FASCENI /(. “UO 74 SZ si VISMONOTIE o È N.Y.Acedaemv cf Fei Rec’d Mar. 21 - Apr. ATEI DELLA RESLE «CCBENE DI SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO ww (SCIITA DELLA REALE ACCADEMIA DI SUENZE SEE IRE RE E REN DI PALERMO (Anno 1894) PALERMO TIPOGRAFIA FILIPPO BARRAVECCHIA E FIGLIO 1395 L'ACCADEMIA, ai termini del suo Statuto, non si rende garante delle opi- nioni, de’ sistemi e delle dottrine comprese ne’ discorsi dei suoî componenti qui pubblicati. TAVOLA DELLE MATERIE Magistrato Accademico. SampoLo Pror. LurGi. — Relazione Accademica per gli anni 1889, 1890, 1891, 1892. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE A. VentuRI ed E. SoLer. — Prime ricerche sul coefficiente di rifrazione in Sicilia. Cantone Dot. MicHeLE.—Influenza dei processi di deformazione sulle proprietà. ela- stiche dei corpi — Flessione dell’ottone. Da GregorIo March. AnroNIO. — Su taluni nuovi strumenti Fisici e Metereologici — Certe azioni molecolari dei liquidi — Taluni fenomeni tellurici e sulla più proba- bile origine del nostro sistema solare. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE SampoLo Lurgi. — Della vita e delle opere di Raffaello Busacca. SaLvioLi Pror. GirusePPE.— Diritto di Guerra in Italia all’epoca dei Comuni. CLASSE DI LETTERE ED ARTI CavaLLarI Pror. FRANcESCO SAvERIO. — Euryalos e le opere di difesa di Siracusa. COMUNICAZIONI Zona T.— Risultati delle osservazioni Meteorologiche eseguite nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde) per gli anni 1893-94. PATRONO IEMONITGIRIO DPR ASERMO PROMOTORE I Sindaco di Palermo : COMM. EUGENIO OLIVERI. MAGISTRATO ACCADEMICO Presidente DI GiovaNNI Vincenzo Cav. Uff., Prof. ordinario di Storia della filosofia nella R. Università di Palermo, membro dell’Istituto di Francia. Vice-presidenti GEMMELLARO Comm. Gaetano Giorgio, Professore ordinario di minera- logia e geologia nella R. Università di Palermo, Senatore del Regno. Dr MENZA Comm. Giuseppe, Presidente di Corte d’appello. Segretario Generale SampoLo Comm. Luigi, Professore ordinario di Diritto Civile nella R. Università di Palermo. Classe di Scienze Naturali Direttore CALDARERA Comm. Francesco, Professore ordinario di meccanica ra- zionale nella R. Università di Palermo. Anziani CERVELLO Comm. Vincenzo, Professore ordinario di materia medica e farmaceutica sperimentale nella R. Università di Palermo. VII Strena Comm. Santi, Professore ordinario di anatomia patologica nella R. Università di Palermo. Segretario della Classe Classe di Scienze morali e politiche Direttore MaccIorE PERNI Avv. Francesco, Professore di Statistica nella R. Uni- versità di Palermo. Anziani Guemno Cav. Giuseppe, Avvocato, Professore ordinario di diritto romano nella R. Università di Palermo. GUARNERI Comm. Andrea, Professore di procedura civile nella R. Uni- versità di Palermo, Senatore del Regno. Segretario SarvioLI Cav. Giuseppe, Professore ordinario di Storia del diritto ita- liano nella R. Università di Palermo. Classe di Lettere e Belle Arti Direttore Pirrè Comm. Giuseppe, Dottore in medicina. Anziani MoxraLBano Can. Giuseppe. già professore di lettere italiane e latine nel Seminario Arcivescovile di Palermo. CostanTINI Giovanni, Dottore in legge, Avvocato. Segretario Amico Cav. Ugo Antonio, Professore di lingua italiana nel R. Liceo Vittorio Emanuele. Segretario aggiunto SaLaMmoNE-MaRINO Salvatore, Dottore in medicina, Professore di pato- logia speciale. Tesoriere MacaLuso Comm. Damiano, Professore di fisica nella R. Università di Palermo. RELAZIONE ACCADEMICA PER GLI ANNI 1889, 1890, 1891, 1892 RECITATA Alla R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti Nella adunanza del 19 Febbraro 1898 DA LUIGI SAMPOLO Segretario Generale della medesima “RO DONO ROSSA VATI SDS_ATTT Coscceseestresescecooocenoeeseooe ISTIAIDIITTTI DIS ISIITIIIITITIVIIMITINI! SNSNI RELAZIONE ACCADEMICA PER GLI ANNI IS8SO, 1890, 1891, 1S92 Sommario :I. Introduzione — II. Nomina a presidente di Simone Corleo e sua morte. No- mina del Prof. V. Di Giovanni .— III. Onoranze al principe di Galati — IV. Centenario del trasferimento dell’ Accademia nel Palazzo Municipale — V. Festa Colombiana — VI. Commemorazioni di G. Bozzo; Gius. Lo Cicero; A. Baccarini; Marchese Mortiliaro; Si- mone Corleo — VII. Letture : Classe di Scienze naturali; Classe di Scienze morali e po- litiche; Classe di lettere e belle arti. — VIII. Soci trapassati. — IX. Nuovi Soci. I. L'ufficio di Segretario Generale di cui voleste onorarmi m’impone di riferirvi tutto ciò che da voi si è fatto, e le vicende che hanno avuto luogo nei due ultimi anni di vita dell’Accademia. Però riferen- dosi l’ultima relazione del Segretario Generale Ab. Vincenzo Crisafulli al 1888, io debbo pur narrarvi ciò che fu operato nei due anni 1889-90. In queste relazioni riassumendosi la vita del nostro Istituto, ben con- viene non lasciare lacune , affinchè si possa, senza interruzione, co- noscere la storia di questo antico Istituto. Le relazioni accademiche incominciarono nel 1852 con quella di Fe- derico Lanza di Castelbrolo (1). Seguirono quella del Narbone (2) e le altre del Bozzo (3) e l’ultima del Crisafulli (4). (1) Relazione Generale dell’Accademia Palermitana di Scienze e Belle Lettere per gli anni 1850-51 letta nella tornata del 18 aprile 1852 da Federico Lanza di Castelbrolo. (2) Relazione Accademica di Alessio Narbone nel vol. II, Nuova Serie. (3) Conti resi dal prof. G. Bozzo: anni 1870-71-72 nel vol. IV, anno 1874 nel vol. V, anno 1877 nel vol. VI, anno 1878 nel vol. VII, Nuova Serie. (4) Conto reso dal Segretario Gen. Ab. V. Crisafulli nel vol. IX, Nuova Serie. 4 RELAZIONE ACCADEMICA Così ci avessimo quelle precedenti, dagli inizi dell’ Accademia! Ci sarebbe nota nei suoi particolari tutta la vita di essa. Le relazioni Accademiche sono pagine della storia letteraria di un paese, perchè dimostrano la parte che hanno avuto i soci d’una Acca- demia nel movimento scientifico e letterario, parte non lieve,- perchè nelle adunanze dei dotti sodalizi si danno saggi degli studi più alti, e si annunziano nuove esperienze, nuove ricerche, nuove scoperte, che dalle Accademie poi, gli uni e le altre son fatti palesi nei Bollettini o negli Atti al mondo scientifico. II. In dicembre 1890 rinnovavasi il Magistrato accademico. Veniva nominato Presidente il prof. Simone Corleo, il quale ad una mente ver- satile, ad una larga coltura nelle scienze fisiche e nelle sociali, accop- piava un forte volere. Tl decreto reale che approvava la sua nomina attendevasi; il Corleo non giungeva a prender possesso dell’ alto ufficio, dacchè la morte inaspettatamente lo toglieva alla scienza, all’Università, alla famiglia. Il decreto di nomina comunicavasi da noi con rimpianto alla desolata vedova, che in quello leggeva il più grande attestato di stima che l'Accademia potè concedere all’illustre suo marito. Voi sceglieste più tardi all’alto onore di presidente il prof. Vincenzo- Di Giovanni. Il nome di lui, venuto in meritata stima fra noi e fuori per le sue molte opere letterarie e filosofiche che lo resero uno dei Siciliani più insigni dell’ età nostra, l’ onore avuto dall’Istituto di Francia e dalla Reale Accademia di Bruxelles che lo nominò socio corrispondente, at- tirarono su lui i nostri voti unanimi. Egli, cui auguro dal profondo del- l’animo che protragga fino a’ più tardi anni la vita, saprà continuare le nobili tradizioni degl’illustri presidenti che questa dotta Accademia hanno retto nel secolo passato e nel presente. II. La nostra Accademia aveva chiesto e ottenuto, appena morto Giu- seppe De Spuches Principe di Galati, degnissimo suo presidente, che: un busto marmoreo di Lui si collocasse nella Villa Giulia e un mo- numento nel tempio di S. Domenico; Villa, nella quale fra altre effigie del Meli, del Pacini e di altri illustri di Sicilia e d’Italia, sorge pur diritti Det PER GLI ANNI 1859, 1890, 1891, 1892 5) quelle di Giuseppina Turrisi Colonna moglie a lui diletta e ispiratrice; Tempio in cui si raccolgono le glorie antiche e moderne della Sicilia. Il primo voto adempiendosi, spettava all'Accademia l’ufficio di inaugu- rare solennemente il collocamento del mezzo busto. _ Era un bel giorno di giugno del 1891. Molti gl’invitati a quella festa cittadina; notavansi la nobile vedova Principessa Galati ed i suoi figliuoli , v’intervenivano il Sindaco e la Giunta, ed erano gremiti i viali che circondano l’aiuola, ove la effigie del rimpianto principe sorgeva. Chi vi parla fu primo a tessere le lodi di Lui, del quale narrò poi in elegante e perspicua forma e con affetto fraterno il prof. Ugo An- tonio Amico. Un concerto di lodi intrecciarono nelle favelle di Omero e di Virgilio il can. Giuseppe Montalbano, e nella italiana i chiaris- simi nostri poeti prof. Eliodoro Lombardi e lo stesso Amico (1). IV. 1 4 luglio dello stesso anno ricadeva il primo centenario del tra- sferimento della nostra Accademia dal palazzo del Principe Filangieri in quello del Municipio. Il magistrato accademico stimò opportuno che degnamente si celebrasse il ricadere del giorno secolare in cui il Senato della nostra Città concedette nuova e stabile sede all’ Accademia del Buon Gusto (così allora appellavasi) esulante dal palazzo di Santa Flavia, primo suo ospitale ricetto. Intervennero all’Accademia il Prefetto della Provincia, il Sindaco, la Giunta, non pochi soci ed eletto uditorio; vi fu anche rappresentato »1 Ministro per la pubblica istruzione. In quel giorno due lavori ven- nero letti, il primo dal Presidente dell’ Accademia, l’altro dal Segre- tario Generale. L’uno rifece con larga copia di erudizione la storia di due importanti Accademie palermitane del secolo XVI e XVII, quella degli Accesi, e l’altra dei Riaccesi, e narrò gli inizi e i progressi della Accademia del Buon Gusto, ia quale — secondo Lui — fu continuatrice della seconda. To narrai le varie vicende della nostra sin dal suo primo sorgere sotto gli auspici del principe P. Filangieri, e le sue glorie con Do- menico Schiavo e il suo rinnovamento e le sue leggi e il suo deca- dere, e la nuova vita dal 1826 al 781, e l’altro più fecondo rinnova- (1) Vedi: Bollettino Maggio:Giugno 1891, Anno VIII N. 3, Palermo, Tip. F. Barra- vecchia, 1891. ù 6 RELAZIONE ACCADEMICA mento del 1832 operatosi sotto Leopoldo di Borbone Luogotenente in Si- cilia, e le varie fasi da quell’anno fino ai tempi in cui viviamo (1). a V. Più recente fu ladunanza straordinaria tenutasi il 29 ottobre, u. s. per celebrare il IV centenario della scoverta d’America, e vi conven- nero il Prefetto, rappresentante il Ministro per la pubblica istruzione, il Sindaco, pur delegato dal Sindaco di Genova. In Genova splendide feste ebbero luogo per quella solenne ricorrenza, feste civili e religiose, congressi di storia patria, di geografia, di studi sociali cattolici , di diritto internazionale marittimo , di codificazione del diritto delle senti; e in Genova convennero da ogni parte le navi dei paesi civili a far solenne omaggio alla memoria del generoso Co- lombo, che primo avea travalicato i confini d’ Ercole e conquistato il nuovo mondo. La nostra Accademia chiuse con la sua le feste letterarie Colombiane in Italia. Im quella solenne adunanza lesse il Segretario Generale un breve discorso sul quarto centenario della grande scoverta. Indi il no- stro Presidente narrò la vita di Cristoforo Colombo, 1’ ardito suo dise— gno.di navigare per mari ignoti in cerca dell’ India, disegno contra- stato e deriso dal dotto vulgo dei suoi tempi, e la pertinace costanza di Lui, che trovò aiuto e conforto nella regina Isabella di Spagna, e- il suo salpare dai lidi di Palos, ei patimenti e le ansie, i pericoli del viaggio e il giungere alle sospirate sponde, e le varie vicende dei huovi suoi viaggi. La vita del Genovese Argonauta venne dal Di Giovanni delineata nei suoi minuti particolari in forma tersa ed elegante. Il discorso fu seguito da alcune poesie; una ode in lingua spagnuola dell’insigne poeta messinese Tommaso Cannizzaro che fu letta dal Con- sole di Spagna; un elegante polimetro del prof. Ugo Antonio Amico, un carme latino di squisita fattura del can. prof. Benedetto Marotta, e un robusto canto del prof. Eliodoro Lombardi. Nei due centenari leggevansi in questa sala belle iscrizioni comme- morative, latine e greche, del nostro valente epigrafista can. Giuseppe Montalbano (2). (1) Pel I° Centenario del trasferimento della R. Accademia dal palazzo di Santa Flavia in quello del Municipio, vol. I, 3 Serie Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti, Palermo, Tip. Barravecchia, 1891. (2) Pel quarto Centenario della scoverta d'America, nel vol. II, 38 Serie degli Atti. Ci PER GLI ANNI 1889, 1890, 1891, 1892 VI. Dei nostri illustri soci mancati alla vita negli anni di cui di- ‘scorro, alcuni ebbero qui meritato elogio. Il chiarissimo abate Vincenzo Crisafulli, già Segretario Generale, recitò a 23 marzo 1890 l’elogio del prof. Giuseppe Bozzo. Questi, nei tardi suoi anni, avea tutta la vita amorosamente speso in vantaggio della nostra Accademia, la quale, per nove anni rimasta inerte, ripi- gliava novello vigore col Principe di Galati, suo illustre Presidente, e con Giuseppe Bozzo solertissimo Segretario Generale, adoperatisi a gara l’uno e l’altro per rilevarla a dignità e all’antico splendore. Il Crisafulli, discorrendo del Bozzo, ci delineò il movimento letterario e scientifico dei suoi tempi, movimento in cui erano in lotta la vec- ‘ chia e la giovane generazione; l’una erudita e dotta nelle antiche fa- velle, l’altra indipendente e ispirantesi in Dante, in Parini, in Foscolo, in Alfieri nelle lettere; in Vico e Romagnosi nelle scienze morali. Era il periodo, di cui fu detto: Ze secolì in «n punto, che erano, 1’ uno la mente di Scinà e le opere di lui, l’altro gli ardimenti della generazione novella, il terzo i vecchi letterati che con questa convivevano (1). Ritraendo questo quadro l’ egregio prof. Crisafulli determinò il posto che toccò al Bozzo in quel movimento. Il prof. Annibale Riccò, oggi professore di astronomia all’ Univer- sità di Catania, disse con autorevole competenza di Giuseppe Lo Ci- cero, versato nelle lettere e più nella fisica, egregio insegnante, autore di pregiati lavori, modesto quanto dotto , sì che altri potè vantare il primato di scoverte fatte prima da lui (2). Solenne fu l’adunanza del 19 aprile 1891, consacrata alla memoria di Alfredo Baccarini; v’intervennero il Prefetto della Provincia, il Sindaco, la Giunta, il Consiglio direttivo del Collegio degl’ Ingegneri, molti soci e non pochi invitati. Il cav. ing. Giuseppe Cimino, con atrettuosa ed elegante parola ritrasse la splendida figura di Alfredo Baccarini, che soldato animoso e patriotta, cittadino integerrimo e scevro di (1) B. CastriGLia, Tre seroli in un punto ossia è sapere e le arti in Sicilia nel 1840, nella Ruota, giornale per la Sicilia, anno I, p. 14. (2) A. Riccò, Onmmemorazione di Gius. Lo Cicero, nel vol. I, 3* Serie degli Atti. 8 RELAZIONE ACCADEMICA personali cupidigie: funzionario energico e solerte, ingegnere chiaris- simo, apprezzato, deputato cospicuo ed insofferente di servitù; oratore elegante e vigoroso, ministro giusto e benefico, uomo vissuto al lavoro e alla famiglia, ebbe celebrità senza aftfettazione di modestia (1). Il padre Giuseppe Orlando fu degno encomiatore del marchese Vin- cenzo Mortillaro di Villarena, antico nostro socio. _ Il Mortillaro, d’ingegno versatile, datosi tutto alle lettere diresse per parecchio tempo il Giornale di scienze, lettere e arti. Scrisse molti la- vori letterari, storici, numismatici, ritrasse negli ultimi anni le vi- cende contemporanee della Sicilia e dell’ Italia. Uomo pubblico diè splendide prove di zelo e .di fine intelligenza : occupò alti uffici : in- caricato di riordinare il difficile servizio delle acque comunali, fu il primo che seppe studiare a fondo la difficile materia, e conveniente- mente strigarla (2). 5 In quella tornata solennemente celebrata lessero due belle poesie, la nostra socia Alfonsina Floreno nata Foschini e la signorina Rosalia Maiorca, degna nipote del marchese Mortillaro. A cotesta gentile giovanetta il Magistrato accademico concedette di dire le lodi dell’illustre suo avolo, per soddisfare il pio desiderio del- l’animo di lei, che affettuosamente cantò : Ch'io possa almeno al tuo cenere santo Un fiore tributar, tra lauri e serti, » E tributarti del mio core il pianto; Fior che tra quanti ti saranno offerti Farà esultarti; pianto che più caro D'ogni altra lode salirà a piacerti. Il prof. Roberto Benzoni fe’ la commemorazione del prof. Simone Cor- leo, proponendosi di ricordarlo come filosofo. In primo luogo egli descrisse la parte grande che la filosofia con- temporanea fa alla dottrina critica della conoscenza: accennò agli (1) Ingegnere Giuseppe Cimino, Commemorazione di A. Baccarini, nel vol. I, 3? Serie degli Atti. (2) G. OrLanpo, Elogio del Marchese Vincenzo Mortillaro, nel vol. I, 3a Serie degli Atti. PER GLI ANNI 1889, 1890, 1891, 1892 9 sforzi tatti in questo secolo da vari filosofi per superare le colonne d’Ercole della Critica del Kant, e si fermò lungamente a dimostrare come il Corleo abbia risoluto il problema della conoscenza in modo suo proprio ed originale. Il Corleo, sottoposti ad accurato esame i principî di sostanza e causa, venne nell’opinione che tali concetti, come comunemente s’intendono, non siano conciliabili col principio assoluto dell’Identità. L’esame critico, che il Corleo fece ai concetti di sostanza e causa, è tutto informato al principio che l’ uno non può essere il sostrato di più manifestazioni, che 1’ uno non può produrre il diverso. L° A. di- mostrò come il Corleo, avendo negato alla sostanza ogni comprensione e alla causa ogni efficienza, abbia, in luogo di rettificare, negato il valore normatico e costituitivo dei principî di sostanza e di causa. Il disserente procede poi a dimostrare come il filosofo di Salemi, fedele alla sua critica dei concetti di sostanza e di causa, abbia raccolto i suoi pensieri filosofici in una forma sistematica che non ha alcuna analogia coi sistemi materialisti o spiritualisti , idealisti od ontologici della Storia della, Filosofia. Nella seconda parte il Benzoni rilevò tutta 1’ importanza della dot- trina del Corleo circa la distinzione dei doveri assoluti e relativi, e chiari com’Egli abbia dimostrato la perenne immobilità dei doveri assoluti senza invocare alcun principio metafisico, ma studiando la natura umana e ‘applicando la legge di proporzione che governa il collegamento degli elementi a formare il tutto. Dopo la commemorazione i soci dell’ Accademia si trasferirono in- sieme coi molti invitati nell'Università degli studi, ove presso la Scuola di filosofia morale, nel portico sacro alla memoria degli eminenti pro- fessori, veniva scoperto il mezzobusto dell’illustre trapassato, del quale un suo antico allievo, l’egregio prof. Pietro Merenda intrecciava altre lodi in nome della studentesca (1). VII. Delle tre classi in cui la nostra Accademia si partisce, non sa- prei quale più operosa debba dirsi. Dalla classe di scienze naturali ed esatte si sono avuti lavori dei quali non si è fatta lettura e che si son pubblicati o si pubblicheranno nei volumi degli Atti; quello del prof. Santi Sirena e Giuseppe Alessi : (1) Vedi Bollettino del 1892, N. 4-6, luglio-dicembre. 10 RELAZIONE ACCADEMICA Influenza del disseccamento su taluni microrganismi patogeni; uno del mar- chese di Monterosato : Z molluschi terrestri delle isole adiacenti della Sicilia; un altro del prof. Pietro Doderlein: Avifauna siciliana; un altro del pro- fessore E. Soler, non socio : Su talune teorie di refrazione geodetica. Furono letti parecchi lavori da soci di quella classe : Il socio dottor Michele Lojacono Pojero nel suo lavoro sulla Morfologia dei legumi del genere medicago, ha studiato quel vago genere notevole tanto per la strut- tura delle parti vegetative quanto per quella oltremodo singolare e bizzarra dei legumi; senere che recentemente illustrava il professore IT. Urban. Il nostro socio per le osservazioni da lui fatte volle apportare anche il suo contributo negli studi di quel genere (1). Il prof. Temistocle Zona Direttore ff. del mostro Osservatorio, ec’ in- tratteneva della latitudine di Palermo con passaggio al primo verticale. L'argomento della latitudine è della maggiore importanza, oggi più che mai dibattendosi la quistione della sua variabilità. Il Piazzi (2) fece tre determinazioni di latitudine : la prima nel 1791-92, la seconda nel 1793-94, la terza nel 1804-05 (3) e stabili per latitudine. 38°, (6! —- 43, 4, 0. Il Ragona (4) rifece le osservazioni nel 1854 col cerchio di Ramsden, e trovò: 538, 6, 40, 8; e più tardi col cerchio meridiano, concluse che la latitudine dello sfesso è Vedo ee, E siccome il cerchio di Ramsdem è 0” 67 dine di questa è più a Sud, così la latitu- JB 6, 49708 (1). M. Losacoxno Porero, Morfologia dei legumi del genere medicago nel vol. I degli Atti, Nuova Serie. (2) Specula astronomica, libro IV, p. 163. (3) SVedilo pae NIVENISV e VUE (4) Gzornale Astronomico di Palermo, num. 63-64, p. 213, vol. III, ann. 1859. PER GLI ANNI 1889, 1890, 1891, 1892 11 Anche il Tacchini (1) esplorò il valore della latitudine, e trovò essere 38, 6, 44, 24. Il prof. Zona desiderava da anni uno strumento per eseguire i suoi studi, e in mancanza d’altro volle tentare una determinazione di lati- tudine col cerchio meridiano col quale non sperava di certo di en- trare nello studio della variabilità. Avuto finalmente nell’ agosto 1890 ‘uno strumento dei passaggi fornito dalla Casa Bamberg di Vienna, adoperò prima il metodo Bessel, e poi quello dello Struwe. Il risulta- mento delle sue ricerche fu alquanto inferiore a quello da lui ottenuto nel 1884 al cerchio meridiano. La latitudine da lui osservata, ridotta al cerchio del Ramsden, ridà «pressochè esattamente (a !/,, di secondo presso) la latitudine che da un secolo si ritiene quella del nostro Osservatorio (2). Il socio Casimiro Mondino professore d’ istologia faceva all’ Accade- mia un'importante comunicazione. Nelle osservazioni che egli sta ese- guendo sulla maturazione e fecondazione delle ova degli Ascaridi, ha potuto stabilire che la sostanza cromatica del nemosperma si comporta nel trattamento al cloruro d’oro nello stesso modo della sostanza che forma le fibrille nervose primitive, mentre non offre tale reazione la sostanza cromatica dell’oro. Sono, egli dice, importanti tutti i dati che valgono a farci conoscere le diverse proprietà della sostanza cromatica di origine paterna e di origine materna, essendo noto che questa so- stanza trasfonde nell’individuo generato le proprietà dell’individuo ge- nerante (3). Il socio marchese Antonio de. (regorio faceva alcune comunicazioni: Nuovo metereografo alpino automatico, strumento destinato a rendere molta utilità alla meteorologia. Esso consiste in un sistema di strumenti (Ba- rometro, termometro, actinometro, sismografo, anemografo, pluviome- (1) Bollettino dell'’Osservatorio del 1868, p. 25. (2) T. Zoxa, Della latitudine di Palermo con passaggio al primo meridiano, nel ‘vol. I, 3a Serie degli Atti. (3) Vedi Bollettino del 1892, n. 1-3. 12 RELAZIONE ACCADEMICA tro, igrometro), i quali senza bisogno della presenza di alcuno, trasmet- tono a distanza le loro indicazioni. Tale apparecchio vien collocato nei rifugi alpini, il cui accesso riesce difficile e il cui soggiorno impossibile. Un’ altra comunicazione riguarda talune esperienze di capillarità e. altre di trasfusione dei liquidi. È un breve studio di talune azioni mo- lecolari che danno campo a utili investigazioni sull’ aggregazione e costituzione della materia. Una parte di esso riguarda la costituzione dello spazio interstellare e la causa determinante la gravitazione. La ipotesi da lui sostenuta è che l’ attrazione della materia non dipende punto da questa, ma dalla tendenza del fluido cosmico, cioè dell’ etere a contrarsi. Tì socio Adolfo Venturi professore di geodesia, onore del nostro Ate- neo e ora anche nostro, comunicava i risultamenti di un lavoro di rifra- zione terrestre eseguito colla collaborazione dell’ing. Soler. Dopo aver messo in rilievo i pochi studi che sono stati fatti in Italia sulla rifrazione terrestre, espone che in Sicilia non esistendo ancora linee livellate geometricamente, non è possibile altro studio per ora che quello del coefficiente di rifrazione, necessario alla determinazione delle. altitudini. Riferisce poi che questo fu determinato con due metodi : 1° col mezzo di zenitali reciproche e contemporanee, misurate dai due osser- vatori tra le stazioni di Acclimazione e di Capo Gallo nell’ estate-au- tunno degli anni 1891-92; 2° col mezzo di zenitali marine determinato. dalla specola geodetica della Martorana , negli stessi anni. I risultati furono: Coefficiente col metodo terrestre 0, 104; Coefficiente col metodo marino 0, 0856. Da questi risultamenti si deduce duo il fatto notevole, già prima riscontrato dal Pucci in Liguria, che il coefficiente di rifrazione in Italia, nelle parti studiate almeno, si mostra più basso di tutti i co- nosciuti. PER GLI ANNI 1889, 1890, 1891, 1892 15 Nella classe di scienze morali e politiche molteplici furono i lavori. Dal socio Don Salvatore Di Pietro tu nel 1888 fatta una lettura : Il pauperismo di fronte al movimento sociale e al problema umanitario; tema importantissimo che ha aftfaticato le menti di economisti e di fi- lantropi; tema vecchio e sempre nuovo, ed oggi di più vivo interesse perchè il progresso delle industrie ha cresciuto il numero dei poveri. Alla soluzione del problema provvedono già in parte le casse di risparmio, il mutuc soccorso, le casse di pensioni e in parte anche i molteplici spedienti che ha saputo escogitare la carità pubblica e pri- vata; e la civilà farà ancor di più, perchè, se poveri avrà sempre la società, non sarebbe necessario vi fosse sempre il pauperismo. Nel 1889 il nostro socio continuando quella lettura volle dimostrare che la religione di Cristo ha tanto giovato ad ammigliorare le sorti delle classi povere della società, e che senza i principî cristiani la po- vertà diventa spesso colpevole, e che le necessarie disuguaglianze s0- ciali la carità cristiana, se non può toglierle attatto, rende almeno meno aspre (1). Il Socio corrispondente Giuseppe Allievo professore di antropologia e di pedagogia all’Università di Torino mandava un suo lavoro : La libera attività personale e il positivismo, che venne letto all'Accademia. Libertà o schiavitù ? E questo il perpetuo dilemma intorno al quale si svolge il dramma della nostra vita intima e la storia dell'umanità. Una scuola contemporanea, risuscitando antiche teoriche , è sorta a sentenziare che il sentimento della nostra attività personale è una vol- gare illusione, una vana credenza che non regge ad una critica sana e razionale. Il processo logico delle idee, non meno che l’operare ef- fettivo delle esistenze, è dominato da ineluttabile mecessità. Le mede- sime leggi inflessibili che governano tuori di noi i fenomeni dell’uni- verso sensibile, determinano in noi irresistibilmeute il pensare, 1° in- tendere, l’operare; sicchè non siamo noi che vogliamo e operiamo per deliberato proposito, ma è la natura stessa che opera in questo o in quel modo. (1) Vedi Bollettino del 18S9, n. 1-6. 14 RELAZIONE ACCADEMICA L’Allievo poi, combattendo la nuova scuola, ritiene che la libera at- tività dell’uomo non sia assoluta ma relativa e finita, qual'è la natura dell’uomo, e però reputa che il concepire la libera volontà umana in- dipendente dalla realtà tutta quanta, sia errore non minore dell’ altro che fa dell’uomo un automa in balia della natura universale: la verità quindi, egli dice, dimora nel giusto mezzo fra due estremi opposti, e risale a quel solenne principio metafisico che contempla l’universo in- tero siccome un immenso sistema di attività e di ricettività congiunte ad armonia (1). Egli dava più tardi un logico e splendido svolgimento del principio della personalità, già da lui delineato in parecchi suoi scritti, con gli Studi antropologici - L’uomo e il Cosmo. Il prof. Diodato Lioy, altro socio corrispondente, scrisse : La mente di P. S. Mancini.* È Ingegno privilegiato fu il Mancini; letterato, filosofo, giurista, avvo- cato, insegnante di diritto e procedimento penale, primo professore di diritto internazionale nell’università di Torino, cooperatore efficace alla unificazione della legislazione civile, commerciale e penale, autore della teorica della nazionalità come fondamento della scienza del diritto in- ternazionale privato, ministro per la pubblica istruzione , di grazia e giustizia, e per gli affari esteri; propugnatore dell’abolizione della pena di morte e della istituzione degli arbitrati internazionali. Mancini fu il grande Giurista della epopea della ricostituita nazionalità italiana a canto a quei grandi che furono Vittorio Emanuele, Cavour, Garibaldi, Mazzini. Tale egli fu: tale ce lo dipinse il Lioy (2). L’avv. Giuseppe Cimbali, che con una pregiata opera ha illustrato ed esaltato la vita e le opere dell’illustre suo conterraneo Nicola Spe- dalieri, diede conto alla Accademia delle impressioni provate dagli scienziati della fine del secolo passato alla lettura dell’opera dello Spe- (1) G. Attievi, La libera attività personale e il positivismo, nel vol. I, 3* Serie de- gli Atti. (2) D. Lioy, La mente dî P. S. Mancini, nel vol. I, 38 Serie degli Atti. casa PER GLI ANNI 1389, 1890, 1891, 1892 15 dalieri: Su diritti dell’uomo, ritraendole dalle lettere di personaggi au- torevoli nella scienza o per grado sociale. Roberto Benzoni lesse : L'esame delle ipotesi ultimamente ideate per de- terminare e chiarire il fatto della eredità. Il Lamark, egli disse, e poi il Darwin con maggiore dottrina .ci hanno presentato il fatto della eredità. Il primo ideò l’ipotesi per la quale par- tendo da uno o più tipi semplici, e tenendo conto delle modificazioni che per le varie condizioni esterne dell'ambiente deve chi vive neces- sariamente subire , si possono geneticamente spiegare tutte le varietà che presentano gli ordini degli animali. Il sommo Darwin, studiata la grande importanza che nella teoria della discendenza devesi alla ere- dità assegnare, in quella teoria non solo vide una legge e un fatto costante, ma eziandio una delle cause della trasformazione della specie e ideò la ipotesi della pangenesi dei plastiduli per ispiegare il feno- meno ereditario. Della eredità se ne servirono subito lo psicologo, l’antropologo cri- minalista; e come era naturale molte teoriche vennero esposte per de- terminare e chiarire quel fenomeno. Il Benzoni ha voluto esaminare le ipotesi ultimamente ideate e ha cercato di opporne un’altra che ha l’appoggio di recenti scoverte; è la teorica del Weismann che riconosce tutta la efficacia delle modifica- zioni per ispiegare le variazioni della specie; ma trasmessibili ammette soltanto quelle modificazioni che ne importano una corrispondente della struttura chimica molecolare del plasma del germe o keinplasma , e che si trasmettano con la fecondazione. La teorica della discendenza non è qui negata, ma le è tolto un principio esplicativo ammesso dal Lamark e riconosciuto dal Darwin; le variazioni delle specie dovrebbero essere chiarite unicamente con la selezione, cioè con la sopravvivenza o vittoria del più forte, perchè essa è direttamente basata su la struttura e quantità del plasma del germe; il mezzo col quale si propaga ed estende la efficacia della sele- zione è la fecondazione (1). (1) R. BaNzoNI, L'esame delle ipotesi ultimamente dleate per determinare e chiarire vil fatto della eredità, nel vol. I, 8% Serie degli Atti. 16 RELAZIONE ACCADEMICA L’ avvocato Francesco Maggiore Perni, valente cultore degli studi statistici, lesse una sua memoria: / movimento economico e sociale in Italia di fronte a sè stessa ed a talune grandi nazioni. All’ importante la- Voro porse argomento la memoria del dotto ed infaticabile prof. Bodio: Di taluni indici misuratori del movimento economico in Italia. Ma il Bodio non fè uno studio pieno sulla vita sociale italiana e si fermò non a tutti i sintomi ma ad alcuni di essi che chiamò éndici mi- suratori, e considerò il solo movimento economico, sebbene altri indici aggiungesse che riflettono il movimento intellettuale morale e politico. Il prof. Maggiore Perni sulle traccie del Bodio rileva non solo il movimento economico, ma trattando degli altri ordini sociali ci presenta un quadro di ciò che l'Italia fu, di ciò che è sì di fronte a sé stessa che alle altre nazioni, e mentre il Bodio ci porge solo l’Italia in cifre, il nostro socio viene anche alle deduzioni che dalle cifre possono ca- varsi (1). Non minore importanza di quelle delle due prime furono i lavori della classe di lettere e belle arti. Son da ricordare lodevolmente gli egregi nomi dei soci prof. Di Giovanni, prof. Pellegrini, prof. Pitrè, prof. Cavallari. Che in Italia sia stata usata innanzi al mille una parlata volgare, che alcuni dissero romano rustico, altri plebeja, nessuno oramai dubita, dopo i molti documenti che dal Muratori a noi sono venuti alla luce a cominciare dal secolo VI dell’éra cristiana fino al XII. Il prof. Di Giovanni, che con sapiente amore ha studiato le me- morie antiche, e pubblicato una preziosa opera sulla Topografia antica di Palermo, ha voluto aggiungere novelle prove a confermare la esi- stenza della parlata volgare innanzi al mille, cavandole dai diplomi di Montecassino, della Cava e di Amalfi, e questi riscontrando coi diplomi siciliani dei secoli XII e XIII (2). (1) F. MaGGIore PERNI, 12 movimento economico e sociale în Italia di fronte a sè stessa ed a talune grandi nazioni, nel vol. II, 33 Serie degli Atti. (2) V. Dr GlovanxI, Documenti dell'uso del volgare prima del 1000, nel vol. I, 3a Se- rie degli Atti. = PER GLI ANNI 1889, 1890, 1891 1892 ] Del popolo fenicio, che esercitò per 900 anni il commercio e le in- dustrie nell’ antichità, e che piantò anche in Sicilia (in Palermo, in Solunto), in Mozia le sue colonie, oggi si raccolgono le iscrizioni nel Corpus inscriptionum semiticarum che si pubblica in Parigi e fa riscontro al Corpus inscriptionum latinarum e a quello inscriptionum graecarum. Il nostro socio Astorre Pellegrini , dotto conoscitore della lingua fenicia ha fatto, nei suoi Studi di epigrafia fenicia , note al Corpus e proposte notevoli osservazioni che in parte sappiamo accettate dagli stessi edi- tori di quella importante raccolta. Alla nostra Accademia lesse la IMmtroduzione al suo lavoro, nella quale dichiarò tutto ciò che intorno all’ arte, alla religione , al culto dei sepoleri, al governo, alle industrie dei Fenici ne insegnano per ora di maggior rilievo le loro epigrafi, collegando e confermando le notizie che quelle ci offrono con quanto di più notevole c’ insegnano gli antichi scrittori (1). Molti anni dietro, delle monete punico-sicule lesse qui l’illustre Gre- gorio Ugdulena, una pregiatissima memoria, che fu premiata dalla Ac- cademia delle iscrizioni di Francia (2). La leggenda, che talvolta è più vera della storia, ci narra come al- cune città siciliane assediate, a provare che esse non difettassero di provvisioni, gittassero al nemico caci o animali domestici, mentre eran questi gli ultimi che loro rimanevano, e quelli erano fatti dallo spre- muto latte di donne. i Ciò avvenne, si racconta, in Sperlinga, quando rimasta sola a so- stenere i Francesi combattuti in tutta Sicilia, fu assediata dalle squa- dre palermitane ; e in quello stesso periodo anche in Vicari che so- stenne altro assedio. Simile tradizione si riscontra pure nella parte settentrionale d’Italia, nel Friuli e anche fuori d’Italia, in Francia fin dal secolo XII. Simili altri stratagemmi furono adoperati da altre città a fine di liberarsi dal nemico che le stringeva di assedio. Il fatto che alla leggenda diè luogo è facile essere avvenuto, non in (1) A. PELLEGRINI, Studi di epigrafia fenicia, nei vol. I e II, 3* Serie degli Atti. (2) Leggesi nel vol. II degli Atti dell’Accademia di Scienze e Lettere, Nuova Serie. ta) 18 RELAZIONE ACCADEMICA uno ma in più paesi, e l’ ingegnoso stratagemma potè indurre il ne- mico a ritenere inutile il proseguimento dell’ assedio. Nelle tradizioni dei popoli quel fatto sì è perpetuato. Il socio prof. Pitrè , indagatore acuto e paziente degli usi e delle tradizioni, dei proverbi, delle novelle e della poesia del nostro popolo, ha voluto intrattenerci piacevolmente di quella leggenda (1). Il prof. dott. Francesco Saverio Cavallari il giorno 6 dicembre 1892 leggeva una importantissima memoria sull’ Euryalos e le antiche opere di difesa di Siracusa, accompagnata da 5 tavole. Egli e il prof. Adolfo Holm nel 1883 pubblicavano a spese dello Stato la grande opera sulla Topografia archeologica di Siracusa (2). Avendo il Cavallari fatto altri studi ed altri scavi in Siracusa sino al 1891 nella sua qualità di Direttore ordinario degli scavi dei Musei e gallerie del Regno, ha voluto fare una rivisione del suo antecedente lavoro, aggiungendovi le nuove scoperte, e riassumendo e legando in- sieme le opere di difesa fatte dai Siracusani nei vari assedi sostenuti, ha allargato il campo delle conoscenze topografiche ed archeologiche a chiarimento della storia di quella grande metropoli che primeggiò tra tutte le colonie greche del mediterraneo (3). Riassumendo, dai nostri soci nelle scienze naturali ed esatte nuovo contributo fu apportato alla botanica, nuove ricerche turon fatte sulla latitudine del. nostro Osservatorio, nuovi strumenti di fisica ideati, nuove esperienze di capillarità e di trastusione dei liquidi, e studi non 1) G. Pimré. Di uno stratagemma leggendario di città assediate in Sicilia, nel vol. I, 3* Serie degli Atti della R. Accademia. i è) È un volume in & grande di 117 pagine. accompagnato da atlante in foglio grande con 17 tavole in cromolitografia. (3) Di quanto interesse storico ed archeologico siano gli studi e le scoperte fatte in Siracusa, lo provano le recensioni ultimamente pubblicate nel giornale di Roma £a Coltura. nella Philologische Wochenschrifte di Berlino, come ancora la non breve re- censione pubblicata nel luglio 1891 nel periodico Deutsche Lifferaturzeitung dal pro- fessore di archeologia classica dell’Università di Heidelberg, von Duhn. Il lavoro presentato si divide in 6 paragrafi e sarà pubblicato negli Atti della nostra Accademia. PER GLI ANNI 1889, .1890, 1891, 1892 19 mai tentati si sono fatti intorno alla rifrazione terrestre: nelle scienze morali e politiche si è trattato del fatto della eredità secondo le ipo- tesi ultimamente proposte, dell'attività personale dell’uomo, della mente di uno dei più eminenti uomini d’Italia, della questione della miseria, del movimento economico e sociale d’ Italia : nelle lettere si son fatti studi sulla epigrafia fenicia, sulle antichità siciliane, su antiche leggende e studi intorno alle origini della lingua italiana. Fu questa la nostra vita negli ultimi quattro anni, e l’operosità vo- «stra, accrescendo lustro al sodalizio, ha pur molto giovato alle scienze e alle Jettere. Ho abusato della vostra indulgenza, ma non poteva esser breve, do- vendo in una relazione quatriennale rendervi conto del molto che da Voi si è fatto nei vari rami dell’universo sapere. 1 VII. Un ultimo compito mi resta : quello di ricordarvi i nomi dei non pochi che ci sono mancati nel periodo di quattro anni. Se di tutti volessi qui ritrarre i pregi e le opere, stancherei la vo- stra pazienza. Del resto, le morti dei soci sono state annunziate nelle ordinarie nostre tornate con brevi notizie intorno la vita e le opere loro; e le notizie necrologiche sono state pubblicate nel Bullettino. Mi basterà quindi ricordarvene solo i nomi. Nella classe di scienze naturali ed esatte sono mancati: Niccolò Turrisi, Enrico Albanese, Gaetano Cacciatore, Gaetano La Loggia, Niccolò Cer- vello, Agostino Todaro, Giuseppe Albeggiani. Nell’altra di scienze morali e politiche: Giovanni Bruno, Simone Cor- leo, Giuseppe Taranto, Francesco Nobile, Salvatore Orisafulli. In quella di lettere e belle arti: tr. B. Filippo Basile, Francesco Paolo Perez. Ne mancarono anche il più dei soci emeriti: Mario Villareale, An- tonino Garajo, Salvatore Cacopardo, Francesco Saluto, Barone di Rigilifi. E dei collaboratori cessarono di vivere: Paolo Maltese (2° classe), Bernardo Geraci (53* classe), Giovanni Marchetti (53° classe). Della classe degli onorari: Michele Amari, Vincenzo Errante, S. M. Don Petro II ex Imperatore del Brasile, Vincenzo Fardella, marchese di Torrearsa, Ferdinando Gregorovius, Ab. Antonio Stoppani, Annibale De Gasparis, Riccardo Owen. Infine ci vennero da morte rapiti i soci corrispondenti: Riccardo Mitchell, Cesare (Guasti, Stefano Pietro Zecchini, Giuseppe Meneghini, 20 RELAZIONE ACCADEMICA Cardinale Ludovico Haynald, Cecilio Pujazon, Giambattista Liagre, Emilio Laveleye, Eduardo Regel. Di tanti nomi si è assottigliata la falange dei nostri soci, ma i vuoti si sono già colmati in tutti gli ordini. I soci attivi sono quasi a numero, e similmente i collaboratori. Un eccesso notasi ancora tra i soci corrispondenti. Venti illustri personaggi notissimi per le loro scoverte o pubblica- zioni si sono aggiunti agli onorari, e tre corrispondenti furon passati fra questi; son tutti nomi che onorano i corpi scientifici di cui fan parte. Bastino il Pasteur e l’Hermite fra gli stranieri, il Messedaglia, il Gabba, il Pessina, il Cannizzaro, il Tacchini, il Carini fra gl’italiani. Così questa illustre e antica Accademia, rinvigorita di nuovi soci attivi e collaboratori, onorata da sommi uomini, procederà alacre nel suo cammino, sebbene a’ bisogni non. rispondano adeguatamente i mezzi pecuniari, e saprà tenersi all’altezza della sua fama. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE 9 CPIE PRIME RICERCHE COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE TN SECELCIA —— = PRIME RICERCHE SUL COBFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA Il problema di assegnare «a priori la quantità di rifrazione che un raggio luminoso prova attraversando 1’ atmosfera per giungere ad un determinato punto, se può dirsi risoluto quando la zenitale del raggio d’ arrivo è sufficientemente piccola, non è, invece, risolto affatto, se questa zenitale si avvicina ai 90°; nè la soluzione se ne presenta facile o prossima, dato anche che possa trovarsi. Ma le difficoltà non arre- stano i tentativi dei dotti, e mentre, da una parte, si propongono nuove teorie, dall’ altra si istituiscono più ampi e più accurati esperimenti, sia sui fenomeni meteorici, sia sulla quantità assoluta di rifrazione fra due punti di noto dislivello (1), affine di cimentare le escogitate teorie alla prova dei fatti. I geodeti frattanto, in attesa della desiderata soluzione di questo im- portante problema, si sono contentati e si contentano di trattare il pro- blema stesso in prima approssimazione, limitandosi allo studio di quella quantità che or tenuta costante, ora variabile, è conosciuta col nome di coefficiente di rifrazione. È cosi che ebbero origine «in vari paesi di Europa le determinazioni dei relativi coefficienti regionali; ed i più noti di questi sono quelli dati da Bessel e Gauss per la Germania, da Corabeuf per la Francia, da Struwe e da Sawiteh per due parti diverse (1) BavERNFEIND — Ergebnisse aus Beob. der terrestr. refraction, 1880-86. Mem. Acc. di Monaco. 4 PRIME RICERCHE del vasto impero Russo. In Italia non troviamo riconosciuto alcun coef- ficiente regionale , perchè pochi studî furono fatti al proposito, e solo- nella parte settentrionale di essa; e questi son dovuti al benemerito Istituto Geografico Militare, per conto del quale l’Ing. Pucci sin dal 1879 faceva delle ricerche in Liguria (1), mentre altre ricerche venivano indirettamente istituite nell’ occasione di una livellazione di dettaglio fatta ultimamente nel Veneto, diretta dal Colonn. De Stefanis (2). Nel resto d’Italia non costa che sinora sieno stati fatti lavori di questo ge- nere, almeno collo scopo suddetto e colla precisione voluta; sicchè non parve inutile intraprendere nell’ estremo Sud d’Italia delle ricerche analoghe a quelle già compiute al Nord di essa, per vedere almeno, se il coefficiente meridionale sia in tale rapporto col settentrionale da poter stabilirne un valore unico per l’Italia e metterlo poi in confronto con quelli delle altre nazioni. Da queste considerazioni ha avuto origine il presente lavoro. Esso è modesto come modeste sono le risorse dei Gabinetti scientifici delle Università nostre, nè può avere la pretesa di essere definitivo. Ma, se non altro, esso è una contribuzione, che crediamo non inutile, allo studio del coefficiente di rifrazione in Italia, nella quale, pur troppo, di tali studî non vi è abbondanza; e questo primo passo fatto in Sicilia. in tali utili ricerche, può essere l’inizio di una serie sistematica di osservazioni, qualora questi primi risultati giungano a richiamar l’at- tenzione dei corpi scientifici sui nostri lavori. È necessario ora dire qualche parola sul modo con cui questi primi studî furono condotti. Premeva a me, iniziatore di questi, ed in ciò fui efficacemente secondato dall’Ing. Soler, che la precisione e il rigore dei metodi e delle misure, compensassero la poca estensione che si po- teva dare alle ricerche. Ora, una condizione di rigore, che non sempre si trova applicata, e non solo nei lavori italiani di cui è cenno avanti, ma neanche nel classico lavoro di Bessel, è la contemporaneità delle os- servazioni reciproche. Noi, conseguenti al nostro programma, non ab- biamo fatto zenitali se non contemporanee, il che, se ha ristretto il loro numero, ha dato maggior peso ai risultati. Della cura poi, colla quale si sono studiati gli istromenti adoperati, si può attinger notizia nel capitolo relativo. La distanza fra le due stazioni è stata presa piuttosto piccola e così (1) Puccr — Sulla livellazione trigonometrica, Firenze 1879. (2) L. De SreranIis— Sulla determ. altimetrica dei punti trig. dell'alta regione Ve- neta Orient., Roma 1891. SUL COEFFICIENTE DI RIPRAZIONE IN SICILIA D il dislivello fra esse. Siccome il nostro scopo era quello di determinare un coefficiente costante e non quello di studiare le variazioni della vifra- zione, le due condizioni precedenti s’ imponevano. Ed infatti, un tal coefficiente , in tanto ha un senso, in quanto la trajettoria luminosa può, fra le due stazioni, considerarsi circolare, o poco dissimile dal proprio circolo osculatore medio; condizione, questa, tanto più prossima ad avverarsi, quanto più piccola è l’estensione della trajettoria mede- sima. Ed è risaputo, che le incertezze del coefficiente, non crescono al crescere della lunghezza della trajettoria proporzionalmente alla sua estensione, ma bensì al quadrato di questa. E se anche questo fatto non fosse naturale, basta per convincersene, discutere le osservazioni già fatte a diverse distanze da Bauernfeind e da altri (1). Le due stazioni scelte furono: la terrazza della Società di Acclima- zione e il Semaforo di Capo-Gallo, verso terra; cosicché la trajettoria fu tutta terrestre e in piena campagna, senza movimenti d’aria dovuti a cause artificiali, come camini di officine, etc. La prima di queste stazioni fu già da me, e la seconda dall’Ing. Soler, legata alla ‘rete di primo ordine dell’Istituto geografico (2). La distanza risultante fra esse è di m. 12609, 53; il dislivello che si dedusse dalle zenitali reciproche, fu di m. 458, 96, essendo l’Acclimazione la più bassa. Le posizioni asso- lute dei punti di stazione sono : Latitudine 38°, 06”, 16,8 da Castania Longitudine + 0, 53, 09, 4 da Monte Mario Acclimaz. o ( Latitudine 538, 12, 58, 5 da Castania Caro calo; Longitudine + 0, 51, 51, da Monte Mario Quanto alla disposizione degli istromenti e delle osservazioni, si tro- verà tutto nel capitolo relativo. Aggiungo che si tenne sempre conto della temperatura, pressione ed umidità atmosferica durante le opera- zioni. Esse ebbero luogo nei giorni 17, 18, 19 e 20 luglio 1891 , poi il 27 ottobre dello stesso anno, e infine nei giorni 26 e 27 giugno 1892; abbracciano quindi un discreto periodo di tempo, in mesi diversi. Per meglio investigare, poi, la natura della rifrazione in Sicilia, con- siderammo anche il suo coefficiente da un altro punto di vista, dedu- cendolo da molte serie di zenitali marine. Sebbene questo secondo me- todo non sia completamente comparabile al primo, perchè svolgentesi (1) Cfr. SoLEr — Sopra alcune teorie di rifraz. geodetica, Palermo 1892. (2) VENTURI — Nuova deviaz. locale ete., Palermo 1889. SoLer — Coordinate geografiche di Capo-Gallo, Palermo 1891. 6 PRIME RICERCHE in condizioni molto diverse, pure crediamo , che senza attribuire ad esso una soverchia confidenza, i suoi risultati valgano abbastanza a dare un’ idea della intensità della rifrazione, ed a venire, sino a un certo punto, in appoggio alle conclusioni che si traggono dall’ altro metodo delle zenitali terrestri. In appoggio a questo modo di vedere abbiamo gli esempii autorevoli di Bessel e di Bayer, i quali assieme alle osservazioni terrestri facevano le marine. In esecuzione del programma di rigore che ci eravamo imposti , circondammo l’esecuzione di questo metodo marino di tutte le precau- zioni che potemmo escogitare. Si fece una livellazione precisa e geo- metrica del punto di stazione rispetto allo zero del mareografo, cosicché, prendendo il tempo di ogni puntata e giovandoci delle quote mareo- grafiche date dal registratore automatico, potevamo avere, ad ogni ze- nitale, l’ altezza esatta dell’ istromento sul livello attuale del mare. Inoltre si fece in modo che le osservazioni fossero sempre coniugate , e cioè, ad una serie di zenitali fatte a marea alta, si contrapponeva un’altra serie eseguita al tempo di bassa marea. Infine il numero delle determinazioni marine fu tripla di quelle terrestri, a fine di compensare col numero maggiore delle osservazioni la minor regolarità del fenomeno. Il punto preso a stazione fu la specola geodetica della Martorana, la cui posizione assoluta è : WMatztudine si SSR Longitudine = — 0°, 44" 05,59 da Parigi. L’altezza del piano del pilastro sullo zero del mareografo è di m. 36,90 e quindi la distanza all’ estremo orizzonte è di circa 23 kilometri. La stazione dista poi dalla riva del mare di circa m. 1500, ed è poco lon- tana dall’ altra stazione di Acclimazione non discostandosene che di m. 2500 all’incirca. Le osservazioni marine ebbero luogo nei mesi di luglio, agosto, set- tembre e ottobre 1891 e di agosto, settembre del 1892. Nel chiudere questo rapido cenno debbo esprimere le più vive azioni di grazie alle Autorità di marina che ci permisero di stazionare a Capo- Gallo, e all’ Amministratore dell’ Acclimazione che ci diede accesso nella terrazza: come pure all’ egregio cav. Cimino ingegnere capo di Porti e Fari che pose a nostra disposizione le strisce mareografiche di cui avemmo bisogno, e alla Giunta del Catasto che ci favori uno dei teodoliti Starke che furono adibiti nelle operazioni. PARTE PRIMA Istromenti e metodi di misura Gli istromenti adoperati nelle due stazioni terrestri di Acclimazione e Capo-Gallo furono due Starke di 27 centim. dei quali uno apparte- nente a questo Gabinetto di Geodesia, e 1’ altro gentilmente prestato dalla Divisione del Catasto , dietro consenso del Gen. Ferrero, presi- dente della Giunta superiore. Questi istromenti sono gemelli; cosa neces- saria perchè le osservazioni reciproche e contemporanee abbiano lo stesso peso. Per eseguire le puntate in modo rigorosamente reciproco, servirono due eliotropi, sistema Bessel. Questi, in ciascuna stazione, furono montati su apposito pilastrino in modo, che il centro dello specchio si trovasse sul prolungamento dell’ asse dei perni del cannocchiale del teodolite; di maniera che la stella dell’eliotropio, vista dall’altra stazione, individuava perfettamente la posizione, rispetto all’orizzonte, del centro del vicino teodolite. Questo non distava dall’ eliotropio più di quattro metri, vale a dire che, vista dall’ altra stazione, la distanza frai due istromenti era poco più di un minuto d’arco; e così essi non solo erano contemporaneamente nel campo dell’altro teodolite, ma vi si trovavano vicinissimi. I due teodoliti, di cui il nostro è segnato col N. 339 e quello del Catasto col N. 409, furono sottoposti a minuto studio per conoscere le costanti strumentali e specialmente il valore della parte micrometrica nei microscopî, la sensibilità delle livella, e la flessione del cannoc- chiale. Delle due prime specie di ricerche si occupò l’Ing. Soler; io mi oecupai della flessione del teodolite 339; chè quanto all’ altro, non ci fu tempo; e del resto, essendo istromenti gemelli, e non avendo tro- vata flessione sensibile nel 339, è probabilissimo non ve ne sia nep- pure nel 409. Per le zenitali marine, oltre al 339, fu adoperato nel 1891 l’Univer- sale Salmoiraghi di proprietà del Gabinetto di Geodesia. Non sì ripor- tano qui gli studi delle costanti di esso, perchè pubblicate a parte in un fascicolo a cui rinviamo il lettore (1). Per gli elementi meteorici si adoperarono due barometri -Salleron (1) VENTURI — Relaz. sul nuovo Universale Salmoiraghi ete., Milano, Tip. degl'Ing. 1892. 8 PRIME RICERCHE previamente campionati all'Osservatorio meteorico; e dei buoni termo- metri al ‘/,, di grado. L'umidità si determinava con psicrometri d’August. .Seguono i resoconti delle diverse ricerche istituite sugli istromenti. I. — Valore del passo delle viti micrometriche Non potendosi negli stromenti Starke adottare, per le letture micro- metriche la cosidetta correzione del run, occorreva determinare con precisione il valore in secondi d’una parte del tamburo. Questa deter- minazione, fu pei due Starke 339 e 409 eseguita dall’Ing. Soler, leg- gendo con ciascun micrometro 72 intervalli di graduazione del circolo zenitale distribuiti lungo ia circonferenza di 5 in 5 gradi. Ogni lettura era la media di tre collimazioni. I micrometri hanno un passo che è la 5* parte dell’intervallo di gra- duazione : cosicchè, se questi fossero uguali, e del valore di 10’ esatti e se l'ingrandimento fosse quale deve essere, ogni lettura a cui sopra si è accennato, avrebbe dovuto essere di 300? a meno degli errori di puntata. Ora nelle tavole seguenti, L indica l’ eccesso di tali letture su 300: © è lo scostamento della media, e la prima colonna, segnata In (Indice) dà la posizione dell’ intervallo letto. In fondo ad ogni tavola vi è notato in secondi, il valore della parte micrometrica. Quanto all’Universale Salmoiraghi, ebbi i seguenti valori pei micro- metri zenitali: (1) Microscopio I: 1P vale 27,011 +0’ 001 » ISS 200001 Seguono le tavole relative agli Starke. (1) VENTURI — Relaz. sul nuovo Universale SAmotîraghi ete., Milano 1892. SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 9 Teod. Starke - N. 339 MICROSCOPIO I In. L Vv In. L | v In. L \ ee i Re o 5 ORO MAIO: IND» 0, 1 0; 3 | 245 0, 4 0, 2 10 0, 3 ORO NO CSO ON MO 50 STSt ATA NSTSIoeS oi IO ONORI Oz o MRS O 0, 6 20 CR TORO MSI 0, 4 0,2 | 260 0, 3 0, 5 es 00 e ace 0, 8 0,6 | 265 |- 0,2 0, 0 30 — 0,5 | — 0,3 150 0, 5 US 270 0,0 0, 2 35 0,9 DZ SS 5A STO NO CISA 275 0, 2 0, 0 40 + 0,1|+0,3 160 CONI 0, 1 280 | 40,3 0, 5 45 20,1 ONERI NIG5 RR, 0240 2 SOI O LA ESSO SOION 0,5.| 170 OSTIA STIONE N200 OR SI Ona] 55 — 0,2 0,0 175 ONION 295 0, 1 0, 1 60 8 =) IO (7 0500 15108 0, 5 65 0, 6 0, 185 0,9 DEA 1305 0, 2 0, 4 70 0, 2 0,0 | 190 1,8 GUI = 0, 1 75 0, 6 0, 4 195 (OT) 0,7 315 (0) Ji 0, 1 SONA ESSO SSIZ0 6010200 Ten? LORA PE32000) SIRIO LI 85 ONORIO NZ N20 1,0 0,8 | 325 = 90 IIS PZA SOS EST NEED | ELOO ea 95 tri 215 0,7 0,9 | 335 0,0 0, 2 100 + 0,3 |+0,5 220 — 0, 2 0, 0 340 —-0,7|—- 0,5 105 0, 1 (05) 225 0,8 |) —- 0,6 345 0,1 |+0,1 UO |M 89230 0,9 Odi SONA IZIZIONE 0, 5 115 0, 7 0,5 | 235 1,0 0,8 | 355 0,9 100, Media delle L : SIE —0 2 Error medio unitario : u, = 0,59 Error medio della media precedente : Po=105 064 Valore di una divisione del tamburo del miscroscopio I : 1? 600” _ _ 24(1 + 0,0007) = 2”,0014+0”, 0004 7800 0,27 ì 10 PRIME RICERCHE Teod. Starke - N. 339 MICROSCOPIO II In. L Vv In. L | Vv In. | L v o P o P O) P i EE aio] OZ PSI EI 0, 0 5 2,1 0,1 | 125 3, 2 1,0 | 245 2,2 0, 0 10 2 1,0 | 130 2 |41,0 250 e ge 15 1,7 0,5 | 335 255% 20032255 05 20 249 pit 87 140 1,8 |4- 0; 4 260 DIO RES" 77 5 | L4|+98| 16 1,4 | osstl065 1,8 |+0,4 SIE SOT ROSTA Mo 23|-0,1| 270 2,5.) — 0,3 35 DICE PRES osta io EE Patt a MI 298 0, 1 40 Sali ge N60 35-13] 280 2,4 0, 2 45 3,0 0,8 | 165 2 IONI 285 3,2 1,0 50 DA gra 4 700 2,0 0,2 | 290 2A ISO 55 Ro Poemi Mao 26! 0,4 29 1,3 0,9 60 IT9R1=50, FA 80 ST TOLD 1300 ZE 65 1,8 |-4+0;4 | 185 RO 305 3400 'Saanz | 7050 alia SN 24010210 2,9 0, 7 ro) ,8|4+0,4 195 DE 0,0 315 1,5 |4-0,7 so 1,0 1,2 | 200 ,2]+1,0]| 320 Ra Ro 85 DIST IORIA205 Ti 284 NSA 90 AS EE] ORA EROE | 04] 330 1,5|40,7 95 el] D. 0062 i io TR RALE e Sa o I IS] MRS | AS e025 | 2,8 | 0,6 | 24 154] 0) 97 E ISTE NATE CEDE reni 2,1 0, 1 Rsa asti A OR esa agio | Media delle L : 300 DIE Error medio unitario : po — On Error medio della media precedente : mo = 100100 Valore di una divisione del tamburo : 1° = 2” (140, 0070) = 2”, 0140 © 0”, 0005 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA II Teod. Starke - N. 409 MICROSCOPIO I Media delle L : 300° — 0°, 8 Error medio unitario : u, = 0,58 \ Error medio della media precedente : US{OX065 Valore di una divisione del tamburo : 600” n "à INA [ad LÀ ld E EE NA 0-0 0026) — 290052040005 300 — 0; 8 SEO 2 PRIME RICERCHE Teod. Starke-N. 409 MICROSCOPIO II In L Y In L v In L Vv E e o la 5 1,5 Dina azs 2,2 0,0 | 245 SG OA 10 1,9 0,3 | 130 3,5 ISO 2,3 0, 1 15 26-04 | 135 2,7 0,5 | 255 TOA iso 20 3,0 0,8 | 140 1ss Creotat N2s0 1,4 0, 8 95 DI io 1,5 0,7 | 265 Gil pal 30 DOO 150 1,9 0, 3 270 1, 4 0, 8 35 2,9 07 | 155 PV 025 PR 40 1,8|+0,4 160 2 0, 3 230 CARI IEISZONII 45 1,9 0,3 | 165 ROL Hess ia 0, 4 50 1,8 0,4 | 170 2,3 |-0,1| 290 2,0 0,2 55 3 ERO N95 DIO SION 20295 io ES 60 2,0 |4.0,2 | 180 Dr (SO 0300 Tre 65 Di E 85 1 SS 8205 1, 8 0, 4 70 310 0,8 | 190 2,2 0,0 | 310 1,9 0, 3 75 2,6 0,4 | 195 1NSE SOZA 5 2A 80 2,8 0,6 | 200 2g 000 2,7 0, 5 85 2,8 0,6 | 205 2,7 0,5 | 325 2,2 0, 0 90 a ei ato DINAR EE) 2,5 0, 3 95 1, 6 0, 6 215 Zi gl 0, 1 335 205 0, 3 100 2,0 0,2 | 220 lr 0,5 | 340 2, 8 0, 6 105 1,5 07 | 225 2,1 01 | ‘345 2,4 0, 2 110 1,6 0,6| 230 2,0 0,2 | 350 20010 ET 02 115 DN LOL N23 15 0,7 355 A Media delle L 300° — 2°, 2 Error medio unitario : u = 0, D4 Error medio della media precedente : vo = 0, 064 Valore di una divisione del tamburo : 1? 600” — 2 (140, 0070) = 2”, 0140 + 0, 0004 i gogna SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 15 II — Sensibilità delle Livelle. Un'altra ricerca di capitale importanza fu quella della sensibilità delle livelle annesse al circolo zenitale di ciascun istromento. L° Ing. Soler si occupò di quelle degli Starke; io aveva già determinato a suo tempo quella del Salmoiraghi. Per gli Starke il metodo tenuto fu quello di disporre l’istromento in modo che il cannocchiale si projettasse sopra una vite del tripode : indi si collimava col filo orizzontale, un oggetto lontano ma nettissimo , e si leggeva la livella e i microscopj : si toglieva la collimazione spo- stando la vite del tripode, e si riportava il filo a collimare col movi- mento micrometrico del cannocchiale. Si leggeva di nuovo, infine, la livella e i microscopj. In tal modo, si poteva conoscere quale sposta- mento, in secondi, corrispondesse all’osservato spostamento del centro della bolla; e da questi dati si deduceva volta per volta la sensibilità. Quanto al Salmoiraghi, con un metodo alquanto diverso, riferito nel citato lavoro ebbi, per sensibilità della livella zenitale : 360 03/0/4004 Seguono le tavole relative agli Starke. 14 PRIME RICERCHE Teod. Starke - N. 339 SENSIBILITÀ DELLA LIVELLA ZENITALE | | Media | | Dif- Sen- | Media Dif- Sen- Differenza] Centro bolla | Differenza) Centro bolla Microscopi | | ferenza | sibilità || Microscopi ferenza | sibilità _————— ___6k& ——— Il sa —— DI | DUI | CETO SP 1, 36,0 oz — 18,7 Liz pr 33, 5 È — 17,3 .P % Lea A Die ill) 10, 6,3 | 1, 68 1, 45,3 a ISS0C Lo Gn 7,44, 1 AUERO, A £ Jo |ez08 (25 14, 8 | 6INEZAZS 2, 00, 4 6,4 | 7, 58,9 les £90 18,9 | 6; 3735-00. 14,9 6,0 | 2, 48 2, 19,3 0, 1 | IES/A1908 2 19, 9 69915 I 25, 0 6,3 | 3, 96 2,39, 2 | MERO ll 8,38, 8] 7,4 | 10,0 | DIARI (nera 60 MISs2O 2, 49, 2 | eso) 8, 46,5 | 13, 5 [14,1 | 5,3| 2, 66 E 5,3|1,,07 SEM390) | 17,0 8,92, 2.) 18, 8 | | | | 4, 31,0] 18.9 ll 418,2] ASnizAOo. 91 |6,8|1, 33 | n, 20] 6,4|1,90 4, 21,9 ES ioni i 4, 06, 0] 10, 8 ; EEA] |54|2, 24 15, 8 5,8|2,72 4, 09, 8 | | 67 3, 50, 2 5,0 | 19,6 5,734 19, 9 6, 1 | 3, 26 3, 50, 2 | 1,0 303083 | Lo 17, 2 Rogle 12M? 15,5 SA SOSIO] — 6,1 | ESTESO) EE=SIeZ6 14,1 Bg 2 AE [11,5] RO GIOLOS 9; 18,9 | 11,9 3,03, 3] 13. 4 9, 6 | 5,7 | 1, 68 SIE AER AOL 5.6 | 1, 46 SM09S 17, 6 PERONI 19, 0 | | | | | 9, 24, 4| (ER riSA7 6, 13, 2 | ISRPEIAZIO Eh) SO RIERO4I | 11, 0 | DN] 207 9, 34, 3 IMUISNE 6, 24, 2 LIT | 13, 5 | INGRSIRAZZION 16, 1 GONNA 9, 47, 8 | TRALICA 6, 40, 3 4, 8 | 15,0.| 0 2, 50 oa 5,8] 2,98 0, 02, 8 | | | | 6, 57, 6 + 1,0 | 18,0 |5,9|3,05 DA 77 6,8 | 3, 65 10, 20, 8 | |t+ 48 | TS QD, | TE8 [17,4] 6,1|2, 85 Reati i O) 10, 38,2| ERO 7. 30.9 | ETRE 147] i 5,9|2, 49 | Tee lE era 10, 52,9 | 16, 8 | 742.0) ono | | | | | | | 10, 52; 7 | AGIONosI | 2, 35, 1 iO [OA] IO ITA4 agi 62131023039. 0) 43, 2 | 2 GR | | 200 | = | 10, 43, 2 INSRE 127 6 : [oa 2, 20,0) I tia I 10, 7 "Ae | 13,0 | Ide | 2278 6, 5 | 3, 50 Medio valore della sensibilità = 2”, 33 +0”, 09 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 15 Teod. Starke - N. 409 SENSIBILITÀ DELLA LIVELLA ZENITALE Media i Dif- | Sen- | Media | Dif- Sen- ; _ |Differenza| Centro bolla ne IIa i Differenza| Centro bolla Microscopi ferenza | sibilità | Microscopi | ferenza | sibilità ———__u —_ ocra)! | , IAA p I , , p 5.5 Il 5 o Doe 195 STARE O 6° } { 05 | DERE 16/7 ER n ea o lae ’ IS MISCACCINI ), 4 PMOREZE8S -9, 23, 2 9, 2 MSAC 7,8 18, 4 5,8|318.| 18,0 6,0. | 3, 00 9, 41, 6 3, 4 DINOVANOT INNS sata 14, 1 0020925028 13, 4 6,6 | 2,03 9, DO, 7 + 2,8 2 38, l | 4 4,8 | si 12, 6 SON I2IMO | 14,3 7 | 22 08, 3 8,7 RO LAA 10, 5 b) 7 b) ’ ’ Î 20, 2 53.381) 13, 5 5,3| 2, 55 10, 28, 5 14,0 SONNO, 158 | 2, 06, 8 19, iz: RS, 04 13, 5 ©} 19,8 6,0.| 3,30. | SS SAONA 1, 47,0 9,3 | 2,07, 1 7,9 15,9 LO 745 5,92, 97 TREIA È 5, A | 1, 49,6 2,0 12, 5 SyNZIN NCZ/OE ZONA | 19,2] (| 2-05 IERIBNG — 833 1, 30, 4 FER, | È 14,0 6, 1|:2, 30. || 16, 2 GA 2157 1, 04, 6 8, 4 IRRIRIZAOO 10, 8 | 16, 9 6,5 | 2, 60 17,9 6,1.| 2, 93 0, 47,7 14,9 0, 56, 3 16, 9 Î Il 0, 44, 1 14, 5 1, 42,0 13,0. | 18,9 DIS NSR7 7 ® 6,0 | 2, 97 1, 03, 0 8,7 | 1, 59,8 7,0 IVO, Size 3070 | 16, 6 6. 4 | 2,60 IR2OR5 3,0 2, 16,4 0, 6 | gl 6,9 | 1, 90 11,9 5,8 | 2, 05 È n 4 = RSOMO SC + 3,9 È sua | RRERRIO, P_i oa 12, 6 BAR e293 14,9 AO RIZIOI 1, 46, 2 9, 3 |-2,43,2 10, S | 16, 2 DR ESS250) 16,9 | 5,9| 2, 87 2,02, 4 14,3 | 3,90, 1 16, 7 3, 10; 4 4,7 2,446 Ta, dl ES? 5,5.|3,32.| 17, 6 5,23, 38 2052002 952 22zo 79 | 14, 2 GRA 2933 14, 5 GIN 62958 2, 38, 0 SE ATO, rs "TTI CORO i esi 354 RE 15, 4 5,7|2,70 DI — 2 zan SE3 0) 95 5,8|2,68.| 12:09 | ZOO 8,0 | I SEb 2 | 94 18,9 DION COSI 18,3 | | 2, 48, 8 13, 6 (PRIEIZ5AO NASA il Ì Ì _———————_——___—_—_——————++€€€««€@€M___r_n2212m%2k2kÀ|ÉCSr_rr___—_—_———— ——1 tt} Medio valore della sensibilità : 2”, 75 + 0, 10 16 PRIME RICERCHE II. — Flessione del Cannocchiale nello Starke - N. 339 Montato il detto istromento nella specola della Martorana ed illumi- natone il campo per mezzo di un diaframma anulare tenuto davanti all’obbiettivo in posizione inclinata, misurai delle zenitali di stelle chiare e piuttosto basse, notando il tempo di ogni puntata. Potevo così cal- colare la zenitale pei tempi osservati : ed essa, confrontata colla zeni- tale data dall’istromento e corretta della rifrazione, doveva svelare la eventuale flessione, se questa non fosse stata dell’ordine degli inevita- bili errori che si commettono osservando. La latitudine della specola è data avanti : il cronometro adoperato fu un Weichert N. 2153 di proprietà del Gabinetto di Geodesia. Il tempo venne determinato collo stesso Starke, con altezze di stelle nel 1° ver- ticale. Le stelle osservate furono la «x Urs. maj e la & Urs. min. en- trambe poco lontane dal meridiano nella culminazione inferiore. Lo stato del cronometro risultò di — 0°, 0”, 583 , 13; ma i tempi no- tati nelle tavole seguenti sono quelli osservati. Le osservazioni furono fatte la sera del 16 novembre 1892 : e per quell’epoca le posizioni ap- parenti delle due stelle erano : È un (ASRI— 1050657825 : REZZA (AR dAR 50 TI OE I 8 Ursae minoris Le condizioni meteoriche furono : Ore 9 pom. alt. bar.= 764%" 40temp.int.= 5°, 6temp.est=14°,5(centg.) 3 la » 164,15 » D,4 SAR ALOE Le tavole seguenti che non hanno bisogno di spiegazione riassumono le osservazioni e i calcoli delle zenitali, le quali venivano fatte metà col cerchio zenitale a destra, metà collo stesso a sinistra. La posizione del punto zenitale era : 290 94! SYZANTA 332°. 24°, 12%, 6. S'intende che alle letture micrometriche si applicava il valore della parte determinata avanti. Nelle tavole seguenti l’ultima colonna dà le differenze delle zenitali nel senso Osservazione-Calcolo. SUL COEFFICIENTE DI 19 Novembre 1892. Posizione del Cerchio Tempo medio osservato 10. 13. 15. 19. ZI 23. w SI x URSAE MAJORIS Zenitale apparente N D Ol DI rs I (0 0) Cos (00) a) Ul DO » (AN) SG DO hO) Re LI SI i Ul (DX (00) a (05) 2 52. 54, 6 Rifrazione VI (9) | (DI D (36) hs io) (0.0) 44, 6 (ve) Si, SI Zenitale vera osservata 10. 01, 01. 59, . 56. 39, UV RIFRAZIONE IN (0 0) (0 0) i wo Zenitale calcolata Media delle differenze : + 0‘, 59 SICILIA 46. 99: 10. 01. do (00) (>) 1h Differenza SL SÌ 3 (0 e) NS] (o 6) do (av) 18 PRIME RICERCHE 16 Novembre 1892. Posizione del Cerchio efttefttbofHelt o) co) protone Si ha dunque che le differenze medie fra le zenitali osservate e Tempio medio osservato ho_m 10. 01. 58 04. 07. 09. 10. calcolate sono : da x Urs. maj. Az=+ 0”, 59 8 URSAE MINORIS Zenitale vera Zenitale apparente | Rifrazione RIO Zenitale calcolata 66. 44/ 47,5 | 21 12/9 | 66. 47/00 4 | 66 47/0050 46. 43, 6 13, 2 48. 56, 8 49. 01,0 49. 48, 0 13,6 52. 01, 6 52. 04,7 51. 15, 6 197 53. 29, 3 53. 29, 4 52. 39,0 13,9 54. 52,9 54. 56, 5 54. 26, 6 14, 1 56. 40,7 56. 41, 6 56. 08, 2 14, 2 58. 22, 4 58. 23, 8 57. 48,9 14, 4| 67. 00. 03, 3 | 67. 00. 02, 8 59. 13,0 14, 6 01. 27, 6 01. 30, 0 67. 00. 19, 6 14,7 02. 34,3 02.397,00 01. 39, 1 14, 8 03. 53, 9 03. 55, 3 09. 59, 9 15,7 12. 15, 6 12. 16, 6 10. 46, 9 15, 8 13. 02,7 13. 03, 6 11. 29, 5 15,9 13. 45, 4 13. 46, 4 12. 02, 1 16, 14. 18,1 14. 16, 2 12. 31,8 16, 0 14. 47,8 14. 49, 4 12. 56, 9 16, 1 15. 13, 0 15. 13, 6 13. 18, 6 16, 1 15. 34,7 15.34, 4 3A 16,1 15, 57, 8 15. 56, 6 14. 00, 2 16, 2 16, 16, 4 16. 15, 8 14. 22,0 16, 2 16, 38, 2 16. 38, 0 14. 41, 6 16, 3 16, 57,9 16. 57, 5 Media delle differenze = — 0”, 88 Media complessiva = — 0”, 15 Differenza n (DIES ROSEO OS Si (CI 49) Di (AS) I le da 8 Urs. min. Az = — 0%, 88 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 19 Questo risultato esclude ogni flessione del Cannocchiale; e d’altronde la piccolezza dei due valori provenienti dalle due stelle, e il segno con- trario da cui sono affettti, tolgono ogni dubbio in proposito. Quanto al Salmoiraghi, vi fu da me trovata una flessione di circa 4 di cui furono serupolosamente corrette tutte le zenitali osservate con detto istromento (1). (1) VentuRI l. c. Debbo aggiungere ad onore del Salmoiraghi, che egli riprese l’istro- mento e lo modificò nel cannocchiale radicalmente e a tutte sue spese, sicchè è a spe- rarsi che il detto inconveniente sia scomparso. 20 PRIME RICERCHE PARTE SECONDA Determinazione del coefficiente di rifrazione per mezzo di distanze zenitali reciproche e contemporanee. Già dissi che le stazioni scelte furono Acclimazione e Capo Gallo; in quest’ultima stazione l'Ing. Soler collo Starke N. 339; nella prima stazionai io coll’altro Starke N. 409. Fu pur descritto il modo d’istal- lazione degli eliotropî. I teodoliti erano opportunamente riparati. Per mezzo di opportuni segnali eliotropici si regolava la luce, e si dava il segno di cominciare e finire le operazioni. Io lanciava pel primo la luce, e l’ing. Soler collimava all’eliotropio a cannocchiale diretto; su- bito dopo mi lanciava la sua ed io collimavo nello stesso modo. Poscia si rovesciavano i cannocchiali; ed io tornava a lanciare altra luce che l’Ing. Soler collimava a cannocchiale invertito, lanciandomi la sua che lo collimava allo stesso modo. Ciò fatto, si leggevano gli istromenti meteorici. Dopo un quarto d’ ora circa si ripetevano le stesse opera- zioni, e così via; si ottenevano in tal modo le diverse coppie di zeni- tali reciproche e sensibilmente contemporanee. Si chiamò 2, la zenitale misurata all’Acclimazione, e 2, quella misurata a Capo Gallo. Dicendo poi © la distanza in arco fra le due stazioni, essa, pei dati esposti nel- l’introduzione, risultò di 409,0; e dicendo » il coefficiente di rifrazione, esso risultava dalla nota formula : Nelle tavoic seguenti son registrati i dati di osservazione e i valori di » risultanti da ogni coppia. In esse, 2 indica la zenitale, # la tem- peratura centigrada, d l’altezza barometrica in millimetri ridotta a 0°, î il valore dell’umidità relativa. SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 21 ZENITALI RECIPROCHE Acclimazione 17 Luglio 1891 Capo-Gallo Ora Zi b, DI i, | Zo to DE i, n —— — _’oeesii=@ene —— PET (0) Lo pil. | (0) , tI 8, 15 | 87, 57, 53,2. | 29,3.| 755,58 | 58 || 92,08, 03,9 | 26,3 | 715,50 | 47 | 0, 1268 8, 30 61,0 | 29,8 07, 58,8 | 26,4 0, 1203 -8; 37 98,7 | 30,1 | 08, 01,5 | 26,9 0, 1193 8, 45 59,0 | 28,4 | 07,2 | 27,9 0, 1049 9 57,1 | 28,6 | 755,87 | 76| 09,6 | 28,9 0, 1037 9, 15 59,0) 128,7 | 05,8 | 28,8 0, 1083 9, 30 52,6 | 28,7 | 09,2 | 28,6 0, 1155 9, 45 61,6 | 28,7 05,3. | 28,3 0, 1032 9, 50 61,9 | 28,2 07,7 | 28,2 0, 0968 10 59, 1 |-28,4 09,8 | 27,8 0, 0984 10, 15 56,0 | 29,2 | 07,5 | 28,2 0, 111% 10, 22 59,7 | 29,1 | 06,9 | 28,2 0, 1136 10, 26 57,2 | 29,3 | 10,5 | 28,0 0, 1013 10, 30 57,9 | 29,3 | 756,37 | 79 08,8 | 28,1 | 715,68 | 59 | 0, 1037 2 87, 57, 60,8 | 28,1 | 755,43 | 77| 92, 08, 08,2 | 26,5 | 715,40 | 55 | 0,0982 2 o 64,1 | 28,1 | 06,7 | 26,9 0, 0938 2, 30 58,6.| 27,1 04,8 | 27,6 0, 1116 2035 60,3 | 27,2 05,5 | 27,3 0, 1059 3 55,8 | 26,7 | 755,81 | SI 00,8 | 27,2 \ 0, 1280 3985 58,,8 |126, 8 00,0 | 27,5 | 0, 1227 3, 30 55,0. | 27,1 03,2 | 25,9 0, 1241 3, 45 7,6 | 26,8 | 05,5 | 25,7 | | 0, 1124 4 56,5 | 26,9 09, 6 | 96,9 | 0, 1052 4, 15 56,8 | 27,2 | 755,78 06,6 | 25,1 0, 1116 4, 30 52,0 | 26,9 | 03,3. | 24,6 0, 1313 4, 45 56,7 | 26,4 | 03,4 | 24,6 0, 1196 5 53,7 | 26,5 | 04,5 | 25,0 0, 1241 5, 15 57,1 | 26,6 | 00,6 | 25,7 | 0, 1253 5, 30 54,4 | 26,7 | 756,17 |93 | 03,5 | 24,4 | 717,16 | 71 | 0,1248 | Acclimazione 18. Luglio Capo-Gallo o) 7, | | CAIANO v 9, 15 | 87, 57, 59,0 | 27,2) 757,64; 84 | 92, 08, 05,3 | 24,2 | 718,19 74/0, 1094 9, 30 56,0.| 27,7 | 09,2 | 25,1 0, 1071 9, 45 64,0 | 27,8 06,4. | 24,7 | | 0, 0944 10 60,5 | 27,8 | 757,69 | 84] 07,8 | 25,9 | | 0, 0994 10, 15 64,2 | 27,6 | 06,7 | 25,9 | | 0,0936 10, 30 59,2 | 27,9 | 757,69 | 84 06,9 | 26,1 | 718,97 | 76 | 0, 1049 Acclimazione 19 Luglio Capo-Gallo Ora Za t, bj i Za t by i) (0) , rr \ (0) I 7, 30. | 87, 57, 56,5 | 26,6 | 758,07 | 86 ||:92, 08/006 | 25,0 | 718,03 | 62 7, 45 57,6 | 26,2 | 05,3 | 24,5 9 54,1 | 26,4 | 758,15 | 88 05,1 | 23,1 | 718,00 | 64 9, 15 57,2 | 26,8 03,4 |/23,1 9, 30 61,4 | 27,0 04,8 | 23,6 9, 45 61,7 | 27,6 | Tal 00351 9, 54 64,6 | 27,4 09,0 | 24,0 10 63,6 | 27,9 07,3 | 24,4 10, 15 60,2 | 28,1 | 05,8 | 25,0 10, 30 60,1 | 28,2 | 757,84 | 84 01,7 | 26,0 | 717,92 | 62 2, 15 | 87, 57, 60,8| 26,2| 757,87 | 8792, 08, 02,0 | 25,1 | 717,80 | 82 2, 30 58,2 | 26,0] | 04.8 | 24,1 2, 45 60,8 | 26,6 09,2 | 25,0 3 57,2 | 26,0 11,5 | 24,7 3, 15 57,0 | 26,3 | 757,83 | 86| 09,8 | 24,6 3, 30 59,9 | 26,1 08,5 | 24,2 3, 45 56,9 | 26,3 10,0 | 23,6 4 56,1 | 26,2 | 12,5 | 24,2 4, 15 55,8 | 26,1 13,3 23,4 4, 25 56,9 | 25,9 | 757,58 | 861 08,5 | 23,3 4, 30 57,7 | 25,9 09,1 | 23,2 4,45 58,3 | 26,0 | 07,6 | 22,9 4, 53 57,8 | 26,0 | 08,8 | 22,6 5 56,7 | 25,8 09,5 | 22,7 5, 15 55,1 | 25,8 05,6 | 22,0 5, 30 57,3 | 25,6 | 757,48 | 86 04,5 | 22,5 | 719,39 | 82 Acclimazione 20 Luglio Capo-Gallo 7, 15 | 87 57/5501 | 26,8] 757,52 65 | 92. 08 10/9 | 22,6 | 718,37 | 66 7,30 58,6 | 28,0 | 08,5! 23,5 7, 45 61,9 | 29,0 | 09,0 | 23,4 8 58,6 | 28,7 I 13.0 | 24,3 8, 15 59,0 | 28,8 65 | 07,3 | 24,2 8, 30 56,4 | 29,2 | 07,5 | 24,8 8, 97 55,0 | 28,1 08,9 | 24,9 8, 45 57,5 | 28;2 09,3 | 24,9 8, 55 57,4 28,6 06,2 | 25,1 9 58,6 | 28,6.| 757,24 | 61 11,2 | 25,0 PRIME RICERCHE n 0, 1268 0, 1128 0, 1217 0, 1184 0, 1049 0, 0852 0, 0872 0, 0937 0, 1054 0, 1155 0, 1131 0, 1126 0, 0958 0, 0999 0, 1035 0, 0996 0, 1032 0, 0992 0, 0980 0, 1068 0, 1035 0, 1056 0, 1040 0, 1049 0, 1182 0, 1155 0, 1054 0, 1028 0, 0936 0, 0920 0, 1047 0, 1104 0, 1104 0, 1035 0, 1112 0, 0963 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 29 Acclimazione 20 Luglio Capo-Gallo Ora Zi ROIO I | Zo (iste IRIS Loc | FAN e —, MRS RO, SATIN PD IO, o i DIA | o , tr | OMO STATA DIAZ N24 | 92,08; 120 |.25;4 | | 0, 0965 So) 58,4 | 28,2 | 06,3 | 25,9 0, 1085 dAeO 60,8 | 28,2 | 05,1 | 26,2 | 0, 1056 9, 39 59,5 | 28,1 | 07,5 | 26,4 | 0, 1030 0, 40 62,84 27,8 09,1 | 26,5 0,0912 9,090 59,7 27,5 08,0 | 26,1 0, 1013 10 66, 1| 27,9 | 757,29.) 68 IRON N2688 0, 0788 10, 15 63,1 | 28,1 08,0 | 26,9 0, 0932 10, 20 60,4 | 27,9 08,6 | 27,5 0, 0982 10, 3 64,7 | 28,0 14,2 | 27,5 0, 0744 10, 55 60,7 | 28,0 | 758, 21 | 60 08,2 | 27,5 | 717,80 | 38 | 0,0985 2 56,4 | 28,8 | 756,04 | 61 10,9 | 28,2 | 716,04 | 42 | 0, 1019 19 61,7 | 28,0 09,2 | 27,9 0, 0931 2, 30 59,9 | 27,7 04,7 | 28,2 0, 1085 2, 45 59,8 | 28,0 07,4 | 27,5 0, 1022 3 57,4 | 27,7 | 755,70 | 56 06, 1 | 28,2 0, 1112 3; 15 57,1 | 28,0 072010) 627474 0, 1095 3, 30 56,9 | 28,1 | 09,7 |. 27,6 0, 1086 3,45 56,2 | 27,5 | 756,65 | 65 11,4 | 27,3 | 717,83 | 48 | 0,1012 Acclimazione 2 Giugno 1892 Capo-Gallo (o) TGR) ) pLE, 3 DI = ; 2 87, 57; 6107 | 25,3 | 755,19 | 86 || 92, 08, 08,5 | 23,2 | 716,2 | 82 | 0,0949 2, 30 59,2 | 26,1 08,5 | 25,0 0, 1011 DIIDI 56,9 | 26,2 07:77 (24,2 0, 1105 2, 45 59,8 | 26,5 LO070 A2A9] 0, 0892 3 52,0 | 26,7 09,7 | 24,2 0, 1157 3, 15 56,8 | 26,8 05, 1.| 25,3 0, 1152 4 59,1 | 26,0 | 14,2 | 22,9 0, 0873 4, 10 SAVI GZ0%9, 10;5.| 23,7 | 0, 0994 4, 20 59,6 | 25,8 07,7 | 23,5 0, 1021 4, 30 56,0 | 25,6 | 754,72 | 58 08,4] 22,4 | 715,8 | 890,110 24 PRIME RICERCHE Acclimazione 27 Giugno Capo-Gallo Zi ù bi li I Za LO Da lo n 87, 57. 58/6 | 26,6 | 755,26 | 62 | 92, 08/ 12/6 | 22,3 | 716,0 | 86 | 0,0924 60,5 | 26,7 07,9 | 22,2 0, 0994 60,0 | 27,0 | 10,1 | 22,2 0, 0952 56,7 | 27,7 12,6 | 22,1 0, 0969 60,8 | 27,6 | 05,6 | 23,3 0, 1042 60,0 | 27,5 | 10,6 | 22,6 0, 0939 62,7|27,4|755;71|60| 05,5 | 22,8 0, 0999 60,9 | 27,5 | 07,6 | 23,3 0, 0992 59,1 | 27,6 | 06,9 | 23,8 0, 1052 59,4 | 27,4 a 09,4 | 23,7 0, 0984 62,5 | 27,3 | 12,4 | 23,3 0, 0834 64,8 | 27,1 12;7 | 23,8 0, 0770 65,3 | 26,8 10,1 | 23,9 0, 0832 64,9 | 26,6 | 755,79 | 52 11,0 | 23,5 | 716,8 | 85 | 0,0809 Acclimazione 27 Ottobre Capo-Gallo 87, 57/ 58/0 | 22,6 | 754,39 | 46 || 02; 08/058 | 17,6 | 714,42 | 72 | 0,1105 60,9 | 22,7 07,0 | 17,8 0, 1006 56,4 | 22,7 09,7 | 18,1 0, 1050 57,2 | 22,6 06,9 | 17,6 0, 1098 58,1 | 22,2 07,3| 17,4|° 0, 1066 54,1 | 21,9 07,9 | 17,6 | 0, 1149 56,9 | 21,9 08,8 | 17,3 0, 1059 60,8 | 21,8 | 05,0 | 17,6 0, 1056 58,1 | 21,9 09,5 | 17,6 0, 1013 56,5 | 21,9 05,2 | 17,8 0, 1157 58,3 | 21,9 07,9 | 17,5 0, 1047 60,7 | 21,9 08, 1 | 17,5 0, 0984 60,5 | 22,0 | 08, 4 | 17,5 0, 0982 59,4 | 22,3 | 05,5. | 17,7 0, 1078 57,1} 22,0 | 07,1| 17,6. 0, 1095 12 58,9 | 22,0 | 753,45 | Bi 10,5 | 17,7 | 713,56 | 83 | 0,0970 87, 57, 59,3 | 21,7 | 752,68 | 66 | 92, 08, 08,1 | 17,0 | 713,09 | 91 | 0,1017 îL 55,8 | 21,8 | 04,8 | 17,1 0, 1183 2 58,0 | 21,7 04,7 | 17,0 0, 1132 2, 57,1 | 21,7 I 08,7 | 17,2 0, 1057 2, 57,9 | 21,6 | | 05,2 | 17,1 0, 1122 2, 55,3 | 21,6) 751,75|71 10,9.| 17,1| 712,10 | 93 | 0,1046 I __tò10mqpmà4.—.4ù_04040_0mouwo0oeo____1e[( _'_ _'.— SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 29 RIEPILOGO TT - Facendo le medie, periodo per periodo, dei valori trovati per », ab- biamo : 1891, 17 luglio mattina : n = 0. 1088 peso = 14 » » » sera 0. 1158 15 > albo mattina 0. 1015 6 SO no mattina O. 1068 10 » » » sera 0. 1051 16 di 0 mattina 0. 0990 21 » » » sera 0. 1040 lo » 27 ottobre mattina 0. 1057 16 » » » sera 0. 1093 6 1892, 26 giugno mattina O. 1026 10 DEE AZ mattina 0. 0955 14 Di qui si possono dedurre, tenendo contò dei pesi, i valori dei coef- ficienti per stagione e per anno, e il coefficiente medio generale. Ab- biamo : Coefficiente estivo 1891 n= 0. 1059 » autunnale » » = 0. 1067 » estivo 1892 n» = 0. 0973 epperò : Coefficiente medio generale 2, = 0. 1045 + 0. 0017 Facciamo, ora, alcune osservazioni. Dalle tavole precedenti si scorge 3 2 Ò to) prima di tutto, quanto sieno concordanti i singoli valori di n : i due valori estremi, che si presentano in via affatto eccezionale sono n= 0. 0744 il 20 luglio 1891 ore 10, 30" ant. n= 0. 13153 » 17 » » » 4,50 pom. 26 PRIME RICERCHE e questi, come estremi, non si posson dire molto lontani. Questi risul- tati, mostrano quanto sia vero che per avere un 2 costante si debban prendere due stazioni non molto lontane. Il Pucci nel lavoro citato , tiene fra due punti, due coefficienti di- versi : uno per stazione. La sua formula è : n = 0. 0876 + 0. 0000019 s — 0. 000023 h ove s è la distanza fra le due stazioni ed % 1’ altezza assoluta di una di esse. Applicando questa formula al caso nostro , sarà s = 12609 ; e siccome l’altezza assoluta di Acclimazione è di circa 72" , sarà quella di Capo Gallo 532%; e i due coefficienti sarebbero : da Acclimazione 2 = 0, 1111 da Capo-Gallo 7 = 0, 1006 e la media di essi : n= 0. 1058 valore che concorda mirabilmente col nostro. Nel rapporto De Stefanis, invece, è assegnato per 2 un valore di 0, 12, cioè alquanto maggiore del precedente : ma, comunque, sta il fatto sin- golare che dalle prove sinora effettuate in Italia, il coefficiente di ri- frazione è più piccolo che negli altri paesi d'Europa continentale. SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA PARTE III. Coefficiente dedotto da osservazioni marine. Come si è detto nell’Imtroduzione, la stazione scelta per queste altre ricerche fu la specola geodetica dell’Università, alla Martorana. Si co- minciò a trovarne l’altezza sullo zero del mareografo nel modo seguente. < La livellazione di precisione della città è riferita, come caposaldo, all’idrometro del molo, ed esistono in molte vie e piazze, delle: placche altimetriche. Noi ci riferimmo a quella di piazza Bellini che segna 15", 269; e partendo da questa, con un livello Egault, il 6 dicembre 1890, si venne, di battuta in battuta, sino al piede della torre di detta specola :' e l’al- tezza della torre sino alla faccia superiore del pilastrino fu misurata direttamente dall’esterno. Recatici poi all’idrometro del molo (caposaldo della livellazione urbana) che pesca in mare, misurammo l'altezza ‘dello zero di detto idrometro dal pelo dell’ acqua notando il tempo ; e con questo, dalle curve mareografiche si ebbe nello stesso istante, l'altezza sul pelo dell’acqua dello zero del mareografo. Così si potè avere l’al- tezza del pilastrino di stazione sullo zero del mareografo. Ecco il riepilogo delle diverse misure, ripetute ciascuna due volte : Altezza della faccia superiore del pilastro sul suolo esterno della COCO O E IT OLAA IIO II IIO, Altezza del suolo della torre sulla placca di piazza Bellini.» — 2,357 Altezza della placca sullo zero dell’idrometro del molo.» 15,269 Altezza dello zero idrometro molo sullo zero del mareografo » 1,520 Altezza della faccia superiore del pilastro Martorana su ZEROMIAAICOSE NONA IAN EPSO OSO ONTO EN O ATO La formula che da il coefficiente 2, se si pone m = 1 — , e si dice 2, la zenitale dell’orizonte marino, £ il raggio terrestre, 4 l'altezza della stazione sul livello attuale del mare, è, com'è noto : la) um -) =ESCHIzA pur& Ma si può scrivere : > m h\ h SN = 1+5) EMMETT (>) ( f f LO (| PRIME RICERCHE ari . h SOT : e quindi, trascurando le potenze di — superiori. alla prima, e po- n nendo 2, = 90°+.x : h 1 persi asia È 2 da cui : 1-27 Sk en? i 1 n = = SER h 2 (1) Ora, nel caso nostro, log s = 6. 80519 ed x è un angolo di circa 12 minuti; quindi si può porre 1 SIN] 1 Si log sen a=logx Prendendo i logaritmi dell’espressione di nm ed adoperando questi va- lori si ha: log m = colog A + 2 1og a” + 5. 87581 formula comodissima al calcolo. Quanto al valore di A, per ogni istante, si ha subito, poichè lo zero del mareografo è sempre sotto il livello del mare : h= 36% 90 + altezza istrom. — quota mareografica Siccome poi gli istromenti adoperati furono il Salmoiraghi e lo Starke 559, alti rispettivamente 0", 46 e 0", 81, si ebbe : Per Salmoiraghi h= 31%, 36 — quota mareografica Per’ Starke 339 h= 371", 21 — quota mareografica. La quota mareografica, infine, st deduceva dalle curve mareografiche, notando il tempo di ogni zenitale. Per tal modo, si aveva ad ogni istante 1’ altezza della stazione sul livello attuale del mare; poichè, sebbene nulla si sappia circa lo stabi- limento del porto, pure è a credersi che sia insensibile nel caso nostro, vuoi per la poca distanza del nostro orizonte, vuoi per la costituzione della nostra spiaggia, larga ed aperta. È necessario portare, come abbiamo portato, molta cura nella deter- SUL COEFFICIENTE DI RIPRAZIONE IN SICILIA 29 minazione di 4; poichè m, astrazion fatta dalle cause meteoriche , di- pende sopratutto dal valore di %, poi in minor misura da x e pochis- simo infine da g. Poichè in fatti, differenziando totalmente la (1) ab- biamo : 2A p 2 2 1 1 o Am= == sen* —x—- 3 SS3s Te e 4 6 A 5 i Si Ora |Alt.| Ora |Alt Agosto 1891 Di i È Ri; Ti 7 3 4, 5| Venturi (90,11,34,70,15\t= 27, 8| 2,30 p.(0,12| 8,30 p.(0,40|694,737,21(0,0267 4,10 35,6(0,15 oa 695,6137,21|0,0242 4,15 32,90,16 692,9|37,20/0,0315 4,20 37,00.16 697,0|37,20 0,0200 4,25 36,4|0,17 696,4|37,19/0,0214 5 4,45 9,54,0/0,13#= 30, 1| 3,30p.(0,11/10, p.|0,45|594,037,23:0,2888 b=755,50 4,55 65,5(0,15 605,5|37,21/0,2606 5, D 63,3/0,15 603,3/37,21|0,2660 5,10 59,4/0,15 599,4|37,21|0,2754 5,15 49,0/0,16 589,0|37,20/0,3002 5,20 52,60,16 592,6|37,20/0,2916 5,30 53,1|0,18 593,1|37,18/0,2900 6 3,15 10,55,1|0,12 3,45 p.(0,12|10,30 p.(0,44/655,1|37,24(0,1352 3,20 51,6/0,12 651,6|37,24/0,1444 3,30 i 54,4/0)12 654,4/37,24/0,1371 4,20 55,5|0,12 655,5)37,24/0,1342 4,30 53,90,13 653,9|37,230,1381 4,45 11,14,1)0,10#= 26, 7| 4,30p.|0,10|11 p.{0;38|674,1|37,26/0,0848 4,50 26,6/0,10|p=759,27 686,6|37,26/0,0506 4,55 10,50,10 670,5)37,26/0,0946 5 10,5|0,10 670,5/37,26/0,0946 8 5,30 11,20,610,07|#= 27, 0| 4,30 p.|0,06|11,15 p.|0,33|680,6|37,29;0,0678 5,40 18,0;0,07/b=759,80 678,0/37,29/0,0749 10 3,10 11,19,00,20= 27, 5| 6 p.(0,13|12,45 p.|0,34679,0/37,16/0,0690 3;15 16,210,18\b=758,33 676,2/37,1810,0771 22,7(0,18 632,7(37,18,0,0593 21,20,18 681,2/37,18'0,0634 17,00,13 677,0|37,23,0,0766 19,0(0,13 679,0|37,23/0,0707 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 535 | $ E E EEE 3 |Dlarca bassa | Marea alta Dara Ora| Oss. 5 > 5 S333 Sei n 5 A Ss Si "8 Ora |Alt.| Ora Alt. Agosto 1891 A o m m 10 5,15|Venturi [90,11,1400,13)9=758,33| 6 p.(0,13|12,45 p.(0,34|674,0|37,23(0,0843 ll 5,10 11,12,0|0,20t= 27, 4) 6,15p.(0,17| 1,15 p.0,33|672,0/37,16/0,0881 5,20 11,4/0,19|p=757,79 671,4|37,17|0,0899 -12 4,30 11,10,2/0,21|#= 26, 0] 8° p.(0,18| 2 p.(0,29/670,2|37,15/0,0927 4,40 12,2/0,21|b=759,00 | 672,2|37,15|0,0873 4,45 11,8/0,21 671,8|37,15/0,0883 4,50 9,0/0,21 | 669,0137,15/0,0959 4,55 10,0(0,21 670,0/37,15|0,0932 5 10,6/0,20 670,6/37,16/0,0919 TRN (50 11,11,9\0,26t= 27, 2| 9,80p.(0,17| 3,15 p.(0,27|671,9|37,10/0,0869 5,15 14,5/0,26|b=761,25 674,5/37,10/0,0798 5,20 17,4/0,26 677,4|37,10|0,0718 5,25 13,0(0,25 673,0|37,11|0,0841 14 5,20 11,13,8/0,264= 26, 0|10,45 p.0,16| 5 p.|0,26673,8(37,10/0,0817 5,30 14,5/0,26|b=760,70 674,5|37,10|0,0798 5,35] 10,1/0,26 670,1|37,10/0,0917 5,40 13,6/0,25 673,6|37,11/0,0825 15 4,30 11,17,9/0,29#= 27, 0|11,45p.(0,17| 5,45 p.|0,31|677,9|37,07/0,0697 4,35 15,5(0,29\b=760,42 675,5|37,07/0,0763 4,40 15,6(0,29 675,6|37,07(0,0760 4,45 13,1|0,29 673,1|37,07/0,0828 4,50 12,8/0,29 679,8)37,07(0,0836 4,55 13,0|0,29 673,0|37,07(0,0831 5 15,3/0,30 675,3/37,06|0,0765 17 4,20 11,15,40,30|4= 27, 5| 1,15 p.(0,15| 7,15 p.[0,43|675,4|37,06/0,0763 4,35 12,710,30\b=758,33 672,7|37,06/0,0837 4,15 9,9/0,32 669,9|37,04|0,0908 5) 11,6/0,93 671,6/37,03|0,0859 5, D 9,9:0,35 668,9|37,01}0,0928 I I o DATA (ASI) (AN) Agosto 1891 17 18 5, 19 | 20 6) 2 bj 21 5 2 Oss. Venturi Soler Venturi PRIME RICERCHE | Quota mar. 8 2 2 (96) DO Line Ve) 0,32 42,8 40,50,35 | | 10,58,5/0,23| || Ì 52,8/0,25 30,5(0,27 49,4(0,28 0,30 0,31 49,5| 58,4 51,3/0,33 10,37,9/0,12 31,3|0,12 {0,12 ,3/0,13 ,7,0,13 ,3/0,13 Ì 170,10 01,5(0,11 00,6/0,12 Ì 10,59,4/0,13 | 10,40,710,17#= 28, | 39,7/0,17 10,33) ,5)0,14) ,3.0,10) dementi neteon. Condizioni io) b=757,39 t= 29,9 b=759,08 {A9) b=754,94 i 29, 4|2. - 3,45 È Larea bassa Alt. ,50 p.|0,1 (0,12 Marea alta Ora | 0,16)11 9,30 p. | | | 0,50 0,08|10,15 p.10,53 47/662,1 1671,7| 137,09) 0,1131 0137, 05), 1416 5, 37,04 0,1552 36,98 9, 084 37,070,1259 63708 0,1558 642,8/37,03 652,8 37,11 649,4| 649,5/37,06 DE 637,9137,24 631 aerei 635,1/37,24 1646,7137,23 | 1663,3| 660,6| (659,41 (640,7/37,19 639,7/37,19 '640,5137,01 (0 ORTO 1658,5/37,13 650,5137,09 37,08! 658,4/37,051 37,03] | 631,3/37,23| 644,3(37,23 ‘63693722. 661,7/87,261 37,261 \661,5/37,25| 37,24 37.23! 0,1632 0,1832 0,1182 0,1139 0,1185 0,1206 0,1236 eli Orsa SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 35 Quota mar. Marea bassa | Marea alta Dara Ora| Oss. ctr | — | X h ora |alt.| Ora |Alt. Elementi ZENITALE Agosto 1891 um O) | m 22 4,45| Venturi 90, 1Ù, 45,9 0,17/b=754,94| 4. p.\0,16]11 p.(0,57 645. 5937, 19/0,1582 4,50 43,3|0,17 | 643,3)37,19/0, cuni 5 43,90,18 | |643,9|37,180,1632 È 5,10 42,8|0,19 (642,8 8137170, 1657 24 4,35 11,09,9/0,16/f= 24, 7) 6. p..0,14|12,30 p.(0,50|669,9/37,20/0,0947 445) 06,8/0,16|b=759,95 666,8/37,20/0,1031 4,50 11,20,16 | 671,2/37,20/0,0912 5 09,2/0,17 669,2/37,19(0,0963 25 4 11,16,2(0,26|t= 26, 6| 6,15 p.\0,20|12,30 p.{0,42/676,2/37,10|0,0751 4,10 13,1|0,26]5=762,02 673,1(37,10/0,0836 4,15 14,5|0,26 674,5|37,10/0,0798 4,20 13,6|0,25 ‘673,6/37,11(0,0825 % 9,45| Soler | 11,23,000,224= 27, 8| 7,30 a.(0,18] 2,30 p.|0,38|683,0|37,14|0,0575 9,50 21,00,23/9=762,92 (681,0/37,13/0,0627 10 22.000,25 BR ‘682,0/37,11\0,0595 10,10 24,30,25 684,3/37,11(0,0531 10,15 23,2/0,25 683,2/37,11/0,0561 10,20 22,3/0,25 682,3/37,11|0,0586 10,30 25,6/0,26 685,6/37,10/0,0492 27 5 |Venturi| 11,15,80,36/#= 26, 7|10 a.(0,23| 3,15 p.[0,38|675,8/37,00/0,0737 5,10 11,2|0,36|0—=759,22 ‘671,2/37,00|0,0863 5,15 16,4(0,35 ‘676,4/37,01|0,0723 5,20 17,1(0,34 ‘677,1/37,02/0,0707 28 a. |940| Soler | 11,1950,24t= 28, 0/10,30.(0,22| 5 p.(0,37(679,5|37,12/0,0666 9,45 21,3/0,24|v=761,17 684,3/37,12/0,0533 9,50 18,40,24 1678,4137,12(0,0696 9,55 22,5/0,24 | 682,537,12/0,0583 10 |- 25,1/0,24 ‘685,1/37,13/0,0514 10,10 11,20,7|0,23 680,7(37,13/0,0635 II I I TT — ———————— mE ‘PRIME RICERCHE DATA Agosto 1891 28 p. 29 a. 298p. Settembre 1891 da. Oss. Venturi Soler Venturi Soler DISTANZA ZENITALE 5 | Quota mar. 11,30,9 31,3 26,6 26,8 27,8 32,6 11,123 11,142 20,8 BA PIBSA siti = TE (0) = 270 b=760,17 ti=R28:08, b=759,96 i=B2088 b=759,24 W=0 2905 b=758,88 = b=761,02 Marea bassa| Marea alta —_— | - —-— Alt. Ora m 10,30 a.|0,22 11,302. 1,15 p.j0,19 .(0,16 Ora O. p. 0,20| 6,30 p. SI 9 Alt. m 0,37 0,40 .|0,88 .|0,43 h x 639/6|36,99 658,9|36,99 661,4|36,99 36,99 36,99 662,5 662,4 661,2|36,99 690,9/37,13 691,3|37,13 686,6]; 686,8/37,14 7,14 687,837,15 692,6|37,16 672,3|36,99 672,2/36,99 75,8|36,98 675,0 670,3 36,93 36,98 673,2|30,97 674,2/37,06 680,6/37,06 675.4/37,06 674,0|37,07 6722 12,6 37,09 680,7|36,96 36,98! 36,99! 2,7|37,00 n 0,1173 0,1192 0,1125 0,1096 0,1098 0,1131 0,0352 0,0341 0,0475 0,0469 0,0444 0,0291 0,0830 0,0833 0,0732 0,0754 0,0881 0,0801 0,0796 0,0615 0,0763 0,0804 0,0858 0,0592 0,0644 0,0575 0,0547 0,0497 2/0,0684 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 57 N È E so) EE Marea bassa| Marea alta OrA| Oss. 4 È E ERRE | << ni Sin s È È si RE ora lar6| ora {Aut Settembre 1891 DIA © n m 3 p. 4,15|Venturi |90,11,17,7|0,19|t= 26, 7| 3 p.[0,16| 9 a.(0,43|677,7(37,170,0727 4,35 16,0|0,19/b=760,40 676,0|37,17|0,0774 4,40 17,4|0,19 677,4|37,17|0,0753 ; 4,45 19,90,20 679,9/37,16/0,0665 4,47 18,80,21 È 678,8/37,15/0,0693 4,50 17,5/0,23 677,5/37,13/0,0723 5 9,35| Soler | 11,30,3|0,41|t= 30, 4| 4,30p.(0,14|10,15 a.|0,42\690,336,95|0,0322 9,45 36,1|0,41|b=761,05 696,1|36,95|0,0159) 9,55 38,90,41 698,9!36,95|0,0080 |10 28,1(0,43 688,1|36,93|0,0379 10,10 36,5/0,42 697,5/36,94/0,0117 5 -|4,20|Venturi| 11,11,00,14t#= 27,0 671,0]37,22|0,0922 4,90 10,30, 14/b=759,62 670,3|37,22|0,0941 4,35 11,6/0,15 671,6|37,21/0,0904 4,40 10,6/0,15 670,6|37,21}0,0931 4,45 10,6/0,15 670,6|37,21/0,0931 4,50 10,3/0,16 670,3|37,20|0,0934 7 3.0 i 10,11,4/0,26#= 30, 4| 5. p.(0,21/11,30a./0,43 611,4|37,10|0,2439 3,15 15,9|0,26/b=759,15 I 615,9|37,10 |0,2327 3,20 19,4/0,25 619,4|37,11 [0,2242 3,20 20,1|0,25 __ |620,1|37,11|0,2224 3,30 21,6|0,25 621,6/37,11(0,2187 3,35 20,2/0,24 620,2|37,12/0,2224 8 10 | Soler | 10,52,20,37/6= 32, 4| 5,45 p.(0,21|11,45.a/0,40(652,2/36,990,1371 10, 5 53,3|0,37\b=761,40 653,3/36,99/0,1341 10,10 55,9|0,37 655,9|36,99/0,1272 10,15 58,0|0,38 658,0|36,98'0,1214 10,20 62,0/0,38 662,0|36,98/0,1107 10,25 55,4|0,38 655,4 36,98/0,1283 10 Settembre 1891 Ò 10 10 PRIME RICERCHE S È s È 5 . | Larea bassa | Marea alta Ora| Oss sE |s| #55|/—_- ie ii im £ s z = 35 ora Alt.| Ora j;Alt. 10,30| Soler [90,16,49,8/0,39/p-=761,40| 5,45 p.|0,21|11,45 p.|0,40|649,8|36,97/0,1429 4,10 Venturi| 11,01,3/0,22#= 30, 1 661,3/37,14/0,1164 4,20 04,0|0,22/5=760,03 664,0137,14/0,1091 4,40 11,10,0/0,25\#= 27, 3| 6,15 p.\0,23|12,30 p.(0,38|670,0|37,11(0,0923 455) 07,1|0,25|5=760,28 667,1(37,11/0,1001 5 09,9/0,25 669,937,11/0,0925; 5,10 12,2/0,24 672,2/37,120,0865 10, 0) Soler | 11,04,6/0,27#= 29, 8| 7 p.[0,25| 1,30p./0,35|664,637,09/0,1063 10,10 03,5/0,27|b—=761,42 663,5|37,09(0,1093 10,15 02,9/0,28 662,9|37,08/0,1107 10,20 03,70,28 663,7|37,08/0,1085 10,25 06,4|0,29 666,4|37,07/0,1010 10,30 08,1|0,30 668,1|37,06(0,0962 4,30|Venturi| 11,06,7(0,28#= 26, 7 666,7|37,080,1004 4,35| 04,1]0,28\9=760,85 664,1|37,080,1075 4,40 05,9/0,28 665,9/37,08 0,1026 4,45 02,4(0,28 662.437,08 0,1120 4,50 06,3|0,28| 666,3137,08/0,1015 4,55) 02,610,27 662,6137,09(0,1117 4,30] 11,04,5(0,30/f= 26, 8} 9,30p.(0,23] 3 p.|0,33/664,537,06/0,1059 450) 03,6\0,30\p=761,29 663,6137,06/0,1083 5 | 05,2/0,30) 665,237,06/0,1040 5,10] 03,5|0,29| 663,5/37,07|0,1088 045 Soler 11,18,2/0,19\#= 28, 4| 9,30 p./0,19| 4,15 p.|0,31|678,2/37;170,0714 9,50| 19,2/0,19\p=762,00 679,2/37,17/0,0686 9,55) 15,3/0,19| 675,3/37,17/0,0793 110 | 14,8/0,19) |674,8/37,17/0,0806 | 3,15|Venturi|11,15,110,3 = 27, 8] (675.1 ‘37,06/0,0771 | 3,201 17G/0R0070118 (677,6 37,06 0.0724 T_T... er ___°_0 o __o_o _t_ _ __— ————— Ep Ùp Settembre 1891 1 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA Oss. DISTANZA ZENITALE 5|Venturi 90,11,19/4 14,9 19,2 12,9 Soler | 11,290 22,8 26,4 11,28,4 29,4 5|Venturi| 11,19,8 14,7 13,3 12,3 10,40,8 43,5 38,4 39,2 Soler 11,13,8 13,0 Venturi | 11,23,1|0 Soler 11,20,9 Elementi meteor. Condizioni atm. 67214 674,9 682,8 686,4|: 688,6 O44l&E= 26, 2 d|680,9 7|0,43\b=760,22 39 37,06|0,0845 37,06|0,0777 2/37,06|0,0850 9|37,05|0,0829 689,0|37,16\0,0391 37,17/0,0566 7,17|0,0487 37,18/0,0429 4(37,18|0,0435 4|37,19/0,0410 679,8/37,04|0,0638 674,7|37,04|0,0777 673,3|37,03|0,0813 2/37,02/0,0814 5|37,02|0,0833 3 37,01|0,0835 8|37,08/0,1690 36,91 |0,0769| )|36,93/0,0796 36,95/0,0935 3/36,96|0,0741 136,97|0,0749 8|0,0582 678,9/37,19|0,0700 136,92/0,0577 ì DI Si DI — 36,93/0,0640 il 40 DATA Settembre 1891 LO £ (2°) a°) doo do 26 10,10 10,15 10,30 10,35 10,40 4,30 10 10, 5 10,10 Soler Venturi Soler Venturi Soler Venturi Soler Venturi Soler PRIME RICERCHE ZENITALE DISTANZA 90,11,185 20,2 14,4 11,08,4 07,5 10,542 42,6 33,4 11,10,8 11,149 11,145 07,8 10,2 11,6 12,7(0 15,1 11,137 12,6 10,08,2 5 | Quota mar. 0,42 0,42 0,41 0,10 0,10 0,39 3/0,39 0,39 2[0,40 0,41 0,25 0,25 0,25 0,24 0,31 110,32 0,32 0,33 0,33 0,32 0,18 0,18 0,18 0,18 ue p FICO SENI ose AS ie) (e) b=760,22 SZ b=757,59 AVA b=761,88 b=758,69 ==02388 b=758,68 t= 24,0 b=759,06 = W2070, b=764,59 QI b=764,12 t= 26,0 b=763,49 Marea bassa Ora 4,15 p. 9,30 p. 7,30 p. 12,30 p. .(0,10 0,20 0,24 .|0,19 2 0,13 Marea alta 1,50 p. lo,44 0,48 .(0,33 678/5|36,94 680,2|36,94 674,4|36,95 668,4|37,26 667,5|37,26 654,2/36,97 657,3|36,97 654,0|36,97 653,2|36,96 653,7|36,95 646,337,11 643,437,11 642,6/37,11 633,4/37,12 670,8/37,05 672,4137,04 674,8/37,04 672,1|37,03 671,5|37,03 674,9/37,04 674,5|37,18 667,837,18 670,2|37,18 671,6/37,18 672,7|37,18 675,1|37,19 673,7/37,04 672,6|37,03 37,19 n DATA Settembre 1891 28 28 Ottobre 1891 10 ORA 4,40 10,30 10,35 10,40 10,45 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE Oss. Soler 0 Venturi Soler Venturi IN S È E SIE atea bassa si ii 5 £ È È | Ora alt | | 90,10,11/4/0,16 p=763,49 12,30 p.(0,13 15,80,15 | | 20,1(0,14 11,26,7(0,23\6= 23, 3| 27,9|0,24\b=762,12| 27,310,25 | 32,8/0,26 | 11,35,10,24#= 24, 3 | 31,00,25|p=761,55 | 11,18,2:0,19#= 27, 8) 1,90 p.0,08 18,300,19/b=761,22 | 22,0 0,18 19,30,17 06,3|0,264= 23, 0 08,1(0,23\b=760,31 07,7|0,29 07,4|0,30 11,10,3/0,36/:= 23, 7| 9 p-0,28 14,1(0,34|b=757,49 11,00,8|0,43#= 23, 2|11,30 p.|0,30 03,2/0,43|b=759,87 01,80,44 10,54,1(0,33/4= 24, 1| 1 p.(0,20 52,90,35/0=759,77 53,4|0,37 11,05,2(0,30 1,45 p.(0,16 11,19,4(0,18/#= 23, 0) 2,30 p.(0,14 17,9)0,20|b=760,86 | 11,13,7(0,16/#= 22, 3| 3,45 p.0,14 b=761,05 SICILIA Marea alta | — — — I Ora Î Alt. il un Mi “p:0535 Î | (615, | 620, 686, 1687, (0,39 I .(0,56|665, .10,54|679, 0,47 673, 611,4(37,20| 687, 1692, (695, 691, 678,2| 678, 2,0|37,18 668, 667, 667, 670, 674, 660,8 663,2 | [661,8 654, 652, | |653, 677,9 ti 4l gl: 1|37,22! 7|37,13/0,0469 9|37,12/0,0434 9|37,11|0,0439 8/37,10/0,0291 1|37,12|0,0232 0)37,11|0,0345 | 37,17|0,0714 3/37,170,0711 0,0612 3|37,19/0 37,10)0,1006 1|37,08(0,0967 tI 10,0975 4|37,06(0,0981 3/37,00/0,0887 0,0789 1|37,02| 36,93/0 36,93/0,1061 36,92/0,1097 1|37,03/0,1320 37,05 37,01(0,1356 9 4/36,99 2/37,06/0 4|37,18/0,0684 37,1610,0720 37.20/0,0845 PRIME RICERCHE === FrGs Fur Dara mm __—r Ottobre 1891 20 wo iù Agosto 1892 9 10 15 | | \OrA.| | Oss. | | 4,30) Venturi Soler S 5 | E | z 5 (Marea bassa | Marca alta | SS ss — —_ |-—_---| s” | h n E S | ì | S55 | ora Alt Ora Alt | ‘90,116. 3; I7= 93, 2 430 p.(0.17\10,45p. 0,44/676,337,19 0,0771 15,80,17 n-r3085 | ‘675,837,19(0,0785 10,56,60,30.4= 22, 0) 6,30p. 0,27|12,30 p.(0.48/656,6/37,06.0,1270 | 652,3/37,06.0,1387 (8 p.(0,29|2 p. 0,45/661,8/36,970,1110 (9 p.085|3 p. 0,47|556,236,92/0,1248 10,46,3 0,50#= 25, 312,30 03 9353) 5,15 0,55/646,3 3 136, 60, 1496 144052 b=757,05) | lG44,4! ‘36,84 0,1541 11,25,8/0,17 b=2739,79) 3,30 p.(0,17) 9,40 p.(0,55/685,8 37,04 0,0471 242/0,178= 28, 0) ‘6842|37,040,0516 18,50,18] | | \678,5137,03/0,0670 21 1,8] | | 681,4/37,03/0,0591 22,10,19) | \682,7137,02/0,0552 3] 40,19 | ‘681,4/37,02/0,0588 11,05,8 80,18 ei 3,50 o 10,17 10,40 p.(0,55/665,837,03 0,1017 09,9.0,18#= 28, 33 | (669,937,03 0,0905; 11,0 ‘0, 19 | | 67108702 0,0873 06,2 ‘o, 19 | è I ‘666,2/37,02/0,1004 11,0,0,19 i | 1671,0 37,02/0,0873 08019 | | ‘668,8/37,02(0,0933 11,19,200, 21b=7 08,22) 5,50 a.0,23/12 m. 0,56/679,2/37,00/0,0643 178020/= 28, 2| 677,8/37,01(0,0675 11,14,6/0,30/0=750,07 6.202.10,23| 0,30 (0,53/674,6/36,91/0,0747 149028/4= 28, 2| | | 1674,9/36,93 0,0744 15,202) | \675,2/36,94/0,0738 13,5/0,261 | | | (673,536.95/0.0787 16,01025 | | | |676,036,960,0721 123035) | | | ior2 2/36,96/0,0823 11, JT20, 38 ssi 07 8, 8,15a./0,22| 1,302. au 677,2/36,83/0,0655 — 97 gl SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA 49 È | È & 23 . |Marea bassa | Marea alta anale Dana OrA| Oss. Si e | Se Tae] n È 3 È 33 IR oratO|ATA Work \AIL Agosto 1892 ip /27 AA o | m m 15 4,10) Soler |90,11,18,5/0,38/t= 27, 8| 8,15 a.10,22| 1,30ja. 10,45/678 5|36,83)0,0620 4,15 18,6/0,3S (MaI | 678,6|36,83|0.0617 4,20 12,6|0,37 Frei | |672,6[36,84l0,0785 È 4,50 16,1(0,37 | | 1676,1|36,84/0,0689) 4,35 12,50,37 [ig | 672,5/36,84/0,0809 16 4 11,18,0(0,39/b=758,98|10,40 a. 0,25] 4 p.0% 39|678,0/36,82/0,0631 4,15 14,2/0,39t= 28, 7 1674,2/36,82/0,0736 4,20) 12,6|0,39 | 572,6|36,82/0,0780 4,25 13,3|0,39 | | 3\36,82/0,0760 4,530 12,4|0,38 | | 36,83/0,0788 «4,40 09,0|0,38 | 669,036,83|0,0881 17 4 11,21,00,38\b=762,74|11 2.(0,19| 5,36 p.0,45|681,036,83/0,0550 4,10 22,9(0,38#= 28, 0 | 1682,936,53/0,0498 4,15 22,2/0,88 | \682,2|36,83/0,0517 4,20 24,3|0,99 | | ‘6843/36,820, ),0456 4,25 17,7/0,39 | 1677,7/36,S2(0,0639 19 4,15 11,13,210,36 b=757,15|12,40 p. (0,22 7,30 p.|0,52|673,2|36,85/0,0771 4,25 06,00;38|#= 31, 4 | 1666,0|36,33/0,0962 4,30 08,4/0,38 (668,4 36,83/0,0897 4,35 07,3|0,39 | | 667,3|36,82/0,0925 4,45 05,3|0,40 | | | |665,3/36,81/0,0976 4,50 07,8|0,40 |667,8/36,81|0,0908 20) 5,25 10,54,80,41|b=758,03) 1,40 p.(0,21| 8,10 p.| \0,53/654,8/36,80/0,1257 5,30 53,8|0,4lt= 30, 7 | 1653,8/36,0|0,1284 5,35 55,5/0,42 | | ‘5055/6,70/0,1250 5,40 56,5/0,42 | | |656,5/36,79/0,1209 5,45 56,7 (0,43 | | 1656,7|36,78\0,1201 I | 22 4 11,14,5|0,10|b=757,88| 2,40 p. 0,08] 9,24 p. 0,55 674,5/37,11/0,0800 4,5 15,600,10\f= 27, 9 | | (675,6|37,11(0,0770 PRIME RICERCHE DATA Agosto 1892 22 29 29 SB Ora| Oss. 5 È 5 È Sessi DE 05 p7 0 4,10) Soler |90,11,15,5|0,11|t= 27, 9 4,15 13,1/0,11 10,20 11,20,2|0,47|b=758,04 10,25 19,9\0,47|f= 29, 8 10,30 22,4|0,46 10,38 20,1|0,46 10,45 25,6|0,45 4,10 11,15,80,10|b=757,60 4,15 15,6|0,10#= 27, 3 4,20 11,0(0,10 4,25 17,6|0,11 4,30 16,3/0,11 4,35 18,7(0,11 4 11,09,5|0,12/b=761,90 4,10 09,10,12/f= 31, 6 4,15 07,90,11 4,20 09,5)0,11 4,25 07,4/0,11 4,30 05,9|0,12 3,45 11,27,5/0,32\b=760,37 3,90 29,8|0,32/t= 26, 6 4 25,6(0,31 4,5 28,8/0,30 4,10 29,5|0,29 4,20 27,9|0,28 4,20 11,17,9(0,38|9=760,12 4,25 18,3/0,38{#= 27, 0 4,30 17,2/0,87 4,35 17,2/0,37 Marca bassa e un Ora 2,40 p. 3,40 p. 4,30 p. 6,10p.i0 OA 0,10 Marea alta ll p: 0,24 p. 3,20 p. 0,50 0,48 0, 680,1 669,1 678,537,10 37,10 680,2|36,74 679,0|36,74 682,4|36,75 36,75 685,6 36,76 675,8|37,11 »|675,6|37,11 671,0137,11 677,6|37,10 678,7|37,10 669,5|37,09 37,09 667,9|37,10 669,5|37,10 667,4|37,10 669,9|37,09 687,5|36,89 689,9|36,89 685,6|36,90 688,8|36,91 682,5|36,92 687,9|36,93 77,9/36,83 678,3|36,83 677,2|36,84 677,2|36,84 n 0,0638 0,0836 0,0550 0,0558 0,0491 0,0554 0,0403 0,0764 0,0770 0,0895 0,0713 676,3|37,10/0,0748 0,0682 0,0929 0,0940 0,0977 0,0934 0,0990 0,0918 0,0385 0,0318) 0,0441 0,0352 00532; 0,0384 0,0636 10,0625 0,0667 0,0667 DALA Agosto 1892 Aa Settembre 1892 n 6 5 6 ORA 10,20 10,30 10,535 10,40 10,45 5,10 5,15 5,20 SUL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE IN SICILIA Oss. Soler DI RUE = SS SIRT SAS ORA, (0) 90,11,17,2|0,37\t= 27, 0 11,10,8/0,50\b=758,63 09,9/0,30#= 927, 5I 07,1 0,50 09),1|0,50 07,4|0,50) 11,12,7|0,56|b=759,19 07,3/0,36t= 26, 2 09,5|0,35| 09,6/0,95 17,1/0,54 11,21,70,54 b=759,01 18,9,0,544= 24, 8 14,6/0,55 17,3,0,35 11,13,5,0,120=759.41 13,810; 12#= 25,2 20,2)0,13 16,610,13 15,5/0,13 16,70,13 10,54,5|0,97)b=758,53 53,7/0,96/t= 24, 2 52,510,55 53,8/0,3 11,07,2/0,43\b=759,52 06,9/0,43|f= 24, 3 09,00,43 05,310,42 (Marea bassa | Marea alta | n, — -— | Ì Ora |Alt.| Ora l'art. | e e Ne ee | | m : |_m 8. p.10,25] 3,20 p.|0,40 1,40 p.\0,14| | Il | | | 2: 15'p.|0;17 | 8,40 p.(0,55 8,45 p.(0,55 | 3,30 p.(0,13| 9,25 p.10,53 | | | | Il 7. p.0,26/I2 m.[0,55 9 p.(0,26| 8,50 p.(0,43 il 1677,2|96,54 0,0667 | Il 670,836,91 10,0852 | | | | 669,9/36.91(0,0876 | (667,1 136.91 0,0952 | | | 1669,1(36,91 ‘ ),0898 | | (667,4|36,91|0,0944 36,85/0,0785 il - lop.onl 99 (667,5 36.85/0,0932 669,5136,86(0,0875 | 669,6 30,86) Ì 10,0668 0,0872 1677,1|36,87 681,7|36,87/0,0542 678,9 (0,0619 36,87 1674,6/36,86|0,0735 7,3|36,85/0,065S 5|37( )9:0,0820 37,09/0,0812 |(680,2|37,080,0637 37,08/0,0743 | 37,08:0,0765 | |676,3 675,5) ‘Eli DA 1676,7|37,08/0,0732 (654,5|36,84 0,1274 | |653,7|96,85/0,1298 5/36,86 0,1332 MII 653,8/36,87/0,1300 1667,2/36,78\0,0917 1666,9136,78 0,0926 | 669,0(36,780,0868 | 665,3(36,79/0,0971 PRIME RICERCHE DATA Settembre 1892! 14 20 | GR ES | 2 ZIE = [Marea bassa Ora; Oss. SA | —_____- sa E i E S | Ora (Alt. 4, 5| Soler (90,1{,0660-42\6= 24, 3| 9 _a.|0126| 3,50p.0,43/666/ 6% ,79/0,0936 4,15 05,9|0,42! | (Seal i 36,79/0,0955 4 1124,9(0,17|3=759,91| 2,40 p-0,15| 9,10 p./0,48/684,9|37 7040 0496 4,9 29.00, 17#= 25, 0 | | Ci 37 04 10,0382 \ 4,10 26,4(0,17 | | (686,437,04/0,0454 4,15 29,3/0,18 | | | | (589,337,08 00871 | 4,20 23,40,18 | | | (683,4|37,03/0,0535 4,25 18.610,18. | | | l673,61 37.03/0,0668 11,10 11,16,8/0,43|b=760,79| 4,25a.(0, 16/10,30 2 040768 36,78 so 0654 11,251 16.9/0,43|:= 26, 0| I9=l | 16769 36,78|0,0652 11,30| 18,1|0,42] | (678,1 36,79/0.0621 111,351 18,4|0,42 | l673,4 35,79/0,0612 11,40| 18,8(0.41 Ii l6788 36,80/0,0604 11,45 18,6/0,41| (678.6|36,30/0,0610 1030 1,21,30,44 b=75 0,99 5,50 a.(0,2311.502.0 47 (681,3; 36.77/0,0527 110,35] 19,9 044 — 26, ol | | 1679,9|36,77/0.0566 {10,40 21,1|0,44 | |681,1]36,77(00532 10,45 18,9|0,45| | | |678,9/36,76/0,0591 10,50) 21,710,45| | 681,7|36,76/0,0513 055) 17,8)0,45 | | |677.8|36,76|0,0622 | 3,55 11,17,4/0,33/—739,38| | | {677.4/36,38|0.0663 4 19,6/0,33|f= 25, 4 | |579,6}36,38/0,0602 | 4,5 17,0/0,32| 1677.0|36,39/0,0677 4.101 19.6(0,32 | (679. 6136,89|0.0605 4,20] 11,4/0,30 | I (67 1,4/36,91 ‘00885 3,20 | 11,09,3/0,420=761,59) 6,207.10,27) 5,25 p.(0,45|669,3/36,79|0,0863 3,30) 18,7|0,42\f= 26, ol | | (6783 7|36, 79 0,0604 | 335) 1290, | 6720 9 679 DA) 0,0774 | 340 08,601 | | I lo 63,636. 80/0, L0SS4 | 345 077041 | | Î sora 36,80 0/0. 0909 Agosto Settemb. | ___—_—_—- SUL COEFFICIENTE DI RIPRAZIONE IN SICILIA = | MARPE 5 | GIORNI | £ | CONJUGATE, 5 | | = O 27 solo |\media-media 0,0877| 28-31 | alta-bassa 0,1 087| 130 solo ‘media-media 0,0888| ISIS: | alta-bassa 0,1107/ |A bassa-alta 0,186] | 6-13 » 0,1092! |714 i 0,0825| | (845 > 0,0748| | 10-17 » 0,07251 | 11-18 » 0,1175! | 19-24 | media-bassa 0,1166] 2()-25 bassa-alta 0,1304| 21-26 | bassa-media 0,0879| 29-27 bassa-alta 0,1210| 28 solo » 0,0870) (29 solo | » ‘0,0600 317 sett. alta-bassa 0,1520 | 3 solo | > 0,0656| | 5 » » 0,0602 [18 > 0,1252| 9-11 bassa-alta 0,0997| 10 solo | bassa-media 0,1056| 120» bassa-alta ‘0,0779| lA 5 0,0619]| 16-20. \media-media (0,11 45| Medie 0,095] 0,1078 MESE Settemb. 1891 Ottobre | Agosto 1892 il Settemb. | GIORNI 22 » 24 > 26» 28. > 30.» | 10-15 | 12-17 9-15 10-16 12-24 20-30 | 26 solo 47 Tavola di riepilogo delle osservazioni marine 1891-92 MAREE CONJUGATE | | > 0,1361| media-media 0,0830) | | bassa-alta |0,0895] 0,1403| media-media 0,0832|0,0941 » | > 0,1089| alta-bassa |0,0898 imedia-media 0,1075 bassa-alta !0,1046| » (0,1148/0,1051 bassa-alta |0,0630 10,0772! | Il 3 0,0595| bassa-media 0,0833 alta-bassa 0,6902| | » 0,0636 bassa-alta 0,0796/0,0738 | media 10,0904 | media-media (0,()730| bassa-alta |0,0840) » 0,0863 » 0,06G45 | alta-bassa |0,0617 0,0766 | | ——————___———_————_—_—_—_—_—_—_—€—€—_—€um___—_o__ouu—_U__wTD-/———_—r———*<*——_r << l' 45 PRIME RICERCHE Le medie annali, sarebbero : pel 1891: 2 = 0, 1010 » 1892: n =0, 0751 e la media definitiva dettà 22m nm = 0, 0941 +0, 0061. Si noti, quanto alle medie annuali, che esse corrispondono ai coeffi- cienti terrestri corrispondenti, in varia misura, ma tengono lo stesso andamento. Il coefficiente , sia marino, sia terrestre, è nel 1891 più alto del corrispondente ottenuto nel 1892. In ciascun anno poi, il coef- ficiente terrestre è più alto del marino, sebbene nel 1891 la differenza fra di essi molto piccola. Quanto ai due coefficienti definitivi, terrestri 2, e marino nn è na- turale che il secondo presenti un error medio più forte che il primo, perchè nel caso di rm le variazioni del fenomeno sono molto più forti. Tenendo presente questa sfavorevole circostanza, non si può dire che i due coefficienti definitivi sieno soverchiamente discordanti, anzi pos- siamo dire che la concordanza è notevole, giacchè questi numeri so- lendosi arrotondare ai centesimi, sarebbero rispettivamente 0, 10 e 0, 09, colla differenza di un solo centesimo. In Germania p. e. tale differenza è di circa 2 centesimi. Se dunque, data la sufficiente concordanza fra le due provenienze di 2, si volesse comporle in un solo valore, sarebbe logico dare ad 7, un peso maggiore che ad 7n, com’ è ovvio riconoscere. Attribuendo perciò ad #n il peso 1 e ad 2; il peso 2, si avrebbe, pel coefficiente complessivo me : n = 0, 1010 +0, 0023 ove l’error medio è stimato in base alla media ponderata che ha dato 2, . I due coefficienti 2; ed nn si potranno adoperare separatamente nelle applicazioni terrestri, o marine : il complessivo ci dà un'idea della ri- frazione al Sud d’Italia. Esso conferma il valore del Pucci, e crediamo che conferisca interesse a queste ricerche , accennando al fatto note- vole che il coefficiente di rifrazione presso di noi sembra il più pic- colo fra quelli adottati in Europa continentale. TUIR INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI REessiONESDEBSONTONE ——— = MEMORIA Del Dott. M. CANTONE Letta nell’adunanza del 18 giugno 1893. O, INTRODUZIONE Lo studio delle deformazioni per forze non molto piccole è stato oggetto di svariate ricerche, e l’ importanza dell’ argomento è andata crescendo, poichè, resi migliori i mezzi di misura ed i metodi sperimentali, si è trovato sempre più ristretto il campo di forze dentro il quale le diverse sostanze seguendo in modo assoluto la legge di Hooke non presentano deformazioni permanenti, sino al punto da far ritenere, come osserva il Prof. G. Wiedemann, (1) che il cosidetto limite di elasticità non abbia ragion d’essere per corpi che non sieno stati sot- toposti prima a forze deformatrici. Nè in ciò solo consiste la non esatta rispondenza dei fenomeni di elasticità alla teoria matematica basata su quella legge: è noto infatti che variando in modo permanente la forma del corpo restano alterate le sue proprietà elastiche. La questione è stata però trattata in modo alquanto vago anco da quei pochi che non l’ hanno sfuggita, mentre merita, come si vedrà in seguito, il più attento esame. Resterebbe in fine da tener conto della circostanza che gli spostamenti ela- stici dipendono dal tempo; ma dall’ esperienze sinora compiute in proposito l’azione susseguente costituisce un fatto di ordine secondario incapace di alte- rare la natura delle leggi che regolano le deformazioni dei corpi poco plastici, almeno per la parte che si riferisce alla statica. Quali sieno tali leggi non si sa, pur possedendo sul riguardo un esteso lavoro di analisi. Però a me sembra che una lacuna sia da colmare prima di proce- dere oltre nello studio dell’ arduo problema, mancando fra i diversi fenomeni relativi alle reazioni elastiche quel legame che permetta di abbraceciarli sotto un aspetto più comprensivo. A questo lavoro di sintesi mi sono accinto da qualche tempo, specialmente per ciò che concerne l'influenza dei processi meccanici sulle deformazioni, tenendo di mira la stretta analogia tra i fenomeni di elasticità e quelli del ma- gnetismo, e partendo dal concetto che per un esame sistematico occorresse mettere in evidenza la continuità degli effetti. (1) Wrap. Ann. 6, p. 1879. 4 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE Nell’ intento di usare forze agenti ora in un senso ora nell’ altro ho dovuto porre da canto lo studio delle variazioni di lunghezza per la difficoltà di potere esercitare sullo stesso corpo sforzi di trazione e di compressione , limitandomi all'esame della flessione e della torsione. In questa prima memoria mi occupo della flessione dell’ottone. T fatti che vi sono esposti, sia perchè conformi nelle linee principali a quelli da me iniziati sulla torsione del nichel, sia perchè comprendono come casi par- ticolari risultati cui sono pervenuti altri sperimentatori, si rivelano in gran parte d’ indole generale; non mi si vorrà perciò incolpare di soverchia legge- rezza se talvolta, uscendo dai limiti impostimi nelle attuali ricerche, venga a trarre deduzioni riguardanti in complesso le proprietà elastiche dei corpi. Per altro servendomi delle ricerche preliminari sulla torsione del nichel farò rilevare i punti in cui possano esservi divergenze nel comportamento delle varie sostanze. Credo giusto prima di entrare in argomento di attestare i sensi della mia più viva gratitudine verso il signor F. Tomasini studente nel laboratorio di fisica di questa R. Università per l’ aiuto intelligente e costante avutone nel corso delle ricerche. I. Apparecchio e modo di sperimentare La disposizione per l’esperienze è la seguente : 1. Su un tavolo di marmo incastrato nel muro si fissa con una morsa la lastra che si cimenta, e perchè il legame col sostegno riesca invariabile e regolare si adattano sin da principio, per mezzo di pernii, sulle due fatcie di essa nella regione che dev'essere premuta due cuscinetti di ferro aventi i bordi che limi- tano la porzione di lastra da tener ferma ben netti ed esattamente paralleli. All’estremo libero della striscia in un piccolo taglio, praticato nel senso dello spessore a metà di larghezza, si salda un pezzo di filo di ferro sottile, col quale si formano due anelli destinati l’uno a reggere un piatto per i cariche flettenti il corpo in basso, e che io chiamerò d’ora in poi positivi, e l’altro ad attaccarvi un filo disteso verticalmente che serve ad esercitare gli sforzi in senso opposto o negativi. Il filo accavalcato sulla gola di una carrucola, girevole senza forte attrito, porta all'estremo libero un piatto di ugual peso del primo, ed un’asti- cina trasversale che scorrendo fra apposite guide impedisce i moti di rotazione dei pesi. Trovandosi la corrucola a cirea tre metri dalla lastra potevo esser sicuro che la direzione delle forze negative si mantenesse sensibilmente costante, almeno per i limiti di esattezza cui aspiravo nelle mie ricerche. Le misure delle saette di flessione si facevano con un catetometro di Starke e Kammerer mirando col cannocchiale di questo strumento sul bordo terminale di una linguetta di carta incollata in prossimità dei due anelli e sporgente all’incirea mezzo millimetro dalla lastra. 2. Per produrre il carico usavo pesi, presso a poco uguali fra loro, formati con lamina di piombo, cui si saldò per comodità di maneggio un’appendice di SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 5 ottone. Tanto l’applicazione che la soppressione dei singoli pesi si compiva con tutte le cautele possibili per procedere come se la forza fosse fatta variare gra- datamente da un valore al successivo. I vari pezzi erano numerati, ed il peso esatto di ciascuno è fornito dall’ an- nesso quadro. In alcune serie essendosi staccato il filo soprastante alla lastra il peso del piatto sospeso all’uncino inferiore faceva parte del carico, e perciò se ne è tenuto conto nell’elenco indicandolo c. gr a vd gr gue e |25/00 | 6 | 96583 | 12 | 96569 | 18 | 96590 1 | 96,70) 7|96,74|13|97,15| 19 | 96,97 2 197,,05.|--8 || 96,62 | 14 | .96,60.| 20 ).97;12.| 3 |\97,2>| 997,01 15 97,12 | 4. | 96,63 | 10.| 97,40 | 16 | 97,30 wu pe) 00) Sì È, 2: 96,80 | 17 | 96,82 3. Le lastre di ottone da me adoperate si ottennero da lamine di questo me- tallo che non presentavano piegature, e si curò che nella loro lavorazione per ridurle a forma parallelepipeda non venissero usati altri strumenti all’ intuori del bulino, del tornio e della lima. II. — Cicli unilaterali 4. Nell’esame dell’ influenza che hanno i processi di deformazione sulle pro- prietà elastiche ci troviamo di fronte a fenomeni che, nel mentre costituiscono delle vere anomalie per riguardo alla teoria matematica deila elasticità, si rive- lano governati da leggi costanti e generali, la cui esistenza, in gran parte può essere sfuggita ai fisici solo perchè non si è tentato uno studio sistematico. E fa meraviglia invero come, accertate Je deviazioni dalla legge di Hooke e le deformazioni permanenti, non si sia pensato a ricercare come varii la forma del corpo oltre che durante 1 aumento del carico lungo il periodo di scarica, tanto più che 1 esperienze del Prof. G. Widemann (1) sulla flessione e sulla torsione accennavano già a dei risultati che occorreva mettere in rilievo con maggiori particolari. Importerà dunque indagare le leggi delle singole trasformazioni facendo va- riare la forza in modo ciclico, e per la natura stessa della questione converrà prendere in esame speciale due sorta di processi, quelli cioè che si compiono fra il carico zero e varie forze estreme e quelli in cui i valori massimi i minimi dello sforzo flettente sono uguali e di segno opposto. Chiamerò i primi czeli unilaterali e gli altri cicli bilaterali. (1) Pogg. Ann. 107, p. 459, 1859; e Wrep. Ann. 6, p. 485, 1879. 6 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 5. Occupiamoci dei primi, e cominciamo dall’ indicare il metodo tenuto per la loro attuazione. Assoggettata la lastra a sforzi crescenti sino ad un determinato limite P, si operavano le trasformazioni da Pa zero e da zero a P; si continuava in seguito ad aumentare il carico. e pervenuti ad una nuova forza P! si facea compiere al corpo un secondo cielo fra P! e zero, e così successivamente. Numerose esperienze vennero fatte in proposito, io mi limito a riportare i risultati di alcune serie, che del resto sono in tutto conformi alle altre che non saranno qui prese in esame. i Ogni tabella si riferisce ad una serie di esperienze: P denota il numero di pesi che costituiscono il carico, [L,] la lettura iniziale fatta al catetometro per P=0, s la saetta computata a partire dalla posizione iniziale della mira, e le frecce nelle colonne contenenti le s servono ad indicare il senso di variazione della forza. I valori riportati di £ furono calcolati mediante la formula 4 AP a b3 Ns? dove 7, a, bsimboleggiamo rispettivamente la lunghezza, la larghezza e lo spessore dH= della lamina, e 4 Pla variazione di forza flettente che corrisponde alla variazione A s della saetta. Stante inammissibilità della legge di Hooke i valori di £ forni- rebbero l'elemento caratteristico per lo studio delle reazioni elastiche, potendosi la grandezza data da quella formula considerare come il modulo relativo alle singole trasformazioni fra limiti di forza assai vicini. Ciò varrà fino a quando non si pervenga a saette piuttosto grandi, poichè allora, nel caso che trattiamo noi della flessione, indipendentemente dall’essere o no le forze elastiche propor- zionali agli spostamenti delle particelle, cambiano colla forma del corpo le con- dizioni meecaniche-in base alle quali si deduce la formula per la saetta, e quindi la E perde a rigore il suo significato di modulo di elasticità. Tuttavia, a meno che non si vada a deformazioni esagerate, continueremo a tenerne conto per formarci un crîterio approssimato della legge con cui variano le forze classiche. Allo scopo di vedere poi come si comporti nell’ assieme la sostanza per le successive trasformazioni totali ho voluto ricavare le medie di £ relative tanto ai mezzi cicli che ai cieli interi, ed i valori ottenuti trovansi indicati rispetti- vamente con E, ed £,. Talune delle serie riportate in questo lavoro si riferiscono a lastre usate per la prima volta, altre a corpi i quali deformati precedentemente, furono ridotti, con un processo di cui mi occuperò in seguito, in uno stato che, o si avvicina moltissimo a quello iniziale, o lo può sostituire sino ad un certo punto per i fenomeni in esame. Ho contrassegnato le prime apponendo l’asterisco * al sim- bolo che serve ad individuare il corpo in esperimento. In quelle serie nelle quali manca nella disposizione sperimentale il filo che serve per îi carichi negativi, fra i pesi fettenti trovasi quello rappresentato con c. Mostrando i risultati che non si modifica in tali condizioni l'andamento del fenomeno viene provato non aversi, nel caso dei cicli unilaterali, influenza SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI t7 disturbatrice apprezzabile per 1’ uso della carrucola, quando essa è in azione. Riguardo al materiale adoperato osserverò non si poterono quasi mai ridurre le lastre a spessore uniforme, per cui il valore dato di b nelle tabelle è la media delle misure fatte con un buon calibro in dieci punti convenientemente scelti lungo la lastra; e poichè le oscillazioni dello spessore raggiunsero per qualcuna 20 del valore totale , il processo seguito può dar luogo a qualche incertezza nel caleolo di E. Ma per lo scopo del mio lavoro occorrendo più che la deter- minazione del modulo la conscenza della legge secondo cui esso varia, potevo contentarmi delle misure fatte, e trascurare altresì Ja correzione inerente alla linguetta di carta che sporgeva dalla lastra e rispetto alla quale si valutavano le saette. (1) mm (E==22 2590888 SAI 0,# 23 Febbraio TABELLA I pei 6 220 Pi s 15) s | 10) s E | s ID) s E | saeal RE | s E s | E I | 00 Nas 4 0.00 Y 0.00 4 0.04 Y 0.04 4 0.08 % 0.08 9990 9550 9950 | 9810 9990 9810] | 9950 lc 1 3.03 3.06 3.04 2.12) 3.07 3.16 | CRE 9770 9590 9810 9590 9540 9840 c+ 2]4 5.50 A 5.50 5.50 & 5.56 Y 0.52 A 561 Y 9790 9750 9990 9750] 9910) ct 3 7.98 7.98! 8.00 8.05 8.05 9840 10050 ,1 10010 44 10,44 10,44 10,45 | 9710) | c+ 5 12.93 si 9700 c+ 6 15.41 | E, 9884 988S 9891 9870 9897 9889] | Bo 9886 9850 9593 0 |+ 0.20 Y 0.20 4 0.36 Y 0.36 4 1.02 Y 1.02 241) IN Zali 9510 9850 9630 9760] | 9660 9760 9570 9790, c+ 1 3,28 3.26 3,00 3.46 | 4.16 4,12 3.00 5.50 | 9750] | 9520) 9760 9720 9650 9740 9680] 9740, CH 3IA 8:22 y 8.18 A 8.45 Yy 8.43 R_9.10 y 9.08 A 10.06 Y 10.46 | : 9950 9940] 9850 9920 9530 9850 9740, 9790 C+ 5] 13.04 13.02 15.53 3.25 14.04 3.96 15.50 10.37 10150 10030 8990 | ° Ù c+ 6] 10.41 15.42 17.74 [10060 10070 10040 Ì |10000 10040, 9690) 10250] | cH- 17.90 18.08 15.06 18.82 18.75 20,31 20.16 9610 10350 10170 10090 10220 c+ 8 20,40] 20,40 20.42 21.20 10280 10200 9300 10530 | cH4- 9 23.00 23.49 23.46 24,99 24.88 | 8610 10490 10260 10070] +10 25.81 20.81] 20.82 -27.28| 10450. S470 10650 cH+11 28.66 29.54 29.00 gr 7830 10970, 10730 c+12 31.73 31.73 31.74] | | Ej 9909 9904 9924 9911 9979 9967 10086; 10074 | Eo 9907 9918 9973 10080! (1) Sebbene sin dal principio delle ricerche l'influenza delle variazioni nella tempe- ratura dell'ambiente non si fosse trovata apprezzabile per le diverse serie relative alla 8 INFLUENZA DFI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 0, 23 Marzo TABELLA II [L], = 131. 90 »| Ss E s E s | ID) | s E s E | s | E | s E |: | oly — 4 0.16 Y 0.16 4 0,22 $ 0.22 4 0.32 % 0.32 9540 9460 9690 9540 9610 9040) 9540 1 2.5 2.70 2.64 2.74: 2.72 2,84 2.84 9510 9510 9770 9450 9770 9450) 9580 LI 3 7.60 7.78 AO) A T.84 v778 A 7.94 Y 7.88 î 9560 9730. 9620 dI 12,62 12.72 12.70 9750) 9750) 9700) 9780 è 9750 10200] 10110 6 15.08 15.08 15.08 15.24 15.18 15.88 15.26 fe 9770 10100) 10020] - ‘ 17.04 17.62 17.58 10140 10050 9700 10260 10090 8 19.96 19.96 19.96 20.12 20.04: 10090 10220 10220 9 22.35 22,48 29.40) 10130) 10710 10260 10 DATA DA. 74 24.76] | 10280) 11 27.10 9930) 12 29.02 Ei 9690 9761 9755 9814 9875 9862 IDR 9726 9785 9847 04 0.60 Y 0.60 4 1.52 Y 1.52 4 4.04 Y 4.04 4 6.06 Y 6.06 9540] 9770 9400 9770 | 9170| 9690, 9100) 9690 1 3:12 3.06 4,05 98 | 6.66 6.52 8.70) 8.54 9430] 9510 9430 9770 | 9290 9580 9220] 9550 3|A 8.24 J Sad A 9.20 J 9,04 A11.56 Y 11.56 A13.94 J 13.58 9700) 9750 9620 9750 9600 9780 9570 9750 6] 15.68 15.54 16.70 16.44 | 1998). 18.94 21.45 20.96 10230] 10170) 10250 10190 10250 10250 10270 10320 10] 25.10 25.02 26.10 25.90 28.78 28.34 30.86 30.30 | 10740) 10650) dal 27:34 27.28 10780, 10690 | 11020) 10730) 12 29.02 29.02 30.56 30,40 11060 10540) 11090 10890 9510 11180 10780, | 13 32.06 SENTE) 32.64 | 8700 11430) 11010 p Re. 34.82! 34.82 934.82 37.48 37.22 39.54 39.14 | 7790] 11500 10970 2 Qu 920/52 3) 49 980 15 97. 39.58 SR ).42 11690] 10980) 6300] È 10990) 16 41.64 41.64 41.62 43.70 43,54 BO60 12280 11350) 17 45.66 45.66 45.66 E 9932 10008 10164! 10178 10315 10281 10424 10372 Eo 9970 10171 10298 10398 stessa lastra, pure si è preso nota di questo dato nei registri di esperienza per i richiami cui potrebbe dar luogo in seguito. Ho creduto però superfluo, tenerne conto nelle tabelle dei risultati, SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 9 mm = dk 0) ga lo Sl O. 4 Aprile TABELLA IM- [L] = 130.18 .b= 2.36 » | s e | s | e | s e | Ss e | s E Rao: E | 0 X -— 0.03 % 0.03 $ 0.05 X% 0.05 9600 9430 9520 9430 9430 a 1.11 1.16 1.15 1.18 1.18 i 9440 940 9520 9140 9560 || 3J $ 3.38 A 3.48 Y 3.40 & 3.45 Y 3.42 il. 9350 IO 94SO 9400 9440 5 5.66 5.69 5.65 5.72 5.68 9740 9740 9700 7 7.85 7.88 7.85 9770 10050 9950 9790 9770 8 8.94 SM 8.92 | 9720 9 10.02 10.08 10.05 9910 Ceo 9960 11 > 12.18 12.23 12.20 9780 20) 10070 12 13.27 13.27 13.26 | 9740 13 14.36 | 9620 15 16.58 8940 16 17.78 Ei 9590 9609 9703 9708 Es : 9600 9706 lo | 4 0.29 X 0.29 4 0.72 X 0.72 4 1.52 $ 1.92 | 9270 9690 9350 | | 9690 8880 9520 1 1.44 1.39 1.56 1.82 | 2:72 1.64 9310 9350 9230 940 | | 9310 9390 3|A374 J 3.68 A 4.18 } 4.09 A 5.02 3.92 9520 9480 9400 9520 9400 9610 5 5.98 5.93 6.45 6.33 7.29 6.14 9770 9840 9660 9770 9680 9790 9 10.30 10.27 10.84 10.70 11.70 10.00 9970 9900 9900 9900 9900 9900 13 14.64 14.59 15.16 15.02 16.02 14.82 10170 10030 10070 15 16.74 16.72 17.28 10310 9930 9990 10150 10040 16 17.78 17.80 10540 | 8750 \Mktci 19.02 19.31 19.30 15.22 19.08 8150 10470 10270 8150 | 18 20.33 20.33 |» 20.34 10530 10080 ag 7750 19 21,72 20.25 21.20 7040 10810 10100 20 23,24 23.24 23.26 E) 9784 9769 9808 9807 9560 9835 Es 9777 9808 IS47 DI 0. 18 aprile INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE TABELLA IV [L], = 132. 78 mm = cei el DE==MM ERO li s | E | s E | s | E s E | s | E | | $ 0-10| 4% 0.21 $ 0.21 $ 0.63 $ 0.63 \ 10480] | 10640 | | 10250 10750 10850 | 10640 0 | 2.59 2.20 2.69 2.64 | i Il | | 10530 | | 10690 | 10510 10640 10430 | 10690 È I 3 | 4 6.08] & 6.22| { 6.18] 3 6.38 J 6.24 & 6.81 } 6.66 | 10700 | 10670 | 10730 5 10.08] 10.23| 10.12) 10770 10740 Ain ssi 10760 | 10980 10810 7. 1106] 14.13| 14.05] — 14.33 14.21 14.82 14.62 | 10820 | 11250 | 10960 S| Aeeai 16:08) 15.98 11150 10920 11040 10920 10750 9 15.02 18.16 18.13 18.70 18.54 | 10460 11240 11160 | 10 20.08 20.08 20.06 1560 11010 10440 11 2911 22.48 22.43 9770 11750 11320 12 21.30 21.30 24,32 8950. 13 26.72 E; 10762 10757 10798 10500 10879 10555 {i \E> 10759 10799 10567 | | O {4 1.11 $ 1.11| A Lio $ 1.78 10250 {10750| | 10090 10690 1|| 3.19] 3.10] 3.9 3.78 x | 10310 | 10690 10250 10660 3 ||A_ 7.36 y 712! & 8.08 + 7.S1 10670 | 10750 | 10610 10740 7| 15.88 15.08 | 16.15 | 15.78 10950 | 10920 | 10950 10950 9 | 19.28 19.00 20.06 19.65 | 11360 11040 | 11330 11010 11 | 23.06] 22.08 23.85] 23.58 11620 | 11140 | 12 | 24.901 24.81) | 11520 11220 | 11810 11370 | | 13] 26.72 26.70 27.53 27.40 | $150 | 11940 11250 [LL 29.32] 20.32 29.30 E; 10900 10590 10902 10904 E> 10395 10903 SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI TABELLA V 0, ricotta 24 maggio [IE] Y= 132704 PIMS sal S Asi s Asi | s Asi | s Asi | s Asi | s Asi | Ss Asi s As | og — 40.09 Y 0.09 3.06 Y 3.06 429.78 X 29.73 4 59.67 Y.59.67 | 2.04 2.06 2.04 2.49 | 2.02] | 2.99 1.92] | 2.95 1.65 1J | 2.04 2,16 2.13 5.00 | 5.05 | 32.60 31.65 1 62.62 61.82 | 2.02 2.05 2.03 2.85] | 2.03] | 2.90] | 1.91) | 2.48 1,66 2] 44.06 4,20 $ 4.16 A 7.90] I Goili A35.02 Y 83:06 A65.10 Y.62.98 | 2.06] 2.02 2.04 2:23 2.03 2.07 1.93 2:28 1.64) 3] 6.12 6.22 6.20 10.13 Q14 35.09] 30.49 67,33 64.62 | 9 2.08 1.98 2.02 2.10 2.08 | 2.33 1.95 2.19 1.64 4j 8.20 8.20 8.22 12.23 11.22 40.42] ST. 69.03 66 26 2:20 2.06 2:11 2.17 1.92 1.69 5 10.42 14.29 13.33 42,59 T1.45 67.95 2.47 1.96 2.16 1.99 1.76 1.72! 6| 12.89! 16.25 15.49 44.55! 3-21 69.67 2.93 1.94 2:21 | 1.85 1.05 1.77 ri 10.82| 18.19 17.70 46.43| 14.86 TLA4 4.24 1.57 242 1.75 | 1.48 1.82 $s 20,06 20.06 20.12 48.15 6.34 13.26 11.50) | 1.70 LAH 1.86) 9 31.62 10.85) 07.78 70.12 19.85 1.62 | 1.30, 1.92 10] 51.50] 51.50 79.05) 17.04 1.26 1.96 11 67.94 80.34] 79.00 | 13.66 1.26 2.32|| 12. S1.60 S1.60 81.32 L’ annesso diagramma delle saette s in funzione delle forze fle:tenti si rife- risce ai risultati della ta- bella V i quali si prestano meglio per una rappresen- tazione su piccola scala. 6. Dai risultati esposti e dal diagramma che li rap- presenta in parte si vede che il fenomeno in esame è analogo a quello studiato dal Warburg (1) e dall’E- wing (2), in condizioni si- mili, nel magnetismo, ed ab- braccia molti fatti che sono stati messi in rilievo nelle ricerche di elasticità. Ad ogni cielo corrisponde nel diagramma un cappio indicante che le deforma- (1) WrIep. Ann. 13, p. 141, 1881 (2) Phil. Trans. of. the R. S. of. London 176 II, p. 523, 1886. 12 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE zioni ottenute caricando la lastra sono rispettivamente minori di quelle rela- tive alle stesse forze durante la scarica, e che cambiando il senso di variazione della forza agente la sostanza presenta in principio una maggiore elasticità. Abbiamo dunque da fare con un fenomeno di vera isteresi. Che esso si produca con forze più piccole di quelle cui ci siamo arrestati nelle prime serie non è qui il caso di asserire, non essendo noi in condizione di apprezzarlo per cieli di pic- colissima estensione, sebbene la circostanza che lo riscontriamo nei primi cieli della 0,# potrebbe indurci ad ammettere la generalità del risultato; quello che possiamo affermare si è non trattarsi di anomalie, ma di un vero processo rego- lare secondo attestano la chiusura dei cappi ed il modo marcato con cui si produce il fenomeno nei cieli di grande ampiezza. Del resto che le cose procedessero nel senso da noi trovato era da prevedersi atteso il particolare messo in luce dal Wertheim, (1) che cioè anche colle più piccole deformazioni si hanno effetti permanenti quando le forze cessano di agire. Le nostre indagini adunque non rivelano fatti del tutto ignorati, ma li collegano presentandoli sotto un nuovo aspetto. 3 7. Uno studio più particolareggiato dei cicli sarà possibile seguendo l’anda- mento del modulo £, o, quando questo manchi, delle As, che indicano le va- riazioni delle saette per l'aggiunta o la soppressione di un sol peso. Reggono in proposito leggi diverse a seconda si considerino lastre ricotte o crude ; infatti mentre per le prime, come si desume dal diagramma, i valori di E diminui- scono tanto venendo da P a zero che nel cammino inverso, nelle ultime, tolto un accenno ad uguale comportamento per i cieli di piccola ampiezza della 0,3, si hanno moduli dierescenti da P a zero e cresciuti da zero a P; sicchè in tal caso gli archi relativi alla seconda trasformazione, pur rimanendo più bassi delle curve figurative del primo mezzo ciclo, presentano al pari di queste la loro convessività verso l’alto. I valori di E, e di conseguenza anche quelli di £, ci accusano d’altra parte un aumento dell’elasticità media della sostanza quando si passi da un ciclo ad uno di maggiore estensione, mentre procedendo per forze crescenti a partire dallo stato non deformato si ha per carichi non piccoli una maggiore cedevo- lezza al crescere dello sforzo flettente. Per riguardo ai valori di E osserverò che essi non sono uguali per le diverse lastre cimentate neanco operando fra limiti di forza assai ristretti. Può darsi benissimo che vi sieno differenze di struttura capaci di giustificare piccole oscil- lazioni del modulo da una sbarra all’ altra, ma quelle che noi abbiamo sono troppo grandi perchè possano attribuirsi alla sostanza con cui si opera; è più probabile invece che le divergenze derivino dalle imperfette misure delle dimen- sioni. Comunque vada la cosa si tratta di questione che per noi ha interesse (1) Ann. de Chim. et Phys. 12, p. 355, 1842. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 15 secondario, in quanto il nostro esame, lo ripetiamo, si propone lo studio non del modulo ma delle sue variazioni. 8. La curva che rappresenta 1’ andamento delle saette per forze crescenti a partire dallo stato non deformato, e che io chiamerò d’ora in poi curva carat- teristica della deformazione non viene sensibilmente modificata dai cieli. Questo ho potuto constatare con lastre cimentate diverse volte di seguito a partire da quello stato. Si trova allora che prendendo le mosse da condizioni analoghe ed ‘agendo per forze crescenti, sia colle interruzioni dovute ai cicli unilaterali, le saette che corrispondono ai diversi valori dello sforzo flettente sono, per i punti della curva caratteristica, presso a poco uguali. Il risultato vale anche per interruzioni costituite .da cicli bilaterali, e per ciò raccolgo nelle tabelle che seguono tutti i particolari che si riferiscono allo argomento, indicando con uno o due tratti orizzontali le interruzioni dovute rispettivamente ai primi cicli o a questi ultimi. 0, — TABELLA VI 0, TABELLA VII 0; TABELLA VIII i E E | 5 Marzo | 7 Marzo | 8 Marzo | 10 Marzo 29 Marzo |30 Marzo] 3 Aprile | 4 Aprile | 6 Aprile p..m. p. m. [L]o=132.78] 132.80 132.76 132.85 [L}:=130.30] 130.28 [L}=180.11] 130.18 130.12 PI BESA AG s_| As SITA: [NS As | P STOTAGINS As| RSI MESANI TASSI RESI PAG Ss. As o — (0) —_ _ Ol = = 2.51 2.49 2.02 2,01 1.38 1.39|| 1.11 1.11 1.12 1| 2.51 2.49 2.52 2.01 c+ 1J 1.38 1.39 DIS 1.11 1.12 2.47 2.49 2.48 2.48 2.27 2.201 2.26 2.27 2.27 2j 4.98 4.98 5.00 4,99 c+ 3| 3.65 3.64 3] 3.97 3.38 3.39 2.04 2.06 2.04 2.06 2.23 2.98) 2.26 2.28 2.27 3] 7.52 n.64 7.4 7.05 c+ 5] 5.88 5.87 5] 5.63 5.66 5.66 2.00 2.54 2.50 2.50, 2.18 2.19 2.20) 2.19 2.19 410.02 10.08 10.04 10.05 c+ 7] 8.06 8.06 7} 7,83 7.59 7.85 DAT QAA 2.47 2.48 1.68 1.08, 1.10 1.09 1.09 6|12.49 12.02 12.01 2.03 c+ 8] 9.14 Q14 8] 5.93 8.94 8.94 2:43 QUAL 2.45 Zd4 2 _ — || - 6|14.92 14.96 14.96 14.97 c+ 8] — 9.15 sì — 8.92 8.95 = = F=|.|E=Sj|= 1.08 1.08 1.10 .10 1.08) 6l — = 14.96 14.98 c+ 9|10.22 10.23 9|10.03 10.02 10.03 3,39 241 2.40 Z2A41| || 2.15 2.14 2.15 2.16 2.17 7|17.31 17,37 17.36 17.39 ‘c+11|12.37 12.37 11|12.18 12.18 12.20 2.40 2,3€ 2,38 2.98 1.09 1.10 1.09 1.09 1.09) 8|19.71 19.76 19.74 19.77 || |c+-12]13.46 13.47 12|13.27 13.27 13.29 c{12| — 13.40 dal — 13.26 a 13.27 E 1.10 1.10) 1.10 del 1.10, c+-13|14.56 14.50 13[14.37 14.396 14.37 | 2.24 2.24 2.26 2.22 2.26 c+15[16.80 16.79 15|16.63 16.08 16.63 rela 1.17 || 1.18 1.20 1.16 ‘c+16|17.97 17.96 16|17.81 17.78 17.79 11|26.92 c+16] — i 17.97 16] — 17.80 n 17.80 1.27 1.28] || 1.21 1.22 1.22 12|29.34 c+17]19.24 19.20 | |17]19.02 19.02 19.02 1.39 1.39) || 1.32! î 1.30 12) — c+18|20.63 20.09 18|20.34 20.33 20.32 13/81.87 c+18) — 20.57 Ì il — 20.34 2 20.32 (a 14[34.64 14l — 14 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 9. Assodata 1’ influenza trascurabile che i cieli esercitano sulla natura della curva caratteristica siamo autorizzati a mettere in rilievo la legge diversa con cui si deforma un corpo il quale, sottoposto prima all’azione di un carico, risenta l’impulso di una nuova forza, a seconda che essa agisca sullo stesso senso della precedente o in senso opposto, avendosi in questo caso una deformazione più piccola che nell’altro, ed accentuandosi la differenza coll’elevarsi del limite di forza cui ci riferiamo. Resta però provato che la deformazione subìta dal corpo qualora si passi da Pa P--P! è la stessa, sia che il passaggio si produca direttamente, sia che sì vada prima da Pa zero e poi da zero a P_ P!. 10. I fisici che si sono ‘occupati delle proprietà elastiche hanno sperimentato in condizioni differenti. Alcuni hanno usato quelle cautele che si richiedono per discostarsi il meno possibile dalla teoria; altri, visto come fosse difficile di compiere misure di piccole deformazioni e di evitare gli effetti permanenti, tenendo conto altresì della circostanza che un corpo deformato permanentemente acquista una maggiore elasticità e si comporta in modo più regolare, sono stati d’avviso che convenisse operare entro limiti piuttosto estesi dono avere assog- gettato il corpo sin da principio ad uno sforzo abbastanza elevato. Questo vario modo di procedere non può portare a risultati concordanti, ed a persuadercene meglio sarà opportuno esaminare colle tabelle IX, X, XI, XIbis i particolari dell’ultimo processo per vedere come si comporti un corpo a partire da uno stato di deformazione permanente. 0, 22 Marzo [L], = 132. 12 SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI TABELLA IX (Stato deformato) »| s E s E | s E | s E | s E | s | E | s | E | Ss | E ojy 6.04 4 6.03 $ 6.08 6.04 Y 6.04 4 6.01 Y 6.04 9690 9580 9650) 9610 9690 9610 9690] 1] | 8.52 8.54 8.52 8.54 8.52 8.54 8.52 9580 9560) 9620 9540 9580) 9510) 95801 3] } 13.56 A13.59 Y13.54 &13.60 V 13.56 A13.62 Y 13.56 9770 9760 9730 | Ul sl 18.48 18.52 18.48 9800 9830 9750, 9800) 9950 10110) 9950 6] 20.90 20.90 20.90 20.96 20.90 21.02| 20.92 10270 10190 10100) 7 23.24 23.82 | 23.28 i 10230 10180) 10090 10440) 10260 S 25.62 25.62 25,62 25.72 25.64 10400 10580 10400 9 27.94 28.00 esi co 10620 10900 10710 10 30.22 30,22 30.22 10740 11 32.46 108530 12 34.68 E, 9725 9722 9718 9841 9837 9977 9973] Es 9720, 9839 9975 dl o|+ 6.04 Y 6.04 4 6.05 Y 6.05 4 6.07 Y 6.07 + 6.15 Y 6.15 9540 9690 9500, 9730 9350 9730. | 9140] 9730 1 | 8.56 8.52 8.58 8.52 8.64 8.54 8.72 8.62 9450 9580 9430| 9770, 9390| 977 | 9320] 9770) 3/A13.66 413.56 &13.70 13.58 A13.78 + 13.60 &13.90 Y 13.68 9750 9780 9730, 9800 9650) 9830 9600] 9830) 6] 21.06 20.94 21.12 20.94 21.26 20.94 21.42 21.02 10410 10370 10360) 10360 10300] 10320 10250) 10340 10] 30.32 30.23 30.42 30.24 30,62 30.28 30.82 30.34 10940 10790 11] 32.52 32.46 10930 10780] 11130! 10830) I 12) 34.68 34.68 34.82 34.70 111101 10890 11090 10560 10980 11180 10980 13 36,88 36.98 36.90 10910). |11430] |11010) È 14 39.08 39.08 39.08 39.28 39.12 39.50 39,20 I E [Se 11070 11180) 11500) ; sal 15 41.24 41.38 41.30 11620 11080 10990 11740 Ari) 16 4AZA4 43.44 43.42 43.66 43.56 10740) 12030 11460 17 45.66 45.66 45.66 Ei 10117 10109| 10248 10262 10373) 10380) 10423 10423 Ea 10113] 10255. 10876. 10498] 16 O. 5 Aprile INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE TABELLA X [L], = 130. 18 (Stato deformato) | P « |afe ge : |e|:|s]s|ele|e]o: E | I Î | Olw 154 4 1.51 $ LoL 4 1.55 $ 1.55 4 1.54 $ 1.54 | 9520 9350 | | 9350 9430] | 9520 9350 9430 1 2.66 2.68 | 2.68 2.68 | 2.67 2.68 2.67 9480 sso] | 9520 9390] | 9480 | 9310 9480 3|1 492 ALU J 493 ® 4.96 J 49 & 4.98] 4.93 9570 9520 9570 9USO 9450 | 94410 9450 5 7.15 7.48 7.16 7.21 7.18 T.24| 7.18 9740 9830 9790 7 9.34 9.35 9.34 | nea a | | 9950 10050 9860 Soi So 9770 9880 | Sf 1041 10.41 10.42 9630 9 11.53 11.58 11.51 11.61] 11.50 10050 10150 10000 1 13.66 13.69 13.65 9960 10250 9960 | 10020 9900 12 14.73 14.73 14.72 | 9920 | 13 15.80 | 15.88 15.82 | 99s0 | 10270 10070 15 17.94| 17.96 | 17.94 il | 10120 10310 10020 16 19.00 | 19.00! 19.01 | 10070 az 20.07 | 10170 | 1S 21.12 Ei 9630 9633 9619 9732 9737 9803 9789| Es 9626 9734 9796 0 |4 1.55 N 1.55] + 155| $ 1.55 | 9270] | l'9eool | | 9110 9430 1|]| 2:70 2.66 | 2.72] 2.68 | | 9390 9SO | | 9310 94SO | 3] 498 J 1492 & 05.02 y LU | 9550 | 940 9410 QUO | 5 7.26 78] 7.28 7.20 9750 | 9sso 9700 9860 | 9| 11.64 11.50| 11.68 11.53 | 9950 | 9920 9900 9970 | 13 15.94 15.S1| 16.00 15.82 | 10120 10030 | 15 | 18.05 17.94| | 10150 9990 10290 | 10040 17 | 20.13] 20.07 | 20.20 20.10 | 10790 | 10170 È 18 f 21.12 21.12 10520 10130 | | 10090 | 49 DAS] 22.23| 22.21 | | 10010 | 10500 10290 20 23.251 23.25! 23.25 E 9SH 9831 IS64 IS54 E5 9836 9859 SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 17 min 12007 0,, ricotta 2 volte 5 Ottobre TABELLA XI ai 6.4 (Stato deformato) [ERIN 50 = Agi P | s As; | s | As | s | 1 | s | As, | S As; | s | As; | San As; | | Il 0 | y89.95 490.05 Y 90.05 90.24 Y90.26 $90.76 90.76 1.86 2.51 1.92 2.59 1.89 2.66 1.84| 1 | | 91.81 92.56 91.97 92.85 92.15 93.42 92.60 | i 1.85 2.12 184| | 2.20 1.55 2.30 1.84 3.1 495.50 R96.80 J95.64 R97.25 95.84 A 98.02 +96.28 | 1.91 1.74 1.87 1.80 1.84 1.86 1.83| 5 99.32 100.28 90.38 100,54 99.52 101.74 99.93 | | TO 610 1.55 1.91 | 6 | 101.28 101.83 101,29 1.54 1.94 TO | 1.90 | 2.05 1.50 201 | | ri 103,33 103.33 103.30 103.90 103.40 104,55 103.74 2.06 1.46 1.90 1.47 |NSIK94] S 105.36 | 105.36 105.30 106.35 105.68 | | 240 | 1.35 | 1.98 || 19 107.70 107.70! 107.66! 0,, ricotta 2 volte 7 Ottobre TABELLA XI bis (Stato deformato) [L]o = 125. 40 RI 7 3 | q vpi Ita T "o as A P | s | As, | s | As; s | As, | s | As, | s As; | s | As; | Ss As; | 0 | Y91.58 491.56 Y.91.56 491.58 Y91.08 491.66 Y91.66 | 1.88 | 2.10 1.90 2.15 1.92 2.22 | | 1.92 || 1| | 93.46 | 93.66 93.46 93.73 93.50 93.88 | 93.58 1.82 | 1.88 1.52 1.95 1.80] | 2.05 || | 1.82 3 |+97.10 R97.43 +97.10 AI7.64 VOTA R97.99 y.97.22 1.70 1.69 1.70 1.73 1.70 1.77 1.69 5 | 100.50 100,81 100.50 101.10 100.51 101.53 100.59 1.68 1.59 6 | 102.18 102,40 1.70 1.55 1.70 1.54 1.70 || 1.72 1.50 7 | 103.90 103.90 103.90 104.20 103.91 104.62 104.00 1.76 1.46 1.71 1.46 1.70 Ss 105.66 105.66 105,62 106.08 105.70 | 1.8S 1.42 1.80 || il 9 107.50 107.50 107.50 Anche qui mi devo limitare , Volendo riprodurre en diagramma in piccole roporzioni, a rappresentare i risultati avuti con una lastra ricotta. b) 11. Per i cieli ora studiati, sieno pure di piccola ampiezza, non mancano i fenomeni d’isteresi, e le variazioni del modulo seguono leggi analoghe a quelle dI D teo] D 1 dedotte con lastre cimentate a partire dagli stati iniziale e non deformato. Ma l'andamento generale del fenomeno è ora mutato, per il fatto che i cappi di una serie invece di trovarsi a diverse altezze stanno tutti racchiusi sensibil- mente in quello del cielo di massima estensione, ed hanno in comune per am- piezze non molto grandi il punto d’incontro coll’asse delle saette. Quest'ultimo GI (9) 18 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE particolare, avvalorato dalle tabelle per la notevole coincidenza che presentano i valori di L relativi al carico zero in ciascuna serie, era stato già trovato dal Wiedemann; però non risulta, secondo in generale è ritenuto, che la legge di deformazione del corpo sia per questi cicli di semplice proporzionalità alle forze agenti o, come vorrebbe il Tre- sca, (1) che il limite di elasticità possa. coll’uso ridursi quasi al carico di rot- tura, giacchè se il diagramma di ciascuna serie dà per i rami relativi alle forze crescenti archi quasi coin- cidenti con porzioni della curva più bassa nel ciclo di massima estensione, e quindi nel senso da zero a P ac- cenno ad una iegge di deformazione indipendente dal limite di forza cui ci si spinge, esso offre nei passaggi dalle forze estreme a zero curve distinte tra loro, ed in tutti i casi abbiamo da fare con linee che non sono mai rette. 12. Dall'esame dei fatti esposti sia- mo ora in grado di analizzare i par- ticolari dei metodi tenuti dagli spe- rimentatori nello studio delle proprie- tà elastiche. Abbiamo già visto al paragrafo 8 che prendendo le mosse dallo stato iniziale si raggiungono le stesse deformazioni sia aumentando gradatamente la forza sia sopprimendo volta per volta il carico e sostituendone uno maggiore, ed i punti del diagramma su cui si cade sono quelli della curva caratteristica, mentre se dal principio si è esercitata sul corpo la forza massima si perviene a punti che hanno, per carichi uguali, posizione ben differente, trovandosi questi ultimi ad un dipresso sulla curva che rappresenta il passaggio da zero a P nel ciclo di massima ampiezza. 13. Il signor O. Thompson (2) trova che l’ottone sottoposto a stiramento, al pari degli altri metalli da lui studiati, presenta a partire dallo stato iniziale cedevolezza crescente anco per le più piccole forze, ed in base ai risultati otte- nuti ricava la legge che segue il modulo di elasticità. Le formule cui egli per- viene ritengo possano avere valore per il campione esaminato, o per quelli che sì trovassero nelle stesse condizioni, giacchè i fili da lui adoperati, essendo otte- nuti con un processo chi li deforma in modo permanente, non permettono di giungere a risultati d’indole generale. (1) CRA pt (2) Wied. Ann. 44, p. 555, 1881. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 19 Non è detto in quel lavoro quali erano gli accorciamenti del eorpo tornando dal carico massimo a zer0, in quanto l’esame dell’autore non si estende a pro- cessi in questo senso; si nota solo che non appariscono col ritorno al peso ten- sore primitivo allungamenti residui. Ma ciò non è una prova che si sia operato con sostanze in condizioni perfettamente normali, anzi dà una conferma del fatto che il Tompson partiva dallo stato deformato. III. — Cicli bilaterali. © 14. Abbiamo ancora per i cieli bilaterali molta analogia coi fenomeni del ma- gnetismo, come si rileva dalle annesse tabelle e dall’annessa figura che ritrae il comportamento della 0,, ricotta. è DI 0 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 0, 21 Marzo TABELLA XII [Lb = 212 I | 1 JE oD ee] s Pes E E 10 —24.65 — 24.65 9760 10530 So —22:20 —22.38 10410 10300) — 8 —19.80 —19.80 -19.53 — 20.04 9920 10440 > 7 —17.38 —17.50 9710 10150 9770 10190 — 6 —14.92 — 14.92 —14.92 --15.14 ESUESS —10:32 9630 10280 — 5 Spb) —1258 9630 9870 9710 9820 9790 9870 CA 4— 9.96 $—10.14 i —-9.92 Y—10.26 {- 9.92 Y—10.42 9550 9630 9540 9450] | 9460] | 9500 og — 0.10 — (0:18 0.18 — 0.20 | 0:26 | — 0.28 | 9540] | | 9520 9510 FAL 9370] | 9460] | 9340 4l| 10.10 & 10.22 J 10.10 A 10.30 10.05 R 1044 J 10.04 | 9710 9870) 9710 5|Y 12.58 12.66 12.58 9750 9630 9790 9590) 9700 100301 9700 6 15.06 15.06 15.06 15.22 15.05 15.36 15.06 9850 10020 9550) 7 17.50 17.62 17.52 10100 9510 9840 10350 9840 8 19.94 19.94 19.96 20.12 19.96 TG 0390 30, 9 2999050] ul gl iS 9920 10480 10000 10 24.76 24.76 24.76 € il 97 5|10 )190 [10010 ) 12 29.52 Ei 9643 9675 9695 9671 9765 9755 Ea 9659 9653 9760 17 — 46.96 — 46.96 5620 12150 —16 4251 42.04 —42.65 — 44.98 6470 11620) —15 —38.50 —40.46 6360 11130 | 7020 -|11070 a | — 35:24 —35.24 —35.36 38.25 —35.08 —10.64 S400 11120 '—13 — 32.35 —33.08 7740) 10650) 7210 10610) 8550 10780)» —12 29.66 —29.66 — 29:66 —30.84 29.14 —33.76 — 28.40 —36.10 9390 10730 —11f —27.10| —27.42 9210 10450) à 9940 10550 8560) 10230 $060 10280 —10] —-24.68 —_20.14 — DIAL —26.24 ; 9820) 10330 94S0 10240 — SÌ —19.76) — 20.42 —19.34 —21.52 —17.88 — 24.34 — 16.44 26.72 9620 9940 9350 9SS0 SS70 9840 S410 9760, — dlAT_ 9.76 Y —10.78 4 — 9.06 $ 11.78 i 7.04 $—-14.06 Y— 5.00 $ —16.86 | 9370] | 94301 9190] | 9370] | $900| | 9250] | 8650 9140) 0 0.72 I — 0.56 1.42 — 1.50 3.78 — dd 6.14 — 6.32 | | 9430] | 9260 9390] | 9110 | 9250 8690 | 9160) 8530, 4l& 1054) y 9.84 & 11.65 |Y 9.08 A 14.16 y 6.56 A 16.66 4:98 i | 9900 9550 9900 9270 9520 $700) 9540 8300 8 20.46 19,88 21.40 19.46 23.96 17.92 26.44 16.54 |10460 9900 10410 33 | 9470 10 25.08 24.76 26.04 24.56 | 10540 10110 10670 8690 10690) 8120 11 27.32 DTA 10530 9550! 10820 10100, 12 29.52] 29.52 30.45 20.58 33.00 29.02 35.46 28.42 9550 11080 9430 13; 8204 sn 32.66 32.14 11250 S110 11250] 7040 » 85830 11480 9060) dd 34.76 34.76 34.79] 37:28 34.96 39.74 34.72 - 7910 11390 7690 n) di 15 7.84 39.40 35.10 11670, 6730, 6720 11850 6910 16 41.44] ALA 41.60 3.88) 41,90] | 5670 |12280) 6050. li 45.84 45.84 45.88 E, 9785 9783 9678 9656 934S 9262 9121 8991 Es 784 9667 9305 Ge SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 21 0. 6 Aprile TABELLA XII [L] = 130.12 »] - Be [a] 5 e | ò e | ; e | ef È | 16 | —18.08 —18,08 ì | | 8040! 10410 —16 | | —16.88 —17.05 9400 9990, —13 | — 14.61 —14.90 12 | —13.54 —13.54 | | | 9450, 9950, 9400 9560 11 12.41 —12.45 | 9560 9770 | L—_ 9 | —10.17 —10.26! —10.06] —10.56 | = — 9.07] — 9.07 9530 9620, | | 9600] | 9770 9340 9350 = — .961 — (1.98 — 7.93 — 5.04 | Q4S0 9570 | —- 5 — 5.1 — 5.75 9360 | 9100] — 5.49 — 6.01 | 9270 9310) | | —3 + 3.1 Y— 3.46 4 —3.37 $— 3.00 TN 9290 9270 | 9350] | 933( | 9370] | 9270 OX — 0. 02 — 0.02 0.06 i — 0.04] 0.26 — 0.25 | | 9450]. | 9410] | 9350, | 9350] | 9350) | 3 3.39 (343 v 3.40 $ 3.48 t 3.38 A 9300] 4 9310) Ì 9400 9440) 9400] | | ©olY 5.66 5.69 5.67 9790| 9520 6.00 5.00 9740 9790 9740 | ti 7.55 1.87 1.86 7.94 7.86 9770 9950 9770 9770 9620 Sj 5.94 85,94 8.95 9850 9790 | 9900, SEA T5 9 10.03! 10.10) 10.04 10.3 9.94 | 9560 9960 9860 | (Ret 12.20 12.21 | | 97580 |10250 10060, | 9950 9610 12 13:29] 13.29 13.27 | | 9740 13 14.37 14.67 14.39 9450, 10170 9490 15 16.63 16.77 16.64 | 9240 10510 | 9250 16 17.79 17.79 17.50 17 19.02 8750, $220|| 18 20.32] Ì E; 94S7 9ISI 9600 9565 95433 9533 Co G4S4 9582 9538 ‘a (1) 9ISI 9575 9535 | 20] —23.67 —23.67 —23.60 —23.60 6950 10S10 7350 10S10 —19 —22.13 —22.68 —22.15 —22.61| 18) —20.61 —20.61) 7600 10220 70 10170 5680 | 10550, | —17] —19.35| —19.60| 5 —20.59 —19.40 —20.51 Ì 8560 (10090 8010 10040 S320 10090 —15] —16.88 —17.48| —18.46) —16.S3 —18.39 9070 | 9830 S670. | 9800 9500. —10] —10.99 —12.05| —10.55| —13.01 —10.66 —12.94 | 5940 9440 $s30, | 9400 | 8800 9390 — 5ji— 5.15 Y— 0.39| i— 4.50) |y— 7.33 A 4.59 9130 9220 8960 9070] | { 9050 0 0.70 | — 0.60 1.46 — id | 1.40 9320] | i 9190 | 9240 | 5950 s990 5|A 6.43 * 521 fi 724 vt 453 è 21 | 9730 9390) 9650 9040 SO 9040) 10) 11.92 10.90 12.76] 10.44] 12.73 10.50 10030 9300 10020) $S00 10020 1 Ss70 15 17.24 16.64 15.09 16.01 18.06 t 16.52 10390 STO 10240 | S330 [10390 5360 17] 19.30] 19.08 20.18 19.08 20.12! 19,08 (10470 8610 18 20.32] 10470 7860 10270 7970 19 GS 2 21.80] 22.20 21.76 7250 10710 7650. (10710 | 7690 20 3.22 23.20 23.201 23.12 \ E 9393 9410 9184 9166 9197 9184 Es 9402 9175, 9191 E/9 9407 9168 (1) I risultati dell'ultimo rigo si riferiscono ad esperienze fatte il giorno 8 aprile nelle stesse condizioni in cuì furono compiute quelle del 6 aprile. 22 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 0, 17 Aprile TABELLA XIV [L]}, = 132. 71 SE e |» |» |» |» E s ciao E Ì n SO —24.65 — 24.65 9350 11620 DESSTAT a —-22.37 —22.81 10 — 20.25 —20.25 10180 11240. 10360) 11250 i gl —18.17| —18:34 —18.15 —15.99 Il E —16.18 —16.13 10630 11070) 10250 10930 10720 11070 7 --14 09 — 14,20 1414 — 14.47 —13.97 —15.07 10650 10860 | 10540 10650 5 —10.07 — 10.26 —10.08| —10.45 10310 10440 105701 10570 (10410 10540 (Lia 4— 6.02 $-- 6.21 4 15.971 — 6.39 +— 0.67 $— 6.87 | 10480: 10470 (10400 10400 10270 10550 OY — INNNIOGIO: | — 0\06| 1° 0.22! 22020 | 0.60 — 0.77 o 10600] | 10520) 10540] | |10430] | 10410 10350) 10280 3] | 6.06 & 6.24 Y 6.05 È 6,36 Y 5.98 6.80 vi 06:49 | 10620 10750 10570 10650 10570 $ 5|y 10.09 10.21 10.10 10.1] 10.08 10660 10390 10760 10950 10810 10890] 10620 7 14.07 14.12 14.06 14.34 14.06 14.83 13.73 10850 11130 10790 8 16.04 16.04 16.04 11150) 10710 10950 10340 9 158.0510590) 1818] 18.06 18.73 17.87 10660 {11400 10720, 10 20.07 20.07) 20.07 11390 10280 02. Il 291610] 22.50 22.05 9850) 11690 9510 12 21.83 24.98 24.23 9929) 13 26.06|10250 b, 10672 10656 10639 10637 10521 10534 | Ba 10664 10638 10528 PEC ET E NES AA e] le n I VI PSSTEL —29.95 20.95 8030 11870 255) INESIDYa0YI OTO —27.29 : SSSO 11740 —12]j —24.82 25.41 8930 11400 9500 11380 —11 —22.07 —23.53 — 22,49 —2439 9970 11050 9620) 11000 7] —13.97 15.7 —13.57 —-16.59 10080 10440 3 9930 10390 '— 8]f— 0.48 Y— 7.57 X— 4.89 Y— 8.35 | 10130 | 10200) | 9960 10100 oj| 0.86 = 28 | 1.57 - 1.98 | 10220] | 10100 10150 9920 3A 7.16 o Gli & 7.99 Y 4ol 10630 10190 10600 9910 7 15.21 13.51 15.97 13.15 11170) 10040 11110 9730 dll 22.89 22.05 23.69 21.97 11560. 9630 12) 2474 24.27 11680 9120) 11810 9420 13] 26.56 26.55 27.36 26.67 ua 8250 12070 | 8510 14 DORIS | sini 29.18 29,18 E 10398 10383 10241 10199 E 10388 10220 SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 23 EVA] 0; ricotta 18 Maggio TVAVB I IA REXSVAe IL] 5A 5 P 8 E N E s 10) S Dj | S 10) — 8 —14.99 — 14.99 —14.37 —14.37 s 6420 9540 6690 9220 —T —12.18 12,9% —12.20 —12.83 7070 9000 7020 9080 — 5 — 8.16 — 9.71 — 8.20 — 9.70 7400 8770 7290 S770 — 8 {— 4.32 Y— 6.47 4— 4.30 Y— 6.46 | 1430 | S250 7450 5270 OlfX — 1.43 1.29 LAI — 1.29 ss10 | | 8250 | | 7660 8250 7660 3 4.55 A 6.61 fo 4,29 A 6.59 Y d4:29 5360 8770 7400 8530 7360 b-I 4 8:25 9.55 8.13 9.S1 8.15 | 7220 9170 6870 OL70 6930. | i 12.19 12.95 12:27 12.91 12.25 6250 9460 6510 9220 6390 s 14.45 14.45 14.45 14.45 14.47 E, TOSL 1979 7953 1975 E TOSI 7979 | [ I | mm (= 190 2 di= 8) Op 30 Maggio TABELLA XVI [L]} = 130. 19 be ZA) 7 Î p 8 E | Si E & | E | S E | s E Ss E s E — 6 -— 8.22 — 8.22 10220 10600 — 5 — 6.54 — 6.89 — 4 — 5.47 — 5.47 10290 10320 10270 10500 — 3 — 4.10 — 4.13 — 4.10 — 4.16 10420 10420 —2 — 2.18 .— 2.73 — 2.74 — 2.77 10290 10330, 10320 10390 10240 10320 1 4— 1.36 Y-- 1.37 4— 1.36 y= 1.40 |A 1.35 Y— 1.42 10250 10360 10280 10250 10210 10280 Oy — 0.01 — 0.01 0.01 — 0.03 0.03 — 0.05 | 10430 10430 10480 10360 10250 10280 10360) ali 1.95 & 1.36 y 1.3£ 1.37 y 154 1.40 1.31 10320 10390 10240 10390 10320 Z2ivy, 2.72 D12 dalla 2.13 duel 10400 10330) 10570 10420 10490 | 3 d.06|008 4.09 4,06 4.19 4.05 10350 10550 10420 4 5.42 5.42 DAL 10450 10400) o È 10300 A A d 6.78 6.51 6.76 10370) 10600) 10450] 6 S.14 S.14 S.11 E 10359 10355 10370 10379 10340 10371 DE 10355 10375 10359) 24 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 0, ricotta 16 Agosto TABELLA XVII [El = 1425-22 Î | | | P s (da; | s Rai | s As | s [ai | s As; | s (SE | s \As, | | A — —e—_— —— —_—r __—t—— | I | 10 | —33.94 —33.91 | | | 6.50 2.50)| C_G] | —27.30 —27.30| -2IA4 —3LA | | | 4.18 |2 — S —23.1 —2344 —23.12 —21.76] 443) 2.66 | 3.24 | 2.56 | | | | Dez — 19.90 _ 20.55) 3.39 | 2.68] —1828 261) | | | | | | i) | 2.% | 2.72] —16.35 —19.40) 3.67 gi | Î 5 | —13.96 — 15.14] | 3.12 2.75] —10.94) —20.65 | | | | | = dl 2.59) | 2.78] —10.12] —13.89 | | | BAL 3.00) — 3 4— S.S E 9.99 n) 3.08] | 2.93] 4 $ | 2.95 | 2.92 | ov — 0.67 — 0.82 2.22 — 2.16 6.12 —0.70 | { 2.59 | 2.95 | | 3 z 934 + S.04 &} | 2.90]4 | 3410/& y | 2.91 3.50 4ly 205 2.90] 13.50) 10.22] | | Di | 5 1183) 13.81 | 2.68 | 3.06] 20.69) 11.56] | | | 6 2.63, 2.86 19.16 16.35 | 2.60) 3.62 Ti 20.10 19.57 2.58 3.24] 25.90 18.80 | | 2.49 3.11 | | I s 22,59 22.65 24.32] 22.82] | 2.49 4.2DI 4.10 | 246 3.99 9 26.78 26.78] 26.77| 30,88 27.25] | 2.40 5.57 6.51 - 10 33.25 33.28] 33.12 Cominciamo dal notare che i cicli si chiudono, che per le forze estreme di ciascuna alternazione si hanno saette da una parte e dall’ altra sensibilmente uguali, e che gli spostamenti dalla posizione primitiva per la forza zero sono all'incirca della stessa grandezza in ogni ciclo. Ai medesimi risultati era per- venuto il Wiedeman nelle ricerche sulla torsione, osservando soltanto le escur- sioni massime e le deformazioni permanenti che vi corrispondevano: però non avendo egli studiato tutte le particolarità del ciclo è stato indotto ad ammet- tere che azioni in senso opposto ad altre esercitate prima sul corpo provochino una certa instabilità delle particelle, mentre nel nostro esame si vede che pas- sando dalle forze positive alle negative, o viceversa, si ha una continuazione regolare del processo compiutosi venendo dal carico massimo positivo 0 nega- tivo sino a zero. 15. Il Maxwell (1) spiega il fatto delle deformazioni permanenti e delle alte- razioni che ne conseguono sulle proprietà elastiche dei corpi supponendo che per spostamenti piuttosto forti delle particelle si rompano taluni gruppi di mo- lecole e che non sia possibile per molti di essi di ripristinarsi quando la forza deformatrice va diminuendo. Ma la chiusura di ciascun ciclo, l’uguaglianza delle saette corrispondenti alle deformazioni massime nei due sensi, e la simmetria (1) Enc. Brit. 6, p. 313, 1877, Art. Const. of bodies. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 25 degli stati deformati permanenti rispetto alla configurazione iniziale sono fatti che rivelano un procedimento più regolare di quello che dovrebbe aspettarsi dalia ipotesi del fisico inglese. Si può solo conciliare tale ipotesi coi fatti esposti supponendo che la ricostituzione dei gruppi si produca quando cambia il senso della forza per dar luogo successivamente alla modificazione dei legami di altre molecole, e che nella totalità le anomalie nei due sensi sieno della stessa gran- dezza. ‘16. È notevole che i valori assoluti delle saette relative alla seconda metà di ciascun cielo accennano alla riproduzione di quelli corrispondenti alla prima metà, come avviene per il magnetismo. Le piccole divergenze da questa legge pare sieno dovute in parte ad un fenomeno di accomodazione ed in parte alla disposizione sperimentale da me adottata. Ho potuto infatti rilevare, e ciò si vedrà meglio al cap. V, che i due rami della curva d’isteresi nei diagrammi ottenuti per i cieli bilaterali tendono a divenire simmetrici dopo che si sono compiute diverse alternazioni fra i mede- simi limiti di forza; e d’altro canto è probabile che il modo d’agire dei carichi negativi debba recare qualche complicazione. Ad avvalorare tale congettura osserverò che l’esperienze relative ai cicli bi- laterali per la torsione del nichel (1) forniscono risultati nei quali si riscontra un migliore accordo fra i valori assoluti delle rotazioni che si riferiscono alle due metà di ciascun ciclo; e poichè in questo caso le forze si esercitano nei due sensi in modo simmetrico, vi è ragione di credere che l’apparecchio usato per la flessione può avere una influenza, sebbene sempre piccola, sul compor- tamento delle lastre nei cicli bilaterali. 17. Riguardo alla legge di variazione del modulo si hanno risultati che di- pendono dall’ampiezza del ciclo. Infatti per forze estreme ?, di piecolo valore assoluto si trovano moduli decrescenti da + P, a zero, e crescenti da zero a + P, in guisa da prodursi in ogni ramo della curva rappresentatrice del cielo un punto d’ inflessione per P= 0. Aumentando il valore di P, si altera poco a poco la natura della curva per l’aggiunta di altri flessi, finchè colle ampiezze più grandi questi spariscono, avendosi allora una diminuzione continua del mo- dulo tanto nella prima che nella seconda metà del ciclo. In rapporto con questi fatti pare stia l’altro che l'elasticità media nei successivi cicli in principio cresce e poi diminuisce. 18. Sara bene osservare che riguardo ai particolari pocanzi considerati il corpo non segue le stesse leggi che valgono nei cicli bilaterali magnetici, attesa la (1) L'apparecchio usato per queste esperienze è analogo a quello del Wiedemann, (V. loc. cit. p. 487). 26 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE circostanza che i flessi compariscono nelle curve dell’Ewing quando si compiono cieli di grande ampiezza; ma si deve notare che mentre nel niagnetismo la curva dell’intensità si eleva in modo più accentuato quando i valori del campo sono piccoli, per un corpo che si deforma la cedevolezza cresce invece coll’au- mentare della forza agente, onde l’analogia sotto questo punto di vista regge- rebbe ancora. 19. Si comprende, tenendo conto dei fenomeni d’isteresi relativi ai cicli bila- terali, che la ricerea del modulo di elasticità col metodo dinamico non può con- durre ai medesimi valori forniti dal metodo statico a meno che nei due casi non si producano deformazioni piccolissime le quali d’ altra parte si prestano poco per misure esatte. Le oscillazioni di grande ampiezza servirebbero meglio allo scopo, ma esse tendono a darci i valori medi del modulo peri successivi cieli bilaterali che compie il corpo oscillando, colle incertezze dovute all’appli- cazione di una teoria che non risponde esattamente all’esperienza. 20. Dirò infine che dall’esame dei cieli unilaterali e bilaterali apparisee meno marcata l’influenza del processo di deformazione nel metallo crudo: tuttuvia la cedevolezza delle lastre per piccole forze a partire dallo stato non deformato non si altera quando la sostanza venga ricotta, come si rileva dal confronto delle tabelle che si riferiscono alla medesima Jastra cimentata prima e dopo il ricuo- cimento. IV — Modo di eliminare le deformazioni permanenti. 21. Una grave difficoltà si opponeva da principio allo studio dei processi di deformazione, non conoscendosi il mezzo di riportare il corpo deformato per- manentemente nello stato primitivo, o in generale in condizioni paragonabili fra loro e per le quali si avessero le stesse proprietà elastiche nei due sensi : or io basandomi sull’ esperienza nota che una sbarra un poco piegata si può riportare per mezzo di vibrazioni allo stato iniziale, e tenendo conto dell'ana- logia tra i fenomeni dell’ elasticità e quelli del magnetismo, ho pensato che, come si toglie al corpo, già sottoposto all’induzione di un rocchetto, la polarità residua mediante correnti alternate e decrescenti, fosse possibile in modo analogo raddrizzare le lastre deformate permanentemente usando carichi positivi e ne- gativi che si suceedano con intensità sempre minore. L’esperienza ha confermato in parte le mie previsioni, giacchè col metodo ora indicato si avvicinano poco a poco all’origine i punti d’incontro della curva d’isteresi coll’asse delle forze, sino ad aversi, ad operazione compiuta, il ritorno della lastra ad una forma assai vicina alla primitiva. Così le 0,, 0., ed 0,, ricotta, col procedimento anzidetto, delle saette residue di Omm, 32, Omm, 37, 1%, 00 conservarono una parte che non superò Om, 04. Nel caso di deformazioni permanenti piuttosto grandi il metodo descritto o SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 241 delle alternazioni decrescenti come lo si può chiamare non basta a conseguire tutto l’effetto desiderato, inquantocchè il corpo, pur perdendo buonissima parte della flessione residua, resta un poco piegato nel senso in cui si esercitò la prima volta la forza massima usata nelle serie. 92. Però, a mio credere, è da ritenere che tale risultato non si debba ascri- vere a difetto del metodo in questione, bensì al fatto che il corpo il quale abbia subìto sforzi troppo grandi perde la proprietà di presentare deformazioni per- manenti uguali nei due sensi, accennando ad oscillare attorno una posizione spostata rispetto alla primitiva nel senso avanti cennato; sicchè la non com- pleta efficacia del processo di scarica dipenderebbe in ultima analisi dalle de- formazioni cui prima si è sottoposto il corpo. Basterà, per provarlo, considerare come si comporti una lastra che partendo dallo stato originario compie cieli bilaterali di ampiezza crescente. Si vede allora che la media delle letture ottenute col carico zero nell’andata e nel ritorno si mantiene in principio quasi costante e coincidente coll’altezza iniziale della mira, per variare poi nel senso indicato : attuando ad un certo punto il processo delle alternazioni si perviene ad una lettura sul catetometro diversa dalla pri- mitiva ma vicinissima alla media di quelle fatte nell’ultimo cielo per le defor- mazioni residue in alto ed in basso, come attestano le tabelle XVIII, XIX, XX, XXI e XXII, che contengono in succinto parte della storia di taluni lastre. In ogni tabella la seconda colonna si riferisce alle letture avute col carico zero in seguito ad una deformazione che ha origine da una forza indicata nella prima colonna, dove, in generale, il simbolo P*O serve a denotare il passaggio da P a zero : la terza colonna porta nel primo ed ultimo rigo le altezze al principio ed alla fine della serie, e negli interlinei le medie dei valori della se- conda colonna per i singoli cicli bilaterali. Lo zero iniziale è distinto coll’asterisco #, e quello ottenuto colle alternazioni decrescenti è racchiuso fra parentesi. 28 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE mm nm min 0, TABELLA XVIII Z= 150,200 = 106,200 = 2,29 | 11 Novembre 12 Novembre 14 Novembre 21 Novembre | | | | [INNOs = load 0 Seti E122160) 0 12230 0 A RIPON | | | 4:0 | 122.52 14:0. | 122.26 15:0 | 121.16 S:0 | 121.72 | | 122.56 122.49 122.37 121.55 | — 40 | 122.61 — 140, | 122.72 — 15:0 | 123.58 — 5:0 | 121.98 | 6:0. | 122.52 16:0 | 121.54 19:0 | 119.92 10:0 | 121.76 | | 122.59 122,32 122.06 121.85 | || — 60 | 122.66 — 16:0 | 123.10 — 19:0 | 124.20 — 10:0 | 121.94 | S:0 | 122.54 17:0 | 121.30 20:0 | 118.34 12:0 | 121.75 | | 122.60 122.32 121.66 121.85, || — 8:0 | 122.66 — 17:0 | 123.34 — 20:0 | 124.95 — 12:0 | 121.96 I | ll 100 | 122.56 15:0 | 120.72 (0) = {7a 14:0 | 121.65 | 122.64 122.26 121.54! || — 100 | 122.72 — 1S-0 | 123.50 — 14-0 | 122.00 || | 12-0 | 122.50 (0) — || 12236 16:0 | 121.46 | 122.65 121.56 | | | — 12:0 | 122.80 — 16:0 | 122.26 | | ? | || 140 | 122.22 18:0 | 120.85 | 122.54 121.52 — 140 | 122.56 ‘ — 1S:0 | 122.79 14:0 | 122.36 19:0 | 120.24 | 122.61 121.82 | || — 140 | 122.86 — 19:0 | 123.40 14:0 | 122.38 20-0 | 119.16 122.59 ; 121.76 —.14:0 | 122.80 — 20:0 | 124.36 IO) — | 122.60 (0) = |a 4, TABELLA XIX 4 Marzo 5 Marzo 6 Marzo 11 Marzo (1) | 0% — | 13496 0 = 18273 0 19274 O) — | 182:s0 | 140 | 129.53 14:0 | 131.38 140 | 131.35 16:0 | 126.88 132.21 132.83 | 132.82 131.02 — 14:0 | 134.89 — 14-0 | 134.34 | — 14°0 | 134.26 | — 16:0 | 137.16 14:0 | 130.98 (0) = |uengr (0) — | 132.82 16:0 | 125.23 132.74 132.38 | — 140 || 194.49 — 16:0 | 136.54 il | 140 | 131.20 16:0 | 125.39 132.77 132.39 — 14°0 | 134.35 - 16-0 | 136.38 (0) — || 192.79 (0) — | 132:32 (1) Questa lettura iniziale si riferisce al 23 Febbraro, dal quale giorno la lastra fu cimentata per ciclì uni laterali di estensione variabile fra 0:2 e 0-14. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 29 mm = i 4 Ge Neo DIM 0; TABELLA XX 0, TABELLA XXI = on al==== === = 9-10 Aprile 11 Aprile a.m. [11 Apr. p.m.-12 Apr. 26 A prile 27 Aprile (cont.) | ye: I: _ _ me; rss ————————+—+-—+—++6m€& 0% — |137.63 0 — |135.96 0 — [130.98 (0}= — 133.07 - (3) ; 16:0|132.63 16-0| 134.44 16:0|134.46 | 10-0|182.68 18:0|130.30 135.48 136.04. 136.02 182.79 131.78 — 16:0|138.33 — 16:0 187.60] —. 16:0|137.58 | | — 10:0|132.95 — 18:0|133.27 16:0|134.20 16:0|134.47 16:0|134.49 11:0|132.62 18:0|130.37 136.06 136.03 135.99 132.78 131.80 — 16:0|137.92 — 16:0|137.58 — 16:0|137.50 | — 11:0|132.94 — 18:0|138,24 16-0|134.43 16-0|134.51 16-0|184.51 | 12-0|182.41 18:0|130,42 136.12 136.01 136.00 132.67 131.81 — 16:0|137.82 — 16:0|137.52 — 16:0|137.49 | — 12:0|132.90 — 18:0|133,20 16:0|134.52 (0) 136.00 16:0|134.50 | .13:0|192.26 15:0|130.44 136.12 135.98] || 132.58 131.82 — 16:0|137.72 — 16:0|137.45 | — 18:0|132.90 — 18:0|133.20 16:0|134.52 16:0|134.59 | 14:0|132.00 (0) 131.84 186.11 136.02|| || 132.441 — 16:0|137.69 — 16:0|137.46 — 14:0|132.99 n (2) ; 16:0|134.52 16:0|134.28 15:0|131.78 136.06 135.92 132.98 — 16:0|137.61 — 16:0|137.56 — 15:0|132.98 | 16:0|134.53 16-0| 134.44 16:0|131.34 186.10 135.95 132.22 — 16:0|137.66 — 16:0/137.46 | — 16:0|133.10 | (1) A 16:0|134.59 16:0|134.48 17:0|130.8S 136.15 135.94 132.07] — 16:0|137.72 — 16:0|137.44 — 17:0|133,26 16:0|134.48 16-0|134.44 18:0|130.10 136.05 135.98 131.84 — 16:0|137.62 — 16:0|137.42 — 18:0|133.07 16'0|134.53 (0) 135.92 18:0|130.40 136.06 ; | 131.89 — 16'0|137.58 — 15:0/133.38 | | 16:0|134.52 136.04 — 16:0|137.57 | (0) 135.96 L (1) Prima lettura del 10 Aprile. (2) Prima trasformazione del 12 Aprile. La lastra trovavasi caricata inizialmente con 16 pesi dal giorno precedente, (3) La lastra trovavasi caricata in principio con 18 pesi dal giorno precedente. 30 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE = Si constata agevolmente dal com- a= 18, 3 plesso dei risultati trascritti che la po- b= 2,03 sizione attorno cui le nostre lastre si On doo TAI Da SOI deformano va spostandosi, e che il no- SP E || stro processo di scarica ci permette di $ Giugno 10 Giugno a | mantenerla dove fu portata dal ciclo o* — | 128.68] 0 — | 128.65 || di massima estensione e dalla quale non | 2-0 | 128.66 | 10:0 | 127.90 | si allontana in modo sensibile per altri 128.68 1281594) MONITO i ; ; — 2-0 | 128.70 — 10-0 | 129.28 | cicli di ampiezza non superiore, unila- 3:0 | 128.64 11:0 | 127.02 terali o bilaterali. | 128.67 128.51 | 9 5 5a Dia — 3:0 | 128.70 — 11:0 | 130.00 | Risultati ancora più regolari si eb- 4-0 | 128.65 12:0 | 124.86 bero, per il processo di cui ci occu- 128.69 1255121 ANN È 3 3 |(— #0 || 128.73 — 12:0 | 131.38 || piamo, nella torsione del nichel ricotto: Î . Ò 3 9 =D | 5-0 | 128.66 13:0. | 120.95 || in tal caso deformazioni permanenti sino | 128.70 127.22 o ASPETTA a — 50 | 12874 — 18:0 | 133.50 | a cirea 75 divisioni della scala, (cioè 6-0 | 128.62 10 | 115.24 | ad !; della deformazione temporaria 125.68 126.24 | ; 3 È — 6:0 || 128.75 — 140 | 187.24 || massima), si mantennero uguali da una | ; Ga: | 7-0 | 128.58 140 | 117.32 || parte a dall’altra in ogni ciclo e meno 128.70 MEGA] MS, PIRTTRCR | 70 | 128.81 — 140 | 135.06 | di ‘|, del loro valore, e si riuscì colla | S:0 | 125.46 14:0 | 119.00 | scarica successiva ad ottenere il ritorno 128.69 | 126.62 | REZITE — 80 | 125.92 — 140, | 13424 | esatto del corpo alla forma originaria. il | 9:0 | 128.20 140 | 119.65 | | 128.64 126.63 | v Pr ll 90 | 12908 — 1410 | 133.58 : | 25. A rendere meno variabile, nella. 10:0 | 127.64 (0) 126.78 | flessione, la media delle letture corri- 128.57 | È } È — 10:0 | 129.50 || spondenti al carico zero ho trovato utile (0) = || aa | far compiere alla lastra, a partire dallo stato iniziale, cicli bilaterali con am- piezze che crescono gradatamente : allora le saette residue sono presso a poco uguali in valore assoluto, e la scarica operata in seguito colle alternazioni de- crescenti conduce ad un’altezza della mira che non si discosta molto dalla pri- mitiva. Tale è il comportamento della 0,, ricotta per la serie cui si è accennato al parag. 21; se è stato possibile eliminare in essa quasi tutta la deformazione permanente (1, 00), ciò si deve alla circostanza che nella serie citata il va- lore della forza estrema passando da un ciclo bilaterale al successivo fu fatto variare sin da principio per l’aggiunta di un sol peso. Uguale successo, mediante l’artifizio sopra menzionato, non ebbero le nostre ricerche sulla flessione dell’ottone, quando si arrivava a saette esagerate, ma si potè sempre avere colle alternazioni crescenti un notevole vantaggio per ri- guardo allo spostamento dello zero. Se lo scopo non fu raggiunto del tutto io credo ne sia causa la disposizione sperimentale , poichè l’uso della carrucola, che non fu possibile evitare, portava, come si disse, qualcosa di dissimmetrico nel modo d’agire delle forze, tanto ciò vero che nella torsione, dove 1° appa-- SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 51 recchio risponde meglio all’esigenze delle ricerche, si accenna ad un compor- tamento più regolare. 24. In ogni modo è da ritenere che il metodo delle alternazioni decrescenti permetta di conseguire, per il corpo che si deforma a temperatura costante, uno stato veramente normale. Chiarisco l’idea. È noto che i metalli di cui disponiamo hanno subìto processi termici o meccanici che non ci garantiscono una uguaglianza di struttura nei vari punti e nelle varie direzioni; non si può quindi considerare lo stato iniziale di siffatti corpi come privo di deformazione. Tenute presenti queste circostanze a noi interessa conoscere se esista uno stato realizzabile a piacere, e rispetto al quale il corpo abbia legge costante di deformazione per forze che agiscano successivamente o nello stesso senso o in sensi opposti. Col nostro metodo di scarica parmi si raggiunga lo scopo in modo quasi com- pleto. Dalle tabelle X-XIIT, XXIV; XXV e XXXVI si vedra infatti che l’altezza [L], della mira, ottenuta colle alternazioni decrescenti in diverse serie di esperienze, si mantiene per ciascuna lastra pressocchè invariata, e che la legge secondo cui si deforma il corpo per forze crescenti a partire dallo zero di scarica non subisce modificazioni notevoli da un giorno all’altro. Moltissimi risultati speri- mentali potrei addurre oltre quelli che qui saranno trascritti; li tralascio per amore di brevità, limitandomi solo ad aggiungere che nei metalli ricotti, i quali presentano, a parità di forza, maggiori deformazioni temporarie e permanenti, sì ottennero col metodo citato in diverse serie posizioni di riposo della mira che differivano fra loro di una quantità inferiore ad ‘/,no della saetta perma- nente massima. Che la legge di deformazione del corpo a partire dallo zero di scarica rimanga immutata quando si passa dalle forze positive alle negative non viene avvalo- rato in maniera assoluta dalle mie ricerche , giusta 1’ esperienze che riassumo nelle tabelle seguenti, ma resta accertato che le deviazioni da un caso all’altro sono piccole, e che perciò possono rientrare nei limiti di errori inerenti alle nostre condizioni sperimentali. 32 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 0, TABELLA XXIII | 5 Marzo 6 Marzo a. m. 6 Marzo p. m. | P — P. | L s 3 L S As L s 0) 132.78 = 132.74 — 0 132.78 = 2.51 2.50 1 130.27 2.51 130.24 2.50 — 1 135.24 CDI, DAT 2.52 {982 127.80 4.95 127.72 5.02 — 2 137.73 — 9 | 2.5 2.52 | 8 125.26 7.52 125.20 T.54 = 8 olo — Ges | 2.50 2.52 NE 122.76 10.02 122.68 10.06 I. 142.70 — 19,9 Il DA7 2.46 Ilio) 120.29 12.49 120.22 12.52 =. 145.16 — 12.38 Il 2,43 2.42 Il 6 117.86 14.92 117.50 14.94 = 6 147.62 = ius | 2.39 2.40 | 7 115.47 17.31 115.40 17.34 = 7 150.03 — 17.25 Il 2.40 2.40 S 113.07 19.71 115.00 19.74 CS 152.46 — 19.65 2.39 2.39 O 110.68 22.10 110.61 22.13 = 9 154.89 = yi | 21 241 || 10 108.27 24.51 105.20 24.54 — 10 157.28 — 2450 | 2.41 2.40 VESTI 105.86 26.92 105.80 26.94 = ih 159.74 — 26.96 | RIAD) 241 12 103.44 29.34 103.39 29.35 — 12 162.26 — 29.4S | 2.53 2.53 | 18 100.91 31.87 100.56 31.88 — 13 164.90 9252 | 2.77 2.70 (1) 4 98.14 BIOL 98.16 BLIS _ 14 167.7: — 31.95 | 0, TABELLA XXIV n | 2 Aprile | 3 Aprile | 1 Aprile | p P L s AS L s As L s | : 3 || 0 130.17 = 130.11 =. 0 130.28 = | 1.11 1.11 ITANNETI 129.06 1.11 129.00 1.11 — 1 131.41 — 1.13 Ì 2.26 2.26 | 126.80 3.37 126.74 3:37 = 3 133.68 — 340 | 2.25 2.26 5 124.55 5,62 24.48 5.63 — 135.94 — 5.66 | 2.18 2.20 7 122.37 7.50 7.83 = A 138.19 — 7.91 | D.19 2.20 | 9 120.18 9.99 10.03 = 9 140,42 — 10.14 2.16 2.15 11 118.02 12.15 117.93 12.18 = it 142.65 — 12.37 2.15 2.19 13 115.87 14.30 115.74 11.37 = i» 144.85 — 14.07 2.25 226 15 113.62 16.55 113.48 16.63 = 147.10 — 16.82 1.15 È 1.18 o 16 112.47 17.70 112.30 17.81 = 15 145.28 — 18.00 1,23 1.21 e 17 111.24 18.93 11 09 19.02 — il 149.55 — 19:27 1.31 1.32 18 109.93 20.24 109.77 20.34 CIS | 150.89 — 20.61 i] (1) Nel mettere l’ultimo peso si è data una scossa al piatto. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 33 0% TABELLA XXV | 11 Aprile a. m. 13 Aprile po[=—— = P = — -- n | L s As L s As | O | 135.96 = O | 135,98 _ 1.62 — 1.59 Ri 1 | 134.8£ 1.62 — 1| 137.537 — 1.59 3.23 — 3.25 3 | 131.11 4.85 — 3.) 140.82 — 4S4 3.18 — 3.18 5 | 127.93 5.03 -—- 5 | 144.00 — 8.02 3.17 — 3.18 7 | 124.76 11.20 — | 147.19 — 11.15 3.18 — 3.09 9] 121.55 14.95 — 9 I) 150.22 — 14.24 Sb — 3.15 11 | 118.44 1î7.02 RIN 0394 — 17.39 3.26 — 3.28 (13 fl 115.18 20.78 — 183:| 156.65 — 20.67 3.62 — 3.64 15 111.56 24.40) — 15 160.29 — 24.31 2.12 — 2.19 | 16 | 109.44 26.02 — 16 | 162.48 — 26.50 Ì ll 0,, ricotta TABELLA XXVI 28 Agosto 29 Agosto 29 Agosto 28 Agosto 28 Agosto | P p | L Ss LE L Ss As L S As L S As L s | Ss IT — —— = si ei a ss se Sn 0 | 124.96 —_ 124.98 _ 124.95 — O(12LO7| — 124.98] — 2.89 2.85 2.56 —2.59 —2.86 1 | 122.07 | 2.89 122.12 || 2.86] 122.121 || (2:85 — 1|127.86/— 2.89 27.54 | 2.86 | 2.87 2.88 2.88 —2.86 [2.86] 2 1 119.20 | 0.76 119.24 || 0.74 119.24 | 5.74 — 2J130.72|— 5.TD 130.70 |— 5.72] 2.85 2.59 2.84 —2.85 —2.59 3 | 116.35 | S.61 116.39:| 8.59 116.40 | 8.58 — 3|133.60 — 8.63 153.59 2.09 2.79 2.79 —2.81 4 [113.56 | 11.40 113.60. | 11.38 113.61 | 11.37 — 136.41 1L.AL 136.42 2.04 2.78 2.75 —2.81 5 | 110.82 | 14.14 110.82 | 14.16 110.53 | 14.15 — 5|139.22/—14.25 139.22 | 276 2,76 ZuoC —2.83| |2 86 6 | 108.06 | 16.90 105.06 ! 16.92 105.06 | 16.92 — 6]142.05|—17.08 142.08 117.10] Z19) 2:85 2.88 —2:90 —2.90|| ta 105.27 19.69 105.21 | 19.77 105.23 | 19.75 — 7|145.00' —20.03 145.03 |20.05| 3.11 3.11 3.11 —3.26 | 13,25 8 {102.16 | 22.80 102.10 | 22.88 102.12 | 22.86 — 8|145.26|—23.29 148,28 |—23. 30] 3.65 3.64 3.69 —4.00 |-3.96) 9 98.48 | 26.48 98.46 | 26.02 98.45 | 26.05 — 9[152.26'—27.29 152.24 |—27.26 | 5.65 0.81 9.21 —d.57 —5,33|| 10 | 92.80 | 32.16 93.15 | 31.88 93.22 | 31.76 —10|157.83/—32.86 157.57 |—32.59 | [a 34 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE Nella torsione del nichel siamo anche per questo riguardo in condizioni mi- gliori, poichè in dune serie compiute, dopo la scarica alternata, con forze cre- scenti nei due sensi si ebbero letture nella scala che presentano un notevole accordo nei loro valori assoluti per carichi uguali sui due piatti. 25. Non sempre lo stato originario coincide col normale, potendone talvolta differire per una casuale deformazione, che stante la sua piccolezza sfugga al nostro occhio, e che basti a rendere diverse le proprietà elastiche dalla sbarra per deformazioni da una parte e dall’altra. In tali casi non è da aspet- tarsi che il nostro metodo di scarica ci porti all’ altezza iniziale della mira, poichè con esso si riesce ad eliminare gli effetti residui dovuti a forze positive o negative più piccole in valore assoluto del carico limite da cui si parte nella riduzione a zero. Mi è stato facile provare la cosa con un’esperienza. Portata una lastra nello stato normale dopo avere usato lo sforzo massimo di 20 pesi, le si fece acqui- stare con un carico successivo -—12 una deformazione permanente , che sparì ricaricando il corpo con + 14 ed attuando poi il processo delle alternazioni. Si produsse allora collo stesso carico + 12 la medesima saetta permanente di prima, e rifatta la scarica, a partire però da —14, si ebbe risultato identico che nell’altro caso. 26. Tutto ciò serve a mostrare che lo stato cui si perviene colle alternazioni decrescenti costituisce per lo studio delle proprietà elastiche un punto di par- tenza più sicuro, giacchè esso è esente da quelle incertezze che possono affettuare lo stato originario del corpo, e di conseguenza la sua legge di deformazione. Ai medesimi apprezzamenti porterebbe il fatto che delle lastre cimentate quelle che per la natura del processo subìto nella prima serie permettono 1’ esame della curva caratteristica accennano a leggi diverse, avendosi con talune, e di preferenza colle ricotte, una cedevolezza sempre maggiore coll’ aumentare del carico, per altri al contrario prima un aumento e poi una diminuzione del modulo E. Se invece prendiamo le mosse dallo zero di scarica uniformità dei risultati pare sia meglio raggiunta nel senso che coi diversi corpi la resistenza alle azioni deformatrici prima cresce e poi diminuisce; ed è a notare che il fatto vale tanto per i carichi positivi quanto per i negativi, onde abbiamo in cia- scuno dei due rami della curva caratteristica un punto d’ inflessione dove co- mincia a crescere la cedevolezza del corpo. Altro flesso si produce con deformazioni esagerate, quando la sbarra s’incurva di preferenza in prossimità del sostegno; ma quest’ ultimo, come fu già osser- vato al parag. 5, dipende dal modo d’ agire dai carichi e non dalle proprietà elastiche della sbarra. Uguale ragione non può valere per il primo aumento del modulo, giacchè, determinate le variazioni da apportare al valori di As per riferirci al caso di una forza esercitantesi in direzione perpendicolare alla parte terminale della lastra, si trovarono numeri assai più piccoli di quelli che costi- tuiscono gli scostamenti della legge di Hooke. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 579) La legge di deformazione del corpo per forze non molto grandi a partire dallo stato normale risulterebbe dunque alquanto complicata, nè saprei trovare cause disturbatrici capaci di produrre effetti apprezzabili all’ infuori delle con- dizioni speciali di struttura in cui trovansi le lastre cimentate; ma 1’ uso di una sola specie di deformazioni e di un solo metallo non ci permette nè di risolvere la quistione nel caso dell’ottone, nè di formulare intorno ad essa giu- dizi assoluti. 27. Non abbiamo tenuto conto nello studio della flessione dell’ influenza che può avere sui cicli e sul processo di scarica la forza di gravità esercitantesi sul corpo che si cimenta, influenza che non può mancare trattandosi di una azione la quale produce effetti opposti per deformazioni nei due sensi. Stando ad un esame superficiale parrebbe che, atteso lo spessore delle lastre da me adoperate , la causa disturbatrice di cui parliamo non fosse di grande entità , essendosi accertato mediante il catetometro che le sbarre si mantengono sensi- bilmente diritte nella loro disposizione iniziale, a meno di una saetta di qual- che decimo di millimetro; tuttavia la quistione per la sua natura delicata me- rita un più attento esame che io mi propongo di fare in seguito. V.— Processo di accomodazione 28. Nell’ esporre i particolari relativi ai cicli ho lasciato sotto silenzio una circostanza che non deve sfuggire al nostro esame qualora sì voglia avere una idea esatta del comportamento dell’ottone sottoposto a forze deformatrici. Se esercitiamo su una lastra sforzi d’intensità crescente, ed arrivati la prima volta ad una flessione piuttosto grande compiamo un ciclo bilaterale, questo d’ordinario non si chiude; infatti tornando ad agire il carico massimo primitivo si perviene ad una saetta più piccola di quella corrispondente all’inizio del ciclo. Siffatta anomalia tende a sparire nei cicli successivi con un processo lento di vera accomodazione, il cui esame formerà ]’oggetto del presente capitolo. Le tabelle XXVII, XXVIII, XXIX, XXX e XXXI mostrano in tutti i par- ticolari l'andamento del fenomeno. 36 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE TABELLA XXVII 9 Aprile [L]o = 137.63 S E S E S E S bj S E Ss E S E 16] 29.82 IS.AL 25.23 28.13 28.15 | 28.14 28.14 10130 9990 9990 9990 9920 9920 9990 15| 2841 27.01 26.80 26.70 26.71 26.70 26.71 9SSO ‘| 9750 9740 9750 9750 9750 2° | 9740 13] 25.58 24.10 23.88 23.79 23.50 23.79 23.79 9550 9520 9520 9490 9490 9460 9490 11f 22.55 21.11 20.89 20.79 20.80 20.78 20.79 9250 9190 9160 9190 9170 9190 9160 7| 16.39 14.91 14.67 14.59 14.59 14.58 14.57 8840 S790 $500 8770 | 5790 8790 $S00 3] 9.96 SAL 8.21 SAI SA2 SAI SA | 8620 8530 $530 8550 8530 5550 5530 0 5.00 Bb) 3.20 3.11 3.11 5.1 3.10 | s410 8350 8300 8330 8300 8300 8300 3]— 0.08 SSE6n — 1.94 — 2.02 — 2.03 — 2:03 — 2.04 | 8290 8250 8250 $260 5300 S260 8250 Ti 6:94] — 8.56 — 5.83 — 8:90 — 8.88 — S.91 — 5.91 7890 S240 5290 S340 5290 $320 $320 —11| 14.16 — 15.47 —15-70 —15:73 —15.75 —15.-70 — 10.76 7010 7820] - 7930 7900 8040 8020 s070 3|—18-22 —19.11 — 19.29 —19.50 —19.20| —19.30 —19.29 | 6070 7260 7610 7670 7650 7730 7690 —15|—22.91| —22.03 — 23.03 —23.01 —23.01 —22.98 —22.99 | 5410 6650 7000 7250 | TAO | 7560 7400 —16|—25.05| —25.1S —25.07 —24.98 — 24.98 —21.87 — 24.92 (10740 10250 10280 10250 10350 10350 10130 | —15]—24.22 —23.79 —23.68 — 23.59 —23.55 | — 23.49 —23.51 | 9750 ISS 9710 9S10 9510 9s10 9510 —13|—21.31 —20.91 —20.75 — 20.69 — 20.65 — 20.59 — 20.61 | | 9490 9460 9650 9520 9550 9620 9590 (11 -18.31| --17.90 —17.80 — 17.70 — 17.67] — 17.63 —17.64 9290 9260 9220 9260 9220 9200! 9260 7|—12:18| —1.75 —11.62 —11.55 —11.49 — ld —11.49 | 8500 SS60 SS7 8840 SS50 S870 8860 Sora — 5:33 — 6.21| — 5.12 — 5.09 — 5.03 — 5.07 8510 S4S0 8510 8500 8500 S460 84S0 OI— 0.70] — 0:29 — 0.19 — 0.09 — 0.06 0.02 — 0.03 8360 8650 8410 S410 5400 8480. 9360 3] 441 4.65 4,89 4.99 5.03 5.09 5.05 5260 S270 8300 8290 8290 s27, $290 T 11.29 11.02 abre! 11.55 11.59 11.96 11.94 $000 S060 S160 8190 | 8170 8200 8190 11| 1841 18.59 18.72 18.51 18.56 15.91 18.90 7650 7820 7930 5000 8040 8090 8020 13] 22.13] 22.23 22.31 22.37 22.40 29.43 22.45 7040 7250 TATO 7570 7610 7670 7670 1 26.17 26.14 26.12 26.13 26.14 26.14 26.16 6300 6340 7110 7070 7150 7150 7330 16] 25.44 25.23 28.13 28.15 28.14 28.14 28.11 i\ Ei 8397 8563 8596 S619 S62£ S631 8627 {| E74 8530 9599 8622 8631 8639 8648 S641 | Bo 8463 8581 S609 8025 8632 S640 8634 SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI ‘90 (0}S TABELLA XXVII (cont.) 10 Aprile 11 Aprile a. m. 12 Aprile [L]o = 136.00 5 LOR da sa 3 | 3 Ss E Ss lì 87, Hb; Ss ID) S E s 0) s 10) s E i 16] 25.11 23.15 26.52 26.50| 26.46 26.66 26.58 26.58] Ì 9990, 10180 9920 10060 10210 9780 10060 | 10060) 15] 26.68 26.74 25.05 25.05 25.06 25:20 20.16 20.16 9740 9740 9810) 9710 9710 9540 9650] 9650 15] 23.76 23.92 22.15 22.10) 2eSI E) 22.31 29:22 22.22 9520) 9520 9400 9400 9460 9460 9490 9520 11f 20.77 20.83 19.18 19.15 19.12 19.30 19,22 19.23 E 9170 91601 9160] 9170 9160 9170] 9190 9200) | 14.56 14,61 12.96 12.94 12.90 15.09 13.02 153.04 | (1)| 5790) S770 8500 8810 8790 8570 8770 8750 3j 5.09 8.13 6.50 6.49 6.43 6.68 6.54 6.54 5510 5550 59S0 $500 5550) 5550) 5510 85980 0 3.04 3.15 1.52 1.49 1.45 1.68 1.52 1.93 8760 8450] 5430 $360 58330, 8410 8350) 8330 — 3j— 1.84 — 1.91 — 3-00 — 3.62 — — 3.40 — 3.60 — 3.60 S4T( 5300 8360 $310| $300) 55310 8260) 8250 — | 8.55 — 8.76 —10.35 —10,.46 —10.53 —10,24 —10.48 —10.49 8120 5220) 8340) 5330) 8340 5200 5300] 8320 —11}--10.07 —15.69 17.15 —17.30 —17.36 —17.19 17.54 17.34 7910 7950 7910 5040) 1150) 8000 7980 Sf — | 7550|—19.29 —20.76 —20.90 —20.90 —20.85 —20.90 —20.91 1650) 7570 70 7730 7510 7690 7710 '—-15]--23.11 —23.02] — 24.52 —24.56 —24.68 —24.64 — 24.60 —24.60 | : 7330 7600 6650 7290 7440 7290] 7560 7810 '— 16] 25.06 —24.90 —24.66 —26.52 26.50 —26.60 —26.49 —26.43 10350] 10590] 10060 10210 10150 10210 10130] 10430 i—15]_23.68 —23.55 —25.24 —20.12 —25.09 —25.20 —25.08 —25.06 , 9540 | 9740 9910 9550 10050 9880 9540 9810 —13|-20.79 —20.63 —22.37 —22,24 —22.26 —22.32 —-29,19 —22.16 | 9.190, 9490 9490 9490 9490 9490 9520] 9490 —11|—17.79 —17.63 —19.37 —19.24 —19.26 —19.32 — 19.20 —19.16 9250 9250 9220 9250 9190 9250 9250 9250 — 7|-11.63 —11.49 —13.49 —18.10 —13.06 —13.16 —13.04 —13.02 8790 8800 8860 8860] 5860] $500| 8770] 8770 — 3|— 5.16 — 5.03 — 67 — 6.68 — 6.64 — 6.70 — 6.56 — 6.54| 8430] 5450 S410! 8450 8410 8350) 8450 8450 O/— 0.09 0.01 — 1.69 — 1.62 — 1.56 — 1.60 — 1.50 — 1.48 8300 8360) 8880) 8320 S400) 8300) 8330 5350 3 5.05 5.12 DAL 3.02 3.03 3.50 3.63 3.64) 8220 8250] 8260 8310| 8270] 8130 8230] 8240 | 11.97 12.01 10.29 10.36 10.40 10.54 10.54 10.54 8130) 8150) S200 8220 8240) S140 S110| 8140 11) 15.98 19.00 17.24 17.29 17.531 17.04 17.56 17.54 8020 8070 7950 8020 8020 8090 8140 8110 134 22.58 22103 20.82 20.54 20.56 21.06 21.06 21.05 | 7730 7730 7710 7770 7730 770 7500) 7800 15] 26.21 26.21 24.01 24.50 24.54 24.72 24.71 24.70 7360 (2)| 7920 | 7180 7290 (3)| 7-40) 7650 7640) 7640 16] 28.15 28.11 26.50 26.46, 26.46 26.05 26.06! E, 8627 8632 8622 8634 S644 8604 8504 8636 E” 8612 S64H4 8621 8650 8651 S615 S 8599 5643 Eo 8619 8638 8622 8642 8648 8610 8597 8640 va (1) Prima saetta del 10 Aprile. L'ultima del 9 Aprile era 3.07. (2) Si compiono altri due cicli e si scarica la lastra colle alternazioni decrescenti. * (8) Si scarica la lastra colle alternazioni decrescenti e la mira si.porta-a 136.00. Si compiono in seguito altri cinque cicli bilaterali e si lascia caricuta la lastra con 16 pesi, cui corrisponde la saetta 26.91. INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE TABELLA XXVIII 26 Aprile [L]o = 134.76 27 Aprile 4 Maggio [Lj = 181.84 | E SIE S E s 26.82 26.52 10630 25.61 25.68 110390) 23.22 23.18 9740| 9750] 10] 16.9S 16.70 16.79 16.74 | 9120 9130 5] 10.12] 9.52 9.92 9.88 S760) 8760) o] 2.96] 2.66 2.76 2.69 | S4LO S4SO i ol 4-44 E Brera — 461 — di | | | 8370 8390) llso|-11.94 —12.27| —12.12| 12.97 | | SISO; {| S100 —15|-19.58| —19.94| _19.86| — 19.92] | 7730 7850 _17]|—22.90 23.19] — 23.06 — 23.10 | | 7290 6520 |_18}-25.04] 24.91] 24.90] _24.S6 — llos40 {10280 l_17]-23.56] 23.72) 93.681 —23.62 | 9740] 9820] (5|-2131| 21.14 —21.12 —21.06 | | 9470 9500, lol 1172 14.52] — 14,52 era | | sg | 9000 8950 | | 7Ar| 7.55] — 7.51| — 746] | | GSO] 8590 Il 0f— 0.51 '— 0.32] -- 0.21 — 0.18 | | 8520 5500 | dl 6.86 7.04 7.17] 7-20, | S4SO $370 10] 14.32] 1444] 11.67] —14.66 | 8340] 8350 ll 15] 21.56 21.96] 22.18 22.14 | | 8160] 8240 || 17] 2499 25.04] 25.23 25.20 638 i (al 7840) | 7890 15Ì 26.78 26.61! 26.50 | E; 8800 8805 | | Ey/ 8795 S767 | | Do 8798 8786 (1) Dopo questa determinazione si lascia caricata 10540 10260) 9520 9150) S720 S410 5370) 5200 7900 7130 10120 9520 9470) S990| 8620 5500 S410! Ss n ALA — 7.40 10630 ‘10300 9710 9090 8740] S410 7350 10280 —23.60| 8802 8504 26.81 Te) L DO [ez} US] — 4.50 | (10540 10220 9740 9120 8690| 8450| 5250 7700 10250 9520) 9470 Ì vi RS) [le] —13.31 —20.S6 —24.10 —25.82 —24.64 —22.10 15.47 8510) S4H0 S310 8320 2040 — 124 E — —_— — 10630 10300) 9690 9120 S77 10630, 9460 S940 8520) 8110 7940 la lastra con 18 pesi sino al 27 Aprile. 8 25.46 24.30, —24.16 —25.84 24.62 - 2210 15.46 13.44 25.46 10810 10220 9150 8760 7470) |10250) 9970) 8860) SS3L SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI TABELLA XXIX CORPI 39 | 2 Aprile [L]o = 130.17 3 Aprile a. m. 10600 19] 22.36) - [10530 17 3 10290 15] 18.25 10020 10] 12.92 9730 5 7.49] 9260 Of 1.66 S9S0 — 9/— 4:39 S590 —10/—10.30 8570 --19/-16.33 S170 17|-19.16 7370 luo —22.06 6570) —20]--23.69| 9910 “10420 —17|—20.64 ! 10000) 15] 18.50 9520 —10/—13.06 9420 — 6l—- 7.39 | 9300 | c0j— 1.58 $990 dj 441 9010 10} 10.34 $740 15] 16.45 8260 17 19.04 7800 19] 21.78 6360 20] 23.24 E, 9178 E” 9153 IOES 9165 10.43 16.52 19.09 2.82 ID) 10500 10470! 10340 10020 9650 9240 $S60 S510 8600 SI70 7630] 7090 10920 10270 10090 9750 QU20 9110 8960 9070 S770 OLTI 9178 — 4.45 —10.53 —16.72 —19.29 4.62 10.53 16.60) 10520 10470 10290 10020! 9660 8270 89501 5790 8320 7690 7430 105820 10320 10000 9520 O440 9050 S9S0 9040 $500) 8460 7560 7870 9206 9192 9199 PIZZA 20.17 15.08 12.75 24 (1) 1.46 10.53 16.61 19.15 21.85 n E 10710 10470 10230 10020 9690 9240 9300 5500 S410 8150 7660 7330 11150 10270 10000 9570 9320 9110) 5920 5950 8750 S420 7910 7930 9209 OLT7 9193 4A — 10.05 —16.79 19.537 | 3 Aprile p. m. [Lo = 190.11 | ALE e e RIAD | | ID s ;o) AA 21 DI Ss ID) £ DI | — _ | ——|—_=_-e-r_.-_-— —_ | il 23.18 Di 23.18 23.16 | 10520 10820 | 11060 10500 10600 22.19 22,56 22.16 22.15 10470 10550 10420 10080 10470 a 20.21 20,14 20,11 | 10290) 10190 | 10290, 10230 10190 15.07 15.13 15.05 15.01 10000] 10020 10020 9950 10000 12.7 12.50 12.70 12.67 9710 9690 | 9660 9690 9650 Il 1.23 1.27 7.19 7.15 9220 9210] | 9210 9150 9180 1.45 1.47) 1.937 1.93 S9S0 $930 | 9090 9080 9090; — 4.55 — 454 | 465 — 4.65 8770 8790 8790 S760 S740, —-10.63 '—10.62 —10.75 8600 8630 $500) 5700 —16.52 —16.59 —16.59 5290 5320 | 5200 5230 —19.39 —19.46 __|_19.49 700 770 | 7550 740 —22.14 —-22.28 —22.25 7490 | 7510 7590 7490 —23.51| —28.78) {23.68 —23.65 10920 [10700 10500 10920 10400 —22.51| 2237 —22.70 92.62 10220) |10220 10270 10350) 10150 —20.42| —20.63|__—_|—-20.64 —20.51 | 10040 (10090 10090 9560 10140 Il —15.30 —18.51 18.47 —15.40| 9750 | 9S20 9760 9750] 9500 —12.56 —13.04 —13.01 12.95 9400 9890 9390 9390) 9370 — 1.17 — 7.35) __|_ 7.32 — 1.25 9110 9050 9070 09070) 9110 — 1.29) — 1.46 — 1.43 — 1.39 8950 | 5960 8900 89530 8930 4.67 4.54 4.55 4.09 | 9010 8990 990 S950 8960 Il 10.61] 10.48 10.50 10.55 8750 SS40 SS10 8500] 8850 16.65) 16.54 | 16.57 16.58 S420 8420 5330 8420 8460 | 19.19) 19.11 19.11 IRR U $020 S030 7940 7970 8000 21.85 21.50 21.79 21.75 7930 S110 7760 7810 $050 | 23.17] 23.15 23.16 23.11| 9209 9217 9207 9211 9217 DIST 9194 9163 9167 9178 9198 9205 9185 O1S9 9197 (1) Saetta iniziale del 3 Aprile. I valori precedenti di questa serie appartengono al 2 Aprile. 0; ricotta TABELLA XXX ; 0 13 Maggio [IL]o — 186,52 15 Maggio 17 Maggio P_|r = rr" euri = = = È = === a = <= 8 Ab RI Ax 4 Aa 8 Ag 8 10 26.01 22,00 29,42 22181 | LB Lul7 1,147 fa Ul) 29,80 22,01 21,8: 1,18 20,84 4 1.61 1.bI 1,50 L.bI ai "7 1O.77 18,04 IT N 1,61 1,62 1,55 1,60 i Di I 10,74 14,62 pi i 1,70 1.74 1.70 Ra RI 18},( ; 4 LOMO 11,52 (1.10 i 2,01 1,88 lac] (Ù) 8,59 7,08 (10 (e) 0,12 n.20 Db fa DIDII 4,52) » 9,18 (sa) (ZII eTI2À ICT] (21) (Ep 1,50 0.04 — 0410 OB (00709 LI DS] 2,00 9,18 2,97 2,80 (= RANSIE) = 4.81 — S70 - — Dyl0 - 07% n 2,88 2,58 PRI) 2.57 9,10 2,10 ; DL Yi 0,08 — 10,18 nni --10,00) 10,2 e 10), ER tes] 8,62 9,12 8,16 2,84 2,70 (&) tl) > 16. 10,08 10.70 LOT mx 72 © DIA 4,07 f 8,00 ra 10) 20,22 10,18 [ea] MR] 1.18 1,18 I ni i) 19,80 18,70 7 LbI LD (co) fi — 10,28 11,48 6 d — 1:00) 15,08 GR Pa L,7B 1.7 a cls) 10,50) D,07 8,08 |] 2.04 (i) 0 1,88 - pu 1,08 4 Sf 4.86 02 di TA 8.00. MOT 12,68 DI) 18,60 19,80 I 70 18,70 18,70 1.78 («325) =tl del I7 Ma ) pesi sino al 16 Maggio, — (2) Prima saet SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 4l In base ai risultati della tab. XXXI fu costruita la figura che quì si riporta, la quale dà un’idea dell’accomodazione della 0,, ricotta : la curva a tratto con- tinuo si riferisce alla deformazione iniziale sino al carico +11 ed al primo ciclo, quella tratteggiata al secondo ciclo e quella punteggiata al 15°. 29. Rileveremo anzitutto che l’imperfetta chiusura del primo ciclo per le di- verse lastre non è un fatto isolato, bensì la conseguenza di una legge che segue il corpo lungo tutta la trasformazione da P, a —P, e da —P, a P,, avendosi per la forza estrema —?P, una saettà in valore assoluto minore della primitiva e, sempre a parte il segno, un impiccolimento graduale delle saette che si ri- feriscono al passaggio da —P, a P, rispetto ai valori che per la stessa frazione di mezzo ciclo si aveano venendo da P, a —P,. Risultano pertanto diverse le deformazioni permanenti, ed in generale manca la simmetria nella curva rappresentatrice. 0, ricotta TABELLA XXXI 17 Giugno [L|j = 128.00 17 Luglio [L]o = 125.77 E 1° ciclo I 2° ciclo 15° ciclo 1° cielo 8° ciclo G As; = = = s As ————_@rr e = Ss S As, S As; | 11 70.96 53.32 44.05 2.19 P_10 69,00 51.13 41.78 DI DI 9 67.00 48.91 39.45 2.39, ti 62.74 44.24 34.61 2.49 2.56 5 58.10 39.27 29:49, 3.06 3.05 | O) 42.97 23.99 14:22 | dA7 4.10 ESE) 18.13 2.09 — 6.27 5.62 4.87 7 Bd — 9.15 —16.01 7,17 5.A0 | Lig] —18.54 —23i51 —26.81 11.02 7.00 | 10 —38.47 —31.38 | —33.81 | | 19.32 12.02 = — 66.00 —53.85.| —45.83 | | 2.30 2.40 ESSO — 63.95 —57.26 SA —51.55 | 4349 2.29 | 2.36 2.51 | DAL 2.51 RESO) —61.66 — 54.90 | — 40.66 — 4911 40,92 2.38 2,46 2.59 | 2.99. 2.60 CT —56.90 49/98 — 35.48 — 44.05 | —35.73 2.08 2.64 DATO | Di 2.75 Sd 51.74 —A4.70 | —29.93 —35.99! —30.23 8192 (MESI 3.32 3.26 3.22 gl= —35.14 —28.02 | — 13.33 = —22.67 --14.15 2.81 5.42 | 5.15 4.50 2.82 1.69 4,29 5|14.03 — S.04 — 2.26 9.17 14.09 0.77 1.29 | 3.83 7.48 | 6.5£ 5.07 2.75 | 5.51 4.92 | 7|19.69 6.92 19.52 19.59 11.79 17.13 | 5.50 9.60 | 8.24 5.66 377 | 6-87 5.39) | 930.68 26.12 27.30] 30,84 27.13 25.58 | 27.91 16.06 15.64 | 11.63 7.16 8.19 9.42 6.36 | 10[46.74 41.76 38.98 | 38.00 85.32] 34.95 | 34.27 24.22 21.15 20:22 10.97 | 15.00 | 15.37 11.54 11}70,96 | 62.94 59.15 | | 48.97 53.32) | 50.68! 45.81 42 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE Se non che i cicli successivi, nel mentre tendono a chiudersi, accennano a rendere i vari cappii simmetrici, ma non rispetto all’ origine, sibbene attorno un punto che si va spostando sull’asse delle saette, in principio nel senso nel s2s5, ez quale agì la prima volta la forza massima, e poi lentamente in senso opposto sino a raggiungere una posizione stabile che . coincide collo zero di scarica, quando questa venga eseguita, dopo alquanti cicli, col metodo delle alternazioni. 30. Non posso garantire che lo spostamento del centro di simmetria sia ca- ratteristico del fenomeno che si studia stando a quanto si osservò al parag. 22 e tenuto conto di ciò che nell’accomodazione del nichel ricotto si hanno tor- sioni permanenti presso a poco uguali nei due sensi. Tuttavia restano inalterati gli apprezzamenti sull’ indole generale del feno- meno. Difatti, ammesso pure che lo spostarsi dello zero sia dovuto ad una causa disturbatrice capace di modificare la legge che seguirebbe il corpo in condizioni sperimentali perfette, non può ascriversi ad esso l’ accomodazione, sia perchè, come vedremo fra poco, questa continua anche quando diviene costante la media delle letture relative alle deformazioni permanenti, sia perchè nelle ricerche del Wiedemann sulla torsione dell’ottone il fenomeno di accomo- dazione procede nelle linee principali colle stesse modalità da noi rilevate. 31. Una completa regolarità non si ottiene col processo di cui ci occupiamo, SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 45 essendovi d’ordinario anche nel caso dei cicli chiusi, ai quali si perviene sempre col metallo erudo dopo le prime alternazioni, una forma non perfettamente simmetrica della curva che li rappresenta, giusta quanto si deduce dalla ispe- zione delle saette. Parmi però che il fatto sia da attribuire alla disposizione spe- rimentale, ed a questo convincimento son portato dal vedere che anche par- tendo dallo stato non deformato si hanno, per forze crescenti una volta in un senso ed una volta nell’ altro, saette negative superiori in valore assoluto a quelle positive che si ottengono con ugual numero di pesi, anomalia che rivela palesemente in questo caso una imperfezione dell’apparecchio. 32. La tabella XXVIII mostra che per la 0, avviene la chiusura dei cieli quasi dal principio, non ostante la deformazione massima da cui si partì fosse alPincirca uguale a quella che presentava la 0;; ma è da osservare che la 0, non arrivò come la 0, al carico massimo primitivo con forze crescenti con con- tinuità, sibbene mediante una serie di cicli bilaterali con forze estreme che aumentavano volta per volta del valore corrispondente ad uno dei pezzi di piombo. Risulterebbe dunque che questo modo di procedere, oltre a portare uno spostamento dello zero meno pronunziato che andando tutto d’ un tratto alla forza massima, serva ad agevolare l'assetto del corpo, in quanto il lavorio inerente ai cicli più bassi costituisce una parte del processo di accomodazione. 35. Per riguardo all’ andamento del modulo, siecome nel fenomeno che qui si studia vennero prodotte saette massime assai elevate , troviamo confermato quanto si disse al parag. 17, che cioè i valori di E per ciascuna metà del ciclo vanno decrescendo prima lentamente e poi con maggiore rapidità, e che quelli relativi alla trasformazione da —P, a P, accennano, a parte le imperfezioni do- vute alla leggiera dissimmetria, alla riproduzione dei valori che si hanno per la stessa frazione di mezzo periodo nel passaggio inverso. Imoltre abbiamo quì valori di # che nei successivi cicli vanno decrescendo, se si considerano forze appartenenti al primo e terzo quarto di ciclo , e che aumentano più rapidamente per carichi vicini alla fine di ogni mezzo ciclo. Ne consegue un aumento di E,, marcato quando si passa dal primo al secondo ciclo, e che tende poco a poco a sparire. È notevole che le variazioni del modulo per ogni colonna si rendono nei suc- cessivi cicli meno accentuate, onde col fenomeno in esame non solo si acere- sce il valor medio di E, ma anche si modifica il comportamento del corpo nel senso di aversi minori divergenze dalla legge di Hooke. 34. Se s’ interrompe per qualche ora il lavorio del corpo non si manifesta notevole disturbo nell’ accomodazione, quando invece il riposo si protrae per uno o più giorni si perde parte dell’effetto prodotto dai cicli precedenti. E nello stesso modo pare che agisca la scarica col noto metodo, come verrebbe pro- vato dalle esperienze del 3 aprile, nelle quali il riposo della lastra per un paio dl INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE d’ore è di troppo breve durata per giustificare da solo la notevole diminuzione del modulo nella prima serie delle ore pomeridiane. 35. In base ai risultati relativi alle 0,* ed 0, si constata che l’azione pro- lungata del carico massimo genera un disturbo nell’assetto del corpo, potendosi dedurre dall’esame delle saette che nel primo dei cicli successivi avviene una piccola rotazione del cappio, rispetto al precedente, attorno il punto figurativo della massima deformazione permanente in senso tale da aversi una cedevolezza media maggiore. Però l’effetto è solo temporaneo, giacchè il valore di E, dopo poche alternazioni tende ad avvicinarsi al limite primitivo. Un fatto analogo si verifica per la 0, ricotta, se non che in questo caso il fenomeno è più compli- cato per essere l’accomodazione più lenta, come si dirà appresso. 36. L’accomodazione, si disse avanti, oltre che colla variabilità delle saette relative ai punti estremi del ciclo, si apprezza col graduale decrescere delle deformazioni permanenti. Ciò fu notato dal Wiedemann (1) nello studio che questi fece sulla torsione dell’ ottone. Nelle nostre ricerche risulta di più che anche quando i cicli si chiudono continua a scemare la differenza fra le letture corrispondenti alla forza zero per ciascun ciclo, generandosi col procedere del- l’assetto del corpo una continua diminuzione dell’ area d’ isteresi. Siffatto ele- mento a causa delle sue accentuate variazioni ci permette un esame più minu- zioso del fenomeno che abbiamo impreso ad analizzare in questo capitolo. Esso ce ne rivela l’esistenza anche quando è difficile scorgere variazioni sistematiche sia del modulo medio che delle letture corrispondenti al carico zero. Sarà bene pertanto studiare il processo di accomodazione in base alle sole aree d’isteresi, ed a ciò si prestano le tabelle seguenti. In ciascuna di esse nella prima colonna sono indicati i giorni di esperienza, nella seconda te lastre che si cimentano, nella terza la forza estrema impiegata in ogni ciclo e nelle altre i valori delle aree (2). (1) V. loc. cit. p. 492. (2) Il valore dato di ciascuna area ci fornisce il lavoro delle forze esterne prese come unità delle lunghezze e delle forze rispettivamente il millimetro ed il peso di uno dei pezzi di piombo. La nostra unità di lavoro perciò corrisponde all'incirca a 9500 ergon. In una nota preliminare comunicata all'Accademia dei Lincei si è detto per equivoco che l’unità di misura da me adottata per il lavoro era di 98 ergon (V. Rend. Ace. dei Lincei 2, 2° Sem. p. 390, 1893). j SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 45 TABELLA XXXII Ottone crudo v | Aree d'isteresi Giorni di esperienza E Di = == = = 1* ciclo 2- ciclo 3* ciclo 4* ciclo 5* ciclo | ET Naga TEZZE Za | Wwrres 4 Marzo 0, 14 117.27 69.96 61.72 _ — 5) » » » 09.539 _ — - = ENO, » » » 57.25 50.58 —_ = E. mi Sag 186.10 176.12 — _ _ 1905 > » 182.91 175.42 166.43 i e 19005 > 17 345.56 201.69 = 2 = 19 » » » 290.96 269.79 —_ — - 7 (2) 2 Aprile 0, 20 93.80 86.76 81.41 S pale 3) > Maina >» > 83.95 19:39 70.53 = = 3 DI paro» > » 83.30 79.14 70.84 = 2a 9 Aprile a. m, OR 16 142.58 88.53 _ = a 9 > p. m. > » 76.98 72.12 71.05 69.09 69.67 10. > » > 76.71 70.34 67.95 67.82 tl I 11 > 2. Mm » » 74.03 69.71 67.62 _ _ 11 » p. m. » > 71.08 67.85 66.58 60.94 63.34 ‘ 12 » » » 72.88 66.61 66.34 60.76 _ (4) È } : ; > 25 Aprile a. m. LA 18 96.68 87.98 82.41 79.96 78.41 26 Aprile p. m. 9 18 91.67 70,29 _ — _ ab Sa coil 71.51 69.04 68.13 n 4 Maggio | > » | 67.3 64.86 62.11 —_ — (1) Dal 23 Febbraro al 3 Marzo la lastra era stata cimentata per cicli unilaterali da 0-2 a 0: 14. (2) Dal 26 Marzo al 1° Aprile la lastra era stata cimentata per cicli unilaterali e bilaterali con forze estreme sino a 20. (3) In principio della serie la lastra si trovava caricata con 16 pesi dal giorno precedente. (4) Dal 18 al 19 Aprile furono compiute alternazioni crescenti da 10. — 10 a 18° — 18. (5) In principio della serie la lastra si trovava caricata con 18 pesi dal giorno precedente. 46 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE TABELLA XXXIII Ottone ricotto Aree d’isteresì | s I Giorni di esperienza z Py i = 3 T 7 | = 1- ciclo | 2- ciclo | 3: ciclo | 4- ciclo | 5: ciclo | S- ciclo | 15: ciclo | eee | Maggio o, | 10 159.50 | 158.39 135.01 | Rea i» I got sa > > 39.09 | 122.39 | 11272 | 106.86 | 10839 | — = È Res > > 115.00 105.28 | 10.74 | ORO e | = | | BIS > > > 101.73 = | _ | — — — | = | | Pà | | | | 17 Giugno 0, | 11 | 123250 | ss610 | — pole = = 459.20 || 17 Luglio a. m. | > { > { a6s0 | sos — | — | - |aso| — | | 17% > (pra: > | 10 | 17450 | 14970 - | - | = Rao A | | 18 Luelio | > > | 162.90 145/00 | a41.07 | — | = i | ll LI | 11 LI ' In ogni rigo le aree vanno decrescendo a partire da un valore massimo che si fa per la stessa lastra di giorno in giorno più piecolo, ma che sorpassa a processo inoltrato quello ottenuto alia tine della serie precedente, in modo da rivelare la tendenza del corpo a perdere in tal caso col riposo parte dell’effetto dovuto al lavorio del giorno avanti. Che si possa ottenere colla continua deformazione del corpo fra i medesimi limiti di forza uno stato di regime normale è probabile, attesa la lentezza con cui in ultimo decrescono le aree, però a me, non ostante le lunghe serie di esperienze fatte, non è riuscito mai di ottenerlo; nè ho creduto valesse la pena di raggiungere lo scopo, occorrendo a ciò ricerche laboriosissime, per la con- tinuità con cui si dovrebbero eseguire, colla certezza d’altro canto di non po- tere realizzare condizioni assolutamente stabili a causa della influenza che il riposo esercita sulle proprietà elastiche dei corpi. 37. Il rieuocimento rende più accentuata e più lenta l’accomodazione. Così per la 0,, ricotta si passa nella prima serie dopo 15 alternazioni dal valore del- l’area 1282 all’altro 459 senza che i cicli si chiudano ancora (5). A parte però la grandezza dell’effetto la natura del fenomeno è sempre la stessa. (1) 11 13 Maggio a. m. la lastra avea compiuto un ciclo bilaterale 10: — 10 e poi era stata ridotte a sero. (2) In principio della serie la lastra si irovava caricata con 10 pesi dal giorno precedente. (3) L’ultimo quarto di questo ciclo si compì il 17 Maggio. {£ Il 13 Giugno la lastra avea compiuto alternazioni crescenti da 2- — 2 a 10- — 10. (9) Colla notevole accomodazione subita da questa lastra e dalla 0. r/coffa se ne alte- rarono le proprietà elastiche nel senso di avvicinarsi il comportamento delle due sbarre a quello caratteristico del metallo erudo. Si irovò infaiti che le stesse cimentatate suc- SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 47 38. Importa osservare che nella 0; ricotta, con una deformazione massima inferiore a quella che presenta la 0;#, l’area d’isteresi è notevolmente più grande, e tale si mantiene nelle varie fasi del processo. Il risultato valendo anche per i cicli unilaterali, come ho potuto accertare colla 0,, ne segue aversi, entro gli stessi limiti di deformazione, un maggior lavoro meccanico consumato dal corpo nello stato ricotto lungo il percorso del ciclo. 39. Si può rendere più breve l’assetto del corpo fra dati carichi estremi fa- cendolo lavorare prima in un campo più esteso di forze. Così per la 0,, ricotta fu possibile avere sin dal primo ciclo cappii chiusi fra +10 e —10 dopo averle fatto subire trasformazioni fra +11 e — 11. Un’influenza dello stesso genere si riscontra nelle aree d’isteresi giusta quanto si rileva dalla tabella XXXIV che riassume il processo di accomodazione della 0, mediante cicli bilaterali compiuti in diversi giorni e con forze estreme date in valore assoluto nel primo rigo. È giusto avvertire che nessuna esperienza fu fatta nei giorni intermedi a quelli segnati nel quadro. Se consideriamo la seconda co- 0, TABELLA XXXIV i NALEMIZIADE lonna, relativa ai cicli fra + 14 e Enna DA PR 18 sO) 50 | —14, apparisce che mentre dal- e ne 1} 1 ‘al''12) Novembre si passa da 11 Novembre 19.34 | un’area di 19, 34 ad una di 13,96, 13.51 il 28 Novembre per l’azione di un 11.60 > | precedente ciclo fra +20 e —-20 si 125 13.06 | 42.39 | 81.59 ha un’area di 9, 73, ed il 30 una Me = — {72.36 | 182.21 | 20102 | quasi uguale anzi un poco più gran- SNO 9.73 | 21.58 | 53.99 | 192.58 | 197.43 de. Seguono in questo giorno tre al- SOMMO, 9.94 | 22.19 | 54.62 | 92.62 { 151.88 || ternazioni da 20, e risulta per l’aree 147.84| un’ ulteriore riduzione che tende 141.12 | forse a sparire nelle ultime serie, 2 Dicembre 8.28 { 20.36 | 52.68 | 86.06. | 143.42 || nelle quali volta per volta si compie 85-41 | 137.10 3 > a. m. 8.59. I 20.47 un solo ciclo da 20. A conclusioni “ Le] Si do (rel 21.09 { 52.12 | 87.16 { 183.57 || analoghe si viene per i risultati del- la terza, quarta e quinta colonna. 40. Sin quì per i cicli bilaterali. Ben diverso è il caso di quelli unilaterali, poichè allora sin dal primo cappio si ha la chiusura, e nei successivi, anche con deformazioni limiti piuttosto grandi, non si trovano mutamenti notevoli cessivamente per cicli unilaterali presentavano nei passaggi da zero a P, cedevolezza decrescente, mentre prima dell’accomodazione avveniva il contrario. L’anomalia sparisce con un secondo rieuocimento, per ricomparire quando la lastra sì sia di nuovo acco- modata. (V. in proposito le tabelle XI ed XI.bis) 48 nelle proprietà elastiche del corpo come attestano i risultati contenuti nelle tabelle XXXV, XXXVI, XXXVII e XXXVIII. INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 0, 14-15 Aprile TABELLA XXXV s E s E S E S E S E s E 32.45 3245 32/39 32.39 32.39 12070 12000 12000 12000 12000 30.68 30.67 30.61 30.61 30.61 11680 11750 11750 11750 11710 27.01 27.02 26.96 26.96 26.95 11390 11330 11450 11480 11360 23.24 23.23 23.21 23.22 23.17 11070 11100 11100 11010 11180 19.37 19.37 19,35 19.33 19.34 10730 10780 10760 10870 10510 15.38 15.40 15.37 15.39 15.38 10520 10570 10620 10520 1057. 11.31 11.35 11.34 11.32 11.33 10260 10310 10310 10360 10330 7.12 7.18 TAT TAT TAT 10090 RO 10230 10430 10430 10430 — 5.00 5.07 5.12 5.12 0.12 10590 10860 10690 10750 10690 10640 2.02 6.97 7.07 Fest 712 7.13 10580 10640 10660 10720 10720 10720 6.08 11.01 11.10 11.12 11.13 11.14 10620 10750 10830 10810 10750 10530 10.11 14.99 15.05 15.08 15.10 15.09 10440 10890 10920 10920 10950 10890 14.21 18.92 18.97 19.00 19.01 19.02 9800 11010 11040 - 11010 10980 11010 18.58 22.81 22.85 22.89 92.91 22.91 8910 11070 11100 11130 11130 11130 | 23.40 26.69 26.72 26.75 26.77 26.77 7540 11250 11370 11400 11480 11400 29.09 30.49 30.49 30.51 30.52 30.53 6360 10900 11370 11370 11430 11490 32.45 32.45 32.39 32:39 32,39 32.39 E 10960 10993 11028 11028 11024 Ey/ 10932 10993 11008 11007 11007 E3 10946 10993 11018 11017 11016 (1) Con questa determinazione cominciano era 5. 09, l’esperienze del 15 Aprile, L'ultima saetta del giorno avanti SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI TABELLA XXXVI TABELLA XXXVII / 0, 26 Aprile (27 0, ricotta 8 Febbraio [L]y = 135. 40 [ESAMI RA189) P s As, s As; s As; s IR s Ss s Ass s Asi | 12 56.95 57.01 56.88 18 | 27.00 27.00 27.00 2.31 I 1.28 1.30 1.30 11 54.73 54.70 54.61 La | 20x72 25.70 2.45 2.49 132: 1.32 10 52.28 02.21 52.14 || 15 | 23.06 23.06 i 2:62 2.61 | 1.35 1.39 ) 47.08 40,99 46.94 13 | 20.36 20.36 20.36 2.89 | 1.39 1,39 1.39 4 30.47 30.49 36.50 || 9 | 14.81 14.52 14.80 3,20 3.18 | 1.42 1.42 1.42 2 28.96 29.13; 29.10 IO QI 9.16 9.14 3.50. 3.95 1.40 146 1.45 1 25.46 20.78 20.86 3 6.24 6,24 6.24 3.86 3.64 | 1.50 1.49 1,49 (0) —_ 21.60 2214 22,84 1 3.24 3.26 3.26 3.08 Quo( Qu | 1.53 1.01 1.51 1 3.08 24,37 24.80 214,99 0 1.71 1.75 1.75 3.12 2.96 2.99 | 144 1.45 1.46 2 6.20 27.83 27.84 27.94 IL 3.15 3.20 3:21 3.10 2.94 2.90 | 1.47 LAT 1.46 4 | 12.39. 93.21 39.74 33.80 {3 6.10 6.15 6.14 3.15 2.89) 2.57 148 1LA1 1.42 8 | 25.01 44.77 45.22 ASAL 6. 5.99 8.98 8.99 4.79 2.95 2.92 | 1.40 1.41 1.40 10 | 34.59 50.66 51.06 51.28 | 9] 14.66 14.60 14.60 8.35 2.98. 2191 1.35 1.539 1.39 11 | 42.94 53.64 53.97 34.02 || 13 J 20.10 20.14 20,16 14.04 3.97 2.91 Ì 1.39 1.38 1.37 12 | 56.98 57.01 56.88 06.94 | 10 | 22.88 22.89 22.90. 190 1.37 1.37 17 | 25.62 25,64 25.65 1.38 1.596 1.55 S| 27.00 27.00 27.00 0,, ricotta 25 Agosto TABELLA XXXVIII [L]o = 124. 52 ID s As; s Asi s Asi S Asi s As; 8 As 10 31.89 31.92 31.92 31.90 31,91 2.41 2.42 QA1 2.39 2.40 1) 20.48 29,50. 29.51 29.51 29.51 2,50 2,49 2.50 2.49 2,50 n 24.49 24.52 24.52 24.52 24.52 2.68 2.68 2.68 2.68 2.68 3 13.75 18.80 13.80 13.81 13.81 2.96. 2.94 2:93 2192) Q9L 1 7.83 TZ: 7.94 TESI 7.99 3.07 3.00 2:97 2:99 2.97 (0) —_ 4.76 4.92 4,97 4.95 5.02 2.86 2.84 2.84 2.84 2.86 2.84 1 2.86 7.60 7.06 7.81 7.84 7.86 2,86 2,84 2.85 2.84 2.85 3 8.50 13.29 13.45 3.00 13.52 13.55 204 2.68 2040] 2.68 2.68 2,67 ri 19.52 24,02 24.15 24.21 24,24 24.25 3.43 2.60 2.60 2.09 2,68 2-58 9 | 26.38 29.22 20.36 29.38 29.40 29.10 5.01 2.70 2.07 - 2.51 2.52 10 31.89 31.92 31.92 31.90 31.91 31.92 Giorni Aree d'’isteresi di Lastre Pi == esperienza 1° ciclo | 2° ciclo | 8°.ciclo | 4° ciclo | 5° ciclo | e —_ ||| S Febbraio 0, ric. dia 20.64 15,88 14.17 — _ 9» » » 19.65 | 14.42 -— - =. | 14 Aprile 0, 4 4.29 | 3.80 3,02 2.87 | (2:66 26 » 0, 18 3:27 2.78 2.52 — _ 29 Agosto 9 ric. 10 3.02 2.62 22 2.07 1.95 1 50 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE Che un processo di accomodazione si compia con forze agenti sempre nello stesso senso lo prova il variare del modulo specialmente verso la fine dei suc- cessivi mezzi cicli, e se ad un certo punto l’aumento graduale che per esso si verifica nelle prime serie accenna a sparire, tanto da aversi colla 0*, negli ultimi tre cicli valori medii del modulo costanti, non è questo indizio che si arresti il lavorio interno del corpo, giacchè le aree d’isteresi decrescono conti- nuamente anche nei casì in cui è difficile riconoscere sensibili variazioni per le letture dello stesso rigo. Il Wiedemann (1) avea trovato che coll’agire della stessa forza torcente varie volte in un senso erescono e le deformazioni massime e le permanenti; nelle nostre esperienze il fatto è confermato per queste ultime, mentre per le prime o non vi sono variazioni sensibili, o se esistono hanno luogo nei due sensi; pare dunque, stando ai risultati esposti, che per effetto dell’accomodazione, oltre ad aversi un’impiccolimento successivo dall’area d’isteresi, si produca, riferendosi alla rappresentazione grafica, una rotazione del cappio attorno il punto figura- tivo della massima deformazione. 41. Il fenomeno che abbiamo esaminato in questo capitolo trova riscontro in un fatto analogo studiato dall’Ewing (2) per il ferro nel suo classico lavoro. Si trova anche qui un effetto più pronunziato nel caso del metallo ricotto , ed i carat- teri generali del fenomeno sono del tutto conformi a quelli che riguardano le deformazioni, solo che laddove il fisico inglese trova imperfetta la chiusura dei cieli per forze magnetiche estreme di piccolo valore, nelle nostre ricerche ciò si verifica in modo tanto più marcato quanta più grande è la saetta da cui si parte nel compiere il ciclo. Il sig. Ewing osserva che il fenomeno si apprezza meglio prendendo le mosse, nel diagramma, da punti della curva ascendente dove più rapida è la salita, lo stesso si può dire per il corpo che si deforma come venne rotato al paragrafo 18, per cui la mancanza di analogia anche in questo caso sparirebbe. 42. Avviene l’accomodazione ugualmente per tutti i metalli ? Stando alle ricerche preliminari da me intraprese sulla torsione del nichel pare di no. Risultano infatti da queste esperienze, per la parte che si riferisce ai cieli bilaterali, caratteri opposti a quelli ricavati per l’ottone, avendosi nelle deformazioni estreme e nelle permanenti la tendenza a crescere, sebbene con rapidità via via minore, e di conseguenza un continuo aumento nelle aree d’isteresi. Importerà pertanto indagare la natura del fenomeno per molti metalli allo scopo di yedere se questa diversa legge sia in relazione con altre proprietà dei corpi. (1) V. loc. cit. p. 489 e 490. (2) V. loc. cit. parag. 55. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI DI Dirò ancora che l’assetto del nichel per cicli unilaterali ha luogo allo stesso modo che nell’ottone e col particolare rilevato dal Wiedemann sulla torsione di questo metallo, riguardante l’aumento graduale della deformazione massima. 43. Stando all’esperienze del Prof. Pisati un’ accomodazione speciale si pro- duce facendo variare la temperatura del corpo fra limiti assai estesi mentre esso oscilla. I risultati presi in esame in questo capitolo non sono dunque assoluti, non potendosi a priori dir nulla sulle modalità del fenomeno in condizioni ter- miche diverse dalle nostre, nè sull’ effetto permanente dovuto al variare della temperatura. A noi basterà l’avere riconosciuto la portata delle attuali ricerche, riservan- doci di venire a conclusioni più generali quando ci sarà possibile di completarle. VI. — Scosse 44. L'argomento che trattiamo in questo capitolo può avere interesse pratico sotto due aspetti, sia che si voglia indagare come agisca uno sforzo applicato o soppresso troppo rapidamente, sia che si prenda in esame. l’ effetto di vere scosse comunicate al corpo; e poichè in entrambi i casi questo è sollecitato ad oscillare attorno la posizione di equilibrio, ho creduto opportuno di compren- dere sotto unico titolo (1) le due specie di azioni. Noi già sappiamo che cambiando il senso di variazione della forza, muta la legge che segue il corpo nel deformarsi in.modo che se noi, invece di venire direttamente ad un determinato carico, vi arriviamo usando forze con valori oscillanti attorno quello definitivo, dobbiamo cadere su un punto del diagramma più alto o più basso dell’altro fornito dagli ordinarii processi a seconda che si operi per forze crescenti o decrescenti, Ne viene di conseguenza che i due punti della curva d’isteresi relativi allo stesso valore della forza tenderanno ad avvicinarsi fra loro, e ciò mostra sino ad un certo punto dover essere l’influenza delle scosse nello stesso senso della accomodazione. L° esperienza conferma tutte queste previsioni, e rivela del pari come per effetto delle scosse si abbia in una lastra presa allo stato iniziale un aumento di cedevolezza quando si operi con forze crescenti con continuità. Le serie cui si riferiscono le seguenti tabelle furono eseguite facendo prima compiere al corpo diversi. cicli bilaterali nelle condizioni ordinarie e fra i me- desimi limiti di forza da usare nelle esperienze colle scosse. Alla produzione di queste servivano tre pesi da 38 grammi, che applicati opportunamente sui (1) Il sig. G. Wiedemann, (V. loc. cit. p. 506), dà il nome di scosse a diverse azioni capaci di disturbare l’assetto molecolare, come scuotimenti, forze magnetiche, variazioni di temperatura. Io ho voluto rimanere per ora fra limiti d’indagine assai più ristretti. 52 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE due piatti generavano le piccole variazioni del carico attorno il valore deter- minato dai pezzi di piombo. 3 Il processo che seguivo era abbastanza semplice. Arrivato per forze decre- scenti, ad esempio, ad un valore P del peso flettente e notata l’ altezza della mira, producevo coi pesi da 38 grammi, che voglio indicare con p, le alternazioni {(P—3p): P: (P4+ 2p); {+ 2p) P: (P_p)}, (2 — p): P}, e facevo la nuova lettura al catetometro. Nel caso che si raggiungesse il punto in esame per forze crescenti si cominciavano invece le alternazioni parziali da P-++ 3p, ma per il resto si operava in modo del tutto analogo. Ho voluto nell’ esame della questione procedere coll’ ordine avanti esposto, tenendo di mira specialmente l’azione di un carico esercitato o soppresso con grande rapidità. Ma anche invertendo l’ordine, per realizzare casi possibili di scosse meccaniche in senso opposto a quello pocanzi stabilito, non ne rimaneva alterata la natura del fenomeno, solo che l’effetto era minore. Dei cicli bilaterali compiuti per il presente studio alcuni vennero eseguiti come di consueto, altri producendo le scosse attorno diversi valori del carico. In questi ultimi cicli le letture o. fatte appena dopo l’applicazione dei pezzi di piombo, risentono talvolta l’influenza delle scosse precedenti, ma si discostano sempre dalle letture LE compiute quando si ultimava la scossa. Ai valori di Ia corrispondono le variazioni delle saette dI riportate per uno studio ap- prossimato dell’andamento del modulo. Colla 0, ricotta si operarono per ogni punto di fermata due scosse ; le let- ture L”_ fatte dopo la seconda non sono molto diverse da quelle che si rife- riscono alla prima, ed il senso delle divergenze è incerto ; pare dunque che le scosse ripetute a brevi intervalli di tempo non debbano produrre, in seguito al primo spostamento, effetti ulteriori notevoli. î SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 53 TABELLA XXXIX TABELLA XL 0, ricotta 15 Febbraio 0; 17 Marzo P DI Log |a La |P ib A; Lo | o | Agp o | 134.27 | 133.98 = = 0 | 132.06 132.12 sl | | 10.06 10.06 4 | 121.68 |} 121.47 | 121.40 i 4 | 122.00 122.06 | 122.02 9.76 | 9.78 - 6] 110.71 | 115.39 | 115.06 | 115.08 || S| 112,24 112.30 | 112.24 | | 9.56 9.88 | 8 | 109.40 {| 109.00 | 107.02 | 107.00 12 | 102.68 102.74 | 102.36 | 5.24 5.98 10 | 101.12 | 101,82 | 96.95 | 96.90 [rali co7.ae 97.50. | 196.38 | | I | — 4.28 —_ 131) 8}. 106.39 | 102.33 | 10240 | 102.40 | aa] 101.72 100.70 | 100.72 | = | — 9.08 — 9.06 | 6 112.18 108.11 108.17 108.17 s 110.50 109.76 109.78 — 9.70 — 9.74 4| dis4d4| 11404] 11431] 11434 || 4 120.50 119.48 | 119.52 | PR 012, — 10.41 0 | 130.90 | 127.92 | 127.88 | 127.96 O 130.74 129.82 | 129.98 i I — 10.38 | — 10.63 ii deo i 14227 | du5:90 | 149.860] SUO AIAISTO) 140.30 | 140.56 | | | — 10.22 | — 10.58 — 6] 10170] 149.82 152.11 | 15218 || Sei: 150.86 | 151.14 — 10.30 — 11.26 — 8] 158.60 157.98 | 160.93 | 160.98 — 12) 161.64 161.64 | 162,40 — 5.61 SERRA — 10] 167.03 || 167.02 | 172.74 | 172.94 || || 14] 167.25 167.54 | 168.82 | 4.95 ; 4,58 — 8] 162.98 | 167.16) 166.35 | 166:38 | ‘= 12 | 162.90 164.32 | 164.24 | 9.37 9,34 — 6 | 157.18.) 161.23 | 160.63 | 160.71 | | S 154.98 | 154.90 | | 9.67 9.80 — 4| 151.00] 15498 | 15156 | 15449 | CERI NETLSIS6 145.24 | 145.10 10.27 10.34 0 | 137.16 || 161.07 | 140.30 | 110.83. O. 133.59 134.94 | 134.76 | 10,55 10.86 4 | 123.28 | 125.77 | 121478 | 12478] 4 | 125.04 124.12 | 123.90 | 10,22 10.66 6 | 116.42 | 118.20 | 116.71 | 116.71 | S| 112.82 113.68 | 113.24 | 10.18 10,98 8 | 109.25 | 110.07 | 108.10 | 105.08 | 121) 102,6£ 102.88 | 102.26 | | 5.24 5.98 | 10 | 101.16 | 101.04 | 96.83 |: 96.75 | NARTAR |UAT970 97.36 | 96.28 | | | Aree 93.10 169.63 169.00 | essi 94.02 D4 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE TABELLA XLI TABELLA XLII 0, ricotta 18 Maggio 0,, ricotta 9 Agosto | | [ED | L L 3 Iipi £ As L INSISTO LA O P Loc.{ LG | | È | | 1° cielo f 2° ciclo | Pl { | | = | = ——_ SE nin SS ei | 0] 135.49 | 185.4S) — {js 10340: Mei 1.85 5.00] | | 3] 130.61 130.60 | 130.45 3 || 6] 107.48 | 107.49 | 107.56 | 10758 || 0.02 3.40 3.65 Ì | 4| 112.96 f 112.5 f 112.94 II Ù I) H DTA DIAL | dE | 112.97 | 0.03.{| 7| 12330 |. 193.16 | 122.52 0] 121.32 | 121.35 | 124.39 | 2130| 0111 2.26 DLE | S| 21.04 121.01 120.97 | 120.08 | - —+l 136.24 | 136.27 {136.30 | 136.51| 0.21| 3.50 Siri —1.50 | | 7] 122.54 192.58 121.55 | 121.58 Y 6j 119.12 | 142.20 | 102.22] 10.61] “0.2 | —3.10 —3.10 —320 | 5] 125.64 125.68 194.70 | 12478 Il [sf isss9o] sot | sso] — | | 324 —3,2 | | | 3} 125.55 125.90 125.00} 1PS.14 | Ì —6|] 143.29 | 143.23 | 149.20 | 143.15 | —0.05 | | — 5.18 — 5.18 | Il ol 131.06 131.08 133336 | 133.70 | Di ere) 0.| 137.65] —0.05 |[ daro = — 6.10 | | | —3| 139.81 139.79»| 139.32 | 139.80 of 125.20 | 126.14 | 196.12 | 126.00 | —012 | Ma class 143.69 149.40 | 143.94 114.30 | 114.25 | 11122] 114,02 | —0.20 | —L02 —105 4043 «| | | il 147.67 | Triva | 147.60 | 149.37 6] 105.49 | 105.45 | 108.42 | 108.03 | —0.37 | _221 (5 SSL. | | Isl isss! 119.86 149.92 | 150,81 s 102.36 | 102.10 | 102.492 | — =) | 152 15Ì 156) | | —q| 14536 145.32 149.30 | 149.28 | | 316 5 ; 3,50 (Aree 2O.BL 19.56 11.53 | 3] 115.20 145.19 146-14 | 146.05 324 EE Suo i3l 111.96 141.95 142.52 | 142.66 | | Il 5.3S 5.17 5.50 IO 136.78 137-45 | 137.16 | 5.58 5.58 5.98 3| 131.20 13120 | 181.62 | 131,18 3.SL 3.56 |: 445) o] 12736 127.56 | 127.08 ; 414 4.10 443 | 123.2 | 123.24 12335 | 122.60 y. ù ho oo ia I [re Ù 121.02) 120.10 Aree 21.92 28.43 SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 5D Come si vede le scosse agiscono alla ma- TABELLA XLII i so 2 ScorSe e giscono ala le: niera prevista. Di più i cicli colle alter- 0; 4 Febbraio nazioni parziali si chiudono, ed il modulo Tr È n Ì ni è nelle varie fasi del processo notevol- Bol SPA mente diminuito. 0. | 125.45 8 | 119.34 0. | 124.02 | 4 | 123.28 6 | 120.40] — 2 | 125.10. | 45. È da osservare che mentre ogni sin- 8 | 121.16 4 | 12148 | — 4 | 126.16) gola scossa ha tendenza a diminuire l’area F12 | 119.05 212258 | — 8 | 128.60 || d’isteresi, questa risulta invece accresciuta | 16 | 116.72 0| 12374 | — 4| 126.62 [| secondo attestano i numeri dell’ultimo rigo 18 | 115.18 2 | 12268 f—1|12490f | di ciascuna tabella, i quali danno i valori ll 19 | 114.00 4 | 121.67 fl — 4 [126.52 > | delle aree d’isteresi. Il paradosso non è do- 17 | 114.87 6 | 20.56] — 6 | 12757 | vuto ad altro che all’ influenza delle oscil- 15 | 115.84 7 | 120.08 ) — 4 | 126.58 | lazioni attorno i punti estremi del ciclo, 13 | 116.82 6|a20.56| — 3 | 12606 || le quali facendone aumentare l'ampiezza 11 | 117.78 4 | 121.61 | — 4 | 126.50 | portano l’aumento cennato dell’area. Infatti 18 | 116.86 2 | 122.68 | 8 | 12860 | la tabella XLII che contiene i risultati di 15 | 115.86 4 | 121.66 | 12 | 13122 | un cielo colle scosse in vari punti eccet- 17 | 114.88 5 | 121.14 | —15 | 183,36 \ tuati gli estremi mostra che l’energia dissi- | 18|1ttd0) 4 sot) —19 | 136.92 | pata diminuisce sotto 1’ azione di scosse 17 | 114.86 2|122.70 | —15 | 185.26 {| che non alterino l'ampiezza del ciclo. 15 | 115.84 0 | 123.76| -12 | 183.78] | 13 | 116.82 | 2 | 12401 | 19° | 133.04) | 46. Ad illustrare il modo d’ agire delle 15 | 115.86 | — 4 | 126.18 |—17 | 186.02) | scosse possonoservire l’esperienze colla 0, 16 | 15.38 | — 2 | 12548 [15 | 1626} esposte nella tabella XLIII. 15 | 115.84 0 | 12406 14 | 13172 || Le oscillazioni del carico per essere più 10 | 118:32 2 | 122.94] —15 | 135.04] | accentuate erano qui prodotte dai pesi 3 | 122.41) —19 | 137.00 | stessi di piombo che adoperavo come forze 2 | 122.92 | flettenti. Le scosse furono prodotte attorno O | 124.00 | i carichi + 15, + 4, 0, — 4, — 15 relativi — 2 | 125.08 | alla prima metà di un cielo bilaterale O | 124.06 | fra + 19 e — 19. 1 | 123.48 | ‘. Astrazion fatta dai particolari di analisi 0 | 124.02 | siamo per l’esperienze ora citate nelle stesse condizioni dei casi precedenti. 47. I fatti di cui ci siamo intrattenuti servono a giustificare le cautele da usarsi nella carica e nella soppressione delle forze deformatrici, poichè le oscil- lazioni dovute ad un cambiamento brusco del carico possono aumentare la de- formazione o diminuire 1’ effetto permanente, recando così disturbi sistematici atti a modificare la legge elastica che si vuol prendere in esame. Il sig. Wiedmann (1) ritiene che queste azioni dovute alle scosse riguardino (1) Wrep. Ann. 29 p. 226, 1886. 56 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE l’elasticità susseguente, uniformandosi in ciò al concetto espresso da altri fisici. Pur ammettendo che un’ influenza possano avere i moti vibratori sulle azioni elastiche susseguenti credo che l’esperienze riportate sieno bastevoli a mostrare la giustezza delle nostre vedute. 48. Il nostro processo delle alternazioni decrescenti non è che un caso par- ticolare di scosse applicato alla saetta residua :la diminuzione che ne consegue per questa può, come si è visto, essere tanto grande da ricondurre il corpo alla forma iniziale. Però se usando di tali scosse la prima deformazione di senso opposto. a quella da cui si è partiti ne fosse per una ragione qualunque mag. giore, dovremo aspettarci, e l’esperienza lo prova, una saetta residua di senso contrario alla primitiva. VII. — Hlasticità susseguente 49. Quanto si disse sulle azioni susseguenti nella parte preliminare non ci poteva dispensare dall’obbligo di un esame anche superficiale dell’ argomento per vedere di quale entità esse fossero nei processi ciclici di deformazione da noi studiati. Con diverse lastre prese nello stato iniziale vennero compiute ricerche intese a valutare gli spostamenti della mira dall’applicazione del carico sino a quando fosse raggiunto l’equilibrio definitivo. Avuto riguardo al metodo usato per la misura delle saette non erano da aspettarsi risultati di grande esattezza, occor- rendo un certo tempo per puntare la mira ad ogni nuovo carico; però, siccome nei metalli crudi il fenomeno in questione non era molto marcato, le incertezze da cui potevano essere affetti i valori delle : saette residue ci lasciavano un campo d’indagine abbastanza sicuro per il nostro esame. Nel caso dei metalli ricotti, essendovi una variazione più rapida dell’altezza della mira, specialmente per le grandi forze, siamo in condizioni ancora meno favorevoli; ma ad onta di ciò si riesce ad apprezzare un comportamento del corpo in tutto analogo a quello che si ha col metallo crudo. 50. Comincio dal riassumere i risultati ottenuti colla 0%, nei primi cicli bi- laterali fra + 16 e — 16. Per brevità “di locuzione indico con A le variazioni della saetta dovute all’elasticità susseguente. Procedendo per forze crescenti i valori di A cominciano a rendersi apprezza- bili a partire dal carico 10 e crescono poi con rapidità sempre maggiore sino a raggiungere con 16 pesi 0,15. Cambiando il senso di variazione della forza le A si annullano per ricomparire con segno cambiato quando si è già ai ca- richi negativi a cominciare da — 7, dal quale limite crescono in valore asso- luto con andamento meno accelerato di prima sino ad un massimo di Q,mm 4. Per la seconda metà del ciclo si riproducono sersibilmente i fenomeni relativi alla trasformazione da + 16 a — 16, ma con intensità alquanto minore : infatti si hanno valori sensibili di A solo fra P—=15 e P —=16 ed il massimo relativo a quest’ultima forza trovasi ridotto ad O,m®08. rt SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI DI In un secondo cielo abbiamo un accenno ad analoghe vicissitudini, se non che l’ elasticità susseguente si fa sentire alla fine di ogni mezzo ciclo e per circa 0,004. Procedendo oltre questi spostamenti residui diventano ancora meno apprezzabili, sicchè dopo tre o quattro cicli le azioni dovute al tempo mancano quasi del tutto, nè si riproducono dopo avere scaricata la lastra colle alternazioni decrescenti, a meno che non avvenga un lungo riposo. del corpo. I valori di A si riferiscono ad un intervallo di tempo che variava da 3‘ a 7/, a seconda della minore o maggiore grandezza dell’effetto. Si riteneva conseguito l'equilibrio stabile quando per 2° non si avea spostamento visibile della mira. È giusto intanto osservare che la seconda lettura non poteva considerarsi come definitiva ; 1’ esperienza mostrò infatti ulteriori variazioni per essa in un periodo di tempo molto lungo; ma il senso ne era sempre lo stesso; per cui le nostre esperienze , se non ci permettevano di valutare la totalità dell’ effetto, erano bastevoli a farci riconoscere l’indole del fenomeno. Si potè constatare del resto che lasciando per qualche giorno uno dei carichi relativi al passaggio da P, a zero non variava affatto l’altezza della mira. Viene così assodato che i particolari studiati nei cicli di deformazione non possono essere dovuti alla elasticità susseguente nè subire da essa influenza notevole. 51. Altre lastre di ottone crudo cimentate per cicli bilaterali diedero risultati analoghi a quelli avuti colla 0%;; s5 variava solo da un caso all’ altro la gran- dezza dell’ effetto, ottenendosi in generale azioni susseguenti tanto più forti quanto più pronunziate erano le deformazioni dovute ai singoli carichi, e non manifestandosi in modo sensibile il fenomeno nei limiti di forza dentro i quali gli scostamenti dalla legge di Hooke non apparivano rilevanti. L’ottone ricotto sotto questi aspetti si comporta come il metallo crudo, giac- chè le grandi variazioni delle saette col tempo si hanno solo quando il corpo presenta grande cedevolezza. 52. Facendo subire ad una lastra cicli unilaterali le letture fatte appena dopo la modificazione del carico sono definitive, se si eccettuino quelle che corrispondono al carico massimo , le quali riescono alterate col tempo ma di pochissimo. 53. È notevole come l’ area d’ isteresi, e quindi anche la legge di deforma- zione lungo un ciclo, sia dipendente dalla rapidità con cui questo si compie. Colla lastra 0,, che a causa del lavorio precedente non presentava saette variabili col tempo, si produssero in tre giorni parecchi cicli bilaterali, taluni alla maniera ordinaria, altri passando da un valore della forza al successivo dopo 3°. Le aree d’isteresi ottenute trovansi qui appresso segnate: 12 Die. Cicli fra + 10 e — 10: SI (CHO. SH06) 16 Dic. Cicli fra + 18 e — 18: 50,41, 44,98, (45,62), 43,57 20 Dic. Cicli fra +20 e — 20: 135,60, 129,97, 122,67, (123,88), 120,32 8 58 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE I numeri dentro parentesi, che misurano le aree relatiye al processo lento, sono in ciascuna delle tre serie più grandi di quelli che li precedono nello stesso rigo, ed il risultato è ancora più notevole se si tien conto dell’accomo- dazione. Si viene pertanto alla conseguenza che durante l’accomodazione 1’ avvicina- mento dei due rami della curva d’isteresi nei cicli successivi dovrebbe riuscire meno marcato se si aspettasse per ogni valore del carico il tempo necessario ad aversi tutto l’ effetto della forza. A risultati di natura opposta si sarebbe condotti nel caso di un corpo oscillante sotto 1’ azione delle forze elastiche, a causa della rapidità con cui esso si deforma, dovendosi avere allora aree d’ i- steresi più piccole di quelle che si ricavano col metodo statico. 54. Dal complesso dei fatti esposti in questo capitolo risulta che il fenomeno in esame va pari passo con quello di accomodazione. Abbiamo dunque due specie di processi per i quali cambia in modo progressivo la forma del corpo sottoposto ad un determinato carico. Però mentre il prinìo si rende palese per tutta la sua durata, l’altro accusa per ogni interruzione un lavorìo interno che, senza modificare in apparenza il corpo, si rivela quando vengano riprodotti cicli compiuti uno o più giorni avanti. Non sappiamo quanto l’ accomodazione dipenda dall’ elasticità susseguente, ma è certo che ne risente l’influenza. L'abbiamo già visto per l’esperienze delle tab. XXVII e XXVIII, dove apparisce che l’azione prolungata del carico mas- simo porta più presto alla chiusura dei cicli ed altera in modo apprezzabile l'andamento di £,. Con tutto ciò l’accomodazione non perde la sua ragion di essere, poichè la cennata influenza, come si è osservato, costituisce sempre per questo fenomeno un fatto di ordine secondario. 55. Debbo in fine notare che le azioni delle scosse sono concomitanti con quelle relative all’elasticità susseguente. Senza indagare una ragione teorica del fatto, e tenendo di mira solo la circostanza che possano agire durante il pre- teso riposo del corpo cause disturbatrici, osserverò che lo studio dell’elasticità susseguente richiede l’uso di un sito abbastanza tranquillo perchè agli sposta- menti dovuti al tempo non si aggiungano quelli provocati dalle oscillazioni del Corpo. VIII. — Caso generale dei cicli chiusi 56. I cieli chiusi da noi considerati non sono i soli che possono aversi nelle deformazioni dei corpi. Indottovi da alcune esperienze del Wiedemann (1) ho voluto vedere se par- (1) V. loc. cit. p. 492. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 59 tendo da un carico estremo P, fosse possibile tornare alla saetta primitiva per mezzo della trasformazione (P,: P* P,), essendo in valore assoluto P < P,, ed ho trovato che effettivamente ciò avveniva. Servono a provarlo l’esperienze re- lative alla tab. XLIV. 0, XLIV 16 Marzo p. m. È PRTZADI Pa RL P L P iù, p I | air ESS SI RT PARETO i; | o | 132.24 | 16] 90.23 {16 | so7z4] 16| 90.78] 16 | 90.90 | | 115972 | 15 | 92.50] 15) 92.80] 15| 92.86] 15 92.95 | | 3 |-124.65 | 13 | 97.01 13 | 97.02 | 13 | 07.07 Ji 13°] 97:20 | 5 | 119.60 | 11 | 101.38 |-9 | 105.90 9 | 105.93 9 | 106.06 || 7|a1474] 9 | 105.90] 5 | 115.45 5 | 115.50 5 | 115.64 I | 910995] 8 | 10824] 3| 12051 0 | 128.30 0 | 128.46 \ 11 | 105.14] 7% 110.60] 1| 12570] — 3 | 136.38] — 5 | 141.81 l13 | 10049] 8 | 108.304 0 iosa] -- 5 lisse] — 9 | 15270 | lis o424] 9 | 106.00] 1| 12587] —6 | 11448] 18 | 16152] N16 9073 {11 | 101.50] 8. | 120.84] 7 | 14727] 19 | 171.24] | 13 |\ 9713 || 5 | 110.86] — 6 | 141.97 | 16 | 174.72 1o.| 92:80] 9 | 106.35 | — 5 | 142.55] —15. | 172.70 161 90.74 | 13] 97.32 | — 3. 197.64] —13 | 168.28 | 15.) 92.94 o | 129.99 | — 9 | 159.00 | I 16 1 90.78 5 | 117.18 | — 6 | 149.28! 9 | 107.4 O | 186.35 | 13 | 98.08 5 | 122.52 | 15 | 93.40 9 | 111.52 | 16 90.90 13 | 100.19 | 15 | 94.09] 16 | 90.74 Il Wiedemann ricercava l’influenza che esercita sulla legge di deformazione del corpo fra zero ed una determinata forza estrema 1’ impiccolimento della torsione residua per mezzo di forze agenti in senso opposto a quella iniziale, e da questo esame, condotto senza tener conto dei processi intermedi, trovava che l’ottone fra i limiti predetti si deforma seguendo all’ incirea una semplice legge di proporzionalità indipendente dalla torsione residua. Noi invece ricaviamo dalla tabella di sopra, ed anche dal diagramma della pa- gina seguente, aversi per i vari cicli cappii che presentano da zero alla forza estrema archi distinti e convergenti tutti nel punto figurativo della deformazione massima iniziale. I risultati ottenuti ci dicono oltre che nel senso da P, a —P, la legge elastica non muta, avendosi per tali passaggi nel diagramma archi 60 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE quasi sovrapposti gli uni agli altri e, ciò che più importa, la chiusura di cia- scun cappio. ZABBAnO fi. SHAEERE 57. Non sfuggirà l’importanza di quest’ultimo particolare in quanto la chiu- sura dei cicli non sempre ha luogo. Se infatti i cicli unilaterali e bilaterali si chiudono o hanno la tendenza a chiudersi, lo stesso non accade per altri che sieno porzioni di quelli considerati. Ma la questione si può trattare da un punto di vista del tutto generale qua- lora teniamo presenti i risultati delle molteplici serie di esperienze descritte in questo lavoro. Essi ci permettono di enunciare la regola seguente che non è contradetta da alcuno dei fatti a noi noti: ogni ciclo di deformazione da luogo ad un cappio chiuso purchè non si vada a forze estreme superiori in valore assoluto alla massima impiegata nella serie, e purchè nel variare del carico oltre alla inversione, (0 ad un numero dispari di esse), necessaria per tornare allo sforzo primitivo se ne abbia ancora una al principio del ciclo. In altri termini partendo da uno stato qualsiasi, cui supponiamo si era arrivati con forze decrescenti, si ha ciclo chiuso operando in principio con carichi crescen- ti, aperto nell’altro caso, e l’opposto avviene nella ipotesi che alla forma dalla quale ha origine il ciclo si fosse pervenuti per carichi crescenti. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 61 58. Risulta dunque che lo studio delle deformazioni per i processi ciclici non occorre si compia sempre con graduali variazioni della forza, poichè il fare aumentare un carico positivo 0 negativo in modo continuo porta lo stesso effetto che si ha sopprimendo volta per volta il peso e sostituendone uno maggiore, in conformità a quanto fu trovato dall’ Ewing (1) nell’ esperienze sul ma- gnetismo. 5 La tabella XLV fornisce l’analisi di un ciclo bilaterale con interruzioni lungo il passaggio da zero a —P.,. "0, ricotta XLV 1 Gennaio P L P Il | D L | P Ti Sa LE Sii ES a A Ì 0 125.38 — 6 130.00 \ — $ 132.20 \ | | 2 125.60 — 5 129.40) | Sy 181.68 | 4 129.02) — 4 128.56 — 6 130.90 6 120.35 SI — 8 127.80 ill 129.34 8 118.32 e) — 2 126.96 — 2 127.60 | 9 | 116.91 z —1 | 67] <|_-1]| 1680] < 8] 117.58 OMNII25I3 100. 5 0. | 120.98 n 6 119.14 iù 126.05 | È Ca 126.66 È + 120.70 —- 2 126.86 — 2 127.45 7 122.34 — 8 127.64 AA 129.05 (0) 124.11 _ 4 128.46 lo) 150.64 — 1 125.00 — 5 129.25 ir 131.46 =@ 126.00 — 6 130.06 = 132.25 — 1 125.30 | (n z — ? 131.10 | — 9 153.55 a Q | O | 1244L > È E — 6 | 130.45 — 8 33.06 — 1 | 125.20 \ Si ERO as SV 202 126.02 = 127.30 — 4 129.94 IR) 126.94 = 8) 127.46 — 1 126.45 i — 2 129.26 —2 126.28 — 4 128.22 0 125:08\) 9 () 126.47 CN rada et 0238 129/08 Sui peeoi 2 | 12459 0) 124,62 È _% 127.16 n 122.56 al 125.38 È — 4 128.70 6 120.56 9 26.20 = @ 180.81 8 118.34 — 3 126.98 = 131.10 9 117.00 | I risultati di questa tabella ci permettono di generalizzare ciò che fu detto al parag. 8 sulla influenza trascurabile delle interruzioni durante la carica ; ma resta sempre escluso che la legge valga operando per forze decrescenti positive 0 negative. (1) V. loc. cit. parag. 11. 62 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE 59. Altre deduzioni pratiche si possono trarre dalle cose esposte. Imaginiamo che si operi per forze decrescenti positive e che per equivoco, come qualche volta è successo a me, venendo dal carico P_ (che non sia il massimo), invece di arrivare a P/ si giunga ad un valore più piccolo; se vogliamo allora ripe- tere la trasformazione (P* P°) non sarà possibile di ritornare colla forza P alla saetta che prima vi corrispondeva, specialmente se la legge di variazione del modulo è accentuata in prossimità del punto che si studia. Supponiamo invece che procedendo nello stesso senso di pocanzi giunti ad una certa forza per distrazione si torni indietro, si potrà ora con un nuovo cambiamento di senso venire al carico primitivo, e continuare l’ esame come se la trasformazione intermedia non fosse avvenuta. Si vede altresì che non tutte le scosse influiscono ugualmente, dovendosi avere da esse un effetto maggiore quando l'impulso iniziale è nel senso della ultima deformazione prodotta, giacchè in caso contrario l’ effetto della prima escursione è nullo per il ritorno immediato del corpo alla forma da cui è par- tito, e resta efficace l’impulso successivo che è minore del primo. . 60. Il nostro esame sui cicli d’isteresì ci permette di toccare qualche punto della termodinamica dei solidi. Farò rilevare anzitutto che ad ogni valore della forza deformatrice (e lo stesso varrà per un sistema di forze applicate nei vari punti del corpo), non corrisponde in generale, come avea osservato il signor Brillouin (1), un’unica deformazione, anzi siamo in grado di dire, fermandoci al caso analizzato della flessione, che sono possibili tutte quelle deformazioni per le quali si hanno saette comprese fra la più piccola e la più grande relative alla forza predetta nel ciclo bilaterale di massima ampiezza. Nell’ elasticità dei solidi ci troviamo pertanto di fronte ad un problema più complicato di quello relativo ai gas. Difatti mentre per questi, ammesse anche le divergenze dalla legge di Boyle, ad una data temperatura e ad una data pressione corrisponde un solo volume, per i primi invece, operando a tempe- ratura costante, ad un valore della variabile geometrica ne corrispondono infi- niti della variabile meccanica; sicchè la natura della isoterma dipenderà nei solidi anche dal lavorio subìto avanti dal corpo. D’ altra parte non conoscendo, per la insufficienza della teoria matematica della elasticità, come varii l’energia potenziale in una data trasformazione, non potremo determinare a priori qual’ è la quantità di calore positiva o negativa che per essa si sviluppa (2). (1) C. R. 112, p. 1054, 1891. (2) Una determinazione sperimentale di questa quantità di calore è stata fatta dal Barus, (V. Sill. Journ. 38 p. 193, 1889 e Beiblitter 14, p. 459), che se ne serviva. per valutare l’ aumento di energia potenziale interna in fili sottoposti a trazione. Però le misure dell’ autore non ci forniscono risultati di grande precisione. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 65 Solo nel caso dei cieli chiusi ci troviamo di fronte ad una questione semplice, teoricamente parlando. Ed invero, atteso il fatto che, almeno nel caso d’ un’ accomodazione quasi completa, il corpo riacquista allora alla fine del ciclo le identiche proprietà elastiche possedute in principio, siamo indotti ad ammettere che esso ritorni alle condizioni da cui è partito, e che perciò riacquisti la primitiva energia potenziale : il lavoro consumato in tal caso dalle forze esterne, datoci dall’area racchiusa nella curva d° isteresi, dev’ essersi trasformato in calore che si è disperso nell’ambiente. Ciò, per citare un esempio, deve avvenire nella spirale che regola il moto d’oscillazione di un bilanciere, diguisacchè la forza elastica della molla con cui si carica l’orologio oltre a vincere gli attriti dei pezzi dev’ essere impiegata a fornire l'energia necessaria per la continua trasformazione del lavoro in calore operata nella detta spirale. Il signor W. Thomson (1) partendo dai principii della termodinamica avea dedotto, e l’esperienza l’ha confermato, che operando nei solidi perfettamente elastici trasformazioni adiabatiche dovea corrispondere al cambiare di forma del corpo o aumento o diminuzione di temperatura, e che gli effetti doveano compensarsi nel complesso dei passaggi da Pa P' e da Pa P. Nel caso no- stro invece si genera calore lungo un ciclo chiuso costituente una trasforma- zione isotermica, fatto inammissibile dal punto di vista della teoria matematica della elasticità, ma che può spiegarsi attesa l’insufficienza di questa teoria. Per i cicli che si chiudono in modo imperfetto col ritorno alla forza primi- tiva siamo in condizioni più complicate avendosi una variazione di energia potenziale oltre al calore che si svolge; ma poichè d’ordinario quando si hanno due cambiamenti di senso nel modo d’ agire della forza le configurazioni ini- ziale e finale se non sono identiche risultano assai vicine fra loro, ne consegue che il corpo si può anche allora considerare come una macchina capace di tra- sformare il lavoro delle forze esterne in calore. IX. — Attrito interno 61. Si è molto discusso sullo smorzamento delle oscillazioni dovute a forze elastiche. Ritenevasi da principio che le particelle vibrando dovessero subire dalle vicine una resistenza proporzionale alla velocità, attesa la circostanza che allora la teoria porta per il decremento logaritmico ad un valore costante, quale risultava dalle prime ricerche. Fu riconosciuto in seguito che queste non ritrae- vano la natura vera del fenomeno , e lo Schmidt (2) con accurate esperienze avvalorava il fatto, trovando che se la legge di Gauss e Weber era applicabile (1) PHIL. Mag. 5, p. 19, 1878. (2) Wren. Ann. 2, p. 48, 1877. 64 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE per le piccole oscillazioni non lo era per le grandi, e tanto meno quanto più plastica si manifestava la sostanza in esame. Egli da esperienze apposite era portato ad ammettere che l’elevarsi del de- cremento logaritmico col crescere dell’ampiezza dipendesse dalle azioni susse- guenti; ed il signor G. Wiedemann (1) poco dopo riconosceva l’ influenza di queste azioni senza attribuire in modo esclusivo ad esse lo smorzamento del moto oscillatorio, come aveano pensato W. Weber (2), F. Kohlrausch (3), O. E. Meyer (4), L. Boltzmann (5) ed altri. 3 Il Voigt (6) di recente ha pubblicato un lavoro sull’ attrito interno. In esso sì parte dal concetto che il fenomeno sia analogo a quello relativo ai liquidi, si attacca l’ipotesi del Weber, e si suppone che alle ordinarie reazioni elastiche se ne debbano aggiungere altre dipendenti dalla velocità con cui si compiono gli spostamenti delle particelle. Però i risultati delle sue accurate esperienze, come egli stesso afferma, non sono tali nel loro assieme da avvalorare l’ ipotesi dell’ autore. Il fatto non ci deve recar meraviglia ove consideriamo che in quel lavoro, se è tenuto conto della resistenza subìta dalle particelle in moto, si suppongono d’ altro canto i solidi come perfettamente elastici nei fenomeni dell’equilibrio, cosa che a rigore non può ammettersi anco per piccole deformazioni. 62. Le nostre ricerche ci porterebbero ad altro ordine d’ idee. Ed invero poichè l’area dei cappii ci accusa in modo manifesto un lavoro consumato, e poichè i fenomeni ‘d’isteresi elastica non mancano operando fra limiti di forza assai ristretti viene spontaneo di attribuire lo smorzamento delle oscillazioni a quella medesima causa che produce i fenomeni d’isteresi elastica; onde il calore sviluppato per il cosidetto attrito interno non sarebbe altro che l’ equivalente del lavoro che consuma il corp» oscillante nel compiere i successivi cicli. Tali considerazioni non ci portano alla ragione ultima dello smorzamento delle oscillazioni, restando ancora da ricercare il perchè le curve di andata e di ritorno non sieno coincidenti; esse tendono ad eliminare l’ipotesi di un fatto che intervenga solo nella dinamica dei corpi elastici, ed a riferire la perdita di energia alle leggi secondo le quali i corpi si deformano piuttosto che ad una resistenza occulta ai moti delle particelle. 63. Del resto parmi che i ragionamenti sopra esposti non sieno puramente ipotetici essendo a nostra conoscenza dei fatti che deporrebbero a favore del nuovo modo di vedere. (1) V. loc. cit. p. 513. (2) Poe. Ann. 34, p. 254, 1835. (3) PoGG. Ann. 119, p. 365, 1863. (4) PoeG. Ann. 151, p. 168, 1874. (5) Poe. Ann. Erg. 7, p. 624, 1876. (6) Ab. d. k. Ges. Wiss. zu Gottingen, 1892. SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 65 Si sa come a pari limiti di ampiezza iniziale le oscillazioni si smorzino più presto nei metalli ricotti che nei crudi e noi abbiamo trovato essere nel primo caso le aree d°’ isteresi molto maggiori partendo da deformazioni estreme dello stesso ordine di grandezza. D'altro canto le scosse (1) come accrescono il decremento logaritmico aumen- tano anche l’area racchiusa dalla curva d’isteresi nei cicli bilaterali. In ultimo di fronte al fatto studiato dal Warburg (2) di uno smorzamento più rapido nei corpi che oscillano per torsione col crescere della durata di oscillazione abbiamo l’ altro da noi preso in esame al parag. 53 relativo allo aumento che subisce l’area d° isteresi quando si passa dai cieli compiuti nelle condizioni ordinarie a quelli eseguiti con maggiore lentezza. Aq ulteriori conferme indirette porterebbero altri fatti riguardanti lo smor- zamento delle oscillazioni, ma io credo sia più prudente far precedere ad un raffronto completo tra i fenomeni statici e dinamici un corso di esperienze in- teso a stabilire un legame fra i due metodi di analisi delle proprietà elastiche. CONCLUSIONE a) Dai risultati ottenuti colle mie ricerche mi permetto di rilevare quanto segue: 1°) Variando la forza in un determinato senso variano in modo continuo le proprietà elastiche della sostanza, anco nel caso che lungo il processo cambii il segno della forza. 2°) La legge di deformazione del corpo è diversa a seconda si operi per forze crescenti o decrescenti, e nel passaggio dalle une alle altre si produce nella cedevolezza del corpo un salto brusco. 3°) Se partiamo da uno stato deformato qualsiasi e dopo avere invertito una prima volta il senso di variazione della forza ritorniamo al carico primi- tivo, senza avere oltrepassato lo sforzo massimo che si adoperò nelle precedenti serie, si perviene esattamente, o quasi, alla saetta iniziale, in guisa da avere come curva rappresentatrice del ciclo un cappio chiuso o che tende a chiu- dersi, indicante sempre per il senso della sua generazione un Javoro consumato dalle forze esterne. 4°) In rapporto a questi fatti si sono studiati gli effetti delle scosse, ossia delle oscillazioni attorno un determinato carico, e si è visto che la loro in- fluenza non è trascurabile ; anzi può essere tanto grande da fare sparire , in ) [e] , (1) TomLINnson. Proc. R. S. 40, p. 240, 1886. (2) Poga. Ann. 139, p. 89, 1870. 66 INFLUENZA DEI PROCESSI DI DEFORMAZIONE un caso speciale, la deformazione permanente. In tal guisa il corpo vien ri- portato in uno stato che si può considerare come non deformato. 5°) Col lavorìo delle lastre se ne alterano le proprietà elastiche in modo pro- gressivo , producendosi un fenomeno di accomodazione che porta, a quanto sembra, effetti diversi da sostanza a sostanza. 6°) L’elasticità susseguente è un fatto di ordine secondario nello studio dei processi ciclici, ma può avere qualche influenza sulle loro modalità. 7°) Lo smorzamento delle oscillazioni sarebbe dovuto a ciò che V’energia po- tenziale del corpo, stante la legge diversa secondo cui esso si deforma per forze crescenti o decrescenti, va poco a poco annullandosi producendo una quantità di calore che equivale alla somma delle aree dei cappii fornitici dal metodo statico. b) Di alcuni particolari esaminati si dovrebbe tener conto nella misura delle forze con apparecchi, nei quali entrino in giuoco corpi sottoposti a deforma- zione, imperocchè essi ubbidiscono , come si è visto , in modo diverso ad im- pulsi agenti nei due sensi a partire da uno stato deformato qualsiasi. e) Molti fenomeni da noi descritti trovano riscontro nella èsteresî delle so- stanze magnetiche, per altri uno studio nel campo del magnetismo manca; ma tutto induce a credere che, qualora fosse intrapreso, porterebbe a risultati con- cordanti con quelli che si hanno per le deformazioni elastiche, poichè i due ordini di fenomeni appariscono governati dalle medesime leggi generali. Questo fatto, tenuto conto che pure nel modo di comportarsi dei coibenti si ha #steresi, avvalorerebbe l'opinione del Maxwell che la polarizzazione nei dielettrici e nelle sostanze magmetizzabili consista in una deformazione di tali mezzi.. d) La depressione «del punto zero di un termometro sottoposto prima a tem- perature elevate e l’innalzamento nel caso contrario ci portano ad ammettere che fenomeni d’isteresi abbiano luogo anche per le modificazioni termiche del vetro; merita quindi un attento esame la questione della misura delle tempe- rature in rapporto al senso delle loro variazioni, essendo probabile che per una data temperatura sì abbiano indicazioni diverse a seconda vi si arrivi col ri- scaldamento o col raffreddamento (1). e) Si è osservato da taluni fisici che in un corpo ottenuto mediante il pas- (1) Dalle ricerche del Bènoit è da argomentare che le anomalie del vetro manchino o almeno sieno molto piccole, nei metalli e nei corpi cristallizzati. (V. Travaux et Mé- moires du Bur. Int., T. VI, p. 3). SULLE PROPRIETÀ ELASTICHE DEI CORPI 67 saggio alla filiera od al luminatoio non si può avere il comportamento carat- teristico delle sostanze isotrope, e partendo da questo concetto si è cercato di spiegare molte anomalie, specialmente per ciò che riguarda la dipendenza delle varie specie di deformazioni le une dalle altre e la relazione fra le due costanti di elasticità dei metalli. Resta però sempre a trovare il perchè le deformazioni dei corpi dipendano dal senso secondo cui varia la forza non potendo ciò aver luogo in un corpo perfettamente elastico. Una teoria cinetica dei solidi fondata sull’esperienza e non su basi puramente ipotetiche dovrebbe, a mio modo di vedere, darci la soluzione? dell’arduo pro- blema, mostrando come vengono alterati collo spostarsi delle particelle i moti molecolari, e come queste alterazioni modifichino alla lor volta la resistenza alle forze deformatrici. Qualche cosa si è fatto in proposito (1), ma una teoria completa ancora non esiste. Io voglio augurarmi che lo studio esposto nel presente lavoro abbia ad apprestare un contributo al materiale di esperienze che ne costituirà il fon- damento. I Laboratorio di fisica della R. Università, 16 settembre 1893. (1) V. WarBuRG, Wied. Ann. 4, p. 232, 1878; MicHaEgLIS, Wied. Ann. 17, p. 726, 1882; e 42, p. 674, 1891. DO Pi È SU TALUNI NUOVI. STRUMENTI FISICI E METEREOLOGICI CERTE AZIONI MOLECOLARI DEI LIQUIDI TALUNI FENOMENI TELLURICI E SULLA PIÙ PROBABILE ORIGINE DEL NOSTRO SISTEMA SOLARE PEL March. ANTONIO DE GREGORIO Dott. 1 t Lettura fatta nell’aduna de Do Li Accadei Sc , Lettere ed Arti di Palermo 18 EGO III TT6TTnTTNnKYTTTTyTkKTvCT TKyVXT——°==z=zzzzzzzLe FISICI E METEREOLOGICI, ECO. T e secondo la natura e densità dell’ inchiostro o per dir meglio del liquido colorato della goccia, che si fa cadere nell’acqua, il fenomeno accade con qualche modificazione; quando l’inchiostro è più diffusibile e denso e l’acqua è ad una temperatura più elevata, gli anelli si mol- tiplicano in gran numero e il liquido che cade si diffonde formando una specie di pennacchio capovolto con gran numero di ramificazioni. Quello che però è generalmente costante si è la trasformazione dei piccoli grumi in anelli e la suddivisione di questi in un numero grande di grumi, i quali si trasformano alla loro volta in anelli. Se poi si mette del liquido colorato più denso dell’ acqua, sia pure dell’inchiostro Faber, in un tubetto nel cui fondo vi sieno due, tre o più forellini, il cui diametro sia minore di un millimetro, e si fa pescare il tubetto in una provetta cilindrica di cristallo in cui vi sia una co- lonna di acqua alta un venti centimetri, si può bene osservare il de- flusso e la diffusione del liquido colorato nell’ acqua. Come nell’espe- rienza precedente, si formano due o più vene colorate molto sottili che formano un pennacchio in giù cioé capovolto. Io non ho constatato se fra loro vi sia qualche lieve attrazione , lo che credo probabile, seb- bene la mia osservazione mi pare piuttosto contraria. Intuitivamente io suppongo che tra una vena colorata ascendente (cioè più leggera dell’acqua) e una discendente cioè più densa vi debba essere leggera repulsione, ma è questa un’asserzione gratuita, che non ho avuto il tempo di constatare. Certo però nell’un caso come nell’altro, lasciando il liquido in riposo, le vene colorate hanno un aspetto molto simile. Ora è ad osservare che esaminando in alto una vena di liquido discendente pare essa omogenea e continua; esaminandola invece al basso della provetta si vede che essa si scinde in tante goccioline minute e indi- pendenti 1’ una dell’ altra che tendono a gonfiarsi in forma di anelli , ma questi non si arrivano a formare. Però quello che è curioso è questo, che non tutte le goccioline hanno lo stesso diametro, e non tutte hanno la stessa velocità, ora quando una gocciolina segue immediatamente dietro di un’altra, aumenta di velocità e tende a introdursi in mezzo alla goccia che la prende. Ciò è derivato dalla diminuzione della re- sistenza prodotta dal movimento della gocciolina che precede. Tutte le esperienze sopra accennate sono originali, nè so che da altri sieno state fatte; però recentemente il signor Tito Martini ha eseguito talune esperienze di diffusione di liquidi, le quali hanno un lontano 15 DI D) SU TALUNI NUOVI STRUMENTI rapporto con le nostre. Però le nostre sono molto diverse e l’apparec- chio di cui egli si è servito è totalmente differente. Aggiungo che quando io feci le mie esperienze e le esposi alla R. Accademia di scienze non conoscevo punto il lavoro di Martini, nè ho nulla da aggiungere a quanto ho di sopra detto. L'apparecchio di Martini, il quale fu descritto nel giornale francese, La Nature, consta di un tubo di cautchouc, che comunica da un lato con un tubo capillare e dall’altro con il fondo di un imbuto. Nel vaso sì mette */, di acqua e ‘/, di dissoluzione sciropposa, che restano sepa- rate fra loro in due strati. Nell’imbuto si mette dall’alcool colorato. Aprendo il robinetto della base, la colonna liquida colorata entra nel vaso e sale attraverso la dissoluzione sciropposa, si ferma alla superficie di contatto dei due liquidi stratificati formando un elegante tessuto filamentoso o foliaceo. Graziose esperienze di diffusione di liquidi sono descritte nel libro di Faideau (Chimice amusante, p. 18), ma diverse affatto di quelle da me descritte. Parlai di sopra degli anelli liquidi che si producono per la propul- sione di basso in alto e per la resistenza dell’acqua. Fenomeni analo- ghi si verificano per la resistenza dell’aria che determina la formazione di anelli di fumo. Tale esperienza è stata descritta dal signor Tissan- dier (La physique sans appareils, p. ST) e dal signor Faideau (Chimic amu- sante, p. 145). Introducendo il fumo di una sigaretta in una scatola di carta con un forellino, premendo la carta, il fumo sorte fuori in guisa di anello. Tale esperienza si può anche eseguire lanciando il fumo di una sigaretta entro un tubo di carta di due centimetri di diametro. Il signor V. Thomson ha studiato la formazione di anelli di acido fosforico. Gettando del fluoruro di calce nell'acqua si produce dell’acido solfidrico, il quale sale a bolle su a galla e in contatto dell’aria abbrucia producendo anelli di fumo. Il signor Faideau propone anche il seguente esperimento. Si mette del potassio nell’acqua il quale accende formando un denso fumo. Met- tendo un vetro forato sul fumo, questo esce fuori a guisa di anelli. Av- viene anche che in talune eruzioni vuleaniche il fumo prenda la forma di anelli e ciò anche talora uscendo dal tubo delle locomotive. L'esperienza che io propongo è la seguente : Si mette in un piccolo vaso ben solido A (fig. 15) una soluzione di acido cloridrico. Il detto vaso è al di sotto in comunicazione con un tubo a robinetto (C) che comu- nica con un altro vaso (B) contenente una soluzione di ammoniaca. Quest’aliro vaso è inoltre al di sopra in comunicazione con un tubo a FISICI E METEREOLOGICI, ECC. i 59 a robinetto EF G che alla sua volta comunica col tubetto del microi- droforo H, il quale deve esser collocato entro un tubo di vetro, in modo che le correnti dell’aria della stanza non disturbino l’esperienza. Ciò posto se si apre un pochino il robinetto del vaso, ove è la soluzione di acido cloridrico, un tantino di questo scende giù nel vaso dell’ammo- niaca determinando la formazione di densissimi fumi di cloridrato di ammoniaca , i quali, se si apre il robinetto, comunicano col microi- droforo , in modo che sfuggendo dai piccoli forellini di questo, si ha campo di studiarne le varie forme secondo la pressione ossia la tensione interna e secondo la dimensione e il numero dei forellini. Per eseguire tale esperienza devesi agire cautamente, perchè un eccesso di acido cloridrico farebbe sviluppare troppa quantità di gas in modo da rompere l’apparecchio. Si deve a tal uopo aprire appena il robinetto e quindi richiuderlo, ovvero fare che il vaso A contenga una quantità limitata di acido cloridrico ossia una soluzione ben diluita. I fenomeni, che ho in questo paragrafo studiato, possono parere a taluno puerili, ma non sono punto tali. Ogni cosa deve essere bene studiata, nissun fenomeno trascurato. Spesso delle osservazioni che paiono insignificanti riescono a dare luce a fatti di primaria importanza ed aprono il campo ad utili scoverte. Ho poi d’ altronde creduto utile far conoscere il risultato delle mie esperienze individuali, perchè comprendo che lo studio delle azioni molecolari dei liquidi rivela una delle manifestazioni più essenziali della materia. Variando la natura dei liquidi, e forse anche apportando qualche modificazione al mio strumento si potrà riuscire ad avere altri dati e altri criteri utili e scoprire delle leggi che sono ancora ignote. os MACCHINA ELETTRICA CILINDROCONDENSATRICE —==>ees———— La mia figura 17 (tav. 2) rappresenta la sezione dalla macchina. Tl cilin- dro di vetro A BG è simile a quello dalla macchina di Nairne; lo si fa gi- rare per mezzo di un manubrio. Esso strofina contro un cuscinetto D B, che gli è appoggiato come nella citata macchina. Allato opposto non vi è il solo pettine raccoglitore, ma un’ armatura di rame E F, che consta di una lamina di rame addossata al cilindro, ma non aderente allo stesso, in modo da lasciarlo liberamente girare. Alla parte interna del cilindro opposta vi è un’altra armatura simmetrica H K, pure addossata al cilindro. Detta armatura è mantenuta in tale posizione per mezzo dei sostegni H C, K C di ottone che sono saldati al conduttore, che è un asse meridiano pure di ottone, il quale non gira punto. Tali dettagli si vedono meglio rappresentati dalla figura 18, che mostra l’armatura interna HKNO vista dall’interno cioè per disteso ; i sostegni di essa sono i conduttori H C, K C, N P, O P. L’ asse centrale è R C PS, il quale all’estremità R finisce in punta, la quale va infilzata nel di dentro della faccia del manubrio girevole; però è sostenuta da esso, ma non gira con esso. L'altra estremità dell’ asse passa attraverso il tamburo del cilindro ed è tenuta ferma per mezzo di un sostegno TV, attra- verso il quale essa passa, trattenuta da due viti S, che comprimono le due appendici, che sono un prolungamento di essa. Ciò posto, dando un colpo d’occhio alla figura 17, si vede bene che le due armature costituiscono un vero condensatore. Devo ora aggiun- gere che l’armatura esterna alla parte superiore si continua in ELM 16 62 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI a foggia di arco (in modo continuo o discontinuo cioè per disteso o per mezzo di conduttori cilindrici) e s'inflette di nuovo verso il cilindro di vetro terminando in una serie di punte a pettine all’ estremità M. La figura 19 mostra l’ armatura esterna suddetta FE YZ vista dalla faccia interna e il suo prolungamento E L M W Y. È superfluo avvertire che i sostegni sono di sostanza isolante, però è necessario aggiungere che il cuscinetto D B (fig. 17) dee mettersi in comunicazione per mezzo di una catena con l’estremità dell’asse C P, cioè con S della figura 18. Ciò posto, vediamo ora come funziona la macchina. È chiaro che gi- rando il manubrio di vetro nel senso della freccia (fig. 17), il cusci- netto BD si carica di elettricità negativa e il vetro di elettricità posi- tiva. Siccome il cuscinetto è in relazione colla lamina condensatrice H K, questa si elettrizza negativamente e reagendo sulla lamina esterna E F, fa si che questa si elettrizzi positivamente, repellendo l'elettricità negativa di quest’ultima verso l’estremità del conduttore EL M (cioè E LMWY della figura 19) e principalmente verso M (cioè M W della figura 19). Or avviene che di contro al pettine M, si presenta la su- perficie del vetro carica di elettricità positiva, succede quindi una serie di infinite piccole scariche e l’elettricità negativa di M va a ri- comporre l’elettricità positiva del vetro. Però, contemporaneamente, la scomposizione, o per meglio dire la sottrazione dell’elettricità negativa di M L, determina la formazione di un’altra quantità di elettricità po- sitiva, la quale è repulsa verso la lamina E F, alla quale del resto è attirata dall’infuenza della lamina H K. Contemporaneamente reagisce sulla lamina H K per influenza tendendo a rendere libera una certa quantità di elettricità positiva, la quale sarà repulsa verso il cuscinetto neutralizzando altrettanta elettricità negativa di quest’ ultimo. Arriva naturalmente un punto in cui la macchina raggiunge il limite della carica. Se allora si ravvicinano i poli si avrà una scintilla relativa- mente abbastanza ragguardevole. È evidente che il polo positivo si avrà in F (fig. 17) e il polo negativo si avrà in S (fig. 18). To credo che questa macchina, atteso la sua semplicità, la facile co- struzione e i suoi effetti relativamente ragguardevoli, possa riuscire di qualche utilità. ua NUOVO STRUMENTO PER MISURARE L'ALTEZZA DELLE MONTAGNE DA CUI SI VEDA IL MARE Per mezzo di questo nuovo strumento, stando su un vertice di una montagna e mirando l’orizzonte del mare, si può conoscere immedia- tamente 1’ altezza della vetta. È desso fondato su di questo principio, che elevandosi sulla superficie della terra, si scopre una porzione mag;- giore dell’arco di essa, val quanto dire che la visuale del mare (ossia la tangente alla superficie di questo ) si dilunga , e però contempora- neamente l’ angolo formato dalla verticale e dalla tangente si fa più acuto. Quindi, misurando il detto angolo, si può benissimo rilevare l’al- tezza della montagna. In pratica però naturalmente non è da fare cal- colazioni di sorta; l’istrumento è graduato, e porta a fianco ai gradi le varie altezze relative. Certo, non si tratta di una scoperta di grandissima importanza e non è a ripromettersi dal nuovo strumento risultati molto splendidi, mentre un barometro aneroide risponde meglio allo scopo. Però io credo che non è punto a trascurarsi e può riuscire cosa gradita ai turisti e agli alpinisti. È infatti uno strumento di semplice costruzione, portabile, poco costoso ed ha l’attrattiva della novità. Esso è destinato per le mon- tagne littorali, ovvero per quelle, dalle cui cime si può vedere il mare, le quali non sono certo poche. In Sicilia da quasi tutte (parlo delle più eccelse) si può vedere qualche lembo di mare. Naturalmente, se invece del mare si avesse di prospetto una pianura 64 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI regolare estesa fino al limite della visuale, e presso a poco della stessa elevazione, si potrebbe anche allora adoperare lo strumento, le cui in- dicazioni sarebbero esatte ugualmente, ma è ben raro che di prospetto a una montagna si trovi una pianura in quelle condizioni. Dirò adesso brevemente della teoria su cui è basato il mio strumen- to, dando di seguito una descrizione sommaria di esso. Supponghiamo, fig. 20 (tav. 2), che l'estremità della montagna su cui si trova l'osservatore, sia in 4 e che DC sia l’arco della terra visibile. L'orizzonte estremo del mare, cioè la linea più alta visibile di esso, è in C. Così 4 D rappresenta l’ altezza della montagna, cioè la verticale , la quale evidentemente, se si prolunga, dovrà passare per il centro della terra che è in B. D’altro canto evidentemente se si riunisce con una linea BC, l’angolo che risulterà sarà retto, perchè la visuale A C è tan- gente alla terra. Essendo A B ipotenusa e cateti A ©, BC, si avrà ABsen A = BC. ; osp BC Per conseguenza AB = TACR e quindi AB — BC = SICA — BC S sen Ad sen d ossia Ape De _ po_B0(1—senA) sen A sen d Conoscendosi il valore di B C, che è il raggio terrestre, si riesce a conoscere il valore di A D, purchè si conosca l’angolo A; che sarà in- dicato dallo strumento. Se supponghiamo un altro punto di elevazione dA’ si avrà BC(—sen 4°) sen Ad‘ ARSIDIZ= Volendo conoscere il rapporto delle due elevazioni si avrà (È C(1— sen A) ADDII sen d L Senese san 2) Ziano E C(1— sen d) — sen 4(1— sen A’) sen Ad’ Dirò ora due parole dello strumento. Esso è rappresentato dalla fig. 21; consta essenzialmente di due regoli ad angolo retto YOL. Uno di essi O Y è a forma di bastone ed è finito inferiormente a lancia, in modo da potersi impiantare a terra solidamente. La traversina 0 L so- stiene all’estremità un frammento di quadrante graduato; è superfluo che esso si estenda più oltre in giù. I due regoli sono affermati dalla traversina T SK, per la quale decorre il piccolo cannocchiale O M, il an FISICI E METEREOLOGICI, ECC. (679) quale gira attorno al perno O e si può fissare alla traversina mediante l’appendice S che è munita di vite a pressione. Il cannocchiale non è di grande portata, perchè serve solo per fissare la linea dell’orizzonte del mare; a tal uopo è munito internamente di due fili incrociati, di cui quello orizzontale si deve far coincidere con l’ estremo limite del mare. Addippiù esso è provvisto esternamente di un indice a guisa di lancetta M R, la cui estremità gira attorno al quadrante graduato. Que- st’ultimo è munito di un nonio N scorrevole, il quale permette di leg- gere i gradi con un errore minore di '/,, di un grado. Perchè le osservazioni sieno esatte, è necessario che il bastone O Y sia rigorosamente verticale. A tal uopo esso è provvisto di due tavo- lette Z, X, perpendicolari; in quella inferiore X vi è una vite fissata superiormente in punta; ad ago sporgente; in quella superiore Z vi è un piccolo forellino per cui passa una cordicina (corda di budello ), la quale è legata ad un uncinetto di sopra e sostiene in giù un pic- colo peso piriforme W, il quale è munito inferiormente di una punta aguzza. Perchè il regolo sia perfettamente verticale , bisogna situarlo in modo che la punta del peso W coincida con l’ estremità dell’ ago della vite X. Lo strumento si smonta in tutte le sue parti; resta la sola asta Y O, che può valere da bastone. Infatti il quadrante LP si toglie via me- diante due viti situate all’ estremità L. La traversa TSK si smonta svitando le viti T, K. Il cannocchiale O M e il regolo O L (tolta via la traversa T SK) girano attorno ad O e si ripiegano giù sul bastone O Y, al quale si assicurano per mezzo di un astuccio di pelle. Però la lan- cetta (ossia l’indice) MR si toglie via per impedire che possa essere spostata o contorta. Il peso W con la relativa cordicina si slega e le due appendici X e Z si ripiegano in alto e si fissano al bastone. 1T —-e«=e—=- terri .—_-—-—eoeoer=eee..rrr II TAR =ARTIE ARTE =ARSE "AREE A TNC%v-=% ESPERIENZE SULLA DENSITÀ DELLA TERRA E SULLA GRAVITAZIONE Uno dei problemi, di cui non si ha avuto ancora una soluzione del tutto completa, è quello della misura della densità della terra. Non dico già che risultati soddisfacentissimi non si siano ottenuti, ma che questi non hanno ancora raggiunto il limite ultimo della massima ap- prossimazione. In generale si è sicuri che la densità del nostro globo sta tra 5 e 6; in pratica si vuole calcolare 5 !/,, ma vi sono ragioni per reputarla alquanto superiore di 5 ‘/,, inferiore però sempre a 6, proba- bilmente 5, 66 cioè presso a poco quella dell’arsenico e dell’ ossido di zinco. Trattandosi di cosa d’importanza primaria per la teoria fisica e astronomica, sarà sempre proficuo lo studio dei fenomeni e delle espe- rienze che ci possono fornire dei lumi e dei criteri su tale soggetto. Per verità colui che pel primo fece delle esperienze più attendibili o piuttosto che ebbe l’ idea di attuarle fu Mitchell, ma chi ottenne risultati migliori fu Cavendish, il quale compi delle osservazioni molto utili ed esatte con lo strumento di Mitchell ed ottenne buoni risultati, tanto che di lui prese nome lo strumento adoperato. Non starò a de- scriverlo perchè ciò sarebbe fuori di luogo e perchè è abbastanza noto. Lo accennerò solamente: egli studiava l’azione di due grosse palle di piombo di 158 chilogrammi su due altre palle di legno di abete sospese ad un filo sottile, col quale potevano oscillare e girare inflettendolo. Così egli arrivò a determinare l’azione attrattiva ossia la gravitazione ‘esercitata da un corpo di cui conoscea il peso e il volume e quindi ©) 6% anche la densità. Or essendo noto il diametro della terra o per meglio dire il volume e la gravitazione di essa, che equivale all’ attrazione esercitata sui corpi sulla sua superficie, cioè al peso di questi, facilmente venne a dedurne la densità e il peso, e riuscì a trovare un valore di 5, 48 secondo Jamin; 5,448 secondo W. Desb. Cooley. Il signor Reich a Freiberg fe’ delle esperienze simili ed ottenne 5, 458, cioè un risultato poco dissimile. Ma il signor Baily dopo due mila esperienze e correggendo varie cause di errore, elevò tale cifra a 5, 67. Più recen- temente i signori Cornu e Baille, esperimentando con la massima pre- cisione, ottennero con tal metodo 5, 56. Altri scienziati procurarono di risolvere lo stesso problema per una via affatto diversa. La Condamine e Bouguer constatarono che il monte Chimborazzo produce nel filo a piombo una deviazione di 7,5. Mi- gliori risultati ottenne 1’ astronomo Maskelyne , il quale nel 1742 stu- diando la deviazione prodotta dal Monte Schehallien della Scozia sul filo a piombo ottenne per mezzo del calcolo il numero di 4, 715 per la densità della terra. Egli scelse il detto monte perchè isolato e rela- tivamente di semplice costituzione. Valutò la massa della montagna e la posizione del suo centro di gravità. Quindi scelse due punti opposti dei due versanti di essa, situati in modo che il piano verticale di con- giunzione passasse sul centro della gravità della montagna e che il detto piano facesse parte dello stesso parallelo. Esaminò poi le verticali dei due luoghi cioè l’ andamento del filo a piombo (a tal uopo fece delle osservazioni con ben dieci stelle). Ora è evidente che se la montagna non fosse esistita, le due verticali avrebbero fatto fra loro un angolo di deviazione uguale alla differenza delle latitudini dei due luoghi. Però l’ azione della montagna producea naturalmente un aumento in detta deviazione. Valutando la massa del monte , venne a ritrovare il peso della terra e quindi la sua densità nella cifra sopra indicata. Però que- sto metodo va soggetto a molte cause di errori, nè è cosa facile calco- lare esattamente la massa di una montagna. È però utile constatare che anche con tal metodo si possa pervenire ad una conclusione non molto lontana da quello, perchè infine i risultati di Maskelyne si avvicina- rono al limite 5. Il signor Hutton, considerando il monte Schehallien come avente la densità di 2, 5, venne invece a ricavarne un valore per la terra di 4, 5. Però il signor Playfair studiando meglio la costituzione del citato monte, trovò che la densità di esso oscilla fra 2, 64 e 2,81; quindi la densità della terra verrebbe avere per limite 4,56 e 4,86. Analoghe osservazioni sul filo a piombo fe’ il signor Carlini sui versanti del Monte Cenisio e trovò 4, 95. Egli però adoperando il metodo delle oscil- SU TALUNI NUOVI STRUMENTI FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 69 lazioni del pendolo cioè osservando il ritardo delle oscillazioni prodotte dall’azione della montagna trovò 4,39, cifra che fu poi corretta dal si- gnor Schmidt che la ha portata a 4, 853. Un'altra serie di esperienze con metodo dissimile furono eseguite dal Prof. Airy nel 1855 ad Harton nel paese di Galles. Egli fece il seguente ragionamento : Se la terra fosse omogenea, penetrando sotto la sua su- perficie, il peso di un corpo dovrebbe diminuire proporzionatamente alla distanza da questa. È ben noto che l’ attrazione della terra e di tutti i corpi celesti sopra un corpo qualunque è la stessa, come se la detta attrazione fosse concentrata al centro della sfera e che essa si esercita inversamente al quadrato della distanza. Ora d’altro canto, se supponghiamo un corpo che si sprofondi dentro la terra, per esempio di cento chilometri, esso sarà attirato da un lato verso il centro della terra, dall’altro verso gli strati superiori. Dobbiamo infatti distinguere due azioni : quella prodotta dalla sfera terrestre in- terna, che sarà uguale a quella della sfera terrestre totale diminuita della scorza di 100 chilometri, che forma una specie di sfera cava, e l’ azione di detta sfera cava esterna. Or col calcolo si dimostra che l’attrazione di detta sfera cava è nulla, perchè, mentre gli strati im- mediatamente superiori tendono ad attirare il corpo in su, tutte le parti inferiori di detta sfera lo attirano in giù, in modo che tale azione resta neutralizzata. Così il corpo sarà sollecitato unicamente dall’attra- zione della sfera terrestre interna, cioè dell’intero globo diminuito della scorza di 100 chilometri e così via via. Quindi è chiaro che quanto maggiore è la profondità tanto minore sarà il peso del corpo, finchè al centro della terra esso sarà nullo. Ciò però supponendo che la densità della terra sia dappertutto uguale, infatti il signor Legendre avea im- maginato che la densità fosse 2,5 alla superficie ; 8, 5 alla metà del raggio, 11,3 al centro. Ma il signor Roche con dei dati astronomici ha provato che la den- sità terrestre non è omogenea e che cresce dalla superficie verso il cen- tro in modo che designando con D la densità della terra al centro di essa, e con È, la distanza dal centro a un dato punto, e con D' la den- sità di questo punto ha trovato che D!'=D (1—0,8 R}). Da cui ha rica- vato che se la densità terrestre media è di 5,50, sarà 2,1 alla su- perficie 8,5 alla metà del raggio, e 10,6 al centro. Quindi il peso dei corpi penetranti dentro la terra decresce sino ad una profondità di ‘/, del raggio, sarà ‘/,, maggiore che alla superficie. Ad una profon- dita uguale a '/, del raggio sarà come alla superficie; procedendo più in giù decrescerà rapidamente sino a diventar nulla al centro. 18 70 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Ciò posto, per misurare la differenza dell’intensità della sravità (da cui si ricava anche la densità) tra il fondo della miniera e la super- ficie si è collocato un pendolo con cronometro astronomico nel fondo della miniera a 384 metri e un altro al di sopra di essa e per mezzo di segnali elettrici si è venuto a constatare che il pendolo inferiore avanza di 2 !/ oscillazioni quello superiore da che s’inferisce che il peso au- nz menta di locchè costituisce una piccola differenza dalla formola 1 19190’ sopra indicata, secondo la quale dovrebbe essere di —-—. 19550 Or conoscendosi il valore dell’accelerazione di velocità o per meglio dire l’intensità della gravità (che nel calcolo ordinariamente si denota con la lettera 9g) tanto alla superficie della terra che al fondo della miniera e conoscendosi la densità dello strato soprastante della miniera, se ne ricava la densità media della terra per mezzo della formola (È # AA ( Gioca a) g TR? nella quale D, rappresenta la densità della terra, 2D la densità dello strato della miniera, £& il raggio terrestre, &,il raggio terrestre dimi- nuito dalla profondità della miniera, g l'intensità della gravità alla su- perficie, 9g! la stessa intensità al fondo della miniera. Con tal metodo il signor Airy esperimentando in un pozzo della mi- niera di Newcastle alla profondità di 360 m., venne a trovare che la densità media della terra è di 6, 565 risultato che si avvicina un poco ai precedenti, ma che ne discorda di molto e che è esagerato. Infatti tale metodo sembrami vada soggetto a vari errori dipendenti da molteplici cause, fra cui principalmente la difficoltà in valutare esatta- mente la densità degli strati superiori della miniera. Il signor Haughton discutendo i risultati del signor Airy li ha cor- retto riducendoli a 5, 48. Il signor Folie seguendo un metodo un po’ differente li ha ridotto a 6,459. Che la densità della terra non è distribuita uniformemente è stato re- centemente dimostrato dai lavori del signor Defforges, il quale ha stu- diato il variare dell’ intensità della gravità e precisamente il valore di g. Egli esegui 41 osservazioni in 55 stazioni differenti di cui 8 col pendolo di Brunner, 26 col pendolo riversibile, 7 con metodi diversi. I valori li ridusse come punto di partenza al livello del mare a Parigi. FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 71 Egli ottenne varie cifre : un massimo ad Edimburgo (9, 81680) un mi- nimo a Laghouat (9, 79589). A Parigi ottenne (9, 81012). Egli venne alla conelusione che la legge di Clairant, vera nell’ insieme, presenta però dappertutto delle anomalie notevoli. In generale nelle isole si trova un eccesso di gravità, nei continenti una diminuzione. Questa ultima si aumenta con la elevazione sul livello dei mare e con la maggiore distanza da questo. Bisogna però dire che le osservazioni dal signor Defforges non sono del tutto nuove, già da tempo nell’ osservatorio di Edimburgh e nelle isole Wight si erano constate delle irregolarità nella gravitazione. Il dotto prof. Wil. Desborough Cooley riferisce che a Mosca, sebbene non vi sono accidentalità di sorta sull’elevazione della superficie, si osserva un’irregolarità nel filo a piombo. Tale fatto è anche comprovato dalle esperienze di Sir Eduardo Sabine, il quale col metodo del signor Kater osservò le oscillazioni del pendolo in tutte le parti del mondo, traspor- tandolo dall’ equatore sino allo Spitzberg al grado 83 di latitudine e constatò la splendida legge dell’ aumento della gravità dall’equatore al polo, ma contemporaneamente anche 1’ esistenza di cause disturba- trici locali. Altro studio in parte differente ma che è pure collegato con lo stesso ordine di fenomeni è quello del livello del mare. Sino a pochissimi anni addietro si ritenea che esso fosse uniforme, ora invece si è provato che rigorosamente non lo è. Il mare nelle vicinanze dei continenti viene ad essere attirato da questi. Bruns ha calcolato, che se presso un con- tinente, alto circa 500 metri, il mare è profondo circa 5000, quello de- termina una deviazione sulla verticale di 107’, di cui 14” sarebbero dipendenti dalla massa emersa e 95 il contrasto della massa suddetta e del mare. Nel 1868 Fischer (Unters. ib. Gest. erde), fe’ degli studi sulle variazioni delle oscillazioni del pendolo sul parallelo di Minicoi, (Maldive) Calcutta e Madras. Trovò 3 oscillazioni di meno a Calcutta che a Minicoi, e 4,8 di meno a Madras. Fischer conchiuse che il mare lungo le coste dovea elevarsi di 1000 metri. Di seguito Listing facendo ulteriori osservazioni col pendolo, ne venne a ricavare che il mare si eleva lungo la costa Nord Est dell’ America del Sud di 500 metri e invece si deprime di 847 metri a S. Elena; il Pacifico avrebbe una de- pressione di 1309 metri alle isole Bonin Sima. Or a me pare evidente che la conseguenza dei detti risultati trattane dai vari autori non è perfettamente attendibile, perchè dovrebbe allora ammettersi che l’in- tensità della gravità fosse dappertutto regolare e uniforme e che quindi le variazioni delle oscillazioni del pendolo dovessero dipendere unica- 12 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI mente dal parallelo. Ora dai recenti studi è provato che esistono delle anomalie , la cui causa io ritengo evidente debba cercarsi nella inu- guale distribuzione della densità nella crosta terreste. Or essendo tali esperimenti eseguiti lungo le coste e però ove il mare non è molto pro- fondo, è molto probabile che essa debba avere influito anche sulle oscil- lazioni del pendolo. Ritengo in altri termini che le osservazioni delle oscillazioni di questo possano fornire esatto criterio riguardo alla inten- sità della gravità, ma non riguardo alla misura del livello del mare. Ritornando dunque al nostro soggetto cioè al metodo migliore per rintracciare l’ esatta densità della terra, io devo osservare che atteso l immensa importanza della completa soluzione di codesto problema, non conviene desistere dalle esperienze e osservazioni specialmente quando si ha molta speranza di riuscire ad un risultato migliore. Sono di opinione che bisogna rifarle con talune modificazioni che le rendano più palesi e sicure. Infatti se si eseguono in un sito molto più pro- fondo, la densità del cui strato soprastante sia perfettamente conosciuta, si possono ottenere risultati migliori. To propongo di rifare gli esperimenti nelle grandi profondità del mare con l’apparecchio di cui dirò di seguito, che si potrebbe impunemente fare discendere a mille o due mila metri. L° apparecchio consiste in un pendolo annesso ad un cronometro situato in una cassetta metallica il cui coperchio si chiude a vite. Dentro di essa va collocato un ma- nometro registratore della pressione esterna dell’acqua. Un pendolo e un orologio simile devono trovarsi pure sulla nave ove è l’osservatore. Quando la cassetta è giù al posto designato, entrambi i pendoli si met- tono in movimento contemporaneamente per mezzo dell’ elettricità. A tal uopo i due pendoli sono trattenuti dall’ ultimo dente della traver- sina A B (Tav. 2, fig. 16), la quale, come si vede nella figura, è tenuta ferma e vicino alla traversina E F per mezzo delle due molle €, D. Essa è munita di 9 denti (più o meno) le cui estremità acuminate si impe- gnano in altrettanti fori della traversina E F. Ora quando si fa passare la corrente, questa agisce sopra un’elettrocalamita, la quale attirando la relativa armatura distacca la traversina A B, mettendo in libertà il pendolo. Quando poi si chiude il circuito, la traversina AB ritorna presso EF e il pendolo viene trattenuto da uno dei denti, sicchè si può con tal mezzo conoscere anche una piccola frazione di oscillazione. In questa maniera le valutazioni si possono fare molto più esatta- mente rilevando con precisione l’ accelerazione della gravità ad una data profondità. Sebbene l’effetto della forza centrifuga è trascurabile, trattandosi di FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 75 una profondità minima relativamente al raggio terrestre, pure se si vuole, si può pure tenerne conto. È evidente che essa decresce andando in giù e quindi tende a fare aumentare il peso. All’equatore la forza centrifuga è !/xy della forza di gravità; quindi si tratta di una frazione trascurabile, avuto riguardo, alle piccole profondità, che possono essere obbietto dei nostri scandagli. Devo ancora aggiungere che col metodo da me proposto si può anche ovviare a un inconveniente, il quale per necessità dovea verificarsi col metodo di Airy; infatti, come ho detto di sopra,non essendo la cor- teccia terrestre ugualmente regolarmente densa, sebbene l’azione totale di gravitazione si calcola sempre come il risultato dell’azione simulta- nea di tutta la terra concentrata al centro di esso (e con ragione perchè Je variazioni della crosta terrestre sono trascurabili), pure queste ultime talora assumono relativamente una certa importanza. Ora col nostro metodo, facendo delle osservazioni sul mare, si può anche ovviare a tale causa perturbatrice, perchè se si scelgono dei siti di grande profondità di due o tre mila metri (lo Challenger ha trovato una profondità massima di 4575 braccia cioè circa 5 miglia), facendo delle esperienze in tali siti, alla profondità di un migliaio di metri più in su della roccia del fondo, saranno queste meno influenzate dalle attrazioni irregolari delle rocce locali. L’apparecchio di sopra descritto, cioè il cronometro a pendolo frenato, può servire anco per un altro scopo. È notissimo che la gravitazione, ossia l’attrazione esercitata sopra una data massa da un corpo celeste a varie distanze, ha un’ intensità inversamente proporzionale al qua- drato della distanza. Questa legge si applica anche all’attrazione mutua di tutti i corpi, la quale con quella si compenetra non essendo da altra causa prodotta. i È una di quelle leggi fondamentali e indiscutibili della fisica celeste e dell’astronomia, nè lascia il menomo dubbio di sorta. Però se si voglia constatarla vie maggiormente si può anche seguire un metodo analogo a quello di cui sopra ho fatto parola. Supponghiamo che un pallone frenato sia per elevarsi ad un’eleva- zione di 1000 metri. Se nella sua navicella si colloca un pendolo con un orologio cronometro e un altro identico nel piano sottostante e che l’uno e l’altro comunichino con un filo elettrico e si facciano contem- poraneamente oscillare, sarà facile, conosciuto il numero delle oscilla- zioni in un dato periodo di tempo, constatare la veridicità della legge. Si può anche adoperare un pallone non frenato, nel qual caso non sa- rebbe necessario un filo molto resistente ma solo sufficiente al passaggio 19 T4 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI della corrente; quindi diminuendo il peso da sollevare in alto, il pallone potrebbe elevarsi ad un’altezza molto maggiore. Però siccome facilmente esso andrebbe disperso e 1’ apparecchio frantumato dovrebbe questo sacrificarsi; quindi occorrerebbe apportare qualche modificazione al- l'apparecchio, cioè mettere nella navicella una pila o un accumulatore e far trasmettere una per una le oscillazioni del pendolo in modo che si possa leggerne il numero in un apposito quadrante vicino all’altro orologio a pendolo sinerono. TRAMBMRANKRATAMRNTRABNMRAABNRAARARNABANVATNRAMNAMRARARNRAMNARARNMRAMNANRAN SULLA GRANDINE Uno dei fenomeni più comuni, ma sulla cui origine ancora la scienza non ha detto l’ultima parola, è la grandine. Tutti ricordano la classica esperienza di Volta, la quale se si presta per contentare 1’ animo di chi studia la questione superficialmente, non si sostiene per le serie obbiezioni, che suscita onde ormai non entra più in discussione. Recentemente il signor Weyher (Les Tourdillons, Trombes, Tempétes ete. p. 60, 1889) formulò una teoria speciale sull’ origine della grandine. Secondo lui la grandine si inizia da piccoli nuclei di ghiaccio che gi- rando in alto velocissimamente, si vanno ingrossando gradatamente finchè la forza di gravità la vince e cadono per terra. È una teoria molto ingegnosa, ma che parmi esagerata, nè del tutto conforme ai fatti, perocchè tutto induce a credere che la formazione della grandine sia istantanea. Non citerò l’antica opinione di De Saussure che la ragione della grossezza dei globuli di grandine derivi dalla considerevole al- tezza delle regioni del cielo, ove principalmente si è formata, da cui cadendo giù, si vada gradatamente aumentando in volume, opinione che pure può avere la sua parte di verità, ma menzionerò quella di De La Rive, il quale ammette che l’origine di essa si debba ascrivere ad un fenomeno di suffusione. Le gocce di acqua, quando sono animate da un movimento molto rapido, possono benissimo sopportare una tem- peratura abbastanza inferiore a zero senza solidificarsi. Se però av- viene che bruscamente si solidifichino, allora si forma subito la gran- 16 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI dine saldandosi l’uno all’altro i ghiaccioli, che sono fra loro più vicini. Tale teoria fu svolta dal signor Dufour molto più ampiamente. Egli fece un’ esperienza molto istruttiva, introdusse in una mescolanza di olio di mandorla e di cloroformio delle piccole quantità di acqua, la quale in tali condizioni assume la forma sferica e può sopportare un abbassamento di temperatura bene al di sotto di zero senza congelarsi. Però in tale stato è sufficiente una piccola scossa elettrica ovvero il contatto di un pezzettino di ghiaccio per solidificarsi bruscamente. Al- lora l’acqua solidificata o per meglio dire i ghiacciuoli così prodotti, vengono a rassomigliare immensamente a quelli della grandine aventi un nucleo bianchiccio, da cui s’ irradiano delle vene cristalloidi ir- regolari. Ora il signor W. Desborough Cooley osserva che difficilmente si può concepire come dei globuli di grandine relativamente così grandi riman- gano sospesi in aria. i Certo si è che la caduta della grandine generalmente s’ inizia con una forte scarica elettrica, sicchè la maggior parte degli autori conven- gono che questa abbia parte nella sua formazione, ma il signor Herschel giustamente osserva che potrebbe essere un effetto anzichè una causa. Tanto lui che Arago ed altri celebri autori convengono che la causa. della produzione della grandine debba ricercarsi in un subitaneo forte abbassamento di temperatura in un ambiente saturo di umidità. Originale è l’ opinione del signor Schwédof, sebbene evidentemente da ripudiarsi. Egli fe’ uno studio particolareggiato delle descrizioni di molte grandinate in vari punti di Europa e venne alla conseguenza che l’origine di tal fenomeno deve assolutamente ricercarsi nientemeno che negli spazi interplanetari, che in altri termini i ghiacciuoli della grandine non sono altro che piccole meteoriti. Per consolidare tale opi- nione cita il fatto osservato da Piciet a Majo (Spagna) cioè dei chicchi di grandine contenenti del ferro, il fatto segnalato da Eversham il quale a Sterlitamansk (Russia) vi osservò dei piccoli ottaedri di ferro, e l’altro infine di Cozzari, il quale rinvenne (Padova nel 1834) del ferro e del nichelio. Non torna conto di confutare l’opinione del signor Schwédof perchè evidentemente inammissibile. Il signor Spring, professore all'università di Liege, ha fatto degli utili studi sulla grandine. Egli ritiene che l’ elettricità, che accompagna le grandinate, è prodotta dallo strofinio dell’aria secca sui chicchi della grandine, e a tal uopo fe’ delle interessanti esperienze proiettando un geito di aria compressa su una bolla di ottone molio calda; racconta che gli è accaduto d’incontrarsi in grandinate, in cui esponendo la mano: FISICI E METEREOLOGICI, ECC. T° ai piccoli chicchi ne risentiva impressione di calore anzichè di freddo, e attribuisce ciò alle piccole scariche elettriche tra la mano e i detti chicchi. Tale osservazione mi pare molto ipotetica; io piuttosto tenderei a spiegarlo per la reazione dell’urto dei piccoli ghiacciuoli. Il dotto signor H. Mohn ritiene essere la grandine dovuta a fortis- sime correnti aeree locali, che trasportino rapidamente nelle alte regioni atmosferiche l’aria del basso che è carica di vapore acqueo. Il signor W. Desbourough Cooley (Phys. Geogr., p. 376) sospetta che il freddo intenso subitaneo sia prodotto dalla dilatazione dell’aria cau- sata da una forte scarica elettrica. Ciò mi pare inverosimile imperoc- chè, se così fosse, ci dovrebbe essere un abbassamento di temperatura ad ogni scarica elettrica lo che non accade. Più attendibile e scientifica è la teoria del signor Faye, il quale ritiene che la grandine è dovuta ad una rapida congelazione dall’ acqua delle nubi temporalesche per incontro dell’aria eccessivamente fredda delle alte regioni atmosferiche, che per mezzo di un turbine, viene spinta in giù provocando l’imme- diata congelazione. Tale esperienza è molto simile a quella espressa dall’illustre Padre Secchi (Su taluni fatti relativi all’ origine della gran- dine) in cui egli sostiene esser dovuta la sua origine a vortice di aria che dall’alto si precipita in giù, osservando che malgrado il riscalda- mento prodotto dalla contrazione, atteso la bassissima temperatura del- l’alto, 1’ aria che discende resta ancora molto al di sotto del zero per determinare la produzione delle grandine. Tale teoria è splendidamente difesa dal signor Hirn (La costitution de l'espace, p. 302). Egli però non cita punto l’autore italiano. Sapientemente dimostra che tal fenomeno è una prova che la temperatura dello spazio è inferiore a quella cre- duta da Pouillet, cioè di 201, e che deve essere presso a poco uguale al zero assoluto. Secondo Gyldeso avrebbe invece la temperatura di —170 solamente. I signori Barral e Bixio trovarono all’ altezza di m. 7000 una temperatura di —40. Il signor Hirn calcola che per accadere un fenomeno di congelazione, simile a quello che produce la formazione dalla grandine, deve esser portata la temperatura a —30. Ora se si calcola che l’aria fredda di- scende da una regione altissima, in cui la tensione sia uguale a 0", O1 essa nel precipitarsi in giù naturalmente viene a riscaldarsi. Calco- lando il calore prodotto per tale fatto egli viene alla conclusione che perchè essa abbia temperatura di —20 dovea avere una temperatura di —201. Ho da aggiungere a tal proposito qualche osservazione cioè che talora la grandine ha una temperatura molto più bassa dall’ambiente, Boussingault cita dei chicchi aventi una temperatura di —15 mentre che 20 TE SU TALUNI NUOVI STRUMENTI l’ambiente era di + 26. Il signor De Nordeck dice che in Alsazia aveano la temperatura di —2 mentre l’aria avea quella di + 27. Le considera- zioni del signor Hirn mi paiono di grande peso e interesse, però mi pare che anche lui tende ad esagerare. Io non credo che pei casi comuni sia necessario ricorrere ad altezze così elevate come quelle ove si ha il zero assoluto, ma è sufficiente una corrente di aria di una regione ove la tem- peratura è —50, ovvero anche una cifra ridotta; imperocchè essendo l’aria di sopra trascinata in giù dal moto prodotto dal turbine, una parte del calore prodotto dalla contrazione si trasforma in moto e quel che più monta è a riflettere che secondo il mio parere il congelamento è pro- dotio più facilmente da una corrente di aria ascendente che discendente. Il turbine, mentre attira le correnti dell’alto espelle anche in alto delle correnti umide basse, le quali ghiacciano anche per effetto della sola di- latazione. Tutti i citati autori infatti io credo che si sieno avvicinati al vero, ma che pecchino di esclusivismo. Ognuno di loro ha studiato con preferenza un ordine di fenomeni e scoprendo in esso delle valide ragioni e riscontri nella formazione della grandine, ha creduto riconoscere in esso la origine; mentrecchè la origine della stessa è, a parer mio, più com- plessa che non si creda. Addippiù essi hanno trascurato.talune condi- zioni e circostanze che potentemente debbono contribuirvi, talune delle quali ho già accennate ed altre accennerò di seguito. È indubitato che la causa determinante la produzione della grandine consiste essenzialmente nell’incontro di una corrente gelata molto al di sotto di zero, contro un’altra molto ricca di umidità e non molto discosta da zero. Uno dei fenomeni che immancabilmente, o quasi, suole precedere immediatamente la formazione della grandine è una forte scarica elet- trica. Non è provato però se essa ne sia causa o effetto, nè vale l’ar- gomento cum hoc ergo propter hoc. Però atteso la localizzazione del feno- meno e la piccola area entro cui accade, vi è molto a sospettare che essa entri piuttosto come causa concomitante che come un effetto. Riguardo allo stato di suffusione dell’ acqua dell’ atmosfera preesi- stente alla formazione della grandine, vi è ogni probabilità anzi quasi certezza che debba contribuirvi anch’esso, imperocchè è ben noto che l’acqua, quando è in preda a un rapido movimento, si mantiene liquida. anche vari gradi sotto zero. Ora l’acqua sospesa nell’atmosfera durante il temporale è certo fortemente agitata. Si aggiunga che essa si trova allo stato vescicolare e in uno stato di estrema divisibilità, sicché tale fenomeno acquista maggiore intensità. Si comprende benissimo come in tali condizioni l’acqua possa resistere a molti gradi di freddo senza congelarsi. Però determinatosi il fenomeno (o per una breve sosta al FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 19 movimento, come talora succede nei turbini, o per una scarica elettrica, o anche pel contatto di frantumi di ghiaccio caduti da più alte regioni, ovvero per una corrente freddissima dall’alto in basso) si comprende di leggieri che esso debba accadere repentinamente a un tratto, come di- fatti accade e come anche è indicato da quel rumorio caratteristico che immediatamente lo precede. È per un fenomeno di affinità molecolare che l’acqua gelando assume la forma globulare (alla stessa guisa che se si pruzzi dell’acqua o del mercurio su un tavolo polveroso le gocce assumono la forma sferica). Si costituiscono così tanti piccoli centri di attrazione molecolare, i quali saranno tanto più grossi quanto più bassa sarà la temperatura dell’ acqua, quanto maggiore ne sarà la quantità in sospensione e quanto più bassa sarà stata la temperatura della corrente che determinò il fenomeno. È per tali ragioni che la forma e la gros- sezza delle grandine varia immensamente. Or molto è a tener conto anche della altezza, alla quale si produce il fenomeno, e delle condizioni dello strato atmosferico sottostante. Ordi- nariamente si suole produrre ad un’altezza non superiore a 2000 metri, come osserva Flammarion, ma però si è constatato che anche sul Colle del Gigante a 3428 e sulla cima del Monte Bianco ha grandinato. Il signor Spring assistette ad una grandinata sulla cima di una mon- tagna nell’Oberland alta 3331 metri. Il signor Boussingault trovandosi su una cima delle Ande vide che in basso si andava formando un ammasso di nubi temporalesche tra- versate da forti scariche elettriche. Discendendo egli a 4300 vi penetrò in mezzo, quando poi fu a 2500 si trovò in mezzo a una forte gran- dinata. Recentemente nella Nature il signor Pludnandon descrivea un ura- gano in cui le nubi salirono a non meno di diecimila metri con grande spesseggiare di lampi e facendo cadere una pioggia torrenziale e grossi chiechi di grandine. Or quando il fenomeno accade così in alto e quando l’aria, che nel cadere debbono attraversare i chicchi di ghiaccio, si trovi ad una tem- peratura superiore a zero, giungono in basso già liquefatti; bisogna infatti tener conto di ciò, che essi non cadono verticalmente e rapida- mente; ma naturalmente la loro caduta è alquanto ritardata e deviata per i venti gagliardi che in generale in tali fortunali non mancano mai. Quando essi attraversano uno strato caldo e secco si liquefanno e si eva- porano nell’aria stessa senza arrivare in basso e producono un’istantaneo abbassamento di temperatura nell’atmosfera. Quando poi traversano uno strato molto secco e freddo poco al di sopra di zero, allora arrivano in giù con un volume poco minore di quello che aveano di sopra, perchè s0 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI le particelle di acqua, che nel cadere evaporeranno, produrranno un maggiore raffreddamento ; del quale fenomeno nessuno autore tien conto mentre è molto a riguardarsi. Quando poi lo strato che attra- versano è caldo e molto umido, determineranno la pioggia mista a pic- coli granuli di grandine (lo che sovente avviene da noi, ove quella che volgarmente si dice neve non è che una gragnuola ridotta a minime proporzioni). Quando infine lo strato sottostante è freddo e umido, al- lora i chicchi cadendo andranno condensando il vapore acqueo, che traverseranno , e cresceranno in volume gradatamente, come accade per lo più nelle piogge, nelle quali è constatato che le gocce di acqua sono generalmente più scarse e più minute in alto che in basso e si vanno ingrossando maggiormente proprio in vicinanza della terra. Io credo che quella specie di stratificazione concentrica, che presentano i grossi ghiacciuoli sia da ascriversi a quest’ultima causa e che il nodulo interno bianchiccio centrale, sia quello formato nella più alta regione atmosferica. In tal caso le varie zone concentriche risulterebbero dalla condensazione dei vari strati attraversati. Nel paragrafo su talune azioni molecolari e precisamente in quello sulla solidificazione brusca delle gocce di liquidi, ho accennato come probabilmente in un ordine di fenomeni analogo bisognava ricercare l’origine del nucleo centrale della grandine. Flammarion osservò, facendo varie ascensioni areostatiche, che sovente nei temporali, sia di pioggia che di neve e grandine, gli strati delle nubi sono due, uno sovrapposto all’altro. In tal caso viemmaggior- mente saranno modificati i ghiacciuoli durante la loro caduta attra- verso la nube sottostante. Che nel fenomeno: della grandine contribuisca ben di sovente, se non sempre, un forte movimento di aria a turbine, parmi non possa mettersi in dubbio. Non divido 1’ opinione dell’ illustre signor Weyher in tutte le sue parti, perchè come ho già detto, la sua teoria mi pare troppo complicata e anche contraria alla realtà. Infatti essa suppone necessa- riamente che i chicchi della grandine non si formino punto istanta- neamente ma gradatamente e restino in sospensione a turbinare. Ora tutto induce a credere al contrario che la loro formazione sia istan- tanea e che la loro caduta avvenga subito dopo; egli poi non spiega abbastanza la produzione dell’elettricità. To in vero sono di opinione che ben di sovente il fenomeno della grandine sia molto connesso con quello delle trombe. Il movimento del turbine produce una forza centrifuga, quindi una rarefazione nel mezzo di esso. Da ciò ne consegue un’ attrazione del basso in alto lungo l’asse centrale, quindi un sollevamento delle zone inferiori, ossia FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 81 le più umide, verso l’ alto e un’espansione di queste e dall’ altro lato un’attrazione anche delle zone alte verso il basso per la stessa ragione. Ora se ammettiamo uno stato di suffusione delle zone umide ascendenti, all’ incontro di esse, con quelle superiori, accadrà immediatamente la congelazione della sragnuola; congelazione, che come di sopra io ho 0s- servato, credo possa benissimo accadere anche per il semplice feno- meno della dilatazione che una corrente di aria viene a subire con la elevazione in una regione in cui la pressione è molto minore. Aggiungo che quando accade un ravvicinamento di una corrente ascendente con una discendente, esso debba avvenirerapidamente, perchè essendo sovente gli strati molto bassi elettrizzati di elettricità diversa di quella dell’alto, nasce facilmente una induzione reciproca, e quindi crescendo la tensione e diminuendo la distanza, debbono le due correnti umide incontrarsi subitaneamente dando luogo ad una scarica elettrica, la cui scossa con- tribuisce anche per un altro riguardo alla subitanea produzione della grandine. Un fenomeno analogo può pure accadere per l’incontro di due zone laterali del turbine. Infatti, come ho detto, il movimento di rotazione produce una rarefazione verso il centro e un’attrazione o per meglio dire un riversamento degli strati molto alti verso il centro del turbine; ora per tale ragione la temperatura mediana, sarà molto più fredda di quella della circonferenza ossia della zona girante. D'altro canto la cor- rente ascendente, che è più densa e più umida, sarà repulsa verso la parte esterna ossia verso la periferia del turbine per la nota legge di equilibrio dei fluidi giranti. Ora se si dà il caso che cessi momentaneamente la rotazione del turbine e ritorni momentaneamente la calma, l’aria umida si precipiterà di tratto verso la parte centrale e viceversa e immanca- bilmente la grandine sarà formata.—Supponevo che la rotazione venisse di tratto, ciò pare inverosimile ma io l’ ho detto per spiegarmi più chiaramente. Infatti non intendevo che il turbine si arrestasse brusca- mente, ma che spostandosi lasciasse l’ aria di un dato sito tranquilla. Tale spostamento può accadere o col sollevarsi in alto, ovvero con lo spostarsi di lato. Il primo fenomeno accade quando 1’ estremità della base del cono del turbine si alza al di sopra degli strati bassi dell’at- mosfera; infatti ora è provato che in generale i turbini hanno un gran diametro nella parte superiore e un piccolo diametro nella inferiore. In tal caso si avrà una grandinata in un sito circoscritto. Quando poi il turbine segue la sua rotazione e il suo cammino curvo che ordina- riamente suole seguire, è probabile che continuerà a grandinare lungo tutto la striscia di terra da esso percossa. Può però anche accadere 21 ) S2 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI o che lungo il suo cammino in alcuni siti determini la grandine, in altri no, a seconda delle cordizioni dall’ambiente locale. Può anche benissimo accadere che la rotazione, non essendo perfet- tamente uniforme e subendo delle influenze locali, si accresca e dimi- nuisca alternativamente la tensione prodotta dalla forza centrifuga; ond’è che verso la periferie del turbine accadranno delle irruzioni delle correnti esterne ossia che l’aria umida circolante attorno s’insinuerà lungo la periferie del turbine venendo a contatto con I’ aria fredda e rarefatta dell’ interno e raffreddandosi viemmaggiormente per la con- seguente dilatazione. In tal caso parrebbe che la grandine dovesse pro- dursi in tutta la zona periferica, ma come dirò di seguito non sempre ciò accade. Infatti il movimento di progressione del turbine repelle la corrente frontale, la quale si precipiterà invece ai fianchi. Il detto mo- vimento impedirà pure che il fenomeno accada nella faccia posteriore del turbine; perocchè questo spostandosi in avanti lascia indietro uno spazio vuoto, in cui si precipita l’aria da entrambi i lati e da dietro, sicchè la corrente di dietro non arriva più a penetrare entro il turbine. Così avviene che il cozzo delle correnti accadrà solo nelle due zone laterali. Tale teoria trova uno riscontro anzi una prova (tra le altre) nella celebre grandinata che nel 1788. devastò due zone della Francia, lunghe quasi 200 leghe, producendo un danno di più 24 milioni di lire. Le due zone erano ciascuna larga due leghe, distanti l’una dall’altra cinque leghe. Una cominciò a Loches in Turenna e si continuò fino nel Belgio, l’altra cominciò ad Orleans e si continuò fino ad Utrecht. Da tutto ciò che ho detto è evidente che dipende il fenomeno della grandine da varie cause concomitanti, di cui taluna può avere maggiore o minore intensità, e che non in tutti i siti e non sempre si manifesta nella stessa guisa e con la stessa veemenza. La ragione per cui le grandinate sogliono accadere più di sovente in està che in inverno è pure molto chiara. Infatti perchè i chicchi della grandine raggiun- gano una ragguardevole dimensione è necessario che 1’ ambiente nel quale si formino e che traversino, contenga gran copia di umore acqueo. Or è risaputo che è appunto in està che l’aria contiene maggior quan- tità di vapore acqueo. Riguardo al rumore particolare che precede immediatamente la caduta della grandine, ritengo debba ascriversi al seguente fatto: I chicchi non sono tutti della stessa dimensione quindi non cadono tutti con la stessa velocità (come accadrebbe nel vuoto), nè cadendo si spostano ugual- mente per la pressione laterale dei venti, ond’è che vengono a cozzare gli uni con gli altri. FISICI E METEREOLOGICI, ECO. 85 Ciò che occorre sia studiato esperimentalmente si è l’azione dell’aria sui chicchi della grandine che cade. Io ho esposto di sopra le mie idee in proposito; però è necessario verificare se quanto ragionalmente ho asserito, si verifichi nella pratica. Per ciò fare si possono fare delle esperienze coi palloni areostatici frenati in varie epoche dell’ anno lanciando dalla navicella pezzettini di ghiaccio rotto rotondi misuran- done prima e dopo la caduta il peso; e ciò anche durante la pioggia. Il ghiaccio deve cadere con maggiore velocità dell’acqua (e quindi de- formabile) sebbene questa quando è a zero gradi è più pesante di esso, perocchè l’aria deve presentare maggiore resistenza al passaggio di un corpo liquido che di uno solido. Laonde, supponendo che un chicco di grandine molto freddo cada attraverso la pioggia, esso precorrerà le gocce di questa, e urtandole le assimilerà a sè facendole condensare. Così finirà esso per raggiungere un volume maggiore che quello suo iniziale. Questa spiegazione da me immaginata mi pare la più semplice e conforme al vero. Riguardo poi alla causa efficiente del fenomeno, una delle precipue mi par quella dell’ascensione di una corrente terrestre umida (di cui pochi o nissuno degli autori han tenuto conto) corteggiata dai fenomeni sopra indicati. Certo non tutte le idee da me qui esposte sono nuove, ma mi pare ve ne sieno tali e ben meritevoli di essere seriamente discusse e ponderate. Ciò che io ho detto si può riassumere in tre capiversi : 1.° Complessità e simultaneetà dei fenomeni che danno origine alla grandine; 2.° Studio dell’incontro delle correnti umide ascendenti in alto e confluenti late- ralmente; 3.° Azione dello strato di aria e di vapore acqueo che tra- versano i chicchi di gragnuola durante la loro discesa. N di 2° ci cj5 2] e] e] ja ep cls jp ca cl Ria e 2/9 219 e] e] e] e] e] e] cf e] e] e sp eo UNA COLONNA DI POLVERE —" r= e, —=mÒTÒZìEHZIÒ€:E:eE||€«--a.rpséootldÙÒÙD OEe::: fee -m>@>>->->->-n>_exn-_o nero iii Wi iTiTiI. TT. 6900000000000 ERETTE ILITTSEALIKIAIAANY FSDÈSNSSSNDADSANAZNINSNNANISSNISSNSINSNSNINA u PINZA INI INININSINSNL AE INTORNO ALLA RIPRODUZIONE ARTIFICIALE DEL DIAMANTE —< Kw —-— È noto come un grande numero di fisici e di chimici hanno fatto rei- terati infiniti tentativi per riuscire a produrre artificialmente il diamante cioè il carbonio cristallizzato. Fra tutti coloro che più specialmente vi si dedicarono è da menzionare pel primo il signor Cagniard-Latour, poi Despretz, Marsten e Hannay. Recentissimamente il signor Moissan è stato molto più fortunato di loro, e, mediante il metodo così inge- gnosamente da lui concepito, è riuscito a dei risultati veramente sod- disfacenti e incoraggianti. Il signor Cagniard-Latour tentò di riuscirvi facendo reagire il fosforo sul solfuro di carbone, ma invano. Il signor Despretz tentò di ottenere la trasformazione del carbonio in diamante per mezzo della scintilla d’induzione e dell’uovo elettrico. Il signor Mar- sten nel 1880 tentò una via migliore : egli riscaldò l’argento alla tem- peratura di 1500 in presenza del carbone di zuccaro. Fu il primo passo che segnò un vero progresso, perchè assegnò la via da seguire, cioè sciogliere il carbonio in un metallo fuso ad alta temperatura. Il signor Hannay scelse una via diversa ma con esito meno felice , cioè quella di scomporre taluni idrocarburi (come l’essenza di paraffina) per l’azione del litio. Finalmente il signor Moissan, durante l’anno in corso, è riu- scito a ottenere dei veri piccoli cristalli di diamante con il metodo se- guente. Egli costrui un forno elettrico consistente in due placche di calce viva con una piccola cavità nel mezzo; la placca di sopra era traversata dall’estremità «di due conduttori in comunicazione con una potente macchina dinamoelettrica. La detta cavità venia occupata dà carbone di zucchero. Mettendosi in moto la macchina e producendosi A NSF 100 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI quindi l’arco voltaio dentro la cavità si produceva una temperatura di 3000. Ora egli versava in detta piccola cavità 150 grammi di ferro fuso, nel quale facea sciogliere molto carbone di zucchero fortemente compresso in un cilindretto da ferro che si liquefacea parimenti. Facendo raffreddare bruscamente il ferro fuso, immergendolo nel l’acqua, avvenia che abbassandosi la temperatura, l’eccesso di carbonio, non potendo più rimanere sciolto nel ferro, venia a cristallizzarsi sotto una forte pressione dovuta al seguente fatto : la parte esterna della piccola massa di ferro in contatto con l’acqua si solidificava prima. dell’ interna, la quale sopportava quindi una forte pressione. Così il carbonio venia a cristallizzare dentro la massa del ferro. Per separar- nelo fe’ egli disciogliere questo nell’acido cloridrico bollente e quindi il residuo nell’acido solforico, fluoridrico, azotico e clorato di potassa. Restarono così piccolissimi cristalluzzi isolati di diamanti. Certo, tale risultato è oltremodo splendido e incoraggiante ; però. la spesa che tal processo richiede non è compensata dal valore dei piccoli e pochi diamanti che ne sono il frutto. Fin da vari anni addietro io avevo immaginato un metodo che ha qualche riscontro, con quello ora usato dall’ illustre Moissan, ma che presenta delle diversità fondamentali. Certo, non posso esser sicuro della riuscita, ma credo che in esso è additata un’ altra via che può condurre a risultati migliori. Io proporrei di profittare delle grandi pressioni della profondità del mare. È certo che uno dei principali fautori della cristallizzazione del carbonio è la pressione. Ciò è stato intravvisto da un gran numero di chimici ed è stato egregiamente dimostrato dal Moissan. Seimmergiamo un apparecchio alla profondità di 4000 metri, esso sopporterà una pressione di quasi 400 atmosfere. Supponghiamo che s'immerga in tali profondità. un tubo a mortaio di bronzo (Tav. 3 fig. 28) NG H M rivestito da sostanza cattiva conduttrice di calorico, nel quale sieno impegnate le estremità di due conduttori ABC, FED attorniate da sostanza coibente. I due con- duttori A, F si continuano rispettivamente con due fili, i quali salgono su fuori dell’ acqua e sono in relazione con una potente macchina dina- moelettrica. Il di dentro dal mortaio N G H K è pieno di un miscuglio ben compresso di polvere di carbone di zucchero e di limatura di ferro. È sormontato da una grossa rotella di cautchouc L K. Oltre che con la. limatura di ferro io proporrei di far degli esperimenti con un miscu- glio di ofite brecciforme del capo di Buona Speranza polverizzata e con della polvere di carbone di zucchero. Infatti oltre che nei noti giacimenti alluvionali del Brasile etc., dei quali è disagevole formarsi i FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 101 un'idea dell’origine, è certo che esso si trova in ottaedri liberi entro una ganga che pare di origine eruttiva al Capo di Buona Speranza. Ora io ritengo che tale matrice, che sovente si trova in cavità ellit- tiche, dovea contenere primitivamente del carbonio allo stato di fusione e di dissoluzione e che raffreddandosi gradatamente e sotto forte pres- sione ne determinò la cristallizzazione. Io quindi proporrei di tenere la stessa via che la natura ebbe a seguire. Un’esperienza simile eredo si possa anche tentare con probabile riuscita con della limatura di ser- pentina platinifera di Borneo, entro alla quale talora pure se ne rinviene. Ora se si farà agire la macchina, si formerà l’arco voltaico tra CD, si andrà fondendo la limatura di ferro o di ofite e quindi si andrà scio- gliendo il carbonio sempre in maggiore quantità. Cessando 1’ azione della macchina, dopo un certo tempo avverrà che nel mezzo del cilindro, e precisamente nella porzione © D, si troverà una piccola massa di ferro fuso e di carbonio, ovvero di magma ofitica e di carbonio che si andrà raffreddando a poco a poco e sempre sotto la stessa pressione. Per tali condizioni io ritengo che il carbonio debba certo cristallizzare in cristalli grossi, e addippiù che questi debbano essere naturalmente divisi dalla ganga, e ridotti alla parta superiore. Infatti la ragione, per cui la pressione aiuta la cristallizzazione del diamante , quale può essere ? Io penso che è evidentemente questa : Talune sostanze nel solidificarsi aumentano di volume, talune altre dimi- nuiscono. Il ferro fuso-nel solidificarsi aumenta di volume. Or in tal caso l’aumento della pressione fa si che esso si mantenga fuso ad una temperatura ancora più bassa di quella che naturalmente sarebbe stata necessaria per la solidificazione. Ora se esso tenea in soluzione una certa quantità di una sostanza (in questo caso di carbonio) fino a saturità, abbassandosi il suo grado di calorico, non può più trattenerla, e questa deve deporsi. Dall'altro lato io devo aggiungere che molte considerazioni mi tendono a persuadere che il carbonio debba invece nel solidificarsi diminuire in volume e che quindi un eccesso di pressione tenda a farlo solidificare anche a un grado più alto cioè a mantenerlo ancora fuso. Atteso tali criteri, per avere dei cristalli di un certo diametro occorre che la pressione sia molto alta e continuata, che la cristallizzazione avvenga in un ambiente tranquillo e immobile, in modo da dar tempo alle particelle di carbonio di raggrupparsi in grossi cristalli, che il ferro si mantenga fuso e non solidifichi bruscamente come nell’ esperienza di Moissan, ma lasci il tempo alle molecole del carbonio di riunirsi fra loro relativamente lentamente. La lentezza poi di cui ho detto , deve avere anco un’altro importantissimo effetto, cioè nella separazione del 26 102 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI carbonio cristallizzato e del ferro fuso: quello infatti, essendo più leg- giero, deve per ragione di equilibrio portarsi più in alto, e così la se- parazione deve poi accadere con minore difficoltà. Viceversa, un fenomeno, che io credo dovrebbe in questo caso essere molto studiato, è quello della suffusione per mezzo di un rapido movi- mento. Recenti esperimenti hanno dimostrato che l’acqua può soppor- tare temperature molto più basse di zero senza congelarsi, purché sia in preda a rapidissimo movimento. Ho io parlato di tal fenomeno nel paragrafo relativo alla grandine , e ho spiegato come esso possa con- tribuire nella formazione di questa o piuttosto nel far raggiungere ai chicchi un volume maggiore. Ora se tal fatto si verificasse pure pel carbonio disciolto sia nel ferro fuso sia in un magna ofitico o serpenti- nico, si potrebbe evidentemente fare raggiungere dimensioni molto mag- giori ai cristalli che si andrebbero formando. Se tale ipotesi fosse vera, si potrebbe facilmente imprimere al nostro apparecchio un movimento vibratorio molto rapido per mezzo della fune che lo sostiene. Ciò si potrebbe anche tentare (sebbene con minor probabilità di riuscita) con l’apparecchio stesso di Mossan, al quale dovrebbe imprimersi un rapi- dissimo movimento rotatorio e tentare se con tal mezzo si potessero ottenere risultati migliori. Per certo, a volere costruire a bella posta una macchina adatta e a spedire una nave in lontana regione sarebbe impresa ardua e troppo dispendiosa. Si sarebbe lautamente ricompensati dal risultato, se que- sto fosse, come io credo, coronato da successo; ma d’altro canto non si può essere sicuri di ciò, e non è improbabile che delle modificazioni do- vessero essere introdotte nel mio apparecchio. Però vi è un mezzo, punto dispendioso per eseguire tali tentativi. Sovente sono inviate delle navi da guerra nei mari profondi a fare degli studi idrografici e geografici, e a fare anche degli scandagli e dragare nelle grandi profondità per lo studio della loro fauna, il quale ha arrecato ricchissima messe di utilissime scoverte per la zoologia e incalcolabili aiuti alla paleontologia. Inutile ricordare i viaggi dello Challenger, del Talisman, del Travailleur e dell’Hirondelle etc. Ora tali navi sono in generale munite anche di macchine dinamo-elettriche, che potrebbero anche essere rafforzate con spesa non molto elevata. Tentativi cosiffatti non costerebbero una spesa molto rilevante e potrebbero aprire adito a delle scoverte di molta im- portanza non solo per la scienza, ma per l'industria e per il tornaconto. cdr TUBO DI SFOGO DEL FUMO DELLE LOCOMOTIVE FERROVIARIE == Lo studio della diffusione dei gas e quindi del fumo, di cui ho fatto un cenno nel paragrafo « Sulle azioni molecolari etc.» mi ha condotto in un campo molto diverso e mi ha fatto nascere un vivo desiderio di studiare il modo di poter evitare ai viaggianti in ferrovia la molestia del fumo, la quale nei tunnel diventa addirittura insopportabile. Col “meccanismo da me proposto non si possono naturalmente migliorare le condizioni dell’aria racchiusa nei tunnel e eliminare il fumo che vi resta dopo il passaggio di un treno, ma si può benissimo evitare {ciò che più monta) che il fumo della macchina venga addosso alle carrozze del treno e vi entri dentro disturbando i viaggiatori, e che durante la corsa all’aperto, esso sia proiettato entro il treno quando il vento viene di faccia. Mi affretto ad aggiungere che per un semplice mecca- nismo, di cui adesso farò parola, il nostro apparecchio non si farà fun- zionare punto quando il treno avrà rallentata la corsa e sarà per fer- marsi, nè quando il vento soffierà di fianco con una tale violenza che il fumo anche senza apparecchio non molesterebbe i viaggiatori. Certo, pare quasi una temerità la mia parte volere arare in campo altrui, e, quel che più monta, lusingarsi di poter risolvere un problema che ha affaticato la mente di insigni meccanici e specialisti. Ad ogni modo io ho la sicurezza che il mio apparecchio o per meglio dire il metodo da me proposto è molto semplice, pochissimo dispendioso e debba arrecare sicuri vantaggi, sicché non esito a farlo noto. Consiste esso in una serie di tubi orizzontali (fig. 29) Z Q, R Pete. collocati ciascuno sul tetto di ogni vagone. Ogni tubo anteriormente finisce in uno svasamento ad imbuto S T, N O, in modo che quando il treno si muove, una forte corrente di aria vi è lanciata dentro. La estremità posteriore di ciascun tubo e R, Z..., resta a piccola distanza 104 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI dell’imbuto del tubo seguente; a tal uopo deve essa sporgere dietro a ciascun vagone, e ciò allo scopo di non fare deviare la corrente di aria, ma far si che tutta s’istradi per il tubo e non esca fuori. Il tubo poi della locomobile B A porta alla parte anteriore un foro Ein relazione ad uno svasamento ad imbuto C E D e un’ apertura più larga F G dalla parte posteriore, la quale si può chiudere a volontà per mezzo dello sportello F_H, il quale si solleva per mezzo del filo M K, il quale gira attorno alla rotella K la quale è sostenuta dalla traversa K L; se la fune M K_ viene rallentata, lo sportello F H si ripiegherà su sè stesso per il proprio peso e per una molla di trazione situata in F e andrà a chiudere l’apertura F G. Allora il fumo invece di istradarsi nel senso EP RAQZ, si solleverà nel senso B A. Siccome restando aperto E si pro- durrebbe una corrente di aria, la quale parte andrebbe in .sù e parte in giù (quando è chiuso F G), occorrerà che si chiuda anche E per un meccanismo analogo a quello descritto o un altro qualunque. La chiusura dell’apertura E e dell’altra F G si potrebbe fare auto- maticamente per mezzo di due sportellini a valvole, che per la pres- sione dell’aria che s’introduce da C D si aprirebbero indietro e per la pressione stessa si manterrebbero orizzontali. Quando il treno rallenta la corsa si chiuderebbero pel proprio peso. Però tal sistema io ritengo non molto pratico, perchè facilmente verrebbero ad ostruirsi le cerniere e reputo preferibile quello di aprire lo sportellino a volontà per mezzo di un meccanismo qualunque, per esempio quello da me indicato. La ragione per cui credo necessario di chiudere 1’ apertura F G e forse anche la E, quando il treno rallenta la corsa è questa : che quando una forte corrente passa pel tubo, essa trascina tutto il fumo indietro e lo lancia dietro il treno. Ma quando il flusso di aria è lento ovvero nullo (quando il treno si arresta), il fumo resterebbe impegnato entro il tubo e non sortirebbe dall’ estremità posteriore del treno, ma alla estremità del tubo di ciascuna vettura, onde invece che un vantaggio si avrebbe una molestia più grave. Quindi il macchinista, prima di fermare il treno, deve rallentare la fune M K, in modo che lo sportello FH chiuda l’ apertura FG e il fumo esca per A, mentre il resto del fumo rimasto entro i tubi sarà espulso indietro per il flusso dell’ aria che continua, alimentato dalla corrente prodotta dal movimento del treno restando i tubi perfettamente vuoti quando questo si fermerà. Devo ripetere che, quando il vento soffia di fianco con una certa vio- lenza, ritengo sarebbe inutile e anzi dannoso di fare. istradare il fumo pel tubo di sfogo ; torna invece conto far sì che sfugga pel tubo ver- ticale A come di consueto. SULLA TRAZIONE DELL'ARIA DALL'ALTO I benefici effetti dell’aria di montagna sono così noti che è assoluta- mente fuori luogo parlarne. Ogni anno nell’està immense turbe di viag- giatori salgono dalle valli sulle regioni elevate. Tale abitudine si va facendo sempre più popolare. Vi contribuisce certo la grande attrattiva del panorama e della vegetazione, e per molti anche quella di prender parte a un ritrovo geniale e un convegno di gente per bene che si vuol divertire. Ond’è che graziosi e comodi alberghi vanno sorgendo su tutti i più ameni altipiani delle Alpi. Ciò però non può certo essere alla por- tata di tutte le borse nè consono alle condizioni delle singole famiglie. D'altro canto bisogna rammentare che uno studio di immensa utilità fu iniziata dall’illustre D’Jourdanet, sull’influenza che ha sull’organi- smo il soggiorno e la vita sulle alte regioni. « Du Mexique au point de vue de son influence su la vie de V homme. L' air raréfié dans ces rapports avec l'homme malade. Application artificielle de Vair des montagnes au trai tement curatif des maladies chroniques. De l'anémie des altitudes et de l'ané- mie en général». Egli provò con dati statistici che un’altezza superiore a 2000 è sempre nociva allo sviluppo e alla salute dell’ uomo (che viene ad esserne indebolita anzichè rinforzata ) e che l'elevazione in cui l’ organismo umano prospera maggiormente è compresa tra 600 e 1000 metri. I suoi risultati sono molto seri e mentre da un lato sfatano molte Il 106 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI brillanti teorie a « sensation », dall’altro convalidano in parte quelle idee che così vittoriosamente si sono fatte strada in questi ultimi anni. Egli fu per così dire il creatore di un nuovo ramo di medicina l’areo terapia; ramo che ancora non è sufficientemente studiato, ma che credo destinato ad assumere una ben maggiore importanza in appresso. Ciò che è più rimarchevole e ridonda ad onore del citato autore è il suo metodo di riproduzione artificiale dell’aria di montagna. Il suo appa- recchio, impiantato a Parigi, ha reso utilissimi effetti, incontestate mi- gliorie e anche guarizioni in diverse specie di malattie. Ora a me pare che gli apparecchi del tipo di quello usato da Jourdanet abbiano un difetto capitale. Con essi infatti si rarefà agevolmente I’ aria, si può anche dosarla di acido carbonico e di umidità e si possono ottenere meravigliosi risultati; però io trovo che è trascurata del tutto l’azione per così dire organica dell’aria. Certo, principalmente l’effetto diverso che il soggiorno in zone di varia elevazione produce, dipende dalla maggiore o minore pressione dell’aria, la quale modifica la frequenza e l'ampiezza del nostro respiro, l'assorbimento dell’ossigeno dei nostri polmoni, la quantità di acido carbonico disciolto nel nostro sangue e in generale agisce potentemente su tutti i gas che si trovano racchiusi e disciolti nell’ interno del nostro corpo. Quindi non ci è dubbio che artificialmente si può benissimo creare un ambiente molto simile a quello delle montagne e modificarlo a secondo dei vari bisogni e scopi cui dee destinarsi. Però l’influenza, che l’aria delle alture ha sull’or- ganismo umano, non dipende esclusivamente da ciò. Vi è un’altra ra- gione latente, la cui efficacia, per quanto misteriosa e ancora ben poco studiata, io credo debba avere un’influenza massima sul nostro organismo. Alludo alla potenza ascosa dei microrganismi : un mondo di piccoli es- seri pullula, ferve, formicola nell’aria. La influenza, che questi atomi viventi hanno sull’organismo, è immen- sa. Sino a pochi anni addietro era disconosciuta affatto, ora invece ogni giorno si va sempre più aumentando all’occhio dello scienziato e gi- ganteggia. Io ritengo che lo studio e le ulteriori scoverte, anzi che scemare tale importanza, tenderanno ad accrescerla ancora. È appunto in questi piccoli esseri che si finirà per riconoscere la prima leva della vita degli organismi superiori. Ora respirare l’aria di una regione ov- vero quella di un’altra, in cui (per la diversa pressione e il diverso grado di umidità etc.) si agita un mondo di microrganismi affatto dif- ferente, non può non avere un’influenza ben decisa sul nostro organismo. Una delle cagioni per cui Varia elevata giova in certe affezioni gravi FISICI E METEREOLOGICI, ECO. 107 di petto, sta appunto nell’ essere essa immune di parassiti infesti al- l’uomo. Però sovente si hanno pur troppo risultati negativi, lo che penso debba ascriversi alle altre cause che tendono a peggiorare le condizioni dell’infermo cioè i disagi, l’aria troppo rarefatta, la temperatura troppo bassa etc. etc. <- Ora per mezzo di un tubo e di una semplice pompa aspirante , io penso si potrebbe benissimo trarre in giù l’aria dell’alto e ciò in pros- simità degli alti picchi. In tal modo si potrebbe benissimo fruire dei vantaggi dell’aria purissima e non inquinata delle alture senza sof- frirne gl’inconvenienti, fra i quali quello studiato del signor Jourdanet, il quale è condotto per esso ad asserire che l’elevazione di 2000 metri è molto dannosa all’organismo umano. L’aspirazione dell’aria delle regioni più alte dell’ atmosfera può, io credo, recare anche molti vantaggi quando si voglia contentarsi di ele- vazioni modeste nelle vicinanze delle città, ove vi fosse la possibilità di poter mettere in attuazione un tal progetto. A Parigi sarebbe ec- cessivamente facile per mezzo della torre Fiffel avere un flusso di aria da un’altezza di 300 metri. i Non è certo una grande elevazione, tutt'altro, ma senza fallo lassù l’aria è ben diversa di quella delle bassure e dee contenere una mi- crofauna molta diversa. È a riflettere che in generale i parassiti dan- nosi ad una specie,.maggiormente si sviluppano allignano e prosperano nell’ambiente stesso in cui essa vive. Ciò è vero tanto nel regno ve- getale che animale, nè è qui a dimostrarlo. Ora l’aria, che viene da una zona libera relativamente lontana delle abitazioni umane, dee con- tenere senza fallo un numero di organismi parassitari assai minore. Riguardo al modo di adoperare tale getto di aria per scopo salutare, io non intendo alludere ad una mera modificazione da introdurre agli esperimenti di Jourdanet, ma a uno scopo più vasto. Un getto di tale aria, che arrivasse in un grande salone di ospedale ed equamente fosse distribuito, potrebbe rendere senza fallo dei grandi benefici vantaggi. Senza dubbio è molto difficile e non torna conto areare esclusiva- mente un salone con detta aria, escludendo totalmente l’intervento del- l’aria ambiente ; però è facile limitare questa a ben poca cosa, per mezzo di ben disposte aperture e sfiatatoi. Forse tali mie idee sono fuori di porto in questo libro, che tratta di ar- gomenti vari e disparati, ma molto alieni dall’igiene e dalla medicina. Ma io vi sono stato indotto dallo studio di talune questioni inerenti alla 108 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI collocazione del metereografo superiormente descritto e mi sono lasciato indurre a esporle in questo medesimo libro dalla convinzione che un reale vantaggio si possa praticamente trarne, e dalla speranza che altri si decida a fare dei pratici esperimenti di tal nuovo sistema di areazione degli ospedali. INTORNO ALLA SOSPENSIONE DELLE NUBI Taluni fenomeni comuni, alla portata di tutti, che sembrano di ben facile interpetrazione a coloro, i quali superficialmente li studiano, si appalesano invece tutt’ altro a chi più profondamente, con maggiore acume e discernimento più fine, ne investiga l’ intima ragione. Così accade, che lo studio della struttura di una nube e della causa, per la quale si mantiene sospesa in aria, possa sembrare a molti cosa ovvia ed elementare, laddove riesce meno facile a chi medita e scruta l’in- tima compage di essa e le cause possibili che possono determinare tale fenomeno. ? To in questo capitolo non mi propongo affatto di addentrarmi nella genesi delle nubi e delle nebbie, sulle loro varietà di forma, sui feno- meni che presentano, perchè sarebbe un ripetere cose note, senza scopo. Tratterò invece di una questione che sembra molto semplice , ma intorno a cui esistono grandi controversie : sul modo come le nubi sono sospese in aria. Nubi e nebbie ripetono la stessa origine, analoga è la loro struttura, identico il fenomeno della loro sospensione. Tale questione è connessa intimamente con un’ altra, che riguarda la loro struttura intima. Si sa che sono formate da piccolissime sferule di acqua, nè è a ricor- dare il modo come queste si formano, perchè troppo noto. Or sono tali sferule piene o vuote ? Taluni autori ritengono che sieno piene e sieno quindi veri piccoli globuli , altri che sieno vuote e sieno piccole ve- ‘‘scichette o in altri termini piccole bolle di acqua. Quest'ultima teoria DIS LO 110 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI è stata in questi ultimi anni rimessa molto in onore ed è più general- mente e facilmente accettata, perchè pare renda più agevole concepire il modo come tali vescichette possano mantenersi in aria. Vi sono infine pochi autori che opinano che nelle nubi, e quindi anche nelle nebbie si trovino promiscuamente globuli e vescichette. Grandi scienziati quali Halley, Saussure, Kratzenstein (il quale più specialmente vi si è dedi- cato), Kaémtz etc. opinano che si tratti di vescichette. Flammarion propende per tale opinione, ma non ha studiato bene tale fenomeno e dice che è probabile che vi sia una promiscuità tra le une e le altre. Tl signor Mohn si mostra apertamente partigiano della teoria vescicolare. Altri rinomati scienziati sono affatto contrarii a questa teoria, il signor Waller, il signor Jamin, il signor J. Herschel e recentemente il signor William Desborough Cooley (il quale ha studiato con molto acume tale questione) si dichiarano contrari. Certo, che la teoria vescicolare pare anche a me contraria alle leggi naturali, nè saprei capire per qual ragione e come si possa determi- nare un tale fenomeno. Se esistono delle vescichette di aria, esse, come dirò di seguito, non possono essere che affatto precarie e fugaci. Però siccome nulla bisogna negare gratuitamente, trattandosi special- mente di questione di fatto da potersi constatare, ho eseguito numerose esperienze che mi sono riuscite tutte negative. Ho infatti esaminato i globuli di vapore acqueo sospesi nell’ atmo- sfera e li ho trovato sempre pieni, non mai allo stato di vescichette ossia di bollicine vuote. Io non ho potuto fare direttamente le esperienze sui globuli delle nebbie o delle nubi, ma su quelli delle nebbie arti- ficiali, che vale lo stesso, perchè è impossibile che l’acqua si comporti diversamente. A tal uopo ho riscaldato dei grandi vasi di acqua al di sotto del punto di ebullizione e fatto evaporare lentamente 1’ acqua nella stanza. Ho raccolto su una lastrina di cristallo i globuli e li ho esaminata con un microscopio di forte ingrandimento. Tale operazione sembra cosa facile ma non lo è, perchè i globuli appena toccano la lastrina si evaporano e sfuggono nell’atmosfera. Per riuscirvi ho messo la lastrina di prospetto all’ acqua che si evaporava e quindi sollecita- mente ho passato sotto la stessa, il vetro coprioggetti in modo da car- cerare le bollicine. Un metodo analogo ho adoperato per studiare i glo- buletti contenuti in una colonna di vapore acqueo in ebullizione, che del resto si trovano in condizioni analoghe. Infatti il vapore, sfuggendo nell’atmosfera, che è naturalmente più freddo, si condensa in globuli, che sono trascinati in alto dal vapore non condensato. Il vapore si va espan- dendo e, andando in su, i globuli si evaporano alla loro volta e si espandono FISICI E METEREOLOGICI, ECC. Iii! nell’atmosfera. Ho poi fatto altre esperienze : ho raffreddato la faccia di una lastrina gradatamente per mezzo di un miscuglio frigorifero qualunque. Ora appena ho veduto che si sono cominciati a deporsi i globuli dall’altro lato, cioè la rugiada, li ho subito coverti con vetro portaoggetti. Ho infine fatto anche delle osservazioni sui globuletti prodotti dalla condensazione del vapore acqueo del fiato. Il risultato di tali esperienze è stato il seguente: i ad sono sempre pieni, hanno un diametro da dts di milimetro a -—. Il signor Kratzenstein trovò 1000 Too È È che s media i globuli (vescichette secondo lui) hanno un diametro 1 1 4500 2780 1 di di pollice; De Saussure trovò due limiti di ; Waller 00 due limiti De e LL di pollice. Kaémtz trovò in media ST 2500 * È Hone d 5 lice cioè 1000 di millimetro e che il diametro delle bollicine varia se- . . . ò 39 condo i mesi; raggiungerebbe un numero di 1000 in febbraro, un mi- e in agosto De Flammarion dice che in media nimo in maggio - devono calcolarsi 2 millesimi. Ora esaminando attentissimamente e ripetutamente i globuli sotto un microscopio, che ha un ingrandimento di 1000 diametri, ho osservato che essi formano uno strato sottilissimo aderente o per meglio dire imprigionato fra i due vetri; in modo che le pareti di un globulo toccano le pareti dall’altro, subendo una compressione ossia uno schiacciamento, in modo da dare l’apparenza di un tessuto celluloso tagliato a sghembo Poi per poter esaminare i globuli isolati, lo che non è cosa agevole, ho ricorso al seguente metodo. Ho riscaldato lievemente la lastra di cristallo, prima di esporla al vapore acqueo, in modo che questo, quando la raggiunge, sfugge in gran parte evaporandosi. Mettendo prontamente il vetro coprioggetti (sempre dalla parte inferiore, cioè sul lato ove sono attaccati i globuli, perchè capovolgendo la lastrina, cioè facendo che questi occupino la parte superiore, istantaneamente evaporano ) sulla parte ove aderiscono i globuli e quindi esaminandoli al miero- scopio, ho potuto riuscire a vederne di affatto isolati. Avverto a chi vo- glia ripetere tutte le operazioni, che occorre molta destrezza per ese- guirle e mettere a fuoco lo strumento prima ancora di fare l’esperienze, perchè ogni indizio è dannoso. Del resto, non è assolutamente necessario di esaminare i globuli isolati; imperocchè, anche quando formano uno strato in modo che l’uno tocchi 112 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI l’altro, si possono fare pure istruttive osservazioni. Come ho detto nel paragrafo sulle azioni molecolari, quando si guardi con la lente un’esile lamina di acqua interposta fra due vetri, si nota che l’orlo di essa ha un’ apparenza alquanto dissimile e somigliante ad una pellicola. Ciò è da attribuirsi, come ho detto, alla diversa struttura dello strato super- ficiale, perocchè l’azione del menisco sul passaggio della luce non mi pare possa determinare tale fenomeno. Ora esaminando i globuli, si os- serva che sono circuiti ossia avviluppati da uno strato simile, che è alquanto più trasparente del centro dei globuli, ma che è formato pure di acqua e costituisce 1’ inviluppo del globulo, e ciò analogamente a quanto avviene in generale per la superficie dei liquidi, di cui ho par- lato nel citato capitolo. Ora ciò che è sommamente rimarchevole è questo, che mentre i globuli si vedono l’uno vicino all’altro e però compressi e alquanto deformati, alla stessa guisa che le piccole bolle saponacee dentro un vaso in mezzo al quale gradatamente si soffia, dall’ altro lato poi non si unificano fra loro, ma restano indipendenti l’uno dall’ altro. A giudicarne dall’apparenza al microscopio, si vede che essi conservano una certa forma globulosa più o meno regolare e che hanno comuni le pareti; quindi se si vuole mettere bene a fuoco, bisogna abbassare alquanto l’ obbiettivo fino a che la parete comune apparisca distinta- mente con contorni netti. Ora se, come non è molto difficile, si fa che in qualche punto vi sia un’ interruzione di continuità, allora si vede che attorno a questa lo straterello si delinea nettamente e in modo più accentuato con un orlo abbastanza marcato, come ho descritto nel paragrafo sulle azioni molecolari; cioè nel modo che suole compor- tarsi l’acqua nel limitare una grossa bolla di aria; talchè riesce facile distinguere l’aspetto di quest’ultima e paragonarla con i globuli stessi. Or se si paragonino poi questi allo straterello che li avvolge, si trova che hanno una tinta ben diversa: mentre la loro è plumbea, quella dello straterello intermedio è bianco niveo; il colore dell’una e dell’altro è dissimile di quello dell’ aria introdottasi, come ho accennato; sicchè è impossibile equivocare. Se si continua a guardare sempre con la massima ‘attenzione, sovrattutto alle parti del coprioggetti più vicine al limite dello stesso, si vede che lentamente e gradatamente le linee divisorie di globulo a globulo si vanno obliterando ; può accadere ciò non a scatti, nè rompendosi la continuità dell’una all’altra, ma cospar- gendosi di una tinta plumbea chiara come una nube. Spostando appena appena la lastrina sotto il campo del microscopio di ùn piccolissimo tratto, sì torna a vedere l'elegante tessuto globulare per ancora alcuni minuti e così via via. Talora ciò lo sì può anche per lunga pezza. Ora il fatto FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 115 dell’adesione delle pareti dei globuli senza immedesimazione e restando essi indipendenti l’uno dall’ altro, è cosa di molto interesse. Tali feno- meni globulari somigliano immensamente a quelli che presenterebbero delle bollicine vuote e facilmente illudono. Riguardo al loro diametro dirò che esso è variabile entro certi limiti, a secondo della tempe- ratura dell'ambiente e del grado di saturazione di esso, come anche del grado di umidità che vi esiste. Varia esso anche nelle stesse con- dizioni, in modo che nella stessa lastrina ho raccolto dei globuli di diversa dimensione, da 1 a 4 millesimi di millimetro; in quelli aventi un diametro di 4 millesimi di millimetro, lo strato periferico avvolgente ogni globulo era di ‘/, millesimo di millimetro cioè 3 di millimetro. Ora come avviene che lo straterello suddetto resta autonomo e non si confonde con la stessa piccola massa dell’ acqua; ciò non si può spie- gare che ricorrendo alle leggi studiate da Plateau e alle quali ho ag- giunto anch'io qualche cosa intorno allo strato superficiale dei liquidi stirato in bolle. La ragione, per cui molti scienziati sono stati tratti in errore, mi paiono le tre seguenti : 1° Non conoscendo il modo come si compor- tano le lamine superficiali dei liquidi, facilmente poterono esser tratti in errore dall’ esame microscopico delle goccioline ; essi infatti dovet- tero credere che l’acqua fosse ridotta allo strato superficiale avvolgente il globulo, scambiando 1 acqua contenuta da esso per aria. 2° Furono pure tratti in errore dall’ esame della proprietà di tali globuletti che, comportano come vere bolle vuote fra cui per esempio quello di essere talora adorni di vari colori, che è una ragione addotta dal signor Kraut- zeustein per la sua teoria vescicolare. Ora tali fenomeni dipendono dallo strato superficiale dei globuli, il quale, essendo stirato in lamina sferica, circoscrivente il globulo, ha molte proprietà identiche a quelle dello strato delle bolle vuote, della qual cosa ho ragionato nel paragrafo sulle azioni molecolari dei liquidi. 3. La terza ragione, da me sopra ac- cennata, è la seguente : che taluni degli scienziati difensori della teoria vescicolare furono tratti in inganno dall’esame dello sviluppo del vapore acqueo dentro la massa dell’ acqua allo stato di ebullizione o sempli- cemente riscaldata, tanto da rendere visibili le bollicine di vapore spri- gionantesi dal mezzo di essa. Infatti avviene per verità che lo sviluppo del vapore acqueo nell’interno dell’acqua riscaldata ha assolutamente forma vescicolare. Le vescichette hanno un diametro tanto maggiore quanto più vicino è il grado di ebullizione e, cominciata questa, acqui- stano di tratto un diametro relativamente considerevole. Però questo 29 114 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI è un fenomeno ben diverso e che non ha nulla da fare con quello da noi studiato. Infatti le particelle di acqua riscaldate si riducono in va- pore, il quale, per sfuggire al di fuori, deve naturalmente traversare il liquido stesso. Ora in ciò fare, necessariamente viene a formarsi attorno ad esso uno strato laminare sferoidale di acqua che lo avvolge; cioè l’acqua, limitrofa al detto vapore, nel darle passaggio, si contrae determinando la formazione di una bolla che lo circuisce. Ciò è un fenomeno dovuto ad azione molecolare ascritto comunemente alla capil- larità, di cui ho già parlato in apposito capitolo. Quando la bolla viene su a galla (se non resta impigliata nello strato superficiale dell’acqua, come talora avviene quando esso è ancora freddo) viene su e sale al di fuori. Se il diametro della bolla è piccolo allora scoppierà, lo strato liquido della sferula con un pochino di vapore condensato resta nello strato superficiale, il vapore sfugge al di fuori e sale nell’ atmosfera, ove incontrando l’aria fresca, si condensa in globuli microscopici di cui ho sopra parlato. Se poi le bollicine, che si sollevano, fossero estre- mamente piccole e arrivassero a sollevarsi al di sopra dello strato liquido superando questo e sollevandosi nell’atmosfera (lo che non mi è acca- duto di vedere), allora anche in tal caso raffreddandosi si trasforme- ranno evidentemente in globuli mieroscopici, perchè il vapore acqueo interno verrebbe a condensarsi facilmente e ciò non solo per la tem- peratura più fresca, ma anche per la contrazione dello strato esterno del globulo, la quale, come ho spiegato nel paragrafo sulle azioni molecolari, si fa ragguardevolissima essendo il diametro del globulo affatto minimo. Da quanto ho detto di sopra, parmi non resti dubbio sulla natura dei globuli delle nubi e delle nebbie, resta ora a spiegare il modo come essi restano in sospensione. È notissimo infatti che il vapore acqueo ha un peso specifico di 0, 625 rapporto a quello dell’aria preso come unità, e che per tale ragione si solleva in alto ed è facile con- cepire come esso possa dare origine alla formazione di una nube, pe- rocchè in alto, essendo naturalmente l’aria più fredda e raffreddandosi anche lo stesso vapore acqueo con la dilatazione stessa e abbassandosi il grado di saturazione dell’aria, questa non potrà più tenerlo disciolto in sè stessa, e quindi il vapore acqueo si condenserà in minutissimi globuli. Ora se questi fossero vuoti e riempiti di aria calda o.di vapore più caldo dell’ aria stessa, le quali idee erano patrocinate da taluni sostenitori della teoria vescicolare, sarebbe forse meno difficile capire FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 115 come esse restano sospesi in aria senza abbassarsi. Però tale teoria , come ho spiegato, è assolutamente erronea; nè del resto essa rende- rebbe ragione della sospensione, imperocchè non potendosi supporre che l’aria e il vapore intereluso si mantenessero a lungo a una temperatura più elevata dell’ambiente, il peso di una bolla sarebbe sempre maggiore dell’aria spostata. Ora il signor Cooley si domanda : se è possibile pen- sare che un piccolo globulo di acqua possa restare sospeso per la vi- ‘scosità dell’aria o per la pressione dal vento, come si può spiegare che una nube contenente centinaia di tonnellate di acqua si mantenga in alto ? Il signor J. Herschel crede che ciò debba essere prodotto dal seguente fatto, che i globuli della parte inferiore della nube sieno in con- tinuo aumento e che quelli della parte superiore di essa sieno in con- tinuo dissolvimento per l’evaporazione, dal che nascerebbe un compenso. Il signor Kloeden opina che durante il bel tempo le vescichette delle nubi vadano rapidamente cadendo in giù nell’aria più calda, mentre altre vescichette si formano in su e le vadano supplendo. Come si vede, è un’opinione affatto opposta a quella del signor Herscel. Ora il signor Cooley osserva che accade sovente in primavera vedere una nebbia che di mattina rade il suolo, andarsi elevando gradatamente in alto fino a diventare una vera nuvola e precisamente un cumulo, accade pure la sera di assistere a un fenomeno inverso, ond’ egli è di opinione che non sia da ammettersi nè l’opinione di Kloeden, nè quella di Herscel e propone la seguente spiegazione. Egli ritiene che la ragione, per cui i globuli si mantengono in sospensione, sia dovuta alla loro elettrizza- zione. Sieno in altri termini elettrizzati negativamente conservando l’elettricità della terra, e per conseguenza si respingano reciprocamente. Egli ritiene che la bassa temperatura dell’aria, al di sopra delle nubi sia in gran parte dovuta al suo potere diatermale. Però mentre i raggi del sole passano quasi inalterati attraverso all’aria, sono invece assorbiti dai globuli acquei che si evaporano e si elevano sino dove predomina l’elettricità positiva. Ora quando il sole declina, il vapore si raffredda e si condensa in globuli minutissimi carichi di elettricità positiva. Quando nei temporali avvengono delle scariche elettriche tra le nubi basse e quelle più alte cariche di elettricità contraria, neutralizzandosi reciprocamente, i globuli cadono raggruppandosi in forma di pioggia. Egli pensa insomma che l'elettricità, onde ogni globulo è investito, deter- mini una repulsione attorno di sè, în modo che attorno ad ogni globulo si formi una specie di piccolo vuoto, sicchè il,peso risultante dell’aria spostata divenga maggiore del peso del globulo stesso. Egli poi, in appoggio alla sua teoria, dice che se si poteva spiegare senza l’inter- ‘ 116 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI vento dell’ elettricità il fatto della sospensione dei globuli delle nubi- cumuli, non si potrebbe spiegare quello della sospensione degli aghi di ghiaccio dei cirri che presentano minore superficie libera. Io in vero, come dirò di seguito, non divido le sue idee: in quanto a questa rifles- sione ultima però non comprendo tale difficoltà, tranne se fosse consta- tato che tali piccole punte di ghiaccio abbiano una dimensione mag- giore dei globuli: perchè in tal caso avrebbero essi una superficie mi- nuore, decrescendo questa evidentemente con l’aumento del volume. In- fatti, come è noto, il massimo di densità dell’acqua è a 4 gradi e non a zero. Maggior difficoltà presentano, si per riguardo dell’ altezza: perchè, essendo i cirri ad altezza assai superiore ai cumuli, la diffe- renza del peso specifico dei piccoli aghi di ghiaccio e dell’aria che li attornia è molto maggiore. Accennerò di seguito anche a tale questione, ma non mi ci fermerò, imperocché non ho potuto esaminare tale feno- meno come quello dei globuli e non posso quindi parlarne con cono- scenza di causa. : Dicevo adunque che tale teoria, che dirò «elettrica» non mi persuade affatto: mi sembra impossibile concepire come globuli così estrema- mente piccoli sieno elettrizzati ciascuno indipendentemente dall’ altro senza subire l’ azione dell’ ambiente , che traversano, e non mi pare affatto verisimile che (anche ammesso che lo .sieno) determinino un vuoto di aria attorno a loro; or anche ammesso che lo possano , tale vuoto non può influire nel renderli più leggieri, perchè la repulsione eseguita da loro non costituirebbe un involucro più leggiero: ciò solo potrebbe contribuire a tener sospesi i globuli se tale repulsione acca- desse solo nella metà del globulo inferiore. Più attendibile mi pare l'opinione del signor Flammarion che attribuisce la sospensione delle nubi allo stato di grande divisibilità dell’ acqua e alle correnti calde ascendenti. Esporrò adesso le mie idee in proposito. Una delle precipue ragioni della sospensione delle nubi è di fatto la grande divisibilità o per meglio dire la piccolezza dei globuli che si possono calcolare aventi un diametro, che, secondo le mie osserva- zioni, non supera 4 millesimi di millimetro. Ora se guardiamo un raggio di luce penetrante in una stanza buia, si vede tutto cosparso di un tenue pulviscolo : sono piccolissimi frantumi impalpabili di molteplici sostanze provenienti da varia origine, che restano sospesi nell’aria. Non sono anche essi più pesanti dell’aria? Eppure vi si mantengono in so- spensione atteso la loro piccolezza. Infatti quanto più piccola è la dimen- sione di un corpo tanto maggiormente cresce relativamente la super- ficie. Come osserva lo stesso Cooley, che pure è contrario a tale teoria, FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 117 la superficie di un globulo cresce come il quadrato del diametro, mentre il volume cresce come il cubo del diametro, ond’ è che la superficie di una quantità di acqua divisa in innumerovoli globuli è immensa- mente maggiore di quella della stessa massa agglomerata. In tale grado di divisibilità da un lato avviene che 1’ azione (per quanto de- bole) di viscosità dell’aria manifesta un’azione ragguardevole, dall’altro lato l’effetto che producono le correnti aeree (quand’anche debolissime) ‘ha influenza massima nella sospensione. Così, per portare un esempio, se lasciamo cadere da una terrazza un foglio di cartone, esso raggiun- gerà tosto il suolo; ma se noi invece lasciamo cadere un certo numero di fogli di sottilissima carta velina, il cui peso corrisponde a quello del cartone, i detti fogli raggiungeranno il suolo dopo un lasso di tempo relativamente ragguardevole e saranno trasportati anche a distanza. Se lasciamo cadere un centimetro: cubo di acqua, raggiunge essa il suolo in poco tempo. Se poi lasciamo cadere invece delle lamine di acqua con un’ area di un centimetro e di uno spessore di !/, millimetro (posto che l’aria non le facesse evaporare) raggiungerebbero il suolo dopo un tempo relativamente lungo. Ora se supponghiamo che tali lamine siano così sottili che il loro spessore non superi = di millimetro, oc- correrebbe un tempo eccessivamente lungo. Il calcolo dimostra che con l’aria calma la velocità di caduta sarebbe al più di un metro per secondo, anzi Flammarion crede si riduca fino a 3 decimetri per secondo. Però vi sono delle ragioni che impediscono ossia che ne modificano gli effetti. Dicevo che la grande divisibilità influisce non poco nella sospensione dei globuli; un fatto analogo si può osservare stemperando o per meglio dire rimescolando nell’acqua una certa quantità di una sostanza (avente un peso specifico alquanto maggiore di essa) finamente porfirizzata, che non si disciolga. L'acqua resta torbida per qualche tempo e va depo- nendo lentissimamente le piccole particelle. Se di tanto in tanto la si agiti, anche debolmente, la deposizione non avviene punto e le piccole particelle rimangono in sospensione non solo ma in continuo turbinio di movimenti. Ora in tal fenomeno contribuisce non poco la viscosità dell’ acqua, di cui ho parlato nel capitolo sulle azioni molecolari, ma bisogna pure tener conto che tale viscosità esiste anche nell’aria, seb- bene in modo assai più debole. Esiste però in maggior grado nel vapore acqueo. Questa ultima è, secondo il mio parere, una delle cause pre- cipue della forma e sospenzione delle nubi, fatto che non è stato, ch'io sappia, notato da altri. Il vapore acqueo ha maggiore viscosità e mag- giore affinità per i globuli di acqua che l’aria stessa cd è appunto per 30 (0 0) 118 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI questo che le nubi acquistano una forma (relativamente) definita e as- sumono sovente la forma di cumuli con tendenza ad aggregarsi. Riguardo poi alla possibilità che corpi molto più pesanti dell’ aria, ridotti in minutissime particelle, possano restarvi sospesi e anche per- correre dei lunghi viaggi librati sull’atmosfera, oltre dei fatti citati si possono bene citare le polveri meteoriche. Son solo pochi anni da che l’ attenzione degli scienziati è stata rivolta allo studio microscopico delle polveri che depongono i venti. Si è così constatato che ceneri vulcaniche. ridotte ad estrema finezza, sono cadute anche a grandis- sima distanza di un vulcano e anche dopo lunghissimo tempo dall’eru- zione. Da noi in Sicilia non è raro il caso nei grandi fortunali di Sciroco di raccogliere del pulviscolo sabbioso finissimo giallo rossastro proveniente con tutta probabilità dai deserti africani. Vi è questione fra i dotti se la polvere del Krakatoa dello stretto della Sonda sia arrivata sino in Europa. Convengono però la maggior parte degli astronomi che essa abbia dato origine all’ anello di Bishop del marzo 1884, sul quale l'illustre mio. amico prof. Riccò ha pubblicato un libro molto istruttivo e sapiente. Come egli scrive, è ormai incontestato che nelle eccelse regioni atmo- sferiche si tiene sospesa una polvere estremamente fina di varia pro- venienza. Su tali polveri hanno fatto interessanti ‘Studi i signori Ehren- berg, Tissandier, Tacchini, Bonizzi, Riccò, anche i signori Lancetta e Ciofalo se ne sono occupati. Il signor Smith l’osservò dall’alto del picco di Teneriffa, il signor Langley dal monte Whitney e dell’Etna. Per citare un esempio vo’ rammentare la così detta pioggia di sangue che nel 1846 rovesciò gran quantità di terra nel dipartimento di Dròme in Francia. Ehremberg vi distinse 75 forme organiche dell’ America del Sud. Ma non voglio più a lungo intrattenermi su tale argomento perchè non è qui luogo: mi basta aver provato che anche delle sostanze più pesanti dell’acqua possono essere trasportate a grandi distanze e tanto più può ciò accadere per i globuli acquei. Ho parlato delle polveri sospese nell’atmosfera, come termine di con- fronto e come dimostranti che non è impossibile che l’acqua allo stato di globuli sia trasportata anche a grandi distanze. Mi è sufficiente però provare che sia possibile la semplice sospensione, perchè non è vero che le nubi si mantengano nello stesso stato e possano compire lunghi viaggi. Esse sono in un continuo disfacimento e in una continua for- mazione. A proposito delle polveri sospese nell'atmosfera specialmente quelle degli strati bassi, devo inoltre aggiungere che possono benissimo dare luogo o piuttosto favorire il condensamento-del vapore acqueo. È così che qualche volta delle tracce distinte di polveri cosmiche si sono tro- FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 119 mio, si può spiegare in due modi : 1° o che tali polveri, che erano sospese nell’atmosfera, sieno state per così dire raccolte dal condensa- mento del vapore acqueo, alla stessa guisa che se su una tavola impolve- rata si spruzzi dell’acqua e poi la si raccolga, essa trascina seco tutta la polvere ; in tal caso l’acqua produrrebbe un lavaggio nell’ aria ; 2° ovvero che accada inversamente: cioè che attorno a tali minute so- vate nelle piogge e anche nella neve e nella grandine. Ciò, a parer stanze sospese nell’ aria si sieno depositate minutissime particelle di umore acqueo e dato luogo quindi a una specie di nebbia. A tal feno- meno credo possa contribuire il fatto che tali polveri, lasciando facil- mente sfuggire il calorico , ossia irraggiandolo , si raffreddano mag- giormente che l’ambiente, ond’è che attorno a loro si condensa il vapore acqueo dando luogo ad altrettanti piccoli centri di condensazione. Ta- luni egregi scienziati attribuiscono infatti ad un’origine analoga la for- mazione delle nebbie di Londra prodotta dai globuli acquei depositantisi attorno ai granuli di fumo sospesi nell’aria. Io credo che le inclusioni, che qualche volta si trovino nella grandine, ripetano la stessa origine o piuttosto che siano state quelle attorno a cui si formò il primo nodulo di essa. Il lavorio, o per meglio dire, il processo di trasformazione, cui son soggette le nubi, è senza dubbio continuo, però, a mio credere, seb- bene si esercita forse un po’ maggiormente nella loro faccia inferiore e superiore , affetta tutta quanta la nube nel suo insieme. Nelle mie frequenti gite alpine sui monti di Sicilia sono stato non di rado fram- mezzo a nebbie, e ho assistito al loro passaggio attraverso la regione ove io mi son trovato, e tali nebbie sono vere nubi che talvolta incon- trando nel loro cammino un’alta montagna si sollevano radendola e la scavalcano , tal altra invece si fermano sulla montagna stessa e poi isolatesene formano altrettanti nubi; quest’ ultimo fatto accade più di sovente sulle Madonie, nelle cui alture vi sono delle vallate che sia per le pioggie e lo scolo delle acque e sia per l’ irradiazione not- turna, per cui si coprono di molta rugiada, alla mattina al sorgere del sole lasciano evaporare molto vapore acqueo, che quando il sole è per tramontare, ovvero quando arriva un vento freddo e umido, si condensa in nebbia. Ora è interessante assistere, come mi è accaduto più volte al passaggio di una di codeste nebbie attraverso un’alta gola di monte, essa per così dire scivola lungo questa come un fiume aereo. Ad esa- minarla ad occhio nudo, non si vede punto una maggiore densità nelle parti basse, pare quasi omogenea. I globuli ond’essa è formata devono quindi star sospesi in essa in modo tale che l’azione della gravità non 120 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI deve disturbarne la posizione. Come ho detto, io credo, che una delle cause precipue che determina tale fenomeno è la viscosità dell’ aria, ma ben più ancora la viscosità del vapore acqueo pel quale i globuli hanno maggiore affinità che per l’ aria stessa, o per dir più propria- mente, per l’aria ove vi è minor quantità di vapore acqueo. È appunto per tal ragione, io credo, che talora le nubi e anche le nebbie acqui- stano l’ aspetto di bambagia cardata; pare quasi che si dispongano infatti in filamenti bislunghi secondo la direzione delle correnti aeree. In una traversata da Trapani a Palermo, assistetti un giorno alla forma- zione di una nebbia di buon mattino. Io mi trovavo sul ponte quando scorsi in gran distanza una nebbia, che parve quasi di tratto sollevarsi dalle onde. Evidentemente era dovuta a una corrente fredda che fece condensare subitamente il vapore dell’aria. La nebbia si andò avvici- nando rapidamente. Subito fummo investiti da un vento estremamente impetuoso, tale che rendea impossibile di tenersi in piedi senza soste- gno. La lente del mio carissimo compagno di viaggio era sempre in aria e esercitava una trazione abbastanza forte. Il nostro battello a vapore era circondato dalla nebbia. Questa però andò tosto svanendo e come per incanto cessò anche il vento. A ciò dovette certo contribuire l’ elevarsi del sole sull’ orizzonte, i cui raggi riscaldando 1’ aria fecero sciogliere i globuli in essa sospesi. Accennai di sopra ad un’altra ragione determinante la sospensione dei globuli ed è questa : è impossibile o ben raro che una nube non sia traversata da qualche corrente di aria sprovvista di globuli e quindi al di sotto del grado di condensazione e ciò tanto nel senso orizzontale quanto nel senso verticale. Sarebbe invero da studiarsi accuratamente il rap- porto che vi è tra il movimento di una nube e una corrente aerea, sia in un senso che in un. altro e sovrattutto nel senso orizzontale ossia nello stesso senso del movimento della nube; seguirà la nube il corso stesso della corrente ovvero il suo movimento sarà appenna ritardato? To sono di quest’ultima opinione. Atteso la viscosità del vapore acqueo e quindi la maggiore viscosità dell’aria occupata dalla nube è verosi- mile che il suo movimento sia un pochino meno rapido della corrente che la trasporta. Del resto, come ho già detto, vi sono anche delle cor- renti ascendenti qualche volta sebbene più raramente discendenti. È per tali ragioni che la nube si trova in processo continuo di dissolvi- mento e di formazione. I globuli di un dato sito credo sia impossibile perdurino un certo tempo senza subire notevoli modificazioni. Ora quando essi incontrano una corrente insensibilmente meno umida e appena appena al di sotto del grado di condensazione, avviene che una FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 121 parte di loro si evaporino, forse anche taluni non intieramente, cioè di- minuendo in diametro. Infatti, come ho io detto, si trovano globuli di vario diametro anche nello stesso ambiente. Ora il vapore prodotto da loro tenderà a sollevarsi alquanto e quindi a trascinare un pochino più in alto gli altri globuli ovvero il residuo dei globuli stremati. Que- sto fenomeno deve avverarsi, come ho spiegato, non solo nei lembi estremi e nei margini delle nubi, ma nell’interno loro e deve contribuire non poco alla loro sospensione. Ché, se poi una nube si verrà a in- contrare con una corrente molto umida vicina al grado di condensa- zione e ad una temperatura più calda, allora la nube assorbendo rapi- damente il calorico della detta corrente (come è noto il potere assor- bente dell’acqua è massimo rapporto a quello dell’aria) determinerà il condensamento del vapore acqueo della corrente, dando luogo ad un grande aumento di globuli e in certe condizioni anche dando luogo alla pioggia. I globuli sono in un processo continuo di evaporazione e di rico- stituzione e sono animati di continuo movimento, ed è appunto per tale movimento ed evaporazione che si determina una specie di repulsione fra loro; ora quando in tali condizioni di umidità, sì accresceranno in dia- metro e cessaranno di evaporare, necessariamente urtandosi vicende- volmente pel movimento dell’aria, si raggrupperanno in parecchi dando luogo ad una piccola goccia di pioggia che andrà giù, e se lo strato sottostante alla nube sarà secco si evaporerà nell’aria stessa, se sarà umido e carico di globuli andrà crescendo gradatamente in diametro, fin- chè arriverà al suolo in una grossa goccia. Ma non è qui ad esaminare tal genere di fenomeno. Io era solo per dire, che una delle ragioni pre- cipue della sospensione delle nubi è il continuo dissolvimento e rico- stituzione dei globuli, lo che da un lato contribuisce ad impedirne la caduta, perchè questa è resa impossibile : 1° dalla rapidità dell’ evapo- razione e ricondensazione dei globuli; 2° dalla azione anche dal vapore acqueo prodotto dalla evaporazione, il quale tende a risollevarli; 3° dal movimento di rimescolamento continuo, in preda al quale sono i glo- buli. È così che anche viene a spiegarsi il fatto che qualche volta avviene, di vedere una nube quasi ferma nello stesso sito, mentre vi è molto vento nell’atmosfera. Quella nube non è punto la stessa, ma è in un continuo disfacimento e ricomposizione. Ciò avviene quando una corrente ascendente, carica di umidità, incontra una corrente orizzon- tale fredda e secca. In tal caso la corrente saliente carica di umidità, all’incontro della corrente orizzontale fredda, darà subito luogo a rapida condensazione di globuli e quindi a una nube. Ma siccome la corrente orizzontale è molto secca, la nube sarà subito sciolta e svaniranno i n 31 122 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI globuli evaporandosi. Questi fenomeni si succederanno in modo non interrotto e continuo, talchè parrà di vedere una nube immobile sempre nello stesso sito attorniata da un’ aria pura e in preda a forte movi- mento. Io ritengo che i cirri, ossia le nubi altissime di aghi di ghiaccio, debbano ripetere tale origine. È in questo modo solamente che mi pare possa spiegarsi la sospensione di esse e l’immobilità. Mi resta ora solamente a dire del modo come si elevano in alto le nebbie. Tale fatto deriva da un processo analogo a quello per cui si elevano le nubi. Quando 1’ aria è uniforme e per così dire stagnante e sotto condizioni uniformi di temperatura e di stato igroscopico si mantengono allo stesso livello. Ma basta un aumento di calorico, il quale renda l’aria meno umida e necessiti evaporazione di parte dei globuli, perché il vapore acqueo, che ne è il prodotto, si elevi trascinando anche gli altri globuli e ciò sì per la viscosità, di cui ho detto sopra, si per la corrente dal basso in alto, la quale corrente può essere anche pro- dotta dalla stessa dilatazione dell’aria riscaldata, sia per i raggi diretti solari, sia e più comunemente per la irradiazione del calorico terrestre. Supponendo viceversa il caso che l’aria sottostante alle nubi sia molto umida e presso il grado di saturazione, se in tali condizioni si desterà una corrente scendente dall’alto verso il basso, le nubi si abbasseranno o per dir meglio si dilungheranno in giù, dando l’ apparenza di nubi quasi pensolanti. Non mi resta che a dire due parole dell’interessante fenomeno, che ho accennato precedentemente, cioè delle linee bianche divisorie tra i globuli intraguardati sotto il microscopio. Io credo che sarebbe molto utile studiare la natura di esse, che derivano evidentemente dallo strato superficiale dei globuli. Io non ho qui tempo a studiare tale quistione, che può essere approfondita da altri che abbia maggior tempo dispo- nibile che io neon abbia e che sia maggiormente dedicato a tal genere di studi. A me basta di avere indicato tale fenomeno. Io sono di opi- nione che ciò abbia origine da un diverso orientamento molecolare e da aumentata attività molecolare. Io credo che il fenomeno presentato da certi chicchi di grandine caduti a Tiflis nel 1862 e presentanti alla sezione sotto la lente un tessuto finamente reticolato, come fu figurato nel Bollettino dell’Accademia di scienze di Pietroburgo, deve forse avere un’ origine che abbia qualche analogia anche lontana con il fatto da noi osservato. i, Riassumendo quanto ho detto, mi pare di aver provato che è asso- lutamente inammissibile la teoria vescicolare e che, anche ammettendo quest’ultima, non è punto con essa che si può spiegare la sospensione FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 123 delle nubi, della quale non bisogna neppure ricercare la causa nell’elet- tricità, ma in un complesso di fenomeni che si possono riassumere in questi capoversi : 1. Estrema divisibilità. 2. Viscosità dell’ aria e più ancora del vapore acqueo. 3. Continuo avvicendarsi di disfacimento e reintegrazione dei globuli. 4. Azione del vapore acqueo prodotto dalla evaporazione stessa dei globuli. 5. Varie correnti aeree e correnti ascendenti. _ Ripeto che dalla teoria e dalle esperienze mi risulta affatto infondata la supposizione di globuli vuoti nel mezzo o per meglio dire di bolli- cine di acqua ricolme di vapore acqueo, e la presenza loro è stata supposta per un equivoco ottico dovuto allo strato esterno della goc- cia ossia dello strato pellicolare di esso globulo. Chè se si potesse (lo che non credo) arrivare a constatarne la presenza, ciò non potrebbe accadere che affatto fugevolmente e non potrebbe verificarsi che nel caso seguente, cioè quando una nube carica di globuli s’incontri con un ambiente appena appena al di sotto del grado di condensazione, in modo che i globuli subiscano una tenue trazione tendente a farli eva- porare, ma questa non sia tale da aver la forza di determinare l’evapo- razione della massa del globulo, e ciò a causa delle particolari condi- zioni molecolari dello strato esterno pellicolare del liquido del globulo (soprattutto della sua tensione e viscosità), ond’è che esso soffrirebbe una dilatazione, la quale determinerebbe la formazione di un vuoto interno, che sarebbe occupato dal vapore acqueo. Se la presenza delle bolle fosse constatata, non potrebbe essere ori- ginata che nel modo da me immaginato; e, ripeto, tal fenomeno non potrebbe essere che assolutamente precario, perocchè uno stato igro- metrico appena più umido determinerebbe la condensazione dei globuli allo stato primitivo, e un ambiente appena appena più secco determi- nerebbe | evaporazione istantanea di un certo numero di globuli, la saturazione dell’ambiente e per conseguenza la condensazione e restrin- gimento delle bollicine. Io ho procurato di formare un ambiente spe- ciale attorno al microscopio nelle riferite condizioni, nè ho potuto osser- vare alcuna vescichetta. Però esperimenti di questo genere, sebbene di non tanto probabile risultato, possono benissimo essere ritentati. <> Rel al all al al Las Na: tft lf self: ef Mat (aes cei Coat Coi lf fc Mae La ai lf at I DI 2) £ DI SULLA CAUSA DELLE ERUZIONI LAVICHE Aa Generalità Uno dei fenomeni più grandiosi e che arrecano il maggiore interesse non solo al geologo, ma al chimico e all’astronomo, è quello delle eru- zioni vulcaniche..Per quanti immensi progressi la scienza abbia fatto e per quante ascose verità abbia scoperto, non è ancora in un modo sicuro riuscita a scovrire la causa prima determinante tale fenomeno. Certo, specialmente in questi ultimi anni, si sono fatte delle osservazioni di gran peso e si è dietro a scoprire nuovi fenomeni e nuove leggi con quello intimamente concesso; ma ancora sì resta pur troppo nel campo delle ipotesi. i Avendo assistito per vari giorni all’eruzione dell'Etna del 1892, e os- servato taluni fenomeni e meditato su di essi ho modificato le mie opinioni sul meccanismo dell’eruzioni, opinioni che prima concordavano con quelle di vari geologhi e che ora ne discordano. Io non m’intratterrò qui dei fenomeni vulcanici, dirò così accessori, cioè dei geyser, delle salse ete., ma dei vulcanici propriamente detti e segnatamente delle cause de- terminanti le eruzioni laviche. L'idea che l'interno della terra si trovi ad un altissimo grado di tempe- ratura, idea che nei primordi del nostro secolo era una mera ipotesi, ora non sì può più dir tale. È un fatto incontrastato, che nessuno scienziato del mondo mette più in dubbio. Le esperienze fatte in siti i più discosti dimostrano che dappertutto, penetrando nell’ intimo della crosta della terra, la temperatura si eleva (circa un grado ogni 535 metri). Dando 32 126 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI uno sguardo alla carta dei vulcani attivi se ne contano poco meno di 400 disseminati in tutto il mondo, Fucbs ne enumera 325, ma eredo certo tale cifra debba elevarsi, perchè molti di quelli ritenuti estinti non lo sono completamente, e non è improbabile che nelle regioni polari e nell’interno dell’ Africa ne esistano di altri. Riguardo agli estinti se ne contano poi in grandissimo numero. I dati poi forniti dall’astrono- mia, che ci fa assistere alla genesi dei mondi, i quali hanno sempre origine dal raffreddamento lento dalla massa ignea e planetaria e i dati fornitici dalla geologia, che ci fa riconoscere nei basalti, nei graniti, nei porfidi, nelle dioriti etc. altrettante roccie venute su dall’interno della terra allo stato di magma liquido ad altissima temperatura, e lo studio del lento raffreddamento delle lave e della lenta irradiazione del calore interno della terra, protetto dalla scorza terrestre, tutti questi criterii così di volo accennati e tanti altri che non è qui luogo ad enu- merare, ci danno la completa sicurezza che 1’ interno della terra si trova ad una temperatura altissima. Ora intanto è a tener conto che le sostanze che vi si trovano sono soggette da un lato a temperatura eccessivamente elevata, che da molti fisici è valutata fino a 195,000 gradi nel centro della terra, e però qualunque sostanza sarebbe certo allo stato di vapore, dall’altro lato sono soggette a pressione immensa che secondo il srande Laplace nel centro salirebbe a 53,000,000 di atmosfere. Ora questi due fatti agiscono in modo inverso sui corpi, perchè men- tre il calore elevatissimo tende a disgregarne le molecole, la pressione tende invece a ravvicinarle e però a ridurre i corpi allo stato solido. Or siccome si tratta di fatti trascendentali, che non possono riprodurre le esperienze umane, necessariamente si viene a cadere nel regno delle ipotesi. Infatti non è molto facile risolvere la questione, se il centro della terra si trovi allo stato solido o liquido, vischioso o rigido. Tale è l influenza della pressione sullo stato dei corpi che si calcola che per trovare l’acqua allo stato di ebullizione bisogna scendere di tanto che la temperatura si elevi fino a 400, in uno strato dove la pressione sarà grandissima. Altra questione sorge riguardo allo spessore della crosta solida. Molti opinano non scenda al di là di cinquanta chilometri; i più però con- vengono che essa deve esser limitata a un centinaio di chilometri , perocchéè si calcola che a una profondità poco minore di essa la tem- peratura deve elevarsi a 1500 gradi, sufficiente per liquefare gran parte dei metalli. Però è a tener conto di ciò che precedentemente ho FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 127 detto: riguardo alla influenza dalla pressione sul grado di ebullizione e quindi anche sul grado di fusione. La pressione infatti influisce non solo sul grado di ebullizione e quindi di distillazione, ma anche su quello di fusione. In generale le sostanze, che nel solidificarsi aumentano di volume, soffrono un ritardo con la pressione, cioè sottostando a forte pressione solidificano ad una temperatura più bassa; se diminuiscono in volume, solidificano ad una temperatura più alta. Ora, trattandosi di pressioni enormi, tale influenza non è, credo io, a trascurarsi. Tali considerazioni fanno sì che i calcoli non sono così semplici, ma bisogna sieno molto corretti e restano sempre d’incerta soluzione. Tante considerazioni, oltre di quelle di sopra accennate, e che non è qui luogo a porre in disamina, ci dànno, come ho detto, la sicurezza della eccessivamente alta temperatura dell’interno della terra, di gran lunga superiore al grado di fusione di tutte le sostanze conosciute; ma non ci danno un’ idea esatta del modo come si trovano tali sostanze , se allo stato assolutamente liquido, o di vapore, o di viscosità, o anche di relativa solidità. Mentre la uniformità del materiale che emettono tanti vulcani da siti estremamente distanti gli uni dagli altri (dal Chili all’Islanda, dalla Sicilia alla Nuova Zelanda e al Giappone) ci spingono a riconoscere una unità nella causa e una relazione intima nella ge- nesi del fenomeno, dall’altro lato varie considerazioni ci inducono ad ammettere delle cause locali per ogni centro eruttivo, e ci tendono ad allontanare dall’ idea di un sottosuolo fluido e mobile. Tra le ragioni di maggiore importanza, che ci distolgono dall’ammettere una generale fluidità dell’interno della terra, sta appunto la stabilità della sua crosta, la quale, sia anche di uno spessore di cento o centocinquanta chilometri, non potrebbe certo non soffrire delle perturbazioni continue dei movi- menti della massa interna, movimenti determinati non solo da influenze chimiche e fisiche, ma anche dall’influenza delle maree necessariamente prodotte dall’ azione del sole e principalmente da quelle della luna. I microsismi, cui è soggetta la superficie della terra e il cui studio im- portantissimo ha preso un grande aire in questi ultimi tempi, e c’im- promette nuove importanti scoverte e leggi di alta importanza, non è assolutamente alla portata di poter rispondere a tale questione. Se- condo le idee più generalmente accettate è a ritenere che il materiale incandescente dell’interno della terra si trovi in uno stato di pastosità viscosa, stato che varia alquanto con la profondità. È infatti verosimile che nel centro della terra si riduca ad assoluta rigidità. Così si viene alla considerazione che la causa prima della somiglianza dei prodotti eruttivi dei vari vulcani debbasi ricercare nella costituzione primor- 128 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI diale della terra e non in una relazione attiva del mare di fuoco sot- tostante. Premesse queste considerazioni generali, vengo ora a esporre il con- cetto che i più eminenti geologi si sono formato intorno all’origine delle eruzioni dei vari vulcani, le modificazioni che io credo opportuno in- trodurvi e î criteri che lo studio dei fenomeni mi ha fornito. Dai più eminenti geologi moderni è generalmente bandita l’idea già balenata a molti scienziati che l’origine dei vulcani dipenda da cause inerenti alla profonda attività tellurica e che bisogna ricercarla nelle combinazioni chimiche delle più profonde regioni della terra, di cui non sieno che manifestazioni. Invece ora si va all’idea che i vulcani, sebbene fossero in relazione colle profondità laviche centrali, non co- stituiscono che focolari affatto superficiali e isolati e che esclusivamente causa determinante le eruzioni sia l’acqua del mare che si infiltra nei bassi strati e penetra sino nelle lave, e ‘concentrandosi in vapore e quindi aumentando immensamente di volume e di tensione, ne deter- mini la conflagrazione e sortita al di fuori. Colui che meglio ha esposto ed è stato più caldo propugnatore di tale teoria, che dirò marina, è il signor Fuchs che riusci a rendere per così dire popolare tale teoria, la quale è stata accettata dai più grandi geo- logi. Esaminerò adesso le ragioni addotte dai vari autori e vedrò se si sostengono. Ma prima vo’ dire due parole riguardo al come tale azione potrebbe verificarsi. Attraversando tale teoria bisogna ammettere che l’acqua della crosta terreste soprattutto marina venga in contatto con le lave. Ora ciò può accadere o per lenta infiltrazione negli strati inferiori, ovvero per un riversamento subitaneo di qualche serbatoio sotterraneo di acque rac- chiuse sulle viscere della terra. Im quanto ad una lenta infiltrazione, mi pare non si possa assolutamente ammettere : 1° Perchè ritengo ciò impossibile, stantechè il forte calorico che s’irraggia dalle parti basse interne deve inevitabilmente impedire la discesa dell’acqua. Infatti, per citare un semplice esperimento, s’împregni di acqua un masso di roccia abbastanza compatta e quindi si metta in contatto di una forte sorgente colorifica un lato di detto masso, l’acqua viene per così dire repulsa; gradatamente si allontana dal fuoco e geme dai pori della pietra dal lato opposto. Di un fenomeno analogo ho già parlato nel paragrafo di questo libro, relativo alle azioni molecolari dei liquidi. 2° Perchè, se il vapore delle lave che ne determina la espulsione fosse prodotto da lenta infiltrazione, l’emissione dalla lava dovrebbe essere continua e incessante. FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 129 5° Perchè, se fosse possibile tale infiltrazione, dovrebbe accadere quasi dappertutto, i vuleani non dovrebbero essere accantonati in spe- ciali regioni e le eruzioni dovrebbero essere assai più tumultuose e grandiose. Resta quindi la seconda ipotesi che cioè l’acqua si vada accumulando in qualche deposito sotterraneo a guisa di lago sotterraneo , finchè l’azione erosiva della lava sottostante faccia determinare qualche sco- scendimento sulle lave fuse e determini la conflagrazione. Beninteso che ciò si suppone possa avvenire da qualche crepaccio apertosi in fondo al mare, da cui questo precipiti in giù fino a incontrare la superficie delle masse ignee. Per poter accettare tale ipotesi bisogna ammettere che la forza espan- siva del vapore, prodotto dalla conflagrazione dovuta al contatto subi- taneo dell’ acqua con le materie fuse, impedisca momentaneamente il contatto di essa con queste e che quindi ciò avvenga a scatti o deter- minando successive esplosioni fino al completo esaurimento del liquido. Ho io però ad osservare che tale conflagrazione non potrebbe avvenire se non in una regione immediatamente vicina al vulcano e forse anzi più verosimilmente nella zona stessa sottostante alla sua periferie; im- perocchè si è constatato che le eruzioni sono generalmente accompa- gnate da fenomeni circoscritti ad una zona ristretta, lo che non potrebbe avvenire se in luoghi molto discosti avvenissero, oltrecchè è a dire che in tal caso la forza espansiva interna si aprirebbe un’uscita in un sito discosto, più verosimilmente lo stesso ove avvenne la prima con- flagrazione. Infatti l’idea che tra la scorza terrestre e il nodulo igneo vi fosse per così dire una «hiatus» occupato da vapori ad alta tempera- tura, idea caldeggiata da vari autori e che sarebbe necessaria per potere ammettere l’ipotesi di tale conflagrazione, non mi persuade gran fatto per molteplici ragioni, che non è qui ad annoverare e invece maggior- mente mi attengo a quella più generalmente adottata che gradatamente aumenti la temperatura sino al grado dell’arroventamento, ammettendo anche che in certe condizioni vi possa essere anche un brusco salto di di temperatura come si verifica nelle zone superficiali limitrofe ai centri eruttivi. Ma ritornando al nostro ragionamento, ammesso che l’azione dell’acqua si verifichi in un sito molto vicino al centro eruttivo, come spiegare la relazione intima che hanno taluni vulcani distanti tra loro più cen- tinaia di chilometri in talune eruzioni? Per citare un esempio qualunque, ricorderò che l’ Etna, il Vesuvio, Stromboli e il vulcano sottomarino della già isola Ferdinandica hanno talora presentato dei fenomeni asso- DEI tara) 150 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI lutamente locali, tal altra, come nell’eruzione del 1865, hanno manife- stato simultaneamente dei parossismi di vulcanicità. Inoltre, ammesso che la conflagrazione avvenga in una zona limitrofa al vulcano si potrebbe trovare la spiegazione di talune fasi così dette stromboliane, ma non già la causa prima di un grande fenomeno erut- tivo. Come infatti si può concepire un serbatoio sotterraneo di acque tale da determinare l’eruzione di una massa quale è quella dell'Etna, la cui circonferenza basilare si stende per ben 144 chilometri ? Per le considerazioni sopra esposte e per molte altre, non mi pare affatto da accettare tale ipotesi, sebbene sia essa sostenuta da valen- tissimi geologi. Premesse tali idee generali verrò ora ad esaminare in riassunto, ma partitamente, le ragioni esposte dai fautori dell’ origine marina delle eruzioni vulcaniche; quindi esaminerò le altre ipotesi e le altre teorie e infine esporrò le mie opinioni sull'argomento. Ipotesi marina Durante le eruzioni, specialmente nella prima fase di esse, prodomi- nano le emissioni di vapore acqueo. Costituiscono esse una gran parte delle materie gassose dai vulcani. Il signor Fouqué valuta che durante l’eruzione dell’Etna del 1865 ne fu emesso tanto da rappresentare circa due milioni di metri cubi di acqua. Tale quantità enorme di acqua (di- cono) è a presumere che non faccia parte integrante delle lave, ma che al contrario sia penetrata dalla crosta terrestre e sia la vera causa de- terminante l’eruzione. A tale argomento è a rispondere, che dalla concomitanza dei due feno- meni non si può punto inferire che l’uno sia causato dall'altro. Si po- trebbe anche alla stessa guisa asserire che la lava fusa sollevandosi nell’ intimo della immensa caverna sottostante a un vulcano, ossia nei grossi condotti che vi conducono e trovandoli impregnati di acqua de- termini una subitanea evaporazione e una specie di esplosione, la quale con la dilatazione subitanea faccia emergere le lave. Come dirò di se- guito, io non credo punto che unica causa dei parossismi vulcanici sia questa, ma credo che in certi singoli casi possa contribuirvi, inasprirli e determinare degli accidenti locali ,, ma sono contrario a riconoscere come causa generale delle eruzioni vulcaniche l’azione dell’ acqua in genere, e tanto meno quella del mare. Come argomento per dimostrare la possibilità dell’ infiltrazione del- l’acqua attraverso le rocce sino a venire in contatto con le lave si cita un'esperienza del sommo Daubrée, il quale fece riscaldare una parete FISICI E MEPEREOLOGICI, ECC. 151 di una lamina di arenaria spessa due centimetri a 160°, sottoponendola a una pressione di due atmosferiche. Ora bagnando la superficie della lamina dall’ altro lato, l’acqua per capillarità traversò la lamina. Da ciò molti ebbero a ricavare che 1 elevazione della temperatura non sì oppone, anzi favorisce la permeabilità delle rocce. A tale esperienze bisogna però dare un giusto peso. Infatti speciali condizioni di strut- tura della lamina suddetta potevano determinare tale fenomeno, ma ciò entro limiti relativamente molto ristretti. L’ acqua racchiusa nei meati capillari io non credo punto che bolla alla stessa temperatura che all’aperto, ma ad una molto più elevata, quindi il limite di 160 non è sufficiente punto, tanto più che tale temperatura era raggiunta dal- l’aria esterna, ma non dallo strato interno della roccia. Ora non così certo dovrà accadere quando si tratta di temperature elevatissime, non alludo a quella della zona ignea, ma a quella delle zone che a questa si approssimano ; tanto più che l’acqua nelle basse regioni non si può certo trovare che allo stato di vapore e quindi non sottostante all’azione della capillarità e però estranea all’azione studiata dal signor Daubrée. Altra ragione poi contraria a tale infiltramento è quella superiormente accennata, cioè che se fosse possibile che ciò accade, dovrebbe verifi- carsi in migliaia di punti e tutta l’area sottostante al mare farebbe scendere le proprie acque sino a toccare la massa ignea. Dovrebbe allora ammettersi uno strato acqueo interposto tra la crosta e la massa ignea occupante tutta la terra e allora le manifestazioni vulcaniche locali apparirebbero sproporzionatamente minuscole e inconcepibilmente pig- mee. A tale obbiezione i fautori della citata ipotesi rispondono che la penetrazione dell’ acqua nel dentro della: terra non può accadere. che ‘per le sue fenditure, cioè quelle stesse ove sono i centri eruttivi. Sa- rebbe attraverso alle dette fratture della crosta terrestre che accadrebbe la penetrazione dell’acqua sino in contatto delle lave, dando origine alle eruzioni e alla costituzione dei vari centri eruttivi. Ora è a riflettere che è impossibile supporre che non esistano altre fratture della crosta terrestre se non quelle ove sono disposti i vulcani. La crosta terrestre ha subito immensi sconvolgimenti e ripugna pen- sare che in territori immensi come per esempio quello tra la Scandi- nava Russa e la Siberia non si .trovino fratture di sorta. Se adunque altre fratture esistono, per quali ragioni non vi s’ interna dell’ acqua e mon si costituiscono dappertutto dei vulcani? Del resto è indubitato che i vulcani sono situati lungo degli allineamenti, ma non però certo in modo continuo. L’ allineamento più regolare è quello dei vulcani del Chili. La zona da essi occupata è lunga più centinaia di chilometri. 1132: SU TALUNI NUOVI STRUMENTI È assolutamente inverosimile che 1’ acqua s’ interni in tutto il detto spaccato, nel qual caso tutti i vulcani della detta frattura dovrebbero contemporaneamente presentare gli stessi fenomeni eruttivi. Secondo la teoria caldeggiata da tali geologi la presenza di un vulcano sarebbe adunque un mero caso, non dipendente punto da cause inerenti ai fatti che si svolgono nella zona profonda della terra, ma fatti assolutamente superficiali. i Del resto, io ritengo che le fratture, lungo le quali sono collocati i vulcani non corrispondano punto alle comuni fratture prodotte da dislo- camenti della terra, ma che quand’anche un tal fatto vi abbia alquanto contribuito, dipendano precipuamente dall’azione vulcanica stessa, la quale piuttosto che quale effetto casuale debbasi riconoscere quale causa prima ovvero concomitante e perdurante. Dovette essere l’azione vul- canica che determinò la frattura ovvero che profittò dei meati aperti o resi più permeabili per la frattura, impedì un ulteriore rinsaldamento e continuò a impedire che essi fossero ostruiti. La maggior parte dei vulcani sono allineati presso i mari e lungo le coste, ciò, dicono, non è a caso ma la posizione loro tradisce la loro origine e quindi l’influenza che ha l’acqua di mare sulla loro forma- zione, e anzi è ad essa che devono la loro vitalità. Ora non è punto vero che i vulcani sono tutti nelle vicinanze del mare, ve ne ha anche in siti da essi assai discosti, e, come giustamente osserva il signor Lap- parent, basta anche una sola eccezione per infirmare l’ipotesi. Del resto l’eccezione non è una, ma molteplici. Il vulcano Mandchourie è distante più di 900 chilometri non solo dal mare ma da qualunque massa di acqua. Certo, come ho già detto, se il mare potesse penetrare nell’interno della terra per infiltramento (non essendo discutibile l’idea di un rovesciamento dell’ acqua nel centro della terra) i fenomeni vulcanici sarebbero im- mensamente superiori agli attuali e sempre continuati e non limitati a singole regioni littorali, e addippiù tali commozioni e esplosioni sareb- bero molto frequenti e terribili in alto mare invece che nei continenti. A tale ultima conseguenza si potrebbe opporre, che molto rare e diffi- cili nozioni si possono avere di tali fatti, perchè naturalmente le navi essendo instabili non sono in tali condizioni da avvertire le scosse. Ma è a dire che non si tratterebbe naturalmente di semplici scosse, ma di frequenti e tumultuose formazioni di isole e di grandi terribili esplo- sioni. Un'altra obbiezione molto seria è fornita dal fatto notissimo delle eruzioni dei vulcani così detti omogenei, l’esame delle cui rocce, della cui stratificazione fanno assolutamente escludere l’intervento tumultuoso dell’acqua durante la loro eruzione. FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 155 Una prova addotta dai propugnatori della ipotesi marina è la inter- clusione di bollicine minutissime di acqua nelle lave, contenenti sovente del cloruro di sodio. L’ applicazione del microscopio all’ esame delle rocce in lamine data da recente, immensi vantaggi ha arrecato e uti- lissimi criteri ha fornito alla petrografia e geologia. Il principe di tale ramo scientifico è lo Zirkel. Ora la presenza dell’ acqua nelle lave è incontestata; ma alla provenienza marina di essa ci corre. Infatti l’acqua può ritrovarvisi per molteplici cause, di cui dirò di seguito, senza ricor- . rere all’intervento del mare; nè i sali che contiene ne sono punto una prova. Bollicine di acqua si trovano anche in maggiore quantità nel granito. Il signor C. Ward calcola che l’acqua del quarzo del granito può rappresentare 5 %/, del volume di esso; ond’è che Scheererer viene «ad inferirne che il granito dovea, alla sua eruzione, costituire una massa pastosa contenente una grande quantità di acqua. Posto ciò, per essere consoni a sé stessi, bisogna supporre che anche allora il meccanismo dalle eruzioni fosse lo stesso ed unica la causa : la penetrazione del- l’acqua nella massa fusa interna. Come verrebbe allora a spiegarsi la diversa costituzione delle rocce eruttive durante i vari periodi geolo- gici e come spiegare la uniformità attuale dei prodotti vulcanici mal- grado .il disuguale intervento dell’ acqua? Bisogna adunque recedere alquanto , e riconoscere in questa al più una causa concomitante, ma non una causa prima efficiente; ovvero piuttosto bisogna alla sua azione e alla sua genesi assegnare un posto ben diverso. _ Uno degli argomenti più validi e che hanno fatto breccia nella mente dei geologi e che è stato splendidamente appoggiato e, per così dire, popolarizzato dall’ illustre Fuchs (Les Volcans et le Trembl. de terre ) in favore della ipotesi marina è l'esame di tutte le sostanze contenute nell’acqua e nei vapori vulcanici che corrispondono a quelle contenute nell’acqua di mare quasi su per giù nella stessa proporzione. I signori Abich e Durocher hanno difeso tale teoria. Ho citato superiormente l’esperienza del sommo Daubrée, non però quella di Fouqué, il quale ha fatto delle istruttive esperienze sull’ azione del vapore acqueo, sul cloruro di sodio che dà origine all’acido cloridrico e alla soda. e sopra altre reazioni pure di somma importanza. Però tali fatti e tali espe- ‘rienze non sono una prova affatto convincente per accettare l’ ipotesi marina, e di tale opinione è anche il signor Contejan e l'illustre signor Lapparent che è decisamente contrario. Infatti, se l’acqua del mare arriva al focolare igneo, non può arrivarci che allo. stato di vapore e quindi sprovvista affatto dei sali che con- tiene il mare. Un incontro dell’acqua di mare con le lave non può essere d4 15 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI che un fenomeno locale superficiale di talune eruzioni, di cui ho supe- riormente dato un cenno. Come accade , (osserva il signor Contejan) che l’esplosione dei vapori acquei preceda piuttosto l'eruzione anzi che la segue se essa ne è la causa? Come accade, osserva il signor Lappa- rent, che l’acqua di mare possa produrre tanto sviluppo di gas acido carbonico nel fine dell’eruzione? Del resto io non credo punto che atteso i pericoli e le difficoltà ine- vitabili si sieno bene studiati ancora i prodotti gassosi delle eruzioni. Certo degli studi accurati si son fatti per le piccole fumaiuole, ma non vi sono ancora degli apparecchi atti a raccogliere dei gas delle grandi formidabili eruzioni. Io che assistetti a quella grandiosa dell’ anno scorso, mi convinsi che occorrono ben altri apparecchi. Si potrebbero, credo, costruire dei speciali apparecchi che si aprano e chiudano auto- maticamente sollevati in aria da eliche metalliche giranti con una spirale carica a molla e diretta in modo da descrivere una parabola, al culmine della ‘quale l’apparecchio si aprirebbe e chiuderebbe auto- maticamente in modo da potersi fare ascendere da un lato del cratere avventizio eruttante e raccogliere dall’ altro lato. Ovvero si potrebbe anche invece far muovere l’ elica per mezzo della corrente elettrodi- namica trasmessa da un filo, col quale poi si potesse trarre indietro e ritirare l’ apparecchio. O in certi casi anche si potrebbe servirsi di speciali ‘cervi volanti (vulgo stelle) di cui ora si è costruito qualcuno di dimensioni giganti; però a tal sistema si oppone la forte difficoltà dell’alta temperatura, malgrado l’elevazione. Un’adattazione felicissima per lo studio delle sostanze eruttive e specialmente dei vapori in essi contenuti è quello della spettroscopia. L’ illustre mio amico, il profes- sore Riccò, ha recentemente fatto degli importanti studi su tal riguardo. Un’obbiezione di qualche peso, che fa il signor Lapparent all’ipotesi marina, è la seguente che vulcani eminentemente marini come lo Strom- boli nel Mediterraneo e il Kilanea nel Pacifico ignorano i parossismi dei vulcani che sono meno vicini al mare, e che durante l'eruzione di quest’ultimo le lave decorrono sotto il mare senza alcuna esplosione ; solo però si eleva la temperatura del mare e si trovano quantità di pesci morti. Però a tale obbiezione del signor Lapparent mi pare sa- rebbe a rispondere che il vapore acqueo traversando 1’ acqua stessa verrebbe a condensarsi e quindi a non manifestarsi all’esterno; ciò però posto che l’eruzione avvenga in grande profondità. Io non voglio dilungarmi più a lungo. Parmi da quanto ho detto che chiaramente se ne inferisca, come non si possa ammettere così di legieri l’ ipotesi marina. L’ acqua può in certe occasioni e in certi fenomeni FISICI E MEPEREOLOGICI, ECC. 155 locali contribuire ad accrescere l'intensità dei parossismi, ma non si può affatto riconoscere in essa il motore principale unico delle eruzioni. Enumererò ora talune altre ipotesi da egregi autori propugnate e quindi esporrò le mie idee in proposito. Altre ipotesi | Un’altra ipotesi, che non molto diversifica dalla ipotesi marina, ma che ha un’indole alquanto differente, è la seguente. L’acqua infiltran- dosi attraverso alle rocce e sprofondandosi nelle viscere della terra viene gradatamente ad aumentare di temperatura e di pressione, e finisce per entrare in ebullizione ad una temperatura molto più alta che all’or- dinario; i suoi vapori s’infiltreranno ancora più in giù trasportando i sali e gli acidi prodotti dalle decomposizioni delle rocce. Continuando a scendere ancora in giù si perverrà ad un sito in cui le rocce saranno quasi totalmente disciolte e formeranno uno strato misto di vapori e di masse liquide fangose ad altissima temperatura. Tale strato sarebbe interposto tra la crosta terrestre e la massa ignea e sarebbe quello ap- punto che dà origine alle eruzioni vulcaniche , e ciò allorquando la massa ignea interna sollevatasi, venendo ad occupare lo strato supe- riore, determina una conflagrazione violenta. Or tale ipotesi, sebbene presenti in alcune parti qualcosa di vero , a me pare pure inaccettabile e ciò precipuamente per due ragioni: se fosse vera, evidentemente gli effetti di vulcanicità non sarebbero mai localizzati, ma si estenderebbero per vastissime regioni, mentre invece è al contrario e per lo più gli effetti sono locali, raramente hanno una estensione considerevole. Addippiù gli effetti sarebbero assai più for- midabili, mentrecchè invece accade che ve ne siano di terribili, ma ve ne sono poi di pochissima entità. Recentemente poi taluni geologi hanno cercato di rintracciare la causa dell’eruzione in un campo molto diverso : Hanno essi studiato l’influenza dell’attrazione lunare sulla massa ignea fusa della terra. È noto ormai a tutti come 1’ azione attrattiva dalla luna produca 1’ alternanza delle maree sulle srandi masse acquee terrestri, nè è qui luogo a spiegarne il meccanismo. Ora un’azione simile deve anco verificarsi non solo sullo strato acqueo intercluso (se pure esso esiste) ma anche sulle materie fuse interne. Si è anche studiata l’ influenza della pressione barome- trica, diminuendo la quale si accresce naturalmente la forza espansiva interna. Tali fenomeni hanno senza dubbio un’influenza nelle eruzioni, lo che è stato provato con varie esperienze dall’ illustre Palmieri ete.; 156 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI però certo, se possono contribuire nel rinvigorire alquanto o nel dimi- nuire un poco l'intensità eruttiva, certo non possono essere considerati come causa di questa, e ciò per tanti riguardi che non è qui il caso di confutare. Una teoria più seria fu messa avanti recentemente dall’ illustre si- gnor Lenger, il quale ha con molto vantaggio cercato di spiegare la rotazione dei pianeti per l’azione elettrodinamica -del sole. Egli ha studiato l’ influenza elettrica sulle grandi perturbazioni atmosferiche che determinano i cicloni, i tifoni e i tornado. La periodicità di circa 15 giorni (mezza rotazione del sole) che per essi si verifica e che ha uno riscontro con gli uragani magnetici, pei quali l’origine solare non è più contestata, lo ha tratto a ricercare la stessa origine pei movi- menti sismici e le eruzioni vulcaniche. Secondo l’ illustre autore non sarebbero queste che 1’ effetto di trombe ignee formate sotto 1’ azione elettrodinamica del sole sulla. massa ignea fluida della terra. Le vedute e gli esperimenti del signor Lenger sone molto istruttive ed aprono un nuovo fertile campo di studi. Però mi occorre ripetere quanto poc'anzi dissi, cioè che se in circostanze speciali può anche contribuire l’azione elettrodinamica del sole nelle eruzioni (lo che del resto mi sembra molto problematico), non si può certo riconoscere in essa la causa prima determinante le eruzioni, perocchè non potrebbe comprendersi come e perchè esse accadano in determinati siti e non si verifichino in ogni dove, e come i fenomeni che le accompagnano siano sovente affatto circoscritti, e come la violenza loro non sia ancora ben maggiore di quella che presentano ordinariamente. I fenomeni sopra accennati, cioè l’azione delle maree interne, ossia l’onda ritardataria dell’attrazione lunare, l'influenza elettrodinamica del sole possono piuttosto essere studiati come tra i principali fautori dei movimenti microsismici della crosta terreste. Gli studi recentissimi hanno splendidamente provato che la crosta terrestre è tutt'altro che stabile, ma in preda a impercettibili movimenti e oscillazioni, a lievissimi ter- remoti che sfuggono affatto ai nostri sensi, ma che solo da delicatissimi strumenti vengono registrati. Tali movimenti, sebbene hanno più centri di attività maggiore, poi s’irradiano e si ripercotono su grandi esten- sione: si propagano talora quasi a guisa di larghe vibrazioni della crosta terrestre. Una nuova scienza recentemente è sorta e procura di sco- prirne le leggi e lo sviluppo. Non è qui il caso di addentrarmi in tale studio importantissimo. Dico solo che tali movimenti hanno un’origine non molto dissimile di quella che ha determinato i grandi tremuoti. I tremuoti di grande estensione generalmente non sono affatto vulcanici, i prettamenti vulcanici hanno estensione limitata e origine diversa. PISICI E METEREOLOGICI, ECC. 157 La contrazione dalla crosta terrestre, prodotta dalla lenta e successiva perdita di calore del nodulo centrale dee considerarsi come uno dei ‘principalissimi fautori di tali microsismi e non già come causa delle eruzioni; su ciò mi spiace discordare dall’opinione del signor Credner che in essa riconosce esclusivamente la causa determinante le eruzioni. Un'altra serie di fenomeni importantissimi e che hanno formato recen- temente l’ obbietto degli studi di valentissimi geologi, sta nello studio delle dislocazioni e fratture dei srandi strati delle rocce. Avviene infatti che in un dato sito gli strati si spezzino e ciò per due ragioni : o per la tensione prodotta dalla dilatazione successiva dovuta all’ inuguale distribuzione del calore, ovvero più sovente per un’erosione interna do- vuta all’ azione dell’acqua che quando raggiunge alti gradi di tempe- ratura, acquista un’azione dissolvente molto potente. Accade così che si viene a formare una specie di grande caverna, sulla quale si ripie- gano lentamente le rocce. Spesso ‘arriva allora che si spezzino e resti un enorme banco di roccia più alto dell’altro, il quale si scoscende in giù. Ora la porzione angolare interposta tra i due strati resta in parte, sgretolata; ed è appunto in questi siti che più facilmente si insinuano le vene di lava determinando quindi successivamente la formazione dei vulcani. Non ci è dubbio che tali fratture facilitano il cammino alle lave ed è probabile che molti, e non tutti, i vulcani si trovino in siti ove accaddero antiche fratture; ma la lenta erosione delle acque sotter- ranee e più ancora l’ erosione che può produrre la massa ignea sulla scorza terrestre sovrastante (quando viene tratta su dalle maree o da causa di origine chimica) se possono produrre benissimo delle scosse più o meno sensibili per vastissime regioni, non mi pare possano per ciò dare origine ad una eruzione vulcanica. Che la contrazione della scorza terrestre non può essere considerata come causa efficiente delle eruzioni vulcaniche lo mostra il calcolo del signor Didier, il quale di- mostra che la contrazione di un solo millimetro produrrebbe un’ eru- zione di 500 chilometri cubi di lave! Tutte le cause di sopra accennate possono spiegare i microsismi della crosta terrestre e i terremoti di grande estensione, ma non mi pare sieno adatte a spiegare il fenomeno delle eruzioni vulcaniche. Mie opinioni Premesse tutte queste considerazioni, dalle quali del resto si possono intravedere le mie idee intorno alla causa o piuttosto alle cause deter- minanti i parossismi vulcanici, vengo ad esporre succintamente queste ultime. 35 158 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Ho già detto infatti quanto ne penso in riguardo all’intervento del- l’acqua che io reputo da considerarsi come un fenomeno affatto locale (intendo con ciò alludere all’acqua esterna proveniente dalla crosta ter- restre, ma non all’interna che sì sviluppa chimicamente). Io sono asso- lutamente convinto che non si possa affatto riconoscere nell’acqua in genere e tanto meno nell’ acqua del mare una causa efficiente delle eruzioni, le quali ripetono altra origine o piuttosto varie altre origini come dirò di seguito. Però io credo che 1’ acqua può contribuire ad accrescere il parossismo delle eruzioni e dirò anzi alle esplosioni di esse come potente accessorio locale : cioè non per infiltrazione sino al nodulo igneo terrestre o per rovesciamento subitaneo in esso, ma nel modo seguente: I vulcani sono sbocchi del focolare interno e con esso comunicano per sinuosità e grandi cunicoli e, convernosità che si spro- fondano lungo le fratture della scorza terrestre. Ora non sempre tali accessi e canali sono occupati dalle lave. Quando è cessato il periodo dell’eruzione ossia del sollevamento del magma igneo interno, questo si ritira più in giù. Quando poi per le varie cause, cui accennerò di seguito, la massa ignea verrà a sollevarsi, essa si troverà a contatto dell’acqua che avrà occupato le cavernosità. Alludo con ciò non a quelle verticali, nelle quali la residenza dell’ acqua sarebbe impossibile per l'irraggiamento dell’interno calorico, ma quelle orizzontali comunicanti con esse. Nè è ad obbiettare che il sollevamento della massa ignea «metterebbe in socquadro tutto, facendo evaporare istantaneamente tutta la massa liquida, imperocchè al contatto dell’una coll’altra nascerebbe una conversione subitanea in vapore dello strato di acqua contiguo alla lava; la esplosione del quale produrrebbe un allontanamento subitaneo del resto di acqua da un lato e un raffreddamento della lava dall’ al- tro. Venuta su un’ altra quantità di lava succede un’ altro conato e così via via sino all’esaurimento dell’acqua. To non dico punto che debba sempre accadere in questo modo, tut- t'altro: possono darsi molti altri modi con cui si verifichi l’intervento dell’acqua nelle eruzioni; però dico che esso non è necessario, non è causa determinante e, quando accade, lo è per uno incontro dirò quasi superficiale. Mi piace che la mia opinione abbia uno riscontro con quella succintamente enunciata dall’illustre signor Credner. Lo sviluppo grande del vapore acqueo, che fa parte precipua dei gas e dei vapori emessi durante le eruzioni e che è parte integrante dall'attività e energia delle eruzioni e parte precipuadei parossisini, credo debba ascri- versi a ben altra causa. L'acqua è intimamente mista e per così dire sciolta nella lava stessa. Nell’ ultima eruzione etnea, cui assistetti, appena | FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 139 accadea il conato della lava o per meglio dire lo sbocco di essa, si vedeano sollevare contemporaneamente vari enormi globi di vapore dai crateri eruttivi, che irrompeano con grande violenza e davano luogo ad una specie di nube, che quindi sollevandosi si protendea a guisa di ‘una enorme colonna orizzontale continua. Un parossismo seguiva l’altro con l’ intervallo di circa 20 secondi. Però non posso affatto giudicare della natura di tale colonna, non avendo elementi sufficienti; a guar- darla dal monte Capriolo, il più da vicino possibile, parea che in gran parte costasse di vapore acqueo. Ora le lave erano così impregnate di gas, che anche dopo lunga pezza che erano state eruttate e anche dopo vari giorni continuavano a sprigionare dei vapori. - Avvicinandosi alla fronte di una corrente, per esempio a quella che mi- nacciava Belpasso, e che era assai alta e potente e procedea lentissi- mamente, si udiva un continuo scricchiolio in gran parte dovuto al rotolarsi dei frantumi di lava su di sè stessa per la spinta di dietro e forse anche per lo seoppiettio delle bolle di gas intercluse. Nascea quindi spontanea la domanda : tali vapori erano causa efficiente dell’eruzione ed estranei alla lava, ovvero risultanti da azioni chimiche dell’interno della lava stessa? Come spiegare lo sprigionamento così lento ? Si po- trebbe forse ascrivere alla viscosità stessa della lava, che diminuisce con la temperatura, o piuttosto in altri termini con la proprietà assor- bente della lava, la quale diminuisce pure con la temperatura. Questa supposizione può parere strana, perchè in generale la proprietà di scio- gliere i gas diminuisce con l’ elevarsi della temperatura. Un esempio comunissimo si ha con l’acqua in cui è disciolto del biossido di carbo- nio. Ad una temperatura bassa ne resta disciolto una quantità mag- giore e se ve ne è compressa una certa quantità mentre si assoggetta l’acqua a forte raffreddamento, poi, se la si riscalda di tratto, più rapido sfugge il gas. Però vi sono dei fatti opposti e di grande importanza a osser- vare. Noi abbiamo, per esempio, la spugna di platino che assorbe in gran quantità l’idrogeno. In generale tutti i metalli allo stato di fusione assor- bono 1’ idrogeno, né lo sprigionano alla stessa temperatura. Importan- tissima è 1’ esperienza del signor Fournet, il quale osserva che nel raffinare il piombo argentifero accade un forte assorbimento di aria pel bottone metallico. Or quando questo si va raffreddando e si è già formata la pellicola esterna, i gas assorbiti non possono più rimanere latenti e si sprigionano con violenza rompendo lo strato esterno. Così l’ illustre signor Lapparent, meditando su tale fenomeno, osserva che potrebbe accadere che i gas racchiusi nelle lave se ne sprigionino vio- lentemente per il loro raffreddamento e sieno appunto essi che produ- 140 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI cano le esplosioni vulcaniche. Io credo che questa sia una delle pre- cipue cause dei parossismi vulcanici, mentre mi pare una delle più ragionevoli; tanto più che è convalidata dal fatto che tali gas sono com- bustibili e però riduttori. Stando a contemplare l’avanzarsi frontale della lava verso Borello, ho osservato che quando qualche blocco-con lo sdruc- ciolare aprivasi, ossia si fendeva in due, immediatamente dalla parte rotta si alzavano le fiamme provenienti dai gas interclusi. La fronte suddetta della lava era lontana parecchi chilometri dal centro eruttivo, presentava una potenza di un venti a trenta metri e procedeva lentis- simamente sgretolandosi essendo in uno stato semisolido pastoso. Ora, riguardo ai vapori acquei esplodenti ho da fare un’altra osser- vazione di qualche importanza : ammesso che una delle precipue origini dello sviluppo di essi sia il raffreddamento delle lave, ne nasce un’altra conseguenza. Avuto infatti riguardo alla profondità, d’onde emergono e quindi all’elevatissima temperatura di esse, vi è molto a credere che l'ossigeno e l’ idrogeno non possano trovarvisi alla stato di combina- zione, ma allo stato di assorbimento latente; supponendo che si abbassi la temperatura, si avrà da un lato lo sviluppo dei due gas, dall’altro la:>aflagrazione di entrambi per 1’ unione e formazione del vapore acqueo. Così contemplando i crateri dell’ultima eruzione ho osservato che ogni parossismo era preceduto da un sordo boato sotterraneo che parea venisse da grandi profondità (forse non perpendicolari ma piuttosto oblique verso oriente) che era immediatamente seguito da un getto di una nube nerastra densa di vapore. Che principale causa delle eruzioni vulcaniche sia lo sviluppo dei gas più che quello delle lave stesse, lo prova infatti la quantità solida relativamente esigua eruttata. Certo ciò parrà forse esagerazione, ma non lo è quando si paragoni la quantità di lava che costituisce i vul- cani al volume totale della terra e anche alla massa di tutte le altre montagne, e quando si pensa che sotto i vulcani esistono indubbiamente delle grandi cavernosità, come è attestato dagli scoscendimenti enormi, che hanno sovente seguito le più formidabili eruzioni. Sarebbe fuori luogo citare degli esempi, ma voglio rammentare la tremenda spaven- tosa eruzione del Krakatoa (27 ag. 1883) la cui esplosione fu segnalata da tutti gli strumenti della terra, e per la quale perirono 35 mila per- sone. L’ondulazione dell’ aria fece , secondo asserisce il padre Denza, il giro della terra in 36 ore con una velocità di 1200 chilometri all’ora. I tuoni s’intesero a 270 chilometri. Secondo calcola il signor Lassaulx il volume totale delle materie eruttate superò alquanto 12 chilometri cubi. Però è da osservare, come riferisce il signor Gatta, che ben due terzi dell'isola di Krakatoa si sprofondarono e scomparvero. FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 141 Uno dei fatti più rimarchevoli e che non può non arrecare molto meraviglia e interesse a chi si occupa di questo ramo importantissimo di geologia, il vulcanismo, si è lo studio dei prodotti lavici dei vari vul- cani, e l’osservare un’analogia intima fra essi. Non si può dire vi sia una assoluta identità, perchè sovente si ritrovano delle differenze locali di poca importanza, per esempio le lave dell’Etna sono labradoriti, quelle invece del Vesuvio sono Leucotefriti, ossia basalti leucitici, le prime contengono labrador magnetite augite con olivina, le seconde contengono leucite, augite, magnetite (con nefelina); sono però rocce di grande somi- glianza e appartenenti alla stessa famiglia. Le lave di Santorino in Islanda sono labradoriti molto simili a quelle dell'Etna. In genere le lave, fon- damentalmente, sono dei silicati. Tale fatto non può spiegarsi che coll’ori- gine comune delle lave , colla profondità della loro sorgente, e colle condizioni (di temperatura, pressione etc.) su per giù uniformi. Idue grandi fenomeni, di cui ho detto precedentemente, cioè la con- trazione della crosta terrestre prodotta dal raffreddamento e Paumento di volume delle lave prodotte dal raffreddamento stesso costituiscono due forze in senso contrario capaci di determinare dei movimenti in grandi estensioni di terre, movimenti che sono lenti, continui, graduati, quasi impercettibili; però ben difficilmente possono produrre delle eru- zioni vulcaniche, perchè Vl equilibrio gradatamente si va ristabilendo. Se cessassero i movimenti durante un certo tempo, continuando ad agire tali cause perturbatrici nell’interno della terra, avverrebbe poi che dei veri tremuoti accadrebbero in grandi estensioni. Però, quando per circostanze locali il raffreddamento delle lave interne in una data regione avanza in modo più risentito , (ciò può dipendere dall’ essere la loro ramificazione in un sito più elevato e più in rapporto con l’at- mosfera come nei vulcani) allora l’aumento maggiore di volume deter- minerà un’ eruzione. La ragione per cui le eruzioni avvengono solo in dati siti è in parte dipendente dalla configurazione interna della crosta terrestre; in parte dalla costituzione stessa della medesima. Infatti, come ho accennato già precedentemente, io non credo punto che la distri- buzione dei vulcani sia casuale, dipendente dalle fratture della crosta terrestre, ma che trovi una ragione nelle condizioni della massa ignea sottostante. Come si potrebbe spiegare altrimenti che talune vaste regioni sono in preda a continui tremiti, altre sono relativamente stabili, talune in via di sollevamento, tal altre in via di sprofondamento , se si volesse considerare assolutamente uniformemente identico lo strato della massa ignea? Molto più ragionevole è pensare che il magma lavico non si trovi assolutamente in condizioni identiche. Che i vulcani 36 142 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI si trovino piuttosto lungo le coste o nelle isole, anzicchè nei grandi continenti, potrebbe benissimo essere causato da una causa non molto diversa di quella che determinò appunto la forma oreografica dei con- tinenti stessi e del loro sollevamento. È io credo molto probabile che nelle regioni sotterranee alimentanti i centri eruttivi, il magma lavico si trovi in uno stato meno coerente, cioè meno vischioso e più liquido che nelle altre regioni. Le cause ultimamente accennate spiegano facilmente l’ eruzione dei vulcani omogenei, dalla struttura delle cui lave e dalla cui stratifica- zione è a rilevare che il vapore acqueo non prese parte attiva nella loro eruzione. Però devo aggiungere che sovente ciò non è che appa- rentemente. Quasi tutti tali vulcani sono estinti e rimontano ad epoche geologiche e' molti criteri vi sono per credere che la loro formazione sia stata subacquea, e a grande profondità. Ora in tal caso la pressione esterna delle acque impedì lo sviluppo dei gas e sovrattutto del vapore acqueo , il quale rimase intercluso senza che le cellule della roccia assumessero lo stato vescicolare caratteristico ed è questa un’altra prova che l'acqua non si trovava allo stato di intrusione, ma i suoi compo- nenti con tutta probabilità faceano parte integrante del magma lavico cioè erano uniti chimicamente ad esso. Una causa determinante talune eruzioni, causa che non è stata accen- nata da alcuno ch'io sappia, deve dipendere dallo sgretolamento sotterraneo dell’ultima falda di crosta terrestre. Il lavorio sotterraneo dei vapori acquei ad alta temperatura può bene produrre una frana sotterra quando specialmente il peso specifico dalla roccia (forse a causa dell’ alterazione subita) diventi superiore a quello del materiale igneo sottostante. Uno sprofondamento di roccia verrebbe ad attivare il focolare chimico igneo. Siccome.in tal caso la disoluzione e il liquefacimento della roccianonavverebbero naturalmente istantaneamente ma gradatamente e l’espulsione dell’acqua, interclusa nei pori della roccia e risultante dalla decomposizione della stessa, avverrebbe pure gradatamente, si verreb- bero così a spiegare egregiamente ilcomportamento e le fasi delle eruzioni. La celebre eruzione del Krakatoa,credo, debba ripetere unasimile origine. Così verrebbero: bene a spiegarsi le emanazioni di gas acido carbonico la cui origine è finora molto discussa. Verrebbe pure a spiegarsi come uno dei principali motori dell’eruzioni sia il vapore acqueo, imperocchéè le rocce nel liquefarsi farebbero aumentare il volume della massa ignea, il quale verrebbe ad occupare il sito lasciato vuoto da loro, però il vapore intercluso determinerebbe una dilatazione della massa. Si ag- giunga a ciò quanto ho di sopra detto, cioè che il raffreddamento stesso FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 145 può benissimo produrre una dilatazione. Così anche verrebbero a spie- garsi pure le eruzioni dei vulcani omogenei supponendo che nelle rocce sprofondate ci sia assenza di vapore acqueo, 1 azione del quale sia limitata alla corrosione superficiale della roccia franata determinandone lo scoscendimento senza però impregnarnela. È anzi a riflettere che tali fratture sotterranee possono anche essere causate da altre cause estranee al vapore acqueo, come per esempio la varia dilatazione e contrazione della crosta terrestre e la pressione e contorcimento degli strati inferiori. Certo però, come ho di sopra chiarito, lo sviluppo grande dei vapori e dei gas che accompagnano le eruzioni, tradisce un lavorio chimico e il modo, come le lave ne sono impregnate e la difficoltà che oppon- gono al loro sprigionamento, ovvero anche la produzione che esse con- continuano a farne, dimostrano che in parte tali gas sono dipendenti dalla natura stessa delle lave e quasi ne formano parte integrante. E qui nasce una questione che nelle pagine di sopra ho appena accen- nata. Devono considerarsi anche i vulcani come sfiatatoi del centro ignivomo della terra ossia come valvole di sicurezza? A giudicarne della loro estensione e dal loro numero parrebbe di si, ma a riflettere seria- mente sul detto argomento e a paragonare la loro entità affatto minu- scola e trascurabile rapporto alla massa enorme del centro della terra nasce subito una risposta negativa. Le mie idee a proposito sono le seguenti: che gli antichi vulcani (prendendo tale parola nel senso più largo come centro eruttivo) si poteano veramente dire sfiatatoi della terra. Le immense eruzioni di granito, di dioriti, di porfido etc. ete. doveano avere un’importanza incomparabilmente maggiore di quelle attuali, tanto più che tali rocce devono essere state coverte dalle deposizioni delle rocce dei periodi seguenti e quindi non rimangono ora visibili che nei soli punti che affiorano. Allora la terra era ancora troppo calda per per- mettere all’acqua di occupare una determinata regione, questa quindi avvolgea la terra allo stato di vapore e nello stesso tempo determinava su di essa una pressione immensamente superiore a quella attuale atmosferica. Però, conformemente alle idee da me precedentemente an- nunziate, è probabile che la divisione dell’ acqua dal materiale igneo non si facesse così rapidamente, che anzi fosse continuata per lunga pezza di seguito. In tal caso l’ acqua eruttata dalle eruzioni sarebbe l’ ultimo prodotto dal lavorio interno. In tale teoria 1’ acqua sarebbe invece emessa dal centro igneo per il successivo raffreddamento. Infatti i gas idrogeno e ossigeno che: rimangono, alle più alte temperature allo stato di assorbimento , poi per la diminuzione della temperatura ven- 144 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI gono a rendersi liberi e si uniscono per formare 1’ acqua. Il signor Troost ha provato che il ferro fuso e l’ acciaio hanno la proprietà di assorbire grandi quantità di ossigeno, idrogeno, anidride carbonica ete. quando si trovano ad una temperatura molto elevata. Si aggiunga a ciò che notevolmente tale proprietà cresce con 1’ aumento della pres- sione, infatti è ben noto, e gli esperimenti dal signor Henry lo hanno messo in maggiore evidenza, che tutti i liquidi hanno la proprietà di assorbire i gas proporzionatamente alla pressione che subiscono. A tale legge devono, son sicuro, essere soggette le lave allo stato fuso. Il raffreddamento successivo, anche sotto questo aspetto, mi pare debba influire nelle eruzioni perchè, esso verrebbe a determinare il consoli- damento di una parte di esse e quindi lo sviluppo dei gas interelusi. AI ragionamento di sopra, nasce spontanea una obbiezione simile a quella da me addotta per la contrazione della crosta terrestre. Se una delle cause precipue, determinanti le eruzioni, stesse nel raffreddamento interno del nodulo igneo, come accadrebbe che le eruzioni fossero loca- lizzate e i fenomeni relativamente minuscoli rapporto alla causa deter- minante ? A ciò rispondo con dire, che io non la ritengo unica e pre- cipua causa di esse ma concomitante, e che se i centri eruttivi sono relativamente di poca entità e circoscritti, si deve secondo me, a tre cause : 1° Alle condizioni speciali del magma lavico interno , infatti , come ho detto, ritengo che non è in tutte le contrade ugualmente fluido. Si dee riflettere che la terra esiste da milioni di anni e che il raffred- damento e consolidamento degli strati superficiali, sebbene in generale è uniforme, pure è probabilissimo anzi certo che dee aver subito delle influenze locali dipendenti dalla natura e costituzione del materiale della crosta soprastante e lo spessore di essa. Vi sono, come ho detto, ragioni valide per credere che in talune contrade il magma lavico abbia una consistenza maggiore che in altro. 2. Che tale raffreddamento deve benissimo accrescersi maggiormente anche per il fatto della superficialità delle lave, ossia per la emissione di esse attraverso alle fenditure e alla cavità su cui sono adagiati i vulcani. 5. Contribuiscono poi inoltre a menomare gli effetti del raffreddamento interno i seguenti fatti : Esso, come ho detto, deve produrre una dila- tazione del nodulo igneo, per l’ espansione dei gas e dei vapori. Al contrario il raffreddamento della crosta produce una contrazione di questa. Quindi si hanno due forze opposte; che producono uno strito- lamento degli strati più bassi della crosta. Tale forza, trasformandosi in calore, dee produrre alla sua volta un sensibile aumento di tempe- FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 145 ratura e quindi supplire al raffreddamento. A ciò deve anco contribuire l’azione delle maree interne o per meglio dire dell’ attrazione della luna che deve, io credo, produrre una confricazione tale da elevare alquanto la temperatura. Il signor R. Mallet (Trans. Roy..Soc. 1872) ha stu- diato molto l’effetto calorifico della contrazione della crosta terrestre, prodotta dal raffreddamento e ne è venuto alla conseguenza che esso è capace di sviluppare una quantità enorme di calore e diventare causa diretta del vulcanismo. Ciò è evidentemente esagerato; ma, nella misura da me indicata, mi pare possa benissimo (unito all’ azione della luna e alla forza di espansione dei gas interni) riuscire quasi a controbilan- ciare il raffreddamento interno e a trasformarsi in sorgente calorifica. Un’ ultima osservazione mi resta a fare sopra un’altra causa, che secondo me, può molto contribuire a determinare le eruzioni e che neppure è stata da altri menzionata. Come ho svolto nel paragrafo rela- tivo alla densità interna del nostro globo, e come anche ho accennato nel presente capitolo, sia che la massa ignea si trovi allo stato di fusione, sia che più verosimilmente si trovi allo stato di viscosità plastica, certo si è che tensione, pressione e temperatura aumentano immensa- mente quanto più si avvicini al centro della terra. Ne consegue da ciò che le lave interne devono contenere dei gas allo stato di compres- sione e di assorbimento in modo affatto diverso che quelle di sopra. È auche ad aggiungere che anche la struttura molecolare dei vari corpi dee probabilmente risentire delle modificazioni profonde; infatti essi si troveranno in preda a due forze potentissime e contrarie : la forza dis- sociante dal calore, che tende a disgiungere le molecole, e quella della pressione enorme che tende a rinserrarle. Sono delle condizioni tali che dagli esperimenti eseguiti con le più potenti macchine dei nostri gabi- netti fisici e chimici non ci possiamo formare (come ho già detto in prin- cipio) che scialbe idee o piuttosto che non ne possiamo farcene alcuna. Ora se supponghiamo che in mezzo al magma lavico dello strato supe- riore, ormai in condizioni di relativa stabilità, esistano delle vene liquide o alquanto discontinue che s’internino in giù, e se supponghiamo che per un accrescersi o diminuire di attività chimica, o per un’ azione elettrodinamica, o per qualsiasi altra causa ignota accada un’affluenza del liquido interno verso la periferia, e quindi una specie di circola- zione interna per cui una vena lavica superiore si precipiti in giù e un’altra rimonti, accadrà che quest’ultima, venendo in su con un eccesso di tensione e tenendo in assorbimento gran quantità di gas e di vapori, per la dilatazione e sviluppo di questi e per la dilatazione stessa della diminuita pressione, determinerà un’eruzione. A tale ipotesi confluisce 3° 146 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI il fatto che tutto induce a credere che le eruzioni sieno prodotte local- mente, sotto il focolare eruttivo, e non da regioni lontane in senso oriz- - zontale. Se infatti fossero prodotte da correnti orizzontali (sia di gas, di va- pori o di liquidi), durante il parossismo delle eruzioni o anche in pre- cedenza ad esse, dovrebbe risentirsi l’effetto tumultuario in una lunga zona di terre, lo che non accade. Come si vede da tutto quanto ho detto, non si ha ancora un concetto chiaro, nitido e sicuro della causa determinante le eruzioni vulcaniche. Però, mentre ho dimostrato che l’ipotesi marina; la quale è general- mente ammessa dai geologi, è la meno seria di tutte; ho invece chia- rito molte cause assai più attendibili e valevoli, limitando nettamente i casi peculiari in cui l’azione dell’incontro dell’acqua esterna con le materie fuse interne possa contribuire ad aumentare 1’ attività e il parossismo delle eruzioni. Finisco con dire che è molto probabile che non tutte le eruzioni ripetano la stessa causa e che in talune di esse concorrano simultaneamente varie cause, di quelle che di sopra ho enunciato. <> STATION TN NEAR ct RR I RRSSAA IRR LOS MNMOGONTA (Sull’ origine del nostro sistema Solare ) Teoria di Laplace. Tra le ipotesi cosmogoniche , su tutte giganteggia incontrastabil- mente quella di Laplace. Egli la abbozzò nella prima edizione del suo celebre libro « Exposition du Système du Monde» pubblicata negli ultimi del secolo scorso e la rettificò ed ampliò successivamente nelle varie edizioni dello stesso, edite nei principii di questo secolo. L’insigne matematico, che onorò altamente non solo il proprio paese ma l’ intera umanità, ebbe infatti una concezione così alta e potente del sistema dell’universo, che molte verità allora ignote intravvide, for- mulando un’ipotesi che dovea sovranamente imporsi nella scienza. Però all’epoca del grande astronomo molti fatti ancora erano ignoti e molte scoverte restavano a farsi nell’istesso nostro sistema planetario. Allora non si sospettava neppure la possibilità di un pianeta retrogrado , la cui esistenza avrebbe in parte infirmato la sua ipotesi. Varie altre re- centi scoperte, se non rendono del tutto inaccettabili le congetture di Laplace, richiedono però impellentemente che sieno profondamente mo- dificate. Bisogna dire, a lode del vero, che la concezione di Laplace fu pre- ceduta da quella di un grande personaggio tedesco , il filosofo Kant, cui in parte spetta la gloria. L’idea di Kant segna un grande progresso . nella evoluzione del concetto cosmogonico in rapporto dello stato della scienza dei tempi. Io non so perchè l’una e l’altra ipotesi si citino come 148 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI contradittorie, mentre quella di Laplace non segna che un progresso, per lo stesso cammino. Kant immaginava ‘una nebulosa che si estendeva al di là dei limiti del sistema planetario , formata di parti circolanti indipendentemente l’una dall’altra e sensibili solamente alla legge di gravità. Laplace im- maginava una nebulosa girante tutta di un pezzo. Kant supponea che le particelle di materia nuotanti nello spazio fossero mosse da mutua attrazione cioè dalla gravitazione newtoniana, e da una forza repulsiva che egli immaginava, ma di cui non dette ragione : « Les éléments dissiminés d’espèce plus denses attirent à eux toute la matière plus légère qui les environne; eux mémes, avec les matériaux qu’ils ont déjà ramassés, se réunissent dans les points, où existent des particules d’espèces plus denses encore, ceux-ci à leur tour à d’autres plus denses et ainsi de suite...... Mais la nature tient en réserve d’autres forces, qui s’exercent particuliérement lorsque la matière est décomposée en très petites particules; ces forces font que les particules se repoussent mutuellement et par leur lutte incessante contre l’ attraction elles donnent naissance au mouvement, qui est la vie de la nature.» (Z’heorze du Ciel, p. 130 traduct. par Wolf). Kant espone in una forma eleva- tissima il suo concetto e supplisce con gratuite congetture alla man- canza delle conoscenze astronomiche dei suoi tempi. Resta del suo si- stema salda l'idea dell’origine del nostro sistema planetario, che deve attribuirsi ad una nebulosa, le cui parti per l’attrazione reciproca si sieno condensate in varie masse, che finirono per dar luogo ad altret- tanti pianeti, la quale è pure l’idea herschelliana. Tale supposizione ai nostri giorni e allo stato attuale della scienza è ovvia. Egli però ebbe il merito di averla ben concepita e bene esposta e nell’ avere colla speculazione precorso ai tempi. Kant non dà ragione seria del movimento orbitale dei planeti e non riconosce affatto le conseguenze della forza centrifuga da tale movi- mento prodotta. È su ciò essenzialmente che resta assai indietro a La- place, la cui ipotesi ha ben altra attendibilità. L’idea capitale o per meglio dire il concetto fondamentale e il me- rito maggiore della teoria di Laplace consiste nell’aver egli ben valutato l’azione della forza centrifuga, la quale, aumentando per l’acceleramento della rotazione. finisce per rendere indipendente del movimento interno una parte della nebulosa. Egli supponea infatti che quest’ultima fosse formata « d’un gas élastique dont toutes les couches sont animées d’une méme vitesse angulaire de rotation et qui a une limite, qui est le point où la force centrifuge due à son mouvement de rotation balance la pe- santeur. >» (Wolf, p. 21). FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 149 Laplace non fa delle congetture, nè spiega la ragione del movimento primordiale della nebulosa. Però osserva che raffreddandosi, essa si condensa contemporaneamente e aumenta la velocità di rotazione, pe- rocchè la somma delle aree descritte dal raggio vettore di ciascuna molecola e proiettate nel piano dell’equatore è sempre la stessa. Quindi, continuando il flusso delle molecole verso il centro del sole, la rotazione di questo e di tutta la nebulosa si accelera e però anche ‘ la forza centrifuga. Così si arriverà a un punto in cui quest’ ultima uguaglierà la forza di gravità. Allora un anello della nebulosa resterà indipendente e seguirà a girare per la velocità acquistata, sotto Vim- pero dalla sola gravitazione newtoniana. Però l’anello è molto difficile o quasi impossibile che resti intatto (non se ne ha infatti che il solo esempio in quello di Saturno), generalmente finisce per fratturarsi e con- densarsi in-varie masse che continuano a girare attorno con velocità fra loro poco dissimili. Tali masse evidentemente devono assumere la forma sferoidale ed avendo le loro molecole più vicine alla nebulosa una velocità eviden- temente minore di quelle periferiche, devono rotare su di sè stesse in senso diretto. Or atteso la differenza delle velocità e delle masse devono infine tutte quante fondersi in una sola, dando luogo alla formazione di un primo pianeta. Continuando ad aumentare la velocità di rotazione della massa cen- trale della nebulosa, si ha la formazione di un secondo anello e quindi di un secondo pianeta e così via via. Egli spiegava la formazione dei satelliti in guisa analoga, supponendo che la contrazione della massa del pianeta formato ancora allo stato fluido determinasse la formazione di un altro anello. Secondo lui, le comete sono estranee al nostro sistema solare, e così anche opinano Leverrier e Schiapparelli. La luce zodiacale è l’ultimo residuo della nebulosa primordiale. Modificazioni alla teoria di Laplace. Dirò ora brevemente delle modificazioni fatte alla teoria di Laplace e accettate generalmente nel mondo scientifico, delle obiezioni che sì son fatte e del loro valore ed esporrò in ultimo la mia teoria, la quale mi pare che a queste risponda. Prima di ogni altro bisogna convenire che Laplace partiva da un concetto un po’ erroneo, cioè egli attribuiva al raffreddamento la con- trazione della nebulosa (le refroidissement resserre l’atmosfere et con- BIS DÒ 150 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI dense à la surface de l’astre les molécules qui en sont voisines); invece esso non fa che contribuirvi, ma è nella tendenza naturale alla conden- sazione (prodotta dalla gravitazione stessa) che bisogna ricercare la causa prima della contrazione dalla nebulosa e l’origine dell’aumento della temperatura. Uno dei trionfi maggiori della scienza moderna è appunto segnato della teoria termodinamica. Pare ormai accertato che causa prima efficiente del calore solare non sono punto le azioni chi- miche, le quali non avrebbero avuto certo la potenza di produrre una somma tale di calore e di continuare per così enorme lasso di tempo a produrla. I signori Mayer e Waterston e poi meglio ancora i signori Thomson e Helmholtz hanno dimostrato che l’enorme quantità del ca- lore del sole è dovuta al calore sviluppato dalla caduta di corpuscoli meteorici su di esso e più ancora dalla contrazione della sua stessa massa. Una contrazione di 75 metri nel diametro del sole basta per compen- sarlo dell’enorme quantità di calore irraggiato nello spazio durante un anno intero. E d’altro canto la caduta di 3 centigrammi di materia su ciascun metro quadrato di superficie del sole basta per sviluppare tanto calore da compensarlo di tutto quello ch’ esso consuma in un intero anno. Per mezzo di calcoli magistrali il signor Thomson ebbe a dimo- strare che il calore, guadagnato dal sole con la contrazione dallo stato di nebulosa (quando si estendeva al di là di Nettuno fino all’ attuale suo diametro) fino ad ora, dovette esser sufficiente per sopperire alla irradiazione per un periodo di 18 milioni di anni, risultato che è in contradizione con le osservazioni di vari geologi, che fanno rimontare l’esistenza della terra a un’epoca molto anteriore. Il signor Helmholts, studiando il raffreddamento delle lave, ha trovato che la terra per passare dalla temperatura di 2000 a quella di 200 dovette impiegare non meno di 350 milioni di anni. Il signor Thomson trovò invece due limiti : un minimum di 20 milioni e un massimo di 400 milioni. Studiando lo schiacciamento della terra ai poli, si riesce alla conclusione che la durata del giorno, cioè della rotazione della terra, dovea essere di 17 ore appena prima di solidificarsi, tenendo conto che ora è di 24 ore, si viene a concludere che d’ allora fino adesso dovettero correre 10 milioni di anni. Però riguardo a ciò, devo osservare, che la teoria geologica unifor- mitaria, che; studia fenomeni fisici e organici che si verificano sul nostro globo, quale termine di paragone e di misura nelle valutazioni di quelli che si svolsero nell’epoche remote, mi pare non si possa accet- tare e debba ragionevolmente subire delle importanti alterazioni. Non è certo a ritornare alla teoria delle cause tumultuose, che la precesse; PISICI E METEREOLOGICI, ECC. 151 ma mi pare che l’ una e l’altra cadano nell’ esagerazione. Lo studio dei fenomeni che si espletano sul nostro globo ci può porgere nozioni utilissimi e criteri esatti sulle cause dei fenomeni e sul loro svolgi- mento; ma voler supporre che le cause modificatrici dell’attuale mondo fisico e organico abbiano 1’ istessa intensità che nei tempi andati mi pare disconoscere affatto la grande evoluzione e le fasi attraversate dal nostro globo nei tempi andati e suppone un’assoluta ignoranza delle scoverte della scienza cosmogonica dei nostri tempi. To, da geologo, ritengo che il periodo di 18 milioni di anni sia più che sufficiente per spiegare tutto quanto il succedersi dei fenomeni geologici accaduti sulla superficie della terra e che anche forse ne avanzi. Né credo necessario a tal uopo ricorrere alla ipotesi del Croll, il quale supponea che la nebulosa (prima di cominciare a contarsi ) non se- gnasse il zero assoluto (cioè —275°), ma che essendo formata dall’ urto di due masse solide, fosse fin dal principio fornita di un certo grado di calore. Obiezioni alla teoria di Laplace. Dirò adesso delle obiezioni che si fanno alla teoria di Laplace e delle modificazioni che io credo necessarie d’introdurvi. Il grande geometra non parla della causa prima del movimento della nostra nebulosa. La mia è una semplice congettura, ma credo vi sia la maggiore probabilità che sia la vera. È noto che tutto il nostro si- stema solare si muove verso la costellazione di Ercole con una ve- locità circa quindici volte maggiore che una palla di cannone (come si esprime il Sig. Faye). Non se ne è ancora potuto studiare la traiet- toria esatta, ma io ho la convinzione che non debba essere una linea retta ma curva. Ora è noto che la nebulosa, sia per il raffreddamento esterno, sia per l’attrazione del nodulo interno che si aumentava, do- vette contrarsi. In tal caso necessariamente dovette cominciare a ro- tare su di sè stessa per l’ ovvia ragione che lo strato della nebulosa più vicino alla periferia dell’orbita venne ad acquistare una velocità maggiore, mentre quello interno: venne invece a soffrire un ritardo, perchè le molecole interne aveano evidentemente una velocità minore. Un’obiezione molto grave che si fa alla teoria di Laplace è questa : che accadendo gradatamente la condensazione nell’interno della nebu- losa, riesce impossibile capire come possansi essere staccati degli anelli così immensamente larghi e distaccati l’uno dall’altro e in epoche così diverse. 152 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Compiendosi infatti la rivoluzione di Nettuno in 164 anni e in 67 quella di Urano, è evidente che l’anello che dette origine alla forma- zione del primo, ossia la periferie della nebulosa, dovea avere in media una velocità tale da compiere l’intera rivoluzione orbitale in 164 anni; mentre poi la velocità di rotazione dovea enormemente essere aumen- tata quando fu formato Urano e così via. Ciò sembra inaccettabile, pe- rocchè invece è più facile concepire che la nebulosa fosse divisa in innumerevoli sottilissimi anelli concentrici. Addippiù, dato anche il caso che siasi staccato un anello molto grande e reso indipendente, non si può capire come esso si sia contratto in una sola grande massa cioè in un unico pianeta. È invece molto più verosimile che un anello si scinda in un nu- mero immenso di piccoli pianeti, i quali, essendo animati da velocità molto simili, abbiano bisogno di un tempo immensamente lungo per fondersi in unica massa. Kirkwood valuta sia stato necessario un lasso di tempo di ben 150 milioni di anni perchè due sole porzioni dell’anello, che dovette dare origine a Saturno, si siano fuse in una sola massa. L'’illustre Sig. Roche ha procurato di rispondere a tali obiezioni, ma in modo che a me non completamente persuade. Dirò di seguito le mie idee in proposito. Un'altra obiezione molto srave alla teoria di Laplace sta in questo, che sino a pochi anni addietro si ritenea che il movimento di transla- zione orbitale e di rotazione sul proprio asse di tutti i pianeti acca- desse nello stesso senso che la rotazione del sole sul suo asse, cioè in senso diretto. Ora le ultime scoverte hanno accertato che il movimento di rotazione del satellite di Nettuno è retrogrado e quindi il movimento di questo deve esserlo pure. Addippiù è dubbio che anche quello di Urano lo sia pure. Il sig. Faye considera come retrogrado il movimento di quest’ultimo e dei suoi satelliti: mail sig. Henry, avendo fatte delle os- servazioni all’osservatorio di Parigi, stima che l’equatore di Urano sia inclinato 58° sul piano dell’orbita e che il suo movimento di rotazione debba essere diretto. Certo si è che restando ancora dubbia la qui- stione relativa ad Urano, è però ormai da tutti gli astronomi ammesso che il movimento di rotazione di Nettuno è retrogrado. Ora secondo la teoria di Laplace tutti i movimenti dei pianeti dovrebbero essere ne- cessariamente in senso diretto. È così valida tale eccezione che infirma tutta quanta la teoria di Laplace, sicchè l’illustre Faye è stato condotto a fare delle ipotesi diverse. Egli nel suo lavoro magistrale «Sur Origine du Monde » (18385), ri- tornando sulla teoria suddetta, propone delle modifiche che non sono PISICI E METEREOLOGICI, ECC. 155 accettate punto dal signor Wolf e che, sebbene molto ingegnose e ben fatte, non mi pare ingenerino punto quella chiara evidenza che si ri- chiede, nè tampoco quel tale appagamento e quella serenità di spirito che in noi nasce quando una cosa ci appare sicuramente vera o ecces- sivamente probabile. Egli stima che gli ultimi pianeti non sieno stati i primi a formarsi ma gli ultimi e cerca spiegarne il movimento. Il si- gnor Wolf (p. 73) però conviene che tutte le obbiezioni fatte al sistema di Laplace viggono anche per quelle del signor Faye. Nuova teoria sul nostro sistema solare e sulla formazione dei pianeti ad esso appartenenti. Vengo ora ad esporre in suecinto le mie idee e le mie congetture sulla formazione del nostro sistema solare. Ben inteso che con questo non intendo punto riferirmi a tutt'altro sistema mondiale. L’illustre si- gnor Faye dà una splendida classificazione dei mondi (Orig. du Monde, p. 183) in nebulose e formazioni stellari, dividendo le prime in amorfe e regolari e le seconde in isolate doppie e in ammassi. Ora non si posson fare delle illazioni troppo generali. Le idee ch’io sono per esporre non riguardano che esclusivamente il nostro mondo solare, il quale poi è probabile anzi certo che abbia ben altri riscontri Ho già detto che io credo che il movimento di translazione del nostro sistema verso la costellazione di Ercole non debba essere retto ma curvo ed ascrivo a tale causa la rotazione primitiva della nebulosa su di sé stessa; perocchè, contraendosi per il raffreddamento e per l’at- trazione verso la parte più densa della stessa, dovette necessariamente acquistare un movimento di rotazione, perchè la zona periferica limi- tante la parte esterna della curva dovea naturalmente avere un mo- vimento di translazione più rapido che l’ interna. Io: non so che altri abbia esposto tale idea. Il movimento dell’interno della nebulosa dovette essere molto più vario e complesso che non lo s'immagini. Io non credo sia stata formata da un’atmosfera gassosa come credea Laplace, nè di elementi indipen- denti e quasi caotici come Kant, ma di materia immensamente rarefatta disposta non uniformemente nè caoticamente, ma più o meno densa secondo le correnti di rotazione, 1’ attrito delle varie parti e le attra- zioni reciproche delle varie zone di condensamento. Io non credo punto che la nebulosa rotasse tutta di un pezzo come credea Laplace, nè ad anelli concentrici indipendenti come molti dei moderni astronomi, ma che da principio rotasse in certo modo come l’immaginasse Laplace, e 39 154 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI quindi a causa dell’ aumento successivo del condensamento interno e dell’acceleramento di rotazione e del vario raggruppamento delle zone di materia concentriche e delle zone raggianti, il movimento di rota- zione delle parti avesse subito rimarchevoli mutamenti. Sono di opi- nione che 1’ acceleramento della rotazione del nodulo centrale non riuscisse a determinare un analogo acceleramento nelle parti esterne, ma si trasmettesse a queste molto attenuato e che quindi quanto mag- giore fosse l’accelerazione del nodulo tanto più curve dovessero essere le increspature delle grandi falde di materia propagatrici del movi- mento dall’interno alla periferia e che queste , se tale accelerazione fosse subitanea , dovessero assumere una forma addirittura spirale. Alla stessa guisa che se si prende un globulo di cera liquida o di ca- irame denso e s'imprima ad un asse (che vi s’introduca in mezzo) un movimento rotatorio, accade che quanto questo sarà più veloce, altret- tanto più ellittici e spirali saranno i sconvolgimenti della massa di quello, e tanto meno rapidi quanto più vicino alla periferia. La forma primordiale della nebulosa dovea essere molto irregolare, somigliante a quella di una nube; però ciò non potè più durare quando essa cominciò a roteare su di sè stessa, allora dovette assumere una forma quasi sferica. Aumentando il movimento di rotazione si andò sempre più comprimendo ai poli tendendo ad assumere un forma di- scoidale ma non mai diventando tale, e ciò per due cagioni : 1°. per- chè il globulo di mezzo tendea a sostenere per l’ attrazione molecolare una forte massa attorno di sè; 2°. perché la forza centrifuga dello strato periferico non dovette crescere proporzionatamente all’ acceleramento della rotazione del nodulo centrale essendo questa smorzata dell’attrito delle parti, per come ho di sopra esposto. Io credo quindi che i movimenti delle parti della nebulosa dovessero essere (come ho detto) molto complessi, ma che fra tutti dovettero es- servene tre di principali. Il primo, quello regolare, cioè quello descritto da Laplace, prodotto dalla contrazione della nebulosa per il raffred- damento. Tal movimento dovea essere presso a poco uniforme , cioè regolare, in modo che la velocità angolare di rotazione di tutte le parti della nebulosa dovea essere quasi la stessa. Dico «quasi» perocchè io credo anzi che è probabile che la contrazione e quindi il necessario aumento della velocità di rotazione della zona periferica potesse essere anche un po’ maggiore di quello angolare del nodulo centrale o per lo meno che le grandi serie di materia raggiante si contorcessero alquanto come lo mostra la figura 30 (tav. 4) in cui A BC indica l’antico equa- tore della nebulosa, CK H il nuovo equatore dopo la contrazione pel raffreddamento, DEF un cenno della disposizione delle suddette. FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 155 Il secondo movimento generale interno è prodotto dall'aumento gra- duale e continuo del nodulo a causa del precipitarsi continuo della ma- teria della nebulosa nel suo interno e quindi di particelle di materia animate di un movimento di rotazione più veloce, perchè provenienti di una zona più lontana dal centro. Tale aumento di velocità di rota- zione è anche prodotto dalla naturale contrazione del nodulo, il quale gradatamente tende a condensarsi. Or tale aumento di velocità del nodulo rappresetato da FLM nella nostra figura 51 non si trasmette tal quale a tutta la nebulosa, ma per l’attrito delle parti e per non esser tutta di un pezzo, e dirò per così dire per un fenomeno analogo alla vi- scosità, si trasmette presso a poco come le curve R FS, le quali nella vici- nanza del nodulo e per un certo tratto sono quasi simili ai raggi (cioè la velocità di rotazione del nodulo si comunica quasi ugualmente alle zone limitrofe), ma distaccandosene e avvicinandosi alla periferia, ove la materia è immensamente rada e quasi discontinua, si ripiegano ne- cessariamente indietro cioè assumono una. direzione assolutamente op- posta a quella rappresentata dalla figura 50. Però tali correnti retrograde la vincono necessariamente sulle cor- renti avantigrade prodotte dalla contrazione dello strato esterno cau- sata dal raffreddamento, perocchè l’aumento di velocità di rotazione prodotta dall’addensamento e dalla contrazione del nodulo è senza con- fronto maggiore da quello sopra indicato. Così va spiegato benissimo il fatto della rotazione di Nettuno in senso retrogrado , infatti, se si suppone un condensamento dell’ anello A BCDEF (fig. 32) in una massa e la contrazione di questa in un pianeta, questo dovrà neces- sariamente rotare in senso retrogrado, perchè la porzione di esso più vicina alla periferie sarà dotata di una velocità minore che l’interna. Laddove pei pianeti formati dagli altri anelli interni in cui le velo- cità periferiche sono maggiori di quelle interne degli stessi anelli, la rotazione sarà in senso diretto. Se si trovasse un pianeta in una zona tale, in cui la velocità di rotazione della parte esterna dell’ anello fosse uguale all’interna, la rotazione sarebbe nulla, cioè percorrerebbe la sua orbita senza girare sopra sè stesso. Così anche si può spiegare il fatto che l’anello di Saturno ha una velocità di rotazione minore che il pianeta stesso. Se il detto anello desse luogo alla formazione di un grosso satellite, questo sarebbe probabilmente retrogrado. Dissi di sopra che sebbene i movimenti interni delle parti della ne- bulosa fossero di varia sorta, i più notevoli poteansi ascrivere a tripla serie. Accennai a due movimenti, dirò ora del terzo che io ritengo il più importante per la formazione dei pianeti. Una delle obiezioni ca- 156 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI pitali alla teoria di Laplace, come ho già detto, consiste appunto nel non poter essa dare ragione della formazione di un anello di grande dimen- sione e quindi del condensamento di questo in un’ unica massa. Ora, secondo io ritengo, la materie non si è precipitata uniformemente verso il nodulo centrale ; 1’ afflusso è stato continuo, ma a scatti vi se n'è rovesciata una quantità più o meno grande. Infatti, come ho già detto, la materie della nebulosa non dovea esser disposta uniformemente ma in grandi vene ossia in grandi fasce raggianti, curve, oscillanti, acca- vallantisi come immense onde. Non tutte doveano avere la stessa ve- locità di rotazione, né tutte la stessa densità. Ora ilrincontro e il con- densamento di una grande onda (fig. 31) che si sovrappone a un’altra e che forse venga a cozzare con un’onda in senso inverso prodotta dalla contrazione dello strato esterno (fig. 30) o anche all’incontro di qualche cometa arrivante dallo spazio, può benissimo dare occasione alla pre- cipitazione dell’intera onda sul nodulo centrale, il quale aumenterà di tratto potentemente la velocità di rotazione, perchè in esso si precipi- terà una quantità enorme di materia proveniente da zone più distanti dal centro e animate da ben più rapida velocità. Né è impossibile che una tale onda trasportasse anche seco e rove- sciasse sul nodulo centrale qualche grosso nodulo secondario. Così ven- gono da me spiegati i subitanei e bruschi aumenti di velocità di rota- zione del nodulo, che ad intervalli dovettero determinare la formazione di altrettanti anelli di grande dimensione. Però in certi casi anche senza alcun brusco aumento di velocità di rotazione del nodulo, si può formare un grosso anello e ciò nel modo seguente. La velocità angolare di rotazione della massa della nebulosa, come ho detto, non è uniforme per i vari strati. Se per un certo tempo non si verificasse alcuna condensazione della periferie cioè se questa non subisse alcun raffreddamento (cosa del resto impossibile) né alcuna contrazione o condensazione di materia affluente dagli.strati più lontani verso il centro del nodulo, la velocità di rotazione di tutte le parti della nebulosa finirebbe evidentemente per ridursi uniformemente re- golare, cioè lo spostamento angolare di velocità sarebbe lo stesso. Ma ciò è impossibile che avvenga. Abbiamo, come ho già esposto, due sorgenti di accelerazione di movimento: la contrazione esterna e la condensazione del nodulo. Tali velocità tenderanno continuamente ad aumentare e si trasmetteranno alla massa interposta tra il nodulo e la periferie gradatamente ; val quanto dire che per lo attrito , atte- nuandosi, tenderanno a far sì che il movimento della nebulosa avvenga per anelli la cui velocità angolare di rotazione diminuirà allontanandosi FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 157 dal nodulo a poco a poco, sino a un certo punto, e poi ricomincerà ad aumentare per l'influenza dell’accelerata rotazione degli strati periferici. Così le varie velocità degli anelli si potranno rappresentare da linee curve presso a poco come quelle della fig. 37. Per tali circostanze la zona limite che ho chiamato critica, cioè quella dove un aumento di velocità di rotazione deve determinare la separa- zione dell’anello (bilanciando la forza centrifuga con quelle di gravità) non coinciderà punto con una zona molto vicina della periferie, ma sarà distaccata da questa e si avvicinerà per un largo tratto al nodulo centrale. Laddove se le mie considerazioni non fossero vere e la ne- bulosa girasse tutta di un pezzo come lo supponea Laplace, tale zona critica dovrebbe coincidere quasi con la periferia o poco discosto di essa e non vi sarebbe luogo alla formazione di anelli, ma al graduale abbandono di materia verso la periferie. To credo che la teoria che ho esposto renda ragione perfettamente di così importante fenomeno e debba essere accettata. Nè deve parere cosa strana il concepire porzioni di anelli concentrici e roteanti l’uno presso all’altro con velocità angolare diversa, quando si pensi che le ultime osservazioni hanno provato che non tutta la massa del sole si muove con la stessa velocità; la zona equatoriale compie una rotazione in 25 giorni, quella a 45° di latitudine in 27 giorni, la polare in 31 giorno. Io ritengo che è probabile che anche la massa interna del sole giri in modo diverso cioè per zone concentriche cioè per anelli e che all’interno della zona equatoriale, ad una distanza dall’asse solare uguale a quella, che ha la zona 45° di latitudine da esso, la velocità di rotazione si riduca a 27 giorni e che nelle vicinanze dell’asse si riduca a 31 come nella polare, ovvero piuttosto anche a un lasso di tempo maggiore. È questa una mia congettura, ma che credo abbia molta probabilità. La teoria di sopra esposta rende anche in certo modo ragione della formazione dei pianetini tra Marte e Giove, la cui formazione secondo me deve riguardarsi come dovuta a un periodo relativo di calma nel- l’aumento della condensazione del nodulo e quindi anche di calma nel- l'aumento della sua velocità di rotazione. Alcuni astronomi tendono a ravvisare in loro il resto di un anello del tipo di Laplace non ancora ridotto ad unica massa, e trovano una analogia spiccata tra il gruppo di asteroidi (disposti in zone con vari hiatus) e l’anello di Saturno in cui si trovano pure tali vani, e hanno supposto che questo fosse. composto pure di piccoli asteroidi. Non è questa una supposizione assurda, ma studiando gli asteroidi solari, io sono venuto nella convinzione che dopo l'enorme precipitazione di ma- 40 (0 0) 15 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI teria nel globulo solare che dette luogo, come ho già detto, ad un au- mento tale di velocità da rendere libera così grande parte di spira da dar luogo alla formazione di un così colossale pianeta quale fu Giove, successe una specie di tregua, durante la quale si formarono i pianetini. Per verità in ogni serie di avvenimenti si verifica, che ad un feno- meno di grande portata e maggiore degli altri succede un periodo di relativo riposo. Fu durante questo che accaddero dei piccoli aumenti quasi graduali di velocità, e quindi l'abbandono di piccole parti di anelli spirali che dettero luogo alla formazione degli asteroidi suddetti. Mi resta ora a dar ragione della scissione di un anello e la riduzione di esso in unica massa. Eppure a me pare di averne trovato anche la spiegazione la più verosimile. Infatti, l'aumento subitaneo e rapidissimo della velocità del nodulo centrale deve necessariamente irraggiarsi per tutta la nebulosa non però in senso semplicemente curvo ma proprio a spira; deve esso determinare delle grandi correnti spirali di movi- mento e enormi onde spirali di materia. L’ aumento di velocità deve trasmettersi in senso spirale presso a poco come nella fig. 33 in cui il nodulo centrale è indicato da A BC. Ora la zona limite, in cui l’au- mento di velocità di rotazione farà che la forza centrifuga bilanci con la gravità, sarà una linea presso a poco come il tratto D L K in modo che la porzione resa indipendente non sarà punto un anello continuo ma un frammento di spira, quale è indicato da DE F G H K L M (fig. 3), È questo uno dei risultati capitali del mio studio e della mia medi- tazione, con il quale mi pare di essermi di molto avvicinato alla ve- rità delle cose. Così è anche spiegata la genesi di un grosso pianeta, cosa che non si potea comprendere come avvenisse col sistema di La- place. Infatti la porzione della spira suddetta inevitabilmente deve rag- gomitolarsi su di sè stessa. Darò adesso maggiori schiarimenti su di quanto ho detto. Io infatti ho supposto che la linea KLD corrisponda con la zona limite, in cui un aumento di velocità determina il distacco o per così dire l’ indivi- dualizzarsi della zona esterna. Questa però non è che una mera ipo- tesi, perocchéè tale linea può coincidere al di dentro e al di fuori della spirale DL K. Però in ogni caso l’effetto è lo stesso. Se infatti coincida all’interno,.la spirale DLK si restringerà alquanto e si formerà tosto una soluzione di continuità tra la spira esterna e l’ interna. Nel caso poi la linea limite, di cui ho sopra parlato, coincida al di fuori della spirale DL K, questa si slargherà alquanto. In ogni caso l’ aumentata velocità determinerà il distacco di un frammento di spira. Aggiungo ora che quest’ultimo sarà necessitato a ravvolgersi subitamente su di FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 159 sé stesso dando luogo ad una massa sferoidale. Ciò non solo per le ovvie ragioni dell’attrazione molecolare della propria massa e perchè la forma stabile di equilibrio non è che la sferica (lo che si dimostra tanto col calcolo che con l esperienza), non solo per la velocità al- quanto varia della fluttuazione della materia, che come ho precedente- mente detto deve esser disposta in grosse falde accavallantesi, ma per un’altra ragione prodotta dal fenomeno stesso che vengo di esaminare. Infatti, come il nuovo impulso di velocità di rotazione produce la frat- tura della porzione DV E lasciando la porzione della spira DVEFG H KL girante autonoma, avverrà di conseguenza che la nebulosa in- terna VEKL continuerà a roteare assumendo una forma indipendente sferica alquanto ellittica (così si può anche spiegare la varia eccen- tricità delle orbite) e la massa libera della spira esterna le roterà at- torno per brevissimo tempo (fig. 54) e dovrà contrarsi in forma sfe- roidale, perocchéè la fronte di essa V E tenderà a rallentare alquanto la sua corsa per l’attrazione della massa stessa GK LF e contempora- neamente la parte posteriore G K H tenderà ad accrescere la sua ve- locità. Il senso in cui roterà su di sé stessa sarà, come ho già esposto, diretto se la porzione più vicina ad HKLD (fig. 85) girerà con minor velocità che la porzione più vicina ad HGFE cioè alla periferie, e retrogrado se sarà viceversa. Tale rotazione poi sul proprio asse sarà naturalmente posteriormente aumentata tanto nell’un senso quanto nel- l’altro a secondo della contrazione che subirà il pianeta, contrazione prodotta tanto dal raffreddamento quanto dalla condensazione e attra- zione delle parti verso il centro di esso. Secondo me insomma il distacco e l’isolamento di una parte deila ne- bulosa non avviene per anelli, ma per frammenti di spira e non per: il graduale accrescersi della velocità rotatoria del globulo interno ma per un brusco e saltuario aumento di essa. Così anche si viene a spiegare la persistenza dell’anello di Saturno, il quale pel graduale aumento della velocità di rotazione del pianeta potrà sdoppiarsi in un infinito numero di sferoidi ma non mai in un grosso satellite. Anello di Saturno. La teoria da me enunziata, provando che la zona critica di sdoppia- mento non dee coincidere all’ esterno della nebulosa, ma nell’interno di essa, rende possibile l’individualizzamento di una grande quantità di materia, tale da poter dare origine a un grande pianeta, cosa che non sì potea punto spiegare con la teoria di Laplace. Essa spiega anche la 160 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI persistenza dell’anello di Saturno appunto con l’ammettere che in esso lo sdoppiamento dovette accadere come l’avea immaginato Laplace, cioè in un periodo quando per la contrazione subita e per l’accentramento dell’attività del neopianeta 1’ aumento di velocità non dovea più tra- smettersi in senso spirale ma in senso diretto. A tal uopo giovami anzi ricordare l’esperienza di Plateau sull’azione della forza centrifuga su una piccola bolla di olio attaccata a un dischietto, che io ho ricor- dato nel paragrafo sulle azioni molecolari dei liquidi. Trasmettendosi la velocità direttamente e immediatamente per tutta la massa, il rigon- fiamento equatoriale della bolla si rende autonomo dando luogo a un anello girante attorno alla stessa. Sovente anche esperienze apparente- mente insignificanti giovano a chi sa bene interpetrarle a dar ragione di fenomeni di ben altra portata e di ben altra indole. Un esempio felicissimo di ciò lo abbiamo nell’esperienza con la quale l’illustre signor Stanislao Munier (Inst. de France 31 ottobre 1892) ha testè dato una spiegazione del fenomeno finora nebuloso ‘della gemina- zione dei canali di Marte. Egli segnò dei tratti con una vernice nera sopra una sfera metallica presso a poco in modo da riprodurne la carta geografica di Marte e mise attorno, a pochi millimetri della sfera, una mussola bagnata, sulla quale facendo cadere un raggio di luce, vennero a proiettarsi raddoppiate le linee segmate sulla palla. Ma non è qui. il caso a digressioni, adunque come ho detto prece- dentemente, ascrivo alla stessa causa determinante la formazione dei pianeti, l’origine dei loro satelliti, se non che le proporzioni del feno- meno sono di minore portata. Addippiù, studiando la formazione di queste bisogna tener conto del raffreddamento subito e quindi delle modificazioni sofferte dalla massa caotica già raggruppata e centraliz- zata. Dee pure tenersi conto dell’azione di confricazione determinante Je maree, che nei primordi della formazione dei satelliti doveano pro- durre ben più ragguardevoli effetti e ciò a causa della loro distanza minore, e dello stato più plastico della sostanza costituente il pianeta. Ma di ciò parlerò brevemente di seguito. Come un satellite possa avere una velocità maggiore dell’astro da cui dipende. Con la teoria che ho sopra esposto, riesce anche a chiarirsi la causa più probabile della rotazione del primo satellite di Marte (Fobos) che gira più veloce dello stesso Marte (lo stesso avviene per l’anello inte- riore di Saturno). Tale eccezione era una obiezione molto grave alla x FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 161 teoria di Laplace; infatti secondo questa, la velocità di rotazione di un anello e quindi la velocità orbitale del pianeta da esso formato dovea essere uguale a quella della nebulosa, anteriormente all’aumento di ro- tazione del nodulo centrale sul proprio asse, e però dovea essere sem- pre minore della velocità di rotazione del nodulo centrale posterior- mente accresciuta. Parimenti la velocità orbitale di un satellite non avrebbe potuto mai superare quella di rotazione del pianeta, da cui dipende. Per ispiegare tale anomalia si è ricorso a varie ipotesi: il signor Roche ha fatto delle ipotesi ardite e ben concepite sull’ origine della formazione della luna. Altri hanno studiato se è possibile che la velo- cità di un pianeta abbia subito una diminuzione dal tempo in cui fu for- mato il satellite e hanno esposto delle ragioni piuttosto attendibili come quella della fluttuazione delle maree. Però con la teoria di sopra esposta non si ha bisogno di ricorrere ad altre supposizioni, ma si spiega benissimo il caso in cui l’anello, ossia la spira esterna distaccata, giri più veloce del nodulo interno. Infatti ho detto che l’ aumento di ve- locità si trasmette dall’ esterno all’ interno ( fig. 30) come pure dallo interno all’esterno (fig. 51). Ora supponghiamo che il lavoro di con- densazione interna si sia temporaneamente arrestato o per lo meno af- fievolito (è probabile che esso infatti accada, come ho già detto, non in modo uniforme) o piuttosto che sia per raggiungere il limite della den- sità. dal futuro pianeta, in tal caso l’ intera massa girerà tutta di un pezzo come le supponea Laplace, e tutte le parti avranno la stessa ve- locità angolare di rotazione. Ora ciò non può durare a lungo, perchè la parte esterna periferica dell’inviluppo si raffredderà per l’irradia- zione nello spazio e contraendosi subirà un aumento di velocità di ro- tazione, come è indicato dalla fig. 30. Però non tutta la velocità si tra- manderà immediatamente e interamente all’interno ossia al nodulo pla- netario, ma accadrà che l’inviluppo si scinderà in anelli concentrici, la cui velocità diminuirà da fuori in dentro (fig. 35). Essi eserciteranno una specie di attrito l’uno all’altro e 1’ aumento di velocità non arri- verà al nodulo interno o sarà molto piccolo tanto da non produrvi alcun effetto rilevante. Tali anelli finiranno con grande, probabilità per di- sporsi in senso spirale come la fig. 36. È ad aggiungere un altro fatto importante, cioè che essendo ormai il nodulo planetario quasi intera- ‘mente formato, deve irraggiare necessariamente una quantità enorme di calore all’intorno, ond’è che per un largo tratto attorno allo stesso l’ inviluppo gassoso sarà più rarefatto che nelle regioni più discoste, cioè più vicino alla periferie, ove la velocità di rotazione è maggiore. 4l 162 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Considerate tali circostanze, sarà facile concepire come l’anello esterno ossia la spirale esterna possa tendere ad assumere una velocità mag- ‘ giore che il nodulo e rendersi affatto indipendente da esso. Se mentre così stanno le circostanze si verifica la scissione di esso, per la diversa velocità delle parti e per l'attrazione reciproca di esse, verrà subito a contrarsi in una massa sfercidale dando luogo alla formazione di un satellite , il quale continuerà a rotare attorno al pianeta con una ve- locità maggiore di quella di quest’ultimo. ; La teoria sopra esposta non si applica che alle eccezioni, cioè non alla regola generale, che è ben altra e soggiace alle considerazioni enume- rate nel paragrafo precedente. Origine delle comete. Una questione non ancora risoluta è quella dell’orizine delle comete. Astronomi di grande vaglia ritengono che debbano considerarsi come facienti parte del nostro sistema planetario fin dai primi tempi, altri astronomi non meno rinomati e celebri ritengono che devono conside- rarsi come corpi estranei vaganti per lo spazio e attirati dal nostro sistema, col quale si sono incontrati. Certo, se l’orbita che essi percor- reranno sarà un ellissi resteranno stabilmente annessi al nostro sistema e si vedranno riapparire ad intervalli: se sarà una iperbole non tor- neranno mai più. Tra i primi astronomi rifulge il nome di Faye, tra i secondi quelli di Laplace, Leverrier, Schiapparelli. La teoria di sopra esposta non implica l’ accettazione di una o l’ altra delle due ipotesi. Se non fosse una temerità, esporrei anche il mio debole parere su tal soggetto, cioè che io stimo probabile l’una e l’altra ipotesi: cioè che vi siano delle comete, la cui origine rimonti al nostro sistema planetario, altre che si sieno incontrate nello spazio. Riguardo a quelle del nostro sistema io credo che è probabile la maggior parte di esse provenghino dalle regioni al di là di Nettuno e che costituiscano degli stralci della parte esterna della nebulosa, la quale non dovea preventivamente avere punto una forma regolarmente sferoidale. Apparizione di nuove stelle. Tra i fatii più strani e notevoli è da annoverare l’ apparizione su- bitanea di stelle che dopo un breve intervallo sono di nuovo scomparse. Esse sono chiamate da Faye « Étoiles à catastrofes» (Origine du Monde, p. 210). La spiegazione, ch’egli ne dà, mi pare la più esatta e la più FISICI E METEREOLOGICI, ECC. at 131(68) verosimile; egli riconosce in esse un’eruzione violenta di qualche astro, che è per estinguersi totalmente. Di tali apparizioni di stelle sono ad annoverare quelle del 1572, 1604, 1848, 1866, 1876, 1885, 1889. Ma fra tutte notevolissima è quella ultimamente apparsa, la Nova Aurigae nella costellazione del Cocchiere, segnalata dal Dott. Andersen al gennaro 1892; notevolissima, dicevo, per gli studi spettroscopici di alta importanza cui ha dato luogo. Una questione elevatissima si è dibattuta. Il suo spettro appariva continuo, solcato da righe di assorbimento, le ‘righe lucide erano spostate verso l’ estremo rosso ed era da ciò a in- ferire che la stella si allontanava dal sole, le righe oscure dello spettro continuo si avvicinavano all’ estremo violaceo accusando un moto di avvicinamento al sole. Tale contraddizione ha dato luogo a varie ipo- tesì : che constasse di un sistema doppio di stelle con movimento op- posto, che l’accensione fosse avvenuta per l’urto ete. Se non fosse te- merità la mia a volere interloquire su tale argomento, io sarei per dire che io credo debba probabilmente ascriversi tale nuova stella al gruppo di « étoiles à catastrofes » descritte da Faye, che quindi essa altro non sia se non un sole semispento che si sia riacceso per un’eru- zione della massa ignea interna. Secondo tale ipotesi lo spostamento delle righe lucide, a mio parere, sarebbe dovuto all’azione di raffredda- mento e quindi di attutimento dei raggi prodotto dall’azione dell’ambi ente esterno forse anche coverto da un’atmosfera di gas e di vapori, lo spo- stamento delle righe oscure verso il violaceo sarebbe dovuto all’ eru- zione stessa e al divampare delle fiamme irrompenti del di dentro del- l’astro. Accelerazione del movimento della luna. Una questione di gran lunga importante è lo studio della causa de- terminante l'accelerazione del movimento della luna, che è circa 12” per secolo. Laplace dapprima suppose che fosse dovuto ad un rallen- tamento nella rotazione della terra, poi si ricredette ascrivendolo alla variazione secolare dell’eccentricità dall’orbita. È noto che tale eccen- tricità non è sempre la stessa; come l’asse della terra non si mantiene sempre parallelo a sè stesso, ma si sposta lentissimamente (come quello di una trottola, che mentre gira attorno a sè stesso, gira pure in senso conoideo), sicchè per ritornare parallelo a sè stesso occorrono 26 mila anni, così d’altro canto, mentre il grande asse dell’orbita si mantiene della stessa lunghezza, l’eccentricità di essa subisce delle variazioni se- colari. Ora quanto è minore tale eccentricità, tanto più cresce l’acce- 164 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI lerazione del movimento della luna e quindi tanto più scema la durata del suo giorno siderale e viceversa. Nel 1853 Detaunay avendo fatto delle accurate calcolazioni, venne a tro- vare che l’accelerazione prodotta dalla variazione dell’eccentricità era. di fatto solo di 6’. Restava quindi a spiegare il ritardo degli altri 6‘. Egli credette ritrovarlo nell’azione di strofinamento prodotta dalla luna sulla terra, che si manifesta con le maree. Tale rallentamento, produ- cente un rallentamento nella velocità di rotazione della terra sul suo asse di un secondo per ogni 100,000 anni, basta secondo molti astronomi a spiegare il fenomeno. Toccava all’illustre Darwin a dare maggiore sviluppo a tale teoria, lo che egli fece in modo veramente splendido in varie memorie. Egli però esagerò l’importanza di tale fenomeno fino a Voler trovare l’origine della formazione dei satelliti nell’azione di re- ciproca confricazione. Egli è d’opinione che nel momento del distacco della luna dalla terra, questa dovea avere una velocità tale di rotazione da compiere il giro in 3 ore. Certo mi pare incontestato che l’azione di confricazione dovette influire ad aumentare l’obliquità dell’ecclittica e la distanza dalla terra alla luna, e a ritardare di qualche piccola frazione la velocità di rotazione della terra. Mi sembra da tener conto dello stato fluido dell’ interno della terra e della sua varia densità. Or è molto probabile che l’azione della luna debba maggiormente influenzare il nodulo interno, la cui parte più densa. deve tendere a disporsi per diretto alla parte prospiciente la luna. A me pare che in generale ben poco si è tenuto conto delle azioni elettromagnetiche dei corpi celesti; io sono molto inclinato a credere che all’obliquità dell’ecclittica e al modo della rotazione della luna e al fatto che questa presenta sempre la stessa faccia alla terra, contribuisca in primo luogo l’azione reciproca elettromagnetica; mentrecchè girando in modo regolare, cioè con i due assi paralleli (come dovette accadere nel principio della sua formazione), le correnti elettromagnetiche si sa- rebbero mosse in senso sincrono cioè in tutte e due gli astri inversa- mente al senso della rotazione e quindi si avrebbero avuto due poli omonimi, di prospetto l’uno all’altro e però repulsi vicendevolmente. Sono ben note le antiche esperienze di Faraday e quindi di Bertin sulla rotazione reciproca delle correnti elettriche e delle calamite, che sono molto istruttive, ma io voglio ricordare quelle di Babbage e di Herschell, che per mezzo della rotazione di una calamita produ- cono la rotazione di un disco metallico e viceversa. Or considerando- la terra come una grande calamita, prescindendo della forza di gra- vitazione, la sua rotazione deve produrre una specie di strofinio su un FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 165 corpo che giri attorno di essa e la cui rotazione orbitale sia minore della sua rotazione diurna, e così anche la presenza di un corpo che gira con una velocità minore deve produrre un \eG6et o rallentamento nella sua rotazione. Azione elettrodinamica solare. _ Recentemente il signor Zenger e d’altra parte anche il signor Trou- velot hanno fatto degli studi importanti sulla azione elettrodinamica del sole. Il primo ha studiato l’azione di tre calamite sopra una sfera di rame vuota, internamente sospesa a un filo di seta e quindi anche la influenza della scarica di una macchina Wimshurst sopra una sfera di rame deformata con un asse di acciaio internamente. Egli così procurò spiegare il movimento annuale e diurno dei pianeti come risultato del- l’azione elettrodinamica del sole. Il signor Trouvelot alla sua volta ha procurato con varie esperienze dimostrare che i fenomeni che si os- servano sulla faccia del sole sono esclusivamente di origine elettrica. Entrambi tendono a sostituire alla gravitazione universale la forza elet- trodinamica solare, sulla quale trovano la ragione di tutti i movimenti degli astri. Questa parmi un’esagerazione; il paragone non è ragione. Però entro limiti più ristretti, quali ho sopra accennato, parmi debba riconoscersi e studiarsi maggiormente che non si è fatto fin’ora l’azione elettrodinamica e elettromagnetica (che di quelle è risultante) del nostro sistema solare. Perché la luna manca di atmosfera. Una questione che è stata molto discussa dagli astronomi, la quale non è stata ancora affatto risoluta, è la causa che determinò l’assenza di un’atmosfera nella luna. Nissuno mette in dubbio come che il nostro satellite ebbe origine appunto dalla terra e che quindi le parti che lo constituirono sono simili a quelle del nostro pianeta. Variano le ipo- tesi, ma in ciò si è ormai tutti di accordo. Or dunque come mai può accadere che mentre la nostra terra è LOSE di acqua e di aria, quella invece ne faccia difetto ? Nissuna ipotesi, nissuna congettura seria e attendibile si è fatta su tale importantissimo argomento. Recentissimamente il signor A. Ball di New-York espose nella rivista Science un’ ipotesi che è stata lodata dall’ autorevole rivista la Nature di Parigi e da altri periodici, nella quale egli cerca dimostrare che la ragione di tal fenomeno dee ricer- 42 166 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI carsi nella forza primitiva molecolare dei gas. Infatti recenti studi hanno provato che le molecole dei gas sono dotate da rapidissimo ver- tiginoso movimento. Or egli dice , se supponghiamo che i gas, nello sprigionarsi, abbiano una velocità iniziale di 1600 metri il minuto, la forza attrattiva della luna non sarà più atta a trattenerli e sfuggiranno essi nello spazio. Devo confessare che tale teoria non mi persude punto. To non trovo infatti alcuna ragione plausibile, perchè la loro velocità debba superare tale limite, e dato che ciò possa avverarsi in taluni casi, ripugna assolutamente supporre che tutti i gas si trovino in tali speciali condizioni. Invece la spiegazione che io sono per darne mi pare la più facile, la più semplice e verosimile. Io sono di opinione che I epoca della formazione della luna debba rimontare al periodo in cui pel raffreddamento esterno e pel conden- . samento interno, la divisione (ossia l’espulsione) dei gas del nodulo in- terno era già accaduta, l'ossigeno e l’idrogeno doveano avviluppare lo sferoide terrestre in sran parte già combinati e quindi formanti im- mense ondate di vapore acqueo, circolanti attorno allo sferoide. Addip- più bisogna ammettere che allora necessariamente il diametro dello sferoide dovea essere senza confronto maggiore dell’attuale. perchè an- cora non era accaduta la contrazione di esso. Ora supponghiamo che in tale stato sia accaduto il distacco di una porzione dello strato esterno, in un modo molto simile a quello che ho descritto superiormente par- lando della formazione del nostro sistema planetario, è chiaro che nella parte resa libera VE FCHL (fig. 34) doveano predominare i gas e i vapori acquei. Se non che contraendosi tale porzione su se stessa, siccome la parte limitrofa allo sferoide cioè più vicina al limite HK LV doveaessere ad altissima temperatura, l’elissoide che ne venia ad essere originato, dovea subire una dilatazione o per meglio dire una espansione, perchè i gas e il vapore acqueo che lo avvolgeano, dovet- tero certo tendere ad allontanarsi dal nodulo incandescente del satel- lite. Così vennero di nuovo a rientrare nella zona influenzata dallo sferoide terrestre e tutti i gas e i vapori si dovettero rovesciare di nuovo sullo sferoide terrestre. Tale fatto è accennato dalla figura 38 in cui A BC indica il grande sferoide terrestre, L V il nodulo incandescente della luna, P O R N M tutto intiero lo sferoide lunare. Si vede chiaramente che la porzione PO R rientrando entro il limite della influenza della terra, dovette essere ab- bandonata ad essa e così, continuando a roteare, dovea essere abbando- nato tutto il resto dell’inviluppo, restando solo il nodulo LU indipendente. In tal modo è spiegato perfettamente e chiaramente il fatto dell'assenza FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 167 dell’acqua e dell’atmosfera della luna. È pure anche data una ragione della forma stessa superficiale della crosta lunare, la quale dovette subire una contrazione e un raffreddamento più rapido e violento di quello della terra. Di seguito lo sferoide terrestre andò contraendosi sino ad assumere il volume attuale, mentre lo sferoide lunare potrebbe darsi che, per le ragioni accennate precedentemente, se ne sia alquanto al- lontanato. Secondo la teoria da me esposta, gran parte dell’atmosfera ce dell’acqua avviluppante la terra dovette precedentemente avviluppare la luna, ciò però durante brevissimo tempo, dopo il quale si dovette riprecipitare sulla sferoide terrestre. 23 A È LL OA TETI NANI SULLA CAUSA DEL RAFFREDDAMENTO DELLA TERRA DURANTE IL QUATERNARIO Una delle questioni più importanti che si agitano in geologia è la causa del forte abbassamento di temperatura durante l’epoca glaciale. Or essendo tale questione intimamente connessa ai fatti astronomici, che si svolsero nell’ ultimo periodo che attraversò il nostro globo, non è fuori luogo, che dopo di avere esposte le mie opinioni intorno alla ge- nesì del.,nostro sistema planetario, dica anche qui due parole intorno a tale importante argomento. È Durante il periodo che seguì il pliocene e che precesse 1’ epoca at- tuale cioè la storica, la nostra terra fu infatti teatro di grandi cata- clismi : vaste estensioni di terra emersero, altre si sprofondarono; parea per così dire che gli elementi tutti sviluppassero tutta quanta la loro energia e che la terra, prima di assumere un’aspetto relativamente sta- bile e un assetto quasi definitivo, fosse in preda agli ultimi parossismi di energia modificatrice della sua superficie. Molti geologi ascrivono all’epoca quaternaria ossia postpliocenica la grande erosione o forma- zione delle valli. Ciò è evidentemente esagerato : la formazione delle valli attuali in buona parte rimonta a un’epoca molto più antica o per meglio dire a varie epoche l’una dall’altra diversa. Però un buon numero delle nostre valli ripetono la loro origine ossia la loro configurazione da un’epoca non molto anteriore al quaternario. Ciò che maggiormente caratterizza il detto periodo è la grande abbondanza delle piogge e il forte abbassamento di temperatura, a causa del quale i ghiacci assun- 45 170 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI sero un’ estensione immensamente superiore all’attuale. L’aria dovea essere molto carica di umidità per determinare un tale sviluppo di ve- getazione che offriva ricco mangime e dei grandi pachidermi erbivori. Se volessi anche sommariamente accennare i fatti che si seguirono du- rante questo periodo, le molteplici divisioni proposte dagli autori e le principali stratificazioni delle rocce dei vari paesi, occorrerebbe che io scrivessi un enorme volume. Bastami così a vol di uccello citare l'opinione del signor E. Mayer, il quale, esaminando le vicende della terra che se- guirono l’Astiano, riconosce due periodi: 1.l’Arnusiano (a Cromerino ossia epoca glaciale con Elephas meridionalis ossia pleistocene;b Durntenino ossia epoca interglaciale o postpliocene inferiore a Megaceros hibernicus), 2. il Sahariano (a Auchelino ossia seconda epoca glaciale, diluvio, o post- pliocene superiore ; 5 epoca attuale). Egli crede che ogni piano corri- sponda ai periodi di 21 a 26 mila anni, e ogni sottopiano a mezzo periodo. Per citare il risultato di studi fatti da ben diverse persone e in terreni immensamente lontani, ricordo la classificazione proposta nel 1891 dal sottocomitato americano al congresso di Londra. Sarebbero cinque di- visioni: 1. Prima epoca glaciale; 2. epoca interglaciale; 3. ultima epoca glaciale; 4. Formazione di Champlain; 5. epoca delle terrazze (seconda epoca glaciale). Se diamo uno sguardo ai depositi postpliocenici ossia quaternari di Sicilia, troviamo che essi hanno uno sviluppo e una potenza. estraor- dinaria. Sono enormi banchi dì calcare detritico conchigliare, inteso anco col nome di tufo calcare, che passa all’argilla e alla arenaria e contiene una fauna estraordinariamente ricca, tutta di carattere artico. Molte specie vivono ancora nel Mediterraneo, molte si trovano solo nei mari del Nord e soprattutto in quello della Norvegia. Tale formazione do- vette avere una lunghissima durata e precedere i depositi preistorici delle grotte ossifere littorali. Essa segui il pliocene astiano, con il quale non è assolutamente a confondersi. Intorno a tale formazione ho esposto le mie opinioni nel mio libro Intorno un deposito di roditori e di carnivori, nel quale ho anche proposto di denominare col nome di Frigidiano il quaternario freddo. È ormai incontestato che resti umani sì son trovati negli strati deposti durante quest’ultimo, per citare un esempio ricorderò i depositi di Schussenried e di Atch illustrati da Fraas l’esame dei quali prova irrefragrabilmente la coesistenza dell’uomo con l’Elephas primigenius, con l’Ursus spelaus, col Rhinoceros tichorinus, l’Hippopotamus major, la Hyaena spelaea ete. Anche in Sicilia io ho notato dei fatti tendenti a constatare la esistenza dell’uomo all’ epoca delle deposizioni del calcare frigidiano. FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 171 Ma non è qui il caso di dilungarmi su tal soggetto. Io solo mi limito ‘a dire che durante il quaternario, e sovrattutto durante il quaternario antico, la temperatura della terra era assai più bassa che adesso, e che le piogge erano senza confronto più copiose e l’aria umida. Tali fenomeni dovettero subire delle vicissitudini; infatti qui in Europa, spe- cialmente in Francia, sembra che all’epoca di grande umidità sia suc- cessa un’epoca di grande freddo secco, durante la quale la renna rag- giunse il massimo sviluppo e diffusione. Quindi questa andò ritirandosi ‘verso i paesi nordici, in modo che nei depositi del litorale del Baltico la si trova nel quaternario superiore. Sino a pochi anni addietro si ritenea che causa del raffreddamento del nostro esmisfero durante il quaternario fosse l’invasione del Sahara, ossia l’ occupazione del mare di una gran parte dell’ Africa. Però gli studi del signor G. Rolland (1891 MHist. géolog. du Sahara, p. 375) hanno ‘dimostrato che l’ipotesi di un gran mare sahariano durante il quater- nario deve scartarsi. Del resto anche ammesso che durante tal periodo fosse il Sahara sommerso come si potrebbero spiegare così i fenomeni glaciali dell’ altro emisfero ? Se poi è controversa, anzi pare inammis- sibile l'ipotesi di un grande mare sahariano, è però fuori di dubbio ‘che durante tal periodo una quantità enorme di pioggia si rovesciò sul Sahara. Gli studi del signor Langley in California tendono a farci ri- conoscere nel raffreddamento avvenuto nella prima fase del quaternario non un effetto di modificazioni geografiche locali, ma un effetto di una ‘causa unica generale. Egli crede di ritrovarla nell’ ispessimento della fotosfera solare. Con il calcolo egli ba dimostrato che se la detta atmo- sfera si riducesse a ‘/, la temperatura dell’ Inghilterra diventerebbe maggiore di quella dell’equatore, e se invece diventasse 4/, più densa ‘che attualmente, il clima d’Inghilterra diventerebbe affatto polare. Taluni illustri autori della scuola attualistica ritengono che la causa ‘del raffreddamento della terra si debba ricercare in una grande diversità di configurazione orografica dei continenti. Certo, delle grandi correnti, quali quella attuale del Gulf-stream, dif- ferentemente disposte e invadenti parte delle regioni ora emerse po- terono influire non poco a modificare i climi, e di tale parere è l’il- lustre signor Lapparent. Ma io non credo ciò sufficiente per spiegare il grande abbassamento di temperatura, tanto più che se buona parte delle terre ora emerse era allora sotto il dominio delle acque, già fin d’allora i nostri continenti cominciavano a disegnarsi e nell’ultima fase «del quaternario già aveano raggiunto la configurazione attuale. Eppure la fauna e la vegetazione erano ancora abbastanza diverse delle nostre. 172 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Molti insigni autori hanno tenuto conto della precessione degli equi- nozi, per cui coincidendo il perielio e l’afelio col solstizio d’ inverno ogni 10 0 11 mila anni vengono a prodursi delle alternative di freddo. e di caldo. Colui che ha svolto meglio degli altri tale teoria è il signor Adhemar. Egli calcola che coincidendo l’afelio con l'inverno ogni un- dici mila anni si produrrebbe una tale enorme quantità di ghiaccio al polo da determinare un’attrazione sulla massa oceanica. Secondo il ri- sultato dello studio di molti astronomi l’ eccentricità dell’ orbita che è- ora di i/;,, può divenire nulla e gradatamente elevarsi fino 1/,,,;. Ora con ciò la differenza tra l’afelio e il perielio, che attualmente è di 5 milioni di chilometri, si ridurrebbe a 26 milioni. Ora suppo- nendo che la terra si trovi in tali condizioni, avverrà che nell’inverno si raffreddi enormemente e in està si riscaldi pure di molto; però, sic- come i vapori sospesi nell’atmosfera durante 1’ està impediscono alla terra di assorbire tutta la quantità di calorico necessaria a fondere tutte quante le nevi cadute nell'inverno, avverrebbe che la terra an- drebbe sempre più raffreddandosi. Tale teoria fu svolta splendidamente - dal signor Croll ed ha avuto molti seguaci e molto favore. ' Recentissimamente fu ripresa dal signor R. Ball, il quale corresse. un errore sfuggito ad Herscell e non avvertito dal signor Croll. Egli ne viene a conchiudere che i limiti della distribuzione delle stagioni (tenuto conto della variazione dell’ eccentricità che dà una differenza di 53 giorni) sono : di un anno composto di 199 giorni di està e 166- d’inverno, e uno di 166 giorni di està e 199 d’inverno. Naturalmente, quando l'inverno raggiungerà la durata di 199 giorni sarà l'epoca in cui la terra avrà un clima glaciale e quello in cui l’està sarà di 199 giorni, la terra avrà un clima infocato. Certo tale teoria è una delle meglio concepite e più attendibili, però non risponde pienamente al nostro quesito : 1. perchè tale alternanza dovrebbe essere anche accaduta in tutti gli altri periodi geologici, lo che non si è affatto constatato; 2. per- chè i cambiamenti di temperatura dovrebbero succedersi lentissima- mente, mentre che al contrario abbiamo delle prove, che ci dimo- strano che il periodo glaciale s’iniziò bruscamente. Per citare un esempio ricorderò l’immensa quantità di resti di mammouth (elephas primige- ‘nius) che si trova in Siberia. Pare evidentemente , secondo osserva Howorth, che il clima della Siberia fosse dapprima umido e che essa fosse coverta di ricca vegetazione. Quando sopravvenne il forte raf- freddamento, che produsse la morte d’innumerevoli Elephas primige- nius e Rhinoceros tichorinus, di cui una parte emigrò verso l'Europa. È ben noto come varie volte si sono trovate in mezzo al ghiaccio degli FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 175 individui di Elephas anche con la carne, e sinanco taluni in posizione verticale cioè in piedi; il qual fatto dimostra come il freddo dovette subitamente invadere quelle regioni e determinare il congelamento su- bitaneo delle paludi. Addippiù il passaggio dell’epoca delle grandi pre- cipitazioni atmosferiche all’ epoca secca cioè a quella della renna do- vette pure accadere subitaneamente, se no, come osserva il signor Bel- grand, i grandi fiumi avrebbero deposto sopra i vasti strati di ciottoli altri strati di limo e di fango; mentre che anche dalle osservazioni del signor Lapparent risulta che tali grandi fiumi furono disseccati di tratto. Un'altra opinione, sostenuta però da pochi, è che sia avvenuto uno spostamento nell’ asse di rotazione della terra. Ciò però non è affatto accettabile, perchè criteri astronomici e geologici ci distolgono affatto dall’ammetterlo. Del. resto, come ha osservato il celebre Dana in Ame- rica. lo studio delle formazioni quaternarie ci dimostra che i fenomeni accaduti durante tale epoca erano una grande esagerazione di quelli attuali e che i centri, ove ora cadono in America le piogge più abbon- danti, erano allora i grandi centri di dispersione dei ghiacci e di grandi precipitazioni atmosferiche; le regioni ove ora piove meno di tutte le altre, erano allora i siti ove non arrivavano i ghiacci, come ne fa fede l’assenza dei massi erratici. Premesse tali considerazioni e osservazioni, dirò brevemente la mia opinione, la quale del resto si può facilmente indovinare da quanto ho detto. -Io ritengo che, come bisogna ricercare nelle vicissitudini astro- nomiche e precipuamente solari, la causa modificatrice delle condizioni climateriche della terra attraverso le grandi epoche geologiche, così anche bisogna ricercare nelle variazioni della intensità calorifica solare la causa precipua del raffreddamento durante il quaternario. Tale idea suscita certo delle forti obbiezioni, sì perchè non si può comprendere come ciò sia avvenuto, sì perchè non si può rendersi ragione dei bru- schi passaggi di temperatura, che, come ho detto, molte osservazioni tendono a provare. La spiegazione che io propongo mi pare la più fa- cile, la più verosimile, la più consona alla teoria precedentemente svolta. Essa è la seguente: cioè che prima della individualizzazione di una parte del nodulo della nebulosa, ossia prima dello strappo alla stessa, determinatosi nel modo come ho di sopra descritto nel precedente capitolo, debba essere accaduto con probabilità un abbassamento di tem- peratura nei pianeti. Infatti, la sostanza che resta nello spazio indipen- dente del nodulo solare e fluttuante, prima di contrarsi in un corpo plane- tario definito, per quanto rarefatta, deve formare una specie di schermo ai raggi solari. Che se ciò potè non verificarsi nella formazione dei pia- dl 174 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI neti maggiori, accadendo forse la contrazione e formazione di essi ra- pidamente, non dovette certo avvenire così quando la parte isolata fu di molto minore massa e minore densità. Devo anzi aggiungere a tal ri- guardo che le materie slanciate dalle veementi esplosioni del sole, pos- sono benissimo avere influito ad aumentare gli strascichi di sostanze isolate e restate fluttuanti attorno al sole. Ma mi nasce qui naturale la domanda : quali corpi poterono avere origine durante il quaternario? Il pianeta conosciuto più vicino al sole è Mercurio. Però la distanza di esso dal sole pare sia troppo grande per poter avere avuto origine così di recente, quindi bisogna ricercarli altrove, tranne, che per l’azione contriccante delle maree, la quale in Mercurio dee esser di certo molto ragguardevole (per un processo analogo a quello descritto da Darwin per la luna) si fosse allontanato. Io ritengo che Mercurio dovette esser formato durante il terziario e piuttosto prima ancora di questo. Però è molto probabile: che tra Mercurio e il sole esista un anello di aste- roidi simili a quello che si trova tra Marte e Giove e di tale opinione è il sommo Delunay. Fu il celebre Le Verrier, che primo sospettò la presenza di un pianeta interposto tra il sole e Mercurio e ciò a causa delle perturbazioni di quest’ultimo ; egli anzi lo avea chiamato Vulcano. Questo parve fosse stato constatato da Lescarbault: ma ciò fu poi smentito. D’ allora in poi a molti osservatori (non astronomi ) parve di riconoscere il nuovo pianeta; però da nessuno astronomo è stato segnalato: quindi le loro non dovettero essere che illusioni di ine- sperti. Certo, a causa della grande vicinanza del sole riuscirebbe molto difficile lo scoprirlo. Ma perchè sfugga. all’ osservatore che guarda il disco solare (dinanti al quale dovrebbe, come osserva Newcomb, pas- sare di sovente) e perchè non si lasci vedere neppure durante gli ec- clissi, deve supporsi che sia di molto piccola dimensione. Però d’altro canto abbiamo che per giustificare le irregolarità di Mercurio, bisogna, come dice il prelodato autore, supporre che abbia una massa tripla di Mercurio, dunque si cade in contradizione. Egli viene quindi alla sup- posizione che la massa determinante tale fenomeno sia la stessa che determina la luce zodiacale, anzi che è da questa rappresentata (lo spettro di essa fu studiato da Angstròm, Vogel e Arth W. Wright). Ad ogni modo ciò è fuori della nostra questione; tanto più che se per spie- gare le perturbazioni di Mercurio, occorre supporre una massa tripla di esso, per spiegare l’indebolimento dell’azione calorifica solare basta supporre una massa minore, fluttuante e rarefatta. Essa potè benissimo contrarsi in asteroidi, i quali atteso la loro piccolezza e la vicinanza del sole sfuggono anche ai potenti telescopi, potè anche rimanere non FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 175 «condensata e potè anche forse diffondersi dando origine alla stessa luce zodiacale. Io però credo più verosimile la prima ipotesi. Devo in ultimo ricordare quanto ho accennato nei precedenti para- grafi, cioè che è probabile che l’azione elettrodinamica del sole, influen- zata dalle vicissitudini dei fatti che si succedevano in esso e nello spazio (cioè tanto dal turbinio e dal tumulto della fotosfera, quanto dalle ma- terie diffuse attorno al sole e a distanza da esso prima di raggrupparsi e contrarsi in asteroidi), abbia potuto determinare, dei grandi cicloni, delle grandi perturbazioni sul nostro globo, in una proporzione assai maggiore che attualmente, e contribuire non poco a modificare il clima ed il regime terrestre. Infatti io non credo punto che il solo raffreddamento possa avere de- terminato tanta precipitazione di pioggia, la quale accusa evidentemente una continua e tumultuosa rinnovazione dell’ atmosfera determinante da un lato una grande evaporazione dell’acqua del mare e dall’ altro l’incontro dell’aria umida e temperata con l’aria gelata dei continenti. DR \SAAZAZAAIZZEZZAZZSESSALELIIESSNI RARI MERAMENTE RINRIIAIANAAAINAM RIMARRA SUL CONTENUTO DELLO SPAZIO È SULLA CAUSA DELLA GRAVITAZIONE TETI Uno dei problemi, che maggiormente si sono discussi nel campo astronomico e cosmogonico , è quello che riguarda il contenuto dello spazio interplanetario e interstellare. Però la maggior parte degli astronomi più autorevoli è di accordo nel reputare assolutamente inverosimile, anzi impossibile, che lo spazio contenga della materia. Tutti concordano che in esso non esista affatto nè alcun fluido ponderabile, nè alcun gas per quanto rarefatto che sia. Ciò è stato specialmente provato in modo splendido dal signor Airn (1889, Constitution de l’Espace Celeste, Acc. R. Se. Lett.). Il risultato finale del cui studio è stato espresso da lui nella seguente proposizione : « L’analyse scrupuleuse des faits, les plus divers, dévoilés aujourd’hui par la science, permet de répondre par la négation la plus absolue à la première question : ce n’est point de la matérie diffuse qui remplit l’espace et qui établit les relations entre les corps célestes. » Però d’altro canto è evidente che qualche cosa d’ intermediario fra gli astri deve sussistere. Infatti altrimenti sarebbe impossibile spiegare le loro mutue azioni : la gravitazione , il calore e la luce. Il celebre Newton, parlando della gravitazione, dice : « Sostenere che è dessa inerente e essenziale alla materia in modo che un corpo possa agire su un altro a distanza attraverso il vuoto, senza qualcosa d’intermedio che determini o trasporti questa azione reciproca, mi sembra un’assurdità tale, che per cadervi bisogna essere inatti a qualunque discussione filosofica. » 45 175 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Studiando i fenomeni pertinenti a questo campo così vasto e ancora incerto, sono venuto a formarmi un concetto molto verosimile e molto soddisfacente sulla grande legge, onde la materia è governata. Certo, non posso non essere alquanto esitante, perchè soggetto precipuo dei miei studi e dirò anzi della mia vita non è stata punto la astronomia, né la cosmogonia (di cui essa fa parte); esitante anche per questo ri- guardo, che il risultato ultimo delle mie investigazioni, se non discorda del tutto da quello di sommi uomini, che vi hanno dedicato lunghi anni di lavoro, ha però una forma e una fisonomia affatto nuova e sup- pone delle leggi finora ignote. Mi conforta però la convinzione che il sistema da me proposto mi ingenera; e il pensiero che quando un’ipo- tesi riesce a spiegare molti disparati fenomeni nelle loro fasi e nei loro effetti, si è quasi sicuri che quell’ipotesi entra nel dominio della verità, o ne è discosta ben poco. Il contenuto degli spazi interstellari e interplanetari parmi preferi- bile indicarlo con l'antico nome di etere : nome per verità troppo vago e inderterminato ma generalmente noto e ammesso da quasi tutti gli .scienziati. Se si dovesse cambiarlo, io preferirei quello di « Fluido co- smico » anzichè di Elemento dinamico (élément dynamique) proposto dal signor Hirn, tanto più che, secondo io stimo, tale fluido non è punto limitato agli spazi interstellari, ma invade ovunque la materia ed entra essenzialmente nella sua costituzione; nè vale il dire che la parola fluido suppone qualcosa di materiale, perchè tale parola è stata adottata da lungo tempo in fisica, tanto per l’elettricità che pel magnetismo; onde, anche posto che nè l’una nè l’altro possano dirsi tali e che altro non sieno che vibrazioni o manifestazioni dell’etere stesso, ciò non toglie che alla parola fluido si sia dato un significato diverso di quello che pe- dantemente gli si ascrive. Ora. per intendere meglio il mio concetto, uopo è che io dica due parole riguardo alla gravitazione, perchè io sono di opinione che essa esclusivamente dall’etere dipenda e che bisogni riformare le idee at- tualmente vigenti sulla sua natura, e che non si possa formarsi una idea dell’etere senza riconoscere in essa la più importante sua mani- festazione. Dire che la materia attrae la materia è facile cosa, ma indagarne la causa è ben diverso. Sono io convinto che la materia è affatto passiva e che a rigore non si possa punto dire che essa attrae sè stessa, perchè attrazione vera non ne, esiste e i fenomeni che le si attribuiscono sono invece a riguardarsi come un effetto della tensione dell’etere. Del resto, anche considerando quest’ultimo come agente intermedia- FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 179 rio tra i corpi, come mai si può concepire che esso trasmetta l’azione attrattiva dall’uno all’altro, sia in remote discoste regioni, sia anche in sito a quello vicino ? î Non è cosa agevole formarsi un'idea dell’etere, perchè non si appa- lesa ai nostri sensi : difficilmente ci è dato di concepire un elemento di così estrema rarefazione che ad essi sfugga, un elemento affatto invi- sibile e che non mostri alcun peso, un elemento chè passi liberamente attraverso i corpi non esistendo alcuna sostanza impervia ad esso. La presenza dell’ etere la s’indovina per le sue manifestazioni. È or- mai cosa nota e sicura che la luce non è che un effetto della vibra- zione di esso; il calorico , l’ elettricità , il magnetismo sono pure con ogni probabilità sue manifestazioni. Se, come i calcoli astronomici evi- dentemente dimostrano, gli astri nel roteare non incontrano alcuna re- sistenza, parmi non si possa spiegarlo altrimenti che col fatto sopra ci- ‘tato, cioè che essi non offrano alcun ostacolo al passaggio dell’ etere traverso sè stessi. Lasciando in bianco la questione se la natura della materia sia o no simile a quella dell’ etere e derivi da un suo condensamento e che l’etere non sia che la materia stessa allo stato di estrema rarefazione, lo che è forse è il più probabile, esaminiamo come possa esso produrre gli effetti stessi della gravitazione tra un corpo e l’altro. Per potere formarci un’idea più esatta dell’azione che esercita sui corpi cioè sulla materia in esso sospesa, alla stessa guisa che esaminando le vibrazioni e il riflettersi della luce, come mezzo di paragone che ci aiuti .-a farci un concetto più palese di tali fenomeni, ci serviamo dell’esame dei fenomeni delle vibrazioni e delle riflessioni delle onde acustiche, mi è utile considerare l’etere come un gas estremamente sottile, e gio- vami ricordare i fenomeni di assorbimento che sopportano i metalli allo stato incandescente, di cui ho già parlato nel paragrafo sulle eru- zioni. laviche. Ricorderò pure il fatto che la spugna di platino ha la proprietà di assorbire una grande quantità d’idrogeno. In simil guisa dobbiamo concepire la materia come capace di assorbire una quantità considerevole di etere e renderlo latente. È superfluo ricordare come fenomeni analoghi si hanno con il calorico, il quale è reso latente dai corpi variando di stato, e con l'elettricità, la quale si manifesta nella composizione e decomposizione dei corpi. L’etere occupa lo spazio in uno stato di tensione ed è appunto tale tensione che determina il fe- nomeno della gravitazione. Infatti, come ho detto, la materia tende a con- densare l’etere e saturandosene a diminuirne la tensione. Se suppon- .ghiamo un corpo, ossia un agglomeramento di materia, nello spazio, esso 180 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI sopporterà attorno una pressione prodotta dalla tensione dell’etere; tale- tensione non agirà sulla materia di esso, cioè non tenderà a diminuirne- il volume, ma solo forse tenderà a comprimere l’ etere che esso con- tiene. Ora ci ho validissime ragioni per credere che, sia.per la vibra- zione molecolare c atomica della materia che forse ne è il risultato, sia per altra ragione, la tensione dell’etere dentro lo spazio occupato dal corpo è affievolita o smorzata e ciò. proporzionatamente alla quan- tità di etere che è latente nella materia, ossia proporzionatamente alla attività molecolare, ossia più chiaramente alla sua densità, che ne è la manifestazione. È per tale ragione che il copo tenderà evidentemente ad assumere una forma sferica senza però esser sollecitato da alcun movimento dal- l’uno o dall’altro lato. Se però supponghiamo il caso di due corpi A, B (tav. 4, fig. 39) di prospetto l’uno all’altro, avverrà che essi tenderanno inevitabilmente a ravvicinarsi: imperocchè esercitando ciascuno di essi un’azione attrattiva condensatrice dell’etere da cui è circondato, ossia esercitando un’azione riduttrice della sua tensione, accadrà che le forze C+ F saranno maggiori di D+ E. Ora tale differenza risulterà evi- dentemente proporzionale alla quantità di etere latente ossia alla massa dei dati corpi. Infatti le forze C+ F tenderanno a fare ravvicinare i due corpi, le forze D-+ E tenderanno a farli disgiungere; la forza D è mi- nore di F essendo uguale-a F —B, perchè sarà la stessa forza F dimi- nuita della reazione del corpo B. Così la forza E è minore di C perchè uguale a C—A,, indicando nello stesso modo con A, la reazione del corpo A. Quindi le forze tendenti a far congiungere A e B saranno C+ F e quelle che tenderanno a farle disgiungere C--F — (A,--B,); dunque è per tale differenza che i due corpi saranno costretti ad avvicinarsi l’uno all’altro. E generalizzando, cioè raffigurando con tali lettere tutto l'insieme delle tensioni laterali, si avrà che la forza, che tenderà a fare ravvicinare fra loro A e B, sarà A,-+ B, cioè la forza di condensazione prodotta dalla materia ossia della massa di A-+-B sull’etere, ossia la forza che tende ad assorbirlo o per dir meglio a renderlo latente, o più ve- rosimilmente a trasformare la tensione in vibrazione molecolare. Così il peso di entrambi i corpi risulta precisamente quale una manifesta- zione di tale fenomeno, perchè ogni quantità di materia esercita una azione inversa della tensione, ossia una tensione verso l’interno di sè: stessa, per così dire una intratensione. Tale fenomeno, invece che con un assorbimento, si potrebbe forse an- che spiegare per mezzo di una vibrazione rotatoria molecolare; a tal uopo potrebbe congetturarsi che l’etere si trovi in una continua spe- _ (0 0) = FISICI E METEREOLOGICI, ECO. ciale vibrazione determinante la tensione e che tale vibrazione sia dimi- nuita pel passaggio attraverso gli interstizi molecolari della materia. Si potrebbe invece supporre il contrario, lo che certo sarebbe più ve- rosimile, cioè che tale fenomeno fosse causato dalle vibrazioni degli atomi di cui la materia è composta e che la tensione dell’etere esterna si trasformi nella vibrazione molecolare dei corpi; tale opinione parmi più probabile. Un'altra questione insorge : è l’etere anch’esso formato di atomi ? La risposta mi pare pienamente negativa ed io credo che appunto in ciò si distingua dalla materia. Un'altra questione è la seguente : se esso passa liberamente attra- verso alla materia dei corpi, in modo che non offre alcuna resistenza al roteare degli astri, come avviene poi che determini un’azione così valevole sulla materia stessa da dare origine alla gravitazione ? La ra- gione la ho già detto : esso non agisce punto sulla materia per così dire visibile, ma sull’ etere latente di essa, ossia sul movimento vibratorio molecolare, in modo analogo a quello del magnetismo che determina un’azione materiale sui corpi. Del resto, io non voglio addentrarmi in tali importantissime questioni, perchè non ho elementi necessari e dovrei contentarmi di vagare in ipotesi e congetture più o meno attendibili. Mi basta avere accennato nell’insieme questa nuova teoria, che nello stato attuale delle nostre conoscenze, mi pare la più verosimile, come quella che sola dà una ragione plausibile della grande legge della gravitazione universale. ALPE 46 CONCLUSIONE Come ho detto nella prefazione, in questo libro ho trattato di argo- menti molto vari, taluni dei quali di altissima importanza e non poi così «disparati quanto all’apparenza si mostrano. Pare quasi strano e assurdo che in un lavoro, in cui si tratti dell’azione molecolare dei liquidi, si discuta intorno ai più vasti problemi che attualmente si dibattono nel campo scientifico. Ma nello studio e nella ricerca delle verità non vi ‘sono gradazioni di sorta : un piccolo fenomeno, apparentemente trascu- rabile, può benissimo avere un’importanza non impari a quella di un altro fenomeno di assai più vaste proporzioni. Del resto, questo libro è una specie di miscellanea, in cui ho con- «densato molte scoverte che io ho fatto, molte verità che ho intravvisto, molte nuove concezioni che ho immaginato , molte osservazioni e ri- flessioni che ho ponderatamente elaborato si nel campo fisico che co- «smogonico. Dedicato da lunghi anni alla pateontologia, non ho saputo rimanere indifferente ai grandi nuovi ritrovati scientifici. Il risultato più splendido della scienza moderna è senza dubbio, a mio credere, la suprema sintesi dei fenomeni. La grande legge della trasformazione del moto in calore, delle vibrazioni in luce, in elettri- cità, in magnetismo, la legge dell’atomicità dei corpi, sono le più potenti scoverte dell’ingegno umano. Quella dell’ugualtà della velocità di tra- smissione della forza elettrodinamica e della luce (intorno a cui prima il signor Maxwell, poi il signor Hertz e testè i signori Sarasin e De la Rive hanno eseguito meravigliose esperienze) tende pure a sempli- ficare i grandiosi fenomesi fisici. Una grande verità s’intravede a lampi, sempre più nitida e fulgente. La scienza va a poco a poco squarciando, i veli nebbiosi di una grande figura ammaliante, sublime. Non se ne ha ancora un concetto rigorosamente esatto, vi sono delle parti ancora indecise e nebulose; ma la mente umana già ne ricostruisce e indovina i contorni. Vi sono ragioni per credere che tutti i fenomeni 184 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI debbano considerarsi come manifestazioni diverse della materia, altre. ragioni e forse più valide come manifestazioni dell’etere, ossia del fluido cosmico. Nel paragrafo precedente io ho messo anche la mia pietra su tale edifizio, cercando di dimostrare come la gravitazione non debba considerarsi che quale naturale manifestazione di quest’ultimo. Certo, la scienza moderna ha fatto dei progressi inconcepibili : con portentosi strumenti è riuscita a sollevarsi aimmense altezze, a guardare da vicino negli abissi siderei, esaminare nitidamente la meccanica dei mo- vimenti, classificando i vari sistemi stellari e per meglio dire i vari si- stemi mondiali, e penetrando nelle nebulose è riuscita a seguirne o per meglio dire indovinarne le varie fasi e il vario svolgimento; con altri strumenti non meno preziosi si è sprofondata nello studio dell’immen- samente piccolo, ove incalcolabili tesori di verità, meravigliose bellezze ha scoverto nell’intima compagine dei corpi organici e inorganici, nello sviluppo embrionogenico degli esseri, nella molteplicità e inenarrabile varietà dei più piccoli microrganismi e nello studio della loro prepon- derante influenza nello svolgimento della vita organica. Tre scienze sussidiarie apportano altri lumi e dànno altri strappi alle bende che nascondono ancora in parte la verità delle cose. E la spettroscopia che rivela la costituzione degli astri più remoti. È la termodinamica che studia e valuta la gran forza calorifica solare, la genesi di essa, la per- dita subita durante il lasso dei tempi andati, quella che attualmente sopporta e la sua durata. È la paleontologia che ricostituisce la grande: storia della vita organica vegetale e animale, che si è svolta sulla su- perficie della terra dal principio sino ai giorni nostri, le varie vicis- situdini climateriche così assolutamente dissimili delle attuali. L’immensità stupefaciente dell’universo, in mezzo alla quale la nostra terra dispare come una goccia di acqua nell’ oceano, lascia la mente compresa di un profondo sbalordimento. Sarebbe un vero e completo annientamento, se non sorgesse consolatore il pensiero che, dopo tutto, la nostra mente non debba essere così tapina e pigmea, se arriva anche confusamente a concepire tanta immensità. Come ho detto, la grande evoluzione scientifica del nostro secolo. tende più a semplificare le cause dei fenomeni che a renderle più complesse. Questi formano una grande rete, di cui lo scienziato va rin- tracciando il bandolo per districarla. Ora nelle religioni di tutti i tempi, dalla causa di qualsiasi fenomeno, a prima vista inintelligibile, si ri- sale subito alla potenza creatrice. Ciò è cosa utile pei popolo, che trova. così un mezzo di appagamento e una prova della fede. Ché , se un giorno sarà condotto a dare una interpetrazione diversa allo stesso fe- FISICI E METEREOLOGICI, ECC. 185 nomeno, essa non avrà a soffrirne per questo, perocchè avrà già fatto presa nell’animo suo. ‘ A taluno può parere che certi problemi cosmogonici si colleghino strettamente alle questioni fondamentali della fede. Autori eminenti, quali Kant, Faye, Wolf se ne sono contemporaneamente occupati. To invece credo che la religione sia cosa affatto estranea alla scienza. Le religioni si connettono al campo morale e idealé e a quello del sen- ‘timento e sono da considerarsi come inerenti all’umanità stessa, essendo o dovendo essere la sua più alta manifestazione. L’istinto della pietà e della fede è provvidenzialmente insito alla natura umana e, ben col- tivato, può rendere dei vantaggi immensi all’umanità, lenendone i do- lori, allietandola con la speranza del futuro, ammonendola soavemente verso la rettitudine, l’onestà, ispirandole la fiamma vivificatrice del re- ciproco amore. E La scienza non dà alcuna prova dell’esistenza di Dio, trannè che di- svela l’immensa grandezza e armonia dell’universo, ammirando la quale lo scienziato tende a formarsi un’idea di Dio molto diversa, anzi as- solutamente diversa di quella di un umile e semplice credente. Certo che scientificamente si ammette (nè alcuno può più discutere) la esi- stenza di un elemento imponderabile, quale si è l’etere, ossia il fluido . cosmico che passa attraverso tutti i corpi e, se mi si permette la frase, accomuna la vita degli astri trasmettendo le reciproche azioni a guisa di una sostanza nervosa immensamente diffusa : è desso che trasporta le ondulazioni vertiginosameute rapide della luce del calore e dell’elet- tricità, del magnetismo : è desso che per così dire dà vita alla materia. Se tanta universale importanza si ascrive all’etere, non si può tacciare di assurdo a chi maggiore ne ascrive a un’essere ideale immensamente sublime. Il celebre signor Faye, nel suo stupendo libro Swr / origine du Monde, nel capitolo d’introduzione, dice : « Quant à nier Dieu c'est comme si de ces hauteurs on se laissait choir lourdement sur le sol.... notre vie matérielle ne tient qu’à un fil dont le bout est là haut. Pour sentir cette vivifiante poésie, il n’est pas besoin de science. Nous sentons, pour ainsi dire, notre pensée s’élever jusqu’ à la notion d’un monde supérieur aux petites choses qui nous entourent. » Non è duìque da adombrarsi delle vittoriose conquiste della scienza nel gran regno della verità. Essa non rimpiccolisce i limiti della crea- zione, ma li slancia nell’infinito. Col suo aiuto, lo spirito umano si sol- leva come aquila sublime sulle regioni supreme dell’alto e con occhio sereno intraguarda l’immensità dell’orizzonte. Senza fallo, colui che profondamente sa scrutare nei penetrali della 47 186 SU TALUNI NUOVI STRUMENTI natura e contemplare la grandiosità del creato, si forma un'idea di Dio immensamente superiore a quella di coloro, cui tante meraviglie restano ignote. Costoro si assomigliano, per così dire, a una formica che voglia giudicare dell’ampiezza di una pomposa reggia dalle dimensioni della sua piccola anzi microscopica tana. Però l’ idea della bontà fortuna- tamente rimane la stessa. È così che talune costumanze, certi riti che a un miserello possono parere divoti, a chi abbia un’idea e un concetto superiore dell’Ente Supremo non possono non parere che stupidi, pue- rili e meschini. Certi atti eseguiti da una persona possono apprezzarsi, mentre se lo fossero da un’altra diventerebbero indegni oltraggi. L'è come se un povero contadino offra a un grande monarca la sua polenta mezzo imputridita ovvero un brandello del suo saio squallido e bisunto. È per tal principio che non bisogna punto disprezzare i riti delle varie religioni nelle loro manifestazioni: ogni popolo, secondo le proprie condi- zioni di vivenza, secondo il suo sviluppo intellettuale, e secondo la sfera di sue cognizioni, deve coltivare un ideale religioso. Quando questo sarà troppo basso e non più con quelle in armonia, sarà senza. fallo di- smesso e andrà perduto, ovvero invece che a migliorare, riuscirà a peg- giorare il popolo. D'altro canto poi, quando esso è sproporzionatamente alto ed elevato, più difficilmente riuscirà ad essere compreso e non potrà quindi avere un eco profondo nel cuore umano. Occorre l’ equilibrio e l’armonia in tutto. Sempre però il pensiero religioso, per esser utile, deve segnare molti gradini al di sopra dell’ideale comune della mag- gioranza del popolo. Ora siccome l’idea divina, proporzionata alla gran- dezza e immensità del creato, non può capire nella mente umana , è forse utile che la si rimpiccolisca e che quegli scienziati ,. che hanno tale sentimento, lo tenghino quale prezioso retaggio e alquanto al di sotto della essenza vera delle cose. D'altro canto, come ho detto, perchè un rito religioso prosperi e rechi utili frutti all’ umanità, è necessario non resti cristallizzato, ma segua il progresso della scienza e del pen- siero umano, tenendosi sempre in una sfera sempre più elevata. L’u- manità sale su pel sublime monte della verità e della scienza; deve la fede seguirla come una fiaccola aerea, divina, illuminandole e schiaren- dole il cammino erto e faticoso delle rupi. Se si arrestasse a un tratto e si scompagnasse da lei, rimanendo indietro e quindi più în basso, ov- vero sollevandosi repentemente in più alte remote regioni, 1’ umanità avrebbe subìto una perdita gravissima, irreparabile. RIN'DIKG:E —_ Prefazione. 0 0 . 0 6 o o c 5 Metereografo alpino automatico. 0 c 0 . c 6 Ufficio interrogatore . È 7 o c . . c Ufficio automatico . 6 0 7 o 6 c c c “Cenno su talune azioni molecolari dei liquidi e descrizione del mi- croidroforo . Ò o 0 . o Ò 5 6 Idee generali sulla capillarità . ; ; ò È * L’aria racchiusa nelle bolle di liquido saponaceo è compressa . Lo strato superficiale dei liquidi è maggiormente viscoso ed ha maggiore tensione che l’interno . : 5 Solidificazione brusca di gocce di liquidi . . : Bolle di aria intercluse in tubetti con acqua . . o c Modo di render visibile lo strato superficiale dei liquidi . o Modificazione nel colore che subiscono taluni liquidi in lamine. Influenza dello strato superficiale dell’ acqua sugli insetti e le piante . c o 0 . o c 7 c î Descrizione del microidroforo e delle esperienze con esso eseguite Macchina elettrica cilindrocondensatrice . è . o Nuovo strumento per misurare l’ altezza delle montagne da cui si veda il mare. 2 0 . c 0 è . o " Esperienze sulla densità della terra e sulla gravitazione. Sulla grandine . . 6 0 0 0 6 0 è o 0 Una colonna di polvere . Ò o : N . Ò Ò o Orchestra automatica . c c : Modo come si riduce la lunghezza delle corde a secondo dei tasti toccati . : . : È o : . 5 (eri quo LI t CORIO» (0.0) = (0.5) (0.0) (a) 188 Meccanismo dello strofimamento . Pressione sulle corde . SU TALUNI NUOVI STRUMENTI Sîrofinamento di saliscendi . > È 5 = S 3 Nuovo metodo per la ricomposizione della Iuce (Disco trasparente). Sismografo cumulativo . - - - . È Intorno alla riproduzione artificiale del diamante . - Tubo di sfogo del fumo delle locomotive ferroviarie . Sulla trazione dell'aria dall'alto Intorno alla sospensione delle nubi . È 5 DE Sulla causa delle eruzioni laviche . 5 > - > È Generalità Ipotesi marina . È ° . s : Altre ipotesi. - - x È z SUE Mie opinioni. 4 3 : a È È È Cosmogonia (Sull’origine del nostro sistema Solare) 5 2 Teoria di Laplace . Modificazioni alla teoria di lato Obiezioni alla teoria di Laplace . Nuova teoria sul nostro sistema solare e sulla RE. dei pianeti ad esso appartenenti. Anello di Saturno SIERRA + L'RASE "i Come un satellite possa avere una velocità maggiore dell’astro da cui dipende . . - - - È Origine delle-comete . 5 î 4 . 3 Apparizione di nuove stelle. 5 Accelerazione del movimento della luna . Azione elettrodinamica solare . 5 > . È Perchè la luna manca di atmosfera . Sulla causa del raffreddamento della terra durante il iteniatio Sul contenuto dello SIOZI e sulla causa della gravitazione Conclusione DE . I sato Bio MERI La ) ; D\/f | 2 // e/o PESA ZA W% / N ion 7 AUTORI CARNI TTI | | JET] LLLRO ASA RIETALOAA [I VIRZZKANAL TANNINI DA UE SSEEDES CIENZE MORAR SROLIICOHE AI DELE SVIENE DRELE 0FBRE RAFFAELLO BUSACCA Elogio letto nella adunanza Accademica del 19 marzo 1893 DA LUIGI SAMPOLO Segretario Generale DCS OT sa Yig_4 CAELSAÌ el L'A. leggeva nel marzo del 1893, VElogio di Raffaello Busacca. Il lavoro che oggi pubblica è assai più ampio e più particolareggiato. DELLA VITÀ E DELLE OPERE DI lu EELO BIUSACGA Sie A’-di nostri in cui a’ nobili esempi di virtù, di disinteresse, di pa- triottismo che ci diede la precedente generazione, è succeduto il cor- rompersi dell’ambiente politico, e nauseante spettacolo offrono a’ nostri occhi turpitudini invereconde; a’ di nostri in cui antisociali dottrine vengono in voga, si propagano, e il popolo semplice, che sa nulla, il- luso dalle meretrici speranze di un rinnovamento che trasmuti radical mente le basi dell’attuale vivere sociale, vien trascinato a incendi, w depredazioni, ad ogni eccesso, per conseguire inattingibili ideali ; rie- vocare la memoria dei grandi uomini che professarono in vita le più sane idee civili, reputiamo opera buona ed onesta. I giovani della presente generazione son nati in tempi che bisogna affrancarne gli animi con forti esempî. Di Raffaele Busacca, economista, ministro di finanze, consigliere di Stato, senatore del Regno, narrerò la vita, esporrò le dottrine. IÈ Raffaello Busacca nacque da Giacomo Marchese di Gallidoro e da Rosalia Marchesa Costantino a 10 gennaio 1810, anno in cui venivano anche alla luce E. Amari e Fr. Ferrara. - DELLA VITA E DELLE OPERE Fu educato presso i Padri dell'Oratorio di S. Filippo Neri, che race- coglievano nella loro Casa i giovani patrizi per avviarli alle lettere. Reggeva allora il Noviziato il dottissimo padre Gaspare Grassellini, che fu poi Cardinale (1). Studiò diritto nella nostra Università. Addottoratosi nel febbraio 1833, rivolse l’animo specialmente alle discipline economiche. Valsero ad ay- viare la sua mente più che le lezioni universitarie, gli studî sulle opere di G. D. Romagnosi : « Ciò spiega, egli dice, perchè nei miei scritti economici la questione economica non è mai disgiunta da quella di diritto naturale e di benessere umanitario. È così, perchè per me, la libertà è diritto, libertà economica, libertà individuale, libertà politica, sono essenzialmente la stessa cosa; formole di uno stesso principio, sono la libertà considerata nei vari suoi aspetti » (2). II. N Busacca incominciò a dar prova del suo ingegno e dei suoi studî, nel periodo in cui, se le speranze di riforme politiche erano fallite, alla vita officiale faceva contrasto la vita latente e indistinta, ch'era agita- zione dello spirito pubblico , lavorio delle sette, pensiero e sforzo di resistenza. Ferveva allora un grande rinnovamento nelle lettere e nelle scienze. L’inalzamento al trono di Ferdinando II nel 1830 e l'invio in Sicilia di Leopoldo suo fratello come Luogotenente Generale aveano aperto gli animi dei Siciliani alla speranza di riforme politiche, e della autonomia amministrativa; ma bentosto ogni speranza fu morta. Richiamato a Napoli il conte Leopoldo , il Re nominò suo Luogote- nente il principe Campofranco. Il cholera, invase nel 1837 queste belle contrade, gittò la desolazione in Palermo, mietendo ogni giorno a cento, a mille le sue vittime. Il popolo credette al veleno, e insorse in alcuni paesi, e specialmente nelle città di Catania e di Siracusa, nelle quali la insurrezione assunse ca- rattere politico. Il movimento fu sedato col sangue. Il Re ne trasse pretesto per ispogliare la Sicilia di ciò che le restava della sua auto- nomia; tolse il Ministero per gli affari di Sicilia; ripristinò gli uffici di (1) Vedi sul Cardinale Gaspare Grassellini, BoGLINO: La Szczlia e è suoi Cardinali, p. 92. Palermo, Tip. dell’Armonia, 1884. (2) La nobile signora Rosalia Giuggioli, figlia all’illustre R. Busacea, mi ha inviato al- cune notizie autobiografiche di lui, delle quali mi sono molto giovato nel rivedere questo lavoro. DI RAFPAELLO BUSACCA O) Consultore e di Segretario del Governo; soppresse i Direttori dei mi- nisteri; ordinò gli uffici pubblici si conferissero in Napoli e in Sicilia, promiscuamente a napolitani e siciliani. Michele Amari, nel 1842, rievocò un Episodio delle storie siciliane del secolo XIII, ridestando ad un tempo la memoria di quel terribile dramma che fu il Vespro, e il sentimento della propria fierezza nell'animo del popolo. A. D'Antoni, ispirandosi in quell’avvenimento, dipinse la spia- nata della Chiesa di S. Spirito, e nei popolani insorgenti a vendetta rappresentò le imagini dei suoi amici. Tale era lo stato delle cose in Sicilia. Pure nelle due parti del Regno fiorivano le scienze e le lettere. Al di là dello stretto scilletico, maestri e scrittori erano in filosofia Pasquale Galluppi, in diritto civile Ro- berto Savarese, in diritto penale Pasquale Mancini, in economia po- litica Matteo De Augustinis e Antonio Scialoja, Giuseppe Poerio e Ratfaele Conforti davano splendidi esempî di eloquenza forense. Sovraneggiava su tutti in Sicilia nelle lettere e nelle scienze Domenico Scinà, e la nuova generazione, incoraggiata dal nobile esempio di lui, profferivasi gagliarda nelle discipline letterarie e scientifiche. Segnalavansi in Palermo nelle lettere i fratelli Benedetto e (Giovan- Battista Castiglia, Francesco Perez, Michele Amari, Paolo Giudice, Vin- cenzo Errante, Michele Bertolami, Pietro Lanza di Scordia, Paolo Mo- rello, Giuseppina Turrisi-Colonna, Rosina Muzio Salvo; nelle arti : Sal- vatore Loforte, Andrea D'Antoni, Saverio Cavallari e Giusepp= Meli. Convenivano i più di loro settimanalmente nella casa del marchese Corradino D’ Albergo , ove fra un pezzo e l’altro di musica si intrat- tenevano ragionando di lettere, di arti e anche di politieu. Fondossi nel 1540 Za Ruota (1) che per la bravura dei suoi compila- tori e pei principî di civile letteratura da loro seguiti esercitò una grande influenza nel movimento letterario. Dante, Parini, Alfieri, Fo- scolo furono gli autori in cui quelli s'ispirarono e che diedero a mo- dello alla novella generazione. E questa, sullo esempio dei maestri, in- traprese la pubblicazione di un altro giornale, La Concordia. Uscivano anche in quel tempo 1’ antico Giornale di Scienze, Lettere e (1) La Ruota, giornale per la Sicilia, incominciò nel 10 gennaio 1840; continuò nel 1541 ed anche nel 1842, si chiuse al 30 agosto. Ne furono compilatori: Pasquale Pa- cini, Paolo Morello, Francesco Aceto, G. Battista Castiglia, Benedetto Castiglia. Socî cor- rispondenti erano : Amari Emerico, Bertolami Michele, Busacca Raftaele, Castiglia Pietro, Ferrara Franeesco, Foderà Michele, Napoli Federico, Pantaleo Mariano, Perez Pran- cesco Paolo. a 6 DELLA VITA E DELLE OPERE Arti, le Effemeridi Siciliane, L’Oreteo, ed altri minori giornali. Più tardi vennero fuori L’Ossercatore (1) e La Falce (2). Nelle discipline filosofiche rifulgevano Benedetto D'Acquisto , Salva- tore Mancino, Antonino Franco, nella cui casa ebbero i loro geniali convegni, e più tardi vennero anche in grido in quelle scienze Paolo Morello. p. Giuseppe Romano. Nelle scienze morali una eletta schiera di giovani nella quale pre- cedeva F. Ferrara, davasi allo studio dei problemi sociali; e alla star tistica e alla economia politica volgevano specialmente i loro studî il Ferrara, E. Amari, il Busacca ; alle scienze giuridiche e politiche V. D’ Ondes Reggio e Fr. P. Perez, insigne letterato quanto valente economista. Nè trascurate furono le scienze naturali allo studio delle quali Scinà avea richiamato le menti dei giovani; Filippo Parlatore andò innanzi a tutti, ei pregevolissimi suoi lavori gli procacciarono fama tra noi e fuori; e non passarono molti anni che il Gran Duca di Toscana nomi- navalo professore di botanica e direttore dello Erbario Centrale italiano. Le scienze mediche vantarono Michele Foderà e Giovanni Gorgone, l'uno insegnante fisiologia, l’altro anatomia, alla Università. Anche le matematiche furono in onore. G. B. Castiglia, E. Estiller, M. Zappulla, F. Napoli, allievi del Batà e del Casano, si mostrarono valenti in quelle discipline. La nostra Accademia s’ era rinnovata al 18532 lasciando 1’ antico ti- tolo di Buon Gusto. Sullo scorcio del 1858 essa tenne una solenne adu- nanza per commemorare degnamente il sommo Domenico Scinà, morto di cholera l’anno innanzi, e confuso coi mille senza una pietra che ne segnasse il nome. Iu quella tornata Ferdinando Malvica lesse l'elogio di quel grande, e diedero bel documento di civile coraggio nei loro versi ispirati a nobilissimi sensi i socii Gaetano Daita, Francesco Paolo Perez e Franco Maccagnone Principe di Granatelli (3). Altra solenne tornata fu quella del 1842 per la morte di Nicolò Cae- ciatore, degno successore a Piazzi nella Specola, il quale, nemico in vita a Scinà, ne fu giusto estimatore appena il seppe colpito dal feral morbo, e, lui morto, gli occhi gli si velarono di lacrime. In quella (1) L'Osservatore era diretto da Giuseppe Silvestri e Girolamo Ardizzone, Vol. I, 1843; Vol. II, 1844-45 compilato solo dal primo. 2) La Falce cowpilavasi da Gaetano Daita e Vito Beltrani. Ne uscirono in tutto N. 67. (3) Vedi Saxsowxn: Gli avvenimenti del 1837, opera nella quale furono riportate le poesie del Perez. del Daita e del Granatelli. DI RAFFAELLO BUSACCA ti occasione due egregi giovani, Michele Bertolami e Filippo Villari, in bellissimi versi condannarono le esecrande divisioni fra i nostri scien- ziati, e dimostrarono i generosi sensi che ferveano negli spiriti della giovane generazione. Nè meno desti che in Palermo erano gl’ ingegni in Catania ed in Messina. Quando qui rinnovavasi l’antica Accademia del Buon Gusto, sorgeva nel 1824 in Catania per opera di illustri professori di quell’Ateneo l'Accademia Gioenia, la quale si accinse a discorrere i campi della storia naturale, e specie ad illustrare gli animali, le piante e le terre di Sicilia. E dal 1825 vennero fuori gli Atti di quella dotta Accademia. Primeggianti nelle: scienze naturali erano Mario e Carlo Gemmel- laro, Carmelo Maravigna, Francesco Ferrara; nelle mediche Antonino di Giacomo ; nelle matematiche Lorenzo Maddem e maggiore di lui Giuseppe Qurria; Agatino Longo versavasi nelle fisiche e nelle mo- rali discipline ; Salvatore Scuderi e Vincenze Tedeschi, insegnavano l’uno economia civile, 1’ altro filosofia; levaron fama di sè, in archeo- logia l’architetto Mario Musumeci, e nelle lettere Innocenzo Fulci; splen- dido nome fra gli storici siciliani procacciavasi Vincenzo Natale. In Messina venivano acquistando nominanza nella poesia e nelle lettere Felice Bisazza , Riccardo Mitchell, Giuseppe La Farina, Carlo Gemelli, e pubblicavansi in quella città pregiate riviste : Z Faro, I Maurolico, Lo Spettatore Zancleo. Antonio Catara Lettieri e Giuseppe Ori- safulli-Trimarchi attendevano con lode alle discipline filosofiche , e il secondo anche alle matematiche; inalzavasi nelle scienze mediche Ema- nuele Pancaldo. Eran questi i tempi, questo lo stato delle lettere e delle scienze quando Busacca si mostrò scrittore. IL. In Sicilia si erano ripetute da Paolo Balsano le teorie inglesi di economia politica; indi si ripetevano da Ignazio Sanfilippo le idee del Say. In Lombardia Gian Domenico Romagnosi, che ebbe mente così alta- mente comprensiva, avea apportato una grande riforma nei limiti della scienza economica, nella dottrina, nel metodo. Seguirono i nostri eco- nomisti quegli ammaestramenti, e giovandosi di quelle idee e di quel metodo nei varii generi di fatti economici, esaminarono i fatti delle nazioni più incivilite, esaminarono quelle dottrine medesime, e ardita- mente ragionando su gli uni e sulle altre additarono le riforme che ad entrambi necessitavano. E fondarono la scuola economica palermitana, 8 DELLA VITA E DELLE OPERE la quale mirava alla più ampia libertà in economia, alla più larga auto- nomia nella pubblica amministrazione. La scuola economica palermitana ebbe il culto per la libertà dell’in- dividuo e delle ‘associazioni, e però negò allo Stato ogni inframmet- tenza che asservisse la libertà dell’uno e delle altre, come ai dì nostri in Inghilterra Herbert Spencer e in Francia P. Leroy Beaulieu e il rimpianto Ippolito Taine, ben sapendo quanta importanza abbia la li- bertà umana, si sono sforzati di deviare i loro contemporanei dalla nuova e accasciante idolatria dello Stato. Il capo di quella scuola, il Ferrara, che Maurizio Block chiamò il maestro , così nel 1851 scriveva della libertà con quella splendida ed efficace parola che gli è propria: « La libertà! chi dunque avea definito la libertà? qual dito le avea segnato i limiti del suo confine? Noi che partiamo dall’utile, cioè dal- l’armonia in se medesima, e non poniamo alcun patto tra essa e la libertà, noi potremmo segnarli ». ’ E più giù proseguiva : « Coraggio! comunisti, socialisti, organizzatori, riformatori d’ogni ma- schera e razza ; ciò che io proclamo come elemento della vita sociale è il possesso ; ciò che io v’invito a distruggere, è il possesso abusivo su- periore al travaglio che voi venerate. Scendete dalle vostre nuvole, io non conosco Dio Stato, non ammetto idee innate; il nostro terreno è l armonia degli interessi, quella che voi cercate ed io cerco, per- chè voi siete, senza saperlo, più utilitari che Bentham e Malhtus. Provateci dunque che gl’interessi saranno più armonici sotto le vostre organizzazioni e spoliazioni; e noi ci lasceremo organizzare e spogliare. Provate cioè che voi produrrete meglio e più, distribuirete con più giustizia, perpetuerete l’elemento della produzione futura, non torrete all’uno per dare all’altro rovinando entrambi, accrescerete le forze e le facoltà; provateci tutto ciò come effetto immancabile del regime di forza a cui pretendete d’ incatenarci; e noi cederemo , vi cederemo la Libertà, vi lasceremo compire questa nuova e filantropica tratta di Bianchi. Ma se ciò voi non potete, allora la proprietà, 1 emancipa- zione industriale , la responsabilità individuale, la nullificazione dello Stato, la concorrenza, ecco ciò che finora è il più utile ; ecco i limiti che la natura ci indica di aver messo con le sue mani; ecco la bar- riera insormontabile. Guardatevi dal tentare di sorpassarla; al di qua è tutta scienza, di là sarete utopisti » (1). (1) FERRARA: Prefazione alle opere di Bastiat, nella Biblioteca dell’'Economista, Vol. XII. p. CX, CX, OXXII DI RAFFAELLO BUSACCA 9 «In Palermo, scriveva lo Sbarbaro nel suo libro Della Libertà, dob- biamo salutare la scuola più avanzata in fatto di libertà sociali e am- ministrative, la scuola che si onora di un Francesco Ferrara, di un Emerico Amari, di un Benedetto Castiglia, di un Vito D’Ondes Reggio, di quell’ampio e dovizioso ingegno di Francesco Paolo Perez e dei suoi discepoli più valorosi, I. La Lumia e G. Pagano » (1). A questa scuola appartenne anche il Busacca. IV. Il R. Istituto d'incoraggiamento indisse pel 30 maggio 1834 la prima esposizione di manifatture che fu aperta solennemente con l’intervento di S. A. R. il principe Leopoldo Luogotenente del Re e delle autorità civili e militari. Si aprirono gli animi dei Siciliani alla speranza di vedere sorgere fra noi industrie e manifatture, e prevalse allora l’idea di porre forti barriere tra Napoli e Sicilia. La esposizione dimostrò che la Sicilia era ben discosta dalle altre nazioni, e che, senza capitali, senza istruzione, senza macchine, il poco che qui facevasi, era uno sforzo dell’ ingegno siciliano. Vi con- corsero i produttori delle valli di Palermo, di Messina, Catania, Sira- cusa, Trapani, mancando quelli di Girgenti e Caltanissetta. La Sicilia non aveva manifatture di panni, di filatura di cotone, di lana, di lino; non fabbriche di terraglia, di cristalli e di vetri anche ordinari. E se povere le nostre manifatture, poverissima era l industria agraria, e assai più lontana da quella delle altre nazioni. Ci fu solo un produttore di piante di robbia; si presentarono pochissime macchine agrarie. Ogni popolo vive di quella vita che gli è propria e a cui la natura irremovibilmente lo spinge. Da questo vario operare di mille popoli, da questa divisione di lavoro, sorge necessariamente il bisogno di ri- correre gli uni agli altri, e quindi ne deriva l’ affratellamento della umana famiglia. La Sicilia, questa terra allietata sempre dal sorriso di Dio, dove gli antichi simboleggiarono i miti dell’agricoltura, serba nel suo seno i germi della sua prosperità. Potrà anche esercitare altre industrie, oltre quella che le è più adatta, e alla quale con maggior sicurezza di gua- dagni può impiegare i suoi capitali; ma 1 industria in cui dovrebbe emulare gli altri paesi, sarà certamente l’agricoltura. Gli espositori nel 1834 furono 118; ossia 59 della provincia di Pa- (1) Vedi: SparBaro, La Libertà, p. 219. 10 DELLA VITA E DELLE OPERE lermo, 15 di Messina, 12 di Catania, 18 di Siracusa, 15 di Trapani. Furono date quattro medaglie d’oro, diciotto d’argento e sedici menzioni onorevoli. Il Busacca appena venticinquenne, a dissipare illusioni, a raddrizzare la pubblica opinione, diede alla luce nel 1835 un importante studio sull’ Istituto d’ incoraggiamento e sull'industria Siciliana (1) manifestandosi propugnatore della libertà di commercio. In una prima parte ragionando dello Istituto sostenne che tre cose è mestieri si facciano dall’ Autorità, perchè, sviluppandosi le forze ed eco- nomizzandosi dove e secondo il bisogno, ne risulti il maggiore spera- bile effetto secondo la natura e lo sviluppo sociale: 1° promuovere la istruzione ; 2° assicurare a ciascuno il libero e innocuo esercizio delle sue facoltà; 5° provvedere alle istituzioni che mirino a siffatti in- tenti, e a quelle altre cose di utilità comune che non possono essere af- fidate ai privati. Riguardando l’Istituto come corpo consultivo, dimostrò essere di niuna o di pochissima utilità, specialmente in quei paesi dove si può far tutto o senza richiederne il parere o contro i suoi consigli. Riguardandolo come promuovitore d’industria, considerò che le industrie sorgono là ove sono capitali, istruzione, spaccio di prodotti, dove le circostanze economiche ne agevolano lo sviluppo. E Esaminando poi i prodotti esposti, dichiarò come fosse assai poco pro- spero lo stato delle nostre industrie. « Nè in migliore condizione, egli disse, era quella agraria, tr got in quel tempo la Sicilia rispetto a macchine e strumenti agrari al punto stesso, e più indietro che erano i nostri primi padri, allorehè Cerere insegnò loro a coltivare; una trave con un ferro trasversale essendo il nostro aratro , e i piedi sucidi dei contadini il nostro stru- mento per fare il vino ». La mancanza dell’istruzione era una delle precipue cause dello stato misero in cui giacevano le nostre industrie. « Qual'è lo stato della istruzione in Sicilia? egli scriveva. Nella ca- pitale stessa la classe industre è ignorantissima, e pochissima porzione di essa sa malamente leggere e peggio scrivere. Se poi dalla capitale ci allontaniamo, si trova l’ uomo degradato allo stato dei bruti; veg- gonsi in tutti i ceti costumi selvaggi, villani rozzissimi, pregiudizi i più ridicoli; e basta aver viaggiato nello interno della Sicilia per sapere la maggior parte dei Comuni essere sprovvista di scuole; metodi di (1) Sullo Istituto d’incoraggiamento e sulla industria Siciliana, Ragionamento eco- nomico. Palermo, Gabinetto tipografico all'insegna del Meli, 1835. DI RAFFAELLO BUSACCA 1l mutuo insegnamento e tutt'altro per la facile istruzione del popolo im- maginato, essere cose di tutt'altro mondo; moltissimi essere i paesi di quattro in cinque mila anime in cui oltre del giudice, del suo cancel- liere e del parroco, forse non trovansi altre persone che conoscano l’alfabeto ». Le tinte di questa descrizione sembrano alquante fosche, ma non sono di molto lontane dal vero. E anche ora, a dodici lustri circa di distanza da quando egli scriveva, si adopera in Sicilia il vecchio aratro, si pigia l’uva coi piedi, in qualche paese calzati; solo la pubblica istru- zione v'è assai progredita. C'era anche la penuria dei capitali, e mancavano i mezzi di comuni- cazione che rendendo più facili e meno dispendiosi i trasporti, atte- nuano i prezzi dei prodotti. Il lavoro del Busacca fu lodato in Sicilia e anche in Francia (1). L’ Istituto d’ incoraggiamento continuò a indire ogni due anni alter- namente le mostre d’industrie e manifatture, e quelle di arti (2). S'intermisero le prime per undici anni. Banditasi nel 1856 altra Mostra, (1) Vedi su questo lavoro 1’ « Estratto Critico » di Pomrro Inzenca nel t. LITI, N. 158, p. 175 del Giornale di Scienze, Lettere e Arti, e Valtro del Prof. IGnazio SANFILIPPO nel n. 3, p. 3, del Giornale del R. Istituto d’ Incoraggiamento. Vedi anche GiuLIo ALBERGO : Sforza della economia politica in Sicilia, Palermo, 1855. Vedi Revue etrangère et francaise de legislation et d’economie politique, marzo 1837. Ecco il giudizio di quel giornale : C'est une appreétiation judicieuse du mal et un désir ardent d’v porter remède qui forme l’idèe principale du livre de M. Busacca. C° est avee la double autorité d'une haute science éeonomique et d'un patriotisme Gelairé qu'il nous offre les resultats de ses recherches et de ses meditations sur l’industrie sicilienne. M. Busacca examine avec attention la nature et 1’ essence de l’encouragement com- mercial et les conditions théoriques de son effieacité ; puis il applique ses déduetions a l'Institut d’encouragement établi a Palerme en 1834 et soumetà une critique raisonnée les avantages et les défectuosités de cette ereation du gouvernement. Cette critique cùt sans doute été plus severe et plus incisive, si l’auteur avait pu prevoir que | In- stitut d’encouragement, consulté par le gouvernement sur les causes du méeontentement et de la misère en Sicile, n’aurait à lui proposer comme remèdes que 1° établissement d’un grand-livre pour l’inseription de la dette publique, l’abolition du cabotage entre les royaumes de Naples et de Sicile, et une nouvelle loi pour empecher le libre com- merce entre les deux peuples. (2) Le esposizioni di agricoltura, arti e manifatture furono indette negli anni 1534, 1536, 1838, 1840, 1842, 1544, 1846, 1856. Le esposizioni di belle arti ebbero luogo negli anni 1858, 1841, 1843, 1546, 1556, 1565. Vedi: FapreLE PoLLaci Nuccro, Palermo e le sue esposizioni. Estratto dal supple- mento illustrato al Giornale di Sicilia (n. 12) che pubblicavasi al tempo che fu aperta la Esposizione Nazionale. 12 DELLA VITA E DELLE OPERE s’ebbe il pensiero di promuovere anche quella dei prodotti naturali. Ma dei nostri Comuni i più non risposero allo invito, e molti potevano di certo far bella esposizione dei prodotti del loro suolo. Non ostante il ristretto numero dei produttori e la scarsezza dei prodotti, quella Mo- stra fu considerata come Alba foriera di sereno giorno, soddisfacendo nella sua modestia il giusto orgoglio del paese, più come argomento di quello di cui può essere capace l'ingegno, che di quanto allora generalmente si mostrò. Trascorsi trentacinque anni, la Sicilia, non ultima parte del nuovo Regno d’Italia, invitava ad una Mostra Nazionale gl’Itatiani dalle Alpi a Pachino, e qui l’Italia industriale, agraria ed artistica, si profferse in tutto il suo splendore, nè la Sicilia fu da sezzo in quella nobile gara. Quante vicende in sette lustri! quanto rinnovamento politico ed economico ! WE Agitossi in Sicilia dopo il 1835 la famosa quistione degli zolfi. Il prezzo accresciuto di quel minerale fu cagione di una eccedente produzione; il ristagno nella vendita generò la crisi. Una compagnia estera propose al Governo il monopolio di comprare e vendere esclusivamente lo zolfo per dieci anni, offrendo patti apparentemente vantaggiosi, realmente nocivi e senza garanzia. Fu quella proposta rigettata dall’Istituto d’Im- coraggiamento, e il Governo la respinse. Il signor Amato Taix e comp. ne fece altra nel 1836 più pregiudi- cievole alla Sicilia, poco utile al Governo, e fu accettata. Consultata dal Governo una Commissione di proprietarii, la maggioranza si lasciò trarre in inganno, la minoranza non reclamò ; proprietarî e commer- cianti che pur conoscevano il male e ne mormoravano, non fecero alcuna rimostranza; l’Istituto d’incoraggiamento, le Società economiche, i Consigli provinciali si tacquero. I Direttori dei Ministeri presso il Luogotenente Generale si protestarono contrari ; il Luogotenente ge- nerale appoggiò la proposta Taix-Aycard. La Consulta ritenne che quel progetto avrebbe arrecato vantaggio, non danno ai proprietari di zol- fare. Il Re Ferdinando quindi strinse con quella Compagnia a 10 lu- glio 1838 un contratto con cui le concedette il monopolio su tutto lo zolfo che producevano le miniere di Sicilia. DI DI RAFFAELLO BUSACCA 1 Il capitale sociale, aggiuntovi la somma di L. 255,000 data dal Re, con diritto a’ dividendi, ascendeva a L. 8,3530,000. Obbligavasi la Com- pagnia a comprare per la durata di anni dieci tutto lo zolfo che si. produrrebbe in Sicilia fino a 600 mila quintali a’ prezzi determinati nel contratto; per la produzione eccedente e fino a concorrenza di quintali 300 mila avrebbe dato come premio carlini quattro a quintale. Nel primo disegno la Compagnia si impegnava costruire ogni anno venti miglia di strada rotabile nell’isola, e dare ducati 6,000 all’anno pei poveri. Però nel contratto obbligossi a pagare all’ Erario in ogni anno quattrocentomila ducati; la quale somma, chè il Re avea promesso impiegherebbe a esclusivo beneficio della Sicilia, servi a riparare il vuoto erariale avvenuto per la diminuita tassa sulla macinatura del grano (1). Il Busacca osò nel 1859 levare la voce con una memoria: Degli zolfi e della Compagnia Taix in Sicilia, sviluppando pienamente i prineipii di quella convenzione e le conseguenze che ne sarebbero derivate, e, pro- pugnatore della libertà di commercio, combattè il monopolio che per quel contratto si concedeva alla Compagnia francese. E conchiudeva: « Legalmente non profitta in questo monopolio al- cuna classe, illegalmente vi avranno profittato quei pochi che giustizia, bene pubblico, personale dovere ed ogni più sacro principio sotto piè sì misero per frodare al Monarca un provvedimeuto funesto ch'egli al bene nostro credeva soltanto diretto. «Im questo stato di cose non rimane che rispondere oggi alle brame del Monarca cui risponder si dovea un anno prima. Quando comin- ciossi a trattare il progetto di monopolio, tutto si fece dal Sovrano per conoscere la verità; per ingiusto timore, per falsi principii, gl’ inte- ressati, richiesti, approvarono, non richiesti si’ tacquero ; pure fuvvi chi diede l’esempio, fu bene accolto, e se secondato era, il monopolio sarebbe finito. Si emendi oggi dunque l’errore, si mostrino le enormi perdite della Sicilia, il dolo manifesto nel falsamento di tutti i fatti, le lesioni dei diritti garentiti dagli individui, dalla natura e dalle leggi civili, il nessun utile dello Erario; e il Governo non potrà esìtare a re- scindere un contratto che non giova ad alcuno ». i Il Censore lasciò passare la memoria che venne stampata; ma la po- lizia ne sequestrò le copie presso l’ editore, e se il Busacca non patì (1) Vedi: Sulla quistione degli zolfi, Braxcmni, Storia Economica Civile di Sicilia, libro II, parte IV, cap. IV; e Marcitese Vincenzo MortILLARO: Leggende Storiche st ciliane dal XILI al XIX secolo. Terza edizione, Palermo, Ufficio Tipografico D. Pucci, 1889. 14 DELLA VITA E DELLE OPERE altro danno, oltre la spesa della stampa, ciò derivò dal malcontento del pubblico, dall’approvazione data dal Censore, e da’ vascelli inglesi che sorgevano nel porto di Palermo. L’ Inghilterra vide lesi con quel contratto gli interessi dei suoi na- zionali che trafficavano di zolfo in Sicilia, e ritenne violato il trattato conchiuso nel 1816 col Re delle Due Sicilie. Il Gabinetto di San Gia- como intimò al Governo di rompere tosto quel contratto e di inden- nizzare il danno patito dai negozianti inglesi. Non piegò il Re alle mi- nacce, e provvide alla difesa del regno, quando s’ interpose l’augusto suo Zio, il Re Luigi Filippo, e la vertenza si compose con la rescis- sione di quel malaugurato contratto. La sicilia pagò per indennizzamento alla Società francese L. 600,000. Il commercio tornò libero, ma il Governo, acquistati dalla Compagnia 900,000 quintali di zolfo a carlini 36 quintale, impose un dazio di car- lini venti a quintale sullo zolfo dei privati affinchè potesse sopperire alle spese e impedire che invilendosi i prezzi un gran danno non ne risentisse nella rivendita. Un magistrato napoletano (1), lodò il contratto Zaix Aycard; altri ap- provollo anche, richiamando alla memoria i monopoli inglesi del thè, dell’oppio e delle doviziose miniere di stagno di Cornovaglia (2), altri infine (3) propose libertà nella produzione, conservandosi il dazio di esportazione ; propose si valutasse quanto zolfo potesse annualmente produrre ogni zolfara, fino alla concorrenza di 400,090 quintali; si ag- giungesse altro dazio di tarì cinque a quintale sulla scavatura della quantità maggiore del presunto; e il prodotto del dazio, tolte le spese, si ripartisse in premio a’ produttori in meno che aveano contributo al rialzo del prezzo. i Il Busacca, che avea pronosticato quella rescissione, lesse poi allo Istituto d’ Incoraggiamento un discorso Sulla quistione degli zolfi e sulle conseguenze dello scioglimento della Compagnia Taix-Aycard, dimostrando i vantaggi che da quello scioglimento la Sicilia dovesse ritrarre , inda- gando le cause che generarono la crisi, e indicando i rimedii per sce- mare i danni al Governo e all’industria. (1) Sulla proposta dei trattati di reciprocanza e di commercio tra V Inghilterra e ta Prancia col Regno delle Due Sicilie e sulla disputa dei zelfi. Osservazioni di Mr- caeLe SoLimene. Napoli, Tipowrafia dell'Ateneo, 1840, cap. X, $ 11, p. 107. (2). Delle solfatare in Sicilia e dei nuovi provvedimenti per la industria e lo spaccio del zolfo, Palermo, 1838. (3) Fr. P. MortILLARO : Saggio economico politico statistico su i provvedimenti nella mercatura dei zolfi di Sicilia. Palermo, Stamperia Oretea, 1840. DI RAFPAELLO BUSACCA 15 Propose difatti la più ampia libertà per l’industria zolfifera, la vendita degli zolfi posseduti dal Governo, farsi in otto anni alla ragione di 112,500 quintali all’anno, anzi di 9362 quintali al mese, a fin di scemare la so- verchiante offerta; e ridursi il dazio ad otto carlini. Lo scemamento del dazio, egli diceva, tende ad abbassare il prezzo; ma il Governo a ciò troverà compenso nella maggiore esportazione ; e rimesse nello stato normale offerta e richiesta, il dazio di otto carlini basterebbe a riparare le perdite nella vendita, a pagare le indennità e a provvedere ‘al manco dell’erario per la scemata tassa sulla macinatura. Il Governo poteva o contrarre con la Società un debito da scontare non in 8, ma in 16 o 20 anni, o tenere per otto anni elevato il dazio per bastare a quei fini, o pattuire con la Società medesima che secondo il maggiore, o minore prodotto del dazio il debito pagherebbesi entro un termine meno o più largo; operazione che, ricusandosi la Società, avrebbesi ben potuto fare con altri banchieri, stante il credito del Regno delle Due Sicilie. Il dazio fu ridotto a carlini 8, come desiderava il Busacca, e più tardi a carlini 2. In tal modo le cose tornarono nello stato di prima, e la estrazione dello zolfo da cotesto non lieve scemamento di dazio gran- demente si avvantaggiò (1). WIE Nominato nel 1858 membro del R. Istituto d’ Incoraggiamento, egli dettò tutti i rapporti, nei quali reputavasi necessario il soccorso della scienza economica. Ricordiamo qui quello Zutorno alla riduzione del dazio sull’allume, nel quale si espongono i principii della scienza economica, e, coi fatti riguardanti la Sicilia, i danni che alle nostre manifatture derivavano dall'enorme dazio su quel minerale e dall'alto prezzo di esso (2). Ricor- diamo l’altro rapporto sulle memorie presentate all'Istituto pel concorso del 1840 intorno alle Casse di risparmio. In queste egli, procedendo da una investigazione sui vantaggi e sullo spirito di quella filantropica isti- tuzione, espone le difficoltà che si sarebbero incontrate per la costi- tuzione delle medesime in Sicilia, e infine esamina 1’ unica memoria presentata in quel concorso. Entrò poi (1842) socio della nostra R. Accademia nella classe di scienze morali e politiche, e ne fu segretario. (1) Vedi: Appendice alla Storia dei vicerè del Dr BLast, Palermo, 1542, p. S4T. (2) Leggesi nel Giornale di Statistica, vol. 5, p. 443. 16 DELLA VITA E DELLE OPERE Collaborò operosamente insieme con F. Ferrari, E. Amari, V. D’Ondes Reggio nel Giornale di statistica, palestra nobilissima a’ nostri valorosi giovani economisti, uno dei migliori giornali che uscisse in quel tempo in Italia (1). VII. Nel 1842 fra gli economisti di Napoli e di Sicilia una importante di- scussione ebbe luogo Sui privilegi in occasione del tema assegnato pel concorso alla cattedra di economia e commercio nell’Ateneo di Catania. rivaleggiavano per essa due egregi uomini, Placido De Luca e Salvatore Marchese, l’uno più gagliardo di mente, l’altro più addentro nella scienza economica (2). Il primo, benchè ritenesse innegabile e universale il prin- cipio della libera concorrenza, aggiunse potere tuttavia i privilegi gio- vare in caso d’ignoranza, o di scarsezza di capitali o di rischiose intra- prese. L'altro ammise lo stesso principio, e vi si attenne interamente, tranne per una sola eccezione, ch’ è la proprietà letteraria. Scrissero intorno a quel tema Scialoja (3), Mancini (4) fra’ Napolitani; Emerico (1) I lavori che di lui si leggono nel Giornale di Statistica sono i seguenti : 1. The ressources and statistics of nations including a view of the governments of all countries, By John Mae Gregor. Vol. 3, p. 61. 2. Direction général des ponts et chaussées et des mines. Recucil des documents sta- tistiques. Routes rovales. Routes departementales. Vol. 3, pag. 135. 3. Archives statistiques du ministère des Travaux publics, de l’agricolture et du com- merce, publiés par le ministre secretaire d’ état de ce département — Paris, Imprimerie Royale, 1837. — Produzione — Statistiche dei prezzi — Statistiche dei consumi. Vol. 3, pag. 146, Vol. 5, p. 35. 4. Sulla questione degli zolfi e sulle conseguenze dello scioglimento della Compagnia. Taix-Aycard e C. Discorso letto all'Istituto d’incoraggiamento nella tornata del 23 ago- sto 1840. Vol. 5, p. 303. 5. Sulle memorie presentate all'Istituto d’'incoraggiamento pel concorso del 1840, in- torno alle Casse di Risparmio. Rapporto. Vol. 5, p. 357. 6. Intorno alla riduzione del dazio sull’allume straniero. Vol. 5, p. 445. 7. Sulla divisione della proprietà territoriale. Memoria per il concorso alla Cattedra di economia civile nella R. Università degli studî di Palermo. Vol. 6, p. 215. (2) La cattedra fu conferita al De Luca il quale anni dopo dettò economia politica nella R. Università di Napoli. (3) Scrarora : Su è privilegi in materia d’industria. Osservazioni nel Vol. NI delle Ore Solitarie. (4) Mancini: Intorno alla libertà dell'industria ed a’ privilegi, în occasione di un concorso alla cattedra di economia e commercio nella R. Università di Catania. Consi- derazioni, p. 53 in 8. Napoli, gennaio 1842. T DI RAPFAELLO BUSACCA 1 Amari (1), Benedetto Castiglia (2), Mario Rizzari (3), Raffaele Busacca (4) frai Siciliani. Il Busacca in alcune sue osservazioni critiche, procedendo dalla defi- nizione del privilegio e dai principii fondamentali di diritto politico , mostrò la illegittimità del privilegio ed espose l’ intima connessione tra i principii del diritto e quelli di economia, secondo i quali l’in- dustria deve essere libera o meglio scevra di privilegi. Vi trattò della indole della scienza economica e dei suoi rapporti con le altre scienze sociali. Trattò del valore e della ricchezza e della influenza dei mo- nopolî sul prezzo delle cose; indi delle eccezioni al principio della li. bertà, e poi delle privative, delle compagnie privilegiate e della pro- prietà letteraria. Confutati i principî che a difesa dei vincoli si pone- vano innanzi, accennò alla monetazione , alle banche , e trattò infine delle corporazioni d’arti e mestieri e dei privilegi universitarii. « Nella scienza economica, egli diceva, havvi verità che oggi negare più non si possono senza dover pria distrurre e rifondere la scienza tutta intera. L’ idea di ricchezza, le funzioni delle diverse specie di forze fisiche o morali che le producono, formano un complesso di ve- rità ormai a sufficienza discusse e stabilite; negarle con una asserzione, o negarle con ripetere argomenti già smentiti, è mostrarsi ignaro dello stato attuale del sapere. La concorrenza libera in economia poli- tica è una conseguenza logica di quelle verità, su cui gli economisti di qualche nome già convengono ; dessa dippiù in Italia è sanzionata dai principii della naturale giustizia, dessa in tutta Europa comincia già ad esser confermata dai fatti ; ripristinare oggi il sistema dei vin- coli, ripetendo cose già dette, e lottare invano contro il progresso ». (1) Sui privilegi industriali e sopra due memorie estemporanee scritte per tale ar- gomento dai signori Placido De Luca e Salvatore Marchese, pel concorso alla cattedra di Economia nella R. Università di Catania. Lettera di EMERICO AMARI nel Gzornale di Statistica, vol. 5, Appendice alla prima parte. (2) B. CastIGLIA : Concorso per la cattedra di economia politica în Catania, nella Ruota, anno 3, p. BI. (3) M. Rizzari: Considerazioni sopra una memoria del signor Placido De Luca: «Se i privilegi producono utile o svantaggio all'industria ».. (4) Della concorrenza libera e dei privilegi in occasione di due memorie per con- corso de’ signori Placido De Luca e Prof. Salvatore Marchese. Osservazioni critiche. Palermo, Reale Stamperia, 1842. ; 3 ni 00 DELLA VITA E DELLE OPERE VI. Al concorso per la cattedra di economia civile in questa Università, nel 1844 s’inscrissero parecchi (1); cimentaronsi soli tre : Busacca, Gio- vanni Bruno e Salvatore De Paulis (2). Il Ferrara ritirossi dallo arringo per lasciare incontrastata la palma al Busacca, venuto in grido pei la- vori da lui pubblicati intorno ad argomenti di economia politica. il De Paulis, fallitogli l'esame orale, non fu tenuto in conto. Il tema della dissertazione fu: Za grande divisione della proprietà territoriale è utile alla pubblica prosperità e aì buoni costumi? quali ne sono stati gli effetti presso i differenti popoli d’ Europa? (3). Il Busacca nella sua memoria Sulla divisione della proprietà territoriale (4), disponendo in bell’ordine e sviluppando in istile facile e piano le sue idee, dimostrò rapidamente e logicamente la influenza della divisione territoriale sulla condizione economica dei popoli; gli effetti della di- visione e concentrazione delle terre sulla condizione morale degli uomini, e infine la influenza degli effetti economici e morali della di- visione territoriale sulla condizione civile dei varî popoli di Europa. Trattando dell’ influenza della divisione della proprietà sulla pro- duzione agraria, affermò la grande cultura non essere incompatibile colla divisione territoriale, nè procedere necessariamente dal concen- tramento delle terre , potendosi da un solo prendere in affitto ie terre di diversi proprietari ed esercitarvi la grande cultura. Ma dal concen- tramento necessariamente la srande cultura dipendere ove nella indu- stria agraria non sia praticata l'associazione che allora era appena sul nascere. (1) Furono ammessi al concorso Raffaele Busacca, Giovanni Bruno, Luigi Mazza- Garajo, Salvatore De Paulis, Benedetto Venturelli, Enrico Del Giudice da Barletta, Giuseppe Abate, Antonino Sciascia, padre don Luigi Ventura, Francesco Ferrara. (2) Salvatore De Paulis era ufficiale al Ministero nel dipartimento del Culto. Di lui leegesi nel « Gerofilo Siciliano> Giornale di Religione e Sacra letteratura, anno I, vol. II, 1846, p. 273, e anno II vol. I, p. 184, 247, un articolo: Diritto ecclesiastico. (3) I concorsi si facevano allora con due esperimenti, uno scritto, l’altro orale. Il primo dovea farsi sopra un tema dato dalla Commissione nella stessa Università, entro 24 ore, senza alcun aiuto di libri; l’altro consisteva in una lezione e nello scioglimento di due quistioni. (4) Sulla divisione della proprietà territoriale per il concorso alla cattedra di eco- nomia civile nella R. Università degli studi di Palermo, Memoria. Palermo, Tipo- grafia Morvillo, 1844. DI RAFFAELLO BUSACCA 19 La vasta cultura, esercitata con tutti i mezzi suggeriti dalla scienza, poter essere più produttiva della cultura sminuzzata; ma non perciò la questione può avere una soluzione generale, nè è mai da lodare il con- centramento artificiale della proprietà. Ma non sempre alla grande cultura vanno uniti sufficienti capitali, e però il paragone è da farsi fra la piccola e la grande non esercitata con adeguati mezzi. Così la grande cultura produrrà effetti sorprendenti nella doviziosa Inghil- terra, esercitatela in Sicilia, e avrete opposti effetti. « Fra i popoli ‘ita- liani, egli dice, noi siamo forse quelli che sotto tal riguardo più ci rav- viciniamo all’Inghilterra, la proprietà territoriale presso noi è ancora concentrata, perchè le leggi che ne producono la divisione sono di data recente. Ma noi abbiamo la cultura in grande con capitali insuffi- cienti, e non coadiuvata dal progresso, delle agrarie dottrine; parago- nandoci alla Toscana e all’ Inghilterra noi stiamo al di sotto di en- trambe, ancorchè da sistemi contrarî guidate. La Toscana con la di- visione della proprietà ci vince, l'Inghilterra con la concentrazione; e la produzione agraria mal progredendo in Sicilia, ridurrebbe questa contrada in deserto, se colla immensa feracità del suolo al difetto del progresso economico non supplisce ». Da ciò egli inferisce «Se tale questione suscettibile non è di solu- zione generale, ne segue che la libera circolazione delle terre da na- tura voluta pei principî che stabiliscono la libera concorrenza, sia l’or- dinamento naturale della proprietà territoriale, perchè dessa sola è capace di rannodare la proprietà e sminuzzarla secondo il sociale bi- SOGNO >». La grande cultura ottiene a più basso prezzo i prodotti perchè meglio in essa che nella piccola il lavoro si divide e possono usarsi le mac- chine. Ma l’economista non dee guardare solo la produzione della ric- chezza, ma anche la più equa distribuzione della medesima. «L’ ordi- namento sociale non si potrà dire conforme a’ voti della natura, quante volte da esso non proceda la individuale prosperità dal massimo numero. « Allorquando una città ci offre lo spettacolo di pochi strariechi a cui si oppone il crudele contrapposto della miseria de’ molti, quella città non è economicamente felice ; e la socialità allora diremo esser non può un contratto leonino, dove il bene dei pochi ricade a danno di tutti». « Sotto questo aspetto, egli aggiunge, la piccola cultura è più utile che la grande, distribuendo la ricchezza fra un maggior numero d’in- dividui. L'interesse materiale è stimolo efficacissimo ad ottenere dalla terra il maggiore prodotto. E poi la terra ha grandi attrattive; ci piace 20 DELLA VITA E DELLE OPERE poter dire : questa terra è mia, questa casa è mia; congiungendosi al possesso della terra il sentimento di una maggiore dignità morale e civile. «La divisione della proprietà è più utile ai costumi che alla pro- sperità materiale di un paese; la miseria e il demoralizzamento sono fra loro intimamente legati, come la moralità e il sentimento della pro- pria dignità e indipendenza ». Chiude il suo lavoro affermando che la società potrà un giorno ot- tenere, mercè l’ associazione , i vantaggi del grande accentramento e della grande cultura, uniti a quelli della divisione territoriale. Da quel tempo infatti grandi benefizi all’agricoltura sono derivati dalle as- sociazioni agrarie. « Veduti i vantaggi economici, morali e civili che dalla divisione delle terre procedono; veduti i danni che dallo sminuzzamento eccessivo da molti si temono, un’ ultima domanda fare ci si potrebbe. «La scienza non ci fa travedere alcun rimedio, onde la Società naturalmente ottenesse i vantaggi della concentrazione e della grande coltura, a quelli della divisione territoriale uniti? Nello stato attuale della scienza, questa ci dimostra i danni della eccessiva divisione, te- muti dalla libera circolazione delle terre, non potere giungere all’estre- mo; dessa con certezza maggiore c’insegna i mali dell’artificiale con- centrazione essere inevitabili. Ma più di questo con certezza la scienza non ci dice. Dessa però fa travedere un nuovo principio civilizzatore dovere poco a poco introdursi nelle società europee, onde ovviare ai mali che soffrono, rannodardo i deboli, rannodando le forze insufficienti, sicché la produzione si accresca, e la distribuzione migliori, senza che l’equilibrio tra varii poteri sociali si turbi, anzi facendo sì che meglio si consolidi. Questo principio si è l’associazione. Sinora, la grande pro- prietà si è reputata condizione indispensabile alla vasta cultura; però lo spirito d’associazione comincia a mostrarci la grande cultura non es- sere assolutamente incompatibile colla proprietà divisa. L'associazione è cominciata dai capitali, come quelli in cui gli ostacoli a vincere sono minori, ma a misura che i vantaggi della associazione dalla espe- rienza si rileveranno, a misura che le leggi civili, meglio ordinate dal progresso della scienza, i dritti degli associati sapranno meglio assicu- rare, a misura che meglio istruite le masse, l’associazione cesserà di destare i timori dei potenti per le prevaricazioni a cui spesso le masse trascorrono, l’associazione, è da sperare, dai capitali comincerà a diffon- dersi alla proprietà e indi al travaglio; ed il progresso economico mo- rale e civile dei popoli percepirà allora i vantaggi della grande cul- tura a quelli della divisione territoriale congiunti. » DI RAFFAELLO BUSACCA 21 Il Busacca non si dimostrò da meno di quello che la fama lo annun- ziava. Io ben ricordo avere giovanetto assistito allo esperimento orale dei tre concorrenti, che poi rimasero in due, e se l’uno (1) fe’ tanto soffrire l’uditorio, perchè, durante il tempo assegnato per la lezione e i quesiti, talmente si sgomentò che non potè profferire un solo periodo, il Busacca si mostrò padroneggiante la scienza, e piacque anche molto il Bruno, che con parola forbita svolse bene il tema e rispose a’ quesiti. Le due memorie furono giudicate dal Journal des economistes, e quella ‘del Busacca fu riputata per la forma incontestabilmente superiore al- l’altra (2). Però la cattedra non fu a lui conferita. Venne nominato professore il D.r Giovanni Bruno, assai più giovane di lui, e se non venuto in fama come economista, d’ingegno molto promettente. Il Busacca, scrivendo al Ministro dell’Interno, perchè lo raccomandasse al Ministro di Giustizia, al quale avea chiesto un posto in magistratura, diceva che in tutti i con- corsi fattisi sì in Napoli che in Sicilia mai l'opinione dei cultori della scienza era stata così unanimemente contraria al voto degli esamina- tori (3). E aggiungeva essere stato giudicato da un professore di istitu- zioni giustinianee, da un professore di procedura civile, da un agronomo, da un avvocato, da un medico (4). Non ebbe la cattedra, nè entrò in magistratura (5). IX. Adunossi in Napoli nel 1845 il settimo Congresso degli scienziati italiani, e da ogni parte vi convennero 1600 scienziati, e vi si trattò dei progressi delle varie scienze. Le scienze morali non aveano luogo nei programmi di quei Con- (1) Salvatore De Paulis. (2) Telle est la doctrine dévelloppée dans les deux memoires de MM. Busacea et Bruno. Si nous avons particuliérement cité le premier de ces economistes, si nous avons suivi la série de ses idées, c'est que la forme de son travail nous a paru avoir une ineconte- stable superiorité sur celle de son concurrent. Journal des economistes, n. 44, juillet, 1845. (3) Vedi lettera di R. Busacca fra le carte relative al concorso per la cattedra di eco- nomia civile esistenti nello Archivio di Stato. (4) La Commissione componevasi di sette; due dei quali giudicarono migliore della memoria del Bruno quella del Busacca. (5) Nel 1848 il prof. Pietro Sampolo propose alla facoltà legale della Università di istituirsi una cattedra di economia industriale, per occuparla il Busacca. Vedi lettera di Pietro Sampolo al Ministro dell'Istruzione nel giornale L’ Indipendenza e La Lega, n. 118, 8 agosto 1848. c SI 2 DELLA VITA E DELLE OPERE Lì gressi; erano solo permesse le discussioni civili ed economiche nella prima sezione, ch’era quella di agricoltura e tecnologia. In quel Con- gresso si manifestarono tendenze unitarie. Si stabili infatti di formarsi una statistica di tutti gli istituti di beneficenza italiani, si propose di fon- dare una Società italiana promotrice delle utili pubblicazioni, di com- pilare un dizionario tecnologico italiano, di fare una esposizione indu- striale italiana e d’istituire il credito agrario italiano per mezzo di ban- che provinciali di sconto, deposito e circolazione. Intervennero a quel Congresso alcuni siciliani fra i quali Filippo Cor- dova, Emerico Amari, Vito d’Ondes Reggio e anche il Busacca. Que- sti avrebbe avuto in animo di proporre la fondazione di una Banca nazionale italiana. « Ma parlare d’ istituzioni nazionali, seriveva egli più tardi nel suo discorso del credito pubblico in rapporto alla nazionalità, sotto governi antinazionali era sprecare inutilmente il tempo.» Nè s’in- gannava. X. Il non favorevole successo dello esperimento per il concorso, lo stato morale del paese, alcune circostanze e ragioni a lui personali, indussero il Busacca ad abbandonare Palermo. E stabili sua stanza nella gentile Firenze, ove, come nella città più italiana per sentimento, adunavansi molti delle altre regioni. E dei nostri egli vi trovò Filippo Parlatore, professore di botanica e direttore dell’Erbario Centrale Italiano, Paolo Giudice, Giuseppe La Farina, Paolo Morello, letterati e l’ultimo anche medico; e fuori Firenze egli trovò Giuseppe Cuppari, da Messina, dettar lezioni di agricoltura e pastorizia in Pisa, e Giovanni Pacini da Catania, l’autore della Saffo e della Fidanzata Corsa, levarsi in alto a Lucca fra più celebrati maestri della divina arte dei suoni. Divenne il Busacca cittadino: toscano, anzi sin da allora cittadino italiano. Ivi si strinse tosto in amichevole relazione con Salvagnoli, Ridolfi, Lambruschini, Cap- poni, Ricasoli, Vieusseux,e con altri che più erano in fama di dotti e liberali. Ed ivi tolse in moglie la signora Adele Siccoli, da cui ebbe unica figlia, cui pose nome Rosalia. La traduzione dall’ inglese del discorso di Roberto Peel detto a 27 maggio 1847 alla Camera dei Comuni Sulla revoca della legge sui cereali, fu il primo lavoro del Busacca in Toscana. Quel discorso fè trionfare l’idea bandita coraggiosamente da Riccardo Cobden, che chiedeva la immediata abolizione della legge cereale, e la più larga applicazione della libertà di commercio; con la revoca di quella legge si compirono le grandi DI RAFFAELLO BUSACCA 23 riforme operate dal Peel. Il Busacca fe’ seguire al discorso una bella memoria in difesa della libertà di commercio. Traducendo e scrivendo, egli tenne deste in Toscana le idee di libertà, poichè la libertà com- merciale, la civile e la politica sono fra loro sorelle. XI. - Nel 1848 in Firenze, come dapertutto in Italia, con la nuova vita di li- bertà sorsero i giornali politici. Bettino Ricasoli fondò il giornale La Pa- tria, Giuseppe Bardi L’A/ba, Giuseppe Montanelli a Pisa L’ Ialia. Più tardi comparvero in Livorno il Corriere Livornese e a Siena IZ Popolano. La Patria era compilata da Vincenzo Salvagnoli, Celestino Bianchi, Raf- faele Busacca, essendone cooperatori il marchese Cosimo Ridolfi, lo stesso Ricasoli, l'Abate Raffaele Lambruschini. Essa ebbe per suo programma la indipendenza assoluta d'Italia, e quindi la guerra all’ Austria, la libertà politica, economica, religiosa mediante la confederazione di tutti i governi italiani. L’ Alba diretta da Giuseppe La Farina, banditore di idea democratica, considerava il riformismo monarchico come prima stazione del viaggio a governo di popolo, e facea trasparire profonda avversione al papato in quel tempo in cui Pio IX suscitava universale entusiasmo. L’ Italia chiudeva il suo programma nelle due parole : Riforma e Nazionalità; ac- cennando con l’una parola alla rivoluzione interiore dello Stato to- scano, coll’ altra a creazione di personalità italica e a cacciata dello straniero (1). Il Busacca scrisse nella Patria, sulla Nazionalità Italiana e sulla Lega Doganale (2), sull’ Ordinamento dato al Governo delle Due Sicilie (3). Altro lavoro pubblicò allora a parte per la rivoluzione siciliana. XII. Palermo a 12 gennaio 1848 insorse animosamente per rivendicare la indipendenza della Sicilia da Napoli, e la sua antica costituzione. « La rottura coi regnicoli di terraferma, scriveva il Gioberti (4), parve (1) Vedi MonrANELLI, Memorie sull'Italia e specialmente sulla Toscana, vol. I. IL giornalismo politico toscano. (2) La Patria dal n. 71 al n. 129. (3) La Patria n. 131, 144, 146. (4) Del rinnovamento civile d’Italia, cap. IX. 24 DELLA VITA E DELLE OPERE però danno e scandalo, porgendo al principe pretesto di ritirare le sue armi dalla guerra patria e accrescendo le scissure della Nazione ». La Sicilia, scuotendosi dal collo il giogo del Governo napolitano , inten- deva collegarsi coi regnicoli di terraferma, come con gli altri popoli della penisola con altro e più saldo vincolo ch’era la federazione. Il Busacca, benchè lontano dalla terra natale, partecipò con l’animo a quel grande movimento, e scrisse La Sicilia considerata politicamente in rapporto a Napoli e all’ Italia (1). Egli, Siciliano, ben sapeva quali profonde radici avesse negli animi dei Siciliani d’ ogni classe, il sentimento d’indipendenza, d’autonomia locale. « Ora, egli diceva, non vi ha certamente contrada in Italia, in cui questo sentimento di personalità politica propria sia più universale e più veemente che in Sicilia; tra due milioni d’abitanti difficilmente ne trovereste un solo che non lo partecipi. Il sentimento nuovo è quello della Nazionalità italiana, questo vi ha fatto rapidi e inaspettati progressi. Ma non c’inganniamo su cosa importantissima ; il sentimento della subnazionalità , lungi dallo svanire collo sviluppo delle idee politiche, si è corroborato più di prima, soltanto si è dirozzato spogliandosi del- l’antagonismo che pria lo guastava. E se alla parola Italia, il popolo replica Italia, alla parola Sicilia quella sua maravigliosa energia di- viene veemenza irrefrenabile ». La Sicilia egli scriveva dover essere politicamente divisa da Napoli con un parlamento a sè, come il Gladstone testè proponeva per l’Irlan- da, e Sicilia e Napoli essere congiunte per un vincolo di unione, so- vraneggiando su l’una e l’altra lo stesso re; e la Sicilia dover trovare la sua difesa nella federazione. Però i Siciliani, respinte prima le scarse concessioni largite dal Re di Napoli, e riconvocato, dopo 33 anni, il loro parlamento dichiararono de- caduti dal trono di Sicilia Ferdinando II e i suoi discendenti, ed eles- sero più tardi Re un principe di Casa Savoja, il Duca di Genova. Ma le infauste vicende della guerra del Piemonte contro l’Austria impedi- rono che la corona dei Ruggieri e dei Federici posasse sul capo al re eletto. i La Sicilia ripresa dalle armi napoletane, cadde sotto il peggiore di- spotismo che ci fa ricordare le belle parole del Tacito, « et sicut vetus aetas (noi possiamo dire recens aetas) vidit quid ultimum in libertate esset, ita nos quid in servitute, adempto per inquisitiones et loquendi (1) Questa memoria fu pubblicata nel 1848 in Firenze dalla tipografia di Luigi Nicolai. DI RAFFAELLO BUSACCA 25 audiendique commercio, memoriam quoque ipsam cum voce perdidisse- mus, si tam in nostra potestate esset oblivisci quam tacere (1). XIII. Quando il Gran Duca nel 1848 diede la costituzione, il Busacca rap- presentò al parlamento toscano uno dei collegi di Firenze. I fatti d’Italia dopo la battaglia di Novara volsero ovunque in rovina. Il partito radicale in Toscana, incominciò a prevalere nei circoli. « Col programma della Costituente dalla quale nascer dovea la repub- blica italiana, e colla repubblica cacciar 1’ Austria d’ Italia, i Circoli spingevano il popolo all’anarchia, rendendo impossibile qualunque go- verno » (2). Presentatasi dal Governo una legge per dar norme al di- ritto di riunione, il Guerrazzi adoperò il fascino della sua parola per combatterla. Toccò al Busacca di riferire su quel disegno, e di esserne il sostenitore; arduo compito in quel momento in cui in piazza si tamul- tuava. « Quantunque, egli dice (3), io reputi sacrosanto il diritto di riu- nione, non so credere ammesso il diritto all’anarchia, e che il diritto di una riunione tumultuaria sia superiore a quello del Parlamento. » Ebbe il coraggio di confutare nel miglior modo i sofismi del Guerrazzi, e n’ebbe lode dagli onesti liberali, impopolarità dalla plebe. XIV. Fu ascritto nel 1846 fra i membri della I. R. Accademia economica agraria dei Georgofili che attendea allo incoraggiamento dell’ agricol- tura, e ne fu segretario degli atti. Quell’Accademia fu utilissima isti- tuzione per Firenze e per la Toscana; e ivi si discutevano e matura- 5 vano pensieri, studî e cose che altrove parvero nuovi quando nel 1848 e nel 1859 la libertà divenne regola di governo. Molti lavori di lui si contengono negli atti di quella Accademia (4). (1) Tactro : Vita agricolae, C. II. « Grande specchio di pazienza certamente noi fum- mo, e vedemmo il colmo della servitù come i nostri antichi della libertà, toltoei per le spie il poterci favellare e udire. Anche la memoria ne sarebbe ita, se lo sdimenticare fosse in poter nostro, come il tacere. » Traduzione Davanzati. (2) Memorie autobiografiche di R. Busacca. (3) Memorie autobiografiche. (4) I lavori del Busacca inseriti negli Atti dei Georgofili sono : 1. Selasuscettività della rendita che ha un fondo rustico od urbano all’epoca della stima debba valutarsi dai periti, e'‘quali siano le norme legali da seguirsi onde tutelare i dritti degli interessati. Volume 24, pag. 535. 1 26 DELLA VITA E DELLE OPERE Nel 1848 egli trattò il tema della Banca Nazionale italiana (1). « Chi nel 1845, egli dice, quando ci adunammo là dove il sangue dei Bandiera ancor fumava, chi preveder poteva l’Italia al 1848 dover essere tutta costituzionale, lo straniero presso ad esser cacciato al di là delle Alpi; popoli e governi uniti nel fermo proponimento di ordinare la nostra nazionalità ? «Ma poichè Dio ci ha riservato a quest'epoca maravigliosa, è no- stro dovere di cooperarci all’ opera divina; è nostro dovere che que- sta Italia realmente forte e nazione bene ordinata divenga. » Il credito era una forza quasi ignota in Italia in confronto di quel che fosse presso le altre nazioni. Nè dovea vincersi solo il sistema ipotecario non bene ordinato, nè lo stato della agricoltura o altro fatto secondario; c'era una causa malefica generale che ammorbando tutta la nostra eco- nomia rendeva inutile ogni sforzo ; questa causa che a noi mancava, era la nazionalità. La confederazione era nel 1848 l’unica forma possibile per l’Italia. Però abbisognava un governo centrale che, rappresentando i governi lo- cali, provvedesse alla comune difesa e rompesse tutti gli ostacoli fittizi, opponentisi al ravvicinamento degl’Italiani fra loro, e spingesse popoli e governi a fare a forze unite tutto ciò, che in quel modo unicamente 2. Sulla vendita dei terreni e sul valore dei fondi rustiei. Vol. 24, p. 58. 3. Del credito pubblico in rapporto alla nazionalità italiana. Vol. 24, pag. 101. 4. Sull’ ordinamento dell’ economia politica in occasione di un corso di lezioni da darsi nella sala dell’Accademia. (1847). Vol. 25, pae. $1. 5. Rapporto del Segretario degli atti. Vol. 30, pag. 537. 6. Elogio necrologico del Professore Luigi Calamari. Vol. 30, pag 605. 7. Sull’attuale incivilimento e sulla importanza che ha in esso l'elemento economico, scopo speciale dell’Accademia economica agraria dei Georgofili. (1853). Vol. 31, pag. 307. S. Rapporto del Segretario degli atti Raffaele Busacca sui tavori accademici del 1850. Vol. 38, pag. 341. 9. Rapporto sui lavori accademici dell’ anno 1853. Vol. I. Nuova serie, pag. 229. 10. Sulla esposizione dei prodotti dell’ industria e sulle condizioni economiche della Toscana. Vol. 2, Nuova serie, pag. 123. i 11. Sulle condizioni economiche della Toseana relativamente al commercio delle manifatture. Vol. 2, Nuova serie, pag. 251. 12. Sulle condizioni economiche della Toscana considerate in rapporto alle industrie estrattive diverse dall’agraria, e specialmente in rapporto alla industria delle miniere. Vol. 2, Nuova serie, pag. 395. 13. Rapporto inviato al Congresso internazionale di Bruxelles per la riforma doga- nale dalla Commissione a ciò nominata. (1856). Vol. 4, Nuova serie, pag. 97. (1) Del credito pubblico in rapporto alla nazionalità italiana. . DI RAFFAELLO BUSACCA 251 si poteva. « Allora, egli diceva, si creerà un interesse italiano e una industria, una economia italiana, e questa farà riacquistare all’ Italia quel primato economico che i nostri padri le diedero e che noi-abbiamo perduto. » «Una grande istituzione di credito non era possibile nei varii stati italiani, se ne togli il reame delle due Sicilie, che non avrebbe incon- trato l’ostacolo della piccolezza. Ma questo sventuratamente era il più infelice di tutti. Uno stato che avea sofferto per 35 anni la sventura di un governo sistematicamente barbaro e senza fede, non potea pensare allo sviluppo d’istituzioni la cui base è la fede e l’incivilimento. » Il Busacca adunque vagheggiava una Banca Nazionale per rendere produttrici le forze d’Italia e renderle italiane. E bramava che la To- scana, dove la progressiva libertà è pianta indigena antichissima e sem- pre giovane, in cui il principio di nazionalità è meglio sviluppato , si facesse promotrice di tutte le idee d’istituzioni nazionali. Non occorre avvertire che la proposta non oltrepassò le mura del- l'Accademia. In quello istituto dopo la rivoluzione la parola era libera, e il Bu- sacca vi trattò sempre argomenti di libertà economica e politica. L'elemento economico, egli dimostrò (1), è quello che dà forza reale e coesione all’ordinamento politico, e questo inevitabilmente deve avere la stessa base su cui l'elemento economico è ordinato. Nel mondo pa- gano l’uomo non aveva diritti, li aveva il cittadino; la schiavitù lavo- rante era base dell’ordinamento economico. Nel medio evo il privilegio è l’ordine politico, un privilegio il diritto a lavorare per proprio conto. Oggi la libertà del lavoro è Ia base dell’ ordinamento economico; ma dove è la forza economica, è la forza sociale; l’ordinamento politico non avrà base, finchè questa non sarà quella stessa della libertà. In tre memorie sulla industria toscana (2) dimostrava che la produ- zione agraria era stazionaria, e che la Toscana non potea prosperare se all’agricoltura non si unisse l’industria manifatturiera, la mineraria, la commerciale. Ma la Toscana dovea limitarsi a quella piccola industria che sola può provvedere a certi consumi locali. La grande industria vi era impossibile, essendo piccola la Toscana. Perchè questa prospe- rasse bisognava che, rotti tutti gii ostacoli nell’interno dell’Italia, mo- (1) Sul! attuale incivilimento e sulla importanza che ha in esso l’ elemento econo- mico, 1853. (2) Vedi sopra 1’ Elenco dei lavori pubblicati dal Busacca negli Atti della R. Acca- demia dei Georgofili. 28 DELLA VITA E DELLE OPERE dificasse le sue condizioni politiche, e quindi aceresciuti i rapporti tra le varie provincie d’Italia, cessasse economicamente di essere un pic- colo stato. Lo stesso argomento egli trattò di nuovo nel rapporto che a nome del- l'Accademia fu inviato nel 1854 al Congresso internazionale di Bruxel- les per la riforma doganale (1). « La prosperità delle repubbliche ita- liane e quindi delle toscane, egli diceva, proveniva dalla libertà poli- tica. Con l’assolutismo corruttore della dinastia medicea impiantatavi dallo straniero, la Toscana decadde, le leggi più assurde del sistema vin- colante portato agli estremi s’introdussero, soffocossi ogni industria, im- miseri il paese. Leopoldo I o meglio i suoi ministri sapientissimi e su- periori alla loro epoca, distrussero il falso sistema; non ne venne la piena libertà, ma economicamente la Toscana divenne più libera di qualsiasi altro stato di Europa, e con la libertà economica ritornò in Toscana la prosperità. L’ occupazione francese alla libertà sostituì il protezionismo tenacissimo in Francia, e la Toscana decadde. La restau- razione che mirava a disfare quanto i Francesi avevan fatto, ritornò al sistema Lecpoldino. La Toscana si riebbe, ma molto era il da fare per la libertà economica, e il governo restaurato, insipiente e inetto, fu stazionario. Intanto tutto in Europa mutava; la Toscana non progre- diva e standosi stazionaria ricominciavano le sofferenze. Nondimeno la legislazione economica, al confronto di quella di Francia e di altri paesi, dovea dirsi liberale. « Ma come il sistema vincolante tanto meno nuoce, quanto più essendo grande lo stato si avvicina a libertà, così tanto meno giova la libertà quanto più lo stato è piccolo. La libertà ristretta ai rapporti che ban tra loro 1,800,000 Toscani, non poteva dare alla produzione lo sviluppo di cui la Toscana è suscettiva. Essa restava soffocata dalla ristrettezza dei suoi confini e dal sistema doganale degli altri Stati italiani. Però, quand’anche gli altri Stati riformassero le loro leggi doganali, ciò non sarebbe che un palliativo. Poichè in Italia Io svolgimento delle forze produttrici, non viene soltanto dal pessimò sistema doganale, ma più ancora dagli effetti economici, dalla molteplicità degli Stati.Il libero scam- bio non è infatti la sola condizione necessaria allo sviluppo delle forze. Unite due popoli d’indole, d’interessi e d’idee diverse; colla inopportuna aggregazione si paralizzano entrambi a vicenda. Tutti gli ostacoli arti- (1) Rapporto inviato al Congresso internazionale di Bruxelles per le riforme doganali dalla Commissione Accademica a ciò nominata e presentato alla R. Accademia dei Geor- gofili nell'adunanza del 14 settembre 1356. DI RAFFAELLO BUSACCA 29 ficiali creati dalle divisioni artificiali, non consentanee all’indole natu- rale di due popoli omogenei, producono lo stesso effetto , arrestano la cooperazione delle forze, fanno scemare la produzione. Questo era il caso non della Toscana soltanto, bensi di tutta Italia.» (1) XV. Nel 1850 traducendo quel valent’ uomo di Paolo Emiliani Giudici ‘l’opera di lord Enrico Brougham, la FWosofia politica, (2) il Busacca crebbe pregio a quell’ opera con una èr2troduzione, nella quale espose le sue teorie sul principio fondamentale del diritto, sull’origine della società civile, sulla sovranità, e le varie forme di governo, sulla for- mazione legale degli Stati, e la nazionalità. Il diritto di sviluppare le proprie forze e di usarne subordinatamente alle necessità del consorzio umano, è eguale in tutti; ma diseguali sono le forze. I pregi e i difetti di un governo dipendere dal darsi o no a ciascuno degli elementi sociali un potere legale in proporzione della sua forza reale. Da qui i difetti intrinseci dell’assolutismo, che accen- trando in un solo il potere, toglie alla società il cooperamento delle altre forze e ne impedisce lo sviluppo, comprimendole ; da qui i difetti del- l’aristocrazia poggiante sul privilegio. La democrazia, rettamente in- tesa, come ordinamento sociale , è 1’ uguaglianza di tutti i consociati nel diritto di perfezionarsi e sviluppare le proprie forze e prosperare subordinatamente alle necessità del consorzio. Come forma di governo, la democrazia è l’assenza d'ogni privilegio politico; i suoi pregi e difetti dipendono dal modo ond’essa è costituita. Non escludendo l’uguaglianza naturale, la naturale disuguaglianza delle forze e la gradazione delle capacità, la democrazia dee consistere nel conferire il potere legale in ragione della capacità. Dalla coesistenza de’ tre elementi, monarchico, aristocratico, democra- tico nasce il governo misto o di transazione, il cui congegno sta nel po- tere legale conferito a ciascuno degli ordini indipendenti, che sono freno l’uno all’altro. Identità d’interessi, possibilità di cooperare, ecco le basi del riordinamento delle nazionalità ; il procedimento storico del- l’ Europa n’ è una conferma. (1) Memorie autobiografiche. (2) Filosofia politica di Lord Enrico Brougham tradotta da Paolo Emiliani Giudici e Raffaele Busacca, Firenze, Batetti, 1850, Vol. due in-S. La traduzione è fatta dallo Emi- liani Giudici, come il Busacca dice nelle sue Memorie autobiografiche. 30 DELLA VITA E DELLE OPERE In Italia una parte è stata monarchica feudale, una repubblicana ari- stocratica: nel centro il Papato col suo potere temporale, in guerra con l’uno o con l’altro Stato; povero di forze proprie, sostenuto dalle armi straniere. Da siffatta condizione di cose è stata impedita la unione degli Stati per conquista, quindi il riordinamento politico della nazio- nalità italiana non potrebbe venire che dall’unione spontanea delle varie subnazionalità, le quali col loro naturale sviluppo si assimileranno, e le rispettive secondarie differenze nel continuo attrito si ridurranno per forma che non renderanno difficile l’unione, e, allora la vita comune e il bisogno di essere forti contro lo straniero faranno sentire il bisogno dell’ unione ; facendosi sempreppiù distinta e potente 1’ idea della na- zionalità, l'unione si renderà possibile. La introduzione chiudevasi con queste parole : « L’opera di Lord Brou- gham, considerata come trattato riguardante la forma dei governi, è il trattato più completo di quanti se ne conoscano, e tra i lavori di questo genere è forse quello in cui ad onta della vastità e difficoltà dell’argomento, i pregi sorpassano più che in ogni altro i difetti. Però questa opera per noi Italiani non è che un libro utilissimo a studiare per servircene al nostro scopo speciale. Ma essa non ci dà nè ci avrebbe potuto dare quello che più specialmente abbisogna all'Italia, un corpo cioè di dottrina specialmente a noi adattata e che dir si possa politica nazionale italiana. Questa non può venire dall’ Inghilterra, deve na- scere in Italia e solo dagl’Italiani scrittori si potrà creare. » Così scriveva nel 1850 in Toscana il Busacca. Non vi era occasione che egli non cogliesse per svolgere i principî della scienza economica e volgarizzarli. Nel 1859 fondossi in Livorno dal signor Gorelli, sull’ esempio della 5Lanque d’echange del Bonnard, che poi divenne il Comptoir Central di Parigi, una Banca commerciale e industriale. Ed egli serive per il popolo, non per gli economisti, delle Banche di permuta per dimostrare il meccanismo di quella banca, che proponevasi di soccorrere ogni maniera d’industria, agevolando la per- muta immediata dei prodotti coi prodotti e combinando le operazioni di credito con la permuta (1). XVI. z La Toscana nel 1848 era stata federale non solo perchè la federazione paresse e fosse la sola possibile, ma perchè la dinastia per la sua an- (1) Delle Banche di permuta in occasione della Banca Commerciale e industriale di F. GorELLI E C., Memoria. Firenze, tipog. Barbera Bianchi e C., 1857. 4 ’ È A î È A : i } DI RAPPAELLO BUSACCA 5I tichità, per la sua mitezza avea salde radici. Però l’ Austria giovò a far mutare indirizzo alla maggioranza toscana. Rientrato nel 1845 in Fi- renze il Gran Duca con la divisa di generale Austriaco, scortato dagli Austriaci, Toscana tutta divenne da quel giorno unitaria. Il Piemonte rimasto costituzionale con Vittorio Emanuele, e la Toscana unitaria importavano la caduta della dinastia di Lorena e l unità d’ Italia. Il Busacca lo presenti. - «Io ne feci, egli dice, il vaticinio alla dinastia nel 1851. Divenuta infatti impossibile 1’ esistenza dei giornali politici quotidiani, gli antichi sostenitori e redattori della Patria si cercarono un compenso nella pub- blicazione di una raccolta di memorie col titolo : Miscellanea di scritti politici. Una memoria col titolo : 1’ Assolutismo, discorso politico mo- rale relativo alla Toscana, fu il mio contributo. Pei Toscani, io diceva, il principato era stato sempre magistratura civile, il principato -pa- dronanza era loro ignoto. Soltanto la pressione di una grande potenza sopra uno stato piccolo avea potuto creare e far vivere in Toscana il governo. Era stato tranquillo all’interno, facendo sentire quanto meno fosse possibile la sua esistenza. Col principio di uccidere il cittadino e lasciar vivere l’uomo, il governo si era retto per il passato snervando il paese. (1) Ma l’assolutismo non avea avuto mai nè base nè forze vitali in Toscana. La sua base era a Vienna, e questa era la causa per cui lo spirito di nazionalità italiana, erasi più che altrove sviluppato in Toscana. « Oggi l’assolutismo, vecchio, molle, indolente, è impossibile per quel ch’è accaduto; l’assolutismo violento è in Toscana impossibile, il paese lo renderebbe impotente con l'inerzia, il governo non troverebbe agenti che lo secondassero. E io, conchiudeva: prima o poi, la stessa reazione e le quistioni internazionali porteranno in Europa nuove crisi. Che sarà se la crisi sorprenderà la Toscana sotto l’assolutismo provvisorio o per- manente? Voi chiamerete allora i costituzionali a sorreggere il princi- pato, essi non potranno, l’assolutismo avrà loro tolto le forze. Questo era (1) Il Toscano Morfeo vien lemme lemme Di papaveri cinto e di lattuga, Che per la smania d’eternarsi asciuga Tasche e maremme. Coi tribunali e co’ catasti annaspa; E benchè snervi i popoli col sonno, Quando si sogna d’imitare il nonno, Qual cosa raspa. Giusti, L'incoronazione. 2 DELLA VITA E DELLE OPERE DI il mio vaticinio nel 1851, e il fatto stesso della pubblicazione del mio scritto è prova che io avea ben caratterizzato quel governo. Biso- gnava infatti che quel governo fosse assolutamente senza alcuna forza propria nel paese, perchè quello scritto si potesse pubblicare durante l'occupazione austriaca » (L). XVII. Avvenivano nel 1859 i grandi fatti iniziatori dell’unità d’Italia. La guerra contro l’ Austria combattuta dalle armi francesi e dalle italiane liberò con la vittoria splendidissima degli alleati la Lombardia dallo straniero. E se la guerra fosse continuata, l’Italia sarebbe stata allora libera dalle Alpi all’ Adriatico. Inaspettatamente si strinse la pace fra l’ Imperatore Napoleone III e il generale tedesco. La Toscana, abbandonata fin dal 27 aprile dal Gran Duca, reggevasi a governo provvisorio e si pose sotto la protezione del Re che propu- gnava l’indipendenza italiana. Commissario del Re Vittorio Emanuele era Carlo Boncompagni che da Ministro presso la Corte del Principe di Toscana, passò a Capo di quel Governo. Egli nominò Bettino Ricasoli ministro per le cose interne, Carlo Ridolfi per la istruzione e i negozi esteriori, Busacca per la fi- nanza, Enrico Poggi per la giustizia, Domenico Salvagnoli pei culti e Malenchini per la guerra. Il Ricasoli fu l’anima e la mente di quel governo. Si convocò un’ assemblea per deliberare sulle sorti della Toscana, facendosi pratiche ad un tempo presso Napoleone III perchè nell’ as- setto definitivo dell’Italia si tenesse conto del voto del popolo Toscano, e presso Vittorio Emanuele perchè volesse continuare il suo protetto- rato. I municipi intanto, precorrendo il voto degli elettori, votarono l’annessione della Toscana al regno Sardo. L'Italia si costituì in Toscana. Intrighi, lusinghe, minaccie tutto fu messo in opera dalla diplomazia officiosa e specie dalla francese per far deviare dalla sua meta la Toscana. Si voleva la federazione col Piemonte ingrandito, il regno delle Due Sicilie in fondo, il Papa indi- pendente, il regno dell’Italia centrale con Firenze capitale nel mezzo. Ci volle la giustezza di mente, l’avvedimento, la tenacità del Barone Ricasoli per vincere gli ostacoli e giungere alla bramata unità. (1) Memorie autobiografiche. DI i DI RAFFAELLO BUSACCA 33 Radunatasi gli 11 agosto l'assemblea, venne decretato il 16 con 168 voti segreti e unanimi non si potesse «la decaduta dinastia nè richia- mare perchè torni, nè se tornasse riceverla.» India’ 20 si stabili che la Toscana facesse parte di un forte regno costituzionale sotto lo scettro di Vittorio Emanuele, e si riconfermò il mandato ai reggitori dello Stato onde continuassero a governare il paese fino al definitivo assetto del medesimo. La Deputazione Toscana andò a presentare quel voto al re Vittorio Emanuele, il quale, pur di buon grado accogliendolo, aggiungeva l’adem- pimento di esso non potersi effettuare che col mezzo di negoziati che avrebbero luogo per l’ordinamento delle cose italiane. Si decretò allora che le sentenze e gli atti s’intitolassero col nome di Vittorio Emanuele, la lira italiana divenisse moneta legale della Toscana, e si coniasse nuova moneta con la leggenda Vittorio Emanuele reeletto. Si soppressero le linee doganali che dividevano la Toscana dagli altri Stati limitrofi, si adottò la tariffa doganale Sarda, e praticando lo stesso il Governo del- l’Emilia, 1’ Italia settentrionale e la Centrale, rispetto al commercio , divennero unico Stato. L'Assemblea Toscana nominò reggente il principe Eugenio di Cari- gnano; la accettazione del quale implicitamente importava riconoscersi dal Governo di Torino, la Toscana come faciente parte dello Stato Sardo. Al Cavour che s'era dimesso, era succeduto il Rattazzi, ma questi fu ben lontano dall’osare. Si propose allora di riunire sotto uno stesso governo provvisorio tutta l’Italia centrale con l’intendimento di annet- terla al Piemonte, ma ben vi si oppose il Governo di Toscana, ritenen- dolo nocevole alla voluta unità. Alla formazione di quel regno centrale si sostitui poi una lega militare fra gli stati dell’Italia centrale. rima- nendo ciascuno. di essi distinto e indipendente. Il 51 dicembre ritornò in Firenze il Boncompagni Governatore Gene- rale delle provincie collegate. A 21 gennaro 1860 il Governo Toscano annunziò al popolo che i voti della Toscana erano stati accolti dalle potenze, e promulgò lo statuto costituzionale e la legge elettorale dello Stato Sardo. Non bastò il voto dell’assemblea; si volle il plebiscito. Convocato a 2 marzo 1860 il popolo Toscano in comizi, con 386,445 voti decretò l’ unione alla monarchia del Re Vittorio Emanuele, solo 14,925 chiedenti la separazione del regno, e 4949 nulli. La Toscana divenne parte del regno di Piemonte. «Alla Toscana spetta, scriveva Bettino Ricasoli, di fare il nuovo regno d’Italia. » E l’Italia fu pressochè fatta quando a’ voti dei Municipii suc- ) DI di ELLA VITA E DELLE OPERE cedette il voto dell’assemblea eletta a largo suffragio nello storico salone dei 500, confermato dal solenne plebiscito. Si compi poi con la annes- sione della Emilia e poi della Sicilia e del reame di Napoli, e corona- mento alla ricostituzione del regno italico fu l'acquisto delle Venete pro- vincie e di quella romana che diede al regno la sua capitale. XVIII. Il Busacca stette al potere fino al 21 marzo 1860, quando per decreto del re Vittorio Emanuele cessava il governo provvisorio della Toscana. Secondò sempre le idee propugnate dal Barone Ricasoli, e quando discor- danza di sentimenti vi fu nel Consiglio dei Ministri relativamente all’indi- rizzo politico, egli non esitò; « per me, egli scriveva (1), la Toscana come Stato autonomo era morta fin dal 1849, per me l’ unità era ormai necessaria, e secondando col Savagnoli il Ricasoli, il partito si vinse; e una Volta adottato, fummo sempre unanimi nei modi per conseguirlo. » Per soddisfare i giusti lamenti contro la noncuranza del cessato g0- verno, e perchè il lavoro in quei tempi difficili non mancasse , diè forte impulso alle opere di utilità pubblica; affrettò il compimento della essiccazione della palude di Bientina, e compiuta l’opera dispose la di- visione in preselle (2) dei terreni risanati da concedersi agli abitanti di quei luoghi. Similmente ordinò il prosciugamento di altro palude detto Bimiglia, e fece progredire le opere idrauliche di Val di Chiana. Provvide a dotare la Toscana di strade ferrate che collegassero fra loro le città di quella regione, e insieme con le altre dell’ Italia su- periore e della centrale. Con questi provvedimenti necessari allo svi- luppo delle forze produttrici del paese, si diè lavoro, si soddisfece a’ de- sideri delle popolazioni. Soppresse come inutile 1’ ordine cavalleresco di S. Stefano (3), convertendo le commende di grazia in pensioni vita- (1) Memorie autobiografiche. (2) Presa, presella #. agrario. Mòdo, a campetti, di spianeggiar la terra coltiva- bile in poggio o Spartimenti, quadri e regolari di terra seminabile in piano. In una presa di terreno si faranno cinque appezzamenti. PepRoccHI: Dizionario Universale della lingua italiana. (3) L'ordine di S. Stefano fu istituito da Cosimo dei Medici, primo Duca di Toscana nel 1562, a ricordo della vittoria riportata a 2 agosto 1544 contro Strozzi comandante delle truppe francesi, e gli diè nome di Santo Stefano, per il ricadere in tal giorno la festa di quel Santo. L'ordine ch'era militare e civile, rinnovato nel 1817 dal Gran Duca Ferdinando III, DI RAFFAELLO BUSACCA DO lizie a favore degli attuali investiti; devolvendo ai patroni attuali quelle istituite da famiglie private, le rimanenti avocando allo Stato. Aboli tutti i pedaggi che inceppavano il commercio; ribassò il prezzo del sale; aboli altra tassa detta dei macelli, vessatoria per il modo con cui ri- scoteasi, e che disegualmente pesava sui comuni senza adeguato pro- fitto dello erario. Per venire poi più direttamente in ajuto alla classe agricola e svincolare la proprietà fondiaria, aboli anche le decime par- rocchiali, dando a’ parroci il compenso a carico della depositaria (1). Nè ciò bastando, con una legge che poi fu imitata nel 1864 dal go- verno Italiano, rese affrancabili tutti i canoni a favore di manimorte mediante la cessione di rendita sul Gran Libro (2). In buone condizioni, se non assai prospere, erano i municipi. della Toscana. Ma con la rivoluzione si accrebbero i bisogni reali, si ac- crebbero le esigenze. Aumentatesi le spese, era indispensabile un aumento di entrate. Perciò non essendo quello il momento opportuno di accrescere le im- poste dirette, i municipii, specie quelli di Firenze e di Livorno, chie- sero la riforma del dazio di consumo. Tanto più essi ne avevano ra- gione in quanto che in Toscana, soltanto i sette comuni più grossi ave- vano il triste privilegio di pagarlo. Il governo ne avea avocato a sè il prodotto, facendo su questo soltanto piccoli assegni a’ municipii, e d’al- tra parte anche in Toscana il dazio di consumo per la molteplicità dei generi imposti minacciava di divenire una dogana interna; e inoltre al dazio principale aggiungevansi le sopratasse di vario nome che mag- giormente lo aggravavano. Uno dei primi decreti del Busacca fu la riforma del dazio consumo. Sì restrinse la imponibilità a’ commestibili, alle bevande, al bestiame, ai foraggi, a’ combustibili, esentandosi dal dazio qualsiasi altro prodotto. componevasi di quattro classi: Priori di gran croce — Bali di gran Croce — Commenda- tori e Cavalieri — e tra questi ultimi alcuni di giustizia, altri di grazia. Per essere ammessi in questo ordine bisognava provare quattro gradi di nobiltà pa- terna e materna e fondare una Commenda, ossia un maggiorasco ereditario nei ma- schi discendenti dal fondatore. Vi erano Commende di grazia delle quali il Gran Duca disponeva per retribuire i servigi di qualcheduno. (1) «Così chiamavasi sino agli ultimi tempi in Toscana l’Erario pubblico e il luogo dove si conserva, che oggi che le casse son vuote, dicesi Tesoreria.» Vocabolario ilaliano della lingua parlata, compilato da G. Rigutini e P. Fanfani. Firenze, tipografia Cen- niniana, 1875. (2) Vedi legge 24 sennaro 1864 sulla affrancazione dei livelli, censi, decime, ecc. 36 DELLA VITA E DELLE OPERE Si abolirono tutte le tasse addizionali. Si assegnò a’ municipii il 5 % del prodotto effettivamente ricavato, e si sostituì il 2 °%/, dello stesso pro- dotto a una tassa di beneficenza che prima andava in aumento del dazio principale. Ma scortosi che ben poco sarebbe stato il vantaggio che i municipii ne avrebbero cavato, con altro decreto del febbraro 1860 fu stabilito dal Busacca che dal 1° gennaro 1861 il dazio sarebbesi riscosso dalla Finanza a vantaggio dei Comuni, detratte dal prodotto lordo le spese di riscossione, e che sui municipii sarebbero eravate le molte spese d’indole puramente locale che prima erano a carico della finanza. Oggi si segue la via opposta. Si sono trattati i comuni come se l’Italia non fosse composta di comuni, si sono ad essi aumentati gli oneri, e si son loro tolte le entrate. Quel decreto fu argomento di cen- sura, ma lo stato in cui oggi sono tutti i grossi comuni, dimostra quale dei due sistemi fosse il migliore. Mentre il Busacca sedeva nei Consigli del Governo provvisorio, fu- rono chiamati nello Istituto di studi superiori e di perfezionamento in Firenze, Emerico Amari per leggere Filosofia della Storia; Francesco Paolo Perez la storia della letteratura italiana, e Michele Amari lingua e letteratura araba. Alla nomina di cotesti tre illustri Siciliani, che dei loro nomi onorarono quell’Istituto, non par dubbio avere anche conferito l’autorevole parola del Busacca. Tale fu ì' opera del Busacca durante il suo ministero in Toscana. NIN. Fattasi l'annessione della Toscana il Busacca fu deputato di Borgo S. Lorenzo al parlamento italiano nelle due legislature VII e VIII, e poi del Collegio di Montalcino nella XI e XII, e nelia Camera (1) e fuori partecipò assiduo alla legislazione del nuovo Regno, e sono opera sua di quel tempo le norme onde fu ordinato il debito pubblico (2). (1) Vedi i suoi Discorsi : Intorno al progetto di legge sul Conguaglio provvisorio dell’ imposta prediale, detto nelle tornate del 20 e 21 febbraro 1564, Torino, Eredi Botta. — Sui provvedimenti finanziari, discorso pronunciato nelle tornate del 15 e 16 marzo 1S72, Roma, Tipografia. Eredi Botta, 1872.—Interpellanza al Ministro delle Finanze Sulla attuazione della legge di contabilità in quanto riguarda è bilancî di previsione e î rendiconti amministrativi. Roma, Tipografia Eredi Botta, 1S573.—Sullo schema dî legge per la concessione del congiungimento della ferrovia Aretina colle Venete. Di- scorso pronunziato nella tornata del 12 giugno 1873, Roma, Tipografia Eredi Botta, 1873. (2) Vedi Cenno di R. Busacca di A. GorTI nel giornale Il Diritto, anno XL, N. 24, 21 gennaio 1893. DI RAPFAELLO BUSACCA ST La Convenzione del 15 settembre 1864 fra il Governo francese e il nostro, segnò un termine fisso per la partenza delle truppe francesi da Roma, e ci obbligò di trasferire la capitale da Torino a Firenze. Questa convenzione fu argomento di larga discussione nelle note diplomatiche, nei libri, nei giornali. Fra gli altri il Busacca scrisse La Convenzione del-15 settembre (1). Egli dimostrò che con quel patto non si rinunziava nè esplicitamente nè implicitamente a’ diritti che l’Italia aveva su Roma; nè il trasferimento della capitale importava una rinunzia, potendo es- sere ben altri gli intendimenti del Governo che quello di stabilirsi dif- finitivamente in Firenze o altrove; la convenzione era l'applicazione del principio del non intervento anche a Roma. Se un accordo fosse possibile tra il potere temporale e i popoli, se fosse possibile una sua trasformazione che lo renda accetto a’ Romani, e faccia di Roma una città italiana, tale accordo e tale trasformazione impedirebbero all’ Italia di avere Roma per capitale. Il Pontefice era lasciato in balia di sè stesso per far lo estremo esperimento, atteggiandosi, se gli fosse possibile, secondo i bisogni della civiltà nuova. Il Busacca dimostrò che essendo impossibile per la rigida sua immo- bilità questo riformarsi del potere temporale, dalchè il Governo di Roma è fatto per l’orbe cattolico non pei Romani, l’esperimento fallirebbe. «Quando si dice, egli aggiunge, che il potere temporale del Papa è necessario al suo potere spirituale, implicitamente si stabilisce il prin- cipio che per quel governo il benessere dei suoi governati è tutto al più uno scopo secondario, ma che in realtà esso è creato nell’interesse generale del cattolicismo. Che questo principio sia la base costitutiva del potere temporale del Papa, i suoi sostenitori non lo negano, anzi ad ogni occasione lo proclamano. Però è in questo principio costitutivo il vizio irrimediabile di quel Governo; poichè un Governo, il quale esiste più per gli interessi degli altri che per quelli dei suoi popoli, è perciò stesso un Governo assurdo, che adempier non può la missione comune a tutti i Governi. «Se il Papa volesse sostenere il suo potere temporale impegnandosi in una lotta di sangue co” Romani, la Convenzione cesserebbe. L'Italia non potrebbe impassibile assistere alla lotta fra il popolo e le truppe mercenarie raccolte da ogni paese per puntellare il vecchio edificio ca- (1) La Convenzione del 15 settembre. Considerazioni. Milano, stabilimento Civelli, 1864. 3S DELLA VITA E DELLE OPERE (3) dente. Allora quel potere teocratico cadrà « come cadono le cose vec- chie e caduche per difetto di ogni susta interiore che le sostenga» (1). Più tardi imprevedute circostanze affrettarono il compimento dei de- stini italiani. Roma proclamata nel 1861 dal parlamento a voti quasi unanimi capitale del Nuovo Regno, divenne italiana a 20 settembre 1870, e ivi si trasferi la sede del governo per legge de’ 3 febbraro 1871. Il Governo volendo rimeritare il Busacca dei grandi servigi prestati, come economista e come uomo politico, lo nominò consigliere di Stato. XX. Le alte quistioni di finanza e di economia egli trattò sempre con quella competenza che gli avevano acquistato i suoi lunghi studii. Scrisse nel 1867 nella Gazzetta d’ Italia sul prestito che il Governo volea fare dando per speciale sarenzia le obbligazioni dei beni ecclesiastici (2). Nel 1868 tornò sullo stesso argomento : / deri ecclesiastici e il disavanzo arretrato, (3) dimostrando che ben potevasi provvedere altrimenti al di- savanzo arretrato, e che conveniva meglio impiegare i beni ecclesiastici a diminuire il disavanzo annuale, accettando in pagamento del prezzo dei beni, invece di denaro o d’ obbligazioni fruttifere, rendita conso- lidata e questa annullando. « Nelle circostanze attuali crediamo, egli dicea, che quando il Governo attribuisse alla rendita consolidata un prezzo superiore di dieci punti - al prezzo di borsa, offrirebbe a’ possessori della rendita e «a chiunque altri volesse acquistare i beni, un contratto di un rilevantissimo e non sperato profitto, e vantaggiosissimo al tempo stesso per la finanza ». Un esempio, egli dicea, servirà a mostrarne praticamente i risultati : « Supponghiamo che > lire di rendita italiana valgano alla Borsa L. 50 di capitale, e che si abbia un fondo la cui rendita calcolasi di L. 1000, e il cui valore capitale al 100 per 5 sia conseguentemente di L. 20,000; se il Governo in pagamento delle L. 20,000 accettasse rendita consoli- data alla ragione di L. 60 per ogni > lire, con quel fondo il Governo ri- sconterebbe lire 1666 di detta rendita, e annullandola diminuirebbe di altrettanto il disavanzo. (1) GareorTI LeopoLpo. La prima legislatura del Regno d’ Italia. Studi e ricordi. Firenze. Lemonnier, 1865. (2) Vedi Gazzetta d’Italia nn. 169, 100, 191, 195, 199 del 1S6%. (3) I beni ecclesiastici e il disavanzo arretrato. Estratto dalla Gazzetta d’Italia, un breve opuscolo di p. 3S, Firenze 1868, Tip. Eredi Botta. Tn —e "ro ,r— ti ate dal. » A ssa Ira K d L . Società pubblicate dal Segretario di essa Francesco Protonotari nella Nuova Antologia DI RAFFAELLO BUSACCA 43 e che il desiderio di farne una scienza di applicazione all’ industria, la snaturerebbe, togliendole quel carattere che dalle altre la distingue. Riguardo a’ programmi l’adunanza fu concorde nel volerne la sop- pressione. Il vero programma, secondo il Busacca, è la buona scelta dei profes- sori. Fatta bene questa, il lasciar libero il professore è il partito migliore; il miglior programma non renderà buono il professore che tale non è. Il Busacca non intende come il metodo sperimentale applicar si possa all’economia politica. Questa scienza, egli dice, come la filosofia, come il diritto, è scienza naturale, e come non si vorrebbe che il metodo sperimentale fosse applicato alla scienza del diritto, così non capisce che il professore debba dimostrare le verità della scienza economica con gli esperimenti. La economia politica è , senza dubbio, come le altre, una scienza desunta dai fatti, ma i suoi sono d’un ordine che non si presta agli esperimenti. Contro al Busacca che negava fosse la economia politica una scienza sperimentale , bene rispondeva l’ illustre A. Messedaglia. Il dissenso, questi diceva, può derivare dalla varia significazione che si attribuisce alla espressione di metodo sperimentale ; cesserebbe se si dicesse metodo d’ossercazione, il quale parte dai fatti osservati ed ha per istrumento logico la induzione. L’ economia politica è anche essa una scienza di osservazione ; eutra anch’ essa in quella vasta cerchia delle scienze induttive che si dilata di più in più, e già comprende la psicologia, la scienza del linguaggio ed altre discipline che un tempo volevansi svol gere per via deduttiva. E conchiudeva che 1° economia politica debba trattarsi come scienza d’ applicazione e darsi al suo insegnamento nelle nostre scuole, altro indirizzo essenzialmente applicativo. Alle quali idee si accostò il Busacca, riconoscendo che la scienza economica ha per base i fatti e da essi desume le sue teorie le quali non altrimenti che co’ fatti si possono insegnare (1). Intorno ai trattati di commercio (2) il Busacca sostenne che una na- zione la quale vuole adottare il libero scambio non debBe legarsi con trattati, costituendo questi un sistema di compensi che si riduce a fare un danno minore agli altri perchè lo facciano minore a noi, ma debba porre dazi bassissimi d’ importazione e di esportazione senza curarsi (1) Vedi Del metodo induttivo nelle scienze sociali. Discorso inaugurale letto nella R. Università di Modena, il giorno 11 movembre 1882 dal prof. G. Ricca Salerno. (2) La riunione per questa quistione fu tenuta a 27 aprile 1870, 44 DELLA VITA E DELLE OPERE di quel che fa l'estero. È la dottrina di G. B. Say e di tutta la scuola francese fino a Michele Chevalier; dottrina ripresa novellamente da Leone Say. Gli altri oratori ammisero invece in quella discussione essere op- portuni i trattati come mezzo per giungere ad una più piena attuazione del libero scambio. . La proprietà delle miniere fu uno degli argomenti più importanti che venne trattato in quella Società (1); argomento intorno al quale il di- battito è sempre vivo. A chi spetta la miniera ? Al proprietario della superficie, dicono gli uni; allo Stato, altri; e altri all’inventore. Eccovi i tre sistemi a’ quali potrebbe aggiungersene un quarto ch'è una delle pretese rivendicazioni dei socialisti, riassumentesi in queste parole : la miniera è dei minatori. L'industria mineraria è un’impresa, e il minatore è l'operaio addetto alla medesima, avente diritto alla rimunerazione del suo lavoro. Se- condo i socialisti, l'operaio prenderebbe possesso della stessa impresa (2). La proprietà del suolo comprende lo spazio aereo e il disotto, nel quale può farsi qualsiasi costruzione e cavamento , e ricercarsi sor- genti, cavarsi pietre, creta o minerali; questa proprietà ignota, occulta, non rientrante nel patrimonio del proprietario prima di essere scoverta, spetta sempre a lui potenzialmente. Onde ben si avvisarono i sommi giureconsulti romani quando stabilirono che venduto un fondo con ri- serba delle cave di pietra, la riserba dovesse riguardare le cave aperte ed apparenti, non già le occulte, le quali, appena scoverte, apparter- rebbero al compratore del fondo come parte di esso (3). L'occupazione del suolo adunque, secondo il nostro sistema, comprende tutte le utilità apparenti e anche le non apparenti che sotto quello possano rinvenirsi. Nè al concetto della proprietà della terra, abbracciante il di sopra e il di sotto, osta che la proprietà sotterranea possa in certo modo riguardarsi come staccata e indipendente dalla parte di sopra; impe- rocchè il proprietario del suolo avrà una proprietà divisa, in parte * (1) Questa quistione fu trattata il 26 febbraro e il 26 marzo 1871. : (2) Vedi CourceLLE-SENEUIL nel Nouveau Dictionaire d’economie politique alla pa- rola Mine. (3) Fr. 77 D. XVII, I, De contraenda emptione — Cuyacio ad 1. 77. in lege fundi vendendi. — FaBro, RatIONALIA, De Contr. empt. DI RAFFAELLO BUSACCA 45 soprastante e in parte sottostante, nell’una svolge l'industria agraria, e-nell’altra la mineraria. È vero che la proprietà sotterranea ha una giacitura sua propria, e sovente si allaccia e sottostà sotto le super- ficie di fondi appartenenti a proprietari diversi; ma ciascuno di questi non ha diritto che alla proprietà del di sotto rispondente alla super- ficie sua (1). La lotta intorno a’ principii di diritto regolatori del sotto suolo è viva, nè il legislatore patrio ha stimato maturo il tempo per dirimere l'ardua quistione. Non una è presso di noi la legislazione; ma ci sono ancora leggi diverse. Hanno impero fra noi la legge toscana del 15 maggio 1788 che riconosce il principio della legge romana ; la legge del 1826 per le Due Sicilie; quella del 1859 per gli altri antichi stati (2). La legge del 1826 prescrive che le miniere metalliche e semimetal- liche, il carbon fossile, i bitumi, Vallume e gli zolfati a base metallica, possano essere fatte scavare interamente, senza bisogno di concessione sovrana, da’ proprietari dei fondi nei quali si rinvengono. Prevede poi il caso che nei terreni dei privati siano patenti segni indicanti, secondo i principii della mineralogia, la esistenza di una miniera cui il padrone non voglia scavare, né commetterne o permetterne ad altri lo scavo. AL lora stabilisce che se ne domandi la licenza al principe, il quale dopo assegnato un termine al proprietario, ne farà la concessione al richie- dente, purché dia un compenso al padrone del fondo da convenirsi 0 da arbitrarsi dal giudice; dimostri di aver facoltà e mezzi sufficienti da condurre i lavori, come pure di potere compiere tutte le condizioni imposte nella concessione; e si obblighi di pagare le indennità a’ pos- sessori dei fondi contigui quante volte arrecasse danno a’ medesimi. (1) Oggi una nuova scuola di giureconsulti, romanisti e civilisti, intende dare una in- terpretazione ristrettiva all'art. 440 del Codice civile. Rigettato il canone usque ad sidera e usque ad inferos, essi stimano doversi dare un limite a quella sconfinata estensione di proprietà del soprasuolo ; e il limite della proprietà del sottosuolo « e anche dello spazio aereo si estende secondo il Pampaloni, seguito ora dal Gabba, fin dove è ri- chiesto dall’ interesse del proprietario, in rapporto all'uso ch'è possibile fare del fondo nelle condizioni attuali dell’arte e dell'industria umana (interesse per un uso del fondo qualsiasi) purchè attualmente possibile ». PampaLonI : Sulla condizione giuridica dello spazio aereo e del sottosuolo in di- ritto romano e odierno. Bologna 1892. — Intorno all'art. 440 del Codice civile italiano Considerazioni di O. F. Gagpa in Giurisprudenza italiana 18945. — IL proprietario delle miniere e i tre sistemi, Studio Giuridico per l'avv. Ernesto Guzzi. Catania, 1892. (2) Vedi Gracomo Pagano: Le. miniere e il diritto di proprietà. Palermo, Remo Sandron, 1891. 46 DELLA VITA E DELLE OPERE Le disposizioni della legge non si applicano alle miniere di salgemma al di là del Faro, e nemmeno a quelle di zolfo, di gesso, di pietre, marmi, graniti, arene, crete, argille, pozzolane, lapilli e tutte le altre sostanze non comprese nell’art. 1° della legge, continuandosi per queste altre le pratiche antiche. Il Sovrano dà la licenza per l’apertura d’ogni nuova zolfaia, e per essa al Regio Erario sarà dovuta una prestazione di onze dieci per una sola volta. Ultima, modellata sulla legge francese del 1810, è quella dei 20 no- vembre 1859, la quale distingue in due classi le miniere, compren- dendo nella prima le miniere propriamente dette ; nella seconda la col- tivazione di torbe e cave di sabbia e terre metallifere e altre sostanze ivi specificate. Sancisce coll’art. 15 che le miniere non possano venire lavorate se non in virtù di una sovrana concessione, e che dalla data di questa la miniera diventi una proprietà nuova, perpetua, disponibile, e trasmessibile, come tutte le altre proprietà, salvo, quanto alla tra- smessibilità per atto tra vivi, quelle riserve che fossero state apposte nella concessione. La questione economica non può disgiungersi da quella giuridica. I privati non trascurano di ordinario di mettere a profitto le mi- niere; credono trovarvi il loro tornaconto, e talvolta vi trovano la ro- vina. Se poi per loro negligenza l’interesse sociale risentisse nocumento, potrebbesi spropriarneli nei casi e con le condizioni prescritte dalla legge. Oggi quel che impaura, non è il manco di produzione ma l’ec- cesso, e però si crede da alcuni (1) che l’applicazione in Sicilia della legge Sarda porrebbe freno a molti mali, e certo ne impedirebbe il continuo aumento. Non sappiamo accostarci a questa opinione di- struggitrice del nostro diritto, delle nostre tradizioni. Così avrebbe pensato il nostro Busacca, il quale, discutendosi della proprietà delle miniere, egli nativo di Sicilia e cittadino di Toscana, Sicilia e Toscana ove si gode la maggior libertà nello escavamento delle miniere, ‘non sapea comprendere come potesse negarsi al proprietario della superficie il diritto di dominio del sottosuolo , e per qual titolo legittimo lo Stato potesse concederlo ad altri. Ammettere che un estraneo possa fare opere di escavazione nel fondo alieno, è, secondo lui, ammet- tere un’evidente violazione della proprietà privata. In quella discussione a cui presero parte il Magliani, il Lampertico, (1) V. ViLcari, La Sicilia e il Socialismo, nella Nuova Antologia, fascicoli 15 luglio e 15 agosto 1895. DI RAFFAELLO BUSACCA 47 il Sella, il Vegni, il Torrigiani, il Busacca ; prevalse 1’ idea della mag- gior libertà nella industria mineraria. Nel tema se nella rendita della terra entrano elementi che la differenzino da profitti, la quistione allargandosi comprese 1’ altra se tutte le in- dustrie possano e debbano , date certe circostanze, somministrare la rendita (1). La teoria della rendita, intraveduta dal Malthus e dal dottor West, ebbe il suo illustratore in David Ricardo che diè nome alla medesima. La rendita, secondo lui, non è il prodotto di una fertilità originaria che rende ai coltivatori delle terre ricolto maggiore dei loro bisogni; ma trae la sua origine dalla disuguale fertilità delle terre. Finchè la popolazione coltiva le terre migliori, bastevoli ai suoi bisogni, non appare il concetto della rendita, il quale sorge quando. quella eresciuta di numero, è costretta mettere a cultura terre meno produttive. Ven- dendosi i prodotti delle une e delle altre terre, la più fertile fruirà della differenza dell’ impiego diverso di lavoro e di capitale per le prime e le seconde; questa differenza costituisce la rendita. Il De Thiinen aveva studiato matematicamente la teoria della ren- dita, supponendo l’esistenza di un mercato e di parecchi fondi a distanze maggiori o minori su una via di comunicazione che congiunge al mercato comune i varî poderi, supposti egualmente fertili, ma disu- gualmente discosti dal mercato. E dimostrò che la disuguaglianza delle spese di trasporto costituisca verso i fondi più vicini un positivo van- taggio, una rendita. In questo modo il primigenio concetto si venne allargando. Si notò anche che i vantaggi di posizione di luoghi nelle città producevano un eguale profitto ed entravano in parte nel valore dei fondi di commercio. Infine s' imaginò che questa legge non era da applicarsi soltanto all’ agricoltura, alla industria estrattiva, e ai luoghi meglio situati; ma era generalmente applicabile a tutti i rami dell’ industria compreso il commercio e le invenzioni di nuovi pro- cessi. Intesa in senso così lato la legge perdeva ogni precisione e quasi svaniva (2). La dottrina che generalizza il fatto della rendita, sostenuta dal Boutron e dallo Schéiffle, fa anche abbracciata dall’ Arrivabene e dal Minghetti. La disuguaglianza della feracità della terra, osserva bene il Nazzani, (1) La discussione ebbe luogo il 30 aprile 1871. (2) CourceLLe SENEUIL: Nouvedu dictionaire d’economie politique alla parola Rente. 48 DELLA VITA E DELLE OPERE è cosa diversa da quella delle potenze produttive degli uomini. Non si può ridurre sotto una stessa formola, pel solo motivo di una stessa apparenza esteriore (prezzo maggiore del costo), due fenomeni nella loro sostanza così opposti, quali sono la rendita del proprietario della terra, e l’estraguadagno di chi ha inventato un nuovo e più economico processo di produzione del quale possiede il segreto (1). Il Busacca nella succennata discussione ricordò essere secondo il Ri- cardo la rendita della terra indipendente dal profitto e dal salario, e determinarsi per la differenza tra il prezzo risultante dall’offerta e dalla dimanda, e quello corrispondente al capitale e al lavoro; quindi la rendita non essere tutto il prodotto, ma ciò che avanza, detratto il pro- fitto e il salario. Credeva il Busacca questa teoria applicarsi special- mente alla terra, e non potersi estendere a tutti gli agenti naturali in genere. Non si dichiarava del tutto partigiano di quella teoria, ritenendo che abbia sempre luogo questa parte di prodotti che dicesi rendita, anche nella ipotesi che vi sia una sola qualità di terre, quando il prezzo non diversifichi per maggiore o minore feracità della terra, imperochè, con- correndo alla produzione l’elemento naturale ferra il proprietario ricava sempre una rendita. Questa idea del Busacca, secondo il Protonotari, « provava che la funesta teoria di Ricardo, che dominò per lungo tempo le menti più elette, va perdendo ogni giorno la sua importanza; la qual cosa, se da un lato contribuisce ad eliminare molti errori nel campo delle disci- pline economiche, ha il grande vantaggio di mettere il proprietario del suolo in una posizione di eguaglianza rispetto agli altri produttori. «Ma una seconda dottrina, egli diceva, è stata sviluppata e proposta dall’on. Scialoja per la quale la rendita che si manifesta nelle terre, può apparire, in certe determinate condizioni, in tutti i prodotti deri- vanti dalle diverse manifestazioni dell’ umana attività, e che ha per causa la disuguaglianza dei beni che natura distribuisce fra gli uomini e le cose. » E aggiungeva: « L’omettere nella ripartizione della ricchezza una forma speciale di retribuzione per l’agente naturale appropriato (ch'è ciò che costituisce la rendita) può essere funesto e dar luoge a’ timori espressi dagli ora- (1) NAzzani: Saggi di economia politica, sulla rendita fondiaria. Milano 1881. Ma- NARA: Concetto e Genesi della rendita fondiaria. Roma, 1882. Loria: La rendita fon- diaria e la sua elisione naturale, 1885. Vedi anche LamPeRTICO: La proprietà. DI RAFFAELLO BUSACCA 49 tori, massime dall’ onorevole Magliani. Distinguere poi nella distribu- zione del prodotto l’agente naturale dagli altri fattori della produzione, è far nascer conflitti e porre in concorrenza i servizi degli ‘agenti na- turali appropriati coi servizi dell’uomo. Che cosa è il servizio reso da un agente sfornito d’ intelligenza e di volontà? È l’aiuto di una forza passiva o inerte ch’ è in nostro dominio, che opera senza aver diritto ad aleuna remunerazione e ad alcun equivalente. Se fosse dato di elimi- nare dalla scienza la espressione di agenti naturali appropriati, cagione di tante controversie, si conferirebbe per poco alla sua semplicità e alla sua chiarezza, e si toglierebbe l'occasione a molte astrattezze, che, per quanto ingegnosissime non paiono conformi alla realtà delle cose ». La discussione sull’importante argomento si doveva continuare nella prossima riunione, ma per indisposizione di alcuni socî fu rimandata; e non ebbe più luogo. Non siamo corrivi a dire come alcuni che la legge della rendita fa della economia politica una scienza sinistra, e di affermare come altri, che il mondo è assai bene ordinato per far sì che questa legge esista. Certo è che la formula della legge Riccardiana raggruppa alcuni feno- meni economici che indubbiamente esistono e non è stata finora so- tituita da altra migliore (1). XXII. Spenta la Società di economia politica, nella quale s’ erano cominciate a manifestare nei socî tendenze opposte , altra sorgevane nel 1874 in Firenze col titolo Società Adamo Smith per opera del conte G. Arrivabene, dell'avv. Tommaso Corsi, del conte Pietro Bastogi, di Francesco Ferrara e di molti professori di Università; società avente lo scopo di promuovere, sviluppare e difendere la dottrina delle libertà economiche quali furono intese dal suo precipuo fondatore Adamo Smith. Nel medesimo tempo Antonio Scialoja, Luigi Cossa, Luigi Luzzatti, Fedele Lampertico fe- cero un appello agli studiosi per fondarne altra in Padova col titolo Associazione pel progresso degli studi economici, compenetrando il loro pro- gramma « nella libertà della scienza, per cui accuratamente s’ inda- ghino i principî di essa e in modo precipuo le sue attinenze colle rin- novate condizioni sociali, e dalle contemplazioni delle leggi prime e fondamentali che spaziano nelle regioni dell’assoluto , si discenda con severa analisi all’accertamento dei limiti ». (1) Vedi COURCELLE-SENEUIL, l. c. 50 DELLA VITA E DELLE OPERE I nostri economisti si divisero in due campi; liberisti gli uni con la bandiera su cui era scritto: Libertà economica ; autoritarî gli altri col motto Libertà della scienza. Dell’uno fu organo l’ Economista, Gazzelta settimanale. (Scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie, interessi privati), che si pubblicava in Firenze. Dell’altro il Giornale degli economisti, pubblicato dalla Società d’incoraggiamento in Padova (1). Presiedette Ja prima Ubaldino Peruzzi, l’altra Fedele Lampertico. Ratfaele Busacca, fedele a’ principî da lui sempre professati, fece ade- sione alla Società Adamo Smith. XXIII. Nominato a 16 gennaro 1889 Senatore, non vi fu materia di banche, di moneta, di finanze, di economia, ch’egli non ne discorresse. Parlò del protezionismo in Italia in occasione di un disegno di legge relativo alle dogane (2), trattò di valore, moneta e protezionismo (3), discusse della proroga del trattato di commercio e navigazione tra l’Italia e l’Austria-Ungheria (4), e nella discussione dell’assestamento del Bilancio 1891-92 dimostrò che l’ imparziale libertà economica sa- rebbe atta a restaurare l'economia nazionale e la finanza (5). Compito dello stato, secondo lui, è sviluppare le facoltà economiche degli individui, tutelare il diritto nei rapporti individuali mercè la eguaglianza, la giustizia, la libertà economica: in breve, procurare quella tale utilità che si chiama, giustizia, ordine, difesa, tutela, in una parola il governo. Compito è anche provvedere a tutte le istituzioni che tendono al perfezionamento economico, soddisfacendo a quei comuni bisogni, pei quali non bastano gli sforzi dei privati, dare quei soccorsi che pei fini sociali devonsi per diritto apprestare dalla società. Ma affinchè l’ ingerenza governativa possa soddisfare alla legge economica, le con- (1) In Palermo fondavasi in marzo 1875, sull’esempio di quella Adamo Smith, la So- cietà siciliana di economia politica per opera di Giovanni Bruno, professore nella R. Università di Palermo. Morto il prof. Bruno, la Società non si è più riunita. 2) IL protezionismo in Italia — Discorso. Roma, Forzani 1889. (3) Rendiconto Generale per l'esercizio finanziario 1888-89 — Discorso, (Valore moneta protezionismo). Forzani, Roma 1890. (4) Proroga del trattato di commercio e di navigazione tra l’ Italia e V Austria-Un- gheria — Tariffa doganale protettrice del 14 luglio 1885 — Discorso. Roma, Forzani 1891. (5) L’assestamento del Bilancio 1891-92 — La imparziale libertà economica mezzo a restaurare l’economia nazionale e la finanza — Discorso. Roma, Forzani 1892. DI RAFFAELLO BUSACCA DI dizioni — come dice il Ferrara — sono il carattere pubblico, l'interesse generale; la necessità, il vantaggio, cioè che l’azione complessa e suprema dello stato abbia per lo scopo cui mira un’efficacia maggiore di quella che dalle forze private sia permesso sperare. Il Busacca propugnò la massima libertà commerciale. «I dazi, egli diceva, sono una prelevazione sui prodotti nazionali per far fronte alle spese dello Stato. Riformisi la tariffa mirando solo all’ entrata finan- ziaria, il che non potrà raggiungersi che con la massima libertà d’im- portare e d’esportare sin dove è compatibile con l’interesse finanziario » . XXIV. Adesso è in voga il socialismo, e si tiene come un’anticaglia la eco- nomia politica classica. Finchè in Italia vive il Ferrara, sarebbe in- giuria il dire ehe la dottrina da lui professata con profonda convinzione per tutta la vita, sia morta innanzi che egli scenda nel sepolcro. La sua dottrina invece è stata argomento di recenti pregevolissimi studi (1). Il socialismo! Ce n’ è di ogni fatta : socialismo democratico, socia- lismo collettivista, socialismo anarchico, socialismo dello Stato, e perfino socialismo cattolico, germogli tutti della stessa radice. Come nel secolo passato la borghesia o il terzo stato combattè il clero e il patriziato, oggi il popolo, che ha ricevuto il battesimo di quarto stato, combatte la classe borghese cui non si sono risparmiate le mag- giori ingiurie. Negli opifici dei grandi centri industriali sentesi a ripetere; nè ric- chi, nè poveri, nè operai, nè padroni, tutti i cittadini, ufficiali pubblici o stipendiati dello stato; la terra appartenere a chi la coltiva; 1’ offi- cina a chi vi lavora. Il quarto stato non ha un programma ben definito sul nuovo or- dinamento sociale. I seguitatori delle dottrine socialistiche hanno scritto sulla loro ban- diera la pandistruzione dell’ordine attuale; gli uni, come ben dice Leone (1) A. BeRrTOLINI. La Vita e il pensiero di Francesco Ferrara. Appendice. Scritti di economia politica di Francesco Ferrara nel Giornale degli Economisti, gennaro 1595. S. CocneTTI DE MartIs. Francesco Ferrara all’ Università di Torino, 1549, 1559. Giornale degli Economisti, dicembre 1893. DomeNIco BERARDI. La dottrina politica economica di Francesco Ferrara, in detto Giornale, settembre e ottobre 1894. F. VircinIa. IZ problema della popolazione negli scritti di Francesco Ferrara. 52 DELLA VITA E DELLE OPERE Say, vorrebbero riuscirvi con violenza di mezzi, ossia con la rivolu- zione ; gli altri promovendo leggi sconvolgitrici degli ordini presenti, ossia con la diplomazia (1). Che verrà dopo l’immensa rovina, essi non sanno, pure illudendosi che il mondo sociale dovrà tutto rinnovarsi, e cessata la signoria della classe borghese, esso si adagierà sopra più salde e meglio auspicate basi. Magnus ab integro seclorum nascitur ordo. In altri tempi il principio prevalente era la confidenza in se stesso , la indipendenza, la libertà; oggi all’opposto si vuole la fede nello Stato e l’asservimento dell’individuo a lui. Se pure lo Stato potesse giungere a somministrare a tutti una sus- sistenza che non costerebbe di più, e sarebbe così efficace quanto quella procurata dagli sforzi individuali, sarebbe da preferire questa ultima; se ne avvantaggerebbe di molto il carattere e L'energia nazionale. Bisogna rispettare, al dire dello stesso Say, il libero esercizio delle umane facoltà, e non fare intervenire lo Stato che quando n’è asso- lutamente provata la necessità, purché non si rompa, nè punto si me- nomi lo stimolo della energia individuale (2). Adamo Smith non ha inventato, ma scoverto il sistema delle libertà economiche, come Harvey scovrì la circolazione del sangue. I legi- slatori che queste libertà mettono in non cale, corrono a rovina. se la libertà individuale non riuscirà a rovesciare le loro leggi, si ado- pererà a scansarle. È precipuo dovere dello Stato di tener conto delle forze naturali che incontra nel suo cammino. Ciò notarono gli econo- misti classici, e stesero uno stato estimativo sui fatti che lo studio del- l’umana natura e la esperienza dei popoli hanno somministrato (3). XXV. Raffaello Busacca, d’animo mite, visse assorto nei suoi studi e con- servò fino all'ultimo freschezza giovanile di sentimenti, fiducia nel bene; modesto, non superbi del suo sapere, nè dell’altezza sociale cui era sa- lito pel suo merito. (1) Leone Say: Ze Socialisme d’ Etat nel Journal des economistes, 16 novembre 1894. (2) LeoNnE Say, l. e. (3) Vedi I. SareLp Nicnorson: Discorso inaugurale della Sezione di Scienza eco- nomica e di statistica nell’Associazione Britannica, nel Journal des economistes, 15 feb- braro 1894. DI RAFFAELLO RUSACCA 53 Ambi di sedere in Senato, non per pompeggiare del titolo ma per l’amore che aveva alla vita militante. Infatti, appena il Governo no- minollo Senatore, egli frequentò assiduo le adunanze dell’alto consesso, e prese cospicua parte nelle discussioni finanziarie. Sentiva profondamente l’ amicizia, e per lui erano sacri gli amici, nè dei loro difetti permetteva si facesse il menomo accenno. Pochi e assai lievi erano i difetti in uomini, quali Silvio Spaventa, Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Ricasoli, il generale Rosset che furono gli amici suoi degli ultimi anni, come in quelli del suo primo stabilirsi in Firenze erano stati il Salvagnoli, il Lambruschini, il Capponi, e B. Ricasoli. Amava e frequentava le riunioni, ed esortava tutti a non vivere se- questrati dagli altri, perchè l’ uomo è nato per vivere insieme con gli uomini. Gli piaceva vedere la gioventù studiosa ed allegra, che mentre di forti studi riempie e arricchisce la mente, sa godere di quegli anni che passano sì fugacemente. Italiano per sentimento, egli che credette sola forma possibile nel 1848 la federazione, divenne unitario assai prima che l’unità del regno fosse un fatto. Fra gli uomini politici della Toscana efficacemente coadiuvò il Ricasoli nel fermo proposito di fondare l’unità d’Italia, e fu quelia la pagina più bella della sua vita. Alla sua morte, avvenuta in Roma il 23 gennaro 1893, il presidente Farini fe’ di lui una bella commemorazione; il Sindaco di Firenze si- gnificò alla vedova dell’illustre estinto in nome di quella città le più sincere condoglianze (1). Il nome di Ratfaello Busacca non è legato ad alcuna nuova teoria, nè ad una scuola da lui fondata. Egli però lascia molti seritti econo- ‘mici che lo rivelano uno degli economisti più valenti del nostro secolo. Nella storia delle scienze e delle lettere precedono i sommi; seguono quelli che più presso loro stanno. Il nome del Busacca, se non rifulge di quella luce onde è circondato Francesco Ferrara, è ben degno di es- sere posto accanto a lui, nè andrà di certo dimenticato nella storia del- l’ economia politica di Sicilia e d’Italia. (1) Da Firenze ove il Busaccea avea lasciato tante care memorie e amicizie vennero mandati i seguenti telegrammi : Signora Adele Busacca-Stccoli, Roma. — Addoloratissimo morte illustre suo consorte, inviole espressione sincera condoglianza a nome Firenze che ricorda con reverente affetto il ministro Finanze Governo Toscano, efficace cooperatore Ricasoli preparazione unità d’Italia. — Sindaco Pietro Torrigiani. Sindaco, Roma. — Prego V. S. rappresentare Città Firenze funerale illustre Senatore Busacca integro cittadino, benemerito collega Bettino Ricasoli ministro Governo To- scano. — Sindaco Pietro Torrigiani. INDICE Due parole di prefazione . I. — Nascita — Educazione . II. — Le lettere e le scienze in Sicilia dope il 1890 III. — Scuola economica palermitana . et e IO E IV. — Primo lavoro del Busacca : Sul R. Istituto d’incoraggiamento V. — La questione degli zolfi — Sua memoria . . gn VI. — Entra nell'Istituto d’incoraggiamento — Collabora ne Gior nale di Statistica. dura VII. — Su’ privilegi — Altra sua memoria . c c 5 : VII. — Concorso alla Cattedra di economia politica nella Univ ersità di Palermo . SIUONEA RL Santa Sio IX. — Interviene al Congresso scientifico in Napoli. X. — Il Busacca va in Firenze XI. — Movimento in Toscana . ETNA RTS XII. — Rivoluzione Siciliana nel 1848 — Lavoro del Boaa sù Sicilia. XIII. — Deputato al parlamento toscano. E tie ey 019 e XIV. — Segretario dell’ Accademia dei Georgofili — Suoi lavori . XV. — Sua introduzione alla filosofia politica di Lord Brougham. XVI. — Reazione in Toscana — Suo lavoro : L’assolutismo. Suoi presen- timenti 0 o a 0 0 o XVII. — Il 1859 — Annessione della Toscana XVII. — Il Busacca al Ministero. MS MER ana 6 co: fabio lo XIX. — Deputato al Parlamento Italiano — La convenzione dei 15 set- tembre 1864 SEE Ca AE do SRL. XX. — Opuscoli : I benz ecclestastici e il disavanzo reti 2A Il corso forzoso . TO ed RE AE e TO XXI. — La Società di economia politica italiana — Discussioni alle quali prese parte il Busacca. . . AR RORT i to XXII. — Società Adamo Smith e adesione del BUSACE A I XXIII. — In Senato — Riassunto delle idee economiche del Busacca XXIV. — La scuola economica classica e il socialismo . XXV. — Ritratto del Busacca. . . . . + Pac. 3 » ivi » 4 » T » 9 » 12 » 15 ) 16 » 18 » 21 » 29 » 23 o ivi > 25 > » 29 » 30 » 32 » 3 » 36 » Bisi » 4l » 49 » 50 » DI » 52 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA ALL'EPOCA DEI COMUNI = Lettura fatta alla R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti Dal Socio Prof. GIUSEPPE SALVIOLII a 16 Luglio 1893 uu’ Ki KW KW KKKK Ki éFiiWWWW.ÌWW.WWÒWÒiiIWKT.TKK®TKKTKKKK KI ocoIIISI(1$1$8958 DIR PRI NERI SR RO dI, ALL’EPOCA DEI COMUNI I Comuni italiani, specialmente della parte alta e centrale della pe- nisola, se vanno celebri per l’ éra di libertà e di saggia provvidenza amministrativa e di prosperità interna che iniziarono e diressero, hanno anche, e non a torto, la triste riputazione di avere mantenuto, a causa del loro particolarismo, l’Italia in uno stato continuo di guerre, le quali, per quanto in se poco cruente e brevi, non ebbero scarsa parte nell’in- debolirli prima e nel condurli poi e presto sotto le signorie di potenti famiglie che li guatavano, e di fortunati condottieri, ed inoltre contri- buirono a creare fra città e città pretesti duraturi di rivalità ed odii che si protrassero fino a tempi recenti, impedendo l’accordo e la soli- darietà di esse contro i nemici interni e mandando a vuoto i tentativi saltuariamente fatti per ricomporre ad unità le sparse membra d’Italia. Quali fossero gli elementi che mantenessero e alimentassero siffatto militarismo irrompente in ogni minima occasione e per futili motivi, presso popolazioni date alle industrie e al commercio, avide di riechezze, così preoccupate del benessere materiale, non è difficile scoprire. ID anzitutto una lotta economica che combattono queste città , I una ar- mata contro l’altra, lotta dissimulata sotto i veli di controversie poli- tiche e che spingeva poi le une per sopraffare colle armi le città rivali a schierarsi dalla parte dell'impero, amico sempre pericoloso quando 4 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA era vicino perchè nulla concedeva senza molto pretendere, non utile quando era lontano. E veramente la causa di queste guerre fra Co- mune e Comune va trovata nello stesso sviluppo che i cittadini diedero alle industrie e ai commerci, nella necessità in cui trovaronsi di ot- tenere una preponderanza economica sulle città vicine, per mezzo delle industrie, e quindi nelle rivalità commerciali ed industriali che ben presto scaturirono. Va, di volo, notato, che causa le grandi estensioni di suolo tenute a boschi e quelle possedute dalle chiese, il possesso fondiario apriva uno scarso campo di attività agli abitanti dei Comuni: come anche lo scarso numero delle popolazioni chiuse nei singoli territorii rendeva l’agricoltura poco rimunerativa, mentre le stesse guerre frequenti e le innumere torme di predoni non la rendevan sicura: per il che l’atti- vità di quella borghesia sorgente si volse ai traffici e alle industrie, che richiedono per vivere larghi campi di espansione. Non si può dire che fossero le abitudini militari dei signori feudali, i quali avevano i Comuni scovato nelle montagne ove avevano cercato riparo, obbligan- doli a venire nelle città per abitarvi anche un mese colla moglie e a tenervi casa — quelle che spinsero i cittadini a questi frequenti sfoghi guerreschi , come se in essi si fosse trasfuso Io spirito di avventure proprio dell’aristocrazia feudale. La vera ragione di queste continue guerre devesi cercare nelle stesse necessità del commercio che vuole conquistare colle armi i mercati quando non vi riesce pacificamente, nelle rivalità fra un popolo che ha già una solida economia pubblica e un altro che aspira a prenderne il posto. È l'influenza del reddito industriale che generalmente nel me- dio evo ha determinato quegli scoppii di ostilità, che la Chiesa stessa era impotente a trattenere. Eguale fenomeno incontrasi presso le so- ‘cietà antiche. Non è amore di avventure quello che spinge le Arti e le Capitudini delle città italiane all’ estrema misura della guerra, fà sospendere la vita monotona ed operosa delle strette viuzze , e sotto- pone i cittadini a sacrifici di denaro e di sangue ; è invece l’ avidità del guadagno, la necessità di assicurare la maggiore espansione all’at- tività accumulatrice. -—- Già da tempo il Ferrara ha scritto che le guerre sono esclusivamente il prodotto di un calcolo utilitario ; e questo si può in generale anche atfermare per le guerre dei Comuni italiani. La causa religiosa, l'orgoglio municipale, la rappresaglia subita, la? questione del confine, e altre simili non sono che pretesti, incidenti sotto i quali nascondesi generalmente la molla dell’ interesse , cioè la causa economica. ALL'EPOCA DEI COMUNI 9) Le stesse crociate non sono il risultato di un fervore religioso, ma il prodotto di circostanze economiche, che si verificavano nei paesi del- l'Europa centrale : e non era certo per sentimento religioso che i no- stri Comuni apprestavano navi al trasporto dei Crociati francesi ed in- glesi nella Terrasanta. Ma non è di questo argomento che intendo occuparmi. Voglio piut- tosto richiamare la vostra attenzione sulle regole che ricevéè il diritto di guerra e di pace in Italia al tempo dei Comuni, e mostrare come anche in mezzo a questa frenesia incessante di spargere sangue , in- cendiare, distruggere, a quegli orrori di cui sono piene le nostre an- tiche cronache municipali, non mancassero norme che determinavarno i modi con cui le ostilità dovevano essere dichiarate e condotte , le forme con cui la pace doveva essere stipulata e assicurata, e di altre che precisavano i diritti dei prigionieri e degli ambasciatori, il bottino e le prede, il contrabbando di guerra e le navi in corsa. Appunto le incessanti lotte fra Comune e Comune avevano dato origine a consue- tudini che tenevan luogo di quel diritto internazionale, che i giurecon- sulti, chiusi nella cerchia del diritto romano e canonico, non riesci- vano che in parte, ma pur con qualche novità a disciplinare (1). È questo diritto che intraprendo a illustrare ; gli Statuti e le crona- che municipali offrono largo materiale ancora non usato a questo stu- dio, e saranno queste le fonti a cui io ricorrerò. Ho detto materiale non usato, perchè nè il Piitter (2), nè il Wheaton (5), nè l’Heffter (4), nè il Ward (5) nessuna trattazione speciale consacrano al diritto di guerra dei Comuni italiani e le loro esposizioni storiche non tendono che a presentare quadri a grandi linee del diritto internazionale in tutta Europa durante il periodo della barbarie. Anche questo argomento (1) Vedi a questo proposito lo studio che io pubblicai, dieci anni sono, sul Dirztto di guerra secondo gli antichi giureconsulti italiani. Camerino, 1884. (2) Pùwrrer, Bestrige zur Volkerrechts-Geschichte, 1543. (3) Wusaron, Dro international, ASTA. (4) Hrrerer, Le droit public international de V Europe, 1873. (9) Warp, Laws of nations. Ora è uscita un'importante opera dovuta al Nys prof. all’Università di Bruxelles in- titolata Les origines du droît international, 1894, che io ho davanti al momento in eui correggo le bozze di questa lettura accademica. Ma egli più tien conto delle dottrine che dei fatti, e mentre esamina le opere dei giuristi e dei canonisti italiani , toglie quasi sempre dalla storia di Francia e di Inghilterra gli esempi storici che gli servono per mostrare le pratiche del diritto di guerra durante il medio evo e fino oltre al se- colo XVI. 6 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA come tutti quelli che si riferiscono alla storia della civiltà, devono es- sere trattati regione per regione, dannose sempre essendo, anche nei campi della storia, le generalizzazioni : e una trattazione speciale ri- chiedesi specialmente pel diritto di guerra dei Comuni italiani il quale non può essere confuso con quello di Francia e di Inghilterra, paesi che ebbero caratteri e sviluppi speciali, e ciò in dipendenza della grande importanza ed azione che esercitarono prima il feudalismo e poi le Crociate su tutta la vita pubblica di questi due stati — ai quali più specialmente si riferirono i citati scrittori, mentre scarsa in Italia fu l’azione del feudalismo, e più scarsa fu quella delle Crociate. Si usa dire che il feudalismo, la cavalleria e le Crociate, come ingen- tilirono i costumi, così resero più umana la guerra. Ora parrebbe sin- golare che un movimento come quello delle Crociate che si proponeva lo sterminio degli infedeli, dovesse avere tale risultato, che uomini co- me Riccardo Cuor di Leone il quale, narrano le storie, avrebbe fatto sventrare 3000 musulmani prigionieri per trovarvi oro e fece cavarne il fegato e farne medicinali — è Riccardo Gerosolimitano che lo serive: «omnes evisceraverunt et aurum et argentum multum invenerunt in visceribus eorum et fel eorum usui medicinali servaverunt » —parrebbe strano dico che guerrieri di tali costumi potessero dirigere la guerra sulle vie del rispetto della personalità umana. La storia ha sfrondate le leggende di cui il romanticismo passato aveva ornato il feudalismo e la cavalleria, e la gentilezza mite, la cortesia ingenua e primitiva, non esiste che nelle pagine dei La Curne de St. Palaye, e il dor vieur femps dei castelli fortificati di Francia, di Germania e di Inghilterra si presenta allo storico come un’epoca di barbarie, di crudeltà selvaggie appena coperte da un cerimoniale che non può essere considerato co- me un'importante ed influente manifestazione del diritto delle genti. Io credo di aver buon motivo a non accettare l’opinione della mag- gioranza degli storici del diritto internazionale i quali attribuiscono alle monarchie feudali l’ introduzione di un regolare diritto di guerra nel medio evo, preludio a quello dei tempi moderni: e credo invece che la sua formazione si debba ricercare nelle città commerciali marittime e in ispecie nelle italiane , delle quali se Comines, lo storico francese del secolo XV, avesse avuto sufficienti notizie, non avrebbe scritto «or «selon mon advis entre tous les Séigneuries du monde du la chose < publique est mieux traité et ou il y a nuls edifices abbatus ny demo- « lis pour guerre, c'est Angleterre et tombe le sort et le malheur sur «< ceux qui font la guerre. » Il qual giudizio è anche in se stesso strano e contradittorio con quello che in altro punto delle sue Sforze il Comi- 7 ALL’EPOCA DEI COMUNI nes narra sul modo con cui le città italiane del suo tempo conducevano le guerre fra di esse, e voglio tosto notare che già nel secolo XV le costumanze guerresche in Italia eransi di già alterate, in confronto di quelle praticate nel secolo XIII e XIV, e ciò sotto l’azione delle mili- zie straniere che avevano varcato le Alpi, specialmente cogli Angioi- ni, e degli eserciti imperiali che Federico II e i suoi discendenti ave- vano raccolto in Germania per combattere le leghe formatesi sotto gli auspici dei papi. Un fatto notevole da osservarsi è che mentre la guerra è quasi lo stato permanente in cui vivono i Comuni italiani, le arti, i commerci le industrie e anche gli studii vi fioriscono: quei borghesi intrapren- denti, così abili nello sfruttare le vie che i crociati di Francia e di In- ghilterra aprivano, dovevano conciliare questa necessità di stare colle armi in pugno, coi bisogni dei loro commerci, ossia dovevano trovare un sistema di guerra che non mettesse a soverchio rischio i loro gua- dagni, le loro imprese commerciali, le casane che avevano nelle altre città, i fondachi onde si arricchivano all’estero : una guerra della quale gli atti e le conseguenze fossero ben regolati e definiti, in modo che si sapesse quando le ostilità erano aperte, e come potevano essere con- dotte, e più di ogni altra cosa come la pace doveva essere assicurata, da chi doveva essere trattata e quali diritti fossero ai negoziatori ga- ranutiti. Poichè mancava in quei borghesi avidi di guadagni quello spi- rito bellico avventuroso che distingueva i signori di Francia, di Ger- mania e di Inghilterra, cosi cercarono la triste necessità della guerra rendere il più possibile tollerabile, e per ciò mentre gli stessi mezzi di offesa rendevano la guerra quasi incruenta, e spesso, dopo il bat- tagliarsi per un giorno, fanti e cavalieri se ne ritornavan quasi tutti alle loro dimore, così anche di leggi e consuetudini circondarono la guerra stessa e la pace: e tali consuetudini furono il principio di un diritto di guerra e di pace: e queste in ispecial modo riguardavano il con- trabbando, i feriti, i prigionieri, i salvacondotti, gli arbitrati, gli am- basciatori, le tregue, le paci, i trattati, le prede, le rappresaglie. Prima che le masnade e i cavalieri escano dalla città, lunghe trat- tative sono corse. Ambasciatori sono andati e venuti, minaccie sono state formulate ; tutto è riuscito inutile ; la guerra si impone: ma essa è preceduta da una dichiarazione. L’assalire di sorpresa è paragonato al tradimento non solo da Pierino Belli, il precursore di Grozio, ma an- che nei costumi militari del medio evo. È un concetto germanico in virtù del quale tanto il delitto commesso #r absconso, quanto l’aggressione al- 8 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA l’impensata, non annunziata sono riguardati come atti contro l’onore, e più gravemente puniti. Se qualche incidente sorgeva fra due città, partivano legati per cercare un accomodamento: spesso le città vicine si intromettevano e in Toscana i Fiorentini esercitavano la parte di pa- cieri colle città minori, come i Milanesi in Lombardia. Se la missione falliva, i legati ritornavano nelle patrie mura vestiti di nero, ed allora uscivano gli araldi a portare la sfida, il bando, la dichiarazione di guerra. Era solito ancora far precedere questa da un ultimatum, literae diffidentiae. Così riferiscono gli Annali genovesi di Caffaro ; ai Pisani ricordano i Genovesi come tutti i precedenti accordi debbano essere cassati « condicionem initae pacis absolvimus qui rupti foederis vin- culo non tenemur. Diffidentiam non immerito vobis indicimus» (1). Un cronista milanese chiama perfidi, scellerati e iniqui i Bresciani che at- taccarono i Comaschi senza avere espletato tutte queste trattative (2). Spesso i messaggi si inviavano per mezzo di chierici o di frati. Così anche fece Carlo d’Angiò nel dichiarare la guerra a Pietro d'Aragona. La dichiarazione di guerra si faceva per mezzo di proclami o di araldi. Partivan questi accompagnati da scorta di armati ; giunti nel territorio nemico chiedevano salvacondotto e ottenutolo si presentavano al co- spetto del potestà a cui presentavano le credenziali ed esponevano so- lennemente l’ambasciata, o dare la soddisfazione richiesta o venire alle mani. Il papa invece dichiarava la guerra emanando bolle, con cui scomunicava il capo dello stato nemico, lo dichiarava decaduto dai suoi diritti e ordinava ai sudditi di non obbedirgli : l’imperatore come signore sovrano a cui solo di diritto spettava la facoltà di dichiarare la guerra, metteva al bando dall’ impero le città nemiche, le escludeva dalla sua protezione o pace con diplomi nei quali si minacciano pene severissime quali contro a ribelli, e quali ebbero a sperimentare le città della lega lombarda. Era ciò conforme alla dottrina romana, che voleva la dichiarazione di guerra. La necessità di questa fu accolta con favore dai giurecon- sulti anche perchè era prescritta nelle Constitutiones imperiales sulle paci private (3): la diffidatio fa estesa agli stati. Baldi insegnava che era tradimento ricorrere alle vie di fatto senza avere prevenuto il ne- mico (4). (1) PerTZz, Mon. German., t. XVIII, pag. 33, an. 1162. (2) MuraToRI, Annali d’Italia, ad an. 1251. 3) In PerTz, Mon. German. Leges t. II. (4) Nys, O. c., p. 177. ALL’EPOCA DEI COMUNI 9 Nelle guerre dell’impero contro i Comuni vedesi prima giungere gli araldi, che stabiliscono il tempo entro il quale l’imperatore aspetta la soddisfazione domandata. Secondo anzi il diritto dell’impero, tre giorni dovevano essere accordati a qualunque avversario prima di assalirlo, e questi a contare dal giorno dell’ avviso (1). È opportuno il notare fin d’ora che queste Costituzioni sulla pace ebbero non poca influenza nella formazione del diritto di guerra nel medio evo. La sfida è l'atto con cui si iniziano palesamente le ostilità (2): in- vece della sfida 1’ imperatore invia ai Comuni disobbedienti un invito di ritornare sotto la soggezione imperiale, sotto pena di vedere le terre saccheggiate e gli abitanti messi al bando, e si stabilisce il tempo fino al quale potranno ritornare nella grazia sovrana (8). Al principio del secolo XIV Clemente V era in questione coi Veneziani pel dominio di Ferrara di cui questi si erano impadroniti. Riuscita vana la parola di un Nunzio appositamente inviato, il Papa ricorse alle armi spirituali. Con una bolla (27 marzo 15309) minacciò il Doge di scomunica e di in- terdetto, se entro un mese non sgombrasse da Ferrara. Il Papa Sisto IV con altra bolla del 1483 dava tempo alla Signoria veneta di restituire entro quindici giorni tutto quanto essa aveva usurpato sul duca di Fer- rara (4). La bolla colle scomuniche e le minaccie degli interdetti te- neva luogo delli legale dichiarazione di guerra. L'arrivo dell’ araldo che porta la diffida, è presto noto a tutta la città: egli ha ottenuto il salvacondotto, e la sun persona è sacra. È condotto davanti alle supreme magistrature o allo stesso consiglio po- polare, e solennemente annunzia la dichiarazione di guerra per il tal giorno, se non saranno accolte le domande del Comune che lo ha in- viato. j Fare la guerra e decidere di queste materie così importanti non era competenza del Podestà ma dell’assemblea popolare. I cittadini che ave- vano diritto di parteciparvi erano congregati a suon di tromba. Nel- l’arrengo si iniziava la discussione e si deliberava. Era a Vercelli riservato alla Credenza coll’ intervento dei Consoli delle Società determinare i casi di guerra e di pace. Lo Statuto del 1256 (1) Const. Friderici I. an. 1187 in Pertz. Leges II. Cfr. Waitz Deutsche Verfassung- sgeschiîchte. VI. (2) Vedi la sfida nel 1269 dei Comuni di Bologna e Faenza contro quello di Imola in Savioli. Annali Bolog. II, parte 22, n. 463. (3) Anno 1219 contro Ferrara, in Muratori Antig. dal. IV, 415. (4) Nvs, O. c. 184, 185. 10 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA voleva che a tali deliberazioni intervenissero 200 paratici (1). In quelle riunioni si deliberava ancora se occorreva convocare l’ esercito gene- rale o no, se si doveva prendere l’offensiva e fare una gualdana ossia un’improvvisa scorreria sulle terre nemiche, oppure chiamare 1’ oste generale. Dipendeva la scelta dalle circostanze, dalla natura dell’ of- fesa, dai mezzi di cui disponeva l’assalitore. E vi era una vera grada- zione nelle ostilità, le quali si proporzionavano all’ importanza della causa che le accendeva. Certo gli araldi parlavan sempre di magnam et bonam et vivam querram, ma spesso i fatti non tenevan dietro alle grosse minaccie. Frequenti eran le guerre, ma raro che tutti gli abi- tanti della città e del contado vi concorressero. Il più spesso i para- tici, le capitudini, le arti maggiori e minori, ossia le società popolari variamente chiamate nelle città italiane , assoldavan truppe o a sorte sceglievano alcuni dei loro membri per muovere ad oste. Se credeva- no bastasse una scorreria o scorribanda, armavano aleune schiere di cavalieri, e partiva la cavallata o masnada: era una breve spedizione, fatta piuttosto per spavalderia, giungeva alle porte della città, vi pian- tava un cartello con frasi offensive, rubava qualche cosa che in trionfo riportavasi nelle patrie mura: che se invece a questa guerra di avvi- saglie duramente si rispondeva, allora il consiglio deliberava si convo- cassero i fanti e si facesse 1’ andata come allora si diceva. Deliberata la grande oste il Potestà faceva chiudere « omnes apothecas et fundum mercatorum et artificum » (2) perchè tutti quelli tenuti al servizio mi- litare, accorressero sotto i vessilli. Ecco come un cronista fiorentino narra i preparativi per una spedi- zione del 1285. Fu ordinato dal Comune « quod pulsetur quotidie cam- «pana comunis pro exercitu secundum morem comuniter observatum, «quod quotidie bannietur per civitatem ut quilibet se preparet de op- « portunis ad exercitum, quod eligantur quattuor homines in qualibet «canonica et duos in qualibet capella civitatis, qui faciunt cinquanti- «nas hominum » (5). Il suono della campana è il primo atto che segue alla deliberazione del Comune di ricorrere alle armi. Esso serviva per chiamare gli uomini e apparecchiarsi, e il suono che si prolungava per settimane e anche per tutto un mese, senza interruzione dal mat- tino alla sera usavasi anche per la detta grandigia di dar tempo ed (1) MANDELLI, Storza di Vercelli, II, pag. 149. (2) Lamr, Delizie degli eruditi toscani, XI 199, ad an. 1285. (3) Idem. ALL'EPOCA DEI COMUNI atil avviso al nemico (1). Quale differenza coi nostri sistemi di guerra, in cui ogni Stato appena avvenuto il ritiro degli ambasciatori, cerca di sorprendere il nemico, e pria che le ostilità siano dichiarate, già masse innumerevoli di armati sono scaglionate al confine pronte a passarlo al primo cenno! Tutte le volte che cavalieri e fanti dovevano uscire dalla città, la martinella faceva sentire per giorni e giorni i suoi rin- tocchi (2). A Cremona vi erano diverse campane, quali per le picco- le, quali per le grandi spedizioni (3). Questo scampanio veniva anche ad avvertire i forestieri che esercitavano mercature entro la città di uscire, perchè le città italiane, generalmente e salvo il caso di rappre- saglie, assai prima delle Anse teutoniche, usarono lasciare ai mercanti delle altre città un termine per partire colle loro merci, e questo termine generalmente era per tutto il tempo in cui suonavano le campane. Non mancano, è vero esempi in contrario, dei quali però si può dire quello che Matteo Paris scriveva per lo stesso motivo, quando il re di Francia dichia- rata guerra agli Inglesi nel 1242 «mercatorum Angliae corpora cum suis « bonis per regnum negotiantium secus quam decuit, capi ferociter im- « peravit , laedens enormiter in hoc facto antiquam Galliae dignita- «tem » (4). In alcuni trattati fra città italiane conchiusi nel secolo XIV si trova il termine concesso ai negozianti per uscire senza molestia e con tutti i loro averi, portato a quaranta giorni e contemporaneamente nel Nord di Europa questo termine si allargava fino a un anno, come si può vedere da certi trattati pubblicati dal Sartorius (5) per 1’Olan- da, la Francia con Amburgo e Lucerna. Per lo più la buona guerra dichiarata è distinta dalle rappresaglie, le quali pure sono accompagnate da una lunga e vigorosa procedura, come vedremmo (6): e nella guerra fino di buon ora si fece strada il principio del rispetto della proprietà privata. La disposizione sancita nel Consolato di mare al c. 276, sebbene sì riferisca soltanto al commercio marittimo, delle città mediterranee, (1) GrovannI ViLLARI, ZHistotre, VI, 76, VII, 120, 128. (2) Ammirato, St. dé Pirenze, I. 419. (3) RopoLortI, Storia di Cremona, 1859. (4) Warp, II 356. (5) Gesch. des Hanseatischen Bundes. Cfr. Ward. II, 276-290. (6) Quando questa memoria io lesgevo (luglio, 1893) non era uscita la bella opera dovuta al valeutissimo mio collega prof. Alberto del Vecchio insegnante all'Istituto su- periore di Firenze il quale assistito dal dott. Casanova ha trattato diffusamente l’impor- tante materia delle Rappresaglie nei Comuni medievali e specialmente in Pirenze (Bologna 1894 pag. XLIV e 417) nel modo migliore ed esauriente. 12 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA ha però i suoi precedenti in antichi usi accolti anche nelle città ita- liane di terraferma: usi che probabilmente si collegano alla protezione regia, che secondo le leggi germaniche e più specialmente franche, godevano sempre i mercatanti, protezione che ebbe ancora in vista la Chiesa nei Concilii del secolo X e XI colle prescrizioni sulla tregua di Dio ed in favore dei forestieri (1). - Finalmente le schiere escono dalla città murata. Lasciamo al Muratori, al Canestrini, al Ricotti, al Crollalanza, al Galitzin, al Merzel, agli scrittori dell’arte della guerra nel medio evo, descrivere le maniere e i modi di combattere durante il periodo comunale fino all’introduzione della polvere. Senza averne il noine, spesso le piccole scaramuccie 0 cavalcate erano veri e proprii duelli, non dissimili da quelli a cui non di rado ricorrevano i re e i signori feudali, e di cui l’antica storia di Roma conserva memoria. Oltre ia sfida di Barletta, altri duelli si tro- vano mentovati dai cronisti, fra modenesi e bolognesi, fra cremonesi e cremaschi; è celebre la sfida fra Carlo d’Angiò e Pietro d’ Aragona. Udite un saggio della cavalleria dei tempi antichi. Pietro mandò due messaggi per fissare le condizioni del duello: convennesi una pugna con 100 cavalieri per parte, allo scopo di provare che Pietro era en- trato in Sicilia senza sfidare Carlo. Si elessero 6 cavalieri per parte de- legati con lettere patenti per scegliere il luogo e il tempo. I delegati convennero che il campo si dovesse tenere in Guascogna sotto gli or- dini del re d'Inghilterra, stipularono spergiuro , falso, fallito, infedele e traditore, spoglio del nome e dell’ onore , fosse dichiarato colui che non sì presentava. I due principi ratificarono queste condizioni con giuramento sui Vangeli. Quaranta baroni giurarono procacciare osser- vanza dei patti e redassero in proposito due istrumenti. (Mur. Antiq. III, 265). È noto che il duello non si fece, che Martino papa mi- nacciò scomuniche, che il re d'Inghilterra si rifiutò presiedere il cam- po: onde Pietro d’Aragona fe’ stendere proteste dai notai (2). La guerra è sempre la guerra; cioè sangue , ferro, fuoco, orrori : certo non potremmo tracciare un quadro roseo di ciò che per natura sua è chiazzato di sangue e di violenze, ma dobbiamo distinguere fra le guerre combattute in Italia dagli imperiali contro le città dichia- rate ribelli; fra le guerre fra Comuni e signori di città o fra signori e signori a cui meglio si appropria il titolo di tiranni, fra guerre fra re e re come quelle fra Carlo d’ Angiò e Corradino; e le guerre (1) KLuckmowm, Gottesfriede, 1857: HusertI, Gesch. der Gottefriede, 1892. (2) MuratoRI, Antig. III, 655. ALL'EPOCA DEI COMUNI 13 combattute fra Comune e Comune. Certo il grido di desolazione che si levò dalle pianure lombarde quando Federico Barbarossa scese per schiacciare i Comuni e che trovò eco nel Libellus tristitiae et doloris (1) non risuonava nelle ostilità che continuamente spingevano lun contro l’altro i Comuni finitimi. Certo i fatti di Palavicino, dell’ Ezzelino, di Buoso da Doara non hanno riscontro nelle guerre tra Firenze e Lucca, tra Reggio e Parma, tra Brescia e Bergamo; e io vedremo nel tratta- mento dei prigionieri; solo eccezione per l’asperità della lotta fanno le guerre tra Genova e Pisa, causate da eccezionali rivalità economiche, e qui vedesi come l’interesse spiugesse gli animi agli estremi, assai più di quello che potessero fare l’amor proprio ele piccole bizze di campanilismo. Certo infine che le atrocità commesse da Carlo d’Angiò nei campi di Tagliacozzo non hanno in genere riscontro con quello che vide il sole a Campaldino, a Montaperto, e altrove. Le guerre del Barbarossa sono di esterminio. Il libellus #ristitiae et dolorîs narra che egli distrusse le biade fino alle mura di Milano : avuti nelle mani. alcuni milanesi, a quali fece recidere il naso, a quali cavare un occhio e entrambi « et sie amputati et preparati ad obrobrium et « dedecus Mediolanensium fecit ipsos ducere Mediolanum ». Quelli che da Piacenza si recavano al mercato di Milano erano fermati, e si tagliava loro la mano, e in un giorno furono così conciati molti piacentini. I prigionieri erano messi nudi nelle piazze a morire di freddo. Non si può dire che i Comuni italiani si siano macchiati di quelle atrocità che commisero i Crociati in Oriente quando a Nicea tagliavano la testa ai morti e le legavano alle selle, quando ad Antiochia gettarono colle macchine le teste tronche dei musulmani e mille chiuse in sacchi man- darono all’imperatore di Costantinopoli: e nemmeno le guerre dei Co- muni possono confondersi colle guerre religiose di Linguadoca , colle guerre dei re di Francia contro i grandi feudatari, nelle quali qual- che volta i vincitori tagliarono piedi e mani a tutti gli abitanti di un borgo senza distinzione di età e di sesso. I grandi delitti militari di questo tempo sono proprii degli imperatori germanici e de’ re di Fran- cia, dei primi tiranni e dei condottieri di ventura: e guai poi se vi si mi- schia una questione religiosa. Si narra che il legato del Papa nella guerra di Filippo di Francia contro Pietro d’Aragona, all’Arcivescovo di Saragozza che chiedeva tregua agli assedianti di Gerona, rispondesse: Non misericordia, non patti. E allora Filippo lo interrogò che si dovesse (1) Rerum Ital. Script. XVIII, 372. 14 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA fare dei bambini e delle donne, prendendo Gerona d’assalto : Muoian tutti: rispose il Cardinale. Ma il re che non aveva estinto nel cuore la pietà ordina: Niuno muoia che non possa difendersi colla spada. Fu Carlo d’ Angiò che nel 1204 fece uccidere tutta la nobiltà sici- liana prigioniera e fu Ruggiero di Loria che fece nel 1500 cavare gli occhi e mozzare le mani ai balestrieri siciliani comandati da Corrado Doria. Contro Benevento i francesi dell’Angiovino commisero tali eccessi che lo stesso pontefice ne mosse lagnanze (1): avevano rubate , sac- cheggiate, incendiate le chiese e i monasteri, violate le monache (2). Questo saccheggio apparve ai contemporanei mostruoso e inusitato (3). Era del resto tradizione imperiale, la quale si collega al principio che insegnavano i giuristi che soltanto all’ imperatore spettasse il diritto di far guerra, e che tutti quelli che la facevano senza l’as- senso di lui fossero ribelli e da trattarsi come rei di crimen laesae mate- statis, V inerudire contro i soggetti, le città dipendenti che avessero osato prendere le armi e difendere la propria libertà e i privilegi rice- vuti. Così si comportò anche Federico II nelle guerre che gli suscitarono contro in Italia Innocenzo III e Gregorio IX. Invece i Comuni italiani sono in parte nelle guerre fra essi più miti, più umani. Spesso vi è una nota di umorismo nei mezzi di cui si ser- vono per combattere (4). Invece di lanciare le teste degli uccisi, i Bolo- gnesi nel 1249 assediando Modena vi lanciarono con un potente mangano un asino vivo ferrato d’argento; della qual macchina essendosi i modenesi impadroniti la trassero in città con grandi feste. Un altro cronista narra che i Bolognesi usavan spesso lanciare asini nelle città che assediavano (9). Era lor costume e per nulla difatti doveva chiamarsi Bologna la dotta ! Anche i Fiorentini nell’assedio di Siena del 1232 fecero, secondo narra quel eronista noto col nome di Ricordano Malaspini, lo stesso regalo : e Villani Giovanni (1. VII ce. 132) narra che nel 1289 i suoi concitta- dini sotto le mura di Arezzo « feceronvi correre il palio per la festa «di S. Giovanni e rizzaronvi più edificii e manganavano asini con la « mitra in capo per rimprovero del loro vescovo ». Soventi nelle loro (1) MartENE, Amp. Collectio, II 306: DeL Giupice, Codice diplom. del Regno di Carlo I e II d’Angiò, pag. 129. (2) MARTENE, II, 298. (3) Muratori, Annali, ad an. 1266: UcnELLI, Italta Sacra, X, 648: BorGIA , Me- morie di Benevento, I, 248. (4) Cfr. Le Antichità longobardo-milanesi, t. II (5) Annale bonon. in MuratoRI, Res It. Script, XVII. MrrrareLLi, Rer. Favent. script. 235. RIINA E n TI TOO È ge RIT SI n DET PR OE VE ONLINE TTT TTT SP. PIE TI 7 TEC ALL’EPOCA DEI COMUNI 15 imprese militari i Fiorentini mostrano quella fine sarcastica superiorità intellettuale che diede loro la palma nel campo della novellistica. Ma anche i Pisani, i Senesi, i Lucchesi, e in genere i Toscani mostrarono che le loro guerre erano temperate da tal gentilezza da perdere quasi ogni ombra di tristo e lagrimoso. Generalmente si contentavano inflig;- gere una mortificazione, mostrare non alle città nemiche la superiorità di forze di cui disponevano. Non mancano le passeggiate militari, in- cruente sotto le mura della città per cui si partiva in guerra. Così i Pisani una volta in corsa sotto Firenze, come narra Filippo Villani (Lib. XI, c. 63) andarono sotto le mura; vi coniarono moneta, vi impie- carono tre asini ponendo al collo di ciaseuno di loro il nome di tre distinti personaggi fiorentini, e poi se ne ritornarono vittoriosi. Erano le dimostrazioni militari di un tempo, forse meno umilianti delle mo- derne, di quelle per esempio che ebbe a subire pochi anni sono la Grecia da parte delle flotte europee. Nel 1265 i Pisani in lite con Lucca si recarono sotto le mura, e vi fecero le corse al palio : e altre volte mossero con tutta l’oste sotto le fortezze nemiche, e invece delle ca- tapulte si limitavano a fare atto di sovranità, coniando lì sotto moneta, coll’ indicazione del lnogo e dell’anno in cui era stata coniata : e ciò era tutto (1). Spigolando nelle cronache italiane, se nella condotta delle guerre non mancano i saccheggi, gli incendii, le distruzioni delle castella, trovansi ancora abbondanti gli esempi di scioglimenti poco sanguinosi. Così i Modenesi in guerra contro i Bolognesi, si contentano di spin- gere la loro oste fin sotto le mura di Bologna e far bere l’acqua del Reno ai loro cavalli : dopo di che ritornarono trionfanti ai domestici lari (2). L’immortale Tassoni cantò un episodio di guerra fra queste due città rivali e la sua epopea eroico-comica riprodusse il vero stato delle guerre fra i Comuni italiani nel medio evo. Altre volte dopo avere assediata la città nemica, tagliavano i canali, o altri ne scavavano , elevavano dighe nei fiumi e poi levavano il campo (3). Non si può dire che le guerre dei Comuni italiani portino l'impronta di indicibili crudeltà, che gli avversarii cercassero di farsi il maggior male, che l’annientamento del nemico fosse lo scopo finale delle osti- lità. Non armi avvelenate, non atti di tradimento o di perfidia : le (1) FUMAGALLI, Antichità Longobardo-milanesi, II, dis. XIX. (2) MuratoRI, Rer. dial. Script., VIII, 1106. (3) Id. id. MPXSVA559? 16 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA chiese e i monasteri rispettati, i fanciulli, i vecchi e le donne per lo più risparmiati. Galvano Fiamma, narra che nel 1323, sotto Raimondo da Cardona, duce dell’ esercito pontificio, all’ assedio di Milano, i fiorentini che con esso militavano, corsero palio sotto le mura. Due anni dopo Azone Vi- sconti per rivincita fece fare le stesse corse sotto le mura di Bologna e di Firenze. E per rendere lo sfregio più scottante nel 1273 Castruccio signor di Lucca fece fare sotto le mura di Lucca due corse l’ una di ruffiani, l’altra di meretrici. Si trattava di umiliare : ma tutto ciò spin- geva gli animi alla mitezza, all’umanità : non vi erano in mezzo alle città rivi di sangue, né monti di cadaveri. Nè madri, nè spose, nè so- relle avevano a piangere. Se vi era offesa era collettiva : ma niuno risentiva danno e dolore, e perciò era facile scancellare queste impres- sioni, dimenticare queste offese che non erano andate più oltre dell’epi- demine e tornare in pace. Tali spedizioni così poco o punto eruente, se facilitavano gli animi a trascorrere presto alle armi, d’ altra parte rendevano anche più facili gli accomodamenti e gli oblii. Non dirò che tutte le guerre finissero in questo modo : ma dico che le guerre fra i Comuni sono più miti e più umane in confronto di quelle combattute dai signori stranieri; re o imperatori, in Italia : e che anche nelle guerre serie mantenuto era il rispetto dalla personalità umana per quanto risuarda i feriti e i prigionieri. È la stessa corrente di umanitarismo che spinge queste città commerciali a distinguersi dalle barbarie che deturpano gli stati feudali. Ricorderò il caso di Corradino ? trattato tam quam invasor et alterius iuris praedo ? Lasciamo ad Alberico Gentili il giudizio che fu ben ucciso. Ma contro a Carlo d’ Angiò ri- corderò che a Tagliacozzo egli fece recidere i piedi ai prigionieri, chiu- derli in una casa e arderli vivi (1); lo narra Saba Malaspina che scrisse ai Padovani perchè lasciavano passare i fuggitivi della battaglia come papa Clemente si lamentò coi Rietini per lo stesso motivo. Era così nota la crudeltà di Carlo d’Angiò contro i prigionieri che Pietro d’Ara- gona liberando i prigionieri francesi disse : « Carlo ucciderà i miei ma io vi rimando solo che premettiate di non combattere più contro di noi e portate lettere in Puglia e altrove invitando i popoli a far commercio coll’isola» e offri stipendio a chi volesse restare al servizio suo. Anche Ruggiero Loria si acquistò una triste riputazione pel tratta- (1) Ann. Placent. in PerTz, Mon. Germ., XVI. Riccosonus FERRAR. in MURATORI, Rer. I, 55, IX, p. 196. ALL’EPOCA DEL COMUNI 1li7; mento dei prigionieri. Dopo la battaglia delle Formiche fece attaccare 300 prigionieri feriti a una gomena legata a una galera e fatta questa inol- trare nelle acque, tutti annegò : altri 260 non feriti fece accecare, eccetto uno a cui fece cavare un solo occhio perchè servisse di guida agli al- tri 209. Non scuserò certo le peccata di Corradino, che: pure decapitò o mu- tilò prigionieri: ed è interessante quel documento di Guglielmo da Pentavilla che privato d’un occhio, e mutilato del naso e di una mano chiese che gli si rilasciassero lettere testimoniali del motivo onde era stato così conciato, «ne sibi per aliquos ignorantes posset impungi quod hoc ex aliquo delieto malefico sit perpessus » (1). Non pei Comuni italiani furono fatti i divieti pontificii sull’ uso di frecce che colpivano a grande distanza (2): e nemmeno ad essi va ap- plicata la massima che Baldo copiò dal diritto romano: « Hostis bene interficitur ubique ». Non dirò che fosse per gentilezza di costumi: ma a ottenere questo risultato contribuivano le abitadini industriali e com- merciali, non che la stessa arte militare praticata dagli Italiani nei se- colîi XIV e XV. I cavalieri coperti di ferro male si potevano muovere sui loro cavalli: e la grave armatura comprimeva ogni slancio belli- coso. Le truppe, dovendosi generalmente mantenere del proprio, ave- vano il maggiore interesse che la guerra durasse poco. Spesso per fare una scaramuccia, bisognava che i due condottieri si accordassero per pre- parare il terreno ove battersi: così i combattimenti erano rari, e spesso tutto si risolveva in una grande parata di armati. In questi duelli così preparati non vi poteva essere accanimento, sete di sangue. E meno ancora vi fu, quando i Comuni assoldarono le compagnie di ventura, interamente disinteressate, e solo occupate di far bottino e prendersi presto i salarii pattuiti: gli stessi condottieri che facevano la guerra per speculazione, avevan cura di risparmiare il sangue dei loro uomini. « La guerra, dice bene il Sismondi, si faceva al popolo e non all’ esercito ; tutta la nazione era riguardata come nemica, i sol- dati consideravano tutte le proprietà dei popoli presso i quali portavan la guerra come un bottino legittimo : essi facevano prigionieri i pro- prietarii e i contadini e non li lasciavano che dietro riscatto » (3). È vero che le cronache dei vincitori generalmente magnificano i ri- sultati delle vittorie e spesso amplificano il numero degli uccisi e dei (1) DeL Giupice, II, p. I. Il lettore ricordi il motto: Cave a signatis. (2) C. un. X. v. 15. Imnocenzo III. 1 (0 0) DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA prigionieri, i saccheggi, gli incendi, le distruzioni: bisogna però pre- stare poca fede a queste manifestazioni di vana gloria municipale: per- chè finita la guerra vedesi la città che doveva essere distrutta, an- nientata continuare la sua vita come prima, e poco dopo impigliarsi in nuove guerre con altre città. I cronisti esagerano per passione se fu- rono testimoni degli avvenimenti, per ignoranza se non li videro. « Fuit magna destructio, fuit magnum bellum » sono le parole che occorrono nelle pagine loro ad ogni momento, quando appartengono ai vincitori; e spesso o il silenzio o una menzione più modesta o anche un’ affer- mazione contraria incontrasi negli annali del popolo che dovrebbe es- sere andato distrutto. Ma ricordisi che in questo tempo ancora molte case nelle città italiane erano in legno e che perciò presto facevasi a portar danno, come presto a ripararlo. In conseguenza i piccoli eserciti dei Comuni e per la loro composi- zione e pel numero non potevano recare quelle terribili distruzioni e quei saccheggi che narrano le storie di Francia e d’ Inghilterra. Essi non possono paragonarsi a quelle truppe che i re francesi e inglesi avevano sotto i loro ordini, che non avevano per vivere e pagarsi al- tro che il bottino dei paesi da conquistare , e che dove passavano la- sciavano la desolazione e il deserto. Tutto 1’ ordinamento della guerra e dell’arte militare è diverso fuori d’ Italia: devastano i nemici come le truppe di difese : il saccheggio era generale: le tregue accresceva- no l'orrore, imperocchè esse importavano il licenziamento momentaneo delle bande di mercenarii che si gettavano sulle infelici popolazioni e continuavano per loro conto una campagna cominciata pel conto dei capi che li avevano assoldati (1). Nulla di ciò in Italia al tempo dei Comuni. Sarebbe certamente erroneo il trarre la conseguenza che sempre i Comuni osservarono i principii di umanità nelle loro imprese militari. La guerra è sempre la guerra, e se qualche volta e dirò anche spesso i suoi terribili orrori hanno potuto essere risparmiati, non sono man- cati i casi nei quali si sono presentati, e l’odio ha lasciato il varco a quelle atrocità più frequenti nelle guerre delle monarchie feudali. Nen è possibile nè conforme ai fatti formulare un principio generale per ciò che riguarda la condotta della guerra come anche. pel trattamento dei prigionieri: invece può dirsi che se predominava una tendenza, era questa in senso umanitario: ed essa è meglio provata per quanto si riferisce ai prigionieri di guerra. Sotto Alessandro III il Concilio laterano aveva dichiarato che tutti i (1) DenTox, England in the XV century p. 79: cit. de Nys o. e. p. 190. ALL’EPOCA DEI COMUNI 19 cristiani erano esenti dalla schiavitù. Anche i giureconsulti distingue- vano fra le disposizioni proprie del diritto romano sul jus captivitatis e jus postliminii e quelle del diritto romano del loro tempo, di quello cioè praticato dalle città italiane. I Comuni italiani furono più ossequenti alle voci dell’umanità e alle raccomandazioni de’ Papi verso i prigionieri. Innocenzo III p. es. fece più volte in Italia sentire la sua voce autorevole perché si liberassero i-prigionieri e si trattassero bene. Ma su ciò non si possono muovere soverchi rimproveri alle città italiane. Quelli di Aquieleia per es. co- piando una pratica che si incontra negli stati feudali in un assedio del 13537, alla resa stabilirono che i prigionieri di guerra giurassero restare tali sulla loro parola d’onore, salvo le persone che potevano recarsi in Gorizia con salvacondotti : se entro un dato termine la pace non era conclusa, si presenterebbero come ostaggi (1). Così fino dal secolo XIV si hanno i prigionieri sulla parola. I Par- migiani avendo nel 1152 dei Reggiani prigioni di guerra li rilasciaro- no senza toccare loro un capello: solo all’uscire del carcere posero in testa di ciascuno una mitra di carta, e nelle mani una canna: poi con uno scappellotto li rimandarono a casa (2). Più perversi un’ altra volta bruciarono un po’ di barba ai prigionieri e li rilasciarono sen- z’altro. Nel:1250 i Cremonesi diedero libertà ai Parmensi prigionieri obbligandoli a levarsi le brache (3): ma alla lor volta, in altra occa- sione, nel 1255, i Reggiani assediati dai Modenesi a Rubiera, per sal- ,vare la vita non ebbero che a sottoporsi a cavarsi scarpe e stivali e ritornarsene in patria a piedi nudi. Udite la sentenza che dava Andrea da Canossa quando condanna i Reggiani « ad extraendum cothurnos, « stivalia, sotulares et crepidas in signum honoris et reverentiae debi- «tae et debendae praedictis mutinensibus in itinere pedestri equestri «et navali, in quibuscumque domibus, hospitiis et ad omnem quam- «cumque voluntatem mutinensium requirentium et petentium sibi cal- «ceamenta extrahi debere et stivalia, cothurnos, sotularia vel crepidas « sibi extrahere, purgare, mundare, lavare et eisdem et quibuscumque «eorum ut dominis suis eos vel ea praesentare » (#). Forse tale docu- mento se autentico e ne dubita il Muratori, deve essere messo assieme a quella letteratura satirica così esuberante nel medio evo anche in (1) Archivio veneto XIII, p. 29. (2) Chronicon Parmense in Muratori. Rer. ital. Script. Cfr. Arrò Storia di Parma II, 204: TiraposcHi Mem. moder. II 27. (3) Campi, Hist. di Piacenza, p. 98. (4) MurarorI, Antig. ital. INI, diss. 34. 20 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA Italia, che non ebbe rispetto per le cose sacre, per la scienza, per la politica, e i diritti dei Comuni o dell’ impero ! Più feroci furono i Milanesi coi Pavesi prigioni, per quanto narra il Fiamma. Li condussero in piazza, attaccarono a ciascuno manipoli di paglia dietro i fianchi, li accesero e così fra le grida dei monelli li cac- ciarono di città: e a Bologna verso prigioni di borghi vicini ribellatisi «le peccatrici, dice un cronista, li facevano le ficora. Bene se aiza- vano li panni de retro, mostravanli lo primo de li decretali e lo sexto de le Chimentine (1). Così facevano i Comuni mentre ancora i pubblicisti discutevano se fosse lecito uccidere i prigionieri. Non è necessario andare in Francia per trovare adunque la liberazione sulla parola accordata a’ prigionie- ri. Se una cosa può affermarsi è questa, che furono le signorie che resero più truci i costumi di guerra e il trattamento de’ prigionieri, ma che al tempo dei Comuni uno spirito di umanità regolava î rapporti fra i belligeranti. Si vegga per es. quello che insegnava Baldo a pro- posito dei liberati sulla parola o per impegni assunti. Egli sostiene che. il prigioniero che ha conquistato la sua libertà in queste condizioni, è libero e non tenuto a ritornare in prigionia se l'esecuzione della pro- messa dovesse trarre seco un serio pericolo « quia etiam per dolum licet vitae consulere ». Insomma anche la scienza cospirava a rendere più mite la condizione dei prigionieri. Tutto muta colle signorie. Pie- rino Belli sostiene una teoria opposta a quella di Baldo e nel sec. XVII si doveva stipulare nei trattati che i prigionieri di guerra non sareb- , bero impiegati nelle galee ma restituiti al termine delle ostilità. Se questi piccoli incendii scoppiano facilmente e con si piccole con- seguenze, anche facilmente si estinguono. Gli odii sono superficiali. Una parola del Papa, di un legato, di una città potente, di un frate predi- catore o mendicante spesso basta per acquetare gli animi e ricondurli alla pace. È ben noto quanto l’ azione dei papi si sia manifestata sui campi delle battaglie nel medio evo. Nelle guerre anglo-francesi del secolo XIV e in Ispagna frequente è l’ intervento di papi. Anche in Italia spesso fanno sentire le loro pratiche per far cessare le ostilità fra città e città. Il loro movente è sovente politico, come quello di non distrarre gli animi dalle crociate. Così il IV Concilio laterano del 1215 ordina che per un quadrennio pax generalis servetur, e si facciano tre- gue. È anche noto come la Sede Romana spesso sia stata arbitra nelle controversie fra sovrani : celebre è l’arbitrato proposto da Bonifacio VIII (1) FUMAGALLI, 0. €. ALL'EPOCA DEI COMUNI 21 fra Eduardo I d’Inghilterra e Filippo IV di Francia, il quale dichiarò che non accettava l’arbitro come papa ma come privato, e fini poi per respingere le intromissioni del papa, mentre d'altra parte il parlamento inglese dichiarava che il re non può essere legato ad accettare le sen- tenze del papa e di nessuno altro giudice laico od ecclesiastico. Spesso i Comuni vicini si interpongono e propongono gli accordi. Nel 1206 îl potestà di Milano si adopera per risolvere le quistioni tra il vescovo di Asti e i potestà di Pisa, Alessandria e vi riesce (1). Nel 1209 per l’ intervento del Comune di Alba è evitata una guerra fra Acqui ed Alessandria (2). Spesso si sceglievano i vescovi quali ar- bitri, e alle loro sentenze vi era appello al Papa: qualche volta anche dei privati di molta riputazione : così fecero nel 1202 Modena e Reg- gio (3), Modena e Bologna (4). Il lodo di questi arbitri doveva essere approvato e si giurava d’ambo le parti di attenervisi serupolosamente (5). Ma più spesso si ricorreva all’autorità di un podestà amico comune (6); e chi pronunciava la sentenza prima giurava di essere imparziale (7). Anzi i Comuni delle città maggiori imponevano la loro autorità sulle minori e dipendenti : così faceva Bologna con Forli e Faenza (8), e fu celebre 1 intimazione che i rettori di Milano, Bologna, Bergamo, Ve- rona, Mantova, Novara, Vercelli, Modena, Reggio, Treviso, Vicenza, Brescia fecero il 23 agosto 1185 ai Parmigiani e ai Piacentini di smet- tere dai propositi di guerra e di accomodare pacificamente le loro con- troversie (9). In simili casi l’ intervento di questi pacieri si svolgeva come in un ordinario procedimento civile. Si citavano le parti, si sta- biliva il termine per la spontanea pacificazione, e scorso questa inutil- mente si ripeteva la citazione. Le parti compromettevano negli arbitri o in questi intermediarii, si faceva un giudizio, si discuteva la lite, si pronunciava la sentenza e si facevano severe minaccie ai riottosi (10). Spesso invece si sceglievano papi, re, vescovi ad ‘arbitri. Grego- rio IN, Gregorio X, Nicolò II, Bonifacio VIII ebbero sovente simili (1) MorIonDI, Monum. aquensia n. 126. (2) Td. n. 132. (3) an. 1202 MuratoRI, Ant. dial. IV. 707. (4) an. 1203 id. IV 387. SavioLI, Annali bologn. II parte 22, pag. 241. (5) TaccoLI, Storza di Reggio, I, 339. (6) MURATORI, 0. €. IV 783: TAGCCOLI, I 344. (7) SavioLi, II, p. 22, n. 408. (8) id. II, p. 22 n. 455-456. (9) id. IT, p- 2, n. 293-294: (10) cid. II, p. 2, n. 356, 357, 364, 360: MuratORI, IV, 211. 22 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA incarichi (1). Carlo d'Angiò fu pure designato ad arbitro da città ita- liane, per es. nel 1270 fra Ravenna e Ferrara. Così pure Enrico IV e Lodovico il Bavaro. Anche i Fiorentini ebbero spesso quest’ onore. Essi del resto furono i negoziatori di molti sovrani, gli ambasciateri di molte nazioni. Si sa come Bonifacio VIII ricevendo gli ambasciatori di varie nazioni e trovandone dodici fiorentini, chiamò questo popolo quinto elemento del mondo. È naturale che essi i quali erano gli am- basciatori dei re di Francia, Inghilterra e di Boemia, di Napoli e See cilia, degli Scaligeri, dell'Ordine degli Spedalieri di San Giovanni Bat- tista, del signore di Russia e del Kan dei Tartari, fossero gli arbitri delle città italiane. Vedonsi spesso i vescovi o di loro iniziativa o per ordine ricevuto dal papa intromettersi nelle questioni e portare una parola di pace (2). Più assidua è la loro azione per stabilire le tregue, e farla osservare da ambo le parti (3). Essi ricevono dai papi ordini di portare l’olivo fra i contendenti, di moderare le pretese dagli uni e le resistenze degli altri (4), e sovente per questo loro interesse nel comporre le liti sono scelti arbitri (5). Numerose sono le controversie deferite dai Comuni ai legati del papa e da questi definite (6). È anche noto come i fra- ticelli di San Francesco, per la simpatia che ispiravano e per il grande ascendente che esercitavano sulle popolazioni, riuscissero spesso a cal- mare gli spiriti e a ricondurre la pace fra due città che stavano per dilaniarsi: e si raccontano meraviglie di ciò che avvenne nei campi di Vicenza per opera di un umile monaco. E quali feste entro le mura della città se la pace è mantenuta, se è evitato lo spargimento di sangue! Allegrezza, tripudi, divertimenti. Quel fuoco bellicoso è presto estinto ; tutti ritornano ai lavori, e la piccola città riprende la fisonomia ordinaria, intenta ai traffici, alle industrie e anche al battagliare delle fazioni interne. Ma se nessuno interveniva, o se le parole di pace non erano ascol- tate, ben presto subentrava la stanchezza nei combattenti. Ho detto che data I’ arte militare di quel tempo, è raro ottenere risultati defi-_ nitivi importanti. Così la maggior parte delle spedizioni finivano in nulla o in ben poco: nè era possibile ottenere di più. Tutte le guerre (1) an. 1299 Lodo di Bonifacio VIII fra Azzo d’Este e il Comune di Bologna in Ghirar- dacci, Storta di Bologna I, 404. (2) an. 1218 TrraBoscHI, Sforza di Nonantola I, 402. (3) MuraroRrI, Antig. IV, 780. (4) SavioLI, Mem. bologn. II, p. II n. 408. (5) id. II, n. 407. (6) Zaccaria, Anecdota II p. 95 e segg. ALL'EPOCA DEI COMUNI 23 combattute fra città e città durano ben poco. Si approfittava della prima vittoria per quanto inconcludente, o della prima sconfitta per quanto insignificante per ritirarsi in buon ordine, spesso senza perdite di uo- mini. Erano passati i tempi in cui si raccoglievano scudi pieni di nasi e di orecchie sul campo della vittoria : ciò apparteneva all’epoca dei signori feudali (1). Si contentavano i vincitori di poco: non solo evi- tavano di incrudelire sulle persone, ma spesso cercavano anche di non umiliarlo, di soverchio : così videsi nel 1229 quando il carroccio dei Bolognesi cadde dopo un fatto d’armi nelle mani dei Modenesi, questi che l’avevano già disarmato e gettato in un fossato e coperto di foglie, accogliere il consiglio dei Parmigiani perchè non lo conducessero in trionfo a Modena, in quantochè ciò avrebbe irritato i Bolognesi. Conviene, dicono i cronisti, usar sempre moderazione nella vittoria, e si avranno così buoni frutti nell’ avvenire e per la conservazione della pace. I Modenesi difatti restituirono il carroccio, simbolo di libertà, e si limi- tarono a prendere alcuni mangani che condussero a Parma e li appe- sero nella Chiesa maggiore (2). Al primo pretesto, alla prima parola di pace pronunciata si indiceva una tregua. Questa poteva durare alcuni giorni, dei mesi, degli anni. Se ne incontrano di brevissime e di lunghe. Le disposizioni dei Concilii sulle tregue di Dio e quelle delle Costituzioni imperiali servivano come di norma in queste sospensioni di armi. Vi sono tregue di 6, di 10, di 15 anni (3). È una tregua quella pace che giurarono Modena e Bologna e che doveva durare 20 anni (4). Fra Federico I e le città lombarde fu giurata una tregua di sei anni (5), rinnovata poi per altri sei (6). Per 10 anni giurarono tregua nel 1128, Sergio duca di Napoli e il popolo di Gaeta: e per 10 anni, 6 mesi e 10 giorni si obbligarono a vivere in pace nel 1229 Federico II e Malek Kamel. Dopo Legnano Alessandro III stipulò una tregua di 15 anni fra I’ imperatore e Gu- glielmo di Sicilia e di 6 anni fra l’imperatore e le città lombarde (7). Le brevi tregue si offrivano dopo gravi pugne, come prima delle grandi solennità religiose, perchè tutti potessero attendere ai riti sacri. Così a Pasqua e a Natale era sempre sospensione di armi. Così Federico I (1) Ciò narra DoxIizone del marchese Bonifacio. (2) MuraTORI, Rer. Ital. Script. t: IN, 766: VIII, 1107: XVIII, 110, 254. (3) Frizzi, St. dî Ferrara II, 266. (4) SavioLI, I, p. II, n. 160. (5) DumonT, Corps diplomatique du droît des gens I, p. I, pag. 95. (6) MuraTORI: Rer. 93 0 i Di SAVIOLI, JI, p. 2 n. 215276. id. II p.2 n 350. (9) ADRIANI, Sforza di Vercelli (1, 18. (10) DeL GruDice, II, p. I, pag. 62. dAÀÌEA ALL’EPOCA DEI COMUNI 257 La pace coll’ «osculum pacis» indicava remissione de «omnibus iniu- riis» (1) la restituzione dei castelli, (2) il ritorno in grazia dell’impera- tore (3), perdono dei danni (4) e delle offese, rubarie, ecc. e ne doveva seguire il ripristino delle amichevoli relazioni, la facoltà agli uni di recarsi nell’altra città per commerciare, l'obbligo di rispettare vicende- volmente le persone e le cose. Così nel trattato fra Ivrea e Vercelli del 1202 si giura «quod Eborenses dabunt mercatum amicis civitatis Vercel- lensis et tollent inimicis» (5). I Milanesi nel 1206 giurano «salvare ho- mines Cremonae in civitate et episcopatu et districtu in terra et aqua» (Lunig). E da queste paci spesso uscivano alleanze. Tale fu il caso fra Bologna e Modena nel 1166. Giurano i Bolognesi « Salvare et custodire « personas mutinensium et eorum bona in toto nostro districtu et stra- «tam et treguam tenere inter eos, exceptis latronibus, falsatoribus et «inimicis imperatoris». Si obbligano di far pagare i debitori bolognesi se avranno « unde solvant: si vero non habeant unde solvant, de civitate «et districtu expellemus, bonis ablatis et destructis». Le prede fatte da due anni saranno restituite. Egualmante nel 1179 fra Pisa e Civita Grassa dopo la pace conclusa, si stabili ancora «omnes naufragos in « personis et rebus pertotam fortiam nostram salvare et defendere » (6). E non parliamo delle grandi pene che si ponevano in questi trattati contro chi avrebbe per primo rotto la pace. Ho accennato a diverse riprese agli ambasciatori. Sulla diplomazia italiana del secolo XVI molto si è scritto (7), ma anche degni di studio sono gli ordinamenti dell’epoca comunale intorno ai legati, argomento del resto importante e lungo che non vuole essere trattato alla lesta. Piacemi solo ricordare alcune leggi venete dal 1268, 1271 e 1285 colle quali sì ordinava agli ambasciatori di consegnare alla serenissima al loro ritorno tutti i doni che avessero ricevuto, si stabiliva che colui che era mandato presso qualche stato, corte o città non dovesse aver beni siti sotto quell’ autorità presso cui si recava; si disponeva l’ob- bligo del sindacato e del ‘resoconto delle spese sostenute e l’obbligo di (1) ZAccaRIA, Anecdota 392. (2) id. ST1. (3) Luni, Cod. diplom. an. 1159, I, 390. (4) id. p. 394 (5) ManpELLI, Il Comune di Vercelli, II, 119. (6) MuratoRI, Antig. V, 339. (7) Alludo oltrecchè alle opere di Reumont, Canestrini, ece. all'ultima eccellente ori- ginale e meritevole di ogni lode per la grande quantità di materiale nuovo o inedito usato, dovuta al signor Maulde-la-Clavière La diplomatie au temps de Machiavel, 8 vol. Parigi, 1892. 25 DIRITTO DI GUERRA IN ITALIA non abbandonare il posto senza permesso ad arbitrio del Doge. E mentre a Venezia il governo si riservava incaricare persone di missioni all’estero anche contro il loro volere, e nessuno potevasi esimere, a Vercelli scrivevasi negli Statuti che niuno nolente potesse essere investito di carica o ambasceria. Resterebbe che ora parlassi delle rappresaglie (1), ma per non tediarvi rimetto ad altro giorno l’esposizione di questo importante argomento. Per trarre poi una conclusione dell’ anzidetto , si può stabilire, che riguardo alle persone i Comuni si comportarono nelle frequenti guerre con umanità: — il che invece non si può affermare per ciò che si riferisce ai beni. La rapacità, il desiderio di preda e bottino sono i caratteri delle guerre di questo periodo. Già S. Tommaso diceva che ì suoi contemporanei « propter predam principaliter pugnant». Pure generale era questo sentimento, che i soldati di mare in generale si dicevano pirati e la nave armata in guerra « navis modo piratico navi- gatura » come sì esprime la St. di Genova del 1341. Dei »pirati allora si valevano del resto degli Stati belligeranti senza scrupolo, perchè danneggiare il nemico nei suoi beni e ricchezze, saccheggiare terre, castella, città, far bottino di tutto quello che si poteva trasportare era lo scopo delle grandi come delle piccole spedizioni. S quando si introdussero le milizie di ventura, spesso gli Stati si scor- davano di pagarle, e loro assegnavano i bottini che riuscivano a fare. Così anche Giacomo di Aragona nominò Ruggiero di Loria ammiraglio con illimitata facoltà di preda. Le disposizioni del Consolato di mare che stabiliscono il rispetto della merce nemica su nave nemica meri- terebbero uno studio speciale, per ricercare il tempo in cui si intro- dussero e per vedere quale osservanza ottenessero nel Mediterraneo. Altri principii importanti troviamo già prevalere nel diritto pubblico di guerra del periodo comunale e sono, il riconoscimento della libertà dei neutrali, le immunità degli ambasciatori, 1’ introduzione delle credenziali e lettere di accreditamento, il frequente uso degli arbitrati, le misure prese per scemare e abolire il diritto di naufragio, per vie- tare il contrabbando di guerra —— teoria che ebbe origine dai divieti dei papi a che si somministrassero armi agli infedeli — il diritto di vi- sita sulle navi e infine il diritto di ripresa. i aggiunga che (1) Ripeto che dopo il lavoro del prof. Del Veechio e dott. Casanova uno studio su questo argomento è venuto superfluo. Vedi su questa nuova pubblicazione il mio arti- colo nell'Archivio di diritto pubblico, Palermo 1895, ove ho riferito aleune disposizioni degli statuti italiani che confermano pienamente le risultanze ottenute dai prof. Del Vecchio e Casanova sul largo materiale cavato dagli archivi di Firenze e da loro adoperato. ALL’EPOCA DEI COMUNI 29 L’Italia che diede col Belli e il Gentili le prime linee di una teoria del diritto di guerra, aveva dato già da 3 secoli il primo insegnamento dell’umanità nella guerra colla pratica di istituzioni e di maniere che, i giuristi non ebbero poi che a fissare nei loro libri. A confortare le conclusioni di questa mia Memoria, per ciò che si riferisce alle differenze fra le guerre negli Stati feudali e alle crudeltà che in queste si commettevano, e le guerre nei Comuni italiani ove dominava un.certo spirito di moderazione e di mitezza, piacemi rife- rire un passo di un cronista francese del secolo XV riferito dal De Maulde -la- Clavièére nella sua Diplomatie au temps de Machiavel, I, 1892, pag.208-9, in un alle osservazioni che fa questo dotto storico del diritto internazionale. Il cronista francese e il chiaro scrittore De Maude a me ignoto quando scriveva la presente memoria, confermano piena- mente il mio concetto. i «I diversi miglioramenti introdotti poco a poco dal diritto canonico e affermati da ARR AVVERTENZA *-—_— dae A coloro, che conoscono l’importanza storica ed archeologica di Siracusa, sottomettiamo, con poche parole, le ragioni che ci spinsero a compilare questa seconda Appendice al nostro lavoro sulla Topografia Archeologica di Siracusa, pubblicata e fatta eseguire coi mezzi apprestati dal Ministero dell'Istruzione Pub- blica del Regno d’Italia (Palermo 1883, sesto in 4° di pag. 417 con tre tavole e vignette ed accompagnata da un Atlante di 17 tavole in fol. a cromolitografia). Il nostro non breve lavoro, cominciato e terminato.in due anni e mezzo, interessò i dotti, che ne tennero conto in molte riviste scientifiche estere. Noi siamo riconoscenti al Governo di averci conceduto la validissima cooperazione del Dottor Adolfo. Holm, professore ordinario di Storia nella R. Università, pria di Palermo ed oggi di Napoli; autore dell’importantissima opera « Geschichte Siciliens im Alterthum », il quale, per la sua vasta erudizione e sana critica storica, ci mise nella condizione di potere, con maggiore faciltà ed avvedutezza, fare i rilievi to- pografici di quella estesissima Città che, nel centro del Medi- terraneo, signoreggiava fra tutte le colonie greche. Con tali mezzi abbiamo eseguita quella topografia: lavoro IV non lieve e di non poca estensione: però, da circa mezzo se- colo ne avevamo studiati i particolari ed eseguiti in diverse epoche importanti scavi nei monumenti vetusti di quella Me- tropoli che ne facilitarono l'esecuzione. Sulla topografia di Si- racusa non avevamo che la sola carta dello Stato Maggiore italiano nella proporzione di 1 a 10,000. La piccolezza di que- sta scala non permetteva avere particolareggiati e chiari det- tagli per notare la moltitudine degli avanzi antichi nella loro svariata forma e posizione, far conoscere le strade di comuni- cazione delle varie parti della città e la importante distribu- zione delle acque potabili e latenti. che per secoli alimentarono quella popolosa Città, e sulle quali tanto si era scritto con ap- prezzamenti fantastici non scientificamente accertati. i intrapresa di quest’ altro lavoro, oltre quello della topo- «grafia. non era opera di lieve momento, avvegnacchè si trat- tava di rilievi di una mole non indifferente che assolutamente mancavano: e persuasi che non sì potevano eseguire da uno solo. ci siamo rivolti al Ministero, affinchè ci concedesse l’aiuto del figlio nostro e scolaro, Ing. Cristoforo Cavallari. il quale precedentemente ci aveva assistito in altri rilievi topografici : ciò venne benevolmente accordato. Altri lavori da fare erano nella nostra mente e questi si ri- ferivano a provare, con elementi di fatto, l’esistenza delle tombe preelleniche in Siracusa appartenenti a quei Sicolii quali fu- rono cacciati. come dice Tucidide, dai Dorî di Archia. Queste tombe infatti furono trovate: esse sono disposte in varî gruppi sul Colle Temenite, nei pressi del Teatro, ai Grotticelli. presso Tica e al Plemmirio. Non solamente, come è noto, si compì la topografia di Si- racusa, illustrandola con N. 10 tavole nel rapporto da 1 a 5000, ma se ne aggiunsero altre riferibili ai monumenti ed ai varî tipi di sepolcri di epoca greca, romana e preellenica. Dal 1883 a questa parte altre scoperte ed altri scavi furono da noi fatti durante la nostra permanenza in quella Città per impiantarvi il nuovo Museo Archeologico Nazionale. x I fondi destinati agli scavi erano scarsi, eppure con quel poco disponibile si fecero fortunati trovamenti nella Necropoli del Fusco, ove furono rinvenuti preziosi vasi che aumentarono la collezione ceramica del Museo anzidetto. Si fecero scavi al Cozzo Scandurra presso la fonte Ciane, col- legata ad antichissimi miti, con accurate ricerche in quelle vi- cinanze non mai studiate : le ricerche e gli scavi nell’ antico arsenale del Porto piccolo ebbero un risultato soddisfacente, dappoichè si constatò per la prima volta l’esistenza di molte opere sottomarine ed altre dentro terra presso lo Scaro di Santa Lucia. Di grande interesse fu il rinvenimento delle co- lossali costruzioni presso il nuovo Cimitero Comunale di Sira- cusa, e questo trovamento promosse uno studio accurato nella collina prossima piena di opere di escavazione con saccelli sacri sino al Teatro greco che fa parte del Colle Temenite. ‘Quelle costruzioni, senza nemmeno vederle, furono prese per opere di fortificazioni, senza riflettere, che opere di difesa in quella località non avevano ragione di esistere. Sulle scoperte, qui sopra cennate, abbiamo pubblicato, nel 1891, un Appendice con quattro tavole, riassumendo altre pub- blicazioni. Dopo la nostra collocazione a riposo, S. E. il Ministro Pro- fessore Pasquale Villari, ci concesse benevolmente di continuare gli scavi cominciati all’Epipoli ed all’Anfiteatro Siracusano. Sif- fatti lavori durarono sino al principio del 1892 con risultati che offrirono nuovi dati topografici nei pressi dell'Anfiteatro e molti particolari tecnici importantissimi, riferibili alle varie epoche della costruzione del Castello Euryalos. Il nostro lavoro, sulla topografia di Megara Hyblaea, che si trovava appena pubblicato, riguardava gli scavi sistematici fatti nel 1889-90 in quella città poco conosciuta, assistiti dal Dott. Paolo Orsi: giovine che ha le conoscenze necessarie che deve avere un professore di archeologia. A buona ragione ci siamo occupati esclusivamente della sola topografia :; il rima- nente dell’opera che costituisce il maggior lavoro, si deve allo D) VI stesso Dott. Orsi. Sebbene potentemente aiutati, non ci fu pos- sibile di fare nello stesso tempo una relazione scientifica sugli scavi fatti all’Euryalos ed all’Anfiteatro, molto più, che dove- vamo discaricarei in quel tempo della parte amministrativa dei detti scavi, notare nei cataloghi i nuovi oggetti rinvenuti e fare la consegna di tutto al Dott. Orsi, che per fortuna fu dal Ministero incaricato di reggere il Museo archeologico Na- zionale di Siracusa. È Siamo sicuri che l'incremento di questo Museo proseguirà a misura dei mezzi che saranno apprestati dal Ministero della Pubblica Istruzione, dappoichè le persone possono sparire, ma le buone istituzioni devono sempre progredire in vantaggio della scienza e della Patria. Le sole descrizioni dei risultati ottenuti negli scavi dell’Epi- poli e dell'Anfiteatro, non farebbero altro che aumentare un materiale, come .se si trattasse di riempire un Archivio di no- tizie slegate , le quali poscia domanderebbero un coordina- mento logico e critico e così bisognerebbe fare un nuovo lavoro. Spesso in questo genere di studî si è obbligati a sobbarcarsi a delle revisioni e a .cercare di riunire i particolari raccolti e coordinarli con gli altri; questo ora è il nostro caso. La chiave di tutte le opere di difesa ideate ed attuate da Dionisio I. fu il Castello Euryalos. Ciò ci obbligò ad una re- visione di tutti gli avanzi delle fortificazioni di Siracusa, per vedere come questi si collegano fra loro e formano quell’am- mirevole sistema di difesa immaginato da quel Grande Gene- rale, che si rese, con la sua astuzia e col suo talento militare, il più potente tiranno di Siracusa. Gli scavi da noi eseguiti nell’Anfiteatro confermarono la sup- posizione da noi esposta nella 1% Appendice; quella cioè, che tutta la contrada sottostante al colle "'l'emenite , fosse circon- data da riquadri , da sculture mortuarie e sacre alle divinità infernali, che dimostrano lo spirito religioso e poetico dei Greci e la loro venerazione per gli antenati, dei quali ne eternavano VII la memoria con monumenti che circondavano il domestico fo- colare. Tutta la parte esterna di Siracusa, guardando quello che tutt'ora esiste, si può invero considerare come una terra di morti. Sino nelle pareti delle Latomie e nella fronte meridio- nale della collina, che costituisce la parte alta di Acradina, sì vedono numerosi avanzi e segni commemorativi di sepoleri. Il presente lavoro fu cominciato in Siracusa l’anno scorso. Il Ministero della P. Istr. nel dì 17 marzo 1892 N. di Prot. 2942, ci faceva premura a presentarlo; ma per dare un rapporto scientifico nel vero senso della parola, lo sviluppo dello stesso non poteva essere breve. Una revisione di tutte le antiche for- tificazioni era necessaria per coordinare tutte le altre opere di difesa con quelle dell’ Euryalos ; ed inoltre era di grande interesse, accompagnare il lavoro da un certo numero di di- segni che accennassero ai particolari tecnici di quelle costru- zioni e le vedute di quel monumento militare che a buon dritto si può considerare come uno dei tipi più completi delle fortezze greche del IV secolo avanti Cristo. Per compiere adunque la presente memoria, pria di lasciare Siracusa, abbiamo fatto una revisione generale delle località più importanti della città e contemporaneamente ci siamo for- niti delle bozze necessarie per poter produrre i disegni illu- strativi, conservando la nostra vecchia abitudine di non intro- durre nei nostri lavori la forza dei vitelli altrui, come dice la Bibbia, ma rendere agli altri il merito che ad essi appartiene. Palermo, li 6 dicembre 1892. Prof. Francesco Saverio Cavallari Già Direttore ordinario degli scavi, musei e gallerie del Regno e del Museo Nazionale di Stracusa. \VANAITZ-AXA73-K-,TAK-ZK-Z-Z--AK-- Cron nOi Arr Loiri tti TT patto Coi EA NIVINSINSINSINSNISININSISINININSNINSSSDANSISSDISSSSSINISISASNIDSSDSNSIZAISSNNSISASANSI SNA NS NI 2) EURYALOS FEROREBREGDIEDTIRESA DI SIRACUSA UN HA Topografia del Castello Eurialo e suoi dintorni. Il Castello situato nel luogo chiamato da Tucidide è Ed0a)0> dell’Epi- poli di Siracusa è oramai conosciuto da molti. Varî scienziati per molto tempo se ne occuparono. Essi però, senza un rigoroso esame dello stesso, senza esatti disegni, senza precise annotazioni tecniche e senza aver fatto scavi di qualche entità, sufficienti a rendere visibili i suoi parti- colari e la rispettiva posizione topografica relativa alle altre opere con- generi, si limitarono a rintracciare nei classici, con un accurato studio filologico, quei passi che al monumento sudetto si riferivano; e ne de- scrissero, tanto nello scorso secolo che nel principio del presente, con pubblicazioni di grande lusso, la sua grandiosità e la sua importanza storica. A misura però che queste pubblicazioni si succedevano, si sperimen- tava la deficienza degli elementi per illustrare esattamente sì impor- tante monumento, e quindi si dovette prendere un avviamento più pra- tico e più scientifico. In Sicilia tale avviamento scientifico, utile per 1’ illustrazione delle 3 2 EURYALOS nostre classiche antichità, ebbe il suo cominciamento quando nel 1831 al benemerito Domenico Lo Faso e Pietrasanta, Duca di Serradifalco, venne l’idea di illustrare i nostri monumenti con un’opera, del titolo « Antichità di Sicilia.» A tale scopo, con la sua qualità di Vice Presi- dente della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia, con mezzi proprî e con quelli scarsi apprestati dal Governo di quel tempo, dava a noi l’incarico di fare eseguire scavi in tutti i monumenti della Si- cilia, i rilievi dei templi e le topografie delle antiche città. Durante quei lavori, e precisamente nel 1839, dopo aver terminati i rilievi dei monumenti di Segesta, 1° Volume ; di Selinunte, 2° Volume ; di Agri- gento, 5° Volume: ci siamo occupati della topografia di Siracusa, dei disegni dei suoi monumenti, e contemporaneamente abbiamo praticato taluni scavi precipuamente per scoprire, se non tutto, almeno una parte del Castello Eurialo all’Epipoli. Mediante questi lavori ebbe luogo la pubblicazione del 4° Volume. Da quest’epocain poi, per le vicende am- ministrative , la Commissione di Antichità e Belle Arti di Sicilia non diede più segno di vita tranne nel periodo in cui fu Presidente della sudetta Commissione il dottissimo Principe di Galati. Nel 1863, quando il Governo del Regno d’Italia assegnava una me- diocre dote per gli scavi delle Antichità di Sicilia, si ripresero i lavori con ottimi risultati, però poco si fece al Castello Eurialo. Questo insigne monumento militare è uno dei più completi tra le for- tezze greche del IV Sec. av. C.; comprende molte torri, opere vastis- sime di escavazioni, strade sotterranee, cortine, un ponte di comuni- cazione che cavalca uno spazioso fossato, scalinate per accedere ai piani superiori della fortezza, ed altre fortificazioni isolate. Una gran parte di esse sono scavate nella roccia, altre costruite con grandi pezzi pa- rallelepipedi di tufo calcare. (Vedi la Tav. I fig. 1° Pianta del Castello Eurialo e suoi dintorni che è una riproduzione in piccola scala di quelle della Topografia Archeologica di Siracusa per i Professori Adolfo Holm e F. Saverio Cavallari coll’assistenza dell’Ing. Cristoforo Cavallari). Nel loro insieme le succennate opere rendono evidente il sistema di attacco e difesa di quell’epoca; e ciò lo conferma il modo come sono disposte le stesse, che qui appresso descriveremo. Il Castello Eurialo è situato sulle alture estreme dell’ Epipoli ed al vertice di un grande triangolo quasi isoscele che comprende l’altipiano della spaziosa terrazza. siracusana ove restano gli sparuti avanzi di Tica, di Acradina e del Colle Temenite su cui si inalzava il simulacro di Apollo Arcageta. La bellissima posizione di questa parte dell’ Epipoli meritò il nome datogli dallo storico ateniese. Essa dai bordi dell’ alti- E LE OPERE DI DIPESA DI SIRACUSA 3 piano domina: a settentrione l’agro megarese, a mezzogiorno l’agro sira- cusano col grande Porto, l’Anapo, la palude Lisimelia, la fonte Ciane, l’ Olimpieo ; mentre 1’ isola di Ortigia ed il Plemmirio in lontananza, con l’ angusto ingresso del Porto, sbarrano dalla parte di oriente la feracissima pianura siracusana. Al vertice del menzionato triangolo, ove sopra una altura rocciosa si notano gli avanzi del Castello, il terreno si prolunga verso occidente, per la lunghezza di metri 1530, e forma una stretta serra non più larga ‘di metri 40 fiancheggiata da dirupi ; solamente da questa parte si ha la comunicazione fra il Castello ed i sottostanti territorii sopra menzio- nati. La parte di essa fortezza rivolta ad oriente, si prolunga egual- mente per altri metri 150; è: uno spazio quasi triangolare e conserva lo stesso livello del piano del Castello. Questa parte è un’ avancorpo fortificato, che protegge l’ unico ingresso della fortezza. Tutto questo spazio triangolare è cinto da poderose mura e da rupi tagliate a picco, le quali lasciano un accesso al lato settentrionale. Nel suo insieme que- sto avancorpo fortificato si presenta nella forma di uno sperone con la punta rivolta ad oriente e si prolunga sino a riunirsi con la muraglia meridionale, la quale contorna l’ andamento della collina sino a Tre- milia e si arresta alla portella del Fusco (1). Dall’altro lato di questo Castello, e precisamente all’angolo nord-est di esso, le fortificazioni si riuniscono con la grande muraglia che di- fende gran parte del bordo settentrionale dell’altipiano, ove pria della costruzione di essa restava l’Exapilo per il quale penetrò Nicia e pose il suo campo nel Kyklos per cominciare l’assedio di Siracusa, cercando di circondarla per privarla da ogni aiuto esterno. Il Castello, le due grandi muraglie meridionale e settentrionale, for- mavano un sistema che rinchiudeva in una grande cerchia le varie parti di tutto l’altipiano siracusano, compresa l’estremità dell’Epipoli. In questo modo il formidabile Castello divenne la chiave di tutte le fortificazioni, che difendere dovevano quella vasta città; la quale, come abbiamo notato alla pag. 68 della nostra Topografia Archeologica di Siracusa, aveva le sue muraglie di uno sviluppo che arrivò a m. 27520 eguali a 117 stadî itinerarî, senza comprendervi l’Olimpieo. Sorge il Castello Eurialo, come sopra abbiamo detto, sopra un’altura sparsa di balze e di rupi, collegato con le due citate muraglie, occu- pando un sufficiente spazio di terreno, il quale parte resta nella su- (1) Vedi Ja Tav. X dell'Atlante della Topografia archeologica di Siracusa e In Ta- vola 18 fig. 1a di questa memoria. 4 EURYALOS ; perficie, che appartiene alla grande terrazza siracusana, e parte fuori, occupando una porzione della superficie di quella ristretta serra, che comunica con l'adiacente campagna. Considerando questo Castello isolatamente, esso comprende : una va- stissima corte quasi rettangolare, (segnata con la lettera a Tav. 1° fi- gura 1%) la quale, da segni evidenti, doveva essere scoperta nel centro e circondata da stanzette abitabili. I due lati maggiori di detta corte sono rivolti, uno a tramontana e l’altro a mezzogiorno, quelli minori ad occidente ed oriente: a quest’ ultimo risponde l’ unica porta d’ in- gresso al Castello, segnata nella nostra Tav. 1° Fig. 1° con la lettera 5. Detta porta è fiancheggiata da due torri, lettere c c, mentre dal lato oc- cidentale ne esistono cinque, segnate con le lettere d d. Queste torri nella loro primitiva costruzione dovevano essere sporgenti; ma gl’in- tervalli fra essi furono posteriormente chiusi, come in appresso dimo- streremo. L’isolamento del Castello, senza alcuna comunicazione diretta, nè in- diretta con i forti laterali, nè con i sotterranei o coi fossati, dà luogo a supporre, che fosse stato destinato al solo Comando di tutte quelle fortificazioni riunite in questo punto eminentemente strategico dell’Epi- poli, imperocchéè, esso domina tutti gli altri forti staccati, i fossati e le altre opere di difesa, che lo rendono inaccessibile. Le stesse strade soi- terranee girano attorno al Castello senza potere accedere in esso. Dai sbocchi di queste stradelle si può uscire in una zona esterna, ma que- sti stessi sbocchi sono dominati dalle alte torri e dalle mura della for- tezza per impedire, all’occorrenza, l’uscita o l’entrata. Dalla parte occidentale i difensori stessi del Castello non potevano uscire all’aperta campagna e restavano interamente intercettati da ogni lato, ma protetti da un profondo e grande fossato, che resta a pochi metri di distanza dalle citate cinque torri. Si entra in questo fossato dal lato di tramontana, difeso da un enor- me muro costruito con grandi pezzi di tufo calcareo, di forma paralel- lepipeda dello spessore di metri 2, 80, con una porta d’ingresso di me- tri 1, 20 di larghezza ed alta metri 2, 07. Questo muro, che dovette essere costruito dopo di essersi tagliata la roccia a pareti verticali, è lungo metri 15, 75 e si eleva dal suolo metri 3, 40: ma la profondità del fossato presa dagli spalti che circondano il Castello arriva a me- tri 6, 40. (1) (1) L'aspetto di questo muro per la irregolarità, per la disposizione e per l’altezza dei filari, danno luogo a supporre una costruzione non contemporanea o una grande ripa- razione eseguita in tempi posteriori. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 5) Per meglio comprendere questa grandiosa opera di escavazione, la nostra veduta annessa, Tav. 12 fig. 2*, lascia a sufficienza comprendere lo scopo della stessa. Questo grande fossato, attraversando la Serra, im- pedisce la comunicazione con l’aperta campagna e nello stesso tempo non permette di avvicinarsi alle cinque torri sudette. I difensori dello stesso potevano però oltrepassarlo da una parte all’altra, secondo i bi- sogni della difesa, per mezzo di un ponte levatoio, al quale si può acce- dere, o traversando la cresta del muro che lo chiude, o per mezzo di varie scale intagliate nella roccia, per le quali dallo stesso fossato, si salisce alle sue sommità laterali e si discende nei sotterranei. All’estremità meridionale di questa grandiosa opera di escavazione, e precisamente nella parte più stretta, oggi si vedono tre colossali pi- loni, segnati nella sopra citata tavola ,-@ e 5; quello dè, come si vede resta nel centro del fossato, degli altri due, addossati alla roccia, per ragione prospettica, se ne può vedere solamente uno, segnato a. Evi- dentemente questi piloni sorreger dovevano un grande ponte levatoio e dalle loro dimensioni se ne deduce che esso doveva essere largo me- tri 5, 50, la parte superiore dello stesso doveva essere costruito in due parti, che inalzate intercettavano ogni possibilità di comunicazione. Nella parete interna del pilone addossato al lato occidentale del fos- sato. esiste una porticina che comunica coi sotterranei. I filari inferiori del pilone. centrale non sono levigati nei rispettivi paramenti; essi hanno un bugnato grezzo con un listello ben levigato lungo i bordi degli spigoli laterali ai letti di posa per regolare la so- vrapposizione dei pezzi; nella parte superiore però i conci di detto pilone sono con cura intagliati in tutti gli aspetti e senza bugnato. Il muro che chiude il fossato in parola, vedi la tav. 1° fig. 2* se- gnato CC, s’inalza sino a mezza costa della collina; esso offre un co- modo passaggio per accorrere alla difesa dello ingresso di detto fossato e nello stesso tempo può servire per comunicare da una sponda all’al- tra dello stesso, come sopra abbiamo detto. Dentro lo stesso fossato e a dritta di chi entra in esso notasi una grandiosa gradinata scavata nella roccia, per la quale si ascende all’al- tipiano occidentale, ove esistono gli avanzi di un altro forte quasi del tutto distrutto. Esso era costruito da grossi conci e serviva a proteg- gere il fossato e nello stesso tempo a mascherare le cinque torri di so- pra notate. (1) (1) Quest’ altro forte situato tra due profondi fossati, costruito di grandi pezzi, non poteva essere oppugnato, se non'dai due lati minori rivolti agli ang'usti spazî della Serra 4 6 EURYALOS Quasi tutta la superficie occupata da questo forte staccato vedesi per- fettamente spianata a punta di picone, ma è talmente ingombra dai conci dei crollati muri dello stesso, che non se ne può determinare la disposizione nè la forma della sua pianta; solo si possono vedere varî gradini e taluni solchi scavati nella rupe per lo impianto di talune sue mura. I detti conci non solo ingombrano quel luogo, ma una grandissima quantità di essi caddero dentro un secondo fossato, molto profondo e più largo del primo, segnato nella tavola 1° fig. 1% colla lettera g. Proseguendo a dritta di chi entra nel primo fossato di sopra citato, nello stesso lato ‘si notano altre tre gradinate per le quali si discende in quattro spaziosi e profondi androni sotterranei, scavati nella roccia, ma senza comunicazione alcuna fra di loro. La destinazione di questi vasti locali, non poteva servire se non per ‘caserme provvisorie dei militi destinati alla custodia del fossato, e per: ripostarvi, forse, provvisoriamente oggetti utili alla difesa. Sulla loro destinazione si fanno supposizioni che non possiamo accet- tare; si credono grandi serbatoj di acqua; ma su tale riguardo faccia- mo osservare, che negli stessi non esistono segni d’intonachi per ren- derli impermeabili, nè segni di acquidotti; per cui durante le pioggie invernali le acque piovane che vi penetrano, dopo alquante ore, ven- gono assorbite dalla porosità della roccia. All’ ingresso di ognuno di questi androni si osservano scolpiti nella roccia iscrizioni con lettere simili alle italiche, che nessuno sin’ora ha saputo bene spiegare. (1) Presso le dette iscrizioni e a qualche distanza da esse, si vedono sulle pareti segni scolpiti in forma di ferro di cavallo umbelicato al centro; ritenuti talismani contro il mal’occhio e la magia. i Nel lato opposto a quello sopra descritto e similmente nella roccia tagliata a parete verticale, esistono undici ingressi, che conducono in varie strade sotterranee rispondenti sotto lo spazio immediato all’intor- no dei tre lati esterni del Castello. La prima strada sotterranea ha la direzione da nord a sud, quasi menzionata, la quale poteva essere girata dai difensori dell'altro fossato e da quelli ap- postati sulla muraglia, che sbarra la comunicazione tra il Castello e la muraglia set- tentrionale. (1) Il Prof. Bernhard Lupus « Die Stadt Syrakus im Alterthum» Strassburg 1887, alla pag. 280, riproduce le quattro iscrizioni annotate dallo Schubring in Jahns. Jahrb: Supplementband IV, 5, 672. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA [ parallela alle cinque torri della fortezza. In questa strada si entra per tutti gli undici ingressi del fossato, e la stessa ha nella parte interna due gradinate delle quali, una conduce alla spianata ai piedi delle citate torri e l’altra ripiegandosi sbocca lateralmente alla torre ango- lare nord-ovest. La strada sotterranea del lato meridionale svolge il suo andamento sotto la torre sud-ovest, percorre tutta la lunghezza della fortezza, ma sempre dalla parte esterna, traversa un cortile scoperto, e pria di terminare si ripiega, salendo per un andito coperto in parte da grandi lastroni di pietra ed in parte dalla stessa roccia. Ripiegan- dosi in ultimo nuovamente, per una gradinata laterale al fianco della torre sud-est sbocca dentro il contraforte, che protegge 1’ ingresso orientale del Castello Eurialo, segnato d. La strada sotterranea settentrionale, che è la più lunga, dopo avere seguiti gli andamenti di questo lato della fortezza, la oltrepassa per un lungo tratto; s’interna sotto la muraglia ed*i Castelli che difendono l’ingresso della terrazza siracusana, e pria di terminare, si suddivide in due anditi, i quali sboccano dentro la citata terrazza, nei punti se- gnati nella Tav. 12 fig. 12 ff. Così disposte le strade sotterranee , i difensori delle fortificazioni si trovavano nella condizione di potersi, in ogni occasione, ritirare den- tro la terrazza siracusana, e da questa accorrere all’offensiva ed alla difesa delle opere avanzate, situate ad occidente del Castello Eurialo, senza potere essere molestati da chicchessia, dappoichè , nella stessa strada sotterranea settentrionale lungo il corso sopra descritto, nella volta esistono vari lucernali, anticamente chiusi con grandi lastroni di tufo, e negli stessi lucernali si notano alquanti gradini scavati nella roccia per i quali i difensori, per mezzo di scalette a mano, potevano ascendere e sparire, se inseguiti, negli spalti superiori esterni, e dall’alto offendere il nemico senza potere essere offesi. La cura che ebbero i Siracusani per rendere inespugnabile la de- scritta parte occidentale della fortezza in questa parte dell’Epipoli, si mostra in altre opere avanzate che rendono più difficile 1’ avvicinarsi all’ultimo forte staccato del Castello, per mezzo del secondo e profondo fossato sopra citato. Vedi la pianta Tav. 1° lettera g. Questo secondo fossato, scavato come il precedente nella roccia, non è lungo quanto il primo, ma è molto più largo : ha la configurazione di un esagono irregolare allungato, nel quale, nella riunione dei lati più lunghi gli angoli sono ottusi, e nei due lati minori acuti. Un angolo ottuso è rivolto ad occidente, nresentando il suo vertice alla ristretta Serra ove vedonsi L le traccie dell’antica strada; l’altro angolo ottuso, nella sua parte rien- vi EURYALOS trante, determina il limite del forte staccato, il quale resta tra il primo ed il secondo fossato. Ai due lati minori del citato fossato rispondono due passaggi laterali : quello meridionale, che è ristrettissimo, è situato tra le balze e conduce alle cinque torri; l’altro più largo, otfre un tran- sito a coloro, che dalla campagna costeggiando tutto il lato settentrionale del Castello, volessero entrare nella terrazza siracusana per gl’ingressi protetti da tre torri, segnati & & Tav. 1° fig. 1°; queste torri evidente- mente appartengono a quelle opere di difesa eseguite dopo aver riunita la muraglia settentrionale col Castello Eurialo. Che un’antica strada di accesso alla terrazza siracusana doveva esi- stere in questo sito, lo attesta la esistenza dei numerosi solchi di rotaie prodotti dal secolare attrito sulla nuda roccia della citata Serra per la quale solamente si può comunicare col Castello. Qui però non ter- minano le previggenze di coloro che costruirono le fortificazioni del Castello all’Euryalos, dappoichè all’estremità della ristretta Serra, ove si notano i solchi delle citate rotaie , esiste alla distanza di metri 102 dall’ ultimo fossato di difesa, un’ altro piccolo fossato ristretto e poco profondo, il quale evidentemente doveva servire per l’ appostamento delle guardie in vedetta (1). Con tali opere di difesa e con tante precauzioni il Castello dalla. parte esterna non poteva essere sorpreso nè tradito dagli stessi difen- sori, i quali erano situati in modo che ognun di loro era vigilato dalle alte fortezze, separate da profondissimi fossati. Tutti poi restavano di- pendenti dal centro del forte, che, come abbiamo detto, era riservato al comando , che dalle cinque torri con le loro altezze dominava le altre Castella e gli stessi fossati. Le comunicazioni fra l’adiacente campagna e la terrazza siracusana. | sono: diretta quella sopracennata che traversa lo spazio, che fiancheg- gia il Castello a nord dello stesso, indiretta l’altra, che dai sotterranei sbocca dentro la terrazza già circondata dalle muraglie; ma questa. comunicazione serviva per i soli difensori appostati nelle fortezze la- terali al corpo centrale senza poter penetrare in esso se non traver- sando l’avancorpo fortificato, che esiste all’oriente della porta d’ingresso del Castello. Epperò in questo passaggio gli stessi difensori non pote- vano penetrare senza il consenso del comando supremo, il quale, vo- lendo, poteva impedirlo dalla torre angolare sud-est, barrando l’ an- gusta gradinata che trovasi sotto la citata torre. (1) Questo piccolo fossato scavato nella roccia, tu colmato 8 anni or sono da taluni proprietari che costruirono una casa ed una villetta in quel sito. Nella nostra top. però- questo fossato vedesi con precisione disegnato. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 9 Il prospetto delle cinque torri doveva essere decorato allo esterno da quelle colossali grondaie denotanti teste di leoni di uno stile svi- luppato e convenzionale dell’epoca di Dionisio il vecchio; due di que- ste si conservano nella casetta di custodia all’Epipoli e furono trovate negli scavi fatti sotto le torri e precisamente sugli spalti che restano tra le stesse ed il prossimo fossato. Munite dovevano essere le torri da ‘catapulte per lanciare all’occor- renza le srossissime palle di pietra. Di queste palle se ne sono tro- ‘vate diverse delle quali due si rinvennero negli scavi da noi diretti; una nel 1881 e l’altra nel 1895. Ora sono riposte nella casetta di cu- stodia del Castello Eurialo. Il maggior numero di tali palle di pietra, che si conservano nel mu- seo nazionale di Siracusa, furono trovate nell’isola di Ortigia e in una di esse vedesi scolpita ® arcaico. Palle eguali si trovarono nel castello di Lentini, l’Acropoli di quest’antica città calcidese, e precisamente in una strada sotterranea della stessa struttura di quelle del Castello Eurialo. Il sotterraneo in parola dell’ Acropoli di Lentini chiamasi attualmente la grotta delle palle, per il gran numero che in questo se ne rinvennero (1). Tutto il sistema delle opere di difesa esterne dell’ Epipoli ha una unità di concetto ammirevole che giustifica l'opinione ammessa da molti dotti, qualmente quel vasto piano delle fortificazioni del Castello Eurialo, fosse stato concepito dal grande stratega di quell’epoca, Dio- nisio I, il quale, come è noto, dopo di aver vinti e sottomessi i suoi competitori, salvò i Geloi e quelli di Camerina dalle barbarie dei Pu- nici. Esso aspirava a farsi tiranno di Siracusa, e, da questo grande centro, capitale della potenza dorico-sicula, creare l’ egemonia siracu- sana in Sicilia, e sottoponendo Region, patroneggiare i Locresi, i Cro- toniati, i Sibariti, e gli Ateniesi di Turio e così estendere il suo do- minio su una grande parte dell’Italia meridionale. Però in quell’epoca le mire di Cartagine erano rivolte alla conquista di tutta la Sicilia, e già lo aveva dimostrato ton la distruzione di Se- linunte e di Agragante. L’eccidio barbaro dei Selinuntini, poteva ap- pagare i Punici e cancellare la loro disfatta subita nell’assedio di Imera, mediante l’ intervento inaspettato dei Siracusani, condotti da Gelone, che è la figura più nobile e magnanima dell’antichità, dappoichè diede (1) Palle simili si conservano nel Museo archeologico di Palermo; la maggior parte furono raccolte dal Prof. Comm. A. Salinas, nel forte Castellammare che trovasi all’in- gresso del Porto piccolo detto della Cala, il quale s' internava sino al Papireto for- mando l'antico Porto di Panormus. 10 EURYALOS il primo esempio di umanità verso i vinti, non mai imitato, nè dai suoi contemporanei nè dai posteri sino ad ora. Però i Punici non solo si volevano vendicare, ma volevano anco conquistare; e con le barbarie di tutti i conquistatori aspiravano al possesso del nostro ubertoso paese, o almeno ad ottenere un vasto campo onde impunemente esercitare le loro razzie; fare schiavi e lasciare deboli agricoltori nel paese conqui- stato per poscia torre loro il frutto del lavoro. Gli unici che potevano opporsi alle intenzioni dei Cartaginesi erano i Siracusani; e l’unico uomo che poteva, per i suoi talenti militari, porsi a capo dei Siciliani di quel tempo e combattere con successo gli invasori, era Dionisio I; quindi tutta la rabbia e l’odio dei Punici era rivolto contro i Siracusani e contro il loro Capo militare. Dionisio ciò sapendo, e sapendo ugualmente che in lui era riposta la salvezza della patria, già si era preparato, facendosi benemerito dei Geloi, di quelli di Camerino, di Messana, Tindari, Tauromenio e dei Leontini, liberan- doli dalla ferocia dei barbari. Il solo Ermocerate, grande diplomatico, e guerriero energico avrebbe potuto attraversare le sue mire. Però questi, che aveva le stesse pretese di Dionisio di .farsi tiranno di Siracusa, presentatosi indifeso alle porte di questa città veniva uc- ciso dal popolo. In questa congiuntura , Dionisio vedendosi tolto di mezzo l’unico suo competitore, si avvide tosto che poteva vincere ogni ostacolo, e cauto come era, si procurò in Lentini, con molta astuzia, una numerosa guardia di onore di uomini scelti e fidi per difenderlo in ogni contrario evento; e vittorioso si presentò: ai Siracusani, non inerme come Ermocrate, ma circondato dai numerosi amici del suo partito e da una schiera di valofosi mercenarî ben armati. Il futuro tiranno ricco di denaro guadagnato con diverse vittorie e i larghi com- pensi scroccati a coloro che liberò con la promessa di difenderli, pa- gava generosamente i mercenarî, i quali, se da un lato aumentavano l’armata siracusana, dall’altro lato accrescevano quel corpo di armati dedicati alla sua personale difesa. Con tali preparativi si trovò Dionisio nella condizione di difendere Siracusa, la quale, presto o tardi, doveva essere aggredita dalla nu- merosa armata Cartaginese, che già scorazzava in Sicilia sotto il comando di abilissimi Generali. Non vi era quindi tempo da perdere, e riunita già un’ armata poderosa in Siracusa nello stesso tempo muniva in fretta con opere di difesa le parti più deboli della città; ricavò partito delle fortificazioni esistenti e si mise a costruire opere novelle ricono- sciute necessarie dopo il recente esperimento fatto nella guerra Ate- niese. E LE OPERE DI DIPESA DI SIRACUSA Il Nel dimostrare l’unità delle opere di difesa di Siracusa, abbiamo creduto cosa necessaria aggiungere il seguente paragrafo per aversi una idea più chiara ed estesa delle fortificazioni di ogni parte della città e segnarne i limiti, riferendoci sempre ai nostri disegni dell'Atlante che accompagna la cit. Topf. Arch. del 1883; notandone tutte quelle particolarità da noi di recente studiate con un’accurata revisione fatta a varie riprese, durante otto anni di permanenza in Siracusa. SÙ. Le fortificazioni delle varie parti di Siracusa che unite a quelle dell’Eurialo compirono il. piano di difesa ideato da Dionisio T. Per farsi un concetto esatto del piano di difesa immaginato e por- tato a compimento da Dionisio I, riassumiamo brevemente i dati della nostra cit. Topogf. Arch. di Siracusa del 1883. Nell’ Atlante che 1° ac- compagna si vedono disegnati tutti gli avanzi delle. fortificazioni, che dovevano preesistere ai tempi della guerra Ateniese unitamente a quelle che con sicurezza si potrebbero attribuire a Dionisio, quando si pre- parava a sostenere la grande guerra Cartaginese. Noi non intendiamo di rilavorare quello che abbiamo pubblicato, perchè poco possiamo aggiungere a quel grande lavoro, frutto di mol- tissimi anni di studi locali; pur nondimeno, ritornati in Siracusa nel 1884 con la qualità di Direttore ord. di quel Nuovo Museo abbiamo ri- presi i nostri studî e proseguite le mostre ricerche per rintracciare altri dati topografici, le cui conoscenze tanto giovarono a chiarire la storia di quella rinomata città. Per incarico del Ministero dell’Istruzione Pubblica, ci occupavamo dello impianto del novello Museo Nazionale e contemporaneamente fa- cevamo nuovi scavi, ove ci mancavano elementi positivi topografici ed archeologici, che i ceppi burocratici ci avevano per molti anni impedito di eseguire. I nostri nuovi lavori furono incoraggiati dal benemerito Senatore Prot. Giuseppe Fiorelli, in quel tempo Direttore Generale al Ministero della Istruzione per le Antichità e Belle Arti del Regno , il quale ci mise nella possibilità di eseguire importantissimi scavi non solo in Si- racusa, ma nella parte orientale della Sicilia ; centro un tempo della potenza delle colonie greche e di quei Siculi che precedentemente nu- merosi vi dominarono con una civiltà peco conosciuta. 12. EURYALOS Tali lavori cominciati nel 1884 durarono sino al 1° ottobre 1891; epoca in cui per motivi di avanzata età e per 1’ economia dello Stato fummo collocati a riposo dal Ministero dell’Istruzione; ma per dire il vero, S. E. il Ministro Prof. Pasquale Villari con sentita rettitudine ci con- cesse di terminare i lavori da noi cominciati e diretti nell’Anfiteatro siracusano e all’Epipoli nel Castello Eurialo. î I risultati di molti lavori antecedentemente fatti, avevano introdotti dati nuovi nelle conoscenze topografiche ed archeologiche di Siracusa, le quali, per la loro speciale importanza ci avevano spinti a pubbli- carli in varie memorie illustrate ; tra queste però , ultimamente nel 1891, riassumendo ciò che alla topografia si riferiva, abbiamo dato alla luce una « Appendice alla Topogf. Arch. di Siracusa » con quattro tavole litografiche. In questa pubblicazione , divisa in sei paragrafi, si determinò l’ e- stensione della Necropoli del Fusco, e siccome questa per le colossali costruzioni di recente scoperte, si legava con le opere di escavazione dell’adiacente collina, che erano fiancheggiate da una strada, anch'essa sacra, che condur doveva al simulacro di Apolline, senza pericolo di errare, potevamo asserire, che il Temenite si doveva estendere dalla Portella del Fusco sino al lato orientale del Teatro Greco e presso le adiacenze della parte alti dei suborghi di Acradina. Vedi la cit. Append. $ IV dalla pag. 25 alla pag. 35. Nella stessa appendice al $ VI si dava conto delle ultime scoperte presso la fonte Ciane e degli scavi fatti nel Cozzo Scandurra. (Vedi una particolare memoria pubblicata in Palermo nel periodico «La Si cilia Archeologica » ). Sugli scavi fatti al Plemmirio, diretti dal nostro amico Dr. Paolo Orsi e pubblicati nel 1890, leggasi la lettera a noi diretta dallo stesso Dot- tor Orsi, pag. 53 sino a pag. 57. Appendice sopra citata. Le notizie sull’ esistenza di taluni avanzi dell’ antico Arsenale del Porto piccolo, furono accertate dagli scavi del 1887. Append. cit. da pag. 62 alla pag. 64. Sugli scavi eseguiti nelle Catacombe di Santa Lucia ne abbiamo fatto un cenno nella citata Appendice, pag. 60, ma sospesi i lavori, altro non potevamo aggiungere. Il materiale da noi raccolto sulle opere di difesa delle Siracuse è grande, ma difficile riesciva classificare e determinare l’epoca di ogni opera; questo è quello che tanto il Prof. Adolfo Holm quanto noi ab- biamo cercato di fare nel nostro lavoro della cit. Topogf. Arch. di Siracusa. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 15 L’opera, posteriore alla nostra pubblicazione del 1883, del Prof. B. Lupus « Die Stadt Sirakus im Alterthum autorizirt Deutsche Bearbeitung der Cavallari Holm schen, Topografia Archeologica di Siracusa, Stras- sburg 1887» è un lavoro ottimo e utilissimo per gli studiosi tedeschi dedicati agli studi filologici, per ben comprendere le descrizioni di Tu- cidide, Diodoro, ed altri scrittori antichi. Questo lavoro del Prof. Lupus è sostanzialmente una riproduzione in lingua tedesca della nostra topografia Archeologica di Siracusa, cam- biando solo il titolo e la disposizione. Si ripetono, e lo dice coscien- ziosamente lo stesso Prof. Lupus nella sua introduzione « WVomwort, » pag. VI alla pag. VIII, le stesse descrizioni ed annotazioni, ma con un altro ordinamento; gli stessi nostri disegni ridotti in piccola scala ed altri anche lucidati, compiscono un bel volume in $° di pag. 348 con due tavole. Per la parte che riguarda l'incremento dei dati topografici, poco e quasi nulla poteva introdurre il Dr: Lupus: nella sua opera, ma questi, con sana critica, si è servito anche dei lavori del Dr: Julius Schubring, correggendo ed accettando talune opinioni dello stesso. 5 Dopo il lavoro del Dr: Lupus, altri dati topografici furono da noi in- trodotti, e di ogni trovamento se ne dava notizia nel Bollettino degli Scavi, pubblicato per cura del Ministero dell’Istruzione; ma, per quelli di maggior importanza si pubblicarono memorie speciali. Una di que- ste, si riferisce a taluni vasi detti Corinti con figure umane da noi in gran parte rinvenuti in Siracusa, nella Necropoli del Fusco e in Me- gara Hiblaea, e fu inserita negli atti della R. Accademia di Scienze, Let- tere ed Arti di Palermo nel 1887. Poi altre memorie si pubblicarono nel periodico, La Sicilia Archeologica di Palermo. Or siccome tali pub- blicazioni così disperse non potean essere da tutti conosciuti, abbiamo creduto opportuno riunirle in sunto nella nostra Appendice del 1591. Noi siamo gratissimi a tutti quei dotti stranieri della benevola acco- glienza fatta ai nostri lavori sin’ ora pubblicati sopra Siracusa, non pertanto sappiamo benissimo che molto resta a fare tuttavia, e che anche una revisione sarebbe utile da parte nostra per correggere, mo- dificare o aggiungere qualche altra nuova scoperta. Non possiamo negligere di far conoscere che gli aiuti a noi prestati dal Dr: Paolo Orsi, ci misero nella possibilità di accertare le nostre supposizioni esternate nella Topografia citata a pag. 20, qualmente gli scogli, che attualmente esistono all’oriente di Ortigia, dovevano far parte dell’isola stessa, accennando l’esistenza di vari orifizii circo- lari di pozzi dai quali gli abitanti attingevano le acque potabili per loro uso. 6 14 EURYALOS Gli scavi fatti pochi anni or sono dal solerte Dottor Orsi, assistito dal sovrastante Eduardo Caruso, dentro quei pozzi ebbero un risultato soddisfacente: del quale ne abbiamo tenuto conto nella cit. Appen- dice del 1891. de) Dobbiamo ugualmente notare che nel lato occidentale della stessa Ortigia alcuni anni fa, nella demolizione che fece eseguire il Munici- pio di Siracusa, del bastione di epoca spagnuota, chiamato il Forte Campana, si scoprirono gli avanzi di antiche fortificazioni, nelle quali si nota una torretta costruita in varî filari di pezzi di tufo bene inta- gliati, nei quali si vedono nei suoi paramenti esterni segni di scalpel- lino con varie lettere greche ed una croce, che altri han creduto di epoca bizantina e che noi crediamo di epoca greca arcaica, perchè precisamente la stessa forma la troviamo incusa in molte piccole mo- nete di argento di Siracusa. Fra questi segni inoltre, se ne trovano molti del tutto simili a quelli che si vedono negli androni sotterfanei del Castello Eurialo. Eseguito uno scavo in quella torretta apparvero altri tre filari con altri segni; e fatto uno studio locale siamo venuti alla conoscenza , che quelle opere erano impiantate sulla roccia alla distanza di circa metri quindici dalla Fonte Aretusa, formando l'angolo nord-ovest di una torre sporgente verso il Porto grande, situata nelle vicinanze ove tutt'ora esiste il più sicuro ancoraggio di quel Porto, e che formava l’estremità di una muraglia, che difender doveva il lato occidentale dell’isola di Ortigia. A noi sembra probabile che questa torre doveva custodire una porta d’ingresso dell’isola e formare la te- stata dell’allineamento dell’antica muraglia occidentale. Ciò si è potuto constatare durante taluni scavi fatti lungo la linea del passeggio Adorno per le fondazioni di varie case, come ancora quando si facevano alla nostra presenza gli scavi delle fondazioni del nuovo Museo Nazionale di Siracusa. L’alliniamento di questa muraglia si estende, non solo alla porta di mare, ma ripiegandosi un poco verso nord-ovest, continua dietro la dogana e va a terminare al canale navigabile che pone in comunica- zione il Porto grande col Porto piccolo. In questa parte si arresta ogni avanzo di muraglie, dappoichè, gli spagnuoli nel costruire i muri della loro nuova fortezza distrussero ogni avanzo antico; pur non- dimeno fattosi ora lo abbattimento di queste costruzioni spagnole si po- sero da parte tutti i conci impiegati nei bastioni ed in questi conci che tutt’ ora si vedono nel sito depositato come materiale da vendere, sì osservano segni di scalpellino a centinaia. Nel Porto piccolo poi, e precisamente in quella parte della muraglia E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 15 che s’interna in un bacino ove vanno ad ancorare i piccoli bastimenti della dogana, al primo filare dell’ingresso di detto bacino si nota un segno di scalpellino della forma di un Alfa greca. Da questi dati si può ammettere, che l’isola di Ortigia era munita di muraglie nel lato occidentale e settentrionale. i Segni di scalpellino simili e taluni identici si osservano in Sicilia, a Tindari e ad Erice; nel continente italiano in grande numero sono : quelli di Cuma, di Anagni, Castromaenium a Roma,in Pompei ed in ‘altre muraglie antiche descritte dal Prof. Dr: Otto Richter in una me- moria, per commemorare la festa annuale di Winckelmann, che pub- blicò la Società Archeologica di Berlino (Anno 1885). Nelle mura di Pompei si osservano segni denotanti, la eroce come la nostra, ma senza la biforcazione all’ estremità; presso la Porta di Nola si notano N. 4 segni di scalpellino simili alle nostre ed altri si vedono a Pompei presso la Porta di Capua. I segui sono tutti isolati scolpiti nei conci e quasi della stessa grandezza delle nostre di Sira- cusa e di Tindari. Dall’ esistenza dei citati segni di scalpellino , non intendiamo potere precisare l’epoca di una muraglia, ma quando que- sti li vediamo collocati alla rinfusa in altre costruzioni come materiali di muratura, allora siamo autorizzati a ritenere che i conci con i se- gni di scalpellino fossero stati tolti da muraglie di antica data e messi a profitto in Siracusa dagli spagnuoli nel costruire le loro fortificazioni nel secolo XVI, epoca in cui sì trasformarono le antiche opere di di- fesa dell’isola di Ortigia. Queste opere di trasformazione servendosi dei conci dei monumenti distrutti, li vediamo in un arco della strada sotter- ranea costruita dagli Spagnuoli sotto il forte Campana per la comuni- cazione della passeggiata pubblica della marina colla fonte Aretusa. L’arco in parola risponde sotto la sopra citata torretta e si compone di vari conci nei quali si osservano segni di scalpellino del tutto simili a quelli degli androni del primo fossato del Castello all’Euryalos. Le antiche muraglie del lato occidentale di Ortigia dovettero essere destinate dagli spagnuoli, quando trasformarono le fortificazioni anti- che, a costituire i moderni bastioni della cinta immediata alla città. Ora in tutte queste fortificazioni spagnuole , si trovarono durante la demolizione: varî frammenti d’iscrizioni greche, un busto di giovane di marmo bianco di epoca greco-romana e moltissimi segni di sealpellino con lettere sreche e romane. Della muraglia settentrionale di Ortigia esistono alcuni filari antichi al Porto piccolo, con segni di scalpellino, e precisamente all’ ingresso di una Darsena al presente destinata ad accogliere i piccoli basti- 16 EURYALOS menti della Dogana : è una insenatura di mare che probabilmente do- veva far parte dell’ Arsenale antico del Porto piccolo , nel quale ulti- mamente abbiamo scoperte opere di escavazioni sottomarine del tutto uguali a quelle scoperte presso lo scaro di: Santa Lucia. Da questa esistenza si può dedurre, che 1’ antico Arsenale si estendeva sino al lato settentrionale di Ortigia ed occupava una grande parte del Porto piccolo. Nella recente demolizione delle fortezze spagnuole di questo lato, oltre dei numerosi conci con segni di scalpellino, si sono rinvenuti : sedici tronchi di colonne di granito rovesciati come materiale di rifiuto ed inoltre, sette grandi iscrizioni sepolcrali ebraiche scolpite in grandi pezzi di tufo calcare che furono da noi ricuperate e collocate nel Mu- seo Archeologico Nazionale di Siracusa. Queste iscrizioni furono spie- gate dal nostro dotto amico Prof. Bartolomeo Lagumina , il quale , in una di esse lesse il nome del defunto ha-Hazzan figlio della gloria di R. Josep, ha-Zagen e l’anno 5119 (Cr. 1559). In altra iscrizione lesse il sullodato Prof. il nome della giovane Ester figlia della gloria di R. Sabbetai, ha-Zagen — con l’anno 5187 (Cr. 1427) (1). Nel lato orientale dell’isola di Ortigia, distrutte furono le antiche muraglie, anche pria che gli spagnuoli avessero costruite le loro for- tificazioni, dappoiché, come abbiamo detto una porzione di questo lato dell’isola era stata corrosa dalle continue e violente ondate del mare; questo fatto è stato confermato dai trovamenti fatti pochi anni or sono negli scavi eseguiti dentro i profondi pozzi circolari di sopra menzionati. Altri avanzi di antiche mura e di altri edifizi all’occidente di Ortigia mancano, ma si deve ritenere che tanto all’ingresso di Ortigia quanto nella parte esterna dovevano esistere all’epoca greca, muraglie e torri di difesa per rendere sicura l'isola; la quale dai primi coloni venne riguardata come l’Arce di Siracusa. Il Prof. Julius Schubring, con le sue dotte ricerche storiche , si è provato a dimostrare, che all’ ingresso di Ortigia doveva esistere la Regia di Dionisio e la torre dell'Orologio; ma sin’ora nessun fatto ma- teriale ha confermata tale supposizione (2). (1) Notizie degli scavi di Antichità dell’Accademia dei Lincei di Roma — Giugno 1889, pag. 198-201. I (2) La speranza di qualche trovamento in questo spazio ora libero e precisamente nel sito che resta tra la porta di terra ed il secondo canale potrebbe fornirci qualche ele- mento di fatto. Fra breve in detto spazio, ch'è vastissimo, si costruiranno molti edifizi e nelcavare le fondazioni sarebbe necessaria un’oculata vigilanza da parte del personale addetto alle Antichità. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA Lari L'isola di Ortigia circondata dal mare e dal canale navigabile , ha fuori: a sud la palude Lisimelia: all’ovest, oltrepassata una parte dei bassi suborghi di Acradina, dallà stessa Ortigia si osservano i bordi della più antica Necropoli, quella del Fusco; al nord il Colle Teme- nite fortificato, sulla cui estensione abbiamo già detto dalla pag. 25 alla pag. 55 della nostra Appendice cit. Questo Colle Temenite per la sua posizione veramente strategica impediva il passaggio a coloro che dalla parte di tramontana volevano penetrare nell’agro Siracusano per ‘oppugnare Ortigia; sicchè ai nemici che penetravano nella terrazza Si- racusana non restava altro che rivolgersi contro Acradina, o forzare il passaggio tra il Colle Temenits e l’angolo sud-ovest di questa città sotto il Cozzo del Romito. All’epoca di Gelone però, Acradina doveva essere popolata, e co- minciarono a sorgere sontuosi monumenti pubblici e privati importanti abitati dagli Aristocratici, i quali, per vivere in un clima sano ed asciutto, avevano scelto quell’altipiano; separandosi dai Cillirî e dai Siculi che dovevano abitare i luoghi meno nobili ma non lontani da Siracusa. Acradina occupa la vasta parte orientale della terrazza siracusana, e, come la vediamo, era protetta: all’ oriente dalle alture scoscese dei suoi bordi marittimi, a mezzogiorno dal Porto piccolo e dalla parte di tramontana dalle erte balze di Santa Panagia; però tutto il lato oc- cidentale della città restava indifeso ed esposto ad essere improvvi- samente assalito da coloro che si rendessero padroni dell’ altipiano della terrazza siracusana. Gelone fu il primo a conoscere il bisogno di proteggere con opere di difesa la fronte occidentale di Acradina, che faceva parte dell’ alti- piano della terrazza siracusana, dappoichè chi arrivava a salire. in quest’altipiano, si sarebbe reso facilmente padrone di questa parte di Siracusa che trovavasi priva di difesa. Si accinse Gelone a farvi costruire quella grandiosa muraglia che prese il nome del Tiranno che la ideò. Chi diresse materialmente quest'opera dovette studiare ben tutte le accidentalità del terreno e l’altimetria, scegliendo per caposaldi dell’al- lineamento, la profonda cava di Santa Bonagia (1), la gola che resta tra il Cozzo del Romito e le alture di Acradina: e, profittando dell’on- dulazione della superficie della terrazza , tracciò quel lungo rettifilo, che tuttora si vede, tagliando la Collina verticalmente. Questo lungo (1) L'aspetto di questa cava si vede nella nostra vignetta col titolo di S. Bonagia tra Tica e Acradina, disegnata nella tav. V dell'Atlante della cit. Top. Arch. di Siracusa. In essa si osserva l’impossibilità di valicare quelle erte balze per penetrare in Acradina. Solamente in fondo di questa cava ai N.124 e 125 notansi taluni gradini scavati nella roccia, ad oriente ed occidente della stessa. { 15 EURYALOS tratto passa ove esiste la casa del Vescovo , traversa la proprietà del Marchese Gargallo ed una parte della contrada detta Terrecate. È molto probabile che tale allineamento dovesse prolungarsi da nord a sud lasciando da canto il Cozzo del Romito, traversare i subborghi di Acradina, onde poter difendere dalla parte di terra anche l’ Arsenale, ed arrivare sino all'ingresso di: Ortigia ed al Porto grande. Con questa muraglia Gelone racchiudeva in un sol gruppo, l’ isola di Ortigia, Acradina, l’Arsenale ed il Porto piccolo, nonchè il canale navigabile; e in queste località etfettivamente si concentravano tutte le forze, le ricchezze e le risorse degli agiati Siracusani e dei loro Tiranni. Centro del Governo fu sempre l'isola di Ortigia, e Trasibulo asse- diato in questa ed in Acradina, vedendosi a malpartito , perchè sola- mente appoggiato da pochi suoi amici, si salvò riducendosi a Locri. I Romani stessi, dopo la vittoria di Marcello, comandavano in Ortigia, ove poi abitarono i capi del Governo, gli Uffiziali ed i Cavalieri romani, escludendo i Siracusani dall’ isola ad eccezione delle belle donzelle e matrone, alle quali si permetteva convivere con i conquistatori. Il lato meridionale di Acradina si compone, come si vede nella Ta- vola II del sopra citato Atlante, di una parte alta e di un’altra bassa; in questa la spiaggia meridionale del Porto piccolo con gli avanzi del- l’Arsenale, trovasi senza alcuno avanzo di fortificazioni manufatte 0 naturali; e ciò sino agli scogli di Pietralunga, i quali formano una di- fesa naturaie del Porto piccolo. Vedi la vighetta nelia stessa tav. Il cit. Atlante. Da questi scogli di Pietralunga e precisamente dal posto doganale sino al piccolo seno di mare sotto i Cappuccini, la spiaggia è scoscesa ed inaccessibile, tranne di talune scalette tagliate nella roccia che permettono di scendere e salire. Sin qui nessun segno in- dica la esistenza di mura, quantunque questa contrada s’innalzi soli metri cinque sul livello del mare e s’interna in una lunga zona sino a poca distanza del Convento di Santa Lucia; da qui, gradatamente s’innalza il terreno tanto dalla parte di tramontana quanto da quella di oriente. Verso le Catacombe di San Giuliano il terreno trovasi a met. 15 sul livello del mare e poi verso i Cappuccini arriva alla quota di m. 20. Tra questo Convento ed i bordi del mare si vedono profondamente scavate le pittoresche Latomie, lasciando un passaggio non più largo di m. 65 per comunicare colla parte orientale di Acradina. In questa parte però, i bordi marittimi, tuttoché scoscesi ed inaccessibili ed alti m. 20, pur sono protetti da robuste muraglie , che si vedono dopo i bordi prossimi ai Cappuccini. La maggior parte dei conci della stessa muraglia dovettero certamente essere stati tolti quando si costruì quel E LE OPERE DI DIPESA DI SIRACUSA 19 Convento. Lo spianamento della roccia sulla quale dovea essere im- piantata la citata muraglia è tutt'ora visibile (vedi N. 14 della Tav. Il dell’Atlante; Topografia citata). I cennati spianamenti esistono ancora ai bordi che sovrastano le pittoresche grotte delle Nasse, del Cannone e di quello di Nettuno. Ma gli avanzi delle antiche muraglie che tut- t'ora esistono, si vedono oltrepassato il posto doganale di Mazzarrone e precisamente nei punti segnati 15 e 16 della cit. Top. Una scaletta incavata nella roccia esiste in una insenatura prolungata dentro terra dirimpetto ai scogli dei tre Fratelli. Dalla detta insenatura per mezzo di un viottolo, che si dirigge verso occidente, si arriva ad un’ ipogeo profondo metri tre circa per il quale si può ascendere alla parte alta di Acradina per un passaggio che resta laterale alla Grotta Santa : in questa località esistono tracce di antiche rotaie. Le più importanti muraglie della parte bassa orientale di Aceradina si vedono presso il posto doganale di Buonservizio, in difesa di un promontorio che ha la forma quasi semicircolare. (Vedi la Tav. HI dell’Atl. ann. alla Top. arch. cit. e la vignetta della stessa tavola). Dal modo come sono disposte le muraglie chiaramente si comprende che in questo luogo doveva esistere una fortezza; e che questa dalla parte del piccolo seno di mare doveva elevarsi sopra uno scoglio tut- tora esistente alto met. 13. Ma proseguendo lungo il littorale di questa parte bassa di Acradina la quota sopra il livello del mare ripiglia l’al- tezza di met. 20 e si mantiene costante anche nel lato settentrionale di questa parte della Città. L’inalzamento del suolo comincia dal Convento dei Cappuccini e si arresta alla grande cava di Santa Bona- gia, in guisacchè, tutta questa parte bassa resta rinchiusa senza altra comunicazione se non con la parte alta di Acradina istessa e dai Cap- puccini con la parte bassa meridionale della stessa. Di queste muri glie, che difendono gli alti bordi inaccessibili del mare che circondano questa parte di Acradina, non se ne può determinare l’epoca; però esa- minando la tecnica e la disposizione di queste muraglie, senza tema di errare ci sembra che esse debbano appartenere ad un'epoca molto antica. Oltre della muraglia sopra citata, si devono annoverare quelle che contornano i bordi della parte sporgente del promontorio di Santa Bo- nagia ove è situato il posto : doganale detto della Molinara. Oltrepas- sato questo promontorio, scarsi sono gli avanzi delle muraglie, ma ne esistono taluni, che attestano la loro continuità, e precisamente vicino alla casa diruta presso la Grotta Perciata, come ancora al posto dog nale detto Capicello, che è il punto ove comincia la grande cava di 20 EURYALOS S. Bonagia, dentro la quale s’ interna il mare per un lungo tratto e s'interpone per tutta la sua larghezza tra Acradina e Tica, senza co- municazione alcuna. In questo panto siamo all’ angolo nord-ovest di - Acradina, dove incomincia il muro di Gelone.- Sin qui abbiamo veduto che Acradina era ben difesa nei suoi quattro lati. Sappiamo che la muraglia che difendere doveva la parte occiden- tale della stessa fu costruita all’ epoca di Gelone: ma a quale epoca furono costruite le muraglie degli altri tre lati ci è difficile precisare, e nessuna notizia storica ci ha sin’ora illuminati: solamente possiamo dire, essere impossibile poterle attribuire ad un’epoca molto anteriore a Gelone e prima che Acradina fosse costruita. Se si vogliono fare supposizioni, noi incliniamo a credere che quelle muraglie o siino di un’epoca contemporanea a Gelone, 0, con più ra- gione, poco posteriori a quell’epoca dappoichè, costruito il muro occi- dentale con tanta cura, non si può ammettere che gli altri lati fossero lasciati indifesi. Il fatto stesso di vedere la parte orientale di Acradina, munita nei suoi bordi marittimi scoscesi ed inaccessibili, d’una solida muraglia, fa supporre, che quasi contemporaneamente si stimò oppor- tuno munire questa città con opere di difesa tanto dalla parte di terra quanto dalla parte di mare; moltoppiù che, all’ epoca di Gelone, si conosceva benissimo la potenza marittima dei Cartaginesi e con quali poderosi mezzi questi avevano sbarcato un numerosissimo esercito in Sicilia pria della battaglia d’Imera. Proseguendo la descrizione della parte bassa di Acradina, vediamo un grande spazio meridionale, laterale al Porto piccolo, che si estende dal muro di Gelone sino alla stretta gola dei Cappuccini e compren- deva l’Arsenale, il quale, come abbiamo detto, s’internava nelle Terre Impellizzeri al di là della ferrovia, ove ultimamente si sono trovati: molte costruzioni antiche : un bassorilievo arcaico rappresentante un guerriero a cavallo, simile agli altri due anteriormente trovati altrove; una antefissa di buono stile, che per le sue dimensioni, doveva ap- partenere ad un tempietto: varie terrecotte ed altri oggetti, che uniti insieme, attestano che in quella località esistevano un gran numero di edifizi del V. Sec. av. C. Statuette di terracotta, testine e lucerne della stessa fattura si sono trovate nei giardini che restano a mezzogiorno della Chiesa di S. Lu- cia, presso il Convento di S. M. di Gesù e nelle vicinanze del sito de- nominato Regia Corte. Nel giardino dell’ Avvocato Adorno, situato dietro il Convento di S. Lucia, esiste un vasto speco pagano ove furono trovate molte terre- E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 21 cotte antiche, e nel terreno, ad oriente di questo convento, esisteva una Necropoli di epoca romana, e ciò lo attestano le molteplice urne cine- rarie ivi rinvenute; una delle quali, con iscrizione latina, in possesso del Sig. Adorno. Nello stesso spazio meridionale di Acradina esiste la più importante opera di escavazione fatta certamente per rinvenire le acque latenti del sotto suolo. In questa escavazione si entra per una porticina si- tuata nelle vicinanze dell’ antico Cimitero, ed immediatamente si di- scende, per una gradinata di 104 gradini scavati nella roccia, in due aquedotti perennemente pieni di acqua potabile il di cui livello è di pochi centimetri più alto del mare, mentre il suolo degli stessi ne è più basso met. 1, 25 circa. Quest'opera di escavazione è veramente sorprendente ed ammirevole per la grandiosità, per la arditezza e specialmente per la previgenza che si ebbe di poter porre in salvo i lavoranti addetti alla detta esca- vazione, per mezzo di un andito costruito a metà della sua profondità, nel caso di un subitaneo inalzamento di quelle acque latenti. Queste acque si trovano costantemente, sotto la stratificazione dei tufi calcari dell’ altipiano siracusano e sopra lo strato impermeabile dell’ argilla bluastra; ciò si osserva in tutti i pozzi di Siracusa e particolarmente nei due canali antichi della fonte Aretusa ed in quello profondissimo or ora descritto (1). Nel rimanente della contrada, poc’ anzi descritta , esistono le cono- sciute Catacombe cristiane di S. Giovanni o S. Marziano: quelle di S. Lucia e di Cassia, come ancora le piccole Catacombe nelle terre di proprietà del Sig. Mezio, nella contrada S. Giuliano ed altre picco- lissime, che furono scoperte durante lo scavo della trincea della fer- rovia, che si svolge in questa parte bassa di Acradina, e precisamente nelle vicinanze del convento dei Cappuccini. Nel vastissimo spazio orientale della bassa Acradina pochissimi resti antichi si osservano ; questi sono: taluni spianamenti della roccia ed (1) Dalle quote del nostro profilo longitudinale della tav. VII del nostro Atlante ci- tato si osservano le grandi profondità dei pozzi esistenti nella terrazza siracusana, ma per quanto è a noi noto, nessuno aveva osato di discendervi per esaminarne la strut- tura interna. Lo Schubring nel suo bel lavoro « Die Bewdsserung von Syrakus» im Philol. XII 1864, crede che molti canali sotterranei conducevano le acque del Monte Crimiti nelle varie parti di Siracusa; ma l Ing. Cristoforo Cavallari discese in varî di questi pozzi ed ha osservato che i supposti canali non hanno alcuna comunicazione tra lore, ed i cunicoli sottostanti ai detti pozzi, n pochi metri di lunghezza si arrestano, precisamente come quelli della fonte Aretusa che sono di facile accesso. 22 EURYALOS alquanti tagli verticali nelle insenature che dal mare s’internano nella direzione degli accessi della parte alta di questa città. La detta loca- lità resta rinchiusa, come sopra abbiamo spiegato, tra la muraglia che comincia ai Cappuccini e termina alla cava di S. Bonagia ed il piede del terreno in acclive per il quale si accede nella parte alta di Acradina. La parte bassa di questa città si ben difesa e di grande estensione, doveva essere assegnata a qualche uso; non si può supporre che fosse solamente destinata per pascolo degli animali, doveva bensi servire ancora per porre al sicuro le provviste nel caso di un’assedio e prov- vedere ai bisogni dell’isola di Ortigia e della stessa Acradina. Questa vasta località poteva anco accogliere un numeroso esercito senza aver bisogno di ingombrare Ortigia o la parte alta di Acradina. Se si considera poi che, negli eserciti di quei tempi, grande era il numero dei molesti e torbidi mercenarî, si vede che. una tale località doveva essere adattatissima per formarne un campo chiuso ove i mer- cenari ivi accampati, petevano essere facilmente sorvegliati dalle al- ture di Acradina e dal Porto piccolo , in cui restava sempre a dispo- sizione del Governo di quei tempi, un certo numero di legni di guerra. La parte alta di Acradina considerata nei suoi limiti naturali ed ar- tificiali era anch’ essa di una grandissima estensione. La sua configu- razione è un paralellogrammo lungo met. 2800 e largo met. 1000; cioé, di:una superficie di 2 milioni e 800 mila metri quadrati; ma dagli spianamenti che si osservano in varî punti si può arguire, che tutto quest’enorme spazio non fu mai interamente abitato. Ciò serve per co- loro i quali, per amor patrio, esagerano le cifre degli abitanti delle Siracuse, come ancora per coloro, che non potendo ammettere queste esagerate cifre , le riducono ad uno sparuto numero senza por mente alle grandi, numerose e svariate opere tutt'ora visibili, ed alle grandi armate improvvisate dai Siracusani in varie epoche, per difendersi dai potentissimi nemici che li assediavano (1). La parte più depressa della bassa Acradina all’ orlo della muraglia, che siegue l’ andamento della spiaggia del mare, è di circa met. 20 sopra quel livello ed il terreno s’ inalza gradatamente sino al piede del bordo dell’alta Acradina ed arriva alla quota media di circa me- tri 35: questo bordo, molto acclive ha nella parte superiore la quota di met. 53 e da questa comincia la parte alta della città il di cui ter- (1) Sull’importante tema della popolazione di Siracusa leggasi l’ultimo paragrafo di questo lavoro intitolato « Sulla popolazione di talune città della Sicilia.» E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 29 reno verso occidente sì va inalzando sino a metri 61; solamente tra le due case dette l’ una di Mezzonaso e l’altra di Rosina, esiste uno spazio che @ alto met. 65. Oltrepassato il muro di Gelone verso occi- dente il terreno ha l’altezza di met. 51 sul livello del mare; di guisae- ché il sudetto muro si eleva da questo terreno di met. 10 che uniti all’altezza del suo parapetto costituiscono una più che sufficiente al- tezza da dove difendere Acradina dall’invasione del nemico. Importantissimi sono i confini meridionali dell’ alta Acradina. In questi si vedono chiaramente le strade di accesso alla terrazza, situate nelle sole dei bordi della stessa « segnate in rosso nel cit. Atl.» come arcora nei siti ove la collina offre un piano inclinato accessibile, che conduce alla Città. In queste località, i Siracusani che avevano bisogno di pietra per i loro monumenti e per le loro abitazioni, scavarono le profonde Latomie, una detta di Casale e 1° altra di Broggi, le quali, mentre rendono inaccessibile angolo sud-ovest dell’alta Acradina, nello stesso tempo la separano dal Cozzo detto del Romito. Le quattro Latomie dei Cappuccini anch’ esse con la loro rilevante profondità rendono inaccessibile l’angolo sud-est della stessa Acradina, però lasciano ristretti passaggi , artificialmente intagliati nella roccia, a pareti verticali, per accedere alla terrazza. In queste pareti si ve- dono grandi e piccoli riquadri come quelli che esistono in tutte le lo- calità, che determinano i confini delle quattro parti di Siracusa. Tali riquadri esistono nei fianchi della Collina sita al confine meridionale dell’alta Acradina, e presso di questi, nella sottostante pianura si nota un gran numero di tombe simili a quelle del lato meridionale del Colle Temenite: Ved. Tav. IV dell’Appendice del 1891 (1). Nella citata pianura sono tante numerose le tombe da costituire una vera Necropoli che, per, la sua vastità e per la sua posizione topogra- fica, doveva con sicurezza servire al seppellimento degli estinti abita- tori di Acradina. i Dopo la Necropoli del Fusco, quest'altra Necropoli sarebbe per va- stità la seconda, ma non così antica come quella, dappoichè, aumen- tando progressivamente il numero degli abitanti di Acradina, il tra- sporto degli estinti sino alla Necropoli del Fusco era disagevole per la grande distanza; e per queste ragioni sorse quest’ altra Necropoli immediata alla Città. Qui dobbiamo ripetere quello che varie volte abbiamo detto, cioè, (1) Simili riquadri si vedono in grande numero ai fianchi dell’ Acropoli di Athena, scolpiti nella roccia verticale che delimita quest'Acropoli, sacra a Minerva. 24 EURYALOS che Siracusa era formata da varî gruppi di abitanti ed ognuno di essi costituiva una città, secondo Cicerone, e che ogni città aveva la sua Necropoli. La moltitudine delle tombe e la vicinanza di uno all’altro loculo in questa parte della bassa Acradina è tale da escludere in questo sito la esistenza di qualsiasi abitazione. Il tipo di questi loculi è sreco; ma non se ne può determinare l’epoca, se nonchè , da vari cocci di vasi e dallo sviluppo di diverse testine di terracotta ivi rinvenuti, si può ritenere che le dette tombe non siano anteriori al V.Sec. av. C. Pur, senza dati sicuri, osiamo asserire che la qui sopra cennata parte della bassa Acradina, doveva essere in gran parte poco abitata, dappoichè, nel centro di essa, esistono in una vasta zona , le catacombe di San Marziano presso S. Giovanni, con gli avanzi da noi ultimamente sco- perti di una Basilica e la Cripta con la tomba creduta di quel, santo Martire, che fu il primate della Chiesa siracusana. Questi tomba ri- sponde esattamente al centro dell’ Abside della citata Basilica, la quale però non è dell’epoca di San Marziano; invece dagli avanzi esistenti, sì può arguire essere stata costritita nel VI secolo dell’Era volgare. Esistono nella stessa zona, le catacombe dette: di Cassia presso la chiesa di S. M. di Gesù, quella di S. M. di Gesù, quella di S. Lucia e di S. Giuliano sopra menzionate. In queste catacombe , compresa quella grandissima di S. Giovanni, si sono scoperte più di 300 iscri- zioni greche e pochissime latine; la più gran parte di esse furono da noi trovate e spiegate dal Prof. di paleografia Rev. Canonico Isidoro Carini. Le sudette catacombe sono tutte scavate nel tufo calcare ; nello in- terno di esse esistono vastissime rotonde e cappelle con altari, sepoleri e larghissime strade sepolcrali a tre e quattro ordini di tombe. In ta- lune di esse si vedono dipinti in rosso, pavoni, colombe, croci ed altri emblemi cristiani; tutte le strade, le cappelle e le grandiose rotonde sono illuminate da lucernali. i Poteva essere abitata questa grande zona di terreno della bassa Acra- dina, al tempo della persecuzione dei Cristiani, con quelle esalazioni letali dei cadaveri sepolti in quelle migliaia di locali ? La parte che poteva essere abitata della bassa Acradina doveva es- sere la zona marittima del Porto piccolo, e precisamente quella nelle vicinanze dell’Arsenale e nei cantieri, che dovevano esistere nei din- torni di S. Lucia. Certo numerosi artefici e marinari dovevano abitare questa zona, ma tutta la contrada ove esistono le sudette catacombe non poteva essere abitata se non dagli ebrei e dai cristiani, ai quali i Romani permettevano dimorarvi perchè luoghi malsani. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 25 Le iscrizioni ebraiche di recente trovate nella demolizione delle for- tificazioni spagnuole del Porto piccolo e precisamente dirimpetto allo sbarcatoio di S. Lucia, dovettero essere probabilmente estratte dalle catacombe degli Ebrei che numerosi vissero in quella località unita- mente ai cristiani. Le tradizioni e la storia del Medio Evo ci fanno conoscere che ces- sata la loro persecuzione gli ebrei furono tollerati: ed all’ epoca della dominazione Aragonese potevano anche dimorare in Ortigia nel quar- tiere che tuttora si chiama la Giudecca. Sulle catacombe di S. Lucia, ci riportiamo a quanto dicemmo nel cit. Append. del 1891, pag. 59-60. Volevamo inserire in quel lavoro un disegno di queste catacombe per far conoscere le notevoli differenze fra loro, ma occupati in altri lavori ce ne mancò il tempo; ed ora, fatto uno schizzo nel Dicembre del 1891, crediamo giusto pubblicarlo : P) h 5 od Dai ; è 4 a n° are la SE Catacombe di Santa Lucia in Siracusa. Im questo disegno si nota la parte superiore delimitata dalle lettere A e B che fu scoperta prima degli scavi del 1884 e che si credeva essere una catacomba cristiana ma senza alcun loculo, con riquadri oblungi e rettangolari per incassarvi, forse delle iscrizioni, e con gra- dini, i quali sono di un tipo interamente estraneo a tutte le catacombe cristiane. La parte inferiore, al disotto della linea C, D, è un’ altra catacomba con loculi chiusi da lastre di argilla e in una di esse esiste 9 26 EURYALOS un dipinto in roseo denotante due colombe che beccano una pianta, come quei segni cristiani che si osservano nella catacomba di San Marziano di Siracusa. Tutta la parte bassa di Acradina compreso l’Arsenale del Porto pic- colo era protetta, dal lato occidentale dal muro di Gelone, i cui avanzi si dovrebbero cercare al di là di un piccolo torrente, che si parte dal- l’avvallamento del Cozzo del Romito, traversa i terreni presso le case di Gentile, Barbera. Impellizzeri, Traino ed Angelo e sbocca nella parte paludosa del Porto piccolo (1). Da quanto minutamente si è descritto risulta, che i subborghi di Acradina non erano situati in questa parte, ma ad occidente del muro di Gelone e precisamente in quella vasta contrada, che si estende dal Porto grande al Teatro, e dall’ isola di Ortigia alla grande Necropoli del Fusco. Un grande errore commettono coloro che credono che la Neapolis avesse occupato una parte di questa Necropoli, dappoichè, in questo sito non solo vi è la mancanza assoluta di fabbricati, ma dagli scavi da noi fatti verso occidente , oltrepassati i limiti da nci tante volte notati sopra, le numerose tombe tutt’ ora esistenti, non offrono spazio alcuno per fabbricati ad uso di abitazioni. Fortificata Acradina in quel modo, sopra descritto, chi avesse voluto investire la città, avrebbe dovuto prima impadronirsi dei subborghi meridionali e dell’altipiano della terrazza siracusana. Nei due assedi, uno degli Ateniesi, l’ altro dei Cartaginesi, i primi tentarono di assalire Siracusa, penetrando, come è noto, sulla terrazza, ma tutte le loro operazioni riuscirono infruttuose. Tucidide ci deserive quest’ assedio minutamente e con una tale precisione, come se fosse stato presente a tutti gli episodî dei combattimenti. Tentarono gli Ateniesi di impadronirsi della posizione dell’ Epipoli ad occidente del Kyklos, ma furono battuti; si trovarono molestati dai (1) Per farsi un'idea dell’ aspetto della parte bassa ed alta di Aeradina, si può 03- servare la nostra veduta presa dall'isola di Ortigia, nella quale veduta si vedono: V'în- gresso «del Porto piccolo, la terrazza superiore dell’ antica città, il convento dei Cap- puccini, gli scogli di Pietralunga, la terrazza bassa della località chiamata Mazzarrone con il Porto doganale e le grotte della spiaggia orientale sino a quella denominata del Cannone. Dalla stessa veduta si comprende a colpo d'occhio, che la parte alta di Acra- dina era una specie di Arce, per ia quale si poteva comunicare con la parte bassa della stessa e con l’isola di Ortigia. Tali condizioni topiche danno luogo a potere spie- gare come Trassibulo, si potè difendere in Acradina , assediato, come altre volte ab- biamo detto. dal partito democratico di Siracusa e dai Cilliri. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 21 siracusani che dal lato di tramontana occupavano vari punti fortifi- cati. (Vedi le località segnate dal Prof. Holm nella sua carta topogra- fica di Siracusa durante la guerra ateniese, con le lettere (a) (a) (a). Quella parte dell’armata siracusana che voleva impedire le opera- zioni di circonvallazione fu battuta dagli Ateniesi ed obbligata a riti- rarsi dentro le fortificazioni del Temenite, ma gli Ateniesi nell’ inse- guirli, entrarono anch'essi in quel recinto e i Siracusani si salvarono in Acradina. Gli assalitori vedendosi in grave pericolo si ritirarono nel loro campo. (Vedi quanto sul proposito scrisse il Prof. Holm e noi stessi nel determinare la porta T:p:vòx, pag. 27 Appendice alla top. arch. di Siracusa). Mai tentarono gli Ateniesi di assalire di fronte Acradina, dappoichè da lontano potevano vedere la grande muraglia di Gelone sorgere in gran parte dalla roccia le cui estremità, quella a tramontana verso Tica, era protetta dalla profondissima cava di Santa Bonagia e quella meridionale dal Temenite fortificato ; e mai tentarono di penetrare in Siracusa dallo stretto passo protetto dalle alture di Acradina e dal Cozzo del Romito. Se gli Ateniesi si fossero impadroniti di questo pas- saggio, avrebbero ottenuta una posizione vantaggiosa, dappoichè pote- vano dallo stesso sboccare nell’Agro siracusano, impadronirsi dell’Ar- senale e del Porto piccolo ed oppugnare l’isola di Ortigia; ma se aves- sero tentato di forzare il sudetto passaggio si sarebbero esposti ad es- sere assaliti dai due fianchi, cioè , dai difensori del Colle Temenite e da quelli di Acradina. i Nè più fortunati furono gli Ateniesi quando, incoraggiati dall’ aiuto inviato a Nicia da Atene, vollero estendere le loro operazioni nelle pianure dell’Agro siracusano con l’aiuto di Eurimedonte e del generale Demostene colle forze navali. Con questi aiuti ricominciarono nuovi fatti d’armi nei piani laterali all’Ànapo, in quelli presso la palude Li- simelia, nel Porto grande ed all’ Epipoli; ma ad onta di tanti sforzi ebbero la peggio con la morte di Lamaco e la terribile disfatta subita da Demostene all’Epipoli. Il tempo che s’interpose tra la guerra ateniese e quella cartaginese non fu più lungo di 18 anni circa. I Punici, con una poderosa armata di terra e di mare cominciarono l’oppugnazione di Siracusa; senza ri- petere gli errori di Nicia essi si concentrarono nel Porto grande e nell’Olimpico, e con la costruzione di varie fortezze e con palizzate nel seno Dascone , forse alla punta Caderini, stabilirono una sicura comunicazione tra la flotta ed il quartiere generale del comando sta- bilito nella collinetta dell’ Olimpico. Questa numerosa armata dei pu- 2SÌ EURYALOS nici si distendeva in un grande semicerchio attorno il Giove Olimpico ed alla fonte Ciane. L’ estremo corno sinistro dell’ accampamento do- veva arrivare nelle vicinanze dell’ Anapo il quale, come si vede nel cit. Atl. della top. arch. di Siracusa, a cominciare dalla sua foce s’in- terna per meandri nei terreni in direzione ovest-nord-ovest. I Cartaginesi , pria d’ investire Siracusa, dovevano provvedersi di viveri, d’acqua potabile e di tutto l'occorrente per la sussistenza della loro numerosa armata, quindi estendevano le loro razzie dalla parte meridionale ed occidentale del loro accampamento ove il terreno era sì ondulato da impedire ai Siracusani, concentrati in Ortigia ed in Acradina e forse anco nel Foro, di vedere ogni loro mossa. Dalla parte di tramontana e dalla palude Lisimelia con le dune arenose della spiag- gia del Porto grande, mai tentarono i Punici estendere le loro razzie dappoichè i Siracusani dalla posizione da essi occupata potevano ve- dere le loro mosse ed assalirle in campo aperto da vari lati. Dionisio per molto tempo fece le viste di non accorgersi delle raz- zie dei Punici che facevano al di là dell’Anapo, però studiava il modo come assalirli con successo. L'opportunità si presentò, ed i Punici fu- rono, come si sa, interamente disfatti nel loro stesso accampamento in virtù di una manovra bene ideata da Dionisio, sagrificando il corpo dei suoi valorosi ma molesti. mercenarî. Diodoro, che tanto bene descrisse tutti gli episodi di questa guerra, non parla mai di un movimento dei Punici verso la palude Lisimelia; nè tampoco verso l’arenosa spiaggia del Porto srande , ove resta la via Elorina, la cui esistenza fu da noi constatata nel 1881-82 durante la costruzione della ferrovia Siracusa-Noto-Licata. Questa via, come abbiamo detto altrove, comincia in quell’intervallo che divide il Timolonteo dalla muraglia meridionale della bassa Nea- polis, quale muraglia, per la sua costruzione, può appartenere all’ e- poca Greco Romana. La direzione della stessa, fiancheggiata dalla menzionata via Elorina, si svolge a poca distanza della stazione della ferrovia di Siracusa, e procede verso occidente sino ad incontrare l'angolo sud-est della Necropoli del Fusco (1). Da ciò emerge che la citata muraglia difendeva la bassa Neapolis e non già il terreno occupato dalla grande Necropoli del Fusco. Le traccie della via Elorina si perdono in quell’angolo sud-est, ma 1) Vedi la cit. top. arch. di Siracusa pag. 54 S 7. Neapolis ed. i suoi confini nelle 5 >) (pi varie epoche della sua esistenza. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 29 ripigliano ai Pantanelli e precisamente in quel tratto della ferrovia che conduce a Noto, traversando la collina dell'Olimpico presso quasi il pronao di questo Tempio. A noi sembra quasi:certo che la sudetta via Elorina aveva lo stesso andamento della sopra detta muraglia meridionale della Neapolis, ma non possiamo dire se questa strada, arrivata al confine della Necropoli s’internasse in essa per poscia ripiegare verso sud; ovvero proseguisse nella sua direzione costeggiando la parte esterna della stessa e pren- dere ai Pantanelli la direzione dell'Olimpico. I soli dati certi che sino ad ora abbiamo sono : 1° Che una strada antica comincia tra il Timolonteo e la muraglia, della bassa Neapolis. 2° Che questa via Elorina traversa i Pantanelli e si dirige verso quella piccola gola laterale alla Collina sulla quale si eleva il citato tempio di Giove Olimpico. Qui ci permettiamo una piccola digressione, non già per fare pole- miche, dappoichè , tanto a: noi quanto al nostro compagno di lavoro Prof. A. Holm ciò ripugna; infatti questi aveva già dichiarato nel Cap. I della Top. archeol. di Siracusa: « Noi abbiamo voluto eritare, per quanto si poteva, ogni polemica, esponendo semplicemente le mostre opinioni non perchè non avessimo il debito riguardo alle cose dette da altri, ecc.» È noi abbiamo pure dichiarato in fine del $ I della nostra Appendice del 1891. « Dobbiamo motare che le mostre ricerche si limitano ad aumentare i dati topografici e porli in armonia colle annotazioni storiche, ecc. » I dati topografici infatti hanno sempre un valore, come lo hanno quelli storici e forse maggiore i primi, perchè sono per la loro esi- stenza di un valore indiscutibile da potersi in ogni tempo e luogo constatare. Qualunque interpretazione si potrebbe correggere ma non annientare quando si è alla presenza di dati materiali, i quali da tutti ed in ogni epoca si potrebbero verificare. Siamo i primi a correggere noi stessi; e lo facciamo volentieri quando con evidenza ci convinciamo di avere errato ; e sul proposito ci sem- bra non fuor di luogo far notare, che a noi si impongono i soli dati topografici ed i trovamenti ricavati dagli scavi che hanno riscontro con le notizie storiche. Le scoperte fatte nella sudetta Necropoli del Fusco durante la co- struzione della ferrovia Siracusa-Licata, smentirono molte preoccupa- zioni. Gli scavi da noi eseguiti nel 1885-86 ed i numerosi vasi nella stessa rinvenuti, che ora riempiscono due grandi Armadî nella sala della ceramica del Museo Nazionale di Siracusa da noi classificati to- 10 30 EURYALOS pograficamente provano, che questa grande Necropoli, dalla parte più prossima ad Ortigia sino a due chilometri circa verso oriente, conte- neva vasi di tutte le epoche, cominciando dal primo stanziamento in Siracusa dei Dorî di Archia sino alla dominazione romana. Ultimamente nel Marzo 1891, nei pressi del Mulino di olio detto di S. Nicolò, sulla stessa terrazza della detta Necropoli ed a mezzogiorno delle colossali costruzioni da noi rinvenute dentro e fuori dell’attuale Camposanto siracusano, abbiamo avuto la fortuna di trovare altri grandi e bellissimi vasi di buon stile con figure rosse sopra fondo nero, dei quali ne ha fatto una breve descrizione il nostro amico e collega D.r Paolo Orsi nelle notizie degli scavi dell’Accademia dei nuovi Lin- cei di Roma (1). Il trovamento di questo genere di vasi, fu per molto tempo il nostro vivo desiderio; e ciò, per constatare che la Necropoli del Fusco non fu mai abbandonata. Essa ci ha fornito quasi una esatta cronologia di vasi, dappoiché, le tombe nelle quali furono trovati vanno diminuendo di antichità in ragione diretta della loro distanza dai luoghi abitati di Siracusa. Dopo tanti studî e tanti trovamenti fatti dopo la nostra pubblica- zione del 1883 e della nostra prima Appendice del 1891, speriamo di non sentire più ripetere, che la Necropoli di Siracusa non è stata tro- vata; come ancora'non si avrebbe oggi più ragione di ‘porre in dubbio i limiti orientali ed occidentali della Neapolis, né quelli meridionali e settentrionali della spiaggia del Porto grande e l altipiano ove sorge il Teatro. Il Prof. D.r Bernard Lupus nel suo bel lavoro « Die Stadt Syrakus im Alterthum autorizierte Deutsche Bearbeitung der Carallari-Holm scen Top. Arch. di Siracasa» Strassburg 1887, forse accogliendo quanto noi ave- vamo letto nel Marzo 1887 e pubblicato poscia negli atti della R. Ac- cademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo, fa la seguente riflessione « Die Frage vie weit sich in dem speteren Jahrhunderten das (1) Questi due bellissimi vasi si trovarono nel tempo in cui il D.r Orsi e noi era- vamo in ferie. Avuto io sentore che nella Necropoli del Fusco si facevano scavi clan- destini, lo stesso giorno della notizia parti da Palermo per Siracusa. La guardia delle antichità aveva digià ricuperato da quei scavi clandestini un grande kelibe, sul quale vedesi raffisurata una Amazzone che combatte un guerriero armato alla dorica. Un altro grande vaso, ma in vari pezzi, fu venduto dai picconieri; però tutti i pezzi furono ricuperati e riuniti. In questo vaso si osservano, dipinti in rosso, le fatiche di Ercole. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA dI vergrosserte Neapolis rwestwéirts erstrecht habe , list sich jetzt nur negatiev beantworten. » Un tale dubbio oramai è fuori di luogo, dappoichè gli avanzi dei monumenti trovati nella bassa Neapolis e precisamente nella Piazza d'Armi sono al loro antico posto; essi sono :i portici del Foro, frammenti di statue ed il grande edifizio greco-romano, detto dal volgo il Bagno di Diana, del cui sontuoso portico si trovarono non solo la fabbrica ma un colossale masso di marmo bianco, con eleganti moda- nature, che appartiene all’ angolo nord-est della cornice di prospetto di questo edifizio, che noi abbiamo denominato Timolonteon, unita- mente alla bellissima soffitta, anch'essa in marmo bianco. Questi avanzi, senza paura di errare, attestano che il detto edificio fu eseguito nel- l’epoca greco-romana. Sebbene le statue consolari ivi rinvenute siano della decadenza dell’arte, pure attestano, che anche sotto il dominio di Roma, si costruiva in Siracusa, o per lo meno s’ ingrandivano con ingenti spese e grandissimo lusso monumenti tuttavia esistenti. Da tali avanzi si può stabilire che questo grandioso edifizio fu co- struito nella più antica epoca del dominio romano, e che restò per molto tempo in uso sino all’epoca della decadenza delle arti come lo attestano le colossali statue di marmo, trovate nei portici interni dello -Stesso ; ma nessuno avanzo architettonico o di scultura figurata colà trovati accennano ad un’epoca anteriore all’arrivo dei romani. Presso la stazione della ferrovia e durante la sua costruzione si tro- varono moltissime mura di edifizî ed anche mosaici, ma i.trovamenti ‘di maggiore importanza furono quelli che permisero di determinare i limiti della Neapolis ed il principio della Necropoli del Fusco, per lo scavo della trincea in curva di detta ferrovia che mise allo scoperto: ad occidente le tombe di detta Necropoli e ad oriente le fondamenta di antiche abitazioni. I quattro lati della Neapolis oramai si possono precisare, non solo con gli elementi disopra notati, ma ancora per altri dati venuti alla luce, durante la recente costruzione della ferrovia, aperta all’esercizio ala fine del 1892, che dalla Stazione di Siracusa conduce al novello .scaricatoio commerciale del Porto grande. I limiti dei lati della Neapolis si possono determinare nel modo se- guente : Quello orientale, secondo i dati raccolti, dovrebbe cominciare al pozzo detto degl’ ingegneri e prendere la direzione nord seguendo un allineamento parallelo agli avanzi del Foro, la cui esistenza è deter- minata da sette basi di colonne di marmo bianco, una di queste co- lonne con la rispettiva base si trova al suo antico posto. Seguendo nella 32 EURYALOS stessa direzione, questo limite orientale dello Neapolis traversa la fer- rovia al passaggio a livello, s'interna nei giardini di Lo Curzio ed An- nino e proseguendo quasi nella stessa direzione della strada carrozza- bile, che conduce a Catania, lascia a nord-nord-ovest, l’Anfiteatro e le sue edicole, i Grotticelli con un gran gruppo di monumenti sepolcrali, la casa Ambra ove nei suoi dintorni esistono tombe preelleniche trasfor- mate all’epoca greca e greco-romana ed una autica strada incassata nella rupe, che traversa questo importante gruppo di tombe preelleniche. I limiti del lato meridionale sono determinati dalla spiaggia del Porto grande sino all’edifizio romano disopra notato, e precisamente nel sito ove esiste una strada di epoca greco-romana fiancheggiata da una muraglia. Questa strada, secondo noi, può essere, come sopra ab- biamo detto, la via Elorina. Tanto questa che la muraglia sudetta per qualche tratto prendono la direzione della casa Buffardeci, situata a poca distanza dalla stazione, e da segni visibili si diriggono, tanto l’una che l’altra, sino ad incontrare la roccia all’angolo sud-est della Necropoli del Fusco. Il lato occidentale che divide la Neapolis dalla Necropoli del Fusco comincia all’ angolo sud-ovest del rialzo che vedesi segnato nella tavola del nostro Atlante della top. arch. di Siracusa, traversa la casa Impel- lizzeri e seguendo lo stesso andamento, a poca distanza dell’ Ara ar- riva sotto il Teatro greco. La parte alta della Neapolis comprende : il Teatro, 1’ Anfiteatro, le case Benante , Greco e Spagna, seguendo la zona di ugual livello di met. 20 e met. 15, e la contrada orientale prossima alla Latomia di Santa Venera ove noi abbiamo collocata la porta Temenitida. Questa parte alta di Acradina comprendeva i suoi sobborghi e forse questi si estendevano più verso mezzogiorno, ma nessun dato topografico lo» accerta. Il lato nord è determinato, dalla rupe del Ninfeo, situato nei confini superiori del Teatro, dai bordi della Latomia del Paradiso e di quella di Santa Venera sino alla casa Ambra. Verso la fine del 1891 s’intrapresero taluni scavi presso l’ Anfiteatro siracusano, e propriamente in quel punto da noi indicato nella Top. Arch. pag. 392. Ivi parlasi di un riquadro con la figura di un sagri- ficatore esistente allo sbocco della precinzione dell’ Anfiteatro. Questi scavi si fecero coi fondi assegnati a tal uopo dal Ministero della P. I. e furono da noi diretti coll’assistenza del soprastante E. Caruso. Sopra i risulati ottenuti da tali scavi ne terremo conto particolare in fine della presente memoria e vedremo come il taglio della roccia coi’ so- DIS) E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 35 liti riquadri si riunisce con altri esistenti presso l’Ara, sotto il Teatro e prosieguono alla base del Colle Temenite. Questi nuovi dati studiati dopo il 1885 e quelli del 1891, non alte- rano punto la nostra topografia delineata in N. 10 tavole dell’Atlante, che accompagna la cit. Top. Arch. di Siracusa; essi, sino ad altre nuove scoperte, resteranno come tanti capisaldi della nostra topografia archeologica; e possiamo essere lieti di avere avuto, coll’autorizzazione ‘del Ministero, l’efiicace collaborazione del dottissimo Prof. A. Holm e Faiuto del figlio nostro, l'Ing. Cristoforo, per portare quel lavoro di tanta mole a compimento; ma non possiamo tralasciare di lamentare sentitamente l’allontanamento del detto Ingegnere , dal: servizio delle antichità dopo di avere sostenuto un improbo lavoro con tanto amore el abnegazione. Per ottenere maggiori dati topografici, tanto in Ortigia che in Acra- dina, bisognerebbe eseguire altri scavi, diretti da persone che per lunga esperienza hanno studiata Siracusa in tutti i suoi particolari. Riguardo alla parte alta di Acradina, la nudità della roccia non offre speranza alcuna di utili trovamenti; ma nella parte bassa e nei sob- borghi di questa città, presso il sito detto della Regia Corte, presso i trotticelli, nell’avvallamento all’ oriente della strada carrozzabile che conduce a Catania cominciando dal passaggio a livello della ferrovia, nei fondi Rizza, dell'Avv. Lo Curzio e di Benante, nelle vicinanze del- l’Anfiteatro e negli orti presso il Teatro greco ed il bagno della Fal- cona, ogni trovamento, oltre della sua particolare importanza potrebbe condurre a porci in chiaro talune lacune topografiche, le quali tutt'ora non lasciano spiegare con evidenza tante notizie storiche raccolte sui classici. E più di ogni altro sarebbe di grande importanza, scavare ed estendere con molta cura le ricerche nei terreni ad occidente del Foro dopo il pozzo detto degl’ Ingegneri, tra 1’ edifizio greco-romano, ed a nord della stazione della ferrovia di Siracusa. In queste località si potrebbero trovare : la continuazione della muraglia che difendeva a mezzogiorno la parte bassa della Neapolis; la continuazione del muro di Gelone che doveva chiudere e separare Acradina dall’ Arsenale e dall’ingresso dell’isola di Ortigia e dai sobborghi; e si potrebbe ugual- mente trovare il muro di Dione, come abbiamo altre volte suggerito, ove costui passò in rivista i suoi armati pria di entrare nell’ isola di Ortigia; e se lo spazio fra questo muro e quello di Gelone includesse o lasciasse fuori il Foro del quale se ne conoscono gli avanzi rinve- nuti in questo spazio vastissimo che resta davanti l’isola di Ortigia e l’entrata occidentale del Porto piccolo. 11 di EURYALOS Ultimamente, nell’estate del 1891, durante i lavori eseguiti dalla Pi- rodraga per la costruzione delle fondazioni delle banchine del Porto grande, nel sito chiamato il Lazzaretto . si rinvennero nel fondo del mare, antichi avanzi di fabbricati, palle di selce ed altri piccoli fram- menti architettonici : ciò ha corroborato quanto dicemmo nella nostra Top. Arch. di Siracusa, publ. nel 1883, pag. 26-27, cioè: « Dalla foce dell’Anapo sino alla spiaggia presso il pozzo detto degli « Ingegneri, la parte meridionale del Porto, si è arenata per tre cause: «la prima, per il trasporto dell’arena dell’Anapo: la seconda, per l’in- « terramento proveniente dal pendio della costa meridionale della ter- «razza del Fusco, Teatro ed Anfiteatro: la terza causa è, che i detriti derivati dalle corrosioni del mare nel seno tra la punta Caderini e « Massoliveri, trasportati dalle correnti circolari del Porto, si river- «sano nel lato opposto, che è appunto la spiaggia meridionale dello « stesso, ecc. » Non avendo altro da aggiungere alla descrizione sopra fatta delle due parti principali di Siracusa, dei sobborghi e della Neapolis, prose- guiamo a dire quel poco che riguarda Tica. Di questa terza parte di Siracusa non possiamo aggiungere altro al nostro precedente lavoro se non che, facendo tesoro di quanto dice « Cicerone « Tertia est urbs quae, quod in ea parte Fortunae fanum antiquum fuit, Tycha nominata est, in qua gymnasium amplissimum est et complures aedes sacrae coliturque ea pars et habitatur frequentissime» potremo, dagli avanzi che ancora esistono, determinare il sito cho occupava la città di Tica ma non la sua intera periferia. Il limite orientale fra Acradina e Tica è determinato in parte dagli avanzi di mura che dalla casa della tonnara di Santa Bonagia si ri- piegano dentro il seno di mare e quasi la costeggiano entro il profondo avvallamento. largo circa met. 400, che s’interna nella direzione nord- sud e separa naturalmente queste due città. Lalunghezza però di que- sto limite orientale non si può determinare per l’assoluta mancanza di resti antichi. Dalla configurazione del terreno risulta che presso la casa Annino esiste un vasto spazio di ugual livello, che si estende verso occidente, sino alla casa Li Greci ed ai pressi di una piccola Cappella’ formando un altipiano. Sembra a noi che in questa località si avrebbe potuto estendere Tica, ma ciò è una nostra supposizione. Noi non crediamo che Tica si estendesse oltre il centro della ter- razza siracusana, dappoichè si sa da un passo di Tito Livio , che tra Tica e la Neapolis i romani stabilirono il loro campo. Questo accampa- E LE OPERE DI DIDESA DI SIRACUSA 35 mento con i suoi accessori, doveva occupare uno spazio non piccolo; e se si pone mente, che tra queste due città esisteva il fortificato Te- menite, una maggiore estensione di Tica verso mezzogiorno ci sembra impossibile. Sul lato occidentale di Tica, pure insufficienti sono i dati sinora raccolti; ci sembra però poco probabile che i limiti di questa parte della città sudetta oltrepassassero la strada carrozzabile che conduce a Catania. Secondo tutte le apparenze sembra, che i numerosi antichi solchi di rotaie laterali alla detta strada indicassero lo sbocco nell’Agro Mesarese della Via lata perpetua, la quale , secondo le indicazioni di Cicerone , doveva cominciare nelle vicinanze dei portici del Foro e traversare i terreni di Rizza, ove si trovò una bellissima edicola con una scultura rappresentante una divinità muliebre seduta sul trono col modio in testa e con ai lati due genî colle fiaccole, creduta una Cibele, ma che, con molta probabilità, rappresenta Cerere o Proser- pina. Per altre ricerche da noi fatte, la sopra detta Via lata perpetua doveva traversare i sobborghi di Acradina e precisamente nella loca- lità ad oriente dell’ Anfiteatro, ove di recente abbiamo rinvenuti molti avanzi architettonici di Edicole (1) ed arrivata ad oriente della porta Temenitida, ove noi l’abbiamo indicata nell’Append. cit. del 1891, si di- videva in varie direzioni; ma l’ arteria principale doveva proseguire in linea retta verso nord, lungo il fianco occidentale di Tica lasciando ad oriente la muraglia di Gelone e sboccare per la Seala Greca nei piani megaresi. I limiti occidentali adunque di Tica si potrebbero supporre tra la Scala Greca e la casa Tarantello in direzione nord-sud. Gli avanzi della muraglia settentrionale di questa Città, furono pre- cisati nella tav. V dell’Atl. cit. e dagli stessi si detegge , che in que- sto lato Tica aveva, come Acradina, la parte alta e bassa; quest’ulti- ma si doveva estendere , dal caseggiato della tonnara di S. Bonagia sin sotto la Scala Greca, da dove gli abitanti di questa località marit- tima potevano fare un traffico commerciale senza ricorrere nè al Porto grande nè a quello piccolo. La posizione di Tica, come in appresso vedremo, era fortissima dal lato del mare; dalla parte di terra poi aveva il vantaggio , che (1) Di queste Edicole ne abbiamo due belli avanzi architettonici, da noi raccolti cin- que anni or sono, all’ oriente dell’ Anfiteatro ; essi rappresentano la trabeazione dorica di due tempietti sulla quale si notano degli avanzi di dipinture. Essi oggi si trovano piazzati nella sala dei frammenti architettonici del Museo Nazionale di Siracusa. 56 EURYALOS chiudendo la grande strada che sboccava dalla citata Scala Greca, po- teva, ad ogni evenienza, impedire agli abitanti di Acradina di portarsi nell’Agro Megarese, così a Leonzio e Catana. Tica, prima dell’arrivo dei Greci, doveva essere abitata dai Sicoli, come lo attestano le tombe preelleniche esistenti nelle sue vicinanze. Queste tombe appartenevano a quel popolo che viveva sparso in diverse borgate, come lo abbiamo notato nel nostro lavoro « Le città e le opere di escavazione in Sicilia anteriore aî Greci » pubblicato nell’Archivio Sto- rico di Palermo, 1876. Questi Sicoli, dedicati ai lavori agricoli nel sot- tostanite Agro Megarese , dovevano abitare Tica ed in questa località conservare i loro prodotti e porli al sicuro da ogni razzia. Le mura, tutt'ora esistenti nella parte nord-ovest di questa città, si osservano precisamente sulle balze della Scala Greca, ne contornano l’ambiente per un lungo tratto ed al N. 114 della sopra cit. tav. V, cambiano bruscamente di direzione e si diriggono al mare verso un piccolo promontorio ad occidente della fontana detta delle Palombe, se- gnata nella stessa tav. col N. 122. Da questo punto il muro contorna la spiaggia sopra un piccolo rialzo di roccia e per un lungo tratto si di- rige al posto doganale ed all’abitato di S. Bonagia. In questa località si vedono solamente gli spianamenti della roccia , dappoichè , i conci del muro furono involati dai marinari per servirsene come ancoraggio del congegno della Tonnara. Dall’esposto si detegge che Tica aveva la sua parte bassa lungo il mare col quale poteva comunicare, per mezzo del piccolo Porto di S. Bonagia e per mezzo di molte scalette incavate nella roccia lungo la spiaggia. Queste scalette esistono tutt’ ora e sono indicate nella ci- tata tavola V e quasi ad ognuna di esse rispondono sorgive d’ acqua potabile, che costantemente si trovano a pochi centimetri più alte del livello. del mare ed appartengono a quelle vene idriche latenti che scorrono sotto i tufi di Siracusa. L'estensione del terreno depresso lungo la spiaggia del mare che vediamo nella cit. tav. V, non tutta apparteneva a Tica, dappoichè -i suoi confini sono determinati dalle muraglie sopra dette; la superficie però occupata di questa città era grande e lo afferma Cicerone; ed in tutto lo spazio da noi indicato si osservano moltissimi spianamenti di roccia ed allineamenti di edifizî grandi e piccoli. Non abbiamo dati precisi per potere determinare 1’ epoca delle mu- raglie di Tica; queste nella loro struttura non hanno quella uniformità che si osserva nella grande muraglia settentrionale che dalla Scala Greca arriva sino al Castello Eurialo; la estensione di questa muraglia E LE OPERE DI DIPESA DI SIRACUSA 31 risponde con qualche approssimazione a quella di Dionisio, notata da Diodoro Siculo. I rilievi topografici di questa muraglia di Dionisio furono fatti da noi per la prima volta nel 1859; ma mancando molte particolarità, furono riveduti e corretti nel 1882 e con maggiore esattezza rimisu- rate con l’assistenza di nostro figlio V ing. Cristofaro. Ora alla terza rivisione, ultimamente fatta, non possiamo aggiungere che talune par- ticolari osservazioni sopra i punti con maggior cura fortificati delle prominenze della collina a guisa di tanti torri, che si potevano con successo difendere da uno attacco esterno. Noi abbiamo veduto che il nostro compagno di lavoro , il Prof. A. Holm, nella pianta che accompagna il suo scritto della cit. Top. Arch. Tav. I, riferibile alla guerra ateniese, dimostra, che nei varî episodi di questa guerra, i Siracusani molestarono gli Ateniesi da quelle po- sizioni fortificate che erano in loro potere. Queste località che sono bene indicate in quella pianta con la lettera (a) trovansi approssima- tivamente nel lato settentrionale della terrazza siracusana. La prima la pone tra il Kyklos e la muraglia della Targetta; un altro segno (a) indica il sito presso la muraglia sopra la Targia ove nell’altura pros- sima alla casa Targetta, il Prof. Holm suppone il Labdalon; un terzo segno (a) indica il sito fortificato all’Euryalos ed un quarto quello sulla muraglia a sud-ovest di Buffalaro. A questi punti fortificati in potere dei Siracusani noi ne aggiungiamo un quinto sopra Tremilia ed un sesto presso la Portella del Fusco ad ovest del Colle Temenite ove suc- cessero diversi combattimenti fra Ateniesi e Siracusani. Le colline a guisa di tanti promontori fortificati e rispondenti ad una parte del lato settentrionale della terrazza siracusana e precisa- mente nei punti sopra indicati, hanno sotto di esse profonde grotte. Vedi la tav. V e la descrizione a pag. 89 della cit. Top. Arch. Nell’ ultimo promontorio fortificato, il quale difende una grande in- senatura del bordo della terrazza, si vedono due grande vasche ret- tangolari e canali scavati nella roccia che conducono l’acqua della Targia. A metri 400 circa e ad occidente della casa Agnetta Reale esiste un gruppo di tombe scavate nella roccia in un rialzo che si estende sin quasi la casa diruta che resta presso il promontorio di contro la tor- retta della Targetta. Vedi la tav. VII n. 148. Qui siamo alla presenza di una Necropoli Sicula, degli antichi abitatori di Tica, pria dell'arrivo dei Dorî di Archia, come sopra abbiamo detto. Le sudette tombe fu- rono, dopo di noi , riconosciute tombe preelleniche dal nostro amica Dr: P. Orsi. 12 DÌ (9) do EURYALOS Dalla Targetta sino al castello Eurialo il muro segue 1’ orlo della sovrastante collina della Targia, senza interruzione ed in buono stato, tranne la parte superiore di esso che è sdrucita per Vetustà e mancante perchè ne fu involata la pietra nello spazio di tanti secoli. In questa località, secondo le indicazioni dei classici, dovevano esi- stere il Labdalon e 1° Exapilon ; del primo ci mancano tutti gli ele- menti di fatto, dappoichè, le nostre ripetute ricerche per trovare qual che avanzo furono infruttuose; solamente la configurazione del terreno ci addita la possibilità della sua posizione su quella collinetta, che si inalza ad ovest-sud-ovest della casa Targetta, la cui sommità è alta met. 105 sul livello del mare; questa collinetta forma un contraforte delle alture a nord-est di Buffalaro ed è distante dalla muraglia setten- trionale circa met.,700. Vedi Tav. VII dell'Atlante cit. Con maggiore probabilità si potrebbe collocare l’Exapilon in quella parte dei bordi della terrazza prossimi al Castello Euryalos. Secondo Tucidide sappiamo, che gli Ateniesi di Nicia salirono ed entrarono sul- l’ altipiano della detta terrazza siracusana per l’Exapilon; così fecero Gilippo, Demostene e dopo anche i Romani. Ma che cosa era l’Exapilon ? Era un edifizio ovvero una località con sei accessi? Nelle mura sopra citate ed in vicinanza dell’Euryalos vi sono sei ingressi ben difesi. Il primo di questi, come si osserva nella Tav. VINI al N. 154, è determinato da due mura parallele addossate alla muraglia e precisamente nel versante settentrionale della collina, presso la quale si riuniscono le acque di un piccolo torrente. Altro ingresso vedesi al N. 155 in cui la muraglia è costruita a due grossezze con un intervallo fra di loro sufficiente per dare un posto ad un vigile. Questo ingresso così costruito sporge dall’allineamento della muraglia in modo che quel custode poteva osservare la parte esterna per un lungo tratto. Un terzo ingresso vedesi al N. 156 ed un quarto presso lo stesso numero ; gli altri due, che sarebbero il quinto ed il sesto, sono segnati nella cit. tav. col solo N. 157. (1) Sarebbero questi i sei ingressi dell’Exapilon? Qui abbiamo la seguente difficoltà, cioè, che al tempo della guerra ateniese non esisteva la mu- raglia settentrionale e che quella che attualmente esiste risponde a quella costruita da Dionisio I, per come esattamente la ha descrita Dio- (1) Questi due ingressi, considerati isolatamente, il Prof. Lupus a pag. 231 della sua topografia « Die Altstadt Syrakus» ben li chiama un Dypilon, e veramente questi ap- partengono a quelli ingressi che danno l’accesso alla terrazza siracusana quando Dio- nisio riunì la muraglia settentrionale col Castello Eurialo. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 39 doro. Ma se questa muraglia non esisteva in quel tempo, vi era però la collina, e questa per la sua naturale conformazione offriva sei gole che facilitavano l’accesso alla terrazza. È dunque naturale che a questa località si dovette dare il nome di Exapilon; nome che conservò in tutte le epoche. Il Prot. Holm, che è del nostro parere, aggiunge alla pag. 293 Top. Arch. cit. che il nome di Exapilon, vale porta con sei aperture; però si domanda se dette aperture siano state l’una accanto all’altra o luna «distante dall’altra. ) Il certo si è che sei distinti e separati ingressi, non molto distanti tra loro esistono nella muraglia settentrionale; taluni molto angusti ed altri più larghi, ma sempre protetti da torri: mascherati da contromura e posti in modo da potere essere facilmente sorvegliati da guardie ; quindi, senza tema di errare, possiamo ritenere, che questi ingressi rispondono a quelle sei gole della collina sopra citate e che questa loca- lità, per la quale si poteva accedere sulla terrazza siracusana, è ve- ramente quella cui fu dato il nome di Exapilon da Tucidide, Livio ed altri. i A poca distanza dell’ultimo ingresso sopra indicato, la muraglia set- tentrionalé si riunisce, per mezzo di altre opere con il Castello Eu- rialo, e abbandonando i bordi naturali della terrazza , si dirige verso detto Castello traversando le balze ed i dirupi di roccie isolate, ove esistono due torri in parte ricavate dalla stessa roccia con i paramenti di essa rilavorati, ed in parte costruite con conci di tufo lasciando tra loro un passaggio con due aperture che pone in comunicazione la cam- pagna occidentale con la terrazza. Dopo le citate due aperture proseguono varie costruzioni verso l’an- golo nord-est del Castello; queste opere però, mentre riuniscono la muraglia settentrionale col detto Castello, esaminatele ora bene, dopo averle denudate dalla terra e dalle pietre che le occultavano, lasciano vedere una grande varietà di costruzione ed una mescolanza di opere di escavazione e di manufatti che fanno supporre essere stata questa località interamente trasformata. Presso il sopra citato ingresso con le due aperture, grandi blocchi isolati furono tagliati formando un paramento allineato come se fossero muraglie; addossate a questi si osservano costruzioni di grandi e piccoli conci di tufo e spianamenti per regolare l’ allineamento della roccia ; queste opere sono evidentemente rifazioni di quelle che dovevano preesistere. I tagli della roccia ed i paramenti lavorati della stessa fanno cono- 40 EURYALOS scere, la irregolarità dell’ antico suolo e le modifiche fatte in una epoca in cui si utilizzarono le opere esistenti per coordinarle con le nuove, e così ottenere una solida difesa sbarrando ogni comunicazione tra la terrazza e la campagna occidentale e settentrionale. Noi non siamo lontani di riconoscere in questa località, i punti for- tificati, che dovevano esistere all’ epoca della guerra ateniese , e rite- niamo probabile essere questo il sito ove Demostene volendo di notte: assalire i siracusani, che molestavano da questa parte le operazioni dell’assedio, si inviluppò in detto sito angusto e pieno di balze e roccie. ove poi subì una terribile disfatta ed ebbe massacrati un numero con- siderevole di soldati. Appresso dimostreremo che le costruzioni esistenti in questo sito non furono eseguite contemporaneamente ma in diverse epoche. Ciò sarà fatto nel seguente terzo paragrafo. La costruzione della muraglia settentrionale e quella del Castello Eurialo non racchiudendo tutta la terrazza siracusana, che era lo scopo precipuo di Dionisio, dà luogo a dovere ammettere o la preesistenza della muraglia’ meridionale ovvero che questa fosse stata costruita dallo stesso Dionisio. Le notizie che abbiamo di questa muraglia non sono precise ; dalla sua costruzione non si può determinare l’epoca in cui fu eseguita seb- bene accurate e molteplici investigazioni abbiamo fatte sopra luogo. Ponendo da canto le supposizioni del Prof. A. Holm, che certamente hanno un grande valore, e limitandoci ad esaminare quello che esiste, vediamo, che la detta muraglia meridionale si riunisce ad oriente con le opere avanzate del Castello, come precedentemente abbiamo detto, che dopo un lunghissimo tratto raggiunge la Portella del Fusco e quivi si piega un poco verso le scoscese rupi della stessa, ma senza proseguire. Secondo noi, questa muraglia doveva unirsi con le forti- ficazioni del Colle Temenite, che esistevano al tempo della guerra ateniese, come si rileva dalla descrizione di Tucidide, e si estendeva sin sopra il Teatro ed i sobborghi di Acradina. (Vedi la nostra prima Appendice alla Top. Arch. cit.) Se questa muraglia non esisteva al tempo di Dionisio inutili sareb- bero state le grandiose opere fatte eseguire da questo Tiranno. Non è fuori di luogo suppore che in questo lato meridionale di Si- racusa vi fossero parecchi punti fortificati; ed è quasi certo che sulle: alture di Tremilia ve ne fossero due e precisamente nel sito indi- cato dal Prof. Holm nella cit. Tav. I colla lettera (a) ove esistono ve- stigia antiche. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 4I Dalle lucubrazioni fatte dal sullodato professore sull’ episodio della guerra ateniese risulta, che Dionisio I, quando si accinse a fortificare tutti i bordi della terrazza siracusana, profittò dei punti fortificati esi- stenti tanto nel lato settentrionale che meridionale e li riunì con mu- raglie continuate senza interruzione alcuna. Al vertice del grande trian- golo, che è la forma di detta terrazza, costruì il Castello Eurialo con tutte le regole dell’arte militare conosciute in quell’epoca; in guisacchè detto Castello resta, con la parte orientale dentro la terrazza e quella occi- dentale. all’esterno della stessa e precisamente verso la ristretta serra già descritta la quale rimane difesa da due profondissime opere di esca- vazione anch'esse protette da un altro Castello, che ai due fossati s’in- terpone. Vedi il paragrafo primo della presente memoria. $ IIL Ditterenze tecniche che dimostrano le riforme e le aggiunzioni apportate ai manufatti del Castello Eurialo. Le opere di difesa ideate e portate a compimento da Dionisio I per non far sorprendere Siracusa dai Punici, che si preparavano ad oppu- gnarla con poderose forze, avevano per scopo di riunire con forti mu- raglie tutti è bordi naturali della terrazza siracusana, servendosi di quei punti fortificati che dovevano esistere all’epoca della guerra ate- niese e riunirli con un sistema continuo di mura dominati da un Ca- stello vasto e capace di accogliere un significante numero di armati. Erano due grandiose opere e per portare a compimento quelle sole. del Castello, si richiedèva un tempo non breve, dappoichè, si dovevano eseguire, ie escavazioni dei fossati, dei sotterranei e delle comunicazioni che abbiamo già descritte nel paragrafo primo. Le altre opere non erano di minore entità, poichè si trattava di co- struire una poderosa muraglia, che in atto si vede nel lato settentrio- nale di Siracusa, la di cui lunghezza è quasi esattamente data da Diodoro. Il tracciamento di questa muraglia non poteva essere dubbio, perchè gli stessi bordi della collina ne indicavano l’ andamento : quindi la difficoltà della sua esecuzione si riduceva, allo spianamento della roc- cia per impiantarvi i conci di tufo che si potevano ricavare da quella stessa località senza bisogno di trasportarli. Da ciò si vede, che tutte le difficoltà per eseguire quella lunga muraglia consisteva nella sola mano d’opera e questa dipendeva dal numero dei lavoratori ed assi. 13 42 EURYALOS stenti; cosa facilissima ad ottenere in una popolatissima. città quale era Siracusa. ; . Nè a Dionisio mancavano mezzi e denaro ; quest’ astuto tiranno, sciente del panico popolare di Siracusa, esegui quell’opera a furia di popolo e con la sua personale assistenza quando si avvicinò il pericolo della guerra. Riflettendo, che nello stesso sito si poteva estrarre la pietra per co- struire la detta muraglia, e che i cittadini siracusani, scienti degli atti di barbarie commessi dai Cartaginesi, allorquando distrussero Se- linunte, avevano un gran spavento e numerosi accorrevano per co- struire quest’ opera di difesa, si può in qualche modo ammettere quanto disse Diodoro riguardo al poco tempo impiegato in quell’ opera ed al numero dei suoi costruttori; e non vediamo una ragione soda per ricorrere alle solite correzioni del testo dello storico siciliano. Ag- giungiamo, che la muraglia in parola è costruita da conci parallelepi- pedi bene intagliati; or facendo un’ analisi minuta delle opere che si dovettero eseguire e calcolando solo nove ore di lavoro giornaliero, abbiamo un risultato che poco si differisce dal numero dei lavoratori indicati da Diodoro che portarono a compimento quella muraglia. Della costruzione del Castello Euryalos Diodoro non ne parla. ma dalla sua vastità e dalle difficoltà delle opere che si vedono nei loro avanzi, ognuno si può persuadere che la detta costruzione dovette du- rare parecchi anni. 1 Il Prof. A. Holm, parlando dell’ unione del muro meridionale della terrazza siracusana col castello, alla pag. 253, parag. 3°, part. 4% della Top. Arch. cit. dice : « che quel muro doveva essere compito nel 393». e soggiunge: «Il tutto fu finito nel 385. Una parte importante di que- <« sta fortificazione fu il Castello Euryalos, che evidentemente non si « costruì in quei 20 giorni. Diodoro non lo menziona nemmeno, mal- <« À grado fosse la chiave dell’ intero sistema di fortificazione creato da <« Dionisio. Il Castello dev'essere stato costruito tra il 402 ed il 39%. >» Questa ipotesi del sullodato Professore , sulla durata di quattro a cinque anni della costruzione del Castello si deve ammettere; e ciò per la difficoltà delle opere di escavazione che si vedono nello stesso, tanto nei fossati quanto nelle strade sotterranee che circondano ed A intersecano questa fortezza. Sappiamo che molte opere dovevano. esistere nell’Euryalos, e queste naturalmente si dovettero utilizzare, ovvero modificare per ottenere quell’unità di concetto che tanto si ammira in questa magnifica fortezza. Nella costruzione della stessa vediamo molte differenze tecniche che c’in- E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA - 43 «ducono a supporre riforme ed aggiunzioni anche in tempi posteriori a Dionisio delle quali la storia scarse notizie ci fornisce: ma l’esistenza delle superfetazioni ci mostrano che quelle opere non furono fatte nello stesso tempo. Uno studio locale da noi fatto ci pone oggi nella condizione di potere con sicurezza asserire la esistenza di un manufatto e la posteriorità «di un’altra costruzione che allo stesso manufatto si sovrappone. Ciò lo dimostreremo in appresso e senza fare ipotesi. Ora non è fuori di luogo riandare alcuni episodi storici anteriori ed anche posteriori all’epoca della guerra cartaginese. In questa località, cioè nei pressi del Castello Eurialo, la storia re- gistra due fatti d’armi di grande importanza e che ebbero conseguenze funestissime per i nemici dei Siracusani. Il primo di questi due episodi militari ebbe luogo diciotto anni pri- ma della guerra cartaginese, quando Demostene, volendosi liberare dai continui attacchi dei Siracusani che impedivano Ja costruzione della muraglia di circonvallazione per rinchiudere in un cerchio Sira- cusa, fu battuto completamente; ciò produsse un cambiamento sostan- ziale di quell’assedio. Il secondo fatto d’ armi avvenne nella stessa località nel tempo in «cui l’ardito Agatocle si trovava in Africa ad investire Cartago e Fu- nisi. Durante la sua assenza Amilcare, che comandava i Punici, volle prendere di assalto il Castello, ma gli toccò la stessa sorte subita dal- l’ateniese Demostene, anzi peggio, perchè fatto prigioniero venne ucciso. Da questi fatti di armi chiaro emerge che opere di difesa impor- tanti dovevano esistere prima e dopo la guerra cartaginese, e si può ritenere probabile che queste opere subirono nuove riforme all’epoca romana, cioè, poco prima dell’assedio del Castello che non potette es- sere preso d’assalto dai romani; ma fu costretto a capitolare, però con tutti gli onori delle armi dovuti ai suoi valorosi difensori. Nelle opere che riunirono la muraglia settentrionale con l’ angolo mord-est del Castello Eurialo, e precisamente allo spigolo rientrante ove le due pareti s'incontrano, ora che furono sgombrate dalla terra e dai massi che li rendevano invisibili, si osservano i filari dei conci «di altezze differenti non solo, ma mon addentellati tra loro, anzi si vede chiaramente che la muraglia settentrionale del Castello prosegue nella parte interna sino ad incontrare la torre nord-est dello stesso. Ciò dimostra, che quel muro del Castello era terminato nell’epoca in cui lo stesso si riuni con la muraglia settentrionale della terrazza si- racusana che fu costruita indubbitatamente da Dionisio I. Vedi la AA EURYALOS Tav. II fig. 2 che rappresenta fedelmente una parte del muro che riuni la muraglia settentrionale della terrazza siracusana col Castello Euryalos. Questo è un dato di una grandissima importanza che an- nulla tante supposizioni riguardate sin’ora come vere. La non contemporaneità di queste due costruzioni non è più discu- tibile, ma non se ne può determinare l’ epoca ed il tempo. che passò tra l’una e l’altra costruzione: a prima vista però si vede la miscela delle opere esistenti e precisamente ove s’incontrano; seguendo l’alli- neamento del muro di riunione si osservano varî tagli di roccia a pa- reti verticali segnati nella cit. Tav. D, D. Da questi tagli si detegge che l’antico suolo di questa località era molto irregolare e grandissimi blocchi isolati l’ingombrarono in forma scomposta ed irregolare. L’ accozzamento di queste opere si palesa, con più evidenza, rimi- rando gli avanzi di una torre ottagonale della quale esistono solamente due filari, segnati nel nostro disegno con la lettera C. Questa torre resta in parte internata, anzi sepolta, dentro lo spessore della mura- glia di riunione col Castello. Essa si eleva sulla roccia spianata e i due filari sopra cennati sono di piccoli conci di tufo bene intagliati. La sua struttura è del tutto differente delle altre opere della fortezza in parola sia per le dimenzioni dei conci, che per la qualità della pietra. (Vedi la Tav. II. fig. 2). La parte più a nord del muro: del Castello sino al punto di riu- nione con la muraglia di Dionisio ottre poche costruzioni, ma si no- tano moltissimi tagli di roccia con paramenti allineati e bene intagliati; e ciò sino ai due passaggi che, pongono in comunicazione questa loca- lità con la terrazza siracusana. Vedi la pianta dell’ Euryalos ai punti segnati 4 A. Presso i detti due passaggi, chiamati dal Prof. Lupus, Dipylon, si osserva un grandissimo blocco di roccia quasi isolato sul quale , non è fuori di luogo supporre, si elevava una torre per proteggere questi due passaggi. Più a nord ancora del sudetto muro del Castello, al punto segnato f f. (Vedi la pianta dell’Euryalos) esiste lo sbocco della strada sotterranea settentrionale del Castello per la quale si entra nel- l’altipiano siracusano. La configurazione accidentata del terreno, i tagli fatti nella roccia e le costruzioni preesistenti a quelle della muraglia di Dionisio, danno luogo a potere asserire, qualmente tutta questa località dovette subire” grandi trasformazioni; e non sarebbe fuori proposito supporre, che in quei aspri e ristretti passaggi, tra quelle rupi isolate fu battuto, come già abbiamo sopra detto, Demostene nell’ assalto notturno menzionato E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 45 da Tucidide. Questa nostra snpposizione non è priva di ragioni, dap- poichè in tutto l’altipiano siracusano, due sono le località che rispon- derebbero alla descrizione dello storico ateniese quando riferisce la di- sfatta di Demostene ; una sarebbe la parte nord-est della contrada di Buffalaro e l’altra la località pocanzi descritta presso il Castello Eurvalos il quale, all’epoca della guerra ateniese non era ancora costruito; però è quasi certo, che in questa località dovevano esistere punti fortificati con poderose mura, in potere dei Siracusani da dove questi all’occor- ‘renza sboccavano per controbattere ed opporsi alle operazioni degli Ateniesi. Il rimanente dell’ altipiano siracusano è una pianura uniforme più o meno ondulata nella quale anche di notte , difficilmente uno si può smarrire. Proseguendo 1’ esame della struttura e la tecnica delle opere della parte principale del Castello , vediamo una grande regolarità di co- struzione. I pezzi di tufo, di grandi dimenzioni, sono con simmetria disposti e principalmente nelle mura del lato settentrionale dello stesso; essi sono collocati, di punta in un filare e per lungo in un’ altro e così di seguito si alternano. Negli scavi del 1891 si scuoprirono otto filari della muraglia esterna della corte del Castello; questa ha il paramento lavorato grezzamente ma lungo le commessure dei pezzi ricorrono listelli ribassati e perfet- tamente intagliati onde ottenere un esatto allineamento ed un per- fetto combaciamento dei filari. Questa muraglia ha una serie di bu- chi rettangolari a distanze pressocchè uguali ed uniformi che traver- sano tutto il suo spessore; questi buchi si fecero per smaltire le acque piovane che cadevano nella detta corte del Castello che doveva es- sere scoperta nel suo centro. La costruzione dell’Euryalos fu eseguita sopra un progetto ben stu- diato che aveva per iscopo d’ isolare la parte centrale del Castello, riservandola esclusivamente al comando supremo. Da questa posizione, che domina le altre fortezze ed i fossati, chi comandava poteva tutto osservare e provvedere ad ogni emergenza. Però non tutte le parti del Castello furono eseguite nella stessa epoca. Ciò lo dimostra con evidenza nella riunione che fa la muraglia settentrionale dello stesso con la torre dell’angolo nord-ovest, la quale, mentre è una delle cin- que torri del prospetto occidentale, pure nel lato settentrionale si vede addossata la sopra citata muraglia della corte del Castello. Vedi il no- stro disegno. della Tav. III. In questo disegno non solamente sì notano le differenti dimenzioni dei conci del muro della Corte sudetta e quelli 14 46 EURYALOS della torre angolare, ma i filari perchè di differenti altezze, non si poterono addentellare e poi, nella risvolta della torre sudetta, si vede il paramento orientale perfettamente intagliato a tutto finimento, segnato nel nostro disegno della Tav. III, con la lettera A. Questo fatto dimostra che la torre doveva essere ultimata prima e poscia vi si addossò la murata della Corte sudetta. Contro questa evidente prova si potrebbe addurre che la torre si elevava sulla murata laterale ed in questo modo si potrebbe spiegare la ragione della non omogeneità della costruzione della muraglia e della torre sopradetta; ma tale supposizione non regge, dappoiché, si vede nella parte inferiore la unione delle stesse, e lo spigolo della torre si conserva intatto sino ai filari inferiori, segnato nella detta Tav. III con le lettere B, B. Le nostre osservazioni tecniche, se provano la non contemporaneità dei manutatti esistenti nel Castello, non tolgono punto il merito a co- lui che immaginò ed esegui tutto quel sistema di fortificazioni, utiliz- zando le opere esistenti di questa località e se ne servi in modo da riunirli tutti, adattandoli al suo grandioso concetto, che fu quello di rinchiudere tutto l’altipiano siracusano con opere di difesa. Noi non mettiamo in dubbio che l’autore di questo piano di fortifi- cazioni fosse stato Dionisio I che, non solamente ideò, ma lo portò a compimento in quattro anni circa, come lo suppone il sullodato nostro compagno di lavoro Prof. A. Holm. Le modifiche sulle quali ci siamo intrattenuti nel principio di que- sto paragrafo terzo, li vediamo ripetute nel prospetto occidentale del Castello, e precisamente negli intervalli delle torri. Queste dovevano essere, non già separate luna dall’altra formando un Tetrapylon, co- me dice il Prof. Lupus a pag. 252 « Die Stadt Syrakus » per dare adito alla terrazza siracusana; ma, secondo il nostro parere, queste torri dovevano essere sporgenti e gl’ intervalli fra esse rientranti, precisa- mente come li vediamo in tutte le antiche muraglie che sono guar- nite di torri sporgenti a distanze regolari per avere una linea più lunga capace a contenere un numero maggiore di difensori. Noi accettiamo una sola parte di quanto dice il sullodato Prof. Lupus, cioè « Dennach sind die 5 Thiirme die Altesten, vieleicht schon vor diony- sischen Bestandtheile. » Chiamare ein festes tetrapylon, quei quattro supposti passaggi per pe- netrare dentro la terrazza siracusana , che all’ epoca pria di Dionisio era accessibile da molti punti, ci sembra fuor di luogo, dappoichè nessuno potrebbe supporre che una fortezza, dalla parte che doveva E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 47 ‘opporre al nemico la più grande resistenza, avesse il suo prospetto aperto da quattro grandi ingressi e servissero di passaggio, traversando liberamente il centro di questa fortezza. se però si volesse ammettere che le torri in parola fossero state costruite da Dionisio, allora, per quale ragione si ebbe tanta cura di impedire una comunicazione qualsiasi tra le fortificazioni esterne ad occidente del Castello con questo stesso ? Perchè tutte le strade sotter- ranee lo circondano senza comunicare con esso ? 4 I lavori di escavazione furono evidentemente fatti per sboccare oc- cultamente dentro la terrazza e quindi un Tetrapylon, non avrebbe scopo alcuno, nè alcun dato storico lo. accenna. Le rientranze delle torri furono in tempi posteriori chiuse da una fodera di pezzi di tufo intagliati a bugni, quasi delle stesse dimen- zioni di quelle delle torri, ma nel collocarli, sia per piccola differenza di altezza o per un maggior strato di calce, i filari non ricorrono con quelti delle torri e ne lasciano visibili le rientranze delle stesse. Gli spigoli ed i lati di queste rientranze sono ben conservati in quattro torri, meno della quinta posta a sud-est la quale è quasi interamente distrutta dai secoli, ma maggiormente dalla mano dell’ uomo che in tempi remoti si appropriava la pietra lavorata per costruire i casa- menti delle prossime fattorie di campagna, e ciò sino a quando si crearono le guardie delle antichità per invigilare la conservazione dei monumenti antichi. Nei lavori di riparazione della seconda torre, a dritta di chi guarda il prospetto, abbiamo constatato la massiccia costruzione delle torri, fatta esclusivamente di pezzi di tufo ben concatenati. Nell'intervallo fra questa torre e la terza, alla distanza di circa met. 180, varî conci restano a posto; essi appartengono al muro che chiudeva le loro rien- tranze e da ciò ci siamo formati il convincimento che nessun passag gio e nessuna porta, anche piccolissima, esistevano nella fronte occi- dentale dol Cust:lb; e poi replichiamo, che tutte le opere di escava- zioni dei fossati eseguite a poca distanza dalle dette cinque torri pro- vano, che né da questa parte nè nei lati esisteva comunicazione alcuna col Castello; ed il solo ingresso alla fortezza centrale era quello che vediamo nel lato orientale della stessa per come abbiamo esposto nel paragrafo primo della presente memoria. Altre riparazioni alle succennate torri, con le somme disponibili nel 1891 non si potevano fare ad onta del deperimento delle stesse ; però si volevano sgombrati i conci rovesciati tra la prima e la seconda di queste torri. Noi ci siamo energicamente opposti a che si 48 EURYALOS facesse questo sgombro, dappoiche, ciò sarebhe stato lo stesso che ac- celerare la loro totale rovina. Ci siamo rivolti direttamente al Mini- stero, dal quale venne accettata la nostra proposta; cioè, di eseguire il detto sgombro allorquando si avevano i fondi necessarî per fare contemporaneamente i ripari. Urgentissimo però era di fare un riparo in grande per evitare il crollamento di una parte della strada sotterranea rispondente ad uno degli ingressi del profondo primo fossato che si trova a poca distanza dalle sopradette cinque torri. I mezzi ci furono apprestati ed il riparo si esegui. Lo stato crollante di questa parte della strada sotterranea sudetta, si osserva nel nostro disegno, Tav. I, fig. 2%; essa si era da molto tempo sprofondata e tutta la parte superiore della roccia era in movi- mento da cui si distaceavano massi enormi. Il riparo non era agevole a farsi , dappoichè sì trattava di ripristi- nare l’angusta strada sotterranea ed impedire che il movimento dei massi soprastanti si estendesse. Una voragine si era già formata e , chiaramente ciò si vede nel nostro disegno presso i punti segnati A, A. Avremmo voluto arrestare questo scoscendimento con puntelli e così salvaguardare la vita ai lavoranti, ma ci mancava il punto di ap- poggio; allora per primo ci siamo accinti a riempire le grandi caver- nosità che si erano formate lateralmente alla detta strada sotterranea con malta di cemento di Portland e brecciame. Fatta questa prima operazione si costruì una volta di conci dello spessore di cent. 65 la- sciando all’estradosso alcuni conci sporgenti per collegarli con altro anello di conci soprastanti da formare unica volta dello spessore di met. 1. 10. Nei rinfianchi di questa volta vi erano profondissimi vuoti scavati dalle acque piovane; questi furono riempiti con malta idraulica e brecciame a varie riprese e così formare unico masso tra bitume e la roccia naturale; poi si spianò con bitume l’estradosso di questa so- lidissima volta e sopra si costruì un muro a croce per puntellare la parte superiore di quel dirupo , fiancheggiandolo sino ad un terzo di altezza, con un solido muro di pezzi di tufo squadrati coi letti di posa inclinati verso l’interno. Questo riparo si conserverà meglio delle al- tre parti, sebbene non lesionate, dappoichè , le opere eseguite col si- stema sopra descritto, formano unico masso quasi impermeabile da sfidare le corrosioni distruggitrici dei secoli. In questi difficili lavori, come in quelli degli scavi che durarono; quasi due mesi e mezzo, mi giovò non poco l’ assistenza assidua del signor Nicolò Sala Ugo, Vice Segretario e funzionante da Economo degli scavi e musei, addetto al Museo Nazionale di Siracusa. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 49 S IV. Scavi del 1891-92 a Nord-Ovest dell'Anfiteatro Siracusano. Nell’anno 1882, quando unitamente all’ing. Cristoforo Cavallari era- vamo intenti a portare a compimento i lavori riguardanti la Topogra- fia Archeologica di Siracusa, abbiamo intrapreso a nord-ovest dell’An- ‘fiteatro siracusano taluni scavi, per vedere in qual punto sboccasse il corridoio della seconda precinzione di questo monumento di epoca Romana, ed essi ci convinsero che a pochi metri di questa precinzione esisteva una specie di strada sepolcrale che si svolgeva lungo il piede di un rialzo della prossima roccia tagliata a pareti verticali, ove si os- servarono taluni riquadri incavati, simili agli altri che si osservano nel Teatro greco ed in ogni parte di quei dintorni. Per ragioni, che non è il caso di esporre, e che vale meglio tacere, ci fu impossibile terminare queste nostre ricerche, ad onta del nostro fermo proponimento di proseguirle. Per dura necessità abbiamo dovuto rassegnarci ad aspettare una propizia occasione. Questa si presentò nell’autunno del 1891 e subito abbiamo dato mano ai lavori. L'andamento delle dette ricerche era tracciato dai saggi fatti, come so- pra abbiamo detto, nell’anno 1882, quindi non si trattava ‘d’altro che seguire l’andamento della roccia ed approfondire lo scavo sino ad arrivare al suolo di quella strada sepolcrale e così scuoprire interamente gli in- numerevoli riquadri incavati nella roccia, per conoscere la loro forma e se esistessero bassorilievi, come quello rinvenuto otto anni prima del 1882, a pochi metri di distanza della strada che traversa 1’ Anfi- teatro; bassorilievo che rappresenta una figura virile davanti ad un’Ara con una tazza in mano in atte di fare libazioni. Questa scultura, per la località topografica dove esiste e per quello che rappresenta, appartiene ai riti mortuari antichi e non poteva far parte dell’ Anfiteatro, il quale, senza dubbio, fu costruito all’epoca della dominazione romana, quando tutta questa località fu interamente trasformata, come in appresso vedremo. Lo scavo in parola era di un’importanza archeologica somma, dap- poichè, esso doveva far conoscere in quale stato si trovava quella lo- calità prima che si fosse costruito 1’ Anfiteatro. Questo è in parte sca- vato nella roccia, come prima si era fatto col Teatro, che fu intera- mente ricavato dal tufo calcareo della collina che al suo culmine con- teneva la parte alta ed i subborghi di Acradina e che fu poscia la parte 15 50 EURYALOS superiore della Neapolis, come ben la denomina il Prof. A. Holm. So- pra questo dato topografico ritorneremo, dopo di avere descritto quanto si rinvenne nello scavo sopra menzionato. A pochi metri dello sbocco della precinzione superiore dell’ Anfitea- tro, approfondando lo scavo, si rinvenne l’ antico suolo della strada rispondente allo stesso livello della detta precinzione , e si scoprirono molti altri riquadri incavati nella roccia; tra questi riquadri di varie grandezze ve ne sono taluni decorati da frontispizii, come se fossero saccelli sacri. Questi e tutti gli altri laterali disposti nella parete ver- ticale della roccia, si addentrano nella stessa, come tante nicche, per cent. 20 a 50 e sino a cent. 35. L'altezza della parete verticale della roccia, presa dal piano della strada sepolcrale sino al piano superiore, non oltrepassa i met. 2, 65, ma siccome questo piano superiore è irre- golare, l’altezza media è di met. 2,50; il suolo di questa strada sepol- crale trovasi inclinato verso nord-ovest. La parte ove s’ incominciò questo scavo è attraversata dalla strada che conduce all’ attuale ingresso dell’ Anfiteatro, e risponde sull’ asse maggiore dell’ellisse di questo monumento. Due ingressi coperti a volta semicilindrica rispondono al detto asse maggiore; quello rivolto all’isola di Ortigia serviva d’ingresso per il pubblico, per i gladiatori e per le autorità. I vincitori delle lotte ritornavano in città per lo stesso ingresso; i vinti ed i feriti uscivano dall’ ingresso opposto al sopra detto, ed i morti si trasportavano dalla scaletta, detta libitinaria, i cui avanzi si vedono nel lato meridionale di questo Anfiteatro. Nelle ricerche fatte a varie riprese nel 1882 ci sembrò che la sudetta strada sepolcrale doveva dirigersi verso Acradina in direzione nord- est, e che la posizione topografica dell’ Anfiteatro non poteva portare ostacolo al regolare scoprimento della stessa; ma non fu così, perchè lo scavo, seguendo il rialzo della roccia nella direzione nord-est, arri- vato a circa met. 16 pria di riaggiungere il muro che racchiude il terreno appartenente alle antichità, si dovette ripiegare quasi ad an- golo retto in direzione ovest- nord-ovest, seguendo sempre la fronte del rialzo della roccia che si dirigeva verso l’Ara. Per prolungare detto scavo si doveva tagliare l’unico accesso attuale dell’ Anfiteatro e quindi si rinunziò a proseguirlo e senza rammarico, dappoichè la parte che si era scoperta era sufficiente per fare cono- scere la conformazione del terreno ed il rialzo della roccia a pareti verticali coi suoi riquadri. Lo sviluppo della trincea scavata, in linea spezzata, ha la lunghezza di met. 70; la sua larghezza varia, da met. 3,15 si ridusse verso la E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA DI fine a met. 2,50; nel lato di fronte alla roccia verticale si lasciò una scarpata inclinata di circa 30 gradi per impedire lo scoscendimento della terra. Faita una ispezione nel sottostante giardino , il rialzo, come sopra abbiamo detto, si dirige verso l’Ara, e senza bisogno di fare scavi, si osservano nel detto rialzo i riquadri edi Saccelli, simili a quelli sopra notati; e proseguono sotto il Teatro greco riunendosi con quelli da noi pubblicati nella Tav. IV, fig. 2 e 5 dell’Append. alla Top. Arch. di Siracusa, Palermo-Torino 1891, editore C. Clausen. Qui crediamo utile rammentare al lettore quanto dicemmo in questa Append. a pag. 23. « L’ angolo orientale di tutto il citato sistema di « escavazione con riquadri, termina nel descritto gruppo, ma forse la « fronte bassa di esso prosegue sin dove si costruì il Teatro e presso «l’Ara lunga uno stadio, rammentata da Diodoro Siculo, ove si pote- « vano sagrificare 400 vittime; ma tutta la parte, che univa il descritto «gruppo sino all’Ara sudetta, fu distrutta quando si scavò la roccia, «per la costruzione del Teatro massimo ecc. ecc. » Esaminando quanto tuttora rimane dell’ Ara ed i frammenti archi- tettonici della decorazione di questo grandioso monumento, a prima vista si può supporre, come molti han creduto, che essi appartenessero all’epoca romana; ma noi non siamo dello stesso parere, dappoichéè i triglifi dorici ed altri frammenti trovati durante gli antichi scavi, per il carattere della loro decorazione, si devono annoverare fra quelli dell’ epoca arcaica, come sono i triglifi ricavati dalla stessa roccia verticale del Ninfeo; e la loro struttura, i moltiplici riquadri, le tombe e le stanze sepolcrali, dovevano con sicurezza rimontare ad un’epoca anteriore alla costruzione del Teatro greco. Di epoca dubbia è la scultura trovata nell’Ara che rappresenta un Satiro con la parte inferiore del corpo di Capro lanuto e la parte su- periore di un uomo con le orecchia caprine e le braccia in atto di sorreggere, come un Cariatide, la decorazione dell’ ingresso di detta Ara; questo ingresso è coformato a rampa per la quale gli animali , destinati ai sagrifizî, potevano salire alla sommità di questo grandioso altare. Il suddetto Satiro può essere di epoca romana ma evidentemente è una rifazione, dappoichè i piedi di forma umana dello stesso sono ricavati dal masso dell'Ara, mentre tutto il resto del corpo è composto di varii pezzi di tufo rivestiti di stucco. (1) (1) Questa scultura si vede collocata nella sala dei frammenti architettoniei del nuovo Museo Nazionale Archeologico di Siracusa. 52 EURYALOS L’Ara in parola è ricavata da un unico masso tufaceo; è lunga me- tri 198, 40, larga met. 21,50, e la sua altezza, da quello che esiste si desume che non poteva oltrepassare i met. 5; ha gradini molto alti, e la sua struttura è simile a quella del Teatro. Il suo prospetto è rivolto a sud-sud-ovest verso un vastissimo piaz- zale quasi orizontale, ove poteva riunirsi il popolo per assistere ai sa- grifizii. A poca distanza del lato minore della stessa, rivolto a nord- nord-ovest, si nota un rialzo della roccia con riquadri che, come ab- biamo detto sopra, sono una continuazione di quelli scoperti recente- mente nell’Anfiteatro. I risultati ottenuti dagli scavi recentemente fatti nei pressi di questo monumento hanno confermato quanto avevamo scritto nella cit. app. del 1891 ; cioè, che tutta la collina, che costituisce il Colle Temenite, è sparsa di una gran quantità di altari, saccelli sacri e riquadri scavati nella roccia. Questo Colle poi, alla sua base, lo vediamo circondato da una vastissima Necropoli, che cominciando dalla Portella del Fusco si estende sino al Teatro, all’ Anfiteatro ed all’Ara; ma qui non si arre- stano le tombe, nè le opere di escavazione, dappoichè queste le ve- diamo anche nelle pareti delle Latomie del Paradiso, in quelle di Santa Venera e nel gruppo della Necropoli dei Grotticelli; come precedente- mente abbiamo detto. E qui bisogna ripetere, che questo sistema di contornare con Cimelii mortuari ogni gruppo abitato della vastissima Siracusa, si vede ancora nei lati posti a tramontana e mezzogiorno di Acradina e di Tica. ‘Dai recenti studii topografici e dagli scavi fatti nell’Anfiteatro abbiamo ottenuto di potere oggi determinare anche i limiti della bassa ed alta Neopolis. I limiti della bassa Neopolis sono determinati dal rialzo della roccia sulla quale sorgono l’ Anfiteatro e I’ Ara; quelli della parte superiore della stessa Neapolis restano determinati dalla strada sepolerale ad occi- dente del Teatro, dalla roccia verticale del Ninfeo e dalle due Latomie: quella del Paradiso e quella di Santa Venera, ove noi supponiamo, con molta probabilità, che esisteva la porta Temenitidas, da dove poterono salvarsi i Siracusani inseguiti dagli Ateniesi, come già abbiamo dimo- strato altre volte. Quanto abbiamo detto sui confini dell’alta Neapolis, coincide perfet- tamente con la descrizione che fa Cicerone sulla topografia del Teatro greco: «Quarta autem est, quae quia postrema coedificate est, Neapolis nominatur, quam ad summam theatrum maximum est, ete.» (1). (1) Il primo che ha fatto la distinzione di una parte bassa e l’altra alta della Nea- E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 55) Nelle feste popolari gli abitanti di Ortigia, di Aceradina, di Tica e dei subborghi, guidati dai Sacerdoti del loro culto, accorrevano nume- rosi con gli accoliti ed i servi, non solo per venerare le divinità, ma per ricordare le cerimonie religiose della madre patria greca. Queste feste si celebravano in tempi determinati tanto nella Grecia quanto nelle Colonie; e con grande entusiasmo nelle colonie doriche. Siracusa le celebrava rigorosamente, memore della sua origine co- rintia; ed a somiglianza di quanto si praticava nel dorico Peloponneso, ‘facevano delle processioni, di vacche per sagrificarle ad Hera: di tori ad Ercole; di capri ed arieti a Bacco; di asini ad Apollo; di cani ad Pcate; di cervi ad Artemide; di galli ad Esculapio; di capre ad Arte- mide Agrostera; secondo riferiscono Herodoto, Plutarco, Pindaro, Pau- sania ed altri. Sappiamo da Plutarco, che in Siracusa si facevano i così detti sol- lenni giuramenti alle divinità infernali, Cerere e Proserpina, per sde- bitarsi delle colpe dei quali venivano imputati, dichiarando questi, che in caso di spergiuro, meriterebbero la persecuzione degli Erinni, le pene corporali e la perdita della vita. Erano i Sacerdoti che dirigevano tutte le cerimonie religiose e così i costumi, dappoichè le funzioni civili, presso i greci, si collegavano con la loro poetica religione. Le formule della magia e degli incantesimi, attinte dai greci in oriente, nonchè le invocazioni Orfiche ed i talismani, presero stanza nella Tessaglia e da questo paese si diffusero in tutta la Grecia e nelle Colonie. Dai numerosi avanzi di altari, di tombe e spelonche; dalle seul- ture mortuarie e dai riquadri che tappezzano colline intere; e dalle Ne- eropoli che circondano tutte le località abitate di Siracusa, si detegge, che la commemorazione dei defunti doveva essere grandiosa ed impo- nente. Sulle alture che sovrastano i sepolcri si sagrificavano le vittime, e mentre tutti gli altari coi roghi accesi innalzavano vortici di fumo al cielo, nell’Ara pocanzi descritta, alla presenza del popolo ivi riunito, molte Ecatombe si facevano e s' imbandivano le mense pei sacerdoti, pei sagrificatori e spesso ne partecipavano gli spettatori. A tutte le sopra descritte opere non si è data sinora G uell’importanza polis, è stato il nostro compagno di lavoro per la Top. arch. di Siracusa, Prot, Adolfo Holm, con la guida del passo sopra citato di Cicerone; noi non abbiamo fatto altro, se non chè materialmente determinarne i confini colla guida dei trovamenti ottenuti negli scavi del 1891 e 1892. 16 dÎ EURYALOS che meritano, sia perchè talune di esse non si conoscevano, sia perchè i dotti, a preferenza, stimavano più utile rivolgere la loro attenzione a cose credute di maggiore importanza. Considerando che Siracusa era la più vasta di tutte le città elleniche conosciute, si potrebbe in qualche modo giustificare tale trascuratezza; dappoichè, per investigare quanto ancor rimane e farsene un concetto esatto, bisogna rimanere per lungo tempo in questa estesissima antica città, ove ogni pietra, ogni opera di escavazione, ogni frammento antico, ogni monumento, per la loro posizione topografica, spiegano tanti epi- sodii registrati dalla storia e le ragioni, della loro esistenza e del loro importante significato. Di grande rilievo sono i numerosi avanzi dei monumenti mortuarî che rivelano, non solo la grande venerazione che avevano i Greci per i loro defunti, ma dimostrano pure che lelocalità ove sono collocate le tombe ed esistono le opere di escavazione, determinano i limiti di ogni parte di questa città, e nello stesso tempo contribuiscono a spiegare in qualche modo le pratiche religiose, le cerimonie, le feste popolari che si cele- bravano in quelle località in determinati mesi dell’anno. Su ciò deve consultarsi la più bella e dotta opera che esista, cioè : « Lehrbuch der Griechen, von Karl Friederich Herrmann » pubblicata in Gottingen 1846; nonchè quelle del Prof. Bottiger, Kunstmythol: del Kreuzer, la Symb.; O. F. Maller, die Dorier; Welcher etc. ete. Il Prof. K. F. Herrmann, dopo essersi occupato del servizio divino presso i greci, delle loro feste popolari e dei sagrifizii di animali, si estende. a descrivere le pratiche religiose introdotte nelle colonie do- riche orientali, ed in quelle occidentali, al paragrafo 67. In Sicilia queste feste si celebravano in grande pompa sotto diversi nomi; cioè, Avdscodora. Osoydma “Avazadurizora, Roccia: e ciò nei mesi quando si raccoglieva il grano ed in autunno. Descrive ancora il sullodato prof. Herrmann le vittime che si sacri- ficavano nel fonte Ciane. le feste ad Artemide, le largizioni che si dispensavano in Siracusa, e precisamente nell’isola di Ortigia in occa- sione delle feste che si davano in onore di Apolline, per commemorare la fondazione della colonia dorica in Siracusa e la liberazione di questa città « Befresungsfesten der Syrakusaner » Plutarco Vita di Timoleonte ; e Diodoro, XI-72. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA DD 8 Vi. Sulla popolazione di Siracusa ed altre città greche in Sicilia. Sulla popolazione di Siracusa non possiamo dire altro, e ci ripor- tiamo su quanto abbiamo detto nel nostro lavoro « Sulla topografia di talune città greche in Sicilia e dei loro monumenti» pubblicato nell'Archivio Storico Siciliano: Palermo 1879, pag. 7-8; ma crediamo non fuori d'opera aggiungere quanto appresso : Le cifre esagerate da taluni scrittori antichi e moderni sul numero degli abitanti di Siracusa in particolare e della Sicilia in generale , produssero una reazione, e rinomati dotti, nel volere correggere queste cifre, le ridussero in un termine numerico piccolissimo: ma osservando i monumenti che ancora esistono, senza mettere in conto quelli distrutti dalle guerre e dai secoli, nè quelli svisati dalle superfetazioni e distrutti in epoche diverse, in conseguenza dei molteplici cambiamenti di dominio e di civiltà che subi la. Sicilia, siamo indotti a ritenerlo anch’ esso esagerato. Su questo importante tema della popolazione della Sicilia abbiamo i computi del Prof. A. Holm, pubblicati nel II Vol. della Sicilia antica « Geschichte Siciliens im Alterthum >» libr. IV, Cap. II « Belege und Erleu- ferungen, > pag. 402; « Bevòlkerungszahl Siciliens» Kiferendosi a Siracusa al tempo della guerra ateniese, espressamente dice : « non esistono no- « tizie per potere determinare il numero dei suoi abitanti « sind Keine « Nachrichten vorhanden die auf die Volleszahl schliesen lassen » ma essendo « Siracusa la più potente città della Sicilia e che Agragas contava 800 «mila abitanti, dobbiamo ammettere che Siracusa col suo vasto terri- «torio avesse anch’essa 800 mila abitanti.» Questa cifra, per chi pon- dera bene la potenza di questa città ai tempi di Gelone e Gerone I, coi suoi numerosi Cillirî, che non furono mai schiavi, ed i Sicoli sog- getti a Siracusa, dopo la caduta di Ducezio, nessuno la può considerare esagerata. Ma l'illustre prof. Holm, entusiasmato della potenza dei Si- racusani e delle vittorie da essi riportate contro gli Ateniesi edi Cartagi- nesi, pur ritenendo esagerate le cifre di Diodoro e di altri antichi scrit- tori, che alla Sicilia si riferivano, fa ascendere la popolazione di questa Isola, nel 415-413, a 3 milioni e 620 mila abitanti divisi in questo modo: Siracusa 800 mila; Agragas 800 mila; Selinunte, Imera e Mes- sina 100 mila ciascheduna; Gela, Camerina, Catana e Nasso 80 mila cia- scheduna; Mozia, Palermo e Solunto 300 mila; Elimi 100 mila ed un milione di Sicoli e Sicani. 56 EUR YALOS Per chi considera, come sopra abbiamo detto, la potenza, la prosperità e lo splendore dei Siracusani di quell’ epoca, non trova esagerato il nu- mero di 800 mila abitanti di Siracusa e suo territorio; ma col ragio- namento istesso del sullodato prof. Holm, ad Agrigento non si può assegnare una popolazione uguale a quella di Siracusa, dappoichè , questa non solo occupava una superficie di terreno maggiore di quella, ma in molte guerre forni numerosi eserciti. Ammettendo una popolazione di 80 mila abitanti per Gela, non si può ammettere una popolazione avessero per ciascuna, Camerina, Ca- tana e Nasso, dappoichè , queste ultime tre città in confronto a Gela erano ben piccole. Esagerato, dobbiamo ritenere il numero di 5300 mila fenicî suddivisi nelle città di Mozia, Palermo e Solunto , perché queste località non erano che centri di stazioni commerciali, e la maggior parte degli abitanti fluttuanti non si occupavano di agricoltura ma di solo com- mercio e della pesca. Se poi si volesse ritenerle città nel vero senso della parola, noi, che abbiamo rilevata la pianta topografica di Mozia, situata nell’isolotto di San Bartolomeo e che la conosciamo pietra per pietra, come ancora Solunto, possiamo asseverare , che non potevano queste due località contenere sì grande numero di abitanti; solamente Palermo, che in quell’epoca era quasi grecizzata, come lo fa supporre il suo nome greco, poteva contenere un numero maggiore di abitanti di quelli di Mozia e di Solunto. La cifra di un milione di Sicoli e Sicani, appena si potrebbe ammet- tere all’ epoca quando la Sicilia era occupata solamente da questi po- poli e dai pochissimi greci che fondarono Enghion ed Eraclea Minoa, “ma non all’epoca indicata dal prof. Holm, dappoichè, una gran parte degli stessi, dopo la disfatta di Ducezio, che fu esiliato in Corinto, facevano parte. della popolazione greca della Sicilia, e tra questi spe- cialmente si comprendevano i Sicoli. : Il prof. Dr Giulio Beloch, in una sua memoria dà lo stesso risultato numerico sulla popolazione della Sicilia, conforme a quello che disse il prof. Holm, ma nella sua recente ed estesa pubblicazione «Sulla po- polazione della Sicilia » tradotta dal signor F. P. Allegra-De Luca, con aggiunte dell’Autore, Palermo 1889, si corregge. In questa sua memoria, basandosi sui dati statistici e sulle notizie stori- che, ricavati dai classici, fa dei confronti tra la popolazione delle città della Grecia con quella della Sicilia, e conchiude che la popolazione di Sira- cusa, alla metà del secolo V. av. C. era dai 60 ai 75 mila abitanti ; quella di Agrigento dai 50 ai 60 mila e quella di Selinunte dai 20 ai E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA DI 25 mila. E proseguendo nei suoi confronti, assegna poscia, a Corinto 50 mila abitanti e ad Atene 100 mila; questa differenza tra Corinto ed Atene, non persuade punto, né si possono escogitare le ragioni che indussero il sullodato Professore a ritenere Corinto più popolata di Sira- cusa, mentre molti riputati scrittori antichi, e li cita lo stesso Profes- sore, ritennero quest’ ultima, la più grande delle città elleniche con una muraglia, tutt’ ora visibile, di 27 chilometri di lunghezza, senza comprendervi l’Olimpico e suoi dintorni. Il sullodato prof. Beloch in quest’ ultima sua estesa opera, sopra citata, non tralascia di rammentare la potenza militare di Siracusa, che dominava in Sicilia e nella Magna Grecia; ricorda le promesse tatte da Gelone agli Elleni, offrendo un potente aiuto contro I inva- sione persiana, di numerosi armati e navi di guerra e ne cita le cifre; rammenta che minacciata Siracusa da una poderosa armata cartaginese sotto il comando di Imilcone, Dionisio la fortificò con una estesa e solida muraglia costruita in pochissimo tempo, impiegandovi 60 mila uomini, e narra ancora la intrepida spedizione di Agatocle in Africa. Ma tutto questo a nulla valse, ed il sullodato prof. Beloch, con sue speciali argo- . mentazioni, conchiude, che le cifre della popolazione di Siracusa, asse- rite da Diodoro e Plutarco e dagli stessi Timeo ed Erodoto, sono esa- gerate ed inammissibili; però conchiude, che all’epoca di Agatocle, di Timoleonte e di Gerone II, la suddetta popolazione di 60 mila abitanti fosse aumentata del doppio; ma non contento di ciò, soggiunge « che «non avrebbe prove in contrario per opporsi a coloro che farebbero « arrivare questa popolazione di Siracusa a:200 mila abitanti, dappoichè «l’aggiunzione del nuovo quartiere, la Neapolis, lo prova. » Noi non possiamo ammettere questa causale dello incremento della popolazione di Siracusa escogitato dal sullodato professore, dappoichè sappiamo , che tutti gli avanzi dei monumenti di questo nuovo quar- tiere appartengono nella maggior parte all’epoca romana, comincian- do dall’Anfiteatro sino a quelli che si osservano nella contrada prossi- ma al Porto grande. L'incremento della popolazione della Neapolis si verificò dopo il sac- cheggio di Siracusa, per opera di Marcello, a detrimento di Acradina e della contrada ove esisteva l’Arsenale del Porto piccolo, e a detrimento ancora dell’isola di Ortigia, dalla quale i Romani espulsero i Siracusani e divenne la sede del Governo ed il sicuro soggiorno dei cavalieri romani. All’epoca della guerra cartaginese del IV. sec. av. C., sotto il domi- nio di Agatocle, si perdettero i frutti ottenuti dai Siracusani nel V. se- IT 53 EURYALOS colo e parte nel IV. per la sua spedizione in Africa, nel mentre i Punici assediavano Siracusa, ciò che costò la perdita di molti uomini. Vero si è che Agatocle prese Tunisi, ma le sue truppe si rivoltarono ed esso vi per- dette il figlio. La sua assenza da Siracusa rese illusoria la vittoria riportata dai Siracusani contro i Cartaginesi all’Epipoli presso l’Eurya- los, nella stessa località ove fu battuto Demostene al tempo della guerra ateniese. Le atrocità poi commesse da Agatocle con la strage di innu- merevoli cittadini, non potevano far altro che diminuire e non accre- scere il numero della popolazione di Siracusa. Dopo questo tiranno, nessun energico governo, nessun fatto rilevante contribui ad aumentare la potenza di Siracusa. Lo arrivo di Pirro co- me una meteora, ben dice il prof. Holm, non lasciò traccia alcuna, e lo aiuto di Timoleonte coi suoi Corintii, potè abbattere il reggimento dei tiranni per qualche tempo, ma dopo la morte di questo fiero e fa- moso repubblicano, risorsero i tiranni: Gerone II e Geronimo. Il prof. Beloch nella sua memoria, senza tener conto di quello che disse precedentemente, a pag. 60 della traduzione citata, ci dà un det- taglio della popolazione della Sicilia, che si aveva secondo il suo parere, nell’anno 415 avanti l'era volgare: cioè al tempo della guerra ateniese. « A Siracusa assegna un territorio di 4800 chilometri quadrati con «una popolazione di 240 mila abitanti. «A Messina, Nasso, Catana, Camerina e Gela un territorio di 4610 < chil. quad. con 184 mila abitanti. «Ad Agrigento un territorio di 3100 chil. quad. con una popolazio- «ne di 124 mila abitanti. «A Selinunte un territorio di 950 chil. quad. con 33 mila abitanti. «Ad Imera un territorio di 1500 chil. quad. con 39 mila abitanti. « Ai Fenicii assegna un territorio di 800 chil. quad. con una popo- «lazione di 40 mila abitanti. « Agli Elimi un territorio di 1850 chil. quad. con 40 mila abitanti. « Ai Sicoli e Sicani liberi un territorio di 8050 chil. quad. ed una < popolazione di 120 mila abitanti. « Totale superficie della Sicilia 25460 chil. quad. con una popolazione «di 820 mila abitanti. » Dall’esposto risulta, che la popolazione greca di tutta la Sicilia oc- cupava nell'epoca determinata dal prof. Beloch, 14760 chil. quad.: que- sta popolazione , compresi gli antichi abitatori di quest ‘Isola, che in parte si erano grecizzati durante il periodo di 313 anni, ascendeva a 620 mila abitanti, cioè, circa 42 per chil. quad. In ultimo però, il sullodato prof. Beloch dichiara, che nell’assegnare alla Sicilia 820 mila abitanti, non lo ha fatto in modo assoluto , e fa- E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA 59 cendo certi confronti ipotetici fra quest’Isola ed il Peloponneso, si in- duce ad aumentare il numero degli abitanti di Siracusa, così di Agri- gento e dei Sicoli, e raddoppia quasi la popolazione di Messina, Nasso, Camerina e Gela; in guisacchè , da questi suoi confronti ne deduce, che la popolazione della Sicilia si può elevare ad un milione e 175 mila abitanti. Noi non siamo da tanto da poter seguire quanto dice il prof. Beloch nella sua dotta memoria, però ammiriamo le scrupolose citazioni sopra ‘i classici, e la diligenza messa nel raccogliere dati statistici. Molte sue argomentazioni, a nostro parere, si potrebbero accettare; ma a che giova citare tanti autori per poi conchiudere che le cifre date dagli stessi sulla popolazione della Sicilia sono tutte sbagliate comprese quelle date da Erodoto e da Plutarco? A che serve rammentare le parole di Timeo, che chiama Siracusa «la più grande delle città elleniche» e quelle di Teo- crito che la dice «la grande città della Lisimelia? » I dati statistici del prof. Beloch avrebbero potuto correggere in qualche modo plausibile le esagerazioni dei classici, ma le sue dedu- zioni non sono convincenti, nè punto basate sopra principî teorici sta- tistici, nè tampoco sopra fatti inappuntabili ; ed è per ciò che le sue molteplici conclusioni sulla popolazione della Sicilia sono disparate. Dice il sullodato Professore, che l’Attica è la decima parte della Si- cilia ed aveva in quell’ epoca una popolazione di 250 mila abitanti ; dice ancora, a pag. 24 della sua cit. mem. che il Peloponneso, sin dal secolo V.av.C.,fu costretto ad importare grani forastieri per il nutrimento della sua popolazione, mentre la Sicilia, durante l’evo antico, esportò grani in grande quantità, olii, formaggi etc. ete. Dall’ esposto si può ritenere, che in proporzione la Sicilia poteva avere per lo meno una popolazione dieci volte maggiore dell’ Attica, cioè 2 milioni e 500 abitanti; ma il prof. Beloch, pone avanti il suo veto con un’asserzione non motivata, cioè, che la Sicilia non poteva essere più popolata della madre patria. E qui crediamo indispensabile esaminare se regge la comparazione che si vuol fare dal sullodato Professore, tra la Sicilia e la Grecia, tanto della rispettiva conformazione fisica, quanto del reggimento poli- tico ed amministrativo, come ancora dell’ubertosità di questi due paesi. La Grecia è materialmente frastagliata da numerosi seni di ma- re. Il grande seno Eubiacus divide l’Eubea dall’ Attica, dalla Beozia e dal Locrese. Il seno Laconicus, con l’isola di Egina nel centro ed il seno di Corinto con l’istimo dello stesso nome, che li divide, separano le regioni sopra menzionate, dal Peloponneso: e questa grande penisola 60 EURYALOS è tripartita dai seni: Argolicus, Laconicus e Messeneacus; ed è divisa da due catene di montagne nude e rocciose, che separano 1’ Argolide dalla Laconia e questa dalla Messenia, lasciando a nord i territorii di Elis e di Acaia, bagnati dalle acque del seno Corinthiacus. L’Arcadia, circondata da montagne, ha due piccole vallate; una all’o- riente con molte lagune e la città di Mantinea, e l’altra ad occidente con la città Heraea, presso la quale si riuniscono i confluenti del fiume Alpheus, che bagna un lato del santuario di Olimpia. Ogni parte della Grecia così divisa, aveva il proprio reggimento politico ed ammi- nistrativo. i La lotta dei partiti e quella delle razze, la Dorica e la Jonica, con variate civiltà e legislazioni, erano continue , però non davano luogo ad un ingrandimento di una regione a scapito dell’altra; e si conosce bene, che i greci tutti non lo permettevano e ad ogni tentativo si col- legavano per impedirlo. Corinto contro Argo, Messene contro Sparta e questa ancora contro Atene si combattevano continuamente. Queste due ultime città, di razze differenti, lo facevano per ottenere l’ egemonia sopra tutta la Grecia; e la terribile guerra del Peloponneso, combattuta tra queste due razze, produsse la decadenza morale e materiale di tutta la Grecia. Il dualismo importato dai Dorî e Jonî nella Sicilia non fu di lunga durata; ed è noto che la dorica Siracusa assorbì Megara e Leontini, e spedi una colonia a Catana ; ed all’ epoca di Dionisio s’ impossessò di Naxos. Tindari fu fondata sullà costa settentrionale della Sicilia, dai Sira- cusani, e quésti, avevano prima richiamato dall’ esilio Ducezio e lo agevolarono a fondare, nella stessa costa settentrionale della Sicilia , Calacta. Enna fu ripopolata dai Siracusani e Dionisio I, oltrepassato il fiume Imera meridionale, prese Mozia, che era il nido della razza pu- nica, ed agevolato dai Sicani impose ai Moziesi di fondare Lilibeo. Per essere brevi lasciamo da canto altri fatti d’armi operati dai Si- racusani in Sicilia quali sono: la distruzione dei punici all’assedio d’I- mera, le vittorie riportate contro gli Ateniesi e la sconfitta di Imilcone all'Olimpico, operata dal vecchio Dionisio etc. ete. e solo facciamo notare che Siracusa era senza competitori in Sicilia, e la sua potenza era tale da potere estendere la sua influenza sino nella Magna Grecia. Quale paragone si può fare adunque tra la Sicilia e la Grecia ? Volendo dire qualche cosa della conformazione fisica della Sicilia, vediamo che quest’ Isola non è tagliuzzata come la Grecia, nè frasta- gliata da innumerevoli monti nudi e rocciosi. E LE OPERE DI DIFESA DI SIRACUSA bl La Sicilia ha una catena di montagne, che si estende nel lato setten- trionale della stessa, i cui estremi determinano il Capo Peloro da una parte e dall’altra parte il Lilibeo, o meglio, il Monte Erice. Da questa catena e precisamente da Enghion, se n’estende un’altra che è quella dei monti Brei, la quale, traversando Enna, situata nel centro della Sicilia, termina al Monte Lauro, e propriamente al Capo Pachino; di guisacchè, questi tre capi determinano la configurazione triangolare della Sicilia detta Trinacria. <- Quest’Isola non ha articolazioni ; essa è un paese solamente diviso dalle due Imere in due regioni, orientale ed occidentale. La fertilità del territorio dei Geloi edi vasti campi dei Lestrigoni, così detti nelle tavole, i quali comprendono il paese dei Leontinoi, nonchè quella grande superficie della così detta piana di Catania, insomma, tutta la terra di Cerere, produceva tanto grano che lo esportava all’estero e segnatamente nella Grecia, la quale, coi suoi scarsi prodotti non poteva nutrire i suoi abitanti; e non potendo, una gran parte degli stessi, fare acquisto dei prodotti che s’ importavano nel loro paese, erano obbligati ad espa- triare e mandarono colonie in Italia ed in Sicilia; non già perchè questi paesi erano spopolati, ma perchè in essi vi trovavano 1 abbondanza. La Sicilia era povera di metalli preziosi, ma con il cambio delle sue produzioni, introitava tanto oro ed argento da fare stupire oggi tutti coloro che visitano le raccolte di monete e medaglie coniate in questa Isola e che si osservano nei musei di tutta l’ Europa. Il numero dei tetragrammi di Siracusa è immenso e la bellezza dei loro tipi servì di modello agli stessi greci. Paragonando le monete antichissime di Egina con la impronta di una testugine in un pezzo informe di argento e le stesse medaglie di argento di Atene, con le monete incuse di Siracusa, si resta convinti della supe- riorità della coniazione delle monete della Sicilia, tanto per bellezza che per eleganza di stile e pel loro numero. Gli Elleni, e particolarmente i Corintii, ed anche gli Ateniesi poterono importare al loro arrivo in Sicilia statuette di terracotta, marmo di Paros e Pentalico e forse qualche statua; ma non potevano questi co- loni greci fare in Sicilia quello che avevano saputo fare nella madre patria ? Il Peloponneso non arriva a quattro quinti della Sicilia e 1’ Attica, comprese le isole di Salamina e di Egina, non ne è che la decima parte: posto ciò e provata storicamente la ubertosità della Sicilia, non sodisfa l’asserzione che la Sicilia non poteva avere una popolazione maggiore della Grecia; ciò non può dirsi con una semplice asserzione, ma si 15 62 EURYALOS deve provarlo con attendibili dimostrazioni, che abbiano un riscontro storico. Il numero di 120 mila Sicoli e Sicani accennato dal Prof Beloch, se da un lato sta in relazione colla popolazione della Sicilia, nel 413 avanti l’èra volgare, supposta dal sullodato Professore, dall’altro, non risponde alle numerose città che sappiamo essere state occupate da questi popoli, come sarebbero quelle delle Ible e della Pinnita; quelle lungo gli avvallamenti del Motukano, dell’Irminio e dell’Elero; quelle delle colline che da Lentini si estendono sino al Capo Santa Croce; quelle della valle d’Ispica, di Acri, Buscemi, Cassero e la Ferla; quelle di Pantalica, di Gibel-Gabib presso Caltanissetta, di Licata, Butera, Caltagirone, Erbita e tante altre sconosciute, tanto nella parte orientale della Sicilia che nella parte occidentale. 3 Il numero di centinaia di migliaia di tombe di Sicoli e di Sicani e la vastità delle Necropoli preelleniche da noi in parte studiate , rilevate e disegnate, ci danno un certo dritto di affermare , che maggiore di quello supposto dal prof. Beloch doveva essere il numero di questi popoli, che soli, prima della venuta in Sicilia delle colonie elleniche, abitavano e dominavano in questa Isola, alla quale diedero il nome che portava e porta tutt'ora. Vero si è che Dionisio concesse ai Cillirii ed ai Sicoli di potere pren- dere parte alle vicende politiche di Siracusa e quirdi, allettati di que- sto privilegio, con maggiore ‘affluenza si avvicinavano ai greci; ma il loro numero doveva essere considerevole ; epperò siamo di opinione che una non indifferente quantità di questi popoli, avendo a loro di- sposizione un vasto ed ubertoso territorio, non sentivano 1’ impellente bisogno di far causa comune cogli invasori della loro patria, mettendo da canto gli usi, i costumi, la religione e l’odio naturale che dovevano sentire per questi popoli ellenici. Il Prof. Beloch dice, che gli abitanti di Selinunte potevano essere dai 20 ai 25 mila. Togliendo da questi, secondo i calcoli più comuni, una metà per il sesso femminile e dalla rimanente metà quelli infe- riori ai 16 anni, i vecchi e gl’infermi, si ha che la popolazione utile si rendeva ad un quinto. Se da questi si tolgono i marinai, che dove- vano essere in gran numero, perchè Selinunte ebbe una potente flotta, seconda dopo quella di Siracusa, nonchè gli agricoltori che per una buona parte dell’anno erano occupati ai lavori di campagna, non resta che uno sparuto numero di uomini validi, che poi non erano tutti ta- gliapietre, muratori, falegnami, intagliatori, scultori, fabbri-ferrai, mo- dellatori di ornati di terracotta, ingegneri, capi d’arte, assistenti, ecc. Posto ciò, chi costrui gl’innumerevoli monumenti, i cui avanzi vediamo E LE OPERE DI DIPESA DI SIRACUSA 63 ancora, senza tener conto di quelli distrutti dalle guerre, dai secoli e principalmente dalla mano dell’uomo? Forse si deve ammettere che i Selinuntini si valsero dell’opera dei loro nemici, gli Elimi; ovvero fu- rono spediti dalla madre patria greca gli artefici che li costruirono ? Aggiungiamo che i tempî di Selinunte non potevano essere costruiti in principio dell’occupazione della località, ove sorse questa città, da parte dei Megaresi, che dovevano contrastarla agli antichi possessori, i Segestani; e poi dovevano pria occuparsi della costruzione delle loro abitazioni e delle mura dell’Acropoli per renderla atta alla difesa. Solo una popolazione numerosa, nel breve tempo della esistenza di questa città, che non fu che di soli 200 anni circa, poteva portare a compimento si numerosi e sì importanti monumenti, come è quello fuori l’Acropoli, che è un colosso paragonato ai più grandi tempî della madre patria greca istessa. E che numerosa doveva essere la popola- zione di Selinunte lo prova ancora il fatto, che non bastando la Ne- cropoli di Galera-Bagliazzo, ne aggiunsero un’ altra vastissima, quella di Manicalunga, le cui tombe, tanto dell’una che. dell’altra Necropoli, erano corredate di bellissimi e svariati vasi e di numerose statuette (1). Sulla grandezza, opulenza e bellezza di Agragante, tutti gli scrittori sono concordi a ritenerla la seconda città della Sicilia, dopo Siracusa; nè si può mettere in dubbio quello che ne dice Diodoro Siculo, attinto dalle notizie storiche di Timeo, sulla popolazione di questa città. Ma tra- lasciando ciò, basta gettare uno sguardo sui suoi monumenti per farsi un concetto quasi esatto della stessa. Il colossale tempio di Giove Olimpico coi suoi giganti; i bellissimi avanzi del tempio di Ercole, situato presso la porta Aurea; i tempî detti della Concordia e di Giunone Lucina, situato quest’ ultimo a ca- valiere della collina che sovrasta la congiunzione dei due fiumi, oggi torrenti, Agragas e Hvpsas; gli avanzi del tempio di Castore e Polluce; quelli di Vulcano ed Esculapio, fuori le mura della città; il tempio di (1) Vedi quelli in gran parte da noi raccolti negli scavi fatti nelle Necropoli di Seli- nunte, classificati nel Museo Nazionale di Palermo e da noi pubblicati ; nonchè quelli ultimamente trovati in Selinunte dal Salinas; ma ancora non classificati nè pubblicati, e che, anch'essi, si trovano nel detto Museo. Sopra Selinunte, oltre i lavori dell’Hittorf, del Serradifalco con le nostre tavole, abbiamo la importante opera del Prot. Benndorf « Die Metopen von Selinunt » e le nostre memorie pubblicate nel Bullettino della Com- missione di Antichità e Belle Arti di Sicilia, N. IV, V e VI, con la topogratia dell’ A- cropoli di questa città e dei gruppi dei tempii fuori la stessa. Per maggiormente ap- prezzare l’importanza di Selinunte, vedi la nostra monografia illustrata da una tavola, pubblicata nell'Archivio Storico Siciliano, la quale fa parte della nostra memoria « Sulla topografia di talune città greche della Sicilia,> pag. TT a 112. 64 EURYALOS Atena nell’Acropoli, giustamente così denominato dal Prot. Dott. Julius Schubring, e finalmente il tempio dedicato al giovane Agragus, detto di Cerere e Proserpina; tutti questi tempî, oltre i monumenti distrutti che dovevano esistere, e senza tener conto della vasta Città che tutta- via si osserva nello spazioso sito detto oggi la Civita, pieno di ruderi antichi, di musaici, e di edicole, potevano essere costruiti da una po- polazione di soli 60 mila abitanti nel breve periodo dell’ esistenza di questa città fondata dai Geloi nel 581 av. C., due volte distrutta dai Cartaginesi nel IV sec. av. C. e nel 262 avanti l’ éra volgare dai Ro- mani che fecero schiavi 25 mila cittadini ? Che dire poi di Siracusa? Vero si è che pochi sono i tempî ed i monumenti che si osservano tutt’ ora in questa città, ma si può sup- porre che in gran numero dovevano essere ; la storia ne menziona molti; ed è un fatto incontrastabile, che cominciando sin dalla lontana Messina, tutte le città di quel littorale furono riedificate ed edificate in gran parte con il materiale proveniente dagli antichi monumenti di Siracusa; così le scogliere e gli argini di difesa contro le mareggiate. L’ ultimo vandalismo fu commesso dagli spagnuoli, quando costrui- rono le fortificazioni di Ortigia, le quali fortificazioni, poco tempo fa, si vedevano ancora in piedi : che poi doveva essere più grande Siracusa di Agrigento lo prova ancora il fatto che invano tentarono le poderose armate di Atene e Cartagine di impossessarsene. La mancanza di positivi dati statistici, nel vero senso della parola, obbligò i sullodati Professori Holm e Beloch a ricorrere alla storia. Essi con diligenza, esaminarono : la potenza militare della Sicilia ed il numero delle truppe degli invasori della stessa; le guerre e gli as- sedii sostenuti: le vittorie riportate e le perdite sofferte; l’estensione dei dominii di ogni singola città dell’isola e fuori di questa: le produzioni agricole, le scarse importazioni e le rilevanti esportazioni della Sicilia. Sono questi elementi, che non si possono nè si devono disprezzare, eppure le conclusioni dei sullodati Professori sono disparate; il primo assegna alla Sicilia, ai tempi della guerra ateniese , 5 milioni e 620 mila abitanti: il secondo, nella stessa epoca; soli 820 mila. Si può dubitare dell’esattezza delle cifre, ma non si può cancellare la storia, e quindi non possiamo concludere col Prof. Beloch che tutto quanto si riferisce dai classici sulla Sicilia è inattendibile. Se esagerata ci sembra la sopradetta cifra della popolazione, asse- gnata dal Prof. Holm alla Sicilia, inammissibile è quella del Professore Beloch. È Il tempo ci ha conservato gli avanzi di tanti monumenti che atte- E LE OPERE DI DIPESA DI SIRACUSA (079) stano la potenza, la prosperità e la ricchezza delle città greche della Sicilia, nonchè la loro cultura, sapere e civiltà; e quasi si può preci- sare il numero degli artefici che li costruirono. Noi non facciamo citre sulla popolazione della Sicilia in generale e di Siracusa in particolare che si avevano in quell’epoca; ma non pos- siamo essere contradetti da chicchessia quando ci riferiamo alle opere tuttavia esistenti e che stanno in relazione con la storia dettata dai classici. Questo fattore resterà ancora visibile per molti secoli come un testimone positivo di quello che fu la Sicilia. L’ epoca della più numerosa popolazione della Sicilia, secondo noi, dovette cominciare ai tempi di Gerone I, quando conchiuse la pace con Agrigento e si attuarono vincoli di parentela tra i due tiranni delle più grandi città della Sicilia. Progredi l'aumento dopo la vittoria riportata dai Siracusani nella guerra ateniese ed aumentò di molto al- I’ epoca di Dionisio I, dopo la vittoria riportata contro i Cartaginesi e principalmente quando furono da questo tiranno accolti qual cittadini i tedeli mercenarii ed i Sicoli. Prosegui tale aumento, durante il lungo tempo in cui regnò questo tiranno sino all’epoca di Dionisio II, il quale, come sappiamo, accoglieva con grande munificenza e regale ospitalità il più grande filosofo della Grecia, Platone. Assolutamente impossibile è poi essere di accordo, con il sullodato prot. Beloch, su quanto dice a pag. 62 mem. cit.; in essa si legge : «Ad ogni modo, il ristabilimento della pace per opera dei romani sin « dall’anno 210 av. C. produsse una nuova epoca di prosperità econo- « mica, ma nello stesso tempo un maggiore estendersi della schiavitù » dappoichè sappiamo che quel dominio chiamato di pace e di prosperità, segna nella storia il cominciamento di un’epoca la più funesta e la più disgraziata per la Sicilia; la peggiore di tutte le dominazioni registrate dalla storia anteriori e posteriori ai romani. Epoca di prosperità fu bensi per gli speculatori e per i magistrati, che senza ritegno rubavano, ed in virtù di qualche decreto smungevano il paese senza misericordia facendo soprusi incredibili, registrati in parte da Cicerone nelle sue Verrine. Il rilevante numero degli infelici strappati a viva forza dai romani, al loro domestico focolare di ogni paese e fatti schiavi per coltivare la terra onde nutrire Roma, veniva ricoverato negli ergastoli e gli intra- prenditori romani, per risparmiare il vitto che dovevano a questi di- sgraziati , li lanciavano nella notte sulla pubblica via per potersi sta- mare colle rapine. Potette questo stato di cose far aumentare il numero degli schiavi, ma i liberi cittadini diminuivano sensibilmente. 19 66 EURYALOS In quest'epoca di pace accaddero le due guerre servili. Le atrocità commesse dalla rabbia di tanti schiavi, di nazionalità diversa, senza famiglia, e circondati da crudeli padroni romani e siciliani, furono infi- nite; ed in quattro anni fecero subire ai Consoli, che risiedevano in Sicilia, tale disfatte da compromettere quasi la capitale del mondo, an- ch’essa travagliata dal mal reggimento. Per le stragi infinite da una parte e dall’altra, a migliaia diminuivano gli schiavi, parte eroicamente morti nelle battaglie e parte prigionieri venivano scannati; i fuggiaschi poi scorazzavano il paese devastandolo. Questa era la bella epoca della pace e prosperità ! (1) Il numero degli abitanti e dei coltivatori diminuì tanto nella Sicilia, che all’epoca di Augusto, una colonia fu spedita in quest’Isola accioeché non venissero meno i prodotti. Il Senato, per togliere le arbitrarie vessazioni, che commettevano i Pretori ed i Questori, li sancì per legge, senza migliorare le sorti del paese. Migliorò un poco la Sicilia nell’ epoca imperiale sino a quella degli Antonini; ma sotto gl’Imperatori che li successero, altre scelleraggini si commisero e specialmente contro i Cristiani. Ad onta di tante disgrazie si mantenne in Sicilia la razza greca e questa prese nuovo vigore sotto il dominio Bizantino, allorquando si fondò l’impero d’Oriente, dopo la divisione dell’impero romano. La Sicilia con l’apatia e leggerezza bizantina rese possibile l'invasione Araba. Siracusa venne negletta ed in Palermo s’installò la sede degli Emiri. Questa città in breve tempo divenne popolatissima con nume- rose Moschee e fabbriche di seta. La cultura degli Arabi le diede una grande importanza, alla quale ebbe seguito il felice dominio Normanno. La popolazione della Sicilia, sotto le diverse dominazioni, or diminuiva or cresceva enormemente, ma ciò prova, che in grazia della sua prover- biale fertilità, poteva mantenere una grande popolazione e questo viene provato con il numero attuale dei suoi abitatori, che ora arriva a due milioni e 700 mila; però vediamo chiaramente , che se fosse meglio coltivata e fossero rimboschiti i suoi MORE son ebbe mantenere una popolazione maggiore dell’attuale. (1) Leggasi l’opera del compianto storico Isidoro La Lumia, «Le guerre servili in Sicilia», pag. 54 VI e pag. 64. bidielle Rin Cieli e na i Pei at rei a e iii Sl Per PSN EP IR EA x RIPETO RO SERA da SPERI EN STR FIA TT SIR TN LE. O vi CAVALLARI - Euryalos SIRACUSA TAV R Gt EOMICLO NI te Da VERI Sam N, fas ES NEO S UA TO a Nin AN 1 ES È Pianta del Castello e suoi accessorî F. Saverio Cavallari 1892. Fossato e sotterranei dell’Euryalos CAVALLARI - Euryalos SIRACUSA IVACVAN L'SRIEII GRID eee - ta a 1 came no | Prospetto occidentale del Castello IRE 2, PF. Saverio Cavallari 1892. Lato delle mura che riunisce quelle di nord col Castello PF. Saverio Cavallari 4892. Torre nord-ovest del Castello ReLStEU SERRA II DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE NEL R. OSSERVATORIO DI PALERMO (VALVERDE INEGLI ANNI 1893-94 WE LS Anno e mesi Settembre. . . . . Ottobre Novembre . ... Dicembre. ... .. Medie. . BAROMETRO Soa RS mn Moi. mm 76542] 31 |750,93) 736,30 76542 1 |757,28 744,00 16451 13 |75756) 74940 765,55) 16 | 56.51! 74450 75928 3 |755.25|745,60 76042) 18 |755,28) 746,38 758,10] 16 754,64 749,69 759.55] 16 | 756,38) 749,57 761,45) 14 |756,02 74950 763.94) 2 |75711|753,30 763.90. 29 |753,99) 739,60 765,90. 16 756,03) 743,68 755,58 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGI TERMOMETRO CENTIGRADO pi "3 3 = = 3 = Z ERA plz: ta | o (1) 8.92|-02| 95 SW VENTO. < | 0 = = © | © EA 5 E i z leg [si = | N = s È S Z | E | © | = o | | = si 47.1 3234098 | Po | ac 6.8 | 32,2 | | Massimo . . | | Medio... .. Minimo. . . Massima forza del vento = Km. 57,5 il generale del barometro | 736,30 (17 Gennaio) 30 Novembre (65,90 (16 Dicembre) Escursione barometrica annua == 29,60. d CE mm. dd ÎL R. OSSERVATORIO DI PALERMO NELL'ANNO 1893 3 SE] | ann — || —T = Ir — |— ZA Dai | FRI |< te : 5 3 È GIORNI PIOVOSI 5 = |VENTO FORTE| TUONI | NEVE |GRANDINE generale del termometro <= 18,55 Escursione termometrica annua = 429,7 Minimo... . (RE — 0,3 (22 Marzo) E ishi 4 RIASSUNTO DELLE OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ESEGUID | BAROMETRO TERMOMETRO CENTIGRADO VEN TOS | 3 _g Av + | i E | È È È) 5 E ì Sl | z Z| 2A Z = = s È no e mesi o s - - - | : j - : x i 3 - A | 1894 | | i mm. mm. | mm. (o o o | km. | km i Gennaio. . . ... 764,80 17 |757,02| 744,40) 6 (197|2425|108| 10) 1| sw 364) S Febbraio . .... ‘767,50| 3 |758,30/ 75050| 19 | 217| 28 | 12-04] 15| sw | 54| 390005008 Marzo. <. .... [76246] 4 |755,25|74630 31 | e15| 1 | 1229] 08| 27 | sw | ro 550 | S Anilieo o da evo 176087 15. | 753,95) 741,00) 20 975 20 15,68 3,4 5 | NE 6,8 43,0. S Maggio ...... (759,00) 81 |753,76|748,00| 24 | 296| 23 | 18,92| 72| 3 | SW | 67 | 265 NN Giugno. .... | 760,97 18 |757,42/752,66| 11 | 322| 28 |2240| 102) 17 | NE | 51 | 240 | NN Tuglie sore. lzeos1| 1 |75620 75212) 11 | d06) n [2630] 150) 9 | ne | 55 | 260] x Agosto . .. ... torsi 24 |756,49 751,90 14 | 375| 28 | 2614/ 150| 22 | sw | 4 | 20 Settembre. . . . . |760,30| 12-13 | 756,34| zago) 30 | 40,8] 11 | 2612] 140| 24 [(swnw| 60 | ss] Sf Ottobre . . .... 761,33] 28 |755,99 749,66) 3 | 56 | 21 .| 22,13] 10,8] 29 | sw | 6s-| 540 {w Novembre . .-. . 762,76) 29 |T57,15|745,10| lo | 25,7| 1 |1612) 73) 29 | sw | 42 | 230 NN | Dicembre. . .. . |762,30| 26. |753,23|738,74| 31 | 21,8 | 6 | 11,26 0,0 19 SW 9,0 35,4 ES | | Î Medie. . | T55,84| | 18,25 | 63 Massimo . . Î Medio... . . 167,50 (3 Febbraio) 5) Minimo . . . | 758,04 (31 Dicembre) mm. » generale del barometro , 94 Escursione barometrica annua = 28,76 Massima forza del vento — Km. 54 alle 2h del 26 Ottobre PIOGGIA I GEOFRENUNCON WI Medio. . .. Minimo . . . \ — > generale del termometro 18,25 Escursione termometrica annua = 419,2 0,4 (15 Febbraio) o | St S IAC Mi: Ss ll È E GIORNI PTOVOSI è® = |VENTO FORTE) TUONI | NEVE |GRANDINE CES Spa | Bia di I 2) | | Ta A EI Il | [Coperto || 1,2,4,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,17,27,28,29,30,31 106,17|3,4 ED) Misto || 116,17,18,19,20,21,22,25 84,40 13,14 = A Coperto |6,7,8,13,14,15,16,17,18,19,20,25,26,31 74,03| 15,16,30 = = 0 |15,25 Misto | 13,14,17,19,21,22,24,29,30,31 75,44| 13,14,17,19,21, -|21,24,30 2 Ae 22,24.29,30,31 Misto |2,5,6,10,14,15,16,19,22,28 51,92| 3,5,6,10,14,15,16,| 20,22 ui 9,29,98 Sereno || 13,14 1,01 _ 30 —_ —_ Sereno | — = _ _ —_ _ | Sereno | — De dl; 2a 30 Rata Sereno | 19,20,30 10,07| 9,13 Ls ne i Misto | 2,3,4,5,6,7,10,11,13 81,27|15,18,20,21,22 |2,4,12,13,| — È 15 | IRE Misto |\9,10,11,13,14,15,22,24,25,26 51,07 = = = = | 70,6 {Coperto |1,2,7,8,9,10,11,12,13,16,17,20,21,22,23,24,25,26,28, |305,94| 7,,19,30 LO: = = (8 29,30,31 \| 44,8 | Misto 841,32 \ Massimo . . \ 40,8 (11 Settembre) UE Ri Di liano LATE IA de . sb JE In. Y. Acedamv of fciences Rec’d Mar. 21 - Apr. 14, 188 DELLA REALE ACCADEMIA DI SCIENZE SEESEER ERBE EEE ARR DINE ZA SIRERREVI® (Anno 1894) Volume ITI. AOAAEAr PALERMO TIP. FP. BARRAVECCHIA E FIGLIO 1895 ATTI DELL'ACCADEMIA — SCIENZE, LETTERE ED ARTI. | | DI PALERMO vee che fu già Accademia del BUON GUSTO i _ PRIMA SERIE Saggio di dissertazioni dell’ Accademia Palermitana del Buon Gusto. 1 5 Saggio di dissertazioni dell’Accademia Palermitana del Buon Gusto dop sua reintegrazione l'anno 1791... . +, > NUOVA SERIE Atti dell’ Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti : è ls VOR IO VOLI, o e N Vol n e i NOR de O VO EER e SO SR Sa OA IR N VOolINI At e N AI st dio ada feaaD SRIT ORE VOL VII N RI) RA AO RO ROIO A IIS VOTI A E O AE e E Vol Meo re i el I O CI, NIGER IE RANE or MATO alri raf Ria CURO TERZA SERIE VOLE 0 LO N A ai O VIBO! ERE OR I O E Vol o o eli CORE, PIRO gii SLI SO Mt) MAI Ù ZA O int sai Te= 25 te A UD di Lr x A n Î DIMORA! MISDOR AMNH LIBRARY © È. \/ ep Sy? 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