o ‘dad, ag 0° Ai VE (eu ate: A \ x IS ZA) i, ANS bs: - x 23 Vi; AZ ni E pr _ < » dj, \9 z SE bT 9 se Zia” = (= -) SN = = 2,4 J >< ; , => pel asa }) ae dr, 7 SDA a INR? SAPESSI LAM ENNE EVI vr STIRO A a Dal DELLA REALE ACCADEMIA SCIENZE, LETTERE E BELLE ARTI DI PALERMO CSA NT si vi / va TA E TI DELLA _ REALE ACCADEMIA DI Ob 6,9) SCIENZEDERISEPEREe6 BEELEVARTI DI PALERMO TERZA SERIE (Anno 1900-1901) PALERMO TIPOGRAFIA F. BARRAVECCHIA E FIGLIO = 1902 nioni, de’ sistemi e delle dottrine comprese ne qui pubblicati. i i Hagen Tavola delle materie Magistrato Accademico. SampoLo Pror. Lurci. — Relazione Accademica per l’anno 1900. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE Zona Pror. TemistoCLE. — Deformazioni del Sole all'orizzonte. » » » — La Rugiada. AxcrLTTI Pror. Filippo — Sulle principali apparenze del pianeta Venere durante dodici sue rivoluzioni sinodiche dal 1290 al 1309 e sugli accenni ad esse nelle Opere di Dante. SoLer Inc. E. — Su certe rappresentazioni a linee isoperimetre date, » » » —- Sopra una nuova proiezione Geografica compensativa. VENTURI Pror. A, — Determinazioni di gravità relativa nella regione occidentale della Sicilia. PaGLIANI Pror. SreFrANO. — Sulla teoria dell’attrito di N. Petroff. CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE PaoLucci Pror. GiusePrPE — La giovinezza di Federico II di Svevia e i prodromi della sua lotta col Papato. CLASSE DI LETTERE ED ARTI AzzoLina Ligorio — L’anno della nascita di Dante Allighieri. COMMEMORAZIONI ‘SamPoLo Pror. LuirGr — Vincenzo Errante. » » » — Abate Vincenzo Crisafulli. MaGGIORE-PERNI Pror. FRANCESCO. — Giovanni Bruno e le sue dottrine economiche. NaroLI Pror Lurci. — Giuseppe Verdi. FaGGI Pror. ApoLro. — Vincenzo Gioberti esteta e letterato. COMUNICAZIONI Riassunto delle osservazioni Meteorologiche eseguite nel R. Osservatorio di Palermo (Valverde) nell’anno 1900. AIA si RARI RSA USO] (OA IA E PORCA A dotati arte Le PATRONO IL MUNICIPIO DI PALERMO PROMOTORE Il Sindaco di Palermo: COMM. GIUSEPPE TASCA LANZA =- —.0 MAGISTRATO ACCADEMICO Presidente DI GiovAaNnNI Comm. Mons. Vincenzo, Arcivescovo in partibus di Pessi- nonte, Professore di Storia della Filosofia nella R. Università di Pa- lermo, Membro dell'Istituto di Francia. Vice-Presidenti GemMELLARO Comm. Gaetano Giorgio, Professore di Mineralogia e Geo- logia nella R. Università di Palermo, senatore del Regno. RIiccA SALERNO Comm. Giuseppe, Professore di Economia Politica nella R. Università di Palermo. Segretario Generale SamPoLo Comm. Luigi, Professore di Diritto Civile nella R. Università di Palermo. Classe di Scienze Naturali Direttore CALDARERA Comm. Francesco, Professore di Meccanica razionale nella R. Università di Palermo. Anziani CERVELLO Comm. Vincenzo, Professore di materia Medica e Farmaceu- tica sperimentale nella R. Università di Palermo. MacaLUso Comm. Damiano, Professore di Fisica nella R. Università di Palermo. : VOI Segretario della Classe Guccra Cav. G. Battista, Professore di Geometria superiore nella R. Uni- versità di Palermo. Classe di Scienze morali e Politiche Direttore MAGGIORE-PERNI Avv. Francesco, Professore di Statistica nella R. Uni- versità di Palermo. Anziani SALVIOLI Cav. Giuseppe, Professore di Storia del Diritto Italiano nella R. Università di Palermo. GUARNERI Prof. Andrea, Senatore del Regno. Segretario della Classe N. N. Classe di Lettere e Belle Jirti Direttore PitrÈ Comm. Ginseppe, Dottore in Medicina. Anziani SALINAS Comm. Antonino, Professore di Archeologia e Direttore del Museo Nazionale. N. N. Segretario della Classe Amico Cav. Ugo Antonio, Professore di Lingua Italiana nel R. Liceo Vit- torio Emanuele. Segretario aggiunto SALOMONE-MARINO Salvatore, Dottore in Medicina, Professore di Pato- logia speciale. Tesoriere ZONA Prof. Temistocle, Primo assistente all'Osservatorio Astronomico. RELAZIONE ACCADEMICA Per l’anno 1900 letta il 17 Novembre 1901 Alla R. Accademia di Scienze, Lettere e. Belle Arti DAL Prof. LUIGI SAMPOLO Segretario Generale della medesima LOGL di RELAZIONE PER L'ANNO 1900 Sommario : Nomina di soci attivi ed onorari — La custodia del diploma del Duca degli Abruzzi — Causa d'Andrea — Pareggiamento della nostra Accademia con quella delle Scienze di Torino — Pubblicazione del vol. V degli Atti e del Bollet- tino per gli anni 1894-98 — Letture di Angelitti, Zona e Borzì — Ricordo dei soci : Vincenzo Crisafulli, Fedele Pollaci Nuccio, Francesco Agnetta e Gentile — Ricordo Adolfo Holm, Innocenzo Guaita e Carlo Hermite. Nel gennaio del 1900 l° Accademia riempi i vuoti nelle varie classi dei soci attivi e sono entrati nella prima i professori : Arturo Marcacci, Francesco Gerbaldi, Filippo Angelitti, Michele Capitò, Giovanni Mai- sano; nella seconda i professori Lucio Papa D'Amico, Salvatore Ricco- bono, Giacomo Giri; nella terza i professori Ernesto Basile, Fedele Pol. laci-Nuccio e il professore Giuseppe Paolucci. Così le classi degli attivi sono quasi al pari. Non dubitiamo che i novelli soci gareggeranno con gli antichi di zelo e di operosità. Il decreto approvante la loro nomina è già pervenuto, abbenchè tardi. Uno solo degli eletti, l’egregio Cav. Pollaci Nuccio, essendo anzitempo mancato, il decreto è stato inviato alla vedova, cui resterà come docu- mento della stima in cui era tenuto da noi il rimpianto suo marito. Soci onorari furono eletti in quella tornata per acclamazione il Duca degli Abruzzi, che con ardimento degno della nobile progenie a cui ap- 4 RELAZIONE PER L'ANNO 1900 partiene, è stato l’ultimo grande esploratore delle inospiti regioni del polo Nord. Per suffraggi unanimi : il dottor Fridtjof Nansen, professore di geologia nell'Università di Cri- stiania, esploratore del Polo Nord prima del Duca degli Abruzzi; il Barone prof. Nordenshjold, insigne geografo, che intraprese e di- resse il viaggio della Vega, apportando utili risultamenti per la scienza e specialmente per la geografia; il prof. Weit Brecheu Wittriek di Cristiania, uno dei più illustri bo- tanici viventi; l’Arciduca Luigi Salvatore, della Casa di Ausburgo, notissimo esplo- ratore dei mari, insigne scrittore di scienze naturali e grande amatore dell’isola nostra; il prof. Senatore Pasquale Villari, storico illustre, Presidente della Società Dante Alighieri e ora anche dell’Accademia dei Lincei, autore della storia di Girolamo Savanarola e di Niccolò Machiavelli, già mi- nistro della pubblica istruzione; il prof. Contardo Ferrini, valente romanista, dell’Università di Pavia, degno successore di Zachariae von Linghenthal nello studio del diritto romano in Oriente. Al Duca degli Abruzzi il diploma fu inviato entro una custodia in- tagliata, eseguita nello studio del chiarissimo scultore Savatore Valenti. Nel centro era la corona ducale per le persone Reali con una fascia portante la scritta: A S. A. A. él Duca degli Abruzzi; dall’ un dei lati la Trinacria con la data della nomina, dall’ altro l'Aquila, stemma del- l'Accademia con la leggenda: R. Academia Scientiarum literarum bona- rumque artium. Il Duca ringraziando l'Accademia della sua nomina lodava l’artistico lavoro del Valenti. Nella relazione per l’anno 1896 io scriveva: «La liberalità del Marchese d'Andrea ci avrebbe rilevato dallo stato pecuniariamente non prospero in cui versiamo. La Corte d’ appello di Napoli dichiarò il d’Andrea demente e nullo di conseguenza il suo te- stamento. La causa è stata sottoposta al giudizio della Corte Suprema. Qual ne sarà il successo ? Io non spero. Però il magistrato accademico ha difeso col maggior interesse i diritti dell'Istituto (1). (1) V. Relazione per l’anno 1896, Vol. Vi. RELAZIONE PER L'ANNO 1900 D To non m'ingannava, Il ricorso fu respinto, e son fallite le nostre speranze. I Signori Piro- maldo vincendo hanno proceduto per le spese. Le nostre opposizioni il tribunale accolse. Qual fine avrà la pretensione dei signori Piromaldo ? Ci difenderemo con tutte le forze. È così tenue l’ assegnamento del Municipio che qualunque assottiglia- mento ci recherebbe gravissimo danno. Il Magistrato Accademico avea presentato al R. Commissario Civile Ministro Codronchi una memoria per il pareggiamento della nostra alla R. Accademia delle Scienze di Torino. Ne ebbe risposta che ove si fosse nominato Senatore un socio di questa Accademia, il Senato avrebbe esa- minato la quistione del pareggiamento. Il Comm. A. Todaro della Galia, nostro socio, presentava al Re una memoria perchè l Accademia nostra si aggiungesse alle altre indicate nel decreto delle precedenze tra le varie cariche e dignità a Corte e nelle funzioni pubbliche. Il Ministro per la pubblica Istruzione On. Nasi rimise al magistrato Accademico la istanza del Todaro chiedendo se esso la facesse sua. Fu risposto nel seguente tenore : «Il Magistrato, vista la detta istanza e le considerazioni che l’accom- pagnano : «Visti i precedenti di questa Accademia, specialmente le istanze del 5 settembre 1881, 26 dicembre 1887 e quella del 1896 rivolta al Mini- stro Commissario Civile per la Sicilia, tutte tendenti a ottenere un atto da parte del Governo, il quale suonasse pareggiamento dell’Istituto pa- lermitano a quelli di Torino, Milano, Venezia, Roma, Napoli. « Considerando che ciascuna regione italiana ha il suo corpo accademico di nomina regia, che tale nomina regia è per la Sicilia esclusivamente riservata alla antica Accademia di Scienze e Lettere residente in Pa- lermo, fondata fin dal 1718 e posta di poi sotto gli auspici del Senato palermitano; « Considerando che il regno delle Due Sicilie si componeva di due re- gioni distinte e che l'Accademia di Napoli comprendeva gli scienziati del regno di terraferma e quella di Palermo serviva per quelli del- l’Isola ; «Considerando che come fu esteso il pareggiamento a quella di Napoli, giustizia vuole che si conceda egual trattamento a quella di Palermo che non è men degna delle altre per la sua importanza; 6 RELAZIONE PER L'ANNO 1900 « Confidando nella giustizia della causa e nello interessamento che un illustre ministro siciliano vorrà certamente avere per una delle più belle e antiche istituzioni scientifiche della Sicilia. « Delibera far voti a S.E.il Ministro della P.I. perchè, giusto quanto è formulato nella istanza del Commendatore Todaro, voglia promuovere da S. M. il Re un decreto che aggiunga il nome della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo a quelli della Categoria VIN N. 11 del Decreto reale 19 aprile 1868 riformante l’ordine delle prece- denze tra le varie cariche e dignità a Corte e nelle funzioni pubbliche ». Firmarono la deliberazione: Francesco Caldarera; Luigi Sampolo; Giuseppe Salvioli; A. Salinas; D. Macaluso; S. Salomone Marino; T. Zona; Museppe Pitrè. Più tardi fu spedito al Presidente dei Ministri On. Zanardelli il se- guente telegramma : «Pende presso Consiglio Ministri istanza R. Accademia Palermitana « Scienze, Lettere, Arti pareggiamento alle altre Accademie di Torino, « Milano, Napoli. Prego E. V. prenderla debita considerazione, chieden- « dosi atto riparazione, giustizia ». Si attende da parecchi mesi. Nel 1899 si è pubblicato il volume V della Terza Serie degli Atti nel quale si leggono sei lavori, intorno a Scienze naturali, dei professori : Venturi, Zona, Soler e Urso - Ortega; uno del Prof. Salvioli intorno a Scienze morali e quattro di Lettere dei prof. Di Giovanni, Natoli, Pol- laci-Nuccio e Paolucci. Così in un decennio la terza Serie è già al V vo- lume cui prossimamente seguirà il VI. Non reco ciò a lode, perchè è nostro desiderio darne uno per ogni anno. Occorre però che s’accrescano i mezzi, essehdo troppo inadeguati ai bisogni i mezzi che abbiamo adesso. Si è pubblicato anche il Bollettino per gli anni 1894-1898 e insieme con esso il Catalogo degli Atti delle Accademie e Istituti Scientifici di Italia, d'Europa e d’ America che a noi si mandano in cambio dei no- stri Atti. Sono 52 Accademie e Istituti d’Italia e 120 stranieri. È una col- lezione importantissima, che invano si cercherebbe nelle grandi nostre biblioteche. I nostri soci sanno così ciò che si possiede e possono trarne vantaggio. Tre importanti letture, oltre la relazione accademica, si ebbero nella. seconda metà dell’anno. Conferirono i professori Angelitti, Zona e Borzìi; dei quali gli ultimi RELAZIONE PER L'ANNO 1900 ] due soci antichi e a voi già noti, il primo da pochi anni Direttore del nostro Osservatorio Astronomico e recente socio. Valente astronomo, è anche un dotto cultore di studi danteschi e ha pubblicato intorno alla Divina Commedia : Le stelle che cadono e le stelle che salgono. Sulla data del viaggio Dantesco. Le regioni dell'aria nella Di- vina Commedia. L'Angelitti ragionò su questo tema: Principali apparenze del Pianeta Venere durante dodici rivoluzioni sinodiche dal 1290 al 1808 e accenni ad esse nelle opere di Dante. Dante, egli disse, accennò alle apparenze di Venere nel capitolo 2° del secondo trattato del Convivio, e sembrerebbe che alla morte di Beatrice avesse notato la posizione di quel pianeta relativamente al Sole, e di poi contato il tempo prendendo per unità il periodo della rivoluzione si- nodica di esso pianeta, poichè narra che, quando gli apparve la donna gentile, la stella di Venere si era due volte rivolta nel suo epiciclo. Nella prima strofa della canzone : To son venuto al punto della rota il poeta accenna ad una congiunzione superiore di Venere col Sole : E la stella d’amor ci sta rimota Per lo raggio lucente, che la ’nforca Sì di traverso che le si fa velo: ciò che importa che il pianeta era alla massima distanza da noi. Nella Commedia si allude a Venere con grandissima probabilità in Purg., TRRLSS20E Lo bel pianeta che ad amar conforta, Faceva tutto rider l’oriente, Velando i pesci, ch'erano in sua scorta. e certamente in questi altri versi del Purg., XXVII, 94-96. Nell’ora.... che dall’oriente Prima raggiò nel monte Citerea, Che di fuoco d’amor par sempre ardente, dai quali luoghi si deduce che durante la visione Venere era stella del mattino, e stava verso il principio del segno dei pesci. Intorno a siffatti luoghi si son messe fuori varie opinioni. I passi più disputati sono questi ultimi della Commedia, dai quali si dovrebbe trarre che la Visione si riferisca all'anno 1301, perchè allora Venere fu real- 8 RELAZIONE PER L'ANNO 1900 mente mattutina. Pochi tuttavia intenderebbero portare la data della Visiore al 1501, i più si attengono sempre alla data tradizionale del 1300. Il nostro illustre socio prof. Angelitti presentò un prospetto dei prin- cipali fenomeni di Venere calcolati secondo le tavole astronomiche mo- derne per il periodo che va dal 1290 al 1303; lavoro, che offre una guida sicura e utile ai cultori degli studi Danteschi. Recentemente fu presentata a voi una memoria del signor Liborio Azzolina sulla data della nascita di Dante, che sarebbe il 1266 anzichè il 1265, basandosi egli, fra l’altro, sui novelli studi che riferiscono l’anno della visione al 1301. Il chiarissimo Professore Temistocle Zona, trattò delle deformazioni del sole, e poi della rugiada. Intorno al primo argomento ricordò la forma del cielo secondo che appare ad occhio umano; ricordò le deformazioni da molto tempo note. di grandezza e di rifrazione verticale. Infine parlò di deformazioni ir- regolari laterali, deformazioni che si vedono specialmente al tramonto in mare. Mostrò alla fine del discorso dei disegni del sole fatti al tramonto ,. visto da Monte Cuccio a metri 1500. In ordine al secondo tema ricordò la classica teoria della rugiada, ac- cennò ad alcune esperienze da lui fatte durante le due ultime ferie autun- nali, stando in campagna, e concluse che la rugiada ha tre origini: la prima, la classica; la seconda dovuta alla evaporazione diretta dal suolo che non si scioglie nell’aria stante la bassa temperatura; la terza dovuta alla evaporazione delle piante che non sciogliendosi nell’aria a causa della. bassa temperatura, resta sotto forma liquida sulle foglie, rappresentando un vero e proprio fenomeno di sudore. L'’illustre Prof. Antonio Borzi, che nel 1896 avea intrattenuto l’Acca- demia sul tema: Contribuzione alla conoscenza dei fenomeni di sensibilità delle piante, fece una splendida conferenza sul tema: /acoltà tattile di alcune piante rampicanti. Il ricordo dei trapassati è doloroso, ma sacro dovere. Perdemmo pochi mesi dietro l’Abate Vincenzo Crisafulli che fu Se- gretario Generale dell’ Accademia, e poco dopo il Cav. Fedele Pollaci Nuccio, dell’uno e dell’altro io feci un breve cenno, come anche del pro- fessore Francesco Agnetta di Gentile. Ì Nell'aprile del decorso anno spegnevasi Adolfo Holm, già professore. RELAZIONE PER L'ANNO 1900 9 di storia antica e moderna nel nostro Ateneo, e socio di questa Acca- demia. Molti di noi lo ricordiamo. Basso di statura, con le spalle alquanto rialzate, gentile di aspetto, e con occhi vivi. Amò l’Italia, predilesse l'isola nostra. Nato a Lubecca nel 1850 e professore nel Ginnasio della nativa città, volse l'animo agli studi storici. Pubblicò : De Wthicis politicorum Aristotilis principiis (1851) — De compo- sitione aliquot Iiadis Carminum(1853) — Viaggio scientifico in Sicilia(1870-71) — L'antica Catania (1873) e molti articoli di geografia e di storia e di cri- tica storica in molte riviste, e la parte storica nell'opera Siracusa pub- blicata nel 1878 a spese del Governo italiano, essendosi trattata la parte archeologica dal Prof. Saverio Cavallaro. L'opera principale dell’Holm è : La storia antica della Sicilia, ch' egli diè in luce negli anni 1870-74, dedicandola a Ernesto Curtius e a Gior- gio Grote, entrambi illustri autori di storia della Grecia. Cotesta note- volissima opera fe’ annoverare l’ Holm fra i migliori storici dell’ età nostra. La Sicilia ebbe una civiltà anteriore alla greca, e. qui ove erano Sicani, Siculi, Fenici, popoli civili, si sovrapposero di poi le colonie gre- che. E l’epoca ellenica fu splendida, onde una illustre poetessa cantò, E suonò pien di gloria e di spavento Di Siracusa il nome e d’Agrigento (1). Nel 1845 Brunet de Presle pubblicò una memoria preziosa: Ricer- che storiche sullo stabilimento dei Greci in Sicilia fino al tempo in cui quest'isola divenne provincia romana; opera che ebbe il premio dallo Isti- tuto di Francia. Bisognava che uno storico comprendesse insieme con la storia delle colonie greche anche quella dei nativi dell’isola. Questo grande lavoro compì in gran parte Adolfo Holm nella sua storia della Sicilia antica. Il Brunet — come dice l’Amari — aveva preparato ottimamente la storia della Sicilia greca. L'Holm ha fatto la storia della Sicilia intera, Noi siamo debitori di una pregiatissima traduzione di quella storia agli insigni professori G. B. Dal Lago e Vittorio Graziadei, nella quale l'Autore piacquesi rivedere, correggere, aumentare l’opera sua e ci piace qui rendere ai traduttori lodi e grazie. (1) Alla Gran Duchessa Olga Ottave di GrusePPINA TURRISI COLONNA, nel volume intitolato L’Olivuzza. 2 10 RELAZIONE PER L'ANNO 1900 Nella nostra Università l’ Holm lesse 1’ orazione inaugurale per l’a- pertura degli studii nell’anno 1880-81. Il rinascimento Italiano e la Grecia antica ne fu il tema. Mi piace riportarne la chiusura, perchè vi si rende onore al nostro Ateneo, e perchè ricorda i doveri del Governo verso le Università; che erano e sono adempimento di solenni disposizioni date da legittima au- torità. «L'Università di Palermo non è una Università antica, ma quanto « abbia già fatto, lo mostrò in questo stesso luogo due anni addietro «un nostro carissimo collega (1), ed io sono persuaso, che essa farà più « ancora, quando il provvido Governo le avrà dato tutti quei. mezzi, tutte quelle istituzioni delle quali essa può ancora aver bisogno per « completare il suo ordinamento scientifico. Certo la gloria intellettuale « di questa isola non dipende da atti benevoli del Governo, anzi, più i « tempi furono foschi, e più splendette l’energia e l'ingegno dei sommi « che l’illustrarono. « Ma perché tutti, senza eccezione, vengano bene istruiti nelle scien- «Ze, è d’uopo che il Governo consideri come un principale suo dovere, « promuovere lo splendore delle Università. « Ed i giovani sapranno allora, come lo sanno oggi, corrispondere « alle premure del Governo e dei maestri, e l’ isola che nel Quattro- « cento produsse, per tacere degli artisti di fama universale, dei lette- «rati come l’Aurispa, il Beccadelli ed il Marineo, e nel cinquecento un « Fazello, un Maurolico, e tanti altri, saprà nel nuovo rinascimento di « questo secolo nel quale essa ha iniziato il movimento dell’emancipa- « zione politica dell’Italia, e dato alla Nazione degli scienziati di sommo « grido, saprà, dico, continuare l’ opera così bene incominciata e, te- «nendo alta la bandiera della libertà politica, senza la quale non è « possibile un vero progresso morale, coltivare con un successo sempre « crescente le lettere e le scienze, che insieme all’arte sono la più pura « gloria di una Nazione ». ES À À À AI nome di Holm io congiungo quello del nobile Innocenzo Guaita che amò grandemente come il primo la Sicilia. Era anch’egli nostro socio onorario, ma allontanatosi da Palermo giunse a noi un pò tardi la notizia della sua morte. (1) Prof. LurGi SampoLo : L'Università di Palermo e il suo passato.—Discorso inau- gurale per l’apertura degli studii nell’anno scolastico 1878-79 nella R. Università di Palermo.—Palermo, Stab. Tip. Lao, 1878. RELAZIONE PER L'ANNO 1900 ll Nato in Milano nel 1828, morì in Roma nel 29 gennaro 1898. Volon- tario combattè nel 1848 e nel 1849, entrò poi nell'esercito. Io lo ricordo in Palermo, Colonnello di cavalleria. Frequentava le nostre biblioteche, specie la Nazionale, ed era con- giunto in amicizia con egregi letterati. Appassionato della razza equina volle studiare il Cavallo di Sicilia facendo profonde indagini sin dalle epoche preistoriche. L'opera di lui condotta a termine e non pubblicata lui vivente è la Sicilia Ippica che viene in luce nella Rivista di Cavalleria; essa da una mano darà fama al suo autore, dall'altra illustrerà la storia e i pregi del Cavallo Siciliano. Nominammo a 25 giugno 1901 socio onorario Carlo Hermite e fu nostro vanto avere aggiunto nell'Albo nome sì illustre. È morto a 14 del gennaro ultimo. Cominciò appena ventenne la sua carriera scientifica scrivendo al celebre Iacobi alcune lettere sulla teoria delle funzioni ellittiche e abe- liane, e Iacobi le pubblicò nella collezione delle proprie memorie e ciò tornò a grande onore allo Hermite. Prodigiosamente operoso, fu il con- tinuatore più illustre e più legittimo della scuola del Iacobi, e seguitò la nobile tradizione matematica che si poggia sui grandi nomi di La- grange, di Legendre e di Cauchy. Ebbe molta simpatia per l'Italia e lesse all’ Istituto di Francia una bella commemorazione del Brioschi e fu oltremodo dolente della morte dell'altro nostro insigne matematico Eugenio Beltrami. L’Hermite, invitato dal nostro Presidente a rappresentare questa Ac- cademia all’inaugurazione del monumento innalzato ad Armando Qua- trefages, si scusò per cagion di salute di non potere, come avrebbe desiderato, rendere omaggio alla memoria di quell’illustre zoologo. «Mi sia permesso — egli scrisse al Presidente — significarvi come io mi senta commosso del grande onore reso dalla scienza d’ Italia a un dotto francese e di questa affermazione che risuonerà da pertutto, di una stretta, intima unione intellettuale fra le Nazioni sorelle ». Alle dolenti note vorrei aggiungere un fausto ricordo, la promozione ad Arcivescovo in partibus del nostro illustre Presidente. Ma siffatto onore ben dovuto ai suoi preclari meriti, trovò lui così malandato in salute ch’ egli medesimo non potè averne grande allegrezza. Il lungo assiduo lavorio della mente, ne turbò le membra, e quel ch'è più, ne scosse, ne indeboli la ragione. Ile RELAZIONE PER L'ANNO 1900 Che Dio gli ridoni la pienezza delle facoltà. Egli è certamente uno degli uomini che per la vasta dottrina ha meglio onorato il secolo caduto. Signori, È da sperare che il novello anno veda pareggiata la nostra Accade- mia alle altre maggiori, onde aver con esse comuni i privilegi. Ed io confido che cotesto pareggiamento sarà nobile stimolo, perchè mercè l’operosità e lo zelo dei Socii, l’Accademia s’'innalzi a maggiore altezza di fama. CLASSE DI SCIENZE NATURALI ED ESATTE i) da € di % jr i) fi + ATTACH CHI Deformazioni del Sole all Orizzople Comunicazione data alla R. Accademia DAL SOCIO Prof. TEMISTOGLE ZONA nella tornata del 18 Novembre 1900. IL NWI CO) TIS i DEFORMAZIONI DEL SOLE ALL’ORIZZONTE Sono cose notorie, e tutti certamente hanno avuto l'occasione di osser- vare le deformazioni consuete che mostra il sole quando nasce e quando tramonta. La deformazione più notevole, che si mostra tutti i giorni, è quella relativa alla sua maggiore o minore grandezza apparente. Questo feno- meno non si verifica solamente per il sole, ma anche per la luna e per tutte le costellazioni. Aggiungo subito che il fenomeno non è cosa eselu- siva degli astri ma il cielo tutto è deformato. Per poco infatti che si faccia attenzione , il cielo si mostra come una sfera schiacciata dall’ alto in basso; l'altezza della volta celeste è sempre molto minore della distanza apparente dell'orizzonte. A questo proposito credo utile ricordare le di- mensioni da noi involontariamente attribuite alla volta celeste. La maggior parte degli uomini stima che il sole, quando è-alto, abbia circa 25 centimetri di diametro e 60 quando è presso all’orizzonte; sic- come il diametro del sole è in media di 32 minuti, un calcolo facile dice che l'altezza da noi attribuita alla volta celeste è di 27 metri e la di- stanza dell’ orizzonte di 64 metri; anche esagerando e ritenendo che altri stimino il doppio (ciò che è poco probabile), si verrebbe tutto al più a concludere per altezza del cielo circa 60 metri e per distanza dell’oriz- zonte circa 120 metri. Queste piccole dimensioni da noi attribuite al cielo faranno meraviglia, tanto più che con ciò veniamo a stimarlo più basso di molti edifici, assai più basso dei monti, ma la cosa è così; vuol dire 4 DEFORMAZIONI DEL SOLE ALL'ORIZZONTE che anche gli alti edifici, anche i monti noi li stimiamo o li vediamo più piccoli di quello che realmente sono, almeno quando essi cadono in questa categoria di fatti. Non occupandoci delle ragioni di tali appa- renze (1), sta come certo il fatto che noi vediamo il cielo all'orizzonte più lontano del cielo allo zenit; quindi, per nota illusione, lo stesso oggetto stimato nel cielo sembrerà più grande o più piccolo, secondo che è nel cielo più lontano o nel più vicino. Altra deformazione a tutti nota è quella della forma ellittica, con l’asse maggiore orizzontale, che il sole assume quando è prossimo all’orizzonte. Questa deformazione è stata anche facilmente spiegata : la rifrazione (che dirò verticale) alza gli oggetti e li alza tanto più quanto più sono bassi. Quando il sole è all'orizzonte, il suo bordo inferiore, come il più basso, viene rialzato di più del superiore; di qui la nota deformazione. To però qui non intendo parlare né della prima nè della seconda delle ricordate deformazioni; ma altro e differente è il fenomeno, a cui si allude col titolo della presente nota. Le deformazioni, di cui intendo qui riferire, non sono molto comuni, sono fenomeni un po’ strani e di non facile spiegazione, amenochè non si facciano delle modificazioni alla nota legge sulla rifrazione atmosferica. Varii anni or sono, 18 0 20, trovandomi spesso a caccia lungo la spiaggia del mare al momento del nascere del sole, ebbi occasione di vedere qualche strana fuggitiva deformazione del sole; richiamata la mia at- tenzione sul fatto e per analoghe ragioni richiamata quella di altri, il fe- nomeno fu qua elà da varie persone notato; per parte mia devo però dire che mai, per lo innanzi, lo vidi con quella nettezza ed evidenza come mi accadde nell’agosto del 1894. Nel 1894 mi: ridussi ad abitare con tutta la famiglia sulla cima di Monte Cuccio. Il sole allora, essendo estate, tramonta va in mare davanti il Capo S. Vito, e tutte le sere esso assumeva le varie forme indicate sulla ta- vola annessa. Il fenomeno era tanto appariscente e costante, che i miei bambini tutte le sere, verso il tramonto, mi sollecitavano perchè li con- ducessi a vedere le smorfie del sole. Il fenomeno, che sempre più mi interessava, fu da me osservato in varii luoghi; da altri pure fu osservato ed anche fotografato (2); ebbi oc- (1) Il cielo sembra una volta schiacciata, o meglio una calotta sferica, anzichè un emisfero, perchè è realmente così; infatti il cielo è per noi materializzato, cioè reso visibile, dalla sfera atmosferica; in essa ogni orizzonte ne separa una calotta molto più larga che alta, come si può provare con un facile calcolo. (2) Veggasi Riccò : Memorie della Società degli Spettroscopisti italiani. Vol. XXX, DEFORMAZIONI DEL SOLE ALL'ORIZZONTE v casione di vederlo sia al sorgere che al tramonto del sole, e per mia parte credo di poter stabilire quanto segue : Il fenomeno si presenta sia al sorgere che al tramonto del sole in mare, però al nascere esso è molto meno notevole. Visto al sorgere e dalla spiaggia del mare esso è meno appariscente che visto da una altezza di 60 metri; a mille metri di altezza ed al tramonto in mare il fenomeno è immancabile e dirò anche in pieno svi- luppo (1). Le figure della tavola indicano perfettamente di che si tratta : il sole dapprima, avvicinandosi all'orizzonte, assume la nota forma ellittica; indi al di sotto emette un’ appendice, che si allunga ed allarga, e poi tutto il sole si stringe e si allarga assumendo centinaia di forme simmetriche, rapidamente edin modo continuo variabili, delle quali la tavola non rap- presenta che le principali, come furono durante il fenomeno disegnate da me e dall’assistente signor Sartorio Gaetano a Monte Cuccio ; ogni giorno il fenomeno subiva le identiche fasi. Quanto alla sua origine può dirsi che esso dipende da irregolarità di rifrazione, benché, così dicendo, anzichè una irregolarità, viene a sta- bilirsi piuttosto una legge di rifrazione differente da quella che dicesi rifrazione verticale, la sola di cui oggi si tiene conto. disp. 5. In questa nota il Riccò parla diffusamente delle deformazioni del sole e dà disegni da lui eseguiti al sorgere del sole a Palermo, a Catania, e sull'Etna, ricorda le osservazioni del Colton fatte a Mount Hamilton in California al tramonto, e ri- porta i miei disegni, fatti a Monte Cuccio, del sole tramontante in mare; il Riccò mi ha gentilmente inviata l'incisione che qui riproduco, dei miei disegni, fatta da lui eseguire per le dette Memorie degli Spettroscopisti Italiani. Il Riccò nella sua nota conclude col dire che le condizioni più favorevoli per osservare il fenomeno si tro- vano al tramonto del sole e specialmente al tramonto in mare, ed infatti dice «il Colton da Mount Hamilton al tramonto in terra e Zona da Monte Cuccio al tramonto in mare osservarono deformazioni, specialmente il Zona, più pronunziate ». (1) Da Monte Cuccio, alto 1050 metri, esso può vedersi tutte le sere dal maggio all'agosto e dura cirea due minuti. N: 5 Na de Ro n ii x x afavani Mii plurali beta (fon intatti i D5 FIT TRLOI di Lili Vul mi $i DE lol sn È l'azienda i | Lt et È ‘ira 1000 9rS Dual giare sus sta IL È Ù FIVE ù Hue VIARIO Li Ì AI IA] [o È È È È ‘ CREATO LITI 1004 a EI NI) tt IL, SOLE ALL'ORIZZONTE n vi DI DEFORMAZIONI ‘OUIe[8d — (uO0GOT) O100NO ©FUOTNI Ep ogsIiA e9u0mIRI1) OTO 10 = _iis=o=S ii _ MERONE A POREUGIADA Comunicazione data alla R. Accademia DAL SOCIO Prof. TEMISTOCLE ZONA nella tornata del 18 Novembre 1900. steb egots I CICLI LL LL PPARCRSI GAD A Prima di riferire alcune mie esperienze e considerazioni sulla rugiada, credo utile di riassumere le nozioni che sul fenomeno abbiamo. Quando l’aria per effetto del raffreddamento arriva al punto di saturazione, qua- lunque ulteriore diminuzione di calore determina una precipitazione di vapore acqueo, o allo stato vescicolare, nubi o nebbia; o allo stato pro- priamente liquido, rugiada o pioggia; o infine allo stato solido ancora, nubi, brina, neve, grandine, verglas. Di tutti questi fenomeni il più comune, più comune anche della piog- gia, è la rugiada, perchè può dirsi che sia il fenomeno di tuttii giorni, anzi di tutti gl’istanti; è tanto comune, che la stessa aria, quando ha raggiunto il punto di saturazione, si diee che ha raggiunto il suo punto di rugiada. L'aria, come si sa, può raggiungere il punto di rugiada a difterentis- sime temperature, tanto a cento e più gradi, quanto a zero gradi. e meno. Nella estate il punto di rugiada avviene a temperature più alte, nell’ in- verno a temperature più basse. Ecco la nota teoria della rugiada come fu esposta dal Wells nel 1817 e sempre, fino ad oggi, accettata. « Allorchè sull’ imbrunire della sera il « calore solare, che la terra riceve, diminuendo, arriva ad essere minore « di quello che essa irradia negli spazî, la temperatura della superficie terrestre si abbassa a poco a poco. Se il cielo è nuvoloso, una parte, «anche notevole, del calore irradiato viene di nuovo riflessa indietro; ma se il cielo è sereno, il raffreddamento del suolo può addivenire % ® 4 LA RUGIADA « molto considerevole. In questo caso la temperatura dello strato d’aria «a contatto col suolo può abbassarsi fino al punto, a cui la tensione « del vapore acqueo contenuto nell’aria diviene massima. Allora questo « vapore è prossimo alla condensazione; e qualunque, benchè piccola, « diminuzione di temperatura basterà perchè esso si depositi sui corpi « sottostanti in forma di rugiada. Un tal punto, come già si disse, chia- masi punto di rugiada ». Questa teoria è vera e lo sarà, però essa è insufficiente e diffettosa. Secondo detta teoria la rugiada sarebbe fenomeno essenzialmente notturno, ciò che sempre non è; infatti per determinare la formazione della ru- giada basta che l’aria, a contatto di un corpo, si raffreddi oltre il suo punto di saturazione, e questa circostanza può avverarsi di notte come di giorno. Tutti certamente abbiamo visto, specialmente in primavera, il lastrico delle vie delle città improvvisamente bagnarsi senza che stilla di pioggia sia caduta; spesso ancora abbiamo veduto le mura e le scale dei palazzi, specie se di marmo, bagnarsi non solo, ma lasciar colare abbondante acqua. Questo fenomeno, anche secondo la teoria di Wells, è assolutamente una rugiada ; la sua spiegazione è molto semplice: du- rante l'inverno le pareti delle case, il lastrico delle vie si raffreddano; le tiepide prime aure di primavera si raffreddano a contatto di tali super: ficie, e così viene raggiunto e sorpassato il punto di rugiada; dopo ciò avviene il deposito di acqua sugli oggetti, cagione prima del raffredda- mento. Anche il comune fenomeno del bagnarsi delle vetrate, del ba- gnarsi all’esterno di un bicchiere, che venga riempito di acqua fredda, il bagnarsi all’esterno della caffettiera nei primi momenti quando la si mette piena di acqua fredda al fuoco, il bagnarsi all’esterno dei tubi con- duttori di acqua potabile, sono tutti fenomeni del tipo rugiada secondo la teoria di Wells; dunque la rugiada può avvenire di giorno o di notte, può avvenire con calma, ma spesso avverrà anche con leggero movi mento d’aria e forse in tal caso potrebbe esser più abbondante. Però non è di tutto ciò che io voglio parlare; ma voglio dire che il fenomeno della rugiada è più complesso, e solo parzialmente lo si spiega con la precedente teoria. Prima però di andare oltre, riferirò alcune mie esperienze ed osservazioni. Approfittando dell’occasione di trovarmi in campagna esposi : 1°) durante la notte, dei piatti di metallo e di stoviglia capovolti so- pra roccia nuda ed asciutta; alla mattina trovai bagnato il di sopra dei piatti ed asciutto il di sotto, fenomeno ordinario di rugiada; 2°) gli stessi piatti li esposi sopra detrito calcare (arena di montagna) stato esposto al sole tutta l'estate; alla mattina trovai rugiada al di sopra LA RUGIADA D ed alcune goccie anche al di sotto, nella superficie cioè che guardava verso terra; 3°) gli stessi piatti li esposi sopra terreno artificialmente inumidito; alla mattina trovai abbondante acqua sotto e meno al di sopra, cioè verso la parte che guardava il cielo; 49) gli stessi piatti in fine li esposi, sempre capovolti, sopra terra ve- getale e sopra terreno con debolissima vegetazione erbacea (perchè di estate) e trovai acqua di sopra e di sotto, e spesso di sotto più che di sopra. Notai in un ficus elastica assai maggior copia di rugiada sulle foglie verdi anzichè sulle foglie secche, e finalmente avendo esposto un pezzo di lamina di rame levigata e tagliata a forma di foglia di /icus elastica in condizioni analoghe alle foglie dell’albero, trovai sulla lamina meno rugiada che sulle foglie. Ricordo ancora queste altre cose notissime a tutti : Sull’erbe e sulle piante in generale tutti hanno notato più abbondante rugiada che altrove. Se una persona cammina con tempo freddissimo coperto da cerata, poco dopo troverà la sua cerata molto bagnata internamente. Se la stessa persona cammina coperta da cerata sotto pioggia fredda, troverà di essere, sotto la cerata, quasi altrettanto bagnata quanto se fosse stata senza riparo esposta alla pioggia. Questi ultimi fatti, pur essendo fenomeni di rugiada, dipendono dalla traspirazione organica, la quale è comune a tutti gli esseri viventi, piante ed animali. È sempre per la traspirazione organica che la pelle di estate si sente fresca ed è per la stessa causa che al semplice toccare una pianta si può giudicare, dalla freschezza sua, se sia vivente o morta. Se nelle serate estive ci mettiamo seduti all’ aperto, dopo poco sen- tiamo gli abiti inumiditi; per detto comune, quando ciò avviene, si dice che cade la rugiada. Certamente nessuno vorrà sostenere che noi ed i nostri abiti, pur radiando calore verso lo spazio, possiamo essere causa di un abbassamento di temperatura dell’aria circostante. In tal caso l'umidità dei nostri abiti non è il vapore acqueo dell’aria ma sibbene la nostra traspirazione, che, trovando l’aria fredda, non può in essa, diremo, sciogliersi, e resta quindi su di noi; questa traspirazione organica, se la temperatura è assai bassa, può anche gelare sugli abiti rendendoli durissimi, e di ciò ne sanno qualche cosa i viaggiatori polari; questa traspirazione organica può gelare sui peli degli animali, spettacolo che vedesi nei paesi nordici nelle fredde mattinate di inverno. n alia, tia * dr [u:T (cd alti Lie x ù Îk i CORI di fon TTT Croci... ,ctt(.i\.((((](( (Cirio ORO SR E I SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE durante dodici sue rivoluzioni sinodiche dal 1290 al 1309 e sugli accenni ad esse nelle opere di Dante. 1. Gli accenni a Venere nelle opere di Dante. — Il pianeta Venere ebbe un’ altissima importanza per gli antichi, dai quali fu riguardato come l’astro di più benefico influsso dopo il Sole. Esso, ad ogni modo, tranne per brevi intervalli di tempo, in vicinanza delle due congiunzioni, è la stella più splendida del cielo, e si rende spesso visibile in pieno giorno anche ad occhio nudo : le sue apparenze, quindi, simpongono da sè stesse all'osservazione e alla memoria delle genti. Gli accenni alle apparenze di Venere nelle opere di Dante sono sin- golarmente precisi e importanti. Dal cominciamento del capitolo 2° del secondo trattato del Convivio sembrerebbe che Dante alla morte di Bea- trice avesse notata la posizione di Venere relativamente al Sole, e che avesse di poi contato il tempo prendendo per unità il periodo della ri- voluzione sinodica del pianeta, poichè narra che, quando gli apparve la donna gentile, la stella di Venere era due fiate rivolta nel suo epiciclo. Nella 1° stanza di una delle canzoni pietrose, quella « Zo son venuto al punto della rota », si accenna a una congiunzione superiore di Venere col Sole, verso il principio del Capricorno ; vi è detto infatti, che la 4 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE stella d'amore era alla massima distanza da noi, invisibile, perchè im- mersa nei raggi solari, e che il Sole tramontava quando sorgevano i Gemelli. Nella Commedia si allude a Venere con grandissima probabilità in Purg., I, 19-21, e certamente in Purg., XXVII, 94-96, e da entrambi questi luoghi si deduce che, durante la visione, Venere era stella del mattino e stava verso il principio del segno dei Pesci (1). Gli studiosi si sono molto esercitati intorno a questi accenni, per de- terminare il tempo, a cui ciascuno di essi si riferisce; e in siffatte ricerche sono sorte dispute vivissime. Sul passo del Convivio si è lungamente disputato se per la rivoluzione nell’epiciclo dovesse intendersi la rivo- luzione siderea di 225 giorni, o la sinodica di 584 giorni circa (2). Quanto (1) Dante, uscito a riveder le stelle sulla riva orientale dell’isoletta del Purgato- rio, dice (Pwrg., I, 19-22): Lo bel pianeta che ad amar conforta, Faceva tutto rider l'oriente, Velando î pesci, ch’erano in sua scorta. Gli Accademici della Crusca, nell’edizione della Divina Commedia del 1595, si ac- corsero che Venere, nella presunta data della visione, marzo-aprile 1300, era sero- tina e non mattutina, e perciò sostennero che qui «quando il Poeta dice: Zo bel pianeta che ad amar conforta, ecc., intende il Sole e non Venere» e che « del Sole nell’Ariete è solo e proprio il velare e l’adombrare i Pesci» (Vedi nota al verso II del canto VIII del Paradiso). Alcuni, raccogliendo quest’ ultima riflessione , hanno messo in dubbio che Venere potesse velare i Pesci; ma basta guardar Venere, anche molti giorni dopo il suo massimo splendore, per rimanere impressionati del fatto, che le minori stelle vicine sembrano nascondersi. L'altro accenno a Venere nella Commedia si ha quando il poeta, stando addor- mentato sulla scala, che dall’ultimo girone del Purgatorio conduce al Paradiso ter- restre, vide Lia in sogno, il che avvenne (Purg., XXVII, 94-96), com’egli crede, Nell'ora... che dall’oriente Prima raggiò nel monte Citerea, Che di fuoco d’amor par sempre ardente, e certamente avanti che gli splendori antelucani fugassero le tenebre (Pwrg., XXVII, 109-110). Di qui risulta che quella mattina Venere wibrò i primi raggi sul Purgatorio prima dell’alba, parendo molto duro ammettere che il poeta abbia inteso come qual- cuno oggi vorrebbe interpretare, nell'ora in cui la prima volta, quando fu creato il mondo, Venere raggiò nel monte del Purgatorio; ed essendo assolutamente insosteni- bile un’altra interpretazione, anche messa in campo, nell’ora in cui Venere suol man- dare i primi raggi sul monte del Purgatorio, ora, che non sarebbe determinata, po- tendo variare da circa 3 ore prima del sorgere del Sole fino a circa 3 ore dopo. (2) Le parole del Convivio sono (II, 2): «la stella di Venere due fiate era rivolta in quello suo cerchio che la fa parere serotina e mattutina, secondo i due diversi DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 1509 D alla citata canzone pietrosa, gli altri cenni astronomici, secondo una in- terpretazione , la farebbero porre verso il Natale del 1296, e, secondo un'altra, verso il Natale del 1804, data più conforme al desiderio di quei letterati che per altre ragioni la vorrebbero porre, insieme con le can- zoni sorelle, durante l’esilio del poeta (1). Più gravi dissensi sono sorti tempi, appresso lo trapassamento di quella Beatrice beata,... quando ecc.» Il pro- fessore Lubin nell'ottobre 1894 sottopose la quistione ai direttori degli Osservatorii astronomici italiani, interrogandoli separatamente per lettera; e questi unanimemente risposero doversi intendere della rivoluzione sinodica di 584 giorni circa, quanti ne impiega Venere a percorrere il cerchio che la fu parere serotina e mattutina, cioè l’epicielo; aggiungendo che il periodo della rivoluzione siderea, di cirea 225 giorni, non si trova menzionato prima di Copernico, Assolutamente esauriente e molto istrut- tiva fu la risposta del Prot. Schiaparelli, il quale dichiarò che «il periodo di 225 giorni, che nel sistema Copernicano segna il tempo di un giro completo di Venere intorno al Sole, non ha aleun significato nel sistema di Tolomeo » (Cfr. AxronIo LUBIN, Dante e gli astronomi italiani, Dante e la donna gentile, Trieste, 1895, pp. 37-53). Nel sistema tolemaico infatti (A/magesto, IN, 3 e 4) il moto del pianeta sull’ epiciclo è il moto dell'inequaglianza (motus inacqualitatis), e quello del centro dell’epiciclo sul deterente è il moto in longitudine (motus longitudinis). Per ottenere, in giorni, la du- rata di una rivoluzione del pianeta sull’epiciclo, basta dividere 360 gradi per il moto medio diurno dell’ineguaglianza; per ottenere, in giorni, la durata di una rivolu- zione del centro dell’epicielo sul deferente, basta dividere 360 gradi per il moto medio diurno in longitudine. Per Venere il moto medio diurno dell’ ineguaglianza dato da Tolomeo è 00 367 597 25 5831V 11v 28VI, e poichè questo numero è conte- nuto 584 volte in 360 gradi, la rivoluzione di Venere sull’epicielo dura 584 giorni; il moto medio diurno in longitudine è eguale a quello del Sole, cioè 00 59” 8/4 17%” 13 12v 31vI, e perciò la rivoluzione del centro dell’epiciclo sul deferente dura esat- tamente un anno solare. Senza dubbio, combinando con operazioni semplicissime gli stessi dati di Tolomeo, si può ottenere per Venere un periodo di 225 giorni: infatti, sommando il moto medio diurno dell’ineguaglianza col moto medio diurno in longitudine, si ha il numero 10 36% 77 45 61v 23V 59vI, che è contenuto 225 volte in 360 gradi. Ma l’astronomo, che si fosse proposto il problema, a cui rispon- dono operazioni così semplici, avrebbe già cominciato ad elaborare il sistema elio- centrico; nè risulta da documenti che gli antichi si siano messi in quest'ordine d’idee. (1) La citata canzone così comincia : Io son venuto al punto della rota, Che l’orizzonte, quando il Sol sì corca, Ci parturisce il geminato cielo; E la stella d’amor ci sta rimota Per lo raggio lucente, che la *nforca Sì di traverso che le si fa velo: ) quel pianeta, che conforta il gelo, Si mostra tutto a noi per lo grand’arco, Nel qual ciascun dei sette fa poca ombra. Nei primi tre versi è indicato che il Sole è in Capricorno, perchè al tramonto si (O) SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE sugli accenni della Commedia, perchè, mentre dai più l’azione del poema è posta nella primavera dell’ anno 1300, stile comune, in quel tempo Venere era vespertina, ed era invece mattutina, verso il principio dei Pesci, nel 25 marzo 1301 e nei giorni successivi. Sono state quindi emesse varie opinioni. Una piccola schiera di dantisti sarebbe risoluta ad abban- donare la data tradizionale del 1500, e ad abbracciare il 1301, col quale concordano le ragioni astronomiche, cercando di metterlo più o meno d’accordo anche con le ragioni storiche. La maggior parte, invece, tiene fermo pel 1300; e per giustificare la dissonanza sull’ apparenza di Ve- nere, ricorrono a due ipotesi principali: la prima, che Dante, per un errore sistematico, riferisse al 1300 le posizioni degli astri del 1301; la seconda, che Dante non abbia inteso dare effettivamente le posizioni degli astri per una determinata epoca, ma dicendo, per esempio, che Venere era stella del mattino e stava nei Pesci, abbia voluto « descri- vere l’ora che precede il sorgere del sole presentandola con 1’ aspetto che era più famigliare e, per dir così più caratteristico nella mente del popolo, è! quale per abitudine associava a quell'ora l’astro risplendente del mat- tino» (1). Non mancano di quelli che, dichiarandosi in un’onesta incer- tezza, desidererebbero vedere più chiaramente come si passassero le cose, e se veramente ai calcoli moderni si può attribuire una fiducia completa ed assoluta. Comunque sia di tutte le quistioni accennate, credo far cosa grata agli studiosi, presentando il prospetto dei principali fenomeni di Venere, calcolati secondo le tavole astronomiche moderne, per il periodo che va dal 1290 al 1309. Questo lavoro, mentre conferma i risultati dei calcoli, veggono i Gemelli sull’orizzonte orientale. Nei versi 4-6 è detto che Venere si trova prossima alla sua congiunzione superiore, invisibile perchè quasi in direzione del Sole. Negli ultimi tre versi # pianeta che conforta il gelo è collocato, in opposizione al Sole, verso il principio del Cancro, quindi si mostra durante tutta la notte per- correndo il tropico del Cancro, donde i pianeti nelle nostre regioni fanno le ombre più corte. Ma i letterati non sono d’accordo sul pianeta che conforta il gelo, che per alcuni sarebbe Saturno, per altri la Luna (cfr. Purg., XIX, 1-8), e questa sarebbe nella fase del plenilunio, a cui bene si attaglierebbe la frase si mostra tutto. Nella prima ipotesila configurazione descritta si sarebbe verificata verso il Natale del 1296; nella seconda ipotesi bisognerebbe ricorrere alle date del plenilunio 11 dicembre 1296, 12 dicembre 1304, 14 dicembre 1312, escludendo tuttavia quest’ultima, nella quale avvenne uno dei più belli ecclissi totali di Luna. (1) È questa un’ opinione emessa da Epwarp MoorE, he time-references in the Divina Commedia, London, 1887, p. 65; Gli accenni al tempo nella Divina Comme- dia, Firenze, 1900, pp. 69 e 125. DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 1309 1 che già altrove discussi (1), offre una guida chiara, sicura e utile a tutti i dantisti, quali che siano le opinioni che vogliano seguire; giacchè esso è assolutamente imparziale: è come una tela, sulla quale ciascuno può ricamare il proprio disegno. 2. Apparenze di Venere, per le quali sono calcolate le epoche. — Le apparenze di Venere, per le quali qui si calcolano le epoche, sono quelle che dipendono da particolari valori della longitudine del pia- neta, cioè : 14) la congiunzione superiore, che si ha quando la longitudine eliocen- trica del pianeta è eguale alla longitudine geocentrica del Sole, 2) la congiunzione inferiore, che si ha quando la longitudine eliocen- trica del pianeta differisce di 180 gradi dalla longitudine geocentric: del Sole, 5) le stazioni, che si hanno allorchè la longitudine geocentrica del pianeta raggiunge un valore massimo o minimo, ossia quando da es- sere crescente passa ad essere decrescente, e viceversa, ovvero quando il moto da diretto diventa retrogrado, e viceversa, 44) il massimo splendore, 5%) le massime elongazioni, che si hanno quando la differenza tra le longitudini geocentriche del Sole e del pianeta raggiunge un valore massimo. Tutti questi fenomeni venivano diligentemente osservati da tempi molto antichi. Gl'istanti delle congiunzioni sono stati calcolati con tutta esattezza, dando il giorno e l’ora, mediante le « Zables generales du mouvement de Veénus » di Le Verrier, contenute nel vol. VI degli Annales de l'Obserca- toire imperial de Paris, 1861. Le altre apparenze sono state dedotte ap- prossimativamente, tenendo conto del numero dei giorni che in media intercedono tra esse e le congiunzioni inferiori. 2. Metodo tenuto nella ricerca. — Per acquistar fiducia ai risultati che seguono, anche da parte di coloro, che non si vogliono sobbarcare all’ uso penoso delle tavole astronomiche moderne, riferisco succinta- mente il metodo tenuto nel preparare i calcoli. Le epoche delle congiunzioni si sono dedotte calcolando, in vicinanza delle medesime, le longitudini eliocentriche di Venere e le longitudini geocentriche del Sole, trascurando solamente le perturbazioni, che qui non avrebbero avuto alcuna sensibile influenza. Per avere con una (1) Sulla data del viaggio dantesco, Napoli, 1897. (0 ©) SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE certa approssimazione la data di una congiunzione inferiore avvenuta dentro il periodo scelto, ad esempio quella avvenuta nel 1500, si è pro- ceduto come segue. Un passaggio di Venere sul Sole fu osservato nel 1639, dicembre 4, stile comune (novembre 24, calendario giuliano), a circa 4 ore di tempo medio di Parigi (Vedi Annales de l’Observatoire impérial de Paris, vol. VI, pp. 33-36); un altro passaggio di Venere sul Sole è stato osservato nel 1882, dicembre 6, a circa 5 ore di tempo medio di Parigi (Vedi Nautical Almanac, ovvero Connaissance des Temps, per il 1882): si ha quindi tra queste due congiunzioni inferiori direttamente osservate un periodo di 243 anni e 2 giorni, ovvero, tenendo conto che per la ri- forma Gregoriana del calendario gli anni 1700 e 1800 si fecero comuni e non bisestili, si ha un periodo di 243 anni giuliani esattamente, du- rante il quale avvennero 152 rivoluzioni sinodiche del pianeta. Possiamo quindi conchiudere che ogni 243 anni giuliani le stesse apparenze di Venere si riproducono esattamente alle stesse date del calendario giu- liano. Da questo risulta che in media 5 rivoluzioni sinodiche si com- piono in 8 anni giuliani meno 2 giorni e 10 ore. Ciò posto, se agli anni, che sono stati scelti per calcolare le apparenze di Venere, si aggiungono 486 anni giuliani (cioè 243 X 2), si hanno altri anni nei quali le stesse apparenze di Venere si ripresentano alle stesse date del calendario giuliano. In particolare si ha che le apparenze del 1300 e quelle del 1786 ricadono alle stesse date, come è detto. Ora dalla Connoissance des temps pour l'année commune 1787 (Paris, MDCCLXXXIV) si ha una congiunzione inferiore di Venere alla data 4 gennaio 1787, a 4 ore e 15 minuti, che corrisponde, nel calendario giuliano, alla data 24 dicembre 1786 alla stessa ora. Quindi verso il 24 dicembre 1300 (calendario giuliano) ebbe luogo anche una congiunzione inferiore di Venere. Dai volumi della Connoissance des temps e da quelli del Nautical Alma- nac si possono dedurre quindi dei dati di guida nella presente ricerca. Da essi infatti si hanno le seguenti date delle DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 15309 9 Principali apparenze di Venere in tempo medio civile di Parigi UONGIUNZIONE SUPERIORE dal Venere vespertina MASSIMA ELONGAZIONE 1783 al (Calendario Gregoriano STAZIONE 1792. 1). CONGIUNZIONE INFERICRE | |GIORNI ORE DURATA 1753, gen. 4, ore 0| 1753, ago. 13 | 1783, set. 30 | 1783, ott. 21, ore 19 | 290 19 | | | 1784, ago. 8, 10| 1755, mar. 18 | 1755, mag. S | 1785, mag. 29, 19] 294 5 | SERIA | 1786, mar. 21, » 9| 1756, ott. 24 | 1786, die. 14 | 1787, gen. 4, 4| 288 19 1787, ott. 18, 0 | 1788, mag. 30 | 1788, lug. 17 | 1788, ago. 7, » 13| 294 13\ 1759, mag. 30, » 20| 1790, gen. 4 | 1790, feb. 23 | 1790, mar. 18, 3291 7 Lone o Tola no LOR MLT Ns et 281 NZ91 ott 9a 610290014 Venere mattutina. CONGIUNZIONE MASSIMA CONGIUNZIONE DURATA INFERIORE 1783, ott. 21, ore 19 1785, mag. 29, 15 IST, cen. 4, » 4 1788, ago. 7, » 13 1790, mar. 18, » } Iroliotti. 9 » 6 STAZIONE 1753, nov. 11 1755 giu. 19 1787, gen. 25 1788, ago. INCRIOL, Emo 6) dr ov ELONGAZIONE 1054, 1785, € 1757, mar. 1788, ott. 1790, mag. 27 1791, dic. 29 SUPERIORE 1754, ago. 1756, mar. 21, » 1787, ott. 1759, mag. 30, » ITC Egea Ie 1792, ago. 6, S, ore 10 GIORNI ORE 259 13 291.2 Se ora queste date delle principali apparenze di Venere per gli anni 1785-1792, prima si convertono nello stile giuliano, sottraendo 11 giorni, e poi si diminuiscono di 486 anni, si otterranno le date del calendario giuliano, in cui le stesse apparenze ebbero luogo negli anni 1296-1306. Con tali operazioni semplicissime si ottengono i seguenti dati approssimati. (1) Venere si dice vespertina nel tempo che va dalla congiunzione superiore all’in- feriore; mattutina nel tempo che va dalla congiunzione inferiore alla superiore. DI SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE Principali apparenze di Venere dal 1296 al 1306. (Calendario Giuliano) Venere vespertina. CONGIUNZIONE SUPERIORE MASSIMA STAZIONE ELONGAZIONE CONGIUNZIONE INFERIORE DURATA | GIORNI | 1296, die. 24 || 12975 ago. 21) 10297, set. 9) | 1297 ott. di N291 Il 11298) luo. 28 | 1299 mar. | 1299, apr. 27 | 1299, mag; 19) | 1295 | | 1300, mar. 10 | 1300, ott. 13 1300, die. 3 | 1300, dic. 24 | 289 | 1301, ott. 7 | 1302, mag.19) | 1302, lug. 6 | 1302, lug. 28 | 295 | 1303, mag. 20 | 1303, dic. 24 | 1304, feb. 12 | 1304, mar. 7 | 291 1304, die. 22 | 1305, lug. 30 | 1305, set. 17 | 1305, ott. S| 290) | Venere mattutina. | CONGIUNZIONE MASSIMA CONGIUNZIONE DURATA | INFERIORE enna ELONGAZIONE SUPERIORE GIORNI 12975, ott il 11297, ott. (31 | 1297, dic. 21 | 1298, lug; 284290 1299, mag. 19) | 1299, giu. 8 | 1299, lug. 28 | 11300, mar. 10, | 295 | 1300, die. 24 1301, gen. 14 1301, mar. 6 | 1301, ott. 7 | 287 | 1302, lug. 28 1302, ago. 18 1302, ott. 8 1303, mag. 20 | 296 | 1304, mar. 7 | 1304, mar. 29 | 1304, mag. 16 | 1304, die. 22 | 290/7 | 1305, ott. 8 1305, ott. 29 1305, die. 18 1506, lug. 26 | 291 | Questi quadri si potrebbero prolungare per ottenere le date appros- simate delle analoghe apparenze di Venere per parecchi anni anteriori o posteriori, bastando per questo a ciascuna data togliere 8 anni e ag- giungere 2 giorni, ovvero aggiungere 8 anni e togliere 2 giorni. Così, per esempio, avendo trovato che una congiunzione superiore ebbe luogo il 1298, lug. 28, si dedurrà che il 1290, lug. 30, ebbe luogo parimenti una congiunzione superiore; e similmente, essendoci stata una congiunzione inferiore il 1305, ott. 8, si dedurrà che il 13153, ott. 6, ebbe parimenti luogo una congiunzione inferiore. Abbiamo detto che ogni 243 anni giuliani le stesse apparenze di Ve- DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 1509 11 nere si riproducono esattamente alle stesse date del calendario giuliano; ma alle stesse date del calendario giuliano non corrispondono esatta- mente le stesse posizioni del Sole sull’eclittica. Volendo che anche questa condizione resti soddisfatta, bisognerà cercare in quale periodo le stesse apparenze di Venere si riproducono alle stesse date dell’anno tropico, contate ad esempio a partire dall’equinozio primaverile. Si è visto che in 245 anni tropici e 2 giorni si compiono 152 rivoluzioni sinodiche, quindi ogni 251 anni tropici si compiranno 157 rivoluzioni sinodiche, e le stesse apparenze di Venere si riprodurranno alle stesse date dell’anno tropico, cioè Venere e il Sole si troveranno non solo alle stesse posi zioni relative, ma anche alle stesse posizioni assolute. Così Venere e il Sole nelle stesse posizioni assolute e relative, che ebbero nel 1300 e nel 1301, si trovarono ancora negli anni 1551 e 1552, non che negli anni 1802 e 1805, e in avvenire ci si troveranno pure negli anni 2053 e 2054. Per esempio, negli anni 1300 e 1501 per la data 10 marzo, os- sia 2 giorni prima dell’equinozio primaverile, Venere e il Sole ebbero quasi le stesse posizioni che negli anni 1802 e 1803 per la data 19 marzo, anche 2 giorni prima dell’equinozio. Infatti noi abbiamo trovato i se- guenti dati : a LORI Longitudine Latitudine Anno Data TO geocentrica veocentrica METTO di Venere di Venere 1500 marzo 10 SIICRO0E DDSCMOL — 1° 21’ 1501 marzo 10 357 36 PUMRIo +1 28 e dal Nautical Almanac si ha : Togsnidine Longitudine Latitudine A Data SITO geocentrica geocentrica sui su del Sole di Venere di Venere 1802 marzo 19 312 358° 35’ — 1° 23’ 1805 marzo 19 357 58 9:18? +1 39 con differenze, che, come si vede, si mantengono dentro limiti ristretti. Da ultimo non sarà inutile una considerazione. Il numero di 292 giorni, che suol darsi come esprimente la durata di Venere vespertina o mat- tutina, e il numero di 584 giorni, che suol darsi per la rivoluzione si- nodica di Venere, o per il tempo che il pianeta impiega a rivolgersi nel suo epiciclo, non sono che valori medî. I veri valori sono variabili, e si ripetono suppergiù periodicamente ogni 5 rivoluzioni del pianeta. Nei quadri precedenti si trovano abbracciati da una grappa i numeri delle 12 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE durate, che costituiscono il ciclo. Contando in giorni interi, il ciclo delle durate di Venere vespertina è di giorni 291, 294, 289, 299) 291: quello di Venere mattutina è quasi identico, di giorni 291 296, 287 296 se questi numeri si sommano in corrispondenza, si ha il ciclo delle rivoluzioni sinodiche contate dalla congiunzione superiore, che risultano di giorni BERO n 05 a se invece si sommano spostando di un posto a destra il ciclo delle du- rate di Venere mattutina, si ha il ciclo delle rivoluzioni sinodiche con- tate dalla culminazione inferiore, che risultano di giorni 585, 582, 587, 581, 585. Le leggi di questi numeri appariscono manifeste. 4. Calcolo rigoroso delle epoche delle longitudini di Venere in vicinanza delle congiunzioni. — Trovate, com'è detto precedentemente, le date approssimate delle congiunzioni, per ciascuna di tali date, e per quelle precedenti e seguenti di 2 giorni, sono state calcolate con le tavole le longitudini eliocentriche di Venere. I risultati dei calcoli sono esposti nel quadro seguente; dove x dinota la longitudine del perielio dell’orbita di Venere, s la longitudine del nodo ascendente dell’ orbita di Venere rispetto all’eclittica, L la longitudine media di Venere nella sua orbita, f l'equazione del centro, o la riduzione all’eclittica, e=L4-f4+ e dinota la longitudine eliocentrica vera di Venere sul l’eclittica. Tutti questi elementi si riferiscono all istante del mezzodi medio di Parigi. Si è aggiunta una colonna che contiene, in primi e centesimi di primo, la variazione della longitudine eliocentrica del pianeta per l'intervallo di 2 giorni. DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 1309 13 Longitudini eliocentriche di Venere presso le congiunzioni DATA T 3 Lg f | È) v | DIFF. 121° 700 11290, lug. 28]42'59/9|14° 0,9|130 27° 3/4114 7°31/83|— 2°5/00/130°32° 024], 195,18] | » » 3043 O,1[14 1,1[133 39 19,02|+10 15,43/— 2 23,61|133 47 10,84 | | 195,18) | » ago. 1|43 0,4|14 1,3|136 31 34,64|-+12 57,07|— 2,10,36|137 2 21,35) | Ì Ì | 1291, mag;.19|43 40,4|14 27,3|243 5 26,49|+-41 46,65|4+ 0 40,21|243 47 53,35 | 190,42 » =» 21|43 40,7|14 27,5/246 17 42,10|4-40 16,16]+ 0 20,56|246 58 18,82 | 190,30) » =» 23|43 40,914 27,7/249 29 57,72|+38 38,45|4- 0 0,49/250 8 36,66 1292, mar. 10|44 21,0|14 53,8|357 19 57,38|—40 21,73|4+- 1 37,95|356 41 13,60 191,05 » » 12|4421,3|1454,0| 032 12,99/—41 50,63|+ 1 53,95|359 52 16,31 | 191,14 » » 14/4421,6/1454,2| 34428,61/—43 12,841 2 8,67| 3 324,44 1292, die. 24145 0,7|15 19,7|100 21 33,62|—18 4,44|— 2 35,33|100 053,85 | 194,71 » >» 26/45 0,9|15 19,9/103 33 49,23|—15 28,20|— 2 44,70|103 15 36,33 | 194,80 » » 28|45 1,2/15 20,1|106 46 4,85|—12 48,90|— 2 51,88|106 30 24,07 1293, ott. 6|45 39,8|15 45,4|198 34 4644447 56,58|+ 2 56,45|199 25 39,47 | 199,84 »» = 8|45 40,115 45,6|201 47 2,05|+48 28,30|4+ 2 59,24/202 38 29,591’ | 192,65 » >» 10|45 40,4/15 45,8|204 59 17,66|+-48 50,91|4 3 017/205 51 8,74 | | | [1294, lug. 28|46 20,5/16 11,7|311 13 9,51|— 719,81|— 233,48|311 316,22 | 190,00 » >» 30/46 20,7/16 11,9/314 25 25,12|— 9 46,92|_ 2 22,09|314 13 16,11 | 190,06 » ago. 1/46 21,0/16 12,1|317 37 40,74| 12 12,18|— 2 8.94|317 23 19,62 | 11295, mag.20|47 1,0|16 38,3| 65 27 4040/41 5,444 0 34,66| 6447 9,62 | 193,50 >» 22/47 1,3|1638,5| 6839 56,01|—39 30,80|+ 014,37 68 039,58) ’ | 193,68 |» » ‘2447 1,6/16 38,7 7152 11,63/—37 48,49 0 6,01) 7114 17,13 | 1296, mar. 6|47 40,9/17 4,5|171 41 32,25|4-37 47,83|4 1 13,59|172 20 33,67 | 194,26] » » S|AT 412/17 4,6|17453 47,87|4-39 30,05|+ 1 31,61|175 34 49,53 | 194,12 |» 0» IO|ATALA\N7 4,8/178 6 348441 4,85|L 148;53/178 48 56,86 | Ì 14 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE Longitudini eliocentriche di Venere presso le congiunzioni 1296 1301 » 1302 Il » DATA , mar. 2 ott. » » slug. £ » 49 0,7 49 1,0|17 49 1,3 49 40,6 49 40,9 49 41,1 50 21,0 50 21,3 50 21,6 5I 1,6 51 1,9 3|51 41,5 51 41,8 51 42,1 18 48,9 18/49,1 18 49,3 19 15,3 19 15,5|3: 19 15,7 19/41,4 19 41,6 19 41,8 20 7,0 20 33,5 20 33,6 20 33,8 41204 55 È L 27619 16,29 279 31 31,91 282 43 47,52 22 33. 8,15 25 45 23,76 98 57 39,38 12847 0,00 131 59 15,62 135 11 31,23 b) 241 25 23,09 244 37 38,70 247 49 54,31 354 3 46,16 100 17 53! 103 29 È 106 42 198 30 £ 201 43 309 33. 6,09 312 45 21,71 315 57 37,32 4 44 +20 58,26 +18 28,49 +15 55,37 — 44 99,90 — 44/44,91 44 57,14 + 6 0,09 + 844,53 +11 27,19 +42 31,70 +4 5,72 +39 32,11 — 38 36,33 —40 14,03 — 41 44,46 —18 19,28 — 910,95 _ 11 50,56 [mo] + 050,71 + 031,28 + 011,43 + 119,61 | 137,04 + 153,37 — 234,93 9 44,38 251,62 2 56,29 2 59,38 3 0,19 339,75 28 15 41,51 128 50 19,70 1 1325 30,07 2|135 20 40,60 242 7 4,08 245 18 13,14 248 29 14,99 353 26 29,44 356 37 24,78 359 48 26,30 99 56 51,78 103 11 32,97 106 26 20,30 199 21 39,91 202 34 30,81 205 47 10,32 309 28 57,49 5312 33 49,21 315 43 30,36 | DIFF. 189/58 189,56 191,93 192,03 191,15: 191,03 190,92 191,03 194,68 194,79 DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 1509 15 Longitudini eliocentriche di Venere presso le congiunzioni | DATA T Ra) L f f v DIFF. | |||. ———_—_|——__|—TtT__ 121° | 70° 4 di ‘1 ui QAS GSC) IRA e GELIDA o ‘4 1303, mag.18|5341f7|21° 0,0| 63 47 36,98|—41°53/11|+ 045/151 63° 62902] |, | 193,43! » 0» 20/53 41,9[21 0,2| 6659 52,60/—40 22,80|+ 0 25,23] 66 19 55,03 | 193,56 » >» 22/53 42,2/21 0,4| 7012 8,21|—38 44,75|+ 0. 4,95| 69 33 28,41 1304, mar. 3/54 21,4/21 25,9/168 25 21,03|+-35 50,72/+ 0 53,69|169 2 5,44 | 194,41 » » — 5|5421,7[21 26,1[171 37 36,64/4-37 40,54|+ 1 12,76|172 16 29,94 | 194,27 | | 189,64 » 0» 7|5421,9[21 26,2|174 49 52,26/4-39 23,14/+ (n 30,86|175 530 46,26 1304, dic. 17/55 1,0|21 51,8|271 26 57,27|4-24 42,36/— 2 2,80|271 49 36,83 » » 19|55 1,321 52,0|274 39 12,89|+-22 18,93|— 2 16,59274 59 15,23 189,60 » » 21/55 1,6|2152,2/277 51 28,50|+-19 51,36|— 2 28,70|278 8 51,16 | 1305, ott. 6|55 41,3|22 18,1| 20 53 5/—48 6,23/+ 257,17) 20 7 55,69 | 191,83 Lo 3 5 -l (er 4,7 » » 855 /41,6|2218,3| 24 5 20,36|—48 34,61|4+ 2 59,76| 23 19 45,51 : 191,94 »» 10|5541,9[22 18,5] 27 17 35,97|—48 53,95|+ 3 0,08| 26 31 42,10 | 1306, lug. 26/56 21,5|22 44,3|130 19 12,21|+ 7 13,22|— 2 35,93|130 23 49,50 195,17 » » 28|5621,8/22 44,4/133 31 27,83|+ 9 56,76|— 2 24,70|133 38 59,89)” 195,19 » » 30/56 22,0/22 44,6|136 43 43,44|4-12 38,43|— 2 11,60|136 54 10,27 11307, mag.16/57 1,8|23 10,7/241 21 27,49|442 32,01|+ 0 51,54|242 451,04 | » 18|57 2,1|23 10,8244 33 43,10|4+- 41 6,59/+ 0 32,14245 15 21,83 | » » 20/57 2,3|23 11,0|247 45 58,72|4+-39 33,53|4+- 0 12,31|248 25 44,56 1308, mar. 3/57 41,9|23 36,9|349 11 27,14|—35 49,03|-+ 0 50,91|34S 36 29,02 191,77 » » 5/57 42,2/2337,1[352 23 49,75|—3737,57|+ 1 9,75|3514714,98| 0 | 191,87 >» 7|5742,4/23.37,2/355 35 /58,37/—39 19,224 127,68/35458 6,838) | | 1308, dic. 19/58 21,8)24 2,9| 95 25 18,99/—22 6,97|— 2 16,56| 95 0 55,46 | 194,66 » » 21/58 29,1/24 3,1| 9837 34,60|—19 36,73|— 222,88] 98 15 34,89 | 194,65 » 2358 /22,3/24 3,2|1014950,22/—17 2,65|— 239,47/101 30 8,10 | 16 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE Longitudini eliocentriche di Venere presso le congiunzioni DATA T 5; L f 0 v Dire..| 1210) 70° 11309, ott. 2|59° 1°1|24°28/6|195%1439/63]447° 724|4- 255067196 437,54| | 193,04 >» 439 1,424 28,8/198 26 55,24| 47 48,881+ 2 56,10/199 17 40,22 4 | 192, >» » — 6|59 1,6|2428,9|201 39 10,86| 48 21,86|4+ 2 59,31|202 30 32,03 Facendo uso delle tavole per il calcolo delle efemeridi date nella se- zione VI del volume IV dei citati Annales de l’Observatoire de Paris, si sono ancora calcolate per le stesse date le longitudini del Sole, deducen- dole da quelle dell’anno 1801 mediante opportune correzioni. I risultati sono riuniti nel quadro seguente, dove ] dinota il numero dei giorni da aggiungere alla data assegnata per avere la data del 1801 con la quale si deve entrare nelle tavole; m il numero dei periodi di giorni 365, 25, per il quale si deve fare la correzione; (1) v, la longitudine vera per il 1801; mv, la correzione per gli wm periodi; Mm \2 E dont (0) v, la correzione per la variazione secolare; ULI 2 e=zut+ me, 4 o) ©, la longitudine vera del Sole per la data assegnata, per l'istante del mezzodi medio di Parigi. Anche qui si è aggiunta una colonna, contenente in primi le diffe- renze delle longitudini del Sole per l’intervallo di 2 giorni. (1) Il numero n, è eguale al numero, che dinota l’anno, diminuito di 1801. Il nu- mero .j si ha dall’equazione j=7 — m X 365, 25, dove » indica il numero dei giorni decorsi da una data del 1801 fino alla stessa data dell’anno di cui si tratta. Per gli anni bisestili 2, e quindi ;j, ha due valori, uno prima, l’altro dopo il 1° marzo. Così per l’ anno 1301 si ha 2= — 500 X 365 — 123 +10, m=_—- 500, quindi 7= 12; per l’anno 1300 dal 1° gennaio al 28 febbraio si ha n = — 501 X 365 — 1244 10, m= — 501, quindi j=11,25, e dal 1° marzo in poi risulta j = 12, 29. Gli ultimi 10 giorni d’un anno giova considerarli come appartenenti all’anno appresso; così 23 dicembre 1300 equivale a — 8 gennaio 1501; quindi m = — 500, j = 12. DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 1309 17 Longitudini del Sole presso le congiunzioni di Venere | T | CORR. DELL'EPOCA | gui | E; Pf o (IT , ; (To a) Il | DATA | Vo mv, | 100) Ù 1 DIFF. || I ) m | | | | ESC Ra MASO tene: | | | V 4 di Ù 4 HAI di 9 4 Uri | | \1290, lug. 28|+11,75|— 5I1|136 5/13,63|—4 4 9,76|+-38,38|132 14525], | | 115,37 30 138 025,45) 4 4 0,30 39,17[133 57 4,32 | 115,46) ago. 1 139 55/42,17) 4 350,34| 40,21|135 52 32,07 | 1291, mag.19|4+-11,50|— 510 | 68/59 /27,19| 4 236,98) 10,14| 6457 0,35| (14, 71] 2I 70 54 21,10) 4 249,02 10,66| 66 51 42,74) | 114,66) 28 7249 11,24| 4 3 0,54 11,44| 6846 22,14 | (1292, mar. 10|+-12,25|— 509| 138 57,69] 3 /5147,31] 3,6335747 14,01 i 118,47 12 3.37 45,88| 352 7,00) 3,11/359 45 41,99 ._ |138,33 14 5.36 25,86) 35226,80) 2,85) 144 1,91 1292, dic. 24|4+12,00|— 508 |284 45 53,90] 3 44 16,56] 33,03 [281 2 10,37] 122,31 » 26 1286 48 12,60] 3 44 15,65) 32,00|283 4 28,95 122,28 » » 28 288 50 30,21] 344 15,55) 31,23|285 6 45,93 1293, ott. 6|-+12,00}— 508 |204 38 3,86| 353 1,89] 55,48 [200 45 57,45 | 119,77 | S 206 37 29,72) 35241,62| 55,48 |202 45 43,58 | 119,91 | 10 308.37 3,54| 35221,35| 55,74|204 45 37,93 | | 1294, lug. 28|4-11,75|— 507 [136 5 13,63] 4 215,08| 37,79|132 3 36,34 115,37 sureban 1:30) 138. 0.25,45| 4 2 5,70] 38,56 [133 58.58,31 115,46 ago. 1 139.55 42,17 4 155,82) 39,59|135 5425,94| — | 1295, mag.20|+11,50|— 506 | 69 56 54,63| 4 048,83| 10,24| 65 56 16,04 | 114,68 29 T1 51 46,62) 4 1 0,52) 10,75| 675056,85 | | 114,63 5 lapr4 73 46,34,97 4 111,70 11,52| 69 45 34,78 | 1296, mar. 6|+12,25|— 505 |357 40 56,79] 3 49 19,53| 4,34|353 51 41,60 118,75 8 35940 1,32) 349 38,67| 3,83 [355 50 26,48 | 118,61) 10 138 57,69/—3 49 58,01] + 3,57 |357 49 3,25 | 3 13 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE Longitudini del Sole presso le congiunzioni di Venere 1301, ott. D) » 1302, lug. 7|4+19;25 (1 » » 28 » ) 30 -+12,00 +12,00 11,75 CORR. DELL'EPOCA — 501 — 500 — 500 — 499 DADA === === Vo J) Mm 1296, dic. 21|-+12,25|— 505 |281 42/50,97 23 283 45 10,73 FRSOS 285 47 29,86 11297, ott. 8|+12,00|— 504 |206 37 29,72 NO 208 37 3,54 12 210 36 45,25 1298, lug. 26|4-11,75|— 503 |134 10 6,50 PNE O 136 5 13,63 » 89 138 025,45 1299, mag.17|+11,50/— 502| 67 429,29 SO EESLASiO 68 59 27,19 FITTASI 70 54 21,10 358 40 30,07 0 39 30,52 2 38 29,81 9) 983 44 44,23 985 47 3,37 287 49 21,56 203 38 23,94 205 37 45,79 207 37 15,64 13410 6,50 136 5 13,63 138 025,45 MO, 0 0 — 3425952 3 42 57,80 3 42 56,54 3 50 51,68 3 50 31,57 3 50 11,62 4 029,06 4 020,41 4 011,10 3 58 36,24 3 58 48,64 359 0,48 3 47 40,02 3/47 59,10 3 48 18,39 3 40 45,95 3 40 44,10 3 40 43,60 3 49 31,70 3 49 11,70 3 48 /51,75 —3.58.16,50 35,86 36,60 + 37,35 0 dd 4 3 025,32 202 47 32,65 204 47 26,84 206 47 28,50 130/10 13,87 530,41 0 52,30 650 48,38 66 55 30,95 2 (354 52 54,07 356 51 34,93 3 1358 50. 8,05 4 31,38 6 50,77 9 8,46 199 49 45,99 201 49 27,84 203 49 17,89 130 12 8,05 132 724,50 134 2 46,30 DIPL. 115,28 115,36 114,77 114,71 118,68 118,56 122,32 9 122,29 dii v) 119,70, 119,83 115,27 115,36 DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHS DAL 1290 AL 15309 19 Longitudini del Sole presso le congiunzioni di Venere CORR. DELL'EPOCA | | ( UG n ——r_r—__o (DI mv | (SZ 73? ” | N DATA 5 ) | I \\700 2| | DIRI }) m | | | ) | U Î ‘ USIIS RAIL ‘i x ij ‘i 1303, mag.15|+11,90]/— 498 | 681 58,79|—3 56 48,39/+ 9,42) 64 5 19,78 | U | | 114,74 Il , 2%) 69 56 594,63] 357 0,39 9,92] 66 0 4,16 | | | (114,68 PD) 7151 46,62| 35711,89) 10,42| 67 54 45,15 (1304, mar. 3|+-12,25|— 497|354 42 4,80| 3 45 13,73] 4,69 [350 56 55,76| 5 396 41 21,48] 3 45 32,22 4,45 [352 55 53,71 118,82 PRI, 358 40 30,07| 3 45 50,95| 3,95 |354 54 43,07 1304, die. 17/4-12,25|— 497 [277 38 10,73] 3.39 34,03] 35,08 [273 59 11,78 | 122,38 MUOIO! 19 279 40 30,87 939/30,55] 34,33|276 134,65 i . [122,361 s 2I 281 42 50,97) 339 27,87] 33,10|278 356,20 1305, ott. 6|4-12,00|— 496 |204 38 3,86) 3 47 831,61] 52,59|200 51 25,14 119,74 SIN gt UVE 206 37 29,72| 347 11,82) 52,89|202 51 10,79 | 119,90 TRIO 208 37 3,54 346 52,03) 53,14/20451 4,65 1306, lug. 26/4-11,75|— 495 [154 10° 6,50| 3.56 39,57] 35,28|130 14 2,21 | 115,27 28 136 5 13,63) 356 30,96| 36,02|132 9 18,69 115,36 a 50 138 025,45] 35621,90) 36,75 |134 4 40,30 1307, mag.16|4-11,50|— 494| 66 658,77| 354 41,82| 8,54| 6212 25,49 "OG TOTI 68 158,75) 35454,26| 9,27) 64 7 4,49 dla 20 69 56 54,63| 355 6,17 9,76| 66 148,46 |1308, mar. 3|+-12,25|— 493 [354 42 4,80 34325,97| 4,6235058 43,45 118,98 AUZLE RIANE 356 41 21,48| 343 43,31) 4,37|35257 42.54 | 118,83 |» 7 358 40 30,07| 344 1,89) 3,89|354 56 32,07 | 1308, dic. 19/4-12,25|— 493 [279 40 30,87] 3.37 44,55| 33,78 |276 3 20,10 122,36 21 281 42 50,97| 337 41,89) 32,57/278 541,651 122,35. | | ’ ; 23 1283 45 10,73/—3 37 39,92/+ 31,59 |290 8. 2,40 20 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE Longitudini del Sole presso le congiunzioni di Venere n CORR. DELL'EPOCA 5 MN DATA C__—— em Vo MU, Va v DIFF. 1309, ott. 2|-+12,00|— 492 |200 39 36/29|—3 4620,92|+ 51/80 |196 54 7/17 » » 4 202 38 46,05] 3/46. 1,24) 52,04 |198 53 36,83 CIG 204 38 3,86|—3 45 41,51|4 52,04 [200 53 14,39 Ottenute le longitudini eliocentriche di Venere e le longitudini geocen- triche del Sole, di 2 in 2 giorni in vicinanza delle congiunzioni; me- diante l’ interpolazione semplice si sono calcolate le epoche delle con- giunzioni stesse, approssimate fino alle ore. Questo calcolo si esegue facilmente. Così, p. e., dai quadri precedenti si vede che la longitudine geocentrica del Sole diviene eguale alla lon- gitudine eliocentrica di Venere, e quindi ha luogo una congiunzione su- periore, tra il 9 e l’11 marzo 1300. Chiamando « la frazione di 2 giorni, da aggiungere alla data 9 marzo, per ottenere l’epoca della detta con- giunzione, si ha 3560 37,41 + a. 191,03 = 356° 51,47 + x. 118,51, donde i, 14, 06 Ea mn 14,06 X 48 = 9ore circa = 72, 52 , AOL 72; 52 ; * di i Quindi la congiunzione in parola ebbe luogo 9 ore dopo il mezzodi medio del 9 marzo, ossia il 9 marzo 1300 a 21 ora di tempo medio ci- vile di Parigi. Similmente si vede dai quadri che la differenza tra la longitudine geo- centrica del Sole e la longitudine eliocentrica di Venere diventa eguale a 180°, e quindi ha luogo una congiunzione inferiore, tra il 26 e il 28 lu- glio 1302. Chiamando « la frazione di 2 giorni da aggiungere alla data 26 luglio 1302 per avere l'epoca della detta congiunzione, si ha 309° 23’, 96 + x. 189, 75 = 180° + 130° 12°, 13 + x. 115, 27, DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODICHE DAL 1290 AL 15309 21 donde x Pi in ore docili be52 531 ore cir leior Toreci Bz; BH ore = FIST = dlorecirca = I giorno e (ore circa. (4, 48 (4, 48 pri Quindi la congiunzione in parola ebbe luogo 1 giorno e 7 ore dopo il mezzodi medio del 26 luglio, ossia il 27 luglio 1302 a 19 ore di tempo medio civile di Parigi. Con lo stesso procedimento si trova che avvenne una congiunzione inferiore circa 41 ore, ossia 1 giorno e 17 ore, dopo il mezzodì medio del 24 dicembre 1292 : il che ci conduce al 26 dicembre 1292 a 5 ore di tempo medio civile di Parigi. Dalle epoche delle congiunzioni inferiori si possono dedurre approssi- matamente le date: 1°) delle stazioni del pianeta, le quali avvengono circa 21 giorno prima e dopo la congiunzione inferiore; 2°) del massimo splendore, che ha luogo circa 37 giorni prima e dopo la congiunzione suddetta: 5°) delle massime elongazioni, che accadono circa 71 giorno prima e dopo la congiunzione medesima, Tutte queste apparenze di Venere sono state raccolte nei quadri se- guenti, nei quali, per altro, le date delle stazioni, del massimo splendore e delle massime elongazioni non si sono calcolate con le regole prece- denti, ma, a fine di ottenere un’approssimazione maggiore, si sono de- dotte come segue. Dal Nautical Almanac si sono presi i fenomeni relativi a Venere per il periodo dal 1865 al 1875, nel quale le date delle congiunzioni antici- pano di circa 17 giorni su quelle del periodo dal 1290 al 1509 :la dif- ferenza tra le date di due congiunzioni inferiori corrispondenti si è ap- plicata alle stazioni, al massimo splendore ed alle elongazioni vicine, per ottenere le date delle medesime apparenze nel periodo, che abbiamo preso a studiare. Si sono scelti gli anni 1865-1873, perchè sono i primi nei quali il Nautical Almanac ha cominciato a fare uso delle tavole di Ve- nere di Le Verrier. DI dai SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE Principali apparenze di Venere in tempo medio civile di Parigi dal 1290 al 1309 Venere vespertina CONGIUNZIONE MASSIMA MASSIMO | CONGIUNZIONE | Durara SUPERIORE | ELONGAZIONE SPLENDORE DR INFERIORE ‘GIORNI ORE 1290, lug. 30, ore 18/1901, mar. 11|1291, apr. 15/1291, apr. 30|1291, mag.21, ore 161295 4 12992, mar.12, » $|1292, ott. 16/1292, nov. 21|1292, dic. 61292, dic. 26, » 5|288 21 1293, ott. 8,» 171294, mag;.21/1294, giu. 23/1294, lug. 71/1294, lug. 30, » 53/294 10 1295,mag.22, » 181295, die. 28/1296, feb. 2|1296, feb 14 1296, mar. 8, » 20/291 2 1296, die. 23, » 23/1297, ago. 1|1297, set. 41/1297, set. 17/1297, ott. 10, » 1290 2 1298, lug. 28,» 12/1999, mar. 8|1299, apr. 12|1299, apr. I 1299, mag;.19, » 1294 13 1300, mar. 9, » 21/1300, ott. 13|1300, nov. 18/1300, dic. 3/1300, dic. 23, » 17|288 20 1301, ott. 6, » 61302, mag.18|1302, giu. 20|1302, lug. 3 1302, lug. 27, » 19/294 13 1303,mag.20, » 0|1303, dic. 25/1304, gen. 30/1304, feb. 12/1304, mar. 6, » 13|291 13 1304, dic. 21, » s'1305, lug. 30/1305, set. 2|1305, set. 14|1305, ott. 7, » 17/290 9 1306, lug. 26, » 6 1307, mar. 5|1307, apr. 10|1307, apr. 25/1307, mag.16, » 17/294 11 1308, mar. 7, » 10/1308, ott. 10/1308, nov. 15/1308, die. 11308, dic. 21, » 5288 19 Venere mattutina n | I CONGIUNZIONE | MASSIMO MASSIMA CONGIUNZIONE DURATA STAZIONE INFERIORE SPLENDORE ELONGAZIONE INFERIORE GIORNI ORE | 1291, mag.21, ore 16/1201, giu. 10/1291, giu. 27/1291, lug. 31/1292, mar.12, ore 8|295 16 1292, dic. 26, » 5|1293, gen. 15/1293, gen. 30|1293, mar. 8|1293, ott. 8, » 17286 12 1294, lug. 30, » 31294, ago. 21|1294, set. 5|1294, ott. 9/1295,mag.22, » 18/296 15 1296, mar. 8, » 20/1296, mar. 28|1296, apr. 15|1296, mag.18|1296, die. 23, » 23/290. 3 1297, ott. 10, » 1|1297, ott. 29/1297, nov. 16|1297, die. 21/1298, lug. 28, » 12/291 11 11299, mag.19, » 11299, giu. ‘71299, giu. 24/1299, lug. 28/1300, mar. 9, » 21/295 20 1300, dic. 23, » 17/1801, gen. 12/1301, gen. 27/1301, mar. 51301, ott. 6, » 61286 13) 1302, lug. 27, » 19/1302, ago. 18|1302, set. 2/1302, ott. ‘71303,mag.20, » 0/296 5 11304, mar. 6, » 13/1304, mar. 26|1304, apr. 11/1304, mag. 16|1304, dic. 21, » 8|289 19 1805, ott. MT,» 17/1305, ott. 271305, nov. 14|1305, dic. 181306, lug. 26, » 6291 13 1307,mag.16, » 17/1307, giu. 5|1307, giu. 22|1307, lug. 25|1308, mar. 7, » 10/295 17 11308, die. 21, 51309, gen. 9|1309, gen. 25|1309, mar. 2) 1309, ott. 3, » 20/286 15 DURANTE DODICI SUE RIVOLUZIONI SINODIOHE DAL 1290 AL 1309 25 5. Riflessioni sui risultati precedenti. — Sui risultati precedenti si pos sono fare le seguenti considerazioni. I. — Nel periodo dal 9 marzo 1500 al 7 marzo 1508, che abbraccia 8 anni e 5 rivoluzioni sinodiche di Venere, questa, nella stagione prima- verile, fu stella del mattino negli anni 1301, 1504, 1306; e particolar mente nel 1304 raggiunse il massimo splendore un mese dopo |’ equi- nozio. Nello stesso periodo Venere nella stagione primaverile fu stella della sera negli anni 1300, 1502, 1805 e 1307; e in particolare nel 1307 acquistò il massimo splendore un mese dopo l’equinozio. Nell'anno 1503 fu stella del mattino fino a 70 giorni dopo l’equinozio, e nel resto della primavera fu stella della sera. In parecchi periodi ottennari precedenti e seguenti le apparenze si ripeterono nelle stesse condizioni; quindi si conchiude che è popolo che visse con Dante, nella stagione primaverile, vide Venere come stella della sera almeno tante volte, quante la vide come stella del mattino; anzi con leggera preponderanza la vide come stella della sera. II. — Se per gli anni 1501, 15303, 1504 e 1306, in cui Venere fu veduta di primavera come stella del mattino, si calcolano le posizioni del pia- neta circa 20 giorni dopo l’equinozio, 0, più precisamente, per l’istante in cui il Sole raggiunge la longitudine di 20°, deducendole, per maggiore semplicità, rispettivamente dagli anni 1805, 1805, 1806, 1808, si ha : Longitudine Longitudine Anni «del geocentrica —Ditterenza Sole di Venere 1501 20° 356° Addo 1505 20 8 12 1504 20 547 35 1506 20 350 50 e si vede che nella detta epoca Venere sorgeva prima dell’ alba sola- mente negli anni 15301, 1504 e 1506. Nel 1303, Venere distando dal Sole soltanto per 12 gradi sull'eclittica, non poteva sorgere prima dell’alba. Nel 1303 nel Purgatorio Venere potè sorgere prima dell’ alba solo nei primi giorni dopo l’ equinozio. Il numero delle volte adunque che Ve- nere nella stagione primaverile si vide sorgere prima dell’ alba sta & quello che non si vide in tali condizioni come 3 a 5. III. — Negli 8 anni dal 9 marzo 15300 al 7 marzo 1508 il massimo splen- dore di Venere mattutina si ebbe una volta d'inverno (27 gennaio 1301), una volta di primavera (11 aprile 1304), una volta d’autunno (14 no- vembre 1305) e due volte d’estate (2 settembre 1302 e 22 giugno 1307); il massimo splendore di Venere vespertina si ebbe una volta d’inverno 24 SULLE PRINCIPALI APPARENZE DEL PIANETA VENERE (30 gennaio 1304), una volta di primavera (10 aprile 1307), una volta d’ autunno (18 novembre 1300) e due volte d’estate (20 giugno 1302 e 2 settembre 1305). Queste stesse condizioni si verificarono per parecchi periodi ottennari precedenti e seguenti. Se queste circostanze si connet- tono col grado di serenità del cielo maggiore in estate che nelle altre stagioni, si deve conchiudere che ai tempi di Dante nella fantasia po- polare Venere come splendida stella del cielo dovette connettersi con le belle mattine e con le belle sere di estate, ovvero Venere dovette ri- guardarsi come stella di preferenza estiva. IV. — Se Beatrice mori il 9 giugno 1290, Dante si dovè riferire alla mas- sima elongazione di Venere, la quale era avvenuta il 23 dicembre 1289, cioè 5 mesi e 14 giorni prima; ovvero si dové riferire alla congiunzione superiore, che avvenne il 30 luglio 1290 cioè 51 giorno dopo. Al ter- mine di due rivoluzioni sinodiche si era a 51 giorno prima della con- giunzione superiore dell’8 ottobre 1293, ossia al 18 luglio 1293. Se Bea- trice morì il 9 giugno 1291, in quel tempo Venere era stazionaria (pro- priamente fu stazionaria il 10 giugno 1291), e due rivoluzioni sinodiche dopo ci portano al 20 agosto 1294. In entrambe le ipotesi, al tempo della morte di Beatrice, Venere sarebbe stata una stella del mattino. V.--Venere si congiunse superiormente col Sole nel segno di Capricorno il 24 dicembre 1296, il 21 dicembre 1304, il 19 dicembre 1312, e così di 8 in 8 anni prima e dopo, dal 1224 al 1336 circa. La canzone « Zo son venuto al punto della rota », sia o no di Dante, deve riferirsi a uno di questi anni. SU CERTE RAPPRESENTAZIONI 00 NES ORERIIETRE 0008 Peri ng DotrBsE46SO ER alla R. Accademia di Scienze, lettere ed Arti 1 17 Marzo 1901 La a pri sI0fR8. De igl 7 IO PUT Pv FT î d ros ahi sb tetta annoloa b intenob CINI crnpstià R nia te dia 4 Ù lesi ni î a > "i —* = = 5 ——Fraesfg ie Pi 5 PRIA PRI pPPRPRRPRIRRRPRARFFIITEF_TFFTFe =>< Su certe rappresentazioni a linee isoperimetre date 1. Ci proponiamo di presentare delle formule relative a talune rap- presentazioni di superficie, nelle quali si avveri la isoperimetria su de- terminate linee. A Premettinmoa leune considerazioni d’indole generale. Siano .S, S° due superficie riferite a linee cordinate ortogonali (v, ©), (@', ©), e siano i loro elementi lineari : (1) dst = E du + G@ da (2) ds*—= E' du'* + G' de2. Supponendo date tra i parametri delle linee coordinate le relazioni atte a stabilire la rappresentazione della superficie ,S sulla 8°, sia (3) dsî = E, du° 4-2 F, dude + G, de lo elemento lineare della ;S° espresso nei parametri w e v. I coefficenti della (3) son dati, come è noto, dalle : Qu Qu du’ Qu’ dv du Ò PF = Va lc | yer © U (4) È du dv du. .dv RA) L DI Ap:f 2 Ù #4 Lei var di G=E" (5) +6 (3) WU ; o dove £” e G” sono le 2° e G’ espresse per « e 4 SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE Supponiamo adesso di avere scelto le formule di corrispondenza del tipo seguente : \ u =U(u) +e (9) ; lege essendo » e y arbitrarie. Le (5) permettono di far corrispondere le linee coordinate ortogonali prescelte sulla S a quelle prescelte sulla 8°; e, soddisfacendo alla (6) m=0 permettono di tenere le linee coordinate della ,S come direzioni princi pali nella rappresentazione della detta ,S sulla ,S°. Le (9) inoltre, per l’ arbitrarietà delle funzioni 4 e 7, permettono di sottoporre la rappresentazione a qualche condizione, quale, ad esempio, la isoperimetria lungo linee prescelte, ciò che ci proponiamo di studiare in taluni casi, che possono riuscire utili alla Geodesia. 2. Uno dei casi più semplici è il seguente : Si supponga sulla superficie ,S e sulla S° scelto a linee coordinate il sistema delle geodetiche uscenti da un punto e delle loro traiettorie or- togonali. Le geodetiche sulla S siano le v= cost; e sulla ,S° le è’ = cost. Nella ipotesi posta si ha, come è noto: (7) B=1 B=1 2 Se si suppongono le (5) ridotte alla forma: ( uWz=ute = oe in virtù dalla prima di esse, si avrà £,= 1, e quindi si saranno lese isoperimetre le geodetiche uscenti dal punto origine, giacchè sarà Pr = May I Se la ,S° è un piano, le geodetiche uscenti dal punto origine sulla S saranno inoltre rappresentate da linee rette. 3. In generale, serbando alle formule di corrispondenza la forma (5), e supponendo che la S sia una superficie di rivoluzione riferita ai me- ridiani ed ai paralleli e la ,S° il piano cartesiano ortogonale, il problema della isoperimetria sopra un sistema di linee della S, dipende dalla : du’ \? DEN | do Di E (É UG -—|)+{|- == || = +G|-- LO) (a) (72) (i | d d i SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE 5) ARRIERRI PAT Ped e ri FICO ba dove £ e ( sono funzioni di u; -— si riferisce alle linee in quistione:; ed du il 2° termine del 1° membro può, nel caso attuale, tenersi eguale a i ) La formula (10) permette, ponendo il 2° membro uguale ad una fun- zione arbitraria di 4, e facendo delle opportune ipotesi sulla stessa e sopra una delle funzioni arbitrarie ‘4 (4) o % (©), di determinare dei sistemi di curve della .S, sopra cui avvenga la isoperimetria in speciali proiezioni. dv Ta VE lore relativo a curve note, ed in base ad opportune ipotesi *, di de- terminare per quadrature la w'(v) e è (u), e rendere quest’ ultima fun- zione di ©, eliminando la « mediante la © = (4), essendo questa la Od ancora la (10) medesima permette, quando sia dato al equazione delle curve date. Fermandoci, sul momento, a studiare la isoperimetria sopra un sistema di lossodromie o di geodetiche della ,S (specializzandola come sfera ed ellissoide), la eliminazione accennata porta a delle complicazioni assai gravi, specie per le geodetiche, per le quali le quadrature suindicate hanno richiesto, in varie ipotesi proposteci per lo studio della (10), l’uso delle funzioni ellittiche. i E delle complicazioni pure gravi si avrebbero nella detta eliminazione, , mediante la (10), qualora la 2’ si scegliesse , e nella determinazione di div de Abbiamo quindi creduto opportuno, per giungere a formule più dirette e più facilmente calcolabili, evitare la detta eliminazione, ponendo : a priori in modo che non si riducesse ad una costante. (11) v=kvdt-c Volendo, allora, la isoperimetria lungo un sistema di lossodromie della .S, il cui elemento lineare sia dato sotto la forma (12) ds° = du° + 1° de? si avrà lungo le stesse : DEI k (15) de ES E 19; 0— VISI du (GS * Si potrebbe, p. e., porre : CO de _ ax dv diva NL du du 6 SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMEPRE DATE essendo % la tangente dello angolo costante che ciascuna linea della fa- miglia fa coi meridiani della S. Stante la (11), ove s’intenda il / identificato con quello della (18), si ha dalla (10) : = VASTA (14) Vu VILH- I du-+ C ke x la quale dà la 1 delle corrispondenze (9). Se si volesse invece rendere isoperimetro un sistema di geodetiche della S, si rammenti che supponendo questa ridotta alla forma di Liouville (15) ds = 1° (duî + dé) dove der da, lr si cava per le geodetiche della stessa : du stan essendo % la nota costante di Clairaut. Dalla (10), tenendo la seconda delle (5) sotto la forma (11) nella quale si supponga il % eguale alla precedente costante, e stante la (15), si ha: (GN (16) Y du + 1 (= (È Finta di che determina la 1% delle corrispondenze (5). Nei due casi suesposti i meridiani della superficie S saranno rappre- sentati da rette parallele allo asse delle x; i paralleli da rette parallele allo asse delle y. Le (11), (14) e (16) permetteranno di determinare facilmente i moduli principali #2, ed 72, e quindi tutte le modalità delle rappresentazioni. 4. Applichiamo le (11), (14) alla rappresentazione della sfera sul piano. Supposto la sfera di raggio unitario, e posto «= %, detta la latitu- dine, si ha (17) i={costg e la (14) diviene : SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE 7 Eseguiamo la quadratura col porre : (19) ———_—___—— = dopo aver moltiplicato e diviso sotto il regno integrale per sin <. Detto 0 lo integrale contenuto nella (18), esso diviene, dopo opportune riduzioni : ; 22 dz 1 SRL 0=—- (1— dì = 2 — = ( 5 _ - 5 iz \ di (2 +20) Il zac al 20 i e quindi x» (20) o=xarc. tg n — arc. tg 2. Le formule di corrispondenza sono dunque : 21) | a=VIER 040 ( l y=ke4e' dove in 0 si suppone alla 2 sostituita il 1° membro della (19). 5. Applichiamo le (11) (16) alla rappresentazione della sfera unitaria sul piano. La (16), quando vi si ponga 7= cose, ed ancora (22) COSTO dà, dopo opportune riduzioni : dit tdt (3) Lo=-3| | Lex dela EL #) eo Ponghiamo ancora (24) sel va Il polinomio di 3° grado contenuto nel radicale, assumerà la forma 5 rl 1 2 (25) Z=423+ VE(@-—3)-+3(k+3)=4#-%2-% ove si pongano : (26) | te) SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE Il secondo membro della (23) diviene, dopo opportune riduzioni : ” tz È îi ani 1 va 2 | i Iata dr val 2dz $ z > VA (- : =, DIAZ az - dI V È pa Si ponga adesso (25) ZII essendo pw la nota funzione ellittica di Weierstrasse. Se ne cava, per formule note : dz=pudu \Rz=pia La (24) diviene quindi: I du O 5 26 1 3 VAS Je I 1 ] 3 7% RIO 00) —avitlva (pe rp ee a IV. , Si verifica facilmente che i non è radice della Z=0; quindi dv posto (217) Le pe ; Sa il e non è un semiperiodo della pw. Eseguendo con questa avvertenza la integrazione del 1° termine del- la (26), ed eseguendo le integrazioni immediate degli altri termini, si ha definitivamente : la ke 1 nato) ei 1 28) O R= ZEN I N ] 3x/ la BA ( or =H4+3 VM a lee ae 4S()+u (+ 2% to ong Tera ) 0 \V 4 JD @ ) 3 dove 5 è la nota funzione di Weierstrasse; e € l’altra nota funzione, le- gata alla pu dalla relazione : pu=t% u. Supposto noto per ogni punto della superficie il valore di % e di £; e quindi quelli di pw, 9, 93 e del discriminante A=gp—=2gg E # Nel caso in esame il À è sempre negativo, giacchè si ha: da) x dle(8+2%4+3) SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE 9 Si cava dalle tavole delle funzioni ellittiche il corrispondente argomento 4. Così nota dalla (27) la pe si cava il © corrispondente. Noti i due argo- menti v e © sarà possibile calcolare le funzioni 7 e $ della (28). In quanto a pv esso sarà dato dalla relazione : (29) pe=V4pe — qgepe= gg Così per ogni punto della superficie S sarà possibile mediante la (28) avere il corrispondente +, e dalla (11) il corrispondente y. 6. Applichiamo le (11) (16) alla rappresentazione dello ellissoide sul piano. In tal caso esprimendo la (16) per la latitudine 2, col rammen- tare che du=fdq, e tenendo presenti le espressioni di 7» e £, la (16) diventa: (30) L(2)=(1—-e) | WVsin's (4° ei+a4) —2 sin? g (k° e4+-a9) + (X+a! X 7 ) de t og e sin? 4)? cos % (1 Si ponga allora dove & è la nota costante di Clairaut, e la eccentricità ed « il semiasse equatoriale dello ellissoide. Dal secondo membro della (50), dopo opportune riduzioni, si cava: Lea } e di 1 È tdi SI 33 = e IRINA — VE Lat lstarit = dt 1 7: +0 i fa (1—-e ty 7 | dove (34) I=axt8—-26t+yt Si ponga ancora : 5 26 3/4 (35) ea e “) 10 SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE La (34) diviene 3 a] 80 z=4s4 VÉ (FE) ove sì pongano: nn Q (O) | \ GIS = DI R_| 7 o) NA ac (35) Sostituendo le (35) e (36) nella (33), dopo aver posto: 2 gel = = 3a 1 3 IP = 3a ME (38) peri 14 naE => x Sa 5 4 7 —={| e° —_— \ x la detta (35), dopo convenienti riduzioni, diviene : ) b) D x MW Gap Laica LI vele = ove ancora mM dhe == ; n (40) 0 VII) )v =, === x Ciò posto si noti che : 22 A /53 75) 41 - = + (2) (2 u) (ea vÎ ZTL i (e v) Zi=N ed espressioni analoghe si hanno per le altre due frazioni razionali con- tenute sotto i segni integrali. Dicendo SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE 11 le costanti degli sviluppi relativi a queste ultime, saranno : A freni (gate io) (uv) Ve 3 (v_ &) , == Mal )i 20 v Pace =— (DI AE 0 e dea SME Atroro 1 A 1 de: dr aa BI ssi I (4 — v)° v—_-u (v_- 2) Si pongano allora CIGANIVATTI (43) ieEi MI | R === 8] _—. el + | no SS ' QI I | ed N e P uguali a delle espressioni analoghe alla precedente, ove però ad A, A’, A" s'intendano sostituiti B B' B' !) dh LÀ B, B/, B, La (39) assume in conseguenza la forma: ° dz 1 dz 1 dz 1 : nas N = È 2/0 AIA — C (3) do VARZI tà lea VIZ (> VARZI Si verifica che 4 e y non sono radici della Z=0, quindi ponendo, come nel $ 5: (45) 21M esupponendo u=pe e v=pe, si può eseguire la integrazione dei vari termini della (44) colla avvertenza che © e 7, non sono semiperiodi della pu. Intanto la (44) assume la forma : - (46) x | du +| du +r| du 0 pupe (pu—p®,) pupo, Dalla (46) definitivamente si cava, tenendo presente la formula di ad- dizione per la (7), e la prima delle (5): VIA lo) >) G 2A) o, ! (log (UA è) 2ut() + l Da e Li I TR te) E Rara (o ci (en p ©\ o (U_— %) pv IENA 2ut(v) | N (Eri I P | N ( pu — 2% u) + C. Paz Eta vga 1 pei \pu— pc, LE 47) 12. SU CERTE RAPPRESENTAZIONI A LINEE ISOPERIMETRE DATE Per il calcolo della (47), che dà la x corrispondente ad ogni punto dello ellissoide, supposti noti < e %, si ripetono le osservazioni del $ 5. Noto lo argomento « mediante la (45) e noti © e ©, dal u e dal v, si po- tranno calcolare le funzioni s e % della (47); e le pe e pe, mediante la (29) $ 5, ove al pe si sostituisca il w o il ». In quanto al p'’e, esso sarà calcolato dalla formola nota : (48) 2pe,=12 piè, — gs. La (11) darà al solito la y corrispondente ai punti dello ellissoide. Palermo, 1901. SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA Peri Ing Dott ME fSOLER alla R. ARecademia di Scienze, lettere ed Arti nella adunanza del 17 Marzo 1901 NEVI ica Rs: [i ef i VA IAA nie Cit iob beta gnb a stia rio TE n Sopra una nuova proiezione geografica compensativa 1. Fra le proiezioni geografiche molta importanza hanno quelle com- pensative, colle quali, pur non annullando alcuna della deformazioni avve- rantesi nelle rappresentazioni della superficie terrestre sul piano, si cerca di render tutte piccolissime. Fra esse è ben nota ai geodeti quella del Tissot, il quale, proponen- dosi di rappresentare sul piano cartesiano (ortogonale) una regione appartenente alla detta superficie e limitata in tutti i sensi, in modo che le coordinate dei punti estremi della stessa siano sempre delle quantità molto piccole, suppone svolte le coordinate x e y di un punto qualun- que della carta in serie convergente secondo le potenze delle coordi nate curvilinee del punto obbiettivo corrispondente. Convenienti determinazioni dei coefficenti arbitrari di detta serie, pos- sono dar luogo a diverse specie di proiezioni. Il Tissot ha studiato quella tale proiezione in cui le deformazioni ango- lari sono rese trascurabili, e nello stesso tempo sono rese il più possi- bilmente piccole le alterazioni lineari, essendo ridotto al 2272/70 la mas- sima alterazione di lunghezza. Or nei casi in cui si volesse come condizione essenziale la conserva zione delle aree, sarebbe più utile della precedente una proiezione la quale , rendendo trascurabili le deformazioni superficiali, riducesse al minimo possibile la massima alterazione angolare. Di quest'ultima proiezione c’intendiamo occupare. 4 SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA 2. Per intelligenza del seguito, premetteremo che la superficie terre- stre si suppone riferita ai meridiani ed ai paralleli; ed in ispecie si intendono per parallelo e meridiano medio quelli passanti per un punto opportunamente scelto nello interno della contrada da rappresentarsi (punto centrale). Si segna ancora con: I la latitudine di un punto qualunque della contrada, ì lo eccesso di latitudine del punto considerato sul parallelo medio, L la longitudine del punto stesso contata dal meridiano medio, s l’arco di meridiano compreso tra il parallelo medio Z, e quello di latitudine /, t la porzione di parallelo medio compreso tra il meridiano medio e quello di longitudine £, m, ed my, i moduli lineari sul meridiano e sul parallelo nel punto considerato, m, ed m, i moduli lineari principali, 060 lalterazione del retto obbiettivo, 2 l'alterazione angolare massima, ». il raggio del parallelo alla latitudine /, ‘, la stessa quantità alla latitudine /,, Ciò posto, noteremo che nelle condizioni cennate al $ 1, lo svolgi o mento in serie delle x e y secondo le s e #, arrestato al 3° ordine assume 1 la forma: # sin / 7. | Fia | Dr PLS —Bet+ 05 +08 (115) Ù o vr 2 "72 D' 3 Jil SIE t_-C de (0) S si nelle quali lo sviluppo sino al 2° ordine si è ottenuto supponendo che le coordinate cartesiane ortogonali del piano abbiano per origine il punto omologo al punto centrale; che lo asse delle x sia tangente alla proiezione del meridiano medio; e determinando inoltre i coetficenti dei termini di 2° ordine in modo da rendere i moduli lineari coordinati meno discosti che sia possibile dalla unità. I coefficenti dei termini di 3° ordine sono arbitrari. — Dalle (1) discendono così sino al 2° ordine: mn =1+ dAst-—2 Bst+ (C+ di to? 2) 1° (2) < “ | my = I BASCO set 4 Te (RE * Cfr. Tisson: Memoire sur la Reprèsentation des Surfaces (Paris 1881). SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA e *% 7 LÀ Ia . TÀ U cos 2 ln y " * (8) Sino= (A'—B)#8+2( 84 0-7) #04 (D SE 3. Or volendo, secondo il nostro proposito, render trascurabile la defor- mazione superficiale in ogni punto della carta, si rammenti che, dicen- dola , essa è data da (4) u=ma my cos 0. Facendo allora la seguente posizione tra i coefficenti arbitrari delle (1): c4=-B;3 B= i C+4+D' =, | cos 2 7 Al BE +C= Jo (01 1 BE 2 e0s°/, (5) Î ne deriva che sin0 e l’ alterazione superficiale # sono ridotte al 5° ordine. In quanto a quella angolare, si noti che esso è data da n E N, — My (6) Sino = E my + N e a lor volta: 2 (mm) = mi + mm, — 2 my così = (Mu — my +4 mn My sin°3- 0) 2 (nm, + m,)? = ma + 2 +2 ma my COSO = (mn + my Am my sin? 9 Si tenga presente, che, secondo le posizioni (5), si ha dalle (2): pa ni ) t, termini del 3° ordine mi + my =2+ 4% (ber Dalla (6), trascurando i termini di ordine superiore al 2°, si cava quindi Ma — My (1) sino = 3 ovvero, mediante le (2) in cui si siano introdotte le (5): i con A e B arbitrari. Considerando la (8) come la equazione di una curva di 2° grado, si sino= As —2Bst+( A+ 1 (8) 5 6 SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA vede che sinw, nullo (sino al 2° ordine) alla origine, sarà costante lungo i punti della (8) — Si tratta di determinarlo nel modo più conve- niente. 4. Si immagini pertanto di aver tracciato una carta ausiliaria dellà contrada, a scala conveniente, riferendo le coordinate rettangolari dei punti della contrada, eguagliate ad s e a # al meridiano ed al paral- lelo di un punto 0, scelto opportunamente nello interno della regione stessa. Supposto ancora che la (8) rappresenti una ellissi, collochiamola col centro nel punto 0, e diciamo s) e #, i segmenti che essa determina sugli assi coordinati, aventi origine in l. Posto, per brevità, simo = e dalla (8) si cava, supponendo successivamente, s = 0, t= 0 l ) oI= (d+ iu = »2 rs A So e quindi 242 (9) S= Ss So Îo Deo uT So) I) Dalla (9) si deducono le considerazioni seguenti : In primo luogo, detto A il diametro inclinato a 45° sugli assi di una iperbola, avente centro in O e per semiassi #, ed s, dalla (9) si cava -0) la quale fornisce un mezzo geometrico di calcolare, a mezzo di una iperbole ausiliaria, la deformazione angolare e nei punti situati sopra una ellisse, col centro in 0, e cogli assi comunque rotati rispetto agli assi coordinati. Mm secondo luogo la (9) si può presentare sotto le due forme seguenti: [o] 1 UE 24 eo (o) 1 (11) ‘= SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAPICA COMPENSATIVA 7 Dalla prima si cava che, ove nella contrada da rappresentare il mas- simo # fosse inferiore al massimo s, la ipotesi più conveniente per = ri sulterebbe nel porre t=t), ss, = 9. Similmente dalla (11) si trae che quando il massimo s fosse inferiore al massimo #, la ipotesi più conveniente risulterebbe dal porre = ih = SQ. Le (10) e (11) diverrebbero Il (12) ec O ti 1 (15) e===3%7 Nel 1° caso la curva (8) si ridurrebbe a due rette parallele allo asse t=0; nel 2° caso a due rette parallele allo asse s= 0. Nei casi pratici si sceglierà quindi il sistema di proiezione dipendente dalla (12) o dalla (15), secondochè nella regione in esame il massimo # sia inferiore al massimo s, o viceversa. b. Nel 1° caso i coefficenti arbitrari della (8) avrebbero la determi- nazione (14) MIS MMIBNEZI1O e tenute presenti queste e le (5), le (1) darebbero : STIANO »0S 2 / \ «pd eu pa CE e CI 0 NG 6 così /, dove /, è la latitudine del punto ©, scelto come punto centrale. Le (2) darebbero \ Mm= 1+ z 12 2 16) < (16) 1, My ala i? ed essi, come si cava facilmente dalle ipotesi poste sopra, rappresente- rebbero nell’ ordine di approssimazione da noi tenuto, anche i moduli principali 7», ed m%,. La massima deformazione lineare si avrebbe sulla carta definitiva 8 SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA lungo il meridiano corrispondente al massimo #, prescelto nella contrada da rappresentare. La massima deformazione superficiale si avrebbe da l I u=l-—-_f (14) U 1 essendo prescelto al solito il massimo #. 6. La ipotesi TESTE è 5) Sp darebbe pei coetficenti A e 5 della (8): | 1 ) (18) A=— DE, =, sin 7 Il | X=S+ i 12 6 53 9 tg? 2,5 12 (19) È 0 : A y= A 1 Ad esse corrisponde un sistema rappresentativo assai semplice del sistema geografico obbiettivo, giacchè posto, secondo un procedimento in- dicato dallo stesso Tissot : ) 1 (20) R= => R=R_-s+ 6 sì n= Lin, le (19) si possono presentare sotto la forma * n= 0.608 Di /G (0) (21) | i (9 =/0 my da cui si caverebbe per equazioni dei meridiani e dei paralleli (y= (Zi = ®) gv ( 9+ (BR aP=A (22) O) (S) # Per ricavare le (21) dalle (19), mediante le (20), bisogna tener presente che dr È = — Sim ds e, nell'ordine di approssimazione tenuto, si ha ; COSTUI peso = == se SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAPICA COMPENSATIVA HI) cioè i meridiani della carta sono rette concorrenti ed i paralleli cireon ferenze concentriche, col centro nel punto di concorso dei meridiani. Nel sistema di proiezione in esame, si avrebbe per moduli lineari coor dinati I u — l 7 s° \ Ut D ) Î ny = 14 3; sz \ (23 Li) che, come nel $ 5, rappresenterebbero anche i moduli principali; e quindi per modulo superficiale (24) yu = RAEE si Le massime deformazioni lineari si avrebbero lungo i punti del pa- rallelo corrispondente al massimo s della contrada. 7. La proiezione da noi studiata, oltrechè più adatta di quella del ‘Tissot nei casi in cui interessi specialmente la conservazione delle aree, è anche analiticamente più semplice. È ben vero che nel caso del Tissot il modulo lineare costante (sino al 2° ordine) lungo una curva di 2° grado, la cui equazione opportunamente ridotta piglia la forma e) m= Fi+ ( 2 ii r) È viene geometricamente determinato dalla A\ di (26 =. da dove A è il diametro inclinato a 45° sugli assi della (25) medesima: men- tre nel caso nostro, come risulta dal $ 4, bisogna ricorrere ad una curva ausiliaria. Ma nel caso del Tissot, in compenso, ipotesi semplici, come quelle trattate nei $$ 5 e 6, non sono le più convenienti alla deter- minazione del detto modulo wm. i Quindi egli è costretto per lo scopo anzidetto a ricorrere ad un metodo grafico, certamente non agevole *. Quando dai saggi grafici da lui indicati risultasse 5 non molto di seosto da 0, ed A non molto discosto da 0 o da vi egli consiglia di attenersi alle notevoli proiezioni, in cui : A=B—=-0 OVVero AZIH # Cfr. Tissor : Memoire, ete. 2 1Ò SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA Ma anche in tale ultimo caso, che è il più adatto alla pratica, perchè in esso si ha una rappresentazione del sistema geografico obbiettivo iden- tica a quella del $ 6, le formule pel calcolo dei moduli coordinati sono meno semplici che quelle del $ 6 medesimo. S. Abbiamo voluto applicare la proiezione precedentemente studiata all'Italia. Abbiamo scelto come punti di contorno : M. Mrzavec — M. Pa- ralba — P. Uertsech — M. Fort — Pointe de Four — M. Tabor — Argentiera San Ni- cola di Casole — Stagno — Denis — Novi #; e come origine delle lati- — I. del Toro — Pantelleria — Pachino — Capo Berlingieri tudini e longitudini M. Mario. In tal modo abbiamo voluto compren- dere nella rappresentazione tutto il continente italiano, Je tre isole prin- cipali, e l'arcipelago dalmato. La massima differenza in latitudine è tra M. Mario e Pachino (-— 5°, 14° circa), e la massima differenza in longi- tudine tra M. Mario e San Nicola di Casole (+- 69,06‘ circa). Tenendo, per maggior semplicità, la ipotesi sferica, e quindi tenendo DA si= Sail? e i= L eos essendo /, la latitudine di M. Mario, si cava che lo s e il # massimi della 3 5 c 1 Tgr ge regione considerata sono rappresentati da me da B circa; e quindi sono ammissibili le condizioni citate in principio del $ 2, circa lo svol gimento di «x e y per le potenze di s e #. Ciò posto, applicando le formule del $ 5, e tenendo per # massimo quello relativo al punto suindicato, si cava corrispondentemente ad esso dio = (00 2111327 e ancora mi = 1,0031830 ny = 0, 996870 u = 0, 999990. Applicando invece le formule del $ 6, e tenendo per s massimo quello relativo a Pachino, si cava : do = — 09,285, 40° men = 0, 995829 my = 1, 004171 u = 0, 999982. # Nello scegliere i punti del contorno, abbiamo preferito i vertici della triango- lazione italiana, tranne pei tre ultimi punti che ad essa non appartengono. SOPRA UNA NUOVA PROIEZIONE GEOGRAFICA COMPENSATIVA 11 Le condizioni della rappresentazione sono in questo caso meno favo- revoli, perchè il massimo t è inferiore al massimo s, ma vi è il vantaggio di poter tracciare assai facilmente le curve rappresentatrici del sistema geografico. (Nota) — A stabilire, anche dal punto di vista numerico, un contronto tra la proie- zione da noi studiata e quella nota del Tissot, si è creduto utile applicare anche quest'ultima all'Italia. Tenendo quindi i punti di contorno indicati al $ $, si è co- struita una carta ausiliaria, tenendo per origine provvisoria M. Mario ; per coordi- nate dei punti quelle sferiche () e Lceos/); e la scala di 1%/m per 2”. Seguendo poi il metodo grafico indicato dal Tissot, si sono preparate in undici fo- gli di carta trasparente varie ellisi omotetiche, rispondenti nei vari fogli ai rapporti 2 di assi 0, };, 1. Si è sovrapposto quindi ogni toglio alla carta ausiliaria, ta- 10° 10°" cendolo scorrere a rotare sulla stessa in modo da spostare il centro comune delle ellissi e cambiare la posizione degli assi, finchè non si è trovato, per ogni foglio, la posizione in cui fra le ellissi omotetiche quella che racchiudeva il contorno, toccando qualche punto dello stesso (ellissi limite), fosse la più piccola. Ciò ripetendosi per tutti i fogli, si è trovato che tra le ellissi limiti, quella avente il più piccolo A, e RESI. de È gio SUC 10 quindi la più conveniente, ha per rapporti di assi pi= 7: ) ' ‘ A=9284m m Essa tocca Pantelleria, Pointe du Four, M. Fort, M. Paralba. Il suo grande asse ha una inclinazione sul parallelo medio della carta ansiliaria data da 1 sy pit) 5) E =520. Al valore A precedente corrisponde l’alterazione lineare massima per la regione a = 0, 001706 Coi dati suesposti e colle formule del Tissot, si cavano A =0, 27007 B= — 0, 0531 Come vedesi, nel caso speciale dell’Italia A e 8 non differendo molto da 5 e da 0, si può provare la speciale proiezione in cui = i. BE=20) 43 3=0 Colle formule date dal Tissot relativamente alla stessa, si son trovati per lo s mas- simo tenuto nella regione, cioè per Pachino Ma = 1,0020857 my = 1, 0019950 20 = 19 u = 1, 004059 L'alterazione lineare massima supera di 0,0004 circa quella ricavata col metodo grafico. Pa Ù si AVITAS CRAMUOT LOVARI MOLLE ALI RAZON ANCH us IOLANDA Met pl Lù andai ‘08 Quliarit (CL n E pane it co FRATTA METTO [Ta astri ompiotiata Lt PIOIERAE antsiaete bibi "PANINI sist nai set vlt “pibiolispt elet ata i N TORA TA NA ne tt) î “avi ) VERE pine 18 ratti DIL RERE: i andina selliorioe nta MfotlineA de tnt Tod ie “ate DEL SD, OA DR Ha ft Prucri aci 10rt%a Mati: [t] SFILA a pt Ù La Mi nei LA è MET ET AME, RICETTA S| ringica te PERI TEA De dalia Le tao fo Dati valugii si RIA EA Va A), Ù Li ri 4 Ni (4 i ' AGIO UCIOALLI (ala Vube JD xe nb rdanara lo bb. iù pre eo IMIFLITE stona 541 più Ret I fINELOISERMSD OI RIPIENI mt Mute ATTI ito 3) CALIVARE RIE NTITCI I hi ri A € L. » a (arca HP tri RATIO 9 ro a | Î î (he î Ù si BC FETO VI MEO TORRE TERI MATO TRE ETTI A PISA io iafiornaeni (PR PARA II CAPS CAITINVRCT (EURI: Ni bi 1 E trai gt ni ‘ Ch ‘ Ù I ii Ur TE LARE ata prete n i MIT ICH CUL SI. Fu | s è { gare GIVE toast pae srt anto t x EASTTRRO 4 PI: DIP « temi afionranttità ma 4 RITIRI MENTARE ta DILLO | i i, m it iti] DIL IWEACIATO) Ì \ 3 i VA LA | : È vi x lO MIT 105 URZISI FERVO te sa me & Ia h si dna vita {ss visi LUSILN stette si v TY Aaa, arnie sù Mib rd TEAETRA, sti Fit Ul 1) 1) vw È “gg . $ ti pis s 1) 7 È RE i OIL DIV Th = (mt) Ù ì, ù : È tai fap ainanii bilannti Rata bag); NI) if i pi lt pieni uil Scapa ogoi Determinazioni di gravità relativa NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA dal Prof. ADOLFO VENTURI nella tornata del 18 Novembre 1900. Le) P Od IS 4 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA der di Vienna, e di determinare, poi, le costanti specifiche dei quattro pendoli. Un buon pendolo Hawelk è annesso all’apparecchio : e in questi ultimi mesi ho potuto aggiungervi un ottimo cronometro a interruttore elettrico, di Weichert. Il lavoro attuale è stato compiuto coi mezzi dell’Istituto di Geodesia, avvalorati dalla generosa cooperazione del Comm. Florio, il quale diede a me ed ai miei compagni libero transito sui piroscafi della N. G..I., ed integrati dalla compiacenza del Ministero della Marina, che mise a mia disposizione i semafori delle isolette nelle quali avevo divisato di re- carmi. Mi è grato qui di esternare ad entrambi la mia riconoscenza : come anche è doveroso, da parte mia, inviare un pensiero di gratitudine al Comm. Caruso, rappresentante in Favignana il Comm. Florio, al Sin- daco di Pantelleria, cav. Errera, e al cav. Adragna di Trapani che molto cooperarono a facilitarmi gli impianti : né, per ultimo, debbo dimenticare il personale della N. G.T., nè quello dei semafori, che ci colmarono sempre delle maggiori cortesie. La spedizione si componeva di me, di un ajutante e di un servente meccanico. Non descriverò il bagaglio scientifico di cui disponeva, giac- chè era il solito che si porta in simili casi. Di regola, montato e rego- lato l’Hawelk in ciascuna stazione, si lasciava oscillare liberamente al- meno dodici ore, onde dargli tempo di rassettarsi : poi veniva determi- nato lo stato assoluto col metodo delle altezze di astri nel primo ver- ticale, che era per me il preferibile per tante ragioni. L’istromento ado- perato era un teodolite Starke grande modello, con riflettore avanti l’ob- biettivo; e mi ha reso ottimi servigi, non avendo l'inconveniente del gran peso che ha l’Universale astronomico ordinario, e presentando ai micrometri la stessa sensibilità di quello. Le determinazioni singole di tempo non erano meno di dieci, distribuite nelle due posizioni del cir- colo zenitale. Per assicurarmi della regolarità di andamento dell’Hawelk, soleva il più delle volte confrontarlo con un cronometro Weichert (diverso da quello di cui sopra è parola e che allora non possedevo) da dieci anni studiato e di andamento molto regolare; ho sempre trovato che insen- sibile era la divergenza fra i due orologi. Anzi, nella stazione di Acecli- mazione, avendone il comodo, volli in altro modo assicurarmi dell’ en- tità di un eventuale andamento periodico diurno nel Weichert, non con- tando, naturalmente, la marcia, che è un andamento progressivo. De- terminai, cioè, la durata d'’oscillazione del pendolo n. 116, di tre in tre ore, dalla mattina del 22 settembre, sino alla mezzanotte del detto giorno, riducendo i risultati solo al vuoto, alla temperatura 0° e all'ampiezza infi- NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 5) nitesima. Se si pone mente poi, che quanto all’ incertezza nel determi. nare ad occhio e udito la durata di una coincidenza, essa non può por- tare nella durata dell’oscillazione che un’inceertezza di circa 2 unità della 7" decimale, al massimo, i valori del 116, ridotti com’ho indicato, non potranno differire in altro che per l'eventuale andamento periodico 0 anche anomalo del pendolo, non influendo affatto su tali valori, consi- derati relativamente, l'andamento progressivo o marcia. In tal modo si mettono in evidenza i difetti accidentali o periodici dell'orologio, e con tanta maggiore attendibilità, quanto più le condizioni meteoriche son rimaste costanti. Ora, nel giorno di tal prova, nel locale di osservazione, la temperatura, nelle 16 ore, variò da 2197 a 239,0; la pressione da 7597", 6 a 757", 9: non potevano, dunque, essere migliori. Le durate s di oscillazione del 116, cui manca solo la correzione per V andamento dell'orologio, furono le seguenti : Stazione Acclimazione 22 settembre 1899 ore S:s = 0;5 5062979 t. sid. — 0.5 002 ll ON — 0, 017 14 pome — 0, 011 17 DI +0, 009 ’ 20 DONNE +0, 024 23 Sd» Si riscontrerebbe in questi valori un leggiero andamento periodico, se esso non fosse dell’ ordine delle quantità che non dicono nulla in istromenti di questo genere. Infatti l’ultima colonna a destra, indica le rariazioni orarie che corrisponderebbero alle divergenze nei valori di s soprascritti : tali variazioni son certo molto più piccole che le quantità che qui possono sottoporsi a discussione : se ne conclude che l'Hawelk ha un andamento soddisfacente. La stessa conclusione ci verrà imposta dall'esame dei confronti fra l'Hawelk e il Weichert di cui dissi sopra. I confronti avvenivano all'incirca di tre in tre ore. Il Weichert è a tempo medio. Ecco i risultati dalla ricerca, riducendo tutti i dati di marcia relativa, all'unità ora : 6 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Stazione Acclimazione Marcia Marcia Hawelk |Weickert|Ditt.sid.| oraria Hawelk |Weickert|Diff.sid.| oraria | relativa relativa 20/9 ) i 22/9 Ì s - | ) 1 m S 1 m bi "AQ si m s ì m DI (Crete icriisio Pesto MIE S| OT O 'or45ionio| 7472400 AS Su I + 0,93 | + 0,25 + 0,77 | +-0,22 6,42,30,0/11,51,52,0 6,17,20,0|11,19,05,0 + 0,77 | 40,25 + 0,72 | 4-0,23 | | | 9,50,20,0| 2,59,12,0 9,24,55.0| 2,26,10,0 + 0,60 | + 0,24 + 0,66 | + 0,23 |12,20,10,0) 5,28,38,0| 12,16,50,0) 5,17,37,5 + 0,92 | + 0,23 + 0,73 | + 0,24 21/9 4,23,50,01 9,31,39,0| 3,21,20,0| 8,21,38,0 di a i de Me e iù + 0,56 | +-0,24 2,54,10,0] 8,00,18,0 6,15,40,0|11,15,30,0 + 0,81 | +4 0,24 6,20,35,0|11,26,10,0| Dalle marce orarie relative si riscontra come, dato il regolare anda- mento del Weichert, ancke Il Hawelk possa considerarsi di buonissima regolarità, risultando le divergenze in qualche centesimo di secondo, precisamente come avevamo trovato coll’altro modo di investigazione. Per ogni pendolo di Sterneck veniva determinato 15 volte l'intervallo di 50 coincidenze in modo che l’ errore a temersi sopra s, per dato e fatto della incertezza nell’apprezzare il passaggio del lampo al filo oriz- zontale del reticolo, si fosse potuto ridurre a 2 o 3 unità, al più, della 7* decimale del valore di s. Indicando con © gli scostamenti di ogni va- lore, direttamente ottenuto dell’intervallo 50 c, dalla media di essi, l’error i =V [ee] U 210 ; porsi ; SZ 1 e quello di una coincidenza elementare sarà, quindi, Jc = 50% .Ora l’er- medio di questa è ror medio di s dipendente da c è, com'è chiaro ? 1 he Enia L È sostituendo a Ace il valore 50! e osservando che c = 36,5 all'incirca NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 7 pei quattro pendoli, si calcolerà il valore di 4 s per mezzo della formula Ul. TR o : Ni t4y De in unità della 6% decimale 21b o, con sufficientissima approssimazione : Sis= EV$8[ce] in unità della 74 decimale. Così si sono ottenuti per As dei valori oscillanti fra 1 e 2,7 unità della 7* decimale: quindi, per parte dell'osservazione dei passaggi, si dovrebbe esser sicuri dell’esattezza di s. Si ponga, ora, mente che, essendo in questi miei pendoli, s=0, 506 circa, l’errore in g a temersi in conseguenza dell'errore 3 sin s è dato dalla formula AGM INIS: Quindi per ogni pendolo, l'errore a temersi in g pel fatto dell’incer- tezza nella determinazione dei passaggi del lampo al filo del reticolo, sarebbe, anche per 3s = 3, appena vicino ad una unità della 5* deci- male. Se si pensa che ogni pendolo si fa oscillare più volte, che di essi ve ne sono quattro, e che infine si dovrà prendere la media di tutte le determinazioni, si può dire che le incertezze accidentali nell’osservazione dei passaggi, non influiscano sensibilmente sulla determinazione del va- lore della gravità. La temperatura della massa pendolare veniva determinata da due termometri a lungo bulbo Votacich, campionati nell'istituto fisico della nostra Università. La pressione si ebbe sempre da barometri a mercurio, meno nell'isola di Favignana, ove fu adibito un buon aneroide, i cui dati furono controllati per interpolazione su quelli dell’uftficio meteorico della vicina Trapani. Im tutte le stazioni, ogni pendolo fu fatto oscillare quattro volte, in modo da avere sedici determinazioni indipendenti per ogni luogo. La distanza dell'apparecchio a coincidenze dal pendolo oscillante, fu costan- temente di m. 1,80, e la semiamplitudine iniziale delle oscillazioni fu sempre di quattro parti della scala, mentre la finale risultava invaria- bilmente di tre parti. La correzione per ridurre all'arco infinitesimo, fu perciò sempre di due unità della settima decimale, nel valore dell’oscil- lazione; e perciò non starò a riportare volta per volta questo dato che rimase costante. lo) DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA I due termometri si leggevano prima e dopo ogni determinazione pen- dolare. Essi furono perfettamente concordanti. Sono sraduati in centi- metri e la tabella di riduzione fu la seguente : Term. 120 Term. 122 1900 = 190, 44 16m = 230, 52 13 21, 69 TY 29,003 14 24,053 18 202 Nella prima Stazione di Martorana si usò talora il solo 122, ma nelle altre si usarono entrambi, sebbene concordantissimi. Il barometro si Jeg- geva a metà di ogni operazione. Nelle tavole che seguono, #, indicherà il termometro 120, #, il 122: b sarà la pressione : c la durata della coincidenza, so quella dell’oscil- lazione non corretta. su indicherà la correzione meteorica, formata dalle riduzioni a 0% al vuoto, e all’arco infinitesimo; 4 w sarà la correzione per l'andamento dell'orologio. Le due prime colonne di ogni quadro in- dicano i tempi dei passaggi del lampo pel filo orizontale del mierometro; per economia di spazio, di tali tempi son riportati solo i minuti secondi e frazione, meno pei due primi d’ogni serie, che son completi, e perciò dànno modo di completare tutti gli altri, conoscendo l’intervallo fra due passaggi. I valori delle oscillazioni, che necessariamente riescono in ogni deter- minazione da chiunque fatta, alquanto diserepanti rispetto alle condi- zioni rigorose d’uguaglianza che debbono verificarsi frai rapporti delle durate d’oscillazione di due pendoli in due luoghi diversi, vennero poi compensati secondo le norme contenute nella mia nota riguardante tal compensazione, pubblicata nel Nuoro Cimento di Pisa #. Lo scopo di tal procedimento, non è stato, come si è chiaramente spiegato in quel la- voro **, la curiosità scientifica di conoscere i valori più probabili delle durate di oscillazione, non discrepanti (giacchè si può determinare la più probabile gravità anche senza servirsi di quelli), ma più che tutto, isti- * Sulla Compensazione dei risultati nelle misure di gravità relativa terrestre. Nuovo Cimento, Serie IV, Gennaio 1900. SEME Wa IR 1 NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA o, tuire un assoluto controllo su tutte le determinazioni, compresa quella della Stazione fondamentale, e dedurre l'errore medio del sistema con metodo razionale. Rimando il cortese lettore a tale pubblicazione, per co noscere i metodi adoperati nello stabilire Ie modalità della compensa- zione : osservo sin d'ora, che i cosidetti residui d'osservazione, indicati col simbolo «, e che dovrebbero esser nulli, ove le osservazioni fos- sero esenti da errore (#) son riportati in ciascuna stazione sotto la rubrica di //ementi per la compensazione. Dopo i quadri numerici, si ri portano i punti principali del calcolo che conduce ai valori più proba- bili delle oscillazioni non più diserepanti, e alla determinazione dell'errore medio dei risultati. Per dedurre il valore della gravità in ciascun luogo, valgono i dati gentilmente fornitimi dal Colonnello V. Sterneck, circa le durate di oscil- lazione a Vienna dei quattro pendoli. Esse sono, in tempo siderale Pend. 116:s = 0, 5050985 Pend. 118 = s = 0, 5070120 117 8056 119 69882 Il valore della intensità di gravità a Vienna è (Sterneck). g= 9, 80876 e le costanti per le correzioni meteoriche, da apportarsi alle durate di oscillazione, sono : D= 575 T= 49,3 Quanto alle correzioni topografiche, non ho tenuto attatto la via som- maria che suol trovarsi consigliata come sufficiente nel più dei casi. Ciò perchè ho riscontrato troppa differenza fra i risultati di tal calcolo sommario, e quelli che si ottengono, spezzando la regione in settori ci- lindrici, cavi, e valutando la componente verticale dell'attrazione di cia- seuno di essi sul punto di stazione. Indicando con S (», 7,4) tale com- ponente verticale dell'attrazione di un settore cavo di data apertura i cui raggi di base sieno »,7% (» > 74) ed 4 la sua altezza, colla den- sità = 1, si rileva che detta 4, l'altezza della stazione, I azione di un settore più alto di essa sarà dato da Sir hh) — Sh hi); (A> hi) (1) (#) V. l. e. pag. 4, formula (3). 2 10 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA mentre l’azione di un settore meno alto di essa è espressa da Ì Sr, hh) Sar, hi (A< h,) (2) Ho esteso la tavola del Triulzi che dà i valori di S, aggiungendovi le coppie interne p=0 » =100 » =250 ele esterne 7 =15000" ,» = 18000" » —21000 71009 <= 2502500 T= 180007. n:/=21000) = 25000 e facendo, poi, partire la & da 10", e andando di 10" in 10" sino ai 100%, da cui comincia detta tavola. Le carte su cui si fece lo spezzamento della regione furono quelle dello Ist. geogr. militare al 50.000. Di tale lavoro e del calcolo relativo incaricai il Prof. Soler, ed egli mi esibi i risultati che qui saranno riferiti, stazione per stazione. Tenni conto anche del difetto di densità che presenta il mare, e lo compensai colla for- mula S (5 Pe, h, _ \) —- S (1, Po, h,) (3) essendo 4 la profondità del settore marino considerato : coll’avvertenza che mentre (1), (2) debbono moltiplicarsi per l’intera densità 6 del ter- reno, e poi prendersi negativamente, la (3) deve moltiplicarsi per 0 — 1, e aggiungersi. Che non sia stata soverchia precauzione quella di usare il metodo ri- goroso, lo si desume da queste cifre, rappresentanti la correzione topo- grafica col metodo del paraboloide per le isolette, e quella che viene dal sistema dello spezzamento della regione. LONM et (20M et Ustica — 29-21 |) MIR RIA - unità della 5* decimale Pantelleria — 27 | — 18 I e le differenze non sono trascurabili. Terminerò questi cenni ricordando che in alcune stazioni fui assistito dal Prof. Soler assistente dell'Istituto geodetico, e in altre dal Prof. Delisa del nostro Osservatorio, che cortesemente mi prestò l’opera sua efficace, quando il primo fu impedito per ragioni di salute : all’ uno e all’ altro porgo qui i miei migliori ringraziamenti. NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA Il 1. Stazione alla Martorana (Palermo) (Prima del viaggio) Lat. 38°, 6‘ 55,2. Long. 0, b4m, 398, d (#). Altit. 20m, 17. Densità del suolo 2, 5. Andamento dell'Hawelk Stato | Marcia | Andam. | Data (ii ; assoluto | diurna | orario | | Î | lÒ mos | | | (12 luglio | 4,28,33,30 POOR SSR | | + 5,57 | + 0,232] (14 | H45. | | | | + 6,22 | + 0,259] lie 29103100 | | I | + 5,93 | + 0,247 | Roe 09,03. | | | | | + 6,1S | + 0,257 | 19 | Sg | | | | | + 6,44 | + 0,268| 120 | 21,65 | 6,79 | + 0,283 DI 28,44 t ur | 6,00 0,250 | | 22 534,24 an n | | | + 6,00 | + 0,250 | |24 46,25 Î | | 5,69 0,237 | |25 | 51,94 | ni sl | | | 4 6,46 | + 0,270) | 26 58,40. | | | | | | I | (#) Le longitudini son tutte contate da Monte Mario. na) DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 116. 12 Luglio 1899 15 Luglio 1889 h m hm hm hm 6,37 7,09 O e= T4T 8,20 50€ = 62 558| 32/476 = 1620] = 235,90 25,0 122 | 32/472-\=1620 45,2 32,8 7,6 c= 393515 04,0 51,0 7,0 ©= 393 24,8 13,0. | 5,2 s, = 0,5064350 42,6 30,0 TA | So = 0,50 040 | 514 T4 Ag = — 1708 22,8) 09,8 7,0 Apa 43,6 312 1,6 ESE 02,0. | 49,0 1,0 Mu= 23,0 10,0 7,0 s = 0,5062974 40,6 28,0 4 s= 0,50 02,4 50,0 1,6 |b =759,00 21,0 07,4 6,4 |b=768,80 41,6 20! (,8 00,0 46.8 6,8 20,8 08,8 8,0 38,6 26,2 1,6 00,0 47,9 133 19,0 05,8 6,5 39,4 ITA 8,0 58,0 45,0 7,0 19,0 06,4 TA4 36,6 924 4 7,8 58,6 46,0 TA 17,0 03,6 6,6 974. 248 TA 56,0 49,8 6,5 t, = 16,30 ft, = 16,26 34,6 24 Luglio 1899 h m hm MD m hm 6,50 7,02 ses 8,42 9,15 BO e= S S ms é _S s mR e 06,6 55,6 | 32,49,0, (to= 16,34| fm = 249,07 25,0 10,6 | 32,45,6 |& = 17,16) im= 45,8 35,0 | 92 c = 39,3819 04,0 50,0 6,0 c= 39, 29,4 14,6 92) So = 0,5064298 45, 29,4 6,0 so = 0,500: 04,8 53,0 lolita) Ap= — IMI 25,0 08,4 5,4 Ag= 44.0 33,0 9,0 Au = + 359 02,4 48,0 5,6 Aa= 23,4 12,6 9,2 s = 0.5062946 41,4 DIA2 5,5 g= 0 03, 52,0 9.0 (b== 760,25 20,6 06,4 5,9 |b=761,10 | 41,8 31L,4 9,6 00,0 45,5 5,8 21,6 10,8 9,2 39,2 24.8 5,0 00,8 30,0 9,2 19,0 04,6 5,6 40,4 29.4 9,0 58,0 43,4 54 19,8 08,8 9,0 304 23,0 5,6 59,0 48,0 9,0 16,4 02,4 6,0 38,8 | 27,6 8,8 55,8 41,4 5.6 Uy= 16,40 (= 17,20 17,8 7,0 9,2 35,4 21,0 5,6 Ì NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 15 Osservazioni del Pendolo N. 117. 14 Luglio 1599 19 Luglio 1899 STO __r————d 30,4 04,8 | 29,344 (== 16,46] fm= 249,24 Dia Cz de 8 06,0 40,8 4,5 e = 35,5008 04,8 4,4 So= 0,9071425 41,4 16,4 5,0 So = 0,5071428 16,0 5,0 | | Ap= — 1697 16,8 92,2 Di Au= — 1720 51,6 4,8 | Au = -+326 52,4 26,8 4,4 An= 359 | 25,0 03,2 5,2 s= 0,9070067 | 03,0 Db jb= (61,45 4 6 4 0 bl 0 27,2 5,2 s= 0,5070054 + 03,2 38,4 5,2 |b= 760,25 ba) (0) 0 {S.S 4,8 | 50,0 24,8 4,8 Ì 6 24,8 52 | 24,8 00,4 5,6 | 2 509,6 bb | 00,8 36,2 Di {= 16,50 | h m hm h m 6,01 50 er 6,55 7,26 ble= tI m S (hl DI m S Ss 3 Il 14 59,6 | 29,35,2 | = 16,40] 4m = 249,16 52,2 00,0 | 30,07,8 |{1= 14,44} {m=250,56 | 2 35,6 54 c= 355040 %T4 35,6 82 |&=17,31| ‘© = 35,4512 34 10,6 5,2 so = 0,5071420 2 47,0 DS AVTRE= 1715 6 21,6 5,0 An = 4378 57,6 5,2 s = 0,5070083 4 4 32,8 5,4 |b—= 763,60 t5= 16,46 20 Luglio 1899 25 Luglio 1899 | 14 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 118. 14 Luglio 1899 17 Luglio 1899 —— = hm hm ÈD m hm 7,53 8,22 50.c= 8,11 8,39 506 = S S mos e INS S mos e 40,8 26,0 | 28,452 lf = 16,14) ‘m= 239,71 06,6 51,8 | 28,45,2-{=16,20| im =230# 15,6 00,0 44 c= 344972 40,8 25,8 5,0 c= 34,504 49,6 30,0 4.1 So = 0,5073534 15,2 01,0 9,3 so = 0,5073 24 4 09,4 5,0 Au = 1694 49,4 34,8 5,4 NAS 59,4 44,0 4,6 n= e 0g 24,6 09,6 3,0 ASI 35,4 18,0 4.6 s = 0,5072166 59,0 44,0 2,0 s = 0,50721 07,6 53, 5,4 b= 761,45 33,4 19,0 5,6 |b =761,00 494 27,4 5,0 07,6 52,8 52 17,0 01,8 4,8 42,8 27,8 5,0 51,6 36,0 qa 17,0 02,0 5,0 25,8 10,8 5,0 51,4 37,0 5,6 00,0 44,8 4,8 25,6 11,0 5A 34,8 19,8 5,0 00,8 46,0 5,2 09,4 54,6 5,2 35,0 19,8 4,8 t,= 16,12 o = 16,26 43,8 99,2 54 09,4 54,8 54 21 Luglio 1899 26 Luglio 1899 h m ho m % hm hm 6,34 7,03 50c= 1.00 1,29 50 c = S Ss ms e S S m Ss (hi 56,8 42,0 | 28,45,2 |&/=16,48| im=2431 39,8 42,8 | 28,43,0 = 17,07| tn=259, S Ss 31,4 16,8 54 c= 34,4981 34,4 17,4 3,0 |t,=14,26| e — 34,464 05,8 51,0 DI2 So = 0,5073532 08,8 52,0 3,2 so = 0,50731 40,4 25,0 4,6 RESO 43, 26,4 3,0 Au=-= N 15,0 00,0 5,0 Na = 00 17,4 01,0 3,6 4An=+3) 49,4 34,0 +,6 s= 0,5072207 92,0 35,4 3, | s = 0,5072£ 24.0 09,0 5,0 |b= 765,05 26,6 09,8 32 58,4 43,0 4,6 00,8 44,2 },d |b= 763,55 33,0 18,0 5,0 5A 18,8 34 07,6 52,0 4,4 10,0 93,4 3, 41,8 27,0 IZ 44,4 27,6 3,2 16,4 01,0 4,6 19,0 02,0 3,0 51,0 36,0 9,0 DI, d 36,6 3.2 25,2 10,0 4,8 21,5 11,0 3,2 ESITI) t, = 16,58 00,0 45,0 5,0 02,2 45,4 3,2 |t, = 14,28 hm 9,05 16,0 07,0 90,4 41,6 di? 16,4 4 50,5 34,6 26,0 )9,0 00,2 3,6 35,0 8,0 09,4 di3,0) 44,6 DIA 18,8 Pol 536 36, 27,8 053,0 37,0 12,0 î h m 2,43 294 56,8 NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA Osservazioni del Pendolo N. 119. 21 Luglio 1599 DO'c= mM x È 28,51,0 | = 16,66 1,4 |b= 765,05 26 Luglio 1899 t3= 16,70 tm = 249,54 N e = 34,6269 so = 0,5073256 Ag — 1737 Au = + 400 s—= 0,5071919 DOIfci= LTIMNSI 28,50,0 | 0,0 24 Luglio 1899 \t,= 14,08 b= 761,10 so=0,5073813 | im= 25901 | Î e 54,601 Ap= — 1756 An = + 352 s—= 0,5071909 6,0 |b= 763,85 tm = 25041 e = 34594 so = 0,5073327 Ap=— 1777 Sn = + 380 s= 0,5071930 to = 11,20 b= 763,80 t, = 14,38] so = 0,5073350 n = 29045 e=34,5925 | Au=— 1779 | Au = + 380 Î s= 0,5071931 16 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Riepilogo 116 117 118 119 13 » S6jIO » GULT ) 182/24» 09 19 460» 31 207/26» 30, dd» 915» spe > 2236 >» | 31 Medie 53,9 = 0,5062974 53,9 = 0,5070071 so = 0,5072195 so = 0,5071922 Elementi per la compensazione w,=+ 11,6 = + 42,0 wy= + 24,2 2. Stazione all’isola di Ustica (Semaforo) Lat. = 38°, 427, 25”. Long. =0h, 48m, 498. Altit. = 250m. Densità del suolo = 2,9. TeE7ZT_TTZI Andamento dell’Hawelk. Stato Marcia | Andam. assoluto diurna orario h ms | Di | 31 luglio | 10,10,03,26 Il + 19,37 | 40,515 l'agosto 15,63 + 12,27 |4+ 0,511 20 27,90 25,3 04,5 44,5 23,6 33,03,2 Osservazioni del Pendolo 8 NELLA REGIONE 31 Luglio 1899 tg = 16,68 t,=14,02| b=T47,70| 1 Agosto 1899 im = = D4o | 58 ce= 39,6939 Ss, = 0,5063551 |Ap= — 1726 An= + 128 s= 0,9062853 OCCIDENTALE N. ho n 10,0 ì ti) DELLA SICILIA 116. Agosto 1889 i DO.ec= | | ms (kl | | 33,02,7 n= 16,521 fm = 2493 | |, | 8 | 3:04, 14,10) e=39;6475 | | | | 2.0 | | so = 0,9063862 | 2,3. | Ap= — 1738 al Ei 29 An= + (28 2,2 | s = 0,5062857 b="T48,05 pe= m 33,02,5 DI t,= 16,90 t,= 14,12 jb= TAT,40 t°= 16,84 t,=14,10 so = 0,5063854 Au=—- 1798 08 s=0.5062844 ho m 12,35 38.8 4,5 4,6 il b=747,20] = 16,56 | t, = 13,96| s,= 0,5063776 | Î }| s= 0,5062784 | Il Au=— 1715 An=+723 | DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 117. 51 Luglio 1899 51 Luglio 1899 hm h m h m h m 9,01 9,30 50c= 7,48 8,18 50c= S Ss m Ss e S mos e 05,0 51,0 | 29,46,0 |1,= 16,46] tm = 249,23 41,0 27,2 | 29,462|4,-=16,42) tm= 240 s__M 40,4 26,2 5,8 |,=13,90) ec — 35,7128 16,5 03,0 6,5 |1,=13,88| c = 35,730 16,5 02,2 5,7 so = 0,5070998 52,4 38,8 6,4 so = 0,50708 51,6 37,4 5,8 n= = 11709) 27,8 14,6 6,8 Ap=— dB 27,8 13,6 5,8 n SL 02,6 50,4 7,8 Na = 03,2 49,0 5,8 s = 0,5070017 39,0 26,0 7,0 s = 0,5069M1 39,2 25,0 5,8 14,8 01,6 6,8 b= 747,90 b= 748,20 15,0 00,0 5,0 50,8 37,4 6,6 50,8 36,5 5,7 26,5 13,0 6,5 27,0 11,8 4,8 02,4 49,0 6,6 02,0 47,6 5,6 37,8 244 6,6 37,8 23,0 5,2 13.6 00,0 6,4 13,4 59,2 5,8 49,4 36,0 6,6 49,0 35,0 6,0. |t = 16548 25,0 11,8 6,8 | = 16,50 95,0 10,8 5,8 |t,= 13,90 01,0 ITA 6,4 |t,=13,92 Agosto 1899 2 Agosto 1899 hm h m h m h m 6,03 6,33 50c= 8, 9,16 60c= S ms e — S ms S 39,6 27,0 | 29,47,4 |{,= 16,48] tm = 249,24 31,9 17,5 | 35,45,6 [,/=16,52| im=249 S S 14,5 02,0 7,5 |t,=13,90| c= 35,7507 07,3 53,0 5,7 |t=13,929| c=35, 51,0 39,0 80 so = 0,5070921 43,4 29,0 5,6 so = 0,50 26,4 13,4 7,0 NRE 0 19,0 04,0 5,0 Au= 03,0 50,2 7,2 = 708 55,0 40,2 5,2 An= di È WD 37,4 25,0 1,6 s = 0,5069939 30,0 15,8 5,8 s=0,5069jMN1 14,0 01,9 7,9 06,2 52,0 5,8 b= 747,85 b=747,30 48,8 36,6 7,8 49,0 27,5 5,5 95,8 13,4 1,6 Jirtai 03,4 5,7 00,8 48,0 7,2 53,2 39,0 5,8 37,0 25,0 8,0 29,4 15,0 5,6 12,0 59,3 7,3 05,0 50,3 5,3 48,8 36,4 7,6 41,0 26,4 5,4 t, = 16,50 23,4 11,0 7,6 |t,= 16,48 16,2 09,0 5,8 t,= 13,90 00,3 47,6 7,3 | t,=13,90 52,5 38,0 5,5 i NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA i Osservazioni del Pendolo N. 118. 19 31 Luglio 1899 1 Agosto 1899 h m lì m Ùì m 10,55 50 e= Lia ( 7,46 DO(ei= ì sN mm x (e »s s m 8 U LA 07,0 | 28,55,6 {= 16,56) im = 249,34 06,2 02,8 | 28,56,6 lf, =16,58| ‘m= 249,39 6,0 41,2 5,2 |t,=13,94| c= 34,7064 11,2 37,4 6,2 |t,=:13,96 c=34,7276 1,0 16,0 3.0 so = 0,5073087 15,8 12,4 6,6 so = 0,5073040 | 52 51,0 5,8 A pito 51,0 47,2 6,2 Au=— 1718 ),0 25,0 5,6 Sa =+728 25,2 21,7 6,5 An = + 728 5,0 00,0 5,0 s= 0,5072100 00,4 56,4 6,0 s=0,5072050 | 9,6 35,0 5A 35,0 31,0 6,0 È b= 745,00 b=747,90 | 4,0 09,4 5A 09,5 06,0 6,5 | 9,0 449 52 44,0 41,0 7,0 3,4 19,0 5,6 19,0 15,5 6,5 ì ,2 53,8 5,6 53,8 50,0 6,2° 5 .0 28,2 5,2 28,6 25,0 6,4 $ 0 03,0 5,0 02,9 59,5 6,6 iÈ 24 37,5 5,1 |&,= 16,54 38,0 34,4 6,4 |t, = 16,58 | 72 12,4 5,2 |1,=13,94 13,0 09,0 6,0 | t, =13,96 | ti - P |! 1 Agosto 1899 2 Agosto 1899 I | h m h m h m 2,02 50e= 7,3 7,59 50c= sN Ss mo N e S Ss ms (6) 9,8 49,8 | 28,57,0 [&,=16,90) tm = 240,84 09,2 06,0 | 28,56,8 |t,=16,52| im=240,27 | | 6 5 Ì 1,0 18,0 7,0 |t,=14,129| c=34,7415 44,0 41,2 7,2 |t,-=13,82| c=34,7377 | 5A 52,4 7,0 so = 0,5073010 19,0 15,2 6,2 so = 0,5073018 | 10,5 27,5 7,0 Ap=— 1738 53,8 50,6 6,8 Au=— 1711 ,S 02,0 7,2 Au =-+728 28,0 25,0 7,0 An =+ 723 I 0,0 37,0 7,0 s = 0,5072000 03,0 00,0 7,0 s = 0,5072030 14,3 11,3 7,0 37,7 34,4 6,7 19,3 47,0 7,3 12,5 09,5 7,0 b= 747,62 b= 747,30 24,0 21,0 7,0 47,0 44,0 7,0 39,0 56,0 7,0 22,0 19,0 7,0 | | DI 30,4 2 56,8 53,5 6,7 )84 05,6 72 01,3 28,4 7,1 : 112,8 40,0 7,2 06,0 03,0 7.0 7,8 15,0 2) lt, = 16,86 41,0 37,8 6,8 [== 16,48 92,4 49,2 6,8 |t,=14,12 15,5 12,5 ORE 13390 20 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. ii9. 1 Agosto 1899 1 Agosto 1899 hm h m hm hm 8,34 9,04 50c= 8,21 8,50 50c= | Ss Ss m_ s e S S m_ Ss e | (570 00,0 | 29,03,0 |f,= 16,72) #m= 249,60 50,8 54,4 | 29,08,6/|4=16,40| n = 24900] 31,6 35,2 3;6 |t,= 14,04) c= 348567 25,0 29,0 4,0 |t,=13,86) c—34.970 06,8 09,5 27 so = 0,5072757 00,4 04,2 3,8 so = 050700 41,2 |. 440 2,8 Ap=— 1729 35,0 38,6 3,6 an —= N 16,5 19,0 2,5 An = + 728 10,0 13,8 3,8 An= Ti 51,0 53,7 ZA s= 0,5071756 44,8 48,0 3,2 s= 050740 26,0 29,0 3,0 20,0 24.0 4,0 00,8 03,4 2.6 |b= 748,05 54,4 58,0 3,6 |b= 747,70 35,9 38,7 2,8 29.5 33,8 43 10,4 13,0 2,6 04,0 08,0 4,0 45,5 48,3 2,8 39,2 43,0 3,8 20,0 23,0 3,0 14,0 17,7 3,7 55,0 58,0 3,0 49,0 53,0 4,0 30,0 32,6 2,6 |t,= 16,70 24,9 27,5 3,3 |y= 16,48 05,0 07,8 2180, = 1404 58,8 02,4 3,6 |, = 13,90 2 Agosto 1899 2 Agosto 1899 h m h m hm hm 6,22 6,51 50c= 1,46 2,19 56c= 350|. 395 29045 = 1650 im=24095 534| 264| 32,330 |4=16,7) im= 240 09,6 14,0 4,4 |t,=13,90| c=34,8902 28,0 00,8 2,8 |, =14,04| c—=34 870) 45,0 49,2 42 so = 0,5072695 03,0 36,0 3,0 so = 0,50720) 19,5 23,8 43 Ap=— 1710 37,4 10,5 3,1 Au= 19 54,8 59,5 47 An =+ 728 13,0 46,0 3,0 in= +7 29,2 33,8 4,6 s= 0,5071708 47,4 20,4 3,0 s= 0,507178 04,6| 09,0 44 29.8 55,6 9,8 39,0 43,8 4,8 b= 747,30 57,0 30,0 3,0 |b= 746,30 14,2 19,0 4,8 32,6 05,4 2,8 49,2 53,2 4,0 06,7 39.8 3,1 23,8 28,5 41 49,0 15,0 3,0 58,8 03,0 42 16,6 49,7 3,1 33,4 38,2 48 52,0 25,0 3,0 08,5 13,1 4,6 |t,= 16,50 26,4 59,0 2,6 |t,=16,70 43,3 48,0 4,7 |t,= 13,90 01,5 34,5 3,0 |&,= 14,04 NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 2] Riepilogo 116 117 11S 119 151 Luglio|s=0,5062853[31 Luglio;.s=0,507001751 Luglio|s= 0,5072100] 1 Agosto|ls=0,5071756 | 1 Agosto SDT | GO976] 1 ost 0150) (A SH 1 Agosto 69939 | 000] 2 08 |2 | 784] 2 | (9919) © 030 25 Ì | Medie $,,a = 0,5062834 so, = 0,5069961 Sag = 0,5072045 S13 =10,5071734 Ì Elementi per la compensazione w=+ 15,2 u-=—- 5,5 ws = — 24,2 3. Stazione all’isola di Pantelleria (Semaforo) Lat. — 369, 457, 45%. Long.=0h,, 29m, 548. Altit. =242m, Densità del suolo — 2.5. ea Andamento dell’Hawelk. Stato | Marcia | Andam. Data LAS | È assoluto diurna | orario | ìoamos | 12 agiosto| 15,07,35,66 | | + 2,36 | + 0,098 | 15 | 38,02 | | + 9;64 | + 0,101 14 | 40,66 | | | | + 2,10 | + 0,088 15 | 49.76 | | | | ZZdIN TRE = 1 29 DELERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 116. 12 Agosto 1899 15 Agosto 1889 {hm Mom him hi om |a | 12,16 50.c= 3,42 4,16 50.c = | s S TOS ( di CI NI aj mos ‘ 5 10,8 38/5] 32282, Mo= 17.47 tn =9250,74 27,2 15,0 | 33,478 l4, = 17,02 | 49,6 18.0 814 |t,= 14,47 — 38/9668 06,5 54,0 7,5 |t,=142 28,4 56,6 8,2 s, = 0,5065000 45,2 33,0 7,8 07,5 56,0 8,5 Ap= = IT BA, 4 12,0 (,6 | 46,0 14.4 SA An Lis 03,2 51,0 18 25,6 53,6 8,0 s = 0,5063363 42,0 29,7 Te 04,0 32,3 8,3 21,0 09,0 8,0 43,5 1149 8,3. |b=738/35 00,0 48.0 8,0 |b=739,50 21,9 50,2 813 38,9 27,0 81 01,5 29,8 8,3 18,0 05,6 7,6 39,9 08,0 SI 57,0 45,0 8,0 19,2 47,8 8,6 36,0 93,6 7,6 57,5 26,0 8,5 15,4 03, 1,6 37,2 05,7 8,5. \& = 17,50 54,0 41,7 Wi = 15,5 44,0 8,5 4 =14,48 32,8 21,0 8,2 |4,=14,20 14 Agosto 1899 15 Agosto 1899 hh m hl m ho om hh m 12,15 | 1948 50.c = 3.19 |\3%45 5lc= È 3 e } 5 5 sa 7 35,0 03,8 | 32,28,8 |& 17,57 4n=25% 87 50,4 57,9 | 33/07,5 |& = 16,80 14,8 43,5 8,17 \a=1453| = 389731 295 36,6 7,1 |,= 14,10 53,0 29,0 9,0 so = 0,5064975 08,4 15,8 T4 32,5 01,6 9,1 Ap= = 179 47,5 54,5 7,0 11,0 39,4 84 Su = 150 26,0 3907 HOT] 50,5 19,5 9,0 s= 0,5063343 05,2 12,4 72 29,0 57,5 8,5 43,9 51,8 of 08,5 37,2 8,7 |b= 742,40 23,2 30,5 7,3 |b=743,20 46,8 15,3 8,5 02,0 09,4 74 27,4 55,3 7,9 41,3 48,3 7,0 04,9 33,3 84 19,9 27,5 7,6 44,4 13,2 8,8 59,3 06,0 6,7 22,9 51,5 8,6 37,6 45,4 13 02,0 31,0 9,0 |ty= 17,59 16,9 23,9 TO) SMGI00 40,8 09,2 8,4 |4,=14,52 55,7 03,5 7,8 |t,-=14,20 — ——=- = lhom 10,58 s Gu pi 053,5 ,S 38,7 è ,Ò 34,5 19 09,9 6 44,5 È? 2072 0 55,0 10) 30,8 Ra) 05,5 RO) 41,0 ;,8 15,6 NELLA 12 Agosto 1599 tinm= 250.40 C= INIL so = 0,5072090 Ap= — 1761 Me + 158 s= 0,5070457 29 4 04,0 59,6. | 14,5 49,9 25,0 00,4 10,5 45,8 21,2 REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA Osservazioni del Pendolo N. 117. li Agosto 1899 t==17,01 t, = 14,20 b= 739,50 tm = 259,08 Ie= 35,2003 So = 0,5072047 Au=—1745 An=+- 198 s= 0,5070440 14 Agosto 1599 15 Agosto 1899 h m i Ù m ho m 11,23 bite 4,40 5,09 50 ce = N mo s 3: (0 DI Mm Ss | S A vi 20,0 | 29,19,6 |&4=17,40| tm = 259,70 10,0 29,0 | 29,19,0 |f,= 17,00) tm = 259,06 $A 55,2 9,8 |{,=14,43| e=35,1939 45,5 04,0 | 8,5 |le= 14,20 c= 35,1768 ),S 30,5” 9,7 so = 0,5072049 20,0 39,0 9,0 | | so = 0,5072095 5,7 05,5 9,8 Ap== 1777 55,6 |, 15,0 | 94 | Ap=— 1746 | (AL 2 41,0 9,8 An =-|154 30,8 49,0 | 82 | An=-+194 Ì 3,0 15,6 9,6 s = 0,5070426 06,0 25,0 9,0 s = 0,5070473 | | | | R3) 50,4 9,9 40,9 59,9 9,0 | b= 742,40 | \b =743,20 | 3,6 26,0 94 17,0 | 35,2 8,2. | 2.0 01,6 9,6 | 51,5 10,0 8,5 7,0 36,8 9,8 27,0) 45,6] 8,6 | | 2,4 12,0 9,6 01,6 20,7 | QuR A 47,0 9,6 37,0). 55,8 SS | | | | | | 3,8 294 9,6 LS IO 9,1 | | | | a= 1 1.05 7,6 572 9,6 |&,= 17,50 41,4 06,4 9,0 | | | t,= 14,23 3,0 32,9 9,9 | t,=14,50| 2929] 414] 9,2 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 118. | 12 Agosto 1899 13 Agosto 1899 | h m ho om hm hl m | 5,59 6,27 50c= 11,01 11,29 50c= | S S m S (Gi S DI m DI e 12,0 42,0 | 28,30,0 = 17,23| im = 250,45 04,5 35,6 | 28,31,1:!& = 17,06 | 46,0 16,0 30,0.|.4,=14,32| e= 341987 38,6 09,4 0,8 | t,=14,20 | 20,5 d0,4 29,9 so = 0,5074187 13,0 44 4 1,4 | 54,5 24.5 30,0 A p=— 1763 47,0 18,3 18) | 290 59,0 30,0 hu = 138 21,2 92,6 1,4 02,9 32,8 29,9 s= 0,5072562 5,4 26,6 152) | 3A 07,3 29,9 30,0 01,0 1,0 | b= 738,35 b=740,20 | Uro 41,0 29,8 03,6 35,2 1,6 ì; I || 45,6 15,6 30,0 9859 0859 la | | 19,6 49,5 29,9 12,4 13,6 12) li i‘ 54,0 24,0 30,0 46,6 18,0 1,4 Ù i] 28,0 57,8 29,8 20,8 52,0 19 n | | 5 32,5 30,0 55,4 26,5 1,1 li | bi | 36,2 06,0 29,8 |fy= 17,37 29,0 00,4 1,4 |&= 17,10 dh, | il | SIERO 41,0 30,0. | #, = 14,40 03,6 35,0 IRAN (E 995 È; | j | 14 Agosto 1899 15 Agosto 1899 | lì m h_ mn lì om lì m | 4,40 5,14 60c= 10,39 11,07 50€= | S DI m Ss (O SÒ S mi IS G 24.0 36,0. | 34,12,0 l&, = 17,04| 4n = 250,12 19,6 49,8 | 28,30,2 l& = 17,37 | 58,8 11,0 2,2 |4,=14,229| c= 34,2070 54,0 24,0 0,0 |, = 1441 | 320 45,0 350 so = 0,5074169 || | ‘128,3 58,3 0,0 i | 07,0 19,5 25 Ap=— 1750 02,4 32.4 0,0 | | 41,0 53,0 2,0 An=+ 154 36,8 07,0 0,2 è | | (uo 28,0 2,5 s= 0,5072573 11,0 41,0 0,0 s = 0,50720f; | 49,0 01,4 24 45,0 15,0 0,0 (il Î i | 03:83 36,0 2,2 19,2 49,2 0,0 n | b= 742,75 b= 742,30 (1 | DIA 10,0 2,6 33,5 23,9. 0,0 I); 32,0 45,0 3,0 27,5 57,6 0,1 ì 05,8 18,0 DI) 01,8 32,0 0,2 ì, Vi 40,8 53,0 2,2 35,9 06,0 0,1 n 14,0 27,0 3,0 10,0 40,3 0,3 N | 490 01,5 35 = 17,10 444 14,5 0,1 {== 17,40 I, INA230 35,0 2,0.(4,=14,95 18,8 49,0 0,2 (= 14,45 ; | NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 25 Osservazioni del Pendolo N. 119. 12 Agosto 1599 13 Agosto 1899 | Mo m Ù m 3 D0e= | 11,509 12,27 bDOe= Mm s è | s | s ms U | 28,37,0 fa = 17,00) tm = 259,05 04,9 42,6 | 28,37,7 |te=217,19 tm =299,22 6,8 |t,=14;17} \c= 34,381 40,0 17,8 7,5 |t,=14,30] c—=34,3549 6,7 So = 0,5073850 13,4 51,5 ICE so = 0,5073844 7,0 Ap=— 1743 48,6 26,2 7,6 Ap=— H54 6,7 du =+ 138 22,4 00,0 7,6 Li vai = HRX198 6,9 S—05072275 37,0 34,5 T,8/| s—= 0,5072228 7,0 30,8 08.8 8.0 6,9 |)bp= 738,50 05,9 44,0 5,1 |b= 740,20 1,0 40,2 17,4 (02 6,7 14,6 52,4 7,5 6,9 484 26,0 TG 7,0 23,3 01,0 teri 7,0 56,8 35,0 8,2 RON = UO 32,0 09,9 RIN tMV10. 7,0 |t,=14,20 05,8 43,4 7,6 |t.=14,24 14 Agosto 1899 15 Agosto 1899 h m dl ho m h m 3,99 60e= 11,55 12,24 o0e= S S m Ss (6 S DI m Ss e 4,5 05,0 | 34,20,2 |, = 16,91) tm = 249,96 38,4 15,5 | 28,37,1 [fa = 17,40| tm= 259,64 9,0 39,2 0,2 |, =14,16| e —34,3383 33,5 49,6 6,1 |t,=14,45| c=34,3256 3,5 13,8 0,3 so = 0,5073880 48,0 DDR O, so = 0,5073908 7,5 48,0 0,5 Au=— 1742 22,0 58,3 6,3 Au= — 1768 | 2,0 2974 0,4 Su = + 154 56,9 | 33,0 6,1 An = + 124 6,0 56,8 0,8 s=0,5072292 30,8 07,0 6,2 s= 0,5072264 1,0 31,0 0,0 05,4 41,6 6,2 4,8 05,2 0,4 |bp—= 742,75 394 | 15,5 6,1 |b= 742,30 9,5 39,6 0,1 13,9 | 50,2 6,3 13,5 14,0 0,5 48,0 24.0 6,0 8,0 48,4 0,4 929,9 59,0 6,1 2,8 23,0 0,2 56,5 | 33,0 6,2 :7,0 57,0 0,0 31,4 07,5 6,1 | 1,0 31,0 0,0 {=17,00 05,4 41,5 6,1 |&y= 17,40 5,2 05,6 0,4 |,,= 14,20 39,9 16,0 6,1 |,=14,44 26 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Riepil ogo 116 117 12 Agosto|s= 0,5063363J12 Agosto|s=0,5070457]12 Agosto|s= 0,5072562/12 gio 60|13 MA 4sli4 oe 87|15 | Medie s,,, = 0,5063363 Wo 7 40j15 26/14 26|15 53, = 0,5070437 s;, = 0,5072547 Elementi per la compensazione ATA w= + 0,3 Ska = 0,5072265 4. Stazione all’isola di Favignana (Stabilim. Florio) Lat. = 370, 55/, 42”. Long. =0l ,8m, 008 . Altit.=5m, TE7zT_TTNI Andamento dell’Hawelk. Data 19 agosto 20.» Dl Lo Stato assoluto h mos 10,34,12,15 14,96 17,80 Marcia diurna MMI] + 9,84 Andam. orario IE (OIbI7 + 0,118 | Densità del suolo = 2,5. NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 27 Osservazioni del Pendolo N. 116. 20 Agosto 1899 20 Agosto 1889 h m hm | hm | | 5,02 DO c= 9,29 | 10,02 50c= 109 | 32400 |, 10/64 1m= 260,13 46,8 26,0 | 32,39,2 (4 =1775) m=26%25 | 50,5 39,7 |#,= 14,60 e = 39/2007 26,5 06,0 9,5 |, = 14,70 c= 391893 | 29,6 40,1 s, = 0,5064598 05,0 db d 9,4 So = 0,5064611 | 09,0 40,0 Ag = — 1509 44,8 24 4 9,6 Au= — 1814 | 48,0 40,2 | An = + 167 23,5 02,8 9,3 An = + 167 | 27,4 40,0 s = 0,5062956 03,0} 42,9 9,9 s= 0,5062964 | 06,4 40,2 41,8 21,0 92 | 45,5 39,5 |b =758,36 21,5 01.0 VOTE | 21 Agosto 1599 21 Agosto 1899 | EE Al — SS 2 SS fica DE n LEA | ho om ho m hm 8,13 50c= 433 5,06 50c= RI DÌ mos e | N s m lo ),D 36,5 | 32,40,0 it = 17,60] mn = 269,08 24,5 04,1 | 32,39,6 |f&/= 18,07) #m = 269,57 | ;,0 16,0 40,0 |, = 14,60 c = 39,1988 03,0 42,0 SION AEMASS5 e = 391850 | 1,9 54,9 40,0 so = 0,5064602 43, 22.4 9,4 so = 0,5064625 | Ba) 344) 400 Ai 0807 2.0) 002 92 Su=-— 1530 | 3,2 13,0 39,8 An = + 165 01,0 40,8 9,8 An = + 165 },0 52,8 39,8 s= 0,5062960 39,0 18,5 9,5 s= 0,5062960 O) 31,6 39,7 19,5 59,0 ),5 | 0 11,0 40,0 |b= 758,03 57,8 37,0 9,2 |b=757,32 | ),0 50,0 40,0 38,0 17,2 92 | 4 29,0 39,6 16,4 55,0 8,6 | | 5 08,5 40,0 56,5 35,5 9,3 3,0 48,0 40,0 34,5 13,5 9,0 ,S 27,0 40,2 | 53,0 31,9 8,9 i 06,0 39,6 |& = 17,0] 32,8 | 1932 9,4 |{>= 18,00 0 45,0 40,0 |, =14,70| 11,0 50,1 9,1 |t,=14,80 | | 28 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. i17. | 20 Agosto 1899 20 Agosto 1899 I hm hm hm h m Ì 8,41 9,10 50c= 4,05 4,35 50c= S S m_ Ss Ss S "DMS SI , ì 23,6 51,0 | 29,280 |&=1 Im = 269,28 46,0 13,8 | 29,27,8 |&.=18,02 I S 59,0 27,0 80 |t=1 c = 35,3587 20,9 49,2 8,3 4, =14,85 34,0 02,0 8,0 so = 0,5071718 36,6 dA 7,8 so = 0,507] Il 09,8 37,6 1,8 Ap=— 1817 31,4 59,0 7,6 Au = — 08 44,5 12,8 8,3 Au = + 166 07,0 35,0 8,0 Anu= lf 20,5 48,5 8,0 s= 0,5070067 42,0 09,8 7,8 s= 0,50700f Si 55,2 23,6 84 17,9 45,0 TA W b= 758,36 | b= 757,97 31,0 59,0 8,0 53,0 20,0 7,0 | 06,0 34,0 8,0 28,8 55,8 7,0 42,0 10,0 8,0 03,8 30,8 7,0 17,0 45,0 8,0 39,0 07,0 8,0 | 52,8 20,5 i 14,2 41,8 7,6 27,0 34,5 7,5 50,0 17,9 7,9 03,0 30,8 To pelo 25,0 52,1 Tia = 1801 @ 38,4 06,4 SION o 01,0 28,4 1,4 |t,=14,82 | 21 Agosto 1899 21 Agosto 1899 ‘ | a se 2 v i h m hm Ii 8,41 9,11 DO c= sue ‘| S S ms mos Ss si 36,5 04,0 | 29,27,5 |&=18 im = 269,50 29,28,0 |&,= 18,10] tm = 26%(f s s Qi 12,4 40,0 7,6 |t,=14,80| e = 35,3496 7,6 |&=14,86| c= 35,30 470. 14,4 TA so = 0,5071736 È 79 so = 0,5071! Dl 22,8 50,6 7,8 Ap= — 1828 74 Ap== i P MO 200 1,2 An = + 165 8,2 du = © hm {hm | | 50 e— | 8,50 | 9,29 60 = mois | e | sol 8 ma i 32,39,8 |, = RES tm = 220,38 19,0 | 314 |! 39,12,4 la = 15,12) im = 22909 9,6.14,= 13,17] e = 39/1960 DSL | 11,0 | 259/04, = 12:80) © = 339,2086 SEGNO] | s., = 0,5064605 37,4 | 19,6 22 $, = 05064585 | 9,6 | Ag= —1638 16,5 | 29,0 | ZIONI Az = —1618 9,9 Sa = 50,0 | 08,0 | 2,4 || An=+ 4 0,0 s= 0,5062976 34,9 L7,4 | 2,5] s= (0,5062971 0,2 14,0 26,8 2,8 | 9,5 |b=757,50 OPEN] 06,0 | 2.8 |b=757.58 9,7 32,8 15,0 2,2 | 9,5 | 11,6 24,4 | 2,8 | 9,5 )1,0 03,5 9) | 9,5 | 30,0 | 42.5 2,5 | 0,0 | 09,4 21,9 2,5 0,2 |{,= 15,20 48,5 01,0 2,5 lt, = 15,20 0,2 |t,= 13,17 27,8 40,0 A TAZI RIT 21 Settembre 1899 22 Settembre 1899 o crea SSSTERE | e 2 | Dom ai Di e= 2,29 3,02 Uci m DI lu) s Ss m ( 35,16,1 |&,= 15,30) fim = 229,49 45,0 28,8 | 32,40,8 |&= 14,70] #m = 219,66 652, = 13:20 e = 39/1895 2 4 08,3 0,9 | t= 12,83] e = 392148 6,1 so = 0,5064618 06,5 +7,0 0,5 . se = 0,5064573 6,1 |Ap= — 1634 45,8 26,8 1,0 Ap=— 1594 6,3 | An= + 9 DUO 05,5 0,6 Ain=+9M GA s= 0,5063078 04,7 45,3 0,6 s= 0,5063073 6,2 434 | 23,7 0,3 6,0 |b== 757,70 23,2 03,6 0,4 |b=757,90 6,6 01,6 | 42,0 0A 6,9 dd 22,0 0,6 6.2 19,6 01,0 | 1,4 | 6,2 39,6 40,8 127] 6,0 384 19;2 | 0,$ | 60. /7# = 15,25 18,0 DIA 1,2 |&y= 14,80 6,2 |'#,= 13,20 ENO) 37,4 0;4 |t,= 12,93 NELLA REGIONE OUCIDENTAL® Osservazioni del Pendolo N. 116. 20) Settembre 1899 DELLA SICILIA 20) Settembre 1899) 38 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 117. 20 Settembre 1899 20 Settembre 1899 55,6 30,4 05,6 41,0 SUe= ms e 29,27,8 |t}= 15,10 s= 0,5070094 2 Settembre 1899 (i t,==15,31 |t,=13,23 b= 756,95 t, = 15,99 to) 9,0 |t,=13,35] Au=+ ii 52 e= m Ss U 30,;38,6 |t,= 15,10 x 00 tm = INDI DI c = 35,3627 so = 0,5071709 Au=— 1621 An og s= 0,5070182 se= m S Ss 31,49,6 |f,= 15,39 49,9 |f,= 13,28 50,2 49,0 50,0 49,6 50,5 49,9 49,9 50,0 50,0 49,8 50,2 t, = 15,56 50,0 t,= 13,39 50,0 | l i sa pI È Li NE tl l NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 39 Osservazioni del Pendolo N. 118. Î 20 Settembre 1899 20 Settembre 1899 | ‘“— == a | | | | \ ho m hm lì om | | 4,15 50c= 11,38 12/09 | (5£&ci=2| | sN N mM Ss u N N mu N (bi | ,0 18,8 | 28,38,8 I{,=14,92| fm =219,95 31,4 26,4 | 30,55,0 |ty= 15,57 tm = 22,85 | 8 | | 8 | [44 53,0 8,6 |t,= 12,99) c= 34,3773 05,9 01,2 5,3 |t,=- 13,38] e = 34,3571 | | | 8 97.5 8,7 so = 0,5073797 40,0 35,0 5,0 | | so = 0,5073839 | ;0| 02,2 9,2 |a p=— 1612 14,6 10,0 5,4 | l'Au==<1656 | \b 36,0 8,5 An=4 4 48,6 44,0 54 | | An=+ 4 | 82,1 11,0 8,9 s= 0,5072189 23,4 19,0 5,6 | s= 0,5072187 | | Il )6,0 45,0 9,0 57,5 52,8 5,3 | | b= 757,50 b =756,90 DT 19,6 8,9 32,0 27,5 DID | 5,0 53,9 8,9 06,2 01,1 5.9 | | | È 28,5 9.1 40,9 36,4 55 | ,6 02,6 9,0 15,0 10,0 5,0 | 19 37,0 8,8 49,5 45,0 5}9) |} d stu 8,6 23,9 18,6 4,7 | | | ,0 46,0 9,0 |&,= 14,98] 58,2 53,6 5,4 |tyg= 15,48 ,0 20,0 9,0 | #,= 13,00 i 32,4 27,4 5,0. |(z,= 13,82 | | 21 Settembre 1899 22 Settembre 1899 | hm hh m ù m 4,17 50 e 4,34 5,04 D2e= | DI mos (6) Ss S Mm s (hi | 49,5 | 28,38,9 |&.= 15,00) tm = 229,04 48,0 36,0.| 29,48,0 |f,=15,20] tim=220,31 | 4,5 23,6 9,1 |t,= 13,10) ‘c = 34,3803 EPAS 10,4 7,6 |,=13,17| c=34,3806 | 58,0 8,3 | so = 0,5073790 57,0 44,6 7,6 “so = 0,5073788 il | il | A 32,4 9,0 | Au=— 1612 31,5 19,5 $,0 Au=—1625 | 07,5 9,5 An=+ 05,8 53,3 7,5 Au = 2194 41,2 9,2 s= 0,5072272 40,0 28,0 8,0 s= 0,5072257 | 16,0 9,0 14,2 02,2 8,0 | 50,0 9,0 49,2 37,0 7,8 | b= 757,50 b=757,S0| I 24,5 9,1 23,0 i1:9) 82 | B 59,0 94 58,0 45,7 cri | 55) 33305) 9,0 | 39.0 19,9 7,9 | | | 07,4 9,0 | 07,0 54,5 | 7,5 | | Î | Ì 42,0 8,7 | 40,8 | 28,4 7,6 | | | | 4 16,0 8,6 |4, = 14,90 15,5 | 03,2 (NAS =1522 | } 51,0 9,4 |, 13,00 49,3 37,2 7,9 |t,= 13,20 | | DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 119. 20) Settembre 1599 | h m h m | 2,33 2,02 50e= | S S mos e | (508| 356 28,455 & 1462 | nessi 100 5;4 | t,=19;80 | DIA 44,6 5,2 | aa3:3 19,0 52 Mozza 53,9 5,5 | 1458 28,3 5,5 17,4 02,6 5,2 | 20 37.0 5.0 757.50 | 1964 12,0 5,6 00,9 46,2 5,3 | 352 20,9 =,7 | 098 55,0 5,2 45,4 30,0 4,6 | 18,9 04,0 ol (= ig 53,4 39,0 5,6 |t,= 12,87 21 Settembre 1899 | hm hm 2I39, 53,14 60c= 44,8| 152.) 34304 &,= 1469 19,5 49,8 0,3 |t/=12,82 53,5 24,0 0,5 (Ren2355 59,0 0,5 | 1025 33,0 0,5 TReszae 07,6 0,2 11,6 42,0 0,4 || 46,0 16,0 0,0 |b= 757,50 nolo 51,2 0,2 55,4 25,5 0,1 29,4 00,0 0,6 04,2 34,8 0,6 39,0 09,4 0,4 | 13,6 43,6 0,0 |f,=14,80 47,6 18,0 0,4 |f,= 12,90 neon n m 4,08 4,57 p0e= tm = 210,52 58,8 143,0 | 28,442 |&,= 15,90 e = 305061 34,0 19,0 5,0 |, =1317 so = 0,5073515 08,0 52,2 4,0 Ap=— 1501 42,8 97,5 Lr] An =! 4 17,0 01.0 4,0 s= 0,5071928 52,0 36,5 45 26,0 10,4 44 01,0 45,5 4,5 |b= 756,90 35,0 19,5 45 09,6 54,5 4,9 44,0 28,3 44 18,8 03,5 41 52,8 37,4 4,6 27,7 12,5 4,8 [= 15,13 02,0 46,2 42 |&=13,11 22 Settembre 1899 lì om h m 3,38 4.07 50c= È 5 ml o Im = 219,63 18,8 03,8 | 28,45,0 |&= 15,20 c= 34,5057 53,4 38,6 5,2 |t/=13,10 so = 0,5073515 27,6 13,0 5,4 Ap=-— 1592 02,0 47,8 5,8 An =+ 9 36,8 22,0 5,2 s= 0,5072017 112 57,0 5,8 45,6 31,0 5,4 20,1 06,0 5,9 |b= 757,90 54,4 409 5,6 29,2 14,9 5,7 3,5 49,0 5,5 38,1 24,0 5,9 12,8 58,1 5,3 47,2 32,9 5,7 |ty=15,20 21,5 07,0 5,5 |4,= 13,06 NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 41 Riepilogo | | 116 117 11S 119 | 20 Sett. |s=0,5062976[20 Sett. [s=0,50700%1 20 Sett. |s=0,5072189|20 Sett. |s=0,5071928 | 2971 o | 057 | IST | 1926 21 ;078[2I | 182/21 272/21 | 2017 I 99 073.2 | po | 257.2 | 1978 Medie s,,; = 0,5063024 So, = 0,5070119) S3,7 = 0,9072226 Sh = 0,9071962 | Elementi per la compensazione IEZZO Wi=— 952 32 wig= — 2,6 7. Stazione alla Martorana (Palermo) (dopo il viaggio) Lat. — 389, 6”, 594,2. Long.=0h, 54m, 398 5. Altit. — 20M, 17. Densità del suolo = 2,5. mia vai Andamento dell’Hawelk. Stato Marcia | Andam. | Data A | | assoluto diurna orario | | e» | | + 3,70.| + 0,155 | 11 27,93 | + 3,65 | + 0,158 + 3,60 | + 0,150 I 42 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 116. 11 Settembre 1900 11 Settembre 1900 h m h m ho m MD m 12,53 |13,26 50€ = 6,58 7,30 50. = S 8 TONS ta S Ss mo & 6 28,9 195 | 132,49,6 \:2= 16,60 im = 24940 02,0 45,5.| 32,43,5 |&e= 16,91 08,6 52,3] 3W|t=1395| c= 399731 41,2 25,0 La ili 47,3 30,9 6 s, = 0,5064478 21,0 04,0 3,0 27,0 11,0 4.0. VEeSORO: 00,0 43,6 36 06,0 49,4 34 | MESE 39,4 2250 3, 45,7 29,5 3,8 s = 0,5062968 19,0 02,8 3,0 244 08,0 3,6 | 57,8 41,2 3,4 04,4 48,0 3,6 |b =765,00 37,2 21,0 3,8 |b=764,00 43,0 26,7 3.7 | 16,0 59,8 3,8 22,8 06,9 4,1 | | 55,5 39,4 3,9 04| 45,40 3,0 | 35,2 18,4 32 41,3 25,2 3,9 14,0 57,6 3,6 2000) | 1037 | 347 53,5 36,8 33 00,0 43,5 a Sia 33,0 16,0 3,0. |{,= 16,90 38,6 | 999, | 3,6 |t, = 13,96 11,8 554 93,6 (= 1416 12 Settembre 1900 12 Settembre 1900 hm im Dm ho m 13,44 | 14,17 50/c= | 20,24 |20,57 50c= 18/4 | 025 | 32,441 5 =16,60 tm = 249,47 29,0 06,0 | 32,44,0 |{, = 16,80] 57,0 41,2 4,2 |{,=1400| \c=39,2825 00,4 43,8 3,4 |:,= 14,10 37,0 21,4 4A 5, = 0,5064462 40,5 24,5 40 16,0 00,0 4.0 | ei 19,0 02,4 34 55,0 39,8 4,3 RESSE 59,1 43,0 36 Tai 4,0 s= 0,5062949 37,2 21,0 3,8 140 685 LA 17.8 01,6 3.8 53,2 37,0 38 |b=764,00 56,0 39,7 3 b= 76305 998| 17,0 4,9 | 36,0 20,0 4,0 118) 55,5 3% | 14,0 58,0 4,0 51,2 39,5 4,3 )5,0 38,5 3,9 30,0 14,0 4,0 33,2 17,0 3,8 09,8 | 540 | 19 13,5 57.5 4.0 48,8 33,0 | 4,2 l{,= 16,60 51,6 35,2 3,6. ly =16,80 28,8 12,8 4,0 | #, = 14,00 31,8 | 15,5 4,0 \t= 14,10 Î | Î NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA Osservazioni del Pendolo N. 117. mi 14,33 50c= ls 463 | 29315 10,3 21,6 1,3 i 0 57,1 1,1 i O) 32,5 1,5 $,S 08,0 1,2 2,0 43,2 1,2 IT 55) 19,0 1,5 9 54,0 1,1 4 29,8 1,4 È 6 05,0 1,4 ), 40,8 LA 10,0 15,8 | 0,5 20,0 51,5 1,5 } 26,8 hd 0,8 02,0 1,2 ll Settembre 1900 o t, = 16,70 t,= 14,05 b= 765,00 fo== 1600. t,= 14,05 Settembre 1900 tim = 249,61 » = 39,4260 so = 0,5071550 Ap= — 1738 An + 218 s= 0,5070060 hom S2: 38,8 14,0 49,6 )3 5 00,8 36,0 ho m 15,530 dope S mos 06,6 | 33,04,2 42,5 4,1 Tita 4,2 93,5 4,7 28,4 3,5. | 04,1 41 39,5 4,0 15,1 4,1 50,4 bd 26,0 dd 01,2 42 37,0 4,0 12,0 4,0 47,6 41 2332 4,2 n= 16,72 t,= 14,06 \b= 764,00 if, = 16,70 = 14,05 tm = 249,60 c 2354916 so = 0,5071569 Ap=— 1740 Au ==b:218 s= 0,5070047 h m 12255 E 09,0 | 44,6 20,0) DDI 31,0 06,4 | 24.5 00,0 39.5 10,5 46,4 11 Settembre DOe= N 5 Settembre 1900 29,30;8 (4&,== 17,00 110492 au 14,15 1900 | | | Î | Î | Î | | b= 164,00] | | im = 259,00 | so = 0,5071606 Au = — 1757 s= 0,5070067 m | 5D0c— | | s Î S Ì 29,32,0 t,= 16,05 | t,= 13,67 ib = 164,70 | ‘8,= 0,5071557 Ap= — 1697 An =+211 s= 0,5070071 44 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Osservazioni del Pendolo N. 118. _ : Ù | 11 Settembre 1900 11 Settembre 1900 | | page In a hl m hm 3,08 ,37 50.c= 9,25 9,55 52c= 50,5 32,0 | 28,41,5 |f=16,85| tm= 24081 54,5 15,0 | 29,50,5 [f#= 17,00 im=25% 24,4 060 | 1,6 |#,=1419 e— 344990 28,6 19,0 0,4 |,=14,93 c—344 59,2 41,0 18 so = 0,5073676 02,5 52,5 0,0 so = 0,507 33,2 14,8 1,6 Ta 37,5 27,7 0,2 Av E SOR 08,0 49,8 18 RESO Ta 12,0 02,5 0,5 A E | 499 24,0 18 s = 0,5072146 46,2 37,0 0,8 s = 0,5072 ET 59,0 1,8 21,0 11,4 0,4 b= 764,70 b =763,90 51,3 33,0 107 55,5 45,6 0,1 | 260 07,5 1,5 29,8 20,0 0,2 | 00,0 41,4 14 04,0 544 0,4 | 350 16,4 14 38,8 29,9 0,4 09,2 50,8 1,6 13,2 03,5 0,3 43,6 25,0 14 47,6 37,6 0,0 18,0 592 1,2 |ly= 16,85 22.0 12,0 0,0 |t,= 16,97 52,6 34,0 1,4 |t,=14,12 56,8 46,8 0,0 |#,=14,20 | 12 Settembre 1900 13 Settembre 1900 lu n hl om Tini h m |1805 |18,39 60c= 14,02 | 14,31 50c= | 29.8 49,4 | 3426,6 | = 1670) tm=24,63 49,8 320 | 28,422 lt,=16,30 im=23% | 565 23,0 6,5 |4=1404 c—344341 244 06,5 2,1 |i,=13,80) c—=344 31,7 58,0 6,3 so = 0,5073671 58,8 |. 40,8 20 so = 05070 i O an MRS 330 152 22 Ape — ORE 40,9 07,0 6,1 An= + 218 07,5 49,7 2,2 An = 612» | 61 6 | >» | 50/13.» 60/13» | 56/13» 70 | Medie s = 0,5062954 s= 0,9070061 s= 0,5072197 Si= 0,5071875 | Questi valori non debbono assoggettarsi a compensazione, giacchè la stazione di ritorno serve solo a constatare 1° ettetto del noto fenomeno consistente in una contrazione del metallo dei pendoli. Questo fenomeno si manifesta, difatti, anche nella presente campagna, benchè in modo poco sentito. Infatti le differenze tra le s sopra riportate e quelle della stazione stessa, prima del viaggio, sono rispettivamente (in unità della 7% dec.) : 118 119 Pendolo 16 | 17 |= — 38|— 475 Diff. s — 20 10 Non ho apportato alcuna correzione ai valori di s delle varie stazioni, dipendentemente dall'effetto dell’ accorciamento dei pendoli, sia perchè tali correzioni sarebbero state insensibili, sia perchè è affatto gratuito ammettere che tale accorciamento sia proporzionale al tempo. # Non si dimentichi che queste differenze si riferiseono ad un intervallo di 13 mesi. NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA 47 Compensazioni delle osservazioni Ricorderò che nella mia Nota citata sopra, sulla compensazione della durata di oscillazione dei pendoli, tutto il calcolo, dati gli elementi scritti dopo i risultati d'ogni stazione, riposa sulla formazione dei tre gruppi di quantità 0, my 03m 2704,mi Cime, © pae ugo Manta Vila Wim, date dalle formule semplicissime ricorrenti : m— l Wi,m — U m_2+ e Ugm_—2 — %1,m mi e m A ] 3 n a = Vin oca T 3 hi = è ni — «è Il mit 1 m—- | ] Worm gm 1 mi Wo, m_- 1 Csm—a = WCa,m DI U 1,m , Uli Va = LAT: Bum_—4t — SGm_4 3m—_ 1 mt 1 Li m_— | I %é0g,m = Wim 5 para 0g, Mm 1 Wie Wine roi (200, mn + Wi, m) } ) 5 T70) È Ù m_5 = @ DI colle semplici considerazioni che (essendo » il numero delle stazioni, compresa la fondamentale) : Wi, i = 4 oa = Wo ug = Wa Vira = Uyn=8 Var rav; eh VERS SRG e la m va da Lad »—1 nei primi due gruppi, mentre, nell’ ultimo, vada +1 a 2 *. T valori numerici delle quantità surriferite, partendo dalle 7; scritte negli Elementi per la compensazione , riportati nei dati di ciascuna sta- zione, Sono : # V. Sulla compensazione ece,, pag. 9-11. 48 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Tavola delle <;,, 1 2 3 4 5 Bi lit 11.604 21,00) — 13,40) + 7,65] 4 2,02) — 112 | 2| 442,00] + 15,50) — 3,46| + 441|4+11,13| + 407] | 3:| 2490) — 19, 7,83) —:417 + 1646) 10,894 | In questa tavola i numeri ordinativi posti verticalmente, sono i valori del 1° indice delle x; quelli posti orizontalmente sono i secondi indici di esse. Tavola delle ©, V. n 7 ? J || 411,60 — 6,58/13| + 2,02| + 1,061 l2| 436,20 + 13,07 |14| 410,12 | + 14,10 Z| 4 48815] {12,08 | + 2054| \4|+21,00 18.53) (So) PMO | (5| + 5,00 419,997] + 4684463] | 6 2527) — 20,61 121 8,19) 8:86) |118) M9:Si 9,84) | | Tutti questi valori sono espressi in unità della 7® decimale. Dalle (20) della detta Nota, col mezzo delle V, si hanno le correzioni delle durate di oscillazione di tutti i pendoli in ogni stazione, compresa la fondamentale, in unità della 7% decimale del minuto secondo. Esse SONO : Correzioni dei tempi d’oscillazione Vienna |Martorana| Ustica |Pantelleria Favignana Trapani | Valverde |5,| — 2460) -+14,25| + 7,00) — 13,48| — 0,37) 4 11,38.| 4 5,85 ‘ è | — 240] + 13,40| —24,30| 4 10,02| — 12,25 +4 WK0\+ 1,85 33 | + 32,46] — 12,46) — 8,75| — 1,66) — 2,50| — 6,0£4| — 1,05 dl — D,46| — 15,17 | H- 26,12 | 4 5,12 4-15,10 | — 13,06)| — 12,65 NELLA REGIONE OUCIDENTALE DELLA SICILIA 49 Applicando queste correzioni ai valori d'oscillazione medi, come risul- tarono dalle osservazioni, e che si trovano registrati nei resoconti di cia- scuna stazione, si avranno i tempi di oscillazione corretti e non più di- screpanti fra loro: cioè soddisfaranno le condizioni assolute : LA NO CDR mai 94. i 51, k 2,.k 93, k 4, k ove /, k sono i numeri d'ordine di due stazioni qualunque, e s la durata corretta del tempo di oscillazione. Le s sono riunite nel seguente : Quadro dei tempi di oscillazione corretti (a | DI d i Vienna | Martorana) Ustica Pantelleria Favignana Trapani | Valverde | | | | | 116 0,5060980 | 0,5062988 | 0,3062841 | 0,5063350 | 0,5062960 | 0,5062972 | 0,5063030 117] 6S08S | 70084 | 69937 | 10447 | 10056 | 10069 | 10127 Il | | | | | | 118] 70118 72188 72036 72545 712155 | 72167 | 72225 | | | | | | | | Î | 119] G9SDT | 11907 | 11760 | (2270 | TISTO T1891 | 71949 | i | | | C | Come prova dell’esattezza del calcolo, prendiamo a. determinare i re- sidui di osservazione in base ai valori delle oscillazioni corrette; e si iroverà che le w#, le quali debbono esser nulle, hanno i seguenti va- lori sensibilmente nulli; in unità della 7% decimale : 0.00 0,05 0,10 0,04 0,06 0,07 I rapporti delle oscillazioni di un pendolo qualunque nelle nostre sta- zioni rispetto a quelle di Vienna, ora saranno costanti per ciascuna sta- zione; e la gravità potrà dedursi da uno qualunque dei pendoli, colla formula, se s'impiega il pendolo m°: gi = ( 21) gi=9, 80876 ( 2): GI. GIÙ °m.i ?m, i 50 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Così se si sceglie p. e. il pendolo 116, corrispondente ad wm = 1, ab- biamo, dal quadro: delle 7, e dalla precedente #* | | Stazione | Martorana | 1.9998260 | 9,80090 | | Ustica. . . 8356 | 9,80147 | | Pantelleria 7950. | 9,79950 | | Favignana 8285 | 9,80102 | | Il | Trapani. . 8274 | 9.50097 | | Valverde . 8224 | 9,80075 | Ì Ì e tutti gli altri rapporti condurrebbero allo stesso valore di g di ogni stazione. Valutiamo, ora, l’error medio a temersi sopra i valori definitivi delle oscillazioni, come furono avanti stabilite. Esso si calcola rapidamente a mezzo delle z;,m già riportate in una tabella precedente. La formula #* 1 1 Li MIi2NISE (e 1) e2 x = I ni Ti i = ni IL 1 | 4 (20500 mt ui?) Tala DIGA sn, mat W>, mut203, m | dà l’'error medio unitario; mentre l'altra fornisce l’error medio che compete ad ogni valore definitivo di oscilla- zione. Nel caso nostro »= 7, S= 0,507 circa; quindi si ha facilmente : e = 0,5 0000017. 05 E = 0,% 0000009. 85 Gli errori probabili rispettivi sarebbero invece, per chi preferisce que- sto criterio : ep = 0,5 0000011. 4 E, = 0, 0000006. 6 # Ilvalore di g deve arrestarsi alla 58 decimale; giacchè dalla relazione Ag=—40A5 si vede che l'incertezza pur di una sola unità della settima decimale in s porta una variazione di 4 unità della 68 cifra di g: quindi Je decimali di g al di là della 5% deb- bono ritenersi come illusorie. *## Vedi Il. c., formule (22), (26). NELLA REGIONE OCCIDENTALE DELLA SICILIA DI L'error medio da cui può essere affetto il valore della gravità g, in conseguenza della complessiva azione delle residuali incertezze nei va lori delle 7, tanto a Vienna quanto mella stazione che si considera, è ’ î My MZ lea) E = (0)! 00005 : S onde sì vede che in questo genere di ricerche non v'è a sperare per g un’approssimazione maggiore di 50 micron. Correzioni altimetriche e topografiche delle osservazioni di gravità Le correzioni altimetriche per ridurre la gravità al livello del mare, si hanno subito dall'apposita tavola: i dati altimetrici sono registrati in testa ad ognuna stazione. Si ha quindi la tabella delle Correzioni altimetriche Valverde Martorana | Ustica |Pantelleria|Favignana| Trapani | + 6,1 0 ETA 6001750 |) 4-14, 000418, 3 in unità della 5% decimale. Quanto alle correzioni topogratiche, si è già indicato il metodo tenuto di calcolare, cioè, l'attrazione, una per una, delle parti in cui si consi- derò diviso il terreno attorno e sotto alla stazione, per un raggio che variò, secondo i casi, dai 15 ai 25 chilometri. I settori cilindrici avevano l’apertura di 45°. Nel quadro seguente si trovano registrati i valori della componente verticale di attrazione per la densità = 1, espressa in unità della 5* decimale, calcolate nel modo indicato nell’introduzione, e prese col segno conveniente all’azione correttiva : # Vedi l. e., formula ultima. 52 DETERMINAZIONI DI GRAVITÀ RELATIVA Tavola delle attrazioni Martorana Ustica Pantelleria Favignana Trapani Valverde | Ottante Terra | Mare | Terra | Mare | Terra| Mare | Terra | Mare | Terra| Mare | Terra | Mare | N-NE |--0,101|+-0,073|—0,854|+0,119|—0,785|+0,021|—0,026|-0,002|—0,298]+0,024|—0,298|H-0,024|, NE-E |--0,100/+-0,063|—1,024|4-0,140|—0,860|+-0,020|—0,026|+0,005/—0,302|+0,022|—0,302|4-0,024| . | | E-SE|—0,078| — |-1,038|+-0,187|—0,845|4-0,011|—0,026|+-0,002|-0,270] . — |—0,270| — | SE-S |--0,018] — |-0,961|4-0,149|/—0,974|4-0,005|—0,026|+0,007|—0,206}] — |—0,206| — S-SO |-0,022| — |-1,039|4-0,112|—0,892|4-0,001|—0,026|-+0,011|—0,198| — |—0,193| — SO-0 |--0,024| — |—1.046]4+-0,093|—0,793|+0,012|4-0,120|+-0,012|/—0,150| — |-0,150| — | | A È O-NO|-0,056| — |—-1,059|+-0,173|—0,747|4-0,015|+0,105|4-0,011|—0,160} — |—0,160| — NO-N|-0,067, — |-0,865|-+0,09|—0;732|+-0,017|#+0,002/4-0,006|—0,272) — |—0,29| — | (ele ea i ni | Totali — 0,465|-+-0,136| — 1,886|4+-1,068|—6,528/4-0,102|+-0,097|+-0,057|4-0,104|4-0,036/—1,851 -+0,048 | Moltiplicando il totale della colonna 7erra, per la densità seritta in testa ad ogni stazione, e il totale della colonna Mare costantemente per dens.— 1, sì Martorana (( (00) hanno le Correzioni topografiche Ustica. |Pantelleria|Favignana| Trapani | Val — 20,8 — 18,0 +0, 3 +0, 5 _ in unità della 5% decimale. verde 4,0 Riunendo, ora, le due correzioni, si avrà la gravità ridotta all’ Ellis- soide liscio, che diremo gravità osservata, messa di contro alla gravità teorica che nasce dalla formula di Helmert, colle rispettive differenze : Quadro riassuntivo Stazione Martorana MUSIC Pantelleria | Favignana | o | Trapani. . | ll Valverde . Gravità osservata mm 980095 9,80203 9,80006 9,50104 9,80098 9,80089 O Differenza | teorica mimi 9,7997858 db 117 9,50030 TSI 9, (9865 Lit) 979962 | 142 î | 9, 79969 4 199 | 9, 9975 EE S| E si vede come, anche qui, Ja gravità teorica sia costantemente in di- fetto di fronte alla osservata, il che è accaduto in tutte le determina- zioni costiere della gravità, e fa pensare all'ipotesi del Faye. TOO et di n e n nni sati Sulla teoria dell'attrito di N. Petroff —_—_ — MEMORIA del Prof. STEFANO PAGLIANI presentàtà dal Prof. Venturi nella tornata del 16 Dicembre 1900. o IC PULUMAIIDAR OMARSTE Jon! “iii li stiano He (OO aipenag UE AE Tel catania altari i î Vv $ si Sulla teoria dell’aftrito di N. Petroff Lo studio teorico e sperimentale più completo che noi abbiamo finora sull’attrito è certamente quello del generale N. Petroft #. Ci occupe- remo qui dei principali risultati a cui egli giunse in tale studio discu- tendoli e dimostrando che talune sue conclusioni non sono del tutto rigorose. Se consideriamo in modo generale due superficie metalliche animate di moto relativo, la lubrificazione ha per scopo di impedire che esse vengano fra loro a diretto contatto. Allora la resistenza totale dello attrito, che si oppone al movimento relativo dei due solidi, è dovuta all’attrito dello strato lubrificante con le due superficie ed all’attrito interno del lubrificante stesso. Si devono quindi considerare, oltre al coefficiente di attrito interno 0 “ L. WurzeL— Newe Theorie der Reibung von Petroff (Hamburg u. Leipzig, 1887). i ipmro VeroLn—ticerche teoriche e sperimentali di Petroff sugli olii lubrificanti. — L'ndustria, anno 1885 — Bulletin du Congrès des Chemin de fer (vol. II, n. €. Bru- xelles, 1858). Francesco Masi — Le newove vedute nelle ricerche teoriche ed esperimentali sull’ at- trito. (Bologna, 1597). STEFANO PAGLIANI — Sulla viscosità e potere lubrificante degli oliù minerali — Sup- plemento annuale all’Enciclopedia di Chimica, volume VI, 1890). N. PertRrore — Resultats les plus marquants de Vl etude theorique et experimentale sur le frottement mediat — Revue de Mecanique — Tome VII, anno 1900. 1 SULLA TRORIA DELL'’ATTRITO DI N. PETROFF viscosità del liquido, due coefficienti di attrito esterno del lubrificante colle due superficie metalliche. I prodotti di questi coefficienti per le superficie in movimento e per la loro velocità relativa esprimeranno le resistenze parziali dell’attrito. Dalle sue considerazioni teoriche il Petroft arrivò alla seguente espres- sione della resistenza di attrito alla superficie di un cilindro verticale di lunghezza infinita, il quale ruoti entro un altro cilindro concentrico riempito di liquido. Se indichiamo con / detta resistenza di attrito, con w la velocità relativa dei due corpi solidi alle loro superficie di contatto, con S la grandezza di questa superficie, con e lo spessore medio dello strato lubrificante, con 7 il coefficiente di attrito interno, secondo la definizione datane da 0. E. Meyer *, con % e %, i due coefficienti di attrito esterno del liquido rispettivamente col cilindro interno e col cilindro esterno si ottiene ques ZAR . + (1) 1 Ji= Per stabilire però in modo completo il valore della resistenza di attrito si deve poi anche conoscere il rapporto fra l'attrito ed un’altra forza, la quale agisce simultaneamente coll’attrito, e dalla quale questo dipende. Si deve cioè valutare la pressione che agisce normalmente sugli ele- menti della superficie di attrito. Il rapporto numerico fra la resistenza di attrito e la pressione nor- male è il coefficiente di attrito totale. Se indichiamo con / detta pres- sione, con / detto coefficiente, abbiamo N! = f /. E siccome nella maggior parte dei casi si può ammettere che la pres- sione normale sia distribuita uniformemente sopra tutta la superficie di contatto dei corpi che scorrono l uno sull’altro, così se indichiamo L) con pla pressione sopra l’ unità di superficie sarà $S Fg perciò la for- pP mola (1) si potrà serivere : “WU Ta. tal 3 È CO e quindi il coefficiente di attrito sarà espresso da : Journ. de Crelle. t. LIX, p. 290. SULLA TEORIA DELL'ATPRITO DI N. PEDROPE D Discutiamo anzitutto questa espressione generale, mettendola a rat- fronto coi risultati sperimentali. Faremo però subito notare che in pra tica quando si tratta d'un perno o di un cuscinetto in realtà non si verificano le condizioni teoriche per le quali è stata dedotta la espressione. Così la lunghezza del cilindro non si può considerare come una gran- dezza infinita, in secondo luogo il cuscinetto, che rappresenta il cilin- dro esterno non presenta una superficie continua, ma essa è solcata da scanalature che servono per il deflusso del lubrificante. In terzo luogo una differenza importante fra le condizioni teoriche e le pratiche consiste in ciò che la temperatura dello stato lubrificante non è nè costante in tutti i punti, nè si mantiene costante durante il movimento. Infine, mentre 7, 2 S, sono direttamente determinabili, lo stesso non si può dire di s, e di % e ), dipendendo queste ultime grandezze da diverse condizioni, per cui non è quasi possibile eseguirne la misura nei singoli casi della pratica. Il Petrott dovette quindi limitarsi a cercare di dimostrare sperimen- talmente con apparecchi speciali che il valore del tronomio =: + : + Ù Ù M è costante per qualunque caso e lo fece in due modi cercando di veri ficare la costanza del valore sia del rapporto di che dell'altro - Da QUIS nu Il Petroft ritiene di aver dimostrato colle sue esperienze la indipen- denza del valore di quel trinomio dai valori della velocità e della. vi- scosità. Effettivamente invece se ben si considerano i valori che si ottengono per il secondo dei detti rapporti, # essi non solo sono diversi per uno stesso olio nelle due serie di esperienze, (0,00159 e 0,00124 per l'olio di colzi p. es.) e ciò per le diverse condizioni sperimentali, ma in cia- seuna serie diversificano abbastanza sensibilmente da un olio all’ altro (così da 0,00148 a 0,00180. nella prima serie, da 0,00118 a 0,00173 nella seconda). Quello però che si verifica con grande approssimazione si è la co- stanza di tale rapporto nelle stesse condizioni pratiche per uno stesso olio, variando la sua viscosità nel rapporto di 1 a 3 per causa della temperatura, e la velocità pure da 1 a 5. E considerando poi i valori medi per i diversi olii si trova anche verificato che essi. diminuiscono * VEROLE, loe. cit. — Masi, loc. cit. 6 SULLA TEORIA DELL’ATTRITO DI N. PETROFF col crescere della viscosità assoluta di essi, e sembra anche colla rapi- dità con cui la curva della viscosità si abbassa verso l’asse delle ascisse, cioè colla rapidità con cui la viscosità decresce colla temperatura. Quindi la conclusione più rigorosa, che si può trarre dalle esperienze del Petrott, non è quella generale più sopra accennata, ma piuttosto chè solo per uno stesso olio nelle stesse condizioni di attrito esterno si può ritenere che al variare della temperatura e della velocità si man- f Mu tenga costante il rapporto —— e cioè che il coefficiente di attrito totale sia proporzionale al coefficiente di attrito interno del lubrificante ed alla velocità di rotazione. Val Vo Così pure che si mantenga costante il rapporto e cioè che n wP.T0ps la resistenza d’attrito sia proporzionale non solo al coefficiente di attrito interno ed alla velocità, ma anche alla pressione sull'unità di superficie ed alla superficie stessa. Quindi, rimanendo costante la pressione e la superficie, è mecessario che la velocità e la viscosità del lubrificante al variare della prima e della temperatura si mantengano entro limiti tali che la resistenza d’attrito conservi un valore conveniente. Ma siccome al crescere della velocità diminuisce lo spessore del lubrificante, così diminuisce l'influenza di questo, quindi l'aumento della resistenza d’at- trito, nonostante che il conseguente aumento di temperatura tenda a far diminuire la viscosità del lubrificante. E la diminuizione dello spes- sore di questo verificandosi più rapida col diminuire della sua wvisco- sità, ne avverrà che quanto più rapidamente diminuisce la viscosità di un lubrificante al crescere della temperatura tanto più rapidamente crescerà la resistenza di attrito al crescere della velocità. D'altra parte si deduce che non converrà che la viscosità di un lubri- ficante sia troppo grande specialmente per grandi velocità, essendo la resistenza d’attrito proporzionale al prodotto della viscosità per la velo- cità, a parità delle altre condizioni. Se l’espressione : - = (' si potesse ritenere come generale per tutti i lubrificanti, allora dovrebbe a parità di velocità essere verificata anche la uguaglianza : To - (3) indicando con / ed 7 il coefficiente 1 1 di attrito totale e quello di attrito interno per un lubrificante e con f; le grandezze analoghe per un altro lubrificante per uguali condizioni di velocità. Ed il Petroff ritenne di aver dimostrato verificata la detta uguaglianza SULLA ‘TEORIA DELL'ATTRITO DI N. PEPROPPF 7 valendosi delle esperienze dell’Hirn sull’attrito cinetico # e delle deter minazioni della viscosità fatte da Lamanski #*. Hirn eseguì le sue esperienze con un apparecchio detto bilancia di ut trito che non è altro che una specie di freno dinamometrico. Fra co- stituito da una puleggia cava, girevole intorno ad un'asse orizzontale: sopra di essa appoggiavasi un cuscinetto semicilindrico fissato ad una leva a bracci uguali. All'estremità di uno di questi bracci era appeso un piattello, sul quale si collocavano dei pesi fino a raggiungere il carico che manteneva la bilancia in equilibrio, dal quale si aveva la misura dell’ attrito. Im talune esperienze la parte inferiore della puleggia era immersa nell'olio lubrificante, e si aveva allora lubrificazione abbondante; in altre l’olio veniva tolto dopo un certo tempo che la puleggia era in moto, senza aggiungere altro olio per tutto il resto dell’ esperienza, si aveva così come una /ubrificazione ordinaria. La temperatura dello ap- parecchio si manteneva costante mediante una corrente d’acqua fredda circolante nello interno della puleggia, oppure si faceva variare mediante acqua calda, oppure lasciandola crescere per mezzo del calore sviluppato dall’ attrito; e la si misurava con un termometro applicato al cuscinetto presso la superficie della puleggia. Se si confrontano i valori ottenuti per i coefficienti di attrito totale nel caso di lubrificazione abbondante per l'olio d’ oliva raffinato e per l’olio di spermaceti si trova che quelli del primo olio sono maggiori di quelli del secondo, e si ottengono i seguenti rapporti : temperatwia 299% (8h 459 50% 559600 coefficienti 2.1 2/31 2,20 241 2,32 2,39 Il medio di questi valori è 2,50. Il Petrott confrontò con questo valore il medio dei valori del. coeffi- ciente di attrito interno ottenuti per gli stessi olii da Lamanski con un apparecchio a tubo capillare, fondato sulle leggi del Poiseuille ***. fa È % d RR A IE Alle temperature 9°, 169, 259, si ottenne = 2,60 2,91 2,50. Li n | Il medio risulta 2,55. Spiega la differenza fra i due valori medii colla diversità degli olii impiegati da Hirn e da Lamanski, e conforta questa * A. Hinx: Bulletin de la societé Industrielle de Mulhouse, 1855. #* S. I. LAMANSKI, Dingler's Jouwrn. 1883. *** Recherches erperimentales sur le mpurement des liquides — Institut Accademie Royale des Sciences, V. IX. (1846). Ann. Chim. Phys. (53) t. VII. 8 SULLA TEORIA DELL'ATTRITO DI N. PETROFE spiegazione citando un altro valore medio di esperienze dell’ Hirn con olio di oliva non raffinato, e che sarebbe risultato 2,17. Noi che oggidi disponiamo delle determinazioni più complete dei coef- ficienti di attrito interno, fatte dal Petroff stesso, e confermate da nostre misure, sui detti due olii, possiamo eseguire quel confronto per tutte le temperature stesse delle esperienze di Hirn. I valori dei rapporti fra i coefficienti di attrito interno dei due olii alle temperature sopra indicate sarebbero rispettivamente : 2,97. 2,1112,00) 1,94 1,90 1,86 Il medio valore sarebbe 2,01 inferiore a tutti i precedenti. Le differenze fra i valori di quei rapporti ad una stessa temperatura sono in qualche caso piuttosto sensibili e vanno crescendo al crescere della temperatura. Perchè mentre i rapporti fra le viscosità vanno di- minuendo al crescere della temperatura, lo stesso non si osserva per i rapporti fra i coefficienti di attrito totale dell’Hirn. È bensì vero che, come a ragione osserva il Petroft, le temperature indicate nelle tabelle dell’Hirn non sono quelle dello strato lubrificante, ma del bulbo del termometro. Le temperature dello strato lubrificante non furono determinate nelle ricerche dell’ Hirn, nè oggidì si avrebbe mezzo di stabilirle, però è certo che le medie temperature dello strato lubrificante dovevano essere superiori a quelle indicate nelle tabelle e la differenza doveva essere tanto maggiore quanto più alte erano le temperature del bulbo del termometro. Tuttavia anche spostando i valori assoluti delle temperature resterà sempre il fatto del decremento nei valori dei rapporti fra i coefficienti di viscosità ed anzi le differenze fra i valori delle due serie di rapporti andranno aumentando, poichè si vede che a temperature maggiori mi- nori sono i valori dei rapporti fra i coefficienti di attrito interno. Così p. es. se invece della temperatura di 50° si dovesse assumere quella di 60°, allora invece di 1,94 si avrebbe 1,86, anche più diffe rente da 2,41. Il medio valore dell’una serie si abbasserebbe anche mag giormente e si allontanerebbe di più da queilo dell’altra serie. Adunque le esperienze di Hirn, contrariamente a quanto credette poter dedurre il Petroff, non servono a dimostrare la (3). Le esperienze di Hirn portarono ad un altro risultato e che cioé si aveva lo stesso rapporto fra i rispettivi coefficienti di attrito cinetico alle diverse temperature per tutti gli olii, a parità di velocità di rota- zione. SULLA TEORIA DELL'ATPRITO DI N. PETROPF 9 Citeremo solo i dati per l'olio di oliva raffinato e per V olio di sper- maceti : Rapporto dei diversi coefficienti a quello a 60° Olio di oliva Olio di spermacet 60° I ] DD° 1.250 1.259 50. 1.959 1.515 450 91705) 2.045) 400 2.938 — 300 5.247 53.286 300 4.069 = 250 DZ 5.686 200 6.393 _- Vogliamo ora vedere se la stessa relazione si verifica per i rapporti fra i coefficienti di attrito interno di alcuni olii vegetali, valendoci per- ciò dei risultati delle determinazioni del Petroft *. Olii di EG Spermaceti Colza Ricino 60° i 1 1 l DAI 41121969) dI” IRA22 Heap 20% 1.555 1.292 1.555 1.682 450 1.600 1.490 1.599 2.205 40% 1.900 1.055 1.910 5.000 DI 2.515 2.080 2.505 4.150 30% 2.840) 2.406 2.855 5.970 Zip D.DAL 2.900) 3.505 8.650 Come si vede se 1 esuaglianza fra i detti rapporti si verifica bene per gli olii di oliva e di colza, lo stesso non si può dire per l'olio di spermaceti, data l'esattezza che si può raggiungere nella determinazione della viscosità, e tanto meno per l' olio di ricino. Quindi non si può considerare come una legge generale. E così non si può trarre nessuna conclusione col seguente metodo molto indiretto, usato dal Petrott, per verificare la (5). Peli si valse del risultato ora cennato, trovato dall’Hirn, per gli olii di # VERrOLE, loc. cit. — MAsSI, loc. cit. 10 SULLA PEORIA DELL'’APTRITO DI N. PETROFEF oliva e di spermaceti, e che si estende anche a quello di colza, e dei risultati delle misure di 0. E. Meyer #, della viscosità dell’ olio di colza, che si possono bene rappresentare colla. espressione 1 1,44 0,529 #t + 0,050 # Qu = fine alla temperatura di 51° 6, e per estrapolazione egli la usò fino a 70°. Da certe esperienze di R. E. Lenz sulla trasmissione del calore in una sbarra di ottone, riscaldata ad un'estremità dedusse che alla tempera- tura 25° del bulbo del termometro nelle esperienze di Hirn corrispon- desse la temperatura di 29° nel lubrificante. Introdusse nella espres- sione fi — 1,40, 5297 +0, 050182 f'— 1,4+0,529t +0, 0507 ?° i valori medii dei rapporti be trovati da Hirn, fece # = 29°, e calcolò così i diversi valori di # corrispondenti ai singoli valori di +. Noi disponendo ora dei valori dei coefficienti di attrito interno del- l’olio di colza alle diverse temperature possiamo fare lo stesso calcolo più semplicemente, dividendo il coefficiente corrispondente alla tempe- figo coefficienti di viscosità e le temperature corrispondenti. Nella tabella seguente poniamo a raffronto i risultati del Petroff ed trovando così i diversi ratura di 29° per i singoli valori medii di i nostri. Temp. del term. di Hirn 60° 55° 500. 45° 40°.-35° 30° ‘125° Medii valori di / 10 1,258 1,537 1,997 2,575 3,279 4,057 5,265 f b 2 b) 2 dI 3 Temp. -calc.. da. Petroff. 13° 65° 580 50°, 440 380 339591290 Temp. cale. da noi 902205 6 O A (Co 0 eo Quali temperature delle due ultime serie si dovranno ritenere come più approssimate a quelle del lubrificante nelle esperienze di Hirn ? Molto probabilmente quelle calcolate da Petroff come egli ritenne per cui credette così dimostrata la suddetta eguaglianza. Intanto è certo che sono più esatti i coefficienti di attrito interno con cui si calcolò * PoGg. — Ann. Bd. 113, p. 140. iena SULLA TEORIA DELL'ATTRITO DI N. PETROFF Il l’ultima serie di temperature, perchè letti sopra una curva costruita con risultati di una serie di determinazioni estesa da 20% a 65°, mentre Petrott ha dovuto estrapolare da 31° a 753% Dunque, come si diceva, nessuna conelusione si può dedurre con tale artificio, oppure i risultati stanno a indicare che la detta egua- glianza non si verifica. E peggio sarebbe risultato se invece dei coefficienti dell'olio di colza avessimo assunti quelli di ricino, assumendo come legge generale quella dell'Hirn, presa a base del precedente rattronto. Ritornando alla nostra formola (2) vediamo che acciocchè si verifichi È 2 É E ; % " la (3) sarebbe necessario che, anche trascurando il binomio ——+—-, A A I tifo : nno ; : ed adottando cioè l’espressione / = ——- (4) rimanessero costanti oltre a î )) w eda p anche :, ossia lo spessore del lubrificante, ed è questa la sup- posizione che fece il Petroff per le esperienze dell’Hirn. Ma vedemmo che queste non dimostrano la (3) dunque non si può ritenere che = si mantrenesse costante in tutte le esperienze. Intanto, siccome abbiamo veduto per gli olii di oliva e di spermaceti mentre il rapporto e Va- ria poco col ereseere della temperatura ed oscilla intorno ad un valore . . U . . medio, il rapporto —- va decrescendo colla temperatura. Quindi dalla “ , r IAA (5) noi ricaveremo che peri detti due olii — do- " n MENE vrebbe andar crescendo colla temperatura. Ora considerando che l’esperienza dimostra che lo spessore dello strato di un liquido, che rimane aderente ad un solido, in generale è minore per i liquidi che presentano una viscosità minore e quindi al crescere della temperatura deve diminuire per uno stesso liquido, e che qui l'olio più vischioso è quello di oliva e per esso la viscosità coll’aumen- tare della temperatura si mantiene relativamente più alta che per quello di spermaceti, non si comprenderebbe perchè il suo spessore dovesse riuscire relativamente minore che per quello di spermaceti. Si deve quindi cercare altrove la ragione di questo fatto e la si trova in ciò che il carico di equilibrio nelle esperienze di Hirn coll’ olio di oliva a tutte le temperature era sempre superiore che in quelle col- l’olio di spermaceti, e più che il doppio. Si deduce da ciò che non è trascurabile l'influenza dello spessore =. Né sono a ritenersi esatti gli spessori del lubrificante, calcolati dal DI 12 SULLA TEORIA DELL'ATTRITO DI N. PETROPE Petrotf, mediante la espressione dedotta dalla (4) e = % 5 sostituendoin essa i valori di ew, f p delle esperienze di Hirn e ad 7 i valori calco- lati per l'olio di oliva adottando per tutte le temperature per rapporto fra il coefficiente di viscosità dell’olio di oliva e quello dell’olio di sper- maceti il valore 2,55 dato da Lamanski, poichè, come abbiamo sopra veduto, quel valore va diminuendo colla temperatura. Adottando i veri valori di questo rapporto, la variazione nei valori dello spessore sareb- bero più sensibili che non risulti dalle cifre del Petrott. Il Petroff dimostrò poi sperimentalmente che nella formola (2) è tra- scurabile il binomio + So rispetto allo spessore «, avendo consta- 1 fato con un apparecchio di Imgham e Stapfer (macchina di Bajley) che il coefficiente di attrito totale è inversamente proporzionale semplice- mente allo spessore dello strato lubrificante. Trovò inoltre che lo spessore = non dipende soltanto dalla velocità e dalla pressione, ma anche dalla temperatura e dalle deformazioni che può subire il perno sotto l'azione delle forze esterne. Ciò verrebbe a confermarmi nella convinzione che nelle esperienze di Hirn lo spessore non fu veramente costante. sE Deducendosi poi dalle esperienze di Hirn, di Thurston # e di Kirchwe- ger ** che il coefficiente di attrito totale è a temperatura costante e a parità di velocità inversamente proporzionale alla radice quadrata della pressione specifica, per mezzo della (4) si arriva alla conclusione che la stessa legge debba valere per lo spessore del lubrificante. Queste leggi sono però verificate solo entro certi limiti di pressione, variabili da olio ad olio. Dalla discussione finora condotta arriviamo alle seguenti conclusioni; 1° Non è dimostrato sperimentalmente che si possa ritenere costante " "n IALIA TABORE. TA i nni e ES tutti gli olii lubrificanti. La costanza nel 9 valore di questo trinomio si verifica soltanto per uno stesso olio alle diverse temperature. il trinomio = + 2° Assumendo i valori più esatti dei coefficienti di viscosità, le espe- rienze di Hirn, contrariamente a quanto afferma il Petroff, non servono E i ù ] n a dimostrare in nessun caso la eguaglianza SARE , Pegli 7A Ti * Priction and lubrication. #E Organ fr die Fortschritte des. Eisenbahmwesens (1864). A E SR I TE ì dicttitiiirtninnt SULLA TEORIA DELL'ATTRITO DI N. PETROFF 15 . na . . . . 1 1, . 3° E provato sperimentalmente che il trinomio -- +4 -— è trascura 4 ti i bile rispetto ad =, per cui la espressione più semplice accettabile del 200 È 5 1 mu aa è . coefficiente di attrito totale è f= — 7 e quindi della resistenza di at- E ) 0 5 — (5). trito // = - Quindi solo a parità di velocità e di pressione specifica si può rite- nere il coefficiente di attrito totale proporzionale al coefficiente di attrito interno del lubrificante ed inversamente allo spessore dello strato lubri- ficante. Epperò se 2 =1 em. e p= 1 dina per em° si potrà scrivere f= a essendo / ed 4 espressi in dine per em* e : in em. 4° Se nella espressione della resistenza di attrito (9) sopra ammessa supponiamo e ed e uguali all'unità lineare ed S all'unità di superficie ricaviamo / = « cioè la definizione del coefficiente di attrito interno secondo il significato fisico che si dà a questa grandezza: che cioè sia la forza necessaria per mantenere il moto permanente di due strati di liquido paralleli, la superficie di ciascuno dei quali sia eguale all'unità, posti all'unità di distanza. E così pur rispettando maggiormente i risultati della esperienza, la espressione (5) risponde più rigorosamente al concetto teorico, donde è partito il Petrott, secondo il quale la relazione (1) sarebbe solo appli- abile in quei casi, in cui si può assumere che il movimento si compia come se il liquido fosse costituito da strati cilindrici infinitamente sot- tili, che abbiano l’asse comune coi due cilindri solidi, e che ruotino intorno all'asse senza mescolarsi, e senza scorrere parallelamente all'asse. 5° Quanto poi alle applicazioni pratiche che il Petrott vorrebbe fare della detta relazione è chiaro che daranno solo risultati attendibili, quelle fatte nei casi in cui si possa ritenere costante il trinomio : + ++ TÙ e così p. es. la determinazione dei valori dei coefficienti 1 g di attrito totali per uno stesso olio a diverse temperature. Invece il metodo grafico col quale si vorrebbero stabilire le varia- zioni del detto coefficiente col variare della natura del lubrificante non si presta ad una applicazione generale, come lo stesso Petroft riconosce. fici NEPRO Ù , I i ANTA E 1) RLITISTENI CA, jr À SA x i » SITE AI : ; Li PER 1 i % fab atti oi Sato, SL] i Ù L è ll di } fatti peniani cabi ext da a er AA, IRE “ rito È Ù lu Sc L e ataente renano ve È (E 0 RES LATO PAST RRIRR SI paste uao TONEer,. È PIRATE) MI ses eat Ù MASIVIR, raf pervoiuena IORRE AO BLEI CA) i RA N p } è, i rata sro pena pan i E pi 'pIAd 9 ITA FEO RITO SA VELE LAI EI IRIARFOLI LETT Me ebbro apps si ioni IR EISRTATIMDE 5 | An CORI POVERI RUTENIA TN TERNI DISNESCO SINRSIO PN STÀ II, (rec ILS i 4 dii i Ere IRE det i ENTRA EVO n Pri Ù Late PERINI $ vi it PRERIA RIE LOR CRE STTRI Lgrtorttonti } 1 TELSIà usi i MAST ILTOB VISI NAZIO Bi (POI | Ù TERI i) 14) { Prete i ERETTO sini rie! LI h y (Wa, ' | 3 ps ù : 3 POPRLSTE 3 [| Ni i RR ANI RAUTI, li Ù BIT { ì “ i pupa ei tt i Î giant REPEAT fe MITTERAOTE RA tI STRATO, painter di VICOLI ATTI riffalarttaon dal Por MI SAONA LI PCI TRRI RR Ra: PIE È ) RA È vitata natatà Give IE } o, Ù pat AE, ila PESTE a MT ee”. pi T bo ie i mi unpiale Hiueiiasa alia ade aiar Tea taiu ; i È, DEZONI i sol resti ptaberitàtcaote eni lente l 4 Ù Et È } E IDO CT aationit hogar CORIO SERI È CLASSE DI SCIENZE MORALI E POLITICHE N GOL RI in La giovipezza di Federico Il di Svevia E | PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO LETTURA FATTA dal Prof. GIUSEPPE PAOLUCCI nella tornata del 21 Aprile 1901. L'A GIOVINEZZA DI FEDERICO ITDI SVEVIA E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO La lotta tra il Papato e l'Impero, tra la Chiesa e lo Stato, tra i di- ritti della società civile e quelli dell’ autorità religiosa, lotta aperta 0 dissimulata nella cristianità occidentale dai tempi di Gregorio VII, rap- presentò per più di due secoli l’ oggetto principale intorno al quale si svolse quasi tutta la vita dell'Europa. Questa lotta raggiunse il suo culmine al tempo di Federico II di Svevia, il cui regno cominciato col massimo accordo tra Papato e Impero si mutò in una guerra implaca- bile, che fini con lo sterminio della casa Sveva e la vittoria apparente del Papato. Ma la rovina dell’autorità imperiale portava con se la de- cadenza della vita del Medio-Evo, il cui ideale si fondava sulla coordi- nazione delle due massime potestà cristiane ed ora si disfaceva al crollo d’una di esse. Perciò la lotta di Federico II di Svevia coi papi del suo tempo rappresenta la crisi della storia medioevale e quindi la decadenza irrimediabile di essa. Molte opere, che hanno trattato di quest'argomento, appaiono ora deficienti o perchè nella loro indole di lavori generali non potevano scendere a larghi e compiuti esami o perchè da 20 anni a questa parte sono venuti alla luce molti documenti, che ci permettono di vedere nel fondo delle cose meglio che sinora non siasi potuto fare. Fra le opere che recarono maggior copia di materiale sono da anno- verarsi gli Acta Imperii inedita pubblicati dal Winkelmann nel 1880, le Epistolae saeculi NIII edite dal Rodenberg nel 1883, i Chronica priora + LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA di Riccardo di San Germano scoperti dal Gaudenzi ed editi nel 1888, gli atti della legazione del cardinale Ugolino d’Ostia pubblicati nel 1890 nelle fonti dell’Istituto Storico Italiano, oltre i regesti dei Papi e dell’Im- pero e tanti altri documenti e studi, dei quali si farà cenno seeondo il bi- sogno. Certamente una base solida per capire e trattare lo svolgimento delle cose è la corrispondenza ufficiale tra Papa e Imperatore. Ma non è recente il fatto che spesso nella politica la parola serve a nascondere il pensiero. Perciò non sempre a determinare le cause dei dissensi e dei contrasti bastano le corrispondenze diplomatiche ma bisognerà ve- dere nella realtà delle cose e nell’ordine dei fatti il motivo e le vicende d’una lotta così complessa e ricca di varietà. Ora questo motivo si trova nel tatto che al tempo di Federico il regno di Sicilia fu unito nella persona del sovrano all'Impero e che lo Stato ecclesiastico, il quale era posto tra l’uno e I’ altro, correva pericolo di mancare d’ogni mezzo di scampo in un urto con la potenza imperiale. La lotta poi divenne im- placabile quando sconfitti e depressi i Comuni Lombardi ed afferma- tavi in larga misura l'autorità imperiale, non sembrò più possibile, con- tinuando così le cose, che il dominio ecclesiastico, qual'era stato formato da Imnocenzo III, si mantenesse indipendente. I papi si opposero gagliardamente alle nozze di Costanza d'Altavilla con Enrico VI, con le quali il regno di Sicilia doveva passare alla casa Sveva; e quando contro la loro volontà esse furono compiute, Urbano II interdisse il Patriarca d’Aquileia che le aveva benedette e i prelati che vi avevano assistito. Quando poi morì Guglielmo II ultimo discendente maschile della casa d’Altavilla e al regno doveva succedere Costanza e con lei il marito Enrico VI, il papa Clemente III favorì l’ elezione e la coronazione di Tancredi a re di Sicilia e contrariò le pretensioni del tedesco. Ma alla morte di Tancredi Enrico VI non trovò più ostacoli e potè acquistare il regno di Sicilia. Egli morì tre anni dopo all’ età di 31 anno. Questa morte avvenuta prima che nell'Italia meridionale lo Svevo avesse avuto tempo di consolidarsi era favorevole al papato, sul cui trono poco dopo venne a sedersi Innocenzo III, abile e fermo nel far valere l’influsso e i diritti della Chiesa, Innocenzo nominato bailo del regno nel testamento di Costanza prese a difendere il pupillo Federico erede del trono contro Marcoaldo ed altri, che seguivano la politica dell’ ultimo imperatore e volevano la sicilia sottoposta alla corona germanica. Le ragioni d’Imnocenzo nel difendere E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO O) l'indipendenza del regno di Sicilia e il giovinetto re sono così esposte da lui in una lettera del 6 marzo 1199 : «A provvedere e difendere il regno di Sicilia e a tutelare e rattor- zare il nostro carissimo figlio in Cristo, Federico, simo indotti princi palmente da tre ragioni. La prima è quella generale del nostro ufticio di pastore, che c'impone di difendere i diritti di tutti e specialmente dei pupilli. La seconda è speciale, perchè si sa che il regno di Sicilia appartiene per diritto e proprietà alla Chiesa Romana. La terza è in certo modo personale (singularis), perchè l'imperatrice Costanza d'illu- stre memoria lasciò a noi in testamento la tutela e il governo dello stesso re e del regno» (1). Ma oltre queste ragioni morali e giuridiche Verano quelle politiche, che volevano per la sicurezza della Chiesa il distacco del regno di Sicilia dall'Impero e imponevano d' impedire» ehe una nobiltà tedesca s' insediasse stabilmente in Sicilia sullo sterminio di quella indigena e normanna. La difesa delle ragioni della Chiesa e dei diritti del regno rese neces- saria una guerra che finì in parte con la morte di Marcoaldo e la cac- ciata di Guglielmo Capparone. In questo tempo tutto il regno era andato a soqquadro: la forte compagine governativa dello Stato Normanno sembrò prossima a disciogliersi. Ma infine il Papa ebb®» il sopravvento su tutti e parve che il regno potesse omai riposare nella sua autonomia dall'Impero Romano-Germanico. Nello stesso tempo si credette che le condizioni politiche del Papato sempre più migliorassero con la supe- riorità della casa Guelfa nel reguo Germanico nè sembrava che si po- tesse dubitare della pace col (ruelfo Ottone IV, la cui famiglia era stata fautrice della grandezza del Papato. Innocenzo potette credere di essersi assicurato per lungo tempo quella prevalenza politica, omai riconosciuta e subita da tutta la cristianità. Ma Ottone IV coronato imperatore, non curando le tradizioni della sua famiglia, si volta alla politica ghibellina: egli ritorna al pensiero sempre nutrito da Federico Barbarossa, e non mai potuto effettuare, ma che poi Enrico VI con prospera fortuna eseguì: la conquista del regno di Sicilia e la sua incorporazione nell'Impero Romano-Germanico, Imnocenzo II si sdegnò nel vedere il rappresentante della prediletta casa tedesca, da lui coronato imperatore, ora voltarsi risolutamente ad attuare per conto suo l’idea dei suoi predecessori ghibellini nè tardò (1) PaoLvcci: I parlamento di Foggia del 1240, p.30. (Atti della IR. Accademia di Palermo, 32 serie, Vol. IV, Palermo, 1897). 6 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA molto a seomunicare l’imperatore di sangue Guelfo, fattosi d’ un tratto ghibellino di politica. Ma non per questo Ottone si distolse dall'impresa. Già da quando si disponeva a passare le Alpi era stato invitato da alcuni nobili della Puglia e della Sicilia ad andare nel regno. Poco dopo la sua coronazione venuto a dissensi col Papa pei beni della Con- tessa Matilde si era ritirato nel Ducato di Spoleto e dall’ ottobre 1209 al febbraio 1210 si era trattenuto parte colà, parte in Toscana. In questo tempo fervevano le mene dei suoi fautori nella Puglia e nella Sicilia contro il giovine Federico; e questi per salvarsi ricorse a mezzi estremi contro quei nobili, che avevano gavazzato nel periodo d’ anar- chia tra la morte di Enrico VI e la maggiorità del figlio e che s'aspet- tavano di primeggiare nella nuova anarchia che prevedevano coll’inva- sione di Ottone IV. Federico dunque fece un colpo di mano ignorato da quanti trattarono questo argomento prima della pubblicazione dei Chronica priora editi, come s'è detto, dal Gaudenzi nel 1888. Bisogna premettere che Federico aveva sposato Costanza sorella del re Aragona sbarcata nell’agosto 1209 a Palermo con 500 uomini d'arme guidati da suo fratello Alfonso conte di Provenza (1). Questo aiuto non giovò molto a Federico, perchè Alfonso un due mesi dopo morì per un'epidemia con molti dei suoi. I nobili, venuti ad assistere alle nozze, diedero in quest’ occasione pruove della loro insolenza ; onde Federico, con un colpo di mano, ne fece arrestare gran numero : quindi prese a rivendicare il demanio regio e a rafforzare il potere della corona. L'abate di Monte Cassino, che aveva disposto di mandare il suo camerario con doni a complimentare il re, udito ciò, se ne astenne. E Federico per giustificarsi scrisse così all'abate e ad altri vassalli del regno : (1) Da un codice cartaceo del secolo NIV conservato presso la Società Siciliana di PIs4 gi: (1) Storia Patria e contenente la cronaca di Malaterra trascrivo: « Anno dnj Mm. 00. v 0) È IX. xv. mensis augusti XI} Ind. domina constancia de aragonia applicuit panor- mum. et dns Rex fredericus in eodem mense desponsavit eam». Cf. Annales Siculi in M. G. H. XIX, 496 — Breve Ohron. Sic. in Hwill-Brèh Hist. diplom. I, 895 — Cro- naca di S.Maria de Perraria : «1209 Mense septembris Fredericus filius Henrici con- dam imperatoris illustris rex Sicilie acccepit in coniugem filiam regis Arragonis ». Mo- numonti della società Napoletana di Storia Patria, serie I, p. 34. Queste fonti indi- gene debbono avere maggiore credibilità di quelle di Francia e d'Aragona, che per altro possono supplire alla deficienza delle prime. « Le roi d'Aragon envoia (sa seror) en Cèsile et si envoia son frere — et cine cens chevaliers» Guil. Tyr. cont. hist. in Mariene et Durand, Ampliss. coll. V, col. 676-7—Récueil des listoriens des croisades Tom. II, 298. È i i i - init E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 7 « Vi è stato riferito da molti che i baroni e i popoli di codeste parti riprovano quello ch'è stato fatto in questi giorni nella mia corte contro aleuni perversi. Ma si trascura di notare che la necessità della nostra salvezza c'indusse a fare ciò. Anche prima si era rivelata la loro mali gnità ed io ne avevo pruove sicure, come ricordiamo di avervi scritto; ma dipoi la iniquità loro e dei loro complici divenne manifestissima. Quando quella moltitudine di persone, che ho fatto imprigionare, venne ad assistere alle mie nozze (agosto 1209) vedendo la potente milizia della regina mia diletta consorte indebolita dalle morti e delle malattie, prese a congiurare contro di noi, con a capo il conte Paolo e il conte Rug- giero di Geraci. E il conte (di Tropea) Anfuso (de Roto) quasi dicesse: «porrò la mia sede nella Calabria e sarò simile al re » prese superba- mente a domandare la dignità dell'ammiragliato e il castello di Mente e Monticino (1). Ma avendoglielo noi con buone parole negato per conser- varci almeno quel poco di demanio che ci resta, egli proruppe in vio- lente minaccie, dicendo, come udimmo con le mostre orecchie: « non voglio esser tenuto uomo, se non gli faccio vedere la mia potenza ». E gli altri imitandolo minacciavano concordamente le stesse cose. Con- sideri dunque la tua fedeltà, se fummo mossi da giusta causa. E senza dubbio noi non li potremmo affatto perdonare, se volessimo fare la giusta vendetta. Vi è qualcuno in Calabria, vi è qualcuno ehe ignori che il conte Anfuso, oltre alle sue innumerevoli male opere, oltre all’aver sottoposto al suo potere tutta la Calabria ed occupato la maggior parte del nostro demanio, insuperbito anche contro Dio distrusse la Chiesa di Neocastro, l'abbazia di Sant'Eufemia, la chiesa e il vescovato di Melito, la chiesa di Bagnara, quella di Scilla e molte altre, impossessandosi delle fortezze e facendo delle case di Dio spelonche di ladroni ? (2). 1) Mendicino, presso Amantea in Calabria. 2) Cf. Innocentii III, Ep. X, 112. Vi si parla delle prepotenze del conte Antuso contro il vescovo di Melito. In un doc. del febb. 1206 pubblicato dal Winkelmann (Acta imperii inedita p. 52). Antuso compare come appartenente al collegio-dei fami- liari del re e vi si ricordano i servigi resi da lui all'Imperatore Enrico VI e allo stesso Federico fanciullo (non immemores accepti servitii, quod magnifico quondam impe- ratori padri nostro, universos regni preveniendo fideles, laudabiliter exhibuisti, atten- dentes etiam quibus te periculis exposuisti his teneritatis nostre diebus pro nostra fidelitate tuenda cete.). Ma il doe. è tratto da una copia, che non sembra accurata, dopo il per manus Gualterii manca de Pal; al notaio si dà il titolo di familiaris (fide- lis?) e vi si dice anno z0n0 Adel regno di Federico, mentre era l'ottavo. Nella rac- colta diplomatica dell’Huill-Bréh, Gualtiero non rieompare come cancelliere che al giugno 1207. Mist. diplom. I, 127 n. 1. Nel Newes archiv der Gesellschaft fiir dltere 8 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA «Ma di tante perfidie ed empietà non volemmo fieramente castigare lo stesso conte e gli altri correi, bensi blandamente punirli e perciò nulla permettemmo di crudele o d’ingiusto nelle loro persone. Solo dovettero restituire il nostro demanio e nemmeno intero, come appare per quelli a cui rendemmo la nostra grazia e che conoscendo la nostra benignità si mostrano ora fedeli ai nostri ordini. Tutto ciò vi abbiamo scritto per togliervi ogni sospetto di procedimento poco sincero e perchè tutti ere- diate che la perversità di quelli meritò tale severità; e noi per .grazia di Dio abbiamo già ricuperato la parte maggiore e migliore del nostro demanio e ogni giorno facciamo nuovi riacquisti — Messina, 14 gen- naio (1210), XII Indizione » (1). Questa lettera, che dipinge al vivo il disordine del tempo, l’ oltraco- tanza feudale e la debolezza del potere centrale, mostra pure l’ animo risoluto e la mente accorta del giovine re. Se il Winkelmann avesse conosciuto questo documento, non avrebbe detto che Federico vide scendere nella tomba col Conte di Provenza ogni speranza di divenire signore nella propria terra (2). Secondo il Gaudenzi la lettera regia ha questo scopo: « che non essendosi l’autorità del re tanto rafforzata da disprezzare l'opinione pubblica e tener in non cale l'opinione dei baroni, egli credette opportuno di scrivere loro per iscusarsi » (53). Credo che principalmente la lettera manifesti sin d’ ora un lato del carattere di Federico, il quale cercò sempre di difendersi o di sopraffare il nemico non solo nell’ordine dei fatti, ma anche in quello delle idee. Federico Geschichtskun:le del 1598 lo Scheffer-Boichorst pubblica un altro diploma di Federieo del marzo 1206 per manus Gualterii regni Sicilie Vancellarii — (vol. XXIV, 158). Vedi un doc. di Riccardo de Roto in Appendice n. 2. (1) RyccarpI pE S. GERMANO: Chr. pr. p. 75 —Il cronista riporta questa lettera al 1209 contando egli l’anno «b incarnatione dominica cioè dal 25 marzo ; perciò il gennaio del 1210 è segnato nell’anno prima. Ma l’ indizione decimaterza che va dal settembre 1209 al settembre 1210 chiarisce che il gennaio di tale indizione ap- partiene al 1210. Anche il Gaudenzi, che pubblicò i Chrorica priora, assegna la let- tera di Federico al 1209 (pag. 53). Ma allora non s'erano celebrate le nozze. Perla stessa ragione il cronista mette all'anno 1211 la partenza di Federico per Roma, mentressa avvenne verso la metà del marzo 1212. «Eodem anno Fredericus rex vectus a Gaietanis cir ‘a festum sancti Benedicti (21 marzo) Gaietam ‘applicuit ». Chron. pr. pag. (1. (2) Friedrich seine Hotnung — endlich Herr in eigene Land zu werden, mit Gra- fen Alfons ins Graben senken musste. WinXelmazn. Otto IV von Braunschweig, pa- gina 95, Leipzig, 1878. (3) Chron pr. pag. DI. - Liri E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO Y durante il suo regno combattette non meno cono le armi che con la penna e per questo lato fu il degno rappresentante della cultura laica, che nel secolo XIIT andava sempre più sviluppandosi in Italia e nel resto dell'Europa. Con quest'atto risoluto dunque Federico prese personalmente il go- verno del regno. Il cancelliere Gualtiero de Palearia, che per più d'un decennio n'era stato l'arbitro e il dispositore, dovette abbandonare la corte e ritirarsi nel suo vescovato di Catania: né valsero le intimazioni di Innocenzo INI al giovine Re perchè lo riammettesse al governo. Gual- tiero ritenne il nudo titolo di cancelliere né Federico ne nominò più altri nel corso della sua vita (1). Tale colpo fatto da Federico all'età di 16 anni concorda col carattere energico e risoluto ch'egli mostrò in appresso, ma riesce come una sor- presa a quanti considerano ch'egli cresciuto in Palermo non in mezzo a parenti ed amici, ma sotto la tutela di ambiziosi senza serupoli abbia forse passato il tempo della prima gioventù in una certa depressione morale ed inerzia fisica da renderlo quasi inetto a colpi vigorosi. Tale infatti lo concepisce l’ Amari quando lo dice « uscito all’ aperto dalla città di Palermo e forse dall'ambito della reggia e dei giardini reali, guidato per mano dalla moglie » (2) e soggiunge che ‘Federico dichia- rato maggiorenne « uscì piuttosto di tutela che di fanciullezza » (3). Ma nel 1899 il Dott. K. Hampe pubblicò nella Zistorische Zeitsehrift (4) la versione tedesca d'una lettera, che descrive Federico all’età di 13 0 14 anni; e la descrizione è tale da farci sembrare naturale l'atto di vigore, del quale abbiamo parlato. Non avendo però lo Hampe recato il testo latino della lettera, ma solo indicato un codice manoscritto della Biblio- teca Nazionale di Parigi, pregai l'illustre Charles Kohler, capo della Bi- blioteca Sainte-(reneviéve di Parigi, di farmene avere una copia. (1) Gli ultimi diplomi dati per mmanus Gralterit- cancellarii sono appunto del gen- naio 1210, In un diploma del giugno 1208 edito dal Pirri e poi dall’ Huillard-Bré- holles si dava al cancelliere il titolo Archiepiscopi Punormitani, mentre nell’ origi- nale è seritto de Pu. — Cf. PaoLUCOI, Contributo di documenti inediti dl tenipo Svero, , Palermo 1900). Perciò cade la supposizione del Winkelmann: «die damals vorkommende Titulatur pagina 12 (Atti della R. Accademia di Palermo, terza serie, vol. V Walters von Palear als Paromr depus mehr ist als eine erfindane des ersten. Her- ausgeber der Urkunden». Winkelmann, Otto IV von Braunschweig, pag. 18 n.3 e pag. 47034. (2) Amani : 87. dei Musulm. in Sic. III, 983. (3) Id. id., 588. (4) ZMistorische Zeitscrift, Band S3, Miinchen, 1899. 10) LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA E il Kohler dopo un’improba fatica per ritrovare la lettera sodisfece il mio desiderio; del che gli rendo vive grazie. La lettera è la seguente : « Essendo tu stato lungamente incerto per la diversità delle narra- zioni intorno ai costumi del re, alla statura, l'aspetto e la vita di lui, desideri di averne per mezzo di una mia lettera informazioni precise. E benchè ciò richieda uno stile più alto ed accurato, pure mi sono in- dotto a farlo per mostrarti quanto sono disposto ad ubbidire alla tua volontà. La statura dunque del re non devi credere che sia piccola, ma nemmeno maggiore che la sua età richieda. Ma 1 autore universale della natura gli diede membra robuste in corpo solido, colle quali il suo: animo vigoroso può venire a termine di qualunque opera. Giammai in ozio, passa la giornata in continui lavori; e perchè la vigoria si ac- cresca con l'esercizio, esercita l’agile corpo in ogni pratica e insegna- mento di armi. Ora maneggia le armi, ora le indossa, ora con l’acuta spada, ch'è l'arma più familiare di lui, si slancia atteggiato in volto co- me per respingere uno che voglia ferirlo. Tendere gli archi, dirigere le freccie sa bene, perchè vi si esercita spesso. Si compiace dei cavalli di razza e veloci. Trattenerli col freno o spingerli al corso nessuno puoi dire che sappia meglio del re. Così infine esercitato ad ogni espe- rienza di gentiluomo, alternando i vari esercizi giunge sino alla notte, e nel giorno seguente ripete la stessa storia di esercizio d’armi. A ciò del resto si aggiunge una dignità regia, un volto e una maestà impe- riosa, un aspetto di regnante graziosamente bello, di fronte serena, di ùcchi brillanti, di vivo volto, di animo ardente, d’ingegno pronto, ma nondimeno di costumi strani e triviali, ai quali non la natura, ma la rozza conversazione lo formò. Pure ‘l'indole regia pel fondamento natu- rale può facilmente volgersi a cose migliori. Tutto ciò che ha preso di triviale, lo muterà a poco a poco con l’uso migliore. Vi si aggiunge che insofferente di ammonizioni si prende l’arbitrio di agire secondo la sua libera volontà e stima vergognoso per lui o di essere retto da un e tutoro di re essere stimato un ragazzo; dal che nasce che non curando il governo del tutore oltrepassi con la licenza che si permette i costumi di re e con l’uso del parlare con tutti e del discutere a caso diminui- sca la venerazione della maestà. Nondimeno in lui la virtù precorre ‘età; e benchè non adulto è fornito di scienza ed ha il dono della sa- pienza, che doveva venirgli col corso degli anni. In lui dunque nè con- terai il numero degli anni nè aspetterai il tempo della maturità, perchè x . come uomo è pieno di scienza e come regnante di maestà» (1). Vedi appendice n. 3. dite E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO Il L'autore della lettera mostra una certa abilità nel tratteggiare i ca- ratteri e nel distribuire opportunamente ombre e luce. Questa abilità era quasi sconosciuta ai letterati di quel tempo; perciò la lettera dev'es- sere scritta da un Siciliano, sul quale forse si faceva sentire l'influsso della letteratura storica bizantina. Ad ogni modo la lettera mostra che gli elogi di Innocenzo III a Federico non sono i soliti che l’adulazione di tutti i tempi prodiga ai principi. Così Innocenzo serive di Federico in data del 26 febbraio 1208: «Come si disse dei Cesari suoi pari : /a virtù venne prima del tempo; egli dalla porta delle pubertà con passo assai veloce entra negli anni della discrezione e con le virtù anticipa gli anni». A mio parere, Innocenzo in questo ed altri luoghi non parlava del suo regale pupillo con frasi più o meno stereotipe, ma esprimeva una sua convinzione ed indicava un fatto. II. Ora torniamo ad Ottone IV, che dopo aver girato 1’ Italia superiore nella primavera ed estate del 1210, traversò nel novembre gli Abruzzi e favorito dai feudatari ribelli prese a Capua i quartieri d'inverno. AL lora il Papa lo seomunicò e gli contrappose come candidato alla corona Germanico-Romana il giovine re di Sicilia, del cui ingegno ed energia faceva gran. conto. Il Papa era spinto a ciò dalla grave ragione che la conquista dell'Italia meridionale in gran parte compiuta da Ottone e la riunione di essa alla corona Germanica riponeva la sede pontificia nello stesso pericolo, da cui era stata liberata con la morte di Enrico VI. Ma non per questo sembrava prudente spingere e sostenere nella contesa Germanica il re di Sicilia, la cui vittoria avrebbe avuto per effetto di riunire appunto questi due domini e lasciar la Santa Sede circondata dalle forze dello stesso sovrano; nè potevasi credere utile innalzare alla corona Imperiale un principe del sangue Svevo, che era facile supporre erede delle ambizioni di questa casa, contra la cui politica di conquista e di dominio i papi per più di 40 anni avevano dovuto lottare. Imnocenzo prima di risolversi a scomunicare e combattere l’imperatore guelfo dovè soste- nere un'aspra lotta interna. « Oh! serive Onorio a Federico in una let- tera del maggio 1226, oh! quanto copiose e quanto amare lagrime versò per te il nostro predecessore Innocenzo di felice memoria » (1). È vero che per allora Federico sembrava poco temibile: malgrado il (1) Epist. saee. XIII. n. 296. 12 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO Il DI SVEVIA colpo di mano del giovine principe, il regno di Sicilia dipendeva fiacca- mente e in gran parte nominalmente da lui e quello di Germania do- veva essere conquistato. Il pericolo dell’ unione dei due regni, sem- brava un’eventualità remota; e oltre a ciò lo Stato della Chiesa, abbrac- ciando il Lazio, il Ducato di Spoleto e la marca d’Ancona si estendev: da mare a mare e sembrava materialmente cpporsi all'unione della Si- cilia e della Germania (1). Ma ciò non toglie, a mio parere, che in que- st'occasione Innocenzo II fece un colpo che oltrepassava la mira ch'egli s'era proposto e come in Ottone aveva dovuto combattere colui ch'egli aveva coronato, ora innalzava un altro, contro cui i suoi successori dovranno sostenere un'aspra lotta, anzi una guerra a morte. Il pericolo dell'unione dei due regni, che sembrava molto lontano nella persona di Federico, arrivò invece molto presto; e la passione di Innocenzo lasciò ai suoi successori una dura, eredità. Federico eletto col favore papale re di Germania nel settembre 1211 a Norimberga da un forte partito ghibellino e dagli altri oppositori di Ottone IV parti dalla Sicilia nel marzo 1212. Non intendendo noi di oc- cuparci che di Federico in relazione col papato, parleremo solo dei di- ritti della Chiesa, che il Papa voleva far valere, e dei diritti del regno di Sicilia e dell'Impero, che pure Federico vorrà far valere o rialzare. Così le quistioni spogliate di tutti quei fatti o diritti o pretensioni se- condarie od accessorie appariranno più chiare. Ma spesso saremo obbli- gati per dar luce alla molteplicità delle cose che s'intrecciano, di esporre dei concetti generali sullo stato delle cose e sul carattere delle persone. Federico dunque prima di partire da Messina fece nel febbraio atto di sottomissione ad Innocenzo, al quale scrive : « Noi giurammo in presenza del legato papale fedeltà a voi ed ai vostri successori e promettemmo che se voi e i vostri successori ver- rete in qualche parte del regno e noi da voi chiamato potremo senza pericolo venire alla vostra presenza, presteremo a voi personalmente l'omaggio ligio... Per togliere poi qualunque discordia tra voi e i vostri successori e noi ed i nostri successori vi dichiariamo con questa lettera il modo e l’ordine delle elezioni ecclesiastiche e concediamo alla libertà della Chiesa tutto quello che non leda l'autorità regia. Come una sede si farà vacante, il capitolo lo farà sapere a noi ed ai mostri eredi: quindi radunatisi eleggeranno canonicamente una persona idonea e tale (1) Cf. Fickor: Forschungen zur Rechts — und Reichsgeschichte, II, 429 — è HALBD Max: Priedrich TI und der pipstliche Stuhl bis zur Kaiserkronung. Breslau, 1888. E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 3) che noi non dobbiamo negare ad essa il nostro assenso, Fatta e pub- blicata l’elezione, lo significheranno a noi, richiedendoci | assenso. Ma prima di questo e della conferma del Papa l’eletto non può essere inse- diato nè fare atto di amministrazione. Vogliamo dunque e concediamo che in questa forma l'elezioni siano libere in tutto il regno» (1). Tutte queste concessioni non potevano togliere la difficoltà fondamen- tale. che l’eletto doveva essere approvato da due, cioè dal re e dal papa; la quale difficoltà sarebbe stata radice di lotte, appena trai due vi fosse divergenza di tendenze o d'interessi. Ma non era possibile al papa di pretendere di più, perchè Federico gli confermava tutto quello che gli era stato concesso da Costanza col concordato del 1198, il più favore- vole alla corte pontificia di tutti quelli precedenti (2). Federico dun- que aggiunse dal febbraio 1212 al suo titolo di re di Sicilia quello d’im- peratore eletto (3); quindi nominata una reggenza del regno durante la sua assenza, parti nel marzo alla volta di Roma per recarsi di là nel- l’altro suo regno transalpino (4). Ma egli riteneva il diritto e l'autorità del suo primo regno e si poteva prevedere che riuscendo avrebbe riu- nito nella sua persona il regno di Sicilia e l'Impero Romano. Ora Inno- cenzo, come abbiamo detto, aiutava colla sua opera quest'unione rite- nuta assai pericolosa all'indipendenza della corte Romana. Certo il Papa (1) Hurne-BriH: Mist, diplomi. I, 200-5 — Lo Schirmmacher, I, 79 eredette che Fede- rico promettesse da questo momento di rinunciare alla corona di Sicilia, se otte- neva l’Impero; ma non esiste traccia di ciò. « Es ist durchaus unerwiesen dass das Strassburger Privileg von I Juli 1216 aut ein Versprechen Priedrichs aus der Zeit seiner Thronerhebung zuruek-gehen soll» HALB»E, op. cit. p. 9. 2) Del concordato di Costanza e'è come sola fonte una lettera d° mn. (NI, 208); secondo la quale i legati pontifici « obtinuerunt confirmari ei et tibi (a Costanza e a Federico) regnum, tribus capitulis de appellationibus, legationibus et conciliis a privilegio prorsus amotis et quarto, de electionibus scilicet, moderato (3) Il primo diploma rimastoci, nel quale Federico prende il titolo imperiale, si con- serva nel tabulario di Monreale N. 87 secondo la numerazione dell’arcivescovo Bal- samo. « Fredericus divina favente clementia Rex Sicilie ducatus Apulie ét princi- patus Capue et in Romanorum Imperat electus... Dat in Civitate Messane anno do- minice Incarnationis Millesimo. ducentesimo. duodecimo. Mense Februarij. quintede- cime Indictionis. Regni vera domini nostri Fr. dei gratia magnifici Regis Sicil. du- cutus Apulie et principatus Capue in Romanorum Imperat electi; Anno quartodecimo feliciter Amen.» Cf. LeLLo e DeL GiupICcE: Descrizione del Vempio di Monreale; parte VI, pag. 31. Nell'aprile in Roma Federico aggiunse le altre parole : et semper augustus. 4) Federico partì di Sicilia «tribus galeis » Chron. S. Marie de Perraria p. 35. Il Breve Chron. Sic. dice con 6 galere e il continuatore di Gugl. Tyr con 4. 14 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA non voleva tollerare l'unione reale dei due Stati, cioè 1’ incorporazione del regno di Sicilia nell'Impero; ma egli tollerava, anzi favoriva l'unione personale delle due corone nel principe Svevo. i Ad ogni modo come vide avere Federico prosperi successi nella Ger- mania centrale e meridionale e lottare vantaggiosamente col rivale, Inno- cenzo richiese da lui altre garenzie a difesa dello Stato ecclesiastico e del potere papale, specialmente nel regno di Sicilia. E Federico accon- sente con le dichiarazioni di Eger del 12 luglio 1213: « Volendo togliere gli abusi di alcuni nostri predecessori nelle ele- zioni dei prelati, concediamo e sanzionamo che queste si facciano libe- ramente e canonicamente, secondo la volontà della maggioranza: che le appellazioni alla sede apostolica nelle cause e negli affari ecclesia- stici siano libere e senza impedimento nelle loro pratiche e svolgimenti. Rinunciamo e riproviamo anche quell’abuso, che i nostri predecessori erano soliti di commettere di loro iniziativa, cioè di occupare i beni dei prelati morti e delle chiese vacanti. Tutte le cose spirituali le lasciamo pienamente a voi Pontefice ed agli altri prelati della Chiesa, perchè con retta distribuzione sia dato a Cesare quel ch'è di Cesare e a Dio quel ch'è di Dio. — Daremo aiuto ed opera, efficace a sradicare l’eretica pravità. — Vi lasciamo libere e quiete tutte le possessioni che la chiesa romana ricuperò e vi promettiamo in buona fede di aiutarvi a ricupe- rare le altre. A queste possessioni ecclesiastiche appartiene tutta la terra da Radicofani a Ceprano, la marca di Ancona, il ducato di Spoleto, le terre della contessa Matilde, la contea di Bertinoro, 1’ esarcato di Ra- venna, la pentapoli con tutte le terre adiacenti, come si legge in molti privilegi d’imperatori e re dal tempo di Ludovico I» (1). Nel novembre 1215 si tenne in Roma un concilio, che fu come il trionto d’Innocenzo III, nel quale sembrava incarnarsi la potenza del mondo. Intervennero al concilio 71 metropoliti, 412 vescovi, più di 800 tra abati e priori. Vi si trattò anche della lotta tra Federico e Ottone IV. Benchè il papa e la maggioranza del concilio fossero già favorevoli a Federico, questi per gratitudine e per stringere semprepiù a se il ponte- (1) H-B. I, 268-72 — M. G. LL. II, 224. Il ducato di Spoleto comprendeva le città di Spoleto, Assisi, Gubbio, Nocera, Foligno, Terni e Rieti, ma non città di Castello, Perugia, Todi, Amelia e Narni, che piuttosto appartenevano al patròmonium Petri in Tuscia. In ciò va corretto lo Mistorischer Handatlas di Spruner e quello del Droy- sen. Leipzig, 1886, Carta 67. — Cf. FicKER: Morschungen ete. $ 316 II p. 241-5) e TexckHorr: Der Kampf der Hohenstaufen um die Mark Ancona und das Herzogtum Spoleto, Paderborn, 1893, p. 9. E 1 PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 15 fice, aveva un mese prima accresciuto lo stato pontificio della contea di Sora tenuta da Riccardo fratello del Papa. Infatti con diploma del 1° ottobre 1215 egli aveva concesso a Riccardo tutti i diritti che possedeva in Sora, Rocca Sorella, Arpino, Arce, Fontana, Pesclo Solido, Brocco, Rocca de Vivo con Isola e Castelluccio e le terre dette di Giovanni Pagano «in modo che Riccardo e i suoi eredi dipendano solo dalla Chiesa Romama alla quale debbono prestare giuramento » (1). Perciò nella seconda seduta del Concilio 1 arcivescovo di Palermo, avuta la parola dal Papa che presiedeva, fece sull’elezione di Federico II un discorso splendido ed elegante. Ma dopo di lui avendo alcuni Mila- nesi preso a parlare a favore di Ottone, ne nacque tale tumulto che il Papa dovette sciogliere la seduta (2). Poi in quella successiva confermò l'elezione di Federico. Ma questi, che omai aveva quasi interamente soprattatto il suo rivale in Germania, vuole presso di se il figlio Enrico nato in Sicilia nel prin- cipio del 1211 e coronato re di Sicilia poco prima della partenza del padre, cioè circa il febbraio 1212 (5). E per preparare le cose da lunga mano e predisporre il Papa al suo desiderio, rinuncia forse a richiesta del legato papale in un privilegio dell'1l1 maggio 1216, per tutto 1*Im- pero, come aveva già fatto pel regno di Sicilia, al diritto o consuetu- dine dei suoi predecessori imperatori e re d’impadronirsi dei beni mobili dei vescovi ed abati defunti e di esigere le rendite di un anno dalle chiese vacanti (4). Ma Innocenzo non si contenta di queste concessioni per consentire che anche il figlio di Federico vada in Germania e quasi riconfermi un legame tra l'Impero e il regno di Sicilia : egli vuole altre garenzie. E Federico è costretto a rilasciargli il privilegio di Strassburgo del 1° luglio 1216: « Desiderando noi di provvedere sì alla Chiesa Romana che al regno di Sicilia, promettiamo e stabiliamo che dopochè avremo ottenuta la corona dell'Impero (postquam fuerimus imperii coronam adepti) subito emanciperemo dalla patria potestà il figlio nostro Enrico, che per vostro mandato già facemmo coronare re e abbandoneremo (penitus relinqua- mus) il regno di Sicilia di quà e di là dal Faro, perchè sia tenuto dalla (INREIMIBrRERZDos (2) Chron. pr., p. 95-94 — Ab ore ipsius (archiepiscopi Pan.) pendentibus universis. Quod cum eleganter satis proponeret ete. — Quia pars utraque in contumeliam pro- rumpebat, dominus papa manu innuit ete. — Cf. HerELE: Conciliengeschichte V, TTT-S10. (3) H-B. I, 200 n. 1 e 893 n. 4. (4) H-B. I, 456. 16 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA Chiesa Romana, dalla quale sola noi stessi lo teniamo; sicchè da allora non ci chiameremo più re di Sicilia, ma faremo governare il regno dal re nostro figlio sino alla sua maggiorità (usque ad legitimam eius eta- tem) per qualche persona idonea affinchè non sembri mai che perchè Dio ci chiamò al fastigio dell'Impero, ci sia qualche unione (aliquid unionis) tra il regno e l'impero, se riteniamo nello stesso tempo l’ uno e l’altro » (1). Innocenzo morì poco dopo, il 16 luglio 1216. Egli aveva combattuto nell’Imperatore guelfo l'unione reale della Sicilia e dell'Impero Romano ma aveva favorito nell'imperatore ghibellino l’unione persorale dei due Stati. È vero ch'egli aveva rafforzato l’autorità papale nei domini eccle- siastici, ch’ erano stati accresciuti della contea di Sora a danno del regno e aiutandosi della lega guelfa delle città toscane stabilita, per così dire, l'indipendenza dell’Italia centrale; aveva ottenuto nell’ uno e nell’altro regno molti privilegi ecclesiastici sino allora assai contrastati; aveva fatto coronare nel 1212 re di Sicilia il figlio di Federico, quasi per staccare sin d'allora l’uno Stato dall'altro. Ma era naturale che Fe- derico, malgrado le sue dichiarazioni, cercasse di mantenere per se e, s'era possibile, di trasmettere al figlio quell’ unione personale, ch' egli aveva anche col consenso del Papa finchè non fosse coronato Impera- tore; che cercasse anch'egli di rafforzare l'autorità reale e imperiale nei suoi Stati e infine facesse valere quella superiorità di forze militari e politiche, che gli veniva dal possedere le terre al sud e al nord dello Stato della Chiesa. Le concessioni di lui derivavano per allora dalla sua debolezza; ma come si fosse rafforzato avrebbe creduto di essersi troppo sagrificato. Così Innocenzo aveva concorso a creare uno stato di cose sfavorevole al papato e lasciava ai successori il pesante fardello di do- ver lottare contro la forza della situazione. (li succedette Onorio IIT eletto il 18 luglio; mello stesso mese la regina Costanza col figlio Enrico parti dalla Sicilia alla volta della Ger- mania. Federico dopo qualche mese nominò il figlio duca di Svevia (2): così Enrico di appena 7 anni era nello stesso tempo re di Sicilia e prin- cipe dell'Impero Romano. La sua nomina a duca era un nuovo anello di congiunzione tra Germania e Sicilia: la separazione dei due Stati (1) H-B. I, 473. (2) Enrico nacque verisimilmente nella prima metà del 1211. Il 18. febbraio 1217 è chiamato inelitus rex Sicilie et dux Svevie. Cf. Regesta Imperii n. 3845 f. Ma dal gen- naio 1218 perde il titolo di re di Sicilia e serba solo quello di duca di Svevia. Cf. anche HALBE op. cit. E I PRODROMI DELLA SUA LODPA COL PAPATO 17 si rendeva sempre più difficile perchè più intricata. Onorio in tutto questo si trovava certamente a mal partito: egli non poteva disfare il già fatto: gli era necessità di seguitare la strada già tracciata, con la speranza che forse tutto finirebbe in miglior modo di quanto poteva pre vedersi. Egli vigilava con occhio sospettoso che la situazione non peg- giorasse; e quando sembrò che Federico volesse fare atto di sovranità nelle terre dello Stato ecclesiastico, se ne lagnò vivamente e come colui che si accorge d'aver conceduto troppo, prese a rinfacciargli i benefici ricevuti. Federico gli risponde in data del 6 settembre 1219 con somma deferenza e devozione, ma lascia qua e là trasparire la sua impazienza e il suo risentimento : «Il tenore delle lettere apostoliche, che ora la nostra altezza ha rice- vuto per mezzo del vostro cappellano e suddiacono Alatrino, ha con- turbato l'intimo del nostro cuore. La lettera conteneva la serie di tutte le sollecitudini grandi e piccole, delle angustie e fatiche che la sede apostolica sostenne per noi e pel nostro grado: questo ricordo avrebbe recato tripudio al nostro cuore, se non fosse nato da indignazione d’ani- mo. Mandammo lettere generali alle città di Lombardia; ma quanto a Ferrara imponemmo ai nostri nunzi (il vescovo di Torino e il marchese di Monferrato) che non derogassero in nulla ai diritti della chiesa Ro- mana nè ricevessero giuramento dai Ferraresi. Non concedemmo a nes- suno il Ducato di Spoleto; e se vi si mostra un qualche privilegio, il che non sembra assurdo, fu fatto certamente senza nostra approvazione e notizia. Quanto alla città di Medicina, non facemmo che acconsentire alla richiesta dei frati dell'ordine Teutonico, che mi domandavano di con- fermare alcuni beni lasciati loro per testamento da un cittadino bolo- gnese. E poi ignoravamo che appartenesse alla chiesa Romana. Seri- vemmo, è vero, ad alcune città del patrimonio di S. Pietro nella stessa forma che alle città dell'Impero, ma sappia la santità apostolica che av- venne per semplicità e non apposta. Essendo i notai nostri del regno e non conoscendo quelle regioni, possono facilmente cadere in questi er- rori, senza che vi abbiano colpa. Perciò la clemenza della vostra pietà non si muti verso il figlio devoto, benchè la pena venendo troppo inade- guata faccia a ragione indignare il paziente. Togliete il rancore; e il ta- lento, che ci avete dato, vi sarà restituito duplicato senza fatica. Le altre richieste, che ci faceste per mezzo del maestro Alatrino, cer- cheremo presto di mandarle ad etfetto » (1). Frattanto Federico prese a trattare coi principi tedeschi per far eleg- (1) WINK: cela imperii inedita. 18 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA gere suo figlio, di già re di Sicilia e duca di Svevia, a re di Germania e suo successore nell’Impero. Con questi passi il privilegio di Strassbur- go rilasciato poco prima della morte di Innocenzo era reso illusorio , anzi infranto. Il papa se ne risentì fortemente. E Federico a dire che dovendo partire per la crociata non poteva lasciare le cose incerte in Germania. E per accomodarsi alle circostanze fece mostra o di rinunziare al suo disegno 0 di darvi poco peso, ma certamente vi lavorava sempre con tenacia. Infine ottenne il suo intento. Enrico fu eletto re di Germania probabilmente il 25 aprile 1220 (1). Per due generazioni, per quanto poteva prevedersi, il regno di Sicilia era unito alla Germania nelle per- sone di Federico e del figlio. L'Impero in questo punto così pericoloso al potere temporale aveva avuto il sopravvento sulla Chiesa. IL papa dovette rimanere assai male a quella notizia. E Federico a serivergli ch'era avvenuto, senza ch'egli lo avesse saputo; che non voleva appro- vare l’elezione se non dopo del papa; che gli si voleva mandare un'am- basceria, ma poi non se n’era fatto niente. Ecco una lettera di Federico al papa in data del 15 luglio 1220: « Benchè non abbiamo ricevuto lettere vostre sul proposito (dell’ele- zione di nostro figlio a re di Germania), pure dalla relazione di molti capimmo che la nostra madre chiesa se n'é turbata non poco, perchè avevamo promesso che non ci saremmo dati maggiore cura e solleci- tudine di lui già posto nel grembo della chiesa e ad essa interamente sottoposto e perché poi dopo la sua promozione non ne serivemmo alla santità apostolica e infine perchè si crede che abbiamo a bella posta ritardata la già molte volte annunziata nostra venuta a Roma. Ma su tutto ciò dobbiamo spiegare alla santità vostra l'ordine delle cose vere. Non possiamo né dobbiamo negare alla vostra clemenza che già lavo- rammo con tutte le nostre forze alla promozione del nostro unico figlio senza che lo potessimo ottenere. Ma quando noi andammo alla dieta generale di Francoforte, non potendosi conciliare le discordie tra il ve- scovo di Magonza e il Langravio di Turingia e sembrando che per l’im- minente nostra partenza gravi danni ne seguirebbero all'impero, all’im- provviso (ex insperato) i principi presenti e specialmente quelli che s'erano prima opposti elessero nostro figlio, essendo noi assenti ed ignari. Ma (1) H-B. I, 766 n. 1. HaLBe suppone che i principi tedeschi nell’ eleggere Enrico abbiano dato al Papa assicurazioni da tranquillarlo, non fosse altro, rispetto all’u- nione reale (Wahrscheinlich — die Fiirsten den Papst iber die Folgen der Wahl wenigstens in Ansehung der Realunion zu beruhigen ete.) op. cit. p. 68-9 — Cf. M. G. H. XVI, 27, 991, 600 — XVII, 120, 242, 896 — XXIII, 379. E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 19 quando questa elezione ci fu comunicata e sapemmo ch'era avvenuta senza vostra notizia e mandato, rifiutammo di approvarla, se prima essi con qualche scritto munito del loro sigillo non ne avessero ottenuto il consenso della vostra santità. Fu anche destinato uno di loro, che sa- rebbe venuto alla vostra presenza col verbale (processu) dell’ elezione. Ma poi come sia rimasto qui il messo, lo saprete dalla mia bocca, quando Dio volendo sarò costà o lo udirete dal vostro cappellano Ala- trino. Comprendo , beatissimo padre, che con tutto I amor vostro per me e mio figlio sopportate gravemente la promozione di lui, perchè temete dell’ unione del regno coll’ impero. Ma di ciò non deve temere nè sospettare la nostra madre chiesa, perchè desiderando noi la loro divisione in tutti i modi, quando verremo costà in vostra presenza, adempiremo pienamente ogni vostro ordine e desiderio » (1). Il papa era costretto a fare, come si dice, buon viso a cattivo giuoco; e accomodate con Federico non poche altre cose lo coronò imperatore in Roma il 22 novembre 1220. Ma tra tanti peggioramenti della situazione papale, nella inferiorità politica e territoriale che sembrava incombere sulla Chiesa, rimanevano al papato due punti ben solidi, coi quali potea forse facilmente pren- dere la sua rivincita; l’obligo da Federico ripetutamente assunto d’ an- dare alla crociata e la forza dei Comuni Lombardi. Su questi due punti dobbiamo intrattenerci prima di procedere oltre. II. Ai tempi di Federico l'entusiasmo per le crociate era sbollito. La prima crociata, l’unica spedizione veramente popolare, aveva portato i suoi frutti perché aveva in parte tratto l’ Europa da un profondo stato di miseria e d'ignoranza. D’ allora in poi s'era molto viaggiato e conosciuto e sofferto; e le condizioni economiche e morali dell’ Europa s' erano sostanzialmente mutate. L' orizzonte mentale s' era allargato e gli animi alquanto calmati; la passione d’ uscire dall’ isolamento feudale, passione una volta irresistibile, e el’ impulsi già quasi unici del senti- mento religioso erano omai bilanciati e limitati da altri bisogni morali ed economici. Non più la passione di marciare all’oriente, ma il desi derio d'un più equo ed umano vivere nella propria patria. L'ambizione di tutti poteva sodisfarsi nella stessa Europa, dove il benessere era di- ventato maggiore, i potenti avevano non pochi interessi da tutelare e (1) Vink: Acta. p. 156-8. 20 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO Il DI SVEVIA le classi popolari trovavano sufficiente lavoro e libertà. Oramai le ero- ciate non erano più lo spontaneo muoversi di nobili e plebei, ma un sacrificio e come l’ adempimento d’un penoso dovere. Federico sin dal 1215 aveva preso la croce e s'era impegnato alla liberazione della Pa- lestina, ma certo poi gli parve troppo duro l’abbandonare, sia pure per poco, la direzione personale dei suoi interessi in occidente e mettere in forse i vantaggi ottenuti o che poteva ottenere. Federico, principe rifles- sivo e mosso principalmente da interessi politici e dinastici, non aspi- rava alla monarchia universale, come il suo avo Barbarossa, nè ad in- grandire i suoi domini, come suo padre Enrico VI. Eppure il suo vasto intelletto era dominato dalla stessa ambizione dei suoi predecessori, spoglia però delle aspirazioni indefinite del primo e della avidità conquistatrice del secondo. La sua mira era di consolidare quello che possedeva; di raffermare il regno di Germania nella sua fami glia, di restaurare l'ordine e l'autorità nel regno di sicilia, di do- mare i liberi Comuni di Lombardia. Ma con tutta questa ristrettezza e precisione, i suoi intenti erano così ardui che tutte le sue forze non erano soverchie alla loro attuazione. Deprimere il potere feudale in Puglia e Sicilia, dove da 30 anni i baroni vivevano nelle turbo- lenze e nella ribellione, soggiogare in Germania i partiti e le potenti casate da circa un secolo ostili alla consolidazione del trono eredità- rio, cancellare le pubbliche libertà dei Comuni, contro le quali s'erano invano aftatigati il padre e lavo, erano tali cose che richiedevano la massima attenzione e il massimo sforzo. Perciò l imperatore e i politici del suo tempo erano poco disposti a queste spedizioni lontane, che riuscivano uno spreco d’ uomini e di danaro e che la storia d’ un secolo mostrava vane ed inefricaci. Eppure 1’ opinione e la coscienza pubblica erano addolorate ed ottese dal vedere la tomba del redentore ancora in potere degl’intedeli: ai calcoli politici contrastavano vigorosi sentimenti morali, che tutti e specialmente i politici dovevano rispet- tare; mostrarsi apatico e indifferente per la crociata era perdere la simpatia e il favore dell’universale. Federico prese la prima volta la croce nel 25 luglio 1215, quando fu coronato re di Germania in Aquisgrana. Da tre anni che aveva passato le alpi, aveva ottenuto tanti successi ch'egli forse nella gratitudine del suo cuore verso il cielo, che colmava di favori lui giovine di appena vent’un anno e da debole re di Sicilia lo aveva innalzato al massimo grado della cristianità ed all'eredità dei suoi maggiori, udita la messa della coronazione e la predica esortante i fedeli alla crociata, ebbe come uno slancio improvviso; egli prese la croce er èrsperato, narra un cronista, o come dice Gregorio IX: sponte, mon monitus, sede apo- E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 2i stolica ignorante (1). L'esempio di Federico aveva avuto grand’ effet- to; arcivescovi, vescovi, duchi, marchesi, nobili e cavalieri s'erano crociati. La promessa fatta in un momento di commozione e d' en- tusiasmo non fu ritirata o smentita dall'imperatore, ma perchè fosse presto attuata bisognava che si desse poca importanza a molti in- teressi e difficoltà materiali e morali. Nello stesso anno il Concilio aveva stabilito al 1° giugno 1217 la data della partenza. Ma la guerra contro Ottone non era finita, anzi bisognavano aiuti. Federico chiese una proroga che fu consentita da Onorio e fissato il principio della crociata al 24 giugno 1219 (prima dilazione), poi al 29 settembre dello stesso anno (seconda dilazione). Ma Federico non aveva ancora conseguito di far eleggere suo figlio re di Germania o com’ egli dice, non s'era risoluto chi rappresentasse 1 Imperatore nella sua assenza; perciò terrà dilazione al 21 marzo 1220. Ma in questo tempo Federico era ancora in Germania: nel novembre fu coronato in Roma, dove prese di nuovo la croce e giurò che partirebbe pel prossimo agosto 1221 (quarta dilazione) e che anche prima, cioè pel marzo, manderebbe un rinforzo in terra santa. Lo stolio fu mandato sotto il comando del conte Enrico di Malta, ma l'imperatore pensava a ristabilire la sua autorità nella Puglia e nella Sicilia. Frattanto venne la notizia del disastro dei erociati a Damiata : papa e imperatore nella primavera 1222 s' incon- trarono a Veroli, dove risolvettero di convocare a Verona per il pros- simo novembre un'assemblea generale di principi cristiani. Ivi si stabi lirebbe il giorno della spedizione, che sarebbe capitanata dallo stesso imperatore. Ciò costituiva una quinta dilazione. Ma il congresso di Ve- rona non ebbe luogo per cause indipendenti dalla volontà di Federico; onde nella primavera dell’anno successivo (1223) nuovo congresso di lui col papa a Ferentino. L'imperatore giurò che partirebbe il 24 giu- gno 1225, cioè più di due anni dopo (sesta dilazione). Ma quando s'av- vicinò questo termine, egli stava tuttora impreparato. Certo egli man- dava continuamente uomini, armi e denaro in aiuto dei cristiani di terra santa e sopportava per ciò non lievi sagrifici. Ma il massimo sforzo, che sembrava sempre più necessario e un gran colpo per rag; giungere la meta non potevano compiersi e tentarsi che alla presenza dell’imperatore e sotto la sua direzione. Sarebbe errato il credere che Federico non volesse mantenere quanto aveva promesso e giurato: un modo tale d’ intendere le cose sarebbe troppo parziale e superficiale Federico anzi aveva a cuore l'impresa di terrasanta, ma voleva farla (1) H-B. LII, 95. 22 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA a tempo opportuno: ora altre mire più urgenti dominavano il suo spi- rito. Dacchè dopo la sua coronazione del 1220 era ritornato nel regno aveva in gran parte ristabilito con le armi e con le leggi l’ordine e la pace in tutta la, regione. Le usurpazioni a danno della corona riparate: i nobili ribelli scacciati dal regno: i Saraceni della Sicilia costretti a sottomettersi: cominciata una serie di riforme legislative, che poi furono coordinate o compiute nel codice di Melfi (1). Una parte del suo programma era attuata; ma rimaneva l’altra parte, che non era meno indispensabile. Ma s’ egli in questo tempo partiva, perdeva, si può dire, ogni frutto : gli faceva mestieri un’altra proroga d'un paio d’anni: in questo frattempo avrebbe forse tutto accomodato. Ed egli ci teneva tanto a questa nuova proroga che ricorse a mezzi tra astuti e violenti per indurre il papa a consentirvi. Egli nel maggio 1225 mandò al papa come ambasciatori Giovanni di Brienne re titolare di Gerusalemme e il patriarca della stessa città. Frat- tanto convocò i prelati e i baroni di Puglia e Sicilia con una lettera, che ci è conservata dai Chrorica priora: « Dovendo noi partire al termine prefisso, che già si approssima, per la crociata, intendiamo di chiamare a noi i prelati, i baroni e gli altri fedeli del regno per provvedere in solenne colloquio allo stato pacifico e alla generale quiete del regno. Ma perchè durante la nostra assenza i nostri ufficiali non operino come spesso sentiamo contro le libertà e le buone consuetudini del tempo di Guglielmo II, vi ordiniamo che fac- ciate mettere in iscritto qualunque gravame o molestia abbiate rice- vuto dai giustizieri, camerari, baiuli, castellani o qualunque altro no- stro ufficiale; quindi senza alcun ritardo o scusa verrete la prima do- menica di giugno prossimo in Foggia cogli altri prelati e baroni al nostro cospetto: così si potrà fare coll’aiuto di Dio giustizia e nella no- stra assenza non vi sarà materia di lagnanze. Foggia 21 maggio (1225)». «I prelati tutti. segue il cronista, ricevuto quest’ ordine si recarono dall’imperatore a Foggia prestissimo ma l’imperatore li ritenne con se per quasi tutto il mese, benchè contro loro voglia, finchè il re geroso- limitano e il patriarca non mandarono a dirgli che la sede apostolica gli consentiva una nuova dilazione » (2). Allora Federico andato in S. Germano giurò nella festa di S. Giacomo (25 luglio) in presenza di car- (1) Capasso: Storia esterna delle costituzioni ete. — FICKER: Forschungen ete. — GAUDENZI: Prefazione al vol. I delle cronache Napoletane — GAaRUFI: Di una moneta- zione imperiale di Federico II. (Rend. dell’ Acc. dei Lincti, vol. VI, 1897). (2) Clritpn. pui. E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 23 dinali, vescovi, principi, duchi e una folla di nobili e plebei, che parti rebbe senz'altro di lì a due anni nell'agosto 1227. In questo tempo egli forse sperava di riuscire a imporsi ai Comuni Lombardi, come aveva domati i baroni di Puglia e di Sicilia; e infatti nel 30 dello stesso luglio convoca i feudatari di Germania e d'Italia, i podestà e rappre- sentanti dei Comuni di Lombardia e Toscana ad una dieta generale a Cremona per la Pasqua del 1226. La dieta è convocata « pro soccursu et itinere terre sancte, pro honore quoque et reformatione status impe- Pi» cioè non solo per la crociata, ma anche per rialzare e far valere nell'Italia superiore i diritti dell'impero. Si vede che Federico non si rifiuta certo alla crociata, ma prima vuole ristabilire in Lombardia l’au- torità imperiale. Ora se riusciva a domare i Comuni Lombardi, lo stato ecclesiastico doveva necessariamente soggiacere a Federico. Oramai la situazione diveniva più stretta e difficile, quando a renderla più aspra e pericolosa e a mostrare sempre più la difficoltà di mantenere le due potestà, papale e imperiale, nei giusti limiti intervengono due fatti, che sono due usurpazioni compiute la prima dal papa a danno dell’im- peratore, la seconda da questo a danno del papa. Nel settembre dello stesso anno 1225 il papa nominò senza informarne prima l'Imperatore i vescovi di cinque chiese vacanti, della Puglia (1). Ciò era contrario ai concordati fatti coi re di Sicilia e alle stesse con- cessioni di Federico del febbraio 1212 prima che partisse per la Germa- nia, nelle quali era dichiarata la libertà delle elezioni, come abbiamo visto; ma l’eletto prima doveva avere l'ussersus regis, poi la confirmatio aposto- lica, e solo dopo ciò poteva essere insediato. Eppure Onorio con una certa aria di bonomia, come non si trattasse di diritti riconosciuti e concordati, scrive a Federico il 25 settembre: « Abbiamo certa fiducia nella tua innata benignità che le cose fatte con pia intenzione e piacenti come crediamo a Dio siano per piacere anche alla tua altezza. E invero vedendo noi da quanto tempo siano vacanti le chiese di Capua, Salerno, Brindisi, Consa e Aversa con grave pericolo non solo dei beni ma anche delle anime e che di ciò, se ne dava pubblica colpa a me e a te dagli uomini, temendo che non se ne (1) La sede di Salerno era vacante dal febbraio 1221, quelle di Brindisi e Capua dal 1222. Erano stati già regolarmente eletti i vescovi di Capua e Aversa con l'assenso di Federico, il quale nel giugno 1223 chiese la conferma del Papa, dichiarandogli che se non li approvava nemmeno agli avrebbe approvata la scelta di altre persone. Ma Onorio non li confermò; ed ora voleva far valere il diritto che perla lunga va- canza delle sedi episcopali la nomina era devoluta a lui, come si praticava in altri Stati. 24 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA desse anche da Dio, volemmo provvedere alle stesse chiese ed alla no- stra e tua fama e salute. Perciò avuto rispetto al solo Dio, col consi glio dei nostri fratelli abbiamo eletto a pastori persone, che ti saranno giustamente accettevoli, essendo cospicue per scienza, vita e fama, oriunde del regno, devote e fedeli alla tua sublimità » (1). Ma Federico arrecando il pregiudizio del suo diritto non permise che i muovi ve- scovi fossero ricevuti nelle chiese. Cominciò una serie di trattative, durante le quali Onorio forse riconobbe che il suo diritto non era; molto chiaro, ma egli sentiva la mecessità di rifarsi in qualche modo dei tanti vantaggi che I impero aveva acquistato sulla chiesa. Con tutto ciò non vi fu nessuna asprezza o rottura tra i due : si sentiva bene che questo incidente aveva un valore secondario e per se stesso mon poteva eccitare forti risentimenti. Il papa scrive sempre con la mas- sima gentilezza all’ imperatore: ecco una lettera del 24 gennaio 1226 : « Ascoltammo attentamente le cose contenute nella tua lettera e le altre detteci a viva voce dal diletto figlio, tuo Nunzio, il maestro Rof- fredo, sì sopra l'ordinazione di alcune chiese della Puglia e l'affare del nostro venerabile fratello, il vescovo di Catania, che sopra l'assoluzione del Conte di Tripoli. Sui due primi punti ponemmo la nostra risposta nella bocca dello stesso maestro ed egli potrà pienamente riferirla alla tuasublimità. Quanto poi all’assoluzione del Conte, benchè vorremmo sempre esaudire le tue preghiere, per quanto possiamo secondo Dio, pure non potemmo accogliere le domande dei suoi nunzi; e la tua circospezione non deve alterarsene, perchè tu non vuci, come crediamo, che confon- diamo l’ ordine del diritto scritto e della consuetudine approvata. Per altro siamo sempre disposti in queste ed altre cose, per quanto lo per- mette la giustizia, ad esaudire le preghiere della tua eccellenza » (2). Il papa dunque non si mostra molto offeso del rifiuto di Federico d’am- mettere i vescovi. Ma poco dopo Federico, raccolto un esercito, marcia dal regno verso l’Italia superiore per la dieta, che si doveva tenere nella Pasqua. Le sue forze non erano molte (3); ma egli procedeva accompagnato dalla fama (1) Ep. saee. XIII, n. 283. (2) Ep. saec. XIII, n 290. (3) « Cum parvo exercitu» ©Chron. Ste. in H-B. I, 897. Il Winkelmann nella sua prima storia di Federico II (I, 199) pubblicata nel 1865 credette che l’intenzione di Federico fosse di annullare la pace di Costanza: ma poi abbandonò questa opinione persuaso che volesse solo far valere i diritti dell’ impero riconosciuti da quel trat- tato. Il Kòhler è dello stesso parere : Das Verhùltniss Kaiser Friedriechs II zu den Pà- psten seiner zeit. p. 10. Breslau, 1888. E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 25 della sua potenza, della sua buona fortuna, di una smisurata ricchezza (1). Traver: ndo gli Stati della chiesa, prese a comandarvi da padrone, senza darsi pensiero del papa. Questo fatto scosse Onorio, che oramai vedeva chiaro nei disegni dell’imperatore. Il papa sino allora s'era mo strato benigno e tollerante pel sincero desiderio che la crociata si fa- cesse; e l'unione del regno di Sicilia all'impero nella persona di Fede- rico sembrava, anziehè una minaccia pel papato, una condizione favo- revole alla buona riuscita della spedizione transmarina. Se l'imperatore tardava a partire, le ragioni sembravano sufficienti o sodisfacenti : la spedizione o prima o poi doveva pure compiersi, neutralizzando coi sa- cerificii d'uomini e di denari i pericoli dell’uzione personale. Ma ora Vim- peratore domata la Sicilia vuole prima di partire far valere sullo stesso dominio territoriale della Chiesa i diritti imperiali, ai quali aveva espli- citamente rinunciato; vuole risottomettere all'autorità dell'impero i Co muni Lombardi, che sembravano 1 unico e immancabile sostegno del- l'indipendenza politica del papato e la forza politica e militare di questo in una possibile lotta. Onorio teme di essersi ingannato quando sperava di pigliare con la crociata la sua rivincita : forse l’imperatore che sem- bra strapotente e in condizioni politiche tanto vantaggiose l'aveva sino allora tenuto a bada per asservire, quand'era il momento, l’Italia supe- riore come quella meridionale. Da quel momento il papa si scuote ; il suo linguaggio sino allora paterno e benigno diviene sarcastico ed ag- gressivo : già si vedono i segni precurseri d’ una guerra inconciliabile. La coscienza dei diritti del papato e dell'impero, eccessiva in tutti e due, li spinge ad una lotta, in cui l'urto delle idee precorre ed accom- pagna quello delle armi. Ciò che per l uno è diritto indiscutibile, per l'altro è eccessiva pretensione : ciò che per l’ uno è doverosa ri- vendicazione, per l’altro è usurpazione violenta. Da questo momento la guerra è implicitamente dichiarata: e non recedendo nessuno dei due dalle posizioni prese, dovrà finire con lo sterminio o la sot- tomissione dell’ uno o dell’ altro. E col pericolo e 1’ irritazione della situazione presente, ritornano a galla tutte le vecchie quistioni, che sembravano o accomodate o dimenticate; e ciascuno si fa un'arma di tutto per mettere l’altro dalla parte del torto. Così delle cose secondarie pren- dono spesso il posto delle principali e sembra che il torto, vero a supposto, (1) Imperator iste tantos in auro et argento thesauros habere dicitur quantos ullus de antecessoribus suis a tempore Karoli magni, scilicet propter ditissimum regnum Si- cilie et Apulie. Albricus. M.G.H. XXIII, 919— Ann. S. Tust. Patav. XIX, 152— Conr. de Fabaria. II, 180, (E alludono al tempo di questa spedizione in Lombardia). 4 26 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA fatto a qualche Chiesa o ad alcuni vescovi di Sicilia sia il vero motivo di tanto contrasto. Di questo punto così importante per la storia delle relazioni tra pa- pato e impero, non si conosceva prima del 1880 che una lettera papale e poche parole di Riccardo di S. Germano nell'unica cronaca che di lui si possedeva. Il cronista all'anno 1226 dice : « L'imperatore giunto al du- cato di Spoleto comandò agli uomini di quella terra di partire con lui per la Lombardia, ma quelli si rifiutarono per l’ordine del papa, ch'e- rano tenuti di obbedire (1). L'imperatore mandò lettere più minacciose e quelli del ducato le rimisero al papa. Il quale mal sopportando che Cesare chiamasse i sudditi della Chiesa con pena determinata alla spe- dizione, gli scrisse una lettera, che l’imperatore ritenne assai grave e perciò gli rispose con pari irritazione (rescripsit ei quasi de pari); e perchè l’imperatore volle allora troppo manifestare la sua volontà, il papa credette di rispondergli con maggiore asprezza; onde l’imperatore per placarne l’animo riscrisse umilmente con ogni sottomissione (in omni subiectione) ». (xli storici posteriori non avevano potuto che parafrasare questo passo, aggiungendovi un qualche colorito verisimile, ma di loro fantasia. Così lo Cherrier nella sua storia della lotta tra i papi e la casa di Svevia dice; « quando Federico volle chiamare sotto le armi il contingente di Spoleto, i nobili e i borghesi si rifiutarono di ubbidire, salvo che non ne avessero avuto ordine dalla santa sede. L'imperatore minacciò : per tutta risposta la sua lettera fu trasmessa al papa, che gli fece severe rimostranze e parlò perfino di scomunica. Vi furono da una parte e dal- l’altra nuove lagnanze, ma Federico, che non voleva romperla con la chiesa, finì col cedere, mon senza dispetto » (2). Ora conosciamo cinque dei documenti, di cui si parla nella ero- (1) Cf. Fickpr: Morsehungen ete. IV, 395 n.2. Cum nihil quod ete. Il papa comanda agli Spoletani di non ricevere ordini che da lui. (2) CubRrRIER, II, 36 — Lo Schirrmacher (Kaiser Friedrich der Zweite, II, 104-5), il Raumer (Geschichte der Hohenstaufen, III, 250) e il Winkelmann (Geschichte Kaisers Friedrichs des Zweiten, I, 207) dicono su per giù lo stesso. Ma il Winkel- mann nel Auiser Mriedrich II pubblicato nel 1889 tenne conto dei nuovi doe, — L’Huillard-Bréholles (II, 548) riporta una lettera di Federico al podestà, consiglio e popolo di Viterbo, la quale egli erede del marzo 1226, ma che il Winkelmann (se- conda opera cit. I, 542-3) assegna ragionevolmente al 1244 o 1247; e un’ altra di Onorio a Federico ch’egli pone nell'aprile 1226, mentre è d’ mnocenzo II ad Otto- ne IV (anno 1210). La lettera era stata pubblicata come d’ Imnocenzo a Federico; H-B. mutò Innocenzo in Onorio, mentre doveva mutare Federico in Ottone (Hist. diplom. II, 592-5). E I PRODROMI DELLA SUA LODTA COL PAPATO 27 naca di Riccardo; e possiamo anche non consentire nelle impressioni così concisamente da lui manifestate, Tre documenti si contengono nei Chronica priora pubblicati nel 1888, uno negli Acta inedita del Winkel mann tratto da un codice epistolare del secolo XIV della bibliotec: del principe di Fitalia, e un quinto già conosciuto, ma solo com’ era non ben potuto valutare. IV. Federico scrisse alle città del ducato di Spoleto : « Giunto felicemente a Fano, dove sperammo di trovare presenti i vostri militi e nunzi, sapemmo da alcuni che per la proibizione papale non eseguiste il nostro ordine. Del che ci maravigliammo a ragione, perchè è certo che anche dal territorio anticamente concesso al patri- monio di S. Pietro (de terra antiquitus B. Petri patrimonio applicata) abbiamo il diritto di richiedere un determinato servizio in colloquio, spedizione ed altre cose, come avvocati della Chiesa (certum ad requi- sitionem nostram servitium in colloquio, expeditione ac rationibus aliis, rationibus advocatie, dignitati nostre debetur); e ci maravigliamo di più della vostra fedeltà che con tali pretesti vuol negare il diritto dovuto all'impero, senza badare punto quanto sia temerario negare a Cesare quel ch'è di Cesare. E se dite che il nostro santissimo padre, il Ponte- fice romano, ch'è tenuto di salvaguardare i nostri diritti, diede quest’or- dine, egli certo considerata la giustizia con più sano consiglio lo rivo- cherà. Ma la vostra temerità ne avrà ricevuto frattanto una punizione irrimediabile; nè troverete aiuto aleuno contro la potenza della nostra giustizia. Ma siccome siamo piuttosto disposti a retribuire le buone opere dei sudditi che a prendere vendetta delle cattive, vi comandiamo di nuovo di eseguire senza ritardo i nostri ordini e di mandarmi militi e nunzi, se desiderate di evitare la nostra giusta indignazione. Fano, 26 marzo (1226) ». Federico mal a proposito ricordava i diritti degli altri imperatori nello stato ecclesiastico, perchè egli vi aveva rinunciato espressamente nel privilegio di Eger del luglio 1215, nel quale dichiarava che quan- d’anche fosse andato a prendere la corona o fosse chiamato dallo stesso papa, non avrebbe preteso nemmeno il fodro, senza mandato del pon- tefice (cum ad recipiendam coronam imperii vel pro necessitatibus ec- clesie ab apostolica sede vocati venerimus, de mandato summi ponti- ficis recipiemus procurationes sive fodrum ab illis (1)). Di più la Chiesa (1) H-B. I, 456. 28 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA oramai aveva temporalmente troppo grandeggiato: dopo Innocenzo II richiamare i tempi di Ottone I e del Barbarossa era un non senso. Ep- poi da chi veniva questo! dal nuovo imperatore, creatura della Chiesa, da questa innalzato e sostenuto, che si sperava non dovesse essere per tutta la vita che il braccio secolare della Chiesa e che gli avversari avevano lungo tempo schernito col nome di re dei preti (regem pre- sbyterorum, Pfatfen-Kònig). I contrasti sino allora più o meno dissimu- lati e considerati con ispirito conciliativo, diventano violenti : prorompe l’inconciliabilità delle loro pretese. I due capi della cristianità si guardano nel fondo dell'anima e vi leggono l’inflessibile volontà di entrambi di volersi considerare l'uno superiore all’altro. Da quel momento vi pos- sono essere transazioni ed accomodamenti dettati dalla politica o dalle circostanze; ma l'uno crederà l’altro un nemico implacabile. Certo non si muta d’un tratto una politica di tolleranza e di compiacenza in un’altra di ostilità risoluta e di guerra aperta. Pure se Onorio fosse vissuto più a lungo, sarebbe venuto agli stessi fatti di Gregorio IX. Il papa dunque scrive a Federico ai primi dell'aprile 1226 : «Se i beneficii a te fatti dalla sede apostolica vorrai attentamente riandare dal loro principio, troverai che cominciò a recarteli non senza molte fatiche e spese dalla stessa tua infanzia e non cessò prima che t'inal- zasse al culmine imperiale, malgrado l'opposizione di qualsiasi avversa: rio. A ragione dunque sperò la madre chiesa, a ragione sperammo noi, che con speciale ed efficace studio intendemmo alla tua sublimazione, a ragione potè credere tutto il mondo che non mai cesserebbe in te il ricordo di tanti meriti, anzi sempre li avresti tenuti presenti mel tuo memore cuore e in vero amore e sincera devozione della stessa apo- stolica sede saresti rimasto immobile per tutto il tempo della tua vita. Ma temiamo che questa speranza, benchè giusta, non c'inganni: temiamo che la tua madre chiesa, non debba ridire la parola del Signore: mé pento d'aver fatto luomo. Temiamo che non s-aniscano i pii desideri di quelli che desiderano l'unione della chiesa e dell'impero tanto necessa- ri a tutto il popolo cristiano e si compiano invece i voti degli empi, che desiderano scandali e discordie. Sarebbe lungo enumerare una per una le cose, nelle quali ti addiportasti verso noi e la madre Chiesa ben altrimenti di quanto conveniva alla tua circospezione e mostrasti a fatti e a parole che non tenevi a mente la benevolenza della madre Chiesa, come conveniva alla tua prudenza. Ma per tralasciare certe cose, non possiamo nè tralasciare nè dissimulare alcune altre, specialmente che mentre la nostra paterna benevolenza dovrebbe indurti all’ umiltà (1), (1) Presertim cum ex paterna nostra.. deberes ad humilitatem proficere.GRr0r. pr. p.123 E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 29 tu invece cresci nell'irrispettosità e nell’insolenza. Ripensa teco quante volte hai protratto, per non dire eluso, |’ aspettazione della cristianità nella spedizione di terra santa. Ripensa teco quanta offesa ci recasti nelle nomine delle chiese di Puglia e specialmente nel rifiuto dei nostri figli, che destinammo a quelle chiese. Ripensa infine con quanta pazienza tutto tollerammo sinora, a quante malignità ci esponemmo sinora: e po- trai ben conoscere quanto curiamo di essere deferenti alla tua sublimità e di evitare i tuoi seandali. Ma tu invece fai tutto il contrario e aven- doti poco fa io mandato uno dei precipui membri della chiesa, il vene- rabile nostro fratello Oliviero vescovo di Sabina sì per i punti sopra ricordati che per l'attare dei nostri venerabili fratelli i vescovi di Cata- nia e Cefalù e anche perchè tu chiamasti gli uomini propri e speciali della sede apostolica alla tua spedizione come fossero tuoi propri uomini obli- gati alla fedeltà e li minacciasti anche di pena, tu al vescovo Sabinense non rispondi meglio di quello che avresti fatto con uno qualunque dei nostri curiali (1). E avendo tu detto allo stesso vescovo, che ti dispo- nevi a mandarci dei tuoi nunzi, coi quali avresti risposto a tutto in modo soddisfacente, questi nunzi non ci arrecarono nessuna risposta piena e intera. î « Fino a quando abuserai della nostra longanimità e pazienza ? Perchè nella prosperità disprezzi la madre, della quale nell’avversità succhiasti le mammelle ? Credi forse che per il negozio di Terrasanta tutto vo- gliamo passare sotto silenzio ? Certo per esso dissimulammo anche quello che facesti contro di esso differendo il soccorso di termine in termine; onde per lo stesso negozio e per le altre cose, che a cagione di esso dissimulammo, ora viviamo in grave ansietà. Poichè con qual timore e dolore dell’animo noi pensiamo a questa discordia, quando siamo accu- sati che per troppo riguardo a te abbiamo esposto anche quel poco di terra che i cristiani ritengono nelle parti transmarine ?. Con qual ver- gogna nel cuore e nella faccia possiamo guardare gli arcivescovi di Taranto, di Brindisi, di Salerno e di Consa e i vescovi di Catania, Aversa e Cefalù, i quali tutti con manifesta ingiustizia costringi ad esulare, carcerando i chierici e gli altri opprimendo in molti modi ? ». Manca il seguito della lettera, come il principio di quella di Federico, che risponde in questo modo : La parola mancante è devozione, come mostra quello che si legge più sotto: Tu vero qui sicut diximus, deberes ad humilitatem devotione proficere ete. (1) Tu non multo plenius ei responderis quam unus de curidribus (sie) nostris fue- ras responsurus. Ohron. pr. p. 1253. Leggi: Tu non multo plenius ei responderis quam uni de curialibus nostris fueras responsurus. 30 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA «Il diritto d’elezione, che da tempi antichi tocca ai re di Sicilia, che noi tenemmo nella fanciullezza e la nostra genitrice nella sua vedo- vanza, che il degenere Tancredi intruso nel regno tenne ed usò di pieno diritto finchè visse, che nessun nostro predecessore, vecchio o giovine, forte o debole, lasciò cadere, questo diritto ora volete toglierci e del lecito fare illecito a noi. Voi promoveste a nostra insaputa e senza cura della debita forma quelli che vi piacque ; volete che si faccia la vostra volontà e non vi date pensiero della nostra sicurezza e dei nostri danni. Ma non deve tacersi che l’arcivescovo di Taranto s’ appropriò molte delle nostre cose quando fu in Germania; macchinò congiure contro noi e il nostro figlio, ch'egli sfacciatamente chiamò più volte figlio d’em- pio sangue; ordinò ai nostri castellani che senza suo mandato speciale non rendessero a noi le fortezze, che pur erano nostre. Del vescovo di Catania non deve la vostra paternità tacere che con la sua prodigalità corrose tutto il nostro 1egno, oltre le altre cose che la fama pubblica gli rinfaccia. La vita del vescovo di Cefalù è ravvolta da una nube e al cospetto del vostro tribunale non viene ad esame ch' egli fece ueci- dere il castellano ed altri cittadini, il cui sangue innocente grida a noi dalla terra contro il vostro sacerdote. E questi fatti, che ci fanno ver- sare lagrime e furono esposti per ordine a voi, e le giuste preghiere non meritarono ancora ascolto presso di voi. Dei chierici poi è così stre- nata la licenza, che, com» sappiamo da una relazione fatta dai nostri ufficiali per nostro ordine, vi sono 180 omicidi perpetrati da loro, oltre gli altri eccessi che commettono dovunque ad ogni momento. E perchè non li puniamo com'era dovere, ora ci tocca questa retribuzione, che vi la- gnate contro di noi. Sulla risposta fatta al venerabile vescovo Sabinense e replicata dai miei nunzi non doveva meravigliarsi la vostra paternità; ci chiedeste tali cose che non potevamo rispondere altrimenti (1). Per (1) La risposta al vescovo di Sabina pare compresa in questo passo del Fazello : « Denique in has contumelias per iracundiam prorupisse (Fredericum) ferunt.. Fun- danum comitatum mihi ad imperium evocato emunxit, coronam liberi imperii multis muneribus me nundinari oportuit. Tam et imperatoriam maiestatem, quam suffragio proprio ratam Pontifex habuit, contemptui habere incipit. Quis hane in Pontifice pre- posteram ferat ambitionem ? Ite, renuntiate Honorio coronam me prius depositurum quam commissurum ut tantae maiestati me imperante diminutio inducatur ». FAZELLI : De rebus Siculis — Tom. IM, p. 6, Catania, 1753. Im Fazello e’ è confusione di ero- nologia, ma bastante esattezza di notizie, che per altro sono molto scarse. Egli cer- tamente lesse molti documenti del tempo. Così parlando dei vescovi espulsi da Federico, tra i quali quelli di Catania e Cefalù, dice : «Qui omnes Romam proftugi Pontificis aures rumoribus impleverunt subsidiumque implorarunt. Pro quibus ille litteras ad Fredericum dedit, quae adhuc extant.» id. id. p. 10. Nè sembra gli sia stata scono- E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO 51 altro lo accogliemmo con lieto viso e fummo per lui rispettosi come do vevamo, non solo perchè è un membro importante della chiesa, ma anche principe del nostro impero. Quanto poi a quelle parole della vo- stra lettera, creder noi che voi vogliate tutto dissimulare per | attare di Terrasanta, ginechè dite d'aver dissimulato quello che noi facemmo contro questo affare col differire il soccorso di termine in termine; noi certo non abbiamo nessuna giusta causa di questa volontaria dissimu- lazione, mentre avremmo maggior diritto e materia di lagnarci. Infine se per necessità proroghiamo quel termine, dovete ricordarvi che nel termine di prima o nessuno o pochissimi avevano presa la voce indotti dai vostri legati e predicatori; e solo quando per mezzo del maestro dell'ordine Teutonico facemmo offrire i nostri benefici e promesse, alcuni dei principi e nobili di Germania si segnarono; siechè la proroga del termine fu non solo utile ma necessaria. Di poi prorogato il termine indieemmo un’assemblea generale in Cremona per la futura Pasqua per trattare appunto il negozio della crociata e della spedizione. E se per ciò richiedemmo i nostri diritti sulle terre e sui possessi della chiesa, come i nostri predecessori chiesero ed ebbero, non e’ è nulla di scon- veniente, sperando che la vostra paternità, anche senz’esserne avvisata, avrebbe dato lo stesso ordine per una causa così giusta. Si faccia ricer- care in qual modo dai nostri predecessori si seriveva alle terre della chiesa in casi simili; che cosa abbiano ottenuto e percepito da esse. E se da noi in qualche punto si è proceduto contro la consuetudine e il diritto, l'ordine sarà revocato come conviene e procederemo secondo il diritto e la consuetudine; perchè vogliamo mantenere illesi i diritti del- l'impero, ma rispettare pienamente i possessi della madre chiesa ». Quello che abbiamo riportato è sufficiente a delineare i caratteri e le intenzioni dei due contrastanti. La replica di Onorio, che comincia con la parola « miranda » e fu ammirata nel secolo XII come un ca- polavoro di discussione, è però poco precisa e spesso nei fatti determi- nati dalla lettera di Federico non fa che uscire dalla questione e con- trapporre sarcasmi e tratti di spirito (1). sciuta la risposta sopra riportata di Federico ad Onorio, quando gli fa dire: « cum Siciliane reges et matrem cius Constantin reginam eleetionis prelatorum ius pecu- liare semper habuisse constaret, cam in se unum indignitatem nec Guillelmi regis avunculi in Romanam ecclesiam beneficia nec parentis Henrici liberalitatem meruisse » ete. Opportunamente il prof. F. Guardione nel suo lavoro: Cronache e storie in Si cilia nei secoli XVI e NVII (Palermo, 1899) propone che si ripubblichi la storia del Fazello, la cui importanza egli valuta giustamente. (1) La lettera «miranda» tu scritta dal card. Tommaso di Capua, come testimonia Salimbene (dominus Thomas cardinalis, qui fuit de Capua, fuit pulerior dietator de 52 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO II DI SVEVIA Così sull’elezione dei vescovi esce dai termini del concordato dicendo: « Affermi che il diritto dei re di Sicilia nell’elezione dei prelati, diritto dovuto come asserisci dal tempo antico, sia diminuito dalle nostre co- stituzioni. Ma se con mano sollecita avessi svolto gli scritti tuoi e di tua madre, se avessi posto anche mente alle costituzioni dei santi padri , non incolperesti la chiesa, se difende la libertà ecclesiastica » (1). Sul fatto del vescovo di Catania risponde con un sarcasmo: « Non vogliamo omettere di parlare del vescovo di Catania, dalla cui prodigalità dici che tutto il regno fu corroso; se pure la corrosione procedette in tutto il regno, donde tanti avanzi rimasero da corrodere ? » (2). Quanto all’ar- civescovo di Taranto, la lettera accusa sarcasticamente Federico di vo- lersi appropriare le rendite di lui. « Ma forse qualcuno dirà che pia- cendo i beni di lui, come si crede, egli sembri di essere dispiaciuto » (3). La data di questa lettera si assegna alla prima decade di maggio. Federico in questo tempo s'era avanzato nell'Italia superiore: aveva a fronte la lega Lombarda, che s'era costituita nel marzo dello stesso anno e doveva pensare ad altre armi che a quelle della dialettica e del sarcasmo. Perciò credette meglio di rabbonire Onorio e di troncare una discussione, che diveniva sempre più incresciosa e velenosa. La sua risposta, che come s'è detto si trova nel codice epistolare fitaliano, è la seguente : «I sacri caratteri dell'apostolica sede ricevemmo con ogni riverenza e consueto onore; e benchè la lettera nel suo diffuso svolgimento con- tenesse con tutti i tesori del vostro stile cose: vecchie e nuove e fosse un parto non differente dalla nostra precedente, pure tutto leg- curia ete. Mon. hist. Parma, 1857, p. 194) ed è piena di antitesi e locuzioni artifi- ciose e impressionanti, quali le amava la scuola d'allora. Edita in parte dal Rinaldi (Annales ecclesiastici. Anno 1226, $ 3), fu poi pubblicata per intero nelle Notices et ertraits d? la Bibl. nat. Paris, 1789, II, 257-9, perchè « tout ce qui peut ajouter à nos lumiéres sur l’histoire de ces temps orageux ne saurait ètre totalement indiffe- rent». Infine fu ripubblicata con tutti i sussidi della critica nelle Epistolae saeculi XIIT già citate, n. 296. 1) Dicis ius regibus Sicilie in electionibus prelatorum, sicut asseris debitum ex antiquo, nostris constitutionibus minorari. Verum si scripta tua et genetricis tue manu sollicitudinis revolvisses, si sanctorum etiam patrum consitutiones adverteres, non culpares ecclesiam circa defensionem ecclesiastice libertatis. (2) Cataniensem episcopum non duximus obmittendum, cuius prodigalitate totum regnum dicis esse corrosum; si tamen in totum processit corrosio, unde tot remanse- runt reliquie corrodende ? (3) Sed forsitan est qui dicat quod dum sua placuisse creduntur, ipse displicuisse videtur ete. E I PRODROMI DELLA SUA LOTTA COL PAPATO DI gemmo attentamente in penitenza della nostra risposta e perchè man- dataci a scopo di paterno rimprovero, quasi a mostrare che sia pia- ciuto al benigno padre di versare tutto il suo risentimento nella let- tera al figlio e nulla far rimanere dentro di lui, che lo pungesse e im- pedisse la grazia dell’attezione paterna. Certo la sede apostolica fu la prima a scriverci e di là ebbe origine la nostra risposta, che se meritò una consimile lettera, fatigò in questa lotta per essere degnamente ricompensata. Ma ora al padre, che ei rimprovera, noi come devoto figlio cediamo in questa pugna con spontanea devozione, non avendo la vo- stra quantità di letterati e scrivani; e benchè vi sia giusta materia per non cedere, pure preferiamo di cedere e di esser vinti, anche potendo vincere, perchè stimiamo decoro e massima vittoria l’operare così e pio e degno il darci per vinti (1). Solo desideriamo che la paternità vostra conservi verso di noi l'animo tranquillo e sereno, perchè noi aderiamo con tutto il cuore e inseparabilmente alla sede apostolica e ci sfor- ziamo con sincera intenzione di rimanere sempre ad essa fedeli ». Non intendiamo di trattenerci sui casi particolari recati dall’ una e dall’altra parte a prova dell’ abuso o dell’ ingiustizia vicendevole, sui quali non manchiamo di dati sicuri per formarcene una qualche fon- data opinione. Solo notiamo che la cronaca contemporanea del mona- stero di S. Maria de Ferraria dice : « Honorius impetravit a Frederico libertatem omnium ecclesiarum et clericorum. Unde in tempore illius clerici de regno non cogebantur seculari iudicio; et plurimi eorum ita se extollebant quod non metuebant perpetrare illicita et inferre violen- tiam. Sic quod in civitate Isernie congregati de nocte diruerent domos, molendina, ortos dissiparent, arbores succiderent et animalia diriperent, que ibidem habebat monasterium Ferrarie. Hec et alia plurima fiebant enormiter in regno eodem » (2). Ma, come ho detto, non di questo vo- gliamo intrattenerci. Solo notiamo che la lunga e appassionata discus- sione sulla condizione delle chiese di Sicilia non è il vero motivo della discordia delle due potestà. Il papa avrebbe avuto motivo di lagnarsi, molto più che nel regno di Sicilia, della libertà ecclesiastica manomessa nei Comuni Lombardi. Se l'interesse del papa fosse stato di unirsi a Federico contro i Lombardi, egli avrebbe trovata materia assai più larga contro di questi. I Lombardi non erano meno violenti di Federico nel- (1) Licet iusta se offerret materies non cedendi, maluimus tamen cedendo vinci, eciam vincere si possemus, ubi sperare (quod operari ?) decus et summam victoriam reputamus nosque pro victis offerre pium ducimus atque digenum. WINK: Aeta n. 286, (2) Monum. della Soc. Napol. di St. Patria, I, 39. D4 LA GIOVINEZZA DI FEDERICO Il DI SVEVIA l’attentare ai privilegi della corporazione ecclesiastica o come si diceva alla libertà ecclesiastica con l’espulsione di vescovi, con lo assoggetta- mento dei chierici a taglie, a contribuzioni, al foro secolare, nè erano meno lenti e svogliati a mandare sussidi alla crociata. Per citare un esempio, l'arcivescovo di Milano era stato scacciato dalla città perchè aveva scomunicato e poi non voluto assolvere il podestà e cittadini di Monza ch'era terra soggetta a Milano (1). E basta per tutte una lettera di Gregorio IX del 29 aprile 1227, cioè posteriore meno d’un anno alle lettere tra Onorio e Federico. Gregorio dice: « Libertas ecclesiastica inter vos Lombardos subversa esse dicitur et eversa ut non solum ec- clesiarum hominibus sed etiam ipsis ecclesiis et personis ecclesiasticis collecte, tallie, angarie et perangarie imponantur a laicis et respondere cogantur sub examine iudicis secularis, quos etiam non veremini pu- blico banno subicere et interdum carceri mancipare etc.». Il motivo dunque della profonda irritazione tra papa e imperatore deve cercarsi altrove che nelle quistioni secondarie di questo o quel vescovo, di questa o quella chiesa: era il pericolo delle condizioni generali politi che che spingeva la Chiesa a mettere avanti tutte quelle accuse come delitti capitali di Federico e a considerare i Comuni Lombardi come figli affettuosi e devoti della santa sede. Ma la condizione dei Comuni Lombardi e le loro relazioni col papato e con l'impero richiedono una trattazione a parte. Per ora mi basta di avere parlato della gioventù di Federico, dei primordi del suo regno e dei prodromi della sua lotta col papato, secondo i documenti pubblicati nell’ultimo ventennio. T_T _TT—"°—"=-z» (1). Sennonchè se riconosciamo che in Dante al senso profondo della realtà, alla osser- vazione esatta ed alla riproduzione obiettivamente vivace del vero va sempre congiunto tanto subiettivismo (2) da aver materia larga e tutta coerente per ricostruire certi suoi aspetti biografici e financo alcuni dati cronologici principali; se a ragione riteniamo che il tempo della sua na- scita il Poeta, quasi conscio che nessun atto, nessuna cronaca lo avrebbe ai lontani posteri indicato con esattezza storica, l’ha tramandato qua e là nelle sue opere, talvolta però tra gli arzigogoli e le astruserie della filosofia contemporanea, più spesso nelle cifre armoniose del suo ritmo magistrale; e noi ci studiamo di ricavarnelo spontaneo e il più possibil- mente conforme alla verità, noi, se non altro, diamo prova così di leg- gere e di voler comprendere Dante. Chè — diciamolo — per certi rispetti, qualcuno potrebbe anche oggi ripetere col Voltaire : « Sa réputation s'af- fermira toujours, parce qu'on ne le lit guère > (3). Soltanto l'ironia sta- volta, più che contro Dante, drizzerebbe la punta contro alcuni dei suoi cultori, i quali trattano talune cose di lui arzigogolando, fantasticando, anzi farneticando sulle fantasie di quanti hanno di già, alla loro volta, o franteso, o snaturato, o financo perduto di vista il Poeta. Si è creduto di poter trarre profitto da due date: quella del 1283, (1) Così F. Lasruzzi pi NexIMA in V. IMBRIANI, Op. cèt., p. 193. (2) Cfr. C. Ciporra: Di alcuni luoghi autobiografici nella D. C., Torino, 1893 in Giorn. stor. d. lett. ital. X.XII, pp. 285-6. (3) Cfr. VoLrarrE: Dictionnaire philosophique , in Oeuvres completes, Paris, 1322, t. XXXVIII, p. 281. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 153 anno in cui, come risulta da una « pretesa cartapecora di Montedomi- ni » (1), Dante intervenne come hereda del padre; e quella del 1296, in cui, secondo porta una Consulte della Repubblica di Firenze, Dante era dei centunviri. Si è detto: se per gli statuti fiorentini si usciva di pupillo «a diciot t'anni compiuti » (2), e nel 1285 Dante potè esercitare diritti di maggio- renne, ecco una prova per ammettere ch’ egli fosse nato nel 1265 (3): d’altro canto, se, come testimonia Brunetto Latini (4), in Firenze si di- ventava capace di esercitar pubblici uffici a trent'anni, e nel 1296 Dante era centunviro — il che fa supporre che almeno un anno prima, cioè nel 1295, egli si facesse immatricolare nell’arte dei Medici e degli Spe- ziali — qui un’ altra prova per risalire al 1265. Ma oramai riguardo all’istrumento di Montedomini si ha l’atfermazione dell’Imbriani ch'esso non al 12853, ma è da riferirsi al 1282 (59); e poi, come lo stesso Imbriani potè desumere da un documento del 25 ago- sto 1322, anche «a quattordici anni, se non altri almen l’orfano, previe aleune formalità, poteva in Firenze compiere alcuni atti e costituirsi personalmente innanzi al notaio » (6). Inoltre, contro la testimonianza di ser Brunetto — riferentesi forse all’epoca intorno al 1260 — par dimo- strato che circa al 1296 l’età legale per partecipare ai-consigli della Re- pubblica era di 25 anni (7). Evitatosi di « pigliar sul serio le testimonianze bizzarre di alcuni co- dici poco attendibili» (8), si è fatto capo sempre alle attestazioni dei più antichi biografi e commentatori, specialmente del Villani e del Boc- caccio. Ma abbia Giovanni Villani conosciuto o no il Poeta, pur considerando in lui «il più autorevole, senza dubbio, nel poco ch'egli scrisse intorno a Dante, o meglio, il solo veramente autorevole fra tutti i biografi di Dante » (9), nondimeno avendo egli scritto di lui soltanto: « Morio in esilio del comune di Firenze, in età circa 56 anni», quel circa coscien- zioso è insieme assai vago. Non fa supporre, è vero, che trattisi di dif- (1) Cfr. IMBRIANI, Op. cit., pp. 517 sgg. (2) V. LurGi GeNTILE, in Bu. d. Soc. dant., 1891, fasc. V-VI, p. 40. (3) V. ScHERILLO, Op. cit., p. 11 e n. 1. (4) Cfr. Bi Lammi: Zesoro, lib. Il, P. II p. 3. (5) V. IMBRIANI, Op. cit., pp. 319-20. (6) Cfr. ivi, p. 318. (7) Cfr. ivi, pp. 310 sgg. (8) V. ScHERILLO, Op. cit., p. D. (9) Cfr. TODESCHINI, Op. cit., vol. IL 14 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI ferenza d’anni, ma pure riferendosi ai mesi e dando ai 56 anni il valore indeterminato di 56 anni più o meno qualche mese, s'intende che risa- lendo dal settembre del 1321, l’ epoca precisa in cui il Poeta mori, si può giungere ugualmente al maggio del 1265 e a quello del 1266. Onde il Boccaccio stesso —il quale forse ebbe presente la notizia del Villani quando scriveva nella Vita di Dante: « ...essendo egli già nel mezzo 0 presso del cinquantesimo sesto suo anno infermato », e aggiungeva la data della morte, senza lasciar supporre gran distanza tra questa e l’ammalarsi —(1) non credette di contradirsi allegando nel Comento l'affermazione di «ser Piero di messer Giardino da Ravenna..... avere avuto da Dante, giacendo egli nella infermità della quale ei morì, lui avere di tanto trapassato il cinquantesimosesto anno quanto dal preterito maggio aveva insino a quel di» (2). D'altra parte, dicendo il Boccaccio, s'intende « il novelliere capostipite di quella lunga famiglia di biografi, che s'è creato a sua posta un certo Dante, tipo ideale di ogni umana perfezione » , come ha osservato Pa- squale Papa (3); e noi aggiungiamo: che ha tramandato una leggenda dantesca tuttora prevalente, in certe questioni, con le sue contradizioni e i suoi errori. Quale fede sia da prestare alle testimonianze del Cer- taldese, altri hanno già detto; qui notiamo pel nostro argomento che, se il Boccaccio conosceva ser Piero Giardini sin dal 1351 (4), quando, seri- vendo la Vita dì Dante, gli attribuì la storiella del ritrovamento degli ultimi canti del Paradiso, perchè anche allora non diede chiara ed espli- cita l’attestazione sull’età del Poeta, come fece un ventennio più tardi nel Comento, sull’autorità dello stesso ser Piero ? Sicchè dopo tutto, è col solo sussidio delle opere di Dante che oggi possiamo trattare del tempo della sua nascita. Soltanto bisogna esser . cauti, e non dimenticare che un poeta non parla come uno storico, ac- contentandosi egli di accennare, di alludere, là dove l’altro, quando pure non narri espressamente o descriva, tuttavia menziona, indica, cita. Nel $ II della Vita nova Dante dice: « Nove fiate già, appresso al mio nascimento, era tornato lo cielo della luce quasi ad un medesimo punto, quanto alla sua propria girazione, quando alli miei occhi appar- ve prima la gloriosa donna della mia mente....» E poi: «Ella era già (1) Cfr. Vita di Dante, Firenze, 1863, vol. I, p. 28. (2) V. Comento, vol. I, pp. 104-5. (3) Cfr. L’ambasceria di D. A. a Bonifazio VIII, in app. al vol. V. della Storia della lett. ital. del BARTOLI, p. 346. (4) Così il Milanesi col Witte; il Macrì-Leone sostiene la data 1363-64. L'ANNO DELLA NASUITA DI DANTE ALLIGHIERI 15 in questa vita stata tanto, che nel suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d'oriente delle dodici parti l'una d'un grado : sì che quasi dal principio del suo nono anno apparve a me, ed io la vidi quasi alla fine del mio nono anno ». Qui i commentatori sono d'accordo : il Poeta attesta che la sua età differiva su per giù d'otto mesi da quella di Beatrice, e che il suo pri- mo incontro con lei è da riferirsi tra Vaprile e il maggio d'un determi- nato anno (1), poichè nel e. XVII, 112-17 del Paradiso dice che il sole sì trovava in Gemini quando egli sentì da prima l'aer Tosco, e nel sur- riferito passo della Vita nova è detto che era tornato lo cielo della luce quasi ad un medesimo punto quando egli era già quasi alla fine del suo NONO ANNO, Ma non basta. Per testimonianza di Dante medesimo, Beatrice cessò di vivere il 9 giugno di « quello anno della nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui il perfetto numero nove volte era compiuto in quel centinaio, nel quale in questo mondo ella fu posta : ed ella fu dei cri- stiani del terzodecimo centinaio » (2); ed era 7 su la soglia di sua se- conda etade (3), cioè sul punto di entrare nella sua seconda età, o meglio di varcare il suo venticinquesimo anno (4), secondo interpretano anche qui i commentatori in conformità a quanto dice Dante nel Conezeio (IV, 24). Com'è ovvio rilevare, in tutto codesto il difficile è precisare in cifre l’anno vero della morte di Beatrice. L'opinione comune ci dà 1’ anno 1290, all’Angelitti invece è sembrato più probabile l’anno 1291, che ba- lenò, senza ammetterlo, al Dionisi e al Carducci (5), e cui per poco in- elinò a credere anche il D’'Ovidio (6). Anzitutto, il centinaio di anni in cui Beatrice venne al mondo, inco- (1) Il Boccaccio pone la festa in casa di Folco Portinari il primo dì di maggio. (Vita di D., p. 11). (2) Vifa nova, $ XXX. 3) Purg., XXX, 124-5. (4) Nella Vita di D. del Boccaccio leggiamo : « Era quasi nel fine del suo venti- quattresimo anno la bellissima Beatrice, quando ne andò a quella gloria che li suoi meriti le avevano apparecchiata » (p. 15). (5) V. in Vita nova di D. A. per A. D'Ancona, Pisa, 1884, p. 208, ove è detto: «.... nota opportunamente il Dionisi che la voce compiuto va qui presa in senso largo, che allora cioè corresse l’ anno 1290, poichè in istretto varrebbe che il detto anno fosse già terminato; ciò che guasterebbe ogni altro conteggio d’ età in ordine a Dante e a Beatrice, d’un anno» : CARDUCCI. (6) V. in Rass. crit. II, pp. 194-5 e 207. Ma recentemente, in Studi danteschi, Mi- lano-Palermo, 1901, p. 556, ha dichiarato: «Non vorrei aver detto, neppure in via di concessione, che il passo della Vita Nova si capirebbe quasi meglio se la morte di Beatrice fosse avvenuta il 1291». 16 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI minciava per Dante col 1200 o col 1201? La parola stessa ci attesta che alla mente del Poeta il nuovo centinaio, ch’egli considerava, dove- va essere nettamente distinto da un’intera serie di centinaia d’anni già compiuti, ciascuna con la fine del centesimo anno; di che in ispecie fa fede l’espressione: ella fu dei cristiani del terzodecimo centinaio. Se quindi il centinaio precedente si era chiuso col 1200 compiuto, quello nuovo, nel quale in questo mondo Beatrice fu posta, aveva avuto il suo principio col 1201. Ancora: dicendo il Poeta che «il perfetto numero — cioè il 10 — nove volte era compiuto in quel centinaio » , poteva non accop- piare l’idea di anni alla significazione della parola numero? (1) E se nove volte la serie di dieci anni si era compiuta nel centinaio, incominciato col 1201, non è da intendere che l’anno 1290 era trascorso, coll’intero compiersi dell’ ultimo della nona serie di dieci anni? Pare evidente : Beatrice dovette morire nel giugno del 1291, annzo della nostra indizio ne, cioè degli anni Domini, in cui — nell’ entrare del quale — 2 perfetto numero nove volte poteva intendersi veramente compiuto nel terzodecimo centinaio (2). Ora tenendo presenti e mettendo in relazione tra loro codesta data della morte di Beatrice e la sua età in quell’epoca, quindi gli otto mesi in più che Dante aveva, e il maggio di un dato anno della nascita di (1) Il Marzi ha osservato che il numero 10 si era compiuto per la nona volta e non l’anno ; e ciò per sostenere il 1290 (V. in Bud. d. Soc. dant. mn. s. V, 6-70 e N. VaccaLLuzzo, Il Plenilunio e l'anno della Visione dantesca, Trani, 1889, p. 14). (2) L’Angelitti si era chiesto —e chiese anche al Barbi, il quale cura la edizione critica della V. N. — se là dove si legge: in quello anno della nostra indizione..... ecc., non si dovesse piuttosto leggere: della terza indizione; — il che sarebbe stato nell’ordine di idee dantesche, tutte rivolte, proprio in quel luogo, agli arzigogoli sul tre, sul nove, sul dieci e così via, anzi l’espressione zerza indizione sarebbe stata me- glio rispondente alle seguenti: «in cui lo perfetto numero» ecc...., «ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio »; chè questo /erzodecimo sarebbe derivato dal numero perfetto 10 più il 3 di terza indizione. Nella quale ipotesi si andrebbe senza fallo al giugno del 1290. Ma il Barbi rispose all’Angelitti da Sambuca Pistoiese, il 14 luglio 1901: « La lezione di quel luogo della V.N.è proprio, secondo la testimo- nianza concorde dei codici, in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Do- mini....; e mi pare che dia buon senso se s’intende per la «nostra indizione» l’era cristiana.... » ( Debbo queste notizie alla cortesia dell’Angelitti). Tutto codesto rivela anzitutto quale serenità ed equanimità metta l’Angelitti in siffatte questioni, prefe- rendo disdirsi pur di trovare la verità; ma nello stesso tempo ci dà nuovo e forte argomento per riferire al 1291 la morte di Beatrice. Poichè se tale morte fosse av- venuta proprio nel 1290, Dante l’ avrebbe senza dubbio espresso con la frase ferza indizione, appieno corrispondente a quell’anno, lieto di valersi ancora una volta del numero tre, radice di nove. E se Dante scrisse diversamente , in ciò appunto è la prova luminosa che il 1290 è da scartarsi completamente. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 17 lui, risulta che Beatrice dovette nascere tra il dieembre del 1266 e il gennaio del 1267, e incontrare il Poeta, a otto anni e quattro mesi, tra l’aprile e il maggio del 1275, morendo a 24 anni e 6 mesi nel giugno del 1291; e che, per conseguenza, Dante dovette nascere nel maggio del 1266, se incontrando Beatrice nel 1275, egli era quasi alla fine del suo nono amno. Altrimenti, volendo risalire al 1265, l incontro dei due amanti bisognerebbe riportarlo, come si è fatto, tra l'aprile e il maggio del 1274, e Beatrice, morendo, avrebbe già varcato di sei mesi il suo venticinquesimo anno, contro l’interpretazione che tutti i commentatori hanno dato del verso 124 XXX del Purgatorio. Qui alcuno potrebbe mettere avanti la ipotesi dell’Angelitti, cioè: «se.... Beatrice arrivò a mettere il piede sulla soglia della seconda età, ella dovette toccare il suo 26° anno e quindi morì di 25 anni compiti» (1): onde per la na- scita di Dante si avrebbe nuovo argomento di portarla al 1265. Ma codesta ipotesi del valente astronomo, per quanto possibile, non cela però un certo sforzo, se noi la consideriamo in rapporto a quella intonazione vaga, indeterminata, ma più confacente alla interpretazio- ne comune, del surriferito verso del Purgatorio, il quale intanto assai male si adatterebbe all’interpretazione che ammettesse già un corso di sei mesi nella seconda età, quando al più potrebbe significare tra la fine della prima età e appena il principio della seconda. Nondimeno resta sempre un certo dubbio, su cui per altre vie, da altri dati può derivare un po’ più di luce. Dante dice nel Cornelio (I, 3): « Poichè fu piacere de’ cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gettarmi fuori del suo dolcissimo seno, nel quale nato e nutrito fui fino al colmo della mia UA... ECC. ». Sommo dell’ arco e della vita, e colmo della età egli chiama altrove ( Cone. IV, 23) l’anno trentacinquesimo ; colmo della nostra vita, pren- dendo colmo in senso più largo, dice anche la gioventù tutta quanta (Cone. IV, 24) e colmo del nostro arco poi li trentacinque anni ( Cone. IV, 42). p Ora se colmo o della vita o della età o del nostro arco chiama a un tempo sia la gioventù, cioè l’ età di vert anni, che, incominciata nel venticinquesimo, nel quarantacinquesimo anno si compie (Cone. IV, 24), sia più precisamente l’anno trertacinquesimo, come intendere quella sua atte- stazione sul tempo in cui abbandonò Firenze? A non voler sofisticare, le sue parole sono assai chiare: testimoniando d’ essere stato nutrito in (1) Cfr. Sulla data del Viaggio dantesco, p. 35. 18 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI patria /ino al colmo della sua vita, non fa menomamente pensare a un’e- poca indeterminata, oscillante tra limiti tanto distanti quanto compren- sivi, ma piuttosto a qualcosa di definito, e quasi di preciso, specialmente con quel /iz0 posto li a indicare come un punto sommo d’ arrivo nel salire in età. Ne dubitò lImbriani (1), ma i più spiegano pressa poco come il Bar- toli: «....quando il Poeta abbandonò Firenze doveva essere non già vi- cino al colmo della vita, al di là o al di qua, ma propriamente al col- mo stesso; cioè in altre parole.... doveva aver compito il suo anno tren- tacinquesimo, ed essere entrato nel trentesimo sesto » (2). E Dante quando lasciò Firenze per non ritornarvi mai più? Notiamo che egli in quel passo del Convivio si esprime così da non confondere il tempo, sino al quale visse in patria, con quello in cui ne fu cacciato; sicchè non penseremo subito agli anni delle due sue condanne, nemme- no della prima in data del 27 gennajo 1302. Poi, facendosi nel quinto cielo profetare da Cacciaguida (Parad. XVII, 46-8); Qual si partì Ippolito d’Atene Per la spietata e perfida noverca, Tal di Fiorenza partir ti conviene, pare alluda, sì, ad una partenza imposta da necessità di cose a lui, che era innocente come Ippolito, ma nello stesso tempo non esclude l’idea di un atto volontario da parte sua; pare voglia attestare che egli non uscì da Firenze già aggravato da una condanna avuta, ma se ne partì con precedenza, forse pel presentimento della condanna stessa, certo per la coscienza chiara dell’odio dei suoi avversari, delle calamità che gli si preparavano. Nè a ciò si oppone il ragionamento dell’ Imbriani, che se Dante fu scacciato di Firenze, come dice il Villani, doveva stare in Firenze (3). Col Papa rispondiamo «che scacciato può ben essere tolto nel senso più lato di mandato fuori anche senza l’atto materiale; come per esempio, si dirà d’ avere scacciato il tale di casa, solo avendogli fatto intimare di non mettervi più il piede » (4). Ma quando il Poeta si parti per sempre dalla sua patria diletta ? Ogni difficoltà sarebbe tolta se ancora, coi più antichi biografi, potessimo am- (1) Cfr. Op. cit., pp. 208 sgg. Pare ne dubiti pure F. CoLAGROSso, come risulta dal Giorn. stor. d. lett. ital., XXX, p. 438. (2) V. Storia d. lett. ital., vol. V, p. 35. (3) Vi. in Op: citi, p. bl. (4) V. Op. cit., p. 341, n. 22. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 19 mettere la sua ambasceria nell'ottobre del 1501 a Bonifazio VIII, insie- me al Corazza da Signa e al Minerbetti. Ma non ostante | attestazione della Cronaca del Compagni (1), e le ragioni in proposito di Isidoro Del Lungo (2), la critica ha oramai scartata codesta sua ambasceria, nè pare sia da tornarci su dopo le giuste osservazioni del Papa (3). Sennonchè altri argomenti si hanno per sostenere storicamente che Dante non era più in Firenze verso la fine del 1501. Giovanni Villani, nel breve necrologio di lui, dice : «.... il suo esilio di Firenze fu per cagione che, quando messer Carlo di Valos della Casa di Francia venne in Firenze l’anno 1501 e caccionne la parte bianca, come addietro ne’ tempi è fatta menzione....» (IX). E addietro, a pro- posito del trattato con messer Piero Ferrante, ha detto di coloro che « furono cacciati, non comparendo, sendo citati, o per tema del detto maleficio commesso, o per tema delle persone sotto il detto ingannevole trattato, si partirono della città.... » ( VIII, 48). Dante era dunque tra costoro ? Il Villani non lo nomina, ma, come ha osservato il Papa, «è da credere che il comprendesse nella designazione generale di quasi tutto il lato de’ Bellincioni » (4). Tale fuga dell’ Allighieri, implicitamente notata dal Villani, risulta esplicita da quanto narrano il Boccaccio e Melchiorre di Coppo Stefani. L'uno, nel Zrattatello, considerato il Poeta tra coloro, i quali, al trionfo della parte avversa, «ogni consiglio, ogni avvedimento e ogni argo- mento » smarrirono, «se non il cercare con fuga la-loro salute » (5), meglio determinatamente poi, e con nuovi particolari aggiunti, nel (o- mento lo conterma come fuggiasco con M. Vieri dei Cerchi, della cui setta egli era « quasi uno dei maggiori caporali», onde lui e gli altri compagni, « per sollecitudine della setta contraria, furono condannati siccome ribelli, nell'avere e nella persona » (6);— l’altro nota «che Dante di Alagherio degli Alighieri onorevole cittadino, come furono cacciati di Firenze i Bianchi, egli perchè era di quella parte, sé partì senza aspet- tare comiato » (7). (1) V. I. DeL Lunco, Op. cit., vo]. II, p. 220 in lib. II, c. XXV della Cronaca. (2) Ctr. in Op. cit., vol. I, 210-2; vol. IT, 137-8 e Propugnatore di Bologna (1871) III, 5356-70. (3) V. in Op. cît., pp. 3371-69. Lo Zingarelli inclina a crederci ancora (Op. cif., p. 178). (4) V. in Op. cît., p. 343. (9) Vita di Dante, I, p. 22. (6) V. nel Comento VII, p. 150. (7) Cfr. Delizie degli erud. tose., raccolte da P.ILperoxso, t. XII, p. 6. 20 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI Ma v’ha di più. Nella sentenza di messer Cante, del 27 gennaio 1302, leggiamo : « Dominus Palmerius, Dante, Orlanduccius et Lippus citati et requisiti.... legiptime, per nuntium Comunis Florentie.... fuerunt passi se in bapno poni.... se contumaciter absentando », cioè allontanandosi da Firenze. Sicchè se a codesti dati di fatto ravviciniamo la ostilità di papa Bonifazio VIII per Dante, anche solo per avere avuto parte nel gover- no in quell’ epoca di collisione tra il Papa e il Comune fiorentino (1), cioè nei mesi dal maggio 1300 all’ottobre 1301, « quando Bonifazio, vo- lendo sb) dari totam Tusciam, intentava un violento processo a Lapo Saltarelli e a due compagni di lui, che osavano sventare le sue mene, e fulminava anatemi su tutta la signoria fiorentina, che si mostrave sorda alle sue citazioni » (2); e quindi lo sdegno del cardinale d’ Acqua- sparta contro i Priori del giugno 1300, tra’ quali era Dante, per aver essi mandati a vuoto certi suoi disegni (3); e un anno appresso, nel giu- gno 1301, l’opera di Dante nei consigli delle Capitudini e dei Cento, in cui egli stesso, ad una proposta « de servitio domini Pape faciendo de centum militibus secundum formam licterarum domini Mattei cardinalis » due volte «consuluit quod de servitio faciendo domino Pape nihil fiat» (4); e la sua resistenza contro la ‘venuta di. Carlo di Valois, come risulta dalla sentenza di messer Cante; se infine consideriamo le condizioni po- litiche di Dante, in quel tempo, di fronte ai Guelfi Neri, già trionfanti, forse non erreremo nel ritenere che egli lasciasse volontariamente Fi- renze all’appressarsi del Valois, il quale vi entrò nel novembre del 1301. Nondimeno ammesso da tutti è questo : verso la fine del 1301 Dante non era più in patria. E se in quell’anno stesso egli aveva toccato il colmo di sua vita — il che sarebbe stato nel maggio — non appar evi- dente che egli fosse nato nel maggio del 1266 ? Il Bartoli, dal fatto che il Poeta negli ultimi del 1501 doveva essere già entrato nel suo anno trentesimosesto, pur giudicando molto semplice il calcolo da farsi, per ottenere la data della nascita, sottrasse 356 e non 55 dal 1301, per averne precisamente il 1265 (5); ma l’errore d’un anno nel quale incorse è manifesto, nè si discute. Più recentemente lo Scherillo, mentre ha preso alla lettera il su citato (1) V. Guipo Levi: Bonifazio VIII e le sue relazioni col Comune di Firenze, Roma, 1882, pp. 49 e 69. (2) Cfr. P. PAPA, Op. cit., p. 338. (3) Cfr. G. ViLLani: Istorie fior., VIII, 39 e P. PAPA, Op. cit., 339-40. (4) V. Libro delle Consulte dal 1300 al 1303 nell'Archivio di Stato di Firenze. (5) V. BarroLi, Op. cit., vol. V, p. 35. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 21 luogo del Convivio (I, 5), nondimeno ha creduto di ragionare così: «e Bra stato dunque (Dante) in Firenze fino a che vi avea compiuti i 35 anni; e poichè ei se ne dovette allontanare verso la fine del 1301, sembra potersene concludere esser egli nato suppergiù nel 1265 » (1). Sennonchè per giustificare la sua affermazione ha dovuto aggiungere: « Mi par que- sto uno di quei casi, in cui Dante si compiace, per ragione di stile, di arrotondare un po’ l'espressione. Egli volle indicare solo approssimativa mente l'età sua al tempo. dell’ esilio » (2). E la contradizione qui non salta agli occhi ? E poi, come ha osservato il Colagrosso, Dante, nell’arrotondare le date, « suole aggiungere qualche anno non togliere » (3). Ma siamo sempre li: c'è una tradizione che sul proposito s'impone e par sacrilegio il solo tentare di rimuoverla; quindi una certa nebbia nelle menti, anche per le cose più evidenti, più chiare (4). Il verso che tutto il mondo conosce, Nel mezzo del cammin di nostra viti, è oramai assodato essere un’ espressione equivalente al sommo 0 colmo dell’arco della vita, al tenere dell’arco, come pur dice Dante. Le sottigliezze dell’Imbriani sul proposito non valgono quanto la concorde opinione dei più antichi commentatori, « concordia della quale dee tener conto ogni critico », osservò il Bartoli (5). Infatti per essi — primo il Boccaccio—si trattava di un concetto co- mune alle menti colte e da precisare con le idee del tempo. Se quindi il mezzo dell’età umana è l’anno trentacinquesimo, « inten- dendo naturalmente per trentacinquesimo anno tutto il tempo che corre dal trentaquattresimo compito al trentacinquesimo compito » (6), e l’anno della Vistone verrà provato il 1501, la nascita del Poeta sempre al 1266 verrà riportata, e stavolta decisivamente. Oggi basterebbe forse tornare soltanto su quei fatti storici più spe- (1) ScueRrILLO, Op. cit., pp. 2-3. (2) Ivi, p. 9, n. la. (3) V. in Giorn. stor. d. lett. ital., XNX, 485. (4) NicoLa ZINGARELLI ha creduto di torre via l’intoppo che la data del 1265 trova in quel luogo del Convivio (I, 3) sostenendo che ivi Dante « non intende per colmo i 35 anni, ma tutta la seconda età », (Op. cit., p. 24). (5) Cfr. Op. cit., vol. V, p. 31 (6) Ivi, p. 30. 22 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI cialmente propugnati dai sostenitori del 1500 a chi volesse, sulle orme dell’Angelitti, trattare del tempo della Visione dantesca. Ma chi sa che, ravvicinando e coordinando il più possibilmente quanto vi si riferisce, non si riesca a dare maggiore concretezza alla veduta nuova, con la quale si tenta risolvere la questione ? Il 1300 ha un peccato d’origine, cioè una certa contradizione del Boc- caccio nell’indicarlo. Questi, « pur fissando l’entrata nella selva al 1300, più innanzi scrisse : Siccome apparirà nel c. XXI di questo libro, l’au- tore entrò in questo cammino nel 1301, se non che, arrestatosi col com- mento al c. XVII, non dichiarò poi più il luogo proposto » (1). Nel primo caso egli dovette procedere per via indiretta, preoccupato com’era di stabilire la nascita e l’età di Dante secondo la testimonianza di ser Piero Giardini, infatti ragionò così: « assai ne consta Dante es- sere morto nelli anni di Cristo 1321 il di 14 di settembre, poichè. sot- traendo 21 di 56, restano 35; e cotanti anni aveva nel 1300, quando mostra di avere la presente opera (la Commedia) incominciata » (2). E ognun vede quanto ci sia di poco attendibile in tutto codesto per l’anno della Vistone. Nell’ altro caso si riferiva evidentemente al colloquio con Malacoda, uno dei diavoli posti al ministero della quinta bolgia, il quale avverte i poeti che non potranno andare più oltre per lo scoglio sul quale sono incamminati, perchè il sesto arco giace tutto spezzato al fondo, e, certo alludendo al terremoto avvenuto alla morte di Cristo, aggiunge (Znfi XXI, 112-4): Ter più oltre cinque ore che quest’otta, Milledugento con sessantasei Anni compiè, che qui la via fu rotta. Soltanto assai probabilmente il Boccaccio doveva leggere il secondo verso della terzina così: Mille) dugent'uno con sessantasei, secondo leg- gono codici non pochi, nè dei meno autorevoli (3). Sui dati cronologici relativi alla morte di Gesù Cristo secondo le opi- nioni del medio evo e secondo Dante, ha ragionato distesamente e con acume l’ Angelitti (4), alle cui ipotesi diverse, allo scopo di precisare (1) V. A. SoLeRrtI, in Giorn. dant., a. VI, n. s. INI, q. VII, p. 290. (2) V. Comento, vol. I, pp. 104-5. (3) Cfr. Commedia di D. A. col commento di I. peLLA LANA, edito dallo Scara- belli, Bologna 1866 e Ep. Moore, Time refences in the D. C., London, 1887, trad. da C. CHIARINI, Firenze, 1900, pp. 51 sgg. (4) V. Sulla data del viaggio, 15 sgg. e Sull’anno della Visione, 11 sgg. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 23 l’anno del viaggio, poco felici e valide obiezioni si son fatte, specie dal Marzi (1). Ma poichè, come ha notato l’Angelitti stesso, nel surriferito luogo del l'Inferno « appare..... manifesta l'intenzione del Poeta di far sapere con precisione l’anno, il mese, il giorno ed anche l'ora del colloquio con Ma- lacoda » (2); e poichè accettando luna o l’altra lezione del verso 115 del canto NXI dell’ /2ferzo, si può essere o pel 1300 o pel 1501, crediamo opportuno far osservare quanto peso abbia sul riguardo l'accennata con- tradizione del Boccaccio. Infatti mentre essa contrassegna d’incoerenza e di dubbio sin dal suo apparire la data del 1500, nello stesso tempo porge argomento a riguardar meno ostilmente quella del 15301, sol che si pensi che questa risulta spontanea dal semplice rapporto dell’anno 54 dell’éra volgare, stile comune, in cui, secondo Dante, « il nostro Salva- tore Cristo volle morire nel trentaquattresimo anno della sua etade » (Cone. IV, 25), col tempo indicato da Malacoda secondo la lezione M#2 (7e) dugent uno con sessantasei, la quale, pel fatto d’ essere stata, quasi con certezza, l’unica presente al Boccaccio, il più fervido tra’ primi lettori e ammiratori e interpreti di Dante morto di recente, ci dà tutta l’appa- renza della forma genuina ed integra, non ancora manomessa dai copisti. Ma sia stato il bisogno di acconciare il verso e l’ accento, o il desi- derio di evitare nella pronunzia il troncamento della parola mile o altro che abbia consigliato la soppressione dell’«20, dovuto frapporre dal Poeta, a ogni modo la lezione, Mille dugento con sessantasei prevalse, forse per- chè per essa si andava proprio al 1300, a favore del quale già altre idee, altre ipotesi militavano. Fra l’altro si trovò notevole la coincidenza nel tempo dell’ azione della Commedia col concepimento della Cronaca del Villani (3); parve naturale riportare all’epoca stessa della remissione dei peccati fatta da Bonifazio VII, «il concetto di salvazione, la via che conduce l’anima dal male al bene, dall’errore al vero, dall’anarchia alla legge, dal molteplice all’uno» (4): la redenzione politico-morale del genere umano, tentata da Dante. Ora ammettiamo che il « fervore devoto », il quale in Dante -« come in tutti i credenti del medio evo suscitava o risuscitava più ardente il (1) V. in Bud. della Soc. dant. itat., vol. V, tasc. 6-7. (2) V. Sulla data della Visione, p. 16. (3) V. Specialmente L. SerteMBRINI: Lezioni di lett. ital., Napoli, 1875, vol. 1,213; T. Paur: Ueder die Quellen zur Lebensgeschichte Dante’s, Gorlitz, 1862; e IMBRIANI, Op. cit., pp. 94-5 e n, 1. (4) De SanctIs: Storia d. lett. ital., Napoli, 1879, I, 184. 24 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI gran giubileo cristiano », lo avesse scosso e fattogli presentire di avere smarrita la diritta via (1),in quell’anno medesimo, in cui nell’animo di Giovanni Villani, in Roma, sorse il disegno di scrivere le Istorie fioren- tine (2). Ma se con ciò abbiamo intuito la causa prossima e determinante dell’allegoria dantesca, non abbiamo certo precisato il tempo, in cui essa si finse svolta. Nella Commedia l’anno del giubileo è indicato come un tempo lontano (Inf. XVII, 28-33): Come i Roman, per l’esercito molto, L’anno del Giubbileo, su per lo ponte Hanno a passar la gente modo tolto : Che da l’un lato tutti hanno la fronte Verso il castello, e vanno a Santo Pietro; Da l’altra sponda vanno verso il monte. Qui i due presenti lanzo e vanno, in dipendenza logica del passato hanno tolto, che li precede, debbono anch'essi interpretarsi come passati, stando per avean ed andavan, sonanti male, oppure che quell’ uso del passare sul ponte sia rimasto anche dopo, secondo ritenne il Tommaseo; qui è un paragone che sovviene al Poeta e nulla ha da fare col mo- mento, in cui egli è nella prima bolgia. L'altra interpretazione, per la quale le parole l’anno del Giubbileo, verrebbero a suonare quest'anno del Giubbileo, sa di molto artificioso e, come ha osservato l’Angelitti, « con- fonde la data della visione con quella della narrazione» (8). Ed anche nell’episodio di Casella il giubileo ha sembianza di cosa tra- scorsa. Scartiamo anzitutto la ipotesi dello Zingarelli che ivi «i versi Veramente da tre mesi.... ecc., stieno come in parentesi, e che dopo di essi le parole: ond’io che er'ora alla marina volto non si rattacchino con questi direttamente, ma coi precedenti così: Non mi è stata fatta nes- suna soperchieria, se l’angelo, che fa quel che gli piace, mi ha respinto più volte...., per la qual cosa (= onde) ora che gli è piaciuto...., mentre io era. sempre fermo al porto, mi ha preso nella barca» (4). Invece è ap- punto in quei versi: Veramente da tre mesi.... ecc. che trovano piena e conveniente risposta le parole di Dante:.... ma a te come tant'ora è tolta?; (1) Cfr. G. CarpuccI: Delle rime di D. in Opere, Bologna, 1898, vol. VIII, p. 120; Kraus, Op. cit., p. 490 e VaccaLLUZZO, Op. cit., p. 23. (2) Cfr. sul proposito IMBRIANI, Op. cît., pp. 65 sgg. (3) Cfr. AnceLirTI : Sulla data del viaggio, p. 43; La D. C. di D. A. con ragiona- menti e note di N. Tommaso , Milano, 1865, vol. I: SoLertI, in Giorn. dant. già cit., p. 901. (4) V. in Rass. crit., II, 215. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 25 e ad essi si rapporta manifestamente l'ozde con quel ehe segue, come a completarne e specificarne il senso. Non in virtù d’um incondizionato voler dell'angelo Casella berignamente fu da lui ricolto, ma perchè egli aveva cercato salute nel grembo della Chiesa; onde il suo volgere «la marina, dove l'acqua del Tevere s'insala, dove si ricoglie qual verso d' Acheronte non si cala (1). Ma gli fu negato il passaggio più volte, senza che per questo gli ve- nisse /atto oltraggio. Come? Era giusto volere, essendochè erano soli tre mesi che l'Angelo avea potuto togliere quanti, compreso Casella, aveva- no voluto entrar con tutta pace. E qui V allusione ai beneficî giubilari è evidente: la grazia divina ha coronato il perdono già dato dalla Chiesa. Ora se questa, per l’indulgenza, prescriveva 15 giorni di visite pei fo- restieri, 30 giorni pei Romani (2); «se nella bolla del giubileo non si fa alcun cenno d’ indulgenza a pro dei defunti, nè di opere che la chiesa dovesse compiere a questo scopo, e nessun cenno ne è fatto negli A7- males ecclesiastici di Raynald » (5); non appar chiaro ehe la morte di Ca- sella, nè prima del natale del 1299 può andare riferita, nè può ritenersi col Sorio (4) avvenuta pur nei primi 15 giorni dell'apertura del giubi- leo, chè non s’intenderebbe affatto il negar dell'angelo più volte /l pas saggio? E non pare invece più calzante la ipotesi dell’Angelitti, ehe Ca- sella, andato al giubileo per l’'indulgenza, fosse morto dr via, vel in Urbe, numero tarato nondum decurso e gli giovasse poi la «Summa gratia non bullata, quam dominus Bonifacius Papa VIII concessit peregrinis in die natalis Domini, fine videlicet centesimi, qui fuit millesimus trecentesi- mus » ? (5). Facciamo bene attenzione alle parole: Veramente da tre me- Si... ece.j c'è quasi manifesta l’allusione a qualche cosa di particolare, non forse noto a tutti e perciò tale da dar modo che venisse al Poeta annunziato con lieve sottinteso. Mentre se accennassero veramente al gran giubileo e all’epoca di esso, parrebbero superflue, anzi una stona- tura con la conoscenza che di quel fatto doveva allora presupporsi in chiunque. Per l’Angelitti stesso resta la difficoltà, come mai Casella non profittasse fin dal primo momento della condiscendenza dell’angelo, non essendo possibile, secondo ha osservato la Bice Agnoletti, che la navi- (1) Purg. II, 100-5. (2) V. RavwxaLb: Annales ecclesiastici, t. IV, 284 s (3) V. AnGELITTI : Sull’unno della Visione, p. dI. (4) Cfr. Lettere dantesche a F. Longhena nella Coll. di opuse. dunt. del PASSERINI, o'o DI n. 36; e SoLERTI, in Giorn. dant. già cit., p. 302. (5) Cfr. RavnaLD, Ann. ecel., t. IV, p. 287; e AnceuttI: Sull’anno...., p. 32. 26 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI gazione durasse per ogni viaggio tre mesi (1). Ma tale difficoltà non si trova pure con la interpretazione comune ? Intanto, badiamo, par dica qualche cosa sul riguardo il verso: Se quei che leva e quando e cui gli piace, specie se ravvicinato più direttamente con gli altri due: Vera mente da tre mesi egli ha tolto Chi ha voluto entrar con tutta pace, rife- rendo il da al tempo, dal quale 1’ angelo potè imbarcare quanti si tro- vassero nelle condizioni di Casella, e spiegando ha tolto con ha incomin- ciato a togliere. Per cui i tre mesi determinerebbero, si, quella data epoca, dalla quale, al momento col suo incontro con Dante, Casella si trovò in condizione di essere imbarcato, ma non il quando l'imbarco fu fatto. Del resto non giova andar molto per lo sottile e con rigore matematico in argomenti, i quali per tutta un’indeterminatezza poetica, che li ri- veste, sfuggono ad ogni tentativo di stabilire i loro limiti vaghi, mal definiti. A sostegno poi di tutto codesto, c'è inoltre che nel « Purgatorio non si ha mai alcun indizio di grazie speciali che si ricevessero in quell’anno », che «al giubileo » — fuorchè nei due luoghi esaminati — «non si ac- cenna mai, nè esplicitamente, nè in maniera sottintesa; anzi le anime purganti sollecitano le preghiere dai cuori che vivono in grazia, le sole, che siano ad esse vantaggiose » (2). E v’ha di più. Considerati nella loro essenza vera, due mondi diversi, o meglio, due aspetti dello stesso mondo rappresentano il giubileo di Bonifazio e la Commedia di Dante: quello, il vecchio mondo cristiano, che faceva capo alla Chiesa, questa, lo stesso mondo cristiano ma rinnovellato, umaniz- zato, che facesse capo all’ Impero. Naturale quindi che segnassero due età diverse : l’una compendiata e chiusa, sotto la parvenza d’un perdono cristianamente universale, nella mostra solenne di tutta una possanza ponteficia; l’altra appena inaugurata nell’auspicio di una vera redenzione dell’uomo e della società. Più naturale ancora che l’azione della Commedia, la quale mirava ad aprire tutto un avvenire, non coincidesse nel tempo con l’opera del giubileo, che si era rivolto più direttamente a un passato; ma l’una se- guisse all’altra, come «la costituzione stabile delle nazioni e massime d’Italia in quella unità civile e imperiale, che rendeva imagine dell’unità del regno di Dio », doveva seguire, secondo Dante, a tutto un guelfismo, « che allora era la Chiesa, fatta meretrice del re di Francia...., divenuta pietra di scandalo e aizzatrice di tutte le discordie civili » e, « come (1) Cfr. Angprroni: Sullanno della Visione, p. 33. (2) Ivi, p. 33. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 27 potere e interesse temporale », sola « radice e causa della corruzione del secolo » (1). E ciò volle significare, seguito da altri, il Fraticelli, trovando una nuova ragione, in sostegno della data 25 marzo 1300, nel fatto che quel giorno pei Fiorentini e per la Chiesa, che cominciavano | anno ab Lr carnatione, era il primo giorno del nuovo secolo, che avrebbe portata la rigenerazione morale delle genti, alla stessa guisa che in quel giorno incominciava la rigenerazione del Poeta (2). Sennonchè l’idea preconcetta portò l'illustre dantista ad un errore di computo; il primo giorno del nuovo secolo pei fiorentini e per la Chiesa sarebbe stato il 25 marzo 1301, secondo ha dimostrato l’Angelitti (3). Ora se aggiungiamo la necessità di accordare il Poema con la Pasqua e coi molti misteri che hanno rapporto con essa, e il fatto che solo am- mettendo cominciasse il 25 marzo 1501, stile comune, il Viaggio, « senza bisogno di spostamento di data, viene spontaneamente ad essere collo- cato nella settimana santa » (4); se aggiungiamo che, come codesta data è « l'anniversario, in anni giuliani, della morte di Cristo, secondo L’opi- nione più diftusa nel medio evo e riconosciuta dalla Chiesa », nello stesso tempo «è la sola che risponda pienamente a tutte le indicazioni seien- tifiche date nel Poema», accordandosi «rigorosamente col plenilunio astronomico e con le posizioni del Sole », e corrispondendo « alle indi- cazioni di Venere mattutina, di Saturno nel petto del Leone, di Marte nel segno del Leone » (5), abbiamo già troppo per escludere da ogni di- scussione la data del 1300. Si è obiettato : è pur vero che Dante abbia osservati i tatti astrono- mici cui accenna nel Poema, specie con l’intendimento che essi fossero di guida al lettore per la cronologia del Viaggio ? E ancora : poteva far ciò nel 1301, quando, come nel 1:00, « men che le cure, ma le turbo- lenze della vita attiva prepotevano nella città partita... e trascinavano volenti e nolenti la intera cittadinanza, non eccettuato lui, Dante Ali ghieri ? » (6). Valgano, sul proposito, le ragioni dell’Angelitti (7), per contradire le quali bisognerebbe supporre l’opera del caso nel fatto che, mediante un (1) Cfr. Dn Sancemis: Storia d. lett. ital., vol. I, p. 169. (2) SoLerni, in Giorn. dant. già cit., pp. 292-3. (3) V. Sulla data del viaggio, p. 5. (4) V. AnxerLitni: SuZl’anno d. Vis., pp. 25-6. (5) V. AnGeLITTI : Sulla data del viaggio, p. 98. (6) DeL LuxnGo : Dal secolo e dal Poema di Dante, Bologna, 1898, pp. 175-6. (7) Cfr. Sulla data del Viaggio, pp. 2 e 95-9. 28 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI esame rigorosamente scientifico, « non già un astro o l’altro si trova più o meno prossimo al punto indicato da Dante, ma tutti convengono ma- ravigliosamente al tempo indicato nella settimana santa dal 25 marzo al 2 aprile 1301, durante la quale si dovrebbe compiere il mistico viag- gio » (1). Onde osserviamo col Solerti :... « non sarebbe ragionevole pensare che quando il viaggio lungamente meditato cominciò a concretarsi, non cer- casse » Dante, « con l’aiuto dei calendari e col calcolo, le posizioni astro- nomiche che doveano adornare e determinare il Poema sacro ? » (2). Il De Sanctis notò : « Se come filosofo e letterato, involto nelle forme e nei concetti dell’età » Dante « volea costruire un mondo etico o scien- tifico in forma allegorica, come entra in quel mondo... trova una realtà piena di vita, trova sè stesso ». E prima: « Non è Omero, contemplante sereno e impersonale; è lui in tutta la sua personalità, vero microcosmo, centro vivente di tutto quel mondo, di cui era insieme l’ apostolo e la vittima » (3). Nella sua Commedia, con la « catastrofe italiana » c'è la sua catastrofe, le sue opinioni contradette, la sua vita infranta nel fiore del- l’età.... i suoi sentimenti di uomo e di cittadino » offesi (4). Chi ben vi bada, nel primo canto dell’/nferzo vede rispecchiarsi tutto lo stato morale e politico di Dante, le condizioni di Firenze e d'Italia, quali furono nel 1501. Il Poeta si ritrova per una selva oscura, giunge al pie di un colle e ne tenta la salita, nell’ epoca stessa in cui, a brevi intervalli, con un succedersi immediato, prima ad impedirgli il cammino è la lonza, che però gli è cagione a bene sperar, quindi il leone, il quale soltanto gli dà paura, e nel medesimo istante, quasi congiunta a quest'ultimo, la /upa, che gli leva la speranza dell'altezza. Ivi è Dante, il quale, cosciente più che prima dei vizi, degli odi prevalenti, non vede più salvezza per lui, per l’Italia tutta, quando ai Guelfi Neri — nemici suoi e di Firenze non però invincibili, pur illudendosi ancora il partito Bianco — Francia e Chiesa, congiunte in adulterio, danno la mano e d’accordo minacciano vendette. Il lugubre dramma si svolse per tutto il 1301, l’anno in cui il Poeta dovette per sempre abbandonare la patria, in cui tolta — se anche per lui fu tale — la nebbia che li avvolgeva nel dubbio, egli poté vedere più manifesti cause ed effetti, colpe e pericoli. (1) V. SoLerti, in Giorn. dant. già cit., p. 294. (2) Zvî, p. 309. 3) V. Stor. d. lett. ital., vol. I, p. 170. 4) Cfr. Ds Sanctis : Storia d. lett. ital., vol. I, p. 170. L'ANNO DELLA NASCIVA DI DANTE ALLIGHIERI 39 E il rimedio ? TATO tutti argomenti Alla salute.... eran già cortì Fnor che mostrar..... le perdute genti (1). Caduta l'umanità, per il peccato d'origine, in servitù dei sensi, fu ne- cessaria una redenzione soprannaturale ; adesso, per salire i dilettoso monte Uh'è principio e cagion di tutta gioia, ecco dunque il Deus er ma- china, Vaiuto soprannaturale: Vergilio, ragione e amore, Beatrice, fede e grazia (2). + Il Viaggio incomincia dal momento in cui Vergilio, mandato da Bea- trice, trova il Poeta, mentre che rovinava in basso loco (3), respinto dalla lupa: dal momento in cui la lupa—la Chiesa—ammogliata al Leone — la Francia —a Dante cristiano e fiorentino, partigiano Bianco e italiano, ha fatto tremar le vene e i polsi (4). Il Viaggio incomincia quando, ri- mosso dalla vita attiva — il che fu nello stesso anno 1501 —il Poeta potè volgere la mente, l’animo suo alla vita contemplativa, ed alla sua società sviata dall’anarchia e dalla discordia, dall’ignoranza e dall’erro- re, non potè dire se non: « Volete salvarvi ?.... venite appresso a me nell’altro mondo: ivi impareremo dalla bocca dei morti la scienza della salvazione » (5). i Intendendo così, vieppiù si spiega «la dissonanza del concetto fonda- mentale del Poema dalla effettiva realtà della vita del Poeta», volendo stare pel 1300, rilevata dal Del Lungo (6) ed invocata dall’Angelitti (7). Né basta. Per comune consenso dei sostenitori e degli oppositori, col 1500 non convengono il disbramarsi la decenne sete di Dante nel tener gli occhi fissi ed attenti a Beatrice (8), morta, come abbiamo visto, nel giugno del 1291 (9), e i cinguanni non son volti insino a qui di Forese, da quel dì nel qual mutò mondo a miglior vita, cioè dal 28 luglio 1296, secondo (1) Purg. XXX, 136-8. (2) Ctr. De Sanctis: Sor. d. lett. ital., vol. I, p. 160. (3) Inf. I, 61. (4) Ivi, 90. (5) Cfr. De Sancmis: Stor. d. lett. ital., vol. I, p. 165. (6) V. Dal secolo e dal Poema di Dante, p. 549. (1) V. Sull’anno della Visione, p. 39. (8) Purg. XXXII, 1-2. (9) Cfr. AnGeELITrI : Sulla d. del viaggio, di 3 ; SorertI, in Giorn. dant. già cit., pp. 305 sgg.: e D'Ovipio, in Pass. erif., II, 207. o uu 30 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI trovò il Del Lungo nel registro di S. Reparata (1), favorevoli invece gli uni e l’altro al 1301; non conviene il lamento di Nino Visconti, guelfo, pel tramutamento delle bianche bende di vedova nel velo di novella sposa di Galeazzo Visconti, ghibellino, già compiuto da Beatrice d’ Este, sua moglie, il 24 giugno 1300 (2); argomento riconosciuto formidabile a pro del 1301 dal D’Ovidio, decisivo dal Solerti, formidabilissimo e decisivissimo dal De Chiara, dopo la nuova prova offerta dall’ Angelitti contro un'o- biezione del Marzi (3). i Mettiamo da parte tutte le profezie, che coi loro contorni cronologici un po’ sfumati hanno di lor natura stessa una certa indeterminatezza, che permette di piegarle alle più varie interpretazioni di date (4); come anche i nove anni di Cane della Scala, da non invocarsi nè pel 1300 nè pel 1501, «fino a tanto che non si abbiano documenti più positivi sulla data della sua nascita » (5). Restano l’episodio di Cavalcante e il centesin’anno di Cunizza pel 1300. Sennonchè in quanto al primo, se dalle osservazioni in proposito del D'Ovidio (6), specialmente, e del Solerti (7) non una certezza ma un dubbio manifesto si ha per ammettere ancor vivo Guido al tempo della Visione, leggendo invece i versi di Dante (8) si è portati a riconoscere vera, irrefutabile la interpretazione datane dall’ Angelitti (9); cioè, la morte (1) Cfr. Purg. NXIII, 76-5; AnGELISTI: Swl’anno...., 38, e in Rass. crit., II, 198-9; D'OvipIo in Russ. erit. II 195 sgg.; SoLERTI, in Giorn. Dant. già cit., 304 sgg.; DE CHIARA, in Giorn. dant. già cit., 566; e DeL LunGo: Dino Compagni e la sua Cro- nica, I, 611, 619-20. (2) Cfr. Purg. VIII, (3-5; ANGELITTI : Sullanno..., 29 sg&.; D'OvipbIo, in Rass. crit., 206; SoLERTI, in Giorn. dant. cit., 303 sgg.; Dr Chiara, in Giorn. dant. cit., 566, (3) Il MARZI osservò che seguendo l’anno pisano, poichè Nino era di Pisa, il ma- trimonio sarebbe avvenuto nel 1299, nel quale anno lo pone il cronista GALVANO FIAMMA, che fu presente all’avvenimento (in Bu. d. Soc. dant., V, fasc. 6-1).—L'Ax- GELITTI invece, sulla testimonianza del GiuLINI (Memorie spettanti al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano, IV, 801-3) provò che se il 3 luglio, in cui Beatrice d’Este entrò in Milano, cadde di domenica, bisogna riferirci al 1300, stile comune, mentre il 3 luglio 1299, stile comune, cadde di venerdì (V. Su/?a2mo0.... p. 50). Ad una nuova obiezione poi del Marzi (in Bu. N. S. V. 1), l’AnGELITTI rispose più tardi, adducendo altre e più valide prove a sostegno della sua opinione. (Cfr. In- torno ad alcuni schiarimenti sull’ Anno d. Vis. dant., Palermo, 1899, pp. 13 sgg.) (4) Cfr. De CHIARA, in Giorn. dant. cit., 565; e D’OvIpIo, in Pass. cit., 204. (5) Cfr, AnGeLITTI : Sull’anno..., 35-6; e De CHIARA, in'Giorn. dant. cit., 565, (6) V. in Russ. crit. cit., 194, 204-5. (7) V. in Giorn. dant. cit., 300-1. (8) Inf. X, 52-72 e 94114. (9), V. in Rass. crit., IL, 204. L'ANNO DELLA NASCIDA DI DANTE ALLIGHIERI 3I di Guido prima di allora, lo strazio giustificato del padre di lui nell’ap- prenderla, la pietosa menzogna del Poeta /atto di sua colpa compunto. Visto Dante senza la compagnia di Guido, Cavalcante dei Cavalcanti Piangendo disse: Se per questo cieco Carcere vai per altezza d’ingegno, Mio figlio ov'è, e perchè non è teco ? E Dante a lui: io Da me stesso non vegno, Colui, che attende là, per qui mi mena, Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno. La risposta fu spontanea, piena; il Poeta aveva riconosciuto il padre del suo primo amico, e gli parlò con una certa mestizia, trovandosi però in uno stato di perfetta ingenuità. Ma Cavalcante, Di subito drizzato gridò: Come Dicesti: egli ebbe ? non viv’egli ancora ? Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome ? Il misero padre di tutta la risposta di Dante non rilevò se non l’ebbe, che lo aveva colpito più direttamente, perchè si riferi ya all’ esistenza del figlio suo. L’ebbe annunziava la morte di Guido, e. appunto questa morte Dante volle far risaltare. Cavalcante, Quando s'accorse d’alcuna dimora Ch'io faceva dinanzi alla risposta, Supin ricadde, e più non parve fuora. Se (uido non era veramente morto, perchè Dante non doveva aftret- tarsi a levar di pena il padre, con la stessa ingenuità e spontaneità, con cui glielo aveva messo? Ammettiamo che «quel punto della chia- roveggenza limitata delle ombre, importava troppo a Dante perchè non dovesse cercare l’ occasione di darvi un rilievo solenne »; ammettiamo ancora «che la reticenza di Dante e il suo distrarsi per correr dietro a un problema d’ indole generale.... ha nel Poema.... molteplici riscon- tri» (1). Ma se Dante, prima che Farinata gli sciogliesse l’ errore, non sapeva — o finse — che i dannati sconoscessero il presente, perchè dun- que avrebbe detto ebbe, che, ammesso Guido ancor vivo, non verrebbe giustificato in nessun altro modo—là, in quel punto e in quel momen- to— seguendo la esplicita dichiarazione che è nei versi : Le sue parole e il modo della pena M'’avevan di costui già letto il nome : Però fu la risposta così piena ? (1) V. D'Ovipro, in Mass. erif., IT, 204. 32 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI Dopo la notizia data da Farinata, così il Poeta : Allor, come di mia colpa compunto, Dissi : Or direte dunque a quel caduto Che il suo nato è coi vivi ancor congiunto. Quale la colpa in cui si ritenne Dante ?; quella d’ aver fatto alcuna dimora dinanzi alla risposta da dare alle domande sempre più incalzan- tisi di Cavalcante, o l’ altra di avergli annunziata improvvisamente la morte del figlio ? ) Certo più questa che la prima, e lo prova il caduto, che mentre dà la piena imagine dell'immenso dolore del padre, nello stesso tempo tra- disce il rimorso del Poeta d’aver suscitato quel dolore. Dante non ve- deva più il padre in Cavalcante, ma un caduto sotto il peso d’un’ango- scia inesprimibile per colpa sua, e ne era pentito e voleva riparare. E s’io fui dianzi alla risposta muto, Fat’ei saper che il fei, perchè pensava Già ne l’error che m’avete soluto (1). Chi non vede qui un pretesto vero e proprio, cercato di proposito per rendere plausibile la pietosa notizia mandata al caduto per confortarlo? E non vi è manifesto lo stento di accattare ragioni, solo che ricordiamo la perfetta sincerità del Poeta mentre parlava a Cavalcante? Poi —ba- diamo — Dante nulla aggiunse che giustificasse l'ebbe; onde esso rimane sempre li, quale precisa e ferma espressione sia d’un’involontaria ma ingenua imprudenza del Poeta, sia d’un fatto reale: la morte di Guido. Si è obiettato: « Dante avrebbe evitato d’incontrare il primo dei suoi amici, egli che ha voluto incontrar Forese 2» (2). Ma, domandiamo noi, per escludere il fatto che Dante, avendolo po- tuto, evitò d’incontrarlo, si hanno o si possono oggi escogitare ragioni di sorta, che mancano a un tempo per comprovarlo ? Ricordiamo sol (1) Riferendosi a questi versi, PAUL PocHHAMMER, in un suo scritto Zum Dante- JSubil'ium vom 25 Mtirz 1901 in Beilage zur Allgemeinen Zeitung (Minchen, 25 Mirz, Nummer 69, 1-3) ha osservato che in nessun modo tornano qui i rapporti, nei quali Dante più tardi, nel XXXIII dell’Inf., inganna realmente frate Alberico e che qui è un’espressione, la quale, senza esser falsa, può ad un morto far credere qualcosa di falso, cioè che Guido viva ancora. Ed ha aggiunto : «In realtà Dante non ha detto ciò, ma soltanto che Guido è coi vivi ancor congiunto, il che a più di una in- terpretazione si presta. La migliore sarebbe : Egli vive la vita (dell’immortalità), per la negazione della quale voi (Cavalcante e Farinata) qui siete; egli ha vita intorno a sè anche là dove ora è.... Gloria, amicizia, amore si offrono per dare all’ espres- sione del poeta un chiaro senso », (2) SorertI, in Giorn. dant. già cit., p. 301. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 535 tanto «che per suo consiglio Guido fu mandato in bando», e «che se potè tarlo rivenire a Firenze, tu troppo tardi, perchè morì pochi giorni dopo della malattia contratta nell’esilio » (1). Notiamo che se quegli cui Dante chiamava primo dei suoi amici (2) —0 forse pel suo animo offeso o chi sa per che altro attinente alla sua particolare entità personale— non parve da aver loco in nessuno dei tre regni, nel caso che fosse già morto al tempo del Viaggio, nessuna meraviglia dovremmo noi averne, nessun torto darne al Poeta, quando questi all'amico ben altre lodi, e e in d’un’efficacia molto maggiore, tributò nella sua opera immortale quel determinato modo che forse gli fu soltanto possibile — per bocce: del padre di lui nella città di Dite (/2f. X) e di Oderisi nel Purgato- rio (XI, 97-8). In quanto poi al certesinz'azzo di Cunizza, mentre lo spavento, che esso ha fatto e fa sempre all’ Angelitti contro il 1501 (3), si attenua nell’ opinione del D'Ovidio, il quale « non lo riconosce come 1° Achille degli argomenti in favore del 1300», interpretandolo «come una locu- zione poetica latineggiante, che starebbe invece di secolo » (4); mentre a un tempo la ipotesi dell’Angelitti che Dante ivi « usasse lo stile pa- squale, ammesso in gran parte della Francia e in qualche regione d'Ita- lia, secondo il quale stile il 1300 durava sino al sabato santo del 1501 (1° aprile) » (5), intoppa nella osservazione dello Zingarelli : «...ma allora che pasticcio di date avremmo nel poema ? » (6); nondimeno esso a ben altra interpretazione si presta, e forse convincente. Folehetto di Marsiglia nei versi di Dante è glorificato precipuamente pei suoi meriti di « predicatore della fede », e più ancora per quelli di « estirpatore degli eretici » (7). E per ciò, secondo lo Zingarelli, che «Raab , congiunta all'ordine di Cunizza e di Folchetto perchè senti i raggi cocenti dell’astro di Venere, che scaldano è! folle @more,... è pre- sentata da Folchetto, perchè sentì come questi il caldo di un altro e più puro amore e contribuirono insieme quasi nello stesso modo alla dispersione dei nemici di Dio e al trionfo della santa milizia» (8). È (1) Cfr. De Sanoms: I Farinata di Dante in Nuovi saggi crit., Napoli, 1892, p. 41. (2) Cfr. ALLIGHIERI, Vita nova, $ II. (3) V. in ass. erit. IL, 199. (4) Cfr. Ance: Sull'’anno..., 33. (5) Cfr. ivi, 33-4; e ZixcareLLI, in /'ass. crit., IL, 215. (6) V. in Russ. crit., II, 215. (7) Cfr. N. ZixGareLLI : La personalità storica di Polchetto di Marsiglia nella Com- media di Dante, Napoli, 1897, in Giorn. stor. d. lett, it., XXX, 328. (8) ZixcareLLI : La personalità... ece., p. 3I. b) D4 L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI per ciò ancora che Cunizza, la quale « predice le sventure delle native contrade » (1), e parla « delle stragi sofferte dai Padovani, della ucci- sione di Rizzardo da Camino, delle crudeltà dell’empio pastore di Fel- tre » (2), insieme dice /uculenta e cara gioia del suo cielo Folchetto, cui Dante può «far dire che il Papa e i cardinali, per avarizia, per amore del fiorino d’oro, non seguono più l’Evargelio e i Dottor magni, ma solo i decretali » (5). E allora non par naturale ammettere che per Dante la grande: fama, lasciata da Folchetto nel mondo, fosse dovuta più che all’ arte sua di trovare, specialmente e quasi essenzialmente all’ opera sua religiosa, e fosse incominciata con la sua completa conversione alla fede ? Anche il Diez ha rilevato che per Folchetto la fama del religioso si sovrappose a quella del poeta d’amore, quasi oscurandola (4). Orbene la stanchezza del mondo, che portò Folehetto a prendere la tonaca cisterziense e ad indurre anche la moglie e i figli a chiudersi in convento, cominciata con la morte della contessa Azalais, crebbe con la morte dei migliori protettori del poeta, Raimondo V di Tolosa e Alfonso II, s'impose con la morte di Riccardo d’Imghilterra, nel 1199. Fatto l’anno del noviziato, evidentemente col 1201 dovette Folchetto iniziare la sua nuova vita di non comune attività monastica, se tosto potè esser nominato abate di Torronet, nella diocesi di Tolone, e nel 1205 vescovo di Tolosa (5). Ammesso codesto, chiaro appar dunque che il centesim’ anno di Cu- nizza (6), più che rispondere alla frase 22 quolibet anno centesimo della bolla, con la quale Bonifazio VIII promulgò il giubileo, stando invece di secolo, indichi piuttosto lo spazio dei cento anni decorsi dal 1201, anno della monacazione di Folchetto, al 1301, anno della Visione (1). 1) Scarrazzini: Comento alla D. C., II, 223, nota. 2) BartoLI, Op. cit., vol. VI, p. 147. (3) Parad. IX, 130-8; BarroLI, Op. cit., vol. VI, P. II, p. 148. (4) F. Dirz: Leben und Werke der Troubadours, Leipzig, 1882, p. 205. 5) Cfr. Dirz, Op. cit., p. 205. 6) Così dice Cunizza a Dante, riferendosi a Folchetto (Parad. IX, 37-40) : Di questa luculenta e cara gioia Del nostro cielo, che più m’è propinqua, Grande fama rimase, e, pria che muoia, Questo centesim’anno ancor s’incinqua. (7) Cfr. Ansem: Sud'’anno..., pi 93. L'ANNO DELLA NASCITA DI DANTE ALLIGHIERI 35 Sicchè nulla più resta che possa far difendere il 1500, nulla che dia più campo, a discuterlo (1). Manifestamente da quanto consegue — per l'anno della nascita — dalla nuova data della Vis/ore, novella luce, e punto ipotetica, si riflette sulle testimonianze in proposito della Vitu mora e del Conririo ; queste con quella del primo verso della Commedia si completano , si rinforzano & vicenda; l’anno 1266, che ne risulta, assume già ogni parvenza di con- venevolezza e di verità. Soltanto resta da vedere se nel maggio di quell’anno, ammessa Vaft- fermazione sua riguardo al secondo esilio dei suoi n2499/0r/ nell'episodio di Farinata, Dante potè nascere in Firenze e aver battesimo in Sar Giovanni. Secondo il Villani, il trattato di pace, per cui il popolo fiorentino ri- mise i Guelfi e i Ghibellini in Firenze dopo la battaglia di Benevento, è del gennaio del 1267 (VII, 15). Ma il vero nemico di parte Guelfa, il conte Guido Novello, sin dal novembre del 1269 era stato costretto & tuggire coi suoi dalla città (VII, 14); nè basta. Lo stesso Villani scrive: « Come la novella fu in Firenze per la To- scana della sconfitta del re Manfredi, i Ghibellini e Tedeschi comincia- rono ad /inellire e ad aver paura in tutte parti, e Guelfi usciti di Firenze, ch’'erano ribelli e tali a’ confini per lo contado e in più parti, comin- ciarono a invigorire e prendere cuore e ardire. E facendosi presso alla città ordinarono dentro alla terra novità e mutazioni per trattati co’ (1) Si può vedere un intoppo nelle parole di Cacciaguida (Parad. XV, 92-3) secondo le quali Allighiero, bisavo di Dante, al tempo della Visione : RITH1I cent'anni e pie (tirato ha il Monte in la prima cornice, quando invece il detto Allighiero si trova come testimone in uno strumento del 12 agosto 1201. (V. Barbi, in BuZ/., N. S., II, p. 4). Ma è chiaro che in tal caso |’ in- toppo è maggiore pei sostenitori del 1300, che non per quelli del 1301, E poi, nelle DI) parole di Cacciaguida, se c'è quella franchezza di dire apparente e propria di una anima del Paradiso, che vede chiaro anche nel computo del tempo, c'è pure |’ in- certezza mal celata di Dante, e quel pixe messo lì, dubbioso e indeterminato, ne fa fede. Certo Dante pensava che il tempo trascorso dalla morte del bisavo era lungo, ma non potè calcolarlo con precisione sia per le ragioni messe innanzi dallo Zin- garelli (Dante, 21), sia pel suo trovarsi fuori di Firenze quando seriveva l' episodio di Cacciaguida. Chè se allora fosse stato in patria, avrebbe frugato anche lui nel- l'Archivio di stato fiorentino e, se non altro, avrebbe anche luiî avuto visione del su accennato strumento. 36 L'ANNO DELLA NASCIDA DI DANTE ALLIGHIERI loro amici dentro, che s’intendevano con loro, e vennero infino ne Servi di santa Maria a tenere consiglio...» (VII, 13). «Il popolo di Firenze, ch erano più Guelfi, che Ghibellini d'animo », tumultuò e « quelli che reggeano la città, a parte Ghibellina,.... avendo paura», per acconten- tarlo, « elessono due cavalieri frati godenti di Bologna per podestà di Firenze... e l'uno era tenuto a parte Guelfa, l’altro a parte Ghibellina ». E questi « ordinarono trentasei buoni uomini mercatanti e artefici dei maggiori e dei migliori, che fossero nella città, i quali dovessero consigliarli,... e di questo numero trentasei furono dei Guelfi e Ghibel- lini, popolani e grandi -non sospetti, ch’ erano rimasi in Firenze alla cacciata de’ Guelfi » (VII, 13). Com'è ovvio rilevare, il vero ostacolo pei fuorusciti Guelfi a rimpa- triare cessò con la battaglia di Benevento, nel. febbraio del 1266; il trattato del gennaio 1267 fu l’atto ufficiale che riguardava Guelfi e Ghi- bellini a un tempo, e il loro apparente e temporaneo rappacificarsi. Ma la paura del partito Ghibellino e lo spirito tutto guelfo del popolo tumul- tuante dentro la città, una certa sollecitudine di quello a non inasprire di più gli animi dei vincitori, e l’interesse dell’ altro di trovar forze maggiori contro il governo che lo aggravava di « spese e incarichi di- sordinati » (Vill. VII, 15); tutto favoriva il rimpatrio dei fuorusciti già fatti pieni di vigore e di ardire; tutto quindi porta a credere a un. ri- torno in Firenze di Allighiero, come chi sa di quanti altri, Guelfi, in- torno al maggio del 1266. Stabilito l’anno e il mese della nascita di Dante (1), resterebbe adesso da precisare anche il giorno. Sennonchè mancano gli elementi più ne- cessari per far codesto. Secondo calcoli astronomici esatti, sappiamo che nell’anno comune 1266, il sole entrò nel segno dei Gemelli il 14 maggio. Ma dai versi 112 -17 del XXII del Paradiso possiamo argomentare che Dante sia nato proprio nel giorno medesimo, nel quale in quel segno entrò Quegli ch' è padre d'ogni mortal vita ? Evitiamo le congetture. Ze (1) In quanto al mese, che tutti hanno ricavato dal noto luogo del Paradiso « XXII, 112-17), l’Angelitti ci ha forniti iseguenti risultati: « Nell’anno comune 1266,, giusto i calcoli eseguiti con le tavole di Le VeRRIER (Annali dell’'Osservatorio di Parigi, t. IV, sez. V e IV), il Sole entrò nel segno dei Gemelli, ossia raggiunse la longitu- dine di 60 gradi, il giorno 14 maggio a 7 ore a. m. di tempo medio civile di Pa- rigi, ed uscì dal segno stesso, ossia raggiunse la long. di 90 gradi, il giorno di giu- gno a 5 ore p. m. di tempo medio civile di Parigi » (in data 3 maggio 1900).. Î e» 4 j LAI _ COMMEMORAZIONI î) COMMEMORAZIONE VINCENZO ERRANTE LETTA dal Prof. LUIGI SAMPOLO nella tornata del 21 Novembre 1897 NIN (95 dec i FORL andino DA 108 rta % A IANIAINTATANIANTANTATANIATATATAITATATANIAIA STANTANZANNTASAIANA A 0, db. dò. 6), 6, 5 5: dd, do; A dd) do O CHOSTAOTOCNO NANO. NONNO. CIO.UNO LIO CIO. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE Sommario : Introduzione — I. Salotto del Marchese d’Albergo — II. Notizia intorno ai conjugi d’Albergo — III. Vincenzo Errante — IV. Incontro di lui con Michele Bertolami — V. Errante letterato e poeta civile — VI. Gita in Segesta con la signora Laura Galloni — VII. Conobbe Rosina Muzio Salvo — VIII.Il 1848 e parte che egli ebbe in quel movimento — IX. Giudizio di lui intorno Ruggiero Settimo e il Mar- chese Torrearsa — X. Ultima fase della rivoluzione — XI. Esilio volontario. Vive lavorando. Anela il ritorno — XII, Garibaldi e il movimento del 1860 — XIII. As- semblea o plebiscito ? — XIV. Al Consiglio Comunale, al Consiglio di Stato — XV. Deputato, Senatore — XVI. Idee letterarie di lui. Le due maniere — XVII. Nuovi versi. Le tragedie — XVIII. Errante e Mitehell — XIX. Washington — XX. Storia dell’ impero Osmano — XXI. In famiglia. Nel 1891 per decreto del nostro Municipio la salma di Vincenzo Er- rante fu trasportata da Roma in Palermo consenziente la famiglia, la quale staccandosi dalle ceneri paterne, trovò conforto al dolore nel re- verente tributo reso dalla città natale al venerato suo capo. Il Consiglio Comunale, nella tornata del 4 corrente mese, dopo uno splendido discorso dell'Avv. Giovanni Lucifora, cui fe’ eco con la sua autorevole parola il Senatore Armò, deliberava il seppellimento nel tem- pio di S. Domenico delle salme di Vincenzo Errante e Francesco Perez. Il Consiglio ha reso il debito tributo a due letterati che onorarono la patria nostra. Entrambi furono socî della nostra Accademia. L’Errante vi fisurava 4 CCMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE nel 1845, segretario della classe di lettere, essendone direttore Gaetano Daita; non apparve più fra i soci dopo il 1850. Esule volontario, ebbe pure, come altri, la proscrizione dalla nostra Ae- cademia; ma, caduti i Borboni, i reggitori del sodalizio avrebbero dovuto ricollocarlo nello Albo. Egli, benchè non apparisse, era pur sempre socio ed onorò finchè visse l’Istituto nostro. Se il Consiglio Comunale gli decretò il massimo onore, ben conviene che di lui in questo nobile Consesso si dicano le lodi. Favellando di Vincenzo Errante si rievocano le memorie del rivolgi- mento del 1848, il cui cinquantennio ricade nel nuovo anno; si rievo- cano le memorie dell’altro più importante del 1860 che diè compimento all’unità della patria nostra. I. In Palermo, verso il 1840, c'era una vigorosa generazione di letterati che frequentavano il salotto del marchese Corradino d’Albergo e della sua consorte Sofia d’ Hasberg, e scrivevano in varî giornali e specie nella £uota. Si adunavano a sollazzarsi onestamente, con gite in cam- pagna, cene e conviti, e ragionavano di materie letterarie, morali e po- litiche (1). Erano i fratelli Benedetto e Giovan Battista Castiglia, Francesco Pe- rez, Vincenzo Errante, Michele Bertolami, Giuseppe La Masa, Antonino d’Onufrio, Rosina Muzio Salvo e altri valentuomini; più tardi si aggiunse Vito Pappalardo da Castelvetrano. II. Corradino d’Albergo, marchese della Cimarra, nacque in Palazzolo Acreide il 22 giugno 1780 e mori in Firenze il 10 dicembre 1856. Scudiere di re Ferdinando I, dimorò parecchio tempo in Napoli; quivi pubblicò nel 1820 alcuni versi pei quali fu rimosso dall'ufficio. Riam- messo al servizio della Corte, come cavallerizzo maggiore, fu ammonito di non scrivere più poesie. Ringraziò il re con i seguenti versi : O mio re che imperi e leggi Nel più chiuso del mio petto, Che mi chiedi ? che prometto ? Tanta forza in cor non ho. Che un zerbin non più vaneggi, Nè sospiri un fido amante, Che una donna sia costante, Ed allor ti ubbidirò. (1) La casa dei Sigg. d’Albergo era sita nella discesa del Palazzo Reale. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE o) Finehè il sol mi scalda e splende, Finchè il prato ha piante e fiori, E le cose avran colori, Versi, o Sire, a te dirò, Ma se il foco che mi accende Pato rio vuol che a te spiaccia, Nuovamente mi discaccia, Andrò lungi, e canterò, Rise il vecchio sovrano, e confermò il perdono! (1) Pubblicò nel 1824 un poema La Spagna liberata (2) ossia La spedizione francese del 1823 comandata dal Duca di Angoulème per intervenire in Spagna a sostenere sul vacillante trono Ferdinando ITI, tema che potè pro- curargli le lodi di Federico Guglielmo di Prussia, e di Papa Leone XII, (3) ma non già quelle de’ liberali che in quell’ intervento videro il trionfo dell’assolutismo. Il poema non destò alcun rumore (4). La marchesa Sofia d’Hasperg era coltissima nella letteratura tedesca ed anche nella italiana, e nella nostra favella piacevasi a far versi. Amava molto la musica e si deliziava a cantare. Il d’Albergo, tornato in Palermo e fermatavi stanza, fu circondato da giovani liberali e letterati, nonostante il suo parteggiare per 1’ assolu- tismo. I due coniugi erano squisitamente cortesi verso i loro amici. II. Fra quei giovani uno, tutto raccolto nelle proprie contemplazioni, sembrava poco o nulla curare i pensieri della terra, e gli avresti ravvisato sulla persona e le vesti certo che di negletto, e in ispecie davano nel (1) Di lui fra altri versi si leggono: 74 nome di Gesù. Napoli 1829, Tip. Palma. Il salmo XXI di David; Deus, Deus meus suspice în me, recitato in Napoli a 5 aprile 1825 in una tornata accademica in casa del principe di Campofranco e pub- blicato dalla tipografia della Guerra nel 1826. Sulla passione di Gesù Cristo, versi recitati all'Accademia Pontaniana e inseriti nei Fiorì poetici, v. 3, p. 20. Napoli 1824 per Tip. Marotta e Vanspandoch. I simboli della redenzione nei Fiori poetici, vol. 3, p. 25. Napoli, Marotta e Vanspan- doch. (2) La Spagna liberata, poema del marchese C. d'Albergo da Palazzolo in Sicilia, Cavallerizzo di Campo di S. M. il Re del regno delle due Sicilie, Napoli coi torchi di Luigi Nobile, 1824. (3) Vedi La Spagna liberata. Nella dedica del secondo Canto al Cav. G. Battista Vecchioni. (4) Il Narbone non ricorda nella sua bibliografia il nome di Corradino d’Albergo. 6 COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE l'occhio a chi prima guardavalo due grandi ciocche incolte, che da cia- scuna tempia gli scendevano sopra le gote. dra questi Vincenzo Errante, figlio a Celidonio dei baroni di Avanella e a Rosa Vizzini. Il padre era dotto nel greco e nelle istorie antiche : tradusse la tavola di Cebete, raccolse e voltò in italiano i frammenti di Dicearco da Messina ; lesse parecchi importanti lavori nella nostra Ac- cademia nel periodo dal 1826 al 1832. Intrapresa la carriera della ma- gistratura, visse povero ed onorato. Il figlio Vincenzo studiò presso i Gesuiti, si applicò alle discipline giu- ridiche; fatto il tirocinio presso l'avvocato Pasquale Calvi, esercitò Vav- vocheria, specie nel foro penale. Fu amministratore giudiziario dei beni del principe di Camporeale e ne trasse tanto da campare diseretamente la vita. L'esempio del padre, letterato e giurista, fu nobile sprone all’ animo suo, disposto da natura allo studio del bello e del vero. IV. Nel 1835 egli leggeva e meditava le vite di Plutarco nella Biblioteca Comunale. Quivi incontrò per la prima volta Michele Bertolami da. No- vara, lo rivide poi in casa dei. fratelli Castiglia, e a lui si strinse di santa amicizia. Entrambi poeti, entrambi di animo nobilissimo, si ama- rono come tratelli. «A prima vista — scriveva lo stesso Errante — v'era poco di comune fra me e lui: sicchè molti si meravigliavano di un accordo così perfetto fra due indoli apparentemente diverse. Eppure i nostri giudizii politici, letterarî e morali, procedevano perfettamente d’accordo. « Entrambi amanti della libertà, nemici della licenza, ammiratori di grandi uomini per la virtù loro, aborrenti dagli ipocriti di ogni risma e colore e più dai demagoghi che disonorano e rendono detestabile il santo nome della libertà (1). A lui suo fratello di elezione dedicò nel 1840 la novella Al Z'ebelen. V. Letterato e poeta fu l’Errante del bel numero di quella nobile gene- razione che si elevò per altezza d’ingegno e per sodezza di studii in Si- cilia, e preparò la rivoluzione morale del 1848. Il carme ad Emilia Hallez, le novelle Al Tebelen e Clizzo avevano (1) Vedi prefazione alle poesie inedite di MicneLe BerroLami, Palermo, Pip. Gior- nale di Sicilia, 1879 COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE 7 rivelato in lui il valente poeta. La Hallez che alla leggiadra figura ac- coppiava una non comune cultura letteraria, cantava nel nostro teatro Carolino i capolavori del Bellini, è affascinava il pubblico con la potenza e la dolcezza della sua voce. La idoleggiarono i nostri letterati, scien- ziati ed artisti, Benedetto Castiglia, Filippo Parlatore, Michele Bertolami, Andrea d’ Antoni e Vincenzo Errante che fu dei più appassionati suoi ammiratori. Nel 1841 i fratelli Castiglia, che da un anno e più avevano intrapreso la Ruota, scrissero tra i soci corrispondenti lo Errante insieme con la Giuseppina Turrisi Colonna e la Rosina Muzio Salvo: due giovani va- lenti poetesse che con la Cristina Anselmo si levavano in grido per le loro poesie. Ed egli pubblicò in quel giornale il carme Sulla casa dei matti in Palermo, Sulla schiavità civile, Sull’antico camposanto di Palermo ed altri versi. La sua poesia era eminentemente civile e informavasi a nobili e liberi sensi. Ci piace qui riportare la chiusa del Carme sull’antico camposanto che non leggevasi nella £uotu ove fu prima pubblicato, perchè la cen- sura non glielo avrebbe permesso, e invece vi fu aggiunta nella edi- zione delle sue poesie fatta in Firenze nel 1846 (1). Egli ricorda il Vespro e l’ agitazione popolare per il decreto del Vi cerè Caracciolo che imponeva fondarsi il cimitero della città in quel sito stesso ove cinque secoli innanzi il popolo aveva gridato: « Mora, Mora » contro i Francesi. « Ma ben altre memorie i padri nostri «Trasser dal fero loco: una vendetta ‘« Sacra in quel sito si compia; redenta « Fu la città dai vili suoi tiranni, « Coi pugnali redenta; ed ivi il sangue Sgorgava a rivi, a lavar l’onta e l'ira « Dell’oltraggiata e non mai doma gente. Eterno è qui l’amore, eterna è l'ira; « Nel cor l'Etna ci bolle « E si aborriva che in un luogo istesso « Giacesser ossa dei nemici e l’ossa « Nostre; la plebe ne fremea; divisi « Noi fummo in vita, ogni uom gridava : ancora « L’eternità, l'abisso ci divida ! « Ora giaccion insieme.... ed in che modo! Pubblicò nel 1844 altre poesie: Le Prigioni, La Beduina, Per una gio- (1) Vedi V. Errante : Poesie. Firenze, Società tip. sulla Legge del Grano, 1546. lo) COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE vinetta morta di amore nell’ Ossercatore giornale per la Sicilia, Nuova Serie, al quale collaborarono gli scrittori della Ztuota (1). VI. In quell’anno egli, insieme con G. B. Castiglia, valente matematico e letterato, accompagnava a visitare Segesta la signora Laura Galloni, fioren- tina, che al fascino della bellezza accoppiava una rara cultura (2). Più tardi divenne moglie all’ illustre matematico siciliano professore nello Ateneo Genovese, Pietro Tardy. Scrittrice e poetessa assunse il nome di Sara, e di lei abbiamo molti racconti, non pochi articoli e squisite poesie (3). La signora colse un fiore e lo diè allo Errante che lo serbò carissimo come pegno di perenne amicizia. Più tardi ripensando a Segesta, a quella gita, a quel fiore, scrisse egli un sonetto che dedicò a Sara. Chiude così : Dopo lungo vagar chino il bel viso Presso l’ara deserta, un fiorellino Colto, mi offristi con gentil sorriso. Oblivioso di ogni uman destino Serbo in core quel fior di paradiso, Di celeste amistà pegno divino! Visitò nel 1845 Firenze, ove dimoravano G. B. Niccolini e Gino Cap- poni e ove si adunava il fiore dei letterati italiani. Ed ivi pubblicò nel- l’anno appresso un volume di poesie. VII. Nel salotto dei marchesi d’Albergo conobbe la giovane Rosina Muzio Salvo, ne ammirò le belle doti d’ingegno e di cuore che la possedevano, e con lei strinse amicizia, che serbò inalterata fino alla morte. Ed ella a lui intitolava il carme sulle Prigioni ispiratole dai versi dell’ Errante sullo stesso tema. Ed egli dedicava all’amica più che sorella 2 Misteri dell'anima. VIII. Morto Gregorio XVI nel 1846, il novello pontefice Pio IX aprì un’era (1) Nell’Osservatore vide la luce il Discorso di Errante : Dei sommi poeti italiani e dello scopo che dovrebbe prefiggersi la poesia nel secolo nostro. (2) Negli opuscoli di G. B. Castiglia (Palermo 1846) leggesi: Una gita a Segesta. E° la descrizione di quel viaggio fatto dalla Signora Laura in compagnia di Errante e di lui. ; (5) Vedansi fra le sue prose Una madre, racconto del secolo XIX, Torino 1867. Le due fidanzate, 1864, t. 2. La spettatrice, Osservazioni e bizzarrie sugli uomini e le cose di questo mondo, vol. IV, Milano 1865. I due Castelli, Racconto tratto da una leg- genda del Reno. Milano, Ottino, 1881. CW | ||| TE TITTI NN LL e novella in Italia, richiamando gli esuli e riordinando più civilmente il governo di Roma. Gli animi degli Italiani, impazienti di riforme, si esal- tarono, ela stella d'Italia apparve allora. Furono solenni imponentissime le dimostrazioni che ebbero luogo in Palermo nella Villa Giulia, al tea tro Caurolino sul finire dell’anno 1847. Ferdinando II non piegava l'orecchio al popolo implorante riforme. In Palermo vien fuori una sfida al principe a termine fisso , minacciando la rivoluzione. Il governo sgomento non sa se debba prestar fede a quella sfida, ed arresta la notte del 10 gennaio undici personaggi, noti per ingegno e per carità di patria; dei quali sopravvive solo l’illustre eco- nomista Francesco Ferrara (1). Sorge l'alba del 12 gennaio. In Piazza Fieravecchia incomincia a ve- dersi qualche cittadino in armi; eran pochi, divennero molti, il popolo insorgeva al grido Viva Pio IX, viva la libertà. Un giovane biondo dai capelli lunghi, elegantemente vestito con la carabina nelle mani, si umisce agli armati e gl’incuora e gl’infiamma. Co- Stituisce la sera un comitato alla Fieravecchia; era Giuseppe La Masa. Amico di costui fu dei primi l’Errante a far parte di quel comitato, e, recatosi con lui il 14 alla Casa di Ruggiero Settimo, il sublime vec- Ghio loro chiese con mesto sorriso : « Quanti siete ? Quante armi avete ? » «Siamo in parecchi, gli fu risposto, abbiamo pochi fucili da caccia; ma siamo pronti a morire!» «Fra un'ora sarò con voi» e tenne la parola. Il 16 gennaio tosto che fu saputo l’ arrivo di vapori napolitani che conducevano nuove truppe comandate dal generale Desauget a domare la rivoluzione , al Palazzo del Municipio pochi generosi rimasero per provvedere ai bisogni della rivoluzione : il Settimo, il Principe di Pan- telleria, lo Stabile, l’Errante e pochissimi altri. L’Errante fu segretario del Comitato delle Notizie, presieduto da Rug- giero Settimo, e dettò i bei proclami che dirigevansi ai Siciliani (2). Indirizzava il 24 gennaio ai campioni della patria un proclama, nel quale, dopo avere ricordato con orrore la slealtà e le sevizie della truppa borbonica, usciva in quese parole: « Non per questo dovrà il popolo de- porre la sua indole generosa; noi vinceremo con le armi, con la virtù, con la nostra magnanimità ». IH si vinse. Mariano Stabile scriveva allora quella solenne intimazione : « Le armi non saranno deposte, nè le ostilità sospese se non quando la sicilia, riu- nita in general parlamento , adatterà ai tempi la costituzione che da (1) Francesco Ferrara è morto in Venezia a 23 gennaio 1900. (2) Leggonsi nel volume degli Atti del Comitato Generale del 1548. 10 COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE molti secoli ha posseduto, che sotto l'influenza della Gran Brettagna fu riformata al 1812, e che col decreto dell’11 dicembre 1816 fu implicita- mente confermata». Dividevasi poi il Comitato provvisorio in quattro Sezioni : La prima per la guerra e marina; la seconda per le finanze; la terza per la giustizia, il culto e la sicurezza interna; la quarta per l’ammini- strazione civile, l'istruzione pubblica e il commercio. Del terzo Comitato fu segretario lo Errante, essendone presidente Pasquale Calvi e vice-presi- dente Gregorio Ugdulena. Deputato della città di Palermo alla Camera dei Comuni, rifulse per la fermezza del carattere e per la nobiltà del patriottismo. Giuseppe La Farina ch’ebbe cospicua parte in quella rivoluzione, e ne fu lo storico, descrivendo gli uomini più egregi di quel parlaniento in cui non era divisione di partiti, li distingue in due gruppi, in cia- scuno dei quali uno o più persone esercitavano quell’ autorità che dà l'ingegno, l’eloquenza o altre qualità personali. Nel primo erano: Emerico Amari, Francesco Ferrara, Vito D’ Ondes che reputavansi di parte moderata. Nel secondo gruppo primeggiavano Errante, Interdonato, Bertolami. « Il primo — egli aggiunge — giovane di natura dolcissima, di probità, non che senza macchie, senza ombre, uno di coloro i quali è facile siano ingannati, impossibile ingannare altri; sentimenti squisiti ed esal- tati, opinioni tenaci, cuore compassionevole e gentile; la sua parola è sempre scaldata dalla poesia e dall’affetto, è soave e malinconica, adi- Pata, ma scortese non mai: coscienzioso nei suoi propositi e con la fede inalterabile nella rivoluzione » (1). Apertosi il Parlamento il 25 marzo e sorta la quistione intorno alla costituzione del potere esecutivo, egli fu membro della Commissione no. minata dal presidente dei Comuni per proporre la analoga legge. E fu stabilito chiamarsi Presidente il Capo del governo, come in antico ap- pellavansi presidenti quegli alti magistrati che supplivano i Vicerè. Il presidente eserciterebbe il potere esecutivo per organo di sei ministri da lui eletti (2). Il primo Ministero fu presieduto dallo Stabile. Il 13 agosto gli succe- (1) LA FARINA : Storia delle Rivoluzioni Siciliani e delle sue relazioni coi Governi italiani e stranieri. Cap. NV, p. 279, Milano, Libreria Brigoli, 1860. (2) Gli altri membri della Commissione furono : Emerico Amari, Giovanni Mmterdonato, Giuseppe La Farina, Giuseppe Natoli, Gabriele Carnazza, Federico Napoli, Barone Casimiro Pisani, Vito Beltrani, Gregorio Ugdulena, Filippo Santocanale. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE ll deva quello che ebbe a capo il Torrearsa, nel quale dimessosi da Mi- nistro di Grazia e (Giustizia l'avv. Emanuele Viola, entrò in sua vece lo Errante. Il programma di quel Ministero non era diverso dal precedente per la politica estera; prometteva per le cose interne adoperarsi con tutti i mezzi a compiere l’opera del riordinamento sociale in tutti i suoi rami. Cessato questo ministero, succedevagli quello presieduto dal principe di sutera. IN. Di due uomini eminenti della rivoluzione del 1848, Settimo e Dor- rearsa, ci piace riportare il giudizio che ne diede l’ Errante. « Nel celebre comitato del Palazzo Pretorio, apparve fra gli altri la nobile figura del marchese di Torrearsa. Io ebbi la ventura di essere segretario di Ruggiero Settimo dal 14 gennaio al 5 febbraio, giorni di combattimento; e di far parte del Ministero Torrearsa; così potei stu- diarli entrambi da presso. «La stessa rettitudine, bontà d'animo, irremovibilità di propositi, giu- stezza di criteri, equanimità di carattere; entrambi aristocraticamente democratici nei modi e negli intenti, Però, negli istanti supremi in Rug- giero Settimo l’idea del sacrificio eroico era più prominente ! Quando si procedeva fra il popolo tumultuante, in tutte le feste politiche o re- ligiose, le donne pregavano per quel santo vecchio calmo e sorridente; gli uomini riverivano l’uomo aitante della persona, di aspetto perspi- cace © solenne, riponendo in entrambi fiducia illimitata. Non ebbero il fremito nè il ruggito dell’uomo di Caprera, ma questi fu l’uomo prede- stinato ! » (1). X. Nel marzo 1849 il re di Napoli, per mezzo degli ammiragli francese ed inglese, spedì al Governo di Sicilia il famoso atto di Gaeta col quale si dichiaravano nulli gli atti fatti dal Parlamento, e si concedeva uno statuto che non poteva accettarsi, nè si accettò : il popolo volle la guerra, il parlamento votò la guerra, e la guerra si riprese. i; Appena si cominciò a parlare di trattative e della possibilità di pros- sima ripresa delle ostilità, si avverti la convenienza di rinforzare il Ministero, chiamando a farne parte alcuni di quelli che nei primi giorni della rivoluzione avevano esercitato maggiore influenza nel Comitato Generale. (1) Queste parole furono proterite in Senato, commemorandosi il Marchese di Tor- rearsa. 112 Venne così ricomposto : Mariano Stabile alla guerra e marina; l'avv. Vin- cenzo Di Marco alle finanze; l’avv. Pasquale Calvi alla giustizia e culto; l’avv. Vincenzo Errante all'istruzione pubblica, ai lavori pubblici; ri- manendo del precedente Ministero il principe di Butera per gli affari esteri e l'avv. Gaetano Catalano per l'interno e la sicurezza pubblica. Il generale Filangieri, comandante la spedizione delle truppe napoli tane, invadeva le città orientali, vincendo le nostre truppe poco discipli- nate, che guidava un generale polacco. Cadeva fra le stragi e gli incendii la nobile Catania. La battaglia di Novara fe’ venir meno le speranze degli Italiani; la ri- voluzione nostra ne senti il contraccolpo. Le truppe borboniche si avanzarono verso Palermo. Combatterono giovani baldi contro quelle; ma furono vani gli sforzi. Le truppe napo- letane entrarono in città previo accordo con gli uomini che rappresen- tando la città eransi recati al campo del generale Filangeri. XI. Quarantatre furono i proscritti, e tra questi non era lo Errante. Ma egli non seppe rimanere sotto i Borboni, presentendo che non gli avreb- bero risparmiato nè le persecuzioni nè il carcere. Si staccò piangendo dai vecchi genitori, dagli amici, e presa la dolo- rosa via dell’esilio, fu in Malta, in Genova, poi a Torino e di nuovo a Tenova. Campò la vita con gli scarsi mezzi fornitigli dal padre, e morto costui, ch’ egli chiamò l angelo suo, andò mendicando lavoro presso qualche editore, e tradusse dall'inglese un’opera di astronomia e dal francese un lavoro che ben rispondeva allo stato dell’animo suo : La Piecola Fadette, dettato dall’illustre scrittrice Giorgio Sand per distogliere lo sguardo dalle cose presenti e rifugiarsi in un ideale di calma e d’innocenza. Ebbe anche incarico di scrivere la storia dell'impero Osmano, ma la edizione andò lenta, e l’opera non venne allora compiuta. Rifiutò sempre il sussidio che il governo piemontese dava a tutti gli emigrati: « Ne disporrete altrimenti — egli disse un giorno al distribu- tore di quella sovvenzione — io posso discretamente vivere lavorando». Ebbe di poi, per concorso, la cattedra di letteratura italiana nel collegio di Marina in Genova. Perdette durante l'esilio il padre che non gli fu dato di riabbracciare sul letto di morte, e alla memoria di lui dedicava nel 1855 le sue poesie politiche-morali con queste parole : « Alla benedetta memoria di Celidonio Errante — Adorato mio geni- tore — Accogli o padre questo tributo di dolore — E poichè dal dispo- 15 « tismo inumano ci venne inibito, a te darmi morente — a me ricevere «in ginocchio la tua santa benedizione — benedici ora dal cielo le « lacrime che ti consacro e prega per la libertà della patria nostra in- « felice ». Nella dedica che ristampava più tardi, in altra edizione, dopo il 1860, gli ultimi versi suonavano : « Ed esulta per la patria redenta ». Nel 1860 dedicava a Palermo il dramma lirico Celuta con questa de- dica : « A Palermo mia città natale — Ove posano le ossa di mio padre — «Ove da più di due lustri m’attende invano — La mia genitrice diletta «.+— Ove in nome d’Italia — Si combatte e si muore ». Nei versi L’esule cantò il desiderio di rivedere l'isola nativa e la casa ove nacque, e i diletti congiunti : A me un asil divieta La tirannide abbietta, Del suo trionfo lieta Pavida e stolta nella sua vendetta; Ond'io dogliosi e tardi Sul mar che rompe il flutto Accumulo gli seuardi E parmi l’onda gorgogliante a lutto; Ma poi fra le dorate Nubi, sull’orizzonte Sorger miro la mia isola aprica; Da le plaghe adorate, Da la casa ove nacqui, un'aura amica Viene a baciarmi in fronte; Dei miei cari così mi aleggia in viso Il languido sospiro, il mesto riso. Egli anelava riabbracciare la vecchia madre e la tomba del padre, rivedere la terra natale, e sperava in una nuova riscossa. XII. Sorgeva l’alba del 4 aprile, e la campana della Gancia fu il segnale della desiderata riscossa. Dei pochi generosi di quel giorno, traditi, so- pratfatti dal numero dei borbonici, tredici furono fucilati, alcuni tratti in arresto, altri si rifugiarono nelle campagne e nei paesi vicini. La rivoluzione si tenne viva, nonostante l’ ecatombe delle 15 vittime, in piazza S. Giorgio, che da quell’ecatombe tolse il novello suo nome. Gli esuli esultarono e sperarono: si costitui in Genova un Comitato composto dai siciliani : Pietro Marano, Vincenzo Errante e il Conte Amari, 14 COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE che ne fu il cassiere; e dai Napolitani: Conte Giuseppe Ricciardi, colonnello Stocco. Si riunivano ogni giorno in casa Ricciardi. I Siciliani raccolsero circa L. 20000, poco meno i Napolitani. Il quartiere generale era la casa del Dottore Bertani che fece in quei giorni miracoli di energia. Rosolino Pilo che fu dei prodi del 1848 precorse i Mille (1). Giuseppe La Masa, una delle figure più nobili di quell’anno, era pronto altra tempra e maggior fama di lui. Garibaldi, l'eroe dei due mondi, il capitano che aveva combattuto coi suoi volontarii i francesi in Roma nel 1849, e dieci anni dopo gli austriaci a Como, a Varese, è in Genova. Lui gli esuli siciliani designarono come il liberatore di Sicilia; lui pre- garono insistenti. Egli pende incerto, ma sollecitato, incorato special mente dal Crispi e dal Bixio, assente e si prepara alla grande impresa. Lo stesso Conte di Cavour, non visto, come cantò il Zanella (2), Celando sotto il mar la man furtiva protegge le balde navi. Il Garibaldi salpa il 4 maggio da Quarto con circa mille giovani di ogni paese, sbarca in Marsala, proclama la dittatura in Salemi, combatte e fuga i Borbonici in Calatafimi, discende verso Palermo, e il 27 maggio entra nella città, che lo saluta liberatore. Lo Errante ritorna in patria lieto di rivederla nuovamente libera; ma la vecchia madre di lui, che desiderava riabbracciare, non lo raffi- gurò, era demente. Quale schianto al cuore del figlio! Alla memoria benedetta della madre dedicava nel 1868 le sue £untasie. Ma non gli fu nemmeno conceduto di abbracciare la tomba del padre, le cui ossa sciaguratamente furono confuse con infinite altre nel Cimitero dei Cap- puccini (3). (1) V. PaoLucci G. : L'osolino Pilo, nemoria con documenti dal 1857 al 1860, in Archivio Storico Siciliano 1599. Nel giardino Garibaldi in Piazza Marina v'è un mezzo busto di Rosolino Pilo con la bella iscrizione di Vincenzo Errante : PRECORSE I MILLE Per errore io scrissi nell’appendice al mio discorso, /2 Gennaio 1848, letto la sera del 12 gennaio 1890 al banchetto dei Veterani, che la iscrizione fu composta dal professore G. Daita. (2) Ode a Camillo Cavour. (3) I Cappuccini imponevano ai parenti degli estinti di portare ogni anno pel dì dei morti i ceri da accendersi innanzi le tombe o le casse funerali o gli scheletri, e se per uno o più anni non si portassero i ceri, si gitterebbero i cadaveri nelle fosse. Così avvenne della salma di Celidonio Errante. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE 15 Garibaldi nominò, con decreto 10 luglio 1860, lo Errante segretario di Stato per la giustizia e pel culto, essendo gli altri segretari: Michele Amari, Gaetano La Loggia, Vincenzo Orsini, Giovanni Mterdonato, Francesco di Giovanni, Luigi La Porta. Lo Prrante stette al ministero fino al 16 settembre. Garibaldi, dovendosi allontanare per le necessità della guerra, dalle capitali del mezzogiorno, delegò in sua vece due prodittatori, l'uno per Napoli, l’altro per la Sicilia. Fu questi Antonio Mordini, uditore gene- rale dell'esercito. XII. Si agitava allora la questione politiea se si dovesse eleggere un'as- semblea siciliana per decidere dell’annessione, o se bastasse senz’ al tro il plebiscito. Si erano adunate le assemblee di rappresentanti a Firenze, a Bologna, a Modena, a Parma, e tutti dichiararono unanimemente decaduti gli an- tichi reggitori, ed essere ferma volontà dei popoli di costituire uno Stato solo costituzionale sotto Vittorio Emanuele. A’ primi di marzo con so- lenne plebiscito la Toscana e l'Emilia confermarono i voti delle assemblee. Furono in Sicilia indetti icomizii elettorali per la nomina dei rappre- sentanti dell'assemblea che doveva adunarsi il 4 novembre. Ma al 15 ot- tobre il prodittatore invitò il popolo Siciliano a votare per plebiscito sul- l'annessione ‘della Sicilia all'Italia. Il plebiscito ebbe luogo il 21 ottobre (1). Il Mordini il 15 di quel mese elesse un consiglio straordinario di Stato per studiare ed esporre al governo gli ordini e gli stabilimenti adatti a conciliare i bisogni peculiari della Sicilia con quelli generali dell'unità e prosperità della nazione italiana. Del qual consiglio furono chiamati a far parte illustri patriotti con a capo Gregorio Ugdulena. Paolo Mo- rello e Casimiro Pisani si ricusarono di farne parte (2). E si dimise anche Emerico Amari che voleva un'assemblea siciliana per stabilire le basi e le condizioni dell'annessione. Vincenzo Errante non fu del numero dei consiglieri; se nominato, avreb- be seguito l’ esempio del Morello e del Pisani. Quel consiglio straordi- nario di Stato non ebbe alcuna pratica utilità. L'Italia unita nel suo parlamento avrebbe provveduto che le varie (1) La formula fu questa: 12 popolo siciliano vuole l'Italia una indivisibile ed indi- pendente con Vittorio Emanuele Re Costituzionale e suoi legittimi discendenti. (2) Vedi nel giornale I Regno d'Italia le lettere di rinunzia a Consigliere del Con- siglio straordinario di Stato del Prot. Paolo Morello e del Barone Casimiro Pisani. 16 parti ond’essa si componeva avessero patito il meno che fosse possibile, e che tutte si fossero avvantaggiate nel novello ordine di cose. E sa: crifizi molti la Sicilia, e specie Palermo, dovettero fare come olocausto all'unità della patria. XIV. Lasciato lo Errante il Ministero, fu nominato Consigliere di Corte di Cassazione, mentre prima era stato eletto Procuratore Generale presso la Corte di Catania. Entrò nel Consiglio Comunale nel 1863, nel periodo del rinnovamento del Comune, e prese parte alle più importanti qui- stioni che vi si agitarono. Passò nel 1868 al Consiglio di Stato nel quale apportò la dirittura giuridica della mente e la instancabile operosità, e dopo circa 20 anni ebbe la presidenza di una Sezione. Avrebbe dovuto essere prima assunto a quell’alto ufficio; ma le sue benemerenze eran poco note e furono a lui anteposti altri. Il Crispi, capo allora del governo, dimostrò che nessuno più di lui fosse degno di quel posto; di lui che fu ministro nelle rivoluzioni del 1848 e del 1860, e che se meno antico di altri al Consiglio di Stato, sino dal 1861 se- dette alla Corte di Cassazione di Palermo. XV. Rappresentò alla Camera dei Deputati nella VII (1861) e IX (1865) legislatura i Collegi di Petralia Soprana e di Prizzi e sedette a destra. Senatore sin dal febbraio 1870. Mm quel venerando Consesso si udì più volte la sua franca parola. Nella tornata del 16 dicembre 1872 egli osservò che vigevano ancora i bandi penali del 1826; che non erano comuni in tutto il regno, e che minacciavano pene esorbitanti, mentre i codici penali s'informavano a mi- tezza nel punire; ed era strano che per lo stesso reato i cittadini do- vessero punirsi con diversa misura. La proposta fu presa in considerazione, e più tardi con legge 21 aprile 1877 furono abrogati i bandi per li bagni marittimi pubblicati negli Stati Sardi il 22 febbraro 1826, e lo statuto penale per reati commessi dai forzati del regno delle Due Sicilie. Quando si agito la gravissima quistione se dovesse abolirsi o conser- varsi la pena di morte, egli, seguendo il sommo Romagnosi, s'accostò ai conservatori. Splendido fu il suo discorso. Ecco le sue ultime parole indi- rizzate agli abolizionisti : « Siamo in due campi diversi, ma non opposti: qualunque sia 1’ opi- nione che trionfi, io sarò colla coscienza tranquilla e serena. Anzi se trionfasse 1’ opinione contraria, io respirerò con maggiore tranquillità COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE 17 pensando, che sebbene io non l'abbia ereduto opportuna nell'interesse della società, voi ardiste di fare l'esperimento sull'intero corpo sociale: la responsabilità non è mia; fatelo pure, ma io ripeterò a me stesso ogni giorno, durante la lunga e perigliosa prova: «Che Dio salvi dalle insi- die e dal pugnale degli assassini la gente onesta e tranquilla ». A_29 dicembre 1882 discutendosi la legge sul giuramento politico, l'Errante dichiarò schiettamente le sue idee: « L'esercizio della libertà deve star sempre nei limiti del Governo costituito; si può ammettere la diversità delle opinioni nelle discussioni private, nella stampa e in altri modi, ma dentro laula del Parlamento non si possono discutere e molto meno negare i principii fondamentali dello Statuto. Taluni si rallegrano allorquando vedono uomini di altro colore politico, nero o rosso che sia, entrare nel Parlamento. Essi di- cono che è meglio assorbire gli elementi estremi, che lasciarli in balia di loro stessi. « Mi appello a tutti i generali che siedono in questo Consesso, se è buona legge di guerra aprire le fortezze ai nemici, e collocarli colla miccia accesa presso la polveriera ! «In quanto a me credo, che è meglio entrino nel Parlamento sol- tanto gli uomini devoti agli ordini costituzionali. Quelli che vengono, giurando di deporre tutte le loro idee sovversive, si accettino pure, io non darò loro il benvenuto. La nostra posizione politica, o Signori, è veramente invidiabile. Il Presidente del Consiglio, De Pretis, disse nel- l’altro ramo del Parlamento, che anche egli ha i suoi ideali, ed io vor- rei aggiungere: anche noi abbiamo i nostri ideali. « E questi ideali bisogna che si dicano pubblicamente in quest’ Assem- blea, affinchè entrino nella coscienza universale. Ora i nostri ideali sono, che sia mantenuto lo Statuto nei termini stabiliti dal suo Datore, il quale cercò invano la morte sui campi di Novara, e mori in esilio col nome d’Italia sul labbro: la nostra gratitudine, i nostri ideali sono per il Re Magnanimo, il quale seppe colla sua virtù, colla sua costanza e buona fortuna ricostruire la gran patria italiana; le nostre simpatie, i, nostri ideali sono per quella coppia avventurosa, la quale in pochi anni ha saputo acquistarsi l’affezione di tutto il popolo italiano per le sue virtù pubbliche e domestiche » (1). E questi suoi ideali egli scriveva nel testamento, desiderando che di- venissero quelli dell'unico suo figlio. (1) Vedi quel che scriveva nella prefazione alle poesie edite e inedite di M. Bertola- 9 mi sulle idee politiche di lui, che erano anche le sue, 3 18 CCMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE «In più raccomando a mio figlio di vivere da buon cristiano, d’ante- porre a tutti i beni della terra l’ onore e l’amore alla gran patria ita- liana, per cui ho tanto sofferto, di serbar fede alla dinastia Sabauda, perchè sarà, come spero e confido, custode della libertà, dell’ unità e dell’indipendenza d’ Italia, scopo precipuo della generazione cui appar- tenni, auspice il gran Re Vittorio Emanuele d’imperitura memoria ». Lo Errante fu anche membro del Consiglio Supremo di guerra e marina. XVI. Quali fossero le sue idee letterarie rileviamo da una prefazione che nel 1874 egli premetteva al primo volume delle sue Làriche e Tragedie (1). Ed io non saprei far meglio di lui stesso : « Avviene spesso nell’arte, che chi vuole rifare o correggere, snatura il già fatto e lo muta in peggio; che se progredendosi innanzi nella vita, colla esperienza del fare e delle passioni, si acquista il magistero di saper meglio colorire le proprie idee signoreggiando le emozioni irri- flessive che turbano la serenità plastica della mente; d’altra parte, i di- singanni e l'età provetta scemano le illusioni e la spontaneità dell’estro, che concepisce e riveste di luce in un attimo le immagini idoleggiate dall’entusiasmo e. dall'amore. « Certamente la Trasfigurazione e il Guglielmo Tell, ove i due sommi maestri soddisfecero tutte le esigenze dell'Arte, sono più sublimi ed ar- cani concepimenti delle soavi Madonne, o del Barbiere di Siviglia; ma si desidera in essi, come in quelle prime creazioni, il candore virgineo, che cela l’artifizio nelle spontanee ed ingenue movenze della natura, e l'ammirazione che destano pensatamente, riesce a scapito della com- mozione e dei palpiti del cuore. « La critica d’altronde è spesso rigida ed infida, non solo nelle opere dei critici di mestiere, che non avendo mai creato nulla di proprio, si avvedono di quel che manca, senza riflettere se si possa emendare il difetto notato, lasciando illesi l’effetto e l'armonia dell'insieme; e man- cano spesso della intuizione dell’ avvenire; ma gli autori stessi predili- gono talvolta le opere loro meno degne, come i padri, che mostransi sovente più teneri pei figli meno avvenenti ed ingegnosi, perchè più abbisognevoli di protezione e di affetto. «In quanto a me, ho appreso più nei pochi precetti dettati dai grandi maestri, Aristotile, Orazio, Leonardo da Vinci, Parini, Alfieri, Foscolo, (1) Liriche e Tragedie di V. ErranDE. Roma, 1874. Cotta e Comp. tipografi del Senato. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE 19 che nei grossi volumi di storia letteraria, ove si ragiona dell’arte, come gli anatomici dell'anima spirituale, « I critici filosofeggiano su quello che si è fatto e si vede, e segnano in ciò i limiti dell’arte; si vorrebbe invece sapere guello che rimarrebbe a fare; ma a conseguire tale intento valgono soltanto gli artisti, che con le loro ispirazioni ed estri subitanei si aprono vie intentate, e pro- cedono innanzi ardimentosi nell’infinito orizzonte del buono e del bello. « Se non che, fra critici ed artisti sta di mezzo arbitra e dispensiera di fama, se non perpetua, coetanea almeno, la grande maggioranza dei semplici lettori, che se non prima, meglio degli uni e degli altri av- verte la potenza estetica del vero e del bello, e forma, presto o tardi, quella tale popolarità, che tramanda ai posteri il nome dell'artista av- venturoso, che seppe svelare gli arcani del cuore e la fisiologia delle passioni. Si lasci dunque ad essa il giudizio finale, senza timor panico, o soverchia fidanza. Ad essa dirò: Che le vicende procellose della mia vita, le passioni talvolta infelici, il turbinio vorticoso e disseccativo della politica militante, gli affanni ei disagi dell'esilio, i grandi dolori, le cure provvide della famiglia, ed infine i gravi doveri del mio ufficio, mi hanno sovente, mio malgrado, distolto dalla vita contemplativa e-dai miei studii prediletti, e costretto più ad agire che a bearmi dei miei sogni ideali ! «In quanto alla qualità di scrittore, non so se ciò sia stato un male od un bene per me, avendo potuto per tale modo, se non altro signi- fieare nei miei versi tutto quanto ho sperimentato e sofferto in me stesso: talchè, fra tutti i precetti di Orazio ho sempre fedelmente seguita La massima : Si cis me flere, dolendum est primum ipsi tibi. « Anzi ho serbata per me soltanto religiosamente la maggior parte delle mie sofferenze, non avendo potuto o saputo nè serivere, nè con- cepire mai nulla nel parosismo del dolore; sicchè, ho tradotte dall'anima mia le immagini d’un’angoscia già riflessa e sbiadita. « Infine, alle diverse scuele o teorie del verismo, o della idealità nel l’arte, ed alla vecchia disputa fra classici e romantici, non ci ho badato più che tanto. « Nell'arte è tutto ideale; la natura riprodotta qual è dalla fotografia, non è concepimento umano e rimane priva d’intelletto ; invece, il pit- tore nei ritratti stessi imprime sulla tela il suo pensiero; nella imma- gine di Filippo II, ideata e dipinta da Tiziano, vi è la cupezza della mente e il carattere bilioso e crudele, incisi dall'artista in quella fronte da inquisitore, in cui trasparisce l’inflessibile parricida ! « Classici o romantici che siano, Omero, Dante, Shakspeare, Goethe e Byron, sono giganti: che se vuolsi disputare della bontà ed efficacia dei 20 CCMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE precetti, che Aristotile prima, e di poi il poeta inarrivabile nel deli- neare e colorire i pensieri e le immagini lasciò scritti nell’arte poetica, dirò, che la maggior parte di essi non si possa trasgredire impunemen- te; il nome di chi tanto osasse, non giungerebbe, come quello di Orazio, alla più tarda posterità, nè potrebbe con esso lui dire: Nor omnis moriar, multaque pars mei vitabit libitinam ». Seguendo queste teorie l’ Errante non seppe mai tornare sulle sue poesie; andando innanzi nell’arte, egli migliorava sè stesso. Si può dire, ch’egli ebbe due maniere; nell’una il pensiero era talvolta vaporoso, e soverchiamente anatomizzato , nella seconda l’idea è più nitida nella forma e nella imagine. Leggansi il Camposanto di Palermo, La Schiavità Civile e troverete la prima maniera. Leggansi La parafrasi di un Canto Scandinavo, e gli ul timi suoi carmi, vi si vede l’altra maniera, assai più corretta; era egli di tanto progredito nell’arte. XVII. Fu assai operoso per Errante il periodo corso dal 1839 al 1849; i do- lorie gli stenti dell’esilio non affievolirono il suo genio, nè furono allora radi i suoi versi; riprese nuova maggior lena dopo il 1860, nè fu occasione che a lui non porgesse argomento di poesia. Scrisse nuovi carmi: La Guerra, La querra civile in America, L’Ideale, Roma, La libertà, e dettò sotto il titolo Ir convalescenza, nel maggio del 1884, non pochi sonetti. Compose parecchie tragedie: Solimano il Grande, Masaniello, Sanfe lice, Katt, tutti argomenti stupendi, due tragedie liriche: Celuta e Gio vanna Grey, luna tratta dal Renato di Chateaubriand e l’altra dalla storia d'Inghilterra. Nè queste furono musicate, nè le prime recitate in alcun teatro. Queste tragedie, anche essendo qua e là al di sotto, sono pur sem- pre degne di paragonarsi ai capolavori, e in alcuni incontri vi stanno al di sopra (1). E lo stile e il verso sono assai commendevoli e mostrano ch’egli seguiva i nostri eccellenti maestri ed esemplari. XVIII. Vincenzo Errante e Riccardo Mitchell poetarono nello stesso tem- po, ed i loro nomi figurarono negli stessi giornali, perchè l'uno e l’altro erano ispirati dagli stessi sentimenti, aspiravano allo stesso ideale. Ond'è (1) V. La Falce diretta dal Prof. Salvatore Malato Todaro, anno 1882 num. 3, 4, D. Sotto le iniziali P. V. è il nome di quel valente letterato e critico che fu Vito Pap- palardo da Castelvetrano. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE 21 che il Mitchell nel 1863 scriveva allo Errante (1) : « Leggo nella Lava (2) qualeuno dei vostri nobili Canti, e ricordo con piacere che più d'una volta i nostri nomi si sono incontrati nelle Siciliane effemeridi, nè a caso lo aserivo, ma è parità d'intento ». kE lo Errante gli rispondeva : (3). «I nostri intenti, caro amico, sono stati sempre comuni, la indipen- denza e la libertà della gran patria italiana, unite al decoro, alla flori- dezza, alla gloria della terra che ci vide nascere; non li abbiamo smen- titi, nè negli scritti, né con le opere, nè li smentiremo mai ». XIX. Nel primo periodo della sua vita letteraria diè fuori aleune prose dense di pensieri (4). Nell'ultimo periodo scrisse il Waskirgtor (5) e ripub- blicò la Storia dello Impero Usmano (6). Il Guizot, nel 1839, aveva scritto Washirgtor, la fondazione della re- pubblica americana (7), stupendo lavoro, in cui il sommo storico fran- cese, pennelleggia con alto magistero la vita ei tempi di quel Grande che non destò in vita nè odio nè invidia e fu ben detto il Cincinnato del Nuovo Mondo. Egli studiò come quella grande repubblica potesse sor- gere, e quali fossero le condizioni che ne agevolarono il nascimento e la floridezza. i Nel 1880in cui l’Errante pubblicò il suo Washington, Vl Europa atten- deva un prossimo ma incerto avvenire; ed era scoraggiata da conati infelici e sanguinosi. Francia e Germania pronte a riprendere le armi, luna per rivendi- care, l'altra per serbare le grandi conquiste del 1870. Le truppe russe si aprono la via di Adrianopoli. Sconfitti i Turchi contro i quali insorgono la Serbia, il Montenegro e la Grecia, i Russi in Asia prendono Kars e Erzerum, e nell'Europa si avanzano verso Co- stantinopoli. L'Imghilterra arresta la vittoria del Moscovita, e fra Russia (1) Lettera del 1565 ricordata dal chiarissimo G. Chinigò nel suo Ziccardo Mitehell nella vita e nell’arte. Messina. Tipografia D'Amico, 1892. ; (2) La Favilla, giornale di scienze, lettere e arti e pedagogia. Nuova Serie. Pa- lermo, 1565. (3) Lettera del 6 agiosto 1863 che si conserva dal Cav. Celidonio Errante. (4) Dei sommi poeti italiani e dello scopo che deve prefiggersi la poesia nel secolo nostro; L’ Artista e V’arte; La poesia italiana alla prima metà del secolo. (5) Washington, Roma, Fossati e Comp., tipografia del Secolo, 1880. (6) Storia dell'Impero Osmano; L’Osman alla pace di Carlowitz. Roma, Fossati e Comp. 1883. 7) Guizor: Washington — Fondation de la république des États-Unis d’ Amerique. Bruxelles, 1851. 22 COMMEMORAZIONE DI VINCENZO, ERRANTE e Turchia si stringe la pace di S. Stefano alla quale tien dietro il trat- tato di Berlino. Alcune province turche si emancipano, e si estendono, la Russia acqui- sta la Bessarabia, la Grecia si allarga sulla Tessaglia e I’ Epiro, V'Au- stria occupa la Bosnia e l’Erzegovina, l’Imghilterra Cipro. L'Italia in quella larga spartizione di popoli e di territorî nulla con- segue delle sue terre irredente; anzi vede la Francia sottomettere al suo protettorato la reggenza di Tunisi. Occupa nel 1880 la baja di Assab, e vi fonda una colonia, e nel 1885 Massaua, ma l'ingrandimento di quel territorio e il vagheggiato Impero Etiopico ci è funesto, e l’Italia subisce la grave onta di una sconfitta disastrosa per la nazione. Nel suo Washington l Errante riflette sulle condizioni effettive della so- cietà europea e le confronta con quelle degli Stati Uniti d’ America ai tempi di Washington, per vederne le analogie e le differenze, ben sa- pendo che cause opposte e dissimili debbano produrre effetti differenti e contraril. Di splendida luce in esso rifulge la figura di quel Grande che intese a vendicare a libertà la patria, lasciando ad un futuro presidente, Abra- mo Lincoln, la gloria di avere abolito il servaggio. L’'Errante addensò in poche pagine tutto il buono dell’opera Gi Tocqueville De la democratie en Amerique e vi aggiunse tanta civile sapienza. XX. Ripubblicò nel 1882 la Storia dell'Impero Osmano dalla fondazione fino alla pace di Carlowitz, opera iniziata in Torino nel 1854 col titolo Storia dell'Impero Osmano da Osman fino di giorni nostri, e condotta poi non oltre la pace di Carlowitz nella seconda edizione. Premise alla sua storia una notevole prefazione sulle condizioni della Turchia. In essa luminosamente dimostra le cause lontane e prossime, interne ed esterne che determinarono l’attuale stato della Turchia, im- potente a rigenerare sè stessa, e destinata a sparire dall'Europa, ma chissà quanto altro tempo durerà l’agonia di questo eterno infermo ch'è l'impero turco. Vi svolge inoltre le leggi del Corano e i costumi della Turchia, e chiude con questa sentenza del Corano : «Ogni nazione ha il suo termine, quando il tempo è arrivato, gli uo- « mini non possono tornare indietro, nè avanzare ». L’ autore espone le vicende di quello impero diffondendosi. maggior- mente nelle epoche a noi più vicine. La narrazione di questa storia ch'è delle più drammatiche e singolari che siano mai state, è fatta con forma assai polita, e in istile molto efficace. Bellissime e commoventi sono le pagine in cui è descritta la presa di Costantinopoli. COMMEMORAZIONE DI VINCENZO ERRANTE 23 XXI. Lo vedremo ora in famiglia. Trovavi in lui l’uomo di stampo antico, il marito affettuoso, il padre tenerissimo; la sua figura con le ciocche cadenti sulle gote e con gli oc- chi vivissimi, attraeva la simpatia e la venerazione di quanti lo avvi- cinassero. Attorno a lui la diletta consorte, signora Francesca Giaco- metti, piemontese, e tre figliuoli che circondandolo di sollecite cure e di riverente affetto, furono la delizia della sua vita. Le figlie collocò de- gnamente (1) e l’unico figlio congiunse in matrimonio a gentile e colta giovane lombarda (2). E qui mi fermo. Il mio compito è finito, e sarò lieto se avrò potuto delinearvi degnamente la nobile figura del patriota, del letterato e poeta e dell’uomo che a me fu carissimo amico. I sommi son pochi ovunque; ma coloro che stanno più da presso a quelli meritano pur lode e gloria. Il parlamento assentirà, come io confido, che le ceneri di V. Errante siano seppellite nel luogo stesso ove riposano quelle di Ruggiero Setti- mo e riposeranno le altre di Michele Amari e di Francesco Perez; l’uno e l’altro pur letterati e cooperatori etficaci insieme con l’Errante al gran- de movimento del 1848 e non ultimi in quello che rese possibile l’unità della gran patria italiana (5). (1) La maggiore, Rosina, fu maritata ad Augusto Borselli, già prefetto di Chieti, di Catanzaro, di Brescia ed ora di Macerata. La seconda Maria fu moglie al Colonnello Emilio Janer da cui ebbe parecchi fi- gli. Era avvenente e svelta. Le battaglie della vita non seppe sostenere con forte animo, e si procacciò con le sue mani la morte, non ritraendola dal ferale proposito la vista degli innocenti figliuoletti che ricorderanno con eterno rammarico e con ter- rore la dipartita della loro giovane madre. Povera Maria! Era da me e da mia mo- glie tanto amata, e noi versammo per lei amare lagrime. (2) La signora Maria Rosmini. (3) Assentendo il parlamento, Vincenzo Errante fu seppellito in San Domenico, sotto il modesto monumento erettogli dal Municipio, in fondo alla prima navata, senza pompa, alla presenza del R. Commissario Cav. Rebueci, del figlio Cav. Celidonio e di pochissimi amici, Fira ACI ipnfitort ib a siarabtit 3) Va n tri RICORDO ABATE VINCENZO CRISAFULLI letto nella tornata del 16 Giugno 1901 DAL PIERRE UO INS TAMID/OtE® (3 “i n) O OO 0 O IC VI OTO SO O OI OOC O TI O I CC O I I Ricordo dello Abate Vincenzo Crisafulli Segretario Generale Onorario Signori, È appena un mese, il 25 maggio, è morto uno dei nostri migliori e più antichi socî, l'Abate Vincenzo Crisafulli che occupò con onore per parecchi anni l’ufficio di Segretario Generale. Io ne dirò brevemente le lodi. Nato in Naro il di 8 dicembre 1823, compì i suoi studii nel Seminario di Girgenti e in quel famoso Collegio di Sant’ Agostino e S. Tommaso fondato dal benemerito vescovo Francesco Ramirez (1) donde sono usciti eminenti canonisti. Il Crisafulli, cui natura avea dotato di svegliato ingegno, attese con zelo agli studii. Dal banco dei discepoli sali in quel Seminario ben presto alla cattedra di poesia ed eloquenza. Addettosi al Sacerdozio, tutto si diede agli studi di filosofia e del diritto canonico. Sin dagli anni più giovani, poco oltre i quattro lustri, imprese a studiare l'importante tema: La monarchia e la legazia apostolica in Sicilia. Fu deputato al Par- lamento di Sicilia nel 1848 rappresentando il Collegio di Naro. Ricadendo nel 1849 l'anniversario del memorando 12 gennaro, egli sa- cerdote, ispirato a sentimenti di libertà, lesse un discorso (2) in cui provò (1) Il vescovo Francesco Ramirez ebbe tanta parte nella famosa vertenza fra lo Stato e la Santa Sede per la legazia apostolica al tempo di Vittorio Amedeo, (2) In festeggiata memoria del 12 gennaro 1848 — Orazione recitata ai cittadini di Girgenti dal professore Vincenzo Crisafulli—Girgenti—anno 2° della Rigenerazione, 1849, 4 RICORDO DELLO ABATE VINCENZO CRISAFULLI che le grandi rivoluzioni sono maturate nei segreti di Dio,e scoppiano a | confondere i despoti, e a liberare dall’ oppressore i popoli. La parola del giovane prete che amava la patria non meno che la religione, e augurava la libertà all'una e il diffondimento della sua morale dottrina all’altra, destò grande entusiasmo negli ascoltatori. Intorno a quel tempo la rivoluzione era minacciata, e dopo breve tempo sconfitto in Novara Carlo Alberto, la reazione prese il sopravvento. Sue- cedette il fatale decennio dal 1849 al 1859 — quando esuli i migliori cit- tadini, imprigionati non pochi dei rimasti, passati per le armi i deten- tori di armi, o chi si attentasse a voler vendicare di nuovo a libertà la patria, la Sicilia anelava di scuotere novellamente il giogo. Ufficiale nel Ministero degli atfari di Sicilia in Napoli nel 1853, in- segnò diritto canonico nel 1860 nella Università di Palermo, e nel 1885-86 ottenne il titolo di professore onorario nella nostra facoltà di giurispru- denza. Al 1862 venne richiamato a Torino nel Ministero di grazia e giustizia e dei culti. Istituitosi nel 1865 l’Economato generale dei beneficii vacanti in Si- cilia, egli fu il primo Economo, ed è suo il regolamento che accompagna il decreto della istituzione. E resse per non breve tempo quell’ufficio; nè gli mancarono onori e lucri. ; Visse negli ultimi anni di vita in onorato ma non infecondo riposo. Di lui restano alcuni importanti lavori che ne tramanderanno ai po- steri il nome (1). L’opera principale è : Studii sull’apostolica sicula legazia, che vide per la prima volta la luce nel 1845 nel Gerofilo Siciliano (2), e poi, am- pliata fu pubblicata a parte nel 1850. Chi non conosce il privilegio della apostolica legazia conceduto da Urbano II al Conte Ruggiero e ai suoi successori, per la quale il re stesso è investito della dignità di legato apostolico, privilegio che ben fu appellato il gioiello più prezioso della Corona di Sicilia. Privilegio ch’ebbe la sua conferma nella bolla di Benedetto XIII e che, pur tanto combat- tuto, i Sovrani di Sicilia seppero sempre difendere e custodire (3). (1) Pubblicò nell’Eco della religione, giornale di Palermo 1852 : Sulla cultura religiosa innanzi i tempi del Cristianesimo. Osservazioni sul $ 25 della Concordia Benedettina, cioè della Bolla di Benedetto XIII pel buon ordine del tribunale della Monarchia. (2) IZ Gerofilo Siciliano, giornale di religione e sacra letteratura, anno I, tomo I, II e IV. Si chiuse il giornale al quarto volume. (3) Vedi sull’Apostolica legazia, la storia del Barone Agostino Forno, ripubblicata da Giuseppe Mira in Palermo nel 1869. (bi RICORDO DELLO ABATE VINCENZO CRISAFULLI A tutela di esso stava l’antichissima legge dello arequatur. Nel 1850 Ferdinando II, essendo ministro per gli attari di Sicilia il Cassisi, impedi che l'Arcivescovo di Palermo Cardinale Pignatelli adu- nasse nella Capitale gli altri metropolitani e i vescovi di lui suftra- ganei. Era ciò contrario alle nostre leggi. Ma saputo il re essere desi- derio del pontefice Pio IX che l Episcopato Siciliano convenisse in Palermo per provvedere ai bisogni della chiesa, egli, quale legato 4 latere della Santa Sede, convocò a 18 maggio 1850 gli arcivescovi e i vescovi dell’isola sotto la presidenza dell'arcivescovo di Palermo, ordinando che di tale Congregazione non si pubblicasse alcun atto senza il sovrano as- sentimento (1). In quel tempo appunto in cui i due Poteri contendevano intorno alle attribuzioni legaziali che si tentava rivendicare o menomare, ben oppor- tunamente venne fuori l’opera del Crisafulli. Nella quale ei dimostrò l'autenticità del diploma di Urbano II tanto con- trastata, delineò la legaziale giurisdizione, distinguendo gli attributi del re, qual legato, da quelli di patrono e di principe; ma non pensò mai a staccare dalla grande unità il chiesiastico diritto della Sicilia. Il libro è notevole per la vasta erudizione e per la profonda cono- scenza del diritto canonico (2). } Fu l’ultimo libro che sotto il governo dei Borboni difendesse il pri- vilegio della legazia Apostolica di Sicilia, rimasto ora un tema di storia del diritto italiano; come ultimo ad oppugnarlo fu un altro libro uscito in Napoli nel 1856: Matti e pensieri sulla Ecclesiastica disciplina, del quale, pubblicatisi appena pochi fascicoli, fa impedita la continuazione (3). L'opera del Crisatulli fu messa all'indice al 1° luglio 1852, e non ne uscì più il secondo volume. Pubblicatasi nel 1867 la bolla con cui Pio IX aboliva l’apostolica le- gazia, scrissero intorno alla medesima in quell’anno Michele Amari nella Nuova Antologia (4) e V avvocato Antonino Caleca (5); questi sostenendone (1) V. Giovanni Cassisi: Atti e progetti del ministero degli affari di Sicilia a Napoli dal 25 luglio 1849 al 9 giugno 1859. Ricordi. Stamperia del Fibreno. (2) Studi sulla Apostolica Sicula Legazia, vol. I, Palermo, Tipografia Barcellona, 1550. Sono divisi in tre parti: Parte Prima. Notizie preliminari al diploma di Urbano II. — Parte Seconda. Esposizione del diploma. — Parte Terza. Ricerche sull ufficio e la potestà del re come Legato. (3) V. CASSISI, opera citata. 4) Vedi Nuova Antologia, anno 1867, pag. 446. (5) Difesa della legazia apostolica in Sicilia, Palermo presso Gaudiano, 1867. 6 RICORDO DELLO ABATE VINCENZO CRISAPULLI il mantenimento nonostante il principio della separazione che veniva introducendosi in Italia; l’altro avvisando che era dovere del Governo di mantenere i diritti della apostolica legazia, e che l’Italia avrebbe po- tuto rinunziare quel privilegio quando, cessato il potere temporale, sì potesse senza pericolo della nazione ridurre ad effetto il teorema della libera Chiesa in libero Stato. D'altra parte sorsero i campioni della Santa Sede, il sac. Melchiorre Galeotti con due scritti, La Sicilia e la Santa Sede (1) e Della Legazia apostolica (2), e in Germania il Sentis, De Monarchia Sicula (3). E nel 1868 il Galeotti presentò al Pontefice una dichiarazione sottoscritta da cin- quanta persone aderenti alla Bolla Suprema (4). Caduto nel 1870 il potere temporale e divenuta Roma capitale d’Italia, quel privilegio, che le altre nazioni ci invidiavano, non essendo più conciliabile con la separazione della Chiesa dallo Stato, fu rinunziato con la legge delle guarentigie. Combatterono il gran rifiuto i deputati Paternostro; Crispi ed Ugdulena, ma invano (5). Il Pontefice quindi, di- sdetta solennemente l’antica concessione che del resto nel 1871 lo Stato rinunziava, tornò ad avere indeminnato il suo potere nelle province siciliane. Il Crisafulli scrisse poi e pubblicò nel 1877: Il regio patronato dei Ve- scovati di Sicilia e î Vescovi non ancora riconosciuti. In quella memoria fa la storia delle chiese Vescovili di Sicilia, stu- dia il concordato del 1818, e stabilisce che la Sicilia è tra le poche re- gioni di Europa nelle quali sia rimasto un vero diritto di R. patronato. « Nella collazione dei beneficii di regio patronato nulla è innovato » è l ultimo comma dell’ art. 15 della legge 153 maggio 1871. Quindi i Vescovi di Sicilia nominati dal Pontefice non possono prendere possesso della rispettiva mensa se non abbiano ottenuto il R. Placet. Questo placet viene in urto con il principio della formula Cavouriana Libera Chiesa in libero Stato, ma non essendo ancora stabiliti i confini delle due autorità supreme, lo Stato e il Sacerdozio, al Crisafulli non parve op- portuno che lo Stato si spogliasse di ogni legittima competenza e la- sciasse all’altro potere illimitata libertà. Antico socio di questa Accademia, lesse nel 1880: Sulla pubblica mo- (1 e 2) Il primo lavoro fu pubblicato a Malta nel 1868, il secondo in Torino. (3) Il Sentis pubblicò il suo scritto nel 1869 in Freisburg in Breisgau. (4) Vedi sull’Apostolica legazia il libro di FRAncESCO SCADUTO, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni fino ai mostri giorni. (5) Vedi Scapuro: Guarentigie pontificie e relazioni tra Stato e Chiesa. Torino, 1884, p. 218, Legazia Sicula. RICORDO DELLO ABATE VINCENZO CRISAPULLI T valità e sulla Istruzione pubblica in Italia (1) a proposito di un progetto di Stefano Zecchini, lavoro a lui commesso dalla stessa Accademia. Lo Zecchini, lamentando lo scadimento della morale pubblica in Ita- lia, sollecitava che almeno nella crescente generazione venisse restaurata la pubblica morale educazione, e a ciò riteneva necessario un libro che servisse di guida pedagogica, nel quale si dettasse un sistema o metodo pratico di pubblica morale educazione, « combinando, per quanto sia pos- sibile, la pubblica con la domestica, di modo che luna venisse a coa- diuvarsi con l’altra ». Ad incoraggiare la pratica della moralità vorrebbe costituito un fondo per la pubblica educazione affine di dar premi a giovinetti e giovanette di genitori campagnuoli, braccianti, operai. Il Crisafulli esamina il vasto tema con profondità di concetti, con ampiezza di bene scelta erudizione e ritiene che una delle basi su cui debba poggiare la pubblica moralità sia la religione, e che però debba il principio religioso, anzichè tenersi in non cale, rafforzarsi, vivificarsi se vuolsi una società veramente civile. Combatte il razionalismo e de- sidera che noi d’Italia che raccogliemmo l'eredità di Platone, conserva- taci da S. Agostino, da S. Tommaso e dall’Alighieri, tenessimo sacre le antiche venerate tradizioni. Egli succeduto a Giuseppe Bozzo nella carica di Segretario Generale della nostra Accademia, fu assai solerte, e mentre tenne l’ufficio vennero pubblicati i volumi IX e X della Nuova Serie, premettendosi da lui ad ognuno di essi i proemi nei quali rese accurato conto dell’ andamento del nostro Istituto. A 23 marzo 1890 commemorò il Bozzo; delineò il movimento letterario e scientifico dei suoi tempi, movimento in cui erano in lotta la vecchia e la giovane generazione; l’una erudita e dotta nelle antiche favelle, l’altra indipendente e inspirantesi in Dante, in Parini, in Foscolo, in Alfieri nelle lettere; in Vico e in Romagnosi nelle scienze morali. Ritraendo que- sto quadro, l’egregio nostro socio determinò il posto che ebbe il Bozzo in quel movimento (2). Membro dell’Accademia Cattolica palermitana ebbe l onorevole inca- rico di fare il discorso inaugurale di apertura (3), e stante la malattia agli (1) Vedi questo discorso nel vol. VII degli Atti della R. Accademia di Scienze, Let- tere e Belle Arti. Nuova Serie. — Palermo, Tipografia Ferrigno e Andò, 1880-S81. (2) V. questa Commemorazione nel VolumeIdegli A? della ?. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti. — Terza Serie. Palermo 1891. (3) Nell’adunanza del 1° Marzo 1885. V. Atti della Accademia Cattolica Palermitana, anno 1885, vol. I, Tipografia Barravecehia, 1886. 8 RICORDO DELLO ABATE VINCENZO CRISAFULLI occhi che lo travagliava gli fu permesso di tenere una conferenza anzic- chè leggere un discorso. Il tema fu: La dottrina cattolica in rapporto alle scienze sperimentali, tema vecchio e sempre nuovo; trattato nel secolo XIX dal Cardinale Wiseman, dal Perrone, dallo Stoppani e dal Vigouroux che si studiarono di mostrare che il Genesi nella storia della creazione, non viene in urto coi principî della scienza moderna. E pochi anni dietro Antonio Fogazzaro (1) dimostrò potersi conciliare la teorica dell’evolu- zione con le idee religiose, e Luigi Luzzatti (2) nel suo bel discorso Scienza e fede mostrò che i popoli più civili vivono in uno stato d’animo ch'è la prova più evidente dello splendore inestinguibile della scienza e della fede. Dotta ed elevata fu la conferenza in cui il Crisafulli dimostrò la univer- salità e la certezza della dottrina cattolica, riscotendo unanime plauso. Commemorò nel 1888 in quel dotto Consesso (3) la bella figura del Ca- nonico Giuseppe Ferrigno, che pareva destinato a ravvivare nel giovane clero l’amore della virtù e della scienza, e che fu promotore di quell’Ac- cademia, che trovò nell’ illustre vegliardo Cardinale Celesia conforto e patrocinio. Altra volta—tu l’ultima—-trattò della escratologia, ossia della fine del mondo, di ciò che sarà della terra e dell’ ordine delle cose di cui essa è sì piccola parte, quando l’ uomo nel bujo dei secoli raggiungerà la meta dei sudati affanni (4). Questi fu Vincenzo Crisafulli nella Scienza, nell’ Accademia nostra e in quella Cattolica. Buono in famiglia ebbe attorno a sè sorelle e nipoti che lo ricambiarono di cure e di affetto. I suoi preziosi libri donò in vita alla biblioteca della sua città natale che appellasi Lucchesiana dal suo fondatore M.r Lucchesi Palli. Per la quale liberalità il suo nome sarà annoverato specialmente fra i benemeriti donatori di quella biblioteca. I fasti della nostra Accademia lo ricorderanno con lode, e merita- mente avrà onorato loco nella schiera dei valorosi canonisti siciliani. di coli (1) Nel discorso L'origine dell’uomo e il sentimento religioso. (2) Il discorso fu recitato da lui nella chiusura solenne dell’ anno accademico in Lincei, in Nuova Antologia, 16 giugno 1899. (3) Vedi Atti della Accadzmia Cattolica Palermitana, vol. III — Palermo, Tipografia del Boccone del Povero, 1893. (4) Non è stato finora pubblicato il lavoro negli Atti di quella Accademia. GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE SAGGIO del Prof. FR. MAGGIORE - PERNI Direttore della Classe di Scienze morali e politiche ASILI Labs Da) ti Ni Ti IM $ a n sn ì x be Pi : « N n) } Spe E RITO £RREFTTAET FTT kT—T—KRFPFAFFFFF TAKE -=-=5= RONNIE: PR GGNDO e le sue dottrine economiche. e > Sono scorsi quasi due lustri dalla morte del Prof. Giovanni Bruno, e niun ricordo si è fatto di lui negli Atti di questa nostra R. Accademia, che egli da Presidente resse per più anni con autorità ed amore. Sebbene tardi, adempio oggi a questo dovere per tardo mandato avuto dal Consiglio accademico, come a discepolo ed affettuoso amico dell’illu- stre trapassato. E l’adempio con soddisfazione, per dir condegnamente di un uomo, che fu decoro della nostra Università e di questo sodalizio. Il Prof. Giovanni Bruno nacque in Palermo a 9 maggio 1818 da Bernardo e Rosalia Casapinta. Egli ben presto venne a far parte di quella dotta schiera di uomini che dal 1840 in poi portarono non solo incremento nelle discipline che coltivarono, ma si fecero propagatori di principii di libertà, popolarizzando il sapere, ritemprando gli spiriti, ispi- rando i nobili sentimenti di progresso e di patria, e preparando la rige- nerazione economica e politica della Sicilia. Sebbene il dispotismo da 25 anni pesasse sul paese, pure erano ancor fresche le tradizioni delle nostre libere istituzioni cadute al 1815; e sebbene il nuovo ordinamento dal 1816 in poi avesse distrutto la no- stra libertà ed indipendenza, pure non erano che pochi anni, che le armi del popolo avevano al 1820 reclamato le perdute franchigie, e mo- strato al re spergiuro che la Sicilia si vince, ma non si doma. 4 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE Al 1830 il popolo resisteva; e il giovine principe, che montava sul trono, lasciava sperare, non a noi soltanto, ma a tutta Italia, tempi mi- gliori, e delle buone leggi economiche assicuravano questa speranza, che fu un fatale miraggio. Tuttavia vivevano scienziati e politici che avevano illustrato la Si cilia al cadere del secolo e al sorgere del nuovo, quando un gruppo di eletti ingegni, rompendola col passato, sì fecero riformatori degli studii e guica della pubblica opinione e delle aspirazioni di tutti: questi furono: Emerico Amari e Francesco Ferrara, Francesco Perez e Vincenzo Er- rante, Benedetto Castiglia e Michele Amari, ed altri forti e distinti let- terati e scienziati. Filosofia, storia, letteratura, poesia riformavansi; ad una filosofia senza nome succedevano i moderni sistemi, ad una critica senza guida si davano principii, ad una letteratura slombata si dava uno scopo civile, ad una poesia arcadica si sostituiva una poesia robusta, ispirata al sen- timento di patria e di libertà, ad una storia annalistica e senza scopo si dava il carattere di un severo giudizio sulle generazioni passate, per essere di norma alla presente (1). Le scienze politiche e sociali sopratutto, ispirandosi alla libertà e all’utilità, ebbero incremento, e si applicarono a migliorare le condi- zioni del paese, armonizzando la morale e l’utile, la libertà e l'autorità, la tradizione ed il progresso. Le opere dello Smith, del Bentham, del Say furono di guida ai nostri scrittori, che eccelsero nelle scienze econo- miche e giuridiche. La cattedra di economia politica è di antica istituzione fra noi; fon- data nel 1779 col Sergio, fu quarta in Europa, terza in Italia. Al colbertismo del Sergio al 1791 si contrappose il liberismo di Paolo Balsamo, che reduce dall'Inghilterra avea educata la mente alle idee (1) Le ultime traccie di una filosotia decaduta e senza nome, venuta dal secolo XVIII, si cancellavano, e tre sistemi si disputavano fra noi il primato: il sensismo con Emerico Amari, l’idealismo col D'Acquisto e 1’ eccletismo del Cusin, allora in voga, col Mancino; nè mancò il Ventura, che con poderosa dottrina rinnovava. la scolastica del medioevo, legando la scienza alla fede. Ad una critica letteraria senza guida di principii Benedetto Castiglia sostituiva l’analisi filosofica, ad una letteratura garula e senza scopo sottentrava col Perez e col Giudici una letteratura tutta muscoli con lo scopo civile, ad una poesia arcadica il Perez, l’Errante, la Turrisi Colonna sostituivano una poesia robusta, ispirata al sentimento di patria e di libertà. Ad una storia annalistica e senza scopo Nicolò Pal meri e Michele Amari davano il carattere di un severo giudizio sulle generazioni passate, come norma per la presente. GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE 5) di libertà, che fu il programma della sua vita; e queste dottrine egli bandi dalla cattedra per 10 anni dal 1801 in poi, educando la gioventù al liberismo. Ignazio Sanfilippo, che gli successe nel 1816, fu pel vincolo; mn al 1850 convertivasi alla libertà; così la cattedra di economia politica di Palermo è da 60 anni che si fa propugnacolo del liberismo, or tem perato dal nuovo professore di economia politica, Villustre mio amico Ricca Salerno, che sa bene armonizzare la scienza alla politica econo- mica, la iniziativa individuale alla sociale, la libertà alla pubblica utilità. A quei tempi due istituzioni proprio di popoli liberi vennero in so- stegno della nostra cattedra, e da esse con maggiore larghezza d'idee, con maggiore fede, con maggiore dottrina si bandi il sistema della com- pleta libertà economica. Queste due istituzioni, fondate nel 18532, furono : la direzione di stati- stica con a capo Saverio Scrofani, il campione della libertà del commercio nel 1795, e l'Istituto d’incoraggiamento alle arti e alle manifatture. L'una nel suo monumentale g/0rnale di statistica discuteva le teoriche sociali ed economiche, invocando la libertà. L'altro, con l'essere ufficialmente inteso nelle materie industriali e commerciali, diè campo agl’ingegni, che ne facevano parte , di studiare la scienza e discuterne nell’applicazione i principii, che furono sempre ispirati alla libertà economica. In questi due istituti s'ingrandirono con gli scritti, con le relazioni, con la parola Emerico Amari, Francesco Ferrara, Vito D’ Ondes, Raf- faele Busacca, sostenendo la libertà, combattendo il vincolo, la prote- zione, l’ingerenza del governo; sostituendo l’attività individuale all’ on- nipotenza dello Stato, facendo guerra alla centralità, e a tutto ciò che sentisse di socialismo, sia imposto dal governo, che proclamato dalla piazza. AI 1854 un dotto ragionamento del Busacca sulle industrie siciliane toglieva |’ ultima illusione, che mercè la protezione la Sicilia potesse divenire manifatturiera; al 1837 una memoria stupenda del Ferrara ci dava il Zibero cabotaggio tra Napoli e Sicilia ; al 1840 si pubblicava un efficace scritto di E. Amari: 7 sistema protettore e la collisione degl'inte- ressi rivali, col quale combatte i protezionisti francesi, che volevano ac- cordata la protezione degli zuccheri indigeni, rovinando il consumo di questo genere; e combattendo il protezionismo, e conchiudeva che egli ne avea scritto, acciò « con l'esempio dei mali altrui allontanare dalla no- stra patria i funesti effetti di un sistema di menzogne e di violenze, cui tanti mali recarono i tempi d’ignoranza ». Il concorso alla cattedra di economia politica di Catania del 1841 fu 6 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE nuovo incentivo a discutere i principii liberali contro il vincolo, la pro- tezione, l’ingerenza dello Stato. Il soggetto che trattossi estemporanea- mente dai concorrenti fu intorno all’ utile 0 svantaggio che producono è privilegi. Placido De Luca e Salvatore Marchese si disputavano il pri- mato fra i concorrenti; l’uno combatteva i privilegi in principio, li cre- dea utili in date condizioni; l’altro era per la completa abolizione. Eme- rico Amari, nemico d’ogni privilegio, nel (iornale di Statistica si volgea contro il De Luca, sostenuto da Benedetto Castiglia; la vittoria fu del De Luca, che poco dopo divenne completamente liberista, e due anni appresso, per concorso, andò professore di economia politica all Università di Napoli. Ma già siamo al ridestarsi ovunque di queste idee : siamo alla grande agitazione liberista inglese, siamo a Cobden e alla lega, al trionfo della libertà accettata da Roberto Peel, agli eloquenti scritti del Bastiat in Francia, che combatte protezionismo e socialismo, fondati sullo stesso errore. Frano tempi di vita e di nobile agitazione fra noi, in cui la scienza teoreticamente si svolgeva, la libertà economica trionfava, e con essa, come conseguenza, si preparava la rigenerazione politica del popolo. La potenza delle idee agì anche sul governo di Sicilia; e la riforma doganale del 1841 fu ispirata al libero cambio. Lo Stato fra noi non ebbe mai idee d’ingerenza nella vita economica; ed è storico come Fer- dinando II, animato da idee liberiste, avesse spedito avanti il 1848 a Roberto Peel una sua professione di fede economica liberale, che fu pomposamente citata alla camera dei comuni; il che prova come i go- verni dispotici in odio alla associazione alimentino l’individualismo ; e i rappresentativi, amanti d’ingerenza, fomentino il socialismo di stato. Abbiamo voluto fermarci su questo punto della proclamazione del libero cambio e della guerra al socialismo, sia per mostrare l’ambiente che involse il Bruno all'alba della sua vita scientifica, sia perchè tanta conquista oramai è perduta nella stessa patria del Say e del Romagnosi, per gelosie economiche e rivalità politiche, e per l’avanzarsi minacciose delle masse, guidate da ferventi apostoli di dottrine pericolose all’ ordi- namento sociale. IDE, Giovanni Bruno entrava più tardi in questo arringo, e più tardi, ve- niva a far parte della nobile schiera dei nostri economisti. Le sue prime pubblicazioni economiche, delle quali niuno tenne conto, GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOPTRINE ECONOMICHE 7 comparvero al 1842 nel giornale l'Oreteo diretto da Francesco Crispi (1): lavoro di maggior lena fu quello pubblicato nello stesso anno su! van taggio e progresso delle Casse di risparmio e sui mezzi d' istituirle in Si cilia, tema dato a concorso dall'Istituto d’incoraggiamento : ma la me- moria del Bruno non fu premiata. Dal 18453 al 1844 troviamo una lacuna nella di lui vita scientifica. Il giovine economista si tacque, per prepararsi ad arduo cimento. Nel 1844, dopo la morte del prot. Sanfilippo, fu bandito il concorso per la cattedra di economia civile nella nostra Università. Fra i con- correnti presentavansi Rattaele Busacca che da 10 anni con le sue pub- blicazioni era venuto in fama di economista e un giovane sconosciuto a soli 26 anni. Il tema del concorso per una memoria estemporanea si tu: La grande divisione della proprietà territoriale è utile alla prosperità pubblica e i buoni costumi? quali sono i suoi effetti presso i differenti popoli di Europa ? Le due memorie sono pubblicate nel 17° fascicolo del Giornale di stati stica, e mi astengo di darne un giudizio. La lezione orale si aggirò sull'argomento: della libera concorrenza è dei suoi effetti, e naturalmente l'affascinante frase del giovane concor- rente dovette fare impressione. i Niuno credeva che il neofita della scienza avesse potuto vincere un provetto economista; ma la vittoria fu del Bruno, che a 31 dicembre 1844 era nominato professore ordinario di economia politica. È da questo punto che comincia la carriera scientifica del Bruno; da questo punto il suo efficace insegnamento , ispirato, senza transazioni, alle idee di libertà, cominciò a dare i suoi frutti. Nel 1846 pubblicava due importanti scritti :l’'uno è la /rolusione con la quale inauguravasi la solenne apertura della R. Università per l’anno scolastico 1846-47 dal titolo : /a sapienza; l’altro è un dotto discorso su/- l’importanza dell'economia sociale, e sul quale i giornali di allora sia dell'I- sola che del Continente diedero favorevole giudizio. Così gradatamente propagavasi la fama del Bruno, che a quei tempi rimaneva offuscata da uomini più provetti e poderosi di lui. (1) Nell’Oreteo troviamo: Notizie sulle borse commerciali, biografia di Salvatore Seu- deri, della Compagnia inglese delle Indie, piccoli seritti che mostravano l° economista all’inizio della carriera; di maggior lena fu quello sul vantaggio e progresso delle Casse di risparmio e sui mezzi d’istituirle in Sicilia: tema dato a concorso per premio dal- l’Istituto d’ Incoraggiamento. GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE (0 ©) III. La rivoluzione del 12 gennaro 1848, preparata da un decennio di co- spirazione e di movimento scientifico e riformatore, venne a suggellare col sangue le aspirazioni del popolo siciliano, anelante della propria li- bertà e geloso della propria indipendenza. Quella rivoluzione era per l’ Isola una necessaria rivendicazione di dritti manomessi e distrutti; come fu detto, con solenni parole, nel pro- clama perla convocazione del parlamento nazionale scritto da E. Amari (1). A 4 febbrajo i Borboni non regnavano più in Sicilia; a 13 aprile era dal Parlamento giurata la formale decadenza della dinastia. Gli uomini che avevano preparata la rivoluzione la ressero con la scienza e la moderazione; e il Parlamento di Sicilia è dalla storia pre- sentato come modello di fronte all’ agitazione rivoluzionaria delle altre Assemblee italiane. Il concetto politico di quei tempi era la libertà e l'indipendenza dei varii stati italiani, che dovevano congiungersi in una lega politica; e la Sicilia fu prima a mandare i suoi commissarii, per questo solenne patto federativo a stipularsi tra’ liberi popoli d’Italia. Il giovane professore Bruno molto si era adoperato nelle dimostrazioni e negli atti che durante il 1847 prepararono la rivoluzione, e le sue lezioni erano improntate a questo grande fine. Per lo statuto dei tempi le Università, come autonome, avevano un proprio rappresentante al Parlamento, e il collegio dei professori, dopo l’opzione dell’Amari, eletto per primo, non trovò altro successore a darvi che il Bruno. Così egli sedeva alla Camera dei deputati, adoperando la sua parola in difesa delle libere idee. (1) Ecco le solenni parole del proclama per la convocazione del Parlamento : « Seb- bene altri non cerchi nelle rivoluzioni altra legittimità che quella della vittoria, pur nondimeno non ci si può contrastare che una rivoluzione che si parta dal dritto evi- dente e al dritto ritorni, ha qualche cosa d’imponente che ai nemici ispira rispetto, agli amici simpatia. Sebbene i dritti dei popoli sono scritti nel libro della provvi- denza e non hanno bisogno di pergamene, pur nondimeno una rivoluzione che cerca riconquistare i dritti di un popolo in patto solenne col suo principe stipulato, si può chiamare piuttosto una riparazione, e il popolo lungi dall’essere chiamato ribelle ha dritto a chiamar ribelli i vicini e lontani che tentano contrastargli il suo dritto ». Questi nobili frasi sono l’esplieamento della terribile risposta proferita dal Comitato al re temente, che chiedeva che cosa si volesse: «Le armi non saranno deposte e le ostilità sospese se non quando la Sicilia, riunita in generale Parlamento, adotterà ai tempi la costituzione che da molti secoli ha posseduto ». GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE |) Collaborò col Crispi nell'Apostolato, ove serisse una serie di articoli sulla lega doganale italiana (1);ma fu nell'Indipendenza e la lega del Ferrara, ove egli più che altro portò il contigente di numerosi seritti, degni di nota. Il Bruno segui tutte le fasi della rivoluzione; e da deputato e da serit- tore fu con la maggioranza, onorato dal governo nazionale d'incarichi, che disimpegnò con lode. Fu immenso il suo dolore quando il Parlamento si aggiorno, e la rea- zione, vincitrice a Novara, portava in maggio 1849, dopo | eccidio di Messina e di Catania, i Borboni a regnare nuovamente in Sicilia. D'indole mite e spesso irresoluta, privo di mezzi e devoto alla fami- glia, il Bruno non si decise a battere la via dell’ esilio, nè tutti i pa- triotti la batterono; ma dignitosamente rimase in patria, dandosi tutto all'insegnamento, nel quale eccelse. La sua scuola fu di convegno a quanti amavano sentir ripetere il santo nome di libertà, adombrato sotto l’ innocente frase di //bera cor- cornrenzu. La sua parola eloquente ed enfatica attirava; le verità della scienza esposte con calore impressionavano; la gioventù studiosa batteva sem- pre le mami all’illustre professore, che solea chiudere le sue lezioni con un epifonema, o con una frase che colpiva il sentimento e l'immaginazione. Ogni anno la sua fama accrescevasi; ogni anno sempre più il profes- sore entusiastava con le dottrine che esponeva; era un vero trionfo, che gli attirò i fulmini della Polizia (lettera 10 marzo 1858); ma egli seppe nobilmente difendersi, e seguire la sua strada. Nè incarichi, nè favori ebbe dal governo della ristaurazione; e sola- mente nel 1859 accettava far parte di una commissione, preseduta dal dotto giurista Scovazzo, per rivedere le tariffe doganali; che anzi nel 1849 era col Turrisi cancellato da socio dell'Istituto d’'incoraggiamento, e riamesso più tardi per nuova proposta del corpo. JAVA Il periodo dal 1850 al 1860 è il più produttivo della sua vita scien- tifica e della esposizione delle sue liberali dottrine. Egli scriveva: sull'origine dell'economia politica, ovvero teoria dalla storia (1) Im uno di esso diceva: « Ha mancato all'Italia pel conquisto della sua libertà e perciò della sua potenza, della sua floridezza l'elemento dell’ associazione, la quale non può essere nè secondato , nè tollerato dai governi che fondano il loro potere sulla debolezza dell’isolamento, nè cercato dai popoli, i quali ugualmente infelici te- mono con l’associazione di contagiarsi a vicenda e di accrescere l'intensità dei loro mali». 10 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE di questa scienza, nel 1854, sul Zibero paneficio e le mete nel 1855; sul divieto dell’importazione degli animali bovini nel 1856; sulla esposizione in- dustriale ed agricola del 1857 nel 1857; sul credito territoriale nel 1858. Fu altresì per molti anni indefesso collaboratore del Giornale di Statistica e del Giornale dell’ Istituto d’ incoraggiamento, ove si pubblicavano le sue me- morie sulle Casse d7 risparmio e sulla Riforma delle statistiche commerciali, ed altri lavori. In ognuna di queste pubblicazioni egli portava un contingente di dot- trine, uno spirito di riforma, una proclamazione delle sue idee liberiste, che il governo tollerava. Nel 1859 è la pubblicazione del 1° volume della Scienza dell’ Ordina- mento Sociale, ovvero nuora esposizione dell’ economia politica , il cui se- condo volume vide luce nel 1862. È questa la sua opera massima, che porta l'impronta del suo sapere, delle sue dottrine, delle sue tendenze; opera accolta e lodata, anco in Francia, ove il dotto economista Passy ne fece rapporto all’ Accademia nel 1869; opera che fu altresì lodata nel 1874 da Amedeo Roux nella sua storia della letteratura in Italia; opera infine che è servita di testo alla gioventù studiosa nella economia politica dal 1860 al 1890, e che ebbe a creare in Sicilia una scuola economica liberale, che nel 1875 fu detta dai nuovi economisti: la cittadella del liberismo. Lasciate frattanto che per un momento vi trasporti a molti anni ad- dietro, quando la economia politica era fiorente e battagliera dalla cat- tedra. Im quel periodo che corre dal 1850 al 1859 noi troviamo che la scienza era largamente rappresentata in Italia da noi siciliani: France- seo Ferrara a Torino, Placido De Luca a Napoli, Giovanni Bruno a Pa- lermo; tre professori che illustrarono l'insegnamento con le loro lezioni, la scienza coi loro scritti, e che tentarono in modo più o meno diverso dar nuova ed originale partizione alla scienza (1). (1) Francesco Ferrera, il dotto ed originale economista, il felice ed eloquente serit- tore, da professore all’Università di Torino, dal 1851 al 1870, dirigeva la Biblioteca degli economisti e la illustrò con dotte Prefazioni, trattando in esse, a proposito delle varie opere che pubblicava, le più importanti quistioni della scienza economica. In quella che precede il corso di Economia politica di G. B. Say mise avanti un nuovo tentativo di esporre la nostra disciplina. Egli si parte dal concetto che bisogna esaminare il tenomeno economico in tre fasi, in rapporto alla causa efficiente che è l’uomo, trovando perniciosa e imbaraz- zante la trattazione sin’oggi seguita. E appoggiandosi sull’agente egli lo considera come essere isolato, poi complessivo costituito da molti uomini, poi come un essere ancora più complessivo costituito da molte riunioni di uomini. Allora il fenomeno GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOT"PRINE ECONOMICHE Il Jo non esporrò questo tentativo, né esaminerò quale dei tre modi di esposizione sia preferibile: ma vi ho voluto fare un accenno per consta- tare questo importante avvenimento nella storia della scienza: tre sici- liani che presentano una nuova partizione dell'economia politica. La rivoluzione del 1860 interruppe questo movimento, e dirizzò lo spi- rito alle idee politiche. Il programma del 1860 non fu quello del 1848. Alla rivendicazione della libertà si accoppiò la conquista dell'unità della patria, e la rivolu- zione da federativa divenne unionista, per ridursi ben presto fusionista. I reduci dall'esilio si divisero il campo: votare la unione della Sicilia economico è abbracciato tutto intero e si esamina in questi tre stadii, formando tre sistemi, alle quali, dice l'illustre economista, per avere un frasario stabile darei nomi distinti, che sarebbero quelli di Economia individuale, sociale, internazionale. Placido De Luca, morto nel 1862, pubblicava in Napoli nel 1852 i suoi principii ele- mentari della scienza economica. Mente esatta ed analitica; valente nelle scienze filo- sofiche e giuridiche, scrittore netto, preciso e sistematico, tentò anche egli con modo nuovo la partizione della disciplina e l’attuò stretto ai concetti della scienza. Eg.i abbracciando in complesso tutta la scienza metteva sotto una veduta ontolo- gica la causa, il mezzo ed il fine, non trovando altro scopo se non il perfezionamento fisico e morale dell’uomo, altro mezzo che l’uomo con le sue forze e colla sua atti- vità, altra causa che l’uomo stesso, così come esce dalle mani” del creatore. Il la- voro dell’uomo, le forze della natura appropriate , il capitale sono i tre grandi po- teri produttivi che stanno naturalmente in armonia. Da ciò la nuova partizione, studiare il fenomeno sotto tre punti di vista : Nel primo esaminare come i tre poteri produttivi si mettono in armonia: feoria dei cambii e della circolazione. Nel secondo conoscere come agiscono siffatti poteri produt- tivi, che per la loro cooperazione han diritto ad una quota-parte del prodotto, cioè della proprietà. Nel terzo studiare come questa proprietà deve raggiungere e prov- vedere ai bisogni dei consociati, cioè della ricchezza. La genesi della scienza, il suo carattere costituiscono i prelegomeni. Ecco il nuovo ordinamento: tutta la scienza concentrata in tre parti : feorid dei cam- bie, proprietà, ricchezza. La popolazione e le finanze, costituiscono opere a sè. Il prot. di Palermo, Giovanni Bruno, corse più avanti, e il suo modo di ordinare la scienza, sebbene appaja sospinto dall'idea del Ferrara, pure da esso si differenzia sia nel concetto che nella esposizione. - Il Bruno non prende solamente ad esaminare il fenomeno economico, ma il sociale, e della scienza economica fa la scienza dell'ordinamento sociale, sebbene poi al fatto è sola materia di economia politica quella che complette il suo libro. Egli, come al Ferrara, si partì dal concetto dell’uomo e lo studia in tre stadii: del- l'individuo, della famiglia, della società; così dividendo in tre la trattazione della scienza: delle condizioni organiche per la conservazione e il mantenimento progres- sivo dell’individuo, della famiglia, della società ; ne stacca una parte che la mette a complemento della scienza, cioè : le finanze pubbliche o i mezzi di sovvenire ai bi- sogni ordinarii e straordinarii della società. 12 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTPRINE ECONOMICHE nel regno d’Italia per assemblea e con condizioni che avrebbero garen- tita la vita e gl’interessi locali, votare per plebiscito incondizionatamente. I più furono per l'assemblea; e questo concetto prevalse nel governo della Prodittatura; e difatti il 21 ottobre che era destinato per la ele- zione dei deputati a questa assemblea fu indetto per il plebiscito, in esecuzione di un decreto di Garibaldi da Napoli, che lo’ volle con la formula: vogliamo l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuale ve costituzionale. Fatto il solenne plebiscito, al gran partito dell’ assemblea, nel quale figuravano i nomi tra i più simpatici e illustri nel paese, non restò che Stringersi al programma regionale del Cavour, del Farini, del Minghetti e il voto del Consiglio straordinario di Stato di Palermo del 18 novem- bre 1860 non sanzionò che questo sistema. Il regionismo fu abbandonato alla Camera senza discussione; ma le sue idee restarono, e fanno sempre capolino in discorsi di ministri e di uomini di Stato, come rimedio a parte dei mali che ci travagliano. Questo partito, nei primi anni perseguitato e calunniato, divenne po- tente in Palermo, ed ebbe il governo della città dal 1868 al 1875 e poi dal 1878 al 1880. Il trasformismo lo travolse nelle sue spire, come ogni altro partito storico della risorta Italia. Il Bruno, nemico dell’accentramento, e legato all’Amari, al Ferrara, al Perez e a tanti altri illustri fu con questo partito, e non mutò ban- diera. Il regionismo, come ebbe i suoi capi, ebbe i suoi giornali, i suoi opu- scoli, i suoi scritti: una letteratura politica che lo difese e ne fece pro- paganda. Il Bruno con importanti lavori e scritti, che si possono leggere nei gior- nali del tempo : l'Unità politica e la Eegione, sostenne il nuovo sistema, dacchè per lui la libertà economica e il discentramento regionale erano una medesima cosa, il trionfo della libertà. Chiamato dal suffragio popolare al Consiglio del comune fu, col sin- daco Peranni, assessore della pubblica istruzione dal 1869 al 1872. Av- versato, calunniato, proseguì la sua via, ordinò le scuole, compilando un regolamento di cui mancavano. Egli lasciò una traccia nell'istruzione elementare; e quando le ire dei partiti cessarono, allora solo fu dato un giudizio favorevole e spassionato del suo lavoro; e pubblicaronsi in que- sto periodo la sua dotta relazione sulle scuole comunali e le lettere al cav. Nisto, allora provveditore agli studii della nostra Provincia. Sono degni di nota a quei tempi, le due stupende conferenze fatte nel- GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE 153 l'aula magna della nostra Università sulla /bertà dell'inseygnamento : vero trionfo per lui; applaudito dalla gioventù del nostro Ateneo e da nume- roso uditorio; sebbene non gli mancassero i rimproveri di quelli, che videro in quelle conferenze le più acri censure alle leggi vigenti sulla pubblica istruzione, e cercarono nuocergli presso il governo centrale. Erano l’esplicamento delle sue liberali dottrine su questo argomento. Il Prof. Bruno nella seienza economica fu sempre consentaneo ai suoi principii, che apprese nelle opere dello Smiht, del Say, del Bastiat: si possono combattere questi, ma non si può non accettarne le conseguenze. 2A il dotto autore nella sua opera massima si premunisce contro qua- lunque addentellato che possa far piegare la scienza a sensi diversi. Ritiene i principii di essa assoluti, e combatte i pochi economisti della scuola classica, che distinguono nella scienza uma teoria ed una pratica, una economia pur4 e una economia applicata, una scienza economica ed una politica economica, prevedendo le conseguenze di questa divisione. Allarga i confini della scienza, abbracciando per ricchezza tutti i beni materiali e immateriali; e così l'economia politica nel di lui concetto ac- quista le proporzioni di una scienza sociale, che definisce : « l'esposizione delle leggi della natura, secondo le quali può l'individuo e la società conservarsi e progredire nella condizione materiale, morale ed intellet- tuale» mentre poi in fatto la materia che svolge è puramente economica, presa in largo senso. Combatte la vecchia e comune partizione della scienza, e, ispirato al Ferrara, partendosi del concetto della causa efficiente ch'è luomo ne adotta una nuova: dell’ indi ziduo, della famiglia, della società ; e sotto questo triplice aspetto distribuisce, con difficoltà, la vasta materia della scienza. Ammette, e bene, a base dell'economia politica la morale e il dritto, per essere di giovamento ai popoli. E in ogni argomento della scienza, se non è originale, aggiunge sempre qualche cosa di nuovo, che rende importante il suo libro. Egli appartiene alla scuola del lasciate fare, lasciate pussare ; è indi- vidualista ed interprete del Bastiat e del Ferrara nell'accettare il prin- cipio della libertà a base dell'ordinamento sociale e nel combattere ogni ingerenza del governo. E sebbene nella sua opera manchi un’ apposità lezione che dia il concetto della libertà, dell'attività individuale e delle funzioni dello Stato nella società, pure ad ogni passo, ad ogni quistione traspare questa fede nell’individuo e nella sua attività. 14 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE La libertà, è stata l’anima che ha informato la vita dei popoli, è stata sempre la fattrice dell’attività umana e dell'umano progresso. Non mi spaventano le sue conseguenze, ma temo la sua violazione, che è vio- lazione delle leggi che governano la società. La libertà è di limite a sè stessa, e rende armonici gl’interessi sociali, che appaiono in antinomia; mentre l’ingerenza non ha limite, ed incita sempre ad estendere il suo potere, col danno comune. Il collettivismo che deve supplire l’individualismo è un'utopia; e una continua negazione dei dritti umani; mon potendosi capire il dritto se non è individualizzato; e da questo falso concetto ne deriva come con- seguenza il socialismo di stato, le cui dottrine sono più pericolose di quelle del socialismo democratico , perchè seducono e sembrano una legittima conseguenza dell’elargamento delle funzioni dello Stato, in seno alla società (1). (1) Il socialismo di stato e le sue dottrine sono più pericolose del socialismo demo- cratico, perchè questo, ritenuto utopia, non trova credito, mentre l’ altro seduce, e sembra una legittima funzione dello Stato. E gli stessi governi che hanno inneggiato a queste idee ora le sconfessano , te- mendone le conseguenze; e invocano la libertà, vedendo la loro impotenza a modi- ficare le leggi di natura che imperano sulla società. La libertà anima il progresso e questo, rialzando gli spiriti, proclama la rivendica- zione dei dritti tuttavia non acquistati, la rigenerazione delle classi operaje che si dicono oppresse dal capitale. 3 La libertà non offende alcun dritto. Libera la proprietà fondiaria e la sua ren- dita, libero il capitale e il suo frutto, libero il lavoro e la sua mercede. La legge dell’offerta e della ricerca regola tutto. Nè questa legge è immorale e immiserente , nè garentisce il forte contro il de- bole, è la legge naturale, è la legge per tutti, è figlia dell'uguaglianza, che si pro- clama nell’interesse di tutti. Se vi fosse una legge che espropriasse nell’ interesse comune la proprietà immo- biliare, noi vedremmo un gran regresso nella cultura; la produzione diminuirebbe, la miseria batterebbe alla porta di tutti. i Se vi fosse una legge che regolasse l’impiego del capitale e il suo profitto, noi ve- dremmo mancare questo attivo strumento di produzione, o vedremmo dominare la menzogna : il fatto mascherato dal dritto. Se vi fosse una legge che vietasse il cambio o lo restringesse in tale proporzioni da offendere la legge che i prodotti si cambiano coi prodotti, noi vedremmo i ma- gazzini rigurgitanti di superfluo, senza poterlo cambiare con ciò che ci manca ; il lavoro restringersi, i bisogni non soddisfarsi, e danneggiata la numerosa classe degli operai, di cui ci stanno a cuore i destini. Se vi fosse una legge che fissasse le ore del lavoro e il limite del salario, noi le vedremmo ad ogni momento violata, e il lavoro godrebbe di una efimera esistenza. La proprietà e il capitale, si dice, opprimono il lavoro, e la gran massa degli operai vive nella miseria, mentre il proprietario e il capitalista nuota nella riechezza. GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE 15 La rigenerazione delle classi operaje, se di una vera rigenerazione si trattasse, sta a tutti a cuore; ed è da oltre un secolo che si lavora per raggiungere questo scopo; per liberarle della così detta tirannia del ca- pitale, per renderle suscettive di sostenere la libera concorrenza, per sollevarle alla dignità di uomini e di cittadini; e molto si è fatto in questa via. Mancava ad esse l'uguaglianza legale e l'hanno ottenuto, mancavano a loro i mezzi gratuiti per uguagliarle alle classi superiori e sono stati dati con l'istruzione, con le società di mutuo soccorso riconosciute, con le cooperative, con le casse di pensioni della vecchiaja, con la legge sugl’ infortunii e le casse di assicurazioni, con le camere di lavoro, e ancor ci resta a fare. Raffrontando ciò che erano gli operai delle arti e delle campagne con quel che sono, lo stacco è immenso. Ma è una intem- peranza, senza risultato, chiedere subitaneamente e con la violenza ciò che lo Stato non può dare; ma la società, mercè l'opera civile e morale dei suoi componenti gradatamente darà di certo ! Noi vorremmo che per mezzo della libertà le classi operaje si rialzino da sè stesse; risparmiando e capitalizzando , studiando ed elevando la loro cultura, stringendosi al capitalista, la cui sorte è legata a quella del lavoro; e poi liberi di associarsi, di protestare e di scioperare, ma senza ledere il dritto e la libertà degli altri (1). Ma tra questo e quel che si pretende dai partiti corre molto; e in questo caso può dirsi che la quistione che si agita è quistione politica, non operaja. gi e col suo Ma questo fenomeno è effetto della libertà? lo Stato con le sue leg intervento potrebbe tarlo cessare ? Ecco due grandi quesiti a studiare, e la cui risoluzione non può essere che nega- tiva; e il tentativo di mutare le leggi naturali della società per renderla migliore ne peggiorerebbe le condizioni. Ai proprietarii e ai capitalisti, che sono i pochi, la più minima partecipazione al prodotto li ta ricchi ; mentre ai lavoratori che sono numerosissimi la partecipazione al prodotto li lascia poveri; è una legge naturale che lo Stato non può ‘per nulla modificare. L’'acerescimento continuo della popolazione, determinata dal progresso delle classi più numerose, ha ristretto la mortalità e ha reso il problema di più difficile soluzione. (1) Il Luzzatti, capo scuola della nuova economia, che non può essere tacciato di individualismo, 1’ indefesso protettore delle classe operaje, nella commemorazione di Quintino Sella non trovava altro rimedio alla redenzione delle classi laboriose che risparmiare e capitalizzare ognuno nella misura delle sue forze e della sua compe- tenze, che federarsi per prestarsi reciproco aiuto nelle Società di mutuo soccorso, che istruirsi nella cultura elementare e nelle scuole professionali; e questo stesso rimedio propone la vecchia scuola, che si dice classica. 16 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE Alla giusta rivendicazione dei dritti degli operaj si è mescolato una dottrina, che la proclama, senza presentare però i mezzi che vi rispon- dono; e si pretende che lo Stato, messo nella via d’indebita ingerenza, distrugga le naturali basi su cui poggia la società, per crearne altre con le leggi; senza considerare che si vive lavorando, che non si può dive- nire capitalista o dirigente senza risparmio e senza istruzione, che pro- clamare l'uguaglianza senza calcolare le differenze importa la miseria di tutti; e non è la miseria che debba volersi; ma la ricchezza, ma la possibilità che il povero in nome della libertà, non dell’ uguaglianza, possa divenire ricco. La quistione sociale è antica: ed ha preso forme diverse in rapporto al grado d’incivilimento dei popoli. Dalla petizione dei dritti di uomo ai dritti politici, dalla libertà del lavoro al dritto al lavoro (1), dall’innal zamento della mercede alla compartecipazione al lavoro, è un graduale progresso, non interrotto; è una serie di conquiste che si legano e a cui si batte le mani. Ma dall’ottenere ogni miglioramento per l’opera della libertà, a voler mutare l’ ordine sociale in nome dell’ uguaglianza, per ottenere ciò che non è in natura, corre gran differenza, è la differenza che passa tra le riforme e la rivoluzione. In questo secolo abbiamo veduto agitarsi anche nel campo ufficiale questi problemi per ben due volte. Dal 1830 al 1849; ed ora dal 1870 in poi; ed in quest’ultimo quarto di secolo con minore esagerazione, ma con maggiore pericolo; e si sono presentati allora ed oggi sotto due aspetti: il protezionismo ed il socialismo; l’ uno che danneggia la ric- chezza, credendo salvare l'industria nazionale, e facendo guerra allo stra- niero (2), l’altro che sconvolge la società, con l'intento di migliorare le infime classi. Il protezionismo e il socialismo basano sullo stesso errore; ed al 1848 il Thiers era in contraddizione con se stesso, quando da una parte s0- steneva il protezionismo e dall’ altra combatteva il socialismo con gli stessi argomenti, con cui gli economisti facevano guerra al protezionismo. (1) Non s'intende il dritto di chiedere al governo di lavorare; ma la proprietà del lavoro è il dritto di usarne liberamente. (2) Il Guizot alla Camera francese, nel 1844, quando agitavasi la quistione del pro- tezionismo diceva: « La gran macchina dell’odio di tutti i partiti è l'odio dello stra- niero, io non ho voluto mettermi nella via delle convenzioni internazionali, perchè voi avete gridato al tradimento. Oggi in Francia e fra moi assistimmo allo stesso spettacolo. Quel che abbiamo detto del protezionismo possiamo applicarlo al sociali- smo : si ha paura; e si fa guerra agli economisti gridandoli ottimisti, e causa dei mali sociali, perchè invocano la libertà e trovano inutile l’ingerenza dello Stato; mentre governi e socialisti non prevedono che il loro pessimismo è causa di regresso e di agitazioni senza rimedio ». GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE 17 Il socialismo non è colpevole che di avere seguito l'antico errore del protezionismo: le leggi naturali della socierà sono false, bisogna che lo Stato le muti. Il socialismo ha suggerito le antinomie sociali, ed è venuto alla con- elusione, che la proprietà è un furto; la libertà protegge i forti contro i deboli, il capitale è il tiranno del lavoro, nella distribuzione della ric- chezza all’operajo che la crea col lavoro, non gli si attribuisce la massima parte, il collettivismo deve prevalere all’individualismo. Il protezionismo ha esagerato la difesa degli interessi nazionali, ed è venuto alla proibizione del libero cambio e alla guerra di tariffe, ispi- rando l’odio contro la libertà e creando la miseria. L'errore dei due siste- mi è fondato sul falso concetto dello Stato. Ed in vero, se noi volessimo rilevare la nozione del concetto dello Stato da ciò che domanda la gente, e da ciò che vogliono che sia i protezionisti e i socialisti, noi non ne caveremmo aleun costrutto. Tutto si domanda allo Stato e si vuole da esso, sottocando |’ attività individuale che si sviluppa con la libertà. E una grande finzione, è un grande errore il credere, diceva il Bastiat, che tutti possano vivere a spese di tutti. I protezionisti sono una frazione di questi tutt? e vogliono che la legge favorisca questa frazione; i socialisti e i comunisti che sono anco essi una minima frazione di questo tutt? vorrebbero che una legge li possa di- spensare di soggiacere alle necessità dell’ umana e sociale natura; ed una frazione ancora più piccola vorrebbe, senza dirlo apertamente, vi- vere bene, ma senza lavorare. Ma ciò è possibile? Lo Stato e le leggi non sono per una trazione, sono per tutti. Lo Stato non è un ente fuori della società, che può tutto, che ha mezzi per tutti. Lo Stato è nella società, ed è movente della sua attività ; lo Stato deve rimuovere gli ostacoli, ed essere il palladio di tutte le libertà, messo fuori da tutte le accuse e da tutte le recrimina- zioni; esso non può livellare le naturali disuguaglianze. Questo concetto della libertà dello Stato si è voluto battezzare dai nemici di ogni libertà anarchia; niuno però lo crede. Oggi protezionismo e socialismo c’incalzano, minacciano la nostra ric- chezza, il nostro svolgimento economico; e i sostenitori di queste dottrine scrivono patetiche pagine per ritrarre i mali sociali, ma non pensano che i loro rimedii li peggiorano, e di molto; non guardano al militarismo, che si appoggia come difesa sociale, alle pesanti imposte che sono conse- guenza dell’ accentramento e dell’ intromissione dei governi nella vita sociale. 18 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE La colpa è stata dei governi, che amanti dell’ingerenza hanno plau- dito e sino ad un certo punto secondato queste dottrine, che elevavano la loro onnipotenza, e specialmente nei governi rappresentativi. Essi hanno ingigantito la quistione, che solo la libertà, la morale, la religione, l’ini- ziativa privata possono risolvere, elevando la dignità delle infime classi, formandone il carattere, ed ispirando nelle classi superiori il dovere di dedicarsi al ben essere delle classi derelitte. Oramai si è giunti a tal punto che come vi hanno le agitazioni so- cialiste, occorrerebbero quelle per la libertà degli individui. È mestieri che i governi anche nel loro interesse si persuadano che le quistioni sociali è la società che le risolve, non sono essi che li derimono; che anzi quanto più s'impegnano a volere con leggi riparare o non fanno nulla, o inveleniscono la piaga, con le patriottiche violenze, con le vi gliacche debolezze, con le legali espoliazioni. Non sono le pesanti imposte, i grossi eserciti, e le continue invasioni dei diritti individuali che possono immegliare economicamente e moral mente ogni classe di cittadini; e molto meno quelle astratte dichiarazioni di dritti, quelle appassionate proclamazioni di principii, che non possono trovare sanzione nella vita sociale, ma che pur forviano gli onesti indi- rizzi degli uomini, agitano le masse, e lasciano nella disillusione le con- cepite speranze, incitando alle dimostrazioni armate e agli assassinii po- litici. Il ridestarsi di queste pericolose dottrine in quest’ ultimo quarto di secolo più che alla Francia devesi alla Germania, che, vincitrice a Se- dan, si è valsa della sua preponderanza politica per propagarle negli altri Stati. Nazione militare ed autoritaria, bisognosa di sviluppo nella sua vita economica e generatrice dei sistemi i più idealisti e trascendenti, piegò al protezionismo, sperando lo sviluppo dell’industria nazionale; e accettò il socialismo di stato, temendo il democratico. Ed ora la resipiscenza la fa indietreggiare di fronte alle minaccie di gravi pericoli. I suoi economisti riunitisi in congresso dal 1869 in poi hanno procla- mato, e, con fervore di nuovi credenti, difeso il protezionismo ed il so- cialismo cattedratico, e or l’uno, or l’altro. Spoglie dalla esagerazione ale- manna anche fra noi trovarono eco queste dottrine, che si proclamano dalle cattedre e che si bandiscono cogli scritti, e più che altro nel Lom- bardo veneto, ove sono ancor vivi i sistemi economici di Melchiorre Gioja. GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE 19 VI. Noi non ci fermeremo su questo argomento abbastanza grave e peri- coloso; dacchè il prof. Bruno non vide il progressivo sviluppo di queste idee, che sino al 1891 non si erano così generalizzate nelle masse, nè pre- sentavano aleun pericolo per l'ordine sociale. Egli avea veduto il sorgere delle nuove idee nel campo della scienza e ne era rimasto allarmato; egli vide la lotta tra gli economisti italiani farsi ardente, ed entrò in essa con ardore in difesa della libertà, che allora avea maggiori difensori che non oggi, in cui il socialismo della cattedra è stato travolto dal socialismo democratico, e per timore di questo si è reso l’altro più potente, invitando i governi a risolvere con leggi tutte le quistioni sociali, che si elevano e s'intrecciano con contra- dittorii intendimenti. Egli conosceva i sistemi socialisti che si svolsero in Francia dal 1839 al 1850 e li avea combattuti nelle sue lezioni; e avendo fede nella li- bertà non avea preveduto lo stato attuale. Vide sorgere la quistione so- ciale, ma non la potè seguire; vide i germi del socialismo demoeratico, ma non il suo rigoglio; s'indegnò quando scorse la scienza economica li- berale combattuta, irrisa, chiamata un corpo morto, ma non ebbe il do- lore di vederla bandita, per divenire esclusiva proprietà di pochi soli- tarii; di scorgere il montare della marea, che atfoga; ed attraverso il so- cialismo, farsi strada l’anarchismo, che ha assassinato re e presidenti di repubbliche, minacciando affogare nel sangue e nel fuoco l’attuale ordine sociale. Ma torniamo ai suoi tempi. Dal 1875 in poi le nuove dottrine economiche si erano timidamente manifestate in Italia, educando la gioventù a’ nuovi principii alemanni sull’ingerenza, sullo stato e sulla sua missione nella società; ma tuttavia trovavano resistenza ad essere accettati, non soltanto fra noi, ma in Francia, in Inghilterra e nella stessa Germania; anzi vi fu un momento in cui la tregua fece concepire la speranza di un accordo fra le due scuole. Fu una illusione. Libri, opuscoli, giornali, bandirono in Italia le idee socialistiche, disere- ditando la vecchia scuola della libertà. Un siciliano, Francesco Ferrara, nel 1874 gettò l’allarme col suo stupendo scritto è! germanismo in Italia, pubblicato nella Nuova Antologia, e la Toscana e l'Italia meridionale tennero testa alle invadenti dottrine, ed a difesa della libertà si fondava a Firenze la Società Adamo Smith. 20 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE In Sicilia era il professore Bruno, che si levava a campione delle idee liberali, Animato da santo zelo leggeva al 1875 in questa Accademia di Scienze, Lettere ed Arti un dotto lavoro dal titolo: / liberisti e gli autori tarii in economia politica, movendo un’ agitazione che riusciva, col con- corso di uomini che propugnavano le stesse dottrine, alla fondazione della Società siciliana di economia politica, con gli stessi intenti della Smith di Firenze. Questa società oramai è spenta; la morte ha mietuto la massima parte dei suoi componenti; ma sino al 1888 ebbe vita, e fiorente. Di questa Società il Bruno fu sempre presidente, e in essa per 10 anni spiegò tutta la sua attività scientifica, parlando e scrivendo sui più importanti argo- menti, che interessavano la economia e la vita del paese, appoggiato da scrittori e da uomini della stessa fede. Oggi nel campo scientifico l’ardore è calmo; le due scuole se non si sono ravvicinate, non si combattono acremente, e la libertà si è ve- lata di fronte alla vittoria protezionista e socialista, che minaccia seriamente gl’ interessi del paese. Ma 25 anni addietro le due scuole si combattevano vivacemente, con calore degno di miglior causa; e la nostra Società di economia politica ebbe a rendere segnalati servizii alla scienza e al paese (1); tanto, che talune sue deliberazioni furono citate con reverenza da ministri alla Camera dei deputati, e il presidente di essa fu chiamato a far parte del Consiglio superiore del commercio e delle industrie e venne altresi insignito del titolo di socio onorario del Cobden club di Londra. Dal 1885 la benemerita società cominciò a declinare, perchè chi ne era anima e vita andava perdendo nella sua attività intellettuale; ma sino al 1885 il suo sviluppo era stato rigoglioso, come mostra l’accenno da me fatto dei suoi lavori e delle sue deliberazioni nel. discorso inau- gurale per la celebrazione del X anniversario di sua fondazione. Bu dessa che lascia onorevole orma di sua vita nel busto di monsignor Gioeni, che sorge nel nostro Ateneo, a perenne memoria del benemerito della economia civile e della filosofia morale; e giova altresì rammentare i dotti discorsi del Bruno e del Corleo che furono pronunziati in questa solenne occasione. (1) Vedi il nostro discorso: Solenne celebrazione del decimo anniversario della Società siciliana di economia politica. Palermo, tipi del Giornale di Sicilia, 1885, e negli Atti della società siciliana di economia politica, seduta 24 maggio 1885, vol. 1°, anno 1885. GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE 21 VII. Il nostro illustre professore ebbe incarichi che ben disimpegno, onori che furono ben meritati. Nel 1861 fu giurato alla esposizione italiana in Firenze, e nello stesso anno membro del Congresso degli scienziati, ove con la sua bella pa- rola sostenne, e vinse, l'ammissione nei futuri Congressi delle scienze sociali, che sino allora ne erano state escluse. Nel 1862 fu chiamato alla direzione della Cassa di Risparmio, fondata in Palermo nel 1860, e in quest'occasione lesse un poderoso discorso, Nel 1865 da rappresentante della Camera di commercio di Palermo all'assemblea delle Camere dell'Isola, leggeva una relazione sui tabae- ehi di Sicilia, nel fine di seongiurare il pericolo del monopolio che la minacciava, e che pur troppo in oggi opprime la nostra agricoltura. Nel 1878 all'insegnamento della economia politica aggiunse per inea- rico quello della statistica, che mantenne sino al 1885, nel qual anno ebbi l’onore di succedergli. Di questa nostra R. Accademia fu socio fin dal 1845 e vi lesse buone memorie, e dal 1885 al 1890 ne tu sempre presidente. Fu socio del- l’Istituto d’incoraggiamento di Sicilia, del Consiglio di perfezionamento, della R. Commissione di Agricoltura e Pastorizia, della Società di aceli- mazione, della Società Smith di Firenze, dell'Ateneo Veneto, dei (Geor- gofili di Firenze, della Società siciliana di economia politica, e di quelle del Belgio e di Parigi; socio onorario del Cobden club di Londra. Il governo si rammentò troppo tardi di questo dotto professore delle scienze economiche, e nel 1877 lo nominava commendatore della corona d'Italia. Fu questi il Prof. Giovanni Bruno. Nobile e dignitoso di figura, di modi gentili e franchi; fu amico leale e negli attfetti tenace. Amante delle sue convinzioni era quasi intolle- rante delle altrui dottrine, quando le credeva pericolose; e mentre con coraggio seppe sempre esporre le proprie idee anco a costo delle per- secuzioni, era trepidante nel prevedere le impressioni che i suoi scritti avessero potuto fare negli altri. Non fu mente originale, ma , assimi- lando le altrui idee, vi aggiungeva sempre del proprio; e se non ebbe un rigoroso sistema nell’ esporre le verità della scienza, le bandì con chiarezza, con efficacia, con calore, ispirando negli altri amore alle dot- trine che professava. La giustizia e il dritto furono norma della sua vita, e per essi fu timido 22 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE politico, ma ardente patriotta, credente nella religione di Cristo, ma ne- mico di ogni pregiudizio. Amò l’Università degli studii ove insegnò per 46 anni, e negli ultimi giorni ne parlava piangendo ; amò la gioventù studiosa, che 1 ebbe a padre, e verso di essa fu indulgente, non debole. Abborrente dagli eccessi fu l’uomo del giusto mezzo, e di pari affetto amò la Sicilia. e l’Italia, i cui interessi vide armonici nel decentramento regionale e nella libertà. D’animo sensitivo e benefico, fu caro a tutti e da tutti estimato ; il pubblico cordoglio l’accompagnò alla tomba. La facoltà di giurisprudenza ne fece commemorazione nel 1891, e nel Pantheon del nostro Ateneo fra i marmorii busti di eccelsi profes- sori figura il suo. La gioventù universitaria che lo vide pochi anni prima della morte non rammenta che un vecchio venerando, e tale è la sua immagine mar- morea, che nulla lascia trasparire dell’ ardente patriotta e del valente economista, che ebbe fede nella libertà; non rammenta che l’illustre profes- sore da tutti rispettato, le cui rare lezioni non erano più improntate all’ar- dore di altri tempi. Egli dal 1885 in poi declinava sempre: le sue facoltà mentali sì distrug- gevano a poco a poco, e noi con pena assistevamo a questa agonia dello spirito, finchè morte lo colse il 26 aprile 1891. Per ben giudicare il Prof. Bruno bisogna tornare indietro, al tempo della sua attività scientifica e dei suoi trionfi universitarii, per formarsi un vero concetto del suo merito e delle sue virtù. ggi del Prof. Bruno non rimangono che le opere e gli scritti, e questi bastano per assicurargli un posto nella storia della scienza che professò; ma rimane ancora qualche altra cosa, di cui possono andare orgogliosi coloro che il conobbero ed assistettero alle sue lezioni: il ri- cordo del suo efficace e dotto insegnamento , la cui memoria non sarà obliata nelle tradizioni del nostro Ateneo e nei ricordi di questa illustre Accademia. Palermo, Dicembre 1899. Elenco delle Opere e Scritti del Prof. Giovanni Bruno Sul vantaggio e progresso delle Casse di risparmio e sui mezzi d’ istituirle in Sicilia — Palermo, 1842. La grande divisione della proprietà territoriale è utile alla prosperità pub- blica e ai buoni costumi ? quali sono è suoi effetti presso i uifferenti popoli di Europa? Memoria estemporanea per concorso. — Palermo, 1844. La Sapienza, prolusione per la solenne apertura della R. Università per l’an- no 1846-47. — Palermo, 1846. Sull’importanza dell’economia politica — Palermo, 1846. Sull’origine della economia politica, ovvero teoria della storia di questa scienza. Palermo, 1854. Uno sguardo al sistema doganale siciliano. — Palermo, 1854. Sul libero paneficio e la meta. — Palermo, 1855. Sul divieto dell’importazione degli animali bovini. — Palermo, 1856. Sulla riforma delle statistiche commerciali. — Palermo, 1856. Sulla esposizione industriale ed agricola del 1857.—Palermo, 1857. Il credito territoriale. — Palermo, 1858. La scienza dell’ordinamento sociale. — Due grossi volumi, pubblicati il primo, in novembre 1859, il secondo nel 1862. — Palermo, 1859-62. Dell’umità politica e dell’indipendenza amministrativa delle regioni italiane. — Palermo, 1860. Le Isole e il continente. — Palermo, 1860. Relazione sulla libera coltivazione dei tabacchi in Sicilia all’ Assemblea delle camere di commercio dell’Isola. — Palermo, 1865. I liberisti e gli autoritarii în economia politica. — Palermo, 1875. Della vita e delle opere del conte Arrivabene. — Palermo, 1880. Discorso per l'inaugurazione del busto di Mons. Gioeni—Palermo, 1885. Titoli degli Scritti pubblicati in vari Giornali Nell’Oreteo, 1842 : I secoli della poesia italiana — Nozioni sulle borse commer- ciali — Biografia di Salvatore Scuderi — Compagnia inglese delle Indie. Nell’ Apostolato, 1848 : Sulla lega doganale (varii articoli). Nell’Indipendenza e la lega, 1848-49: Sul modo di concordare i due parla- menti di Napoli e Sicilia. — L'armata nazionale — Sulla censura e sulla libertà delle opinioni — La politica del terrore e i rivoluzionarii — Un voto per la fede- 24 GIOVANNI BRUNO E LE SUE DOTTRINE ECONOMICHE razione italiana — Discorso alla riapertura alla cattedra di economia politica nel 1848 — Riforme per adattare ai tempi la costituzione del 1812 — Alcune risorse per la Finanza — Sui danni della multiplicazione dei collegi giudiziarii. Nella Luce, 1849 : Risparmii e risorse — Osservazioni al progetto del ministro delle finanze. Nella Libertà, 1360 : La legge sarda sulle miniere — La centralizzazione. Nell'Ammnessione, 1860: L'abolizione del cabotaggio —- Desiderii e doveri. Nell’ Unità politica e nella Regione, 1861-71: L’ America e l'Europa — Sulla unificazione del debito pubblico e delle finanze — Centralizzazione e socialismo — La crisi industriale di Palermo e Messina — Palermo e la Sicilia — Le con- ferenze magistrali — L’unificazione dei debiti italiani — La Sicilia all'esposizione italiana — Le condizioni del prestito italiano —- Sul bisogno di un dock in Si- cilia — Sul bisogno di una nuova dogana in Palermo — Fffetti della centraliz- zazione — L’Esposizione universale di Londra nel 1862 e le finanze italiane. — Le contribuzioni della Sicilia — Il trattato di commercio con la Grecia — Le provincie siciliane e la produzione del sale — Sul progetto di credito fondiario -— La nuova teoria — Il dazio consumo — La perequazione fondiaria — Lo zuc- chero raffinato e non raffinato — La banca d’Italia e la scienza nel campanile — Il partito regionista — Rapporto al Consiglio Comunale sul bilancio 1868 — Economie passibili nel bilancio dello Stato — Dei libri scolastici — La grande provincia e le regioni — La riforma delle scuole serali — Idem dell’orario delle scuole elementari. Nell’Amico del Popolo, 1874-75: Lettere al conte G. Arrivabene — La liberta del commercio e il dazio consumo — Intorno alla quistione fra liberisti ed au- toritarii. Nel Commercio siciliano, 1879 : Voto esposto alla Commissione d’ inchiesta industriale nel 1873. Nel Giornale ed Atti della Società Siciliana di Economia politica, 1875 : Di- scorso inaugurale della fondazione della Società — Perequazione fondiaria — Punti franchi — Tutela del lavoro dei fanciulli e delle donne. 1876 : Commemorazione del Senatore Peranni — Discorso per il primo anni- versario della Società — Idem pel secondo — Dazio consumo e libertà commer- ciale — Trattato di commercio. 1877: Commemorazione di B. Castiglia — Discorso pel terzo anniversario della Società — Sui trattati di commercio, lettere all’Economista di Firenze — I lati- fondi e la colonizzazione agricola — Ferrovia Palermo-Caltanissetta-Catania — Sui trattati di commercio e sulla nuova tariffa doganale. 1878: Commemorazione dei socii d’Ondes, Vanneschi, Donner, Isidoro La Lu- mia, Marchese Maurigi, Caminneci, Garnier — Discorso pel quarto anniver- sario della società — Le fasi del socialismo. 1882: Discussione sul trattato italo-francese — Commemorazione dei socii Lan- cia di Brolo, Defilippis, De Joannes. 1883-85: Sulla temuta concorrenza dei frumenti Americani — Decadenza della marina mercantile — Casse di pensioni per la vecchiaja —Commemorazione dei socii barone Porcasi, Corteggiani, Minneci, Torregiani, Galati, Tirrito. 1888-89 : Commemorazione dei socii Scalia, Abate, Torrearsa, Turrisi. LR ICE EOS ERE2E: VERDI DISCORSO Letto nella solenne adunanza del 23 Febbraro 1901 DAL Prof. LUIGI NATOLI SI NS vi] VORO RR ta) = ‘08Ai09e1a: IXOTAM IQIUI È \ x > Ù n i i DEI 74 r vilaat PI bo È bs: (i EE n GIUSEPPE aViERbDbI Archelào statuario di Rodi, esprimendo nel marmo l’apoteosi di Omero, ‘affigurò il gran Vecchio scettrato, assiso in trono dinanzi a un’ara : ai suoi lati pose l’Iliade e l'Odissea in sembianze giovanili, quasi a signi- ficare l’ eterna gioventù dell’ arte; di dietro Oicumene, la terra popo- lata, che lo incorona di lauro, e Kronos che ne reca il nome nei suoi quaderni. Ministra all’ara il Mito, mentre la Storia e la Poesia, la Tra- gedia e la Comedia, la Sapienza, le Scienze, la Memoria movono verso il Poeta sovrano. To non so quale figurazione marmorea significherà la gloria di GIu- SEPPE VERDI; ma essa, come nella rappresentazione rodia, sarà simbolo dell’università e della perpetuità della Sua grandezza. È quasi trascorso un mese, da che il glorioso Vecchio latino discese nella solenne pace del sepolcro; e non si è ancora spenta l'eco del lungo rimpianto che da ogni parte del mondo civile ve Lo accompagnò, pari a quello che, vent’ anni or sono, seguì la scomparsa di un altro Eroe latino: Giuseppe Garibaldi. « VERDI muore!» La triste notizia, divulgandosi per le città e pei borghi e dovunque l’ arte divina del canto aveva recato l’anima ita- liana, empiva di doloroso stupore: perchè il gran Vecchio, che infino alla età più tarda, aveva con insueta fecondità provato la miracolosa freschezza del Suo spirito, pareva non dovesse cedere al fato comune. Pareva in Lui rinnovato il mito ellenico della eterna giovinezza; poichè 4 GIUSEPPE VERDI vivo ancora Egli era già immortale, e la Sua esistenza corporea s'era confusa nella virtù del Suo spirito e nella perpetuità dell’arte. Non v'era per noi un uomo sacro, come tutti gli esseri umani, al grande mistero della Morte: v'era un nome, al quale da mezzo secolo la gloria s' era congiunta: un nome, il quale da solo aveva sostenuto per sessant'anni il peso e la responsabilità di quel primato, che innanzi a lui avevan conquistato e affermato tre grandissimi: Rossini, Bellini e Donizetti. Così quando l’annuncio della Sua morte corse pel mondo, parve un oscuramento della nostra vita intellettuale; e come al ridestarci di un sogno, nel quale abbiamo profuso tesori favolosi, ci sembra più bieca la povertà in cui viviamo; così oggi noi sentiamo tutta la nostra povertà presente aggravarsi nella dolorosa domanda: « Ed ora chi ci rimane? » E interrogando il presente incerto, spiando l’ avvenire oscuro, non ve- diamo ancora quando una simile orma di piè mortale ricalcherà la polvere del mondo. «Chi ci rimane ora?» L'opera Sua: nella quale la parte più nobile, più bella di Lui, la pura essenza del Suo spirito sovrano si è formata una veste incorruttibile. La Morte non fu con Lui invida e tragica; lasciò che Egli ascendesse trionfalmente la scala della vita fino all’ultimo gradino; poi Lo raccolse placidamente nel tempio della Immortalità: la tomba, che per gli altri è l’oscuro mistero nel quale precipitano e si disperdono le speranze e le memorie, fu a Lui la soglia dove, deposto il caduco, Egli si trasformò in una lampada di vita eternale. Or dunque le lagrime che, nel supremo sgomento, bagnarono la funebre coltrice, si tramutino in ghirlande : il pianto che accompagnò al sepol- cro le forme mortali, si risolva nell’inno; poi che Egli ore candidus insuetum miratur limen Olympi. Abbian lagrime le tombe dei volgari, nei quali fu la vita corporea tutto, sia che le loro braccia abbian altrui fornito il pane quotidiano, sia che abbian tenuto lo scettro; perchè la loro morte ha contarbato le consuetudini e gli affetti nostri: ma sulla tomba di Chi si è tramutato in nume, suoni la strofe augurale e propiziatrice. L’alba del secolo decimonono vide nascere Vincenzo Bellini: 1 alba del secolo ventesimo vide morire GIusEPPE VERDI; i due grandi Maestri aprono e chiudono il secolo nel quale si maturarono i fati più gloriosi GIUSEPPE VERDI 5 della patria; e stanno come le erme sacre di tutto un periodo, che rin- nova nell'arte dei suoni gli splendori del Rinascimento. Allora, nello spegnersi di ogni libertà, nell’agonia dell’ indipendenza, mentre l’Italia, corsa e ricorsa da barbari, perdeva la coscienza dell’es- sere suo; dai borghi e dalle città usciva una folla di pensatori e d’ar- tefici : e strappavano alla natura un segreto e alla bellezza un segno: e tracvano la coscienza fuori dalle angustie della notte medioevale: e spandevano intorno il sorriso delle Grazie elleniche; e a questa Italia serva davano la signoria più vasta, che non teme vicende di guerre e di politiche macchinazioni; davano il soglio più onorato, dinanzi al quale Imperatori e Papi stavano «con le ginocchia de la mente prone »: davano, una seconda volta, l’impero del mondo; e ancor ne durano gli effetti. Così dalla fine del secolo XVIII, dall'Italia serva e disbranata si dit- fondeva per l'Europa un'onda di suoni; e una pleiade novella di mu- sici, tacendo la memoria di ogni altra arte, recava dovunque questo nuovo frutto della virtù italica, nella dolcezza del quale si assopivano i dolori della patria. E una grandezza nuova, uno splendor nuovo co- ronò il nome italiano; gli diede quel primato, che alla compiutezza della sua gloria artistica ancor mancava. L'opera melodrammatica, nata sul finir del secolo XVI, nelle adunanze di Casa Baldi, con la Dafne e l’Euridìce di Tacopo Peri, come un ritorno al dramma greco, raggiungeva nel secolo XVII la sua perfezione con Claudio Monteverdi; il quale con l’Orfeo, liberando la musica dai ceppi della vecchia polifonia, concepì l’opera come espressione musicale delle passioni umane, e ne determinò le leggi. Alessandro Scarlatti le diede nuova bellezza, perfezionando il duetto, introducendo il recitativo accompagnato, svilup- pando le forme dell’aria. Per opera sua Napoli divenne il centro musicale d’Italia, e da Napoli si diffuse per ogni dove la nuova arte. E quando la ricchezza melodica turbò l'equilibrio musicale, e tramutò l'opera dram- matica in un canto fiorito, allora, dai germi seminati dallo stesso Scar- latti, germogliò l’opera buffa. In tal modo la tragedia e la comedia, che nella poesia non erano riu: scite a esser nazionali, acquistavan nazionalità nella musica. Quale ghir- landa purpurea! Pensate: i Maestri si chiamano Scarlatti, Porpora, Duni, Tommelli, Sacchini ; si chiamano Pergolesi, Piccinni, Cimarosa, Paisiello, Cherubini, Spontini. Oh quale onda melodica a questi nomi si diffonde per l’aria! e tutta una schiera di creature dolci e tenere, gaie e spensie- rate, piene di fascino nella tristezza e nel riso, evocata dal fondo della memoria, si riveste di luce, e attraversa l’aere vibrante di suoni. 6 GIUSEPPE VERDI I giovani d’oggi, che hanno la mente irta di sapienti combinazioni di ritmi, sorridono di affettata commiserazione per quella musica che sincarnava in prolazioni di note, inquadrate in una forma architetto- nica a grandi simmetrie e parallelismi; e pensano che pure in quel tempo Gluck proclamava contro Piccinni la necessità di una riforma più umana. Ma, quella era la scuola italiana; generatasi alla luce del nostro . sole, sotto l'azzurro del nostro cielo, tra i profumi dei nostri giardini perennemente fioriti, al murmure del nostro mare, che non indarno le antiche favole popolarono di sirene. Ed essa parlò agli animi il miste- rioso linguaggio dei rosignoli nelle tepide e chiare notti di maggio; al fascino del quale non solo cedette quel semplice e toccante /reyschitz del Weber, ma anche, talvolta, lo scettico don Giovanni di Mozart, e il fosco e tragico Fidelio del Beethoven. Quelle fioriture diffondevano dappertutto il nome della patria. Nel tragico chiudersi del secolo XVIII, e nella profonda rivoluzione che in- frangeva il diritto divino e rovesciava gli ordinamenti feudali, esse vi- bravano come l’ultimo trillo di una società, che s’' avviava spensierata ed elegante verso la ghigliottina. Nello spegnersi del secolo nacquero Gioacchino Rossini e Gaetano Do- nizetti, pochi anni dopo Vincenzo Bellini. Gloriosa triade che empi di sè i primi quarant’anni del secclo decimonono. Rossini, che il Wagner giudicò il primo uomo veramente grande e degno di venerazione, chiuse il passato e aperse l’avvenire; non distrusse i vecchi procedimenti con- venzionali della scuola napolitana, ma li innovò; disciplinò il vocalizzo, e recò la pura melodia a un grado più compiuto di determinatezza e di configurazione simmetrica, per salvare il buon gusto dall’ eccesso di quelli che furon detti gargarismi sonori. Il suo eccletismo) sapiente scosse i cancelli che circoscrivevano nelle formule l’opera lirica: la sua musica balzò limpida e tersa, come un rivolo cristallino di acqua. Da quel tor- rente di gioia che è il Barbiere di Siviglia, alla grandezza epica del Guglielmo Tell qual fiammeggiare di fantasia veramente ariostea !... Bellini, anima squisitamente elegiaca, semplice, spesso, profondo, sem- pre commovente, cercò nel canto la immediata e vera espressione del sentimento. Egli fu un sentimentale. In nessuno dei suoi predecessori l’espressione musicale fu così congiunta alla parola nella significazione del sentimento. Egli fu un riformatore, sostituendo la musica drammatica e psicologica a quella plastica e architetturale in voga ai suoi tempi; introducendo maravigliosamente nel tragico quel parlar cantando, che gli Italiani avevano eccellentemente adoperato nel genere comico. Donizetti, rossiniano dapprima, belliniano dopo, fuse finalmente i - GIUSEPPE VERDI [ due indirizzi; e per la plasticità del suo genio elegante avrebbe forse dato all'Italia il dramma musicale nuovo, se la fretta nel comporre e il tragico oscurarsi della ragione non glielo avessero vietato. Pure in virtù di questi grandi il carattere dell’ opera italiana s' era già nettamente determinato : ed essa procedeva per la sua via, libera mente, svolgendosi con procedimenti e con fini propri; discorrendo ae- canto al fiume ampio e profondo della musica d’ oltremonti, come un rivolo fresco, ombreggiato da salici, che le molli chiome flettono sulla tersa linfa, ove dagli erbosi margini le viole piegano lodorata corolla. Rossini, scettico e beffardo, aveva gittato la penna fin dal ’29; Bellini, ancora . Vergin d’affanni e di vecchiezza nel ’35, e quando coi /wr/t4n) securamente moveva per nuovi mari, posava il biondo capo ....Nella divina ebbrezza dell’infinito. Restava Donizetti, non veramente novatore, come i due grandi, che lo precedevano nel silenzio, ma degno di stare accanto a loro : fra’ minori che li seguivano non uno appariva che promettesse di raccogliere e aumentare il glorioso patrimonio: e mentre fuori d’Italia 1’ opera pro- ‘cedeva per via sicura, pareva che fra noi si avvicinasse l'oscuro mo- mento della sua fine. Entra allora nel campo dell’arte GIUSEPPE VERDI: dal palco sovrano la Diva guarda questo nuovo cavaliero, rude e pos- sente, che move alla conquista del serto d’oro, con gli occhi lampeg- gianti. I primi colpi sono incerti, ma tosto Egli si rinfranca, si raddirizza sull'arcione, corre per la lizza, la vittoria guida il Suo focoso cavallo ; Egli vince! Il melodramma italiano con un vigoroso colpo d'ala si sol- leva a nuova altezza : l’arte nostra compie la sua evoluzione trionfale. La vita di Guseppe VERDI è conosciuta: nato nel 1813 a Roncole da povera gente, istruito nei primi rudimenti della musica dall’ organista del paese, andato a Busseto, in casa Barezzi, cominciò da Sè, in quel secreto angolo d’Italia, a erudirsi nei misteri dell’arte. Casa Barezzi era gli orti Oricellari dei filarmonici di Busseto: la naturale e felice dispo- sizione del giovine campagnolo, vi trovò le condizioni ambienti neces- sarie al suo sviluppo. La città di Busseto conserva religiosamente gli incunaboli dell’ arte Verdiana : sinfonie, pezzi concertati che il giovine, assurto all’ ufficio di direttore della Società Orchestrale e poi della banda cittadina, com- poneva con facilità incredibile. Fra quegli ingenui tentativi, costretto a 8 GIUSEPPE VERDI studiare i grandi maestri, il VERDI, veniva formandosi l’abito dello seri- vere, e acquistava esperienza dei segreti dell’arte. La liberalità del Barezzi e il soccorso della città nativa Gli apersero la via di Milano, ma il Conservatorio Lo respinse. Il La Vigna, uno di quegli eroi della scuola, che uscivan da quel ca- vallo di Troia che era il Conservatorio di Napoli, lo raccolse. Il 17 no- vembre 1839, la Scala apriva le sue porte a quell’Oberto conte di S. Bo- nifacio, col quale il VERDI entrava nell’arringo. Due grandi dolori Gli con- turbarono la gioia di quel primo passo: uno ferì il Suo amore di arti- sta; l’altro i Suoi amori d'uomo: la romorosa caduta del Finto Stanislao parve Gli chiudesse la via del teatro; la morte della moglie e dei due figli le consolazioni della vita. Poi, a un tratto, la forza indomabile che ferveva nel Suo spirito, eruppe in quel Nabucco, che è la prima vera affermazione del nuovo artista. Dal marzo del ’42, prima rappresentazione del Nabucco, al 27 gennaio del ‘49, prima rappresentazione della Battaglia dì Legnano, undici opere sgorgarono dalla fervida fantasia del giovine maestro; fra esse quell’ &y- nani, che, come nel dramma di V. Hugo, fu il vangelo del romantici- smo, così parve e fu giudicato il vangelo dell’opera Verdiana. E questo il periodo della giovinezza feconda, nel quale il Maestro fa la Sua vi gilia d’arme, e conquista i Suoi speroni d’oro. Con la Luisa Miller (dicembre ’49), seguita dal /tigoletto (marzo ’51), dal Trovatore (gennaio ’53), dalla Zraviata (marzo ’53), tre capilavori, egli raggiunge il culmine dell’arte sua. Seguono poi i Vespri (giugno ’55), poi dopo il primo Boccaregra un altro capolavoro, il Ballo in Maschera (febbraio ’59), poi, per una scala sempre ascendente, la Yorza del De- stino (inverno ’62), il nuovo Macbeth (aprile ‘65), il Don Carlos (otto- bre ’67), l’Aida (dicembre ’71), e ultimi luminosi sfolgorii, l’Otello (feb- braio ’87) e il Ma/staff (febbraio ’93). Dal 1839 al 1893 ventisette opere, oltre a una messa e ad alcune altre composizioni minori, uscirono dalla fantasia del Maestro: alla prima aveva ventisei anni, all’ultima, miracolo novo di fecondità e di fre- schezza, ottanta! Le sapienti pedanterie della critica raggruppano tutta questa produzione in tre e perfino in quattro maniere; come se l’ aves- sero scritta quattro VERDI: uno belliniano e rossiniano, uno donizettiano, uno più vicino alla scuola francese, e infine uno wagneriano! Io non conosco che un VERDI solo : il vero artista ha un Zo permanente, im- mutabile, che alla opera d’arte dà un'impronta personale. Ha uno stile. Lo stile non è qualcosa di estrinseco e di acquisibile : è invece una virtù intima dell’ingegno, che dispone, ordina, colora, vivifica gli ele- GIUSEPPE VERDI 9 menti stilistici : linea, parola o suono. Confondere certi procedimenti tec nici, certi caratteri estrinseci, tutto ciò che nella forma dell’arte deriva dalla tradizione, dalla scuola, dalla suggestione dei grandi maestri, e ehe è la parte mutabile e caduca, con l'essenza intima dello stile, è confon- dere con l'accessorio, con l’ornamentale, col formale la psiche dell’opera d’arte. Nessun grande artista, forse neppure il genio, ritrova fin dalla sua prima manifestazione, la forma pura ed integra del suo stile; essa viene a poco a poco spogliandosi di tutto ciò che non le è proprio, dei ricordi, delle influenze; viene affinandosi in una ricerca continua. Onde le differenze formali o di procedimento fra le opere con le quali si inizia una vita artistica e quelle della perfetta maturità dell'ingegno. Soltanto gli ingegni mediocri rimangono immobili nella imitazione di se stessi; il genio si evolve in una continuità di rieerche, di eliminazioni, di inno- vazioni. Io conosco un VERDI solo, la fantasia del quale è una sorgente ine- sauribile; agile e pronta nel concepire, facile nel rappresentare. Un VERDI solo, l’anima del quale accoglie tutte le passioni umane; l’amore e l'odio; la speranza e lo sconforto; la gioia della vita e la cupa dispe- razione della morte; la tenerezza e IV ira; e come le sente gridare e ruggire dentro di sè, così le imprime nell’onda dei suoni che erompe dal- l’oseuro laboratorio del cervello. Ciò che Egli ha di comune coi Suoi grandi predecessori, si beveva nell'aria; tuttavia, non ostante i possi- bili riscontri e le cercate parentele, Egli impresse nella espressione musi- cale dei sentimenti un carattere più umano, e, merito unicamente Suo, ebbe l'intuizione rapida e sicura della rispondenza fra la espressione mu- sicale e il sentimento collettivo : in nessun maestro palpita l’anima delle moltitudini come in Lui; onde la perenne freschezza di quelle opere, nelle quali più profonda, più vera echeggia la passione umana. La evoluzione dell’arte Sua avviene per gradi: la differenza fra la cosidetta prima maniera e la seconda, consiste nella rinuncia alle frasi violente e alla strumentazione clamorosa, nel non abusare degli stac- cati, nel dar serenità e limpidezza alla melodia, e maggior ‘sicurezza alla orchestrazione. Queste qualità raggiungono la perfezione in quel /?igo- letto, che rimarrà sempre il capolavoro di GIUSEPPE VERDI, per efficacia drammatica, per misura sapiente nella fantasia, per ordine e lucidezza nella distribuzione musicale. Coloro che, nelle ultime opere, vollero vedere in lui un wagneriano, non lo intesero. La sua ultima evoluzione non consiste nei raggiramenti di intricate polifonie; ma in una maggior cura della forma, in un senso di aristocrazia, nella larga e decisa fal- ciatura del caduco, del convenzionale, in una maggior fusione fra il dramma e l'armonia. Ed era semplicemente un ritorno alle tradizioni 9 10 GIUSEPPE VERDI della scuola classica italiana, corrette dai progressi della scienza e della tecnica; era la evoluzione ragionevole e naturale dell’arte. Lasciamo le classificazioni. L'evoluzione dell’arte Verdiana segui sra- datamente il progresso dei tempi: ma non si acconciò mai al. figurino della moda. Ingegno veramente italiano, tale volle rimanere, anche quando il colosso di Bayreuth con l'esempio e con la parola diffondev: il novissimo verbo; e la turba dei critici, cercatori del nuovo, tentava di tramutare gli orti esperidi dell’ arte in un giardino di acclimazione. E la Sua italianità appare più distinta ora che Egli è scomparso; che l'essenza melodica della musica nostra, tramonta fra’ preconcetti dei ragionamenti estetici; e la fantasia, questa alata creatrice di immagini, è attorta fra’ ceppi di calcoli scientifici. Ma filosofeggino pure i compositori nuovi tormentando la loro erudi- zione per far trionfare la novissima estetica : noi andremo intanto a dis- setarci alle pure fonti melodiche dell’arte nostra. E quando sentiamo al l’arguta risata di Yigaro, diffondersi la gaiezza nell’anima nostra; e quando sentiamo vibrare tutte le corde dell'amore alla sublime gelosia di Norma, o alla dolorosa tenerezza di Lucia, ai singhiozzi di Violetta e'al sacrificio di Aida; o sentiamo le tempeste della passione prorompere nelle impre- cazioni di Rigoletto e nei furori del Moro; innanzi a tanta profusione e a tanta ricchezza, sentiamo tutto l'orgoglio della nostra razza; e in questo nostro Vecchio, esultando, onoriamo l’ ultimo grande erede del sangue latino. La critica ha notato i difetti dell’arte Verdiana. Che importa? Anche Omero dormiva di quando in quando; e nessuna opera di genio è così perfetta in tutte le sue parti, che non vi si riscontrino mancamenti ed errori. Su alcune opere del VERDI l'oblio ha disteso l'ombra, sua pie- tosa : in altre che pur durano, sebbene non frequenti, sulla scena, si riconosce la fretta del comporre; nelle migliori si notano rudezze e vol- garità. Ma, l’accusa più grave è che Egli abbia quasi sempre ceduto al gusto delle moltitudini; abbia cioè scritto più pel pubblico dei teatri, che per l’arte pura. Forse in parte l'accusa è vera: ma l’arte pura io non so ancor bene che cosa sia; sarà forse un diletto di esteti solitarî, ma non è certo quale la intendevano i Greci, quale la professò Dante, quale la richiedono i tempi futuri. Accarezzare le tendenze e i gusti del proprio tempo ed asservire l’arte alle mutabili tendenze de la folla, è più che un difetto, una colpa: ma guidare il gusto e indirizzarlo verso una meta di bellezza, educare la folla a un ideale è ufficio nobilissimo del- l’arte. Farsi eco dei sentimenti e delle aspirazioni di un momento sto- rico, può menomare il valore dell’opera d'arte; perocchè la sua vitalità GIUSEPPE VERDI Il è affidata a quel che | opera ha di più caduco: ma cogliere in quelle aspirazioni e in quei sentimenti l’anima umana, e farla vibrare con la potenza del suono, è invece eternare un momento storico in una forma immortale. Ora nell'opera Verdiana c'è talvolta, è vero, il grave peccato della op- portunità; ma c'è anche l'altissimo pregio della umanità. Quando i Cro- ciati lombardi assetati e stanchi sospiravano alla patria lontana, cor- reva un fremito per tutte le vene, perchè nel rimpianto dei Crociati c'era anche quello per la patria calpesta e derisa: ma chi può dire che in quel coro stupendo, oggi, per le mutate condizioni politiche, siasi affie- volita la intensità del sentimento umano ? E se, d'altronde, in quegli anni di preparazione, di improvvisi e non durabili trionfi, di dolori e di speranze, la musica di GIUSEPPE VERDI colse la voce dell'anima italiana, e se ne fece l'eco vibrante: se le Sue note precorsero, accompagnarono il fragore delle battaglie per la libertà © per l'indipendenza; se risonarono come trombe di guerra contro lo straniero, sia benedetto nella Sua bara il glorioso Vegliardo, anche se quegli squilli di guerra si sono spenti: sia benedetto .nel nome della patria redenta, poichè Egli alla sua redenzione otferse la fiamma divina dell’arte ! ” La rispondenza dell’arte sua col momento storico fu così piena, che pareva aver Egli precorso le giornate del riscatto. È un singolare ri- scontro nell'opera dei nostri grandi maestri, la predilezione per certi sentimenti di indipendenza e di libertà : il Guglielmo Tel! dello scettico Rossini è per sè stesso un grido di ribellione; nella Norma, il Guerra ! (ruerra! dei druidi scoppia come un improvviso destarsi di popolo : queste voci si determinano nell'opera del VERDI. Diventano rimpianto per la patria perduta, nel coro del Nabucco e in quello dei Lombardi; incitamento in quello dell’ Errani; grido di riscossa nell’ Attila e nel coro del Macbeth; inno di vittoria nella Battaglia di Legnano, nei Vespri! Qual maraviglia se Giuseppe Mazzini, che della musica sentiva potente- mente il fascino, e prevedeva l'avvenire, scriveva al Maestro : « Tutti i vostri drammi musicali sono altrettante battaglie combattute e vinte nel campo dell’arte vera, dell’arte missione contro il despotismo:» e se nelle lettere del Suo nome il popolo leggeva il fato della patria ? Se Egli abbia ciò fatto di proposito, come credono alcuni, o se abbia inconsapevolmete ceduto al fascino dei tempi, io non so; certo è che GIUSEPPE VERDI non fu soltanto artista, fu anche cittadino: e non intese il Suo ufficio solamente accogliendo nel canto il tumulto degli animi, ww 1: GIUSEPPE VERDI o esprimendo gli entusiasmi, gli impeti , le ribellioni di quel periodo turbinoso : ma ancora con l’opera diretta. Onde, mentre seguiva con vivo e sincero commovimento le vicende della nostra risurrezione nazionale, raccoglieva fucili; e alle sue opere preferiva quelle di Cialdini e di Ga- ribaldi. « Quelli sono maestri! —scriveva al Mariani —e che opere! e che finali! a colpi di cannone! » La coscienza del Suo dovere di cittadino potè per un momento per- suaderlo a far parte del primo Parlamento italiano, quando Camillo Ca- vour, il quale della dignità e della nobiltà della rappresentanza del popolo pensava altrimenti che oggi, volle che la Camera raccogliesse il fiore del- l’intelligenza, della dottrina e dell’ arte. Nell’animo Suo onesto ed inte- gro, in quel breve periodo della Sua vita politica, il VERDI non fu par- tigiano di nessuno; nè delle cose giudicò attraverso la ragion di partito; tutti coloro che avevano con la mente e col braccio eretto l’ edificio dell’indipendenza e dell’unità, erano agli occhi Suoi ugualmente sacri; e se, nelle quistioni di politica, mirò sempre al Cavour, nel quale aveva piena fiducia, ciò non Gli vietava di esclamare che Garibaldi era « un uomo veramente da inginocchiarsegli davanti ». E quando non fu più tempo di battaglie, ed Ei poteva con sereno occhio contemplare i Suoi ideali, il cittadino non tacque: si bene alle declamazioni e agli strepiti, preferì la carità intelligente e operosa. Nato da povera gente, vissuto per un trentennio fra le angustie della povertà, salito a un tratto alla fama e alla ricchezza, non insuperbi; ma della fama spregiò le pompe e i rumori, la ricchezza offerse ai sot- ferenti. Pochi seppero come Lui donare con volto amico, con quel tacer pudico che accetto il don ti ta; e i tre milioni largiti da Lui per procurare un onesto riposo e un asilo non umiliante alla imprevidente quanto innumerabile famiglia dei mu- sici, insegnano alla ricchezza fastosa, che si esercita nel novo sport della beneficenza, come la carità possa erigere un monumento a sé stessa. Artista, cittadino, uomo, le facoltà del Suo spirito stettero in Lui in perfetto equilibrio con le forze del corpo; e in Lui, per un prodigio quasi raro, si mantennero vive, pronte, agili fino alla vigilia della morte ; quasi che Egli avesse accolto in sè, in un ultimo supremo sforzo, tutte le energie della stirpe. Ed ora Egli è morto. Nella solitaria casa di S. Agata, il fido stru- mento, sul quale le impazienti dita del Maestro, fra le tempeste ignote GIUSEPPE VERDI 13 ai profani, esploravano il mare delle armonie, starà, cercando invano nell’oscuro silenzio della casa la buona e cara immagine; ma innanzi al marmo, che nella Casa di ricovero, in questo Suo poema di pietà, ‘accoglierà, come per voto, il Suo corpo, crescerà vivo e perenne l'al bero della riconoscenza; e mille voci, che un giorno, per Lui, mieterono su la scena trionfale agiatezza e gloria, ora stremate dagli anni e di- menticate, invocheranno la pace e la benedizione eterna sul Suo spirito. La religione che guiderà il viaggiatore a visitare la stanza ove nac quero e crebbero all'amore e al dolore tante creature immortali, lo con- durrà a inchinarsi dinanzi al marmo che fa Lui tre volte sacro. Sul teatro intanto l’opera Sua d'artista continuerà ad esprimere le voci dell’ uomo; e aspetterà l’ erede che raccolto il ricco patrimonio, crei l’ opera d’arte futura. Se è vero che una fioritura nuova olezza nell’ aria, non è men vero, che ancora a questo olezzo manca una si- gnificazione. Fra i tentativi, le ricerche stilistiche, i lenocini di una mu- sica, la quale circoserive la bellezza nei procedimenti tecnici, o la as- servisce a finalità estetiche attinte fuori della coscienza; che la povertà della fantasia e la fievolezza dell’ispirazione nasconde fra le pieghe di una filosofia trascendentale ed esotica, l’ arte nostra ha perduto il suo stile; ha perduto la sua fisonomia. Questa terza Italia, che per avverso fato non ha saputo essere ita- liana nè in politica, nè in civili ordinamenti, nè in letteratura, ed ha perfino rinunciato alla schiettezza della sua favella, aveva conservato col VerpI l'italianità della musica. Ora Egli è morto: e anche questa ci manca. Che cosa voglia l’ arte novissima io non so e non intendo. Wagner, che è l’ oracolo delfico i cui responsi ascoltano con religioso sgomento i barbassori inconsapevoli dell'estetica musicale, sapeva bene quello che voleva : creare il dramma lirico nazionale della sua Germa- nia, che ancora nè il Mozart, nè il Weber, nè lo stesso Meyerbeer erano riusciti a darle. Nazionale nel contenuto drammatico e lirico e nella finalità. Le sue teorie sulla struttura del dramma musicale si commet- tono con la missione che egli assegna all’ opera drammatica; e non si intendono, nè si comprendono fuori di quel mondo epico tratto dai miti e dalle saghe germaniche, che egli converte in armonie. L'arte sua non ha precedenti, e forse resterà sola; e se i capisaldi della sua estetica contengono dei canoni universali, essi sono il portato naturale di una evoluzione dell’arte; e hanno i loro antecedenti più in là del Wagner. Ma l'Italia, che non ebbe un mondo epico suo, che non ebbe miti e 14 GIUSEPPE VERDI leggende nazionali, non può cercare e ritrovare la sua nuova forma d’arte nel plagiare una estetica trascendente. Tra la nebbia del Reno e il sole che imporpora nel tramonto la cupola di Michelangelo, ci sono fra mezzo le Alpi. La tecnica musicale può, anzi deve dai progressi dell’arte, avvantaggiarsi; e ricercare una più perfetta fusione fra il dramma e la musica è un accostarsi alla verità dell’ espressione e al l'unità dell’opera, per quanto è possibile a un’ arte, per la sua stessa indeterminatezza, convenzionale. Ma questa ricerca non deve snaturare i caratteri originali e proprî della nostra musica, che hanno per tra- dizione e per istinto, essenza melodica. Questi caratteri si son venuti determinando nella nostra opera lirica da tre secoli; si son mantenuti costantemente nei periodi di decadenza o di- pervertimento; si son rile- vati, perfezionandosi nella significazione psicologica, durante il secolo XIX. Dimenticarli per correr dietro a più o meno sapienti problemi di acu- stica, può essere il rifugio dei musicisti poveri di ispirazione, che la miseria della fantasia orpellano con 1’ inconeludente cartellino dell’ av- venirismo; non sarà certo svolgere le forme dell’ arte italiana secondo un criterio più nazionale e più rispondente ai tempi. Il simbolismo tra- scendentale sarà una cosa profonda, solleverà i filosofi nelle sfere della contemplazione, commoverà il dilettantismo degli esteti da le chiome dottamente incollate su le tempia; sarà il godimento degli stiliti solitarî, ma non sarà l’arte dell’avvenire, che deve aver muscoli e sangue ed anima umana. Certo oggi non possiamo più contentarci: di una melodia semplice so- stenuta da un accompagnamento semplice anch’ esso. L'espressione ob- biettiva del sentimento, non basta; noi vogliamo anche ricevere delle impressioni subbiettive, le quali saranno tanto più numerose, quanto maggiore è l'eccitazione sonora della nostra sensibilità. L'armonia è il complemento necessario della melodia : ma ciò non significa certo che la musica debba prendere carattere orchestrale, come sostengono i wagne- riani accecati. Se gli avveniristi hanno in certo modo ragione dicendo che nella musica italiana l’orchestra era divenuta una grande chitarra; non è meno vero che essi hanno tramutato la voce umana in uno stru- mento ambulante di orchestra. E se può esser bene, per colorire con l'orchestra la scena, far intendere il rosignolo o la quaglia, come ha fatto nella Sinfonia pastorale il Beethoven; non bisogna per questo credere che l’orchestra possa rappresentare con evidente determinatezza i rumori stessi della natura. Il tutto dell'orchestra non avrà mai la voce dell’ura- gano. L'ufficio della polifonia orchestrale è soltanto di risvegliare nel l’anima nostra, e sopratutto di suggerirci e di compiere le idee di gran- e e EN E. VT TT GIUSEPPE VERDI 15 dezza e di forza, di grazia e di tenerezza, di dolore e di gioia, d'odio e d'amore. Ma far di essa l’unica espressione del dramma musicale, sop primere l'onda melodica, che è il fondamento stesso del dramma, e ere- dere che l’arte consista nella soluzione della più astrusa logistica musi cale, è snaturar l'ufficio della musica rappresentativa. Il melodramma italiano, fantasioso col Rossini, elegiaco col Bellini, ro- mantico ed elegante col Donizetti, continuò la sua evoluzione nel VERDI e col VERDI: Egli lo fece umano; comprese che l'era del canto continuato era finita, e vi sostituì il movimento e la forza delle passioni; tutta l’arte sua va dal movimento al sentimento drammatico; dalla espressione melodica del sentimento alla compiuta espressione armonica secondo le tradizioni dell'antica scuola italiana; così mentre chiude tutto un periodo luminoso dell’arte, addita la chiave d’oro per aprirne un altro. Il secolo ventesimo riceve da Lui pura e accresciuta l'eredità dell’arte italiana; ma con un rimpianto, che è un monito solenne pei giovani maestri : « Felici voi — esclama in una Sua lettera al von Bulow — felici voi che siete an- cora i figli di Bach: noi non siamo più i figli di Palestrina! » Nel 14, precipitando la fortuna napoleonica, gli Austriaci invadono il Regno italico. Una mano di soldati assale il villagio di Roncole, depre- dando, saccheggiando, uccidendo. La gente fugge la furia bestiale della soldatesca; una povera donna, stringendosi un bambinello al petto corre alla pieve per cercarvi la salvezza. Ma alla rapacità degli invasori gli arredi dell’ umile chiesetta sono esca: il calcio dei fucili tempesta la porta; la povera madre, che non è più sicura nell’ ombra degli altari, si slancia su per la scala del campanile. E sale; e sale : e il bambinello, che non intende il pericolo, sorride, mirando dall'alto del campanile le terre d’Italia; e stende le mani alla campana. A me par di leggere in questa come una allegoria del futuro. EGLI è asceso in alto, dall’oscuro alla luce, dal silenzio alla gloria: tutta la Sua vita è stata una ascensione : ora dall’alto del campanile guarda intorno le campagne sterminate dell’arte, e come allora sorride; come allora stende le mani al bronzo sonoro... O campana di Roncole, che al Suo orecchio infantile squillasti la prima voce di preghiera e di guerra, squilla ora ed ancora al mondo la tua gloria e il Suo nome; squilla, o campana di Roncole, ai venturi la gloria di GIUSEPPE VERDI! 4 ni ia) lea assolo 4 age biizirki sto ciano, ALLO laft.4 aiar, vida Lee fito;; 9 ; Po Lt Lion silob,, PASSI è GU fi tai t pe ini dat GIRLVORI.: (RIE L9LE fassa, [bay Ni r rt i , ROBIN ia) }i uf URETErETTt IPO vat b DICI ? EA it {au È di 4 LA RISE PRATO rta ni Li ESVLE Rent x x dI : { i TE od. ali E di Ù " VINCENZO GIOBERTI ESREFA rea to GIORNI PIOVOSI Di | VENTO FORTE | TUONI NEVE | # E E | (e, USE, | [CSS i E SR & Do) _ = — Ì (Si cs | da £ 2 È S| RI | [9 2) (9) pa 5 2 | | [S| ia | | mm. | | | | | | | 113,58 | 7.8.9.10.11.12.13.14.15.16.17.20, | 149,70 (2.4.6.7.11.12.17.18. _ 13.30 (14.30 | 31.22.28.29.: |[19.26.27.28.29.30.31 | 1,05 | 12,23 | 12,20 | 19,61 | 119,14 | 2.3.5.6.10.11 15.18. 115,00 |1.2.5.6.7.9.12.14.15.|18 { —. lo 18.20.21.22.27 | 1,36 | 12,46 | 12,28 | 12,57 | 140,60 | 3.4.5.6.7.8.14.17.18.19.22.23.24. 82,30 |1.2.3.4.5.6.7.14.15. — HG | 9.30 {17.21.23.27.29.30.31 8,89 | 14,12 | 13,52 | 13,47 | 125,02 | 1.2.3.6.7.8.9.10.11.13.18.20.23 | 136,40 |1.4.5.6.7.18.19.28.29|1.10.11 10 19 25.27 0,99 | 19,09 | 17,64 E 3.10.16.17.25.26.27.28.29 48,50 |2.3.5.14.16.18,22.23 = È | P,67 | 21,50 | 19,81 | 19,02 | 113,92 | 2.3.4.5.6.12.30 51,40 13.6.28.29.30 3.11.30 = = 6,02 | 25,71 | 23,14 | 22,13 | 159,67 | 5.6.7.13 11,60 |1.5.6.7.9.10.31 6.13 Dr. 2 Î | | 6,01 | 26,86 | 24,41 | 23,63 || 148,86 | 5.11.12.13.14.15 71,10 |1.6.12.13.29 D.12.14.19 _ 5 Lo 4,92 | 26,23 | 23,87 | 23,32 | 110,32 | 12.13.19 3,50 13 = = #201123,15 | 25,97 | 20,90] 127,07 | 9.12.19.20.21 91,40 14.21 8.9.12.19.20 _ |19 DID 155,45 |l3.4.14.15.17.20.24. |4.10.12.13 I = | 29.30 2.7.8.23.28,29 S CAMINI IO 0, (2 | 17,93 | 18,13 | 18,66 | 90,43 | 4.5.10.11.12.13.14.20.22. 26.27.29.30 | P.d4 | 13,79 | 14,63 | 15,44|| 74,42) 2.3.4.5.6.8.22.23.24.25.29 110,29 | | | | ,99 | 18,75 | 17,04 | 16,53 |1505,80 2a 1026,94 = — Da, Zia Massimo. . . 35, 2 Medio . ... >generale del termometro < 18,58 Escursione termometrica annua 33,4. Minimo . . . | 1, 8 È [i Ani are DTA CRE ARIE (ion brio adriano tei PP LAINO! Pc i I edi REI I i mi ti i TERRE TELE AOP ea iti E li È n) \ SI n i EI siate acre ion iii iogiine pon in ein | ie RT dimmi i i] 3 x Ù ARA RA DIE VE SET. Li GIVE | ni Li L.F-I DELLA REALE ACCADEMIA DI SCIENZE: LE FTERESE: BELLE AR DI PALERMO STE ee TERZA SERIE (Anno 1900-1901) Volume VI. PALERMO TIPOGRAFIA F. BARRAVECCHIA E FIGLIO 1902 ATTI DELL'ACCADEMIA scienze, Lettere cd Arti DI PALERMO ehe fu già Hecademia del BUON GUSTO PRIMA SERIE Saggi di dissertazione dell’Accademia palermitana del Buon Gusto anno 1795. Saggi di dissertazione dell’ Accademia palermitana del Buon Gusto dopo la sua reintegrazione l'anno 1791...» . + + + + anno 1800 NUOVA SERIE Atti dell’Accademia di Scienze e Lettere di Palermo Voli. + ie E I I Vol i il aL Volk Ilie VO RA Re RE Voli Vi (50 ua pio WoLIVI Li e Lee Vol. VIL e RA e Vol'VII: AL E Vol. X 1887-88 TERZA SERIE Atti della R. Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti Vol..t. isa (ar ge e 8 a Vol. IRR RI o Me n Sr IR I Voli TM, a O a CONI ca) e OO Vol, IV ga RO A I n e iP I VOLI VA TR AAA SS I SE Voli ci MOR Vol. TX; ui e e I pe SN Ale ATI Natal 79 Gi » 1 5 ; VITA Ct ))! | EETPRAÒ CEE i )a ml (Li; SARI AE DA ) Db | > SÌ I ” sl. ran) CEI 3 erENRÀ -}x I Pi SD NENSZZO ar zl aa Nd 275 so a id h cm ASA RA MESI Aia Zia O MS TANO) Si è II GAS i I NAM NARETO ; VE PNT NDIU O a E 0 I vi Lg 3 . "® ) Né 30 p (E 23 o 3» ) I ) IS = EA Md 795 Î AR x " DO AIA DS de Dì - ss CD, % na; ci be) NR R RISALE, Ù A 4A DIN VOR aa 24 bt nti Coro VET Tino s LA Nalefoe ; Le