Ac ut 9 À sica Vo tl \PLC9 et. À sg j \ vo to Lo Ratei: =} uc % Agia] REALE ACCADEMIA SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO LN ) Gi <> 45) L'ACCADEMIA, di termini del suo Statuto, non si rende garante delle opi- nioni, de sistemi. e delle dottrine comprese ne’ discorsi dei suoî componenti qui pubblicati. MANGO DELLEOMATERIE Indici delle due prime serie degli Atti dell’Accademia. Magistrato Accademico. Per il Centenario del trasferimento della Accademia del Buon Gusto, oggi R. Accade- mia di Scienze. Lettere e Belle Arti, nel Palazzo Municipale. — Discorsi del Pre- sidente Prot. Vincenzo Di Giovanni e del Segretario Generale Prof. Luigi Sampolo. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE Logzacoxo PoJero Dorn MicneLe. — Sulla morfologia dei Legumi del genere Medicago. Zona T. — Latitudine dell'Osservatorio di Palermo. SirpNna Sanri e ALessi Giuseppe. — Influenza del disseceamento su taluni Mierorga- nismi Patogeni. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE AnLievo Giuserre. — La libera attività personale ed il positivismo. Lioy Pror. Droparo. — La mente di P. S. Mancini. Bexzoxi Dorr. Roperro. — Esame delle ipotesi ultimamente ideate per determinare e chiarire il fatto dell’eredità. CLASSE DI LETTERE ED ARTI Di Grovanxi Pror. Vixcexzo — Documenti dell’uso del volgare prima del 1000. Prerd Dom. GrusePPE. — Di uno stratagemma leggendario di Città assediate in Sicilia. PeLLEGRINI Asrorre. — Studii d’Epigratia Fenicia (continwa). COMMEMORAZIONI Riccò A. — Sulla vita e sulle opere del defunto socio Cav. Prof. Giuseppe Lo Cicero. Crmixo Ina. Gruseppe. — Commemorazione di Alfredo Baccarini. CrisapuLii Comm. Ap. Vixcenzo. — Giuseppe Bozzo e i suoi tempi. COMUNICAZIONI Zoxa T.— Risultati delle osservazioni Meteorologiche eseguite nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde) per gli anni 1890-91. SENI GES se” ri INCIDE Gal DELLE DUE PRIME SERIE DEGLI ATTI DELLA ACCADEMIA - tende — —_—- PRIMA SERIE SAGGI DI DISSERTAZIONI DELL'ACCADEMIA PALERMITANA DEL BUON GUSTO Volume I. — Palermo MDCCLV. Nella Stamperia dei Ss. Apostoli in piazza Vigliena, presso Pietro Bentivegna. Saggio sopra la Storia letteraria, e le antiche Accademie di Palermo, e spezialmente dell’origine, istituto e progressi dell’Accademia del Buon Gusto; del Sac. Dott. Dome- nico Schiavo. Dissertazione I. Della necessità, e de’ vantaggi delle Leggi Aecademiche; di Domenico Schiavo. Dissertazione II Delle lessi de’ Siciliani, divisa in tre parti; dell'Avv. Nicolò Gervasi. Dissertazione III. Delle Università di Sicilia, dell'Avvocato Giuseppe Santacroce. Dissertazione IV. Sopra un Talismano di rame degli eretici Basiliadi; del Sac. dott. Dom. Schiavo. Dissertazione V. Sopra un vaso figurato del Museo Martiniano; del P. D. Salvadore Maria di Blasi, Lettore Cassinese Dissertazione VI. Sopra due Scifi sugellati dello stesso Museo; del Sac. Dott. Domenico Schiavo. VII Dissertazione VII. Intorno all’utilità della Storia naturale, spezialmente di quella di Sicilia; del Dottore Agostino Tetamo. Dissertazione VIII. Sopra un vaso figurato rappresentante le Cistefore di Cerere; del Sac. Dottore Gae- tano Barbaraci. Volume II. — Palermo 1800. Discorso sull’utilità delle pubbliche Accademie peri progressi delle scienze e delle lettere, del Cav. D. Gaspare Palermo dei principi di S. Margherita, principe dell’ Accademia, per servire d’ inaugurazione al nuovo stabilimento della Accademia del Buon Gusto nel Palazzo Senatorio. Leggi e Costituzioni dell’Accademia del Buon Gusto. Dissertazione I Che contiene un breve Saggio della Storia letteraria della Medicina di Sicilia, del Dottor Antonino Bettoni. Dissertazione TI. Sopra la causa fisica del Diluvio Universale, di Girolamo Termini Duca di Vatticani, Gentiluomo di Camera di S. M. con esercizio. Dissertazione ILL Sopra il sistema di migliorare l’ agricoltura di Sicilia, del signor Camillo Gallo, e Guagliardo. Dissertazione IV—Economico-Politica Sul lanificio di Sicilia, di Marco Antonio Averna. Dissertazione V. Istorico-Critica sulla Iscrizione della Vergine S. Rosalia nella Grotta della Quisquina, del P. D. Raffaele Drago Cassinese, Pubblico Professore di dritto Canonieo ne? Regi Studi di Palermo, Direttore dell’Accademia del Buon Gusto. Dissertazione VI. Sull’origine dei fuochi Vulcanici e de’ loro Fenomeni; del Sac. D. Diego Muzio. ATTI DELL'ACCADEMIA DI SCIENZE E LETTERE NUOVA SERIE Volume 1. — Palermo, tip. Morvillo, 1845. Delle vicende dell’Accademia; Discorso del Presidente principe di Granatelli. Scienze Dimostrazione generale e completa dell'equilibrio di tre forze; Memoria di Emmanmnele Estiller. Memorie geognostieche e minerologtiche; del Prot. Pietro Calcara. I. Osservazioni geognostiche sopra Caltavuturo e Sclafani. 2. Ricerche geologiche sulla dolomite giurissica del landro presso S. Caterina. i. Sopra una nuova giacitura della calee carbonata in Sicilia. 4. Nuove forme cristalline di aleumni minerali di Sicilia. Esposizione de’ Molluschi terrestri e fluviatili de’ dintorni di Palermo del medesimo Prof. Caleara. D'una mostruosità di un insetto dell'ordine de’ Coleotteri; Osservazioni del Professore Baldassare Romano. Rariorum plantarum minusve reete cogmitarum in Sicilia sponte provenientium decas prima, auctore Augustino Todaro. Osservazioni Meteorologiche fatte nel R. Osservatorio di Palermo nell’anno 1844. Su l'indole, la misura ed il pro&resso della industria comparata delle nazioni: Studî di Fmerico Amari. Lettere Sulla istruzione pubblica nei secoli XVII e XVII in Sicilia; Discorso di Bernardo Serio. Elogio di Domenico Seinà, seritto dal prof. Federico Napoli. Elogio di Niccolò Cacciatore, seritto dal prof. Gaetano Cacciatore. Volume II. — Palermo, tip. Console, 1858. Relazione accademica del P. Narbone. Parte Prima Descrizione dell’isola di Pantelleria, del prof. Caleara. Catalogo degli uccelli delle Madonie, di Francesco Minà-Palumbo. Sulla risoluzione dei triangoli sferici i cui lati sono piccolissimi in confronto del raggio della sfera, del prof. Caldarera. Elogio del prof. Pietro Calcara, di Federico Lancia di Brolo. Parte Seconda Sulla origine della economia sociale, del prof. G. Bruno. It x Storia della letteratura in Sicilia, del canonico Sanfilippo. Monete romano-sicule del municipio di Alesa, del P. Romano. La eruzione etnèa del 1852, del cav. Vigo. Elogio del Pres. Alessandro Casano, del prot. Bozzo. Volume III. Palermo, Stabil. tip. Lao, 1859. Memorie Sulla terza cometa del 1554, osservazioni e risultati del professore Domenico Ragona Direttore del R. Osservatorio di Palermo. È Su taluni nuovi fenomeni di colorazione subbiettiva, nota del prof. Ragona. Catalogo degli uccelli delle Madonie, (continuazione e fine) del dottor Francesco Minà- Palumbo da Castelbuono. Storia naturale delle Madonie, catalogo con appendice dei lepidotteri diurni, Minà- Palumbo. Sopra alcune conchiglie fossili dei dintorni di Palermo, memoria del P. Ignazio Li- bassi d. C. d. G., professore di fisica nel Collegio Massimo di Palermo. Intorno all’abolizione delle tasse sul pane e sulle paste di Palermo, memoria di Giu- seppe Biundo. i Sulle monete punico-sicule, memoria di D. Gregorio Ugdulena, premiata dall'Istituto di Francia. Iconografia numismatica dei tiranni di Siracusa, memoria del p. Giuseppe Romano d. C. d. G., prefetto del museo Salnitriano. Necrologia Intorno alla vita e agli scritti del professore Baldassare Romano, socio attivo non residente, discorso di D. Gregorio Ugdulena. Volume IV. — Palermo, tip. Amenta, 1874. Bozzo (G. — Proemio. Classe di Scienze Naturali ed Bsatte Gemmellaro — Memoria sui fossili della zona con Peltoceras transversarium Quenst. della Provincia di Palermo e di Trapani. Cervello — Riflessioni sulle malattie da spasmo e su’ medicamenti antispasmodici. Reyes— Discorso sulla Teoria dell’importazione del Cholera studiata in Palermo. Macaluso — Memoria intorno al Colehico di Bivona studiato in confronto del Colchico autunnale sotto l'aspetto botanico e chimico. XI (Classe di Scienze Morali e Politiche Di Menza — Memoria intorno alle condizioni sociali dei nostri tempi. Lo stesso — Appendice. « Di Carlo Max e delle sue dottrine. » Maggiore-Perni — Memoria riguardante i censimenti della popolazione di Palermo dal 1861 al ISTI. Bruno G.— Discorso intorno ai //berist/ ed agli Arutoritari in economia politica. (Classe di Lettere ed Arti Di Giovanni V. — Prospero Intorcetta, ovvero il primo traduttore Europeo di Contucio. Poesie recitate in Accademia nella solenne adunanza dell’anno 1873 dai Soci Cralati, Vagliea, Amico, Montalbano. Bozzo — Elogio del celebre socio Gioacchino Rossini. Basile — Memoria sull'antico edifizio della Piazza Vittoria in Palermo. Estratti di altri lavori accademici. Cacciatore — Quadro sinottico meteorologico compilato nel R. Osservatorio di Palermo per gli anni 1872 e 1875. Volume V.— Palermo, tip. Amenta, 1875. Proemio. Classe di Scienze Naturali ed. Esatte Monterosato — Nuova rivista delle conchiglie del Mediterraneo. Inzengia — Discorso sull’origine singolare di una nuova varietà d'arancio. Doderlein — Descrizione di una specie di pesce del genere esotico Lobotes preso nelle acque de’ contorni di Palermo. Corrao — Memoria sul progresso delle marine da guerra. Classe di Scienze Morali e Politiche Maggiore-Perni — Memoria sull’imposta fondiaria ed il progetto della perequazione. Di Menza — Memoria sul duello leale ed il duello sleale. Classe di Lettere ed. Arti Di Giovanni V.— Discorso intorno agli eruditi Siciliani del secolo XV e ad alcune opere lessigrafiche latine e volgari de’ secoli XIV e XVI. Matranga — Memoria circa le pergamene greche più antiche finora conosciute in Sicilia. Di Maggio — Saggio storico-critico sul quarto volume degli Annali di Pietro Ranzano. Notizie sugli studii scientifici e letterarii di Sicilia nel secolo presente Perni, Hconomia politica. La Mantia, Scienze Giuridiche. Di Giovanni, Wlosofia. Di Bartolo, Sezenze Sacre. Meli, Arti del disegno. Platania, Musica. Maggiore- XLI Estratti di altri lavori accademici. Nota. Cacciatore — Quadro meteorologico dell’anno 1874. Volume VI. — Palermo, tip. del « Giornale di Sicilia » 1878-1879 Proemio. Classe di Scienze Cosmologiche Doderlein — Prodromo della Fauna Ittiologica della Sicilia. Idem — Prospetto Metodico delle varie specie di pesci di Sicilia. Cimino — Memoria sul Porto di Palermo. Bourguignat — Monografia del nuovo genere siciliano di conchiglie detto Allerva. Cacciatore — Discorso in commemorazione del P. Angelo Secchi. Reyes — Memoria sulla Fognatura o lar Cala di Palermo. Classe di Scienze Noologiche Di Marco Vincenzo — Elogio del Socio Barone prof. Bartolomeo D’Ondes Rao. Di Giovanni V.— Memoria sul P. Giuseppe Romano e sull’Ontologismo in Sicilia. Classe di Lettere ed Arti G. Bozzo, Di Giovanni, Marotta, Vaglica, Montalbano, Barone, De Spuches — Tornata in onore di Vincenzo Bellini. De Spuches — Discorso intorno ad alcuni oggetti archeologici. Estratti e Comunicazione — Banîbergh, Meltzel, Evola, Carini, F. Ragusa, S. V. Bozzo, Cultrera, Basile. Cacciatore — Quadro sinottico meteorologico compilato nel R. Osservatorio di Palermo, per gli anni 1877-78. Volume VII. — Palermo, tip. Ferrigno e Andò, 1880-1881 Bozzo G.— Proemio. Classe di Scienze Cosmologiche Napoli — Della vita e delle opere di Giovan Battista Odierna. Tommasi — Sulla stabilità dell’idrato rameico. Classe di Scienze Noologiche Bruno — Elogio del Conte Giovanni Arrivabene. XIII Di Marco — Degli arbitrati internazionali e dei dritti della guerra. Maggiore-Perni — Tommaso Natale e i suoi tempi. Classe di Lettere e Belle Arti Di Giovanni V.—Del volgare usato dai primi poeti siciliani e del carattere della loro poesia. Crisafalli— Sulla pubblica moralità e sull'istruzione pubblica in Italia. Alcune poesie lette dai socî nell'anno accademico 1879-50, B. Marotta — G. Vaglica U. A. Amico — 0. Ramondetta-Fileti — T. Franceschi-Pignoechi — GF. De Spuches. Comunicazioni cd estratti Giuseppe Montalbano — Im memoria del prof. Filippo Parlatore. Iscrizione € distici. Ugo De Meltz di Ungheria — Lettera in occasione di essere stato eletto socio della Reale Accademia. Ermanno Buchholtz di Berlino — Addizioni alla grammatiea latina. Vincenzo Di Marco — Sull’ esegesi del Consigliere Imvidiato al num. 3, art. 1953 Co- dice Civile. Vito La Mantia — Sul manuale di Dritto Costituzionale del Dott. F. Flogoîto. Maria Corrao — L'inchiesta sulla marina mercantile. Cacciatore G. — Quadro sinottico meteorologico compilato nel R. Osservatorio di Pa- lermo per gli anni 1879-50. Volume VIII. — Palermo, tip. del « Giornale di Sicilia » 1885. Classe di Scienze Naturali ed. Esatte Cacciatore G.— Del passaggio di Venere sul disco del Sole a 6 dicembre 1852, osser- vato al Real Osservatorio di Palermo. Reves S.— Sulla Profilassi nei casi di contagio. Classe di Scienze Morali e Politiche Russo-Onesto M. — Elogio del Marchese Giovanni Maurigi. Sampolo L.— Elogio di Vincenzo Di Mareo. Corleo S.— Le comuni origini delle dottrine filosofiche di Miceli, di Malebranche e di Spinoza, e loro confronto con quelle di Gioberti e di alcuni positivisti moderni. Ruffo G. B.— Il Diritto è la Morale dell'odierno positivismo. Caiazzo F. S.— L'umanismo della dottrina penale italiana dall'avvenimento del Regno Longobardo fino al secolo N. Classe di Lettere ed Arti Bozzo G.— Pel Centenario della morte di Pietro Metastasio. Discorso. Carini I. — Sulla vita e sulle opere di Monsignor Pietro Sanfilippo. Commemorazione. Comunicazioni Cacciatore G.— Quadro sinottico meteorologico compilato nel R. Osservatorio di Pa- ermo per gli ammi 1881-82. IV XIV Volume IX. — Palermo, tip. del « Giornale di Sicilia » 1887. Crisafulli V.— Proemio. Bruno G.— Discorso inaugurale. Sampolo L. — Su’ primi venticinque anni della R. Università degli Studi in Palermo. Di Giovanni V.— Sull’Accademia del Buon Gusto nel secolo passato. Evola F.— La stampa siciliana fuori di Palermo e di Messina. Di Giovanni V.— Sulla pubblica istruzione in Palermo nei secoli XIV e XV. Cavallari F. S.— Su alcuni vasi orientali con figure umane rinvenuti in Siracusa e Megara-Iblea. Amico U. A.— Discorso per la solenne tornata in onore del defunto Presidente Prin- cipe di Galati. — Iscrizioni e poesie. Comunicazioni Cacciatore G. — Quadro sinottico meteorologico compilato nel R. Osservatorio di Pa- lermo per gli anni 1885-86. Volume X. — Palermo, tip. F. Barravecchia e figlio, 1889. Crisafulli V. — Proemio. Classe di Scienze Naturali ed Esatte Di Stefano Dott. Giovanni — Studi stratigrafici e paleontologici sul sistema cretaceo della Sicilia. Riggio Dott. G. — Alcune notizie sui progressi attuali dell’Entomologia in Sicilia. — Considerazioni sull’ordine degli Ortotteri e scoperta di alquante specie novelle di que- st'ordine in Sicilia. De-Stefani Perez Teod. — Cimipidi e loro galle. Sirena prof. S. e Alessi Dott. G. — Azione della Creolina sul bacillo-virgola di Koch. Cervello Vincenzo e Caruso-Pecoraro Giuseppe — Sul potere diuretico della Caffeina associata agli ipnotici. Classe di Scienze Morali e Politiche Maggiore Perni prot. Avv. Fr.— Del grado di certezza della statistica nei numeri e nella induzione, e degli errori che ne alterano i risultati. Werner C. — Emerico Amari in relazione a G. B. Vico. (Traduzione di G. Vadalà-Papale). Classe di lettere ed arti Basile Prot. G. B. F.— Gli ordini architettonici della seuola italica in attimenza colle forme vetuste della Sicilia. Basile Prof. G. B. F. — Nota sugli ScamdZlos impares di Vitruvio. Comunicazioni Cacciatore G.— Quadro sinottico meteorologico compilato nel R. Osservatorio di Pa- lermo per gli anni 1887-88. PATRONO IL MUNICIPIO DI PALERMO et PROMOTORE II Sindaco di Palermo: PATERNO DI SESSA EMANUELE Senatore del Regno, Professore ordinario di chimica generale nell’Uni- versità di Palermo, Membro del Consiglio Superiore di Sanità, Socio della R. Accademia dei Lincei, Socio della Società dei XL, Cav. ©, Comm, +», Comm, &, ©. SOCIO ONORARIO SUA MAESTA DON PIETRO II, EX IMPERATORE DEL BRASILE LEISCLÌ MAGISTRATO ACCADEMICO Presidente DI GIOVANNI Can. Vincenzo, Professore ordinario di storia della filosofia nella R. Università di Palermo, Preside della Facoltà di Filosofia e Lettere, Incaricato della Filosofia morale, membro della R. Commis- sione pei Testi di lingua, Socio corrispondente dell'Istituto di Francia, della R. Accademia del Belgio, della R. Accademia dei Lincei, della R. Accademia della Crusca, del R. Istituto Lombardo , dell’Ateneo Veneto, della R. Accademia di San Luca, dei Virtuosi del Panteon, della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, Vice Presidente della Società Siciliana per la Storia Patria, Uff. *. Vice-Presidenti GeMELLARO Gaetano Giorgio, Professore ordinario di mineralogia e geo- logia nell'Università di Palermo, Direttore della scuola di farmacia, Socio della R. Accademia dei Lincei, Socio della società dei XL, Pre- sidente della Società di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo, Membro del Comitato Geologico, Cav. =, Uff. *, Comm. =». XVI Segretario Generale SamPoLo Luigi, Dottore in legge, Professore ordinario di dritto civile nella Università di Palermo, Incaricato della Esegesi sul Corpus jus, Presidente a vita del Circolo giuridico di Palermo, Socio corrispon- dente della Società di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo, Socio e Consigliere della Società Siciliana per la Storia Patria, Mem- bro della Società geografica italiana, della Soczeté de legislation com- parée di Parigi, Membro dell’ Istituto di Dritto Romano di Roma, Membro onorario dell’ Istituto di Storia del Dritto Romano nell’ Uni- versità di Catania. Comm. «&. Classe di Scienze Naturali Direttore CALDARERA Francesco, Ingegnere, Professore ordinario di meccanica ra- zionale nella R. Università di Palermo, Socio ordinario della Società di Scienze naturali ed economiche di Palermo, Uff. &, Uff. &. Anziani CervELLO Vincenzo, Dottore in medicina, Professore ordinario di ma- teria medica e farmaceutica sperimentale nell’ Università di Paler- mo, Vice segretario della Società di scienze naturali ed economiche, Socio della R. Accademia delle Scienze mediche, e della Società Si- ciliana per la Storia Patria, Consigliere Provinciale sanitario, ca- valiere &, è, ©. SIRENA Santi, Dottore in medicina, Professore ordinario di anatomia pa- tologica nell'Università di Palermo, Socio ordinario della Società di Scienze naturali ed economiche e della R. Accademia delle Scienze mediche, Uff. &. Segretario della Classe CoppoLa Giuseppe, Dottore in medicina, Professore ordinario di pato- logia speciale medica nell'Università di Palermo, Socio della R. Ac- cademia delle scienze mediche, cav. &. XVII Classe delle Scienze morali e politiche Direttore Di MeNzA Giuseppe, Dottore in leggi, Presidente di Corte di Appello di Palermo, Consigliere Provinciale Sanitario, Socio corrispondente della Società delle Scienze Naturali ed Economiche, Socio della So- cietà Siciliana per la Storia Patria, Uff. 4, e Comm. e. Anziani Macciore PERNI Francesco, Dottore in leggi, Professore straordinario di statistica nella R. Università di Palermo, Vice presidente della R. Commissione di Agricoitura e pastorizia per la Sicilia, Socio della Società di Scienze Naturali ed Economiche, della Società Siciliana per la Storia Patria, dei Zelanti di Acireale, dei Trasformati di Noto, dell’Agerina di Agira, della Libera Società degl’insegnanti di Paler- mo, del Progresso di Palazzolo Acreide. Gucino Giuseppe, Dottore in leggi, Avvocato, Preside della facoltà di giurisprudenza, Professore ordinario di dritto romano nell’Università di Palermo, Imcearicato d’ introduzione alle scienze giuridiche ed istituzioni del dritto civile, Cav. «&. Segretario di Classe ARDIZZONE Girolamo, Socio dell’Accademia dei Zelanti e Dafnica di Aci- reale, e Socio della Società dei Letterati di Madrid, cav. «&. Classe di Lettere e Belle Arti. Direttore Prmré Giuseppe, Dottore in medicina, Segretario generale perpetuo della Real Accademia delle Scienze mediche, Socio e Consigliere della So- cietà siciliana per la Storia Patria, Membro della R. Commissione pei Testi di Lingua, dello Ateneo Veneto, dell’ Accademia de Buenas Letras di Barchellona in Ispagria, delle Società del Folklore di Si- viglia, Badajoz, Madrid, Londra, Cambridge (Amer) ecc. Cav. #e utt. +. XVIII Anziani MoNnTALBANO Can. Giuseppe già professsore di lettere italiane nel Se- minario Arcivescovile. COSTANTINI Giovanni, dottore in legge, Avvocato. Segretario della Classe Amico Uco Antonio, Professore di lingua italiana nel R. Liceo Ginna- siale Umberto I, Socio della R. Commissione pe’ Testi di Lingua e della Società Siciliana per la Storia Patria, Cav. +. Segretario aggiunto Russo-OnESsTO Michele, Dottore in leggi, Sostituto Procuratore del Re, socio della Società Siciliana per la Storia Patria, Cav. +. Tesoriere DI GIOVANNI Gaetano, socio della Società siciliana per la storia patria, Socio corrispondente della Colombaria di Firenze, e di altre Acca- demie e Membro della Commissione Ampelografica della provincia di Girgenti, Comm. «&, Decorato di 3 medaglie d’oro. BERE CENrENASRIO DEL TRASFERIMENTO DELLA AVVADENTA DEL BUON GUSTO GGI R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI PALAZZO MUNICIPALE LSLT_--- 5 Luglio MDCCCXCI NE I SS SUR A Sd Den URI (sia IS Ricadendo il 5 luglio il centenario del trasferimento dell’Ac- cademia del Buon Gusto, oggi R. Accademia di Scienze, Let- tere e Belle Arti, dal palazzo del Principe di Santa Flavia in quello del Comune, 1 Accademia ha voluto festeggiarlo con pompa. ki L'adunanza ebbe luogo nel palazzo di Città nella grande Sala delle Lapidi in cui è posta la iscrizione che ricorda il fausto avvenimento. Intervennero alla festa il Prefetto Comm. Colucci che rap- presentava il Ministro per la Pubblica Istruzione , il Sindaco Imanuele Paternò e la Giunta. Intervennero i Direttori di classe prof. Caldarera, Comm. Di Menza, prof. Pitrè e circa 40 soci, tra’ quali notavansi il Comm. Ciampa presidente della Corte di Cassazione e il Comm. Lamanna presidente della Corte d’appello, molti invitati e parecchie gentili signore. Sulla porta d’ingresso della Sala, nella parte interna, una iscrizione latina dettata dal can. prof. Giuseppe Montalbano, ricordava il trasferimento dell’Accademia di cui celebravasi il centenario. Il Segretario Generale lesse un telegramma del Ministro per la Pubblica Istruzione così concepito : i 4 « Presidente Accademia Scienze — Ringrazio V. 5. invito cor- « tese in occasione festa centenario trasferimento Accademia < Palazzo Municipale, rallegromi e delego Prefetto rappresen- « tarmi. — P. VinnARI. » Indi il Presidente Prof. Vincenzo Di Giovanni lesse un di- scorso intorno alle origini delle Accademie degli Accesi, dei ziaccesi e del Buon Gusto. Infine il Segretario Generale prof. Luigi Sampolo recitò un discorso sulle vicende dell’ Accademia del Buon Gusto che è ora la R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti. La adunanza fu allietata da vari pezzi di musica eseguiti dalla Banda musicale. LE ORIGINI DELLE ACCADEMIE DEGLI ACCESI, DEI RIACCESI E DEL BUON GUSTO (1568, 1622, 1718) Ilnstrissimno Sig. Prefetto, Spettabilissimno Sig. Sindaco Onorevolissimi Signori , Reputo mia singolare ventura questa che mi è oggi toccata di avere radunata la nostra secclare Accademia, la prima volta che la convocassi da Presidente, per celebrare il primo centenario della sua sede in que- sto antico e storico Palazzo dei Pretori e del Senato di Palermo : e del- l’amoroso concorso alla celebrazione di questa speciale festa Accade- mica nel Palazzo del Comune , ringrazio pubblicamente il Primo Ma- gistrato della Città e la Giunta Comunale, che oggi in mezzo a noi rap- presentano il Pretore e il Senato palermitano del 5 luglio 1791, quando l’ Accademia dichiarava negli Statuti di quei tempi a suo Patrono e Mecenate tutto il Senato con a Capo il Pretore della Città ; e la rap- presentanza del Comune, con assenso del Vicerè Principe di Cara- manico, consentiva che «il luogo ordinario delle adunanze Accademi- che » fosse la maestosa «Sala del Palazzo Senatorio». Era Principe del- l’ Accademia allora che ebbe sede in questo Palazzo, la veneranda fisura di Gaetano Cottone Principe di Castelnuovo, e Direttore il dotto storiografo di Sicilia Salvatore Di Blasi, Abate benedettino ; due nomi tutti e due illustri, benchè per diverse ragioni, nella storia siciliana dei primi anni di questo secolo. Sotto i Vicerè Marchese di Pescara ed Emanuele Filiberto di Savoja, l'Accademia detta degli Accesi, e poi dei 6 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO Riaccesi, ebbe aperte le Sale del Regio Palazzo, poi quelle dei Principi e dei Signori più illustri di questa Città. Ma ricoveratasi la succeduta Accademia del Buon Gusto sotto la protezione del Magistrato Munici- pale, era conveniente che fosse stata accolta stabilmente in questa gran- de Sala Senatoria, dove potè innanzi e in mezzo ai Rappresentanti della Città conferire nella seduta del 21 maggio 1831 il Diploma di Accademico Mecenate a un Principe Reale, Luogotenente del Re in Sicilia, Don Leopoldo Conte di Siracusa. L'argomento del discorso inaugurale della prima adunanza tenuta dall'Accademia in questo luogo fu prescritto dal Vicerè Caracciolo , e lo sostenne il Cav. Gaspare Palermo Segretario dell’Accademia. Io ho preso l’argomento del mio breve discorso dalla nostra Accademia stessa, dicendo dei suoi antecedenti, e come l’ Accademia del Buon Gusto che era accolta in questa Sala nel 1791, dopo settantatre anni che era così nominata, era la continuazione dell’Accademia dei accesi. del secolo XVII, i quali erano succeduti gli Accesé del secolo XVI; si che questo pri- mo centenario della sua Sede nel Palazzo di Città, sarebbe il terzo cen- tenario della sua esistenza. Nè il mio argomento si allontana dall’ ar- gomento che fu trattato nella inaugurazione dell’ Accademia del Buon Gusto il 13 dicembre 1719 dal Barone Vincenzo Parisi, il quale ap- punto in quella solenne congiuntura discorse storicamente dell’ Acca- demie Palermitane, così come fecero più tardi-Domenico Schiavo e Ga- spare Palermo, l’uno nel 1755 e l’altro nel 1800, pubblicandosi il 1° e il 2° volume delle Dissertazioni degli Accademici del Buon Gusto. In altra occasione io esposi le Notizie e i Documenti che avea raccolto sopra l'Accademia così detta del Buon Gusto, dal suo cominciamento alla fine del secolo passato (1): alle Notizie predette altre ne aggiungerà il Segre- tario Generale sopra le vicende posteriori della nostra Accademia nel secolo presente. i î Tre Accademie letterarie sorsero in Italia nel secolo XVI col nome di Accensi ed Accesi: una in Reggio d’ Emilia fondata nel 1540, con gli intendimenti che ebbe eziandio quella dello stesso nome, e fu la seconda, che sorgeva in Palermo nel 1568, cioè la coltura delle tre lingue, greca, latina, italiana; la terza in Siena, esistente nel 1577, dieci anni dopo la Palermitana (2). È poi curioso come gli Accesì di (1) V. Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo, nuova serie, v. IX, Palermo 1887. (2) Vedi Tiragoscui, Storia della Letteratura Italiana. t. VII, p. 1%, pag. 225, 257, 250, 251, Milano, 1825. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO [ Reggio pigliano verso il 1587 il nome stesso che il Quadrio trova es- sere stato di una Accademia di Firenze che fioriva nel 1547, cioè il nome di Z/erati: quel nome medesimo di una nostra Accademia per la quale gli Accesî Palermitani del 1568 rivissero nei /tiaccesi del 1622. Frano frequenti in quel secolo le trasformazioni di un’ Accademia in un'altra; e si sa, ad esempio, come i membri dell’ Accademia Fiorentina che era stata per pochi mesi nel 1540 I’ Accademia detta degli Umidi, si ordinavano nel 1582 in quel corpo illustre che per opera di Lionardo Salviati sin d’ allora e ancor oggi è detta Accademia della Crusca (1) : cosa che pur avvenne nei Lincei di Roma quando si fece erede dei Lincei del 1608, cessati nel 1651, l'Accademia fisico-matematica del 1801, che prese nome di Nuovi Lincei, oggi Reale Accademia dei Lincei. Pertanto, prima che sorgesse nel 1568 l'Accademia degli Accesi, fiori in Palermo.l’Accademia dei Soliarzi, fondata nel 1549 dal celebre giure- consulto e nobile uomo, Segretario del Comune, Paolo Caggio, valente poeta nelle lingue latina ed italiana, dotto e savio scrittore di cose mo- rali e del governo delle famiglie; e sostenuta dal favore, secondo che nota il Mongitore, del Vieerè Don Giovanni de Vega. Il nome del Cag- gio sì trova fra’ poeti, ovvero eccellenti autori, le cui Rime furono raccolte da Girolamo Ruscelli e dal Giolito, e pubblicate in Venezia nel 15553, e 1563: e per l'Accademia de’ Solitari dovettero essere scritti i /tagio- namenti se la vita cittadina sia più felice del viver solitario fuor la città e nelle ville, stampati in Venezia nel 1551; e. ben convenienti a un Con- sesso che si riuniva in una villa fuori Città, dove erano stati i regii giardini di Re Guglielmo e dove oggi è il parco principesco del Duca d’Aumale. (2) Sappiamo poi che il Mongitore possedette una lettera manoscritta del Caggio (oltre le pubblicate nelle raccolte di Lettere d'uomini iMustri stampate nel 1584, 1601 e 1606), con la data di Caltabellotta, 15 set- (1) Vedi ZaxoxI, Sforza dell’Accademia della Crusca, p. 2, Firenze, 1845. (2) « Adunavasi in una Villa del Cav. D. Enrico Patella, poco distante della Città, e vicino le mura della Porta oggi detta di Castro. Era la sua impresa un Usigmnuolo in atto di cantare nella foltezza di un bosco, col motto Non s0/m; forse per dinotare es- sere le sue rime dirizzate anche alla ammirazione degli Esteri » PARISI, Dell'Accademze Palermitane, p. 4.—Il Mongitore interpetra diversamente il motto che riferisce più in- tero, cioè Non solum solo, quasi « dinotando che siccome l'Usignuolo addolcisce col canto non sol la terra, ma anche l’aria, così gli Accademici co’ lor dolei componimenti nu- drivan la speranza d’alzarsi dal suol natio al cielo di una gloria immortale. V. Preta- zione alle Rime degli Ereini, p. INI S PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO tembre 15594, nella quale dottamente ed eruditamente esortava Don Vincenzo Del Bosco Conte di Vicari e Pretore di Palermo, affinchè re- staurasse quell’Accademia de’ Solitari, allora intermessa ; sì che non v’ha dubbio, siccome bene avvisa il Tiraboschi (1), che 1’ Accademia dei Solitari precedette nella coltura delle buone lettere e dell’ amena letteratura quella degli Accesi, ai quali si collegava per lo mezzo dei Solleciti, nome che pigliarono i Solitarii rinnovandosi l’accademia per le istanze del Caggio , dopo il 1554, siccome fu pur notato dal Quadrio e da altri. Dopo il quale rinnovamento de’ Solitarii del 1549, comparisce ap- punto nel 1568 1’ Accademia degli Accesi, della cui fondazione ci la- sciò scritto l’Auria nella sua Mistoria Cronologica dei Vicerè di Sicilia, che il Vicerè Marchese di Pescara, Don Francesco Ferdinando Ava- los de Aquino nel 1568 «istituì in Palermo una nuova Accademia di belle lettere col titolo degli Accademici Accesî , e nell’ anno 1570 per sue lettere Viceregie date in Palermo a di 2 di giugno , nello stesso anno diede licenza agli Accademici di stampare le loro Rime, come si vedono impresse e dedicate al medesimo signor Vicerè, come Principe amatore dei virtuosi » (2). Nè altrimenti ci fa sapere Don Vincenzo Di Giovanni, scrittore contemporaneo, il quale nel C. XI del suo Palermo trionfante cantava appunto di quei dotti riuniti in Accademia letteraria quasi congiunta all’altra ben rinomata dei Cavalieri, maestri nelle giostre , e nelle im- prese guerresche di quel tempo : veggio d’ogni valor ampio tesoro Ù onde potrà. Palermo andar altero; le scienze veggio io nel lor decoro e ‘I magnanimo cuor nel cavaliero. E meglio che in versi il patrizio scrittore e cavaliere onorava gli Accademici Accesi in prosa nel libro del Palermo restaurato, nel quale notando che il dotto Leonardo Orlandini era stato il primo Principe di quell’Accademia, faceva le convenienti lodi dei principali fra gli Ac- cesi, morti o ancora viventi quando egli scriveva negli ultimi anni del secolo XVI, discorrendo di proposito nel vol. II (p. 398-412) del- l’opera, di Leonardo Orlandini, di Bartolo Sirillo, di Luigi d’Eredia, di Attilio Opezzinga, di Carlo Donia, di Ottavio Potenzano, di Antonio (1) V. presso il TriaBoscHI loc. cit. I .(2) V. Documento T. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 1) Veneziano, di Mariano Migliaccio, di Gaspare Ventimiglia, di Giovanni Lancia o Lanza, di Tommaso di Ballo, di Geronimo Branci, di Antonio Alfano, di Mariano Bonincontro, di Argisto Giuftredi, di Filippo Paruta, di Vincenzo La Farina, di Vincenzo Salvamo 0 Silvano, autore della Commedia sfarzosamente rappresentata nella Corte di questo Palazzo Senatorio in onore di Don Carlo di Aragona nel 1570, e da qualcuno at- tribuita a Gerando Spada, Accademico Risoluto. Oltre i quali dotti uo- mini celebrava pure con lodi i poeti che di quel tempo verseggiavano in volgare Siciliano, e n'erano ammirati maestri, come , oltre il cele- bre Antonio Veneziano, maestro Pietro Graccaro, Carlo Ficarola, Sci- pione Di Lorenzo, (riovanni Bonafera, Benedetto Maja, Francesco Po- tenzano, pittore michelangiolesco, e poeta tanto allora plaudito da es- sere stato con solenne pompa incoronato nel chiostro di San Giu- liano, e pubblicamente onorato dal Vicerè Marco Antonio Colonna e dal Duca di Tarranova nella prova di Orazioni e di versi estemporanei che diede in via Colonna, oggi Foro Italico, con singolari cerimonie e rappresentazioni descritte dai contemporanei (1). Letterati, poeti, sona- tori di liuto, valenti giostratori, valorosi soldati o capitani in quelle guerre contro il Turco, furono i nostri Accademici della seconda metà del secolo XVI; e le loro composizioni poetiche, come le loro avven- ture galinti o guerresche , tiravano l’attenzione dei contemporanei e negli uomini di Stato. L'Accademia degli Accesi raccoglieva nel 1569 e 1570, un volume di componimenti poetici, che pubblicava nel 1571 co’ tipi del Maida, e col titolo /ime dell'Accademia degli Accesi di Palermo, con permesso Regio, e dedicatoria al Marchese di Pescara: e poi nel 1573 dava fuori un altro volume col titolo : Delle Rime degli Accesi di Palermo, libro se- condo, dedicato al Duca di Terranova e preceduto nel 1572 dalla stampa delle Rime di diversi belli spiriti della Città di Palermo in morte della signora Laura Serra e Frias. Nè mancavano nelle raccolte predette i versi delle nobili donne, Marta, Lauria e Laura Bonanno, potesse allora in molta fama. Dai quali volumi pubblicati in nome dell’Accademia sappiamo an- che noi, dopo tre secoli, gl’illustri letterati che sotto i sopranomi di solingo, di sereno, di contemplativo, di travagliato, di smarrito, di onesto, di (1) V. Dr GrovanxI, Palermo restaurato, vol. I, p. 414-420 (Palermo 1879) — AURIA, Stor. Cronolog. de’ Vicerè ete. p. 62, e Teatro degli Uomini letterati di Palermo, ms. Qq D. 19 della Bibliot. Comunale di Palermo. 10 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO astratto, e simili secondo il vezzo del tempo, fecero parte in quel se- colo XVI dell’Accademia degli Accesì e furono detti dal poeta Gismondo Imperatori in un sonetto all'Accademia degli Accesi, e che è infine del Libro Secondo delle Rime citate, Spiriti Accesi d’ardor santo e immortale. E dopo del Di Giovanni abbiamo notizie biografiche e letterarie di non pochi degli illustri ingegni dell’Accademia degli Accesi nel Teatro degli uomini letterati di Palermo di Don Vincenzo Auria, opera restata inedita e conservata nella Biblioteca Comunale di Palermo, e dalla quale estraemmo anni sono, pubblicandole la prima volta, preziose no- tizie riguardanti , fra gli altri, il Sirillo, il Griuffredi, 1° Eredia e il Donia (1), che furono dei principali Accademici di allora. Nei due volumi di /ime degli Accesi si hanno i pregi e i difetti dei poeti della seconda metà del secolo XVI, e ci duole che assai poco ci sia restato di scritture in prosa d’autori che appartennero a quell’Ace- cademia, per giudicarne il valore, e vedere in che o no i nostri scrit- tori insolari si assomigliarono agli scrittori del resto d’ Italia nei di- fetti e nei pregi di quel tempo. Che se vogliamo giudicare, ad esem- pio, di Bartolomeo Sirillio dalla Orazione letta in nome del Senato di Palermo nella Gran Sala del Palazzo Reale nel ritorno che faceva da Messina nel 1591 il Vicerè Marco Antonio Colonna, c'è in verità nella lingua e nello stile del Segretario palermitano tutta la gravità degli scrittori del secolo XVI, e tutta la dignità di un oratore che parlava in nome della città e del Senato di Palermo a un Principe di altissimo sangue, e assai glorioso per le sue gesta. Il che è pur da dire della «Oratione dello Attioni di Marco Antonio Colonna »., e del « Trattato della Gloria Umana» di Argisto Giuffredi, e delle prose di critica let- teraria sopra il Tasso, soggetto allora di censure nell'Accademia della Crusca. Nè di pregi minori per la lingua e lo stile sono la bella Ora- zione di Luigi Eredia nei funerali del Duca di Maqueda Viceré di Si- cilia, celebrati l’anno 1601, o la Descrizione delle statue della Fonte Pretoria fatta da Antonio Veneziano dottamente ed elegantemente in eccellente prosa italiana, o le lettere critiche del Sirillo e del Pa- ruta, o le descrizioni delle feste della Città in solenni avvenimenti. Delle poesie , oltre le amorose, talune di argomento civile sono lodevolissime pei concetti e per la forma; e mi piace qui rife- (1) V. Nuove Effemeridi siciliane, Serie IL, Palermo v. I e segg. 1875-76. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO ll rire il sonetto di Argisto Giuftredi « AI Marchese di Pescara nel dedi- cargli gli Accademici Accesi le loro Rime», così espresso : O degli antichi Proi verace esempio, Saggio e forte Sienor, eh’Italia onori, E col santo governo oggi ristori Trinacria da ogni danno indegno et empio. Mentre gli Acces? consacrando al tempio Van dell’Eternità tuoi sommi onori, Questi non dispregiar lor primi ardori, Se d'amor mai provasti 0 gioia, 0 scempio. Sì vedrai, forse tosto, e in miglior stile (Sol che del tuo favor sian fatti degni) Il tuo nome portar sopra le stelle; E nel mio canto (benchè rauco e umile), A par di quel di tanti illustri ingegni, Risonar le tue lodi altere e belle. Veramente nobili sono i versi dell’Orlandini Per la Grecia contro èl Turco, e la canzone AZ Sig. D. Garzia de Toledo per le imprese di Oriente: come leggiadre ed eleganti le rime elegiache od amorose dell’Alfano, e dell’Eredia, e per gravità degna del nobile argomento, la canzone di Filippo Paruta al Principe di Paternò Don Francesco Moncada Capo del Parlamento lanno 1582, quando Mare Antonio Colonna andava in difesa di Malta contro le minacce del Turco. Soggetto poi spesso trattato sono le lodi del vincitor di Lepanto, Don Giovanni d'Austria, al cui trionfo assistevano nel 1572 i nostri Accademici, siccome erano assistiti i Solitarii a quello del Vicerè Vega celebrato nel 1550. (ili Accesi si esercitavano frequentemente «in lettioni di purgati Autori, in fare Orationi, o discorsi», siccome si legge nei Capitoli del- l'Accademia che si conservano inediti nel testo originale nella nostra Biblioteca Comunale, e ora vedono la luce (1), e non erano accet- tati a socii, ivi si legge, « quelli che non saranno di ottima vita e let- terati e compositori nella lingua Greca, o Latina o Toscana». Così, rispettati o plauditi, tenevano le loro dotte adunanze più volte all’anno con l'obbligo ad ogni Accademico di dover dare nell’ anno prova del suo ingegno e dei suoi studii, e l'Oratorio di Santa Barbara nel chio- stro di San Domenico ove allora i frati tenevano come un pubblico (1) V. Documento II 192 PEL IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO studio e poi il Palazzo di Ajutamicristo nel quale era stato ricevuto Carlo V, ed aveva pur sede l'Accademia dei Cavalieri furono la loro sede in quella seconda metà del secolo XVI. «La prima Impresa dell’ Acca- demia, ci fece sapere il Parisi, (1) mostrava per corpo la Luna nascente col motto : /Revertens colligitignes , quale poi fu cangiata in un Lambicco sul fuoco, che distillava l’acqua col motto: Virtutes elicit arte; come rapporta Gia- cinto Maria Fortunio nelle Scintille della selce (fog. 20)» ; e come fu notato dal Mongitore nell’articolo Accersorumn Accademia della sua Béblio- teca Sicula, (t. I), e nel Discorso premesso alle Rime degli Ereini di Pa- termo stampate nel 1724. Se non che sulla fine del secolo mancavano il Giuffredi , il Vene- ziano, il Sirillo, e soli passavano nel secolo seguente l’Eredia, il Balli, 1'Or- landini, vissuto molto vecchio, fino al 1618; e però si era raffreddato l’ ardore degli Accesi , ed erano comparse le nuove Accademie , dei Risoluti, degli Stregolati, degli Opportuni; la prima dei quali che ebbe per Principe il Giuffredi, era nata da scissura sorta fra gli Accesi stessi. Ma la fama degli Accesi non poteva essere obbliata ; sì ché la illustre Accademia del 1568, « post non lungam annorum moram , eru- ditorum cura sub Reaccensorum momine iterum incabvit » , come avvisa il Mongitore; il quale altrove pur notava che «dalle sue ceneri (cioè dell’Accademia degli Accesi) rinacque l'Accademia dei Riaccesi », che «dopo molti anni la stessa Accademia (degli Accesi) si rinnovò, e se le diede il nome di Riaccesi » (2). Della quale nuova Accademia per rinascimento dell’antica secondo si- gnificò il nome stesso dei Aiaccesi, il Parisi scriveva che «nel Real Palaggio di questa Capitale fu ella eretta l’anno 1622 dal Principe Filiberto di Savoja, la di cui memoria sarà sempre venerabile nella Sicilia per tante prerogative delle quali arricchilla. Diede l’ impulso all’ animo di un tanto Principe per l’ erezione di sì onorato consesso il celebre Pietro Corsetto inventor della Impresa che era il Fucile col motto A pro degli (1) V. Dell’Accademie Palermitane, Ricerca. p. 8. (2) V. AurIa e MongirorE. Notizie di alcune Accademie d’Italia e di Sicilia v, ms. segnato Qq, D, 198 nella Biblioteca Comunale di Palermo. Si trovano in questo vol. ms. due Note d’Imprese per l'Accademia dei Riaccesi; e si trova altra Nota o « Breve Di- chiaratione dell’Impresa de’ Sobrii di Palermo, quando si voleva mutare il nome della Accademia dei Riaccesi;» ma non ha data di anno. Le Imprese dei Solitariî, degli Ac- cesì, dei Riaccesi, degli Animosi, dell’Accademia del Buon Gusto, si vedono in un vol. ms. del Villabianca seg. Qq, E 101, nella Biblioteca Commmale di Palermo. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 15 altri». E fu gloria dei Riaccesi avere avuto a lor promotore un tanto uomo quale fu il Corsetto, padre dell’illustre Pretore di questo cogno- me, dottissimo nel diritto, Presidente del Regno nel 1640, e di tanta fama e riverenza, che, divenuto vedovo, era assunto alla Sede Vesco- vile di Cefalù. Ci resta e anzi fu pubblicato il bel discorso che nella inaugurazione dell’Accademia, leggeva Berlinghiero Ventimiglia innanzi al Vicerè Em- manuele Filiberto di Savoja e al Cardinale Giamnettino Doria nel Real Palazzo , discorso molto nobile, più civile, che letterario, e di molto onore al Principe che lo ascoltava, e alla Città nella quale si pronun- ziava. Nel quale discorso leggiamo che l'Accademia, che allora si apriva era stata « adombrata dal signor Conte di Castro», e, già protetta e fa- vorita dal Principe Vicerè, faceva dire all’Oratore : « Nè in questa no- stra Accademia ho io temenza, che essendo alla protetta e favorita dal- l’Altezza Vostra, non siano per riuscire ingegni e soggetti tali, che a molti dei più famosi che nei secoli trascorsi fiorirono, saranno per ag- guagliarsi » : anzi faceva aggiungere un nobilissimo voto , quello della fondazione di una Università di studî, soggiungendo : « E se oltre le cose già dette vorrà Ella fondare uno Studio in questa Città, tanto du questi popoli desiderato, che accrescimenti all’ Accademia stessa ed al- l’Università saranno per cagionarsi !» Il Ventimiglia volea dare tutta la gloria della nuova Accademia, al Principe Filiberto di Savoja, e disse che il Conte di Castro solamente l’avea adombrata, cioè concepita. Ma gli Atti Senatorii del 1622 si conservano una provvista nella quale è detto che il Conte di Castro aveva già « fondata » I Accademia; tanto che nel 16 febbraio di quell’anno 1622 era proposto di edificare una casa per l’unione delli Accademici», ed era data facoltà al Senato « di potere spendere la somma di onze duecento cinquanta pro modo per potere dare principio alla fabrica della detta casa». E questa Ac- cademia è quella che si conosce col nome de’ dell’ Ingegni, della quale l’Auria dice, parlando del Conte di Castro, «rinnovò in Palermo 1’ Ac- cademia dei bell’Imgegni e letterati Palermitani, nell’anno 1621, ed a questa memoria si pose nel Palazzo del Pretore la scolpita iscrizione marmorea » (1). Ma se il Ventimiglia diceva innanzi al succeduto Vicerè Filiberto di Savoja, che il Conte di Castro avea « adombrata » quell’ Ac- cademia che allora pigliava il titolo di Aaccesi, si deve intendere per l’Ac- (1) V. Storia cit. dei Vicerè f. S3. Questa iscrizione non più esiste nella Sala delle lapidi, e non sappiamo dove si trovi. I: PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO cademia de’ bell’Ingegni e letterati Palermitani, rinnovata, come dice l’Auria, dal Conte di Castro, l’antica Accademia degli Accesi: senza di che il Ventimiglia non avrebbe detto che 1’ Accademia dei Riaccesi fu È (2) « Voi intanto, diceva il Parisi agli Accademici del Zon Gusto nel 1718, non iscegliendo fra queste facoltà (le materie degli studii dell’Accademia) se non il migliore, imiterete l’ingegno nobilissimo delle Api, Corpo di vostra Impresa, che assaggiando il più eletto di mille fiori, coll’istessa elezione l’approvano, e però ben vi conviene l'Epi- grafe Qbant et probant » f. 19. Il Mongitore avverte sul proposito dell’ Accademia del Buon Gusto: «Ha per corpo d’ Impresa un campo con varie piante, a' quali volan le api per raccogliere il mele, col motto 40bant et probant. » V. Disc. premesso alle 227me degli Ereini, p. V. E altrove nota, che Autore della Impresa dell’Accademia del Buon Gusto fu D. Ignazio Colletta, allora Canonico, poi della Compagnia di Gesù, il quale stampò un discorso col titolo : « Discorso sopra l'Impresa della Accademia Palermitana del Buon Gusto recitato a 17 dicembre 1721, stampato insieme co’ Statuti dell’Accademia in Napoli nel 1723 da Felice Mosca. » Aggiunge queste breve parole : « Professa (VAe- cademia) l’Esercizio della critica, a cui molti desiderano moderazione.» V. Lettera sul l'Accademia di Sicilia, nelv. ms. Qq, E, 32, f. 98, della Bibliot. Comunale di Palermo. 16 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO di Castro e della deliberazione del Consiglio Comunale e del Senato per la residenza dell’Accademia, prima che venisse in Palermo il Principe Filiberto di Savoia Vicerè, scrivendo recisamente : «nel 1622 rinacque la Accademia Palermitana degli Accesi, che pigliò il nome di /?iaccesi ». Ma prima di tutti, gli stessi Riaccesi dichiaravano in un Memoriale che è trai manoscritti della Biblioteca Comunale presentate ‘nel 1665 al Vi- cerè perchè permettesse al Senato di Palermo di concedere alla loro Accademia « un luogo proprio dove fare le sue adunanze » (1), essere gli stessi sotto nome di /giaccesi, degli antichi Accesi, adducendo la loro esi- stenza secolare, a cominciare dal 1568, e il merito della pubblicazione di più volumi a stampa, che erano i volumi appunto pubblicati dagli Accesi nel 1571, 72, 75. Si legge in quel memoriale : « L'Accademia dei Riaccesi di questa Città dice a V. E. che per lo spatio di cento anni si è sem- pre mantenuta con molto decoro, sì come attestano gli autori che seri- vono di Sicilia, e sì come meglio palesano le opere uscite da Lei, tra le quali sono le Rime dedicate al signor Marchese di Pescara, e al Duca di Terranova, allora Viceré : essendo sempre stata frequentata non solo dai migliori Ingegni, ma da tanti Cavalieri o Prelati; onorata talvolta dalla presenza dei signori Viceré , e del Senato , nel Palazzo Pretoriano del quale si è talvolta raunato » È ben chiaro che i Riace cesîi comparsi con questo nome nel 1622, non potevano dire nel 1665 di essersi mantenuti con molto decoro « per lo spatio di cento anni», se non ritenendosi continuatori degli Accesî del 1568, nè diversi dal- l'Accademia che già avea « adombrata » il Conte di Castro nell’ anno stesso della loro comparsa. i Erano passati 43 anni, da che il Consiglio del Comune aveva deli- berato la fabbrica di una casa per residenza dell’ Accademia, e asse- gnato la somma per la spesa. Ma nulla si era fatto e per questo pare che il Senato avesse permesso di radunarsi talvolta nel Palazzo Sena- torio; sicome è detto nel Memoriale di quell’anno 1665. I discorsi che i Riaccesi diedero alle stampe durante il secolo XVII si trovano notati nella Lblioteca Sicula del Mongitore, ma i più sono inediti o dispersi, e bisognerebbe ‘andarli raccogliendo dalle raccolte manoscritte delle nostre Biblioteche. Del solo Vincenzo Auria esistono due volumi manoscritti col titolo « Discorsi Accademici del Dottor Don Vincenzo Auria Gentil’ Uomo Palermitano, nell’ Accademia de’ signori (a) Riaccesi di Palermo detto l’Unito » (v. 2 Qg, O. 25, e 24); discorsi che (1) V. Documento V. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 17 furono recitati nello spazio di più di trent’ anni nell’ Accademia pre detta, pieni di molta dottrina, e sopra non leggieri argomenti letterari e critici. Non dirò delle poesie latine e toscane pubblicate per diverse occasioni dai Riaccesi dal 165353 sino al 1700, con Vultima stampa che conosciamo intitolata La Cetra dei Riaccesi di Palermo ete; fra le quali stampe la più importante sarebbe quella del 1658, cioè « Le scintille «della selce, saggio dell’Accademia dei Riaccesi di Palermo, cioè le Im- «prese degli Accademici ed aleune Poesie, con Oratione in lode di Santa « Rosalia, Vergine Palermitana »; e mi affretto alla mia conclusione sul- l'argomento assunto, con le parole che il Mongitore scriveva verso il 1714 (quattro anni prima che sorgesse l'Accademia detta del Buon Gusto) cioè : « Hujus Academiae (dei Riaccesi) fercor et ignis post nonnullos an- nos ertinctus est, at iterum veaccendi bonarum literarum amantissimi eroptant, Deoque auspice quamprimum ejus gloriam revivescere non de- sperant. » (Bibl. Sic. t. II). E veramente nel 1710 moriva l’ Auria, e pochissimi restavano dei Riaccesi degli ultimi anni del secolo prece- dente. Ma nel discorso inaugurale che leggeva il Parisi alla nuova Ac- cademia del 1718 istituita nell’ antico Palazzo del Principe di Santa Flavia, Don Pietro Filangeri, diceva di vedere rinnovato in quella no- bile adunanza «di tutte le altre e l’imprese e lo spirito », e la bella Ode che si recitava in quella occasione, cioè «per l'apertura dell’ Accade- mia del Buon Gusto» da uno degli Accademici, era intitolata : Oda alli Riaccesi: volendo significare che continuava nella nuova Accademia la precedente degli accesi, rinnovata con nuovo titolo, e con modifica- zione nello stemma o Impresa usata; nella quale, più volte rifatta, re- stavano le Api che dagli Anzmosi erano passate nella Impresa dei Riace cesì, e da questi passavano all'Accademia del Buon Gusto. Il poeta rav- visava negli Accademici radunati 180 anni or sono nel Palazzo del Principe di Santa Flavia, gli Accademici del Principe Vicerè Emma- nuele Filiberto di Savoja, e però cantava, rivolto agli adunati ; Nuovo valor, nuova virtù trasfuse Giove alla vostra mente : e quasi non fosse stata interrotta la secolare vita delle Accademie Pa- lermitane, soggiungeva : Lode a te dunque, dei bei studii madre, Palermo : e richiamando quelli stessi che tacevano, ma pur vivevano, li invitava, Al canto or Voi tornate, E Voi stessi lodate. (1) (1) V. il nostro Discorso sopra citato L'Accademia del Buon Gusto, ete. 18 PER IL CENTENARIO, DEL TRASFERIMENTO Erano innanzi alla sua fantasia quasi ritornati a’ loro studii i Riac- cesi del 1622; come nelle loro adunanze questi avevano visto e sentito lo spirito e l’alito stesso degli Accademici del Marchese di Pescara, gli Accesi del 1568 raccolti dal Conte di Castro, e come affidati al Principe Filiberto, sotto cui presero nuovo nome. Nello stesso anno che sorgea l'Accademia che pigliò nome dal Buon Gusto, nasceva altra Accademia detta dei Geniali, di cui faremo in altra occasione la storia; sorgeva dopo due anni, che viveva 1’ Accademia del Buon Gusto, lacosì detta Colonia Ore- tea degli Arcaidi di Roma, e nel 1730 si costituiva l'Accademia degli Ereini, sotto l’indirizzo e le cure indefesse del Mongitore. Ma nessuna di queste Accademie si credette e si disse erede dei Riaccesi, come nessuna di quelle del secolo innanzi fece risalire le sue origini agli Accesi. S Permettetemi, adunque, o Signori, che io con gli occhi della fantasia mi appresenti riuniti quì con noi a festeggiare questo giorno il Vicerè Marchese di Pescara co’ suoi Accesi, il Principe Filiberto di Savoja co? suoi /iaccesi, il Principe di Santa Flavia, Don Pietro Filangeri, coi pa- dri nostri Accademici del Buon Gusto, e li vegga stretti in unica famiglia, a decoro di questa dotta Città: lasciate che io possa in nome della” oggi Reale Accademia di Sienze, Lettere e Belle Arti di Palermo, sa- lutare Pietro Caggio, Leonardo Orlandini, Pietro Corsetto, Gaetano Cot- tone, primi. Presidenti delle Accademie sudette, come gloriosi Autori di tanta bella eredità che ci hanno tramandata, aspettando da noi che sia sempre degnamente conservata, felicemente accresciuta. Lasciate che auguri alla Città di Palermo che il suo illustre Magistrato Mumici- pale continui le tradizioni avite e l’antico favore agli studiosi e al no- stro Corpo Accademico, favore che, cominciato col Vega, col Marchese di Pescara, col Conte di Castro, col Principe Filiberto di Savoja , col Principe di Caramanico , continuato coi Pretori del secolo XVIII, siamo sicuri non ci verrà mai meno, e finora possiamo lodarcene, co’ Sindaci, con le (Giunte e co’ Consigli Comunali, che reggono e reggeranno le sorti di questa nobilissima Città. L'antico Genio e laromana Aquila di Palermo proteggeranno sempre il fwoco e il lambicco degli Accesi, e dei Riaccesi, l’industre e sapiente lavoro delle Api degli Animosi e del Buon Gusto; chè questa Città non dimenticherà mai che alla Corte di Re Gu- glielmo « qui conveniva d’ogni professione gente, come dice il Buti; quivi erano li buoni dicitori in rima d’ogni condizione; quivi erano li eccel- lentissimi cantatori; quivi erano persone d’ogni sollazzo che si può pen- sare virtudioso ed onesto». Non scorderà facilmente che «i Siciliani fur già i primi», e che alla Corte di Federico e di Manfredi, affollata Ti aisi DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 19 di dotti arabi, greci, latini, di poeti, di filosofi, di ambasciadori di Re e di Sultani, quel che di eccellente producevano pur gl’ Italiani usciva dalle Regie Aule di Palermo, si che poteva scrivere Dante, « tutto quello che i precessori nostri composero si chiama sSzezliano; il che ri- tenemo ancor noi, e i nostri posteri non lo potranno mutare » (De Vulg. Eloq. c. XII). Se questa Città non ha obbliato che dal suo porto usciva il navilio degli Ammiragli Margaritone e Giorgio alle imprese di Oriente, donde veniva carico di rari marmi, di oro, e di preziosi tessuti, ad ab- bellire questa allora bellissima e felice Metropoli del più potente Regno dei secoli XII e XIII; che il nome dei Re di Sicilia era temuto da Tri- poli e Tunisi al Marocco, e che Ruggero Re potè vantare di aver tri- butaria l'Africa, e usare in faccia agl’ Imperatori di Costantinopoli il ti- tolo di e d'Italia; se ancora ricorda qui in Palermo essersi celebrati i trionfi della guerra d’Africa e delle battaglie di Lepanto, da Carlo V Imperatore e da Don Giovanni d’Austria; non dimenticherà mai fra le mille sue glorie questa della sua principale Accademia durata per tre secoli, e fra le più antiche che vanti l’Italia. Che se la palma è il sim- bolo delle più eccelse glorie, io non posso meglio conchiudere i miei augurî a questa Città, che coi versi di un nostro poeta musulmano del secolo XIT: «0 Palme de’ due mari di Palermo! che vi rinfreschino continue, non interrotte mai, copiose rugiade ! » (1). V. Di Giovanni (1) V. AMARI, Storia de? Musulmani, vol. INI, p. 797. Firenze 1572. AR (DUE DOGO MASINERI irpef de DOC Dalle Rime della Accademia degli Accesi di Palermo etc. stampate in Palermo per G. Mattheo Mayda. MDLXNI. « IMustriss et Eccellentiss. Signor » «Non è già cosa nuova, e di maraviglia piena, quei frutti, che sogliono pro- durre gli Ingegni di virtuti amatori, solersi presentar, et didicar altrui, ma ben ci par cosa strana, e più del modo biasimevole, di quelli farne un presente a mani non meritevoli. Noi havendo insieme messo molti componimenti della lingua italiana siamo stati tutti di comune parer et voglia di offerirli et consa- crarli a.V. Ee. parendoci che sicome accesi dell’amor delle virtù habbiam fatto di noi questa poca esperienza, che fossero in Lei assai ben collocati et apogiati, la qual è tutta accesa dell’ amor di quelle, lasciando perciò da parte quel- l’altro merito, et è che V. Ec. sia nato del Sangue Illustre e chiaro d’Avalo, onor et splendor dell’ Italia, anzi di tutta la Cristianità. Si degnerà adunque accettar queste nostre Rime volentieri, sì perchè le sieno state da tutta 1’ Acca- demia di buon cuore presentate, come anco per esser quei primi frutti, che mai Accademia di questa Città o d’ altro luogo di Sicilia solessi presentare, onde Ella accettandoli con lieto volto, come tutti ci promettiamo , e cei dovemo pro- mettere dalla sua singolar bontà e cortesia, cagionerà in noi valor et effetto tal per lo avvenir, che la ci farà più atti et più pronti, a produrle frutti di mag- gior qualità e riputatione; e le bacciamo umilemente le mani. » Il Vicer® Marchese di Pescara concedeva licenza di stampare le composizioni dell’Accademia, con lettera « Magnificis Academicis Accademiae Accensorum Felicis Urbis Panormi », in data «ij Junii MDLXX »: e facevano revisione delle Rime raccolte per permettersene la pubblicazione , i dotti domenicani fra Gi- rolamo Fazello e fra Tomaso a Monaco, Consultori del S. Offizio. 22 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO DOGE Dal Vol. Ms. (Originale ) 2 ag D. 18 della Biblioteca Comunale di Palermo. CAPITOLI DELL'ACCADEMIA DEGLI ACCESI DI PALERMO Del modo di entrare Collui che vorra entrari facci una supp. sottoscritta di sua mano conti- nenti il desiderio che tiene d’entrare, Questa si legga per lo Cancelliero dinanti tutti gli Academici che saranno allhora presenti. E concorrendo di loro la maggior parte d’accettarsi, si pigli tempo otto giorni per pigliare l’informatione delle lettere, vita e costumi del supplicante. Et alla seguente coadunanza cia- scheduno, dirà il suo parere nel Bussolo con una palla, non palesando ne entro ne fuori, ne ad Academico ne ad altra sorte di gente il suo voto, ne quello del compagno scorgendolo, sotto pena d’esser abolito dalla Academia: e vincendo la maggior parte, entrerà. Avertendo che chi porterà la supplica sottoscritta d’altri che dal supplieante, o che farà prattiche o ritoglierà voci in favore 0 in disfavore d’alcun supplicante, sia suggietto a la sudetta pena. i Delle Persone che non debbiano accettarsi Chi haverà inimicizia con alcuno degl’ Academici non entrerà, e basti che questa inimicizia sia nota al Principe. Nemeno il maledico o il macchiato d’in- famia notabile. Nemmeno quelli che non saranno di ottima vita, e letterati o compositori nella Lingua Greca o Latina, o Toscana (1). Della entrata del Nuovo Academico Non debbia esser accettato il nuovo Academico nella Academia, ne sotto- seriversi nel numero degli Academici, che prima non gli siano letti li Capitoli per lo Cancelliero, et intesi e piacendoli, debbia confermarlo con parole e poi sot- toscriversi. Si guarderanno gli Academici di trattar cose in pregiudicio del compagno, ne meno cose malediche contra alcuno e tanto più contro Principi, Prelati o altri Officiali, preminenti. Verseranno in emendare i loro componimenti, in leg- gere lettionj di purgati autori, in fare Orationi o Discorsi, in guisa tale che non si vegna a trattar cose pertinenti alla Chiesa ne a governo di Stato par- (1) Qui seguiva: « Escludendo totalmente quei della sola favella Siciliana: » ma fu cancellato tirandovi sopra una linea collo stesso inchiostro usato nel testo. Le cancellature che si trovano nel ms. ci. fanno cre- dere che sia la prima bozza, che si dovette leggere in Accademia, quando si approvavano questì Capitoli. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 25) ticolare. Queste lettioni, Orationi e discorsi si registreranno, essendo del registro meritevoli. Due volte l'anno habbiano di mandare alle stampe opere loro. E chi mancherà (essendo però nella città e non essendo impedito di giusto impe- dimento) di dare in queste due volte continue in un anno aleume delle sue cose, Sia suggietto alla sudetta pena. Della (Creatione del Principe La ereatione del Principe sia ogni prima Domenica di Marzo e duri il suo governo un anno, il quale finito, per un altr’ anno sia Consigliero, et a con- correre un’ altra volta vacherà un altro anno. (Questo governo non si possa giamai confermare e collui che 71 proponesse incorreria nella sudetta pena (1). Del modo che se have a tenere in crear il Principe Si aduneranno gli Academici la p.* Domenica di Marzo ogn’ anno nel loco stabilito, et ivi di que’ la maggior parte venuti, il Principe che haverà di uscire pregherà tutti che lascino le passioni proprie e guardino all’ onore et all’ utile dell’Academia, e di poi farà leggere per lo Cancelliero il sudetto Cap.o e questo e l'altro che segue. E ciò fatto si leggeranno i nomi di tutti gli Academici , de quali si sceglieranno due ehe haverranno più palle nel SI. I nomi di questi duo scelti si seriveranno in due polisette, ciò è in una umo, nell’ altra 1’ altro; le quali polisette si mostreranno publicamente a tutti gli Academici, e poi involte si metteranno à sorte in una berretta e si faranno cavare da un putto: quello che uscirà sarà detto Principe. Così ancora si farà la ereazione del secondo Consigliero , e chi in queste creationi farà prattiche o procurerà favore per se o per altri, s'intenda incorso nella sudetta pena; così ancora chi darà la palla in favore a preghiere d’alcuno (2). Come il Principe debbia essere admesso alla possessione Il Principe uscito che resta Consigliero, creato che sarà il nuovo Principe pigli informatione della realtà di tal ereatione, et trovandola conforme ai Capitoli al primo aggiuntamento li dia il possesso. Ma ritrovando il contrario, si farà uscir fuora quel nuovo Principe et alla Academia mostrerà l'errore commesso. Il che affermandosi, il Principe eletto perderà il Principato e sarà casso. Però questa informatione ha di costare a tutti gli Academici che non saranno sospetti (3). Nella creatione del nuovo Principe si faccia o lettione o Oratione 0 Discorso. Non si facci Cap.° ne cosa alcuna concernente alla Accademia che non siano (1) Tutta questa rubrica è segnata da due linee per traverso. (2) Anche sopra tutta questa rubrica è tirata una linea traversale. (3) Questa rubrica è fin a questo punto pur traversata da una linea. 24 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO almeno cinque Academici, e coneorrendo il detto numero possino accomodare quello che gli parerà. (1) Quello che si havirà trattato nell’ Academia, uscito che sarà 1’ Aeademico fuori nò 1’ habbia a palesare ad huomo vivente, ne anco al proprio Academico che quel giorno non vi fosse intervenuto, sotto la sudetta pena, e basti ehe di ciò vi sia la relatione di due Academici non sospetti. Sia l’aggiuntamento degli Academici il giorno della Domenica, e non si man- cherà in quello giamai senza legitima escusatione, avertendo a ciasecheduno che mancando per tre aggiuntamenti continui non si facendo escusa alcuna, sia casso, et escusandosi sia admesso. L'ordine del sedere Nel sedere il Principe il primo, il Consigliero che fu già Principe passato tenga il secondo loco, l’altro Consigliero il terzo, e di mano in mano gli altri Academici secondo l’anzianità loro. E leggendosi e venendo alcuno ad intendere che fosse d’altra Academia, se ci dia il loco appresso il Principe e Consiglieri, e se li facci honore, et avvertisca quello farlo intendere innanti perche si possa ricevere più honoratamente. Avertendo che se entrasse Academico alcun Signore di titolo quello preceda tutti gli altri Academici nel seder publico appresso al Principe e Consiglieri. Et ben vero che nel collocar l’impresa ogni Academico la porrà nel suo loco non avendo riguardo a persona aleuna. (2) a Il Principe ne altro Academico non debba dare ne offerire ne dedicare l’opera dell’ Academia senza il consentimento del corpo della Academia, sotto la pena di esser privato del principato e del numero degli Academici; e dedicate che saranno le opere non si possano spargere innanzi di haversi presentato alla persona dedicata (:). É (4) Non potrà entrare Academico chi non giunga alla età d’anni ventidue, e di questa età ne porterà informatione con fede. (1) Pare che manchi il titolo della rubrica. (2) Pare che anche qui manchi il titolo della rubrica, cha avrebbe dovuto essere delle opere e delle compa- sizioni dell'Accademia e degli accademici. (3) Quest'articolo è scritto sopra la prima redaziona così espressa: « Il Principe non debba dedicare o presentare opera senza il consentimento del corpo della Academia, sotto la pena sopradetta. » (4) Questa breve rubrica apparterrebbe per le due prime righe illa 2° e 3° rubrica, in principio di questi Capitoli; per il resto alla rubrica, che si ha pur senza titolo, delle opere e delle composizioni dell'Accademia e degli Accademici. . “i DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 25 Volendo qualsivoglia Academico componere qualsivoglia compositione sua particolare sotto nome di Academico, debbia quella opera portare in Academia e sottometterla al giudizio di essa, altrimenti sia casso dal numero degli Aca- demici. (1) Della possessione de’ libri dell’Academia Putti i libri pertinenti all'Accademia debbiano stare in potere del Cancelliere e da lui se ne debbia havere particolar cura durante il suo officio fino alla nova creazione del novo Principe e novo Caneelliero, al quale il veechio celi conse- gnerà, e così succederà di mano in mano in ogni nova creazione. E di questa consignazione se ne farà far cautela. Nella morte di alcun Academico il terzo giorno della sua sepoltura si aggiun- teranno gli Academici di mattina, e faranno cantare una messa di morti, la quale finita si leverd uno Academico a chi dal Principe sarà imposto, et in lode di quel morto reciterà una Oratione funebre. DOC. III. Dall’ Archivio Comunale di Palermo, e dal volume CONSIGLI CIVICI, anno 1611-1630, f. 188 e seguenti Die 16 febr. V indict 1622 Congregato Consilio per Ilustrem Senatum hujus felicis urbis Panormi absente spectabile de Bononia jurato, in Palacio ipsius urbis in numero copioso, fuit per Ilustr. Dom. Jeronimun de Diana et Septimo Praetorem praepositum per modum ut infra, videlicet: Avendosi con l'autorità et favore della Ex.* del signor Conte di Castro nostro Vicerre fundata laccademia delle belle lettere in questa città la quale con le altre grandezze che tiene resplendirà la sua fama per tutto il mondo et conve- nendo si abbia di edificare una casa per |’ unione delli accademici si pregano alli SS. Ill. acciò vogliano restar contenti di darle aleuno agiuto per potersi dare principio a sì honorata Impresa. Essendo | accademia delle belle lettere una opera cossi grande veramente fandata in questa città di ordine e con l’autorità della Ex.* del signor Conte (1) Quest'articolo è del carattere stesso della correzione e delle giunte fatte al precedente. 26 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO di Castro nostro Vicerre che contanto animo l’ha fundata In questa città così come dalli SS. Il. vien preposto. Son di parere l’Ill. Senato habbia potesta di potere spendere la somma di onze duicento cinquanta promodo per poter dare principio alla fabrica della detta casa’ di così grande et famosa: accademia di belle lettere, et questo è il mio parere rimettendomi a questi mici SS. et hono- rati citatini. i (seguono le firme ) Eodem Fuit conclusum votatum et determinatum per omnes de supradieto consilio Juxta votum et parere datum per supradietum Don Vincentium La Rosa Synda- cum et Procuratorem generalem hujus felicis urbis Panormi. Unde cte. DOC, IV. Dal Vol. Ms. Qa. F. 34-35 n. 6 della Bibl. Comunale di Palermo CAPITOLI DELL'ACCADEMIA DE’ sIG. RIACCESI DI PaL. aperta nel 1622 in Palazzo, e riaperta nel Conv. di S. Pranc. nel 1653, essendo Principe di essa VII. sig. D. Gregorio Castelli, Conte di S. Carlo; Primo assistente il sig. Abb. D. Carlo Napoli, secondo Assistente il signor D. Orazio Alimena. PROEMIO . Avvenga che per favore e buona volontà di questi Signori Principe ed As- sistenti, ed affetto di tutti gli Accademici, à ritornato a ripigliarsi la mostra Accademia, acciò che in essa non occorra qualche inconveniente, sì come suole avvenire in tutte quelle cose , nelle quali non v'è ordine, s'ha deliberato for- mare, e pubblicare i presenti Capitoli, affinchè colla loro osservanza non avvenga . cosa, che possa attraversare, nel proseguire un’impresa così lodevole, e di gran pregio alla Patria nostra, la quale sì come ne gli antichi tempi non traviò mai dal dritto sentiero della virtù, così al presente si mostra sempre attissima nelle buone e virtuose azzioni. Dell’elettione degl’ ufficiali Capo I. Primieramente s’ha stabilito, che nel primo giorno d’aggiuntamento nel prin- cipio di febbraro si debba creare il Principe cogl’altri Ufficiali, ciò è due assi- stenti, secretario, e censori, e quest'ultimi saranno due, o più, secondo parerà più opportuno per facilitare la censura. DELLA ACCADEMIA DEI BUON GUSTO ZI Il tempo di tutti l’ufticiali sarà d’ un anno, ed il Principe potrà essere con- firmato col voto di tutti gli accademici, ma gli ufficiali vacheranno per un anno, e potranno essere confermati dagli accademici. Dell'ufficio ed Autorità del Principe CAPO 2. Il primo e miglior luogo nell'Accademia sarà del Principe; egli ha Autorità di far cancellare quell’ Accademico, che contraverrà ai Capitoli, col voto degli assistenti; ma prima prometterà in mano del secretario l’osservanza di essi Ca- pitoli facendoli leggere una volta ogni due mesi. Tiene anche autorità d'aver due voci in tutte l’occorrenze: averà cura insieme con tutti gli assistenti di far intimare dal secretario tutte le materie che vorrà o in discorso, o in lezione, o altra sorte di composizione in prosa, per l’aggiuntamento. Delle quali materie ve ne sono le seguenti, che sono prefisse, e stabilite, cioè Vl orazione funerale nella morte degl’accademici, che sono ufficiali, o altra persona segnalata, ii Panegirico nelle feste de’ nostri santi, e sante Palermitane ; l’orazione funebre nell’essequie del nostro Redentore, la quale si potrà recitare in un giorno della . Settimana santa, che parerà più commodo. Avvertendo, che il discorso, ò let- tione, si potrà fare in lingua latina, italiana, o spagnuola, e che quando gli parerà potrà fare avvisare dal secretario un accademico a discorrere sopra un problema e fare assignare due ò trè degli Accademici alla risposta di esso pro- blema, col voto ancora d’ essi assistenti: la quale risposta la potranno fare in breve discorsetto, ò pure in qualche composizione in verso. Dell’Ufficio degli Assistenti CAPO 3. Gli assistenti, sì come si fà chiaro dal nome istesso, hanno il secondo luogo col Principe e devono assistere con lui in determinare, e provedere le cose del- l'Accademia, stabilendosi, che essi anno due voci, come il Principe. Giureranno in mano del secretario l'osservanza de’ nostri Capitoli. Non trovandosi il Prin- cipe nell'Accademia, farà l'ufficio in sua vece 1’ Assistente di man destra; ed in sua assenza quello di man sinistra, e se non vi sarà il Principe ne alcuno degl’Assisienti, si potrà differire l’aggiuntamento. Dell'Ufficio del Sceretario CAPO 4. Il secretario tenerà un libro de’ presenti capitoli, un Bollo degl’ Accademici, 28 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO un altro dove si noterà il ricevimento e l’entrata degl’Accademici, le loro can- cellattioni, e le ereationi di tutti gli ufficiali dell’ Accademia, ed in oltre due altri libri, in uno dei quali registrerà 1’ imprese, e nell’ altro i componimenti degl’Accademici, che saranno revisti da censori, così in prosa, come in verso; doverà ancora publicare la materia, della quale s’avrà da trattare nell’aggiun- tamente da venire, prima stabilita col Principe , et Assistenti; e per fine egli conserverà tutte le compositioni degli Accademici così in prosa, come in verso, le quali a lui saranno portate doppo d’essersi recitate, acciò che poi se ne faccia la scelta per mandarsi alle stampe : il che si farà coll’ intervento del Principe, e degli Assistenti, di esso Seeretario, e de’ Censori. Dell’ Ufficio de Censori Capo 5. I Censori rivederanno e correggeranno tutte le sorti de? componimenti , che a questo effetto saranno dati dagl’ Accademici, e sottoserivendoli col proprio nome li restituiranno a coloro che gli l’averanno dato, e questo s’intenda .per le stampe, e per quelle giornate, che parerà ai signori superiori. Dell’Aggiuntamento dell’Accademia Capo 6. Il giorno prefisso dell’Accademia sarà il Mercoledì, rimettendo al Principe ed agl’Assistenti di trasferirlo, se verrà occasione di far 1’ aggiuntamento in altra giornata, per qualche particolar sollennità. S'ineomincerà l'accademia ad ore 22: gl’accademici sederanno in giro per ordine della Cattedra, acciò che possano dir commodamente , e che siano intesi da tutti. Nessuno leggerà compositione a nome d’ altri, senza licenza de’ superiori. Che si facciano componimenti circa la materia del discorso per ogni aggiuntamento; Che nel recitare componimenti in lode di alcuno, non si possa fare, senza aversi fatto prima vedere ai Cen- sori, ai quali rimettiamo di non far dire più di tre, o quattro simili composi- zioni. Che nessuno possa dir componimenti a memoria, perchè scordandosi si dà materia di riso. Nessuno reciterà cosa troppo oscena, nè in biasimo d'altri, ne lodar persona infame, nè vituperar uomo conosciuto in nessuna maniera. Non si potranno leggere compositioni siciliane, se prima non si dirà qualche cosa in lingua italiana, o latina, riserbando al Principe di permettere che qualche persona a lui benvista possa recitare solamente poesie siciliane. Che nel recitar Componimenti. alquanto lunghi si rimetterà a quel, ehe parerà ai Censori, i quali giudicheranno, se si possa dir simile cosa, secondo la brevità, o lunghezza del tempo. Che non si possa disputare nell’ Accademia cose della santa fede, ne meno di quelle di Stato. Finalmente il corpo dell'accademia si ha determi- DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 29 nato che non s'intenda esser fatto, se non vi saranno venti Accademici, e che na- scendo controversia trà gl’ Accademici , colui che non vorrà quietarsi alla de- cisione fatta dal Principe, ed Assistente, potrà essere cancellato. Del modo di rvicerversi nuovi Accademici e delle loro conditioni Capo T. Si ha stabilito, che quello, che vorrà esser aggiunto al numero degl’ Acca- demici debba supplicare al Principe, ed in assenza di esso, gli Assistenti, quali commetteranno ciò a due Accademici, nell’informarsi dell’ abiltà del supplicante, ed essendo degno sarà proposto nell'Accademia, e se vi concorrerà la maggior dell’Accademici,,sarà rieevuto, e nel seguente aggiuntamento potrà far l’entrata, promettendo in mano del secretario l'osservanza dei presenti Capitoli. Della precedenza degl’Accademici e delle loro imprese Capo S. S'osserverà, che il primo luogo nell'Accademia, come s'è detto sia del Prin- cipe, il secondo del primo Assistente, il terzo del secondo Assistente ed il quarto del Secretario. Tra gl’ altri non vi sarà luogo di precedenza, ma sederà cia- scuno come vorrà, avvertendo a tutti di aver riguardo agli Accademici antichi d’età grave, e di letteratura. Si determina similmente, che tutti gl’Accademici abbiano a fare la loro impresa ed imporsi al loro nome. Della lettura dei Capitoli Capo 9. Finalmente s’ ha stabilito che i Capitoli si debbono leggere una volta ogni due mesi. Che ogni Principe cogl’ Assistenti debba promettere in mano del se- cretario la di loro osservanza come s'è detto di sopra, e che ogni anno si po- tranno riformare con aggiungervi, dè levarvi, secondo sarà di bisogno, e parerà opportuno, acciò che sempre l'Accademia sia guidata colle dovute osservanze. Ss 5 PER IL CENTENARIO DEL: TRASFERIMENTO DOC Dal Vol. Ms. Qa. E, 16 (n. LIV) della Bibl. Comunale di Palermo di mano di D. Giacinto M. Fortunio. : Ill.mo Senato IU. et Ecc.mo Nig.'e «L’Academia dei Raccesi di questa Città dice a V. E. che per lo: spatio di cento anni si è sempre mantenuta con molto decoro, si come attestano gli Au- tori che scrivono. di Sicilia, e si come meglio palesano le opere: uscite da lei, tra le quali sono le rime dedicate alli Sig. Marchese di Pescara e Duca di Terranova allora Vicerrè, essendo sempre stata frequentata non solo da migliori Imgegni, ma da tanti Cavalieri e Prelati, honorata talvolta dalla presenza de? sig. Vicerè, e del Senato, nel Palazzo Pretoriano del quale si è talvolta raunato. « Ma perchè non ha mai potuto haver luogo proprio, dove far le sue Adunanze, mendicandolo da case di Religiosi e simili, stando perciò soggetta a molti in- convenienti, si è talvolta interrotto il corso di sì honorevole esercizio. E perchè Ecc. Sig., non vi è cosa che maggiormente nobiliti la città quanto le lettere, supplica per tale V. E. voglia restar servita per via del Trib. del Regio Pa- trinonio dispensare che I'Ill.mo Senato di questa Città possa spendere quel che sarà bisogno per concedere un luogo perpetuo ad essa Accademia (come sarebbe a proposito nelli Magazzeni a faccia la Casa di Platamone, quali sono stati e sono al presente vacanti ) (1), sì come ha fatto perl’ Academia dei Medici, che tutto ricevirà a grat. ut Altis.» Questa Domanda è la originale, e porta per titolo all’esterno nel mezzo: Mem.le dell’Academia de’ Raccesi di questa Città‘ « con la provvista» D. Che IIll.mo Senato di questa città possa spendere quello che sarà bisogno per concedere un «luogo perpetuo ad essa Academia. » Ì Merendino. » (nella piegatura di lato nella parte superiore : Pan. die 10 Aug. 1665 Ill.m Senatus Informet. R.° pr.tte de Ca- nello, 97. nella parte inferiore : Reg." Caf. 7 ff. 282). (1) Queste parole chiuse in parentesi sono aggiunte nel margine del Memoriale, ma dello stesso carat- tere che si erede di Giacinto M. Fortunio, SU LA ORIGINE, LE VICENDE E IL RINNOVAMENTO DELLA ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI se ——- Come nel secolo passato al 1749 l'Accademia dei Fisiojatrici celebrò il centenario del suo rinnovamento alla presenza del Senato, così la R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti, già Accademia del Buon Gusto, festeggia oggi il centenario non della sua prima fondazione, ma cdel suo rinascimento ch’ebbe luogo nel 1791, quando il Senato le con- cedette degna sede nel Palazzo Comunale (1). L'Accademia Medica sorta nel secolo XVII, e quella del Buon Gusto nel XVII, sono durate assai più a lungo che le altre molte nate e fi- nite dopo più o men breve esistenza, e luna e Valtra, dopo varie vi- cende, si rifanno così : Come piante novelle Rinnovellate di novella fronda. A questa festa solenne sono intervenuti, oltre un eletto uditorio, il Prefetto della Provincia, rappresentante anche, per speciale delegazione, il Ministro della Pubblica Istruzione, il Sindaco e la Giunta, ai quali tutti rendiamo le più vive grazie, perchè la loro presenza dimostra in quanta considerazione essi tengano gli alti studî e le adunanze scien- tifiche. Indizio di civiltà e di cultura sono infatti le adunanze dei letterati e degli scienziati che intendono promuovere il progresso delle lettere (1) V. Appendice N. I. Iscrizione dettata dal chiarissimo professore Can. Giuseppe Montalbano per ricordare il centenario del trasferimenso dell’Accademia nella Casa Co- munale. c ZONA PER IL CENPENARIO DEL TRASFERIMENTO e delle scienze, facendo convergere ad unico scopo gli studî e le fati- che loro. La Sicilia in ogni età ha avuto Accademie incominciando dal secolo di Federico II che nel suo Reale Palazzo adunava il fiore dei poeti, e vi si poetava nella favella che prima in Palermo, poi in Bologna ed infine in Firenze ebbe origine, ingentilimento e stabilità di forma. Nei secoli XVI e XVII: parecchie ne fiorirono in Palermo fra le quali son degne di speciale ricordo quella degli Accesi (1568) e l’altra dei Riaccesi (1622) che tornò in vita la prima e durò fin quasi al finire di quel secolo. Nella seconda decade del XVIII, spente pressocchè tutte le Accade- mie di Palermo, come notava Domenico Schiavo, « parve conveniente «una nuova promuoverne che valuta fosse a svegliare dalla loro pi- « grizia gl’ingegni per altro acuti e fecondi dei nostri nazionali, e a « Migliorare insieme e ad accrescere lo splendore. delle belle arti, della « erudizione si sacra come profana, delle scienze più sublimi e più . « nobili, inselvatichite per così dire e tralignate in gran parte » (1). Se si guarda nella storia letteraria di un popolo, si vedono sorgere adunanze letterarie, or con uno or con altro indirizzo, e in tutte alitare il medesimo spirito che è quello della coltura e del progresso delle let- tere o delle scienze, e in questo spirito tutte si congiungono e s’iden- tificano. La nuova Accademia del secolo XVIII, (2) sorta circa 30 anni dallo spegnersi di quella dei Riaccesi, parve col suo largo programma in sè rinnovare di tutte le precedenti le imprese e lo spirito, come di- ceva nel 1719 Vincenzo Parisi (3). Promotori ne furono il dotto Girolamo Settimo Marchese di Giar- ratana ed il diplomatico G. B. Caruso (4). (1) Domenico ScHTAVO, Saggio sopra la Storta Letteraria e le antiche Accademie della Città di Palermo e specialmente dell’ origine Istituto e progressi dell'Accademia del Buon Gusto, nel vol. I dei Saggi di Dissertazioni dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto, Palermo, 1759, presso P. Bentivegna. (2) Vedi appendice N. II. Elenco delle opere e degli opuscoli in cui si ragiona del- l'Accademia del Buon Gusto che fu poi Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti. (9) Parisi Vincenzo, Discorso, ossia Ricerca delle Accademie Palermitane, 1719. (4) Ricordiamo qui i nomi dei fondatori dell’Accademia, che furono: l'Abate G. B. Ca- ruso, Don Antonio Ventimiglia Conte di Prades, Don Girolamo Settimo Marchese di Giarratana, l’Abate Don Giuseppe Gioeni, Don Fortunio Ventimiglia Valguarnera, Abate Don Francesco Cizza, Abate Don Giuseppe dei Marchesi di Lungarini, Don Simone Ca- talano, Barone Don Andrea Noto, l'Abate Don Giovanni Traceuzzi, Don Emanuele Ba- rone Astorga, Don Francesco dei Baroni di Niureni, Don Giuseppe Filangeri, il Mar- chese Antella e Don Nicolò Lopresti. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 353 La nuova Accademia vagheggiata in casa di Pietro Filangeri Prin- cipe di S. Flavia, presso cui i dotti di quel tempo trovarono onesto ricetto, venne tosto costituita e ordinata, ed il Filangeri mecenate e principe ne fu acclamato; onore che più tardi egli volle si concedesse ad altri ragguardevoli personaggi. Il suo palazzo fu la sede in cui il sodalizio si convocò per oltre 14 lustri. Vizioso e scorretto, in quel tempo, era in Italia ed in Sicilia, il gu- sto nelle lettere. Richiedevasi una riforma, una propaganda di sane dottrine. Onde è che Ludovico Muratori, fra le molte sue opere, pubblicò due trattati: Sul Buon Gusto, Sulla perfetta poesia, nei quali con istile dimesso porge tanto tesoro di dottrina da sbaldanzire qua- lunque degli odierni cultori di estetica. L'Accademia Palermitana, mirando a dare migliore e più sano indi- rizzo alle lettere, s’intitolò dal Buon Gusto. Le prime leggi di essa furono edite in Napoli a 10 febbraro 1722. Triplice n’ era lo scopo : 1° la erudizione sacra e profana, lo studio delle antichità, delle medaglie, dei costumi, dei riti, e la critica dei buoni autori; 2° lo studio della vera eloquenza così sacra come pro- fana , così in prosa come in verso ; 3° la buona filosofia , cioè a dire l’arte det buon pensare, o sia la logica, la morale, la metafisica , la matematica, fisica sperimentale e le sue parti, chimica, anatomia e sto- ria naturale. Il campo che dischiudeasi ai socî era vasto; scienze naturali, scienze filosofiche , letteratura. La poesia non ne era bandita, ma si voleva quella che in eletto stile sapesse dare maturi e filosofici frutti. Libertà nella scelta dei temi: libertà di seguire in filosofia qual si- stema meglio piacesse. Dovea farsi un discorso sacro il lunedi santo, altro giocoso nell'ultimo lunedì di carnevale , e qualche orazione fu- nebre in morte d’illustri Accademici. L'Accademia reggevasi da un principe, da un direttore, un segre- tario e sei censori che costituivano la Giunta. i Oltre il principe, un protettore dovea promuovere i vantaggi degli Accademici, e colla sua autorità difender questi presso i magistrati. Il principe sceglievasi sopra una terna, e durava un anno. Il di- rettore occupava il secondo luogo, designava gli argomenti da discu- tersi: soprintendeva agli affari letterarii, firmava gli atti e le lettere. Il segretario e i censori eletti dal principe, stavano in carica due anni, come il direttore. La prima impresa ch'ebbe la nostra Accademia fu una frotta d'api che vaga sui fiori e ne liba il meglio col motto « Libart et probart. » b) DÎ PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO Le ragioni, onde i socî furono indotti a prendere quella impresa, le udirete dalle parole dell’ Abbate Colletta che lesse all’ Accademia intorno a questo argomento, un discorso scritto in bella forma, se ne togli qualche raro accenno al seicento. } « Fu risoluto, dopo un lungo esame, dipingere una frotta d’api in atto « di volare ai fiori per estrarne i sughi più saporiti insieme e più utili A <« a farsene un purissimo mele. E perchè il solo andar elleno dalle piante < fiorite, non può compiutamente esprimere il disegno di volerne suc- chiare il meglio, perciò si è aggiunto (come una forma a specificar la materia) quel motto « Libant et probant » . Impresa senza fallo bellissima, « per adombrare la finezza di quel Buon Gusto che è il carattere di « questa novella Accademia. «Ben accomodata è adunque universalmente la metafora del Buon « Gusto al buon giudizio, e tanto è da lungi il più contrastarla che anzi «in più provincie del mondo, oggi è passata in una locuzione naturale. « E compiuta soddisfazione già ne han data parecchi uomini giudiziosi < e più che tutti i due gran saggi dell’età nostra, Bernardo Trevisano (1) «e Ludovico Muratori. Così adunque convenevolmente han fatto i più A À CS «saggi di cotesta adunanza che hanno rassomigliato il loro buon giu- « dizio al gusto delicatissimo delle Api e si sono intitolati Accademia « del Buon Gusto» (2). Le api furon dunque tolte ad impresa perchè esse raccolgono i succhi più dolci, e a specificare meglio la materia vollesi aggiungere il motto Libant et probant, simboleggiando così il fine gusto che l'Accademia in- tendeva seguire e diffondere. Le api ebbero già a loro stemma gli Animosi (3) che si riannodarono ai Riaccesi, dai quali si erano da pochi anni distaccati, ma per essi le api rappresentavano l’obbietto della loro associazione e del loro titolo, e però vi aggiunsero il verso virgiliano; Ingentes animos angusto in pectore versant (4) che l’Amici elegantemente volse in italiano e grande animo ferve nei picciol petti. (1) Vedi Appendice N. III. Bernardo Trevisano. (2) Discorso sopra l’impresa dell’Accademia del Buon Gusto. Napoli, 1722. (3) Nel 1642 il nobile Giuseppe del Voglio fondava sotto gli auspicî del Senato IAc- cademia degli Animosi. i (4) Georgica, IV, v. 83. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 575) Le adunanze ebbero cominciamento a 1° agosto 1718, e le prime dis sertazioni versarono ad illustrare quei punti proposti dal Muratori nel secondo libro del suo Zon (Gusto, indi gli Accademici si occuparono di ogni scienza ed arte. L'Accademia venne tosto in fama tanto in Sicilia che fuori, e V'es- servi ascritto fu reputato singolare onore. Il celebre Muratori ne volle esser socio. Il Senato invitava I Accademia a scrivere le iscrizioni da scolpirsi sulle porte della città come allora si usava. Ad un socio di essa fu dato incarico di descrivere le storie dei nostri primi monarchi e i disegni dlelle antiche palermitane medaglie per la superba galleria del palazzo reale. AIL’Accademia, come oracolo di sapienza, si rivolgevano le altre città del regno e la stessa città di Messina, per illustrarsi da lei i punti più intricati della storia siciliana. Dichiaratosi nel 1732 S. Tommaso protettore del Sodalizio, i pa- dri di S. Cita ottennero che una solenne adunanza in onore del sommo filosofo e teologo si tenesse ogni anno nella loro Chiesa. L'Accademia del Buon Gusto fu in quei tempi 1 arena in cui si esercitavano e si affinavano gl’ingegni, e divenne pei giovani un cam- po di cognizioni e di scienza. Vantò difatti fra i suoi i più dotti ed illustri personaggi così stranieri che nazionali, discusse ed agitò le quistioni di maggiore importanza per. la nostra storia. Sull’esempio della nostra sorsero in Sicilia altre Accademie che co- lonie di essa vennero appellate (1). A mezzo il secolo fu chiamato a reggere 1’ Accademia Domenico Schiavo, uno dei più insigni letterati di quel tempo, che fu gagliardo di mente, come operosissimo nel promuovere gli studî fra noi. Diè forte impulso ai lavori dei socî con l'esempio e l'autorità sua; per ri- muovere alcuni abusi corresse lo Statuto (2). Stabili biennale l'ufficio del principe, otto censori, un prosegretario, uno storico dell’Accademia. Mentre dopo il 1750 i reggitori del Sodalizio avevano obbligato gli Accademici a discorrere per lo meno otto volte l’anno sui punti più dubbi della storia di Sicilia, egli desiderando che la storia si scrivesse con sana eritica e con lo studio dei documenti, restrinse a sei i discorsi di (1) In Aleamo (1756), Gangi (1756), Castelbuono (1756), Milazzo (1757), Marsala (1777). (2) V. Doxexico Scniavo, Dissertazione sopra la necessità è i vantaggi delle leggi Accadeniche nei Saggi di Dissertazioni dell'Accademia Palermitana del Buon Gusto. 56 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO argomento siciliano con alternativa di altri su storia, lettere e filosofia, oltre quello in lode di San Tommaso di Aquino. I discorsi sì scrivevano in italiano , come già si era praticato sin dall’origine, potendosene recitare due soltanto in latino. Ciò che meglio giovò a far conoscere e apprezzare l’importanza e l'utilità della fiorente Accademia, fu il 1° volume dei Saggi di disserta- zioni Accademiche edito nel 1755 e intitolato al Principe di S. Flavia. Esso conteneva lavori eruditi dello Schiavo , di Salvatore Di Blasi, Nicolò Gervasi, Gaetano Barbaraci, Agostino Tetamo, Giuseppe Santa Croce, i quali trattavano di argomenti siciliani: Sulle antiche Accademie — Sulle leggi dei Siciliani-—Sulle Università di Sicilia—Sulla utilità della storia na- turale e specie della Siciliana—Sopra vasi figurati e sopra tazze Suggellate. Dal seno dell’Accademia del Buon Gusto sorgevano altre minori e qualcuna levossi emula di lei: furono quella dei Geniali, la Colonia Ore- tea d’Arcadia, quella dei Rassodati, degli Argonauti, dei Pastori Breini, dei Pescatori Oretei, ma non riuscivano ad ecclissare la fama della prima. Interrottasi però la incominciata pubblicazione dei Saggi di dis- sertazioni, venne fuori nel 1758 la colossale raccolta di opuscoli di au- tori siciliani che Salvatore Di Blasi condusse e sostenne per ben 20 anni, della quale usci in 20 volumi una prima serie, 1758-1778, e ri- pigliatasene dopo dieci anni la pubblicazione, una seconda serie ne fu continuata fino al 1797. ; In questo periodo, nel 1776, l'Accademia mutò la sua impresa , s0- stituendo alla frotta di api svolazzanti su’ fiori, 1’ aquila palermitana con la lingua in fuori, ed un nastro che la ricinge con la leggenda : S. P.3Q. P. Urbs foelix corona regis et regni caput; intrecciato ai piedi un altro nastro col verso oraziano : Intaminatis fulget honoribus. Sotto laquila l’immagine del vecchio Palermo, con lo scettro alla sinistra e il serpente alla destra, entro la conca d’oro. La quale impresa, a differenza della prima che significava il Buon Gusto, voleva indicare che 1’ Accademia era palermitana. sotto il mo- dulo del diploma veggonsi due medaglioni; quello a destra rappresenta Vespasiano arrigante ai soldati col motto « Adlocutio » ; quello a sini- stra Diadumeno con intorno le parole: « P’rénceps iuventutis. > . Vespasiano che, come scrive Svetonio; » 22 aprile. Giuseppe Scibona : Estratto dai libri VII, VII e IX del Signor Nicolò Cacciatore in continuazione alla grande opera del P. Piazzi: Della R. Specola di Palermo. » . 22 luglio. Stefamo Alcozer: Sulla coltivazione del Ficodindia. 1828 12 agosto. Andrea Candiloro : Sullo intrinseco rapporto delle scienze (1) Poesie Siciliane edite e inedite di Ignazio Scimonelli. Palermo, Utticio tipografico di Gaudiano, 1877, p. 33. Sid (0 0) 1829 — > 8 » ri > 22 1829 6 1831 (1 » 6 » 10 » 5) dl, 29 1826 5 1827 7 ) 11 » D » 4 1828 6 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO gennaro. febbraro. giugno. settembre. dicembre. ) 9 gennaro. » marzo. » aprile. giugno. settembre. novembre. gennaro. Marzo. giugno. agosto. novembre. gennaro. naturali coi vari rami delle altre conoscenze umane, e spe- cialmente con le necessarie e utili alla floridezza degli studii. Filippo Foderà : Discorso sulla Cristallografia. Lo stesso : Continuazione del precedente Discorso. Antonino Furitano : Discorso sui vini, loro differenze e modo di conoscerne le alterazioni. Pr. Benedetto Denti Cassinese : Discorso critico - storico sopra i palloni aerostatici, e loro vantaggi e la impossi- bilità di dirigerli secondo le attuali leggi della fisica. Giuseppe Palazzolo: Sulla generazione e sua organizzazione. Filippo Foderà: Sopra alcune osservazioni mineralogiche. Gioachino Santoro Cremona: Sulla migliorata esportazione commerciale del tartrato di potassia di Sicilia. Luigi Martina: Discorso riguardante il sole e della sua luce. Imnocenzo Cacciatore : Sulla oscillazione atmosferica dei 9 e 10 gennaro 1831. Giov. Schirò : Memoria sopra l’ isola di Lipari e isole adiacenti. Nicola Cacciatore : Alcune nuove osservazioni su le rifra- zioni astronomiche. Giovanni Schirò. Seconda parte della sua memoria sopra Lipari. Salvatore Candiloro : Su di un mostro umano che fu re- cato in Accademia. II. CLASSE : Legislazione Filippo Foderà : Prospetto di un corso di Scienze morali e filosofia morale. Idem : Continuazione del Prospetto. Francesco Sampolo : Sulle censure ecclesiastiche. Ignazio Sanfilippo : Discorso sul debito pubblico. Gaspare Parlatore : Sulle facoltà necessarie al buon eser- cizio dell’ avvocheria sotto le leggi veglianti. Filippo Foderà : Sulla necessità di stabilirsi i Collegi Me- dico-legali. Ignazio De Contreras : Sul diritto degli uomini sugli animali. (1) Non mi è riescito di avere notizia dei lavori letti nell anno 183). » 20 » 21 » 26 24 10 21 Do 1826 19 00) ottobre, dicembre. Marzo. giugno. settembre. giugno. dicembre. novembre. gennaro. novembre. novembre. giugno. luglio. dicembre. febbraio. agosto. settembre. dicembre. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 69 Francesco Paolo Tamaio: Ricerche sulle prigioni e sui mezzi di renderle più confacenti all’amministrazione del- la Giustizia. Ienazio De Contreras : Sulla necessità di provvedere alla sussistenza dei poveri in Sicilia e dei mezzi come estirpare la mendicità. Idem : Discorso sulla natura dei pubblici concorsi e dei requisiti necessarii perchè riescano utili. Idem : Continuazione del discorso precedente. Francesco Sampolo : Sulla ricerca dell’ epoca in cui la giu- risprudenza fu più fiorente in Sicilia. Ienazio De Contreras : Continuazione dei Discorso intorno all’Albergo dei Poveri. Francesco Paolo Tamajo : Continuazione del lavoro sulle Carceri! Francesco Pizzolato : Intorno alla filosofia dello spirito umano. Francesco Paolo Tamajo: Terza parte della memoria sulle ri- cerche e sui rimedi abbisognevoli all’ attuale stato delle prigioni. Luigi Ventura : Sulla civilizzazione dei popoli. II. CLASSE Morale sperimentale Ab. D. Francesco Li Bassi : Discorso sulla cultura degli studi in Sicilia sotto la dominazione degli Arabi. Celidonio Errante : Sui difetti della Storia di Sicilia e sui mezzi di ripararvi. (Giuseppe Crispi : Sui varii dialetti greci parlati nelle diverse antiche*colonie di Sicilia. Continuazione del lavoro precedente. Ben. Luigi Garofalo : Sul governo e le leggi delle Colonie Greche in Sicilia. Celidonio Errante : Discorso intorno agli scrittori della Storia Siciliana che furono sino al secolo di Augusto in generale, e sopra Polizelo e Antioco in particolare. ei > Benedetto Denti: Intorno ai singolari pregi della Biblioteca Storica di Diodoro Siculo, e del merito di aver conservato molte notizie della più remota antichità che non si rinven- gono in altri antichi scrittori. Vincenzo Mortillaro : Elogio di Salvatore Morso. 10 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO 1829 11 gennaro. Principe di Trabia : Ricerche su Torquato Tasso in rap- porto alla sua venuta in Palermo e alla Sicilia. » 29 marzo. D. Benedetto Denti Cassinese : Ragionamento sacro storico critico sulle principali liturgie di varie chiese dell’ Oriente e dell’Occidente nei primi secoli del cristianesimo. » 27 giugno. Denti Cassinese : Sui veridici documenti della storia pro- fana. » ò luglio. Stefano Dichiara : Discorso intorno allo studio del diritto ecclesiastico Siculo. 1830 6 giugno. Celidonio Errante : Discorso sulla condizione delle città Si- ciliane sotto la dominazione romana e sulla legge Geronica. 18531 » Filippo Foderà: Sulla bontà delle leggi penali. » 19 giugno. Idem. Continuazione della detta memoria. » G febbraro. Giovanni Schirò : Discorso sul Genio. IV. CLASSE Belle Arti 1826 53 dicembre. Luigi Garofalo : Discorso sul carattere dell’eloquenza. 1827 7 gennaio. ‘Giuseppe Bonura : Sugli antichi teatri di Sicilia. » 8 aprile. Marchese Giacomo Mango : Memoria sulla Pittura. 1828 24 novembre. Ferdinando Malvica : Sul romanticismo. 1829 25 gennaro. Abate Spagna : Sopra Archimede e suoi specchi ustorî. » 12 aprile. Ab. Vincenzo Mortillaro : Sulla geografia di Sicilia nel- l’epoca Araba. o) agosto. Gaetano Daita : Discorso sul coltivamento dell’ eloquenza in Sicilia. i » 5 novembre Luigi Garofalo: Sulla filosofia di Gorgia. 2 novembre. Luigi Garofalo : Continuazione del precedente discorso. 1850 10 gennaro. Sulle favole Siciliane. (1) » TAz 1851 20 febbraro. Giuseppe Crispi: Sulla vita e sulla eloquenza di Lisia. » 24 aprile. A. Gallo : Sopra Vincenzo Anemolo palermitano allievo di Raffaele, e sulla scuola di quest’ultimo in Sicilia. >» 18 settembre. A. Gallo: Sulla architettura in Sicilia ai tempi dei Normanni. » 4 dicembre. A. Gallo : Sulle belle Arti in Sicilia. Adumanze solenni 1826 23 luglio. Ignazio Scimonelli : Sulla vicendevole relazione e parentela che hanno le scienze tra loro, e della influenza delle helle arti sulla morale e la civilizzazione. (1) Non ho potuto conoscere l'autore di questo lavoro. (0 0) 16 CN 15 giugno. luglio. agosto. Marzo. luglio. ottobre. dicembre. luglio. aprile. agosto. gennaio. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO 71 Francesco Ferrara : Adunanza solenne straordinaria. Di- scorso sul sito di Palermo. P. Don Benedetto Denti Cassinese : Adunanza generale. Funebre elogio di D. Girolamo Zappino Cassinese vice-pre- sidente dell’Accademia. Per il felice parto della Regina, con intervento del Luo- gotenente Generale. Accademia di poesia Siciliana. V’ intervenne il Luogote- nente (:enerale. D. Filippo Foderà : Discorso di congratulazioni e ringra- ziamento per la elezione a Segretario generale di D. Sa- verio Serofani. (Questo discorso fu pubblicato nel giornale di Scienze, Lettere ed Arti, vol. 23 p. 207.) Per l'innalzamento della Statua di Francesco I nella Piazza Borboniea — il Duca Serradifalco legge un discorso sul dovere che hanno i sudditi di mostrare sentimenti della loro rieonoscenza e amorevolezza verso il principe, non solo ai presenti ma eziandio agli avvenire, e sull’antico costume di esprimerli con l'innalzamento dei simulacri. Mm memoria del celebre astronomo (Giuseppe Piazzi. Elogio di Nicolò Cacciatore. Per l'anniversario della morte del celebre Giuseppe Piazzi. L’elogio fu recitato da Nicolò Cacciatore. Vi lesse un carme latino Francesco Sampolo. Dell’influenza delle Autorità sulle Accademie di Francesco Sampolo. Per il felice ritorno di Francesco I e di Isabella in Napoli. Discorso di occasione di Nicolò Cacciatore. Componimenti poetici di molti soci. Pel fausto avvenimento al trono di Ferdinando I. Lesse un discorso il Principe di Trabia; seguirono i componi- menti poetici. luglio, 10 luglio, 4 settembre. Sedute (Generali per gli Statuti ge- agosto. ottobre. dicembre. nerali. Per festeggiare la venuta di S. M. il Re in Sicilia, con l'intervento del principe di Campofranco che presiedette l'Accademia. Seduta straordinaria generale: Il Segretario Generale legge un breve discorso, e poi Luigi Cicconi improvvisa una tia- gedia estemporaneamente. Approvazione dei Nuovi Statuti. | i v Y, 4 i i p i A 12 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO NMD:S Francesco di Paolo Sampolo Francesco di Paola Sampolo (n. 17 febbraro 1774, m. 16 agosto 1834) antico socio dell’ Accademia del Buon Gusto, fa nel 1815 eletto dei 50 classificati, e nel 1828 Cassiere. Fu ascritto anche all'Accademia Siciliana. Allievo di Francesco Vesco, e di Michelangiolo Monti, si versò lodevolmente nelle lettere latine ed italiane, e coltivò con amore il patrio dialetto. Applicossi alle scienze giuridiche, ed esercitò il patrocinio nel foro, acquistando fama tra” più valenti nel diritto. ecclesiastico. Pubblicò alcune poesie latine, delle quali una fu. ristampata nel Catalogo ra- gionato dei libri di prima stampa e delle edizioni Aldine e rare della Biblioteca Nazionale dal ch. can. A. Pennino che la trovò manoscritta in una carta di guardia di un Virgilio nel 1552, appartenuto al Convento di S. Anna. Un So- netto per la morte di Giovanni Meli fu inserito nella raccolta di versi editi per la inaugurazione del busto del sommo poeta nella Villa Giulia. Scrisse nel dialetto Siciliano alcune prose che lesse alla Accademia Siciliana e molti versi; prose e versi che rimangono inediti tra’ quali d’ ogni fior di bel- lezza è vago il canto nuziale recitato per Donna Maria Cristina Borbone im- palmata al Real principe Sardo. Il Sampolo si rese benemerito dell’Accademia, per gli uffici sostenuti e per avere prestato la zelante sua opera, insieme al presidente Scimonelli, a fin di ottenere l’aumento delia dotazione. Di lui tessè l’elogio l’ insigne letterato Costantino Costantini nel Giornale di Scienze, Lettere e Arti per la Sicilia (anno 1835,)e altro ne recitò all’ Accademia il ch. Agostino Gallo. Vedi anche Pennino opera citata, vol. II p. 386 Palermo, stabilimento tipografico Lao. N. XI. Elenco delle letture fatte all'Accademia del 1832 al 1850 (1) Scienze naturali ed esatte 1832 N. Cacciatore : Nuovo sistema meteorologico. Luigi Martina. Nuovo strumento chirurgico. 1833 Ant. De Blasi: Sui progressi della vaccinazione. » Gaetano Algeri-Fogliani : Necessità di un Clinico Istituto e sua storia. Giuseppe Pidone : Cattivi effetti del mercurio nelle malattie nervose. (1) NARBON®, Bibliogrofia Siewla sistematica. v- DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO ta 18353 G. Battista Moncada : Stato della Scuola Sicula anatomica. 1854 1835 18506 1837 1838 » Ignazio Salemi: Sopra il morbo-cholera, Salv. Candiloro : Sulla tisi polmonare e non contagiosa. +++ + Influenza della immaginativa sui morbi. Rocco Salina: Origine ed uso della conservazione dei cadaveri. Antonino Greco : Sperienze sullo sviluppamento dei girini di rane. Gaetano Algeri-Fogliani: Sopra il cholera-morbus. (riovanni Misco : Sopra un feto semi-acranio. Onofrio Cacciatore. Metodi per la latitudine in mare. Pasquale Panvini: Progetto di una Società pel cholera. (Giovanni Gorgone : Sulla cistotomia quadri laterale. Filippo Parlatore: Sopra due novelle piante indigene. «++ + + Sopra un nuovo fenomeno meteorologico. 1839. Gaetano Algeri-Fogliami: Sulla medicina legale in Sicilia nei secoli XVII 1840 » 1841 1842 » 1844 » 1845 » » e XVIII. Giovanni Gorgone : Sulla natura dei denti umani. Ignazio Salemi : Sulle malattie locali. Andrea Bivona : Sopra alcuni molluschi di questi contorni. Ignazio Sanfilippo: Sull’attuale agricoltura di Sicilia. Nicolò Cacciatore : Sui pozzi forati, detti artesiani. Michele Foderà : Fisiologia dell’abitudine. Filippo Parlatore : Geografia botanica di Palermo. « «+ + + Sopra un nuovo genere di graminacee. « «+ + «+ Sul coltivare le patate in Sicilia. Pietro Calcara : Sui fossili del terreno terziario di Altavilla. +. + +. + +. Sopra un minerale della Piana dei Greci. . +. + + +. Sulle ossa fossili di Mare dolce. + + + + Sulla importanza dello studio dei funghi. ( gennaro — Pietro Calcara : Osservazioni geognostiche sopra Caltavuturo e Sclafani. marzo — P. Calcara : Sulla dolenite giuraspica del Landro presso S. Ca- terina. Andrea Bivona : Sul migliorare i boschi in Sicilia. «+ «+ + + Sul modo di vestire le nude montagne. 24 novembre — Estiller Emanuele : Dimostrazione generale e completa dell’equilibrio di tre forze. 29 dicembre — Sopra una nuova giacitura della calce carbonata in Sicilia. Stanislao Cannizzaro : Connessione degli imponderabili con le azioni chi- miche. Giovanni Salemi : Sul colorito nero dei Negri. . + «+ + Nuovo apparecchio per la frattura della clavicola. 1846 Pietro Calcara : Storia geoguostica e geologica delle Madonie. » . + + +» Sui resti organici fossili del terreno terziario di Palermo. 19 T4 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO 1847 Andrea Bivona: Su le sarde, le acciughe e la lor pesca in Sicilia. 1850 Domenico Ragona-Scinà : Sulla Composizione dello spettro solare. » Federico Lancia: Sul cloruro di sodio, sua giacitura in Sicilia, sua geo- gnostica formazione. » Pietro Calcara : Sulle piante medicinali indigene della Sicilia. Scienze Morali 1835 Salvatore Costanzo: Studio della economia e stato di essa fra noi. » Ignazio Sanfilippo : Effetti del sistema proibitivo. 1834 Bernardo Serio : Sulla scienza dell’ uomo morale. 1835 Principe di Scordia: Sopra la istruzione popolare. 1835. . . . +. Sulle facoltà esecutive delle municipali amministrazioni. >» (Gaspare Parlatore : Sull’appello nelle cause criminali. 1836 Francesco Paolo Tamajo: Sulla influenza delle passioni. 1839 Principe di Scordia : Sulla politica straniera e siciliana. » Vincenzo Cacioppo : Sui sequestri di assicurazione. 1840 Benedetto D'Acquisto : Sulla origine delle idee. 1845 Benedetto D'Acquisto : Sul progresso umanitario. 1847 Francesco Crispi: Sul vero incivilimento. >» Vincenzo Gioja: Sopra la legge morale. Lettere ed Arti (1) 1832 Cav. Tomm. Gargallo, M.se di Castellentini : Introduzione, sulla utilità delle Accademie , recitata a? 24 giugno nella solenne apertura, alla presenza di S. A. R. Leopoldo, conte di Siracusa, protettore dell’Accademia. » Pietro Lanza, principe di Scordia: Degli Arabi in Sicilia. » Ant. Romano: Progressi delle arti e delle scienze negli ultimi tempi. » Agost. Gallo: Elogio Funebre del presidente dell’Accademia avv. Ignazio Scimonelli. » Altro del Mse Gius. Haus, già istruttore di S. A. R. 1833 Bern. Serio: Influenza della vita e filosofia di Aristippo sui costumi dei Siracusani sotto i Dionigi. 29 settembre — Sulla letteratura italiana del secolo XVI in Sicilia. » Ant. Di Giovanni: Letteratura siciliana del secolo XVI. » Luigi Garofalo : Sopra i libri di Cicerone della Repubblica scoperti dal Mai. Gius. Crispi: Sopra Lisia e le sue orazioni, da lui volgarizzate e qui p=bblicate. 1854 Idem : Eloquenza del Foro antico confrontata colla moderna. » Ant. Romano: Vicende della Letteratura italiana. (1) Vedi: Nargone Bibliografia Sievla, Vol. I, p. 305 e ss. DELLA ACCADEMIA DEL BUON GUSTO (9) 1834 Gio. Schirò : Relazioni dei popoli d’Epiro colla Sicilia. » Ben, Sav. Terzo : L'uso che S. Tommaso fece dello ingegno e sapere suo. Bern. Serio: Sugli studi delle cose patrie. Elogio del Can. Ant. Mongitore. Ferd. Malvica: Neerologia del conte Leopoldo Cicognara. » 30 novembre — Accademia per la morte di Francesco Paolo Sampolo : Lesse l'elogio il signor A Gallo. Si recitarono varie poesie. 1855 Frane. Beaumont: Poeti lirici dell’epoca greca. » Nicola Scovazzo : Sulle scuole lancastriane in Sicilia. Ig. Dixitdominus: Saggio sulla semola dei sordo-muti. >» Lion. Vigo: Sulla proposizione ed invocazione epica. Gius. Lanza Principe di Trabia: Neerologia di quattro accademici defunti. Bern. Serio : Elogio d’Antonio Beccadelli detto il Panormita. 1856 Agost. Gallo : Sul quadro di Raffaello dello Spasimo. Memorie della stirpe Ventimiglia. Luigi Garofalo: Sopra i musaici della R. Cappella Palatina. ». Mich. Amari: Elogio di Mons. Paolo Di Giovanni. Gius. Lanza : Elogio di Vincenzo Bellini. Bern. Serio: Elogio di Stenio Imerese. 1837 Lion. Vigo : Sulla lingua e i lessici italiani. Gaet. Daita: Rapporto del Comitato sulla formazione di un nuovo dizio- nario Siculo. » Gaet. Algeri-Fogliani: Elogio del prof. Antonino Furitano. Ferd. Malviea : Elogio del Cav. Ab. Dom. Scinà. 1838 Alessio Narbone : Caratteri del vero letterato. » Frane. Bagnara : Sul linguaggio proprio del pergamo. » Bern. Serio: Elogio del Cav. di Giovanni Mira. 1859 Idem, Elogio del Barone Pietro Pisani. 1840 Gaet. Daita: Sulle scuole lancastriane di Palermo. » Pasquale Pizzuto: Sul metodo normale di Sicilia. Principe di Scordia : Sopra gli asili infantili. Duca di Serradifalco : Sopra un plinto trovato a Siracusa. Bern. Serio : Biografia di Tommaso Natale. Andrea Bivona : Elogio del barone suo padre. Vine. Garofalo : Elogio del Ben. Luigi suo fratello. 1841 Gaet. Cacciatore. Elogio del Cav. Nicola suo padre. Fil. Villari : Sopra un passo della Divina Commedia. 1842 Pietro Lanza : Sulla pubblica beneficenza. 1845 Principe di (Granatelli, presidente : Discorso inaugurale. Proposta di nuovi temi da trattare. 1844 Bern. Serio : Sulla istruzione pubblica di Sicilia nei secoli XVI e XVII. Vito d’Ondes Reggio : Elogio del dott. Gius. Scibona. 1545 Gaspare Parlatore : Scienze, Lettere ed arti de’ Saraceni d’Africa e di Sicilia. 76 PER IL CENTENARIO DEL TRASFERIMENTO 1846 Marco del Fabro : Sulle opere italiane e i vantaggi delle Accademie vi » Nic. Spata: Sull’ epistole di Platone a Dionigi e ad altri da lui vol, zate. È 1849. . . Sui frammenti di Diodoro e di Filino da lui illustrati. | a Tad 1850 Federico Lancia duchino di Brolo : Elogio di Giov. Galbo Paternò nello di Montenero. NOA TAV. I ON 7 LI 1 n (AI \L 7, 7, Len diijpua DIADUMENIANO PENYZI = = ò R Es MEDAGLIONI VE SPASIANO © dee n i IZ ti AVS SR] N Sn: 110 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI Del genere MEDICAGO ERRE IEIRCRFEVZAE FATTA ALLA R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO NELLA SEDUTA DEL 5!) novemBRE 1890 Dal Socio Dott. MICHELE LOJACONO POJERO 773 DAENO Cee SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI DEL GENERE MEDICAGO aa OD VET Introduzione —- Istorica Al momento di elaborare il genere Medicago per il secondo volume della Flora sicula, la mia attenzione ha dovuto fermarsi su questo vago genere ed è naturale non tanto sulla struttura delle parti vegetative quanto su quella oltremodo singolare e bizzarra dei legumi. In ogni tempo questi strani frutti hanno dovuto attivare l’ attenzione dei botanici, onde non son pochi i lavori che si son succeduti da Linneo in poi, quali lavori com'era naturale pei tempi di allora, non potevano riuscire a considerare i frutti che sotto il punto di vista della loro esterna conformazione, la quale a dir vero, in pochi casi come i Medicago può dare tanta ragione a delle più 0 meno serie distinzioni, poichè marcatissime, variatissime all'estremo, singolarissime sono le forme ed i ca- ratteri accessorii che in essi frutti vengono a presentarsi. Dopo i vari lavori analitici venne il tempo che si senti il bisogno di sin- tetizzare un poco fra la tanta moltitudine di tali forme carpiche, stimare il valore di tali diversità e perciò i lavori di sistemazione d'opera del Gaertner, del Desrousseaux, del Moris, del Koch, del Grenier e Godron, nelle varie flore locali, si sentì il bisogno di compulsarli con criteri più solidi e razionali al fine di dare un assetto naturale alle svariate specie più o meno malamente caratterizzate. Giova sin da ora accennare al concetto in cui le specie di questo genere furon tenute da Linneo, singolare invero, poichè Linneo il cui grande tatto Wi 4 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI valse a stabilire indefinitivamente ed irremovibilmente nella maggiorità dei casì, le diagnosi e l’essenza di tanta moltitudine di tipi specifici, nei tre Regni della natura, sul riguardo al genere Medicago, nell’apprezzare le specie, poichè impressionato certamente, in primo, dalla stretta conformità dei caratteri ve- getativi e poi dalle estreme differenze di conformazione dei legumi che non stavano in corrispondenza colla monotona struttura delle parti vegetative, fi- nanco è pur vero giunse a riunire i tipi più spiccati di sezione sotto la deno- minazione di M. polymorpha var. laciniata, var. radiata, var. turbinata ecc. Eppure queste idee dell’illustre naturalista, non dicono esse appunto quanto- grande era il suo acume nell’apprezzare le forme !? Se ora M. radiata, M. laci- niala, M. turbinata, sono state affermate come specie primarie, le idee at- tuali non tendono esse forse e non sono esse riuscite a ridurre ed a distruggere la gran quantità di specie più o meno solidamente caratterizzate ? Non val la pena riandare i lavori successivi al Linneo ed a Gaertner, e saltando a pie’ pari sui vari Autori, i quali fissando la loro attenzione sulla forma dei frutti, sul numero delle spire, sulla forma e direzione delle spine, non riuscirono a cogliere il concetto morfologico che presiede appunto alla origine di tanta diversità di conformazione, vengo ai signori Grenier e Godron, i quali più che ogni altro addentraronsi nei fatti morfologici della strut- tura dei legumi. Però nelle definizioni, tali quali espresse nella loro Flora di Francia, questi loro concetti abbenchè carpiti felicemente, con poco successo si veggono adoperati e svolti nei loro più minuti dettagli. Gussone, il quale nella sua Flora Sicula precedè queste idee del Grenier e Godron, ispirato a quelle magistrali del Moris, seppe ben cogliere uno dei ca- ratteri primari che è valso e varrà a limitare i gruppi; quello della concre- zione o libertà delle spire e la loro struttura. Ma il lavoro ingente è comparso in epoca più recente per opera del Chiaris- simo Prof. I. Urban che sotto il titolo Prodr. Monogr. der Gattung Medicago, nell’anno 1872 venne ad illustrare magistralmente il genere sotto i suoi vari aspetti, chiudendo, direi, definitivamente ogni ulteriore discussione. Essa opera. è a ragione ritenuta come un testo pregevole monografico di uno dei generi più difficili. Ciò però io credo non toglie che io venga oggi a procurare di apportare un mio tenue contributo di idee all’ argomento, il quale come qualsiasi sog- getto naturale, lascia sempre un campo aperto alle osservazioni e mi si vorrà perdonare se io pur troppo venga dopo l’aureo lavoro dell’Urban, a control- lare certi fatti ed a modificare alcuni concetti stabiliti dall’ Autore appunto sulla struttura del legume. Le mie osservazioni fatte così alla buona ed in- cidentalmente come dissi, mi son parse così chiare che io nonostante un tanto autorevole verdetto, non esito a renderle di pubblica ragione, dolentissimo DEL GENERE MEDICAGO .) in vero, se le mie conclusioni potranno non venire accettate, lietissimo invece se, senza guastare il piano formato dall’ Urban, potranno riuscire a chiavire viemmeglio la singolare struttura di tali frutti. Aggiungo, cosa che potrebbe ritenersi superflua, trattandosi di un lavoro quale quello dell'Urban, ma che certamente varrà a corroborarne il risultato, che l'opuscolo sui Medzcago, raro nelle nostre biblioteche, mi giunse quando io aveva quasi per intero terminato quello mio, sulle orme dei libri a mano, come il Boissier ed il Grenier e Godron e che anco la Flora Hispanica dei signori Willkomm e Lange era sfuggita al mio esame, quando io aveva già schiz- zate ed analizzate ie non scarse collezioni cavpologiche di questo R. Orto Bo- tanico. La compulsazione di quest'ultimo lavoro e della memoria dell’Urban, ove le precise idee mie erano state svolte egregiamente, dovette a prima vista sgomentarmi e stavo per mandare a monte questo scritto, quando la più attenta lettura mi persuase che su diversi punti in controversia valea la pena ritornare e che da una critica coscenziosa , non poteva, come io spero tuttora, risultarne che un bene per la nostra cognizione sul genere. Ecco la ragione di questo scritto. Passo ora ad una revisione indispensabile sul lavoro dell’ Urban. Idee dell’Urban sul ravvolgimento spirale dei legumi dei Medicago Il fatto più singolare nel (renere e che non trova confronto che in minimo grado nel gruppo stesso «delle Leguminose, come nel genere Scorpiurus, an- cora in minor grado in alcuni Astragali o nella famiglia delle Mimosee nei generi Mimosa, Acacia e Pithecolobium, si è quello del convolgimento spi- rale del legume. Non è cosa facile il riuscire ad indagare per quale causa tale effetto viene ad essere attinto ed in un modo così geometricamente simmetrico nel caso dei Medicago, ed io credo che i metodi di investigazione che vorrebbero ado- perarsi allo scopo, e siano organici od istologici, a stento potranno riuscire o sono riusciti a chiarire la ragione di sì strana loro conformazione. Le ricerche dell'Urban mirarono a questo scopo. Ma senza dubbio che debbe es- sere stato una grave disillusione, da scoraggiare le più pazienti investigazioni, l’essersi dovuto constatare che e nel caso dei Medicago o di qualsiasi altra Papilionacea o Mimosea, in origine, pria della impollinazione, nessuna traccia di quest'ulteriore conformazione a spirale c' è da osservare negli ovarii gio- vani. Ciò non potea recarci meraviglia, come ora dirò. Ciò ha un gran significato, non solo pel caso dei Medzcago e delle loro spi- rali, ma per qualsiasi altra modificazione o stato ultimo e definitivo che qual- sivoglia organo, diciamo così, è destinato fatalmente ad attingere. Cosa si va 9 6 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI cercando £ Ci può esser dubbio che la cosa dovea trovarsi così e non altri- menti ? In origine qualsiasi organo, qualsiasi parte di organo, qualunque sarà la forma che in seguito definitivamente esso deve raggiungere (e ciò dicendo noi possiamo esser sicuri di accennare a qualsiasi altro caso fuori dei Me- dicago), deve essere più o meno identicamente consimile ad un altro. Io non ho creduto darmi la pena di osservare uno per uno i singoli ovarii delle tante specie di Medicago, stimando a priori che qualsivoglia la forma defi- nitivamente attinta, io non avrei potuto constatare differenze tra un ovario ed un altro, nel primo stato giovanile. Rammento a questo proposito che un autore celebre, preoccupato di due cose: della estrema identità specifica delle forme vegetative di un genere che per altro verso mostravano la più grande diversità nella forma dei legumi, risalendo alla prima origine di tali legumi, ed osservando quanto simile si era la loro struttura nello stato giovanissimo di ovario, tendeva a volere inferire da ciò, del poco valore che le forme definitive dei legumi meritavano in tal genere polimorfo. Era un giudizio falso. Non bisogna dimenticare che le mille e mille forme organiche hanno per germe un numero limitato di cellule, nelle quali, coi mezzi nostri attuali di investigazione, noi non sapremmo discernervi la menoma differenza. Tanto basta per chiudere una sterile discus- sione, la quale, non ci porterebbe ad alcun resultato. Però non ci sarebbe alcuno che da ciò vorrebbe inferire che le cause deb- bano ritenersi soprannaturali o che debbano in ogni tempo sottrarsi alle no- stre indagini. Il carattere del ravvolgimento spirale è organico, ma pare che le ragioni per le quali l'organo è tenuto col tempo ad assumere la sua forma definitiva di spirale, debbano essere tanto intimamente intrinsecate nelle parti dell’ organo, e virtualmente possedute nei suoi elementi, da sfuggire al no- stro esame. Siccome nota l’Urban, cause insite esistono nel modo di aceresci- mento delle parti componenti del legume, tostochè esso sia rimosso dal tubo stamineo, quali cause egli ha potuto seguirle nel modo di ravvolgimento dei legumi delle specie: M. Hispida Gaertn, e forme affini, M. minima Lin., M. laciniata All, M. rigidula Desr. e M. scutellata AL. L'Urban procura di rintracciare le ragioni di tale singolare conformazione carpica e trova che derivano in forza della sproporzione ed irregolare accre- scimento della regione dorsale, rispetto alla regione ventrale, di cui accurata- mente ne ha seguito tutte le fasi di sviluppo. In vero pare a prima vista che due fatti debbono essere in relazione, e due cause debbono agire in concomi- tanza nella formazione spirale dei legumi. Primo la formazione di un nervo intramarginale (n. extramarginalis di Gren. e Godr., latervalnerv Urban ) e poi l’ispessimento delle valve e l’irregolare accrescimento in ispessore nelle due regioni della superficie del legume, ridotto e sempre minimo nella sutura 3 DEL GENERE MEDICAGO 7 ventrale (Bauchnaht); sproporzionato e massimo (in moltissimi casi) nella re- gione dorsale (Riteknaht). Sembra però che parecchie circostanze si opponghino ad accettare tale spie- gazione e la teoria di Urban. In primo, il fatto che la voluta sproporzione nell’accrescimento ventrale e dorsale di certi fegumi se è evidentissimo, sia per causa della formazione del nervo intramarginale, sia per il considerevole spessore attinto dalla nervatura dorsale, sia per l'assoluta differenza in ispessore nelle valve del pericarpio nel gruppo delle Pac/kyspirae, non sembra essere ugualmente chiara nella più gran parte delle Laxispirae. Mihi (Luspirocarpae e Leptospirae Urban), ove è facile constatare, appunto per la libertà e per la lassezza delle spire, (che non combaciano nè sovraccombono le une intimamente sulle altre), il quasi uguale od ugualissimo grado d’ispessimento che regna in tutta l’intera superficie faciale della spira e perciò l’uguale accrescimento che si è dovuto verificare tanto nella regione ventrale che dorsale. Ma se mai ciò potesse non sembrare un argomento valido da opporre alla spiegazione che ci dà l’Urban e che basta il semplice fatto della formazione della ripiegatura o nervo intra- marginale e l’ineguale accrescimento tra questa data regione e quella precisa regione suturale del dorso, si potrebbe forse aggiungere che in un gran nu- mero di casi, non c' è il nervo intramarginale, eppure sempre persiste nel lesume la tendenza a compiegarsi in spirale, e difatti esso è conformato a spira nelle specie M. cancellata, prostrata, suffrulicosa, saratilis, Soleirotii, ove invero nell’interna struttura delle valve non si osserva alcun differen- ziamento, nè tra regione ventrale e dorsale scorgesi diversità estevna di con- formazione. Addippiù ci sarebbe ancora a tener presente che se sproporzione esiste nel- l'accrescimento in ispessore delle due regioni ventrale e dorsale, tale spropor- zione nella Sezione Orbiculatae Urb., contrariamente a quanto avviene nelle Puchyspirae e se vogliamo anco nelle Laxispirae ed Helices, si verifica nella regione ventrale più che nella dorsale, poichè come è saputo nelle specie M. orbiculata, e forme affini, il margine va sensibilmente attenuandosi in modo da formare alla sutura dorsale un vero margine alato o foliacco. Domanderei, le cause meccaniche che valgono nelle Packyspiae ad impri- mere al legume questa facoltà di ravvolgimento spirale, se sono buone in questo ‘ caso a spiegare la notevole differenza di accrescimento dorsale, anzichè ventrale, possono quando esse manifestansi in senso avverso (dorsale nel caso del gruppo delle Ordicwlaris), causare lo stesso effetto ed agire nello stesso senso, im- primendo ai frutti l'evoluzione spirale che è carattere comune a tutte le specie del genere ? Questo è quello che forse potrebbesi osservare leggendo le pagine dell’Urban; IS) SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI ma se non riesce forse difficile, in argomento sì astruso, elevare delle ‘obiezioni, non è cosa facile suggerire altra idea che possa meglio chiarire la questione e se mi permetto azzardare un mio concetto sul proposito, è solo pel desiderio di soddisfare tale legittima voglia, suggerendo nient'altro forse che una mera ipotesi. i Idee che possono spiegare il fatto del ravvolgimento spirale dei legumi Considerando le valve nella loro struttura, trovasi che esse non differiscono. da qualsiasi altra conformazione di frutto o legume che si voglia, tipicamente. scomponendosi nelle note tre parti del pericarpio. Fo astrazione dell’epicarpio, sia perchè esso è ridotto a minimi termini, o è fuso col mesocarpio, che è tutto. quel tessuto intersecato dal caratteristico plesso, di f. fibro-vascolari, svaria- tamente anastomizzati in reticola più o meno evidente sulla superficie delle valve, sia perchè esso non entra in azione a quanto può presumersi nel fe- nomeno che ci occupa. L’endocarpio rispetto a questa porzione esterna, acquista, massime nel gruppo delle Ir/er/ex/ae, appuuto per le estreme dimensioni dei frutti di questo gruppo, proporzioni ed aspetto significantissime, conservando in quanto alla struttura, ovunque in ogni gruppo identici caratteri. Nulla di più facile, nell'osservare uno dei tanti frutti e nello svolgere la loro spira, che veder staccarsi dalle spire, ritorcendosi anch’ esso a spirale sotto forma di due nastri spesso duri, cartacei, quest’ endocarpio che si stacca non solo con facilità nella sua perfetta integrità, dall'altra porzione del pericarpio, ma anco dalla sutura, in due porzioni spettanti alle due valve. (1) Sono due i nastri, perchè al punto della sutura dorsale essi non si saldano che appena, o se vogliamo, tutta la forza di coesione, anziechè al punto organico della sutura dorsale, si è concentrata nel grosso nervo dorsale di sutura (grossissimo, nel caso delle M. ciliaris, De Candollei ed intertexta). Ora tale tessuto endocarpico che tappezza tutta la cavità loculare se ben si osserva nella parte sua mediana, o meglio ai ?4 o ad ‘4 dell’ estensione. radiale della loggia (considerata nel caso delle Medicago quale una circonfe-. renza) lo si vede diversamente costituito, poichè se nella porzione più ester- na che spetta alla circonferenza, esso è composto di un tessuto resistente, duro coriaceo, verso il centro e così molto più sensibilmente, quanto più si avvi- cina all’asse o perno del legume, la sua consistenza va diminuendo; esso è me- no tenace, meno resistente, quasi diafano ed acquista un' aspetto pelliculare.. (1) Nella M. oxbicularis cd affini, l’endocarpio è sempre aderente agli strati esterni. R DEL GENERE MEDICAGO 49] Infatti a questo punto mediano, questo tessuto, più o meno artificialmente svolgendo la spira, sfaldasi e staccasi nettamente dall’ altra metà che resta fortemente attaccata al perno del legume sul quale è ravvolto. Dopo quest'analisi, vorrei io sapere spiegare, quale è lo sviluppo delle forze meccaniche, quali le tensioni che per tali differenti stati di concrezione nelle valve, vengono a determinarsi, è se in forza di esse sia presumibile che possa venire a risultarne il fenomeno cella convoluzione del legume in ispira. Direi, che c'è forse ragione di supporre che attorno a questo perno che è l’asse matematico del legume, reso saldo e quasi un punto fisso, sia per la con- crezione della sutura ventrale e tanto più per il concorso di tutti gli elementi i più solidi, come le fibre ammassate, la maggior tenacità delle valve nella loro porzione endocarpica, tutte queste cose assieme riescirebbero forse a spie- gare come il legume possa inflettersi dapprincipio e la sua estensione venga mano mano compiegandosi in una spira, trattenuta, come ben si osserva, per la mirabile disposizione radiale del plesso fibro-vascolare, che col diffondersi dal centro alla circonferenza simula un apparecchio di sostegno, e di richia- mo e di trazione nel tempo stesso, alla regione terminale del legumo giovane ed in via di accrescimento. Procedendo oltre nella disamina dei fatti accertati dal chiarissimo mono- grafo, fermiamoci ora ad assodare quelli che maggiormente servono a spiegare la struttura del lesume coi suoi vari accessori. Escludo da quest'esame i gruppi del genere, definitivamente stabiliti nelle Sezioni: Lupularia, Palcata, Orbiculares, dove la conformazione del legume è semplice, chiara, poichè come nelle specie M. saliva, falcata, ed in quasi tutte le specie pevennanti e suffruticolose, il legume retto, o falcato-reniforme, in minimo grado, spiega il carattere comune a tutti gli altri gruppi, della replicata convoluzione a spirale, l'accrescimento delle regioni ventrali e dor- sale vi è uniforme e mancanvi quelli caratteri accessori che distinguono le sezioni Leptospirae ed Euspirocarpos stabilite dall’Urban. Resta dunque ac- certato : 1.° Che si manifesta nell’ accrescimento delle due regioni di sutura, una sproporzionata differenza che se forse potrebbe mettersi in dubbio che sia la causa iniziale del fatto della conformazione spirale, certamente è la ragione dell'estrema differenziazione di questi organi, nelle numerose forme e della conseguente com- parsa di tutti i caratteri i più solidi, pei quali tali frutti debbansi razional- mente distinguere. 2.° Che alla liberazione del legume, dagli induvii del tubo stamineo, succede il ravvolgimento spirale, causato come vuole l’Urban, dalla sproporzione dello accrescimento delle due regioni di sutura, o forse come io ho suggerito, dalla 92 ) 10 SULLA MORFOLOGIA DEIL EGUMI differenza di struttura delle valve nella loro porzione endocarpica, certamente coadiuvata dal fatto della formazione di fascetti radianti, costituendo una va- lida reticola, simulante un apparecchio di freno e di sostegno, ai quali si ag- giunge, quel che più importa far rilevare, la formazione di un nervo laterale, secondo Urban attiguo, concentrico, alla sutura dorsale, nervo che meglio che laterale, o ectramarginale secondo Grenier e Godron, io chiamerei per mag- giormente precisarne il posto, nervo intramarginale. Idee dell'Urban sulla struttura e formazione delle spire È in questi termini, che io più o meno letteralmente qui traduco, che l’Urban scrive su questo proposito. ID questo il tratto più interessante del suo libro che ha suscitato a me l’idea di questo scritto. Egli prende come esempio il più semplice e chiaro, il frutto della M. obscura vetz. Sia detto entro parentesi, tale esempio, come vedremo, è una vera ecce- zione alla regola generale. Egli isolandone una delle spire mediane, osserva che in tal caso, dal centro del legume e perciò dalla nervatura ventrale, una serie di f. fibro-vascolari sotto la forma di nervi scorrono sulla superficie della faccia della spira, spingendosi sino alla distanza di 1 a 1! mm. della sutura dorsale, anastomosandosi in un cosiddetto nervo laterale parallelo alla sutura. Questo nervo laterale si collega alla sutura dorsale a mezzo di un minor numero di vene, le quali scorrendo dal punto della loro anastomosi, verso il margine dorsale, vengono a formare le spine. Le spine, secondo Urban nascono adunque dal nervo laterale. Però dopo aver positivamente affermato questo fatto, egli aggiunge che tali spine sono molli nello stato giovanile, e lasciano ben riconoscere il pajo di f. fibro-vascolari d’onde essi sono formati, senza però saperci dire d’ onde proviene l’ uno di questi due fascetti, di cui l’origine dell'altro è nota, venendo senza dubbio dal nervo laterale. Questo modo di formazione delle spine, secondo l’autore, pare che sia quello della M. obscwra della M. Relir (che egli non distingue dalla detta specie) e forse di tutto il resto delle Medicago che non offrono che due o tre modificazioni, come nel caso della M. littoralis Rhode (e così anche pure di tutte le specie del gruppo Pachy- spiare) ove egli nota che a causa che il nervo laterale si avvicina di più alla sutura dorsale e che a maturazione le spire densamente le une all’ altre si condensano, allora egli dice, sembra che le spine alla fine abbiano origine dal margine (dorsale) sempre più divenuto spesso e tanto concreto da non lasciare che appena riconoscere l’ origine vera delle spine. Quando il nervo laterale scorre direttamente nelle spine, allora sembra che un numero più grande di fascetti concorrano alla formazione delle stesse. Secondo Urban in niuno modo diversa è la formazione delle spine nella M. m22- . DEL GENERE MEDICAGO ll nima Linn. M. Tenoreana Ser., nelle quali però invece del nervo laterale, mo- strasi tra la superficie ed il nervo dorsale di sutura, un profondo solco. Qui il nervo laterale costituisce (dello stesso modo che il nervo dorsale) il limite della su- perficie del legume, il quale è connesso col nervo dorsale solo mediante un lasso tessuto cellulare che collega il margine suddetto e le spine. Tale tessuto Si prolunga tra i due f. fibro-vascolari e forma la base del so/co che si ritrova alla base delle spine del più gran numero delle specie. Una terza modificazione, cita l'Urban pel caso delle M. dn/erterta, cilia ris, muricoleptis, ete., dove i f. fibro-vascolari che si anastomizzano, semplice- mente come vene, scorrono ad angolo acuto verso la sutura dorsale necessa- riamente terminando in spine. Infine solo nella M. radiata Lin., sono le spine un prodotto della stessa ner- vatura dorsale. Ciò è quanto dice Urban, che può compendiarsi in questi sommi capi : 1° Che il legume è privo di nervo intramarginale nella sezione Lupwlaria, Falcago, Orbiculatae ed Intertextae (a torto in quest’ultima come ora pro- cureremo di dimostrare). 2° Che esso ne è provvisto nella sezione Packhyspirae, Euspirocarpae e Lep- tospirae. 3° Che le spine provengono, meno che nella M. radiata Lin., dall’estensione radiale dei nervi, dapprima anastomizzantisi in un nervo laterale concentrico, e perciò esse sono di origine ventrale. 4. Che ove come nella M. Qlloralis (e perciò in tutte le Pachyspirae, esclu- dendo la sezione mia ZHelices come ora procureremo di dimostrare) le spire si condensano, le spine sembrano provenire, mentendo la loro vera origine, dal margine dorsale. 5.° Che nelle specie M. minima Lin. e M. Tenoreana Ser. (con tutte le Leptospirae ed Euspirocarpae) non c'è altro, che invece di nervo laterale (Randnere) vi si forma sulla faccia del legume un solco (Furche) e che il tratto di unione tra le spine che vi sboccano e la sutura dorsale, si è un tes- . suto cellulare speciale che riempie sin anco le due basi delle spine. 6.° Che nell’ In/erlexiae le vene scorrono direttamente e ad angolo acuto nel preciso margine dorsale. Ci tocca ora fare una breve rassegna di questi fatti capitali. Come si vede è in queste poche righe che si compendia tutta la teoria di struttura dei frutti delle Medicago. E la conformazione ed origine delle spine, provengano esse o no, dal nervo marginale di sutura o dal nervo intramarginale, carat- terizzando i gruppi principali, annette a tali fatti la massima importanza per la formazione delle sezioni. Spiacemi invero non potere consentire su “varii di questi argomenti col parere dell'Autore e dovere sul proposito sugge- 12 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI Ù rire un’altra interpretazione che godo si avvicina di molto alla sentenza che i signori Grenier e Godron profferirono fin dal 1848, nelle pagine della loro Flore de France. Idee generali sull'origine delle spine e sulla struttura delle spire l’esistenza di una nervatura dorsale di sutura è un fatto incontrastabile e direi quasi inevitabile, nel caso delle sezioni del genere di cui facciamo ar- gomento. Essa assume forme e proporzioni ben diverse nelle varie specie. Nelle Orbiculares, abbenchè esilmente nerviforme, il margine si attenua a guisa d'ala. Senza pretendere ad uguale importanza, nè essere legittimata dalla necessità di un fatto di origine essenzialmente organica, l’esistenza di un nervo intra- marginale concentrico, nella periferie segnata dalla spira dal suo margine dorsale e che per modo di struttura e di orientazione del legume dei Medicago direbbesi faciale, è un fatto che se non sì verifica in tutte le sezioni, però non vien mai meno in tutte le specie dei gruppi Helices, (Pachyspirae ex parte Urb.) Pachyspirae verae e Leptospirae Urb. (Larispirae Mihi.) Dell’ istesso modo di regola è l’esistenza di spine sulla sutura dorsale. È strano come l’Urban, girando e raggirando sulla questione, osservando appuntino le singole modalità di struttura delle spine, che replicatamente (ciò che è ancor più strano) chiama a doppia base, sembra, abbenchè tanto ben messo sulla diritta via per afferrare la chiave del mistero, che poi per singolare inter- petrazione, con poco felice circonlocuzione, sviarsi dall’argomento e quasi a ragion voluta persistere a voler negare alle spire un'origine dorsale, o meglio anon convenire che se una delle basi è di pertinenza del nervo intramarginale, l’altra può e deve anzi avere un origine che non può essere che dorsale. È vero che I’ Urban prese ad esempio la M. Helix e M. obscura ove in quelle forme spinulose, come M. obscura spinulosa Guss. M. helix Lin. var. aculeata Guss. M. commutata Tod. (M. Langeana Tod.! M. muricata Willd. sec. Urban) la doppia origine delle spine, una base delle quali è di provenienza dorsale, è al minimo grado evidente, mentre di contro la posizione e struttura del nervo intramarginale e perciò la formazione e la scorrenza delle spine. che promanano dalla sua anastomosi, è delle più chiare. Ma se qui è oscura la fusione delle due basi delle spine, in altri casi, massime nelle Laxzspirae, tal fatto è di un'estrema evidenza. L'Urban assegna perciò spine dorsali solo alla M. radiata Lin. (specie che. io non conosco, ma che deve estremamente somigliare nei frutti all’ Zyme- nocarpos circinnuta Savi). Tutte le altre specie, hanno secondo lui, spine esclu- sivamente intramarginali. A_mio modo di vedere (e confortato in ciò dall’au- torevole parere degli autori della Flora francese,) meno che nella M. radiata DEL GENERE MEDICAGO 13 in tutte le specie le spine hanno una doppia origine e perciò una doppia base (furon chiamate ben a ragione dicrures dal Boissier). Quel che sembra adunque inaccettabile è il preteso esclusivismo di tale loro origine. Che ci sia la M. radiata come singolo esempio di spine esclusiva- mente dorsali e sia. Ma che ci siano Medicago che abbiano spine esclusiva- mente d’'unica origine e solo d'origine intramarginale, questo è quello che non saprei accettare. ‘l'ale mio parere è più o meno luminosamente avvalorato da una quantità di fatti tanto numerosi quante sono le specie. È sirano che Urban a cui tutti questi fatti non sfuggirono, poichè pazientemente nei suoi lavori egli dimostra averli avuti tutti sott'occhio, ad essi ha creduto dare una Spiegazione così astrusa. Singolare è il fenomeno della inevitabile precisa matematica corrispondenza di posizione, di nascita e di connessione delle spine di un margine, con quelle di un altro, poichè non c'è caso, salvo in un esempio solo, nella M. tuber- culata var. syriaca Tod., che le spine fossero sovrabbondanti in una sutura più che in un’altra, e perciò che non tutte avessero una duplice base. (1) Ma questo fatto perde tutta la sua parte di strano, quando si pensa che molto probabilmente, unica in origine è la formazione delle spine e che il successivo sviluppo in senso radiale delle due suture, l’insguale accrescimento dei due nervi, dorsale e intramarginale, ed anco l’ineguale accrescimento in ispessore delle valve, ha successivamente fatto una trazione su queste due basi e le ha sposate più o meno, a seconda del grado di distanza a cui si man- tiene a perfetta maturazione, il nervo intramarginale, in rispetto al dorsale, od al rispettivo loro grado di accrescimento radiale o tangenziale. Qui appresso tale ipotesi non improbabile, verrà meglio corroborata. Concetti generali sul modo di sviluppo delle due nervature Esclusion fatta delle Sez. Na/cago, Lupularia, unico è il tipo di struttura dei frutti. Bisogna distinguere in essi in primo le valve, il cui accrescimento è vario tanto più che ad esse diciamo così a renderle più spesse vi sì soprag- giunge, in primo, la crescenza straordinaria nelle Packyspzrae, del nervo e della regione intramarginale; secondo, il nervo suturale del dorso. Quello ventrale ha ben poca importanza. (1) Questi frutti sono siugolarissimi, massime se paragonati al tipo di cui sembrano a prima vista le mille miglia lontani. Quelli avuti in esame ancora erano troppo giovani. Di strano non c'era che una qualche spira di uno dei margini (quello dorsale) fra le spine normali appajate, ne aveva intercalate di quà e di là qualche altra minore. Ss l4 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI Ora nella serie delle forme, le quali per la struttura delle valve, o sia per lo spessore che sono destinate ad attingere, si ha per risultato la conerezione e l'esatto ed ermetico combaciamento delle spire l’ una sull’ altra, questo gruppo ha un tipo speciale, il cui significato sin ilai tempi di Moris e Gus- sone fu ben carpito e giova ora non disperdere. Escludendovi il gruppo dell’ Zelices, ban giova mantenerlo sotto il titolo di Packyspirae per come dall’Urban proposto. Questo carattere della concrezione ne trascina parecchi altri, o se vogliamo la concrezione delle spire è l’effetto di una quantità di cause concomitanti che rendono per ciò la Sezione estremamente naturale. In un altro gruppo, quello delle Laxzspirae che io erederei formare colle due sezioni Euspirocarpos, Leptospirae dell'Urban, e con quella delle Znter- textae dello stesso Autore (che a me pare con poca naturalezza associato ai gruppi Falcago, Lupularia etc.) le spire sono libere, remote, e ciò in grazia del tenue spessore attinto dalle valve e dalla nervatura intramarginale. In esso gruppo il pericarpio è tenue, la porzione nervulare acquista invece un grande sviluppo. Tanto nell’un gruppo quanto nell'altro, quel che più monta si è di vedere in quali proporzioni sta lo sviluppo della sutura dorsale, rispetto alle valve o al nervo intramarginale, se vogliamo. Se ben mi avviso tutta la differenza tra Pachyspirae e Leptospirae è la conseguenza di questo fatto. Nelle Pa- chyspirae è la regione faciale del legume od ii nervo intramarginale massi- mamente con essa, che assume un grandissimo sviluppo e tale da sovraccom- bere, come primo fatto sulla regione dorsale che tende ad estenuare e ad assor- bire per tale prevalente sviluppo, il nervo dorsale di sutura, il quale se persiste, è ridotto a forma e proporzioni strane e tali alle volte che riesce difficile, per come temo che riuscì all’Urban, il saperne conoscere l’omologia con la stessa parte nelle altre specie. Nelle Lax:ispirae il caso si mantiene nei limiti del normale, nel sensb, che | Stante il non aver luogo la accennata sproporzione di accrescimento tra le due parti, noi possiamo osservare inalterate le valve, chiara la reticola della faccia della spira, evidente (poichè molto spesso lontano si è dal nervo dorsale e in- tramarginale) la posizione e la struttura del nervo suddetto e I’ immissione delle nervature della reticola, mutate in spine, farsi chiarissima sulla sutura del dorso e fornire una base, mentre l’ altra è costituita dalla porzione ner- vulare della sutura dorsale, preponderante per lo spesso nelle forme armate, sullo sviluppo di ogni altra parte del legume. Massime proporzioni tale nervo assume nelle Zafertexrtae, come : M. intertexta , ciliaris, De Candollei. Se- guendo la serie dell’evoluzione del nervo intramarginale, il quale non è altro in sostanza che il punto ove avviene l’anastomosi del plesso f.-vascolare , a DEL GENERE MEDICAGO 15 me pare che quando si è di presenza a queste ultime tre specie, non si può fare a meno di convenire che la tale anastomosi esiste, però invece di ope- rarsi a metà o ai 3/, della superficie della spira, distante dalla periferia, essa si fa nel preciso margine, o se vogliamo, non avviene del tutto e le spine ap- pena previamente intrecciandosi in una semplicissima reticola, scorrono diret- tamente a riunirsi con quelle della sutura dorsale. Che perciò potrebbe so- stenersi coll’Urban che M. in/erlerta, ciliaris, De Candollei ed anco muri- coleptis (1) sono specie tipicamente prive di nervo intramarginale, dello stesso modo come M. /alcata, sativa ecc. ecc., M. Lupulina, M. orbicularis è pos- sano militare perciò nella stessa divisione ? In vero non saprei come spiegare tale distribuzione dall’ Urban adottata ed il modo di interpretazione dato alla faccia della spira, nelle specie Zn/er- lewtae. Adunque anco in queste specie, la presenza del nervo intramarginale e la stretta affinità colle specie Lar:ispiae, per altre considerazioni, non saprebbe aversi in dubbio. L'importante si è di saper riconoscere questo tale nervo nella estrema semplicità in cui esso quì si mantiene. Ciò che dice Urban a proposito di M. muricoleptis e spec. all. M. intertertae, ed aff., in vero sfugge alla mia percezione e dalle sue frasi io non saprei capire se Egli vi ammetta l’esistenza del nervo intramarginale o se non ve lo riconosca. (2) Siccome ho già detto, il nervo dorsale attinge nei vari gruppi, estremi di sviluppo, non è facile il saperlo riconoscere nelle Packyspirae, come in M. Iribuloides, M. rigidula Lam. M. littoralis. Qui è ben difticile rintracciare, quanto contributo la sutura dorsale apporta alla formazione delle spine. Ap- punto perchè le valide spine o tubercoli originati dal nervo intramarginale, hanno assunto estreme proporzioni rispetto a quelle provenienti dalla sutura dorsale. Non è strano adunque che nelle Packyspirze, l’azione della sutura dorsale, si metta in forse. È strano però che nel gruppo Lax:spirae, ove le spine sono provenienti dai (1; Spiacemi non aver cognizione alcuna delle specie M. granatensis e M. galilaca. (2) L'autore dice a pag. 47 in testa alla divisione Prima A. « Ein der Ruekennaht paralleler lateralnerv fehlt, die von der Bauchnaht ausgehenden «adern laufen in ein Ruckennaht oder direct in die Stacheln » e con ciò a me pare che egli eseluda la presenza del nervo intramarginale nell’« Intertextae ». Poi a pag. 48 «Die von der Bauchnaht ausgehenden adern anastomosiven meist erst auf «der ausseren Halfte der Hiilsenbreite und sind in adernetze noch deutlich zu erkennen » in IL. muricoleptis, galiluca, gramatensis, e poi «die adern anastomosiren vor der mitte «der Hilsenbreite und verlieren sich in adernetze. » 16 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI margini laterali e sono sopraffatte dallo sviluppo di quelle oriunde dal nervo dorsale, esse non sono state riconosciute. Le specie M. Tenoreana, M. mi- nima, M. hispida (M. denticulata , apiculata , gracillima) sono i più bei esempii di una sutura dorsale per conto suo esclusivo, guarnita di valide spine, la cui base d’inserzione o meglio di origine, sin alla più perfetta ma- turità mantiensi al massimo modo chiara ed evidente. Salvo ora a meglio sviluppare i fatti nei singoli casi, come regola c'è da tenere in istretto conto, da chi vuole assodare il posto sistematico delle specie e la loro naturale distribuzione in sezioni, che nelle Pachyspirae i caratteri non debbonsi, nè possonsi rintracciare che nella parte esterna delle spire o meglio nelle faccie laterali. In questo gruppo checchè voglia sostenere Urban lo studio delle faccie superficiali ci è precluso, perchè appunto precluso ma- terialmente, ce n'è l'osservazione, in forza della intima saldatura delle spire l'una all'altra condensate. Mentre che nelle Larispirae tutti i caratteri del legume si riassumono nella faccia superficiale. Pensare altrimenti a me pare che è lo stesso che andar contro alle leggi di natura che la struttura stessa del legume ci addita. Dei caratteri del gruppo Helices Nella lineare distribuzione delle varie sezioni, per come già dall’Urban rico- nosciute, con l’ aggiunta delle modificazioni da me fattevi, a me pare che il gruppo della M. obscura, M. helix, M. tornata, M. commutata Vod. (M. mu- ricata Willd. sec. Urban) debba seguire le specie della sezione Orbiculares. Conservasi quasi inalterato in quelie come in queste, il carattere della libertà delle spire, ugualmente lasse e remote. Però nell’ obscura, nell’ Helix, nella tornata, il margine esterno dorsale non è aliforme né acutissimo, esso è più o meno acuto (M. obscura) ma come regola esso tiene il mezzo tra l’acuto mar- gine della M. orbicularis e il margine piano della M. Qttoralis. Esso è con- vesso, limitato da un nervo filiforme che è la sutura dorsale. Comincia in questo gruppo a manifestarsi più o meno chiara la conforma- zione del nervo intramarginale. Ma siccome, in questo gruppo Zelzces , secondo. i limiti da me attribuiti allo stesso, (limiti che ritengo abbastanza naturali o se per poco artificiali nella limitazione col gruppo seguente delle Packyspirae stante alcuni passaggi della M. cylindracea colla M. littoralis, utilmente ar - tificiale, onde non vedere confuse, non solo le varie specie, ma anco due tipi di sezione, che a torto mi pare secondo la classificazione dell'Urban si veggono riunite sotto il titolo di Pachyspirae), replico, siccome in questo gruppo He- lices, le specie a spine sviluppate sono rare o si veggono solo nella M. ob- scura spinulosa, M. commutata, questo nervo marginale e di conseguenza. RISE a DEL GENERE MEDICAGO 17 la doppia origine dorsale e ventrale delle spine è dubbia e sinanco in certe specie, come M. Solezroli (che appunto perchè «divebbesi priva di nervo e di spine, la si, vede messa da Grenier e Godron tra le specie suflruticose dalle quale però rifugge per l'abito) essa è nulla e tale anco |l Urban la ritiene, dicendo : « Lateralnerv fehlt.» Urban che a torto porta la M. obscura al esempio di tutte le Medicago, per dimostrare l'origine delle spine esclusivamente ventrale, per il caso della M. obscura ed affini ha forse ragione, poichè replico la doppia base delle spine è poco evidente. Ma essa vi è, ed in niun modo nè | ZZelzz: nè l’obsewra fanno l'eccezione alla regola. L'Urban ha messo la M. obscura e la M. tornata nel gruppo Pachyspirae. Egli scorrendo la serie delle forme della M. striata e della M. cylindracea, che egli non separa dalla M. littoralis, ha dovuto unire in una, parecchie specie non solo, ma ha dovuto fondere in una due sezioni. Si può effettivamente me- diante tali transiti, sostenere che nè le specie nè le sezioni che io vorrei di- stinguere, abbiano limiti sicuri e precisi? Io convengo che non è assolutamente così. Il punto critico, ld ove tali sezioni sembrano fare un passaggio dall’ Helix: alle Pachyspirae, sì è nella specie M. striata, le cui spire hanno alle volte il margine niente affatto convesso, bensì piano addirittura e perciò le spire son già concrete le une alle altre. Ma se ciò è vero, è pur vero che Autori di sommo valore come De Candolle, Grenier e Godron ed altri, dalla I. strata, Bast. e M. lttoralis Rhode hanno saputo estrinsecare una terza specie, la IM. cylindracea D. C. Chi rispetta questa specie, sa e può evitare la malsana fu- sione della M. obscura e M. tornata con M. tribuloides, M.truncatula e le tipiche Packyspirae. Chi per poco non sa, o meglio non vuole distinguere l'una dall’altra, incautamente cade nell'errore, unendo due cose che il senso della definizione stessa, Packyspirae, vieta confondere. Nessuno potrà disconvenire che nella M. obscura e M. tornata, le spire sono assolutamente libere o che in ogni modo, esse non possono ritenersi concrete, nè rimandare perciò alle Packyspirae. Convenendo di ciò chi verrà a studiare le specie, saprà e dovrà distinguere anzitutto M. strzata da M. cylindracea e questa da M. lz/toralis. Per convenire di ciò chi verrà appresso non si valga delle mie povere asserzioni, ma legga bene Grenier e Godron, ove tutto sag- giamente è tenuto al debito posto (1) e questo è un eloquentissimo esempio di (1) Nella Flora Francese dei citati autori nel vol. I, pag. 387 leggesi a proposito della M. striata « che il legume è discoide a faccie piane reticulate-venose a margine esterno carenato » mentre nella M. cylindracea il legume è cilindrico ed a margine piatto e non to) 18 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI quale triste effetto può essere causa la mania smodata, oggigiorno, di distrug- gere tutte le pazienti analisi, in omaggio di un concetto di filogenesi che ro- vina la pratica sistematica pur troppo spesso. Male hanno fatto Grenier e Go- dron ad intercalare dopo M. strzata e M. cylindracea le specie Larispirae. Strano è il vedere nell’ Urban costruita la serie delle Pachyspirae con le Helices in testa, intercalandovi poi M. r79:dula e facendovi seguire M. lt lorulis ecc. Garatteri della sezione Pachyspirae Nella sola M. r2g:dula Lam. il bordo estremo si mostra sino alla per- fetta maturità chiaramente convesso, per eccezione alla regola, poichè in tutte le altre specie, questo margine è piano nel mezzo (appiattito) acuto ai «due margini combacianti ermeticamente le due spire attigue e percorsi da un nervo che non è altro che il nervo dorsale organico della spira e perciò del legume. E il risultato della azione mutua esercitata dalle spire quello di vedere queste spire angolate ai margini. In forza di questa azione mutua di compressione, è ozioso, a me pare di iparlare e di appellarsi ai caratteri della nervazione della faccia superficiale della spira in questi casi. La quale se è pur vero che se la forza di tale com- pressione non ha scancellato il disegno della reticola vascolare di essa, ne ha però sensibilmente sbiadito l'impronta che pallidamente conserva il disegno nervulare, tutt'all'opposto di come avviene nelle Lax:spizae. La conerezione è il risultato dell’eccessivo accrescimento delle valve o se vogliamo del nervo intramarginale. Esso è al par di ogni altra specie, distante dal margine limitante della su- tura dorsale, nello stato giovanile; però, nelle Pac/kyspae esso non solo che si accresce in ispessore straordinariamente, ma si avanza sin al margine dor- sale, vi si fonde intimamente e sovraccombe su di esso schiacciandolo, arre- standolo nel suo sviluppo ch'è minimo. ì ‘ale è anco la fase di sviluppo delle spine che per quella parte che riguarda la loro porzione provenienie dal nervo intramarginale, come esso acquistano il massimo assoluto sviluppo. Mentre quella porzione di esse spettante alla sutura dorsale al pari del preciso nervo, attinge minime dimensioni e non contribuisce che in minimo grado alla formazione delle spine. carerato. In ciò si compendiaro i caratteri delle due sezioni tali quali io le fo rilevare nei due gruppi Helices e Pachyspirae. In Sicilia esistono i più istruttivi e numerosi passaggi di questo intricato gruppo. DEL GENERE MEDICAGO 19 È questo il punto su cui io maggiormente insisto e l'argomento principale «li questa memoria, perchè a me pare che sotto tale aspetto la questione del margine dorsale e della formazione delle spine, non è stata mai sinora con- siderata. Sulla faccia dorsale dei legumi delle Packyspirae, come dissi, leggonsi tutti i caratteri i più valevoli alla distinzione dei sotto gruppi e delle specie. Io seguendo la serie dei legumi i più concreti, ho potuto rilevare che esso mar- gine è ridotto ad un semplice nervo filiforme nella M. 2Dbulordes, M. trun- catula, M. littoralis. Che tale nervo appiattiscesi e slargasi a guisa di nastro nella M. lewrbinata, che è circoscritto da due altri nervi o ripiegature attigue esilissime nella M. splaerocarpa ( M. murex Urban e Willd. non Alior.) che infine o è diflicilissimo a riconoscere ed a staccare o manca del tutto nella distintissima specie che è la M. constricta Dur. (M. globosa Presl sec. Urban.) La struttura e la proporzione delle spine dorsali in questi casi non può che dipendere dalle proporzioni di quelle intramarginali che in assoluto hanno il più grande sviluppo, ma che a seconda del relativo sviluppo nelle singole specie, trascina di conseguenza una maggiore o minore dimensione relativa nelle spine dorsali. Col lasciare a macerare i fwutti più restii allo svolgimento, per un paio di giorni nell’ acqua o facendoli bollire in certi altri casi, senza altra prepara- zione, strappardo con un po’ di verso le spire, noi veggiamo svolgersi da un capo all’altro del legume, dalla precisa base al sommo apice stilare, il nervo «dorsale con tutte le corrispondenti basi delle spine a guisa di una spina dor- sale di pesce. Il nervo è valido e le spine sono anch'esse valide, o è tenue, e tenue ritroviamo le spine, che in certi casi sono ridotte a diafane pellicole che non apprestano altro contributo nel totale complesso della spira che quello di formare una sottile membrana che dalla parte anteriore invagina il corpo della spina tutto di origine intramarginale. Caratteri della sezione Laxispirae (Euspirocarpos e Leptospirae Urb.) Qui nessuna ambiguità di sorta, il caso si presenta nella sua più perfetta «chiarezza. La spira è sottile, il pericarpio tenue, l'accrescimento conforme, tanto nel nervo intramarginale quanto nel margine dorsale ed il primo lo si vede, ( riportandoci a quanto avviene nell’obscura), libero, remoto dal nervo dorsale. Nitida, caratteristica ed inalterata è la nervaziohe faciale della spira, chiara la doppia origine delle spine, le cui scorrenze faciali, diciamo così per una inevitabile tendenza a saldarsi con le loro porzioni dorsali, se «non giungono assieme al nervo intramarginale a raggiungere la precisa linea to) to] to) DO to) 20 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI dorsale (creando il cosidetto solco, Furcke, di Urban), si guarniscono di un. tessuto cellulare ricolmante le due basi, tanto più evidente quanto più lontano. è il fascetto marginale dal dorsale. Trovo strano che di un caso così semplice e della cui semplicità ci serviamo egregiamente’ per spiegare i casi più complicati, l’Urban con astruse circon- locuzione ne abbia fatta una cosa così intricata. Ci corre il compito di vedere in qual modo sia suscettibile questo gruppo di essere diviso in gruppi secondarii, essendo superfluo il dichiarare che val poco la divisione della serie delle Laxispirae in due gruppi come ha fatto l’Urban, in forza di un solo carattere, a quanto pare, ridotto solo a quello della esistenza o meno, di un tessuto cellulare separante i semi nella loggia. Per ciò fare lasciamo a parte il dorso o faccia dorsale del. legume e con- centriamoci nell’ osservazione della superficie faciale delle spire. La sutura dorsale, libera dall’incubo, diciamo così, esercitatovi dall’incremento delle valve, ha avuto qui il suo naturale sviluppo. A me pare che c'è da distinguere un primo caso, quello quando il nervo. intramarginale, colle sue basi delle spine resta remoto dalle spine della sutura tra le quali esiste un solco. Oppure il nervo intramarginale spingesi sino alla precisa suturà, ricolmando il solco intersuturale in modo che le due basi della spina strettamente confluiscano. Un terzo caso si osserva nell’Interlextae ed infatti io, tal caso non saprei gran fatto distinguerlo dall'altro sopradetto, nonostante ciò che ne pensi l’Urban.. Nell’ Interlexiae la formazione di un nervo intramarginale è poco chiara. Infatti che cosa è che caratterizza tale regione e che ci può permettere di dire che essa esiste o pur no? L'intreccio solo, io credo, delle nervature ra- diali, partenti dal ventre e che si anastomizzano ad una maggiore o minore distanza (sulla faccia) della sutura dorsale. Nella M. 22ur2coleptis tale anasto- mosi è evidente e normale. Nella M. intertexta, M. ciliaris essa è quasi nulla ed i nervi del margine intramarginale obliquamente inflettendosi, vanno direttamente a confluire in quelle della sutura dorsale. Il nervo intramarginale è remoto nelle specie: M. Rispida e var. M. ma- numa etc. Confluente col dorsale si è nelle specie: M. arabica All., M. Tenoreana, disciformis, praecox, coronala e nelle specie Znlertextae. Non comprendo con quale concetto è fatta la distribuzione di queste specie nel lavoro di Urban. Questo è quanto ho creduto riferire. Da quanto ho detto, si potrà rilevare. come io convenga nelle mie idee con quelle dei signori Grenier e Godron, ai quali deve concedersi il primato di aver saputo distinguere la produzione di un « nervo extramarginale » come da loro è chiamato, e l'origine delle spine dovute alla sutura dorsale, nonchè al nervo intramarginale. DEL GENERE MEDICAGO 73) Il prof. Urban ha studiato sotto qualsiasi punto di vista il genere ed io non posso che accettare di peso, la serie delle sue tante accurate osservazioni ed associarle come contributo valevolissimo alla distinzione delle specie ed alla generale cognizione del genere. In quanto al concetto specifico nulla ho da dire in questo scritto. Il Prof. Urban, mi permetto osservare, ha creduto spesso sintetizzare e ri- durre il valore di molte specie, seguendo troppo da vicino la corrente delle idee attuali. Bisogna però aggiungere ad onore del vero che in pochi generi un concetto differente sarebbe riescito più facile seguirlo. Le insensibili varianti della forma dei frutti che geometricamente conformati con geometrici criteri del pari, vien facile il classificare, hanno prestato una via piana alla sintesi dell’Urban, però molto spesso contro la naturalezza, desunta da tanti altri ca- ratteri, solidi, salientissimi, apprezzati in qualsiasi genere, meno forse che nel genere Medicago ove la singolare struttura del frutto ed i criterî esclusi- vamente basati sovra di esso, hanro fatto trascurare l'ispezione della serie degli altri organi. Solo gli autori della Flora Francese, e lo si vede dal risul- tato delle specie da loro ammesse, hanno accuratamente seguito la specie in tutte le sue modificazioni. L'Urban pazientemente ha creduto desumere il valore specifico, da un carattere da nessun altro adibito. Egli ci dà 61 disegui, per quanto è il numero delle specie da lui ammesse, che tutti hanno una caratteristica nel modo come le nervature che formano la reticola, vengono ad irradiare dal nervo ventrale, schizzando un disegno proprio sulla faccia della spira. Che queste differenze sono vere, che sono proprie ad ogni specie non v'ha a dubitarne. Ma sarebbe forse lecito domandarci se tutte queste modalità rispondano in primo, alla quantità degli altri caratteri posseduti dalla specie, e poi se fra di loro sia possibile trovarvi un nesso tale da potere riferire ad un tipo primario, tanto per potere ricavarne un distintivo sintetico comune ad un gruppo di specie. Poichè se mai tale nesso non ci sia, tra i 61 disegni dell'autore tanto accuratamente ritratti, potrebbe pensarsi che la disposizione dei nervi faciali, la quale pare che tanta influenza si abbia sul modo di conformazione ed origine delle spine, analizzata poi resta sempre un mero carattere di specie, non corrispondente al tipo di struttura del legume, e che essa debba essere un indizio ben fallace, tanto più poi come l’Urban stesso osserva, nel gruppo Packyspirae, ove l'im- pronta nervulare è quasi cancellata per la mutua pressione delle facce. Addippiù, sul proposito potrebbe dirsi, che vera, costante, tipica, per quanto si voglia, la nervazione nelle singole specie, per come Urban la disegna, tale carattere riesce dei più difficili a rendersi nella lingua descrittiva, e perciò potrebbe nella migliore ipotesi, solo interpetrarsi, mediante le figure eccellenti dell'autore. I signori Willkomm e Lange ben chiaramente fan rilevare il dif- 6 22 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI ficile uso che praticamente saprebbe farsi di tali caratteri, sui quali a dir vero io non ho voluto addentrarmi. A mio senso, io la nervazione la ritengo un inutile aggravio descrittivo, nelle sezioni Lupulina e Falcago, ove la semplice struttura del legume non ha un'impronta speciale tale come suol esser fatta nei singolari legumi delle Med:cago delle altre sezioni. Un'altra osservazione. Estrema uniformità di nervazione hanno le facce del legume dell’Intertextae. Certamente che di fronte a specie così distinte co- me: M. ciliaris, muricoleptis, granatensis, galilaea, lo studioso si curerà poco a scervellarsi a studiare l intreccio nervulare, quando caratteri vegetativi, forma, struttura, accessori di spine, di sutura, potranno apprestare a lui tanto spedito e facile mezzo di ricognizione. All’inverso svariata poi per quanto sembra nelle Pachyspirae la nervazione, chi potrebbe cogliere le differenze di una .M. lttoralis ed una M. Pironae? di una M. murex è M. tuberculata e M. daghestanica? di una M. praecox e JI. laciniata ? le quali specie confrontate, abbenchè disparatissime , pare a giudicare dai schizzi dell'autore, che abbiano una nervazione più o meno con- simile! Non pertanto quanto ovvia è invece la distinzione tra ciascuna di queste due specie considerate sotto i vari altri punti di vista! Concludo col- l’ammirare l’ ingegno del Prof. Urban, ma pur troppo su tale via io credo non ci sarà alcuno che saprebbe seguirlo. Poco ho da dire sull’orientazione della spira che può scorrere da sinistra a destra o viceversa. Già l Urban non si serve di questo carattere che per distinguere le mere variazioni. Tale carattere non è un carattere, mi si per- metta questo modo di esprimermi, è una differenza di orientazione, che non sta in relazione con nessuna cosa, con nessun altro carattere, onde individui perfettamente identici per tutti i riguardi possono presentarci legumi destrorsi o sinistrorsi e viceversa. Ciò è quanto dire. Fo seguire a questa memoria un quadro sinottico, ove in conformità ai prin- cipi sovraesposti ho procurato di classificare le specie del genere. Dopo ciò sarei fortunatissimo se qualche cosa di vantaggevole, avrà potuto acquistarne la cognizione di questo genere vago e singolare. EBROSPETTOTDELLESSEZIONI ——— te DIVISIONE A Nervo intramarginale nullo sulla faccia della spira. Le spine 0 tubercoli ove raramente esistono, (M. Carstiensis e M. rugosa) provengono dalle scorrenze delle vene ra- dianti dalla sutura ventrale. B. SEMI FORTEMENTE RUGOSI PEL TRAVERSO Sez. |. Hymenocarpoides Gris. Urb. l. c. p. 51 1. M. radiata Lin. (1) BB Seme Liscio (nella M. ordicularis papilloso-punteggiati). I. Radicula tanto lunga o più lunga che mettà della lunghezza del seme. a Radicula e cotiledoni parallelli, o quasi, alla sutura ventrale. a Legume monospermo, reniforme. Spire convesse. Stilo nell’ antesi altrettanto lungo quanto la parte ovarica. Sez. Il. Lupularia Ser. Urb. Prod. p. 47 2. M. lupulina Lin. 3. M. secundiflora Dur. 8 Legume mono o polispermo, retto, falcato o convoluto a spirale. Spire compresse. Stilo nell’antesi molto più corto che il carpello. Sez. Ill. Falcago Reichb. Urb. l. c. —) Carina altrettanto lunga o più lunga del vessillo. Frutice. 4, M. arborea Lin. =) Carina più corta del vessillo. Erbe perenni 0 perennanti. + Pedicelli inflessi dopo l’antesi. + Sutura ventrale retta o alquanto ritorta. » 5. M. hybrida Traut. 6. M. cretacea M. Bieb. ++- Sutura ventrale ravvolta a spirale. (1) Questa specie mi è ignota mancando nell'Erbario Palermitano. 24 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI X Spia WU, ad 13 4 7. M. rupestris M. Bieb. XX Spire più di 1 ‘4. 8. M. cancellata M. Bieb. 9. M. prostrata Jacq. ** Pedicelli sorretti dopo l’antesi. 10. M. sativa Lin. 11. M. papillosa Boiss. 12. M. suffruticosa Ramond 13. M. saxatilis M. Bieb. a.a. Radicula non parallela alla sutura ventrale, ma diretta verso la pla- centa quasi perpendicolarmente. Sez. IV. Orbiculares Urb. l. c. p. 48 14. M. orbicularis AI. 15. M. carstiensis Wulf. (1) II. Radicula più corta per lo più di mettà della lunghezza del seme. Sez. V. Scutellatae Urb. l. c. p. 49 (cum. Sect. Rotatae Urb. l. c.) Spire lasse, cocleate, non remote, foliaceo-compresse spirali, spiralmente concentriche o biconvesse (M. Bonarotiana), nervo laterale molto attiguo al margine nerviforme, o quasi nullo, venule appena prominenti o elevate in rughe. X Legume lenticulare. 16. M. rugosa Desr. XX. Legume a spire concentriche. 17. M. scutellata All. XXX Legume biconvesso, cioè a spire le cui facce concave si guardano. 15. M. Bonarotiana Arcang. (2) (1) Sin qui la disposizione è tolta di peso dall’ Urban, non essendomi io occupato di queste specie. Ho tolto dalla Sez. Fulcago la M. marina. Seguo l’Urban, nel mettere la M. Carstiensis nella Sez. Orbiculares, però nè dall'abito, nè da altro carattere, tale spic- catissima specie addimostra relazioni colla 4. orbiculares e sembrami che tale posto le sia stato assegnato per mere vedute artificiali. Nell’ Erbario Palermitano ho avuto esemplari con frutti immaturi e ciò mi ha impedito giudicarli. (2) Alcuni autori hanno creduto pronunziarsi sul valore della M. Bonarotiana e la ri- portano alla M. Blancheana Boiss. Se così. non saprei comprendere come 1° Urban della DEL GENERE MEDICAGO la) DIVISIONE B Sulla superficie faciale delle spire, evvi un nervo intra- marginale concentrico al margine dorsale, formato dal- l'anastomosi delle nervature provenienti in senso radiale dalla sutura ventrale. I giovani legumi dopo l’'antesi sono contratti spiralmente dentro il calice (Urb.) Radichetta più corta 0 quanto la mettà della lunghezza del seme. Sez. VI. Helices Mihi (PacQyspirae pr. p. Urb. l. c. p. 49) Spire remote non concrete. Nervo intramarginale visibile sulla faccia della spira o obsoleto. Dorso percorso da un nervo sottile, acutissimo tenue foliaceo, o convesso, mai appiattito. Spine quando esistono, tenui, oscuramente bicruri. Legume piano-lenticulare (spira 1 4) o quasi cilindraceo e sino a 8 spire (M. tornata Wild). + Legume plano-foliaceo, spire 1 !4, margine dorsale acutissimo, sot- tilissimo. 19. M. obscura Retz. ++ Legume dal margine convesso, spire 1 12 sino ad 8. 20. M. helix Lin. 21. M. tornata Willd. 22. M. striata Bast. +++ Legume dal margine acuto, spire alquanto spesse ai margini di com- baciamento, acutate, armate. Spire 4 ad 8. 25. M. commutata Tod. (M. muricata Willd sec. Urb.) M. Blancheana non noti il singolare carattere della conformazione delle spire, che dovrebbe supporsi, stante la voluta identità delle due specie che anco nella specie del Boissier dovrebbe ritrovarsi. Dall'esame della sola M. Bonarotiana non mi sarebbe lecito in vero pronunziarmi sul valore della Ses. Rotatae Urb. o piuttosto fintantocchè non si saranno osservate le for- me spinose di questa M. Bonarotiana, non sì potrebbe dire quanto essa differisca dalla M. rugosa. Accenno alla M. rugosa poichè questa specie che vien posta tra le SeuteZlatae, che Urban ritiene prive di nervo intramarginale, presenta nella formazione delle rughe un che di analogo alle stesse minute rughe , alla stessa rudimentale reticola che evvi nella M. Bonarotiona. Infine per i scarsi materiali a mano, io non posso pronunziarmi sull'esi- stenza o meno di un nervo intramarginale e perciò sul posto da assegnare alla Ses. Scw- tellatae e alla Ses. Rotatae. Però per molti caratteri a me pare che l'una sezione non può che per solo mero artificio separarsi dall'altra; è questo quel che sin da ora mi permetto accennare , lasciando provvisoria la loro collocazione nella serie delle specie mancanti di nervo o che ne son fornite. i 26 SULLA MORFOLOGIA DEI LEGUMI Sez. VII. Pachyspirae Urb. pr. p. Nervo intramarginale non più sulla faccia delle spire, ma del tutto fuso colla sutura dorsale e sullo stesso piano (ecc. M. tuberculata Willd.) dorsale; sutura dorsale ridotta al sulo nervo, che scorre nel mezzo della faccia dorsale, lata appiattita ed a margini combacianti acutissimi, spire in massima parte perciò formate dal nervo intramarginale accreto e spesso, spire perciò spesse e strettamente combacianti le une alle altre. Spine raramente nulle o tubercoli a hase lata e conica. + Nervo dorsale unico, carinante, prominente, nitido, squisitamente nerviforme o filiforme. * Annue. 24. M. cylindracea D. C. 25. M. littoralis Rhode 26. M. tribuloides Desr. 27 M. truncatula Gaert. 28. M. rigidula Lin. 29. M. Pironae Vis. 30. M. marina Lin. (1). ** Perennanti. --+ Nervo dorsale unico prominente o appiattito, dilatato e nastri- forme, margini dors. della spira acutissimi repandi o undulati. 31. M. turbinata Lin. 32. M. Sorrentini Tin. -—LL Nervo dorsale unico filiforme con due nervuli collaterali stretta- mente attigui, onde la faccia dorsale è trinerve. i 33. M. sphoerocarpa Bert. (M. murex Willd). 34. M. sicula Tod. (2) +++ Nervo dorsale nullo o obsoleto, faccia dorsale concava. 35. M. constricta Dur. (M. globosa Presl. sec. Urb.) +44 Nervo intramarginale su un piano diverso della sutura dorsale decisamente faciale e perciò non sovraccombente su di essa. Spine tuberculate raramente prodotte oltre il piano della sutura dorsale ( M. tuberculata sp? nulosa, = M. tuberculata var. syriaca). i 360. M. tuberculata Willd.. (1) Nelle specie M. rigidula Lin. M. Pironae Vis. e M. marina Lin., la faccia dorsale anzicchè piatta è convessa per eccezione. 3 (2) Se si terrà presente il carattere della struttura della faccia dorsale della spira, si osserverà che la M. Sorrentini starebbe colla M. turbinata per avere un solo nervo dor- sale, mentre la M. sicula andrebbe colla M. sphoerocarpa per averne tre. sa N DEL GENERE MEDICAGO 2 Sez. VIII. Laxispirae Mihi (Euspirocarpos, Leptospirae et Intertextae Urban) Spire lasse, sottili, mai concrete, remote, pericarpio tenue, nervatura faciale delle spire squisitamente prominente. Nervo intramarginale sulla faccia (come nelle Zelices) e più o meno remote o confluenti col margine dorsale, con un solco intermedio, o nullo, quando le spine intramarginali confluiscono diret- tamente colle dorsali. Nervi della reticola retti o confluenti obliquamente con quelle della sutura dorsale. Spine gracili squisitamente bicruri, all'apice un- cinate. I giovani legumi dirigonsi dopo l’antesi lateralmente tra i denti ca- licini (Urb.) a Un solco tra il nervo intramarginale e la sutura dorsale. 37. M. hispida All. 38. M. minima Linn. 39. M. laciniata Lin (1) aa Solco nullo, nervo intramarginale confluente col dorsale, basi delle spine del nervo intramarginale direttamente innestate colle dorsali. 40. M. Tenoreana Ser. 41. M. praecox D. C. 42. M. coronata Desr. 43. M. disciformis D. C. 44. M. arabica All. (2) aaa Nervo intramarginale più o meno evidente, vene obliquamente scorrenti direttamente verso il margine, le due basi delle spine colmate o no da un tessuto cellulare. + Spine minime, non colmate da tessuto cellulare. Legume discoideo, sutura dorsale angustissima. 45. M. muricoleptis Lin. 46. M. galiluea Boiss. 47. M. granatensis Willd (3) -++- Spine massime, base lata triangulare, colmata da tessuto cellulare. Le- gume sferico o cilindrico convesso o leggermente depresso. Sutura dorsale latissima. 48. M. interterta D. C. 49. M. Decandollei Tin. 50. M. ciliaris Willd. (1) Qui e nelle ZLeptospirae figurano nell'Urban le specie M. daghestunica, M. Nocana, M. Aschersoniana, a me sconosciute. (2) Questa specie ha la massima affinità di struttura colle specie Intertextae. (3) Queste due specie mi sono sconosciute. La frase assegnatavi, si riferisce in vero stret- tamente alla M. muricoleptis. 1 dA ù LEGGENDA DELLA TAV. I 1. Medicago Z/eliw Lin. vista dalla faccia, ingrandita — 1% detto dal dorso, 4. Dl 6. Sì (9 0) 10. » » » » » » ingrandita — 1° M. Helix var. laevis ingrandita. obscura spinosa Guss.--2* M. obscura spinosa, spinis longio- ribus (Ins. Aeol.) tornata Willd. poco ingrandita — 3° detto visto dalla faccia — 8! detto porzione di spira vista dal dorso ed ingrandita — 3° varie forme di legumi della stessa al naturale — 3° em- brione. commutata Tod. legume visto dalla faccia — 4* visto dal dorso leggermente ingrandito — 4% e 4° legumi non bene maturi — 4° spira molto ingrandita. striata Bast — 5° legume visto dal dorso (forma laevis) — 5° forma tuberc.-spinulosa (esotica) molto ingrandita. tetracycla Preslì — 6° spira, porzione molto ingrandita. cylindracea D. C. (legume della forma sudinermis) al naturale — 7° forma subinermis—7" detta major — 7° detta spinosa -—- 7° porzione ingrandita della spira della stessa — 7° altra forma di legume della stessa — 7 porzione di spira del N. 78 - 78 legumi della forma /aeviler spinosa — Ti porzione molto ingrandita della stessa forma in cui vedesi la nerva- tura dorsale nerviforme, a certo punto strappata e libera dalle valve. tribuloides Desr., legume quasi a grandezza naturale — 8° legume M. truncatula prox. — 8° spira della M. 4#buloides vista dalla faccia ingrandita—8° porzione di spira molto ingrandita in cui quasi spontaneamente il nervo della sutura dorsale sì stacca —- 8° 4ribuloides forma major. trumncatula Gaertn — 9* porzione di spira in grandissimo. in- grandimento coll’impressione della sutura dorsale e delle scor- renze delle spine difficilmente separabili. sphaerocarpa Bast. forma ovalis—10% M. sphaeracarpa subi- nermis (Sicilia)—10% porzione di spira della stessa—10° forma spinosa 10° porzione di spira della stessa molto ingrandita. 11. Medicago sicula Tod. 11% e 11% forme di legume della stessa al naturale — ll° porzione di spira degli stessi. Je. » rigidula Desr. legume poco ingrandito — 12° porzione di spira, vista dal dorso —- 12° faccia della spira — 12° porzione della stessa dal dorso più sviluppata ed a maggiore ingrandimento 12° M. r'igidula depressior grandezza naturale—12° detta vista dalla faccia. 13. » neglecta Guss. (Sicilia) — 13% porzione di spira molto ingran- dita vista dal dorso. pis M Lojacono Pojero del. US IETt SS a i ” OCT i ” Ì 6 Abb til II r Pari 3 i A fi È re Si RE. | e t.E® Hubex LEGGENDA DELLA TAV. Il 14. Medicago wWbinata Wi. spinosa (M. aculeata Gaertn), ( Girgenti) — Hi (SL » 16 e 16% » dee » 15. » 19. » 20. » le » A » 23: » 14° porzione di spira ingrandita — 14% spaccato di una spira coi due semi al posto. olivaeformis Guss — 15° legume più giovane -— 15° nerva- tura dorsale strappata colle scorrenze delle spine — 15° em- brione. Iurbinata Willd. lurbinata inermis legume giovane (Lusitania, Dareau) An. M. olivaeformis Guss? — 17* porzione di spira della stessa, gio- vane — 17% M. lurbinata (Insulae Cretae). Sorrentini Tin. (coltivata) — 18% porzione di spira della stessa vista dal dorso con unico nervo nastriforme e depresso. globosa Presl. ex Attica ( M. constricta Dur. ex Urb. ) frutto perfetto ingrandito del doppio (poco ben riuscito nel disegno) — 19* porzione di spira dalla faccia ingrandita — 19° por- zione di spira dal dorso, ove totalmente manca ogni vestige di sutura dorsale — 19° la stessa presa da un legume più maturo. reticulata Benth. legume ingrandito 10 volte, visto dalla faccia — 20? detto dal dorso — 20” porzione di spira dalla faccia ove le basi delle spine si saldano in una formante una specie di ponticello — 20° nervatura dorsale strappata dalla sutura — 20° embrione —- 20° la figura — 20° vista dalla faccia. apiculata Benth. (Calabria, legît Gasp.) legume dal dorso a qua- druplo ingrandimento — 21° detto dalla faccia — 21" por- zione di spira vista dalla faccia. denticulata Willd. ( spinosior) porzione di spira vista dalla faccia, ingrandita del quadruplo — 22* e 22% porzione di spira della stessa (sudzinerziis ) vista dalla faccia a maggiore in- grandimento. terebellum W.legume al naturale -- 23* porzione di spira vista dalla faccia molto ingrandita — 23% nervo dorsale colle basi delle spine — 23° detto a maggiore ingrandimento. 233 Medicago teredellum inermis? forma dubbia transizionale (Calabria). 24. wo 00) » » » » » lappacea pentacycla breviaculeata — 24* detta longeaculeata. gracilima Tin. porzione di spira dalla faccia ed ingrandita. arabica All. porzione di spira vista dal dorso, molto ingrandita — 26% nervo dorsale ingrandito colle spine dorsali. Tenoreana Ser. appena ingrandito — 27 porzione di spira vista dalla faccia — 27> nervo dorsale-colle spine, poco ingrandito, 27° detto molto ingrandito — 27° porzione di spira a mag- giore ingrandimento. minima Lin. var. longiseta, porzione di spira vista dalla faccia ed ingrandita di molto — 28% nervo dorsale colle spine dorsali TE E RO I I RA "°° pa” pr RE l'altare M Lojacono Pojero.. del. “x M È n Lit.Fli Huber, 30. LEGGENDA DELLA TAV. II . M. pulchella Tod. legume ingrandito 10 volte — 29* faccia di una spira — 29% nervo dorsale colle spine dorsali. M. praecor D.C. Legume visto dal dorso, — 30% porzione di spira vista dalla faccia. M. coronata Desr. M. disciformis D.C. Porzione di spira dalla faccia, — 32* porzione del nervo dorsale colle spine dorsali. M. tuberculata Willd. spira col nervo dorsale filiforme in parte strappato 33 la stessa — 33° spira vista dalla faccia (legume giovane ingran- dito) — 38° legume appena ingrandito. M. muricoleplis Lin. legume appena ingrandito (M. muricoleptis var. minor) — 34% detto, visto dalla faccia, poco ingrandito — 34” M. mwu- ricoleptis typica — 34° detto visto dal dorso — 34° detto ingrandito — 34° nervo suturale e spine dorsali — 34f seme. . M. Decandollei Lin. frutto ingrandito del doppio — 35° detto dal dorso ingrandito del doppio — 35° grandezza naturale — 35° nervo dorsale e spine dorsali. M. interterta Gaértn. Legume poco ingrandito — 86% nervo dorsale e spine dorsali — 36% struttura della faccia, porzione di spira ingrandita del doppio, strappata dal nervo dorsale (36%) — 36° detta faccia a mag- giore ingrandimento. . M. saccensis Lin. (M. De Candollei forma) Struttura del nervo dorsale e delle spine giovani. M. ciliaris Willd. Legume—38® porzione di spira vista dalla faccia, tolto il nervo dorsale e le spine dorsali — 38. nervo dorsale e spine. M. Bonarotiana Arcang. . M. scutellata All. — 40* legume visto dalla faccia ventrale — 40° embrione. Tyre I \,4 M.Lotacono Pojero del. LI Pu po -—- Ie RO DÒ DELL'OSSERVATORIO DI PALERMO OSSERVATA ID)ZZ] HIBZADINP?ZA Letta nell'adunanza dell’Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti del dì 16 Agosto 1891. \(©) dl Nada i + Men ai FARFERLODINE DE P:XCERMO OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE —_e arno — Uno degli argomenti principali da trattarsi in un osservatorio è senza dubbio quello concernente la latitudine. Oggi poi l’importanza di esso è divenuta maggiore perchè nel mondo scientifico si dibatte più che mai la questione della sua variabilità. Fu perciò sempre mio vivo desiderio di possedere mezzo adatto a fare convenienti ricerche, e per più anni domandai od un telescopio zenitale od almeno uno stru- mento dei passaggi portatile. Nel 1884 vedendo che ancora per molto tempo avrei desiderato tale strumento , volli tentare una determina- zione di latitudine col cerchio meridiano. In quella ricerca posi tutta la cura possibile pur tuttavia, come lo dichiarai fino d’allora, non ero persuaso di avere detto con essa l’ultima parola e poi per quella via non potevo sperare di entrare nell’arringo sullo studio della variabilità. Continuai pertanto ad insistere per avere lo strumento desiderato e negli ultimi giorni di agosto ebbi il piacere di vedermi possessore di un bellissimo strumento dei passaggi fornito dalla casa Bamberg di Vienna. ; Mia prima cura fu studiare lo strumento in ogni sua parte. Osservai la collimazione e mi persuasi che la conservava bene; osservai l’azimut per vedere se invertendo lo strumento subiva variazioni, e lo trovai 4 LATITUDINE DI PALERMO costante entro il secondo d’arco; determinai quindi il passo del miero- metro, le distanze dei fili e la sensibilità del livello; per quest’ultima operazione usai tanto il comparatore quanto il cerchio meridiano, po- nendo il livello sul dado del cerchio stesso. Stabilite le varie costanti, usai per alcune sere lo strumento, a titolo di esperimento, alla ricerca del tempo in concorrenza col cerchio meridiano; e l’esperimento riuscì assai bene. Dopo questi studî preliminari, girai lo strumento al primo verticale ed il 15 settembre principiai il lavoro; nei primi giorni le nubi inter- ruppero di continuo le osservazioni tanto che i passaggi ai pochi fili osservati interrottamente, furono poi da me abbandonati. Usai dapprima il metodo del esse), osservando le quattro stelle c Cygni, T9 Cygni, 12 Andromedae e e Andromedae; e poi il metodo dello ,St-we, adoperando le ultime due stelle. È mia intenzione , di tentare uno studio delle possibili variazioni nella latitudine, osservan- dola col metodo tedesco, adattando perciò convenientemente lo stru- mento dei passaggi. Presento intanto questo risultato della mia ricerca, essendo se- condo me soddisfacente. È inutile avvertire che usai.tutte le cure onde l’operazione riuscisse bene : lo strumento fu collocato , questo si intende, sopra un pilastro isolato dal pavimento. Nella camera di os- servazione, che si apriva sempre molto prima, onde si equilibrasse la temperatura, stavo costantemente solo, procurando anche di conservare la maggior immobilità; un orologio a me vicino mi permetteva di sti- mare ad orecchio il tempo e di scriverlo da me; metodo che in tal caso credo sia da preferirsi. Nessun lume era portato in giro o spostato nella stanza, vi erano invece lumi fissi alle pareti, distanti circa un metro dallo strumento ; così potevasi osservare ogni cosa colla massima co- modità. Il tempo veniva osservato sera per sera al cerchio meri diano dall’Ing. Agnello. La livellazione, come è naturale, fu quella che si ebbe tutte le mie cure; usando il metodo del esse la esegui nel seguente modo : prima e dopo il passaggio est ed ovest, determinavo l’ errore della bolla e, durante i passaggi, facevo continue mezze livellazioni; in tal modo l’inclinazione dell’ asse era continuamente esplorata. Col metodo dello Struwe lasciai sempre attaccato il livello, cosa assai vantaggiosa , e facevo quattro letture ad est.e quattro ad ovest per ogni stella, Per concludere la latitudine, come si vedrà poi, presi le declinazioni delle stelle dai cataloghi del /espighi e Bradley Awwers, tenendo sepa- rati i due risultati; i moti propri li presi dal £Lradley Awwers tranne quello della 79 Cygri che dovetti prenderlo dal Zen Year. OSSERVATA CON PASSAGGIO AL PRIMO VERTICALE D Non tralasciai di consultare altri fra’ migliori cataloghi : il risultato lo do però secondo i due predetti; ma alle mie differenze 4 — è, potrà sempre applicarsi, quando che sia, quel è, che più piacerà. Le ascen- sioni rette, utili al calcolo degli angoli orari nel metodo del Lessel le presi : Dall’ Astronomisches Jahrbuch per + Cygni; dal Bradley Auwers, dal- l’/arnalle dal Twelve Year per le altre; prendendo sempre i moti propri del B. A. Le formule usate sono: col metodo del Lessel È 5 1 1 sen(g—3)=zsengcosòsen" — #4 cosz col metodo dello Struve di (X_--1)tg ; W(e-3)= oo tie? dove =) dn(9)) Seen (€ Gatale Deere È a) (e h) log 7 = log sec nella quale a è il tempo sidereo del passaggio £ oculare N Ù) n » » E » S (di » » » J J 6 » S ld 7 » » » J I 14 » N NI è) da Il log # si ha facilmente dalla tavola dello Struve ; il (4 tabelline che per ogni stella si possono preparare con 1’ argomento k o.v—-d. Per la riduzione ai luoghi medi usai le tavole Quantitatem PBesse- liamarum dello Strwce; per i calcoli adoperai i logaritmi del Bremiker e di Herz. La sensibilità del livello è = 2”, 150 + 0”, 011; il zero è laterale. METODODEESBESSELE ‘Le tabelle che seguono contengono : Nella prima colonna: il tempo sidereo del passaggio al verticale est. Nella seconda : le posizioni del centro della bolla, durante tale pas- saggio. Nella terza : il tempo sidereo del passaggio al verticale ovest. 6 LATITUDINI DI PALERMO Nella quarta : le posizioni del centro della bolla, durante tale pas- saggio. Nella quinta : (g —è,) deve interdersi ridotto al zero gennaio. Lateralmente vi sono le riduzioni ai luoghi apparenti (rid. /. a. ) in AR., ai medi (rid. 2. m.) in Decl., le inclinazioni è cos 2 ed il moto proprio. Di sotto vi sono le correzioni del livello (e. 2. ), le inclinazioni (6. 0 dx) est el ovest in parti del livello, il medio (g — è,) ed il suo errore medio. Le AR. melie usate sono : AR. 1890, 0 7 Cygni ZIO) 24, 00 M.P.+ 0, 0121 19 Cygni 21 38 52,50 » +0,0016 12 Andromedae 23 15 34,68» -+0,0093 p Andromedae 0 15 19,50» + 0,0038 OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 2108 ON...E INTOISA il h_ ms hem 20.21.51,3 ù 21.50.45,6 31,40 23.48,8 SPIE) 24.48,3 54. 4,7 247,7 | BEE NZ 26.590,53 560. 6,8 27.58,8 57. 9,8 31,25 30. 4,7 58.50,5 31.20,8 60. 1,3 32.32,5 60.57,5 | 31,00 P p p (= 686009) Loto oh ettembre 1890 ct Cygni LP, bu = 2,44 QINESSSE (ONISNESGANA Pie IRE TTAS 31,15 hm s 20).56,47,9 22009 57.594,53 6.43,9 58.57,8 8.15,1 31,05 2INUI:23!6 IRZA 2.39,6 12.40,8 3.55,8 13.58,9 5.15.6 15.17,4 6.43,8 16.55,4 31,05 11.18,3 20. 4,9 LAZ 21.11,4 30.90. | p p p ll = 609) 14 ZABEL cli 35,60 pos 19.56.77 55,04 56,16 35,60 | 99, 35,05 | 56,28 | 55,81 34,95 | Li » Dain = Zi 16 med. = 19.56,00 0,19 I 0 do Pp 35,75 ; | 32.10,75 | DD 11,44 | MURosai A RaZATa: 11,44 | rid. Z. m, | 11,47 d COS 3 È 10,92 sa 15) mi p 10,70 10,95 10,59 35,45 I I Il 21 lo 0) LATITUDINE DI PALERMO VI 09 09 DI MD DI O 5 S © I O OI da mu O) N vo ur = i» Tor) TS dI DD > CSI (Co) 3 VI PAIR (OSSEO la its 23.15.46,9 16.31,6 17.18.8 18. 7.1 19. 0,6 20.34, 1 21.27,8 22.19,1 23.11,1 24. 4,0 25.54,06 26.48,6 27.46,1 28.45,7 20.44,8 1 CAli=395 2 59,50 Wo =22 ol ON...W p p 35,60 hm s 31,95 IROE5E2 1.48,7 2.471 3.45,4 VIII 4.47,9 2 39,40 6.30,7 31,70 7.260,77 8.20,3 9. 9,3 Resa 10. 0,7 Ù 35,15 11.427 31,60 12,28,4 13.15,7 14. 4,7 35,00 14.51,7 31,55 DA p p. ln=20 ek =8821 ba E) ORIO 21 settembre 1890 12 Andromedae (DAI ol rS O SÌ 31,85 (3) QU PACS NI OH I Sl (co) noe 31,90 19 Ud * I Ul © do © JIO JIN DAI DI P bi: = 1,90 49,74 49,08 50,25 49,81 49,26 50,42 51,43 48,99 49,94 49:80, 48,810 48,96 49,72 rien), rr med. — 31.49,82 + 0,21 p Andromedae (RI EZEA mu do 45.10,55 10,69 10,57 10,82 10,93 10,87 10,53 11,61 9,67 10.50 11,74 10,86 9,84 10,61 uo , PAfZa: VA LLISO, med. = 45.10,73 + 0,15 OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 22 settembre 1890 t Cygni O N...E OS... W i P p hm s 34,35 hm s | 30,60 | Pi 20.18.13,1 21.45.56,3 | 32.10,08 9. 5,6 47.123 | 10,80 s Serata j | rid. La. = 2,011 20. 1,6 48.291 | 11,35 |! ni 20).56,6 49,398 | 11,33 | rid. 2. m. = 18,331 21.519 50,45,8 | 9,98 | ico = 3,846 23.47,6 34,90 53. 0,3 31,15 11,20 | dr È m.p. = — 0,334 24.49, 1 54.48 | | > 10,34 25.48,9 55. 5,3 | 9,86 26.50,6 ‘56. 5,8 | | 19,16 27.57,6 34,90 | 57.98 31.15 11,29 30. 5,0 | 58.59,0 | 9,98 31.20,1 Y22R 02, | Rezia 32.33,6 0.56,8 | 10,07 | 34,80 | [RSSN5 p P_ p ele=32/93 de = eil on = 3295 da = 194 LITIO ,r med. = 32.10,55 + 0,18 79 Cygni ON...E | OS... W i Doe P ; hm s 34,65 | hm s 30,80 AT 20.56.47,7 | 22. 5-1,7 19.55,66 57.542 | 6:43,7 | 55,52 da Sa 58.59,7 A O DAS MRO i aio A MRS 55,60 | rid. 2. m. = 18,051 ‘ | Dali 33.55 : 2.39,3 12.40,7 | 55,55 i COS 3 = 42 3.53,9 13.57,7 55AI na 5.15,9 15.160 SO OR IA 6.43,7 | 16.34,9 e 02 CHE Ie 99 eo 55,96 11.195 20. 4,7 55,69 19227 21-1074| 55,47 35.15 | 31,05 10 LATITUDINE DI PALERMO 22 settembre 1890 12 Andromedae Acad med. = 45.10/56 + 0/07 Osa |: ON...W Ss) SE p I ORNO 1 QAS 35,05 hm s 34,45 FAMI, 99.25.15,7 23.53.14.0 31.50.34 26.12,2 54.26,2 49,62 3 27 5 = DIE 20 41 i = 30. 7,7 58.571 49,03 at 37 0. 0,3 48.77 4,004 32.10,0 0.598 49,22 33.144 DIOR ia 49,89 DES 35.30.4 ag) | SO 48,83 36.36,3 4.53,6 50,20 37.482 5.48,8 49,85 39. 42 6.44,6 49,69 40.204 7.37,8 49,61 34,95 I Ed I Bo 176 med. = 31/49/49 + 0/16 e Andromedae OISNE ON...W gia P P. ms 3O h mos 34,80 VIZI, 29 15.46,4 1. 0.50,3 45.11,19 16.322 1.482 . 10.60 3 17.19,6 2.47.6 11,04 2,677 18. 8,3 3.43,8 9,06 SEDI 19. 1,0 e OI 10,08 o 20.34,0 FE e® 11,31 4221 21.28.8 7.26,8 10.62 È 22.20 8 8.198 10,69 0,018 23.11,0 9. 9,8 niobÌ 24. 4,8 10. 0,8 10.78 25.55,8 11.41,8 34,70 10,85 26.50,1 12.283 10,21 27.48,0 13.16,1 . 9.62 28.47,2 14. 5,0 10,55 29.46,0 14.51,3 34,90 10,68 p P p p c.l.—= 3307 be = 2/99 c.lL.=33,12 bo = 164 OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE ON... h m Ss 20.18.12,2 P el — 33,08: - de 19. 4,7 20. 1,8 20.57,6 21.50,8 23.48,9 24.48,6 25.48,8 26.50,8 27.59,6 30. 4.1 31.20,8 32.32,9 INTERO Ì p 34,45 34,65 34,80 23 settembre 1890 OS h ms 21.45.56,2 47.13,0 48.28,5 49.38,7 50.45,9 DS. 0,4 54. 5,1 55. 5,0 0.56,7 3 Cygni | (39,65 35,60 | IMIRSonO P p P MINI 2539 p 35,05 35,20 35,35 35,50 ey P EM (OISEZZANI hi Mess 22. 3. 8,7 DELA 6.42,1 $.16.2 11.16,9 12.42,0 13.59.1 15.15,7 16.34,7 18.49,7 med. = 32.11/16 79 Cygni | 35:60. | p bw = 2,23 med. 3 dig do 19.55,42 56,07 54.96 55,80 55,37 55.81 56,07 55,25 55,16 dd, 70 DIOR 55,73 rid. Z. a rid. 2. m 2 COS 3 I l DI 2.000 I 8,494 4,287 0,336 9,152 $ 266 4,706 0.000 12 LATITUDINE DI PALERMO 23 settembre 1890 12 Andromedae © Sogn ON...W DECISI hm ss P h mos p dPR 22.24.22,0 30,69 23.52. 0,3 31,80 31.50,39 25.16,8 53.144 49,91 26.12,8 54.26,0 49,20 rid. Z. a 27.14,8 30,90 55.43, 31,80 49,44 29. 5,2 57.50,0 49,38 30. 8,1 58.58,5 49,87 | è cos 31. 9,8 0. 0. 2,0 50,22 32.10,5 1. 1,0 49,84 Car 33.14,8 d 21.0 n 49,79 35.313 | 3105 359,3 | 31,80 49,13 36.37,8 4.53,5 49,33 37.49,3 5.48,8 49,30 39. 4,8 6.45,0 49,84 40.21,8 31,35 7.38,6 31,60 49,66 DETTA aLe DoS med. = 31/49/66 +0,10 p Andromedae OS...E ON...W = a DMN p lo ini P VASI, 23.15.47,3 30,85 1. 0.51,2 34,95 45.11,28 16.32,9 1.48,7 10,49 17.19.9 2.47,9 11,17 | rid. 2.4 18. 8.1 3.44,9 10,56 i o a 4.47,1 k TO ATE nes E Rd E TOO, GI-Ana 21.28,7 7.26,9 10,96 22.20,9 8.20,2 11,19 | mp. 23.11,3 9. 9,6 10,96 24. 5,9 10. 0,9 Cas 10,15 25569 | 30:80 go O 9,89 26.49,6 12.28,] 10,83 27.484 13.15,9 9,46 28.474 14. 4,9 1055 29.48,5 31,20 14.51,9 35,25 971 IÙ P = =D == 79 med. = 45.10/62 +-0,15 ON... Digos 28.18.14,9 19. 7,9 20. 3,9 20.59.09 21.53,4 3I.24,2 ON...E hm s 20,55,42,5 35,SU 35,90 36.10 P 36,25 36,05 DO OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 25 settembre 1890 0)Sa. W mos 145.55; 1 47.11,8 48.26,8 49.38.1 50.45,0 î Cygni | 3650 | 35.10.48 11.18 | 10,66 | 10.08 10,96 10,69 36,25 10,44 10,80 11,26 36.60 De 10,65 36,10 10,98 do med. = 32.10/69 +0/12 16.34,0 18.49,2 2088397 79 Cygni d — do P iv: SG 30.70 | 19.55.59 | 55,07 | 55,63 54,79 30,60 1 55,76 55,99 | 55,98 mM. 55,14 30,70 ERA | 5641 31,15 | 55,10 iù lie EAT) " med. = 19.55,70+0,17 9,76 | è cos 56,98 nice Veuve = I 1,966 = 18.799 0,000 14 LATITUDINE DI PALERMO Soa 31.13,0 32.14,0 33.18,7 35.33,7 36.41,7 ST.02,1 39. 9,0 10.25,7 p oe (OXSERIE gens 23.15.50,3 16.35,4 17.22,6 18. 9,9 29.50,9 P P n = Sec) = AE 30,80 P 30,70 - 30,40 30,40 30,55 25 settembre 1890 12 Andromedae OMNES hm s 23.51.59;0 53.14,0 où 00 S ni mi www © dv 0 0 VI MG o a wIO HO > ù ù D x 00 0 DD PONI 9 SD P 31,45 31,35 31 49,46 50,00 49,20 49,92 48,79 48.78 49,44 49,11 48,84 48,87 48,74 48,82 49,28 49,78 med. = 31.49/22+ 0/12 e Andromedae ONERI: hm s 1. 0.51,3 1.50,1 2.48.1 3.45,4 4.474 6.31,6 7.27,6 8.21,1 9.10,9 10. 1,1 11.42.1 12.28,8 13.17,1 14. 5,7 14.52,4 P 31,20 31.10 30,85 P ba = 2,49 GIANO rid. l. m. î cos OPA med. = 45.1079+0/11 Vl 23.51,9 24. 1,4 25.50,7 ON...E hm s 20.55.43,9 56.50,4 57.55,6 59. 1,4 21. 1.26,6 2.41,6 3.56,6 5.18,0 6.45,9 9.36,1 11.21,8 13. 6,6 P P p P CASS a 2589 3329 = 2468 OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE P__ n h 35,30 2] 35,50 30,65 30,90 36,30 36,05 36,05 26 settembre 1890 OS... W mm s .49.56,6 47.12,6 48,28,6 49.38,8 13.57, 1 15.15,0 16.34,6 18.49,8 20. 38 ZIO t Cygni 36,00 79 Cygni 30,70 35.117,02 11,28 11,07 1021 10,66 9,59 10,80 10,49 11,11 11,02 19,56 11,20 10,02 3 a Sa 19.54,35 5,97 6,78 6,21 5,94 6.73 5,88 5,86 6,53 6,64 6,48 5,64 rid. Z, a. rid. 2. m. î COS 3 m. p. med. = 19.56.08 + 0,19 Il 16 LATITUDINE DI PALERMO 26 settembre 1890 12 Andromedae ©Ssc | ON...W =, hm s P hm s P pi pp 22.24.2943 30,30 23.51.59,4 35,00 31.50,15 25.19,7 53.13,6 49,25 È 26.16,0 54.25,7 48,61 rid. Z. a. = 2,548 27.16,7 TAR 55.41,9 49,31 ; VI 3 29, 8.1 50,25 57.496 35,65 49/08 rid. 2. nm. = 16,826 30.10,2 58.56,9 49,50 i coss. = 5,408 31.127 0. 0. 0,4 i 49,15 È 32.13,1 0.59,9 19/3602 ADI Ir È 230100) 49,95 35.329 | 39:80 358,1 35,65 49,36 36.39,5 4.524 49,62 37.524 5.49,3 49,99 39. 7,9 6.43,9 49,18 40.24,7 30,65 7.37,9 35,75 49,49 med. = 31/49/43 +0,11 e Andromedae OS..E ON... W e hi mos i) hm s DAN DD 23.15.498 | 35,50 1. 0.515 | 36,00 | 45.102 16.35,0 1.48,5 10,35 È 17.228 247,7 Dal saga = 2508 18.10,5 3.45,4 10,71 Id, 19. 46 447,1 10,02 rid. 2. nm. = 14,700 2ASSAL MCO GRA | SO 1102 o, 21.31,0 7.272 11,27 22.23,8 8.19,9 10,38 | n. p. = — 0,018 23.14,4 9.10,2 10,82 24. 7,8 sa TONDO Ro 10,56 25/59/00 | (99370 ri ee 05 26.52,8 12,284 10,60 27.50,1 13.15,9 9,98 28.50,2 14. 45 9,99 29.49,8 | 35,50 14.51,6 | 36,05 10,52 p P CARIATI Il OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 17 28 settembre 1890 t Cygni ON...E OS...:W g=% h ms p h ms p 1, 20.18.13,9 | 3165 | 21.45.56.1 2995 | 38.117,63 19. 8,1 47.11,1 10,32 20. 3,6 48.28,3 11,53 a LE 20,991 49.57,6 10,18 a ino 21.53,1 50.45,3 10,99 È Pea E ERO 10.44 | rid. 2 m. = 19/200 24.51, 54. 3,6 eil Sri 95.49: 25.49,3 SARDI DIE RO 26.53, 1 56. 6,3 11,02 27.59,3 57. 9,1 11,85 30. 7,1 30,70 58.596. | 90:90 11,33 395 N È LS ae 11,71 P_ p IURA P STRESRERRI CSO RR Eno med. = 32.11/04+017 79 Cygni ON...E O S...W ES DVemasSs p ms P I 20.55,42,6: | 30,85 | 22.3. 65 | 35/40 | 19.55.50 56.50,5 5IAI9 55,34 57.71 6.41,8 54,80 4 N° i E 59. 1,1 8.15,6 EA CO) 21. 126,3 | 31:10 11..6,1 39,70 SEMINA E TON00A 241,4 12,394 DIE RR, 357,5 13.57,6 55,33 5.18,6 15.151 ao dl Rea LU 6.45,6 16.33,6 55,76 u 9 9i37,1 | 3970 TRON 90:20 55,39 11.29,8 20. 43 | 55,97 13.91 30,95 21.103 || 135,85 | 5457 OSTESE DIUNTONNIS. 23.17.21,6 mo do 2 NINE: CS a a è DI (NO) DO. DI 09 OD 00 tr 5 tesi 39,70 LATITUDINE DI PALERMO 28 settembre 1890 12 Andromedae ON... z (sl = (O) (€217) = SI uu IO WI A 0 009od7 a SD i SIRIO DO o Ut ot OI dI CESOIRE SÌ 39,90 e Andromedae ON... W nina 4 1, 2.46,6 3.445 4.47,6 6.30,3 7.26,8 8.19,4 9.94 10. 0,3 11.41,5 p 31,45 31,40 31,30 45.10,72 - 10.53 11,62 11,50 10,81 10,75 12,04 10,57 11.55 10,77 10,51 10,62 10,62 dl Uh 0a rid. l. m. î cos S Tia a = PIASNZANAI rid. Z. m. 7 COS 3 Pod = OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 19 METODO DELLO STRUWE Nelle colonne, segnate 4, d, €, d, ci sono i tempi siderei dei varii passaggi ad Est ed Ovest secondo le notazioni dello Streze; nell’ultima colonna il (gs — è) riferito al zero gennaio 1890. Di sotto vi sono le indicazioni ad Est ed Ovest, segnate 0, e d, in parti di livelli; la riduzione al luogo medio di è, 1’ indicazione % cos 2 ed il moto proprio, e finalmente il (4 — è,) medio insieme al suo er- rore medio. LATITUDINE DI PALERMO 745 h 23. a m S 29.22.5 deli 26.24,7 27.18,6 27.36,0 28.36,0 29.16,3 P be = 2,800 sigle nos = Il (0) m Di 15.41,5 15.55,0 16.42,0 19.19,5 20.120. 20.46,0 he = 2,750) tI N rid. dm. = 17,296 9,314 7 ottobre 1890 IR, h 23. Andromedae C m Ss 50.24,5 50.49,6 57.12,0 57.554 P bw = 2,212 pe Andiomedae Db h ms 23.30.11,2 25.45,0 24.47,2 24.10,8 VED VCOSIa O h 1. 0.59,4 , "102 e m_ Ss 0.54,2 1.54,1 2.544. 3.50,9 4.45,2 (DAI ZIÒ d hm s 0. 7.53,6 7.37,0 6.43,7 5.47,3 4.52.0 3.57.6 3.41,0 2.40.0 1.59,4 ì PIINERO m. p. = — 0,055 SS = 60 î 31.49.45 50.08 48,94 49,15 49.31 49,60 49.55 49,53 48,55 ARIES IA med. = 31.49,35 + 0.15 veci t: 11.42.0 METE 10.54.9 DR m.p.= — 0,018 x g—_-d 45.10.11 11,09 10,65 9,84 10,47 10.90 11,02 10:79. 10.59 med. = 45.10/61 + 0.14, OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 21 10 ottobre 1890 12 Andromedae a h e d | ua do hm s hm s heeroena hm s | 7 22.23.24, 1 22.40,55,4 23.50.22: 9%. 7.51,8 31.48.84 23.40,5 40.30,1 50.46,4 7.362 | 49,37 24.34,6 39.14,1 52. 4,0 6.42,1 48,97 25.30,3 37.55,1 53.20,8 5.46,2 50,14 26.26,4 36.46,1 54.32,1 449,6 48,46 27.20,3 SEFARI ON 55.39,0 3.56,8 49,57 27.36,5 35.17,3 55.58,0 3.394 49,44 128.38,1 34.73 57.93 2.30,0 49,41 be = 35500 be = 3.140 LALA LI PRAZES, rid..Z. na. == 19,840 icos.s = 0,987 m.p.= — 0,055 med.=3I 49,28 +0,18 e Andromedae U Db e d =, Ji SORIES homo s hm s hm s , n i 23.15.41,0 23.30.12,8 1. 0.34,8 I A:9 45.11,51 15.:55,9 20,53,8 0.52,7 14.49,8 10,66 16.424 28.545 1.52,6 NA SESSI 10,54 17.32,5 27.54, 1 2.92,8 13.14,1 10,00 18.19,9 26.56.3 | 349,9 12.26,6 10,62 19. 6,5 26. 219 i 4.44,1 11.40,6 11.18 19,20,8 25.46,0 5. 0,6 11.25, 10.69 20.12,3 24.488 5.579 | .10.33,6 10,84 20.48,0 24.11,5 6.54,6 9.59.6 10.45 be = 3h 05 E=- 3075 rid. 2. m. = 17,908 tCOS.si= 6,881 n. p.=— (0,018 VICIIO I, FRAN " med. = 45.10,75 10,14 29 LATITUDINE DI PALERMO 12 otteobre 1890 12 Andromedae a i db € di pi do hm. s h mos ho mos homo s oe 22.23.23 4 22.40.53,7 23.50.22,5 0. 7.52,8 31.49,05 23.40,4 40.29,0 50.47,6 7.36,7 49,26 24,33.4 39.12,4 52/43 6.43,5 49,56 25.31,0 37.55,4 53.20,6 5.46,3 48,73 26.25,4 36.44,6 54.32,5 4.51,5 49,17 27.20,9 35.36,4 55.39,5 3.57,5 49,26 27.36,6 35.15,9 56. 1,2 3.40,5 50,29 28.36,7 34. 6,6 57.10,6 2:38,8 49,49 29.17,4 33.22,7 57.55,3 1.59,5 49,35 bel 2950 bio = 2.387 rid. lm. = 90,171 icos:= 5615 m. p.= — 0/055 med. = 3149/35 +0/14 Wu a ) IMMNS hm s 15.41,3 23.30.12,6 15.95,5 | 29.53,5 16.42,7 28.593,53 17.52,4 27.02,6 18.19,3 26.55,9 19. 6,4 26. 2,3 20.127 24.48,4 20.:47,6 24.11,4 P be = 3,112 Li pr = stilo 0 0 == MEZ) LI i cos a = 5,824 e Andromedae e li) Oh hm s hm s dh 1. 0.34,2 1.15. 4,6 45.10,36 0.53,1 14.50,4 10,70 1.53,6 14. 3,2 10,68 2.54,1 13.15.3 10,95 3.50,7 12.27,3 ID 4.44,7 11.41,1 10,86 5.58,4 10.33,8 10,40 6.35,4 9.59,6 10,22 mp. = 05019 med. = 45.10/67 + 0/11 "Pa OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE 25 15 ottobre 1890 12 Andromedae | tO b ‘ d ud homo s h mos bm s TARRA aa 22:23.24,9 22.40,54,0 23.50.29,0 0. 7.92,5 31.40.08 | | 23.41,7 40,30,0 50.47,0 | 7.35,5 409,20 24.34,6 39.14,0 92. 3,0 6.42,0 49,05 25.31,0 97.57,0 55.20,0 D.49,9 49,18 26.27,0 36.44.66. 54.325 4.51,0 409,84 27.21,0 535.38,9 55.598,00 3.55,8 48,91 27.38,3 35.17,5 55.50.65 3.938,93 49.20) 28.38,5 CT TA 57. 9,6 2.37,6 49,29 209.19,0 33.23,5 57.54,0 1.582 49,05 p p be =2:475 bo: = 23745 R LALA x È. a (Ad RS IAA tn rid. 2. m. = 20,686 i cos s = 6,945 m. p. = — 0,056 , "I ,I med. = 31.49,30 + 0.15 e Andromedae a | b ( d & = do | 7 hm s | ho mos hm s nas | DADI 23.15.42,0 | 23.30.12,6 1. 0.33,9 ElSSS9 | 45.10,51 15.564 (| 20.54,0 0.52,9 14.50,2 10,85 16.43,5 28.55.0 | 1:53,1 TUSCIA] 10.35 17.320 | 27.542 | 2.529 | 135300 10,98 18.20,3.. | 26.58,5. | 3.502 | lo27:9 0 S| 10,19 19.213 | AV ORA ali 11.259 11,60 20.14,2 | 24.490 | 5.58,2. | 10.33,9 | 10,39 20.480) | 24.12,5 6.955 | 9.504 10,46 Ì Ì n Vo = 35262. i=SSAIEZ rid. & m-= ISISII fcosts = 6175 m. p.= — 0/020 ANO), DE med. = 45.10,67 + 0,16 24 De tdflAnnA=1224505; 19, 3,3 19.18,2 20.10,0 20.43,4 LATITUDINE DI PALERMO 1) INNATO VARISI 22.40.48,3 p 0,825 26 ottobre 1890 12 Andromedae ( di hm s hmos 23.50.28,0 0. 7.55,5 50.52,6 7.40,5 52.10,5 6.472 55.26,0 5.51,0 54.536,95 4.04.9 55.440 CO, 56. 5,0 3.45,0 57.15,6 "243,0 57.59,0 DIS = 11295 DI 5.157 MI pi= 0056 med. = 31. 28.50),5 27.50,0) 26. 0,5 25.42,5 24.45,0 24. 8,6 » be = — 0,730 alal e = 20,984 ILCIRUG i cos s = — 2,085 o Andromedae e d n'is OS 1. 0.58, 1.15. 8,0 0.56,0 14.54,0 1965 14. 7,0 DISTA 13.18,0 DA, 12.30,3 4.48,0) 11.45,4 DO 11.28,5 6. 3,0 10.37,0 6.599,59 10. 3,4 P bay ==> 1,262 OR m. p.= — 0,020 , med. = 45.10,7 45.10,82 10,70 10,60 10,70 10,44 10,15 10,74 11,10 , PI 3+0.11 p be = — 0,360 dgr Ren ARIA, di . Vag, % 3 ta ei OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE | 25 È 31 ottobre 1890 ì hi 12 Andromedae 3 n Db G dl a— do | 2223,20,8 22.40.53,7 23,50.27,3 0. 7.568 314042 d: 0 23,37,6 40.27,6 50.50,8 7.40,3 49,16 sa | 24.30,3 39.10,5 52. 6,8 6.45,8 49,04 3A 25.28,3 37.55,5 53.24,3 5.49,8 48,25 ; 26.23,6 36.42,3 54.35,3 4.54,3 48.55 3 $ 27.17,8 35.37,3 55.418 4. 0.8 48,36 A STI * 35.15,9 56. 3.6 3.44,3 49,83 - È - 28,33,3 34. 5,7 57.14,3 2.43,1 49,91 H 20.143 33.20,3 57.58,3 DET Ul 2 AS] DI PERI e iog) Daan 24.202 1c0S53s=— 1516 «mi. p.= — 0056 da med. = 31/4920 +024 ho L vr e Andromedae f 1 4 SU, e DT a—ò; G 92.15,30.8 23.30.11.7 I. 0.378 1.15. 7.8 43.10,34 hi 15.54,3 20.518 0.55,6 14.53,8 10,48 is: 16.41,8. 28.53,8 Liens 14. 6,9 9,91 hc 17.29,8 27.52,3 2.56,3 13.18,3 10,57 SE 18.18,3 26.54,3 319988 12.31,3 10,94 Ri 19. 48 26. 1,8 4.45,8 11/443 10,13 19.18,3 25,43,9 5. 3,8 11.28,8 10,98 : 20.10,8 24.47,3 Gn 10.37,8 10,71 i be =— 0,362 bis =— 1,255 i ti alemza = 21/824 icoss —— 1.692 m.p.=t 0019 . Le ‘a med. = 451051 +03 dae vai à Pi È, 3 "a 26 LATITUDINE DI PALERMO Riassumendo i risultati e calcolando i pesi formai la tabella che segue : ‘a Cygni 79 Cygni 12 Andromedue $ Andromedae g— è, | pesi & — do | pesi == | Pesi o— è, | pesi Settembre 21 | 32.11.17 | 421956 00| 1,5 | 31.49 se | 1,2] 451073) 25 » 22 | 32.10, 55 | 2.2 | 19.55, 54 | 12,3 | 31.49, 49 | 1,8 | 45.10, 56 | 23 23 | 32.11, 16| 2,11 19.55, 58| 5,64 31.49, 66 | 5,7 | 45.10, 62| 26 » 25 | 32.10, 69 | 4,1 | 19.55, 70 | -2,0 | 31.49, 22 | 42] 45.10, 79] 50 » 26 | 52.10, 69| 2,9 | 19.56, 08 | 1,5 | 31.49, 48 | 4,9 | 45.10, 53 | 5.8 » 2832.1104 | 2,0. |/19.55, 46 2,8 | 31.49, 52 4,2 | 45.10, 95 3.0 Ottobre 7 31.49, 35 | 2,6 | 45.10, 61| 2.9 » 10 31.49, 28 | 1,8 | 45.10, 75| 2,9 » 12 31.49, 35.| 2,9 | 45.10,67| 48 > 15. | | 31.49, 30. | 33] 45.10,,67.| 22 » 26 31.49, 42. | 353 | 45.10.73 || 48 » 31 31,49, 20 | 1,0] 45.10, 5I | 33 Medì | 32.10,884 | 17,5 | 19.55,611 | 25,7 | 31.49,429 | 36,9 | 45.10,675 | 421 Errori medì ‘ al 0,057 ata 0.047 st 6040 le 0.036 L'errore medio dell’assieme di queste differenze, errore medio che sarebbe pure quello della latitudine, da desumersi, ove le declinazioni delle stelle fossero esatte, cioè con un errore medio nullo, è : + 0.022 Come dissi in principio, concluderò per ora la latitudine, desumen- dola dalle declinazioni del Bradley-Awwers e del Respighi. Avrei potuto prendere invero le declinazioni da parecchi cataloghi e poi ridotte queste a sistema unico, dedurne il valore medio; ma preferisco, con- sigliato anche da persona altamente autorevole, presentare le latitudini separatamente secondo i due sistemi; se nel 7’en Year vi fossero tutte e quattro le mie stelle, darei la latitudine separatamente anche in questo sistema. ia ee "e Leal LS -1 OSSERVATA CON PASSAGGI AL PRIMO VERTICALE Stella Decl. 1890,0 N. Osser. Autorità NOLA IC ASINI i 31.34.34,27 | 11. | Bradley-Awwers c Cygni DÀ è ra | STES 37.34.34,46. | 38 | Lespighi È . 37.46.48,530 4 Bradley-Awwers 79 Cygni 2N0IG: x | CE (3T.46.48,64 20. | Respighi 3/1.34.54,55 | 3 | Bradley-Auwwers 12 Andromedae 2 da | cp 3/(.94.55,483 || 20 | Respighi | Ì SIR23 349 22 | Bradley-Auwers e Andromedae et CR | E 31.21.32,64 21 | Lespighi | | A dire il vero le due ultime stelle presentano alquanta discrepanza nei due sistemi e forse non in accordo col concetto di sistema; con- sultati altri cataloghi autorevoli e ridotti a sistema omogeneo qualcuno afferma il valore del 8. A. qualche altro quello del /?. In ogni modo ecco le latitudini risultanti secondo le due autorità : O, " Bradley-Awwvers 38.6.44,359 con 40 osserv. di decl. Respighi 38.6.44,594 con 99 osserv. di decl. Combinando questi due valori solo tenendo presente il numero delle declinazioni osservate si ottiene : 38.6.44,525. Questo risultato è alquanto inferiore a quello da me trovato nel 1884 al cerchio meridiano. Questa latitudine ridotta al cerchio di /?an:sder ridà pressochè esattamente (a 4, di secondo presso) 0407 rr 53.6.44,0 latitudine che da un secolo si ritiene essere quella del nostro osser- vatorio. INFLUENZA DEL DISSECCAMENTO SU TALUNI MICRORGANISMI PATOGENI SANTI SIRENA e GIUSEPPE ALESSI Prof, di anatomia patologica Assistente al gabinetto d’igiene ((( zione fatta all'Accademia NEW aC SI 5 ui IETTTIIyIooIII dd De In ambiente saturo di umidità QAS Giorni 12 AI sole in luogo ventilato. 35° » Ore 0. 56° SU TALUNI MICRORGANISMI PATOGENI 133 Adunque il disseceamento, che .possiauno naturalmente contare tra gli agenti fisici, è un mezzo potente per distruggere i batteri specialmente il disseccamento alla luce solare diretta. La sua azione però non è ugual. mente efficace per tutti i batteri. Taluni soccombono rapidamente alla sua influenza, altri lentamente; altri vi resistono per un tempo lungo. Questo fatto per noi in parte dipende dalla natura, dalla età dei batteri; in parte dalla modalità dell’essiccamento. Quanto alla natura i batteri asperigeni o non sporificati, i vecchi vi soccombono celeramente ; invece vi resistono i batteri sporificati : il che, come esattamente osserva il Frinkel varrebbe a questo, che tra i batteri, come fra gli esseri più elevati, vi sono @ndiridui forti 0 deboli, giovani pieni di vita o vecchi cadenti. Ed è appunto per questo che i vecchi batteri patogeni fuori del corpo si lasciano facilmente sopraffare dai saprofiti, e che gli attenuati, i deboli nell'organismo animale vengono ingoiati dai fagociti. Nei batteri sporificati la resistenza non è dovuta al batterio, ma sib- bene alla spora, che ne rappresenta la forma persistente. A parte in- fatti, che il batterio sporificato è vicino a morire, a parte che per lo passato si credeva, che i microrganismi sporificavano nel momento che loro mancavano i mezzi necessari per l’ulteriore sviluppo, prova questo fatto l’efficacia differente che i disinfettanti spiegano sui batteri spori- ficati o non; il grado di concentrazione al quale agiscono i disinfet- fanti chimici, ovvero il grado di temperatura al quale i disinfettanti fisici trionfano dei batteri sporificati. La temperatura o la concentrazione dei disinfettanti, che basta ad ammazzare i bacilli, riesce inefficace per la spora: per trionfare di questa si richiede un grado di concentrazione ovvero di temperatura maggiore. Provano questo il processo di sterilizzazione frazionata di Tyndall: la vita più lunga dei germi degli strati profondi da quelli degli strati super- ficiali del terreno; poichè questi trovando condizioni più favorevoli a svilupparsi si conservano meno, potendo essere facilmente distrutti da ogni agente dannoso non esclusa la concorrenza dei saprofiti, che negli strati superficiali del suolo sono innumerevoli, mentre dall’altra parte di questa differenza oggi cavano pure argomento i batteriologi per deter- minare se un dato batterio abbia o non spora. Insomma mentre il batterio ha poca resistenza vitale, la spora, forma persistente, resiste alla secchezza, al caldo, al freddo ; sopporta senza aleun danno una serie di agenti chimici, che impediscono ogni vità (Frànkel). Da questo quindi, come abbiamo detto, la differente etti cacia che l’essiccamento spiega sui batteri sporificati e non sporificati. 4 14 INFLUENZA DEL DISSECCAMENTO La differente efficacia poi, che il disseccamento spiega nella stessa specie o sugli stessi individui, dipende dalle modalità dello essicca- mento. Nessun dubbio che l’azione dannosa del disseccamento dipenda dalla sottrazione del liquido. Quindi quanto più rapida e più completa si fa questa sottrazione dai materiali contenenti batteri, tanto più celera- mente avviene la morte degli stessi. Dicevamo nessun dubbio poiché è risaputo e da tempi a noi assai remoti, che il sole, conserva le sostanze alimentari, ritarda la putrefazione delle sostanze organiche ; le carni esposte al fumo si prosciugano, si conservano; i cadaveri asciutti, come suol dirsi, od ai quali da mezzi igroscopici vengono sottratti i liquidi, si mummificano facilmente. Questo prova il processo naturale di mummi- ficazione di cadaveri che avviene nelle visceri della terra e proprio nei punti igroscopici, dove lo seambio dei gas del sottosuolo si fa accen- tuatamente. Nè per ottenere questo risultato è necessario, che il tessuto o mate- riale, che contiene i batteri divenga completamente anidro, niente attatto. Frequentemente sui terreni alimentari, sulla superficie del suolo ecc. , lo sviluppo dei batteri si arresta, tostoché il contingente acqueo scende al disotto del 69-70 % (Fligge, les microrganismes, pag. 478). Ed è per questo che in ultimo, di ordinario, muoiono tutti o quasi i batteri, specie quelli che non generano forme persistenti ossia spore. Questo stesso ha provato uno di noi (Alessi) colle esperienze sulle deie- zioni delle mosche che si nutrivano con culture di colera asiatico (1); poiché le deiezioni secche inoculate in mezzi di cultura, non davan luogo a svolgimento di bacilli virgola. Questo prova il fatto, che i pezzi di midollo di un cane rabico custoditi fuori del contatto dell’aria od in un ambiente umido conservano la virulenza per mesi, se non vengono aggrediti dai saprofiti; e questo appunto provano le nostre espe- rienze. Infatti in pari condizioni il disseccamento in luogo saturo di umidità, ammazza in un tempo più lungo, che non l’essiccamento in mezzo asciutto, in istufa, al cloruro di calcio, all’acido solforico, al sole. Ciò non si osserverebbe invece con i batteri sporificati del carbon- chio, e con più esattezza, con le spore di esso. Queste, come risulta da tutte le esperienze su esposte, meno il disseccamento al sole, avreb- bero una vita più breve esposte al disseccamento in un ambiente sa- turo di umidità che in un ambiente asciutto, al cloruro di calcio, all’acido (1) ALessi. Nuoro contributo alla conoscenza della trasmissibilità dei germi infettivi mediante le deiezioni delle mosche. Bollettino della Società d’Igiene di Palermo, 1887. SU TPALUNI MICRORGANISMI PATOGENI 15 solforico. Particolarità che non possiamo spiegare che col comportamento differente delle spore a seconda del mezzo dove si trovano. Le spore le quali sono in ambiente saturo di umidità, trovano condizioni più favorevoli allo sviluppo e, passando allo stato di bacillo, muoiono ; invece nell’ essiccamento in ambiente asciutto , al cloruro di calcio. all’ acido solforico, alla stufa trovano condizioni più difficili al loro svi- luppo e quindi si conservano più a lungo; come è appunto dei germi del terreno dove, quelli degli strati profondi si conservano per un tempo incomparabilmente più lungo, di quelli che stanno alla superficie. Risultato analogo ha ottenuto Pernice (1) sperimentando la resistenza vitale del bacillo virgola nel suolo; dalle sue ricerche infatti conclude, che nella terra asciutta sterilizzata il bacillo colerigeno si conserva in vita da 6 a 11 giorni e nella terra asciutta non sterilizzata 5 giorni ; mentre nella terra umida sterilizzata si conservò in vita sino a 48 giorni e in quella umida non sterilizzata un tempo variabile fra 5 e 18 giorni. E nelle deiezioni delle mosche, come ha provato uno di noi (Alessi) esposte all’ essiccamento, la morte del bacillo virgola di Koch, per la mancanza di forme persistenti, è prontissima; poichè attesa la scar- sissima quantità di liquido che esse contengono si essiccano rapidissi- mamente. L’essiecamento, come abbiamo detto, è un mezzo non solo per distrug- gere, ma ancora per attenuare il potere patogeno, la virulenza di ta- luni virus. Ne è prova quello che abbiamo detto di sopra del midollo di animali rabici. Questo fatto asserito da qualcuno anche per il carbonchio ( Arloing ) noi non lo abbiamo potuto confermare, come non abbiamo potuto con- fermare il fatto, cioè che i bacilli del carbonehio in certe date condi- zioni perdono la proprietà di sporificare ; in altri termini divengono asporigeni. (Sehmann, Heim, Buchner, Behring) (1), il che secondo i citati autori, sarebbe dovuto all’azione di agenti dannosi. Infatti nelle esperienze I, II, III e IV il bacillo del carbonchio conserva la sua virulenza aftatto immodificata e fin che visse, anche nelle altre (espe- rienze V, VI e VIT). Onde le cavie nelle quali fu inoculato , in. media morirono da 2 a 5 giorni dalla inoculazione; nè tampoco gli vedemmo perdere la proprietà di sporificare in tantissime esperienze eseguite sotto l’influenza di agenti diversi, anche del suolo, come dimostreremo (1) Perxice. La Séezlia medica, anno II (2) FRAxKEL. Manuale di Batteriologia, p. 175. 16 INFLUENZA DEL DISSECCAMENTO in un altro lavoro. Ci parve una volta di vederlo modificato nella forma, cioè divenire granuloso, come catenette di doppio ordine di micrococchi. Però tosto vedemmo che la forma granulosa che esso prendeva era dovuta al proeesso di Gram, che noi adoperavamo di preferenza per la colorazione. Il difetto di liquido pare dall’altra parte che eserciti azione dannosa nell’ organismo animale di fronte ai batteri patogeni. Infatti esperienze recentissime eseguite nel nostro laboratorio di anatomia patologica da uno di noi (Alessi in collaborazione del dottor B. Pernice ) (1) provano questo che nei cani, nei polli, nei piccioni, privati per qualche giorno dell’acqua potabile e nelle rane messe fuori dell’acqua, le inoculazioni con cultura pura di carbonchio attecchiscono e producono la morte in brevissimo tempo, da 24 ore a 6 giorni dalla inoculazione ; mentre è risaputo che gli animali suddetti nelle condizioni ordinarie, sono re- frattari al carbonchio. Una efficacia differente abbiamo notato fra lessiccamento al sole in luglio-agosto e quello nel mese di settembre. Confrontando le cifre se- gnate nel quadro riassuntivo vediamo che tutti i microrganismi spe- rimentati soggiacquero al disseccamento molto più prestamente in lu- glio-agosto, che nel mese di settembre. Oltre l’azione battericida della luce (2), in rapporto alla quale i due esperimenti sono in condizioni eguali, ci sono delle differenze spiccate nelle condizioni meteorologiche , le quali necessariamente agiscono in modo differente. Dando uno sguardo alle medie delle variazioni meteorologiche, si vede bene che in luglio-agosto il grado della temperatura, dell’umidità relativa, della pressione barometrica, lo stato del cielo sono condizioni che tutte sommate contribuiscono all’ evaporazione assai meglio che quelle notate nel mese di settembre. Si aggiunga anche che, per con- dizioni speciali dell’ esperimento di luglio-agosto, nel quale i fiocchi vennero sospesi in provette di vetro chiuse con tamponi di ovatta, la temperatura dovette raggiungere un grado molto più elevato di quello che è notato nel quadro delle osservazioni meteorologiche, come avviene di solito nell’ aria confinata per la ventilazione soppressa e pel dimi- nuito potere dispersivo. (5) (1) B. Pernice e G. Auessi, Sulla disposizione alle malattie infettive neyli animali privati dell’acqua, Bollettino della Società di Igiene di Palermo, 1891. (2) Sanrori Annali dell'Istituto d’Igiene sperimentale dell’Università di Roma, 1889-90. (3) Abbiamo già notato che i tubi in cui ci era del vapore condensato, vennero s0- stituiti con altri asciutti. SU TPALUNI MICRORGANISMI PATOGENI 17 Dopo il sole esercita azione distruggitrice sui batteri patogeni con efficacin successivamente decrescente il disseccamento fatto col cloruro di calcio, colla temperatura continua e costante di 37° 0. nella stufa, coll’acido solforico, con prosciugamento naturale all'ombra; però non tutti i microrganismi da noi sperimentati si comportano rispetto alla loro resistenza secondo 1’ ordine con cui testè abbiamo enumerato gli agenti del disseccamento; risulta infatti che il bacillo della morva muore più presto alla temperatura della stufa che al disseccamento coll’acido solforico e col cloruro di calcio; che il mal rosso soccombe nella stufa prima che col disseccamento mediante il cloruro di calcio ; e che pel diplococco di Frinkel è più attivo acido solforico che la temperatura della stufa. In generale poi i microrganismi da noi sperimentati tengono questo ordine di resistenza al disseccamento: carbonchio, diplocoeco di Frin- kel, morva, tifo, colera dei polli, colera asiatico. È evidente poi che il prosciugamento naturale all'ombra deve essere meno nocivo del disseccamento nel termostato in cui per la tempera- tura di 37° C LV evaporazione del liquido di cultura è più rapida: e il disseccamento col cloruro di calcio deve essere più nocivo di quello dell’acido solforico, avendo l’uno un potere igroscopico maggiore del- l’altro. Le sostanze igroscopiche quindi agiscono allo stesso modo del cloruro di sodio, che senza essere un battericida conserva inalterate le sostanze alimentari, sottraendo ai microrganismi la parte liquida; di cui sentono tanto bisogno. Per questo fatto soltanto quindi le sostanze igroscopiche meritano un posto fra i disinfettanti; essi anche quando non arrivano ad uecidere i germi, ne inibiscono almeno lo sviluppo, ed è ciò che basta in molte pratiche dell'economia domestica e della salute. Nell’essiccamento diretto alla luce solare crediamo pure che non si debba parlare di sola diminuzione ovvero di sottrazione dell’ acqua; qualche cosa deve pure concedersi all’ azione della luce, come tale, essendo notorio, che la luce esercita un'azione nociva sui microrganismi. I batteri patogeni adunque, siecome è stato osservato da non pochi batteriologi e siccome ci risulta dalle nostre esperienze, possono vivere allo stato latente, da saprofiti per un certo tempo ed anche per anni secondo la rispettiva resistenza fuori del corpo e ripigliare tutta la loro attività appena ritornati in condizioni favorevoli di vità. Sapere ciò, specialmente se si pensa di quanto poco hanno bisogno i batteri per vivere e svilupparsi, dove non si oppone loro alcuna dif- ta) 1$ INFLUENZA DEL DISSECCAMENTO ficoltà, è di una grandissima importanza per il patologo per ispiegare la etiologia dei morbi infettivi in certe circostanze, e per l’igienista per prevenirli. Primieramente è in grazia di queste conoscenze che possiamo spiegare, eome l’ambiente nel quale viviamo già abitualmente più inguinato di spore di batteri virulenti, che non è soltanto direttamente dagli am- malati che può succedere una infezione, ma altresi con l’intervento di oggetti diversi e dopo un tempo relativamente lungo; è in grazia di ciò, che la generazione spontanea è oramai un ricordo storico; che si spiega come i conciapelli , i sellai, i cenciaiuoli vanno di preferenza soggetti al carbonchio; che si può dimostrare, come non sia punto ne- cessario di trovarsi nel luogo della infezione per pigliare un morbo in- fettivo, potendo i germi di questo col pulviscolo dell’ atmosfera, cogli alimenti, coll’acqua potabile , coll’ aria inspirata pervenire nell’ orga- nismo; e così che possiamo intendere, come il virus possa conservarsi per un tempo relativamente lungo , nelle stalle dove furono animali carbonchiosi, mocciosi ecc. ecc.; che si conosce come gli alluvioni, i torrenti, i fiumi possano essere causa di comparsa di malattie infettive in regione lontane, lontanissime dai luoghi primitivamente infetti; che delle epidemie possono ridestarsi dopo un tempo relativamente lungo, senza nuova importazione. jppure dalla conoscenza della resistenza vitale dei batteri patogeni, sorge la necessità delle disinfezioni per impedire la propagazione dei morbi infettivi. In mancanza di disinfettanti, di stufe ecc. ecc. per distruggere i virus sarà utile ricorrere al disseccamento, principalmente al disseccamento alla luce solare diretta, la quale, come abbiamo provato, è un mezzo po- tentissimo per distruggere i virus, anche quelli di maggiore resistenza, come il virus carbonchioso. E dall’ altra parte è di facilissima attua- zione. Quindi, senza essere igienista, ognuno dovrebbe imporsi il pre- cetto di sottoporre al disseccamento alla luce solare i materiali o gli effetti di uso, dove si suppone che ci siano germi di morbi infettivi, di aprire le stanze dove siano avvenuti'dei decessi per malattie infet- tive. Ciò dovrebbe essere praticato anche in quei casi, che sia stata eseguita la disinfezione a mezzo di sostanze chimiche, giacchè così, quei punti, che casualmente potranno rimanere non disinfettati, come interstizi di mattoni, fessure, congiunture di legname ecc. ecc. si di-. sinfetteranno per mezzo della luce solare, della ventilazione; in una pa- rola coll’essiccamento. Ciò dovrebbe impararci a non lasciare in mezzi umidi, ovvero locali SU TALUNI MICRORGANISMI PATOGENI 19 umidi, oscuri, poco o punto ventilati gli effetti di uso degl’ individui travagliati da morbi infettivi, dovrebbe impararci a non gettare acqua sui pavimenti ed in caso di lavatura, di asciugare i pavimenti o meglio di passarvi una spugna impregnata di soluzione di subblimato corro- sivo o di altro disinfettante, specialmente negli interstizii, che sono quelli «love abitualmente si rifugiano i batteri. Riepilogando ora quanto risulta dalle nostre esperienze, crediamo potere venire alle seguenti conclusioni : 1° Che il disseccamento è un mezzo potente di disinfezione. 2° Che la sua azione battericida è dovuta alla sottrazione dell’acqua dei mezzi che contengono batteri. 53° Che quanto più rapida e completa si fa la sottrazione dell’acqua tanto più celere e completa riesce la disinfezione. 4 Che la differente azione del disseccamento sui batteri di specie differenti e di quelli della stessa specie dipende dalla natura diversa dei batteri od invece dalle modalità del disseccamento. Settembre, 1891. 1) TÀ PERSONALE ED IL POSITIVISMO GIUSEPPE ALLIEVO PROF. DI PEDAGOGIA NELL'UNIVERSITÀ DI TORINO ( Tornati del 17 Marzo 1889) s pei dai b LA LIBERA ATTIVITÀ PERSONALE ED IL POSITIVISMO macutia Libertà o schiavitù? E questo il perpetuo dilemma, intorno al quale si svolge il dramma della nostra vita intima e la storia dell’ umanità. Il mondo della natura è dominato dalla fatale necessità della materia, il mondo umano è go- vernato dalla libera attività dello spirito. Il sentimento della nostra libertà personale è un fenomeno psicologico, che sta in fondo di ogni coscienza indi- viduale, è un fatto storico, che accompagna la vita sociale di ogni nazione. Per poco che si raccolga in se medesimo, ognuno si accorge di possedere una individualità sua e la afferma in faccia a sè, di fronte alla natura; sente di essere un'attività vivente, dalla quale erompe una serie incessante di pensieri, di concetti, di desiderii, di atti tutti suoi propri. La coscienza personale è l'io indi- viduo, il quale si riconosce di essere lui, e non altri, e dice a se medesimo : io appartengo a me stesso, io voglio, io penso, io sento, io opero e domino il mio operare. Questa coscienza del nostro libero dominio si sveglia in noi più viva e più potente nei momenti più gravi e più solenni dell’esistenza, in cui ci tocca di lottare contro forze nemiche, le quali attentano alla nostra indipendenza personale o ci troviamo in faccia a qualche avvenimento, nel quale siano implicate le sorti del nostro avvenire. Allora è, che raccolti nel- l'intimo di noi stessi chiamiamo a consiglio le nostre potenze, misuriamo le nostre forze, interroghiamo il passato, ci componiamo nell’ animo un nuovo ideale, e con un voglio imperioso sorgiamo a rassicurare i nostri destini. Il fatto psicologico, che qui io noto, è verità fulgidissima, che illumina della sua luce tutto il mondo interiore dell'anima : esso porge al moralista ed al filosofo argomento di studi i più profondi, di meditazioni le più sublimi, esso fornisce d LA LIBERA ATTIVITÀ PERSONALE la trama, su cui lo scrittore di romanzi e di novelle ordisce le pagine più attraenti e splendide de’ suci lavori, esso costituisce il nodo vitale di un com- ponimento drammatico, dove la potenza del carattere personale si mostra in mezzo al conflitto degli avvenimenti ed all’antagonismo delle passioni. Il mondo delle nazioni manifesta anch’ esso non meno viva e persistente la coscienza di quell’attività volontaria, che ognuno sente nell'intimo dell'animo ed esercita nella breve cerchia della sua vita individuale. La storia delle genti umane nella lunga sequela de’ secoli è tutta quanta una continua affermazione della propria libertà politica e civile, una protesta contro la schiavitù. Popolo non vha, che non veneri la santità del diritto, non detesti la brutalità della forza, che non apparisca geloso custode della sua nazionale autonomia, e non si mostri pronto a difenderla sino all’eroismo, sino al sacrificio : come pure non evvi guerra giusta, legittima, ragionevole se non quella sola, che si com- batte per redimerci dall’oppressione straniera. Uno Stato per quantunque inci- vilito, il quale pur trovandosi libero di sè va ad accamparsi col ferro in pugno in terra non sua contro il volere altrui, commette un attentato contro il di- ritto delle genti, e contro quella civiltà medesima, di cui si onora, La persona adunque, vuoi individua, vuoi collettiva, sente di essere un’at- tività conscia di se ed arbitra del suo operare, una forza morale, che si muove all'atto non per esteriore costringimento, ma per intrinseco impulso intelli- gente e libero. È questo un fatto, che posa indestruttibile sulla testimonianza della coscienza individuale e sulla storia perenne dell’ umanità. Pure (e chi nol sa ?) una scuola contemporanea, risuscitando antiche teoriche sotto forma di novità, è sorta a sentenziare in nome della scienza, che il sentimento della nostra libera attività personale è una volgare illusione, una vana. credenza, la quale non regge ad una critica seria e razionale. A sentire i seguaci di questa scuola, tutto porta l'impronta di una irrefrenabile necessità, la quale domina assoluta il processo logico delle idee, non meno che l’operare effettivo delle esistenze. Non vi sono due diverse guise di esseri, proprie le une della vita fisica, le altre della vita morale, bensì le leggi inflessibili, che governano fuori di noi i fenomeni dell'universo sensibile, quelle medesime determinano in noi in modo irresistibile il pensare, l’ intendere e l’ operare, sicchè non sono io, che voglio ed opero per deliberato proposito, ma è la natura che agisce in me di questo o di quel modo, perchè sospinta da tale o tal altra forza. Tutto adunque avviene per impeto di forze naturali, che concorrono verso un dato punto, ogni fenomeno è determinato da una virtù motrice posta fuori di noi, e non dentro di noi. Noi siam quel che siamo, in grazia della natura esterna, da cui attingiamo la vita e che determina la nostra in- dividualità singolare; epperò la ragione scientifica del nostro essere va rin- tracciata non già dentro di noi mercè l'intuizione interiore e la riflessione ED IL POSITIVISMO ) trascendentale, bensi fuori di noi nella natura mercè il metodo dell’ osser- vazione sensibile e dell’induzione sperimentale, sicchè la psicologia, come scienza filosofica distinta, non ha più ragione di esistere, ma deve rientrare nella fisiologia e con questa confondersi. I fenomeni naturali egualmente che gli atti umani si succedono intrecciandosi quasi anelli di una catena costrutta dalla mano medesima della necessità, cui nulla resiste : ogni fenomeno è fa- talmente suscitato da quello, che lo precede, come ogni atto è irrepugnabil- mente determinato da una forza estrinseca all'essere operante; e se un qualche divario è da riconoscersi tra i fatti fisici ed i fatti psichici e mentali, esso va tutto riposto in questo, che l’uomo ha coscienza della necessità, a cui irre- sistibilmente soggiace, mentre la natura non ne ha conoscenza di sorta. Tutta questa dottrina della scuola positivistica va a raccogliersi in questa formola : Tutti gli uomini nascono e vivono senza volontà propria, e sono trascinati in giro in un vorticoso abisso, dove non si discerne nè principio nè fine. Quali siano le conseguenze, che quinci logicamente discendono in ri- guardo alla responsabilità, al diritto ed al dovere, alla vita morale, alla dignità personale del genere umano, ognun le vede da sè. La responsabilità diventa una vana parola, giacchè non consente ragione, che io abbia a rispondere di un'azione, la quale non è mia: al diritto sottentra la forza irrefrenabile : il dovere, che è atto di uno spirito libero, scompare in faccia al costringimento esteriore: la vita umana perde ia sua impronta morale : le persone e le cose valgono tutt'uno. In mezzo all’universale meccanismo di fenomeni, che si suc- cedono, si riurtano e sì collidono, il pensatore deve contemplare colla. mas- sima indifferenza ed apatia i delitti più atroci, le scelleraggini più mostruose, le più spaventevoli catastrofi della storia umana, perchè sa, che tutto è deter- minato da indestruttibile necessità. (1) La logica non piega. Se mai ti esce di bocca una promessa ol un giuramento, tu mentisci all’aspettazione altrui, perchè disponi di cosa che non è in tuo potere: e se, pur non credendo alla santità del giuro, solennemente lo proferisci per semplice convenienza onde aprirti la via al trionfo dle tuoi principii, allora mentisci a te medesimo, per - chè di veramente tuo non hai proprio nulla, neanco la voloetà di tradurre in atto i tuoi disegni : l'evento, da cui dipende la vittoria o la sconfitta di un principio ideale, è preparato da una forza esteriore, che non è la tua, e quell’evento rientra in quell’indissolubile intreccio di vicende universali, che nel suo perpetuo movimento trascina te medesimo, e contro cui ti mostri im- (1) « Il positivismo è Vapplicazione di parte della formola Hegeliana: il razionale è reale ed il reale è razionale (Vincenzo Di Giovanni Prelesione di filosofia pag. 184. Palermo 1882) ». ) 6 LA LIBERA ATTIVITA PERSONALE potente affatto. Hai tu forse in animo di imprendere una discussione scienti- fica per diffondere i tuoi principii e raffermarli contro chi li impugna? Ma dacchè non sei arbitro del tuo proprio pensiero tanto da dominare a tuo senno la discussione, imprimerle un determinato indirizzo, ordinarla ad un fine pre- concepito, che ne avverrà? Tu discuterai non se vorrai ed in quel modo, che ti consigliera l'indipendenza del pensiero, ma discuterai se e come vi ti trarrà la forza esteriore, che ti sovrasta e ti domina, sicchè la discussione tra due menti porge l'immagine dell'urto tra due palle sospinte da forze opposte. Op- pure stai forse deliberando intorno a qualche particolare intrapresa? Ma dacchè non ti è consentita la scelta di operare o restartene inerte, di agire così e così, od altramente, altro non ti rimane, che abbandonarti alla corrente della necessità universale, rinunziando ad ogni deliberato proposito. Così ci troviamo nel bel mezzo di una contraddizione la più profonda. Dal- l'un lato la coscienza suffragata dal consenso universale dell’ umanità afferma, ch io sono un' intelligente e libera attività, dall'altro una scuola informata dal positivismo mi nega ogni dominio di me inedesimo, assoggettandomi ad una inflessibile necessità, che soggioga la natura tutta quanta. Spetta alla cri- tica disaminare il valore delle ragioni, colle quali questa scuola, che pure si proclama fondata sui fatti, pretende di rigettare fra le illusioni il gran fatto del sentimento, che tutti abbiamo della nostra libertà personale. E qui giova ricordare, che il determinismo, voglio dire il sistema, in cui l'io nimano non è principio e cagione delle sue manifestazioni, ma è necessariamente determi- nato negli atti suoi da una forza esteriore, non sorse ora soltanto dal posi- tivismo contemporaneo, ma già più volte si mostrò sotto forme diverse at- traverso lo sviluppo del pensiero filosofico, e sempre si sentì colpito dagli as- salti formidabili della critica. Mi basti ricordare nella storia della filosofia an- tica le due opposte scuole joniche, la meccanica e la dinamica , nella storia della filosofia moderna i due potenti pensatori Spinora e Leibnitz. La scuola meccanica della Ionia concepiva la natura universale siccome una semplice estensione infeconda ed inerte, e spiegava tutti i fenomeni dell’ universo mercè il mero cangiamento dei rapporti esteriori nello spazio, mentre la contraria scuola dinamica rigvardava la natura come una forza vivente, che si manife- sta sotto forme diverse, e riconosceva nei singoli esseri altrettante realtà in- dividue dotate ciascuna di un'energia interiore sua propria. Il determinismo psicologico, che giaceva implicato nella filosofia della natura professata dalla scuola meccanica della Tonia, apparve disvolto in forma rigorosamente scien- tifica nella teoria filosofica di Benedetto Spinoza. Rinnovando dall’ un lato il concetto dell’ antica scuola meccanica, dall’ altro precorrendo i più eminenti positivisti de’ giorni nostri, il filosofo olandese applicò agli spiriti le leggi de’ corpi, il movimento locale, e trasmutando la metafisica in fisica, la psico- ED IL POSITIVISMO i logia in meccanica, compose dell’ universo un sistema di cose, dove la neces- sità impera assoluta con inflessibilità geometrica. L'uomo rimane schiavo della natura universale, un ordigno fatalmente implicato nella gran macchina mon- dliale, un automa in balia delle forze esteriori: «il credersi (l'uomo) libero è un sognare ad occhi aperti, e tale non si crederebbe, se egli conoscesse le cause esteriori, che lo determinano » (1). Sorse ad impugnare con validissima eri- tica questo sistema (tuglielmo Leibnitz, il quale oppose «lla meccanica spino- siaua la dinamica della vita. Contro Spinora, che pretendeva di spiegar la na- tura e l'umanità mercè il solo movimento locale, egli giustamente osservava, che il moto riguardato in se stesso ed in astratto, cioè come cangiamento di posto, è ben poca cosa in realtà: che esso suppone la forza, come cagion pros- sima del cangiamento: e che la forza ha ben più di realtà, che non il movi mento, ed è fondata in un soggetto esistente, ossia in una sostanza o monade, sicchè ciascuna monade possiede per suo carattere costitutivo 1’ attività in- teriore, ossia una energia spontanea, che è principio unico e causa esclusiva de suoi cangiamenti. Erdl egli tenne in sì alto concetto l’attività ingenita a cia- scuna monade, che trascese sino a proclamarla indipendente da ogni influenza esteriore, sicchè ogni sostanza senza punto comunicare con verun’altra trae dall’ intimo del suo essere tutto quanto il processo del suo sviluppo. Mi è parso conveniente all'argomento il ricordare la dottrina meccanici «lell’antica Tonia e di Benedetto Spinora, siccome quella, che ora risorge trasfor mata nella scuola positivistica del nostro tempo, la quale non riconoscendo altra scienza, se non quella sola, che investiga la natura, ne conchiuse alla necessità universale siccome principio reggitore di quanto esiste. Esordire dai fatti e risalire alle leggi, ecco i due termini estremi, entro ai quali questa scuola strinse tutto il processo della scienza. Qui dimora il carattere distin- tivo della medesima: ma qui appunto la critica rivolge i suoi colpi, che non cadono certamente a vuoto mostrando come essa sia combattuta da un’ intrin- seca contraddizione in riguardo a’ due punti fondamentali, su cui s° appoggia, i fatti e le leggi. I di vero essa altamente proclama, che la scienza deve at- tingere dall’ esperienza i materiali del suo lavoro e raccogliere tutte le sue indagini sovra il solo mondo dei fatti; e poi respinge fra le illusioni un fatto solennissimo, che si mostra continuo in fondo ad ogni coscienza individuale, in ogni periodo della storia dell'umanità, il sentimento della nostra libera attività personale. Voi dunque ‘supponete, che due guise di fatti possano darsi, gli uni reali e veri, oggetto della scienza, gli altri illusorii , chimerici, ap- (1) Etica, parte 53, propos. 23. scolio, e Lettere 62 delle opere postume. S LA LIBERA ATTIVITÀ PERSONALE parenti, e sia pure così: ma questa semplice distinzione contraddice ad uno dei principii fondamentali della vostra dottrina. Poichè a sincerare i fatti veri e reali dagli illusorii ed apparenti occorre un criterio, che nessun positivista ci ha mai ammannito, né lo potrebbe senza uscir fuori dal proprio sistema, essendochè criterio siffatto vuol essere una verità superiore ai fatti medesimi. La contraddizione spunta non meno ricisa anche dall’ altro dei due termini sovraccennati. La scienza (voi dite) dai fatti per bene osservati ascende alla ricerca delle loro leggi, e bene sta; ma al disopra delle molteplici leggi par- ticolari corrispondenti alle diverse categorie di fatti stanno leggi universalis- sime, le quali governano il processo del pensiero nella contemplazione della realtà, e fra queste primeggiano i due massimi principii di sostanza e di causa. Or bene questi due supremi principii, senza la cui virtù il pensiero non po- trebbe muovere un sol passo nell’ immensa via del sapere, sono misconosciuti dal nostri positivisti, pur mentre essi assegnano per supremo compito alla scienza il ricercare le leggi direttive dei fatti. Poichè in loro sentenza nes- sun essere opera per virtù propria, ma è necessitato ad operare così e così da un altro essere, e questo da un altro e via via, sicchè nessuno è cagione ef- ficiente degli atti suoi, tutti sono effetti di una causa che si perde in un abisso e non si ritrova mai. Entrambi questi principii non governano sol- tanto il processo del pensiero, ma lo svolgersi medesimo della realtà, poichè un fatto qualsiasi importa un essere, ossia una sostanza, a cui appartenga, ed una forza, ossia una cagione efficiente, che lo produca. Un fenomeno o un cangiamento, senza una sostanza, in cui avvenga, involge contraddizione, co- me è pretto assurdo un fatto, che spunti dal nulla senza una forza, che lo cagioni, insita alla sostanza. Alla luce di questi due incontrastabili principit universali noi imprenderemo a disaminare il meccanismo della moderna scuola positivista. In fondo ad ogni realtà effettiva dimora un'energia, che differentemente si atteggia ed a differenti effetti si risolve secondo la diversa specifica natura del- l'essere, a cui appartiene. E attività la forza motrice attribuita ai corpi na- turali; attività la virtù plasmatrice degli organismi vegetali; attività l'istinto, che governa la vita animale del bruto. Dacchè adunque la natura tutta quanta mostra una potenza differentemente operativa nelle differenti specie di esseri, perchè non si vorrà riconoscere anche nell’umano soggetto un'attività quale conviensi alla sua razionale ‘essenza, val quanto dire un'attività non già cieca e fatale, bensi libera e conscia di sè ? Perchè riguardare l’individualità nostra Siccome un mero e passivo risultamento di fenomeni, che meccanicamente si succedono fuori di noi, mentro le eccitazioni esterne non creano la diversa energia interiore propria degli esseri, ma la presuppongono e si conformano al suo spontaneo sviluppo? Il principio di causalità va riconosciuto come legge ED IL POSITIVISMO 1) universale di tuita la natura, e non dimezzato o illogicamente compresso: l'essere è essenzialmente attivo : se ogni realtà sostanziale è attività efficiente, anche l'umano individuo possiede una virtù causativa, che è, quale conviensi alla sua natura, attività razionale, epperò specificamente distinta da egni altra. Non senza accorgimento mi venne pronunciato, che la libera e conscia atti- vità propria della persona umana si differenzia non di grado soltanto, ma di essenza da ogni altra specie di attività, che riscontrasi negli esseri irragio- nevoli. È questo del nostro tema un punto importantissimo , siccome quello, che tocca la dignità della specie umana ed il fondamento dell'ordine morale. Bvvi chi riguarda le svariate attività mondiali siccome gradazioni progressive di un'unica ed identica forza universale, che senza mutar di essenza si ma- nifesta sotto forme sempre più doviziose ed elette. Tale è il concetto pantei- Stico di Federico Schelling, che contempla la natura universa siccome un'at- tività unica, suprema e sempre la stessa, la quale sospinta non da estrinseco eccitamento, ma da interiore impulso si sviluppa in una serie ascendente di attività particolari. Gli oggetti cosmici, in cui essa s' individua, sono i suoi fenomeni: essa è la comune ed identica essenza, che vive in tutto ciò, che esiste, in tutto ciò, che pensa, in tutto ciò, che è pensato. Quest 'energia, che dap- prima dorme sopita nella materia inanimata, si sveglia alla vita ne’ corporei organismi, poi si manifesta sotto forma d'istinto nei bruti, finchè giunge a conoscere se medesima e diventa ragione, stadio terminativo del suo sviluppo. Di tal modo l'oggetto, ossia l'essere inconsapevole dell'attività sua e priva di intelligenza, diventa soggetto, ossia essere conoscente, epperò il pensiero e la realtà non differiscono essenzialmente l'uno dall'altra, ma sono iu fondo una sola e medesima cosa, sono entrambi fenomeni successivamente sviluppati da un'identica, infinita essenza, la quale è ad un tempo oggetto e soggetto, essere e pensiero. IL germe della pianta e dell'animale si schiude e si svolge con- formandosi ad un modello, ad un concetto tipico, ad un'idea: dapprima non ha coscienza nè dell'attività sua interiore, nè dell'idea che ritrae; ma 1 idea esiste, ed acquisterà poi la perfetta coscienza del suo sviluppo, che costituisce un soggetto pensante. Questo esplicamento interno dell'attività universale av- viene irresistibile, e nelle inferiori esistenze apparisce sotto forma di neces- sità, ma quando esso giunge a riconoscere se medesimo ed ha coscienza di ciò, che naturalmente è, e di ciò, che debb'essere, allora la necessità diventa libertà, il cieco istinto si tramuta in ispontanea volontà. Lnonde necessità e libertà non si differenziano in realtà, ma sono apparenze di una medesima infinita potenza, come lo sono l'oggetto inconsapevole di sè ed il soggetto pensante. Or bene questa teoria naturalistica del filosofo tedesco, della quale il recente evoluzionismo spenceriano è legittima prole, questa teoria, che riduce l'umana I ) 10) LA LIBERA ATTIVITÀ PERSONALE persona ad un mero fenomeno destituito di realtà sua propria, e non fa spe- cifica differenza tra l'uomo ed il bruto, tra il soggetto pensante e gli oggetti della natura, ha essa diritto e ragione di essere riconosciuta siccome fondata in verità? È pregio dell’opera il rispondere a tanto grave inchiesta. Che gli esseri, quanti sussistono in realtà, siano altrettante attività efficienti e causative, è tal verità da non doversi revocare in dubbio; ma che queste attività particolari, anzichè vere e specifiche sostanze, abbiano a riguardarsi come niente più che meri fenomeni o forme gradualmente evolutive di una sola attività generale, è questa una gratuita asserzione smentita dall'esperienza e dalla logica ad un tempo. Infatti, volgiamo uno sguardo alla realtà, quale ci è scorta dall'osservazione, e noi vediamo, che gli esseri della natura pre- sentano bensi, ciascuno secondo la propria specie, attività differenti e deter- minate in guisa particolare, ma un'attività nuda affatto e vuota di ogni forma, che la determini, tale cioè, che possa diventare tutte le energie particolari costitutive de’ diversi esseri, e tuttavia non sia nè questa, nè quell'altra ener- gia speciale, un'attività siffatta non ci verrà fatto di scorgerla mai in nessun punto dell'universo, per nissuna virtù di esperienza sensibile, essendochè in natura niente vi esiste, che sia onninamente indeterminato, tutto vi è indi- viduato e circoscritto entro confini determinati. Ben ci vien dato di sollevarci col pensiero al di sopra delle molteplici energie, che operano nel mondo della natura, e comporci in mente una certa quale entità, che esprima il solo ele- mento comune a tutte senza nulla di proprio e specifico; ma tale attività ge- neralissima ed indeterminata è una mera astrazione mentale rinchiusa entro i cancelli della pura idealità, è una specie di capul mortuwmn, un'entità sie- rile el infeconda, e non già una forza vitale ed operosa, che si disvolga nel sistema universale degli esseri. L'esperienza adunque non ci attesta nè punto nè poco la effettiva esistenza di un'attività indefinita, quale la intende lo Schel- ling e con lui gli evoluzionisti contemporanei; ed aggiungo che neppur essa l'osservazione ci mostra le evoluzioni naturali, che alla virtù di tale attività vengono attribuite. Si percorra tutto, quanto si stende, il campo della nostra facoltà osservativa, e noi cercheremo indarno un solo fatto di specie viventi, che siansi trasformate in altre da quelle di prima. All’ esperienza ed all’ osservazione viene ad aggiungersi la logica a dimo- strare la fallacia della teorica, che andiam discutendo. Gli. avversarii della nostra libertà personale ragionano su per giù in siffatta guisa. L'attività non è un’'appartenenza esclusivamente propria dell'umano soggetto, ma si mostra in tutta quanta la natura, dal movimento rotatorio degli astri sino alla forza esplicatrice dei germi vegetali, sino all’istinto regolatore dei bruti : essa s'in- grada e progredisce dalle più umili forme dell’esistenza sino alle più elevate, ma pur sempre identica e la stessa nella sua intima essenza. Per conseguente ED IL POSITIVISMO ll la libera volontà che viene aggiudicata all'uomo, non ha natura essenzialmente diversa da quella di ogni altra attività, che vige nell’ universo fisico, ma di grado soltanto avanza il cieco istinto degli animali. Breve, l’attività domina in tutta quanta la natura; dunque anche la umana non è che una forma 0 grado dell'attività universale. Sommamente importa il mettere per bene in chiaro la stortura di siffatto ragionamento, tanto più che in sofismi consimili ben di frequente s'inciampa nella trattazione de’ più rilevanti argomenti filosofici segnatamente dai seguaci del moderno positivismo. Osserviamo il processo della mente che si eleva alle conoscenze astratte e generali. L'esperienza presenta allo sguardo spontaneo dell’ intelligenza una moltiplicità di attività e di energie particolari diversa- mente individuate nei diversi esseri dell’ universo; poi osservando e raffron- tando, si segnano di ciascuna i punti, in cui differenziano, e quelli in cui convengono, e sceverate così le note simili e le dissimili, la mente lascia da banda quanto vi ha di proprio e di singolare in ciascheduna per cogliere e contemplare di proposito l'elemento comune a tutte quante. Così si perviene al concetto di un'attività, che non è propria, di questa o quell'altra indivi- dualità della natura, bensì comune a tutte, generalissima ed astratta. Or bene (e qui dimora il punto della quistione) in quale rapporto stanno fra di loro quest'attività comunissima e le altre attività individuo particolari? Dalle cose or ora diverse emerge primamente, che quest'attività indeterminata e generale, o meglio elemento comune, presuppone le molteplici energie individue e sin- golari, da cui è stata raccolta mercé il confronto e l' astrazione ; ed ha in essa, e non in sè, la' sua ragion d'essere, il suo fondamento e la condizion sua, sicchè non sussiste in natura, ma nella mente soltanto, che l’ha formata, e dacchè non è una realtà viva e concreta, mostrasi impotente ad ogni guisa di evoluzione. Una seconda considerazione ancor più rilevante e ben decisiva si aggiunge alla prima. Alloraquando la mente è giunta a sceverare in un ordine cate- gorico di esseri le note proprie, che li differenziano, dalla comune e generale, in cui tutti si accordano, e quelle raffronta con questa, ben tosto viene a ri- levare che l'elemento comune costituisce un genere, rispetto al quale le note proprie appariscono altrettante specie. Ora il genere non contiene punto in sè le specie, bensì vi è contenuto; ragione per cui gli esseri raccolti entro una medesima classe non vanno riguardati siccome semplici gradi o forme di una medesima essenza, ma diversano affatto di specie o di natura. A_mo' di esempio il triangolo, il quatrilatero, il pentagono, l’ esagono non li dirai già gradi, ma specie del genere poligono, perchè per quantunque contengano tutti la nota comune e generica di poligono, e siano perciò figure piane chiuse da linee rette, tuttavia le proprietà caratteristiche e distintive di ciascheduno sono 12 LA LIBERA ATTIVITÀ PERSONALE tante e tali da costituire tra l'uno e l’altro non una semplice differenza nel più e nel meno, ma un vero divario di natura. La conclusione, a cui menano tutte queste considerazioni logiche, emerge da sè. L'attività comunissima a tutte le esistenze dell'universo non contiene in sè le attività specifiche proprie di ciascun ordine di esseri, ma vi è contenuta; epperò l'attività intelligente e libera, propria della specie umana, è di tutt'altra natura da quella del bruto, come l’attività del bruto essenzialmente si dispaja da quella del vegetale e via via. È pur anco un gravissimo precetto della logica questo, che a voler com- prendere le cose quali sono nella schietta ed integra loro natura necessita os- servarle e contemplarle in tutti e singoli i loro aspetti. Un’ osservazione monca e parziale genera concetti esclusivi e disformi dalla realtà, come appunto in- contra a quei positivisti, i quali tutti intenti a contemplare 1 uomo nel suo aspetto esteriore non hanno più occhio da scorgere il principio interiore del suo essere. In loro sentenza l’uomo in sè e per sè è un pretto nulla, ma è quale lo fa la gran mole dell’ universo, che gravita sopra di lui: il mondo esterno colle sue incessanti ed ineluttabili influenze lo avviluppa da ogni lato, ed egli è ridotto ad un inerte insieme di impressioni, che gli vengono dal di fuori. Questo concetto antropologico non risponde di sicuro ai risultati di una schietta e compiuta osservazione. Nissuno, che abbia fior di senno in capo, negherà mai, che I’ uomo accolga in sè l’azione della natura circostante, in seno alla quale svolge la sua vita esteriore, ma niuno ad un tempo niegherà: a lui quel principio operativo, che pur riconosce in tutte, anche nelle più in- fime esistenze create. Il fiore, che s'innalza sul proprio stelo, attinge gli ele- menti della sua vita dall’ aria atmosferica, dalla luce solare, dalla terra e dall'acqua, e si risente del benefico © maligno influsso della natura; eppure esso possiede una virtù interiore, che non gli vien dal di fuori, mercè la quale lavora il suo organismo, trasforma i ricevuti elementi atteggiandoli giu- sta un tipo determinato, diffonde un grato olezzo, si riveste di vaghi colori tratti dalla luce e suscita nell'animo dell'osservatore i più svariati senti- menti e pensieri. Or se un fiore del campo spiega una particclare efficienza entro quell’ angusta cerchia, che gli è consentita dalla sua natura, ragion vuole che si riconosca nell’ uomo una spontaneità operativa conforme alla sua razionale natura, cioè il libero e conscio dominio di se medesimo. E qui mette conto dissipare un grosso equivoco, in cui s' avvolgono 1 fau- tori del determinismo universale. S'immaginano cotestoro, che la libera atti- vità dell’uomo da noi sostenuta abbia a riguardarsi siccome una potenza tale, che si stenda illimitata e domini arbitra assoluta del mondo, in cui si svolge. È un gravissimo abbaglio. La libertà personale, di cui facciamo pa- rola, non è punto assoluta e sconfinata, bensi relativa e finita, quale appunto è la natura dell’uomo, a cui appartiene. Essa si svolge fra un sistema di ED IL POSITIVISMO 15 cose non create da noi, in rapporto con altre esistenze senza fine, le quali ora favoreggiano il suo esplicamento, ora lo angustiano, lo inceppano, lo im- pediscono. Ma anche tenuto conto del suo conflitto colle forze contrarie, an- che misurati i confini, che circoserivono il suo operare, rimane pur sempre per la libera attività un posto speciale, in cui ciascuno può dire: quest azione è mia, e da cui non può discendere senza rinunciare alla sua dignità per- sonale e rassegnarsi fra i bruti. Adunque il concepire la libera volontà umana siccome un'assoluta indipendenza dalla realtà tutta quanta è tanto grave er- vore, quanto lo è il fare dell’uomo un automa in balia della natura univer- sale. La verità dimora nel giusto mezzo fra questi due estremi opposti e ri- sale a quel solenne principio metafisico, che contempla V universo intiero sic- come un immenso sistema di attività e di ricettività congiunte ad armonia. Nissun essere vive solitario ed isolato dal mondo, che lo circonda, chiuso al- fatto alle influenze esteriori; ma non è neanco una mera ed inerte passività dominata dall'ambiente, che lo avvolge. Si vive in rapporto colle altre esi- Stenze, perchè si vive in sè. Il di fuori importa il di dentro, come sua ra- gione, nè ti riesce di separare l'uno dall’ altro questi due termini senza tro- varti in faccia all inesplicabile, all’assurdo. Quindi tutti gli esseri sono so- stanze, che accolgono in sè | operare delle cause esterne, ed alla loro volta sono cause, che diffondono al di fuori l' interiore ed originaria loro attività: tutte Je nature operano le une sulle altre, ma ciascuna possiede e conserva l'energia sua propria. In mezzo all'universale convivenza degli esseri noi tutti abbiamo il diritto di scegliere il proprio posto rispondente alla nostra tempra personale ed alla nostre aspirazioni naturali, ed abbiamo il dovere di oceuparlo degnamente la- vorando senza posa a perfezionare noi stessi. Ora il perfezionamento di cia- scuno non è già il fortuito risultato di un felice intreccio di contingenze esteriori, bensi ha da essere opera nostra propria in armonia coll’ordine uni versale : il che importa, che I° uomo possiede sè medesimo, ha una volontà sua, colla quale dirige il corso de’ suoi pensieri, domina le sue azioni, lotta contro le difficoltà, che gli contendono il compimento del suo ideale (1). La (1) Lo Spencer ne’ suoi Principii di psicologia discorrendo la natura dell'atto volontario lo ripone in un movimento corporeo rispondente ad un'impressione sensitiva, il quale avendo lasciato traccia di sè ne’ nervi, che ne conservano una debole eccitazione, ripiglia la sua forma primitiva e reale e viene lentamente epperò avvertitamente riprodotto. Quanta me- schinità di concetto! L'attività volontaria, questa sublime facoltà, nella quale si mostra la nobiltà ed cecellenza della vita umana, ridotta all’ ufficio tutto animale di produrre tale o tal altro movimento nella bassa cerchia dell'organismo corporeo ! Del che non è a stupire, quando sì avverta, che egli fa germogliare lo sviluppo della nostra vita mentale tutta quanta 4 l4 LA LIBERA AUTIVITÀ PERSONALE nostra grandezza personale si misura appunto dal vivo e profondo sentimento della nostra individua esistenza, dall’ impero sopra di noi, dalla saldezza del carattere fondato nella forza della volontà illuminata dalla limpida conoscenza del giusto e dell'onesto. La vita umana non è un’ equazione algebrica o un rigido teorema di meccanica, ma un dramma vivo e reale, che si svolge dai penetrali della coscienza, e di cui il nostro spirito è attore e spettatore ad un tempo. Noi viviamo in uno Stato, che va sempre più assorbendo l'attività privata propria del libero cittadino ; assistiamo ad un ordinamento scolastico pedagogico, in cui il Governo reputandosi lui il solo e sovrano maestro della nazione si sbraccia a foggiare tutte le menti sul medesimo stampo miscono- scendo il massimo compito dell'educazione, che è la formazion del carattere (1): ci troviamo avvolti entro una vita politica e sociale, in cui la fiacchezza dei caratteri ed il servilismo verso i potenti fanno bruttissima mostra di sè, e tutto questo sì riflette in una letteratura , la quale impotente alle creazioni del genio canta il suo mal nervoso, o si stempra in una critica avventuriera, che si bea di se medesima. Oggi adanque sommamente importa il ravvivare negli animi la coscienza della nostra libera attività. Siamo osseguenti a’ santi principii dell’ormline morale e divino, siamo rispettosi dei diritti altrui, ma non abdichiamo alla nostra dignità e libertà personale in faccia a nessuno. dalle impressioni suscitate nel nostro corporeo organismo. Del grave problema rienardante il come si trapassi dalle impressioni esterne alla percezione intellettiva egli non mostra tampoco di averne coscienza, come se la cieca e pur sempre materiale oscillazione de’ nervi riferita al centro sensorio pur esso materiale possa diventare conoscenza di tante e sva- riate cose, che nulla hanno di comune con essa. Con tanto sfoggio di cognizioni fisiologiche da lui intruse a marcia forza nel corpo della psicologia non giunse a rischiarare della menoma luce l’ arduo problema. Almeno almeno il suo connazionale A. Bain, positivista quanto lui, non si peritò di confessare, che « tutto il tempo, che noi parliamo di fibre e di nervi, non parliamo affatto di ciò, che propriamente si chiama il pensiero: annunciamo de’ fatti fisici, che l’accompagnano, ma questi fatti fisici non sono il fatto psicologico, ed anzi impediscono di pensare al fatto psicologico (I sensi e l'intelligenza, pag. XII). » (1) « L' errore si abbraccia e si espone nelle pubbliche scuole come vera sapienza, ma coloro che parlano, non si ispirano che allo inganno.... Qual è la conseguenza di cotesto andazzo perverso ? La società ne geme , le istituzioni più sacre e più utili ne sono scon- volte, l’ordine pare una eccezione quando si incontra ed il disordine è divenuto la norma ordinaria, lo stato a cui ci dobbiamo adagiare ». Così scrive (e scrive cosa dolorosamente vera) l’ ecregio prof. Abb. Vincenzo Crisafulli nella sua monografia pag. VI. VII: Za dot- Irina cattolica in rapporto alle scienze sperimentali, lavoro per eletta e viva erudizione, per giustezza di critica, per larghezza di pensare pregevolissimo. ai peri PROF. DIODATO LIOY LA MENTE DI P. S. MANCINI DISCORSO LETTO ALLA R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI NELLA TORNATA DEL 18 AGOSTO 1889 %, Di Dà Se AR < NNNNNNNNNNININSIINNINN SIINO LA MENTE DI P. S. MANCINI La posterità è cominciata per Pasquale Stanislao Mancini. Appartenne a quella avventurosa generazione che contribui col senno e colla mano a fare l'Italia libera ed una. Onde è un sacro dovere di comporne le ossa, guardan- dolo @ son point de vue et dans son temps. Il mezzogiorno erasi segnalato sempre dalle altre parti della penisola per l’acume filosofico ereditato dagli Eleati, dai Pitagorici, ravvivato da S. Tom- maso d'Aquino, Telesio, Campanella e Giordano Bruno. La tradizione conti- nuava a fruttificare, poichè dalla morte violenta di Bruno alla nascita di Vico non passarono che 68 anni. Pitagora applicò il suo sistema all’ ordinamento della città, S. Tommaso a quello della Cristianità, Vico alla storia ideale eterna. L'autore che esercitò maggiore ascendente sulla mente di Vico, fu Ugone Grozio, denominato ben a ragione il giureconsulto del genere umano. Occorre soffermarsi alquanto a considerare qual’ era presso di noi la educazione degli studi giuridici prima e dopo Vico. Nei primi secoli della monarchia quasi tutti i nostri professori di giuri- sprudenza ci veniano dalle scuole di Lombardia, o erano colà educati. Però nel secolo XIV, cominciando ad infievolirsi le scuole dell’ Italia superiore si trovarono pressochè pari in eccellenza e celebrità gl’'interpreti lombardi e na- 4 LA MENTE DI P. S. MANCINI politani. E poichè la feudalità fu nelle nostre provincie più numerosa e più forte che in tutto il resto d'Italia, avvenne che le leggi feudali richiamassero principalmente l’attenzione dei nostri primi interpreti. I quali si levarono tanto sopra gli altri, che per più secoli le opere feudali del nostro foro fu- rono guida e lume a tutti i giureconsulti d’ Europa. « Lo studio di questa parte di giurisprudenza, scrive il Giannone, fu presso di noi cotanto coltivato e tenuto in pregio, che i nostri superarono tutti ì giureconsulti delle altre nazioni, così d'Italia come di oltremonti, ed oggidi questo è particolare vanto del nostro regno, che in niun’altra parte si sia saputo e si sappia tanto della dottrina feudale, quanto dai nostri giureconsulti. E si vede dappoi colla espe- rienza che le quistioni più ardue e più difficili che mai avessero potuto in- sorgere in questa materia, non sì sieno trattate più sottilmente e con tanta accuratezza e dottrina quanto dai nostri autori. Nè niun’ altra regione può vantarsi di avere avuti tanti scrittori intorno a questo soggetto, quanto il regno di Napoli » (1). Lo stesso avrebbe potuto affermare l'illustre storico pei canonisti se avesse potuto citare il proprio esempio insieme a quello di Niccolò Capasso e Carlo Gagliardi. Ragione ne era l’alto dominio vantato dalla Santa Sede sul nostro reame, che dava luogo a continue lotte fra il potere civile e l’ecclesiastico. Il diritto romano fu rischiarato di nuova luce dalla erudizione di Francesco di Andrea, Gian Vincenzo Gravina, Domenico Aulisio, Gaetano Argento, che introdussero presso di noi il metodo usato da Alciato e da Cujaccio. Mancava il legame fra le varie giuridiche discipline, e Vico lo trovò ravvicinando il fatto al vero, la filologia alla filosofia. Questo connubio fu turbato dall’invasione delle dottrine di Loke e di Con- dillac, i quali dalla /aDwla rasa cartesiana trassero l’uomo e la società con assoluta prevalenza dell’ individuo. Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri e Mario Pagano, furono i precursori della rivoluzione francese, che presso di noi trovò il terreno bello e preparato. Il codice civile entrò in vigore il 1° Gen naio 1803, sopprimendosi il titolo del divorzio e lasciando in mano ai par- roci gli atti dello Stato civile. Invano Francesco Ricciardi, ministro di Griu- seppe Buonaparte, chiese introdurvi parecchie importanti modificazioni, spe- cialmente intorno alle successioni, alla dote e alla patria potestà, ed un’ ag- giunta sull’ enfiteusi..L’ arcicancelliere Cambacères in nome dell’ imperatore negò qualsiasi altro cambiamento. Ci vennero successivamente di Francia il Codice di procedura civile, il co- (1) Storia Civile del regno di Napoli, lib. XIII e. 5. a radi LA MENTE DI P. S. MANCINI » dice di commercio, il codice penale, promulgato fra noi il 25 aprile 1812 in sostituzione delle sapienti leggi del 20 maggio sui delitti e sulle pene, e del 22 maggio 1808 sulla giustizia correzionale. Di esse restò in vigore la sola parte attenente alla ritologia penale, non venendo promulgato il codice fran- cese sull'istruzione criminale a causa della giuria che non ci si voleva con- cedere. Le maggiori divergenze tra la nostra legislazione e la francese si appale- sarono nel codice e nella procedura penale. Fiu dal 1814 si pensò ad una riforma, ritardata dalle sopraggiunte complicazioni politiche, e che ebbe luogo nel 1819. Ecco come vien giudicato da due illustri serittori stranieri. « Celui «de tous nos codes, scrive il Dupin, qui a subi le plus de changement est « le code pénal, et toutes les modifications qui ont éié faites, ont été dicides < par des vues de philantropie et d'humanité. Il n'est aucune des améliora- « tions qu'on «discute maintenant à la chambre de pairs, qui n'existe a Naples « depuis 1819, et mème sur une base plus large. En effet, non seulement on « Alla scienza sono dannosi soltanto i fatti falsi, mentre le false teorie fanno poco male dacchè ognun prova salutare piacere nel combatterle, e quando ciò avviene, si chiude una via all’ errore, mentre nello stesso tempo se ne apre spesso un'altra alla verità. » DARWIN. Sommario : 1. Introduzione. Fenomeno che suole accadere quando nuova rappresen- tazione, o nuovo concetto, entra a far parte d'un ordinamento di rappresentazioni , o di concetti. — 2. Come e perchè il fatto dell’ eredità abbia nella scienza contempo rancea acquistato grandissima importanza. L'efficacia dell’eredità secondo il Lamarek e il Darein. — 3. Attinenze dell'eredità con la Psicologia, l'Antropologia eriminale, la Morale, l Estetica e la Pedagogia. Valore cosmologieo dell’ eredità secondo il 7?/bot. Scopo della presente lettura. 1. Non so se hanno avuto occasione, o illustri Accademici, d’osservare il fatto che costantemente avviene quando in piccolo paese va a sce- gliersi stabile dimora qualche persona nuova, ignota cioè, specialmente se facoltosa od agiata. Per le strette ed intime relazioni cittadine onde si compone la piccola società del paese, la venuta della persona nuova viene subito avvertita, e la fantasia popolare tosto si sbriglia fantasti- cando intorno alla vita e all'importanza del nuovo personaggio : i mi- nimi atti sono osservati, notati, spesso esagerati, interpretati sempre con una certa aria di mistero, o per lo meno di grandioso. Ciò che avviene nell’ordine sociale s’osserva altresi nell'ordine psi- 4 IPOTESI IDEATE cologico. Una tessitura finissima di sensazioni , sentimenti, emozioni , ricordi, tendenze, desiderî e pensieri, aspirazioni e pentimenti forma la base e in essa si dispiega la vita della nostra psiche : il collegamento è tanto intimo ch’ogni nuova, per quanto piccola e talvolta anche non avvertita, modificazione vi trova prontamente il proprio posto e agli altri stati di coscienza s’unisce secondo le leggi della contiguità, somi- glianza e differenze. La vita sociale, per così dire, delle rappresenta- zioni (poichè con questo vocabolo generale sogliono gli psicologi indi- care tutti gli stati della nostra coscienza) passa tranquilla, e talora anche monotona, fino a tanto che non appaia su la soglia della coscienza nuova, e più ancora se intensa, rappresentazione. Spesso in questi casi la rap- presentazione, perchè nuova, non trova subito il modo di congiungersi colle altre; allora il sentimento dell’ individuo, per il turbamento che sussegue allo squilibrio delle prima ordinate rappresentazioni, rimane misteriosamente impressionato. Per l’incertezza del pensiero che vede quasi ribelle alle proprie leggi il nuovo elemento, la fantasia s'accende e ci fa pensare all’indeterminato, all’infinito, al grandioso e talora anche al sublime. Quando col tempo poi la nuova rappresentazione, avendo trovato con altre i nessi di somiglianza e differenza, (1) sta per ada- giarsi nell’ ordinamento generale della psiche, se per qualità e quan- tità è intensa, succede nuovo e più notevole fenomeno. In luogo di subordinarsi fa di sè centro alle altre, e con la forza, vita e quan- tità di queste accresce la propria: in tali casi, se la nuova rap- presentazione è d’ ordine mentale, estetico o sociale , abbiamo l’ entu- siasmo che ci stimola ad ideare e ad operare grandi cose; se all’ in- contro è d’ordine affettivo, abbiamo l’irrompere improvviso e turbinoso della passione. Nell’uno e nell’altro caso tutta la dinamica psicologica è informata alla nuova rappresentazione, quasi non si vive, non si pensa, non s’opera che con lei e per lei. Quanto s’osserva nell’ordine sociale e psicologico , s’ avvera altresi nell’ordine del pensiero, nell’ordine scientifico. La scienza dalla sem- plice erudizione appunto si distingue perchè ordinatamente raccoglie ad unità le molteplici cognizioni che con . lente , accurate e metodi- che osservazioni siamo andati a mano a mano. acquistando intorno all’indefinita varietà delle cose che costituiscono: il cosmo. Allorchè l’or- dinamento delle nostre cognizioni scientifiche si trova di fronte a qual- che grande e nuovo fatto, nuovo perchè in su le prime non si scor- gono le attinenze ond’è avvinto alle cognizioni già possedute, succede nella mente dello scienziato il duplice fenomeno che abbiamo già no- tato. Si guarda prima il nuovo fatto o con diffidenza o con aria di mi- PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 5 stero : lo spettacolo del veder sfasciarsi le nostre cognizioni con tanta cura ordinate, ci dà tale pena che in sulle prime siamo per fino di sposti a combattere il nuovo fatto, a chiudere gli occhi alla luce. Ma il fatto percorre il proprio cammino, si fa strada, e a poco a poco si notano le analogie ond’ esso si collega con le cognizioni precedenti :; allora al primo succede il secondo fenomeno. Se il fatto è importante, o il nuovo concetto è grandioso, anziechè agli altri subordinarsi, fa di sè centro, di sè informa tutti gli altri: mon si pensa che a lui e per lui. 2. Questo fenomeno scientifico è avvenuto il giorno in cui il Lamarek prima, e il Darwin con molta maggiore dottrina, poscia, ci hanno pre- sentato in nuova luce il fatto dell’ eredità. Per dare ordine scientifico alle molteplici nostre cognizioni empiriche intorno alla vita vegetale ed animale, il Lamarck ideò l'ipotesi per la quale, partendo da uno 0 più tipi semplici e tenendo conto delle modificazioni che per le varie condizioni esterne dell’ambiente deve, chi vive, necessariamente subire , si pos- sono geneticamente spiegare tutte le varietà che presentano gli ordini degli animali. Dal giorno che il Lamarck ideò tale ipotesi, il fatto del- l’eredità, osservato e studiato già molto tempo prima da filosofi e scien- ziati, venne a prendere nell’ordine delle idee scientifiche posto assai più di prima notevole ed importante. Che le condizioni varie dell’ambiente modifichino morfologicamente e quindi anche fisiologicamente l’organi- smo dei viventi è un fatto, ma in sè e per sè troppo tenue, perchè ci possa adeguatamente chiarire come una specie zoologica si trasformi in altra superiore. Più che le modificazioni subite dai singoli viventi in tempo determinato, serve di fondamento alla teorica della discendenza la somma delle parziali modificazioni: ognun vede quindi come tale somma non sia possibile che ad una condizione, alla condizione cioè che l’individuo trasmetta all'individuo, la specie alla specie, l’accumu- lazione delle subite modificazioni. Al Darwin non isfuggì l’importanza grande che nella teoria della di- scendenza devesi all’eredità assegnare. Se il Lamarck ammetteva l’ efti- cacia dell'eredità come un fatto in sè e per sè chiaro, il Darwin, avendo notato che nella teoria della discendenza Veredità diviene non solo legge, cioè fatto costante, ma eziandio una delle cause della trasformazione delle specie, cercò, con raccogliere molti fatti e con l’ideare un'ipotesi, di ren- dere intelligibile, di spiegare, la regolare costanza e il potere effettivo che all’eredità si riferisce. Dal giorno che apparve la celebre opera : La variazione degli animali e delle piante, le cognizioni biologiche e zoo- logiche presero nuovo ordinamento , le scienze della vita ricevettero nuovo ed efficace impulso e il fatto dell’ eredità fu oggetto di minute ricerche e di grandi applicazioni. 2 6 IPOTESI IDEATE 3. Dell’ eredità se ne servi subito lo psicologo ; lo Spercer, per non nominare che il più grande, partendo dalla semplice azione riflessa ci fa assistere alla genesi non solo degli istinti, ma ben anche delle leggi del pensiero con sicurezza non minore dell’ HaeckeZ, il quale paziente- mente ci descrive la formazione del primo organismo e il passaggio dalla materia bruta all’organica. L’antropologo crimizalista su uno degli aspetti dell’eredità, l’Afavismo, poggia una nuova teorica per ispiegare una classe di delitti. La scienza morale, per l’ introduzione ‘di questo nuovo elemento di meccanica necessità, tutta se ne risente; il concetto del dovere , della moralità , si trasforma. La sociologia vuole essere la base non solo della Filosofia della storia, ma ben anche di tutte le scienze giuridiche; non solo si restringe a spiegare il passato, ma vuole predire eziandio il futuro e ci descrive nuove forme sociali e di mo- ralità. (2) Se il pensiero non è forza tra le forze, ma accumulazione d’adattamenti all’ambiente che l'eredità ci trasmette, vien meno 1° in- canto d’ogni idealità e col calcolo alla mano si può predire la fine non solo d'ogni religione, ma ben anche dell’ @rte. (3) Per fino la scienza dell’educazione , la pedagogia , deve cercare nuove basi, usare nuovi metodi : tant’ è vero che anche nell’ordine mentale s’ avvera il feno- meno da noi osservato nell’ordine psicologico e sociale che il /ebot nel suo bel libro: L’ Heredité psychologique , potè scrivere : « L’ eredità ci appare come un frammento più generale d’una legge dell’ universo e la sua causa deve essere cercata nel meccanismo universale. Nulla di ciò che è stato può cessare d’ essere; ecco perchè nell’ individuo ab- biamo l’abitudine e la memoria, nella specie l’eredità. » Ma col tempo, con la riflessione , con la consuetudine della vita so- ciale 1’ entusiasmo si affievolisce , 1’ ardore della passione si spegne ; col tempo e col progresso degli studî il fatto dell’eredità ha nell’ordine mentale trovato il posto che, conforme a sua natura e alla sua effi- cacia, gli spetta? Ecco, o illustri Accademici, la ricerca alla quale nella fiducia che mi sarete larghi di consigli e d’avvertimenti, v’invito col mio esame delle ipotesi ultimamente ideate per determinare e chiarire il fatto dell'eredità. Jo Sommario : 4. Antitesi in cui s' avvolge la scienza nello studiare il fatto dell’ eredità. Eredità come fatto, legge, causa.—5. Il Mantegazza confonde l'ipotesi provvisoria del- l'eredità ideata dal Darwin con una scoperta. Il Mantegazza credendo che la pan genci abbia fondamento più sicuro dell’elezzone naturale cade in grave errore. Fatti che stimolarono il Darwin ad ideare la sua ipotesi provvisoria. — 6. Le critiche fatte PER ISPIEGARE L'EREDITÀ {| all'ipotesi darwiniama ridotte a tre punti. — 7. Come VE/sbery abbia cercato di modi- ficare l'ipotesi darwiniana. Difficoltà dall'ipotesi dell'#/sb279 non risolute. — 8. Ponda- mento dell'ipotesi dell’ /aeeke/. Difficoltà e critiche. — 9. Confronto delle ipotesi pro- poste per ispiegare eredità anteriori a quella del Wezsmazz. — 10. Caratteri generali dell'ipotesi del Wezsnzazz. Opere nelle quali l’autore espose successivamente la sua ipotesi. Breve paralello tra Vipotesi del Dare e quella del Weismann. Perchè all'ipotesi del WWe/smarzz si dedichi speciale esposizione. — LL. .L' eredità negli orga- ‘ mismi 22/ce//2/ari. Nutrizione e riproduzione secondo il C/eede Bernard è il Baer. Genesi degli organismi pluricellularvi. Potere ereativo dell'eredità. Dubbi del We/smazr. — 12. Problemi con i quali è connessa la spiegazione dell’ eredità negli organismi pluricellulari e nei metazoi. Problemi che il Weismann cerca di risolvere prima di fommulare la sua ipotesi dell'eredità. Teorica del //7:p/1s224 (plasma del germe.) — 1}. Accenno al procedimento scientifico tenuto dal IWesmazz nell'ideare la sua ipo- tesi. Cellule somatice e cellule germinative. Concetto dell’ /d/oplasma del Niigeli e modificazioni del nostro autore. Nucleo dell’uova e dello sperma per rispetto alla di- stinzione sessuale, Alla distinzione di maschile e femminile il nostro autore sostituisce quella di paterno e materno. Efficacia secondo il nostro autore della propagazione per fecondazione per rispetto alle variazioni delle specie. 14. Valore formale e reale delle ipotesi. Se l'ipotesi del ]We/smazz sia scientifica. +. Non potremo mai fissare definitivamente il posto che nell’ordina- mento delle cognizioni scientifiche all’ eredità si addice ; non potremo mai determinare in modo assoluto l'efficacia che l'eredità nei viventi esercità, se non ne conosciamo prima la natura, lin sè, se non ne conosciamo prima la genesi e meglio ancora la sua causa. Ma natura- listi e psicologici s'accordano nell’atfermare che la scienza non ha po- tuto diradare ancora le tenebre misteriose nelle quali 1 eredità s’ av- volge. L’ eredità è un fatto, e nella teorica della discendenza è legge che governa la trasmissione della vita e delle modificazioni acquisite; è causa del perfezionamento evolutivo delle specie zoologiche : ma ciò nulla meno non s' è potuto ancora chiarirne la natura, e ciò che è molto meno, descriverne la genesi. Curiosa antitesi nella quale si di- batte la scienza: senza nuovi fatti non si può chiarire la natura del- l’eredità, e senza un concetto adeguato dell’eredità si corre il pericolo evidente di raccogliere una statistica di fatti che con l'eredità abbia poca o nessuna attinenza. Ma alla deficienza delle ricerche empiriche supplisce il pensiero ideando ipotesi : sul terreno mal fermo, ma pure necessario, delle ipotesi havvi accordo tra naturalisti e psicologici, 0 per lo meno tra naturalisti soltanto ? 5. Il senatore Mantegazza nella nuova edizione (1889) del suo lavoro, Igiene dell'amore, nei due capitoli intorno all’eredità aggiunti in questa edizione scrive : «Io credo.... che la pangenesi sia la più bella fra le scoperte darwiniane, credo che abbia un fondamento più sicuro della e) IPOTESI IDEATE elezione naturale, credo ch’ essa sia un passo da gigante fatto su la via che deve condurci alla piena conoscenza dei fenomeni misteriosi della riproduzione. Forse non ci rimane che ad esplicare chimicamente ciò che fisiologicamente è già divinato, non rimane che a fare la dimo- strazione sperimentale di ciò che induttivamente ci è già rivelato. » Nel 1889 il Mantegazza fermamente crede che la pangenesi sia la più bella fra le scoperte darwiniane: nell’istesso anno un professore della Università di Iena, il Weismann, riportando le parole medesime del Darwin con le quali questi ci presentava la pangenesi, non già come scoperta, ma come %potesi provvisoria, dimostra che la pangenesi deve essere rigettata come quella che non ha fondamento scientifico alcuno, e crede che si debba al contrario conservare ed estendere l’efficacia della scelta naturale. L'opposizione nel campo stesso degli scienziati naturalisti non poteva essere più chiara e recisa. Ma noi dobbiamo vedere la cosa con maggior cura e più da vicino. Colpito dalle ricerche specialmente del Virchow intorno alla vita delle singole cellule dell’organismo, poggiandosi sul concetto moderno dello organismo, per cui questo viene considerato come una confederazione compatta ed armonica della vita di tutte le cellule che vanno a for- mare i varî tessuti, il Darwin per ispiegare il fatto dell’eredità negli animali che si generano per fecondazione, ideò l'ipotesi provvisoria che tutte le cellule d’ogni organismo generino innumerevoli gemmule e che un compiuto assortimento d’esse, chiuse nelle cellule sessuali, rappre- sentino e riproducano 1’ intero organismo. Per ispiegare poi 1’ eredità in ritorno, 1’ atavismo, pensò parimenti che tali gemmule si potessero trasmettere per lunghe generazioni in uno stato dormiente, assopite , senza svilupparsi. Quando il terreno le asseconda, o quando la lotta dell’ elemento maschile e femminile porge loro occasione allo sviluppo, allora le gemmule latenti si svolgono e si fanno vive. 6. All’ipotesi della pangeresi furono dagli scienziati fatte varie eriti- che e decisive: Il Hartmann nelle note al VI capitolo del suo lavoro : « L’inconscio dal punto di vista della Fisiologia e della teorica della Discendenza » ristampato nel 1890 e compreso nel suo « Erginzurgsband » ecc. le raccoglie e le distribuisce in tre ordini: 1° Le gemmule debbono essere pensate come cellule, cioè come individui organizzati : come tali dovrebbero ca- dere sotto il microscopio, ma a nessun istologo fu dato mai d’osservarle. 2° L’ipotesi della pangenesi non risolve il problema dell’eredità e tutt'al più ne fa retrocedere d’un passo la soluzione : la difficoltà che troviamo nell’intendere come l’uovo o il germe contenga le proprietà dell’orga- nismo da cui proviene, la troviamo identica nell’ intendere come tali PER ISPIEGARE L'EREDULÀ 1) proprietà siano racchiuse nelle gemmule. Anzi aumentiamo la difficoltà perchè dobbiamo per di più spiegare come le gemmule delle varie e molteplici cellule siano raccolte nelle cellule generative. 5° Tale ipotesi poggia sul concetto della trasmissione puramente materiale e mecca nica, mentre nella Fisica e nella Fisiologia moderna predomina il con- cetto dinamico; si ritiene cioè che ia trasformazione della materia così detta imponderabile avvenga per ispeciali forme d’ondulazioni. T. L'Elsberg per il primo cercò di modificare in modo l'ipotesi dar- Winiana che potesse reggere alle accennate critiche ed ammise : 1° che le genimule in luogo d'essere piccole cellule, siano molecule organiche ossia plastiduli, i quali naturalmente non possono cadere sotto l’osser- vazione microscopica; 2° che tali plustiduli, anzichè essere prodotti dalle cellule, ne siano i loro elementi, i loro componenti. Il Nége? nel suo dotto lavoro, Mechanische und phisiologische Theorie der Abstammungslehve fa all’Z/sberg le due seguenti critiche : 1° Se i plastiduli o le molecule organiche menano prima vita libera, come si raccolgono poscia a for- mare le cellule ? 2° Se ogni organismo contiene migliaia di miglioni di cellule, e queste sono alla loro voltà composte di miglioni di mi- glioni di plustiduli, come poi tutti i plastiduli che comporranno le cel- lule del nuovo organismo, possono essere contenute nel germe delle cellule generative ? 8. Questa difficoltà parve insuperabile all’ /aecke/, ond’egli, disperando di poter spiegare il fatto dell’eredità con elementi puramente materiali, nel formulare la sua ipotesi tenne principalmente conto delle proprietà dinamiche della materia vivente. Per Il’ aeckel i plastiduli (cioè le mo- lecule che costituiscono 1’ ultimo termine della sostanza plastica pri- mordiale, del quale il protoplasma non è che differenziazione) sono animati, presentano cioè i fenomeni del piacere e del dolore , del de- siderio e dell’avversione. « Di queste proprietà, 1’ Haecke! scrive, la più importante ci sembra la capacità della riproduzione, o della memoria, che esiste in ogni processo evolutivo e particolarmente nella riprodu- zione degli organismi. Tutti i plastiduli sono forniti di memoria, que- st’attitudine manca a tutte le altre molecule. » Detto che la memoria consiste in ispeciali movimenti ondulatori e ritmici, il medesimo autore soggiunge : « Nell’atto creatore (generazione) una certa quantità di pro- toplasma, o della materia albominoide, dei parenti è trasmessa al ge- nerato e con questo protoplasma un modo individuale, speciale, del movimento moleculare. Questi movimenti moleculari eccitano i feno- meni vitali e ne sono la vera causa. » Poscia conclude che 1 eredità 10 IPOTESI IDEATE «è la memoria dei plastiduli, o la trasmissione del movimento dei pla- stiduli, e che l’adattamento consiste nei movimenti acquistati. » Se consideriamo : 1° come 1’ Hackel abbia senza ragione, cioè senza il fondamento d’analogia scientifica, riferito ai primi elementi della ma- teria organica proprietà che solo i viventi forniti di coscienza manife- stano; 2° le difficoltà che si debbono superare per ispiegare con sem- plici movimenti ritmici ed ondulatorî il fatto della memoria ; 3° come l’ipotesi della perigenresi non chiarisca punto e la subordinazione dei pla- stiduli perchè si dia divisione del lavoro, e la trasmissione del piano di tale subordinazione: possiamo facilmente intendere perchè gli scien- ziati, in mancanza d’altra migliore ipotesi abbiano a quella dell’ Hae- ckel, preferita l'ipotesi darwiniana. 9. In questa seconda metà del nostro secolo a chiarire il fatto del- l’eredità si proposero quattro ipotesi: 1° l’ipotesi della polarigenesi dello Spencer, della quale non ho fatto menzione perchè è anteriore a quella del Darwin e non ebbe successo presso gli scienziati; 2° l'ipotesi della pangenesi del Darwin; 3° quella della preservazione dei plastiduli dell’ El sberg; 4° Vipotesi della perigenesi dell’Haeckel. Preferibile a queste, sia perchè meglio risponde ai progressi delle scienze biologiche, sia per- chè poggia su maggior numero di fatti, sia perché meglio determina e meglio chiarisce il fatto dell’eredità, parmi l’ipotesi ulimamente ideata dal Weismann. 10. Se per le accennate ipotesi mi sono ristretto ad un fugace ac- cenno, perchè molti scrittori di scienza e di filosofia anche italiani se ne sono largamente occupati, permettetemi, o illustri Aceademici, che su quella del Weismanr io v'intrattenga alquanto, non solo perchè è la più recente, ma eziandio perchè tra noi è poco nota, quantunque in Germania, in Francia, in Inghilterra sia stata ed è ancora presente- mente oggetto di discussione scientifica (4). In Olanda la società di scien- ze e d’arte d’Utrecht ha bandito un concorso a premio per la migliore opera in cui storicamente e scientificamente fosse discussa la teoria del Weismann; il von Bemmelen vinse il concorso e quest'anno stesso pub- blicò la sua opera di ben 280 pagine in ottavo grande col titolo di « Eredità delle proprietà acquisite». L'anno scorso (1889) Loulton, Schonland e Shipley tradussero in inglese tutti i lavori nei quali il Weismann di- scute il fatto dell’eredità e ne formola l’ipotesi. Li enumero perchè la mia esposizione si riferisce precisamente a questi lavori. « Su la durata della vita» (1881). «Su Veredità» (1883). «Su la vita e la morte» (1833). «La continuità del plasma germinatico come fondamento della teoria dell’ere- dità» (1885). «Il significato della generazione sessuale per rispetto alla teoria PER ISPIEGARE L'EREDITÀ Il della selezione» (1886). « Sul mumero dei globuli polari e sul loro significato per rispetto all'eredità» (1888). « Su la presunta dimostrazione botanica del l'eredità delle proprietà acquisite. » (1888). «Sw l'ipotesi dell'eredità delle le- sioni » (1888). Il titolo di questi lavori è bastevole a chiarire il valore scientifico all’autore: il Weismazz non è filosofo, è scienziato: non spe- culazioni filosofiche, ma fatti scientifici gli suggerirono la sua ipotesi. L'ordine e la successione dei lavori sono prova degli accurati e pazienti studî che l’autore ha fatti intorno all'argomento del quale ho intrapresa la trattazione. Se non erro, il Weismazz ha cercato con la sua teorica di compren- dere i punti di vista del Dari. e dell’Haeckel. Il primo poggia l’ere- dità su la trasmissione di materia organica, le gemmule ; il secondo fondamenta il fatto su la trasmissione di speciali movimenti : il Wei smann chiarisce la possibilità del fatto con la trasmissione di speciale materia organica fornita di speciali proprietà molecolari e chimiche, materia ch'egli distingue col vocabolo di kempl/1sma, di plasma germi- nale. Ma ciò che sopratutto parmi meriti attenzione è la via, il meto- do che il Weismarz ha seguito nel formolare la sua teorica. Il Darzin nell’ideare la sua ipotesi ebbe principalmente presente l’organismo dei metazoi; il Weismanr all'incontro tiene gran conto dell’ereiità nei pro- tozoi, negli organismi wnicellulari. Il primo considera l'organismo plu- ricellulare unicamente come una confederazione di cellule collegate per nessi soltanto esterni; il secondo, seguendo in ciòmolti altri biologi, dell’or- ganismo ha un concetto alquanto diverso. L'organismo per il Weismanz è formato bensi di cellule, aventi ciascuna vita in sè e per sè, ma sono in pari tempo dominate da plasmi o idiosplasmi speciali sui quali propria- mente è fondata l’individualità dell’ organismo. Ma per comprendere tutta l’importanza di queste differenze che a prima vista sembrano lie- vi e di poco momento, conviene aver presente i punti principali della sua teorica. 11. Il Weismann scorge nella propagazione e generazione degli or- ganismi unicellulari il fatto dell'eredità nella sua più semplice manife- stazione non solo, ma anche nel suo più rigoroso significato. Negli or- ganismi wricellulari l’eredità s'avvera con precisione matematica e per necessità assoluta: 1’ organismo wnicelulare genera dividendosi in due parti, siechè Vl organismo generato in nulla e per nulla è diverso dal genitore: sono non solo simili, ma identici: il padre ha tramandato al figlio non solo alcune qualità, ma tutto sè stesso: l’uno s'è fatto due e le due unità sono identiche. Da questo fatto l’autore induce subito un importante concetto intorno alla durata della vita in questi organismi 2 IPOTESI IDEATE e dice che nel regno più basso dei viventi la vita di tutto l’individuo è perenne, eterna. Mistero sorprendente! l’imperfezione vince in durata il perfetto: l’uomo di genio a parità di condizioni, ha vita meno lunga dell’uomo comune. Eppure è legge assoluta che il semplice debba nella battaglia per la vita superare, in paragone degli organismi più perfetti e più complicati, difficoltà e pericoli molto minori! Nel regno degli or- ganismi wndcellulari Veredità impera con la legge necessaria ed assoluta del numero; si chiarisce questa forma dell’eredità con la semplice spie- gazione della generazione, della riproduzione, della partogenesi. Fin dal 1867 Claude Bernard scriveva: «Nella sua forma più semplice la ri- produzione si confonde con la nutrizione ». Noi possiamo col Baer ri- tenere che «la riproduzione sia un aumento dell’individuo al di là dei limiti assegnatigli da natura»; se noi quindi potessimo pervenire a co- noscere l’intima natura della nutrizione , saremmo vicini a compren- dere il processo della riproduzione, e la conoscenza di questa ci chia- rirebbe l'aspetto più semplice dell’eredità. L'efficacia di buon metodo nella ricerca dei fatti della natura qui appare in tutto il suo splendo- re! Anche nelle quistioni scientifiche s’avvera il detto che chi bene dn comincia è a metà dell’opera. Il Weismann giovandosi della teorica della discendenza, per la quale l'organismo degli animali superiori si spiega riferendolo ad organismi più semplici, ci condurrà a mano a mano gra- datamente, dall’eredità degli organismi unicellulari all’eredità nell’uomo. La biologia contemporanea chiarisce la formazione, la genesi, degli organismi pluricellulari col concetto di colonia: più organismi sempli- ci, più cellule, per condizioni esterne dell’ambiente sono poste in re- ciproco contatto: questo fatto puramente meccanico ed esterno ha una risonanza nell’interno delle cellule, la relazione esterna si traduce in attinenza intercellulare e con questa s’inizia la divisione del lavoro.Le funzioni che agevolano la battaglia della vita sono ripartite secondo la disposizione delle varie cellule nello spazio : e con la divisione del .lavoro la colonia acquista esistenza a sè, individuale, si trasforma po- scia col tempo in organismo pluricellulare. L'organismo, conforme ai principî darwiniani della discendenza, si perfeziona, facendosi più si- cura la ripartizione delle funzioni, diventando maggiore la solidarietà tra le parti secondo le note leggi dell’adattamento alle condizioni ester- ne, della vittoria del più forte, della trasmissione ereditaria. Come ap- pare chiaro, nella teoria della discendenza all’eredità s’assegna non solo efficacia di conservazione, ma ben anche potere creativo, perchè 1'e- redità, trasmettendo regolarmente le qualità acquisite, le accumula, sicchè la somma di queste trasforma poscia un organismo in altro più PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 13 perfetto. A questo punto incominciano le eritieche del Weismazz e la sua ipotesi prende colorito e forma propria. 12. Negli organismi pluricellulari la riproduzione non avviene più per partogenesi, V organismo non si divide più in due parti uguali, ma in virtù dell’ avvenuta divisione del lavoro il potere generativo è riser- bato ad alcune parti soltanto dell’organismo che con linguaggio scien- tifico son dette gemmule, spore, semi, uova, germe, sperma. Il Weismazz di fronte a questo fatto si domanda: se per la divisione del lavoro ad alcune cellule soltanto viene deferito il potere di generare e riprodursi, queste debbono di ciò avere in sé la ragion sufficiente : perchè le al- tre muoiono e queste sopravvivono? Come queste, che sono soltanto parte dell'organismo, lo riproducono poscia, date le condizioni favore- voli, tutto quanto ? Il fatto dell'eredità qui non è avvinto come prima al solo fatto della nutrizione, non è più come prima chiarito dalla scis- siparità ; il problema qui è più complicato, comprende una nuova in- cognita. Non si può intendere l'eredità negli organismi pluricellulari, se prima non si chiarisce la ragion sufficiente del potere che le cellule generative hanno e di sopravvivere alle altre e di riprodurre tutto in- tero l'organismo di cui erano parte. Il Weiswazz, non potendo ora la scienza dare adeguata risposta a tale quesito, propone la sua ipotesi. Egli considera le cellule dell’ organismo pluricellulare come divise in due ordini, l’ordine di quelle che sono condannate a morte e l'ordine di quelle che sono eterne: alle prime sono deferite tutte le funzioni che si collegano con la nutrizione, alle seconde è riserbato il potere gene- rativo; in queste predomina il Xeimplasma (plasma generativo), in quel- le il plasma ovogenico. Il keimplasma non si produce, si trasmette da generazione in generazione, da famiglia a famiglia, da genere a genere, da specie a specie; ecco il fondamento reale, continuo, dell'evoluzione biologica, ossia la giustificazione della teorica della discendenza; ecco in pari tempo il fondamento dell’ eredità. Il plasma ovogenico si pro- duce in virtù della nutrizione, le cellule ovogeniche solo in piccolissi- me proporzioni hanno keimplasma; questo è il legame reale per il quale l'organismo è «20, è il legame per il quale si effettua e si assoda la divisione del lavoro. Il Keimplasma rappresenta nell’ umiverso la vita, è in altre parole il fondamento reale di quel complesso di fenomeni che con unico voca- bolo diciamo vita, è l'elemento fisico-chimico delle funzioni fisiologiche e psichiche degli esseri viventi. Omogeneo, identico cioè, nelle sue parti al primo apparire della vita nell'universo, omogeneo ed identico nelle sue parti anche tuttora è negli organismi unicellulari poichè, in questi 4 14 IPOTESI IDEATE si trasmette secondo la legge dell'identità e del numero. Il keimplasma, totalità complessa, per 1’ efficacia della nutrizione , per la legge del- l’adattamento dà luogo alla vita separata di gruppi di unità, che pri- ma vivevano in comune: questi gruppi identici nella vita, diversi sol- tanto per numero, possono, date le condizioni favorevoli, ricomporsi di nuovo a colonie e poscia ad organismi: in altre parole le varietà tutte delle specie dei viventi poggiano, non già su le variazioni dell’essenza del Keimplasma, ma bensi sul numero diverso delle unità viventi, sui diversi aggruppamenti molecolari e su le diverse azioni chimiche che tra quelle unità sono possibili. Le varietà e le variazioni tutte delle specie e degli organismi viventi sono possibili in quanto sono possibili le variazioni moleculari e chimiche nei gruppi delle unità del keim- plasma. | Se io sono riuscito a riprodurre nelle sue linee generali in modo chiaro il pensiero del Weismazz, sarà facile cosa l’intendere come se- condo la teorica del keimplasma, le cause effettrici delle variazioni si deb- bano ricercare non già nelle condizioni esterne dell’ambiente, ma bensì nelle variazioni chimico-moleculari del KeWmplasma: i fattori esterni sono condizioni che rendono possibili le variazioni fra gli elementi del Xe%n- plasma, ma queste soltanto sono le vere cause delle variazioni dei vi- venti. Ecco perché il Weismann limita assai Vefficacia dell’eredità intesa come potere creativo delle varietà delle specie, e fa gran conto invece dell'adattamento all’ambiente e della selezione; questi due principî si riferiscono direttamente e alla disposizione (adattamento) e al numero (selezione) degli elementi del hedmplasma. 15. Negli organismi wnicellulari V’eredità e la sua legge poggia su la partogenesi : se si pervenisse a rimuovere il velo in cui è avvolta la riproduzione per partogenesi , l’ eredità negli organismi wnicellelari ci apparirebbe in tutta la sua chiarezza e brevità. Noi sappiamo che oggi si suole riferire la partogenesi all’aumento che sussegue alla nutrizione: siccome però non è del tutto chiarito il processo chimico-fisiologico del- l’assimilazione, così l’oscurità del fatto dell’ aumento per nutrizione si estende alla partogenesi e all’eredità degli organismi wricellalari. La spie- gazione dell’eredità negli organismi plwicellulari, poichè questa si col- lega con numero maggiore di fatti, riesce ancora più difficile. Quanto più è grande il numero degli elementi di un composto , non solo più ardua diventa l’analisi, ma eziandio, quando vogliamo i risultati delle analisi ricomporre in sintesi ragionata che identicamente risponda alla totalità del fatto concreto, dobbiamo superare maggiori e più gravi dif- ficoltà. L'eredità poggia sempre su la generazione o propagazione: sic- PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 15 come però la propagazione negli organismi plurieellulari è affidata cellule speciali, così non si può chiarire Veredità, se prima non si spiega come e perchè negli organismi pluricellulari abbia luogo la distinzione delle cellule generative da quelle che non possono generare, ossia dalle cellule somatiche. Se noi dai protozoi saliamo gradatamente ai metazoi, vediamo che i processi fisico-chimici e fisiologici onde si ha la propa gazione vanno a mano a mano fissandosi, finehè nei vertebrati il potere generativo è legato a quel complesso di fatti che si sogliono indicare col vocabolo di fecondazione sessuale : la spiegazione quindi dell’eredità nei metazoi è in attinenza con la spiegazione della fecondazione sessuale. Dal che appare chiaro come il Weismazrz, volendo con un'ipotesi chia- rire e determinare il fatto della eredità, sia stato costretto a formolare non solo un’ipotesi, ma benanche un'intera teorica che spiegasse le varie forme, i processi e il significato biologico della propagazione in generale, della fecondazione sessuale in modo più particolare. Le cellule generative si distinguono dalle somatiche perchè i loro nuclei contengono una sostanza se non diversa dalla sostanza delle cel- lule somatiche, certo in maggiore quantità. Negli organismi dei metazoi sî possono distinguere tanti ordini di cellule quanti sono i varî tessuti : ciascun ordine di tali cellule proviene da speciali sostanze che il nostro autore, modificando l’ipotesi del Négeli, chiama idioplasmi. Nel primo nucleo dell’ uovo fecondato sono compresi e il Keimpl4sma (0 sostanza generativa ) e i varî idioplasmi : questi si svolgono con processi di seg- mentazione e vanno a formare le varie cellule somatiche in virtù della nutrizione. Tra il Keimplasma e i varî idioplasmi non havvi diversità di natura, quantunque per brevità egli le dica due sostanze : ma su questo punto della teorica dobbiamo ritornare tra poco. Parte degli atomi del XKeimplasma durante la vita dell'individuo subisce delle modificazioni chimico-moleculari e queste vengono trasmesse per eredità; parte ri- mane nella sua omogeneità di struttura ed è questa parte omogenea, non differenziata, del keimplasma che rende possibile per n verso l’evo- luzione degli animali inferiori ai superiori, per ur altro l'acquisto indi- viduale di nuove proprietà, donde si ha poi il perfezionamento. Sic- come il potere generativo è affidato unicamente al Xedmplasma e questo è identico nei suoi elementi, così per il nostro autore non havvi vera differenza essenziale tra la sostanza generativa del nucleo dell'uovo è del nucleo dello sperma : la distinzione tra elemento maschile e fem- minile ha valore e significato soltanto per rispetto all'organo e alla fun- zione, e non per rispetto alla sostanza dei due elementi. I due nuclei della fecondazione non sono per il nostro autore l'uno maschile e l’altro 16 IPOTESI IDEATE femminile, ma soltanto l’uno paterno e l’altro materno, poichè in realtà, sono uguali, si distinguono solo come un individuo si distingue da un individuo della medesima specie. Negata la diversità della sostanza ses- suale, egli fu pure indotto a modificare il significato biologico della fe- condazione : per lui il congiungimento dei due nuclei non è un processo di ringiovanimento, o peggio una produzione di un nuovo nucleo, che sì trasformerà poscia in embrione, ma semplice mescolanza delle ten- denze ereditarie dei due individui, tendenze che sono legate a speciali disposizioni chimico-molecolari degli atomi del Xeimplasma. Per il Wei- smann quindi la fonte speciale e quasi unica delle variazioni tanto indi- viduali quanto della specie è la generazione o propagazione. 14. Il valore formale d’una ipotesi o teorica dipende dal numero dei fatti a spiegare i quali si assume : il valore reale però non solo sta in attinenza coi fatti che l'ipotesi spiega, ma richiede altresì che l’ipotesi stessa poggi direttamente su fatti : anzi il valore scientifico d’un’ipotesi o teorica è maggiore o minore secondo il numero, la qualità dei fatti che direttamente confermano l ipotesi, o la teorica proposta. Questa del Weismann è scientifica, poggia cioè direttamente su fatti, è da fatti con- fermata ? III. Sommario : 15. Enumerazione dei fatti e delle scoperte recenti che confermano I’ ipo- tesi del Wezsmann. Difficoltà che incontra lo serittore nell’indicare ai filosofi 1’ im- portanza del fondamento scientifico dell’ipotesi del 7/eismann. Via tenuta per superare le accennate difficoltà. — 16. Ricerche di scienziati contemporanei che giustificano la distinzione fatta dal We/smann tra cellule generative e somatiche, keimplasma e idio- plasmi. La distinzione delle cellule generative dalle somatiche nei WVolvox.— 17. Come le osservazioni dei biologi contemporanei circa il modo e il tempo della formazione delle cellule sessuali confermino la distinzione del nostro autore. Tipo protozozco e metazoico negli animali superiori. — 18. Il significato biologico della fecondazione e la teorica del nostro autore.—19. Discussione intorno alla formazione e alla funzione dei globuli polari. Diversa funzione dei due globuli polari secondo il Wezsmarr. Opi nioni d’eminenti scienziati. — 20. Esperimenti diretti che sembrano confermare la teo- rica del nostro autore. 15. Le ultime scoperte fatte nel regno dei protozoi e metazoi con ricerche ingegnosissime e condotte a traverso ai due ordini dei viventi con ana- logie tutte informate al concetto dell’evoluzione, allo scopo d’aver chiara e scientifica nozione (a) del significato e della funzione biologica della ma- turazione dell’uova; (0) della natura istologica e della funzione fisiologica dell’elemento maschile e femminile; (e) della funzione dei globuli o veschi- PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 17 cett: polari; (d) del significato biologico della fecondazione e della seg mentazione che vi sussegue : sembra giustifichino la veduta del nostro autore. Condotta a questo punto l'esposizione, mi trovo ora di fronte a gravissima difficoltà, e nel superarla non vorrei da Scilla cadere in Cariddi. Mio seopo è di far conoscere la teorica del Weismann a stu- diosi delle quistioni filosofiche : se la mia esposizione fosse fatta per scienziati, il mio compito sarebbe ora breve ed agevole; con il vocabolo delle scoperte e col nome dell’autore che le ha fatte, io avrei conse- guito subito Lu meta d’ indicare il fondamento scientifico della teorica del Weismann. Ma la cosa non corre tanto spedita ove si voglia chia- rirne il valore scientifico a filosofi i quali delle discipline biologiche non sono cultori specialisti. Presentare qui un sunto per quanto magro e sintetico dei risultati ultimi ai quali è pervenuta la ricerca intorno ai fatti dal Weismazz invocati a conferma della sua teorica, parmi un fuor d’opera; mi dilungherei eziandio troppo dal fine che mi sono proposto: col semplice accenno alle scoperte quanto potrei guadagnare in bre- vità, lo devo poi perdere in chiarezza. Allo scopo d’ accoppiare, fin dove mi sarg possibile e vi potrò riuscire, la brevità alla chiarezza, mi limiterò a parlare soltanto di quei fatti principalissimi che meglio sì prestano a breve indicazione. 16. La distinzione nei metazoi del Zeimplasma, o sostanza generatrice, dai varî idioplasmi che governano la formazione delle cellule somatiche abbiamo visto essere della teorica del nostro autore la base fondamen- tale. Ebbene le ricerche di £. con Leneder intorno alla maturazione delle uova nell’ Asearide megalocefala; le osservazioni dello Strassburger intorno alla maturazione delle uova fanerogame aventi un sol nucleo ; quelle ingegnosissime del Nussbawn e del Gruber intorno alla segmentazione negli infusorî, sembra giustifichino l’indicata distinzione. I due generi delle Volrocinee ci fanno, per così dire, assistere alla reale separazione della sostanza gernzinativa dalla somatogenica. Nel genere della Pandorina tutte le cellule sono uguali, indistintamente tutte compiono le medesime funzioni, sono momnoplastidi; nei Volvorx invece si nota chia- ramente la distinzione delle cellule germinative dalle somatogeniche. Il Volcor globator ci si presenta sotto la forma di numerosa colo- mia di piccoli individui, se ne contarono persino 12 mila; si è os- servato che durante la segmentazione delle uova alcune cellule , nel momento in cui si formano le prime sfere, diventano più grosse delle altre, non sono più fornite di flagelli ed hanno un colore verde più oscuro : queste sono le cellule sessuali che più tardi si trasformano le une in uova, le altre in spermatozoi. Il restante delle cellule rimane 18 IPOTESI IDEATE sempre sterile e coi loro flagelli servono a mettere in moto la colonia. 17. Le osservazioni dei biologi contemporanei circa il modo e il tempo della formazione delle cellule sessuali tanto negli invertebrati quanto nei vertebrati non sono per nulla in opposizione con la veduta del no- stro autore. Quantunque rimanga oscura la primitiva trasformazione delle cellule generative in elementi maschili e femminili, possiamo dire essere tra gli scienziati comune l'opinione che nello svolgimento dello animale, ora presto ora tardi, le cellule si suddividano in due gruppi indipendenti, nel gruppo delle cellule somatiche e nel gruppo delle cel- lule sessuali. Le cellule sessuali rimangono isolate, non s’uniscono tra loro per formare tessuti e organi come le cellule somatiche. Im generale si ritiene che ogni organismo pluricellulare comprenda due tipi d’ani- malità : il #ipo protozoico rappresentato dalle cellule sessuali, ed il tipo metazoico costituito dalle cellule somatiche; il primo forma l'individuo, è incapace di moltiplicarsi, non può propagarsi, è condannato alla morte; il secondo all’ incontro, capace di moltiplicarsi, sopravvive alla morte dell’individuo. Come appar chiaro, la distinzione, da tutti accet- tata, tra tipo metazoico e protozoico compresi in un individuo del ge- nere superiore, risponde quasi a capello alla distinzione ideata dal Weis- mann tra plasma ovogenico e plasma blastogenico. 18. In conferma dell’accennata distinzione del Weismann potrebbero essere qui riferite le ultime ricerche intorno al significato biologico della fecondazione. Ormai non si cerca più di spiegare il fatto della fe- condazione col concetto di nutrizione, come se l'elemento femminile 0 maschile avesse bisogno, per procedere alla segmentazione, del nutri- mento dell’elemento diverso ; si suole ora considerare la fecondazione come una congiunzione dei due elementi maschile e femminile. Ma in questo concetto, per quanto semplice, v'è molto d’oscuro. Il nucleo, contiene già gran numero d’ elementi differenziati: che avviene di questi elementi durante la congiunzione 2 Nel 1881 il /enmirngyg osservò che nella fusione dell’elemento maschile e femminile si mescolano sol- tanto le sostanze cromatiche. Secondo il von Bereden non havvi fusione fra i due nucleoli; rimangono distinti, ciascuno percorre isolatamente tutte le fasi della cariochinesi: il Balbiani conferma quest'osservazioni. La congiunzione dei due nuclei, maschile e femminile, nell’uovo è un fenomeno senza importanza, può manifestarsi o no. Il significato fisiolo- gico quindi della fecondazione è per molti scienziati un processo di rin- giovanimento, per il quale si rimpiazza nell’uovo l'elemento maschile vecchio con un elemento maschile nuovo. Queste ricerche e questo concetto intorno alla fecondazione, quantunque il Weismann, come ab- Ta PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 19 biamo accennato, vi faccia qualehe modificazione, confermano, anziché combattere la sua veduta. E per vero riponendo egli tutto il potere genera- tivo nel plasma generativo, non fa distinzione tra elemento maschile e femminile, ma fa questione soltanto di quantità di nuclei germinativi, di elementi germinali. Quando gli elementi germinali si sono spossati nel produrre i varî plasmi o idioplasmi delle cellule somatiche, per essere atti alla generazione possono bene abbisognare d’ un rinforzo che è loro dato appunto con la fecondazione, per quanto il nostro autore ge- neralmente sostenga che la fecondazione abbia il solo significato di mi seuglio delle tendenze ereditarie. 19. Il Weismann, continuando queste ricerche e questi studî, crede di poter con la sua teorica del Keimplasma chiarire eziandio il sienifi- cato biologico, la funzione, dei globuli polari. La cellula femminile ha bisogno di prepararsi alla fecondazione, e vi si dispone con quel com- plesso di fenomeni che s’ indicano con 1 espressione maturazione delle uova: questa si compie con la produzione delle cellule polari, 0 globuli, o cescichette direttrici come variamente son dette dagli scienziati. I glo- buli polari si confusero per molto tempo con le cellule sessuali, le quali appaiono dopo la fecondazione. Il Lochmanz (1887) per il primo osservò, studiando i Dipteri, che i globuli polari vengono formandosi avanti la fecondazione e che si distinguono dalle cellule sessuali non solo per il tempo diverso in cui appaiono, ma eziandio per il luogo ove originano, poichè mentre queste nascono al polo posteriore dell'uovo, quelli invece hanno origine al polo anteriore. Il significato , 1° ufficio, di questi globuli polari non è ancora scientificamente chiarito ; però siecome alla loro formazione sussegue la diminuzione della massa del nucleolo, o vescichetta germinativa, così si ritiene comunemente che con la formazione dei globuli polari coincida l'espulsione di certe so- stanze contenute nel nuceleolo e nocive alla fecondazione : 1° Secondo il Balfour, lo Sedgwcick, il von Beneden V uovo, avanti la feconda- zione essendo ermafrodito, espelle 1’ elemento maschio allo scopo di rendersi fecondabile. 2° Il von Zarizg (1878), avendo notato che la vescichetta germinativa è molto più grossa della testa del zoosperma, suppone che il nucleo dell'uovo espella parte della sua massa perchè le proprietà trasmesse dal padre e dalla madre siano equivalenti. Lo Strassburger (1884), facendosi in parte propria l'opinione dello /4é29, crede che la quantità dell’/4ioplasma contenuto nella vescichetta germinativa per la formazione dei globuli polari si riduca a metà allo seopo che l'unione con l’ elemento maschio dia luogo ad un nuovo nucleo. 5° Il Weismann spiega l’ufficio dei globuli polari in modo conforme alla sua teoria. 20 IPOTESI IDEATE I due globuli polari, secondo il nostro autore, non hanno il medesimo ufficio : il nucleo dell’uovo contiene due plasmi differenti ; il primo è un plasma specificato, un idioplasma uguale a quello delle altre cellule il quale fa si che la cellula sia uovo e non un altro elemento; questo primo plasma è da lui detto plasma istogenico 0 ovogenico. Il secondo plasma, perchè fornito della capacità di svolgersi in embrione, è detto germinatico 0 blastogerico. Nell’uovo questi due plasmi non hanno il me- desimo potere : prima predomina il plasma ovogerico, tant’ è vero che è necessario che l’uovo prima sia uovo; poscia, perchè l’uovo si svolga, è necessario che il plasma ovogenico sia espulso e che il plasma ger- ninatico sia solo. Il primo globulo polare rappresenta e contiene l'espulsione del plasma ovogenico. Qual'è ora l’ufficio del secondo globulo polare? Il dire che l’uovo al momento della fecondazione racchiude un elemento maschile proveniente dallo spermatozoide, ed un elemento femminile proveniente dall’uovo, non è esatto. È un fatto d’osservazione comune che il figlio può somigliare alla nonna per parte del padre e la figlia al nonno per parte della madre; nulla vieta che elementi maschili siano trasmessi dalla madre ed elementi femminili dal padre. Supponiamo con lo Strassburger di partire da una prima copia, da una prima generazione. Il figlio comprende due plasmi , 1’ uno proveniente dal padre , 1’ altro dalla madre : il nipote ne comprenderà quattro , il pronipote otto, e così via. In ciascuna generazione il numero dei plasmi in rapporto alla generazione antecedente è raddoppiato, sicchè, secondo lo Strass- burger, alla decima generazione si dovrebbe avere 1024 plasmi diffe- renti. Perchè di generazione in generazione il nucleo possa, in virtù della fecondazione, accogliere nuovi plasmi, bisogna ch’esso espella una certa quantità di plasmi vecchi. Ecco quale sarebbe per il Weismann l’ufficio del secondo g/obulo polare : siccome poi la formazione del secondo globulo polare non avviene in condizioni identiche in tutte le uova fecondabili, così si spiega il fatto che nei figli dei medesimi genitori si notano talora grandi diversità. Se le scienze biologiche pervenissero a determinare con esattezza che tutte le uova le quali generano senza aver bisogno di fecondazione, emettono un solo globulo polare, mentre le uova soggette a fecondazione ne emettono sempre due, la spiegazione ipotetica del nostro autore circa la funzione dei globuli polari potrebbe acquistare valore scientifico. 20. Il Weismann cercò di confermare la sua teoria con esperimenti diretti, con mezzi artificiali : allo scopo di mostrare il nessun fonda- mento della reale distinzione tra elemento generatore maschile e fem- "° S6P AMEN no PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 21 minile, tentò di produrre nelle rane i fenomeni della fecondazione con elementi soltanto maschili. Ma quanto egli non potè conseguire, riuscì al Boveri il quale estrasse il nucleolo da un uovo delle Lehino e vi immise poscia elementi soltanto maschili: egli ottenne un nu- eleolo con regolare processo di segmentazione ed una piccola larva che visse sette giorni. Altri esperimenti diretti ed artificiali di O. Merhceig, Strassburger e Weismann confermano che 1’ eredità e il potere gene- ratore sono affidati alla sostanza del nucleo, al Aeimplasma. Que- sti scienziati fecondarono artificialmente un uovo, privato dal nu- cleolo dell’ Eckinus microtuberculatus con lo sperma del Sphaerechimus gra- mularis ed ottennero larve aventi i caratteri non già dell’ uovo, ma dello sperma, cioè dello Sphaerechinus : segno evidente che la sostanza a cui è legata l'eredità giace tutta nel nucleolo e che le cellule soma- togeniche sono dalla sostanza del nucleolo dominate. IV. Sommario—-21. Come non potendo lo scrittore discutere scientifitamente la teoria del /7%s- mann sì limiti ad esaminare le critiche fatte da altri. Due principali ragioni per le quali il IMwundt crede di dover rigettare l'ipotesi del nostro autore. Risposta alle eritiche del Wwrdf — 22. Critiche del Wixes e risposta a queste critiche. Scienziati che non rigettano tutta la teoria del nostro autore, ma gli contestano aleuui fatti. Il Muupas e la fecondazione periodica negli intusori. — 24. Osservazioni del A//XKer circa le mutazioni degli idioplasmi nell’ontogtenesi. Lo serivente non potendo discutere l’opi- nione del ////Ker ricorda che la teorica del Wezsmarnn è ipotetica e come tale, an- che se'mnon spiega tutta la Biologia, avendo la conferma di molti fatti, deve essere considerata come ipotesi scientifica. 21. Una discussione scientifica della teorica del nostro autore è su- periore alle mie forze e isfugge alla mia competenza perchè non sono cultore specialista delle discipline biologiche. Mi limiterò, per quanto lo consentono la mia erudizione e le male ordinate nostre biblioteche, ad indicare, non già quegli scienziati che, salvo leggere modificazioni, accettarono la teoria del Wezsmanrz, ma bensi quelli che per una ra- gione o l’altra credono di doverla rigettare. Coloro che rigettano in tutte le sue parti la teoria del IVe:smazz sono per quanto io mi sappia, pochi : il Wwndf per esempio, nel suo Sistema di Filosofia (p. 536 e seg.) contro | esposta teoria adduce le seguenti ragioni : 1° L'ipotesi del Weismann, in quanto l’eredità di generazione in generazione è affidata al Keimplasm:t, si oppone al concetto moderno dell’epigenesi, e tende a far rivivere la teoria dell’inroluzione. Non ostante 6 22 IPOTESI IDEATE l’autorità grande del Id anche nelle discipline biologiche, credo che non abbia compiutamente afferrato il pensiero del nostro autore. In- fatti è vero che il Weismann non erede possibile la produzione nel tempo, per così dire, di quella sostanza ch'egli chiama Aeimplasma e alla quale è affidata la vita: ma non è del pari vero che la sua teoria si colleghi con quella dell’ 2nvoluzione. Il Keimplasma è identico ne’ suoi ultimi elementi, ne’ suoi atomi, ma non contiene per nulla affatto involute tutte le modificazioni e gli atteggiamenti che per epigenesi e durante lo svolgimento filogenelico è andato e va acquistando: la teoria del Keimplasma esclude compiutamente il concetto d’ involuzione e limita 1’ efficacia dell’epigenesi alle modificazioni che danno poi luogo alle nuove specie, senza ammettere che il germe vitale sia creato volta per volta dai varî organismi. 2° Il Wundt rigetta la teorica del nostro autore perchè dell’eredità ci dà una spiegazione meccanica, fisico-chimica, enon dinamica e morfologica. Anche qui debbo notare che il Weismarzz non esclude il concetto dinamico perchè le variazioni e la trasmissione di queste sono per lui possibili in quanto gli atomi del Keimplasma per intima energia, (il dispiegamento della quale è occasionato dall’adatta- mento all’ambiente e dalla selezione) prendono atteggiamenti nuovi e danno luogo a nuovi fenomeni chimico-moleculari. Che l'eredità debba essere morfologica, è questa una questione aperta e che si collega con l’altra dell’eredità delle qualità acquisite. Su tale quistione noì ci dob- biamo tornare : per ora noto che il ]Weismazz spiegando le variazioni morfologiche coi varî idioplasmi dominati alla lor volta dal Aedmplasma, anzichè peccare di meccanismo, dà valido appoggio al concetto di- namico. 22. Sidney H. Vines combatte la teorica del nostro autore perchè gli appare contradittoria : egli notato come il Weismarz ritenga gli orga- nismi enicellulari e il Keimplasma come non soggetti a morte, come immortali, scrive: « La prima difficoltà consiste nel comprendere come gli eteroplastidi mortali (cellule somatogenice) siano derivati da mono- plastidi immortali. » Si concede che una teorica per essere vera deve non solo essere confermata dai fatti, ma eziandio non essere illogica, perchè ciò che contradice alle leggi del pensiero non potrà mai essere confer- mato dai fatti, avere valore reale: ma qui il Vies trova contradittoria la teoria del Weismazz perchè confonde il concetto scientifieo col con- cetto filosofico intorno alla immortalità. Il filosofo dall’ immortalità vi passa subito al concetto dd’ eternità, alla negazione di principio e fine; lo scienziato invece per immortalità degli organismi wricelulari intende d’'indicare un fatto senza punto sol PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 23 levarsi alle questioni di origine prima e di fine ultimo : s'avviluppano nella confusione nella quale è caduto il Vines anche quei filosofi che credono di poter dimostrare l'eternità della materia coi concetti scien- tifici della persistenza della materia e della conservazione della forza. Logica contradizione si può notare tra il concetto di eternità, in quanto esclude principio e fine, e il concetto di morte in quanto im- porta un fine, ma non certo tra immortalità del Keimplasma e la morte delle cellule somatiche. La difficoltà accampata dal Vizes contenuta nei suoi limiti scientifici, può essere riferita non solo alla teoria del nostro autore, ma alla teorica in generale della discendenza o evolu- zione in quanto s' ammette che gli organismi composti derivano dai semplici. Le ragioni che si danno dagli scienziati per ispiegare il pas- saggio dagli organismi semplici ai composti, dai protozoi ai metazoi pos- sono aver valore eziandio per la derivazione delle cellule mortali dal Keimplasma. S'è già notato che per la riunione di varî individui in co- lonia si manifesta la divisione del lavoro e con questa la distinzione delle cellule sessuali dalle somatiche : qual maraviglia se le cellule sessuali sanno conservare quel ricambio del nutrimento che è indice e fattore della vita, mentre le altre lo perdono perchè non è necessario alle loro funzioni di elaborare cioè il nutrimento e di muovere l’intera colonia? 25. Alcuni oppugnano, non già tutta la teorica, ma or questa or quella spiegazione dal IWeismazz data ai molteplici fatti che si collegano con la riproduzione. 4 Maxpas (5) per esempio non divide l’opinione del nostro autore circa il significato biologico della fecondazione. Questi, come ho già accennato, non crede che la riproduzione, mon ricono- scendo essenziale diversità tra elemento maschile e femminile, sia ne- cessariamente legata alla fecondazione: questa per lui è un mezzo etti- cacissimo per spiegare le variazioni individuali e della specie, essendo per lui la fecondazione semplice mescolanza delle modificazioni indi- viduali. Il Maupas all'incontro ritiene che la maturazione dell’ uova e la fecondazione siano veri processi di ringiovanimento del seme, senza dei quali la vita verrebbe meno: egli sostiene che la propagazione negli infusorî non avviene per semplici partogeresi, ma che la fecon- dazione avvenga necessariamente a periodi di tempo costanti e deter- minati. Per il Wezsmanz all'incontro la fecondazione periodica nel regno dei protozoi è un fatto non necessario : è utile non già per la propaga zione, ma per accumulare di tanto in tanto le modificazioni acquisite per selezione e per adattamento all'ambiente. Nulla io posso dire della opinione del Maupas ; per decidere se veramente anche negli infusorî senza fecondazione vi regnerebbe la morte, ci vogliono fatti, e questi 22 IPOTESI IDEATE l’autorità grande del Wwndf anche nelle discipline biologiche, credo che non abbia compiutamente afferrato il pensiero del nostro autore. Imn- fatti è vero che il Weismann non crede possibile la produzione nel tempo, per così dire, di quella sostanza ch'egli chiama Aeimplasma e alla quale è affidata la vita: ma non è del pari vero che la sua teoria si colleghi con quella dell’ involuzione. Il Keimplasma è identico ne’ suoi ultimi elementi, ne’ suoi atomi, ma non contiene per nulla affatto involute tutte le modificazioni e gli atteggiamenti che per epigeresi e durante lo svolgimento filogenelico è andato e va acquistando: la teoria del Keinplasma esclude compiutamente il concetto d’ involuzione e limita 1’ efficacia dell’epigenesi alle modificazioni che danno poi luogo alle nuove specie, senza ammettere che il germe vitale sia creato volta per volta dai varî organismi. 2° Il Wwndt rigetta la teorica del nostro autore perchè dell’eredità ci dà una spiegazione meccanica, fisico-chimica, enon dinamica e morfologica. Anche qui debbo notare che il Weismanz non esclude il concetto dinamico perchè le variazioni e la trasmissione di queste sono per lui possibili in quanto gli atomi del Keimplasma per intima energia, (il dispiegamento della quale è occasionato dall’adatta- mento all’ambiente e dalla selezione) prendono atteggiamenti nuovi e danno luogo a nuovi fenomeni chimico-moleculari. Che l'eredità debba essere morfologica, è questa una questione aperta e che si collega con l’altra dell’eredità delle qualità acquisite. Su tale quistione noi ci dob- biamo tornare : per ora noto che il Ieismazz spiegando le variazioni morfologiche coi varî idioplasmi dominati alla lor volta dal Aedmplasma, anzichè peccare di meccanismo, dà valido appoggio al concetto di- namico. 22. Stdney H. Vines combatte la teorica del nostro autore perchè gli appare contradittoria : egli notato come il Weismarzz ritenga gli orsa- nismi enicellulari e il Keimplasma come non soggetti a morte, come immortali, scrive : « La prima difficoltà consiste nel comprendere come gli eteroplastidi mortali (cellule somatogenice) siano derivati da mono- plastidi immortali. » Si concede che una teorica per essere vera deve non solo essere confermata dai fatti, ma eziandio non essere illogica, perchè ciò che contradice alle leggi del pensiero non potrà mai essere confer- mato dai fatti, avere valore reale: ma qui il Wines trova contradittoria la teoria del Weismannz perchè confonde il concetto scientifico col con- cetto filosofico intorno alla immortalità. Il filosofo dall’ immortalità vi passa subito al concetto d’ eternità, alla negazione di principio e fine; lo scienziato invece per immortalità degli organismi wn/cellulari intende d’indicare un fatto senza punto sol- PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 23 levarsi alle questioni di origine prima e di fine ultimo : s'avviluppiano nella confusione nella quale è caduto il Wes anche quei filosofi che credono di poter dimostrare Veternità della materia coi concetti scien- tifici della persistenza della materia e della conservazione della forza. Logica contradizione si può notare tra il concetto di eternità, in quanto esclude principio e fine, e il concetto di morte in quanto im- porta un fine, ma non certo tra immortalità del Keimplasma e la morte delle cellule somatiche. La difficoltà accampata dal Vizes contenuta nei suoi limiti scientifici, può essere riferita non solo alla teoria del nostro autore, ma alla teorica in generale della discendenza 0 evolu- zione in quanto s' ammette che gli organismi composti derivano dai semplici. Le ragioni che si danno dagli scienziati per ispiegare il pas- saggio dagli organismi semplici ai composti, dai protozoi ai metazoi pos- sono aver valore eziandio per la derivazione delle cellule mortali dal Keimplasma. S'è già notato che per la riunione di varî individui in co- lonia si manifesta la divisione del lavoro e con questa la distinzione delle cellule sessuali dalle somatiche : qual maraviglia se le cellule sessuali sanno conservare quel ricambio del nutrimento che è indice e fattore della vita, mentre le altre lo perdono perchè non è necessario alle loro funzioni di elaborare cioè il nutrimento e di muovere l’intera colonia? 25. Alcuni oppugnano, non già tutta la teorica, ma or questa or quella spiegazione dal IWeismarz data ai molteplici fatti ehe si collegano con la riproduzione. £ Maupas (5) per esempio non divide l'opinione del nostro autore circa il significato biologico della fecondazione. Questi, come ho già accennato, mon crede che la riproduzione, mon ricono- scendo essenziale diversità tra elemento maschile e femminile, sia ne- cessariamente legata alla fecondazione: questa per lui è un mezzo etti- cacissimo per spiegare le variazioni individuali e della specie, essendo per lui la fecondazione semplice mescolanza delle modificazioni indi- viduali. Il Maupas all'incontro ritiene che la maturazione dell’ uova e la fecondazione siano veri processi di ringiovanimento del seme, senza dei quali la vita verrebbe meno: egli sostiene che la propagazione negli infusorî non avviene per semplici partogeresi, ma che la fecon- dazione avvenga necessariamente a periodi di tempo costanti e deter- minati. Per il Weismarn all'incontro la fecondazione periodica nel regno dei protozoi è un fatto non necessario : è utile non già per la propaga- zione, ma per accumulare di tanto in tanto le modificazioni acquisite per selezione e per adattamento all'ambiente. Nulla io posso dire della opinione del Maupys ; per decidere se veramente anche negli infusorî senza fecondazione vi regnerebbe la morte, ci vogliono fatti, e questi 26 IPOTESI IDEAVE di Halle osservò che per alcuni usi pratici da cento anni si suole ta- gliare la coda ad una specie di pecore, e che nessuna mai nacque senza coda. d) Il Weismann tagliò la coda a 7 topi maschi e a 5 femmine: ad ogni generazione tagliava costantemente la coda, e così ottenne 849 topolini; non osservò mai nei figli di queste copie successive alcuna variazione nella lunghezza della coda, la quale rimase sempre costante tra mm. 10, 5 e mm. 12. e) Il Bonnet con altri scienziati osservò accuratamente che l’accorciamento o la mancanza della coda in alcuni cani non dipende dall’ eredità delle lesioni, ma talora da un difetto , tal’altra da una malattia che raccorcia la spina dorsale, sopprimendone alcuni anelli. Questi fatti come la somiglianza morfologica di alcune parti del corpo cioè la statura , il viso, il naso sono trasmissibili per eredità perchè questi caratteri dipendono dagli idioplasmi contenuti nel Keimplasma. /) Il Weismann paragona il preconcetto dell’eredità delle lesioni a quello per il quale si crede che la donna incinta possa im- primere al nascituro le impressioni da lei esperimentate. Come svani presso gli scienziati, non ostante la statistica abbastanza numerosa di fatti dubbiosi raccolti da scienziati come il bwrdach per esempio , il pregiudizio della impressionalità della donna incinta, perché si sa che tutti i caratteri dell'embrione sono racchiusi nell’uovo fecondato ; così deve svanire anche il preconcetto dell’ eredità delle lesioni quando si sarà fatta comune tra gli scienziati 1 opinione che 1 eredità è tutta fondata sul Acimplasma e che questa procede, per così dire, per via interna e dinamica e non per via esterna e meccanica. 27. II. Negata Veredità delle lesioni, è tolto il più valido appoggio, la base diretta all’ ipotesi della trasmissione delle qualità acquisite, (rià il Dubois- Reymond e il Pfliger ebbero a dire tale ipotesi affatto mi- steriosa. Ai mostri giorni le pubblicazioni pro e contro tale ipotesi si sono straordinariamente aumentate : ipotesi dell’ eredità delle qualità ac- quisite ha ora acquistato l’importanza di un problema del giorno. Ma che dobbiamo intendere per eredità o trasmissione delle qualità acqui- site? Il Weismann chiama qualità acquisite o caratteri acquisiti quelle modificazioni individuali che non si fondano sul Ae;mplasma, ma deri- vano semplicemente dalle reazioni del corpo agli stimoli esterni. be per esempio si taglia un dito ad un uomo, la mancanza del dito è una qualità acquisita; all'incontro se nasce un bambino con sei dita, la mano con sei dita è una proprietà che si collega col Keimplasma, una qualità blastogena e non acquisita, cioè somatogena. Tutta la questione consiste nel sapere se si trasmettono le qualità acquisite così determinatamenie che debbano ricomparire per necessità nei discendenti. PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 27 25. Coloro che ammettono la trasmissione delle qualità acquisite si riferiscono: 4) all'efficacia dell’esercizio, dell'uso; 4) all’azione del elima: e) alla stabilità delle abitudini si che si trasformano in veri istinti: 4) alla trasmissione di certe malattie e agli esperimenti diretti. Il nostro autore sottopone nelle sue opere ad accurato esame queste quattro classi di fat- tori della trasmissione delle qualità acquisite: riassumerò con la maggiore brevità possibile i punti principali del suo esame. Il Weismazz non nega punto l'efficacia dell’esercizio, concede che usando continuamente un organo, questo si rinforzi e si presti con maggiore energia, prontezza e costanza alla medesima funzione, al medesimo eser- cizio; dubita soltanto se si erediti la capacità in genere di compiere quel- l'esercizio, oppure il determinato rinforzo dell’organo esercitato. Tutti sappiamo come il Lamarce spieghi per esempio la lunghezza del collo della giratta per il continuato uso che questa ne fa nutrendosi delle fo- glie d’alti alberi. Il nostro autore a questo proposito osserva : 1° Il rin- forzo di qualsiasi organo non è determinato dall’ esercizio in sè e per sé, ma dalla qualità del Xe/mplasma : tant’ è vero che al di là di un certo limite il soverchio uso, in luogo di rinforzare, indebolisce e con- suma l'organismo. 2’ L'esercizio non manifesta sempre la sua efficacia; tant' è vero che un figlio di un pianista non eredita 1’ agevolezza del muovere le dita: non si trasmette la facilità acquisita con lungo uso di leggere un libro o un’opera musicale; i cinesi non trasmettono la pic- colezza dei loro piedi; da un nano per quanto grandi e continuati siano i suoi sforzi non discenderà mai un gigante. 5° In generale i perfe- zionamenti che si acquistano con l'esercizio si possono, anzichè con la eredità delle qualità acquisite, meglio spiegare col principio della cor- relazione delle parti, per cui indebolito un organo per il non uso, si rinvigorisce per compenso l’altro. Lungo l'evoluzione filogenetica non solo sì modificano alcuni organi rudimentari, ma eziandio si compiono e perfe- zionano, altri vengono perduti; la perdita o espulsione d’un organo non dipende punto dal m02 uso, dall’atrofia, ma da un altro fatto che l’autore chiama Larmirie. Un organo che non serve più all’ esistenza della specie, per la forza della selezione naturale viene espulso, e questa forza si manifesta e si perfeziona mediante la propagazione. 29. Il clima ha certamente maggiore efficacia nel modificare Vorga- nismo dei viventi sia per rispetto alla natura del nutrimento , che influisce direttamente su 1 aumento dell’ organismo e lo svolgimento chimico-moleculare del keimplasma, sia perchè presta migliore occa- sione onde si manifesti la sopravvivenza del più forte (selezione). Ma il Nigeli prima e il Wesmemn dopo dubitarono che si potessero fissare 28 IPODESI IDEATE e quindi trasmettere fissate le modificazioni che il clima produce sui singoli organismi : questo dubbio è giustificato da esperimenti fatti su alcune piante alpine trapiantate in pianura; dopo molte generazioni i figli di queste piante trasportate di nuove su le montagne riprendono immediatamente tutti i primitivi caratteri. Si può notare che il tempo durante il quale si fecero questi esperimenti, fu troppo breve, perché le modificazioni del clima si potessero fissare : ma il fatto ci fa anche pensare alla possibilità che tali modificazioni non siano effetti del clima, ma causati dalla nutrizione e dall’adattamento all’ambiente che si di- spiega dall’interno all’esterno. 50. Di assai maggiore importanza, per le conseguenze morali che ne derivano e per le applicazioni che ne hanno fatto gli psicologi, è la quistione se si trasmettano così determinate e talmente specificate le abi- tudini acquisite da poter queste creare nei discendenti veri e propri istinti. L’ opinione di coloro che alla posta quistione rispondono affer- mativamente, sembra confermata da molteplici fatti. 1° Il Darwin accenna alla trasmissione dell’istinto della paura o fuga negli uccelli dell’isola di Madera, i quali le prime volte non isfuggi- vano punto l’uomo. Il nostro autore nota che questo e simili fatti si possono, meglio che con la trasmissione ereditaria, spiegare col raffina- mento delle percezioni, con 1’ aumento degli stimoli esterni, quali sa- rebbero la presenza dell’uomo e lo sparo dei fucili ecc. 2° Non tutti gli istinti vengono formandosi mediante la trasmissione ereditaria delle abitudini; alcuni si manifestano belli e formati e una sola volta, come lo prova la regina delle api. 5° Molti istinti, e tra questi tutti quelli che il Darwin comprende col vocabolo di domesticità, piuttosto che lente formazioni di abitudini ere- ditarie, sono vere conseguenze della conformazione dell’organismo, la quale dipende ed è sovernata dal Xeimplasma. L’anitra domestica, per esempio, si è fatta domestica non già per la somma delle abitudini ere- ditarie, ma perchè, costretta a vivere rinchiusa, per la legge dell’adat- tamento all’ ambiente e per il fatto della panmirie si sono sviluppati alcuni muscoli ed indeboliti o perduti alcuni altri. 4° La maggiore o minore facilità nella formazione degli istinti dipende anziché della trasmissione delle abitudini, dalla maggiore o minore de- licata sensibilità, dal maggiore o minore svolgimento dell’intelligenza, cose tutte queste che si connettino con la varia qualità, per il rispetto chimico-moleculare, del keimplasma 5° Molti considerano il genio come speciale e mirabile istinto, e come tale ereditario ; il nostro autore all’ incontro con molti altri ritiene PER ISPIEGARE L'EREDITÀ 29 il genio, anzichè un istinto, un meraviglioso complesso di perfezioni di varie facoltà psichiche, le quali per manifestarsi richiedono altresi favorevole ambiente. Questo concetto del genio chiarisce abbastanza per sè stesso tutte le difficoltà che si oppongono alla sua trasmissione ereditaria. E in vero la statistica è per questo rispetto assai povera : il valore della dimostrazione statistica poggia non già su la enumera- zione più o meno ampia di fatti, ma bensi su le medie, ed è per la man- canza di queste che la statistica dell’eredità del genio ha poco 0 nessun valore dimostrativo. In generale si può notare che sono trasmissibili quelle speciali abitudini, che si collegano direttamente con qualche or- gano, che essendo speciali, determinate, meglio si localizzano, come sa- rebbe, per esempio, il genio musicale , il genio geometrico, aritme- tico, ece. A proposito delle statistiehe compilate per provare l'eredità del genio il Weismanz fa una notevole osservazione, osserva cioè che nelle famiglie nelle quali il genio appare ereditario, questo è più splen- dido nel centro per così dire della famiglia che nel principio e nel pe- riodo della decadenza : questa osservazione sarebbe una conferma della sua teorica che cioè anche il genio dipende dalla qualità e dal vigore del keimplasma. Il Weismazn osserva pure che è ereditaria più del genio la longevità della vita : anche questo fatto si spiegherebbe con la sua teorica. Ma a dimostrare che il genio non è un istinto, che come istinto non viene formandosi mediante la trasmissione ereditaria delle abitudini, le quali vadano a mano a mano fissandosi, egli pubblicò nella Rundschau un bellissimo articolo da me già riassunto nel periodico la Filosofia. In questo articolo egli fa uno studio intorno al genio musicale: notrio come i maschi d’alcuni insetti e degli uccelli cantano e le fem- mine no : che il canto negli animali non si può spiegare, come cre- dette il Darwin, col concetto delia selezione sessuale e naturale : dimo- strato che non è possibile il passaggio evolutivo dal canto degli ani- mali alla musica dell’ uomo ; nota che il genio musicale dipende da speciale costruzione dell’ orecchio e richiede speciale delicatezza del sentire e favorevoli condizioni sociali. In tesi generale il genio per il nostro autore non è che speciale capacità del Xedmnplasma , e questa è ereditaria; ma non s’eredita la determinazione speciale di tale capacità: la determinazione speciale, in luogo d’essere fissata dall’eredità, dipende dalle condizioni sociali e fisiche nelle quali si svolge la vita. Nei casi nei quali si trasmette anche la speciale determinazione, questa è legata a speciale organo, e l’ organo dipende alla sua volta nella sua forma dagli idioplasmi contenuti nel XKeimplasma. 31. Finalmente per il nostro autore l’eredità di speciali malattie non S 50 IPOTESI IDEATE comprova l’eredità delle qualità acquisite, perchè le malattie dipendono da speciali svigorimento, debolezze, irregolarità del /edmplasma e conse- guentemente dai varî idioplasmi che collegano le varie cellule dei di- Versi tessuti. Anche gli esperimenti del £ronn-Sequard, in quanto egli sformava l'organismo con le lesioni di muscoli, nervi ecc. non con- fermano l’eredità dei caratteri acquisiti, ma soltanto l'eredità di spe- ciali malattie come per esempio l'epilessia. VUE Sommario. — 32. Onnelusioni. Come si debba intendere l'eredità dei caratteri acquisiti. La teorica della discendenza e il potere dell’ eredità. Eredità e selezione. La teorica del keîmplasma e il Monismo di qualità. La genesi dei fatti psichici secondo lo Spencer e la teorica del Xe/mplasma. L' istinto morale secondo lo Spencer, sua formazione, sua necessità meccanica e la teorica del Ke/mplasma. L'ipotesi del delinquente nato e l'opinione del Colajanni. Antropologia criminale e 1’ eredità. Educazione ed eredità. Parole del Guvau. La genesi delle forme della sensibilità e delle categorie secondo lo Spencer e la teorica dell’eredità. Verità della soluzione dei Neo-kantiani per quanto riguarda l’origine delle leggi del pensiero. Parole del prof. Masci.—33. Vantaggio che lo serivente crede d’aver conseguito col presente lavoro. 32. Ho già avvertito che la questione intorno all'eredità delle qualità acquisite è divenuta ai nostri giorni un vero problema. L’Eimer ha pub- blicato l’anno scorso un grosso volume di 461 pagine in ottavo per di- mostrare la realtà della trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti: a dire il vero i fatti da lui raccolti a sostegno della sua tesì non mi paiono ben vagliati dalla critica: ma non è questo il luogo per isti- tuire un esame dell’opera dell’ £ime:(6) e d’altra parte io non mi voglio so- stituire ai cultori specialisti delle discipline biologiche. Terminerò questa mia lettura chiarendo le attinenze che corrono tra la teorica del Wez- smann e alcuni gravi problemi che sono l’oggetto di varie scienze. I. Il Weismann non nega la possibilità delle modificazioni, anzi, am- mettendo egli in tutta la sua compiutezza la teorica della discendenza, riconosce tutta l’efficacia delle modificazioni per ispiegare le variazioni delle specie. Egli però ammette come trasmissibili soltanto quelle mo- dificazioni che importano una corrispondente modificazione della strut- tura chimico-moleculare del %eimplasma : tali modificazioni si trasmet- tono mediante la fecondazione : è questo il fattore principale delle va- riazioni delle specie. Sabbia presente l’importante conseguenza di questo concetto: se si ammette che si ereditano soltanto le modificazioni che si connettono PER ISPIEGARE L'EREDIDÀ 5I con le modificazioni del &e/mplasma, ne consegue : 4 che si trasmette non già la modificazione bella e formata, ma soltanto la capacità del keimplasma di manifestarsi conforme alla modificazione che prima esi steva, se però le condizioni nelle quali si svolgerà la vita, le saranno favorevoli: in altre parole la trasmissione della capacità del keimpla sma non importa la zecessità, ma soltanto la possibilità , della primiera modificazione; in altre parole ancora la trasmissione della capacità del keimplasma importa un necessario perfezionamento della vita; ma questo perfezionamento, date certe condizioni, non è necessariamente legato alla modificazione primitiva, può cioè aver un'altra forma. 3) Che gli sti- moli esterni, l’uso e il non uso, le reazioni dell'organismo all'ambiente hanno influenza sulla trasmissione ereditaria delle variazioni solo 7 quanto e nel caso che interessino la struttura del Xedmplasma. La teorica della discendenza non è qui negata, ma le è tolto un principio esplica- tivo ammesso dal Lamarcek e riconosciuto dal Dari : le variazioni delle specie dovrebbero essere chiarite unicamente con la selezione, cioè con la sopravvivenza o vittoria del più forte, perchè dessa è direttamente basata su la struttura e quantità del Xeimplasma : il mezzo col quale si propaga ed estende l'efficacia della selezione è la fecondazione. II. La feorica del keimplasma agevola la spiegazione monistica di tutte le forme della vita e può riguardarsi come una scientifica applicazione alla biologia di quel Monismo filosofico che ammette la pluralità delle unità primordiali, ma aventi una sola qualità : in tal modo la plura- lità numerica non si oppone al Monismo della qualità, e non con- tradice alla reale diversità delle cose, perchè queste poggiano su le diverse strutture, combinazioni, delle unità primordiali. Tale forma di Monismo fu ideata e ampiamente svolta anche nelle sue applicazioni morali dal prof. Corleo. Con la teorica del Wesmanz si limita di molto per quanto spetta alle variazioni, l'influenza degli stimoli esterni, e si fa gran conto dell’ efficacia della struttura interna del keimplasma , e con ciò si perviene a far prevalere anche nel regno della vita il dina- mismo al meccanismo. III. Poco mancò che le spiegazioni genetiche dei fatti spichici non effettuassero una compiuta rivoluzione nella psicologia. Tutti sappi:umno come lo Spencer, per non nominare che il più autorevole e il più grande, con attraente descrizione ci faccia assistere alla formazione dei fatti psichici più elevati. Per lo Spencer l’azione riflessa segna il passaggio dalla vita fisica alla psichica : l'istinto non è che un'azione riflessa con- posta. Nell’ azione riflessa semplice ad una sola impressione risponde una sola contrazione; nell’azione riflessa più perfetta ad una sola im- 32 IPOTESI IDEATE pressione corrisponde una combinazione di contrazioni ; l’ istinto non è che la corrispondenza tra una combinazione d’impressioni e una com- binazione di contrazioni. A misura che l’istinto cresce in composizione, i diversi mutamenti psichici che lo compongono si fanno meno coerenti, e allora Vistinto si trasforma in altri fatti psichici superiori. La memoria e lo istinto si trasformano l’uno nell’altro; l’istinto può essere riguardato come una specie di memoria organizzata, questa come un istinto na- scente. Dall’ istinto e dalla memoria all’ intelligenza non e’ è che un passo, che un grado più elevato di composizione : lo ‘stesso si può ri- petere per il passaggio dal desiderio alla determinazione volontaria, dalla sensazione alle emozioni. Ma come si giustifica tutta questa genesi dei fatti psichici, tutte queste importanti trasformazioni? Con due semplici leggi con la somma delle esperienze e con la trasmissione eredi taria. La teorica del Weismann non si oppone ad una spiegazione genetica e monistica, ma nega ogni efficacia a quei due principî : 1° esperienze non sono che reazioni dell’organismo agli stimoli esterni; perchè si dia accumulazione d’esperienze è necessaria la trasmissione ereditaria, ma malauguratamente questa non è possibile, non è confermata dai fatti ! IV. La spiegazione genetico-meccanica dei fatti psichici ha avuto il suo contracolpo nella Morale. Mi limito anche qui per brevità allo stesso Spencer. In una lettera a Stuart-Mill citata dal Bain egli scrive : « Nel medesimo modo che , secondo me, l’ intuizione dello spazio posseduto da un individuo è il frutto delle esperienze-organizzate e consolidate degli individui che l’hanno proceduto e che gli hanno trasmesso la loro organiz- zazione nervosa lentamente sviluppata; nel medesimo modo credo che le esperienze di utilità, organizzate e consolidate attraverso a tutte le generazioni passate della razza umana, abbiano prodotto modificazioni nervose corrispondenti , le quali, per trasmissione ed accumulazione continua, sono in noi diventate certe facoltà d’ intuizione morale, certe emozioni rispondenti ad una condotta giusta e ingiusta, che non hanno base-alcuna apparente nell’esperienze d’utilità individuale ». Nei Primi principî poi sostiene che se le nostre abitudini non si fossero modificate e i sentimenti che vi corrispondono non fossero diventati Jena. (7) All’Estero, specialmente in Francia, la tesi del Colajanni che il delitto cioè deb- basi spiegare più con l’ambiente sociale anzichè con l’Attavismo, aequista di giorno in giorno sempre maggiore considerazione. (5) Fruippo Masci « Le forme dell’Imtuizione >» nella Cronaca annuale del Liceo di Chieti, anno scolastico 1879-50. DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL (000 CAVATI DAI DIPLOMI DI MONTECASSINO, DELLA CAVA E DI AMALFI E RISCONTRATI COI DIPLOMI SICILIANI DEI SECOLI XII E XIII RES LRRCEEGCA. FATTA NELLA TORNATA ACCADEMICA DEL 17 reBpraro 1889 Dal Prof. VINCENZO DI GIOVANNI T7:20 ee Ì di Do CUNEENZEII DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 —_-9903 Uooe—_ Che in Italia sia stata usata anteriormente al 1000 una parlata volgare, che taluno ha chiamata romano rustica, con voce che si legge nel Concilio di Turs dell'812 (1), ovvero pledeja come la disse Plauto, nessuno oramai dlubita, dopo molti e molti documenti che dal Muratori a noi sono venuti alla luce, a cominciare dal secolo VI dell’Éra nostra fino al XII. Nè voglio dire | dli vestigii o indizi più antichi raccolti dagli scrittori latini, dallo stesso se- colo di Augusto al secolo IV di G. Cristo; o delle voci che si trovano in Plauto, e delle terminazioni indeclinabili in 0 e in v notate da Varrone e da Prisciano. Il Cantù (2) ha ben avvertito sul proposito, che il Dellus, il russus di Catullo, e il caballus di Orazio, l'ixi invece di #ps? scritto da un uomo con- solare nel tempo di Augusto, il jornus e tonus di Seneca, il das, il tata (avo) di Valerio Flacco e di più antichi monumenti, la voce calda per calida, | pronunziata dallo stesso Augusto, l'o per aurwmn di Festo, lO felice me dle’ graffiti di Pompei, etc. sono senza dubbio vestigii di una parlata antichis- sima volgare che sussisteva insieme col latino degli scrittori e della gente culta. I quali indizii divengon già documenti più spiccati nelle iscrizioni sepolerali (1) V. PeRTICARI, Op. v. 2, p. 54, Pal. 1830. (2) V. Dissertazione sull Origine della lingua Italiana, SS 6-15. Napoli, 1865. e 4 DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 del Il, INT e IV secolo dell’ Era Cristiana. Gli anni e i mesi sono spesso in forma volgare. In una Iscrizione si legge annorum decedocto; in altra tersw decimu calendas febraras... annoro octo, mensorum dece; in una terza anno duo el mesîis cinque, e simili. E in altre « Ippolite in mente (habe) Petru peccatore, »; « at (ad) Ippolitu super Arcosolio, »; « Cantibacu isecundu (cioè nel piano secondo) Marture dominu Castulu iscala » (cioè nella scala, o presso alla scala) (1), ed « ispeireito santo » (Rossi, an. 269); o come presso il Muratori, il brodio per brodo scritto al tempo di S. Girolamo, vanga usata dal S. Gregorio, così come in una carta della Cronica del Volturno in cui si legge « zappare juxta rationem:; » ed altre molte, fra le quali la voce 77204772724 (Thedoraque mamma) di una iscrizione delle Grotte Vaticane (2). In un’aneddoto che si legge nella Storia Miscella nell'anno 579 o 583, è riferito che taluni soldati gridarono ad un mulattiere nella loro patria voce : « Torna, torna, frater, » che in Teo- fane è frate, e in Teofilato è retorna; voci volgari scritte in caratteri greci (3). Così in una Iscrizione cristiana di Ostia abbiamo « quando Deus voluerit » che è pretta frase volgare: in un graffito di Pompei « Abiat Venere pompejana irata », cioè « abbia irata Venere Pompejana; » in una carta del 715 « quando veniebat Angelo de Sancto Vito ;» in altra del 780: «de uno latere corre via publica: » o come ne Documenti Lucchesi del 746: « Cui de uno latere de- corre via pubblica », e come nel Brunetti all’anno 760 : « de supta curre fos- satum, et ab alio latere curre vigna. » In una scrittura di cose chimiche del secolo VIII, si leggono queste frasi, riportate appunto nelle Antichità Ialiche (Dis. II), cioè : « Cuxe ipsas pelles, laxa dissicare, batte lamina... scaldato illo in foco, batte, et tene illud cum tenalea ferrea: scalda pone ad battere suf- ficienter: modicum laxa stare, et lixa illud. » Nella incoronazione di Carlo Magno si gridava; « Beate Petrus dona vita Leoni pp. e victoria Carulo Regi dona : Ora pro nobis, tu lo adjuva. » In una giunta al Beda di un Codice Am- brosiano, scritta sotto Carlo il Calvo, si legge Aur/us, e Carlo ripetutamente. Il beato Rauperto (nell’838) racconta che una bambina correndo nelle braccia del padre gridava « vulgari voce alta, atta », lo stesso che il tata, tata anti- chissimo, notato da Valerio Flacco e di origine osca, o italica. Nel giuramento di Ludovico re di Germania, e di Carlo il Calvo re di Francia, dell’anno 842, Ludovico usò il rom24no, cioè il linguaggio d'Italia, e però vi leggiamo : « Sal- varaio ist meo frate Carlo in adjuto in catauna cosa » etc. (4). (1) V. ArmeLLINI, Chiese di Roma, p. 696. Roma 1887. (2) V. Dissertazioni sopra le antichità Italiane. Dissert. et VI-XV, Milano 1837. (5) V. MurarorI, Dissert. cit. t. IN, diss. XXXII, p. 33 — Cantù, Dissert. cit. p. 53. (4) V. PertIcaRI, Opere, V. 2, p. 54, e segg. Tavole. n si | rari ian iero ei dit Lod ca DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 to: Pertanto abbiamo senza dubbio nel secolo IX una parlata volgare comunis- sima alle plebi, distinta dalla lingua latina, tanto che nell’ epitaffio di Papa Gregorio V della fine del secolo X, si potè scrivere : « Usus Francigena (o meglio Franc:zsca), Vulgari, et voce Latina. « Instituit populos eloquio triplici (1). » E con verità di fatto poteva dire l'italiano Gonzone nel 960 ai monaci di San Gallo, che egli sapeva bene la grammatica, cioè sapeva bene parlar latino, « licet aliquando retarder usu nostrae vulgaris Wnguae, quae latinitati vi- cina est. » (2). A confermare il qual fatto che già nel secolo IX la parlata volgare, o sia popolare, come dice il Muratori, formava un linguaggio ben altro del Latino, lo stesso Muratori riferisce molti nomi o indicazioni di luoghi in forma vol- gare, che occorrono dentro il latino de’ Notari o de’ diplomi del secolo VIII, IX e X; come in due carte, una Modenese del 769, « in loco, ubi nuncupatur Rio Torto», e in altra Lucchese, del 793, « in loco la Ferraria », e del 948, « qui vocatur due Rovere »; siccome in una del monastero della Cava, del 994, va appunto nominato un luogo Santa Maria da li Pluppi, cioè dai Pioppi (3). Così in altra di Modena del 1029 « in loco, qui diciture a la Crux »; e in un diploma di Guido di Este del 1052: « in Cignano usque ad Fechano fine al capo del Monte» (Dissertaz. XXXII, p. 37); come in uno strumento di Arezzo del 1029, è stato letto : « prope loco, qui dicitur a le (Grotte. » (4). Ma, poichè abbiamo citato anche un esempio de’ diplomi del Monastero ba- nedettino della Cava nell'Italia inferiore, io vengo al mio proposito, cioè a mo- strare come fin dal secole VII, anzi un po’ più avanti, faceva pur capolino ne’ documenti latini del mezzogiorno d’Italia il volgare usato dalla plebe, tanto per le voci, specialmente dei luoghi, quanto per le frasi. Ho esaminato per- tanto da questo lato i diplomi Cassinesi, e Cavensi, e quelli del Dacato di Amalfi, ed ecco un accenno del quanto in essi si trova relativamente al no- stro argomento. Il dottissimo Ab. Tosti pubblicando nella sua stupenda Storia della Badia di Montecassino molti diplomi e documenti riguardanti quel famoso Monastero, faro, come fu' detto, di civiltà nelle tenebre del medio evo, avvertì che in essi (4) V. MuratorI, Dissert. cit. dis. XXXII, t. III. p. 32. (2) V. FaurieL, Dante e le origini della lingua, ete. Vers. ital. Palermo, 1856, v. IL, p. 308. (3) V. Dissert. XXXII. (4) V. MuratoRrI, Dissert. cit. p. 36. 6 DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 documenti si trovano spesso voci e maniere volgari (p. 90, Stor. cit.) : e ‘noi ne trarremo fuori talune, oltre le cennate già dal Muratori estratte dal Bol- lario Cassinese, per documento storico dell'uso del volgare non solo dopo il mille, ma anteriormente anche a questa data. i E cominciando dalla donazione di Tertullo fatta a San Benedetto delle sue possessioni, Cres, e più comunemente fra noi Masse, donde le masserze, come ancor si dicono, leggiamo in essa scritta in caratteri del secolo X, che si donavano «in Trapanis modia terrae quatuor milia;» prova che già ai nomi antichi greci o latini delle nostre città si andavano sostituendo i vol- gari; come in questo documento che ha Trapani invece di Drepanumy; e come più tardi in molti diplomi Normanni. In una pergamena del 943, che contiene un diploma di donazione di Gisulfo, duca di Benevento, abbiamo la voce sorgente, donde « acqua viva egreditur », e la formola « scripto per Bertori Notario », e così in altra pergamena dell’ XI secolo, nella quale è trascritto il Privilegio di Papa Zaccaria del secolo VII, leggiamo molti nomi volgari di luoghi, che anche meglio abbiamo nominati nel diploma del re Desiderio all’Abate Theuttumari; come ad es. « A prima fine de ipso Carnellu. Salit per ipsu Bautra. De secunda fine Serra de monte qui dicitur Casino ...pergit per serra de monte qui diciture Aquilone et vadit ad locum qui di- citur de Pupplo (cioè del Pioppo) »; e « ad locum qui dicitur arcu de Gixzuli.... » e « Serra de monte S. Donati», e « Super ipsi Monticelli de Marri », e « sub monticello Sarracenico » o come altrove, in un diploma di Carlo Magno, « sub moticello Sarraciniscu, ».... « piezu Corvarium »..... «S. Maximi in Rivo Bu- lanu, Campufriddu », « S. Beneditti in Pantanu in Casagensana, », « juxta stra- tam Petrosam » Nel diploma citato di Carlo Magno di concessioni e di con- ferme di possessioni, le terminazioni de' lunghi sono più vicine alla volgare parlata, come «in Albianellu », «in Maurino », «in Sorrentu », « in Gajeta » «in Volturnu », «in Campufriddu», «in Ceccanu » , «in Pantanu », «in Laianu. » Le quali terminazioni secondo la parlata volgare o plebea, già si trovano nel privilegio di papa Agapito II all’abate Cassinese Balduino, scritto nel 942, nel quale leggiamo « casale Rustizanu, » e « casale salissanu, » siccome pur leggiamo nel Placito del Giudice Arachisi (Arechisi Judex) della metà del X secolo, « ab una parte fine Rapidu, de alia parte fine ipsu Carnellu.... et fine farnictu», » « casa nostra et de isto capu fine via.» «cum cannietulu....» «et quale cita nostro dono. » , «ubi proprio ad pastinellu bocatur », « tra- didit in tali tinore. » » » 905 « recepit da ipso in cambio una peciam de terra. » » » 905 «in locum qui dicitur arcufrancilli. » » » 911 «had ortu magnu. » » » 912 «cultu bel incultu y; «in plano bel in monte. » » » 913 «tote ipse binie spodimus per omnes annu bene laborare et cultare aptu tempore suo.... »; «et usque in tres anni»; « debidere nos mediatate et ille medietate » (N.B. Si legge in questo dipl. « impaliet, » per « im- palare, » o mettere i pali alle viti. » » 917 «super ipso petrone.... », « fine ipso plaio de ipso monte », «de ipsa rupa de ipso petrone. » » » 925 «de ipsa strata», «erga ipsa nominata strata», « stavilis» (per stabile, fundo, come anche si legge nello stesso diploma). » » 928 «et saliente per ipsa face de ipsa fontana usque ad toru rotundu. » » » 954 «et de unu capu per latu a platea pedes octo. » » >» 9395 «erga ipsa platea ad pede de ipsa turre mediana...», « de ipsa casa mea », « de ipsa casa sua. » d » » » ISO » » » » » » » » » DI » » » ». » » » » ) » » DOCUMENTI DELL'USO DEI, VOLGARE PRIMA DEL 1000 942 946 958 959 959 962 962 963 963 965 966 968 «a partibus meridie fine ipsi parieti antici. » «usque fine de ipsi ebrei e cum ipsa terra et casa...>, « et fronte de ipsa casa nostra. » « saliente in ipso toru de inbriei», « et recto exiente in ipso flubi de carvonara... », « liceat... roncare et scam- pare », « per locum... ubi majano dicitur. » «ut vene (bene) pareat lavoratum. » «et per ipsa balliulla saliente usque in serra, ed exinde revolbente et descendente in ipso gualda. » «locum ziziro, hoc est inclita clausura mea que se bocat de fitulito. » «cepimus fravicare in terra nostra il locum correganu. » « Johannes atrianense, qui vocatur mollicellu. » « vitam finira spero. » « per tempore de vindemia. » «in locum predicto barbuzzanu» e « barbuciano. » «ubi dicitur ipsa turella (og. Z'orello)...», « de locum sanctu marzanu...», « de ipsum monte qui dicitur de pinzillu... » «de ipsa clusa de battitellu. » « dare... censum unum tarì bonum et medium tari de dinari. » «in locum barvazzanu ubi rusticianu dicitur. » « descendit da ipsa fontana », « usque ad ipsa fontana no- Stra comune. » « medietatem de una ienca» (gi0venca, e in sicil. zenca). « sella mea cum frenu et paraturia sua et una spata. » «et da fine ipsius ursi in supto passi nobem usque medio pariete, qui ibi est, minus gubitu unu. » «quomodo vadet ipsa via de septe arbori. » « ubi dicitur ad planellu », « uno campu ubi dicitur biniola », «et alio campu ubi dicitur fano », « ubi appellatur tre- banza. » In questo diploma si legge: «secus mare ulter fluvio boneia » (sarebbe la dDonagia di Palermo, questa doneia di Sa- lerno ?) v. dipl. DXXXII, n. CCLXVII, p. 69. 3 «ubi ad fonti dicitur », « locum, qui dicitur fonti. » « fabricemus... inde et de alie petre nostre parietem ad calce et petre in ipsa parte suprana. » «in locum tostazzu ubi proprio cannitu dicitur. » «qui sumus thio (zio) et nepotes », «ante fanario », « bobi- pario uno », « capre quindecim, porcelli octo », « caldo- rola piczula una. » «et atscendente per medio ipso bollatellu usque ad ipso poiu qui est priore fine. » « qui sunt heredes mastri catzotti », « adipsia foce de moimanu. » « tradidi ermi molenator unum mulinum cum omni ferra- turia et mole. » «jehannes de domna blattu...» «in jusum usque in flumen » « cum ipsa cammora favrita », «in susum. » «de jusum in susum. » «usque ad cristone majore... », « usque in serra. » «in locum nuceria ubi ad pratu dicitur...», «alia pecia quod vocamur a la fusara » (Dip. CCOCI.) «in locum ubi tribanu dicitur. » «ubi cirione dicitur. » « unde eam conciare et restituire possamus... » « incipiente a termine qui... de via que vadit ad saneto petro... » « binea de erede alfani diaconi... >, « et saliente per ipsa via et junge in jamdicto termine... », « cum vinca de locum pazzano. » «inter muro et muricino » «ipsa molina cum ferraturia et cum casis... », « ut perfecte macenare possant... », « tantum ferraturia de ipsa mo- lina nos conciemus...», «nos illud (granum) macenemus. » « descendente per medio ipso ballone usque in aqua de mare. » « saliente usque in serra », « de alia parte fine ipsa serra. » «cum cammara fabrita », « cum causa iuncatella ab ipsa ripa de scrofole in susu», «per traversum sicut ter- mini positi sunt desusu in jusu», «in susu vero iam non mensuravimus. » 16 DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 T. II. A. D, 990 « holibeta...» «et ipse leo monstrare de quale terra et holiba cum eo causabit. » » » 992 « a serra de monte qui dicitur falerzu usque ad mare. » » » 992 «da facie subtana de ipsa pila usque tectum de ipsa casa. > » » 192 «de ipsi thii mei », « usque in serra majore de monte qui bocatur falerzu. » » » 993 «fine bia strectola... », « usque in bia publica. » » » 994 « ubi proprio gallucantu bocatur. » » » 995 « una pecza de uno latu fine media aqua qua dicitur pa- lombara: de capite fine toppu de monte ipso falerzu... » « descendente per media serra qui diciture de planellu et saliente et injunzit in toru de calcara. » » » 995 « una clusuria est davia qui benit da fine iohanni quatrario per fontana nostra usque in bia publica. » » » 996 « soprascripte pecie de terris cum arbustis potare, propagi- nare, sculciare » (per scalzare, purgare). » » 997 «in loco subtus Barbaciano supra Campu ubi proprio Ca- staneola dicitur. » » » 998 « de locum muntoru ubi campu faraone dicitur. » ‘ » » 999 « illut conciare et seminare de quale semente meruerit. » » » 1000 «locum ubi dicutur ad gallicantu. » » » 1000 «eum frabicare debeas ad calce et petre... », « fronte de casa terranea. » » » 1000 «inter muro et muricino... » «terra ipsa ad casa facien- dum datam abuit... », « conjuncta ad muro latere de ista cibitate et de subter parte ad bia. » Non abbiamo negli archivii Siciliani la ricchezza di diplomi anteriori al 1000, che si trova negli archivii delle città del continente; ma abbiamo tut- tavia bastanti argomenti a credere che pur sotto il dominio Musulmano fu in uso, oltre il greco e il latino, e l'arabo che era il linguaggio dei dominatori, una parlata volgare indigena o sicula e italiana che si voglia dire; onde è che nelle così dette platee delle nostre Chiese Vescovili si trovano frequenti i cognomi volgari o italici; ed è curioso come nel diploma del 1092 delle do- zioni del Conte Rugiero alla Chiesa di Catania si legga nella data nella quale sono notati i regnanti di quel tempo, «in Francia Philippo regnante,» così come era stato scritto sin dal 950 da un monaco di Bobbio «in Fran- ciam », (1) e come nel diploma citato di Amalfi del figlio Rugiero abbiamo «in Palermo; » forme prettissime italiane o volgari. (4) V. Muratori, Dissert. cit. dis. XXXII p. 29-31, v. II. DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 17 Mancando pertanto noi di Sicilia di diplomi latini e greci anteriori al secolo XI, essendo stata l’Isola sotto il dominio musulmano, prima in parte e poi per in- tero, dal secolo IX alla seconda metà dell'XI, ci fanno fede dell'esistenza della parlata volgare presso le nostre popolazioni latine solamente i diplomi del se- colo XI; nei quali fanno testimonianza di antico parlare i nomi che restano de' luoghi, i quali nomi non si creano allora quando si nominano in carte pubbliche, bensì si indicano, come intesi da tutti per inveterato uso e co- mune conoscenza. lo altrove notai sul proposito, dopo altri esempi citati da Leonardo Vigo, che in un diploma del Conte Simone del 1142 fu detto di un confine « deinde vadit usque a//0 77734an0 vallone; » e in un diploma del Duca Rugiero del 1117 « descendunt ad fluvium de la Cantera; » come in altro del 1145 «ad terram de Scala, dicta la Scala di Lampheri...», e « per au- strum sive A?r0cco,» e in altro del 11533 « per medium /4 marg, quod pantanuim vel terra sylvestris latine mencupatur;» e nella donazione del neofito Rogero Chamet dei 1841: « vallonus, qui dicitur Musca », e «ab ipso mon- ticello usque ad mandram», e « al margium », e « ascendit vallonum vallonum », e in un diploma del 1140 « per pantanum », e «mandra », e «ad Scalettam.» (1) Così it « flumen Tortum, » è già nominato nel diploma del Conte Rugiero del 1000 per la Chiesa di Messina; e molte altre nomi volgari di luoghi e di persone sono ne diplomi di esso Conte per le Chiese di Catania, di Girgenti, di Mazara, non altrimenti che nelle concessioni feudali de' Vescovi di quel secolo XII; e senza dire che le città e i castelli avevano già i nomi volgari che ancor hanno, come questi : Bilzehi, Butera, Castronovo, Comitini, Ma- sarino, Naso, Nicosia, Noto, Mineo, Capizzi, Golisanu, Gratteri, Bruccato, Centorbi, Vizini, Caccamo, Vicari, Lipari con le isole Arcudi e Filicudi, Milazzo, Giraci, Fitalia, Carini, Girgenti, Troina, Palermo, Polizzi, Mirto, Tusa, Ficarra, Roccella, Pollina, Oliverio, Camarata, Giato, Calatrasi , Cefaludo, Mistrecta, Calatavuturo, Mazara, Marsala, Trapani, Partanna, Corleone, e Coniglione, Licata (Olimpiades quae dicitur Licata) (2) e moltis- ‘ simi altri, che possono leggersi ne’ diplomi del Conte Rugiero, del Re Rugiero e de due Guglielmi I, e II. Co’ quali nomi volgari di città e di luoghi abbiamo i vollani, i baruni, i burgisi, i quadarari, i manescalchi, i mulinari, i barilli, i limoni, i citri, i mellones,i citroli, i cucumeri, le lumie, le aran- gie, le cannamelle , il saccaro o succhero (zucchero), il quale si vendeva in Palermo in due piazzette nominate ne’ diplomi «Sucac Sachar,» (intus Cas- (1) V. Mss. Qq. H. 13 della Bibl. Comunale di Palermo. (@) V. Pirro, Sicilia Sacra, t. I. Not. Eccles. Panorinit. f. 76, 86. 18 DOCUMENTI DELL'USO DEL VOLGARE PRIMA DEL 1000 sarum in contrata Sucac Sachar), nome oggi solamente restato in una loca- lità dell’antica Kemonia, verso San Giovanni degli Eremiti; il « cannetus », la « gebia », la « strata », la « paricla », la « flumaria » e la « flumarella », i « moncelli », la « crista », la « serra», il « vallone », la « cima cima », il « margio », la « tremula », il « furnus », la « ruga », il « castellus », il « ca- sale », la « pecia terrae », il « jardinus » e «jardinellu », il « pantanus », la « tonnaria », la « pescharia », il « castanetus »; e tante altre che sarei molto lungo a ripetere. Pertanto, queste testimonianze della esistenza di una parlata volgare in Italia dalle regioni superiori e medie, a queste inferiori di Napoli e di Sicilia, ci confermano sempre più che difficilissimo è il potersi segnare il secolo e l’anno quando fu usato il volgare, (1) che dopo la caduta del latino, divenne lingua nazionale col nome di lingua Italiana, e da plebeo fu assunto a ser- mone nobile, aulico e cortigiano, alla Corte dello Svevo Federico in Palermo. Gli studi che si van facendo sulle antiche pergameni ci danno ogni giorno sem- pre copia maggiore di documenti ed esempi dell’ antichità della parlata vol- gare, già evidentissima negli esempi del secolo VIII, IX e X raccolti dal Muratori tutti per lo più d’indicazioni di luoghi, siccome ne’ nostri diplomi siciliani del secolo XI e XII, che furono scritti in latino o in greco, appena, caduto il dominio musulmano, fu restituita la Sicilia dai fratelli Normanni, Roberto e Rugiero, alla civiltà cristiana. Sl Muratori disse che « certamente in nessun luogo delle vecchie carte si fa sentire la lingua volgare, che nel determinare i confini delle terre » (Dissert. XXXII, p. 87); ed io non ho vo- luto far altro con questo manipolo di esempi novamente raccolti, a rafforzare sempre più il detto del Muratori, che incitare i nostri studiosi di diplomi e di carte antiche a fornire .co' loro studi di diplomatica e di storia civile anche nuovi materiali alla storia del volgare, che anteriormente al 1000 ve- diamo qua e la comparire sin dal secolo VII e VII in pubbliche scritture, e da’ due secoli innanzi in iscrizioni sepolcrali e in ricordi di parlata pledea o rustica che si voglia dire. (1) Il Fauriel non mette in dubbio alcuno «la esistenza storica in Roma di un latino popolare.... Gli autori romani han reso la lingua latina immortale nei loro scritti, fan so- vente allusione al dialetto popolare di questa lingua , tale qual si parlava in Roma, e lo indicano con diversi nomi che potrebbero al bisogno segnarne le gradazioni, e direi quasi i suddialetti. Essi lo caratterizzano per l’ordinario con la denominazione di sern.o vulgaris o rusticus, qualche volta col titolo più speciale di sermo militaris, castrensis. E aggiunge che « la maggior parte delle iscrizioni cristiane delle catacombe di Roma dovette appartenere al dialetto volgare o popolare del latino, di cui abbiam provata la esistenza. » v. Op. cit. v. 2, p. 332-395. DI UNO STRATAGEMMA LEGGENDARIO DI MI ASSEDIATE IN SICILIA EE IP Ino] IRA FATTA ALLA R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO Nella Seduta del 16 agosto 1891. Dal Socio Dott. GIUSEPPE PITRÈ Direttore della Il Classe Ì o: DI UNO S MRATAGEMMA LEGGENDARIO DI CITTÀ ASSEDIATE IN SICILIA er > Tra gli stratagemmi più notevoli e più curiosi dei quali o sui quali corrono leggende popolari, ve n’è uno che merita particolar menzione, ed è quello di certi assediati che si liberano gettando sugli assedianti animali domestici molto ben nutriti, o piccoli caci formati con latte sia di pecore , sia delle proprie donne, facendo credere esser essi, gli assediati, provvisti di vettovaglie e di comestibili in tanta abbon- danza da poter resistere ancora ad un lungo assedio. Questo mezzo semplicissimo ed ingegnoso è argomento d’una leggenda tradizionale in Sicilia, della quale verrò qui riferendo le varianti m e- dievali ed antiche. La leggenda siciliana corre in Sperlinga (nella provincia di Catania), i cui abitanti, secondo la storia, ricusarono di far causa comune coi Siciliani nella celebre sollevazione che si chiamò poi Vespro Sicziano (51 marzo 1282); onde il motto : Quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit. Essa dice così, secondo il dialetto sperlinghese : «A timpi antichi i Francisgi erunu a Spirringa. I Siciliani fiinu ’u Vespru sicilianu pi tutta ‘a Sicilia; ma ‘i Spirringhisgi chi fiinu ? nun vòssunu, e si ‘nehiuditturu intra; puoi vinittunu ‘i squadri Palermitani e ciurcundànu ’u paisu. Chii di intra mungianu ’i fimini e fasgiènu tu- ; mazzetti e ‘i ’viavanu fuora pe’ fà’ canusciu che nun pudianu mudiru di famu;e cui campani sunàunu pe’ fa’ vedu che ghiera intra ‘a vac- + DI UNO STRATAGEMMA LEGGENDARIO caria, e all’urtimada puoi diinu che trasèttunu d’ ‘a Porta fauza. » (1) La medesima tradizione corre in Vicari (provincia di Palermo) per un assedio simile sostenuto poco dopo la sollevazione dei Palermitani contro gli Angioini; se non che, qui l’assedio è diretto contro il castello, i cui ruderi esistono tuttora. In Castrogiovanni - antica Enna - il fatto muta scena e data. Il Conte Ruggiero il Normanno era ad oste di quella inespugnabile fortezza. Da molti mesi stava sulla vetta di quel monte, quando, ve- dendo fallire i suoi disegni, spedi dei messi, nunzii di pace 0 di mi- nacce. I Castrogiovannesi —- dice la leggenda locale —- « li accoglievano con urbanità, non davano segno di paura, mostravano loro grandi masse di frumento, che in realtà altro non erano che artificiosi monti di arena sottilmente rivestiti di quel cereale; e come se fossero sicuri di lor sal- Vezza , rispondevano sdegnosamente. Indi raccolto il latte di tutti gli amimali, e, colle privazioni dei bimbi, confezionato del cacio, lo getta- vano a brandelli ai nemici per indurre il Conte a desistere dai suoi propositi. » (2) Il racconto continua, ma io lo tronco, senz’ altro, perchè non fa al caso nostro. La tradizione siciliana è conforme alla tradizione di altri. paesi : e qui cade in acconcio ricordare quella friulana testè raccolta dall’Oster- mann, la quale dice : «Cuand che i Sclaz cirivin di ocupà il Friùl, la regine di Cividat si riparà la grote di San Giovanni d’Antro e i siei soldàz si acampaàrin ta ville di Biacis. «L’ ere da tant timp che jerin assediàz, e oramai la regine veve finit duch i vivars, per cui varés dovùt rindesi per la fàn. Ce pen- sàrie jè in chè volte ? « Vignude su la puarte da grote cu l’ultim sach di formint che veve, lu butà jù ai Sclaz che erin sòt disînd : -— Tang son i grans di formint che us butîm, e tang e son i sàchs che nò vin anchimò. Stàit pur a assedianus che nò no si rindarin mai par fan. « Fat consei alore i càpos, deeiderin di bandonà l’imprese, parsè che il lor assidi al sarès làt mosse pes lungis. » (1) G. Prori, IL Vespro Siciliano nelle tradizioni popolari della Sicilia, n, NIX. Par termo, L. Pedone Lauriel, MDCCCXXXII. (2) V. Vemri, Leggenda sulla origine della voce Calascibetta dn Siezlia; nell'Archivio delle tradizioni popolari, vol. VIII, p. 361, Palermo, 1859. DI CIPTÀ ASSEDIATE IN SICILIA D) La leggenda di S. Giovanni d’Antro nel Friuli prosegue raccontando che la regina, per ringraziare, Dio di averla liberata, regalò alla chiesa di Ponteano alcune campagne là dove erano accampati gli Slavi con l'obbligo che si dovessero distribuire alla vigilia dell'Epifania a tutte le famiglie del paese due pani e due boccali di vino, ed ogni dì S. Marco, a coloro che portassero la eroce nella processione, un uovo, un pane e una tazza di vino, due centesimi a ognuno (1). Dopo questa narrazione orale, che ravvicina il mezzogiorno al setten- trione d’Italia, giova ricordare una novella dell’ £sopo volgarizzato dal na- poletano Francesco Del Tuppo (1435), la quale io riassumo con le parole del dott. (. Rua(2): « Un giovane, contro la consuetudine della sua città, non uccide il vecchio padre, ma lo mantiene nascosto in casa. Dopo qualche tempo la città, assediata da esercito nemico, dovrebbe arrendersi per fame: ma il vecchio, interrogato dal figlio, consiglia che si getti ai nemici del pane e del cacio. Il che fatto, persuade quelli che la città è ancora ben provvista di vettovaglie, e perciò l'assedio è levato. Da quel tempo venne meno nella città il barbaro uso d’uccidere i vecchi. » L’opera del favolista napoletano porta la data del 1485 ed è d'una rarità eccezionale (3) non ostante le edizioni antiche e recenti. In Alessandria di Piemonte ricomparisce il vecchio nell’ assedio di quella città per opera di Federico I. (sec. XII). « Alessandria incomin- ciava a soffrire per mancanza di viveri, ed era giunta nel proposito di cercare una salvezza unicamente nel proprio valore. Ed ecco gli Alessandrini si dispongono a una disperata battaglia: quasi per divino cenno, porge loro improvviso e inesatto soccorso un uomo del popolo, vecchio d’anni e di senno, per nome Gagliaudo, che tutta la vita avea consumata nel custodire greggi e fabbricare cacio. Questi, ben com- prendendo che oramai o si doveva scendere a patti vergognosi, 0 sot- toporsi all’ultima rovina, fecondo com’ era di espedienti, dopo avere pensato in qual modo deludere il nemico e liberare la patria, infine prese questa deliberazione. Una mattina pertempo si avviò fuori porta (ienova verso il campo nemico, conducendo come a pascolo 1’ unica giovenca rimastagli, ben (1) V. OSTERMANN, nelle Pagine Friulane, an. IL, n. 12, p. 103. Udine, 22 febb. 1551. (2) G. Rua, Di dleune novelle inserite nell’ « Esop>» di Fransesco Del Tuppo, p. 12, favola XXXI. Torino, Bona, 1559. (3) Fr. Turri, Parthenopei, ete. în vitam Esopi fabulatoris laepidissimi phitosophi- que clarissimi traductio materno sermone fidlelissima ete. Impressae Neapoli ete. sub anno Domini M.CCCC.LXXXV. Die XIII, mensis Februarii. 6 DI UNO STRATAGEMMA LEGGENDARIO riempiuta nei giorni innanzi, con quanto frumento avea potuto racco- gliere dai pubblici e dai privati granai. Gli assediati, avidi di preda, scortolo appena, lo fecero prigioniero, e ne uccisero la giovenca; ma alla vista delle interiora piene di grano, meravigliati riferirono la cosa all'imperatore ; il quale volle coi suoi proprii occhi assicurarsi della strana notizia, e, osservando la bestia, con grande stupore ne trasse la conseguenza , che palesò fortemente, non essere dunque i nemici ormai esausti di viveri, se si permettevano il lusso di pascere con fru- mento una vacca. Del che Gagliaudo li presente , lieto in cuor suo che lo stratagemma avesse il buon esito pensato da lui, lo assicurò pienamente narrando che la città era fornita di tante vettovaglie da resistere per molti mesi ancora. Federico allora si ritirò lentamente, lisciandosi la barba rossa in atto pensieroso...» (1). Abbiamo per le mani leggende popolari, e sarebbe stoltezza il discu- terne la verità storica e la verisimiglianza che dia loro i caratteri della credibilità. Questa qui, per altro, è stata acutamente esaminata dal signor G. Jachino, che ne fece argomento d’un’appendice a un suo libro qui sotto citato. Egli stesso ha dichiarato opportunamente altri due esempi della medesima leggenda : l’uno dello storico Besse, l’altro dell’autore della celebre cronaca della Novaresa: entrambi del medio-evo. Guglietmo Besse «parla d’una dama carcassonese che gettando dalle mura della sua patria assediata un porco ben satollo di grano ingannò Carlo Magno, che credette fossero egualmente ben pasciuti i cittadini, i quali invece erano ridotti alle ultime estremita, levò subito il campo. Tl nome di questa dama è colà (in Carcassona) nelle bocche del volgo» (2). La cronaca novariciense racconta che durante l’ assedio di Canossa per opera del re Berengario e del Marchese di Susa Gabrione Arduino, la povera regina Adelaide, assediata insieme col conte Attone, « ab Ar- duino Gabrione consilium quaerit, quo modo evadere posset, deficerat ei iam panem et vinum; sed Deus auxiliator eius, illi donat ammini- culum : Arduinus namque loquitur ad regem, ut fari permitteret eum cum Attone, qui annuit petitioni eius, et iubet ut loquatur. Adgredi- tur Arduinus eum, interrogatque : Quot modia sunt vobis tritici ? — Respondit: Non sunt nobis amplius praeter quinque modia siga- lae, et tria sextaria tritici. Adquiesce, monet, meis consiliis, et accipe (1) G. Jacuino. I Libro della Croce, pp. 123-124. Alessandria Jacquemond, 1888. (2) Lettera di Mahul nell’Anto/09%a di aprile, maggio, giugno 1824, tomo XIV, p. 113, Firenze, Tip. Pezzati, MDCCOXXIV. DI CITTÀ ASSEDIATE IN SICILIA 7 aprum, et vescere cum tritico, mittesque eum foribus, et ego illum re- quiram regi. Ut vero viderit, vehementer obstupesceret, et sie praeva- lere poteris. Hoc ideo fecit Arduinus, od id, quia Atto socer erat filii sui. Facto videlicet mane suadela fit Arduini. Exit aper a moenibus castri, Arduinus illum occupat; occiditur, et exenterato eo, plenus venter inventur tritico. Exercitus videlicet admirans fatetur frustra se laborare. Relinquunt obsidionem, Papiam revertuntur. » Fatti come questi hanno dell’ attraente per chi studia le tradizioni dei popoli; ma Vattrattiva è anche maggiore per chi volga l’attenzione alla storia antica e vi trovi dei riscontri dei medesimi fatti. Noi non siamo più al racconto delle nostre vecchierelle, non alla buona fede dei cronisti dell’età di mezzo, ma alle notizie tramandateci nei primi anni dell’éra volgare da Sesto Giuliano Frontino, che fu con- sole e pretore nella seconda metà del primo secolo. Il quale ragionando del come possa avvenire che le cose che difettano figurino siccome abbondanti, nel suo Strafegematicon reca parecchi esempî greci e latini che per me sono dei veri tipi della leggenda più sopra ricordata. La loro importanza è tale che vale la pena riassumerli tutti con le parole testuali di Frontino : «I. Romani, cum a Gallis Capitolium obsideretur, in extrema iam fame panem in hostem jactaverunt : consecutique, ut abundare commea- tibus viderentur, obsidionem, donec Camillus subveniret, toleraverunt. « II. Athenienses, adversus Lacedemonios idem fecisse dicuntur. «II. Hi qui ab Hannibale Casilini obsidebantur ad extremam famem pervenisse crediti, cum etiam herbas alimentis eorum Hannibal saepe arato loco qui erat inter castra ipsius et moenia, praeriperet, semina in praeparatum locum iecerunt: consecuti, ut habere viderentur, quo vietum sustentarent usque ad satorum proventum. « IV. Reliqui ex variana clade, cum obsiderentur quia defici frumento videbantur, horrea tota nocte circumduxerunt captivos, deinde prae- cisis manibus dimiserunt, hi circumsidentibus suis persuaserunt, ne spem maturae expugnationis reponerent in fame Romanorum, quibus alimentorum ingens copia superessent. «V. Thraces in arduo monte obsessi, in quem hostibus accessus non erat collato viritim exiguo tritico, aut caseo paverunt pecora, et in hostium praesidia dimiserunt: quibus exceptis occisisque cum frumenti vestigia in visceribus eorum apparuissent, opinatus hostis magnam vim tritici superesse eis, qui inde etiam pecora pascerent, recessit ab ob- sidione. « VI. Thrasibulus dux Milesiorum, cum longa obsidione milites sui DI da) DI UNO STRATAGEMMA LEGGENDARIO angerentur ab Aliatte, qui sperabat eos ad deditionem: fame posse com- pelli, sub adventum legatorum Aliattis frumentum omne in forum com- pellere iussit , et.conviviis sub id tempus instructis per totam urbem epulas praestitit, atque ita persuasit hosti superesse ipsis copias, quibus diuturnam sustinerent obsidionem » (1). Ora, se guardiamo attentamente tutte queste leggende o queste varie forme d’una stessa leggenda, noi vi troveremo un solo movente : quello degli assediati in pericolo di perdersi per fame o per istanchezza. Im Sicilia si-fa getto di caci di latte di donne come indizio di esuberanza di latte e quindi come copia di pecore e di armenti. Questo indizio dice anche qualche cosa di più, cioè che si hanno pascoli in grandissima abbondanza. La fama di genus acutum de’ Siciliani giunta fino a Cicerone, stavolta ha piena conferma. Nella leggenda classica tramandata da Fron- tino, i Romani assediati dai Galli in Campidoglio e gli Ateniesi asse- diati dagli Spartani non gettano caci ma pane : lo stratagemma ha an- ch’esso la sua efficacia, ma è meno ingegnoso del siciliano. Trasibulo, duce dei Milesii, non pensa al getto del pane, ma, per maggior vanta- mento di provvigioni, conduce i legati di Aliatte nel Foro, ove ha am- massato il grano che ha potuto mettere insieme; ed i Romani avanzati alla strage di Varo menano i prigionieri, che poi con le mani mozze rimandano al nemico, attorno a’ loro granai. Qui non v'è nulla di straordinario, v'è un fatto vorrei dire naturale, spontaneo in chiunque si trovi in situazioni simili, e che sia o voglia far credere di essere sicuro del fatto suo. Nel racconto dei Romani stretti da Annibale in Casilino il partito preso di seminar grano nel terreno, tra le mura e gli alloggiamenti, fatto arare dal celebre capitano dei Cartaginesi, ha dell’ astuto. Un ultimo espediente è comune al medio evo ed all’ anti- chità e forse sopravvive nella tradizione orale, se questi rapidi cenni avranno la fortuna d’ invogliare qualche studioso a ricercare questa di proposito. Si tratta di dar a vedere al nemico che la città osteg- giata ha tanto cereale da poter largamente nutrire, come nutrisce, ani- mali d’ogni genere, animali che, saturi e pieni, si mandano in mezzo agli accampamenti nemici o si buttono spietatamente e sfarzosamente dalle mura. Gli Alessandrini spingono verso il campo di Federico Bar- barossa una giovenca; il Conte Attone e la Regina Adelaide fanno con- durre in quello di Berengario un cinghiale: una dama di Carcassona (1) Sexmi I. Froxnmini. Wir consuwlaris Strateygemalienn , sive de solertibus ducum factis et dictis libri quatuor, caput NV. Parisiis Apud Sebastianum Cramoisy Regis et Reginae Regentis Architypographum ecc. M. DC.L. SN DI CITTÀ ASSEDIATE IN SICILIA 9 fa scaraventare su quello di Carlomagno un porco; ed i Traci spin- gono dal loro monte inaccessibile delle pecore. I risultati rispondono al disegno degli autori degli stratagemmi : V assedio è levato. Notisi l’acutezza di chi consiglia o propone lo stratagemma, il quale è un vecchio sennato e pieno di esperienza nelle versioni di Del Tuppo (forse, di Napoli), di Alessandria e della cronaca novariciense ; e ve- ramente non è da tutti un trovato di questo genere. Tutto sommato, io non saprei affermare la storicità dei tredici rac- conti fin qui messi insieme; però penso che il fondo di essi non può non avere un'origine di futto come molte volte 1’ hanno le leggende storiche, per quanto alterate e sformate esse ci giungano. Nell’antichità, poi, che cosa è la storia se non una leggenda, che un uomo di inge- gno ebbe la opportunità ed il felice pensiero di raccogliere e di tra- mandare 2 I principali motivi del nostro stratagemma si possono ridurre a quattro: 1° ai caci; 2° al pane; 5° alla visita dei granai; 4° agli ani- mali satolli, fatti giungere agli assedianti. V’ha egli nulla di strano 0 d’impossibile in tutti essi? e se non v’ha nulla d’ impossibile, il fatto può essersi ripetuto molte volte e con circostanze concomitanti simili. L'uomo che si trovi in certe condizioni particolari, opera in una data maniera e non diversamente. Nel 1849 quando Venezia era cinta d’assedio, avvenne a Malghera che un ufficiale austriaco si presentasse parlamentario con l’ intimazione della resa. Trattenuto nella fortezza finchè il suo messaggio avesse dal governo una risposta, il comandante generale Ulloa gli imbandi una colazione di polli arrosto e champagne. — Come !— disse il parlamentario — vi trattate ancora a polli e cham- pagne? Fuori di qui, in tutto il Veneto corre voce che siete nella più dura penuria.— Signor capitano—gli rispose il generale — se vi aggra- dano due dozzine di polli e di bottiglie come queste, ve le offro con tutto il cuore. Il vero era, che il pollo imbandito al parlamentario riassumeva lus- suosamente il pranzo e la cena del generale. Quanto alla bottiglia era quello che si direbbe un monumento preistorico tenuto da conto dal generale con amorosa cura per lasciare ai posteri una memoria ettet- tiva dell’esistenza a Malghera dello champagne nel 1849; anno di grazia e di bombardamenti. Il generale quella sera andò a letto a stomaco vuoto. (1). La trovata, come si direbbe, del generale Ulloa, non è se non la (1) Pomfulla, an. XX, n. 275. Roma, 5-6 ottobre 1850. 3 10 DI UNO STRATAGEMMA LEGGENDARIO espressione, la manifestazione dello spirito umano messo a dure prove da eventi difficilissimi e molto gravi. I propugnatori della scuola an- tropologica per la spiegazione dei miti e degli usi dei varî popoli, qui ha un valido appoggio; ma ron è improbabile che il fatto tramandato dal racconto multiforme si sia ripetuto per imitazione e tramandato leggendariamente. La leggenda siciliana, ad ogni modo, resterebbe come una graziosa narrazione, ma non potrebbe aver diritto al valore di do- cumento storico. ASTORRE PELLEGRINI sd ni ‘ » ASTE » - D'EPIGRAFIA PENICIA —— ——_—__<1-@f-{@\v.—_____ Ul I. 1 FENICII NELLE LORO EPIGRAFI. È II. NOTE ED APPUNTI SULLE ISCRIZIONI FENICIE DEL Corpus. Lotto nella seduta del 15 giugno 150 \ ; — TE IL, I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI Corpus inscriptionum semiticarum ab Academia inscriptionum et litterarum humaniorum con- ditum atque digestum. Parisiis,1881-1889.—Rexan. Mission de Phenicie. Paris, 1864.—Id. Histoire: générale et système compare des langues sémitiques. Paris, 1863. — GeseNIUS. Scripturae lin- quaeque Phoeniciae monumenta quotquot supersunt edita et inedita. Lipsiae 1837.—ScRHODER. Die phùnizische Sprache. Halle, 1869.—6. ScaLormMANN. Die Inschrift Eschmunazars. Halle, 1868. — Levy. Phònizische Studien. Breslau, 1856-1864. — Id. Phonizisches Worterbuch. Breslau, 1864. — Eutina. Punische Steine. St.—Petersbourg, 1871. — 9. NorRIS. Assyrian Dictionary. London, 1868-1872.—Fvzi. Ricerche per lo studio dell'antichità assira. Firenze, 1872. — GeseNIUS. The- saurus phulologicus criticus linguae hebraeae et chaldaeae veteris Testamenti. Lipsiae , 1835-1853. — Frevrac. Lexicon arabico -latinum. Halis, 1830-1837. — Lane. Arabic-english Lexicon. London, 1863-90.— Maspero. Histoire ancienne des pevples de l'Orient. Paris, 1886.—Levi. Vo- cabolario geroglifico copto-ebraico. Torino, 1887.—BeraeRr. Les ew-voto du Temple de Tanit à Carthage. Paris, 1877.—Movers. 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Il piano generale di tutta l’opera fu comunicato all'Accademia nella seduta. 4 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI del 25 Gennajo 1867 da Ernesto Renan, a suo nome, ed a nome dei colleghi de Saulcy, de Longpérier, e Waddington. Dopo lunghe e animate discussioni, il 26 Aprile dello stesso anno 1° Accademia nominò per ese- guire il lavoro una Commissione composta dei socii de Saulcy, Mohl, de Longpérier, Renan, Mac-Guckin de Slane, e Waddington; dei quali, essendo morti i primi due ed il penultimo, furono in loro vece nominati il de Vogié e G. Derenbourg. Chi può immaginare gli ostacoli d’ ogni maniera che da quegli ani- mosi si dovettero superare per porsi in grado di tradurre in atto, in mezzo a tempi non propizii agli studj (1870-71), fra l’ ansioso tumulto della guerra, il rovescio d’un governo e gli orrori dell’ assedio, il piano di questa Raccolta: chi riflette alle difficoltà di procurarsi dagli agenti francesi d’Oriente e dell’Africa settentrionale, per lo più estranei a queste discipline, notizie, calchi e disegni, prima che lo Halévy, il de Sainte Marie, ed altri animosi esploratori inviati dall'Accademia sulla faccia dei luoghi avessero resa agevole ed ambita la cooperazione dell’autorità locali e dell’esercito, e per via di scavi ben ordinati arricchito il Louvre e la Bibliothèque nationale di centinaja di monumenti: chi pensa inoltre che prima di pubblicare separatamente le quattro parti del Corpus, fenicia, ebraica, aramea, araba, conveniva gettare su solide basi l’immane lavoro, e procedere con cauta lentezza, per non dover poi smentire e corregger di pianta ciò che già si fosse pubblicato : chi finalmente può farsi un’idea dell’enorme difficoltà di ordinare i materiali raccolti, esa- minar con pazienza lapidi, calchi, manoscritti intralciati; spogliare intiere annate di cento riviste, periodici, atti d’ Accademie di Francia, di Ger- mania, d'Austria, d'Inghilterra, di Russia, di Svezia, d'America, d'Italia; spogliare infinite monografie, e ogni giorno lottare a corpo a corpo colle insidie della lingua ed epigrafia fenicia, l’omissione delle quiescenti, la mancanza di segni diacritici; gli scambi consonantici; 1’ uso quasi co- stante di non separare i vocaboli; le frequenti scorrezioni ortografi- che ; la facile confusione tra lettera e lettera, fra parola e parola: chi, dico, in tanta scarsità dei materiali di confronto, e in mancanza, I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 5 si può dire assoluta, di monumenti letterari, riflette a tutto ciò, e vede ormai pubblicate ben 437 iscrizioni fenicie, 69 himyaritiche e sabee, e 149 aramaiche, non può astenersi dall’ammirare tanto lavoro, ed augu- rare ai solerti illustratori una continuazione ormai più sollecita, se non vogliam dire un compimento dell’opera. i A differenza d’altre pubblicazioni congeneri i volumi del Corpus con- tenenti i testi epigrafici son di mole modesta, cioè in quarto, e fu savio di __divisamento; perchè il maneggiare enormi volumi stanca la vista e la pazienza dello studioso. L'edizione è splendida. Ogni fascicolo, e il primo tomo di pagine 456 ne comprende quattro, è accompagnato da grandi tavole separate, in sesto maggiore, eseguite coi processi eliografici del Dujardin, non superati finora, che non consentono all’ incisore creazioni È, arbitrarie. Le tavole del primo tomo sono 57. Tutte le iscrizioni del testo son pubblicate, prima nei caratteri originali fenicii, arcaici o no, e neo- punici: i fenicii fatti fondere espressamente dalla Tipografia Nazionale sui punzoni d’acciajo, secondo il tipo dell’iscrizione maggiore di Sidone i (n. 3), che allora parve il più adatto: poi, quando occorre, il testo fenicio 0 il neopunico ha al fianco la trascrizione in bei caratteri ebraici, e la traduzione letterale in latino. Dopo il numero d’ ordine di ciascuna epi- grafe, seguito dal richiamo alle tavole, e non di rado dalle notizie sulla ti scoperta del monumento, e dalla bibliografia, è posta 1’ indicazione del Museo, della collezione, o del luogo dove esiste il monumento stesso. Note, per lo più sobrie ed accurate, in latino, se non sempre purissimo, almeno facile e chiaro, disegni di monumenti, e carte topografiche inter- calate nel testo agevolano l’ intelligenza delle iscrizioni, ed attestano la cura grandissima dei signori Renan e Berger, che più specialmente at- tendono alla parte fenicia, giovandosi anche dell’opera solerte dei due Derembourg, dello Halévy, del Clermont-Ganneau e del Ledrain. Nel primo tomo di tutta l’opera son raccolte in tredici capitoli molte iscrizioni votive (1), parecchie dedicazioni e consacrazioni (2), tariffe (3) (1) Corpus Nn. 4, 7, 8, 9, 93, 122, 138, 139, 180-430 ete. (2) Nn. 4, 5, 10, Il, 88-92, 118, 143, 149 ete. (8) Nn. 165, 167, 170. pà SN ROLE ii A o ri e te iaia 6 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI e note jeratiche (1), proscinemi (2), ricordi di viaggiatori e soldati (3), precetti rituali (4), epigrafi sepolcrali (5): tutto ciò rinvenuto in vario tempo, dal secolo XVII (6), se non prima (7), fino ai di nostri, in luoghi e regioni diverse, come a dire in Fenicia (8), in Cipro (9), in Egitto (10), in Grecia (11), in Malta ed in Gozzo (12), in Sicilia (13), in Sardegna (14), nell’Italia continentale (15), in Francia (16), in Africa (17); parte inedito, parte no: non poche epigrafi ancora, il cui originale è irreparabilmente perduto, ma delle quali il testo fu conservato per via di calchi, gessi ,. disegni: quelle superstiti, conservate a Parigi, nel Louvre e nella Bi bliothèque nationale, a Londra nel British Museum, in Yorek nel Museo metropolitano, a Cartagine nel Museo di S. Luigi, restaurato ed ampliato: per le cure indefesse del Cardinale La Vigerie e del P. Delattre: per non dire di molte altre spettanti ad altri musei o raccolte private, nè di quelle inamovibili, scolpite o grattite in caverne (18), sulle rupi (19), sulle mura (20), sui templi (21), o sopra colossi (22). Naturalmente gli illustratori abbandonarono pei monumenti già noti le vecchie numerazioni delle collezioni speciali, e adottarono i numeri pro- gressivi. I titoli giungono ormai, come ho detto, fino al numero di 437: ma questa cifra sarà considerevolmente aumentata nei tomi seguenti, giacchè, a tacere del resto, i soli ex-voto a Tanit ed a Ba°al-Hammon che ancora rimangono a pubblicare ascendono a qualche migliajo. Tutte l’epigrafi, distribuite geograficamente secondo le regioni e i luoghi dove si scuoprirono, sono ordinate giusta la condizione della persona di cui fanno menzione, o l’importanza del titolo. Per la lezione ed interpretazione delle iscrizioni già note gli illustratori non solo seppero far tesoro dei molti scritti di chi li precedette, ma assai si giovarono del loro acume (4) 86,87. (2) Nn. 99410. (8) Nn. 4411-1143. (4) N. 166. (6) Nn. 3,45, 85, 115-117, 119-421, 137, 144, 154-159ete. (6) Nn.122,125-130. (7) N.135. (8) Nn. 1-9. (9) Nn. 10-96. (40) Nn. 97113. (44) Nn. 4414421. (42) Nn. 122-132. (13) Nn. 133-158. (44) Nn. 139-163. (45) N. 164. (46) N. 165. (47) N. 466-437. (18) N. 6. (49) Nn. 154-157. (0) N.136. (21) Nn. 99-110. (22) Nn. 414-113. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 7 e criterio. Anche i testi inediti furono generalmente trascritti ed inter- pretati con la più grande accuratezza e sobrietà, evitando lo strano ed il lambiccato, e ricorrendo al bisogno ai dettami dell’analogia. Le stesse dubbiezze e lacune, qualche volta considerevoli (1); l’essersi anzi rinun- ziato talora a qualsiasi interpretazione (2) —in epigrafia è gran virtù l’a- spettare— provano con quanta serietà, con quanta oculatezza e pondera- zione siasi condotta questa Raccolta; che è ormai del più alto interesse per l'archeologia, per la paleografia, per la linguistica, per la scienza dei miti, e per la storia della Fenicia; e dove possa avanzare farà un bel riscontro alle Raccolte congeneri delle iscrizioni greche e latine. Questi monumenti, che spettano per la maggior parte al periodo greco (an. 374-146 a. C.), ma che nel complesso abbracciano circa lo spazio di I, ben sette secoli, senza modificazioni notevoli nella struttura del loro idioma, ci confermano quello che già sapevamo da un pezzo; che i Fenicii cioè non erano un popolo molto inventivo, nè atto a speculare od a seri- vere. Forti, tenaci, e ad un tempo pieghevoli, e senza scrupoli; rotti ad ogni periglio, e anelanti sempre ad un benessere ignoto, poco badavano d all’arti, compresa quella della parola. Gente pratica, tutta intenta a co- struzioni navali, al traffico, all’industrie, alle colonie, alle guerre, amava più, come i prischi Romani, il fare che il dire. Non scrissero storie, non poemi durevoli: della religione, specialmente nei primi secoli, si mostraron ferventi, come tutti i Semiti, ma non ebbero un Mosè che ne spogliasse il culto del sensualismo e della barbarie, nè un sacerdozio che predicasse un Dio solo. L’arte loro nel concetto, nei motivi, nei simboli ne rispec- chia l’istoria: è egizia, assira, persiana, greca, secondo i tempi, le cre- denze e i luoghi. Così il ma'abed d’Amrit, e meglio ancora i due taber- nacoli della “Ain el-Hayàt son di stile puramente egizio: sulla stela di Gebeil (3) la dea Ba“alat ha le sembianze e il costume della bella dea di Denderah, men- tre il re fenicio sembra un monarca di Persepoli: e sulle stele votive di Car- È (4) Nn. 13, 151. (2) N: 104. (2) N. 1. PI pe RIE RARE ORRA BIANI ISEE, PETRA eda UE NOTI vie E TATA. 8 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI tagine (1), accanto a emblemi e decorazioni locali, troviamo ornamenti d’Assiria, d’Egitto, e soprattutto di Grecia. Le gemme incise, i talismani, i sigilli, i lavori in metallo, le patere, gli anelli, i braccialetti fenicii, mentre: attestano abilità manuale, scarseggiano assai d’invenzione, e rammentano troppo da vicino i prodotti congeneri d’altri popoli. Molte delle loro monete ripetono più o meno esattamente i tipi di quelle greche : i sarcofaghi delle loro necropoli riproducono la forma di quelli egizii, e per le sculture ti rammentano l’arte di Ninive e quella d’Atene: qualche volta son perfino veri sarcofaghi egiziani, che già racchiusero altre ossa, e dal coperchio: dei quali non fu sempre raschiata la primitiva scrittura. Le loro iscrizioni, specialmente quelle votive, rispecchiano il carattere tutto pratico della nazione. Se ne togli quella funebre d'ESmun‘azar (E e quella votiva di Jehavmelek (3), in cui la dignità del donatore, e il pregio dei lavori fatti eseguire da lui nel delubro di Ba‘alat, consentiva una certa prolissità, tutte le altre sono per lo più semplici e brevi. Il devoto non amava ingombrare le pareti del tempio, o gli oggetti offerti in dono, con lunghi e minuti dettagli, o con particolari sulle ragioni d’un voto, quando quegli oggetti, statue (4), patere (5), porte (6), gnomoni (7), stele (8), od altari (9) che fossero, erano esposti allo sguardo di tutti i fedeli; nè questi avevano il dritto di conoscere le ragioni per le quali altri aveva invocato l’aiuto divino.:Come collocare d’altronde tante iscri- zioni in un tempio, come inciderle sopra i donarii, se non fossero state brevi? Bastava, quando non paresse di troppo (10), il nome della divinità e quello dell’ oblatore, colla sua genealogia: bastava un rapido cenno dell’ oggetto che si donava, ed il chiedere al nume la sua benedizione. Qualche volta, quando si tratta d’ offerta cospicua, ed eccezionalmente d’ex-voto (11), l’epigrafi esprimono variamente, secondo i luoghi e i tempi, l’indizione: a Delo (12), a Cipro (13) e a Sidone (14), prima dei Tolomei, (4) Nn. 176-437. (@) N.3. (GB) NA. @N.9. ©) Nn.5,9. N. 7. (7) N.9. (N. 123. (9) N. 10. (40) Nn. 176, 419, 420. (41) N. 179. (42) N. 144. (43) Nn. 40, 44, ete. (44) Nn. 3, 4. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 9 coi re: a Cartagine (1) e nelle sue colonie, fin sotto la dominazione ro- mana (2), coi su/feti; a Gaulos (3), e ad Altiburos (4) anche con ma- gistrature locali, come i sacrificatori, i preposti alle cave ete.: in Cipro,. sotto i Tolomei, anche con canefore fenicie locali (5). A_volte vè notata una doppia èra, quella del Signore dei regni (6), o di magistrati locali (7), e quella di singole città, del popolo di Tiro, di Citium, di Gaulos (8), che parte da un evento importante, ancorchè per noi non de- terminato, nella storia di quelle: nè mancano iscrizioni in cui non v è altra èra che quella d’una città; p. e. la bilingue, scoperta di recente al Pireo (9), che comincia colle parole: Nel giorno IV del mese di Mar- zeah, nell'anno XV del popolo di Sidone etc. Ma in generale, tolte le formule di cancelleria, che da per tutto si rassomigliano, abbiamo sempre nel resto una breve semplicità, e talora fin l’omissione di circostanze im- portanti (10). Un'iscrizione idalia (11) del re Melekjaton (circa 350 a. C.) dice: Questa è la statua che donò il re Melekjaton, re di Kitti (42) e d’Idjal, figliuolo di Ba'alram, al suo dio Resef- Mukl. Vinsi col suo favore i ribelli ed i loro alleati. . ... Sopra un bellissimo cippo (13) maltese si legge: AZ Signor nostro Melgart, Signore di Tiro; (cippo) che votarono i tuoi servi ‘Abdusir, e suo fratello Usirsamar, figlivoli d‘Usirsamar, figliuolo di “Abdusir, perchè udì la loro preghiera : li be- nedica. Un altro, (14) anch’esso di Malta, ma rozzo e senza ornamenti, dice: Cippo dell’ Angelo di Ba°al, posto da Nahum al Signore Ba°al- Hammon, poichè udì la voce delle sue parole. Del sentimento religioso offrono pressochè tutte queste epigrafi lucu- (4) N. 165. (2) N. 143. (3) N. 132. (4 Gf. Journ. asiat. Avr.—Juin, 1887 pp. 4604. (5) N. 93. (6) Adon mlkim, titolo dei Tolomei nelle iscrizioni 3, 7, 93, 95, e in quella di Ma‘asub. (7) 132. (8) Nn. 7, 93, 94, 132. (9) Rev. archeol. Janv.-Juin 4888 pp. 5-7. (10) Come in molte iscrizioni arcaiche greche. i (11) N. 91. (12) Noto una volta per sempre che nella trascrizione di qualche nome: fenicio, e qualche volta nell’ interpretazione di certi vocaboli, seguo, anzichè il Cor- pus, altre autorità, ed ometto le vocali più incerte. (43) IN-74:22! (14) N. 123. 2 7 È, x Pi ” dé a Ù Ù x n 2 i è, i A l'in PT ne TRITO TOO CI EGR RSI SIMPATIA, DIL ALPE LETI RNA EVE CIAO DI SPAINI ATTI TRE EI 10 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI lentissime prove, come ce l’offrono quelle dell’ altre stirpi semitiche del l’Assiria e dell’Yemen. Nel primo titolo del Corpus Jehavmelek, re di ‘Gebal, si dichiara costituito re dalla dea Ba°alat; e per gratificarla della sua protezione le innalza un altare di bronzo, un portico coperto da tetto, ed una stela con ornamenti d’oro, mentre a compenso della sua giustizia, le chiede la benedizione, e lunga vita, e protezione pel suo popolo e per gli altri popoli della terra: e chiunque spoglierà il monumento, o ne can- cellerà il nome del re, sia maledetto da Ba°alat, insieme alla sua pro- genie. I re fenicii di Cipro, Ba‘alram (1), Melekjaton (2), Pumaijaton (3), innalzano statue votive, offron patere d’oro al loro iddio, al quale sol- tanto ascrivono i riportati trionfi (4), e da cui implorano benedizione. Esmun‘azar, re di Sidone, è prode ammiraglio; ma al tempo stesso, qual figlio di sacerdoti, edifica templi, e stabilisce in Sidone, magnificandoli, gli dei patrii. Arte di governo, dirà qualcuno; e sia pure: ma quest’ os- sequio dei sovrani alla fede cieca del popolo mostra quanto fosse pro- fondo in questi Semiti il sentimento religioso, di cui il culto esterno, e la stessa superstizione è un riflesso. E di questo culto fanno ampia testimonianza le nostre iscrizioni coi loro emblemi. Tu vedi i templi (5) e i delubri (6), coi loro tabernacoli (7) e altari di marmo (8) e di bronzo (9), ora in mezzo a popolose città (10), ‘ora al rezzo dei sacri boschi e al mormorio di salutari fontane (11). Vedi i lor predii donati dalla devozione dei re (12), che insieme all’ of- ferte dei fedeli (13) empiono le dispense del cenacolo (14). Vedi i por- tici (15), le porte, le valve (16), le colonne (17), i sacrarii (18), le tavole sacrificali (19): e in tanto splendore di marmi e di bisso (20), dinanzi a quei (4) N. 89. (2) Nn. 90,91. (8) N.92. (A)N.9. (5)Nn. 3,45. (6) N.4, lin.4. = (7)N.432. (8) Nn.40,118. (9) N.4 lin.4,nn.140, 443. (40)Nn. 180-437. (44) N. 3 lin. 17. (42) N. 4. (13) Nn. 165, 166. (44) N. 166 lin. 4. (45) Nn. 1 Jin. 6.88. (46)N.7,lin.3. (47) Nn.4,lin.6. 86,A. lin. 13, B.lin. 5. (48) N. 449. (49) N. 175. (20) N. 466. sE oli gi I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI If simulacri di bronzo (1), a quegli idoli di getto (2), agli aurei ceselli ed agli urei (3), il tuo pensiero ricorre agli artefici di Tiro, che, 1000 anni prima di Cristo, Salomone chiamava alla sua corte per edificare il tempio di Gerusalemme. Poi, nei giorni stabiliti dal riluale, tu assisti alla festa - delle primizie (4), ai sacrifizii olocausti, deprecativi ed eucaristici, a quelli averrunci e divinatorii (5). Vedi sugli altari offerte di frutta, di focaccie, di miele, di latte (6): vedi il sacrificatore che tra ’l fumo del A minuto incenso (7), i canti religiosi e le mistiche danze delle sacre fan- ciulle (8), sgozza buoi, vitelli, montoni, arieti, becchi, capre, pecore, uc- celli (9). E alle pareti del tempio, fra migliaia di stele votive, vuoi per guarigione (10), vuoi per altro titolo ignoto, vedi appese le tavole ri- È tuali (11), le tariffe dei tributi, esenzioni e multe (12), stabilite dai ma- gistrati, perchè ai sacerdoti sia corrisposto in sicli od in pelli il prezzo del sacrificio, nè l’oblatore sia vittima dell’ingordigia sacerdotale. Non presumo discorrere qui della religione dei Fenici, nè esporre,. sia pure in breve, ciò che ne fu scritto da Filone di Byblos al Selden,,. e dal Selden al Movers; la cui opera veramente magistrale, benchè ormai non recente, nè scevra di mende, in particolar modo linguistiche, e di chimere mitologiche, può consultarsi sempre con frutto dagli studiosi ;. come lo provano gli accurati lavori sulla Fenicia, e su Cartagine, del Kenrich e del Bosworth Smith, ed i compendii di G. Rawlinson e dello Church. A me basta solo raccogliere dal testo e dai simboli di queste 4 epigrafi tutti quegli elementi che possono gettar luce sulla storia dell’idea religiosa, e sulla teogonia dei Fenicii, intorno alla quale le testimonianze degli antichi eran troppo scarse. Questo compito assai modesto mi è age- volato in più luoghi dalle accurate note del Corpus. Ai molti nomi di divinità delle quali i nostri monumenti fanno espressa menzione, dobbiamo aggiungere quelli numerosissimi che entrano nella com- (1) N. 4. (@) N. 139. (8) NA4lin 4. (4)N. 166. (5) N. 86 B, 165. (6) No. 165, 166. (7) N. 166. (8) N. 86 B. (9) N. 165. (10) N. 183. (41) N. 166. (12) Nn. 165, 167, 169, 170. le re tdi ri re LA ei e 3 12 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI posizione dei nomi personali teofori (1), i quali sono i più frequenti, e che, portati dai re e dai sudditi, avevano l’aria di porli sotto la protezione di- vina. Il loro studio vale a compensare la noja che nasce alla lettura della serie monotona degli ex-voto cartaginesi. Per tal mezzo, se non possiamo formarci un’idea adeguata della figura del Pantheon fenicio, giungiamo almeno a ritrovare molti degli elementi che ne formavano l’ossatura, e sui quali la tradizione era muta. Vengon prima gli dei maggiori, e già noti: I. Ba ‘al, il dio solare per eccellenza, guida del cielo e della terra, motore di tutte le cose, che vediamo in quest’epigrafi adorato nei dintorni di Tiro (2) ed a Cartagine (3), sotto il nome di B a “a l - samèm, il Bal- samem di Plauto e di S. Agostino; a Caralis (4) B assamém,o St- gnore dei Cieli; a Citium (5) sotto quello di Ba °‘al-merafe, Signore Sanatore; ed a Sidone (6), nel Libano (7), e probabilmente in Hammon, antica città di Fenicia non lontana da Sidone (Zos. XIX, 20), coi nomi di Ba‘al-Sidon, Ba°fal-Libanon, Bafal-Hammopn (8), cioè Sw (1) La struttura di questi nomi é, di regola, identica a quella degli ebraici. Per lo più un nome divino è seguito da un perfetto, o raramente da un imperfetto jussivo, che ne spiega l’azione: ovvero è preceduto da un nome allo stato costrutto, che desi- gna il carattere della persona, o il suo rapporto colla divinità. Più di rado un per- fetto o un imperfetto jussivo, precede il nome divino. A volte quest’ultimo è rappre- sentato per brevità da un pronome suffisso ad un sostantivo, o è spesso sottinteso ad una forma verbale o nominale. I nomi divini che per lo più entrano,in. queste com- posizioni son quelli dei numi maggiori; ma non mancano quelli delle divinità seconda- rie, urbiche, o straniere. Eccone qualche esempio: Ba° a lsamar (n. 7) (Quem)-BaSal- custodit— Melqarthilles (n. 234) (Quem)-Melgart-liberat — ‘Abdtanit (N. 116) Servus-Tanitidis — S afa tb à ‘al (n. 179) (Quem)-Ba'al-iudicat, — Ie h avmelek (n. 1) (CO LIGA RIA do (n.65) Servus-ejus (sc. dei) — Samar (n. 193) =Samarbaal (n.384) Serval-Ba‘al—Ger (n.52)=Ger“a Storet (n.240) Hospes-Astar- tae etc. (2) N. 7. (3) N. 379. (4) N. 139. (6) N. 41. (6) N. 3. (7) N. 5. (8) Cf. n. 8, e l’iscr. di Ma ‘asub, lin. 4 (Rev. arch. 1885) ove Hammon, benché ri- ferito ad ‘Astoret, può esser nome geografico. Sul Ba “a l - Hammon di Cartagine V. appresso. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 13 gnore di Sidone, Signore del Libano, Signore di Hammon ; come nelle iscrizioni assire di Asarhaddon e di ASSurbanipal troviamo Istar sa Ninà Zstar di Ninive, 16 tar sa Arba‘ilu ; Istar di Arbela, ed in quelle del Yemen Ta ‘lab Riyàm, cioò Ta lab patrono del villag- gio di Riyim; e come oggidì dai Cattolici si venera la Madonna di Mon- tenero, quella di Loreto, ete, Un cippo trovato a Masnaga, ed ornato la- teralmente di folgori, rappresenta Ba ‘al col capo radiato (1). II ‘Astoret, dea lunare, simbolo della natura, della fecondità e del- l’amore, le cui sembianze ci sono offerte da pietre incise, e da monete di Tiro, Cesarea in Samaria, Elia Capitolina, Sebaste, ete., era, secondo le nostre epigrafi, grandemente venerata in Sidone (2), dove aveva due templi, fondati, o restaurati, nel terzo secolo a. C., dal re Esmun‘azar. In uno di questi era chiamata col nome di “A storet sem-Ba‘al, Astarte nome di Baal, e può darsi, che o l’uno o l’altro fosse quello fody... péyz, td Xdibyo: Fou rammentato dal Pseudoluciano (3) con altri antichi e grandi (&oxeîx x2 peyX2) della Siria. Un terzo tempio le sorgeva in Citium (4): un quarto in Gaulos (5), insieme a quello di Sidomba“al ‘e d’altre divinità di cui si perdè il nome. Le loro rovine (la Giganteia) sfidano l’ira dei secoli. Sulla vetta dell’ Erice, accanto agli avanzi delle mura credute fino a jeri ciclopiche, mentre, per la scoperta del Salinas, appaiono puniche, si vedono anc’ oggi gli estremi ruderi d’altro tempio famoso. Ivi era adorata sotto il nome di Aruk-haim, Salute dei vi- venti (6); e pare che lo stesso nome avesse anche a Caralis (7). In una iscrizione cartaginese s'învoca come ‘Astoret haadrt, Astarte la po- tente (8), che è l’ “Acton È) perio di Sankunjaton, e da un altro ti- tolo della stessa città (9) rileviamo l’esistenza d'una congregazione dei de- (1) RENAN, Miss. de Phén. PI. XXXII, 2. (2) Nn. 3, 4. (3) Hepì tig Zup. 0s0d5.5 4,9. (4) N. S6A. (5) N. 4132. (6) N. 135. (7) N. 140. (8) N. 255. (0) N. 263. SARE eredi ia fi a 14 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI voti d’ Astarte (i se ‘Astore t), cui pare fossero ascritte ancora donne di condizione servile. L'iscrizione citata di M a ‘as u b rammenta un’ “A s t 0- ret-beaserat el Hammon, che può tradursi per ‘Astoret nel bo- sco, divinità di Hammon. Cf. Iudd. VI, 25, e Ios. XIX, 28. IN. Melqgart, cheè quanto dire melek qaret, o Re della for- tezza (oppidum) è il dio protettore di Tiro (Baal Sor), e nella parte greca dell’ epigrafi maltesi (1) è chiamato “‘HpayA7g &pyyyétns. Lo stesso carattere doveva serbare in Cartagine, anch’essa, siccome Melita, colonia di Tiro, dove aveva un tempio (2); per non dire d’altri famosi che le nostre iscrizioni non rammentano, quali p. e. quello di Gades, e prima di tutti i due di Tiro, uno nell’isola sacra (7 «y{x v700g), che durava fin sotto Com- modo e S. Giovanni Crisostomo, l’altro nella vecchia Tiro (i) rà Topos) che ad Alessandro fu fatto credere il più antico. IV.Esmun, ossia l Ottavo (deiKabbirim), convertito dai Greci in Escu- lapio, aveva un tempio a Sidone costruito da Esmun‘azar (3) : un altro famoso in Cartagine (4) nella vecchia acropoli di Byrsa, ovepare che con Tanit e con Ba al-Hammopn costituisse la triade suprema. In Sardegna chia- mavasi Esmun-Merre (gr. Mnpei), che può interpretarsi per Esmun Sanatore (5). V. Ba‘alat, cioè la Signora, la BaotXea B7Xus di Megastene, BaaAtic e Bis d’altri autori, che Filone identificò con Dione, Esichio con Era o con Afrodite, e per gli Assiri era moglie di Bel, e madre dei grandi dei, mentre in Egitto sopra un monumento tebano della XIX dinastia è una cosa sola con Hat-hor. Nella prima epigrafe del Corpus apparisce co- me dea protettrice di Gebal o Byblos, ed in alto alla stela, sotto l’aureo disco solare alato (aapi) e cinto dagli urei, è effigiata a sedere, sotto le umane sembianze di Hat-hor; ha il globo cornigero sul capo, nella sinistra lo scettro ornato del fiore di loto; la destra è in atto di benedire, mentre il re Iehavmelek in piedi, con mitra e tiara persiana, le offre una (1) Nn. 122; 122 bis. (@) N. 264 (8) N.3. (N. 252 (9. N. 143; I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 15 ; patera sacrificale. Ma oltre che a Byblos essa aveva un tempio a Carta- È gine, dov'è associata ad Amm a coi nomi di Rabbat Baalat ha- hedrat (1) che posson tradursi per Signora Ba'alat del penetrale. È Seguono due divinità di prim'ordine, delle quali gli scrittori non fanno menzione, almeno sotto i nomi che troviamo in queste epigrafi. VI. Tanit (2). È ilnume tutelare di Cartagine. Le iscrizioni, che (3) i di regola ne associano il nome a quello di Ba‘al-Hammon, la chia- mano quasi sempre Rabbat, pene-Ba°al, o Signora, faccia. di Baal. IL nome di ’Aptendwpos, con cui nella parte greca d’un titolo bilin- gue d’ Atene (4) venne tradotto l’ ‘Abdtanit, ne fa una dea ver- gine; e ciò ben s'accorda col nome di Virgo Coelestis, con cui i Latini chiamarono la dea o il genio tutelare di Cartagine. Questo genio, che ha somiglianze più o meno decise con Urania, con Venere, con Diana mul- timammia, con Bellona, con Cerere, con Vesta, fu chiamato ancora Iuno t- Coelestis: ed anche ciò è confermato da due importanti iscrizio- È ni (5), nelle quali Tanit è detta E m, Madre, od Em rabbat, gran 3 Madre. Però gli emblemi delle stele di Cartagine, e 1’ epiteto pen e - Baal mostrano che Tanit, più che altro, è un’emanazione, un riflesso di Baal, quindi una dea lunare, come ‘Astoret, per non dire la stessa ‘Astoret dei Peni. Non c'è da far molto caso dei titoli car- taginesi 401, 402 e 419, che muterebbero Tanit in una divinità mascolina, perchè spettano agli ultimi anni di quella repubblica, quando le scorre- zioni epigrafiche divengono ognor più frequenti. Ad ogni modo, se non si tratta di scorrezioni del lapicida, il fatto può confrontarsi colle parole di Macrobio Sat. III, 9. «Si deus, si dea est, cui populus civi- tasque Carthaginiensis est in tutela,» e coll ‘Astor-Ke- È mos dell'iscrizione di Mesa” Il nome di Tanit, che forse perdura in quello di Tunisi (T5yt), non occorre mai negli scrittori greci e latini, né s'incontra fin qui che sulle stele puniche, per lo più di Cartagine: ma in nomi teofori l’abbiamo di sopra veduto apparire in qualche titolo f e- (4) N.4177. (@) N OTunit? (3) Nn. 180-420. (4) N.416. (5) Nn. 195, 380. ie «> PO RETE RIO PERI IR I III SR x di 16 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI nicio. Il suo tempio di Cartagine, che, a giudicarne dal numero delle stele scoperte, doveva essere, se non come quello riedificato poi dai Ro- mani, pur nondimeno assai grande, sorgeva sulla collina minore vicina alla Byrsa, dove ora è la Cappella di S. Luigi. L'importanza del suo culto è attestata ancora dal fatto, che sugli ex-voto punici di Cartagine il suo no- me, salvo rarissime eccezioni (1), è posto sempre innanzi a quello di Ba‘al-Hammon. Alcune epigrafi pubblicate dall’Euting, mostrano an- che in Hadrumetum congiunte le due divinità, colla stessa distinzione ge- rarchica; e ciò avviene pure in qualche titolo neopunico dell’evo romano: ma in altri di Cirta Baal-Hammon ha la precedenza; ovvero è solo, come in più luoghi dell’Africa (2), a Lilibeo (3), ed a Sulci (4); sia che ivi Tanit non avesse alcun tempio, sia che il suo culto si fosse illanguidito. Del titolo 403 di Cartagine, ove non figura il suo nome, ma sol quello di Ba‘al-Hammon, e dei 190, 408, anch'essi cartaginesi, ove al con- trario è sol rammentata Tanit non dobbiamo far molto caso, potendo l’omissione esser dovuta a negligenza del lapicida. VII.Ba‘al-Hammon (5), ed eccezionalmente ancheHammon (6). È una forma secondaria di Ba ‘al, il cui secondo nome può derivare dal- l’antica città cananea omonima: ma può anche darsi che sia un riflesso dell’Egizio Hemen—da cui forse ihammanim o simulacri solari d’Isaia, come i ba ‘alim da Ba°al, e gli aserot da ‘Astoret beaserat— che, o per qualche attributo, o per la somiglianza del nome, agevolata in fenicio dal noto passaggio del het in alef, si sarà poi confuso col Zads “Appoy, Iupiter (A)ammon della Cirenaica, che non è altro se non ’Amen—Ra di Tebe, il dio solare per eccellen- za: onde l’ariete (7), e il capo barbuto (8) delle stele di Cartagine, ov'era, fra gli dei maggiori, il r&pedpos di Tanit, e dove aveva tempio particolare fra la Byrsa edi porti, accanto al foro. Ma il suo grado, più modesto in (4) Nn. 406, 407. (2) Corp. p. 180. (3) N. 138. ‘) N. 447. (5) Nn. 1€0-420.. (6) Nn. 404, 405. (7) Nn. 398, 419. (8) N. 408, fa I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 17 origine, ci è attestato dall’ aggiunto di ‘a bd Molok-‘Astoret serzo p À di Molok - Astarte, che gli vien dato nella citata iscrizione di Ma°sub (1), non che dal secondo posto assegnato, di regola, al suo nome sulle stele 4 cartaginesi sacre alla coppia solilunare (2). i Le varie formule dedicatorie, e i particolari delle iscrizioni religiose, : La non che i nomi teofori, ci offrono inoltre cinque categorie di divinità se- condarie, o meno celebri, o di culto più circoscritto. A) Divinità già note per la tradizione. Melek, o Molok (3), fe, antico dio degli Ammoniti (1 /teg. XI, 7), cui gli stessi re di Giuda, sugli alti luoghi della valle di Hinnom abbru- ciavano i figliuoli (2 Paral. XXVHI, 3). Vuolsi generalmente che il È Kpévos di Diodoro (XX, 14), al quale i Cartaginesi offrivano olocausti con- dl simili, non fosse altro che Molok (4). — Adoni (5), 0 Signor mio, simbolo del sole invernale, identificato coll’ ’EXoov, od “Yates di Sankun- jaton, e adorato specialmente a Byblos, dove il suo culto si confuse con quello di Tammuz.—El o Il(6), Dio, adorato specialmente dagli Assiri, che i Greci compararono a Kronos, ed i Rornani a Saturno. — Elim (7), il cui nome non è che un plurale di maestà, o d’ eccellenza, del precedente. — Alon (8), col suo plurale Alonim (9), che l'iscrizione di Esmun‘azar chiama haqqedosim, cioè santi, e che insieme alla forma femminile plurale invocata nel Poenwlus (v. 1, 1), Alon uth, era un nome gene- rico, indicante tutti gli Dei e le Dee. —Elat, femminile singolare di El, è nome d’ una divinità punica venerata a Cartagine (10) ed a Sulci in Sardegna (11); ed è assai probabile che il suo culto fosse straniero, Ù (4) Linn. 2, 3. (2) Le 426 stele latine raccolte dal de la Blanchère ad Ain-Tunga (l’antica Thigrica), ed illustrate dal Berger e dal Cagnat, sostituiscono al nome di. Ba‘al-Hammon quello di Saturno; ma coi loro emblemi provano che Roma, ben lungi dal distruggere, propagò nell'interno dell’ Africa da lei conquistata l’ elemento- i fenicio, schiacciando solo le potenti metropoli. (3) Nn. 10, 50, 176, 429, etc. 3 (4) V. tuttavia la nota qui sopra. (5) N. 332. (6) N. 406. (7) N. 86. (8) Cor- A ‘pus pag. 296. (9) N. 3, linn. 9, 22. (10) Nn. 243, 244. (41) N. 149. PI START TIE RITI SIOE cia Li tei ii vie 18 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI giacchè si trova molto in voga fra i Palmireni, i Nabatei, e gli Arabi: ma non è certo che sia I ‘EMwe identificata dai Greci con Europa e con Atena. — Gad (1), o la Fortuna -Rabbat Amma (2) o St- gnora Madre, probabilmente presa ‘alla Siria, e identica a Rea o Cibele, P°Appd dell'Etymologicum Magnum.—°Anat (8), detta 0z-haim, Forza di vita, nel titolo di Lapethos, ove corrisponde ad ’A9mnv4à Zetepa, e iden- tificata da alcuni coll Anaitis persiana. — Rimmon (4), 0 l eccelso, di- vinità dei Siri. — Bel (5), dio dei Siri e degli Assiri, riguardato da questi ultimi come padre degli Dei (abu Ili), ed in origine identico a Ba°al. — Malkat, o Milkat (6), la Regina, una delle forme d’ Astarte, la Me- leket hassamaim, o Regina dei cieli di Geremia (VII, 18, etc.). — Nebo (7), il Mercurio degli Assiri. — Nergal, il grand’ eroe assiro, dio della caccia e della guerra, e ad un tempo il pianeta di Marte; che i Sabei adoravano sotto la figura di una statua di ferro, che impugnava con una mano una spada, e coll’ altra teneva pei crini un capo reciso. Non è dif ficile che avesse un tempio al Pireo, che pullulava, come Atene (8), di culti stranieri: certamente vi ebbe sacerdoti di nazione fenicia (9). — Mitra, il noto dio solare persiano fu, senza dubbio, venerato in Siria; ma non può affermarsi con sicurezza che il nome d'uomo Mtr del titolo 137, ed Hadr. 9, che è pure nell’iscrizioni berbere, sia indizio del suo culto. — Per altre divinità, secondarie o no, indigene o straniere, come Kemos, Dagon 0 Sitoy, Hadad, Sydyk, i Kabbirim, Atergatis o Der- keto, Onka, Ba‘al zebub, Nisrok, ed altre, rammentate dalla tradi- zione, non trovo nulla in queste epigrafi. B) Divinità prese all’Egitto, e note in parte anche agli Aramei. Usir (10) od Osiride, eg. User, Asar.— As (11) od Iside, eg.—,. ed As-t, che sull’ edicole puniche di Sardegna è figurata in piedi, con stola, (1) Nn. 378, 383. EuTING Samml. n. 163. (2) N. 177. (8) Idal. 7 e Corp. n. 95. (4) Iscriz. 1% altibur. lin. 3. (5) N. 119. (6) Nn. 231, 386. (7) N. 102 d. (8) N. 118. (9) N. 119. (10) Nn. 9), 13, 122, 123! (11) Nn. 50, 139, 308, 329. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 19 e colla croce ansata nella destra (1). — Ubast (2) o Bubaste, eg. Bas-t, Bes-t.—Hor (3) od Oro, eg. Hor.—Ptah (4) [Pt? n. 112 @], il de- miurgo per eccellenza. — Sopra Hammon v. retro VII, e sopra Neit e Hnum vedi innanzi. — Resef (5) od Arsef (6), il R espui dei gero- glifici, che non era propriamente un dio indigeno del Nilo, ma che gli Egizii presero a prestito dalle nazioni arabe o siro-fenicie, come Bar ed Astarta. L’Apollo di Amyklea ('Axé}wy "ApvrA0c), che gli Achei ave- vano introdotto in Cipro dalla Laconia, divenne per questi Fenicii Resef- Mukl (7), o semplicemente Mukl (8). L'iscrizione 10 ci offre un altro nume congenere in Resef-Hs, che per alcuni è una specie d’ Apollo éxampoXos, se il suo attributo è la. eg. ed ebr. hez, giavellotto, saetta: ma il Clermont-Ganneau (9) lo trae da huz, muro, piazza in ebr., onde un dio affine all’ Apollo ’Ayvtebs od "A yucdong: altri con più fondamento ci vede un appellativo etnico. Finalmente le due stele bilingui di Tamassos (Frangissa) (10) offrono altri due Apolli, detti nel testo ciprio Azethwy “E- Meltas ed ’ArbXiwv "Alzira, e nel fenicio Resef-Eleit e Resef-Ala- hiotas: il primo fu così chiamato da “Elos città di Laconia : il nome del secondo fu confrontato, fra gli altri, con °AXjstoy, monte di Mantineia, e coll’omerico redioy “AX}iov (Z, 201) della Licia (11). C) Divinità gemine. a] Mascoline. Esmun-Melqart venerato a Citium (12), ove doveva avere un tempio. — Molok-Ba°al adorato a Malta (13), a Sulci (14), a Cartagine (15) —Molok-Usir adorato a Malta (16). Il Clermont-Ganneau ed il Berger credono che in luogo di Melek o Molok sabbia a leggere malak, nunzio, angelo, cioè una parvenza divina, o il nume stesso che (1) N. 148. (2) Nn. 86 B, 102, «. (3) Nn. 46, 53. (4 N. 111 a. (5) N. 14. (6) N. 251. (7) Nn. 89, 90, 91, 93, 94. (8) N. 86 A e B. (9) Rev. crit. 1887, 4, pag. 396. (10) EuTING: Sttz. d. Berl. AR. 1887: BERGER: Comptes-rendus etc. 1887, XV. Id. Rev. arch., 1887, Juill.- Déc. p. 109, ete. (11) Cfr. MEISTER Die | griech., Dialehte II, pp. 129, 170-173. (12) Nn. 16 a ed, 23-26. (43) N. 4123. (14) N. 147. (15) Nn. 194, 195. (16) N. 123bis, a n Ae a e i e n e i 20 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI d’ invisibile diventa visibile ai mortali. E ciò potrebbero confermare le ficure, alate o no, scolpite su qualche stela cartaginese (1): ma l espres- sione malake Molok-Astoret, nunzii di Molok-Astarte, dell'iscrizione di Ma°sub (2), e il n. p. m. Ba‘almalak (nn. 182, 218 ete.), fanno, per la diversa grafia, ostacolo non leggiero (3). —Melqart-Res ef (4) (s=S). — Intorno a Ba‘al-Hammon v. sopra. i b] Androgine. Molok-‘Astoret adorato nei dintorni di Tiro (5), ed a Cartagine (6), dove aveva un tempio. — Esmun-‘Astoret (7), con tempio a Cartagine. c] Ginandre. Neit-Mn (8), unione delle divinità egizie Neit ed Amen, o di Neit con Hammon.— Sidom-Ba‘al (?) (9) con tempio in Gaulos. Sidon può essere la dea xd0y di Sankunjaton. d] Di ‘ 8€s50 incerto. Sed-Tanit, che aveva un tempio a Cartagine nel quartiere di Megara (10) — Sed-Melqart (11): Ba°al-Safon (12), ambedue con tempio a Cartagine. Intorno a Sed e Safon v. appresso. Hator-Miskar (13), con tempio a Cartagine. Non 5 certo che si abbia in Hator leg. Hat-hor.— (Per Miskar v. E.) D) Divinità greche. Persephone-Kore, il cui culto fu introdotto in Cartagine nel 396 a. C. Finora non se n’ è trovato il nome sull’ epigrafi: ma il Lenormant la credette effigiata sull’ elegantissima stela cartaginese del Museo di To- rino (14). In graziosa edicola sostenuta da due colonne doriche, sotto un fastigio ornato ad’ acroterii, nel cui mezzo è sdrajata una svelta pantera col capo volto all’ indietro, sorge in piedi la dea virginalmente velata, con un canestro di frutta nella sinistra, e colla destra in atto di rimuovere il velo. (4) Nn. 183, 194. (2) Linn. 2, 3. (8) Altri spiega Melek-Bafal, Melek-Usir per Re è Baal, Re è Osiride. (4) Vogue: Journ. astat. 1867, IL 165. (0) N. 3. (6) N. 250. (7) N. 245. (8) Grande iscr. neop. altibur. lin. 7. Ba‘al-Mon per Ba‘al-Hammon è frequente in neopunico. V. ScHRODER, Die phon. Spr. pp. 88, . 89, not. 17. (9) N. 132. Pel Blan é6=SaXdpxg od Iside. (40) Nn. 247, 249. (14) N. 256. (42) N.165, cfr. n. 265. (13) N. 253, 254. (44) N. 176. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 24 E) Divinità d’etnico incerto e di carattere per lo più i- È gnoto. : Askun-Adar venerato al Pireo (1): sul dio Sakun v. appresso. È A incerto se il secondo vocabolo sia nome divino, o l aggettivo addir, potente, o un nome urbico (Jos. XV, 3). - Em-haezrat, Madre-del-soc- ; corso, aveva adoratori in Citium (2): forse è una cosa sola con Amma È: ed ‘Astoret.— Hnum (3), in cui il Berger vide l eg. Xnum (Xvo5j) î il demiurgo, il Maspero, un ignoto dio libico, l’ Halévy Osiride. —I se- guenti non occorrono che in nomi teofori: Semes, 4 Sole (4), il Samas od El-Samas degli Assiri. — Aris (5), che potrebbe confrontarsi col gr. *Apns. — Aziz (6), forse il Marte dei Siri. —Edom (7).—Bohu (8), È confrontato col bohu, il vuoto, della Genesi (I, 2). —Do°m (9). —He- i kal (10). —Mar (11) o Signore, degli Aramei.—Marna (? 12), confrontato col Mxpyé<, il Giove o Ba'al di Gaza. — Sasam (13). —Sad, Sed o Sid (14) in cui fu veduto il Sut(i) o Set dei geroglifici, ovvero un dio cacciatore, l’Aype5s di Sankunjaton: può anche confrontarsi il suo nome coll’ ebr. Sed, pl. Sedim.—Sakun (15) od Askun (16), che fu supposto 1’ “Epu?g dei Greci. — Safon (17). — Miskar (18). —Pa‘am (19) —Pumai (20), che, se corrisponde a Ivyueos, può paragonarsi per la deformità a Bes od a Ptah fanciullo. —Iol (21) od ’ISàzo. — Ho (? 22). —Hor (23). — Mnqst (? 24). —“At (25), che pel Baethgen sarebbe l’Athe, divinità pal- mirena. —Ad (26). —Hauran (27) —Sara o Sado (28) — Resin (29). RECANATI (2) N. 13. (3) Iscr. neop. di Cherchell. Rev. archeol. 1888, XII pp: 236; 244. (4) Nn. 116, 117. (©) N. 393. (6) N. 252. (7) N 295. (8) N. 292. (9) Nn. 115. (10) N. 112 d!. (11) N. 60. (142) N. 16. (13) Nn. 46, 49, 53. (14) Nn. 102 @, 236. (15) N. 112 a. (16) N. 118. (17) N. 265. (418) Nn. 267, 972. (19) N. 112 c', c°. (20) Nn. 41, 12. (24) N. 132, e fre. d’iscr. d’ Altibur. Journ. as. Avr.-Juin 1887. (22) DeRENBOURG J. et H. Inscer. d’ Abyd. 5Ibis. (23) Id. 9. (24) Id. 36. (25) N. 93. (26) EutInG Sammi. N. 138. (27) CLERM.-GANNEAU Sceaua 17. (28) N. 355. (29) Iscr. 1 altibur. 2, 3. Va g* x Ele eu, A ti verde x dà n a RAEE TT 8 AE NO DAI LI, REMRER INT, SECO LE PORRE Sp APT DOTI bi 22 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI — Salaman (1), in cui il Renan vede la dea palmirena ZeXauivig. — Le- sept (2), che secondo il medesimo può avvicinarsi alla divinità dei Siri Nesept. Tutte queste potenze divine (3), coi loro templi (4), avevano natu- ralmente respettivi sacerdoti (5), soggetti ad un capo (6), che talora era augure (7); sacerdotesse (8); ministri od fepédovXor (9), e congrega- zioni d’ambo i sessi (10). Non è necessario supporre che fosse pur ascritto a queste congregazioni chi nell’ epigrafi è qualificato come “a b d ‘Asto- ret(11), servo d’Astarte, ‘abd Sed-Melqart (12), servo di Sid-Melgart ete., potendo questi vocaboli significar semplicemente un devoto o cultore d’ Astarte, etc.; se pur non vogliamo supporre che queste espressioni equi- valgano per ellissi ad “abd bet ‘Astoret, ‘abd bet Sed-Melqart, come vediamo in altri titoli “abd bet Sed-Tanit (13), abd bet Molok- ‘Astoret (14) etc., cioè servo della casa d’ Astarte, di Melgart etc., e come qualche volta succede nelle iscrizioni latine: nel qual caso non avremmo che dei ministri del tempio: ma lamat elim, serva degli dei del titolo 378, induce ad abbracciare piuttosto la prima supposizione. L’ iscrizione sopraccitata di Ma°sub rammenta ancora (15) certi elim 0 potestà, nunzii(malakim) di Molok-‘Astorete di Ba‘al Hammon; vale a dire sacerdoti (Mal. II, 7), o profeti (Zagg. I, 13) di quelle divinità, che nell’ anno 26 del regno di Tolomeo Evergete (222 a. C.) fecero delle costruzioni nella Siria, innalzando fra 1° altre cose in Hammon, od in altra località verso Tiro, un portico ad ‘Astoret-beaserat (cfr. que- sl’epiteto coll’aserat Deut. XVI, 21). (1) e (2) Rev. crit. 241 avr. 1890. (3) alonim, n. 1, lin. 10, alonim hagqgqedosim, n. 3, lin. 21, alonim valonuth, pLaur. Poen. V. 4, 1, elim, n. 378. (4) botte alonim, n. 3, lin. 15. (5) cohenim, nn. 243, 245, 246, kemarim, Iscr. 1* al- tibur. lin. 7, e probabilm. anche n. 166, lin. 6. (6) rab, nn. 119, 244. (7) sofe ‘al kemare Neit-Mn, Iscr. 1* altibur. lin. 7. (8) cohnot n. 3, lin. 15. (9) ‘abde bait, nn. 207-254. (10) ‘uammot asim, n. 263. (14) N. 255. (12) N. 256. (43) Nn. 247-249. (44) N. 250. (45) Linn. 2, 3. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 23 Alla famiglia del tempio (1) appartenevano più particolarmente, se- condo l’epigrafi, gli scribi col loro capo (2), i sacrificatori (3), i vela- rii (4), i portinaj (5), i servi (6),i barbieri (7), gli accenditori di lumi (8), i fabbri (9), le cantatrici o suonatrici (10). L'iscrizione importantissima di Citium, scritta ad inchiostro sopra una pietra nel 4° secolo a. C. ram- menta inoltre i gerim (11), ospiti od inquilini, ed i kelabim, cani. Nei primi possiamo vedere col Corpus tutta quella gentaglia che abitava presso al tempio, e ne traeva di che vivere con umili servigii. Quanto ai secondi non è certo se dobbiamo riguardarli col Berger come turpi cinedi (Dewt. XXIII, 18, 19), ovvero per veri cani, tenuti a custodia del tempio, come vuole l Halèévy (12), o per sanare leccando le piaghe, come opina il Reinach (13). Fra le imagini che si riferiscono al culto fenicio è notevole quella scolpita sul cippo votivo di Lilibeo (14), esistente nel Museo di Palermo. Nel centro d’ un’ edicola vedi effigiato un 7vpetov 0 Bupietijproy, simile a quello dei vasi greci: a sinistra, il simulacro di Tanit ed il caduceo: a destra un uomo in piedi in atto di preghiera, con veste talare scollata, a lunghe pieghe, e berretto in forma d’apex. Nella parte superiore del- l'edicola, sotto la mezza luna inversa con disco, è un simbolo oscuro, | formato da due cippi di pari altezza che ne fiancheggiano uno più alto, e posati con questo sopra un sostegno, che potrebbe anche prendersi per un altare, o per una tavola sacra, come l’uth degli Egizii: chi vede in questi cippi i raggi del sole; chi le dita della mano divina che bene- dice; chi la suprema trinità di Cartagine. È poi d’ un’ importanza grandissima per la storia dell’ idea religiosa, (d) fam bait, n. 264. @) rab soferim, n. 86 A. (3) zobehim, ibid. (4) parokim, ibid. (5) adamim ase ‘al dal, ibid. (6) ne‘arim, ibid. (7) gal- labim, ibid. gallabe elim tonsores sacrorum 257, 259. (8) megaddehim, N. 1392. (9) harasim, n. 86 A. (10) ‘alamot, ibid. B. (14) ibid. A. (12) Rew. des Goxca Juives 4884, IN, p. 173. (13) Rev. arch. 4884, II pp. 110, 129, 135, Rev. crit. ASS4, p. 504. (14) N. 4138. DI ROSI TRARNE ARRE E N LE RESTO] SARA MEG ari 24 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI e per quella dei costumi e dell’arte fenicia, la serie degli ex-voto carta- ginesi a Tanit ed a Ba‘al-Hammon (1). Questi titoli, che dalle prime scoperte del 1817, fino ai di nostri, ascendono ormai a qualche migliajo, sono scolpiti sopra stele di calcare compatto o d’ arenaria; liscie soltanto nella parte inscritta, scabre ai lati, e di dietro; alte, per lo più, quando intiere, e lo sono di rado, da 0%, 30 a 0%, 44, e larghe da 0%, 125 a 0,445; ordinariamente quelle mutilate oscillano fra 0®,45 e 0%, 25 d’ altezza, 0®, 12 e 0®, 17 di larghezza (2). Parte dovevano esser murate alle pareti del tempio, e lo provano le tracce di gesso nei lati non iscritti; parte piantate in terra, e son quelle munite di peduncolo (3), o scabre in basso, e con largo spazio vuoto (4): nè par che tutte spettassero ad un tempio solo. Le più vecchie offrono l’elegante scrittura punica delle monete, delle tariffe sacrificali, e dei titoli pubblici di Cartagine: le più recenti hanno qualche lettera neopunica; anzi alcune poche sono interamente neopuniche: tutte poi abbracciano un periodo non maggiore di due secoli, nè offrono alcun indizio della dominazione romana: quindi son certo anteriori, sia pur di poco, all’anno della catastrofe (146 a. C.) Moltissime son guaste nella base e nel fastigio, nè il guasto è sempre recente; chè cresciutone a dismisura il numero, mentre ancora fioriva Cartagine, si dovettero toglier via dal tempio le più antiche, per far posto alle nuove, ed ammucchiarle in grandi fosse od in cumuli a foggia di muro, dove le rinvennero gli sco- pritori. All’ infuori del cippo 184, che è rotondo, in forma di torre mer- lata con porta e finestre, tutti gli altri ex-voto si possono distribuir come segue : a) Stele lunghe a lati paralleli, o di rado convergenti verso la base (5); con base quasi quadrata, e fastigio ad an- golo acuto, di rado ottuso. È il tipo più rozzo, ma forse il più antico: alcune (6), per 1° elegan- (1) Nn. 180, 407. (2) Eccezioni: alt. 0”, 67, largh. 0”, 17 (n. 187) alt. 0®, S0,. largh. 0%,08 (Sainte-Marie, 1678). (8) Corp. p. 280. (4) Nn. 488, 189, 192, 348 ete. (5) Nn. 188, 189, 397. (6) N. 185. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 25 tissima loro scrittura, e per le forme grammaticali corrette, possono anche risalire al 4° secolo: altre rivelano il primo apparire del neopunico (1). b) Stele lunghe a lati paralleli, con fastigio ad angolo acuto, qualche volta ottuso, fiancheggiato da due acroterii. È il tipo più comune, non di rado elegante, che assume talora la forma di capitello o di edicola, imitando, più o meno abilmente, i modelli greci. Cfr. i nn. 180, 258, 257 di graziosa o nitida scrittura, benchè l’or- tografia del primo volga al neopunico, contro ai nn. 183, 190, 200, 246. €) Stele assai larghe e poco lunghe, con lati paralleli e fastigio alquanto ottuso, fiancheggiato da due acroterii(2). I titoli di questa categoria, che, a differenza degli altri non conten- gono di regola più di tre linee, e qualche volta ne hanno due sole (3), ‘abbondano di simboli monotoni e di scorrezioni grafiche: la scrittura è lunga, non di rado, e contorta; chiari indizii di decadenza. Cf. nn. 324, 878, 404 etc. L’ iscrizioni di queste stele son brevi, e si rassomigliano quasi tutte. Vien prima la dedica Aa Signora (4), Tanit faccia di Ba°al, ed al Signore, Baal Hammon: poi la formula: [voto] che votò; di rado [dono] che donò (5) — e il dono non è altro che la stela ornata d’ emblemi —, seguita dal nome dell’ oblatore, che è accompagnato spesso dall’ indica- zione della sua dignità, o professione, e dalla genealogia, se l’autore del voto è un uomo: se è donna, spesso se ne fa a meno. Il titolo si chiude non di rado colla formula: perchè (Tanit) esaudì la sua voce, lo benedica, od altra congenere (6). Quando la formula manca, va sottintesa. Oltre al titolo, e ben di rado senza il titolo, queste stele offrono ornati, (1) N. 231. (2) Nn. 226, 346, 404 ete. (3) N. 404. (4) Un ex-voto del Museo. di Treviso, che pubblicai nel VessiZlo israelitico, Giugno 1886, ha lerabbatenu, alla nostra Signora, come in quello di Hadrumetum edito dall’ EuTING P. S. p. 24. Altri titoli, p. e. il n. 33 del Vaux, hanno ladonenu, a Sîgror nostro, come in un titolo maltese (Corp. nn. 122, 122bis), (5) Nn. 411-416. (6) N. 196. POTRESTE I II ORARIE PITTI A PIRATE TT E ET AO OE I RETI 26 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI fisure divine, simboli, oggetti d’arti e mestieri. Gli ornati di stile egizio e assiro sono scarsissimi: qualche colonna con capitello sormontato dal crescente lunare, su cui poggia una testa muliebre (1); il globo alato cogli urei (2), motivo tanto frequente sugli stipiti delle porte fenicie; il tratto d’ onde (3); il rosone (4) ed il rosoncino (5), che ritroviamo, è vero, sugli antichissimi vasi di Micene, anteriori all’ influenze orientali; poi, in- digeni o no, sulle stele ateniesi, e sui sarcofaghi di Sidone spettanti al periodo greco; ma che figurando sui monumenti di Fenicia non ancora ispirati dall’ arte greca (6), ben possono le colonie di Tiro e di Sidone aver ricevuto dalle metropoli, le quali alla lor volta gli avranno copiati direttamente dai monumenti dei Faraoni, e dai palazzi di Babilonia e di Khorsabad. Altri ornati, spettanti per lo più all'arte greca, o in parte co- muni a questa, sono le curve concentriche degli acroterii (7), e 1° antefissa a foglie d’acanto ed a palmette, ora di stile corretto (8), ora rozzissimo (9); i fregi d’ uovoli separati da freccie (10), di triglifi (11), di sbarrette ver- ticali scempie o doppie (12), o alternate con dischi (13); di diagonali paral- lele (14), o che si intersecano a guisa di siepe (15); di fogliette (16); di linee orizzontali (17) e ondulate (18): finalmente le volute di capitello (19) e le colonne joniche, che poggiando, o sopra un fregio (20), o sopra un tratto d’ onde (21), o sulle bozze d’un muro (22), fiancheggiano il titolo, e formano col fregio superiore come una porta, che a volte, pei suoi tralci e volute, arieggia quelle degli odierni palazzi di Tunisia (23). E rarissima su queste stele la:rappresentazione di Tanit in forma (1) Corpus, pag. 280. (2) N. 325. È pure in bella moneta aurea punico-sicula del Museo di Palermo. UGDULENA, T. II n. 1. (3) Nn. 189, 226, 323. (4) N. 264, 360. (5) N. 240. (6) Vedi la scultura di Gebeil nella Tav. XX, n. 4 della Mission de Phén. e il sarcofago cananeo di Mukeibleh in Palestina riportato dallo StewaART nel suo libro The tent and the khan, p. 425. (7) N. 350. (8) N. 180. (9) Nn. 258, 374. :((410) N. 4180, 341. (441) N. 274. (42) Nn. 348, 339. (13) Nn. 264, 253. (44) N. 365. (15) N. 258. (16) N. 265. (17) N. 326. (18) N. 405. (19) N. 363. (20) Nn. 339, 302. (21) N. 209. (22) N. 258. (23) N. 371. n. I FENICII NELLE LORO EPIGRAPI 27 umana. Come tale possiamo ravvisarla nel n. 183, in quella mezza figura di donna, che vestita, e coll’ ali spiegate, sta in piedi sotto una volta fiancheggiata da due colonne joniche, stringendosi al petto il crescente lunare col disco: ovvero in quell’altra figura muliebre, anch’ essa vestita, ma seduta, e in atto di benedire colla destra di smisurata grandezza, e col fior di loto nella sinistra (1). Ma la sua rappresentazione consueta, che pur occorre su qualche moneta di Cossura, e su timbri d’ anfore pu- niche, è quella d'un triangolo equilatero o isoscele, sul cui vertice pog- gia un disco sostenuto da sbarra orizzontale, che ha le due estremità arrovesciate in alto a guisa di sguscio (2). Il simbolismo jeratico asso- ciato alle simpatie popolari pel sineretismo religioso avrà dato origine a questa figura, e favorito le sue modificazioni presso questo popolo così poco inventore, e così facile ad assimilarsi |’ altrui. Nondimeno, anche quando il disco fu dimezzato (3), o mutato in una ruota (4), o in una stella con mezza luna (5), o s'ornò la base del triangolo d’un piedi- stallo (6) con tratto d’ onde (7), o s’ aggiunsero a quello come due braccia e due piedi (8), o una mammella (9), o una foglia (10), o un tau (11), od altra cosa (12), noi ritroviamo agevolmente la forma fonda- mentale e simbolica accennata di sopra; che, come avvenne del tricùla buddistico, fu interpretata in più modi; altri ravvisandovi una trasforma- zione del disco alato d’ Assiria, o del nesib della Venere di Pafo; altri una riduzione della figura umana in atto di benedire; altri finalmente lanx, vita, o croce ansata de’ geroglifici; mentre potrebb’ essere invece (1) N. 194, cf. p. 281. (@) Nn. 204, 266 etc. Nel tetradramma punico-siculo edito: dall’UGpULENA (Tav. I, 16), ed in qualche moneta di Laodicea ad Libanum (Gesen. S. L. P. M. p. 270) la sbarra è priva di sgusci. (3) Nn. 244, 348, 349 etc. (4) N. 235. (5) N. 142. (6) N. 193 etc. (7) N. 365. (8) N. 190. (9) Nn. 193, 234, 326, 335. (10) N. 365. Cfr. PELLEGRINI, Iscr. ceramiche d' Erice e suoi dintorni, Tav. MII, n. 756bis. Anche sulla base d’ una statua della ®e& Odpavia, trovata in Gebeil, si nota una foglia consimile. V. Mission de Phen. p. 162. (11) N. 395. (12) Nn. 397, 428. been Ao (anzi die DE, deri bi > a ee PA 5) È (0/0) I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI l'innesto del disco solare munito degli urei sul nesib conico (1) della Venere o Astarte di Pafo «e di Gaulos. Altri emblemi che si associano volentieri a questo simulacro divino, intrecciandosi fra loro, o con quello, in svariate combinazioni, e qualche volta per simmetria addoppiandosi come lui, sono il fiore di loto (2), la palma (3), la mano destra che benedice (4), ed il caduceo (5), che, qual trasformazione del disco solare munito degli urei, potrebb' es- sere attributo di Ba‘al-Hammon: nè manca nel fastigio il globo del sole sottoposto al crescente lunare inverso (6), e le due orecchie negli acroterii (7), che, insieme alla bocca semiaperta (8), ed alla mano summenzionata, alludono alla formula finale di questi ex-voto perchè (Tanit) esaud? la sua voce, lo benedica. Inoltre, o come emblemi simbolici, o come semplici ornamenti, che qualche volta ricorrono sulle monete e sui vasi, troviamo, ora scempi, ora addoppiati, la ruota so- lare (9), il circolo (10), la ghirlanda (11), i serti (12), la foglia (15), la porta (14), Y ara (15), il focolare (16), la colonna col melograno (17), il so- glio (18), il vaso (19), ampolla (20), lo scudo (21), il piatto sacrificale (22), l'albero (23), 1’ ariete (24), il bove (25), il cavallo (26), I’ elefante (27), il pesce (28) , il delfino (29), il topo (30), il coniglio (31), la colomba (82) col pomo (33), il cigno (34). Finalmente, sempre sotto all’ iscrizione, si veggono a volte scolpiti, con maggior libertà, e con meno monotonia, (1), Cfr. n. 396. (2) N. 240, 281, 390. (3) Nn. 184, 189, 222, 335. (4) Nn. 199, 256, 286, 317, 346, 428. (5) Nn. 204, 206, 268. (6) Nn. 213, 426. (7) N. 180. (8) Corp. p. 281. (9) N.353. (10) N. 416. (11) N. 249. (42), N. 358. (13) N. 300. (14) N. 380. (15) Nn. 272, 233? (16) Corp. p. 179. (17) N. 283, Corp. p. 360. (18) N. 291, cf. Salm. XLVII, 8. (19) Nn. 187, 214, 250. (20) N. 302. (21), N. 269, cf. Salm. XCI, 4, LXXXIX, 19: due umboni si osservan pure su qualche sarcofago di Sidone. (22) N. 188. (23) Corp. p. 282. (24) Nn. 419, 398: é simbolo di Bafal Hammon. (25), Corp. p. 282. (26) N. 186. (27) N. 182: disegno pieno di ve- rità. (28) Corp. p. 282. (29) N. 243. (30) Corp. p. 453. (31) N. 228. (32), N. 183: (33) N. 404. (34) BERGER Les ex-voto du temple de Tanit, p. 20. I FENICII NELLE LORO EPIGRARI 29 alcuni oggetti che alludono al mestiere od alla professione del votante; È, sulla stela d’un medico (1), una patella ed un coltello, o una spatula : î su quella d'un fabbricante di strigili, due di questi strumenti (2): su 4 quella d’ un misuratore, una squadra (3). Ma perla pala da fornajo (4), per la bilancia col simpulum (5), per | altra squadra col perpendicolo (6), pel carretto munito d’assi o di pali (7), per V'ancore (8), e per altri og- getti di non chiaro significato (9), l'iscrizione non ci somministra alcun lume; e non sappiamo se alcuno dei medesimi s’ abbia a riferire piuttosto aLe a qualche fatto o circostanza occasionale del voto. Alcune stele non an- cora pubblicate offrono scuri, accette, tenaglie, oggetti sacrificali, armi, aratri, navi e timoni (10); ed in altre, che sono anepigrafi, è scolpito un sacrificio ed un pasto funebre (11). Per tal modo sorprendiamo non dubbii segni della civiltà di Cartagine; assistiamo alle quotidiane occupazioni 3 del suo popolo industre, e contempliamo riprodotti dal punico scalpello i quegli altari dove Annibale ancor fanciullo giurava odio eterno pei ne- poti di Remo. Che se dal tempio volgiamo i passi all’ ultima dimora, ed osserviamo i cippi e le iscrizioni funebri che gli accompagnano, troveremo anche qui semplicità e povertà di concetti, spirito imitatore, pratica molto scarsa” dell’ arte della scrittura. Certamente le svariate necropoli arvadite, quelle di Gebeil, di Sidone, di Tiro, sono i soli monumenti di questo popolo in cui si riveli un certo che di grandioso, ed un’arte non sempre tolta a prestito: pur nondimeno i monumenti sepolcrali della Fenicia, anteriori al- l'influenza greca (an. 374-146 a. C.), i cippi, le piramidi, i megdzé1 (12), posti, per antico costume (13), all’ingresso delle tombe, gli svariati sarco- faghi, i xyrot4g:a (14) della regione di Tiro, sono senza iscrizioni. Ancorchè (1) N. 322. (2) N. 338. (3) N. 349. (4 188. (5) N. 270. (6) Nn. 399, 409. (7) Corp. p. 397. (8) N. 360. (9) Nn. 190, 265, 242, 309, 326, 330. (10) Corz. p. 282. (41) Corp. p. 283. (12) Amrit. (13) Gen. XXXV, 20. (14) CP. 2, Reg. XXI, 18, 26, S. Joh. XIX, 4. ee n i a e ii dito 30 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI i defunti, secondo i luoghi e la loro condizione, non si seppellissero sem- pre nudi in fosse a fior di terra (1), o sotto blocchi o lastre ad incastro, in tombe tagliate nella roccia (2); o non si deponessero, coperti del solo lenzuolo, in celle sotterranee (3), rettangolari e imbiancate (4), o in fosse chiuse da lapidi o da coperchi (5); ma, imbalsamati o no secondo l’uso egiziano, con foglie d’oro sugli occhi, ricchi giojelli, gemme, vasi (6) e amuleti (7), si chiudessero in semplici casse (8) o sarco- faghi di legno (9), di pietra, di lava, di marmo, di terra cotta (10), di piombo (11); pur nondimeno il letto ferale, il sarcofago, spesso enorme (12), con smisurati acroterii e coperchio pesante a sgomento dei ladri, non conteneva di regola nè ornamenti nè iscrizioni; o le aveva solo dipin- te (13), che è quanto dire poco durevoli, perchè si reputavano inutili; dovendo il medesimo venir sottratto agli occhi della gente, ed ora sot- terrato nel suolo aperto (14), or posatovi dentro una cella (15), od ivi sepolto in fosse sotto il pavimento (16); ma più di frequente rinchiuso in un dei loculi delle camere sepolcrali sotterranee, ed eccezionalmente d’un mausoleo (17), alle quali per via di pozzi (18), o d’orifizi (19), più tardi di scale (20), si accedeva sol quando dovevasi seppellire un altro morto (21). Solo sotto l'influenza greca 1 arte fenicia modifica i sarcofaghi di Ci- pro (22), e più tardi trasforma le sale funebri di Sidone, le adorna di stucchi, le pinge graziosamente ad uccelli ed a fiori (23): ovvero, pur mantenendo alle camere sepolcrali l’ antica severità, imprime ai sarcofaghi (1) Talora a Gebeil. (2) Tiro, Castelvetrano. (3) Amrit, Idalion. (4) Carta- gine. Cf. S. Math. XXIII, 27. (5) Sidone, Gharfin. (6) Cipro. (7) Antarado, Sidone, Solunto, e per gli scarabei Ja Sardegna. (8) Sidone, Amatunta. (9) Amrit, Sidone, Tharros. (10) Antarado, Sidone, Tiro. (11) Sidone, Tiro. (42) Tiro, (13) Sidone, Solunto. (414) Antarado. (15) Sidone. (16) Sidone. (17) Burdj el Bezzak d’Amrit. (18) Sidone, Caralis, Tharros. (19) Cartagine, Berja. (20) Amrit, Sidone, Solunto. (21) Eccezionali le camere funebri di Nea-Paphos, disposte, come nella casa antica, sopra un cortile comune a cielo scoperto. V. PERROT-CHIPIEZ Phén. p. 224. (22) Athienau. (23) Halalié e Baramié, I PENICII NELLE LORO EPIGRAFI 34 antropoidi di stile egizio, greche movenze; e sulle vecchie teche, fattura dell’ arte saitica, s' incidono con qualche stento lunghe iscrizioni. Ed al periodo greco spettano i numerosi cippi, e le stele di marmo o di pietra, con iscrizione, e le lapidi sepolerali trovate sopra terra, nei giardini, fra i ruderi dei sepolcri, o in celle sotterranee, o in necropoli, ovvero inne- state su costruzioni moderne, in Citium, in Atene, al Pireo, a Malta, a Nora, a Sulci, a Tharros, a Cartagine; mentre altre non poche di Sar- degna, di Cartagine, di Leptis Magna e d’altri luoghi spettano al tempo della dominazione romana. La forma di queste stele è varia, secondo i luoghi. A Citium sono alle volte quadrangolari, con semplice modanatura nella parte superiore (1), o affatto rudi (2); ovvero ornate in alto di %y®spoy a palmette, rosoncino e volute (3), e qualche volta con due doris 5xvxAot (4): talora avevan forma di edicola (5), ed eran sostenute da base (6). Il n. 51 del Corpws offre sul titolo una brutta colomba; il 55 una ghirlanda. In Atene, com’ è naturale, le forme son più svelte e graziose, e s'ingegnano a riprodurre l’arte locale, che per lo più non celavasi in camere sotterranee, ma al Ceramico e in altri luoghi fiancheggiava d’elegantissime tombe le vie. Le più semplici spettano al tipo delle stele oblunge con iscrizione bre- vissima, ornate di due rosoni scolpiti fra il titolo greco ed il fenicio, e sormontate da un bell’ &y&suoy a foglie d’ acanto, palmette e rabeschi che si aggirano graziosamente ed intrecciansi in isnelle volute. Confronta la stela greca di Epikratéès (7) con quelle di “Abdtanit sidonio (8) e di Benhodes di Citium (9). Vengon poi quelle più sontuose in for- ma d’ edicola, con bassorilievo scolpito in un incavo rettangolare, o in- cassato fra i pilastri e il frontone. In una (10), che può assegnarsi al 2° (1) N. 50 del Corp. (2) Nn. 51, 55. (3) N. 52. (4) N. 53. Anche in un ex- voto cartaginese sì hanno due scudi rotondi: n. 269. (5) N. 49. (6) Nn. 46, 48. (7) CoLLIGNon, Manuel d’ Archeol. grecque, p. 245. (8) Corp. n. 116. (9) N. 117. (40) N. 115. ie do e i inn o 32 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI secolo av. C., è scolpita l’ effigie del morto che giace sul letto ferale : ritto; un leone lo assalisce da tergo, mentre un altr’ uomo protegge per dinanzi l inerme: non lontana apparisce una prora. Nè l’ iscrizione bilingue, nè i versi greci scolpiti sotto al basso rilievo gettano molta luce su questa rappresentazione, che ad alcuno parve allegorica. In un’ altra stela bilingue trovata presso al Pireo (1), la quale per forma posa e costume delle fi- gure ti rammenta quella del proxenos Hegesos (2), tu vedi scolpite due donne: l una, che è la morta, tutta velatà e a sedere: l’altra in piedi dinanzi a lei, che ha fra le braccia un fanciullo. Il titolo maltese n. 124, non è un cippo, ma una semplice lapide funeraria già incastrata nella roccia d’ un ipogeo. Allo stesso genere spetta forse il titolo neopu- nico n. 151 di Sulci. I titoli di Tharros nn. 154, 155, 156, 157 erano incisi nella stessa roccia in cui fu scavata la necropoli. Notevoli e carat- teristici i cippi nn. 158, 159, 160 dello stesso ipogeo. Il primo, alto 0», 92 circa, e largo alla base 0”, 33, è un bel pilastrino senza base, a lati fortemente inclinati, con abaco, cavetto assai grande ornato di un disco, e sporgente listello: il suo capitello rassomiglia molto a quello di Gebeil, edito dal Renan (3), ma l’ insieme ci riporta all’ Egitto. Il secondo, j che fu trovato all'ingresso d’una camera sepolcrale, è un cippo grosso- lano d’ arenaria diviso in due parti; una inferiore, che è rettangolare, l'altra superiore a foggia di tetto: la base della parte superiore è di 0,43 per ogni lato : la parte inferiore è larga 0®, 31: tutto il monu- mento è alto 0", 78: l’iscrizione è incisa e dipinta in rosso sulle pareti del cippo. Il terzo, alto circa un metro, ha lati inclinati e vertice aguzzo, e col precedente sembra una lontana reminiscenza delle tombe pirami- dali fenicie ed egizie. La terminologia funebre dei Fenicii, quale almeno la troviamo in que- ste iscrizioni, è poco variata, ed in parte è una sola con quella usata dagli Ebrei. Il sepolero è chiamato più di frequente col nome consueto: (4) N. 120. (2) COLLIGNON, op. cit. p. 218. (3) Miss. de Phén. Tav. XXV. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFPI 33 di qeber (1); qualche volta con quello di miskab, letto, come in qual- È che epitafio latino (2), ovvero di miskab nuhat, letto di riposo (3); 0 d finalmente, con locuzione tolta forse agli Egizii, hadar bet ‘olam (4), Ja penetrale della casa eterna. La cella, o camera sepolcrale vien detta È ‘illit (5), ed il sarcofago hillat (6), od aron (7), se almeno sono esatti i significati che si assegnano a questi vocaboli. Il cippo esterno del se- |: polero, che doveva, come presso gli Ebrei, esser segno di tomba di- «_». stinta (8), è chiamato, come nella Bibbia, massebet (9), ed in punico mansebet (10); ovvero, a indicare la sua posizione sopra terra, masse- bet behajjim, cippo fra i viventi (11). Della cremazione dei cadaveri non si trova alcun indizio in queste iscrizioni: ma il giornale degli scavi di Saida, redatto nel 1862 da M. Gail- lardot (12), e gli ossarii di Cartagine e d’ Hadrumetum illustrati di fresco dal Berger (13), colle parole graffite m°sne ‘azamim, che precedono il nome del defunto, provano ad evidenza che anche i Fenicii, come gli Ebrei, in via d’ eccezione la praticavano. I titoli fenici sepolcrali più importanti son per ora quelli dei due re di Sidone, Tabnit ed Esmun‘azar. Ambedue sono scolpiti sopra sarcofaghi i egizii che pajono appartenere all’epoca persiana: il primo, scoperto a Saida | nel 1887 da Hamdy-bey e dal Baltazzi, in una camera sepolcrale della rupe ov'è scavata la Moghàret-Ablùn; l’altro, ritrovato nel 1855 dai contadini, presso alla stessa rupe. L'iscrizione di Tabnit, semplice, pura, talora ele- gante, benchè Fon scevra di mende ortografiche, significa: «Io Tabnit, « sacerdote d’ Astarte, re dei Sidonii, figlio d’ Esmun°azar, sacerdote « d’ Astarte, re dei Sidonii, sor giacente in quest’arca. Chiunque tu sia, « qualsivoglia uomo che scoprirai quest’ arca, no, non aprire la mia cella, <«e non conturbarmi; perchè, nè simulacro d’ argento, nè simulacro d’ oro, q (4) Nn. 3, passim, 137, 156, 158. (@) C. I. L.I, 1313. (3) N.46. (4) N. 124 i 4 (O) ANA passim, Iscr. di Tabnit linn. 4, 6,7. (6) N. 1 passim. (7) Iscr. di Tabnit È ‘linn. 2, 3, 5. (8) Gen. XXXV, 20. (9) Nn. 46, 57, 58, 59, 60, 61. (10) N. 159. (11) Nn. 58, 59. (12) Miss. de Phen. p. 464. (13) Rev. archéol. 1889, Tanv.STth: 5 34 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI «nè veruna ricchezza wi è accanto (1): solo io son giacente in que- «st arca. No, non aprire la mia cella, e non conturbarmi; perchè abo- « minazione d’ Astarte è tal cosa. E se aprirai la mia camera sepolcrale, «e mi turberai, non siati semenza fra i viventi sotto il sole, nè letto <«appo i morti. » Esmun“‘azar Il°, figlio di Tabnit, si era fabbricato da sè stesso la funebre dimora (maqom) (2). Contro l’ uso generale dei Fenicii, il suo sarco- fago, per ragioni a noi ignote, non fu chiuso nelle tombe sotterranee dei suoi maggiori, ma in una fossa d’una piccola cella, protetta forse, come in Egitto, da un’ edicola, e addossata alla rupe della necropoli. L’ iscri- zione del sarcofago, fatta incidere probabilmente dalla pietà paurosa della madre, benchè sia il monumento più importante dell’ epigrafia fenicia, ha assai poco di epigrafico. È una prolissa diceria, senza alcun pensiero elevato, e con parecchi errori ortografici. Gli epitafii greci e romani, spesso elegantissimi, non mancano di espressioni filosofiche sulla brevità della vita; di ammonizioni morali, ed esortazioni ad esser buoni ed onesti. Tutto questo ai Fenicii dovea sembrare vano lusso di parole. Più efficace d’ogni filosofia era per loro il terrore della vendetta divina, se l’ iscrizione, an- corchè sepolta in una necropoli, poteva esser letta, quando che sia, dai violatori dei sepolcri. Esmun°azar fa un rapido accenno sulla sua morte immatura ; tocca brevemente delle cose da lui operate per l’ incremento dei Sidonii e pel bene del popolo, come costruzione di templi, ampliamento di confini, battaglie gloriosamente combattute in pro del Signore dei Regni (Adon mlkim) (3): ma tutto questo come di volo, senza che neppure possiamo sapere la sua età, il nome del monarca di cui egli fu ammiraglio, i particolari delle sue gesta, o il luogo che ne fu il teatro. Certo, nell’ epigrafe non manca qualche fuggevole indizio d’ amor di pa- tria (4), quale almeno era possibile ai Fenicii sotto la dominazione stra- (1) In msd vedrei l’ ebr. missad «@ latere, ivuxta: in blt l’ebr. bilti, preterz nisi. (2) N. 3 lin. 4. Cf. Is. XXII, 16. (3) Id. lin. 18. (4 Id. lin. 20. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 35 niera: non manca la stima condegna per la virtù dei prodi (1), nè l’odio represso per coloro che opprimono la libertà delle genti (2): ma son rapidi i accenni, come di chi non voglia, o non possa dir tutto: mentre nella parte più notevole dell’ epigrafe campeggia l’ incresciosa preoccupazione che i ladri possano violare quella tomba così esposta alle rapine, sì per } la sua costruzione particolare, quanto ancora perchè l’ estinto non lasciava eredi al suo trono. Contro il sacrilego il defunto ripete più e più volte l’imprecazione solenne: «La mia maledizione contro ogni regia podestà, «ed ogni uomo, perchè non aprano la mia camera (3); nè vuotino la «mia camera; nè aggravino questo letto; nè sollevino il sarcofago del « mio letto; affinchè gli Dei santi non gli facciano prigionieri, e non re- E «cidano quella regia podestà, e quegli uomini, e la loro semenza in «eterno ». Anche gli epitafii greci e romani contengono di frequente, con svariatissime formule, le più severe minacce contro i violatori delle tombe; forti ammende da pagarsi ad un tempio o municipio, al fisco, all’arca dei pontefici, all’ erario del popolo, alle Vestali, ad un collegio o sacer- dozio; ammende cui talvolta si associa un compenso pel delatore: ovvero, specialmente nell’ epigrafi greche di Tracia, di Macedonia e dell’ Asia Mi- nore, non che in quelle cristiane, meglio dell’ ammenda s’ invoca la pu- nizione divina. Ma l’ imprecazione del re Sidonio, ripetuta tre volte in tuono fatidico, imprime a tutta l’epigrafe un senso d’ arcano terrore, che fa pensare ad un tempo agli scongiuri dei negromanti, e ai vaticinii d’ Ezechiele. Eppure l’imprecazione non valse a nulla; chè il sarcofago fu trovato vuoto. Non può affermarsi nè escludersi che le parole nè aprano questo letto, e non cerchino da noi dei tesori, perchè qui da noi non sono tesori (4), fossero un mendace spauracchio pei ladri: perchè, se generalmente gli opulenti Fenicii, a imitazione degli Egiziani, ripone- iii (1) Lin. 19. (2) Lin. 9. (3) Così il Corpus linn. 20-22. Vedremo a suo tempo se ‘illit possa significare il s4rco/a90, e hillat la camera sepolerale. (4) Linn. 4, 5. REI E ein PI FEAR RI I N ML RI 36 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI vano nei sarcofaghi oggetti preziosì ; e se il Pérétié fra le macerie della tomba di Esmun°azar, insieme ad una mascella con altro osso e un dente, trovò un globulo d’oro, e i frammenti d’ una myrotheca, il sarcofago di Tabnit, che si rinvenne intatto in una tomba ancor vergine, e sul cui co- perchio si legge del pari..... nè simulacro d’argento, nè simu- lacro d’oro, nè veruna ricchezza m'è accanto (1), non conte- neva realmente altri oggetti di valore che una striscia sottilissima d’oro posata sulla clavicola sinistra del defunto, e varii anelli d’ argento fissati con chiodi ad una tavola d’incorruttibile sicomoro, su cui giaceva, disere- tamente conservato, il cadavere. O che quel re affettasse in vita dispregio per le ricchezze, o che l’avarizia dei superstiti, sotto il pretesto dei ladri, rinunciasse all’ usanza troppo fastosa. Le iscrizioni funebri dei privati, fenicie e puniche, offrono meno in- teresse. Semplicissime, come quelle arcaiche dei Greci, vere e brevi, non contengono di regola nè gli anni, nè l’ elogio del morto: quelli e questo appajono invece con frequenza nei titoli neopunici dell’ evo romano. Se il defunto non era di condizione servile, allora non è taciuto il nome del padre: se di nobil casato, son rammentati gli avi ed i proavi colle loro dignità. Sul cippo summenzionato di Tharros (2) si legge: Sepolcro di Ba°alizbel, moglie di Azruba"al, figlio di Meqim. Un titolo cartaginese (3) dice: Sepolcro di Batba|°al], figlia di Hamilkat, figlio di ‘Abdesmun, figlio di Esmunjaton, figlio di Beri, il principe. In titoli spettanti alla plebe è taciuto, come negli antichi epitafii dei Cristiani, anche il nome del padre: Z'eora, moglie di Me- lekjaton, mastro fabbro (4). — Sepolcro di Mtr, il figulo (5). — Di Esmun°azar (6). Un titolo neopunico suona: Posto fu questo sasso a Mutunba"al, figlio diJazorba'al:visseannidieci e (1) Linn. 4, 5. (2) N. 158. (3) ScHROD. op. cit. p. 259, XXVI. (4) C. n. 64. (5) N. 137. (6) N. 70. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 37 cinque (4). Allusioni alla vita futura non ne trovo (2). È alquanto incerta l’acclamazione [li-sem] na‘im=ix bonam memoriam del titolo 63 (3); ma qualche iscrizione neopunica termina colla formula 7n quiete sei ve- nuto,sei al sicuro, sotto questa pietra sepolto (4). Una di que- ste, che è bilingue, si chiude colle parole figlio di sessantatre anni, onesto in vita (5). i Circa alla costituzione politica, alle magistrature, alle arti e mestieri dei Fenicii, le iscrizioni offrono notizie non inutili alla storia, ancorchè scarse ed incomplete. i Ai nomi dei re offertici dagli Storici, dalle monete, e dall’ epigrafi di altri popoli, possiamo, coll’ aiuto dei nostri titoli, aggiungerne alcuni altri. Nell’ età più antica troviamo un Hiram re di Sidone, rammentato senz’altri dati in un titolo (6), che, a giudicarne dalla scrittura, potrebbe anche appartenere all’ VIII° secolo a. C. Un titolo bilingue (7) trovato nell'isola di Delo, che la scrittura greca assegna al IV° secolo, rammenta un re ‘Abd‘a[starto], che con somma probabilità governava Sidone, e che potrebb’ essere il noto filelleno Stra- tone, che regnò dal 374 al 362, o piuttosto l’altro più recente, spogliato ‘del regno da Alessandro Magno nel 332. Della parte fenicia di questo titolo non restano che 16 lettere; ma la parte greca c’informa che una sacra legazione di Tiro e di Sidone fu inviata a Delo per offrire ad Apollo i simulacri ([e?:]byx) che figuravano le due città. (1) ScHRrOD. op. cit. p. 269, 3. (2) Nel solo tit. 3 del C., lin. 8, è adombrata nei Refaim, o Mares, ed é implicita in tutta l’imprecazione, quella credenza. L’ahar rv assemes nur = post pluviam Sol lucet, letto dal Gesenius nella 22* Cit. = 62 C. è ormai abbandonato, ancorchè G. Rawlinson (Phoerieia, p. 38) tenti farlo rivivere. (3) Tuttavia cf. il n. 14 [neop. 61] dello ScHRODER, 0p. cit. p. 274. (4) Hunnakta, qubbarta, tahat eben zit ‘ubbanta. ScHROD. op. cit., p. 272, n. 20. Cf. id. nn. 17-19, e p. 203. (3) Ben sissim sat vesalos tam behajjim, rese nella parte latina per VIXIT. ANNIS. LXII[L HONESTE. SCHROD., 0). cia p. 273, n. 20. (6) N. 5. (7) N. 114. 38 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI Un altro re di Sidone, Bod‘astarto, assegna al suo dio ‘Astoret un predio vicino a Sidone (1). Non sappiamo di lui altra cosa: nè si ha la certezza che il titolo che lo rammenta sia anteriore all’anno 332, in cui Alessandro, vinti i Persiani ed occupata Sidone, aveva posto sul trono degli antichi re un loro discendente, caduto in bassa fortuna, certo ‘Abda- lonim (2): potendo anche darsi che il regno di Bod‘astarto, ancorchè di poca durata, succedesse immediatamente a quello di ‘Abdalonim, e precedesse immediatamente l’ ultima dinastia (3). La quale comincia nella seconda metà del IV° secolo col regno di Esmun‘azar I°, sacerdote di ‘Astoret, e re di Sidone (4), cui succede Tabnit, anch'esso sacerdote di ‘Astoret e re di Sidone (5). Non sap- piamo quanto regnasse Esmun‘azarl°.MaTabnit non può aver regnato di molto, perchè la vedova e sorella di lui, Am mastoret, era ancora reggente quando Esmun‘azar II° loro figlio sali sul trono. Quest’ ultimo, cui l'iscrizione più volte citata non dà il titolo di sacerdote di ‘Astoret, edificò nondimeno in Sidone templi ad ‘Astoret, ad Esmun,a Ba‘al; e morì giovane e senza figlinoli, dopo un regno di 14 anni, durante il quale, prestò il suo braccio al re dell’ Egitto. E il Signore dei Re- gni, per mostrareglisi grato, gli diede in premio delle sue geste Dora e Joppe,terre eccellenti di frumento nella pianura di Saron,ele aggiunse ai confini del territorio, affinchè i Sidonii le possedessero in perpetuo (6). Che le imprese di Esmun‘azar fossero rilevanti si desume dalla importanza di questo premio; ma sul loro obbiettivo, e sull'età precisa del suo regno, non posson farsi che congetture. I bei sarcofaghi di stile greco trovati con quello di (4) N. 4. (2) Curt. IV, I. (3) Il Babelon ricostruisce così, sulla scorta delle monete , la cronologia dei re di Sidone: Un re innominato, morto nel 374 — Stra- tone I° 374-362 — Tennes 362-350 — Interregno 350-349 — Evagora II° 349-346 — Stra- tone II° 346-332. (4) N. 3 lin. 14. (5) Iscr. di Tabnit, lin. 4, nella Rev. arch. 1887, Juill.-Déc. p. 1-10, memoria di PH. BERGER, Le sarcoph. de Tabnit roi de Sidon. (6) Ibid. linn. 18-20. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 39 Tabnit nelle celle più recenti della necropoli, e spettanti, secondo il Per- rot (1), alla migliore epoca alessandrina, e le monete di Tolomeo I° Sotere rinvenute nella cella mortuaria di Tabnit, hanno fatto ormai abbandonare le vecchie opinioni che Esmun°azar militasse sotto Artaserse II° Mnemone, o sotto Alessandro, e hanno dato piena ragione al Clermont-Ganneau. Esmunfazar nacque sotto Tolomeo I° Sotere, e morì sotto Tolomeo II° Fi- ladelfo. Anzitutto, nè |’ iscrizione di Tabnit, nè quella del figlio, ci danno, come quella d’Um el-Awamid (2) P'èra del popolo di Tiro, congiunta a quella del Signore dei Regni, èra che secondo il Renan corrisponde al 275 (3). Le due iscrizioni debbon dunque essere anteriori a quest anno: ma di poco, perchè già abbiamo veduto che nel 332 era re di Sidone ‘Abdalonim. D’ altra parte, verso il 266 troviamo un Filocle IltoXepe{ov etpatids alla presa di Caunos (4), e sappiamo dall’ epigrafi greche di Delo che egli era faomhedbs Xtòwyoy, ma vassallo del sovrano d’ Egitto, nad paorieds IltoXepatos ovvetatey (5). Dunque, ancorchè “Abdalonimo abbia lasciato un erede o un successore al suo trono, il regno di Tabnit, la reggenza di Ammastoret, e il regno di Esmun°azar II° cadono con somma probabilità fra gli ultimi anni del IV° secolo e parecchi del III°; ed Esmun‘azar II°, o come stratego, o come navarco, può aver ajutato il Filadelfo ad assoggettare la Siria (6) meridionale (an. 281), quando Tiro e Sidone (an. 286) erano ormai cadute sotto 1’ Egitto. La scoperta di nuovi sarcofaghi potrà forse un giorno provare se Esmun‘azar, come crede il Clermont-Ganneau (7) sia morto nel 275, l’anno dell’ autonomia di Tiro; e se per la sua morte, Filocle, diventato re di Sidone abbia sposato la vedova Ammastoret. Da Sidone passando a Gebal (B5pAos), città sacra di vetuste memorie, (1) BERGER, Rev. arch., loc. cit. (2) N. 7 linn. 4-6. (3) Corp. Note all’iser. 7, e BERGER, Z. €. (4) Polieno III, 16 in DROYSEN, Gesch. a. Hellenism.* III, p. 272. (5) Bou- cHe-LecLeRCQ trad. fr. del DroyseN, III, 263. (6) Cf. N. 3 lin. 49. (7) Sarcoph. de Sidon repres. le mythe de Marsyas nella Rev. arch. 1888, Janv.-Juin, pp. 160-167. n) à Cr (4 Vi ; pa "i hiù 4 "l RR) ha SUITE € © DR TIR RR!" RIS AI NEPI O CIS, 8 PIO ET TIT ORO TORI PAL LETTI E IT 40 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI vi troviamo in età incerta, forse non più antica del IV° secolo, due altri re, Jehaumelek, figlio di Jahdiba”al, che pare non regnasse, e Adommelek, padre di quest ultimo (1). Ossequente alla religione tra- dizionale di Gebal, egli si professa costituito re di Gebal dalla Dea Bafalat, e pone in cima dei suoi pensieri la giustizia (2), e l’ amor del suo po- polo, non che quello degli stranieri. « Benedica Ba°alat di Gebal Iehaumelek, re di Gebal, e diagli vita, e prolunghine i giorni e gli anni su Gebal; perocchè egliè re giusto: e dia- gli la Signora, Ba°alat di Gebal, favore presso agli Dei, ed al popolo di questa terra, e sia caro per sempre ai po- poli della terra lontana (3). Le sembianze sotto le quali il re è effigiato sulla stela mostrano ancor vivo il costume persiano, mentre la dea Bafalat cogli attributi di Hat-hor, è chiaro indizio dell’ intrusione dei culti egiziani nella religione fenicia. Assai importanti, non solo per la storia religiosa, ma eziandio per quella politica di Cipro, son le epigrafi di Citium (Kittî) (4), d’Idalion (Idjal) (5), e di Tamassos (Tamisi) (6) che in parte ci danno no- tizie affatto nuove sugli antichi re di quell’isola, in parte confermano ed illustrano ciò che si ricava da Diodoro, da Ateneo, dall’iscrizioni cuneiformi, e dalle monete (7), L'iscrizione scoperta a Dali nel 1887 (8) fa menzione di tre re del V° secolo, Ba‘almelek I°, ‘Ozba‘al, e Ba°almelelk II° che regnarono circa dal 450 al 410: il primo su Gitium; gli altri due su Citium e Idalion. Poi, dopo la caduta d’ Evagora I° (an. 410-374), vediamo con Melekjaton e Pumaijaton, succedere ai Greci un’altra dinastia fenicia, che regna per circa settantanove anni fino all’arrivo dei Tolomei. (CD) NE slo Jbl slo (2) Cfr. Salm. XLV, 7. (3) N. 1 linn. 8-11. (4) Nn. 10, 11 etc. (5) Nn. 88, 89, 90, 91. (6) BERGER, Comptles-rendus de V Academie 1887, XV, p. 203. Pieripes, Academy: 1887, pag. 329. (7) Leggende monetali d’alcuni re di Cipro: 1) Lapethos : Lesadigmelek. 2) Citium: Le'ozbafal— Leba'almelek, abbrev. lb, lk, bk, DS amor Melekjaton—Lemelek Pumjaton lIIIIMM (=anno 46). SCHRODER, 0p. cit. p. 276. (8) V. retr. pag. 19. sadica scià I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI t4 La parte greca del titolo bilingue 89, che fu scritto verso il 375 a. C., e che servi a Giorgio Smith (an. 1872) come punto di partenza per decifrare la scrittura cipriotica, rammenta un va.na.xe (F&vzé), seguito da una lacuna, dopo la quale si legge o.a.-pi-ti-mi.li-ko.ne (5 ’Afàp02- xov|os]). Nella parte fenicia questo nome è scomparso, ma vi troviamo in compenso quello di Bafalra[m], preceduto dall’ epiteto adon, che evidentemente traduce il F&vzg. oltre l epigrafi 88 e 90 ce’ informano, che Melekjaton, re di Citium e d’Idalion, era figliuolo di Ba‘alram: e dall’ 11 rileviamo, che Pumaijaton, anch'esso re di Citium e d’Idalion, era figlio di Melekjaton. Ba‘alram dunque non era re (melek, o pa.-si.le.vo.-se), ma semplicemente un principe (adon, o va.na-xe). E tale pur sarà stato suo padre ‘Abdimilkon, benchè come avviene per Ba°alram nel titolo 90, il suo nome non sia accompagnato dal titolo F4vag, e benchè Aristotele e’ insegni che i Ciprii davano questo titolo al figlio, o al fratello del re. Una delle stele sopraccitate di Tamassos (1), consente fissare la durata del regno di Melekjaton a circa trent'anni, dal 391 al 361: e secondo il titolo 91 pare che il suo governo fosse agitato da: ribellioni. Pumaijaton suo figliuolo regnò non meno di quarantasei anni, dal 358 al 312; anzi, secondo la congettura del Six, alcuni anni di più, cioè dal 361 al 312: prima, per lo meno fino all’anno VII° del suo regno, sopra Citium e Idalion (2): poi, fra l’anno VIII ed il XXI°, anche su Tamassos (3): finalmente, spogliato di quest’ ultima, nel 332, fra il XXI° e il XXXVII® anno del suo regno, ritorna solo re di Citium e di Idalion (4): finchè spodestato e ucciso nel 312 da Tolomeo I° Sotere, quest’ ultimo doventa padrone di Citium, di Lapethos (5), e del resto dell’ isola. La fine dell’indipendenza politica di Cipro coincide ivi colla scomparsa del suo sillabario, e del dialetto greco locale, le cui epigrafi più antiche, bustrofede o no, risalgono fino al VII° secolo: ma la scrittura e la lin- gua fenicia vi si mantiene, accanto al dialetto attico, sotto Tolomeo Fila- (1) Pag. 19. (2) Nn. 10, 92. (3) N. 10. (4) N. 11. (0) N. 95. a b n pdc ariana ei 4 xi hat Lio ili 42 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI delfo, al cui regno spettano i titoli 93 (an. 254), e 94 (an. 259), entrambi d’Idalion: dopo i quali non è a mia notizia che si sia trovato altro; benchè tutto induca a credere che il fenicio, ancorchè indebolito e circo- scritto di molto, non vi si spengesse ad un tratto. A Cartagine l’ autorità regia è rappresentata, sul modello di Tiro sua madre patria, dai sofetim. Aristotele, infatti, che su quello Stato ci ha trasmesso preziose notizie ( 1) li chiama f«oAetc; e benchè fossero elettivi e non ereditarii, li paragona ai re di Sparta, che, di fronte agli altri re della Grecia e dell’ Oriente, avevano un potere assai limitato, ed erano poco più che gran sacerdoti, e comandanti in capo perpetui. Erano due, come i consoli di Roma: come questi duravano in carica un anno, ed erano eponimi. Non si sceglievano tutti da una stessa gente, nè senza distinzione da tutte, ma erano eletti (xfpetot) da un numero esiguo di genti fra i più ricchi e potenti. Non è qui il caso di ripetere tutto quello che da Aristotele e Polibio, fino al Movers, al Kenrich, al Bosworth Smith ed allo Church, si è esposto e congetturato, più o meno sistematicamente, sulla costituzione politica di Cartagine; sulla divisione della sua aristocrazia in tre parti, rispondenti alle tribù romane, od alle gbXe doriche; sull’ analogie dei 10 e 30 prin- cipi coi curioni, o coi filarchi; sul senato, distinto in due corpi, l’ uno esecutivo, più ristretto e più autorevole, di 100 membri eletti da comitati speciali (revtapyiat), l’altro legislativo, di 300 membri; e finalmente sul potere più circoscritto dell’assemblea popolare. Le nostre epigrafi non valgono, per ora, a gettar molta luce sull’argomento, nè fanno alcuna menzione dei pubblici banchetti (ovootua) ove si trattavano affari di Stato. Possiamo solo trovare in esse non lieve indizio di ciò che aveva sospet- tato il Movers (2), che cioè la voce sofetim, oltre a significare i due Bacràeîc, 0 per dirla romanamente i consoli, esprimesse ancora un’autorità giudiziaria. Livio e Giustino rammentano infatti un collegium di 104 (4) Polit. II, 8, 2. (2) D. phòn. Alterth. I, 142 not. 142. a I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 43 suffetes, o giudici, che duravano in carica a vita. Alla prima categoria, cioè ai rappresentanti dell’ autorità consolare, appartengono senza dubbio Halasba'al, figlio di Bodtanit, figlio di Bodesmun, e Halasba‘al, figlio di Bodesmun, figlio di Halasba“al, i due eponimi della tariffa Jeratica cartaginese trovata a Marsilia (1), e Ba‘alsillek, figlio di Bod- melqart, figlio di Safat, ed Esmun..... del titolo frammentario 170, anch’ esso cartaginese. [l loro nome è sempre preceduto dalla qualifica abbreviata di rabbenu, signori nostri; e la voce haberim (2), 0 col- leghi, soggiunta a quei nomi nella tariffa di Marsilia, designa, secondo ogni verosimiglianza, i rabbim, o principi, che dividevano coi primi le cure di Stato, e la cui nobiltà comprovano nell’ epigrafi i nomi degli avi e dei proavi. Anche i sofetim dell’ epigrafe 175, Gersakon, Ger°astarto, di Jahonbafal, di ‘Azruba‘al, di Satat, e Bod‘astarto, che eccezio- nalmente son tre invece di due, designano evidentemente la suprema au- torità di Cartagine. Così pure Adoniba‘al e Ger‘astarto del titolo 179. Ma che gli altri Sofetim rammentati nell’ altre epigrafi del Cor- pus (3), non mai come eponimi, ma come offerenti una stela votiva, fos- sero i due 8«ovAeîc, non si può dimostrare: mentre ben possiamo supporre che si tratti di membri del collegio dei 104, di veri giudici insomma. Sia com’esser si voglia, da quest’ epigrafi apparisce chiaro: che i suffeti della seconda categoria erano nobili come i rabbim; perchè sugli ex-voto hanno la loro genealogia: che il loro suffetato, ancorchè non ereditario, rimaneva quasi sempre nelle medesime genti; e che finalmente il numero delle genti suffetali era ristretto. Le stele votive di Cartagine ne rammen- tano moltissimi, specialmente dei Melqartidi (4). (4) N. 165. (2) Gfr. Salm. XLV, 7. (3) Nn. 199-227. (4) Ecco l’elenco di quelli del Corpus: i nomi dei padri e degli avi, che scrivo in carattere spaziato, sono anch'essi di suffeti: per brevità ometto sempre la parola }ig7z0 che è nell’epigrafi.Adoniba‘al(228): Adoniba‘al,d’Annone(227): Adoniba‘al di Hamilkat (213): Adoniba‘aldi ‘Abd- melgart (241): Adoniba‘al di Bod‘astarto, di Annone, di Bod“astarto (370): Ado- SET IE TIR IRORRI O CIBESI S TARE, (I DO ANT AIOP RIVESTITO CINISI 44 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI Fuori di Cartagine troviamo dei suffeti locali, anche eponimi, che sembrano appartenere all’ ordine giudiziario. Tali sono Himilkat ed ‘Abdesmun, nell’iscrizione 143 di Sardegna, che spetta all'incirca al 180 a. C. Quantunque, come si rileva dal loro nome, fosser di gente carta- ginese, non possono certamente esser magistrati di Cartagine, perchè questa fu distrutta nel 146; e come ben notarono gli illustratori, sarebbe strano che i suffeti di Cartagine avessero mantenuto l’eponimato in un’isola sottratta fino dal 238, un anno prima della Corsica, alla sua giurisdizione. Anche quel Hanniba‘al, figlio di Bodmelek, unico suffete eponimo dell'iscrizione maltese (1), non che il Magone ed il Bod‘astarto del- l'iscrizione ericina (2), saranno magistrati locali di gente cartaginese: mentre il Ba‘aljaton dell’iscrizione del Pireo (3), pare un giudice, o prefetto non eponimo della colonia sidonia dell’ Attica: e tale doveva esser pure quel ‘Abdesmun del titolo 47 di Citium, perchè isola di Cipro non fu mai governata dai suffeti maggiori. niba‘al, di ‘Abdmelgart, di Magone (210): Annone di Bacaleo (223): Annone di ‘Azruba‘al (217) : Annone di ‘Ozmelek (221): Bodmelgqart di Ba‘alhanno (222): Bodmelgart di Bod‘astarto (220): Bodmelqart, di Magone, diAdoniba“al (209): Bod‘astarto, di “Abdmelgart, di ‘Ozmelek (249): Ger‘astarto, di ‘Ozmelek (374): Hamilkat, di Annone (214): Hamilkat, di [Ba‘al]eo (224): Hamilkat, di Ba‘al- maleak (218): Himilko, di ‘Abdmelgart (368): Magone (12): Magone, di An- none, di Bodmelgart (208): Melekjaton, di Maharba‘al (176): Melgarthilles, di Aderba‘al (216): ‘Abdmelgart, di Adoniba‘al (369): ‘Abdmelgart, di Bod- melgart, di Annone (200, 204, 199): ‘Abdmelgart, di Bod‘astarto (215): ‘Abd- melqart, di ‘Azruba‘al (204): ‘Az[ruba‘al] (205) : ‘Azruba‘al, di Adonibafal, di Annone (367): ‘Azruba‘al, di Bodmelgart, di ‘Abdmelgart 202, 203: ‘Azru- ba‘al, di Bod‘astarto (207): Pasna‘amo (226). Manca ogni dato per ordinarli cero- nologicamente, e identificarne qualche nome con quelli tramandatici dagli storici; se non vogliamo eccettuarne Maharba“‘al (176), che potrebb’essere l’insigne capi- tano e suffete, figliuolo d’ Himilko, coetaneo e collega d’Annibale. Del resto vedi le cose dette innanzi sull’ età delle stele cartaginesi. (4) N. 124. (2) N. 135. (8) N. 118. at cv: DI P virata i I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 45 Qualche volta, fuori di Cartagine, invece dei suffeti, o insieme con loro, troviamo altri dignitarii eponimi, laici od jeratici: p. e. nell’iscrizione di Gaulos (4) un zobeah, sacrificatore, ed un somer mahseb, pre- posto alla cava: e nella grande iscrizione altiburitana (2), oltre a tre suffeti e ad un sacrificatore, si rammenta un sofe, od augwre, preposto ai sacerdoti di Neit-mon, ed un kohen, o sacerdote, di Ba°al- Hammon. Dopo i suffeti eponimi di Cartagine, e dopo i haberim, o colleghi sopraccitati del titolo 165, vediamo rammentati in parecchie iscrizioni (53) i rabbim, cioè principes, proceres od dpyovtes, come li chiamano gli scrittori; i quali in Cartagine e nelle sue colonie erano a capo delle étuplx, o curie. Da Cicerone (use. IN, 22, 53), e da altri autori citati dal Mo- vers, ricaviamo, che dopo la distruzione di Cartagine questi principi fu- rono distribuiti nelle varie città d’Italia, e che i loro posteri vivevano in condizione umilissima. Del senato di Cartagine non trovo il nome: ma in un’ iscrizione sarda bilingue dell’evo romano (4) la voce senatus del testo latino è resa nella scrittura neopunica per tobarsia, che è corruzione del greco ToTapxix. Altri uomini di governo menzionati nell’iscrizioni di Cartagine e delle sue colonie sono i soferim (5), che il Movers paragonò ai questores, e che, come fra gli Israeliti, dovevan fare il censimento della popolazione, imporre tasse, dazii e leve militari, e compilar le liste dei nati e dei morti (6); ma che in Samaria (7) erano una cosa sola coi ypeppawota Bacio dei Satrapi, rammentati da Erodoto (8): i hotemim, obsigna- tores, 0 guardasigilli: uno di questi è padre d’ un suffete (9): i tab- bahim (10), mactatores, carnefici, o satelliti, i quali avranno obbedito > (1) N. 132. (@) Linn. 6,7. (3) Nn. 229-237: 372-375. (4) N. 4149 (5) Nn. 240- 242, 454: cf. 1 Reg. IV, 3. © (6) Op. cit. Il passim. (7) Esr. IV, 8,9, 17. (8) III, 128. (9) N. 118. (40) Nn. 237-239, 363, 376. ae pei en an ed (ENI È 46 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI ad un rab (1), e saranno stati esecutori delle sentenze di morte (2): i melisim (3), interpreti. Le iscrizioni di Cipro (4) ci mostrano nel IV° secolo a. C. un’ accolta di melise krsiim, che il Corpus spiega per interpretes soliorum, lo Halévy per interprètes des Cariens, ed il Gler- mont-Ganneau per €ppaveîs ov KPiXewy, ufficio indispensabile per la po- polazione mista di quell’isola. Un titolo cartaginese (5), che può asse- gnarsi al secondo secolo a. C., fa menzione di certo ‘Adoniba‘al, nissab melukat bemisraim, o prefetto regio in Egitto, forse un commissario dei Tolomei, con funzioni a noi ignote (6). Sui frammenti dell’ antica patera dedicata a Ba°al-Libanon (7) si trova menzione di un soken (8) Qart hadasat, ‘ebed Hiram, melek Sidonim, ossia d’un dignitario (senator ?) Urbis novae, servus Hirami, regis Si doniorwn.1I titoli di Cartagine rammentano ancora gli | isim ase ‘al-] hammastot, viri qui super tributa (9), ed i ‘aseret haisim ase ‘al hammiqdasim, o decemviri qui super sacra (10); importante ma- gistratura, analoga a quella dei decemviri sacrorum, o decemviri sacris faciundis dei Romani, ed associata in questi titoli ai suffeti. Era del loro ufficio lo stabilire in base alle tariffe generali governative i tributi da pagarsi ai sacerdoti (11), e curare la conservazione e i restauri dei templi (12). L'iscrizione citata d’Altiburos (13) li chiama ‘alat miqdasim. Altra magistratura od ufficio importante doveva essere in Cartagine quello dei megqime elim (14), costruttori o ristoratori di templi, che ci ram- mentano i curatores aedium sacrarum dei Romani. In un titolo (15) li vediamo soggetti ad un rab. Attribuzioni poco diverse doveva avere quel Sama‘ba‘al (Atorerdey), che al Pireo cuopriva la carica di nasi “al bet elim, ve “al mibnat hasar bet elim, cioè principale (16) sul tempio, e sulla costruzione del vestibolo del tempio. (4) Gf. Jer. XXXIX, 9 sq. (2) Gfr. Dan. II, 14. (3) N. 350: cfr. n. 44. (4) Nn. 22 a e bd, 44 lin. 2 ed 88 lin. 3. (5) N. 198. (6) Cfr. 1 Reg. IV, 7. (7) N. © E, F. (8) Cfr. Is. XXII, 15 e CLERM.-GANNEAU, Sceaua et cachets, n. 34. (9) Nn. 167, 170: cfr. 4 Reg. IV, 6. (10) Nn. 168, 169, 175. (11) N. 165 lin. 48. (12) N. 175. (13) Lin. 5. (414) Nn. 227, 261 etc. (15) N. 260. (6) Aten. 9. Tutta I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI Uvi L'assemblea popolare, il popolo o è7poc, nell’ epigrafi, e nelle leggende delle monete, è chiamata ‘am: quindi ‘am Sur (4), fam Gaul (2), ‘am Qart hadasat (8), ‘am Sidon (4), ‘am Mahanat (5), popolo di Tiro, di Gaulos, di Cartagine, di Sidone, del Castrum (Panormos). Sulle monete occorre ancora lo stato costrutto di be‘alim, o bafalat: bafale Sis (6), ba‘ale (7), o ba‘alat haggadir (8) etc., è cittadini di Pa- ROFMOS, i cittadini o la città di Gades ete. Nel titolo 9 d’ Atene surri- ferito vediamo la colonia sidonia del Pireo tenere adunanze, e formare una comunità a parte, come solevano gli Ebrei. I coloni son chiamati badde Sidonim, membri dei Sidoni: l'adunanza asuppat, lo stesso vocabolo che per gli Ebrei, specialmente del tempo meno antico, indicava certe congregazioni di teologi congiunte talvolta colle sinagoghe (v. Ges. Th. p. 131): la comunità, tò zowvòy tv Xdoviwy nella parte greca dell’epi- grafe, è detta in quella fenicia go, che in ebr. è sinonimo di “am. Professioni, arti e mestieri sono spesso accennati nell’ iscrizioni fenicie, ma senza particolari. Nei titoli di Cartagine si trova menzione di wme- dici (9); di misuratori (10); di scrivani 0 ypappareîs (14), che nel tempio . di Citium (12) eran soggetti ad un rab. Un titolo sardo (13) parla d’ una l’epigrafe significa: Nel giorno 4 di marzeah, nell’anno 15 del popolo di Sidone, deliberarono i membri dei Sidonii, i figlioli della congregazione: di coronare Sama'batal, figlio di Magon, che (è stato) principale della Comunità per il tem- pio, e per la costruzione del vestibolo del tempio, d’una corona d' oro (del peso) di dramme 20 [legali]: perchè costrui il portico del tempio, e fece tutto ciò che (era) nella sua carica questo negozio: di inserivere gli vomini che ci (saranno) prin- cipali per il tempio, sopra una stela d’oro: e sia rizzata nel portico del tempio in vista di ognuno: affinchè la Comunità sia lieta di questa stela si prenderanno nella pecunia del dio Ba°al-Sidon darici 20 [legali]: onde sappiano è Sidonit come sa «la Comunità remunerare di premio gli uomini che esercitarono carica dinanzi alla Comunità. RENAN, Rev. arch. 1888, Janv.-Juin, pp. 5-7. (4) N. 7. (2) N. 132. -(3) Nn. 269, 270 etc. (4) Aten. 9. (5) GESEN, Mon. t. 38 IX. (6) UGDULENA, Mon, pun. sicule, Tav. II, 21. (7) Gesen, Mon. t. 40 XV. (8) Ibid. (9) ro- feim, nn. Zio SEZ EZEb (10) modedim, n. 349. (11) soferim, nn. 273, Cirio (42) N. 86 A. (13) 143. 48 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI società di salinaj (1): un altro di Cartagine (2) d'un venditore di sale (3), o meglio, se vuolsi, d’un salumajo. In altre epigrafi, quasi tutte della stessa città, troviamo, con più o meno certezza, orefici (4), incisori in pietre o metalli (5), fonditori di ferro (6) e d’oro (7), ramai (8), fabbri (9), indoratori (10), profumieri (141), figuli (12), vasaj (413), le- gnajoli (14), fabbricanti di stregglvie (15), ed altri, non facili a determi- narsi; o perchè il vocabolo è frusto od incompleto, o perchè può spie- garsi in più modi (16). La maggior parte di costoro formavano la classe popolare, lo ‘am; ma parecchi, rammentati senza padre, debbono aver appartenuto alla classe dei servi, ‘“abadim (17), o ne‘arim (18), e degli schiavi, che in Cartagine erano numerosissimi, e dei quali, come in tutta la Fenicia, si faceva gran traffico. È assai probabile che queste arti e mestieri, il cui arido elenco non ci dà che una pallidissima idea della operosa floridezza di Cartagine, abitassero in determinati quartieri della città (19), e formassero corporazioni speciali (20) soggette ad un rab (21). Due parole sui pesi, sulle divisioni dell’anno, sulle gemme, e sulle monete. Rari occorrono nell’ epigrafi i nomi dei pesi, e delle monete. Il peso si chiamava come in ebr. misqal (22). A Sersel se’ ne trovò uno car- taginese consistente in un disco di bronzo, pesante gr. 321, coll’iscrizione bin Esmunjaton, ben Bodmelgart misqalem 100 (23), cioè verificò (1) gam ase bemamlahat. (2) N. 351. (3) mmlh (4) molkere hahharus, n. 333. (9) mahgim, n. 51, brsim n. 348, boreim, n. 347. (6) noseke barzel, n.67. (7) noseke hahharus, nn.327-329. (8) moseke han- nehoset, nn. 330, 334, 332 (2). (9) harasim, nn. 86 A, 274, 325. (10) sohe- bim, n. 355. (11) mokere haqqetoret, n. 334. (42) joserim, n. 137. (13) pofele qsim, n. 15. (14) agro, n. 354. (15) pofele hammagre- dim, n. 338. (16) Nn. 74, 335, 345, 356. Fuori di Cartagine l’iscr. di Tucca, ha i bonim se abanim, costruttori in pietre, ed i nosekim se barzel, /on- ditori di ferro. (47) Nn. 318-320. (18) N. 86 A. (49) Cfr. 4 Cron. IV, 44, Neh. III, 31, 32. (20) Cfr. Job. XLI, 6. (21) N. 64. (22) N. 153. (23) SCHRODER, op. cit. p. 258, XXIV. I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 49 E., figlio di B.: il suo peso (è) 100: se pur non voglia leggersi misqalim 100, cioè il plurale d’un peso particolare e definito, qual'è l’arabo mi- tqaàlun. Esmunjaton doveva essere un agoranomo. Nel titolo 171 è mentovato il kikkar o talento (d’argento). Nella 9* aten. abbiamo ve- duto la dramma, drakman (ebr.darkemon,ass.daragmana). L’iscri- zione sarda di Pauli Gerrei (n. 143) parla d’un’ara, pesante 100 litrim (Xp, librae). Anche il km.... del n. 166 B, 6 potrebbe indicare un peso. Nomi di misure non ne trovo. Il frammento di gnomone del n. 9 non offre che un nome d’uomo. Quanto ai mesi, si conoscono per ora i se- guenti: hijjar (n. 102), che era forse il 2° dell’anno, come il cald. sir. ar. i) jar, mese dello splendore dei fiori, dalla neomenia di maggio a quella di giugno: pe‘ullot (n. 86 B), mese dei lavori: etanim (n. 86 A), mese dei torrenti gonfi, che per gli Ebrei era il 7°, dalla neomenia di ottobre a quella di novembre: bul (on. 3, 10, 90), mese delle pioggie, Ps per gli Ebrei: marzeah (9° aten.), mese dei lieti clamori, 0 degli ululati, rispondente forse all’elul (R. alal ejulavit) degli Ebrei, quindi il 6°: marpe (n. 11) o merpaim (n. 124), mese della guarigione: mp[]? (n. 4). Le iscrizioni delle gemme e sigilli fenici, come degli aramaici ed ebraici, non contengono che il nome proprio del possessore del hotam (1), (1) ScHROD. op. cit. p. 237, n. 6, in sigillo arameo. Le gemme e sigilli fenicii ed aramei spettano al periodo arameo-persiano (an. 538-330) : altri, che risentono più o meno l’ influenza dell’ arte assira e dell’ egizia, rimontano fino al VII° secolo. Dal IV° secolo in poi i motivi son greci. Eccone qualche iscrizione: leahotmilk, eset Jesa® (sigillo) di A., moglie di J.—Le‘uzzam, ‘abd ‘azruba‘al, sigillo di U., servo di ‘A.—Leba‘aljaton, is Elim., is lemelqart-Resef, (sigillo) di B., uomo degli dei, uomo di M. R. ScHROD. op. cit. pp. 273, 274. — Ger‘astoret.—Leiddo, (s79.) dî Iddo.—Letamakel, ben Huppat, (sz9.) di 7., figlio di H. ete. V. CLERM.-GANNPAU, Sceaux et cachels israél. ‘phén. et syr. nel Journ. asiat. 1883 I pp. 123-159, 506-510, II pag. 304. 5 td dina TA MERE ART RR MI E N RA E SIM CT I NL NI, 50 I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI o sigillo; a volte colla genealogia, e professione: quindi son d’ interesse epigrafico secondario; come molto minore l’ hanno l anse anforiche di Cartagine e di Sicilia, con nomi abbreviati ed incerti di figuli o d’ agora- nomi (1), e con qualche emblema delle stele votive, e delle monete, quale la figura triangolare, la foglia, il caduceo, l’ àncora, il vaso, il fiore. Ma assai più importanti di molte epigrafi anche maggiori son per la storia di questo popolo le brevi leggende delle monete di Byblos (Gebal) di Ci- pro, di Tiro, di Sidone, d’ Akko (“Ak), di Laodicea (Lodka) del Libano, di Marathos (Marat), di Carne (Qarn), di Sicilia, di Cossura, (Iranim), di Spagna e d’ Africa. I loro tipi ed emblemi risentono più o meno, secondo i tempi ed i é luoghi, l influenza dell’arte greca. Frequente la trireme (2), 'il tanone (3), la testa muliebre turrita (4): qua e là numi nazionali sotto sembianza di Ercole, Bacco, Apollo, Mercurio, Pallade, Europa, la Vittoria. Sull’ ele- ganti monete punico-sicule, spettanti per lo più al 5° secolo, la testa mu- liebre adorna di spighe e di foglie, o di grazioso berretto orientale, la palma, il cavallo, la testa di cavallo, il granchio, il delfino, il leone, ia quadriga, la croce ansata, gli urei (5). Rozze, ma importanti per emblemi che alludono a culti, industrie, costumanze locali, le neopuniche di Cos- (4) ‘9 =B[a‘alsama]'*—bt = B[odtani]t o B[odmelqar]t?—in=I1[eha- velo]n? —hk=H[imil]K etc. V. PELLEGRINI, Iscr. ceram. d' Erice, nn. 749, 750, 792, 753-755. Lo stesso sistema di abbreviazioni occorre sulle monete greche e fenicie di Cipro: l'iscrizione neopunica di Sersel, nella quale il Berger ritrovò il nome di Micipsa (mkpzn), lo condusse ad assegnare a questo re le monete coll’ abbreviazioni mn= M[ikipza]n, mn ht =M[ikipza]n h[ammamlaka]t, ed agli altri re numidi Gulussan, Aderba‘al, ed Hiempsal, quelle con gn, al, h, ht. V. Rev. arch. 1889, XIII, pp. 212-218. (2) Byblos, Tiro, Sidone. (3) Sidone! i (4) Tiro, sora Marathos etc. (5) V. UGDULENA, sue Mon. pun. sicule. Monumento unico ed insigne per ogni verso è l’ elegantissimo siclo o tetradramma del Museo di Pa- lermo, coniato probabilm. in Siracusa, che ha nel dr. attorno alla testa muliebre il vestigio della leggenda Sis, e sulla benda della testa, in lettere greche il nome di Cimone. V. SALINAS, Repost. sic. negli Atti dei Lincei (Scavi) 1888, pp. 310, 314. -__ I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI DI sura, col Cabiro; quelle di Gades, di Sexti, d’ Abdera, coi tonni; quelle dei re numidi e mauritani, col cavaliere a bisdosso di sfrenato cavallo (1). Parecchie con leggende greche e fenicie, o neopuniche e latine, ma di argomento generalmente diverso. Così nel rovescio di quelle tirie dei Se- leucidi BAXIAEQN ANTIOXOY o AHMHTPIOY TYPIQN, e la data in nu- meri greci: poi, in fenicio, lesor em Sidonim, cioè (moneta) di Tiro, madre (= metropoli) dei Sidonii (2). Altre autonome, accanto a TYPOY MHTPONOAEQ® (IEPAZ), ed alla data c. s., hanno in fenicio lesor (33). Importanti, per la storia delle colonie di Sidone, quelle sidonie d’ An- tioco IV°, di Demetrio I° e III°, od autonome, che hanno nel dr. la testa del re diademata, colla leggenda BAXZIAEQY ANTIOXOY o AHMHTPIOY; se autonome, la testa muliebre turrita, a volte il cornucopia; nel rov. un timone tra le parole lesidonim em Kambe (var. Kakkabe), Ippo, Kit, Sor (4), cioè (moneta) dei Sidonii, metropoli di Cambe, d’ Ippona, di iu di Tiro: dove Kambe o Kakkabe è l'antico nome della Cartagine sidonia di Didone, e precisamente della Byrsa (ebr. bosra, fortezza) (5): quel nome par d'origine libica, e per le testimonianze concordi di Stefano Bizantino e d’Eustazio significa capo di cavallo. Le parole di quest’ultimo: èpsfavtes dì Tepi Toi potvwua Teputevpévov ebpoy xe- quiiv Irrcv... ai tàXa Èià tobto xa KaxxdBn é4X7}8n, mentre richiamano la tradizione virgiliana, si combinano coi simboli delle monete cartaginesi. Altre importanti leggende bilingui ci svelano il nome punico di Panormos (Sis, fiore), e di Solunto (Kfra, v/Zaggio) (6), non che quello genuino dei re africani. Così le monete di Iuba I° hanno nel dr. REX - IVBA, e il capo del re barbatum bene capillatum (Cic. de leg. agr. II, 22), e nel rov. un tempio ottastilo, colla leggenda Iuba°ai hammamlakat,cioè /uba regia persona (= re, cf. Corp. n. 4, linn. 2, 11. 3, linn. 4, 6 ete.). Fra quelle di Ebusus (Ibusim) ve n’ ha colla testa imperiale nel dr. e la leggenda GER- (1) Gesen. Mon. pp. 298-328. (2) (8) Id. pp. 261-264. (4) ScHRoD. op. cit. p. 275. (9) Movers D. Phon. II, 2° p. 136 seg. (6) UGDULENA, Op. cit. pp. 8-10. ly I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI MANICVS CAES.; nel rov. il Cabiro, fra la leggenda Ibusim (cf. Corp. n. 266) in lettere numidiche, e la latina INS - AVG. Una d’ Abdera ha nel dr. il capo di Tiberio, con TI - CAESAR - DIVI - AVG. E - AVGVSTVS, e nel rov. un tempio con colonne pisciformi: nel frontone, in scrittura numidica, “A bderat, e fra le colonne ABDERA (1). Altre monete, pe e. quelle di Sabratan, ci additano magistrature (2): altre, come quelle di Oea (Oiat), Zitha (Titi) e Zuchis (8) (Suq), ci indicano col triplice nome geografico una ‘federazione o un trattato di commercio: altre fina]- mente mostrano la diffusione e persistenza del fenicio nell’ Africa e nella Spagna, o ci additano città sconosciute (4). Tae Nell’ epigrafi fenicie la moneta in generale è chiamata tabu, vale a dire impressione (iser. Tir.); e la frase tabu' Sur (ibid.) — Tiglio vopio- patos (G. Flav. G. G..II, xxI, 2), conferma le anitiosi frequenti del Tal mud fra la mina di Tiro e quella inferiore degli Ebrei (CLERM.-GANNEAU, Inscr. de Tyr. Rev. arch. 1886, VII p. 1-9) (5). Sopra una moneta di Ga- des (6) leggiamo mahalom, cioè percussura 0 xbppa. Nelle tariffe jera- tiche si fa menzione del siclo d’ argento, kesef seqel (7), con tre sue frazioni, il reba“° (8), 0 quarto di siclo (1 Sam. IX, 8), lo zer (9) mi- nore d’ un ottavo di siclo, e l’a[gorat] (10), o grano (1 Sam. II, 36, LXX 380465, Vulg. nummulus), ovvero a[gerat], che è l’ebr. gerah, il ventesimo d’un siclo. La 9* aten. rammenta anche il darikon o da- rico (41). Di epigrafi fenicie militari non conosco che quelle del colosso d’Ip- (4) V. GESEN. op. cit. passim. (2) Hamissa‘ gabre Sabrata‘n, quinqueviri Sabratae, Levy ZDMG, XVIII, pp. 79-80. (3) SCHROD. Op. cit. p. 281. (4) V. MuL- LER, Num. de l'anc. Afr. (5) Quest’ iscrizione, posteriore al 275 a. C., parla d'una ‘opera idraulica a cui presero parte Adoniba‘al, Bodmelgart, [‘Ab]dba‘al, suffeti - faovàeîc di Tiro. (6) Gesen. Mon. t. 40 XV C. (7) N. 165.7. (8) Ibid. lin. 9, 11. (9) Ibid. lin. 7,9, 44: n. 167. 7. (10) N. 165. 12. (41) Abbreviazioni di nomi di monete (?) ignote, kfa (n. 86, A), pa (n. 86 B), qgr o qv (n. 86 Ae B). I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 53 sambul (1), che pare spettino ai mercenari di Psammetico 1° o H° (an- ni 650-595); ma il loro significato è oscuro, e controverso, tanto che il Corpus non ne traduce che i nomi proprii. Nè queste epigrafi, nè i nu- merosi titoli votivi, nè l'iscrizione sepolcrale di Esmun°azar, ci fanno ancora conoscere con qual nome la lingua d’ Amilcare, d’ Annone e d° An- nibale significasse il soldato, il generale o ammiraglio, l’esercito, la flotta, la guerra. Anche intorno alle industrie per cui i Fenicii andaron famosi non cè nulla in queste iscrizioni. Nulla circa la porpora e le finissime stoffe colorate: solo nel titolo 166 troviamo il nome aramaico del bisso (bus): nulla intorno alla fabbri- cazione del vetro, agli squisiti profumi. Per la navigazione e per la pesca non si hanno che gli emblemi delle monete. Neppure abbiamo epigrafi riguardanti le miniere, che insieme ai dazii ed alle gabelle fruttavano tanti tesori agli ingordi suffeti e ai principi di Cartagine. Solo, special- mente nei titoli votivi, vediamo rammentati, coi nomi che hanno in e- braico, quattro dei metalli allora più noti: l’oro, harus (2), bab. ass. hurasu, da cui i Greci trassero il loro ypvoòs: l’argento, kesef (3), ass. kàaspa: il rame, nehoset (4): il ferro, barzel (5), ass. parzil, a. eg. parzal. Dello stagno, che traevasi in gran copia dalla Spagna e dalla Britannia, non trovo il nome fenicio; ma è assai probabile che al- l'ebr. bedil si preferisse l’aramaico qastir, la cui forma enfatica ritro- viamo nel sanscrito kastira, e di cui son varianti il gr. xxosttepos e Var. qasdir. Neppure trovo in fen. la voce ‘oferet che in ebr. indi- cava il piombo. \ Ecco ciò che intorno all’ arte, alla religione, al culto dei sepolcri, al governo, alle industrie dei Fenicii ne insegnano, per ora, di più notevole le loro epigrafi. Le scoperte incalzano, e nuova luce scaturisce ogni dì (D)ENDATI2IA 003 CC (2) Nn. 1. 4. 5. 12,90. 4 ete. (3) N. 165 pas- sim ete. (4) N. 1. 4, etc. (5) N. 67. sii e nt aree i e ie DI I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI di sotterra. Le iscrizioni di Ma°sub, di Gipro, d’ Altiburos, di Sidone, di Tiro, d’ Atene, dissepolte in questi ultimi anni, valgono a chiarir meglio quelle già pubblicate nel Corpus. In tutto l’ Oriente è una febbre operosa di scavi, un desiderio ardentissimo di frugare tra gli avanzi delle vetuste città, e nelle profonde necropoli; non coll’ingorda brama di chi viola i sepolcri per rubarne le ricche suppellettili, ma per scoprirvi il vero te- soro della scienza, i monumenti scritti e figurati di questo popolo antico. Il quale, se ebbe colpe non lievi; se non potè mai innalzare il Partenone, scolpire il Giove Olimpico, o seriver l’ Iliade, fu, per quasi 900 anni, il primo nella navigazione, nel commercio, nell’ industrie o manifatture ; in- segnò ai Greci l’ agricoltura, lo scavo delle miniere, la matematica; ri- dusse a fonetica la scrittura ideografica, e diede all’ Europa il primo al- fabeto ; diffuse i pesi e le misure di Babilonia; affrontò ogni clima; esplorò le coste tutte del Mediterraneo, della Propontide, dell’ Eussino; varcò le Colonne d’ Ercole; superò i ghiacciai dell’ Alpi; si spinse nell’ Atlantico; fece il giro dell’ Africa; raggiunse la Britannia, la Norvegia, e fors'anche I ultima Tule. Ben può la falce inesorata del Tempo, la spada dei conquistatori as- siri, egizii, babilonesi, persiani, greci, aver recisa, distrutta la nazionalità dei Fenicii: ben possono le mura, le torri, i teatri, i palagi superbi, i cantieri, gli arsenali della popolosa Cartagine esser crollati dalle fonda- menta sotto l'urto tremendo della gelosa rivale: ben può lira fanatica dei Musulmani, il brulicame dei Crociati, l’ istinto distruttore, l’ ingordigia, e il mal governo dei Siri aver messo a ferro e fuoco templi e necropoli, infranto statue, sarcofaghi, iscrizioni: ma la vecchia Fenicia palpita an- cora fra questi ruderi. Intuoni, intuoni il profeta il suo canto funebre «su « tutti i Sidonii che scesero nel sepolcro... coi trafitti di spada, ed hanno « portato la loro ignominia coi discesi nella: fossa (1)», e gridi a Tiro: « Nel cuor del mare erano i tuoi confini: i tuoi edificatori perfetta avean (4) Bz. XXXII, 30. È I FENICII NELLE LORO EPIGRAFI 55 « fatto la tua bellezza (1).... [Ma] io farò cessar lo strepito delle tue can- «zoni, e il suono delle tue cetre non s'udrà più. Io ti renderò simile ad « aprico macigno: sarai un luogo da stender reti, non sarai più riedifi- «cata (2)»: e Mario assiso sulle rovine di Cartagine mediti la caducità delle cose umane: via correranno i secoli, ma la parola di Sidone, di Tiro, di Cartagine romperà di sotterra quasi mal represso sospiro. Ed anche quando la Storia, fra le sue non rare ingiustizie, avrà ta- ciuto il nome d’un prode, e le Muse « del mortale pensiero animatrici » «non siederanno custodi sul suo sepolero, il Genio dell’ umanità saprà gui- dare i posteri a quel sepolcro, e dopo ventidue secoli dalla funebre cella della Moghàret Ablùn sfolgorerà di luce improvvisa il nome di ESs- mun‘azar. (4) Id. XXVII, 4. @) Id. XXV, 13, 14. II. NOTE ED APPUNTI SULLE ISCRIZIONI FENICIE DEL CORPUS Era mio desiderio aspettare che i splerti editori del Corpus inseriptionum semi- ticarum avessero portato più innanzi la pwbblicazione della parte fenicia, per di- scorrerne con maggior estensione, e con più sicurezza. Ma poiché col quarto fascieolo del primo tomo si interruppe per un tempo indeterminato la serie innumerevole degli ex-voto a Tanit, e in due nuovi fascicoli si cominciò nel 1889 la pubblicazione di due nuove serie di monumenti epigrafici, cioè le iscrizioni aramaiche (Parte II, t. I, fasc. 1, pagg. VII-166 con XIX Tavv.), edite dal conte de Vogié, coll’ajuto del signor Rubens Duval, e quelle himyaritiche e sabee (Parte IV, t. I, fase. 1, pags. 102 con XII Tavole) per cura dei signori Derenbourg, padre e figlio, non stimai cosa del tutto vana ricercare intanto i caratteri più spiccati delle iscrizioni fin qui pubblicate. Ai resultati di queste ricerche, che esposti nelle pagine precedenti ebbi l’ onore di leggere alla nostra Accademia nella seduta del 15 Giugno dell’ anno scorso, seguono ora alcune note suggeritemi via via nello studio dei testi epigrafici, note che per l'indole loro mal si sarebbero prestate ad altra lettura. Son postille ed osservazioni su questo o quel vocabolo ; che, colla reverenza dovuta alla molta dottrina, ed all’ au- torità grande dei raccoglitori, vorrebbero, qua mostrar possibile un’ altra interpre- tazione, là sostituire una lezione diversa, o restituire in altro modo un nome proprio; altrove schiarire una frase oscura d’ un’ epigrafe con passi d’ altra epigrafe testé sco- perta, o gettar luce sulla parola fenicia con quella delle lingue sorelle, o d’ altre, come il berbero, il copto e l’ egizio, che se non sono propriamente semitiche, offrono però colle stesse tratti notevoli di parentela; dar conto finalmente dei mutamenti più no- tevoli di significato suggeriti per qualche vocabolo da pubblicazioni recenti in. base a nuovi studj ed a nuove scoperte. Pubblicatosi in questi ultimi mesi il primo fascicolo del secondo tomo del Corpus, contenente in 112 pagine di testo, ed in un atlante di 11 Tavole ben 467 ex-voto car- taginesi, per la maggior parte inediti, ho potuto ritoccare qua e là le mie note, ed NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS D7 aggiungervene alcune altre intorno alle nuove iscrizioni: le quali veramente, all’ in- fuori di quattro nomi divini (Gah n. 492, Sabas = Lafattog? n. 531, Sara n. 696, Qr n. 713), e parecchi di persone; di un notevole costrutto sintattico NN 703 (bere- diwit ei, n. 580, come l’ebr. ANX 703, per l’ordinario N2592), e degli emblemi (la pala da fornajo o pasticciere n. 438, gli occhi n. 471, simbolo del sole e della luna n. 468, i due pesci n. 485, il caduceo implicato all’ emblema triangolare nn. 523, 742, l’aratro n. 599, lo seudo romano n. 605, la bipenne n. 607, la prora nn. 729, 805, il timone n. 847, la scatola nn. 776, 866, la fiala, l'oenochoe, il candelabro n. 866, il martello e le tanaglie nn. 735, 754, l'ariete n. 786, la colomba n. 763, il lauro n. 732), non contengono nulla di nuovo, nè d’ importante, e non offrono, come l'altre, titoli di dignità, di professioni, o di mestieri, ma aride liste di nomi per noi oscuri, non ostante la genealogia, che abbraccia a volte (n. 627) fino a sei generazioni. Le difficoltà della materia, e gli scarsi mezzi di cui posso disporre, valgano a scusare gli errori in cui potrò essere incorso. Palermo, 49 Aprile 1891. A. PELLEGRINI. ISCRINARIE Lin. 4. « 5vzmm Za[Rar]ba°al». Così il C. (1). Forse meglio bvamm Iahdiba'al « quem Deus gaudio affecit » (de Vogié), ovvero « quem Deus exhilaret»: ma gli ebr. mam 5a riferiti alla R. &m rendono qui assai probabile il significato di «coniunetio Ba°alis». Ibid. >nmx [Adom]meleci. Così il C.— De Vogié bang Urime- tek, avvalorato dalle cuneiformi, che offrono un Urumilki di Gebal: Euting 3>nax Abimelek, nome insolito in fenicio. La tavola eliografica non consente accertarci se non possa leggersi <>nix 0 mele (nn. 189, 205). Lin. 4. « [nxm] [delubro]» C. Preferirei il nom del Renan, col signi- ficato di penetrale (nn. 166, 177). Ad ogni modo xy in fen. (9 aten.) vale, come in ebr., corte, atrio, villa, non mai delubro. Lin. 4-5.1tnn5] > Sv wx p pom mnom. Il C. spiega: et caelaturam au- (1) La lettera C. indica sempre il Corpus. DS NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS ream hanc quae in facie [caelaturae meae hujus], ma è spiega- zione assai oscura. Tutto apparirebbe piano e naturale se vedessimo nel primo vocabolo l’° ebr. mn caelatura, cioè il globo alato (discum Halévy), e nel penultimo l’ ebr. nna declaratio, talm. mne, vale a dire la stessa iscrizione che dichiara e spiega i voleri del re: et caelaturam au- veam hance quae in fronte tituli mei huius. Il pronome p= cald. }3., malt. dàn, f. din, a. egiz. f. ten, è usato in questa sola epigrafe con mascolini, accanto al comune fen. = ebr. î 0 »: il fem. è xr (linn. 6, 12)= ebr. #, n, cald. 83 per ix (44) o m, che è frequente in neopunico, e che in fenicio è, come ix, anche mascolino (nn. 149, 88). Incerto il + della linea 4: se è esatta la lettura del sostantivo, sarà forse = x. Le forme di questo pronome, i suffissi 17 ed n7 = com. fen. x7, la ridondanza del pronome suffisso } = ebr. », la posposizione aramaica del pron. personale »vx, la forma verbale nmm (lin. 9), se.pur non s'ha da leggere coll’Eutingîimm, e finalmente i nomi proprii insoliti in fenicio, rendono il dialetto di Byblos assai caratteristico. Lin. 5. nmw. A. eg. ur-t, il serpente reo, detto ancora aara-t ed ara. Linn. 6,12. «nav porticum » C. Va corretto col Clermont-Ganneau 5-0) in now galleria, balcone= ar. xs,2 coenaculum (Freyt.), an upper chamber or a chamber in the upper (Lane), sull'appoggio dell’ iscrizione di Ma- sub, 1. 4. Vedremo qual significato può assegnarsi alla voce n>@v del- l’ iscrizione gaulitana (n. 132). Lin. 7. «wxn quoties» C. Può significare anche ex quo, ovvero eo quod, Jes. XLIII, 4. Occorre pure nell’ iscr. di Ma°sub (Rev. arch. 1885, p. 379), lin. 9, dove il Clermont-Ganneau gli assegnerebbe il significato di «de méme que, également ». Lin. 11. ang «externe» C. Può intendersi ancora occidentalis (ass. Aharru, ebr. în ed jans). Ibid. DI» 5 nobnn bo «omnis regia stirps et omnis homo» C. Doveva essere formula d’ uso, perchè ricorre anche nel titolo 3, lin. 4, ed espri- meva ciò che noi diremmo ogni nobile ed ogni plebeo. ‘ Linn. 13-15. 5ox nw etc. Un’ iscrizione assira dice: mannu sa irmi NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 59 va dibbu-su kimu sum-ya isaddaru Assur u Beltis aggis rusis l’iskipù-su ma biluhu-su muhai: whoever shall arise and his tablet with my name shall write, may Assur and Beltis speedily and pain- fully cast him down and **. NorRISs A. D. p. 834. Un’ altra: munaggqar epsit qati-ya mupassittu simati-ya Assur bilu rabbu sum-su zir-su ina mati l’ihallik: he who obliterates the works of my hand, who spoils my hoards, may Assur the great lord his name (and) his race in the land cut off. Id. p. 826. E la stela aramaica di Teima: NIST SDIR Jia MI) MEAN mimo Nin mb N eo bam vasi et homo qui destruxe- rit stelam hanc, dii Teimae evellant eum, et semen ejus, et posteri- tatem ejus a facie Teimae. (C. I. S., II°, n. 113 a). N. 3. Lin. 3. Proporrei dividere e legger così lo scabrosissimo gruppo 2?3 mabx j3 om Misha DI /n dimicatione maritima, cinctus orbitate, filius vidue. xo»: allora sarebbe un participiale niph. usato sostantivamente come l’ebr. m>p: infiammazione, e gli assiri niklal opera, da 53, nabnit frutto, da m> etc. L’ebr. 30h, e gli equivalenti aramaici ms, », hanno il valore di mescolare; ma che in fenicio questa R. possa aver assunto anche quello di contendere, pugnare, lo mostra l’ ebr. 3=vnn certamen iniit (2 Reg. XVIII, 23) da 2nv miscwit, la III forma dell’ar. E canto a lle vehementer et constanter pugnavit, passaggio naturale di e cale miscuit, ac- significato, confermato pure dalle lingue indogermaniche: tiv puoyoptvwv Eur. venuti alle mani, it. mischia etc. L’omissione del luogo di questa battaglia, o della guerra cui potè collegarsi, non è inverosimile, quando nella stessa iscrizione si omette anche il nome del Signore dei regni (lin. 18), nè si specificano le vittorie navali riportate dal defunto in pro del monarca conquistatore della Fenicia, ed il luogo che ne fu il teatro. Il fatto non è nuovo neppure presso popoli pei quali il valor militare era la prima d’ ogni virtù: basta rammentare le stele sepolcrali di Sparta, o l’epitafio acarnese di Prokleidas (RoEHL /. G. A. 77-88, 343). Tuttavia non sarebbe da disprezzarsi la congettura di chi interpretasse > 39» per tempesta di mare o flutti marini. Cfr. Levy Ph. W. p. 29 (32%), e ram- 60 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS menta l’epitafio greco di Basileides nel C.Z.G. n.1888. L'ipotesi che Esmu- n‘azar morisse di morte violenta od accidentale può in qualche modo trovar sostegno nella frase snv x53 ante tempus mewn che A. Amiaud (Journ. asiat. sept-oct. 1886, p. 82) paragonò all’ assiro ina là ùmè, od ina ùmè là simti; e ciò anche ammesso che i quattordici anni del suo regno sieno stati preceduti da un periodo più o meno lungo di minorità. “ix, O partie. pu°al di x, o partic. pi°el. on orfanezza = ebr. nam (nome proprio), ar. 3; e A sul tipo del fen. mì (n. 143) = ebr. ai»; se pure il » precedente non è la prepos. strumentale, ma lettera preformante, come nei fenicii mon (n. 1 lin. 6), vp» (n. 90) = ebr. peo, 'vpa; nel qual caso, col part. pi°el avremmo il doppio accusativo. Allora si dovrebbe tradurre cingens orbitate filium (0 filios) vidue. Ma che Esmun“azar morisse senza moglie e figliuoli si desume con molta probabilità dal non trovarsene nell’ epigrafe alcuna menzione, e dal contenuto delle linn. 12- 13: d'altronde non è proprio necessario ammettere che il Tabnit della 3° sid. sia un Tabnit Il°, figliuolo di Esmun°azar I°. Se il gruppo nu» di questa iscrizione (lin. 3) è una storpiatura dello scalpellino pel ns *a5p della nostra epigrafe (lin. 4), chi obbliga a ritener questa a quella anteriore, quando può trattarsi di formula d’ uso ? Quindi, o il j> è nomi- nativo singolare; ovvero, come accusativo plurale, significa figuratamente (2 Reg. XVI, 7) i sudditi di Ammastoret: nè è improbabile che la voce nnbx significhi ad un tempo la vedova di Tabnit, e la città di Sidone orbata del suo re (cfr. Jes. XLVII, 8, 9, Apoc. XVIII, 7). Nota col participio l’omissione del pronome x (Hab. I, 5, Zach. IX, 12 etc.), che invece occorre in questo passo nella lin. 13. Linn. 3, 6 etc. nbm theca e nbr camera secondo il C. Le parole del- l’ iscrizione di Tabnit *nbv mnan 5x 5x1 psi mx pan wx oi 55 fanno nascer dubbio assai grave circa l’ interpretazione comune di quei due vocaboli, non che del vocabolo jnx. Ogni incoerenza sparirebbe ove ad jnx si desse un significato affine a nbn, che parmi possa significare il cubicolo, la fossa (R. 55m fodere) o buca dov'era deposto il sarcofago; mentre la nbv, in- terpretato dai più per camera, dallo Schlottmann per coperchio; e da NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 61 J. Derenbourg per parte superiore del sarcofago, può esser lo stesso sarcofago. Il valore di camera che a n5v vien assegnato anche nel- l’iscriz. 166 lin. 4, non prova altro, se è esatto, che in fenicio, come in tutte le lingue, uno stesso vocabolo poteva ricevere varii significati. Così la voce èépos camera in 0 57, significa arca o cassa in Eur. Ale. 160; ed in qualche iscrizione latina cubiculum equivale a tomba. A sostegno del significato di theca, che si volle vedere nel nòm fenicio ed himyar., fu citato lar. {> theca vagine coriotecta, cui si può aggiungere il talm. nibn arc@, ciste: ma si può del pari pensare all’ ebr. n>ma ca- verna, foramen terrae, di cui occorre solo il plurale m>m» in Isaia II, 19, coll’omissione del » preformante, come in nm: (n. 46, 2) e mì (n. 143,2) = ebr. nm, nam. Nota l’accordo dell’»nbv mnan x dell’iscrizione di Tabnit (inn. 3-4, 5-6), coll’:nbv nn: bs, e col snbv “vba di quella di Esmun‘azar (linn. 20, 21); accordo che concentra tutta l’attenzione sulla nbv. È na- turale che il pensiero attribuito al sepolto fosse piuttosto la seria preoc- cupazione dell’ apertura sacrilega del sarcofago, che non di quella della camera sepolcrale: su quello, e non sull’ esterno o interno di questa, è scolpita infatti l’imprecazione. Senza questo spostamento di significato le parole citate dell’ iscrizione di Tabnit sarebbero assurde: 0 uomo che scuoprirai questarca non aprire la mia camera sepolcrale: quasi che si potesse scuoprire l’ arca senza prima esser penetrati nella camera sepolcrale! Dove invece s° interpreti: 0 uomo che scuoprirai questa cella (ms= nin) non aprire il mio sarcofago (nbv), non avremo nulla che non sia logico e naturale. Nè fa ostacolo a questa interpretazione la frase town n5m mx xe» della 3° iscr. (linn. 7, 24), potendo darsi al verbo xv, non già il significato di alzare, ma quello di distruggere, tor via (Ez. XVII, 9): a questo significato meglio ancora si giungerebbe ricorrendo alla R. NEW — xiw, ar. = Lu, Lin. 4. pps dimora (ar. sua), è qui propriamente tutto l’edificio se- polcrale. Il verbo m3 non comporta tradurre col C. în loco. Lin. 5. om. Cf. assiro munni tesori. NorRIS A. D. p. 884. Lin. 6. n. Il Barth legge ===, e suppone che lo scalpellino abbia 62 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS voluto scrivere mom verba eorum (Z. d. DMG. 1887, p. 643): ma questa ipotesi, se vogliamo ingegnosa, è indebolita alquanto dall’ iscrizione del capo, che parimente manca del =. Lin. 9. nur (mob n nwesipn nibxm mio. O la prep. ns sta qui per Dx, che collo stesso verbo =» occorre in Job. XVI, 11, o equivale a 3, come in Sam. VII, 16, 1 Reg. IX, 25. Ad ogni modo il significato del verbo par quello di Job. XI, 10, cioè tradere aliquem ergastuli custodibus. Parve agli illustratori del C. che il fem. n>5t non si accordi bene col masc. ©; e ciò sarebbe vero se intendessimo con loro [in manus] re- gis potentis. Ma a m>>nm possiamo dare col Munk il valore di regno (ebr. m25»5) allo st. costr., în regnum potentis. Che ove la grafia bm» offertaci dall’ iscrizione del petto non fosse scorretta, quando la postica lègge n>bra, avremmo allora un part. m. hoph. 352% che dà pure un senso accettabile: apud regem constitutum potentem. Nondimeno sopra “8 v. appresso. Lin. 9. 5» w aramaismo per 5w wx. Il Bruston lègge Sun ws vd dominus (Rev. arch. 1884, Janv.-Juin p. 203), con apposizione pari a quella degli ebr. jm2 t sacerdos, mbzn ws prospere agens: ma non è ne- cessario. V. innanzi al n. 417. Lin. 9-10. ninxp>. Forse meglio vedervi, con Levy, Schròder ed altri, un pifel, che un kal col C. Non è impossibile neppure un pu‘al fino al loro esser troncati, ancorchè questa forma manchi in ebraico. Lin. 9. x = ebr. "8 risponde al peyaA6dotos dei titoli greci dei To- lomei, come |’ 225» pix della lin. 18, che nel titolo 95,2 designa Tolomeo Sotere, nel 93,1 Tolomeo Filadelfo, ed in quello di Ma‘sub, linn. 5,6 To- lomeo Evergete, è traduzione del xbpuos facewiy dominus regnorum dei titoli greci. Quindi 02>» non è solo il plurale di 72%, ma anche quello d’ un sostantivo perduto in ebraico, e rimasto in ar. Si, potestas, regia dignitas, regnum, equivalente all’ass., fen. ed ebr. n55». L’iscriz. di Ma‘sub offre (linn. 5-8) mix px piso pbbna ja pb) Suo Sim 555 IR DbONa vale a dire ItoXepaiov, xupiov Paorderiv, peraXodbzov, Edepyetov, viod IHrtoXe- patov xo ’Apowéns, dev &deXpiv. Ci. CLERMONT-GANNEAU, Rev. arch. 1885, pp. 380-384. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 63 Lin. 15. pa wr (sumus) qui aedificavimus. C. E soggiunge in nota che l’ox del testo è errore manifesto per ws. Il senso corre benissimo, anzi ci guadagna, se avremo l’ox per non errato: si aedificavimus. Il plurale, forse perchè Esmun‘azar costruì insieme alla madre. Lin. 19. nus5 [in praetium] ©. Ma la terza lettera par più un > che un ©. Leggerei n>»5 in praemium, ebr. N, 0 con perdita del n in- nanzi a », come in Bamaccor (ScaròpeR D.P.S. p. 108), ovvero fen. non: nosn = ebr. am, MW: mama, MoWn. Ibid. »5b8 hiph. fut. con suffisso e con > epentetico, con significato di perfetto (Grsen. Hebr. Gr.??, pp. 129-130, Deut. XXXII, 10). La 3* persona del C. è preferibile, per un vassallo dei Tolomei, al 9»aD» et nos addidimus ea del Blau. Quanto al suffisso n;7, che occorre più volte in questa (22 6, men lin. 9, 03 9, mnxpb 9-10, 0»35 20), ed in altre iscrizioni (omn, n. 165, lin. 19, mm n. 91, lin. 3, D»x5 n. 93, lin. 5, mx nn. 60, lin. 4, 98, lin. 5), sì proposero diverse spiegazioni più o meno soddisfacenti. Sehròder (D.P.S. p. 158) si limita a confrontarlo col suffisso ebraico di i, v2p. Euting (Seclhs ph. Inschr. aus Idal. p. 15), Schlottmann (D.L.E. p. 117), ed i compilatori del C. considerano il > come epentetico (cf. ‘»732 Ps. L, 28) per agglutinare il suffisso pronominale n7, pv, in Plauto-hom. Lo Stade pensò per qualche tempo alla nunnazione (mnnn = Usi + Morgenl. Forsch. 492). Il Barth (ZDMG. 1887 pp. 642-643) ci dà forse la spiegazione migliore, benchè anch’essa non risolva ogni dubbio. Secondo lui il > è un elemento dello stesso suffisso; è, cioè, l'equivalente del com. semitico n: quindi il fen. » è = ebr. DI, aram. ca, ar. RS Come il » fen. risponda foneticamente ad = non è facile a intendersi, del pari che nello stesso suffisso il rapporto fra w assiro e n mineo col sem. n: ma il fen. nb» = ebr. abs, sir. xm>x, ar. 400), avvalora quell’ equazione. Il Glerm.-Gan- neau (Rev. Arch. 1888, Juill.- Dec. p. 118, n. 3) obiettò al Barth le forme Db (n. 3, linn. 8, 11), e onb>v (n. 1, lin. 6): ma la prima, che può con- frontarsi col 23 ebr. usato accanto a 275, non mostra altro che il fenicio, accanto al consueto ©, possedeva ancora la forma n= ebr. 27, di cui, «oltre a 25, abbiamo esempio in n5p (nn. 88, 122), 025» (n. 122), 02553 64 NOTE ED. APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS (1 altibur. lin. 7). Il om>v di Byblos non prova nulla, perchè spetta a un dialetto corrotto che sul fondò fenicio ha sprazzi d’ ebraico e d’ arameo. In ao (n. 3, lin. 9) il » può spettare al verbo, o come epentetico (cfr. “27 n. 3, lin. 6), o qual paragoge cristallizzata (cfr. jp» n. 3, linn. 5-6, 7). N. 5: Non è facile congetturare che cosa sia quell’ oscuro nwxn3; ma pare assai dirficile che si tratti d’ una cosa sola col cald. xnwa3. Se, come opina il dotto illustratore, i frammenti spettano ad una patera (p. 23) perchè allora vedervi scritto su candelabro? Meglio attenersi per ora alla spiegazione del Clermont-Ganneau e di H. Derenbourg num mwx3 cere excellentissimo, col > di qualità. ING TG Lin. 3. bb». Pel C. è l’ebr. 32 circulus, tractus terrae. Cf. 555 355 Neh. II, 12, 14, 15, contrada di Gerusalemme, it. circondario. Penserei piuttosto all’ assiro pulug divisione, regione, già confrontato dal Norris (A. D. 93) coll’ ebr. :bB divisit. Aggiungi cald. 352, ar. db, divisit. Linn. 3-4.5wx nmbun non potrebbe significare porte di quercia, o sempli- cemente di legno? Cf. GeseN. Th. p. 159, e la glossa d’ Abulwalid citata dal Réòdiger nell’ Add. p. 73. Mancando l’ articolo, 5vx non può essere un gen. ma un’ apposizione. N. 11. Lin. 3. Dopo il nome svnw la Tav. XI n. 1 offre chiaro n2, e non già 3, come vuole il C. Quindi xunw è nome muliebre, forse affine a New (n. 51). Ibid. [>p:1 von] nanvib +onanb dominae suae Astartae; [audiat vocem]. C. La Tavola del Pococke offrirebbe invece bp vnws *nonvrò + *nanb dominae suae, Astartae suae, quia audiit vocem (ejus). N. 13. Lin. 3. nos ob »nanb dominae suae, Em-Haazurot (vel Em-Haozeret) C. Leggerei Em-haezrat (ebr. nr) dominae suae , Matri aurilii, col noto »x=v (ScaròpER D. P. S. p. 80). Potrebbe anche vedervisi un part. fem. di -w. Non è improbabile che questa Mater auxilii, o Mater NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS (55) auxiliatrix sia la stessa Astarte. Per simili attributi divini cfr. n. 195, Jes. IX, 5, e le litanie della B. V. N. 14. Lin. 2. Nel disegno della Tav. V, 14 A non si scorge vestigio di » e di n. Neglo: Lin. 4. bvla»n «forma insolita pro 5v=m». C. Forse è svista grafica, nata dal suono doppio del >, confermato dalle trascrizioni latine e greche. Cfr. col pi°el >» del n. 375. Del resto può pensarsi agli ebr. 5x»n, mon. N. 16 D. smile jo] filius Abdmarnae. C. Questo nome non occorre in nes- sun’ altra iscrizione fenicia, nè i due disegni della Tav. VI (16, 16 A) fa- voriscono tale lezione. Stando ai medesimi si può leggere *m> b=v jin] filius ‘Abbalis Carnensis, benchè non possa trattarsi di Carne, che sulle mo- nete è xmp. Su 5=v per 5vau=v v. appresso n. 636. N. 38. pbpii vocem eorum..C. Rischioso in frammento sì breve. Non è certo che il p incominci, od il » finisca il vocabolo. La Tav. VI offre. ila5pill. N. 39. «In medio titulo litteras n>> expiscamur». C. La Tav. VII non ci aiuta a vederle. N. 40. Lin. 4. mx j3 ebon il «Nominis initium periit.» C. La spiegazione più soddisfacente mi par quella citata di Schròder, che crede 05» un nome esprimente ufficio o professione, Wagemeister, quaestor, da 028 ebr. libra. Nn. 42, 43, 44. Accetterei l’ opinione di chi riguarda questi titoli colla dedica jnwx> us, Esmuno domino suo, come cippi divini eretti per guarigione otte- nuta, e nell’in= del n. 42, nel m>w> del 43, e nel >mwv del 44, vede i nomi del votante, nomi veri e non mistici, comunque sinora sconosciuti ed oscuri in fenicio. Certamente la singolarità di tre nomi scusa le dub- biezze degli illustratori, ma non le giustifica pienamente ; massime quando 9 66° NOTE ‘ED APP. SULLE ISCRIZ.i FENICIE DEL'CORPUS | si rifletta. che parecchi altri nomi proprii delle iscrizioni di Gitium,' qualis xonv (11.3), mv (47.1), mer (48), «ngn (62.1) rimangono finora. avvolti di tenebre. >*w potrebb’essere un dimin. ‘di mw (cf. C. p. 64, GeseNn. Th. pp. 727-8, ed Hebr. Gr? S86,4. Nel n..42‘non' mi sembra che dopoi.il : sia traccia d’altra lettera. La mancanza del nome del padre non è fatto insolito, come affermano gl’ illustratori; ma occorre parecchie volte in iscrizioni votive (nn. 143, 198, 264, 269, 282 etc.) e sepolcrali (nn. 45, 64, 70,71, 137): si sarà trattato di servo o liberto. Quanto all’ oscurissimo momo pbm dei titoli 22 4 e Db, 44.2, ed 88.3.5.6, non pare che l’ interpre- tazione del C., interpres soliorum, sia abbastanza infirmata dalle poste- riori ‘proposte dello Halèvy, ‘che ci vede un interprète des Cariens (Journ. as. 4888; VIII, Sez. XI, p. 538); o del Clerm.-Ganneau, che, suppo- nendo => trascrizione regolare del gr. xpicewy, o d’ una forma locale ci- : pria analoga che riproduce il tema di questa parola, interpreta £puyveds ou: Epunvevtiis tv xplocwy, .... fonction....indispensable pour les be-. soins de la population mixte de Vîle, phenicienne et helle- nique, chez laquelle V’usage simultané des deux langues existait encore méme après l’époque de la conquete ptolé- maique (Rev. crit. Not. d’arch. orient. 1883, II, 145-147, 192-196: 1884, IL 12-26). Alla stessa spiegazione si potrebbe arrivare. supponendo - nel Don (pl. di un *o=>, ar. © solium, sella, aram. 8992, ass. pl. Kkaresi) il valore di tribunalia, cho l’ ebr. SP3= X292 assume nel Salmo CXXII, D. Meno probabile la derivazione dall assiro karaz editto (cald. 13). N. 45. Leggerei senz’altro 1 nom] DIDIP bu ib pmnb Limyrini Lycii, fabri- catoris urceorum, sepulerum hoc, con erronea omissione del > posses- sivo, e coll’articolo = (nn. 221, 239, 246). | N. 46. nanvonos Ummatastarte. C. Scriverei Ammatastarte, come nei nu- meri 321, 387, ovvero Amatastar te: così l Emastarte dei nn. 253, 263 renderei per Am(m)astartae. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 67 «Nn. 46, 48. L’ omissione costante, dopo la parola'}3,'del punto o dello spazio, che dividono gli altri vocaboli ‘di questi titoli, prova che il }3 si agglutinava al nome del padre. Ciò spiega 1’ origine di homi propri, quali ebr. p9)-}3, var. ju cpl (TRomson, Petersen) etc. II nome N3 invece è separato (n. 46,3). N. 49. n>x=>> Aelbelimi « canis deorum». C. Gli illustratori confrontano questo ‘mome proprio m. colla: voce n>x25: dei titoli punici (nn. 257-259). Ma quest’ ultima, divisa in n>x 25: è interpretata dallo stesso €. per tonsor sacer, 0 deorum, meglio forse che fonsor Elimorum (cf. iscr. di Ma°- sub, lin. 2). N. 51. L’ imagine fotografica non consente sciogliere alcuni dubbi sull’ esat- tezza della lezione del C. Nella linea 1* parrebbe svanito affatto il vw di xevbi. Lin, 1-2. 5ramv Aza[r]baalis..C. Ovvero ‘Az[ru]ba°alis? N. 52. Lin. 1. x25> Ke/bo. Renan interpreta « Canis ejus scil. Dei», e lo -crede una cosa sola coll’ebr. 252 « canis vel fidelis (Dei)». Congettura in- gegnosa, benchè in tutto l’ Oriente il cane fosse avuto per vile ed im- mondo, e simboleggiasse impudenza, voracità, rabbia, libidine. Quanto a Xé)fns, Xx, X6iwiBos posson collegarsi coll’ ebr. 25M, o sono=talm. x3>bm, 55m. Ibid. >: Ger, come abbreviazione di mantvi, 2200» e simili, occorre pure in un'iscrizione cartaginese (Levy, P. W. p. 15), e sopra un fram- mento di vaso fittile trovato a Nora. È pure in un titolo berbero (HALÉvy, Ét. berb. nel Journ. as. Févr.-Mars 1874, p. 146). Lin. 2. La lezione moi» [ Osir2bdi]lis proposta per congettura dal -Renan può difendersi a stento, ma neppure persuade molto l’5m=-2?2x siderurgo, proposto dallo Schroder (ZDMG. 1883, I). — « Nomen mmb>va abnorme est, nisi admittas hebr. mm a Phoenicibus mm potuisse scribi. » C. Ciò sembra poco probabile, anche a motivo del neopun. »m=ebr. mm 68 NOTE ED. APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS che spetta alla stessa classe. Piuttosto avremo in mm la variante regolare fen. dell’ebr. mm gratia, misericordia (cf. na2, nas, mw ete. per gli ebr. 1123, ax, MW etc.), soggiunto al nome divino; quindi, un nome, sul tipo degli ebr. ba, vbabs etc., significante Gratia Ba°alis: se pur non vogliamo riguardare la prima parte quale un sostantivo significante dominus, come forse in onbvs (n. 88) Dominus altitudinis, equivalente al biblico nvs. N. 54. i spabme Oholiba‘al. C. Il vocalismo della prima parte sarà stato pari a quello di nb (n. 50). SONO Lin. 2. L’apografo del Pococke non avvalora abbastanza l’ arrischiata congettura del ©. ;miwxms j5) j3. O un j3 o il 5 v'è di più. N. 59. i Lin. 2. Forse >>Im» main Magistri tibicinis ? Cfr. col ws =» del titolo seguente, e per l'articolo il n. 260. N. 64. Lin. 3. van >» architectonis. C. Purchè inteso nel senso che gli asse- gnavano i Greci, di princeps fabrorum. L’ebr. n vale artefice, fabbro, scarpellino, ferrajo, ramajo, legnaiolo, ma non muratore. Anche nek l’ iscrizione di Tugga lin. 6 la voce wam viene interpretata per Holzar- beiter dal Levy (P. W. p. 20), e nell’iscr. 86 A dello stesso C. per faber. Il muratore è chiamato 3>387 jam nell’ iscrizione di Tugga (lin. 2). N. 74. Lin. 4. «Gesenius legebat svn, Levy svnn textor. Nos potius UO queestor. C.» Il significato fondamentale della R. è quello di com- putare, calcolare, mantenuto in ebr., come spesso avviene, dal pi°el, e conservato in arabo, in siriaco, in etiopico e nell’antico egizio (heseb). Potremo quindi tradurre con meno ambiguità calculator, computatore che tale è il valore del cald. 3&n. Forse sarà stato un verificatore pub- -03 blico di pesi e misure, una specie di wa. NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS 69 N. 83. «Nota titulum hune mira formae et nominum similitudine cum titulo inedito Ceccaldi, apud nos n° 55, conjunctum esse. Non tamen unus et idem titulus. Signum supra cernitur eruci ansatae simillimum...» €. Il titolo Ceccaldi offre secondo il ©. le lettere : UST > ale] VUTLULTI TUT TUTTI TITITI IR) STIA questo nostro, che è il Pocockiano, oltre ad alcuni segni non intelligibili, offre capovolto : VITTI = SUTTITITIZIZIT] [N)2 ///M won Nel primo il C. congettura i nomi Matpum[aea] e Mena[hem]: nel secondo Matastoret. Mi pare quindi che i due titoli non abbiano fra loro nessuna somiglianza, prescindendo dalla croce ansata, che veramente nel titolo Ceccaldiano ha più 1’ aspetto d’ una ghirlanda. N. 86 A. Lin. 1. nbon. Sarà l’ebr. nb>m perfectio, cvvitàeta, coner.: consummatum, nel senso di summa od expensum, con facile passaggio di significato, come nel gr. téXos. Cf. pure coll’ ebr. n'>2n finis. Anche la voce 3j? della Fac. B, 1 vale in ebr. finiîs, e non ostante il recente confronto collo hi- miar. pu» observantia legum, religio, e coll etiop. ‘aqaba custodire, observare (C. I. S. IV, n. 44), deve aver qui lo stesso valore di mn>>n. Lin. 3, wan jay diis neomenice C., che però non osa affermare trattarsi proprio di divinità. E veramente, se il vocabolo sap, ripetuto più volte in quest’ iscrizione, e seguito sempre da una cifra numerica, esprime una somma di danaro, allora si potrebbe pensare a simulacri divini posticci per ornare il tempio nella festa, od a persone figuranti certe divinità in una sacra rappresentazione. Ma forse è più naturale supporre in quei vo- caboli i regolatori della neomenia, coloro che, sacerdoti o no, dignitari del tempio, magistrati od ottimati (cf. Eur. Zor. 416), avranno onorato «di lor presenza la festa, predisponendo e regolandone le cerimonie. Anche ‘nella Fac. B, 3 son rammentati per primi. A sostegno di questa conget- 70 NOTE. ED. APP. SULEE ISCRIZ. FENICIE DEL:CORPUS tura giova ricordare che anche il pl. fen. nbx Dei, è pur nome di certi dignitari o magistrati, il cui officio non è bene chiarito, ma che doveva aver rapporti col culto (cf. iscr. di Ma°sub, 2). Inoltre anche l’ebr. mubx significa qualche volta re (Ps. LXXXII, 1, 6), e secondo gli antichi in- terpreti pure giudici o magistrati (Es. XXI, 6). Ges. Thes. p. 96, cita ancora il pers. j;a> Dio e principe. Pure sorgono nuove difficoltà. Perchè la somma assegnata a questi dignitari (lin. 3) è la stessa che quella di due servi (lin. 7) e dei barbieri (lin. 12)? Si esprimono realmente mo- nete, o non piuttosto pesi o misure nei gruppi xbp, =p, e xo? Lin. 5. Il C. (p. 96) legge N.. pm: ma il 1 è poco probabile i innanzi al p, che cominciando un vocabolo di due lettere posto innanzi ad un numero, sarà »p od altro simile. Leggendo N «p I, il segno dell’unità mal s’accorda coi precedenti plurali. Lin. 6...nwap 2515 mi vs lm] Dlusb... qui [tnserviuni] ministerio sacro. Così il C., che rifiuta l interpretazione di J. Derenbourg, dis qui ignem accendunt, per la mancanza del pr. rel. dopo us. Forse le diffi- coltà scemano leggendo ...ntp n>5n5 map vs “van wx> homini qui accendit ignem (cf. 113 8 Lev. XXI, 9) tabernaculorum (cald. nR5Y) propter mi- nisterium sacrum. Lin. 13. Il segno e sarebbe forse un O= XX mal riuscito ? Ibid. [ix nnvx [columnas. lapideas] C. Ovvero marmoreas? (Cfr. A Reg. VII, 9, 10. Lin. 15. no: (n=555) scortis virilibus et inquilinis. C., che pei primi, proposti dal Berger, cita il Deut. XXIII, 18 e 19; nei secondi vede gli equivalenti dei rap&orto., dei fanatici, dei matricularii. Cf. ancora H. Derenbourg (Rev. arch. 1885 Janv.-Juin, p. 93). Ma v. a pag. 23 di questo scritto l’ opinione dello Halévy. Il medesimo interpretò anche il vocabolo n» per catuli (ebr. 2"); il qual significato di »1 è assai comune nelle lingue orientali. V. Gus. TA. p. 275 a. N. 86, B. Lin. 4. no bra [Numinibus diurnis]. Fortasse dii vel genii qui unicuique diei praeerant. C. Forse avremo anche qui dei dignitari NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS Le come gli wn jbx surriferiti, ed allora possiamo intendere seniori od an- ziani, quasi signori del tempo, o degli anni, giacchè 2; ha anche questo significato in ebraico. Ovvero abbiamo dei semplici lavoranti a giornata, come sono i nostri giornalieri o diurnisti. Ad ogni modo cfr. la locuzione 0 circonlocuzione a» 5v= coll’ebr. n3 513 confederato, col cald. avv bra, prefetto regio, coll’ass. bil-age dominus corone sc. princeps, bil-hiddi domini rebellionis sc. rebelles, e colla. eg. neb- renpi-u dominus annorum sc. annosus, velulus, neb-deser dominus sanguinis sc. sanguineus, sanguinolentus ete., analogie di costrutto, che insieme alle morfologiche ed alle lessicali rivelano più stretto il legame fra le lingue semitiche e la lingua dei Faraoni. Lin. 7. bn5 = 555: cf. napo» n. 102, non n. 336 etc. Lin. 8. Leggerei 725 Avola vn*obb dai soci che nel[la tribù] furono eletti a sorte; ebr. ®Bvo partes divise, ar. Cab turba collecta, tribus magna. Ma l ebr. vo, ramo, fa ripensare ai 23% 13 del 9° titolo d’ A- tene. V. pag. 47. Lin. 9. n5v5: nsbrb. Ripetizione del sostantivo con copula, probabil- mente per indicare nozione distributiva, singulis puellis. Cf. ebr. a Di diebus singulis, Esth. III, 4, ar. IA si singulis vicibus, Ges. Thes. p.395. Anche qui doveva esistere in fine della linea la cifra della somma spesa, o la misura somministrata. N. 88. Lin. 2. [>> fotum. C. Non trovo esempi sicuri in fenicio per supporre che l’ = sia segno del neutro. Nemmeno è a pensarsi all’ avverbio >> prorsus, plane, Ex. XI, 1, che in fen. avrebbe suonato, perchè feminino, nb». Preferisco leggere col Berger xb>, e ci veggo l’ ebr. 552 con suff. m. pleonastico riferito a 5»o. Cf. Gen. XXV, 25; Ex. II, 6; 1. Reg. XXII, 28, Mich. I, 2 ete. Quindi invece di wmm convien leggere &Mpl: statua haec quam dedit, et erexit, et consecravit totam, letter. totam illam. Lin. 3. moaon C. Nella Tavola XIV si lègge chiaro m52x : anche nella lin. 2 probabilmente occorre l’ art. x per =, nel pron. 1g, che pur si usò a Citium (n. 10, 2). Pel Derenbourg e pel Renan l'x di ix sarebbe invece + prostetico. V. ScHRÒDER, D. P. S. p. 90. 72 NOTE ED APP. SULLE ISCRIZ. FENICIE DEL CORPUS N. 89. La trascrizione del carattere ciprio di questa epigrafe può ormai com- pletarsi e correggersi come segue: 1. [Ta tetaprtor] Fite BaotXMFos MrAratjidwvos Ketiwv xd HdaXtwv Paordes - 2. [Fo(v)tos tàv Elitayopevav TO(v) Te(u)tapepwy veFootàtas Tv d(v)dptjd(v) tav T6(v)de nattotace è Favat 8. [BadApap] è “Afdprixov tò “Artti(Aww 6 “Apuirdur, dp” dr For TÀS edyWwAàs 4. &redvre. "I(v) Tiyar dbatat. Linn. 3-4. &p' & etc. perchè esaudì le sue preghiere = In>p vnws. Leggo. ebxwAàg &rédvxe, anzichè #rédvxe (Ahrens, Meister), e ci veggo un equiva- lente dell’attico edxàs &redwxe. L’ultime parole i - tu - ka - i-a-za-ta-i, che occorrono ancora in altra iscrizione cipria non bilingue (DEECKE, Samml. n. 37) sono avute generalmente come equivalenti all’ att. &yadf Tix: ma poiché il y non passa di regola in $ nel dialetto ciprio, il MrIstER (Die griech. Dial. II, p. 149) vide in a-za-ta-i un aggettivo verbale dal tema &$a- aridità, secchezza, usato attivamente; e togliendo ogni segno d’ interpunzione volle leggere: &p° dv Far tà eIYwdkc Ente i(v) iva &betaî, ed interpretare: weil er ihm seine Bitten gewahrt hatte bei eingetretener Dirre. In altra epigrafe di Chytrea (IV Neue Inschr.n.14), dove occorre i « tu.ka.i.i.te.re.i.te.a...«.. , illustre glottologo, partendo dallo stesso punto di vista, fu costretto a creare un altro vocabolo, î(v)depns (da depos) =Evdeppos, e spiegò l’i(v) TIX& i(V)depet per bei eingetretener Hitze. Si tratterebbe quindi d’invocazioni contro il cocente calore dell’ estate, fatte a quella divinità per cui, appunto in Laconia, erano nel mese della canicola celebrate le “Yaxtvoa. Ma la la- cuna finale dell’ epigrafe di Chytrea, e l’incerta lezione di tre sillabe, sce- mano il valore di quest’ interpretazione: cui fa pure ostacolo il fatto che i Fenicii, di regola, non scrivevano sui monumenti votivi la ragione del voto. ( Continua). Pa i &: COMMEMORA ZIONI »* 4 CD & dec * SUCLANITAZESSOLEESORERE CAI PRO, GIUSEPPE LO CICER IRERBENUREZÀ FATTA ALLA R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI DI PALERMO SULLA VITA E SULLE OPERE DEL DEFUNTO SOCIO PA WFPROF:GIUSEPPE:;LO CICERO Giustamente Voi troverete, o Signori, che il ricordo del prof. Giuseppe Lo Cicero, quale io l'ho potuto comporre, è ben arido e troppo disadorno, ed io dovrei esitare a leggerlo, se non mi confortasse il pensiero che una così mo- desta forma di commemorazione non tornerà discara allo Spirito del Socio defunto, che in vita fu di una semplicità e modestia veramente mirabili, ed aborrì sempre ogni vana pompa ed ostentazione. Ma anche questa semplice esposizione dei molti ed importanti uffici con tanto merito e coscienza sostenuti, dei numerosi ed interessanti lavori eseguiti con instancabile attività, delle tante opere pietose da lui compiute, vi daranno una idea sufficiente, io spero, della vita, lunga ed operosa, dell'ingegno vario ed elevato, del cuore sensibile e generoso, della moralità illibata e superiore di cui era dotato il Collega, che pur troppo abbiamo perduto. Egli ebbe modesti natali in Carini: gli furono padre Lorenzo Lo Cicero commerciante, madre Vincenza Altadonna. Ebbe la prima istruzione nel paese nativo, poi, avendolo i genitori destinato alla carriera ecclesiastica, passò al Seminario Arcivescovile di Monreale, ove compì i suoi studii, distinguendosi notevolmente in matematica e fisica, quantunque quelle scienze fossero allora in generale poco coltivate; e dimostrandosi inoltre valente nel poetare in ita- liano ed in greco. Inutile dire che egli sapeva bene anche il latino, ma non 4 SULLA VITA E SULLE OPERE debbo tacere che egli apprese ancora il francese ed il tedesco, e che parlava perfettamente e speditamente l'inglese. Cominciò la sua carriera d’insegnante in Carini medesima, ove nel 1826, dietro concorso vinto, fu nominato professore titolare di Metafisica e Mate- matica nella scuola comunale. Vinse poi per pubblico concorso la cattedra di Fisica e Matematica nel Seminario Vescovile di Patti; ivi godè Ja piena stima, fiducia ed amicizia, del Vescovo, il celebre letterato e poliglotta Monsignor Saitta, il quale lo tenne anche come suo segretario. Tornò poi, in qualità di professore di Fisica, al Seminario Arcivescovile di Monreale. Venne poscia alla nostra Università nel 1851, da prima quale dimostratore di Fisica, nel quale ufficio, prestato con molta lode per parecchi anni, avendo avuto occasione «di dare prova del suo sapere e della sua singo- lare capacità per la fisica, fu nominato nel 1857 professore dn/erino o prov- visorio della detta materia; e tenne poi la cattedra per cinque anni. Nel 1861 per gli ottimi servigi resi all'Università venne dalla Facoltà di Scienze proposto al Ministero per il passaggio a professore ordinario, senza concorso; ma questa proposta non potè essere accolta, perchè il Lo Cicero, pur avendo tutto il merito per quella promozione, disgraziatamente non ne aveva i titoli legali richiesti dalle nuove leggi. Allora egli lasciò senza rancore l’Università, e passò adinsegnare la sua scienza prediletta nel Liceo Nazionale dal 1862 al 1867, nell'Istituto Nautico dal 1867 al 1886, e nello stesso tempo all'Istituto Margherita o Scuola Normale femminile Municipale, come anche nel Seminario Arcivescovile di questa città e nel Convitto S. Rocco; da per tutto impartendo l'istruzione col più grande zelo e col più grande disinteresse. Dico questo perchè non vi era limite d’orario nel servizio che prestava, e perchè spesso contribuiva col suo particolare peculio, o per l'acquisto di una nuova macchina dimostrativa, o per la costruzione di qualche apparecchio destinato alle sue ricerche scientifiche. Siccome poi il prof. Lo Cicero, oltre alle estese cognizioni teoriche, posse- deva anche una notevole abilità nelle applicazioni pratiche della fisica, fu dal Governo nel 1857 incaricato di rilevanti uffici relativi allo impianto della telegrafia elettrica in Sicilia. Egli si adoprò gratuitamente, ma pur indefes- samente, durante 8 mesi alla istruzione dei telegrafisti; fece parte della Com- missione telegrafica governativa, ed a lui si deve l’ adozione in Sicilia del sistema Morse, allora ben preferibile a qualunque altro, come dimostrò l'immensa diffusione che ebbe in tutti i telegrafi del mondo. A quell'epoca, il telegrafo stampante Huges, più perfetto, ma più complicato, non aveva ancora raggiunta la utilità pratica, cui giunse solo nel 1863. 4 3 O VE E 7, SI ETTTÀ DEL CAV. GIUSEPPE LO CICERO 5) Quest'ufficio gli diede pure occasione di esercitare il suo versatile ingegno a trovare nuovi apparati e congegni telegrafici, come vedremo appresso. Nè al prof. Lo Cicero mancarono distinzioni ed onorificenze, quantunque egli per la grande medestia del suo animo non le ambisse, nè le cercasse. Egli nel 1859 fu nominato Socio Ordinario dell'Istituto d'Incoraggiamento di Palermo, e nel 1862 1° consigliere d’'amministrazione del medesimo sodalizio. Nel 1857 fu eletto membro attivo di questa R. Accademia Palermitana di Scienze Lettere ed Arti, nella sezione di Scienze Naturali ed Esatte, e nel 1872 fu nominato Anziano della detta Sezione. Nel 1885 fu anche eletto socio ordinario dell'Accademia Cattolica di que- sta Città. Inoltre per la sua singolare benemerenza rispetto all'Università, al Paese, alla Scienza, fu nel 1870 dal Governo insignito dal titolo di Cavaliere della Corona d'Italia. Negli annali dei sopra nominati Sodalizii, in diversi periodici di Sicilia, ed anche in pubblicazioni apposite, il prof. Lo Cicero diede alle stampe molti pre- gevoli lavori di Matematica elementare, Fisica, Meteorologia e Telegrafia. Mi accingo ora a dare una idea di quelle fra queste pubblicazioni che io potei procurarmi : alcune poche sluggirono alle mie indagini e sono veramente dolente di non aver potuto consultarle e darne un cenno, onde eseguire il mio compito il meno imperfettamente ed incompletamente che fosse possibile. Comincieremo dalle opere didattiche, poi passeremo in rivista le memorie scientifiche principali, limitandoci ad un cenno bibliografico delle altre. Mamuale d'istruzione per gl'impiegati della telegrafia elettrica in Sicilia. Palermo — Stamperia Lorsnaider, 1861. Lezioni sul programma di Malleucci per gli aspiranti alle cariche lelegrafiche. È un trattatello (1) elementare di Fisica, in 8°, di 263 pagine, corredato di tre tavole di figure. La gravitazione e la gravità sono trattate molto elementarmente, ma assai bene. Così si dica della meccanica. L’idraulica e l' aerostatica sono poco svi- luppate. Quanto al calorico l’ Autore dice che è un fluido insensibile esi- stente in quantità maggiore o minore nei corpi; e nel poco che dice di ter- modinamica, si vede che il prof. Lo Cicero non era bene al corrente di questo (1) L'unica copia che ho potuto esaminare è senza titolo, mancando la prima pagina: ‘non so quindi veramente quale sia dei due trattati dì cui si riferiscono i titoli. 6 SULLA VITA E SULLE OPERE ramo di fisica, il quale però era quasi nuovo all’ epoca in cui egli scriveva. il suo trattato : e forse nella 2* edizione lasciò sfuggirsi l'occasione di por- tarvi i miglioramenti relativi a quest'argomento. Intanto merita considerazione il fatto che riguarda la causa della cor- rente elettrica delle pile, egli si dichiara partigiano, anzichè della antica teoria di Volta del contatto, della teoria dell’azione chimica, che solo si accorda coi principi immancabili della termodinamica; giacchè il semplice contatto di due corpi non può produrre il lavoro od energia elettrica della corrente. Parlando dei movimenti dei corpi celesti, lA. dice che malgrado la loro complicazione vi è tanta armonia nel creato, che se una sola stella venisse a mancare tutte le cose si ridurebbero al caos. Evidentemente vi è esagera- zione, poichè ora noi sappiamo che il nostro sistema solare è relativamente isolato nello spazio, per una distanza di 200 mila volte la distanza della terra dal sole, talchè l'influenza delle stelle sul nostro sistema è minima ed in gran parte problematica. Ho voluto rilevare queste mende nell’ opera del Lo Cicero, le quali più che da altro dipendono dall’epoca in cui egli scriveva; ed ho fatto ciò perchè si veda che non mi sono proposto solo di lodare, ma bensì di giudicare per quanto lo consente il mio debole criterio. In conclusione questo manuale considerato nel suo complesso, e tenendo conto del tempo in cui fu scritto, era afleguato allo scopo dell’ istruzione dei tele- grafisti; anzi vi sono molti argomenti trattati con notevole semplicità e chia- rezza. Corso di cinque lezioni nelle quali mettonsi a confronto il sistema me- trico decimale e il siciliano, col’aggiunta di due appendici sui rap- porti fra le misure delle principali nazioni con quelle decimali. Pa- lermo — Francesco Giliberti, 1862. È un trattato fatto con molta cura ed intelligenza. È da notarsi che l’Au- tore nel proemio proponevasi quasi a scopo del suo lavoro di dimostrare che il Governo Italiano ha fatto bene a decidere la sostituzione del sistema me- trico decimale al siciliano, per cui bisogna mostrarsi grati ad esso Governo del beneficio, e cooperare alla diffusione del nuovo sistema, el&zinando le lunghe abitudini ed i meschini pregiudizii nemici del vero e del pro- gresso. Tali sentimenti depongono chiaramente ed altamente a favore del ca- rattere elevato, integro e patriottico del Lo Cicero, specialmente se si abbia considerazione alla circostanza che egli dal cambiamento di Governo riportò rilevanti danni, poichè, come si disse prima, non avendo egli ol legali per sa DEI CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO 7 l'insegnamento superiore, scese senza lamenti e senza rancore dalla cattedra universitaria di Fisica a dettare lezioni in modesti istituti secondari e privati. Nel manuale in discorso l'Autore comincia con esporre lo stato deplore- vole dei diversi sistemi di misure usati nelle varie parti della Sicilia, prima del 1800: sistemi difettosi anche intrinsicamente, ossia considerati in singolo, perchè nei medesimi le successive divisioni, vi sono fatte con divisori diversi e perchè la stessa parola vi serve a designare unità di natura differente: come ad esempio l’oncia che allo stesso tempo è moneta, peso, lunghezza, volume. La Commissione composta del celebre Piazzi, direttore dell'Osservatorio no- stro, e dei professori Marabitti e Balsamo, chiamata dal Governo Borbonico a studiare il sistema di misure siciliane ed a proporne uno nuovo, razionale, scientifico, scelse quello di Palermo come tipo, per le seguenti ragioni prin- cipali. Prima : che le unità di diversa natura sono fra loro collegate, poichè il tumiolo, misura di capacità per il grano, unica misura anche anticamente usata in tutta la Sicilia, e di cui esisteva il campione in marmo ben conser- vato presso il Senato Palermitano, è il cubo di un palmo; ha la capacità di mezzo darzle, la cui ventesima parte, 0 quartuecio, riempiuto d'olio d'ulivo limpido, a 54° Farenheit, ha il peso di un rotolo. In secondo luogo il sistema Palermitano presenta delle relazioni con an- tiche misure, poichè il passetto o doppio palmo era il eudito regio dei greci, il mezzo tumolo era il modio dei Romani, il quartuccio era il capithe degli arabi, ecc. Ma malgrado questi pregi il sistema palermitano di misure, come tutti gli antichi sistemi, ha parecchi difetti, e con ragione il sprof. Lo Cicero dice che la Commissione avrebbe dovuto proporre un sistema affatto nuovo e razionale; tanto più che giusto in quell'epoca il sistema metrico decimale, che è tale, era già per.legge adottato in Francia e stava allora per introdursi in Italia, cominciando dal Piemonte. E il Lo Cicero, come ebbe la franchezza di non approvare l'operato della Commissione, quantunque presieduta da un Piazzi, così egli calorosamente pro- pugnò la causa del sistema metrico decimale, dimostrandone con molto studio ed acume i vantaggi e la superiorità su gli antichi sistemi di misure. E invero l'immensa estensione che ha preso il sistema metrico decimale, e la maggiore che prenderà ancora in seguito, se potrà esser vinta la ritrosia o l'amor proprio nazionale degli inglesi, gl’incalcolabili vantaggi che il detto sistema ha portato, facilitando le relazioni commerciali, la grande comodità dell’ uso del medesimo nelle scienze, hanno dato splendidamente ragione al prof. Lo Cicero. L’ Autore finisce il suo libro con due appendici : l'una è un accurato e 2 S SULLA VITA E SULLE OPERE vasto specchio dei rapporti delle misure dei varii paesi colle decimali, l’altra è un erudito confronto delle misure antiche, greche e romane, colle moderne decimali. Nozioni di Aritmelica del prof. Lo Cicero, in 4° di 156 pagine. p , pag Trattato affatto elementare, facile e chiaro: nelle note è data la dimostrazione delle operazioni. Veniamo ora alle memorie scientifiche, che aggrupperemo in ordine alle materie di cui sono argomento, cominciando della Fisica. Osservazioni su varti fenomeni di luce polarizzata , di colorazione sog- gettiva e di magnetismo in rotazione del prof. Lo Cicero in 8° pa- gine 32, Palermo, Stabilimento Tipografico di Francesco Giliberti, 1862. Si tratta di diverse curiose ed eleganti esperienze trovate dal professore Domenico Ragona, delle quali il Lo Cicero dà spiegazioni più semplici di quelle proposte dall’inventore. La prima esperienza consiste nel guardare attraverso di un piccolo vetro colorato una superficie bianca, fortemente illuminata, che apparirà colla tinta del vetro: si frapponga tra l’ occhio ed il vetro un prisma birifrangente di spato d’ Islanda : si avranno due imagini del vetro colorato, le quali nelle parti coincidenti, 0 sovrapposte, appariranno del medesimo detto colore, ma nelle parti non coincidenti appariranno bianche. La seconda esperienza consiste nell’aggiungere, fra il cristallo e la super- ficie bianca, un filo nero teso verticalmente. Quando la sezione principale del prisma è verticale, come il filo, questo vedesi nettamente dietro le due ima- gini bianche del vetro colorato, allorchè invece la sezione principale è oriz- zontale il filo è invisibile dietro le due dette imagini bianche. Il prof. Lo Cicero ha poi trovato che coprendo la parte centrale del filo con un diaframma opaco, il filo stesso vedesi infero quando la sezione prin- cipale del prisma è parallela al filo, come se allora il diaframma divenisse trasparente. Tale fenomeno egli lo spiega giustamente dal fatto che in quella posizione del prisma birifrangente le due imagini delle due porzioni del filo non occultate, sopra e sotto vengono ravvicinate in modo che il filo pare non interrotto dal diaframma; e così si spiegano anche i due fenomeni precedenti osservati dal Prof. Ragona. Passando ai fenomeni di colorazione soggettiva, il principale, veramente elegantissimo, a cui si possono ridurre gli altri, è questo : se si osservano due circoletti neri su fondo bianco, l'uno attraverso un vetro colorato, l’ altro DEL CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO 9 specchiato dal vetro stesso, in modo da apparire accanto al primo dischetto, si vedranno i due circoletti vivamente tinti, il riflesso del colore stesso del vetro, l’altro del colore complementare. ‘Mediante altri esperimenti ideati dal Lo Cicero egli dà la spiegazione vera del fenomeno, consistente in questo, che il dischetto visto attraverso al ve- tro essendo nero, per se stesso non darebbe luce alcuna, ma ad esso si so- vrappone la luce bianca riflessa dal fondo che circonda l’altro dischetto: ma Siccome lo spazio che contorna il primo dischetto, per esser visto attraverso al vetro, ne assume il colore, per contrasto fisiologico , la detta luce bianca riflessa sul primo dischetto appare del colore complimentare del vetro. Al se- condo dischetto poi, riflesso accanto all'altro, e nel campo che apparisce del colore del vetro, non avendo esso circoletto luce propria, si sovrappone quella del detto campo, cioè la tinta del vetro: e questa tinta sul dischetto appare più satura, perchè non diluita, nella luce bianca, del suo fondo, riflessa pure da quel lato, come accade invece alla tinta del campo in cui appare. Mi sì permetta di aggiungere che fu con gran piacere che io vidi nel Museo di Fisica dell’Università di Berlino l'apparato semplicissimo che serve a dimostrare questo grazioso fenomeno d'ottica fisiologica, trovato del profes- sore Ragona e studiato ed interpretato esattamente dal prof. Lo Cicero ; il quale apparato mi venne indicato come cosa italiana dall'assistente del celebre prof. Helmholtz. In fine il fenomeno di rotazione, osservato dal prof. Ragona, ed anche da altri, è questo. Si abbia un perno od asse verticale sostenente un ago ma- gnetico, e che comunica col conduttore di una macchina elettrica : inoltre vi sia un cerchietto metallico circondante l'ago, e munito di punte rivolte verso l'ago medesimo ed il cerchietto comunichi cogli strofinatori della stessa mac- china elettrica; messa questa in azione, l'ago ruota. Il prof. Lo Cicero ha trovato che si ottiene la stessa rotazione con un ago non magnetico e che pertanto non si tratta di un fenomeno di magne- lismo di rotazione, ma semplicemente di una azione meccanica di attrazione fra la punta dell'ago e le punte del cerchietto, contrariamente elettrizzate. Nuovo apparato per determinare il corso delle navi. Nuove Effemeridi Siciliane: marzo 1869 È una ingegnosa applicazione del tubo di Pitot, il quale in Idraulica si adopra per misurare la velocità di una corrente d’acqua, dietro la differenza di livello cui monta l’acqua in un tubo verticale ed in un tubo piegato a squadra, con un ramo rivolto contro la corrente : essendo l'apparecchio tenuto 10 SULLA VITA E SULLE OPERE immobile entro la corrente medesima. Il Lo Cicero ha pensato di adoperarlo in senso inverso: cioè su di una nave che si muove in seno all’ acqua im- mobile; appunto come fanno gli Idraulici per tarare il detto tubo di Pitot * portandolo cioè con determinata velocita per entro un serbatoio di acqua stagnante. Non pare si sia fatta applicazione pratica dell’ idea del prof. Lo Cicero: forse la nave spostando l’acqua, vi determina movimenti ivregolari che alte- rerebbero le indicazioni dello strumento. Nuova bussola marina a compensazione. Nuove Effemeridi Siciliane; Luglio-Agosto 1874. L'Autore considerando che le perturbazioni dell’ago magnetico più da temersi son quelle prodotte dal magnetismo vario che acquistano le masse di ferro nelle navi, a seconda della orientazione di queste, ha ideato di aggiungere all’ago principale altri due aghi più deboli congiunti ad esso simmetricamente in croce sullo stesso perno: questi aghi laterali sono inoltre disposti coi poli opposti a quelli del magnete principale, talchè il sistema riesce alquanto astatico. Le azioni perturbatrici esercitata dalle masse di ferro magnetizzate dalla influenza terrestre, essendo contrarie sui poli dell’ago principale e sui due la- terali a ciascuno, debbono neutralizzarsi più o meno completamente. Però i) prof. Lo Cicero dice prudentemente che i marini dovrebbero fare la prova dalla sua invenzione e decidere dell'efficacia della medesima. Il prof. Fileti, Direttore dell’ Istituto nautico, che pare avesse avuto una ‘ idea simile, fece costruire una bussola con gran numero dei detti aghi se- condarii o di compensazione, ma l’effetto non corrispose all’aspettazione. È noto che attualmente si adoprano metodì di compensazione diversi da quello immaginato dal Lo Cicero e che non lasciano nulla da desiderare ai naviganti. Varie descrizioni sulla telegrafia elettrica di Giuseppe Lo Cicero. Palermo G. B. Lorsnaider 1858. In 4° di 28 pagine in due tavole. Son sei articoli di cui il primo tratta dei disordini che possono occor- rere mei circuiti telegrafici, e dei mezzi di conoscerli e correggerti. Il se- condo parla della Reazione che soffre nei circuili telegrafici la corrente delle pile nel circuire le spire dell'elettro-calamito. Il terzo spiega Come può monlarsi una stazione munita di un sol gruppo di apparecchi, im modo che possa ad un tempo ricevere e trasmettere. Il quarto articolo ha per titolo 1° Traslazione per tre e cinque linee — 2° Se sia ulile la mol- DEL CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO ll liplicazione dei traslatori. IL quinto articolo descrive un Apparato scrivente di Morse senza pila locale e senza rilievo (relais). Telegrafo militare. Nel sesto articolo si espongono due processi di /rasmissione simultanea. Argomenti tutti evidentemente di grande importanza nella telegrafia pra- tica, e di cui alcuni all'epoca della pubblicazione di questo lavoro del Lo Ci- cero avevano anche una certa novità. La Fiamma e la Vita — Nuove Efemeridi Siciliune Luglio ed Agosto 1870. L'Autore fa vedere come quest'analogia di cui sì spesso valgonsi i poeti, ed anche i letterati in genere, è più completa e più profonda di quel che appaia a prima vista. Infatti senza alimento, senza calore non vi è nè fiamma nè vita : di più i prodotti della combustione nella fiamma sono vapor acqueo ed anidride car- bonica, come lo sono quelli della respirazione degli animali. Anzi ora, che i principii della termodinamica sono più divulgati di quel che erano al tempo in cui il Lo Cicero scriveva quel brioso articolo, si può aggiungere che la fiamma, ossia il calore, produce lavoro, come appunto la vita si rivela col moto, e colle diverse attività le quali non sono altro che varie forme del lavoro od energia, sia meccanica propriamente , sia trasfor mata. E così l'analogia fisicamente reale fra la fiamma e la vita messa avanti dal Lo Cicero, viene spinta ancor più oltre ed in un campo più vasto. Nuovo Galvanometro del prof. Giuseppe Lo Cicero. Palermo Priulla 1858. Opuscolo in 8° di 8 pagine con una tavola. Nel Galvanometro del prof. Lo Cicero, invece dell'ago magnetico, vi è una sbarra cilindrica di ferro dolce, sospesa ad un sottile filo d’ ottone : attorno alla sbarra, e portato dalla medesima, sta avvolto un filo conduttore che fa le veci del circuito fisso dei comuni galvanometri di Nobili; questo filo viene messo in relazione col circuito di cui si vuol esplorare la corrente per mezzo di due piccole coppe con mercurio, ove pescano le estremità del detto filo, nella direzione dell'asse di rotazione. Sotto 1’ azione della corrente che passa nel filo avvolto alla sbarra di ferro, questa diviene come un ago magnetico è tende a dirigersi secondo il meridiano magnetico, torcendo il filo di ottone cui è sospesa. Un indice, unito ad una estremità della sbarra, serve a leggere nella gra- duazione sottoposta la deviazione della sbarra stessa dalla direzione normale al meridiano magnetico, che è quella di partenza o di riposo. 12 SULLA VITA E SULLE OPERE Lo strumento è nuovo ed ingegnoso , ed il prof. Lo Cicero riteneva che le deviazioni dell’ indice fossero proporzionali alla intensità della corrente, proprietà che nel galvanometro comune si verifica solo approssimativamente per piccole deviazioni. Ma dal calcolo che io ho fatto, risulta che nel galva- nometro del Lo Cicero le intensità delle correnti sono proporzionali alle de- viazioni moltiplicate per la loro segante trigonometrica, talchè solo per an- goli piccolissimi si verifica con sufficiente approssimazione la desiderata pro- porzionalità alla intensità delle correnti elettriche. (1) Termometro a massima e minima. Nuove Effemeridi Siciliane. No- vembre 1889. — È certo che il prof. Lo Cicero cavò della sua testa l’idea di questo termometro, ma in realtà termometri di quella costruzione, come sono quelli del Guloz e del Bellani, erano da parecchi anni in uso nei gabi- netti di fisica e negli Osservatorii. (4) Nel galvanometro di Nobili è noto che l’intensità Z della corrente può essere espressa esattamente in funzione dell’angolo di deviazione è dell'ago, colla seguente formola : I=M tang è Ove M è un coefficiente da determinarsi per ciascun galvanometro. Nel galvanometro del Lo Cicero la componente » del momento magnetico N, perpendi- colare alla deviazione dell'ago deviato, è espressa da n= N cos è dovendo questa componente equilibrare la forza di torsione 7° del filo d’ottone, sarà : T= N cos 3 ma la forza di torsione è proporzionale all’angolo di deviazione è, quindi sarà : TI=#PISENTC Osio ove Pe un opportuno coefficiente : e per tanto essendo (entro certi limiti) l'intensità della corrente proporzionale al momento magnetico che produce, si avrà : g QPS3= I cos dò ove @ è un coefficiente costante, e quindi [S d 1=R -= R dè secò cos è facendo PX Q=R. Swiluppando in serie il valore di è, ed arrestandosi al 2° termine risulta : 1 i=Rtang è (14 G sen? 2) Formola più complicata di quella del galvanometro di Nobili per la presenza del fattore binomio approssimato : il che vuol dire che nello strumento del prof. Lo Cicero la legge esatta che collega le deviazioni all’indice colla intensità delle correnti da misurare è meno semplice di quelle del galvanometro di Nobili, ove pure solo per approssimazione le de- viazioni non grandi misurano direttamente le intensità elettriche. | DEL CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO 13 Barometro differenziale. Ivi. — Risulta di un tubo orizzontale con indice d' acido zolforico : agli estremi sono congiunti due serbatoi l'uno con fondo elastico, l’altro con fondo rigido. La pressione ettrosferica deprimendo più 0 meno il fondo elastice sposta l’ indice il quale così segna le variazioni della detta pressione atmosferica. Ma in questo strumento non sarebbero neutralizzati gli effetti delle variazioni di temperatura poichè con questa variando la forza elastica del gas contenuto nello apparecchio, mentre da un lato il fondo rigido resiste, poniamo, in modo assoluto, l’altro fondo essendo elastico cederà, e variando le capacità del corrispondente serbatoio, l'indice liquido, che gli con- cede una comunicazione indiretta coll’altro serbatoio di capacità costante verrà spostato; cosicchè le indicazioni dello strumento saranno complicate perchè di- pendenti dalle alternative della pressione barometrica non solo, ma ancora da quelle della temperatura. E invero da quanto mi fu riferito dal prof. Caliri che costruì quest'appa- recchio, il prof. Lo Cicero cercò il modo di correggere le indicazioni del suo strumento eliminando l’effetto delle variazioni della temperatura, ma pare che ciò non riuscisse con sufficiente esattezza; come d'altronde era da aspettarsi dalla costruzione dello strumento stesso. Igrometro a rarefazione. — Il prof. Lo Cicero ha pensato di determinare il punto di temperatura della condensazione dell'umidità dell’aria, e quindi il suo stato igrometrico, raffreddandola per mezzo della rarefazione. Forse ai suoi tempi non sì sapeva ancora che l'espansione adiabatica, cioè senza som- ministrazione di calore, produce condensazione del vapore acqueo la quale complica il fenomeno e inolire per la variazione della pressione verrebbe alte- rato il punto di condensazione, il che impedirebbe di conoscere il grado di umidità dell’aria. Meglio sarebbe osservare la condensazione sulla parete esterna del vaso raffreddato dalla rarefazione. Del resto anche il Lo Cicero sospettava che le condizioni della condensazione entro e fuori l'apparato non fossero le stesse, e diceva in una nota in fine del suo lavoro che sarebbe stato neces- sario stabilirne con esperienze il rapporto. Nuovo apparecchio che dà la misura della forza e della velocità del vento. — È una specie di doppio sifone mantenuto a livello costante, e pieno d’acqua, la quale ne viene spinta fuori dalla pressione del vento che si esercita contro un sacco elissoidico interposto in uno dei bracci. Il funzionare dell’ap- parecchio è ingegnoso, ma è poco probabile che l’azione del vento sul detto sacco, e quindi la quantità d’acqua versata, sieno proporzionali alla forza del vento medesimo. Apparato che misura la forza del vento da usarsi nella navigazione. — Invece di agire sull'acqua, il sacco elisssoidico solleverebbe più o meno un ‘ peso, indicando così la forza del vento. 14 SULLA VITA E SULLE OPERE E chiaro che questi due congegni non potrebbero dare una vera misura della forza del vento, ima solo una semplice indicazione, ed anche per cono- scere l’attendibilità di questa dovrebbero essere provati coll’uso nella pratica. Varii articoli di Meteorologia del prof. Giuseppe Lo Cicero. — Palermo Tipografia del Giornale di Sicilia, 1869. Volumetto in 4° di 31 pagine con una tavola. Causa dell'accensione delle stelle cadenti e altezza dell'atmosfera. L'A. dice giustamente che ormai l’unica ipotesi accettabile è che le stelle cadenti sieno corpi giranti attorno al sole, asteroidi egli dice, ma questo nome non sarebbe opportuno, perchè usato ordinariamente dagli astronomi per indicare i piccoli pianeti fra Marte e Giove. L'A. dice pure bene che il loro accendersi è dovuto all'estinzione del loro moto, che convertesi in calore, secondo i principii della termodinamica. Ma poi Egli dice che tale estinzione del moto e sviluppo di calore può aver luogo non solo per l'attrito con l'atmosfera, ma anche per l'attrazione terrestre che devia o rallenta più o meno il moto della stella filante. Ciò non è: perchè l'energia dell’astro girante viene impiegata nel lavoro meccanico che contra- sta coll’ attrazione, e gli impedisce di cadere sul corpo principale verso il quale gravita. Così un grave lanciato verticalmente in alto, cessa di salire in causa dalla gravità che ha estinto il suo moto ascensivo spendendosi l'energia trasmessa al mobile nel lavoro di innalzarsi ad una certa altezza: ma il grave non si riscalderebbe menomamente, se si potesse prescindere dall’attrito coll’aria. È poi giusto, come dice il prof. Lo Cicero, che dall’accensione delle stelle filanti non si può dedurre l'altezza totale dall'atmosfera, però non come dice Lui perché l’ accensione possa avvenire fuori dell'atmosfera stessa, ma perchè non sappiamo quale densità dell’ aria sia necessaria a produrre il fenomeno in discorso. Ipotesi sulla nebulosità delle comete. — L' Autore ritiene che la nebu-. losità e la coda delle comete sieno prodotte da correnti di stelle filanti, le quali variando di posizione rispetto al sole e rispetto all’osservatore, e quindi di illuminazione, darebbero le diverse forme ed aspetti della coda delle comete. Gli studii più recenti sulla costituzione fisica delle comete, rendono probabile in parte l'opinione del Lo Cicero, conforme alle idee di Tyndall e Schiaparelli, ma la difficoltà di spiegare le trasformazioni e la complicazione delle code delle comete, sussiste sempre malgrado gli sforzi degli scienziati. Scintillazione delle stelle—L' A. ritiene sia prodotta dal passare davanti alle stelle fisse le filanti da in numero sterminato, attraversando gli spazii in DEL CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO 15 tutte la direzioni. Studit più recenti di Donati, Secchi, Respighi, e Montigny, dimostrano che questo fenomeno è prodotto dalle ondate che agitano l' atmo- sfera, la quale agisce come prisma interposto fra l'occhio e l'astro. Ipotesi sulle cause della luce e del calore solare. — Il prof. Lo Cicero ritiene che il calore solare sia dovuto ad induzione elettromagnetica causata dalla rotazione del sole e dalle rivoluzioni dei pianeti attorno ad esso. Che tale induzione esista, è provato dal fatto della relazione che vi è fra le macchie solari ed il magnetismo terrestre, avendo i due fenomeni un eguale periodo di 11 anni, ed essendo l'apparizione di grandi macchie accompagnate da per- turbazioni del magnetismo terrestre ; ed è poi fuor di dubbio che la forma- zione delle macchie importa variazioni termiche nel sole; ma tali azioni clet- iro-magnetiche difficilmente potrebbero spiegare l’ingente quantità di calore che si sviluppa nel sole. Però bisogna convenire che finora veruna delle ipotesi avanzate soddisfa conpletamente. Ancor meno probabile pare l'altra opinione del Lo Cicero che cioè anche il calor interno della terra sia prodotto da induzione elettro-magnetica della luna, la cui azione sugli aghi magnetici è affatto impercettibile. L’A. dice poi che così in fine il calore degli astri sarebbe prodotto a spese del loro moto, come in una macchina elettro-magnetica la corrente elettrica ed il calore in cui questa può essere trasformata è prodotta dalla forza che la mette in rotazione; e siccome il moto degli astri è prodotto dalla gravita- zione, che è forza perenne, così sarebbe inesauribile il calore degli astri. Il moto degli astri non è causato dalla sola gravitazione, altrimenti essi non farebbero altro che correre gli uni verso gli altri in linea retta, ma ancora dall’impulso primitivo conservato per l'inerzia; da che derivano le orbite cur- vate che gli astri descrivono; se il moto o meglio la forza viva dei corpi ce- lesti si consumasse nel produrre calore, prevalerebbe sempre più la loro vi- cendevole attrazione e finirebbero per cadere tutti gli uni sugli altri, i più piccoli sui più grossi. Influenza della forza centrifuga e della temperatura sulle correnti degli oceani e dell'atmosfera, e concorso di cause speciali che la modificano. Nuove Effemeridi Siciliane. Luglio 1869. È questa una nota di poche pagine, ma io mi stimo fortunato di aver avuto occasione di occuparmene, perchè in essa è presentata un'idea nuova, in meteorologia a quel tempo, e che per quanto so, finora nessun’ altro au- tore ha ripresentata come sua o presa in considerazione come trovata da altri: sono quindi lieto di richiamare l’attenzione di questo illustre consesso su questa & 16 SULLA VITA E SULLE OPERE idea del prof. Lo Cicero, ingegnose ed importante per la fisica terrestre e la Meteorologia. Si immagini una massa fluida, di acqua o di aria, la quale nelle regioni polari terrestri si raffreddi e quindi divenga più densa delle circostanti masse fluide : per questo fatto su di essa agirà più energicamente che sulle altre la forza centrifuga originata dalla rotazione terrestre; e pertanto la detta massa si allontanerà dall’ asse terrestre e si avvierà ai paralleli più larghi, scen- dendo alle minori latitudini, avvicinandosi all’equatore, sempre più sollecitata dalia forza centrifuga ognor crescente. Ecco generata una corrente, sia ma- rina, sia atmosferica diretta da un polo all'equatore : una corzente polare. Analogamente una massa d’acqua o d’aria, che nelie regioni vicine all’e- quatore siasi riscaldata più delle circostanti, per essere divenuta meno densa sentirà meno l’ azione della forza centrifuga, cederà il posto alle masse più dense e si rifugierà alle regioni polari ove la forza centrifuga è minore. Ecco generata una corrente marina od atmosferica diretta dall'equatore ai poli: ossia una corrente equatoriale. Queste correnti esistono in realtà, anzi hanno una importanza grandissima nella fisica, direi quasi nella vita del nostro globo terracqueo, perchè costitui- scono il fenomeno fondamentale della circolazione atmosferica e marina, che può dirsi essenziale alla vita delle piante e degli animali. Si è sempre detto che il calor solare nelle regioni equatoriali dilatando e sollevando le masse d’acqua e d’aria, queste defluivano verso le regioni polari, e che da queste regioni, massa d'aria e d'acque più fredde e più dense ve- nivano per i bassi stretti a vrendere il posto lasciato all'equatore dalle cor- renti calde. i Il prof. Lo Cicero ha dimostrato che vi è proprio una forza che sospinge, che conduce, dall'equatore ai poli le masse fluide che il maggior calore solare ha riscaldate e sollevate, e così vi è proprio una forza continua che sollecita dai poli all'equatore le masse fluide che nelle regioni glaciali per il raffred- damento divengono più pesanti e scendono ai bassi stretti dell’ aria e del mare. Abbiamo così un sistema completo di forze che trasportano e conducono in giro le masse atmosferiche e marine nella loro circolazione; e in tal modo meglio si spiega la maestosa grandiosità e costanza delle correnti marine e il regolare succedersi dei venti più importanti. L'Autore dice inoltre che gli pare che anche l’attrazione del sole e della luna, esercitandosi con diversa intensità secondo la densità delle masse acquee od aeree, debbansi produrre nell’ atmosfera e nei mari dei movimenti parti- colari in relazione alla posizione dei detti astri, da cui dipendono certe alte- razioni del corso delle stagioni od in generale delle vicende meteorologiche. POI FTA VET È | ‘ i 3 i I È -_ DEL CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO 17 Certo non è da negarsi che tali influenze degli astri possano esistere, ma si sa già che le maree non importano movimento di trasloco delle acque, ed è noto che appena con studii accuratissimi si può cogli strumenti meteorolo- gici riconoscere l’esistenza della marea atmosferica, talchè la differenza di at- trazione esercitata dal sole e dalla luna sulle masse aeree di diverse densità non può avere importanza nella meteorologia. Il scirocco di Sicilia. Nuove Effemeridi Siciliane. Agosto 1869. L' Autore è dell’ opinione che il detto vento caldo derivi dal deserto di Sahara, e di tal parere fu anche il Nicolò Cacciatore e lo furono e lo sono coloro i quali appresso studiarono bene questo fenomeno in Sicilia, come Tec- chini, Zona, ecc. Il Kimtz, prima del Lo Cicero, nel suo trattato di meteorologia dice che tali venti caldi nascono probabilmente sulle inaridite scogliere della Sicilia, che certamente egli non aveva mai viste. Attualmente dopo gli importanti studi del Tacchini sulle polveri traspor- tati dallo scirocco non vi può esser dubbio alcuno sulla provenienza di queste, e quindi del vento, da quelle sterminate ed aride regioni, coperte appunto da una arena affatto simile. Il prof. Lo Cicero si apponeva dunque al vero, ritenendo la patria del scirocco nel deserto africano; solo per amore di esattezza gli si potrebbe fare l'appunto di aver detto che il scrocco di Sicilia è un vento di S E. Tale sarebbe veramente il nome del vento di questa direzione in geografia, ma di fatto in Sicilia chiamasi scirocco ogni vento, singolarmente caldo, che spiri fra le di- rezioni SE e SW : anzi le sciroccate meglio caratterizzate hanno per lo più la seconda direzione, cioè quelle che in geografia veramente chiamasi Libeccio. È noto in Sicilia che il scirocco produce un particolare malessere, e ciò non sorprenderà alcuno, poichè un vento impetuoso colla temperatura che può giungere fino a 46°, e secco talora fino al 10 %, di saturazione, in un paese ove per la vicinanza dalla marina, l'umidità relativa media è di 73‘, non può far a meno di essere molesto e penoso per l'organismo umano; ma sì ha di più che il scirocco è preceduto da certi sintomi fisiologici, talchè molte persone, specialmente se provette per il scirocco o di costituzione delicata, pos- sono prevederne l’arrivo parecchie ore avanti. Il prof. Lo Cicero riteneva che causa di questo malessere fosse la polvere tra- sportata dal scirocco, la quale cadendo anche prima che il vento si manifesti, pene- trando per le vie respiratorie nell'organismo, vi determina un particolare disturbo. Più recentemente, nel 1879, il Direttore della Stazione Agraria di questa città, 18 SULLA VITA E SULLE OPERE D." Maccagno avendo analizzata l’aria ordinaria e l’aria duranti il scirocco in Pa- lermo, trovò in quest'ultima la quantità di ossigeno fin di un ventesimo mi- nore. Tale deficienza nell'aria dell’ elemento vitale per gli animali, potrebbe benissimo, come osservava a quel tempo il prof. Tacchini, spiegare il males- sere cagionato dal scirocco; malessere che potrebbe farsi sentire anche quando il scirocco non' si è ancora spiegato nelle basse regioni atmosferiche, ma spi- rando già nelle alte, può per diffusione produrre la detta mancanza di ossi- geno anche in basso. Però sarebbe necessario chs l'osservazione del Maccagno fosse confermata da una lunga serie di esperienze. Del resto mentre il malessere causato dallo scirocco è un fenomeno co- stante, e sempre questo vento perchè caldo, secco ed impetuoso, solleva nembi di polvere locale, il trasporto per opera sua di polvere del deserto non è fe- nomeno che l accompagni costantemente: valga ad esempio il terribile sci- rocco del 25 agosto 1885, che portò la temperatura dell’aria all'ombra nella Conca d'oro a 46°, ma non diede affatto quella polvere meteorica. Qui cade in acconcio di parlare di un’altra nota del prof. Lo Cicero, che ha per titolo : Perchè i venti che spirano dai deserti tropicali sono caldi sì di giorno che di notte. (Nuove Effemeridi Siciliane, Luglio ed Agosto 1870.) L'Autore dice che il scirocco spira caldo anche di notte, perchè la pol- vere che solleva impedisce durante la notte l’ irradiazione o dispersione del calore accumulato durante il giorno nel suolo del deserto. Tale azione della polvere certamente non si può negare in modo assoluto : però bisogna notare che il deserto più vicino, cioè il tripolitano, dista da Palermo almeno un settecento chilometri, per conseguenza il vento sorto di là, ammettendo anche che spiri con una velocità grandissima, anzi straordinaria, di 100 chilometri all'ora, arriverà a noi non prima di sette ore. Inoltre il scirocco non soffia con forza costante per molte ore : ma bensì con forti intermittenze , quindi si comprende che le masse d’aria calda che partono dal deserto percorrendo un sì lungo viaggio con velocità varia, debbono arrivare a noi in momenti diversi, e pertanto sarà impossibile riconoscere nello scirocco un periodo cor- rispondente al diurno. D'altra parte, durante la notte se sul Sahara vi sarà aria fredda, essa non si innalzerà e perciò non potrà giungere in Sicilia, In- somma il periodo diurno della temperatura nel Sahara protrebbe produrre intermittenze piuttosto che oscillazioni regolari della temperatura del scirocco: tali intermittenze a noi giungeranno in ritardo rispetto al detto periodo in NI SIR E IR I SUIT ZIE, PI DEL CAV, PROF. GIUSEPPE LO CICERO 19 causa della grande distanza e saranno irregolari per la varia velocità con cui la diversa massa d’aria sorta dal deserto la percorrono. E tali intermittenze irregolari si osservano appunto nello scirocco. A produrre l'elevata temperatura dello scirocco certamente contribuisce il suo movimento discendente per cui secondo una nota legge di termodina- mica l’aria molto secca che lo forma si riscalda di quasi 1° ogni 100" di discesa : e siccome poi questa discesa si fa irregolarmente , secondo la acci- dentalità delle montagne siciliane che deve valicare, così irregolare sarà an- cora questo soprappiù di calore causato dal moto discendente : e ciò pure con- tribuirà a rendere impossibile il riconoscere un periodo diurno dello scirocco, anche se all'origine esistesse. Perchè la corrente del Gulfstream non si rimescola colle acque del- l'Atlantico. L'Autore dice giustamente che è il movimento il quale impedisce la mescolanza : se questo cessasse le acque si confonderebbero: non occorre ammettere un particolare glutine (affatto problematico) nelle acque della cor- rente. E invero in una corrente stabilita i filetti fluidi per inerzia conservano la direzione del loro movimento e non tendono a deviare per mescolarsi (almeno nell'interno della corrente) colle acque immobili. D'altronde come dice l'Autore occorre un certo tempo per il rimescolamento, e frattanto giungono nuove masse. Si aggiunga poi che nel senso verticale la differenza di densità è suf- ficiente a tenere separata l’acqua della corrente. Circolazione delle acque dei mari e degli Oceani. Nuove Effemeridi Siciliane, Sett. 1869. L’ Autore si domanda se questa circolazione sia estesa a tutte quante le acque marine, o se esistano certe masse raccolte in profondi recessi le quali non prendono parte alla circolazione. Ad esempio nel Mediterraneo prima dello stretto di Gibilterra vi è una regione profonda, fino a 900 braccia, ove l’acqua ha una salsadine molto superiore a quella della superficie. Si sa che vi è una rapida corrente che dall’Atlantico entra nel Mediterraneo, e vi porta le acque meno salse di quell’Oceano; si comprende come la forte evaporazione mediterranea concentri la salsedine, e produca il detto strato tanto sals> e quindi pesante che si raccoglie nell’abisso che precede lo Stretto di Gibilterra: ma si comprende anche che se non vi fosse ora e non vi fosse mai stato esito per quest’acqua tanto salata, la concentrazione giungerebbe alla satura- zione ed al di là, e si avrebbe la formazione di un banco di sale. Il prof. Lo Cicero dice che è poco probabile che vi sia una contro-cor- rente che riversi l'eccesso di sale nell'Oceano, perchè essendo lo stretto pro- 5 20 SULLA VITA E SULLE OPERE fondo solo 260 braccia, dovrebbe la detta corrente d’acqua pesante salire di 500 braccia per passare per lo stretto di Gibilterra: e pertanto egli ritiene che sia l’endosmosi, o scambio molecolare, che manifestasi tra fluidi di diffe- rentedensità il quale ristabilisca o tenda a ristabilire l'eguaglianza della sal- sedine, mentre l’evaporazione smaltirebbe l'eccesso d’acqua portata dalla cor- rente che entra per lo Stretto. Ma pare difficile che un’ azione così lenta, come è quella dell’endosmosi, (0 meglio diffusione), e che non può agire se non nel senso di eguagliare, o meglio di diffondere la salsedinesia sufficente a scaricare il Mediterraneo del suo eccesso di sale. D'altronde quando il Lo Cicero scriveva l'articolo in discorso non erano forse ancora noti dei fatti che dimostrano la reale esistenza di una forte contro corrente a poca profondità sotto la corrente superficiale che entra nello stretto di Gibilterra. Sono questi riferiti da Maury : l'uno di un battello rimorchiato contro la detta corrente superficiale per mezzo di un secchio caricato di una palla da cannone e calata nelle acque dello Stretto alla profondità di poche braccia; l’altro fatto è di una nave affondata nello Stretto, la quale dopo alcuni giorni tornò a galla a quattro leghe più ad ovest, verso l'Atlantico. Causa delia differenza di temperatura dell'emisfero boreale e dell’australe. Nuvve Effemeridi Siciliane, Novembre 1869. L'autore dice che la temperatura più bassa dell’emisfero australe dipende da una causa astronomica e da una terrestre: la prima consiste nell’ essere l'inverno dell’emisfero australe più lungo di quello dell’emisfero boreale; l’e- state nell’emisfero australe è più breve, ma il sole è più vicino, per cui vi è compenso esatto per questa stagione rispetto all’altro emisfero, e resta il de- ficit di calore prodotto nell'inverno. La seconda causa consiste nell’essere l'emisfero australe coperto per mag- gior parte, che non il boreale, da acque, per cui il calor solare ivi è impie- gato in maggior copia nell’evaporazione ed in minor parte allo scaldamento. Queste idee non sono e non erano nuove quando le esponeva il Lo Cicero ma siccome in quel tempo non si avevano ancora da tutti nozioni ben certe sulle ragioni dell'importante fenomeno in discorso, era assai opportuno l’insi- stere su di esse ed il chiarirle. Ora dovrei venire alla parte più delicata del mio assunto, intrattenendovi, Chiarissimi Colleghi, della vita privata del prof. Lo Cicero, ma la sua ecces- siva modestia mi ha reso difficile il procurarmi adeguate notizie. 1% Hess visa ì i i i | | DEL CAV. PROF. GIUSEPPE LO CICERO 21 Fortunatamente ho potuto attingere alcune informazioni da autorevoli per- sone che lo conobbero personalmente : come il nostro Segretario (Generale, Comm. Crisafulli, il Comm. Deputato Puglia, il Direttore del Convitto S. Rocco, il professore ed il Canonico Montalbano, il prof. Caliri. Ultimamente poi ebbi anche il bene di conoscere il suo pronipote, signor Giuseppe Lo Cicero, il quale mi ha cortesemente fornito parecchie informazioni e documenti im- portanti. Ancora dirò qui, che per mia maggiore ventura il Comm. Prof. Sampolo, il quale con indefesso amore e con studii di gran lena si occupa di tutto ciò che si attiene alla storia della Scienza, in Sicilia benevolmente interessandosi ed aiutandomi nelle mie ricerche, mi ha comunicato diverse note sopra il pro- fessore Lo Cicero, le quali mi furono di guida utilissima. Il prof. Lo Cicero, come più volte ho detto, trattandosi della sua virtù dominante, fu estremamente modesto, inoltre sinceramante religioso, singolar- mente frugale, e caritatevole fino alla prodigalità. Non essendosi mai deciso a prendere gli ordini sacri, ma pure non avendo famiglia propria, poteva libe- ramente e senza serupolo dedicarsi alla filantropia. Per la sua grande semplicità di carattere, egli nascondeva le belle qualità del suo animo, e mai menò vanto dei suoi studii e degli ingegnosi suoi tro- vati; anzi qualche volta lasciò, senza far querimonie, che altri cogliesse il frutto delle sue fatiche. La sua religione poi non consisteva solo nelle pratiche esterne, ma bensi nell’esercitare in modo mirabile la carità e la baneficenza, nel condurre una vita esemplare, anzi intemerata , nel regolare tutte le sue azioni secondo i dettami della moralità la più alta e la più pura, fino allo scrupolo. Tutto ciò gli procurò la stima e l'amicizia di parece hie delle più cospicue famiglie Patrizie Palermitane, di cui talune gli affidarono anche l'educazione e l'istruzione dei loro figli ; come fecero il principe di Galati, il conte Maz- zarino, il duca di Brolo, il marchese di Mortillaro, esc. Della generosità del prof. Lo Cicero si hanno parecchi begli esempi. Così egli fondò due posti di educazione presso le Sorelle di Carità ed altri due posti nel Seminario di Monreale. Diverse volte egli incontrando infelici per la via li soccorse largamente con quanto aveva sopra di sè, e se questo non bastava a soddisfare il moto generoso del suo cuore, li conduceva a casa sua e dava loro somme veramente rilevanti per la sua limitata fortuna. Di lui si racconta anche un fattarello grazioso : la sua grande bontà non valse a salvarlo dalla rapacità di un servo infedele, il quale gli involò dodici posate d’argento ed una tabacchiera ii platino. Consigliato, e quasi costretto 22 SULLA VITA E SULLE OPERE dagli amici e parenti, denunziò il ladro, ma poi commosso del quadro della moglie e dei figli di quello piangenti, e pensando che se il reo fosse stato condannato , egli, diceva lui, sarebbe stato in dovere di mantenere quella famiglia, tanto si adoprò, tanto pregò, che riuscì ad arrestare il procedimento penale contro quel disgraziato. E quanto poi alle cose sue, che in questo caso ed in altri simili gli ve- nivano a mancare, egli si rimetteva come al solito alla divina Provvidenza. Per poter esercitare la carità in così larga scala, egli andava sempre più economizzando nelle sue spese personali e perfino nel vitto, talchè infine, amici e parenti dovettero intervenire per indurlo ad adottare un regime di vita più conforme, se non ai bisogni della sua salute, sempre buona, a quelli della sua età avanzatissima. Si estinse ad 84 anni, tranquillamente, quasi senza accorgersene, lamen- tando solo da alcuni giorni un certo male alla gola; ed i suoi famigliari, che egli alla sera aveva mandato a riposare, non volendo che l’ assistessero, lo trovarono al mattino esanime, seduto su di un divano, e videro caduto ai suoì piedi il trattato inglese di elettricità del Maxwell, che molto probabilmente egli aveva letto fin presso all'ultimo istante di vita. Anche l’epigrafe che il prof. Lo Cicero aveva preparata per essere scol- \pita sulla sua tomba, indica, oltre la grande modestia di lui che visse vera- mente da santo, la gentilezza del suo animo : qui cIAcE GiusepPE Lo CicERO CHE GEME COME REO IL SUO VOLTO È ROSSO PER LA COLPA o DIO, PERDONATE AL SUPPLICANTE ra 0 VERGINE IMMACOLATA CHE NON CADA NELLA FOSSA DEI BESTEMMIATORI COLUI CHE EBBE ORRORE DI COLORO CHE BESTEMMIANO IL NOME TUO E DEL TUO FIGLIUOLO. La sua salma fu accompagnata all'ultima dimora nel Cimitero di S. Orsola da molti professori ed altri distinti personaggi; e malgrado il desiderio da lui espresso, che fosse tralasciata ogni pompa, gli furono fatte decorose esequie per cura della famiglia del tanto compianto Principe di Galati, già Presidente di questa Reale Accademia. ce an uiiteitiozitan.>..i.. ttt. COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI DINSIGONRISIO LETTO ALLA R. ACCADEMIA DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO Dall’Ingegnere GIUSEPPE CIMINO NELLA TORNATA DEL 19 aprILE 1891 ri © IOLZONIONTONION ONION ONIRICO ZON MOMO TORIOIIOITONI è COMMEMORAZIONE DI AEPREDO,BACCARINI .— rw «A moltiplicare gli esempi del virtuoso vivere, chi negherà che giovi ricordarli spesso in comune e magnificarli di glo- ria, onde altri si senta incitato a volerli seguire ? Grorpani—Z/ogio di Nicolò Masini. AZIO LLAG4 ; Dih Senesi, 4 A compiere oggi il caro, ma angoscioso ufficio di ricordare l’uomo di cui tutta Italia piange la perdita, mi spingono i meriti dell’ illustre estinto, lo affetto intenso che a lui mi legava, la certezza che voi, qui spontaneamente convenuti, intendiate onorare la memoria di un uomo che tutta la sua vita consacrava alla causa della libertà, alla grandezza della patria. E veramente, se la grandezza dei popoli sta nel culto della scienza e della libertà, la sincera manifestazione di affetto che noi rendiamo alla memoria di Alfredo Baccarini è manifestazione insieme di riverenza a questo culto, che in lui s’incarnò e costitui gl’ideali dell’intera sua vita. «Se l’uomo opera per sè solo, dice il Lambruschini, o se operando pure in altrui pro, egli è mosso da rei o miseri fini, inosservata passa la sua morte, dimenticata col tempo la sua memoria, e tutto sparisce come ombra vana. 4 COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI « Egli perisce come se non fosse stato, e le opere sue periscono con lui a guisa di cosa morta nel nascere e di eredità che nessuno accetta. «Ma se un’anima schietta e generosa, si fa pel bene altrui dimentica di sè medesima e ministra di una sapienza, di un amore che sono eter- ni, oh! allora nulla perisce, tutto resta, la morte non vale a togliere all'operatore la contentezza dei conseguiti fini, nè ad annullare i frutti delle sue opere. » Le virtù di Alfredo Baccarini, la coscienza di poterle affermare, mi muovono quindi a parlar di lui nella maniera che meglio posso, poichè nè bastevole tempo mi era conceduto a studiare i suoi scritti, nè avrei potuto raccorre, come si conviene, i particolari di tutta la sua vita pub- blica e privata. Alfredo Baccarini nacque da modesta famiglia il 6 agosto 1826 in Russi presso Ravenna. Egli passò colà il tempo della sua prima fanciullezza nelle scuole se- condarie, ove si segnalò per prontezza di ingegno ed amore allo studio. Tratto alle scienze esatte, che in ogni tempo hanno destato la passione di sommi ingegni, giovane ancora, recossi a Bologna ad imparare mate- matiche. ; Correvano in quei tempi giorni augurosi per 1’ indipendenza del- l’Italia. La gioventù al grido di viva la libertà prendeva animosamente le armi. Erompevano vittoriosi i moti della Sicilia e l'eco terribile ripercuo- tevasi sulle rive del Po e della laguna. Il magnanimo Carlo Alberto snudava la spada in difesa dell’indipen- denza nazionale, ed i giovani della forte Romagna col cuore caldo di pa- trio affetto accorrevano volenterosi ad ingrossare le file dei combattenti. Il Baccarini con l’animo suo ardimentoso, non poteva assistere indif- ferente alla santa lotta, e quella penna che egli aveva usata come arma contro l’ oppressore, già da lui fulminato con nobili ed elevati versi, cambiava col ferro dei valorosi. Così, mentre l’esercito piemontese vinceva a Goito, a Monzabano, & Valeggio e, passato il Mincio, assediava Peschiera, Alfredo Baccarini cor- reva con gran parte dei suoi compagni a Ferrara, ove pugnavasi contro lo straniero, e quindi passava nel Veneto col battaglione dei volontarii. Ma frattanto gli Austriaci ridotti a riparare di dietro le bastite, rin- forzate da nuove truppe, battono i Piemontesi a Custoza, i Toscani a Curtatone , i Romagnoli ed i Veneti a Vicenza. I nomi dei prodi che in quei giorni eroicamente esposero i loro petti al piombo nemico sono registrati a caratteri di oro; ed Alfredo Bac- I I RO deli VESUVIO sati £24 sat cità È | È È : ; COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI +) carini, non ultimo di quella schiera, dette in quella giornata memo- rabile prove di tal valore da meritarsi sul campo le insegne di sergente. E di questo grado conseguito sul campo egli compiacevasi sempre, come di uno dei più cari ricordi della sua vita. Però la forza delle armi straniere, aveva maggiore potenza dei ge- nerosi ardimenti, ed il valoroso Carlo Alberto dopo avere esposto, la vita dei suoi figli, dopo avere invano cercato la morte, abdicava la co- rona e rifugtiavasi in Portogallo. Si era già al 1849 e gli Austriaci, facendo meta dei loro sforzi Bo- logna, si avanzavano in grandi masse. Il Baccarini, che era per compiere l’ultimo anno del corso d’inge- gneria, corse cogli altri a prestare l’opera sua nelle fortificazioni, e prese parte all’ eroica difesa della città col grado di sottotenente del Genio. Ma soverchiati i Bolognesi dal numero, dopo aver dato pruove di esemplare bravura, dovettero cedere e scendere ad accordi, che la sto- ria ci rivela quanto sieno stati onorevoli per la forte ed animosa città. Cessate le guerre in campo aperto e sopravvenuti i giorni della ser- vitù, tornò sull’Italia a dominare sfrenata la reazione; e poichè non a torto fu detto che la esperienza maestra sapientissima, non ha discepoli che ne apprendano gli insegnamenti, noi vedemmo i tirannelli d’Italia ricominciare a perseguitare i patriotti, or colle aperte violenze, or col mezzo di magistrati compiacenti che sanzionavano dei veri assassinî le- gali, e coloro che erano rei di avere amata la patria furono spietata- mente colpiti dalle prigioni, dallo esilio e dalla morte. Ed allora Alfredo Baccarini seguendo il precetto di Cicerone : « St occupati profuwimus aliquid cicibus nostris, prosumus etiani, si possumaus, otiosi» , ritornava ai suoi studî prediletti. Il nome di lui però era troppo noto fra coloro che avevano tentato di scuotere il giogo, troppo note erano le sue aspirazioni ed i suoi senti- menti, onde inviso alla polizia, egli non ebbe requie, e soffrì tali per- secuzioni, da vedersi interdetta perfino l'ammissione agli esami di laurea. Per odio ai governanti della curia romana, preclusogli Vadito ad una onesta carriera, egli procurò di campare la vita dandosi all'insegnamento. Ma anche in questo venne osteggiato, e respinto due volte senza plau- sibile ragione dai pubblici concorsi, gli fu forza di riedere a Ravenna ed acconciarsi ad accettare l’umile posto di assistente nell'ufficio tecnico Provinciale, non mai scoraggiandosi e non mai disperando. Mm quei tempi di fremente attesa, in quei giorni nei quali egli con- trastava aspramente coi disagi e colle ristrettezze della vita, si pre- v 6 COMMEMORAZIONE DI ALPREDO BACCARINI senta mobile e consolante la figura di un buon prete, di un ministro del vangelo, che, dissimile in tutto dai molti persecutori del Baccarini, ebbe validamente a dedicarsi a vantaggio di lui. Mi tornano alla memoria le dolci parole colle quali il Baccarini un giorno, riandando le fortunose vicende della sua vita, ricordava il nome di don Vincenzo Cortese , che da vero sacerdote di un Dio di carità e di amore, aveva preso a stimare con sincerità di affetto il giovane Alfredo e ad ammirarne le virtù. In quel torno, era nominato Prefetto della sacra congregazione degli studi l'Arcivescovo di Ravenna cardinale Falconieri, ed il Cortese, che da costui era con deferenza ascoltato, si propose d’interessare il cardi- nale, che doveva partire per Roma, in pro del Baccarini. Dopo quattro mesi di ansie e di aspettative a che fosse tolto il di- vieto agli esami di laurea, arriva il desiato permesso , il Baccarini corre all’ Ateneo di Bologna, ed ottiene a pieni voti la laurea d’mge- gnere. Riuscito in tal modo a conseguire quel titolo che per parecchio tempo aveva costituito la sua aspirazione maggiormente contrastata, egli fa- ceva ritorno a Ravenna, dove nominato era subito Ingegnere aggiunto presso il Municipio, e più tardi Ingegnere Capo. Entrato così dopo tanti stenti in una calma relativa, si diede tutto agli studii della scienza idraulica, trovando in essa un sollievo ed una occupazione all'attività della sua mente. Nell’ anno 1857 Pio IX, visitando Ravenna, destinava la somma di ottomila scudi da impiegarsi al miglioramento del porto canale Corsini, ed il Conte Pasolini Gonfaloniere, spinto dal desiderio vivissimo, con- diviso da tutta la Provincia, di vedere rianimato il languente commercio tra Ancona e Bologna, dava incarico al Baccarini — che incominciava ad aver fama di tecnico valente —di elaborare due progetti di ferrovie per congiungere con diramazione speciale la via di mare alla strada fer- rata Ancona-Bologna. Di questi due progetti, il primo per Faenza fu approvato, l’altro per Imola era in via di essere spedito a Roma, quando sopravvennero i moti del 1860. La forza materiale vittoriosa nel 1848 non poteva annientare il di- ritto degli Italiani, le leggi della storia, e della nazionalità, le ragioni etniche e geografiche, e levatosi il grido della riscossa, la stella d’Italia, fiammeggiando di tutto il suo splendore, guidava per concordia d'intenti gli Italiani, a conseguire quella indipendenza e quell’ unità, che per molti secoli erano state il sogno dei grandi pensatori. alii COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI i Alfredo Baccarini coll’usato slaneio d'amore per la patria e la liber tà, non poteva restare da sezzo in tanto movimento; ed egli, dopo di es sersi cooperato col marchese Migliorati a fondere in una sola le varie gradazioni del partito liberale della Romagna, dopo di aver preso parte attiva alla lotta, era dal dittatore dell'Emilia incaricato di varie missioni scientifiche. Recato al trono di Vittorio Emmauele il plebiscito dell’Italia centrale, il Baccarini, che dal grande Paleocapa era tenuto in conto di giovane colto e d’ ingegnere distintissimo , fu invitato a prendere parte, nella qualità di segretario ai lavori della Commissione allora istituitasi in Tori- no, nello scopo di studiare il tracciato a presciegliersi per una ferrovia attraverso le Alpi Elvetiche. Componevano quella Commissione i più eminenti economisti ed In- gegneri, come il Paleocapa, il Grandis, il Bella, il Correnti, il Boccar- do, il Peruzzi e parecchi altri; e quale parte importante vi abbia avuto il Baccarini, lo attestano il volume degli atti pubblicati nel 18561 a To- rino, la lettera di Cesare Correnti al Ministro dei Lavori Pubblici e la nomina del Baccarini ad Imgegnere di 1* classe nel Corpo Reale del (Ge- nio Civile. A Russi lo vollero consigliere Comunale, a Ravenna consigliere Pro- vinciale ed in entrambi gli ufficè apportò 1’ indefessa operosità, il co- stante prodotto della sua intelligenza e degli slanci nobilissimi del suo cuore. Si era intanto pervenuti al 1868, quando, promosso ad Ingegnere Capo del Genio Civile, il chiarissimo ingegnere Lanciani, che con tanta dottrina avea progettato e diretto i lavori del porto Canale Corsini, era il Baccarini designato a succedergli. In tale congiuntura egli si dava a pubblicare una memoria su quel porto canale, memoria la quale, sia per le informazioni storiche che appresta, sia per le acute e savie osservazioni ond’è ricca, riesce per molti versi assai pregevole ed importante. Il Baccarini, consultati tutti gli atti esistenti nel vecchio archivio di Ravenna, espone 1’ origine del primo progetto studiato nel 1700 dai celebri Idraulici Bernardino Zendrini ed Eustachio Manfredi, accenna alle infeconde lotte tra l'opinione popolare ed i cardinali Alberoni e Ma- rini, allora delegati del Papa oppositori del progetto, elimina il dubbio che lo Zendrini non abbia avuto un preciso convincimento sulla qui- stione, riteneudo che quel sommo idraulico dovette sottostare alla nota burbanza dell’ Alberoni, e con riverenza verso quell’illustre maestro, sostiene essersi ben provveduto col porto della Baiona, che oltre ad un e) COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI facile ricovero, appresta un maggior corpo d’acqua, dovuto, non solo alla maréa, ma più alla soprastante pianura, che colle lagune o pialasse cir- costanti al porto, funziona da bacino di cacciata. Passa quindi in rassegna tutti i lavori eseguiti, lodando i canali a sinistra ed a destra della foce del naviglio per coadiuvare l’azione delle pialasse, che già da tempo si andavano colmando e restringendo, e di- mostra lo infelice risultato del tentativo fatto di ricorrere alle palificate a traforo isolate, sulla considerazione del gorgo che genera intorno a sé un ostacolo esposto all’urto della corrente. Nell'ultima parte di questa interessante pubblicazione, egli si fa a spiegare le ragioni tecniche per le quali, previa la migliore separazione tra le acque dolci e le salse, fra le chiare e chiarificate, siasi potuto ottenere con rara stabilità che si mantenga il fondo di m. 3, 60 al salto della foce, obbligando un gran volume di acque a passare per la ristretta bocca del porto, e consiglia per l’ avvenire a provvedere al manteni- mento dello equilibrio con le forze costanti del moto ondoso e della cor- rente littorale. Chi conosce gli sforzi fatti dai sommi idraulici per ottenere al salto della foce del porto canale Corsini la profondità di m. 2, 48 senza mai averla potuta raggiungere, chi sa i gravi e complessi problemi che in- volge la conservazione del fondo in ispiaggia aperta e sottile, i solleciti e straordinari avanzamenti che si determinano sulle rive ove è aperto un porto canale, le conseguenze degli errori in cui si cade nel risol- verli, sa rendersi ragione dell’ importanza e della utilità della pregiata monografia, tanto più, in quanto che nello stato attuale della scienza, le leggi dinamiche sulla formazione e sul protendimento delle. spiagge, sul dissiparsi ed accumularsi delle materie, trovansi tuttavia controverse da sommi ingegni. E basta ricordare le opposte dottrine sull’azione della corrente litorale e su quella del moto ondoso sostenute ed oppugnate dal Montanari e dal Cialdi, per persuadersi che le teorie intese a for- nire le spiegazioni del trasporto e del governo dei materiali sulle rive, si dibattono da oltre un secolo e mezzo, trovando nei più rinomati idrau- lici, quali lo Zendrini, il Boscovich, il Paleocapa; il Possenti ed altri in-. vestigatori e maestri, ardenti seguaci ed implacabili oppositori, essendo noto, che il dubbio e l’inceredulità, come la fede e la convinzione, han sempre trovato i loro campioni, tanto nell’ordine morale quanto nell’or- dine fisico. i Nel gennaio 1871 era il Baccarini nominato Ingegnere Capo nel Genio Civile e destinato a dirigere l’ ufficio della provincia di Grosseto, ove agitavansi ardue quistioni sulla bonifica delle maremme toscane. COMMEMORAZIONE DI ALPREDO BACCARINI 4) Egli si accinse al lavoro con quella passione da cui era trasportato per la scienza, e in poco più di un anno, presentò ben venti progetti, e scrisse sul compimento delle opere di bonificazione e sulla definitiva regolazione delle acque delle mentovate maremme, quella stupenda me- moria, che stampatasi per ordine del Senatore De Vincenzi, allora Mi nistro dei Lavori Pubblici, riportò la medaglia del progresso alla Espo sizione universale di Vienna nel 1875. Di essa, per la sua importanza e per essere stata, direi quasi, la base di quella piramide su cui si estolse brillante il merito del Bacca- rini, fornirò breve ragguaglio. Egli preludia col dire : di non doversi ritenere gli impaludamenti la causa unica del reo miasma che da secoli tormenta le terre marem- mane, ed opina, che a rendere efficaci gli sforzi della idraulica, diverse altre scienze debbano concorrere. Facendo precedere un interessante cenno storico sulle vicende della maremma, indica in tre prospetti i lavori eseguitivi dal 1828 al 1870, la superficie ed il valore dei terreni bonificati coi lavori medesimi e la spesa sostenuta. Passa quindi ad esaminare le condizioni dei corsi d’acqua, bilancian- done accuratamente tutte le condizioni idrologiche per desumerne, con fondato criterio, se e quando, un moderato rialzamento d’argini sia pre- feribile all’ ampliamento dell’alveo e viceversa. A tale uopo, istituisce confronti fra le capacità degli alvei e le por- tate di piena; passa in rassegna e discute le varie formole idrometriche fornite dai diversi autori, adotta quella monomia del Tadini, che, come si sa, per dati valori del raggio medio, confondesi con quella ormai classica del Bazin. Presenta un prospetto idrometrico dei principali fiumi e torrenti delle maremme toscane, e ne inferisce 1’ insufficienza più 0 meno grande della capacità degli alvei a contenere le grandi piene. Mette in rilievo, che per lo passato non siano state tenute ben sepa- rate le acque alte dalle basse, le chiare dalle torbide, e come non siasi rispettato il precetto dell’illustre Turazza : di tenere, cioè, gli scoli il più che sia possibile indipendenti dai fiumi, cercando di portarli a sca- ricare nei punti più bassi consentiti dalle circostanze locali. Stigmatizza questi errori e deplora che poco si provvide in ogni epoca alla manu- tenzione delle opere eseguite per la bonifica maremmana. Col sussidio di speciali tavole, passa a descrivere la bonificazione Piombinese, la Scarlinese e la Grossetana, quella a destra ed a sinistra dell’Ombrone, e tutto ciò egli illustra e commenta con massime, formole, e considerazioni, associate a tale forbitezza di stile, a tale concezione ) Ò 10 COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI d’immagini, da non sapere se sia più da ammirarsi la profondità della dottrina o lo splendore della forma. Da ultimo, per ciascuna di queste bonifiche, indica i provvedimenti da adottarsi, il tempo e l’ordine del compimento e chiude la memoria con un epilogo generale della spesa, per cui dodicimila ettari di terreni paludosi sarebbero stati per alluvioni, trasformati in fertili campi, tre mila ettari per prosciugamenti, bonificati e ridotti scolanti per quanto il comportasse la natura del fondo depresso; le acque dolci separate dalle salse e dalle minerali; #renila ettari di stagni lacustri risanati; settan- tacinquenzila ettari di pianure coltivate e coltivande sottratte all’irruzione sfrenata dei fiumi e di altri corsi d’acqua e permanentemente difesi dalle loro sregolate divagazioni. Ù Gl’ingegneri, che sanno quante difficoltà si presentino nella pratica applicazione della idraulica alle bonifiche, e come siano sparse in molte e svariate pubblicazioni, le massime ed i canoni dei più celebrati autori sulla materia, comprendono di quanto interesse sia la memoria del Bac- carini, ch’ è forse la più importante da lui scritta e può considerarsi come la preziosa fonte cui debbono attingere i cultori della scienza, ond’è a deplorarsi che per lo scarso numero dei suoi esemplari, se ne renda disagevole la conoscenza. Quel pregevole lavoro, indusse il Barone Ricasoli a serivere al Mi- nistro dei Lavori Pubblici impegnandolo a giovarsi dei meriti di tant’uo- mo, ed il De Vincenzi, che come dianzi dissi, reggeva allora quel Dica- stero, chiamato a Roma il Baccarini gli affidava la Divisione delle Bo- nifiche, lo nominava membro straordinario del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e poscia Direttore Generale delle opere idrauliche. Mm tale qualità pose mano ad un lavoro su de acque e le trasformazioni idrografiche in Italia, al quale intendeva dare un grande sviluppo, ma che non arrivò a compiere. Eppure, il cenno illustrativo pubblicatosi nel 1875, che egli chiamava una fugace rivista delle mutazioni più salienti, basta a far rilevare la vasta percezione che l’autore ha dei rapporti del soggetto considerato con altri. i Egli, premesso un' succinto ma chiaro cenno sulle vicende idrauliche che hanno trasformato le plaghe cadenti nel dominio dei nostri maggiori fiumi, e per confrontare lo antico col nuovo stato delle principali pia- nure, presenta otto carte idrografiche, divise in ventidue tavole, che spe- disce alla Esposizione geografica di Parigi. Im ordine alla idrografia, aggiunge un interessante prospetto idrome- trico di cento e più fiumi e torrenti, colla lunghezza di ciascun corso, la portata media delle massime piene, l’estensione dei bacini scolanti, di- stinguendone la parte montuosa da quella pianeggiante. COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI Il Dichiara di aver ricorso pel calcolo della portata di piena massima, al metodo meteorologico , adottando la formola del Possenti da lui di- scussa e modificata con aggradimento dell’ autore, in ciò che special- mente riguarda la determinazione del coefficiente. Fa seguire una minuta ed utilissima disamina delle disposizioni legi- slative ed amministrative che regolano la materia delle acque, ed un cen no di quelle in discussione, per tutelare la conservazione delle foreste, che come si sa, potentemente contribuiscono alla permanenza e regola- rità delle sorgenti e dei corsi d’acqua, in tempo di magra. Si duole che il tempo abbia tarpato le ali al suo buon volere per non aver potyto completare la carta idrografica dell’ intero estuario adria tico da Caorle a Rimini, che è la più importante d’ Italia; e citata la classica memoria del Lombardini, sugli studî idrologici e storici di quel grande estuario , illustra opportunamente le carte idrografiche da lui raccolte, cominciando dalla laguna Caprolese sul fondo dello Adriatico, e terminando alla grandiosa impresa, che forma la gloria del Principe forlonia: cioè il prosciugamento del lago Fucino. Ma il Baccarini, animo ardente di patriotta, non poteva tenersi lon- tano dall’arena parlamentare, ed i suoi concetti politici non nascondeva ad alcuno. Resosi vacante nel 1875, per la nomina del Conte Rasponi a Prefetto di Palermo, il collegio di Ravenna, Alfredo Baccarini era dal voto dei suoi concittadini chiamato a succedergli nella Camera, ma, ritenuto in- compatibile l'ufficio di deputato con quello che egli allora esercitava di Direttore Generale delle opere idrauliche, l’elezione veniva annullata. Però gli elettori di Ravenna, che tanta simpatia nutrivano per l'ex- sergente di Vicenza, pel coraggioso soldato delle patrie battaglie, per l’eminente ingegnere, vollero fornirgli una seconda testimonianza del loro affetto e lo rimandarono alla Camera. se non che, la seconda ele- zione non ebbe esito migliore della prima, onde Alfredo Baccarini, per le medesime ragioni d’incompatibilità, non potè sedere a quel posto, che la fiducia dei suoi concittadini gli avea assegnato. Chiusegli pertanto le porte dell’ Assemblea legislativa, il Baccarini tornò con lena maggiore ai suoi studî, prendendo parte attivissima a quelli sulla sistemazione del Tevere, per cui pubblicava varî scritti, tra i quali pregevolissimo , quello sulla altezza massima di piena nel Tevere urbano, e sui provvedimenti contro le inondazioni di Roma. Era, in quel tempo, viva ed ardente la disputa, sui mezzi atti ad impedire le inondazioni del Tevere, ed ingegneri distinti, ed uomini politici di vaglia, si affaticavano la mente intorno alla risoluzione di un tale problema. 12 COMMEMORAZIONE DI ALPREDO BACCARINI To non vorrò certo abusare della vostra pazienza e stancarla, espo- nendovi sull’ arduo tema le idee del Baccarini. Mi limiterò solo ad ac- cennare che egli, stimando la portata massima del fiume in metri cubi 4418. 22 cioè di molto superiore a quella da altri calcolata, nello in- tento di evitare le costose muraglie, intese ad incassare il corso delle acque, per ragioni tecniche ed economiche, consigliava uno scaricatore a monte della Città, così disposto, da produrre nella corrente un abbas- samento di tre metri, in tempo di piena massima. La spesa che prevedeva perciò, era di sessanta milioni. Però non saprei ristarmi dal ripetere le parole colle quali egli chiude la sua scritta , poichè in esse si trasfonde il sentire dell’ animo mnobilissimo di quel- l’uomo. î « Dovessi, egli dice, dovessi anche per poco apparire veramente te- merario, io non vorrò deporre la penna, senza emettere ancora un grido di Cassandra, memore che le Cassandre, non si sbugiardano col solo sarcasmo o coll’incrudelità dei Teucri, ma sì colle provvidenze , che non lasciano presa a futuri pentimenti. Per una volta almeno, per Ro- ma, lasciamo in disparte 1’ idraulica dei ripieghi che non ripiega mai quanto costa alla pubblica e privata fortuna. 5 « Accingiamoci alla regolazione del Tevere, sia pure nella larga mi- sura già preferita dal Parlamento, anche coll’aere dtalico, ma almeno non iscompagnato dall’ausu romano. » In quel mentre, egli manda all’ Esposizione d’ igiene e salvataggio tenutasi in Bruxelles nel 1876, altra memoria sui vantaggi stragrandi, tratti sotto I’ aspetto igienico dalle bonificazioni eseguite o in corso di eseguimento nelle varie provincie d’Italia, ed il suo lavoro, nel rendere un servizio alla patria, con mostrarne all’estero i progressi della coltura scientifica ed aggiungere lustro al suo Governo, porge, senz'altro, argo- ‘ mento di ammirazione, verso l’autore insigne, e la memoria è premiata col gran diploma d’onore. is Questi nuovi attestati dei meriti del Baccarini non potevano che accrescere la fama che egli col suo ingegno, colla sua dottrina e col suo lavoro, erasi mano mano acquistata, fama non disgiunta altresi, dalla stima in cui l’uomo era tenuto, pel suo patriottismo, per l’integrità del carattere, per la sua rara modestia. Compiutasi nel marzo del 1876 quella evoluzione parlamentare che conferiva al partito della Sinistra il governo dello Stato, ed assunta l’ amministrazione dei Lavori Pubblici dallo Zanardelli, il Baccarini, fu anche per espresso desiderio del generale Garibaldi, chiamato al posto di Segretario Generale di quel Dicastero. COMMEMORAZIONE DI ALPREDO BACCARINI 15 Con animo sereno, e col fermo proposito di dedicarsi totalmente al bene della patria, egli accettava lo incarico; e poichè erano cessate le ragioni d’ incompatibilità parlamentari che lo avevano escluso dalla Camera, venne tosto dalla sua Romagna eletto deputato, e quale rappresentante il collegio di S. Arcangelo andò a sedere in quel posto, ove lo chia- mavano le sue tendenze, in quel posto, che mai abbandonò ed a cui ri- mase fedele per tutta la sua vita. Il 81 dicembre 1876 lasciava il Segretariato Generale e, ritornato semplice Ispettore del Genio Civile, incomincia la sua carriera parla- mentare, rivelando fine intelligenza di uomo politico, e quella franca ed elegante parola che gli sgorgava spontanea dal labbro e che lo pose tra i primi oratori della Camera. Salito al potere nel 1878 1’ illustre e venerato Cairoli, fu il Bacca- rini scelto a suo compagno come Ministro dei Lavori Pubblici; ma lo stesso anno, caduto il Gabinetto, il Baccarini ritornava al Consiglio Su- periore dei Lavori Pubblici. Se non che a 14 luglio dell’ anno successivo, era egli nuovamente chiamato , dalla fiducia del Re e del Parlamento, a riprendere il por- tafoglio, e fu tale l’opera di lui, fu così fecondo il suo lavoro, così straordinaria Vl attività spiegata, che quando al Gabinetto Cairoli nel marzo 1S81 succedeva quello del Depretis, il Baccarini fu insistente- mente pregato di non veler lasciare il posto di Ministro, perché, pensavasi che nessuno meglio di lui avrebbe potuto condurre a termi- ne quélla immensa copia di lavoro, che egli sotto il Ministero Cairoli aveva iniziato. Le politiche vicende e le mutevoli ragioni di Stato spinsero il Bac- carini a lasciare il potere insieme a Zanardelli nel maggio 1885. Da quel giorno egli riprese l’antico posto della Sinistra, di cui sobrio sempre nella spigliatezza della parola, si addimostrò strenuo campione. I molteplici progetti di legge da lui presentati e sostenuti nella Ca- mera, l'impulso dato alle strade a ruota ed alle ferrate , ai porti, alle bonifiche, al completamento dei ponti, agli studî di nuove ferrovie, tutto attesta la sua attività ed il grande incitamento dato ai lavori pubblici. Basti il dire, che in soli nove mesi del suo primo Ministero , pre- sentava e faceva approvare dal Parlamento ventuno disegni di legge. Fiero quanto onesto mostravasi egli nel contegno e nella parola, un’a- nima indomita ed una risoluzione pronta rispondevano al carattere del romagnolo e del Ministro. A chi in Parlamento reclamava una diversa classificazione alle varie 4 14 COMMEMORAZIONE DI ALFREDO RACCARINI categorie in cui egli allogava le costruzioni ferroviarie, secondo la loro importanza, rispondeva : La classifica che presento è il mio quadrato di battaglia , sfondate il quadrato ed avrete ucciso il generale. Ai deputati che, facendo eco alle dimostrazioni di Messina sui tracciati ferroviarii, ne appoggiavano i reclami diceva : Il Governo non delibera sotto la pressione dei tumulti, ed io preferisco ritirarmi anzichè com- piere un atto di debolezza. A qualcuno che nella Camera gli muoveva degli attacchi coperti: Io non faccio il Ministro, nè tollerato, nè protetto, se la Camera non ha fiducia nell’opera mia, me ne dia anche un solo e lontanissimo accenno, ed io saprò ciò che mi resta a fare. Uscito dal Ministero Depretis, chiese ed ottenne quella pensione cui gli davan diritto i servizî resi allo Stato, ritraendo dall'esercizio della pro- fessione il guadagno necessario ai bisogni della sua famiglia, non la- sciando mai la Camera, né il posto scelto come deputato. Memorabile negli annali parlamentari rimarrà la titanica lotta soste- nuta contro le convenzioni ferroviarie, per la quale , egli affrontando lo spinoso argomento con tutta l’energia e la competenza che gli eran proprie, ebbe a pronunciare ben 18 discorsi, improntati sempre a quel l’amore appassionato che aveva per l’Italia e per tutto ciò che poteva rassodare la sua libertà e la sua fortuna. | Dopo la strage di Dogali, tra la generale impressione del dolore, egli che fu sempre contrario all’occupazione africana nell’assemblea legisla- tiva, fu il primo tra tutti a far risonare la nota alta del patriottismo, le- vandosi ad onorare i prodi che davano al mondo il più grande esem- pio di sacrifizio e di eroismo. Ed in tale circostanza egli mandava a nome di Italia un caldo augurio ai superstiti, ed un riverente saluto ai caduti, le cui ossa potevano bene essere indicate sulle arene africane colle parole della greca lapide: Straniero, va, e di agli Italiani che qui giaciamo per l'onore della patria ! Di tutto egli parlò, di politica interna ed estera, di finanza, di guerra, di marina, di commercio, di economia pubblica, dimostrando sempre acutissimo ingegno, vasta coltura, parola facile ed adorna, affetto in- tenso per la patria, che egli sognava grande, vagheggiandola — come ei scrisse — così, da poter dire col Virgilio : i Vera incessu patuit Dea . . . . Le cure politiche per le quali la sua prodigiosa attività, era quoti- dianamente messa a dura prova, lo costringevano spesso a ricercare nel sacrifizio del sonno, quel tempo che gli occorreva per dedicarsi proficuamente ai lavori professionali, ed in qualunque manifestazione COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI 15 della sua vita, che andava lentamente logorandosi, noi scorgiamo come la virtù del cuore rispondesse sempre al valore della mente. Fra le varie pubblicazioni, oltre a quelle già accennate, sono degne di nota : la relazione generale sulle piene dei fiumi, quella sui servizi idraulici pei biennî 1872-75 e 1874-75, gli appunti di statistica idrografica italiana, i cenni monografici sulle bonificazioni eseguite in Italia, gli altri sui singoli servizî affidati al Ministero dei Lavori Pubblici che fi- guravano alla Esposizione di Parigi nel 1878, la memoria sulla boni- fica delle paludi di Mondello, pubblicata a spese del nostro Municipio, la regolazione del Simeto, quella sulle costruzioni ferroviarie in Italia, quella sulla direttissima Roma Napoli. Tra i lavori compiuti e non pubblicati, sono da annoverarsi : la bo- nifica del lago di Fucecchio, quella sul lago di Lentini, un parere sulle bonifiche ferraresi, e quello su gli effetti delle convenzioni per l’eser- cizio delle strade ferrate. Fra gli scritti non ultimati, sono : il parere sul valico del Sem- pione, richiestogli dalla Compagnia delle strade ferrate del Giura-Sem- pione, per invito del Governo federale, la regolazione del lago Tra- simeno, il regime delle acque pubbliche in Italia e molti altri rimasti incompleti. Consigliere Comunale a Roma fin dal 1879, seppe ben presto in quel nobile consesso acquistarsi quella influenza che risulta da un’ autorità incontrastata. Per quest’autorità e per l’amore che riponea in tutto lo svolgimento della vita municipale, egli apportava nelle discussioni una tal forza morale, da far sovente decidere in suo favore anche gli avversarii più accaniti. E Vl Eterna città ebbe sempre in lui un figlio devoto che le consa- erò, la potenza dell’ingegno ed il vigore delle forze. La sua indole ripugnante a quanto sapesse di pura etichetta e di forme convenzionali, nel favellare intimo manifestavasi schiettamente senza sussiego. In circolo di amici si risovveniva con piacere della sua nascita oscu- ra, e con visibile commozione rammentava il luogo natio, i primi anni della sua tribolata esistenza, e non mai gli onori acquistati, l'alto grado raggiunto, gli fecero obbliare i suoi umili natali. Di maniere semplicissime , non avea mai pensato che studiando la scienza dell’Ingegnere, avrebbe potuto pervenire a tanta grandezza: e quando la nostra Accademia nell’ aprile del 1875 — innanzi che a lui sorridesse la fama lo nominava suo socio, egli lo tenne ad onore eran- dissimo e ne menava vanto. 16 COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI Eppure, senza sollecitazione di alcuno, senza l’appoggio che del suo carattere, senza il favore che dei suoi studî, lungi dal protezionismo mestierante, egli potè arrivare a tanta altezza, perchè nelle varie con- tingenze della vita gli fu sempre guida l’autorevole voce di una coscien- za dignitosa e sicura, non mai pervertita dalle passioni e dall’interesse. Pervenuto all’ alto onore di sedere nei Consigli della Corona, egli conservò sempre le abitudini modeste che avea da semplice cittadino, dimorò sempre nella stessa casetta; e non per ambizione o desiderio di popolarità, ma per indole propria, per un sentimento istintivo che lo! trascinava a sdegnare il fasto ed interessarsi più presto a vivere dei bisogni altrui. Dove c’era un dolore da lenire, dove c’era un bisogno, una sven- tura da soccorrere, là correva Alfredo Baccarini. La sua voce per impulso irresistibile sorgeva vindice contro ogni in- giustizia, contro ogni prepotenza. La costanza del carattere e la inalterabilità per la quale egli davasi allo svolgimento dei bisogni sociali, senza gli scopi particolari di sod- disfazioni personali, furono i pregi che maggiormente lo additarono alla pubblica benemerenza. Nella sua vita non vacillò mai, la sua fermezza derivante da una fede di apostolato , ci rivela il suo carattere, nel quale egli fu identico ai suoi principii, conseguente agli scopi che costituivano la risultante di tutte le sue aspirazioni consacrate intere al servizio della patria. Alfredo Baccarini era una di quelle tempre che racchiudono un pro- fondo movimento esplicantesi all’esterno per una vitalità potente ed in- tensa, che deriva da una chiara coscienza della missione onde si sen- tono investite. Egli restò sempre senza vanità, e morì povero, fedele alla massima da lui espressa in Parlamento, nella tornata del 9 aprile 1883 : che % cuore foderato d’oro non dà pulsazioni patriottiche. In mezzo alle guerre ed alle lotte partigiane, egli fu sempre rispet- tato e stimato, perchè tutti riconoscevano che alla energia dello spirito, andavano associate le più eccelse virtù. Hegel, parlando del carattere, scrive «che 1’ essere costante in sè stesso, nell’arte fa 1’ infinito, nell’individuo il divino; perocché è pro- prio di un carattere vero il portare in sè la forza ed il coraggio di volere. » Così il Baccarini, allorchè si avvede che il potere possa limitargli le sue convinzioni, lo lascia volontariamente e se ne ritrae, manife- stando lealmente alla Camera: che le sue convinzioni non gli avrebbero mai ibernazione iitniirà + COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI 17 permesso di vendersi complice di una transazione di principii. Egli sapeva ciò che voleva e perciò appunto trovava in sè quella forza che conferiva gli l’indipendenza e la libertà, poichè quando trattavasi di obbedire ai sentimenti legittimi dell’animo suo, egli non aveva esitanze. Invitato più volte a far parte del Governo, vi si ricusa, mon ere dendo arrivato il momento di poter attuare le sue idee. Egli nutrì sempre un particolare affetto per l'isola nostra, e quando salito appena al potere, da un giornale d'opposizione fu tacciato di es- sere avversario della Sicilia, si dolse amaramente e mi scriveva ram- maricato che, e come Direttore Generale e come membro del Consi glio Superiore e come Ministro, non ricordava di avere pur una volta oppugnati gl’interessi dell’isola benemerita, che anzi credeva di averli sempre caldeggiati con tutte le sue forze e con tutta la premura. A smentire la calunniosa affermazione, basti il dire : che nel giro di un anno, colle leggi 19 luglio 1880 e eoll’altra 25 luglio 1881, egli per opere straordinarie in Sicilia, oltre le somme occorrenti al bonifica- mento delle paludi di Mondello e delle Lisimelie di Siracusa, oltre alle costruzioni ferroviarie ed ai larghi sussidii per la viabilità obbli- gatoria, faceva stanziare trenta milioni di lire destinandone a Palermo : nove; di cui #'e per nuove strade e sez pel solo porto, con che si prov- vide ad estirpare una parte dei bassi fondi rocciosi per la sistemazione degli approdi, ad ampliare 1’ area difesa col prolungamento del molo settentrionale, ed a costruire tutte le opere di coronamento nella diga a difesa della Cala, rimasta nello stato di semplice gettata. Allorchè con la Maestà del Re venne tra noi nel dicembre 1880, volle con insistente sollecitudine rendere visita all'Accademia nostra e testimoniarle di presenza la sua gratitudine per la nomina cheyavea ri- cevuto in epoca, in cui, non che Ministro, non era neanco deputato; e tuttora rammento la sua soddisfazione, quando la Stefani in tale con- giuntura ebbe ad annunziare che la nostra Accademia aveagli fatto ac- coglienze oneste e liete come ad antico socio. Voi non ignorate che devesi a lui se 1’ Accademia Palermitana fre- giasi ora del titolo di Reale, e quando il nostro collegio d’ Ingegneri con unanimità di suftragi, conferivagli il titolo di socio onorario, egli, che di quasi tutti i sodalizii di Italia avea ricevuto consimili testimo- nianze, ne riportò impressione oltremodo riconoscente. Ed il Collegio con nobile pensiero, ha voluto oggi, intervenendo, as- sociarsi al tributo di riverente affetto che noi rendiamo alla memoria dell’illustre estinto. All’annunzio della sua malattia, l’Italia parve percossa da una sven- 15 COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI tura e sperò sempre; e benchè il male che lo travagliava fosse di quelli che non perdonano, pure la notizia che il telegrafo portò della natia Russi, giunse come un fulmine. Il laconico dispaccio del 3 ottobre 1890: «Baccarini è morto,» era così straziante nella sua cruda espressione, da gettare nel dolore ogni cuore italiano; nè oggi a più mesi di distanza, sappiamo persuaderci d’ averlo perduto e perduto per sempre. Nel primo momento del rammarico, parve che tutto quanto si potesse dire di lui ne menomasse la sfolgorante figura. Tuttavia, da un. capo all’altro della penisola, dalla Reggia al tugurio, si levò unanime un’eco angosciosa. Consigli provinciali, Consigli comunali, Accademie, Asso- ciazioni, Collegi tutti che avevano fatto voti per la sua salute, mon eb- bero che un lamento, e telegrammi, lettere, indirizzi, pervennero alla famiglia, sicchè per più giorni parve che tutti gli Italiani fossero col- piti dalla scomparsa di tant'uomo. Lodi, biografie, ricordi, corone, tutto si fece per dare sfogo al dolore., Pochi uomini ebbero come lui così grande rimpianto, perchè pochi come lui ebbero tante e così grandi virtù, pochi come lui riunivano in grado eminente, l’integrità del carattere, l’amore della patria, la ele- vatezza della mente, la coltura scientifica, un cuore purissimo, una na- tura così schiettamente democratica. Mirabile spettacolo quello in cui Re e popolo si uniscono per pian- gere sopra una tomba ! Al di sopra dei partiti e delle lotte faziose vi è la coscienza, ed essa si è levata in un grido di dolore da trenta milioni di voci per la per- dita di Alfredo Baccarini, che con Benedetto -Cairoli, di cui fu sempre amico costante ed affettuoso, rappresentava, la più perfetta emanazio- ne delle più pure, delle più alte, delle più grandi virtù. E Il Italia lacrimante sulle tombe di entrambi, ci mostra la fede in questi campioni del popolo, tra i pochi, che nella minaccia di un ma- rasma morale e politico, avrebbero saputo risolvere gli spiriti e scuo- tere le fibre più interne del cuore della nazione. Tra lui ed il popolo era una mutua corrispondenza per la quale in- tendevasi che le idee dell’uno appartenessero all’altro, e poichè Alfredo Baccarini nella politica italiana rappresentava il perfetto interprete dei sentimenti democratici, questa corrispondenza, per cui BETA si vive coll’amico estinto E l'estinto con noi sopravvive anche alla sua morte. Convintissimo dei suoi principi, a lui nato dal popolo erano moti i CSO TRENTO vi N er MIR, DSS TI MEET TRO PT ET) COMMEMORAZIONE DI ALPREDO BACCARINI 19) diritti ed i bisogni di esso, per un'eco di ricordi e di sofferenze, nelle quali aveva vissuto la sua prima giovinezza. Egli procurò di consiglia re l’istituzione di casse di assicurazione per gl’ infortunii del lavoro, per le pensioni della vecchiaia, la compartecipazione degli utili tra ca- pitale e lavoro, il mutuo soccorso, interessandosi con la sua mente alla risoluzione di quei difficili problemi che tanto agitano la moderna so- cietà. Intanto quest'uomo, che fu lustro e decoro della patria, dalla morte, l’eterna livellatrice degli umani eventi, ci è stato rapito, quando forse non era lontano il giorno in cui sarebbe ritornato nei Consigli della Corona. La schiera dei grandi si assottiglia, gli animi nobili scompaiono, ma a noi, col dolce ricordo di loro, colla memoria imperitura delle loro gesta, resta un infinito retaggio di sublimi ideali, di generosi propositi. Nel volgere di pochi mesi ci lasciano: Amedeo di Savoja, Cairoli e Baccarini. L'anima nostra si ribella a questa triste realtà e non sa adattarsi al vero di tanta sciagura. Noi li vediamo tuttavia questi cari estinti nell’aureola fulgente della loro superba grandezza, fieri della loro gloria, aggirarsi quali astri luminosi nel cielo purissimo delle aspirazioni nazionali. Superga, Groppello, Russi, accolgono le are dove riverenti andranno i figli nostri ad ispirarsi a un avvenire di gloria, a quell’avvenire d’I- talia, che fu la meta costante dei grandi. Ed ora permettete, che io vi manifesti come nel rendere un sincero tributo di amicizia e di gratitudine verso colui del quale tutti pian- giamo la perdita, senta di aver fatto cosa rispondente alla verità con animo imparziale, lungi dal sospetto di essermi ingegnato ad imitare l’accorgimento di Apelle che per ritrarre le sembianze del Re Antigo- no, cieco di un occhio, ne disegnava la immagine di profilo. La politica, la quale secondo certi intelletti, stimasi tanto più ratfi- nata, quanto più sa mascherare la verità, non ebbe mai in me un fer- vente ammiratore. Ho sempre creduto che la simulazione e 1 inganno sieno propri ai tiranni ed agli schiavi, e facciano invece migliori pruove i principii della sincerità e della franchezza. Il Baccarini soldato, fu animoso e patriotta; cittadino, integerrimo e scevro di personali cupidigie; funzionario, energico e solerte: ingegnere, chiarissimo ed apprezzato; deputato, cospicuo ed insofferente di servi- tù; oratore, elegante e vigoroso ; ministro, giusto e benefico: uomo, 20 COMMEMORAZIONE DI ALFREDO BACCARINI visse al lavoro e alla famiglia, ed ebbe celebrità senza atfettazione di modestia. Pronunciare il nome di lui è ispirarsi a forti opere; è spronare la gioventù alla severità dei propositi, fortificarla coll’esempio, spingerla ad emularlo. Di lui fu da altri degnamente scritto con senno e con amore, ed io non potrei , senza nota di presunzione, parlarne più oltre e stancare così eletto uditorio. Ma qui, in questa classica terra, dove i più nobili sentimenti, le più alte ispirazioni del pensiero, il più disinteressato patriottismo, 1’ amor sincero alla libertà, han trovato in ogni tempo fede e martirio, il no- me del Baccarini avrà mai sempre onori di lacrime e memoria di affetti, siccome ad uomo che col proprio sacrificio, e colle proprie virtù seppe innalzarsi al più alto grado di perfezione, cui sia dato raggiungere, nel breve corso della vita umana. Bee BOZZO Ras UO TERE NC MEIN ALT 00 Jo DISCORSO LETTO NELLA TORNATA AGCADEMICA del 28 Marzo 1890 DAL COMM. AB. VINCENZO CRISAFULLI Segretario Generale della R. Accademia di Scienze, Lettera e Belle Arti do IIIIIITTIFIITITITITIIFIFTIIIIIIITIFTITIIFIIFIITIFIITFTITI Ignoti, Quando nello scorcio del 1887 vi fu dato l’annunzio della morte de! nostro socio Cav. Prof. Giuseppe Bozzo, Segretario Generale di questa nostra Reale Accademia, voi voleste, che in una pubblica tornata se ne esponessero i letterari titoli e che non si lasciassero senza un ricordo i rilevanti servigi, che con tanto affetto aveva egli sempre prestato a questo nostro Istituto. Maestro quasi a tutti noi che da lui ci vedemmo schiuso il sentiero al culto delle lettere, il rispetto che per lui sentivamo , si rannodava alle più dolci memorie della nostra giovinezza, e la tarda età a cui egli pergiunse, non fece che raffermare sempre più la venerazione che era a lui dovuta; e se ce ne fece godere lungamente la compagnia, oggi ce ne rende più dolorosa la dipartita. 00° sgi Se io ebbi assunto allora l’incarico di parlar di lui, non fu già perchè volessi aspirare ad una gloria. Succeduto a lui in quell’ufficio, che da lui fu sì lungamente e si degnamente occupato, io ben mi avvedeva spettare a me il parlar di colui, nel quale mi avevate additato un mo- dello da imitare, e del quale io veniva a raccogliere un ricco retaggio di nobili esempi nell’ adempimento dei doveri accademici. Son già scorsi due anni da che perdemmo quel caro ed illustre Collega, e potrà sembrare una colpa per questo sodalizio l’averne la- sciato per tanto tempo quasi obbliata la rispettabile figura. Io non accennerò le ragioni, per cui si è dovuto ritardare l’adempi- 4 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI mento di un dovere, che tutti avremmo voluto soddisfare con la mag- gior possibile sollecitudine; ma per chi considera non avere il profes- sore Giuseppe Bozzo lasciato solo una eredità di affetti, per cui si chiede a’ superstiti il sollecito tributo delle lacrime e del dolore, ma di aver consegnato il suo nome alla storia, e di avere lasciato alla letteratura le sue produzioni, ben si avvedrà, che non da’ contemporanei e dagli amici deve aspettarsi il giudizio, ma dalla critica e dalla posterità, il qual giudizio quanto più tardi vien dato, altrettanto riesce durevole e sicuro. To infatti non farò qui il funebre elogio del nostro Collega, ricordan- done le morali virtù, delle quali era per altro doviziosamente ricco. Le virtù di lui sono così di vivissimo splendore circondate, che ogni pa- rola che se ne dicesse, nulla potrebbe aggiungere a renderne più cara e più rimpianta la memoria. Invece, come all’indole di questa Aula si conviene, io ne considererò la mente, qual sì rivela nelle sue produzioni, ne’ concetti che in esse ei lasciò espressi, e nella istancabile opera, ond’egli adempì la missione che egli ebbe assunto con tutta la costanza ed abnegazione a bene della istruzione i E poichè la vita di lui si estese, può dirsi, quasi per tutta la durata di un secolo, così toccò a lui il privilegio di prender parte a tutte le vicende, che lungo il corso di questo nostro secolo, attraversò la nostra letteratura. Crediamo perciò non allontanarci dal vero, se venghiamo a conside- rarlo come il Nestore della letteratura nostra, che tale era divenuto per la sua età, in rapporto al secolo XIX. UN (n Il secolo che or volge al suo termine, se si raffronta a quelli che lo precedettero, oftre in fatto di letteratura e di estetica, una particolarità che, possiamo francamente affermarlo, non si ritrova negli altri. Ordinariamente la letteratura non cangia d’indole e di forme che di secolo in secolo, tutto al più le modificazioni a cui essa per sua natura è soggetta, non si riscontrano, come bene osservò il Salfi, che nell’ultimo trentennio del secolo, e si manifestano come gli albori del nuovo giorno che sorge. Non così può dirsi di questo nostro secolo: la letteratura ha in Italia per ben tre volte attraversato in esso tali e così profonde vicende, che ognuna di esse avrebbe potuto costituire l'indole ed il carattere di al- trettanti secoli. EVE IE I 11 VO O LCA AT OI SI, CITE E TE IT) GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI D Al sorgere di questo secolo, non che si ostante le riforme erano nello scorcio del precedente tentate e forse compiute, la letteratura nostra con tinuò ad esser classica. Non erano scorsi che appena venti anni, e mutando, quasi improv- visamente d'indirizzo, dato un calcio agl’idoli della greca e della latina mitologia, informandosi ad altri ideali, mutò di linguaggio e di forma, e divenne romartica. Nè scorsero lunghi anni, che ispirandosi ad altri concetti, rinnegando il passato, si fece quella che or dicesi positiva, realista, verista. E veramente è desso un singolare fenomeno, pel quale sembra che il bello sia stato minacciato non solo nella sua estrinseca manifestazione, ma sino nella incrollabile ed ontologica sua immutabilità. Questo fatto non è sfuggito alla osservazione del filosofo : e quindi la critica estetica ha tentato di darne una spiegazione. Essa ha infatti attribuito questo rapido mutar di gusto e questo incessante succedersi di vicende al diverso modo, onde, in questo secolo, ha lo spirito filosofico considerato la natura. Nel primo periodo la poesia non si ispirò che agli esempi de’ sreci e de’ latini, i quali, informati alla filosofia dello emanatismo e dell’an- tropomorfismo, non potevano altro contemplar che la Natura vivente, e quindi la concezione filosofica dell'universo non poteva esser altra per essi che quella che è detta cosmologica. Tutto per essi era Dio, perchè , non conoscendo alcuna forza crea- trice, Dio non si manifestava che nella materia, e con essa si confon- deva. Ogni ispirazione poetica non potendosi spingere al di là della materia, non poteva ad altri che alla materia portare tutto quel cor- redo di bellezza, che si sentiva capace di concepire. La poesia antica era perciò plastica e materiale, perchè non sapeva che cosmologica- mente considerar la natura. Ma quando a cosiffatta maniera venne da una filosofia più nobile sostituendosi la contemplazione ontologica , le arti del bello vennero a riformarsi profondamente. In questo secondo periodo , i popoli partendo dalla idea della crea- zione, disdegnando quasi di fermarsi alla contemplazione dell’essere feno- merico, si sollevarono a contemplare l’ Essere in se, dalla cui potenza era originato il creato, e quindi considerarono l’ essere contingente come esterno all’essere vero e reale. La poesia quindi, che può riguardarsi come la più nobile sintesi del pensiero estetico, mutando d’indole, sdegnando di lasciarsi ispirare da tutto ciò che è caduco e mutabile, volle attingere le sue ispirazioni dall’Essere assoluto, dal vero, e divenne quindi onto- DI aria 6 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI gica anch’essa, e religiosa, e più che togliere il diletto a suo scopo, si volse al Vero, onde è che si strinse alla fede, alla storia e all’ amore de’ popoli, le quali aspirazioni vennero raccolte da quella Scuola, che fu chiamata romantica. A questo modo di concepire l’ universo, che fu l’ ontologico , seguì, non è guari, l’altro che può dirsi psicologico. Questa scuola proclamando l'autonomia della ragione, e sprezzando ogni nozione che all'uomo non fosse da questa pervenuta, forse anche ES TETTE I TT dai sensi, rigetta ogni rivelazione e tutto quel patrimonio, che all’uo- mo non fosse acquistato mercé le proprie forze. L’intelletto umano deve, secondo essa, provvedere a sè da sè stesso i materiali della conoscenza, e con le sue stesse forze deve ricercare, e, se è possibile, ricostruire l’idealità della natura. È questa la scuola, che oggi chiamasi positivista , la quale ha modi- ficato a sua volta la letteratura de’ nostri giorni, e forma il periodo in cui al presente ci troviamo. Gli antichi adunque consideravano il mondo come un futto, i moderni come un'idea, i recenti lo considerano come un problema. E veramente, se si considerano i tre generi della letteratura, si vedrà negli antichi dominare il godimento; nei moderni l'aspirazione; negli ul- timi il dubbio e lo sconforto. 3 Or qual fu il contegno del Bozzo a fronte di questi tre periodi, che egli ebbe la sorte di vedere svolgere nel corso della sua vità ? UN \D Il Bozzo, che era nato nell’ ultimo anno del passato secolo, mon potè che ricevere dalla classica scuola i primi germi della sua lette- raria istruzione. Nessuno vorrà far di ciò a lui certamente un demerito, giacchè era quella la bandiera, sotto la quale a quel tempo militavano le scuole tutte d’Italia. E poi non deve forse l’Italia a cotesto genere di scuola il primato che nelle lettere le è stato concordemente riconosciuto da tutte le nazioni ? Se l’ Italia non si fosse arricchita di quel dovizioso patrimonio, che ad essa venne a giusto titolo aggiudicato, delle vacanti eredità delle letterature greca e latina; se la'letteratura italiana si fosse rimasta là dove avevano saputo collocarla Federico ed Enzo, è Brunetto Latino, oh! non sarebbero venute a noi le altre nazioni a chiederci l’arte, le GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI [ leggi, gli esempi per poter quindi veder sorgere nel proprio seno, la Francia un Racine, un Montaigne, un Corneille, un Bossuet: V'Imghil- terra il suo Milton, ed il Sakespeare; la Spagna il suo Garcilaso de Vega ed il suo storico Mariana, i quali tutti, se non giovaronsi de’ nostri classici scrittori, si giovarono certamente di que’ classici antichi, che dall’ Italia furono conservati, e da’ quali seppe trarre i precetti, e su’ quali modellò le sue più belle produzioni. Per altro, o Signori, quegli illustri italiani, che si fecero sin dallo scorcio del passato secolo, iniziatori della riforma della nostra letteratura, Pa- rini, Alfieri, Foscolo, e poscia Cesarotti, e financo Manzoni, a quale altra scuola furono essi educati, che a quella del classicismo ? anzi non furono (parlo almeno dei primi tre) classicisti nelle loro poesie ? Noi ci lodiamo di Alfieri, che fu il Principe, non ancor superato, dell’ita- liano coturno: eppure le sue tragedie sono foggiate sulle tre severe unità, che si attribuiscono ad Aristotile, e nessuno avrebbe l’ardire di rivolgergli un rimprovero ! Che si può dunque pretendere dal Bozzo, se educato al gusto delle dolcezze de’ classici, ed alla disciplina: di que’ precetti dalla cui osser- vanza vedeva sorgere come per incanto tante splendide forme, si fosse di animo gentile come era, innamorato di quella scuola, e ne avesse preso il sentimento, i pensieri, il linguaggio ? La sua prima produzione che diede alle stampe, non ancora, come egli dice, uscito dalle panche della scuola, fa una Cantica in cinque canti, in morte del nostro Sicolo Poeta Giovanni Meli. Egli pare che abbia voluto imitare si pel concetto, che per lo stile, qualcuna delle belle Cantiche di Vincenzo Monti, che allora si legge- vano e si ammiravano in Italia; e precisamente la cantica in morte di Ugo Basville. Il concetto è l'apoteosi del Meli, il quale dovendo presentarsi ad Apollo per essere da lui coronato, viaggia per le pendici del Parnaso, ed ivi incontrando le ombre dei trapassati siciliani si trattiene or con l'uno, or con l’altro di que’ nobili spiriti, a favellare dello stato delle arti belle in Sicilia, togliendo da ciò argomento or a lodare la poesia, ri- cordando come i poeti sieno stati i primi ad incivilire i popoli; ed or a biasimare l'indirizzo del gusto, come fece nel dialogo che introduce tra Meli ed Erasmo Marotta da Randazzo, morto nel 1641 in Roma, il quale si considera come il primo a musicare la poesia; e via di seguito. Limitazione del Monti appare da più luoghi, ma specialmente da quello in cui descrivendo la fonte Ascrea, che sta alle radici del Par- naso, v'introduce le Grazie, i genii e gli amori che lietamente intorno lo) GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI ad essa folleggiano ; come il Monti a sua volta nel descrivere Parigi mette alle porte di essa il furpe bisogno, la fame, la follia e le Erinni che offrono oscena gazzarra allo sguardo del Basville, che contemplar dovea la città dolente. Son sicuro che il Bozzo non penserebbe oggi, se ancor fosse vivo, a riprodurre per le stampe quel poemetto che vide la luce mel 1820. Senza che io lo dica, ognun può indovinare a quale idea siasi egli ispirato. Tutto è ivi mitologia : mitologico il concetto, 0, come direb- besi, la favola; mitologico il congegno, o la macchina, e mitologico da capo a fondo il linguaggio. Eppure, ecco una prova della instabilità del gusto! quella scritta del Bozzo riscosse da’ critici del tempo gli elogi più lusinghieri : il Z'e- legrafo giornale che allora si stampava in Palermo da Giuseppe Malviea, ne fece una lunga recensione, prodigando allo scrittore ogni specie di lode, non di altro appuntandolo che di qualche trascuratezza nello stile che si notava in pochissimi luoghi. Anzi assicurava quel giornale che il P. Michelangelo Monti, Professore di lettere celebratissimo in quei tempi, leggendo quella cantica, non sapea rifinire giammai dall’ammi- rarne la vivacità delle descrizioni. La Biblioteca italiana, che si pubblicava in Milano, sotto la direzione de’ due sommi scrittori Vincenzo Monti e Pietro Giordani, ne fece pa- rimenti i più grandi elogi, lodando specialmente una similitudine, con cui apre il terzo canto (1). To non mi trattengo più oltre su questo poemetto, che non manca davvero di delicati pensieri : ma non posso tralasciar di notare come quella Cantica sia stata più tardi tolta a modello dal Prof. Giuseppe Borghi, che una Cantica scrisse nel 1836 in morte del Bellini. Egli che contendeva allora la Cattedra di eloquenza al Bozzo , di cui non sapeva negare i letterari meriti, volle forse dar prova, come per fare l’ apoteosi di un illustre trapassato , non fosse mestieri di ricorrere alla mitologia, ma che bastasse la novella scuola che alla religione si ispira ed alla verità. (1) La similitudine è questa : Come del guscio che tutta l’accoglie, Poichè d’ali si armò, rizzasi all’alto La farfalletta di dorate spoglie, E innamora il fanciul,. che a salto a salto Raggiungerla desìa, chiudendo vuote Spesso le mani sul fiorito smalto, Così in leggiere spaziose ruote Muove lo spirto, etc. licia nt tp ati ttt GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 4) Checchè di ciò sia, quella Cantica per un giovanetto a soli ventun anno, fu un bel principio alla letteraria carriera, ond’ è che si vide schiuso l’adito a questa nostra Accademia, che allora dicevasi del Bor gusto, della quale, per proposta dell’Ab. Prof. Nascè, venne nominato socio corrispondente, e dopo poco promosso alla classe degli attivi. Di ciò pago quello illustre Professore, volle al giovane Bozzo affidare le sue veci nell’insegnamento delle lettere latine ed italiane in questa Università, dalla quale egli, per una malattia che lo deturpava nel volto, sentiva la convenienza di tenersi lontano. Io non ragiono qui delle altre poesie minori che in quel tempo ven- nero dal Bozzo pubblicate in varii giornali dell’epoca. Esse sono per lo più poesie di occasioni, nelle quali, tranne qualcuna, predomina sempre lo stesso linguaggio mitologico, che smorza talvolta gli slanci di quella fantasia di cui era a sufficienza fornito. Le sue poesie minori che riferisconsi a quell’epoca sono Ode saffica per le nozze della signora Vincenza Grassellini col Duca Lancia di Brolo. Altra dello stesso metro per la nascita del primogenito di quella no- bile coppia. Ode pel celebre suonatore di violino Niccolò Paganini. Canto elegiaco in morte della nobile giovane Teresa Mantegna, mu- sicata dal maestro Marcellino Bertorotto. Ode all’Ombra di Metastasio in lode de’ Filodrammatici che nel 1830 rappresentarono nel teatro di S. Cecilia in Palermo il Demofoonte di quel Poeta. Io dissi tranne qualcuna, giacchè nell’Ode che egli recitò in un’Acca- demia tenuta da’ ‘PP. Gesuiti per la morte di Pio VII al 1823, seppe allontanarsi dal gergo convenzionale mitologico, e trattò l'argomento con quella libertà di fantasia, di locuzione e di stile quale al soggetto si conveniva. È questo il Bozzo nella sua prima età. Se la letteratura italiana si fosse rimasta là, noi non vedremmo oggi appassite le corone di che allora furon cinte le sue poesie. Può darsene a lui interamente la colpa, se circondato trovavasi allora da un’atmosfera ridondante di nient'altro che di mitologia? Quando io vedo l’autore delle Visioni, Alfonso Varano; il riformatore della letteratura e della lingua, Foscolo; il cantore della Grecia moderna e della libertà, Nicolò Cirino, aver bruciato nella loro prima età incensi al biondo Apollo, ed alle Castalie suore, io mi sento costretto a riconciliarmi col Bozzo, ed a baciarne rispettosamente la tomba. x dI 10 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI VEMPI Sa, Contento il nostro Bozzo di aver mietuto la sua parte di allori nel campo poetico, e divenuto già professore nella nostra Università, com- prese che l’opera sua si sarebbe potuta rendere più utile al paese, e più onorevole per lui stesso e smettendo la lira, si fosse fatto a promo- vere dalla Cattedra con novelli criteri lo studio della italiana letteratura. Per quanto la Sicilia si fosse ne’ passati secoli segnalata nello studio delle scienze, così morali che fisiche, mentiremmo alla storica verità, se voles- simo asserire, che a pari grado si fosse elevata la nostra letteraria cultura. La lingua italiana, quantunque avesse avuto presso noi la culla, erasi lasciata sopraffare dalla latina, che, fino a poco tempo or è, era, non altrimenti che negli altri paesi, la lingua non solo delle scuole , ma delle leggi e del foro. To non saprei imprecare a quel fatto. Fu quello per noi un periodo di raccoglimento , e, se pur vuolsi, di assopimento , che ci valse un gran bene, almeno per la dignità della patria nostra. Se i nostri scrittori invece di scrivere, come allor si soleva fare, in latino, avessero scritto in italiano, non avrebbero potuto certamente preservarsi dalle onde invadenti del pessimo gusto dei seicentisti. La lingua di Cicerone e di Virgilio alla quale si educavala gioventù, non si sarebbe prestata a tradurre il famoso « Sudate, o fuochi a preparar me- talli» dell’Achillini. Quegli scrittori stessi infatti che in italiano scrissero verso la metà del settecento, lasciandosi sciaguratamente sopraftare dall’ambiente che tuttavia si trovava carico delle stranezze del precedente secolo, ce ne diedero la più miseranda prova, indicando financo co’ titoli più strava- ganti ed ampollosi le loro composizioni, come ce ne cita qualche esem- pio il nostro Scinà nella sua storia letteraria di Sicilia. Egli è vero, che lo studio della lingua italiana aveva già i suoi cultori nel De Cosmi, Vesco, Di Blasi, nello Scrofani, nel Palmeri ed in altri; egli è pur vero che in quell’epoca un’illustre colonia di italiani, parte chiamati dalle nostre famiglie patrizie per educare ed istruire i propri figliuoli, parte chiamati dagli Scolopi, da’ Gesuiti, e da’ Teatini che allora tenevano la pubblica istruzione fra noi; e parte anche spontaneamente, quasi a cercar fortuna, eran venuti fra noi, come il Valese, il Bandiera, il Lodoli, il Salvagnini, il Murena, il Manfredi, il Sinesio, il Bianchini ed altri, e spe- cialmente il p. Michelangelo Monti; ma non tutti erano ugualmente celebrati nella cultura dell’italico idioma, giacchè altri si segnalava nella cultur: GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 11 del greco, ed altri in quella del latino: nè tutti pei classici nostri italiani aveano quella venerazione e quello amore che loro si doveva. Lo stesso Michelangelo Monti, che può dirsi essere stato per lungo tempo il Ditta- tore del gusto in Palermo ed in Sicilia tutta, fu tacciato dai giornali del tempo di preferire allo studio del Dante e del Petrarca, quello del New- tonianismo per le donne dello Algarotti, e quello de’ Canti di Ossian del Cesarotti. La principale gloria in questo argomento devesi al nostro Bozzo, il quale, già Professore sostituito di lettere in questa nostra Università, fece conoscere Dante, che per noi era divenuto un nome quasi obbliato, ed il cui culto può dirsi essere stato da poco restaurato in Italia, mentre fino allora era rimasto un nume solitario , il cui tempio non era altro che il deserto. Amante il nostro Bozzo delle lettere e non della politica, non si ere- dette nel dritto di penetrare i sensi politici, che da qualche tempo in qua si vogliono trovare, nel divino poema, e limitossi sempre alla parte filologica ed estetica. Dante per lui era il padre dell’italiana favella, ed il culto che a lui professò fu quello stesso che ebbe pel Petrarca e pel Boccacio, che costituiscono il triumvirato della nostra letteratura. Eppure le sue lezioni, benchè circoscritte alla semplice parte estetica, furono così applaudite, che si correva da tutti i dotti del nostro paese a frequentarle. Tanto era potente la sua parola, che fu sempre ornata, e forse talvolta soverchiamente ; tale era il suo dire, che aveva del drammatico; e tanto giuste le sue osservazioni, che difficilmente poteva allora esser da altro superato. Quando egli infatti nel 1852 dovette per suoi affari recarsi in Napoli, e venne ad altri affidata la Cattedra, ri- cevette una lettera del Rettore del tempo che era lo Scinà (23 novem- bre 1832) che lo sollecitava a ritornare : « I giovani (così gli scriveva) avvezzi al vostro dramma non possono restar contenti del tenue dire di chi li ammaestra in vostra vece. » Egli intento a compiere la sua missione , di ricondurre la gioventù al puri fonti del bello con lo studio de’ classici italiani, si diede tutto a quell’opera. E pubblicava nel 1830 una dissertazione intorno a’ due versi di Dante (Inf. XX, v. 29-30): Chi è più scellerato di colui Che al giudizio di Dio passion porta ? Dopo esposte le varie intelligenze date a quei versi, e fattane la de- bita critica, egli espose il suo concetto, che il portar passione al giudizio di Dio dovesse intendersi nel senso di avere bramosa voglia di entrar nella 12 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI mente di Dio, e così penetrare nel futuro, come i cerretani e gl’indovini dànno ad intendere di aver la potenza di fare. La qual’interpretazione venne lodata dal Marchese di Montrone, dallo stesso Giuseppe Borghi, dal prof. Giovanni Carmignani e da altri. La quale favorevole accoglienza lo incoraggiò a pubblicare nel 188 un altro discorso sul verso che leggesi nel Canto XXXI dell’ Imferno, che il divino poeta mette in bocca a Nembrot, che vien letto in varie guise Rephel mai amech zabi almi con le quali confuse parole venne Dante a rilevare il momento in cui Dio lo colpì, e in cui quindi gli si turbò la favella. La quale opinione fu ammessa dal nostro celebre ellenista M. Crispi, che in quel verso ravvisa le prime sillabe di altrettante parole, che quel superbo avrebbe voluto profferire, ma che non potè arrivare a compiere. Fu perciò che egli si argomentò sin dal 1852 a proporre alla Com- missione suprema di Pubblica Istruzione in Sicilia, che una nuova edi- zione si facesse della Divina Commedia, il qual rapporto, in cui mette in chiaro i criteri cui avrebbe dovuto quell’opera informarsi, fa vedere qual profondo studio avesse sin d’allora egli fatto non solo sulla intel- ligenza del poema, ma sulla bibliografia, che è così ricca, delle diverse lezioni, di vari chiosatori come del Boccaccio, di Benvenuto, di Imola, del Buti, del Lombardi, e via di seguito sino al Cesari. La quale edizione, come diremo, venne poscia da lui eseguita, seb- bene non con quel lusso come egli si divisava. In quell’epoca si trovò egli impigliato, sempre per Dante, in una que- stione che era sorta sin dal 1826, in occasione di un luogo di Giovan Battista Niccolini sul Sublime di Michelangelo, fra i Professori Giovanni Carmignani e Giovanni Rosini sul noto verso di Dante : Poscia più che ’1 dolor potè il digiuno. Il Carmignani, stando all’antica interpretazione, data per primo da Ia- copo Della Lana, credeva, che quel verso indicasse essersi lasciato cadere l’infelice Conte Ugolino a nutrirsi delle carni stesse dei propri figliuoli, talchè lo stimolo della fame avesse sopraffatto il dolore, che sentiva il cuore di un padre. > Il Rosini all’incontro opinava, come era stato da tutti creduto, che la fame avesse cotanto indebolito le forze del padre, da non poter più chiamare a nome i propri figlioletti, unico conforto che a lui restava in que” momenti d’inesprimibile infelicità. Tutti e due credevano trovar sublime ciascuno a proprio modo, quel Verso. i GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 153 Sulla questione eransi interrogati i più illustri letterati, come il Pin demonti, il Monti, il Gargallo, il General Pepe Napolitano, il Gazzeri, ed altri, e si portò l’ardore a tal segno, che dovette intervenire il Gran Duca (beate cure di Sovrani di quel tempo !) a conciliare gli animi de’ clue contendenti, e ne deferi il giudizio al nostro Siciliano Marchese Tommaso Gargallo. Questi mise alla stampa una lezione accademica col titolo : Se il verso di Dante Poscia più che è dolor potè il digiuno, meriti lode di sublime, o taccia d’inetto. (1) Il Bozzo, quantunque non avesse pronunziato il suo avviso nè per il Carmignani, nè per il Rosini, che non voleva con alcuno di essi sconciarsi, non potè menar buono in aleun conto al Marchese di essersi accostato alla voce di Iacopo Della Lana, voce satarica a cui pel suo orrore chiu- sero gli orecchi tutti i comentatori; e quindi pubblicò una dissertazione: Considerazioni di Giuseppe Bozzo intorno ai comenti del verso di Dante (1852, Giornale di Scienze, Lettere ed Arti per la Sicilia, fascicolo 113), nella quale fa veramente vedere quanto sia stato istruito nella Divina Commedia e nella letteratura di tutti i Danteschi comentatori. Fu doloroso pel Bozzo il vedere raffreddate per quel deplorevole in- cidente le relazioni in cui si teneva col Gargallo, dal qual aveva egli ricevuto incoraggiamenti ed encomi, sin dalle prime sue pubblicazioni, ma occorre appena notare che ben presto i due letterati si riconcilia- rono; giacchè negli animi generosi che si ispirano al bello, la critica non trascende mai-que’ limiti a guardia de’ quali sta sempre la più gentile educazione. E qual rispetto il Bozzo si avesse avuto sempre pel più grande traduttore di Orazio, lo mostrò nella vita che ne scrisse nelle biografie di cui faremo parola. È Fu questa la mente del Bozzo in rapporto al primo periodo della let- teratura di questo secolo : fu questo il classicismo da lui professato, il quale valse a noi il gran bene di veder restaurata presso noi la purità di stile, e di veder promosso per la prima volta.lo studio del pensiero e delle forme de’ nostri classici italiani. IDE Vediamo ora la mente del Bozzo in rapporto alla novella fase della nostra letteratura, qual fu il romanticismo. Una riforma, come sopra notammo , erasi iniziata già sullo scorcio del passato secolo dal Parini, dall’Alfieri, dal Foscolo. (1) Questa è inserita nel sesto fascicolo delle Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, gingno 1892. Id GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI Il primo col suo poemetto // gi0r720 aveva più che alla riforma della poesia mirato alla riforma de’ costumi del Patriziato lombardo. Il secondo, che ben conosceva l’ arte di sconvolgere col terrore gli animi e aprir la vena ad affetti forti e terribili, sembrò quasi destinato a ritemprare gli animi degl’Ttaliani. L’ altro additando la letteratura, se non intende al bene sociale ed a sollevare i popoli, non essere che un’arte meschina ed un inutile pas- satempo, avea elevato la missione del poeta a quella di riformatore della società. Come ognun vede, era già cominciato un novello periodo filosofico : il creato cominciava a considerarsi sotto l’aspetto ontologico, che, non arrestandosi a ciò che si vede, si solleva più alto e penetra l’idea del fenomeno, cioè la realtà. L’aristocrazia sotto i colpi del Parini veniva smagata ed apparisce nella sua non lodevole realtà; il Potere si rivelava per la parola dell’Alfieri, come strumento alle volte de’ più ributtanti abusi e si sentiva il bisogno che anch’ esso rientrasse ne’ limiti della ragione; il popolo sentiva allora aver anche esso dei dritti a recla- mare ; e la letteratura che non si collega ai destini del popolo, perchè non si muta, come aveva proclamato il Foscolo ? Ma quegli arditi italiani può dirsi, che militavano ognuno per conto proprio. Occorreva che quegl’intendimenti venissero ridotti come in un sistema, né si tardò a ciò fare. Il Manzoni raccogliendo il nuovo pensiero diede come il programma del novello indirizzo, cioè che la nuova poesia, ed in generale la nuova letteratura dovesse proporsi 2’ utile per èc0po; il vero per soggetto; l'interessamento per mezzo (1). L’ organo della novella scuola fu il giornale detto 72 Conciliatore, che apparve in Milano al 3 settembre 1818, e venne soppresso il 17 ot- tobre 1819. Un programma si splendido non poteva che farsi una larga via nella repubblica letteraria. L'Italia era stanca oramai di sottostare alla pretenziosa Arcadia, e di non sentir cantar altro che pastorelle e pastori, e nozze dei Re, e nascite di principi, e parea che ripetesse il brontolo degli Ebrei: Nauseat anima nostra super cibo isto levissimo. Ma non si creda che il Romanticismo abbia segnato in Italia in tutta quella forma onde era stato concepito, con quel fantastico nordico, che alle Najadi ed alle Driadi della mitologia aveva sostituito le Uri, (1) Vedasi Cantù 7 Conciliatore, ove riporta la lettera che Manzoni scrisse al D'Azeglio, nella quale compendiosamente svolse il nuovo programina. GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 15 le Ondine, le Peri, ed a’ Silvani ed a’ Satiri antichi, gli Oberoni, gli Urieli, i Mefistofili. La riforma letteraria che si volle, non era che Vl ombra di quella riforma politica a cui si intendeva, e non serviva che ad occultare quel sacro fuoco che si voleva non si fosse mai spento. Gli uomini infatti che scrivevano nel Conciliatore erano il Porro, il Pellico, il Gonfaloniere, il Brerac, Ermes Visconti, i cui nomi si vi- dero più tardi scritti sulle uliginose pareti dello Spielberg, non di altro rei che di aver amato la patria. Anche nella Italia meridionale mon si professò un vero romantici- Smo, se ne eccettui qualche scrittore come il messinese Felice Bisazza fra noi, e qualche altro in Napoli : di quella scuola non altro si tolse, che l'abolizione della mitologia a cui venne sostituita la religione cri- stiana ; e la emancipazione da taluni precetti piuttosto arcadici che classici, il che si limitò quasi generalmente alla metrica, e si convenne di scegliere ad argomenti da poetare i soggetti del medio-evo e della storin contemporanea, invece che gli argomenti dell’ antichità e della favola. Ciò appare dal Poliorama Pittoresco, che si stampava in Napoli, ove scrivevano il venerando Ab. Giulio Genoino, Defendente Sacchi, Bruto Fabbricatore, Cesare Malpica, e l'illustre Benedettino P. Tosti; ed appare ancora dal giornale Za Ruota, che si stampava in Palermo, e i cui socii erano i fratelli Benedetto, Pietro e Giovan Battista Castiglia , Paolo Morello, il maestro di musica Pacini, e indi Emerico Amari . Michele Bertolami, Vincenzo Errante, Mariano Pantaleo, Francesco Paolo Perez, uomini tutti, il cui amore alla patria venne provato alle amarezze dell'esilio, che è più duro, per chi ama la patria, delle soffe- renze di una prigione. Or, per parlar de’ nostri scrittori, di tutt'altro occuparonsi che di ro- manticismo: i loro articoli e non ostante l’autorità della revisione go- vernativa, non parlavano che della Sicilia, ricordandone l’antica auto- nomia, e i più rimarchevoli periodi della sua storia, e fu appunto che in quell’epoca vedeva la luce 1’ opera di Amari sul Vespro Siciliano, sotto il titolo (7 perzodo di Storia Siciliana, al cui proposito Pietro Lanza Principe di Scordia pubblicava una serie di liberi ed importanti articoli. Diciamolo insomma francamente, non era quella una semplice tra- sformazione di letteratura, era la letteratura politica che ritornava in Italia, quella poesia che, tanto possente nelle parole dell’ Alighieri e del Petrarca, era rimasta muta sino all’Alfieri, se pur può dirsi eccitata in qualche modo dal Filicaia. Or qual fu la mente del Bozzo in questo periodo di rinnovellamento della nostra letteratura ? 16 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI Diremo che il Bozzo non abbia compreso qual fosse lo spirito della nuova fase, e che 1’ avesse creduto un audace scuola boreale, che tutti volesse dannare a morte gli Dei? Diremo non aver egli ravvisato altro in quella riforma, che un tentativo di ribellione ad Apollo, simile a quella che era stata osata dal Tassoni con la sua Secchia rapita; e dal Bracciolini col suo Schermo degli Dei ? Io no ’1 saprei, pensi ognuno a suo modo : purchè non si creda, che in quell’anima nobile si fosse potuto albergare alcun senso ostile alle politiche riforme. Egli che era:nato quando la Sicilia godeva delle sue franchigie; egli che avea visto i nostri nobili signori abdicare nel Par- lamento del 1813 gli aviti privilegi che da’ loro maggiori avevano ere- ditato; egli che non altro bramava che l'onore, la grandezza di Sicilia, non poteva non bramar per essa l’uhico elemento che vedeva mancarle, la libertà. Ad ogni modo, avendo il Prof. Giuseppe Borghi, che erasi stanziato in Palermo, pubblicato un articolo di conciliazione fra le due scuole, nel quale alla fine intonava lo sgombro al classicismo, il Bozzo reputò suo dovere il rispondere, e nel 1832 mise fuori per le stampe alcune con- siderazioni su quell’ articolo, imprendendo a legittimar 1’ uso della mi- tologia, almeno nel modo come ne avevano usato Monti e Foscolo, e gli altri classici italiani. Ma ben dovette avvedersi, che troppo tardi si era voluto spezzare una lancia a favore di una scuola, che già aveva fatto il suo tempo : e che la letteratura erasi fatta interprete de’ bisogni dei popoli, e che reclamavano la libertà in nome della dignità dell’uomo, della storia, e nel nome stesso di quella Religione, di cui il Manzoni ed il Borghi avevano celebrato i misteri e cantato lo spirito, i trionfi, le glorie. To trovo infatti, nelle memorie autografe del nostro scrittore, che si conservano dalla famiglia, un pentimento per quella pubblicazione. «Sarebbe stato meglio, così egli dice, che io quella memoria non avessi scritto, malgrado le mie più buone ragioni : sarà l’unica pubblicazione, spero, di cui io debbo in certo modo pentirmi. » Non è da credere però che sia egli rimasto irreconciliabilmente ne- mico della nuova scuola. Egli, circoscrivendosi sempre dentro la parte estetica e letteraria, e per nulla alludendo agl’intendimenti politici di essa, in una nota alla vita che scrisse del Marabitti, venne solenne- mente dichiarando, non essere avverso al Romanticismo, o alla scuola Lombarda, come allora chiamavasi; ma abborrirne le intemperanze, che deturpano il bello. Voleva che il bello si concepisse al modo de” classici, e non già alla maniera di oltremonti, e in questo senso essere romantico | ; È GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI LT col Carmignani, che chiamò romantica la Divina Commedia, e col Nic golini, che chiamò pur romantiche le tragedie di Euripide. Bra veramente difficile, che il Bozzo, il quale aveva ricevuto una educazione classica, e che l’ebbe sempre tenacemente ritenuta, mutasse d'improvviso, e molto più che il Nicolini, della cui amicizia altamente si onorava, con una lettera del 1843 gli scriveva : « Non vi fu tempo nel quale più che in questo convenga predicare lo studio de’ classici, Greci e Latini..... Ma si attenga nello insegna- mento, senza dubbio di errare, a Cicerone, ad Orazio, a Quintiliano: e si tenga certo che troverà in Platone ed Aristotile quel poco di buono, che possono aver detto i Tedeschi, i quali lo cingono di tante nuvole che più non si conosce. » Ciò non pertanto il suo contegno fu molto dignitoso e nobile come nel sonetto per lo scultore Fiorentino Reginaldo Bilancini, per avergli fatto un ritratto in medaglione in marmo : nell'altro pel Pittore Ab. Giovanni Patri- cola per un ritratto che gli fece: nell’altro pel Pittore Salvatore Lo Forte per avergli fatto il ritratto del padre, senza averlo conosciuto, ma su ac- cenni portigli da lui stesso, e dagli altri figli: e ne’ due carmi in verso sciolto l’uno a Giovan Battista Niccolini Zteatri, e altro Un voto al Principe di Satriano, Luogotenente Generale allora in Sicilia, pubblicati nel 1851, nell’ uno de’ quali rimpiange la falsa via, per la quale si era indi- rizzata la drammatica, e nell’altro loda quel Principe, per aver prov- veduto a tener lungi da Sicilia il minacciante cholera; e ricorderemo da ultimo un’ ode, seritta ne’ funerali con cui 1’ Accademia onorò la memoria di Mons. d'Acquisto suo Presidente. Ma oh quanto ben diverse son coteste poesie dalle antiche! egli comprendeva che avrebbe dovuto pagar cara la sua pervicacia, se si fosse presentato ancora con la zampogna di un Arcade pastorello. Nè so quì passarmi dal ricordare un Sonetto, che sopra tutto è bellis- simo, scritto nel secondo anniversario della nascita del suo dilettissimo figliuolo, il bravo giovine che fu Stefano Vittorio Bozzo! Giovane sven- turàto ! egli era già, così giovane, socio attivo di questo nostro soda- lizio, il qual posto doveva al merito delle sue pubblicazioni, e venne precocemente rapito da una morte immatura ! Povero figliuolo! Agoniz- zavano entrambi, senza che lun sapesse il doloroso stato dell’ altro ! Moriva lo Stefano senza che dal padre avesse ricevuto la benedizione suprema; e cinque giorni appresso spirava il povero genitore, senza aver potuto versare una lagrima sulla tomba, che si era aperta pei figlio! Egli lo ignorava! Oh! entrambi si son seontrati nelle serene sfere de’ cieli ! 18 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI Ritornando adunque al nostro proposito : benchè il Bozzo non si fosse schierato sotto la bandiera della novella scuola, l’opera sua non mancò all’inecremento ed alla prosperità de’ buoni propositi della stessa. A che altro infatti intese la scuola del romanticismo , 0, per dirlo meglio, la scuola politica, che sotto quel nome si nascondeva, se non che allo studio di Dante? Era da quel poeta che VItalia doveva pren- dere il concetto dell’ unità alla quale aspirava, poichè dalla tomba di lui usci la prima scintilla della nazionalità patria : era desso il poeta da cui dovea prendere i nobili sdegni contro gli oppressori delle li- bertà : in lui insomma dovea la novella generazione ispirarsi, per apprendere tutte quelle virtù, che bisognano alla sociale ricostituzione di una nazione, e quelle pure, che fan mestieri per conservarla, e per procurarne i progressi. Chi sa intendere Dante, tuttochè non sappia penetrarne i recon- diti sensi, purché si contenti di educarsi alla sublime di lui estetica forma, non potrà non sentire il fremito della antica libertà latina, e l’abborrimento di qualsivoglia servaggio. Che c’importa, adunque o Signori, che il Bozzo non abbia steso la mano a squarciare il velo della Beatrice , o ad afferrare la lonza, il leone e la lupa, e costringer quelle belve a darci il nome di colui, di cui non erano essi che un simbolo ? La sua parola era ben troppo possente per infiammare gli animi degli affetti più nobili e più forti, e voi stessi, di cui la maggior parte studiò sotto lui, voi stessi che siete la illustre generazione novella, voi stessi potete sulla tomba del nostro letterato siciliano dare la più solenne testimo- nianza di qual raggio infiammavasi il volto di lui, quando gli avveniva di comentare le sublimi apostrofi, che a Firenze ed all’ Italia rivol geva il divino Poeta. Quello che egli fece per Dante, fece altresi per le rime del Petrarca e per le Novelle del Boccaccio, che egli pubblicò con note non solo, ma con taluni excursus, nei quali faceva notare, con isquisitezza di gusto, le più peregrine bellezze, che riboccavano in quegl’inarrivabili scrittori. Io non finirei, se volessi esporre gli elogi che si ebbe da tutti i più severi critici per quelle pubblicazioni. Oltre gli elogi che gli furono prodigati, come sopra accennammo, per le memorie scritte in interpretazione di alcuni luoghi di Dante, con simil plauso furono accolte le novelle edizioni che egli fece dei tre grandi Padri della nostra letteratura. Per le sue pubblicazioni su Dante, egli ebbe 1’ onore di essere dal Ferrazzi, nella sua Biblioteca Dantesca, annoverato fra’ più illustri cultori degli studi Danteschi. GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 19 Del suo comento a Dante furono fatte tre edizioni : la prima nel 1831, la seconda nel 1837, la terza nel 1854. Sulla prima il Montani (Antologia di Firenze di quell’anno) lodandosi de’ progressi che il Dantesco studio avea fatto nel settentrione d’Italia, tantochè erasi cominciati ivi ad andare a rilento, si rallegra dall’ardore con sui vi si attendeva nel mezzogiorno d’ Italia, e soggiunge : Fra loro promotore il più istancabile è certamente il Prof. Bozzo, che dopo aver dettati discorsi or intorno ad una, or intorno ad altra parte del Poema medesimo, pubblica oggi una edizione approvata da’ dotti uomini con commenti scelti da” migliori che sono stati fatti fin quì, aggiun- gendovi i suoi, di che discorre nel suo erudito proemio , ed ha fatto prova di squisito giudizio nella scelta delle lezioni, e nelle note. Nè men lusinghiero fu l’elogio che ne fece il Becchi nell'Accademia della Crusca il 31 luglio 1852, che disse, il lavoro, che l’autore va fa- cendo, è degno di moltissima lode : continui pertanto con ardore l’opera che ha intrapreso, e tenga per fermo, che per essa meriterà bene delle lettere italiane. Nè meno onorevole fu la lode che per la seconda edizione gli venne fatta dal Marchese Montrone (Bari 1857 ),le cui parole ci piace di ri- ferire, perchè sono un elogio alla nostra Sicilia. «La Sicilia, così egli scriveva, non contaminata dagli influssi stranieri e feracissima in ogni tempo di fervidi intelletti, sarà, meglio di ogni altra fra noi a riprendere le antiche forme, e adagiarsi sulle usanze de’ nostri padri, per quindi dar la mossa a seguire innanti nel cam- mino in che si avviarono, luminose traccie segnando , i nostri primi maestri del sapere. De’ quali, siccome il nostro Dante siede in sulla cima, così lo studio della sua grande opera dee più di ogni altro raccoman- darsi. Il Prof. Bozzo adunque, che con tanto zelo si adopra ad un fine sì alto e magnanimo , è degno della. stima e della gratitudine uni- versale. » Sulla terza edizione poi, tralasciando le altre lodi, ci piace riferire le parole del chiarissimo Prof. Mons. Crispi, che quellavoro qualificando come importante lacoro Dantesco, scriveva « non è da maravigliarsi se ha riscosso il plauso dei dotti. Uno dei punti di vista in che più è uopo di guardarlo, è la parte scientifica delle note, nelle quali il co- mentatore spiega e pone in chiaro i luoghi spettanti a scienza che sono del gran Poeta trattati a nota, ed emenda quelli che dal presente pro- gresso dei lumi scientifici sono discordanti: ciò che per lo più non hanno fatto i commentatori che l'hanno precesso. « Fra tutte e tre le digressioni che sulla Divina Commedia il professor 20 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI Bozzo ha voluto far seguitare al suo commentario ad esempio degli excursus del celebre Heyne sopra Virgilio, mi sembra sia vieppiù da stimare l’ultima, nella quale il commentatore dimostra l’animo virtuoso e grande dell’altissimo poeta, che volea con la forza del suo ingegno e con la melodia dei suoi versi tirare i concittadini a bella ed utile con- cordia, e così, poste giù le gare e l’asprezza delle parti, far dell’Italia unica e riposata famiglia. » Ecco come quel lavoro fu giudicato anche da parte del concetto po- litico ! Ecco quale era non solo la mente, ma il cuore di Bozzo, ritemprato allo studio del fiero ghibellino ! Non fuvvi argomento riferentesi alla Divina Commedia, di cui egli non prendesse ragione. Egli scrisse su alcune varianti nel testo pub- blicato dal signor Carlo Withe di Breslavia (1872); e quando parea di avere esaurita la materia con le svariate sue pubblicazioni, si avvide che qualche altra cosa restasse ancora da svolgere. Ben tconsapevole, che la lingua italiana ebbe culto ed anche culla in Sicilia, si pose negli ultimi anni della sua vita, a cercare in Dante (il. che fece poscia pel Boccaccio) se reliquie nella sua lingua si trovassero dell’antico sicolo idioma, che è oggi disceso al grado di semplice dia- letto. Volle egli così dar una prova dell’ amore che egli portava alla sua patria. Con una pazienza quindi veramente prodigiosa, si diede a raffrontare le voci e le maniere del dialetto Siciliano, che si trovano nella Divina Commedia, il qual lavoro; che dedicò al chiarissimo Comm. Francesco Zambrini (1879), piacque tanto che il signor Luigi Gaiter si senti invogliato a far lo stesso col dialetto Veronese, e nel 1880 gliene scrisse una lettera, inviandogli il risultato degli studi, a cui era stato spinto ad accingersi. Nè questo studio si limitò al Dante, ma, come abbiamo accennato si estese agli altri due Padri di nostra letteratura. Il Petrarca da lui ripubblicato con belle chiose , e con estetiche osservazioni , in cui ri- velasi il suo squisito gusto, fu lodato dal Ferrazzi da noi sopra citato e da altri non pochi, che negli elogi fattigli pel Dante ricordarono pure gli studi sul Petrarca. Ci piace pure accennare come tal lavoro del Petrarca avesse avuto l’ammirazione dello stesso severo critico Carducci, il quale chiamò elegante il comento, che a lui era stato fatto pervenire, del Bozzo, spiacendogli di essergli giunto quando già avea fatto la sua edizione del Petrarca (1). (1) Carducci, Rime di Francesco Petrarca, sopra argomenti storici e inorali, ece. Li- vorno 1876, pag. XVII (Pretaz.). GIUSEPPE BOZZO E I SUOI PEMPI 21 Quanto poi agli studi fatti sul Boccaccio, pel quale egli fece anche quel confronto di voci siciliane, che avea fatto per Dante, ci limitiamo a riferire il giudizio che ne portò la R. Accademia del Belgio, la quale, per organo del suo socio prof. Le Roy annunziava, che per opera del Bozzo certi luoghi, che erano oscuri in Boccaccio, acquistano lume, se interpretansi alla stregua degl’idiotismi siciliani. E dopo averlo elogiato come pensatore, ed uomo di gusto, conchiude che quel comento è degno al pari di quegli altri che il Bozzo avea pubblicato su Dante e su Pe- trarca. Eeco qual'era la riputazione che in Italia e sino all’estero godeva il compianto nostro compagno : e vengono ora a dirci, che egli non sia stato che un classicista, e che all’ apparire del Romanticismo la sua rinomanza si fosse del tutto ecclissata ! Se egli non invocò le Peri e non s’ispirò a’ Mefistofili, seppe conservare all'Italia ed alla nostra patria principalmente i tesori della nostra lin- gua, e proclamare sempre il culto dei nostri scrittori, ai quali il Ro- manticismo italiano non osò mai di portare oltraggio, perchè ben com- prendeva, che, rinnezando queisommi, avrebbe perduto il palladio della propria autonomia e della propria nazionalità. Ma non furono queste le sole pubblicazioni che al Bozzo procurarono tanta onorata rinomanza, ma altre ne abbiamo delle quali ci contentiamo di fare un semplice cenno. Egli era molto versato nel genere dimostrativo ed elogistico, e un primo saggio ne avea dato sin dal 1825, con una orazione augurale, che volle presentare a Francesco Borbone, allora salito al Trono, nella quale fece : l’elogio delle belle lettere e delle belle arti, rilevando quanto esse con- feriscano al ben essere ed alla felicità dei Regni. Per la facilità che aveva aquistato in tal genere di oratoria, abbiam di lui molti funebri ricordi, che egli fu sempre sollecito di scrivere come estremo tributo di affetto agli amici che si venivano mano mano spe- gnendo, de’ quali discorsi qualcuno, come quello per Carlo Giacchery venne commendato da Niccolò Tommaseo. Ma l’amore che gli portava alla sua patria non gli lasciava aver pace, se non avesse trovato un modo di celebrarne più convenientemente le glorie. Questo suo. desiderio non poteva egli appagare per allora, giacchè era preoccupato dal pensiero di non avere ancora ottenuto la 6 22 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI proprietà di quella Cattedra, di cui per tanti anni non era che semplice interino. Quantunque le locali autorità lo avessero sempre raccomandato al Governo, fu inesorabilmente per lui decretato di non potere ottenerne la proprietà, se non dopo sostenuto uno sperimento per iscritto. Ed il concorso fu finalmente indetto, ed a’ 4 gennaio 1842 si espose al cimento. Il tema versava sul Bello, con doversi considerare ne’ tre ordini , fisico, intellettuale e morale, con dover distinguere la parte che, nella con- templazione del bello, ha l'intelletto, e quella che vi ha il sentimento, facendo altresi rilevare il gusto degi italiani in confronto di quello di altre nazioni. L'argomento era per quanto splendido, altrettanto difficile. Noi non ne esamineremo il merito , giacchè oggi che il sentimento estetico è stato dalla filosofia profondamente studiato, potrà sembrare che il Bozzo non abbia ben distinta la parte soggettiva che entra nella contemplazione del Bello, dalla parte ontologica che in quel sentimento deve ricercarsi. Im questa lotta egli ebbe a contendere con un poderoso competitore, qual si era l’egregio letterato Francesco Paolo Perez, che rappresenta oggi fra noi una preziosa reliquia della generazione che fece tanto onore alla Sicilia ed alla Italia tutta. Comunque sia, la Commissione esaminatrice credéè d’attribuirsi la preferenza al Bozzo, e dopo non pochi riesami degli scritti, fu per lui conceduta la Reale approvazione. L’aspirazione del Bozzo fu allora appagata. Era la Cattedra di BElo- quenza l’ ultima meta a cui miravano gli studi di un uomo di lettere in quei tempi, la quale non dava allora che il tenue emolumento di circa un migliaio di lire all'anno. Eppure vi si aspirava ! I voti del Bozzo essendo già stati soddisfatti, fu allora che egli pensò a imprendere il lavoro per l’opera da lui divisata ; il ricordare, cioè, quegl’illustri siciliani che aveva egli conosciuto, e di cui temeva non an- dasse in dileguo la memoria. 7 Quest'opera che s'intitola : Le lodi degl’'illustri Siciliani morti ne’ primi quarantacinque anni di questo secolo, fu divisa in due volumi; e se è pre- gevole per averci conservato molte particolarità di tanti illustri uomini che onorarono negli ultimi tempi quest’Isola, è altresi pregevole per le svariate cognizioni di cui venne arricchita, per le note, nelle quali ricorda illustri personaggi dei secoli andati; e rivela nel tempo stesso l'esattezza del giudizio, 1’ acume della critica, e la versatilità dell’in- gegno di cui era l’autore fornito. Egli infatti parla con esattezza delle scienze sacre, quando fa l'elogio del P. Barcellona; di economia politica e di agronomia nelle lodi di Paolo GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 23 Balsamo; di archeologia nella vita di Landolina, di dritto pubblico nelle lodi del Di Gregorio; si mostra conoscitore di fisica nell’elogio dello Scinà: di arte militare in quello del Gravina; di letteratura nell’elogio del Meli, e del Gargallo: di Botanica nell’elogio del Bivona; e mostra il suo gusto per la musica nell’elogio del Bellini: a dir breve, parla sempre con sano giudizio in tutte quelle materie, in cui si segnalarono que’ grandi che egli tolse a lodare. Si dirà che lo stile di quell’opera è soverchiamente fiorito, che fa uso, come uno scolaretto, di perifrasi e di amplificazioni. Nol nego, e son certo che il Bozzo avrebbe scritto meglio, se non avesse voluto serivere benissimo. Ma che si vuole? non fu questo il difetto che a’ suoi tempi venne pure apposto al Nicolini? Era quello l’andazzo dell’epoca, in cui la lingua italiana non si era saputa ancora distrigare dal dialettismo fiorentino, nè era salita a quella spigliatezza a cui l'aveva portato il Fosco- lo, che, precorrendo i tempi, aveva dato alla lingua quella generalità che doveva avere poi, quando potè dire l’Italia, sono una Nazione! Del resto — lo dirò francamente — io preferirei uno scrittore, pur lezioso che sia, purchè scrivesse in vero italiano, ad un altro che contaminasse la lingua di Dante co’ barbarismi dello straniero : l'uno non potrebbe al postutto che infastidirei, ma l’altro ci muoverebbe a sdegno, perchè contamine- rebbe quello che è proprietà nazionale, e nostro distintivo : la lingua. Ciò non pertanto l’opera del Bozzo venne generalmente applaudita. Oltre il sopra lodato mons. Crispi, che lo incoraggiò con le sue lodi a pubblicare il secondo volume, l'Accademia Archeologica di Roma lo ascrisse a suo socio, e per organo del suo Segretario il Comm. Visconti gli manifestava il suo compiacimento per quell’ opera che egli aveva con affetto consacrata alle recenti glorie di cotesta classica Sicilia, terra di amtiche grandezze, e sì perennemente famosa (23 giugno 1853). Il voto del Bozzo era stato già soddisfatto; egli non aveva voluto la sua gloria, ma la gloria di quella terra perennemente famosa. Sì, la gloria di Sicilia: giacchè non è d’ uopo che si ripeta, la Si- cilia fu sempre in cima a tutti i suoi pensieri sin da’ primi anni di sua letteraria vita, come lo mostrò con quel suo scritto, che pubblicò nel 1830 contro un articolo .che apparve nel giornale di Arcadia di Roma a firma del signor Ferdinando Malvica, che mal giudicava della letteraria cultura in Sicilia, ed egli si levò a smentire quelle accuse per le quali vedeva l’onor patrio vilipeso, dimostrando lo stato in cui era la letteraria cul- tura in Sicilia. Non dico delle altre moltissime pubblicazioni, come di iscrizioni fu- nebri, di discorsi che lesse in questa Università a prolusione degli anni Di GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI scolastici, e del discorso che scrisse per le paludi di Mondello, e di tanti proemi de’ diversi volumi degli Atti mostri accademici nei lunghi anni che fu Segretario Generale. In tutti questi piccoli lavori egli pose sempre quell’ accuratezza di eloquio che tanto predileggeva, quella squisitezza di gusto che gli fu propria, e quel sentimento che formò la precipua nota del suo pensiero, l’amore al progresso della letteraria gloria siciliana. Io vengo ora a riguardare il nostro compianto Collega in raffronto all’ultima fase della nostra letteratura. VIA Sò La poesia italiana, benchè ne’ suoi primi albori non avesse ad altro servito, che alla espressione dell’amore, come si vede quasi in tutte le rime de’ nostri antichi poeti, ebbe sempre, come le altre letterature neo-latine, una particolare inclinazione all’allegoria ed al simbolismo. Ciò è dovuto alla influenza che, nella seconda parte del medio-evo esercitò sulla letteratura il Cristianesimo, il quale, sollevando l’uomo a quelle supreme aspirazioni, a cui il Gentilesimo non avea la capacità di elevarsi, non poteva ispirare che un linguaggio mistico e suprema. _ mente simbolico. Il che è evidente in Dante , che con la sua visione abbracciò l'universo, ed è anche evidente in Petrarca, la cui Laura avvi chi crede non ‘essere stato che un personaggio simbolico. Anzi lo stesso Boccaccio, che può riguardarsi con le sue novelle come il fon- datore del romanzo, credon taluni aver cercato di dare all’antica mi- tologia un’interpretazione, che si avvicinasse al simbolico cristiano. Ma checchéè sia di ciò, non possiamo nasconderci, che quando la let- teratura italiana si potè dire di essere divenuta estetica, il simbolismo biblico, che l’avea informato, si sposò ad un altro elemento non meno simbolico, quale era il sentimento della nazionalità. È desso un fatto storico, che nessun può mettere in dubbio. Per Dante l’aspirazione era quella di una grande monarchia, organata al modo ghibellino: pel Petrarca, che riposto avea in Cola di Rienzo le sue speranze e la sua ammirazione , era quella di una grande re- pubblica : e più tardi pel Machiavelli, era quella di un regno vera- mente italiano. i Fu questo il simbolo, e Videale della letteratura nostra, che quan- tunque da’ Governi del tempo e forse anche dalla tranquilla Arcadia, si fosse voluto cacciare in oblio, riappariva sempre ne’ canti de’ poeti, GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 25 or più or meno apertamente , col nome d'/talia e di patria, come a pe renne ricordo di una meta a cui si dovesse una volta arrivare. Questo ideale che era il voto costante della letteratura italiana, diede alla nostra poesia un carattere che non si ravvisa nelle lettera ture delle altre genti neo-latine, ma solo in quella degli Ebrei, le cui poesie non si volgevano ad altro ehe alla futura restaurazione del re- gno d'Israele, e quindi, come la loro, la nostra poesia or esprimeva la gioia dell'inno, quando vedevasi splendere l’astro delle antiche spe- ranze, ed or lo sconforto, quando quelle speranze vedevansi poco a poco languire. Ma l'aspirazione degli Italiani fu lunga, ed è perciò che la nostra poesia ebbe sempre dell’elegiaco, come il bel Canto che il popolo Ebreo dall'esilio inviava a Gerusalemme, nel bel salmo Davidico Super /lumnina Babylonis ibi sedimus et flevimus, gemiti e pianto di un popolo, cui non resta nella desolazione dell’esilio, altro conforto che quello di pensare alla patria ! Or compiuto finalmente il voto del racquisto della propria nazio- nalità, appagata quella inesauribile sete della nazionale indipendenza che era il simbolo della nostra letteratura, era facile il dimandare qual sarebbe stata la sorte della nostra poesia ? I Io ricordo, che un tal problema fu l'argomento di una discussione, che poco dopo il 1860 ebbe luogo tra il Bozzo, ed il compianto Prin- cipe di Galati, illustre Presidente che fu di nostra Accademia, alla qual discussione ebbi anch’ io la sorte di trovarmi presente. Si conveniva che alla mitologia non si sarebbe più per alcun verso ritornati : pochis- sima speranza si avea, atteso l’ aire a cui piegavano i tempi, di sen- tirci ripetere gli inni sacri del Manzoni e del Borghi : si argomentava che fosse continuato lo splendido e grave poetar del Mamiani, che forse potesse rivivere la poesia storica, ovvero la poesia morale, sotto quelle forme che le erano state impresse dal Prati. Ma le nostre previsioni fallirono. Avrebbe allora dovuto porsi mente all'evoluzione, che già avea fatto lo spirito filosofico , il quale si era volto a considerare il creato non più sotto 1’ aspetto ontologico, ma sotto l'aspetto psicologico, proclamando, con la scuola positivista, Vau- tonomia della ragione, e la libertà, se tal può dirsi, della scienza. Questa scuola, la quale, benchè sorta sin dal 1820 con Augusto Comte, non ebbe che tardi, almeno presso noi, il suo svolgimento, aveva tra le sue spire travolto non solo le scienze, ma benanco le lettere e le belle arti, cui è stata apportata la più profonda trasformazione. Ne hanno però avuto esse un vantaggio ? TO GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI Ma qual vantaggio potevano esse sperare da quella scuola, che per primo saluto diè ad esse l’annunzio, non essere altro 1’ estetica che il passatempo delle donne isteriche , ed alle arti ed alle lettere non doversi concedere altra forza ed altra attività, se non quel tanto che sopravvanza dalla lotta in cui ci troviamo per l’esistenza, e non ser- vir ad altro, che a procurare uno svago, ed esser esse per l’uomo ciò che è il giuoco per gli animali ? Immaginate, o Signori, qual doveva essere l’animo del Bozzo, di lui che in tutti i suoi discorsi ebbe sempre riguardato il culto del bello e delle lettere come il diapason della civiltà de’ popoli, come il mezzo del loro incivilimento, come la sorgente del loro benessere ! Nè questo è tutto. Noi eravamo stati educati a sentirci ripetere da’ tempi di Platone sin a quelli di Gioberti, che per concepirsi il bello alla presenza di un oggetto; bisognerebbe concepire nel tempo stesso la corrispondente idea archetipa dell’oggetto stesso, quella idea, cioè , che nella sua uni- versalità fu concepita nella mente stessa di Dio, e che un oggetto, per essere bello, bisogna che sia, oggettivamente considerato, conforme al concetto universale, ossia all’archetipa idea divina. Era questo il privilegio che in ogni tempo si considerò come ri- serbato a’ poeti ed a’? cultori del bello, quello, cioè, di sollevarsi sino alle fulgide sedi di Dio, contemplare |’ arcano pensiero della mente divina, ed indi, ripiegandosi sul creato, confrontar questo col concetto divino, che, novelli Prometei, aveano colto lassù, ed alzar la voce per- | chè i popoli si avvedessero de’ proprî difetti, e si animassero a cor- reggersi e ad uniformare i loro atti all’archetipo, secondo cui erano stati essi creati. E fu per questa altissima e nobilissima missione che i poeti vennero considerati come i primi legislatori e tesmofori delle popola- zioni, ed i primi a cui si deve l’incivilimento delle rozze e selvatiche tribù, perchè essi fecero chiaro a quelle genti ciò che dovessero es- sere, in raffronto di quello che erano. Nè deve recar meraviglia , giacchè. non vi ha scienza, non disci plina che non abbia un ideale per iscopo, che si propone coi precetti di recare alla realtà. Il moralista, il pubblicista, 1’ economista che al- tro fanno, se non istabilire l’idealità della loro scienza, e far si che a quella si conformassero le azioni? Se non chè mentre costoro non si impongono che coi precetti, i poeti trascinano col diletto, con lo splen- dore e col lenocinio della loro favella. ; Ma cotal missione. come possono le belle arti impromettersi di com- piere, sotto l’impero di una scuola che non ammette Dio, e quindi GIUSEPPE BOZZO E 1 SUOI TEMPI 27 nega la sorgente degl’ ideali, e nega pure la idealità di tutto quello che esiste in natura, inibendo di ricorrere a tutto quello che non cada sotto i sensi, e che non sia assicurato e garentito dal sindacato della speri- mentazione ? Immaginate qual dovea essere la mente del Bozzo, di Ini che avea, nella memoria pel suo concorso, sostenuto con Platone, e con Dante, essere Dio l’autore di ogni bellezza, e da Lui essere creato tutto ciò che vi ha di bello e di amabile in natura, ricordando quel verso di Dante : Sì aperse in nuovi amor il sommo amore ! Nè questo è ancor tutto. Noi: avevamo.appreso, che il bello consista nella unione individua dell’intelligibile (idea archetipa universale ) col sensibile (oggetto concereto-individuo ) fatta per opera della immagina- zione, la quale, creando uno spazio ed un tempo immaginarii nel teatro di sua fantasia, fa ivi vivere ed operare quegl’idoletti, che riveste di tanta concretezza, che, se il poeta avesse la facoltà di rendere reali il tempo e lo spazio immaginarii, nulla osterebbe perchè quegl’idoletti di- venissero creature reali e cirenti, e popolassero sino ad infinito la natura reale. Ma a che ricordare tanti belli concetti, se oggi non si considerano che come astruserie di una delirante metafisica ? La moderna scuola ingiunge severamente al poeta ed all’artista di attenersi alla sensibile realtà, nè altro officio gli consente che quello di imitare, anzi di copiare e di riprodurre la natura, non altrimenti che farebbe il raggio del sole sull’ apparecchio fotografico, che riproduce tutto quello che da esso .è colpito. I nostri maestri si lagnavano degli antichi, che avevano fatto con- sistere l’arte nella imitazione della natura : pare anzi che oggi si vada molto più retrocedendo, quando all’imitazione si vuole sostituita la copia. Invano oggi si ricorda, che nella realtà trovansi elementi che mal corrisponderebbero all’idealità , e che è stato riconosciuto sempre al poeta il dritto di sopprimere tutto ciò che di brutto, di nauseante e di deforme si potesse trovare per avventura nella natura reale, e che è una necessaria conseguenza del dritto che ha il poeta di cogliere l’ideale, quello di correggere la natura stessa, e di far sì che corrisponda ciò che è, a ciò che dovrebbe essere, o almeno a ciò che avrebbe dovuto non essere. Con Il verismo (che tal si appella il positivismo .applicato alle arti) non assente tanta libertà all’artista, esso anzi si appaga quando vede l’arte 28 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI ritrarre le più stomachevoli brutture, e le più ributtanti scene, che si compiace di andar pescando nelle prigioni, ne’ prostiboli, nei più bassi fondi della società. Ci racconta Pietro Giordani di un ambasciadore di un Re barbaro, al quale, capitato a Roma, fu offerto ua quadro rappresentante un vec- chio mendico, sudicio, e per ogni verso ributtante e nauseoso. Interro- gato come gli sembrasse quel quadro, che potevasi riguardare come il più perfetto lavoro del verismo, rispose : Comprendete qual conto io faccia di una tale pittura, da ciò che io vorrei che in natura non esi- stesse un uomo così ributtante e nauseoso. E costui che dava una tal risposta, era un barbaro ! Non siamo oggi nel deplorevole stato di dover dire, essere il nostro gusto più barbaro del gusto stesso dei barbari? Non vediamo l’arte in- tenta tutta a riprodurre le scene più indecorose che esistano nella real- tà? Non si permette oggi di descrivere ne’ nostri romanzi certi parti colari così putridi e stomachevoli, che non dirò il gusto, ma il galateo stesso non permette di farne argomento di narrazione in qualche onesta brigata ? Voi comprendete, che il mio pensiero è in questo momento rivolto ad Emilio Zola, e forse anche al colossale di lui lavoro 1’ Assomo?r, e se- gnatamente alle scene di Gervasia, ed all’ubbriachezza del costui pre- teso marito. Non nego allo Zola di essersi prefisso uno scopo bene spesso morale, quale era quello di moralizzare le basse eclassi , dimostrando loro quanto danno porti alla loto domestica economia, ed alla loro ses- suale dignità, l’abbandonarsi all’ozio, all’alcolismo, alla gelosia di me- stiere, alle passioni politiche e ad altri simili vizi. Ma il lodevole di lui fine, non sarà mai per giustificare i mezzi, che sono stati da lui prescelti. Egli ha circondato di tanta immoralità la moralità che vorrebbe insinuare, che coloro i quali dovrebbero coglierla, non arrivano a ricono- scerla, imbrattata com’è fra tante sozzure. Donde è venuto che la torma de’ suoi ammiratori ed imitatori, niente curando di scorgere il fine al quale il lor maestro mirava, si son fer- mati a ciò che non era che un semplice mezzo, e le loro poesie sono riuscite ad essere nient'altro, che un ammasso di pornografiche laidezze da far arrossire anche una donna da conio. Ben conosco qual sia la risposta che porge il verismo a tali osser- vazioni: ci si dice che la novella scuola non ha fatto alla fine, che sollevar l’arte ad una più sublime meta, non mai raggiunta pur dian- zì, cioè, che essa ha dato all’arte per oggetto la verità, mentre le anti GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 29 che scuole non le avevano assegnato per patrimonio che il verosimile. Oh! certo nessuno può mettere in forse la eccellenza della verità, es- sendo questa la nobile meta, a cui possa aspirare umana intelligenza, ma non bisogna dimenticare la gran sentenza del celebre critico Despreaux : IL vero, esser la tomba dell’arte. Ed è così, o Signori. Quando gli scultori romani, credendo di ren- dere un gran servigio all'arte , vollero far di porfido rosso il manto ai mezzo-busti de’ loro imperatori, intendendo con ciò di esprimere sino al vero il color della porpora imperiale , essi non fecero invece che segnare l'epoca della decadenza per quella nobilissima arte. Lodereste voi infatti quel pittore, che si permettesse di appiccicare al suo quadro l’orpello dell'oro alla corona di un Principe, o incastrare nel suo quadro un pezzo di trina e di merletto tra le pieghe del l’abito d’una Principessa ? Lodereste quel maestro di musica che volendo esprimere in una sinfonia il rimbombo del cannone, pensasse ad arric- chire l'orchestra di un pezzo di artiglieria ? Il vero non è sempre il fedele amico dell’arte ! E ciò non riguarderebbe che la parte dell’esecuzione. Che diremmo poi se si volesse obbligare il poeta ad attenersi al vero anche per ciò che riguardi l’invenzione ? Che diverrebbe allora la poesia se non che una fastidiosa ripetizione di scene, che, per quanto variar si vogliano certi particolari, alla fin fine non fanno altro che presentarci lo stesso oggetto ? Non riesce in- fatti stucchevole nello Zola quel vedervi presentare con tanta frequenza la Senna, come nel Ventre di Parigi ? Se si toglie al poeta la facoltà dello ideale, l’arte rovina sin dalle sue fondamenta; giacchè l'essenza dell’ arte estetica sta appunto nel saper riprodurre l'ideale, o l’universale non tanto in quelle forme in cui li ha riprodotti la natura nella sun realtà, ma in quelle forme in cui la natura avrebbe potuto e potrebbe ancor riprodurli, ed in cui finora non li ha riprodotti. Solo il dovere che incombe all’ artista è questo, che, cioè, coteste riproduzioni, che solo esistono nel tempo e nello spazio immaginarie, come sopra accennammo, sieno rivestite di quella naturalezza, e concretezza che si scontra nella natura, nel che consiste l’ufficio della ènzitazione ben intesa. Se dunque si nega dal verismo quella libertà all’artista, non si è fatto che scavar la tomba alle arti, ed allora il poema di Dante e di Tasso, che si nutriscono d’ideali, e di verosimili, saran costretti a ce- dere il passo ad una vecchia cronaca, che si è contenuta entro i limiti della pura e schietta verità storica, e forse anche alle carte proces- la) 30 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI suali di un dibattimento criminale, e chi sa ? forse ad un verbale scritto da un delegato di pubblica sicurezza , o da un carabiniere ! Il verismo, che arriva ad invocare a suo pro’ i Promessi sposi del Manzoni, dovrebbe comprendere quanto sia distante dalle pretese di quella scuola la naturalezza di cui quel romanzo è una splendida e bella dimostrazione. Gridino pure quanto lor piace i veristi contro gl’ideali e contro la libertà che essi negano agli artisti di ricorrervi: ma non vi sembrano at- tinte dallo ideale le scene della Teresa Ltaquin, quando il suo complice va a strappare il ritratto del tradito marito, ed altre scene de’ romanzi dello Zola, che per brevità tralasciamo ? Quale è stata la conseguenza che nelle arti del bello ha tanto in- fluito ? La pittura e la scultura non ci offrono più opere d’invenzione, ma si sono circoscritte a fare dei ritratti di uomini illustri, se volete, ma che son sempre ritratti e semplici riproduzioni del weale. La musica più che ad esprimere i sentimenti, si è data ad inter- pretare le parole. La poesia datasi alla contemplazione del vero reale, invece di far traversare l’ ideale, si è data alla più sozza sensualità, cessando di riabilitare il senso e 1’ antico classicismo , come disse Al- berto Mario nel fare 1’ elogio del Carducci, lieto di averci dato le poesie del Bettelone, ha financo rigettato la metrica, quella melodia che ben si conveniva al linguaggio degli ideali. Ecco ciò che è av- venuto dell’arti del bello sotto il dominio del positivismo. Contro l’andazzo di cotesto secolo, che il Bozzo vedeva con suo ram- marico cosiffattamente lodato, da far obbliare i classici che onorarono la nostra letteratura , alzò sempre la sua voce, che comunque fosse indebolita dagli anni, non lasciò di. assumere la dignità di una nobile protesta. i Egli non sedea più sulla cattedra, dalla quale ottenne dopo il 1860 il ritiro, ma avea concentrato in questa nostra Accademia tutte le sue cure, e quel tanto di vigoria che gli restava, e noi l’udimmo perorare più volte in queste sale la causa del buon gusto, di cui cercò sempre conservare, per l’onor della Patria, la sacra fiammella. Pigliando infatti occasione di una solennità accademica, che ebbe luogo per la morte del nostro socio il celebre Gioacchino Rossini, nel 1872, vedendo come la scuola positivista avesse steso gli artigli anche sulla . musica, proclamando la musica dell'avvenire, non risparmiò contro que- sto le sue acerbe parole, E non ne avea forse ragione ? Non vediamo oggi, che la musica non serve più ad esprimere il GIUSEPPE BOZZO E I SUOI PEMPI 3I sentimento, ma si volge tutta all’armonia imitativa, non solo delle sin- gole idee che si racchiudono in un concetto, ma possibilmente alle singole parole, onde coteste idee sono espresse? So ben e comprendo che nessuno è nel dritto, e forse nel dovere , di disprezzare la mu- sica dello straniero, perché essendo essa la lingua delle passioni e del l'affetto, sta bene che ogni paese abbia la musica sua propria, che sia conforme, cioè, alla propria lingua ed alla propria indole. Ma non arrivo a comprendere, come cotesto dritto si voglia abdi- care da noi italiani, e come si possa pretendere che da noi 1’ amore, la gelosia, lo sdegno, la pietà, il dolore, si abbiano a sentire alla foggia straniera, e che si abbiano pur alla foggia straniera ad esprimere con note, e con una ritmica poetica e musicale, che alla nostra lingua siano del tutto difformi. Sittatte pretese-lo confesso chiaramente—non so come possano con- ciliarsi co’ titanici sforzi che da noi si son fatti per riacquistare la nostra nazionalità. Si è voluto cacciar dai confini d’Italia lo straniero, perchè il carattere italiano risorgesse nella sua autonomia, e nella sua italianità, e poi non ci sentiamo avviliti nel ripudiare le glorie nostre, e chiedere alla gente del Nord come si abbia a sentire, e financo come si abbiano ad esprimere musicalmente è mostri sentimenti ! Ah! nelle parole del Bozzo non si scorgeva solo la protesta per la tutela del buon gusto ; egli non faceva che ricordare agl’Italiani di sa- per conservare il carattere della conquistata italianità. Le quali parole rinfocò poi sì vivamente nel 1867, in quell’elegante discorso che nella nostra Accademia lesse in quella splendida tornata che si tenne pel richiamo in Catania delle ceneri del nostro celeste Bellini. To non saprei cessare di elogiare quel bel suo discorso, nel quale non so se più è da ammirare la squisitezza del gusto , o l'affetto per quel soavissimo maestro , e per la Sicilia, giacchè fu spinto a dire che il Bellini non fece nel suo dolcissimo patetico, che ritrarre il pa- tetico de Siciliani, come ebbe a dire l’autore della Sforia dei Teatri, che chiamò quella musica « una nota originale delle Muse siciliane ». Eppure, o Signori, tanto alta è montata la marea positivista , che si mette in forse il valor del Bellini, e le sue note si riguardano come Sfornite di armonia, e si giunge a chiamare musica da chitarra, la Son- nambula, la Norma, i Puritani! Che potea fare il Bozzo di più, se già cominciava la sua voce a non trovar eco che nel deserto ? Egli, che in tutti i suoi scritti non avea fatto che proclamare l’onestà del pensiero, la decenza dello stile, la delicatezza de’ sentimenti e del gusto e l’amore alle glorie nostre ? 32 GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI E l’ultima prova solenne del suo letterario zelo diede in questa stessa Aula accademica, a’ 30 dicembre del 1882, quando fu celebrata la centenaria ricorrenza della morte del nostro italiano poeta Pietro Me- tastasio. Egli che già aveva nel suo lavoro /teatr7 delineato come il pro- gramma del suo susto per le produzioni teatrali, cioè che non si sce- gliessero scene truci, e che si destassero non le passioni (che queste hanno molto della realtà) ma gli affetti, che sono proprii della compe- tenza dell’arte, dovea sentir un nobile disdegno per la negligenza e pel realismo che vedeva trionfare nelle opere teatrali ai di nostri. Non deviando egli da siffatte norme, le quali aveva attinte da Ora- zio e dai maestri del gusto, si trovò nel suo campo quando. gli av- venne di parlar di Metastasio. Infatti si fece ad esaminare con isqui- sita critica di gusto quasi tutte le produzioni di quel Poeta, facendo rilevare quanta cura egli mettesse nello scegliere i soggetti, perchè non ricevesse offesa la modestia, l’onestà, il pudore; quanto dilicato ed ac- curato fosse, ove si trattasse di mettere una donna a protagonista della scena: e quasi mettendo quello splendido modello di decenza, di dol- cezza, di eleganza, di semplicità, di naturalezza e di spontaneità a pro- totipo. dell’ odierna drammatica, intendeva far vedere quanto distante ne restassero le odierne produzioni di autori stranieri, e conchiudeva esclamando non voler perdere la speranza che oggi invece di far amare il vizio, si tornasse a fare sempre più amar la virtù. Fu quella, come egli stesso presagi, l’ultima sua parola, che suonò come l’estrema sua protesta, e d’allora non fu mai più visto fra noi. Egli varcato già di non poco l’ ottantesimo e fattosi presso al no- vantesimo anno di sua vita, colto dalla debolezza senile , fu costretto a non muoversi dalla seggiola su cui stava adagiato, nè la vita che si andava spegnendo , si rianimava altrimenti che con la lettura dei suoi classici, e con que’ ragguagli che egli chiedeva e che gli ‘si davano della nostra Accademia. Questo tempo, che non fu breve, egli passò con la rassegnazione del vero Cristiano, con quella tranquillità che gli veniva ispirata dal sen- timento religioso, a cui fu egli educato sin dai più teneri anni, e che conservò sempre vivissimo e non mai contaminato. E questo sentimento alimentò in lui quel corredo di morali virtù, che se lo rendettero un gen- tillomo perfetto, un amico leale , un cittadino onestissimo , informa- rono sempre tutte le sue letterarie produzioni. Egli che avea con- templato Dio come la sorgente del Bello, giunto al termine di sua vita, in lui si affidava come sorgente di quella felicità che non muta. La sua vita si spense negli ultimi giorni di dicembre del 1887, come doppiero che sè stesso consuma. GIUSEPPE BOZZO E I SUOI TEMPI 535 Peco qual fu il Bozzo in rapporto alle tre vicende, che ha avuto in questo secolo la nostra letteratura, ad ognuna delle quali non lasciò di prendere efficacissima parte. Signori, io ben comprendo, che in così vario e rapido mutarsi del gusto estetico, come è avvenuto a’ dì nostri, il nome del Bozzo è fa- cile che possa esser meno simpatico alla novella generazione, di quel che sia stato a quella che oramai vien diradandosi. Lasciamo alla posterità, se ad essa toccherà la sorte di essere meno preoccupata e forse anche più giusta, il giudicare delle opere di lui. Ma nessuno vorrà negare a quell’animo cortese e benigno un merito, che, per cangiar di fortuna, non potrà mai cangiar di valore, di non aver egli, cioè, amato altro che le lettere e la Patria. ’ Cotesti due obbietti, a’ quali in ogni epoca, e con tutte le vivacità del sentimento egli ispirossi, furono così indivisibilmente in lui indi- viduati, da potersi ben dire cotesti due amori essersi in lui confusi in un solo. Egli non seppe amare la Patria, se non che procurandone sem- pre lo splendore nelle lettere, il culto pel bello, l’amore alle arti; e non seppe amare le lettere, senza che le avesse volto sempre al maggior lustro della patria, con lodare le antiche e le recenti glorie di questa classica terra, che può con nobile orgoglio vantarsi di aver dato all’Ita- lia una volta la lingua, ed oggi la libertà. o) ISGRIERIREO:NE:S IOSEPHO BOZZO PANORMITANO DE RE LITTERARIA OPTIME MERITO QUOD A SECRETIS GENERALIBUS HUJUS R. ACADEMIAE SCIENTIARUM LITTERARUM AC ARTIUM PRO VIRILI COMPLURES ANNOS NOMEM ET DECUS PROVEXERIT SODALITIUM GRATI ANIMI CAUSA VITA PUNCTO XVI KAL. JAN. AN. MDCCCLXXXVII LAUDES ET CARMINA DICAT VII KAL. APRILIS AN, MDCCCXC. Can. Joseph Montalbano S. A. TN NOISE DEL C:AANCEGAIRUL:STE-P-PE. BIO Zena ODE DECLAMATA nella solenne commemorazione dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti in Palermo. Salvete, o cari avventurati campi, Ove Nina cantò versi d’amore, Ove l’ingegno ha rapimenti, e lampi L’ardito core ! Belli, se cerco nei celesti manti L’estetico pensier che ci sublima; Belli, se l’occhio nei leggiadri incanti Del suol s’adima. Un sofo in voi rifulse : al nobil merto Or diè lagrime e plauso eletto stile, Rifulse, unendo l’ Academo al serto Alma gentile. E il vivo ingegno o l’infiammato zelo Ond’avea di virtù sì largo fiume, Rivestian l’opre sue d’eccelso velo D’etereo lume ! E narrò di color che d’alti studi Di vera gloria inghirlandar Triquetra, O che fur grandi di Sofia nel ludi, O sulla cetra. L’orme a seguir di quel signor del canto Che al ciel s'addusse per l’inferneo speco Nel Mantovano s’ispirò, nel vanto Del divin Greco. EF sempre intento a quei volumi onesti D'ogni classico dir modelli eterni, Non mutò stile, come mutan vesti Protei moderni ! Oh come a te, di Muse almo ricetto Nobil giostra di dotti, a te fè parte Di quanto può l’intemerato attetto, L’ingegno e l’arte. Bi non è più; ma sol fama immortale Sulle carte di lui sgombra e dissolve Col suo perenne ventilar dell’ale D’oblio la polve. Oh! dischiudasi il labbro e molle il ciglio Spargan g'itali cor sui freddi marmi, Ove spento con lui discese il figlio, Lagrime e carmi. Spenti! Ma, non quell’urna inaridita, Ove un raggio d’amor la luna invia, Alta sfera li accoglie, ove rapita L'alma s’insidia! Piangete, o campi siculi, discuopre Una ferita ogni divelto fiore, E in questi di vacui di studi e d’opre Ci stringe il core! Alfonsina Floreno Foschini. 10 MANIBUS JOSEPHI ET STEPHANI VICTORII BOZZO ELEGIDION Desine flebilibus tandem, pater optime, verbis Victorem e tumulo me revocare tuum ! Aerumnis pressum, post tot discrimina rerum, Confectum studiis Artium et Historiae, Effera vis lethi, que nulli parcit, adurgens Ad sua:deduxit limina adhuc juvenem. Vis inopina, ferox et inexorabilis, atra, Vix primas fruges edidit ingenium, Succidit, duleemque meam Libitina puellam Orbatam viduo reddidit ipsa thoro. Tot mihi quid valuit versare volumina vatum, Res simul heroum promere magnanimas ? Sanctus amor patriae, quo nec preestantior alter, Sexti Centeni Vesperis ante dies ; Vel mihi post tantos noctuque diuque labores Quos costans Siculum pertulit ingenium, Invalidae licet extabant mihi corpore vires, Fedrici historiam condere sorte datum. Tuque parens meritis queesitam sumere laudem Hortatus, stimulos subdere eras solitus. Oh genitor salve, grates tibi solvere dignas Ante alios preestat, nostra et amore domus. Quid dicam innumeras perscriptas ordine chartas, Carmina vel Siculis lecta dicata viris ? Effingens vitas, praestantia facta recenses Mascula queis Siculàm vivida mens nituit. Excellit Melius, quem nostra hee Insula alumnum C'MEOSI Musarum genuit, deliciasque viràm. Omnia queeque tulit tua dives copia fandi, Doctrina et pure Relligionis amor Illustrem faciunt, et te volventibus annis In Siculis memorant nomen et ingenium. Accedunt Itali, vel qui supereminet omnes Ausonize Vates Divus Aligherius ; Quique canens Laurae dotes monumenta reliquit, Seque Itali fidicen carminis atque lyre. His Comes ille decem librum finxisse dierum Ausus, quo splendet lingua soluta modis. Isfe trium coetus tibi praeemia debita solvit, Et dignum meritis utile clarat opus. Salve iterum, venerande senex, cui fata dedere Nestoreas viridi ducere Olympiadas ; Sit fas extremos gnatique patrisque dolores Nolemni hîe nobis commemorare die. Coetus enim merito; quee justa rependit utrisque Quamvis sera, cupit comiter excipere. X. Kal. Aprilis MDCCCOXO. Can. Xaverius Montalbano socius. AL'CAN GIUSEPPE BOZZO PROF. DI LINGUA E LETTERATURA ITALIANA Nella R. Università di Palermo Già Segretario Generale di questa R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti Addì 23 Marzo 1891. SONETTO Nel memorando agon, che fu primiero, Di vincer gli toccò l’arduo cimento, Per l’auree carte e pel forbito accento, Ei qui fra i dotti assunse il Magistero. Al Petrarca, al Boccaccio indi il pensiero Volgendo, alle bell’arti ognora intento, Volle dell’Alighier col suo commento Il buono disvelare, il bello, il vero. Dei vati e dotti ancor degni di gloria, Che l’Isola del Sol più illustre fanno, Pensò nei fasti suoi tesser l’istoria. Onde nel coro di color che sanno Non i Siculi sol, viva memoria, Dell’opre sue, ma gl’Itali terranno. Can. Saverio Montalbano. Socio Collaboratore Rls ASS ASSI I LE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE NEL R. OSSERVATORIO DI PALERMO (VALVERDE) NEGLI ANNI 1889 - 1890 ate Ù È; DI RISULTATI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE NEL LI | | | i | BAROMETRO | TERMOMETRO CENTIG. | VIEINUR® 9 Î | c i | | | | | > È | z SA 2 2 È E Anno e mesi | E Sl E | Eiua z E 9 7 SS Va uil = Bi] 2 ©. 20 Sì DL 2 ASINI RASO pa A Spi Si US ‘z Sii S = 9 = E S = iS on e Z SI ne | CR 5 w dE, ‘F È o E CIAO era Ti S Ne MII 3 Si HS E 5 3 2 IS CAI = E È 2 N | = (ni | & Si i ce) "e Il N CA del EE e ceco e Bel | £ Z| £ | Be e 0 È | À |) Î S (©) ©) I I le Ì rs} = i 1889 | | | | | | mm. | mm mu. | O) OO DINO | km km Genmaio. . .... 1 769,00) 29 |754,52| 741,50) 22 | 29,6 | 11075 16) 29 | SW 5,8 | 36,0 S | | È | | i Febbraio . .... 165,90) 19 |751,27 740,40) 21 | 20,7 |27,28 | 11,57) 1,2.) 18 |\WSW dio | 40 | WSwé | | Sig Ca ina IZ OR 761,90) 7 |753,04|735,20 26. 27,5) 11|1950) 12 S| SW 8,0 | 400 | SW I | | ADI CONPANPICOCNE 166,26| 19 | 752,79] 749,40) 9 |31,8| 24 15,99) 37 22 SW duo ws | | | Il È "5 Maggio ...... 757,49 1 |752,69|742,96 25 35,8) 25198) 79 | 1 | NE 5,6 | 3693 | SSW ZIO z 7) ii A = ni | NI = | TO = IN TA (CU ONORIO 1992 14 | (05,44 750,70) 5 | 340/26 23,26 125 | 15 | NE D;9 20/00 NNW _ Da TESO EE eo (76057 31 |755,94 743,90 27 41,8) 18/2604 151) 31 | ne 6,0 | 223 | NW AAC:O tO TATE 760,98| 29-30 | 756,80| 753,00) 24 35,9 | 95,93| 144 | 30 || NE 44 | 25,0 | NW Î _ (©) Settembre. . . .*. || 760,12) 1 |755,45| 746,40) 29 | 35,8 6. 23:56) did ASS DATO SW Ottobre . ...... 761,10) 16 |755,45| 756,50) 6 | 37,8 26 | 22,02) 9,1 | 10. || SW 105 | 325 | SW Novembe . ...... | T71,07) 17 | 761,69] 748,80) 28 | 25,1 614,87) 5,0 | 14 || SW 1,9 | 25,0 | ENE Dicembre... .. 766,50 18 |758,00|749,30 18 |20,6| 30 |11,05| 18 | 11-|| wsw| 5,7 260 | wswî ie | oe | Di = Medie. | (55,26 | | 18,08 | (2 | | | | | 3 miu Massimo . . (1,07 (17 nov.) mm Medio .... generale del barometro. . . < 755,26 Escursione barometriea annua = 35, ST Minimo. . . (35,20 (26 mar.) Massima forza del vento = Km. 42,7 il 24 Aprile alle 6 p. OSSERVATORIO METEOROLOGICO DI PALERMO (VALVERDE) ANNO 1889 3 | Re! “e UVOLE | PIOGGIA GIORNI CON | Ai | Sal | | e E =) (QUANTITÀ % BONS 3 ; : la 7a 3 | GIORNI PIOVOSI IN VENTO FORTE TUONI| NEVE 7 || | - = È E | MILLIMETRI z E a T I | | 60 | —| —|1,2;53,4,5,5,11,12,13,14,15,16,18,20,21,22,23,24,25,28,29,30, 31 106, 76 1,28 2I 4,12. 125 | | Ii | —- — |1,6,7,8,9,10,12,13,14,15,16,18,20,21,22,23,24,26,27. | 95, 55 9,10,11,15, 16, 20,/14,16,21 —_ 10,14, I | 21,23. 16,21 23 bl || —{1,2,3.4,5,6,0,14,15,16,17,22,23,24,25,26,27,28.29.20. 165, 61 IRlo:27 14.27 16 616,17 2. | — | —6,7,8,9,12,13,14,18,19,25,27. | 530,21 3, (,5,9,15,24,25,26/12 _ | — | | | 39 | — | —(5,8,19,24,26,20. | 11, SS 29. 25,26,28 _ | — } Ì | 0,9) | — | — 4,56. 4. 60 — | — | -— L= | | pori 1828 8,70 = 7,8 Vi LEA AE Gl|= los. i 0,75 = 25 SIZUNT NE — 2.3 | —| —(11,12,13,17,19,24,28,20. | 54 64 21,30. RIS = _ | (LO NS9N] bo | — | —|1,9,0,13,14,15,31. 39, SD 5,6, 0,1929530. (613.31. | —_ == Il | DI |— | —|2;7,8,10,11,21,25,26,27,28,29,30. 97,06. 26,27 130. | — = È | | 55 | — | —|1,2,4,5,6,7,9,9,10,12,15,14,15,16,17,18,21,22,25,24,25,26,27,3I. 157,5 151. | — _ = | { i Il | DA | (O1, 1% il | I i Massimo. . . (41,8 (18 luglio) | Medio ....) generale del termometro. 18,08 | Escursione termometrica annua—40.0 Minimo . . . | ( 12/1Sfeh.S mar) 4 RISULTATI DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUITE | | | | | i BAROMETRO | TERMOMETRO CENTIG. | VEEFNGRO | | | | = | n |- e || SI SH 2 SUI) | Anno e mesi | E E E Ea = E liniisai FP Epi FA SS = B=l D) etti (Cee Uan Eee e | E s E È = E © È | È EU E fi È à Al] À S| | i 1890 | | Ì i | mm. mm. | amm NO) 1) (i) Gennaio... ... 770,50) 7 | 760,18] 746,70) 531 | 20, 8 24 | 19,62| 1,3 15 SW 8,6 | 57,0 | WSM | Î il | i Hebbraio ..... | 761,93) 18-19 | 754,20) 741,00) 28 |.21,7 20 | 11,11| 0,0 13 NE 5,9) | 138,5 | N | | IE INBIRAO 6 seo {761,73 12 |/753,26|739,50| 5 | 24,6 18 | 19,64] 2,3 | 22. SW 95 | 43,0 | ESE I Aprile... .... 759,96) 29-30 | 751,70 740,80) 9, | 26,8 26 | 15,14| 3, 350. |INE-SW| 6,4 | 40,0 SW Maggio ...... | 759,99) 15-16 | 753,81| 737,50) 12 | 33,8 | 6 | 19,58| 6,3 2 NE 9,3 | 60,0 | S-SS CILENO 761,15) 18 |757,12| 759,66} 1 | 31,3 27| 2240 11,1 | 3-19 NE 6,8 | 23,0 E Î Il ILMaliO, ss 0 Goo | (59,45 8 |755,58 748,00) 12 | 39,2 12 | 25,04|.13,9 | 8,10: NE T,l | 26, | WN Agosto... .... OSSO 29 |755,54| 749,55) 24 | 39,5 25 | 27,08 14,7 14 NE DORN25 I SSÌ I Îl = - {9 Settembre... .. | 760,80} 27 |759,16| 752,355) 14 | 31,3 1 | 21,16) 125 | 16 NE 5,6 | 200 | SSW Otrobreseeaa: 764,350) 12 |757,98| 748,70) 28 | 25,8 28 | 18,54| 6,1 25 || SW | 5,5 24,0 SW leda | | ì . Novembe . . -. . | 764,86) 20-21 | 753,65) 745,00) 26 | 24,4 28 | 14,44) 34 DA MISW 8,2 | 60,0 | SW Dicembre... .. I 762,73) 51 |T51,65| 741,62) 25 | 23,3 1 | 18,48) 3,7 | 15-15 SW 4,0 | 35,0 SSW | | dI | ; | Medie. | 195,54 17,60 6,9 || min Massimo . . o 170,50 (7 genn.) nm Medio . ... generale del barometro. . . 755,54 Escursione barometriea annua = 83,00 Minimo . . . 737,50 (12 mag.) Massima forza delevento = Km. 60,0 l'IT maggio alle 9 p. 12 p.; ed il 28 novembre alle 9 p. e 12 p. Densità media OSSERVATORIO METEOROLOGICO DI Massa media — 1,5,6,17 (15,14. W1,2,53,12,15,14,27,30,31 | — [1,2,3.4,5,6,9,10,11,15,16,17,18,19,20,21, GIORNI PIOVOSI I — [1,9,3,4,9:6,,9,10,12,13,14,15,17,20,21,22,23,24,25,271,28. — |4,6,7,8,9,10.11,12,17,21,22,27,28,29 | — 1,3,4.14,15,22,26 — 4,5,6,7,5S,14,15,16. — 1,2,17,18,19,20,21,23.25,29,30 — (2,6; 7,5.9,11,12,13,14,15,30. — (9,3,6,7,10,11,12,13,14,15,18,19,22,25,24,25,27,28,29,30. Minimo . . . } Massimo. . . Medio... ... . generale del termometro. PIOGGIA 22.93) nt Li PALERMO (VALVERDE) 324 ANNO 1890 QUANTITÀ IN VENTO FORTE|TUONI| NEVE | | MILLIMETRI 1,25,24 184, SS 3.26 2) ll 146,537 4,5,18.19,20 4 _ (1,25 39,26 27 — 21,10 6.0,8.10,11 = — 106,29 _ | 4,5,6,0 _ 14. 4,91 _ 1,19 | _ 116,28 12,28 515. | — 154, 22 = 3,28 _ 907, S2 n - - . 139,5 (25 agosto) 17,60 'oo (15 feb. Escursione termometrica annna—39,5 GIORNI CON RANDINE lì a hs sa a Br»