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ww © Fé /, secondo che dei tre fochi di un suo raggio generico, 3, 2, 1 o
nessuno sian punti singolari per il complesso medesimo.
Dei complessi d'ordine è — 2 e della 1% specie, trattai nel mio lavoro ora citato ; nel
presente invece mi occuperò dei complessi d’ ordine è — 2 e della 2% specie, complessi,
questi, che presentano maggiore interesse di quelli di 12 specie.
Le rette di un siffatto complesso toccano l’ ipersuperficie focale ®, oltre di appog-
giarsi ad una curva singolare ovvero due volte ad una superficie singolare (irriducibile 0
no). Ebbene, nel Cap. I assegnerò 2/77 i complessi (in esame) nell’ ipotesi che il sistema
delle tangenti di ®, ora detto, sia irriducibile. Nel Cap. II presenterò un buon numero di
complessi nell'ipotesi contraria, e questi complessi insieme con quelli del Cap. I, rende-
ranno spesso completa la classificazione dei complessi pei quali ® (ovvero ® e la curva
o superficie singolare) soddisfa a certe condizioni.
Tenendo conto dell’analogia fra la teoria qui in esame, e quella delle congruenze
d'ordine dee, è mio convincimento che per l enumerazione completa dei complessi d’ or-
dine è = 2 e della 2* specie, non ne rimangano che pochissimi, e la ricerca di questi sarà
oggetto di un mio prossimo lavoro.
Si troveranno, inoltre, alcune ipersuperficie assai notevoli, delle quali sarebbe interes-
sante approfondire lo studio.
1. Dato l’ S,j ambiente, supponiamo che le rette incidenti una data curva / e tan-
genti una data ipersuperficie 9, formino un complesso (003) irriducibile l' d'ordine dè = 2.
Siccome una retta generica g di I non incontra ® in alcun punto fuori di f e di-
(!) Sui complessi di rette d’ ordine due e della prima specie dell’ Sj [ Giornale di Matematiche di Bat-
taglini, vol L. (1912), pp. 17-59 ]. — Nel n° 37 di questo lavoro, sono incorso in una svista : Le tangenti
nei punti di una quartica razionale normale /, all’ ipersuperficie ® delle corde di questa, generano un com-
plesso I d’ordine è = 4 e non è = 2. Infatti se ? è un punto generico dell’.S,, il cono 2/ seca ulteriormente
® in una quartica 7°. Proiettando in un piano da una retta generica posta in un piano trisecante / e pas-
sante per / ( piano che quindi triseca anche /" ), si ottengono due quartiche con un punto triplo comune,
e con le tangenti in questo pure comuni. Ne segue che 7 ed /” hanno quattro punti comuni, onde IRENE Rior
dine è = ,.
AgnINACG. SERIE Vi, VOL. VI. Ven. I. I
D) Giuseppe Marletta [MemorrA I.|
stinto dal punto di contatto (?), così se indichiamo con v l'ordine di ®, e con #=0 la
multiplicità di ® in f, sarà v=#+2.
Esamineremo primieramente l’ ipotesi che f sia piana, ovvero, se non è tale, che ®
non sia il luogo delle corde di /, onde per / non piana sarà 2f <=/-+ 2, cioè 1 <2.
2. L’ipersuperficie ® non sia un cono; allora lo spazio (*) tangente ® in un suo punto ge-
nerico /, seca f in pw. punti (variabili), indicando con |. l’ ordine di f. La retta congiungente
uno qualunque di questi punti con P, è certamente una retta di I° se essa non appartiene
a ®: mentre se giace in ® può non essere retta del complesso. E precisamente condizione
necessaria (e sufficiente) affinchè una retta 7 di ® appartenga a I, é che essa sia genera-
trice del cono di I' avente il vertice nel punto in cui 7 incontra f. Osserviamo ancora che
essendo I' d'ordine de, dei sopradetti p. punti di f, p — / devono essere congiunti a P
da rette non appartenenti a I' (4), e quindi necessariamente poste in ©®.
3. L’ ipersuperficie ® abbia x superficie ©,, 0,, ..... , 0, degli ordini va, Sgt
multiple secondo i numeri 0,, 0,,..., 0 (= 2) e per le quali / sia rispettivamente mul-
p 1 2 ’ ’ È 4
Uplalisecondone ei. va, (0).
Un piano condotto genericamente per un punto A di f, seca ® in una curva d'ordine
#-- 2, alla quale si può condurre da A un numero « di tangenti dato da:
a=(0+2#+1b)—C+1)-22@—-2A(!)-
24 2-X(a— K)0(0 — 1).
Questo numero « rappresenta dunque l'ordine del cono formato dalle oo rette di T'
passanti per A.
Se ® è tale che per un suo punto generico non passi alcuna sua retta incidente /,
I' è evidentemente d’ ordine 2 p., onde, dovendo essere 2 = 2, sarà jp. = /, cioè f è una
retta. Viceversa è chiaro che data un’ ipersuperficie ® d'ordine 7 -+ 2 dotata di retta #-pla,
con = 0, le tangenti di ® incidenti questa retta generano un complesso d’ ordine due.
4. Supponiamo invece che per un punto generico di ® passi qualche retta, della stessa
d, incidente /.
Sia 7 dunque una retta generica di ® che si appoggi ad / in un punto dA. Allora se
r incontra la superficie ©, in 6;= 0 punti distinti da A, un piano condotto genericamente
per 7, secherà ulteriormente ® in una curva d’ ordine /-| 7, alla quale si può condurre
da A un numero f di tangenti dato da
»(*)-225()=
= 2 -—Z(e- 00-14 2250-71).
eZ
Ne segue che per il cono formato dalle oo? rette di T° passanti per A, la retta 7° è
(®) Infatti un tal punto o sarebbe un quarto foco per , ovvero sarebbe un punto singolare perchè co-
mune a tre rette del complesso. ‘
(5) Ora e in seguito « spazio » sta per « spazio ordinario. »
(‘) Siccome / è un foco, le due rette di I° passanti per esso sono infinitamente vicine.
Ricerche sui complessi di vette d' ordine due e della 2° specie dell’ S, 3
multipla secondo
a—-B=2-2X65b0—- 1);
onde se 7 non deve appartenere al complesso I', è necessario e sufficiente che sia a —p= 0,
cioè:
(1) I=Yb(0--1)
Da questa eguaglianza si deducono senz’ altro (°) le seguenti :
(EVA
lu>/b,=/0,=2 (PRIORA ti)
5. Se f è una curva piana, allora le rette di I° poste in uno spazio qualunque pas-
sante per essa, formeranno una congruenza d'ordine dz:e. Ne segue, per quanto è noto (5%)
circa le congruenze di 2° ordine, che sarà certamente pl = 2, cioè f sarà una conica. In
quanto poi all’ipersuperficie ® avremo :
a) ® è ulteriormente secata da ogni spazio passante per f, in un cono quadrico
avente per vertice un punto variabile (°) di f (%).
b) ® è d'ordine #-|--2 con f<38; essa ha una conica f — pla f, non posta in un
piano # — plo, e un piano doppio ©, avente con f un sol punto comune.
Rimondi 020)
c) ® è d'ordine #-+ 2 con #> 38; essa ha una conica # — pla /, non posta in un
piano # — plo, e un piano doppio ©, avente con f un sol punto comune, oltre del piano
©, di f che è (£— 2)- plo o (£— 2)- plo per ®.
See
d) ® è d'ordine v= 4, ed ha come doppia una rigata cubica normale ©,; f è una
conica di questa.
a ei
6. Sia ora / una curva non piana, e (n° l) quindi #f=/ ovvero £#== 2.
Per #f =/ ® è un'’ipersuperficie cubica, dotata di piano doppio in virtù delle (1°) del
n° 4.
(9) SI noti però che queste relazioni non bastano affinchè I’ sia d’ordine @dxe ; esse devono essere accom-
pagnate dal fatto che per un punto generico di ® passino w — 7 rette come ». È da notare, ancora, che le
formule trovate sono valide pure per complessi d’ ordine è > 2, ma sempre nell’ ipotesi che ® sia d’ordine
v=£4+ 2, e abbia la curva f come #- pla.
(5) Oltre dei noti lavori di KUMMER, di STURM, di SCHUMACHER, vedi MONTESANO, Sw 74 congruenza
di rette di 2° ordine e di 4% classe [Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino. vol. XXVII (1892)] , e
Su due congruenze di rette di 2° ordine e di 6% classe [Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. I,
2° sem., Serie 5% (1802).
(*) Questo punto potrebbe essere fisso, ma in tal caso si otterrebbe un complesso che si troverà più
tardi, supponendo che |’ ipersuperficie ® sia un S - cono.
(3) Per costruire un’ ipersuperficie ® siffatta, basta stabilire una corrispondenza (/, 7) fra gli spazi_ pas-
santi per /, e i coni di un sistema x! (razionale) di Sy — coni quadrici, ciascuno avente il vertice (variabile)
su /. L’ipersuperficie D sarà il luogo del cono quadrico (ordinario) comune a due elementi corrispondenti.
(°) Basta considerare uno spazio genericamente condotto per /, per dimostrare che il complesso I è
d’ ordine due.
4 Ginseppe Marletta [Memoria I.]
Per {= 2 ® è un’ ipersuperficie d’ ordine v= 4, la quale, per le medesime (1°), pos-
siede 0 un piano doppio, o una quadrica doppia, o infine una rigata cubica normale doppia,
la quale può degenerare in un piano e una quadrica aventi (soltanto) una retta comune.
Consideriamo primieramente |’ ipotesi che f sia una curva gobba ; allora si hanno i
seguenti complessi.
a) ® è d'ordine v= 3, ed ha un piano doppio ©,. La curva f è d'ordine |, ed ha
un (sol) punto comune col piano ®© .
b) ® è d'ordine v= 4, ed ha come doppi un piano w, e una quadrica ©®,. La curva
f è d'ordine p, giace su ©,, ed ha un sol punto in ®,
Che questi due complessi I° siano d’ ordine dze, si può direttamente dimostrare nel
seguente modo.
Dato il complesso a), sia P un punto generico dell’ S, ambiente ; il cono /Y seca
4
ulteriormente ® in una curva /” d' ordine 2p. con p. — / punti doppi nei punti in cui il
piano ©, incontra il cono /Y fuori di f. Ne segue che /" é razionale, perchè ha in ©,
t — / punti doppi oltre del punto f@,, e che quindi I è d'ordine due.
Dato il complesso d), sia P un punto generico dell’ S, ambiente; il cono Pf seca
ulteriormente ® in una curva /" d'ordine 2p con p — / punti doppi nei punti in cui il
piano ©, incontra il co fuori di f. Or siccome la curva f" non ha in ©, alcun al-
tro punto, oltre di questi, seg > che essa possiede due g;, le quali hanno una coppia di
punti coniugati in comune, e precisamente quella dei due punti posti nella retta che da P
proietta il punto f©,. Se ne deduce la razionalità della curva f', e quindi I è d'ordine due.
Perliw=
liamo, perchè esso si dedurrà facendo |p = 38 nel n° seguente.
3 oltre dei due complessi 4) e d), ne esiste un altro di cui per ora non par-
7. Sia ora f una curva immersa nell’ S,; allora per quanto si disse in principio del
n° precedente, ® è dotata di oo! piani, in ognuno dei quali f avrà (n° 2) p—-Z punti.
Ne segue che siccome, per ipotesi, ® non è un S; - cono quadrico, la curva f giace (19)
sopra una rigata cubica normale g, le coniche della quale sono (p. — /)-secanti f (15).
Ciò posto consideriamo una sezione spaziale generica s di @, e chiamiamo corrispon-
denti due punti di essa, ogni qual volta per essi passi uno stesso degli oo! piani di ®.
Siccome f è #-pla (con 7 = 7,2) per ®, si avrà sulla curva s una corrispondenza involu-
toria (7, /), e le rette congiungenti i punti omologhi di questa, generano una rigata gobba
d’ ordine 27, la quale è la traccia totale di ® nello spazio di s. Ma ® è d'ordine #+-2,
dunque sarà /f = 2, cioè l’ipersuperficie ® è d'ordine v= 4, ed ha come doppia (1) la
rigata cubica normale g.
(1°) Vedi il mio lavoro Conzriduto alla teoria delle curve razionali, nota al n° 3 del cap. II. [Rendi-
conti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXI (1906)].
(4) Per p = 7, se ® fosse d’ ordine v= 3, con ©, doppio, i piani di ® secherebbero su / una gi,
e ciò è assurdo, perchè i piani dei gruppi di una siffatta serie lineare esistente sopra una quartica razionale
normale, generano un .Sé — cono quadrico.
(1°) Che © sia doppia per ® si dimostra come segue. — Sia 7 un punto generico di ©; preso un punto
41 di s, ad esso corrispondono due punti di s; per ciascuno di questi e per /7 passa una conica che seca
ulteriormente s in un altro punto 4’, che assumeremo come corrispondente di A. Viceversa per A” ed 47
passa una sola conica, che seca ulteriormente s in un punto al quale corrispondono (per la corrispondenza
(2, 2)) due punti uno dei quali è A. Si ottiene così fra i punti di s un’ altra corrispondenza (2,2) che ha
quattro punti uniti: due dànno una conica di 4 passante per 17 e il cui piano è piano di ®, e cosi pure gli
altri due puuti uniti. Dunque per .17 passano due piani di @, cioè // è doppio per ®.
Ricerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2“ specie dell’ S, 5
Viceversa sia ® una siffatta (1%) ipersuperficie; se / è una curva (razionale) d’ordine
|» per la quale siano (j. — /)-secanti le coniche di o, allora le rette incidenti f e tangenti
altrove ®, generano un complesso I che è (n' 4 e 2) d'ordine dre (1).
8. Sia ora ® un So-cono d’ ordine £ + 2, avente la curva f come #-pla.
a) Se f è in un piano x passante per So, siccome per ipotesi è irriducibile il com-
plesso delle tangenti di ® incidenti f, così per quanto è noto circa le congruenze d’ordine
due, f sarà d'ordine pw. col punto S, come (pf — 2)-plo, e x sarà un piano #-plo per ®.
Se invece f non è in un piano passante per So, allora siccome le 0c* corde del cono
So f non appartengono a ®, sarà 24#=?+ 2, cioè {= 2.
Per f = 0 si ricadrebbe nel ‘caso precedente.
Per {= / ® è un So-cono cubico. Lo spazio tangente ® in un suo punto generico
P, seca f in p—_w' punti fuori di S,, indicando con pla multiplicità di S, per /. Di que-
sti p—pw' punti è necessario che p--p'—/ siano congiunti a ? da rette di ®. Ne segue,
per pi —p —/ 0, che ® ha oc! piani (tutti incidenti un piano doppio © e un piano sem-
plice). In ciascuno di questi co! piani, la curva Y deve avere, oltre di S,, p—-pw—/ punti;
dunque (15) è 2(p—p — 2) +p
0) devono (n° 2) essere congiunti al punto di contatto da rette di ®.
6 Giuseppe Marletta [MEMORIA I.
v) f ha il punto S, come (|p — 3)-plo, e P, evidentemente, ha il cono So f doppio.
Sia in @) che in bd), basta ripetere i soliti ragionamenti (n' 4 e 2) per dimostrare che
il complesso I é d'ordine dze (18).
10. Sia, infine, ® un S, - cono. È facile dimostrare che ® sarà d'ordine v = 2, e che
in ciascuno dei suoi oo! spazi tangenti, le rette del complesso Î' formeranno una congruen-
za d'ordine #70. Ne segue che la curva f sara d'ordine p con ff —/ punti nella retta S1.
ll. Supponiamo ora che una corda generica di / appartenga a P; cioè supponiamo
che ® sia il luogo delle corde di f. Allora siccome ® è d'ordine + 2, ed ha f come
t-pla, indicando con f il genere di questa curva, sarà :
(0) xes> p —_ (| -— 2) + 2,
Ma giacchè la curva f è immersa nell’ S, ambiente, è (CASTELNUOVO) :
= |r4a— =. 3 oe gie
| TOT \ p_—/I1=3t + 1
paztywn--4— 2.8] n
| 2 Ip—/=381+2,
cioè, in virtù della (2):
3xdà—- 3t-/Z0 per n=38t+ 7; ne segue t—=0,/
dai sd 0014) jp Lett =03
sta — 20 eei3Seh3sh 10
Da quanto abbiamo detto deduciamo che l unica ipotesi possibile sarebbe t—=/, p =,
p=1. In tal caso le rette di l passanti per un punto generico ? di f, formano un cono
d’ ordine 5.4 — 3.4 =$, come si dimostra tirando per P un piano generico. Se poi que-
sto piano passa per un altro punto Q di f, allora per P passeranno, in esso piano, altre
4.3—-2.3 — 2= 4 rette di I°, onde ogni corda di f è quadrupla. per il cono delle rette
di I uscenti da un punto generico di f. Ne segue senz’ altro che I° non è d’ordine due.
YU?
12. Le corde di una superficie 9 (immersa nell’ S,j ambiente) tangenti un’ ipersuperfì-
4
cie ®, formino un complesso irriducibile I° d’ ordine due.
Siccome una retta generica di I non incontra ® in alcun punto fuori di 9, e distinto
(!8) Direttamente ciò si ottiene dimostrando che ad ogni piano di ® si può far corrispondere un punto
di /’, essendo /’ |’ ulteriore intersezione di ® col cono 27. Nel caso 6), p. es., un piano generico di ®
seca questo cono in v. punti dei quali x — ; sono in Sy, due sono nei due punti che il detto piano ha co-
muni con 7 (oltre di .S)), ed 70 appartiene ad /”.
Iicerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2° specie dell’ S, dé
dal punto di contatto, indicando con v |’ ordine di P® e con = 0 la multiplicità di questa
in 9, sarà v= 201 +2.
Supponiamo, per ora, che ® non sia il luogo delle trisecanti di g, onde se 9 ammette
trisecanti propriamente dette, sarà 3f = 2/-++ 2, cioè {= 2.
13. Se ® non è un cono, lo spazio ® tangente ® in un suo punto generico /, seca
@ in una curva 29 dotata di un certo numero / di punti doppi apparenti. Ciascuna delle
h corde di 9g passanti per /, è certamente una retta del complesso I° se essa non ap-
partiene a ®, mentre se giace in questa può non appartenere a I°. E precisamente condi-
zione necessaria (e sufficiente) affinchè una retta 7 di ® appartenga a IT, è che essa sia
generatrice del cono di I° avente il vertice in uno dei due punti 7g. Osserviamo, inoltre,
che affinchè I sia d'ordine dze, delle sopradette 7 corde di ®g passanti per P, X—/ de-
vono non appartenere a IT, e quindi esse devono necessariamente giacere in ®,
14. Il cono generato dalle co! rette di IT passanti per un punto generico A di g, è
l'intersezione del cono 4g, col cono (a tre dimensioni) generato dalle tangenti di ® pas-
asnti per A, e per le quali A non è, in generale, il punto di contatto. Ne segue che sic-
come una retta 7° di ® passante per A e corda di 9, appartiene al cono Ag, così affin-
chè 7 non sia retta di I°, è necessario e sufficiente che 7 non appartenga al secondo dei
detti due coni (1°).
Supponiamo che ® abbia z superficie ©,, ©2,...., ©, degli ordini 2,, 3, £, mul-
tiple secondo i numeri 6, ,53 . ...., 9, (= 2). Un piano condotto genericamente per A, seca
® in una curva d'ordine 2f-+- 2, alla quale si può condurre da A un numero « di tan-
genti (altrove) dato da:
a=(2-+2)(0+1)—t(0+1)—-20m—-1(}) ae
— 4° 441 +2--mi(t-1)-YXs0(0—-).
Dunque il cono (a tre dimensioni) delle rette passanti per A e tangenti altrove P, è
d'ordine 4.
Sia ora 7 una /-secante generica di @ passante per A, con / = 2, e appartenente a
® ; supponiamo, ancora, che 7 sia d,- secante, con db; > 0, la superficie ©; (7 = /,2...., 2).
Un piano genericamente condotto per 7, seca ulteriormente ®, in una curva d’ordine
2t + 1, alla quale si può condurre da A un numero f di tangenti (altrove) dato da :
B= (2141). 20-0—Nt-2(m-2(i) -20-1(7')-22(e—0)(1)-220(*7)=
4° +2— mt (1-1) 4 251 - 1) - X=30(0--1) + 2Xb0—- 1).
Dunque affinchè 7 non appartenga al complesso I, e quindi al cono delle tangenti
di ® passanti per A, è necessario che sia «= fi, cioè :
(3) Dt=l1(t-1)+XZ6b (0-1)
(49) E, inoltre, indicando con 2 quello dei due punti 7 che è distinto da A, 7 non deve appartenere al
cono delle tangenti di ® passanti per 8, per le quali # non è, in generale, il punto di contatto.
8 Giuseppe Marletta [MemORIA I.]
Perki="2 Ta (3) diventa(29g
(4) I_S big
e quindi :
Î c) WTA
d) ez Db, === alb = 2.
15. Le ipotesi da esaminare sono le seguenti :
1a) Per un punto generico dell’ ipersuperficie ® non passa alcuna retta di questa che
sia corda di g.
2*) Per un punto generico di ® passa una sola retta di questa che sia corda di g.
34) Per un punto generico di P passano t > / rette di questa, le quali son corde di 0,
4° Per un punto generico di ® passano infinite rette di questa, le quali son corde di 9.
Nella 18 ipotesi lo spazio tangente ® in un suo punto generico, deve secare @ in una
cubica gobba; ne segue che @ è una rigata cubica normale. Dunque ® è un’ ipersuperficie
d’un certo ordine 24-42 avente come /-pla una rigata cubica normale 9 (?2).
16. Nella 2° ipotesi (n° 15) la sezione spaziale generica di @ è una quartica (gobba) di
prima specie. A dimostrare ciò basterà provare che non può essere / > 2. E infatti per
t= la (3) del n° 14 diventa la (4), e quindi l’ipersuperficie ®, che è d'ordine v = 4, è
dotata di infiniti piani, ipotesi che sarà esaminata in seguito, e che è la 4* del n° 15. Per
t= 2 la (3) diventa 4=/-+ 2b(0 — /), e quindi è 7/<= 4. Non può essere /= 3, per-
chè in tal caso una sezione spaziale generica f di 9, sarebbe dotata di (4 +/=4 punti
doppi apparenti, onde essa non potrebbe essere altro che una quintica (gobba) di genere
p==2, e ciò è assurdo perchè f apparterrebbe ad una quadrica, e %, quindi, ad una iper-
quadrica della quale farebbero parte le 0o* rette di ® /-secanti @. Se poi fosse / = 4, f
sarebbe dotata di sette punti doppi apparenti, e anche ciò è da escludere. Infatti per un
punto generico di 9 passano due rette di ® /-secanti la stessa 9. Ne segue che @ è (28)
(2) Si potrebbe obbiettare : Abbia, p. es., ® %' piani, e in uno generico x di essi w punti multipli
staccati. Non può darsi che mentre in virtù della (3) una retta s di x, genericamente condotta per A, non
appartiene a T, a questo invece appartenga la retta 4.17, ove 7 è uno dei sopradetti vw. punti multipli? —
Osserviamo che un piano condotto genericamente per 4.4, seca ulteriormente ® in una curva, alla quale si
= E 4 (DR <
può condurre da 4 un numero | di tangenti (altrove), dato da = f — 2 (5), onde è |< fi. Ne segue, do-
vendo essere I d’ ordine due, e quindi dovendo 4/7 non appartenere a I°, che dovrebbe essere {= %, da
cni f >, e ciò è assurdo perchè « è l’ ordine del cono formato da tutte le rette uscenti da A, e tangenti
altrove ®D.
(*!) Si noti che questo primo caso @) si ottiene non ammettendo |’ esistenza della , (tale che giacendo.
in ® sia corda di ©).
(2°) Che il complesso I sia d’ ordine due, si dimostra direttamente considerando il piano passante per un
punto generico dell’ S,j ambiente, e contenente una conica di %.
(*3) Se una superficie © dell’ S; è dotata di ®® curve piane c, essa è proiezione della superficie di
VERONESE. — Cominciamo ad osservare, infatti, che per un punto generico di 0 passano %! curve c; ciò
dosto per una generica c, di queste, si conduca uno spazio generico Y. Le x? rette tracce in Y dei piani,
Ivicerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2° specie dell’ S, 9)
d'ordine 72 = 7, mentre una curva gobba f di siffatto ordine, è sempre dotata di / > 7
punti doppi apparenti. Concludiamo dunque che è / = 2, e quindi @ l’ intersezione di due
iperquadriche.
Non possono verificarsi le c) delle (5) del n° 14, perchè a ® apparterrebbero le 00?
corde di @ incidenti la superficie ©,. Supponiamo dunque che sian verificate, p. es., le è)
delle (5), e indichiamo con c l'ordine della curva C = 4 ©,. Le corde di @ passanti per un
punto generico A di ©,, formano un cono quadrico che ha 2(8, — /) generatrici comuni
col cono /0 w,, e di queste generatrici c passeranno per i c punti tracce della curva C
nello spazio di questo cono quadrico. Or siccome ©, è doppia per ®, per / passano due
(sole) generatrici di ®, e quindi sarà 2(e8, — /) —c=2, cioè c=28, - 4. E allora una
L#71
generica 2 delle col
iperquadriche passanti per @, seca ulteriormente ©, in una curva d’or-
dine 23, —c =4#, la quale dovrebbe essere doppia per la superficie del quarto ordine ul-
teriore intersezione di D® con 8, ciò che è assurdo (perchè questa superficie è immersa
nell’ S,). In modo analogo si ragiona per escludere che siano verificate le formule 4) delle (3).
Da quanto si è detto in questo n°, deduciamo che è da escludere la 24 ipotesi del n° 15.
17. Consideriamo ora la 32 ipotesi del n° 15. Siccome la superficie 9 ammette oc?
trisecanti (propriamente dette), è (n° 12) / = 2.
Per {= 0 ® è un'’iperquadrica e @, quindi, una rigata cubica normale ; si ricade cioè
nel complesso dato nel n. 15.
Il caso f = / si esclude subito, perchè dovendo essere soddisfatte le (5) del n° 14,
l’ipersuperficie ®, che è d’ ordine v= #4, avrebbe infiniti piani, e questa ipotesi sarà con-
siderata nel n° seguente.
Sia, infine, /=2, onde ® è d'ordine v= 6. Supponiamo primieramente che sia
1==2, onde ® ha qualche altra superficie doppia ©,. Allora le corde di @ passanti per
un punto generico /! di ©,, formeranno un cono x d'ordine 7, essendo 7 il numero dei
punti doppi apparenti della sezione spaziale di 4. Ciò posto per D (punto doppio di ®) o
passeranno infinite rette di ® che siano corde di g, ovvero passeranno 2t (n° 15) di sif-
fatte rette. La prima ipotesi è da escludere, perchè al variare di D su ©,, si avrebbero
oo? rette, ipotesi che sarà considerata nel n° seguente. Osserviamo ora che il cono x se-
ca ® nella curva (contata due volte) d'ordine 27 luogo dei punti di appoggio delle corde
di 4 passanti per 2), e nelle 27 rette sopradette, perchè ogni generatrice di x che incon-
tri ® in un punto fuori di @, e distinto da D, ha in comune con ® sette punti. Dunque
abbiamo 6k=4hk4- 2. da cui si deduce X = t, e ciò è assurdo perchè dovendo il com-
Ù
plesso I° essere d'ordine de è (n° 13) t=/#— /. Con ragionamenti analoghi poi si e-
sclude che possa essere /== 3 0 /= 4 (?*). Concludiamo dunque che è anche da esclu-
deresla o*Mpotesi delene ID.
18. Supponiamo infine che per un punto generico di ® passino infinite rette di que-
sta ipersuperficie, le quali sian corde di @, onde (2) ® avrà infiniti piani.
delle curve c, formano una congruenza |, la quale non è costituita totalmente da piani rigati, visto che per
un punto generico di c,j devono passare x! sue rette. Ne segue che | ha due curve singolari, e precisamente
la c, e |’ ulteriore intersezione di ® con %; di conseguenza una retta generica di incontra © in due punti
soltanto, e ciò è quanto dire che le curve c sono coniche, onde © è proiezione della superficie di VERONESE.
Del resto questo teorema è conseguenza di un altro noto di KRONECKER-CASTELNUOVO.
(4) Per la (3) del n° 14 è AZZ
(2°) SEVERI, /r/orno ai punti doppi inipropri di una superficie generale dello spazio a quattro dimen-
sioni, e a’ suoi punti tripli apparenti [Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XV (1901)] n. 10.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. |. 2
10 Giuseppe Marletta [Memoria I]
Indicando con x il piano di ® passante per un punto generico / di questa, osservia-
mo che uno spazio £ condotto genericamente per x, seca ulteriormente ® in una rigata g
d'ordine 24-+ /, e @ in una certa curva 7 che è #-pla per p, mentre la curva gt è (£—7)-
pla per p.
Siccome per / non passa (?) alcuna retta di ®, che sia fuori di 7, e dovendo il
complesso I essere d'ordine de, la curva 7 sarà ‘o una cubica gobba, o una coppia di
rette sghembe.
Indichiamo con x l'ordine della curva gr.
19. Sia x=/; ® è (2°) una rigata razionale d’ ordine #1 ==4, e quindi la retta gt e
la cubica gobba 7 hanno un sol punto comune. Dobbiamo ora distinguere due casi secondo
(non) Nenele i =Nfovvelo A=="2.
(0)
Sia t=/; per le formule (5) del n° 14, sono da esaminare le tre ipotesi :
1?) @ ha un piano triplo;
2%) ® ha una rigata cubica normale w, come doppia;
38) ® ha due piani sghembi doppi.
Quest ultima si esclude subito, perchè ® sarebbe un So-cono, ipotesi che sarà consi-
derata in seguito.
a) La 12 ipotesi dà un complesso (d'ordine dze) effettivamente esistente. Infatti data
una rigata razionale @ d'ordine 72== 4, sia g una cubica piana di essa, e nel piano di g si
assegni (°%) un inviluppo razionale { di rette, d’' indice fre, con queste in corrispondenza
biunivoca e prospettiva coi punti di g. Uno spazio condotto genericamente per 9, seca ul-
teriormente g in una generatrice g, la quale insieme con la retta di { omologa del punto
29, individua un piano; questo piano al variare di X genera un’ipersuperficie ® che è
d’ ordine vy= 4, perchè per un punto del piano di 9g passano tre piani generatori di ®,
onde questo piano è triplo per ®.
b) Anche la 2 ipotesi dà un complesso effettivamente esistente. Sia infatti f una
quintica razionale immersa nell’ S4 ambiente e dotata di punto doppio £ = £. Le con-
giungenti i punti coniugati di un’ ordinaria involuzione di f, nella quale siano coniugati £
ed £, generano una rigata cubica normale ©,, mentre le congiungenti i punti coniugati di
una g3} di f, nella quale non siano coniugati £ ed /, generano una rigata razionale @
(2%) Se un’ ipersuperficie D è tale che per ogni suo punto passi un suo piano e una (almeno) sua retta
fuori di questo, PD è d'ordine v = 3. Infatti uno spazio X condotto per un piano x di ®, contiene una rigata
p di questa. della quale la generatrice generica non appartiene ad alcun piano di ®. Inoltre siccome le gene-
ratrici di p son tutte incontrate da tutti i piani di ®, segue che tre generici di questi saranno secati da Y in
tre rette (sghembe a due a due) le quali saranno direttrici di f, onde questa rigata è una quadrica. Ad essa,
poi, appartengono tute le rette tracce in Y di tutti i piani generatori di ®. Concludiamo dunque che ® è d’or-
dine v=zz + 2=35. — Altrimenti: La rigata p é una quadrica perchè ammette due sistemi di rette, e pre-
cisamente quello detto in principio, e quello delle tracce in Y dei piani di ®.
9°
(*‘) Non può essere , una coppia di rette sghembe, perchè in tal caso % sarebbe una rigata cubica nor-
male, e ogni piano generatore di ® conterrebbe una retta direttrice di 0, ciò che è assurdo (perché ® non è
per ipotesi un .S,-cono).
(28) In un piano si stabilisca una corrispondenza biunivoca fra le rette di un fascio e quelle di un invi-
luppo (razionale) d’ indice 72, in modo che delle tre rette di questo passanti per il centro del fascio, una
corrisponda a sè stessa. Il luogo del punto comune a due rette omologhe, è una quartica con punto triplo
nel centro del fascio. Siccome, poi, di questa quartica si stacca la retta tautologa sopradetta, rimane una cu-
bica con punto doppio, avente i punti in corrispondenza biunivoca e prospettiva con le rette dell’inviluppo.
Ricerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2" specie ell’ S, ll
d’ ordine 22 = 4. I piani delle oo!
coniugati della detta g}, generano un’ ipersuperficie P la quale è d'ordine v—=4, ha ©,
coniche di ©, ciascuna delle quali contiene due punti
come doppia, e passa per la rigata @. E invero sia J// un punto generico di ©, preso un
punto A di /, esso ha un punto coniugato A° nella g3, e pei punti .4° ed 4 passa una
(sola) ‘conica di ©,, la quale seca / in altri due punti A, e A, (oltre che in 4°), punti
che assumeremo come corrispondenti di A. Viceversa dato il punto A,, per esso e per MY
passa una (sola) conica di ©,, la quale seca ulteriormente f in due punti A° e 2B', ai
quali son coniugati, nella g>, due punti A e B. Abbiamo così in f una corrispondenza
(2,2) che avrà quattro punti doppi, divisi in due coppie ciascuna delle quali appartiene ad
una conica passante per /1/, e che contiene due punti coniugati nella g}. Dunque per M
passano due piani generatori di ®, cioè ©, è doppia per ®. Che poi ® sia d'ordine v == 4,
segue dall’ osservare che le rette, tracce in uno spazio generico Y dei piani di ®, sono
le congiungenti i punti omologhi di una corrispondenza involutoria (2,2) esistente (°°) fra
i punti della cubica gobba X @, (39).
20. Sia ora # = 2 e (n° 19) ancora x = /. Vediamo se possono essere verificate le
(5) del n° 14.
Se ©, è una superficie tripla per ®, siccome le rette dei piani di questa devono es-
sere unisecanti di ©,, la curva di ©, posta in un piano generico di ®, sarà una retta.
Inoltre giacchè uno spazio Y condotto genericamente per uno dei piani generatori di ®,
seca ulteriormente questa in una superficie d'ordine cz7:9ze, segue che X secherà ulterior-
mente ©, al più in una retta. Dunque ©, o è un piano, ovvero è una quadrica. Nel pri-
mo caso uno spazio condotto genericamente per ©,, seca ulteriormente l’ipersuperficie (ir-
riducibile) ®, in tre piani generatori, e ciò è assurdo perchè le tre generatrici di 4 poste
in questi piani, passerebbero per uno stesso punto (3). Se poi ©, fosse una quadrica, un
piano generatore generico x di ®, avrebbe per traccia in essa una retta la quale incon-
trerebbe la quartica g ©, 0 in un punto, o in due punti, o in tre. Nel primo caso ©, sa-
rebbe semplice per ®; nel secondo sarebbe doppia; nel terzo sarebbe tripla, ma siccome
i due punti staccati rg sarebbero (costantemente) sulla curva 4®,, segue che @ sarebbe
semplice e non doppia per P. Concludiamo dunque che ® non ha una superficie tripla.
Nè può avere una ®,, o due superficie doppie @,, ©,, secondo le d) e d) delle (5) del
n° 14. Infatti in tal caso uno spazio generico XY seca ® in una rigata X® d'ordine ser,
la cui generatrice generica incontra, quindi, in 6—2-=4+ punti la curva doppia di XP. Ne
segue, essendo x = /, che una retta generica di uno generico dei piani di ®, incontra in
tre punti la superficie doppia distinta da @, e non in due come richiedono le sopradette
formule (5).
(?°) Infatti si è dimostrato che ©, è doppia per ®.
(*9) Che il complesso T sia d’ ordine dxe, in entrambe le ipotesi 1% e 2% di questo n° 19, si può diret-
tamente dimostrare come segue. — Il cono cubico (razionale) % delle corde di % passanti per un punto generico
dell’ S, ambiente, seca © in una curva / d’ ordine sez, della quale son corde le generatrici di ©; e seca ulte-
riormente ® in un’altra sestica /”. Un piano generatore 7 di ®, seca % in tre punti, due dei quali sono i due
punti in cui la generatrice di 4 posta in 7, si appoggia alla sestica /; 1’ altro punto appartiene dunque ad /”.
Ne segue che ad un piano generatore di ®, si può far corrispondere un (sol) punto della curva //, la quale
quindi è razionale. Se ne deduce senz’altro che I è d’ ordine due.
(8!) Siccome @ dev'essere doppia per ®, ciascuna delle dette tre sue generatrici appartiene a due dei tre
piani generatori.
12 Giuseppe Marletta
[Memorta L.|
21. Sia ora (n° 18) x ==2, cioè supponiamo che in ogni piano generatore di ®, esista
una conica di g. Dobbiamo distinguere due casi secondo che la curva 7 (n° 18) è una
cubica ovvero una coppia di rette sghembe.
Consideriamo il primo caso. Cominciamo ad osservare che siccome @ è ulteriormente
secata in una cubica gobba dagli spazi passanti per un piano generico di P. essa (NOETHER)
è razionale. Inoltre per # - /=/(20), una generatrice generica g della rigata p (n° 18),
si. appoggia tanto ad 7 che alla conica gx; ne segue che i due punti gr e g. gt appar-
tengono ad una (stessa) conica di 9, onde @ è tale che per ogni suo punto generico pas-
sano due sue coniche. Ora tenendo conto della rappresentazione piana di g, si deduce che
le coniche di 9 poste in piani generatori di ®, dovrebbero formare due fasci distinti, e di
conseguenza i piani generatori di ® formerebbero due sistemi algebrici distinti, ciò che è
assurdo perchè ® non è un So-cono quadrico. Se poi fosse #=/ (e a==2) le genera-
incontrare 4 in due punti (perchè x == 2), dovrebbero essere corde di 7, e quindi p sa-
rebbe una quadrica, mentre dev'essere d’ordine 25 + 7.
Consideriamo ora il secondo caso, supponiamo cioè che 7 sia una coppia di rette
sghembe. Allora @ sarebbe una rigata razionale d’ordine 72 = 4, e ® l’ipersuperficie ge-
at lo)
nerata dai piani delle co coniche di @, ciò che è assurdo perchè ® sarebbe d’ ordine v = 3
È so È
e non d'ordine 264 + 2.
22. Sia ora x>2, e ® possa essere il luogo delle trisecanti di 9, nel qual caso non
essendo ® un’iperquadrica, conterrà infiniti piani, in ognuno dei quali esisterà una curve
di 9 d'ordine x=8. Sia P un punto generico di D, e x il piano di ® passante per esso.
Lo spazio tangente ® in /, secherà ulteriormente ® in una rigata p d’ ordine 2 -|- 7, alla
quale appartiene #; e siccome per questo punto non passa (*) alcuna retta di ® non
posta in 7, segue che la curva 7, ulteriore intersezione di detto spazio con g, è o una cu-
bica gobba ovvero una coppia di rette sghembe. Dunque ogni generatrice di p non può
avere più di tre punti comuni con @, e precisamente due in 7 e uno (per {> /) nella
curva gx, onde è Xx =-3. Ma per essere x = 3 è necessario che la detta generatrice sia
corda di 7, e quindi che le generatrici di p stabiliscano una corrispondenza (7, £) fra i
punti di 7, ciò cbe è assurdo perchè p sarebbe d’ ordine 2% e non 2 +4 /.
Concludiamo dunque che non può essere 7 > 2, e in particolare quindi che ® non
può essere il luogo delle trisecanti di g.
23. ‘Sia ora ‘D un cono.
. Se D è un S,-cono, siccome in ciascuno degli cc! suoi spazi tangenti, le rette del
complesso I° devono formare una congruenza non d'ordine zero, ® sarà d'ordine v= 2,
e in ognuno dei detti spazi le rette di I° formeranno una congruenza d'ordine 270. Ne
segue che uno spazio generico passante per la retta S,, secherà ulteriormente $ o in una
cubica gobba o in due rette sghembe. Cioè:
a) 4 è d’un certo ordine 72 con la retta S, come (72 — 3)-pla, e se rigata non am-
Mette S, per (direttrice;
b) @ è una rigata avente S, come direttrice (72 —- 2)-pla (95).
24. Sia infine ® un S, - cono.
(32) Vedi nota (29).
(3) È sempre sottinteso che 4 non appartiene ad uno spazio.
Ivicerche sui complessi di rette d’ ordine due e della 2° specie dell’ S, IS
Se ® è d'ordine v== 2, cioè se è f — 0, @ evidentemente è una rigata cubica nor-
male. Esaminiamo dunque l'ipotesi £ > 0.
La superficie 9 non può essere un cono di vertice S,, perchè una sua corda tangente
®, proiettata da So darebbe un piano di cui ogni retta sarebbe anch’essa corda di % e
tangente di ®, onde I° sarebbe d'ordine zero. Ne segue che 9 è semplice Iper P, cioè è
t=1e v—=4. Lo spazio £ tangente ® in un suo punto generico P, seca @ in una curva
tale che delle sue corde passanti per /, una sola non deve appartenere a ®, e, inoltre,
le rimanenti (cioè quelle appartenenti a ®) non devono essere rette di T. Ora quest’ultima
condizione non è soddisfatta per 72 > #; infatti sia A uno qualunque dei punti in cui la
retta PSo incontra @ fuori di So. La retta ASo essendo corda di 9 e generatrice del cono
(a tre dimensioni) delle rette passanti per .4 e tangenti altrove ®, appartiene evidente-
mente a T. Ne segue che per essere I° d’ ordine due, la retta So (= ASo) non dovrebbe
essere corda di 9, cioè So non dovrebbe appartenere a @, onde questa è monoproiettata
da So, e di conseguenza essa è d'ordine #2 = 4. Ed ora, affinchè ® sia tale che per un
suo punto generico passi qualche sua retta che sia corda di 9, questa dev'essere una ri-
gata. Viceversa, proiettando da un punto generico So dell’ S4 ambiente, una rigata d’ordine
m =4 ed immersa in questo, si ottiene un S,-cono ® tale che le sue tangenti, le quali
inoltre sian corde di 9, generano un complesso I° d'ordine dee. Infatti il cono ® è dotato
di un cono cubico (razionale) doppio, sono soddisfatte le relazioni 5) del n. 14, e ogni
spazio passante per un piano generatore di ®, seca ulteriormente 9 in una cubica gobba (84).
vIe.
w
25. Il complesso I°, irriducibile e d'ordine due, sia generato da tutte le tangenti di
un’ ipersuperficie ® incidenti due superficie (irriducibili) 0, e 0, non cospaziali.
Consideriamo’ primieramente l'ipotesi che ‘0, sia un piano Z,-plo per ®, e 9, una su-
perficie d'ordine, = / f,-pla per :D, con, 20 el, =0.
Per quanto è noto circa le congruenze d’ ordine dze si hanno i seguenti complessi:
a) ® è d'ordine 7, |-4, | 2, e 9, è una rigata secata ulteriormente ‘in una sola ge-
neratrice da uno spazio qualunque passante per %,.
b) ® è un So-cono d'ordine 7, +- 2 avente il vertice So in 9,. La superficie ©, non
appartiene a D (/, = 0), è d'ordine 77,, ed ha in @, una curva d'ordine 72° avente Sy
come #2',-plo; inoltre S, è (#22 + #2, — #2 — 1)-plo per g..
Es: Sia #7,= nt ==0 onde 9, è un monoide d'ordine 772), col punto singolare in
So, e senza alcuna curva in %,.
c) ® è d'ordine #7, | 2 ed ha come doppia una curva secata in un sol punto varia-
(#4) Che il complesso I° sia d’ ordine de, si può direttamente dimostrare come segue : Sia 2? un punto
generico dell’ 5, ambiente; le corde di © passanti per /, formano un cono cubico (razionale) ., che seca © in
una sestica /. Ogni generatrice g di 0 è corda di /, perchè il piano 2g incontra ulteriormente © in due punti,
e questi congiunti con /, dànno due generatrici di a. Questo cono, poi, seca ulteriormente ® in una curva
/' d'ordine 3.4 — 6 = 6, la quale è razionale. Infatti un piano generatore qualunque di ®, incontra x in tre
punti, due dei quali sono i due punti in cui la generatrice di © posta in esso piano, si appoggia ad /. Il ri-
manente punto d’incontro appartiene dunque ad /’, la quale è quindi razionale, giacchè ad un piano genera-
tore di ® si può far corrispondere un (sol) punto di essa. Dalla razionalità di /’” segue senz’altro che T è
d’ordine due.
14 Giuseppe Marletta [Memoria I.]
bile dagli spazi passanti per g,. La superficie @, è d'ordine 772,, ha questa curva come
(22, -— m' — 1)-pla, e in @, ha una curva d’ ordine 77° (inoltre è #, = 0).
Es: Si faccia 72 =0, e sia una retta la curva doppia di ® (della quale si parla).
Ne segue che 9, è d’ Ordine 777, ed ha come (7, — /)-pla questa medesima retta.
d) ® è d'ordine 7, |- 4, ed ha come doppia (#, = 2) una superficie 9, secata ulte-
riormente in una cubica gobba da ogni spazio genericamente condotto per @, (35).
Es.: Sia t,=0 e m,=3, cioè ® sia un’ipersuperficie d'ordine v=4, avente co-
me doppia una rigata cubica normale @, .
e) ® è ulteriormente secata da ogni spazio passante per ,, in una rigata cubica, e
@, in una conica di questa.
Es.: Sia ® un’ ipersuperficie cubica dotata di piano doppio, e 92 una sua quadrica.
F) ® è ulteriormente secata da ogni spazio passante per g,, in una rigata del quarto ordi-
ne dotata di retta e conica doppie. Quest'ultima è l'ulteriore intersezione di 9, col detto spazio.
Es.: Sia ® un ipersuperficie d'ordine v==4 dotata di piano doppio e di una qua-
drica 9, doppia.
26. Supponiamo ora che nessuna delle due superficie @, e @, Sia un piano, cioè pon-
gasi 72, >/ e m, > I. L’ipersuperficie focale ® sarà d' ordine v = 7, (+. {1,4- 2, essendo
©, € ©, rispettivamente 7, - pla e #, - pla per essa.
Posto, ==, e 2,=i, pi, 2, cioe i, = {2 SUpponiamotporr0nagchiegle
corde di @, incidenti g, non appartengano, in generale, a D, onde è 24, 4-1, =, 4. t43,
Cio, a:
Cominciamo coll’ esaminare l'ipotesi per la quale P non sia un cono.
Lo spazio £ tangente ® in un suo punto generico /, seca ©, € 9, in due curve Lo,
e £9,, tali che per / passi un certo numero % di rette ciascuna ad ambedue incidenti.
Ognuna di queste 7 rette è certamente una retta di I° se essa non appartiene a ® ; men-
tre se giace in ® può non appartenere a I. E precisamente condizione necessaria (e suf-
ficiente) affinchè una retta 7 di PD appartenga a T, è che essa sia generatrice del cono di I
avente il vertice in uno dei due punti 7@,, 7@,. Osserviamo, ancora, che affinchè I' sia
d’ ordine de, delle sopradette / rette passanti per P, 7 — / devono non appartenere a T,
e quindi esse devono necessariamente giacere in D.
Il cono generato dalle co! rette di I" passanti per un punto A, di g,, è l’intersezio-
ne del cono A, 9, e del cono (a tre dimensioni) generato dalle tangenti di ® passanti per
A,, per le quali A, non è, in generale, il punto di contatto. Ne segue che siccome una
retta 7 di ® passante per A, e incidente g,, appartiene al cono A,9,, così affinchè 7
non sia retta di I°, è necessario e sufficiente che 7 non appartenga al secondo dei due
coni ora detti
27. L'ipersuperficie ®. abbia % superficie è,, %a,....,:0, degli ordini e); Sg,
O 201
Procedendo analogamente a come si fece nel n
multiple secondo 0,,0s, ....
9
° 14, e supponendo che una retta 7 di
® sia 7, - secante 9, e /,- secante ,, con /;=./, /,== 7, si deduce che affinchefzimo»
appartenga a T', nell'ipotesi di t, >#,>0, é:
(6) Ala (2, 1) Î l
(S)
_
as
te)
EI),
(39) MONTESANO, Su due congruenze . <<... c. (5)] n° 2.
Ieicerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2" specie dell’ S, DS
Pensi, 7a; (0) diventa:
(7) IA (0-7)
e di conseguenza (8°):
A gn nta
(8) 'OINECE, Rsa DO dr=3
MAIO SE
Per 7, >#, =0 si potrebbero ottenere delle eguaglianze analoghe alla (6), ma sic-
come in seguito potremo farne a meno, così, per amor di brevità, le trascuriamo.
28. Abbiamo da esaminare le seguenti quattro ipotesi :
1a) Per un punto generico di ® non passa alcuna retta di questa ipersuperficie, inci-
dente 9, e @,.
22) Per un punto generico di ® passa una sola retta di questa incidente @, e @,.
38) Per un punto generico di ® passano t > / rette di questa incidenti g, e 9
44) Per un punto generico di ® passano infinite rette di questa, incidenti 9, e ©
Dar
Sia P un punto generico di ®, e consideriamo lo spazio £ tangente ® in P. Nella
la ipotesi esiste una sola retta di 9 passante per / e incidente ambedue le superficie %,
e 3. Ne segue che delle due curve 91, 9, una (almeno) dev’ essere una retta, cioè
delle due superficie @1 e 4a una dovrebbe essere un piano, ciò che (n° 26) per ipotesi è
escluso (97).
29. Consideriamo ora la 2* ipotesi (n° 28), e supponiamo per ora che sia /1 = /, =/.
Lo spazio tangente ® in un suo punto generico /, seca 1 e g, in due coniche aventi
due punti comuni; ne segue che 41 e %, sono due quadriche con una conica comune. Per
t, > 0, e quindi (n° 26) #7, > 0, devono essere verificate le relazioni (8) del n° 27; e al-
lora non c'è che da ragionare analogamente a come si fece nel n° 16, per concludere
che l'ipotesi in esame non fornisce alcuno dei complessi richiesti. Se poi è f, =0, sarà
2, it, +2 cioè 7, =2. Per 7, =0 ® sarebbe un'iperquadrica, e quindi una (almeno)
DI
delle @,, @2 sarebbe un piano. Per #, =/ ® sarebbe d’ordine v = 3, e affinchè una sua
retta che incontri 9, (cioè la curva Pg,), non appartenga a IT, è necessario che ® abbia
un piano doppio, e di conseguenza infiniti piani, ipotesi che sarà considerata in seguito.
Infine per #, =2 o ® ha inoltre un piano doppio, e quindi infiniti piani (ipotesi che sarà
considerata in seguito), ovvero la retta passante per un punto generico di ® e incidente
4, € 9, appartiene (38) al complesso T, il quale dunque non sarebbe d'ordine due.
= O,
non c'è che da ripere le considerazioni fatte poco sopra nella medesima ipotesi. Suppo-
Supponiamo ora che i numeri Z, e 7. non siano ambidue eguali all’ unità. Per 7»
niamo dunque che sia 7» > 0. Per f1 = / e fa =/ la (6) del n° 27 si trasforma nella (7),
(36) Non si considera il caso di x = 0, ny = 7, c= #3 — I, ove c è l’ordine della curva ©, 93, perchè
per ipotesi (n° 26) nessuna delle superficie ©,, %, è un piano. Si otterrebbe ii complesso a) del n. 25.
(87) Si otterrebbe il complesso «@) del n° 25.
38) Per dimostrarlo basta condurre per un punto qualunque 4, di %,, due piani: uno genericamente,
1 a! 5
I’ altro passante per la retta di ® incidente 0, e %,.
16 Giuseppe Marletta | Memoria I]
e quindi devono essere verificate le (8), ciò che porta di conseguenza che |’ ipersuperficie
®, la quale è d'ordine v—= 4 , possieda infiniti piani, ipotesi che sarà considerata in se-
3
D
guito. Per 1 == 2 e 7, = / è facile dimostrare che esistono oc* rette le quali incontrano ®
in tre punti tutti doppi per essa, e precisamente o tutti e tre in g@, (per 1 = 3) ovvero
a causa dell’esistenza di una o due superficie doppie di ®, esistenza che si deduce dalla
(6) del n° 27. Ma ® è d'ordine y_=2+/-- 2—=5, dunque ® possiede infiniti piani, ipo-
tesi che sarà esaminata in seguito. Con ragionamenti analoghi si dimostra che per /1 =2
e fz=2, nor si ha alcun complesso richiesto. Infatti sia, p. es., /1 =/, = 2, el sifdica
lx il numero dei punti doppi apparenti della sezione spaziale di @,. Il cono x, delle cor-
de di @, passanti per un punto generico A, di @,, seca ® in una curva d’ordine vt, =6k,,
della quale fa parte, contata due volte, la curva luogo dei punti di appoggio su @,, delle
generatrici di x,. Dunque rimane una curva d'ordiue 64, —2.2%, =2%,, la qualese
formata da altrettante rette passanti per A». Se queste 2%, rette mentre son corde di @,,
non sono tutte corde di 42, il complesso I" non è d’ ordine dze, perchè non è verificata
la (6). Se, invece, esse son. tutte corde di @,, sarà, 24, —2 e quindi 4, =/, perchesosse
doppia per ®. Ne segue che @, è una rigata cubica normale. Ma allora le due rette di ®
passanti per A,, giacciono nel piano di una conica di @,, il quale secando ® in questa
conica contata due volte, e nelle due rette passanti per A,, apparterrebbe a ® (?9), onde
® avrebbe infiniti piani.
30. Esaminiamo ora la 3* ipotesi del n° 28, e supponiamo primieramente che esista-
3
no oo° corde di g, incidenti 9» in punti non posti generalmente in 9,. Volendo conside-
rare nel n° seguente e non ora l'ipotesi che queste 00 rette generino |’ ipersuperficie D,
do\lales:cielz.ie ico, ne
Per 1 =0 e quindi /»—=0, ® sarebbe (*°) un’ iperquadrica, e di conseguenza una
(almeno) delle superficie 91, 42, sarebbe un piano. Per 71 = / sarà 0 f2 = 0, ovvero fa = /.
Se è za = 0, ® è un'ipersuperficie cubica, e quindi affinchè una sua retta 7 non appar-
tenga al cono delle rette tangenti @ e passanti per il punto (semplice) rg1, è necessario
che ® abbia un piano doppio, e di conseguenza infiniti piani, ipotesi che sarà considerata
nel n° seguente. Se è fa =/, ® è d'ordine v== 4, e anche questo caso è da escludere ;
infatti affinchè sia soddisfatta la (6) del n° 27, ® dovrebbe contenere infiniti piani. Infine
con ragionamenti analoghi si vedrebbe che è pure da escludere l'ipotesi 7, = 2.
Ora affinchè per un punto generico di g, non passino (001) corde di @1, questa deve
appartenere ad uno spazio; sarà quindi 772, {,<=Z, +, + 2, cioè (m, — DA Zfa. +2.
Per. #1 — { > I si ricade nell'ipotesi esaminata 1 = 2, giacchè (n° 26) è 711 =>. (Per
mai 2 _ilatovvero ii — fa / 0 infine 40322
Se è 71 = 72, sarà f2=2, e quindi un'altra volta 71 <= 2, a meno che g2 non sia una
quadrica, la quale non potendo avere una conica comune con gi (*!), avrebbe fuori di i
parte della sua traccia nello spazio di @,, onde anche qui 71 = 2. Se è A=#.+ /, ogni
raggio del complesso I° posto nello spazio 1 di @1, incontrerà la conica @,$ (0 parte di
af
essa), indicando con ® il piano ulteriore intersezione di ® con Y1; ne segue che questa
(3°) Infatti su ciascuna di queste due rette esiste un punto doppio distinto da A, e fuori di %,.
(5°) Si noti che per ipotesi (n° 26) ® non è un cono.
(i!) Infatti per un punto generico / di ® passano © I, ly 4-1> 2 rette incidenti le curve Q0,, Q0,, es-
sendo 2 lo spazio tangente ® in 7.
Ricerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2" specie dell’ S,
conica g, sarebbe la curva È, g,, ciò che è assurdo perchè g, sarebbe una quadrica pas-
sante per una conica di gi. Siccome con ragionamenti analoghi che per brevità tralasciamo,
a
si esclude anche il caso #, = + 2, concludiamo che la 3° ipotesi del n° 28 non ci dà
alcun complesso.
(0)
31. Consideriamo infine la 48 ipotesi del n° 28, supponiamo cioè che ® possa avere
co rette, onde essa, non essendo per ipotesi un’iperquadrica, ha infiniti piani.
Indicando con x il piano di ® passante per un punto generico P di questa, lo spazio
9 tangente ® in P deve secare ulteriormente ® in una rigata p d'ordine /, | 4,4 /, @1
in una curva 7, che è f1-pla per p, g, in una curva 7, che è Z2-pla per p, mentre d'altra
parte le curve Tg, e Tg» sono rispettivamente (7, — /)-pla e (#, — /)-pla per p medesima.
Cominciamo a considerare l'ipotesi v= 3, e quindi 7, = 0. Ne segue subito che la (‘°)
retta di PD passante per un suo punto generico 2, e non posta nel piano di ® passante
per P, non incontra @,, e quindi essa non è retta di T°. Inoltre non può 7, essere una
retta, perchè la superficie @, (d'ordine 7722 > /) dovrebbe avere una curva in ogni piano
di ®, mentre è #, = 0. Se ne deduce che 7, sarà una retta, e 7, una curva d'ordine 72
con 722—/ punti sulla retta 7,. Osserviamo inoltre che essendo 72, — / >0, le superficie @, e
@, avranno in comune una curva c, la quale è incontrata in #22 — / punti dalle genera-
trici della rigata 9,. Ancora, la rigata p è una quadrica avente per traccia in x due rette,
una delle quali è tw, se indichiamo con ® il piano doppio di ®; l’altra sarà chiamata d.
La rigata 9, ha in x una certa direttrice t9,, e la retta 7, sarà una retta di p incidente d.
Ma per un punto generico di 7g, (come per uno di r) passa una sola retta di ® non posta
in ©, quindi siccome l'ulteriore intersezione di g, con 2 dev'essere una sola retta (la 7,),
segue che la curva direttrice tg, deve incontrare d in un sol punto, cioè 7g, sarà una
retta e quindi 9, una quadrica.
Viceversa il complesso I° sarà d'ordine due, se ® è d'ordine v= 3 con piano doppio,
6, una quadrica di P, e , una superficie d'ordine 772, avente in comune con @, una curva
c del medesimo ordine 777,, e tale che le generatrici di 9, non poste in piani di ®, sechino
c in m,—-1 punti ciascuna (‘*).
32. Sia ora v>3. Anche ora una delle due curve 7,, 7a sarà una retta, e l’ altra
sarà d’ un certo ordine |. con j. — /Z punti su questa. Ne segue che se fossero ambedue
direttrici di p, questa sarebbe d'ordine 7, {7, e non 2, +-#,+-/; d'altra parte se g,,
p. es., giace in ®, la curva 7, è direttrice di p. Se ne deduce che una delle due superficie
®,, @,, P- €S- 9,, non deve appartenere a P, cioè dev'essere 7, == 0.
Intanto è 2/, <= v, cioè 24, 8,
l’unico caso da esaminare è 7, = 2. La superficie @, potrà essere o una quadrica, o una
rigata cubica normale.
(42) SEGRE, Sulle varietà cubiche dello spazio a quattro dimensioni, e su certi sistemi di rette e certe su-
perficie dello spazio ordinario [Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, serie II, tomo XXXIX
(1888)] n° 52.
(5) Che il complesso I° sia d’ ordine due si può direttamente dimostrare come segue. Sia ? un punto
generico dell’ .S;j; il cono /6, seca ©, in una curva d’ ordine 273, della quale fa parte la curva e; rimane
un’ altra curva c' d’ ordine 27293 — n = #8, e al cono 2 appartengono le rette di I° passanti per /. La e’
è secata in 729 — / punti dalle generatrici di 4, poste in piani di ®. Ed ora dato uno qualunque di questi
piani, esso incontra 2° in w29 punti, w29 — / dei quali, e precisamente quelli che appartengono alla genera-
trice di 4, posta in quel piano, stanno sulla e’. Il rimanente punto appartiene alla curva ulteriore intersezione
del cono 2’ con ®. Ne segue che questa curva è razionale, e quindi che T' è d’ ordine due.
AGI AGC. SERIE V, VOL. VI. Mens. V. 3
18 Giuseppe Marletta [Memoria I.]
a) In quest'ultima ipotesi la superficie g@, è secata da ogni spazio passante per un
piano generico di ®, in una curva d'ordine 7722 con 7772 — / punti sulla generatrice di g,
posta in detto spazio. Viceversa è chiaro che ®, 9, e @, possono soddisfare alle sopra-
G
).
P. es. per 772, = 2 ©, è una quadrica passante per una conica o cubica generica di
U
dette condizioni, e quindi I° essere d'ordine due (*
g,; per 22, = 3 9, è una rigata cubica normale passante per una quartica di g,; per
m,=4 9, è, p. es., una rigata razionale (d’ordine quattro) passante per una quintica ra-
zionale (dotata di punto doppio) di @,; ecc.
b) Se invece 9, è una quadrica (doppia per ® che è d'ordine v=4), allora affinchè
una retta 7 di ® possa non appartenere al cono delle rette tangenti ® e passanti per il
punto 7@,, è necessario che ® abbia un piano doppio ©. In questo caso 9, ha in comune
con g, una curva c d'ordine 77,, secata in 22, — / punti dalle generatrici di 9, apparte-
nenti allo stesso sistema della retta wg, (2)
33. Sia ora ® un So - cono.
Cominciamo ad osservare che 9, e @, non possono essere ambedue coni coi vertici
nel vertice So di ®; infatti ogni tangente di ® incidente 9, e @,, proiettata da S,, darebbe
un piano di cui ogni retta sarebbe anch’ essa una tangente di ® incidente @, e g,, onde I'
sarebbe d'ordine zero.
Supponiamo ora che %, soltanto, p. es., sia un cono di vertice So; allora lo spazio 2
tangente ® in un suo punto generico P, seca @, in 772, rette passanti per So, a ciascuna
delle quali la curva £9, si appoggerà un certo numero 4 di volte. Se ® non ha infiniti
piani (onde per P non passa alcuna retta di ® distinta dalla PS;), il complesso I è di
ordine maggiore o eguale a 277, (#2, — }), e quindi dovendo I' essere d’ordine due, è ne-
cessario che sia 2w2, (#2, - - A) = 2, da cui si ricava #2, =/, mentre per ipotesi (n° 26)
è m, >I. Se invece ® ha infiniti piani, g, ha 72,--/ sue generatrici in ciascuno di questi
piani, e uno spazio genericamente condotto per un piano x di ®, seca ulteriormente %, in
una curva d'ordine 772, con 72, — / punti nella (unica) generatrice che %, ha nel detto
spazio fuori di ©.
Sarà dunque: 2 (m,— /)=wm, e 2(m-2)+/=w,, da cui m,=2em,=83. Ne
segue che si hanno soltanto i tre complessi seguenti:
a) ® è il cono che proietta da un certo punto So, una rigata cubica gobba $; @, è
il cono quadrico che proietta da S, una conica generica di $, e @, una quadrica (non po-
sta in ®) passante per una conica di %,.-
b) ® è il cono che proietta da un punto S, una rigata gobba ® d'ordine v = 4 con
retta e conica doppie; @, è il cono quadrico che proietta da S, la conica doppia di $, e
@, una quadrica (non posta in P) passante per una conica di g,-
c) ® è il cono che proietta da un certo punto S, una rigata gobba d’ ordine v== 4
’
(4) che T sia d’ ordine due si può dimostrare come segue. Indicato corì a ii numero dei punti in cui la
c = 9,3 è secata da una conica di 9,, osserviamo che il cono ?6, è secato da ‘9, in una curva c’ d’ ordine
gm — (a + ng — 1) = 2019 — x + 1, oltre che nella c. AI cono 2 apparterranno le rette di I° passanti per
P. La curva (razionale) c' è secata da una conica qualunque di %,, în 272» — a punti. Ed ora dato un piano
qualunque di ®, esso incontra il cono Pe in 222» —a + 7 punti, 27793 — 4 dei quali appartengono alla conica
di %, posta in quel piano. Il rimanente punto appartiene alla curva ulteriore intersezione del cono Pe con P.
Ne segue che quest’ ultima curva è razionale, e che quindi I° è d’ ordine due.
(i?) Si imiti la dimostrazione della nota (#3).
Ieicerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2“ specie dell’ S, 19
dotata di cubica gobba doppia; 9, è il cono cubico che proietta questa cubica da So, € @y
una quadrica (non posta in ®) passante per una cubica (gobba) di g, (59).
34. Supponiamo, infine, che nessuna delle superficie @,, 9g, sia un cono di vertice So;
Ssanage Mi =il, = 0; e qundiv—=3 0v=4
Per v= 8 (e #,=/, t,= 0) dobbiamo distinguere due casi, secondo che ® contiene
ovvero no infiniti piani. Nel secondo caso affinchè I° sia d'ordine dze, una delle super»
ficie p,, 9, dovrebbe essere un piano. Infatti indichiamo con / un punto generico di ®;
se @, non passa per So, la retta PS, non incontra 9,, e quindi non appartiene a T°. Se
@,, invece, passa per S,, allora la retta PSo è certamente retta di I°, e quindi questo
complesso sarebbe d’ ordine maggior di dze. Se poi ® ha infiniti piani, uno spazio Y pas-
sante per uno qualunque di questi, dovrebbe ulteriormente secare 9, in una retta (con
my — I punti sulla curva Y %,), ciò che è assurdo perchè ® seca ulteriormente ® in un
cono quadrico non degenere.
Per v= 4, lo spazio £ tangente ® in un suo punto generico /, seca 9, e 9, lungo
due curve L9,, Lg, tali che delle rette ad esse incidenti e passanti per /, una sola non
deve appartenere a ®, e inoltre le rimanenti (cioè quelle appartenenti a ®) non devono
essere rette di I° Ora quest’ ultima condizione non è soddisfatta, giacchè è #7, == /;
infatti sia A, uno qualunque dei punti in cui la retta /S, incontra g, fuori di S,. La retta
A,So siccome incontra anche @,, ed è inoltre generatrice del cono (a tre dimensioni) delle
rette passanti per A, e tangenti altrove ®, appartiene al complesso I.
35. Consideriamo infine l'ipotesi che ® sia un S,-cono. Siccome le rette di T° sono
sparse negli co! spazi tangenti di ®, quest’ ipersuperficie sarà un S,-cono quadrico, e in
ciascuno dei detti spazi le rette di I° formeranno una congruenza d’ ordine 24720. Ne segue
che %, (p. es.) è una rigata d'ordine 77, avente la retta S, per direttrice (77, — /)-pla. La
superficie @,, poi, sarà d'ordine 77,, e avrà S, multipla secondo un certo numero 72);
inoltre detto € l'ordine della curva C' =, @;, questa avrà c — #2, +- #2, + / punti sulla
ieliatS,
Es: m,=2, m,= 8, m',= 1, c= 1. Cioè @, è una quadrica passante per la retta
S,; @, è una rigata cubica normale avente S, per generatrice; C è una retta (sghemba
con S,) generatrice di ambedue le @,, ).
Risto =, wi, SG, mi, = Il, c-=/. Cioè 0, è una rigata cubica gobba avente S,
per direttrice doppia; 9, è una rigata cubica normale avente S, per generatrice; Cl è la
retta direttrice semplice di g,, ed è generatrice di %,.
CAP. II
$ l
36. In questo capitolo vengono assegnati alquanti complessi (irriducibili) d' ordine due
(e di 2a specie), 7707 costituiti da #z/%e le tangenti di un’ipersuperficie ®, incidenti una
(4°) Che questi tre complessi siano d’ ordine dwe, si può direttamente dimostrare come segue. Se /7 è un
punto generico dell’S,, il cono 1799 seca ulteriormente ©, in una curva / d’ordine 72,, la quale è razionale, perchè
ogni generatrice di 2, l’ incontra in un sol punto. AI cono M/ apparterranno le rette dj I° passanti per 17, e
questo cono medesimo seca ulteriormente ® in una curva /'. Ogni piano di ® incontra 7 in n punti, dei
quali 72, — , appartengono ad /; |’ altro punto apparterrà ad /. Ne segue che 7’ è razionale, e quindi che T°
è d’ordine due.
20 Giuseppe Marletta [Memorta Il
curva f, ovvero che sian corde di una superficie irriducibile g, o infine che siano inci-
denti due superficie irriducibili g, e @,. Si vedrà che con questa aggiunta, verranno asse-
gnati Zutti i complessi pei quali ® (ovvero P e la curva o la superficie singolare) sod-
disfa a certe condizioni. i
37. Sia ® un S,- cono quadrico ; allora dovendo il complesso d’ ordine de I, esser
generato da tangenti di ® incidenti la curva f, in ciascuno degli co! spazi tangenti di D,
le rette di I° formeranno una stella il cui centro sta in f. Ne segue che fra i punti di f
e i detti co! spazi, esiste una corrispondenza che sarà o (7,2) ovvero (/,/), dicendo cor-
rispondenti un punto di f e uno spazio tangente di ®, ogni qualvolta il punto di f sia
centro della stella che le rette di I° formano in detto spazio (‘°). Nel primo caso la curva
Y deve essere secata in un soi punto variabile dagli spazi tangenti di ®, e quindi si ritro-
va il complesso del n° 10.
Si abbia dunque fra i punti di f e gli spazi tangenti di ®, una corrispondenza biu-
nivoca. Se si proietta f da un punto generico O dell’ S, ambiente, si ottiene una corri
spondenza biunivoca fra gli co! spazi tangenti P, e le generatrici del cono (razionale) Of.
Viceversa dato un cono (‘) razionale le cui generatrici siano in corrispondenza biunivoca
con gli spazi tangenti di ®, i punti ciascuno comune ad una generatrice del cono e allo
spazio di questa omologo, generano una curva f coi punti in corrispondenza biunivoca e
prospettiva con gli spazi tangenti di ®. Ebbene: le rette appartenenti simultaneamente ad
un punto di f e al suo spazio corrispondente, generano, al variare del punto, un com-
plesso I° d'ordine due.
Dalle precedenti considerazioni segue pure che il complesso ora ottenuto e quello del
n° 10, sono i soli complessi (d’ ordine de e della 2a specie) possibili, generati da tan-
genti di un S,-cono quadrico incidenti una curva f.
Si noti, ancora, circa il complesso ottenuto in questo n°, che per un punto generico
A di f passano non soltanto le co? rette della stella posta nello spazio Y corrispondente
di A, ma anche la retta che congiunge A al punto di f omologo dell’ altro spazio (di-
stinto cioè da X) passante per A e pur esso tangente ®.
38. Sia f una curva posta in un piano 7, e ®_ un Ss - cono d'un certo ordine v
avente T come (v—2)- plo.
Osserviamo che se una retta del fascio (S,, ©) incontrasse fin più di due punti, p. es.
in A, B, C, non potrebbe esistere una corrispondenza biunivoca e prospettiva fra i punti
di f e i piani tangenti del cono quadrico x, ulteriore intersezione di ® con uno spazio X
passante per x. Infatti per la retta 4So passano due (soli) piani tangenti x, i quali cor-
risponderanno p. es. ad A e 5, ne segue che a C non corrisponderebbe alcun piano
tangente di x. D'altra parte è noto che siccome le rette di I° poste in 2 devono formare
una congruenza d'ordine dze, avente il cono quadrico x per superficie focale, così se è
w. l’ ordine di f, questa curva avrà S, 0 come (fL— Z)- plo, ovvero come (pk — 2)-plo.
Nella prima ipotesi si ritrova un complesso del n° 8, esaminiamo quindi la seconda ipotesi.
Siano A e B i due punti (variabili) in cui una retta del fascio (So, ©) incontra f; il
piano di X tangente a e corrispondente di A, ha una certa generatrice di contatto; as-
(i) Non può esistere una corrispondenza (7, /) con / > 2, perchè per un punto di / passano due soli
spazi tangenti di ®.
(‘) Si potrebbe dare, in generale, una rigata razionale.
Ricerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2° specie dell’ S, Il
sumeremo come omologo di A, lo spazio tangente ® lungo questa generatrice. Ad A, dun-
que, corrispondono col spazi tangenti di ® (al variare di X); analogamente dicasi per 5.
Gli co! spazi tangenti ® e passanti per la retta ASo (=25S,), invilupperanno quindi un
S,- cono spezzato in due sistemi algebrici distinti, e precisamente uno è inviluppato dagli
spazi tangenti (passanti per ASo e) corrispondenti al punto A, | altro dagli spazi tangenti
(passanti per BS,= ASo e) corrispondenti al punto 5. Considerando una sezione spaziale
generica, si vede che la quistione è ridotta alla seguente.
Data in S3 una superficie d d’ ordine v con una retta 7 ‘come (v—2) - pla, conside-
riamo il cono circoscritto a d da un punto generico di 7. Questo cono può spezzarsi in
due (*)? Ora a questa domanda si risponde negativamente. Infatti posto che d abbia 2y20
piani ciascuno contenente una coppia di punti doppi di ®, il detto cono si dovrebbe spez-
zare in due coni ognuno d’ ordine v—/—-y, e dotato della 7 come generatrice (v--2--—vy) - pla,
e inoltre dovrebbero esistere 2v— 3 —2y generatrici comuni, date da generatrici passanti
per punti doppi di d. Ora due di questi punti non possono giacere in uno stesso piano
con la retta 7, perchè in tal caso questo piano si staccherebbe dai coni in discorso, dun-
3v--4-4y
querdeviessere ve 3 _2y=@ —=—, relazione assurda per v>2. Tutto ciò è conse-
di ’
guenza del fatto che il piano passante per la retta 7 e per un punto doppio, assorbe de
dei 3vr—4 piani passanti per 7 e contenenti coppie di rette di d (°9).
Concludiamo che se ® è un S, - cono, e se f è una curva posta in un piano x pas-
sante per S,, non esiste altro complesso (d’ordine dze e di 2 specie) oltre quello stu-
diato in principio del n° 8.
39. Sia f una cubica dotata di punto doppio, e indichiamo con x il suo piano. Sic-
come in ogni spazio passante per © le rette del complesso I" devono costituire una con-
gruenza d'ordine de, così ® sarà un’ ipersuperficie tale che ogni spazio passante per 7,
la sechi ulteriormente in una superficie cubica passante per f e dotata di quattro punti
doppi. Viceversa è chiaro che data una siffatta ipersuperficie ®, rimane individuato un
complesso d’ ordine dee I°, tale che ogni sua retta si appoggia ad f e tocca (fuori di
questa) D. Infatti è noto (5!) che le tangenti d’ una superficie cubica dotata di quattro
punti doppi, le quali si appoggino alla curva sezione della superficie con un suo piano
tangente, senza toccare la superficie in tale curva, formano due congruenze una (sola)
delle quali è d'ordine de. Dunque in ogni spazio passante per x, si avrà una (sola) con-
gruenza d’ ordine due formata da tangenti di ® incidenti f; al variare del detto spazio
questa congruenza genera il complesso T.
Es: Sia ® l’ipersuperficie cubica formata dalle corde di una quartica razionale nor-
male, ed f sia la sezione di ® fatta da un suo piano tangente generico.
40. Sia I un complesso irriducibile d’ ordine de, generato da corde di una superficie
(irriducibile) g tangenti un S,-cono quadrico ®.
In ciascuno degli co! spazi tangenti di ®, le rette del complesso I formeranno una
congruenza d'ordine 24720, e precisamente :
a) 0 esse sono corde di una cubica gobba di g,
(4) 1 due coni dovrebbero essere dello stesso ordine, perchè / è irriducibile.
(99) Si noti che in un piano siffatto può esistere un altro punto doppio, senza che diminuisca ulterior-
mente il numero dei piani detti nel testo.
(9!) MONTESANO, Su due congruenze ...... 3 l. c. in (5).
22 Giuseppe Marletta |Memoria I.]
l
b) ovvero si appoggeranno ad una retta e ad una curva, ambedue di @, aventi p — Z
punti comuni, se |. è l'ordine di questa curva medesima. Viceversa è chiaro che se pg e ® go-
dono delle proprietà ora dette, si ottengono complessi d’ ordine dze (e di 22 specie) gene-
rati 7707 da futte le corde di 9 tangenti ulteriormente P. Osserviamo ancora che nell’ ipo-
tesi d, soltanto per p. = / la superficie @ è una rigata avente la retta S, per direttrice.
Per costruire una superficie g che goda delle proprietà sopradette nell'ipotesi a, basta
stabilire una corrispondenza biunivoca fra gli spazi tangenti di ®, e i coni di un sistema
(razionale) co! di coni cubici immersi, generalmente, nell’ S, ambiente. Uno spazio tangente
e il cono corrispondente si secano in una cubica gobba, il cui luogo è la superficie @ ri-
chiesta. Le corde di tutte le co! cubiche gobbe siffatte, è un complesso I° d’ ordine due.
Per costruire una superficie 9 siffatta nell'ipotesi d con p == /, si assegni un sistema
col iperellittico di piani, tali che due piani coniugati generici siano sghembi. Poi si stabi-
lisca una corrispondenza biunivoca fra le coppie di piani coniugati e gli spazi tangenti
dell’ S,-cono quadrico ®. Ciascuno di questi spazi seca i due piani corrispondenti in due
rette sghembe, il cui luogo, al variare del detto spazio, è la richiesta rigata iperellittica @.
Le rette che si appoggiano simultaneamente a due generatrici coniugate di @, generano
un complesso d’ ordine due I.
Esaminiamo infine l’ ipotesi d per p. > /. Cominciamo ad osservare che in uno spazio
tangente Y di ®, oltre della generatrice di g e della curva d'ordine p. (della stessa g) sin-
golare per la congruenza TY, non esiste alcun’ altra curva della superficie 9, perchè questa
è irriducibile. Ne segue che indicando con 77 l'ordine di @
62:
generatrice (772 — — /)-pla, e inoltre sarà dotata di una curva doppia incontrata in | — 2
questa avrà la retta S, come
punti da ogni generatrice della @ medesima.
Es: Si ponga 22 =4 e n= 2, e precisamente sia 4 una rigata razionale d'ordine
quattro, priva di direttrice rettilinea e avente la retta S, per generatrice; ® è I’ S,-cono
quadrico inviluppato dagli spazi che con S, individuano le singole generatrici di .
Es: Sia n=6 e w=4, e precisamente sia g una rigata (razionale) d’ ordine Sez,
dotata di una quartica razionale normale come doppia; la retta S, è una generatrice di @;
® è l'S, cono quadrico inviluppato dagli spazi che con S, individuano le singole gene-
ratrici di %.
Si noti che i due complessi trovati in questo n°, insieme con quelli del n° 23, costi-
tuiscono /x7#7 i complessi d'ordine dze e di 2* specie, nell’ ipotesi e che |’ ipersuperficie
focale ® sia un S,-cono quadrico.
4l. Sia I un complesso irriducibile d'ordine die generato da rette incidenti un piano
9,, una superficie (irriducibile) @,, e tangenti un’ipersuperficie ®.
Per quanto è noto circa le congruenze d'ordine de, avremo, oltre dei complessi esa-
minati nel n° 25; il seguente complesso:
® è d'ordine /, {- 8 con %, #,-plo, ed è dotata di una curva doppia d’un certo ordine
d con d --4 punti in %9,. Infine 9g, è una superficie semplice per ®, ed è ulteriormente
secata in una cubica con punto doppio, da ogni spazio passante per %,.
Infatti (9) le tangenti alla superficie cubica intersezione variabile di ® con uno spazio
passante per %,, incidenti la cubica ora detta, formano due congruenze una sola delle quali
è d'ordine dze. Questa, al variare del detto spazio, genera un complesso d’ ordine due.
(9?) MONTESANO, I. c. in (5).
Iticerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2" specie dell’ S, DI
Es: Sia t,=0, d= 4, m,= 3; cioè sia ® l’ipersuperficie cubica delle corde di una
quartica razionale normale, e 9, la rigata gobba ottenuta secando ® con lo spazio ad essa
tangente lungo (°3) una corda di questa quartica.
42. Sia ® un S,-cono quadrico. Per avere 22/77 i possibili complessi d’ ordine due,
in questa ipotesi, basta aggiungere il seguente complesso a quello dato nel n° 35.
Uno generico Y degli spazi tangenti di ®, sechi @, in una curva (variabile) della quale
faccia parte una retta g, perfettamente individuata, e @, in una curva (variabile) della quale
faccia parte una curva g,, perfettarnente individuata, d’un certo ordine p. con p. — Z punti
sulla g,. Le rette incidenti simultaneamente g, e g,, generano al variare di Y un com-
plesso T' d'ordine due.
Per costruire le superficie 4, e @,, soddisfacenti alle condizioni ora dette, si può pro-
cedere come segue.
Si assegni un sistema CA razionale co! di piani, e un sistema 0", razionale e 001, di
coni (a due dimensioni) d’un certo ordine {., in corrispondenza biunivoca coi piani di %,
e tali, inoltre, che ogni cono di 9” abbia p. — / generatrici nel piano corrispondente di q'.
Si stabilisca, infine, una corrispondenza biunivoca fra gli spazi tangenti di ® e gli oc!
enti ciascuno costituito da un piano dì g' e dal cono omologo di p. Le rette comuni agli
spazi tangenti di ® e ai corrispondenti piani di 9°, generano una rigata @,; le curve co-
muni agli spazi tangenti di P e ai corrispondenti coni di @”, generano una superficie %,,. È
chiaro che le superticie g, e @, soddisfano alle condizioni richieste.
Bsrpe=&
. Es: p=2; g' si ottenga proiettando da un punto generico O le generatrici di una
rigata cubica normale, e 4" proiettando da O le coniche di un fascio giacente su questa.
Dore =-s8 Q si ottenga proiettando da O le generatrici di una schiera rigata, e
proiettando da O le cubiche di un fascio giacente su questa, tutte bisecate dalle genera-
trici della schiera medesima.
Es: Siano 9, e 9, due rigate quadriche tali che ogni spazio tangente di ® le sechi
in due generatrici sghembe. Due siffatte superficie si possono ottenere, fra i vari modi,
anche stabilendo una (generica) corrispondenza biunivoca fra le generatrici di due rigate
quadriche non cospaziali, aventi una conica comune. Gli co! spazi ciascuno individuato
da due generatrici omologhe, inviluppano un S,-cono quadrico ® (?*).
$ 2.
43. Supponiamo ora che i due fochi singolari di una retta generica del complesso T,
coincidano in uno stesso punto, e consideriamo l’ ipotesi che questo foco (singolare) dop-
pio, generi una superficie (irriducibile) 9 d’ ordine 772.
. Sia m=1, cioè sia @ un piano. Allora in ogni spazio passante per @, le rette del
complesso I° formeranno una congruenza d'ordine de, tale che di ogni raggio uno dei
due fochi appartenga a g. Avremo dunque i complessi seguenti:
a) Ogni spazio passante per 4 seca ulteriormente ® in una superficie d’ un certo or-
dine = 2, e individua in 9 una retta (f — 2)-pla per questa superficie. Le co! rette sif-
(53) SEGRE, l. c. in (4), n° 43.
(94) Si ritrova così il complesso di cui si fa cenno nel n° 32 del mio lavoro citato in (!).
24 Giuseppe Marletta |MeMORIA I.]
fatte, che generano un inviluppo (razionale) {, sono dunque in corrispondenza (7, Z) con gli
spazi passanti per g. Le tangenti di ® tali che ciascuna g di esse incontri g nella retta
di x omologa dello spazio g 9, generano il complesso P. }
Es: =2; basta assegnare 7.
Es: = 38 v=4, sia cioè ® un’ipersuperficie d'ordine v= 4, con un piano ® triplo,
! piani di IT (cospaziali con %).
e @ sia uno degli oc
b) ® è un Se-cono d'ordine v con @ (v— 2)-plo; in g esiste un inviluppo (razionale)
di curve d'un certo ordine ., tutte ‘aventi il vertice So di ® come (È — Z)-plo, e in
corrispondenza (/, /) con gli spazi passanti per 9. Le tangenti di ® tali che ciascuna £ di
esse incontri g nella curva di { omologa dello spazio gg, generano il complesso T.
c) ® è un S.-cono d'ordine v con 9 (v — 2)-plo; per ogni spazio £ passante per g,
rimane individuata una curva g, di questo piano, di un certo ordine |. con S, come
(L — 2)-plo, e coi punti in corrispondenza biunivoca e prospettiva coi piani tangenti del
cono quadrico x, ulteriore intersezione di ® con X. Le tangenti di a incidenti g nei punti
omologhi dei piani tangenti di x nei quali esse tangenti giacciono, costituiscono una con-
gruenza d’ordine due la quale a! variare di X genera il complesso T.
Per costruire un Sp-cono che soddisfi alle sopradette condizioni, si può procedere come
segue.
Si fissi in @ un inviluppo razionale di rette y, e in queste tre rette g,, g,, £,- Poscia
si fissino in ® tre coni 0
1» 92, 93 tali che ciascuno di essi sia ulteriormente secato in una
sola retta, da ogni spazio passante per © (°°). Ed ora sia X un siffatto spazio. generico;
indicando con x il cono quadrico di ® posto in 2, rimane stabilita una corrispondenza
biunivoca fra le gencratrici di x e le rette di {, in modo che di g,, £,, £3 Siano rispettiva-
mente omologhe le tre rette che i coni 9, , 0,, 0, hanno in Y (e precisamente in x) fuori
di g. Ne segue un’ altra corrispondenza biunivoca fra i piani tangenti di a e le rette di y.
Il luogo del punto comune a due omologhi di questi enti, è una curva d’un certo ordine
n con So come (1— 2)-plo (°°), e coi punti in corrispondenza biunivoca e prospettiva coi
piani tangenti di x, precisamente come si voleva.
d) ® è ulteriormente secata da ogni spazio genericamente condotto per g, in una ri-
gata cubica x avente una conica variabile in @. Le tangenti di x incidenti questa conica,
costituiscono una congruenza d'ordine dze, la quale al variare di £ genera il complesso I.
Es: Sia ® un’ipersuperficie d’ ordine v==4, avente un piano $ doppio, semplice un
piano @ sghembo con %, e una retta doppia posta in 9 e passante per il punto gy.
e) ® è ulteriormente secata da uno spazio X genericamente condotto per @, in una
superficie cubica x dotata di quattro punti doppi, tangente g, e con la cubica xq variabile
al variare di X. Le tangenti di x incidenti questa cubica, formano (°°) due congruenze una
sola delle quali è d'ordine dze; questa, al variare di £, genera il complesso T.
Per costruire una siffatta ipersuperficie ®, si può procedere, p. es., nel seguente modo.
(°°) Ciò è possibile; infatti data una superficie dell’ S; d’ ordine © con retta (t — 2)-pla, esistono curve
di essa tali che ciascuna è ulteriormente” secata in un sol punto variabile, dai piani passanti per la detta
retta singolare. Vedi NOETHER, Veber Flichen welche Schaaren rationaler Curven besitzen [Mathematiche
Annalen, Band III].
(95) Infatti per una retta 7 di 0 passante per So, passano due piani tangenti di 4; e le due rette di n
omologhe di questi piani tangenti, incontrano questi medesimi in 7.
(9?) MONTESANO, 1. c. in (?!), n° 3.
yu
Ivicerche sui complessi di rette d' ordine due e della 2° specie dell’ S,
bo
(O)
©,
Si fissi un sistema co' razionale di ipersuperficie cubiche, ciascuna dotata di quartica,
doppia e tangenti il piano g (°*). Indi si stabilisca una corrispondenza (/,/) fra queste
ipersuperficie e gli spazi passanti per %; il luogo della superficie comune a due elementi
omologhi, è l’ ipersuperficie ® richiesta.
44. Sia ora ® un S,-cono, evidentemente quadrico. In ognuno degli spazi tangenti
di ® esiste una congruenza d’ ordine 21720, tale che ogni suo raggio ha i due fochi coin-
cidenti in uno stesso punto di una retta della superficie @; onde in ogni spazio tangente
® esiste una retta di @ perfettamente individuata.
Intanto è una siffatta superficie ogni rigata d’ un certo ordine 772 dotata della retta S,
come direttrice (772 — /)-pla. Ma più in generale, qualunque superficie @ siffatta si può co-
struire stabilendo una corrispondenza biunivoca fra gli spazi tangenti di ® e i piani di un
sistema col (razionale) di piani, tutti passanti per uno stesso punto V, con la condizione
che i due spazi tangenti di ® passanti per V, contengano rispettivamente i piani omologhi
a questi spazi medesimi. La retta comune ad uno spazio e a un piano corrispondenti,
genera (°°) una rigata @ con le generatrici in corrispondenza biunivoca e prospettiva con
gli spazi tangenti di ®.
Ciò posto per costruire il complesso I° si può procedere come segue.
Si fissi un piano x incidente S, in un punto A, e in x un fascio p di curve d'un
certo ordine t con A come (t— /)-plo. Inottre si fissi in @ un inviluppo razionale { d’ in-
dice /, di curva unisecanti le generatrici di g, e infine si stabilisca una corrispondenza
(4,2) fra le curve di { e quelle del fascio p. Ed ora sia Y uno qualunque degli spazi tan-.
genti ®; esso seca ulteriormente 9 in una curva della quale fa parte una generatrice £
(perfettamente individuata). Per un punto generico / di g passano 7 curve di {, alle quali
corrispondono 77 curve di p, e ciascuna di queste seca (oltre che in 4) in un sol punto
la retta Zx; si ottengono così // punti di questa retta Xx, i quali proiettati da g dànno 77
piani che assumeremo come corrispondenti del punto /. Viceversa dato uno di questi piani,
esso seca la retta Xx. in un punto, per cui passa una (sola) curva del fascio p; a questa
curva corrisponde una (sola) curva di {, la quale seca g soltanto nel punto /. Ne segue
che fra i punti di g e i piani (in Y) di g medesima, esiste una corrispondenza (/, //), e
le rette che appartengono simultaneamente ad un punto e a un piano corrispondenti, ge-
nerano una congruenza d'ordine 270. Al variare di XY questa congruenza genera un com-
plesso I° d'ordine due, una retta generica del quale è tangente ®, ed ha i rimanenti due
fochi, coincidenti nel punto (unico) in cui essa si appoggia alla rigata g.
È chiaro che il complesso esaminato in questo n°, quelli dei n' 10, 23, 35, 37, 40,
Costituiscono #77 i complessi d'ordine dze e di 2° specie, nell'ipotesi che l’ipersuperficie
focale ® sia un S,-cono (necessariamente quadrico).
CAP. III
45. S= diciamo che un complesso (irriducibile) d'ordine è > / e di 2a specie, appar-
tiene al 7ipo I°, II°, III°, secondo che le sue rette si appoggiano tutte ad una curva
(singolare), ovvero son corde di una superficie (irriducibile), o infine incontrano due su-
(98) Per semplicità il punto di contatto potrebbe essere fisso.
(5°) A prescindere da due piani. A
26
Giuseppe Marletta
[MemorIA I.|
perficie (irriducibili), tutti i complessi trovati in questo lavoro sono i seguenti :
80
9°
10°
Lele
Al Tîpo I° appartengono i seguenti soztozzpî :
Il
complesso dato in fine del n° 3.
”
”
n nel n° 5 a.
P , TARDE
= MG.
; È SONE
A n° 6a.
N) " SIINO)
; MIDO
9°
10°
lo
12°
130
14°
Il 5 (0)
Il complesso dato
” ” »”
” »” ”
” b) dI
”» ” ”
Al Tipo II° appartengono i seguenti soztozzipi :
Il
complesso dato in fine del n° 15.
, nel n° 19
» ”»
» ”»
”»
A.
b.
MO s298a:
50
6°
nel
»
Il complesso dato nel n° 23 d.
in fine del n° 24.
nel n° 40 a.
’ ” )
» » »
29 ” ”
Al Zipo IIT° appartengono i seguenti sozfotzpî :
Il
complesso dato nel n° 25 a.
Catanza,
» ”
» ”»
’ n
» ”
» ”
«s in fine del
NAS?
» nel
”» »
” bb]
” ”»
ottobre 1912.
n° 33
”
Ca
d.
(A
ti
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a.
db.
db.
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SÙ
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130
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15°
16°
IZ
180
190
20°
20°
Il complesso dato
9” ” ”»
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”» ” ”
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”» ” »
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» » ”»
” 99 ”
” ” ”
nd.
MRI.
Memoria II.
Istituto di clinica delle malattie nervose e mentali e di autropologia criminale
della R. Università di Catania, diretto dal Prof. D’ Abundo.
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni
della guerra Italo-Turca, ‘’
Nota Clinica del Prof. G, D'ABUNDO
Le convulsioni telluriche, le rivoluzioni, le guerre esplicano un'azione importantissima
sul sistema nervoso delle masse collettive colpite, verificandosi in un determinato numero
di casi lo sviluppo di turbe neuro-psichiche, le quali in questi ultimi tempi hanno di pro-
posito attirato 1 attenzione dei neuropatologi (2).
Sui perturbamenti che possono verificarsi nel sistema nervoso dei militari in guerra
ben poca cosa esiste nella letteratura medica; infatti appena un inizio di tali ricerche co-
minciò ad aversi limitatamente nella guerra Ispano-Americana ed in quella del Transwaal;
e solo in quella Russo-Giapponese si ebbe l'affermazione di tali indagini, essendosi al ri-
guardo istituita per la prima volta una speciale sezione, per cui interessanti studi vennero
pubblicati da Osere/skowskzj, G. Schounkoff, Schatkevitch, Lubarskij, S. Soukhnoff,
S. Wladvczsko, Kreyndel, Avtokatoff, Adam Cvgrelstreich. Naturalmente si comprende
come difficoltà non lievi si frappongono in tali circostanze, dappoichè per il grande numero
di ammalati e feriti, e per il tumultuoso svolgimento delle vicende della guerra non è age-
vole compilare storie cliniche accurate, per cui parecchi autori sono costretti a studiare in
tempi diversi ed in fasi differenti i militari ammalati.
Nel conflitto Italo-Turco tutti gli ospedali della Sicilia e del mezzogiorno, come più
prossimi al teatro della guerra, hanno accolto con slancio fraterno ed entusiasmo i nostri
prodi soldati ammalati o feriti. E Catania col suo elevato patriottismo ha naturalmente
contribuito ad ospitarne molti nei suoi eccellenti ospedali, in uno dei quali, cioè nell’ O-
spizio Municipale ed Ospedale Garibaldi dove risiede la mia Clinica, vennero ricoverati
quasi tutti i militari che presentavano disturbi nella sfera mentale e nervosa.
Le indagini da istituire doveano cercare di affermare :
1. Se gli stati di commozione derivanti dalla guerra erano capaci di determinare delle
neuro-psicopatie nei combattenti.
2. Nel caso affermativo: se esse dovessero considerarsi come neuro-psicosi aventi par-
ticolari caratteri clinici.
(1) Comunicazione fatta all'Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania (15 Giugno 1912).
(2) Già nel disastro di Messina del 1908 io pubblicai una nota clinica, accolta con molto interesse nel
campo scientifico, dove dette luogo ad importanti considerazioni di ordine clinico e psicologico. (Rivista Z/a-
liana di Neuropatologia, Psichiatria ed Elettroterapia, Catania 1909).
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. II. 1
DO
G. D' Abundo [MemorIA II.]
Il numero di militari ricoverati e studiati nella mia clinica finora fu di oltre 50; però
io ho tenuto conto solamente di 50 casi in cui vi erano notizie sufficienti, tralasciandone
parecchi di poco interesse, nei quali mancava l’ anamnesi, ovvero non fu possibile rico-
struirla con esattezza. Fra questi ultimi vi erano 2 venuti colla diagnosi d’isterismo, e nei
quali nulla ebbi a rilevare di morboso, tanto da sospettare un pochino la simulazione. E
tengo a dichiarare, che ho proceduto col massimo rigore scientifico in tutt'i casi da me
studiati, onde essere sicuro di eliminare qualunque dubbio di simulazione.
È necessario prima dell'esposizione clinica di premettere alcune speciali considera-
zioni, poiche la influenza d'una commozione sul sistema nervoso è diversa per intensità
secondo che l’ azione di essa si esplica in maniera brusca o lentamente; inoltre sono da
tenersi in grandissimo conto: lo stato dell’ animo e le condizioni fisiche dei soggetti.
Prima di tutto in quali condizioni intellettuali partivano i nostri soldati per la Libia?
Qui vanno presi in considerazione 2 fattori: uno rappresentato da quello sentimentale na-
zionale, 1 altro da quello organico-sentimentale individuale.
Il sentimento nazionale Italiano nell'impresa di Libia possiamo dire che fu unico e
compatto ; l'occupazione era giudicata indispensabile all’avvenire della nostra nazione;
quindi la guerra era popolare.
I nostri soldati nell’ imbarcarsi erano accompagnati dall’ entusiasmo generale e co-
perti di fiori.
È assolutamente da trascurare l’ esiguo numero dei dissidenti, che in tale occasione
tentò di vaticinare la rovina d’Italia nell'impresa di Libia; qualcuno si fece anche pala-
dino della coscienza proletaria, organizzando dimostrazioni di protesta proprio quando i no-
stri soldati, rievocando le pagine gloriose dell’ antica Roma, versavano il loro sangue per
la grandezza e per l’ avvenire della patria.
E sorprende in verità che i pochi dissidenti non valutavano adeguatamente l’ odierno
orientamento psico-sociologico delle nazioni, le quali innanzi al fattore economico divenuto
strapotente, ed all’ evoluzione accelerata ascendente delle masse popolari, cercano di al-
largare i confini territoriali della propria influenza, creando nuove correnti per le quali
avviare la pletora umana derivante dall’ aumento progressivo di popolazione. Non mi oc-
cupo qui dei fattori politici i quali rappresentano motivi convergenti alle tendenze espan-
sive coloniali.
L'impresa di Libia quindi costituiva una necessità storica della nostra evoluzione
psico-sociale; essa fin dal primo inizio ha dimostrato al mondo intero, che l’Italia avea
già trionfalmente superato i suoi esami di maturità, e poteva quindi dignitosamente affer-
marsi nel concerto Europeo. Senza alcun dubbio la nostra Nazione oggidi è salita in alta
considerazione, dappoichè i nostri soldati ebbero a lottare contro un nemico audace, te-
merario, predone per istinto, fanatico per religione, originale per strategia; in un terreno
difficile per condizioni etnografiche e climatiche, e dove gl’indigeni per colorito della
pelle e per sudiceria d’indumenti assumevano un vero mimetismo col colorito delle dune.
Quindi la prova fu aspra; ma il premio fu l’ alta stima in cui è venuta la nostra
Nazione, la quale oramai non sarà solamente decantata per la sua bellezza, ma sarà
apprezzata per la sua forza. Non è per la bellezza ma per la forza che si è rispettati!
Sicchè nel partire per la Libia i nostri militari sapevano, che la nazione intraprendeva
una guerra per l’ avvenire d’Italia, e che una infinita fiducia la patria riponeva nei suoi
garibaldini di terra e di mare.
Turbe neuro psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 3
Questo fattore psicologico sentimentale nazionale dovea altamente influire dal. punto
di vista suggestivo sui nostri militari.
S’ intende bene che negli ufficiali, per la loro cultura, tale influenza era maggiormente
sentita; ma da essi si riverberava sulle masse combattenti. Del resto gii ufficiali dimo-
strarono di avere altamente compreso ciò che da essi aspettava la patria, dappoichè con
un’ abnegazione epica si esposero fin troppo noncuranti al piombo nemico ; la percentuale
dei morti e dei feriti ne è una prova manifesta.
Di queste considerazioni psicologiche è necessario tener conto clinicamente per di-
mostrare, che i soldati allontanandosi dalla patria erano seguiti dall’ eco dell’ esultanza
della nazione; sul campo di battaglia poi aveano | esempio - indimenticabile degli uffi-
ciali, per cui la depressione psichica e ia nostalgia venivano ad essere attenuate,
Le rappresentazioni teatrali comiche organizzate dai soldati, ed interrotte spesso dalle
insidie e dal fuoco nemico, per essere indi riprese colla massima disinvoltura, costituiscono
una prova manifesta dello stato d’ animo generale del corpo combattente. Per cui se vi
furono delle eccezioni, esse debbono psicologicamente ricercarsi nel. fattore indi-
viduale.
E riguardo al fattore individuale è necessario considerare prima di tutto quello orga-
nico, cppoi quello sentimentale.
Tutti i soldati mandati in Libia erano in buone condizioni di salute? Apparentemente
si, ma di fatto no, almeno nei miei casi.
Vi erano di coloro che aveano da poco sotferta la malaria ; vi erano individui conta-
giati di sifilide nei punti d'imbarco ; vi era perfino qualcuno uscito di recente di un’ o-
spedale.
Inoltre senz’ alcun dubbio vi erano soldati già epilettici, i quali erano stati trattenuti
a reggimento perchè il medico, non avendo potuto constatare de v/7s | accesso convul-
sivo, non avea formulato una diagnosi per tiinore della simulazione. Vi era perfino un
paranoico.
Inoltre, come sarà esposto nelle osservazioni da me riportate, nei soggetti che
presentarono turbe neuropsichiche si rilevava o una eredità o una evidente predisposizione
nevropatica.
In quali condizioni di ambiente si trovavano i nostri soldati in Libia ?
Prima di tutto vi era il clima colle alternative di caldo di giorno e di freddo nella
notte. E tali alternative vengono in generale molto risentite dai predisposti alle nevropatie.
Ad Ain-Zara la notte si avea 2 gradi sotto zero, e di giorno il sole dardeggiava
fortemente. Quelli non abituati al sole ne soffrivano moltissimo ; e vi erano parecchi as-
solutamente intolleranti alla cocente esposizione solare.
Di notte i soldati ravvolti nella coperta di lana dormivano sotto le tende sulla nuda
terra nei primi mesi. Ma il sonno era sempre turbato dagli all’ armi delle sentinelle, per-
chè il nemico non dava tregua.
Quindi dopo una giornata di lavori alle trincee, o di marce, o di combattimento non
si verificava un riposo che rinfrancasse l'organismo dalle enormi fatiche, alle quali del
resto molti non erano abituati. Un calzolaio lavora l’intera giornata seduto ed al coperto;
lo si adibisca a lavori materiali, al sole e alle intemperie, senza dormire per giunta, e
per parecchi mesi, e certamente il suo organismo ne risentirà se in lui esiste una predi-
sposizione neuropatica.
4 G. D' Abundo Memoria II.]
Dal punto di vista psicologico poi la lontananza della famiglia, sovente la mancanza
di notizie, le lettere improntate a gravi preoccupazioni da parte dei parenti, la trepida-
zione dei richiamati che aveano lasciata sola moglie con uno 0 più bambini e senza mezzi
di sussistenza, il timore di soccombere e lasciare la famiglia nella miseria, costituivano
delle condizioni particolari dell’ animo, che associate a quelle di sopra menzionate tende-
vano a diminuire la resistenza del sistema nervoso in quei soldati, in cui esisteva per
cause ereditarie o per malattie acquisite (sifilide, alcoolismo) una predisposizione nevro-
patica.
Comprendo che vi era l’ esempio suggestivo dei compagni spensierati e di buon
umore; però forse che la predisposizione nevropatica può essere facilmente vinta dalla
semplice suggestione? Questa potrà avere una influenza maggiore o minore a procrasti-
nare 0 ad attenuare. una manifestazione neuropatica ; ma innanzi al fattore della predi-
sposizione organica qualunque suggestione s’ infrange.
Ai disagi continui bisogna aggiungere il fatto della guardia delle trincee eseguita di
notte tempo. In generale per tale guardia erano adibiti 2 soldati ed in qualche punto im-
portante anche tre. Certamente la condizione psicologica dei soldati nevrotici in tale oc-
casione presenta le condizioni più favorevoli per la manifestazione di particolari fenomeni
nervosi. Infatti potetti affermare }a facilità colla quale in detti soldati di guardia si veri-
ficavano illusioni ed allucinazioni visive. Ogni pietra, ogni pianta, ogni rilievo di duna
assumeva le forme plastiche d'un arabo. L'idea intensiva di scrutare il nemico, per evi-
tare ogni sorpresa, determinava sovente una vera percezione subbiettiva che si esplicava
con un' allucinazione visiva.
Contribuiva a facilitare l’ allucinazione il fatto, che i soldati aveano già notato, come
il colorito dei barracani degli arabi si confondeva con quello delle dune ; inoltre essi già
conoscevano la straordinaria mobilità.dei nemici.
E l'allucinazione alle volte rimaneva isolata ed era corretta subito dall'altro soldato
di guardia; altre volte al contrario si propagava; e dato l’ all’ armi si verificava che l’al-
lucinazione assumeva proporzioni gigantesche, determinandosi in maniera collettiva. Infatti,
come riferirò in seguito, un graduato mi affermò, che una volta dato l’ allarmi furono
sparati 700 colpi di fucile, perchè tutt’ i soldati della compagnia asserivano di vedere gli
arabi, e solamente l'intervento d’un capitano fece cessare il fuoco coll’affermazione recisa
che il nemico non esisteva.
Tali fatti in generale si verificavano sull’imbrunire e di notte.
Queste molteplici circostanze debbono essere adeguatamente valutate per dimostrare
in quale ambiente di commozioni continue e di disagi dovea vivere il soldato, che portava
in se il germe della predisposizione neuro-psicopatica.
Per cui i rapidi allarmi e le commozioni intense dei combattimenti se da una parte
esplicavano la loro azione in maniera brusca e violenta sul sistema nervoso dei soldati
predisposti, dall’ altra parte trovavano un organismo già in condizioni fisiche e psichiche
indebolito. Il contrario cioè di quello che avviene nei disastri ferroviari o nei terremoti, ecc.,
dove l'elemento commozione agisce in maniera brusca su soggetti predisposti ereditaria-
mente a neuro-psicopatie, ma non resi fiacchi da emozioni e disagi precedenti e continuati.
Premesse queste considerazioni vediamo quali forme cliniche neuro-psicopatiche capi-
tarono alla mia osservazione.
Sopra 50 militari 15 erano affetti da epilessia, di cui però 7 aveano già presentato
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 5
convulsioni prima di andare in Libia sia a casa, sia durante il servizio militare. Però du-
rante quest’ ultimo si trattava sempre di qualche accesso isolato, ed in soggetti che com-
portandosi da buoni soldati non aveano attirato l’attenzione dei sanitari dal punto di vista
del carattere.
Io credo utile riportare schematicamente 3 casi di questi soggetti già epilettici.
Oss. 1% — C. Gennaro, della classe del 1888, artigliere; fece la 4% elementare. La madre soffre di con-
vulsioni epilettiche.
Egli rammenta avere avuto 2 volte convulsioni, una prima del servizio militare, ed ‘un’ altra durante il
detto servizio, con perdita di coscienza.
Andò a Bengasi nel Novembre ro9rI. Prese parte a parecchi combattimenti, ed il 22 Novembre rorr ed il
25 Dicembre il cannone al cui servizio era adibito sparò ben 125 colpi di Schrapnels.
Il sole lo disturbava moltissimo; e fu precisamente dopo 2 giornate passate al sole senz’ aver dormito
per 3 notti consecutive, che svegliato di soprassalto dalla solita fucileria nemica il 28 Gennaio presentò un
accesso convulsivo con perdita di coscienza, amnesia e cefalea consecutiva ; perciò fu condotto all’ Ospedale,
dove gli accessi si ripetettero e vennero constatati direttamente dall’ Ufficiale medico.
In clinica fu condotto il 15° Febbraio 1912; non si verificarono convulsioni, per cui venne ben presto
mandato in licenza.
Questo soggetto era già epilettico, per cui gli accessi si ripetettero per le commozioni
dei combattimenti, ma furono preceduti dai disagi determinati dall’insonnia e dal sole.
Oss. 1l® — S. Virgilio, classe 1888. Andò ad Homs alla fine di Dicembre. Secondo dichiara il capitano me-
dico il S. durante il viaggio in ferrovia all’ atto della mobilitazione, e più tardi durante la traversata a bordo
del piroscafo America, fu colto da moti convulsivî, di cui però nessuna notizia venne data al personale di
Sanità. E sembra anche che tali convulsioni si determinassero dopo patemi d’ animo. Prese parte al combatti-
mento di Mergheb ; contemporaneamente ebbe delle contrarietà di servizio per cui venne preso da un accesso
convulsivo seguito da intensa agitazione ; infatti afferrato il fucile scavalcò le trincee della ridotta oltrepas-
sando il reticolato. Preso dai compagni, dopo 3 ore di agitazione così violenta che a stento 8 soldati riusci-
rono a trattenerlo, si addormentò profondamente, e la mattina di nulla si rammentava.
Rimpatriato venne in Clinica il 5 Aprile 1912, dove non presentò mai alcun accesso convulsivo.
Il S. è falegname; fece la 3* elementare.
Presentava asimmetria facciale, strabismo, antelici sviluppate, udito deficiente. Fra denutrito, però si ri-
fece rapidamente. Essendo in condizioni psicofisiche soddisfacenti venne presto mandato in licenza a casa.
In questo caso il primo accesso epilettico si manifestò proprio durante il viaggio per
andare ad Homs. Potrebbe invocarsi come causa semplicemente occasionale il patema
d'animo dell’ allontanamento dalla famiglia, per cui venne messa in evidenza l’ attitudine
convulsiva dimostrata dalle note antropologiche degne di rilievo.
L'accesso epilettico con psicosi ebbe certamente a determinarsi per le intense emo-
zioni, per la forte denutrizione ed anche per le contrarietà incontrate in servizio.
Riporto il seguente caso in cui il soggetto pure essendo epilettico, presentò un aggra-
vamento in seguito ad un forte spavento.
Oss. III° — A. Enrico, classe 1888. Volontario nella Croce Rossa. Bevitore di vino, di cui non potea
sopportare grande quantità.
Prima di recarsi a Tripoli avea avuto degli accessi convulsivi epilettici solamente dopo avere bevuto troppo;
però gli era stato affermato che non si erano mai manifestati consecutivamente disturbi intellettuali. Andò a
Tripoli il 15 Dicembre ro9rr.
Il ro Febbraio 1912 sull’ imbrunire, mentre si recava all’ Ospedale, venne aggredito da alcuni arabi na-
scosti dietro delle palme. Egli trovandosi disarmato dovette fuggire. Rimase impressionato di molto sia per il
fatto in sè stesso, sia perchè era stato costretto a fuggire; e per questa ragione non parlò ad alcuno dell’ av-
venimento. Però credette utile affogare nel vino lo spavento subito, senza ingerire però una quantità di vino
troppo esagerata.
6 G. D' Abundo [Memoria II].
In seguito alla libazione fu preso da un accesso epilettico, preceduto da grido, e della durata di 3 mi-
nuti seguito da delirio ed impulsi per cui fu legato. L’ agitazione durò due ore, e dopo subentrò la depressione
ed il sonno.
L’ accesso venne presenziato da altri soldati della Croce Rossa e dallo stesso sottotenente (ambulanza 4%
di Bologna), che chiamato d’ urgenza trovò 1’ A. in istato d’ agitazione.
Condotto in Clinica |’ A. era in condizloni perfettamente normali. Dal punto di vista antropologico si no-
tava in lui: lieve asimmetria facciale ed orecchie tendenti ad ansa. Esagerati erano i riflessi cutanei vasali.
Egli ch’ era andato a Tripoli come volontario era molto dispiaciuto di essere stato rimpatriato.
Venne naturalmente mandato presto in licenza.
L'A. era uno di quei soggetti con altitudine convulsiva latente, nel quale |’ inge-
stione di vino, in maggiore quantità del solito, determinava lo sviluppo d'una epilessia
tossica alcoolica. È a pensare che nel caso in ispecie lo spavento provato abbia influito
ad esagerare l’azione dell’ alcool, dando una manifestazione di disturbi psichici associati a
quelli convulsivi. (1) ;
In 8 soldati però l’ accesso convulsivo ebbe a presentarsi certamente in seguito ad
intensa emozione.
Ne riporto semplicemente 2 casi per brevità.
Oss. IV8-V. Carmelo, della classe del 1888. Andò colla 1* spedizione a Tobriick.
Eredità neuropatica: madre soffre di convulsioni. Padre morto con sintomi paralitiformi.
Prese parte a più d’ un combattimento, in uno dei quali sparò 180 colpi.
Il 22 Gennaio era di guardia come vedetta fuori il reticolato, quando essendosi avanzati i beduini egli e
due altri compagni ebbero 1’ ordine di rientrare nelle trincee. Però nel ritornare rimase per caso impigliato nel
reticolato, dal quale non riusciva a disimpegnarsi da solo. In questo mentre i beduini iniziarono un fuoco ben
nutrito. Il V. fu preso da grande orgasmo, perchè impigliato com’era non potea nemmeno far fuoco. Liberatosi
poi presto rientrò nelle trincee, però profondamente turbato, tanto che non mangiò nè dormì.
Il giorno dopo venne preso da accessi convulsivi chiaramente epilettici, che continuarono giornalmente
sino al 3 Febbraio rot2. Il 14 Febbraio (rot2) fu rimpatriato e venne ammesso in clinica, dove ebbe fino al
24 dello stesso mese 2 accessi convulsivi con perdita di coscienza, perdita delle urine ed amnesia consecutiva,
in modo da risuitarne chiara la diagnosi di epilessia.
Esistevano come note antropologiche : gli zigomi e la mandibola inferiore fortemente sviluppata.
Venne accettata la proposta di riforma dal servizio militare.
In questo caso esisteva una eredità nevropatica, e l'attitudine convulsiva venne messa
senza dubbio in evidenza dallo spavento.
Oss. V2-P. Ludovico, classe 1890. Andò a Derna il 2 Ottobre rorr. Uno zio epilettico. La madre soffre
frequentemente accessi di emicrania. Padre bevitore.
Prese parte alla ricognizione del 24 Novembre rimanendo leggermente ferito. Però |’ impressione provata
fu straordinaria, tanto da presentarsi nel giorno seguente delle convulsioni, le quali vennero cònstatate di pre-
senza dal medico, e risultarono chiaramente di natura epilettica; perciò fu portato nell’ Ospedale da campo,
d’ onde venne trasferito nella mia clinica il 5 Aprile 1912, dove nei primi 10 giorni ebbe 3 convulsioni chia-
ramente epilettiche, ad una delle quali assistette il mio Ajuto D.r Scuderi.
Il P. presentava asimmetria facciale e mandibola molto sviluppata.
Venne mandato in licenza il 4 Maggio 19712 per essere poi riformato.
In questo caso risultò una eredità nevropatica patente; inoltre il padre era bevitore.
La lieve ferita e la grande commozione debbono invocarsi certamente come causa
occasionale.
(1) Ricordo quì le mie ricerche sperimentali. (A/7-0fie cerebrali sperimentali, Catania 1912) in cui produ-
cendo delle ablazioni corticali limitate superficiali nei cani neonati, e dopo alcuni mesi somministrando dell’ al-
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 7
Negli altri 6 casi gli accessi epilettici si presentarono sempre dopo forti emozioni, ed
in tutti esisteva una eredità neuro-psicopatica, ordinariamente avvalorata da note antropo-
logiche degne di rilievo.
Una seconda categoria di nevropatie, che si svilupparono in seguito a commozioni,
è rappresentata dalle nevrastenie, di cui riporto qualche osservazione puramente schematica.
Oss. 1*—B. Samuele, caporale, classe 1890 ; calzolaio. Ha una sorella isterica ; egli soffriva di tanto in
tanto di emicrania ; fece la 3% classe elementare.
Andò a Tripoli nella prima spedizione, ed il 23 Ottobre fu di rinforzo a Sciara-Sciat; prese parte alla
avanzata di Ain-Zara, però era profondamente disturbato dal sole cocente che gli produceva frequenti accessi
di emicrania.
Impressione dolorosa ed indimenticabile ebbe quando vide cadere nell’ avanzata di Ain-Zara amici carissi-
mi; impressione superata dalla funzione del saluto ai prodi caduti, e dal seppellimento di essi in terra così
lontana dalle famiglie !
Da questo momento in poi ad Ain-Zara cominciò a non dormire quasi mai; assalito da forte depressione,
avea inappetenza, difficoltà di digestione, vertigini, parestesie, sincopi, per cui dovettero ricoverarlo all’ Ospe-
dale, dove presentò sintomi di irrequietezza ed a tratti perfino di angoscia.
Fu rimpatriato e venne in Clinica il 15 febbraio 1912, in istato di notevole depressione e con tutti i sin-
tomi della nevrastenia acuta.
Il miglioramento fu al solito rapidissimo; ben presto le condizioni fisiche e quelle nevrotiche divennero
gradatamente soddisfacenti, tanto da essere mandato in licenza il ro Marzo.
In questo caso esisteva una eredità neuropatica, ed il B. stesso era un nevrotico per-
chè soffriva di emicrania. Il sole, i disagi ed infine in particolar imodo le emozioni intense
influirono all’ evoluzione della nevrastenia.
Quello ch'è degno di nota è la grande rapidità con cui migliorò e guarì.
Oss. 1I*B. Giuseppe, classe 1890, contadino, analfabeta. Fu a Bengasi.
Soffrì febbri di malaria ripetute prima di fare il soldato. A Bengasi si ripetettero le febbri.
Nelle trincee la notte avvertiva molto freddo. Avea sovente allucinazioni per cui vedeva arabi ecc.
Nell’ unico combattimento a cui prese parte il fragore del cannone lo impressionò moltissimo, tanto che si
svolse una accelerata sintomatologia nevrastenica cerebro-spinale, con cefalea, insonnia, perestesie molteplici,
rachialgia ecc., per cui venne rimpatriato, e ricoverato nella mia clinica, dove il 15 Febbraio fu notato ciò
che segue : condizioni fisiche generali molto malandate, cloro-anemia:; deficienza intellettuale originaria ; i
sintomi di nevrastenia cerebro-spinale di sopra accennati. Come dati antropologici : zigomi e mandibola infe-
riore molto sviluppati ; orecchie ad ansa.
In seguito ad una energica cura ricostituente ed all’ opportuna psicoterapia, facilitata dall’ idea di rive-
dere presto la sua famiglia, il B. migliorò rapidamente tanto da essere licenziato come guarito |’ 8 Marzo ror2.
In questo caso la deficienza intellettuale originaria dimostrava la marcata predisposi-
cool si determinavano degli accessi epilettlci, venendo cosî a riprodursi ciò che sovente si osserva in clinica.
Senza dubbio v’ ha una categoria d’ individui nei quali si verificano accessi epilettici esclusivamente quando
ingeriscono degli alcoolici, ovvero quando vanno soggetti ad acute e croniche intossicazioni intestinali.
Ed io conchiudeva così: « Ora a me sembrerebbe di essere autorizzato dalle mie indagini sperimentali ad
« emettere una ipotesi sulla patogenesi della epilessia (come ebbi già a dire non ha molto in una mia noti-
« cina preventiva), e per cui la condizione anormale anatomica potrebb’ essere costituita nella epilessia ap-
<« punto da microscopiche aree corticali sottratte alla evoluzione ed alla normale funzione da cause patologfche
« svariate, rimanendo dei piccoli punti 707 /urzionanti mascherati dall’ esuberante e rigoglioso accrescimento
« corticale, e che in complesso starebbero a rappresentare l'altitudine convulsiva organica, che cause morbose
« molteplici (e quelle tossiche in special modo) a guisa di lente d’ingrandimento metterebbero in evidenza.
E questa mia interpretazione patogenetica è stata già da parecchi accettata.
8 G. D' Abundo [Memoria II.]
zione costituzionale ; la malaria ripetute volte sofferta e ripetentesi a Bengasi rappresen-
tava una causa di esaurimento generale ; l’ impressione del fragore del cannone fece il resto.
Oss. III°" —S. Luigi, classe 1890, contadino; arrivò a fare la 3* elementare. Padre alcoolista. Andò a Derna
nel Novembre 19II.
Fra sovente di guardia alle trincee facendo sforzi notevoli di accomodazione per scrutare nella notte il
nemico, tanto più che non volea sbagliare come gli altri, a dare cioè |’ allarmi senza che il nemico realmente
fosse in vista, per cui erano rimproverati dagli ufficiali.
Il 10 Febbraio 1912 dopo aver preso parte per la prima volta ad una scaramuccia si accorse che collo
mbrunire non vedea che indistintamente, tanto da cascare per terra a qualunque intoppo; dopo 2 giorni l’emze-
ralopia all’ imbrunire era completa ; perciò lo ricoverarono all’ Ospedale, d’ onde fu rimpatriato il 31 Marzo
venendo in Clinica.
Pregai il Prof. Morgano di praticargli l’esame oftalmoscopico, che mise in evidenza uno stato di anemia reti
nica e non altro. Il S. la sera non vedea nulla ad eccezione della fiamma del lume come attraverso una nebbia.
Dopo 5 giorni |’ emeralopia cominciò a diminuire, ed il 20 Febbraio il S. era guarito. I sintomi nevraste-
nici, che come un’ aureola contornavano il sintoma predominante oculare, si dileguarono anche sollecitamente,
tanto che il 26 Febbraio 1912 lo licenziai come guarito.
Come dati somatici degni di nota in S. si rilevava la fronte bassa, asimmetria facciale ed il cranio pla-
giocefalo.
In questo caso oltre al fatto del padre alcoolista, vi erano le note antropologiche cra-
niensi le quali debbono avere un indiscutibile valore.
Gli energici sforzi di accomodazione è da ritenere che abbiano preparato il terreno, ed
il combattimento al quale prese parte fece il resto, risultandone l’ emeralopia coll’ aureola
nevrastenica.
Degli altri soldati in cui la nevrastenia si era manifestata in Libia in seguito a commozioni :
— il B. Pietro avea come eredità un fratello morto al Manicomio di Vicenza.
— il G. Felice, aveà già presentato all’ età di 18 anni una forma marcata di nevrastenia in seguito a
spavento, e come dati antropologici presentava : asimmetria facciale, forte sviluppo degli zigomi e della man-
dibola inferiore, tubercolo Darwiniano in ambo gli orecchi.
— il M. Saverio avea contratto la sifilide a Napoli nel partire per Tobriick il 4 Dicembre 1911; infatti
ebbe le manifestazioni (ulcera, roseola) nel Gennaio 1912, ed indi in seguito a commozioni per un combatti-
mento presentò disturbi nervosi nel distretto del 7° e del 5° di sinistra, fenomeni nevrastenici generali, ecc.
— il G. Egidio era un muratore alcoolista, figlio di alcoolista, che presentava asimmetria facciale, asim-
metria d'impianto di orecchie ch’ erano ad ansa, lieve strabismo. Dopo un combattimento avea presentato con
un crescendo notevole tutt’ i sintomi della nevrastenia.
E così altri tre soggetti, in cui la nevrastenia cerebrale si sviluppò sempre in seguito a commozioni di
combattimenti, ma che già erano esauriti dalle fatiche della vita delle trincee, e presentavano sempre le note
d’ un carattere nevropatico costituzionale.
Per cui tutti presentavano eredità neuropatica o aveano sofferto malattie importanti,
ed il fattore commozione avea quindi trovato il terreno ben predisposto.
lo ho tenuto conto degl’ individui in cui la nevrastenia già esisteva prima di recarsi
in Libia, e dove la nevropatia si accrebbe per cui vennero rimpatriati. Si trattava di 5
soggetti nei quali esistevano già le manifestazioni della zevrastenza gastrica a preferenza
e che si resero più evidenti colla vita laboriosa del campo.
I casi di psicosi manifestatisi in seguito alla commozione della guerra furono 18, di
cui ne riporto al solito alcuni esempi schematici.
Oss. 1*C. Domenico, classe 1888, contadino, analfabeta.
Genitori morti; una sorella fu alienata di mente. Egli fu sempre di carattere impressionabilissimo. Da un
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 9
anno ammogliato ha una bambina di qualche mese. Richiamato per il servizio militare partì preoccupato per-
chè lasciava priva di mezzi la moglie, la quale avea da tempo perduto i genitori e non avea parenti.
Andò dapprima a Tobriick ed indi a Derna. Dalle caratteristiche militari risulta ch’ era d’ indole buona
ed ottimo soldato. Facea. la guardia alle trincee di giorno come di notte, e gli riusciva sovente nell’ oscurità
di vedere delle ombre di arabi che non esistevano.
Egli fino al Gennaio 1912 era stato in buone condizioni psico-fisiche, quando verso il 23 di detto mese
il suo battaglione (40° Regg.to) avanzò per una ricognizione essendovi stato combattimento nel giorno prece-
dente. Ebbene egli rimase molto impressionato nel vedere qualche cadavere dei nostri soldati seviziato dal
nemico ; e fu più d’ ogni altro colpito nel vedere, che ad uno dei cadaveri era stato asportato un testicolo
ch’ era posato su d’ un ginocchio.
Da questo momento in poi ecco quello che venne in lui notato dal tenente medico :
« Dal 25 di Gennaio 1912 è stato notato dai suoi superiori in C. Domenico un lieve cambiamento del
« suo carattere; preferiva star solo, parlava poco o niente, mangiava poco, rifiutava la sua razione di vino,
« e faceva comprendere che non avrebbe mai più riveduta la propria famiglia. Risulta che scrisse alla propria
« moglie che lo ritenesse per morto. Il C. poi non disturbava alcuno, e continuava ad adempiere bene il pro-
« prio dovere. Egli d’altronde non si annunziò ammalato.
« La mattina del 29 Gennaio sedutosi al proprio posto sotto la tenda vi restava immobile fino al giorno
« successivo rifiutandosi di mangiare. »
La mattina del 30 visitato dal tenente medico, questi rilevò che :
« Il C. stava seduto sul suo materasso cogli occhi fissi nel vuoto, senza espressione ; pupille dilatate e
« rigide. Non rispondea, nè mostrava comprendere quello che gli si dicea; semplicemente accennandogli della
<« sua bambina qualche lagrima gli solcava il viso. L’ espressione del volto però rimaneva immobile. Volen-
« dogli tastare il polso reagiva impetuosamente. Era apirettico. La notte manifestò grave agitazione tanto da
« dovergli applicare il giubbetto da coercizione. »
Nei giorni seguenti le condizioni si mantennero invariate; vi era grande difficoltà nell’ alimentazione ;
stipsi ostinata ; apiressia.
All’ agitazione con evidenti allucinazioni seguì uno stato di stupore.
Dall’ ospedale da campo di Derna il C. sempre col giubbetto da coercizione fu trasportato a bordo della
nave ospedale, dove rimase in generale muto, con insonnia, ed alle volte a scatti si notava in preda a deli-
rio allucinatorio.
Il 12 Febbraio 1912 il C. quasi che si risvegliasse da un sogno cominciò a rispondere a qualche domanda
sebbene rimanesse sempre depresso.
Il 15 Febbraio 1912 entrò in Clinica, apatico, silenzioso, rispondendo rare volte con un monosillabo a
qualche breve domanda; il polso era molto tardo; la notte coll’ ipnotico dormiva poco e si svegliava di so-
prassalto perchè, come si seppe ulteriormente, sognava sempre avamposti, fucilate, colpi di cannone, ecc.
Rapidamente il C. migliorò sia nelle condizioni psichiche che in quelle fisiche ; infatti si riusciva ad avere
da lui delle risposte soddisfacenti. Era però come un individuo che svegliandosi da un lungo sonno, rimanesse
ancora come in uno stato sognante.
Dopo appena 8 giorni dacchè era ricoverato in clinica il C. era ritornato completamente cosciente, e dava
di sè i più minuti ragguagli. Però era in lui rimasta una vera /acuna mnemonica riguardante l’ intero episo-
dio di psicosi che comprendeva il periodo all’ incirca dal 25 Gennaio 1912 fino allo sbarco avvenuto in Ca-
tania. Nemmeno delle giornate in cui avea avuto applicato il giubbetto di coercizione egli rammentava nulla.
Il 27 Febbraio 1912 era già in condizioni psichiche soddisfacenti; semplicemente la notte sognava con-
tinuamente trincee, ridotte, combattimenti, soldati straziati dal nemico ecc.
Richiesto se ritornasse volentieri a Derna rispose senza esitazione, che |’ avrebbe fatto volentieri dopo
aver veduto la sua bambina ed aver sistemata la moglie dal punto di vista dell’ alimentazione.
Il 7 Marzo 1912 venne mandato in licenza come guarito.
In questo caso si può affermare che l’ episodio di psicosi si svolse in seguito a causa
emotiva. In C. però esisteva una evidente eredità psicopatica, e vi era stata la predispo-
sizione rappresentata dalla proccupazione di avere lasciata moglie e figlia nella miseria.
Fu un rzassunto di psicosi, svoltosi quasi come in uno sdoppiamento della coscienza.
Oss. Il? — L. P. Pietro, classe 1889. Una zia materna morì al Manicomio di Palermo. Andò a Tripoli
nell’ Ottobre e prese parte a diversi combattimenti. Di guardia alle trincee avea delle allucinazioni ; egli vedea
degli arabi che altri affermavano di non vedere.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. Il. 7
10 G. D' Abundo
[Memoria II.]
La notte dormiva pochissimo per gli allarmi, però era stato sempre in condizioni psichiche normali com-
portandosi da soldato animoso.
Il 28 Gennaio 1912 di notte mentre ad Ain-Zara dormiva vi fu un allarme perchè si manifestò poi il ti-
more che il nemico tentasse un assalto. Il L. P. svegliatosi di soprassalto credette di essere circondato dai
nemici.
La mattina 29 Gennaio cominciò subito a manifestare allucinazioni visive ed uditive per cui vedeva arabi
in atteggiamento minaccioso, ecc. La evoluzione dei disturbi mentali fu rapidissima. Infatti subentrò subito
agitazione con impulsi aggressivi, per cui fu represso col giubbetto da coercizione. Calmatosi relativamente e
rimpatriato, venne in Clinica il 3 Marzo 1912. Era profondamente depresso, diffidente, a momenti inquieto,
rispondeva poco ed a scatti, nutrendosi insufficientemente, e dormendo brevi istanti coll’ ipnotico.
Avea allucinazioni terrifiche visive a preferenza, per cui ad un tratto si agitava e diveniva impulsivo. Una
mattina, dopo 3 giorni ch’era in Clinica, mentr’era silenzioso ed appartato, ad un tratto si slanciò su d’ un
soldato che lo sorvegliava e tentò di strozzarlo. Dovettero intervenire 3 infermieri e parecchi soldati per re-
primerlo. ;
Nel L. P. si sono avvicendati brevi periodi di impulsi con altri di profonda depressione ed indi di rela-
tivo miglioramento ; al momento in cui pubblico questa nota (Giugno 1912) le sue condizioni psichiche sono
migliorate.
Come note antropologiche si rilevava in L. P. un’ asimmetria facciale molto marcata.
Il L. P. affermava nei momenti di tranquillità di non ricordare gli scatti aggressivi.
Proposi che il L. P. venisse riformato dal servizio militare.
In questo caso esisteva una eredità psicopatica. La psicosi si svolse ad un tratto in
seguito all’ allarme notturno. La forma clinica assunse la parvenza d’ uno stato allucina-
torio con depressione psichica fino alla inibizione completa. Il disturbo psichico fondamen-
tale era rappresentato dalle allucinazioni. Infatti appena queste si sospendevano, spariva
lo stato inibitorio mentale e si attenuava di molto la melanconia. E la ricomparsa delle
allucinazioni era fulminea, e così l'impulso aggressivo.
Oss. III®* — F. Arturo, classe 1889. Andò a scuola 7 anni di seguito riuscendo appena a fare la 2%
classe elementare.
Andò a Derna nel Novembre I19II.
Fu sovente di guardia alle trincee sia di giorno che di notte, e prese parte ad un combattimento in cui
Sparò 50 cartucce.
Molto malvolentieri montava la guardia alle trincee di notte, avendo al solito allucinazioni visive per cui
credeva che gli arabi si avvicinassero. .
Dopo un combattimento rimase impressionato moltissimo quando un giorno vide trasportare in barella fe-
riti 8 suoi compagni, perciò cominciò a divenire melanconico, a non nutrirsi, a non dormire. Era continuamente
allucinato ; vedeva nemici che si avvicinavano mentr’ egli era disarmato ; perciò gridava, si agitava per rica-
dere poi in un stato di stupore. Lo fecero rimpatriare, e venne il 2 Gennaio 1912 in Clinica dove rimase 2
giorni come inebitito, con fisonomia apatica, in vero stato di arresto psichico. Non dormiva la notte, in cui
diveniva irrequieto per allucinazioni.
Ulteriormente fu possibile avere delle risposte, per cui venne affermato che avea allucinazioni visive ed
uditive; vedeva arabi e sentiva il fragore del cannone. ;
Ben presto il F. migliorò nelle condizioni psico-fisiche ; le allucinazioni furono più sbiadite e ad intervalli,
fino a dileguarsi del tutto; in modo che dopo un mese di permanenza in Clinica potea ritenersi guarito.
Il F. presentava dal punto di vista antropologico lieve asimmetria facciale, fronte bassa, orecchie ad ansa
con lobulo aderente, doppio vortice dei capelli.
Come potenziale intellettuale potea essere classificato fra’ /renastenici. È
Le note antropologiche craniensi, la deficienza intellettuale constatata all'esame psichico
e convalidata dal fatto che frequentando 7 anni la scuola riuscì a pena ad arrivare alla 22
classe elementare, autorizzano a considerare il F. come un frezastenico originario, e
quindi come un predisposto alle psicopatie.
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 11
Egli in seguito alle grandi impressioni presentò con sviluppo tumultuoso le manife-
stazioni di uno stato allucinatorio con intonazione melanconica, fino all’ arresto delle
manifestazioni esteriori intellettive.
È interessante il decorso rapido ed a lieto fine.
Oss. IV® — S. Filippo maresciallo, classe 1881.
In famiglia sono tutti fortemente neuropatici ; egli fu sempre di carattere irritabilissimo, e sofferse sovente
di febbri malariche.
Dimandò ed ottenne di andare a Tripoli il 1° Ottobre.
A Sciara-Sciat il 23 Ottobre 1911 ebbe una parte secondaria nel combattimento sulla linea di difesa.
In seguito a ripetizione di febbri malariche venne rlmpatriato il 30 Ottobre. Si aggiunsero delle febbri
infettive intestinali durate 4o giorni.
Guarito, ma debole ancora, dopo vivissime insistenze ritornò a Tripoli il 25 Gennaio 1912 in mezzo a
disagi non lievi, dappoichè dovea sorvegliare le trincee mentre diluviava.
Ricorda come più d’ una volta all’ allarmi dato dalla sentinella egli ed una compagnia intera credettero
ravvisare in una duna lontana la presenza di arabi, il che non era; era una allucinazione collettiva per cui
furono tirati ben 700 colpi di fucile. Dormiva poco per i frequenti allarmi notturni.
Fu precisamente verso la metà di Febbraio 1912 che in un allarme notturno fu svegliato di soprassalto
da un ben nutrito fuoco di fucileria del nemico per cui dovette correre alle trincee, mentre poi nessun com-
battimento ebbe a verificarsi. Però questo avvenimento che rassomigliava a tanti altri questa volta ebbe ad
impressionarlo moltissimo; perciò divenne sospettoso ; avea illusioni visive, sembrandogli. che i subordinati
assumessero verso di lui un contegno misterioso. .
Ben presto divenne inquieto, irritabile, per cui il 1° Marzo venne ricoverato all’ Ospedale territoriale mi-
litare presentando allucinazioni visive ed uditive a contenuto persecutorio.
Rimpatriato venne in clinica il 3 Marzo. Erano evidenti in lui le illusioni ed allucinazioni visive ed udi-
tive; sospettava di non essere tenuto in considerazione; trovava il contegno degli altri enigmatico ; con
energia domandava di ritornare a Tripoli perchè volea battersi; dubitava che si sospettasse del suo coraggio ;
era irrequieto, insonne, loquace, congesto in viso.
Rimase con alternative di calma e di depressione con stati d’irrequietezza circa un mese. Una grande
mobilità si rilevava nei disturbi allucinatori. Le idee di persecuzione erano fondamentalmente sbiadite, perchè
l’ assicurazione suggestiva le sopiva.
Dopo un mese un miglioramento notevolissimo si affermò in F., nel quale risultava un riassunto somma-
rio e lacunare del tempo in cui s’ iniziò la psicosi fino a quando fu ricoverato in clinica.
E del tempo trascorso in clinica egli avea una coscienza assolutamente sommaria e limitata agli ultimi
giorni di Marzo.
Essendosi il miglioramento fisico e psichico pronunziato, e dispiacendogli di rimanere fra gli alienati di
mente gli si dette il permesso di stare l’ intera giornata libero fra gli altri militari ricoverati nell’ Ospedale,
finchè credetti per completare la guarigione di mandarlo a casa, quando persisteva appena qualche lieve di-
sturbo.
In questo caso si aveva un soggetto nevrotico originario esaurito dalle ripetute infe-
zioni malariche ed intestinali, che colla spedizione di Tripoli andava ad affrontare disagi,
fatiche ed emozioni. Il fatto di commozione da cui rimase impressionato non fu notevole,
ma in un soggetto nevrotico esaurito anche un fatto non eccezionale può produrre una
intensa commozione; inoltre a Tripoli nel tempo in cui si trovava il F. non mancavano
emozioni quotidiane diurne e notturne.
Anche in questo caso il decorso rapido della psicosi è degno d’ interesse.
Oss. V® —- B. Filippo, classe 1888, cuciniere. La madre soffre di emicrania. Andò a Tobriick il 14 No-
vembre.
Per lo passato soffriva a casa di emicrania e più frequentemente quando di estate si esponeva al sole.
Prese parte a diversi combattimenti nelle trincee; qualche volta ebbe emicrania per essere stato esposto troppo
tempo al sole.
Era fidanzato, e rimase addolorato e pianse vedendo partire il 15 Gennaio il suo futuro cognato, per cui
12 G. D' Abundo [MemoRrIA II.]
si ritenne abbandonato e perduto in Libia. La notte seguente vi fu un allarme per cui non dormì ; e la mat-
tina dopo cominciò a soffrire di emicrania intensa, che si prolungò per 8 giorni continuati, finchè rapidamente
presentò notevole agitazione, con ‘allucinazioni, delirio, per cui fu condotto all’ Ospedale e represso col giub-
betto da coercizione.
La psicosi sempre a base di allucinazioni svariate (arabi, trincee, cannonate), con emicrania insonnia ed
agitazione ebbe una durata di circa 8 giorni, alternandosi con alcune ore di calma. Indi cominciarono ad at-
tenuarsi tutt’ i sintomi, subentrando uno stato di stupore. Rimpatriato venne ricoverato nella mia Clinica il
5 Fèbbraio 1912. Si rilevò di lui uma notevole depressione psichica, cefalea, qualche allucinazione visiva
(trincee, arabi, ecc.). Nelle condizioni fisiche era profondamente denutrito.
Ben presto migliorò ; la buona nutrizione, una cura ricostituente, e la psicoterapia, fecero si che il 16
dello stesso mese potea ritenersi dal punto di vista intellettuale guarito.
Un ricordo puramente sommario della psicosi rimase in lui. Infatti rammentava in special modo le allu-
cinazioni, e la coercizione subita.
In questo caso la facilità con cui si manifestava l’ emicrania a casa, il fatto che an-
che la madre ne soffriva dimostra che il B. avea una costituzione nevropatica. Le grandi
fatiche al sole, la mancanza di sonno, il dispiacere di sentirsi solo così lontano della fa-
miglia dopo la partenza del cognato, determinarono in lui uno stato acuto di nostalgia,
per cui l’ allarme notturno influì provocando facilmente lo svolgimento d'una dzsfrenza
emicranica, avente un decorso rapido ed a lieto fine. i
Oss. VI. -- C. Giulio, classe 1889, Bevitore di grappa e Fernet, quand’ era a casa.
Andò a Derna il 29 Gennaio ror2. Di guardia nelle trincee nella ridotta cominciò ad avere allucinazioni
visive per cui vedea delle teste bianche anche in grande vicinanza; alle volte dette |’ allarmi e fece fuoco.
Dopo |’ unico combattimento a cui prese parte rimase molto impressionato ; in fatti cominciò a soffrire di
parestesie dolorifiche molteplici in special modo negli arti inferiori ; indi si mostrò sospettoso, divenendo de-
presso, e ben presto manifestando un delirio persecutorio, che rapidamente aumentò fino a far temere impulsi
aggressivi. Chiare erano le allucinazioni e le illusioni di tutt’ i sensi specifici.
Rimpatriato venne in Clinica il 5 Aprile 1912 presentandosi in istato melanconico ed in condizioni fisi-
che molto malandate.
Fu rilevato il delirio persecutorio con le allucinazioni a preferenza visive ed uditive.
Migliorò molto rapidamente tanto da essere licenziato guarito il 25 Aprile 1912.
Questo soggetto era un bevitore, "e di tale condizione bisogna naturalmente tener
conto. Anche in lui l’ evoluzioue della psicosi fu rapida.
Oss. VIlI® — G. Filippo, classe 1890. Padre e zia materna soffrono di convulsioni. Nonno paterno forte
alcoolista.
Ad rr anni contrasse una blenorragia, a 14 Je ulceri molli ed infine a 15 anni la sifilide, per la quale
fece 30 iniezioni di sublimato corrosivo, eppoi niente più. Ha sofferto sempre di emicrania sia prima che dopo
aver contratto la sifilide.
Tentò il suicidio a casa bevendo del sublimato corrosivo, e ciò dopo dispiaceri.
Andò a Derna e prese parte a 11 combattimenti.
In seguito ad una lettera della famiglia che gli rivelava faccende dispiacevoli, s’ impressionò notevolmente;
però si rimise presto.
Fu di guardia alle trincee per 3 mesi, soffrendo molto al sole.
Di notte avea delle illusioni, per cui ogni pietra gli parea un arabo.
Dopo il combattimento del 3 Marzo, presentò rapidamente un delirio intenso. L’ agitazione maniacale con-
tinuò parecchi giorni ed una volta tentò il suicidio buttandosi a mare. Indi commise molte stranezze dando
fuoco agli abiti, gridando di notte l’ allarme, ecc. All’agitazione subentrò uno stato di stupore. Venne rimpa-
triato e portato in Clinica il 5 Aprile 1912, dove si ebbe a notare una depressione psichica marcata, con esa-
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 13
gerata tonalità dolorosa. Le condizioni fisiche erano notevolmente malandate. Iniziata una cura specifica, mi-
gliorò rapidamente tanto che il 16 Aprile era in condizioni psichiche soddisfacenti.
Non rammentava nulla dell’ episodio di agitazione maniacale.
Venne mandato in licenza il 25 Aprile 1912.
In questo caso il G. che soffriva di già emicrania nella pubertà dimostrava di essere
un nevrotico. La precocità sessuale ne è anche una prova. La sifilide trascurata, i disagi,
l'influenza del sole, la mancanza di sonno prepararono il terreno, per cui il combattimento
del 3 Marzo determinò la psicosi, che al solito finì colla guarigione.
Oss. VIIlI® — R. Francesco, della classe 1890. cocchiere. Padre bevitore. In famiglia sono nervosi.
Andò a Derna nell’ Ottobre. Prese parte ai combattimenti del 24 Novembre, del 1° Dicembre rgII, ed a
quello del 3 Marzo I9II.
Fu molto spesso di guardia alle trincee, e gli accadeva di notte di vedere delle ombre di arabi avvolti
in barracani, per cui dava |’ allarme sparando ; i suoi compagni però dicevano di non veder nulla.
Fu precisamente dopo aver preso parte nei primi due giorni di Aprile ad una scaramuccia per difendere
i nostri adibiti alla costruzione d’ una ridotta, che si pronunziò uno stato depressivo con allucinazioni che
assunsero una intensità notevole, per cui il R. entrò in grande agitazione psicomotoria. Venne ricoverato per-
ciò all’ Ospedale di Derna ed indi il 27 Aprile 1912 trasportato nella mia clinica.
Il R. era confuso e come intontito. Parea come si svegliasse da un lungo sogno. La prima notte dormì
pochissimo ed era chiaramente allucinato.
Dopo 24 ore interrogato dicea di avvertire vertigini, tanto da sembrargli di essere sospeso nel vuoto. Si
notavano in lui allucinazioni visive esclusivamente ; infatti vedea arabi, trincee, ridotte ecc. Non ricordava
nulla del periodo di agitazione. Nelle condizioni fisiche era molto denutrito. Migliorò molto rapidamente, spa-
rendo le allucinazioni, però continuando un pò le vertigini,
Il 4 Maggio 1912 era in condizioni psichiche soddisfacenti.
Dall’accurato esame praticato risultò una vera /acuna mnemonica riguardante il periodo di agitazione,
Ricordava le allucinazioni ch’ erano cominciate, eppoi ripigliava il ricordo nebuloso degli avvenimenti quando
si trovava sulla nave nel rimpatriare.
Ulteriormente fino al 13 Maggio, in cui venne licenziato come guarito, il R. non aveva completata la sua
lacuna mnemonica.
Dimandato se rimaneva volentieri a Derna, rispose testualmente : « Avrei avuto piacere di rimanere fino
« all’ ultimo; non capisco perche farmi ritornare. Quando non c’erano le trincee e v’ era gran pericolo e ci si
« stava male mi fecero rimanere, ora poi che si stava bene e sicuri per le trincee e ridotte costruite, mi ri-
« mandano in Italia. » E non sapeva raccapezzarsi che cosa fosse successo per motivare il suo rimpatrio.
Questo caso in cui esiste una eredità neuropatica presenta le stesse caratteristiche
psicologiche degli altri.
Oss. IX®* — C. Angelo, classe 1889. Ha sofferto di febbri malariche.
Nel Settembre 1911 passando da Napoli per andare a Tripoli contrasse la sifilide che si sviluppò dopo
un mese.
Quand’ era di guardia alle trincee di notte vedea sempre ombre di arabi che i compagni non vedevano.
Nei principi del Gennaio 1912 dopo aver preso parte ad un solo combattimento di non grande importanza
divenne melanconico, confuso, parlando pochissimo e nutrendosi male.
Il 14 Gennaio fu condotto all’ Ospedale militare territoriale in istato di vero arresto intellettuale, per cui
non parlava affatto nè rispondeva alle dimande che gli si faceano.
In Clinica venne ricoverato il 15 Febbraio 1912, molto denutrito. Dall’ esame praticato risultò uno stato
di profonda melanconia. Difficilmente si otteneva qualche monosillabo. Polso molto tardo. Vi era insonnia.
Si praticò la cura svecifica, e la buona nutrizione.
Migliorò un pò meno rapidamente degli altri perchè si manifestò una lieve infezione intestinale febbrile
durata 15 giorni.
Fu mandato in licenza guarito il 28 Aprile 1912.
Del periodo melanconico inibitorio più saliente avea al solito amnesia.
14 G. D' Abundo [MEMORIA II.]
In questo caso la sifilide valeva quanto una vera eredità nevropatica, appunto perchè
non curata. Si svolse una psicosi confusionale con arresto intellettuale. L' evoluzione della
psicosi rassomigliò agli altri casi riportati.
Oss. X® --- F. Attilio, classe 1889. Andò a Tripoli il 18 Novembre ro9rr prendendo parte a diversi com-
battimenti.
Nel mese di Dicembre mentre abbatteva una palma (facea parte del 2° genio) il tronco di questa gli cad-
de sul capo gettandolo privo di coscienza per terra, riportando molteplici contusioni per cui fu ricoverato pa-
recchi giorni al IV° Ospedale da campo. Rimase come postumo una cefalea continuata.
Dopo circa 2 mesi rimase molto spaventato dopo un allarme notturno seguito da viva fucileria ; cominciò
ad accusare cefalea, vertigini, dolori accessuali alla regione precordiale ; indi allucinazioni visive ed uditive,
(sempre la solita visione di arabi) agitazione maniacale, durata parecchi giorni e seguita da stupore.
Rimpatriato venne in Clinica il 15 Febbraio (1912) in istato di vera cor/usione mentale, ed in condizioni
fisiche molto malandate. 2
Si rifece rapidamente, tanto che il 29 Febbraio era in condizioni psico-fisiche abbastanza buone. Ram-
mentava benissimo il trauma al capo, ma di tutti gli avvenimenti posteriori avea un ricordo sommario e con-
fuso ; dell’ episodio di psicosi poi amnesia completa.
Venne licenziato come guarito il 9 Marzo 1912.
In questo caso il trauma intenso al capo rappresentò una parte importante, una vera
predisposizione acquisita ; il resto lo compì l’ emozione.
Non riporto gli altri 8 casi di psicosi svoltisi in seguito a commozioni della guerra
in Libia perchè troppo rassomiglianti ai precedenti; ma anche in essi non mancava la
predisposizione nevropatica ereditaria ed acquisita. Si trattava quasi sempre di manifesta-
zioni allucinatorie con stati melanconici, confusionali o inibitori concomitanti. In predomi-
nio in 5 casi vi furono semplicemente i sintomi di allucinazioni esclusivamente visive; una
sintomatica frenosi sensoria in miniatura, risolventesi però sempre a lieto fine.
In un caso la malattia si era iniziata già in Italia, come per es. è l’ osservazione se-
guente :
M. Raffaele, classe 1890 ; contadino, frequentò la 3* elementare ; soldato del Genio. A casa soffriva spesso
di cefalea frontale. Contrasse un’ ulcera di natura non bene accertata. i
Il 15 Aprile fu all’ Ospedale di Roma e vi rimase 55 giorni per cloro-anemia. Fu mandato in licenza 2
mesi, e ritornò a milizia, però non era guarito perchè rientrò subito all’ Ospedale militare di Roma il 14 Set-
tembre sempre per anemia.
li ro Ottobre lasciò l’ Ospedale sebbene si sentisse debole, ed il 18 fu mandato a Derna dov’ era adi-
bito per piantare i pali dei reticolati. Non facea guardia alle trincee.
Si sentiva debole, sempre stanchissimo, tanto che venne tenuto a riposo per un mese, ed indi inviato
all’ Ospedale dove presto avvertì parestesie molteplici; la cefalea divenne insistente; vi era insonnia tanto
che nell’ Aprile tentò il suicidio bevendo un calamaio d’ inchiostro che credeva fosse un veleno.
La depressione psichica andò sempre aumentando parlando pochissimo, sicchè verso i primi giorni di Mag-
gio (1912) finì a poco a poco per non parlare più, pur comprendendo quello che ‘gli si dicea. Rimpatriato il
16 Maggio venne in Clinica in condizioni fisiche estremamente malandate ; non parlava affatto, però compren-
deva tutto quello che gli si dicea. Vi era un notevole rallentamento nel processo psicologico delle percezioni ;
mangiava poco e dormiva quasi niente.
La psicoterapia, la buona nutrizione, la cura medicamentosa ricostituente determinarono un miglioramento
rapidissimo, tanto che dopo 4 giorni cominciò a parlare. Siccome si lamentava di cefalea intensa, che non ce-
deva alla somministrazione dei soliti farmaci, messi in sospetto dell’ ulcera sofferta si praticarono le iniezioni
di preparati mercuriali, in seguito alle quali la cefalea si dileguò. Dal punto di vista psichico il 25 Maggio
potea ritenersi guarito, però venne licenziato il 12 Giugno 1912 per rimetterlo bene nelle condizioni fisiche
generali.
Ricordava perfettamente tutti gli avvenimenti come si erano svolti.
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 15
In questo caso il M. era un nevrotico dal momento che abitualmente soffriva di ce-
falea. L’ulcera si deve ritenere di origine sifilitica in seguito al controllo terapeutico ado-
perato per la cefalea.
Lo stato anemico generale, per cui fu 2 volte all’ ospedale di Roma, non lo rendevano
certamente indicato di prendere parte ad una spedizione tanto laboriosa quanto quella di
Derna.
Il concetto diagnostico in questo caso potea formularsi così: azzemzza generale, Sifi-
lide, nevrastenia, stato melanconico con arresto intellettuale. Ma evidentamente il M.
era già ammalato quando andò a Derna, per cui vi fu un progressivo aggravamento; ed
essendo un nevrotico si svolse naturalmente una forma clinica psicopatica.
Nel seguente caso per es. si trattava d’ un sergente che avea già in germe la ma-
lattia mentale. Lo riassumo schematicamente.
B. L. della classe 1892, sergente ; studiò fino alla 2% classe d’ Istituto Tecnico.
Da notizie favoritemi da un parente medico mi risultò, che una prozia materna, uno zio materno e la
madre stessa del B. presentarono un carattere eccentrico turbe intellettuali. Il B. non abusò mai di vino
nè contrasse malattie veneree ; fu sempre di carattere misantropo, però col sentimento della personalità molto
sviluppato.
Egli credeva di fare scoverte importanti, ed una volta in fra le altre credette aver trovato la formola per
calcolare 1’ area del circolo.
Andò volontario a Tripoll nell’ Ottobre 1911, indi a Bengasi, ed infine ad Homs. Prese parte al combat-
timento del 28 Novembre a Bengasi, del 6 Gennaio ad Homs e del 27 Febbraio al Mergheb.
Fu dopo la bottaglia di Mergheb che scrisse un rapporto al Maggiore ed un altro al Ministro della guerra
parlando di 5 sue grandi scoverte, che avrebbero apportato una vera rivoluzione nell’ arte della guerra. Ma-
nifestò anche qualche allucinazione visiva.
Rimpatriato venne in Clinica, dove dopo lungo parlamentare mi riuscì sapere qualcosa sopra una delle
sue scoverte riguardante |’ alzo del fucile, per cui volea applicare un doppio sistema di pietre focaie, che
permettevano la visione dell’ alzo nella notte; in tal guisa egli dicea di essere sicuro che i nemici di notte
sarebbero caduti a migliaia. Perchè questo risultato : mistero. \
Il B. era intelligente, molto sospettoso, superbo, credeva di essere fatto segno ad una persecuzione lar-
vata, perchè tutti erano invidiosi delle sue invenzioni ; e gl’ invidiosi erano i generali, i ministri, ecc.
In Clinica tenne un contegno altezzoso e sprezzante, atteggiandosi a protettore degli altri soldati alienati
di mente. Riuscì per mezzo d’ un piantone soldato a telegrafare al Ministro della guerra lamentando la reclu-
sione e le servizie (!) che soffriva egli ed altri ricoverati nella Clinica.
Naturalmente in questo caso si trattava d’ un mattoide, che avea già i germi d’un delirio fastoso-perse-
cutorio paranoico.
Feci naturalmente un rapporto clinico; il B. venne provvisoriamente inviato in licenza a casa, in attesa
dei provvedimenti militari di riforma.
In questo caso l'individuo era già paranoico prima di recarsi in Libia, dove le aspre
fatiche della guerra ed i combattimenti ai quali prese parte influirono a fare germogliare
più vigorosamente la forma psicopatica di incubazione.
Sicchè in complesso i 50 casi da me studiati possono essere classificati come segue:
Epilessia già esistente prima di andare in Libia ma non affermata ufficialmente . 7
Epilessia manifestatasi in Libia in seguito a commozioni. ./. 0.0.0.» 8
Nevrastenia già esistente prima di andare in Libia... ...... +». 5
Nevrastenia manifestatasi in seguito alle commozioni della guerra... . +. . 10
Psicosi manifestatasi in Libia in seguito alle commozioni della guerra (stati allu-
cinatorii, melanconici, inibitorii, deliranti, confusionali) +... .... 0.18
Psicosi già esistente prima in incubazione, ma che si manifestò ulteriormente in Libia 1
16 G. D' Abundo | Memoria II.]
Psicosi svoltasi in Libia ma iniziatosi precedentemente con manifestazioni anemiche-
nevrasteniche 00/2 ae eee
Le considerazioni che possono essere fatte le riassumo brevemente in ciò che segue:
1° In tutti i militari nei quali si svolsero manifestazioni neuro-psicopatiche esisteva una
eredità morbosa, ovvero si rilevavano le note d’ un carattere neurotico, avvalorate dalla
presenza di stigmate antropologiche degenerative o patologiche.
In qualcuno la sifilide recente non curata e l’ alcoolismo rappresentavano un vero
equivalente ereditario.
Perciò è da affermare che l'elemento predisponente neuro-psicopatico ereditario
ed acquisito rappresenta il fattore più importante.
Come giustamente il Prof. Mwrrz fece rilevare, in una sua pregevole conferenza sulla
neurosi traumatica (1), non tutti quelli che sembran sani lo sono realmente. Ed io credo
che Je forti commozioni rappresentano dei veri reattivi per saggiare l'indice di resistenza
organica neuro-psichica.
2° Una forma clinica neuro-psicopatica specifica in seguito alle commozioni della
guerra non esiste; però vi furono nei miei casi delle modalità nell’ inizio, nel decorso e
nell’ esito.
La forma clinica psicopatica presentò svariate manifestazioni; frequente fu quella de-
pressiva con disturbi psico-sensoriali a preferenza visivi.
Però come si è detto si ebbero szazz allucinatori, o confusionali, o inibitori pre-
dominanti, accompagnati o no da brevi periodi di agitazione ed impulsi; ad eccezione d’un
solo caso (il L. P. P.) in cui la durata degl’impulsi in seguito alle allucinazioni si è pro-
tratta.
In generale nelle nevrastenie e psicosi ebbe a rilevarsi un inizio accelerato ed alle
volte istantaneo; un fastigio addirittura fulmineo, un decorso rapidissimo, un esito quasi
sempre fausto. Un vero riassunto concentrato di psicosi a forti tinte.
Io credo che l’inizio in generale apparentemente fu istantaneo, e che colla massima
probabilità ebbe un periodo di preparazione passato inosservato.
Nessun dubbio però sulla rapidità di evoluzione della psicosi; un vero svolgimento
cinematografico, per cui l’azione era abbreviata, ma a colorito vivacissimo.
Come interpretare il decorso rapidissimo e l'esito fausto quando si consideri il fatto
della evidente predisposizione neuro-psicopatica? Perchè allontanarsi dalla norma dello svol-
gimento ordinario delle psicosi?
A me pare che nei miei casi per l’ interpretazione bisogna tener conto del profondo
esaurimento fisico e dei disagi continui dei soggetti, e dell’ influenza del fattore nostalgico,
che esistendo in incubazione facilitava la evoluzione rapida; ed il ritorno in patria deve
certamente considerarsi come elemento psicoterapico di primissimo ordine per la guarigione
delle psicosi e delle forme nevrasteniche.
Io non ho alcun elemento comparativo da invocare al riguardo, dal momento che non
(1) A. MURRI. Delle Neurosi da trauma. 1912.
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca \7
sò quale evoluzione ed esito avessero potuto presentare le forme psicopatiche, qualora i
soggetti fossero rimasti in Libia a curarsi. i
E un fatto però che al ritorno in patria i militari si vedevano come risvegliarsi da
un sogno.
Dei casi di epilessia osservati io non potrei dire quale sarà l’ ulteriore andamento es-
sendo i soldati ritornati a casa. Ebbe a trattarsi di un gruppetto di accessi convulsivi iso-
lati? Io sono convinto che in quelli con note antropologiche degenerative e patologiche
quasi certamente gli accessi continueranno.
L’amnesia dell’ episodio psicopatico fu frequentissimo, però bisognerebbe îndagare se
la lacuna mnemonica ulteriormente non venga a colmarsi, giacchè i militari furono inviati
in licenza a casa appena erano in buone condizioni psico-fisiche.
Del resto anche nel disastro di Messina io ebbi ad osservare delle forme psicopa-
tiche (1) durate eccezionalmente 2, 3, 4 mesi, ed indi guarite con amnesia completa di
tutto il periodo di psicosi.
Sicchè nei miei casi ebbe a trattarsi di neuro-psicosi provocate da trauma psichico ?
Senza dubbio ; però il trauma non fece che da microscopio; mise in evidenza i fattori
morbosi eredo-individuali. Ed è utile notare che nei miei casi (ad eccezione di uno) non
si trattò d’individui feriti.
Ma è enorme certamente la differenza d'importanza tra la commozione della cata-
strofe del terremoto di Messina sui sepolti sotto le macerie, e la commozione delle vicende
guerresche in Libia sui combattenti. Il terremoto di Messina colpiva individui che nulla
poteano prevedere della tremenda catastrofe; laddove nei militari in Libia dovea esistere
uno stato latente di commozione incosciente, durevole, rinforzata da un complesso di cause
determinanti taciti conflitti sentimentali, per cui il combattimento, o lo svegliarsi di sopras-
salto per un allarme, rappresentava la vera goccia d’ acqua che facea traboccare la bilan-
cia. E che sia così lo dimostra il fatto, che nei miei casi vi erano stati tanti che aveano
preso parte a diversi combattimenti (fino ad 11); che si erano svegliati di soprassalto tante
volte per allarmi notturni, ecc.;,eppoi bastava una semplice scaramuccia per fare scop-
piare una psicosi. I combattenti rappresentavano delle vere bottiglie di Leyda, le quali ve-
nivano a poco a poco caricate di elettricità, finchè la tensione elevatosi troppo finiva col
dar luogo spontaneamente allo scoppio della scintilla.
In tal guisa la commozione per i fatti d'arme in guerra viene fondamentalmente a
rappresentare un momento etiologico ben differente paragonato a quello d’ un terremoto, o
d’un disastro ferroviario, ecc., che esplicano la loro azione emotiva sopra soggetti predi-
sposti si, ma non contemporaneamente esauriti ed in uno stato di continua tensione per
un complesso di cause affettive, disagi, ecc.
In tutti i modi la guerra colle sue molteplici commozioni può considerarsi come un
fattore etiologico, che determina una vera selezione accelerata dai neuro-psicopatici.
Una statistica si comprende che io non posso desumerla dai casi da me osservati,
dappoichè essa dovrebbe essere fatta tenendo conto del numero dei combattenti, e delle
(1) L’esito in tali casi si verificò dopo la pubblicazione della mia nota: Stali neuropatici consecutivi al
terremoto del 28 Dicembre 1908 in Sicilia, Rivista di Neuropatologia, Psichiatria ed Elettroterapia, Cata-
nia 1909.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. II. 3
18 G. D' Abundo [MemorIA II.]
altre malattie non nervose manifestatesi; cifre che io non conosco perchè gli ammalati ed
i feriti vennero ricoverati in parecchie altre città del mezzogiorno.
Quello che si può affermare è che in generale le malattie neuro-psichiche si svolsero
nei militari che stavano agli avamposti, e che faceano la vita esauriente delle trincee, ol-
trecchè erano i primi a prendere viva parte ai combattimenti.
Inoltre nei richiamati la manifestazione di forme neuro-psichiche ebbero a verificarsi
più facilmente. E ciò si comprende perchè erano sovente ammogliati, già sistemati in la-
vori campestri, industriali ecc.
Nessuna proporzione posso fare nelle percentuali tra soldati ed ufficiali, perchè di
questi ultimi ne vennero pochissimi in Catania.
Infatti ne visitai uno solo affetto da nevrastenia gastrica, e di cui non ho tenuto conto
in questa pubblicazione.
Una conclusione è da ritrarne da queste poche considerazioni, ed è; che nei corpi di
spedizione coloniali dovrebb'’ essere fatta una vera selezione preventiva per evitare di man-
dare soggetti eminentemente predisposti alle neuro-psicosi, le quali potrebbero dar luogo a
scene tragiche.
Già nel tempo della visita militare a 20 anni ogni pratica del coscritto dovrebbe es-
sere fornita di una storia anamnestica familiare ed individuale, la quale mettesse in rilievo
da una parte le note neuro-psicopatiche della famiglia, se ve ne sono, e dall'altra espri-
messe un concetto sintetico sul potenziale intellettuale e sulle sue particolari attitudini a
vivere nell'ambiente sociale.
Queste notizie anamnestiche dovrebbero essere raccolte 77 precedenza tacitamente
colla massima accuratezza (1), e partecipate ai medici militari, i quali dovrebbero essere
forniti di una cultura neuro-psichiatrica sufficiente (2); e quand’ essi rilevassero nei co-
scritti delle note antropologiche, degenerative o patologiche, dovrebbero con accuratezza
sospenderne l'ammissione, e vedere se non fosse il caso di eliminarli.
Quale utilità la nazione può ricavare da nevrotici che si dimostrano poi inetti al ser-
vizio militare, dove la disciplina determina facilmente reazioni morbose, dalle più miti, come
sono il rifiuto di obbedienza, ai drammi delle caserme?
La visita della coscrizione militare dovrebbe rappresentare una prima selezione dei
deboli neuro-psicopatici; e la visita deve essere molto più accurata nei volontari, fra’ quali
sovente è facile trovare numerosi spostati del campo sociale, e che si decidono di fare la
carriera militare per impulso del momento, o per vanità; mentre poi si rilevano inadatti
appunto per la loro instabilita dovuta ordinariamente ad una insufficienza intellettuale ori-
ginaria (lieve frenastenia), mascherata spesso da una buona memoria e da una facile parola.
Nei casi da me riportati vi furono parecchi epilettici che vennero incorporati nell’ e-
(1) Per evitare la compilazione di anamnesi artificiose od esagerate fornite dagli interessati, che vogliono
evitare il servizio militare, è necessario naturalmente procedere colla massima circospezione.
(2) Oggidì vi sono dei colleghi militari molto intelligenti che sentono il bisogno di rinfrescare la loro cul-
tura psichiatrica frequentando di tanto in tanto le cliniche Universitarie. Ciò dovrebbe essere obbligatorio a
periodi ; e lo Stato dovrebbe compensare con uno stipendio adeguato ai bisogni della vita i colleghi militari,
da cui si pretende un 072776xs di cognizioni con una paga insufficiente, per cui non possono comperarsi dei
libri, nè abbonarsi ai giornali scientifici per seguire i progressi della Scienza.
lo sono lieto di dichiarare che le note informative cliniche dei militari venuti dalla Libia nella mia clinica,
erano redatte con molta accuratezza.
Turbe neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-Turca 19
sercito perchè le autorità militari (non sanitarie) rassomigliano alla maggioranza dei ma-
gistrati; pretendono cioè che la medicina sia una scienza matematica, e vogliono risposte
assolutamente sollecite e categoriche, e non dubbi. Per cui i medici militari per timore
della simulazione finiscono coll’ essere molto riservati, finchè non hanno elementi di fatto
sicuri per affermare una diagnosi.
Ed a quali gravissimi inconvenienti non può dar luogo un epilettico armato colle sue
fulminee manifestazioni impulsive?
Catania, 15 Giugno 1912
Probabilmente ritornerò sopra lo stesso argomento poichè già mentre pubblico questa nota sono stati ri-
coverati nella mia clinica altri 6 militari provenienti dalla Libia ed affetti da turbe neuro-psichiche ; per quanto
vivissimo è in me il desiderio, che una pace molto prossima mi tolga l’ opportunità di ritornarvi.
Memoria III.
Istituto di clinica delle malattie nervose e mentali e di antropologia criminale
della R. Università di Catania, diretto dal Prof. D° Abundo.
Su d'un terzo caso di ferita del midollo spinale. ‘’
Nota Clinica del Prof. G. D' ABUNDO
È capitato alla mia osservazione un terzo caso di ferita del midollo spinale nell’ uo-
mo (2), la quale ha determinato una sintomatologia così precisa da rappresentare un vero
esperimento in corpore humano.
E questo 3° caso personale acquista tanto più valore, in quanto chè conferma alcuni
fatti fondamentali messi da me in evidenza precedentemente (3), e che riguardano la fisio-
logia delle vie di connessione del midollo spinale.
Riporto un semplice riassunto del caso clinico:
S. F. di anni 41, da Catania. Eredità neuro-psicopatica negativa ; infatti i genitori sono viventi e sani,
e così 2 fratelli e tre sorelle. Egli, salvo una itterizia catarrale sofferta a 20 anni durante il servizio militare,
e per cui fu ricoverato 4o giorni nell’ ospedale di Spezia, nel resto è stato sempre benissimo.
Prese moglie a 26 anni ed ha 3 figli viventi e sani.
Il 20 Novembre 1gio in rissa riportò al lato sinistro del collo una ferita precisamente indicata in A nella
Fig. 1*. Appena colpito lo S. cadde fulmineamente per terra privo di coscienza. Portato a casa riprese i sensi
ed ebbe a presentare paralisi completa degli arti di destra e paresi dell’ inferiore di sinistra.
a
Fig. 1°.
(1) Comunicazione fatta all’ Accademia Gioenia di Scienze Naturali (15 Giugno 1912) Catania.
(2) Si comprende bene che intendo parlare d’un terzo caso persora/e, avendone già precedentemente pub-
blicati altri due: 1° Sin/omalologia tabetica con iperpsicrestesia consecutiva a ferita da punta del midollo spi-
nale. (Rivista Italiana di Neuropatologia, Psichiatria ed Elettroterapia, 1909, Catania). 2° Su d’un altro caso
di ferita del midollo spinale. (Rivista Italiana di Neuropatologia, Psichiatria ed Elettroterapia, 1911, Catania).
(3) Vedi: G. D’ ABUNDO, Su d’un altro caso di ferita del midollo spinale, |. c.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. III. 1
2 G. D' Abundo | Memoria III]
lo venni consultato 48 ore dopo |’ avvenimento, e constatai: paralisi completa degli arti di destra e pa-
resi dell’ inferiore di sinistra; nella mano destra anestesia, che diveniva ipoestesia gradatamente a misura
che si andava verso la radice dell’ arto ; ipoestesia marcata nel piede destro, diminuendo d’ intensità nel resto
dell’ arto.
Nell’ arto superiore sinistro si rilevava una lieve diminuzione della sensibilità tattile a preferenza nella
mano : però una marcata ipoestesia esisteva nel piede sinistro con. diffusione alla gamba corrispondente, e
diminuendo gradatamente d’ intensità dal ginocchio in sù.
La sensibilità termica e dolorifica era sensibilmente diminuita nelle stesse regioni dove si verificavano le
modificazioni di quella tattile.
Come sensazione subbiettiva lo S. avvertiva un formicolio generale nelle estremità.
I riflessi tendinei rotuleo e plantare a destra erano un po’ vivaci.
Sfinteri vescicale ed anale tendevano alla ritenzione.
Nessun particolare disturbo nella sfera psichica.
Dopo pochi giorni lo S. venne ricoverato nella mia clinica, dove si rilevò un miglioramento rapido della
motilità dell’ arto inferiore sinistro. Negli arti di destra s’iniziarono lentamente 1 movimenti, però subentrò
rapidamente una lieve contrattura flessoria nel polso, e lievemente estensoria nel piede, dove esisteva .il clono
con Babinski positivo; si rilevava anche il clono del ginocchio. In seguito si manifestarono disturbi trofici
cutanei nella mano sotto forma di desquamazione, che durarono circa 3 mesi, dileguandosi poi gradatamente.
L’esame elettrico praticato dopo circa 20 giorni dalla ferita dimostrò lieve diminuzione dell’ eccitabilità
galvanica e faradica nei muscoli degli arti di destra.
Lo S. cominciò a poco a poco a camminare, però il piede destro per la paresi e la contrattura precoce si
presentava ruotato all’ indentro.
Il 15 Gennaio rori negli arti di destra esisteva paresi con contrattura più marcata nell’ arto inferiore ;
ipoestesia pronunziata nella mano destra con lieve diminuzione della sensibilità dolorifica e termica. Nell’ arto
inferiore destro lievissima ipoestesia nel piede, però la sensibilità dolorifica e termica era conservata.
Nell’ arto superiore sinistro lieve ipoestesia nei polpastrelli constatabîle solamente col compasso di Weber;
anche nel piede sinistro evidente ipoestesia, rilevabile anche nella regione antero esterna della gamba.
Ho potuto seguire ulteriormente il decorso della sintomatologia nervosa nello S., il quale a riprese ha
frequentato 1 ambulatorio della Clinica; 1 ultimo esame venne praticato il 12 Giugno 1912, cioè 19 mesi dopo
la ferita riportata, quando oramai potea ritenersi stabile il quadro clinico delie conseguenze post-traumatiche.
Ebbi a constatare ciò che segue. cu
Per la motilità nell’ arto inferiore destro i fatti erano rimasti stazionari ; cioè paresi con contrattura nel
piede, per cui esso era ruotato un»po’ all’ indentro ; ipotrofismo muscolare in tutto l’arto. Nella mano destra
si notava la tendenza alla contrattura flessoria del pcelso; i movimenti di flessione delle dita si facevano len-
tamente, però la deficienza motrice era estremamente marcata.
Per la sensibilità tattile si notava nei polpastrelli delle dita della mano destra che gli stimoli praticati
col pennellino di vajo non erano percepiti; la deficienza tattile diminuiva però rapidamente, finchè dall’ avam-
braccio in sù non si rilevava niente di anormale. La sensibilità termica e quella dolorifica facea notare una
lievissima deficienza coordinata a quella tattile. i
Nell’ arto inferiore sinistro la deficienza della sensibilità tattile era localizzata nella regione punteggiata
che si rileva nelle Fig. 2% e 3%, le quali schematicamente dimostrano l’ esatta localizzazione delle turbe senso-
motrici che si rilevano nel soggetto in discussione. La sensibilità termica e dolorifica risultava conservata.
Nel resto si rilevavano sempre nello S. | esagerazione dei riflessi tendinei, il clono del piede e del gi-
nocchio a destra con Babinski positivo, e con la deficienza puramente quantitativa della eccitabilità elettrica
muscolare galvano-faradica nei muscoli paralizzati.
Riguardo allo sfintere vescicale esisteva una: tendenza ad urinare frequentemente.
Nel resto nessun altro disturbo nella vita di relazione, ed in quella vegetativa come pure nelle funzioni
psichiche.
Questo è il breve riassunto del caso clinico riguardante S., in cui la sintomatologia
è da mettersi in rapporto diretto della ferita d’ arma da punta riportata alla regione late-
rale del collo a sinistra (Fig. 18, A), e per la quale dovette necessariamente essere inte-
ressato il midollo spinale. L’ arma feritrice, senza dubbio molto acuminata, ebbe ad insi-
nuarsi lateralmente tra due vertebre cervicali (probabilmente tra 52 e 622).
Su d'un terzo caso di ferita del midollo spinale 5
Immediatamente si verificarono disturbi delle motilità e della sensibilità generale, dap-
prima intensi e diffusi, e che ulteriormente si attenuarono e si dileguarono del tutto in al-
+ -4 + + deficienza motrice.
Soeicaanagiireno ] della sensibilità tattile a preferenza.
cune regioni, rimanendo stabilmente localizzati in maniera incrociata quelli della sensibilità,
ed opposti alla metà del midollo spinale leso quelli della motilità.
Sulla sparizione più o meno rapida di una porzione dei disturbi senso-motori verifi-
catisi nei primi tempi dopo il trauma, l’interpretazione più probabile da ritenersi è, che
una parte di essi rappresentava manifestazioni di deficzt transitorio da attribuirsi allo s/ok,
mentre il resto forse era dovuto a fatti di compensi funzionali gradatamente intervenuti.
Per la interpretazione della sintomatologia presentata dallo S. io ritengo di poter so-
stenere la stessa ipotesi formulata in una mia pubblicazione precedente (1). Io credo di
essere autorizzato ad ammettere, che in questo caso l’ arma feritrice sia penetrata nel mi-
dollo spinale a sinistra in un segmento interradicolare della pars cervzcalis rappresentato
in A dal triangolo nerastro della Fig. 4a,
In tal guisa verrebbero ad. essere interessati nel midollo spinale in special modo il
fascio di Tiirck e piccola parte del fascio di Gowers. La lesione del fascio di Tirck spie-
gherebbe i disturbi incrociati di motilità di destra, a quella di Gowers interpreterebbe quelli
di sensibilità.
Giusto com’ è noto, il ‘fascio di Gowers è considerato come via di conduzione sensi-
(1) G. D’ABUNDO, Su d'un altro caso di ferita del midollo spinale. (Rivista Italiana di Neuropatologia,
Psichiatria ed Elettroterapia, 1911, Catania).
4 G. D' Abundo [MemorIa III.|
tiva, costituito da fibre dirette e da fibre incrociate, le quali dopo un tragitto lungo di
basso in alto arriverebbero nei nuclei dei cordoni di Goll e di Burdach.
Fio. 4.
Ora i disturbi incrociati della sensibilità nello S. avrebbero una interpretazione ade-
guata dall'ipotesi della lesione localizzata nel midollo spinale e rappresentata dalla Fig. 44.
Del resto è difficile sostenere che la lesione sia ubicata in altra regione della metà
sinistra del midollo spinale, dappoichè per spiegare i disturbi della motilità specialmente
non è possibile ammettere che sia stato interessato il fascio piramidale incrociato sinistro,
altrimenti i disturbi della motilità sarebbero localizzati nello stesso lato della lesione.
Come dissi al principio di questa noticina il caso clinico in discussione acquista un
interesse maggiore, inquantochè è una conferma d'un altro da me publicato (1), nel quale
si trattava d’ una donna che avea riportato a destra (Fig. 52) nella regione del collo (A)
Fipfsa:
(1) Vedi I. c.
Su d’ un terzo caso di ferita del midollo spinale 5
una ferita d'arma da punta, e si erano verificati i disturbi di sensibilità e motilità rappre-
sentati dalla Fig. 6* e 7*, e per cui io mi ritenni autorizzato ad ammettere che fosse stato
Fig. 6% Biocnz®
+ + + + deficienza della motilità
CIRIE Nn » » Sensibilità tattile.
lesa la porzione del midollo spinale rappresentata dal triangolo nerastro AR della Fig. 8°.
Fig R84
Da questi 2 casi clinici, quasi identici, di cui non esistono esempi simiglianti nella
letteratura medica, è da ritrarne le seguenti considerazioni.
Che non è affatto difficile che un’ arma acuminata possa nel collo penetrare nel cavo
vertebrale, interessando la midolla spinale.
6 G. D' Abundo [Memoria III.|
È da ritenere giustificata l'idea, che nel fascio di Gowers decorrino fibre della sen-
sibilità dirette ed incrociate.
Che è probabile, che oltre il fascio di Tiirck nel cordone anteriore spinale decorrino
altre fibre di natura motrice, e ciò considerando la estensione dei disturbi della motilità
constatati nei miei due casi.
Che in localizzazioni spinali cervicali ben determinate come nei due casi da me rife-
riti la sindrome di Brown-Séquard non si manifesta.
Memoria IV.
Istituto Zoologico della R. Università di Catania
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti di posta
a Catania e sul prodotto delle tonnare della Sicilia Orientale.
Notizie è ricerche preliminari
di ACHILLE RUSSO
(con 4 figure nel testo ed una Tavola a colori).
Da circa 7 anni, cioè dal 1906, si è diffusa a Catania la pesca con la luce, prodotta
da fiamme ad acetilene munite da riflettore. Tale genere di pesca, essendo molto rimune-
rativo, oggi viene esercitato da grande numero di pescatori, i quali, secondo l’ andamento
delle stagioni, lo iniziano in Aprile-Maggio e l’abbandonano in Settembre-Ottobre. Per po- .
tersi esercitare la pesca con la luce debbono concorrere, infatti, diverse circostanze, le quali
spiegano perchè essa viene adoperata in determinati mesi dell’ anno. Prima di tutto è ne-
cessario che il mare sia sufficientemente calmo e che le notti non siano molto rigide, ciò
che si verifica facilmente in Primavera ed Estate ; in secondo luogo che il Pesce si presenti
sotto la luce in quantità tale da compensare il lavoro, il che si ha nelle predette stagioni
dell’anno, mentre nell’ Autunno e nell’ Inverno, secondo quanto asseriscono i pescatori, le
pesche fatte con tale sistema sarebbero poco abbondanti e proficue, perchè il pesce non
si avvicina alla superficie, essendo l’acqua fredda (1). Oltre a ciò, le correnti locali, che
si formano con più frequenza, a detta dei pratici del luogo, nell’Autunno (Settembre-Otto-
bre), sono causa di grave disturbo alla pesca con la luce, perchè, non ostante il pesce si
raccolga sotto di essa, non può essere catturato dalla rete o pz/zca, la quale, essendo tra-
sportata in senso contrario, non può cingere, o disporsi in cerchio attorno allo specchio
d’acqua illuminato. Altre volte, a causa delle correnti superficiali, il Pesce si mantiene
troppo in fondo, per cui i marinai, pur vedendolo, non possono catturarlo.
Da che si diffuse la pesca con la luce ad acetilene non solo da Catania, ma da altri
centri marittimi furono avanzati al Ministero d’ Agricoltura, Industria e Commercio dei re-
clami contro di essa, affermando i pescatori con le cosidette ret: d/ posta (Tratte o Me-
naide, Lacciare, Nasse, Consi etc.) che la luce faccia deviare i Pesci dalla loro corsa
(1) Anche d’inverno nelle notti di calma perfetta e quando la temperatura non sia molto bassa (notti dij
coròcima, secondo il gergo dei pescatori locali) il Pesce si avvicina alla superficie. Difatti, nella notte del 27
Dicembre 1912 si avvicinarono moltissimi Sauri (circa 60 Kg.). In questa stessa notte, come si dirà in se-
guito, il //ankzon fu anche abbondante, costituito in massima parte da Copepodi e da Mysis.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. IV. I
2 Achille Russo [Memoria IV.|
abituale, che molte uova e pesce novello vengano distrutti e che il Pesce stesso, preso con
tale sistema, perde il suo sapore naturale e putrefà facilmente.
Avendo avuto dal predetto Ministero l’incarico di raccogliere i dati della controversia,
che s’intensifica ogni anno alla stessa epoca, cioè in Primavera-Estate, minacciando qualche
volta l’ ordine pubbiico, e valutare, in base a dati sperimentali, le ragioni opposte dalle
due parti, ho iniziato due ordini di ricerche: le une d’indole biologica, le altre d' indole
statistica. Tali ricerche, sebbene eseguite in tempo troppo breve, cioè nei mesi di Luglio,
Agosto e Settembre del 1912 per conto del Ministero e nei mesi successivi fino ad oggi
per mio conto, pure hanno dato notevoli risultati, che in linea di massima mi permisero
rispondere a varî quesiti.
Credo necessario però avvertire che le ricerche biologiche hanno un valore puramente
locale, potendosi dare benissimo che in altri mari le condizioni diverse d'ambiente rendano
anche diversi i risultati. Nel presente lavoro furono omessi molti dettagli, che potranno
essere soggetto di ulteriori studî; qui abbiamo voluto soltanto fare un’esposizione sommaria
dei fatti più importanti per lo scopo pratico a cui furono essenzialmente rivolte le ricerche.
Ricerche biologiche.
a) la raccolta del Plankton sotto l azione della luce
e la successiva comparsa deî pesci.
Ho istituito ai primi di Luglio 1912 delle ricerche, servendomi di un riflettore con 4 bec-
chi ad acetilene, alimentati da un ordinario gassometro della forza di circa 150 candele (1).
Nelle notti senza luna, durante i mesi di Luglio, Agosto e Settembre, furono fatte, a
giorni alferni, delle osservazioni per constatare gli effetti della luce su gli organismi marini,
in generale e sopra i pesci commestibili, che formano oggetto della controversia, in parti-
colare. Tali osservazioni furono proseguite nei mesi successivi; però, per la incostanza
del mare nella stagione invernale, furono fatte solo quando il tempo lo ha permesso.
Le località scelte furono diverse, ma per lo più la barca veniva collocata in quel
tratto di mare, dove si esercita maggiormente la pesca con la luce, cioè nella contrada di
Ognina e propriamente in corrispondenza del Porto di Ulisse.
La la osservazione che si fa, quando si osserva l'effetto della luce proiettata dal ri-
riflettore, si è la comparsa di piccolissimi organismi marini galleggianti e vaganti nel mare,
che costituiscono il //a7zk/07, i quali indubbiamente attratti dalla luce si soffermano, rac-
cogliendosi talora dopo breve tempo in tale quantità da formare una nubecula bianchiccia
e compatta. Tale raccolta di P/azZkton è particolarmente abbondante in Estate nelle notti
di calma perfetta, detta dai pescatori locali coròczaza ; allora, i piccoli organismi, ammuc-
chiandosi fra loro, formano piccole sfere, in numero diverso (3-4), della grandezza di una
noce ad un’arancia, Je quali si condensano e poi si dissolvono per ricostituirsi di nuovo,
mutando posto in quel tratto di mare illuminato dal riflettore. Tali sfere presentano un
(1) La misura approssimativa fu fatta nell’ Istituto fisico di questa R. Università dal Chiarissimo Prof.
Giovanni Platania, al quale rendo sentite grazie.
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc. 3
movimento vorticoso, che è dovuto ai movimenti, che sotto l’ azione della luce acquistano
i singoli organismi da cui sono costituite (1).
Per stabilire un confronto tra il Plarzkztorn
che si raccoglie sotto la luce e quello che si
trova d’ordinario al buio furono fatte speciali
osservazioni, le quali ci permisero di stabilire
in linea di massima la quantità e le specie
che lo costituiscono e quindi vedere se vi fos-
sero forme larvali, che potessero interessare
l'industria della pesca. A tale scopo fu co-
struita una rete di tela a forma d’'imbuto ,
alla cui estremità sottile si è legata una gran-
de boccia di vetro. Quest apparecchio veniva
sceso verticalmente ad una profondità di 12-2
m. nella zona di mare illuminato e dopo un
certo tempo, variabile da 1 a 2 ore, veniva
tirato lentamente, facendogli mantenere la po-
sizione verticale. In tali condizioni la raccolta
di P/ankton fu sempre più o meno abbon-
dante, nei mesi di Luglio, Agosto e Settembre,
mentre, quando lo stesso sacco veniva sceso
verticalmente in mare buio 0 era portato oriz-
zontalmente dalla barca nelle stesse condizioni,
la raccolta era relativamente molto scarsa. È
notevole che nei mesi successivi, specialmente
Novembre, Dicembre 1912, Gennaio e Feb-
braio 1913, il sacco stesso, sceso vertical-
mente sotto la luce del riflettore, non ha rac-
L’ insenatura in corrispondenza di Ogzina è il Porto di Ulisse.
colto che rarissime forme planktoniche.
Nei mesi invernali anche alla superficie
il Plankton è molto scarso, perchè non si
raccolgono che raramente tutte quelle forme
che erano così caratteristiche nei mesi estivi.
In relazione a tale fenomeno, anche i Pesci
non avvicinano d'inverno sotto la luce; di-
fatti, solo di quando in quando si vede qual-
che Boops e qualche 7rachurus.
segnate con altrettanti punti.
I pescatori locali attribuiscono il non av-
— Spiaggia di Catania da Ogziza (Nord) alla P/aia (Sud), per mostrare come si dispongono le barche che esercitano la pesca con la luce,
vicinarsi dei pesci, nei mesi freddi, sotto la luce
LE;
al fatto che l’ acqua è fredda, ma con ogni
Fig.
verosimiglianza ciò avviene principalmente
perchè non si forma il P/arkton e quindi manca l’ alimento.
(1) Secondo informazioni verbali del Prof. Cerruti, distinto biologo della Stazione Zoologica di Napoli, il
quale fu anche incaricato dal Ministero d’ Agricoltura ad eseguire ricerche su gli effetti della pesca con fonti
4 Achille Russo
Memoria IV.|
Come avanti si è detto, anche d'inverno, quando le notti sono perfettamente tran-
quille e l’ aria è tiepida, le quali notti a Catania sono conosciute col nome di notti corò-
cima, il Plankton che si raccoglie sotto la luce può essere anche abbondante, e, relati-
ramente ad esso, si presentano in notevole quantità anche i Pesci, come ci avvenne di
osservare nella notte del 27 Dicembre 1912 (1).
Nelle osservazioni fatte per studiare il //a7zkf0w, (2) che si forma sotto l’azione della
luce, non appena si metta in azione il riflettore, si è sempre constatato che le prime forme
animali, le quali appariscono all'occhio nudo, sono alcuni Anellidi del genere Eferonerezs.
Essi per l’azione della luce si mostrano iridescenti, per cui, muovendosi a scatti, sem-
brano punti luminosi che si accendano e si spengano improvvisamente. Subito dopo ap-
pariscono i piccoli organismi planktonici, fra i quali sono notevoli abbondanti Copepodz,
larve diverse di Crostaceî brachiuri allo stadio di Zoea e Megalopa, stadi misidiformti
di Peneidi e di altri Macruri, abbondanti M/sidei (Mysis sp.), Anfipodi (Gammarini), que-
sti ultimi qualche volta in tale quantità da formare essi solo tutto il //az/k/orn, come si
e osservato nella notte del 3 Agosto 1912.
Non avendo riscontrato alcun cenno sulla raccolta del //azzk/on nelle pubblicazioni
finora fatte sulla pesca con fonti luminose, ho supposto che tale fenomeno potesse essere
prodotto da un’ accidentalità e che quindi non fosse generalizzabile. Per tale ragione ho
voluto vedere se in altri mari, e quindi in altre condizioni di ambiente, si ripetesse lo stesso
fatto, ed a tale scopo ho ripetuto con un riflettore ad acetilene, della stessa forza di quello
usato a Catania, le osservazioni nel mare Tirreno e propriamente nel Go/fo di Gioia-Tauro,
in corrispondenza della Marzza di Nicotera. Le osservazioni furono fatte nel mese di Ago-
sto in notti di buio perfetto e propriamente in numero di tre, con intervallo di 3 a 4 giorni.
Anche nelle acque del Tirreno, non appena si mise in azione il riflettore, si raccolse sotto
la luce una notevole quantità di P/arnk/on, costituito da Copepodi, Mysîs, Anfipodi, etc.
Le prime forme a comparire nello specchio d’acqua illuminato furono, come nel mare di
Catania, gli Anellidi del genere Zferorerezs, che, muovendosi a scatti. davano anche
l’impressione di punti luminosi che si accendevano e spengevano improvvisamente.
Nelle varie osservazioni fatte nei mesi di Luglio, Agosto e Settembre, nella quale
epoca la pesca con le fonti luminose a Catania viene maggiormente esercitata, non fu mai
constatata la presenza di ova gallegianti o stadi larvali di Pesci; non è da escludere però
che se ne possano trovare in altre epoche dell’anno o che se ne trovino anche in questa
stagione in altre località, sia per Je diverse condizioni d’ ambiente, sia per effetto delle cor-
renti che vi dominano.
Mi riferisce, difatti, il Chiar.mo Prof. Sanzo, Biologo Capo della Stazione di Biologia
luminose nel Golfo di Napoli, gli addensamenti che ivi si formano sotto la luce sono costituiti da alcuni Anel-
lidi (Zferonereis), i quali, aggrovigliandosi fra loro, compiono la funzione sessuale, perchè le femine depongono
le ova che i maschi fecondano. Difatti, secondo il Cerruti, raccogliendo in bicchiere alcuni di tali gruppi di
Apellidi, il giorno dopo si osservano molte ova segmentate e larve allo stadio di 7yocophora.
1) Nei mesi di Dicembre furono riscontrate nel P/arZ4/0nx abbondanti ova galleggianti di Sardella (C/upea
pilchardus). In quest’ epoca però, come si è detto, la pesca con la luce ad acetilene non viene esercitata da
alcuna barca a Catania.
(2) Secondo la distinzione fatta da Haeckel, trattandosi di forme che risentono l’azione della luce, Ie forme
stesse apparterrebbero al /ec/or, in cui sono comprese quegli organismi che si spostano attivamente, mentre
costituirebbero il vero /72,%/0r quelli che seguono passivamente i movimenti del mare. Non essendo però
possibile fare qui una netta distinzione, preferisco usare, come termine generico, la parola //ark/or.
"
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc. 9
marina che sta per sorgere a Messina, che con me fu incaricato dal Ministero d' Agri-
coltura di studiare gli effetti della pesca con le sorgenti luminose nella Sicilia orientale,
che nello stretto egli raccolse sotto la luce abbondanti forme larvali di Pesce spada e di
Tonno e che quindi, in quel mare, la quistione si presenterebbe sotto altro aspetto.
Mentre si raccoglie il //azkion e qualche volta poco dopo si è messo in azione il
riflettore, compariscono alcuni Scopelidi (Scope/us canznianus), larve di Murenoide (Lepto-
cefali), stadi giovanissimi di Triglia (47z/xs), di Pesce volante (£wocoetus volitans ed
Exocoetus procue, quest'ultima specie abbastanza rara nel Mediterraneo), di Cocciu (7rzg/a
corax), di Aluzzo (Sphiraena vulgaris), piccoli Calamai (Loligo marmorae), Sepiole
(Sepiola Rondeleti), la Pasiphea sivado, ed in frotte più 0 meno numerose piccoli CZz-
petdi della iunghezza di 2 a 3 cm.
Alcune notti la comparsa dei piccoli C/zpezdz, che nell'insieme i pescatori di Catania
chiamano Muccu di mascultni, fu talmente abbondante che tutte le barche munite da
riflettore, nella località in cui noi eravamo situati, ne furono circondate. Mentre la presenza
di tale pesce novello fu scarso nei mesi di Luglio-Agosto, fu abbondantissimo in Settem-
bre, epoca in cui essi erano di dimensioni più grandi, avendo raggiunto la lunghezza
di 4 cm.
Quando si è formato una buona raccolta di /Zar/k/07 e dopo un tempo più o meno
lungo, che varia secondo circostanze non bene precisate, si cominciano a vedere nella zona
di mare, illuminata dal riflettore, dei Pesci adulti, isolati 0 in gruppi più o meno compatti,
i quali da prima appena si scorgono, essendo ad una certa profondità. Essi però, a mano
a mano si portano sempre più verso la superficie, dove, trovando un pascolo abbondante
si soffermano. Nel mese di Settembre, nelle notti in cui, come si è detto, si radunò grande
quantità di piccoli C/xpezdz, abbiamo osservato che i Pesci venuti dal fondo, che erano
Sauri (Zrachurus trachurus), circondarono da ogni lato i piccoli, che erano accorsi sotto
la luce, impedendo così di sfuggire e facendone largo bottino (1).
b) l'avvicinarsi dei Pesci sotto la luce è dovuto in gran parte
alla raccolta del Planklomn.
E comune la credenza fra i pescatori di Catania, Augusta, Siracusa e di altre loca-
lità che la luce intensa prodotta dall’ acetilene stordisca il pesce, abbagiiandolo e renden-
dolo quindi incapace a sfuggirne | azione. Da quanto finora abbiamo osservato ciò pare
non sia vero e che invece la causa del soffermarsi dei Pesci debba essere ricercata nella
(1) Considerando che la distruzione dei piccoli C/xpeidi da parte dei 7yaclkwyus è veramente straordi-
naria, dato il numero rilevante di barche che lavorano con la luce, sono d’opinione che questo genere di pe-
sca possa essere per tale riguardo dannosa in Settembre ed Ottobre, potendosi ripercuotere sulla pesca delle
Acciughe, che si fa nei mesi successivi; ma, ad ogni modo, per emettere un parere definitivo sarebbe neces-
sario seguire per più anni I’ andamento della pesca delle Acciughe in relazione all’ uso della pesca con le
sorgenti luminose ed alla pesca con le re/î a sfrascico. Queste ultime reti, difatti, oltre a distruggere gli ani-
mali che vivono nel fondo, distruggono molto novellame e molte forme planktoniche, come ad es. le 1/yszs, che
_quì i pescatori chiamano /4/arra, e che coni Zarlaroni e le Sciabiche in determinate epoche si pescano in
grande quantità. L’alterazione del //ark/0r del mare di Catania potrebbe danneggiare diversi generi di pesca,
non esclusa la stessa pesca con la luce.
6 Achille Russo | Memoria IV.)
raccolta di abbondante alimento, costituito dal //azktoxw, (1) dai piccoli Cwp/ezdz o di altro
pesce novello. Viene qui anche di domandarsi se nel primo istante i pesci siano spinti ad
entrare nella zona illuminata per esclusiva azione della luce e che tale fenomeno sia quindi
da riferire ad un fototropismo positivo ovvero alla raccolta di abbondante nutrimento,
che fortemente illuminato può essere veduto a maggiore distanza. Tale quesito per essere
convenientemente risoluto ha bisogno di osservazioni di varia natura, ma credo non sia im-
probabile che l'avvicinarsi dei pesci possa dipendere da tutte le due cause.
Che sia un rapporto tra la presenza del //arkton e la successiva comparsa dei pesci
lo desumo dalle osservazioni fatte su quelle specie, che con la luce, durante i mesi di
Luglio, Agosto e Settembre, furono raccolte in quantità veramente straordinaria, special-
mente sul 7rackurus trachurus (Sauro), di cui nel solo mese di Agosto in 11 notti fu-
rono catturati Quintali 232, 80 (Vedi Allegato C) (2).
Esaminando il contenuto intestinale dei Sauri, catturati con la luce nel mese di Lu-
glio, ho osservato che la porzione stomacale è quasi sempre piena zeppa di Mys/s e di
giovani Pezieidi più o meno digeriti, quasi tutti indeterminabili specificamente, i primi dei
quali formano, come si è detto, una parte importante del P/az:kZ0r, che si raccoglie sotto la
luce. Bisogna avvertire però che anche il contenuto intestinale dei Sauri, catturati senza luce,
nello stesso mese di Luglio, con le così dette sc/abicle, è costituito dallo stesso mate-
riale; cosicchè si può affermare ehe esso sia, in quest'epoca dell’ anno ed in determinate
condizioni, l’ ordinario nutrimento per questa specie. (3) L’ avvicinarsi dunque di notevoli
frotte di Sauri per periodi di tempo così lungo, come si vede dall’.A//gafo C, tanto da
far pensare che la produzione per alcune specie sia quasi inesauribile, è dovuto in gran
parte al //arnkton, di cui essi si cibano od alla presenza di pesce novello, come i piccoli
Clupeidi, di cui, come si è detto, sono ghiottissimi (4).
Stando a queste osservazioni, che dovrebbero essere ripetute su le altre specie di Pesci
e nelle diverse epoche dell’anno, si può affermare che entrano nella zona di mare illumi-
nata e si soffermano talune di quelle che, trovandosi di passaggio, trovano nel P/arktor
un adatto nutrimento. E da escludere quindi che la luce ad acetilene, a meno che non si
faccia agire dove la profondità marina sia molto piccola, possa stimolare ad entrare nel suo
raggio d'azione quelle forme che abitualmente cercano il loro nutrimento nel fango.
Infatti, avendo acceso l’ apparecchio dentro il Porto di Ulisse, dove è una profondità
di 2 a 5 metri, abbiamo visto avvicinarsi sotto la luce alcuni pesci che vivono abitual-
mente sul fondo, come i /?077:0/, mentre le stesse forme non comparvero mai quando la
(1) Rilevandosi da queste ricerche l’importanza del //arnkzon per la pesca con sorgenti luminose e per
molte altre quistioni pratiche inerenti alla pesca, è da augurarsi che lo studio dettagliato e sistematico delle
forme che lo costituiscono nei mari italiani venga incoraggiato sempre di più. Degno di molta lode è il R. Co-
mitato talassografico, che ha preso l’ iniziativa di tale studio.
(2) Questa cifra è molto vicina al vero, ma non rappresenta la somma totale del pesce preso con la luce,
essendo possibile che una piccola parte sia sfuggita al nostro controllo.
(3) Queste osservazioni sono confermate da quelle fatte dal Lobianco, (Cfr. Grande pesca di Sauri av-
venuta nel golfo di Napoli e sue adiacenze durante i mesi da Maggio ad Agosto 1908. Rivista mensile di
Pesca — An. X 1908), le quali osservazioni mi furono note soltanto dopo che questo lavoro era stato com-
pilato.
(4) Un’altra prova del rapporto costante tra il //anzton e l’avvicinarsi dei Pesci alla sorgente luminosa
si è ricavato dalle osservazioni fatte durante i mesi freddi, in cui, come si è detto, il P/anX%/on non si forma
che scarsamente sotto la luce e conseguentemente anche i Pesci non si osservano che in piccolissimo numero.
Effetti della pesca con le sorgenti lumiinose sul prodotto delle reti, ecc. Yi
profondità era di 40 e più metri, dove la pesca con le fonti luminose viene abitualmente
esercitata.
Dalle affermazioni dei pescatori con la luce ad acetilene e dalle nostre osservazioni
risulta che, quando si lavora ad una certa distanza dalla costa, con una profondità di 30
a 45 m., le specie che si catturano con le fonti luminose sono limitate a poche, ed esse
sono i Sazri (Trachurus trachurus), i Sturmi (Scomber scomber), e Sardelle (Clu-
pea pilchardus), le Acciughe, (Engraulis encrasicholus), le Vope (Box boops) e
qualche altra, tutte specie che migrano in frotte più o meno compatte.
La cattura dell'una o dell'altra specie dipende dal passaggio (detto dai pescatori lo-
cali passa) più o meno abbondante, che avviene in determinate epoche e secondo le an-
nate per cause non del tutto note (1).
c) azione della Iuce su i Pesci che dal largo si dirigono verso le coste.
Come conseguenza delle osservazioni precedentemente esposte, abbiamo voluto osser-
vare se i pesci di dimensioni relativamente piccole, quali i Saz:77, le Acciughe (Mascoline),
le Sarde, non siano capaci alla loro volta di attirare nella zona di mare illuminato le
specie di grosso taglio, che vivono in alto mare a grande profondità, e con ciò avere una
prova documentata della verità o meno delle lagnanze che i Pescatori con ret: di posta
muovono contro i Pescatori con luce ad acetilene, cioè che questa faccia deviare dalla loro
rotta i Pesci, che dal largo si dirigono verso le coste.
A tale scopo, dopo avere catturato un certo numero di Accizg/e, da servire come
esca, abbiamo preparato un piccolo comso, recandoci a circa 14/, km. dalla costa in vi-
cinanza di Aci-Castello, dove è una profondità di 300 m. circa. Messe in mare le Zenze,
che costituiscono il coso, ad una profondità di circa 18 m. sotto la luce del riflettore, per
quanto tempo si sia impiegato, nessun pesce di grosse dimensioni si è visto avvicinare,
nè alcuno fu preso dalle /ezzze. Avvicinarono invece grossi Saz7z e prima di essi una
grande quantità di Scopelzds.
L'esperimento stesso fu ripetuto scendendo in mare l’una dopo l'altra varie /enze,
in uno spazio di mare più tosto grande ed. in modo che, mentre alcune erano interamente
al buio, altre erano vivamente illuminate dalla luce del riflettore. Anche in questo caso
nessuna /enza pescò alcuna specie di Pesce. Non possiamo tacere che queste osservazioni
dovrebbero essere ripetute su larga scala, studiando prima di tutto a quale profondità
giunga la luce dell’acetilene di una data intensità e quale sia il suo raggio d'azione, per
stabilire poi su quali specie essa eserciti un potere attrattivo, su quali invece non abbia
un potere repulsivo o pure se non eserciti l’uno e l’altro successivamente o non ne eser-
citi affatto.
(1) Uno studio dettagliato su tale questione, che si collega a quella delle correnti locali ed alle varia-
zioni di temperatura, sarebbe molto utile per le varie quistioni non solo d’ indole pratica per le industrie pe-
schereccie, ma dal punto di vista puramente scientifico; onde ho richiamato su tale argomento l’attenzione del
nostro consocio il Prof. Giovanni Platania ben noto cultore di fisica del mare. Egli, difatti, accogliendo il mio
consiglio, iniziò tali ricerche lo scorso anno nelle vicinanze dell’ Isola dei Ciclopi, in compagnia del personale
dell’ Istituto Zoologico, ed oggi vedo con piacere che egli presenta alla nostra Accademia i risultati dei suoi
primi studi (Cfr. Giov. Platania. Temperatura superficiale del mare intorno I’ Isola dei Ciclopi. Bollettino Acc.
Gioenia di Sc. Naturale. Fasc. 24, Serie 2%, 1912).
8 Achille Russo |Memoria IV.]
Qualche fatto positivo, che subito riferisco, ed alcune considerazioni, che meriterebbero
essere controllate da opportune ricerche, tenderebbero però a dimostrare la nessuna o quasi
nessuna influenza della luce ad acetilene su la rotta dei Pesci, che vivono al largo o a
grandi profondità. Difatti, in una delle notti, in cui si è lavorato con il cONSso, come so-
pra si è detto, la pesca delle Acczug/e, che dovevano servire come esca, fu fatta con una
Menatda in prossimità della zona acquea, dove lavoravano molte /a72padare. Non ostante
però l’azione della luce di molte sorgenti luminose ad acetilene, poste a breve distanza,
la pesca con la Menatda fu straordinariamente abbondante, essendosi catturato in una sola
volta un Quintale circa di Acciugre.
D'altra parte, qui a Catania si sa che la pesca di talune specie di pesci, come i Mer-
luzzi, le Acciughe, le Sardelle, i Sangusi (Auxis bisus) etc. (1) ordinariamente non si
fa di notte, ma di giorno, dal levare al tramonto del sole. Come affermano i pescatori, per
lunga esperienza, le ore più propizie sono quelle della mattina e della sera, per cui parrebbe
che i pesci stessi, stando di notte nelle profondità marine, risalgano verso la superficie
per l’azione predominante della luce solare, per abbandonarla quando verso sera la luce
cessa. Ora, bisognerebbe studiare se la luce ad acetilene, oggi in uso, sia di tale potenza
da essere in qualche modo equiparata a queila solare; perchè, se così fosse, sarebbe in-
negabile la sua azione. Negli esperimenti sopra riferiti però, non ostante si sia tesa l’insidia
con gli azz7, nessun pesce di profondità o proveniente del largo si è avvicinato sotto il
riflettore, mentre furono, come si è detto, pescate abbondanti Acczzg/Xe in vicinanza delle
sorgenti luminose ; per cui ritengo, a parte le esperienze di varia natura che a tale propo-
sito potrebbero instituirsi, l’azione della luce ad acetilene nel lamentato allontanamento dei
pesci che dal largo si dirigono alle coste, sia molto discutibile.
d) riassunto delle ricerche biologiche in relazione ar reclami avanzati
dai pescatori con reti di posta e nuove esperienze fatte in propostto.
Per lo scopo della controversia tra i pescatori con ret: d7 posta e quelli con la luce,
secondo i reclami che i primi rivolgono alle autorità competenti ministeriali, bisogna for-
mulare i tre seguenti quesiti, cioè:
1.0 se, raccogliendosi abbondante //ar/k/07r sotto l’azione della luce, esso non con-
tenga forme larvali o stadi giovanili di specie commestibili, che potrebbero essere distrutti,
2.° se, per caso, la luce non allontani dalla loro corsa abituale quei pesci che dall’alto
mare 0 dalle profondità, risalendo alla superficie, si dirigono verso le coste, dove sareb-
bero catturati dalle ret d/ posta,
3.° se, altrimenti, la luce ad acetilene non stordisca i pesci da fare loro perdere la vi-
talità, rendendoli inadatti per il consumo.
Al 1° quesito possiamo rispondere che da Luglio ai primi di Settembre nel mare di
Catania, quando maggiormente si esercita la pesca con la luce, furono trovate nel
(1) Sulla maggiore o minore presenza di alcune specie di Pesci, come le Acciughe, Sarde etc. pare ab-
biano influenza le diverse condizioni meteorologiche. Difatti, quando nel golfo di Catania comincia a dominare
lo Scirocco e levante, che nen sia ancora molto forte, i marinai per lunga esperienza sono sicuri di catturare
grande quantità di Acciughe.
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc. 9
Plankton nè ova, nè piccoli stadî di pesci commestibili; che furono trovate soltanto for-
me larvali di Crostacei Brachiuri e Macruri. L’inconveniente che ne deriverebbe per la
distruzione di queste ultime forme potrebbe essere facilmente eliminato ; in ogni caso, credo
che esso non sia, considerando l’ esiguo numero degli esemplari raccolti, un danno molto
grave per l'industria della pesca. Più grave danno sarebbe invece la distruzione dei pic-
coli Qupeidi, che talora, come si è detto, in detti mesi si presentano sotto la luce in
‘frotte, specialmente nel mese di Settembre.
La distruzione di questo 70ve//amze, che i pescatori con luce catturano col coppo
solo per uso personale, non potendo catturarlo con la rete o z/zca, che ha maglia troppo
larga, potrebbe anche essere evitata con opportuna sorveglianza. È necessario però osser-
vare che la distruzione di una parte del 720ve//amze non può essere evitata, quando si pe-
sca con la luce, perchè i pesci, che successivamente si presentano nella zona di mare il-
luminato, che sono per lo più Saz77, la divorano.
Abbiamo osservato però che la raccolta dei piccoli Clupeidi incomincia in Settembre,
per cui, se si vuole tenere presente il danno che la loro distruzione arrecherebbe alla pesca
delle Acciughe, la pesca con la luce dovrebbe essere proibita soltanto da questo mese in poi.
In confronto del danno che, per questo fenomeno, arrecherebbe la pesca con la luce,
bisogna tenere presente che gli stessi piccoli Clupeidi negli stessi mesi di Settembre-Ot-
tobre sono catturati da altri ordegni di pesca a0bus/vamente in quantità veramente note-
vole. Le sole sczabiche, difatti, nei primi di Settembre del 1912 ne catturarono diversi quin-
tali, che furono liberamente immessi sul mercato, senza che le autorità locali ne avessero
proibita la vendita (1).
Considerando quanto sopra fu esposto, e tenendo presente che uno dei tanti danni, di
cui si accusa la pesca con la luce, viene invece prodotto in misura maggiore da altri ge-
neri di pesca, specialmente dalle ref a strascico, resterebbe a vedere quale dei due sistemi
sia più condannabile, ma non farne colpa soltanto a quella con la luce.
Al 2° quesito, cioè se la luce allontani dalle coste i pesci, provenienti dall’alto mare,
date le osservazioni che finora abbiamo potuto fare, non possiamo rispondere in modo
esauriente. Crediamo però che, ove tale danno, uscendo dal campo delle supposizioni e
delle ipotesi, venisse dimostrato scientificamente, non si tratterebbe che di disciplinare la
pesca con la luce. Noi però, come sopra si è detto, abbiamo constatato che, lavorando con
una Menaida nello specchio d’ acqua, dove lavorano le /amzpadare, si può catturare una
grande quantità di Acciughe (Vedi pag. 8). D' altra parte, è interessante tenere presente
che dalla Statistica, raccolta nell’ Allegato C, risulta che sia nelle notti senza luna, in cui
lavorano molte barche con le fonti luminose, sia nelle notti lunari, quando la pesca con
la luce non viene esercitata, la quantità di pesce catturato dalle Merazde e dalle Lacciare,
cioè da quelle reti che potrebbero risentire, come affermano alcuni pescatori, gli effetti della
luce, è quasi la stessa.
Alla questione formulata in questo 2° quesito si connette però quella importantissima
relativa all’ industria delle /077:47e, imputando gli esercenti di esse dei gravissimi danni
all'esercizio della pesca con la luce ad acetilene. Noi non abbiamo osservazioni dirette, fon-
(1) Anche nel mese di Febbraio-Marzo le sciabiche catturano grandi quantità di novellame : ritengo per-
ciò sarebbe necessario vietare 1’ uso del sacco a maglia fittissima, qual’ è attualmente.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. IV.
N
10 Achille Russo [MemoRIA IV.|
date cioè su proprie esperienze, per cui non potremmo pronunciarci in modo definitivo;
ma, i dati statistici che abbiamo raccolto e che saranno esposti in seguito non depongono
in favore alle lagnanze degli esercenti medesimi, per cui è mia convinzione che la pesca
con la luce non arrechi alle forzare quei danni, che le si vogliono attribuire.
In ogni modo, per quanto riguarda il 2° quesito, a mio giudizio, sarebbe necessario
fare indagini più dettagliate, studiando gli effetti della pesca con fonti luminose sia in rap-
porto ai più comuni e più rimunerativi metodi di pesca (7ralte e Lacciare), sia in rap-
porto alle 7omzare, sia in fine alla pesca con varî altri sistemi in determinate località.
AI 3° quesito, cioè che il Pesce sotto l’azione della luce ad acetilene resti stordito e
che quindi perde /a sua vitalità, diviene floscio, perde il sapore e la freschezza (1),
si può rispondere in modo abbastanza esauriente con diversi dati di fatto, i quali dimo-
strano chiaramente che tale obbiezione è priva di serio fondamento. {
Prima di tutto, quando si pesca con la luce, i Pescatori stessi raccomandano a quelli
che sono nella barca di non fare rumore (di non fiafare, com’ essi dicono), perchè i pe-
sci, raccoltisi sotto la luce, ad ogni piccolo rumore andrebbero via. Oltre ciò, essi risentono
la differenza dell’ intensità luminosa; perchè, dopo essersi raccolti sotto la luce di un ri-
flettore di una data intensità, basta che la luce divenga più forte per allontanarsene.
Questi fatti basterebbero da soli a dimostrare che i pesci non restano storditi, nè per-
dono la loro vitalità; ma, per avere una prova più diretta della nessuna influenza dannosa
della luce, abbiamo voluto ricorrere ad un esperimento più decisivo. Dopo avere pescato
sotto la luce del riflettore ad acetilene un certo numero di Saz77, ne abbiamo messo 30
in una zassa ben capace, la quale fu portata sott’ acqua nella località chiamata Porzzce//o,
dentro il Porto di Ulisse, dove fu legata con una fune all’ imboccatura del Porzzcel/lo
medesimo. Tali Sazr7, non ostante le condizioni poco favorevoli, cioè acqua inquinata
del Porto, mancanza di adatto nutrimento e cattura dentro la 724ssa, vissero per un tempo
più o meno lungo. Difatti, 2 morirono dopo 18 ore, 5 dopo 31 ore, 3 dopo 57 ore, la mag-
gior parte visse fino a più di 20 giorni, dopo di che furono abbandonati.
Secondo l’ esposto fatto dal Presidente della Società fra i Pescatori di Catania, 7 pe-
sce preso con le fonti luminose ad acetilene appena colto, spectalmente se arro-
stito, si frantuma, mostra un grado di corruzione e di decomposizione speciale.
Noi non abbiamo voluto ricorrere a prove di controllo, sembrandoci ovvio, dopo gli espe-
rimenti avanti esposti, che tale affermazione sia interamente gratuita, tanto più che il Pe-
sce pescato con l’acetilene si smercia su larga scala a Catania e dintorni e non furono
mai mosse lagnanze dai consumatori.
Ad onor del vero però, bisogna in ultimo dire che una delle osservazioni, cioè che
il pesce preso con la luce qualche volta si presenti sul mercato non in buone condizioni,
ha una parte di vero, ma che tale stato non dipenda dall’ azione dannosa dell’ acetilene.
Il pesce, catturato con questo mezzo, infatti, essendo preso alcune volte nelle prime
ore della notte, resta ammucchiato nelle ceste fino alle ore avanzate del giorno dopo,
quando può essere messo in vendita; è naturale che in tali condizioni esso debba talora
subire delle avarie.
(1) Sono queste le parole testuali contenute in un esposto fattomi dal Presidente della Società fra i Pe-
scatori di Catania, in occasione della controversia che dal Ministro di Agr. I. e C. fui incaricato di decidere
fra i Pescatori con la luce ed i Pescatori con rezi di posta.
Effetti della pesca con le sorgenti Imminose sul prodotto delle reti, ecc. ll
Ricerche statistiche.
Queste ricerche, per la ristrettezza del tempo in cui furono fatte e per varî ele-
menti di perturbazione, presentano qua e là delle lacune, alcune delle quali potranno
essere colmate, continuando a raccogliere metodicamente per un lungo periodo i dati ne-
cessari, come io ho fatto nei mesi di Luglio. Agosto, Settembre e Ottobre 1912, durante
i quali mesi ho instituito un servizio speciale per la Statistica.
Tenendo presente che la pesca con la luce ad acetilene, proiettata da riflettore, è dif-
fusa a Catania da circa 7 anni, cioè dal 1906, secondo l’ affermazione di questa R. Ca-
pitaneria di Porto (Cfr. Annali di Agricoltura, Anno 1908, pag. 4, Sessione della Com.
consultiva del Dicembre 1906), ho voluto anzitutto studiare se il prodotto generale della
pesca avesse subito qualche diminuzione da quell'epoca, in confronto degli anni prece-
denti, nei quali tale pesca fu poco esercitata.
A tale scopo, dai Registri del Dazio consumo del Comune di Catania ho prelevato la
quantità e la qualità di Pesce fresco, introdotto annualmente sul mercato nel periodo, che
decorse dal 1900 al 1912. Essendo il pesce sdaziato distinto in 3 qualità o classi, come
si può rilevare dall’ A//egato A, ho creduto necessario prima di tutto stabilire se i pesci
compresi in ciascuna classe vengano tutti catturati nel mare di Catania ovvero se una
parte non provenga da altre località, come Augusta, Siracusa, Riposto, Messina, etc.
Da un'inchiesta fatta, interrogando persone capaci di darmi attendibili informazioni,
sarebbe da escludere che nel mercato di Catania venga introdotto pesce di altre città, ap-
partenente alla 1* e specialmente alla 3* classe, in quantità tale da spostare notevolmente
i dati della statistica. Solo la 2* classe potrebbe essere inquinata dall’ annuale introdu-
zione di Zonni ed Alalunghe, provenienti dalle varie tonnare della Sicilia orientale o da
qualche altra più lontana, come quelle di Trapani o di Pizzo in Calabria, e di Pesce
spada, che proviene da Messina.
Per quest'ultimo ho potuto rilevare la quantità introdotta dal 1904 ad oggi, ma per
i Tonnt e le Alalunghe, per quante ricerche si siano fatte, sia rivolgendoci alla Direzione
compartimentale delle Ferrovie, sia alla Direzione generale, non è stato possibile avere i
documenti necessari a farci eliminare la causa di errore.
Il prodotto di 2* classe però, dall'anno in cui s’ introdusse la pesca con la luce ad
acetilene, andò sempre più aumentando ; cosicchè, se tale aumento fosse dovuto ad una
maggiore introduzione di 707727 nel mercato di Catania, anche le Tonnare avrebbero do-
vuto produrne di più. Come si dirà in seguito però, negli anni successivi al 1906 il pro-
dotto delle Tonnare subisce delle profonde oscillazioni, diminuendo bruscamente proprio
dal 1906 al 1907, passando, cioè, da 7321 quintali a 2579. Negli anni successivi fino al
1912, come si rileva dall’ A//egato D e dal grafico inserito a pag. 15, il prodotto stesso
non segna mai un aumento continuo, alternandosi aumenti e diminuizioni; cosicchè si può
ritenere con ragione che l’ aumento del Pesce fresco di 2 Classe dal 1906 in poi a Ca-
tania fu dovuto a causa diversa (1).
(1) Da ricerche in corso mi risulterebbe che con | uso delle rezi a strascico aumenta il prodotto dei Pe-
sci di 2% Classe, costituito in gran parte da specie che vivono sul fondo e da novellame, mentre diminuisce
12 Achille Russo [Memorta 1V.]
Un altro punto, che abbiamo creduto dover chiarire, prima di trarre qualche conclu-
sione dalle cifre della Statistica, si è quello di accertare quali specie di pesci vengano
catturate con i varî sistemi di pesca in uso a Catania e quali di esse appartengano alle
Classi sopra menzionate. A tale scopo, nei mesi di Luglio, Agosto e Settembre, abbiamo
registrato in appositi elenchi i pesci ed il loro relativo peso, che furono presi da 3 diversi
sistemi di pesca, cioè la 7Zralta o menatda, che è una rete di posta, \a Lacciara, che
viene considerata anche come rete di posta e che è trasportata dalle correnti (1), e la Lamz-
padara, che pesca con la luce.
Da tale studio, che è consacrato nell’ AZ/egato €, risulta che con le Trazte e con le
Lacciare si catturano pesci compresi in gran parte nella 2* classe, che invece con la luce
si cattura pesce, appartenente in massima parte alla 3* Classe.
Da tale studio risulta inoltre che la quantità di Pesci, catturati con le Merazde e con
le Lacciare nelle notti di luna, in cui le /a77padare non lavorano, e quelli catturati nelle
notti di buio, quando si lavora con la luce, è presso che sempre costante, il che non do-
vrebbe avvenire se la luce avesse per effetto di fare allontanare i pesci.
Dal punto di vista statistico, anche a non voler tenere in considerazione il prodotto
delle Mezzazde e delle Lacciare, che catturano pesci di 2* classe, che, come si è detto,
presenterebbe un elemento di errore, che però noi abbiamo escluso, resta a considerare la
1a, che è rappresentata da pesci catturati anche con altri sistemi di pesca, che non siano
quelli con la luce. Ora, se questa dovesse esercitare un’influenza dannosa, anche la quan-
tità dei Pesci compresi nella 12 Classe dovrebbe diminuire dall'anno 1906, in cui tale
pesca cominciò ad esercitarsi da buon numero di pescatori (2).
Come vedremo, invece di una diminuzione, la Statistica segna un notevole aumento;
però, prima di dare al riguardo il nostro giudizio, bisogna considerare un altro fattore,
che potrebbe anche essere causa d’errore, e cioè se la mano d’opera nel periodo 1900-912
si sia mantenuta costante ovvero se abbia subìto delle variazioni.
Dai dati rilevati dai Registri di questa R. Capitaneria di porto, si desume che le bar-
che da pesca e quindi la mano d’opera sia andata sempre più aumentando dal 1905-906
fino ad oggi; però, come si rileva dall’ A/Zegato B, in correlazione a tale aumento è an-
che aumentato il prodotto della pesca, per cui, se la luce dovesse esercitare un’ azione
dannosa, una 7edza proporzionale tra il numero delle barche, che lavorarono in un anno,
ed il prodotto generale dell’ anno stesso, dovrebbe darci una diminuzione di utile.
Tale media però effettivamente (Vedi Allegato B) segna un aumento fino al 1909, non
ostante l’aumentata mano d'opera, per cui pare la luce non abbia esercitato quell’influenza
dannosa che vogliono attribuirle i pescatori che non ne fanno uso. Solo nell’anno 1911 la
media è stata di 16, che è molto bassa in confronto a quella di 21 nel 1910, di 25 nel
quello di 1% e di 3% Classe, nelle quali vanno comprese le specie, che migrano in frotte e che dal largo si
avvicinano alle coste. Tale rapporto, che potrebbe considerarsi come di causa ed effetto, oltre ad avere un
significato biologico, potrebbe rischiarare la complessa e dibattuta quistione dell’ uso delle eli a strascico.
(1) Alla Zacciara, che è una rete verticale, si usa unire un’ altra rete, che tocca il fondo, detta Bardas-
sole. Ciò spiega perchè fra i pesci elencati vi sono forme di fondo.
(2) Nel mese di Dicembre le A7eraide catturarono Acciughe in grande quantità. Queste erano della lun-
ghezza di 12 cm., mentre nei mesi precedenti, come si è detto, erano di piccole dimensioni, raggiungendo in
Settembre i 4 cm. Tale pesca, superiore di molto a quella che si fa in Estate, è in relazione con cause non
del tutto note, ma non ha alcun rapporto con il non esercitarsi nei mesi invernali la pesca con le fonti
luminose.
Effetti della pesca con le sorgenti Inminose sul prodotto delle reti, ecc. 13
909, di 21 nel 908; ma bisogna considerare che in questo anno infierì a Catania il co-
lera, specialmente nella classe marinara, e che per alcuni mesi (Agosto e Settembre) la
pesca fu quasi del tutto abbandonata.
Oltre a ciò, bisogna considerare che nello stesso anno fu introdotto nel mare di Ca-
tania l’usc delle Parazze, dette f0agnz a vele, che da prima furono esercitati con due
coppie e poscia con 10 coppie, secondo notizie fornitemi da questa R. Capitaneria di Porto.
Lo stesso sistema di pesca fu più largamente usato nell’anno successivo 1912, nel quale,”
come si rileva dall’ A//egato B, il prodotto segna una notevole diminuzione, specialmente
nella 1a Classe di Pesci. La media di questo anno è anche molto bassa, ma ciò, a mio
giudizio, più che all’ uso della pesca con le sorgenti luminose, è dovuto all'uso delle 7°ez7
a strascico, che, con ogni verosimiglianza, hanno allontanato dal mare di Catania molte
specie che migrano in frotte, come ne farebbe fede il diminuito prodotto dei Pesci di 12 e
di 3° Classe. Un'altra circostanza, che non ci fa incolpare alla luce il diminuito prodotto,
si è l'aumento del numero delle barche; cosicchè l’impoverimento, a mio parere, nell’anno
1912, potrebbe essere dovuto da una parte all’ aumento della mano d'opera, che avrebbe
oltrepassato il massimo di produttività del mare di Catania, dall'altra all’azione distruttrice
dell’uomo stesso, che con l’uso delle retz a strascico (Ragni a vele, Tartaroni, Sciabiche,
Reti a strascico messe in azione da forze meccaniche) ha turbato le condizioni idrobiolo-
giche del golfo di Catania.
Esludendo dal nostro esame gli ultimi due anni, cioè il 1911 ed il 1912, nei quali
l’uso eccessivo delle ref a s/rasczco ha prodotto gravi disturbi alla pesca del golfo di Ca-
tania, e considerando solo il prodotto degli anni successivi al 1906, si rileva che la 1% classe
da Quintali 725 nel 1906, anno in cui si diffuse la pesca con la luce, passa a Quintali 1117
nel 1907, a 720 nel 1908, a 1632 nel 909, a 1014 nel 910. I pesci di 3* classe, che
in gran parte sono catturati con la luce, subiscono un aumento notevole. Difatti, da
Quintali 4948 nel 1906 si passa a Quintali 5809 nel 1907, a 6280 nel 908, a 9370 nel 909.
I pescatori, che reclamano l’ abolizione della luce, non negano che con tale mezzo si
catturi una quantità straordinaria di talune specie (Sauri, Sturmi, etc.) e che quindi essa
sia molto rimunerativa, ma oppongono che tale pesca veniva fatta prima dalle sczabzche.
I sciabicoti, o pescatori che esercitano le sczabzche, incolpano la luce del danno subìto,
ma, a considerare bene la cosa, a me pare le obbiezioni avanzate da questa classe di pe-
scatori non siano diverse da quelle che avanzano gli esercenti di tutte le industrie, quando
si apporti un qualche miglioramento agli strumenti di lavoro. Potendo escludere che la
luce arrechi del danno all’ industria generale della pesca, ritengo che essa sia un metodo
più perfezionato per la pesca di alcune specie di pesci. A prescindere da varie considera-
zioni, che riguardano la sicurezza di raccogliere in una zona determinata una notevole
quantità di pesce, bisogna tenere presente che quelli che lavorano con la luce mettono
in opera le loro forze quando vedono che il pesce si è raccolto in tale quantità da com-
pensarne il lavoro, mentre i sczabzcoti si affidano spessissimo al caso. perchè talora, dopo
avere tirato le sczabzcle, non ricavano un compenso adeguato al lavoro fatto.
Con le considerazioni statistiche e d' ordine generale avanti esposte, coincide però una
circostanza di fatto, che potrebbe modificare le nostre conclusioni, e cioè il divieto deila pe-
sca con reti a strascico (1) negli anni 1905-906, poco prima che cominciasse a diffondersi
(1) Decreto 20 Maggio 1902.
14 Achille Russo [Memoria IV.]
a Catania l’uso della luce. Bisogna però considerare che, dopo quei due anni di divieto,
le stesse 7'eZz a strascico, cioè i tartaroni grande e medio, furono gradatamente rimesse
in uso, per cui è da ritenere che l’ aumento del prodotto generale della pesca, per effetto
di tale proibizione, si sia mantenuto in determinati limiti e che una parte di aumento del
prodotto, specialmente di quello formato da Pesci di 32 classe, sia dovuto all’ uso della
pesca con fonti luminose.
Considerazioni sul prodotto annuale delle tonnare del Compartimento
Marittimo di Siracusa.
Riserbandomi di esporre in quali termini debba porsi la questione della pesca con fonti
luminose nel Compartimento marittimo di Siracusa e quali siano le differenze con la stessa
questione che abbiamo studiato a Catania, per il momento mi limito ad esaminare il pro-
blema dal punto di vista delle Zozzzare di quel Compartimento, fondandomi sulle statistiche
annuali delle 70727zare medesime.
Al riguardo, per giudicare sui possibili danni che a tale importantissima industria po-
tesse arrecare la pesca con la luce, abbiamo raccolto i dati necessari sia recandoci alle
sedi delle 7orzzzare per consultare i Registri di quelle Amministrazioni, sia servendoci di
documenti contenuti in pubblicazioni ufficiali.
Questa statistica, sebbene riguardi un lungo periodo di anni, che va dal 1892 al 1912,
presenta qua e là delle lacune, che, per quante ricerche si siano fatte, non fu possibile
colmare.
Tutto il lavoro da noi fatto è consegnato nell’ A//egato B e riassunto nel grafico
qui inserito, nel quale a colpo d'occhio si possono seguire le variazioni annuali del pro-
dotto di tutte le Zozzzzare della Sicilia orientale.
Esaminando separatamente il prodotto annuale delle 5 tonnare, poste nel Comparti-
mento marittimo di Siracusa, cioè: S.ta Panagia, Avola, Marzameni, Capo Passero
grande e C. P. piccolo, si nota subito una grande incostanza nelle cifre di ciascun anno
e spesso sbalzi così bruschi da farci ritenere che sarebbe molto azzardato il volere stabi-
lire delle regole.
Difatti, nella tonnara S.ta Panagia, posta nel territorio di Brzco/7, dove, per la vici-
nanza con Augusta, potrebbe risentirsi di più l’ effetto della pesca con la luce, da Quintali 50
di tonni presi nel 1892 si passa a Quintali 400 nel 1894, per scendere a 225 nel 1895 e
risalire di nuovo a 514 nel 1897, a 900 nel 1899, a 1250 nel 1902, etc.
Nella tonnara di Avo/a si comincia con Quintali 1200 nell’anno 1897 e si scende a
Quintali 511 nel 1898. Nel 1901 si ha di nuovo 1296 Quintali, che si mantengono presso
che uguali nel 1902, però nel 1903 si scende ancora a 496 per risalire e scendere senza
alcuna regola negli anni successivi. Lo stesso potrebbe dirsi per le altre tonnare, segnate
nell’ A//egato D, cioè quelle di Marzameni, Capo Passero grande e piccolo.
Le nostre indagini furono anche estese al prodotto settimanale delle tonnare medesime
in quest'ultimo esercizio, che va dai primi di Maggio ai primi di Agosto. Con ciò abbiamo
voluto vedere se, per caso, vi fosse un rapporto tra la /unazzone, cioè tra le notti di
(©1.
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc. l
buio, nelle quali si esercita la pesca con la luce, e quelle con luna, e la maggiore o mi-
nore cattura di Tonni.
Grafico del prodotto totale delle Tonnare della Sicilia Orientale dall’ anno 1900 al 1912.
Vara 1900 901 902 903. 90% 905. 906 90 908 909 EZZA CIA
(2000
10000
4 000
3000
SNUPROA ya
VA
2000
deinlali IZI. GiUb 12434: 5282 I419, $600 $32. da 4Y4CI. COSÌ. 2529. ISPE. 462.
Fig. 2. — I numeri progressivi posti a sinistra del grafico indicano gli aumenti per rooo quintali. Ogni
spazio interposto s’ intende diviso in ro centinaia. Le cifre al piede del grafico indicano la somma
totale dei quintali di Tonni presi nelle 5 Tonnare della Sicilia orientale. Lo spazio tratteggiato serve
ad indicare i due anni di proibizione delle 7-e/i a s/rascico nel Compartimento marittimo di Catania.
Le annate controsegnate con una linea sono quelle consecutive all’ introduzione della pesca con la
luce ad acetilene.
16 Achille Russo
MemorIA IV.]
Tale ricerca fu fatta in base ai dati contenuti nel Gzorra/e settimanale, che le Am-
ministrazioni delle tonnare forniscono alla R. Capitaneria di porto di Siracusa (Vedi A/Ze-
gato E). Nella tonnara Santa Panagta, che fu impostata il 13 Maggio, si cominciò la
cattura dei tonni ai primi di Giugno e propriamente se ne catturarono 25 dal 3 al 9 con
notti lunari, 19 dal 10 al 16 ed 1 dal 17 al 23 con notti senza luna. Tali cifre, messe
in relazione con l’uso della pesca con la luce ad acetilene nel vicino territorio di Augusta,
potrebbero ritenersi favorevoli alle lagnanze degli esercenti la tonnara medesima; però, le
cifre s’ invertono nelle settimane successive, perchè dal giorno 1 al 7 Luglio con notti
lunari furono catturati 7 tonni soltanto, mentre dal giorno 8 al 14 e dal 15 al 21 con
notti di buio, in cui quindi lavorarono le barche con la luce, si ebbero rispettivamente 9
e 109 tonni.
Nella tonnara di Avola da 15 tonni, presi nella settimana 24-30 Giugno, si passa a
205 in quella 1-7 Luglio con notti di luna; invece nelle notti di buio si ha 196 tonni dal-
l'8 al 14 Luglio e 446 dal 15 al 21. Similmente nelle tonnare Marzameni e Capo Pas-
sero si catturarono più tonni nelle notti di buio che in quelle con la luna.
Con ciò non vogliamo stabilire alcuna regola, perchè sarebbe azzardato fondare delle
conclusioni su le poch? osservazioni fatte; crediamo però essere altrettanto azzardato sta-
bilire una relazione fra le variazioni che subisce annualmente il prodotto delle tonnare e
la pesca con la luce ad acetilene.
CONCLUSIONE
Da quanto sopra si è esposto e facendo le debite riserve per molte questioni, che an-
cora restano insolute, sono in massima di parere che la pesca con la luce dell’acetilene
non arrechi gravi danni alla pesca in generale ed a quella con le retz dî posta in particolare.
E mia opinione che la controversia dipenda in parte da pregiudizî, dovuti all’ ignoranza in
cui vive la nostra classe dei pescatori (1), ma in parte grandissima dalla concorrenza che
sul mercato gli esercenti le barche con la luce fanno a quelli che usano altri metodi di
pesca. Difatti, è ben noto a Catania che nei mesi di Luglio, Agosto e Settembre, quando
la pesca con la luce è nel massimo suo vigore, il prezzo del pesce sul mercato subisce
una forte diminuzione, a benefizio dei consumatori, ma a danno di quella classe di pesca-
tori, che insistentemente richiedono che siano abolite le /amzpadare./!
(1) In un esposto, fattomi per iscritto dal Presîdente della cooperativa fra pescatori « Principe Tommaso »
di Augusta, fra l’altro è detto: 2ulti i pesci che sfuggiranno dalle FIAMME INFERNALI (sic) RIMANGONO
AMMORTIZZATI, producendosi in loro come un avvelenamento, etc.
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc. 17
AERENIDIGE
Avendo avuto il Chiar.mo Prof. Achille Russo dal Ministero d’A., I. e C. l’incarico di
valutare, in base a dati sperimentali, le ragioni opposte dai pescatori con le rel: dz po-
sta contro la pesca con la luce ad acetilene, e decidere la controversia, dietro suo consiglio,
riferisco come tale pesca viene eseguita a Catania.
La pesca con la luce a Catania può essere esercitata con tre barche, di cui una, che
porta la sorgente di luce e sta ferma, è di piccola portata ed è manovrata da un solo uomo,
per lo più un ragazzo, le altre due invece sono molto più grandi, venendo adoperate quelle
che servono per la pesca delle Sarde e dette sardare ,
e ciascuna di esse è manovrata da 7 ad 8 uomini. Men-
tre la 1a è ferma in un punto, il quale, per accordi sta-
biliti fra i diversi pescatori, è determinato e fisso rispetto
alle altre barche munite di luce , le altre due restano al
buio ed aspettano per essere chiamate, quando il pesce
si è raccolto nella zona di mare illuminato, e mettere in
azione la rete, detta f/7ca. Ordinariamente però, una
sola pulica cattura il pesce che si è raccolto sotto la
luce di più barche munite da riflettore.
La pesca con la luce si esercita lungo tutto il lit-
torale del Golfo di Catania, ma le barche munite del
riflettore per lo più si situano in quel tratto di mare che
da Ognina, oltrepassando Catania, va alla PZaza. Come
si vede dalla figura 1%a pag. 3, in una notte se ne pos-
sono contare parecchie diecine.
L’ apparecchio d'illuminazione è costituito da un gas-
sometro per acetilene, che si colloca nel fondo della barca,
e dalla lampada o /azmzpadara, che si situa a poppa della
barca stessa e che è collegata al primo mediante un tubo
di gomma (fig. 3).
La /ampadara è formata da un’asta di ferro vuoto, Fig. 3.—Il riflettore ad acetilene (Lamz-
È : : . . y padara) fissato a poppa della barca
otturato all'estremo inferiore, che si applica verticalmente (mn). dentro i due anelli del timone—
dentro i due anelli di ferro del timone. a, tubo di gomma. coli quale.la Lam-
padara è collegata ai gassometro ,
Essa porta superiormente un'asta orizzontale con messo nel fondo della barca; 6, can-
na di ferro, che funziona da soste-
gno; c, canna orizzontale con 4 becchi
prende la forma di una T. Al di sopra della T è un riflet- ad acetilene; 4, riflettore.
4-5 becchi ad acetilene, in modo che tutto | insieme
tore, che serve a proiettare nel mare la luce delle fiammelle, come si osserva nella fig. 32,
inserita nel testo.
ATTI ACC, SERIE V., VOL. VI — Mem. IV. 3
18 Achille Russo
[Memoria IV.|
La rete, che viene chiamata pelzca, è di forma rettangolare (vedi fig. 1a della Ta-
vola), lunga ordinariamente 252 metri e larga 30 metri (1), quando viene misurata allo
asciutto.
Essa si compone di due parti laterali, in ciascuna delle quali la maglia è di 14 X 14
mm., e da una parte centrale con maglia di 12 X 12 mm. (2).
Le parti laterali sono dette /azera, la parte centrale è detta forze; tutta la rete quando
è in funzione perde in lunghezza circa 50 m., mentre assume maggiore dimensione in
larghezza, essendo distesa dai piombini messi nel margine inferiore.
Tutta la rete, quando è calata in mare, si
situa verticalmente (vedi fig. 2* della Tavola),
essendo munita superiormente di piccoli su-
gheri, posti gli uni vicino agli altri, inferiormen-
te di piombini (Vedi anche la fig. 4, inserita
nel testo). Nel centro del margine superiore
della fonte, i sugheri sono più grossi e nu-
merosi e prendono il nome di sugherata. Al
centro del margine inferiore della forze è le-
gata una fune abbastanza lunga, detta 7/74-
piombo, che si lega con l’altro capo al mar-
gine inferiore di uno dei due Zafera e propria-
mente alla distanza di 48 m. (Vedi fig. 12 della
Tavola).
Quando il pesce si è raccolto sotto la lu-
ce, ciò che avviene dopo un tempo variabile da
pochi minuti a più ore, secondo circostanze
diverse non tutte ben note, luomo, che trovasi
nella barca con la /apadara, chiama (3)
quelli delle barche, che debbono manovrare la
pulica, la quale viene scesa in mare, avendo
ogni gruppo di marinai, posti in ciascuna delle
Fig. 4. — Porzione della rete (Pw/ica) per mostrare que barche, affidato un capo della rete.
il rapporto tra l’ampiezza della maglia della /onze .
(6) e del /afera contiguo (a). Fu riprodotta solo Le due barche, muovendosi parallelamente
la parte di sopra con i sugheri e quella di sotto
coni i piombini. e ad una certa distanza fra loro, si avvicinano
alla sorgente luminosa, la quale resta così
nel mezzo, come si vede nella fig. 22 della Tavola.
In questo frattempo, la barca con la /azzpadara, con movimento opposto alle due bar-
che con la pwlzica, esce dal cerchio determinato dalla rete e, quando è vicino al margine, lo
sorpassa e si colloca al di fuori, mentre l’ uomo, che vi è sopra, prende la sugrerata e
solleva un poco la rete stessa.
(1) La pulica, secondo il gergo dei marinai, è lunga 7y rizze, essendo ogni 7254 uguale a 18 m. ; è larga
una manata e mezza circa, essendo ogni m:arata 16 passi 0 24 m. circa.
(2) La maglia 14 XX 14 mm. è detta N. 18, quella 12 X 12 è detta N. 22, perchè in un palmo della mano
entrano in lunghezza rispettivamente 18 e 22 maglie.
(3) I marinai nel gergo dicono singere l’ operazione di gettare in mare la fx/ica per raccogliere il pesce.
i
5
ul
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle retti, ecc. 19
Nel frattempo le due barche si avvicinano fra loro e gli uomini incominciano a tirare
contemporaneamente i due /a/era.
Quando si è giunti al #77apzombo, che, come si è detto, ha l'estremo opposto legato
al centro della forze, invece dei Zatera, viene tirata la fune, cosicchè la fonze resta solle-
vata inferiormente, ed essendo essa fissa superiormente, perchè l’ uomo, posto nella barca
con la /ampadara, tiene ferma la sugherata, si forma una specie di coppa, entro cui
trovasi il pesce, che si era raccolto sotto la luce della /ampadara.
Quando i due /afera sono stati tutti raccolti, il pesce viene preso dalla forze con un
robusto coppo. In ultimo, anche la forze viene tirata su una delle due barche per levare
il pesce rimasto fra le maglie. Dopo di che tutta la rete viene rimessa in una sola barca.
Ogni gruppo di barche in una notte ripete più volte detta pesca. Altre volte, non
ostante il pesce si sia raccolto sotto la luce in abbondanza, la f/zca non può essere ma-
novrata, a causa delle forti correnti, che non manterrebbero nella posizione opportuna la rete.
Catania, Aprile 1913.
GIOVANNI ALBERGO GEREMIA
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc.
Allegato A.
Distinzione delle tre classi di Pesci ed altri animali marini,
secondo lV Ufficio daziario di Catania.
PRIMA CLASSE
Aguglie imperiali (Tetrapturus belone).
Aragoste (Palinurus vulgaris).
Aricciole (Seriola Dumerilii).
Cernie (Cerna gigas).
Cervioli — Trifioli — Scifaiola (Ltchia sp.).
Corvelli — Cruveddu (Umbrina cirrosa).
Dentici (Dentex vulgaris).
Dotti — Addottu (Polyprion cernium).
Fetole (Stromateus Fiatola).
Gamberoni (Penaeus sp. ed altri Peneidi, Aristeini etc.).
Luna (Brama Raji).
Merluzzi (Merlucius vulgaris).
Paveri — Pauru (Dentex filosus).
Sauri imperiali (Carana sp.)
Seppie imperiali — beccaficu (Sepiola aurantiaca).
Sogliola — linguata (Solea vulgaris).
Sturiuni (Acipenser sturio).
Umbrina (Sciaena aquila).
SECONDA CLASSE
Aguglia (Belone acus).
Aiulu (Pagellus mormyrus).
Alalonga (Thynnus alalonga).
Allittrato (TWynnus thunnina).
Aloca (Corvina nigra).
Aluzzu (Sphyraena vulgaris).
Anguilla (Anguilla vulgaris).
Barbaiolo (neonato di Clupea pilchardus).
Buddaci (Serranus cabrilla).
Cipolla di pietra (Scorpaena scrofa).
» di fango (Sebastes dactyloptera).
Cocchimi (Uranoscopus scaber).
Cocci (Trigla corax).
Gamberi rossi (Pandalus ?).
Grunghi (Conger vulgaris).
Lappara (Crenilabrus sp.).
Lotaro — Totaro (Todaro des sagittatus).
Lupu (Mora mediterranea).
Luuru (Pagellus erythrinus).
Mascolino (Engraulis encrasicholus).
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI —— Mem. IV.
Achille Russo [Memoria IV.]
(segue) ALLEGATO A.
Muccu (insieme di piccoli pesci da poco nati).
Murene (Muraena helena).
Occhiata (Oblada melanura).
Palamitu (Pelamys sarda).
Pisci d’ ummira (Naucrates ductor).
Sarachi (Sargus sp.).
Scannacavalli (Pagrus orphus).
Scontri (Cantharus sp.).
Scrofane (Scorpaena sp.).
Spato (Xiphias gladius).
Spatole (Lepidopus sp.).
Tonnacchioli (TWynnus brachipterus).
Tonni (7Wynnus thynnus).
Tordi (Labrus sp.)
Tracine (Trachinus sp.).
Triglie (Mullus barbatus).
Tuppiti (Solea lascaris).
Varatoli — Arata (Chrisoplys aurata).
Vidioli — Nzuraddu (Lulis vulgaris).
Zite (Labrus festivus).
Zoccoli (Scylarus sp.).
TERZA CLASSE
Tutti gli altri pesci e gli altri animali marini commestibili non compresi nelle due
classi sopra menzionate, come :
Alaccia (Clupea aurita).
Astrea 0 Cicala (Squilla sp.).
Barbitte (Muletti inferiori a 45 gr.) (Mugil cephalus).
Mazzuni (Gobius sp.).
Ope (Box boops).
Pante (Arnoglossus sp.).
Sarde (Clupea pilchardus).
Sauri (Trachurus trachurus).
Sicci (Sepia officinalis).
Spichere (Smaris sp.).
Stummi (Scomber scomber).
Triglie (Mullus barbatus) non superiori a 7 cm.
III
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IV Achille Russo [Memoria IV.]
Allegato C.
Statistica della quantità e delle specie di Pesci catturati di notte, durante le
diverse fasi della lunazione, con la Lampadara, con la Tratta e con
la Lacciara.
a) po, A TRATTA LAMPADARA LACCIARA con BARDASSOLE
sla è
| A n = SE -
E È Data Specie kg. Specie kg. Specie kg.
@ | giorni 28] 13-VII | Sarde e Mascoline| 14 | Sauri ù 150 | Triglie-Spichere-Sauri-Ope . 70
» » Sarde e Mascoline| 8 | Mascoline. . 4 | Triglie-Spichere-Sauri-Ope . 70
» » Ope. ni Co)
» » Sauri 80
» » Sauri - {| 50
» » Ope . ( 8
» » Sauri . {| 50
» » Mascoline. . {| 20
giorni 2 | 16-VII | Sarde . Er 6 | Sauri - | 200 | Gamberi-Triglie-Spichere-Stummi. | 25
» » Sarde e Mascoline | 10 | Mascoline. . }| 20 | Gamberi-Triglie-Spichere-Merluzzi | 20
» » Mascoline . 10 | Sarde . \| 40 Spichere-Triglie 15
» » Mascoline . 12 | Sauri 500 | Triglie-Spichere 20
» » Mascoline . 12 | Sauri . |200 | Gamberi-Triglie 30
» » Mascoline . 5 | Sauri . 4400
» » Mascoline . 7 | Ope . \|100
» » Sauri . .. . 300
» » Sauri e Ope. 1300
giorni 4 | 18-VII | Sarde e Mascoline | 12 | Sauri {350 | Triglie-Spichere 35
» » Sarde e Mascoline | 16 | Sauri 1450 | Triglie-Gamberi 20
» » | Sardee Mascoline | 15 | Sauri 1400 | Triglie-Spichere 25
» » | Sardee Mascoline | 10 | Sauri 100
» » | Sardee Mascoline 9 | Sauri . |100
» » Sarde e Mascoline 6 | Sauri . . . )|100
» » Sarde 12 | Mascoline. \|_ 30
» » Sauri . {| 80
» >» Ope. . j| 10
» » Sauri . }[120
| » » Sarde e Mascoline || 10
» » Sauri 200
giorni 6 | 20-VII | Sarde 7 5 | Sauri-Ope. 60 | Triglie-Merluzzi-Spichere-Cocci 18
» » Sarde e Mascoline | 10 | Sauri 10 | Spichere. . . . . . 22
» » Sarde 15 | Sauri-Ope. 15 | Tremole-Triglie-Pante-Cocci 10
» » Sarde 20 | Sauri 12 | Spichere-Triglie-Ope-Merluzzi-Gamberi | 25
» » Tracine-Triglie. pi ore Re LZ
» » Triglie-Spichere-Gamberi-Cocci 30
Effetti della pesca con le sorgenti Iuminose sul prodotto delle reti, ecc. V
(segue) ALLEGATO €.
S È 2
E, E, s TRATTA LAMPADARA LACCIARA con BARDASSOLE
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S| È i = maccriai a el
E & Data Specie kg. Specie kg. Specie kg.
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giorni 9 | 23-VII | Mascoline. . . 200/fSanei eee 50 | Gamberi-Triglie-Pante . . . . 15
» » Sarde... .| 15 Sauri . . .-. | 60 | Triglie-Spichere . . . . . .]| 20
» » Sauri-Ope. . . | 50
» » Sauri . + {|160
Alacci . Su:(25
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gioni 11 | 25-VII | Sarde e Mascoline | 20 | Sauri . . . . |100 | Triglie-Spichere-Pante-Gamberi . | 25
» » Mascoline. . . | 18 | Sauri . . . . |150 | Triglie-Spichere . . . 1)
» » Sarde . . 25 | Sauri . . +. |200 Triglie- Spichere . . 25
» » Sarde e Mascoline 15 | Sauri . . . . 80 Triglie-Spic here-Pante- Gamberi 2 030,
» » Sarde... .| 10] Sauri . . . . /150 | Triglie-Spichere-Gamberi imp. . | 80
» » Sarde . SI L'ON UTI 200
» » Sarde . . . .{ 13 | Sauri . . . . [150
I
gioni 13 | 27-VII | Sarde e Mascoline | 15 { Sauri... . 80 | Triglie-Spichere-Luuri-Pante . . | 20
» » Mascoline. . . 8 | Sauri . . . . | 70 | Triglie-Spichere-Gamberoni . . | 20
>» » | Sarde . . . 17) | IRE ale A0)625
» » | Sarde . . . . | 10 Triglie-Spichere- Gamberi: Cocci « alo
» » | Mascoline. . . | 40 | Triglie- -Spichere-Gamberi-Cocci . | 25
» » Mascoline. . . | 30 | Triglie- -Spichere . . . a |Mlo
» » | Mascoline. . . | 20 Triglie-Spichere-Pante- Sogliole . | 80
» » Mascoline. . . | 15 Triglie-Spichere . . . . . .| 10
» » | Mascoline. . . | 15 Triglie- Pante . . SA 30
» » | Mascoline. . . | 20 Spichere- Pante- ‘Triglie- -Cocei Ari
» » Sarde e Mascoline | 15 Triglie-Spichere-Cocci . . . . | 20
» » | Sarde . . . . | 20 Triglie, Gamberi, Spichere. . . | 20
» » Mascoline. , . | 15 Triglie-Spichere . /./.0...| 15
» » | Mascoline. . . | 30 Triglie-Spichere-Pante . . . . | 20
» » | Sardee Mascoline | 20 Triglie-Spichere-Gamberi . . . | 10
» » Mascoline. . . | 15 Triglie-Pante . . SEA TO
» >» Triglie- Spichere- -Pante SER 020
» » Triglie-Pante-Luuri . . . . . | 20
» » Triglie- Raniege ae Ra 1030
» » Triglie- Pante . . . | 20
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2066 Triglie-Pante-Gamberi-Cocci . . | 20
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@® |gioni16| 30-VII | Sarde . . . | 20 Triglie-Gamberi-Spichere-Pante . | 12
» » Sarde e Mascoline | 15 Triglie-Pante-Gamberi . . . .| 10
i Do » Sarde . . . .| 15 Triglie-Cocci- Pante . . . . . 10
» » | Sarde . . . . To | |
berto MSardelhhi, 0 10
» » | Sarde . . . . | 18 |
» » Sarde . . . .| 20
» » | Sardee Mascoline | 15
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» >» Sarde . . . .| 15
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VI Achille Russo | MEMORIA IV.]
(segue) ALLEGATO ©.
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Z DE, TRATTA LAMPADARA LACCIARA con BARDASSOLE
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gioni 16| 30-VII | Sarde - 15 | |
| » » Sarde e Mascoline 25 |
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» » Sarde 10
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» » | Sardee Mascoline | 20 |
» » | Sarde | 25
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gioni 18| 1-VIII | Mascoline. 15 | Triglie-Spichere-Pante . . . . | 15
| » » Mascoline . 20 Gamberi-Spichere- Triglie-Pante . | 10
» » | Sardee Mascoline | 12 Triglie-Luuri-Pante-Gamberi . . 8
| > » | Mascoline. 8 Triglie-Pante . . . . . . | 10
|» » Sarde 5 Triglie-Gamberi-Pante . . . .| 15
| » » | Mascoline. 20 Triglie-Pante-Spichere . . . . | 20
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» » | Mascoline. 5
| » » | Mascoline. 10
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» » Mascoline . 15
| | » » Mascoline . 15
| | » » Sarde 10
|» » Mascoline . 10
| » » Mascoline . 4 |
» » | Mascoline. 15
» » | Mascoline . 15
» » Mascoline . 15
| » » Sarde e Mascoline | 20
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gioni 20! 3-VIII | Sarde 15 | Sauri . . . . | 60 | Gamberi-Triglie-Pante-Spichere . | 18
» >» Sarde 15 | Sauri . . . . | 80 el SRL,
» » Sarde 18 | Sauri . . . . | 50 | Triglie-Pante-Spichere . . . . | 30
» » Sarde . . . .| 25 | Sauri . . . . | 60 Triglie- Gamberi-Cocci . . oo
| » » Sarde e Mascoline | 15 | Sauri... . | 30 Triglie- Gamberi- Spichere-Aiole . | 20
» » Sarde 25 Tr riglio- Spichere-Aiule-Pante . . | 25
| | » » Sarde 20 Triglie-Pante-Mazzuni . . . .| 25
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|» » Sarde 25 Triglie- -Pante-Gamberi . . . . | 30
» » Sarde 15 Triglie-Gamberi . . . .. .| 15
» » Sarde 25 Triglie-Pante-Spichere . . . .| 10
» » Sarde 15
» » Sarde 25
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc.
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(segue) ALLEGATO C.
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giorni 3| 6-VIII | Sarde 20 | Sauri . {| 90 | Triglie-Spichere . . . . . .| 20
» » | Sarde | 15 | Mascoline. ; ] 5 | Triglie-Pante 25
» » | Sarde | 15 | Sauri . | 60 I Triglie-Spichere 15
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» » Sarde 15 | Sauri 100 |
» » Sarde . . . 15 | Sauri . | 80
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» » Sarde 15 | Mascoline. . {| 20
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» » Sarde 15 | Sauri 100
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» » Mascoline . \ 40 | Sauri 80
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» » Sarde e Mascoline | 35 | Sauri 200
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» » | Mascoline. 15 | Sauri 150
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» » Sarde 30 | Mascoline. . S| 40
» » Sarde | 25 | Sauri 100
» » Sarde . . | 25 | Sauri 1100
» » Mascoline . 15 | Mascoline. 20
» » Mascoline . 30 | Sauri 200
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@ | gioni 27) 10-VIIT | Mascoline.. 20 | Sauri . . . .)|120 | Triglie-Spichere-Pante 20
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» » Mascoline. 50 | Sauri 40 | Triglie Spichere-Astree . 15
» » Mascoline . 15 | Sauri | 80 | Triglie-Spichere-Pante 15
» » Mascoline . 20 | Sauri 500 | Triglie-Gamberi-Sogliole 20
» » Mascoline . 15 | Sauri 40 | Triglie-Spichere-Astree 15
» » | Mascoline. 25 | Sauri 50 | Triglie-Spichere 20
» » Mascoline . 20 | Sauri 60 | Triglie-Spichere-Pante 15
» » Mascoline. 20 | Sauri 100 | Triglie-Pante-Astree . 10
» » Mascoline . 55 | Sauri 70 | Triglie-Spichere-Pante Ti
» » Sarde 50 | Sauri . . , 100 | Triglie-Pante aa de 20
» » Sarde 10 | Sauri . . 100 | Triglie-Spichere-Pante . . . .|10
» » Mascoline . 25 | Mascoline. 20 | Triglie-Pante-Astree . 20
» » Mascoline. . . | 15 |
VII Achille Russo | MEMORIA IV.]
(segue) ALLEGATO ©.
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E E Data Specie kg. Specie kg. Specie kg.
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giorni 27 | 10-VIII | Mascoline . 15
» » Mascoline . 20
| » » Mascoline . 50
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|
giorno 1 | 13-V Sarde 50 | Sauri 100 | Triglie-Spichere 18
» >» | Sarde 45 | Sauri 100 | Triglie-Spichere-Pante 20
>» » Sarde 55 | Sauri 250 | Triglie-Spichere se 15
» » Sarde 25 | Sauri 500 Triglie- Pante-Astree . . . 0120
|» » Sarde 100 | Sauri . 600 triglie Spichere-Gamberi 35
|» » | Sarde 35 | Sauri . 1800 | Triglie-Spichere-Pante 30
> » | Sarde 20 | Sauri 300 | Triglie-Gamberi-Astree . 15
>» Sarde 50 | Sauri 600 | Triglie dI s | 20
» » Mascoline . 35 | Sauri 100 | Triglie-Pante . sn 20
» » | Sarde 40 | Sauri 200 | Triglie-Sogliole-Pante . . 15
|» >» Sarde 35 | Sauri 200 Triglie-Spichere 20
| >» » | Sarde 30 | Sauri 300 Triglie-Spichere- Mizzi) 25
» >» Sarde 25 | Sauri 800 | Triglie- lui Pante . . 20
|> >» Sarde 40 | Sauri 100 | Triglie . . 50
| » >» | Sarde | 25 | Sauri 1800 | Triglie-Pante 18
» >» Sarde 30 { Sauri 150 | Triglie-Spichere 15
» » Sarde 50 Triglie 20
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» » Sarde 25
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» >» Sarde i 60
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>» » | Sarde 30
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» >» Sarde | 20
| giorni 3 | 15-VIII | Mascoline . (100 | Sauri 500 | Triglie-Cocci-Spichere 30
| | >» » Mascoline . | 15 | Sauri 200 | Triglie-Spichere-Astree . 20
va Sarde i 60 | Sauri 150 | Triglie-Mazzuni-Spichere 5 30
» » Sarde 20 | Sauri 50 | Triglie 20
» » Mascoline . 30 | Sauri 50 Triglie- -Spichere- Pante 25
» » | Mascoline. 20 | Sauri 50 Triglio 5 30
» » Mascoline . 15 $ Sauri 50 Triglie- Cocci- Astree- Spichere c 20
» » | Sarde 30 | Sauri 150 | Triglie-Spichere-Astree . 15
» » Sarde 25 | Sauri 100 | Triglie-Pante-Cocci-Astree . AN 25)
» >» Sarde 30 { Sauri 50 | Triglie-Gamberi . | 30
>» » Mascoline. . . | 25 | Sauri 60
» » Mascoline. . . | 40 | Sauri 100
» » Mascoline . 40 | Sauri 200
» » Sarde . 25 | Sauri 160
>» Sarde e 1 Mascoline 50
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| » » Sarde 10
| » » Mascoline . 50
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» » Mascoline . 25 |
Effetti della pesca con le sorgenti Imminose sul prodotto delle reti, ecc.
(segue) ALLEGATO (.
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E Si = TRATTA LAMPADARA LACCIARA con BARDASSOLE
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E E Data Specie D Specie kg. Specie kg.
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gioni 5 | 17-VIIT Sarde 125 | Sauri 150 | Triglie-Pante-Spichere 25
» » Sarde 15 | Sauri 60 | Triglie-Pante-Spichere 35
» » Mascoline . 30 | Sauri 200 | Triglie-Gamberi ” 25
» » Sarde | 55 | Sauri 250 | Triglie-Spichere-Astree . 40
» » Sarde : 40 | Sauri 100 | Triglie-Spichere 25
» » | Sarde 60 | Sauri 400 | Triglie-Spichere 30
» » Sarde 30 | Sauri 80
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lo» » Sarde | 45 | Sauri |250
| » >» | Sarde 15 | Sauri 100
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» >» Sarde . . 25
» » Mascoline . 20 |
» >» Sarde 30 |
» » Sarde e Mascoline | 40 |
>» » | Sarde . | 50
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» >» Sarde i 20
» >» Sarde . . | 20
» » Mascoline . | 20
>» » Sarde i 40
|
giorni 8 | 20-VIII | Sarde 30 | Sauri 1500 | Triglie 7 35
|» » Sarde 25 | Sauri 300 | Triglie-Spichere 40
» » Sarde 35 | Sauri 800 | Triglie-Spichere 50
» » Sarde i 40 | Sauri 400 | Triglie-Spichere 30
| >» » Mascoline . {25 | Sauri 150 | Triglie-Spichere 50
|» » Sarde 1 20 | Sauri 300 | Triglie-Spichere 30
|> » Sarde i 80 | Sauri 1800 | Triglie-Spichere 25
|» » Mascoline . 25 | Sauri . - {|700 Triglie 50
» » Sarde i 25 | Stummi . {1 25 | Triglie 35
|>» Sarde 1 20! Sauri . . . . |300 | Triglio 55
| » » | Sarde { 15 | Sauri . 600
» » Sarde . . 20 | Sauri . ):500
» » Mascoline . 15 | Stummi . || 50
» >» Sarde 20 | Sauri 200
» » Sarde | 10 | Sauri 100
NIE Sa Sarde 25 | Sauri 300
|» » Mascoline . 20
» » Sarde 15
| » >» Sarde 30)
» » | Sarde 25
giorni 10 22-VIII Mascoline : (20 | Sauri 200 | Triglie-Spichere 30
» » Sarde 5 | Sauri 150 | Triglie-Spichere 25
>» » | Sarde 20 | Sauri 60 | Triglie-Spichere 40
pr || Sardo 1 25 | Sauri 100 | Triglie-Spichere 20
ATTI ACC SERIE V., VOL. VI — Mem. IV.
x Achille Russo Memoria IV.]
(segue) ALLEGATO C.
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| giorni 10 | 22-VITI | Mascoline . 40 | Sauri 250 | Triglie-Spichere + Fn] 200
» » Sarde 35 | Sauri . 150 | Triglie-Spichere-Astree . . . . | 18
» » Sarde 20 | Sauri . 200 Triglie 2 ae SEO),
» » Mascoline . 20 | Sauri 300 Triglie- Spic here 95)
| » >» Sarde 15 | Sauri 100 | Spichere-Triglie . 5
» » Sarde 20 | Sauri 200 Triglie-Spichere 35
» » Sarde 20 Triglie-Spichere . | 30
» » Triglie-Spichere 40
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| gioni 12) 24-VIIT | Sarde 20 | Sauri 1150 Triglie-Spichere 30
» » Mascoline . 20 | Sauri \100 | Triglie . 25
» » Mascoline . .- 125 Sauri . . . (150 | Triglie-Spichere 45
» » Sarde e Mascoline | 30 | Sauri 200 Triglie- Spichere 40
» » Sarde 20 | Sauri {150 ‘Triglie : 15
» » Sarde 15 | Sauri 1100 | Tr iglie-Spichere 40
» » Sarde 40 | Triglie-Spichere 30
| » » Sarde 30 | Triglio 20
| » » Sarde e Mascoline 20 | Triglie 20
» » Sarde 15 |
» » Mascoline . 15
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€ |giorni 15) 27-VIII | Sarde | 25 | Sauri 200 | Triglie 0a 20,
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» » Sarde - | 45 Triglie-Spichere si 0
» » Mascoline . 20 Triglie 25
» » Sarde 15 Triglie-Pante o 35
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» » | Mascoline. . . | 15
» >» Sarde 10
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» » Sarde 100
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» » Sarde 25
» » Sarde 15
| » » | Sarde 10
| » » | Sarde 25
Effetti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti, ecc. XI
(segue) ALLEGATO ©.
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giorni 17 | 29-VIII | Sarde 15 Triglie-Spichere 25
» » Sarde 20 Triglie-Spichere | 30
» » Sarde 15 Triglie 7 40
» » Sarde 15 Triglie-Spichere 30
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» » Sarde 15 Triglie-Spichere 20
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» » Sarde . . . 50 | Triglie 25
» » Sarde 25 | Triglie . 20
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» » Sarde . . . 25 Triglie-Spichere . 35
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giorni 19 | 31-VIII | Sarde 15 Triglie-Cocci-Gamberi . . . . | 25
» » Sarde 25 Triglie-Spichere 3 25
» » Sarde e lo. Triglie-Pante 30
» » Sarde e Mascoline | 20 Triglie-Spichere 45
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» Sarde 15 Triglie-Gamberi 35
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» » Mascoline . 25 Spichere . 30
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» » Sarde 15 Triglie-Spichere 5 40
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(segue) ALLEGATO (.
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» » Mascoline . . | 40 | Sauri 400 | Triglie-Spichere- -Gamberi 12
» >» Sarde e Mascoline | 30 | Sauri 300 | Triglie-Pante-Aiole-Gamberi 25
» » | Mascoline. 55 | Sauri 300 Triglie- Gamberi 7 | 15
| » » | Sarde 10 | Sauri 200 Triglie- Pante-Astree- Gamberi c 35
| >» » | Sarde ” 15 | Sauri 50
| » » | Sardee Mascoline 35 | Sauri . |250
| » » Sarde 40 | Sauri SI 1250)
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| » >» Sarde 15 | Sauri 300 |
| » >» Mascoline . 30 | Sauri 300
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giorni 10) 20-IX Sarde 50 { Sauri 1150 | Triglie-Spichere-Cocci 20
|» » Sarde . 35 | Sauri . }|200 | Spichere-Triglie ; . | 15
| >» » SALde e e e (100 Calamai . . $| 10 | Triglie-Spichere-Seppie- -Gamberi . | 25
» » Sarde 20 | Sauri . + |[850 Triglie-Gamberi-Astree . . 20
» » Sarde . 45 | Ope. . . . . {| 50 Triglie- -Spichere-Seppie- -Calamai 25
» » Sarde . | 25 | Sauri 200 | Triglie-Spichere-Cocchimi-Polipi . | 15
» » Sarde e Mascoline 50 | Sauri (200 Triglie- Spichere . . © | 25
» » Sarde... .| 40 | Sauri-Ope. 100 Triglie- Cocci- Pante-Cocchimi È 30
» » Sarde 80 | Sauri {100
» » Sauri 70
» » Sauri 1150
» » Sauri 1100
» » Sauri . . . . |200
» » Sauri... . + |150
| giorni 11 21-IX Sarde 15 | Sauri 100 | Triglie-Spichere-Seppie . . . . 6
| >» » | Sarde 10 | Sauri 60 | Triglie-Cocci-Seppie . ; 10
| » >» Sarde 15 | Sauri 50
» >» Mascoline . 6 | Sauri 45
I » » Mascoline . 3 | Sauri 60
» » Sarde 20 | Sauri 35
» » Sarde 1)
\
| | |
| giorni 12 22-IX | Sarde : 8 | Sauri < 50 || Triglie-Cocci! rr Re LO
| » » | Sarde e Mascoline 6 | Sauri . . . 407 || ST righe e 6
| >» » | Sauri 60 | Triglie . . RS a 15
» » | Triglie-Cocci- -Seppie AOSTA RI CRESTE 8
Effetti della pesca con le sorgenti Iuminose sul prodotto delle reti, ecc. XIII
(segue) ALLEGATO C.
= 15 A TRATTA LAMPADARA LACCIARA con BARDASSOLE
È a Data Specie kg. Specie kg. Specie kg.
giorni 23 3-X Sarde . . . . 15 | Sauri. . . . |150 | Triglie-Spichere . . . . . . 10
» » Sarde . . . .| 20] Sauri . . ... 60 | Triglie-Merluzzi-Cocci-Spichere . | 25
» » Mascoline. . . | 15 | Sauri . . ]|100 Triolo 20
» » Sarde . . . .]| 90 | Calamai . . . 10 | Triglie-Spichere-Cocci-Sogliole. . | 20
» » Sarde. ... .|60| Ope. . . . .)| 10 Tripglie-Alacci, a 0
» » Sarde. eee 20 ESA UTI 200] lriolie=Cocch e 5
» » Sauri ee n SOR Lcolie=Cocci, Re e 20
» » Sauri... . |150
» » Saura ee 1200)
» » Sauri . . . ./|100
» » | Ope. . . . .4l 15
» » SAUTIM O. 80
» » | Sauri . . . . |150
|
Ì
XIV Achille Russo [Memoria IV.]
(segue) ALLEGATO €.
Riassunto della statistica precedente e media del pesce catturato
in ciascun giorno.
A 1
E 5 TRATTA 2 | =LAMPADARA | | LACCIARA con BARDASSOLE |
e < = = a
C c Data £ s =
as: Specie E Specie E Specie E
& | A Si G È
giorni
li) 28 13-VII | Sarde e Mascoline | 11 | Sauri. . . . . | 89 Triglie-Spichere-Cocci, ecc. . | 70
2 16 » | Sarde e Mascoline 9 | Sauri. o... . |845 Triglie-Spichere-Gamberi-Merluzzi . 22
4 18 » | Sarde e Mascoline | 11 | Sauri. . . . . |217 Triglie-Spichere-Gamberi. . . | 26
6 | 20 » | Sarde e Mascoline | 12 | Sauri. | 24 | Triglie-Spichere-Pante-Cocci . | 19
9 23» | Sarde e Mascoline | 17 | Sauri... 0.0. | 85 | Triglie-Spichere-Pante-Gamberi. | 17
11 |25 » | Sarde e Mascoline | 17| Sauri. . . . . |147 Triglie-Spichere-Pante-Gamberi. | 32
13 | 27 » | Sarde e Mascoline | 19 | Sauri. . .. .| 75 Triglie-Spichere-Luvori-Pante-Cocci | 19
(5) 16 30.» | Sarde e Mascoline | 17 = — | Triglie-Spichere-Pante-Gamberi 10
| 18 | 1-VII | Sarde e Mascoline | 12 —— — | Triglie-Spichere-Pante-Luvori-Gamb.| 12
| |
20 | 3» Sarde e Mascoline | 20 { Sauri. . . . . | 56 | Triglie-Spichere-Aiole-Mazzuni. | 19
23 | 6» Sarde... . | 18 | Sauri e Mascoline |124 | Triglie-Spichere-Pante . . . | 20
25 | 8 » | Sarde e Mascoline | 29 | Sauri. . . . +. |137 | Triglie-Spichere-Pante-Gamberi. | 16
6 | 27 | 10 » Sarde e Mascoline | 29 | Sauri. . . . . |109 | Triglie-Spichere Aiole-Astree . | 16
| 1 |13 » Sarde e Mascoline | 38 | Sauri. . . . . |337 | Triglie-Spichere-Pante-Astree . | 21
3 | 15 » Sarde e Mascoline | 33 | Sauri. . . . . |147 | Triglie-Spichere-Cocci-Mazzuni. | 24
5) ros, Sarde e Mascoline | 31 | Sauri. . . . . |189 | Triglie-Spichere-Pante-Gamberi | 30
Î |
8 20.» | Sarde e Mascoline | 23 | Sauri e Stummi . |430 | Triglie-Spichere. . ... . | 40
10 | 22 » Sarde e Mascoline | 22 | Sauri... . + |171 | Triglie-Spichere-Astree . . . | 29
| | | |
| 12 | 24 » Sarde e Mascoline | DI] MISURANO un Triglie-Spichere. . . . . .| 29
5) | la Ta | Sarde e Mascoline | 24 | Sauri. . . . . |150 | Triglie-Spichere-Pante-Astree . | 43
17 29» | Sarde e Mascoline | 20 E — | Triglie-Spichere. . . . . .| 34
| 19 | 31 » | Sarde e Mascoline | 19 —- — | Triglie-Spichere-Cocci-Aiole. . | 30
(i) | 1 |11-IX | Sarde e Mascoline | 30 | Sauri. . . . . |272 | Triglie-Spichere-Pante . . . | 23
| | |
| 10 20.» Sarde e Mascoline | 49 | Sauri. . . . .|156 | Triglie-Spichere-Seppie-Gamberi | 21
11 21 » | Sarde e Mascoline | 10 | Sauri. . . . . | 58 | Triglie-Spichere-Seppie-Cocci . 8
| 12 | 22 » | Sarde e Mascoline | 7 Sauri. . . . . | 50 | Triglie-Cocci-Seppie . . . . 9
| 23 | 3-X | Sarde e Mascoline | 27 | Sauri. . . . . |130 | Triglie-Spichere-Sogliole-Alacci. | 16
(1) La media fu ottenuta dividendo il totale del prodotto di ciascun giorno per il numero delle barche
che lavorarono nel giorno stesso.
Effetti della pesca con le sorgenti Iuminose sul prodotto delle reti, ecc.
OSSERVAZIONI
Per indicare le specie catturate con i tre sistemi di pesca furono usati i nomi volgari in uso
Catania.
Per i corrispondenti nomi scientifici si veda l’ elenco nell’ Allegato A.
Per la descrizione della Tratta e della Lacciara si consulti : SICHER E. — I Pesci e la pesca nel
Compartimento marittimo di Catania —Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat. Catania 1898, Vol. XI, Ser. 4.*
La rete detta Bardassole viene attualmente legata sul margine inferiore della Lacciara ed usata
contemporaneamente a questa. Essa, toccando il fondo, fa sì che i Pesci si sollevino e restino amma-
gliati nel Bardassole stesso.
Da questa Statistica si rileva che ciascuno dei tre sistemi di pesca cattura Pesci di specie diverse
e che la lunazione e quindi la pesca con la luce non influisca sulla quantità di Pesci catturati da cia-
scuna barca, che usa la Tratta e la Lacciara. Quando, nelle notti senza luna, lavorano le Lampadare va
alla pesca minor numero di Tratte e di Lacciare e viceversa quando non lavorano nelle notti lunari
le Lampadare. In entrambi i casi la quantità di Pesce catturato da ogni barca è la stessa, cosicchè
parrebbe che la luce non abbia un’influenza su tali metodi di pesca.
Per indicare le fasi lunari fu segnata l’ età della luna.
Riportiamo nel seguente specchietto i giorni delle varie fasi per ciascuno dei mesi in cui furono
fatte le osservazioni :
Luglio : 70U.Q. — 14 L. N. — 21 P.Q. — 29 L. P.
Agosto : 6 U. Q. — 12 L. N. — 19 P. Q. — 27 L. P.
Settembre: 4 U. Q. — 10 L. N. — 17 P. Q. — 26 L. P.
| Memoria IV.]
Achille Russo
XVI
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‘I ey
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
Fig. 1% -— La rete (Pulica) distesa, nella quale si osservano i due /u/era + a, 6, c, d = è, fg, h, con
maglia più larga della /oxze 0, c, e. Ah — me sugherata ; h, 0: tirapiombo. !
Fig. 2° — Rappresentazione del modo come la /x/ica, manovrata dalle due barche «, 6, cinge lo specchio
d’acqua illuminato dalla Larpadara, portata dalla barca a. La /u/ica, distesa verticalmente, galleggia
alla superficie con il margine superiore, munito di sugheri, ma non tocca il fondo con il margine infe-
riore, dove sono i piombini.
ù
Y
n nni
S|
|
8|
È
È
'
= Ri i +
Memoria V.
Sul postulato di Zermelo e la teoria dei limiti delle funzioni
Nota di MICHELE CIPOLLA
Non è da recente che in varie ricerche sulla teoria degl’ insiemi si ammette, quasi
sempre tacitamente, la possibilità, per qualsivoglia classe d’ insiemi, di estrarre da ciascun
insieme un elemento per comporre un nuovo insieme. In termini più precisi ciò equivale
ad ammettere la proposizione seguente :
I. Per ogni classe Y d' insiemi S esiste una relazione che fa corrispondere
ciascun S ad un solo elemento di S.
Una tale relazione si suole chiamate se/etfzva e all'insieme che essa determina (il
dominio della relazione), si dà il nome di se/ezzoree della classe data.
Forse perchè è ovvia l’esistenza di selezioni delle classi d’ insiemi più comuni (in-
siemi finiti, insiemi limitati chiusi ,... ), forse anche perchè | idea generale d’ insieme si
presenta un po’ vaga e indeterminata, non si è rilevato dai più che l'affermazione dell’esi-
stenza di una selezione è, nel caso generale, una proposizione tutt’ altro che evidente (1).
Gli studi critici sulla teoria degl’ insiemi dal punto di vista di Cantor hanno messo
in luce, in varie questioni, l’ opportunità di esplicitamente enunciare quella proposizione, e
poichè sono riusciti vani i tentativi per dimostrarla, si è imposta la necessità di assumerla
come postulato o come nuova ipotesi da farsi sulla classe che si considera. Così han fatto
per es. WHITEHEAD e RusseLL (*) per potere definire, in modo generale, il prodotto dei nu-
meri cardinali, finiti o transfiniti.
È notevole poi che ammettere in generale l’ esistenza della relazione selettiva vale
quanto ammettere che per ogni insieme esista una relazione d’ ordine, in virtù della quale
l’insieme sia der ordinato (CANTOR), cioè l'insieme ed ogni sua parte abbiano un primo
elemento.
Infatti ZermeLo ha dimostrato (3) che se è sempre valida la prop. :
II. Dato un insieme qualunque 9, ad ogni insieme contenuto in esso st può
fare corrispondere uno dei suoi elementi,
(*) Questa prop. è tacitamente ammessa da BOLZANO (Reîn analytischer Beweis.., Prag 1817), da CAU-
CHY (Analyse algébrique, Paris. 1821, note 3 — Oeuvres, S. 2, t. 3, p. 378), da WEIERSTRASS (Math.
Ann., Bd. 23, p. 455), e da varî Matematici più recenti (v. più sotto). Sull’ uso illecito della prop. suddetta
hanno scritto PEANO (Math. Ann.. Bd. 37, p. 210; Revista de Math., t. 8, p. 145), JOURDAIN (Qzar/er/y
Journal a. 1907, p. 352, ZERMELO (Math. Ann., t. 65, a. 1908, p. 111); B. LEVI (Ann. Mat., a. 1908,
SZ, 45, Pa 187)
(?) WHITEHEAD a. RUSSELL, Principia Mathematica, Cambridge, v. I, 1910, p. 503, e v. II, r912,
p. 105.
(3) v. nota (!).
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Men. V. I
2 Michele Cipolla [MEMORIA V. |
allora si deduce che
Il. Ogn7 insieme può essere ben ordinato.
Orbene la prop. HI di ZERMELO, che a prima vista può sembrare un caso particolare
del postulato d’ esistenza della relazione selettiva (prop. I), è invece equivalente a questo,
come han dimostrato RusseLL e WHiTeHEAD (5).
Non sembra quindi ingiustificato il dubbio che il postulato di ZERMELO (0 d’esistenza
della relazione selettiva) venga a limitare la nozione di classe. E quindi, nel timore che
con tal postulato si possa ledere la generalità o, ciò che sarebbe assai più grave, si ven-
ga, in qualche caso particolare, ad attribuire alle classi che si considerano, proprietà con-
tradittorie, il miglior consiglio è di cercarne di evitare l’ applicazione.
Nella teoria dei limiti delle funzioni, seguendo per es. i metodi del Dini o del PrANO,
il postulato d’ esistenza della relazione selettiva è, senza dubbio, evitato, e non vi è nulla
da obbiettare a tali metodi per la generalità dei risultati e il rigore delle dimostrazioni.
Se non che la teoria stessa viene ad acquistare una maggiore semplicità ed eleganza
quando si pone, a suo fondamento, il postulato suddetto, potendosi così riattaccare la teo-
ria dei limiti delle funzioni a quella delle successioni numeriche. E il metodo riesce tal-
mente suggestivo che di esso si trovano profonde traccie in opere pregevoli di Analisi in-
finitesimale, quali, per es., quelle di JorpAN, ARZELÀ, BAGNERA ,....
La proposizione fondamentale di questo metodo è la seguente :
Se un insieme ammette un valor limite, si può dall’ insieme staccare una suc-
cessione che tenda a quel valor limite ().
Orbene, quando si definisce come valore limite di un insieme un numero tale che
ogni intorno che lo racchiude, contenga quanti si vogliono numeri dell’ insieme, allora la
prop. enunciata non può dimostrarsi senza far uso del postulato di ZERMELO. :
Come pure, se la prop. stessa si assume (come fa, p. es., il Jorpan (°) ) a defini-
zione di valore limite di un insieme, allora non si può dimostrare che un insieme denso
in un intervallo ha un valore limite nell’ intervallo, senza ricorrere a quel postulato.
Ed ancora: non può farsi a meno del postulato per dimostrare che una funzione de-
finita in un intervallo è continua in un punto 4 dell’ intervallo (secondo la def. di WeEIE-
STRASS, adottata dal Dixi e da altri) allora e soltanto quando per qualsivoglia successione
convergente ad a di numeri dell’ intervallo, la successione dei corrispondenti valori della
funzione converge al valore che la funzione prende nel punto @ (’).
Scopo della presente Nota è di mostrare come, estendendo la nozione di valor limite
ad una classe d’ insiemi nonchè le proposizioni fondamentali sulle successioni numeriche
alle successioni d’ insiemi, si possa, senza far uso del postulato d’esistenza della relazio-
(“) Op. cit, v. I, pag. 566.
(®) L’uso sistematico di questa prop. si trova nelle Lezioni di Calcolo infinitesimale di G. BAGNERA
(Lit. Longo, Palermo, 1909-910) e conferisce a quest’ opera così pregevole |’ eleganza e la semplicità cui ci
siamo qui, in vari punti, ispirati.
(5) Cours d’Analyse, t. 1, 2° ed., 1893, p. 19.
(") L’ equivalenza delle due definizioni è invece senz’ altro affermata nell’ art. sui principi fondamentali
della teoria delle funzioni, di PRINGSHEIM-MOLK, nell’ Enciclopedia di Mat. (v. ed. francese, t. II, vol. 1,
parte |, nota 108). i
a na
Sul postulato di Zermelo e la teoria dei limiti delle funzioni d
ne selettiva, conservare alla teoria dei limiti delle funzioni quella semplicità ed eleganza
che quel postulato consente, restando sempre il vantaggio della possibilità di collegare
quella teoria anzichè alla teoria degl’ insiemi ordinati (che può omettersi), all’ altra più sem-
plice delle successioni.
1. Valori limiti di una classe d' insiemi. -- Noi diremo che il numero x, è va-
lore limite di una classe E d’' insiemi X se per ogni intorno che racchiude x, , esistono
quanti si vogliono insiemi X, ciascuno dei quali ha un elemento almeno in quell’ intorno.
E diremo che una classe Z d’ insiemi è dezsa in un intervallo (a, 06) se esistono
quantisivogliano insiemi X della classe Z, che hanno elementi in (a, b). Evidentemente :
se un punto x, di (a, d) è valore limite di 8, allora la classe = è densa in (a, d). Inver-
samente :
I, Se Za classe & d' insiemi è densa in (a, b), esiste în (a, b) un valor limite
11]
di
Infatti, se a non è un valor limite di Z, esistono punti x di (a, 6) tali che in (a, x)
la classe Z non è densa. L’estremo superiore x, di detti punti x non supera d, ed è ma-
nifestamente un valor limite di £.
2. Successioni d' instentî. — Diremo che una successione d’ insiemi (esistenti)
(1) PERO CT
è convergente al numero x, che si chiamerà 7 Zzm2/te della successione, se, per ogni
numero positivo e, esiste un numero naturale v tale che, essendo 72 un indice qualunque
maggiore di v, l’ insieme _X,, sia contenuto nell’ intervailo (xo -— €, xo 8), cioè si abbia:
No Xn | @ E,
qualunque sia l’ elemento x, di PASAIE,
In modo analogo al noto criterio (di CaucHy) di convergenza di una successione di
numeri, si stabilisce la prop. :
I. Condizione necessaria e sufficiente perchè una successione d' insieme <
Et Rs.
sia convergente, è che ud ogni numero positivo e corrisponda un indice » tale che,
per qualsivoglia coppia di indici p, q maggiori di »v, e qualunque sia l’ elemento
UNITO, AIR SE GOLIA:
Xo
ima
Fra le prop. che sono facili estensioni di note proprietà delle successioni numeriche
convergenti, notiamo la seguente :
II. Se Za successione d' insiemi
4 Michele Cipolla [Memoria V.|
è convergente a X,, allora, perchè anche la successione d' insiemi
VCR Ca VA
converga A Xo, occorre e basta che per ogni numero positivo e esista un indice »
tale che, essendo n un indice qualunque maggiore di v, a ciascun elemento y, di
Yn corrisponda un elemento Xn di Xn, per tl quale sia
| Vn Xn | 0 Ct
Diremo che la successione d’ insiemi
Xx Xx
A 9g 00 A n
(formata da quanti si vogliano insiemi esistenti) è cozzezziia nella successione
Ala o
quando, per ogni indice 7, X,, è contenuto in X,,.
Evidentemente :
III. Ognz successione d' insiemi, contenuta în una successione convergente, con-
verge allo stesso lin.ite.
Una successione d’insiemi si dice cos/azzze se tutti gl’ insiemi termini di essa sono
tra loro uguali (almeno da un certo valore dell’ indice in poi).
E facile riconoscere che
IV. Condizione necessaria e sufficiente perchè una successione costante con-
verga a Xx, è che, da un certo valore dell’ indice în poi, tutti i termini della succes-
sfone stano costituiti unicamente dal numero x, .
Una successione
FIORITA
si dice d/vergente, se ad ogni numero positivo / corrisponde un indice v tale che, per
ogni indice 72 maggiore di v, nessun termine X,, della successione abbia elementi nell' in-
tervallo (—-X, £#), cioè si abbia
xnlD>E,
per qualsivoglia elemento a, di X,,.
Evidentemente :
V. Ogni successione d' insiemi contenuta in una successione divergente, è an-
cor essa divergente.
Una successione d’insiemi si dirà regolare se converge o diverge, altrimente si dirà
oscillante.
Importanti per le loro applicazioni sono le prop. seguenti :
VI. Se x, è um valore limite di una data successione
(1) DO C a
Sul postulato di Zermelo e la teoria dei limiti delle Junzioni $
d’insiemi non contenenti Xx,, Sî può costruire una successione non costante conte-
nuta nella data e convergente a xo .
Infatti, sia
una successione di numeri positivi, decrescente e convergente a .zero.
Poichè x, è un valore limite della (1), esistono quanti si vogliano insiemi termini della
(1), ciascuno dei quali ha un elemento almeno (certamente diverso da x, ) nell’ intervallo
{I DI
(a (0) va: 0, 9: Xo + 0, ) si
Sia n il primo termine della successione (1) che abbia questa proprietà e À; l’ in-
sieme degli elementi di X, che cadono nel detto intervallo. In modo analogo, sia X,, il
primo termine della (1) dopo X,
LE che abbia nell’ intervallo (o — d,, x + d,) almeno un
elemento e X°,, l'insieme degli elementi di X,,,
che cadono in quest’ altro intervallo. E
così via.
La successione
DIE DI
io VV
certamente non costante (t. III), è contenuta nella (1) e converge a vo.
In particolare :
VII. Se x, è um valore limite di un insieme N, avente un numero finito di ele-
menti uguali a Xo, SÎ può costruire una successione non costante d' insiemi con-
tenuti in X, che sta convergente a x, .
Basta infatti considerare la successione i cui termini sono tutti uguali all’ insieme for-
mato dagli elementi di A, esclusi quelli che sono uguali a x,.
In modo analogo alla prop. VI si stabilisce la seguente :
VIII Se /a successione d’ insiemi
xa ds A
ha quanti si vogliano termini non limitati super. (infer.) oppure quanti si vo-
gliano termini limitati super. (infer.), i cui estremi superiori (inferiori) formino
un insieme non limitato super. (infer.), allora st può costruire una successione
contenuta in essa e divergente.
In particolare :
IX. Se un insieme X non è limitato (super. od infer.), st può costruire una
successione divergente d' insiemi contenuli in X.
Queste poche nozioni sulla teoria delle successioni d’insiemi sono sufficienti per le
applicazioni che vogliamo farne alla teoria dei limiti delle funzioni.
3. Variabile indipendente e funzione. — Comunemente ad un simbolo numerico
si dà il nome di varzabile in una questione se, in quella questione, quel simbolo è desti-
nato ad assumere valori diversi. Se la variabile a° può assumere qualsivoglia valore in un
6 Michele Cipolla
[Memoria V.]
insieme X, si dice che x è una variabile 77:d/perdente in X. Dicendo che x descrive 0
percorre una successione (di numeri o d’ insiemi) non s'intende esprimere altro che x
può assumere qualsivoglia valore pertinente ai termini della successione. Se questa con-
verge a XY, 0 diverge, si dice che x converge a x, 0 diverge rispettivamente (nella succes-
sione). E se a° può descrivere qualunque successione convergente a x, (o divergente) si
dice, brevemente, che x può comzzzaque convergere a >, (divergere).
Alle variabili si estendono immediatamente le nozioni e le proposizioni relative alla
teoria delle successioni.
Il concetto di /t722/07e può ricondursi a quello di relazione uniforme. Se f è una
relazione uniforme avente per dominio l’ insieme X, e per codominio l'insieme Y, ed a
e un valore di A, con fa e, più comunemente, con f(a), si suole denotare il valore di
Y, che corrisponde ad a per la relazione f.
In armonia a questa notazione, se a è simbolo di variabile indipendente in X_ con fa
o con f(x) si suole denotare la variabile che per ogni valore a di x in X assume il va-
lore f(a) di Y.
Alla variabile f(x) si dà il nome di fwrzzorne della variabile x, definita in X, 0
semplicemente il nome di fwrzz0ne di x in X.
Se x, è un valore limite di A, e se per qualsivoglia successione d’insiemi di valori
di x in X, convergente a x,, la successione degl’ insiemi dei corrispondenti valori di f(x)
converge ad un numero À o diverge, noi diremo brevemente che f(x) converge a ) 0
diverge, comunque x tenda a x, (in X).
Se X non è limitato, e se per qualsivoglia successione divergente d’ insiemi conte-
nuti in X la successione degl’ insiemi dei valori corrispondenti di f(x) converge a À o
diverge, noi diremo semplicemente che f(x) converge a \ o diverge, rispettivamente,
comunque x diverga (im X).
Queste definizioni equivalgono alle definizioni comuni di convergenza o divergenza di
una funzione, come risulta dalle seguenti proposizioni :
I. Se f(x) è una funzione di x in X, e x, è un valore limite di X, condizione
necessaria e sufficiente perchè f(x) converga a \ comunque x tenda a x,, è che ad
ogni numero positivo e corrisponda un numero positivo è tale che, per tutti i va-
lorî di X appartenenti all'intervallo (x, —- è, xy + 3) # corrispondenti valori di f(x)
appartengano all’ intervallo (4 — e, } + 8).
La condizione è necessaria. Infatti, sia
una successione di numeri positivi, decrescente e convergente a zero. Se per ogni d,, esi-
stessero punti x, di X contenuti in (x, — dn, Lo + dn), pei quali fosse
Ù
6
was 4
(1) ie ee
denotando con X, l'insieme di siffatti punti, la successione
(2) DG: CIR IO, to
Sul postulato di Zermelo e la teoria dei limiti delle funzioni Ù
sarebbe convergente a x, mentre la successione degl’ insiemi
VAT AR E
dei corrispondenti valori di f(x), a cagione di (1), non sarebbe convergente a À.
La condizione è sufficiente. Sia, infatti, (2) una qualsivoglia successione d’ insiemi
contenuti in X, convergente a x, , e (3) la successione degl’insiemi dei corrispondenti va-
lori di f(x). Dato il numero positivo e ad arbitrio, esiste, per ip., un numero positivo È
tale che, per tutti i punti x, di X, appartenenti all’ intervallo (x° — è, x0 + È), si abbia
(4) ca
=
Dm
In corrispondenza al numero è, esiste un numero naturale v tale che tutti gl’ insiemi
Y,, della successione (2), per 7. >v, siano contenuti nell’ intervallo (x, — d, xo + d), e
allora tutti gl’ insiemi Y,, della successione (2), per 7 >», sono contenuti, in virtù della
(4), nell’ intervallo (A — e, A+ e), e quindi la successione (2) è convergente a À.
In modo analogo :
Il. Se f(x) è uma funzione di x în X, e x, è un valore limite di X, condizione
necessaria e sufficiente perchè f(x) diverga comunque x tenda a x, în X, è che, per
ogni numero positivo k, esista un nnmero positivo è tale che per tutti i valori x
o I 11 de 0 I
di X, che soddisfano alla condizione
Si hanno analoghi teoremi, che il lettore può enunciare e dimostrare, per la condi-
zione di convergenza o divergenza di una funzione quando la variabile diverge.
4. Funzioni continue. -—- La nozione di funzione continua può stabilirsi nella se-
guente maniera.
Sia f(x) una funzione definita in un intervallo (a, è) e x, un punto di (a, db). Se
comunque x in (a, d) tenda a x, f (a) tende a f(x), noi diremo che f(x) è conzizza
nel punto xo .
Dal teor. I del n. prec. si deduce subito che
I. Condizione necessaria e sufficiente perchè una funzione f(x) definita in un
intervallo (a, b) sia continua in un punto x, di (a, b), è che, dato ad arbitrio un
numero positivo e, esista un intorno di x, (Xn, xo 4-d), contenuto in (a,b)
tale che, per ogni valore di x în quest’ intorno, sia
If) —f@)| @ e che gl’intervalli sian tutti con-
tenuti in (4, xo).
La funzione 0 essendo continua in À,, ammette in questo intervallo il minimo e il
massimo valore. Sia x, il minimo dei valori di A, nei quali / (x) prende il minimo va-
lore, e x, il massimo dei valori di A,, nei quali f(x) prende il massimo valore.
Le due successioni
convergono entrambe a 2x0, e quindi, in virtù dell’ ipotesi, le successioni
ACEA ERE
,
(ACSO VAES9E DN) Vi) o)
convergono entrambe a À. Dato perciò un numero positivo e ad arbitrio, esiste un indice v
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Men. V.
N
10 Michele Cipolla [Memoria V.|
tale che per ogni 7 > v sia
| fa, ae.
Se , è l'estremo destro di A,, l'intervallo (b,, x) di ampiezza è, =x,—by contiene
ogni intervallo A, il cui indice 7 è maggiore di v, e se x è un qualsivoglia punto, di-
verso da x, dell'intervallo (6, , 20), cioè, se x è un numero che soddisfa alla condizione
O0ZX, — XZÌ,, esiste un intervallo A, successivo a A,, che contiene x, e poichè si ha
COLEI ZARI
si deduce dalle (2)
(3) MAE
Supponendo invece x, < d e gl'intervalli (1) contenuti nell’intervallo (00, d), si dimo-
stra in modo analogo che esiste un numero positivo è, tale _ che, per ogni valore di x che
soddisfa alla condizione 0 < x — ER , abbia luogo la (3).
Se quindi è è il più piccolo dei numeri è,, d,, per tutti i punti x diversi da x, del-
l'intervallo (x, — d, x0-+ ) la (3) è soddisfatta, e ciò è quanto occorre e basta per con-
cludere che f(x) converge a %, comunque x tenda a x, in (a, d).
In modo analogo si dimostra che, se per qualsivoglia successione monotona conver-
gente a vo di numeri dell’intervallo, diversi da xo, la successione dei valori corrispondenti
della funzione è divergente, allora f(x) diverge comunque x tenda a xo in (a, 0’. In que-
sto caso però occorre notare, per la dimostrazione, che i valori f(x,) e f(a%) definiti
come sopra, devono, da un certo valore di 7 in poi, divenire e restare dello stesso se-
gno, altrimenti la funzione /(x) prenderebbe il valore zero in quanti si vogliano intervalli
A, e si potrebbe costruire una successione monotona di numeri, convergente a x,, e tale
che la successione dei valori corrispondenti della funzione sia composta di termini tutti
nulli. Quest’ ultima successione convergerebbe a zero anzichè divergere, come dovrebbe per
ipotesi.
Con analoga dimostrazione si stabilisce che :
Il. Se f(x) è uma funzione continua per ogni valore di x maggiore (minore)
di a, e se per qualsivoglia successione crescente (decrescente) e divergente di nu-
meri maggiori (minori) di a, la successione dei corrispondenti valori di f(x) con-
verge a \ 0 diverge, allora, comunque x diverga per valori maggiori (minori) di
a, la funzione f(x) converge a \ o diverge rispettivamente.
6. Appare subito l’ importanza di queste proposizioni. Esse possono applicarsi con
vantaggio nella ricerca dei limiti delle funzioni e in particolare nella dimostrazione delle
regole di derivazione. Noi piuttosto vogliamo far vedere corne per esse si possa dimo-
strare molto semplicemente la 7'ego/a di L' HosPITAL.
Questa regola segue dalle due proposizioni seguenti:
I. Szano f(x), (x) funzioni continue in un intervallo C, e derivabili in ogni
punto interno a C, ed inoltre la funzione o (x) non sta mai nulla nei punti in-
terni a C.
Sul postulato di Zermelo e la teoria deî limiti delle funzioni ll
Se, comunque x tenda ad un’ estremo a di C, f(x) e @(x) tendono entrambe a
3 n 7 sx 3 A
zero 0 divergono ed è regolare il rapporto Lo , allora è anche regolare il rap-
@ (x
VA ae 5 ° ;
porlor——= 5) e il limite dell'uno è uguale a quello dell’ altro.
m :
Poichè g'(.v) non è mai nulla nei punti interni a C, la funzione g (x) non può as-
sumere valori uguali in punti distinti di C, e però è crescente o decrescente in C. Se a
è l’ estremo sinistro (destro) di C, consideriamo una qualsivoglia successione decrescente
(crescente) di valori di x in € che sia convergente ad a:
(1) xi Xas gii, Xi
La successione
è crescente o decrescente e, in virtù dell’ipotesi, tende a zero o diverge. Si può allora
applicare una nota proposizione della teoria dei limiti delle successioni numeriche e consi-
derare il rapporto
(3) RO
(Xn) — P(Xns1)
che, per il teorema di CaucHy sul rapporto degl’ accrescimenti finiti, è uguale a
(4) a
essendo =, un ber determinato valore di x, compreso tra x, e Xn4 + Poichè, quando
’
" 3 : e
Xoglendetad ra, =, tende pure ad #@ edée., perip., regolare gl LA RPORO ro , se ne deduce
pa
A i! ; 1 6) È
che è regolare il rapporto (3) e, per conseguenza, il rapporto dos RE 10) otataici gi ep MIO)
sd)
È F (2) pedina if)
è regolare il rapporto e il suo limite è uguaie a quello di —;
@ (0) si
II. Szano f(x), 9 (x) funzioni dotate di derivate per qualsivoglia valore di x,
maggiore (minore) di un numero a, ed inoltre (x), pei detti valori di x, sia sem-
pre diversa da sero.
Se comunque x diverga per valori maggiori (minori) di a, f(x), g\x) tendono
N
entrambe a zero 0 divergono ed inoltre è
£ (2)
o (a)
Poichè @(x) non è nulla a destra (sinistra) di a, la funzione g (x) è crescente o de-
. (e) |
regolare il rapporto Sa. tale è anche
(0) N
so \e
il rapporto e il limite dell'uno è uguale a quello dell’ altro.
iS
crescente in ogni intervallo a destra (sinistra) di 4, e però, essendo (1) una successione
crescente (o decrescente) e divergente di valori di x, maggiori (minori) di 4, la succes-
sione corrispondente (2) è crescente o decrescente e, in virtù dell'ipotesi, tende a zero 0
diverge. Si può quindi considerare il rapporto (3) e continuare il ragionamento come per il
teor. precedente,
12 Michele Cipolla [MEMORIA V.]
7. Un teorema fondamentale, ed estensione di un teorema di BoreL. — Le prop.
del n. 2 si possono estendere senza pena alle classi d’insiemi ad 72 dimensioni. Nvi ne
faremo senz'altro alcune applicazioni.
Sia S una relazione simmetrica e transitiva, avente per campo un insieme C ad 772
dimensioni. Diremo che nell’ intorno (sferico ad 772 dimensioni) di centro c e raggio p —
che denotiamo con (c; p) — ha luogo (o no) la relazione S, se 7227/ (0 70m tutti) i punti
di C, che cadono in (c; p), sono legati dalla relazione S.
Ciò posto, si ha la prop.:
I. Sza N un insieme ad m dimensioni limitato e chiuso ed S una relazione
simmetrica e transitiva di campo C. Se X è contenuto in C e nel derivato di C,
e se ad ogni punto x di N corrisponde un numero 0, tale nell’ intorno (X; 0»)
abbia luogo la relazione S, allora esiste un numero positivo p siffatto che nell'in-
torno (x; p) di qualsivoglia punto x di X ha sempre luogo la relazione S.
Sia
(1) IRCECO REC lE
una successione di numeri positivi, decrescente e convergente a zero; e ammettiamo per
un momento che per ogni 7,, esista almeno un punto .x,, di X tale che nell’ intorno (Xn 77)
non abbia luogo la relazione S. Denotando con X, l'insieme di siffatti punti x,, la suc-
cessione
(2) A, ’ DA Pao) Na, ’
è densa in ogni dominio che contiene X e però ammette un punto limite a, . Questo è
anche un punto limite di A. Infatti a, potrebbe non essere un punto limite di X solo
quando fosse contenuto in quanti si vogliano insiemi X,,, ma in tal caso esisterebbe in (2)
un numero #n bid
prima
dell’ introd. dopo l’ introduzione
16/XII/19r1 1° Introduzione . 25 Cmc. — 4-1 +25. 4230
TE] ls A 25 MIGI) G.S 124 a30
ESIXIO. SRO MO E, C'ORGINC Mi Me O_O 31325
TO XI OR » 300 — 4 + 4
| » 408 — 2 + 6
BUT Sento RE o 25 Cmc, — 10— 4 +13 +20
1 — 104
To/l RICCIO LEPRI REN UR 300 cme. dopo 150 — 2 + 6
\ » 300 ++ 2 +10
To
| dopo 200 — 7 — 3
10/1 AI NS NO Ore ANT 400 cme. | | 93 OOO
| | » 400 —-I0 +18
Cai No)
dopo 200 — 9 — 2
18 RR 4oo CM. | » 300 — 6 + 1
| RO OM
24/1 ION SPS CIRO tieni TR ET zIO CMC. — 12-41 | o
Follia i e e DION CI) GIONA AT o E o
2,00] PR O TOONCHIGenn| NI) -5 ciue so a
Il e corno. Lon — 3 +3
AM, TOOMGINC-MNI Mi ITA =RO dice R2
periodo di tempo il collasso completo del polmone, o quanto meno produrre un pneumo-
torace parziale che da solo può fruttare, come nel primo dei due casi ora citati, notevoli
vantaggi terapeutici.
La condotta della cura in questi ammalati non è semplice nè scevra di pericoli e ri-
chiede molta prudenza; diligente deve essere lo studio dei valori manometrici, continua
l’osservazione del paziente, onde evitare per quanto è possibile gli inconvenienti che pos-
sono derivare dall'alta pressione che si deve stabilire nella pleura.
Oltre all’ enfisema superficiale e profondo a cui già precedentemente bo accennato
che rappresenta del resto un inconveniente di nessuna gravità, ho avuto occasione di 0s-
servare in pazienti nei quali avevo stabilito alte pressioni endo-pleuriche, delle emottisi
omo- e contro-laterali.
In un ammalato (Tav. II. Caso N. 3), per due volte alla distanza di un mese, dopo
Sul pneumotorace terapeutico. Risultati immediati ed innocuttà, ecc. ]
rifornimenti nei quali avevo raggiunto pressioni di + 30-40 cm. di acqua, comparvero
emottisi dopo poche ore l'introduzione del gas. La prima volta l’ emottisi piuttosto abbon-
dante cessò quasi immediatamente dopo l'estrazione di pochi cme. di azoto, la seconda
volta si arrestò da sè, senza alcun intervento. Anche in un altro paziente (V. F. Letto
N. 24. Reparto Uomini) con tubercolosi polmonare mono-laterale cavitaria, notai la com-
parsa di leggera emorragia in seguito ad alta pressione stabilita nella pleura per vincere
estese aderenze, emorragia che cessò con l’ abbassamento della pressione. Con probabilità
in questi casi l'emorragia è dovuta allo stiramento delle pareti della caverna in causa
della elevata pressione endo-pleurica.
Oltre a queste emottisi omo-laterali ebbi l’ occasione di osservare in un ammalato con
tubercolosi polmonare bilaterale mai prima emottoito (Tav. IL Caso N. XIV), dopo la terza
introduzione di 500 cnc. di azoto, nella quale avevo raggiunto, per aderenze pleuriche
esistenti, una pressione di -|-- 15 cm. di acqua, una abbondante emottisi, che i segni fisici
dimostrarono proveniente dal polmone opposto a quello compresso, dove le lesioni erano
iniziali e limitate all'apice: l’ emorragia si arrestò definitivamente non appena diminuì la
pressione dal lato compresso. Probabilmente in questo caso, per il notevole e rapido grado
di compressione raggiunto si stabili una improvvisa eccessiva azione vicaria nel polmone
opposto pure colpito dal processo, in seguito alla quale si ebbe la rottura di qualche pic-
colo vaso nel focolaio tubercolare.
Queste emottisi omo- e contro-laterali, che riconoscono per causa direttamente o in-
direttamente una elevata pressione endo-pleurica, quantunque evenienze rare e non sempre
a mio avviso evitabili, sono però da prendere in considerazione nei casi dove la condotta
della cura richieda alte pressioni endo-pleurichej si possono arrestare con facilità abbas-
sando immediatamente la pressione; non ostacolano il proseguimento della cura.
Ho finora istituito e proseguito metodicamente il pneumotorace terapeutico in 32 am-
malati, cinque dei quali (Tav. II. Casi n. 3, 4, 6, 9, 21), con lesioni polmonari mono-la-
terali, gli altri con lesioni bilaterali, avanzate ed estese da un lato, limitate all’ apice nel
polmone opposto, offrivano tutti dunque le indicazioni volute per la cura pneumotoracica ;
uno soltanto (caso n. 8) presentava lesioni avanzate e diffuse d’ambo i lati.
Nella Tav. II raccolgo i risultati ottenuti in 30 dei nostri pazienti,- chè in due, già
illustrati dal mio maestro prof. M. Ascoli, fummo costretti a sospendere la cura per
l'aggravamento delle Jesioni nel polmone opposto.
In un’altra serie di casi (sette) che stavano fuori delle indicazioni, e per la diffusione
del processo d’ambo i lati e per la gravità delle lesioni, cedendo alle insistenze dei pa-
zienti, ho fatto qualche tentativo sia per saggiare i limiti di potenzialità del metodo, sia
nella speranza di recare qualche giovamento al malato; non essendosi pero questo verifi-
cato sospesi dopo 2-4 mesi la cura. In due di essi constatai realmente dopo le prime in-
troduzioni un abbassamento della temperatura, un miglioramento nelle condizioni generali:
a questi sono forse applicabili le considerazioni fatte dal mio maestro intorno ai criteri che
devono presiedere alla regolazione della pressione endo-pleurica ed al voluto rispetto del
valore critico individuale.
In un caso infine praticai il pneumotorace d'urgenza per arrestare una imponente
emottisi ribelle ai comuni trattamenti. L’ ammalato (G. C. Letto numero 43. Reparto Uo-
mini) affetto da lesioni bronco-pneumoniche d’ ambo i lati e caverne all’ apice sinistro fu
colto improvvisamente da una grave emorragia di circa 500 cme. di sangue. Ricorsi subito
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N. 1.-P, C. a. 26 muratore Tuberc. polm. bil.: broncopneumonite diffusa al polm.
sin. ; a destra infiltrazione all'apice data da due Re;
anni eo Rn Fi TR LETARI 70 | 49.000 | 70 °/o] +17 36.7 3 52. 500 | 80 °/o
» F. C. a. 23 cuoco. . . . | Tuberc. polm. bil.: broncopneumonite diffi al polm. | |
destro, a sin. infiltrazione all’apice e nella reg.
sottoclav, : data da 3 anni 37:3 98 700! 80» | 17 | 36-6| 30 | 58 85»
» 3.-P. S. a. 21 barbiere Tubere. polm. monolat. : infiltrazione. broncopneumo-
nitica ; a sinistra con caverna dell’ apice: data da
6 mesì. Ò Dda aio (a VA RI ECES 200 | 56.400 | 55» 17 36.6 3 64.300. | 85»
> 4.-F. P. a. 21 studente . . | Tuberc. polm. monolat.: infiltrazione broncopneumoni- A
tica diffusa a tutto il polm. destro: data da r anno | 37.4 so | 55.600 | 80 ».| 17 | 36-8 a | 54.800 | 80»
» 35.-C. M. a. 23 legatore. . | Tuberc. polm. bil.: broncopneum. diffusa a sinistra |
con caverna all'apice ; a destra infiltrazione nella |
reg. sopra e sottocl. : data da 2 anni 37.6 275 | 58 65» 17 38.8 18 356.500 | So»
» 6.-S. T. a. 29 casalinga. . | Tubere. polmon. mon : infiltrazione Pre TINI: dif
fusa a sinistra: data da 6 mesi 38.7 | 28] 48.300 | 70» | 14 | 36.6 o | 48.500 | 75»
. ‘Li a. 19 contadino, . | Tubere. polm. bil. : broncop. diffusa a sinistra : a de- | |
stra fatti iniz, all'apice: data da 6 mesi . . .|3809 14 | 53.300 | 70 » 16 36. C) 32,000 | 70 »
» 8.-F G.a. 26 ebanista, . | Tuberc. polm, bil.; broncopneum. a destra: a sini-
stra infiltrazione all’ apice; nella reg. sottoclav. e
sottospinosa : data da 3 anni - 5 38.8 70 | 39.800 | 70» | 10 | 37-5|'65 | 39 80 »
» 9.-G. A. a. 39 contabile. . | Tuberc. polm. bil.: broncopneum. diffusa a a tutto il
polm. sinistro : data da 16 mesi 39 30 | 41.600 | 70 » 16 37 o 44.100 | 85»
» 10.-C. C. a. 22 barbiere. . | Tuberc. polm. bil.: infiltrazione broncop. a destra ;
fatti iniziali all’ apice sinistro: data da ro mesi . | 37.5 90 | 48 300 | 75> | 15 | 36.8] 30 | sr.800 | 80»
» 11.-D. A. a. 23 girovago. . | Tuberc. pdIm. bil.: broncopneum. a sinistra; fatti
iniziali all’ apice destro : data da 1 anno. . | 38 120 | sri400 | 75* | 13 | 36.8 | 12 | s6.100 | 85>
» 12.-O. T. a. 20 cameriera . | Tuberc. polm. bil. : infiltrazione broncop. a sinistra ;
» 19.-S. G. a. 47 calzolaio . .
» 13,-A. N. a. as cuoco. . .
> 14.-S. C. a..a8 tipografo . .
SEEZAA
» 18.-C. N. a.
20,-G. A. a.
21.-A. E. a.
22.-F. F. a.
23.-V..P.a
24.-B. V. a.
25.-A, G. a.
26.-T. C. a.
27.-P: G. a.
28.-L. S. a.
29.-T. G. a.
30.-C. G. a,
30 fornalo
53 contadino
20 scultore
32 risaio. . . .
(TRO
30 contabile. .
32 cocchiere. .
38 sacerdote. .
19 maestro . .
22 barbiere
48 contadino
23 calzolaio . .
fatti iniziali all'apice destro: data 6 mesi a
. | Tuberc. polm. bil ; broncopneum. diffusa a sinistra
infiltrazione all’ apice destro; data da 8 mesi.
Tuberc. polm. Dil. : broncopneum. a destra con caverna,
all'apice fatti iniziali all'apice a sinistra. data
pat. Innitrazione broncopneum. a de-
fatti iniziali nella reg. sopraspinosa a sini-
‘a: data da 1 anno. 6
Tuberc. polm. bil.: infiltrazione broncopneum. a sini-
straVcontcavernafalii apice a destra; fatti iniziali
apice data da 15 mesi o
polm. bil.: broncopneum. diffusa a destra con
caverna all’ apice : infiltrazione all’ apice sinistro
data da 6 mesi . Tha NEO VO AIOTA
Tubere. polm. bil.: broncopneum. diffusa a sinistra
a destra infiltrazione all’ apice e nella reg. sottoci
data da 3 anni. DOOR CAPS RIT
Tuberc. polm. mon. : infiltrazione proncopnoum: diffusa
a sinistra: data da tanno. . +.
Tubercs polm. (bili:\:broncopneumi diffusa a: destra:
infiltrazione all’ apice e nella reg. sottocl. a sini-
| stra: data da 5 mesi . 9
| Tuberc. polm. bil.: infiltrazione broncopneum. a
stra con caverna all'apice; Infiltrazione a destra
all'apice e nella reg. sottospin. data da 4 mesi.
Tuberc. polm. bil.: broncopneum. diffusa a sinistra ;
a destra infiltraz, nella reg. sopra e sottoclav. :
datada ro/mesi 0. £ - È . : 5 id. id.
Liquido cefalo-rachidico 7 . : - i id. negativa.
Ricerche sperimentali sulla permeabilità meningea 9
Essendo negative le ricerche con gr. 0,10 di joduro di potassio per Kg. ritengo inu-
tile riferire le esperienze, anch’ esse negative, fatte con dosi minori.
Volli vedere però come si comporti la permeabilità meningea al joduro di potassio
con la somministrazione per via gastrica ripetuta vari giorni di seguito. Anche in questo
caso mi risultò sempre negativa la reazione nel liquido cefalo-rachidico. Riferisco una sola
esperienza con la dose di gr. 0,10 di joduro per Kg., ripetuta per ben quattro giorni con-
secutivi.
ESRERIENZA VIN.
Cane di Kg. SASSO.
4 Marzo -— ore 12 — Colla sonda s’ introducono nello stomaco gr. 0,85 di joduro
potassico (gr. 0,10 per Kg.) sciolti in cc. 85 di acqua.
5 marzo — ore 12 — Si dà uguale dose per la stessa via.
6 marzo — ore 12 -- Stessa dose come sopra.
7 marzo — ore 12 — Stessa dose come sopra.
ore 18 — Si sacrifica l’animale (liquido raccolto cc. 6,5).
RISULTATI :
reazione positiva
id. id.
id. negativa.
Siero di sangue
Urina . È : .
Liquido cefalo-rachidico
Il risultato negativo della ricerca del joduro potassico nel liquido cefalo-rachidico die-
tro somministrazione ripetuta del farmaco per vari giorni ha speciale importanza, perchè
la modalità dell'esperienza è proprio quella che si è seguita nelle ricerche sull'uomo.
Somministrazione per via ipodermica.
Anche in queste esperienze la ricerca della reazione del jodo nel liquido cerebro-spinale,
fatta a vari intervalli di tempo dalla somministrazione, risultò costantemente negativa, an-
che con le dosi di gr. 0,10 di joduro potassico per Kg. del peso, mentre fu sempre po-
sitiva, anche con dosi metà minori, nel siero di sangue e nell’ urina. Mi limito pertanto
a riferire una sola esperienza.
ESPERIENZA IV.
Cane di Kg. 7,300.
Ore 11 — Iniezione ipodermica di gr. 0,73 di joduro potassico in cc. 6 di acqua
distillata: l'iniezione si fa in tre punti diversi del cellulare sottocutaneo per facilitare l' as-
sorbimento.
Ore 13 — Si sacrifica l’ animale: liquido cefalo-rachidiano raccolto cc. 5 +.
RISULTATI :
Siero di sangue
Urina
Liquido cefalo-rachidico.
reazione positiva
id. id.
id. negativa.
6 Giuseppe La Valle [Memoria VIII.|
°
Somministrazione per via endoperitoneale.
Anche in queste esperienze con dosi di gr. 0,05 e di 0,10 di joduro potassico per
Kg., sciolte in poca acqua, ebbi sempre risultato negativo nella ricerca nel liquido cefalo-
rachidico.
Valga come esempio la seguente :
ESPERIENZA V.
Cagnetta di Kg. 3,070.
Ore 10 — Iniezione endoperitoneale di gr. 0,10 di joduro potassico per Kg. (in cifra
fonda vst.*0:3/.di‘Joduro uin.ce. ld di acqua).
Ore 12 -— Si sacrifica l’ animale: liquido cefalo-radichiano estratto cc. 4, 5.
RISULTATI:
Siero di sangue reazione positiva
Urina . 7 7 : . 1 - . 4 id. id.
Liquido cefalo-rachidico. i : È i } id. negativa.
Somministrazione per le vene.
Anche in questa serie di ricerche adoperai dosi di 5 e di 10 centig. per Kg. di ani-
male. Le iniezioni si fecero sempre nella safena, facendole procedere con lentezza. Il
joduro si dava in soluzione acquosa molto allungata.
Gli animali venivano sacrificati dopo un intervallo di tempo dalla iniezione che si fece
variare da mezza a due ore. I risultati furono sempre negativi riguardo alla presenza di
joduro di potassio nel liquido cefalo-rachidico.
Valga come esempio la seguente :
ESPERIENZA VI.
Cane di Kg. 8,080.
Ore 12 — S'iniettano nella safena di sinistra gr. 0,07 di joduro potassico per Kg.
di animale (in cifra tonda gr. 0,60 sciolti in cc. 43,5 di acqua distillata).
Ore 13 — Si sacrifica il cane: Liquido cefalo-rachidico raccolto cc. 5 +
RISULTATI:
reazione positiva
id. id.
id. negativa.
Siero di sangue
Urina
Liquido cefalo-rachidico
Come dunque si rileva dalle esperienze riferite, i cui risultati trovarono conferma in
una lunga serie di ricerche che per brevità si sono omesse, la membrana pia madre-arac-
noide, almeno per le dosi usate, si dimostra, nei cani, impermeabile dall’ esterno all’interno
al joduro di potassio somministrato per diverse vie e sempre nelle condizioni fisiologiche.
ricerche sperimentali sulla permeabilità meningea 7
Speciale rilievo meritano i risultati negativi avuti con la diretta iniezione del joduro
di potassio nel torrente circolatorio, poichè tali risultati contradicono alle antiche esperienze
di un celebre fisiologo, il Magendie.
Nella breve rassegna letteraria che ho fatto precedere alla esposizione delle mie ri-
cerche, ebbi già occasione di notare come difatti il Magendie ebbe ad osservare la pre-
senza nel liquido cefalo-rachidico di sostanze direttamente. immesse nelle vene, e special-
mente del joduro e del cianuro di potassio.
Io debbo però confessare di non aver potuto consultare sull’originale le esperienze del
Magendie; per mancanza di tempo ho dovuto limitarmi alla conoscenza indiretta di queste
esperienze, quale si desume da ciò che nel suo trattato di Fisiologia ne dice il Longet.
Non è improbabile che il Magendie abbia usato dosi ancora più forti di joduro di potassio
e che in tali condizioni possa il farmaco penetrare attraverso la membrana pia madre-arac-
noide. Ma si potrebbe in tal caso considerare la membrana nel suo stato normale di fun-
zionamento? Io non lo credo, ed a ciò sono autorizzato dai risultati delle mie ricerche col
salicilato di sodio, delle quali dovrò fra breve far cenno. Ad ogni modo non considero
chiusa la questione, sulla quale anzi mi propongo d’insistere, dopo che avrò consultate
sull’originale le classiche ricerche del Magendie.
CLORURO DI LITIO.
Del litio si è studiata non soltanto la tossicità assoluta, ma anche quella relativa, e
si sono prese in esame le azioni comuni e quelle particolari ai singoli composti. È noto
dagli studi del Good (1903) che il cloruro di litio, cioè il sale normale di questo metallo,
produce nei cani e nei gatti la morte, con fenomeni di gastro-enterite acuta, alla dose di
gr. 1-2. Il litio passa nell’urina e nella saliva, si lascia dimostrare anche nel vomito e
nelle feci; una parte viene trattenuta nell’ organismo, poichè la dimostrazione nell’ urina
riesce ancora circa 23 giorni dopo la somministrazione.
Trattandosi di un corpo molto vicino al cloruro di sodio, a molecole anche più pic-
cole di questo, diffusibilissimo (oltre che nell’urina lo si riscontra infatti facilmente nei
versamenti patologici), ma che, a differenza del cloruro di sodio, non figura fra i costi-
tuenti normali dell’ organismo, era naturale che lo si fosse dovuto provare rispetto alla
permeabilità normale della pia madre-aracnoide.
Achard e Loeper nel 1901 studiarono appunto la permeabilità della pia madre rispetto
al cloruro di litio nell’uomo, servendosi, per la ricerca, della bella colorazione rossa che
il litio, anche allo stato di tracce, impartisce alla fiamma. Le ricerche degli autori citati
ebbero esito negativo.
Olmer e Tian nel 1909 studiarono la permeabilità delle meningi normali (nell’ uomo)
al salicilato di litio, ricercando il litio allo spettroscopio. Sottoposero a ricerca tre adulti: due
ricevettero ciascuno gr. 15 di salicilato di litio in sette giorni, e cioè per ciascuno gr. 0,73
di litio metallico: il terzo ricevette gr. 21 di salicilato di litio in dieci giorni. Poterono ri-
scontrare in tutti e tre i casi presenza di quantità piccolissime di litio nel liquido cefalo-ra-
chidico, e ne conclusero perciò che la pia madre-aracnoide non è, nelle condizioni normali,
impermeabile al litio.
Gli autori citati dicono che l'esito negativo delle precedenti ricerche di Achard e Loeper
8 Giuseppe La Valle | Memoria VIII.|
col cloruro di litio va attribuito alla poca sensibilità del procedimento di ricerca adoperato
(semplice colorazione alla fiamma).
In base ai risultati che io ebbi a constatare col salicilato di sodio, e tenuto conto
delle dosi abbastanza rilevanti e della lunga somministrazione di salicilato di litio in queste
ricerche di Olmer e Tian, io ritenni a priori che la scelta del salicilato non fosse conve-
niente per decidere sulla permeabilità normale della pia madre-aracnoide al litio, e che si
dovesse per conseguenza tornare con maggiore rigore d'indagine al cloruro di litio.
Non disponendo in laboratorio del cloruro di litio, nè avendone potuto avere negli
altri istituti e nel commercio locale, mi servii del carbonato di litio che volta per volta
trasformai nel rispettivo cloruro, come si rileva dai protocolli delle singole esperienze.
Ho fatto fin qui tre esperienze sui cani; in due ho somministrato il cloruro di litio
per via endoperitoneale, a dose diversa; in uno ho praticato la diretta iniezione nel san-
gue. La ricerca spettroscopica dell'urina e del liquido cefalo-rachidiano degli animali, sa-
crificati per dissanguamento a vario intervallo di tempo dalla somministrazione, si fece
nell’istituto di chimica generale con le stesse modalità che trovansi indicate per esteso
nelle esperienze sul Tallio.
ESPERIENZA VII.
Cane di Kg. 6,570.
Gr. 0,33 di carbonato di litio (in cifra tonda g. 0,05 per kg. di cane) si trasformano
in cloruro : la soluzione del cloruro, perfettamente neutra, si porta a cc. 6,5.
Ore 9, 25 — S' inietta la soluzione nella cavità del peritoneo. L'animale non pre-
senta alcun fenomeno apprezzabile fino alle :
Ore 12, 25, in cui lo si sacrifica per dissanguamento. Si raccolgono le urine ed il
liquido cefalo-rachidiano (circa cc. 5).
RISULTATI:
Nell’urina si vede nettissimo il raggio rosso-carminio nel campo rosso, caratteristico
per il litio (la seconda stria difficilmente si scorge).
Nel liquido cefalo-rachidico l’ esame riuscì assolutamente negativo.
ESPERIENZA VIII.
Cane GdL 'KRLD270.
Gr. 0, 53 di carbonato di litio (in cifra tonda gr. 0,10 per kg. di cane) si trasformano
in cloruro: la soluzione del cloruro, perfettamente neutra, si porta a cc. 10.
Ore 9. 15 — S'inietta nella cavità del peritoneo la soluzione di cloruro di litio.
L'animale, appena slegato, si mostra già sofferente: presenta debolezza muscolare,
specialmente nel treno posteriore, ripetute defecazioni e vomiti. Dopo circa un'ora si calma
e se ne resta accoccolato in un angolo, dove non tarda ad addormentarsi. In seguito non
mostra più alcun fatto anormale, tranne che un'andatura un po’ incerta.
Ore 13, 15 — Si sacrifica l’animale: si raccolgono l’ urina ed il liquido cefalo-rachi-
diconi(ce., 4.5 (cica):
iatetitit. né
O EPA
Ricerche sperimentali sulla permeabilità meningea 1°)
Risultati dell’esame spettroscopico.
Urina. î È ? : A | reperto positivo intenso
Liquido cefalo-rachidico . 2 . è reperto negativo.
ESPERIENZA IX.
Cane di Kg. 0,070.
Gr. 0,33 di carbonato di litio (in cifra tonda gr. 0,05 per kg.) si trasformano in clo-
ruro, e la soluzione, perfettamente neutra, si porta a cc. 25.
Si prepara la safena sinistra.
Ore 10, 5 — 10, 15 — Gradualmente in questo intervallo di tempo si spinge nella
safena la soluzione di cui sopra. Legata la vena e suturata la ferita, si scioglie l’animale,
che, nel primo momento, non mostra alcunchè di anormale. Circa un quarto d’ ora dopo
si ha vomito di liquido giallognolo misto a bava; il vomito si ripete, ad intervalli di circa
10 minuti, per altre due volte, poi l’animale si tranquillizza e se ne rimane accoccolato.
Costretto a camminare, si muove normalmente, tenendo solo in flessione l'arto operato.
Ore 11, 45 — Si sacrifica l’animale. Si raccolgono l'urina ed il liquido cerebro-spi-
nale. (cc.-4+ ).
Risultati dell’ esame spettroscopico.
Urina : : 7 ; : ; A reperto positivo intenso.
Liquido cefalo-rachidico . 3 4 reperto negativo.
In base alle mie esperienze debbo dunque ritenere che nei casi normali la membrana
pia madre-aracnoide non si lascia attraversare dall’ esterno all’interno dal cloruro di litio.
ACETATO DI TALLIO.
Le conoscenze sull’ azione farmaco-dinamica dei composti di tallio non hanno auto-
rizzato al loro impiego terapeutico, cosicchè nessuno dei preparati di tallio noi vediamo
usato in medicina. Un tempo si pensò che il tallio potesse servire in terapia in sostitu-
zione del mercurio; ma anche da questo punto di vista gli studi fatti non autorizzarono in
alcun modo il tentativo. Il tallio non ha quindi per noi altra importanza che dal punto di
vista tossicologico, poichè la sua presenza in alcuni preparati metallici che servono agli
scopi tecnici dell'industria può renderli nocivi alla salute, e perchè esso figura anche come
componente di alcune acque termo-minerali, le quali di conseguenza potrebbero, secondo
il Marmè, produrre nocumento.
È noto che il tallio assorbito può facilmente constatarsi nei tessuti ed umori dell’ or-
ganismo; Stadion e Marmè dicono di averlo riscontrato in tutti gli escreti, e principal-
mente poi nell’ urina.
In un caso di intossicazione per acetato di tallio, Olmer e Tian (1908) si occuparono
della ricerca del tallio nel liquido cefalo-rachidiano. Il loro esame fu praticato al 25° giorno
dall’ avvelenamento.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Men. VIII.
N
10 Giuseppe La Valle [Memoria VII.]
Gli autori cominciarono col determinare la sensibilità dello spettroscopio. Facendo
scoppiare un arco od una scintilla di bobina di Rhumkorff fra il liquido preso come polo
positivo ed un filo di platino come polo negativo, ed esaminando la luce emessa dalla
macchia anodica, videro che in una soluzione di sale marino al 7 °/o può essere svelata
la presenza di 1/500.000.000, di acetato di tallio.
Nel liquido cefalo-rachidico del loro avvelenato gli autori trovarono netta la reazione
del tallio anche dopo diluizione al decimo, per cui calcolarono ad 1 / 50.000.000, la quan-
tità di sale di tallio nel liquido in esame.
Un secondo esame gli autori lo praticarono dopo centrifugazione del liquido cefalo-
rachidiano: non ottennero reazione caratteristica che dopo aver concentrato il liquido al
decimo del suo volume, per cui calcolarono la quantità di acetato di tallio nel liquido cen-
trifugato ad 1 / 5.000.000.000.
Gli autori notano espressamente che nel loro ammalato non si aveva alcun sintoma
meningeo, per cui era da ritenersi esclusa qualsiasi alterazione della permeabilità meningea.
Gli autori infatti concludono che la pia madre-aracnoide non si oppone normalmente al
passaggio dei sali di tallio, ma non si occupano di stabilire se trattasi di una permeabi-
lità elettiva, chè anzi notano esser possibile che altre sostanze passino allo stesso modo
nel liquido cefalo-rachidico all’ infuori di qualsiasi alterazione meningea apprezzabile, e che
si dovrebbe quindi ricercarne la presenza con processi molto delicati.
Gli autori rilevano anche che la quantità di tallio contenuta nel liquido cefalo-rachi-
dico del loro paziente sarebbe stata senza dubbio maggiore se la punzione lombare
si fosse potuta praticare più presto.
[o ho creduto interessante, in vista del caso pubblicato da Olmer e Tian, saggiare
nel cane la permeabilità meningea ai composti del tallio. Poichè però non ho potuto di-
sporre che di una piccolissima quantità di acetato di tallio, non ho potuto fare fin qui che
una sola esperienza. Non intendo pregiudicare pertanto la quistione, pur sembrandomi non
scevre di possibili obbiezioni le conclusioni di Olmer e Tian.
Ecco intanto il protocollo della mia esperienza:
ESPERIENZA X.
Cane di Kg. 5,450.
Ore il, 5 —- S'iniettano nella cavità peritoneale gr. 0,55 di acetato di tallio sciolti
in ce. 11 di acqua distillata (in cifra tonda gr. 0,10 di acetato di tallio per kg. di animale).
Fino alle ore 14 l’animale se ne rimane tranquillamente accoccolato a sonnecchiare ;
a quell'ora ha dei conati di vomito.
Ore 14, 5 — Il cane viene sacrificato per dissanguamento : si raccolgono l’ urina ed
il liquido cefalo-rachidiano (circa 4 cc.).
L’urina ed il liquido cefalo-rachidiano furono esaminati allo spettroscopio nell’ Istituto
di chimica generale, col seguente procedimento : distruzione della sostanza organica con
acido nitrico fino ad ottenere, per evaporazione su bagno-maria in capsula di porcellana,
un residuo bianco o quasi. Il residuo veniva ripreso con acido cloridrico portando di nuovo
a secchezza a bagno-maria. Del nuovo residuo si faceva il saggio allo spettroscopio intin-
gendo in esso direttamente un filo di platino, ia cui estremità trasformata ad occhiello
Ivicerche sperimentali sulla permeabilità meningea ll
era riscaldata al rosso : non si credette diluire la sostanza, ma operare a secchezza, per
avere una concentrazione maggiore. La sostanza contenuta nell’occhiello dell’ansa si espo-
neva alla fiamma non illuminante di una lampada Bunsen, dopo aver ben regolato |’ ap-
parecchio.
La reazione fu negativa per il liquido cefalo-rachidiano; nell’urina si ebbe invece
nettissimo il raggio verde-smeraldo nel campo verde, caratteristico per il tallio.
Durante la ricerca si ebbero: la linea gialla del sodio in campo giallo e le strie rosso
e bleu-indaco del potassio nei rispettivi campi.
Malgrado dunque il rigore adoperato (si ricordi infatti che s'intinse direttamente l’ ansa
di platino arroventata nel residuo solido), la ricerca spettroscopica del tallio fu negativa
nel liquido cefalo-rachidiano del cane a cui, tre ore prima di sacrificarlo, si era iniettata
una quantità abbastanza forte di acetato di tallio (10 centg. per kg.) nel cavo peritoneale.
Se dovessi concludere da questa sola esperienza, io dovrei dire che la pia madre-
aracnoide del cane normale è impermeabile dall’ esterno all’interno al tallio: ma io ritengo
più prudente sospendere ogni deduzione, fino a quando non avrò potuto sperimentare su
di un numero congruo di animali e in diverse condizioni, sia per la dose, che per la via
di somministrazione e per l’ intervallo di tempo tra la sommistrazione del farmaco ed il
sacrifizio dell’ animale.
SALICILATO DI SODIO.
Il salicilato sodico è qua e là citato dai diversi autori che si sono occupati dello stu-
dio della permeabilità meningea tra le sostanze che, nelle condizioni normali, ed anche in
talune condizioni patologiche, non possono riscontrarsi nel liquido cefalo-rachidico. Così,
per esempio, il Castaigne (1900) dice che “ il salicilato di sodio, somministrato nell'uomo
per via ipodermica, non passa nel liquido cefalo-rachidiano nelle condizioni normali. ,
E da tenere presente che in un lavoro ormai vecchio (cioè del 1878) sulla diffusione
del salicilato di sodio nei diversi liquidi dell'organismo, nei cani, è detto invece che co-
stantemente questo farmaco fu riscontrato nel liquido cefalo-rachidiano (Livon e Bernard I.).
Però si trattava di dosi molto elevate, sempre superiori ai 25 centig. per kg. ed il più
spesso anzi ai 50 centig. per kg. Ora noi vedremo come con dosi così elevate realmente
il salicilato passa, ma che però in tal caso non è più permesso considerare la membrana
pia madre-aracnoide come in istato normale: che anzi, tenendo presente l’azione vasale
del salicilato, deve ritenersi che in tal caso si abbia una vera condizione di paralisi dei
plessi coroidi e quindi la mancata funzione elettiva degli epitelii. Il salicilato di sodio, tra
le sostanze fin quì prese in esame, è quella su cui ho fermato più a lungo la mia atten-
zione: con questa sostanza ho studiata la quistione sotto i diversi aspetti da cui la si deve
considerare, e perciò credo di potermi ritenere autorizzato a venire a conclusioni più de-
terminative.
La presenza del salicilato di sodio (rispettivamente dei prodotti che si rinvengono ne-
gli escreti e nei secreti) è facilmente svelabile mercè una reazione che, assai sensibile per
sè stessa, lo diventa ancor più per lo speciale processo, diciamo così di estrazione dell’ a-
cido salicilico e dei suoi derivati, che si mette in opera. Infatti si acidifica fortemente con
acido cloridrico il liquido in cui si vuol saggiare la reazione : indi si aggiunge etere e si
agita; l etere trasporta l’acido salicilico, od il suo derivato, che si era messo in libertà
12 Giuseppe La Valle [Memoria VIII.)
per l'aggiunta dell’ acido cloridrico. Si separa lo strato etereo e si.sottopone il soluto etereo
ad evaporazione, bastando a ciò abbandonarlo all’ ambiente in vetrino da orologio nella
stagione calda, od aiutare l’ evaporazione con leggerissimo riscaldamento (quello della mano)
d'inverno. Il residuo dell’ evaporazione dell’ etere viene ripreso con un po’ di acqua distil-
lata, e su questa si aggiunge qualche goccia di percloruro di ferro diluito: in presenza di
acido salicilico, o di un suo derivato, per esempio acido salicilurico, si ha colorazione vio-
letta, più o meno intensa secondo la quantità.
Volendo, si può rendere quantitativo il dosaggio; ma su di ciò non mi soffermo, pe-
rocchè a me bastava il dato qualitativo con | apprezzamento di quantità .che permette a
prima vista l’ intensità della colorazione ottenuta. La reazione è assai sensibile, svelandosi
nettamente fino 1 / 150,000, secondo le determinazioni da me fatte.
Del salicilato sodico mi sono anche avvalso per lo studio della permeabilità nelle di-
verse condizioni di esperimento (tossicologiche e patologiche) come si vedrà negli appositi
capitoli.
Ho cominciato con lo studio della permeabilità meningea al salicilato di sodio negli
animali normali in funzione della dose di farmaco somministrata. Ho prescelto per questo
studio la via ipodermica.
Ho sacrificato gli animali sempre dopo lo stesso intervallo di tempo dalla iniezione,
sempre per dissanguamento, aspirando, subito dopo la morte, il liquido cefalo-rachidico
con siringa di Pravatz infissa attraverso la membrana occipito-atlantoidea posta a nudo.
In ogni animale ho estratto tutto il liquido cefalo-rachidiano che poteva aspirarsi, ma
le determinazioni le ho fatte sempre su due cc. di liquido, e ciò per avere risultati netta-
mente paragonabili fra di loro. Così pure, nei limiti del possibile, mi sono sempre avvalso
per ogni serie di esperienze di animali della stessa razza, taglia, età, e di peso presso a
poco uguale, tenuti sempre nelle identiche condizioni di vita e sempre ad uguale distanza
dall’ ultimo pasto.
Noto espressamente che tutti i liquidi da me esaminati erano perfettamente incolori
e limpidi (acqua di roccia); ho scartato i liquidi in cui appariva commista anche una in-
finitesima quantità di sangue.
In tali condizioni ho avuto :
con gr. 0,05 di salicilato sodico per kg. : reazione sempre negativa
i a Ot, > » sn: ; 5 »
RO SO 5 n, 7 NS: P più spesso negativa; qualche volta,
reazione appena accennata di minime tracce.
MO E ; 3 » ? sempre positiva ma leggera.
Di mano in mano aumentando la dose, la intensità della reazione cresce sempre più :.
diventa già molto decisa con 25 - 30 centig. per kg., intensissima con 40 - 50 centig. per kg.
Dal quadro riassuntivo che ho tracciato in base ad un grandissimo numero di espe-
rienze, si vede nettissimamente, ad uguaglianza di tutte le altre condizioni, la permeabilità
meningea dei cani normali al salicilato sodico modificarsi in funzione della dose del far-
maco. Ed infatti mentre la pia madre-aracnoide si dimostrò assolutamente impermeabile
alle piccole dosi (fino ai 10 centig.), appena e non costantemente permeabile alle dosi me-
die (dai 10 ai 15 centig.), fu sempre permeabile a quelle. che possiamo ritenere dosi alte
(Ge
Ieicerche sperimentali sulla permeabilità meningea Dl
(fino ai 30 centig.) ed altissime (da 30 centig. in sopra); e la permeabilità, per quanto può
questo giudizio essere autorizzato dalla intensità della reazione, variò in rapporto diretto
con la grandezza della dose.
- Ciò vuol dire evidentemente che le dosi forti di salicilato sodico perturbano quei mec-
canismi da cui dipende il passaggio o meno del farmaco nel liquido cerebro-spinale, e
cioè sopprimono (evidentemente nel caso del salicilato per il meccanismo vasale) la fun-
zione dei plessi coroidi, a cui è dovuta la elettività della scelta delle sostanze che ad essi
arrivano. In allora non è più il caso di una membrana normale, ma quello invece di una
membrana diventata fisiologicamente inerte, e quindi il passaggio del farmaco non è più
subordinato ad una funzione attiva, non più interviene la elettività di scelta, ma obbedisce alle
sole leggi fisiche comuni che regolano il passaggio delle sostanze attraverso le membrane.
Su questo concetto io ho già insistito in quella che potrò dire cr/lzca aprioristica dei
risultati delle antiche esperienze del Magendie, come anche nella breve rassegna della let-
teratura sull’ argomento, a proposito delle recenti esperienze che si sono fatte col violetto
di metile.
Una obbiezione si presentava però spontanea nell’ apprezzare i risultati delle mie espe-
rienze col salicilato sodico, che cioè potrebbe questa funzione della dose esser solo appa-
rente e non reale; in altri termini la funzione della dose si limiterebbe al semplice rap-
porto quantitativo nella presenza del salicilato in seno al liquido cefalo-rachidico.
Si sarebbe cioè potuto pensare che la pia madre-aracnoide non si opponga mai fisio-
logicamente al passaggio del salicilato sodico attraverso di essa dall’ esterno all’ interno :
ma essendo assai scarsa la quantità di farmaco che arriva a penetrare in seno al liquido
cerebro-spinale, ne verrebbe che con le piccole dosi di salicilato la quantità che ne giunge
in seno al liquido è così piccola da rimanere al disotto dei limiti di sensibilità della rea-
zione. Quindi la prova chimica negativa con le piccole dosi di salicilato non attesterebbe
per nulla nei riguardi della normale impermeabilità della membrana, ma sarebbe soltanto
l esponente della relativa insufficienza della prova per sè stessa.
L’obbiezione, così come espressamente ho voluto prospettarla in modo diffuso, ha una
importanza capitale : ed io son lieto di averla potuto escludere con una serie di prove,
che ritengo assolutamente decisive ed inobbiettabili.
Come si vede dal suesposto prospetto riassuntivo dei protocolli delle esperienze, con
le dosi di 5 e di 7 centig. di salicilato sodico per kg. i risultati furono costantemente
negativi.
Ora io feci delle esperienze in serie così:
ESPERIENZA XI.
A tre cani, circa dello stesso peso, iniettai a ciascuno, per via ipoderimica, centig. 5
per kg.: dopo uguale intervallo di tempo delle esperienze correlative sacrificai gli animali
ed estrassi da ogni cane tutto il liquido cerebro-spinale. Mescolai i tre liquidi e li ridussi
per evaporazione a cc. 2; trattai al solito con acido cloridrico, poi con etere, ecc.
Il risultato della ricerca del salicilato fu perfettamente negativo.
Ora, essendo tre i cani ed operandosi su tutto il liquido, si può considerare come se
si fosse trattato di un solo cane con dose triplicata : se in quelle condizioni si trovasse
nel liquido di ogni cane una quantità per sè stessa insvelabile, nella somma dei liquidi si
MEMORIA VII.)
14 Giuseppe La Valle
sarebbe però venuta a trovare quella quantità che si sarebbe trovata in un solo cane, se
si fosse iniettata una dose di 15 centig. per Kg., cioè una dose con cui il reperto è stato
sempre positivo.
Ma vi è di più: fatta una media generale di tutte le esperienze, io posso fissare ad
un minimo di 4 ce. la quantità media di liquido cefalo-rachidiano che si può ricavare per
aspirazione attraverso la membrana occipito-atlantoidea posta a nudo. Ora in tutte le espe-
rienze col salicilato, tanto in quelle già riferite come in quelle che riferirò, io feci sempre
la ricerca della reazione su due soli cc., allo scopo di avere paragonabilità nell’ intensità
della tinta. Dunque, riferendoci alla cifra media superiormente detta, si è operato su metà:
nella ricerca in serie di cui ora si tratta si è operato invece sulla totalità. Perciò a tutto
rigore possiamo raddoppiare le cifre calcolate, e cioè la ricerca equivarrebbe a quella che
si sarebbe fatta su di un cane solo con una dose di centg. 5 X 3 X 2, cioè = centig 30!!
Uguale risultato negativo ebbi in un'altra esperienza in serie fatta con quattro cani,
pure con 5 centig. per Kg. di peso per ogni cane.
Riferisco piuttosto la seguente altra esperienza in serie :
ESPERIENZA XII.
A quattro cani, presso a poco di uguale taglia, si somministrano a ciascuno per via ipoder-
mica gr. 0,07 di salicilato sodico per Kg. In tutto il resto l’esperienza procedette come sopra.
Dunque quì, se l’obbiezione fosse fondata, avremmo |’ equivalente di una singola
esperienza con centig. 7 X 4 X 2 = centig. 56!!
Il risultato della ricerca dell’acido salicilico nel liquido cerebro-spinale fu egualmente
del tutlo negativo.
Dunque dell’obbiezione in apparenza così plausibile non è da parlare: per un caso
veramente felice agli effetti della dimostrazione, possiamo quasi considerare come mate-
maticamente coincidenti il limite di permeabilità ed il limite di sensibilità della reazione!
Come ho fatto rilevare, e come già accennavo in principio, queste mie’ ricerche col
salicilato sodico portano anche un contributo non indifferente alla questione della natura
vera del liquido cefalo-rachidico, che già per la sua speciale composizione chimica, e per
il fatto ben dimostrato della relativa indipendenza di essa composizione da quella del siero
di sangue, non è giustificabile considerare come un semplice transudato, ma che deve piut-
tosto essere riguardato come un vero prodotto di secrezione.
Fatta qualche opportuna riserva per la dose, se il detto liquido dovesse considerarsi
come semplice transudato, con le iniezioni endovenose dovrebbe di gran lunga più facil-
mente una data sostanza penetrare in seno al liquido, di quel che non avvenga sommini-
strando la stessa sostanza per altra via, per esempio ipodermica o endoperitoneale.
Ora con le iniezioni endovenose di salicilato sodico io ho avuto risultati perfettamente
coincidenti con quelli già notati per via ipodermica, ed infatti ebbi visultati negativi con
centig. 5 e 7 per Kg.; con 10 centig. ebbi primo accenno’ di risultato positivo non co-
stante, ma in rapporto maggiore di quello osservato per via ipodermica.
Questi risultati dunque stanno sempre più ad avvalorare il concetto, come poco prima
accennavo, che cioè il liquido cefalo-rachidico debba riguardarsi come un prodotto di se-
crezione.
Mpa...
iicerche sperimentali sulla permeabilità meningea 15
ACETONE
L’acetone (dimetilchetone) è un prodotto normale del ricambio materiale; comparisce
anche patologicamente per un sopraccarico di esso nel sangue (acetonemia); allora si trova
in grandi quantità nell’ urina (acetonuria), particolarmente nel diabete mellito, nelle febbri
continue, nella carcinomatosi ed in altre affezioni.
Nel liquido cefalo-rachidico si è potuta osservare la presenza costante di acetone nei
casi di acetonemia, ed anzi la ricerca dell’ acetone nel liquido di punzione lombare per-
mette la diagnosi di acetonemia nei casi difficili di ammalati che si trovano già in coma,
ed in cui manca l'urina.
I plessi coroidi sono dunque permeabili all’ acetone: ogni volta che questo si trova
nel sangue, se ne ha contemporaneamente la presenza nel liquido cefalo-rachidico (Souques
e Aynaud, Bousquet e Derrien).
D'altra parte è noto dalle ricerche di Souques ed Aynaud che negli animali avviene
facilmente il passaggio nel liquido cefalo-rachidico dell’ acetone iniettato nel sangue.
A fissare ancor più rigorosamente la permeabilità fisiologica dei plessi coroidi all’ ace-
tone, era opportuno procedere ad esperienze con altra via di somministrazione. Io ho pre-
scelto l’ipodermica.
Prima di esporre i protocolli delle esperienze, dirò brevemente del metodo di cui mi
son valso per la ricerca dell’acetone.
Come notano Bousquet e Derrien, fra le reazioni caratteristiche e sensibili per sve-
lare l’ acetone, quella di Frommer-Emilewicz è la più adatta per il liquido cefalo-rachidiano.
Basta versare in un piccolo tubo da saggio 1-2 cc. di liquido, 2-3 gocce di una soluzione
alcoolica all’l1: 10 di aldeide salicilica, agitare, lasciar cadere al fondo del tubo una pa-
stiglia di potassa e riscaldare, senza agitare, al di sopra della fiamma di una lampada,
curando di non superare i 70°. Se il liquido contiene acetone, compare al di sopra della
potassa un anello rosso-cremisi dovuto alla formazione di 0.0. diossibenzalacetone, i cui
sali alcalini hanno questo colore.
Preliminarmente mi sono assicurato che non si ha reazione nel liquido cefalo-rachidico
di cani normali.
Ho sempre fatta la ricerca in due cc. di liquido.
Ecco ora i protocolli di alcune mie esperienze:
ESPERIENZA XIII.
Cagnetto di Kg. 3,000.
Ore 13 — S'iniettano per via ipodermica gr. 0,306 di acetone sciolti in cc. 1 di acqua
distillata (gr. 0,10 di acetone per Kg. del peso).
Ore 15 — Si sacrifica l’animale: liquido cefalo-rachidico estratto cc. 3, 5.
RISULTATI:
Siero di sangue . ì - 3 : P : reazione positiva
Urinpa . 5 3 ; : : 7 id. id.
Liquido cefalo-rachidico. , i 7 A P id. id.
q
16 Giuseppe La Valle [Memoria VIII.|
ESPERIENZA XIV.
Cane vecchio di Kg. 13,700.
Ore 11, 30 — Iniezione ipodermica di gr. 1,37 di acetone in cc. 2 di acqua distil-
lata (gr. 0,10 per Kg. del peso).
Ore 14 — Si sacrifica l’ animale: liquido cefalo rachidico raccolto cc. 2,5 (l’aspira-
zione è molto stentata).
RISULTATI :
Siero di sangue . . i ; : reazione positiva
Urina . A : . A i : id. id.
Liquido cefalo-rachidico. 3 ì è id. id. (discretamente intensa).
Debbo qui notare che in due esperienze (su sei), con la stessa dose di gr. 0,10 di
acetone per Kg., la ricerca nel liquido cefalo-rachidico riuscì negativa, malgrado fosse ri-
masto, su per giù, lo stesso l’ intervallo di tempo fra la somministrazione del farmaco ed
il momento in cui si sacrificò l’ animale.
Sarebbe stato utile fare anche delle esperienze con dosi minori, ricorrendo nel caso,
per evitare di restare al di sotto dei limiti di sensibilità della reazione, ad esperienze in
serie, così come si è fatto per il salicilato di sodio. A questa lacuna sarà mia cura di ri-
parare in seguito.
La intensità della reazione dell’acetone nel liquido cefalo-rachidico cresce, come era
da prevedere, col crescere della dose somministrata.
Valga come esempio la seguente:
ESPERIENZA XV.
Cane di Kg. 5,000.
Ore 13 — S'iniettano per via ipodermica gr. 1,12 di acetone sciolti in cc. 2 di acqua
distillata (gr. 0,20 di acetone per Kgr. del peso). i
Ore 14,30 — Si sacrifica l’ animale: liquido cefalo-rachidico estratto cc. 3 +.
RISULTATI :
Siero di sangue . : . : È 3 reazione positiva
Urina : i | mei . id. id.
Liquido cefalo-rachidico . 2 ; ° id. id. (intensa).
BLEU DI METILENE.
Il bleu di metilene è una delle sostanze di più facile reperto nei prodotti di secrezione
e di escrezione dell’organismo. Somministrato nell’uomo in dose da gr. 0,05 a 0,20 pro
die, si riscontra nell’ urina e nelle feci, e la sua eliminazione dura da due a quattro giorni.
Kowawsky, e sopratutto Ehrlich, hanno dimostrato che i tessuti viventi esercitano
®
una riduzione sul bleu, trasformandolo in un leucoderivato (cromzogezo di Achard e Ca-
staigne): una parte di questo ritorna allo stato di bleu nel rene per ossidazione, ma il
resto, come hanno provato Voisin ed Hauser, si elimina tal quale per le urine.
Questo leucoderivato ritorna bleu per ossidazione. Per trasformare la modificazione
incolora del bleu nella colorata, serve o la cottura con acido acetico, o l aggiunta di un
mezzo ossidante, per es. soluzione di acido fosforico e percloruro di ferro.
Nelle mie esperienze ho somministrato il bleu di metilene ai cani in dosi variabili dai
2 ai 5 centig. per Kg. del peso, servendomi delle varie vie di somministrazione. Mi limito
qui a riferire due sole esperienze, essendo le altre conformi nei risultati.
ESPERIENZA XVI.
Cane di Kg. 0,970.
Preparazione della vena safena di sinistra.
Ore 13, 55 — 14 — SI iniettano per la safena gr. 0,13 di bleu di metilene sciolti in
cc. 50 di acqua distillata, alla temperatura dell’ ambiente (in cifra. tonda gr. 0,02 di bleu
di metilene per Kg. del peso).
Appena compiuta |’ iniezione, si sutura la ferita e si mette l’animale in libertà.
Ore 17 — Si sacrifica l animale per dissanguamento e, attraverso la membrana oc-
cipito-atlantoidea denudata, si aspirano con la siringa ce. + di liquido cefalo-rachidiano,
che appare perfettamente incoloro.
Si raccolgono anche un po’ di sangue ed un po’ di urina.
RISULTATI:
L'urina si mostra fortemente colorata, per cui non occorre altra prova.
Il siero di sangue, separato per riposo, si mostra leggermente colorato in bleu: la
colorazione si rende molto più intensa sottoponendo ad ebollizione il siero dietro aggiunta
di alcune gocce di acido acetico.
Il liquido cetalo-rachidiano, perfettamente limpido ed incoloro, si mantiene tale anche
dietro bollitura con acido acetico.
Anche somministrato per via endovenosa, dunque, il bleu di metilene, alla dose di
gr. 0,02 per Kg. di peso, non passa nel liquido cefalo-rachidico.
Gli stessi risultati negativi ebbi col bleu di metilene in dose di 3 e 4 centig. per Kg.
del peso, qualunque fosse la via di somministrazione ed il tempo trascorso fra |’ introdu-
zione della sostanza e la presa del liquido cefalo-rachidico. Con gr. 0,05 per Kg. invece
si ha gia comparsa di minime tracce del bleu nel liquido. Cito una esperienza in pro-
posito.
ESPERIENZA XVII.
Cane di Kg. 10,500.
Ore 14 — Nella cavità del peritoneo s'iniettano gr. 0.53 di bleu di metilene sciolti in
cc. 100 di acqua distillata, alla temperatura del corpo.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. VIII. 3
IS Giuseppe La Valle [Memoria VIII]
Ore 18 — Si sacrifica l’animale per dissanguamento. Nella cavita peritoneale si nota
la presenza di una certa quantità della soluzione colorata iniettata. Si raccolgono: un po’
di sangue ed il liquido cefalo-rachidiano (di cui si possono aspirare con la siringa, attra-
verso la membrana occipito-atlantoidea posta a nudo, circa cc. 6).
RISULTATI :
Urina: si mostra fortemente colorata alla semplice ispezione.
Siero di sangue: colorazione abbastanza evidente, che si rende intensa dietro cottura
con acido acetico.
Liquido cefalo-rachidiano: all’ispezione indecisa nuance bleu, che si rende evidente
dietro ebollizione con acido acetico.
E molto probabile che aumentando ancora la dose di bleu di metilene, si renderà
maggiore la quantità della sostanza svelabile nel liquido cefalo-rachidiano: almeno a questo
accenna la esperienza citata con 5 centig. di bleu per Kg. In altri termini è da presup-
porre che. come avviene per il salicilato di sodio, le forti dosi di bleu di metilene riescano
a sopprimere la funzione fisiologica dei plessi coroidi, quella cioè di rappresentare una
barriera elettiva, che si oppone al passaggio nel liquido cefalo-rachidico delle sostanze
estranee alla sua composizione normale.
Sarebbe interessante di ripetere col bleu di metilene le esperienze che il Ducrot ed il
Gautrelet fecero con una sostanza molto affine, e cioe il violetto di metile. Questi osser-
vatori infatti hanno potuto vedere che, iniettando nei cani 3 cc. di una soluzione satura di
violetto di metile nell’ arteria carotide interna, dopo legatura temporanea della carotide
esterna, il violetto di metile si fissa sui plessi coroidi in un tempo assai rapido, determi-
nandone la paralisi, la quale poi poco a poco si dilegua, man mano che il violetto di
metile si va eliminando. E anche probabile che col metodo speciale di somministrazione
{metodo di Venezian modificato) di cui si sono avvalsi Ducrot e Gautrelet, si possa riu-
scire a determinare l’ abolizione più o meno duratura della funzione dei plessi coroidi an-
che con diverse altre sostanze: ma di questo argomento, che ha tanto interesse per la
fisiologia dei plessi coroidi, e conseguentemente per la soluzione del problema della natura
vera del liquido cefalo-rachidiano, io mi riservo di trattare quando avrò completate le espe-
rienze che ho in corso.
STRICNINA
Per accertare se questo alcaloide, che ha così grande affinità elettiva per i centri ner-
vosi bulbo-midollari, passi nei cani normali nel liquido cefalo-rachidico, anzichè ricorrere
alla prova chimica, mi sono avvalso della prova fisiologica che, per le piccole quantità, è
anche più sensibile di quella chimica.
Occorreva pertanto assicurarsi che il liquido cefalo-rachidico di cani normali non eser-
citi alcuna influenza, in ispecie poi corvu/sivante, sulle rane, ciò che io feci in una serie
di ricerche preliminari che qui, per amor di brevità, tralascio di esporre.
Riferisco due delle mie esperienze con stricnina.
Ivicerche spertmentuli sulla permeabilità meninge 19
ESPERIENZA XVIII.
Cane di Kg. 60,400.
Ore 10, 30. — S'iniettano per via ipodermica gr. 0,0065 di nitrato di stricnina in
ce. 1 di acqua distillata. Il cane presenta subito i comuni fenomeni dell’ avvelenamento
e muore dopo 12 minuti. Immediatamente, attraverso la. membrana. occipito-atlantoidea
posta a nudo, si aspira il liquido cefalo-rachidico (circa cc. 5).
Un ce. di detto liquido s’ inietta nei sacchi linfatici dorsali di ùna rana vigorosa del
peso di circa gr. 14. La rana, tenuta in osservazione diligente, non presentò alcuna de-
viazione dal normale nel giorno dell'esperienza e nei successivi.
Due cc. dello stesso liquido vengono ridotti per evaporazione a bagno-maria a ce. 0,4.
Tale residuo di evaporazione s’ inietta nei sacchi dorsali di una piccola rana. Si osserva
una intensa ipersecrezione cutanea diffusa: l animale se ne sta con gli occhi socchiusi e
anche dietro eccitazione non tenta di scappare. Lo stato di torpore dura per qualche tempo,
poi si dilegua, e la rana ritorna perfettamente normale. ‘Tale si mantiene nei giorni suc-
cessivi.
ESPERIENZA XIX.
CMendnbKi 15.
Ore 11,15 — S'iniettano per via ipodermica gr. 0,015 di nitrato di stricnina sciolti
in cc. 1 di acqua distillata. Il cane, dopo aver presentato i soliti caratteristici fenomeni
dell’ avvelenamento stricnico, muore alle ore 11,30 circa. Subito, attraverso la membrana
occipito-atlantoidea, denudata, si estraggono per aspirazione ce. 3,9 di liquido cefalo-ra-
chidico.
Un cc., iniettato ad una piccola rana nei sacchi linfatici dorsali, non provoca alcun
fenomeno. (La rana fu tenuta in osservazione anche nei giorni consecutivi).
Ce. 2,5 del liquido vengono portati per lenta evaporazione su bagno-maria a circa
cc. 0,5 che s’iniettano ad altra piccola rana con esito ugualmente negativo nei riguardi
dell’ avvelenamento stricnico. Dalle suesposte esperienze si è perfettamente autorizzati a
concludere che la stricnina, almeno nella forma rapida dell’avvelenamento , non passa
apprezzabilmente nel liquido cerebro-spinale. Naturalmente si deve ancora provare se real
mente in tale forma dell’avvelenamento la impermeabilità della pia madre-aracnoide dal-
l'esterno, di fronte alla stricnina, sia assoluta, ciò che potranno risolvere apposite espe-
rienze in serie: tuttavia la ricerca fatta con la condensazione del liquido di un solo animale
è già abbastanza per autorizzare la previsione che veramente si tratti, in queste condi-
zioni, d’ impermeabilità assoluta.
Quanto ai fenomeni rilevati in una delle rane di cui è fatto cenno (confermati in al-
tre ricerche omesse), che manifestamente nulla han da vedere con lazione della stricnina,
e cioè la ipersecrezione cutanea e lo stato piuttosto duraturo di torpore, essi sono da porsi
a carico della tossicità acquisita dal liquido cerebro-spinale in conseguenza delle violenti
convulsioni stricniche subite dal cani in esperienza, come dimostrerà uno degli interni del
20 Giuseppe La Valle |Memoria VIII]
laboratorio in uno studio apposito sulla influenza della fatica sulla tossicità del liquido ce-
rebro-spinale.
Potrebbe darsi il caso che nelle forme lente di avvelenamento stricnico, quali possono
determinarsi con varii artifici sperimentali, si comporti diversamente la permeabilità me-
ningea di fronte alla stricnina: su ciò mi riservo di ritornare quando avrò espletato le ap-
posite ricerche.
BILE.
Per le mie ricerche sullo stato della permeabilità meningea nell’ittero sperimentale mi
interessava di vedere se negli animali normali i pigmenti biliari passino nel liquido cerebro-
spinale in seguito alla somministrazione di bile, specie per iniezione endovenosa.
Mi permetto ricordare che la tossicità della bile, già sospettata da Deidier nel secolo
XVII, fu posta assai in dubbio dalle esperienze di Bonisson, di Dusch, Frerichs, Bamber-
ger, Vulpian. Infatti questi autori non poterono rilevare alcun fenomeno degno di nota in
seguito alle iniezioni endovenose di una certa quantità di bile.
Il Bouchard però, servendosi della bile di bue diluita ad '/, del suo volume per evi-
tare l’embolismo vischioso, pote dimostrare che essa riesce tossica per i conigli, e stabilì
che per uccidere un Kg. di coniglio occorrono da 4 a 6 cc. di tale soluzione per la via
delle vene. La morte si determina in mezzo a convulsioni. Delle diverse sostanze che
entrano nella composizione della bile, alcune sono inoffensive, come la colesterina : i prin-
cipii attivi sono rappresentati dai sali biliari e dai pigmenti.
Nelle mie esperienze mi sono servito della stessa bile di cane, che iniettavo per le
vene (per la safena) ad un altro animale in condizioni normali seguendo, sia per la dose,
sia per la diluizione, i precetti del Bouchard. Noto di passaggio che non osservai altrì
fatti all'infuori di una piuttosto notevole ipertermia, abbattimento ed espressione di soffe-
renza generale in tutto il tempo che durò l'osservazione dal momento dell’ iniezione a
quello in cui si sacrificò l’animale. Tale intervallo di tempo fu di regola di 4 ore.
Quanto ai caratteri offerti dal liquido cerebro-spinale, estratto col solito processo non
appena sacrificati gli animali, essi furono quelli che normalmente offre il liquido: mai s
ebbe il più piccolo accenno di colorazione giallastra o verdastra.
La ricerca chimica si fece coi noti metodi di Gmelin e di Haycraft, e fu sempre ne-
gativa nel liquido cefalo-rachidico, positiva invece nel siero di sangue e nell’ urina.
Valga come esempio la seguente:
ESPERIENZA XX.
Cagnetto di Kg. 4,400.
Ore 13,30 — S'iniettano nella safena cc. 26,5 di bile di cane diluita ad VE (cc
per Kg. di animale).
Ore 15 — Il cane si presenta abbattuto e sofferente. La temperatura rettale è di 419,
Ore 17,30 — Si sacrifica l’animale per dissanguamento: liquido cefalo-rachidico e-
stratto cc. 4,3.
Ieicerche sperimentali sulla permeabilità meningea PA
RISULTATI :
Siero di sangue : - î 3 reazione positiva
Urina ; i . : id. id.
Liquido cefalo-rachidico . . ; 5 id. negativa.
Al momento in cui io procedeva alla esperienza sopracennata con le iniezioni endo-
venose di bile, non aveva conoscenza delle esperienze similari che già nel 1905 avevano
praticate Ducrot e Gautrelet. Essendo i risultati, cui giunsero i suddetti autori, perfetta-
mente identici ai miei, posso fare a meno di soffermarmi ulteriormente sull’ argomento:
noto soltanto che le esperienze di Ducrot e Gautrelet vennero praticate tanto sul cane che
sul coniglio, a cui s’iniettava nella vena femorale 3 cc. per Kg. di bile di bue.
In un lavoro successivo gli stessi autori tornarono sull'argomento e dimostrarono che,
quando col procedimento modificato di Venezian, si induce la paralisi dei plessi coroidi
col violetto di metile, la pia madre-aracnoide diventa permeabile ai pigmenti. biliari. Dile-
guandosi poi la paralisi dei plessi coroidi, in seguito alla eliminazione del violetto di me-
tile, la pia madre-aracnoide ridiventa impermeabile ai pigmenti biliari e conseguentemente
il liquido cefalo-rachidico riacquista in breve tempo il suo aspetto normale.
Permeabilità meningea nell’avvelenamento da stricnina.
Ho già detto che nella forma acuta dell’ avvelenamento stricnico non si ha passaggio
dell’ alcaloide nel liquido cefalo-rachidico.
Ho voluto vedere se in questo avvelenamento si alteri la permeabilità meningea di
fronte ad altre sostanze. Finora ho studiato soltanto sulle piccole dosi di salicilato sodico
e sempre nella sola forma acuta dell’avvelenamento stricnico: i risultati delle esperienze
fatte in queste condizioni escludono una qualsiasi alterazione della permeabilità meningea
dall’ esterno all’ interno.
Riferisco i protocolli di due delle mie esperienze.
ESPERIENZA XXI.
Cane di Kg. 5,700.
Ore 12, 45. — Iniezione ipodermica di gr. 0,29 di salicilato sodico in soluzione acquosa
(in cifra tonda gr. 0,05 di salicilato per Kg.).
Ore 14, 15 — Iniezione ipodermica di gr. 0,004 di nitrato stricnico. Il cane presenta
dopo pochi minuti i primi segni dell’avvelenamento: dopo circa 12 minuti entra in tetano
e alle :
Ore 14,30 muore nel secondo accesso tetanico. Subito si mette a nudo la membrana
occipito--atlantoidea e si estraggono cc. 3 + di liquido cefalo-rachidico.
La ricerca in questo dell’ acido salicilico riusci assolutamente negativa.
22 Giuseppe La Valle Memoria VIII.)
ESPERIENZA XXII.
Cagnetto di Kg. 4,400.
Ore 13. — Iniezione ipodermica di gr. 0,315 di salicilato sodico (in cifra tonda gr. 0,07
per Kg. di animale).
Ore 14,30 — Iniezione ipodermica di gr. 0,004 di nitrato stricnico. L'animale muore
in tetano alle
Ore 14,45 — Si prepara subito lo spazio occipito-atlantoideo e si estraggono cc. 3,5
di liquido cefalo-rachidico. La reazione per la ricerca dell'acido salicilico riuscì assoluta
mente negativa.
Permeabilità meningea nella narcosi morfinica e nell’ ipno-anestesia
morfio-cloralica.
Su questo argomento non ho ancora che poche esperienze, per cui le mie conclusioni
non possono considerarsi come decisive. Fin qui ho trovato che tanto nella semplice nar-
così morfinica, che nella profonda narcosi morfio-cloralica, non si determinano modificazioni
della permeabilita meningea dall’ esterno all’interno di fronte al salicilato di sodio ed al
bleu di metilene. Il risultato negativo ottenuto, debbo confessarlo, mi ha sorpreso, perocchè
mi sarei aspettato di trovare nelle forme di narcosi sopradette una paralisi più o meno
accentuata dei plessi coroidi. Mt riservo dunque lo studio più accurato ed esteso per ac-
certare anzitutto la realtà del fenomeno indicato, e tentare poi di penetrare più addentro
nella disamina per rendermi esatto conto della reale condizione funzionale dei plessi co-
roidi nelle condizioni accennate.
Ecco intanto i protocolli delle poche esperienze da me fatte :
ESPERIENZA XXIII.
Cane adulto di Kg. 12,300.
Ore 12 — Iniezione ipodermica di gr. 0,01 d'idroclorato di morfina per kg. del peso.
Ore 14 — Il cane è in profondo sonno morfinico. Si iniettano nel peritoneo gr. 0,85
di salicilato sodico in ce. 12 di acqua distillata (in cifra tonda gr. 0,07 di salicilato sodico
per kg. del peso).
Ore 15,30 -— L’ animale è ancora sonnolento : obbligato a muoversi, si serve sten-
tatamente del treno posteriore. Lo si sacrifica e si raccolgono al solito un po’ di sangue,
l'urina ed il liquido cefalo-rachidico.
RISULTATI ©
Siero di sangue . i ; 6 E Reazione positiva
Urina. . ò 3 0 d a . Ò ò id. id.
Liquido cefalo-rachidico . A 5 id. negativa
Ivicerche sperimentali sulla permeabilità meningea L6)
ESPERIENZA XXIV.
Cagnetto di kg. 3,570
Ore 10,30 — Iniezione ipodermica di gr. 0,036 di idroclorato di morfina.
Ore 12,30 — Il cane, passato per tutte le fasi dell’ azione morfinica, non è più in
narcosi vera, ma e ancora molto sonnolento e, obbligato a muoversi, mostra notevolissi-
ma debolezza del treno posteriore. S' iniettano nel peritoneo gr. 0,24 di salicilato sodico
in cc. 6 di acqua (in cifra tonda gr. 0,07 di salicilato sodico per kg.)
Ore 14,30 — Si sacrifica 1’ animale raccogliendo al solito un po’ di sangue, |’ urina
ed il liquido cefalo-rachidico.
RISULTATI :
Siero di sangue . " Î A reazione positiva
Urina . - 2 : S : : 1 id. id.
Liquido cefalo-rachidico. ; : i : s id. negativa
ESPERIENZA XXV.
Cane di kg. 8,320.
Ore 13,30 — Nella cavità peritoneale s’iniettano gr. 0,08 di idroclorato di morfina
sciolti in cc. 5 di acqua distillata.
Ore 15 — Narcosi non molto profonda. S' inietta nel peritoneo una soluzione conte-
nente gr. 0,02 di idroclorato di morfina e gr. 1,20 di cloralio idrato.
Ore 17 — Narcosi profondissima accompagnata a completa anestesia generale. Pre-
parata subito la safena sinistra, vi s'iniettano gr. 0,16 di bleu di metilene sciolti in cc. 60
di acqua distillata.
Ore 21 — Sacrificato l’ animale si fa la solita raccolta. Il liquido cefalo-rachidico ri-
SUOI. OT
RISULTATI
Urina fortemente colorata.
Siero di sangue: colorazione indecisa alla semplice ispezione; netta dietro bollitura
in presenza di acido acetico.
Liquido cefalo-rachidico : incoloro tanto alla semplice ispezione, che dietro bollitura
con acido acetico.
.
Specialmente sorprendente è il risultato negativo dell’ ultima delle esperienze riferite, in
cui l’animale ebbe prima la morfina, dopo ora 1,30 subì la ipno-anestesia, e nell’acme di
questa, cioè dopo altre due ore, ebbe praticata la iniezione diretta nelle vene di bleu di
metilene. Come si vede le condizioni sarebbero state più che mai favorevoli al determi-
narsi di un’ alterazione di permeabilità della membrana pia madre-aracnoide!
Permeabilità meningea nella Rachianestesia.
In occasione delle ricerche che nell’ Istituto si vanno facendo sull’ anestesia midollare,
parve interessante vedere se nella rachianestesia si determinino modificazioni della permea-
bilità meningea, tanto dall'interno all’ esterno, che dall’ esterno all’ interno.
24 Giuseppe La Valle | Memoria \VIIT.]
Il collega Dott. Nicosia nelle sue ricerche si occupò espressamente dello studio della
permeabilità della pia madre-aracnoide dall’ interno verso | esterno nella rachistovainizza-
zione, come pure nei casi di lesioni midollari. Egli trovo che il salicilato di sodio, iniet-
tato in soluzione nel canale rachidico, passa nella circolazione generale, e lo si rinviene
quindi nel sangue e nell’urina, e che, facendo trascorrere un lungo intervallo di tempo
(non meno di S ore) fra il momento della iniezione intrarachidica, ed il momento in cui
si sacrifica |’ animale, si riesce a dimostrare la completa scomparsa del salicilato sodico
dal liquido cefalo-rachidico. Il Nicosia trovò che la iniezione di stovaina nel canale rachi-
dico, fatta insieme alla inezione del salicilato sodico, o fatta precedere a questa per un
intervallo più © meno lungo di tempo, non determina alterazioni apprezzabili nella permea-
bilità meningea dall'interno all’esterno, come non ne determinano le lesioni midollari, an-
che quando abbiano dato luogo ad evidenti e gravi disturbi.
Nel lavoro del Nicosia figurano già le esperienze che egli fece sulla permeabilità me-
ningea dall'esterno all’interno di fronte al joduro di potassio ed alle piccole dosi di sali-
cilato sodico nella rachistovainizzazione, come anche nei casi di lesioni del midollo e di
iniezione Iintramidollare di stovaina. Come risultato il Nicosia ebbe sempre che nella rachi-
stovainizzazione, anche nelle peggiori condizioni di esperienza, ed ugualmente nei casi di
lesione midollare 0 di iniezione intramidollare di stovaina, tanto il joduro potassico, che il
salicilato sodico a piccole dosi, anche se direttamente immessi nella safena, non passano
nel liquido cerebro-spinale.
Poiche le esperienze da me ripetute confermano pienamente i risultati del Nicosia,
credo superfluo di doverle riferire.
La permeabilità meningea nella ipertermia.
Fra le condizioni che avrebbero potuto modificare la permeabilità meningea, si presen-
tava la ipertermia, semplice o legata ad un processo febbrile.
A_ produrre negli animali una ipertermia semplice, abbiamo a disposizione varii pro-
cedimenti : io ho prescelto quello indicato già nel 1896 dal Professore Ughetti, in un suo
lavoro sulla patogenesi della febbre. L' Ughetti dimostrò che si possono produrre nei co-
nigli innalzamenti considerevoli di temperatura iniettando, per la via delle vene, sostanze
granulari chimicamente indifferenti, e di tali proporzioni da non determinare embolie.
Accertatosi con prove preliminari che le iniezioni endovenose di cloruro sodico al 0,80 °/o
non sono seguite da ipertermia (1), l’Ughetti iniettò varie sostanze, chimicamente indiffe-
renti per i tessuti, in forma di corpuscoli indisciolti e sospesi nella predetta soluzione sa-
lina. La sostanza che diede il più forte risalto termico fu il carminio: vennero dopo, in
ordine decrescente, la gomma mastice, il cervello, il latte, il licopodio, |’ acido urico, il
caffe, il carbone. Nelle sue esperienze | Ughetti non riscontrò mai rapporto apprezzabile
tra la temperatura del liquido iniettato e |’ éffetto termico ottenuto.
Queste ricerche così interessanti del Prof. Ughetti furono nel 1903 estese ai cani dal
(1) Varii autori, anche recentissimamente. hanno sostenuto che le semplici iniezioni di soluzione fisiologica
di cloruro sodico possono determinare ipertermia. Tanto il prof. Ughetti, che Foderà e Traina, asseriscono in-
vece di non avere osservato alcuna ipertermia con le iniezioni endovenose di soluzione di cloruro sodico.
Uguali risultati negativi io ho avuto in apposite ricerche preliminari che qui non sento il bisogno di riferire
per esteso.
G
Iticerche sperimentali sullo. permeabilità meninged 29
Prof. Foderà e dal Dott. Traina nello studio che essi fecero sulla alcalescenza del sangue
nella febbre. Questi autori prescelsero il carminio purissimo, che erasi dimostrato la s0-
stanza più attiva nelle ricerche dell’ Ughetti, aggiungendolo nella proporzione di 0, 10 0/0
all'acqua distillata e salata (0,80 °/o di cloruro sodico purissimo).
Il liquido veniva iniettato alla temperatura stessa dell'ambiente nella safena del cane,
in quantità che si fecero variare da 20 a 30 cc. per chilogrammo di peso, e con una ve-
locità di 5 cc. per minuto. Conformemente alle ricerche dell’ Ughetti sui conigli, Foderà
e Traina ottennero nei cani delle elevazioni termiche, il cui maximum si raggiungeva in
generale alla 3% ora dalla iniezione. Questo maximum oscillò da 29,1 a 29,6, risultando in
media di 2°,3. Tranne il risalto termico, ed un po’ di tremito generale in alcuni animali
verso la fine della iniezione, i cani non presentarono alcun fenomeno anormale per effetto
delle iniezioni stesse.
Per studiare le condizioni della permeabilità meningea nella ipertermia da iniezione di
carminio, mi sono avvalso del salicilato sodico, ripromettendomi però di ripetere la ricerca
anche con altre sostanze.
lo avrei voluto saggiare la permeabilità meningea al salicilato sodico nel momento in
cui si raggiunge l’ acme di temperatura, come pure nel momento in cui (in media dopo
24 ore) la temperatura ridiscende al normale.
In questo secondo caso (dell’ altro non ho ancora potuto occuparmi e mi riservo di
farlo quanto prima), non ho riscontrato modificazioni della permeabilità meningea, nè in au-
mento, nè in diminuzione.
Valgano come esempio le seguenti esperienze :
ESPERIENZA XXVI.
Cane di Kg. 4,100.
Ore 16,30 — Temperatura rettale 380,2 — S'’ iniettano nella safena cc. 102 di liquido
corpuscolare.
OreT20, do. ‘Temperatura: 3999;
Ore 21, 15. -- Temperatura 390,5.
Giorno SUCcessivo.
Ore 10, 40. — Temperatura 389,5.
Ore 13, 45. — Temperatura 38°,2. S’iniettano per via ipodermica gr. 0,41 di salici-
lato sodico (gr. 0,10 per Kg.).
Ore 15, 30. — Si sacrifica l’animale e si procede alla solita raccolta.
RISULTATI
Siero di sangue . 2 | : ; Reazione positiva intensa
Urina À - . È c A id. id. id.
Liquido cefalo-rachidico . ; ” id. dubbia se di minime tracce.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI. Mem. VIII. 4
26 Giuseppe La Valle [Memoria VIII.]
ESPERIENZA XXVII.
Cane di Kg. 5,050.
Ore 16. — Temperatura rettale 389,1 — Iniezione endovenosa di cc. 125 di liquido
corpuscolare.
Ore 18. — Temperatura 390,2.
Ore 21. — Temperatura 39°,9.
Giorno successivo.
Ore 10. — Temperatura 38°,4.
Ore 14. — Temperatura 389,2 — Iniezione ipodermica di gr. 0,50 di salicilato sodico
(gr. 0,10 per Kg. di animale).
Ore 15. 30. — Si sacrifica l’animale: solita raccolta.
RISULTATI
Siero di sangue 3 . ; - - reazione positiva intensa
Urina : i 3 . 7 i id. id. id.
Liquido cefalo-rachidico . i i È id. dubbia se di minime tracce.
La permeabilità meningea nella febbre.
Come tipo di febbre prescelsi quella che si può determinare con la iniezione di veleni
putridi, servendomi dell’infuso putrido di carne, i cui effetti furono studiati nell’ Istituto di
Igiene dell’ Università di Palermo dal Dott. Frisco. Il metodo per la preparazione dell’in-
fuso putrido fu il seguente:
Grammi 125 di carne, tritata finemente e spappolata in cc. 500 di acqua, si lascia-
vano in pallone di vetro chiuso con ovatta per 8 giorni in stufa a temperatura di 25°. In
seguito si filtrava il liquido putrido attraverso carta, ma non lo si addizionava di fenolo,
così come praticava il Dott. Frisco allo scopo di distruggere i microrganismi esistenti nel
l' infuso. A me poco interessava infatti della presenza nell’infuso di microrganismi, mentre
m' interessava evitare la possibile influenza del fenolo.
Per indagare il comportamento della permeabilità meningea nella febbre, mi sono av-
valso fin quì soltanto del salicilato sodico, ripromettendomi però di estendere la ricerca ad
. altre sostanze. In alcuni animali ho saggiato la permeabilità meningea nella fase di ascesa
della curva febbrile, in altri nello stato di acme della temperatura, ed in altri infine al mo-
mento della defervescenza, che in generale fu completa nel periodo di 24 ore dall’ iniezione
dell’infuso putrido.
In tutte le esperienze, e cioè tanto nella fase di ascensione termica, che nell’ acme
della febbre e nella defervescenza, ebbi costantemente reazione negativa di acido salicilico
nel liquido cerebro-spinale con le dosi di gr. 0,05 e 0,07 di salicilato sodico per Kg.:
reazione più spesso negativa, qualche volta solo di minime tracce, con le dosi di gr. 0,10
di salicilato per Kg.: reazione sempre positiva da gr. 0,15 in sopra. La permeabilità me-
Iicerche sperimentali sulla permeabilità meningea 21
ningea al salicilato sodico non appare dunque menomamente influenzata nella febbre da
infuso putrido di carne.
Stimo superfluo riferire i protocolli delle singole esperienze.
Permeabilità meningea nell’ ittero.
I clinici sono in disaccordo circa il passaggio dei pigmenti biliari nel liquido cefalo-
rachidico degl’ itterici.
Già da antiche osservazioni, che trovansi riferite nei trattati di Fisiologia, era noto
come spesso negl'’ itterici il liquido cetalo-rachidiano si presenti più o meno decisamente
colorato in giallo. Così il Longet a pag. 153 del Tomo II della sua Fisiologia dice: le
alterazioni subite dalla composizione del sangue reagiscono sulla composizione del liquido
cefalo-rachidiano, il quale diventa giallo nell’ ittero e nella febbre gialla, rossastro nello
scorbuto e nella febbre tifoide.
Il Lussana ripete la stessa affermazione del Longet dicendo: non altrimenti che gli
altri sieri, anche il liquido cefalo-spinale diventa giallo nell’ itterizia e nella febbre gialla,
rossigno nello scorbuto e nelle febbri tifoidee.
Dal modo con cui si esprimono il Longet ed il Lussana, non appare chiaro se inten-
dano riferirsi ad osservazioni fatte su cadaveri di itterici. Poichè però all’ epoca degli au-
tori citati si era ancora lontani dal potere praticare nell'uomo | esame del liquido cefalo-
rachidico in vita, credo potere dedurre che quelle affermazioni debbano intendersi riferite
a cadaveri di itterici.
Nei trattati moderni di Fisiologia nulla ho trovato in proposito: ma il fatto che nei
cadaveri di itterici il liquido cefalo-rachidico si presenta colorato in giallo-verdastro, e che
tale colorazione sia dovuta realmente a presenza di pigmenti biliari, è ormai assodato ,
senza che con ciò si sia autorizzati a decidere se il passaggio dei pigmenti nel liquido
cerebro-spinale avvenga già durante vita, o solo dopo la morte.
Nel grande trattato di Patologia generale del Bouchard, all'articolo : * Parra /0n2-
bare, redatto da Widal e Sicard si legge: “ 7e/ decorso dell’ îtterizia cronica si può
anche notare la colorazione giallastra o giallo-verdastra del liquido cefalo-rachi-
diano. In questi casî non si tratta, come si potrebbe pensare, del passaggio der
pigmenti biltari nel liquido cefalo-rachidiano. Widal, Sicard e Ravaut hanno di-
mostrato che la ricerca dei pigmenti, dei sali e degli acidi biliari resta negativa,
anche con l’aiuto dei metodi più delicati. In tal caso si tratta adunque di un
pigmento derivato molto idiffusibile. Grazie a questa diffusibilità, codesto pigmento
derivato dalla bile passa attraverso le pareti della pia madre, la quale non può
essere attraversata dat pigmenti biliari veri.
Widal, Sicard e Ravaut dunque negano durante vita il passaggio dei pigmenti biliari
nel liquido cefalo-rachidico degli itterici, mentre Gilbert e Castaigne avevano creduto di
invocare un disturbo della permeabilità meningea negli itterici per spiegare la colorazione
giallo-verdastra osservata nel liquido stesso.
Recentemente però, e cioè nella seduta del 21 Maggio 1910 della Societé de biologie,
Mosny e Javal si sono diffusamente occupati della ricerca e del dosaggio dei pigmenti
biliari nel liquido cefalo-rachidico degli itterici. Servendosi di un metodo colorimetrico com-
parativo, essi hanno dimostrato che la reazione di Gmelin, ed anche quella più sensibile
28 Giuseppe La Vulle Memoria VIII.|
di Grimbert, rimangono per i loro limiti di sensibilità impotenti a svelare la presenza dei
pigmenti biliari nel liquido cefalo-rachidico tinto in giallo degli itterici. Questi autori però
ritengono che realmente la colorazione gialla sia dovuta ai pigmenti biliari.
Non è facile dunque risolvere in modo positivo la questione: ma quello che le analisi
singole, che si possono fare sull’ uomo, non permettono di accertare, io pensai dovessero
permetterlo le esperienze in serie negli animali, in cui si fosse provocato l’ ittero da riten-
zione mediante la legatura del coledoco.
Sul decorso dell’ittero da ritenzione nei cani si hanno già estese conoscenze. Così il
Cohnheim dice che può nei cani con legatura del coledoco seguirsi, con la massima fa-
cilità, la ritenzione dei pigmenti biliari. Già nelle prime 24 ore il siero del sangue prende
un colorito distintamente giallo, e subito dopo anche tutti i trasudati, e comincia così nei.
tessuti una imbibizione diffusa di pigmento biliare. Man mano si ha un crescendo del fe-
nomeno con la durata del tempo. Anche tutte le membrane interne e la maggior parte
dei parenchimi e dei tessuti partecipano a questa tinta, ma non tutti in ugual grado. Quelli
sopratutto che sono poveri di vasi sanguigni, e specialmente di linfatici, come la cartila-
gine, la cornea ed i nervi periferici, restano incolori, come pure la sostanza nervosa nel
cervello e nella midolla spinale conserva il suo colorito naturale. È facile comprendere
che anche gli essudati infiammatori, a caso esistenti, divengono gialli, e così pure una
quantità di secreti. Si noti però che il pigmento biliare non si diffonde in tutti i secreti :
debbono escludersi la saliva, le lacrime, i succhi gastrico e pancreatico, il muco.
Pensai dunque di procedere all’ esperienza così: stabilire prima una scala cromatica
come quella costruita da Mosny e Javal, partendo però dalla bile di cane: la scala di
Mosny e Javal è stata invece costruita con la bile umana.
Praticare in diversi cani bene resistenti e perfettamente normali la escisione del cole-
doco fra due legature: aspettare che l’itterizia fosse già negli animali di grado avanzato;
sacrificare allora gli animali per dissanguamento, raccogliere col solito processo i liquidi
cerebro-spinali e compararli prima uno per uno alla scala cromatica, per avere nozione
dell’ approssimativa quantità di pigmenti biliari contenuta in ciascun liquido: indi riunire
lutti i liquidi e concentrarli fino ad avere una diluizione tale del soluto dei pigmenti bi-
liari da permettere sicuramente la ricerca chimica coi metodi di Gmelin e di Grimbert :
procedere finalmente a tali saggi.
Debbo però dire che, avendo operato di escisione del coledoco fra due legature 3 cani
in una stessa giornata, lasciati gli animali in osservazione per 9 giorni, Seguendo in essi
il crescendo dell’ ittero sperimentale, all’ atto del sacrificio degli animali ebbi in tutti liquido
cerebro-spinale perfettamente incoloro e limpido (acqua di roccia), di tal che era perfetta-
mente inutile procedere a qualsiasi ricerca! E si noti che: in tutti gli animali era intensis-
sima la colorazione delle urine e del siero di sangue, e quindi intensissime in questi li-
guidi le reazioni Gmelin e Grimbert: il tempo di 9 giorni decorso dal momento della le-
gatura del coledoco è già un intervallo molto lungo, poichè in generale gli animali non
sopravvivono al di là dei 10-12 giorni in media: due dei cani trovavansi già in pessime
condizioni generali, che facevano prevedere quasi immediata la fine, per cui si giudicò
conveniente sacrificare tosto gli animali, per non compromettere il possibile esito della ri-
cerca.
Io ripeterò su più larga scala queste esperienze in serie, ma dai fatti osservati e rife-
riti resto già abbastanza convinto che la pia madre-aracnoide rappresenta una barriera di
Ieicerche sperimentali sulla permeabilità meningea 29
ostacolo al passaggio dei pigmenti biliari nell’ ittero da ritenzione, anche a breve intervallo
prima della morte degli animali. I plessi coroidi rimangono dunque in tali condizioni fisio-
logicamente attivi, almeno fino a. breve tempo prima della morte.
Come già ho osservato a proposito delle esperienze con la bile, solo dopo aver fatte
queste ricerche, e più precisamente nel Giugno, ho potuto avere fra mani i lavori già ci-
tati di Ducrot e Gautrelet. Anche questi autori provocarono in un cane l' ittero da riten-
zione mediante la legatura del coledoco, e trovarono che il liquido cerebro-spinale si man-
tenne perfettamente incoloro fino ad 8 giorni dall'intervento (pare che all’ 8° giorno gli
autori abbiano sacrificato l’animale). In tre cani, resi pure itterici con legatura del coledoco,
gli autori poterono vedere il liquido cerebro-spinale diventare francamente giallo e dare net-
tamente la reazione di Gmelin durante l’azione del violetto di metile sui plessi coroidi.
Ho detto più sopra di essere convinto che i plessi coroidi nell’ ittero sperimentale da
ritenzione rimangano fisiologicamente attivi a/zzez0 fino a breve tempo prima della
morte. Nelle esperienze in serie, che mi propongo di eseguire, rivolgerò su questo punto la
mia attenzione in modo particolare, per vedere se riesce di sorprendere il rmomento in cui
nell’ ittero sperimentale da ritenzione i plessi coroidi passano dallo stato di attività funzio-
nale a quello di inerzia.
Ciò ha una particolare importanza, perocchè da una osservazione clinica di Mestrezat
e Anglada (Société de Biologie 1909, pagina 711) risulta che in una ammalata con sin-
drome di ittero per ritenzione, in cui l’ autopsia dimostrò la presenza di un carcinoma
nell’ ampolla di Vater, nella quale malata l’inizio dell’ ittero rimontava ad un mese e mezzo,
si fecero a 7 giorni d’ intervallo due punzioni lombari, ed una terza punzione fu praticata
un'ora e mezzo prima della morte. Il liquido delle prime due punzioni presentava colora-
zione intensa giallo-bruna, quello della terza colorazione giallo-verdastra molto intensa; nei
primi due si riscontrò debole quantità di urobilina ed assenza di pigmenti biliari, nel terzo
quantità notevole di urobilina e di pigmenti biliari.
“
Gli autori citati dicono che: “ per spiegare questi fatti bisogna riferirsi allo
stato dell’'ammalala. Al momento delle prime analisi l ammalata lotta ancora con
le forze della sua reazione organica ; al momento della terza analisi l’intossica-
zione prolungata, la morte prossima, inmobilizzano le sue difese. AI inizio i
plessi esercitano ancora l ufficio di barriera eleltiva di fronte ai pigmenti. oppo-
nendosi in un modo quasi completo al loro passaggio; poi poco d poco, sotto la
doppia inffuenza tossica degli elementi della bile e dei veleni uremici, i plessi ce-
dono, î pigmenti passano e con essi le albumine del stero. St assiste, al momento
della terza punzione, al completo fallimento dell'epitelio ghiandolare: il filtro elet-
tivo non esiste più.,
Riservandomi un più fondato giudizio in seguito alle esperienze in serie che io con-
tinuerò, modificando anche e complicando ad arte le condizioni di esperimento, io credo
che la xantocromia del liquido cefalo-rachidico nel caso osservato da Mestrezat e Anglada
debba attribuirsi alla presenza di pigmenti biliari anche nelle prime due punzioni, in cui
l analisi diede assenza di tali pigmenti. Le osservazioni già citate di Mosny e Javal mi
autorizzano a ritenerlo.
Come però, limitatamente al risultato negativo delle mie esperienze in serie già rife-
rite, potrebbe conciliarsi questo reperto positivo di Mestrezat ed Anglada, col mio reperto
negativo anche negli animali già prossimi alla morte ?
30 Giuseppe La Valle Memoria VIII.]
Potrebbe pensarsi ad un grado di resistenza diversa dei plessi coroidi nell’ uomo e
nel cane; potrebbe però anche pensarsi che la lesione vitale dei plessi coroidi nel caso di
Mestrezat ed Anglada, più che dalla influenza tossica degli elementi della bile, sia stata
prodotta dalla influenza tossica dei veleni uremici, poichè realmente nel caso clinico di cui
si tratta vi era in complicanza una uremia secca. A questo giudizio, che solo, lo ripeto, i
risultati delle esperienze che mi propongo di stabilire potranno convalidare, io mi trovo
inclinato e per i risultati negativi che ho già avuti con la diretta immissione di bile, in
quantità elevata, nel sangue, e per le alterazioni della permeabilità meningea (al joduro di
potassio, al bleu di metilene, al salicilato di sodio) riscontrate dal Castaigne nella uremia.
Ed infine, per concludere su questa parte del mio lavoro, credo che la mancanza assoluta
di pigmenti biliari nel liquido cerebro-spinale di cani con ittero da ritenzione sia una nuova
e sempre più convincente dimostrazione che il detto liquido non può considerarsi come un
semplice transudato, ma deve invece ritenersi come un prodotto dell'attività funzionale dei
plessi coroidi.
Catania, Giugno 1912.
Nb.
Quando già questo lavoro era stato presentato come tesi di laurea, ebbi notizia di una nota di Mestrezat,
apparsa nel Journal de Physiol. et de Phathol. Gen., fascicolo del r5 maggio r9r2, a noi pervenuto soltanto
alla fine del giugno.
Nel suo breve ed interessante lavoro 1° autore sostiene che il liquido cefalo-rachidico non può essere con-
siderato nè come un semplice transudato, nè come un vero e proprio prodotto di secrezione, ma che lo si deve
riguardare come un prodotto di dialisi del plasma su degli epitelii differenziati. Così verrebbero a crearsi nel-
l’ organismo, a lato dei processi di secrezione e di filtrazione, anche dei processi di dialisi, e si avrebbero
così, oltre & cellule secernenti, anche cellule dializzanti, nelle quali | attività chimica del protoplasma si
trova ridotta al minimo. Il liquido cefalo-rachidiano, i mezzi dell’ occhio e quelli dell’ orecchio interno forme-
rebbero, per la loro composizione, per il loro ufficio e per la loro natura, un gruppo omogeneo a parte.
Su queste idee di Mestrezat, che in ultima analisi non contradicono per niente ai concetti da me soste-
nuti, tornerò più diffusamente quando avrò espletate le ricerche che ancora ho in corso; fin da ora però ho
creduto mio dovere far cenno sommariamente delle idee così interessanti del Mestrezat.
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Parvu et Laubry — Recherches parallèles des anticorps spécifiques dans le liquide céph.
rach. et le sérum des malades atteints d’échinococcose.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Claude et Lejonne — Lésions encéphaliques expérimentales par irritation méningée.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Mestrezat et Gaujoux — Exagération de la perméabilité méningée aux nitrates ; diagno-
stic de la méningite tuberculeuse.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI, pag. 533 e 637..
Mestrezat et Anglada — Xantochromie du liquide céph. rach. dans un ictère par ré-
tention avec urobiline et hyperglucose. Passage tardif des pigmentes bi-
liaires dans ce liquide.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Gribaut — Recherche de l’urobiline dans le sang et les humeurs de l’organisme.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Olmer et Tian — Perméabilité des méninges normales au salicylate de lithium.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Achard et Ribot — Passage de l iodure de potassium dans le liquide céph. rach. normal.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Parisot — Hypertension céph. rach. et pression artérielle.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Mestrezat et Gaujoux—Analyses du liquide céph. rach. dans la méningite tuberculeuse.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVI.
Mestrezat et Roger —- Analyses du liquide céph. rach. dans la méningite cérébro-spi-
nale a méningocoques. È
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVII. i
Auchè — Sur un méthode de dosage de l’urobiline.
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVII.
Letteratura DO
Landsteiner et Levaditi — La paralysie infantile expérimentale (deuxieme note).
Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXVII.
Mollard et Froment -- Urée dans le liquide céph. rach. et urémie nerveuse.
Journal de Phys. et de Path. Vol. XI.
Mauro Greco — Sur le pouvoir réducteur du liquide ceph. rach.
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Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXXII.
Leyendre et Pieron — De la propriété hipnotoxique des humeurs développée au cours
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Comp. Rend. Soc. de Biologie Tom. LXXII.
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Journal de Phys. et de Path. Vol. XIV.
Memoria IX.
Istituto di Patologia Medica Dimostrativa della R. Università e Sanatorio Ferrarotto
dell'Ospedale Vitt. Eman. in Catania, diretti dal Prof. MAURIZIO ASCOLI.
Osservazioni e considerazioni sulla presenza di bacilli acido-resistenti
nel sangue circolante.
Nota del D.' A. FAGIUOLI (Assistente).
REBLAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. R. FELETTI e M. ASCOLI (Relatore)
Il notevole contributo portato dal Dott. Fagiuoli allo studio della bacillemia tuberco-
lare rende degne di pubblicazione queste osservazioni negli Atti di questa Accademia.
La presenza nel sangue di bacilli tubercolari fu per la prima volta dimostrata da
Weichselbaum in strisci di sangue di individui morti per tubercolosi miliare.
Le successive ricerche di Lustig, Meissel Rutimeyer, Sticker, confermarono il reperto
e riuscirono a mettere in rilievo bacilli acido-resistenti anche nel sangue circolante, sol-
tanto però in individui affetti da tubercolosi miliare acuta.
Anche in forme croniche di tubercolosi dell’ apparato respiratorio qualche ricercatore,
(Bergeron, Liidke) riuscì in seguito a dimostrare nel sangue la presenza di bacilli acido-
resistenti: il reperto fu da altri confermato ; (Courmont Jousset) ma nonostante le nume-
rose e ripetute osservazioni soltanto in qualche caso gli AA. ottennero risultato posi-
tivo. (Bergeron un caso su 25, Courmont 5 su 30). Il Baduel in 42 ammalati di tuberco-
losi polmonare presi in esame non riuscì mai a mettere in evidenza nel sangue bacilli
acido resistenti; crede ciononostante, che il bacillo di Koch circoli nel sangue dei tuber-
colosi, ed attribuisce i suoi reperti costantemente negativi ed i rari reperti positivi degli
altri ricercatori alla tecnica imperfetta ed insufficiente. Fu Schnitter il primo che racco-
gliendo il sangue in acido acetico (procedimento questo già da Staiibli adoperato per la
ricerca dei parassiti nel sangue) e trattando dopo centrifugazione il coagulo con antifor-
mina da Uhlenhuth proposta per la ricerca dei bacilli tubercolari nello sputo, potè dimo-
strare in una percentuale elevata di casi (12 su 34) la presenza di bacilli acido-resistenti
nel sangue di individui affetti da tubercolosi polmonare.
Questi risultati ebbero la conferma in una serie di ricerche successive : così Lippman
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI — Mem. IX. I
2 A. Faginoli [Memoria IX.|
ottenne risultato positivo nel 44 °/o dei casi presi in esame, Treupel nel 26 0/0, Iessen
e Rabinowitsch nel 33 °/o, Ach-Nagy nel 46 °/,, etc.
Rosemberger mediante il suo procedimento (consistente nel raccogliere il sangue in
citrato sodico, ed allestire i preparati col sedimento dopo che la miscela era stata posta
per 2+ ore in ghiacciaia) riuscì ad ottenere in 50 casi di tubercolosi polmonare ed in tre
di tubercolosi laringea costantemente risultato positivo. Recentemente infine Kurashige, Lie-
bermeister, Kennerknect, Sturm, Rumpf, Zeissler seguendo il metodo generale di Schnitter
lievemente modificato in questo o quel dettaglio di tecnica, ebbero pure risultato positivo
nel 100 °/, dei casi di tubercolosi polmonare in vario stadio, Duchinoff nel 73 °/, in indi-
vidui con lesioni tubercolari chirurgiche, senza manifestazioni specifiche in atto nell’ ap-
parato respiratorio.
E non soltanto in soggetti tubercolosi, ma anche nel sangue di individui sani, o almeno
apparentemente tali, i citati ricercatori con lo stesso procedimento riuscirono a dimostrare
la presenza di bacilli acido-resistenti.
Kurashige ad es. su 34 individui sani esaminati, ottenne in 20 risultato positivo,
Liebermeister nel 50 °/,, Kennerknect nel 74 0/o.
Questi risultati non potevano non destare sorpresa in quanti sono stati educati a con-
siderare come eccezione più che come rarità un simile reperto: e non mancarono le ob-
biezioni più o meno fondate, le discussioni vivaci, le critiche al metodo; il reperto che
già aveva avuto autorevoli conferme, trovò scettico il mondo medico.
Se noi però consideriamo attentamente la questione, i reperti soprariferiti non soltanto
non devono destare in noi meraviglia, ma costituiscono una riprova di fatti accertati ed
oggimai universalmente ammessi.
Le ultime ricerche anatomiche di Négeli dimostrano che nel 96 °/, dei cadaveri esi-
stono i segni di infezione tubercolare in atto o pregressa. Ed a questo reperto fanno ri-
scontro suffragandolo i risultati ottenuti con i moderni studi con la cutireazione, studi i
quali misero in luce che a misura del progredire dell’ età cresce nei bambini la percen-
tuale di reazioni positive fino a giungere a seconda degli autori all’ 85 al 90 °/.
Una infezione tubercolare latente, in atto, o superata si può ritenere dunque assodata
nel 90 °/, circa degli uomini.
Se teniamo poi ancora conto della esperienza fatta per una serie di altre malattie
infettive (polmonite, febbre tifoide, sifilide, etc.) le quali mentre prima si ritenevano loca-
lizzate e circoscritte si rilevarono invece per setticemie, se consideriamo le svariate loca-
lizzazioni che la tubercolosi può assumere, la enorme diffusione della malattia, la sua cro-
nicità, il suaccennato reperto perde il carattere di sorpresa inaspettata e diventa non dif-
ficilmente accessibile alla comprensione. L'interesse di questi reperti si acuisce poi qualora
ci accingiamo a trarne i corollari che ne scaturiscono in molteplici questioni di ordine
dottrinale e di portata pratica con le quali hanno attinenza.
Per questo ho iniziato anch’ io già da tempo alcune ricerche in questo senso e credo
prezzo dell’opera riferirne i risultati.
Ho seguito sempre nelle mie ricerche il procedimento originale di Stàubli-Schnitter, mo-
dificando soltanto qualche particolare di tecnica. Ho anche sperimentato il metodo di Ro-
Osservazioni e considerazioni sulla presenza di bacilli acido-resistenti, ecc. D
semberger sopradescritto, e la modificazione recentemente portata da Zeissler al metodo
di Schnitter (V. Rumpf — loc. cit.) ma senza ottenere migliori risultati.
Tecnica + Dalla vena mediana del braccio, con siringa di vetro, estraggo 2 cm” di sangue e lo verso di-
rettamente in una grossa provetta da centrifuga (capace di 40 cm*) contenente 8-10 cm? di soluzione di acido
acetico al 3 “/o.
Agito per qualche minuto, e dopo aver lasciato a contatto la miscela per 15-30 aggiungo 20-30 cm
di
acqua distillata e centrifugo in centrifuga elettrica (F. Rumne-3000 giri al m:) per 20-25".
Al sedimento di colorito rosso-cupo aggiungo, sempre nella stessa provetta, 10 cm” di antiformina al 40 “/o
ed agito la miscela per due o tre minuti finchè il sedimento si scioglie completamente ed il liquido diviene
limpido, trasparente, assumendo una tinta giallo-paglierina.
Aggiungo allora 25-30 cm* di acqua distillata, e centrifugo una seconda volta per mezz’ ora.
Dopo la centrifugazione si osserva sul fondo della provetta uno scavsissimo sedimento biancastro, appena
visibile; decantato il liquido sovrastante, aggiungo al sedimento 30-4o cm* di acqua distillata e centrifugo un
ultima volta per 30-40”.
Getto l’ acqua di lavaggio, lasciando sul fondo della provetta tre o quattro gocce di liquido: con un ba-
stoncino di vetro stacco dal fondo il sedimento ed agito ; verso infine le poche gocce di liquido su di un ve-
trino porta oggetti, e messo il preparato per qualche ora in termostato a 37° ad asciugare, lo fisso alla fiamma
e procedo alla colorazione.
Le varie operazioni devono preferibilmente essere eseguite di seguito senza interruzioni.
Il contatto del sangue con l'acido acetico non deve essere troppo prolungato, e l’an-
tiformina deve rimanere a contatto del coagulo soltanto il tempo necessario perchè questo
venga sciolto completamente; non appena la miscela è divenuta limpida ed ha assunto
il colorito giallo caratteristico si deve diluire con acqua e centrifugare.
Ho provato diverse concentrazioni di antiformina, dall’ antiformina intera usata da
Konashige alle debolissime diluizioni 10-15 °/o adoperate dal Duschinoff.
La diluizione optimum s’aggira secondo i risultati da me ottenuti, intorno al 40 °/,.
L'antiformina adoperata come tale, per la sua azione troppo energica può qualche volta,
come a me è capitato, non corrispondere allo scopo, e d'altra parte concentrazioni troppo
deboli devono stare molto tempo a contatto del coagulo, e spesso non riescono a scio-
glierlo completamente.
Data la difficoltà di poter distinguere al microscopio i bacilli tubercolari dagli altri
acido-resistenti, la poca sicurezza che offrono per la differenziazione i metodi di colora-
zione, la possibilità come già fu dimostrato, della presenza di bacilli acido-resistenti nel-
l’acqua, mi sono circondato nelle mie ricerche di tutte le cautele necessarie per allontanare
il sospetto avanzato da taluno che i bacilli acido-resistenti potessero provenire dagli 0g-
getti adoperati od esistere nell'acqua stessa. ‘Tutti gli utensili che servivano alla ricerca
(siringa, recipienti per H,0, provette da centrifuga, bastoncini di vetro, vetrini) venivano
lavati varie volte ed immersi per parecchio tempo prima in soda, poi in acido solforico,
in acqua, ed infine in alcool assoluto. L' acqua che serviva alle varie operazioni veniva
distillata, messa nei recipienti di vetro già puliti ed esaminata microscopicamente. La so-
luzione di antiformina filtrata doveva essere perfettamente limpida.
Seguii la tecnica ora descritta anche per la ricerca dei bacilli acido-resistenti nell’ ori-
na, nel pus, nelle feci, negli essudati; variavo soltanto nei singoli casi il grado di con-
centrazione dell’ antiformina. Per l’ orina e per gli essudati trattavo il sedimento con anti-
formina al 20 °/o; il pus e le feci, stemperate in acqua e centrifugate,. con antiformina
al 35 ©/o. L’orina con abbondante sedimento e gli essudati molto corpuscolati con antifor-
mina al 45-50 °/o. Allestiti i preparati, li coloravo col metodo di Ziehl-Neelsen.
4 A. Faginoli |Memoria IX.]
Dopo il trattamento con fucsina fenica e rapida decolorazione con acido solforico di-
luito, lasciavo i preparati per un certo tempo in alcool assoluto allo scopo di differenziare
(per quanto è possibile) i bacilli tubercolari da altri acido-resistenti: lavavo quindi con acqua
e coloravo con bleu di metilene.
In molti casi con lo stesso sedimento allestii due preparati; uno veniva colorato col
metodo di Ziehl-Neelser, 1’ altro col procedimento di Much-Weiss per mettere in rilievo le
forme granulari dei bacilli tubercolari.
Per i preparati di orina eseguit sempre la colorazione secondo il metodo di Hansels
(fucsina fenica e successiva decolorazione per 10° in soluzione alcoolica di acido cloridrico
°/,) allo scopo di differenziare i bacilli tubercolari dai bacilli dello smegma, poichè dif-
ficile ne è la differenziazione microscopica, e non sempre, come sostiene Schuster, l’ anti-
formina al 15 20 °/o riesce a distruggerli.
La colorazione dei preparati deve essere eseguita con esattezza onde evitare per quanto
è possibile la deposizione di blocchi di sostanza colorante che possono ostacolare la ricerce
e talvolta renderne incerto il risultato.
I preparati devono essere osservati al microscopio, munito di tavolino traslatore, con
attenzione e per lungo tempo. Prima che si possa dire negativo un preparato occorre, se-
condo la mia esperienza, una osservazione di almeno tre o quattro ore; mi fu necessario
più di una volta un esame microscopico di parecchie ore per mettere in rilievo qualche
tipico bacillo.
Generalmente però , nei casi a reperto positivo, mezz'ora, un’ ora di osservazione è
sufficiente allo scopo.
Il numero di bacilli tipici che si possono trovare in un preparato è quasi sempre
scarso, in media 46-10. bacilli.
Accanto però ai bacilli tipici, che per forma per grandezza, per disposizione, per co-
lorazione in nulla differiscono dai comuni bacilli di Koch, si osservano dei bacilli più al-
lungati e sottili, altri corti e tozzi, alcuni intensamente altri debolmente colorati; ho potuto
osservare anche qualche forma vacuolare.
Oltre a queste varietà di bacilli si osservano con una certa frequenza delle forme
granulari, di lunghezza varia, con granuli generalmente ben. colorati in rosso, da alcuni
considerate come forme prodotte artificialmente in seguito al trattamento con antiformina,
da altri e con più verosimiglianza come forme degenerative del bacillo tubercolare. Non
ho mai vedute quelle che il Duschinoff chiama forme di passaggio, nelle quali i singoli
granuli dovrebbero presentarsi diversamente colorati.
Queste forme granulari possono con facilità, anche da un occhio ben esercitato, venir
confuse con granuli di sostanza colorante; per questa ragione io consideravo positivo un
preparato solo quando riuscivo a trovare almeno due o tre bacilli tipici. Oltre la forma,
anche la disposizione dei bacilli è varia; generalmente sono isolati, talora disposti ad an-
golo od in croce, più raramente raggruppati; soltanto in due casi potei osservare delle ti-
piche catenelle di bacilli.
In base al ricordato reperto di forme granulari, ho voluto ricercare se il metodo di
Much che come è noto offré vantaggi particolari per mettere in rilievo l'equivalente granu-
lare del bacillo di Koch nell’ escreato, mi potesse offrire utilità nella ricerca. Ma le difficoltà
per la dimostrazione delle forme granulari sono nelle ricerche sul sangue notevolmente
accresciute, poichè i granuli si posscno facilmente confondere con. precipitati di sostanza
Osservazioni e considerazioni sulla presenza di bacilli actido-resistenti, ecc. 9)
colorante, con detriti, con particelle di pigmento che molto spesso l'esercizio non è suffi-
ciente a far differenziare.
E bensì vero che in tutti i casi nei quali ottenni reperto positivo dai preparati colorati
col procedimento dello Ziehl-Neelsen potei osservare le. forme granulari di Much, mentre
mancavano nei casi a reperto negativo. Ciononostante credo non si possa attribuire, per
le ragioni dianzi esposte, al reperto positivo valore assoluto, amenochè non trovi conferma
nel preparato colorato col metodo dello Ziehl.
Ho finora esaminato 75 ammalati affetti da tubercolosi polmonare, dei quali 18 nel
Io stadio di Turban, 35 nel II° stadio, 22 nel III°; due con tubercolosi miliare acuta: in
tutti potei constatare la presenza nel sangue di bacilli acido-resistenti. In dieci di questi
casi (quattro nel I° stadio, sei nel Il°) la ricerca ripetuta circa ogni dieci giorni per cinque
mesi, riuscì sempre positiva.
Esaminai anche sei individui affetti da lesioni tubercolari ossee, senza alterazioni spe-
cifiche apprezzabili all'apparato respiratorio, ed in cinque trovai i bacilli nel sangue.
Ho esteso le mie ricerche al sangue di individui sani o almeno tali apparentemente,
ed in buona salute, e su 20 soggetti esaminati in 13 ottenni risultato positivo; in quat-
tro di questi l'esame rifatto a tre mesi di distanza riconfermò il reperto. Di questi 13
individui soltanto uno, con gentilizio compromesso, (padre. morto per tubercolosi) nel quale
però l’ esame fisico nulla rivelò che potesse indurre il sospetto di processo specifico in atto,
ammalò dopo quattro mesi di pleurite essudativa ed ora si avverte distintamente un foco-
laio di infiltrazione all’apice del polmone destro. In tutti gli altri, l’anamnesi remota e
prossima, ed il reperto obbiettivo, erano muti.
Ho ricercato anche i bacilli acido-resistenti nell’ orina, nel pus, nelle feci, negli essudati.
In cinque orine di individui affetti da tubercolosi polmonare, ottenni quattro volte ri-
sultato positivo, e due volte in cinque orine di individui apparentemente non tubercolosi.
Negli essudati di quattro pleuriti pneumotoraciche, di una pleurite tubercolare, di una
pleurite reumatica, constatai sempre la presenza di bacilli acido-resistenti.
In quattro pus tubercolari esaminati, tre volte la ricerca ebbe esito positivo.
In feci appartenenti ad individui tubercolosi, su sei casi presi in esame, sei volte ot-
tenni risultato positivo.
Estesi la ricerca anche al liquido contenuto nelle vescicole di un herpes zoster svi-
luppatosi in un individuo affetto da tubercolosi polmonare e potei osservare un discreto
numero di tipici bacilli acido-resistenti.
Di fronte a tali reperti sorge anzitutto spontanea una domanda: questi bacilli acido-
resistenti che trovai costantemente nel sangue circolante di individui tubercolosi, e molto
o/
spesso (nel 65 °/,) nel sangue di non tubercolosi o almeno tali apparentemente, sono veri
bacilli tubercolari vivi e virulenti?
Dal punto di vista morfologico abbiamo gia notato che accanto a forme bacillari in
6 A. Fagiuoli [Memoria IX.]
questo o quel senso modificate, a forme granulari degenerate, si.osservano nei preparati,
dei bacilli assolutamente tipici che in nulla diversificano dai comuni bacilli di Koch.
Ma a parte considerazioni morfologiche, che hanno soltanto un valore relativo poichè
facilmente possano trarre in inganno, una risposta sicura può esserci fornita dalla prova
biologica.
Kurashige, Liebermeister, Kennerknecht e quanti si occuparono in questi ultimi tempi
dell’ argomento ricorsero, per risolvere il dubbio, all’iniezione nella cavia. Iniettando nel
peritoneo di cavie sangue tubercoloso come tale o sedimento di sangue trattato con anti-
formina, ottennero dopo un certo tempo la tubercolosi nell’ animale; e riuscirono inoltre
in diversi casi a riprodurre sperimentaimente la tubercolosi nella cavia, iniettandole nel pe-
ritoneo sangue 0 sedimento di sangue appartenente ad individui apparentemente sani, nel
quale però la ricerca microscopica aveva mostrato la presenza di bacilli acido-resistenti.
Liebermeister su 100 cavie iniettate con sangue di individui tubercolosi ottenne 40
volte la tubercolosi nell’ animale con queste proporzioni: 11 °/, nel 1° stadio, 44 °/, nel II°,
48 °/o nel I[[°; ed ottenne sei volte risultato positivo iniettando sangue di individui apparen-
temente non tubercolosi, nel quale però circolavano bacilli acido-resistenti.
Io pure ho fatto alcune esperienze in questo senso; iniettavo col sangue di uno stesso
individuo due cavie nel peritoneo, l’ una con 1-2 cm? di sangue appena estratto dalla vena
del paziente, l’ altra col sedimento del sangue trattato con antiformina, emulsionato con
23 cmì di NacI sterile.
Se gli animali non venivano a morte spontaneamente, gli uccidevo dopo 6-8 settimane
dal giorno dell’ iniezione.
Riporto nella seguente tabella i risultati ottenwi.
Tabella
| Stadio |Bacilli |
| Stadio acli (utire: VGA7 |
ARE: Le IIS Lutirea-| Reaz.
iniezione endoperi- ! 2 ; i È
ri p NOME della nel zionca liberta Protocollo d’autopsia
INUCELE lesione |sangue| Z!0Ne Ae
|
SA i ST e È È nr y È 3 io —
Cavia N. (2 cm,° sangue AG, III” stadio 25/7(Tubercolosi generaliz.
18/6 anni 38 | di Turban| + sa "a
) » < I sedimento del san- ni id. id.
| gue trattato con bi
| | anliformina |
» >» 3 \ 2 cm.3 sangue | 10/8nessuna alterazione
22/6, E. F. a. 26| II stadio ne 3 SF
» » 4 | sedimento | 7/81 id. id.
| | | de |
» » 5 | \I 1/o cm. sangue| \12/8nessuna alterazione
25/6) A.G.a.10| Il stadio Ile | Lt] 5 i
» » 6 | sedimento | | 6/8'tubercolosi generaliz.
il | |
» » 7 | y cm.” sangue | 15/8 (nessuna alterazione
26/6 G. M.a. 30| II stadio 1 + +
«>» 8 sedimento |15/8 id. id.
| |
| f g . .
» » 9 (i U6 cm.} sangue 3/8 tubercolosi generaliz.
130/6 A.D. a. r2| III stadio| + —_ %
>» * 10 | | sedimento 6/8 id. id.
| |
» DINI 2 cm.8 sangue 20/8 \nessuna alterazione
I z A) il
|30/6. P.L. a. 22) II stadio ala 3 zia
» >» 12 | sedimento 24/8! id. id.
Osservazioni e considerazicni sulla presenza di bacilli acido-resisienti, ecc. 7
Stadio |Bacilli |(utj o
ERE » 5 utirea- | Reaz.
Iniezione endoperi- 5; i 7
RE , NOME della nel È (aber Protocollo d’ autopsia
oneale lesione |sangue| zione | tuberc.
| | i i |
Cavia N. 13 (I cm.3 sangue 27/8 (nessuna alterazione
3/7 F.M.a.25| | stadio Ha + =
» > 14 | | sedimento 27/8 id. id.
| Î
» DAi5 2 cm. sangue | 10/8{tubercolosi generaliz.
Ì i \
3/7 R. B. a, 46 | stadio ua 3 Ar
» » 16 I sedimento | T6/sl Ich id.
» >» 17 \I 1/° cm.” sangue 1/9,nessuna alterazione
9/7 IC. N. a. 16| Il stadio | + sn iù DA
» » 18 | sedimento 7/9l id. id.
| |
A aio) 2 cm.* sangue 18/8 nessuna alterazione
25/6 iG,. lx 'azo sano i - =
» >» 20 sedimento | 20/81 ida. id.
is t2r 14 cm. sangue 22/8 nessuna alterazione
1/7 \P.S. a. 36) sano + F *
» » 22 | sedimento | 20/81 id. id.
|
» >» 23 \I !/, cm.3 sangue 12/8 Tubercolosi generaliz.
1/7: G.R. a.28| sano + - —
>: de ! sedimento 7/8! id. id.
| |
| | | |
n | | 3
» » 25 \ 2 cm.° sangue | 28/8(nessuna alterazione
3/7 IU. A, a. 16] sano + — —
« >» 26 | sedimento 30/8\ 1d. id.
Nelle mie esperienze ho ottenuto dunque quattro volte su nove, risultato positivo col
sangue di individui tubercolosi, e soltanto una volta su quattro col sangue di individui
apparentemente non tubercolosi nei quali la ricerca aveva messo in rilievo bacilli acido-
resistenti; il soggetto al quale si riferisce il reperto positivo non offriva nessun dato che
potesse far pensare ad un processo tubercolare latente.
E fuor di dubbio che in questi casi nei quali la prova biologica riuscì positiva, i ba-
cilli acido-resistenti messi in evidenza nel sangue circolante erano veramente bacilli tuber-
colari vivi e virulenti.
Vengono dunque almeno in questi casi ad essere recisamente eliminati i dubbi sollevati
sulla natura tubercolare degli acido-resistenti trovati nel sangue.
E verosimilmente ciò vale anche per tutti gli altri casi negativi, poichè se il risul-
tato positivo della prova biologica ha valore assoluto, l' esito negativo non esclude che nel
liquido iniettato sieno contenuti bacilli tubercolari, essendo già dimostrato che non sempre
si riesce ad ottenere sperimentalmente la tubercolosi nella cavia iniettandole nel peritoneo
materiale contenente bacilli di Koch. Liebermeister ad es. iniettando con egual quantità di
sangue appartenente allo stesso individuo tubercoloso, tre-quattro cavie contemporaneamente
potè osservare più di una volta che soltanto una o due cavie si infettavano di tuberco-
losi, mentre le altre rimanevano sane; e concluse che se la prova biologica è mezzo si-
curo per svelare la presenza di bacilli tubercolari è altrettanto poco sensibile.
Ci troviamo dunque di fronte in tutti i casi di tubercolosi ad una bacillemia : fatto questo
che ci viene anche dimostrato e nello stesso tempo ci chiarisce il reperto positivo di bacilli
8 A. Fagiuoli [Memoria IX.]
acido-resistenti, trovato nelle orine, nelle feci e recentemente come osservò Kurashige (1)
anche nel latte di soggetti tubercolosi, senza lesioni specifiche negli organi corrispondenti.
La bacillemia non è dunque sinonimo di tubercolosi miliare come si riteneva per il
passato e come le ricerche dei primi osservatori facevano credere, poichè i bacilli tuber-
colari si trovano come si è visto, nel sangue non soltanto in forme iniziali di tubercolosi
polmonare, ma spesso anche in individui senza manifestazioni cliniche in atto.
Questi i fatti: in presenza del loro stridente contrasto con quanto fino a ieri fu rite-
nuto assioma intangibile di tisiologia, si affollano alla mente una serie di considerazioni.
E anzi tutto: donde provengono questi bacilli tubercolari circolanti nel sangue?
L'ipotesi avanzata da taluno che i bacilli di Koch penetrino nel torrente circolatorio
in seguito a fusione di focolai tubercolari localizzati in vicinanza di vasi sanguigni o lin-
fatici e passaggio in circolo del materiale per rottura dei vasi stessi 0 per distruzione di
tubercoli vasali, se poteva esser presa in considerazione quando per la tecnica imperfetta,
soltanto in qualche caso e nelle forme gravi di tubercolosi la ricerca sortiva esito positivo,
oggi non può avere valore alcuno, dato che si ottengono reperti positivi anche in individui
apparentemente non tubercolosi, nei quali pur volendo ammettere un processo specifico in
atto, non si può certo pensare che abbia dato luogo a localizzazioni così diffuse.
A spiegare la presenza di bacilli tubercolari nel circolo sanguigno, senza ricorrere
all'ipotesi ora enunciata, si potrebbe ammettere che la loro comparsa sia subordinata al-
l’esistenza di focolai specifici localizzati in una parte qualsiasi dell’ organismo, analoga-
mente a quanto accade per altre infezioni acute.
La bacillemia in questo caso si dovrebbe considerare proveniente da un focolaio di
tubercolosi in condizioni di latenza. Rimangono però fuori dell'orbita di questa interpreta-
zione i reperti positivi ottenuti nel sangue dei neonati senza tracce di lesioni specifiche ne-
gli organi.
L’interpretazione perde quindi il suo valore generico e l’ipotesi dovrebbe cadere.
La insufficienza di questa spiegazione ha indotto Rosemberger, Kurashige ed altri a
pensare che i bacilli tubercolari circolanti nella corrente sanguigna, non derivino da focolai
tubercolari già esistenti nell'organismo, ma preesistano nel sangue e solo secondariamente
vadano a localizzarsi in questo o quell’organo, là dove si sia stabilito un locus’ minoris
resistentiae.
Le lesioni tubercolari proverrebbero dunque da una primaria bacillemia e si dovreb-
bero considerare come manifestazioni secondarie dovute a localizzazione dell’ agente speci-
fico in questa o quella parte.
Ma qual'è in ultima istanza la sorgente di questa bacillemia? | recenti. reperti sem-
brano illuminare questo lato della questione. ‘
Leuemberger (2) ha potuto infatti. dimostrare la presenza di bacilli di Koch negli
spazi intervillari e secondariamente nel fegato fetale. senza che esistessero ‘alterazioni tu-
bercolari nella placenta e nell’ovaio. Se noi ora consideriamo i risultati ottenuti da. Ken:
(1) Zeit. f. Tuberk. Bd. 18 H. 5.
(2) Cit. da Leube — Miinch. Med. Noch. N. 31 —-19I12.
Osservazioni e considerazioni sulla presenza di bacilli acrdo-resistenti, ecc. 9
nerknecht nel sangue dei bambini, (100 °/o nei tubercolosi, 74 °/o nei sani), e se pensiamo
che la presenza dei bacilli nel sangue non è un dato transitorio ma un reperto duraturo,
come afferma Kurashige in base alle sue esperienze e come risulta anche dalle mie ricer-
che in proposito, non sembra azzardata l'ipotesi che i bacilli tubercolari si trovino nella
corrente sanguigna per diretto passaggio dalla placenta al feto : la tubercolosi si dovrebbe
per questo considerare come una infezione intrauterina.
“
Questa concezione già enunciata dal Baumgarten e da lui chiamata della latenza
del germe, ,, tuttora ammessa per spiegare le tubercolosi traumatiche, trova certamente
nelle attuali ricerche un valido argomento in appoggio.
Non mi sembra però che l’ opinione prima riferita, secondo la quale la bacillemia si
dovrebbe considerare come secondaria, e l'ipotesi ora enunciata che spiega il concetto
propugnato da Rosemberger ed ammesso da Iurashige e da altri, trattarsi cioè di prima-
ria bacillemia, sieno tra loro in opposizione e si escludano vicendevolmente; anzi parmi
possano felicemente conciliarsi ad una interpretazione più generica e comprensiva che ab-
bracci e spieghi il complesso dei fatti osservati. Che se della presenza di bacilli tuberco-
lari nel sangue dei neonati ad organi immuni, ci può dar ragione soltanto il loro passaggio
diretto dal sangue materno attraverso i villi coriali intatti, per la persistenza della bacillemia
nella vita estrauterina perchè non invocare oltre al fattore della diretta loro moltiplicazione
nel torrente circolatorio, anche la loro penetrazione nel sangue da focolai latenti nei quali
il microfita si sia insediato? Tanto più se si consideri che il sangue è un ambiente non
certo favorevole allo sviluppo e alla moltiplicazione del bacillo di Koch.
È ozioso soggiungere che questa preesistente bacillemia non viene ad escludere la
importanza che al fattore infezione esogena, spetta nella tubercolosi. Basta riflettere, per
tacere d'’ altro, all'importanza dell’ elemento quantitativo, che va acquistando sempre mag-
gior consistenza e valore per lo sviluppo delle malattie infettive, ed è stato di recente giu-
stamente ribadito dal Bertarelli (1). i
L’esogena rappresenta poi l’unica via di infezione per quei soggetti, che pur non
avendo ereditato il germe specifico, ammalano di tubercolosi.
È dunque verosimile ammettere che il primo ingresso del bacillo di Koch nell’ orga-
nismo possa verificarsi e si avveri, certo non raramente già durante la vita fetale, e che
la persistenza della bacillemia nei periodi ulteriori della vita extrauterina, oltre che dalla
possibile ma non ancora dimostrata moltiplicazione diretta dei germi nel sangue stesso, sia
sostenuta dal loro passaggio in circolo da focolai istogeni latenti o palesi, nei quali il pa-
rassita si sia annidato.
I qui sorge spontanea una domanda : come l organismo può resistere per tempo più
o meno lungo all’infezione tubercolare contratta nell’ utero materno? Quali sono e come
esplica i suoi mezzi di difesa ?
È oramai acquisito come l’ organismo possa reagire all’ infezione tubercolare, analo-
gamente a quanto avviene per altre infezioni, mediante reazioni immunitarie fabbricando
sostanze capaci sia di distruggere il bacillo (e di questa distruzione troviamo nella fatti-
specie segni eloquenti nelle forme degenerative alle quali ho dettagliatamente accennato),
sia di neutralizzare le tossine dal bacillo elaborate od in esso contenute.
(1) Gazzetta degli Ospedali etc. 1912 -—- N. 116.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI —- Mem. IX.
N
10 A. Faginoli |Memoria IX.|
E noto d'altro lato che gli stessi componenti morfologici del sangue possono esplicare
un’ azione antibatterica ed antitossica. Così si ammette che tanto i globuli bianchi, vuoi per
la loro azione fagocitaria, (Metschnikoff) vuoi per sostanze in loro contenute (Bartel-Neuman
Loòwenstein — Schottenfroh) o da essi elaborate (Weil), quanto il plasma che i globuli rossi
(Splenger), possano distruggere i bacilli tubercolari e neutralizzare le loro tossine. Ricordo
in proposito anche le recenti esperienze di Kraus (1): iniettando bacilli di Koch nel peri-
toneo di cavie tubercolose, già dopo pochi minuti poteva osservare la completa dissolu-
zione dei bacilli iniettati.
È logico pertanto l’ ammettere che fintantochè viene conservato il giusto rapporto fra
i poteri di difesa di cui l'organismo dispone ed i mezzi di offesa rappresentati dal bacillo
e dai suoi veleni, l'organismo non abbia a risentire danno tangibile; qualora per contro
questo rapporto venga turbato, entrino in campo le diverse manifestazioni cliniche della
malattia. E questo equilibrio fra germe ed organismo può turbarsi sia allorquando la ca-
pacità di difesa dell’ organismo venga minorata, sia quando, per la abbondante o continua
introduzione di germi dall’ esterno i mezzi difensivi sieno insufficienti allo scopo.
La forma latente di tubercolosi, quella che il Maragliano chiama “ latenza permanente, ,,
corrisponderebbe pertanto allo stato di equilibrio stabile fra i poteri di offesa e di difesa, le al-
tre forme di tubercolosi latente ben classificate e descritte dal Giuffrè (temporanea, intermit-
tente) le forme di tubercolosi larvata, la tubercolosi patente, manifesta, confermata, non sareb-
bero che esponenti diversi di un equilibrio labile 0 di uno squilibrio 0 scompenso conclamato.
Queste tubercolosi latenti. tanto discusse fino alla negazione della loro esistenza e
così diverse nei loro esponenti clinici, tanto diffuse e così poco apprezzate perchè difficil-
mente con sicurezza identificabili, la cui natura ed attività ha troppo spesso postuma san-
zione nei documenti anatomici di focolai obsoleti, troverebbero nelle vedute enunciate una
valida conferma.
E dunque una lotta continua che l’ organismo deve sostenere contro l’insidioso nemico
che ospita; e si comprende facilmente come l’ organismo costituzionalmente debole per
predisposizione ereditaria 0 divenuto tale per alterazioni acquisite, più facilmente e frequen-
temente nella lotta soccomba. È noto infatti come molto spesso a talune malattie, in specie
a quelle che lentamente debilitano l’ organismo (diabete, sifilide, malaria, tifo, febbre medi-
terranea, cancro etc.) concomiti o segua la tubercolosi con probabilità soltanto risvegliata
dallo stato latente, per lo scompenso che nell’ organismo ha prodotto la nuova infezione
contratta. Nuovi documenti anatomici di simili osservazioni cliniche e statistiche sono stati
offerti recentemente dal Fischer (2), il quale, ha dimostrato che le malattie cachetizzanti
frequentemente ravvivano antichi focolai latenti di tubercolosi.
“
A proposito di simili casi il Fischer conclude “ che questi soggetti non muoiono per-
chè la tubercosi si è ridestata, ma che la tubercolosi si ridesta perchè essi muoiono; ,
proposizione questa che non si può accettare senza qualche restrizione, poichè essa regge
soltanto finchè si tratti di morbi che conducono inesorabilmente alla morte.
Quando però la malattia primitiva sia suscettibile di guarigione ed effettivamente gua-
risca, l'infezione tubercolare per essa divampata può progredire per proprio conto; ed
allora diventa inapplicabile la formula del Fischer, giacchè in questi soggetti che avreb-
(x) Vien. ‘Med. Voch. tone — N20.
(2) Dent. Archiv. 19ro — Bd. 99.
Osservazioni e considerazioni sulla presenza di bacilli acido-resistenti, ecc. 11
bero potuto guarire o sono già guariti dalla infezione contratta è la tubercolosi sviluppa-
tasi che determina molto spesso la morte.
Queste le considerazioni che scaturiscono dalla discussione ed elaborazione dei risultati
consegnati. Certo esse urtano contro vedute dalla tradizione oramai consacrate per dogmi,
si fortemente da lasciare perplesso chi si accinga a svilupparle fino alle estreme conseguenze.
La logica concatenazione dei fatti assodati ci obbliga però ad inchinarci ad esse, finchè
prova contraria o dimostrazione di reperti inattesi, non consentano interpretazioni diverse.
Questi reperti danno adito a qualche considerazione anche nei riguardi profilattici.
L'attuale lotta antitubercolare è sorta e si fonda sulla importanza preponderante del
contaggio diretto dal mondo esterno. Sembra pertanto a prima vista che le vedute dianzi
enunciate mettano in luce sfavorevole gli sforzi ed i sacrifici che la società sostiene per
combattere il terribile nemico alla stregua di tali direttive, e che il fattore da prendere di
mira sia invece la resistenza individuale: l’ unico obbiettivo sarebbe perciò rappresentato
dalla elevazione di queste forze di resistenza organiche.
Verrebbe così, proseguendo in quest ordine di idee, ad aggiungersi un nuovo anello
anche più eloquente alla catena di quelli che in armonia con la teoria di Behring —- Rò-
mer — Hamburger, tendono a far considerare la tubercolosi degli adulti siccome nient’ altro
che una ripresa di una infezione infantile.
Ma come già contro premature deduzioni profilattiche di questa teoria atte a modifi-
care gli attuali metodi di lotta antitubercolare, si elevarono autorevoli voci (1) dimostrando
perentoriamente quanto pernicioso riuscirebbe, nonostante l'interesse teorico che spetta senza
dubbio al contagio infantile nello studio del problema della tubercolosi, il trasporto incondi-
zionato di questa dottrina nella pratica della lotta antitubercolare, altrettanto a questa riusci-
rebbe dannosa, modificando e sconvolgendo gli attuali sistemi di difesa sociale, la diretta
applicazione dei corollari abbozzati che dalle osservazioni soprariferite potrebbero dedursi.
Del resto non che suggerire ingiustificate inferenze pessimiste, rendendoci nuovamente
scettici di fronte alla possibilità oggimai indiscussa di attuare una efficace difesa contro la
tubercolosi, i suaccennati reperti sono suscettibili di interpretazione che con essa piena-
mente armonizza. Basta tenere conto del fattore quantitativo cui si va assegnando sempre
maggiore importanza nella genesi delle malattie infettive e riflettere come in un organismo
il quale si trovi rispetto ai bacilli tubercolari che già ospita in condizioni di equilibrio in-
stabile, la introduzione esogena di nuovi germi possa assurgere all’ importanza del fattore
che fa traboccare la bilancia.
Senza tener conto, come ho già avuto occasione di accennare, che in quei casi nei
quali in atto l’organismo si trova esente da bacilli tubercolari, la loro presenza e diffu-
sione nel mondo esterno rappresenta la sola sorgente di infezione, il cui esito, una volta
insediatosi il germe, non è prevedibile.
Allo stesso titolo dunque della teoria che tende a ripetere la tubercolosi degli adulti dalla
riaccensione del contagio infantile, la frequente presenza di bacilli di Koch nel sangue cir-
colante di individui apparentemente sani non tange nè infirma metodi e sistemi attuali tanto
benefici di lotta antitubercolare; soltanto proietta un fascio di luce’ più viva sopra un altro
(1) Ultimo |’ Hillemberg — Deut. Med. Voch. rota — N. 43.
12 A. Fagiuoli [Memoria IX.]
postulato, del resto mai finora trascurato, di questa lotta: la importanza della elevazione
della resistenza individuale; e ne fornisce la motivazione scientifica.
Quanto è vasta la portata dottrinale altrettanto è ridotta la cerchia delle deduzioni
pratiche che si possono trarre da questo genere di ricerche.
Non si nota infatti nessun rapporto fra il numero di bacilli osservati nei preparati e
la gravità del processo tubercolare. A me è occorso in qualche caso di osservare nel sangue
in forme gravi di tubercolosi un numero scarsissimo di bacilli acido-resistenti, e di trovarli
per contro più numerosi in forme iniziali. Anche nei due casi di tubercolosi miliare esa-
minati trovai nel sangue uno scarso numero di bacilli.
La disposizione dei bacilli a catena, e gli zaffi di bacilli che secondo Lietermeister si
trovano soltanto in forme gravissime di tubercolosi e depongono per un rapido aggrava-
mento del processo, io li ho osservati soltanto nel sangue di due individui, uno affetto
da tubercolosi polmonare in II stadio, l'altro in III stadio; le condizioni di questi pazienti
però dall’ epoca della ricerca, circa sei mesi addietro, non sono per nulla peggiorate.
Quasi tutti coloro che si occuparono dell’ argomento assegnano grande valore alla ri-
cerca per la diagnosi precoce di tubercolosi polmonare, e non. esitano a proclamarla il mi-
gliore e più sicuro mezzo diagnostico per stabilire una infezione tubercolare.
A parte la scarsa praticità del metodo che richiede parecchie ore per l’ allestimento e
l'osservazione dei preparati, secondo me la ricerca dal punto di vista diagnostico ha un
valore molto relativo.
Quando in un individuo già ci sono in atto svelabili con i comuni mezzi di cui di-
sponiamo, i segni di un processo tubercolare, la ricerca nulla aggiunge alla diagnosi. Per
contro nei casi sospetti e negli individui apparentemente sani, nei quali la ricerca ha dato
risultato positivo, noi soltanto per questo, non possiamo logicamente ammettere che esista
un processo tubercolare in atto. Potremo dire che nel loro sangue circolano i bacilli di Koch
che esiste anzi una infezione tubercolare, ma non possiamo affermare che questi individui
sieno tubercolosi nel senso clinico della parola o che tali diverranno in tempo più o meno
lontano. La bacillemia non è l’espressione di un processo tubercolare in atto ne un indice
sicuro di futura tubercolosi.
Scarso è pure il valore pronostico della ricerca di fronte a reperti positivi in individui
sani o almeno tali apparentemente.
Ammaleranno questi di tubercolosi? Kurashige dei suoi 20 individui sani nei quali ottenne
risultato positivo, tre ammalarono dopo otto mesi di pleurite tubercolare ed in altri due com-
parvero emoptoe iniziali. Anche dei miei 13 soggetti clinicamente non tubercolosi, nei quali
trovai bacilli acido-resistenti nel sangue, uno ammalò dopo quattro mesi di pleurite specifica.
L'esperienza è ad ogni modo ancora molto scarsa e non ci autorizza a concludere
in questo o quel senso. Certo è da ammettere, per le considerazioni prima esposte, che i
bacilli tubercolari possano circolare nel sangue dell'individuo senza mai dar luogo sia
direttamente che indirettamente a manifestazioni cliniche di processo specifico.
1) Weichselbaum
2)
Lustig
3) Meissel
4)
23)
Rutimeyer
Sticker
Bergeron
Liidke
Courmont
Baduel
Stiubli
Uhlenhuth
Schnitter
Lippman
Treupel
Jessen u. Rabinowitsch —
Ach-Magy
Rosemberger
Kurashige
Liebermeister
Kennerknecht
Duchinoff
Sturm
Rumpf
24) Klemperer
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1909 - Bd. 50 H. 3.
IgII - Bd. XVI- H. 4.
1912 N° 36.
1912 Ottobre.
Memoria X.
Istituto di Materia Medica della R. Università di Catania
(Direttore Prof. F. A. FODERÀ).
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti
a rachistovainizzazione ©’
Del Dr. GIUSEPPE CONSOLI (Aiuto).
(con una tavola).
RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. A. CAPPARELLI e F. A. FODERÀ (Relatore).
Le ricerche del D.r Giuseppe Consoli portano un pregevole contributo sperimentale
alla questione delle alterazioni istologiche, che il midollo spinale presenta in seguito alla ra-
chistovainizzazione, e meritano perciò di essere pubblicate negli Atti dell’ Accademia.
Fin dallo scorso anno nel laboratorio di Materia Medica si è intrapreso lo studio spe-
rimentale delle anestesie midollari.
Ricordo qui brevemente che sul meccanismo intimo della rachi-anestesia poco si è
finora accertato, e possiamo dire che i clinici e gli sperimentatori, che si sono occupati
dell’ argomento, si dividono in due opposti campi, alcuni ammettendo, altri negando, che
la rachianestesia rappresenti una anestesia midollare per penetrazione diretta del farmaco
fin negli elementi proprî del midollo spinale.
Già nelle ricerche che si fecero nel nostro Istituto l’ anno decorso ad opera del Dottor
Nicosia, allora interno, ci apparve non dubbio trattarsi di una vera azione sui centri, con-
clusione che trovasi nettamente formulata nel lavoro del Nicosia, ed alla quale portano
contributo talune delle osservazioni che io ho avuto occasione di fare in questo anno.
Chiusa questa breve parentesi, dirò che il problema dell’ anestesia midollare va stu-
diato sotto molteplici aspetti, prima che su questo processo possa dirsi raggiunto l’ accor-
do, e meglio ancora prima che si abbiano gli elementi positivi per un giudizio veramente
scientifico. Non basta provare .e riprovare svariati farmaci prendendo come solo punto di
repere la rapidità o meno dello svolgersi della anestesia, la limitazione di questa a date
regioni o la diffusione di essa alla più gran parte del corpo, ovvero aver di mira soltanto
(1) Memoria presentata nella seduta del 20 Giugno 1912.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI — Mem. X. n
s Giuseppe Consoli [Memoria X.|
la durata della azione, o la tossicità assoluta o relativa delle diverse sostanze, od avvisare
ai mezzi con cui prevenire o combattere gli accidenti concomitanti ecc., ma bisogna guar-
dare allo insieme di tutte le contingenze che entrano in campo nella anestesia midollare
e variarle non solo singolarmente, ma nel loro insieme armonico.
Nè basta a far ciò la semplice osservazione dei fatti che si possono seguire nella
clinica, come dall’ altro lato non basta la semplice sperimentazione sugli animali, per quanto
si cerchi di porsi nelle condizioni sperimentali migliori per poter pensare di essere auto-
rizzati ad estendere all'uomo i risultati della esperienza sull’ animale ; ma in questo campo
invece, direi quasi più che in altri, è necessario lo sforzo sinergico della sperimentazione
di laboratorio e della osservazione clinica.
Da queste considerazioni appare pienamente autorizzata l’idea che si è avuta nel no-
stro laboratorio di affrontare sperimentalmente i varî lati del problema della rachianestesia.
A me in particolar modo è stato affidato lo studio delle possibili alterazioni concomi-
tanti 0 postume, che possono presentare gli elementi istologici del midollo spinale in se-
guito alla rachianestesia.
L'argomento è stato già abbordato da altri investigatori, ma con risultati non intera-
mente concordi, e da punti di vista più o meno ristretti.
Il compito invece, che io spero di poter assolvere, è quello di studiare comparativa-
mente sui cani le alterazioni istologiche degli elementi del midollo sotto la influenza delle
diverse sostanze che si sono proposte per la rachianestesia e, per ognuna di esse, stu-
diare tali possibili alterazioni in funzione del modo di somministrazione, della dose del
farmaco, della durata della anestesia, del tempo trascorso dalla anestesia.
Io ho cominciato dal prendere in esame la stovaina, della quale mi son servito a
produrre la rachianestesia tanto da sola, che in associazione ad un farmaco capace di
spiegare utili effetti antagonistici, e cioè la stricnina, secondo il metodo più specialmente
preconizzato e con tanto calore difeso dall’ Ionnescu di Buckarest.
Le esperienze fatte con altre sostanze sono ancora in numero troppo esiguo per po-
ter formare oggetto di una pubblicazione. Come dunque appare dal titolo del mio lavoro,
io mi limito per ora a riferire le osservazioni istologiche praticate su midolli di cani sot-
toposti alla rachistovainizzazione, semplice od associata.
Mi sia permesso intanto di accennare, nel modo più breve. ai dati che mi è stato
possibile riscontrare nella letteratura sulle alterazioni istologiche indotte dalla rachianestesia
determinata da varie sostanze. Le alterazioni istologiche del midollo spinale in seguito a
rachianestesia sono state messe in evidenza principalmente dai lavori, fatti indipendente-
mente l’ uno dall’ altro e da diversi punti di vista, di Van Lier, di Wossidlo, di M. W.
Spielmeyer, di Klose e Vogt e di M. Rehn. Le alterazioni principali, quali risultano dal
complesso di tali ricerche, sono: cromatolisi, alterazioni nucleari (scomparsa del contorno
del nucleo, o del reticolo di cromatina, 0 intorbidamento del suo contenuto, od alterazioni
della sua forma, o spostamento alla periferia), rigonfiamento delle cellule con acromatosi,
distruzione acuta della parte midollare delle fibre nervose.
Le sostanze prese in esame sono state la stovaina, la tropocaina, la novocaina; sog-
getti di esperienza i conigli, i cani, le scimmie, l’uomo; i metodi usati di preferenza : il
Nissl per le alterazioni cellulari, il Marchi per le alterazioni delle fibre.
Le ricerche di Van Lier e di Wossidlo sul coniglio portarono alla conclusione che le
alterazioni delle cellule gangliari sono di natura passeggera. Il Wossidlo iniettava una dose
È
Po
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovatniszazione 3
di anestetico 30 volte maggiore di quella usata nell'uomo; esaminava il midollo lombare
sacrificando |’ animale da una a 24 ore dopo la iniezione e, nei casi di morte, esaminava
pure il midollo allungato.
Rilevò alterazioni (cromatolisi, acromatosi, rigonfiamento torbido, alterazioni nucleari)
molto diversamente accentuate con i diversi farmaci.
Con la stovaina notò g7à dopo un’ ora le più gravi alterazioni, che si rendevano più
manifeste dopo due ore. Dopo sei ore però potè constatare un apprezzabile miglioramento
del reperto e dopo 24 ore il ritorno al normale del midollo spinale.
Con la tropocaina notò * distruzione semplice, granulazione de! nucleo, rigonfiamento
della cellula, distruzione fine, debole tinzione , rigonfiamento del nucleo, riunione in am-
massi del corpo tigroide, ,, alterazioni queste che dopo due ore dalla iniezione comincia-
vano a regredire; il miglioramento era di già molto spinto dopo sei ore, sino ad aversi
il ritorno al normale dalle 1/2 alle 24 ore dopo.
Con la novocaina notò infine “ rigonfiamento del nucleo, distruzione con fusione delle
zolle, distruzione semplice, tinzione diffusa, distruzione finamente granulosa e granulazione
nucleare. ,, Anche queste alterazioni cominciavano a regredire già dopo due ore, ma il
miglioramento divenne molto apprezzabile solo dopo 12 ore; in genere dopo 24 ore si
aveva il ritorno al normale. Negli animali morti in seguito alla iniezione, il midollo lom-
bare si presentò molto fortemente alterato, Tali reperti coincidono con quelli di Van Lier.
Come conseguenza delle sue ricerche il Wossidlo raccomanda la tropocaina come il
migliore farmaco per la rachianestesia, che egli considera come anestesia da paralisi, am-
mettendo alterazioni delle cellule gangliari, che però non sono durature, nè di tal grado
da produrre un danno all’ organismo. Cosicchè dal punto di vista anatomo-patologico non
esisterebbero ragioni per condannare il metodo della anestesia midollare.
Lo Spielmeyer a sua volta ha esaminato il sistema nervoso di 13 soggetti morti poco
tempo dopo la rachistovainizzazione, per cause diverse (cancro, peritonite, setticemia etc.).
I pazienti avevano ricevuto da gr. 0.05 a gr. 0,07 di stovaina (sei casi), da gr. 0.10
a gr. 0. 12 (7 casi). Il sistema nervoso fu trattato con il metodo Nissl, accessoriamente
con il metodo Bielschowski. In nove casi (sei del !° gruppo e tre del secondo) fu riscon-
trata una semplice banale cromatolisi, ciò che è la regola in tutte le malattie infettive o
tossiche. Negli altri tre casi M. Spielmeyer trovò una modificazione particolare delle grandi
cellule poligonali delle corna anteriori del midollo, il corpo cellulare era estremamente vo-
luminoso ed arrotondato. Questo rigonfiamento si iniziava attorno al nucleo; quanto più
accentuato esso era, tanto più pronunziata appariva la decomposizione dei corpi cromato-
fili e del nucleo. Alla periferia solamente pochi corpi tigroidi erano rispettati per qualche
tempo; poi essi si decomponevano in una fine granulazione. Il nucleo era decentrato, la
sua membrana piegata, il nucleo spinto, pressato contro questa. Nel primo caso tali cellule
si trovavano su tutta la altezza del midollo, solo isolatamente sulla colonna delle corna
anteriori, mai quasi più di una cellula per sezione : nel 2° caso le rare cellule così alte-
rate non oltrepassavano la midolla lombare; nel 3° caso solo il 2° ed il 5° segmento
erano affetti. A tali lesioni cellulari non corrispondevano disturbi motori.
Le lesioni descritte erano limitate alle cellule poligonali motorie del midollo spinale,
nessun altro elemento era colpito; anche le cellule dei gangli spinali si presentavano inal-
terate, come pure le cellule delle corna posteriori.
Uguali lesioni lo Spielmeyer potè riprodurre nelle scimmie e nei cani mediante inie-
4 Giuseppe Consoli [MEMORIA X.|
zioni nel rachide di stovaina. Le lesioni non oltrepassarono le regioni inferiori della mi-
dolla e non diedero luogo a disturbi motorî serî, tranne che in un solo cane. In certi
animali inoltre la iniezione provocò una degenerazione delle radici posteriori, specialmente
accentuata alla loro entrata nella midolla, e delle fibre radicolari corte e lunghe dei cor-
doni posteriori: lesioni queste non attribuibili ad una reazione infiammatoria, nè a fatti di
compressione da parte del liquido iniettato, ma alla circostanza che nei cani e nelle scimmie
le radici posteriori sono sensibilissime all’ azione tossica della stovaina. La stessa sensi-
bilità alla stovaina hanno le cellule gangliari motrici nell’ uomo, in cui è degno di men-
zione il fatto che le regioni superiori del midollo sono affette, e quindi si possono spie-
gare per una lesione nucleare analoga le paralisi oculari post-stovainiche. Le sudette lesioni
però sono lesioni di degenerazione retrograda, quindi eminentemente riparabili: è solo
nelle lesioni cellulari assai intense che nessuna riparazione è possibile.
Speciale importanza hanno gli studi del Rehn, comunicati al XXXVIII Congresso della
Società tedesca di chirurgia (14 aprile 1900).
Il Rehn nel suo lavoro sulla rachianestesia ha tenuto conto delle ricerche fatte nella
sua clinica e per suo consiglio da Klose e Vogt sul canale sotto aracnoideo, sul modo
di trasmissione e sulla permanenza delle soluzioni in esso iniettate, dalle quali ricerche
risulta che le soluzioni anestetiche si spandono nello spazio di una mezz'ora al più in
tutto il liquido cefalo-rachidiano e che l'assorbimento si inizia e si completa in tempo as-
sai variabile, secondo i diversi anestetici, durando tanto più a lungo quanto più tardi esso
comincia.
Sotto questo punto di vista, e per quanto riguarda la durata del contatto con i cen-
tri nervosi, i tre anestetici più comunemente usati si comportano nel seguente modo :
La tropocaina si assorbe e si elimina completamente, in modo che il liquido rachi-
diano non ne contiene più tracce dalla 6% alla 12* ora; la novocaina dalla 12* alla 188;
la stovaina dalla 302 alla 402 ora.
Quanto alle alterazioni istologiche del midollo spinale, egli non ha mai constatato,
poco tempo dopo la iniezione intra-aracnoidea, alterazioni come quelle osservate dal Wossidlo
e Van Lier con le iniezioni di dosi elevate di anestetico. Il Rehn ritiene che non si tratti
di una resistenza particolare di tali elementi al tossico, poichè secondo lui le iniezioni di
tropocaina, novocaina e stovaina nello spessore della midolla, a differenza della iniezione
di siero fisiologico, producono la morte immediata o quasi dell’ animale; egli crede invece
che alle dosi ordinarie la soluzione dell’ anestetico non penetri nello spessore del midollo,
che trovasi ben protetto, in quantità tale da poter generare alterazioni acute e rapide.
Le prime alterazioni invece il Rehn ha potuto cominciare a constatarle 72 ore dopo
la iniezione.
Su 10 animali, sottoposti a rachianestesia e sacrificati ad intervalli di tempo variabili
da 8 a 14 giorni, ha potuto mettere in rilievo in 8 casi alterazioni degli elementi nervosi,
sopratutto in corrispondenza della midolla lombare, che si continuavano sempre più atte-
nuandosi sino alla midolla cervicale ed al bulbo. Mai però in un taglio trasversale vide
alterate tutte le cellule, soltanto sempre singoli elementi. Queste alterazioni erano di du-
plice natura: talora trattavasi di semplici processi cromatolitici, talora di rigonfiamento tor-
bido con acromatosi e con trasposizione nucleare.
Negli animali uccisi dopo 10-21 giorni, rilevò inoltre, a mezzo del metodo Marchi,
degenerazione fibrosa, anche essa di duplice specie: talora trattavasi di una accentuata
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovainizzazione 5
lesione superficiale delle fibre in tutta la periferia della sezione trasversale del midollo spi-
nale, senza alcuna accentuata predilezione per questo o per quel fascio, talora invece
trattavasi di una lesione che interessava esclusivamente i cordoni posteriori fin nel mi-
dollo cervicale.
Le lesioni sopra accennate, sempre secondo l’ autore, sono in gran parte di natura
riparabili, non danno poi manifestazioni cliniche perchè il processo morboso non ha nulla
di ubiquitario, di regionale o di sistematico, e perchè le cellule che rimangono sane sono
sempre in numero abbastanza grande per esser sufficienti ai bisogni funzionali.
Dalla breve rassegna della letteratura si vede intanto che mentre esiste l’ accordo sul
fatto che in seguito alla rachianestesia si determinano alterazioni istologiche spinali, come
anche sulla natura di tali alterazioni, si ha dall’ altra assoluta discordanza sul tempo in
cui tali alterazioni si determinano e sulla loro durata.
Si è visto per esempio che Wossidlo e Van Lier ammettono che le alterazioni si de-
terminino immediatamente dopo la rachianestesia e perdurino per un certo tempo, più o
meno breve, per lasciar poi posto ad una completa restitutzo ad integrumi ; altri invece,
tra cui il Rehn, negano la esistenza di lesioni, diciamo così primarie, mentre ammettono
la insorgenza di tali lesioni in tempo più o meno lontano da quello in cui fu praticata la
rachianestesia; e così ancora, mentre alcuni, anche fra coloro che han constatata la esi-
stenza di lesioni strutturali, ammettono che gli effetti siano fugaci e non importanti dal
punto di vista funzionale, altri invece gridano addirittura ai m22sfatti della rachiane-
stesta.
Prima di esporre le alterazioni da me riscontrate, mi sia lecito richiamare il fatto, che
fu già rilevato nella sua memoria dal Nicosia, che cioè i nostri cani, sottoposti alla rachi-
stovainizzazione semplice od associata, e per di più anche a ripetute rachianestesie, non
presentarono, anche tenuti in diligente osservazione per lungo spazio di tempo, tracce di
postumi funzionali accertabili con l’ esame più accurato, tanto nella sfera della motilità,
che nella sfera della sensibilità.
E passo alle mie ricerche.
Le sostanze da me studiate sono state la stovaina, sola ed associata alla stricnina
secondo il metodo Ionnescu di Buckarest , la tropocaina, la novocaina, l’ alipina.
I metodi usati: quello Boccardi per lo studio delle alterazioni cellulari (e ciò, sia per
usufruire di un metodo veramente eccellente, sia per mettermi sulla falsa riga degli altri
ricercatori che hanno usato il Nissl), ed i metodi Marchi e Donaggio per le degenerazioni
delle fibre.
Tra gli animali ho scelto il cane che, come ognuno sa, tra gli animali da laborato-
rio è quello che più si avvicina all’ uomo, e che meglio permette lo studio dei sintomi
provocati da una data sostanza e del loro decorso.
Riserbandomi di riferire sul reperto istologico per tropocaina, novocaina ed alipina in
una prossima comunicazione, mi limito qui ai risultati delle mie osservazioni sulla rachia-
nestesia determinata con la stovaina, sia da sola che associata alla stricnina.
È inutile dire che ho fatto precedere le mie osservazioni dallo studio accurato del
midollo di cane sano.
Le alterazioni più importanti da me osservate sono:
1° Cromatolisi in tutti i suoi diversi stadî e relativa scomparsa degli spazì chiari
tra le zolle della cromatina, la quale si presenta in ammassi irregolari, variamente disposti
6 Giuseppe Consoli
[MEMORIA X.|
ora attorno al solo nucleo, ora alla sola periferia della cellula, ora al centro di essa, mentre
tutto il resto del protoplasma rimane uniformemente colorato in rosa pallido; in alcuni
esemplari la cromatina invece si presenta disciolta in finissimi ammassi granulari.
2° Acromatosi quasi assoluta di alcune cellule gangliari.
3° Rigonfiamento torbido della cellula con acromatosi e relativa modificazione della
forma, per cui la cellula, invece di presentarsi poligonale, appare rotondeggiante o piriforme.
4° Vacuolizzazione delle cellule, specie in quelle in cui la cromatina si è disciolta
in fini granulazioni, od in quelle con rigonfiamento torbido. Tale alterazione ho quasi
sempre notato alla periferia della cellula e nei gangli spinali; anzi mi è stato dato di os-
servare varie volte cellule con aspetto speciale, come se cioè il vacuolo si fosse aperto 0
rotto allo esterno.
5° Modificazioni del nucleo, per cui talora esso si presenta rigonfiato tanto da oc-
cupare quasi la intera cellula; in alcuni esemplari uniformemente tinto con relativa scom-
parsa del reticolato di cromatina, o del nucleolo, o modificato nella forma, spostato in va-
rio senso, talora come spinto verso il margine cellulare od insinuato per un suo estremo
in un prolungamento protoplasmatico. Ho notato altresì in molti esemplari una accentuata
vacuolizzazione del nucleolo. AI decentramento del nucleo però io dò una importanza assai
relativa, come pure alla modificazione della forma, giacchè tali fatti, sebbene con minor
frequenza, li ho riscontrati nell’ animale sano.
6° Degenerazione primaria delle fibre, che con il metodo Donaggio ho potuto met-
tere in evidenza sin da 24 ore dopo avvenuta la iniezione, e che da principio interessa la
maggior parte delle fibre nervose, mentre in seguito va riducendosi sempre più, sino a
limitarsi, come io ho potuto rilevare dopo due mesi e mezzo dall’avvenuta iniezione, alle
fibre radicolari posteriori, alle radici posteriori ed a poche fibre della corna anteriori e
della commissura anteriore e posteriore. Con il metodo Marchi ho potuto altresì. mettere
in evidenza il reperto notato dal Rehn, cioè degenerazione delle fibre, talora limitata alla
sola periferia del midollo, tal’ altra estesa a tutti i cordoni posteriori. Le lesioni sopra de-
scritte io le ho notato nei gangli spinali e nelle corna anteriori e laterali della porzione
caudale e lombare del midollo. In alcune sezioni anche i cordoni posteriori lasciano no-
tare qualche cellula in cromatolisi; dal segmento dorsale medio in su le lesioni vanno
sempre più attenuandosi. Degno di rilievo è il fatto che in mezzo alle cellule alterate si
notano sempre delle cellule normali. Le dette lesioni, contrariamente a quanto ha osservato
il Rehn, cominciano poche ore dopo l avvenuta iniezione. lo le ho constatate anche
con le dosi deboli di stovaina (2 cgr. per Kgr. di animale) a cominciare da 5 a 6 ore
dopo la iniezione. i
Nelle ore successive le alterazioni si rendono sempre più evidenti e diffuse, mentre a
cominciare dal 4° o 5° giorno esse si van facendo sempre più circoscritte, in modo che
sulle superficie di sezione notasi il predominio delle cellule sane su quelle alterate.
Pare quindi, ed in ciò sono concordi gli sperimentatori che mi hanno preceduto, che
si tratti di alterazioni regressive. Faccio intanto rilevare che io ho notato sempre singole
cellule alterate, sopratutto nelle corna anteriori e laterali, anche in midolli estratti dopo due
mesi e mezzo dalla avvenuta iniezione.
Riferisco ora alcune osservazioni fatte sui cani sottoposti a rachistovainizzazione ed i
relativi reperti anatomo-patologici. Avverto che le esperienze 24, 34, 52, 72, 82 corrispon=
dono rispettivamente alle esperienze 118. 102, 4a, la e 232 del lavoro del Nicosia.
tirigtrrei,
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovatnizzazione 7
A) Semplice anestesia stovainica.
ESPERIENZA PRIMA
Cane bastardo di Kgr. 4,840 — digiuno da 24 ore.
Ore 10, 50. — Si posiziona l’ ago-cannula per la iniezione dorsale inferiore. Subito
fuoriesce liquido spinale limpido : se ne fanno fluire 15 gocce. Subito dopo si iniettano 10
egr. di stovaina, sciolti in un cme. di soluzione fisiologica. —- Appena sciolto, I animale
mostra accentuata paresi del treno posteriore. Si nota lieve erezione, che presto cessa.
Ore 10, 55. — Spasmo in tutti gli arti, specie nei posteriori. L'animale tenta di rial-
zarsi, ma non riesce a sollevarsi sul treno posteriore, che si mostra del tutto insensibile.
Ore 11. — Notasi nuovamente erezione. — Persiste completa la insensibilità del treno
posteriore; anche il treno anteriore è insensibile, ad eccezione della testa. Il cane con gli
arti anteriori fa dei tentativi per rialzarsi, ma non riesce a puntellarsi.
Gli arti posteriori sono in paralisi spastica.
Ore 11, 8. — L’arto posteriore destro accenna a riacquistare la sensibilità (punto
profondamente viene ritirato lentamente): ciò osservasi assai meno nel sinistro.
Gli arti anteriori, il dorso, l'addome sono ancora insensibili. Come al solito l’animale
fa dei tentativi per rialzarsi, riesce a sollevare la testa ed un poco il torace, ma subito
ricade pesantemente.
Ore 11, 20. — Spasmo negli arti posteriori, i quali mostrano di essere sensibili alla
puntura. Ottusa la sensibilità agli arti anteriori, al dorso, all'addome: l animale è capace
di guaire.
Ore 11, 25. — Stesse condizioni.
Ore 11, 55. —- Ancora ottusa la sensibilità. — L'animale è capace di muoversi, ma
il treno posteriore è estremamente debole.
Ore 12, 30. — L'animale è capace di deambulare, ma persiste la debolezza del treno
posteriore.
Ore 13. — Il cane è completamente rimesso.
Ore 16, 5. — Si sacrifica rapidamente l’ animale e si estrae il midollo spinale per
le opportune osservazioni istologiche.
Reperto Microscopico.
(METODO BOCCARDI) — Le alterazioni sono localizzate alle corna anteriori del
midollo spinale in cui notansi: rigonfiamento torbido di alcune cellule che diventano roton-
deggianti o piriformi; diffusa cromatolisi in vari stadi; spostamento e rigonfiamento del
nucleo; frequente vacuolizzazione del nucleolo. Notansi pure alcune cellule in acromatosi
quasi completa ed in corrispondenza del midollo lombare si osserva anche qualche cellula
dei cordoni posteriori in cromatolisi. Alterazioni molto accentuate notansi pure nelle cellule
dei gangli spinali, sopratutto cromatolisi in vario grado. Di queste cellule alcune poche
mostransi in istato di rigonfiamento torbido, altre con decentramento o rigonfiamento del
nucleo, o scomparsa del suo reticolo, per cui il nucleo presentasi rigonfiato, uniforme-
mente tinto.
8 Giuseppe Consoli |MemORIA X.]
Tali alterazioni si estendono sino alla porzione dorsale inferiore del midollo; al di là
di questa sezione si vanno rapidamente attenuando.
ESPERIENZA II.
Cane adulto di Kgr. 4,730 digiuno da 24 ore.
16. — Iniezione dorsale inferiore, dopo aver lasciato scorrere 14 gocce di liquido
spinale limpidissimo, di gr. 0,283 di stovaina sciolti in 1 cme. di soluzione fisiologica
0,75 °/o (corrispondenti a gr. 0,06 di stovaina per Kgr. di peso).
Appena slegato l’animale mostra accentuata paresi del treno posteriore e valida ere-
zione.
16, 7. — Persiste l'erezione; il treno posteriore è in completa paralisi motoria e gli
arti anteriori si mostrano già notevolmente deboli, tanto che l’animale, malgrado faccia
degli sforzi per puntellarvisi, non riesce a reggersi e cade sul fianco. Malgrado ciò il cane
continua sempre nei suoi tentativi di rialzarsi e tiene la testa sollevata dal suolo, tranne
qualche momento in cui, come preso da stanchezza, la poggia sul terreno.
16, 10. — Coscienza perfettamente integra: erezione scomparsa, insensibilità dolori-
fica completa negli arti anteriori e nel dorso, mentre nei posteriori la sensibilità al dolore,
sebbene molto ottusa, non è completamente abolita.
16, 17. — L'animale resta a giacere sul fianco presentando leggera salivazione. La
sensibilità al dolore è abolita anche nel treno posteriore, così che solo la testa rimane
sensibile. Sempre perfettamente integra la coscienza.
16, 20. — La salivazione si fa di mano in mano più abbondante.
16, 28. — Salivazione abbondantissima, di quando in quando evidenti moti di nausea.
Questo stato si mantiene fino alle 16, 45, in cui l’animale ricomincia a poter tenere sol-
levata la testa ed a far tentativi per puntellarsi sugli arti anteriori. Si ha anche manifesto
accenno di rigidità dei muscoli della nuca.
16, 54. — Il treno posteriore è sempre in paralisi flaccida; gli arti anteriori sono in
paralisi spastica. Accentuata rigidità della nuca, profusa salivazione.
17, 7. — Oltre che dei muscoli della nuca, si ha rigidità del dorso fino alla coda.
Gli arti anteriori sono in estensione spastica; il treno posteriore è in paralisi flaccida.
Sempre integra la coscienza e la sensibilità dolorifica della testa; anestesia degli arti an-
teriori, del dorso e dell’ arto posteriore sinistro, mentre i forti stimoli dolorifici sull’ arto
posteriore destro vengono leggermente avvertiti; diminuita la salivazione.
17, 16. — L’ animale è capace di trascinarsi sugli arti anteriori, che però tiene pre-
valentemente in estensione spastica; ma la rigidità persistente dei muscoli della nuca e
del dorso non gli permette di mantenere la posizione, per cui il cane ricade.
17, 30. -- Da questo momento in poi l’ animale si va sempre più rimettendo. Non
più estensione spastica degli arti anteriori, nè rigidità dei muscoli della nuca, o del dorso,
non più salivazione; il treno posteriore però è sempre paralitico. Gradatamente si ripristina
la sensibilità dolorifica in tutto il corpo e l’ animale è capace di guaire.
Nel giorno successivo si trova che durante la notte l’animale aveva mangiato la sua
razione ; tranne accentuata debolezza del treno posteriore, per cui il cane nel deambulare
spesso vacillava, esso non mostrava altra alterazione.
Al secondo giorno dopo l'esperienza persisteva, ma meno accentuata, la debolezza
‘O
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovainizzazione
del treno posteriore. Nel pomeriggio di questo giorno alle ore 13 si sacrificò l’ animale e
si preparò il midollo spinale in tutta la sua lunghezza per lo studio microscopico.
Reperto Istologico.
(METODO BOCCARDI) — Discreto numero di cellule in vario stato di cromatolisi ;
alcuni esemplari con cromatina disciolta in fine granulazioni ; altre in acromatosi e con mo-
dificazioni della forma per cui la cellula si presenta a pera o rotondeggiante. Alcune cel-
lule lasciano altresì notare, sopratutto aila loro periferia, la formazione di vacuoli. Notansi
pure alterazioni a carico del nucleo, che in taluni casi è evidentemente rigonfiato, in altri
ha perduto il suo reticolo ed è uniformemente tinto, di aspetto torbido, in altri è spostato
alla periferia. Le lesioni dalla porzione caudale si continuano sino alla porzione dorsale
inferiore del midollo e sono sopratutto localizzate alle corna anteriori.
ESPERIENZA III.
Cagna giovanissima di Kgr. 3,670 digiuna da 24 ore.
16, 19. — Iniezione dorsale inferiore di gr. 0,184 (corrispondenti a gr. 0,05 per chi-
logrammo del peso) di stovaina sciolti in cme. 1 di soluzione fisiologica 0,75 °/o. La inie-
zione si fa procedere al solito lentamente dopo aver lasciato fluire dall’ ago-cannula da 10
a 12 gocce di liquido spinale limpidissimo.
Il decorso di questa esperienza fu quasi del tutto analogo a quello dell’ esperienza or
ora riportata; si notò anzi che l’ animale mantenne sempre espressione svelta e riuscì a
rimettersi in periodo di tempo alquanto più breve.
Per tre giorni consecutivi si mantenne in osservazione l’ animale, che apparve sempre
del tutto normale ; al 3° giorno poi lo si sacrificò, preparandone il midollo spinale in tutta
la lunghezza per le ulteriori osservazioni microscopiche.
Reperto Istologico.
(METODO BOCCARDI) — Alterazioni accentuate nelle cellule dei gangli spinali, spe-
cialmente alla periferia del ganglio, ove si notano alquante cellule in cromatolisi, qualcuna
in acromatosi, ed alcuni esemplari con spiccata alterazione nucleare. Notasi altresì croma-
tolisi in discreto numero di cellule delle corna anteriori e laterali, notansi pure rare cel-
lule in istato di rigonfiamento torbido sopratutto nel midollo lombare, ed altre con altera-
zione nucleare, con modificazioni cioè della forma, dimensioni, aspetto e posizione del
nucleo.
Tali alterazioni si estendono dal midollo caudale sino alla porzione dorsale inferiore
del midollo, più in alto si vanno sempre più attenuando.
(METODO DONAGGIO) — Con il metodo Donaggio (formula 24) notansi alterazioni
delle fibre radicolari posteriori, delle radici posteriori e delle fibre collaterali delle corna
posteriori che vanno alla commissura grigia posteriore, alla commissura anteriore e di
quelle che vanno a formare il nucleo dorsale di Stilling.
ATTI ACC. SERIE V, VOL. VI —- Mem. X. 2
10 Giuseppe Consoli |MemorIA X.}
B) Anestesia stricno-stovainica.
ESPERIENZA IV.
Canetto bianco di Kg. 5,200 digiuno da 24 ore.
10, 8.—Iniezione dorsale inferiore (stovaina gr. 0,104: stricnina gr. 0,00026, cioè cgr. 2
stovaina e 1/2 decimo di milligrammo di stricnina per Kg. del peso). Al solito si aspetta,
prima di fare la iniezione, che venga fuori un po’ di liquido cerebro-spinale; subito fatta
l’iniezione si scioglie l’animale e notasi paralisi del treno posteriore, erezione, ma non forte.
10, 10. — Semi-erezione. L'animale giace sempre sul fianco, arti posteriori in com-
pleta paralisi, arti anteriori in estensione rigida. Persiste |’ anestesia del tronco e degli arti.
L'animale è sempre perfettamente cosciente.
10. 19. — Laparotomia; estrazione di un’ ansa del tenue: si pizzica l’ intestino, si
stira e si lacera il mesentere in diversi punti, si legano dei vasi mesenterici, senza che
l’animale dia segno del menomo dolore. Il cane giace quieto ; tutti e quattro gli arti sono
alquanto rigidi. Sempre integra la coscienza e la sensibilità della testa. Il cane comincia
ad avvertire le punture profonde sugli arti, non quelle sul dorso.
10, 25. — Si tira fuori il duodeno e l’ animale si agita leggermente. Si rimette a
posto il duodeno e si tira fuori un’ ansa del tenue: l’animale solleva la testa e la inclina
verso l’ addome per guardare. Si stira il mesentere senza destare reazione apprezzabile. Si -
legano alcuni vasi mesenterici: reazione leggerissima e tarda.
10,30.—Si ricaccia l’intestino nella cavità addominale: l’animale si scuote, ma non guaisce.
10, 32. — Si tira di nuovo fuori un’ ansa del tenue, si stira e si lacera il mesen-
tere : l’animale dà leggera reazione; così pure pizzicando e stirando l’intestino e legando
un’ ansa vascolare.
10, 35. — Stesse manovre : stesso risultato.
10, 36. — Si ricaccia l'intestino e l’ animale si agita un poco; si pratica la sutura
del piano muscolare senza che l’animale dia segno di dolore.
10, 42. —. Pungendo gli arti posteriori si ha leggera reazione; l'anestesia invece è
ancora completa nel dorso e negli arti anteriori.
10, 46. — Sutura cutanea della ferita addominale; niente dolore.
10, 48. — Punture profonde negli arti senza alcuna reazione.
10, 54. — Conati di vomito infruttuosi. Si incide la cute della superficie interna
della coscia sinistra, denudando il triangolo di Scarpa, senza che l’ animale avverta dolore;
così pure risulta indolora la lacerazione dei foglietti aponevrotici. La stessa operazione si
pratica, con lo stesso risultato, a destra; però l’animale al taglio della cute inclina la te-
sta come per guardare.
10, 57. — Nuovi conati di vomito; emissione di un po’ di bava.
10, 59. — Si mette il cane a terra. Il treno posteriore è in completa paralisi; negli
arti anteriori l’avambraccio è flesso sul braccio, cosicchè l’animale resta quasi in ginoc-
chio, tenendo però sollevata la testa. Indi l’animale cade sul fianco e vi resta tranquillo.
11, 45 — Persiste l'anestesia degli arti e del tronco: indi comincia a ricomparire
la sensibilità dolorifica prima negli arti, poi nella metà anteriore del tronco, mentre persiste
completa anestesia nella metà posteriore del tronco. In tutti questi intervalli si sono avuti
conati di vomito, con emissione di bava.
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovarniszazione 11
12. — L'animale comincia a reggersi, ma assai stentatamente, sugli arti. La sola
zona ancora veramente anestesica è la metà posteriore del dorso.
12, 40. — Persiste solo leggera anestesia della metà posteriore del dorso; in tutti gli
altri punti l’animale avverte le punture, gli schiacciamenti etc. L’ animale si regge sempre
poco bene sugli arti, specie sui posteriori. Si sospende |’ osservazione.
16. — L'animale appare completamente ristabilito.
16, 45. — Il cane viene sacrificato col taglio del midollo allungato ; si prende tutto
il midollo spinale per le ulteriori osservazioni microscopiche. i
Reperto Istologico.
(METODO BOCCARDI) — Nelle corna anteriori delle porzioni caudale, lombare e
dorsale inferiore del midollo, frammiste a cellule sane, che sono in prevalenza, notansi
alquante cellule in vario stadio di cromatolisi, qualcuna in acromatosi. Anche il nucleo par-
tecipa a tali alterazioni o mostrandosi rigonfiato, 0 modificato nella sua forma, nella sua
ubicazione, 0 mostrando dei nucleoli vacuolizzati. Le cellule dei gangli spinali, sopratutto
quelle periferiche, mostransi anch’ esse in parte alterate o per cromatolisi, o per rigonfia-
mento torbido, 0 per vacuolizzazione. i
I vacuoli sono per lo più alla periferia della cellula ed in qualcuna delle cellule si ha
l'aspetto come se il vacuolo si fosse rotto all’esterno.
ESPERIENZA V.
Cane di Kgr. 4,300 digiuno da 18 ore.
15, 55. — Iniezione dorsale inferiore, previa fuoriuscita di 10 gocce di liquido cefalo-
rachidiano limpidissimo, di gr. 0,086 di stovaina e gr. 0,00043 di stricnina (nella propor-
zione cioè di 2 cgr. per Kgr. di stovaina e di 1/10 di milligrammo di stricnina per Kgr.).
16. — Forte erezione. L'animale giace sul fianco : il treno posteriore è insensibile,
ed in completa paralisi di moto.
16, 5. — Si notano ad ogni stimolo sussulti nel treno anteriore. Il treno posteriore
è sempre in completa paralisi. Persiste |’ erezione.
16, 25. — La sensibilità al dolore nel treno posteriore non è più mancante, ma solo
assai attutita.
16, 50. -- Molto migliorata la paresi per cui, sebbene vacillando, l’animale può reg-
gersi all’impiedi. Ripristinata la sensibilità dolorifica.
17, 25. — L'animale può considerarsi tornato al normale: mangia con appetito il
cibo che gli si offre.
Il giorno successivo alle ore nove del mattino il cane si presenta in condizioni fisio-
logiche. Lo si sacrifica rapidamente e si estrae il midollo con i gangli spinali per le op-
portune ricerche microscopiche.
Reperto Istologico.
{METODO BOCCARDI). — Alterazioni cellulari diffuse e localizzate sopratutto alle
corna anteriori della porzione caudale, lombare e dorsale inferiore del midollo. Notansi
12 Giuseppe Consoli [MemoRIA X.]
molte cellule in cromatolisi e vacuolizzazione, acromatosi, alterazioni del nucleo in diversi
esemplari, poche cellule in rigonfiamento torbido.
(METODO DONAGGIO). — Con il metodo Donaggio (formula 2* e 3) rilevasi al-
terazione diffusa delle fibre nervose, sopratutto delle fibre radicolari posteriori, delle radici
posteriori in corrispondenza alla loro entrata nei cordoni posteriori e delle fibre collaterali
delle corna posteriori che vanno alla commissura grigia anteriore, alla commissura grigia
posteriore e di quelle che vanno al nucleo dorsale di Stilling.
ESPERIENZA VI.
Cagnetto di Kg. 4,160 digiuno da 24 ore.
12, 32. — Si penetra con l’ago-cannula, attraverso la pelle integra, nello spazio fra
l’ultima vertebra dorsale e la prima lombare. Fuoriescono alcune gocce di liquido cefalo-
rachidiano limpidissimo.
Si iniettano gr. 0,044 di stovaina e gr. 0,00044 di nitrato di stricnina sciolti in cme. 1
di acqua distillata.
La iniezione si fa procedere con grande lentezza. Si slega l’ animale.
12, 36. Forte erezione. Paresi, alquanto spastica, del treno posteriore. Insensibilità al do-
lore della metà posteriore del tronco e degli arti posteriori. L'erezione perdura fino alle 12,50.
13. — Persiste la paresi spastica del treno posteriore. Attutita notevolmente, ma non
più mancante, la sensibilità dolorifica nelle parti indicate.
13, 20. — Molto migliorato lo stato di paresi. Ripristinata la sensibilità dolorifica.
14. — L'animale può considerarsi tornato al normale ; mangia con appetito.
Lo stesso animale subì a 13 giorni di distanza, durante i quali apparve sempre nor-
male, una nuova iniezione di sola stovaina, in dose di due centigrammi per Kg. del peso,
e dopo altri 16 giorni dalla seconda iniezione, nei quali si mostrò pure sempre in condi-
zioni fisiologiche, venne sacrificato per lo studio ulteriore del midollo spinale.
Reperto Istologico.
(METODO BOCCARDI) — Cromatolisi in varî stadî di numerose cellule sia dei
gangli spinali, sia delle corna anteriori e laterali della porzione caudale, lombare e dorsale
inferiore del midollo. Notansi poi cellule vacuolizzate, qualche cellula in acromatosi ed
esemplari in cui la cromatina o si è disciolta in fini granulazioni, o si è ammassata al
centro, mentre tutto il resto della cellula è tinto uniformemente in rosa pallido. Notansi
pure le solite alterazioni nucleari.
(METODO DONAGGIO). — Osservasi altresì con il metodo Donaggio degenerazione
delle fibre radicolari posteriori e delle collaterali delle corna posteriori che vanno alla com-
missura grigia posteriore e di quelle che vanno a formare il nucleo dorsale di Stilling.
(METODO MARCHI). — Con il metodo Marchi notasi degenerazione delle fibre in
tutta la periferia del midollo spinale, con accentuata predilezione per i cordoni posteriori.
ESPERIENZA VII.
Cagnetta di Kgr. 4,850 digiuna da 24 ore.
14, 10—Iniezione dorsale inferiore di stovaina 0,097 e di 0.00024 di stricnina (2 cgr.
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovatnizzazione 13
per Kgr. di stovaina ed 1/2 decimo di milligrammo per Kgr. di stricnina) previa
fuoriuscita di liquido cerebro-spinale limpidissimo. Appena sciolto, l’ animale si regge an-
cora in piedi, ma già dopo pochi istanti si avvera la paralisi del treno posteriore.
14, 13. — Arti anteriori spasmodici; il treno posteriore in paralisi. Schiacciandogli
fortemente le zampe posteriori, o pungendolo sui polpastrelli, l'animale ritira gli arti ma
con lentezza; non guaisce.
14, 16. — Pungendo in varii punti gli arti posteriori e così pure il dorso, come
schiacciando fortemente la coda l’animale mostra di risentire lo stimolo, ma non guaisce.
Si ha l'impressione come se l' animale conservi integra la sensibilità tattile, ottusa la sen-
sibilità dolorifica.
14, 18. — L'animale si puntella sugli arti anteriori sempre spasmodici e fortemente
divaricati, riuscendo così a tenere sollevato il torace, mentre l’ addome poggia sul suolo.
Gli arti posteriori sempre in paralisi con una certa rigidità.
14, 20. — Sul dorso, dalla scapola sino all’ estremità caudale, non avverte le pun-
ture anche profonde; schiacciandogli la coda, non mostra risentire dolore, ma la ritira
senz’ altro. Di quando in quando qualche scossa clonica leggera agli arti anteriori.
14, 23. — Si introduce il termometro nel retto e l’animale ne avverte la introduzione.
14, 33. — Forti spasmi agli arti anteriori, leggero opistotono; globi oculari protube-
ranti con pupille dilatate ; l’animale cade sul fianco. Lo stato di evidente stricnismo così
accentuato dura fino alle 14, 50. Tremito generale.
14, 52. — Mettendo l’animale in piedi esso arriva a sostenersi. Gli arti posteriori
sono assai deboli, cosicchè il treno posteriore tende sempre a cadere. Sensibilità dolorifica
agli arti posteriori ancora molto ottusa a destra, pochissimo ottusa a sinistra. Sul dorso
ancora alquanto ottusa fino a tutta la regione lombare, ripristinata dalla regione dorsale in su.
14, 56. — L'animale riesce già a muoversi, trascinando però un po’ il treno poste-
riore. Persiste ancora un certo ottundimento della sensibilità dolorifica negli arti poste-
riori, mentre in tutto il resto è normale. Offertogli del pane, lo mangia con avidità. La
temperatura, le pulsazioni, il respiro sono tornati normali.
15, 6. — L'animale padroneggia quasi completamente i movimenti degli arti ante-
riori e del tronco. Ancora un poco debole il treno posteriore, specie l’ arto destro.
15, 20. — L’ animale è completamente ristabilito e completamente normale mostrasi
nei giorni successivi. Il cane si mantiene in osservazione per ben 76 giorni, poi lo si sa-
crifica e gli si estrae il midollo per le opportune ricerche istologiche.
Reperto Istologico.
(METODO DONAGGIO). — Degenerazione delle fibre radicolari posteriori, delle ra-
dici posteriori e delle fibre collaterali delle corna posteriori che vanno alla commissura
grigia posteriore e di quelle che vanno a formare il nucleo dorsale di Stilling.
(METODO MARCHI). — Col metodo Marchi si mette in evidenza una accentuata
lesione superficiale delle fibre in tutta la periferia della sezione trasversa del midollo.
(METODO BOCCARDI). Come lesioni cellulari notasi cromatolisi in un numero limi-
tato di cellule dei gangli spinali e delle corna anteriori del midollo caudale, lombare e
dorsale inferiore. Notasi altresì qualche raro esemplare in acromatosi. Le lesioni delle fibre
sono più diffuse in corrispondenza del sito ove avvenne la iniezione sino al midollo cau-
14 Giuseppe Consoli
[MEMORIA X.]
dale, mentre in su si vanno sempre più attenuando, fino a limitarsi soltanto alle fibre
radicolari posteriori, e ciò non solo nel midollo del cane in parola, ma anche negli altri
midolli su cui ho riportato la mia attenzione.
C) Iniezione di stovaina nello spessore del midollo.
Il Nicosia si occupò anche delle conseguenze che si hanno iniettando direttamente la
stovaina nello spessore del midollo. i
Io ho voluto anche studiare le alterazioni istologiche che in tali condizioni si deter-
minano nel midollo. Riferisco una esperienza in proposito.
ESPERIENZA VIII.
Cagna bastarda di Kgr. 5,545 digiuna da circa 26 ore.
14 aprile 1911 — Ore 11, 43. — In corrispondenza delle ultime vertebre dorsali si
mette allo scoperto la fascia dorsale e si infigge l’ago-cannula nel canale rachidico: fuo-
riesce liquido spinale limpido.
Si infigge allora lago nel midollo; subito si arresta lo scolo del liquido cefalo-ra-
chidiano ;: l’animale emette forti grida ed urina. Nello spessore del midollo si iniettano
gr. 0,055 di stovaina in mezzo cme. di acqua distillata. Durante la iniezione, che si fa
procedere lentamente, l’ animale grida e si dibatte. Appena compiuta la iniezione si slega
l’animale, che mostra paralisi completa flaccida del treno posteriore e nei primi momenti
non riesce neanche a tenersi sugli arti anteriori.
La intelli-
11, 47. — La cagna si solleva sugli arti anteriori e riesce a trascinarsi.
genza è completamente integra. Anestesia del dorso fino alla radice del collo e di tutto il
treno posteriore. Pestando anche leggermente gli arti anteriori |’ animale li ritira e guaisce.
11, 49. — La cagna giace sul fianco. Di quando in quando solleva la testa e fa
continui tentativi per rialzarsi, a volte riuscendovi, a volte no. Respirazione leggermente
ansante, anestesia sempre completa nelle parti indicate, mentre persiste integra la sensi-
bilità della testa e degli arti anteriori. Coscienza sempre integra.
11, 58. — L'animale si regge abbastanza bene sugli arti anteriori; mangia il pane
che gli si offre e ponendoglielo a distanza si trascina per prenderlo; le altre condizioni si
mantengono immutate.
12,3. — La cagna comincia a sollevare alquanto il treno posteriore e ad avvertire
leggermente le punture profonde sugli arti posteriori.
12, 44. — Continua il leggero risveglio della sensibilità dolorifica degli arti posteriori:
sul dorso persiste la completa anestesia nella metà posteriore, mentre procedendo verso il
collo |’ anestesia accenna a dileguarsi.
13, 16. — Gli arti posteriori sono sempre in paralisi di moto, mentre la sensibilità
dolorifica vi si mostra ristabilita. La cagna guaisce pure se punta profondamente sul dorso
(l'esame della sensibilità vien fatto sempre tenendo l’ animale bendato). Si è costretti ad
interrompere l’ osservazione.
15 Aprile — La cagna è sempre paralitica del treno posteriore. La sensibilità dolori-
fica è dovunque ricomparsa, anzi sembra che l’ arto posteriore destro sia alquanto ipere-
stesico.
Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovarnizzazione 15
16 Aprile — Mattina — Persiste la paralisi motoria del treno posteriore destro, men-
tre l'animale si regge già su quello sinistro, che però è ancora molto debole.
Sera — Completa la paralisi motoria dell'arto posteriore destro, mentre |’ animale si
regge già su quello sinistro, che però è ancora molto debole.
17 Aprile — La cagna si regge molto meglio sull’ arto posteriore sinistro ed alquanto
anche sul destro.
18 Aprile — Continuano a migliorare le condizioni dell’ arto posteriore destro; l’ ani-
male vi si regge; però, se obbligato a camminare, lo trascina un poco e spesso anche
col piede flesso. In tutto il resto la cagna può dirsi normale.
19 Aprile — Continua sensibile miglioramento dell’ arto posteriore destro. Alle 11,25
si sacrifica l’animale e si esporta il midollo spinale per 1’ ulteriore studio microscopico.
Reperto istologico.
(METODO BOCCARDI) — Notasi forte iniezione vasale tanto all’ esterno che all in-
terno del midollo: i vasi si presentano ripieni di sangue e largamente iniettati. Non si è
notata discontinuità del midollo in alcun posto.
Si notano molteplici alterazioni cellulari. Molte cellule dei gangli spinali e delle corna
anteriori delle porzioni caudale, lombare e dorsale del midollo sono in spiccata, diffusa
ceromatolisi; altre in acromatosi; altre sono in istato di rigonfiamento torbido : altre ancora
sì presentano vacuolizzate. Anche il nucleo mostra le solite alterazioni, sia per quanto ri-
guarda la forma e l’ aspetto, sia per quanto riguarda il colorito e l’ ubicazione. In molti
esemplari osservasi pure la vacuolizzazione del nucleolo; sono interessate anche le corna
posteriori, che lasciano notare qualche cellula in cromatolisi.
(METODO DONAGGIO) — Con il metodo Donaggio notasi: Degenerazione delle
fibre radicolari posteriori e delle collaterali delle corna posteriori che vanno al nucleo dor-
sale di Stilling, ed alla commissura grigia posteriore ed anteriore.
Stimo inutile riferire i protocolli di altre esperienze, concordando perfettamente con le
ricerche già esposte. Credo intanto di essere autorizzato a venire alle seguenti :
CONCLUSIONI
1. Le alterazioni che si osservano nel midollo spinale dei cani sottoposti a rachiane-
stesia, tanto con sola stovaina, che con l'associazione di questa alla stricnina, riguardano
tanto le cellule, che le fibre.
Le alterazioni cellulari consistono in cromatolisi, acromatosi, rigonfiamento torbido,
alterazioni nucleari, vacuolizzazione della cellula e del nucleolo.
Le alterazioni delle fibre consistono in degenerazione delle fibre, rilevabile già con il
metodo Donaggio dopo 17 ore dalla avvenuta iniezione. Esse interessano sopratutto le
radici posteriori, le fibre radicolari posteriori e le collaterali delle corna posteriori che vanno
al nucleo dorsale di Stilling ed alle commissure grigie anteriore e posteriore.
2. Le alterazioni, tanto delle cellule che delle fibre, contrariamente a quanto sostiene
il Rehn, ed in accordo invece con quanto hanno osservato Van Lier e Wossidlo, comin-
16 Giuseppe Consoli [Memoria X.{
ciano poche ore dopo la iniezione intrarachidea e si intensificano nei primi giorni dalla
avvenuta iniezione.
3. Il numero degli elementi colpiti è massimo in corrispondenza del sito della inie-
zione e va progressivamente diminuendo man mano che da questo ci si allontana. Anche
i gangli spinali partecipano a tali alterazioni.
4. Le alterazioni cellulari verso il quarto, quinto giorno vanno sempre più regredendo,
cosicchè sulle superficie di sezione sono le cellule sane che prevalgono.
5. Le cellule alterate, sebbene diminuite di numero, sono sempre in quantità non tra-
scurabile anche dopo un lungo periodo di tempo (un mese e più) dalla avvenuta iniezione.
lo ne ho potuto notare persino dopo 76 giorni! — A tale epoca ho potuto ancora rilevare
persistente la degenerazione delle fibre, ma limitata alle radicolari posteriori ed alle radici
posteriori.
A risolvere il quesito che si affaccia, se cioè tutte le alterazioni constatate debbano
considerarsi come regressibili o se se ne determinino delle permanenti, occorrerà sottoporre
ad osservazione midolli di animali che abbiano subito la rachianestesia da tempo ancora
più remoto di quello corrispondente alle attuali mie ricerche.
6. Le maggiori alterazioni cellulari non coincidono con la maggiore alterazione funzio-
nale, ma si presentano invece assai tempo dopo che la funzione è completamente ristabi-
lita: ciò induce a ritenere che, malgrado esse abbiano l apparenza di gravi alterazioni,
non debbano essere considerate come espressione di un fatto degenerativo, ma invece
debbano essere interpretate come semplice fenomeno di reazione al grave stimolo cui è stata
sottoposta la cellula. Tale mia conclusione concorda perfettamente con quanto ebbe a ri-
levare il Carini nel suo studio sugli effetti della cocainizzazione alla Bier, eseguito nell’ I-
stituto di Patologia generale della R. Università di Palermo.
7. Il modo di decorso delle lesioni sopradescritte, e più precisamente il fatto della
loro attenuazione, sia in quantità che in qualità, induce a ritenere che si tratti di lesioni
regressive.
8. Le alterazioni cellulari riscontrate nel cane dell’ esperienza 8°, in cui fu praticata
la iniezione intramidollare di stovaina, a prescindere dalla forte iniezione peri ed intrami-
dollare (effetto diretto della iniezione intramidollare per sè medesima), furono perfettamente
identiche a quelle riscontrate con la semplice iniezione intrarachidea. Questa uguaglianza
di reperto dimostra in modo evidente che in entrambi i casi si ha la penetrazione del
tossico fino agli elementi proprî del midollo spinale, e che quindi ogni anestesia rachidea
è certamente, come già accennai, una anestesia midollare.
9. La eguaglianza delle alterazioni nei casi di rachianestesia da semplice stovaina ed
in quelli di rachianestesia stricno-stovainica autorizza ad addebitare alla stovaina la pro-
duzione delle alterazioni constatate.
LETTERATURA
Sleiter — Ricerche sperimentali isto-patologiche e cliniche sulla rachistovainizzazione — // /oliclinico S. P.
SN giugno 1906.
W. Spielmeyer -- Les altérations du systeme nerveux consecutives à la rachistovaînisation — Miret. need.
Wochensch. | aQui 1908.
Prof. Dr. Rehr — (Frankfurt a. M.) Experimentelle Erfahrungen iiber Rickenmarksanàsthesie — Arc/iv
fior Klin. Chirurgie. Bd. 90 — Berlin 1909 — S. 329-348.
Van Lier — citato dal Rehn.
Wossidlo — citato dal Rehn.
Klose e Voght — citato dal Rehn.
Dr. Franco Carini — Le modificazioni strutturali delle cellule nervose del midollo spinale nella cocainiz-
zazione alla Bier — Supplemento al Policlinico, anno 1900.
Nicosia Dr. Salvatore — Sull’ anestesia midollare e su alcuni problemi che vi si connettono — Azzi de?-
l Accademia Gioenia di scienze naturali in Catania. Serie V®, Vol. 5.
SPIEGAZIONE DELLA TAVOLA
(Tutti i disegni sono stati fatti con la camera lucida Koristka. )
FIGURA 1* Cellule delle corna anteriori del midollo lombare del cane della esperienza 6* con modificazioni della
cromatina (cromatolisi, acromatosi), rigonfiamento torbido, vacuolizzazione, modificazioni nucleari.
Metodo Boccardi. Oculare comp. 4 = Imm. omog. 1/9 Noristka.
» 2" Cellule delle corna anteriori della porzione lombare e dorsale inferiore del midollo spinale del cane
della esperienza 1% con modificazioni nucleari, della cromatina (cromatolisi, acromatosi) e vacuo-
lizzazione.
Metodo Boccardi. — Oculare comp. 4 — Imm. omog. */\9 Koristka.
» 3® Cellule dei gangli spinali e del midollo lombare del cane della esperienza 5* con alterazioni della
cromatina (cromatolisi, acromatosi), del nucleo, rigonfiamento torbido, vacuolizzazione.
Metodo Boccardi. Oculare comp. 4 —- Imm. omog. *jg Koristka.
» 4* Sezione del midollo caudale del cane della esperienza 5* con degenerazione primaria delle fibre ra-
dicolari posteriori e delle radici posteriori.
Metodo Donaggio per la degenerazione — formula 3%. Oculare N. 1 — 0606, N. 2 Koristka,
eee fiele od di
n al Li
Pat Ai
© Aoc (Gtoenia di Se Nat Sec Y Vol Vl
6Ialuzzo dis Lit. bacchinavdi è fervari-tavia
Memoria XI.
Istituto di anatomia umana normale della R. Università di Palermo
diretto dal Prof. R. Versari.
I nuclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo
per il Dott. GIOSUÈ BIONDI, Assistente.
RELAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. G. D' ABUNDO E G. STADERINI (Ltelatore)
Il Dott. Giosuè Biondi, con preparati seriali di encefalo di embrioni di pollo a diversi
stadi dello sviluppo e con preparati in serie di encefalo di pollo adulto, ha studiato i nu-
clei d’ origine e terminali del nervo trigemino.
Il metodo rigorosamente scientifico ha condotto l’ A. a risultati originali e molto in-
teressanti, sia per quello che si riferisce al trigemino sensitivo, sia per quello che riguarda
il triigemino motore. Per ciò la Commissione ad unanimità giudica il lavoro del dott.
Biondi degno di essere stampato negli Atti accademici.
Le ricerche di Turner, Poniatowski, Brandis, Mesdag relative ai nuclei d’origine e ter-
minali del nervo trigemino negli uccelli non sono pervenute a risultati concordi.
Secondo Brandis la radice sensitiva del quinto è composta di due fasci, di cui uno
termina nel nucleo sensitivo, mentre l’altro forma la radice spinale, che si può seguire
fin nei cordoni posteriori del midollo spinale. Non esiste radice sensitiva crociata, nè radice
cerebellare.
Il trigemino motore s’ origina da tre nuclei cioè:
1. da un nucleo interno, situato ventralmente alle fibre, che s’irradiano dorso-late-
ralmente dal rafe, in maggiore o minore rapporto di vicinanza col nucleo d'origine del
VI° paio.
2. da un nucleo intermediario, che rappresenta un prolungamento prossimale (im-
mediato o no) del nucleo del VII° paio. In alcune specie di uccelli manca (Astur nisus).
3. da un nucleo esterno il più voluminoso.
L'esistenza di fibre radicolari motrici crociate è, per Brandis, poco probabile. La ra-
dice mesencefalica non conterrebbe fibre radicolari, ma rappresenterebbe una via di secondo
ordine, collegante il tetto ottico al nucleo motore esterno, o principale del quinto.
Turner, invece aveva ammesso che il trigemino sensitivo ricevesse una radice cere-
bellare e Poniatowski una radice crociata. Per quel che riguarda il trigemino motore, Turner
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XI. I
2 Dott. Giosuè Brondi [MEMORIA XI.]
aveva notato la presenza del nucleo motore mediale e Poniatowski aveva descritto come
luogo d'origine di fibre radicolari crociate, una porzione interna del nucleo motore, che
potrebbe corrispondere al prolungamento prossimale del nucleo del VII, come descrive
Brandis.
Turner e Poniatowski, osservarono la radice mesencefalica, ma il primo non ne rico-
nobbe l'ulteriore decorso, il secondo la potè seguire fino al punto in cui raggiunge le fibre
motrici del quinto.
Più recentemente la radice mesencefalica degli uccelli è stata oggetto dei lavori di
Pedro Ramon Cajal, Ansalone, Wallenberg, i cui risultati saranno più oltre riferiti. Anche
Mesdag dà una minuta descrizione del decorso di questa radice.
Per il resto quest’ autore ammette che le fibre sensitive del quinto penetrate nel-
loblongata dividendosi T, si mettano da una parte in rapporto col nucleo sensitivo prin-
cipale e dall'altra vadano a costituire la radice discendente. Quanto al quinto motore
Mesdag ammette che esso s’origini esclusivamente dal nucleo motore esterno o principale
giacchè non fa menzione degli altri nuclei descritti. da Brandis.
Per le presenti indagini mi sono servito di preparati seriali di encefalo d’ embrioni di
pollo a diversi stadi dello sviluppo (da 8 a 19 giorni di incubazione, allestiti col metodo
di Cajal all'alcool ammoniacale (form. 3) o alla piridina (form. 53).
Ho anche esaminato preparati seriali di encefalo di pollo adulto colorati coi comuni
colori nucleari.
Tanto gli encefali di pollo adulto come gli encefali embrionali erano tagliati in modo
che l oblongata veniva colpita in senso trasversale.
Trigemino sensitivo. La radice sensitiva del quinto o grossa radice entra nell’ 0b/072-
gata lateralmente alla radice motrice. Essa manda fibre secondo tre direzioni:
1. alcune (le più mediali), dirigendosi distalmente vanno a costituire la radice di-
scendente o bulbo-spinale.
2. altre (le più laterali) con decorso obliquo verso l’' esterno si portano nel grosso
nucleo sensitivo, situato lateralmente (nucleo sensitivo di Brandis).
3. altre ancora a situazione intermedia (le più scarse) con decorso un po’ obliquo
verso l’ interno si dirigono dorsalmente.
Esaminando sezioni trasverse di Ob/ongata, colorate col metodo di Cajal non è pos-
sibile stabilire con certezza se le fibre radicolari sensitive del quinto penetrate nel tronco
cerebrale si biforchino a T. Però per la disposizione, per la direzione, e per i rapporti che
le tre correnti di fibre ora ricordate hanno nelle sezioni trasverse, sembra che le fibre ra-
dicolari del trigemino sensitivo nel tronco cerebrale si biforchino a T o ad Y. Una branca
di questa biforcazione andrebbe a costituire la radice bulbo-spinale, mentre |’ altra pren-
derebbe la direzione o delle fibre sopra menzionate sotto il n. 2 o di quelle menzionate
sotto il n. 3. Anche Mesdag, del resto, avendo esaminato sezioni longitudinali, quantunque
non abbia potuto osservare la biforcazione di singole fibre, ammette la divisione a T o
ad Y delle fibre radicolari del trigemino nel pollo.
I. La radice discendente è stata ben descritta da Brandis.
Se si segue questa radice dal punto d’ingresso delle fibre del quinto nell’ oblorgata
verso le parti più distali, si vede che ben presto essa acquista una configurazione semi-
Ò
I nuclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo Sì
lunare. Nella sua concavità rivolta medialmente essa abbraccia la sostanza grigia che le
è annessa.
Il nucleo di questa radice in sezione trasversa è di forma regolarmente rotondeggiante,
però non sempre è ben delimitato dalla circostante sostanza grigia.
Nei preparati al Cajal talora assume un colorito più oscuro di questa. In alcuni punti
il nucleo e la radice discendente contraggono fra di loro rapporti più intimi, nel senso che
alcuni piccoli fascetti di questa l’attraversano in senso longitudinale. In questo caso il nu-
cleo visto in sezione trasversa acquista un aspetto reticolare.
Le cellule che lo costituiscono sono piuttosto piccole e di solito s’impregnano poco
bene con l'argento ridotto. Fra di esse si trova un intreccio di fibre abbastanza fitto, le
quali in gran parte non sono che collaterali delle fibre della radice discendente.
Prevalentemente dal lato interno del nucleo si staccano delle fibre, per lo più isolate,
ma discretamente numerose, che si perdono nella circostante sostanza reticolare. Le vie
di 2° ordine che si originano da questo nucleo sono state ben studiate col metodo delle
degenerazioni da Wallenberg nel piccione. Secondo quest’autore si hanno delle fibre che
si perdono nella substazzia reticularis e nei nuclei motori dell’ ob/ongata ed altre fibre
che si possono seguire più in alto nel mesencefalo (GarzgZz0n mesencephali laterale) e
nel diencefalo.
Sull’ importanza fisiologica delle vie brevi riflesse trigeminali negli uccelli ha richiamato
l’attenzione Kappers. In questi animali, infatti, per lo scarso sviluppo della sensibilità ol-
fattoria e gustativa, gli stimoli sensitivi trasmessi dal quinto paio hanno (unitamente agli sti-
moli ottici) una grande importanza nella vita di relazione, specialmente per la ricerca del cibo.
Tanto la radice discendente come il suo nucleo vengono attraversate dalle fibre della
via acustica ventrale e da fibre arciformi, che dal rafe si dirigono verso la regione occu-
pata dai nuclei vestibolari.
Questa radice ha un decorso ed una topografia che corrisponde alla descrizione datane
da Brandis. Essa è situata ventralmente alle fibre radicolari del VII° e dell’ VIII°. Più di-
stalmente le fibre radicolari del IX e del X separono nettamente la radice discendente del
Vo situata ventralmente dalla radice discendente del VII[° situata dorsalmente ad esse.
In vicinanza del livello a cui la fossa romboidale si chiude, le fibre della radice di-
scendente del quinto (come quelle della radice discendente del VII[°) assumono un decorso
orizzontale, si dirigono dorsalmente ed alcune incrociano ad angolo retto le fibre radicolari
del vago.
Ancora più distalmente le fibre della radice discendente si dirigono decisamente dor-
salmente ed in dentro, lateralmente al fasciculus solztarius. A questo livello le vie
bulbo-talamiche occupano il lato esterno delle fibre della radice discendente e fra i due
sistemi quivi non esiste una netta separazione.
Quindi le fibre della radice discendente attraversano la sostanza grigia del corno po-
steriore dall'esterno verso l'interno e si situano medialmente ad esso formando la parte
più laterale del cordone posteriore.
2. Nucleo sensitivo. L’ estremità distale di questo nucleo si spinge a livello delle
fibre radicolari più prossimali del quinto. In sezione trasversale esso ha una forma semi-
lunare a concavità interna. Il suo margine dorsale è più rotondeggiante e largo che non
il margine ventrale sottile ed acuto. Lateralmente una linguetta di sostanza grigia separa
il nucleo dalle fibre costituenti le vie spino-cerebellare e cerebello-spinale.
4 Dott. Giosuè Biondi MEMORIA XI. |
Medialmente una porzione più estesa di sostanza grigia lo separa dal nucleo motore
principale. Le fibre radicolari o (probabilmente) la branca superiore originatasi della bifor-
cazione delle fibre radicolari penetrano nel nucleo sensitivo dal margine anteriore e dal lato
mediale.
Esso è formato da cellule multipolari piuttosto grandi, non sempre bene impregnabili
dell’ argento ridotto, fra cui si trova un fitto plesso di fibre di varia grandezza (microfot. 12),
Queste sono più abbondanti alla periferia del nucleo e formano una vera capsula perifo-
cale che lo delimita dalla circostante sostanza grigia (microfot. 1%) Le fibre di 2° ordine
che si originano in questo nucleo, fuoriescono dal suo lato mediale e dal suo lato dorsale.
Esse prendono due diverse direzioni: alcune (prevalentemente quelle che fuoriescono dal
lato mediale del nucleo) con decorso un po’ arcuato vanno medialmente verso il rafe, altre
(prevalentemente quelle che furiescono dal lato dorsale del nucleo) si dirigono verso il cer-
velletto, formando un fascio abbastanza robusto (microfot. 22). Questo fascio si impregna
bene solo negl’embrioni un po’ avanti nello sviluppo e in questi, per il grande numero di
fibre che in questa regione vengono colorate dall’ argento ridotto, il fascio non si può se-
guire che per un tratto assai breve. Esso si dirige dorsalmente ed un po’ medialmente,
ma non è possibile precisare in quali nuclei endocerebellari esso termini. Questa via quinto-
cerebellare è stata osservata col metodo delle degenerazioni da Frenkel e da Shimazono.
Mentre Frenkel in base ai risultati ottenuti è d’ avviso che negli uccelli di trigemino non
mandi alcuna fibra radicolare diretta nel cervelletto, Shimazono lascia la questione indecisa.
Per me è indubbio che il fascio testè descritto si origini in totalità del nucleo sen-
sitivo.
Esso quindi appartiene ai sistemi nucleo-cerebellari di Edinger.
:
9
I nuclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo 5
Questo fascio richiama alla memoria quello descritto da Bindewald nel cervello degli
anfibi e da lui denominato Comz2z:ssura intertrigemina.
Anche le fibre che si dirigono medialmente verso il rafe sono state studiate col me-
todo delle degenerazioni da Shimazono.
EJP.3%
6 Dott. Giosuè Biondi [MemorIa XI.]
Egli ha visto che queste fibre si decussano sulla linea mediana, ventralmente al fa-
sciculus longitudinalis posterior e le ha ulteriormente seguite: le fibre ventrali si per-
dono nella porzione laterale dell’ 0b/07rgata, le dorsali con decorso arciforme vanno al
cervelletto.
D' altra parte, com’ è noto, per le ricerche di Wallenberg. noi conosciamo una con-
nessione diretta di questo nucleo col cervello anteriore (/ractus quinto-frontalis). Per
senso boccale ,
“
questa via si trasmettono all’area paraolfattoria gli stimoli del cosidetto
(Oralsinne) di Edinger.
Questo senso negli uccelli ha molta importanza per la presa del cibo.
Elea:
3. Una piccola parte delle fibre radicolari (verosimilmente le branche superiori di bi-
forcazione, che si trovano più distalmente) con decorso obliquo verso l’ interno vanno dor-
salmente. Esse con direzione spiccatamente rettilinea si portano verso un gruppo di cellule
poliedriche, multipolari, di media grandezza che si trova nella parte anteriore del cs
cerebelli (microfot. 38). Questo gruppo cellulare ha specialmente nella sua porzione distale
limiti poco netti. Prossimalmente si spinge fino a livello delle fibre radicolari più caudali
del quinto, caudalmente arriva al livello in cui si trova il nucleo dorsale del VII. Esso si
trova medialmente in immediata vicinanza dell’ ependima ed è situato un po' all’ innanzi
del nucleo intermedio e del nucleo laterale inferiore (Cajal) del cervelletto. Esso non cor-
I nuclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo 7
risponde adunque al 7zc/eus processus cerebelli di Brandis, giacchè esso si trova in
sezioni più prossimali, ma in queste occupa una posizione che è analoga a quella occu-
pata dal muc/eus processus cerebelli. Le cellule che costituiscono il nucleo in questione
si colorano abbastanza bene con l’ argento ridotto.
Nelle sezioni condotte caudalmente al punto d’ingresso delle fibre radicolari del quinto
si nota la presenza di fibre rettilinee, le quali dalla radice discendente del quinto si por-
tano in questo nucleo (microfot. 4°).
Queste fibre con tutta verosimiglianza non sono che collaterali delle fibre della radice
discendente. Ad esse si accompagnano fibre che provengono dal rafe e che semplicemente
attraversano la radice discendente del quinto.
D'altra parte numerose fibre collegano il nucleo in questione ai nuclei endocerebel-”
lari. Cosicchè esso ha per le fibre del quinto lo stesso significato che il nucleo vestibolo-
cerebellare di Cajal ha per le fibre del nervo vestibolare. Si tratta di un nucleo intercalato
fra le fibre radicolari del quinto e i nuclei endocerebellari.
E ragionevole supporre che le fibre radicolari terminino nel nucleo in questione e che
nel cervelletto non arrivino fibre radicolari dirette, ma (insieme alle altre sopra descritte)
fibre di 2° ordine nate in questo nucleo.
Ci autorizzano ad ammettere ciò i risultati sperimentali di Frenkel, il quale, come ho
detto, in seguito al taglio del quinto nel piccione non ha trovato alcuna fibra degenerata
nel cervelletto.
Ch'io sappia nessun autore negli uccelli fa menzione della connessione delle fibre
radicolari del quinto con questo nucleo.
Trigemino motore. Il trigemino motore del pollo s’ origina da due nuclei, di cui l'uno
più voluminoso potrebbe essere chiamato nucleo motore principale e l’ altro nucleo ac-
cessorio.
Il nucleo principale occupa nell’ ob/orgata una posizione ventrolaterale ed è situato
metialmente e ventralmente al nucleo sensitivo.
In esso, come Mesdag ha visto, si possono nettamente distinguere due gruppi cellu-
lari: uno dorso-laterale ed uno ventro-mediale. (fig. 8). Le cellule che costituiscono il
gruppo dorso-laterale sono poliedriche, multipolari e sensibilmente più grandi delle cellule
che costituiscono il gruppo ventro-mediale. Quest’ ultime di solito sono fusiformi, col mag-
gior asse diretto in senso antero-posteriore. Una ulteriore suddivisione di questi gruppi cel-
lulari mi sembra assai incerta.
Il fatto che il nucleo motore del quinto nel pollo può dividersi in gruppi cellulari non
è nuovo filogneticamente. Anche ad es. nei teleostei, nel nucleo motore del quinto si può
distinguere una porzione anteriore ed una posteriore. Questa suddivisione è specialmente
evidente nella 77rca (Kappers) e nella 7yxt/a (Tello). Anzi secondo quest’ ultimo autore
nella porzione anteriore del nucleo motore del quinto si possono ancora distinguere altri
due gruppi cellulari secondarii.
D'altronde anche nei mammiferi (coniglio, cane) e nell'uomo si sono distinti diversi
gruppi cellulari nel nucleo motore del quinto e in essi si è localizzato il centro di singoli
muscoli o di gruppi muscolari (Schuzo-Kure, Parhon e Nadejde, Goldstein e Minea, Willems).
Le fibre radicoleri fuoriescono dal nucleo dal suo lato esterno e formano dei piccoli
fascetti arcuati a convavità mediale.
Come si vede nella microfotografia 5 a livello del nucleo motore principale del quinto
8 Dott. Giosuè Biondi [MemoRrIA XI.]
si hanno delle fibre discretamente numerose che, lassamente unite fra di loro, decorrono
dorsalmente, proprio al di sotto dell’ ependima, in senso orizzontale. Un certo numero di
esse ad un certo punto si spiega ad arco e si dirige all’ innanzi verso il nucleo motore prin-
cipale del quinto. Esse descrivendo degli archi a concavità mediale costeggiano per un certo
tratto il lato esterno del nucleo, vi penetrano e si perdono nell’ intreccio fibrillare di questo.
Donde provengono queste fibre ?
Negli uccelli, diversi sistemi di fibre a decorso trasversale occupano la parte affatto
dorsale dell’ ob/ongata al di sotto dell’ependima. Fra questi ricordo le fibre costituenti la
via acustica dorsale, le fibre radicolari dirette crociate del nervo vestibolare, le fibre di se-
condo ordine nate in alcuni nuclei terminali di questo nervo (prevalentemente nel nucleo
tangenziale) e le fibre che penetrano nell’ob/orgaza insieme alle fibre radicolari del VII e
che si portono medialmente.
Le fibre a direzione trasversale, decorrenti dorsalmente al di sotto dell’ ependima, che
noi troviamo a livello dei nuclei del quinto, hanno diversa origine.
Alcune provengono dal cervelletto e non sono che le fibre più caudali della via ce-
rebello-tegmentale; esse sono state designate da Mesdag col nome di Commzssura pontis.
Altre provengono dalla regione dorso-laterale dell’ 0b/07,gaza e precisamente da un’area
che più distalmente corrisponde all’ area acustica. In un embrione di 17 giorni d’incuba-
zione ho potuto chiaramente constatare che un certo contingente di fibre si origina dal nu-
cleo, situato nella porzione anteriore del c7ws ceredel/lz, che io ho sopra descritto come
una delle stazioni terminali del trigemino sensitivo. Ho inoltre notato che sono le cellule
più ventrali di questo nucleo, quelle che inviano i loro cilindrassi nel fascio in questione.
Buona parte delle fibre di questo fascio si decussa sulla linea. mediana dopo essere
passata dorsalmente al fasciculus longitudinalis posterior o fra le fibre di questo, al-
tre fibre si uniscono alle fibre del fascziculus longitudinalis posterior dello stesso lato.
Secondo Mesdag le fibre della Comz77/ssura pontis in massima parte si piegano
I nuclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo 9
rostralmente unendosi al fasczculus longitudinalis posterior omolaterale; poche oltrepas-
sano la linea mediana.
Mesdag fa menzione delle fibre arciformi che vanno dalla Comzssura pontis al
nucleo motore principale del quinto. Egli però le considera come fibre radicolari che in-
sieme alle fibre della Corz7r2/ssura pontis vadano verosimilmente in parte nel fasczczulzns
longitudinalis posterior dello stesso lato.
Per decidere con sicurezza se qui ci troviamo in presenza di fibre radicolari o di fi-
bre di secondo ordine afferenti (colleganti, cioè altri centri col nucleo motore del quinto)
occorrerebbero ricerche condotte col metodo delle degenerazioni.
Però nei preparati embrionali allestiti col metodo di Cajal si rileva che in generale le
fibre che provengono dalla Co77777/ssura pontis sono più sottili delle fibre radicolari. Esse
inoltre non hanno la stessa direzione di queste (vedi microfotografia 5).
La direzione ed i rapporti topografici delle fibre in questione sono tali, da indurci a
ritenere come assai verosimile che la massima parte di queste fibre siano vie di secondo
ordine nate in alti nuclei e terminanti nel nucleo motore principale del quinto.
Ma donde esse si originano ?
Mi pare che possa escludersi che esse s’'originino dal cervelletto. Nessun autore che
io sappia ha ottenuto la degenerazione di questo fascio in seguito a lesioni cerebellari.
Shimazono nega che esista. una connessione diretta fra il cervelletto ed il nucleo motore
del quinto.
Frenkel avrebbe osservato delle fibre che dal fascio cerebello-spinale vanno in questo
nucleo. Ma queste fibre come si rileva dalla fig. 14 che accompagna il lavoro di quest’ au-
tore non corrispondono affatto alle fibre di cui ci occupiamo, nè, d'altra parte, di esse ho
potuto costatare l’esistenza.
Adunque le fibre in questione possono provenire dal fasciculus /ongitudinalis po-
stertor e dal nucleo sensitivo controlaterale del quinto, situato nel crus cerebe/lz. In que-
Fig. 6.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XI.
N
10 Dott. Giosuè Biondi [MEMORIA XI.]
sto caso noi avremmo una connessione crociata di uno dei nuclei sensitivi del quinto col
nucleo motore principale dello stesso nervo.
Il nucleo accessorio del trigemino è situato più medialmente e più dorsalmente del
nucleo principale (microfot. 6) ed ha in sezione trasversa una forma ovoidale col maggior
asse diretto trasversalmente. .
È situato lateralmente al /asciculus /ongitudinalis posterior, ma ne è separato da
un certo spazio, quello stesso spazio, che in sezioni più distali è occupato dal nucleo del-
l’abducente.
Immediatamente accollato al suo lato dorsale si trova il fascio di fibre testè ricordato
(Commissura pontis) che lo separa dall’ ependima. Le fibre radicolari fuoriescono per il
margine laterale del nucleo, per un certo tratto più o meno breve si dirigono in fuori,
quindi descrivono un arco ed acquistano un tragitto rettilineo un po’ obliquo verso l’ interno.
Talora esse decorrono fra le cellule più: distali del nucleo motore principale. Sempre, però,
le fibre originatesi dal nucleo accessorio formano la parte più mediale del tronco delle fi-
bre radicolari motrici.
Nella microfotogr. 6 il nucleo coi rapporti descritti è bene evidente. Il tronco delle
fibre radicolari che da esso si origina si può seguire solo per un breve tratto, giacchè è
stato reciso dal taglio. Viceversa nella microfot. 7 questo tronco si può seguire quasi in
Fig. 7.
tutto il suo decorso intrabulbare, però non è visibile il nucleo d'origine che, per l’ inclina-
zione data al pezzo, si trova in sezioni più prossimali.
Le cellule che costituiscono il nucleo accessorio del quinto sono poliedriche e multi-
polari, ma sensibilmente più piccole di quelle che costituiscono il nucleo motore principale.
Fra di esse si trova un plesso discretamente ricco di fibre, le quali in grande maggio-
ranza provengono dalla Commissura pontis.
I nuclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo ll
Nel pollo oltre ai due nuclei descritti non si ha alcuna altra sorgente di fibre radico-
lari motrici del quinto.
Dalle interessanti ricerche di Kappers risulta che filogeneticamente negli uccelli (ec-
cettuato il genere Caszarzs) è avvenuta una migrazione in senso ventrale del nucleo mo-
tore del quinto. Questa migrazione, della quale si cominciano già ad avere evidenti segni
in alcuni rettili, è da spiegarsi, secondo Kappers, con lo sviluppo e la importanza che ac-
quistano le vie riflettorie brevi, originatesi dal nucleo sensitivo del quinto. Però nel pollo
e verosimilmente in altri uccelli oltre al nucleo motore principale a situazione ventrale ab-
biamo il nucleo motore accessorio a situazione affatto dorsale.
Quest'ultimo nucleo ha perciò una situazione filogeneticamente primitiva e su di esso
non hanno evidentemente agito gli stimoli neurobiotattici che provocarono la migrazione
ventrale del nucleo principale del quinto.
Entrambi i nuclei come abbiamo visto sono in connessione con le fibre della Corz-
missura pontis. Indubbiamente il nucleo dorsale deve avere poca o punta importanza
nella ricezione degli stimoli che condotti dalle vie secondarie brevi del quinto sensitivo
provocano azioni riflesse. La funzione di raccogliere questi stimoli spetta invece prevalen-
temente al nucleo ventrale o principale.
Radice mesencefalica. — Molto si è discusso sulla natura e sul significato della radice
mesencefalica del quinto e del suo nucleo.
Nei recenti lavori di Valkenburg, Willems e Kosaka si trova un’ esposizione riassuntiva
e critica della questione.
Certo sempre più terreno acquista l’idea di Iohnston, il quale considera il nucleo di
questa radice come una parte della cresta gangliare rimasta dentro il mesencefalo. Le fibre
costituenti la radice mesencefalica avrebbero il valore di dendriti, non di cilindrassi. Que-
sti, invece, più sottili s' originerebbero ora dal dendrite, ora dalla cellula e terminerebbero
nel tetto ottico.
Io qui mi limito semplicemente a menzionare i lavori che si riferiscono alla radice
mesencefalica del quinto negli uccelli.
Brandis, come ho detto, la considera come una via di secondo ordine collegante il
tetto ottico al nucleo motore del quinto.
Pedro Ramon Cajal fu il primo che impregnò coll’ argento ridotto questa radice e le
sue cellule negli uccelli ed in altri vertebrati inferiori. Secondo le sue osservazioni la ra-
dice mesencefalica del quinto negli uccelli si origina da cellule, che si trovano distribuite
in una serie regolare dorsalmente all’ acquedotto di Silvio nella commissura interlobare.
Esse sono piriformi, talora bipolari o tripolari.
Pedro Ramon Cajal considerò queste cellule come di natura motrice e al loro insieme
diede il nome di nucleo masticatore.
I risultati delle ricerche ulteriori di Ansalone differiscono da quelli delle ricerche di
Cajal specialmente per quel che riguarda la topografia delle cellule d’origine della radice
mesencefalica. Secondo Ansalone queste cellule nel pollo non sono disposte a formare un
nastro regolare, come descrive Cajal, se non negli stadii embrionali precoci. Viceversa col
progredire dello sviluppo le cellule situate nella commissura interlobare si separano netta-
mente da quelle che si trovano al di sotto della sostanza bianca profonda del tetto ottico.
Il gruppo cellulare che si trova nella commissura si spinge più prossimalmente di quello
12 Dott. Giosuè Biondi |MemorIa XI.|
situato nei lobi ottici. I cilindrassi, che si originano dalle cellule situate nei lobi ottici si
dirigono in alto (dorsalmente) descrivendo delle curve.
Wallenberg nel piccione in seguito a lesioni del tetto ottico e del 7224c/eus m2agni-
cellularis osservò la degenerazione della radice mesencefalica.
“gli potè seguire questa radice nel nucleo motore principale del quinto ed anche in
corrispondenza delle radici motrici di questo nervo. Inoltre, secondo Wallenberg, alcune
fibre isolate della radice mesencefalica si portano al nucleo mediano del cervelletto, mentre
altre si dirigono caudalmente e terminano in corrispondenza delle cellule motrici della
substantia relicularis.
La presenza di questa connessione della radice mesencefalica col cervelletto è stata
confermata da Shimazono.
Secondo Frenkel, invece, non vi è alcun fondamento per ritenere che queste fibre,
che dal tetto ottico vanno al cervelletto, appartengano al trigemino.
Mesdag dà una descrizione dettagliata e precisa di questa radice e delle sue cellule
d'origine.
Secondo le mie osservazioni le caratteristiche cellule di origine di questa radice
(Nucleus magnicellularis tecti di Edinger) si trovano nei lobi ottici e nella commissura
interlobare. Nei lobi ottici esse sono situate al di sotto del cosidetto “
(tiefes Mark).
Se prendiamo ad esaminare tagli seriali condotti attraverso il mesencefalo, andando
midollo profondo ,,
dall’ innanzi verso l’indietro (cioè da regioni più prossimali verso regioni più distali) ve-
diamo che le cellule vescicolari situate nei lobi ottici compaiono ad un dipresso allo stesso
livello in cui compaiono le cellule situate nella commissura interlobare. Però quest’ ultime
talvolta si spingono un po’ più prossimalmente.
I due gruppi cellulari (dei lobi e della commissura) dapprima sono fra di loro comple-
tamente indipendenti e separati. Ma in sezioni un po’ più caudali fra i due gruppi cellulari
troviamo scaglionate delle cellule vescicolari più o meno scarse e in corrispondenza di que-
ste sezioni può dirsi che effettivamente le cellule d’origine della radice mesencefalica del
quinto formano quasi un unico gruppo cellulare nastriforme, di cui una parte è situata nei
lobi ottici ed una parte nella commissione interlobare. Ancora più caudalmente le cellule
situate nei lobi scompaiono, mentre sono ancora numerose quelle situate nella commissura.
Anzi la presenza di queste cellule in questa commissura si può costatare fino a livello
del nucleo del terzo paio. .
Tanto nel tetto come nella commissura le cellule si trovano ora isolate ora riunite
in piccoli gruppi.
La loro morfologia dopo le descrizioni di Cajal e di Ansalone e di altri autori è ab-
bastanza nota, perchè sia necessario che io qui me ne intrattenga.
Solo dirò che fra le cellule situate nella commissura e quelle situate nei lobi non si
trovano differenze morfologiche tali, da imprimere un carattere speciale a ciascuno dei due
gruppi cellulari. Nei preparati al Cajal le cellule situate nel tetto si trovano (non costante-
mente, ma spesso) completamente annerite, mentre quelle della commissura mostrano una
chiara impregnazione neurofibrillare. Ma questo diverso comportamento di fronte al metodo
di Cajal più che con differenza fisico-chimiche o strutturali di citoplasma può spiegarsi
con la diversa topografia che i due gruppi cellulari hanno nei pezzi che s’ impregnano col
metodo di Cajal. Infatti spesso la porzione del tetto ottico ove si trovano le cellule in
I mucler d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo 13
questione si presenta sovraimpregnato, con depositi granulari di nitrato d’argento, mentre
nella commissura si ha un “ optimum ,, di colorazione sia del fondo come delle neurofibrille.
Anche dal punto di vista topografico non mi sembra giustificata l’ individualizzazione
dei due gruppi cellulari. dato che per un certo tratto essi si riuniscono a formare una
serie cellulare quasi continua.
Adunque le cellule di origina della radice mesencefalica del quinto formano un nucleo
unico, esteso in superficie, che nella sua parte mediana si estende più in senso caudale.
Delle fibre che si originano dalle cellule piriformi situati nel tetto alcune si dirigono
medialmente, altre si portano per un certo tratto con direzione rettilinea dorsalmente, quindi
si spiegano ad arco e si portano medialmente, riunite in piccoli fascetti.
E ben probabile che una parte di queste fibre si decussino nella commissura, ove si
trovano numerose grosse fibre a decorso orizzontale.
Dopo questo primo tratto a decorso orizzontale le fibre assumono un decorso longi-
tudinale e nelle sezioni trasversali del mesencefalo formano un fascio tagliato trasversal-
mente, situato in corrispondenza dell'angolo esterno dell’ acquedotto di Silvio, lateralmente
ad un cumulo ben deliminato di sostanza grigia subependimale.
Le fibre radicolari del IV. decorrono medialmente a questo fascio e dorsalmente in
parte vengono a contatto con le fibre più distali della radice mesencefalica del quinto, che
decorrono orizzontalmente nella commissura.
In corrispondenza dell’ estremità caudale del nucleo del IV la radice mesencefalica
forma in sezione trasversa un fascio appiattito, talora di forma semilunare. Un po’ più
distalmente questo fascio perde la sua compattezza, le sue fibre si divaricano e cambiando
di direzione si dirigono ventralmente, verso il nucleo motore o principale del quinto (fig. 8).
Fig. 8.
Esaminando embrioni precoci (8 giorni d’ incubazione, fig. 9) come embrioni più avan-
zati nello sviluppo si riceve nettamente l'impressione che unite alle fibre della radice mez-
14 Dott. Giosuè Biondi [MEMORIA XI.]
sencefalica penetrino nel nucleo motore principale del quinto anche fibre di origine cerebel-
lare. Specialmente il reperto riprodotto nella fig. 9 sembrerebbe avere in proposito molta
efficacia diniostrativa. Ma con probabilità l’esistenza di fibre cerebellari qui è solo appa-
Fig. 0.
rente. Infatti dalle ricerche di Wallenberg, confermate da Shimazono, sappiamo che una
parte delle fibre della radice mesencefalica penetra nel cervelletto. Cosicchè per peculiari
rapporti topografici non è improbabile che le fibre che sembrano provenire dal cervelletto
in realtà non siano che le fibre segnalate da Wallenberg. D'altra parte nè Frenkel, nè
Shimazono, nè altri in seguito alle lesioni più svariate del cervelletto hanno visto degene-
rare delle fibre, che miste alle fibre più caudali della radice mesencefalica si portassero
nel nucleo motore principale del quinto.
Frenkel ammette l’esistenza di fibre che dal fascio cerebello-spinale vanno al nucleo
motore del quinto, ma queste sono ben altra cosa di quelle di cui ci occupiamo. Perciò
ritengo poco probabile che miste alle fibre più caudali della radice mesencefalica penetrino
nel nucleo motore del quinto fibre di origine cerebellare.
Nei preparati allestiti col metodo di Cajal si nota con la massima chiarezza che le
fibre della radice mesencefalica penetrano nel nucleo motore principale dal lato dorsale.
Se i risultati delle indagini sperimentali non ci venissero in aiuto qui noi non potremmo
sicuramente decidere se questo nucleo fosse una stazione terminale di queste fibre o sem-
plicemente un punto per cui le fibre passano prima di immettersi nel tronco delle fibre
radicolari e di raggiungere con esse la periferia.
I muclei d'origine e terminali del nervo trigemino nel pollo IO
Ma Wallenberg nel piccione non solo ha seguito queste fibre nel nucleo motore, ma
anche fin nel tronco delle fibre radicolari.
Kosaka osservò fenomeni degenerativi (quantunque lievi) nelle cellule di origine della
radice mesencefalica in un pollo, cui era stata lesa la terza branca del quinto, mentre
queste cellule furono trovate integre in un tacchino sopravvissuto circa tre settimane al
taglio della seconda branca dello stesso nervo. Così sappiamo che negli uccelli le fibre
della radice mesencefalica non solo si uniscono alla fibre radicolari, ma raggiungono la
periferia insieme alle fibre della terza branca del quinto.
Palermo, Settembre 1912.
LAVORI CITATI
G. Ansalone — Il nucleo motore del V° nel mesencefalo degli uccelli. Il ganglio ectomammillare. Il Manico-
mio. Anno XXIII.
C. U. Ariéns Kappers — The migrations of the bulbar Trigeminus, abducens und facialis in the series of
vertebrates, and the differences in the course of their root-fibres. Verhandelingen der Koniklijke Akad.
van Wetensch. the Amsterdam Tweed Sectie. Deel. XVI n. 4.
» Die phylogenetische Entwicklung der motorischen Wurzelkerne in Oblongata und Mittelhirn. -— Folia
neurobiologica. Erginzungsheft 1912.
C. Bindewald — Eine Commissura intertrigemina im Amphibiengehirn, — Anat. Anz. B. XL.
Brandis — Untersuchungen iilber das Gehirn der Vogel, — Arch. f. mikr. Anat. B. XLI, XLII, XLII, XLI, XLiV.
L. Edinger — Vorlesungen iber den Bau der nervòsen Zentralorgane. — Leipzig 1909.
B. Frenkel — Die Kleinhirnbahnen der Taube. Bull. intern. de l’ Acad. des Sciences de Cracovie, 1909.
M. Golastein et J. Minea — Quelques localisations dans le noyau de l’hypoglosse et du trijumeau chez
l homme. — Folia neurobiologica B. III.
K. Kosaka — Zur Frage der physiologischen Natur der zerebralen Trigeminuswurzel — Folia neurobiolo-
gica B. VI.
J. O. Johnston — The Radix mesencephalica Trigemini. — Anat. Anz. B. 12 — Journ. of. comp. Neurolo-
gie, 1909.
Mesdag — Bijdrage tot de ontwikkelingsgeschiedenis von de structuur der hersenen bij het Kipènembryo. —
Groningen, 1909.
Parhon et Nadedje Contribution à l’ètude des nerfs craniens chez l'homme et chez les chiens. — Journ.
de neurol. 1906.
Poniatowski — Ueber die Trigeminus wurzel im Gehirne des Menschen nebst einiger vergleichend-anatomischen
Bemerkungen. — Jahrb. f. Psych. B. Il.
P. Ramon y Cajal — Origen del nervio masticador en las aves, reptiles y batracios. — Trab. del lab. de
inv. biol. Tomo III.
S. Ramon v Cajal — Los ganglios centrales del cerebelo de las aves. — Traveaux du lab. de recherches
biol. ecc. Tomo, VI.
» Les ganglions terminaux du nerf acustique des oiseaux. — Ibidem.
» Contribucion al estudio de los ganglios de la sustancia reticular del bulbo ecc., Trab. del lab. de inv.
biol. ecc. Tomo VII.
J. Shimanzono — Das Kleinhirn der Vogel. — Arch. f. mikr. Anat. 1912.
Schuzo-Kure — Normale und pathologische Structur der zerebralen Wurzel des Nervus Trigeminus. — Ober-
steiner’s Arbeiten 1899.
F. Tello — Contribucion al conocimento del encefalo de los teleosteos. Los nucleos bulbares. Trab. lab. inv.
biol. Madrid. Vol. VII, 1909.
Turner — Morpologie of the avian brain. — Journ of comp. neurol. 1891.
16 Dott. Giosuè Biondi [MemoRIA XI.]
C. T. v. Valkenburg — Zur vergleichende Anatomie des mesencephalen Trigeminnsanteils. — Folia neuro-
biologica B. V.
A. Wallenberg — Eine Verbindung caudaler Hirnteile der Taube mit dem Striatum (tr. istmo-striatus oder
bulbo-striatus?). -— Neurol. Zentralbl. 1898.
» Der Ursprung des Tractus istmo-striatus oder bulbo-striatus der Taube. -- Neurol. Zentr. 1903.
» Neue Untersuchungen iiber den Hirnstamm der Taube. 11°. Sekundàre sensible Bahnen im Hirnstamm
der Taube. — Anat. Anz. B. XXIV.
» Neue Untersuchungen iiber den Hirnstamm der Taube Ill. Die zerebrale Trigeminuswurzel. — Anat.
Anz. B. XXV.
E. Willents — Les noyaux masticateur et masencephalique du trijumeau chez le lapin. — Nevraxe. Vol. XII. 19II.
Memoria XII.
Dall’ Istituto di Fisiologia sperimentale della R. Uuiversità di Catania
diretto dal prof. A. Capparelli.
Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno
per il dott. SALVATORE LAVAGNA, assistente
RE SZIONE
DELLA COMMISSIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. M. ASCOLI E A. CAPPARELLI (Lezatore).
L’A. ha trovato dettagli importanti e nuovi nel meccanismo dell’emolisi da triton-veleno,
mettendone in rilievo i caratteri differenziali da altri veleni noti.
Stimiamo pertanto che il lavoro sia degno d’ essere inserito negli Atti Accademici.
Sommario: Cenni preliminari — Limiti del potere emolitico del triton-veleno — Attivazione del triton-veleno
per mezzo dei sieri animali (normali e patologici) e della lecitina — Inattivazione del triton-veleno me-
diante agitazione all’ aria libera e tentativi di riattivazione con siero — Considerazioni generali — Con-
clusioni.
I. Cenni preliminari.
Gli studî del Capparelli (1) sul triton-veleno hanno dimostrato che esso, tra i veleni
degli altri animali, è il più puro chimicamente e possiede le più elevate proprietà emolitiche.
Mentre il cobra-veleno, come risulta dai lavori del Calmette (2), non agisce, da emolitico,
senza l'intervento o del siero di cavallo riscaldato a 56° o della lecitina ; il veleno di tri-
tone agisce tale quale dissolvendo i globuli rossi senza l’ aggiunzione di altra sostanza.
Affinchè il triton-veleno possa esplicare le sue proprietà emolizzanti è necessario che
esso sia manipolato —- com'è risaputo -- immediatamente dopo preparatane la sospensione
in soluzione fisiologica; giacchè trascorsi parecchi giorni — 6, 7 giorni d'estate; 15, 20
d'inverno — il veleno, lasciato in sospensione, perde completamente il suo potere emolitico.
Scopo del lavoro. — Col presente lavoro io mi sono proposto un triplice scopo:
1°) di studiare esattamente i limiti del potere emolitico del triton-veleno, avendo ado-
perato questo ora secco, ora fresco ed ora dopo parecchio tempo di distanza dall’ una
‘all'altra catturazione di animali; 2°) di vedere se, al di là dei limiti del potere emolitico
(a cominciare dalle dosi incompletamente emolitiche ed a finire a quelle assolutamente
inattive), il veleno di tritone potesse riacquistare o meno le proprietà emolizzanti, aggiun-
(1) A. CAPPARELLI. A/cune proprietà biologiche del veleno di triton cristatus. Negli Atti dell’Accademia
Gioenia di Scienze naturali — Catania Serie 5 V. 5. 1912.
(2) A. CALMETTE. Les venins. Paris, Masson et C. 1912.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XII.
W
Dott. Salvatore Lavagna [Memoria _XII.|
gendo ad esso della lecitina o dei vari sieri animali, sia normali che patologici, oppure
adoperando anzi che le emazie lavate e centrifugate , il sangue semplicemente defibrinato
e quindi non privo del rispettivo siero; 3°) di vedere se fosse possibile d’ inattivare il ve-
(13
leno mediante “ agitazione , all’ aria libera e di riattivarlo coll’aggiunta di un siero.
II. Limiti del potere emolitico.
Veleno fresco. -- Ho pesato esattamente gr. 0.001 di veleno fresco, raccolto dalla
cute dell’'animale mediante i procedimenti stessi dettati dal Capparelli. Questa esigua quan-
tità la ho poscia macerata in piccolo mortajo di porcellana e sospesa in gr. 300 di solu-
zione fisiologica a 0, 85 0/o.
Pronta così Ja sospensione di veleno fresco a 1: 300.000, ho preparata una sospen-
sione di globuli rossi di bue lavati e centrifugati (cm? 5 di emazie in cm? 100 di soluz.
fis. a 0.85 0/0).
Ecco pertanto come sono state da me allestite le prove ed i resultati ottenuti:
Ho distribuita in una serie di n. 6 provette la sospensione di triton-veleno a 1:300.000
nell’ ordine seguente: nella 1% cm? 1; nella 2* cm3 0.75; nella 3* cm? 0.50; nella 48
cm? 0,25; nella 5* cm? 0.10; nella 6a cm? 0.05.
In ciascuna provetta ho inoltre versato cm* 1 di emazie di bue lavate e centrifugate
- soluzione fisiologica a 0.85 °/, quanto basta per cm? 2.
Talchè cem? 0.75 della sospensione di veleno a 1: 300.000 corrispondono a una so-
spensione a 1: 400.000; cin? 0.50 ad una sospensione a 1: 600.000; cm? 0.25 ad una
sospensione a 1: 1.200.000; cm? 0.10 a una sospensione a 1: 3.000.000; cm 0.05 a
una sospensione a 1: 3.500.000.
Ho conservato le provette in termostato a 37° per 1/, ora.
Dopo 24 ore, resultati: nelle provette n. 1, n. 2 e n. 3 emolisi completa; nella pro-
vetta n. 4 emolisi incompleta; nella provetta n. 5 emolisi debole; nella provetta n. 6 emo-
lisi negativa. V. Tabella I.
Fino a 1: 1.000.000 può ritenersi dunque che il veleno fresco di tritone produce
completa emolisi, cominciando l’ emolisi a diminuire da diluizioni progressivamente mag-
giori di veleno e cioè da 1: 1.200.000 fino a 1: 3.000.000, oltre il quale limite il veleno
diventa assolutamente inattivo.
Veleno essiccato (dopo 6 giorni dalla estrazione). — Ho in prosieguo adoperato
il veleno degli animali stessi, essiccato, dopo 6 giorni dalla sua estrazione, e, presentantesi
a minute scaglie, bianco-grigiastre.
Ne ho pesato esattamente gr. 0.001, l’ho triturato in mortaio e sospeso in cm? 100
di soluzione fisiologica a 0.85 °/,. Pronta così la sospensione del veleno a 1: 100.000 e
preparata pure la sospensione dei globuli (5: 100), ho distribuito in una serie di n. 6
provette la sospensione di veleno e di emazie nell’ordine che segue: in tutte e 6 le pro-
vette cm3 1 di emazie ;-|-: nella provetta n. 1 cm? 1 di sosp. del veleno a 1: 100.000;
nella provetta n. 2 cm? 0.75; nella provetta n. 3 cm3 0.50; nella provetta n. 4 cm3 0.25;
nella provetta n. 5 cm? 0.10; nella provetta n. 6 cm 0.05; + soluzione fisiologica a
0.85 °/, in ciascuna provetta quanto basta per portare la miscela a cm3 2. Talchè cm? 0.75
della sospensione del veleno a 1:100.000 corrispondono ad una sospensione a 1: 150.000;
Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno
cm} 0.50 ad una sospensione a 1: 200.000; cm3 0.25 a una sospensione a 1: 400.000 ;
cm? 0.10 a una sospensione a 1: 1.000.000; cm? 0.05 ad una sospensione a 1: 1.500.000.
Ho chiuso le provette per ‘/, ora in termostato a 37°.
Dopo 24 ore, risultati: nelle provette n. 1, n. 2, n. 3, n. 4, n. 5 emolisi completa;
nella provetta n. 6 emolisi negativa. V. Tabella II.
Anche col veleno secco (dopo pochi giorni dall’estrazione), può dunque ritenersi che
l’emolisi completa va fino a 1: 1.000.000, arrestandosi completamente a 1: 1.500.000.
Veleno secco, stagionato, e, provenziente da una catturazione d' animali diversa
da quella con cui sono state fatte le precedenti esperienze. — Ho adoperato infine
il veleno secco, stagionato (dopo già un anno dalla sua estrazione), e, presentatesi a mi-
nute scaglie bruno-giallastre, di un colorito perciò più sporco di quello del veleno secco
da pochi giorni, e, proveniente da altri tritoni.
Ne ho pesato anche di esso esattamente gr. 0.001 e l ho triturato in mortajo e so-
speso in cm3 100 di soluzione fisiologica a 0.85 °/-
Ho indi distribuita una tale soluzione di veleno (i: 100.000) in una serie di n. 5
provette nell’ordine seguente : nella provetta n. 1 cm” 1; nella provetta n. 2 cm? 0.75;
nella provetta n. 3 cm? 0.50; nella provetta n. 4 cm? 0.25; nella provetta n. 5 cm? 0.10.
In ciascuna ho versato cm3 1 di emazie di bue -| soluzione fisiologica a 0.85 °/o quanto
basta per cm? 2. Talchè cm3 0.75 della sospensione di veleno stagionato a 1: 100.000
corrispondono a una sospensione a 1: 150.000; cm.* 0.50 a una sospensione a 1: 200.000;
cem? 0.25 a una sospensione a 1: 400.000 ; cm? 0.10 ad una sospensione a 1: 1.000.000.
Ho conservato le provette in termostato a 37° per 1/s ora.
Dopo 24 ore, resultati: nella provetta n. 1 emolisi completa, nella provetta n. 2 emo-
lisi incompleta, debole nella provetta n. 3, negativa nelle altre. V. Tabella III.
III. Attivazione del triton-veleno per mezzo dei sieri animali
(normali e patologici) e della lecitina.
Delle medesime diluizioni di triton-veleno di cui mi son servito nelle precedenti espe-
rienze (e cioè del triton-veleno fresco, essiccato, stagionato), ho adoperate le dosi 72072
emolitiche o zrcompletamente o debolmente emolizzanti, per vedere se, aggiungendo ad
esse i varî sieri animali, potessero acquistare o meno il potere emolitico. Ecco pertanto
come io ho proceduto nelle mie esperienze.
Attivazione del veleno fresco. — Della sospensione del triton-veleno fresco a
1: 300.000, sappiamo — v. Tabella I. — che cm’ 0.25 dànno una emolisi incompleta,
cm 0.10 una emolisi debole, negativa invece la dànno cm? 0.05, e cioè alla dose di
1: 1.200.000 e di l: 3.000.000 il veleno fresco è incompletamente o debolmente emoli-
tico, inattivo addirittura alla dose di 1: 3.500.000.
Orbene. Io ho preso n. 6 provette: nella 18 ho versato cm? 0.25 della sospensione
suddetta; nella 2* cm? 0.10; nella 3a cm? 0.05. Ho aggiunto in ciascuna cm? 0.1 di siero
fresco di coniglio + cm* 1 di emazie + soluz. fis. quanto basta per cm? 2. La 4a, la 5a
e la 68 provetta mi sono servite da controlli.
Mezz’ ora in termostato a 37°. Dopo 24 ore, risultati: emolisi completa nelle provette
4 Dott. Salvatore Lavagna
Memoria XII.]
n. 1, 2 e 3, emolisi incompleta nella provetta n. 4, debole nella provetta n. 5, negativa
nella provetta n. 6. V. Tabella IV.
Il siero fresco di coniglio quindi attiva il veleno di tritone, fino a renderlo emolitico
anche alla dose, in cui da solo, è assolutamente inattivo (1: 3.500.000).
Attivazione del veleno essiccato (dopo 6 giorni). — Della sospensione a 1: 100.000
del veleno stesso di cui mi son servito nelle precedenti esperienze, ma essiccato (dopo 6
giorni dalla sua estrazione), si sa, secondo che ci spiega la Tabella II, che cm3 0.05 non
producono più emolisi, e cioè il veleno è inattivo alla diluizione a 1: 1.500.000.
Orbene anche se a tale dose aggiungiamo del siero, e, precisamente, come io ho
fatto, del siero d'uomo (sifilitico) sia fresco che razt/vato, il veleno riacquista le pro-
prietà emolizzanti. V. Tabella V. i
Quindi i sieri, anche se patologici, sia freschi che inattivati, attivano il veleno di tritone.
Attivazione del veleno secco, stagionato. -- Altra serie di esperienze ho voluto
istituire col veleno stagionato.
Si sa, come ci apprende la Tabella III, che oltre i cm? 0.50 della sospensione a
1: 100.000 il veleno è assolutamente inattivo.
Ho quindi preso n. 14 provette, delle quali la 12, la 22, la 32, la 122a, 13? e 14a
“
mi sono servite da “ controlli ,,, le altre da prove propriamente dette. V. Tabella VI.
Le provette da 1 fino a 3, in ciascuna delle quali ho mescolato soltanto emazie di
bue e veleno nelle dosi da me adoperate nelle provette 3, 4, 5 della Tabella III, mi for-
nirono gli stessi resultati della detta Tavola, cioè: emolisi negativa (tranne nella provetta
n. 1, e, rispettivamente n. 3 della Tabella III, in cui si ebbe emolisi debole).
Nelle provette da 4 fino a 11, in ciascuna delle quali venne distribuita la sospensione
di veleno a dose 707 emolizzante + cm? 0.1 dei varî sieri, si ottenne:
a) emolisi completa ‘nella provetta n. 4 (sosp. trit. v. 1: 200.000); 2) emolisi com-
pleta nella provetta n. 5 (s. t. v. 1: 1.000.000); c) emolisi incompleta nella provetta n. 6
(s. t. v. 1: 1.500.000!); d) emolisi completa nella provetta n. 7 (s. t. v. 1: 400.000);
e) emolisi completa nella provetta n. 8 (s. t. v. 1: 1.000.000); /) emolisi incompleta nella
provetta n. 9 (s. t. v. 1: 1.500.000!); g) emolisi completa nella provetta n. 10 (1: 800.000);
l) emolisi incompleta nella provetta n. 11 (1: 800.000). Nella provetta n. 4 fu addizio-
nato al veleno siero fresco di cavia; nelle provette 5 e 6 siero umano normale inattivato ;
nelle provette 7, 8 e 9 siero umano tubercolare fresco; nelle provette n. 10 e n. 11 siero
fresco di tifoso. Le provette n. 12, 13, 14 (controlli), in cui furono soltanto mescolati
emazie e i vari sieri (senza veleno) diedero resultato negativo.
Se invece dei sieri sudetti, si adopera il siero dell'animale stesso che ha fornito i
globuli rossi, e cioè se invece di mettere a contatto il veleno con emazie di bue lavate e
centrifugate, lo si mette in contatto col sangue di bue semplicemente defibrinato e quindi
non privo del siero rispettivo; si ottiene emolisi là dove colle sole emazie lavate e cen-
trifugate non potrebbe avvenire. V. Zabella VII.
L’autosiero quindi, come i sieri eterogenei alle emazie adoperate per l’ emolisi, attiva
il triton-veleno.
Per rendere più complete le mie esperienze ho voluto constatare se le diluizioni
del veleno diventate inattive col tempo — putrefazione del veleno? — potessero attivarsi
colla aggiunta di un siero — siero di tifoso. — Le esperienze riportate nella Tabella VIII
riuscirono tutte negative sul proposito.
Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno 5
Attivazione del triton-veleno mediante la lecitina. — Ho infine voluto eseguire
delle altre prove, le quali svelano nuovi comportamenti del veleno, che lo discostano al-
quanto, come diremo meglio in seguito, dal meccanismo d’ azione del veleno dei serpenti,
(13
ho voluto vedere cioè se la lecitina , indispensabile in 720do0 assoluto al veleno di
cobra per esplicare le sue proprietà emolitiche, potesse, come già i vari sieri da me ado-
perati, attivare le dosi 7207. emolitiche del triton-veleno.
U
Ho perciò preso una serie di n. 4 provette. Le prime tre mi servirono da “ controlli ,,
l ultima da prova propriamente detta. Nella prima ho versato fem? 0.05 della diluizione
del veleno secco a l: 100.000 + cm? 1 di emazie + 0.95 di sol. fis. a 0.85 °/o; nella 22
cm 0.5 di lecitina pura Kaulbaum a 1: 10.000 + cm? 1 di emazie; nella 32 cm5 0.05
della sosp. del veleno 4 cm* 0.1 di siero umano normale + cm? 1 di emazie + cm? 0.95
di soluz. fis.j nella 4% cm? 0.05 della sosp. di veleno + cm? 0.5 della soluz. di lecitina
+ cm* 1 di emazie + sol. fis. cm* 0.45.
Ho conservato le provette per !/a ora in termostato a 37°. Resultati dopo 24 ore: nella
1* e 2% provetta emolisi negativa; nella 3° emolisi completa; nella 48 emolisi incompleta.
V. Tabella IX.
La lecitina dunque attiva poco il veleno di tritone a confronto del siero, giusta la prova
di controllo e le precedenti esperienze.
IV. Inattivazione del triton-veleno mediante agitazione all’ aria libera
e tentativi di riattivazione con siero.
L'idea di inattivare il triton-veleno mediante agitazione e di poterlo riattivare coll’ ag-
giunta di un siero, mi è stata suggerita dai lavori di P. Courmont e A. Dufourt (1) sulla
inattivazione dei sieri, anzi che col calore a -|- 56°, coll’ agitazione, e sulla loro riattiva-
zione coll’ aggiunta di alessina fresca.
Ho perciò condotto le mie esperienze nel modo seguente.
Anzi tutto ho estratto dalla cute dell'animale mediante il risaputo processo gr. 2 di
veleno freschissimo e l'ho diluito in cm* 100 di soluzione fisiologica a 0.85 0/0
Il potere emolitico di una tale diluizione del veleno era intensissimo, tanto che ba-
stavano appena cm? 0.05 di esso per determinare emolisi completa in !/, ora.
Ho chiuso in piccola Erlenmayer la sospensione del veleno e, attaccata la boccia ad
un comune agitatore, l’ho sottoposta all’agitazione per due ore, facendo compiere all’ ap-
parecchio circa 800 giri al minuto ed avendo cura per parecchie volte di interrompere la
corrente, stappare la boccia e farvi penetrare dell’aria.
Premesso che cm” 0.05 della sospensione del veleno fresco al 2: 100 determinava
emolisi in pochissimo tempo, ho poscia distribuita la sospensione del veleno dopo agitata
nell'ordine seguente: nella 22 (la prima contenente veleno non agitato ha servito da con-
trollo) cm? 1, nella 3% cm3 0.50, nella 42 cm? 0.25, nella 5* cm? 0.10, nella 6% cm. 0.05.
Ho versato in ciascuna provetta emazie di bue lavate e centrifugate cm? 1 -| soluzione
(1) P. COURMONT et A. DUFOURT. Dx role de l'oxigéne dans la disparition de l'alexine des serums.
Journ. de Physiol. e. d. Pathol. gen. t. 1, n. 6. 15 Nov. 1912.
6 Dott. Salvatore Lavagna [Memoria XII.]
fisiologica a 0.85 °/o quanto basta per cm* 2. Chiusura in termostato a 37° per !/a ora.
Dopo 24 ore, resultati :
Nella provetta n. 2 emolisi incompleta, nelle provette n. 3 e n. 4 emolisi debole, nelle
provette n. 5 e n. 6 emolisi zero. V. Tabella X.
L’ agitazione quindi del triton-veleno per due ore ed all'aria libera lo inattiva molto
se non del tutto. Da ciò si può legittimamente infierire che, agitando ancora più il veleno,
lo si può completamente inattivare.
Per vedere infine se i sieri potessero riattivare il veleno inattivato dall’ agitazione ho
preso n. 9 provette, in ciascuna delle quali ho distribuita la stessa soluzione del veleno
tritonico di cui mi son servito nella precedente esperienza, nell’ ordine seguente: nella
la cm' 1, nella 2* cm? 0.50, nella 3a cm? 0.25, nella 4* cm? 0.10, nella 54 cm? 0.05,
nella 6° cm? 0.50, nella 7° cm? 0.25, nella 8% cm? 0.10, nella 9% cm? 0.05.
Nelle prime 5 provette (controlli) ho versato solo emazie centrifugate e lavate cm? 1 +
sol. fis. a 0.85 °/, quanto basta per 2 cm*. Nelle ultime 4 provette (prove propriamente
dette) ho aggiunto alla miscela di emazie e veleno cm* 0.1 di siero complementare di cavia.
Dopo 24 ore lettura dei resultati:
In tutte le nove provette emolisi come nella precedente esperienza. V. Tabella XI.
L'aggiunta di siero fresco di cavia non riattiva dunque il triton-veleno inattivato per
due ore dall’ agitazione all’ aria libera.
V. Considerazioni generali.
Il triton-veleno è uno dei più potenti veleni emolitici che si conosca, specialmente se
adoperato fresco; giacchè si è visto che allo stato fresco determina emolisi, sebben debol-
mente, fino a diluizione a 1: 3.000.000, mentre allo stato di secchezza la emolisi si ef-
fettua fino a 1: 1.000.000, e, se il veleno è stagionato, l’ emolisi non và al di là del-
11: 600.000 — 1: 800.000.
Come spiegare pertanto che, al di là di codesti limiti, il veleno inattivo, riacquisti le
sue proprietà emolitiche coll’ aggiunta di un siero animale qualsiasi, o fresco o inatti-
vato, o normale o patologico, mentre non le riacquista che debolmente — relativamente ai
sieri — coll’ addizione della lecitina?
Circa la prima evenienza e cioè della attivazione del triton-veleno mediante i sieri,
non è da ammettere che essi esercitino la medesima influenza del corzp/emzento, mentre
“
il veleno fungerebbe da azzbocettore o da elemento “ sensibilizzante ,, ; giacchè si è visto
che il siero riscaldato per mezz'ora a 56° attiva il veleno al pari del siero fresco: che se
fosse il complemento ad attivare il veleno, allora il siero riscaldato non avrebbe potuto
attivarlo, essendo il complemento termolabile.
E se non è il complemento che attiva il triton-veleno, quali sostanze contenute nei
sieri lo attivano ?
Quanto ai sieri patologici (di tifoso, tubercoloso, sifilitico), non possiamo dire che siano
delle proprietà biologiche dei sieri, inerenti e specifiche di tali malattie, che lo attivano;
poichè i sieri normali (d'uomo, di coniglio, di cavia) lo attivano pure.
“
Non si può nemmeno ammettere che siano solo i “ lipoidi , contenuti nei sieri che
Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno 7
attivano il triton-veleno, avendo costatato che la lecitina lo attiva poco a confronto dei
vari sieri.
Ad ogni modo qualunque sia la spiegazione che si voglia dare dei fenomeni osservati,
sta di fatto che il triton-veleno dz/ferzsce dal veleno dei serpenti, per esempio dal cobra-
veleno, anche per ciò che quest’ultimo viene ad esser attivato preferibilmente col siero di
cavallo riscaldato a 56° e colla lecitina, e che 7707. agisce mai da so/o (cioè senza l'aggiunta
“ “
di esse sostanze), mentre il triton-veleno agisce da solo ,, e, a dosi niente affatto
emolitiche ,, riacquista le sue proprietà mediante l’aggiunzione di qualsiasi siero normale
o patologico, d'uomo o di cavia o di coniglio o dell'animale stesso — bue — che ha fornito
i globuli impiegati per l’emolisi, non le riacquista che in parte coll’aggiunta della lecitina.
Quanto al meccanismo dell’ inattivazione del triton-veleno mediante agitazione all’ aria
libera, esso va spiegato sia c/zzzzcamiente coll’ ossidazione di detto veleno, sia fisicamente
colla disaggregazione molecolare, spiegazione questa che trova la conferma in quanto
hanno scritto il Courmont e il Dufourt per spiegare l’inattivazione dei sieri mediante lo
stesso processo. Il fatto poi che la aggiunta di un siero ricco di alessina, come il siero di
cavia, non riattiva il veleno inattivato dall’ agitazione, non è incomprensibile ove si pensi
che il veleno ossidato e spostato ‘nei suoi complessi molecolari non è più in condizioni
fisico-chimiche di sensibilità tale da essere riattivato dai sieri, come lo è, sebbene a dosi
infinitesimali, tuttavia allo stato d’ integrità.
VI. Conclusioni.
1. Il veleno fresco di triton cristatus produce emolisi completa a 1: 1.000.000, emo-
lisi incompleta a 1: 1.200.000, emolisi debole a 1: 3.000.000, oltre il qual limite il ve-
leno diventa inattivo.
2. Lo stesso veleno, secco (dopo 6 giorni dalla sua estrazione), produce anche emo-
lisi completa fino a 1: 1.500.000, oltre il qual limite l’emolisi diminuisce grado a grado
fino ad arrestarsi assolutamente a 1: 1.500.000.
3. Il veleno secco, stagionato (dopo un anno e più dalla sua estrazione) e proveniente
da una catturazione di tritoni diversa da quella con cui sono state eseguite le esperienze
precedenti, produce emolisi completa fino a 1: 100.000, incompleta a 1: 150.000, debole
a 1: 200.000, negativa oltre questi limiti di diluizione.
4. E possibile attivare le dosi incompletamente emolitiche 0 7.07 emolitiche affatto del
triton-veleno mediante l’aggiunzione dei sieri animali, sia normali che patologici, freschi 0
inattivati a 56°.
Aggiungendo alla sospensione di veleno fresco a 1: 1.200.000 (e perciò a dose in-
completamente emolitica) del siero fresco di coniglio, si ottiene emolisi completa; così pure
aggiungendo lo stesso siero alla diluizione del veleno a 1: 3.000.000, I° emolisi da debole
diviene completa; e se anche alla sospensione di veleno a 1: 3.500.000 (dose assoluta-
mente inattiva) aggiungiamo del siero fresco di coniglio, il veleno diventa completamente
emolitico.
Aggiungendo alla sospesione del veleno secco (dopo 6 giorni dell’ estrazione) a
1: 1.500.000, cioè a dose 7207 emolitica, del siero d'uomo sifilitico inattivato a 56°, si
ottiene emolisi completa.
8 Dott. Salvatore Lavagna |MemMorIA XII.]
Aggiungendo dei vari sieri (siero di cavia, siero normale umano, siero di tifoso, di
tubercoloso ecc.) alle sospensioni assolutamente inattive di veleno secco (stagionato) sia a
1: 200.000 che a 1: 1.000.000 fino anche a 1: 1.500.000, si ottiene pure emolisi completa.
5. Le sospensioni di veleno datanti da parecchi giorni e perciò completamente inat-
tive, forse per processi di putrefazione, a qualunque dose esse vengano adoperate, non
riacquistano le proprietà emolitiche coll’ aggiunzione dei sieri.
6. Non è il contenuto complementare dei sieri che attiva le dosi non emolitiche del
triton-veleno, perchè anche il siero inattivato per !/, ora a 56°, è capace di attivarlo.
7. La lecitina aggiunta alle dosi incompletamente emolitiche o inattive di triton-veleno
attiva poco il veleno a confronto dei vari sieri.
8. È possibile inattivare il triton-veleno sottoponendolo all’agitazione per una o due
ore all'aria libera.
L’ agitazione per due ore ne attenua le proprietà emolitiche fino ad inibirle assoluta-
? «
mente alla dose di cm* 0.10 di una sospensione al 2: 100, dose atta allo stato d’ “ inte-
grità , a produrre emolisi completa dopo pochissimo tempo — !/, ora al più a temperatura
ambiente -—-.
9. Non è possibile riattivare il triton-veleno inattivato dall’ agitazione all’ aria libera
mediante l’aggiunzione di siero fresco di cavia.
)
É
E
Ù
.
î
Num.
d’ ordine
Sospensione
di triton-veleno (fresco) |
a 1:100.000 cm3
Emazie di bue
lavate e ceutrifugate
(5:100) cm
Num.
d’ ordine |
Sospensione
| di triton-veleno (secco)
a 1:100.000
Emazie di bue
lavate e centrifugate |
(5:100) cm
1 Hi I
2 0. 75 1
3 0. 50 I
4 0. 25 I
5) | 0. 10 i
6 0. 05 1
Num. Sospensione Emazie di bue
Gite ion lavate e centrifugate
d’ ordine | (stagionato) — a =
| 1:100.000 cm (5:100) cm3
1 Do I
2 0. 75 l
5) 0. 50 I
4 0. 25 1
5 0. 10 I
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XII.
Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno
TABELLA 1.
N
Soluzione fisiologica
Emolisi
a 0.85 °/, cm3
i = asgiar
0. 25 = Lo
0. 50 E dle
OTO = ua
Az
0. 90 PE) +
0. 95 22 0
TABELLA II.
| |
| Soluzione fisiologica |
| Emolisi
a 0.85 / cm° |
= a sà
0. 25 = dd de
0. 50 @ gi
E
0. 75 be SRde te
0. 90 * DEE
0. 95 AN 0
TABELLA II.
Soluzione fisiologica
Emolisi
a 0.85 9/, cm3 |
|
° Ì
= a | sota to
0. 25 | =] ARS
| o
0. 50 2° sa
dei»)
0. 75 | no) 0
°
0. 90 = 0
10
controlli
—————
Dott. Salvatore Lavagna [Memoria XII.]
TABELLA IV.
x Sospensione fmazie di 3 a Nice . de |
Won Sospensione Emazie di bue Soluz. fisiologica giaro |
i di triton-veleno (fresco) | lavate e centrif. Emolisi
Mine n p b b 20.85 0/ e 3 i comniolini
d'ordine | 1.800.000 cm8 |! (5:100)cm? 10.85 9/, em3 |di coniglio
I 0. 25 1 0. 65 0. 1 = E
9 0. 10 1 0. 80 Opi gs 3P AP 3F
es
3 0. 05 | I 0. 85 Oi S +++
4 0. 25 | 1 0. 75 3 det
5 0. 10 | 1 | 0. 90 7 +
| °
6 0. 05 | I 0. 95 > 0
Ì | Poe |
| I |
TABELLA V.
n Sospensione fmazie di 8 te e i va 4
Num. dii DS IRE Emazie di bue Siero d'uomo | Soluz. fisiologica
di veleno (secco) | lavate e centrif. Emolisi
SÌ n - no ; sifilitico cm3 a 0.85 0/, cm
d’ ordin( la 1:100.000 cm3 (5: 100) cm? sifilitico cm a 0,85 °/n cm
|
; i _ 2
0. 05 | I (fresco) 0.1 0. 85 ‘n +PK_E
| sa
| 0. 05 I i (inattivato) 0.1 0. 85 2 È +++
I SA
| 0. 05 { 0. 95 1S 0
TABELLA VI.
È : i Omazi | ca Sier 3 .
5 Sospensione Fnazio Siero fresco] Siero i di "© Siero fresco| Soluzione
3 di triton-veleno | ezio) | ila umano a CIO fisiologica Emolisi
Si stagionato SEE NOCE SIRIA rormale SARESTE | 0.859/ SI
S| 1:100.000 cm3 | CORDATA :m8 | fresco cmì | Lr cm3 em
E Dare 15:100 cm8 | di | | cm i
= i | Del:
| |
Î 0. 50 1 | — -- - 0. 50 a
2 | 0. 25 1 “sa — —_ — 0. 75 0
3 | 0. 10 1 SS | = = — 0. 90 0
4 0. 25 1 DEN | = RA = 0. 65 +++
5 | 0. 10 I - 0421 =; _ 0:80 | eran
(e)
6 0. 05 1 = 0. 1 — — 0. 85 Sat
a
Ti 0. 25 il n — 0. 1 = 0. 65 2|+++
| f
8 0. 10 | 1 DE CÈ 0. 1 - 0.80. ||
9 0. 05 | 1 = — | 0.1 — -.0.850 |sn ee
| &
10 (0 255 | 1 —_ — | — 0. 1 0. 65 Sl e e e
(i
ti 0019 1 = = a 051 0-78) | A
12 = 1 | 01 —_ _ = 0. 90 0
||
15 1 —_ ORTI _ — 0. 90 (0)
14 — 1 —_ — 0. 1 — 0. 90 0
Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno ll
TABELLA VII.
S | |
ds Sospensione Emazie lavate | Sangue Soluzione |
S. |di triton-veleno secco e | Mi: SCCI ta:
= (dopo 20 giorni) centrifugate | defibrinato fisiologica Emolisi
S 1:200.000 cm (5:100) cm8 | (5:100) cm. 0.85 °/, cm
= n 2 CI ne _
: 1 — 1 - +++
9 0. 75 = 1 0. 25 +++
3 | 0. 50 na il 0. 50 | z | cate
= |
nn) |
4 0. 25 EE, I (O SYA7) Pa ++
5 0. 10 _ I 1 0. 90 = STE
6 0. 05 DE 1 0. 95 | EI 0
AL I I = - [ae SEE
De 8 0. 75 { = 0. 25 È SEE
n . n | S
= 9 0. 50 1 — | 0. 50 DS 0
DE 10! 0. 25 1 St | 0. 75 0
=) | |
SS 0. 10 Î | Se | 0. 90 | 0
Ì Ì
|
12 0. 05 | 1 = | 0. 95 | 0
| Î |
TABELLA VIII.
Na Sospensione Emazie | Siero fresco Soluzione |
o di JU | lavate e centrif. di tifoso fisiologica Emolisi
d'ordine veleno, stagionato | i à a
1:100.000 cm. 5:100 cm8 | cm 0.850/, cm3
|
— — | = =
|
1 1 1 | — | — = 0
9 0. 50 | | da | 0. 50 Ci 0
3 0. 25 | I | PA 0. 75 2 0
4 0. 10 1 I 5 0. 90 2 0
| | =
5 0. 75 | | | na A: 2 0
| | o
6 0. 25 | 1 | (SG ORSES i 0
| I |
TABELLA IX.
NA Sospensione Siero umano Lecitina Emazie Soluzione |
i di i normale fresco| (1:100 .000) lavate i fisiologica | Emolici
Rodina, triton-veleno secco x i ; FG e centrifugate | a 0.85 9% |! i
A 1:100.000 cm cm cm3 (5:100) cm” cm3 Î
1 0. 05 — sn 1 0.95 | 3 0
2 — _ 0. 5 | | 0. 05 | 0
| | de È
8 0. 05 0. 1 = | I 0. 85 Fs
| a
4 0. 05 | - 0. 5 | l 0. 45 È + +
Ì
(KS)
Dott. Salvatore Lavagna
[Memoria XII.]
TABELLA X.
x Sospensione La stessa sospensione |Emazie di bue | Soluzione
Num. 5 Siti a Lea catane
di di veleno sottoposta lavate fisiologica Emolisi
nine | titron-veleno fresco |per 2 ore all’agitazione| e centrifugate a 18
° val 2:100 cm all'aria libera cm3 5 9/, cm | 0.85 °/, cm3
». GENE SERE 2 II
| (controllo) 0. 05 - 1 0. 95 n +++
2 = l | - i ++
=
3 — 0. 50 I 0. 50 a +
4 ui 0. 25 1 0. 75 3 de
5 = 0. 10 1 0. 90 s 0
5)
6 — 0. 05 1 0. 95 = 0
TABELLA XI.
|
von La stessa sospensione | Emazie di bue Siero fresco Solnzione
di oo sd lavate e centrifugate di cavia fisiologica Emolisi
d'ordine | Pe 29€ di cui nella | nr Ì [AES i
precedente tabella 5.: 100 cm8 cm$ 0.85 9%, cm3
l 1 1 —_ = ++
2 0. 50 | | _ 0. 50 +
=
3 0-25 Î _ 0. 75 sa sE
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4 0. 10 | 1 — 0. 90 = 0
I £
5) 0. 05 1 —_ 0. 95 d 0
£
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E È, a È
7 0. 25 1 0. 1 6. 65 3 +
8 0. 10 1 0. 1 0. 80 = 0
9 0. 05 1 0. 1 0. 85 0
Memoria XIII.
Osservazioni meteorologiche del 1912 fatte nel R. Osservatorio di Catania
Nota di V. BALBI e M. DI BELLA
Il luogo, gli strumenti meteorici, le ore di osservazione (1) e il modo di fare le medie
degli elementi osservati, sono quelli stessi adoperati nei venti anni precedenti, e se ne
trova la descrizione nella nota pubblicata nel 1898 (2); rammentiamo qui soltanto che le
coordinate geografiche dell’ Osservatorio sono:
Uattudimesboreale se ent (37%, 30, 13/621
Longitudine Est da Greenwich . 1". 0". 185,9
e che il pozzetto del barometro è elevato 64,9 m. sul livello medio del mare, e 19 m. sul
suolo: gli altri strumenti meteorici circa altrettanto.
I quadri N. 1, 2 e 3 contengono i risultati delle osservazioni dell’anno meteorico 1912
(dicembre 1911 a novembre 1912); nei primi due si aggiungono anche i valori del dicem-
bre successivo, allo scopo di trovare nello stesso quadro i dati di tutto l’anno civile, e si
riportano in fondo anche le medie relative a questo intervallo: come nei precedenti rias-
sunti in questi quadri le temperature e pressioni barometriche non sono ridotte al livello
del mare, nè queste ultime al valore normale della gravità.
La media della trasparenza dell’aria stimata in sei gradi, 0 a 5, è dedotta dalle os-
servazioni delle ore 7, 9, 15; anche per la trasparenza dell’aria la 1* osservazione dal-
l'aprile in poi si è fatta sempre alle ore 7.
Nel quadro n. 4 si sono confrontati coi valori medî del ventennio, che provvisoria-
mente riteniamo come normali, i risultati ottenuti nell’anno 1912.
Della pressione si riportano i valori ridotti col calcolo al livello del mare, e al valore g.
della gravità alla latitudine di 45°, così ancora della temperatura si riportano i valori ridotti
col calcolo al livello medio del mare.
(1) Per disposizione del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica dall’aprile rorI in poi la pri-
ma osservazione si è fatta alle ore 7.
(2) A. RICCÒ e G. SAIJA — Risultati delle osservazioni meteorologiche fatte nel quinquennio 1892-6
nell’ Osservatorio di Catania. Atti dell’ Ac. Gioenia Serie 4, vol. XI, Catania 1898.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XIII. I
2 V. Balbi e M. Di Bella [Memoria XIII]
Confrontando i valori delle stagioni e dell’anno 1912, con i corrispondenti dell’anno
1911, abbiamo trovato le differenze che riportiamo nello specchietto seguente :
Confronto del 1912 coll’ anno precedente.
pars È; I ® | sO E
si Q ® PO, E i ®
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| SU E ES L > @ ‘2 z Ponzi
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o | m |m m|m 00 mjm mjm UD |
Inverno +2.4 | —0.4 | +0.97| —-1.1 | +0.45| —60. 3] --7.9 | +0.04| +0. 08
SE: z |
Primavera +0.6 | +2.3 +0. 27| —2.5 | +0 ss| —14.0| —11.8| +0. 10] +0. 10)
Estate. 0.0 | --1.8 tr. OI 2.9 +0. 18) —13 !| —10.0| +0.02| +0.20
Autunno CA e E aio) TO:.0) —ORTONMRZIZONI
ia I | î 4
I Anno meteorico. . . + |-o.1 | —o. 3 LO,7I 0.4 | —0.3 | +11.8; — 4.8] 0.0 | -+0.1;
Da questo quadro appare come l’ inverno del 1912 sia stato più caldo del precedente
e che invece l’ autunno sia stato notevolmente meno caldo del corrispondente dell’ anno
precedente.
Risulta ancora dall'esame di questo quadro che se la quantità misurata di pioggia
nelle prime tre stagioni del 1912 fu minore di quella misurata nelle corrispondenti del
1911, nell’ autunno invece si ebbe una quantità di pioggia maggiore assai dell'autunno
corrispondente del 1911, il quale alla sua volta era già stato eccessivamente superiore al-
l’omologo periodo del 1910.
Tenuto conto del confronto di questi due elementi meteorologici, la temperatura e la
pioggia, si ha come causa o conseguenza che nelle prime tre stagioni si ha minore umi-
dità relativa, minore nebulosità, maggiore soleggiamento, maggiore evaporazione, maggiore
trasparenza, che nelle corrispondenti stagioni dell’anno precedente; nell’ autunno invece
pure dal medesimo confronto si ricava un’andamento tranne la trasparenza, affatto opposto
a quello dell'autunno del 1911 e quindi all'andamento degli elementi delle sue prime tre
stagioni rispetto all’ anno precedente.
Come fenomeni particolari del 1912 si può far notare la temperatura massima al 5
luglio che raggiunse 41°.2, massima che non fu mai osservata nel periodo 1892-1912,
Notevole fu pure la velocità©oraria (52 km.) del vento che si osservò alle 16 ore
dell'8 Gennaio ; questa velocità nel sopradetto periodo (1892-1912) fu solamente superato
il 22 Dicembre 1904,
Il 27 giugno si è osservato che l’ aria era torbida ed il cielo era bianchiccio : il sole
al mattino e la luna alla sera erano molto rossi. Ciò potrebbe essere in relazione colla
grande eruzione di cenere del vulcano di Monte Katmai (Alaska), al 6 e 7 giugno, che
intorbidò l’ atmosfera sopra gran parte della terra.
I quadri 5, 6, 7, come sono indicati dalle loro intestazioni, sono rispettivamente le de-
viazioni della media temperatura mensile, della media delle massime e minime giornaliere
di ciascun mese del ventennio 1892-1911 dai valori normali corrispondenti.
Il quadro N. 8 rappresenta la deviazione totale annuale delle medie, massime e mi-
nime temperature, dedotte dai confronti mensili coi corrispondenti valori normali.
ne I
Osservazioni meteorologiche del 1912 fatte nel R. Osservatorio di Catania d
@uadro N. 1 — 1912
Medie
dei massimi diurni
| di temperatura
(dei minimi e delle escur.
sotterraneo]
Umidità
Pressione
atmosferica
Temperatura
Temperatura
acqua del pozzo
del
M m E
|
z | Dicembre 1911... 13 7 16, i) 10. 6 6 3 17. 2 16, I 758.2 I 8.15 66.
Gennaio 1912 . . . . LI. I4 1 8.1 6.0 14.5 15.91 757.7 7.64 na
FEREmaioi e a 13 16,8 9. Td 13.8 — | 757 8:30 ‘6955
Marzo... ..0. 14. 18. 9.9 84 ee) 15.7 | 758.3 7.49 IE
APRICA See 13.9 14.8 10.9 To, È _ 754.9 8.57 bs d
MIAPGIONE O 238 16 9.2| 16.0) 15.7 |7574| 985 | 56.7
GIUSMOMEs e i i o. ; 755.3 . 46 .,
e; VT. 31. 21.9 9.6 2001 TONI rss 01287 46.8
Afggso ae Lai 26.4 29. 4 2160 8.4 29 0 16.1 | 756.0 | 18.51 51.9
Settembre... 0. . 19.3 24.8 7a 4 Ta 20. 7 16. 756.5 | 12.66 66. 3
Ottobre. =... 0°. 20. DIDO 15.4 6. 5 19.8 16.2 | 758.6 | 12.19 Re:
Temperatura
media dell’ ari
Tensione
del
| vapore acqueo
relativa
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(0)
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IS]
Novembre... .°. 1331 16.9 9. 3 MALO 16.1 16.1 755.3 95 66.4
NI
DICEMDIer I 11°4 TS 8.5 6.9 14. 4 15.9 | 761.8 8. 74.4
IS]
(0)
INVEtnoRi a eRe ee 27 TS9 GHoS 6. 5 92 = 151% 8.06 69. 3
Primavera! 0. Pr. 15.6 19.0 11 8 702: —_ — 756.8
(e °)
. 64. 60.
d»
Estate. 0 al ei 25.6 29. 2 20. 4 8.9 —_ — TSO MI2061 50. 4
AUTUNNO RA ee 17407, 2016
(5)
>
pae
I
0)
18, $ T020M70 881 OL Or 68
Anno meteorico. . . .| 17.9 2018
62.7
I
SS
No)
SI
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I
I
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vi
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(e)
(a
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[0]
ifcivileca Sa 17.7 21.2 13087 Ts - — | 757.0 | 10.07
V. Balbi e M. Di Bella
Quadro N. 2
-— 1912.
| Memoria XIII.|
2 È ORE TRASPARENZA
oe È È E DI SOLEGGIAMÉNTO atmosferica
Ra e) Sì S = n
sE È ce Z
SPO is DE $ n B A Frequenza
Ci 50 (= Peste) de
Sa 2 5 O OSS calc. B media | della
(en) Qu Z. massima
mini mm Oo h lì
Dicembre r9II . 30802 .0 W 48.6 | 148.9 | 296.5 O. 50 286 o. 16
Gennaio 1912 2.49 | 132.5 | W, NE 65.7 | 111.0 | 305.1 o. 36 293 0. 15
Febbraio . 3.29 12.4 | W. SW 41.7 | 1708 | 301.0 o 56 3.0 o. 16
Marzo 4. 38 14.5 INW. SW 44.0 | 224 8 | 370.4 o. 60 3.0 0. 19
Aprile . 2072. 85.2 [NW, SW 63.4 | 178.0 | 394.4 O. 45 I) O. 11
Maggio SUSO 26.060 | W, NE 35.0 | 265.1 | 433.4 o. 60 3.0 o. 23
|
Giugno 6.03 6.7 E DOT 267: 31M OHOM MOLOS 3A (010925
Luglio 8.68 0.0 | E, NW 7.5 | 310 5 | 446.6 | 0.69 33 o 16
|
Agosto 593 0.0 |E, NE, SE| 11.1 | 299.0 | 419.0 71 3.8 o. 32
Settembre. 4.60 | 143.7 |E,.NE,NW| 56.6 | 143.5 | 370.8 | 0.38 ZON MLOLITS
Ottobre 2004 82.4 | W, NE SITCI2t Mal 3ISR7AN SCSI 0. 39 203 o. 36
Novembre. 2.44 S.13 W GM 20 L24100 OZ] OS O 27 O. .JO
Dicembre . 1'69 | 102.2 | W, NE 53.8 | 117.7 |.290:5 | (0.39 || 2784/0043
|
Inverno 2.96 | 290.4 W 52.0 | 430.7 | 902.6 ORA4700 SZ 17 o. 16
Primavera 4,22 | 126.3 INW. SW| 47.5 | 667.9 |1203.2 O 55 2.8 o' 18
Estate. 6.85 017 E 13.4 | 896.8 |1305;. 5 o. 68 3595 O. 24
Autunno . 3.16 | 277.4 | NE W 55.0 | 490.2 |I019.7 o. 39 2.3 O. 3I
Anno meteorico. 4.29 | 700.8 | W, NE 42.0 |2395.6 |4431.0 O. $2 208 o. 22
» civile 4.18 | 657.5 | W. NE 48.3 |2364.4 |4431.0 O. SI 2.8 O. 24
Osservazioni meteorologiche del 1912 fatte nel R. Osservatorio di Catania 9
Inverno
Frequenza della calma e dei venti
Meteore acquee — numero dei giorni
liGalmat tt.
SE
SW
NW
| sereni
misti -
coperti
con pioggia.
con neve o grandine
con nebbia .
con brina
con temporali
| con scariche elettriche
Primavera
LO)
vd
N
Quadro N. 3 — 1912.
SH ESTREMI METEOROLOGICI ANNUI |
FO =D
Si Di 2 REA
è È E OSSERVATI
u < <
Massimo Minimo
42 13 123 ===
2 RION.
Temperatura i) d
O I Di ’ . AA a L
dell’ aria $ Luglio |2 e 3 Gennaio
20 24 72 |
I DIDO 2 I 204 O
3a 6 ; Temperatura ) o
?) del sotterraneo | 21 Agosto 10 Dicembre
O 6 II |
| 160... Tsi0a
S Fal E Temperatura Ì 3.5
| “ [| acqua del pozzo | 4 Novembre 25 Marzo
| |
| |
ONTO 21 |
Il
Ì mMuni tum
| RS? AS 0) raiita
TI Lie Pressione | 767.8 14050
| 7) [| atmosferica |14 Dicem. 21*|12 Novem. 7°
8 28 90
Ì Inti mm
Tensione LO REI 210
vapore acqueo |19 Luglio 15f|2 Gennaio 9°
|
80 | 29 | 169 |
|
il |
| | i
| 2 [Tio iS ) o)
DO 34 128 Umidità | 98 :
relativa 4 Novem. 9 | 5 Luglio 15°
Î
PIENO: SI AMOO
| |
| a | Imm mm
C 9 — 2 N c
) Az 98 Evaporazione 22.50 SE
in 24" all’ombra| 4 Luglio 2< Gennaio
lo) I 3
|
I 2 6 ra. |
Pioggia mm
in. 24 Ore | 3) =
22 Settembre
©) lo) O
B 3 II LA
> ) Velocità |
: _ |52 km. da NW
oraria del vento
direzion $ Gennaio 16 =
2 16 21 e ezione ad
Riassunto delle Osservazioni fatte nell’ anno
Temperatura
[Memoria XIII.]
6 V. Balbi e M. Di Bella
! Pressione atmosferica
all’ Osservatorio Ridotta al mare Media
MESI o 2 | Soc S | w0® D
SES fa Ss vd SE S È
ia ST o Ca È 5 Fe È D
> 0 CI E > S So È 3 9 O pai
(i Una) | AQ c => la) [> i ()
mjm mjm i mjm mjm mjm m|m o 0
Gennaio . TSO ITA 763.1] 763.2] +0.1| 9.9 | 11.3 pit 4l
|
Febbraio. 755-9) 757 2) +1.3| 761.4] 762.7) +1.3] 10 5 | 13.1) +2 6
Marzo 755-3) 758.3] +3.0| 760.7 763.7] +3.0|/ 12.3 | 14.3 | +2.0
Aprile TINO) 754-9| — 0, 1] 760. 4| 760.2] —0.2|| 14.9 | 13.9 | — 1.0
Maggio . 755-7| 757.4) +1.7| 761.0] 762.6] +1.6|| 18.6 | 18.7 | 4+-0.1
Giugno 75622|0755.3|010]|°761:6|0760,6| — Ta||22834 Naz Dl io
Luglio , 756.0) 755.6] —o.4| 761.2] 760.7) -- 0. S| 25.9 | 27.2] +1.3
Agosto 756.4| 756.0 — 0.4 761.6] 761.) —o' sl 26.1 | 26.4 | +0.3
Settembre 757.2] 756.5] —0.7|-762.4| 761.7] —0.7| 23.6 | 19.8 | --8.8
Ottobre . 757.3] 758.6] +1. 3| 762.6] 763.9] +1.3|| 20.09] 20.3 | +03
Novembre Mis: 35.6] =200|-762.7| 760.60) 20130 ia
|
|
Dicembre. ; MiSOss 761. 3] +4.8| 761.9] 766.7) +4.8| 11.8 | 11.4 | —0.4
Inverno . 756.7 (Tie 762.1) 763.1] +1.0| 10.7 | 12.7 | +2.0
Primavera . FISSE) 756.8] +1. 5] 760. 7| 762.2] +1. s|| 15.3 | 15.6 | +0. 3
Estate 756.2) 755.6) —0.6| 761. 5| 760.8] —0.7| 24.9 | 25.6 | +0.7
Autunno . 757.3) 756.8. —0.5| 762.6) 762.1] —o. || 19.6 | 17.7] —1.9
Anno 756.4| 756.7 vi, 761.7] 762.0] +0. sil 17.6 | 17.9 | +0.3
Media delle massime
giornaliere
Sla
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® O =
SE D
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225
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26.7 | 26.8 | +0.1
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29.0 | 29.2 | +0.2
213020211983
2190] 121183 NONO
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giornaliere
So
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normale
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67| 81
7.0) (053
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10.9 | 10.9
14.3 | 1460
18.1 | 182
21.4'| 21.008
7.5 9 ì |
11.2.| Da
20.2 | 2004 |
16.0 | 14
13.7 | 13.9
Osservazioni meteorologiche del 1912 fatte nel R. Osservatorio di Catania
4 — 1912.
bnfronto coi valori normali.
gia totale Nebulosità Soleggiamento Evaporaz. all’ ombra | Tensione del vapore | Umidità relativa
|
2 CAT 2 | |
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| | |
mea —-42:8 50 0 | 41.7 /— 8.8 0.46 | 0.56 [+o. to] 2.13 | 3.29 (+1. 16] 6.55 | 8.38 [+1.88| 65.2 | 60.5 | +4.3
|
14. 5|—38.2| 49.5 | 44.0 |— 5. sl] 0-48 | 0.60 [+0. 19] 2.36 | 4.38 |+2.02| 7.22 | 7 49 |+0.27| 64.1 | 58.5 | —5.6
95 21447. 4] 47.0 |. 63.4 [+16. 4 0.47 | 0.45 |—0 o2|| 2-84 | 2.72 |- 0.12] 8.22 | 8.57 |+0, 35 62.2 | 65.4 | +3.2
| |
26 64 3.8) 40.1 | 35.0 |— 5 1] 0.54 | 0.60 [+0.060! 3.73 | 5.56 |+1.83|| 9.41 | 9.85 |+0. 44l 56.7 | 56.7 | 0.0
Il |
6.7|+ 1.1] 26.8 | 22.7 |— 4.1] 0.60 | 0,65 |-}o os 4.72 | 6 03 |+1 3111. 62 11.46 |—0. 16|| 53.0 | 52.4 | —0,6
| Ì
0.0/— 4.2) 13.2] 7.5 |— 5-7] 0-69 | 0.69 | 0.0 | 5.67 | 8.58 |+2.91|13.09 [12.87 |—0.22]| so.0 | 46.8 | —3.2
Il | | |
6 010.0] 16.0 | 11.1 |— 4.9 0.68 | 0.71 [+0.03|| 5-65 | 5 93 |+0. 28/13.98 {13 51 |—0.47Î 53.7 | 51h.9| —1.8
143. 7/+94. 6] 34.0 | 56.6 |+22 60.55 | 0.38 |—0.17] 4.48 | 4. 60 [+0. 12/13. 28 |12.66 |—0. 62] 59.2 | 66.3 | +7.1
ei 4.1 48.6 | s1.2 [+ 2.6| 0.48 | 0.39 |—0.09| 3.15 | 2.45 |M). 70|12.01 12.19 |+0. 18]| 66.4 | 72.3 | +5-9
| | | | |
S1.3|—60.5| 53.0 | 57.2 |+ 4 20.43 | 0.39 |—0.04| 2.29 | 2.44 |+0 is 9.50 | 7.95 |-L.55] 69.0 | 66.4 | —2.6
pro2.2/— 5.1 53.4 | 53.8 [+ 0.4] 0.38 | 0.39 (+0. 01] 1.98 | 1.69 [—0. 29 7. 50 | 8.23 |-+0.73] 69.8 | 74.4 +4. 6
| |
| i
290. 4/4+-32. 6 sr.o | 52.0|+ 1 ol 0.43 | 0.47 |+0.04| 2.00 | 2.96 |4-0. 96 6.85 | 8.06 |[+1,21| 67.3 | 69.3 | +2.0
126. 314-13.0| 45.5 | 47.4 {+ 1 9| 0.50 | 0.55 {+o.os]{ 2-98 | 4.22 |4-1. 24] 8.28 | 8.64 |+0.36|| 61.0 | 60.2 | —0.8
6.7|—13. 1] 18.7 | 13.8 |— 4 gl 0.66 | 0.68 |+o-02| 5.35 | 6.85 |+1. soll12. go |12.61 |—o. 29| 52.2 | sS0o.4 | —1.8
3 {
4277. 4|+-30.0|] 45.2 | 55.0 (+ 9.8] 0.49 | 0.39 [0.10] 3.31 | 3.16 |—o, 1g||t1. 60 [10.93 |—0. 67] 64.7 | 68,3 | +3.6
|
Ì
100. 8|+62. s] 40.1 | 42.0 |+ 1.9] 0-52 | 0. 52 0.0 || 341 | 4.29 |+o. 88]| 9.91 |10.06 |+-o° si] 61.4 | 62.1 | +0.7
osservazioni meteorologiche del 19/2 fatte nel R. Osservatorio di Cal
° È ! Catania 7
V. Balbi e M. Di Bella [MEMORIA XII]
_ 1912.
Quadr, Ta È
o coi valori normali.
Riassunto delle Osservazioni fatte nell anno | confront
9
losità | Soleggi Ì ——————————<
= 3 Temperatura Nebu ggiamento | Evaporaz, all’ | e RR = ==“
Pressione atmosferica 3 3 | -vaporaz. all'ombra | Tensione del vapore Umidità relativa
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Maggio. . - - | 755-7|757:4| +1.7| 7
Giugno . . . - | 756.2 755:3] — 1.0] 761.6] 760.5| —1.1| 22-8 | 23.2 |[+0.4 | 26.7 | 26.8 | +o.1| 18.1| 18.2
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Settembre . . . | 757.2| 756.5| —0.7| 7
5 82:4|— 4-1 48.6) 45
| 51.2.|+ 2.6 0.48 | 0.39 |—0.09| 3 !15 | 2.45 |-0.70/12.01 12.19 |+0. 18] 66.4 | 72.3 +59
Ottobre .
TV16 | (012010015)
0.43 | 0.39 [0.04] 2.29 | 2.44 +0. 15 9-50 | 7.95 |—L.55|| 69.0 | 66.4 | —2.6
Novembre . . . | 757.31 755.3] —2.0| 762.7] 760. 6| —2.1| 15.3 | 13.1 | —2.2| 18.5 | 16.9
8.7 | 10.6 31 53:41 53.8 [+ 0.4ll 0.38 0.39 [+0.01] 1.98 | 1.69 |_o Ralzica 8/23 |-+o.73|| 69.8] 744 || -+4.6
29; 7. 8.23. |-H0..73 ji N nI
Dicembre. . ,
756. 5 761.3/ +4. 8] 761.9] 766.7) +4.8| 11.8 | 11.4 | —0.4| 15.2 | 16.9 | +0.2
32. 2
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Inverno. . . .| 756.7 757.7] +1.0| 762.1] 763.1] +1.0| 10.7 | 12.7 | +2.0| 14.3 | 15.9
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55.0 [+ 9.8] 0.49 | 0.39 [oto] 3.31 | 3.16 0. 1sl11. 60 (10.93 |—o0. 67|| 64.7 | 68,3 | +3.6
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42.0 [+ 1.9 0.52 | 0.52] 0.0]| 3:41 4.29 |+0.88| 9.91 |10.06 |+0:51|| 61.4 | 62.1 | +0.7]
n Rr_r— —_—__———Òmm—mTT——— == ——————————erm=r.....rrrr.r*r* *t*-
V. Balbi e M. Di Bella
[Memoria XIII.|
Quadro n. 5
DEVIAZIONE DELLA MEDIA TEMPERATURA MENSILE
DI CIASCUN MESE DEL VENTENNIO 1892-1911 DAL VALORE NORMALE CORRISPONDENTE.
|
| |
| Anno | Genn. |Febbr. | Marzo| Aprile | Magg. \Giugno' Luglio |Agosto | Sett. 'Ottob. | Nov. | Dic
i Lo DE Sn N |
|
1892 TA Sk N of O 0.3] + 1.0) +0. 3| -+0.6| —0.7 +0. 31 0.0 | -+0. 5
| | |
{893% —3is0l 06 67/6 7| +0.2] 9.0 | +0.5| —0.8|+1.9 | +0.8| +1.1| +o.1
1894 | —0 4 0.8] —0.5 0. 4 0.4| —0 3) +0 s| 0.0 | CIO +0.7| (0.0 | —0.6
| | | |
Ì
| | |
1895 o 6| —0.3| —0.4| +1.4| —0.7| —0:%| +0,8| —0:5| —o0.1| -Pos8| <+-133;| 06
1896 | —1.5| —o.9| 0.0 | —2.7 61 —0. Sl 40,2] —0.2) +0.1| --0.4| 0.0 | SV OI
| | |
| i
1897 | +0.3] +0.8| H4-0.5| 0.0 Zog (20 | +1.3 o. 4| +0.9| —2.2 1.8) —0.9
1898 | Lo.9| —0.5 0.5liuo 7) +04 +97 nil al) 1.2) 02150
| | | | | | Î |
1899 0.7 1 secondo che dei tre fochi di un suo raggio gene-
rico 3, 2, 1 o nessuno sian punti singolari per il complesso medesimo.
Discende pertanto che il piano 6 si stacca dalla varietà luogo di fochi del complesso,
ed oltre tale piano si ha wma (persuperficie focale F, d'ordine quattro. Basta osservare
infatti che le rette del complesso /; incidenti una retta generica s generano una gy? la
quale ammette 2(3 — 1) = 4 coincidenze.
Per la costruzione si osservi che detti €,, £, due spazi di C, infinitamente vicini pas-
santi per un punto /, essi appartengono necessariamente all’ inviluppo C,, cioè : 7 piani
focali per il complesso appartengono alla congruenza O (3, 1) del sistema Q.
passanti per /, B del fascio (9), saranno
Inoltre detti <, e B i rimanenti spazi di C,
E, €, P, €, €, B, €,6, B i tre raggi di Z; passanti per P; gli ultimi due infinitamente vicini
ed il primo luogo di fochi; cioè: Per ciascun punto della varietà focale F, passa un
solo raggio di Il, [nogo di fochi ; ciascun piano di F, contiene un fascio del com-
plesso.
Poichè la varietà 7, coincide con la ipersuperficie (S,-cono di piani) costituita dai piani
ciascuno dei quali è comune a due spazi infinitarnente vicini di C,, risulta che ogni spazio
di questo, tangente per la /,, incontra questa nel proprio piano di contatto ed in una qua-
drica f, (cono quadrico) focale per la congruenza (2, 1) di quello spazio (n. 13). Di qui:
Alla varietà focale F, di I; corrisponde in Y un cono quadrico di p.
15. Il sistema 4; (s) risulta evidentemente formato da una rigata d'ordine 5 (n. 6).
Tale rigata si può ottenere congiungendo i punti omologhi di due determinate cubi-
che gobbe corrispondenti fra loro in A ed aventi un punto unito A; comune.
Facilmente si deduce, detti X, t due piani generici dell’ S,:
— il sistema /; (A) risulta costituito da una congruenza (5, 2).
— il sistema Z; (A, ©) risulta costituito da una rigata d’ordine 7.
Le costruzioni dei sistemi succennati e le dimostrazioni dei relativi teoremi inversi si
ottengono analogamente a quelle date ai n. 6, 7,....,11; le omettiamo per brevità.
Il complesso /,,.
16. I due spazi p, p° abbiamo due punti fondamentali A,;, Ax comuni, punti che ri-
sultano pure uniti nella X. È chiaro allora che / si spezza nelle due iperstelle (A4,), (Ax)
e nel complesso lx del 2° ordine e della 22 classe.
Cio risulta anche osservando che l’ inviluppo C, si spezza, in tal caso, in un C, di
sostegno A; Ax, (generato dal fascio dei piani (A; A,,) e dal suo corrispondente in £),
ed in due fasci di spazi (9x.;), (9;,x); dove 6,, indica un piano passante per A; e giacente
nello spazio fondamentale @,, e 0,;, un piano passante per A, e giacente in a,, — essi
sono i piani luogo dei centri di prospettiva delle coppie di punteggiate omologhe delle due
steli; 4,0) Roerscnie
(!) Nel lavoro: Sui complessi di rette d’ ordine due e della prima specie dell’ Sj (Giornale di Batta-
glini 1912.)
i
Sul sistema di rette dell’ S, generato da due S, omografici fra loro Di
Ciascuno dei sistemi di raggi lix (9x.;), lix (9;,x) COTncide col complesso I, cioè
ogni raggio del complesso risulta incidente alla coppia di piani o. Basta infatti osservare
che #2 complesso si può supporre generato dai raggi comuni a tre spazi di (9x,;),
(0;,n), Ca rispettivamente.
Risulta inoltre che ciascuno spazio di Ca contiene 0° raggi di /,, formanti una con-
gruenza (1, 1) generata dalle congiungenti i punti omologhi di due piani aventi la retta
A; Ax comune, le cui rette direttrici sono le tracce dei due piani 0.
17. Analogamente al caso precedente si ha: La varzetà singolare di I, risulta
costituita dat due piani x, Ir +
Inoltre conservandosi distinti 1 tre .fochi di ciascun raggio del complesso, due di essi
sono punti singolari, sicchè il complesso è della seconda specze.
Discende ancora che i due piani 0; Sx, singolari si staccano dalla varietà luogo di
fochi del complesso ed oltre tali piani si ha wma 7persuperficie focale d'ordine 2,
(S,-cono).
Per la costruzione si osservi che detti £, £ due spazi di C: infinitamente vicini,
un punto del loro piano di intersezione e @, $ i rimanenti spazi di C, (cioè dei due fasci
(0x.;), (0x,;) rispettivamente) passanti per P, i due raggi di /;, uscenti da /? sono E 08, coaf
infinitamente vicini, sicchè:
La varietà focale coincide con l S,-cono del quale C, è l’ inviluppo degli spazi
tangenti.
Nessun raggio del complesso è luogo di fochi.
Ed ancora:
Il complesso I, risulta costituito dalle rette dell’S, tangenti ad un S,-cono
quadrico (*) ed incidenti a due piani s,% non cospaziali e tali che ciascuno di essi
insieme con la retta Si (vertice del cono) determini uno spazio tangente del dato
Si-cono.
Difatti i due piani determinano due fasci di spazi (6), (©) mentre |’ S,-cono determina
un inviluppo C, della seconda classe: se / è un punto generico dell’ S, per esso passano
4 spazi p,p,@,} due dei quali, ad es. i primi due, di C, ed i rimanenti dei due fasci.
Essi forniscono i 4 raggi trispaziali pp'a, pp'B pad, pa, i primi due delle iperstelle di cen-
tri So= A; S,€= Ax rispettivamente, mentre i rimanenti appartengono ad 2472 complesso
I d'ordine due e di classe quattro. Da siffatto complesso si staccano pertanto due com-
plessi lineari speciali dello spazio ordinario, e precisamente uno è nello spazio S,9, ed ha
per retta direttrice la traccia in esso di t; l’altro giace nello spazio S,t ed ha per retta
direttrice la traccia del piano o in questo spazio, onde mentre l'ordine di / rimane dze,
la classe diventa due (4 — (14-1)==2).
Inoltre se p, p° sono due spazi di © e / un puato di p, per esso passano altri tre
spazi €, a, B di Ca, (9), (©) rispettivamente, i quali hanno a comune un raggio f del com-
plesso, raggio che incontra p' in un punto /': in tal modo si stabilisce una c0r77sp07-
denza biunivoca, fra i punti P di p ed i punti P' di 9, la quale è una omografia K.
Difatti p (p’) contiene una congruenza (1, 1) di / le cui direttrici sono le tracce dei
piani o,t in g (p’): per cui se s è un raggio generico di p ed / (s) la rigata, d'ordine 4,
(4) E un caso particolare di complessi del Z/ tipo, sottotipo 4, trattati dal MARLETTA al n. 23 « del ci-
tato lavoro : /icerche sui complessi di rette d’ ordine due e della 2% specie dell’S;.
12 Giorgio Aprile |MemorIA XIV.]
costituita dai raggi di / incidenti ad s, da essa viene a staccarsi una quadrica di p. La
rimanente schiera rigata incontra p' in un raggio (1) » del complesso e nel raggio s' omo-
logo di s in X: — in tale omografia A4;, A, risultano evidentemente punti uniti, mentre
i piani 9, t sono i soli piani singolari del complesso; cioè: // complesso I coincide con
ll, generato dalle congiungenti i punti omologhi di due spazi omografici fra loro
ed aventi due (soli) punti uniti comuni.
Accenniamo infine che:
— Il sistema /,, (Ss) risulta costituito da una rigata d'ordine 4: le due cubiche che
la generano hanno evidentemente i due punti A;, A, comuni.
— Il sistema /,, (9), 9 piano generico dell’ S,, risulta costituito da una congruen-
za: (4, 2).
— Il sistema Zx (9, t), 6 e t piani generici dell’ S,
+
, è una rigata d'ordine sei.
Tralasceremo per brevità lo studio di tali sistemi.
Il complesso /,,,.
18. I due spazi p, p° abbiano tre punti fondamentali A; A, A, a comune, i quali ri-
sultano pure uniti nella A. Il complesso / risulta allora spezzato nelle iperstelle (A4;), (Ax),
(A,) e nel complesso lix, d'ordine uno e di classe due.
Ciò risulta anche dall'osservare che l’inviluppo C, si spezza, in tal caso, nei fasci
(Ai Ax A), (Sin, (Oxs), in); cOn 9, intendendo un piano passante per A; A, €
giacente nello spazio fondamentale @;, similmente per gli altri piani 0x,;, 9, - Tale terna
di piani è il luogo dei centri di prospettiva delle punteggiate omologhe nella X delle iper-
stelle (4,), (4;), (Ax) rispettivamente. Quest’ultime vengono generate dal fascio (A; Ax A4y)
di spazi con ciascuna coppia dei rimanenti fasci; mentre quest’ ultimi dan luogo ad Z;,,,
Dersculi
Il complesso lix, st può generare mediante tre fasci di spast.
Inoltre : Ciascun sistema I (9x1), I (risi); 1 (ix) COMMCide col complesso Ii, cioè
ogni raggio di / risulta incidente a ciascun piano 6 della terna succennata.
19. Risulta ancora che:
La varietà singolare di In, risulta costituita dat tre piani Ski, xii Ii,k »
Infatti se S è un punto di uno dei sudetti piani, ad es. di 0;,,,, per esso passa, ol-
tre quest’ ultimo, un solo piano di Q, (comune ai due spazi passanti per S dei rimanenti
fasci), sul quale (0,;x,,) determina un fascio del complesso, — cioè:
I piani di Q contengono un sol fascio del complesso lix.
Si ha inoltre che il piano A; Ax 4, è il solo tale che ogni suo raggio risulta del com-
plesso, è dunque l’u7ic0 piano parassita semplice (*) del complesso: seguendo la Clas-
sificazione del MARLETTA l’ Z;,, risulta quindi del #7p0 III sottotipo 1°.
20. Sia è uno spazio generico di uno dei tre fasci, per es. di (0,x,) ed Ss, # le rette
(4) Difatti dal punto Q = sp’ passano, oltre i due spazi p, p" di ©, |, è dei fasci (5), (©) rispettiva-
mente, per cui i due raggi di / passanti per Q sono pjò e panioe=2ì
(?) Conformemente a quanto ha stabilito il MARLETTA nel n. 59 nota 53 del citato lavoro: Sui com-
plessi ecc. (Rend. Circ. Mat. Palermo 1909).
Sul sistema di rette dell’ S, generato da due S, omografici fra loro 13
comuni a tale spazio ed ai sostegni dei rimanenti fasci: tali raggi percorrono, al variare
di è, i fasci (Ax, 9), (Ai, xx) rispettivamente ; epperò :
Il complesso si può considerare costituito da x! congruenze lineari formanti
Mascio! (1),
Notiamo che i due fasci predetti di raggi sono prospettivi fra loro rispetto al piano
Gi: Risulta inoltre che dati due fasci generici di raggi (A, 0) (A, 0°) dell’ S, è sempre
possibile stabilire fra essi una corrispondenza prospettiva rispetto ad un terzo piano, pure
dato, passante per A, A'; per cui:
Due fasci di raggi riferiti prospettivamente fra loro determinano un com-
plesso | rispetto al quale sono singolari î due piani dei fasci ed il piano loro
centro di prospettiva.
21. Dimostreremo quì che le proprietà enunciate ai n. 18, 19 sono caratteristiche
per Zixs
Siano infatti 7, 4, Z tre piani dati in posizione generica nell’ S, e consideriamo il si-
stema che indicheremo con /, dei raggi incidenti a tali piani. Detto p un raggio ge-
nerico di / risulta ovviamente che esso è il solo comune ai tre spazi pz, pr, pl; dunque:
I s; può generare mediante t tre fasci (i), (K), (1) di spazi.
Detti A,, Ax, A, rispettivamente i punti £2Z, Z, ## ogni retta del piano 4; Ax A, ri-
sulta incidente alla terna 7, /, /, epperò tale piano è parassita semplice di I; eviden-
temente non ne esistono altri.
Fissata ora una coppia di spazi generici p, p del fascio (A; 4, 4) coordiniamo ad
ogni punto = pp (p raggio generico di /) il punto = pp: la corrispondenza biuni-
voca I che in tal modo viene stabilita fra p, p° è una omzografia che ammette A;, Ax, A;
come punti uniti.
Infatti se s è un raggio generico di p ed /(s) la rigata, d’ ordine tre, costituita dai
raggi di / incidenti ad s, è chiaro che da essa viene a staccarsi un fascio del piano pa-
rassita A; 4, A;; la schiera rigata rimanente incontra p' in un raggio del predetto fascio e
nella s' omologa di s in K. Questa ammette evidentemente - A,, A4,, 4, come punti uniti.
Si può dunque concludere: 2 sistema di rette incidenti a tre piani generici (*)
dell’ S, coincide col sistema delle congiungenti i punti omologhi di due spazi omo-
grafici fra loro e aventi tre (soli) punti uniti a comune (che sono t punti di in-
tersezione dei piani datti.
Inoltre: Esistono 0° omografie individuanti il medesimo complesso I.
(!) Poichè ciascun iperpiano è verrà a contenere una congruenza lineare di /;x;.
(*) Per amor di brevità tralasceremo, come nei casi particolari dei n.i precedenti lo studio dei sistemi
Z(s), Zio), 20,0).
Accenneremo qui soltanto il sistema /(60), cioè dei raggi del complesso Z;x; incidenti ad un piano gene-
rico o. Tale sistema risulta costituito da tutti e soli i raggi dell’ S, incidenti il piano dato o e la terna di
piani singolari del complesso; quaterna di piani secantisi (in generale) in sei punti di cui tre non sieno in
una stessa retta; /(5) coincide dunque con la varietà cubica V33 studiata dal SEGRE V. Sulle varietà cubiche
con dieci punti doppi, Atti Acc. Torino 1887. Sulle varietà cubiche ecc. Mem. Acc. Torino 1888; V. anche
BERTINI — /n/roduzione alla Geometria proiettiva degli iperspazi — Spoerri. Pisa 1907. Cap. 8.
Con considerazioni analoghe a quelle dei n.i 6 e 7 si conclude :
La Vs dell’ S si può costruire congiungendo i punti omologhi di due determinate quadriche (di due
spazi distinti p, f' rispettivamente) corrispondenti in un’ omografia Q che ammette pp" quale piano fonda-
mentale e passanti per i tre punti uniti che la 9 determina in tale piano.
14 Giorgio Aprile [MEMORIA XIV.]
22. Un complesso | è determinato dati che siano quattro suoi raggi generici
ed il piano parassita s. i
Infatti i raggi dati determinano su due spazi p,p uscenti da o due quaterne di punti,
i quali dan luogo a due quaterne di piani di p, p' rispettivamente. Tali piani col dato 6
individuano una omografia K generatrice di un complesso / al quale appartengono i raggi
dati.
Il complesso /;,,,, .
23. Se infine i due spazi gp, p' coincidono con lo spazio fondamentale a,, 1'Z relativo
coincide, a meno delle iperstelle (A.) (f = 7, £, 2, 772), col complesso tetraedrale del RevE
dovuto alla omografia che la 2 determina in @,.
Catania, maggio 1913.
Memoria XV.
Istituto di Fisiologia della R. Università di Catania diretto dal Prof. A. CAPPARELLI
Le leggi e i fattori dell’igromipsia
Dott. GIUSEPPE RUSSO — Aiuto.
REb-XZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. F. A. FODERA E A. CAPPARELLI (Re/atore)
Il lavoro del Dott. Russo porta un pregevole contributo agli studì sulla Igromipsia,
di cui tende a fissare le leggi ed a determinare i fattori e le condizioni che la governano.
Essò merita pertanto di esser pubblicato negli atti dell’ Accademia.
PARTE I.
Ricerche ed osservazioni.
1. I fenomeni d’igromipsia, dacchéè il Capparelli li descrisse ed illustrò nei loro fattori
principali, hanno acquistato una notevole importanza nel campo della chimica-fisica sì da
meritare uno studio analitico più particolareggiato che valga a stabilire le leggi che li re-
golano. Tale bisogno nasce anche dalla considerazione che questi fenomeni si vanno or-
mai applicando ed utilizzando variamente come metodi preziosi d'indagine diagnostica in
biologia (6) (7) (8), nell'industria per scoprire alcune frodi nei generi alimentari liquidi (1),
in chimica-fisica per cercare indizî di varia natura sullo stato delle soluzioni (10) ecc. ecc.
Appare pertanto giustificato l'assunto delle presenti ricerche, di far conoscere cioè le
cause che determinano e governano questi complicatissimi fenomeni con una certa precisione.
2. Pur rinviando per maggiori dettagli descrittivi ai lavori del Capparelli, espongo
brevemente in che cosa consistono questi fenomeni. Si tratta essenzialmente dello scambio
reciproco di posizione, della sostituzione che avviene, in determinate condizioni, fra due
liquidi miscibili di cui l'uno è contenuto in un tubo capillare e l’altro in una provetta,
appena vengono a contatto fra di loro. Ecco l'andamento del fenomeno: Appena il tubo
capillare contenente del liquido affiora con la superficie libera di un altro liquido differente,
si osserva, se i due liquidi presentano le condizioni favorevoli alla produzione del feno-
meno, che dalla provetta si stabilisce una corrente ascendente la quale in forma di un
cilindro pieno attraversa la parte centrale assile del liquido del capillare, mentre questo
scende lungo le pareti del tubo a forma di un cilindro cavo per versarsi nella provetta.
Durante questo fenomeno è possibile quindi distinguere nel tubo due correnti: una cen-
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XV. I
2 Giuseppe Russo |MemorIa XV.]
trale ascendente, l’altra periferica discendente. Appena il liquido ascendente tocca la su-
perficie libera del liquido del capillare esso si espande subito in larghezza per guadagnare
tutto il lume del tubo, dapprima a questo livello, poi successivamente nelle sezioni sotto-
stanti, in guisa da completare |’ espulsione di questo liquido. Spesso in tale istante hanno
anche luogo nella sua colonna delle contrazioni ovvero delle espansioni in senso verticale,
secondo la natura dei liquidi che fanno scambio. Alla fine, come si vede, i due liquidi si
trovano quasi del tutto mutati di posto e sostituiti, non tenendosi conto della leggiera dif-
fusione che inevitabilmente avviene durante la rapida sostituzione.
3. Adottando la terminologia del Capparelli, chiamo /7Q%zd0 A quello che durante
l’igromipsia ascende nel tubo capillare; 7792/40 D, quello che durante lo stesso fenomeno
discende; /emzpo igromipsimetrico è quello impiegato del liquido A a raggiungere il
menisco superiore del liquido D dentro il tubo capillare. Ora un’ attenta e ripetuta osser-
vazione dimostra che questo valore costituisce certamente il principale dato del fenomeno,
essendo sensibilissimo all'influenza di molteplici fattori, come dimostrerò in seguito. Inol-
tre esso si presenta rigorosamente costante per determinate coppie di liquidi, purchè ri-
manga immutato, durante il processo, lo stato di essi e non intervengano cause perturba-
trici di qualunque genere. Il problema fondamentale che mi propongo è pertanto quello di
trovare le relazioni che legano il tempo igromipsimetrico ai varî fattori presi in esame.
Per brevità designo col simbolo t questo tempo.
4. Dei fenomeni d’igromipsia darò una spiegazione quanto più si può confortata dai
fatti, dopo l’ esposizione delle ricerche. Tuttavia fin da ora stimo necessario definirli e
classificarli nettamente. E venendo a considerare subito la questione se si tratti di fenomeni
puramente fisici, come vogliono alcuni, ovvero chimico-fisici, come stabili fin da principio
il Capparelli, divido pienamente quest’ ultima opinione. Infatti se essi dipendono innegabil-
mente da cause fisiche come il peso specifico dei liquidi considerati, hanno tuttavia anche
manifesta relazione con la natura chimica di essi. Così per citare un esempio, soluzioni
equidense di cloruro sodico e saccarosio hanno un t molto differente, quando siano prese
come liquidi D, e per liquido A sia scelto in entrambi i casi l’ acqua distillata. Così pure
una soluzione di nitrato potassico ne sostituisce in un tempo relativamente breve una di
saccarosio di uguale densità. Del resto il fenomeno, anche sottoposto ad un esame super-
ficiale, si presenta così chiaramente in rapporto con i più svariati fattori chimico-fisici,
specialmente quando lo si considera nei più stretti tubi capillari, che è inutile fermarmi
ancora su tale questione. Facilmente scartabile mi sembra anche l’idea avanzata da alcuni,
che si tratti cioè dell’ ordinario fenomeno di diffusione: l’ igromipsia per la rapidità con
cui si compie e per il fatto che determina il semplice spostamento non la mescolanza dei
liquidi, non ha nulla in comune con questo. Il fenomeno ha certe rassomiglianze con quei
sistemi di correnti in senso inverso che si possono provocare in seno alle masse li-
quide con uno squilibrio della densità; si può anche in paite riferire a certi movimenti
presentati da due liquidi in contatto che abbiano fra loro una certa differenza di tensione
superficiale, ecc., ma nessuno di questi ed altri paragoni da solo può dare ragione intie-
ramente di tutti i particolari che esso presenta: molto verosimilmente, varî sono i fattori
che contribuiscono insieme a determinarlo.
Frattanto, da un punto di vista puramente formale, possiamo definire l' igromipsia ;
un fenomeno per cui un liquido ne scaccia un altro da uno stretto spazio sosti-
tuendolo quasi completamente.
Le leggi e fattori dell’ igromipsia 3
5. Per quanto riguarda il metodo tecnico da me seguito, esso è stato in massima
quello del Capparelli. Mi sono servito cioè dell’ /gr0m2/psimzetro da lui ideato, consistente
in un tubo capillare graduato in mm. di un determinato calibro, che si può muovere in
senso verticale mediante una disposizione a rocchetto in rapporto con una cremagliera
fissa ad un sostegno verticale, in modo da esser condotto ad affiorare con la superficie
del liquido contenuto in una provetta inferiormente ; il tubo mediante adatte disposizioni a
molla, può essere tolto o fissato. Per le diverse coppie di liquidi, si misura il tempo igro-
mipsimetrico t con un ordinario contasecondi, avendo cura di fare almeno tre determina-
zioni e prendere la media. Il liquido A, per rendere possibile |’ osservazione, è leggier-
mente colorato con fuxina sempre nella stessa misura. Il liquido D può essere introdotto
nel tubo di vetro per semplice capillarità e condotto al punto voluto della scala me-
diante opportune sottrazioni con carta bibula. Se occorre studiare il fenomeno su una lunga
colonna di liquido, è necessario servirsi di tubi speciali che possono trattenere a qualun-
que altezza il liquido entrato per aspirazione: io adopero tubi capillari muniti superior-
mente di una chiavetta. È inutile dire che dopo ogni osservazione il tubo dell’ igromipsi-
metro va accuratamente lavato con etere, potassa, e acido nitrico, poi a lungo con acqua
distillata e infine si asciuga con una corrente di aria calda.
6. Cominciando l’enumerazione dei fattori che fanno variare t, prendo dapprima in
considerazione la sezione del tubo capillare.
Ricerche in questo senso furono fatte dal Polara (9) ed avendole io ripetute e con-
trollate mi risultarono esatte. Eccone alcune:
€ È Raggio della sezione Do A
27 liquido D liquido A Valore di © del capillare Resi Ual
So : del raggio della sezione
È in mm. ap
Za del capillare
I | siero di sangue Acqua distillata 32”, 96 o, 5467 98604
2 » » 38” o, 486 89718
3 » » TRS 0, 3558 86020
4 » Alcool assoluto 4° o. 5467 11952
5 » » cui o, 486 11805
6 » » 8” o. 3558 10120
Da questi dati si rileva approssimativamente, che t è 772versamente proporzionale
al quadrato del raggio della sezione del capillare. Se si riflette alla difficoltà di prov-
vedersi di tubi uniformemente calibrati in tutta la loro lunghezza, e di misurarne esatta-
mente il calibro, risulta assai verosimile, secondo Polara, che la relazione succennata, an-
zichè approssimativa, sia sensibilmente esatta.
Nei tubi strettissimi però, ho potuto notare che il tempo igromipsimetrico tende a di-
ventare lunghissimo, financo infinito per tubi del diametro interno di mm. 0, 1, i quali non
permettono assolutamente lo svolgersi dei fenomeni d’ igromipsia.
7. Il movimento della corrente del liquido A è vario, perchè non percorre in tempi
q Ginseppe Russo |MeMmoRrIA XV.
eguali spazî eguali. Ciò si può dimostrare, registrando separatamente il tempo occorrente
per attraversare i singoli tratti del tubo capillare pieno di liquido fino ad un’ altezza de-
terminata. Quando si desiderano colonne liquide assai lunghe, servono bene a questo scopo
dei tubi muniti di chiavette superiormente, nei quali è possibile trattenere il liquido intro-
dotto per aspirazione a qualunque punto della scala graduata :
2 Diametro a ua segmenti i:
= della sezione liquido A liquido D in mm. Tempo impiegato
35 del capillare del capillare
I mm. 0,9 Acqua dist. col. sol. di Kcl 20 - 40 | TOGO
2 » » » 40 - 60 13
3 » « » 60 - 80 T'OMANTO.
4 » » » 80 - 100 18”
s » » » 140 - 160 DIE
6 » » sol. di Nacl OUSNTO 6”
p7 » » » IO - 20 to}
8 » » » 2062830 Ils
9 » alcool col. » O = IO Dis
10 » » » 20 - 30 ZIA
II » » » 40 - 50 ZERO,
Da queste esperienze risulta che la colonna liquida ascendente è dotata di movimento
ritardato. Questa conclusione è contraria a quella del Polara (9), ma coincide con quanto
scrisse, senza esposizione di dati, il Capparelli nel suo primo lavoro sull’ argomento (3).
Varie certamente sono le cause che ritardano progressivamente la salita del liquido du-
rante l’igromipsia. In primo luogo la gravità che agisce come forza ritardatrice su un li-
quido in ascensione. Viene poi in considerazione l’ attrito che si esercita tra la corrente
ascendente centrale, e quella discendente periferica: a misura che la prima si avanza in
seno al liquido del capillare, l’ attrito si svolge su una più grande estensione di essa e
quindi tende a diminuirne progressivamente la velocità. Infine si deve tener conto, — e
ciò vale specialmente pel caso di scambi eccessivamente lunghi — della diffusione che
inevitabilmente avviene tra le due correnti in movimento ed in reciproco contatto : ciò ha
per effetto di alterare la composizione dei due liquidi tendendo ad allivellarne i caratteri
chimico-fisici e di scemare quindi le cause efficienti del fenomeno prolungandone progres-
sivamente la durata.
È assai difficile potere esprimere con una formola la legge che regola il movimento
ritardato della colonna ascendente nel fenomeno d’ igromipsia, riferendolo alle cause suc-
cennate che non si prestano tutte ad un facile esame e perciò sfuggono a qualunque
misura.
8. Un’ influenza facilmente apprezzabile hanno sul fenomeno d’igromipsia le azioni
molecolari in genere. Infatti una prima condizione necessaria ma non sufficiente perchè
esso avvenga è che la tensione superficiale della lamina esistente alla superficie di sepa-
Le leggi e î fattori dell’ igromipsia 9
razione dei due liquidi messi in contatto sia nulla o quasi, cioè che i due liquidi siano
miscibili. Così se per liquido A si sceglie l’ olio d’ulive e per liquido D | acqua stillata,
nessun movimento ci è dato osservare, pur essendovi nella cennata coppia di liquidi alcune
condizioni favorevoli alla produzione del fenomeno, come la differenza di densità. Invece
il fenomeno si svolge in modo tipico e rapidamente se i due liquidi sono miscibili, purchè
siano rispettate le altre condizioni di esso. L’ alcool si distingue a tal riguardo per la gran-
dissima celerità con cui fa scambio con i liquidi più densi contenuti nell’ igromipsimetro
e questa sua proprietà è dovuta in parte alla sua piccola densità, ma in ispecial modo al
fatto che abbassa grandemente la tensione superficiale dei liquidi con i quali viene in
contatto.
Altezza del liquido o. Diametro
liquido A liquido D della sezione | Valore di t
nel capillare del capillare |
mm. 25 Acqua distillata siero di sangue mm. 0, $ 3QUO
» Alcool assoluto » » 4” 3
» » acqua distillata » Su
Le azioni molecolari non solo vengono in conto nel considerare le condizioni che
presiedono alla produzione del fenomeno, ma altresì nell’ analisi delle cause che regolano
l'andamento del medesimo. L’igromipsia studiata nei tubi capillari è da considerarsi in
parte come un caso particolare dei fenomeni di capillarità, quello cioè in cui il tubo capil-
lare, entro cui un dato liquido deve salire, sia già occupato da un altro liquido, sotto deter-
minate condizioni che andrò esponendo. Entrano qui dunque in gioco le azioni molecolari
tra solidi e liquidi, tra liquidi e liquidi e ciò tanto maggiormente quanto più stretto è il
capillare col quale si esperimenta. Basta infatti una semplice riflessione per intendere come,
a parità di condizioni, il liquido O! abbandona il tubo con tanto maggior difficoltà quanto
maggiore è la sua adesione per il vetro. Similmente non sono da trascurare le azioni mo-
lecolari che si esercitano tra i due liquidi in contatto ed in reciproco movimento, durante
l’ igromipsia.
Le contrazioni o le espansioni verticali a cui va spesso soggetta la colonna del li-
quido H, appena ha raggiunto il menisco superiore del liquido del capillare, sono un effetto
della tensione superficiale e della costante di capillarità per cui esso tende a disporsi ad
un’ altezza determinata nel tubo che può essere differente da quella raggiunta dall’ altro
liquido. Così se il liquido A è l'alcool e il liquido D l’acqua, essendoci una grande dif-
ferenza di tensione superficiale fra i due, il primo liquido, dopo avere attraversato la co-
lonna dell’ altro, si retrae bruscamente in basso, perchè non può reggersi per capillarità a
quell’ altezza che a questo era permessa. Invece l’acqua, dopo aver percorso la colonna
dell’ acido acetico che è assai bassa, presenta, per la maggior tensione superficiale, una
considerevole espansione verticale. È quasi inutile avvertire che per osservare bene questi
curiosi fenomeni, il liquido D deve entrare nel capillare senza alcuna aspirazione, guada-
gnando l'altezza corrispondente alla propria costante di capillarità.
Infine è certo che i movimenti di penetrazione e sostituzione tra i liquidi miscibili
6 Giuseppe Fusso [MemoRIA XV.]
pur non essendo determinati sono tuttavia favoriti da una certa differenza di tensione su-
perficiale, a parità di condizioni. L'esperienza infatti dimostra che se sopra una scarsa
quantità di un dato liquido posto in una bacinella lasciamo cadere una piccola quantità di
un altro liquido avente minor tensione superficiale si assiste subito a questo processo: il
liquido che ha maggior tensione superficiale (es. l’ acqua) si ritira subito verso le pareti
della bacinella trascinando seco l’altro (es. l’ alcool), in modo da lasciare quasi scoperto
il fondo della bacinella nella parte in cui quest’ultimo liquido è caduto. Ora un movi-
mento analogo avviene quando dei due liquidi considerati, quello avente la membrana su-
perficiale più tesa è racchiuso in un tubo capillare, l’altro in una provetta inferiormente
e i due liquidi vengono a contatto : il risultato sarà anche qui una contrazione della su-
perficie inferiore del primo liquido che trascinerà l’ altro dentro il capillare.
Sebbene un simile fenomeno concorra, quando avviene, a determinare il valore di t,
non bisogna tuttavia confonderlo con l’igromipsia, la quale riconosce essenzialmente fat-
tori determinanti diversi. Infatti è certo che anche tra soluzione isocapillari il fenomeno
avviene; così una soluzione di nitrato potassico al 16.50 °/o, fa scambio con una solu-
zione di mannite al 43 °/», in 28”, in un capillare di mm. 2, quando la prima funzione
da liquido A, la seconda da liquido D: questi due liquidi hanno la stessa costante di ca-
pillarità [Battelli e Stefanini (1) ]). Anzi il fenomeno può avvenire anche quando il liquido
che ha minor tensione superficiale è collocato nel capillare e l’altro nella provetta, se esi-
stono le altre condizioni favorevoli a determinarlo. Così l’acqua penetra per igromipsia in
un capillare contenente dell'acido acetico che ba una tensione superficiale assai più bassa.
Ciò dimostra che gli effetti della differenza di tensione superficiale testè descritti non pos-
sono spiegare l’igromipsia ma soltanto complicarla. Su ciò ritornerò in seguito.
9. Veniamo ora ai fattori essenziali dell’igromipsia guidandoci al solito col valore del
tempo igromipsimetrico t, che è, come ho accennato, l’espressione più fedele dell’ anda-
mento del fenomeno. Lo studio sulle soluzioni dimostra quale cumulo di condizioni e di
fattori può determinare il valore di t.* Per indicare queste relazioni mi sono servito di so-
luzioni a volume costante, in cui cioè una data quantità di una sostanza era sciolta in
un volume fisso di soluzione per es. in un litro. Prendendo a considerare il modo con
cui t varia con la concentrazione, ho notato una profonda differenza tra le soluzioni di
cristalloidi elettroliti, quelle di cristalloidi anelettroliti, e quelle di sostanze colloidali, a pa-
rità di concentrazione ponderale. Le seguenti misure valgono per altezze di cm. 1.4 in un
capillare avente una sezione del diametro di mm. 2.
Il liquido A è l’ acqua distillata colorata.
liquido D
MII Valore di ©
sostanze sciolte | titolo della soluzione
Cloruro potassico TOMO6 I 67
Saccarosio » SUS
Gomma arabica » | IS
Adunque il tempo di sostituzione cresce dagli elettroliti agli anelettroliti e da questi
Sato
Le leggi e i fattori dell’ igromipsia 9;
ai colioidi, per un ugual titolo. Questa differenza si fa più spiccata adoperando un capil-
lare del diametro interno di mm. 0.9 con colonne liquide di mm. 24:
liquido 2
- —— Valore di t
sostanze sciolte | titolo della soluzione
Cloruro potassico TOMOo Si
Saccarosio | ) Tip
|
Gomma arabica » 64"
Come si vede, il distacco è già considerevole tra le soluzioni di elettroliti ed anelet-
troliti, ma diventa enorme se si paragonano con queste le soluzioni .colloidali che richie-
dono un lunghissimo tempo per essere sostituite.
10. Quando si considerano soluzioni diversamente titolate di un elettrolite, si osserva
che t varia, con molta approssimazione, in ragione inversa del titolo, entro certi limiti di
diluizione. Ecco alcune osservazioni ottenute con colonne liquide alte cm. 1.6 in un
capillare dalla sezione di mm. 2, usando come liquido A l’acqua distillata.
Concentrazione VALORE DI
dei liquido D | Cloruro di Potassio Solfato di rame loduro di potassio
sol. N 36CRI 1”. 4 1”. 3
> N 6”. 2 DINO, | DURA
» 1/, N ID SP. 4 N. 8
» ‘la N 23”. 6 10”. 6 g”. 4
>» 5/16 N 49” a =
» t/3a N ST, ma =
> t/e4a N | 6' = cs
Come si vede, a misura che la diluizione aumenta, © tende a diventare infinito, e la
proporzionalità suaccennata cessa. Se si adopera il capillare del diametro interno di mm. 0.9,
con colonne liquide alte mm. 24, sono più evidenti le deviazioni:
Titolo della soluzione
Valore di tT
di Kcl (liquido D)
sol. 2 N OSSO
» N 2300
» il, N Lgs
»
Ca
==
»
Z
“n
N
8 Giuseppe fusso [MEMORIA XV.]
11. Le soluzioni diversamente titolate di una sostanza anelettrolitica offrono un con-
tegno differente. Ecco dei dati ottenuti col tubo del diametro di mm. 2 per altezze di
cm. 1,6. Il liquido A è sempre l’ acqua distillata :
Titolo della so- Titolo della so- Titolo della solu-
Iuzione di sacca-| Valore di © luzione di Urea | Valore di © zione di glucosio| Valore di T
rosio (liquido D) (liquido D) (liquido D)
sol. N Dil sol. N el Sol. N 21088,
» i/,° N Za) » 4/, N T04 » 4/, N 4
» 1, N 5 > 4], N 30” > 14 N ale
» 1/3 N 9” » 1/3 N 67” » 4/8 N 12”. 6
» t/46 N 7A » 4/16 N 1,70” » 4/16 N 21”. 2
Usando il capillare del diametro di mm. 0.9 per altezze di mm. 24, si ha:
Titolo della soluzione i Titolo della soluzione |
di saccarosio (li- Valore di t È | Valore di t
quido D) di Urea (liquido D)
sol. N 9) 6 N 10”
» 1/, N 15% 3 N 18/”.4
» 14, N 23”,8 1.5 N 38”
» 1/g N 49,7 0.75 N 2
Questi risultati ci dimostrano che a differenza delle soluzioni di elettroliti, qui il tempo
igromipsimetrico, progredendo la diluizione, dapprima diventa più corto di quanto richieda
la proporzionalità, poi tende a diventare infinito come in queste.
12. Nelle soluzioni colloidali si affaccia un comportamento che sembra un’ esagera-
zione di quanto abbiamo studiato nelle soluzioni di sostanze anelettrolitiche. Ecco dei dati
relativi alla gomma arabica ottenuti col capillare del diametro interno di mm. 2 per altezze
di cm. 1.4. Il liquido A è l’acqua distillata.
Dunque a misura che la diluizione cresce, t dap-
i RSA noe Î io
Tiolaosiaalizione prima diminuisce: Ciò è contrario alla legge già di
di gomma arabica Valore di t mostrata per le soluzioni dei cristalloidi secondo la
(liquido D) Sa $ i È
quale t varia in ragione inversa alla concentrazione,
AI di là di un certo limite però, anche le soluzioni col-
30 °/o 35 loidali si avvicinano a questa legge in modo che per
24 °/o 21 es. nel passaggio dalla soluzione di gomma arabica al
16 %/o 15” 16 °/o a quella a 8 °/o, t resta quasi invariato, ed
80, io infine cominciano ad obbedirvi manifestamente, pur
presentando valori di t più corti di quanto richieda la
folle 3a proporzionalità inversa alla concentrazione.
2 °lo 300 Il modo di comportarsi delle soluzioni colloidali
I °/o | 49” ad alto titolo costituendo un’ eccezione assai note-
Le leggi e i fattori dell’ igromipsta 9
vole, quasi paradossale, alle regolarità igromipsimetriche, va designato come un caso d'/g7°0-
mipsia paradossa. I dati riguardanti le basse concentrazioni corrispondono invece ai ri-
sultati ottenuti sulle sostanze anelettroliche. Sembra lecito ammettere che gli stessi fattori
determinanti il contegno degli anelettroliti, imprimano ai colloidi, esagerandosi grandemente,
i superiori caratteri igromipsimetrici.
13. La ricerca delle cause che fanno crescere il valore di t, dagli elettroliti agli ane-
lettroliti e da questi ai colloidali, a parità di titolo, ci porge l’ occasione di rilevare altri
fattori dominanti i fenomeni d’ igromipsia. Uno di questi è la viscosità. L'importanza di
questo coefficiente si può arguire, con semplici riflessioni teoriche, ponendo mente al fatto
che un sistema di due correnti inverse ed in contatto, che si muovono in un capillare,
deve anche dipendere grandemente, in quanto alla velocità del movimento, dalle condi-
zioni di attrito che governano le due masse liquide.
Le seguenti misure, ottenute col capillare della sezione di m. 0. 9, su colonne liquide
alte mm. 24, dimostrano come varia il coefficiente di vischiosità in tre soluzioni di egual
titolo appartenenti ai tre gruppi di sostanze succennate, parallelamente al tempo igromipsi-
metrico TE
liquido A liquido D Valore di © Tempo di efflusso
Acqua distillata sol. di cloruro sodico 16 °/, 8” 2909
» » di saccarosio Tono TS 3306
» | » di gomma arabica 16 °/ | 64! | 703.00
Sembra giusto attribuire a queste differenze di vischiosità una grande influenza per
il modo di comportarsi delle diverse sostanze sciolte, dal punto di vista del nostro esame.
Abbiamo visto che nelle soluzioni colloidali, a partire da un certo grado di concentrazione,
il tempo t cresce col crescere del titolo, e ciò ho denominato zg70m7psza paradossa.
Ebbene è certo che il grande coefficiente di vischiosità di questi liquidi è la causa della
notevole deviazione, giacchè, come si sa, esso cresce enormemente con la concentrazione.
Nelle soluzioni colloidali diluite, e in quelle degli anelettroliti si è osservato che ©, entro
certi limiti, offre un valore più piccolo di quello richiesto dalla proporzionalità inversa
alla concentrazione. Ebbene anche questo si spiega in parte col fatto che, diminuendo la
concentrazione, si abbassa la vischiosità e perciò t risulta più corto di quello che dovrebbe
essere se l’ igromipsia obbedisse alla sola legge della concentrazione. Nelle soluzioni degli
elettroliti il coefficiente di vischiosità è basso e varia poco coi diversi gradi di concentra-
zione : ciò spiega parzialmente il loro modo di comportarsi anzicennato.
L'influenza della vischiosità sul valore di t pare anche confermato dai caratteri igro-
mipsimetrici presentati da soluzioni colloidali a cui siano aggiunte in diversa proporzione
delle sostanze cristalloidiche. Nelle misure seguenti si è adoperato il capillare del diame-
tro interno di mm. 2, con colonne liquide di mm. 14. Il liquido A è stato l’ acqua distillata:
liquido D Valore di t
sol. 4 °/o di gomma arabica 2
sol. 4 °/, di cloruro sodico ; . ” - ; 7 P - 5
sol. 8 °/o di gomma arabica e di cloruro potassico in proporzioni eguali Si
Sol. 4 °/o di gomma arabica e di cloruro potassico in proporzioni eguali 9
mn
ATTI ACC, SERIE V., VOL. VI — Mem. XV.
N
10 Giuseppe Russo |MemorIA XV.]
Come si vede, aggiungendo ad una soluzione di sostanza colloide della sostanza cri-
stalloide, il valore di t diminuisce moltissimo, il che deve essere in parte attribuito alla di-
minuzione che il coefficiente di vischiosità delle soluzioni colloidali soffre aggiungendovi
in diverse proporzioni certi cristalloidi (Fano e Rossi).
Dagli stessi risultati poi si rileva come i colloidi aggiunti in certe proporzioni alle
soluzioni dei cristalloidi, non fanno variare grandemente t, perchè la diminuzione di que-
sto coefficiente che si dovrebbe avere per l’ aumento della concentrazione è in gran parte
compensato dall’ aumento della vischiosità.
14. Il Capparelli (4), ricercando le cause dell’ igromipsia, assegna un’ importanza pre-
minente alla differenza di densità fra il liquido A ed il liquido D ed ammette che il fe-
nomeno essenzialmente avviene perchè un liquido meno denso collocato inferiormente,
venendo in contatto con uno più denso racchiuso in un tubo, tende a sovrapporsi ad esso
attraversandolo, per legge di gravità. Con ciò implicitamente conchiude che |’ igromipsia
non avviene fra liquidi equidensi o peggio quando il meno denso è collocato nel capillare.
Sebbene in questa affermazione ci sia gran parte di verità, pure farò in proposito
qualche restrizione.
Nella sua forma più semplice elementare l’igromipsia riconosce effettivamente come
principale fattore la gravità. Nei tubi non capillari di un certo diametro è possibile, con
qualche facile artifizio, produrre il fenomeno d’'igromipsia. Orbene se i due liquidi ado-
perati, oltre che soddisfare ad altre condizioni, non presentano una differenza di peso spe-
cifico e non sono disposti in modo che il meno denso funzioni da liquido A, mentre il
più denso sia racchiuso nel tubo, nessun movimento delle masse liquide è possibile notare.
Del resto l’ igromipsia, per le modalità con cui si svolge, raffigura abbastanza, mi pare,
quei movimenti in forma di correnti a doppio senso che si determinano in seno ad una
massa liquida, apportando con un mezzo qualunque p. es. col riscaldamento, uno squili-
brio di densità in un punto del fondo del recipiente che la contiene.
Per mettere in rilievo la relazione che lega t alla densità, torna comodo, al solito,
riferirsi a soluzioni egualmente concentrate -di varie sostanze, per seguire un criterio unico.
Si è accennato che colle differenze di viscosità si potevano in parte spiegare certe divergenze.
Ma alcuni esempî dimostrano chiaramente che con questo solo criterio, moltissimi fatti
sfuggono ad una giusta interpretazione. Si considerino per es. soluzioni di egual titolo di
cloruro potassico ed urea.
Adoperando il capillare del diametro interno di mm. 2, con colonne liquide di cm. 1,6
e scegliendo l’ acqua distillata come liquido A, si hanno i seguenti risultati, in cui il va-
lore di t è paragonato col tempo di efflusso in ciascuna soluzione :
SOSTANZE Valore di T Tempo di efflusso
Urea 4 °/o . : 5 TGA | 234
Cloruro potassico 4 °/o ATE 227
Aumentando la concentrazione, col capillare di mm. 0,9 di diametro interno e colonne
liquide di mm. 24 si ha:
Urea 16 °/o : ; 5 ; 3 7 | 20% | 254
Cloruro potassico 16 °/,
DS
Le leggi e i fattori dell’ igromipsta ll
Questo risultato dimostra che mentre in ambedue i casi il valore di t delle due so-
luzioni è assai differente, il tempo di efflusso è invece poco distante.
Se si paragonano due soluzioni di egual titolo di urea e saccarosio, si hanno i risul-
tati seguenti, in identiche condizioni sperimentali :
Il capillare è quello dalla sezione di mm. 0.9 di diametro, le colonne liquide hanno
una altezza di mm. 24, il liquido A è l’ acqua distillata.
Tempo
SOSTANZE Valore di T di
efflusso
Saccarosio 16 °/o ; ; : P i 16” sl
Urea 16 °/o 7 . ? ; È 20% DIS
Questi dati offrono un esempio di due soluzioni che pur essendo ugualmente concen-
trate, offrono una certa differenza nel valore di t, mentre si ha una differenza nel tempo
di efflusso contraria a quella che si dovrebbe avere per spiegare con essa il diverso com-
portamento igromipsimetrico.
Adunque esistono altri fattori capaci di presiedere l'andamento del fenomeno per la
loro grande importanza.
Le seguenti osservazioni riguardano soluzioni per le quali è impossibile invocare i
coefficienti fin qui considerati. Il capillare ha la sezione del diametro di mm. 2; l’ altezza
della colonna liquida è mm. 16.
liquido A liquido D Valore di t
SOlMUrcal rol0/ RN O sol. cloruro potassico 10 °/o ASA
Po E a » 19”
Come si vede soluzioni allo stesso titolo od a titolo doppio di un’altra, in questo
caso, possono sostituirla per igromipsia. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma per ora
fermiamoci a questo. A che cosa può essere dovuto ciò? Viene subito in mente il peso
specifico che è molto differente in soluzioni di egual titolo delle due sostanze considerate,
essendo inferiore nella soluzione di Urea. Anche la soluzione 20 °/, di Urea ha un peso
specifico inferiore alla soluzione 10 °/, di cloruro potassico.
Considerazioni analoghe si possono fare per i risultati seguenti:
Le condizioni sperimentali identiche alle precedenti.
liquido A liquido 2 Valore di t
sol. gomma arabica 10 °/,. . sol. cloruro potassico 10 °/o . (oe
sol. tannino ro °/ . . . » 5”. 8
Giuseppe Iusso
[MEMORIA XV.]
Orbene la soluzione del cloruro potassico è più densa, a parità di concentrazione, di
quella della gomma e del tannino.
Paragonando soluzioni di sostanze appartenenti ad una stessa categoria dal punto di
vista chimico-fisico, i risultati possono essere differenti.
In alcuni casi, specialmente fra gli elettroliti, la legge di dipendenza tra t ed il grado
di concentrazione è pienamente osservata 0 quasi :
SEO Altezza diametro . prodotto di © per _
e DAI del'iguia Ri dell È Valore il numero di grammi
È liquido D del Nquido liquido A ella Sezio- . della sostanza sciolta
534 | nel ne del (has in un litro di solu-
dra | capillare capillare zione
I sol. normale di KCI | cm. 1.6 Acqua distillata mm, 2 gli 222,0
|
2. » » » Cu So » » « ei 222,6
3 » » KJ » » » 13 214,5
i Ì
4 » » (NHÉ)z Sot > » » | eg 224, 4
5 » » NHi dI » » » | AA? 222,6
In tutti questi casi in cui, com'è facile osservare, la densità è quasi funzione del
grado di concentrazione della soluzione variando poco la configurazione molecolare tra le
singole sostanze sciolte, dalla misura del tempo igromipsimetrico t possiamo trarre un in-
dizio quasi sicuro sulla densità della soluzione, come ha conchiuso il Capparelli e dopo
di lui il Polara. Ma negli stessi elettroliti e più palesamente negli anelettroliti e nei colloidi,
nei quali il volume molecolare è maggiore e la configurazione molecolare assai più com-
plessa e soggetta a variare, i risultati assai spesso non sono conformi alla legge di dipen-
denza tra t ed il grado di concentrazione. Valgano i seguenti esempi:
cè l o ap diametro Valea
DE liquido D el liquido liquido A della sezione i
2 A | o del capillare di ©
|
I sol. gomma arabica 10 °/o cm. 1.5 | Acqua distillata mm. 2 IRRSIS
2; sol. tannino ro "fo... . » » Mara o n 4”, 4
3 Sol tannico 109/00 e » sol. gomma arabica 10 °/ . » so”
4 | sol. mannite 8 °/o - cm. 1.6 | Acqua distillata. . . . . » 6492.
Sen sol/A rente 6 (I a » » eg » 8”
6 sol. Mannite 80/0... . . » SOlMUrARS10) o E » 29”
7} sol. solfato potassico 8 °/o . . » Acqua distillata. . . . . » ZAN, x
8 sol. Nitrato potassico 8 °/o . . » 3 LE » 3”, 6 È
9 sol. Solfato potassico 8 °/o . . » sol. Nitrato potassico 8 °/o » 20”
Ora, se di queste singole coppie di liquidi, appartenenti a differenti gruppi chimico-
fisici, si fanno le misure picnometriche, è facile rilevare che, per ogni coppia, il valore
Le leggi e i fattori dell’ igromipsta 13
di t più alto corrisponde alla soluzione meno densa, la quale è anche capace di funzionare
da liquido A rispetto all’ altra soluzione presa come liquido D, che è la più densa:
STO'LU'ZI LEONI Peso specifico
Gomma arabica 10 9/0... 1,033
Tanmnorto o 1,028
Urea 8 °/o alano an 1, 022
Mannite 8 °/o Mn 1,027
Nitrato potassico 8 %o . i... 1,055
Solfato potassico 8 °/ Ro. 1,058
Non si può dunque mettere in dubbio l’importanza della densità nel fenomeno d’igro-
mipsia. Ciò è confermato anche dal contegno dei liquidi semplici, come risulta dai seguenti
esempî, in cui il liquido A è l’ alcool assoluto :
diametro altezza
Liquido D Densità Valore di t | della sezione | del liquido
del capillare | nel capillare
Acquagdistillata We ee Re I Val mm. 0.9 mm. 12
AGICONACEtICORee ee e I, 052 6” » »
(G119 CHINA 1.265 rit (6) » »
Messa in sodo l’importanza che hanno le differenze di densità tra i liquidi conside-
rati nel determinare l’ igromipsia, occorre guardarsi da un possibile errore, che cioè il fe-
nomeno sia dovuto essenzialmente alla gravità e che perciò non possa mai avvenire tra
liquidi equidensi o collocando inferiormente il più denso e superiormente il meno denso.
A tale supposizione può, credo, facilmente indurre il raffronto già accennato tra l’ igro-
mipsia e quel sistema di correnti in doppio senso che gli squilibri di densità provocano
in seno ad una massa liquida. Ma in realtà si tratta di fenomeni chimico-fisici complica-
tissimi che obbediscono a varie leggi non tutte egualmente apprezzabili.
Ecco frattanto dei risultati che contraddicono apertamente la supposizione suddetta:
Il liquido A è l’acqua distillata, Ia sezione del capillare ha il diametro di mm. 2,
l'altezza della colonna liquida è mm. 16.
Liquido D Densità Valore di t
Solfato\potassiconi. tmi9/pi fe I. 009 TOSSA
Solfato magnesiaco 1. 78% +... 1.008 16”
Nitrato potassico 2, 40 %/ DR SRO T. 017 add
SACCALOSIORA 0 VI RT I: 1.014 9”, 4
Nitrato potassico 1,01% >... .. 0. 1. 006 DSL
Da questi dati anzitutto si rileva che una sostanza pur essendo più densa di un’ altra
può presentare un coefficiente igromipsimetrico maggiore di questa, a parità di condizioni
sperimentali. Questo risultato infirma la legge formulata dal Polara, (9) che cioè il tempo
14 Giuseppe Russo [Memoria XV.]
igromipsimetrico è tanto minore quanto maggiore è la differenza. di densità tra i due li-
quidi considerati e viceversa. In secondo luogo è possibile scegliere, tra le soluzioni ri-
portate nella tavola, delle coppie tali da produrre l’igromipsia pur collocando inferiormente
il liquido più denso:
liquido A liquido D Valore di ©
sol. nitrato potassico 2, 40% . - . | sol. saccarosio 49%. . .... 19”
sol. solfato potassico 1, 11° . . . | sol. solfato di magnesio 1,78... . | 34
Ciò dimostra che la condizione stabilita preliminarmente dai precedenti autori (4) (9),
secondo cui non avverebbe l’ igromipsia se dei due liquidi il meno denso non è inizialmente
sottoposto al più denso, soffre delle eccezioni notevoli, le quali mettono in rilievo che la
causa determinante il fenomeno non può essere la sola gravità senza il concorso di altre
circostanze che meritano una grande attenzione.
Intanto, tenendo conto del volume molecolare, abbiamo trovato una sufficiente spiega-
zione del diverso modo di comportarsi degli elettroliti, gli anelettroliti e i colloidi. Le so-
luzioni di elettroliti hanno, a parità di concentrazione, maggior densità delle soluzioni di
anelettroliti e colloidi e quindi ad esse corrisponde un valore di t più piccolo che alle altre.
Queste differenze sono poi esagerate, come si è notato precedentemente, dal coefficiente
di viscosità, che è sempre assai grande nelle soluzioni colloidali e maggiore che nelle so-
luzioni di altre sostanze, in modo da produrre un enorme ritardo nel tempo di sostituzione.
Infine un'altra questione mi preme di esaminare. L'influenza già costatata della con-
centrazione sul tempo igromipsimetrico, esprime in fondo l'influenza del peso specifico, per
la relazione che lega questo a quella, ovvero la concentrazione deve essere considerata in
disparte come fattore capace di regolare il fenomeno per conto suo? Mi pare sia da ac-
cettare quest’ultima opinione. In tutti i casi d’ igromipsia in cui il liquido A è ugualmente
denso o più denso del liquido D, la gravità non può invocarsi come causa della doppia
corrente liquida caratteristica. Ora, un attento esame dimostra che in tutti questi casi il
liquido D, pur non essendo più denso, è, per regola, più concentrato del liquido A, cioè
contiene una quantità maggiore in peso di soluto, a parità di volume. Così è per esempio
nelle osservazioni precedenti e in tante altre che si potrebbero citare.
Si considerino i risultati seguenti :
Diametro | Altezza VIOLE
Liquido D della se- [del liquido Liquido D
zione del | nel capil- digest
capillare lare
sol. solfato potassico 1. 11°. . .| mm. 2 | mm. 16 Acqua distillata 19”. 4
» solfato magnesiaco 1. 80%. . » » » 157.8
» nitrato potassico 1. 06%, . . + » » » 24”
» nitrato potassico 2. 40% +. . » » » RA
» saccarosio 4210 ATI » » » 8.9
Le leggi e i fattori dell’ igromipsia 15
Orbene queste soluzioni presentano i seguenti pesi specifici:
SOLUZIONI Peso specifico
I
Solfato NpotaSsSICO Mn nigi I. 009
solfato magnesiaco 1. 80%. /./..0. I. 009
DILTALOMPOLASSICONI MOI) I. 009
» DIZIONARI i 1.017
saccarosio TI aa gi MEA TE 1:07
Adunque le differenze nel valore di t non si possono attribuire che alle diverse con-
centrazioni, quando i pesi specifici risultano eguali. È presumibile pertanto che l’ impulso
all’igromipsia dipenda non solo dalla densità, ma anche dalla concentrazione dei due li-
quidi; che in altri termini, la massa delle molecole del soluto abbia per sè stessa un'im-
portanza sensibilissima in questi fenomeni.
14. È innegabile che anche la concentrazione molecolare, come la concentrazione in
peso, influisce sulla durata dell’igromipsia.
Soluzioni contenenti in un egual volume lo stesso numero di moli di varie sostanze
disciolte, non hanno, in generale, lo stesso carattere igromipsimetrico :
o ® x
n E diametro altezza may Valore
Sia della sezione | del liquido liquido A
DIS i i di t
Za del capillare | nel capillare
did
I Sol. N di cloruro potassico . mm. 2 mm. 16 Acqua distillata 30,1
2 » di solfato ramico . . + » » » IU
3 N VE » » » 9”
4 » di saccarosio VINTE” » » » 26
N. : N... ”
S >il dinsaccarosio, » » sol. — di Urea 19
2 2
Le differenze sono principalmente in rapporto, com’ è facile intendere, colla densità e
colla concentrazione in peso, che differiscono da soluzione a soluzione.
Per poter mettere in rilievo l'influenza della concentrazione molecolare, occorre esclu-
dere gli altri fattori che concorrono a determinare il fenomeno, il che potrebbe farsi, nel
miglior modo, paragonando liquidi che abbiano uguali i caratteri chimico-fisici anzi cennati,
e differiscano solo per la concentrazione molecolare. Ciò essendo impossibile, mi sono li-
mitato a scegliere delle soluzioni che presentavano caratteri di vischiosità e di tensione
superficiale tali, da potersi per lo meno escludere che differenze di una certa misura
nel valore di t potessero attribuirsi a questi fattori, di cui abbiamo già apprezzato l’im-
portanza. In secondo luogo, tenuto conto che in queste condizioni i maggiori effetti sul-
l’andamento dell’igromipsia dovrebbero essere spiegati dalla densità e dalla concentrazione
16 Giuseppe Russo |MemoRrIA XV.]
in peso, ho proceduto così: da una parte ho paragonato soluzioni aventi ugual titolo pon-
derale, dall’ altra soluzioni aventi uguale peso specifico. E chiaro che, se nessun altro
coefficiente intervenisse nel meccanismo del fenomeno, oltre quelli fin qui studiati, si do-
vrebbero ottenere, così operando, delle regolarità soddisfacenti, che esprimano le relazioni
già conosciute. Ma intanto non è così. Le seguenti soluzioni hanno uguale il titolo pon-
derale, diversa la densità. Si consideri per ciascuna di esse il prodotto #d del tempo igro-
mipsimetrico, ottenuto in identiche condizioni sperimentali in tutti i casi, per la differenza
tra la sua densità e quella dell’ acqua stillata che è il liquido A :
Liquidi D
TITOLO DELLA SOLUZIONE
Valore
STO:SEIMASNOZIE < ; Densità td
grammi | _ di ©
| normale
per cento |
MAD Lt TT 8 | O, 44 INO27 602 1674
Solfato potassico |... . 8 o, 46 1,058 20000, 1682
nitrato potassico RT 8 o, 79 1,055 30 1980
I prodotti #4 non sono eguali, e, come si vede, variano nello stesso senso del titolo
delle soluzioni espresso in moli.
Si confrontino ora liquidi di eguale densità e differente composizione centesimale, con-
siderandone il prodotto fc del tempo igromipsimetrico per il numero di grammi del soluto
per cento:
liquidi D
TITOLO DELLA SOLUZIONE
Valore
SOSTANZE er Densità Ì tc
RE normale di ©
per cento
Solfato potassico T.00I 0, 06 1,009 19”, 6 2113553
Nitrato potassico , 1.06 0, 10 I, 009 DATI 25, S4
Solfato magnesiaco I. 80 O, I5 1, 009 TSGALO 28, 44
Anche qui i prodotti #c variano nello stesso senso del titolo della soluzione espresso
in moli.
Questo doppio ordine di osservazioni ci dice che oltre i fattori già illustrati, deve te-
nersi conto di un nuovo coefficiente nell’ analisi dell’igromipsia, perchè altrimenti tanto il
prodotto Zd, nella prima serie di esperienze, che il prodotto fc, nella seconda serie, do-
vrebbe risultare uguale o quasi nei singoli liquidi presi in esame, esprimendo rispettiva-
mente l’uno la relazione che lega t alla densità dei liquidi, l'altro quella che lega t alla
concentrazione ponderale. Ricercando quale possa essere questo nuovo coefficiente, dopo
averne scartato tanti altri, che nel caso nostro sono inammissibili, ci si affaccia alla mente
la concentrazione molecolare, che differisce nei varî liquidi esaminati. E gli esempi ripor-
tati, come tanti altri che si potrebbero aggiungere, sembrano dimostrativi a tal riguardo,
-
,
Le leggi e i fattori dell’ igromipsia I
indicandoci una manifesta regolarità tra il crescere della concentrazione in moli ed il cre-
scere dei prodotti fd e fc. Mi sembra pertanto lecito concludere che la concentrazione
molecolare concorra pure a determinare l’ andamento dell’ igromipsia e che le differenze
nella serie dei prodotti #4 e in quella dei prodotti fc da soluzione a soluzione, rivelino
appunto l'influenza di questo fattore che è differente nelle singole soluzioni adoperate, come
risulta dalle tavole.
Se vogliamo rappresentare con una legge il complesso di queste osservazioni, dob-
biamo enunciarla così, in base ai dati numerici contenuti nelle due tavole annesse: 7
tempo igromipsimetrico, a parità di condizioni, varia nello stesso senso della con-
centrazione molecolare. Questo fatto, che trova riscontro in alcuni risultati di Stefan,
Graham, Nernst, sui fenomeni di diffusione, è in perfetta armonia con un concetto messo
in rilievo dall’ Ostwald, secondo il quale la materia, allo stato infinitamente piccolo, mal
si presta alle escursioni di qualsiasi genere, tanto più, quanto maggiormente si spinge la
sua divisione : così una pietra richiede, per essere lanciata, una forza minore che quando
è ridotta in polvere. Trasportando questo concetto nel campo delle nostre osservazioni,
mi pare si possa ammettere, senza urtare alcun principio teorico e rimanendo strettamente
fedeli ai fatti, che quanto più sono piccole e numerose le molecole del soluto, a parità di
peso e di volume, tanto più lente diventano le loro migrazioni lungo il capillare, durante
l’igromipsia, e perciò più grande il numero esprimente la durata del fenomeno.
15. Non occorre fornire speciali dimostrazioni per illustrare tutto un cumulo di fattori,
la cui influenza sull’ andamento dell’ igromipsia è innegabile. Si tratta di condizioni fisiche
o chimico-fisiche capaci di far variare i coefficienti già studiati, cioè la vischiosità, la den-
sità, la concentrazione, l’ aggruppamento molecolare, la configurazione molecolare ecc. ecc.
e perciò rientrano perfettamente, per quanto riguarda l’analisi del fenomeno, tra questi.
La temperatura è degna di grande considerazione, perchè è capace di far variare no-
tevolmente la durata dell’igromipsia.
Si consideri il seguente esempio :
altezza diametro Valore
liquido D del liquido | della sezione liquido A
nel capillare | nel capillare
SOM adi tKclWa 80 CM. 02,5 mm 0.9 Acqua distillata a 18° | 167,8
» » » | » | » » al509 16
La dissociazione elettrolitica probabilmente influisce pure sulla durata del fenomeno,
il che risulta dalle più sottili discussioni e considerazioni sul comportamento delle solu-
zioni di elettroliti ed anelettroliti. La dipendenza già segnalata tra il valore di © ed il nu-
mero di moli, nel senso già espresso, che cioè t varii con la concentrazione molecolare,
non soffre eccezione di gran rilievo, se si paragonano fra loro sostanze appartenenti ad
uno stesso gruppo, degli elettroliti o degli anelettroliti ; nel caso contrario, si trovano su-
bito i risultati in contrasto con questa legge. Si faccia per es. un confronto tra due solu-
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XV. 3
18 Giuseppe Russo | Memoria XV.]
zioni, una di urea, l’ altra di nitrato potassico ambedue con la stessa composizione cen-
tesimale :
TITOLO DELLA SOLUZIONE
STOSSTIEAINEZIE î Densità Valore di t td
grammi
24 normale
per cento
Urca Re. 8 I. 33 1.022 DI 1760
Nitrato potassico . . . . + 8 o. 79 1.055 ZO | 1980
Alla soluzione di nitrato potassico, che pure contiene un minor numero di moli, cor-
risponde un prodotto #4 maggiore che alla soluzione di urea, il che significa che a parità
di condizioni, la velocità della sostituzione è minore nel primo caso che nel secondo, con-
tro la regola precedentemente stabilita. Questa ed altre apparenti deviazioni che potrebbero
riferirsi, mi sembra dimostrino che la jonizzazione ha pure la sua parte nell’ intimo mec-
canismo dei fenomeni d'’igromipsia. Infatti, se si procede ad un accurato e sottile apprez-
zamento dei caratteri fisici e chimico-fisici nei liquidi testè considerati, per giudicarne gli
effetti dal punto di vista igromipsimetrico, si deve concludere, per esclusione, che il solo
coefficiente atto a spiegarci il suindicato comportamento è la dissociazione elettrolitica.
Questo concetto, del resto, appare come una generalizzazione ed una maggior deter-
minazione di quel principio già enunciato che subordina la durata dell’ igromipsia allo stato
di divisione in cui trovasi il materiale disciolto. Se il numero delle molecole del soluto
concorre a caratterizzare l’ igromipsia, influendo, come si è visto, sulla sua durata, perchè
non dovrebbe anche entrare in conto la dissociazione elettrolitica che opera sulla materia
del soluto una più fine divisione, frammentandone le molecole? Ammettendo tale influenza,
è chiaro che una soluzione, pur contenendo, a parità di condizioni, ,un numero maggiore
di moli, può presentare un valore di t più basso di un’altra, se, a differenza di questa,
le molecole del soluto sono in essa totalmente o parzialmente dissociate. In tal caso in-
fatti, se è vero il principio avanti espresso, che alla maggior divisione del soluto fa ri-
scontro, entro certi limiti, una minore agilità delle sue particelle in seno al solvente, de-
vono essere più adatte, a parità di condizioni, le molecole integre che non quelle joniz-
zate, a qualunque migrazione entro un mezzo liquido. Con questo giudizio si accorderebbe
l'esempio testè accennato, ammettendo che la dissociazione elettrolitica compensi nella
soluzione del nitrato potassico l’ effetto del minor numero di molecole, scindendole in joni,
in confronto alla soluzione di urea che contiene, come si sa, molecole intiere. Un ragio-
namento simile è da farsi per tanti altri casi che potrebbero addursi.
RIASSUNTO
Per riepilogare, noi abbiamo rilevato, colla minuta analisi del fenomeno d'’ igromipsia,
che molteplici fattori possono concorrere più o meno a determinarne l'indice t, cioè il
tempo di sostituzione. Ecco i principali :
1° L'altezza della colonna liquida nel capillare.
2° Il diametro della sezione del capillare.
3° La tensione superficiale, le azioni molecolari in genere (adesione ecc.)
Le leggi e i fattori dell’ igromipsia 19
4o La vischiosità.
5° La densità.
6° La concentrazione in grammi per cento.
7° La concentrazione in moli ed in senso più largo, la jonizzazione e gli aggruppa-
menti molecolari.
8° Un cumulo di fattori capaci di modificare quelli che precedono e la cui influenza
entra quindi nell'orbita di essi es. la temperatura.
È assai difficile stabilire in quale misura ognuno di questi coefficienti intervenga nel
fenomeno. Di alcuni di essi ci sfuggono ancora le leggi; la circostanza poi di doverli va-
gliare singolarmente in un caso che ci presenta i loro effetti confusi insieme ed intralciati
strettamente, crea tale difficoltà da permetterci appena di riconoscere ed apprezzare tali
coefficienti, di formarci un criterio sul loro modo di agire, ma non di determinarne esat-
tamente l’importanza.
Considerandoli secondo l’ ordine dell’ enumerazione, ecco quanto posso dire sull’ in-
fluenza di ciascuno di essi:
1. Rispetto all’ altezza della colonna liquida nel capillare, t cresce con tale altezza, ma
non proporzionalmente, perchè il moto del liquido A, è ritardato progressivamente da una
somma di cause (gravità ecc.)
2. Il valore di t è molto approssimativamente in ragione inversa al quadrato del rag-
gio della sezione del capillare.
3. La tensione superficiale dei due liquidi che provocano l’igromipsia entra in gran conto.
Il fenomeno non avviene, se alla superficie di separazione dei due liquidi la tensione non
è nulla, cioè se i due liquidi non sono miscibili. Se si presenta il caso che il liquido A
abbia una tensione superficiale molto inferiore a quella del liquido D (es. alcool e acqua),
il movimento delle due correnti liquide è di molto favorito e perciò il tempo t è brevis-
simo, a causa della retrazione che il liquido avente maggior tensione superficiale esercita
sull’ altro. Non può però con tale retrazione spiegarsi il fenomeno d’igromipsia, che può
avvenire indipendentemente da tale condizione, quando i due liquidi hanno uguale tensione
superficiale ed anche quando il liquido che ha minor tensione superficiale funziona da li-
quido D.
Oltre la tensione superficiale, si devono anche considerare altri effetti delle azioni
molecolari, come l’ adesione tra liquido e liquido, tra. liquido e vetro ecc. Più stretto è il
capillare, maggiormente manifesta riesce l'influenza di questi fenomeni.
4. La vischiosità tende a ritardare il tipico sistema di correnti nel loro movimento,
vale a dire il valore di t aumenta col crescere della vischiosità dei due liquidi. Come
esempio di tale dipendenza si può citare l'altissimo coefficiente igromipsimetrico delle so-
stanze colloidi che, come si sa, sono pure dotate di un grande coefficiente di viscosità.
5. La relazione tra t ed il peso specifico si può esprimere così: t varza 172 ragione
inversa alla differenza di ‘densità tra il liquido D ed il liquido A. Sarebbe un er-
rore però il credere che, in qualunque caso, quando tale differenza, è zero t debba essere
infinito, cioè l’igromipsia non debba avvenire. Anzi esiste un gran numero di casi in cui
il fenomeno avviene ancbe se il liquido collocato nel capillare è meno denso dell’ altro. Ciò
dimostra l'influenza spiegata da altri fattori nella produzione del fenomeno.
6. Una grandissima considerazione merita anche la composizione centesimale dei due
liquidi come causa determinante l’ igromipsia. La relazione che lega t al titolo ponderale
20 Giuseppe Russo [Memoria XV.]
delle soluzioni si può così enunciare : t varza in ragione inversa alla differenza tra
il titolo percentuale espresso in grammi del liquido D e quello del liquido A, a pa-
rità di solvente.
L'igromipsia però può avvenire anche quando tale differenza è zero, o il liquido A
possiede un titolo maggiore di quello del liquido D, purchè questo sia più denso dell’ al-
tro. Reciprocamente, nel caso in cui il fenomeno si svolge nella condizione in apparenza
paradossale in cui il liquido A è più denso, cioè contro le leggi di gravità, ho dimostrato
che tale liquido è allora, per regola, meno concentrato dell’ altro.
7. Il numero delle particelle in cui è diviso il soluto in seno al solvente ha pure una
azione apprezzabile sulla durata dell’ igromipsia: t dipende dalla quantità complessiva
di molecole e di jonîi presenti nelle soluzioni. Col crescere della concentrazione
molecolare e della jonizzazione, ©, entro certi limiti, tende ad aumentare, restando
fisse le altre condizioni chimico-fisiche dei liquidi.
8. Tutti i fattori capaci di modificare i precedenti si riflettono pure sull’ andamento
dell’ igromipsia. Per citare un esempio, l’ aggiunta di una certa quantità di alcuni cristal.
loidi ad una soluzione colloidale, abbassa subito l’ altissimo coefficiente igromipsimetrico di
queste, secondo una legge, che è indipendente dall’ aumento della densità e della concen-
trazione così apportato, ma è legata essenzialmente alla depressione del coefficiente di vi-
scosità prodotta dall’ azione del cristalloide sulla soluzione colloidale.
PA:RIRESIIE
Teoria dei fenomeni d’ igromipsia.
Con la scorta dei dati raccolti, è ora possibile concretare una dottrina dei fenomeni
d’igromipsia. A tale intento, bisogna anzitutto stabilire le condizioni a cui deve soddisfare
un liquido perchè ne scacci un’ altro da un tubo più 0 meno stretto, e lo sostituisca quasi
del tutto. Cerchiamo di rispondere in modo adeguato riferendoci ai risultati già esposti
precedentemente.
La prima condizione è : che 7 due liquidi siano miscibili tra loro e che perciò,
venendo essi a contatto, la tensione superficiale, in corrispondenza della loro su-
perficie di separazione, sia nulla. In tal maniera la lamella liquida che esiste all’ ori-
fizio inferiore del tubo e sostiene il liquido colla sua tensione, si distrugge. Se manca
questa prima circostanza, la forte tensione superficiale al limite dei due liquidi, ne impe-
disce, come una barriera, la reciproca penetrazione.
Un'altra condizione a cui deve soddisfare un liquido contenuto in un tubo stretto per
farsi sostituire da un altro è la seguente: deve possedere un prodotto della densità
per il titolo ponderale maggiore di quello dell'altro liquido. Con questa formola si
possono facilmente comprendere tutti i casi che l’ analisi del fenomeno ci presenta. Così
è chiaro che trattandosi di liquidi semplici, l'impulso alla loro reciproca penetrazione è
dato dal solo squilibrio di densità, mentre trattandosi di liquidi complessi (soluzioni, s0-
spensioni), entrano in gioco le azioni spiegate dal soluto o dalle particelle sospese, a tal
segno, che il liquido meno denso può essere scacciato dal più denso purchè presenti una
percentuale di soluto o di particelle sospese maggiore di esso.
(
1
Le leggi e fattori dell’ igromipsia 2
Faccio osservare che nei lavori preliminari già citati di altri autori [Polara (9), Fio-
rito (7)] le cause dell’igromipsia sono ridotte alla sola differenza di peso specifico, e ciò la-
scierebbe inesplicabili un gran numero di fatti da me rilevati che ricevono invece un'esatta
interpretazione riferendosi alla legge espressa nella formola succennata.
Queste due sole condizioni bastano per determinare il fenomeno, il quale dopo che è
cominciato, può essere accelerato o ritardato da numerosi fattori estranei.
Devo ora discutere sulla natura dell’igromipsia per definirla e classificarla nettamente
dal punto di vista chimico-fisico. Fu affermato da qualcuno che l’igromipsia corrisponde
all’ordinario fenomeno di diffusione. Dico subito che non si può stabilire un’identificazione
di questi due ordini di fenomeni, per una somma di ragioni tra cui principalmente queste,
che cioè nell’igromipsia la reciproca penetrazione dei liquidi è rapida e non conduce, nel-
l’interno del tubo, ad una mescolanza ma ad una sostituzione dei liquidi.
Fu sostenuto da altri che si tratta di fenomeno puramente fisico dovuto alle leggi di
gravità per cui i liquidi più leggieri tendono a collocarsi sopra i più pesanti. Non v° è
dubbio che una parte di vero è contenuta in questa affermazione. Tuttavia non si cada
nell’ errore di credere che così si sia spiegato tutto, giacchè con tale interpretazione sono
incompatibili i casi d’igromipsia contrarî alle leggi di gravità e regolati dalle differenze di
concentrazione che ho sopra segnalato.
Nel corso del lavoro ho anche dimostrato che singoli fattori come la tensione super-
ficiale, la pressione osmotica ecc. sono inadeguati a darci ragione della corrente ascendente
con cui s'inizia il fenomeno.
Per riassumere quanto ho illustrato ampiamente nei capitoli precedenti, io richiamo
un principio assai notevole che ho già desunto dalle mie ricerche: /a velocità di so-
stituzione espressa con ©, è proporzionale alla differenza tra il grado di con-
centrazione del liquido discendente e del liquido ascendente e | altro principio che
suona : Za velocità di sostituzione t, è proporzionale alla differenza di densità tra
il liquido discendente ed il liquido ascendente. L'ultima di queste leggi è per sè stessa
assai evidente ed esprime l’ azione della gravità. La prima, che si deve considerare sol-
tanto nel caso di soluzioni, di sospensioni, di liquidi complessi in generale, corrisponde
fedelmente alla legge di Fick relativa ai fenomeni di diffusione, e porta l’igromipsia nel
campo dibattuto delle azioni molecolari e dei processi osmotici. L’ interpretazione intima
del nostro fenomeno, soffre, da questo punto di vista, le stesse incertezze a cui vanno in-
contro questi ultimi, ma non ci discostiamo forse dal vero ritenendo che in ambedue i casi
si tratti di attrazione reciproca dei liquidi 0 di attrazione del solvente per il soluto (Nernst).
Naturalmente nel nostro caso, trattandosi di vagliare gli effetti simultanei di molteplici
fattori, le succennate leggi di dipendenza non si possono cogliere che con difficili e adatti
artifizi sperimentali, mentre all’ osservazione superficiale possono sfuggire del tutto.
Giova in ultimo dare una spiegazione delle modalità caratteristiche con cui l’ igro-
mipsia si presenta, specialmente del tipico sistema di correnti inverse che costituisce una
differenza notevole rispetto ai processi di diffusione, in quanto che impedisce nell’ interno
dello stretto spazio la mescolanza dei liquidi. Io ricorro per tale spiegazione agli effetti
combinati dell'attrito e della tensione dei menischi negli stretti spazi capillari.
A causa dell’ attrito, il liquido inferiore sale per la parte media della colonna liquida
del capillare, poichè trova minor resistenza al centro che non alla periferia di essa, es-
sendo l’ adesione tra il vetro e il liquido maggiore di quella che si esercita tra gli strati
(19)
bo
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Giuseppe Russo [Memoria XV.]
dello stesso liquido. La tensione del menisco superiore del liquido racchiuso nel capillare
ci fa intendere poi, perchè il liquido stesso anzichè essere spostato in alto dalla spinta
della corrente ascendente, scorra in senso opposto per venir fuori. Infatti il menisco si
comporta come una membrana elastica, dotata di una certa resistenza, che chiude ermeti-
camente un determinato tratto del tubo e si oppone fino ad un certo punto ad ogni spo-
stamento. Ora a misura che la colonna liquida ascendente si fa strada attraverso l’ altro liqui-
do, questo non potendosi espandere in alto per l'ostacolo opposto dal proprio menisco ed
essendo costretto a sfuggire dallo spazio che occupa, comincia a discendere lungo le pareti
del tubo e così esce fuori. Questo efflusso è poi favorito dalla distruzione del menisco infe-
riore di cui ho già parlato, dalle attrazioni molecolari ed eventualmente da altri fattori, come
la gravità. È però erroneo il credere che la gravità sola possa spiegare la discesa del
liquido del capillare, perchè così non si spiegherebbero oltre che i casi d’ igromipsia con-
trari alle leggi di gravità dei tubi capillari, anche quelli che si svolgono negli stretti spazî
fra lastre parallele che il Capparelli potè studiare in opportune condizioni, osservando spo-
stamenti delle masse liquide in senso opposto alla gravità.
Riassumendo :
1° La condizione perchè avvenga l’igromipsia, cioè perchè un liquido ne scacci e
sostituisca un altro in uno spazio più o meno stretto è : 4) che sia miscibile con esso,
b) che il prodotto del suo peso specifico per la sua concentrazione ponderale sia minore
di quello dell’ altro.
2° La corrente del liquido ascendente è perciò determinata dallo squilibrio fisico tra
i due liquidi venuti a contatto, differenti per densità e concentrazione o per un solo di
questi caratteri. La corrente discendente si spiega con la tensione del menisco superiore
della colonna liquida del capillare che si oppone agli spostamenti e con le leggi dell’ attrito
che costringendo il liquido ascendente a muoversi centralmente nel capillare, permettono
il movimento in senso opposto al liquido periferico. La distruzione del menisco inferiore,
al contatto dei due liquidi, condiziona pure il fenomeno.
3° Le succennate leggi dell’ igromipsia autorizzano a ritenere che in questo fenomeno
abbia grande importanza, come nella diffusione, la differenza di pressione osmotica tra i
due liquidi, cioè probabilmente il meccanismo delle attrazioni molecolari.
CONCLUSIONI GENERALI
1. Il fenomeno dell’ igromipsia esprime essenzialmente un peculiare effetto della ten-
denza che ha un liquido a spostarsi tumultuariamente dentro la massa di un altro, col
quale sia miscibile, che sia contenuto in uno spazio più o meno stretto, che giacendo in
un piano superiore presenti un peso specifico ed un grado di concentrazione o uno di que-
sti caratteri almeno, maggiore dell’ altro.
2. La penetrazione rapida dell’ un liquido nella massa dell’ altro costringe questo li-
quido ad abbandonare lo spazio che occupava, per un processo che si spiega colla ten-
sione del suo menisco superiore, il quale si oppone ad ogni spostamento, e con le leggi
dell’ attrito per cui il liquido ascendente, percorrendo centralmente lo spazio capillare, pro-
voca attorno a sè un moto inverso del liquido che in questo è contenuto.
3.-La velocità dell'igromipsia, desunta dal tempo necessario perchè il liquido ascen-
Le leggi e i fattori dell’ igromipsia 23
dente raggiunga la superficie superiore del liquido del capillare è regolata da varî fattori:
densità, concentrazione ponderale e molecolare, tensione superficiale, viscosità, diametro
del tubo, altezza della colonna liquida ecc. ecc. Invocando tali fattori si ha un’ esatta spie-
gazione del differente comportamento igromipsimetrico delle soluzioni appartenenti al gruppo
degli elettroliti, degli anelettroliti e dei colloidi.
4. Il tempo igropsimetrico t è un valore fisso per una determinata coppia di liquidi
che può adottarsi allo stesso titolo delle altre costanti chimico-fisiche.
5. Il metodo igromipsimetrico, consistente nella misura della costante © relativa
ad una data coppia di liquidi, per i molteplici coefficienti di ordine fisico e chimico-fisico
con cui è legato, è atto a fornirci preziosissimi indizî sui caratteri dei liquidi in genere,
e perciò la sua applicazione alle ricerche di svariati campi della scienza, è pienamente
giustificata.
BIBLIOGRAFIA
1. Battelli e Stefanini — Relazione tra la pressione osmotica e la tensione superficiale — Pubblicazioni
dell’ Ist. di Fisica, dell’ Università di Pisa 1907.
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lait écréemé — Revue Gen. du Lait, VIII N. 16 19Io0.
3. Capparelli A. — Un nuovo fenomeno di Fisico-chimica e le sue applicazioni in biologia. Atti dell’ Acc.
Gioenia Serie 4% Vol. XX 1907.
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5. Capparelli A. — I corpi solidi sospesi nei liquidi e i fenomeni d’igromipsia — Atti dell’ Accademia Gioe-
nia — Serie 5#*, Vol. II, 1909.
6. Capparelli A. — L’igromipsia come mezzo per determinare le reazioni biologiche e sue applicazioni alla
siero-diagnosi — Boll. Acc. Gioenia — Fasc. XVII Serie 2% roII.
7. Fiorito G. — L’igromipsia in biologia — Gazzetta di medicina — Napoli, 1909, N. 37.
8. Lavagna S. — Il metodo igromipsimetrico nella diagnosi differenziale fra transudati ed essudati — Gaz-
zetta di medicina, N. 32, 1912.
9. Polara G. — Sul nuovo fenomeno di sostituzione dei liquidi—Boll. dell’ Acc. Gioenia, Fasc. XCIV, 1907.
1o. Russo G. — L’accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi — Atti della
Acc. Gioenia, 1912.
Memoria XVE.
Istituto Zoologico della R. Università di Catania
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania
di ACHILLE RUSSO
(con 4 figure nel testo).
SOMMARIO.
Nota 1% — Le condizioni idrografiche del Golfo di Catania, l’uso di alcune rezi a sfrascico ed una questione
che potrebbe interessare la pubblica salute.
Nota 2° — Le variazioni del prodotto dei Pesci di fondo e di quelli di superficie in rapporto all’ uso delle
reti a strascico a Catania nel tredicennio 1900-1912.
Nota 3* — Sul limite di pescosità nel mare di Catania.
PRPLESZIONE
Le note che oggi do alle stampe furono ricavate da una Relazione fatta al Ministero
d’ Agricoltura su gli effetti della pesca con le ref: a strascico nel Golfo di Catania. Va-
rie questioni furono trattate in detta Relazione, che per ora non ho creduto pubblicare,
meritando esse un più esteso corredo di fatti; ritengo però che, ove potesse disporsi di
mezzi opportuni, il mare di Catania, per la sua poca estensione e per la possibilità di
valutare tutto il prodotto annuale della pesca e per varie altre circostanze, dovute alla sua
posizione ed alle sue particolari condizioni idrografiche, si presterebbe bene alla soluzione
di varî problemi inerenti alle industrie peschereccie.
E inutile dire che la pesca in Italia, che è una regione eminentemente marina, pur
essendo di un'importanza economica di gran lunga superiore a quanto comunemente si
creda, sia molto trascurata, e che non sia valso finora a risvegliarne le energie latenti
il parere di autorevoli Biologi. Sebbene io mi sia occupato quasi per incidente, nel corso
dei miei studi, di tale argomento, pure, da quello che ho direttamente constatato, è nata
ATTI ACC, SERIE V., VOL. VI — Mem. XVI. I
2 A. Russo |MeMorIA XVI.]
in me la forte convinzione che, organizzandosi speciali servizi per lo studio delle varie
e spesso non facili questioni riflettenti tale industria, se ne potrebbe riformare tutto |’ at-
tuale indirizzo, con grande vantaggio della classe dei Pescatori e dell’ erario dello Stato.
Come esistono Osservatori meteorologici, sarebbe, a mio parere, di grande utilità
l'istituzione di Osservatorî della pesca, che ne potessero registrare l'annuale andamento
in rapporto alle condizioni idrobiologiche delle varie regioni ed a varie altre circostanze di
tempo e di luogo.
Tale servizio, nelle città marittime sede di Università, potrebbe essere affidato ai La-
boratori di Zoologia, istituendovi un personale, che si dedichi esclusivamente allo studio
delle varie quistioni inerenti alla pesca.
Così facendo, dopo alcuni anni, si avrebbero gli elementi necessari che permettereb-
bero di rispondere con piena conoscenza e coscienza ai quesiti che il Ministero spesso
propone, senza intraprendere per l'occasione delle ricerche, che, per la scarsità del tempo
e dei mezzi, sono quasi sempre affrettate ed insufficienti.
LE CONDIZIONI IDROGRAFICHE DEL GOLFO DI CATANIA, L'USO DI ALCUNE rel a strascico
ED UNA QUESTIONE CHE POTREBBE INTERESSARE LA PUBBLICA SALUTE.
In uno studio fatto per incarico del Ministero d'Agricoltura, I. e C. intorno agli ef-
fetti delle /0elz a strascico sulla pesca nel Golfo di Catania, non feci cenno di una que-
stione, che potrebbe interessare la pubblica salute, perchè essa esorbitava dalle attribuzioni
che mi erano state conferite. Sono spinto a darne ora un breve cenno, perchè altri possa
valutarne la portata e farne oggetto di speciale ricerca. Per la più esatta valutazione dei
fatti, primo di tutto però, è necessario tenere presente da una parte le condizioni idrogra-
fiche del mare di Catania e specialmente la natura del fondo, e dall’ altra le ret? a stra-
Scico, che vengono adoperate.
Il Golfo di Catania, la natura del fondo, le profondità e le correnti domi-
nanti. — Il Golfo di Catania, che meglio potrebbe considerarsi come una larga insenatura
della costa della Sicilia orientale, è limitata a Nord da Capo Motlinî, a Sud da Capo Santa
Croce, i quali punti estremi distano fra di loro circa 36 Km., secondo le carte dell'Ufficio
Idrografico.
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania
>,
a A _W Ni
5; - Ei ; -. 4 et Caraprolalo
4 n “> a CN } î i
Cia | CARD È
«HA tume IE ria o di i
Fig. 1* — La linea lungo il litorale segna il limite della zona di fango. | numeri indicano le profon-
dità del mare. Scala 1 : 250, 000 circa.
ni A. Russo [MEMORIA XVI. |
In questo tratto di mare, e propriamente a Sud della Città di Catania, sbocca il fiztm2e
Simeto e più a Sud ancora, presso l’ insenatura limitata da Capo Campalato, il torrente
Porcaria. Questi due torrenti portano in mare durante l’ anno, specialmente dopo le pioggie,
una grande quantità di detrito vegetale e di altre sostanze organiche, misto a detrito mi-
nerale, producendo un interramento, che dall’ estremo Sud del Golfo si estende verso Nord,
cingendo come una fascia tutto il litorale ed arrestandosi verso il Porto di Ulisse, in
contrada Ogmnina, a Nord di Catania.
Tale interramento si avanza fino a 4-5 Km. in corrispondenza del territorio di
Brucolî e ciò avviene sia per lo sbocco del vicino torrente Porcarza, sia per la corrente
del Faro, dominante nel Golfo, che spinge verso Sud il limo dei torrenti. L’ interramento
stesso va scemando gradatamente verso Nord, dove, in corrispondenza di Catania, si
avanza fino 1-2 Km.
Per tutta questa estensione il fondo marino è costituito da detrito finissimo di colore
grigio sporco tendente al nero, quasi un fango di natura melmosa. Alla superficie però è
sempre più chiaro per la recente deposizione, ma, a misura che si va negli strati sotto-
stanti, esso diventa sempre più scuro per la putrefazione delle sostanze organiche contenute.
Tutte le volte si assiste alle cale di alcune retz a strascico, come i Magni a vele,
la cui rete si carica di una notevole quantità di fango, si sente un forte odore di sostanze
organiche in decomposizione, confermandoci quanto viene asserito dai pescatori locali.
Le profondità del mare sul deposito di fango ora descritto sono molto piccole, non
oltrepassando i 50 m. su tutto il limite esterno. Oltre questo limite si raggiungono quasi
bruscamente profondità rilevanti, che vanno dai 100 ai 400 m. specialmente verso Nord.
Le correnti dominanti nel Golfo di Catania furono recentemente studiate dal Prof. Gio-
vanni Platania in una Memoria pubblicata in collaborazione ad O. Marinelli (1). Da tale stu-
dio risulta che la corrente più importante è quella diretta verso Sud, che è la correzze del
Haro, detta anche Capo d'acqua o rema di Canale. Tale corrente, come si è detto, è
causa diretta del notevole interramento che si constata a Sud del Golfo, nel territorio di
Brucoli. In relazione a tale interramento il territorio sudetto è preferito per la pesca. Su
di esso e sul resto della parte poco profonda del -Golfo, al cui insieme può assegnarsi una
superficie di circa 303 km.?, si esercitano quasi esclusivamente le reti a strascico.
Oltre alla corrente del Faro o scendente, nel Golfo si forma una corrente opposta,
che da Sud si dirige verso Nord, detta wz07/azte o rema di Scirocco, oltre a piccole
correnti locali, che meriterebbero di essere studiate in relazione a varie questioni che in-
teressano la pesca di questo Compartimento marittimo.
Varie specie di reti a strascico in uso a Catania - Ragni a vela, modo di
esercitarsi ed inquinamento del loro prodotto. — Le reti a strascico in uso a Ca-
tania sono le Sczabiche, che vengono tirate da terra nella località detta P/aza, a Sud della
città di Catania, dov'è una spiaggia d’arena; il Lambico o Angamo, che viene tirato a
mano da un piccolo galleggiante a remi e che si esercita a Nord di Catania in contrada
Ognina; i Tartannoni, distinti per la loro portata in grande, medio e piccolo, che
sono trasportati anche da galleggianti a remi di maggiori dimensioni, che si esercitano al
largo, ma non molto lontano dalla costa, per lo più in corrispondenza del Porto di Cata-
(1) La corrente littorale del Mediterraneo, con particolare riguardo alla costa orientale della Sicilia —
Memorie Geografiche (Suppl. alla Rivista Geogr. Italiana) fasc. 5, pag. 71-230. — Firenze 1908.
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania 5
nia o dentro di esso. Per ultimo, dal 1911 fu introdotto l’uso dei /tagrnz a vele, che
sono di portata superiore ai Zartannoni, che vengono trasportati da galleggianti a vela
e che si esercitano al largo, sempre però sulla zona fangosa, in cui, come si è detto, le
profondità sono molto basse.
Tralascio di descrivere le varie ref a strascico, avendolo fatto il Sicher (1), darò solo
pochi cenni sul /ragzo a vele, di cui non si fa parola nella pubblicazione di detto autore.
Il Ragno a vele in uso a Catania è costituito da una rete a sacco di forma conica,
aperta ai due estremi, della lunghezza di 10 m., la cui parte sottile si lega con una fune
al momento in cui la rete si adopera (Fig. 2°). In questo estremo la maglia è strettissima,
tanto che a pena passa l’ acqua, onde, quando la rete è stata messa in opera, si carica
subito di una grande quantità di fango. A misura che si va verso la base del cono, dove
è la bocca del sacco, che ha un diametro di 7 m. circa, la maglia si allarga gradatamente,
fino a raggiungere il N. 28 (2).
Dai due lati della bocca del sacco si dipartono due reti rettangolari a forma di ali,
della lunghezza di 10 m., che sono a maglia molto larga e dette 247:7cH%e (segnate
con w nella fig. 2*). Al margine superiore delle 77247:5c/ke, per un certo tratto, si attacca
un' altra rete, congiunta con il margine superiore della bocca del sacco, formando una
specie di tetto, come si vede in c nella fig. 2% Questa porzione, che è a maglia molto
più larga di quella che forma l’imboccatura del sacco, cioè N. 24, è detta czelo ed è di
colore più chiaro, mentre il resto della rete è del solito colore rossastro. I marinai del
luogo dicono che il cielo non solo serva ad impedire che i Pesci vadano al di sopra della
bocca del sacco, ma che, spaventandoli, li farebbe dirigere dentro il sacco istesso.
Le estremità libere delle due ali, che hanno maglia ancora più larga o di N. 20,
sono legate a due cavi resistenti, ciascuno dei quali è affidato ad una barca a vela di
portata più tosto grande ed armata per lo più da 7 a 9 uomini.
Le condizioni migliori per l'esercizio dei /0ag7z7 sono un vento opportuno non molto
forte ed un mare relativamente tranquillo.
I Ragni a vele nel Golfo di Catania si esercitano da Brzcol: fino ad Ognzna nella
zona fangosa, in cui la profondità, come si è detto, non supera i 50 m. In un giorno
ciascun /tagno percorre da 2 a 3 volte in lungo una parte rilevante di questo spazio di
acqua; cosicchè il fondo fangoso del Golfo viene arato dopo un certo tempo su tutta o
quasi tutta la sua superficie.
Per la piccolezza della maglia del fondo del sacco, questo si carica subito di fango,
per cui, dopo poco che è stato messo in opera, diviene molto pesante e quindi è capace
di scavare maggiormente il fondo. °
Quando il sacco, dopo un percorso più tosto lungo, viene tirato sopra una delle due
barche, è tanto il suo peso, che per essere svuotato, viene legato con una fune, la quale,
mediante una carrucola posta all’ albero della barca, lo porta su più facilmente. Altre volte
il sacco, quando è molto pieno, viene lasciato a fior d’acqua, in modo che la barca con-
tinua la sua corsa e possa così uscire una parte del fango.
(1) I Pesci e Ia pesca nel Compartimento di Catania — Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat. Catania 1898,
vol. XI, Serie 4°.
(2) I marinai di Catania indicano |’ ampiezza della maglia di una rete, computando il numero delle ma-
glie, che comprende in lunghezza il palmo della mano.
6 A. Russo [Memoria XVI.]
Dopo tali manovre, il sacco si svuota su una delle due barche, dove si sceglie il
pesce che può essere immesso sul mercato. Esso, essendo pieno di fango, viene nuova-
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Fig. 2* — Rete adoperata dal Ragzo a vele. s) sacco, c) cielo, #2) maniche.
mente lavato ; però le forme piccole rimangono con la cavità boccale e branchiale ostruite
da una poltiglia di fango, che in alcun modo può essere portata via, tanto che sul mer-
cato è facile, sollevando l’ opercolo branchiale, riconoscere i Pesci catturati dal agzo.
Dato il genere di pesca, quale fu sopra descritto, tutto il pesce resta più o meno
pesto e sbattuto, secondo la grandezza ; quelli più piccoli spessissimo sono irriconoscibili,
tanto che è difficile farne la determinazione, essendo ridotti ad una poltiglia.
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania /
I Cefalopodi, quali le Sepze, i Calamai, le Seprole, portano il mantello pieno di fango,
che anche nei più grossi esemplari, dopo la lavatura, resta su le branchie.
Oltre il fango, rnolti altri corpi estranei, come fu detto, entrano nel sacco del /0agzo
a vele. Si sono potuti osservare direttamente:
Pezzi più o meno grandi di roccie diverse, sui quali sono attaccati uova di Sepzo/la,
Tunicati, Idrari, Briozot etc.
Paglia e trucioli di legno.
Cenci diversi.
Ossa di vertebrati e qualche carogna (forse di cane o gatto).
Cocci vari, recipienti di creta, sui quali sono attaccati uova di Sepzola, Tunicati,
Idrari, Briozotî, etc.
Oggetti d’ uso comune, come coltelli, forchette, scatole di latta, scarpe vecchie.
In una cala, alla quaie si è assistito, fu portato anche un materasso.
Coincidenza tra l introduzione der Ragni a vele nel mare di Catania e la
diffusione dell'epidemia colerica. Da quanto fu sopra esposto risulta che, per la natura
speciale del fondo marino sul quale si esercitano le ref: a sfrasczco, specialmente i /ra-
gni a vele, il prodotto di tale genere di pesca possa facilmente essere inquinato e quindi
divenire causa d’infezione. Che ciò possa essere vero risulta dal fatto, ormai noto, che il
mare rappresenta il veicolo o la grande porta di molte malattie epidemiche , fra le quali
occupa uno dei primi posti l’ epidemia colerica. Non credo opportuno discutere i dettagli di
tale questione, di già molto discussa dagli Igienisti e dai Patologi, perchè esorbiterebbe dal
mio compito; voglio soltanto richiamare l’attenzione sul fatto che l’ introduzione dell’ uso
dei Magni a vele nel mare di Catania, quale avanti fu descritto, data dall’Estate dell’an-
no 1911, secondo notizie ufficiali, nella quale epoca, com’ è a tutti noto, si diffuse in Città
l'epidemia colerica.
Tale coincidenza di date ed i casi bene accertati d’infezione, manifestatasi in persone
che mangiarono dei Pesci, come la prima comparsa del male e la sua maggiore diffusione
nella classe marinara, fa ritenere possa esistere un nesso tra l’uso delle ret: a strascico
e la penetrazione del morbo.
In occasione di tale epidemia molte ipotesi furono fatte per spiegarne la causa; tutti
però ritennero, per il modo con cui il morbo si svolse, che dovesse esistere un rapporto
tra l’inquinamento dell’acqua del mare e la introduzione del male. Tale opinione fu tanto
diffusa che in quell’ anno la pesca fu del tutto abbandonata nei mesi di Agosto e Set-
tembre.
Nessuno, a quanto io sappia, rivolse però l’attenzione ai fatti sopra esposti, per cui ho
creduto farne oggetto di questa comunicazione, senza con ciò pretendere di avere additato
la vera causa dell’epidemia, non avendo alcuno fatto allora lo studio della /Zfora batterica
del fango, contenuto nei Pesci catturati dalle rel: a strascico.
8 A. Russo [MemorIA XVI.]
LE.
LE VARIAZIONI DEL PRODOTTO DEI PESCI DI FONDO E DI QUELLI DI SUPERFICIE IN RAPPORTO
ALL'USO DELLE reti a strascico A (CATANIA NEL TREDICENNIO 1900-1912.
Espongo in questa Nota alcune osservazioni sopra il rapporto tra la quantità dei pesci
di fondo e quelli di superficie, catturati da diversi sistemi di pesca nel Golfo di Catania,
il quale rapporto, ricavato dai dati statistici, conferma e rischiara il lato biologico della
complessa e dibattuta questione delle ref: a strascico.
Come dissi in una recente Memoria, pubblicata negli Atti (1), il Pesce sdaziato a Catania,
che in massima parte è pescato nel Golfo, viene distinto dal Dazio consumo locale in 3
Classi, cosicchè per ciascun anno si ha la somma del prodotto di tre qualità diverse di
animali marini, che vengono catturati con differenti metodi di pesca.
Io rivolsi le ricerche a conoscere anzitutto quali Pesci delle tre Classi si pescano con
le ret? a strascico, se essì abbiano subito un aumento o una diminuzione in rapporto
alle variazioni annuali dell'uso delle reti medesime e quale influenza tale variazione di
prodotto abbia potuto produrre sulla quantità annuale dei Pesci delle altri Classi, catturati
con altri metodi,
Innanzi tutto, è necessario tener presente che negli anni 1905 e 1906, in applicazione
del Decreto 2 Maggio 1902, nel Compartimento marittimo di Catania furono proibite le
reti a strascico.
Negli anni successivi però tali sistemi di pesca furono gradatamente rimessi in uso,
fino a raggiungere negli anni 1911 e 1912 un massimo con l’ introduzione dei Ragni a
vele (Paranze) e di qualche battello a vapore munito di draga (offer travi).
Secondo notizie ufficiali, fornitemi da questa R. Capitaneria di Porto, Ze ret: a stra-
scico, dette Zartannoni, dopo la proibizione raggiunsero gradatamente il N. di 70 e tale
sarebbe il numero di cui sono attualmente in possesso i pescatori di Catania, mentre altre
reti a strascico, i fgagni a vele, furono per la 1% volta introdotte nel 1911 con due cop-
pie di barche, che subito furono portate a 10 coppie, il quale numero fu superato nel 1912.
In rapporto alla proibizione e con la successiva introduzione ed il graduale aumento
di tali reti, si osserva prima di ogni altro che la quantità del prodotto di ciascuna delle tre
Classi aumenta o diminuisce in misura diversa, ciò che è in relazione con le abitudini di
vita o con le condizioni ecologiche degli animali marini e quindi con gli ordegni impiegati
per catturarli. Difatti, negli anni consecutivi al divieto delle retz a strascico fino al 1909,
risentendosi il benefico effetto del divieto medesimo, si osserva che il prodotto di 1% e di
3a Classe è in continuo aumento, mentre diminuisce dal 1910 al 1912, quando l’uso di
tali reti si intensificò sempre più.
L'aumento del prodotto di 3a Classe fino al 1909 potrebbe però dipendere dalla dif-
fusione della pesca con le fonti luminose ad acetilene, con la quale si catturano grandi
(1) Effetti della pesca con sorgenti luminose sul prodotto delle reti di posta a Catania e sul prodotto
«delle Tonnare della Sicilia orientale. In questo Vol. degli Atti dell’ Acc. Gioenia.
=
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania O
quantità di Pesce appartenente a tale Categoria, la quale pesca fu introdotta su larga scala
a Catania nello stesso anno in cui fu emanato il Decreto di proibizione delle /0ezz a stra-
scico, cioè nel 1906-907. Bisogna però tenere presente che dal 1910 fino a oggi lo stesso
prodotto subisce una notevole diminuzione, non ostante la pesca con le sorgenti luminose si
sia sempre più intensificata; cosicchè è da ritenere che tale diminuzione debba venire imputata
all'uso delle ref: a strascico, che, come si è detto, s’intensificò proprio in questi ultimi anni.
Per potere spiegare la causa della diminuzione del prodotto delle due Classi ora con-
siderate è da ammettere che l’ uso di dette reti influisca sul /Zarkzor e che l'alterazione
di questo si rifletta poi sul prodotto di 18 e di 32 Classe, nelle quali classi sono comprese
specie di Pesci migratori, che vivono in una falda d’acqua poco profonda. I fatti che mi
fanno persuaso di ciò sono l'abbondante raccolta di //az/k/oz in un primo tempo sotto
l’azione della luce e la successiva comparsa dei Pesci, come ebbi a dimostrare nel lavoro
citato, e la distruzione da parte delle ref a strasczco di alcune importanti forze plankto-
niche, fra le quali vanno annoverate i Crostacei del genere Myszs. E notevole a tale ri-
guardo che con i Zartannonti le specie di Myszs, conosciute a Catania col nome di Mazza,
specialmente dentro il Porto, presso lo sbocco dell’ Arzezzazz0, si catturano in enorme quan-
tità, spesso parecchi kg. per volta, che vengono adoperati e venduti per esca (1).
Molte altre forme, fra le quali le Sepzo/e (Sepzola feondelettt) i Loligo (Loligo marmo-
rae e vulgaris), che costituiscono un buon nutrimento dei Pesci di superficie e che ne sono
quasi un richiamo, vengono anche distrutte dalle ref a strascico sia adulti, sia sotto forma
di larve o di uova, come si rileva da un lavoro diligente della Sig."® Zelarovich (2). Pertanto,
sono d’avviso che la distruzione da parte delle ret: a strascico di molte forme che vivono
nel fondo marino e di quelle che ivi depongono le ova, la distruzione di forme pelagiche, che
costituiscono notevole parte del P/azzk/0n, lo sconvolgimento del fondo con il conseguente
sollevamento di /77720 ed intorbidamento delle acque, impedendo la regolare formazione dello
stesso P/ankton, siano causa del non avvicinarsi di molte specie appartenenti alla 1* ed
alla 3% Classe e quindi della diminuzione del loro prodotto, dal 1910 al 1912, in cui tali
reti furono di più adoperate.
La prova di quanto qui si afferma ci fu data dall'esame dettagliato di tutte le forme
marine, che vengono catturate dalle varie reti in uso a Catania, e dall'esame comparativo
con i pesci che dal Dazzo consumo vengono assegnati a ciascuna delle tre Classi sopra
menzionate.
Per valutare il rapporto esistente tra i Pesci di fondo e quelli di superficie, per quanto
concerne la quantità catturata in ogni anno del tredicennio 1900-1912, in relazione all’ uso
maggiore o minore delle ref: a strascico, bisogna tenere presente che con tali reti, oltre
alle forme planktoniche, si catturano le forme marine le più diverse, ma che fra esse sono in
predominio quelle che vivono sul fondo, le quali vengono appunto segnate nella 22 Classe,
come le Triglie (Mu//us barbatus), le Scorpene (Scorpaena sp.), i Trachinus, gli Ura-
noscopus, i Serranus, i Rombi (So/ea) i Labrus, i Julis, etc. Inoltre, nella 2* Classe è
(x) Non ostante la prolificità delle //ysis sia straordinaria, trovandosi in tutto |’ anno le femine con il
sacco ovifero, pure ritengo che la loro distruzione, esercitata su larga scala a Catania, debba avere un’in-
fluenza nociva sul Plankton e quindi su la pesca del Golfo. Mi riserbo però fare su tale quistione speciali
ricerche.
(2) Primo manipolo di animali marini catturati dalle 7e4i a s/rascico nel Golfo di Catania. Atti Acc. Gioe-
nia, Catania Vol. VI, Serie 5".
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XVI. 2
10 A. Russo [Memoria XVI.]
compreso il Neozazo ed il 70vellame di molti Pesci, che in determinate epoche viene cattu-
rato in grande quantità da alcune tel: a strascico, come i Tartannoni e le Sczabiche.
Relativamente a tale constatazione di fatto, dalla statistica si rileva che, inversamente
a quanto fu detto per la 12 e la 3* Classe, nei due anni del divieto di tali reti il prodotto
di 2* Classe diminuisce, mentre negli anni successivi, con la loro introduzione graduale, gra-
datamente aumenta fino a raggiungere un massimo nel 1912. Dalle cifre raccolte risulta,
infatti, che, mentre nel 1905 il prodotto di 2% fu di 4179 quintali, nel 1906, per effetto
della proibizione, scese a 3650 quintali, che aumentarono a 3986 nel 907, a 5077 nel 908,
a 4735 nel 909, a 5252 nel 1910. Nel 1911 lo troviamo a 4990, non ostante in tale anno
avendo infierito il Co/fera a Catania, la pesca fosse quasi del tutto abbandonata nei mesi
di Agosto e Settembre, nel 1912 a 5474 quintali
’
1900 I0/ 902 903 904 905 I06 907 908 909 9/0 IAA 9/2
Anni
g000
P000 +
6000
3000
2000
1000
sS00
f° 2, 309 39%
ID
ì 2° D, 3932. 3896. 2947. 3612. 3350. blz9. 3650. 3Î86. 50}. 4739. 5252. 4990. S674.
Grafico N. 1.— In questo grafico fu segnata la variazione annuale del prodotto di ciascuna delle 3 classi
di Pesci catturati nel mare di Catania. I numeri a piede del grafico indicano il numero dei quintali. La linea
intera rappresenta la 1* Classe ; la linea punteggiata la 2%; la linea spezzata la 3* Classe. I numeri a sini-
stra del grafico indicano gli aumenti per 1000 Quintali ; ogni spazio interposto s’intende diviso in dieci parti,
di cui ciascuna segna 100 quintali. Lo spazio tratteggiato serve ad indicare i due anni in cui furono proibite
le reti a strascico. Gli anni controsegnati da una linea indicano quelli successivi all’introduzione della pesca
con la luce ad acetilene.
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catanta 11
È molto interessante per il nostro assunto osservare che dopo il 1909, mentre il pro-
dotto di 1* e di 32 classe, come sopra si è detto, diminuisce, quello di 22 aumenta sempre
di più. Questo fatto, a mio parere, ha un notevole valore biologico, in quanto che si può
affermare che con l’uso “delle rel? a strascico, catturandosi Pesci di fondo e grande
quantità di Pesce novello, può aumentarsi il prodotto annuale di detta Classe; però, lo
sconvolgimento del fondo marino, l'alterazione del //a7/k/07, la distruzione di forme che
servono al richiamo di altri Pesci, che vivono al largo in una falda d’acqua superficiale,
fa diminuire il prodotto delle altre due Classi, nelle quali sono compresi per lo più pesci
migratori, che dal largo si avvicinano alle coste.
Per rendere più evidenti i fatti sopra esposti ho tracciato un Grafico, nel quale, le tre
Classi sono segnate da tre linee diverse. A colpo d’occhio si può in esso vedere che,
mentre la 1% e la 3a Classe segnano, dopo la proibizione delle rel: a strascico, un au-
mento progressivo fino al 1909 e dopo una discesa rapida fino al 1912, la 22 Classe in-
vece segna una diminuzione negli anni della proibizione, cioè nel 1905-906, e poi un
graduale aumento fino al 1912.
In altri termini, i due prodotti, che comprendono per lo più gli uni (1a e 3* Classe)
pesci di superficie, gli altri (2% Classe) pesci di fondo, stanno fra loro in ragione inversa,
il quale fatto, desunto dalle cifre della statistica, conferma le osservazioni biologiche.
III.
SUL LIMITE DI PESCOSITÀ NEL MARE DI CATANIA.
Vari Biologi, quali l’ Huxley (1), il Mac Intosh (2), il Lo Bianco (3), espressero l’opi-
nione che la pescosità del mare sia inesauribile e che la mano dell’uomo non possa in
alcun modo alterarne il prodotto.
In altri termini il mare potrebbe paragonarsi ad una miniera, nella quale aumentando
il lavoro aumenta il prodotto, ovvero ad un campo che più viene arato e più produce.
Tale opinione, fondata su osservazioni di natura essenzialmente biologica, ma che
non scaturisce dall'esame comparativo del prodotto totale della pesca di una determinata
plaga marina in un numero di anni più tosto esteso, se risponde a concetti teorici, nella
pratica spesso non può applicarsi, per lo meno non può essere applicata alla pescosità
nel mare di Catania, che, per la sua poca estensione e per varie altre circostanze, si presta
per la soluzione di un simile quesito.
Avendo avuto l’ opportunità di valutare il prodotto della pesca di questo Golfo e di
(1) Citato da Mac Intosh.
(2) Scientific Work in the Sea-Fisheries — The Zoologist, 1907.
(3) La pesca della «Fragaglia » nel Golfo di Napoli durante gli anni 1906-1907 — Rivista mensile di
Pesca ed Idrobiologia. An. XI. 1909, numeri 1, 2, 3.
rarono in ciascun anno e media annuale che si può assegnare a ciascuna di esse.
12 A. Russo [MemorIA XVI.]
studiare le sue variazioni annuali in rapporto alla mano d'opera ed a varie circostanze di
fatto, che hanno influito sulle variazioni stesse, io mi credo autorizzato ad affermare che
nel mare di Catania è un limite massimo di produzione, che non viene oltrepassato, ove
metodi razionali di pesca non intervengano a correggere i danni che produce la mano
dell’ uomo.
Considerando prima di tutto la mano d'opera negli ultimi 13 anni, si osserva, se-
condo le notizie fornitemi dalla R. Capitaneria di Porto di Catania, che il numero delle
barche da pesca e relativamente ad esso la mano d'opera, andò aumentando dal 1900
fino al 1912, perchè da 443 barche, che lavorarono nel 1900, si arriva nel 1912 a 677
barche. Se fosse vero l’ assunto dei predetti autori, relativamente a tale aumento, dovrebbe
anche aumentare il prodotto, avendosi così un massimo di produzione nell’ ultimo anno.
È
Prodotto totale del Pesce sdaziato a Catania dal 1900 al 1912 — Numero di barche che lavi
Considerando invece il prodotto annuale, come nell’ annesso specchietto, si osserva
che, mentre nei primi anni fino al 1909, salvo qualche oscillazione, il prodotto stesso au-
menta sempre più e ciò relativamente all’ aumento della mano d'opera, negli ultimi tre
anni, non ostante la mano d’ opera sia sempre più cresciuta, il prodotto diminuisce. Nel
1912, com’ è noto a quelli che hanno avuto |’ opportunità di seguire l’ andamento della
pesca nel Golfo di Catania, con l’uso dei /0agznz a vele e dei vapori del Capitano Car-
melo Napoli, la mano d'opera crebbe enormemente, come in nessuno degli anni prece-
denti; cosicchè, secondo l’ opinione dei citati autori, avrebbe dovuto aversi una produzione
anche maggiore. Invece, come si è detto, proprio in quest'anno il prodotto segna una
forte discesa, dimostrandoci chiaramente che nel Golfo di Catania vi è un limite di pro-
duttività, oltrepassato il quale il mare non rende di più.
| ANNO 1900 1901 1902 1903 1904 1905 1906 1907 1908 | 1909 1910 1911
Quintali|Quintali ‘Quintali Quintali Quintali|Quintali{Quintali] Quintali | Quintali Î Quintali | Quintali | Quintali
Prodotto :
totale |8453, 20 7953, 75/6954» 74) 8346 | 8522 9342 (9324, 3410913, 11]12088, 83|14738, 0613527, 30|11242, 34,1167, 0]
è 30
N.° | DI È (A a N |
di narchel 443 472 463 477 479 S1S 507 538 565 | 587 | 631 664
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del To; 07. | do,ost |, 02007; 40% 17,30 iis, 3A 830 20, 3$ 210030 | 25,10 II 16, 93
prodotto |
|
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania lo
Tale limite però, non può essere preso in senso assoluto; esso invece è relativo ai
metodi di pesca in esercizio, potendosi dimostrare che l’uso di metodi razionali di pesca
e quindi un appropriato regzzze delle acque possa elevarlo. Infatti, come ho dimostrato
nelle precedenti Note, l’ esercizio irrazionale di alcuni ordegni di pesca, tende ad abbas-
sare sempre di più il limite di pescosità, come tendono ad elevarlo le restrizioni imposte
dalle leggi all'esercizio di alcune reti, a seconda dei suggerimenti che a tale riguardo pos-
sono dare i risultati delle ricerche biologiche.
Stabilito il principio che il limite di pescosità di una data regione sia relativo all’ uso
più o meno razionale dei varî sistemi di pesca in esercizio, vediamo se tale principio possa
dimostrarsi con l’ esame comparativo del prodotto totale della pesca, nell'ultimo tredicennio,
del Golfo di Catania, in relazione ai metodi di pesca che furono esercitati.
Riguardo alle tre annate 1900, 1901, 1912 poco o nulla ho potuto mettere in chiaro
per quanto concerne l’uso di metodi speciali di pesca; specialmente le cifre del prodotto
totale nell’anno 1902 sono molto incerte, essendo state segnate nei Registri del Dazio con-
sumo in modo diverso degli altri anni, nè, per quante spiegazioni abbia richiesto alla Di-
rezione locale, fu possibile averne la ragione.
Tenendo presente, ad ogni modo, i dati dal 1903 al 1912, si osserva che il prodotto
totale della pesca è in continuo aumento fino al 1909, ma che tale aumento non è sol-
tanto relativo alla cresciuta mano d'opera, ma quanto ancora ai metodi più o meno razio-
nali adoperati ed alle opportune restrizioni di metodi dannosi alla pescosità. Difatti, mentre
nel 1903, 1904, 1905 l'aumento della produzione fu all’ incirca proporzionale alla mano
d'opera, avendosi una media rispettivamente di 17,40, 17,80, 18,13, negli anni successivi
fino al 1909 l’ aumento della produzione fu superiore alla mano d’ opera impiegata con
una media di 18,39 nel 1906, di 20,38 nel 1907, di 21,39 nel 1908, di 25,10 nel 1909,
ciò che è in relazione al razionale divieto delle ref? a strascico ed all'introduzione della
pesca con le sorgenti luminose, avvenuti tra il 1906 ed il 1907.
La produzione si abbassa negli anni successivi, non ostante la mano d’ opera sia
straordinariamente aumentata, perchè, come si rileva dall’ annesso specchietto, da 587 bar-
che, che furono esercitate nel 1909, si passa a 631 nel 1910, a 664 nel 1911, a 677 nel
1912, oltre ai galleggianti di cui non fu tenuto conto nei Registri della Capitaneria, come
alcune Paranze ed i vapori del Sig. Napoli. Tale diminuzione di prodotto è dovuta sia
al fatto che il limite massimo di pescosità erasi raggiunto nell’ anno 1909, sia perchè me-
todi irrazionali furono applicati su larga scala in questi ultimi 3 anni nel Golfo di Catania.
Per rendersi maggiormente ragione di quanto qui si afferma, si può anche confron-
tare il rapporto tra il prodotto della pesca ed il numero delle barche in esercizio in due
anni consecutivi, prima del divieto delle re/z a strascico e dopo il divieto delle reti me-
desime e la quasi contemporanea introduzione della pesca con la luce ad acetilene. Con
un semplice calcolo si può chiaramente rilevare che ad es. nel 1903 e 1904, cioè prima
della proibizione delle retz a strascico, l'aumento del prodotto e quindi la media, che si
può assegnare a ciascuno dei galleggianti, fu proporzionale all'aumento del numero di bar-
che; che invece nel 1907 e 1908, dopo ia proibizione delle reti stesse, l’ aumento della
produzione è superiore alla mano d'opera (numero di barche) impiegata. Difatti, risulta dal
calcolo, che nel 1908 potevano lavorare fino a 596 barche, invece di 565, quanto effettiva-
mente ne furono in tale anno in esercizio, per avere ciascuna lo stesso utile dell’anno 1907.
14 A. Russo [MemorIA XVI.]
Per rendere maggiormente evidenti i fatti sopra esposti fu tracciato un grafico, in cui
una linea indica le variazioni della media del prodotto annuale, in rapporto alla mano
d’ opera.
Grafico N. 2.
Grafico delle medie del prodotto nel tredicennio 1900-1912, ottenute dividendo il prodotto di ciascun anno
per il numero delle barche che lavorarono nell’ anno stesso. Le altre indicazioni come nel grafico precedente.
I fatti esposti in queste Note ed il relativo parere sopra gli effetti dannosi delle 777
a strascico nel Golfo di Catania furono da me comunicati al Ministero d’ Agricoltura, che
me ne richiese, fino dal mese di Luglio del 1912. Il mio parere, che era manifestamente
in opposizione con l'opinione attualmente più accreditata fra i Biologi e cioè che il mare
sia inesauribile e che quindi potesse sfruttarsi con qualunque mezzo, fu di recente con-
fermato dall’ autorevole opinione del Grassi, il quale si espresse nei seguenti termini (1):
“ Non è d'uopo spiegare come e perchè nel nostro paese la tesi dell’ impotenza del-
l’uomo e dell’inesauribilità del mare abbia trovato gran seguito in quegli ambienti, dove
si vorrebbe decidere tutte le questioni senza andare tanto per il sottile, e sia anzi diven-
tata come un dogma, dopochè anche l’ottimo Lobianco se ne fece banditore. Così è che
da noi domina il concetto — comodissimo per chi governa — che si può concedere la più
grande libertà di pesca, financo l'uso della dinamite, senza che la pescosità del mare ne
risenta.
Questo principio di lasciar correre l’ acqua per la sua china, pur troppo ancora tanto
in auge nel nostro paese, ha trovato applicazione anche nel caso speciale della pesca colle
reti a strascico. Che importa che nel fondo del sacco delle paranze, in mezzo ad una
poltiglia di fango e di erbe, si trovino i cadaveri di una infinita quantità di pesciolini, e
specialmente di trigliotte, e che migliaia di chilogrammi ne vengano giornalmente distrutti
da queste reti? Che importa che centinaia e centinaia di quintali di sardine e di acciughe
piccolissime sotto il nome di neonati o di bianchetti, vengano pescate e vendute a prezzo
vilissimo ? A chi sostiene che, proseguendo in queste arti di pesca nociva, noi ci rovine-
remo e meriteremo rimprovero da tutte le altre nazioni civili, si risponde che le uova ed i
neonati dei pesci più utili fluttuano insieme al plankton e perciò sfuggono all’azione degli
(1) Za talassobiologia e la pesca — Conferenza tenuta alla Società italiana per il progresso delle Scienze
nella VI riunione (Genova, Ottobre 1912). R. Comitato talassografico italiano — Memoria XIX, 1913.
Note ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania 15
strumenti che raschiano il fondo e che, per esempio, un merluzzo produce più di sei mi-
lioni di uova, e più di nove milioni un rombo, e che perciò la distruzione anche di mi-
liardi e miliardi d’ individui viene compensata facilmente da poche coppie di riproduttori
e che l'influenza dell’uomo è nulla sopra animali tanto fecondi.
Noi che abbiamo imparato con tristi esperienze quanto si debba diffidare dal sempli-
cismo, siamo tutt’ altro che persuasi della giustezza di questi ragionamenti e pensiamo che,
sconvolgendo il fondo del mare, non uccidiamo soltanto dei pesciolini, ma provochiamo
nell’ ambiente un complesso di fenomeni, le cui ripercussioni e i cui nessi non saremo
in grado di valutare finchè non ci addentreremo in quegli studi di cui ho testè parlato.
Noi non possiamo perciò prevedere fin d'ora quale sarà il nostro avviso su questo argo-
mento tra una diecina di anni, quando ci sarà dato di ragionare colla visione completa di
tutti i lati del problema; per ora ci limitiamo ad osservare che l’ ideale odierno del Mini-
stero di agricoltura di industrializzare la pesca, se dovesse avere l’effetto, come si suppone,
d’ intensificare l’uso delle reti a strascico, potrebbe — per mala ventura — segnare la ro-
vina dell’ industria. ,,
Catania, Giugno 1913. -
Memoria XVII.
Istituto di Patologia Medica Dimostrativa della R. Università di Catania
diretto dal Prof. MAURIZIO ASCOLI
Un caso di ascesso polmonare venuto a guarigione
mediante pneumotorace artificiale
pel Dr. G. IZAR (Aiuto e docente).
REBISAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. R. FELETTI ED M. ASCOLI (Relatore).
Visto l’ interesse del contributo che la Nota del Dott. Izar porta alla conoscenza della
terapia pneumotoracica, ne riteniamo degna la pubblicazione negli Atti di questa Acca-
demia.
Nell'anno 1910 il Forlanini ha descritto un caso di ascesso polmonare da lui guarito
mediante il suo pneumotorace artificiale. La relativa rarità dell’ascesso polmonare in con-
fronto della diffusione della tubercolosi fa sì che questo campo di applicazione della col-
lasso terapia abbia confini relativamente ristretti. Fatte le debite proporzioni numeriche i
risultati dovrebbero però, stando a considerazioni teoriche, riuscire anche più favorevoli
che non nella tubercolosi polmonare.
La scarsità della casistica [in Italia non son riuscito a rintracciare altri casi oltre
quello riferito dal Forlanini: (Pneumotorace terapeutico 1910 N, 8); la letteratura straniera
ne registra soltanto 3 (Keller: Caso 17 Beitr. zur Klin. d. Tuberk. bd. XXII S. 165 —
Wellmann : Caso 26. ib bd. XVIII S. 81: Vohlard : caso I. i, Miinch. mediz. Vochenschr.
1912 N. 32)], mi induce a riferire su di un caso di questa malattia in cui ho applicato
con successo la cura del Forlanini.
Riferisco per sommi capi la storia clinica dell’ ammalato.
Colombo Cristoforo : d’ anni 55 da Scilla dimorante a Catania, ammogliato con prole. Forte bevitore
e fumatore. Non contrasse mai malattie veneree.
Nessun precedente lontano degno di nota.
Il 25/VII, senza prodromi, preceduta da intenso brivido di freddo insorge febbre alta, dolore puntorio alla
spalla destra, tosse con scarso escreato muco purulento. La febbre dura continua per 3 giorni, poi si fa
intermittente quotidiana con rialzo verso le 3 del mattino, apiressia alle 10: non brivido nè sudori.
In r1* giornata si ha improvvisamente abbondantissima emissione di escreato fetido : la febbre mantiene
il suo tipo: continua la emissione di abbondante escreato senza rapporto col decubito dell’ ammalato.
Queste condizioni persistono invariate fino al 22/VIII r9r2 nonostante le svariate cure esperite.
S. P. 22/VIII Aspetto sofferente ; costituzione scheletrica regolare; stato di nutrizione scaduto. Cute e
mucose pallide. T. 38. 7° — P. r100—- R. 32 — Pr. 130 (Riva Rocci). Nulla di notevole al capo e al collo ; alito
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XVII. I
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2 G. Isar [Memoria XVII.]
fetidissimo apprezzabile a distanza. Torace ben conformato, lievemente asimmetrico per maggior sporgenza della
metà destra ; respiro obliquo con ritardo del torace destro superiore.
Polmone destro: confini di norma: mobilità attiva diminuita (2,5 cm. sulla linea mammillare, ascellare
media e paravertebrale). Suono di percussione ottuso anteriormente sull’ apice e nelle fosse sopra e sottocla-
veari, posteriormente dall’ apice alla spina della scapola. Al disotto della zona di ottusità smorzatura plessica
sino alla 3% costa anteriormente, sino all’ angolo della scapola posteriormente. Entro i detti confini fremito
vocale tattile debole. Nel rimanente dell’ ambito polmonare fremito vocale tattile conservato, suono chiaro.
AIl’ ascoltazione : anteriormente: su tutta la zona di ottusità respiro bronchiale, rantoli inspiratorî a grosse
bolle scomparenti dopo la emissione di abbondante escreato; rantoli a medie e piccole bolle, respiro aspro
sulla zona di smorzatura ; in basso respiro vescicolare. Posteriormente: all’apice e nella regione sotto spinosa
respiro bronchiale, abbondanti rantoli a bolle di varia misura; nella regione sopraspinosa respiro bronchiale
tendente all’ anforico, rantoli gorgoglianti ; al disotto della zona di smorzatura respiro aspro in alto, vesci-
colare in basso.
Polmone sinistro: nulla di notevole.
Cuore : itto nel 5° spazio sull’emiclaveare : il limite destro dell’aia cardiaca giunge a 3,5 cm. dalla mediana
sternale sulla 4% costa: toni oscuri: polso frequente, uguale, piccolo: spiccata sclerosi delle arterie superficiali.
Aia epatica nei limiti; milza non ingrandita. Gli esami ripetuti delle urine, feci, sangue non mettono in
rilievo note degne di menzione ; non esiste leucocitosi.
Espettorato abbondante (circa 500 gr. nelle 24 ore) siero mucopurulento, fluido, di colore verdastro uni-
forme senza strie di sangue, fetidissimo, emesso in quantità notevole dopo ripetuti colpi di tosse ma senza
rapporto col decubito dell’ ammalato. Lasciato a sè si divide nei tre classici strati. Flora batterica comune : as-
sente il bacillo di Koch. Solo dopo ripetuti esami si possono mettere in rilievo scarsi frammenti di fibre elastiche.
Diagnosi: ascesso polmonare del lobo superiore destro (da probabile broncopolmonite).
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4) la prima colonna indica la pressione endopleurica massima prima dell’ introduzione di azoto.
la seconda » » » » » » dopo |’ introduzione » »
alla fine dell’ introduzione 1’ ammalato dà segni di vive sofferenze: sono costretto a estrarre 150 cm3. di azoto :
la pressione scende a + 17.
#* alla fine dell’ introduzione l’ ammalato dà segni di vive sofferenze : sono costretto a estrarre 250 cm. di azoto:
la pressione scende a + 16.
A. = pneumotorace parziale inferiore.
lepri » » superiore.
Un caso di ascesso polmonare venuto a guarigione, ecc. Ò
Il 26/VIII inizio la cura pneumotoracica secondo Forlanini con puntura nell’ 8° spazio
intercostale destro sull’ angolare della scapola. Le ampie escursioni manometriche indicano la
libertà dell’ago nella cavità pleurica. Dopo l'introduzione di soli 25 cm? di azoto la pres-
sione si eleva a+ 5, a + 10 dopo 50 cm?, rivelando l’esistenza di aderenze pleuriche : in-
terrompo l'introduzione di azoto quando il manometro segna + 15 (azoto introdotto 75 cm')
senza che il paziente abbia avvertito dolore.
Il giorno successivo (27/VIII) ripeto la puntura nello stesso punto: la pressione ini-
ziale è 0: sale a 4-12 dopo introdotti 150 cm? di azoto. Questo favorevole contegno sem-
bra indicare la cedevolezza delle aderenze esistenti invitando a proseguire i tentativi. Con
altre 4 introduzioni (rispettivamente di 100, 175, 150, 200 cm? di azoto) riesco a stabilire
un piccolo pneumotorace che stando al contegno del fremito vocale tattile ed ai reperti
forniti dall’ ascoltazione e percussione, ha per limite superiore |’ 82 costa posteriormente,
la 5a anteriormente.
Nonostante la parzialità ed il piccolo volume del pneumotorace le condizioni generali
del paziente al 1/IX appaiono notevolmente migliorate : l’escreato si è ridotto della metà
(da 500 a 200 gr. circa pro die) e si è fatto più liquido, di odore meno fetido, la febbre
è cessata, l'appetito è ritornato. Nei successivi rifornimenti il pneumotorace stabilito non
modifica i suoi limiti; forse le aderenze si sarebbero vinte esercitando forti pressioni: le
sofferenze dell’'ammalato e i gravi fenomeni di soffocazione insorti in due tentativi (con
pressioni di + 28,-+ 30) mi dissuadono a seguire questa via.
Decido allora di tentare di stabilire un pneumotorace nella porzione superiore del pol-
mone. Pur continuando a rifornire il pneumotorace parziale ed a mantenerlo ad una di-
screta pressione, sondo con pazienti tentativi, ripetuti più volte in una stessa seduta, in
diversi punti la pleura.
L’11/IX con puntura nel 5° spazio sulla paravertebrale (a braccio fortemente stirato in
alto) riesco ad introdurre, senza eccessivo dolore, 50 cm? di azoto (pressione iniziale — 1;
pressione terminale + 7).
Il giorno seguente posso introdurre (pungendo nello stesso punto) 100 cm} di azoto
(pressione iniziale + 3; pressione terminale + 10). Con successivi giornalieri rifornimenti
di 50-100 cm? di azoto stabilisco un secondo pneumotorace che al 15/IX dai dati forniti
dalla palpazione, percussione e ascoltazione risulta limitato ad una zona compresa fra la
spina della scapola e la 6* costa posteriormente, la 24 e la 42 costa anteriormente.
Il 17/IX rifornisco per un’ ultima volta questo pneumotorace: dopo 150 cm? di azoto
la pressione sale a + 25. Nello stesso giorno la pressione del pneumotorace inferiore è | 18.
Il 18/IX riscontro pressione di + 10 + 14 in tutte due le sacche: dopo rifornito di
cm' 200 il pneumotorace inferiore la pressione sale ugualmente nelle 2 sacche a {- 15 + 19.
Si è dunque stabilita una comunicazione fra le due sacche: i dati forniti dall’ ascoltazione
e percussione confermano questo giudizio.
Fu questo l’inizio di un progressivo ingrandimento del pneumotorace; al 29/IX il pneumo-
torace si poteva considerare come completo, eccezion fatta di una piccola zona verso l'apice.
Dal 29/IX le introduzioni di azoto si seguirono a periodi più lunghi di tempo.
L’ apiressia conseguita in 112 giornata si mantenne, lo stato di benessere aumentò,
l’escreato si ridusse progressivamente a 20 gr. L'ammalato il 20/[X lascia il letto: il 14/X
viene dimesso in istato di quasi completo benessere.
I rifornimenti vennero continuati ambulatoriamente sino al 10/XI.
4 G. Isar |MemorIa XVII.]
Speciale menzione merita in questo caso il comportamento . dell’ escreato. Come di-
cemmo prima di iniziare il pneumotorace la quantità di escreato emesso nelle 24 ore era di
circa 500 grammi. Dopo la prima introduzione di azoto l'espettorato salì a 700 gr. pro
die ed in eguale quantità fu emesso nei tre giorni successivi. Durante questo periodo |’ e-
screato fu sempre purulento e fetido. Dopo il 3° rifornimento |’ espettorato andò progres-
sivamente diminuendo fino a ridursi a 40-50 gr. pro die: in pari tempo si fece aereato,
liquido, meno fetido. Tuttora persiste scarsa tosse con escreato, ma questo ha assunto i
caratteri dell’ espettorato comune alle bronchiti croniche (1).
Ho riferito questo caso, sebbene in parte necessariamente incompleto mancando il
sussidio dell’ esame radiologico, perchè mi pare offra un certo interesse nei riguardi della
terapia dell’ascesso polmonare. Il felice risultato ottenuto in un paziente in condizioni così
gravi lascia sperare che la terapia pneumotoracica, applicata con opportune cautele possa,
almeno in un certo numero di casi, evitare l'intervento chirurgico.
Un utile insegnamento fornisce ancora il caso riferito, che cioè la collasso terapia
non va limitata ai casi di ascesso polmonare senza aderenze pleuriche (condizione del re-
sto poco comune) o con lasse e non estese aderenze, ma va tentata anche nei casi in
cui, come nel nostro e in quello riferito da Forlanini, le aderenze sono multiple, estese e
abbastanza resistenti. Persistendo nel sondaggio in punti svariati della pleura spesso, se
non sempre, si potrà trovare uno o più punti dove si possono introdurre, senza soverchia
pressione, piccole quantità di azoto e stabilire piccoli pneumotoraci parziali i quali eserci-
tando un’ azione multipla diretta in diverse direzioni sulle aderenze ne favoriscono la rot-
tura. Il felice risultato ora registrato io credo appunto sia dovuto agli insistenti svariati
sondaggi che permisero di trovare il punto libero della pleura dove fu stabilito il secondo
pneumotorace.
A tale proposito credo utile ricordare e consigliare una piccola manovra che a me
riuscì assai utile sia per stabilire l'esatta pressione endopleurica alla fine dell’ introduzione
di azoto che per favorire la rottura delle aderenze meno tenaci.
Introdotta una certa quantità di azoto sotto forte pressione coll’ aiuto della doppia pera
di Richardson, se il paziente non avverte vivi dolori e le condizioni oggettive dell’amma-
lato lo permettono, invece di togliere subito l’ ago lo lascio in posto per alcuni minuti
mantenendo la comunicazione fra la cavità pleurica e il serbatoio di azoto e facendo equi-
librio alla pressione endopleurica con una modica pressione della mano sulla pera serba-
toio (coperta con reticella di filo). A tratti con rapido giro della chiavetta a tre vie esamino
la pressione endopleurica: se dopo alcuni minuti questa non si modifica, il che indica che
le aderenze non cedono, tolgo definitivamente l’ ago; se invece la colonna d’ acqua si ab-
bassa, esercito una più forte pressione sulla pera di gomma in modo da riportare la pres-
sione endopleurica all’ altezza di prima. In questo modo si riesce a mantenere per un tempo
(1) Ho rivisto il paziente più volte dopo la sua dimissione: ultimamente lo esaminai il 15/3/913. Le sue
condizioni sono ottime: persiste solo un lieve catarro bronchiale.
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Un caso di ascesso polmonare venuto a guarigione, ecc. 5
abbastanza lungo una determinata pressione nella sacca ed a stabilire se, cedendo le pa-
reti, non convenga insistere per ottenere in una sola seduta quello che forse non si po-
trebbe ottenere in molteplici. Ho potuto nel mio caso assistere ad abbassamenti cospicui
della pressione endopleurica solo dopo 3-4 minuti che l’ azoto era stato introdotto.
In questi tentativi è meglio far uso di aghi molto sottili per evitare che, tolto l’ ago,
attraverso il foro fuoriesca parte dell’ azoto in pressione con esito in enfisema sottocutaneo.
Questa nota era già scritta e stava per essere licenziata alle stampe quando mi si presentò |’ opportunità
di trattare un secondo caso di ascesso polmonare. Ne riassumo brevemente la storia clinica :
Puglisi Orazio d’anni 19, muratore, da Catania.
Nessun fatto degno di nota nel gentilizio e collaterali. Febbre tifoide a r2 [anni guarita senza postumi.
Soffrì periodicamente durante la stagione invernale di forti infreddature, spesso accompagnate da febbre e mal
di gola, Non contrasse mai malattie veneree: non fumatore, modico bevitore.
La malattia attuale esordì nel maggio 1912 con cefalea, febbre elevata senza brivido, modica tosse con
escreato muco purulento spesso striato di sangue. Verso la metà di giugno |’ escreato si fece più abbondante,
fetido, la febbre quotidiana con defervescenza al mattino fra profusi sudori ; insorse pure dolore puntorio al
torace destro posteriore. Questo stato di cose, inframmezzato da brevi periodi di miglioramento, perdurò sino
al 22/2 1913 epoca del suo ingresso nel nostro Istituto.
S. P. 20/2 913. Aspetto di persona poco sofferente, costituzione scheletrica molto robusta, stato di nu-
trizione ottimo. Cute e mucose rosee : ingrossati i gangli del cavo ascellare destro.
l-W3705 Piro 6 n _iRt23, Pr ér20.
Nulla di notevole al capo e al collo; alito fetido. Torace robusto, asimmetrico per maggior sporgenza della
metà inferiore destra ; respiro obliquo per minor espansione e ritardo della base destra. La palpazione fa ri-
levare diminuita elasticità toracica a destra inferiormente : f. v. t. quasi abolito posteriormente a destra dal-
I’ angolo della scapola alla base, dove si ha suono di percussione smorzato e più in basso ottuso e si ascol-
tano rantoli diffusi a medie e piccole bolle. Nel resto dell’ ambito polmonare reperto pressochè normale. Mobi-
lità polmonare attiva di 4 cm. a sinistra posteriormente sulla linea paravertebrale, di 2,5 cm, a destra a sini-
stra sull’ ascellare anteriore. Itto cardiaco nel 4° spazio sull’ emiclaveare. Il limite destro dell’ aia cardiaca
giunge a 4 cm? dalla mediana sternale sulla 3* costa. Toni ritmici: impuro il r° aortico. Polso piccolo, fre-
quente, uguale, ritmico. Aia epatica nei limiti. Milza lievemente ingrandita, palpabile sotto 1’ arco costale.
Gli esami ripetuti delle urine, feci, sangue non mettono in rilievo note degne di menzione.
Espettorato abbondante (circa 500-600 gr. nelle 24 ore) siero muco purulento, poco fluido, verdastro, al-
cune volte con tracce evidenti di sangue, raramente con sangue in quantità notevole, fetidissimo, emesso in
copia dopo ripetuti accessi di tosse (accessi che spesso provocano pure vomito). Non vi è rapporto fra ac-
cesso di tosse e decubito del paziente. Lasciato a sè l’escreato si divide nei tre classici strati. Flora batte-
rica comune : assente il bacillo di Koch. Scarsi frammenti di fibre elastiche.
DIAGNOSI : ascesso polmonare del lobo inferiore destro.
Quantunque i dati rilevati all’ esame del paziente mettessero in evidenza I’ esistenza di vaste aderenze
alla base di destra, decido di tentare la cura pneumotoracica. Dopo numerosi tentativi infruttuosi (di grande
ostacolo riuscì il cospicuo spessore della cute e delle masse muscolari), il 6/3 con puntura nel 7° spazio in-
tercostale sull’ ascellare posteriore riesco nell’ intento (pressione iniziale — 5, — 2: dopo introdotti 400 cm"
di azoto Pr. + 2, +5).
Con successivi rifornimenti di 500 cm8 il 7/3, di 600 cm? 1’ 8/3, di 250 cm? il 1ro/3, di 250 cm? il 12/3,
stabilisco un pneumotorace, completo anteriormente, che posteriormente giunge in basso alla 9* costa. La
pressione endopleurica il 12/3 è 4-7, +10; l’ammalato accusa solo lievi dolori alla regione scapolare. Durante
questo periodo le condizioni del paziente si mantennero buone: la temperatura oscillò fra un minimo di 36. 8°
al mattino e un massimo di 37. 4° alla sera; l’escreato diminuì di quantità (300 gr. circa) e si fece più li-
quido e meno fetido.
Il 14/3 introduco di nuovo 250 cm3 di azoto molto lentamente dapprima (pressione iniziale + 6, + 10) più
rapidamente dopo che la pressione si abbassa di colpo; alla fine dell’ introduzione la colonna manometrica
oscilla fra — 5, + 5. Questo favorevole risultato, ottenuto senza recare soverchia molestia al paziente, mi
spinge ad insistere nei rifornimenti. Il !°/3 (pressione iniziale — 2, + 5) introduco 200 cm* di azoto (la pres-
sione sale a + 5, + 12), il 16/3 (pressione iniziale + 3, + 8) altri 250 cm8 (pressione finale + 10, +15):
il paziente accusa vivi dolori alla base di destra e senso di oppressione. Sospendo le introduzioni di azoto sino
al 21/3 giorno in cui essendo scomparsa la dispnea introduco 200 cm di azoto (pressione iniziale +5, + ro
6 G. Izar [Memoria XVII.]
pressione finale ia 10, | 15): il paziente durante l’ introduzione eseguita molto lentamente avverte dolori alla
base di destra irradiantisi anteriormente. Il 23/3 date le ottime condizioni del paziente ripeto l’introduzione di
roo cm di azoto (pressione iniziale 4 7, + 12: pressione finale + 15, 4 20); anche questa introduzione
causa dolori piuttosto vivi. I limiti del pneumotorace dopo quest’ ultima introduzione corrispondono all’ incirca
a quelli descritti.
Fu questo l’ ultimo rifornimento perchè dopo un giorno di benessere (22-23/3) improvvisamente la sera
del 23/3, preceduta da brivido di freddo, insorge febbre violenta (39, 5°) accompagnata da intensa dispnea :
P. r1o, valido ritmico. Le condizioni peggiorano il 24/3 e il 25/3: il polso si fa piccolo, frequentissimo (155-150
pulsazioni), la respirazione superficiale (R. 50-55) tanto da indurmi la sera del 25/3 a evacuare la pleura di
zoo cm° di azoto (pressione iniziale + 7, + 10; pressione finale — 5, + 5). Le condizioni del paziente al
mattino seguente 26/3 sono notevolmente migliorate ; il polso è valido, il respiro solo lievemente dispnoico ;
alla sera persiste il miglioramento : la T. raggiunge solo 37. 6°. Il miglioramento è però passeggero, perchè
il 27/3 ricompare la febbre e la dispnea : verso sera insorge violenta emottisi (circa 500 cm? di sangue) ar-
restata mercè un’iniezione di pituitrina. Le gravi condizioni persistono invariate fino al 6/4 : si inizia allora
un progressivo miglioramento con caduta litica della febbre ; il 13/4 V ammalato è apiretico. Ma di nuovo il
14/4, preceduta da emottisi meno violenta della precedente, riappare la febbre col corteo dei soliti sintomi; la
febbre dura sino al 23/4, giorno in cui cessa per crisi.
Il paziente abbandona di sua volontà la clinica il 26/4 in condizioni pressochè uguali a quelli in cui era
entrato.
Ho voluto riferire questo caso perchè mi sembra venga a lumeggiare una questione
importante per la terapia pneumotoracica dell’ ascesso polmonare: quella del tempo in cui
convenga iniziare la cura una volta stabilita la diagnosi.
Se poniamo a raffronto i due pazienti di cui ho ora brevemente riferite le storie senza
tener conto del tempo trascorso dall'inizio della malattia e consideriamo soltanto i dati
obbiettivi fisici (astrazione fatta di quelli che forse l'esame radioscopico avrebbe potuto ag-
giungere) la situazione si presenta ugualmente favorevole per l’ estensione del processo ad
un sol lobo, l’ integrità del polmone opposto; molto più favorevole invece nel secondo caso
per lo stato di nutrizione del paziente.
Pertanto nel primo caso la cura pneumotoracica sortì esito felicissimo, nel secondo
fallì.
A che si deve ascrivere questo insuccesso? perchè nell’un caso riuscì possibile di
vincere le aderenze mentre nell'altro non lo fu, anzi i tentativi di rottura delle aderenze
mediante elevate pressioni endopleuriche furono forse fattori adiuvanti la riaccensione di
un processo decorrente coi caratteri di cronicità e provocarono emottisi abbastanza cospi-
cue? Il felice esito del primo caso è forse da attribuire in massima parte alla prontezza
con cui una volta stabilita la diagnosi si ricorse al presidio terapeutico del pneumotorace
artificiale, prontezza di decisione e di esecuzione che se da un lato metteva riparo al pe-
ricolo di diffusione del processo ad altri lobi polmonari, dall’ altro favoriva lo stabilimento
del pneumotorace coll’ istituirlo prima che le aderenze pleuriche anche se costituite aves-
sero avuto il tempo di organizzarsi e vascolarizzarsi. E concordemente a questo punto di
vista, l'insuccesso del secondo caso è da ascriversi al fatto d’ essere stati seguite dap-
prima direttive opposte ed esperiti svariati tentativi terapeutici avanti di ricorrere alla pneu-
moterapia.
Per queste ragioni l'esito negativo di questo caso non credo possa infirmare quelle
conclusioni che già avevo scritte avanti di tentare la cura pneumotoracica di questo se-
condo caso.
Memoria XVIII.
Istituto di Patologia Medica Dimostrativa della R. Università e Sanatorio Ferrarotto
dell’ Ospedale Vitt. Em. in Catania diretti dal Prof. MAURIZIO ASCOLI
Valore semiologico dei campi di risonanza del Kronig
Nota del Dr. A. FAGIVOLI (Assistente e lib. doc.)
RBIESZZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DEI SOCI EFFETTIVI
Prorr. R. FELETTI E M. ASCOLI (Le/atore).
Giudichiamo il notevole contributo semiologico, meritevole d’ essere inserito negli
Atti di questa Accademia.
Fin dal 1889 Krénig ha dimostrato come si riesca con la percussione a delimitare
sulla regione della spalla una zona di risonanza polmonare che corrisponde alla proiezione
dell’apice, e come le variazioni nell’ ampiezza di detta zona possano fornire preziosi ele-
menti di giudizio nelia diagnosi di tubercolosi polmonare incipiente.
La ricerca proposta dal Krònig venne in seguito largamente applicata: e quasi tutti
coloro che in modo speciale si occuparono dell’ argomento riconobbero il valore che per
la esatta e precoce conoscenza di processi di infiltrazione e retrazione apicali spetta alla
percussione topografica dell’ apice. Non mancarono, è vero, critiche al metodo : l’ Hoffmann
sostenne la scarsa praticità della ricerca, il Goldscheider la poca attendibilità dei risultati
per la difficoltà di una esatta determinazione dei limiti entro i quali la zona di risonanza
è compresa : vedremo in seguito come queste obbiezioni sieno facilmente confutabili ed
abbiano praticamente scarso valore.
Le numerose osservazioni da me raccolte in oltre tre anni di costante applicazione del
metodo mi hanno convinto che la determinazione dei campi del Krònig può avere realmente
importanza ed utilità pratica non soltanto per la diagnosi di infiltrazione apicale incipiente
ma eziandio per l’ interpretazione di altre alterazioni che all'apice si possono verificare.
Credo pertanto non inutile richiamare brevemente l’attenzione su questo importante
particolare semeiotico.
La zona di risonanza del Krònig, situata nella regione della spalla, è limitata da due
margini che decorrono ai lati del collo nelle regioni sopraclavicolare e sopraspinosa e che
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XVIII. I
2 A. Fagiuoli
[Memoria XVIII.]
si possono raffigurare come due archi di cerchio che si guardino per la loro convessità ;
la parte più ristretta di questa zona che si può raffigurare come una fascia compresa fra
il margine interno e l'esterno, corrisponde alla parte più alta del cingolo della spalla e
dista dalla clavicola circa 31/, — 41/9 cm. : è questo dal punto di vista pratico il tratto più
importante della zona così limitata, venne denominato dal Wolf-Eisner istmo e la sua lar-
ghezza tradotta in centimetri rappresenta la larghezza del campo.
Il margine interno corrisponde all’ apice polmonare, e per tracciarlo si percuote dal-
l'esterno verso l’ interno come comunemente si fa per segnare l'altezza dell’apice; il
margine esterno viene tracciato, percuotendo dall’ interno verso |’ esterno, là dove il suono
chiaro polmonare si cambia nella ottusità dell’ acromion.
Non è a credere però che la determinazione delle linee limitanti la zona di risonanza;
sia sempre facile e semplice e che in tutti i casi si riesca nettamente ad apprezzare la
differenza fra il suono chiaro polmonare e l’ottusità con la quale sia all’ interno che al-
l'esterno si confonde.
Che se il limite interno del campo di Krénig, che circa nella sua parte mediana cor-
risponde come si è visto al punto più alto dell’apice, è quasi sempre facilmente delimita-
bile, difficile riesce per contro la delimitazione del margine esterno, difficoltà che si rende
anche maggiore qualora per alterazioni esistenti nel parenchima polmonare l’ altezza del
suono percussorio ne risulti indebolita: non sempre infatti è dato di percepire nettamente
specie in questi casi, il passaggio dalla risonanza polmonare nella ottusità dell’ acromion.
Queste difficoltà però, data la pratica che coll’ esercizio man mano si acquista, ven-
gono facilmente superate : infatti nelle molteplici quotidiane osservazioni finora da me ese-
guite su individui sani e su tubercolosi, soltanto in qualche caso non riuscii a tracciare i
limiti entro i quali la zona di risonanza è compresa.
Per ottenere dei dati, per quanto è possibile esatti, la percussione deve esser leggera;
solo in taluni casi, e ne vedremo più innanzi le ragioni, anche una percussione media e
forte può essere utile. Il miglior metodo di percussione, e quasi tutti sono anche in questo
di accordo, è il digito-digitale, poichè non soltanto permette di rilevare minime differenze
nell’ altezza del suono percussorio, ma dà agio di apprezzare sensazioni tattili diverse, coef-
ficiente questo tanto importante e così prezioso nella percussione.
Quando si esegue la ricerca il capo del paziente deve essere eretto sul collo e i mu-
scoli del cinto scapolare quanto più possibile rilasciati.
Qual’ è la larghezza dell’ istmo dei campi di risonanza nell’individuo normale ?
Le medie che danno i vari osservatori sono alquanto diverse fra loro e oscillano fra
i 31/0 e i 7 cm. Questa diversità nei valori ottenuti da esperti semeiologhi non ci deve
sorprendere qualora si considerino non soltanto gli svariati momenti subiettivi legati alla
percussione (dalla posizione del dito che fa da plessimetro fino alle vibrazioni che arri-
vano all’ orecchio del ricercatore) ma le oscillazioni dovute alle differenze individuali rela-
tive alla conformazione e alla grandezza della gabbia toracica, allo spessore dello strato
muscolare, del pannicolo adiposo etc.
Il Takata riferendo sull’ altezza normale degli apici e commentando i valori diversi
ottenuti dai singoli ricercatori enumera i fattori che possono far variare il risultato della
ricerca. Le considerazioni del Takata valgono anche per la determinazione dei campi di
risonanza del Krònig, poichè il loro margine interno corrisponde all’ altezza dell’ apice ;
nel caso concreto poi le fonti di errore devono essere anche maggiori poichè oltre ad un
Valore semiologico dei campi di risonanza del Krònig 3
margine interno deve venir tracciato un limite esterno, determinazione questa che per quanto
prima si è detto offre non raramente qualche difficoltà.
Secondo la mia esperienza il fattore più importante per la esattezza della ricerca è la
intensità della percussione: una percussione media o forte aumenta la larghezza del campo
dis, 1, talora. 11/0 cm.
I risultati ottenuti dalle mie osservazioni in individui normali sono i seguenti: nel-
l’uomo adulto a respirazione normale la larghezza dell’ istmo oscilla fra i 41/, e i 6 cm.
Nella maggior parte dei casi non rilevai differenze apprezzabili fra il campo di destra e
quello di sinistra: poche volte potei constatare una maggiore estensione nel campo di de-
stra di !/a cm circa, raramente di 1 cm.
Nella donna la larghezza media dell’istmo è un po’ inferiore a quella dell’uomo ed
oscilla fra i 31/2 e i 5 cm.
Nei bambini l’ istmo si presenta ancora più ristretto con medie fra i 2 e i 3!/a cm.
Qualora all’ apice si sieno stabilite delle alterazioni anatomiche, la larghezza dell’ istmo
dei campi di risonanza del Krònig si scosta dalle cifre medie normali in un senso o nel-
l’altro a seconda della natura del processo che nell’ apice si è insediato.
La modificazione che ci è dato di osservare con maggiore frequenza, certo la più
importante dal punto di vista pratico, è una riduzione, un restringimento nella larghezza
dell’ istmo.
È anatomicamente dimostrato che un processo di infiltrazione tubercolare apicale de-
termina una retrazione della zona colpita: la proiezione dell’ apice sulla spalla dovrà per
questo risultarne impicciolita, e la larghezza dell’ istmo sarà inferiore alla normale.
Noi infatti possiamo osservare quasi costantemente un restringimento dell’ istmo nelle
forme di tubercolosi in I e II stadio, nelle quali l’ apice già da tempo è sede di processo
specifico, e molto spesso anche nel III stadio, qualora però all'apice non abbiano avuto
luogo processi distruttivi con formazione di caverna. L’istmo in tutti questi casi si pre-
senta ridotto nella sua larghezza; non raramente, nelle forme interstiziali datanti da anni,
potei constatare una larghezza di 2, talora soltanto di 1 cm.
E chiaro che nel caso concreto, una riduzione anche notevole nel campo di risonanza
non può avere che scarsa utilità pratica, quando il corteo degli altri sintomi fisici che ac-
compagnano il processo tubercolare è di per sè sufficiente alla diagnosi.
Dove per contro il restringimento dell’ istmo ha realmente valore pratico e può talvolta
rendere preziosi servigi alla diagnosi è nelle forme di tubercolosi iniziale, quando nessun
elemento probativo di processo specifico in atto ci è dato mettere in rilievo.
Se si riflette che un processo di infitrazione specifica per determinare una retrazione
dell’apice tale da ridurre sensibilmente la sua proiezione sulla spalla, deve aver interessato
una zona piuttosto vasta di tessuto polmonare, sembrerebbe a tutta prima che il restrin-
gimento dell’ istmo dovesse sempre accompagnarsi ad altri sintomi, espressione del focolaio
tubercolare apicale. Certo se così fosse, la ricerca perderebbe, anche in queste forme tu-
bercolori incipienti, la sua importanza pratica.
Se però da un lato è logico ammettere che soltanto una vasta zona di retrazione al-
l'apice, può determinare una riduzione nella larghezza del campo di risonanza del Krònig,
4 A. Fagiuoli [Memoria XVIII.]
è d'altra parte assodato per esperienza clinica controllata da reperti anatomici, che un
processo di infiltrazione specifica può da tempo interessare quasi completamente |’ apice
polmonare senza che l'esame fisico il più accurato riveli sintomi dimostrativi di alterazioni
anatomiche tubercolari senza che ripetuto esame microscopico dell’ escreato ne dia sicura
conferma.
Ed è per l appunto in questi casi non certo infrequenti nella pratica quotidiana che
la ricerca del Krònig assume notevole importanza: nell’ assenza di altri sintomi probativi,
una riduzione nella larghezza dell’ istmo deve indurre in noi il sospetto di infiltrazione
dell’apice, o serve ad avvalorarlo qualora per altri segni sia già sorto o reso probabile.
Certo il dato puro e semplice, restringimento dell’ istmo, non può costituire di per sè
fattore assoluto di diagnosi. Ad ogni modo però, anche tenendo nel dovuto conto le pos-
sibili fonti di errore nella esecuzione del metodo, non mi sembra esagerato affermare per
la esperienza ormai fatta, che la ricerca del Krònig mai dovrebbe trascurarsi, e special-
mente in quei casi dubbi nei quali manchino sintomi dimostrativi, potendo in detti casi,
specie se esistono concomitanti dati di probabilità subbiettivi od obbiettivi, rappresentare
un elemento prezioso di giudizio nella diagnosi precoce di tubercolosi polmonare.
Un restringimento della zona di risonanza del Kr6nig non soltanto ha importanza nella
diagnosi precoce di tubercolosi polmonare, ma mi riuscì utile nella pratica del pneumoto-
race terapeutico per stabilire l’ esistenza di lesione iniziale nel polmone opposto a quello
colpito.
La condizione più favorevole per la istituzione del pneumotorace artificiale è che la
lesione tubercolare pur essendo avanzata e diffusa, interessi soltanto un polmone. Si com-
prende perciò facilmente quanta importanza abbia nei riflessi pronostici e della condotta della
cura il precisare con certezza se il polmone opposto sia immune da processo tubercolare.
È d’altra parte noto come la diagnosi di tubercolosi apicale incipiente, quando |’ altro
polmone è già in preda a processo tubercolare, incontri spesso non lievi difficoltà, poichè
i pochi, incerti, spesso incostanti sintomi fisici che accompagnano di solito un processo
di infiltrazione iniziale possono venir falsamente apprezzati, in qualche caso mascherati,
talvolta confusi con i fatti esistenti nel polmone colpito.
La constatazione nell’ apice del polmone opposto di un restringimento dell’ istmo,
[quando per l’enfisema vicario, come avrò occasione più avanti di accennare, si dovrebbe
in caso presentare aumentato nella sua larghezza,] depone molto spesso, anche qualora
manchino altri segni di probabilità per un incipiente processo di infiltrazione apicale.
Non sempre nelle alterazioni deli’ apice l’istmo si presenta ristretto.
Un aumento nella larghezza della zona di risonanza si può constatare anzitutto quando
all’ apice esista una caverna: in questi casi però l'allargamento del campo di Krénig si
accompagna generalmente al tipico suono di percussione metallico e a quel corteo di altri
sintomi caratteristici che depongono senz’ altro per una escavazione.
Anche una zona di tessuto polmonare enfisematoso può determinare un aumento nella
larghezza dell'istmo: non raramente infatti potei osservare in un apice un allargamento
del campo del Krònig per enfisema vicario, stabilitosi in seguito ad ostacolata od abolita
funzione nelle parti inferiori dello stesso polmone o nel polmone opposto. Anche in questi
3
(©11
Valore semiologico dei campi di risonanza del Kròng
casi però, per tacere di altri sintomi dimostrativi, il timbro caratteristico del suono percus-
sorio ci permette di stabilire la natura della lesione anatomica.
Recentemente Orszag ha dimostrato che un allargamento dell’istmo può anche essere
l’espressione di un processo di infiltrazione apicale incipiente. Il tessuto polmonare che
circonda la zona infiltrata, rendendosi enfisematoso può non soltanto mascherare, a per-
cussione leggera, il suono ottuso del focolaio giacente in profondità, ma determinare un
ingrandimento nella proiezione dell’ apice sulla spalla.
In un solo caso di tubercolosi apicale incipiente io potei constatare anzichè un restrin-
gimento un leggero aumento nella larghezza dell’istmo, e l’ interpretazione data dall’ Orszag
mi sembra possa logicamente spiegarlo. Devo notare che in questo caso il suono di per-
cussione non era quello caratteristico di tessuto polmonare enfisematoso quale per es. si
ottiene qualora all’ apice esista un enfisema vicario, poichè con probabilità le vibrazioni
percussorie della ristretta zona enfisematosa venivano smorzate dal sottostante focolaio di
infiltrazione specifica. Con una percussione piuttosto forte, nel caso concreto, riuscii a met-
tere in rilievo la zona infiltrata.
La rarità della evenienza, che pure l’ Orszag ha soltanto in qualche caso constatato,
trova secondo me spiegazione nel fatto che essa può verificarsi soltanto allorchè sussistano
una serie di condizioni: il processo tubercolare deve cioè trovarsi nella prima fase, il fo-
colaio di infiltrazione deve essere ristretto, svilupparsi ad una certa profondità, essere an-
cora circondato da tessuto sano iperfunzionante ; in seguito invece per il progredire del
processo, anche le zone limitrofe vengono colpite, donde una infiltrazione totale e una re-
trazione dell’ apice con relativo impicciolimento della sua proiezione sulla spalla. Ora è
precisamente in questo stadio, nel quale i sintomi funzionali si possono mantenere ancora
relativamente deboli, non raramente del tutto assenti, che la forma specifica iniziale quasi
sempre cade sotto la nostra osservazione.
La possibilità quindi avanzata dall’ Orszag, che io pure in un caso potei constatare, non
diminuisce il valore che al restringimento dell’ istmo spetta nella diagnosi precoce .di tu-
bercolosi polmonare, sia per la rarità con la quale nella pratica quotidiana un allargamento
del campo in forme iniziali ci è dato constatare, sia perchè eseguendo la ricerca con una
percussione di media intensità o forte, si riesce in questi casi a mettere in rilievo la zona
infiltrata sottostante.
Esaminiamo ora brevemente il comportamento dei campi del Kr6nig nel pneomotorace
artificiale.
In generale, prima che si inizi la cura pneumotoracica l’ istmo della zona di risonanza
nel polmone colpito si presenta notevolmente ristretto.
Se la pleura è libera completamente da aderenze, già dopo le prime introduzioni di
gas possiamo constatare un aumento nella larghezza dell’ istmo, e il suono percussorio
acquista un timbro nettamente timpanico.
Nella maggior parte dei casi però soltanto a cura inoltrata, dopo numerose introdu-
zioni di azoto ci è dato osservare un allargamento nel campo del Krònig, perchè rari sono
i soggetti nei quali esista completa pervietà della pleura e perchè precisamente all’ apice
le aderenze sono spesso più estese e tenaci. In qualche caso nel quale per aderenze pleu-
riche non riuscii ad ottenere che un pneumotorace parziale limitato alla metà inferiore del
polmone non apprezzai modificazione alcuna nella zona di risonanza apicale.
Nell’ apice dei polmone opposto, se immune da processo, constatai quasi sempre nelle
6 A. Fagiuoli |MemorIA XVIII.]
mie numerose osservazioni, un aumento nella larghezza primitiva dell’istmo, dovuto all’en-
fisema vicario che a poco a poco vi si stabilisce per la ridotta od abolita funzione nel
polmone compresso.
Se però nell’ apice controlaterale già esisteva prima della cura un processo di infìl-
trazione con notevole restringimento del campo, la larghezza primitiva dell’istmo non su-
bisce alcun mutamento.
Dalle esposte modificazioni che i campi di risonanza del Krònig presentano in alcune
alterazioni dell’ apice risulta l'utilità pratica della ricerca nella diagnosi precoce di infiltra-
zione tubercolare apicale.
Anche se, come taluno vorrebbe, la percussione topografica del Krònig non fosse che
un prodotto di costruzione anzichè corrispondere alla proiezione anatomica dell’ apice, per
la sua semplicità e per la attendibilità dei risultati costituisce uno fra i reperti semeiotici
sempre utili, talora preziosi che non dovrebbero esser trascurati in un minuzioso e com-
pleto esame fisico dell’ apparato respiratorio.
BIBLIOGRAFIA
Krònig — Berl. Klin. Woch. N. 37 — 1889.
id. — Med. Woche N. 15 — rI9or.
id. — Deutsche Klinik — 1907.
Wolf-Eisner — Deut. Med. Woch. N. 6 — 1903.
Goldscheider — Berl. Klin. Woch. N. 40-41 — 1907.
Turban — Wien. Med. Woch. N. 6 — 1910.
Kohler — Miinch. Med. Woch. N. 35-36 — 1910.
Takata — Berl. Klin. Woch. N. 10 — 1912.
Ebstein — Brauer’s Beitràge Bd. XXIII H. 2 — 1912.
Orszag — Berl. Klin. Woch. N. 42 — t912.
Hoffmann — Med. Klinik N. 46 — r9r2.
Cornet -- Nothnagel’s spez. pathologie u. therapie.
Memoria XEX.
Istituto Zoologico della R. Università di Catania
diretto dal Prof. A. RUSSO
Sulla struttura della zona pellucida in PhyIlophorus urna (Grube)
e sul suo significato fisiologico,
Nota preventiva di A. LETIZIA CAPRILE
(con una tavola)
REISAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. R. STADERINI ED A. RUSSO (Le/azfore)
Il reperto illustrato in questo lavoro mette in miglior luce i particolari processi nutri-
tizi dell’oocite di Phyophorus urna e si collega con la dibattuta quistione del signifi-
cato delle radiazioni della Zona pellucida di altri tipi animali. La Commissione ritiene
detto lavoro sia degno di essere inserito negli Atti Accademici.
Osservando una sezione trasversale di un tubo ovarico di P/y//ophorus urna (Grube)
e procedendo dall’ esterno troviamo: prima, uno strato di cellule epiteliali (epztelzo pers-
toneale) che, secondo i reperti del Prof. A. Russo (3), mio illustre Maestro, ha una
funzione di secrezione interna; poi uno spazio (spazzo schizocelico) , limitato all’ esterno
dalla membrana basale, su cui poggia l’epitelio suddetto e all’interno da un’altra mem-
brana, a cui sono attaccate le uova. Questo spazio si trova in tutta l'estensione del tubo
e contiene materiale nutritizio, che si presenta sotto forma di sostanza omogenea o leg-
germente filare e che proviene dalle cellule epiteliali.
L'attacco dell’oocite abbastanza avanzato nello sviluppo è caratteristico. La membrana
che limita internamente lo spazzo schRzzocelico e su la quale trovasi l’epzrelzo germinale,
difatti, in vicinanza di ciascun oocite si ripiega e lo circonda, isolandolo dal lume del tubo
e tenendolo fermo 77 situ: | oocite è perciò tutto circondato da tale membrana, tranne che
dal lato rivolto allo spaszo schizocelico, come si vede chiaramente dalla figura 1. Tav. I.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XIX. I
2 A. Letizia Caprile
MemoRIA XIX.]
La membrana istessa è costituita di cellule piatte, le quali formano un epzzelzo folli-
colare. In questo caso il follicolo si può considerare come una membrana protettiva,
perchè le cellule non mostrano mai un aspetto tale da farci credere che abbiano parte
alcuna nei processi di nutritizione dell’ oocite.
Oltre che da questa membrana, che ha valore meccanico, in quanto che, come s'è
detto, tiene l'uovo 772 772, l'uovo stesso è circondato da un'altra membrana, che circonda
tutto l’ooplasma e che possiamo considerare quale una .2074 pellucida. Osservata in se-
zioni non colorate di tubi ovarici, fissati con liquidi osmici (L/Quido Benda— Flemming),
si presenta d’ un grigio giallastro; assume invece una tinta grigio cenere dopo colorazione
con Ematossilina ferrica, rosso-cupo con Saffranina. Essa sembra costituita di due
strati: uno esternò, sottile, ma compatto e d'una tinta più forte di quella dello strato in-
terno, che è più alto e d’una tinta molto più chiara, come si vede nella figura 3.
Questa membrana si presenta compatta per tutta la sua estensione, salvo che dal
lato in cui l’uovo non è ricoperto dall’ epitelio follicolare, dove essa presenta invece dei
canalicoli (fig. 2). Considerando quindi l’ uovo 772 foto, Za membrana pellucida si può
distinguere in due calotte: una , crivellata di canalicoli, che ricopre quel polo dell’ oocite,
che è rivolto verso lo spazzo schizocelico e l’altra, molto più estesa, compatta, omogenea,
che ricopre tutto il restante della superficie ovulare (fig. 1). La prima porzione presenta
uno spessore maggiore della seconda. Questi canalicoli interessano tutta |’ altezza della
membrana: di essi alcuni sono cilindrici, altri leggermente conici: in quest ultimo caso
il vertice del cono è diretto verso |’ interno, cioè verso l ooplasma. Qualcuno di questi
canali nella. parte rivolta verso ]’ esterno si presenta unico, ma, procedendo verso l’interno
dell’ oocite si biforca in modo da presentare |’ aspetto di un v capovolto. Qualche altro
canalicolo ha la stessa forma, ma ly è dritto. I canalicoli, che più s’ avvicinano al punto
ricoperto dalla membrana follicolare, che serve d'attacco all’oocite, cioè alla porzione mar-
ginale della calotta, sono di ampiezza sempre minore fino a che non scompariscono affatto,
costituendo così un passaggio graduale dalla zona perforata a quella compatta.
Paragonando la struttura della membrana ovarica del //y//ophorus con la zona
pellucida dei Vertebrati si vede che, quantunque le due formazioni non siano omologhe,
perchè quella risulta da una differenziazione periferica dell’ooplasma, mentre alla forma-
zione di questa concorrono le cellule follicolari, sono però analoghe per struttura e signi-
ficato fisiologico.
In quanto alla struttura entrambe le formazioni presentano le striature. Nei Vertebrati
però le radiazioni della peZ!/xcida, secondo Paladino, (1) Kolossow, (2) Retzius (6) ed altri,
sono determinate da prolungamenti protoplasmatici delle cellule follicolari, che vanno nel-
l’ooplasma, secondo Russo (4, 5) invece sono dovute a correnti di materiale liquido che
l’attraversano nel suo spessore.
Nel caso del PWy/ophorus invece le striature sono veri porocanali non estesi a tutta
la superficie ovarica, come nei casi osservati dagli Autori sullodati, ma localizzati in una
area ristretta, rispondente al polo libero dell’ uovo.
Nei canalicoli della pell/ucida di Phylophorus sono sparsi a varia altezza dei glo-
buletti basofili che presentano la stessa tinta dei globuli, che si riscontrano nell’ ooplasma
immediatamente al di sotto della membrana (figura 3).
La localizzazione di questi canalicoli in quel polo dell'uovo, che è in diretta comunica-
zione col materiale accumulato nello spaszo schisocelico, la presenza dei globuletti nel
|
Sulla struttura della zona pellucida in Phyllophorus urna (Grube) ecc. d
loro percorso, l’ identità della tinta di questo materiale globulare con quella dei globuli
deutoplasmici, dimostra come i porocanali servano di strada al materiale che, dallo spazzo
schizocelico, va nell’ ooplasma a formare il vitello nutritivo.
Le presenti osservazioni mi portano a concludere:
lo. In Phyllophorus urna esistono nella sona pellucida dei porocanali che l’attra-
versano in tutto il suo spessore.
2°. Questi canalicoli sono limitati al polo libero dell’ uovo, cioè in diretta comunica-
zione col materiale nutritizio accumulato nello spazzo schzsocelico.
3°. Essi servono al passaggio del materiale nutritizio stesso nell’ ooplasma.
Catania, giugno 1913.
BIBLIOGRAFIA
1. G. Paladino. — 1 ponti intercellulari tra ovo ovarico e le cellule follicolari e la formazione della zona
pellucida. — Anat. Anz. Bd. 6. -- 1890.
2. A. Kolossow. — Fine Untersuchungsmethode des Epithelgewebes, besonders der Driisenepithelien, und
die erhaltenen Resultate. — Arch. f. mikr. Anat. u. EntwickI. Bd. 52. — 1898.
3. A. Russo e G. Polara. — Sulla secrezione interna delle cellule peritoneali della gonade del Phyllophorus
urna (Grube). — Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat. in Catania. — Serie 4. Vol. XVIII —— 1904.
4. A. Russo. — Prime ricerche dirette a determinare la permeabilità e la struttura istochimica della zona
pellucida nei Mammiferi. -- Boll. Acc. Gioenia. — 1906.
5. A. Russo. — Per la costituzione della zona pellucida e la formazione del liquido follicolare nell’uovo dei
Mammiferi. — Anat. Anz. Bd. 33. — 1908.
6. G. Retzius. — Zur Kenntniss der Hiillen und besonder des Follikelepithels an der Eiern der Wirbelthiere. —
Biologische untersuch. — Neue Folge XVII, 1. — Stockholm, 1912.
4 A. Letizia Caprile [Memoria XIX.]
SPIEGAZIONE DELLE FIGURE DELLA TAVOLA
Lettere comuni a tutte le figure
c. e. — cellule dell’ epitelio peritoneale.
S. S. «— Spazio schizocelico.
z. p. — zona pellucida.
s. e. — strato esterno della z. p.
s. î. — strato interno della z. p.
c. 2. p. — canalicoli della zona pellucida.
n. i. — memb. limitante interna lo spazio schizocelico.
c. f. — cellule follicolari.
g. v. — globuli vitellini.
00. — o00plasma.
v. g. — vescicola germinativa.
n. — nucleolo.
m. — materiale granulare che attraversa i canalicoli della z. p.
FIGURA 1. — Sezione trasversa di un tubo ovarico di /%yZ/ophorus per mostrare i rapporti tra l’ oocite, il
follicolo, lo schizocele e i canalicoli della pellucida limitati al polo libero dell’oocite. Figura
semischematica ricostruita da varie sezioni. Camera lucida Koristka — Proiezione a 20 cm.
sopra il tavolo da lavoro — Oculare 4 — Obbiettivo 6.
FIGURA 2. — Porzione di una sez. trasversale di un tubo ovarico di P/y//ophorus interessante un ovocite,
per mostrare la struttura dei canalicoli della pellucida — Koristka — Proiez. 20 cm. sul ta-
volo da lavoro -— Obbiettivo ad immersione omogenea ad olio '/,; —- Oculare 4.
FIGURA 3. — Porzione di una sez. trasversale di un tubo ovarico di 7yZ/ophorus interessante un ovocite,
per mostrare i due strati della pellucida e i granuli lipoidi contenuti nei canalicoli. Ingran-
dimento come la precedente figura.
alii del'Accad 1oonti SoseSAPANI
7 8 7 Capri] lis
tip}
Lit. lacchinaredi è terra; v-favia
Memoria XX.
Istituto di Fisiologia sperimentale della R. Università di Catania
La concentrazione osmotica e le emolisine
Nota del Prof. ANDREA CAPPARELLI
Come si sa, i liquidi animali emolitici perdono la loro attività per cause varie: fra
queste, la più costante, quella che maggiormente li priva del potere emolitico, è il riscal-
damento ordinariamente a 56°; però questo grado di temperatura non è uguale per tutti
i liquidi emolitici animali; così il veleno tritonico, come di recente ha dimostrato nel mio
laboratorio il dott. Lavagna, nella stagione invernale, perde il suo potere emolitico comple-
tamente solo col riscaldamento a 60°.
In questi ultimi tempi è stato anche dimostrato, che la semplice agitazione all’ aria
libera, se protratta per molte ore, fa, secondo alcuni costantemente, secondo altri con più
o meno frequenza, perdere al siero il potere emolitico.
M. Eisler, che si occupò a lungo di questo argomento, dimostrò come parecchie so-
luzioni saline, evidentemente molto concentrate —- perchè egli dei sali adoperava soluzioni
t/,0 > :/sg normali — impedivano l’ emolisi. Osservazioni riflettenti il potere inibitore, delle
soluzioni saline, avevano fatte altri osservatori prima di lui. Io, studiando l’azione delle
soluzioni di tungstato sodico, sul veleno del triton cristatus, il cui potere emolitico è ele-
vatissimo, mi sono accorto che dette soluzioni all’ uno per cento, inibiscono completamente
il potere emolitico del veleno.
Credetti in principio che ciò fosse un fatto specifico, cioè che la inattivazione delle
emolisine avvenisse per azione diretta della sostanza impiegata; ma presto dovetti con-
vincermi che eguale azione spiegavano, in concentrazione però differente, il cloruro sodico
ed altri sali.
Prima che io accenni al procedimento da me impiegato per la constatazione dei fatti
sopra cennati, giova rilevare la importanza di alcuni particolari di tecnica: in generale
meglio che adoperare soluzioni titolate in acqua di sali elettrolitici, conviene in questi espe-
rimenti adoperare sali elettrolitici allo stato solido, aggiungendoli alle emulsioni di corpu-
scoli rossi sospesi nelle proporzioni del 5 °/o in siero fisiologico. Per questo appunto e per-
chè le proporzioni del sale, da me adoperate, come inibitorie erano piccole, ho preferito
usarlo per maggior comodità in proporzioni percentuali, anzi che in soluzioni normali.
La soluzione emolitica di veleno tritonico fresco, era ottenuta versando in 5 c.c. di solu-
zione fisiologica, 2 gocce di veleno.
Due c.c. di questa soluzione mescolate con eguale volume di soluzione acquosa all’uno
preme,tdinemulsione di ‘corpuscoli tossitallo: 3;
per 100, di tungstato sodico, aggiunti a
non davano emolisi; mentre rapidissimamente la identica soluzione di veleno emolizzava
ABIAGG: SERIENVi.,, VOL. Vil—uMern, XX, I
2 A. Capparelli [MemoRrIA XX.]
il controllo. Eguale risultato si otteneva se invece di adoperare corpuscoli rossi di bue
lavati, si usava il sangue di bue semplicemente defibrinato.
I corpuscoli rossi che hanno resistito all’ azione emolizzante del veleno, perchè me-
scolati alla soluzione di tungstato sodico, dopo un lungo riposo — 24 ore — si raccol-
gono in fondo alla provetta; ed esaminati al microscopio si presentano alterati, di forma
irregolare, ma conservano il loro colorito.
Il sangue emolizzato dal veleno, in questo esperimento, allo spettroscopio non pre-
senta le due strie caratteristiche della ossiemoglobina; ma al loro posto quella unica della
emoglobina ridotta : fenomeno che qualche volta durante questi esperimenti ha presentato
il sangue di bue, il quale non ha subito alcun trattamento, meno del replicato lavaggio in
soluzione fisiologica e centrifugazione, cosa che scuote non poco le nostre credenze sulla
inalterabilità delle emazie in seguito alla permanenza, per qualche giorno, in soluzione fi-
siologica ordinaria.
Eguali resultati si ottengono sostituendo al tungstato sodico, il cloruro sodico in pro-
porzione più rilevante cioè del 5-10 °/o.
Un risultato ancora analogo si ottiene adoperando lo zucchero di canna, saccarosio,
in proporzione maggiore del cloruro sodico e dissolvendolo direttamente o nell’ emulsione
di emazie in siero fisiologico o nel sangue defibrinato di bue.
Ma non soltanto i sali inorganici da me cennati ed il saccarosio, hanno potere inibi-
tore, ma anche, sebbene con minore intensità, la gomma arabica, colloidale tipico.
I gas — ossigeno e anidride carbonica — agiscono, il primo ritardando o inibendo
l’emolisi ed il secondo favorendo la emolisi.
Infatti se si fa gorgogliare dell'ossigeno in una emulsione globulare in siero fisiolo-
gico o nel sangue defibrinato e vi s’ aggiunge una soluzione emolitica di veleno, non si
ha emolisi pronta; rapidissima si ottiene invece se vi si fa gorgogliare della anidride
carbonica. Per queste ricerche ho adoperato l'ossigeno medicinale, di uso comune, e l’ ani-
dride carbonica l'ho ottenuta allo stato di purezza per replicati passaggi in acqua e privata di
tracce di acido cloridrico ; in quantochè tracce infinitesimali di questo, influenzano l’emolisi.
È noto che le sostanze tanto solide che liquide 0 gassose, le quali vengono in con-
tatto colle emazie, se esercitano una pressione sulla loro superficie, superiore alla pres-
sione endo-protoplasmatica, coartano i corpuscoli rossi, ne aumentano la concavità delle
superfici, ed in tal caso per fenomeno di riflessione di luce, tutta la massa corpuscolare si
presenta d'un colorito rosso-rutilante; fenomeni di colorazione opposta si ottengono se
aumenta la convessità delle due faccette, ed il colorito diventa tanto più rosso-bruno, quanto
maggiormente il corpuscolo rosso si rigonfia e tende ad assumere la forma sferica. Delle
sostanze da me adoperate avevano potere inibitore quelle che determinavano un arrossi-
mento maggiore della massa sanguigna, cioè, che coartavano maggiormente le emazie; ed
erano sostanze sensibilizzatrici per l’emolisi, quelle che determinavano una colorazione in-
versa, della massa corpuscolare.
La semplice modificazione fisica delle superfici corpuscolari coincideva, aveva rapporti,
con i fenomeni emolitici, costantemente.
Il comportamento poi del saccarosio, come sostanza inibitrice, a me pare molto istrut-
tivo e chiarisce e c’ illumina sul meccanismo dell’ emolisi. In effetti, secondo le ricerche di
Hamburger, i corpuscoli rossi permeabili a tutti gli anioni dei sali sodici, diventano im-
permeabili assolutamente per varie specie di zuccheri, fra queste vi è appunto il sacca-
La concentrazione osmotica e le emolisine 5
rosio, da me trovato inibente l’emolisi. Ora se il veleno tritonico contenesse una sostanza
che avesse affinità chimica pel contenuto globulare, questa dovrebbe agire egualmente ;
perchè lo zucchero nessuna modificazione può avere determinato nell’ interno del corpu-
scolo rosso, non potendovi assolutamente penetrare: nè può avere spiegata quindi azione
sul contenuto corpuscolare, il quale, di fronte al liquido in cui è immerso e che dovrebbe
contenere le sostanze emolitiche, non ha che nuovi rapporti, dipendenti solo dalla modi-
ficata pressione osmotica del liquido ambientale a sua volta determinata dalla soluzione di
zucchero. Ciò conferma la veduta o per lo meno giustifica il sospetto che si tratti non di
nuove sostanze prodottesi, ma di spostamenti fisici rappresentati da nuove aggregazioni
molecolari diverse da quelle già esistenti negli stessi corpi, o atomiche o joniche o elettro-
niche o di un nuovo valore del potenziale elettrico.
Come abbiamo accennato, oltre che le soluzioni di varie sostanze disciolte direttamente
nel sangue defibrinato o nella emulsione di emazie in siero fisiologico, riescono da sostanze
inibitrici alcuni gas: e cioè, se si prende, come ho accennato, emulsione globulare in siero
fisiologico e vi si fa gorgogliare per 3°, 5° anidride carbonica e si aggiunge la solita so-
luzione di triton-veleno, si ottiene rapidissima emolisij; mentre meno rapida è nel controllo;
viceversa se si fa gorgogliare nella stessa quantità di emazie lavate, ossigeno e vi si ag-
giunge la medesima soluzione di triton veleno, come nel caso precedente, non si ottiene
emolisi pronta, come nel controllo, e, qualche volta essa si avvera dopo un tempo più o
meno lungo, secondo la dose emolitica, e sempre dopo un tempo più lungo di quello in
cui si ottiene nel controllo.
Se la inibizione non è completa e duratura, ma temporanea, deve tenersi presente
che l’ attività dei globuli in contatto con l'ossigeno adsorbito, fà si che una certa quantità
di questo gas venga a far parte di nuove combinazioni alla periferia del corpuscolo, op-
pure a diffondersi e disperdersi nell'ambiente; talchè la miscela di sangue e di veleno
trovasi ben presto in condizioni di non contenere più la cifra primitiva di ossigezio Zibero
disciolto, capace di mantenere la modificazione fisica in rapporto con la forma delle ema-
zie e di inibire l emolisi.
Da questa serie di ricerche, tra cui non riporto se non quelle confacenti allo scopo
prefissomi, a me pare, emerga : che l’aumentata concentrazione osmotica dei liquidi, entro
cui sono sospesi i corpuscoli rossi, inibisca più o meno temporaneamente l’emolisi, anche
quando, come nel mio coso, si adoperano veleni dotati d’ un alto potere emolitico, conte-
nenti cioè, secondo le odierne vedute, delle emolisine potenti.
Ora se ben si riflette, un effetto fisico evidente delle soluzioni aggiunte alle emul-
sioni globulari, si è quello della alterazione di forma dei corpuscoli rossi; in altri termini:
le soluzioni ipertoniche coartono le emazie e le ipotoniche le rigonfiano. Un altro fatto
chimico-fisico, che non può revocarsi in dubbio, in tal caso, si è che: nella coartazione,
viene sfavorita la penetrazione di materiale dall’ ambiente in cui sono immersi gli eritro-
citi, dentro il protoplasma dei medesimi; nel caso del rigonfiamento, al contrario, viene
favorita la penetrazione di materiale nell'interno del corpuscolo, in sostituzione dei com-
ponenti protoplasmatici di esso, che sono migrati verso l’ esterno e che si sono disciolti
nel liquido ambiente.
Ora i miei esperimenti dimostrano che solo in questo ultimo caso ha luogo l’ emo-
lisi, non nel caso inverso, cioè quando trattasi di semplici fattori fisici.
Se il liquido esterno contenesse una sostanza capace di agire chimicamente su quelle
4 A. Capparelli [MeMmoRrIA XX.]
contenute nei corpuscoli rossi, e infine, se esistesse affinità chimica fra i due componenti,
esterno ed interno; non si comprenderebbe come, al momento del contatto dell'uno con
l'altro, la reazione non dovesse avvenire anche nel primo caso; cioè, quando viene ado-
perata una sostanza disciolta, capace solo di modificare la forma corpuscolare e d’aumen-
tare la concentrazione molecolare o ionica. La chimica, nella quasi totalità dei casi, non
ci segnala alcun esempio, in cui lo svolgimento delle affinità chimiche possa esser note-
volmente disturbato o inibito da semplici variazioni d’ordine fisico, come quelle che pos-
sono verificarsi nel caso in esame.
So bene che l'esatta interpretazione dei fenomeni e delle reazioni biologiche, non è an-
cora facile ad intendere, ma a me pare, che sempre più essa si complichi col moltiplicarsi
di osservazioni isolate, ove, senza un notevole fondamento, si ammette l’ esistenza di
nuovi corpi, i quali molto probabilmente non esistono o per lo meno non è provato che
esistano, alla stregua dei dettami positivi delle scienze fisiche e chimiche.
E questo il caso delle emolisine, le quali, per quanto io ne sappia, nessuno ha avuto
in mano allo stato libero od ha potuto isolare, purificare e descriverne le proprietà; talchè
la serie di queste sostanze cresce sempre fino ad ammetterne specie diverse e a venir
classificate in iso, etero, autolisine ecc.
La loro esistenza si fonda sopra una teoria messa avanti dal Bordet, che credette
aver dimostrato come in un sistema emolitico entrano in giuoco l’anticorpo, sostanza che
sensibilizza i corpuscoli rossi e il complemento.
È interessante notare che il riscaldamento a 56° distrugge il complemento, il quale
si crede esista in maggiore o minore proporzione nel sangue dei differenti animali; mentre
si forma un anticorpo emolitico per l'introduzione di alcune sostanze proteiche nell’ orga-
nismo vivente.
Ciò fornirebbe l’unica prova dell’esistenza di questo anticorpo, in quantochè il siero
dell'animale diventa emolitico per quel genere di globuli rossi con cui è stato iniettato.
Il che, secondo me, non autorizza ancora all’ ammissione di questa nuova sostanza,
ma il fenomeno può dipendere dalle modificate condizioni fisiche dei corpi già esistenti.
Infatti se attentamente si osserva il fenomeno dell’ emolisi, si ha, che costantemente
esso si inizia con il cambiamento di forma del corpuscolo rosso, il quale si rigonfia evi-
dentemente. Tale modificazione è determinata dalle condizioni fisico-chimiche del liquido
ambiente ed è in rapporto colla modificata pressione esercitata da quest’ ultimo sulle pa-
reti esterne del corpuscolo rosso, e, più tardi, dalla penetrazione nell’ interno del protopla-
sma di sostanze che alterano la costituzione fisico-chimica del medesimo.
Senza questa concezione non è possibile intendere la rapidissima modificazione delle
masse corpuscolari, e, sopratutto, il coartamento di esse, nei casi in cui vi ha solo au-
mento della pressione osmotica dell’ ambiente, come l'aumento che si ha della stessa, ag-
giungendo alle sospensioni globulari delle soluzioni di saccarosio, il quale, pur non pene-
trando dentro la massa protoplasmatica corpuscolare, ne modifica tuttavia la forma ed il
colorito, agendo solamente sulla superficie esterna, cioè fisicamente ed impedendo l’emolisi.
Or siccome, non credo, in base alle osservazioni, che vi ha emolisi senza alterazione
della forma corpuscolare; è logico ammettere che la sola modificazione fisica dei rapporti
tra la superficie esterna del protoplasma ed ambiente è capace di indurre quei notevoli
cambiamenti di forma dei corpuscoli rossi, che iniziano ed accompagnano i fenomeni de-
terminanti o inibenti l’ emolisi.
La concentrazione osmolica e le emolisine 5)
Tutto sommato, a me pare più semplice fermarsi ai più elementari principi dei rapporti
della composizione del siero e della parte figurata del sangue, tenendo conto di quanto la
fisico-chimica ha positivamente stabilito, circa la variabilità in pressione osmotica dei sieri,
la facile riversibilità di alcuni prodotti e di conseguenza, le modificazioni facili che succe-
dono nelle masse corpuscolari: il che basta per intendere e spiegare i fenomeni di emo-
lisi, senza ricorrere all'ipotesi della formazione di corpi destinati esclusivamente ad agirè
per combinazioni chimiche: corpi, i quali, di necessità, dovrebbero entrare in rapporti
di combinazione con i componenti del protoplasma dei corpuscoli rossi, il cui risultato
dovrebbe essere poi la trasformazione e il disfacimento degli stessi corpuscoli, con disso-
luzione dell’ emoglobina; corpi che vengono moltiplicati indefinitamente, con scapito della
verità, della semplicità e del rigore scientifico.
Il fatto poi della reversibilità a me sembra molto eloquente per ammettere con fon-
damento che l’ emolisi o la diffusione dell'emoglobina nei liquidi, dove i corpuscoli rossi
sono sospesi, non deve dipendere dalla esistenza di un terzo corpo, ma da semplice cam-
biamento della concentrazione osmotica dei sieri, capace di determinare nuove aggregazioni
molecolari o ioniche, e, probabilmente, da variazioni nella distribuzione degli elettroni, tali
da provocare |’ emolisi o da inibirla.
Ed è facile intendere, tenendo presente |’ estrema sensibilità dei corpuscoli rossi, come
il coartamento o il rigonfiamento iniziato dai mutamenti della pressione osmotica, nel li-
quido ambiente, possono dar luogo ai movimenti di spostamento verso |’ ambiente esterno
dei liquidi endoglobulari e quindi all’ emolisi, 0, nel caso inverso, all’ inibizione della stessa.
In altri termini i fenomeni che si verificano nell’ emolisi sono perfettamente parago-
nabili, a quelli che decorrono, secondo studi recenti, nel processo triptolitico.
Come si sà questo è caratterizzato dall’ azione di sostanze sensibilizzatrici speciali o
enterochinasi, le quali rendono possibile l’attività del fermento. Così Delezenne ha potuto
dimostrare che i corpuscoli rossi vengono subito attaccati e digeriti dal succo pancreatico
se sono già impregnati di enterochinasi, mentre sfuggono all’azione del fermento con l’e-
sclusione dell’ enterochinasi : azioni in gran parte catalitiche, cioè determinate da sposta-
menti fisici, più che da vere combinazioni chimiche fra i corpi messi a contatto.
Ed a questi spostamenti, molto probabilmente, si devono ridurre gran parte delle
reazioni biologiche.
Memoria XXI.
Istituto Zoologico della R. Università di Catania
diretto dal Prof. A. RUSSO
Primo manipolo d'animali marini catturati da alcune reti a strascico
nel Golfo di Catania.
®
Nota di ANGELA ZELAROVICH
RPIERZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. L. BUSCALIONI ED A. RUSSO (Ltelatore)
Il lavoro presentato al nostro esame è un pregevole contributo alla conoscenza della
Fauna marina nel Golfo di Catania, che ha inoltre il pregio di rendere più chiare alcune
quistioni d’ indole pratica, riguardanti la pesca. Pertanto riteniamo il lavoro sia degno di
essere inserito negli Atti accademici.
PREFAZIONE
In seguito alle ricerche del Ch.mo Prof. A. Russo sugli effetti delle ret? a strascico,
adoperate per la cattura degli animali marini nel Golfo di Catania, si trovava nel Labo-
ratorio di Zoologia una grande quantità di materiale da separare e classificare. Tale com-
pito fu a me assegnato, quale studente interna di detto Laboratorio.
Grandi sono le difficoltà che presenta un simile lavoro, trattandosi di materiale sva-
riatissimo, costituito di animali appartenenti a quasi tutti i tipi della scala Zoologica. E
se non molti sono gli specialisti, veri e profondi conoscitori di un determinato gruppo,
impossibile addirittura è la conoscenza estesa a tutti i Tipi, S. Tipi, Classi etc..., tanto
più quando non si dispone di un’ estesa bibliografia.
Ad ogni modo, accingendomi volenterosa all’ opera, sotto l’oculata vigilanza del mio
Illustre Maestro e profittando largamente dei mezzi bibliografici fornitici dalla Stazione
Zoologica di Napoli, riuscii con assiduo, indefesso lavoro a determinare quasi tutte le spe-
cie che mi furono presentate, meno alcune forme di cui ho determinato solo il genere ed
alcune altre di cui neppur questo mi fu possibile stabilire e che spero poter pubblicare in
un elenco suppletivo.
Provenendo il materiale suddetto da poche cale fatte nei mesi di Luglio, Agosto, Set-
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XXI. I
2 Prefazione [MemoRIA XXI. |
tembre, Ottobre 1912, non è escluso che molte altre forme potrebbero figurare in questo
elenco. E da augurare quindi che, disponendo dei mezzi opportuni, queste ricerche pos-
sano essere proseguite.
Inutile fare risaltare che questa mia memoria, oltre a far conoscere la /azza marina
del Golfo di Catania, si collega con vari problemi d’ indole pratica, riguardanti la pesca di
questo Golfo.
Prima di tutto fo osservare che, oltre alle forme che hanno la loro abituale dimora
sul fondo e che vanno annoverate fra le Spugne, gli Anellidi, Molluschi, Echinodermi,
Ascidie etc..., con le ret: a strascico si catturano insieme alle ova di molte specie, spe-
cialmente fra i Molluschi, che direttamente non interessano l'industria della pesca, quelle
di specie commestibili, come di Cefalopodi e di Selaci. Particolarmente le uova di Sepzo-
Za, che sono attaccate sui corpi sommersi, vengono distrutte in quantità veramente note-
vole (1), per cui la soppressione degli adulti, oltre a far mancare un prodotto utile, indi-
rettamente riesce nociva, essendo tali Cefalopodi un richiamo per alcune specie di Pesci
che vivono al largo. Tralasciando il fatto che con queste reti si catturano Pesci nelle varie
età e che grande è la quantità di quello appena schiuso dall’ uovo, fo notare che, da l’e-
same fatto, risulta che anche il //arkton viene alterato per la distruzione di alcune im-
portanti forme planktoniche, come le 4/yszs, conosciute a Catania col nome di 772472724,
che si catturano in quantità notevolissima, specialmente dai Za7/a72720n7 e dalle Sczabiche.
Ora, considerando quanta importanza abbia il //arnkfor sulla pesca, costituendo esso il
nutrimento di molte specie di Pesci ed essendo perciò la causa della maggiore o minore
frequenza di alcune specie (2), è facile rilevare il danno che a tale riguardo l’uso di queste
reti possa arrecare alla pesca in generale del Golfo di Catania.
Richiamo infine l’ attenzione sul fatto che la maggior parte dei Pesci catturati dalle
reli a strascico sono di fondo o che vivono in una falda d’acqua poco profonda in
prossimità della costa, ove si esercitano tali reti. Alla prima categoria ad es. appartengono
i generi: Uyamoscopus, Trachinus, Scorpaena, Trigla, Conger, Anguilla, Muraena,
Solea eic.., alla seconda quei Pesci che vivono in una zona compresa ordinariamente fra
10 e 30 m., come i generi: Serranus, Sargus, Gobins, Mullus, etc....
Riguardo a tale circostanza è notevole il rapporto segnalato dal Prof. Russo (3) tra
la quantità dei Pesci di fondo, catturati dalle re/7 a s/rascico, e quelli di superficie (4) e
l'influenza che l’uso smoderato delle rel: a s/rascico stesse possa apportare sulla cat-
tura di tale categoria di Pesci. Risulta, infatti, che nel mare di Catania, quando furono mag-
(1) In un saggio, preso in una sola cala fatta dal Aagro a vela, si contarono 1596 uova di Sepiola. Se
si fosse esaminato tutto il materiale della stessa ca/4 se ne sarebbero contate parecchie migliaia, cosicchè,
calcolando che un solo /tagro fa più cale al giorno e che contemporaneamente lavorano più agri, si può
calcolare che giornalmente vengono distrutti parecchi milioni di uova di .Sepzola.
(2) Sono interessanti al riguardo le osservazioni del Lo Bianco, il quale dimostrò che per azione della
pioggia di cenere, caduta durante l’ eruzione del Vesuvio nell’ anno 1906, essendosi distrutto il //47%/ox nel
Golfo di Napoli, diminuì notevolmente la pesca delle Sardine. Cfr. S. Lo Bianco: Azione della pioggia di ce-
nere, caduta durante I’ eruzione del Vesuvio dell’ Aprile 1906, sugli animali marini. Mittheilungen aus ‘der
Zoologischen Station zu Neapel. B. 18-1906.
(3) Nota ed appunti su la pesca nel Golfo di Catania. Nota Il. Atti Acc. Gioenia di Sc. Nat, Vol. 6.
Seziaviliorei
(4) Intendiamo con tale denominazione tutti quei Pesci che vivono al largo, spesso anche a rilevante
profondità, ma che non si avvicinano al fondo e che sono per lo più catturati dalle rezi di posta.
Prefazione 3
giormente in uso le ret: a strascico, aumentarono sul mercato i Pesci di fondo, però, per
l'alterazione del /Yazzkton ed a causa della distruzione di ova di animali che fluttuano
insieme al Plankton e che formano con esso un buon nutrimento, diminuirono i pesci di
superficie, i quali non trovarono le condizioni adatte per soffermarsi nel Golfo. Al contrario,
quando le re/z a strascico furono proibite, diminuì il prodotto dei pesci di fondo, ma
ricostituito il P/@zzk/07 allo stato normale, aumentò quello dei Pesci di superficie. I due
prodotti, in altri termini, come osserva il Prof. Russo, stanno fra loro in ragione inversa,
il che resta provato per Catania dai dati statistici e da quelli biologici.
Lo studio, che ora dò alle stampe, mettendo in rilievo le forme che catturano d’ordi-
nario, nei mesi in cui furono fatte queste osservazioni, le re/z a strascico con le indica-
zioni relative al loro stato di sviluppo ed all’ ab/faz, contribuisce a rendere più evidente
tale concetto.
Catania, Maggio 1913.
Angela Zelarovici [MEMORIA XXI.|
RAGNO A VELA 1912.
Coelenterata
(Arnlhozo)
Apanmsia RoxpeLetia D. Ch.
(parecchi esemplari sulla conchiglia dell’£2p4g2z17721s il 31-VII e il 21-1X).
Prerorpes crIseuMm Koll
(4 esemplari il 21-IX).
(Acalephae)
PELAGIA NOcTILUCA Pér Les.
(3 esemplari il 18-X).
Echinoderma
(Ophiurordea)
OPHIOGLIPHA LACERTOSA Lym.
(moltissimi esemplari il 31-VII).
7 n s 30-VIII).
” Pi s 18-X).
(Asterotdea)
ASTROPECTEN BISPINOSUS Otto.
(3 esemplari il 30-VIII).
ASTROPECTEN Sp.? Link.
(2 braccia il 18-X).
(Holothuriotdea)
CUCUMARIA PLANCI Mrzl.
(1 esemplare il 21-IX).
HoLoTHURIA TUBULOSA Gml.
(1 piccolo esemplare il 31-VII).
Synapta picitaTA J. MUll.
(parte di un esemplare il 18-X).
Vermes
(Amellides Tubicoli)
FILIGRANA AEDIFICATRIX Berk.
(parecchi esemplari riuniti il 21-IX).
ProTULA PROTULA Cuv.
(corona di tentacoli e tubi il 21-IX).
SPIROGRAPHIS SPALLANZANI Viv.
(1 esemplare il 21-IX).
Primo manipolo d'animali marini catturati da alcune reti a strascico, ecc.
(Anellides Errantes)
NepaTHYys scoLopeNDROIDES D. Ch.
(1 esemplare il 30-VII).
(Zirudinet)
PONTOBDELLA MURICATA Sav.
(2 esemplari liberi il 31-VII, mentre d’ ordinario vive sulla /0aja).
Crustacea
(Stomatopoda)
SQUILLA MANTIS Rond.
2 esemplari il 31-VII).
(4 È il 21-IX).
(Decapoda Macrura)
Crancon sp.? Fabr.
(8 giov. esemplari il 31-VII).
Cravngon BIspinosus Lill.
(5 esemplari il 31-VII).
CRANGON catAPHRACTUS M. Edw.
(2 esemplari il 31-VII).
(1 3 » 30-VIII.
(4 s 0A DIES]
EuPAGURUS PRIDEAUXI Hell.
(5 esemplari il 31-VII).
(parecchi , » 21-IX).
GALATHEA INTERMEDIA Lill.
(1 esemplare il 18-X).
PENEUS MEMBRANACEUS Hell.
(7. esemplari il 31-VII).
(parecchi cÌ OZ.
(Decapoda Brachiura)
BrAcHYNoTUS SEXDENTATUS Hlgdf.
(5 esemplari il 18-X).
DoriPppE LANATA Bosc.
(1 esemplare il 30-VIII).
InacHus scorpio Fabr.
(parecchi esemplari il 30-VIII.
Portunus pePurATOR Leach.
(parecchi esemplari il 21-IX).
6 Angela Zelarovich
PortuNnus PUBER Latr.
(2 esemplari il 31-VII).
STENORHYNCUS LONGIROSTRIS M. Edw.
(4 esemplari il 31-VII).
(1 n 5 30-VIII).
(parecchi esemplari il 21-IX).
STENORHYNCUS PHALANGIUM M. Edw.
(5 esemplari il 21-IX).
(/sopoda)
(parecchi piccoli esemplari indeterminati)
Mollusca
(Lamellibranchia)
AvicuLa HirunDO Jeffr.
(parecchi esemplari il 21-IX).
AVICULA SEMISAGITTA
(6 esemplari il 31-VII).
(2 ; > 90-VIII):
(parecchi , » 21-IX).
CARDIUM ACULEATUM L.
(1 esemplare il 31-VII).
MODIOLARIA MARMORATA Jeffr.
(4 esemplari il 31-VII).
PINNA NoBILIS L.
(1 esemplare il 21-IX).
. Venus verRucosA L.
(1 esemplare il 21-IX).
(Opistobranchia)
APLYSIA sp. ? L.
(1° esemplare il 30-VII.
(5 > i 8-2
(nidamenti ovarici , 18-X).
PHILINE APERTA L.
(1 esemplare il 31-VII).
(7 3, n 21-1X).
PLEUROBRANCHEA Sp. ? Meckel.
(4 esemplari il 31-VII).
(5 E » 21-1X).
(2a ABIN),
| MEMORIA XXI.]
AE I
Primo manipolo d'animali marini catturati da alcune reti a strascico, ecc. 7
TeTHYS sp.? L.
(tentacoli il 31-VII).
(0 a QIEIDS)
(uova s 18-X).
TeTHYS LEPORINA Gml.
(1 esemplare il 21-IX).
Uova di specie indeterminata il 21-IX).
(Prosobranchia)
DoLium cALEA L.
(1 esemplare il 21-IX),
VERMETUS sp.? Adans.
(tubi vuoti il 21-IX).
(Cephalopoda)
ILLEx ILLECcEBROSUS Les Naefdet.
(7 esemplari il 21-IX).
LOLIGO MARMORAE Ver.
(parecchi esemplari e 1 nidam. ovarico il 21-IX).
LoLico vuLearis Lam.
(18 nidamenti ovarici il 31-VII).
LoLico sp.? Lam.
1 esemplare il 30-VIII).
SepioLa RonpeLetI Fér. Orb.
2 esempl. e 658 uova su alghe il 31-VII).
46 uova su conchiglie di Avzczla il 29-VII.
(7 esemplari e /54 uova su conchiglie di Av/cu/a e pietre il 30-VIII).
2 n » 1596 uova su conchiglie di Avzcu/la alghe, pietre e
Ascidie il 21-IX).
SEPIA ORBIGNYANA Fér.
(1 uovo su ramo di Arzennularia 21-1N).
Tunicata
Ascipia MENTULA O. F. Mill.
(parecchi esemplari riuniti il 31-VII).
CIONA INTESTINALIS L.
(6 esemplari su conchiglie di Avzew/a il 31-VII).
CIonA Sp.? Sav.
(6 esemplari liberi il 31-VII.
Ciona sp.? Sav.
(parecchi piccoli esemplari su alghe il 31-VID.
CYNTHIA PAPILLOSA L.
(parecchi esemplari riuniti il 31-VII.
(al = n 21-IX).
Angela Zelarovich | MemorIa XXI.]
PHALLUSIA MAMILLATA Cuv.
(7 esemplari il 21-IX).
PrrosoMA ELEGANS Sav.
(1 esemplare il 21-IX).
SALPA MAXIMA Forsk.
(1 esemplare il 31-VII.
SALPA sp.? Forsk.
(1 esemplare il 31-VII)
(1 D » 18-X).
Plagiostomi
MusreLus LEVIS M. T.
(5 uova il 31-VII)..
(1 i; » 21-IX).
Rasa sp.? L. Cuv.
(4 uova il 21-IX).
Teleostei
BLENNIUS OCELLARIS L.
(1 esemplare di cm. 54/ il 31-VII).
(2 Di Tone
Box Boops Bp.
(4 esemplari da cm. 4 a 7 il 30-VIII.
(3 . RA a),
Capros APER Lac.
(4 esemplari da cm. 5 a 6 1/, il 31-VID.
(1 ; sia.
CENTRISCUS scoLoPAX L.
1/o a 8 Li il 31-VII).
>
(8 esemplari da cm. 5
CEPOLA RUBESCENS L.
(2 esemplari di cm. 11 e 14 !/ il 31-VII.
GoBius sp? Cuv.
( 86 esemplari da cm. 2 ‘/, a 6 il 31-VII).
679, E
AI, I N cr)
( 3 » ”» » d DI 9 » 18-X.
MerLucius vuLgaris Flem.
(3 esemplari da cm. 8 a 9 il 3I-VII.
(dl 3; di 3, 1240245159).
MOTELLA TRICIRRATA Cuv.
(1 esemplare di cm. 12 il 21-IX). É
MuLLus BARBATUS L. {
(2 esemplari di cm. 6 !/ e 8 il 18-X).
Primo manipolo d'animali marini catturati da alcune reti a strascico, ecc.
SoLEA sp? Gthr.
( 7 esemplari da cm. 4 1/0 a 6 il 3I-VII).
(11 5; SS ESSO MIID:
(ORSI; RI,
(Cee, n RE O:
TracHurus TRAcHURUS Gthr. Cast.
(9 esemplari da cm. 5 !/, a 9 il 31-VII).
(5 E Po 14 ,, 21-IX).
(4 E pi o » 7, 18-X).
bb)
TRIGLA corax Bp.
(1 esemplare di cm. 6 il 3I-VII).
(1 ; opeso. (Sto, 2060).
URraANnoscoPus ScABER L.
(2 esemplari di cm. 7 1/a e 9 il 31-VII).
di
Corpi estranei.
Fango, alghe, pietre.
RAGNO MECCANICO (Otter - Trawl) 29-X-912.
Coelenterata
(Zoantharia)
CLaADpOocoRA sp.? Ehbg.
Echinoderma
(Crimotdea)
Braccia di specie indeterminata.
(Holothuriotdea)
CUCUMARIA PLANCI Mrzl.
(1 esemplare)
SyNAPTA DIGITATA J. Mill.
(parti di un esemplare).
Vermes
(Anellides Errantes)
NeREIS sp.? Cuv.
(1 esemplare).
POLYODONTES MAXILLOSUus And. e Edw.
(1 esemplare).
(Gephvrea)
SipuncuLus (?) L.
(parecchi esemplari).
ATTI ACC, SERIE V., VOL. VI — Mem. XXI.
10 Angela Zelarovich [MEMORIA XXI.]
Crustacea
(Decapoda Macrura)
GALATHEA INTERMEDIA. Lill.
(1 piccolo esemplare).
(Isopodi)
ANILOCRA MEDITERRANEA Leach.
(1 esemplare trovato libero, mentre d’' ordinario vive su la pelle dei
Pagellus).
CyMoTHoA OESTROIDES Risso.
(I esemplare trovato libero, mentre d’ ordinario vive nella bocca degli
Smaris).
Mollusca
(Opistobranchia)
PLEUROBRANCHUS AURANTIACUS (?) Risso.
(1 esemplare).
Uova di specie indeterminata (parecchi nidamenti).
(Cephalopoda)
LOLIGO MARMORAE Ver.
(2 nidamenti ovarici).
SEPIOLA RONDELETI Fér. Orb.
(55 uova).
Tunicata
Ciona sp.? Sav.
(1 piccolo esemplare).
PHALLUSIA MAMILLATA Cuv.
(1 esemplare).
Plagiostomi
MustELUS sp.? Cuv.
(9 uova).
RAJA PUNCTATA Risso.
(1 esemplare di cm. 9 !/, compresa la coda).
RAJA sp.? L. Cuv.
(7 uova).
ScILLIUM sp. ? Cuv. M. Hle.
(2 uova).
Primo manipolo d'animali marini catturati da alcune reti a strascico, ecc. DI
TARTANNONI 1912.
Porifera
Caminus sp? O. S.
(1 esemplare il 4-X).
1 piccolo esemplare indeterminato.
Coelenterata
( Anthozoa)
ADAMSIA PALLIATA Forb.
(3 semplari il 4-X).
(1 3 » 20-X).
Apamsia RonpeLeTI D. Ch.
(1 esemplare il 4-X).
PenNATULA RuBra Ell. Pall.
(1 esemplare il 20-X).
Preromes GRISEUM Koll.
(1 esemplare il 4-X).
(Acalephae)
CHARYBDAEA MARSUPIALIS Pér. Les.
(1 esemplare il 29-X).
Echinoderma
(Asterotdea)
PALMIPES MEMBRANACEUSs Linck.
(1 esemplare il 5-KX).
(Ophiurotdea)
OPHIOGLIPHA LACERTOSA Lym.
(parecchi esemplari il 5-IX).
OPHIOTRIX FRAGILIS Dib. Koren.
(1 esemplare il 5-IX).
(1 P arde.
(Holothurioidea)
SyNAPTA sp.? Eschsch.
(1 esemplare il 20-IX).
Vermes
(Chaetognata)
SAGITTA HEXAPTERA d’ Orb.
(1 esemplare il 20-IX).
Angela Zelarovich
(Anellides Errantes)
HERMODICE CARUNCULATA Pallas.
(1 esemplare il 4-X).
NEREIS DUMERILII And.
(1 esemplare il 4-X).
(4 esemplari ,, 24-X).
(Anellides Tubicoli)
PROTULA PROTULA Cuv.
(2 esemplari il 5-1X).
(parecchi tubi vuoti riuniti il 4-X).
SIPHONOSTOMA DIPLOCHAETOS Otto.
(1 esemplare il 24 X).
SPIROGRAPHIS SPALLANZANI Viv.
(1 esemplare il 5-IX).
Noromastus (?) Sars.
(1 esemplare il 5-IN).
Crustacea
(Schizopoda)
Mysis sp.? Latr.
(moltissimi esemplari il 29-VII).
( ”» ” ” 30-VII).
( ”» P si MSI)
( D n x 2041).
(Stomatopoda)
SQUILLA MANTIS Rond.
(1 esemplare 29-VII).
(Decapoda Macrura)
ALpHEUS sp.? Fabr.
(3 esemplari il 20-IX).
CrancoN sp.? Fabr.
(1 esemplare il 29-VII).
(I n et,
(parecchi esemplari il 4-X).
CRANGON cATAPHRACTUS M. Edw.
(6 esemplari il 5-IX).
(3 5 o» 4X).
(I x re 20)
|MemorIa XXI. |
Primo manipolo d'antmali marini catturati da alcune reti a strascico, ecc.
EUPAGURUS PRIDEAUXI Hell.
(1 esemplare il 4-X).
(3 — » 20-X).
(8 A » 24-X).
GALATHEA INTERMEDIA Lill.
(4 esemplari il 4-X).
(11 S o 24-X).
PENEUS MEMBRANACEUS Risso.
(1 piccolo esemplare il 5-IX).
(Decapoda Brachyura)
BracHynoTus sp.? De Haan.
(1 piccolo esemplare il 24-X).
DoRIPPE LANATA Bosc.
(1 esemplare il 7-X).
GoxoPLAX RomBores Lamk.
(1 esemplare il 20-IX).
InAacHus scorpio Fabr.
(12 piccoli esemplari il 4-X).
(0097) È s 24-X).
PiLumnus HIRTELLUS Leach.
(un esemplare il 5-IX).
PisA coRALLINA M. Edw.
(1 piccolo esemplare il 4-NX).
Portunus ARcuATUS Leach.
(1 esemplare il 30-VII).
PortuNUSs DEPURATOR Leach.
(2 esemplari il 29-VII).
(2 n giovani il 30-VII).
(4 » il 5-IN).
STENORHYNcUS LoNGIROSTRIS M. Edw.
(1 esemplare il 29-VII).
(5 giovani esemplari il 4-X).
(1 esemplare il 20-X).
STENORHYNCUS PHALANGIUM M. Edw.
(4 esemplari il 5-IX).
(1 7 pi GIS
(Isopoda)
Uova (Sp. ?).
(parecchie con embrioni il 20-X).
Mollusca
(Lamellibranchia)
PectEN Sp. L.
(1 esemplare il 24-X).
14 Angela Zelarovich | MEMORIA XXI.|
(Opistobranchia)
APLYSIA Sp. LL.
(2 esemplari e parecchi nidamenti ovarici il 30-VII).
GASTROPTERON MEcKELII Kosse.
(1 esemplare il 4-X).
PHILINE APERTA L.
(1 esemplare il 30-VII).
TETHYS LEPORINA Gml.
(1 esemplare e due tentacoli il 4-X).
TetHyYs sp.? L.
(nidamenti ovarici il 30-VII, 5-IX, 4-X).
Uova di specie indeterminata il 20-IX.
(Prosobranchia)
SCALARIA sp.? Lam.
(1 piccolo esemplare il 24-X).
TRITON sp.? Monttft.
(1 piccolo esemplare il 24-X).
TURRITELLA MEDITERRANEA Lam.
(5 esemplari il 5-IX).
(1 piccolo esemplare Il 24-X).
(Cephalopoda)
LoLIGo MARMORAE Ver.
(2 nidamenti ovarici il 5-IX).
SEPIA OFFICINALIS L.
(6 uova il 30-VII).
Sepia OrBIGNYANA Fér.
(1 uovo attaccato a tubi calcarei di Vermzetus (?) il 4-X).
SepioLa RonpeLeTtIi Fér Orb.
(1. esemplare il 29-VII).
(2 n » 20-IX).
(34 uova su Asczdze il 5-IX).
(20 .,; » Vegetali il 4-X).
Tunicata
Ascipia MENTULA O. F. Mill.
(1 esemplare il 4-X).
MicrocosMus vuLGaRrIs Hell.
2 esemplari il 4-10).
PHALLUSIA MAMILLATA Cuv.
(2 giovani esemplari il 29-VII).
(1 % n 19409):
Primo manipolo d'animali marini callurati da alcune reti a strascico, ecc. 15
’
PHALLUSIA venosa Cuv.
(2 esemplari il 5-IX).
SALPA MAXIMA Forsk.
(1 esemplare il 4-X).
SALPA sp. ? Forsk.
(1 piccolo esemplare il 20-IX).
Teleostei
ARrNnogcLOssus GROHMANNI Bp.
(1 esemplare di cm. 6 1/, il 20-X).
BLENNIUS OCELLARIS L.
(p-esemplari davem. 5a 7 il'5 IX).
(1 S dle lip. 200X)
Box Boops Bp.
JI
(3 esemplari da cm. 3 1/ a 5 il 29-VII).
Rn di , 5 1/, il 20-X).
CEPOLA RUBESCENS L.
(2 esemplari di cm. 6 !/, e 11 1/, il 4-X).
DI
CHROMIS CASTANEA Cuv.
(1 esemplare di cm. 5 1/, il 24-X).
ConceEr BALEARICUS Deélar.
(1 esemplare di cm. 15 1/, il 29-VII).
ENGRAULIS ENCHRASICOLUS L.
(parecchi esemplari da cm. 1 a 5 ed un esemplare di cm. 6 il 29-VII).
(» — ia DES.
(Meat i gni n 7-IX).
(4 i Mo ER FADO)
GoBIus sp.? Cuv.
6) esemplari da cm. 3 1/o a 5 1/2 il 30-VID.
(29 A ee DIR.
(1 a o, » 20-IX).
(parecchi 9 ee DUCA o 4).
(6 n IE n 4a, 20-X).
(4 S Sa ER)
HipPocAMPUS BREVIROSTRIS Cuv.
(1 esemplare il 20-IX).
MuLLus BaRBATUS L.
(1 esemplare di cm. 4 1/, il 29-VII).
(10 esemplari da cm. 3 1/, a 5 il 30-VII).
OBLATA MELANURA L.
(1 esemplare di cm. 3 il 30-VII).
PAGELLUS ERITHRINUS Cuv.
(parecchi esemplari da cm. 1 a 3 il 2-XI..
16
Angela Zelarovich
{Memoria XXI.]
PAGELLUS ACARNE Cuv.
(parecchi esemplari da cm. l a 3 il 2-XI).
SERRANUS HEPATUS Cuv.
(1 esemplare di cm. 8 !/, il 4-X).
(9 esemplari da cm. 3 1/, a 5 il 20-X).
SoLEA sp.? Gthr.
(+ esemplari da cm. 3 1/, a 5° il 29-VI).
(SI RT n e LI ST
(10 ; i gel ZON)
(6 ’ ’ ;) 3) 1/o ” 950 »” 4-X).
(23 A Diu RR AT 20
(2 3 SRG: > CONTI gi).
SynenaTus acus Mich.
(1 esemplare di 12° cm. il 29-VII).
(2 ; Ra a 90M
(e) “ s 8 1a e 22 cm. il 7-IX).
TrAcHURUS TRACHURUS Gthr. Cast.
(1 esemplare di cm. 6 ‘/a il 20-IX).
TRIGLA CORAX Bp.
(3° esemplari diem. il 5-IX).
(1 A i i e
(2 ; >» a J6 » 20-X).
UrANOSCOPUS SCABER L.
(4 esemplari da cm. 3 4/, a 5 ‘/, il 5-IX).
Corpi estranei
Alghe, pietre, fango, stracci, trucioli, frutta.
LAMMICU 1912.
Echinoderma.
(Asterozdea)
ASTERINA GIBBOSA Forb.
(1 piccolo esemplare il 10-IX).
Crustacea
(Decapoda Macrura)
GALATHEA sTRIGOSA Fabr.
(2 esemplari il 7-X).
PALAEMON sp. ? Fabr.
(parecchi esemplari il 10-IX).
VirBIus vIRIDIS Heller.
Primo manipolo d’animali marini catturati da alcune reti a strascico, ecc.
ig
(/sopoda)
ANILOCRA MEDITERRANEA Leach.
(1 esemplare il 7-X).
Mollusca
(Prosobranchia)
Conus sp.? L.
(1 piccolo esemplare il 10-IX).
Teleostei
Apocon ImBERBIS Gthr.
(1 esemplare di cm. 9 1/, il 7-X).
ARNOGLOSsUsS GROHMANNI Bp.
(1 esemplare di cm. 4 il 10-[X).
ConceER vuLGarIs Cuv.
(1 esemplare di cm. 24 il 7-X).
CrenILABRUS PAVO C. V.
(93 esemplari da cm. 1 ‘5/0 a 8 il 10-IX).
(8 pi ga) n9 a, 7X).
CRENILABRUS ROSTRATUS BI.
(3 esemplari da cm. 4 5 a 5 4/a il 10-1X).
GoBius sp.? Cuv.
(2 esemplari di cm. 3 ‘/a e 4 il 10-IX).
(ì 3 ia TE):
IULIS vuLGARIS. Canestr.
Dn
(Sesemplari da. cm. 2 */.a Dub 10 DX).
MotELLA Fusca Bp.
(1 esemplare di cm. 6 ‘/, il 7-X).
Sarcus sp.? C. V.
(1 esemplare di cm. 3 4/, il 10IX).
SARGUS ANNULARIS Geoffr.
(4 esemplari da cm. 4 a 6 il I0-IX).
SeRrRANUS SCRIBA L.
(5 esemplari da cm. 4 4/a a S ‘/s il 10-IX).
(I » ste il 7-X).
SMARIS VULGARIS C. V.
(3 esemplari da cm. 5 a 6 il 10-IX).
(4 A di, 4 t/a 9 ESE
Corpi estranei
Alghe (Posidonia Cavolinii).
dal
Ù
t
Na
LS
Memoria XXIII,
R. Università di Catania
Stazione Marittima di Biologia dell’ Isola dei Ciclopi
Sezione Fisiologica diretta dal prof. A. CAPPARELLI
Analisi e meccanismo del riflesso di raddrizzamento e di altri movimenti
coordinati negli Echinodermi
Contributo alla fisiologia del sistema nervoso orale
RICERCHE
DEL
Dott. GIUSEPPE RUSSO - Aiuto
KRBRIEAZIONE
DELLA COMMISSIONE DI REVISIONE COMPOSTA DAI SOCI EFFETTIVI
Prorr. A. FODERÀ ED A. CAPPARELLI (Relatore)
L’A., studiando il riflesso di raddrizzamento ed altri movimenti coordinati negli Echi-
nodermi riesce a stabilirne il meccanismo. Egli fornisce la prova che la coordinazione dei
movimenti non è legata alla presenza di speciali centri.
Le ricerche del D.r Russo concorrono validamente a rischiarare la funzione del si-
stema nervoso in generale e quindi meritano di essere pubblicati negli Atti dell’Accademia.
Per fissare il significato funzionale del sistema nervoso, i biologi hanno spesso rivolto
l’attenzione allo studio dell’attività riflessa, nella quale si è creduto di trovare la forma
più elementare con cui si estrinsecano i poteri funzionali di tale sistema organico. Però i
tentativi in questo senso, non sempre sono stati guidati dalle osservazioni sperimentali su-
gli animali inferiori e dall’ analisi di certe manifestazioni vitali delle piante che, in questo
genere di ricerche, meritano di essere continuamente considerate e vagliate per opportuni
confronti. Si aggiunga il criterio antropomorfico dal quale molti si son fatti trascinare e
si avrà una giusta misura del valore che può attribuirsi a certe dottrine generali pronun-
ziate senza rigore scientifico e con eccessiva fretta.
Oggi fortunatamente, anche nello studio del sistema nervoso, si va affermando quell’in-
dirizzo saggio e positivo col quale si tende a dare una spiegazione dei fenomeni biologici
mediante il solo sussidio dei fattori chimico-fisici e per conseguenza molti concetti artifi-
ziosi, improntati alla metafisica, sono destinati a cadere, sopraffatti dal benefico risveglio
della logica scientifica.
Atti Acc. — Serie V, Vol. VI — MEM. XXII. I
2 Giuseppe Russo [MemorIA XXII.]
Tra i vecchi pregiudizi creati dall’errore antropomorfico e dall’analisi parziale dei fatti,
deve essere tra i primi bandito quello che assegna un'impronta psichica ai riflessi più com-
plicati e ne fa dipendere il meccanismo da particolari centri di coordinazione rappresentati
da gruppi ganglionari, contenenti misteriosi apparecchi inesplorati. Molti risultati, per la
maggior parte attinti alla fisiologia comparata, depongono contro queste teorie e sembrano
dimostrare che il tessuto nervoso non funziona in molti riflessi che solo come un con-
duttore dello stimolo assai perfezionato, presentando perciò, a tal riguardo, una proprietà,
che quantunque sia in esso più specializzata, tuttavia è comune a tutti i protoplasmi.
Nel presente lavoro espongo una rassegna d’ indagini, da me condotte, sulle funzioni
di varie parti del sistema nervoso degli Echinodermi. Il complesso dei rilievi sperimentali
rischiara abbastanza, io credo, molti punti della fisiologia di questi animali, ma contiene
sopratutto una prova importante per l'esatta valutazione dell’ ufficio del sistema nervoso
in generale, che cioè il cosidetto riflesso di raddrizzamento, classificabile fra i tropismi, è,
in questi animali, indipendente dall’ integrità delle connessioni nervose e si svolge senza
l'intervento di speciali centri di coordinazione.
Ricerche fisiologiche sui riflessi degli Echinodermi, non mancano. Si tratta però di
osservazioni sparse, le quali o meritano poca attenzione per l’interpretazione falsa a cui
hanno dato luogo, come alcune di quelle di Preyer sulle Asterie, ovvero sono da ritenersi
degne di essere ripetute e controllate per la tecnica inadeguata, come quelle di Romanes,
di Loeb, di Uexkiill, pur tanto pregevoli per il criterio rigorosamente sperimentale che le
ha informate. Le ricerche che esporrò in seguito sono adunque dirette o a correggere o a
completare o a sostituire le notizie accumulate dagli autori precedenti, ordinandole in un
corpo di dottrine quanto più si può sicure e coerenti.
LE REAZIONI MOTRICI COORDINATE DEGLI ANIMALI NORMALI.
Il riflesso di raddrizzamento.
Per giudicare delle funzioni del sistema nervoso torna assai comodo rivolgersi alle
manifestazioni più semplici della sua attività che sono i riflessi. Un movimento riflesso
comune alla maggior parte degli Echinodermi è quello per cui questi animali, se sono posti
colla bocca in su, subito si capovolgono per riprendere la posizione ordinaria colla bocca
in giù. Negli Echinoidi e negli Asteroidi è particolarmente tipica questa reazione. Essa si
effettua mediante quegli organi di movimento che sono i pedicelli ambulacrali. Analizzan-
done il meccanismo, ecco quanto ho potuto assodare:
Se si colloca un riccio, per es. uno Splaerechinus colla bocca in alto, tutti i pedi-
celli dapprima si allungano, da ciascun ambulacro, in ogni senso, assumendo la massima
estensione di cui sono capaci. Per breve tempo il corpo dell’ animale subisce dei leggieri
spostamenti attorno a diversi assi orizzentali, dovuti alla trazione ineguale di gruppi pedi-
cellari dei cinque ambulacri ed ai movimenti attivi degli aculei che posseggono, come si sa,
un apparato muscolare alla loro base. Ma ben presto tra i diversi ambulacri si stabilisce
una differenza funzionale, in quante che, mentre alcuni di essi, cioè quelli appartenenti ad
uua mettà del corpo dell'animale, tirano da una parte, gli altri invece, situati dalla parte
opposta, stanno in riposo. Ordinariamente sono i pedicelli di due o tre raggi che iniziano
il movimento. Prima aderiscono al suolo, con le loro piccole ventose terminali, quelli
Analisi e meccanismo del riflesso di raddrizzamento e di altri movimenti, ecc. 3
più vicini alla zona aborale, poi successivamente gli altri delle zone soprastanti, gli uni
dopo gli altri. Siccome ogni pedicello dopo cbe si fissa si accorcia, è facile comprendere,
come un tal processo debba avere per effetto lo spostamento del corpo dell’ animale at-
torno ad un asse orizzontale, in modo che la bocca, da superiore che era, si avvicini a poco
a poco al suolo e finalmente vi giunga a contatto. A questo punto anche i pedicelli degli
altri ambulacri cominciano a fissarsi tutto all’ intorno della zona orale e in questa posizione
l’animale rimane tranquillo.
Riflettendo sul meccanismo di questa azione riflessa, è facile persuadersi che, per po-
tersi compiere, è indispensabile la collaborazione tra i diversi ambulacri, nel senso che,
mentre alcuni di essi promuovono il movimento da una parte, gli altri debbono restare in
riposo. Se le appendici pedicellari di tutti gli ambulacri tirassero contemporaneamente in
ogni senso, è chiaro che l’animale rimarrebbe fermo.
Siamo adunque in presenza di un caso di perfetta coordinazione di movimenti ten-
denti ad uno scopo preciso, quello di ricondurre l’animale alla sua ordinaria posizione.
Un meccanismo simile si può osservare nel processo di raddrizzamento delle Stelle
di mare. Anche qui sono due o tre braccia che iniziano il movimento, mentre le altre
stanno ferme. I pedicelli di ciascuno delle braccia attive s'’incurvano in basso e si fissano
alla superficie sottostante, facendo così rivoltare tutto il corpo dell’ animale.
Alquanto diversamente procede invece l’ atto del capovolgimento nelle Ofiuree, che sono
forme, come si sa, dotate di movimenti serpentini, nelle quali le appendici ambulacrali sfornite
di ventose, non sono atte, come nelle forme precedenti, a spostare il corpo dello animale.
Giova anzitutto notare che nelle Ofiuree non è così spiccata, come negli Echinoidi ed Aste-
roidi, la tendenza a stare con la bocca in giù, come ho potuto rilevare da numerose osser-
vazioni. Ho spesso ripetuto l’esperimento su individui di OpXzo/epzs, in perfette condizioni
fisiologiche, ed ho costatato che essi potevano rimanere con la bocca in alto per un certo
tempo, senza tentare di capovolgersi, pur seguitando a muoversi elegantemente con le agili
braccia. Ad ogni modo le Ofiuree, per eseguire il raddrizzamento, si giovano sopratutto
delle braccia. Ordinariamente a questo intento, il corpo dell’ animale, facendo punto fisso
sulle estremità dei radii che vengono spinti contro il suolo, si solleva con la sua porzione
centrale; quindi per mezzo di due o tre braccia che si muovono attivamente avviene il
capovolgimento, mentre le altre stanno ferme per sostenere il corpo dell'animale rialzato,
durante questo atto.
Se ora vogliamo indagare le cause e la natura della reazione di raddrizzamento, ci
si presentano varie spiegazioni, tra cui dobbiamo scegliere quella che meglio si accorda
coi risultati sperimentali. l
Si potrebbe ammettere che il movimento sia determinato da un impulso volitivo e
che perciò abbia un carattere psichico. Ma alcune osservazioni di ordine sperimentale
escludono tale supposizione. Come esporremo appresso, il riflesso si conserva, nell’assenza
assoluta dell’ anello nervoso circum-orale o quando le vie nervose sono interrotte in una
maniera qualunque; si conserva perfino nei radii isolati dal resto del corpo.
Si potrebbe anche ritenere un effetto di geotropismo, il quale spingerebbe la faccia
orale ad avvicinarsi al centro della terra, e quella aborale ad allontanarsene. Il Preyer
credette suffragare questa supposizione con un esperimento. Costrinse a galleggiare una
stella di mare con la bocca in su, attaccando ad ogni braccio un pezzo di sughero. La
stella si rigirò. Ma se il Preyer avesse aggiunto un altro esperimento di controllo, sospen-
4 Giuseppe Russo
[MEMORIA XXII].
dendo la stella con il dorso in su (Loeb), avrebbe costatato che anche allora essa si ca-
povolge, il che lo avrebbe fatto rinunziare alle sue ipotesi.
lo ho ripetuto varie volte queste osservazioni sui grossi Sphaerechinus, legandoli
nel mezzo del corpo con un filo e facendoli poscia galleggiare mediante pezzi di sughero
attaccati a questo filo. Se l’ animale era sospeso con la bocca in alto, esso diventava evi-
dentemente irrequieto e tentava ostinatamente di rigirarsi. Se però gli si collocava in con-
tatto un pezzo di sughero, esso non tardava a sottoporvisi e quindi. ad aderirvi con i pe-
dicelli della sua faccia orale; in questo atteggiamento rimaneva tranquillo con la bocca in
su. Se era sospeso in senso opposto, esso mostrava pure una grande agitazione, quan-
tunque avesse la sua bocca rivolta al centro della terra. I pedicelli della faccia orale si
allungavano smisuratamente all’ingiù, evidentemente per cercare una superficie su cui attac-
carsi. E se lo strato di acqua non era alto, i pedicelli, estendendosi il più che fosse possi-
bile, riuscivano a raggiungere il suolo e vi aderivano così tenacemente, che contraendosi
tiravano il corpo dell'animale e vincevano la resistenza opposta dai galleggianti.
Tutti questi fatti parlano contro la natura geotropica del riflesso di raddrizzamento.
Del resto è facile osservare, in un acquario, che questi animali, si attaccano alle pareti
verticali, sempre però con la faccia orale, con uguale spontaneità e frequenza, come
sulla superficie del fondo. I piccoli anzi, posso aggiungere, che quasi di regola sogliono
spostarsi verso gli strati superiori dell’acqua, lungo le pareti verticali, a tal punto, che, per
un certo tempo, possono perfino varcare la superficie liquida superiormente. Pare insomma
certo che il riflesso di raddrizzamento sia da classificare tra i così detti tropismi e da con-
siderare precisamente come un fenomeno di stereotropismo, dovuto a ciò che la faccia
orale tende a mettersi in contatto con la superficie degli oggetti su cui l’animale poggia,
cioè è positivamente stereotropica, mentre la faccia opposta è negativamente stereotropica.
Esaminando ora le condizioni che agevolano o inibiscono il riflesso, citiamo anzitutto
alcune sostanze chimiche atte a deprimere il tono dell’ apparato nerveo-muscolare. L’ a-
zione del cloroformio, dell’ etere, sospende momentaneamente il riflesso di raddrizzamento.
La cocainizzazione del sistema nervoso orale riesce assai facile nelle stelle di mare in cui
tal sistema è, come si sa, superficiale ed epiteliale. Gli animali così trattati smarriscono
la proprietà di raddrizzarsi, quando sono messi nella posizione incongrua con la bocca in
alto, purchè la cocainizzazione si estenda a tutto il sistema nervoso orale. Se però si pro-
cura di limitarla al solo anello circum-orale, allora il riflesso persiste, rimanendo attivo il
gioco dell'apparato ambulacrale, ma non è così pronto, come negli animali normali. Questo
comportamento corrisponde fedelmente ai risultati dell’ interruzione o asportazione completa
dell’anello circum-orale, la quale permette, come vedremo appresso, l'attuazione del riflesso,
per quanto lo rallenti sensibilmente. Ad ‘ogni modo, da queste osservazioni si deduce, che
l’integrità delle vie nervose non è una condizione necessaria per lo svolgersi del riflesso.
Gli squilibri idrostatici od osmotici di un certo rilievo sono capaci d’impedire, per un
certo tempo, l’ effettuazione del raddrizzamento, per un ostacolo arrecato al funzionamento
normale dei pedicelli, che so altrove ho minutamente illustrato. Tali squilibri infatti, ordi-
nariarnente hanno come conseguenza l’ afflosciarsi dei pedicelli, il cui meccanismo di tur-
gescenza è strettamente legato, come ho dimostrato, all’isotonia dei liquidi da una parte
e l'altra della loro parete, ed al normale valore delle loro pressioni idrostatiche.
Per quanto riguarda il meccanismo col quale si compie il riflesso del raddrizzamento,
poco ho da aggiungere, dopo la descrizione fatta nelle singole classi di Echinodermi in
2
Analisi e meccanismo del riflesso di raddriszamento e di altri movimenti, ecc. 5
cui esso è spiccatamente pronto ad insorgere in seguito allo stimolo adeguato. Ho già
stabilito che fra le condizioni intrinseche occorrenti per la normale coordinazione dei mo-
vimenti allo scopo finale del raddrizzamento, è la cooperazione degli ambulacri in modo
tale, che quando alcuni di essi tendono ad effettuare attivamente il raddrizzamento, gli altri
della parte opposta dell’ animale, stiano del tutto passivi o lavorino nello stesso senso. Ve-
dremo, quando il significato funzionale di alcune parti del sistema nervoso sarà stato ri-
levato, in un prossimo capitolo, quali sono i fattori che presiedono e disciplinano questo
complesso meccanismo.
Analisi della locomozione.
Gli Echinodermi posseggono, quantunque in modo limitato, la facoltà di spostarsi
spontaneamente, mediante le appendici ambulacrali. Perchè ciò avvenga è necessario, com’ è
facile rilevare riferendosi specialmente alle forme nettamente raggiate, che gli organi del
movimento dei diversi radii non funzionino contemporaneamente tutti con la medesima
attività, perchè altrimenti l’ animale resterebbe fermo. Come per l’ esecuzione del capovol-
gimento adunque, anche nel processo di locomozione, sono soltanto alcuni ambulacri che
determinano il movimento, mentre quando l’animale sta fermo, ciò avviene perchè il corpo
è tirato in tutti i sensi con forze che si equilibrano perfettamente Nelle forme raggiate il
predominio funzionale degli ambulacri che promuovono il movimento è variabile, potendo
interessare ora una, ora un’altra mettà del corpo, secondo la direzione del movimento ; nelle
forme in cui tale struttura — che del resto è apparente — è venuta a mancare e si sono
formate due estremità una anteriore od orale ed una posteriore od anale (Oloturoidi, alcuni
Echinoidi irregolari), l ufficio del movimento si è prevalentemente limitato agli ambulacri
ventrali che sono i soli attivi, mentre quelli dorsali sono esclusi da questa funzione.
Definito chiaramente il carattere della locomozione negli Echinodermi, è facile inter-
pretare il meccanismo di molte reazioni a cui, con soverchia fretta, qualcuno ha voluto at-
tribuire una nota psichica, che invece assolutamente manca.
Se l’attività di qualche ambulacro si sospende, in seguito ad una stimolazione qual-
siasi, persistendo il gioco dei rimanenti ambulacri è chiaro che l’animale debba spostarsi
in senso contrario allo stimolo, per la legge del parallelogrammo delle forze. Così lo stimolo
è sfuggito, ma sarebbe del tutto falso il considerare ciò come un atto intellettivo. Il Preyer
ha ritenuto intelligenti le Ofiuree, perchè se s’introduce un braccio dell'animale dentro un
tubo di gomma, esso se ne sbarazza. Il fatto si dovrebbe spiegare nella maniera da
noi indicata, cioè ammettendo col Normann, che la stimolazione esercitata sopra un brac-
cio faccia cessare in esso, per reazione, la normale attività, per cui l’animale, tirato dalle
altre braccia, si muove in senso contrario a quello stimolato.
Un’ analisi più minuta bisogna tentare del processo della locomozione per raggiun-
gere un’ esatta conoscenza dei meccanismi che ne regolano i relativi movimenti coordinati.
Quando |’ animale sta fermo, i pedicelli della faccia orale sono in massima parte ade-
renti al suolo in direzione verticale in tutti i radii, ovvero se si spostano in direzione obliqua
all’ esterno, ciò avvenendo contemporaneamente in radii opposti, qualunque movimento del
corpo dell’ animale è impossibile. Un attento esame ci dimostra invece che una condizione
perchè avvenga lo spostamento del corpo è, che quando alcuni ambulacri tirano attiva-
mente da una parte, i rimanenti anzichè contrastare il movimento, lo secondino. lo ho
6 Giuseppe Russo MemoRrIA XXII.]
potuto osservare che durante la locomozione, i pedicelli di tutti i radii sono solidali, cioè
sono tutti rivolti verso la direzione in cui ha luogo il movimento. In altri termini, tra i
pedicelli dei diversi radii si stabilisce una cooperazione funzionale. Ma se si riflette alla
simmetria raggiata dell'animale, è facile convincersi che la loro attivita non è diretta, du-
rante la Iocomozione, in modo conforme alle leggi di simmetria, cioè in tutti i sensi. Essa
si esercita invece in modo tale, che rispetto ad un piano passante per la bocca, assume
una direzione opposta nelle due mettà del corpo, cioè i pedicelli di una mettà tirano late-
ralmente e quelli dell’ altra mettà tirano medialmente allo stesso piano di simmetria. Da
tale diverso comportamento nasce appunto la coordinazione dei movimenti elementari che
concorrono a spostare il corpo dell’ animale in una data direzione.
Ecco adunque il fatto che bisogna fissare: durante l'atto locomotorio, i pedicelli,
rispetto all'architettura dell'animale, hanno in parte tra loro direzione opposta,
pur essendo tutti rivolti dalla parte del movimento.
3 La descrizione che abbiamo fatto si riferisce agli Asteroidi ed Echinoidi, ma subisce
poche modificazioni per quanto riguarda gli Ofiuroidi.. Anche qui, la trazione operata da
alcune braccia in un senso, è accompagnata da movimenti coordinati delle altre brac-
cia nello stesso senso. Negli Oloturoidi poi, adattati a strisciare sopra tre raggi, il mec-
canismo suindicato è, si può dire, fissato come una condizione permanente; la funzione
del movimento è in questi animali affidata sopratutto alla muscolatura del corpo.
Un complesso di fatti sperimentali da me raccolti, che illustrerò in seguito con mag-
giori dettagli, ci autorizza a negare l’esistenza di un centro di coordinazione che presieda
al meccanismo della locomozione. Questo infatti rimane quasi inalterato, dopo |’ interru-
zione delle vie nervose in due o tre radii e perfino dopo l’ asportazione completa dell’ a-
nello circum-orale. In tutte queste esperienze bisogna però risparmiare il sistema acquifero.
Gli squilibri osmotici ed idrostatici sono tra le cause estrinseche capaci d’ impedire
la locomozione, per il grave disturbo recato al processo di turgescenza degli ambulactri.
L'azione del cloroformio, dell’ etere, la cocainizzazione, sono cause che aboliscono tem-
poraneamente o per sempre il gioco degli ambulacri. La cocainizzazione limitata all’anello
circum-orale, conserva però, nelle Asterie, la capacità di spostarsi in una data direzione.
GLI ORDEGNI NERVOSI DA CUI DIPENDE LA COORDINAZIONE
DEI MOVIMENTI.
Nelle pagine precedenti è stato eseguita l’ analisi di alcune fra le principali reazioni
motrici degli animali normali, determinando esattamente il modo di comportarsi degli or-
gani di movimento periferici per dare ad ognuna di esse il carattere della coordinazione.
Ma rimane ancora a stabilire il meccanismo che regola la coordinazione dei movimenti
ed in special modo occorre procedere all’ esame delle attività nervose che sono più o me-
no impegnate in queste complesse funzioni. Un'indagine di tal genere non è stata ancora
fatta da nessuno in modo esauriente, perchè, dopo i tentativi di varî autori, lo stato delle
nostre conoscenze in proposito non può dirsi tale da escludere le discussioni ed i dubbii,
non solo, ma anche gli errori di tecnica sperimentale. Il Loeb, in seguito ad alcune sue
esperienze sulle Asterie, nelle quali interrompeva, con due o tre incisioni radiali, le vie
nervose, giunse alla conclusione che la cooperazione delle braccia, necessaria per Il rad-
drizzamento, cessa negli animali così trattati. Egli esclude l’esistenza di un centro di coor-
Analisi e meccanismo del riffesso di raddrizzamento e di altri movimenti, ecc. 7
dinazione che presieda al riflesso di raddrizzamento; ma non. mi pare che tale deduzione
sia grandemente suffragata dai suoi risultati sperimentali. Ho voluto intraprendere questo
studio per stabilire meglio il valore fisiologico delle diverse parti del sistema nervoso, va-
lendomi sia dell’ azione di sostanze chimiche, che degli effetti delle resezioni e demolizioni
di alcune parti.
Azione di alcune sostanze chimiche sul sistema nervoso
orale degli Asteroidi.
Il sistema nervoso orale degli Echinodermi è costituito da un anello nervoso circeum-
ovale da cui si dipartono dei nervi radiali, uno per ogni raggio. L’ anatomia dimostra che
questo sistema è specialmente in rapporto con l'apparato pedicellare, a cui largamente si
distribuisce. E la fisiologia lo conferma con un esperimento che io ho ideato e spesse
volte ripetuto, sempre con l’identico risultato. Cocainizzando accuratamente nelle Stelle di
mare, con un piccolo pennello, il sistema nervoso orale, che qui mantiene, come si sa,
una condizione superficiale ed epiteliale per tutta la vita, l’animale è privato, per un certo
tempo variabile, della capacità di raddrizzarsi, se posto con Ia bocca in su, e dell’ attitu-
dine a qualunque movimento coordinato. Uguale azione spiegano altre sostanze chimiche
come il cloroformio, | etere ecc.
Se però l’azione della cocaina è limitata soltanto all’anello circum-orale, la capacità
del raddrizzamento non è affatto sospesa. Le Stelie così trattate, si capovolgono abbastanza
speditamente, tanto da potersi difficilmente distinguere dagli animali normali.
Effetti della resezione del sistema nervoso orale in uno o più radii
e dell’ asportazione dell’ anello circum-orale negli Asteroidi ed Echinoidi.
TECNICA.
- Nei ricci, per asportare |’ anello circum-orale, mi sono servito di un piccolo cucchiaio
tagliente che ho introdotto alquanto profondamente nella bocca e poi fatto girare tutto al-
l’intorno liberamente, in guisa da distruggere così oltre la bocca, la prima porzione del-
l' esofago e con esse l'anello circum-orale che è situato, come si sa, all’indentro dei vari
pezzi costituenti la lanterna di Aristotele. Il sistema acquifero non può essere così leso,
perchè tutto lo spessore della lanterna io separa dall’ anello nervoso che si vuole aggre-
dire. Le sezioni dei nervi radiali, si praticano facilmente nelle Asterie, incidendo, senza
andar troppo profondamente, il fondo del solco ambulacrale in cui è allogato il nervo ra-
diale superficialmente. Le incisioni si possono chiudere con del mastice. L’ anello cireum-
orale nelle Asterie si può interrompere in varii punti praticando, a partire dalla bocca,
delle incisioni radiali. In tutte queste operazioni sono da evitare, quanto più è possibile, i
gravi danni del sistema acquifero, che inducono, indipendentemente dal sistema nervoso,
un disturbo funzionale negli organi di movimento ambulacrali.
RISULTATI SPERIMENTALI.
Riporto integralmente, dal protocollo, le seguenti esperienze, che riguardano l’interru-
zioni dell’ anello cireum-orale negli Asteroidi ed Ofiuroidi, in uno o più radii, ed anche
l'asportazione completa di tale anello.
MemorIA XXI. |
8 Giuseppe russo
Esperienza II. 2-11 1912. Quattro individui di Asterzas tenuispina vengono sotto
posti all'operazione del taglio dell'anello nervoso circum-orale in un solo radio, mediante
un’ incisione praticata, a partire dalla bocca, attraverso tale anello. L’ incisione è occlusa
con del mastice per evitare I° uscita del liquido interno. Dopo l operazione, |’ attività de-
pedicelli ambulacrali è inalterata. Essi sono, come prima, capaci di aderire alla superficie
del fondo o delle pareti dell’ acquario. Segnando accuratamente il posto occupato da qual-
cuna di esse, è facile costatare che, dopo un certo tempo, essa si è spostata. Poste con
la bocca in su, esse si raddrizzano.
Esperienza VII. 4-1 1913. A sei individui di Asterzas fenuispina è praticata la rese-
zione dell’ anello nervoso circum-orale in due radit con altrettante incisioni radiali; a quattro
individui della stessa specie viene interrotto, con lo stesso metodo, l'anello nervoso in tre
radii. Le reazioni motrici coordinate, dopo | operazione, persistono. Gli animali cangiano
di posto, e si raddrizzano, se collocate sull’ apice, quantunque più lentamente degli animali
normali.
EspERIENZA N. 8-2 1913. Tre individui di Op/zo/epîs, subiscono l'operazione del-
l’asportazione completa della bocca con tutte le placche che l’attorniano, e dell’anelloner-
voso orale. Gli animali subito dopo, purchè l'operazione sia stata condotta con la massima
delicatezza, presentano vivaci movimenti perfettamente coordinati medianti i quali si spo-
stano e si capovolgono, se posti sulla faccia apicale. Ho detto che il capovolgimento, an-
che negli animali normali, non è qui così pronto come negli Asteroidi ed Echinoidi.
Esperienza XI. 3-4 1913. Cinque individui di As/erzas, sono sottoposti all’asporta-
zione completa della zona orale e dell'anello nervoso circum-orale. L'apertura è subito
chiusa con la parete della faccia apicale di altrettante Ofiure, applicata mediante un ma-
stice all’ orlo della breccia praticata. Queste stelle, così trattate, sono di nuovo messe
nell’ acqua marina, e dopo pochi minuti, dalla posizione con la bocca in su, tutte passa-
no alla posizione opposta, rigirandosi. Il movimento è alquanto più lento che negli ani-
mali normali. L’ esperimento si ripete più volte, con identico risultato.
ce seguenti esperienze riguardano gli Echinoidi, sui quali è stato pure pratica a re-
I guent perienze riguardano gli Echinoidi, sui qual tato pure praticata |
sezione di singoli cordoni radiali, o l’ asportazione dell’ anello nervoso orale.
EspERIENZA XX. 5-4 1913. Otto individui di Sphaerecrinus granularis, subiscono
l'asportazione completa dell’ anello nervoso orale, che viene aggredito dall’ interno della
bocca e completamente distrutto. La stessa operazione in altri cinque animali si eseguisce
con una modalità differente e cioè, conducendo un taglio circolare al limite tra la mem-
brana periboccale ed il guscio tegumentario, in modo da resecare i cinque cordoni radiari,
lasciando integro ed in posto l’ anello nervoso orale.
Gli effetti di queste operazioni furono a lungo analizzati. Tanto negli uni che negli
altri SpRaerecrinus, la capacità di spostarsi in un piano persiste inalterata. Posti sull’ a-
pice, essi non tardano a reagire con movimenti perfettamente coordinati, in modo da ca-
povolgersi in un tempo più o meno breve. Questo esperimento è ripetuto più volte sem-
pre con lo stesso risultato.
EspERIENZA XXV. 4-6 1913. A quattro Sp/aerecrinus, viene parzialmente distrutto
l'anello nervoso orale, e quindi con un taglio lungo la linea d’ inserzione della membrana
periboccale sono resecati i nervi di tre radii. Gli animali non perdono la facoltà di loco-
moversi, nè quella di raddrizzarsi, quando sono collocati sulla faccia apicale.
ti ‘ie
Analisi e meccanismo del riflesso di raddrizzamento e di altra movimenti, ecc. 9
DISCUSSIONE DELLE ESPERIENZE.
I risultati ottenuti mediante l’azione delle sostanze chimiche, si accordano pericitar
con quelli ricavati praticando la resezione o l'asportazione di alcune parti del sisteina ner
voso. Gli uni e gli altri ci dicono che non è necessaria la perfetta continuità delle co.
nessioni nervose perchè insorgano, di fronte ad uno stimolo adeguato, movimeni periet-
tamente coordinati come quelli che raddrizzano l’animale, e perchè si manifesti |’ attività
locomotoria spontanea. Infatti si può recidere in un punto qualsiasi il sistema nervoso orale,
senza che il meccanismo di tutte le reazioni motrici presentate dall’ animale normale, sotf-
frano menomamente. Ma v’'ha di più. È possibile scontinuare il sistema nervoso orale in
tre radii, in tutti i radii, estirpare tutto l’ anello nervoso orale, senza che cessino per questo
le manifestazioni motrici coordinate dell’ animale normale, tra cui sopratutto il riflesso di
raddrizzamento e la facoltà di muoversi in un piano.
La conclusione s'impone. Nell’ anello nervoso centrale degli Echinodermi non esiste un
centro di ordine superiore, perchè l'asportazione di questo anello non impedisce l’insorgere
di movimenti perfettamente coordinati, come son quelli che operano il raddrizzamento
dell’ animale. Centri con funzione specifica non si possono ammettere nei singoli cordoni
nervosi radiali. Infatti per la natura stessa del meccanismo, con cui, come abbiamo visto,
si compie la coordinazione dei movimenti nell’ atto del raddrizzamento e nella locomozione
spontanea, bisognerebbe ammettere in ogni caso che le vie nervose fossero perfettamente
continue, in modo da permettere la trasmissione dello stimolo da un radio all’ altro attra-
verso questi ipotetici centri. Ma si è visto che l'integrità delle connessioni nervose non è
una condizione necessaria per il mantenimento delle attività motrici coordinate. Adunque non
resta che spiegare la coordinazione con la struttura e l’irritabilità degli organi periferici.
Il Loeb per suo conto, dall'esame degli animali operati dell’interruzione dell’ anello
circum-orale in due o tre radii, arriva a conclusioni diverse dalle nostre per quanto ri-
guarda l’ effetto dell’ operazione, che secondo lui sospende il riflesso di raddrizzamento,
mentre d’altra parte nega, come noi, l’esistenza di un centro di coordinazione nell’ anello
cireum-orale. Non mi pare che in base al risultato dei suoi esperimenti, sia abbastanza giusti-
ficata questa esclusione, perchè nessuno vieterebbe di collocare un centro di coordinazione
in tale anello, se la interruzione di esso impedisse, come il Loeb ha creduto, | insorgere
del riflesso di raddrizzamento.
I risultati sperimentali del Loeb, sono probabilmente da attribuirsi a difetto di tecnica,
non avendo forse egli avuto la precauzione di risparmiare coi suoi tagli, quanto più è
possibile, il sistema acquifero, al quale è intimamente legata, come ho potuto rilevare, la
funzione dei pedicelli. Procedendo con le debite cautele sperimentali, si giunge facilmente
invece ai nostri risultati ed allora l’ esclusione dei centri di coordinazione sembra più che
mai legittima ed in perfetta armonia con le vedute generali del Loeb medesimo, secondo
le quali l'ammissione di questi centri deve essere considerata erronea, dinanzi all’eloquente
prova dei fatti sperimentali.
Concludendo possiamo ammettere :
Il. Che l'interruzione delle vie nervose, in uno più radiî, non altera il mecca-
nismo fondamentale della coordinazione der movimenti.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XXII.
N
10 Giuseppe Lusso |MemoRrIA XXII. |
2. Che l'assenza dell’anello nervoso circum-orale è compatibile col manteni-
mento dei movimenti coordinati.
3. Che il fenomeno della coordinazione deve in massima parte riferirsi alla
struttura e alle disposizioni delle parti periferiche deputate al movimento.
I MECCANISMI CHE REGOLANO LA COORDINAZIONE DEI MOVIMENTI
DI LOCOMOZIONE E DI RADDRIZZAMENTO.
Resta ora a stabilire in che modo si può spiegare la coordinazione senza |’ intervento
di particolari centri investiti di una funzione specifica. Noi conosciamo già l’ effetto dei
poteri coordinatori dei movimenti del corpo: esso consiste nella cooperazione funzionale tra
i diversi ambulacri, nel senso che, mentre alcuni di essi iniziano il movimento del corpo
dell'animale in una data direzione, gli altri anzichè contrastare la loro attività, come avver-
rebbe se tirassero in senso opposto, invece la secondano operando nello stesso senso. A
proposito della locomozione, abbiamo infatti messo in rilievo che quando l’animale si va
spostando in una direzione, i pedicelli, anzichè rimanere aderenti alla superficie di appog-
gio e tirare con forze uguali in ogni senso, si orientano tutti da una parte, staccandosi
e fissandosi alternativamente, e da questo concorso funzionale dipende la direzione, la du-
rata e l'estensione del movimento. Una cooperazione dello stesso genere si nota durante
il raddrizzamento: i pedicelli di due o tre ambulacri tirano in un senso, mentre gli altri
aiutano in vario modo l’attività dei primi. Per spiegare le relazioni funzionali che legano
tra loro i varî ambulacri dell’ animale, occorre anzitutto ammettere un meccanismo capace
di promovere, in qualsiasi momento, il loro accordo reciproco. Senza tale meccanismo,
ognuno dei radii funzionerebbe costantemente per conto proprio, come avviene quando
l’animale sta fermo, e nessun fenomeno di solidarietà funzionale sarebbe possibile. Ora
se la causa della coordinazione non risiede in un centro situato in un punto qualsiasi
del sistema nervoso, in che modo noi possiamo intenderla e spiegarla?
Io credo che negli Echinodermi, il sistema nervoso non sia altro se non un rapido
trasmettitore degli stimoli, e che la disposizione e la struttura del sistema acquifero con
le sue appendici ambulacrali, presenti in sè tutte le condizioni adatte ad assicurare, indi-
pendentemente dalle connessioni nervose, una perfetta solidarietà funzionale tra gli organi
motori di tutti i radii.
Ecco qual'è, secondo me, il meccanismo con cui ha luogo la coordinazione dei mo-
vimenti, dopo le interruzioni nervose in due o più radii. Allorchè un gruppo di pedicelli,
in due o tre ambulacri consecutivi, comincia ad esercitare una trazione in un senso, col
noto processo del fissarsi e contrarsi alternativamente in direzione obliqua, la parete del
segmento di sistema acquifero che è in rapporto con tale gruppo pedicellare è sottoposta
ad una distensione passiva. Ora io credo che questo stiramento costituisca uno stimolo
capace di determinare in via riflessa, il distacco di tutti gli altri pedicelli dalla superficie
a cui aderivano, non solo, ma di eccitare in essi un’ attività motrice diretta nello stesso
senso di quella dei primi. L’eccitamento provocato nel modo anzidetto si propagherebbe,
secondo le mie osservazioni, lungo ogni radio e da un radio all’altro, a guisa di un’ onda
cioè ogni segmento del corpo funzionante determinerebbe, in modo coordinato e solidale,
l'attività di quello che gli succede immediatamente. Infatti nelle braccia isolate di alcune
A
dates
Analisi e meccanismo del riflesso di raddriszamento e di altri movimenti, ecc. 11
Stelle, in cui io ho potuto osservare una manifesta motilità spontanea, la sezione del cor-
done nervoso radiale in uno o più punti, non altera, come avrò occasione d'’ illustrare in
seguito, la coordinazione del movimento lungo l’ intiero braccio, ma permette invece un
perfetto accordo funzionale tra il pezzo anteriore alla sezione e quello posteriore. Sembra
proprio di assistere, in questi casi, ad un meccanismo di attività riflessa di natura segmen-
tale, simile a quello che si può osservare nella catena ganglionare ventrale degli Anellidi.
E forse il raffronto cade a proposito, se si riflette che dal cordone radiale i nervi che si
recano ai pedicelli si dipartono del tutto regolarmente, uno per ogni pedicello, e che nelle
Ofiuree, in corrispondenza ad ogni paio di nervi destinati ai pedicelli, il cordone nervoso
medesimo presenta un rigonfiamento tale da farci pensare alla catena ventrale degli Anellidi.
Col meccanismo da noi descritto, si spiega pienamente adunque la persistenza della
coordinazione tra i pedicelli di ogni ambulacro e tra quelli dei diversi ambulacri, non ostante
l'interruzione delle vie nervose in più radii, non ostante l’assenza dell’anello nervoso centrale.
Riassumiamolo: alcuni gruppi di pedicelli, in varî radii consecutivi, esercitano una
trazione in un senso; i tratti corrispondenti dei canali radiali acquiferi con i loro annessi,
subiscono una distensione passiva la quale, agendo come uno stimolo, provoca la contra-
zione riflessa dei pedicelli successivi nello stesso senso; l’ eccitamento si propaga così,
come un'onda, di pedicello in pedicello e si trasmette a tutti i radii, fino a riunirli tutti
in un unico sforzo funzionale, che si traduce in un movimento perfettamente coordinato.
In questa teoria, quello che rimane a spiegare è per qual ragione lo spostamento del
corpo dell'animale debba essere promosso da alcuni ambulacri piuttostochè da altri, cioè,
in altri termini, perchè lo spostamento debba avvenire in un senso anzichè in un altro.
Io credo che il fatto debba mettersi in rapporto con un momentaneo predominio fun-
zionale degli organi del movimento in alcuni radii successivi. Quando l’animale deve
muoversi, per esempio, per capovolgersi, è naturale che tutti i suoi ambulacri possedendo
uguali strutture irritabili, debbano tentare il movimento. Ma tra questi, in un dato mo-
mento che segna il principio dell’ atto, alcuni, o per il numero dei pedicelli che funzionano,
o per la forza con la quale essi tirano in una data direzione, facilmente preponderano su-
gli altri ed allora impongono a questi la direzione del movimento, secondo il meccanismo
che sopra ho accennato. Insomma l’ onda dell’ eccitamento, secondo la mia interpretazione,
partirebbe da quel punto o da quei punti, in cui lo stimolo determinato dalla distensione
passiva del sistema acquifero è più intenso, per un locale sopravvento fisiologico degli
organi del movimento. Stabilitasi questa condizione, è poi affatto ovvio che essa tende a
mantenersi, perchè determina l'orientamento di tutti i pedicelli nello stesso senso e quindi
la cooperazione tra i diversi radii.
Quest'ultimo fenomeno ha, come si vede, una certa rassomiglianza con la coordina-
zione del movimento del cuore della rana, dell’ombrello delle Meduse ecc. ecc., perchè,
come per questi organi, anche nel caso nostro Za parte che, in un dato istante, esplica
maggiore attività, costringe le rimanenti a funzionare nello stesso senso.
RICERCHE SUL COMPORTAMENTO DELLE BRACCIA ISOLATE
DELLE ASTERIE.
Pochi osservatori hanno rivolto la loro attenzione ai radii isolati di Echinodermi, con
l'intento d’indagarne le diverse attività motrici in condizioni sperimentali. Questo studio è
12 Giuseppe Russo | Memoria XXII.]
peraltro possibile soltanto sulle braccia delle stelle Je quali posseggono, per la loro con-
formazione, una certa indipendenza funzionale. Io ho cercato di fare una minuta analis
delle reazioni presentate dai radii di Asferzas fenuzspina, proponendomi diversi scopi
che importava raggiungere, per dare ai risultati precedenti più larga sanzione sperimentale
Un braccio isolato di Asferzas presenta anzitutto la facoltà di raddrizzarsi, se è col-
locato sul dorso. Questa osservazione fu anche fatta dal Romanes. Il riflesso persiste, come
ho potuto accertarmi, anche dopo le sezioni trasverse del cordone nervoso radiale, il che
depone contro l’ esistenza di un centro di coordinazione per gli organi motori di ogni sin-
golo braccio, situato lungo il cordone medesimo. E siccome per effettuare il raddrizza-
mento, i pedicelli di ambedue i lati del solco ambulacrale agiscono nello stesso senso,
bisogna ammettere che la trazione esercitata dai pedicelli di un lato, stimoli, in maniera
riflessa o diretta, i pedicelli dell’ altro lato a contrarsi nello stesso senso, senza di che il
raddrizzamento sarebbe impossibile.
Più impressionante ancora mi è parso nei radii isolati di As/erzas, l insorgere di una
spiccata motilità spontanea, assai più accentuata di quella. presentata dall’ animale intiero.
Se si ha la cura di risparmiare una forte perdita dei liquidi interni, dopo praticata la
resecazione del braccio, chiudendo con mastice l’ estremità tagliata, si può facilmente as-
sistere a questo fenomeno : il braccio, dopo alquanto tempo dall’ operazione, comincia a
locomuoversi lentamente, con movimenti perfettamente coordinati delle appendici ambula-
crali che in questo caso si vedono muovere piuttosto speditamente, come se fossero delle
zampe articolate. Il meccanismo con cui essi fanno procedere il braccio, è però quello
dell’ animale normale, consistente, come si sa, nel loro allungamento dall’ indietro in avanti
e nella loro fissazione al suolo, seguita dall’accorciamento e quindi dal distacco, con vi-
cenda continua, per tutta la durata della locomozione.
Io ho voluto anzitutto indagare, se la resezione del cordone nervoso radiale abolisce
in queste braccia la capacità ai movimenti locomotorii coordinati, praticando le solite in-
cisioni al fondo del solco ambulacrale in cui sta allogato, superficialmente, il cordone ner-
voso. Ebbene, dopo tale operazione, persisteva tra il pezzo anteriore e quello posteriore
alla sezione, una perfetta armonia funzionale, rivelata da ciò che il senso secondo cui i
pedicelli effettuavano la trazione era lo stesso in ambedue i pezzi. Dal complesso di questi
risultati si può dedurre che un centro a funzione specifica, non solo non esiste nell’ anello
nervoso centrale per disciplinare l’ accordo tra i varî radii, ma neanche nel cordone radiale
per coordinare l’ attività motrice dei singoli pedicelli. Il meccanismo di tale coordinazione
pertanto, consiste molto probabilmente in un processo riflesso, in quanto che la trazione
esercitata da un gruppo di pedicelli funziona da stimolo che si trasmette come un’ onda
ai pedicelli successivi costringendoli a muoversi in modo solidale con i primi.
Il comportamento dei radii isolati serve così d’integramento alla nostra teoria sui mo-
movimenti coordinati degli Echinodermi svolta precedentemente.
Ho voluto anche vedere se l'estremità del braccio che durante il movimento stava
anteriormente, era sempre una. In base a numerose esperienze condotte su tutte le braccia
di un medesimo individuo, ho potuto costatare che il braccio si muove costantemente con
l'estremità interna rivolta anteriormente.
Ora resta a spiegarsi il determinismo di questo speciale comportamento delle braccia
delle Asterie. Anzitutto perchè l’attività motrice spontanea si accentua nei radii staccati
dal resto del corpo dell'animale?
Analisti e meccanismo del riflesso di raddrizzamento e di altri movimenti, ecc. 13
La prima idea che sorge è quella di ammettere nell’ anello nervoso centrale una fun-
zione inibitoria per il movimento delle braccia. Ma se si riflette che I’ asportazione di tale
anello, in un animale intiero, non conduce ad un ravvivamento dei movimenti locomo-
torii, si rinunzia facilmente a tale spiegazione. A me sembra più probabile che l’esagerata
motilità spontanea delle braccia isolate sia da attribuire al cessare di quei rapporti fun-
zionali che nell’animale normale intercedono tra i diversi radii per cui essi si inibiscono
fra loro.
Abbiamo infatti ripetutamente accennato, che nell’animale normale, ogni singolo brac-
cio non è da considerarsi come indipendente, ma subisce gli effetti dell’ attività delle al-
tre braccia, tanto che uno spostamento dell’ animale non è possibile, se in uno o più radii
consecutivi non si manifesti un predominio funzionale. Non così nel braccio isolato, il
quale invece affatto è libero da ogni vincolo fisiologico con le altre parti omologhe. Nel-
l’animale intiero, all’ attività di ogni radio si contrappone in tutto o in parte quella degli
altri ed il movimento del corpo s’inizia secondo la legge del parallelogrammo delle forze;
in un radio isolato il movimento locomotorio è soltanto funzione dell’ energia spiegata dai
suoi organi di movimento ambulacrali. Questa condizione d’ indipendenza funzionale spiega
adunque la maggior vivacità del suo movimento progressivo in confronto all’ animale
normale.
Più difficile è dare una esatta ragione del fatto che i pedicelli si orientano, durante
la progressione del braccio, verso l’ estremità tagliata o interna di esso la quale diventa
perciò anteriore, mentre l’ estremità esterna è posteriore.
In base ad alcune mie osservazioni, io son condotto a credere che l’ atto traumatico
determinante il distacco del braccio, costituisca uno stimolo nocivo potentissimo il quale
eccita, in maniera riflessa, i pedicelli dell'organo a dirigersi verso la parte offesa e forse
anche a ravvivare i loro movimenti locomotorii. Gli stimoli leggieri invece portati sul
braccio unito al resto del corpo, determinano per reazione, come abbiamo visto altrove,
l'allontanamento del corpo dell’ animale dalla causa stimolante. Ma sui riflessi di natura
difensiva mi propongo trattare dettagliatamente in un prossimo lavoro.
CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI GENERALI.
I miei risultati si prestano ad essere così riassunti e sintetizzati:
1° Negli Echinodermi, si possono studiare movimenti perfettamente coordinati come
quelli che affettuano il raddrizzamento dell’ animale e la locomozione ordinaria. Analizzan-
doli si constata che durante lo svolgersi di essi si stabilisce la cooperazione fra i diversi
radii in quanto che mentre alcuni tirano il corpo in un senso, gli altri aiutano il movi-
mento, anzichè tirare in senso contrario come avviene quando l’ animale è in riposo.
2° La coordinazione dei movimenti non è affidata ad alcun centro, perchè persiste
dopo l’interruzione dei cordoni nervosi in due o più radi e dopo l’ estirpazione di tutto
l’ anello nervoso centrale.
3° Il meccanismo della coordinazione pare quindi garentito dalla semplice struttura e
disposizione delle parti periferiche, mentre il sistema nervoso non funziona che come un
conduttore più rapido e specializzato degli eccitamenti. Ecco in che modo può intendersi
la persistenza dei movimenti coordinati, dopo le interruzioni multiple del sistema nervoso :
La trazione esercitata da alcuni gruppi pedicellari in un dato senso, distende passivamente
14 Giuseppe Russo |MemorIA XXII.|
il segmento di sistema acquifero che è in rapporto con essi. Questa distensione costituisce
uno stimolo che propagandosi a guisa di onda lungo tutto il sistema, provoca in maniera
riflessa, una contrazione di tutti i pedicelli nello stesso senso dei primi. Questo compor-
tamento ha probabilmente delle analogie, con quei movimenti pendolari riflessi che si pro-
ducono nelle zampe posteriori del cane spinale, quando esso è sollevato dal suolo e te-
nuto per le zampe anteriori; rasscmiglia pure al meccanismo dei movimenti locomotorii
del Lombrico, dopo la sezione della catena ganglionare ventrale, secondo le interpretazioni
del Loeb e del Friedlander.
4o Ammessa e spiegata la possibilità della cooperazione funzionale tra tutti i radii, la
direzione del movimento del corpo dell’ animale s’ intende, ammettendo in uno o più radii,
inizialmente, un predominio funzionale dovuto, per esempio, al maggior numero dei pedi-
celli che tirano od all'intensità con la quale tirano in una data direzione. Questo soprav-
vento di una parte dell’ animale, col meccanismo anzicennato, dà origine ad un’onda di
eccitamento che propagandosi per tutto il sistema ambulacrale, costringe tutti i pedicelli a
funzionare d'accordo con quelli che temporaneamente manifestano nel loro insieme una
maggior attività motoria.
5° Le braccia isolate delle Stelle sono dotate di una esagerata mobilità spontanea,
che si spiega con l'esclusione di quei rapporti funzionali che normalmente legano tra loro
i diversi radii limitandone la capacità alla progressione autonoma. Il braccio isolato pro-
cede con l’ estremità recisa in avanti, il che può essere effetto di uno speciale riflesso di
difesa il quale dirige i pedicelli verso la parte che è stata colpita dalla causa traumatica.
Il braccio isolato possiede la facoltà di raddrizzarsi. La sezione del cordone nervoso ra-
diale non abolisce nei radii isolati nè la facoltà locomotoria automatica, nè quella di rad-
drizzarsi. La coordinazione dei movimenti tra i diversi pedicelli si compie col meccanismo
della stimolazione riflessa e forse anche diretta, esercitata dalla trazione di quei pedicelli
che originariamente hanno promosso il movimento.
6° In nessuna parte del sistema nervoso orale degli Echinodermi esistono centri di
ordine superiore ai quali possono collegarsi le più complesse manifestazioni della loro at-
tività motrice spontanea.
Dagli sperimenti pare si possa conchiudere che un tal sistema non abbia in tutte
le manifestazioni motrici che il semplice ufficio di un eccellente trasmissore degli eccita-
menti.
(N)
BIBLIOGRAFIA
. FRIEDLANDER BENEDICT — Ueber das Kriechen der Regenwurmer. In Biol. Centrablatt. Bd. 8.
. LOEB J. — Fisiologia comparata del cervello — Remo Sandron 1907.
LOEB J. — Ueber Geotropismus bei Thieren. In Pfluger’s Archiv, Bd. XLIX, 1801.
PREYER W. — Ueber die Bewegung der Seesterne. In Mittheilungen aus der zoologischen Station. zu Neapel,
Bd. VII, p. 96.
. ROMANES G. S. — Selly-fish. Startisch and Sea Urchins, New York, 1893.
. RUSSO G. — L’accordo dei poteri di regolazione osmotica ed idrostatica negli Echinodermi — Atti dell’Acc.
Gioenia, 1912.
Memoria XXEII.,
Istituto di clinica delle malattie nervose e mentali e di antropologia criminale della R. Università di Catania
diretto dal Prof. G. D’ ABUNDO
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche
o cerebrali, isolate e combinate
RICERCHE SPERIMENTALI
DEL
Prof. GIUSEPPE D’ ABUNDO
In omaggio al Prof. Leonardo Bianchi.
La patologia sperimentale incontra difficoltà sovente insormontabili quando si tratta di
produrre distruzioni ben localizzate nella sostanza grigia inglobata in vie di conduzione
formate da fasci di fibre nervose; e per cui essa non può venire aggredita senza la le-
sione di queste ultime, verificandosi così una sintomatologia complessa, la quale non può
mettersi in rapporto esclusivo colla distruzione sperimentale nucleare.
È questa certamente la ragione per cui le indagini sperimentali dirette sulla sostanza
grigia del midollo spinale non potettero riuscire proficue, dovendosi accontentare di quelle
indirette provocate dalla patologia sperimentale; e rimasero quindi sempre di guida i fatti
messi in evidenza dalla clinica col controllo anatomo-patologico-istologico, che con le po-
liomieliti acute e croniche delinearono in qualche modo alcune tra le rappresentazioni cel-
lulari nervose motrici midollari.
Certamente la sostanza grigia del midollo spinale venne sempre considerata come un
aggregato di numerosi centri funzionali, con confini non esattamente delineati; per cui
numerose furono le proposte elevate a teorie, di cui parecchie però rimangono tuttora in
gran parte allo stato di semplici ipotesi.
La morfologia cellulare mise già in evidenza il fatto, che nelle corna anteriori e nella
sostanza grigia intermediaria del midollo spinale esistono le cellule più voluminose, le quali
sono allontanate le une dalle altre, separate da un rilevante numero di fibrille; laddove a
livello della colonna di Clarke e della sostanza di /tolando le cellule sono più piccole,
più ravvicinate, più numerose. Le grandi cellule si distinguono per il robusto prolunga-
mento cilindrassile e per il numero notevole di collaterali; laddove le piccole ne hanno
uno gracile e pochissimo provvisto di collaterali.
Questi particolari morfologici, armonizzati con i rilievi messi in evidenza dalla psico-
patologia sperimentale e dalla clinica (poliomieliti acute e croniche) fecero sì, che biologi
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XXIII. I
2 G. D' Abundo [Memoria XXIII.]
di grande valore considerassero la grossezza delle ceilule nervose come un indizio di fun-
zione motrice.
Però se in tale concezione generale un accordo relativo sussiste fra neurologi, le di-
screpanze sono molteplici quando si tratta di definire le rappresentanze nucleari spinali
dei muscoli, isolatamente presi o riuniti in distretti; per cui sono sorte parecchie teorie
con schemi dimostrativi di localizzazioni, le quali hanno una base ristretta di fatti, su cui
venne elevato un edificio di intuizioni piuttostochè di dimostrazioni, e che tramontarono
rapidamente, battute dalla critica clinica fondata sopra particolari ricerche istologiche.
Il quesito importante a risolversi fu sempre quello di indagare, se nel midollo spinale
esista una precisa divisione del lavoro nella funzione motrice, e quale legge presiede a tale
concezione fisiologica.
Ed alla risoluzione di esso numerose furono le indagini praticate sia in casi terato-
logici, che in amputati; e naturalmente non mancarono anche le ricerche sperimentali.
Nella letteratura medica si rilevano osservazioni numerose già fatte sul sistema ner-
voso, sia nelle amputazioni eseguite nell’ uomo specialmente adulto, sia nelle cosidette am-
putazioni congenite; cioè in quei casi di mostruosità in cui vennero alla luce soggetti con
arti rudimentali, ovvero mancanti di parte o del tutto di uno di essi, in modo da essere
considerati come casi di amputazioni spontanee.
Esistono delle ricerche istologiche al riguardo che certamente sono degne di grande
interesse.
È noto già come in embrioni umani, ai quali mancavano gli arti inferiori, la regione
cervicale ed il rigonfiamento cervicale erano enormi; mancava il rigonfiamento lombare
(Serres).
In un embrione umano senza braccia mancava il rigonfiamento cervicale.
Anche negli animali vennero rilevati fatti simiglianti.
In cani e gatti nati senza arti posteriori mancava il rigonfiamento lombare; però la
midolla spinale lombare e sacrale era più grossa che non è ordinariamente (Serres).
Fu L. Edinger che fin dal 1882 (1) pubblicò con la sua ben nota competenza il
caso interessantissimo d'un uomo di 54 anni, in cui mancavano congenitamente la mano
sinistra ed una gran parte dell’ arto inferiore dello stesso lato, verificando all’ autopsia più
assottigliata la midolla spinale nel lato corrispondente agli arti deficienti, con assottiglia-
mento anche delle radici spinali a livello della Va alla VIIIa cervicale. E nella sostanza
grigia del corno anteriore era evidente l’ipotrofismo. Le circonvoluzioni rolandiche opposte
agli arti rudimentali erano poi assottigliate, in ispecial modo la centrale posteriore; cosa
affermata anche dal risultato microscopico.
Altri casi importanti vennero pubblicati da Gowers, Matau, Perrero, Elders, ed altri.
Fondamentalmente alla mancanza di un arto corrispondeva la deficienza di sviluppo
della sostanza grigia spinale dello stesso lato, localizzata nei rigonfiamenti.
Vi furono di quelli che nella corteccia cerebrale, zona motrice, non rilevarono niente
di particolare; altri come il Gowers, in un uomo di 40 anni con atrofia congenita della
mano sinistra, pur notando assottigliamento del punto medio della centrale posteriore de-
stra (0,35: 0,65), microscopicamente non rilevò niente di anormale.
(1) Z. Edinger Riickenmark und Gehirn in einem Falle von angebornem Mangel eines Vorderarms (Vir-
how’s Archiv., 1882).
uit
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche o cerebrali, ecc. di
In tutti i casi di tali deficienze congenite di parte o di interi arti s'intende che la
causa ebbe ad influire nella vita embrionale o fetale.
Molto interessanti furono gli studi praticati sul midollo spinale nei casi di amputa-
zione di data recente (Mar:nesco, Sano, V. Gehuchten, Nelis, de Neef, A. Bruce,
Blumenau e Nielsen, ecc.), od antica (Vulpian, Dikinson, Leyden, Dreschfeld, Pick,
Edinger, Bignami e Guarnieri, Pelliszi, ecc.) per lo studio dello localizzazioni motrici
midollari.
Per la grande rassomiglianza che ha con le mie indagini sperimentali mi limito a ri-
cordare il caso importante pubblicato da M. e M.mze Deyerzne (1), in cui la disarticola-
zione di un arto superiore era stata praticata in un soggetto dell’ età di 4 anni, morto
poi a 48. Allo studio istologico venne rilevato nel rigonfiamento cervicale |’ emiatrofia del
midollo spinale corrispondente all’arto disarticolato, però fu certamente degno di nota il fatto
constatato, che i centri nucleari presenti dell’ avambraccio e della mano (cioè dei segmenti
al
dell’ arto assente)
“U
erano notevolmente ricchi di cellule, laddove |’ atrofia cellulare era ri-
marchevole a livello dei centri presunti del brachiale anteriore, del deltoide, dei muscoli
“
sopra e sottospinoso e del muscolo sotto scapolare, cioè dei muscoli alcuni assenti ed
“ altri compresi nel moncone (Deyerzne l. c.) ,
Come ricordo bibliografico mi risulta, che omzer ed E7/it=ky (2) specialmente pra-
ticarono amputazioni in cani giovani di 3, 4 settimane di vita, rilevando i soliti fatti di
assottigliamento midollare emilaterale. Non ho trovato nella letteratura che altri si sia oc-
cupato praticando disarticolazione di un arto in animali addirittura neonati di 12 a 24 ore
di vita.
Naturalmente non mi è possibile riportare la ricca letteratura che esiste su tale ar-
gomento; però quello che risulta chiaramente da tutto l’insieme d’ indagini finora praticate
è, che le teorie 7772sco/arz, nervose, segmentarie, det movimenti e delle sinergie coor-
dinate nelle localizzazioni del midollo spinale non hanno una sufficiente base di fatti, per
cui non resistono alla critica obbiettiva. Certamente la dottrina che secondo me rimane
più saldamente fondata oggidi è quella di Deyerzze, il quale considera le localizzazioni
spinali come localizzazioni radicolari.
Ho voluto anch’ io intraprendere delle ricerche sperimentali, per cercare di contri-
buire allo studio del difficile argomento delle rappresentazioni nucleari motrici nel midollo
spinale.
Le difficoltà in cui si erano imbattuti tanti valorosi ricercatori mi persuasero, che al-
l'esperimento non si deve richiedere più di quello che può dare; e che non è facile ri-
solvere in maniera diretta dei problemi fisiologici riguardanti la sostanza grigia spinale ; e
che a tal riguardo è necessario accontentarsi dei risultati indiretti, i quali anche se rie-
(1) M. e M.me Dejerine, Contribution da Vétude des localisations motrices spinales dans un cas de de-
sarticulation scapolo-humerale remontant à l’enfance (Revue de Neurologie, 1909.
(2) Eylitzky. Ueber die Verinderungen in Richenmarke bei amputirten Hunden, 1880.
4 G. D' Abundo [Memoria XXIII. ]
scono a negare recisamente una determinata ipotesi, possono rappresentare sempre un
contributo soddisfacente.
Con tre metodi indiretti io volli eseguire le mie ricerche, avvalendomi sempre di ani-
mali neonati, e precisamente di cani e di gatti di 24 ore di vita; e tre furono le serie
d’indagini sperimentali fatte con i detti tre metodi d’indirizzi diversi, ma tutti convergenti.
ad unico scopo.
1° — Nella 1* serie si agiva alla periferia del corpo disarticolando un arto, e stu-
diando dopo 2, 4, 6, 7 mesi i centri nervosi. Preferii la disarticolazione all’ amputazione,
dappoichè così si era sicuri di avere soppresso qualsiasi movimento nell’ arto; il che non
avviene nell’amputazione, in cui il moncone rende sempre possibile parecchi movimenti.
2° —. Nella 2* serie io producea delle ablazioni della zona motrice corticale d' un
arto, studiando in tempi diversi il modo di comportarsi della sostanza grigia spinale.
3° — Nella 3* serie di ricerche oltre alla disarticolazione di un arto posteriore si pro-
duceva l’ ablazione della zona motrice nell’ emisfero cerebrale opposto all’ arto disarticolato.
I* SERIE
Disarticolazione d’ un arto posteriore neî gattini di 24 ore di vita.
I canini ed i gattini vennero operati ordinariamente 12, 24 ore
dopo nati. Limitai le mie ricerche alla disarticolazione di un solo
arto posteriore.
La fig. 1% fa rilevare in sito il midollo spinale d’un gattino neo-
nato non operato e di poche ore di vita, ed in cui i rigonfiamenti
cervicale e lombare (C, L) sono già evidentissimi. Si comprende
bene come tali rigonfiamenti dimostrino, che già in essi sono deli-
neate le rappresentazioni cellulari nervose motrici degli arti.
Niente di speciale venne notato negli animali dopo la disarti-
colazione sperimentale. Essi crebbero regolarmente, e dal punto di
vista dello sviluppo somatico, paragonati con I’ animale di controllo
sano, non vennero constatati caratteri di deficienza corporea degne
di rilievo; e ciò al contrario di ciò che io dimostrai in altra mia
pubblicazione (1) riguardante le a/rofie cerebrali sperimentali, ed in
cui ablazioni corticali praticate negli animali neonati influivano sullo
sviluppo dell’encefalo e del corpo ; fatto riconfermato colla 2% serie
di ricerche del presente lavoro. Dal punto di vista dei disturbi della
deambulazione negli animali disarticolati d’ un arto posteriore dirò,
che nei cani si può affermare che un compenso sorprendente si pro-
duce da parte dell’ arto posteriore superstite, il quale sembra quasi
spostato verso la linea mediana, risultando i tre arti disposti come
un triangolo isoscele. Ed allora il cammino si presenta saltellante,
e l animale diventato adulto corre disinvolto, sale e scende le
scale, ecc. Di tale condizione fisiologica è giusto tenere adeguata
considerazione nell’ interpretazione dei risultati istologici.
i Anche nei gattini, sebbene la posizione degli arti posteriori nella
statica e nella deambulazione offra qualche particolarità differente,
Figura 1%
(1) G. D’' ABUNDO. Azrofie cerebrali sperimentali, 1901, Catania, (Volume per le onoranze giubilari
del Prof. S. Tomaselli).
—— I \
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. 3
pure il compenso funzionale da parte dell’ arto posteriore superstite è evidente nel cammino e nella corsa.
I.metodi adoperati per lo studio istologico furono parecchi, fra cui in ispecial modo quello di Ca7a/ (for-
mola 3?) e quello di Wezger/-Pal ; per i tronchi nervosi dell’arto disarticolato si usò |’ acido osmico.
I tagli nel rigonfiamento lombare, sempre in serie,
furono eseguiti in alcuni in senso verticale, in altri
longitudinale all’ asse midollare. Nel resto del midollo
spinale si presero dei pezzettini in diversi punti della
regione dorsale e cervicale per lo studio istologico; di
ogni pezzetto furono eseguiti sempre tagli seriali.
Il metodo Ca74/ dette eccellenti risultati anche nei
tagli seriali longitudinali di parecchi centimetri (Fig.
24, 25); semplicemente i pezzi vennero mantenuti nella
nota soluzione di nitrato d’argento in quantità abbon-
dante e cambiata di frequente (1). I lunghi pezzi fu-
rono tenuti nella stufa anche 5, 6 giorni più del tem-
po prescritto.
Non si mancò di adoperare il metodo Ieiger/- Pa!
nelle sezioni seriali longitudinali. Le figure 20 a 23
dimostrano chiaramente la lunghezza dei tratti spinali;
ciò essendo necessario per rilevare possibili modifica-
zioni nelle colonne cellulari dell’ asse midollare. Colle
sezioni seriali si evita ed all'uopo si corregge l'errore
proveniente da una possibile obliquità delle sezioni, la
quale venne con la massima accuratezza evitata.
Si praticarono anche delle sezioni microscopiche bi-
laterali nel cervello a livello delle zone motrici, colorate
con la ematossilina ed eosina.
I risultati ottenuti possono essere brevemente rias-
sunti in ciò che segue.
La dissezione nella regione cicatriziale, dove venne
praticata la disarticolazione dell’ arto, fece notare la
rigenerazione svoltasi nei monconi nervosi centrali, i
quali però erano più sottili del normale.
La fig. 2% fa rilevare una sezione istologica longi-
tudinale praticata nello sciatico rigenerato (7, ») fino
alla cicatrice, in cui si risolve in un vero groviglio
neuro-connettivo-adiposo (7). Tale sezione istologica è
la risultante del trattamento fatto coll’ acido osmico,
il quale mise in evidenza la mielinizzazione delle fibre
rigenerate.
I monconi nervosi suddetti, seguiti nel loro decorso
centrale fino al midollo spinale messo allo scoperto,
fecero rilevare che i gangli intervertebrali corrispon-
denti ad essi erano più piccoli di volume di quelli del-
l’altro lato, e così anche le radici nervose più sottili.
Il midollo spinale trattato nei molteplici esperimenti
con i metodi dianzi menzionati fecero constatare i se-
guenti dati.
Nelle sezioni microscopiche praticate si notò nel
Fig. 2. rigonfiamento lombare un assottigliamento del lato cor-
rispondente all’ arto posteriore asportato. Sulle parti-
colarità di differenza di sviluppo della sostanza grigia e bianca midollare le fig. 3% e 13% eseguite ad altezze
differenti del midollo spinale di cane, e le fig. 14% a 19* nel midollo di gatto, riescono chiaramente a dimostrarlo.
È nel rigonfiamento lombare che si rilevò nel lato corrispondente alla disarticolazione la deficienza di
(1) Si usò la precauzione di cambiare la soluzione di nitrato d’ argento con altra mantenuta alla stessa
temperatura nel termostato.
6 G. D' Abundo
[Memoria XXIII]
sviluppo più marcato della sostanza grigia in /ofo, ma in special modo del corno anteriore (fig. 4, 5), e la
quale in tutti i casi, e tanto nei cani che nei gatti, si mostrò nel corno anteriore costantemente deficiente nel
gruppo cellulare latero-esterno (a, fig. 4 a 7) in maniera marcata, e leggermente deficiente nel gruppo latero
interno ‘c, fig. 4, 6 fig. 5, 6, 7).
Bie03:
stenti
Nella parte terminale caudale del midollo spinale si rilevarono semplicemente fatti di lieve assottiglia-
mento della metà midollare corrispondente all’arto disarticolato (fig. 3%, S).
Fig. 4.
Quello che risultò evidente nella sostanza grigia del corno anteriore spinale corrispondente all’ arto di-
sarticolato e per tutto il tratto del rigonfiamento lombare, e per fino nella parte terminale midollare, fu una
minore ricchezza di ramificazioni fibrillari nervose reagenti al metodo di CayaZ.
Modificazioni spinnli consecutive a lesioni periferiche o cerebrali, ecc.
Il corno posteriore spinale corrispondente all’ arto asportato dimostrò una lieve atrofia in special modo
nelle parti mediane del rigonfiamento lombare. Ed anzi, come la fig. 7% dimostra, nella regione centrale del ri-
gonfiamento lombare si può affermare che |’ atrofia del corno posteriore è massima.
Riguardo alla sostanza bianca del midollo spinale essa si presenta assottigliata sempre nel rigonfiamento
lombare ; però è chiaro che il cordone posteriore corrispondente all’ arto asportato è il più assottigliato.
(0 e)
G. D' Abundo [MemorIA XXIII.]
Nella regione dorsale non sì rilevano differenze degne di rilievo nella sostanza grigia dei due lati; in -
quella bianca certamente il cordone posteriore del lato sinistro (4, fig 8*) è più sottile del destro ; ed in
complesso la metà sinistra del midollo spinale è lievemente più sottile di quella dell’ altro lato (fig. 9).
Fioe7:
Nel rigonfiamento cervicale si nota una lieve deficienza nel corno anteriore del lato corrispondente all’ arto
disarticolato (fig. 11, 12), Al contrario ciò non si verifica nei due corni posteriori, in cui anzi verrebbe ad |
affermarsi una lieve deficienza del corno posteriore del lato sano.
È
Fig. 8.
Con ciò nel rigonfiamento cervicale esisterebbe una lieve distrofia incrociata.
Fatti identici furono rilevati nei gattini operati dopo un giorno di vita, e di cui le fig. 14 a 19 riescono
abbastanza dimostrative.
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. 9
Le sezioni microscopiche eseguite nel senso longitudinale all’ asse midollare confermano i fatti di sopra
esposti.
Fig. 9.
Infatti le fig. 20 e 23 rappresentano le dette sezioni riguardante l’intero rigonfiamento lombare (metodo
Weigert-Pai). Da esse si rileva ugualmente nella colonna cellulare destra (L’) una deficienza di sviluppo che
appare uniforme.
Fig. 10.
Le differenze di sviluppo delle colonne grigie diventano meno visibili nelle regioni che si avvicinano alla
midolla dorsale (fig. 20 a 33, D).
La fig. 24, rappresentante anche una sezione longitudinale comprendente il rigonfiamento lombare d’ un
gattino (metodo Ca7a2/), riesce abbastanza dimostrativa (1). In L”, ed in P’ del lato corrispondente alla disar-
(1) 1 gangli invertebrali del lato sano sembrerebbero nella figura più piccoli, però ciò è dovuto al fatto
che alla sezione istologica i gangli intervertebrali del lato sano si presentarono al taglio non allo stesso li-
vello di quelli corrispondenti al lato leso.
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XXIII. 2
10 G. D' Abundo
Memoria XXIII]
ticolazione si rilevano i punti di maggiore differenza di sviluppo della sostanza grigia del lato ipotrotico. La
fig. 25 dimostra un ingrandimento maggiore del punto P, P’ della figura 24.
IRE at,
Nel corno posteriore corrispondente all’ arto asportato. e là dove esisteva ipotrofismo non si potette af-
fermare una ubicazione ben determinata della deficienza cellulare.
ere —oc—eo———— ———Eo uo —r_’_’—_eor——__——mc’
Fig in:
Nella corteccia cerebrale tanto 1’ esame macroscopico che quello microscopico non fecero rilevare tra le
zone motrici dei due emisferi cerebrali differenze degne di rilievo ; però io credo che prima di ritrarre una
particolare conclusione da tale reperto sia necessario mantenere gli animali in vita per lo meno un paio d’ anni.
Anche |’ esame macroscopico nel resto dei due emisferi cerebrali non fece notare differenze evidenti.
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. In
roria XXIII]
2 N
Mi
G. D'Abundo
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Fig
Modificazioni spinali cousecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. 13
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|MemorIA XXIII. |
Modificazioni spinali consecutive a lestoni periferiche o cerebrali, ecc
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roria XXIII.]
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Modificazioni spinali consecutive a lesior periferiche 0 cerebrali,, ecc.
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Fiost24:
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XXIII.
IS G. D Abundo [Memoria XXIII.]
Le ricerche sperimentali di questa 1* serie, praticate col metodo della disarticolazione
d’un arto posteriore, danno luogo alle seguenti considerazioni.
Prima d’ ogni altra cosa'è bene notare, che la disarticolazione d’un arto posteriore
negli animali operati se da una parte determinava nella metà corrispondente del midollo
spinale una limitazione di sviluppo, localizzata in ispecial modo al rigonfiamento lombare,
dall’ altra non influiva ad arrestare la rigenerazione dei monconi dei nervi tagliati nel pro-
cesso operativo ; rigenerazione che, come la fig. 2 ebbe a dimostrare, si risolveva in un
groviglio-neuroma terminale nella barriera cicatriziale.
Le condizioni di rigenerazione in tal caso sono ben differenti da quelle già studiate
nei comuni tagli di tronco nervoso ; dappoichè nelle esperienze della disarticolazione d’ un
arto vengono ad essere soppressi tutti gli stimoli centripeti raccolti dalle aree superficiali
e profonde dell'arto asportato.
Sicchè mancò in tali esperimenti quel complesso di eccitazioni periferiche, le quali
latenti provocano un afflusso continuo centripeto di correnti, che mantengono in atto una
energia nervosa, che silenziosamente si scarica sui muscoli.
Quando è solamente tagliato ed asportato un tratto di un tronco nervoso di un arto
che rimane in sito, continuano ad affluire al midollo spinale le correnti centripete per via
degli altri nervi dell’ arto non recisi; per cui idealmente noi possiamo ritenere, che una
vibrazione continua viene ancora mantenuta nel midollo spinale dagli stimoli centripeti per
via dei nervi illesi. Inoltre la rappresentanza cellulare spinale limitata nella sua attività per
et, siccità.
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali. ecc. 19
il taglio del nervo, sarà sempre molto minore di quella che si verifica quando un arto in-
tiero viene ad essere asportato.
Dobbiamo ritenere che il taglio di un nervo motore non mette a riposo la rappre-
sentanza cellulare spinale corrispondente alle fibre di esso dal momento che il processo
rigenerativo periferico continua il suo svolgimento.
E così anche quando un arto è asportato con la disarticolazione negli animali neo-
nati, la rigenerazione constatata nel moncone centrale dimostra, che l’ atto operativo an-
nienta semplicemente un numero limitato di elementi nervosi centrali spinali.
Tutto ciò dimostra quale potenziale rilevante di energia vitale esista nelle cellule nervose
spinali degli animali neonati, dal momento che lese profondamente nel tratto periferico,
esse dimostrano tanta esuberanza di attività rigenerativa (1). Quanta differenza al contrario
si ha se un processo morboso attenta il corpo cellulare? Le poliomieliti acute e croniche
ne sono una prova dimostrativa.
Al riguardo si presenta un quesito di grande importanza psicopatologica, cioè: quale
influenza esplica la zona motrice corticale sulle cellule nervose motrici spinali nel feno-
meno biologico della rigenerazione dei tronchi nervosi periferici? Le mie ricerche speri-
mentali riportate nella 2% e 3° parte di questo lavoro potrebbero essere un avviamento
allo studio di questo quesito.
Nelle mie indagini sperimentali risultò chiaramente, che all’ asportazione di un intero
arto segue una emiatrofia spinale localizzata nel rigonfiamento lombare. La sostanza gri-
gia non presenta un’ atrofia uguale nel corno anteriore e posteriore, dappoichè come la
fig. 4a dimostra si può affermare, che là dove l’atrofia del corno anteriore spinale è mas-
sima lo è meno quella del corno posteriore.
Le fig. 7, 15, 16 sono abbastanza significative per l’ impicciolimento del corno po-
steriore, dovuto forse a preferenza al fatto della soppressione delle vie sensitive periferiche
per la disarticolazione dell’ arto.
In verità sorprende un po’ di non trovare una distrofia maggiore del corno anteriore
spinale nell’ intero rigonfiamento lombare, considerando che stimoli continui centripeti par-
tenti dalla periferia costituiscono una parte integrante di quel fenomeno biologico impor-
tante, che va sotto il nome di foro 72%scolare, il quale essenzialmente è un fenomeno
riflesso, che viene turbato e si rende manifesto quando qualcosa interrompe o modifica una
parte dell’ arco cellulo-fibrillare nervoso, che ne mantiene la integrità. Ne sono una prova
le esperienze di Brondgeest e di /rosentha! colla sezione delle vie nervose centripete,
che determinarono la cessazione della tensione ordinaria e permanente. Negli avvelena
menti stricnici sperimentali isolando e mantenendo la massima quiete intorno all’ animale
le convulsioni sono meno frequenti e meno intense; e se si tagliano le radici posteriori
(Magendte) le convulsioni non si verificano più.
Nelle mie ricerche sperimentali le cellule nervose del corno anteriore spinale nel ri-
gonfiamento lombare midollare non solamente erano privati dei muscoli dell’ arto asportato
di cui erano le legittime rappresentanti, ma eziandio ad un tratto venivano a mancare di
quell’ afflusso continuo centripeto di correnti nervose come dianzi è stato accennato.
(1) Una prova di tale attivà esuberante venne dimostrata nelle mie due precedenti pubblicazioni : 1° — G.
D'Abundo, Patologia spinale sperimentale (1906 del volume in omaggio al Prof. E. Morselli). 2°— G. D’ Abu
do, Dottrina segmentaria in patologia nervosa (1909, Rivista Italiana di Neupatologia, Psichiatria, ecc. Catania).
20 G. D’ Abundo [Memoria XXIII.]
Eppure certamente è limitato il numero delle cellule nervose che scompare, paragonate
all’ entità dell'arto disarticolato. Si è visto in quali regioni è ubicata la grande riduzione
o la scomparsa cellulare.
Ed allora dopo l'importante osservazione fatta da M. e M.w2e Dejerine (1) e da me
citata, io credo che nella interpetrazione dei fatti risultanti da queste mie ricerche speri-
mentali, messi in rapporto con le dottrine sostenute, s° imponga la necessità di tener pre-
senti due fattori, uno anatomico e l’ altro fisio- psicologico insieme strettamente coordinati.
Da tutti si ammette che un arto ha la sua projezione corticale, la quale passa attra-
verso il filtro spinale. E necessario ritenere, che la figura dei gruppi muscolari d’ un arto
sia specificamente selezionata nella corteccia cerebrale, dove una divisione del lavoro è
meglio differenziata. Per cui nelle due projezioni motrici d’ un arto, cioè quella spinale e
quella corticale cerebrale, quest’ ultima dev’ essere più indipendente e meglio selezionata
dell’ altra.
Tale concetto scaturisce dal fatto, che il midollo spinale rappresenta |’ organo excelszor
delle funzioni automatiche, basate sulle manifestazioni di riflessi, i quali a misura della
intensità dello stimolo vanno contemplati sotto le leggi dell’ 2722/aferalztà, della s7772m2e-
tria, dell’ mradiazione e della generaliszazione. Tali riflessi semplici o complicati e
coordinati, alle volte z72croczati o diagonali, costituiscono la base fondamentale di quel-
l’automatismo spinale, che se da una parte rappresentò primitivamente una funzione di-
fensiva dell’ individuo, dall’ altra coll’ evoluzione progressiva del cervello ha una impor-
tanza considerevole nei fenomeni vitali, perchè viene a determinare un vero decentramento
funzionale, risultandone una rapidità ed una esecuzione più precisa e più rapida dei mo-
vimenti in maniera automatica meccanica. Naturalmente si tratta sempre di 427072047520
risvegliato da stimoli determinati.
Quindi nel midollo spinale i molteplici centri di elaborazione funzionale sono colle-
gati da una solidarietà tenace; con ciò si spiega anche il numero notevole di cellule ner-
vose intrinseche dell’ asse midollare, le quali sono destinate a mantenere connessioni mol-
teplici a corto ed a Iungo tragitto nei diversi segmenti spinali dello stesso lato e di quello
opposto. i
Quest’ insieme costituirebbe un vero sistema di forzza assoczativa spinale primor-
diale, la quale costituisce la base dell’ az:/0724/7sm0 funzionale midollare.
Ora queste condizioni particolari anatomo-fisio-psicologiche del midollo spinale pos-
sono dar luogo ad una interpetrazione adeguata dei diversi risultati ottenuti da tanti os-
servatori sull’ argomento delle localizzazioni motrici dell’ asse midollare nelle amputazioni.
Le associazioni dinamiche, stabilitesi nei diversi aggruppamenti cellulari nervosi della so-
stanza grigia midollare sono, associazioni radicolari; ed esse fanno sì che l’ asportazione
d’un arto non fa sparire l’intera rappresentanza cellulare dall’ asse spinale; una parte di
essa rimane perchè contribuisce a rinforzare altre connessioni midollari, ed in fra le altre
forse la funzione motrice dell’ arto posteriore superstite.
È questa probabilmente una delle ragioni per cui rigenerano, sia pure in numero
assottigliato, le fibre nervose motrici dell’ arto disarticolato.
L'assottigliamento sia pure lievissimo, constatato gradatamente in via ascendente nella
metà del midollo spinale corrispondente all’arto disarticolato, è da ritenersi dovuto alla ri-
(1) Loco citato.
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. 21
duzione delle vie di connessioni e di projezioni segmentali, consecutive all’ atrofia cellulare
nervosa unilaterale del rigonfiamento lombare.
Nel caso particolare degli animali da me adoperati per questi esperimenti deve tenersi
in considerazione il fatto del facile compenso, che si verifica da parte dell’ arto posteriore
superstite nella funzione del cammino; per cui si potea invocare una vera associazione
compensatrice da parte delle cellule motrici spinali corrispondenti all’ arto asportato ; e ciò
costituiva un'altra causa per non far sparire tutte le cellule nervose costituenti la rappre-
sentanza motrice spinale dell’ arto disarticolato.
In tutti i modi dagli esperimenti praticati in questa 12 serie e col metodo della disarti-
colazione d’ un arto posteriore, le conclusioni che possono ritrarsi per ora sono le seguenti :
l. La disarticolazione d’ un arto posteriore net cani e gatti neonati determina
una deficienza di sviluppo della metà corrispondente del midollo spinale, localiz-
sata în maniera predominante nel rigonfiamento lombare.
2. Nella sostanza grigia emui-ipotrofica il corno anteriore presenta una dimi-
nuzione evidente di cellule nervose per un tratto limitato nel gruppo laterale
esterno, ed una dimiuunzione molto meno rilevante nel gruppetto interno.
3. A misura che dal punto medio del rigonfiamento lombare si procede în
sopra verso il tratto dorsale midollare la deficienza di sviluppo del corno ante-
riore st rende meno evidente, rendendosi al contrario molto marcata nel corno
posteriore, l’ assottigliamenio del quale diminuisce gradatamente in su verifican-
dosî net tratti dorsali del midollo e nel rigonfiamento cervicale una lieve defi-
cienza del corno posteriore opposto all’arto disarticolato. La qual cosa porta un
contributo all’ incrociamento ascendente delle vie sensitive.
4. Per quanto una deficienza di sviluppo emilaterale st rileva in toto mella
sostanza bianca spinale, pure è nel cordone posteriore corrispondente all’ arto
disarticolato che sî constata il massimo assottigliamento.
5. È da ritenere che non spariscono tutte le cellule nervose rappresentanti
la protezione dell'arto disarticolato, ma che una parte rimane in vita, perchè in-
timamente collegata al resto del midollo spinale per le associazioni dinamiche e
per l’ automatismo funzionale midollare.
6. L’ attività rigenerativa dei tronchi nervosi recisi nella disarticolazione del-
l'arto è la dimostrazione patente della persistenza vitale d’ un non piccolo nu-
mero di cellule nervose motrici dei muscoli dell’ arto disarticolato.
7. Anche nella funzione motrice spinale esiste una divisione del lavoro, però
in essa funzione esiste una solidarietà collettiva sinergica molto marcata, laddove
nella corteccia cerebrale sti verifica un decentramento funzionale meglio selezio-
nato nella divisione del lavoro.
II} SERIE
Ablazione di parli più o meno estese di corteccia cerebrale
nella sona motrice nei gattini di 24 ore di vita.
La 2* serie d’indagini sperimentali dirette ad affermare l’ influenza della soppressione
di aree più o meno diffuse della corteccia cerebrale sullo sviluppo della sostanza grigia
spinale s’ imponeva, dappoichè parecchi illustri osservatori come £dz7,ger e Gowers aveano
22 G. D' Abunao | Memoria XXIII.]
già notato un assottigliamento della zona motrice nei casi di deficienza congenita di arti.
Tale reperto dimostrava, che la mancanza congenita d'un arto nell’ uomo si, riverberava
non solamente sul campo di proiezione spinale, ma eziandio sù quello corticale. E poichè
clinicamente nei casi di emiplegia spastica infantile si nota l'influenza della soppressione
d'una larga zona motrice sullo sviluppo della metà opposta del midollo spinale, era ne-
cessario affermare sperimentalmente, se e quali parti della corteccia cerebrale avessero una
decisa influenza nel limitare |’ evoluzione della sostanza grigia spinale nei primi tempi della
vita extra-uterina.
Tale 2° ordine d’ indagini tendeva da una parte alla risoluzione d’ un importante pro-
blema di fisiopatologia nervosa, e dall’ altra costituiva un lavoro di preparazione alla II*
serie di ricerche, le quali ultime rappresentano un tema svolto con un indirizzo . speri-
mentale, che non mi pare sia stato da altri ancora trattato.
Debbo fin d’ ora dichiarare, che tanto la II* che la II* serie d’indagini sperimentali
debbono considerarsi appena accennate, dappoichè io in questa mia pubblicazione espongo
i risultati ottenuti dopo che gli animali vennero mantenuti in vita 24 a 40 giorni.
Questa 2* serie di ricerche consistette nel determinare ablazioni corticali più o meno
limitate nel gvrzs cruczalis dei gatti neonati.
Gli animali furono mantenuti in vita un tempo più o meno lungo (finora 24 a 36
giorni). I risultati ottenuti finora sono resi dimostrativi dalle fig. 26 a 41.
Asportando la circonvoluzione del gyrs crcialis completamente nella sua porzione in avanti del sz/cus
crucialis ed in parte nella porzione posteriore a detto sz/cxs come si rileva nelle fig. 26 e 27 (di cui la fi-
gura 26 rappresenta il cervello fotografato nella posizione di prospetto e la fig. 27 nella superficie corticale
convessa), dopo 24 giorni di vita ebbero a rilevarsi nel midollo spinale le modificazioni rappresentate nelle
fig. 28 a 30. Nella fig. 28 praticata a livello del rigonfiamento cervicale si nota una spiccata diminuzione di
sviluppo dell’ intero corno posteriore destro (D) corrispondente al 9y7s Crucialis leso, laddove un lievissimo
ipotrofismo si rileva nel corno anteriore sinistro (c s). cioè in quello opposto all’ emisfero cerebrale leso.
RSU AIA
Eles2ios Rjo.wmizzi:
E nel punto medio del midollo spinale dorsale (fig. 29) sì nota la stessa deficienza di sviluppo, però nella
porzione più periferica del corno posteriore destro corrispondente sempre all’ emisfero cerebrale leso (D), lad-
vedo una differenza evidente non è manifesta nei due corni anteriori (C S, C D).
rr <- —_ CTC rr ——
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche a cerebrali, ecc. 23
Nel rigonfiamento lombare (fig. 30) nessuna modificazione di sviluppo si nota nella sostanza grigia.
Il fascio piramidale incrociato (P) opposto alla lesione si vede (fig. 28 a 30) che è deficientemente mie-
ul
He)
IN
ba
pu
a
N
Vo)
linizzato ; per quanto anche nel lato sano (P’) si noti non essere completa la mielinizzazione. Però il gattino
avea 24 giorni di vita.
Credo utile qui riportare le fig. 31, 32, 33 che dimostrano come si presenta la mielinizzazione nel gat-
tino neonato di poche ore di vita, nel rigonfiamento cervicale (fig. 31), lombare (fig. 33) e nel punto medio
della regione dorsale (fig, 32) in generale, ed in particolare nel fascio piramidale incrociato.
24 .G. D' Abundo |MemorIa XXIII. |
F19325
Fig. 34. Fig. 35.
Figoan30-
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. 25
Quando la lesione nel gyvrus Crucialis è molto meno intensa come si rileva nella fig. 34 e 35, allora le
modificazioni della sostanza grigia spinale di sopra accennate sono molto meno evidenti nel corno posteriore
Fig. 37. I:10::983/88
(fig. 36, D) dello stesso lato e nel corno anteriore opposto; certamente evidente é nel segmento dorsale
(fig. 37, D) la deficienza di sviluppo del corno posteriore D. La fig. 38 rappresenta una sezione lombare.
Fig. .39.
E si noti che in tal caso I’ animale era vissuto 33 giorni.
La fig. 39 rappresenta un gattino neonato in cui la lesione corticale era stata praticata un po’ più aster-
ATTI ACC. SERIE V., VOL. VI — Mem. XXIII. 4
26 G. D. Abundo
Fig, 40.
[MemorIa XXIII.]
namente (c) e limitatamente"; ebbene in tal caso si aveano nel segmento cervicale (fig. 39), dopo 36 giorni
di vita, su per giù gli stessi dati dimostrati nella fig. 28, però nel
tente il deficiente sviluppo del corno anteriore opposto alla lesione.
segmento dorsale (fig. 40) era più pa-
Fiof4io
joe
Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche 0 cerebrali, ecc. 2
È naturale che queste ricerche vanno continuate, producendo /eszonz più estese in
superficie ed in profondità, e nello stesso tempo mantenendo lungo tempo in vita
gli animali, il che sto facendo. Come pure sarebbe interessante di vedere quali modifi-
cazioni si determinano nella sostanza grigia spinale in seguito ad ablazioni di altre regioni
del mantello cerebrale.
Però quello che emerge dalla seconda serie di ricerche sperimentali, che furono ab-
bastanza numerose per quanto limitate a non più di 36 giorni di vita degli animali, è:
che le ablaszoni corticali nell’area motrice determinano nel corno posteriore spi-
nale corrispondente un rapido e marcato risentimento ipotrofico, laddove l’ ipo-
trofismo è appena accennato nel corno anteriore opposto alla lesione corticale,
almeno nei primi 36 giorni di vita.
Le ulteriori ricerche dovranno dimostrare, se mantenendo a lungo viventi gli animali
operati l’ ipotrofismo del corno spinale anteriore opposto assuma maggiori proporzioni.
Sulla interpretazione da dare al molto limitato ipotrofismo del corno anteriore opposto
alla lesione corticale nei casi da me mantenuti in vita fino a 36 giorni, io credo che ciò
possa essere dovuto al fatto della mielinizzazione del fascio piramidale, che come si rileva
nella figura 31 a 33 nei gatti appena nati non ancora esiste, e procede lentamente collo
sviluppo dell’ animale. Per cui l’ influenza corticale sulle cellule nervose dalle corna ante-
riori spinali dovrebbe affermarsi quando le fibre nervose sieno bene evolute, e quindi ca-
paci di conduzione.
Si comprende dalle fig. 31 a 33 che all’ infuori dei fasci piramidali essendo in gran
parte mielinizzato il resto delle fibre nervose spinali (salvo quei punti che si rilevano dalle
dette fig. 31 a 33), l'influenza dell’ asportazione corticale potea esplicarsi a preferenza su
quelle regioni della sostanza grigia spinale colle quali e a supporre che il g.v726s cruczalis
ha rapporti di connessione già mielinizzati alla nascita.
Da ciò l’importanza di continuare le ricerche mantenendo a lungo in vita gli animali,
e producendo le ablazioni corticali anche in animali di 2, 3 settimane di vita, per con-
statare se si verificano fatti identici a quelli dinanzi descritti.
In tutti i modi questa II. serie di ricerche dimostra, che almeno dopo 36
giorni dall’ablazione corticale motrice sta pure limitata, non si verifica che un
ipotrofismo molto relativo nel corno anteriore spinale opposto, laddove l’ ipotro-
ismo è massimo nel corno posteriore spinale corrispondente all’ emisfero leso.
Tale risultato apre la via ad una interessante discussione sulla natura funzionale dei
rapporti tra zona corticale lesa e corno posteriore omolaterale; però a me pare che tale
discussione potrà farsi molto meglio quando sarà completo lo studio degli animali mante-
nuti parecchi mesi in vita. Dappoichè sorge giustificata l’idea di affermare: se / /potro-
fismo del corno posteriore spinale consecutivo alla lesione corticale possa anche
spiegare per tempo in qualche segmento spinale una influenza sullo sviluppo del
corno anteriore corrispondente.
In conclusione questa 22 serie di ricerche ha messo in evidenza qualche fatto parti-
colare, che riguarda i rapporti di una regione ben determinata della corteccia cerebrale
con la sostanza grigia spinale: ma sarebbe prematuro ritrarne particolari deduzioni in ap-
poggio delle conclusioni affermate nella 12 serie, perchè è necessario prima tenere lungo
tempo in vita gli animali da esperimento.
HS G. D' Abundo
MemorIa XXIII]
III° SERIE DI RICERCHE SPERIMENTALI
Disarticolazione d’ un arto posteriore ed ablazione di parti più o meno
estese di corteccia cerebrale nella zona motrice opposta.
In questa 3* serie di ricerche venne dapprima praticata l’ablazione d'una zona corti-
cale più o meno limitata sempre del gyrus cruczalis dei gattini di 24 ore di vita, e dopo
qualche giorno si eseguiva la disarticolazione d’ un arto posteriore opposto.
Finora i gattini studiati vennero mantenuti in vita fino a 40 giorni. Altri animali vi-
vono tuttora ed i risultati saranno riferiti a suo tempo.
Quello che ho potuto finora rilevare è: che sono manifesti i risultati già constatati
nella 12 e nella II° serie. Però il fatto degno di rilievo è, che la sparizione delle cellule
nervose della sostanza grigia spinale corrispondente all’ arto disarticolato è di
gran lunga maggiore di quella notata nella 1° serie. Però mi sono convinto che
prima di ritrarre delle conclusioni è necessario tenere in vita gli animali per lo meno 6,
7 mesi come si praticò nella 1* serie di ricerche, essendo prematuro ritrarre delle parti-
colari deduzioni complessive.
Come si vede dalle 3 -serie di ricerche sperimentali da me praticate il tema è troppo
vasto, ed a tentare di rischiararlo si sollevano quesiti molteplici di non lieve importanza
per la fisiopatologia nervosa.
Potere affermare bene la influenza della corteccia cerebrale nella evoluzione dei di-
versi segmenti di sostanza grigia spinale nei primi tempi della vita extra-uterina rappre-
senta un argomento, che può illuminarci sulle manifestazioni della divisione del lavoro
negli aggregati cellulari spinali. Tanto più che le incognite sono numerose, e l'esperimento
mette in evidenza qualche dato nuovo che sorprende, e fa prevedere un orientamento verso
interpretazioni funzionali aventi basi più obbiettive.
Catania, Agosto 1913.
“mu PE
INVOUezE
MEMORIA
G. Marletta — Ricerche sui complessi di rette d’ ordine due e della 2% specie dell’ Sy.
G. D’ Abundo — 7,0 neuro-psichiche consecutive alle commozioni della guerra Italo-1 urca Il
G. D’ Abundo — Su d'un terzo caso di ferita del ntidollo spinale IIl
A.
Russo — E%elti della pesca con le sorgenti luminose sul prodotto delle reti di posta a Catania
e sul prodotto delle tonnare della Sicilia Orientale (Notizie e ricerche preliminari) (con 4 figure
nel testo ed una Tavola a colori). DE
M. Cipolla — Sul postulato di Zermelo e la teoria dei limiti delle funzioni c
M. Condorelli Francaviglia — / ma/efizii delle secche : caso di morte in seguito a puniure.
A Fagiuoli — Sul pneumotorace terapeutico. Risultati immediati ed innociità della cura pneumo-
toracica
La Valle — ricerche sperimentali sulla permeabilità meningea .
>_Q
° LI O . » - - . . . o - .
Fagiuoli — Osservazioni e considerazioni sulla presenza di bacilli acido-resislenti nel sangue
circolante
G. Consoli — Osservazioni istologiche su midolli di cani sottoposti a rachistovainizzazione (con
una Tavola).
G. Biondi — / nuclei d’ origine e terminali del nervo trigemino nel pollo .
Sì Lavagna — Fatti nuovi sulla emolisi da triton-veleno
V. Balbi e M. Di Bella — Osservazioni meteorologiche del 1912 fatte nel R. Osservatorio di Catania.
G. Aprile — Su/ sistema di rette dell’ S, generato da due S3 omografici fra loro .
G. Russo — Le /eogi e PIO ICI TAO IEEE
A. Russo — Noze ed appunti sulla pesca del Golfo di Catania (con 4 figure nel testo)
G. Izar — Un caso di ascesso polmonare venuto a guarigione col pneumotorace artificiale .
A. Fagiuoli — Valore semiologico dei campi di risonanza del Krònig.
L. Caprile — Sulla struttura della zona pellucida in Phylophorus urna (Grube) e sul suo signi-
ficato fisiologico (con una tavola).
. Capparelli — La concentrazione osmotica e le emolisine
> >
+ Zelarovich — Primo manipolo d’ animali marini catturati da alcune reti a strascico nel Golfo
di Catania
G. Russo — Analisi e meccanisnio del riflesso di raddrizzamento negli Echinodermi .
G. D’ Abundo — Modificazioni spinali consecutive a lesioni periferiche o cerebrali isolate e com-
binate — Ricerche sperimentali
XIX
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XXI
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