Noi abbiamo quindi nelle radici di /70ezza riprodotto quanto avviene nei fusti poli-
stelici o astelici, in cui, contrariamente alle vedute di Van TIiEGHEM e in accordo con
quelle di JeFFREY, l endodermide e il rimanente tessuto della corteccia penetrano nel cen-
tro del pleroma attraverso i così detti fo/zar gaps (occhielli fogliari). La differenza fon-
damentale e di altissimo significato morfologico sta nel fatto che nelle radici della P70e-
nix dactvylifera non abbiamo quasi mai delle invaginazioni laterali ma bensi apicali;
quindi agli occhielli fogliari si contrappongono gli apzcal/ gaps od occhielli apicali.
Raramente la frammentazione stelare dà luogo alla divisione della stela in due metà
eguali: per lo più una delle stele è piccola rispetto all’ altra. Noi abbiamo riscontrato non
poche stele secondarie ridotte a un solo fascetto xilematico o floematico, circondato da uno
strato di periciclo, a sua volta cinto dall’ endodermide.
In altri casi si separa soltanto una porzione di periciclo colla circostante endodermide.
Qui adunque ci troviamo di fronte a produzioni, che noi crediamo utile denominare szele
incomplete (1), per il fatto ch’ esse difettano dell’ organizzazione propria delle stele nor-
mali e vanno inoltre soggette ad un più o meno rapido esaurimento, di guisa che non
riescono mai a provocare la schizostelia. Siffatte stele depauperate hanno tuttavia un'impor-
tanza grandissima dal punto di vista anatomo-morfologico, valendo a dimostrarci quanto
fallaci siano le attuali concezioni sulla stela. Noi insistiamo in particolar modo su questo
punto e v' insisteremo ancora più nel lavoro in extenso, poichè siamo convinti che i fatti
posti in evidenza siano quanto mai atti a portare nuova luce sulle moderne teorie rela-
tive all’ organizzazione delle piante superiori (Fig. 9).
Nelle stele secondarie (schizostele o stele di frammentazione), di dimensioni un po’ più
grandi, comparisce ben tosto la struttura propria dei pleromi radicali, con o senza midollo.
Un alto significato anatomico ha pure il fatto che mentre avviene l invaginazione
(1) Analoghe stele furono da LoPRIORE riscontrate nelle radici fasciate di Vicia Faba.
Il pleroma tubuloso, l’endodermide midollare, ecc. Ti
dell’endodermide, ma assai prima che questa abbia prodotto la scissione della stela, lungo
la linea della futura divisione compaiono in seno al pleroma delle cellule a tipo endoder-
mico, che, crescendo in numero, finiscono per collegarsi coi capi dell’ endodermide inva-
ginata, agevolando così lo strozzamento della stela. Data una tale disposizione di cose, è
lecito concludere che gli elementi dell’ endodermide, se normalmente traggono origine dalla
corteccia, possono ciò non ostante formarsi anche a spese degli elementi del tessuto fon-
damentale del pleroma, siano gli stessi superficiali o centrali.
A nessuno sfuggirà la grande importanza di questi fatti, che non solo illustrano quanto
lo ScHouTe, il CHANDLER ed altri hanno pubblicato sull’endodermide e sul suo significato
morfologico, ma portano un grave colpo al dogma dela stela, come del resto apparirà
ancora più evidente in altre pagine. Ai lati di queste cellule endodermiche, d’ origine in-
dubbiamente pleromica, vediamo pure comparire gli elementi periciclici delle future schi-
zostele, per cui anche questo tessuto trae qui un’ origine eterotipica.
I fatti esposti dimostrano una volta di più come non debba esservi differenza di sorta
tra il tessuto fondamentale della corteccia e quello del pleroma.
Così si compie la scissione della stela, durante la quale, nel piano di segmentazione,
compaiono invaginazioni ed estroflessioni endodermiche secondarie con la conseguente for-
mazione di stele incomplete, lungo la linea di frattura, le quali stele poi restano inglobate
nel tessuto della corteccia, 0 viceversa s' incuneano nel periciclo, spesso abnormemente
ingrossato, dei cilindri centrali secondarî (Fig. 8-10).
Le due stele, una volta individualizzate, si allontanano l’ una dall’altra e più tardi en-
trambe (o soltanto una di esse) tornano a scindersi (Fig. 7).
La scissione che avviene, a grandi tratti, secondo i modi testè illustrati, si compie
‘spesso in un piano perpendicolare a quello della scissione precedente. Non mancano poi i
casi, in cui una delle stele accenna ad iniziare la scissione coll’invaginamento dell’endoder-
mide : questo tuttavia non procede fino allo sdoppiamento della stela, che si mostra
perciò semplicemente deformata (Fig. 9).
Dato il singolare comportamento del pleroma radicale nella Phoenzx dactylifera ,
se ne deve inferire che la scissione della stela ha luogo per una vera dicotomia o polito-
mia (scissione di- o politomica della stela). E qui faremo notare che alla stessa tiene quasi
sempre dietro anche la dicotomia della radice (sclzisorrizia dicotomiica) (1). Il fenome-
no è di un'importanza veramente grande e di un altissimo significato filogenetico, poichè
noi sappiamo che la dicotomia nelle piante costituiva un processo molto diffuso nelle epoche
geologiche passate, che però per ragioni meccaniche, state illustrate dal Poroniè , ha dovuto
cedere il posto alla ramificazione monopodiale, come quella che è più conforme alle leggi
della statica. Noi troviamo infatti oggigiorno la dicotomia diffusa soltanto tra le forme che
vivono nell'acqua, vale a dire in un mezzo piuttosto denso, rispetto all’ aria, oltre che in
quelle primordiali o degradate (alghe). È vero però che, trattandosi di radici viventi in uno
mezzo compatto , il momento stato invocato dal PoroniÈ, per spiegare il passaggio dalla
ramificazione simpodiale alla monopodiale, non reggerebbe.
Sarebbe dunque la dicotomia radicale della P7oexza un indizio di degradazione orga-
(1) Non abbiamo mai incontrato vere schizorrizie politomiche, come a priori si dovrebbe aspettare, data
la politomia delle stele
8 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [MeMmorIA X.]
nica ? È probabile, poichè queste piante sono piuttosto arcaiche, ma noi ci riserbiamo di
illustrare altrove questo problema.
A complemento di questi brevi cenni sulla di- e politomia radicale, rileveremo ancora
che frequentemente gli apici radicali in via di attivo accrescimento sono biforcati e se non
appaiono tali esternamente, si presentano pur tuttavia costituiti da due cilindri centrali posti
l’uno a fianco dell’ altro e avvolti da un comune periblema. Le cuffie sono tuttavia di-
vise (Fig. 5). Le nostre osservazioni su questo argomento sono però incomplete, dovendo
essere ancora maggiormente approfondite.
Ciò non di meno dalle osservazioni sinora fatte possiamo affermare tassativamente
che gli apici radicali hanno spesso il pleroma scavato ad imbuto, il che dimostra come le
pseudostele d’invaginazione si formino nell’ apice vegetativo stesso della radice. Una tale
struttura tale, che è indubbiamente unica nel regno vegetale, è, spesso occasionata da le-
sioni anche lievi, cui va soggetto nel terreno l’apice radicale, ma in altri casi non appare
motivata da una causa rilevabile al microscopio od alle reazioni. Abbiamo per altro fre-
quentemente notata la presenza di ife fungine attorno agli apici fortemente suberificati, nei
quali sono più tipiche le particolarità finora descritte.
Le radici trasversali nascono invece nel modo solito, vale a dire in seguito a proliferazione
cellulare e ad organizzazione degli istogeni in seno al periciclo (zona rizogenica e strato
dictiogeno di MancIN — Origine et insertion des racines adventives etc. Thése. Paris 1882).
Il reticolo radicifero di MANGIN occupa un'area molto estesa, per cui numerosi sono
i fasci xilematici della radice madre che vengono a raccordarsi con gli elementi vascolari
della radice secondaria in formazione. In generale, essendo la stela madre di forma ovale,
si osserva che una metà circa della sua circonferenza viene occupata dagli elementi del
reticolo radicifero periciclico. Le tracheidi di nuova formazione poi non si limitano ad inne-
starsi con gli elementi vasali più esterni della radice madre, ma, come si osserva in non
poche radici delle Monocotiledoni (cfr. i lavori di RywoscH (1) e di MancIN) prendono ade-
renza anche ai vasi metaxilematici alquanto discosti dal periciclo (Fig. 7).
Sotto questo punto di vista, però, la PWoerzza dactylifera differisce alquanto da altre
palme, come, ad esempio, la Waskzngtonia filifera, in cui le nuove radici si connettono,
per mezzo di tracheidi, anche coi vasi metaxilematici più interni, d’ordinario separati dai fa-
sci xilematici. Un comportamento così singolare delle nuove radici non potrebbe effettuarsi,
se attorno ai vasi metaxilematici più interni non esistessero delle cellule atte a trasformarsi
in tracheidi superficiali. Ora noi vediamo appunto che nelle grosse radici di Waskzingto-
nia filifera i grossi vasi centrali rimangono a lungo circondati da un'atmosfera di cellule
parenchimatose, mentre il resto del tessuto fondamentale del pleroma ha già ispessito e li-
gnificato le pareti cellulari. AI momento in cui nel periciclo s’ inizia la formazione del re-
ticolo radicifero siffatti elementi a membrana cellulosica non tardano a fondersi fra loro e ad
ispessire le pareti che poi si ornano di punteggiature semplici, assumendo così la costi-
tuzione di vere tracheidi di raccordo, circondanti quasi a mo’ d'un anello i vasi sopra
ricordati. Grazie a queste metamorfosi, le nuove radici riescono così anche a mettersi in
comunicazione coi grandi vasi metaxilematici centrali.
(1) Untersuchungen ib. die Enwicklungsgeschichte d. Seitenwurzeln d. Monocotylen Zeitschr. f. Bot. 1,
Jahrg H. 4. 1909.
Il pleroma tubuloso, l’endodermide midollare, ecc. 9
Tornando ora allo studio della PXoenzx dactylifera, crediamo utile di far rilevare che
quando alla formazione di nuove radici trasversali si accompagna la divisione della stela
madre , per lo più la zona rizogenica arriva fino al limite dello strozzamento endodermi-
co (Fig. 7). Non mancano però i casi, in cui essa, girando attorno all’ invaginazione en-
dodermica, si estende anche alquanto sull’ altra emistela in via d’ isolamento.
Intanto merita pur nota il fatto che nelle stele in via di scissione compaiono frequen-
temente due radici secondarie, l una delle quali s' impianta su una delle meta della stela,
l’altra sulla rimanente porzione. La formazione contemporanea di radici trasversali (che
talora può arrivare fino a 3 o +) ha pure luogo quando la stela madre si è del tutto frazio-
nata in due o più stele secondarie, avendo ognuna la sua zona rizogenica particolare (Fig. 7).
Quando poi alla schizostelia (in largo senso, non in quello di STRASBURGER) succede
la schizorrizia, questa singolare disposizione di cose tende gradatamente a scomparire, ed
allora le radici trasversali nascono a livelli differenti sulle schizorrize. Però è d’uopo notare
che nella PXoenzia dactylifera non è rara la formazione di radici trasversali allo stesso
livello anche quando non si ha traccia di frammentazione o di schizorrizia.
Quali cause provochino l uscita contemporanea delle radici nello stesso piano e nella
stessa direzione, è difficile definire in modo esauriente : ciò non di meno possiamo trovare
una plausibile spiegazione del singolare fenomeno, ammettendo che i pangeni rizogenici (1)
si formino all’ apice radicale stesso e che poi, giunti a maturità, ciò che avviene ad una
certa distanza dall’ apice radicale, provochino la comparsa della zona rizogenica e delle
radici trasversali. Presupposta ora una tale condizione di cose, ben si comprende che se la
stela madre ha iniziato la sua scissione, prima che nelle cellule pericicliche i pangeni
rizogenici siano giunti alla maturità, deve necessariamente succedere che le cellule depo-
sitarie di tali pangeni, quando vengono a trovarsi ripartite fra le due stele secondarie, 0,
fra le due schizorrize, daranno, col concorso dei loro pangeni, necessariamente origine a
due radici separate. Queste poi nasceranno contemporaneamente e nella stessa direzione ,
perchè i pangeni avranno in tutte le cellule raggiunte ad un medesimo istante la loro ma-
turità, essendosi formate anche contemporaneamente all’ apice della radice madre.
Le radici trasversali nascono per lo più sulle faccie delle stele madri, ben di rado sui
fianchi (radici polari di LoPRrIORE), 0 indifferentemente su questi o su quelle, come del
resto uno di noi (Lopriore) ebbe a dimostrare per le radici secondarie nate sulle stele fasciate
della Vicza Faba.
Quanto abbiamo detto a riguardo dell’ origine delle radici trasversali, è applicabile
anche a quelle pneumatodiche, per quanto la nostra attenzione sia stata meno attirata da
questo tipo radicale.
Le radici trasversali e quelle pneumatodiche, una volta formate, attraversano l’endoder-
mide, che, per agevolarne il passaggio, perde le sue principali caratteristiche, talora assu-
mendo la costituzione di un tessuto ringiovanito, come lo attestano le divisioni tangenziali,
cui vanno soggette le sue cellule davanti alla zona rizogenica. Anche le cellule corticali
prossime all’ endodermide subiscono la stessa sorte, ma ben tosto vengono digerite dalla
radice neoformata.
(1) La denominazione di « Pangeni » non è molto giusta, poichè probabilmente le sostanze che deter-
minano l’organizzazione degli esseri non sono che eccezionalmente corpi solidi, figurati e con determinata
struttura. (BUSCALIONI).
ATTI Acc., SERIE V, Vor, II. Mem. X.
LS)
10 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [MemoRIA X.]
Questa, nell’ attraversare la corteccia per venir all’ esterno, esercita di poi la sua azione
digestiva non solo sulle cellule parenchimatose, ma ancora sui cordoni meccanici di scleren-
chima corticale e la esercita con tanta energia che questi sono di già parzialmente disciolti
quando ancora non sono stati raggiunti dall’ apice radicale. Spesso però capita che alcuni
cordoni meccanici non vengono prontamente digeriti ed allora, sospinti in fuori dal cono
della nuova radice, si accollano l'uno all’ altro in direzione radiale e, mentre si oppongono
al progredire della radice, determinano la biforcazione del suo apice. Nello stesso modo
provocano le anulazioni a trachea, altrove accennate, sulle faccie laterali della radice in for-
mazione, quando si accollano lateralmente alle stesse.
Edotti dal fatto che le radici delle Palme sono secondo il DraBBLE polisteliche, secondo
noi pseudopolisteliche , perchè (analogamente a quanto avviene nella P/oenzx all’ uscita
delle radici dal periciclo dello stipite) l' endodermide si insinua alquanto sui fianchi delle
singole stele, abbiamo voluto ricercare come si comportano i fasci vascolari nel tratto in
cui si va organizzando il cilindro centrale della radice secondaria, non appena questa si
è emancipata dal cilindro centrale della radice madre. Da questo studio è venuta in luce
una disposizione nuovissima, che in certo qual modo riporta la struttura delle Palme al
tipo delle Equisetacee e delle Felci (cfr. TAnsLEY e LuLHAaM, A study of the Vascular Sy-
stem of Matonia pectinata). Infatti nel punto in cui le singole stele secondarie accennano
a fondersi fra loro per costituire il cilindro centrale a tipo monostelico, ciò che avviene nel
tratto in cui la radice trasversale penetra nella corteccia della radice madre o al limite fra
questa e il cilindro centrale, compaiono, quasi improvvisamente, nella regione midollare delle
vere cellule endodermiche. Siffatte cellule, che sono talora ben distinte a causa dei punti di
CasPary o degl’ ispessimenti a U e della loro resistenza all’acido solforico, si uniscono poi
assieme in guisa da formare un anello, per lo più incompleto, che cinge il midollo della stela.
Molte volte poi alcune stele isolate, disperse nel midollo, sono avvolte da siffatta endoder-
mide, che noi chiameremo m2/dollare (Fig. 6). Questa endodermide scompare però ben tosto
ed allora la radice non conserva più che l’ endodermide esterna di origine corticale. Di fronte
a un reperto tanto importante, noi abbiamo esteso l'osservazione anche alla Waskingtonia
filifera, ad altre Palme e Monocotiledoni, nonchè alla Vzcza Faba ed alla Cycas revo-
luta, con risultato però negativo. I nostri studi sono ora rivolti ad altre specie.
Le nuove radici percorrono per lo più la corteccia in senso trasversale per riuscire
all’esterno, ma qualche volta cambiano bruscamente di direzione per procedere, per un
certo tratto, in senso quasi parallelo alle stele da cui trassero origine. Questa particolarità,
piuttosto rara nella PWoenzx dactylifera, è abbastanza frequente invece nella Wasking-
tonta filifera, il cui fusto presso alla base si mostra quasi rigonfio e piriforme a causa
delle molte radici avventizie che decorrono sotto il gran mantello suberico della corteccia.
Siffatte radici sottocorticali sono per lo più deformate a causa delle pressioni, cui vanno
incontro nel prepararsi la via attraverso la rigida corteccia.
Molte altre particolarità di un certo interesse sono state scoperte nello studio delle
radici trasversali della PWoerzza dactvlifera. Noi, per ragioni di brevità, ci limitiamo qui
a segnalare soltanto che in un caso, in cui la radice trasversale erasi formata un po’ al
di sopra del punto di biforcazione della radice madre, essa dopo aver attraversata l’ atmo-
sfera corticale circondante la stela, da cui aveva avuto origine, fini per penetrare nella ra-
dice corrispondente alla stela opposta, percorrendo un certo tratto della sua corteccia, pri-
ma di venire all’ esterno.
1l pleroma tubuloso, l endodermide midollare, ecc. 11
Noi abbiamo qui riportati per sommi capi i principali fatti che sono venuti alla luce
dalle nostre ricerche: non possiamo tuttavia chiudere questa nota, senza domandarci se il
singolare comportamento delle radici dicotomiche della P7oerza dactvlifera non sia da
considerarsi come una fasciazione, con cui, dal punto di vista anatomo-morfologico, offre
grandi affinità, o non sia piuttosto da ascriversi a disposizioni di natura differente, non te-
ratologiche, aventi una stretta relazione con la natura della stela e con la evoluzione che
questa subisce nella scala vegetale.
Per ora ci accontentiamo di posare il problema , riservandoci di discuterlo nel lavoro
generale che uscirà quanto prima. Ma frattanto, consci della particolare importanza che of-
frono i risultati delle nostre indagini e della grande luce che esse possono apportare nel
problema filogenetico e morfologico della radice, riassumiamo qui i risultati più salienti.
1. Le radici della P7oenza dactylifera hanno varia origine. La più tipica è quella ,
per cui esse si formano in seguito a dicotomia o politomia, cioè per un processo che ha
nulla a vedere con la formazione delle radici secondarie, quale venne concepita dalle os-
servazioni di Van TiecHEM e di altri autori.
2. Nelle radici, che nascono secondo lo schema tipico, si forma nel punto d’ origine e
intorno ad ogni fascio centrale, sia xilemico sia floemico, un'endodermide, riconoscibile alla
periferia del midollo nel momento in cui la radice secondaria sta per penetrare nella cor-
teccia della radice madre. Più tardi quest endodermide interna scompare. Da tanto reperto
è d’uopo quindi trarre la conclusione che le radici in questione sono in origine asteliche,
poi gamodesmiche come i fusti di taluni £qg%zse/zm: e quelli di non poche Fanerogame
studiate dal JeFFREY (1).
3. Una volta uscita dalla radice madre, od anche prima, la radice diventa monostelica
| midollata oppure semplicemente monostelica, come avviene pure in molti fusti (cfr. JEFFREY).
4. Ben tosto però il pleroma, in corrispondenza dell’apice vegetativo, si scava ad im-
buto o diventa tubuloso, ed allora si formano le invaginazioni apicali, che danno origine alle
pseudostele d’'invaginazione od inverse, oppure conformasi a doccia, aprendosi da un lato,
per produrre invaginazioni laterali, ricordanti il comportamento di alcuni fusti all’ uscita
delle traccie fogliari.
Le invaginazioni laterali potrebbero essere paragonate ai /afera/ gaps di JEFFREY 0,
meglio ancora, ricorderebbero i processi che conducono alia polistelia di VAN TIEGHEM : gli
imbuti pleromici apicali sono invece una condizione di cose nuovissima nel regno vege-
tale e di una estrema importanza (2). .
5. Le invaginazioni laterali e gl’ imbuti apicali, di cui talora ve ne ha più di uno ad
ogni apice, sono circondati da fasci di xilema e di floema, i quali raddoppiano così la cerchia
vascolare normale delle radici. Si forma cioè una seconda cerchia xilemo-floematica nell’in-
terno della stela, il che ci riporta ad una primitiva struttura, della quale i grandi vasi di
metaxilema costituiscono l’ultima espressione (cfr. DraBBLE). Una tale disposizione sarebbe
analoga alla polistelia gamodesmica del fusto o, meglio ancora, alla sifonostelia (JEFFREY),
in cui vi ha pure un floema interno, ma sempre limitatamente agli assi privi di cambio,
come le radici della //0e77x.
he morphology of the central cylinder of Angiosperms. Trans. of the Canadian Institu 900.
TILL orphology of th tral cylind f Ang Ti f the C l Institut, 1900
(2) Forse analoghi imbuti si formano nella Vicia Faba a radici fasciate, come ebbe ad osservare uno
di noi (LoPRIORE) che, però, per la rarità in cui si formano, non potè investigarne la vera origine.
12 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [MEMORIA X.]
6. Le ramificazioni a fondo cieco in cui si smembrano gl’ imbuti e questi stessi fi-
niscono, allargandosi, per frazionare la monostela in due o più stele secondarie; i fascetti
interni di legno e di libro vengono, per effetto della frattura, a trovarsi con l’ annesso pe-
riciclo alla periferia delle singole stele, onde possono raccordarsi con gli altri trovantisi già
in tale posizione; perciò ognuna delle stele secondarie torna al tipo monostelico (1).
Una ulteriore formazione di imbuti riproduce di nuovo il ciclo evolutivo stelare.
7. Se nel fusto, in generale, si ha il passaggio dalla monostelia all’ astelia, qui si ha,
in ultima analisi, la monostelia dalla astelia o dalla polistelia, perchè alla schizostelia (2)
tien dietro d’ ordinario anche la schizorrizia (LoPRIORE). Quando però questa non avviene
o non ebbe ancor tempo a formarsi, l'apice radicale appare costituito da due cuffie, da un
dermatogeno e da un periblema, che avvolgono due pleromi nettamente separati l’ uno
dall’ altro.
8. La schizostelia (in largo senso) o frammentazione stelare è reperibile in tutte le
forme nei vari tratti di una stessa radice di //oezix dactvylifera; il che dimostra quanto
grande sia l’affinità tra fusto e radice. Noteremo tuttavia che, per quanto la schizostelia e
la schizorrizia s' incontrino normalmente nelle radici della //0e7zzx,i casi più tipici delle
stesse ci vennero offerti da radici alquanto sofferenti, nelle quali’ era abbondante lo svi-
luppo di ife fungine, di tannino ed altri secreti di difesa nelle cellule corticali dell’ apice,
come pure in quelle in cui si avevano le traccie di ferite 0 di corrosioni. Queste però sem-
brano cause piuttosto occasionali che determinanti della schizostelia e della schizorrizia.
9. Fino ad ora la polistelia fu osservata in pochissime radici di Leguminose e Cicadee.
Quanto noi abbiamo messo in evidenza, assieme alla polistelia, all’astelia e alla gamodesmia
radicale costituisce un reperto unico più che raro nel regno vegetale.
10. Se i nostri studi hanno attenuato le differenze fra fusto e radice, per quanto con-
cerne il problema della stela, dagli stessi risulta pure che il midollo ha indubbiamente
un'origine comune col periblema (3).
1l. Le ricerche esposte complicano però alquanto la questione della stela, avendo noi
osservato svaginamenti od estroflessioni del cilindro centrale , alla cui formazione pren-
devano parte, secondo i casi, o soltanto l’endodermide col sottostante periciclo, 0 questi
due tessuti ad un tempo, oltre ai fasci vascolari. Alcune fra queste ultime stele corticali
constavano però soltanto di xilema o di floema, altre di tutte due. In generale queste pic-
cole stele, più o meno incomplete, si esaurivano nella corteccia, dopo un percorso più o
meno lungo.
Data una tale costituzione stelare, quale valore dobbiamo accordare alla stela, in cor-
relazione alle vedute di VAN TIEGHEM, STRASBURGER e JEFFREY? Crediamo che sia quasi im-
possibile far entrare siffatte formazioni nel novero delle stele e perciò sotto questo punto
di vista la radice della P7oenzx presenta un carattere differenziale rispetto ai fusti (4).
12. Ma, data la presenza di stele incomplete, dato il facile avvicendarsi dell’ astelia ,
della monostelia e della polistelia, riteniamo che non debba accordarsi troppa importanza
(1) A prescindere, ben inteso, dal fatto che, essendo in due o più nel tessuto fondamentale, rappresen-
tano una polistelia nel senso di VAN TIEGHEM.
(2) In senso, lato, non già di STRASBURGER.
(3) A questa conclusione già era venuto uno di noi (BUscALIoNI) nei suoi Studi sul cilindro centrale delle
Monocotiledoni.
(4) Anche l’altro di noi (LoPRIORE) osservò stele incomplete nelle radici fasciate di Vicia Faba.
Il pleroma tubuloso, l’ endodermite midollare, ecc. 15
a queste formazioni differenti, anche pel fatto che, in ultima analisi, gli elementi veramente
essenziali del cilindro centrale sono quelli del libro e del legno. Il loro mutuo assetto rap-
presenta una disposizione secondaria, che perciò menoma il significato che sogliamo ac-
cordare alla stela.
Facciamo intanto qui rilevare la grande analogia strutturale che passa fra la radice
della Phoenix dactylifera e talune Felci, nelle quali dal CHANDLER è stata rinvenuta la
dicotomia caulinare, la terminazione cieca di alcuni fasci caulinari e la presenza di un
endodermide interna, di origine apicale. (cfr. On the arrangement of the vascular Strand
in the Seedlings of some Leptosporangiate Ferns. Annals of Botany 1908).
13. I risultati esposti collimano, sotto molti punti di vista, con quelli ottenuti dal
Simon (Regeneration der Wurzelspitze PrincsHemM ’s Jahrb. XL. 103) e dal Nemec (Stu-
dien iber die Regeneration, Berlin 1905) negli studi sulle lesioni degli apici radicali. Molti
fatti tuttavia, come ad es. la frammentazione stelare, che mal si conciliano con quanto
hanno segnalato questi due sperimentatori, debbono ritenersi come del tutto eccezionali.
Per questo ci siamo indotti a ripetere sulle radici di Palme alcune delle lesioni traumatiche,
già tentate da questi autori.
14. Sebbene il dominante concetto della Stela venga ad essere demolito dalle ricer-
che qui riassunte, pure ne abbiamo conservato la dizione, per evitare nel corso di questo
lavoro incomode circonlocuzioni.
Invece di prendere in considerazione la stela nel senso di Van TIEGHEM, od il com-
plesso dei fasci, quale viene considerato dal FARMER, noi riteniamo che | unico elemento
davvero importante è il desma, sia esso xilematico o floematico, oppure costituito da
queste due parti. Tutto il resto rappresenta adattamenti secondari, spiegabili dal punto di
. vista filogenetico e fisiologico.
D’ accordo con KARSTEN, CARYsLER ed altri, non possiamo fare a meno di rilevare i
rapporti di affinità strutturale che passano tra le Felci e le Palme, come in genere fra quelle
e le Monocotiledoni.
La complessa struttura del cilindro centrale delle Felci è soltanto apparente, poichè,
secondo noi, essa non è che l’ espressione di una organizzazione degradata, che si spe-
cializza e affina nelle Monocotiledoni, mentre elevasi al tipo di massima perfezione nelle
Dicotiledoni, dove troviamo per lo più una sola cerchia vascolare. Questo tipo vascolare
è collegato apparentemente con quello delle piante ancor più degradate delle Felci, come le
Equisetacee, mentre in realtà si mostra molto evoluto, poichè tra legno e libro viene ad
interporsi un sistema nuovo, il cambio. Al riguardo daremo maggiori dettagli nel lavoro
in extenso.
Catania, s Maggio 1909.
14 Proff. L. Buscalioni e G. Lopriore [MEMORIA X.|
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1. — Radice dicotomica con le due estremità parzialmente suberificate. Le due schizorrize mandano ra-
dici trasversali, due delle quali nascono pressochè allo stesso livello, pur partendo da due schizorrize
diverse.
Fig. 2. — Radice dicotomica all’ apice, con rami diversamente sviluppati e con anulazioni a trachea dovute
a contrazione.
Fig. 3. — Radice dicotomica anellata (solchi di contrazione) e portante, sui rami secondari, quattro radici
trasversali appaiate, nascenti, due a due, ad uno stesso livello orizzontale.
Fig. 4. — Apice radicale in via di sviluppo. Il cilindro centrale appare sdoppiato per effetto della invagina-
zione corticale, che provoca la comparsa delle tubulature in seno al pleroma.
Fig. 5. — Apice radicale col pleroma sdoppiato in seguito a frammentazione stelare: una delle stele è ri-
dotta notevolmente.
Fig. 6. — Sezione trasversale di una radice secondaria nel punto di attacco alla radice madre. Il tessuto
è formato in massima parte dal tessuto del mantello, i cui elementi hanno pareti ispessite.
Nel centro notasi il midollo costituito da cellule a membrane piuttosto esili. Nello spessore di questo
tessuto compaiono tre cordoni di cellule disposte in fila, a pareti radiali un po’ robuste. Queste sono
le cellule endodermiche midollari.
Fig. 7. — Sezione trasversale di una radice attraversata da due stele, di cui una in via di suddivisione.
Dalle due metà di questa, come pure dalla stela isolata si dipartono tre radici omotropiche.
Questa figura permette di riconoscere il limiting layer di DRABBLE, i fasci di sclerenchima corticali,
i canali aeriferi e l’ endodermide con i suoi particolari ispessimenti. °
Fig. 8. — Cilindro centrale costituito da due cordoni fibrovascolari separati, ma avvolti da una endodermi-
de comune. Uno dei cordoni ha la forma di & l’altro di semiluna. Tra i due cordoni si estende una
zona di cellule pericicliche, nell’ interno della quale si rilevano parecchie pseudostele di invaginazione.
Ognuna di queste è costituita da un ammasso di cellule corticali, in cui sono immersi fascetti mecca-
nici. Al limite tra il tessuto corticale ed il periciclo si notano tante endodermidi parziali quante sono
le pseudostele e intorno a queste infine, ma nello spessore del periciclo, piccoli fascetti , costituiti
alternativamente da legno e da libro.
Fig. 9. — Sezione trasversale di una radice, il cui cilindro centrale è frammentato. Si nota infatti una gros-
sa stela semilunare, o meglio foggiata ad U, che dal lato concavo presenta l’endodermide pieghettata.
Un'altra stela, pure irregolare per forma, si estende da un estremo all’altro delle due branche dell’U,
mentre poi nel tessuto interposto (tessuto corticale disseminato di fasci meccanici, come quello esterno
alle stele) s° incontrano piccole pseudostele periblerniche in via di riduzione.
Fig. 10. — Cilindro centrale in via di frammentazione stelare. La forma di esso è irregolare. Degne di nota
sono le pseudostele di invaginazione che compaiono attorniate dall’ endodermide e da fascetti di libro
e di legno alternanti, nel punto in cui si inizia la frammentazione stelare.
Verso la porzione rigonfiata del cilindro, dal lato in cui avvi una brusca piegatura di questo, si
incontra una pseudostela periblemica in formazione, la quale non si è ancora staccata dal cilindro
centrale. Al di sotto della stessa vi sono due piccole pseudostele pleromiche circondate dal periciclo.
Questa figura permette di riconoscere i caratteri principali della corteccia, già enumerati nella spie-
gazione della fig. 7.
Fig. 11. -- Cilindro centrale perforato, in tre punti, dalle pseudostele di invaginazione. Una di queste è
piuttosto grande, le altre due sono invece assai piccole. Le tre pseudostele , costituite da parenchima
corticale, sono circoscritte dall’endodermide, la quale è a sua volta circondata da fascetti di libro e di
legno alternanti fra loro : queste tre pseudostele preludiano, fondendosi fra loro, alla frammentazione
della stela.
sila via vetiaia 5] n divo nitore mi
Memoria XI.
FILIPPO EREDIA
Pioggie torrenziali in Sicilia
RELAZIONE
DeLLA CommIssionE DI REVISIONE coMmPostTA DEI Soci EFFETTIVI ProFr. G. P. GRIMALDI
ED A. RICCÒ (Relatore).
La nota del D.r F. Eredia sulle piogge torrenziali in Sicilia , fondata sopra materiali
d’ osservazioni copiosi e sicuri, coscienziosamente discussi, ha per le nostre regioni un
interesse locale, non solo scientifico, ma anche pratico per le serie conseguenze che le
dette pioggie torrenziali esercitano sulla cultura e sulla produzione delle località cui si ri-
feriscono, ed anche per l' attinenza colla grave questione del diboschimento.
Pertanto la Commissione è di parere che sia di molto interesse ed opportunità la pub-
blicazione dell’ importante lavoro del D.r Eredia nei nostri Azz.
Per cura del R. ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, è stata recentemente
pubblicata una memoria sulla distribuzione dei fenomeni piovosi in Italia (1).
I valori che spettano alle varie città siciliane, sono i seguenti e non si allontanano
molto da quelli risultanti da una precedente pubblicazione (2).
|
MBS#SÙi Messina | Palermo | Trapani | Girgenti | Siracusa | Catania | Riposto |
n Ì
(Genna RARE 98, 2 TOP, 6977 63, 6 94,9 96, I TO 702 |
elba a 78.5 78.8 | 552 42,4 66,7 74,2 ORA)
IMAZO ANO I ica IO 45,6 | 46,4 ATRIA 50,0 56, 3
SPC TR) 68, 4 66, 3 42,3 | “4050 39,0: || 133,6 42.57
Maggio . RO ge: 37,1 35,1 2A 20,6 | 22,0 23,0
Giugno . 2487 16, I 8,4 | 7,2 52 6,9 VE:
[Eu ole 13,47 7,8 4,0 too I VR 3,1 8,
INO OStO RNA ARE RE A IO DDR IN 6, 6 | 4,4 TA Molo IO, $
Settemibe ME 46,2 3A: 36,3 29, 7 48,5 | 46,5 59,9
Oria o ce 5 a 109, 8 101,0 cOn 66, 2 92,9: 81,9 86, 4
INOVETIDI CRA VERE 114,8 99, I 85,3 87,1 108, 8 95, 2 114,1
Diana, cai a mata IETO RO 119, I 85,9 | 102.2 104, 5 90, 2 94, 2
nto e o uo na 796,0 749, I 548,9 | Su200 636,9 610,1 691,8
(1) Erebia F. — Le precipitazioni atmosferiche in Italia dal 18So al 1905 — Annali del R. Ufficio Cen-
trale di Meteorologia e Geodinamica Vol. XXVII (1905).
{2) Erkpia F. — Sulla distribuzione della pioggia in Sicilia — Atti del V. Congresso Geografico Italiano,
Napoli 1905.
ATTI Acc., SERIE V, Vor. II. Mem. XI. I
(1°)
Filippo Eredia [MemorIa_XI. |
Però con tali valori non è completata la conoscenza dei fenomeni piovosi in Sicilia ,
in quanto che non sappiamo la quantità di precipitazione che suole verificarsi nei varii
giorni dell’ anno e in special modo le grandi quantità di pioggia che cadono in un giorno.
Quest’ ultima conoscenza è sicuramente molto interessante poichè mentre la quantità
media annuale di pioggia serve per indicarci le condizioni medie pluviometriche e quindi
per farci conoscere le utilizzazioni medie che ne possiamo trarre, la conoscenza delle grandi.
precipitazioni che cadono in 24" è pregevole perchè ci permette di conoscere quelle cifre
che apportano alluvionì, straripamenti di fiumi, allagamenti che riescono oltremodo dan-
nosi in una regione fertilissima e ove l’ agricoltura e la pastorizia trovano largo svi-
luppo.
Ho creduto pertanto opportuno riunire le osservazioni fin’ ora possedute e esaminare
le altezze di pioggia osservate in 24".
Per dare alla nostra ricerca un certo carattere di particolarità, consideriamo le singole
decadi e nella presente tabella trascriviamo i valori più elevati di precipitazione osservata
in 24" nelle varie città siciliane aventi osservazioni pluviometriche dal 1879 al 1907.
DIE GEAEDEE | Messina Palermo | Trapani | Girgenti Siracusa Catania | Riposto |
| ta 55,0 2,3 25,9 54, 2 75,8 74,4 70, 2
Gennaio . Io, 43,6 57,9 25,1 30, 4 132,0 37,0 78, 2
a 25,9 35,2 0) 50, 2 76, 8 62, 8 72,5
| 4° 50, 6 60, 5 34, 3 42,0 36, 2 42,5 64,4
Febbraio. . . . .d 5? 37,3 42,9 29,0 35,8 50, 0 109, 2 93, 0
le | 396 PAIN 24,6 | 107,7 57,0 | 58,0
320 43,8 44, 6 42,7 35,0 34,0 63,2
Marzo n a a 38,6 31,7 3026 Mz2.0 44,2 90, 3 66,9
| 9g | 31,8 33,9 22355 9206 67,5 105.9 67,0
102 70, 5 46,0 61,8 41,4 54, I 41,0 81,4
A pale enon \ 119 54,0 27,9 10 32,8 | 33,0 17,9 18, 6
122 41,8 36,7 29, 5 2 54/0 47,8 70, 2
138 35,9 50, 2 24, 6 ioni 22,5 40, 6 42,2
RISSA \ 142 16, 3 29, 1 31,3 27,6 | 30,2 23,1 53,0
| 152 66,1 3081 DOT DIO 35,0 19; 7 30,0
168 30 37559 14,0 38,0 11,0 13, 8 22,6
Giugno \ To 28, 6 29,4 28,0 6,4 26,0 DINO 14,0
| 188 | 37 16, 6 | 19,0 3,2 O IO, 7 26,0 6,0
19? 45,0 TON: 5,0 2,8 | 91,0 )fa gno) 12,4
Luglio \ 20% 17,8 18,4 13565 41,0 32,5 12,6 43, 6
Î 218 3A 13,09 67 5,0 10, 0 IO, 3 30, 2
228 33,0 18,5 0,0 14,3 21,0 22,1 36, 4
Agosto . . è» ! 234 53,6 38,7 15, 8 4,2 20310 44, 5 33,0
248 Si 28,7 26, 8 34,0 22,0 27,8 31,0
W
Pioggie torrenziali in Sicilia
IDEEIGRASIDEE Messina | Palermo | Trapani | Girgenti | Siracusa | Catania Riposto
mm mm mm mm mm mm mm
| DSS 300] 32, 8 32,8 DIRO 36,0 10, 5 9,3
Settembre n 2062 37000] 61,1 68, 4 34,2 63,0 57,0 118,0
| 27° 20,0 35,0 34,4 57,5 119, 5 pr 020
| 200) 66, 3 65,1 39, 6 42,0 73,2 66,0 74,2
Ottobre Lf TAGE 41,5 66,7 67,0 49,8 TAO) 76,6 | 74,8
| 308 89, 6 SU 81,4 0 198, 0 118, 6 LIA
ZI 93.7 91,9 78,4 81,0 90, 5 50, 0 194, 0
Novembre | 328 79,9 44,3 44,3 Io) 93; 5 112,8 | 107,0 |
| 339 | 36,2 30,1 a 44,0 70,0 60, 5 77,4 |
(348 39, è 82,9 26, 6 a, 53,0 tizia 0)
DICCMbre Eee | dio 42, 5 D707 35,6 92,0 44,0 93,0 66,0 |
368 40,0 50, 2 34,9 54, 5 58,0 43,9 45.0
Percorrendo le superiori cifre risulta come le massime altezze di precipitazione si sono
verificate nella decade 312 per Messina e per Riposto, nella decade 354 per Palermo e per
Girgenti, nella decade 302 per Trapani e per Siracusa. E tenendo conto delle cifre tra-
scritte nelle predetti decadi, risulta come nelle città di Siracusa, Catania e Riposto sono
stati osservati valori molto più elevati che non nelle altre località, cosicchè il versante
orientale della Sicilia, sembra che sia soggetto a più abbondanti precipitazioni.
Ma esaminando le cifre relative alle altre decadi, risulta pure come le cifre che spet-
tano alle città del versante orientale sono sempre superiori a quelle che sono state notate
nelle altre località : cosicchè queste maggiori precipitazioni lungo il versante orientale so-
gliono verificarsi in tutto il periodo annuo.
Paragonando i valori annuali delle quantità totali di precipitazione delle città di que-
st’ ultimo versante con quelli di Palermo e di Messina si nota che sono inferiori di quasi
mm. 100, mentre sono superiori di quasi mm. 100 a quelli di Trapani e Girgenti, men-
tre il numero totale annuale dei giorni con precipitazioni spettanti alle città di Siracusa,
Catania e Riposto è inferiore di quello osservato nelle altre località. Adunque possiamo
concludere come lungo il versante orientale i fenomeni piovosi sono più irregolarmente di-
stribuiti, in quanto che una quantità ragguardevole di precipitazione suole talvolta verifi-
carsi in un solo giorno.
E poichè le precipitazioni che cadono con tale intensità non hanno tempo di infiltrarsi
attraverso il suolo e specialmente nel suolo siculo ove la permeabilità del suolo è piccola,
si comprende bene come la costa sicula orientale sia più soggetta a disastri prodotti dalle
alluvioni. E se a tale abbondanza di acqua si aggiunge la ripidità della costa e l’ acci-
dentalità del suolo in molti luoghi di detto versante, si comprende bene come frequenti
siano i danni dovuti alle pioggie.
Sarà al certo opportuno indicare ora quante volte si sono verificate pioggie torren-
ziali; poiche non basta sapere l’ intensità di un fenomeno, ma occorre conoscere la fre-
quenza colla quale il fenomeno suole verificarsi.
In varie tabelle che per brevità non riportiamo , furono trascritte le altezze massime
Filippo Eredia
[MeMmoRrIA XI.]
di pioggia caduta in un giorno, osservate in ciascuna delle 36 decadi dei singoli anni
1879-1907. Nella tabella che segue riportiamo ora quante volte la massima precipitazione
diurna delle singole decadi raggiunse i valori qui sotto indicati nella testata della tabella
medesima :
x mm mm mm mm mm mm mm mm mm mm mm mm mm mmjmm mmjimm
CITTA 30-40 | 41—S$0 | si—-60 | 61-70 | 71-80 | 81—90 | gr—-100|101—150|151—200
|
Messina Su II 9 5 | 4 I I _ —
Palermo 43 15 6 RE O) 3 2 —_ —
Trapani 3I S 3 4 2 | I — - —
Girgenti 28 2i 6 o | 2 I - _ —
Siracusa 40 26 14 To) 6 I I DI I
Catania 44 26 9 4 3 I I 6 I
|
Riposto 46 22 17 Tian Do) 3 2 3 2)
I
Le cifre sopra scritte confermano quanto sopra
abbiamo detto e difatti mentre il nu-
mero delle volte che sono state osservate nelle varie decadi massime precipitazioni da 30
mm. a 40 mm. è poco differente per le varie località, eccettuate le città di Girgenti e
Trapani che hanno numeri minori, per le precipitazioni superiori a 40 mm. si hanno sem-
pre valori più elevati per le città del versante orientale.
I |
Memoria XEEI.
Istituto d’Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Catania
I mitocondri ed ì globuli vitellini dell’oocite di Coniglia allo stato normale
ed in condizioni sperimentali.
Contributo allo sviluppo del deutolecite ed alla differenziazione sessuale
delle ova dei Mammiferi
Nota 1° di ACHILLE RUSSO
(con 4 figure nel testo ed una tavola)
Prefazione — Lo sviluppo del dexzo/ecite nell'uovo dei Mammiferi in questi ultimi
anni è stato oggetto di numerose ricerche. Il Var der Strzcht (1) ha portato il massimo
contributo su tale soggetto, che il Sobozfa (2) nel 1895 definiva come uno dei più dif-
ficili, non solo con i propri lavori, ma consigliando di estendere l’ argomento ad altri or-
dini di Vertebrati a numerosi suoi allievi, fra i quali ricordo il d’ /7o/lander (3), de So-
mer (4) ed il Lamis (5).
Queste mie ricerche, se hanno dei punti di contatto con quelle degli Autori citati, se
ne allontanano però molto non solo per il soggetto di studio, che offre delle modalità di-
verse nella genesi del vzfe/Zo, ma anche più per lo scopo a cui mirano, che è precipua-
mente quello di portare un nuovo contributo di fatti alla differenziazione sessuale delle ova,
già da me accennata in una precedente Memoria (0).
(1) VAN DER STRICHT O.—Le pseudochromosome dans l’oocyte de Chauve - souris. Compt. rendus de l’assoc.
des Ana:omistes -- Montpellier 1902.
» > La couche vitellogéne et les mitochondries dans l’oeuf de Chauve - souris —
Verhandl. d. Anat. gesellsch. in Jena, 1904.
» » La structure de l’oeuf des Mammiferes. 1.8" Partie — Arch. d. Biologie —
T. 21 — 1904.
» » La structure de l’ oeuf des Mammiferes — 2M€e Partie — Bull. de |’ Ac. royal
de médecine de Belgique — IV ser., T. XIX, 1905.
(2) SoBoTTA J. — Die Befruchtung und Furchung des Eies der Mau. Arch. f. Mikrosk. Anat., Bd. 45,
1895. pag. 43.
(3) D’HoLLanpER F.— Les pseudochromosomes dans les oogonies et les oocvtes des Oiseaux —- Bibl.
Anatomique — 1904.
(4) DE SomeRr E. — Les premiers stades de la vitellogenèse dans 1° ovule de la Poule — Ann. de la Soc.
de medecine de Gande, 1905.
(5) Lams H.— Contribution a l’ étude de la genése du vitellus dans l’ovule des Teléostéens — Arch.
d’anat. microscopique. 1904.
» » Le corps vitellin de Balbiani et la masse vitellogène dans l’oocyte de Rana temporari,.
Verhandl.d, Anat. Gesellsch, in Rostok. 1906.
(6) Russo A.—-Modificazioni sperimentali dell’ elemento epiteliale dell’ ovaia dei Mammiferi-Atti R. Acc.
dei Lincei. Roma 1906.
ATTI Acc., SerIE V, VoL, II. Mem. XII. I
2 Achille Russo [Memoria XII.]
In altre pubblicazioni posteriori (1) ebbi inoltre l'occasione di rilevare alcuni particolari
processi con i quali i m2/focondri dell’ oocite prendono parte alla formazione dei g/obulz
vitellini a struttura mielinica, di natura aczdofila. Con questa Nota mi propongo di deter-
minare meglio lo sviluppo di questo elemento essenziale del vz7e//o, di mostrare la sua
evoluzione durante tutto il ciclo vitale dell’ oocite, e le modificazioni che subisce, insieme
alle granulazioni mitocondriali, quando le Coniglie siano state convenientemente trattate con
Lecitina.
Sarà inoltre fatto cenno delle condizioni in cui si trova, negli stadî finali dello sviluppo
dell’ oocite, la grazz/osa, la quale partecipa ai mutamenti che subisce il materiale deuto-
plasmico del vitello. Mi riserbo per altro di trattare a parte tale argomento, su cui si sono
accumulati numerosi lavori, che riguardano la degenerazione dell’ uovo.
Per la maggiore intelligenza dei fatti, che qui saranno esposti, bisogna però distinguere
la vera degenerazione degli ov/sacchi, da alcune condizioni speciali in cui essi si trovano
prima che l'uovo fosse fecondato.
Mi lusingo che il contenuto di questa Nota giovi in qualche modo ad illuminare uno
fra i problemi più complicati ed oscuri, che si discutono nel campo della BzoZogza !
Tecnica e distinzione degli stadit evolutivi dell’ oocite. — Per queste ricerche mi
sono servito di ovaie di Coniglie adulte, che furono trattate con il metodo di fissazione e
di colorazione proposto dal Berda. Sebbene per differenziare le diverse granulazioni, conte-
nute nel vitello, servano anche bene le colorazioni ottenute con l' Ematossilzna ferrica
di Hesdenhain, pure, per non lasciare adito alla critica, di cui in Italia si sono fatti por-
tavoce, con prematuro giudizio, il Levi (2) ed il Giglio-Tos (3), cioè che i granuli fon-
damentali del protoplasma di mazura mitocondriale siano di natura deutoplasmica, mi
sono servito a preferenza della colorazione Benda. Questa, come si vede dalle figure,
che accompagnano questa Nota, colora in azzurro i m27/ocondrtî, mentre i globuli deuto-
plasmici si colorano in una tonalità che dal rosa va al giallo-aranciato.
Credo superfluo intrattenere il lettore sui procedimenti impiegati per la colorazione di
Benda, in seguito alle modificazioni proposte dallo stesso Autore, poichè essi furono det-
tagliatamente esposti dal Meves (4)!
Per facilitare le descrizioni ed i confronti delle ova esaminate in varie condizioni, di-
stinguo diversi gradi di sviluppo dell’ oocite, i quali si possono considerare come tipi
fondamentali. Tra uno stadio e l’ altro si possono trovare stadî intermedì.
Non potendosi considerare l’ oocite indipendente dal suo follicolo, poichè le cellule fol-
licolari sono 1 elemento indispensabile all’ incremento del vitello, così contradistinguo i di-
versi stadi del ciclo vitale dell’ uovo dallo sviluppo diverso raggiunto dal suo involucro.
(1) Russo A. — Sull’origine dei mitocondrî e sulla formazione del deutoplasma nell’ oocite di alcuni
Mammiferi — Rendic. R. Acc, dei Lincei — 1907.
» > Sull’origine e sulla funzione dell’ apparato mitocondriale nelle cellule sessuali dei Mam-
miferi. Boll. Accad. Gioenia di Sc. Nat., Catania. Fasc. 2°, Ser. 2°, 1908.
(2) Levi G. — In Sunti e Riviste del Monit. zool. italiano. Anno 1907. Fasc. 9.
(3) GieLIo-Tos E. — I mitocondrì nelle cellule seminali maschili di Panphagus marmoratus (Burm.).
Biologica. Vol. 2°, 1908.
(4) Meves FD. und DursBERG J.—Die Spermatozytenteilungen bei der Hornisse (Vespa crabo L.)— Arch.
f. Mikrosk. Anatomie. Bd. 71 — 1908.
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’oocite di Coniglia ecc. 3
Coincidendo quasi sempre il grado di sviluppo del follicolo ovarico con quello dei mate-
rali deutoplasmici del vitello dell’ovo, si possono distinguere i seguenti stadî :
I. Qvo con follicolo a cellule piatte.
2. Qvo con follicolo a cellule cubiche.
3. QOvo con follicolo di 2 strati di cellule.
4. Qvo con follicolo di più pianti di cellule e con spazi follicolari.
5. QOvo con cavità follicolare completamente sviluppata, che fa distinguere
una granulosa ovulare ed una parietale.
6. Qvo maturo.
Evoluzione dei mitocondri e dei globuli vitellini allo stato normale.
1. Negli oociti con follicolo a cellule piatte mancano affatto i materiali deutoplasmici.
Nel protoplasma si distingue una massa fondamentale compatta, quasi incolora, in cui
sono sparsi dei granuli mitocondriali. (Fig. 1). Questi sono in maggior numero alla peri-
feria e qua e là ammucchiati anche perifericamente, in modo da costituire dei grumi di
sostanza mitocondriale.
In questo stadio si osserva, per lo più verso la periferia del vitello, un nucleo vitel-
lino, che si colora in rosso-giallastro, come il nucleolo. Attorno ad esso si osservano spesso
addensati dei mitocondri, come fu descritto dal Vaz. der Stricht (1). Non credo però che
tale addensamento, dal v. d. Strzcht denominato dbuayvau vitellogène, nella Coniglia sia
normalmente destinato allo sviluppo del deutolecite.
2. Nell’ ooplasma dell’ oocite con cellule follicolari quasi cubiche (Fig. 22), i 772770cor:-
dri, pur tenendosi in massima parte raccolti alla periferia, cominciano a disporsi in file,
che si anatomizzano fra loro in qualche punto e che si prolungano verso il centro dell’ovo,
dove è situata la vescicola germinativa. Quando le cellule follicolari sono divenute molto
allungate e qualcuna comincia già a scindersi per dar luogo al follicolo di due piani cel-
lulari, l' addensamento dei mitocondri alla periferia dell’ ooplasma è molto diradato, ed al
contrario si osserva, in quasi tutta la superficie del vitello, una reze di cordoni costituiti da
mitocondri (Fig. 3*). Per tal modo, in questo stadio, tutta l’ area ooplasmica è divisa in
tanti spazi, dentro cui si formeranno i vacuoli, contenenti il materiale deutoplasmico liquido
del vitello. Nello stadio considerato, i punti nodali della rete 724tocondriale si mostrano
spessiti, per un addensamento di 7722focondr?, i quali formano dei veri duayaux vitello-
gènes, secondo l’espressione di v. d. Stricht. Difatti, in essi, in fase più progredita dello
sviluppo, appariscono i primi g/obulz &vztellini a struttura mielinica, di natura acidofila.
3. Negli oociti con follicolo di 2-3 piani di cellule cominciano a delinearsi i primi
vacuoli, i quali, essendo chiari, spiccano assai bene nella massa del vitello azzurrognola
(Fig. 44). Essi sono sparsi irregolarmente, ma per lo più occupano la zona mediana del
vitello. Attorno a questi vacuoli e nei tratti, che limitano un vacuolo e |’ altro vicino, che
nell'insieme formano una rete, sono, in questo stadio, dei globuli abbastanza numerosi, che
si tingono in violetto o in una tonalità di colore che dall’azzurro va al roseo.
(1) VAN DER STtRICHT 0. — Loc. cit 1905.
4 Achille Russo [MemorIA XII].
Interposti fra questi globuli si osservano delle granulazioni esilissime, che si colorano
in azzurro e che dai primi sono perciò bene distinti. Sono essi i 772focomdri, che in questo
stadio non sono così evidenti come negli stadii precedenti ed in quelli susseguenti.
I globuli colorati in violetto, distinti dai 727f0c0rdr7, oltre che per la loro colorazione,
dalla loro forma e grandezza, sono qualche volta circondati da un addensamento di mi-
nute granulazioni azzurre o mitocondriali,
In base a tale constatazione di fatto io ritengo che ì g/obulz vitellini, come altrove
avevo sostenuto (1), si formino per fusione di alcuni granuli mitocondriali e per la trasfor-
mazione della loro natura microchimica.
In stadi molto precoci di formazione dei g/0bulz vitellini, la colorazione rosea-gialla-
stra caratteristica non è ancora visibile, però essi sono già bene distinti per la loro forma
rotondeggiante, simile a quella dei globuli in pieno sviluppo.
L’origine dei globuli vitellini è meglio evidente nei preparati fissati con liquido Benda
e colorati con l’ Ematossilina ferrica. In questi preparati si osserva, come ho già detto
altrove (2), che negli addensamenti di 7727ocordr: alcune granulazioni mutano la loro na-
tura microchimica, poichè non si colorano più in nero.
Questi granuli incolori, fondendosi fra loro, formano il globulo vitellino, che appunto
con l Ematossilina ferrica resta sbiadito.
4. Nell’ ooplasma dell’ oocite con follicolo di 3 e più piani di cellule ed in cui comin-
ciano a formarsi degli spazi follicolari, i materiali deutoplasmici si possono dire al com-
pietosa (Bio: (98);
In questo stadio quasi tutto l’ ooplasma è pieno di vacuoli, i quali determinano una
rete, che è la reze vztellina. Questa si estende dalla periferia del vitello fin quasi alla
vescicola germinativa, che, per tale incremento del deutoplasma, viene spostata verso un
polo dell’ ovo, dove è circondata da vitello compatto (3). Lungo tutta la rete vitellina
sono disseminati i g/obwul7 vitellini, a struttura mielinica, che ora hanno raggiunto il loro
definitivo sviluppo. Essi sono un pò più grossi che nello stadio precedente e sono tinti
in rosa o in giallo-rossastro ; cosicchè spiccano benissimo fra le minute granulaziani mi-
tocondriali colorate in azzurro.
5. Il vitello delle ova, che hanno raggiunto il massimo del loro sviluppo, che, cioè,
sono provvedute di una larga cavità follicolare e sono circondate da una granulosa 0vu-
lare, distinta da una parzetale, non si presenta da per tutto con gli stessi caratteri.
Alcune ova, come nello stadio precedentemente descritto, hanno una rete vitellina, che
limita dei vacuoli regolarmente disposti in tutta l'estensione dell’ ooplasma, eccettuato nel
polo dell’ ovo, dove trovasi la vescicola germinativa. Sulle maglie della rete di tali ova so-
no disseminati i globuli vitellini, che spiccano, per la loro forma e colorazione rosea, fra le
granulazioni mitocondriali colorate in azzurro.
Altre ova, pur essendo presso a poco nel medesimo stadio di sviluppo, hanno spazi
vacuolari meno evidenti e più piccoli e mancano affatto dei globuli a struttura mielinica,
avanti descritti. Queste ova sono soltanto fornite di una rete a maglie regolari, costituita
da mitocondri, i quali si colorano in azzurro (Fig. 6). In queste ova si osserva talvolta
(1) Russo A. — Loc. cit. 1907.
(2) Russo A. — Cfr. supr.
(3) Circa alla polarità dell’ uovo di Coniglia, che non ho creduto di trattare qui a lungo, rimando alle
Memorie di Van Beneden, di v. d. Stricht e di Rubaschkin, citati nel corso di questo lavoro.
(©)!
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia ecc.
nell’ ooplasma una o due masse rotondeggianti di vitello compatto poco colorato simili a
quelle recentemente riscontrate da Athias (1) ed interpretate come residui del 72zc/eo vitellino.
Fig. 1. — Sezione di ovaia di Coniglia normale di circa 10 mesi, in cui si osservano due follicoli diversa-
mente costituiti. In quello di destra la granulosa parietale & integra e l’ ovo è ricco di globuli vitellini
tinti in nero. In quello di sinistra le cellule più superficiali della granulosa, nel punto più lontano dal cu-
mulo ooforo, sono in cromolisi ed alcune sono cadute nel liquido follicolare.—L’ovo, relativamente a tale
costituzione della granulosa, è privo di globuli vitellini ed in esso solo si osserva la rete mitocondriale.
Alcune ova con tali caratteri presentano inoltre un follicolo integro in tutte le sue parti,
cioè, con cellule della grazz/osa sia parietale che ovulare allo stato normale.
In alcuni follicoli invece, ad uno stadio quasi uguale del precedente e che portano
ova con i medesimi caratteri, si osserva che alcune cellule della g7ra7zz/osa parzetale,
nel punto più lontano del disco proligero, e propriamente quelle interne a contatto con il
liquido follicolare, sono in incipiente degenerazione cromatolitica. Essa è simile a quella
che su larga scala si verifica nei follicoli afreszci, che contengono ova in avanzato stadio di
distruzione (corpi lutei falsi), o che contengono ova apparentemente floride, perchè proviste
di fuso polare, ma destinate a perire, perchè la degenerazione ha anche attaccato le cellule
del disco proligero (Flemming).
Tale fatto fa supporre che le ova con i caratteri sopra descritti e con follicolo nor-
(1) ATHIAS M. — Les phénomènes de division de l’ ovule dans les follicules de De Graaf en voie d’a-
resie chez le Lérot (Eliomys quercinus L.). Anat. Anzeiger. 1909. Bd. XXXIV.
6 Achille Russo [MemorIA XII.|
male o in incipiente degenerazione cromatolitica della g7a72z/0sa parzetale, siano in fase
più avanzata dello sviluppo ovvero delle ova che, per un metabolismo poco attivo, abbiano
consumato più presto la propria riserva di dexfoplasma, impiegando a proprio beneficio
le cellule della granulosa.
La seconda ipotesi viene avvalorata dalla degenerazione della granulosa nelle Coniglie
digiunanti, come sarà esposto in una Nota in corso di stampa (1).
Qualunque sia l’ interpretazione che si voglia dare alle ova sprovviste di globuli vz-
tellini e con cellule della granzu/osa parietale in cromolisi, pare sicuro che esse, al con-
trario di quanto avviene nelle ova degenerate, siano anche fecondabili.
Restando nell’ ovario, è naturale che subiscano |’ ultima fase del loro ciclo vitale, de-
generando completamente col proprio follicolo.
6. La diversità che si osserva nei costituenti del vitello, allo stadio precedentemente
considerato, si accentua anche di più nelle ova mature e prossime a cadere nelle 77-0772de.
Per ottenere tali stadî finali ed avere la certezza che le due sorta di ova siano fe-
condabili, ho tenuto, conforme a quanto suggerì il Van Beneden ed altri più recenti os-
servatori (Regaud e Dubreuil), per un tempo variabile da 7-9 dopo il coito fino a 2-3 gior-
ni, insieme con il maschio, delle Coniglie adulte in calore. In seguito a tale unione ucci-
devo le femmine e staccavo con un taglio di rasoio i follicoli più grossi e sporgenti sulla
superficie dell’ ovaia; cosicchè spesso ho potuto sezionare al microtomo tutti i follicoli
poco prima di scoppiare e contenenti ova con le vescicole polari già formate o con il
1° fuso polare.
Oltre a tale carattere, per giudicare della maturità delle ova così raccolte ed avere la
certezza relativa che non si trattasse di ova degenerate, ho tenuto presente, come già fe-
cero E. Van Beneden (2), Paladino (3), Sobotta (4), Lams e Doorme (5) ed altri, i carat-
teri delle cellule della corona radzata, le quali allo stato normale sono molto allungate
e con protoplasma, poggiante sulla zona pellucida, quasi filiforme ; mentre, nei casi di de-
generazione alcune di esse presentano i noti fenomeni di cr0mzo/zsî, descritti per primo
dal Flemming (6).
Tenendo presente inoltre le ricerche di varii Autori e quelle più recenti di Heape (7)
e di /regaud e Dubreuz! (8), dalle quali si rileva che la rottura dei follicoli maturi non
(1) Russo A. — Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno e sul suo significato nella
differenziazione sessuale delle ova nei Mammiferi — In questo stesso volume degli Atti dell’Accad. Gioenia.
(2) Van BenebEN E. — Recherches sur l’émbryologie des Mammiferes. La formation des feuillets chez
le Lapine. Arch. de Biologie. T. I— 1880, pag. 138, 139.
(3) PaLapino G. — Ulteriori ricerche sulla distruzione e rinnovamento continuo del parenchima cvarico
nei Mammiferi. Napoli, 1887.
(4) SoBortA J.—Die Befruchtung und Furchung des Eies der Maus. Arch. f. Mikrosk. Anatomie. Bd. 45, 1895.
» » Ueber die Bildung des Corpus luteum beim Kainchen, etc.—Anat. Hefte—Bd. VIII, 1887.
(5) Lams H. ET DooRme J. — Nouvelles recherches sur la Maturation et la Fecondation de l’Oeuf des
Mammifères. Arch. de Biologie, T. XXIII, 1907.
(6) FLEMMING W. — Ueber die Bildung von Richitungsfiguren im Siugethierei beim Untergang Graaf°-
scher Follikel. Arch. fur Anat. und Physiol., Anat. Abtheil., 1885.
(7) Heape W. — Ovulation and degeneration of ova in the Rabbit. Proceed. Royal Soc. LKXVI, 1905.
(8) RecauD CL. ET DuBrevIL G. — Influence du Male sur les fonctions ovariennes. L’ovulation, chez
la Lapine, n’est pas spontanée. Lyon medical, 1908.
» » -- L’ovulation de la Lapine n'est pas spontante—Comptes rendus de
seances dela Soc. de Biologie, T. LXIV, 1908.
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc.
è spontanea nel Coniglio, ma provocata dal cozto, è da ritenere che le ova con i caratteri
sopra indicati, contenuti nei follicoli esaminati, siano pronti a cadere nelle trombe per es-
Fig. 2.—Follicolo di Graaf ma-
turo, in cui la granulosa pa-
rietale è in parte distrutta
(gpd)—Il cumulo ooforo è in-
tegro ed è anche integra quella
parte della granulosa parietale
con la quale esso si connette,
mediante tratti cellulari. —
L’ovo ha già amesso il 1° glo-
bulo polare e contiene il 2°
fuso polare, che è normale.
Il vitello è privo di globuli
vitellini e contiene solo la rete
mitocondriale. Questa figura
semischematica fu ricavata
da sezioni appartenenti alla
serie da cui fu presa la micro-
fotografia rappresentata nella
Fig. 6%, Tav. 2a, nella Nota 2°,
(ag) antro follicolare, (tfe)
strato esterno della teca del
follicolo, (tfi) strato interno,
| (eg) epitelio germinativo.
Fig. 3.—Follicolo di Graaf
maturo, in cui la granulosa
parietale (gp) ancora non
è interamente distrutta.
Relativamente a tale feno-
meno, l’ovo è ricco di
globuli vitellini. (af) antro
follicolare, (tfi) e (tfe) stra-
to interno ed esterno della
teca del follicolo, (eg) e-
pitelio germinativo,
8 Achille Russo [MemorIa XII.]
sere fecondate. In tale condizione ritengo di avere esaminato le ova nella loro fase evo-
lutiva finale (1).
In alcune di tali ova, come nella fig. 7 della Tavola, corrispondente a quello che si
osserva nella figura 2*, qui stesso inserita, che rappresenta l'insieme del follicolo, il vitello
contiene solo una rete di granuli mitocondriali e la zona pellucida è poco colorata, mentre
poi la granulosa parietale è in gran parte distrutta.
In altre ova invece, anche al medesimo stadio del precedente, con fuso polare o con
vescicola germinativa pronta alla cariocinesi, il vitello, oltre la rete mitocondriale, contiene
vacuoli più evidenti e dei globuli vitellini, però meno numerosi e più piccoli che nello stadio
evolutivo precedente. La zona pellucida in queste ova è per lo più colorata in azzurro,
quando si è adoperato il Crzsta/vzoletto, 0 in nero, dopo il trattamento con /° Ematossi-
lina ferrica. Oltre a ciò, in questo caso la granulosa parietale conserva ancora le sue
cellule intatte, ovvero, pur essendo distrutta negli strati superficiali, a contatto con il liquido
follicolare, fa vedere gli strati cellulari sottostanti più vicini alla 72e72brana ‘vitrea. In
qualche caso si osservano ancora intatti alcuni corpz di Call ed Exner (fig. 2* nel testo).
La diversità della g7a7z/0sa, che è concomitante con la diversità dei costituenti del
vitello, fa ritenere, come meglio sarà dimostrato nella Nota avanti citata, che tratta più
da vicino l’ argomento , che effettivamente esistano nella Coniglia due tipi di ova mature
contradistinte da un diverso tipo di metabolismo. Alcune conservano più a lungo i mate-
riali deutoplasmici, altre invece li consumano più presto ed impiegano a proprio benefizio
la granulosa parietale, la quale in questi casi è in gran parte distrutta.
08
I mitocondriî ed i materiali deutoplasmici durante l evoluzione dell’ oocite
nelle Coniglie trattate con Lecitina.
Le figure 8, 9, 10, 11, 12 furono ricavate da sezioni di ovaia di Coniglia a cui fu
somministrato per bocca, dal 1° Dicembre al 28 Gennaio successivo, della Lecitina sciolta
in Soluzione fisiologica di Cloruro di Sodio al 0,5 °/. Tale soluzione veniva data ogni
mattina, prima dei pasti ordinarii, in proporzione di 25-30 cc., mescolata con Crusca. In
questo periodo di tempo furono fatte 5 iniezioni sottocutanee ed una endoperitoneale di Le-
citina mescolata in olio di Vasellina, secondo le norme indicate nella Nota a pag. 12 di
questo lavoro.
Le iniezioni sottocutanee furono fatte nella faccia interna delle cosce e ai due lati
dell'addome al 20 ed al 23 Dicembre, al 4, al 10 ed al 24 Gennaio, l’ iniezione endoperi-
toneale fu fatta al 16 Gennaio.
1. Nell’ oocite con follicolo a cellule piatte gran parte dell’ooplasma è occupato da gra-
nuli azzurri mitocondriali. Questi però sono più abbondantemente raccolti alla periferia, dove
formano dei cumuli posti ad uguale distanza fra loro. Da tali cumuli si dipartono verso
il centro, ove trovasi la vescicola germinativa, delle correnti di granuli mitocondriali (fig. 82).
(1) Mi riserbo di esporre in una prossima Nota i risultati ottenuti sulla struttura del vitello delle ova, che
sono già cadute nelle trombe. Qui voglio ricordare che della diversità di struttura dell’ooplasma dell’ uovo di
Maiale si è già occupato il Rubaschkin, però senza attribuire alcun particolare significato al fenomeno.
Cfr. Ueher die Reifungs-und Befruchtungsprozesse des Meersclhweincheneies—Anat. Hefte—Bd. 29—1905.
i de a e
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. 9
In questo stadio, come negli stadii successivi, / 00p/asm:a, che nel normale si tinge
poco, si osserva sempre colorato in azzurro più o meno intenso.
2. Nell’oocite con follicolo a cellule più spesse i mitocondri conservano la disposizione
descritta nello stadio precedente ; però, quando esse sono divenute cubiche, dai mucchi di
granuli mitocondriali periferici, si dipartono dei cordoni, che in più punti si anastomizzano,
e che sono formati dalla stessa sostanza mitocondriale.
Tale disposizione reticolare del 772//0c0rdrzoma, che, nello stadio normale corrispon-
dente, è appena accennata, si sviluppa precocemente nelle Coniglie lecitinate.
3. Quando il follicolo comincia ad essere in qualche punto di due piani di cellule,
vale a dire molto prima che nello stadio normale corrispondente, tutto l’ ooplasma (fig. 9°)
è occupato dal reticolo mitocondriale, il quale lo divide in tante aree, dove si formeranno
ben presto i vacuoli. Difatti, tanto questi costituenti del deutoplasma quanto i g/obwu/z aci
dofili a struttura mielinica cominciano a formarsi in questo periodo, come si osserva nella
stessa fig. 92, precedendo così lo stadio 4°, descritto nelle Coniglie normali.
Questo stadio, quale fu rappresentato nella fig. 48, non mi fu possibile osservarlo
nelle Coniglie lecitinate; cosicchè credo che, in queste condizioni di esperimento, per
un’ accelerazione dello sviluppo del deutolecite, si passi alle condizioni descritte nello stadio 5°
delle Coniglie normali.
4. Negli oociti con follicolo di 3 a più piani di cellule od in cui si osservano gia
degli spazii con /iQquido follicolare , Vl coplasma è già occupato, in quasi tutta la sua
estensione, da una rete, che limita dei vacuoli. Questi però sono più piccoli e meno chiari
che nel normale, essendo pieni di un materiale che si colora più tosto intensamente.
Lungo le maglie della rete sono i g/0Du/7 vztellini colorati in rosa, più piccoli e più nu-
merosi che nel normale, insieme a tali globuli sono frammiste delle minute g7azz/azzone
mitocondriali colorate in azzurro (fig. 10).
| Una simile struttura della massa deutoplasmatica si conserva fino a che il follicolo
ovarico contiene degli spazii follicolari molto larghi ed è già molto avanti nel suo sviluppo.
i È notevole a considerarsi che in questo stadio la zona pellucida è fortissimamente
colorata in azzurro e che il protoplasma delle cellule follicolari, specialmente quello delle
cellule della corona radiata che poggia sulla zona, è ricco di granuli o di masse com-
patte colorate anche in azzurro, come i wm22/ocondri dell’ ooplasma (Fig. 102).
Nel protoplasma delle cellule follicolari in generale, ma specialmente in quello delle
c. coronali, si osserva in questo stadio, dopo il trattamento delle Coniglie con la Lecz-
tina, un sistema di filamenti, che avvolgono il nucleo e che si continuano nel protoplasma
basale, soprastante la zona pellucida. Tali fili si colorano in azzurro, come la massa mi-
tocondriale, per cui non è inverosimile che essi siano della stessa natura (Figg. 11% e 122).
Il trovare nelle cellule del follicolo ovarico, più evidenti che nel normale, questo siste-
ma di fili protoplasmatici, colorantisi in azzurro come i mitocondri, indipendentemente del
loro particolare significato e di un possibile ravvicinamento con l apparato reticolare di
Golgi (1), fa ritenere che la Lecztina attivi i processi costruttivi delle ce//x/e nutrici. Un
(1) Per la quistione del significato dell’ apparato reticolare veggasi la comunicazione fatta al Convegno
dell’Unione Zoologica italiana in Bormio dal Prof. Golgi, (Monitore Zool. ital.-—-Suppl. 1909), il quale mantiene
in proposito il più grande riserbo, Il ravvicinamento con / apparato mitocondriale. di Benda e Meves, viene
reso poco probabile dalle osservazioni del Dott. Perroncito, opportunamente ricordate dallo stesso Prof. Golgi,
cioè che negli spermî di Paludina vivipara l’ apparato reticolare si presenta costituito diversamente dell’appa-
ATTI Acc., SerIE V, Vor. II Mem. XII. 9
10 Achille Russo [Memorra XII.]
segno di tale attività sarebbe la maggiore affinità che hanno i costituenti protoplasmatici
con le sostanze coloranti specifiche impiegate.
Oltre a ciò, la possibilità, da me precedentemente espressa (1), cioè che il materiale
per l’ incremento del condrzoma ovulare venga fornito dalle cellule follicolari, se non mi
inganno, è anche confermata dalle correnti radiali di minutissimi granuli, che si trovano
nello spessore della zona pellucida e che si colorano anche in azzurro, come i wm2ztocon-
driî. Resterebbe così a decidersi se i gra7z/7 mitocondriali, che si osservano più ab-
bondanti nell’ooplasma, in seguito al trattamento delle Coniglie con la Lecitina, penetrino
già formati attraverso la 20724, ovvero se non penetri una sostanza, che potrebbe chiamarsi
mitocondriogena , la quale rende più evidente, con i mezzi di tinzione impiegati, delle
granulazioni protoplasmatiche, che allo stato normale non si colorano.
Tale questione però, non altera il risultato finale, cioè che l’ aumento delle granula-
zioni mitocondriali, in seguito a somministrazione di Lecitzna , sia indice del migliorato
metabolismo animale.
Dopo quanto ho esposto, non mi pare che sia il caso di soffermarmi sulla quistione
sollevata da Lev? (2), a cui ha fatto eco Gzg/zo-Tos (3), cioè che le granulazioni
mitocondriali, aumentate mediante l’uso della ZLecz#77a, possano essere di natura deuto-
plasmica; poichè le due categorie di corpi sono bene distinte da una speciale colorazione,
come avanti si è detto e come chiaramente si vede nelle figure.
5. Allo stadio precedentemente descritto succede l’ uovo maturo, il quale si distingue
per i caratteri già indicati al N. 6 del capitolo precedente.
Da una coniglia lecitinata ho raccolto sei ova mature, le quali presentavano quasi
tutte gli stessi caratteri.
In queste ova (Fig. 112) I ooplasma è cosparso da piccoli vacuoli, limitati da una
rete vitellina fortemente colorata in azzurro. Lungo la rete si osservano delle minute gra-
nulazioni azzurre di natura mitocondriale e dei globuli vitellini di varia grandezza, alcuni
grossi, posti nei punti nodali della rete, altri più piccoli, colorati in rosso molto intenso,
tendente quasi al bruno.
L’ooplasma, al di sotto della zona pellucida, è compatto e formato da granulazioni
azzurre, fra cui spiccano alcuni globuli vitellini rosso-bruni.
La sona pellucida, come nello stadio precedente, è fortemente colorata in azzurro,
tanto che in essa non si scorge alcuna struttura. Al di sopra della zona, alla base delle
cellule della corona radzata, che sono molto allungate, si osservano cumuli di sostanze
anche fortemente colorate in azzurro, le quali formano, come nel caso precedente, il 7774-
teeriale mitocondriogeno.
rato mitocondriale, studiato dal Meves. D’altra parte, un argomento in favore del ravvicinamento suddetto sarebbe
l’ osservazione del Comes (Boll. Acc. Gioenia, Catania, 1909), il quale nelle cellule cartilaginee mise in evidenza
con il metodo di Benda lo stesso apparato reticolare, osservato dal Pensa, impiegando il metodo fotografico Golgi.
Avendo avuto il piacere di osservare le nitide preparazioni del Prof. Golgi, sono di accordo con lui, al-
meno per ciò che riguarda le cellule gastriche ed altri elementi di tessuti diversi, in cui l’ apparato reticolure
è limitato ad una regione del protoplasma, quella che circonda il nucleo. Vedi anche dello stesso Prof. Golgi
a pubblicazione completa apparsa in questo anno nel: Boll. dell'Accademia medico chirurgica di Pavia e nel:
Archives italien. de Biologie, in cui si troverà anche un’ interessante esposizione critica dell’ argomento.
(1) Russo A. — Loc. cit. 1907.
(2) Levi G. — loc. cit.
(3) GieLIo-Tos E. — loc. cit.
I NA
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. Il
La maggior parte delle ova mature delle Coniglie lecitinate presenta caratteri comuni
con quelle descritte nel normale allo stadio 5° e 6%, cioè con quelle che sono fornite di
vacuoli e globuli vitellini e che hanno la sona pellucida fortemente colorata.
In accordo con tali caratteri, anche la g747z/osa si presenta in pieno rigoglio ; poichè
le cellule della porzione parzetale sono tutte floride e nel liquido follicolare si trovano poche
cellule in dissoluzione, come nel corrispondente tipo dell’ovisacco, descritto allo stato normale.
Anche nel caso delle Coniglie lecitinate tale stato di floridezza, come si è detto, non
è generale; poichè alcuni ovisacchi hanno ova in cui i materiali nutritizi contenuti nel vi-
tello e nella zona pellucida sono deficienti ed in cui la granz/osa parzetale ha le sue
cellule in cr0m20/7s7 molto avanzata, specialmente nella porzione in contatto col liquido fol-
licolare. Tale trasformazione però è più rara nelle Coniglie lecitinate , essendosi artificial-
mente arricchito l’ ovaia di sostanze plastiche, le quali conservano più a lungo nelle ova
i materiali deutoplasmici. Difatti, come si osserva nella figura 92 della Nota 22, avanti citata
in una sezione longitudinale di ovaia di Coniglia lecitinata, che comprende quattro follicoli
maturi, tre sono con granulosa integra ed uno ha la parzetale in degenerazione cro0mza-
tolitica.
II.
Differenziazione sessuale delle ova di Coniglia. Accordo tra î risultati sperimen-
tali ed i dati morfologici. Confronto con i risultati sperimentali di R. Hertwig,
Il momento causale della determinazione del sesso.
In una precedente pubblicazione avevo distinto due specie di ova prossime alla ma-
turità, di cui alcune erano ricche di materiali deutoplasmici, mentre altre ne erano aftatto
prive. Con le ‘presenti ricerche
il loro significato viene ad essere
meglio determinato; poichè le
ova con vacuoli e globuli vitellini
sono da considerare come ele-
menti che hanno raggiunto l’ul-
tima tappa del loro normale
sviluppo e che per un metabo-
lismo attivo si conservano a
lungo in tale stato, mentre quelle
che mancano di tali materiali
per un metabolismo poco energi-
lo oltrepassano più facilmente.
Le particolari condizioni del
metabolismo, che determinano
questo stato speciale dell’oocite,
vengono confermate dalle con-
dizioni della granulosa parie-
tale, la quale in questi casi, es-
sendo in degenerazione croma- 19, Sd:
Fig. 4. — Microfotografia di follicolo di Graaf di Coniglia normale
con cellule della granulosa parietale ed ovulare in cromolisi.
in una sorgente di materiale Anche l’ovo presenta i segni della degenerazione.
tolitica, si trasforma essa stessa
10. Achille Russo [MemoRrIA XII.]
nutritizio. Se l’ovo, giunto a questo stadio, non esce dal follicolo per essere fecondato, dege-
nera insieme alla porzione ovulare della granulosa, come si osserva nella figura 44 qui annessa,
Dall’ esposto si rileva che la critica mossa dal Dott. Heape (1) a tale constatazione
di fatto deriva dall’ incompleta valutazione dei fenomeni riguardanti l'evoluzione dell’ovo e
del suo involucro. Il dottor Heape, considerando come ova degenerate quelle da me disegnate
nella tavola 22 della Memoria precedente (2), non ha tenuto presente che le ovaie, da cui
le ova furono ricavate, vennero fissate col sz0/72at0, il quale coarta i tessuti e spesso
produce delle immagini che sono incomplete. La diversità di struttura delle due specie di
ova mi è stata però confermata da preparazioni fatte con altri metodi. Spero perciò che
egli, valutando meglio i fatti, in base a queste nuove ricerche, che estendono anche al
follicolo la differenziazione delle ova, da me rilevata nel lavoro precedente, si convincerà
dell'errore in cui è caduto e lealmente lo vorrà dichiarare.
Delle due specie di ova, da me sopra distinte, le prime sono destinate a produrre
individui di sesso femminile, le seconde di sesso maschile. Tale affermazione viene avva-
lorata dalla percentuale dei nati dei due sessi allo stato normale e nelle Coniglie trattate
con Lecitina e dalla coincidenza dei risultati della statistica con i dati morfologici dei fol-
licoli nelle due sopradette condizioni.
Coloro i quali si occuparono della statistica delle nascite nel Coniglio ammisero una-
BI)
nimemente che la percentuale dei gg sia superiore a quella delle 99. Dalle mie ricerche
risulta che la percentuale dei 7g oscilla, secondo varie circostanze, dal 52 al 58 °/,. Il
Basile (3) stabili una percentuale di 51,14 ©/,; però, in un lavoro d'insieme (4), ho di-
scusso i dati forniti da questo Autore, dimostrando che la percentuale da lui fissata, sa-
rebbe aumentata, se non avesse accoppiato le Coniglie subito dopo il parto.
Anche le cifre comunicatemi gentilmente dal Dott. Hurst, a mezzo del Prof. Bateson,
e quelle più recenti del Dott. Punnett (5) confermano la maggiore proporzione dei gd.
Invece nelle coniglie trattate con Lecztzzza tale proporzione viene notevolmente inver-
tita, in quanto aumentano i nati di sesso femminile. (6) Tale inversione non è dovuta alla
(1) HEAPE W. — Note on Russo’ s attempt to show differentiation of the sex in the ovarian ova of
the Rabbit. Proceedings of the Cambridge Philos Society. Vol. XIV. Part. VI. 1908.
(2) Russo A. — loc. cit. 1906.
(3) Basie C. — Influenza della lecitina sul sesso e sui caratteri mendeliani—Rend. R. Acc. dei Lincei —
Roma 1908.
(4) Russo A. — Studien iber die Bestimmung des weiblichen Geschlechtes. — G. Fischer. — Jena 1909.
(5) PunweTT F. C. — On the alleged influence of lecithine upon the determination of sex in rabbits.
Proceed. of the Cambridge Philos. Society — Vol. XV — 1909. :
Arche il Dott. Punnett, come risulta da questa Nota, non condusse gli esperimenti secondo le norme
da me seguite e perciò non ebbe risultati conformi ai miei.
Egli, difatti, si limitò a dare soltanto per os la Lecitina in Soluz. fisiologica di Cl Na, mentre io a tale
trattamento accoppio sempre le iniezioni sottocutanee ed endoperitoneali.
(6) In risposta alle affermazioni di alcuni Autori, i quali, dopo avere ripetuto in maniera incompleta i miei
esperimenti, ritennero che la Lecitina non abbia alcuna influenza nell’alterare la proporzione normale dei sessi
nel Coniglio, aumentando il numero dei nati di sesso femminile, pubblico i risultati che ho ottenuto durante
il corso di questo anno. Aggiungo alcuni dettagli di tecnica, che nelle mie precedenti pubblicazioni su l’argo-
mento non erano stati sufficientemente precisati, e qualche modificazione, che rende più facile l’uso della Lecitina.
Ho scelto N. 20 Coniglie di 10 mesi circa, di cui 1o furono trattate con Lecitina e 10 lasciate per con-
pa
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. 13
mortalità di embrioni nell’utero, che sarebbero di sesso maschile, come vorrebbe il Basile;
poichè il numero dei nati è normale, secondo quanto si sa sul numero medio dei piccoli
che si hanno in ogni portata.
A tale riguardo perciò rimando il lettore ai Manuali di Coniglicultura ed al recente
trollo. Per gli accoppiamenti furono impiegati 10 5°, dei quali ognuno serviva per 2 9, cioè una normale ed
una trattata con Lecitina.
Il trattamento con tale sostanza resta fondamentalmente lo stesso di quello già noto; però, alcune mo-
dificazioni evitano gl’inconvenienti, di cui si è lamentato qualche autore.
Le Coniglie furono introdotte in Laboratorio il primo Dicembre e da questo giorno fino alla data del
loro accoppiamento fu data per os ogni mattino, insieme a della crusca, da 25 a 30 c. c. di Lecitina, sciolta
in soluzione fisiologica di Cl. Na, al 0,5 9,
In questo periodo di tempo furono fatte 5 iniezioni sottocutanee di 1-2 cc. di Lecitina, mescolata con
olio di Vasellina al 15-20 ®/o, ed una endoperitoneale anche di 1-2 cc.
In seguito a queste iniezioni le Coniglie non ebbero a soffrire alcun disturbo, ad es. gli ascessi, di cuì
parla qualche autore.
Il punto scelto per le iniezioni sottocutanee fu di preferenza il lato interno delle cosce ed i due lati del-
l’addome, l'iniezione endoperitoneale fu fatta al solito in uno dei lati dell'addome, sopra il tessuto mammario.
Il punto scelto per l’ iniezione veniva, dopo avere divaricato i peli, lavato con acqua molto calda, unita
ad una soluzione di Sublimato al 2 %/s. Dopo l'iniezione veniva fatto sempre un lungo massaggio sulla parte
con cotone idrofilo bagnato nell’ acqua quasi bollente. Con tale metodo ho evitato qualunque disturbo.
Ho adoperato anche in questo esperimento la Lecitina Merck, la quale, quando è pura, mostrasi di co-
lore giallo molto chiaro. È invece bruna quando comincia ad alterarsi.
La Lecitina per potere essere iniettata fu mescolata con Olio di Vasellina, previamente filtrato. Tale me-
scolanza si ottiene, senza alterare la Lecitina, nel modo seguente : Si versa in una capsula una certa quantità
di olio di Vasellina, tanto quanto basta per i soggetti che si vogliono iniettare, ad es. 25 cc., a cui si ag-
giungono 5 gr. di Lecitina, e si tiene al termostato circa 24 ore, alla temperatura di 36°, 38°. Alcune ore
prima di fare le iniezioni si agiti in modo che la Lecitina si mescoli bene all’Olio di vasellina ed avere così
un liquido sciropposo, denso e di colore giallo chiaro. Essendosi con tale procedimento prodotte delle bolle di
aria, bisogna aspettare 1-2 ore prima di servirsi del liquido.
La mescolanza era preparata volta per volta, e per ottenere il massimo di Lecitina nella minima quan-
tità di Olio essa veniva messa sempre in eccesso.
Tali dettagli potrebbero sembrare superflui; però la riuscita dipende in gran parte dalla preparazione del
liquido da iniettare e dal modo di fare le iniezioni; poiché nell’organismo è necessario che Olio di Vasellina
si separi e che la Lecitina venga solo assorbita. Io ho potuto constatare che qualche volta, preparando il li-
quido ad elevata temperatura, invece di avere una unione meccanica della Lecitina con l’Olio di Vasellina, si
otteneva una vera soluzione , il cui prodotto era un liquido molto fluido di colore bruno-rossastro, in cui la
Lecitinu doveva essere alterata. Come conseguenza dell’ introduzione di tale sostanza nell’ organismo , si pro-
ducono non solo facilmente degli ascessi, ma spesso si hanno dei casi di morte !
Quando invece il trattamento con la Lecitina sia fatta con tutte le precauzioni sopra indicate, le Coniglie
aumentano di peso, il loro metabolismo viene migliorato, il che si manifesta con un arrossamento della mucosa nasale
e vaginale e con un turgore speciale delle labbra, che non si osserva ordinariamente nelle Coniglie normali.
Il confronto fra il numero dei nati dei due sessi nelle Coniglie normali ed in quelle trattate con la Le-
citina riguarda nei miei esperimenti i prodotti del 1° parto. Nei parti successivi delle Coniglie lecitinate non
sempre si ottengono gli stessi risultati, specialmente quando tra un parto ed il successivo accoppiamento
non si faccia intercedere il tempo necessario per l’ allevamento dei piccoli ed una nuova ovulazione, nel quale
frattempo si ripeterà il trattamento fatto precedentemente.
Gl’ insuccessi, che spesso si verificano nei parti successivi, non alterano però il significato delle cifre ot-
tenute nel 1° parto, dopo il primo trattamento ; poichè non è improbabile che l’ovaia, per etfetto delle inie-
zioni, subisca delle modificazioni, che per ora sfuggono ad una precisa analisi.
Dall’ esposto risulta in ogni caso che quando si raccolgono le cifre dei nati del primo parto delle Coni-
glie lecitinate e si confrontano con i nati delle Coniglie di controllo, come si rileva dal prospetto sopra riportato,
si ha un effettivo aumento dei nati di sesso femminile, Ciò, secondo me, basta per ora a dimostrare che la
Lecitina, migliorando il metabolismo dell’ovaia, aumenta la possibilità di avere un maggiore numero di nati di
sesso femminile. Tale risultato mette il Problema della sessualità nella sua giusta via, secondo il giudizio di
coloro, i quali seguono benevolmente queste ricerche.
14 Achille Russo [Memoria XII.]
pregevole lavoro di Gzrz, (1) il quale trattò il quesito dal punto di vista del Ca/co/Zo delle
probabilità.
I risultati avuti quest'anno e che qui sotto riferisco, sono, se non m'inganno, una ri-
prova di quanto avevo precedentemente affermato. Essi riguardano i prodotti del 1° parto di
10 Coniglie normali di controllo e di 10 trattate con Lecitina, accoppiate con gli stessi TT.
Coniglie nor- Con. nutrite :
sero ed iniettate |
ee EPOCA DEL PARTO SA EPOCA DEL'PARDO
S| 9 SNO
I 4 3 16 Febbraio 1909 I 4 4 1 Marzo 1909
DI 3 2 18 > » * 2 I 4 I > »
3 | 4 24. » 3 2 5 doti »
4 | 3 S 8 Marzo » 4 3 5 et > »
S S 4 24 Febbraio » 5 3 4 5 » »
6 4 3 s Marzo » 6 2 4 IO » »
7 5 3 6 >» » / 3 4 I2., > >
Ss 3 2 8 » » 3 2 3 20 » »
9 3 3 Ss» ; 3 3 4 25?» >
IO 2 3 10 > ) o) 3 3 2° Aprile »
36 129 i lago.
I prodotti degli accoppiamenti sopra riportati, che in precedenti esperimenti furono con-
simili, dimostrano che, mentre allo stato normale, fra tutte le ova che maturano e sono
fecondate, la maggiore probabilità è che una grande parte di esse oltrepassi lo stadio con
ooplasma a globuli vitellini, dando perciò una maggiore proporzione di DJ, nelle
Coniglie lecitinate invece tale stadio si conserva più a lungo nelle ova, cosicchè aumen-
tano le possibilità di avere un maggior numero di 99.
Difatti, nelle serie di ova mature, prese da Coniglie normali in calore e tenute con il
o da 7 a 12 ore dopo il coito, si osserva un maggior numero di follicoli con g7. parze-
tale distrutta e con ovo sprovvisto di globuli vitellini, cioè con i caratteri maschili. Al con- i
trario, nelle serie di ova prese da Coniglie trattate con Lecitina, i follicoli hanno per lo più
la granulosa integra ed il vitello con globuli vitellini.
Tale modo di considerare il Problema della sessualità viene anche confermato dalla
mortalità di embrioni di sesso maschile, quando le Coniglie si accoppiano subito dopo il
parto. Difatti, durante la pregnezza dell’ utero, nell’ ovaia, dove / ovulazione è continua,
maturano delle ova che, per la deficiente nutrizione dell'organo, oltrepassano facilmente lo
stadio con globuli e vacuoli vitellini. Queste sono appunto le ova che per le condizioni
speciali del loro metabolismo, accentuatosi di più per effetto della gravidanza, sono destinate
(1) Gini C. — Il sesso dal punto di vista statistico — Remo Sandron — 1908.
I mitocondri ed i globuli vitellini dell’oocite di Coniglia ecc. IS
alla produzione dei maschi. La loro mortalità, secondo me, (1) è dovuta sia alle condizioni
speciali dell’ uovo, sia alle condizioni anormali in cui si trova lo mucosa uterina subito
dopo il parto.
Gli sperimenti del Basile, che ebbe i medesimi risultati, secondo me, hanno un valore
da questo punto di vista.
Con queste ricerche si possono accordare gli interessanti studii di /0. //er/wzg, il
quale ha seguito un ordine di idee molto diverso. Questo Autore ha potuto, mediante spe-
ciali artifici, fecondare le ova di ama a diversi gradi del loro sviluppo, ottenendo una
forte percentuale di maschi da quelle fecondate in uno stadio precoce ed in quelle che, per
una lunga permanenza nell’ ovario , erano divenute z//ramature (neberreife). Dalle ova
invece fecondate quando avevano raggiunto il loro 70 ottimo otteneva una maggiore
percentuale di femmine.
Secondo Hertwig, la differenziazione dei sessi si basa sopra una differente rego/azzo-
ne cellulare, cioè sopra una diversa relazione delle parti essenziali : la sostanza nucleare
e quella protoplasmatica, che esprime col quoziente: A (massa nucleare), / (massa proto-
plasmatica). Una tale relazzone plasmatica-nucleare muterebbe nei diversi stadii di ma-
turazione delle uova ; cosicchè quelle ricche di cromzazzzia darebbero 50, quelle invece
che ne sono povere darebbero 99. (2)
Tale maniera di considerare il problema dei sessi si accorda con l'evoluzione del dex-
toplasma, tracciata in queste ricerche. Difatti, la massa del vitello è relativamente mag-
giore nelle ova, che hanno un metabolismo attivo e che perciò si conservano più a lungo
allo stato optzz2ume del loro sviluppo, mentre essa diminuisce nelle ova, che tale stadio
oltrepassano facilmente e che, per un metabolismo poco attivo, consumano più presto la loro
riserva nutritiva. Inversamente, la massa nucleare sarà relativamente minore nella prima
specie di ova e maggiore nella seconda. Da ciò risulta che anche nella Coniglia è appli-
cabile il concetto di Hertwig , il quale paragona i due differenti stati, sopra indicati, alle
note caratteristiche delle cellule sessuali, in cui la re/azzone plasmatica-nucleare è
nell’uovo in favore del protoplasma, in favore del nucleo nello spermio. (3)
Da quanto sopra ho esposto credo sia lecito, anche in via di approssimazione ed in
forma teorica, stabilire i momenti principali della determinazione sessuale.
A tale riguardo ricordo ancora che nel Coniglio la fuoriuscita delle ova mature dai
(1) Anche R. Hertwig è di opinione che il sesso femminile sia più resistente. Difatti, egli osservò che
nelle culture di larve di Rana, mentre i girini di sesso maschile erano decimati, quelli femminili vivevano più
a lungo.
(2) Nach meinen auf der Beschaffenheit der Sexualprodukte basierten Anschauungen wiirden Eier, welche relativ
Grmer an kernsubstanz sind, Weibchen liefern, chromatinreichere dagegen Minnchen. Wir kònnen diesen Gedanken
K+ k
15)
(3) Wir wissen ferner, dass die Kernplasmarelation in reifen Fi zugunsten des Protoplasma, in Spermatozoon
zugunsten des Kerns ganz gewaltig verschoben ist. In dieser verschiedenen Zellregulation ist das einzige allen Ein-
zelfillen sexueller Diefferen ierung gemeinsame Merkmal gegeben. (R. Hertwig -- pag. 103).
= gd. (R. Hertwig pag. 103.
ve
in folgende Formeln fassen : i MO
16 Achille Russo [Memorra XII. |
follicoli non è spontanea. Come recentemente dimostrarono /0egaud e Dubrewil , con
esperimenti più appropriati di quel che non avessero fatto altri precedenti ricercatori, è il
corto che determina la rottura dei follicoli nelle Coniglie in calore, per cui nelle trombe
cadono delle ova, che hanno raggiunto in differenti condizioni l’ ultima tappa del loro svi-
luppo.
La penetrazione dello spermatozoo in ova di diversa costituzione è la causa princi-
pale della determinazione del sesso; poichè, se esso penetra in ova ricche di materiali deu-
toplasmici si ha una maggiore probabilità di avere una 9, se penetra in quelle che ne so-
no deficienti si avrà un 7. È da escludersi perciò, almeno nelle specie pluripare, un’ in-
fluenza materna esercitata su l'uovo dopo la fecondazione, poichè tutte le ova, 77Senzendo
contemporaneamente le medesime influenze del metabolismo della madre, dovrebbero
sviluppare o I’ uno o l' altro sesso. Se ciò non avviene, egli è perchè l’ uovo porta con sè
l'attitudine a produrre uno dei due sessi. Quale sia la base materiale di una tale attitudine
si rileva dal complesso di questa Nota, la quale correda di fatti positivi un concetto, che
recentemente anche R. Hertwig aveva esposto come un'ipotesi, che non poteva avere
alcun fondamento di realtà. (1)
Il diverso metabolismo delle ova, di cui l’ espressione sensibile ci è data dallo svilup-
po diverso che assumono i materiali deutoplasmici e dallo stato della granzu/osa pa-
rietale, secondo me, è il momento causale principale della determinazione del sesso. Que-
sti risultati dell’osservazione si accordano con la maggior parte dei fatti che sono cono-
sciuti a tale riguardo nel Regno animale e vegetale !
Maggio, 1909.
(1) Egli, difatti, così si esprimeva a pag. 102 del lavoro citato: « Dieselben bekimpfen die Ansicht,
dass die Entwicklung eines Eies, sei es zu einem Weibchen oder zu einem Màannchen oder einem herma-
phroditen Organismus auf dem getrennten oder gleichzeitigen Vorkommen spezifischer minnlicher oder wei-
blicher Substanzen beruhe, wodurch dem Ei von Anfang an ein besonderer unverinderlicher Charakter auf-
geprigt sein wurde. Die Annahme derartiger spezifischer Geschlechtssubstanzen wire eine Hypothese, welche keinen
realen Boden besizt ».
3
I mitocondri ed î globuli vitellini dell’ oocite di Coniglia, ecc. IZ
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Tutte le figure furono ritratte da sezioni di ovaie di Coniglie, fissate e colorate con i metodi proposti
dal Benda5per lo studio dei mitocondri.
oc. 18
obb. im. om. 0,160 mm.
Per tutte fu adoperato un Microscopio Zeiss gr. m. , a cui fu applicata la Camera
oc. com. 6
obb. im. om. 0,160 mm.°
La carta da disegno fu tenuta a livello del tavolino del Microscopio.
lucida Nachet. La fig. 78 fu ritratta con
Lettere comuni a tutte le figure.
bv=ispessimenti della rete mitocondriale.
cc = cellule coronali.
cf= cavità follicolare.
gv= globuli vitellini a struttura mielinica.
m = mitocondri.
nv= nucleo vitellino.
sin = sostanza mitocondriogena.
v—= vacuoli vitellini.
vg = vescicola germinativa.
zp= zona pellucida.
Le figure 1°, 2°, 38, 48, 5°, 6%, 7° rappresentano ova o porzioni di ova di Coniglie normali ; le figure 8*, 9?,
10%, 112, e 122, quelle di Coniglie trattate con Lecitina.
Fig. 1° — Oocite con follicolo a cellule piatte.
Fig. 2° — Oocite con follicolo a cellule quasi cubiche. I granuli mitocondriali cominciano a disporsi in fili
per formare la rete mitocondriale.
Fig. 32 —- Oocite con follicolo di 1-2 piani di cellule, in cui la rete è completamente sviluppata. Nei punti
nodali si osservano dei cumuli granulari.
Fig. 4° — Oocite con follicolo, di più piani di cellule, in cui cominciano a comparire i vacuoli. La rete mi-
tocondriale limita i vacuoli e lungo le maglie sono globuli vitellini e granuli mitocondriali.
Fig. 5* — Oocite con follicolo fornito di spazi follicolari, in cui si osservano i vacuoli e la rete vitellina ,
nella quale sono i granuli mitocondriali, colorati in azzurro ed i globuli vitellini, colorati in rosa.
Fig. 6* — Oocite ad una stadio quasi identico della precedente figura. Mancano i vacuoli ed i globuli vi-
tellini e solo si osserva la rete mitocondriale.
Fig. 7 — Ovo maturo con vescicola polare e 2° fuso polare, pronto ad uscire dal follicolo, appartenente
al follicolo di Graaf semischematico riprodotto nella Fig. 22, inserita nel testo. Il disco proligero
è normale, la granulosa parietale è in parte degenerata. L’insieme dei caratteri fa ritenere che da
tale ovo si avrà un embrione di sesso maschile.
Fig. S° — Oocite, come nella, fig. 1°, da Coniglia trattata con Lecitina.
Fig. 9% — Porzione di oocite, come nella fig. 32, da Con. c. s.
Fig. 10° — Porzione di oocite, come nella fig. 5%, da Con. c. s.
Fig. 11° — Porzione di ovo quasi maturo, con cellule della corona radiata molto allungate nel cui proto-
plasma si osserva un sistema di fili colorati in azzurro, come i mitocondri. Da Con. c. s.
Fig. 12° — Cellule della corona radiata, che poggiano sulla zona pellucida, di un ovo meno sviluppato di
quello della precedente figura, da Con. c. s.
Aa
Ace loenia di Se Nat Vol Il Ser $
A.Russo dis. d.v.
Aoc Giaenia di Sa Nab. VA IM Ser È
Jiblachmardi è Ferrani Fava.
A.Russo dis. dv.
Memoria XIII.
Istituto d'Anatomia e Fisiologia comparate della R. Università di Catania
Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno
e sul suo significato
nella differenziazione sessuale delle ova dei Mammiferi
Nota 2° di ACHILLE RUSSO
(Con 2 figure nel testo e 4 tavole)
Numerose ricerche furono eseguite intorno all’ atresia delle ova dei Mammiferi ed alla
degenerazione delle cellule follicolari. Chi volesse avere notizie su tale argomento potrebbe
leggere i lavori del Flemming (1), del Paladino, (2) dello Schottlànder (3), di Holl (4), del-
l’Henneguy (5), del Sobotta (6) del Van der Stricht (7) e di altri molti, in cui sono riportate
“la letteratura dell’ argomento e le varie questioni che si riferiscono ai processi degenerativi,
che si compiono negli ovisacchi.
Un problema, che ha attinenza con le presenti ricerche, si è quello di sapere se la
cromolisi, di cui sono attaccati i nuclei delle cellule follicolari e se la distruzione di que-
ste nelle 0va mature 0 prossime alla maturazione, poste alla superficie dell’ovaia, sia
un fenomeno normale, destinato alla formazione di liquido follicolare, ovvero se tale feno-
meno sia un segno della degenerazione a cui l ovo va incontro.
(1) FLEMMING W. — Ueber die Bildung von Richtungsfiguren im Sàiugethierei beim Untergang Graaf
schen Follikel. Arch. fur Anat. und Physiolog. Anat. Abtheil.— 1885.
(2) PaLapINO G. -- Ulteriori ricerche sulla distruzione e rinnovamento continuo del parenchima ovari-
co nei Mammiferi—Napoli—1887.
(3) SCHOTTLANDER J. — Beitrige zur Kenntnis der Follikelatresie nebst einigen Bemerkungen ueber die
unverànderten Follikel in der Eierstòcken der Saugethiere. Arch. fùr Mikrosk. Anatomie — Bd. XXXVII. —
1891.
SCHOTTLANDER J. — Ueber den Graaf'schen Follikel, seine Entstheung beim Menschen und seine Schik-
sale beim Mensch nud Saugethiere. Arch. f. Mikr, Anat.—Bd. XLL. 1893.
(4) HorL M., -- Ueber die Reifung der Eizelle bei den Siugethieren. Sitz—ber. der Kaiserl. Akad. d. Wiss.
in Wien—Mathem.— naturwiss. Classe—Bd. CII. 1893.
(5) HennEGuY F. — Recherches sur les follicules de Graaf chez les Mammiferes et quelques autres Ver-
tebrés. Iournal de Vl’ Anat. et de la Physiol.—An. XXX—-1894.
(6) Sogorta I. — Die Befruchtung und Furchung des Eies der Maus. Arch. f. Mikrosk. Anat.—Bd.
45, 1895.
(7) Van DER STRICHT O. — L’atresie ovulaire et l’atresie folliculaire du follicule de Graaf, dans l'o-
vaire de Chauve-souris- Verhandl. der Anat. Gesellschaft—15 Versamml. Bonn. 1901.
ATTI Acc., SerIE V, Vor. II. Mem. XIII I
P) Achille Russo [Memoria XIII]
Le opinioni al riguardo sono divise; poichè ad es: Schottlinder (1) ed Holl (2) riten-
nero che nelle ova mature le cellule della granulosa, a contatto del liquido follicolare,
possano distruggersi per cr0mzolzisî per provvedere all'incremento dei materiali nutritizi della
formazione ovulare.
Holl anzi rilevò che il processo cromatolitico nelle cellule della granulosa fosse in al-
cune ova più intenso, in altre meno ed in altre affatto mancante, pur essendo tutte queste
ova fecondabili, essendo proviste di /mso polare normale.
Il Sobotta, di accordo con Flemming, credette invece che la cromzolisi sia sempre
un segno degenerativo, avendola solo osservata nei follicoli posti mrofondamente nello
stroma ovarico e che perciò non potevano venire nelle #707z0de per essere fecondate. Non
esclude per altro che nella granulosa si possano trovare delle masse omogenee che si tin-
gono con i colori nucleari, ad es. la Safranzina, ma tali prodotti egli ritenne che siano
simili a quelli che si osservano nei tubi seminiferi del testicolo.
Per risolvere tale questione, per sapere, cioè, se le uova mature con granulosa parie-
tale in degenerazione cromatolitica siano normali, io ritengo che abbia importanza il con-
siderare lo stadio evolutivo della formazione ovulare, la posizione sua alla superficie del-
l’ovaia, e quindi la possibilità che le ova possano essere fecondate, infine i criterì che ci
possono essere suggeriti dal comportamento loro in condizioni sperimentali.
Comincio con il considerare la g7a72z/osa in queste ultime condizioni, specialmente
nel digiuno.
A—- Digiuno da 15 a 20 giorni.
Furono tenute in Laboratorio delle Coniglie alle quali veniva somministrata mattina
e sera una razione di verdura di 20-25 grammi. Esse vissero da 15 a 20 giorni e furono
sagrificate nel periodo massimo del loro esaurimento.
Una Coniglia fu tenuta in tali condizioni dopo il parto, vivendo così 10 giorni, e fa-
cendo vedere nell’ ovaia le più profonde modificazioni per ciò che riguarda la struttura del-
l’ovo e della granulosa.
Nei follicoli mono o polistratificati le cellule si mostrano quasi avvizzite, cioè più pic-
cole del normale, con nucleo a contorni sinuosi e scarso protoplasma. In questi stadî la
caritocinesi, così frequente nel normale, è affatto mancante e solo qualche cellula è in
degenerazione cromatolitica (3).
Quando invece si è formata una cavità follicolare e perciò si distingue una granulo-
sa parietale e una ovulare si assiste ad un fenomeno, secondo le mia opinione , signi-
ficante per la vita dell’ ovo. In tutte le ova che sono giunte a tale stadio del loro svilup-
po e che perciò bisogna ritenere quasi mature o prossime od essere tali, le cellule della
granulosa parietale, nel punto più lontano del cw72z/0 00foro, specialmente quelle che
sono a contatto del liquido follicolare, perdono i rapporti che prima avevano fra loro e
(1) Op. cit.—(1893).
(2) Op. cit.
(3) Anche nell’ ovaia di Gatta, sagrificata dopo un lungo digiuno, si osservano nei follicoli ovarici alcu-
ne cellule in cromolisi; però sempre in grado molto minore che nelle Coniglie. Anche nello stato normale,
come è confermato dal Flemming (loc. cit.) tale processo è più raro, il che dipende da un metabolismo spe-
ciale e da speciali proviste di grasso di cui l’ animale dispone.
Sulla cromotisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. Ss
con le cellule circostanti e si distruggono per un processo degenerativo, che si inizia con
la cromolisi nucleare. Tale processo in origine fu studiato minutamente da Flemming (1),
il quale ne rilevò le note caratteristiche. In seguito Hermann (2) e Schottlinder (3) rile-
varono alcuni particolari caratteri di tinzione, che assumono i diversi costituenti nucleari,
con varie sostanze coloranti.
Nei preparati otte-
nuti dopo fissazione al /@
Sublimato e colorazio- % È
I
A
ne con Ematossilina fer- Ù
rica, si osserva che il
nucleo viene da prima
assalito da f7c770s7, per
cui ha l'aspetto di una
massa omogenea, roton-
deggiante e fortemente
colorata (fig. 12). In se-
guito esso si frammen-
ta, similmente a quanto
venne ficurato da Flem- Fig. 1° — Cellule della granulosa di Coniglia, uccisa dopo 10 giorni di digiuno,
5 re consecutivo alla gravidanza. Stadio di picnosi e di cromolisi ; a. a, a >
ming,Schottlinder, Hen- stadii finali della trasformazione delle cellule della grannlosa — Fiss. Su-
blimato, Color. Ematossilina ferrica.
neguy ed altri, e le pic-
cole masse che ne derivano si spargono nel protoplasma, dove si sciolgono ed in ultimo
scompaiono affatto. Il protoplasma alla sua volta si vacuolizza e quando la degenerazione
è completa costituisce un corpuscolo, che verosimilmente in seguito si scioglie e che fa
parte del /iquido follicolare. Inoltre, secondo quanto dimostrò anche il Flemming, nel
protoplasma si osservano dei globuli, che si tingono in nero con l'acido osmico e che
sono affini alle sostanze grasse.
Le cellule più vicine alla cavità follicolare sono le prime a degenerare ed a cadere
nel liquido sottostante, il quale perciò si arricchisce di materiali nutritizîi, che vengono im-
piegati a benefizio dell’ oocz/e. La distruzione delle cellule della granulosa parietale per
la formazione di sostanze nutritizie rappresenta, secondo me, l’ultima provvista che la
formazione ovulare impiega per la vita dell’ ovo.
La granulosa ovulare prende parte minore in tale processo ; difatti, come SE OS-
serva nella fig. 1" della Tav. 1*, in essa pochi elementi sono in degenerazione, mentre la
granulosa parietale li ha quasi tutti in tale stato.
Secondo quanto si osserva in alcuni follicoli maturi delle Coniglie normali, in cui,
come vedremo, prima di scoppiare, rimane intatto solo il c2772220 ooforo , la granulosa
ovulare conserva anche nel digiuno, fino agli ultimi momenti della vita dell’ovo, la fun-
zione di assorbire e di elaborare i materiali, che sono il prodotto del disfacimento delle
cellule della gra7zz/osa parzetale. ;
(1) FLemMING W. — loc. cit., pag. 226.
(2) HERMANN. — Ueber regressive Metamorphose des Zellkernes — Anat. Anzeiger — Anno 1888,
(3) ScHOTTLANDER J. — Cfr. sup. (1893).
4 Achille Russo [Memoria XIII]
B.- Confronto tra la cromolisi delle cellule della granulosa e quanto avviene
nei vitellogeni dei Platodt.
Il processo cromatolitico, a cui vanno soggette le cellule della granulosa durante il
digiuno, è simile a quello che si avvera nelle cellule dei vzte/logenz dei Platodi, quando
si trasformano in globuli di vitello. Tale trasformazione nel Syv7desmzzs, un Rabdocele
parasita dello SpWaerechinus granularis, incomincia anche dal nucleo, che diventa
picnotico e poi si frammenta per essere riassorbito, restando della cellula solo la massa
protoplasmatica, trasformata chimicamente, che formerà il g/obu/o vitellino (1).
In altre specie di /0abdoceti, la trasformazione della cellula giovane dei vztellogeni
in materiale deutoplasmico presenta un maggiore ravvicinamento con le cellule in cromzolisi
avanti trattate. Ad esempio, come ha osservato il Bòhmig, nel Morzoophorum striatum, nel
protoplasma delle cellule vitelline compariscono in origine dei globuli di grasso, che fra
loro si fondono per formare il vitello nutritivo. Un tale processo è simile a quanto si os-
serva nelle cellule in cr070/7s7, dopo il trattamento con l'acido osmico, il quale, come
per il primo osservò il Flemming, mette in evidenza nel protoplasma dei g/obulz 2ipotdi.
Oltre a ciò, come è noto, nei //atodiî le cellule delle gorad/ e quelle dei vifellogeni han-
no una origine comune, similmente a ciò che si avvera nei Mammiferi tra le cellule della
granulosa e le ova.
Tale parallelismo rende con più forte ragione il confronto sopra stabilito non invero-
simile, per cui ritengo che z2e//e Consglie tenute in condizioni di esperimento (digiuno)
si ripeta su larga scala, ed in minor grado in alcuni follicoli di Coniglie normali,
un fenomeno ordinario di alcuni animali inferiori.
Potrebbe però obbiettarsi che le degenerazioni delle cellule della granulosa, come furono
sopra descritte, nelle Coniglie tenute in digiuno, siano da riferirsi a quelle che si osservano
nei follicoli con ova in avanzata atresia e che già formano un corpo Zuteo falso.
A chi abbia pratica con tali formazioni sarà facile capire che l’obbiezione in questo caso
non ha alcun valore, poichè mancano le note caratteristiche del corpo /uteo. Difatti, come
si osserva nelle figg. 2% e 3*, la forma del follicolo è integra, con regolare cavità follico-
lare, che fa distinguere bene la granulosa ovulare e parietale. Inoltre l’ovo, sebbene molto
deperito, è intatto, senza alcun segno di degenerazione , come avviene di osservare nella
formazione ovulare, che è stata assalita da atresia.
Oltre a ciò, nelle ovaie delle Coniglie digiunanti, tutti i follicoli sono nelle condizioni
sopra descritte, il che fa ritenere che l’ esaurimento, a cui fu assoggettato I’ organismo ,
abbia influito sulla trasformazione delle cellule di tutte le granulose in materiale di nutri-
zione.
La trasformazione delle cellule della g747z/0sa in materiale deutoplasmico , in così
larga misura, non è certamente un fatto normale ; però, io opino che alcune strutture, ar-
tificialmente riprodotte, mettano il ricercatore sulla via più diretta per l’ interpretazione di
particolari fenomeni, che, in altro modo, non potrebbero essere adeguatamente apprezzati.
Il problema della natura della cr0720/7s7 nella granulosa dei follicoli maturi, che
aveva dato luogo alle opinioni discordanti di varì osservatori, come fu accennato al prin-
(1) Russo A. — Sulla morfologia del Svndesmis Echinorum Fr.—Ricerche fatte nel Lab, di Anat. nor-
male in Roma, etc. Anno 1895.
1
Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc.
cipio di questa Nota, trova, se non m' inganno, in queste ricerche sperimentali un nuovo
dato di fatto, che ce lo rende alquanto più chiaro.
C—--La granulosa negli stadii finali dell’ oocite nelle Coniglie normali.
I fatti sopra riferiti, sebbene in minor grado, si osservano anche nella granulosa di
talune ova mature o prossime alla maturazione nelle Coniglie normali.
Tralascio di occuparmi dei fenomeni degenerativi che avvengono nei follicoli non ancora
maturi o in quelli prossimi a maturità o anche maturi, che, essendo situati profondamente
nel tessuto ovarico, sono destinati ad una sicura involuzione , come già osservarono, fra
gli altri, Flemming (1), Paladino (2), Schottlànder nel lavoro del 91 (3), Sobotta (4),
Spuler (5), Yanosik (6), e recentemente Athias (7). Per lo scopo a cui sono rivolte queste
ricerche prendo invece in considerazione i follicoli posti alla superficie dell’ ovaia e che
sono destinati a scoppiare e quindi ad essere fecondate.
Come ho dimostrato in un precedente lavoro (8) e come è stato meglio illustrato in un
lavoro a questo precedente (9), negli ultimi stadi evolutivi dell’ooczfe, la massa del vitello
è conformata sotto due tipi diversi. Mentre in alcuni essa è costituita da vacuoli e da una
rete sulle cui maglie si distinguono, con i metodi di fissazione e di colorazione proposti
da Benda, i granuli di natura mitocondriale ed i globuli vitellini a struttura mielinica, negli
altri invece i vacuoli sono meno evidenti, i globuli vitellini mancano affatto e solo si osserva
la rete di granuli mitocondriali.
La struttura di questa seconda specie di ova non può essere confusa con quella delle
ova atresiche, in cui la degenerazione dell’'ovo è accompagnata da quella delle cellule del
disco proligero. Nel caso delle ova da me esaminate, le cellule che circondano l’ovo hanno
la forma caratteristica di cellule molto allungate, con protoplasma filiforme poggiante nella
zona pellucida, come nelle ova normali mature. Anche in queste ova la zona pellucida
presenta le note caratteristiche, che si osservano nel normale (10).
(1) FLEMMING W. — loc. cit.
(2) PaLaDINO G. — loc. cit.
(3) SCHOTTLANDER J. — loc. cie.
E
(4) SoBoTTA I. — loc. cit.
(5) SPULER A. — Ueber die Teilungserscheinungen der Eizellen in degenerierenden Follikeln des Sau-
gerovariums — Anat. Hefte. 1901.
(6) Yanosik Y. — Die Atrophie der Follikel und ein seltsames Verhalten der Eizelle — Arch. f. Mi-
krosk. Anat.. Bd. 48. 1897.
(7) AtHIAS M. — Les phénomènes de division de l’ovule dans les follicules de Graaf en voie d’atrésie
chez le Lérot — Anat. Anzeiger, 1909.
(8) Russo A. — Modificazioni sperimentali dell’ elemento epiteliale dell’ ovaia dei Mammiferi — Atti
della R. Acc. dei Lincei, Roma 1906.
(9) Russo A. — I mitocondri ed i globuli deutoplasmi dell’ oocite di Coniglia allo stato normale ed in
condizioni sperimentali. Contributo allo sviluppo del deutolecite ed alla differenziazione sessuale delle ova dei
Mammiferi—In questo stesso Volume degli Atti dell’ Acc. Gioenia.
(10) In questo punto credo opportuno rispondere ad una nota del Dott. Heape (Proceedings ol the Cambridge
Philosophical Society, Vol, XIV, Part. VI, 1908. Note on Russo’ s attempt to show differentiation of sex in the
ovarian ova of the Rabbit) il quale è d’ accordo con me nel ritenere che il sesso femminile sia influenzato
da speciali condizioni di nutrimento e che le ova possano essere stimulate a compiere variamente il loro
sviluppo per mezzo di differenti proviste di nutrimento fornite alla madre.
Egli però non crede dimostrata istologicamente la differenziazione sessuale delle ova, anzi crede che le
ova rappresentate come maschili siano degenerate. Confesso che la figurazione di quelle ova non è stata molto
6 Achille Russo [Memoria XIII]
Tale distinzione, che si comincia a manifestare nelle ova non ancora mature, ma che
hanno gia distinta una granulosa parietale ed una ovulare, con 47770 follicolare (stadio 5.
dell’ evoluzione della formazione ovulare, da me tracciato nella Nota precedente), come si
osserva nella figura 5* della Tav. 2*, è accompagnata sempre da diversità di conformazione
delle cellule della g7a7z/0sa parzetale.
Mentre nella prima specie di ova la gramzulosa sia ovulare che parietale è integra
in tutte le sue parti, con cellule, cioè, floride e con le note caratteristiche di elementi as-
sorbenti e secernenti, nella seconda specie di ova alcune cellule della grazzz/osa parzetale,
e propriamente quelle più interne, a contatto con il liquido follicolare, sono in degenerazione
cromatolitica. Similmente a quanto si è osservato nel digiuno ed a ciò che fu precedente-
mente osservato da vari autori nei follicoli degenerati, i nuclei sono attaccati da cr0m202/s1,
le cellule si distaccano da quelle sottostanti e cadono nel liquido follicolare, dove si dissolvono.
Le alterazioni delle cel-
lule della granz/osa parze-
tale in tale specie di ova si
fanno più manifeste in stadi
più avanzati dello sviluppo e
nelle ova pronte ad uscire
dai follicoli, come si osserva
nella fig: 7* della. Tav. 3°,
Questa rappresenta un
ovo con una vescicola polare
già formata e con il secondo
fuso polare. Tale ovo è cir-
condato da un largo follicolo
sporgente sulla superficie del-
l’ovaia e quindi prossimo a
scoppiare. Ora, mentre l’ovo
è circondato da un cumulo
ooforo normale, il quale con
le sue cellule si attacca, me-
diante tratti cellulari, a quella
Fig. 2° -- Microfotografia di un Follicolo di Coniglia normale con cel- Ì
lule della granulosa parietale ed ovulare in cromolisi. Anche parte della granulosa parietale»
l’ovo presenta i segni della degenerazione.
che gli è più vicina e che è'
anche normale, il resto di questa, situata a maggiore distanza, è quasi completamente di-
strutta. Sulla 72e2brana vitrea, che limita le cellule della granulosa dalle ce//ule zr2tersti-
felice, poichè esse furono ricavate da ovaie fissate al Sublimato, il quale coarta i tessuti e dà immagini in-
complete e spesso ne produce alcune che non sono reali. Posso però assicurare che l uovo maturo con
piaster è stato preso da un follicolo sporgente alla superficie dell’ovaia e quindi con ogni probabilità destinato
a scoppiare. È vero che la corona radiata non è integra, ma ciò, ripeto, può essere effetto del fissatore o di
un’ incipiente grado d’ involuzione per la prolungata permanenza dell’ uovo nell’ ovaia, il che non esclude che
l'uovo stesso sia un uovo maschile.
L’altro uovo, ritenuto da Heape come invaso da Leucociti, poichè in esso furono rappresentati due
corpi cromatici, è anche normale. Primo perchè la zona pellucida, il disco proligero ed il resto della granu-
losa sono normali, poi perchè il vitello è intatto, ed infine perchè i corpi in questione non sono affatto da
ritenere elementi estranei all’ uovo, non avendo nè i caratteri dei leucociti, né quelli di un Coccidio, che
spesso occorre di osservare nel vitello delle ova di Coniglia. In questi casi la degenerazione è evidentissima !
Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. 7
siali della feca del follicolo, si osservano ancora, sparsi qua e là, alcuni elementi epite-
liali, mentre il rimanente delle cellule è distrutto e disperso nel liquido follicolare sottostante.
Una tale formazione non deve essere confusa con quelle forme di degenerazione descritte
recentemente da Athias, (1) in cui, secondo quanto egli afferma, pur essendo ancora quasi
integra la porzione ovulare della granulosa, l’ ovo presenta delle anomalie di struttura ed
ha un fuso polare con caratteri anormali.
Altri follicoli, posti anche alla superficie dell’ ovaia, attestano che l'uovo, se non esce
per essere fecondato, e ciò può accadere per la mancanza del coito, che nel Coniglio
provoca l’ ovulazione (2), subisce tutta la fase involutiva, per cui esso degenera con la
granulosa ovulare.
La fig. 2* infatti, rappresenta un uovo maturo o prossimo a maturazione, in cui non
solo la granulosa parietale è degenerata, ma quanto quella ovulare, mentre il vitello del-
l'uovo presenta anche i segni della degenerazione.
Vicino a follicoli di Graaf così fatti ve ne sono altri, anche sporgenti sulla superfìcie
dell’ ovaia e contenenti ova mature con vescicola germinativa periferica in imminente 7727-
tosî o con fuso polare già formato, in cui le cellule della granulosa sono integre o in cui
non si è raggiunto un così alto grado di distruzione nella grarz/osa parietale, come nel
caso precedentemente descritto.
Tali ova, in accordo con i caratteri della granulosa florida, hanno il vitello con più
abbondante deutoplasma, cioè con vacuoli più evidenti e con g/obwu?/ vitellini sulla rete
vitellina, come si osserva nella fig. 8% della Tav. 3°.
In questo punto credo necessario richiamare le osservazioni del Paladino (3), il quale
nel Capitolo, che tratta dello scoppzo del follicolo di Graaf e dello svolgimento del
‘corpo luteo vero, sostiene che la granulosa normalmente si distrugge per degenerazione
e che essa non prende parte alla costituzione del corpo /uteo, il quale perciò sarebbe una
formazione connettivale.
Tale constatazione è in accordo con le mie osservazioni; soltanto che la grazz/osa
parietale, per un metabolismo speciale della formazione ovulare, permane più a lungo in
alcuni follicoli; cosicchè, quando l’ ovo è già pronto ad uscire dall’ovaia, di essa si trova
ancora uno strato sottile su tutta | estensione della feca, come fu descritto e figurato da
Sobotta (4), mentre in altre ova la granu/osa parietale istessa è in massima parte di-
strutta, in modo che l’arztro follicolare viene limitato dalle cellule dello strato interno della
theca folliculi.
(1) ATHIAS M. — loc. cit.
(2) Per l’ influenza del coito su I° ovulazione nel Coniglio si legga il lavoro recente di C7. Regaud e G.
Dubreuil, in cui è riportata anche la letteratura su l’ argomento. « Influence du Male sur les fonctions ova-
riennes. L’ ovulation, chez la lapine, n'est pas spontaneé » in: Lyon medical, 1908.
Vedi anche degli stessi Autori.
a L’ovulation de la Lapine n'est pas spontanée » in: Comptes rendus des seances de la Soc. de Biologie,
T. LXIV, 1908.
Si legga anche un lavoro di /W. Heape, non citato dai precedenti autori, che tratta quasi lo stesso ar-
gomento :
« OQvulation and degeneration of ova in the Rabbit. Proced. Royal Soc. LXXVI. 1905.
(3) PaLapIiNo G. — loc. cit,
(4) SaBoTTA I. — Ueber die Bildung des Corpus luteum beim Kaninchen nebst einigen Bemerkungen
ueber der sprungreifen Follikeln und die Richtungsspindeln des Kaninchens. Anat. Hefte - Band VIII, 1897.
8 Achille Russo
Memoria XIII]
D — La granulosa negli stadii finali dell’ oocite melle Comiglie trattate con
Lecitina.
Nelle Coniglie nutrite ed iniettate con Lecitina (1) i follicoli prossimi alla maturità so-
no quasi tutti con granulosa parietale a più strati di cellule floride (Figg. 10° e 11° della
Tav. 4%). In qualcuno di essi le cellule più interne sono in cr0m20/7s7 e distaccate da quelle
sottostanti, però le fasi con granulosa parietale in parte distrutta o molto assottigliata, per
la degenerazione delle cellule interne, non mi è occorso di osservarle che raramente.
In una sezione longitudinale di ovaia, presa da una Coniglia lecitinata, che comprende
4 follicoli quasi maturi, 3 sono con granulosa integra, mentre uno solo presenta la sua
parietale con cellule in cromolisi, come si osserva nella fig. 9* della Tav. 4°.
Tale constatazione di fatto mi fa ritenere che la Lecz/7ra, aumentando nell’ ovaia i
materiali nutritizii, ritarda la degenerazione cromatolitica delle cellule della granulosa pa-
rietale, le quali cellule, come si è osservato nelle Coniglie tenute in digiuno, vengono
impiegate come elemento riparatore del diminuito ricambio, a beneficio dell’oocite.
E — Percentuale dei nati maschi e femine nelle Comiglie normali ed în quelle
trattate con Lecitina. Significato della diversa costituzione della granulosa parietale
nella differenziazione sessuale deile ova.
Coloro i quali si sono occupati di fare una statistica dei nati dei due sessi nelle Co-
niglie normali non sono d'accordo nell’ assegnare una cifra esatta a ciascuno di essi.
Tutti però convengono che i nati di sesso maschile siano in una percentuale maggiore
delle nascite femminili.
Secondo le mie ricerche, non si può assegnare una percentuale esatta di g, poiché essa
varia secondo circostanze diverse, come la nutrizione, l’ ambiente esterno e specialmente
il tempo che si fa intercedere tra un accoppiamento e l’' altro. In base a nuove indagini,
condotte allo scopo di stabilire il numero delle nascite maschili, credo di potere affermare
che esso oscilli tra un massimo di 58 ed un minimo di 52. Il Basile (2), che si occupò
dello stesso argomento, non ostante stabilisca una percentuale di 51,14 gg, conferma con
le cifre della sua statistica e con i dettagli fornitici nel Quadro N. 1, quanto ho detto sopra.
Nelle Conigiie nutrite per due mesi con Lecitina ed in questo frattempo anche iniet-
tate, come si è detto nella Nota precedente, più volte citata, la percentuale dai 7° diminuisce
ed aumenta invece quella delle 9.
Il Basile, che recentemente volle ripetere gli esperimenti, confermò i risultati da me
avuti, sebbene dalla sua pubblicazione ciò non risulti. Egli, difatti, nel 1° parto di 5 Coniglie,
delle 6 da lui lecitinate, ebbe una percentuale di 9 superiore ai g°, come si rileva dal
Quadro N. 2 del suo lavoro (3). Nei parti successivi l'A. non ebbe che raramente un
aumento di nati di sesso femminile e perciò, sommando insieme i nati di tutti i parti, gli
risultò, come nel normale, anzi al di sopra del normale, una più elevata percentuale di gf.
(1) Per il trattamento praticato alle Coniglie si legga la Nota al paragrafo III della Memoria precedente,
pubblicata in questo stesso Volume degli Atti accademici.
(2) Basite C.— Influenza della Lecitina sul sesso e sui caratteri mendeliani. Rend. R. Acc. dei Lincei—
Roma. 1908. —
(3) Dalle Coniglia N. 1 ebbe 3 J° e 5 9, dalla C. N. 2 ebbe 3 J' e 4 <, dalla C. N. 3 ebbe 1 Je 39,
dalla C. N. ‘6 ebbe 2 {7 e 3 9, dalla C. N 14-ebbe :3 Le 4 9; in totale 12.g' e 199.
Sulla cromolisi delle cellule della granulosa durante il digiuno ecc. 9
Per quanto a me occorre dimostrare basta però il confronto dei prodotti del 1° parto di
un determinato numero di .Coniglie normali e di altrettante trattate con Lecitina. Tali parti
appunto avevo scelto nel compilare la Statistica, che è riferita nei miei lavori precedenti.
Riferendomi adunque a tali risultati, dai quali risulta molto chiaramente che le Coniglie
trattate con Leczitina producono un maggior numero di %, e tenendo presente che dopo
tale trattamento la granz/osa parietale, nel maggior numero dei follicoli maturi, non pre-
senta i segni di una avanzata degenerazione, come spesso avviene di osservare nelle Co-
niglie normali, ritengo che, insieme ai caratteri del vitello, anche il follicolo abbia il suo
valore nel processo della differenziazione sessuale.
Se le ova con granulosa parietale integra sono destinate a produrre 9 e quelle che
la presentano in degenerazione sono destinate per O, quale è il significato biologico che a
questa seconda specie di ova bisogna dare ?
R. Hertwig nelle sue interessanti ricerche sulla sessualità (1) ritenne, in base ad espe-
rimenti fatti su le Rane, che le ova w/tramzature producano 0g e che quelle che hanno
raggiunto il perzo ottimo del loro normale sviluppo producano Q. Come fu esposto nella
Nota precedente, pubblicata in questo stesso Volume degli Atti, tale circostanza, secondo R.
Hertwig,
nucleare, che sarebbe in favore del nucleo nelle ova maschili, in favore del protoplasma
implicherebbe un diverso rapporto tra la massa protoplasmatica dell’ovo e quella
nelle femminili.
L’ evoluzione del vzfe/lo, descritta nella mia precedente Nota, avanti citata, e lo stato
della grarnzulosa nelle due specie di ova mature, pronte ad uscire dal loro follicolo, può
parzialmente mettersi di accordo con i risultati di Hertwig. Le ova con fo//zcolo integro,
con sona pellucida ricca di materiali nutritizii e con g/obx/7 vitellini possono essere con-
siderate come elementi che hanno raggiunto il 247220 ot#zrz20 del loro sviluppo, il che ver-
“rebbe anche dimostrato dai medesimi caratteri che le ova presentano in uno stadîo prece-
dente. Le ova con granulosa partetale in degenerazione, con zona pellucida chiara e
che mancano di g/obuli vitellini potrebbero invece considerarsi come elementi, che
abbiano oltrepassato tale stadio, cioè come ova w/tramature. Se l'uovo che ha raggiunto
questo stadio non fosse fecondato, restando nell’ ovaia, per la mancanza del coito, come
qualunque altro elemento cellulare, degenererebbe con il suo involucro, come lo dimostra la
fig. 2a del testo, in cui anche la grazz/osa ovulare ha le sue cellule «legenerate.
In base però ai risultati della de722427727072e, ottenuta col digiuno, e dell’/perzzt7r/zzone
dell’ovaia, ottenuta con la Lecztzza, se non m'inganno, si può assegnare un valore più diretto
alla causa naturale, che fa durare a lungo lo stato ottiz:o delle ova o che ne accelera
la fine e il cui segno ci è dato dal fenomeno della cromzo/isi della granulosa parietale.
Difatti, se, mediante /' /zanzzzone, la granulosa partetale si distrugge per provve-
dere alla nutrizione dell’ 0oczte e se, nella ipernutrizione artificiale, la granulosa istessa per
lo più si trova inalterata, le due diverse condizioni della gra@72z/0sa, che si sono osser-
vate allo stato normale, dovrebbero essere riferite ad un diverso tipo di mzetadolzsmo di
tutta la formazione ovulare.
Giugno, 1909.
(1) HeRTwIG RicH. Weitere Untersuchungen ùber das Sexualititsproblem. Verhandl. v. Deutsch. Zool.
Gesellschaft, 1906.
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE
Tav. la
Fig. 18 — Sezione di un follicolo, come nella Microfotografia della Fig. 3*, di ovaia di Coniglia, uccisa dopo
10 giorni di digiuno consecutivo al parto. — Le cellule della granulosa parietale (gp) sono quasi tutte
in cromolisi, quelle della gran. ovulare (go) sono ancora integre.—Fiss. al sublimato, color. con Emat.
ferrica.
Figg. 2° e 34 — Microfotografie di follicoli appartenenti ad ovuie di Coniglie digiunanti, c. s.—Fiss. e color.
c. s. — Molte cellule della granulosa parietale sono in cromolisi.
Fig. 48 — Microfotografia di sezione di ovaia per mostrare il punto, dove fu ricavata la fig. 5* della Tav. 28.
Tav. 2a
Fig. 5° — Sezione di ovaia di Coniglia normale di circa 10 mesi, in cui si osservano due follicoli diversa-
mente costituiti. In quello di destra la granulosa parietale è integra e l’ ovo è ricco di globuli vitellini
tinti in nero. In quello di sinistra le cellule più superficiali della granulosa, nel punto più lontano dal
cumulo ooforo, sono in cromolisi ed alcune sono cadute nel liquido follicolare. — L’ ovo, relativamente
a tale costituzione della granulosa, e privo di globuli vitellini ed in esso solo si osserva la rete mito-
condriale.
Fig. 6° — Microfotografia corrispondente alla fig. 7% della Tav. seguente.
Tav. 3a
Fig. 7° — Follicolo di Graaf maturo, in cui la granulosa parietale è in parte distrutta (gpd) — Il cumulo
ooforo è integro ed è anche integra quella parte della granulosa parietale con la quale esso si connette,
mediante tratti cellulari. — L’ ovo ha già emesso il 1° globulo polare e contiene il 2° fuso polare, che
è normale. Il vitello è privo di globuli vitellini e contiene solo la rete mitocondriale. Questa fig. se-
mischematica fu ricavata da sezioni appartenenti alla serie da cui fu presa la microfotografia rappresen-
tata nella Fig. 6%, Tav. 2% — (ag) antro follicolare, (tfe) strato esterno della teca del follicolo, (tfi)
strato interno.
Fig. 8° — Follicolo di Graaf maturo, in cui la granulosa parietale (gp) ancora non è interamente distrutta.
Relativamente a tale fenomeno, l’ovo è ricco di globuli vitellini. (af) antro follicolare, (tfi, e tfe) strato
interno ed esterno della teca del follicolo.
Tav. 44
Fig. 9 — Quattro follicoli appartenenti ad ovaia di Coniglia lecitinata. Solo il 2° follicolo, da destra, ha
cellule in cromiolisi. Per i dettagli si confrontino le figg. 10% ed 11?
Fig. 10° — Follicolo maturo appartenente a Coniglia lecitinata, in cui tutta la granulosa è integra. Micro-
fotografia che rappresenta a più forte ingrandimento uno dei follicoli della fig. 9#.
Fig. 11° --- Follicolo appartenente anche a Coniglia lecitinata, in cui gli strati più superficiali della granu-
losa parietale sono distaccati ed in cromolisi — Microfotografia.
Fig* 122 — Microfotografia corrispondente alla fig. 8® della Tav. precedente.
Tav. 12 Atti dell’ Acc. Gioenia di Sc. Nat. — Ser. 5°, Vol. 2°.
Fig. L
Tav.
DI Atti dell’ Acc. Gioenia di Sc. Nat. — Ser. 5", Vol. 2°.
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Atti dell’Acc. Gioenia di Sc. Nal. —
Serie 52, Vol. 2°.
Tag, dl Atti dell’Acc. Gioenia di Sc. Nat. — Serie
Memoria XIV.
Prof. G. P, GRIMALDI e Dott. G. ACCOLLA
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo
sull’ isteresi elastica del ferro per trazione
Malgrado i numerosi lavori pubblicati fin da quando Joule nel 1842 scoperse che il
ferro cambia di dimensioni per effetto della magnetizzazione, vi sono ancora insolute nu-
merose quistioni riguardanti le proprietà magneto-elastiche dei corpi in istretta relazione
con la magnetostrizione.
Come osserva Nagaoka (1) la teoria che realmente soddisfa ai vari aspetti del fe-
nomeno è ancora nella sua infanzia e nessuno ha osato rompere la barriera dei fenomeni
che presentano isteresi.
Lo studio di questi fenomeni è ben lungi dall'essere completo : se difatti vi sono delle
ricerche sull’ influenza delle deformazioni elastiche sull’ isteresi magnetica, non è a nostra
conoscenza che siano state studiate le variazioni che l’isteresi elastica di un filo di ferro
subisce in un campo magnetico o per effetto delle onde elettriche.
Di tale studio ci occupiamo in questo lavoro (2).
Fra le ricerche che riguardano l’ influenza delle deformazioni elastiche sull’ isteresi
magnetica ricorderemo quelle di Sella e Tieri perchè presentano una certa analogia con
alcune delle esperienze qui esposte.
Il Sella (3) studiò l' influenza delle onde elettriche sull’ isteresi magnetica di un filo
di ferro generata da una deformazione elastica, invece che da un cambiamento di campo
esterno come nel detector Marconi. Egli così costruì un detector magneto-elastico che poi
il Tieri ha perfezionato e reso sensibile (4).
Le esperienze del Sella c’indussero ad esaminare se le onde elettriche avessero al-
cuna influenza sull’ isteresi elastica di un corpo e da tale esame ebbe origine il presente
lavoro, il quale fu poi esteso ad altre ricerche come riferiremo in seguito.
Abbiamo voluto cominciare con lo studio dell’ elasticità di trazione, perchè in tale caso
ci riusciva più agevole il ricercare il fenomeno in parola, che si prevedeva essere assai
piccolo. E intenzione però di uno di noi di continuarlo per |’ elasticità di flessione.
(1) Trans. int. cong. S.t Louis 1904, vol. 1 p, 356.
(2) Le ricerche che formano oggetto della presente memoria furono eseguite negli anni 1903-1904 ed i
risultati preliminari pubblicati in due note comunicate all’ Accademia Gioenia di Catania nel febbraio 1904
(Cfr. anche Nuovo Cimento t. VII pag. 202; 1904). Il lavoro completo però non è stato condotto a termine
e pubblicato prima di ora perchè uno di noi è stato occupato nell’ ufficio di Rettore di questa Università.
(3) Rend. Acc. Lincei Vol. XII (1903 1° semestre) pag. 340.
(4) Rend. Acc. Lincei Vol. XV, 1906 1° sem. pag. 164 e 2° sem. pag. 94.
ATTI Acc., SERIE V, VoL, II. Mem. XIV. I
2) Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla [MemorIA XIV.]
Per raggiungere il nostro scopo abbiamo dovuto costruire un apparecchio tale da per-
mettere di misurare con sicurezza piccolissimi allungamenti: di esso diamo qui appresso
una descrizione particolareggiata.
Il
Le disposizioni escogitate dai diversi sperimentatori per determinare con grande esat-
tezza e sensibilità piccole variazioni di lunghezza sono principalmente fondate sul metodo
delle frangie d’ interferenza di Fizeau, o su quello dello specchio girevole o a tre punte,
(leva a riflessione di Cornu).
Il primo metodo, al quale ricorse Nagaoka nei suoi numerosi e importanti lavori sulla
magnetostrizione, come questo sperimentatore stesso fa osservare, (1) non si presta bene
per misure rapide, quantunque le frangie d’ interferenza possano talvolta servire da micro-
metro estremamente sensibile.
In sua vece egli ha adottato il metodo dello specchio a tre punte con una disposi-
zione ottica semplice e ingegnosa che permette di renderlo sensibilissimo con relativa fa-
cilità.
L'apparecchio di Nagaoka fu impiegato alla misura delle variazioni di lunghezza di
sbarre od ovoidi orizzontali; in seguito però Honda e Shimizu (2), per non parlare di altri,
adoperarono un apparecchio il quale era fondato sullo stesso principio e che serviva per
misurare variazioni di lunghezza su fili situati in direzione verticale.
L’ apparecchio (3) impiegato nelle nostre ricerche è anche fondato sullo stesso princi-
pio, ma ne differisce molto nella disposizione sperimentale ; esso è rappresentato in gran-
dezza due volte e mezzo più piccola del vero nella Fig.I della annessa tavola. È collocato
in una stanza posta a tramontana e sostenuto, per mezzo di una sospensione a ginocchio,
dalla robusta mensola MM solidamente fissata a un muro maestro interno.
Si compone di una parte fissa e di una parte mobile. La parte fissa è costituita dal
telaio ABZB'A' nel quale le aste cilindriche AB e A°B’, lunghe m. 1,50 ciascuna, sono
di rame e le spranghette rettangolari AA4° e B2' di ottone come il resto dell'apparecchio.
Alla spranga B2' sono avvitate le due colonne D, D' le quali sostengono la piatta-
I
forma orizzontale £Z', e su questa si innalzano le tre colonnine uguali G, Gi. GTchela
sfregamento dolce passano attraverso tre ghiere fortemente avvitate alla piattaforma LL.
Di queste ghiere due 7 ed /” sono visibili nel disegno, la terza rimane nascosta da altri
pezzi.
La piattaforma LL' si appoggia contro i dadi V, V' spinta dalle due spirali d’ottone
I,I' che circondano due pilastrini fissati alla piattaforma ££°. Per mezzo di questi due
dadi la piattaforma LL’ può essere innalzata od abbassata con grande regolarità.
La parte mobile dell’ apparecchio è sospesa per mezzo del filo da cimentare e si com-
pone del telaio NOO'N'; alla parte inferiore di esso è fissata a vite la colonnina Q che
sostiene la piccola piattaforma ?.
Per smorzare le eventuali oscillazioni del sistema i due cilindretti di ottone W, /' si
fanno pescare in due tubi di vetro contenenti glicerina e debitamente fissati a muro.
(1) Phil. Mag. Ser. ‘V, vol. 37, pag. 131 (1894).
(2) Phil. Mag. Ser. VI, vol. 4, pag. 341 (1902).
(3) Questo apparecchio fu assai bene costruito dal meccanico A. Rubino di questo Istituto.
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 9
Lo specchietto piano S è montato verticalmente sopra una lastrina rettangolare di ot-
tone, che porta tre punte acuminate di acciaio accuratamente costruite, delle quali due sono
fissate per mezzo delle vitine a e c; la terza, appena visibile nella figura, si può avvici-
nare o allontanare dalla retta che congiunge le altre due a seconda della maggiore o mi-
nore sensibilità che si vuole dare all’ apparecchio : questa punta si fissa mediante la viti-
na bd.
Il piccolo dado a vite d serve a regolare il centro di gravità del pezzo in modo che
esso rimanga in equilibrio sulle tre punte.
La punta d appoggia sopra una lastrina di vetro fissata sulla piattaforma 7, le punte
a e c appoggiano sopra il taglio di una scanalatura accuratamente incavata sulla piatta-
forma LL' parallelamente ed a piccola distanza dal bordo anteriore.
L’ estremità superiore del filo AF di cui si tratta di misurare le variazioni di lun-
ghezza viene saldata in argento in un foro centrato praticato all’ estremo inferiore di ottone
dell’ asta cilindrica Z di zinco fissata per mezzo di una robusta vite di pressione alla
ghiera Y; l’ estremità inferiore è congiunta mercè il tubicino di rame Y° pure con salda-
tura in argento ad un grosso filo d’ ottone V. L’ estremità inferiore di UV è poi opportu-
namente fissata al pezzo NN.
AI sistema mobile dell’ apparecchio è sospeso per mezzo d’ un filo flessibile f un
piattello metallico munito di smorzatori a glicerina, su cui si possono collocare dei pesi
in modo da assoggettare il filo / su cui si esperimenta a carichi iniziali variabili a vo-
lontà.
Il filo f prolungandosi inferiormente passa attraverso un foro centrale del piattello e
porta due pesi di piombo /,, /., separati l'uno dall altro da due centimetri circa del me-
desimo filo, esattamente centrati e pescanti in un bicchiere pieno di glicerina, il quale scor-
revole in apposita ghiera, può essere abbassato od innalzato senza spostamenti laterali.
Per ridurre al minimo l’ adesione di /, sul fondo del bicchiere e di /, sulla faccia
superiore di /,, questi pesi riposano su tre punte fissate alla parte inferiore di ognuno di
essi. Con tale espediente si raggiunge il risultato di far agire i pesi gradatamente, evitando
così le scosse derivanti dalle brusche variazioni di carico.
Avevamo immaginato dei congegni per sollevare delicatamente i pesi del bicchiere; ma
l’esperienza ci dimostrò che si possono evitare le scosse sollevando od abbassando deli-
catamente a mano il bicchiere dentro la ghiera, senza ricorrere a disposizioni complicate.
Perchè l’ apparecchio dia risultati perfettamente regolari è necessario che il punto di
sospensione del filo da cimentare e il centro del foro della lastra 88' stiano sopra la stessa
verticale e che il bordo posteriore della piattaforma mobile / non tocchi la piattaforma
fissa LL' pur essendone assai poco discosto.
Tale condizione si otteneva senza eccessiva difficoltà regolando con cura le parti mo-
bili dell’ apparecchio, dopo aver tolto al filo la torsione.
Un po’ obliquamente davanti allo specchietto è collocato un collimatore da spettrosco-
pio con la fenditura orizzontale nel cui centro e attaccato un filo sottilissimo di quarzo.
Esso è illuminato dalla fiamma di una candela mantenuta in posizione costante.
Il fascio di raggi paralleli che escono dalla lente del collimatore riflesso dallo spec-
chietto viene raccolto da un cannocchiale munito di oculare micrometrico.
Si ottiene così un’ immagine estremamente netta del filo di quarzo e nella parte cen-
trale spicca una riga brillante e sottilissima che permette, quando l'apparecchio è ben re-
4 Prof. G. P. Grimaldi e G. Accolla [MemoRrIA XIV.]
golato, di fare la puntata con un errore che difficilmente eccede una divisione del tam-
buro del micrometro.
Ill
L'apparecchio qui descritto era stato dapprima costruito per studiare le variazioni di
lunghezza dei fili di nickel per magnetizzazione longitudinale e per tale scopo si fecero di
rame le aste del telaio, di zinco l’ asta cilindrica Z e il filo U di ottone, in modo da co-
stituire un sistema approssimativamente compensato per la temperatura.
In seguito l’ apparecchio fu adibito alla misura delle variazioni di lunghezza di fili di
ferro soggetti a trazione. La compensazione in questo caso non era più esatta, nè si cercò
di ottenerla, giacchè si potè constatare che le variazioni lente di temperatura, quali quelle
che si verificano normalmente in una stanza esposta a tramontana, non impedivano di ot-
tenere risultati attendibili.
In prova di ciò riportiamo a titolo d’ esempio nella seguente tabella le variazioni di
lunghezza subite da un filo di ferro ricotto (N. 1) misurate di 5 in 5 minuti al variare
della temperatura ambiente, la quale, da 15°, 0 alle 14", scese a 14°, 3 alle 17% 5".
| ACCORCIAMENTO ACCORCIAMENTO ACCORCIAMENTO
ORA | ORA ; ORA
in p in p n Ml
ica n = pa
LV pi o SANE 0, 55 (OE 1,49
10, O, 12 IO o, 5d > 10 1, 56
15 O, 23 15 o, 65 > IS 1, 56
» 20 o, 25 > 20 o, 77 » 20 1, 69
> 25 | O, 32 25 0,81 » 25 TRIO
|
30 | O, 37 » 30 0, 95 > 30 1,90
> 35 O, 30 35 1,04 Di 0135 1,97
40 0, 39 40 I, 07 40 2,07
45 0, 42 > 45 1,09 SIR 2,09
50 o, 46 so I, 16 » 50 DTA!
55 o, 49 55 ZG > 55 2020
15 0; 53 16 T,30 17 2, 29
>» 5 2,43
Si desume dall’ esame delle cifre riportate che la maggiore variazione di lunghezza
verificatasi in 5" era di p 0,19, mentre essa ordinariamente si aggirava intorno alla me-
dia di p 0,07. Quando le variazioni di lunghezza erano maggiori del valore medio sopra
riportato o quando le vibrazioni del muro di sostegno dell’ apparecchio, dovute al passag-
gio di carri nelle vie adiacenti all’ edifizio universitario o al muoversi d’ una persona in
luoghi prossimi a quello dove si esperimentava, impedivano di ottenere nelle misure risul-
tati regolari, le osservazioni si rigettavano.
Il riscaldamento prodotto da irradiazione sul filo avrebbe avuto influenza sensibile ;
però questa causa perturbatrice venne eliminata mediante diaframmi di cartone d’ amianto
opportunamente disposti.
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 9
In tutte le esperienze 1’ obbiettivo del cannocchiale di circa 40 cm. di distanza focale
era a 2 m. dallo specchietto, e in tale condizione quando la distanza tra la punta è e la
congiungente le due punte 4 e c era di mm. 2,94 una divisione del tamburo del micro-
metro oculare corrispondeva ad una variazione di lunghezza del filo di circa pw 0,02.
Riducendo la distanza tra le punte si sarebbe ottenuta agevolmente una sensibilità qua-
drupla e di gran lunga più grande ricorrendo a un cannocchiale di più forte ingrandimento;
ma nel nostro caso non era necessario spingere la sensibilità al massimo perchè le cause
d’ errore delle quali parleremo più oltre avrebbero reso poco attendibili i risultati ottenuti.
In certi casi anzi abbiamo diminuito la sensibilità dell’ apparecchio aumentando la di-
stanza suindicata.
Il cannocchiale ad oculare micrometrico di cui s' è parlato era montato orizzontalmente
sulla colonna d’ un catetometro. Sopra e sotto di esso furono fissati due cannocchiali au-
siliarii più piccoli ( distanza focale dell’ obbiettivo di ciascuno 16 cm. ) girevoli tanto attorno
ad un asse verticale quanto ad uno orizzontale, i quali, in mancanza di oculari microme-
trici, furono muniti di reticoli tracciati su vetro.
IV
Per ridurre in misura assoluta gli spostamenti dell’ immagine del filo di quarzo
osservati nei cannocchiali bisognava procedere alla taratura degli apparecchi.
Essa si otteneva in modo diverso a seconda che per le deformazioni cui si assog-
gettava il filo con pesi tensori differenti era applicabile approssimativamente o pur no la
legge di Hooke.
Nel primo caso, cioè nei limiti della validità di questa legge, si misurava da un lato
lo spostamento che l’immagine del filino di quarzo subiva rispettivamente in ognuno dei
tre cannocchiali e dall'altro con un catetometro di Starke munito di oculare micrometrico si
misurava l'allungamento in valore assoluto del filo con un carico più forte, cioè con quello
necessario per condurre l’ immagine del filo di quarzo dal cannocchiale più alto al più basso.
Il catetometro di Starke era situato a circa 1 metro di distanza dalla colonnina che
sostiene la piattaforma / dell’ apparecchio. Su questa colonnina era attaccata una striscio-
lina di carta bianca il cui bordo si poteva nettamente collimare.
Quando il carico iniziale del filo in esame (N. 1) era di 1800 gr. l’immagine del
filino di quarzo si formava nel 1° cannocchiale (il più alto): l'allungamento subito dal filo
per l’aumento di 5 gr. del carico era in media di divisioni 2,9 del reticolo.
Col carico 2021 grammi necessario per condurre l’ immagine del filino di quarzo
nel secondo cannocchiale l’ allungamento per 5 gr. di sovraccarico corrispondeva in media
a 174 divisioni del tamburo.
Col carico di 2212 gr. che conduceva l’immagine nel 3° cannocchiale l’' allunga-
mento per 5 gr. era in media di divisioni 2,9, valore uguale a quello trovato col 1° can-
nocchiale, ciò che ci fa ritenere applicabile in questo caso la legge di Hooke con appros-
simazione sufficiente.
L’allungamento del filo in valore assoluto misurato col micrometro oculare del cateto-
metro di Starke (a sua volta tarato a mezzo di un metro campione ) per la variazione di
carico da 1800 a 2212 grammi era di p 287,80.
Da questa cifra si deduce che un decimo di divisione dei reticoli del primo e terzo
6 Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla [MemoRrIA. XIV.|
cannocchiale corrispondeva a p 0,12 e che una divisione del tamburo del micrometro del
cannocchiale centrale a p. 0,0206.
Questi valori sono stati dedotti da una serie di misure concordantissime.
Nel caso delle misure eseguite col filo N. 2 |’ apparecchio dovette essere tarato a
nuovo perchè fu necessario diminuire la sensibilità aumentando la distanza tra le punte.
In questo caso la legge di Hooke dati i forti carichi ai quali veniva sottoposto il filo
non era più applicabile neanche approssimativamente e d’ altra parte non si potevano
misurare con esattezza sufficiente, al micrometro oculare del catetometro, gli allungamenti
prodotti da carichi piccoli, come quelli occorrenti per far rimanere l' immagine del filo di
quarzo nel campo dei cannocchiali. Si ricorse perciò alla misura diretta dell’ angolo di
rotazione dello specchietto, eseguita col noto metodo dello specchio e scala.
L’ allungamento lineare « corrispondente ad un dato angolo di rotazione 9 si deduceva
dalla formola :
a = d senl
dove è è la distanza fra la punta % e la congiungente delle punte a e c. Tale distanza
veniva misurata con il microscopio di una macchina a dividere che permette le misure
con l’ approssimazione di 1/500 di mm. e risultò di cm. 0,446.
La scala verticale, era collocata a cm. 172,3 dallo specchietto.
Riportiamo qui appresso i risultati delle misure di taratura eseguite; come le prece-
denti esse sono medie di valori assai concordanti.
1° Cannocchiale. — Carico iniziale 1800 gr., sovraccarico 20 gr., spostamento dell’im-
magine del filino di quarzo divisioni 6,0; angolo di rotazione dello specchietto 0° 9° 14”,
allungamento cm. 0,00120.
2° Cannocchiale — Carico iniziale 2592 gr., sovraccarico 20 gr., spostamento dell’im-
magine del filino di quarzo 381 divisioni del tamburo ; angolo di rotazione dello spec-
chietto 0° 8° 46”, allungamento cm. 0,00114.
3° Cannocchiale — Carico iniziale 3521 gr., sovraccarico 20 gr., spostamento della
immagine del filino di quarzo divisioni 0,6; angolo di rotazione 0° 0' 55”. allungamento
cm. 0,00012.
Da questi valori si deduce che un decimo di divisione del reticolo corrisponde nel
1° e 3° cannocchiale a p 0,20, mentre per il secondo cannocchiale una divisione del tam-
buro corrisponde a p. 0,030.
Abbiamo anche misurato al catetometro Starke gli allungamenti per i carichi neces-
sari a condurre l’ immagine da un cannocchiale all’ altro e contemporaneamente gli angoli
di rotazione dello specchietto.
Abbiamo così ottenuto i seguenti risultati :
Cisco VERS ,oni RSS | ALLUNGAMENTI IN CENTIMETRI
A £ da IN
DI CARICO = ai
gr. gr. DI ROTAZIONE calcolati osservati
1800 — = Da a
2592 792 ie cile 0, 0476 0, 050
3521 929 VA Ae 0, 0546 0, 053
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 7
Come si vede il confronto degli allungamenti calcolati dalle rotazioni dello specchietto
con quelli osservati al catetometro presenta una concordanza soddisfacente.
V
Nell’ eseguire le misure che formano oggetto di questo studio ottenemmo i migliori
risultati procedendo nel modo seguente.
Collocato il filo nel modo sopra riferito si regolavano le viti V e V' in maniera da far
cadere l’immagine del filo di quarzo sul cannocchiale centrale quando il peso /, tendeva
il filo mentre il peso /, riposava sul fondo del bicchiere. Si abbassava poi questo fino a
che il secondo peso agiva sul filo e si regolava il cannocchiale inferiore in modo da far
cadere l immagine sul reticolo. Si sollevavano inrtine successivamente i due pesi regolando
analogamente la posizione del cannocchiale superiore.
Con questa disposizione si può far compiere al filo un ciclo unilaterale di trazione
limitato soltanto a tre punti sia all’ andata che al ritorno.
Ciò bastava nel nostro caso perchè nostro scopo non era uno studio completo del
comportamento elastico del filo, ma ci interessava sopratutto di constatare se |’ area di
isteresi elastica subisse delle variazioni per effetto delle scariche oscillatorie come avviene
per l area d’'isteresi magnetica.
Bastava quindi determinare la ditferenza degli allungamenti corrispondenti al peso me-
dio per carichi crescenti e decrescenti.
Il nostro studio , oltre che su un filo di acciaio del quale parleremo brevemente in
seguito, è stato eseguito sui due fili di ferro sopra menzionati provenienti da una matassa
con la quale avevamo ottenuto buoni risultati nella costruzione di un detector magnetico ,
e che furono tirati alla filiera nel laboratorio.
La lunghezza e il diametro (uguale nei due fili distinti nelle esperienze col N. 1 e N. 2)
erano rispettivamente cm. 115 e cm. 0,035. Il filo N. 1 venne sottoposto a cicli compiuti
con pesi tensori /, e /, rispettivamente di 221 e 191 grammi (nella glicerina), pel fllo
N. 2 i detti pesi erano invece 792 e 929 grammi (nella glicerina); il carico iniziale iden-
tico per i due fili era di 1800 gr.
Entrambi i fili vennero ricotti, per una ventina di minuti circa, con la corrente elet-
trica procedendo gradatamente sia nel riscaldamento che nel raffreddamento. Dopo la ri-
cottura ci accertammo che non avevano subito per l’ ossidazione diminuzione sensibile di
diametro.
Prima di eseguire le misure i fili venivano ripetutamente ciclizzati aumentando il ca-
rico iniziale di 200 in 200 grammi fino a raggiungere un carico complessivo superiore di
circa 300 gr. al carico massimo usato durante le esperienze; con procedimento inverso si
ritornava al carico iniziale.
Nelle esperienze con le scariche elettriche il filo sottoposto a trazione era circondato
da una spirale di filo isolato, lunga cm. 130,8 e avente 4,52 spire per centimetro, avvolto
su un tubo di vetro del diametro di cm. 2,1. Le estremità questa spirale £ (fig. Il) erano
unite alle armature 4, @' di due piccoli condensatori piani formati con fogli di stagnola di
127 cm. di area incollati sopra lastre di vetro verniciato con gommalacca di area pres-
socchè doppia e di cm 0,12 di spessore; le armature , 8° dei detti condensatori comuni-
8 Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla [Memoria XIV.]
cavano con uno spinterometro S a sfere di cm. 2 di diametro e con gli estremi P, P' del
secondario di un rocchetto d’induzione da 15 cm. di scintilla.
L' interruttore del rocchetto richiese attenzione speciale, poichè per ottenere risultati
concordanti era necessario che l’ oscillatore funzionasse con molta regolarità. I migliori ri-
sultati si ebbero con un interruttore a mercurio sotto alcool mosso da un motorino elettrico.
Le sfere dello spinterometro venivano frequentemente ripulite con carta smerigliata
finissima.
Appena si faceva agire il rocchetto si osservava un allungamento del filo che è da
attribuire al riscaldamento prodotto dall’isteresi magnetica e dalle correnti di Foucault.
Ove si volesse ritenere quest’ ultimo effetto trascurabile nei fili sottili, come quello ci-
mentato, l apparecchio potrebbe servire alla misura dell’ isteresi magnetica col metodo ter-
mico in modo analogo a quanto hanno praticato diversi sperimentatori tra i quali Guye e
Herzfeld (1).
Nel nostro caso si trattava invece di eliminare una grave causa d’ errore.
Una lunga serie di osservazioni ci dimostrò che adoperando fili sottili l’ equilibrio ter-
mico si raggiungeva abbastanza rapidamente e la lunghezza del filo rimaneva sensibilmente
costante, a condizione che l'interruttore del rocchetto funzionasse con perfetta regolarità.
Dopo molti tentativi riuscimmo a mantenere pressocchè invariato l’ effetto termico per
il tempo necessario a compiere parecchi cicli; del resto era facile controllare le variazioni
termiche tra un ciclo ed un altro, rigettando quelle osservazioni nelle quali si notavano
differenze sensibili.
Naturalmente prima di fare una serie di misure si regolava la distanza esplosiva dello
spinterometro e la corrente del primario del rocchetto in modo che Il’ allungamento termico
fosse di pochi p (2).
A dimostrare la costanza dell’ effetto termico riporteremo qui appresso alcune misure
eseguite col filo N. Il. In esse dopo aver lasciato il filo in riposo per un tempo sufficien-
temente lungo col carico costante di 2021 gr. si misuravano alternativamente le variazioni
di detta lunghezza in |f. a peso costante con o senza scariche dell’ oscillatore.
I Serie
(i numeri tra purentesi indicano l ordine delle misure )
senza scariche (1) 0,0 (G)A0:0 (5) 0,6 (6) 0,06 (8) 0,06
con scariche (2) 4,28. (4) 4.36 (4) 4,36 (7) 4,36 (7) Z53 0
allungamento medio w 4,31
II Serie
senza scariche (1) 0,0 (3) 0,16 (5) 0,32
con scariche (2) 4,29 (4) 4,58 (4) 4,58
allungamento medio p. 4,32
(1) C. R. T. CKXXXVI, pag. 957 (1903).
(2) La costanza dell’ effetto termico è stata anche dimostrata da Guye e Herzfeld nelle citate ricerche.
In esse i fili adoperati (dei quali il N. 1 aveva un diametro di cm. 0,037) erano sottomessi all’azione di un
alternatore che dava da 100 a 1200 periodi al secondo e permetteva di ottenere un campo che variava da
56,6 a 9,4 unità C. G. S. Gli Autori constatarono difatti che sotto l’ azione delle magnetizzazioni alternative
i fili si riscaldavano e assumevano quasi istantaneamente una nuova temperatura stazionaria.
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. O)
Come si vede facilmente queste due serie, ottenute quando |’ apparecchio aveva con-
seguito i perfezionamenti necessari, non lasciano a desiderare per la loro costanza, spe-
cialmente se si considera che esse richiedevano un certo tempo durante il quale la tempe-
ratura ambiente subiva le lente variazioni delle quali abbiamo già parlato.
A titolo di confronto riportiamo un’ altra serie eseguita con altro scopo su un filo di
acciaio, cm. 0,052 di diametro, nel primo periodo delle ricerche e che serve a dimostrare
come anche in circostanze sfavorevoli |’ effetto termico si manteneva pressocchè costante.
Nelle misure che seguono l’ interruttore apriva la corrente sul mercurio, ma era a
semplice martelletto ed abbastanza imperfettamente costruito ; la disposizione per ottenere
le scariche oscillatorie alquanto diversa sicche | effetto termico risultava più piccolo : le
misure stesse non furono eseguite a carico costante dopo un lungo riposo, come le prece-
denti, ma a carichi crescenti, cosicche si faceva sentire l'influenza della elasticità susseguente.
Carico gr. 575 Carico gr. 1075 Carico gr. 1075
allungamento in w senza scariche (e (3) 0 (I) 0 (3) 0,13 (I) 0 (3) 0,09
» > con scariche (2) 1,35 (2)101535 (2) (ZOINTS (PITLISI7 (2001.1177
Carico gr. 1575 Carico gr. 1575
allungamento in |. senza scariche (1) o (3) 0,18 (I) O (3) 0,27
» » con scariche (2) (2)01258 (2) 1,62 (2) 1,62
Carico er. 2575 Carico gr. 2575
allungamento in v senza scariche (1) o (3) 0,81 (I) 0 (3) 0,54
» » con scariche (2) 02 (2) (1,62 (20001055 (213
Volendo eliminare almeno parzialmente l’effetto dell’ elasticità susseguente si può
prendere come misura dell’ effetto termico la differenza tra |’ allungamento con le scariche
e la media dei valori precedenti e seguenti, che del resto si ottenevano in un tempo ab-
bastanza breve (le tre misure erano fatte all’ incirca in 40° complessivamente ).
Si ottengono così i seguenti risultati :
allungamenti termici
I u 1,35
Il SIRO 2
III VA (105
IV » 1,44
V » 1,48
VI pa 22
VII » 1,26
media v. 1.36, differenza 1 p. 0,24
Riporteremo ora i risultati delle nostre ricerche : per maggiore chiarezza pero li rite-
riremo in ordine diverso da quello col quale furono fatte e cominceremo dal riferire par-
ticolareggiatamente due serie di misure eseguite con il filo N. 2 procedendo come sopra
si è detto, dopo averlo ciclizzato.
Nella prima colonna delle seguenti tabelle sono riportate le variazioni del carico, espres-
se in grammi, mediante il quale il filo veniva sottoposto a trazione ciclica ; il valore
ATI Acc., SERIE V, Vor. Il. Mem. XIV. 2
10
Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla
[MemoRIA _XIV.]
zero si riferisce al carico iniziale di 1800 gr. preso come punto di partenza dei cicli. Le
due colonne che seguono indicano per ogni ciclo le variazioni di lunghezza in micron per
carichi crescenti o decrescenti a seconda della direzione della freccia. Nella colonna suc-
cessiva è indicata in y. la differenza tra le due lunghezze del filo sotto lo stesso carico
medio nella serie crescente e decrescente.
Abbiamo preso questa differenza per ogni serie come misura dell’ isteresi.
Le tabelle I, II, III si riferiscono a tre serie di cicli
eseguiti successivamente nello
stesso giorno, delle quali la prima e la terza serie furono ottenute senza scariche e la se-
conda sotto l’ azione di esse.
TABELLA I
Cicli senza scariche
Variaz. - . ; ‘ :
Variaz. Variaz. Variaz Variaz. n Variaz.
Co, di lungh. 3 di lungh. Li di lungh. Di di lungh. Di di lungh. Ist.
carico -
|
i
o o) | 0 to) —I 1 — 0,2 -0,2 |-0,2 | —0,2 |—0,2
| |
792 | 4764] 478T|2,0|476,1t1477,77| 16 475,74 at7a | 177] 475174 477,6Î| 1,9|475,84 478 Î| 2,2
1721 |1022 |1022 102.22. |11022,2 1022 |1022 1021,8 |1021,8 1020,4 |1020,4
|
|
Variaz. | Vatiaz, di lunghe I Variaz. di lunghezza | Ist. | Variaz. di lunghezza | Ist
del carico arlaz. 1 ung ezza st. /arlaz. 1 ung nezza Sie arlaz. 1 ung ezza O
I
O — 0,2 — 0,2 -- 0,2 — 0,2 | - 0,2 — 0,2 |
792 476,1 JÌ 478 Îln9| 4761 i 478,2 ]|2,:| 47634! 478 Î| n7
1721 1021, 8 1021, 8 1022, 6 1022, 6 | 1022 1022
Isteresi media | 1,9
TABELLA II
Cicli con scariche
Variaz. . , 5 É A
5 Variaz. Variaz. Variaz. Mariaz: Variaz.
Dir di lungh. Di di lungh SA lungh. ui di lungh. ai lungh. Le
o ]o->6 5,3 5,8 5,8 5,8 | 6,4 6,4 5,8 538 6,2
A
792 482) 483,27] 1,2 481,74 483,1] | 1,4 82) 483,3] 1,3 181,94 483.47 155 4821 483,87 1,7
1721 1028. |1028 1027,8 |1027,$ 1027,2 |1027,2 | 1027.8 |1027,8 e 1028
Soa Variaz. Ist Variaz. e Variaz. e | Variaz. Ist Variaz. Ist
> di lungh. Si di lungh. St di lungh. | di lungh. i di lungh. i
carico i
lo 6,2 6 6 | 6,6 6,6 | 6,6 6,6 ! 7 7 7,6>1,6
792 481,84 483,67 1,8 482,34 483,21 0,9 182,1) 483,87 1,7 482,6) 483.9Î 1,3 182,44 483,81 1,4
172: |1027,6 |1027,6 1028,6 |1028,6 1028.6 |1028,0 1027,6 |1027,6 1028,4 |1028,4 |
Isteresi media w 1,4
IVO
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. LA
In questa serie la differenza fra i due valori sotto il carico iniziale nella prima co-
lonna del primo ciclo e nella seconda colonna dell'ultimo ciclo, dà la misura dell’ effetto
termico dovuto alle scariche; esso ha un valore costante al principio ed alla fine della serie.
TABELLA HI
Cicli senza scariche
Variaz. Variaz. | Variaz. Variaz. Variaz.
del carico di lunghezza Sg di lunghezza Di di lunghezza Se di lunghezza Ist.
|
o O) | o PRO ! o o | o o i o
792 476 il 478 I 2,0| 476 f| 478 i 2,0 476,14 477,9] 1,8) 476 Jl 477,9] 1,9
1721 1022 1022 1021,$ | 1021,8 1021,6 1021,6 1021,8 1021,8
| | |
Variaz, Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza [St
del carico 5 5
lO) o CONO — 0,2 lo) i
A OG
792 476 477,8] Pi 475194 477,87 | 1,9
170 1022 1022 | 1021,4 102I,4
Isteresi media w 1,9
Nell’ osservare le precedenti tabelle si rileva che non tutti i cicli si chiudono perfet-
tamente. Ciò si deve attribuire all’ elasticità susseguente che, per quanto si operasse ra-
pidamente e con il filo previamente ciclizzato, non si eliminava del tutto nei limiti di pre-
cisione richiesti da ricerche così delicate. Influiva anche qualche piccola variazione della
temperatura ambiente. Queste esigue per quanto inevitabili cause d'errore si eliminavano
col moltiplicare il numero dei cicli, la media dei quali dava, come si vede, risultati sod-
disfacenti.
Nelle tre tabelle che seguono riportiamo anche per disteso un’altra serie di misure
eseguite con lo stesso filo a distanza di alcuni giorni dalle precedenti.
TapeLLa IV
Cicli senza scariche
Variaz. i i . ;
ERO Variaz. di lunghezza | Ist. Variaz. di lunghezza Ist
(0) (6) O (©) (6)
792 476 il 478. 27 2,2 476, 13 | 478, 2] 2,1
1721 1022 | 1022 1021, 8 | 1021, $ |
| |
Isteresi media p. 2,2
12 Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla [MEMORIA XIV.]
TABELLA V
Cicli con scariche
Variaz. voi Variaz. Variaz. Varazze
del carico ra ea di lunghezza Lo#l; lunghezza SE di lunghezza SE
| | di
O) ra 9,5 9;5 9,9 9;9 | 10,1 | 9;9 9;7
792 483,54] 485 T|15 18434] 4855Î|12| 483474] 4853116) 483,73] 485 Î[13
1721 1029,5 1029,5 1030,3 | 1030,3 1029,7 1029,7 1029,7 1029,7
| |
Isteresi media p 1,4
TABELLA VI
Cicli senza scariche
- 7] na — I
Variaz | | |
del Cai Variaz. di lunghezza | Ist. I Variaz. di lunghezza Ist. Variaz. di lunghezza Ist.
si = _| | DS n 2 Ra > —
O) lo (OZ | 0,4 | 0,8 ‘0,8 0,8
i | | | SA
792 476 1 475,3 Î 2,3| 476,2 } 178,4 || 2:2 476,3 li 478,5 ii 2,2
| Ù
1721 1022 | 1022 | | 1021,8 1021,8 1022 1022
Isteresi media p. 2,2
le esperienze che ora riporteremo qui appresso furono eseguite sul filo N. 1 e coi
pesi tensori più piccoli precedentemente indicati, con una disposizione elettrica alquanto di-
versa (fig. III) nella quale invece di due condensatori se ne impiegava uno solo. L'effetto
termico al principio della serie dei 7 cicli con le scariche era di p 4,2 e alla fine p_ 4,5.
Per brevità invece delle serie complete, ci limitiamo a riportare i valori dell’ isteresi ,
misurata nel modo anzidetto, nei cicli con o senza scariche.
TapeLLA VII
Isteresi
nei cicli senza scariche nei cicli con scariche
w 1, IO vw 0,76
o, 93 o, 64
1,04 o, è2
1,04 o, 84
0, 50
0, 40
o, 46
Isteresi media w 1,04 w 0, 66
Abbiamo anche tentato di eseguire delle ricerche coi fili di acciaio; però l'’ isteresi ela-
stica nelle condizioni delle nostre esperienze aveva dei valori così piccoli da non poterne
apprezzare con sicurezza le variazioni sotto l’ azione delle scariche elettriche.
Tutte queste misure come le altre che per brevità non riportiamo dimostrano una forte
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 13
diminuzione dell’ isteresi elastica per effetto delle scariche oscillatorie. Misurando l’ isteresi
nel modo come noi abbiamo fatto la diminuzione secondo le precedenti tabelle va dal 26
al 36 per cento.
VII
Oltre le esperienze con le scariche elettriche sopra riportate ne abbiamo eseguito con-
temporaneamente altre per esaminare se la magnetizzazione longitudinale del filo avesse
influenza sull’ isteresi elastica di esso.
A tale scopo il filo era collocato lungo | asse di un grande solenoide di 22 cm. di
diametro e 140,5 cm. di lunghezza (477 — 48,38) sufficientemente lungo perché il filo si
trovasse in un campo magnetico costante.
La corrente magnetizzante non sorpassava ordinariamente i due amperes per evitare
un riscaldamento eccessivo del filo.
Anche con due ampéres il riscaldamento non era trascurabile ; esso produceva nelle
diverse serie un allungamento di quasi 10 p. Però 40 minuti circa dopo chiusa la corrente
magnetizzante si raggiungeva l'equilibrio termico e si potevano eseguire ricerche attendibili.
Poichè le variazioni di lunghezza per effetto della magnetizzazione (facilmente misu-
rabili con il nostro apparecchio) avvenivano istantaneamente, in alcuni casi potevamo ese-
guire rapidamente qualche misura appena eccitato il campo prima che il filo subisse ri-
scaldamento sensibile.
Riportiamo i risultati di alcune serie di esperienze eseguite in queste condizioni (1)
col filo n. 1 dopo che si era raggiunto l' equilibrio di temperatura.
TapeLLA VII
Isteresi del filo
nel campo terrestre nel campo di 9,7 unità C. G. S.
wp 1,20 u 1,00
1.134 o, 82 )
1924: o, 88
1, 34 1,04
I, 50 1, 00
1,24 0, 97
IN20
Isteresi media w 1,29 V 0, 97
TABELLA IX
Isteresi del filo
nel campo terrestre nel campo di 9,7 unità C. G. S.
p_ 0,88 p_ 0, 65
0, 9I o, 68
0, 90 o, 65
(Of 88
Isteresi media jp 0, 89 po, 66
(1) Naturalmente in queste esperienze non si faceva agire il rocchetto che produceva le scariche nel
solenoide interno.
14 Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla [Memoria XIV.|
TABELLA N
Isteresi del filo
nel campo terrestre nel campo di 9,2 unità C. G. S.
PARO ASTE,
o, 77 0, SI
o, 62 O, 49
0, 70
Isteresi media p. 0,71 pv 0,SI
TABELLA XI
Isteresi del filo
nel campo terrestre nel campo di 14, j unità C. G. S.
y 0,07 v. 0,47
o, 69 O, 47
0, 74 o, 42
o, 56
Isteresi media p. 0, 70 v 0,48
Non è a nostra conoscenza che prima di noi siano state eseguite delle esperienze dirette
sulla variazione dell’isteresi elastica del ferro in un campo magnetico : tale variazione ri-
sulta nettamente dimostrata dalle nostre ricerche che danno una diminuzione d' isteresi nel
modo da noi misurata dal 24 al 30 per cento, per campi che non permettono la saturazione
magnetica del filo.
Tale diminuzione è all’ incirca eguale a quella trovata con le scariche elettriche.
Con lo stesso filo N. 1 abbiamo eseguito nel solito ciclo delle misure d’'isteresi elastica
nel campo terrestre mentre era incrudito dalla filiera prima che fosse ricotto : confrontandoli
con quelle eseguite pure nel campo terrestre immediatamente dopo la ricottura si ha la
seguente tabella.
TABELLA XII
Isteresi del filo
incrudito ricotto
po, 12 v 0,81
O, 17 O, 74
O, 21 O, 77
isteresi media v 0,17 v 0,77
La ricottura del filo produceva quindi un aumento dell’isteresi (misurata come si è detto)
dall’ uno al quadruplo circa, mentre il campo magnetico da noi impiegato produceva una
diminuzione dal 24 al 30 per cento.
Se nessuno ha eseguito ricerche dirette sulle variazioni d'area d' isteresi, diversi speri-
mentatori si sono però occupati delle variazioni del modulo di elasticità col magnetismo,
e le ricerche dimostrano che tale variazione effettivamente esiste. Secondo Nagaoka (1)
il cambiamento apparente dell’ elasticità per la magnetizzazione osservato con esperienze
(1) Trans. int. cong $!' Louis 1904, vol. I p. 355.
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. a)
di trazione e di flessione è un effetto contemporaneo della variazione di lunghezza e del
modulo di elasticità e come i due effetti devono essere separati e un problema da risolvere.
Le ricerche più importanti sull’ argomento sembrano quelle di Honda e collaboratori.
In un lavoro (1) pubblicato nel 1902 Honda, Shimizu e Kusakabe misurarono le va-
riazioni del modulo di elasticità di flessione del ferro dolce e di altri metalli col metodo
dello specchio girevole.
L’ asta di ferro dolce cimentata aveva le dimensioni di 64°" >» 0,903 x 0,901. In
campi deboli si ebbe una piccola diminuzione di elasticità quando il carico flettente sor-
passava 1,5 kg. i
Poichè il ferro si contrae lateralmente nei campi deboli, tale contrazione potrebbe spie-
gare l’ apparente diminuzione dell’ elasticità.
Per forti campi l’ elasticità aumenta col magnetismo raggiungendo un valore limite
verso i campi di 50 unità C. G. S. L'aumento relativo ue del modulo di elasticità di-
minuisce col crescere del carico flettente.
In un esteso lavoro successivo pubblicato nel 1907 (2) Honda e Terada hanno fatto
uno studio particolareggiato delle variazioni delle costanti elastiche delle sostanze ferroma-
gnetiche con la magnetizzazione.
Per quello che riguarda l’' elasticità di trazione gli Autori hanno misurata la variazio-
ne del modulo di elasticità con la magnetizzazione sia direttamente, sia deducendolo dalla
variazione di lunghezza con la magnetizzazione sotto diversi carichi mediante un’ equa-
zione che presuppone l’ indipendenza nell’ ordine di applicare rispettivamente il campo o
il carico tensore, conforme a quanto si ammette nella teoria della magnetostrizione.
Il metodo sperimentale adottato è quello dello specchio girevole; però con una di-
sposizione differenziale molto ingegnosa le variazioni di lunghezza per il carico venivano
compensate e si misuravano i cambiamenti di tali variazioni nel campo magnetico. Natu-
ralmente il modulo di elasticità nel campo zero non poteva essere misurato con questa
disposizione e venne perciò determinato con altro apparecchio.
Per eliminare |’ influenza dell’ isteresi gli A. confrontarono i risultati ottenuti con ca-
rico crescente.
Il filo di ferro di Svezia ricotto del quale si servirono gli A. era del diametro di
0,0904 cm. cioè circa 3 volte più grosso del nostro : la tensione massima alla quale lo
sottoposero gli sperimentatori fu di 5535 grammi per mm.?, quindi notevolmente inferiore
al carico iniziale dei nostri cicli che corrisponde a 18750 gr. per mm.?. Tale forte carico
fu necessario nel nostro caso per ottenere un’ area d’ isteresi non trascurabile.
In completo accordo con precedenti sperimentatori gli Autori ottennero un allunga-
mento nei campi deboli, che raggiunge un massimo in un dato campo ed in seguito si
muta in contrazione. Il massimo allungamento diminuisce col crescere della tensione tra-
sportando lo zero verso i campi deboli, cosicchè al di là di una certa tensione si ha sem-
pre un accorciamento per magnetizzazione. Per es. in campi d’ intensità vicina al nostro,
cioè di 8 unità C. G. S. circa si ha un allungamento per un carico da 1627 a 4754 gr.
(1) Phil. Mag. vol. 4 pag. 459 (1902), Cfr. anche pag. 537 dove sono riportate le esperienze fatte con
l’ elasticità di torsione.
(2) Phil. Mag. Vol. 13 pag. 36 (1907).
16 Prof. G. P. Grimaldi e Dott. G. Accolla
[Memoria XIV.]
per mm.? ed una contrazione per il carico massimo sopra indicato di 5535 gr. per mm.?
Identico risultato si è avuto per i campi di 12 a 13 unità C. G. S.
Anche noi abbiamo misurato incidentalmente la variazione di lunghezza del filo N. 1
con la magnetizzazione ed abbiamo trovato sempre un accorciamento come si rileva dalla
seguente tabella.
PI—UUSTO0E ma,
Ì
è. 4 - | x
Intensità Accorciam. | dI ci
del campo in micron T
9,7 0, 18 STORTO
2053 | o, 82 | — 0,71
{ nostri risultati qualitativamente sono di accordo con quelli di Honda e Terada,
quantitativamente non è possibile fare un confronto, perchè come si è detto, le tensioni era-
no di gran lunga differenti nei due casi: ecco del resto alcuni dei valori ottenuti dagli
Autori pel massimo carico :
si Ci / 2
E ==M09O gr. | mm°.
Intensità òl X 10°
del campo i]
3, 2 —— 0, 06
8,2 — 0,09
17591 sm 07:05
2253 — 0,00
33; Ss =—_r0; 2
74, 3 Di 0, 94
Per quel che riguarda la variazione del modulo di elasticità nel campo magnetico gli
A. trovarono nel filo di ferro ricotto sempre un aumento del detto modulo : tale aumento
però era assai più piccolo nelle misure dirette che in quelle nelle quali il modulo veniva
dedotto, dalle variazioni di lunghezza nel campo magnetico, mediante l'equazione sopra ac-
cenata. Per altro questi ultimi valori del modulo sono in certo modo di accordo con quelli
misurati con l’ elasticità di flessione nel lavoro precedente, in un campione completamente
diverso nelle proprietà magnetiche.
L'aumento del modulo d’elasticità nel campo magnetico determinata da Honda e col-
laboratori è un fenomeno in correlazione con la diminuzione d’ isteresi da noi trovata :
a queste variazioni che |’ elasticità del ferro subisce nel campo magnetico fanno ri-
scontro quelle studiate con la torsione (1) e finalmente | aumento di tenacità sul quale
E. Drago (2) ha recentemente eseguito minuziose ed accurate ricerche in questo Istituto.
(1) TANGL — Drud. Ann, T. VI, S. 34 (1901) — GRAY e Woop — Proc. Roy. Soc. Vol. LXX, p. 294 (1902).
Honpa — T.. c. (28 memoria) — CANTONE — Rend. Ist. Lomb. ser. II, vol. XXXVII, p. 567 (1904).
(2) Rend. Acc. Lincei. — Vol. XVIII, ser. 5° pp. 111 e 294 (1° sem. 1909).
Influenza delle scariche oscillatorie e del magnetismo, ecc. 17
Il Drago ha trovato in media per campi che variavano da 40 a 1400 unità C. G. S. un
aumento del 0,9 per mille del carico di rottura.
VIII
Ci sembra non privo d'interesse il riportare alcune serie di misure eseguite con le
scariche elettriche sul filo N. 1 mentre esso era magnetizzato dalla corrente costante del
grande solenoide.
La disposizione elettrica era simile a quella della figura II con la sola differenza che
era stato eliminato il condensatore e una estremità della spirale era isolata. L’ effetto ter-
mico, al quale in questo caso possono sovrapporsi le piccole variazioni di lunghezza do-
vute all’ alterazione del magnetismo prodotto dalle scariche, era di p. 4,56.
TABELLA XII
Isteresi del filo magnetizzato
( Intensità del campo 9,7 unità C. G. S.)
Cicli senza scariche Cicli con scariche
W I, 00 | 0, 70
o, 82 o, 64
o, 88 0, 74
I, 04
1, 00
0, 90
Isteresi media w 0, 97
uv 0,69
Nelle seguenti tabelle riportiamo due altre serie di esperienze eseguite sullo stesso
filo in condizioni diverse dell’ apparecchio che fu smontato e rimesso a posto tra una serie
e l’ altra.
TABELLA XIV
Isteresi del filo magnetizzato
(Intensità del campo 9,7 unità C. G. S.; effetto termico wp 3,37)
Cicli senza scariche Cicli con scariche
v 0, 65 u 0, 37
(CA 68 0339
o, 65 O, 47
o, 60
0, 44
Isteresi media n 0,66 W 0,44
TABELLA XV
Isteresi del filo magnetizzato
(Intensità del campo 9,2 unità C. G. S.; effetto termico W 4,12)
Cicli senza scariche Cicli con scariche
wo, 53 uo, 32
O; ost (ORIZA
0, 49 0, 33
OL 2
SS),
Isteresi media p. 0, s1
18 Prof. G. P. Grimaldi e ‘Doti.GàvAccolla [MemorIa XIV]
Le variazioni in valore assoluto sono in queste misure più piccole di quelle registrate
nella tabella X mentre in valore relativo sono o eguali o più grandi.
Accenneremo in ultimo ad alcune misure di allungamenti a peso costante prodotti nel
filo N. 1 dalle scariche oscillatorie, eseguite incidentalmente nel corso delle ricerche com-
parativamente nel campo terrestre e in campi magnetici di diversa intensità.
Ove si volessero ritenere trascurabili le correnti di Foucault con filo così sottile come
quello da noi adoperato, l’ effetto termico, come già s'è detto, potrebbe misurare l'energia
assorbita dal filo per | isteresi.
Quando si creava il campo, prima di fare agire il rocchetto, come è stato riferito, il filo
si accorciava e sono qui appresso indicati gli accorciamenti corrispondenti ai diversi campi.
Il carico costante era di 2021 gr. la disposizione elettrica quella della fig. III ad un
condensatore e l apparecchio nelle condizioni delle misure riportate nella tabella VII.
Le tre serie di misure sono state eseguite nello stesso giorno.
Serie I
EE RION IE RMIGO
nel campo terrestre 5 - : ; È - 5 c ì a: = : L 4331
in un campo di 9,7 unità C. G. S. che produceva un accorciamento di y. 0, 18. : >. 137102
Serie II (1)
EFFETTO NERMICO
nel campo terrestre 5 o 7 . : 7 E , 7 c c 3 . Lu 4,32
in un campo di 9,7 unità C. G. S. che produceva un accorciamento di p. 0,21. 5 » 3,13
Serie III
EFFETTO TERMICO
nel campo terrestre ? : ; - È . È p : ; 3 be 5,13
3 unità C. G. S. che produceva un accorciamento di p. 0,82. DS20032
in un campo di 20, 3
Nella terza serie si faceva lievemente sentire l’influenza del riscaldamento dovuto alla
corrente magnetizzante.
Ad ogni modo non vi è alcun dubbio che l’effetto termico, cui in questo caso, come
sopra si è detto, possono sovrapporsi le piccole variazioni di lunghezza dovute all’ alte-
razione del magnetismo prodotto dalle scariche oscillatorie , varia notevolmente nei diversi
campi magnetici.
Dall Istituto di Fisica della R. Università di Catania, Giugno 1909.
(1) Nelle prime due serie facendo cessare l'azione del campo magnetico si ottenne un allungamento iden-
tico all’ accorciamento precedente.
tnt
VIRA
AAA
G.Accolla dis.
Lit. Zurria- Calania
Memoria XV.
Prof. G. LOPRIORE
Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone.
INTRODUZIONE
I semi del Nespolo del Giappone offrono, oltre alla particolarità dell’ inverdimento più
o meno intenso ed esteso dell'embrione e dei cotiledoni, alcuni altri fatti non meno impor-
tanti, che ne rendono il comportamento alquanto diverso da quello degli altri semi.
Essi raggiungono prima del frutto la maturità fisiologica e germinano, appena liberati
da questo, con la sola risorsa dell’acqua propria. Se quindi vengono tolti ancor giovani
ed incompleti da frutti immaturi, son capaci d’ inverdire alla luce diffusa i cotiledoni nudi
e di germinare, in tubi chiusi di vetro, col favore dell’ acqua propria o traspirata.
I semi, verdi nel frutto, si conservano tali anche più tardi, anzi, per la presenza della
clorofilla, essi rimangono attivi, senza quasi passar mai allo stato di vita latente.
Il potere germinativo si attenua e spegne in tempo relativamente breve, non appena
cioè il corpo cotiledonare diventa bruno per acqua che va via e per intime trasforma-
zioni chimiche. A differenza quindi di altri semi, che conservano tanto meglio la loro vitalità
quanto più poveri d’acqua, questi del Nespolo perdono con l’acqua la facoltà di germinare.
D'altra parte la presenza di sostanze cianogeniche e la loro metamorfosi per effetto di
fermenti enzimici non possono non influire sulla vitalità dell’ embrione.
Altro fatto degno di nota è che questi semi si decompongono facilmente quando sia-
no in massa, entro vasi aperti, esposti all’aria, formando un terriccio nero e fino, il quale
attenua la rapida ed ulteriore decomposizione degli strati più profondi, ma non ne impe-
disce il definitivo regresso.
Pertanto le particolarità relative alla germinazione vengono esposte in queste * Note ,
che tengono dietro agli “ Studi anatomo-fisiologici , pubblicati nell’ ultimo volume di
questi Atti. Come quegli “ Studi , dovettero seguire i semi dall’ inizio alla maturazione,
così queste prove sulla germinazione li continuarono, mettendo in luce alcune altre parti-
colarità d’ indole anatomica o fisiologica, che verranno qui riassunte. Sui fatti già esposti
e sul significato di alcuni termini usati nella memoria precedente rinviamo a questa, senza
qui ripeterci nuovamente.
Le presenti ricerche integrano quelle già compiute, ma non esauriscono del tutto l’ar-
gomento, che formerà ancora oggetto di ulteriori indagini.
Catania, luglio 1909.
ATI Acc., SerIE V, Vor. Il. Mem. XV. I
9, Prof. G. Lopriore
GERMINAZIONE
Per quanto facile sia la germinazione, essa non offre, neppure in frutti ipermaturi od
appassiti sull’ albero, una vera viviparità. Nè a questa possono riferirsi quei rari casi, in
cui un cornetto verde, simulante la radichetta, sorge dalla base del seme.
Nondimeno, per accertare se la grande succosità del mesocarpo permette la germina-
zione dei semi entro il frutto, furono scelti alcuni frutti più maturi e messi in terreno ani-
dro, tenuto parecchie ore per due giorni di seguito nella stufa alla temperatura di 1000.
L'osservazione svelò che, come naturalmente suole avvenire per i frutti rimasti al-
l'albero, avviene anche per i frutti messi in terreno anidro: il mesocarpo dissecca e
l epicarpo vien quasi direttamente a cingere e serrare i semi. La polpa dissecca, mentre
la germinazione dei semi non va al di là di un lieve allungamento della radichetta, che
fora appena il tegumento. Un mese dopo che i frutti erano rimasti ‘nel terreno, la germi-
nazione iniziavasi, senza però molto progredire. Anche i semi, con o senza tegumento,
messi nello stesso vaso con i frutti, non avevano per nulla iniziato la germinazione, anzi
presentavano la superficie esterna dei cotiledoni fortemente raggrinzita. Appena i vasi,
trascorso il mese, vennero abbondantemente innaffiati, la germinazione procedè rapida e bene.
Per meglio seguire il processo germinativo, considereremo il comportamento delle di-
verse parti del seme: embrione, cotiledoni, tegumenti.
EMBRIONE
La germinazione s’' inizia con | emissione del fittoncino , che, se non contrastato nel
suo sviluppo, raggiunge in breve notevoli lunghezze. La comparsa della piumetta non av-
viene che molto tardi, nè il fusticino, che la porta, presenta sviluppo proporzionato a quello
del fittone. Il fittoncino si mantiene a lungo indiviso e non manda che tardi radici laterali.
Dalla sua base partono però, non di rado, ad angolo retto due forti radici, che, per di-
mensioni competono col fittone.
Il fusticino, eretto e abbastanza sensibile all’ eliotropismo, presenta la piumetta di un
lieve color rosa, determinato da antocianina che presto scompare. All’ascella dei cotiledoni
si sviluppano non di rado due altri germogli, che presto, per dimensioni, gareggiano col
principale. Questa vicenda si verifica molto spesso in semi germinanti al buio, quasi che
la pianta voglia sostituire il germoglio principale eziolato con altri secondari. Non sempre
però l’ emissione di germogli e di radici laterali è simultanea.
Semi senza tegumento, messi a germinare nella sabbia umida con la cupola embrio-
nale rivolta in su—cioè capovolti—,presentano un fittone aereo, che, alle volte, aderisce al
tegumento e, continuando a svilupparsi in senso verticale, penetra nel terreno, altre volte,
prima di approfondirsi in questo, segna nell’ aria archi molto ampi, che producono radici
Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone 3
laterali soltanto dopo la loro penetrazione nel terreno. Tale comportamento avvicinerebbe
queste radici a quelle delle Pothoidee , che da ExncLER e Lirrau vennero designate come
Wurzeltràger — portaradici. Siffatti organi, con i loro laterali, son bruni per anticipata
formazione di periderma, mentre il tratto sviluppantesi nel terreno è bianco, turgido e più
grosso del tratto aereo. Nel suo inizio, però, il fittoncino rilevasi bene in forma di cordon-
cino bianco sul fondo scuro del tegumento.
Non è raro il caso che radici secondarie penetrino e si sviluppino fra i semi dei coti-
ledoni propri o fra quelli di semi estranei e che quindi, sotto la pressione degli stessi, si
schiaccino, mostrando annerita, per effetto della suberificazione, la superficie di contatto.
Un fatto di particolare interesse è che | embrione si ricostituisce su cotiledoni isolati,
dando germogli e radici. Sebbene le sue dimensioni estremamente esigue non permettono,
nel separare i cotiledoni di un seme, stabilire se ognuno di essi rimanga provvisto di parte
o di tutto l embrione , pure ogni cotiledone si comporta come un seme normale.
Riserbandomi di stabilire più in là se 1 germogli siano ascellari od avventizi ed in
qual modo si compia la ricostituzione dell’ embrione, confermo per ora le osservazioni del
Kiuster e del PorrHEIM, per cui su cotiledoni isolati la formazione delle radici e più ab-
bondante di quella dei germogli. La formazione di questi e di quelle è più facile se i co-
tiledoni rimangono in camere umide e possibilmente con la faccia ventrale aderente al vetro.
Per semi germinanti senza tegumento, entro tubi da saggio, sorprende il fatto che il
fittoncino, atrofizzandosi per tempo, manda verso la base radici laterali in numero di due
od anche più, tanto da costituire come un fascio di radici o da arieggiare radici fascicolate.
Che si formino o no radici laterali, il moncone del fittoncino si conforma, alla base
del seme, a mo’ di cercine, e spesso si cinge di un manicotto di color rosso ruggine che,
a prima vista, sembrerebbe tessuto sugheroso, ma che poi, all’ esame microscopico , si
svela formato da una quantità grandissima di peli corti e pluricellulari a parete suberifi-
cata, formatisi probabilmente allo scopo di moltiplicare la superticie assorbente del mon-
cone del fittoncino. Pluricellularità e suberificazione, però, compiendosi tardi, quando cioè
la funzione assorbente poco giova alla sorte del giovane organismo, farebbero ritenere i
peli piuttosto come reazioni determinate dal sospeso sviluppo del fittone che quali mezzi
intesi ad elevarne la funzione assorbente.
Semi senza invoglio, affondati parzialmente nel terreno, inverdiscono nella parte epi-
gea ed anche nelle facce interne dei cotiledoni non ancora completamente divaricati. Se
per la parte epigea vi fu insolazione diretta e quindi arrossimento con formazione di an-
tocianina, il rosso delle "facce esterne contrasta col verde di quelle interne. Nei semi di
frutti precoci il verde della cupola embrionale traspare non di rado attraverso i tegumenti
sottili e tesi, senza raggiungere la tonalità di quello di semi germinanti senza tegumento.
COTILEDONI
In conseguenza della germinazione s’ inizia il divaricamento dei cotiledoni, il quale, se
procede più spedito senza I inviluppo dei tegumenti, si compie però sol quando il fustici-
no ha raggiunto una lunghezza notevole. Sorprende anzi che anche per semi liberati dai
tegumenti, i cotiledoni divarichino tardi e difficilmente ; che inoltre fusticino e piumetta, a
causa delle esigue dimensioni loro, restino a lungo stretti fra i cotiledoni, senza presen -
+ Prof. G. Lopriore [Memoria XV.]
tare uno sviluppo corrispondente a quello del fittone. Mentre questo raggiunge in breve
una lunghezza 3-5 volte maggiore di quella del seme, il germoglio non svela all’ esterno
alcun segno di vita.
La divaricazione, iniziandosi alla base del seme, raramente progredisce fino all'apice,
ove i cotiledoni sogliono rimanere aderenti anche a germinazione progredita. Stante simile
tendenza, per cui i cotiledoni si arcuano l’ uno contro l’ altro o l’ uno a ridosso dell’ altro,
‘il germoglio s' incurva ed esce lateralmente dalla base dei cotiledoni, divenendo eretto.
‘Tale comportamento, non comune ad altri semi, che sogliono divaricare i cotiledoni
in modo regolare e progressivo dalla base all’ apice, dimostra che l'ufficio dei cotiledoni è
quello di organi di riserva, non di organi elaboranti, per cui, ad onta della ricchezza in
clorofilla, non tendono ad esporre la superficie clorofillata alla luce. Biologicamente esso
sorprende per il fatto che le facce interne dei cotiledoni , essendo inverdite prima ancora
di divaricare, dovrebbero affrettare questo processo, per esporre la superficie inverdita alla
luce e metterla in grado di compiere il lavoro fotosintetico.
Lo sforzo, che il germoglio compie nel far divaricare i cotiledoni per le basi, è ab-
bastanza grande, se si pensa ch’ esso, pur cacciando l’ apice lateralmente, si conforma fra
i cotiledoni ad uncino e con l’ ansa di questo li divarica anche dal lato opposto.
La divaricazione è più grande e precoce nei semi marcatamente eterocotili, per cui
il cotiledone più piccolo, specie se fogiiaceo , cede facilmente allo sforzo del germoglio e
si allontana dall’ altro. In questi semi, se i cotiledoni arieggiano la disposizione equitante,
divaricano molto più di quelli normali. Il cotiledone fogliaceo suole ordinariamente an-
dare a male, poichè avvizzisce e si contrae, coprendosi anche di muffe, specie quando
i semi sono stati gia liberati dai tegumenti. Questo conferma il concetto che i cotiledoni,
pur simulando la forma fogliare, non ne assumono che temporaneamente la funzione.
In semi tricotili o più che tricotili il divaricamento dei cotiledoni si compie in modi
diversi ed è re
ativo alla posizione dei cotiledoni rispetto all’ asse.
Negli emitricotili divaricano i due grandi cotiledoni, ma non i lobi di quello imper-
fettamente diviso, entro cui il germoglio suole annicchiarsi.
L'angolo di divaricazione cresce in certo modo col grado di polispermia: è grande
nei semi dei frutti trispermi, medio nei dispermi, piccolo nei monòspermi. Un comporta-
mento analogo mostrano i semi, se vengono riscaldati nella stufa a 100°. i
In semi conservatisi verdi e turgidi negli strati inferiori della massa, che riempie
grandi matracci, la proporzione di quelli divaricati rispetto ai non divaricati è di 1:2.
Le modalità relative alla divaricazione ci han trattenuto più a lungo per il fatto che
questa tenderebbe a mettere i cotiledoni in condizioni favorevoli all’ assimilazione. Però nè
la divaricazione, nè la germinazione ipogea giustificano la tendenza nei semi del Nespolo
ad inverdire più o meno intensamente i cotiledoni.
Durante la germinazione l’ esaurimento dei cotiledoni è molto lento e quasi sempre
incompleto. La grande massa di amido scomparisce per digestione ed impiccolimento
graduale dei singoli granuli, che sol di rado presentano canalicoli periferici di erosione.
Anche neile deiezioni delle larve (//odza interpunctella), che vivono nei semi del
Nespolo, veritficasi un comportamento simile. I granuli di amido, che quasi esclusivamente
costituiscono siffatte deiezioni, si presentano infatti senza canalicoli d’erosione, ma a con-
torni più arrotondati e a dimensioni più piccole.
In semi eterocotili, con un cotiledone fogliaceo, questo avvizzisce od ammuffisce, sen-
1
Note sulla germinazione deî semi del Nespolo del Giappone
za che l’ altro compensi l’ embrione della perdita, esaurendosi più rapidamente. Del resto,
per piccolo che sia un cotiledone rispetto all’ altro, esso non si esaurisce in precedenza,
ma cede la sua riserva amilacea in misura proporzionata all’altro. Non ostante, però, l’esi-
guo spessore, la faccia interna di siffatti cotiledoni è meno inverdita di quella esterna.
Un fatto, che, per l’estrema rarità sua, merita di essere qui accennato, è la presenza
di numerosi peli alla base dei cotiledoni dei semi in germinazione, localizzati specialmente
nelle insenature e lungo gli spigoli. I peli sono uni- o pluricellulari, fusiformi o falcati, ad
estremo semplice o munito di papille, tanto da ricordare per forma e colore le teleu-
tospore della Pzccinza coronata. | peli giovani sono unicellulari, diventano col tempo
pluricellulari e non si formano se non in semi germinati in aria umida. Essi avrebbero
quindi l’ importanza biologica di aumentare la superficie assorbente dei cotiledoni. .
Ben diversi da questi sono i peli a riflessi argentei, che sogliono circondare l'estremo
della radichetta di semi malandati e, per cause parassitarie, inverditi specialmente all'apice.
Essi si rilevano bene, a causa del loro colore, sul tondo verde sottostante, che ornano di
un’aureola particolare. All'esame microscopico si presentano lievemente arcuati, uncinati
alla base, appuntiti agli estremi, con parete spessa e contenuto molto scarso.
Siffatti caratteri, mentre non permettono di ritenere questi peli come organi assorbenti,
non rivelano chiaramente quale altra funzione essi abbiano.
TEGUMENTI
L’osservazione del SacHs, che la germinazione dei semi è resa difficile dai tegumenti,
venne in queste ricerche costantemente confermata; sorprese anzi il fatto che, in tubi da
| saggio chiusi con tappo, i semi liberati dai tegumenti germinavano in proporzione elevata,
mentre quelli con tegumento non germinavano affatto.
Semi non liberati dai tegumenti germinano invero anche bene, però i loro germogli
non raggiungono—almeno nel primo periodo di germinazione—lo stesso sviluppo di quelli
provenienti da semi liberati dagl’invogli.
Semi con tegumenti naturalmente squarciati nei frutti germinano alquanto più facil-
mente di quelli normali. Spesso, però, la differenza è appena apprezzabile, tanto più che
la cupola embrionale vien messa a nudo dallo squarcio dei tegumenti. Quando questi, a
germinazione iniziata, si rompono per effetto del turgore della massa cotiledonare, lo squar-
cio presentasi a mo’ di sutura, non mai con tagli ben limitati e con scoprimento di larghi
tratti della massa cotiledonare, come d’ordinario succede per i semi naturalmente squarciati
nei frutti.
La rottura del tegumento s’inizia quasi sempre all'apice del seme, anche prima che i
cotiledoni divarichino, e si compie in modo irregolare. Sebbene in corrispondenza dell’ilo e
della cupola embrionale essa sia più facile e di effetto più sicuro per la germinazione, pure
non si riscontra mai nei semi a tegumento squarciato nel frutto.
Durante la germinazione la cupola tegumentale che, avvolge la base organica del seme,
può disgregarsi con maggiore facilità che il resto del tegumento e favorire quindi lo svi-
luppo dell'embrione, essendo più sottile e ad elementi più piccoli e più lassamente riu-
niti fra loro.
In semi eterocotili, la parte di tegumento che ricopre il cotiledone più piccolo suol ri-
manere addossato allo stesso, come questo divarica dall'altro.
6 Prof. G. Lopriore [Memoria XV.].
La perforazione del tegumento in corrispondenza della radichetta si compie, sebbene
di rado, prima ancora che questa si allunghi, ed è determinata dall’ erosione chimica più
che dell’ azione meccanica della radichetta. La prima sembra più facilmente ammissibile per
il fatto che, ove fl estremo della radichetta si spinge in fuori, il tegumento conformasi
su di esso a mo’ di cappuccio.
Il rompersi improvviso, con crepitio o senza, dei tegumenti dei semi esposti all’ aria,
riesce biologicamente dannoso, promuovendo la perdita dell’acqua della massa cotiledonare
e compromettendo la vita dell'embrione.
Dal punto di vista anatomico la struttura del tegumento è particolarmente atta a fa-
vorire, con l’asssorbimento dell’acqua, la germinazione del seme. Il minor spessore della
cupola tegumentale e la sua particolare struttura facilitano il maggiore assorbimento della
acqua per parte della sottostante callotta, che è appunto quella che mantiene e desta la vita
dell'embrione.
Spessore e struttura di questa parte del tegumento, rilevate già, per spiegare l’ inver-
dimento della cupola embrionale, hanno importanza biologica non piccola nel promuovere
anche la germinazione. Così pure forma e struttura dell’ilo contribuiscono non poco a
favorire l'assorbimento dell'acqua, a causa della lacuna centrale e del parenchima spugnoso
dell’ilo stesso.
Dal punto di vista fisiologico i tegumenti non offrono grande protezione ai semi, an-
zi, squarciandosi già nel frutto 0 anche dopo che questo fu liberato dai semi, essi met-
tono a nudo ia massa cotiledonare, compromettendo la vitalità latente dell’ embrione.
Allo stato integro essi non avrebbero quindi altra funzione biologica che quella d’im-
pedire—a beneficio dell'embrione — la rapida traspirazione della massa cotiledonare. Come
questa si contrae, distaccandosi dal tegumento, si copre di una lieve rugiada, formata dal-
l’acqua di traspirazione. 1 tegumenti, pur distaccandosi dalla massa cotiledonare, impedi-
scono quindi la libera dispersione dell’ acqua nell’ ambiente.
Se durante la germinazione i tegumenti restano intatti, essi non sogliono corrugarsi
se non ad esaurimento inoltrato della massa cotiledonare.
A causa della rugosità maggiore della faccia ventrale dei semi, specialmente nei
frutti monospermi, il tegumento si stacca più facilmente da questa che dalla faccia dor-
sale, che anche a causa della sua particolare convessità, contribuisce alla maggiore ten-
sione del tegumento.
L'offuscamento di colore, che i tegumenti subiscono durante la germinazione, è dovuto,
secondo ogni probabilità, all’assorbimento dell’acqua che sostituisce l’aria, ed a processi di
ossidazione delle sostanze tanniche.
Riguardo alle strie guttulate, disseminate sui tegumenti e più abbondanti in prossimità
della cupola embrionale, non si potè scoprire alcuna particolare funzione biologica durante
la germinazione.
DURATA DEL POTERE GERMINATIVO
I semi del Nespolo nipponico perdono più 0 meno presto il potere germinativo. Dopo
un anno la proporzione dei semi germinabili ‘riducesi al 5-10 °/, ed è rappresentata dai
soli semi rimasti verdi e turgidi.
Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone Ti
Se liberati dai tegumenti, i semi inverdiscono su tutta la superficie e, intrattenendo il
processo fotosintetico, si conservano a lungo. Ma non appena la clorofilla comincia a de-
gradare, essi si disfanno rapidamente, ancora più rapidamente di quelli protetti dai tegumenti,
riducendosi ad un tenue terriccio di color nero.
In grandi masse gli strati superiori possono limitatamente. contribuire alla conserva-
zione degl’inferiori. Così in cristallizzatori scoperti, alti 10 cm., i semi della metà inferiore
del vaso germinano e si mantengono verdi, mentre quelli degli strati superiori non germi-
nano ed imbruniscono.
Dal basso in alto sarebbevi dunque regressione continua del verde, del turgore e dello
stato generale di conservazione dei semi. Col tempo, però, dopo un anno 0 poco più
anche gli strati inferiori si disfanno al modo stesso dei superiori.
.I semi non germinati, rimasti verdi e turgidi sotto la massa decomposta, possono, non
di rado ed in numero esiguo, germinare, dopo essere stati liberati da questa. Siffatto com-
portamento ricorderebbe quello accennato dal PeTERr, senza però averne la stessa impor-
tanza, e per cui alcuni semi rimarrebbero nel terriccio dei boschi magari per secoli allo
stato di riposo.
Semi a cotiledoni già imbruniti, rimessi in terreno umido od in acqua, non sono più
capaci di germinare, ma si coprono facilmente di muffe e mandano l'odore caratteristico
di essenza di mandorle amare.
Nei singoli semi la degradazione della clorofilla suole iniziarsi all’apice del seme stes-
so e procedere verso la base, per compiersi in ultimo nell’embrione. Con la scomparsa
della clorofilla procede 1 imbrunimento della massa cotiledonare, dovuta all’ ossidazione
dei prodotti tannici e svelabile alla bella colorazione rossa aranciata che questi danno col
bicromato potassico.
Il disfacimento od umificazione dei semi compiesi, per effetto di agenti chimici, ve-
getali ed animali con maggior facilità quando i semi nudi sono in mucchi esposti all'aria.
Fra gli animali sono comuni un microlepidottero, P/od/a interpunciella, ed un acaro,
il Tiroglyphus domesticus. La prima, frequentissima anche in semi apparentemente sani,
deporrebbe le sue uova molto per tempo negli ovari ancor giovani, dando luogo allo
sviluppo di larve piccole e bianche, che si nutrono a spese della massa amilacea del seme
e producono abbondanti deiezioni, costituite quasi esclusivamente di amido indecomposto.
Il Ziroglyphus domesticus forma colonie estese, rilevantisi bene, a causa del colore
bianchiccio, sul fondo oscuro della massa umificata. Quale azione essi compiano nel deter-
minare il disfacimento, non potei seguire con la necessaria accuratezza.
Fra gli agenti vegetali—prescindendo dai bacteri—le muffe esercitano un'azione pre-
ponderante. Il Pezzici/linm glaucum ed il Mucor Mucedo invadono per i primi la massa
e preparano il campo agli altri agenti di disfacimento. L'azione di questi agenti è così ra-
pida che dei semi rimane il solo inviluppo cuticolare dei cotiledoni, il quale non tarda a
disfarsi ben presto.
I semi, abbiano o no i tegumenti, si comportano in modo diverso anche in condizioni
affatto identiche. Gruppi di cento semi a diversi gradi di polispermia, conservati in. ba-
rattoli di vetro di forma e chiusura perfettamente identiche, svelano un comportamento
particolare in ogni singolo caso : mentre alcuni rimangono verdi senza ammuffire, altri in-
vece ammuffiscono ed imbruniscono, mandando forte odore di essenza di mandorle amare.
L'esame di uno di questi gruppi di 100 semi, conservati in barattoli chiusi per 8 mesi,
S Prof. G. Lopriore [Memoria XV.]
svelava un forte odore di essenza di mandorla amara. Liberati dai tegumenti, i semi pre-
sentavano annerita la massa cotiledonare e la punta della radichetta, mentre i tegumenti
erano molli e, nella faccia interna, alquanto rugiadosi.
Dopo 8 mesi il peso si era ridotto di gr. 2,90. Divisi in due gruppi di 50 semi, del
peso ognuno di 60 grammi, furono pesati successivamente per seguire le perdite in acqua
tanto dell'una metà, liberata dai tegumenti, quanto dell’altra. La prima, del peso comples-
sivo di 60 gr. presentava 57 gr. di cotiledoni e di embrioni con 3 gr. di tegumenti. La
diminuzione successiva di peso ch'essa subì—senza qui riferire i singoli dati —fu dapprima
superiore che nell’altra, ma poi finì con l’equipararsi ad essa.
In atmosfera confinata i tegumenti sono attaccati con estrema facilità dalle muffe ;, i
cotiledoni nudi resistono invece moltissimo. Anche le radici sviluppatisi in aria umida sono
meno resistenti dei germogli.
La conservazione migliore dei semi nudi rispetto a quelli coperti ancora dagl’invogli
e probabilmente dovuta all'attività vitale —che manca ai tegumenti— più che a quella foto-
sintetica della clorofilla, che può continuare a funzionare. Lo stesso però avviene, sebbene
in misura più limitata, anche per semi tenuti al buio.
GERMINAZIONE IN SOSTRATI ARTIFICIALI ED IN LUCI MONOCROMATICHE.
Il fatto che i semi di questo Nespolo sono a germinazione ipogea fa preferire alla
semina nel terreno la coltura in soluzioni nutrienti od in aria umida. Così è possibile di
seguire non solo le diverse fasi della germinazione, ma d'’isolare, in determinati casi, quei
semi presentanti qualche importante particolarità morfologica e coltivarli a parte.
A differenza di altri semi, questi del Nespolo, liberati dai tegumenti, germinano con
grande facilita, in barattoli chiusi, a spese dell’acqua propria e di traspirazione. Non germi-
nano con la stessa facilità nei loro tegumenti, perchè questi esercitano un'azione ritardatrice
d’indole meccanica, pur ritenendo l’acqua emessa dai cotiledoni a beneficio dell’ embrione.
Tubi da saggio e barattoli di vetro, chiusi rispettivamente con tappi di gomma, di
sughero o di cotone idrofilo, presentano un numero decrescente di semi germinati rispetto
a quelli imbruniti e secchi di tubi e barattoli lasciati aperti, per servire da controllo.
Al buio la germinazione si compie così bene come alla luce. I germogli si presentano,
come è naturale, fortemente eziolati, con internodi lunghi e pelosi e con foglie a dimensioni
ridotte. Soltanto qualcuna fra le piumette più giovani presenta, a somiglianza di quanto
succede in condizioni naturali, una leggera tinta rosea, dovuta alla formazione di anto-
cianina.
Il risultato più importante delle prove di germinazione al buio è che le prime foglio-
line, già verdi nell’ embrione, si conservano verdi anche più tardi, assumendo dimensioni
quasi normali, mentre le foglioline apicali o sono eziolate o presentano una lievissima sfu-
matura verde.
Questo risultato indusse a provare, se i semi rimasti bianchi in frutti maturati all’albero
entro sacchetti neri, quindi sottratti alla luce, fossero capaci di dar pure foglioline verdi.
La grande costanza svelata invece da questi semi a dare germogli eziolati dimostra
che la capacità dei semi normali a dare nel buio germogli verdi non è se non un effetto
continuativo della capacità, già contratta dai semi stessi, d’ inverdire l'embrione nel frutto,
n ambiente cioè parzialmente oscuro.
Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone 9
Preme inoltre rilevare che il verde dei semi germinanti al buio, con o senza la pro-
tezione dell’invoglio seminale, viene col tempo a perdere d’ intensità. Tale perdita o scom-
parsa della clorofilla essendo, com'e naturale, più intensa per i semi liberati dai tegumenti,
indusse a stabilire prove comparative con alcuni dei semi più verdi, facendoli germinare
al buio, parte entro tubi di vetro chiusi, parte entro tubi di vetro aperti, quindi in condizioni
affatto identiche ma alquanto meno favorevoli per la germinazione rispetto ai primi.
Per. quanto le differenze siano in questi casi apprezzabili soltanto ad occhio, pure si
notò nei semi germinati e non germinati uno scoloramento più 0 meno intenso, che non
era certo effetto del solo avvizzimento prodotto dalla traspirazione.
Luce grialla.—Per gli esperimenti di germinazione con luce gialia furono impiegate tanto
campane di SENEBIER quanto cilindri di vetro con soluzioni di bieromato potassico. Entro
questi si immergevano tubi da saggio contenenti semi senza tegumenti; mentre sotto le
campane si mettevano o tubi preparati come i precedenti 0 vasi pieni di sabbia, entro cui
s'immergevano in tutto od in parte i semi con tegumento o senza, per | apice o per la
base allo scopo di studiare, con la germinazione, anche le condizioni dell’ inverdimento.
La germinazione compivasi bene tanto nella sabbia quanto nei tubi chiusi con tappo
di sughero. Nella prima il comportamento non era diverso da quello già descritto per cam-
pane ordinarie. Nei tubi, invece, germinavano meglio i semi inferiori, più vicini al fondo,
dove cioè raccogliesi l’ acqua di traspirazione, che non i superiori, sperdenti verso | alto
l’acqua stessa.
Una differenza notevolissima svelavasi qui pure a favore dei semi germinanti senza
tegumento. In tubi da saggio, chiusi con tappo di sughero, essi presentavano in fondo al
tubo un vero intreccio cupoliforme di radici, partenti dai semi più bassi, mentre verso
. l'alto le radici erano meno sviluppate, i germogli invece più regolari. e lunghi.
Gli effetti della luce gialla non sono quindi molto diversi da quelli verificatisi nel buio.
I germogli si presentano fortemente eziolati. Alcuni pero dei più progrediti fra quelli cre-
sciuti nel terreno sotto campane di SENEBIER mostrano all'apice una lieve tendenza elio-
tropica.
Nei semi coperti ancora dei tegumenti l’inverdimento non progrediva affatto. Soltanto
la regione dapprima bianca del corpo cotiledonare acquistava una tinta paglierina, mentre
il verde della cupola embrionale perdeva alquanto della sua intensità.
Nei semi nudi |’ inverdimento era alquanto più forte : massimo nella cupola embrionale
e di qui, in lieve misura, decrescente fino all'apice opposto, immerso nella sabbia.
Da rilevare è il fatto che, in tubi immersi nella soluzione di bicromato, le muffe si
sviluppavano sui semi nudi nel solo tratto di un tubo emerso per caso dal liquido. Sarebbe
quindi confermato il fatto che il loro sviluppo è in relazione con ia qualita della luce.
Luce azzurra. —Gli esperimenti con questa luce furono condotti in modo identico a
guanto è stato descritto per quella gialla, impiegando campane di SENEBIER e cilindri di
vetro con liquido cupro-ammoniacale. In questi s' immergevano tubi da saggio con semi
liberati dai tegumenti; mentre sotto le campane si mettevano vasi comuni da fiori con semi
in tutto od in parte affondati nel terreno con l'apice o con la base, allo scopo di studiare
anche qui, con la germinazione, le condizioni dell’ inverdimento.
Alla luce azzurra la germinazione si compie men bene che alla luce gialla. 1 risultati
si somigliano però in questo che dei semi, messi in tubi chiusi, gl’ inferiori germinano me-
glio dei superiori. Il fittoncino, arrestato spesso nel suo sviluppo, lasciasi sostituire da ra-
ATTI Acc., SERIE V, Vor, II. Mem. XV. 2
10 Prof. G. Lopriore [Memoria XV.|
dici laterali, partenti o tutte dalla base del tittoncino, a mo’ di radici fascicolate, o a di-
stanza diversa da essa, quando l’apice del fittone, resistendo alle muffe o al difetto di
umidità, non sospende per tempo l'accrescimento. L'uscita delle radici laterali di sostitu-
zione avverrebbe in tal caso col favore della riserva d’acqua dei cotiledoni.
A giudicare poi dalla debole tendenza eliotropica dei germogli sviluppatisi alla luce
azzurra, si direbbe che questa abbia meno influito di quella. gialla.
L'inverdimento era, tanto nella cupola embrionale quanto lungo le commissure, poco
delimitato. Così semi a tegumenti già squarciati nel frutto, esposti in tubi da saggio alla
luce diffusa entro cilindri pieni di liquido cupro-ammoniacale, inverdivano leggermente sol-
pe e pre °°
tanto in corrispondenza della zona denudata dallo squarcio. Liberati dai tegumenti e ri-
messi nelle stesse condizioni di prima, inverdivano uniformemente, sebbene molto lieve-
mente, su tutta la superficie.
L’inverdimento avverrebbe dunque, sebbene in misura diversa, attraverso le due solu-
zionigcolorate. Ch’ esso sia in relazione con la maturità dei semi, può dimostrarlo il fatto
che frutti immaturi, seccati all’ albero non presentano mai la cupola embrionale inverdita.
Questa non presenterebbesi di norma mai verde in semi, i cui tegumenti non abbiano preso
ancora il color marrone.
ACQUA
La particolarità dei semi del Nespolo nipponico di poter germinare, appena liberati dal
frutto, a spese della propria riserva d’acqua, verrà qui brevemente esaminata alla stregua
del contenuto acquoso dei semi stessi.
Come appare dal prospetto seguente, la provvista d’ acqua varia nei semi freschi dal
50 al 55 °/o e—-se il caso non v’impera—crescerebbe col grado di polispermia dei frutti.
Nei semi di un anno essa riducesi al 14 °/,.
In misura pressochè uguale crescerebbero le ceneri dal 3, 20 al 3,30 “/o, elevandosi
al 3,46 °/o nei semi di un anno, ed essendo rispettivamente del 2,99 °/o nei tegumenti,
del 7,43 0/0 negli embrioni (Cfr. prospetto di pag. 11).
Le riserva d’ acqua non supera dunque quella di molti altri semi, nè scende al di
sotto di quella ordinaria del 10-14/o, data dal GisLioLI (Il. c. p. 70) per semi secchi. Nei
semi freschi, se tale riserva non viene liberamente dispersa, permette la immediata ger-
minazione in atmosfera continata. Così in vasi e tubi di vetro aperti la germinazione non
avviene ; si compie invece facilmente, se questi son chiusi; ed invero con tanto maggiore
facilità quanto più perfetta è la chiusura e quanto più i semi—liberati dai tegumenti—son
vicini al fondo dei vasi, in cui raccogliesi l’ acqua di traspirazione. Nè in tale atmosfera
confinata si altera stabilmente il ricambio gassoso dei semi, che, per essere clorofillati,
decompongono alla luce l’ anidride carbonica prodotta dall’ ossidazione, evitandone |’ accu-
mulo eccessivo e fors’ anche esiziale.
Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone ll
Rapporti percentuali fra sostanza organica, acqua e ceneri in
100 semi freschi di frutti monospermi
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100 semi freschi di frutti dispermi
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sostanza organica —, 88, 50 = 48, 40 0/0, con 3, 22 °/o di ceneri
acqua MOT 00 = 1606
100 semi freschi di frutti trispermi
peso iniziale gr. 170, 90
sostanza organica, 76, 50 = 44, 80 0/0, con 3, 30 %/ di ceneri
acqua a DIO —255, 20%,
100 semi freschi di origine mista
peso iniziale far ie) 010)
sostanza organica ,, 92, 50 = 49, 87 °/o,, con 3, 25 % di ceneri
acqua FORO
100 semi di un anno di origine mista
peso iniziale a 70, VI
sostanza organica. ,, 65, 20 = 85, 60 °/,, con 3, 46 0/, di ceneri
acqua » 10; 91 =: 14, 40 0/5
in tegumenti di origine mista st contengono 2, 99 °/o di ceneri
în embrioni . n n ; h 7, 43 °/, di ceneri
Notevole al riguardo è la differenza di comportamento fra semi con tegumento e quelli
che ne sono sprovvisti. Questi germinano presto e bene, gli altri non si destano che tardi,
imbruniscono più rapidamente e perdono anche più presto il potere germinativo.
Semi senza tegumento, sottoposti in vasi di vetro (strozzati verso la base a mo’ di
vaschetta) ad alternative di secchezza e di umidità—-portando o togliendo acqua dalla va-
schetta, munita di tubo laterale--si tennero in vita con germogli e radici fino a due anni,
mentre d’ordinario in vasi aperti disseccano ed imbruniscono dopo 2—4 mesi.
Il forte idrotropismo delle radici svelasi nel fatto che queste, attraverso il diaframma
di cotone, separante la vaschetta d'acqua dal vaso superiore pieno di semi, scendono a
bagnarsi nel lieve strato d' acqua.
La notevole riserva d acqua dei semi si perde, per difetto di opportune disposizioni
atte a ritenerla, in modo rapido e continuo. Così la perdita immediata di peso che, in
conseguenza della improvvisa liberazione dei tegumenti, i semi subiscono per la rapida
traspirazione della massa cotiledonare e di l centigramma circa per seme. ‘Tale perdita
decresce a misura che i semi invecchiano, per cui, mentre il rapporto in peso fra tegu-
menti e cotiledoni è di 1:23 — 1:27 nei semi freschi, si riduce ad 1:10 nei semi vec-
chi di 1 a 2 anni di età. S' intende che la perdita in peso e relativa allo stato di conser-
vazione dei semi. Se questi vengono protetti dalla forte traspirazione, si conservano turgidi,
entro vasi di vetro ben chiusi, un anno e più.
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Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone 5
Iniziandosi l' imbrunimento, diminuisce rapidamente il turgore e la massa cotiledonare si
contrae, riducendosi sino a metà del volume primitivo, mentre i tegumenti sogliono rimaner
tesi anche per tempo maggiore, celando la massa sottostante, contratta ed imbrunita.
Come è ben naturale, la perdita in peso e anche subordinata alla temperatura, quindi
al tempo in cui si esperimenta. La tabella di pag. 12 mostra che il peso decresce progres-
sivamente e che dal 16-29 °/, nel 1° mese, scende al 14-16°/, nel 2° mese di speri-
mentazione. Così 100 semi di frutti monospermi, liberati dai tegumenti e pesati, giorno
per giorno, dall’ 8 settembre all’ 8 ottobre, subivano una perdita di 50 gr., corrispondente
alla percentuale del 30, 3 °/,, mentre nel mese successivo perdevano 10 gr. ed in altri quattro
mesi, fino al 26 febbraio, 5 grammi appena, cioè in media 3 gr. mensili.
La stessa tabella mostra che i semi con tegumento squarciato (cfr. colonna +) per-
dono in due mesi tant’ acqua quanto quelli (cfr. colonna 2) liberati del tutto dai tegumenti
(risp. 40,70 e 41,70 0/0). Questi ultimi presentano, però, come è del resto ben naturale, una
grande differenza nella perdita mensile dal primo al secondo mese.
In tutti i gruppi di semi la perdita è grande nei primi giorni, appena dopo la libera-
zione loro dai tegumenti, ma decresce successivamente con grande uniformità. Se questa
non si verifica e qualche lieve sbalzo succede, in conseguenza di sbalzi diurni di tempe-
ratura, la vicenda si ripercuote regolarmente in tutti i singoli gruppi di semi. i
La perdita è relativa al grado di suddivisione e di aggregazione della massa seminale :
semi piccoli traspirano più dei grandi; semi isolati traspirano più di quelli aggruppati.
Per stabilire appunto in che modo la suddivisione della massa seminale, la grandezza
cioè dei semi, ed il loro stato, se cioè isolati od aggruppati, stiano in relazione con la
perdita in peso, furono scelti 5 semi isolati e 5 aggruppati—conservanti cioè la stessa ag-
gregazione che nel frutto — di peso pressocchè uguale, risp. gr. 7,98 e gr. 8,00 e prove-
nienti da due frutti distinti. Pesati giornalmente per due mesi consecutivi, giugno e luglio,
essi svelarono una perdita di peso abbastanza uniforme, corrispondente in ultimo a quella
del 34 e dei 36 °/,. Ad onta della persistenza dei semi del secondo gruppo a tenersi in un
nucleo unico, dopo la liberazione loro dal mesocarpo , essi avevano subito, rispetto agli
altri, una perdita maggiore del 2 °/,, dovuta allo sviluppo precoce delle larve della //odza
interpunctella (cfr. 1a e 22 colonna del prospetto di pag. 14).
In modo ben diverso, ma più rispondente all’attesa, si comportarono due altri frutti,
uno con 10 semi piccoli ed isolati, l'altro con 4 grandi aggruppati e di peso alquanto
inferiori ai semi dei due frutti precedenti. Sebbene la perdita giornaliera, in luglio fosse stata
quasi uguale nei due gruppi, quella complessiva fu in uno del 44, nell’altro del 17 °/,
mostrando chiaramente come la frammentazione maggiore della massa seminale importi
una perdita anche maggiore di peso (cfr. 3* e 4* colonna del prospetto di pag. 14).
In questi due gruppi sorprende la grande regolarità, con cui si compie la perdita di peso
nel due mesi di giugno e luglio. Questa è in media nel secondo gruppo di gr. 0.023, con
un massimo, frequente nei primi giorni ma raro più tardi, di 0,03 ed un minimo, rarissimo,
di 0,01. Nel grimo gruppo la perdita segna il massimo di 0,09 nel giugno, mostrandosi COSÌ
quasi tripla rispetto a quella dell’ altro gruppo, ma declina per mettersi alla pari con esso.
Per i tegumenti basti qui accennare che non si hanno perdite, nè oscillazioni grandi
di peso. Così 50 gr. di essi che per due mesi vennero giornalmente pesati in un bic-
chiere aperto (16X7 cm.), raggiunsero il peso minimo di +9,30 e mostrarono oscillazioni
variabili da 0,10 a 0,20 centigr. al giorno.
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L. Buscalioni e G. Muscatello — Fil/odi e filodopodi — Studio sulle leguminose australiane — II Nota
(con una tavola) 7 ° 7 i 5 a ; ;
Severini Carlo — Sullo sviluppo di una funzione reale di due variabili reali în serie doppia di Fourier.
G. Alonzo — Gli elementi citologici e le loro alterazioni negli essudati e nei transudati. Loro valore per
la diagnosi differenziale di questi prodotti .
S. Comes — Stereotropismo, geotropismo e termotropismo nella larva di Myrmeleon formicarius L.
(con due figure inserite nel testo)
A. Capparelli — I corpi solidi sospesi nei liquidi e 1 fenomeni di igromipisia
Giovanni Polara — Intorno all’azione regolatrice del vago sulla temperatura interna degli animali
omotermi . .
G. Horn — Posizione dei vulcani rispetto al mare ed al Sole (con una tavola) . i
Carlo Severini — Sullo sviluppo di una Lr reale di variabile reale in serie di funzioni sferiche
di prima specie. 3 ;
A. Riccò e L. Taffara — Osservazioni meteorologiche del 1908 fatte nel R. Osservatorio di Catania.
L. Buscalioni e G. Lopriore — /! pleroma tubuloso, l'endodermide midollare, la frammentazione stelare
e la schizorrizia nelle radici della Phoenix dactylifera L. -- Nota preliminare (con una tavola).
Filippo Eredia — Pioggie torrenziali in Sicilia . ; . . ; ; c
A. Russo — I mitocontri ed i globuli vitellini dell’oocite di coniglia allo stato normale ed in condizioni
sperimentali. Contributo allo sviluppo del deutolecite ed aila differenziazione sessuale delle ova dei
Mammiferi. 1* Nota (con 4 figure nel testo ed una tavola)
Detto — Sulla cromolisi delle cellule della sranulosa durante il digiuno e sul suo significato nella diffe-
renziazione sessuale delle ova dei mammiferi. 2" Nota (con 2 figure nel testo e 4 tavole)
G. P. Grimaldi e G. Accolla — Influenza delle scariche oscillatorie e del Magnetismo sull isteresi
elastica del ferro per trazione (con una tavola)
G. Lopriore — Note sulla germinazione dei semi del Nespolo del Giappone .
A. D’ Urso — Sulla distribuzione delle fibre elastiche nella capsula del Tenone dell'Uomo. Nota II. (con
una tavola) 7 3 ; È ” è
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