Il Uli;l:;ii;ii:i)ii,-tuc;ir'ii.!ii;. .1 idliitiiiuhuiliiin-.'.ii'l' ti Ili 11 f ii*p iiii'lii;: M.''Ì' i ■ ..,J,,,i;;.-;,-., HMHj m 1 i liii:::;: il ii''!|i ^j/^.A,/t^. ATTI DELL' ACCADEMIA PONTANIANA VOLCIUE III. - . 'JS^ù ' NAPOLI STABIUnEN'TO TIPOGBAFICO DEt TBAMITEB Strada S. Sebastiano N. io primo piano. 1850. ALLA S. B. M. DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE etc. eie. eie. SIRE F u sempremai riputato un dovere delle società scientifiche e letterarie dedicare i loro lavori a' Principi protettori , da' quali esse rico- noscono la loro esistenza ed il loro incremento. L'Accademia Pontaniana , che sperimentò in ogni tempo gli effetti dell'alta protezione di V. M., non ha compiuto che un dovere di riconoscenza coli' intitolare finora al Suo Real Nome le proprie produzioni ; e ad un tal do- vere adempie pure in questo momento dedi- cando alla M. V. il terzo volume de' suoi atti, come già fece de' precedenti. Sire , la bontà con cui la M. V. si com- piacque di accogliere in altre occasioni un si- mile attestato di venerazione e di rispetto, ci rende sicuri che ci darà altresì in questa cir- costanza un altro prezioso pegno del Suo So- vrano gradimento verso i nostri lavori acca- demici. Facendo a Dio Ottimo Massimo i più fer- vidi voti per la costante prosperità del Regno della M. V., e per la felicità Sua , e della Sua Augusta Real Famiglia , ci segniamo col più profondo rispetto Di V. M. Devotissimi e Fedelissimi sudditi CU ACCADEMICI PONTANIANI. NOTIZIA DELL'ACCADEMIA PONTANIANA PER GLI ANM t835 E SEGUENTI FINO A.L 1844 Letta all' accademia dal segretario perpetuo CAV. fhaiNgesco m. Avellino. Cominciando da' lavori dell'anno i835 i) e distin- guendoli secondo le diverse classi della nostra Accademia, non poclii a rammeular uè trovo concernenti alle scienze naturali. Tali sono le osservazioni del cav. Pasquale Panvini sulla febbre costituzionale biliosa cambiata in tifoide che dominò in Sicilia nel i833, e quelle del sig. Gio- vanni Semmola sopra un creduto rimedio litontritico . Il sig. Pietro de FilippÌ5, ora defunto, con una sua me- moria cercò di provare che il colera non sia un male contagioso , e con altra il sig. Ovidio Nazzari, anche di poi defunto , dimostrava non esser contagiosa la tisi pulmonare. Il cav. Michele Tenore lesse una notizia sul' T albero di melangolo che vedesi in Fondi ^ e credesi (1) Questa notizia trovasi già pubbli- interrompere il racconto de' lavori del- cata nel dono deW Accademia Pontania- V Accademia. Sarà dala la continuazione na agli tcienziati d Italia p. 7 e segg. ne' volumi seguenti ; no' quali si darà &e a' è qui ripetuta la stampa, per non pure l' elenco de' socii. IO VI ^nno ]S3S. ■piantato da S. Tommaso d' Aquino. Né mancarono la- vori ne' quali si videro le naturali scienze applicate alle ricerche archeologiche. Di tal genere furouo le osserva- zioni del sig. Ernesto Capocci sulle colonne del tem- pio di S erapide in Pozzuoli forate dalle foladi , e l'analisi chimica presentata dal cav. Francesco Lancel- lolti, anche oggi defunto, di alcune sostanze rinvenute negli scavi di Pompei. Non poche dissertazioni ancora furono lette nello stes- so anno attenenti alle scienze morali ed economiche. Il cav. arcidiacono Luca de Samuele Cagnazzi intrattenne I' accademia sul salario e nutrimento de' contadini di Puglia. Il signor abate Vito Buonsanto lesse alcune os- servazioni sugli effetti economici derivanti dal dazio sulla introduzione de' libri esteri .^ ed altre il cav. Fi- lippo Rizzi circa le leggi repressive del duello. Ram- mentiamo ancora il cenno dato dal cav. Giacomo Filioli sulla fondazione del real albergo de' poveri di Na- poli-.^ la memoria del sig. Raimondo Grimaldi sulla mo- netazione di rame del regno di Napoli ; e 1' altra fi- nalmente del consiglier Niccola Marini , che pur di poi mancò alla vita , relativa alle istituzioni del dritto pub' hlico ed amministrativo del regno di Napoli. Per ciò che spetta alla storia e letteratura antica, son da ricordare le osservazioni del sig. abate Raimondo Gua- rini su di alcune antiche iscrizioni , e precisamente sulla lapida allora scoperta ed attinente alla reli- gione del dio Silvano , quelle del cav. Agnello Carfora sulla introduzione della cavalleria nelV antica mili- zia; la descrizione presentata dal cav. Antonio Niccolini /fnno i83S. vii di un antichissimo arco esistente presso il lago p^e- lino, con alcune osservazioni su gli arclii\ la memo- ria del sig. Vincenzo de Ritis sidla musica greca, che venne seguita da un' altra del cav. Cagnazzi sull' antica e sulla moderna musica'^ in ultimo alcune osservazioni del sig. principe di S. Giorgio Domenico Spinelli sopra una moneta ciifica malamente attribuita al nostro re Ruggiero. Fecero poi sentire gli accenti delle Muse il sig. Giu- lio Genoino con una poesia sulle varie emigrazioni del- l' accademia, ed il sig. Giuseppe Campise con un capi- tolo intitolato lo sguardo d' Eloi sitila terra. In questo anno fino a tre memorie furono ricevute in risposta al programma proposto dall'accademia nel i833; ma , fattone l' esame , nessuna fu trovata meritevole del premio. L'argomento ne era il seguente: istituire accurate ricerche istoriche sulla condizione delle provincie che compongono il regno di qua del Faro , nelV epoca che decorse, dalla caduta dell'impero occidentale sino alla fondazione della monarchia sotto Ruggiero , ed esibirne i risultamenti. Né è a tacere che nell'anno stesso l'accademia diresse una domanda a S. E. il Ministro de- gli Affari Interni , concernente al dazio su' libri esteri, che accrescea allora le difficoltà del commercio librario. Non mollo dopo faceva simili generosi voti l'Eccellentissimo nostro Presidente onorario perpetuo, sig. Marchese di Pie- tracatella, con un libro appositamente impresso; e la mu- nificenza del nostro Augusto Sovrano non ha guari esau- diva queste voci col diminuire notabilmente quel dazio. Nel mede&inìa anno veaae intrapresa la stampa delia ivtii -Anno i836. storia di Camillo Porzio colla biografia di questo forbito scrittore distesa diligentemente dal sig. Agostino Gervasio. La biblioteca dell'accademia nel i835 fu arricchita di varii libri donati dagli autori , tra' quali ricordiamo il cav. Lodovico Bianchini, Felice Bisazza, il cav. Cagnazzi, Carlo Mele , il sig. Montagne , rnons. Carlo Enmianuele Muzzarelli , Franco Savojardi e il cav. Tenore. Nel corso dell'anno i836 due memorie furono lette all' accademia relative alle scienze naturali j la prima del sig. Semmola contenente alcune osservazioni sulla far- macologia del prof. Giacomini , la seconda del cav. Panvinl, il quale descrisse una novella sciringa di sua invenzione. I lavori spettanti alle scienze morali ed economiche furon presentati dal cav. Cagnazzi, il quale lesse una me- moria sulla mendicità j dal cav. Panvini che ragionò sullo stesso argomento j dal sig. Pasquale Liberatore , or già defunto , che imprese a dimostrare come le regole della scienza economica sono il fondamento della puh- hlica amministrazione ^ e dal sig. Vitaliano Sabatini il quale favellò sul dissodamento de monti. Per quel che concerne la storia e letteratura a noi più vicina, ricordo la dissertazione del sig. Salvatore Fu- sco sopra alcune monete della zecca di Clarenza , destinata dall' autore a formar parte degli atti dell' acca- demia. Né tralascio di rammentare la notizia scritta dal sig. Michele Tafuri , della vita e de' lavori editi o ine- diti di JSiccola Aloisio letterato dello scorso secolo -^ e le osservazioni del cav. Filioli sopra alcune opere di belle arti esposte nel redi museo nel i835, che furono indi impresse negli annali civili delle due Sicilie, ^nno tSSj. IX In questo anno furono più scarsi ili numero i lavori jiresenlati all'accademia: né esser dee maraviglia quando si consideri che cominciò allora questa nostra città ad esser tormentata dallo spaventevole flagello del colera. E pur grato mi riesce il notare che l' accademia , spettatrice e parte di cotanto lutto, non intermise le sue ordinarie tornate , e lo stesso micidial malore scientifica- mente la tenne occupata. lu fatti il cav. Giosuè Sangio- vanni presentava una nota de' professori Ramaglia, Tibe- rio , Chiaja , e Manfrè relativa alla osservazione da essi fatta di diversi vermini del genere Trichoce- phalus dispar di Eodolphi ne' cadaveri de'' morti di colera. Molti libri donati furono pure nello stesso anno da' signori barone Francesco d' Epiro , Luigi Ferrarese , Ge- noino , Luigi Granata , Montagne , ' cav. Bernardo Qua- ranta , Vincenzo de Ritis , cav. Rizzi, Vincenzo Rossi. Nell'anno 1837 benché continuassero in Napoli le stragi del colera, non per tanto non poche memorie fu- rou lette all'accademia^ e tra queste una dal sig. Fedele Amante pertinente alle scienze fisico -matematiche , che contiene alcune considerazioni sulle formole adoperate comunemente da' geografi per calcolare le posizioni geografiche de' vertici de triangoli geodetici. In quanto alle scienze naturali , il cav, Gio: Batista Quadri presentò una memoria su varie specie di rime- dii segreti , e su V acqua adoperata dal cav. Bonazzi per guarire dal colera. Due memorie concernenti la letteratura antica furono Ielle air accademia j l' una del segretario perpetuo cav. b X /4nno t838. Francesco M. Avellino , nella quale si facevano alcune osservazioni su Plauto 5 l' altra del sig. Lelio Carfora sulla origine de linguaggi. In quanto alla storia de' tempi a noi più vicini , il cav. Giuseppe di Cesare die lettura dei I." libro della sua storia di re Manfredi , la quale avendo nell' anno seguente compiutamente presentata , fece poi di pubblica ragione. Vari! lavori poetici furono intesi a ristorare gli animi dalle più severe occupazioni : tali furono un capitolo del sig. barone d'Epiro intitolato l'amicizia', na altro ca/3J- iolo del sig. Genoino sulla vigilia di Natale', ed il I.° canto di un poema del cav. Vincenzo Caracciolo, imma- turamente poi da morte rapito , intitolato il colera morbo in Europa. Die inoltre il sig. Genoino lettura all' acca- demia di un dramma istorico di sua composizione intito- lalo gli Scudery in Provenza. Fecero dono di opere loro alla nostra biblioteca i signori Amante, Carlo d'Andrea, Matteo de Augustinis, Michele Baldacchini , cav, Bianchini, cav. Luigi Blanch, cav, Cagnazzi , Matteo Camera, cav. Andrea Campana, Luigi Cardinali , cav. di Cesare , Stefano delle Chìaje , Oronzio Gabriele Costa , Gervasio , Giovanni Guarini , abate Guarini, Cecilia de Luna Folliero, Pasquale Libe- ratore, Rosario Mangoni , Manfredonia, Montagne, Do- menico Simeone Oliva, Fortunato Padula, S. E, il Mar- chese di Pietracatella , Gennaro Ravizza , cav. Salvatore de Renzi, Filippo Scolari, Stanhope, e Andrea Tripaldi. Tra' lavori dell'anno l838 noverar dobbiamo, per ciò che concerDe alle scienze matematiche', una memoria yinno i83S. xi del cav. Ferdinando de Luca sul principio unico e fon- damentale delle scienze matematiche. In quanto alle scienze naturali , il cav. de Renzi lesse due dissertazioni , la prima siili' ohligo che corre al me- dico di ben studiare le malattie popolari: la seconda sulla necessità di studiare le epidemie con alcune considerazioni sulla danzomania. Queste dissertazioni furono poi entrambe pubblicale dall' autore. Lo stesso cav. de Renzi cominciò la lettura della sua opera su i progressi della medicina italiana dal risorgimento delle lettere Jin oggi, che compì negli anni consecutivi, e tutta poi pubblicò per le stampe nel i843. Il cav. Te- nore lesse le sue note al viaggio fatto dal dottor Ber- ioloni in queste nostre 7'egioni , con un' appendice relativa alle colonne del tempio di Sérapide in Poz- zuoli. Altre memorie furono ancora presentate : dal ba- rone Giuseppe INiccola Burini V esame geologico sidV ab- bassamento ed inalzamento del mare : dal sig. Granata le osservazioni sul senienzajo recentemente stabilito in JSapoli , e su di alcune esperienze ivi istituite : dal cav. JNiccolini le osservazioni sulV elevazione ed abbassamento del mare: dal sig. Gaetano Pesce la di- scussione sulle generazioni spontanee. Vennero poi de- stinate a far parte degli atti una memoria del sig. Leo- poldo Pilla contenente alcuni cenni sulla struttura geo- logica della Sicilia citeriore , ed un' altra del sig. Rossi sopra una mediterranea navigazione tra Foggia e Manfredonia , e sulla irrigazione di quella provincia ; e questa ultima trovasi già inserita nel IV volume de' no- stri atti. SII ^nno i83g. I lavori risguardanti le scienze morali ed economiche furono una memoria del cav. Blanch sullo stoicismo \ nn' altra del barone Durini sulla ragione umana j quella del sig. de Augustinis col titolo la ricchezza degli stati sta meno ìlei produrre molto , che nel produrre con antiveggenza e criterio :, l'altra del sig. Pesce, in cui si dà una nuova spiegazione della scienza nuova del f^icoj ed in fine lo scritto della signora Cecilia de Luna Folliero amore è V egida della natura avverso il vizio ed il dolore ., che venne poi impresso in Trieste nel iSSg. La storia patria tenne esercitato il sig. Baldacchini il quale lesse un discorso sulla storia generale del re- gno di Napoli. La nostra biblioteca si accrebbe nel i838 de' libri offerti in dono da' signori Ermanno Abich , Giacinto Ar- mellino, barone Cesidio Bonanno , Pasquale Borrelii, cav. Cagnazzi, cav. di Cesare, colonnello Marcantonio Costa, dottor Anastasio Cocco , Valentino Passetta , abate Fide- cheli , canonico Alfonso Filipponi , Liberatore, cav. de Luca , Montagne , Moreau de Jonnès , dottor Giacinto Naraias , Padnla , Carlo Passerini , S. E. il Marchese di Pietracatella , dottor Portai, abate Giuseppe del Re, ca- nonico Carlo Rodriquez , Stanhope , giudice Gio: Batista Tomniasi , cav. Lionardo Vigo , Marchese di Villarosa , e Ferdinando Visconti. Nel corso dell'anno iSSg non pochi lavori sulle scien- ze naturali furono presentati all'accademia. Il cav. de Renzi lesse le osservazioni sulle infermità che distrussero l'armata della lega presso Napoli nel i528: il sig. Semraola la notizia di un caso singolare di catalessi Anno tS3g. xni con sognazione spontanea : il cav. Panviai ragionò di una specie particolare di argilla smetlica che trovasi presso S. Caterina in Sicilia : lo stesso cav. Panvini esibì una pianta di Madras, narrando come l'avesse rice- vuta, e la semina fattane sino allo sviluppo. I lavori concernenti le scienze morali ed economiche furono una memoria del sig. Giorgio Masdea sul sistema deir istriizion pubblica considerata relativamente al sapere civile-^ un'altra del sig. Liberatore sulle miniere del regno di Napoli : due del cav. Blanch , la prima sulla teorica considerata nella sua essenza^ e né" suoi effetti , la seconda sul commercio ; le osservazioni del sig. Sabatini sul sistema di pubblica istruzione -^ quelle del sig. Borrelli sii! danni morali, che produce la guer- ra ; e le altre del sig. de Augiistinis sul lento progresso della popolazione e delV agricoltura presso di noi. In quanto alla letteratura , due dissertazioni lesse il sig. Giuseppe Campagna i" sulle attuali condizioni della letteratura in Italia , 2° sullo scopo che aver, dovrebbe la bella letteratura. Avendone chiesto il permesso , il sig. Filippo Caso- ria , benché non ascritto alla nostra accademia, le comu- nicò pure le sue osservazioni sulla dottrina Ippocrats^ ea del sig. Sprengel. Nella classe di storia e letteratura rammento le con^ siderazioni del sig. Giovanni Giuseppe Fusco intorno ad alcune monete aragonesi , le quali saranno pubblicate rrel V volume de' nostri atti r il saggio di un^ opera in- titolata Jilosojia delle lingue , di cui fece lettura W sig. Salvatore Cirillo : i cenni del sig. Liberatore sul XIV Anno iS4-o. progresso nelle scienze e nella industria : e le osser- vazioni <3el cav. di Cesare sulV opera piibhlicata dal sig. Amari in Palermo relativa alla storia Siciliana nel secolo XII. Si pubblicò nel iSSg la storia d' Italia di Camillo Porzio la quale fu iutitolata a S. E. il sig. Marchese di Pietracalella , come un alleslalo di rispellosa gratitudine per la protezione di cui è stato sempre largo a favore dell' accademia. Questo importante lavoro inedito di uno de' più celebri nostri patrii scrittori del XVI secolo fu accompagnato dalla vita di esso scritta dal nostro collega sig. Gervasio della quale dicemmo già sopra. JNello stesso anno si riceverono i libri de' signori Pietro deAngelis, Amante, Campagna, consigliere Giu- seppe Castaldi, cav. di Cesare, dottor Clot-Bey, Niccola Coicia , Costa , dottor Passetta , Kiccola Pergola , abate Guarini, cav. de Luca, cav. Pasquale Stanislao Mancini, JMontagne , cav. KicColini , Giuseppe Nociti , Massimo Kiignez, Raffaele Pepe, S. E. il Marchese di Pietraca- lella, Bartolommeo Ravenna, Giovanni Reguleas, Eupiio Reina, cav. de Renzi, Rossi, Semmola, dott. Agostino de Stefano, cav. Pietro UUoa, Gregorio Barnaba La Va- sta, duca di Ventignano, e Michelangelo Ziccardi. Nel 1840 furono presentati i seguenti lavori concer- nenti alle scienze naturali. Il sig. Guglielmo Gasparrini lesse una memoria sulla pietra ftmgaja , che è stata già inserita nel secondo volume de' nostri atti : altra ne lesse il sig. Giuseppe Ignone sul gas illuminante con- siderato come atto a supplire la forza del vapore. Due memorie furono lette dal sig. Pilla , 1' una relativa jdnno t84o. xv alV applicazione della teoria de^ crateri di solleva- mento al vulcano di Roccamonjina in Campania : r altra che contiene alcune osservazioni sulle lave e le rocce periodiche affini. Il sig. colonnello Costa ra- gionò sull' elettro-magnetismo , e sulle speranze che si hanno di vederlo somministrare una forza motrice ptù utile di quella del vapore j ed in altro lavoro parlò dell'aria compj'essa considerata come un mezzo da supplire le macchine a vapore. In quanto alle scienze morali ed economiche , son da ricordare le osservazioni del sig. Sabatini sulle nor- me della pubblica istruzione'^ le altre del sig. de Au- gustinis sulla natura e gli uffizi delle leggi ; quella del sig. Borrelli , colla quale si esaminano alcuni pro- blemi storici relativi a' curiali di Napoli. Il sig. ca- nonico Rodriquez benché non pontaniano , lesse tra noi nna confutazione delle teorie del Condillac. Final- mente il sig. Rossi lesse nn ragguaglio de lavori di bonificazione eseguiti finora in Terra di Lavoro. Per ciò che spelta alla letteratura ed alla storia pa- tria, è da rammentare la memoria del sig. Salvatore Fu- sco sul terzo dello scudo coniato da Carlo V nel re~ gno di Napoli , la quale verrà impressa in uno de' pros- simi volumi de* nostri atti. DI lavori poetici non abbiamo a parlare che di un sonetto intitolato la storia , del sig. barone d' Epiro, Si accrebbe nel i84o la biblioteca pe' doni de' si- gnori Onofrio Abate , cav. Francesco Adilardi, Amante , d'Andrea, Mariano d'Ajala, Baldacchini, Francesco Bri- ganti , Antonio Cali-Sardo , Matteo Carpino , Castaldi , XVI Jìino /S'4o. Lorenzo Coco-Grasso, colonnello Costa, Corcia, Luciano Fiorentino - Leto , Francesco Saverio Formoso, Gajani , Vincenzo de Grazia, giudice Domenico Ruggiero Greco, Vincenzo Linares , Francesco Longo , Cecilia de Luna Folliero, duca de Luynes , Cesare Marini, Moreau de Jonnès , ^Nunzio Morello, P. Alessio Narbone, Nugnez , rav. Andrea Papadopulo Vrelò , Vincenzo Pergola , Sal- vadore Portai, Rocco Pugliese, dottor Reguleas, giudice Biagio Antonio Roberti, can. Rodriquez , Giovanni San- nicola, Giuseppe Vercillo , e cav. Lionardo Vigo. Nell'anno 184» una memoria matematica fu letta dai sig. Rossi intitolata ricerche intorno ad una superficie^ secondo la quale potrebhonsi conformare le estremità inferiori de"" moli sporgenti in mare. I lavori, che alle scienze naturali si riferivano, fu- rono ì seguenti : del cav. Panvini il saggio di concilia- zione fra la geologia e la cosmologia Musaica j una nota del sig. colonnello Costa sulla possibilità di' veri- ficare il viaggio aerostatico , che dicesi intenda far^e M. Green col pallon mostro da Londra a New-York j alcune considerazioni del sig. Semmola sopra i più fre- quenti e gravi errori seguitati nelle opere di filoso- fia terapeutica 'j ed una memoria del cav. de Renzi sulle riforme che converrebbe adottare nelV insegnamento e nella professione medica. Il cav. arcidiacono Cagnazzi espose il suo progetto di tonografia , mostrando il suo to- rografo, e facendone veder l'applicazionej ed il cav. Qua- dri dopo aver informata l'accademia delle due prime ope- razioni di strabismo praticate dal sig. Furnari in Napoli, comuaicoUe le modificazioni da lui medesimo apportate al y4nno /S42. xvit metodo di Dieffenbach. Quasi tulle le sopra cilale memo- rie videro la luce , essendosi pubblicale o ne' nostri gior- nali scientifici e letterarii, o separatamente dagli autori. Per quel che si attiene alle scienze morali ed eco- nomiche, rammento le considerazioni del sig. de Au"u- slinis sulla natura e sugli effetti della moralità nelle scienze lettere ed arti, e le altre sul paupe/'ismo in Europa, e su' provvedimenti tendenti a sradicarlo. De' lavori letterarii, che si presentarono nel 1841, fecero parte la memoria del cav, Francesco Bozzelli sxdle origini e le vicende della poesia ebraica j l' altra del sig. Liberatore sul medio evo; quella del sig. de Ritis sulla lingua napoletana j le osservazioni del sig. cav. Papadopulo-Vretò sullo stato attuale delle lettere in Grecia, ed il cenno biografico del conte di Guilford scritto dallo stesso autore, la fine fo menzione della me- moria del sig. Fusco intorno ad alcune monete di A- malfi, la quale approvata per gli atti sarà inserita nel quinto volume degli stessi. Furono offerti in dono nel 1841 I libri de' signori Gaetano Arcieri, barone Andrea Bivona , cav. Cagnazzl Gabriele Cosentino, abate Guarini , Francesco Ilarii , Paolo Anania de Luca, Filippo Parlatore, dottor Carlo Passerini, Raffaele Pepe, Errico Piraino, Giorgio Rathgeber, Biagio Antonio Roberti , Rossi , e Sabatini. Nel corso del 1842 varii lavori di scienze naturali tennero occupata l'accademia. Tra esse rammento in pri- mo luogo la memoria del prof. Costa sul fonte di Man^ duria, la quale è stata già pubblicata nel IV volume de? nostri alti j le osservazioni del sig. colonnello Costa e xvni ^nno fS42. sopra un cannone a vapore , la cui invenzione da Leonardo da Trìnci in alcuni manoscritii si attribui- sce ad Archimede-^ quelle del sig. Semmola sidV origine del calore de vìventi ; le altre del cav. Panvini sulla cj'anioscopia di Gali ^ e dello stesso una memoria sulle cause delle malattie scrofolose e rachitiche , che si sono rendute così frequenti a' bambini. I lavori concernenti le scienze morali ed economiche furono la dissertazione del sig. Baldacchini suU' antica filosofìa de' Greci ne suoi legami colla Jilosofìa del Campanella , la quale fu poi dall' autore impressa nel 1843 ; le osservazioni del cav. Panvini sugli espositi j e le altre dello slesso sulla ragione universale del sig. Cousin. Un sonetto del barone d' Epiro col titolo Miche- langelo fu il solo lavoro poetico presentato nel 1842. Riportiamo in ultimo luogo due memorie lette all'ac- cademia , ma non appartenenti a socii della stessa : nella prima del sig. Angelo Beatrice si cercò dimostrare che si dovrebbe ne' seminarii insegnare un corso di agri- coltura , e che lo studio di questa scienza è conve- niente agli ecclesiastici'^ nella seconda del sig. Giocon- dino del Zio, nominato in seguito nostro socio non resi- dente , contenevasi la narrazione di un caso di san- nambolismo guarito dall' autore con la sottrazione di alcuni vermini sotto la cute del capo. In questo ann^« fu pubblicato il II volume degli atti della nostra accademia, di cui il nostro Augusto Monarca si degnò di accettar la dedica. Riuscendo talvolta malagevole il proccurarsi le noti- Anno 184.I' XIX zie biografiche de' nostri sodi residenti quando si ricer- chino qualche tempo dopo la loro morte , 1' accademia volle che s' introducesse il costume serbato anche in altre accademie , cioè che il novello socio scelto in vece del defunto ne facesse l'elogio storico: ed il primo a recare in alto questa risoluzione dell'accademia fu il cav. Man- cini, che lesse l'elogio di Pasquale Liberatore di cui prese il luogo. La biblioteca crebbe di non pochi volumi pe' doni de' signori Felice Abate , Salvatore Alessi , Arcieri , cav. Bianchini , dottor Bartolomeo Biasoletti , Bisazza , cav. Bozzelli , Oreste Brlzi , Lorenzo Bruni , Luigi Catalani , Ippohto Combes , Corcia , Giuseppe Ferrario , canonico Filipponi, commendator Pietro Florio, Giov. Vincenzo e Giov. Giuseppe Fusco ed Angelo Giampietro, Gervasio, Giuseppe Giulj , Mariano Grassi , abate Guarini , Luigi Mariano Guarini , Francesco Longo , cav. Mancini , Raf- faele Mastriani, Giulio Minervini , Fortunato Luigi Nac- cari , Noèl-des Vergers , Vincenzo Ottaviani , cav. Rizzi, prof. Giovanni Resini , cav. Francesco Ruffa, prof. San- guinetti , Antonio Scialoja , dottor Guglielmo Schuiz , Francesco Scortegagna , Tommaso Semmola , Domenico Testa, padre Tornabene, Marino Turchi, La Via, march, di Villarosa , Andrea Zambelli, e Giuseppe Zigarelli. Nello stesso anno 1842 l'accademia cosentina si mise pure in corrispondenza colla nostra inviando in dono il I volume de' suoi atti : e quella degli Aspiranti Natura- listi offrì per mezzo del prof. Costa le sue periodiche pubblicazioni, e l'accademia nostra volle farle a vicenda dono de' suoi atti. Nel corso dell'anno i843 varii lavori concernenti le scienze matematiche furono presentati all' accademia. Ri- cordo primieramente la nuova tavola genei^ale d'inter- polazione, che deesi alle ricerche del sig. Amante, e la nota dello stesso sul palmo siciliano , delle quali la pri- ma è stata già pubblicata nel IV volume de' nostri atti, e la seconda sarà impressa nel VI. Per ciò che concerne le scienze naturali, il sig. ba- rone Durini lesse alcune considerazioni sid calorico de inventi , ed il sig. Capocci una nota sulla cometa ap- parsa nel mese di aprile. Le memorie allenenti alle scienze morali furono le considerazioni del sig. de Augustinis sugli studii e sul sapere della Sicilia citeriore dal i83i al 1842; ed il discorso del sig. Sabatini sidla necessità di moralizzare le azioni sociali per mezzo della educazione. Fralle memorie concernenti la storia e letteratura , citerò le ricerche storico-critiche del colonnello Costa sulla enorme nave che secondo gli storici fé fabbri- care Archimede per lerone II., e la dissertazione fi- lologica del sig. conte Trojano Marnili sul Filocopo del Boccaccio. Quantunque non appartenesse alla nostra accademia, il sig. Cervelleri fu ammesso a leggere le sue osservazioni sulla utilità di una carta geologica delV Italia. Nel 1843 il sig. Luigi Palmieri comunicò all'acca- demia di avere insieme col prof. Santi Linari ottenuto il fenomeno della scintilla per induzione del magnetismo tellurico. L' accademia nominò una commissione perchè verificasse quella sperienza , e venne da essa sul propo* silo informata della verità di quella scoperta. '/inno /843. xxi Fu proposto ancora in quell'anno il programma dalla classe rnatemalica con premio straordinariamente stabilito in ducati 200 da accordarsi alla memoria che desse una dichiarazione soddisfacente di tutte le particolarità di un fiume torrente del regno di Napoli, e delle opere idrau- liche più conducenti a contenerlo nel suo alveo. L'acca- demia presentò alcune dilucidazioni su questo programma. Non senza tristezza richiamar deggio alla memoria la morte di due socii residenti di chiarissima fama , il marchese Tommaso Gargallo ed il sig. Raffaele Liberatore alle cui fatiche dobbiamo un classico vocabolario della lingua italiana : non che quella del chiariss. prof. Giuseppe Frank nostro socio corrispondente. Le loro meritate lodi furono celebrate da' nostri colleghi Domenico Anzelmi , Giusejìpe del Re, e cav. de Renzi. La biblioteca nel i843 si aumentò pe' libri donati da' signori Felice Abate, Onofrio Abate, Andrea de An- gelis, Anzelmi, Baldacchini, P. Michele Bertini, cav. Bian- chini, Giusejipe Maria Bozoli , Carpino, cav. di Cesare, Corcia, Andrea Cozzi, Marco del Fabro, Carmelo Fac- rioli, Lennardnntonio Forleo, Agostino Gallo, Vincenzo Gallo, Genoino, Oreste Giammaria, Vincenzo de Grazia, Angusto Guastalla, abate Guarini, Luigi Mariano Guarino, dottor Hauser, barone d' Hombres-Firmas, cav. Mancini, prof. Mjhl di Tubinga , Massimo Nugnez , Amalia Pala- dini, Pepe, Pilla, Giuseppe del Re, cav. de Renzi, Rossi, Angelo Santoro, Tommaso Semmola, barone Giu- seppe de Spnches , Mariano Tancredi, cav. Tenore , sig. Tonelli, cav. Ulloa, Gaetano Ursino, Giuseppe Vercillo, dottor Wattniann , ed Andrea Zambelli, xxn Anno ì844' Finalmente nello scorso anno l844 j col quale si chiude questa nostra notizia, varie memorie matematiche furono presentate. Il sig. Francesco Pergola comunicò un quadro delle operazioni geodetiche eseguite nel reale officio topografico di Napoli dal i838 sino al 1844» e di altri precedenti lavori non ancora descritti. Ri- cordo pure il discorso intorno una geografia. , del sig. barone d' Epiro , ed il ragionamento del sig. Rossi in- torno ad alcuni luoghi della sua memoria idraidica eia impressa sul difinitivo bonificamento della cam- pugna vicana. Lo slesso sig. Rossi lesse alcune sue ri- cerche intorno ad una specie di superficie anulare , le quali rese più ampie col titolo di generalità geome- triche sulle superfìcie anulari furono dall' autore desti- nate per gli atti dell' accademia , ove vedranno la luce. Le naturali scienze diedero argomento al cav. Pan- vini di scrivere sullo slato attuale delle mediche co- noscenze^ ed al sig. conte MaruUi sulle piante ultima' mente venute dal Brasile. Per quel che concerne alle scienze morali ed economiche , non passeremo sotto si- lenzio la memoria del sig. Sabatini suW arresto perso- nale per cause civili ; l' altra del signor de Augustinis sulle acque fluenti nella relazione coli' agricoltura , colle industrie, e colla sanità'.^ i cenni del cav. Man- cini sopra una recente opera del principe ereditario (oia Re) di Svezia intorno alle pene ed alle prigio- ni; e finalmente la memoria del socio corrispondente sig. Marchese de Ribas, con cui intese di provare, che la rigenerazione del genere umano sta nella riforma, dell' educazione femminile. Anno i8Jl4-' sxin In quanto alla storia e letteratura, ricordiamo le os- servazioni del sig. Paolo Anania de Luca sopra un glo- hetto (li vetro , che sì disse rinvenuto nelle campa- gne di Nola ^ le altre del sig. abate Giacomo Riicca sulla origine della popolazione delle terre di nuova scoverta -j il discorso dianoetico dei sig. marchese de Ribas sopra 60 classici latini j la hiograjìa del marchese Palmieri dislesa dal cay. Blanch ; ed in fine una novella del sig. Borrelli intitolata il sepolcreto magico. Nel 1844 si accrebbe anche di non pochi volumi la nostra biblioteca pe* doni de' signori Eugenio Alberi, Gio- vanni Armentano, Giacinto Armellini, Giuseppe Capone, Beniamino Caracciolo, abate Carpino, dott. Cascio-Cortese, Francesco Saverio Casularo , Giuseppe Cecchini Pacchie- rotti , Corcia , Achille Costa , sig. Foelix , barone Gio- vanni Galbo-Paternò, Genoino , abate Guarini^ Guglielmo Henzen, Giovanni Horkel, Nunziante Ippolito, Francesco lannini, Bernardo Kohne, Leonardo Leonardi, cav. Man- cini , conte Marnili , capitano Gennaro MaruUi , Niccola Melcbiorri, Giovan Domenico Nardo , Vito d' Ondes Reg- gio , cav. Papadopulo Vretò , Carlo Passerini , Errico Pessina, conte Uarione Petitti, P. Marco Giovanni Ponta, Francesco Saverio del Prete , Annibale Ranuzzi , cav. de Renzi f Rossi , P. maestro Salzano , Savino Savini , Lo- renzo Sonzogno, Vittore Trevisan, marchese di Villarosa, e Giuseppe Zurria. \\f^ ^1/ ^7/ "^1/ ^7/ ^l/* 'yl? '>7/ <\7/ <\7/^ K?/ ^77 ^7? ^^? ^'^ "^^ 'S'» ^^i^ '^i^ "^^^ "^^4^ "^^^ '^t^ "^^Ù '^^^ '^^i^ t^iS sili il C(4 ite T ci Is- & /S.//SO.A ATTI DELL' ACCADEMIA PONTAWIANA. FASCICOLO I. DEL VOLUME III. r/Accademia pontaniana pubblica i suoi alti in fascicnli, afnni-hc possano sollecitamente conoscersi le ,raemorie a misura che sono approvale Ogni fascicolo si pubblica subilo che si ha «iifTìcientc materiale e sen/.a astringersi ad alcun determinato periodo o numero di fogli. Teriiilnali i fascicoli che debbono comporre un volume , si darà Ustoria de'lavori, il catalogo degli accademici, e gl'indici necessarii. Il primo volume composto di cinque fa-cicoli è già pubblicalo. r- \- 'j, •;;<>>, NAPOLI, m si- m J:)' m I METRI ARABI. LETTA. DALL' ACCADEMICO RESIDENTE VINCENZIO DE RITIS KfC enimveTO numero jiemUre metra sylìabarum. Sua sed pedibus tempora aujjicit rejerre. TzRENZiAso Mauro. Oakò imputato di audacia soverchia se io mi faccia a produrre una nuova teorica de' metri arabi? Ma questi miei pensieri io sottopongo alla Aostra discussione, va- lorosi colleghi : e il vostro senno mi farà accorto se meritevoli pur sieno di andarvi su tuttavia meditando, o condannar si deggiano a perpetua oblivione, e queste carte distruggere sive fiamma Siue mari libet addano^ In qualunque modo, l'argomento è degno dell' oc- cupazion vostra. Voi già sapete che a sentenza di non Tom. IIL i 2 DERITIS pochi letterati di gran fama, e nostrali e stranieri, non avrebber potuto i nostri arcavoli far passaggio dal latin letterato al latin volgare senza un esterno impulso che a ciò gli avesse determinati ; e che sorto non sarebbe il nostro attuale Idioma gentil sonante e puro, se Arabi e Provenzali non ce ne fossero stati gì' inse- gnatori. Ho voluto con pertinacia esaminar la quistio- ne ; e, senza lasciarmi imporre da venerande autorità, consultar da me stesso gli originali e risalire ai fonti. Per ciò che riguarda arabismo, ecco quel che mi è sembrato di scorgere. Dissi già altra volta che anche prima che il nome degli Arabi avesse potuto pur conoscersi, bei fonti a- vevamo di modi orientali ne' libri ebrei , i quali , per le traduzioni almeno , eransi già diffusi nell' Europa tutta quanta col Cristianesimo. E di qual enfasi non pompeggiano gli scritti degli antichi Padri e molti cantici della Chiesa ? Romanzi di amore dettavansi in Grecia senza che nozione alcuna vi si avesse delle Mille ed una notte. E fin dal secolo IV dell' era cri- stiana eransi già rivolti i begl' ingegni latini alle no- velle , agli apologhi , agi' indovinelli , e a tutte quelle altre eleganti frastaglie della letteratura delle quali sotto le arabe capanne o su i tappeti di Persia additar ci si vorrebbero i primi trovatori. E per quel che si appartiene ad invenzioni fanta- stiche ed alla macchina , come suol dirsi de' poemi : senza ricorrere a lontane origini , ovunque son menti METRIARABX. 3 fanciullesche , di qualunque sesso o età , non mauche- ranno giammai teste d'immaginosa suppellettile lussureg- gianti; e fin nel gelido settentrione trova sf-\nza il fan- tastico Edda, di genii, di fate, e di stregherie d'ogni genere inesauribil miniera (i). Per quanto era vasto il romano imperio, allor che gli Arabi apparvero , la mitologia omerica era di già merce affatto discreditata. E conseguentemente, a quel che ora con vocabolo moderno addimandasi romantica letteratura concorsero senza fallo anch' essi gli Arabi i quali col mezzogiorno di Europa furono per si lungo tempo a contatto; ma la loro quota è scarsa d'assai. Ammira il signor Sismondi, nel suo Saggio su la letteratura del mezzogiorno di Europa, la rapidità con la quale gli Arabi giunsero a un alto grado di coltura. L'incendio della Biblioteca d'Alessandria, ei dice, av- (i) Dico trova sUmza e hon origi- in inverno, la vicenda più penosa ad ne , per non entrare in briga col si- un esule dai propri lari. Sia ne' paesi gnor Geyer che la mitologia dell' Ed- caldi e meridionali non si conosce il da vorrebbe tutta intera uatta dall' o- freddo sotto altre sensazioni chedipia- riente. A noi basterebbe un sol fatto cevol frescura. GÌ' Indiani situano il cardinale per non essere in perfetta loro paradiso ne' monti Himmalaya : concordia con quel dottissimo e giù- l'Olimpo era coperto di neve.... e diziosissimo scrittore. II freddo e il tutti gl'inferni che dobbiamo aU' O- settentrione sono nell'Edda il soggior- riente eran pieni di fuoco. Non già no de' malvagi spiriti. Ben potca l'Ali- in mezzo all' ammirabil clima dell' A- ghieri , senza conoscer l' Edda , tras- sia media potè nascere l' idea del Ni- portare nella gliiacciaia il più tormen- felhem ghiacciato Ma nou è dei- toso stato infernale : 1' alternar delle I' attuai subbietto una tale discussione, stagioni dà nel nostro clima, appunto ^' deritis venuto nel dieclnnovesiino anno dell' egira (2) segna r epoca della maggiore barbarie de' Saracini -, e quel- r avvenimento , per quanto voglia dirsi dubbioso , la- scia pure una trista memoria del sommo dispregio in che essi avevano le lettere. Ma, scorso appena un se- colo , i calili di Bagdad , protettori de' letterati , e let- terati passionati essi stessi , portano al più luminoso grado le arti , le scienze e la poesia. Eppure , appo i Greci , il secolo di Pericle era stato preparato da ben otto secoli di coltura progressiva, che tanti ne corsero dalla guerra di Troia: presso i Latini, il secolo di Au- gusto fu anche 1' ottavo dalla fondazione di Roma : e presso i Francesi, il secolo di Luigi XIV è il dodice- simo da Clodoveo , e 1' ottavo eziandio da' primi rudi- menti della lingua romanza o francese. Cosi il Sismondi. Ed io mi penso che un tal fenomeno non sia straor- dinario in letteratura , e non debba sorprenderci. Quan- do Munimio noleggiava co' traghettatori di carbone il trasporto in Roma de' prodigi delle belle arti sottratti all'incendio di Corinto, e ne pattuiva l'integrità a cou- (2) Dovendo con frequenza nel cor- 1' era ad anni 34 4.8- , iS." , 24'. - so di questa Memoria notar gli anni II che solo basterebbe a far conoscere dell'Egira ; senza ripeterne volta per quella perizia sovrana in astronomia volta la corrispondenza colla nostra che nella corte di Almansorre e di Ai- era , basterà qui rammentare che quel- mamone ci van gli arabisti con tanta la prende cominciamento dal nostro compiacenza magnificando.-Chi deside- anno 622 e precisamente dal giorno rasse vera precisione nel confronto 16 luglio, feria sesta. Ma è da notarsi delle date nelle due ere , non manchi che 1' anno maomettano si è rimasto di consultare i lavori del Navone. lunare, e che perciò ogni periodo di g^uij&gmtol ÌX3 OriCHtS, loin. 1 e iV. 33 anni giuliani corrisponde in quel- M E T R I A R A B T. 5 dizione di peso e di numero : questo avvenimento che annunzia l'estremo grado di rusticità che inunaginar mai si possa, non ricorreva egli nel secolo stesso degli Scipioni ? non segnava uu secolo appena di anteriorità al secolo dell' apogeo della romana floridezza ? V ha ima coltura della tale o tale altra nazione : e v'ha una coltura di tutto il genere umano. Quella può esser più o meno inceppata, stazionaria, ed anche retrograda : l'altra è sempre mai progressiva. Le incm'sioni saraceniche van risguardate come quelle di quanti furono e saranno popoli conquistatori. Dopo le prime devastazioni , i vincitori men numerosi de' vinti risentir ben deggiono quel trionfatore impulso che sempre imprimono i popoli inciviliti su le nazioni semibarbare ancora. E le rapide conquiste degli Arabi avean riunito già sotto il vessillo dell' Islamismo una gran parte dell' oriente ; e il paese di que' Magi e di que' Caldei da' quali le prime scintille del sapere su la terra si diffusero ; e il fertile Egitto , depositario per tanta stagione delle scienze umane ; e la ridente Asia minore nella quale la poesia , il buon gusto e le belle arti a tanta perfezione si spinsero ; e quella Persia che della esagerazione per dir così del civile raffinamento fu culla, e fomite tuttavia non estinto ne' molli languori di una vita voluttuosa; e quelle coste africane le quali quasi originai jiatria vogliono risguardarsi della veemente eloquenza e delle più sottili investigazioni. Gli Arabi trovarono ne' vinti popoli tanti loro in- stitutori: come i rozzi Romani nella nostra e nella Gre- 6 DEB.ITIS eia trasmarina: come i Tatari nella Cina: come i feroci Teutonici che le provincie invasero deli' imperio occi- dentale. Se non che questi ultimi la religione, i costumi e il linguaggio cherlcale adottarono de' popoli che già nel linguaggio ne' costumi e nella religione prendevan nuovo andamento, e che per conseguenza ricomincia- vano con essi un nuovo corso di civiltà progressiva ; mentre gli Arabi , introducendo con la conquista la loro religione e i costumi loro ne' popoli soggiogati, ricever ben potevano un balenar brillante di coltura e quasi il lusso , direni così , del pensiere , ma non que' semi ac- cogliere di civiltà solida i quali fruttar dovessero a tem- po debito la pienezza delle umane cognizioni. E perciò la coltura Araba altro non è nella storia de' progressi dello spirito umano se non 1' apparire di brillante meteora, la quale abbaglia per un momento, e un momento dopo non è più. La civiltà Araba si prolungò maggior tempo ne'pae- si che fiiron più lungo tempo in relazione con gli Eu- ropei : e malgrado la diversa indole del Cristianesimo e dell' islamismo , e 1' antipatia di religione che divider dovea i due popoli ad intervalli immensurabili , tale avvicendamento di costumi e di maniere si stabilì tra i popoli delle due credenze , che fa sorpresa in chi non inflette quanto possa 1' emulazion tra i rivali. Il clero cristiano cinse la spada e guerreggiò per la fede alla mvisulmana: i saracini professarono moderazione e tol- leranza religiosa alla cristiana : mentre i guerrieri del- l' una e dell' altra parte gareggiavano in valore e in 3IETRIARABI. « cortesia. Ed è questa la vera iufluenza degli Arabi nella brillante epoca della cavalleria , nella età vale a dire de' semidei del medio evo. L'industria intanto altri legami fra i due populi componeva e le relazioni ne avvicendava : e in grado eminente la navigazione, regina delle industrie che ul- tima sorge e da tutte prende alimento ; e che, quando anche co' pensieri di guerra si accoppia, di tutte le arti di pace è giuoco forza che pur conservi e fomenti Ja sacra fiamma. Ed ecco il bisogno negli Arabi di apprendere e trasportare nel volgar loro tutto ciò che carpir pote- vano e mettere in serie dell' antico sapere. Si è detto, ma forse con soverchia leggerezza si è detto , formar gli Arabi 1' anello di unione nella ca- tena dello scibile tra il moderno e 1' antico. Uomini dottissimi e laboriosi fan che oggidì quel preteso anello sia ridotto alla sua giusta valutazione. Nulla gli Arabi scoprirono e nulla inventarono : precisamente nulla. La dottrina araba , in fatto di scienze arti e mestieri , al- tro non ci offre che traduzioni e compilazioni. Gli ara- bisti gridano come aquile quando un tal passo rinvenir possono che manchi di tipo greco o latino su ciò che ci rimane di greci e latini codici : come se di tutti i codici latini e greci fossimo noi possessori : come se la scienza tradizionale non fosse stata quasi fino alla no- stra età una scienza anch' essa , comunque non ridotta a scrittura. Gli Arabi tradussero , compilarono: ed ecco tutto. Ed abbiam già cennato qual fosse il motivo dì 8 DERITIS quel compilare , di quel tradurre. E tra noi, dove non di tradurre ina sol di compilare sentivasi bisogno, dal- l' ultima Brettagna sorgono fra le tenebre del medio evo un Arduino , un Roggi-ero Bacone , e giganti ci sem- brano perchè compilarono e scrissero in mezzo agi' in- numerevoli operanti e tacenti. Vero è che molte parole che i moderni ritennero in astronomia e in chimica son d' araba derivazione. Ma ci siam fatti mai a ricercare il perchè sol nell'astro- nomia e nella chimica queste parole si conservarono? — Io m' ingegnerò in altra occasione di sottoporre al vo- stro esame qualc-he mio pensamento su questo proble- ma che sembrami , non che dilucidato , nemmen pro- posto sinora. Intanto atteniamoci entro i precisi confini dell' argomento che or ci occupa. E per condurci drittamente al nostro scopo e non vagare in vane dispute senza determinar dapprima di che si tratti e riconoscer quasi il nostro campo di bat- taglia (3) , veggiam di mettere in chiaro , (3) È da far maraviglia come l' u- meccanismo dell' araba versificazione uico de' nostri scrittori che mostri co- in un paese nel quale lo stesso Gua- guizione de' metri arabi sia l'Arteaga, dagnoli che ne trattò di proposito non dimenticato affatto ; mentre tutti ri- fu sempre molto felice, lo non dirò petono le sentenze del Tiraboschi e col Clerico eh' ei non comprendesse dell' Andres i quali, a giudicarne dal quel che diffusamente andava inse- come ne scrissero , non ne seppero gnando ( Guadagnolus , praecepta de iota. Ma r Artcaga suppone che i suoi iis quae ipse minime intellexìt pro- leggiiori fossero istruiti come lui del ìixe tradetis ). Dirò soltanto che questi M E T R I A R A B r. Q 1." Quale sia precisamente la strutlura , 1' indole caratlerislica dell' Araba versificazione ; 2." Quali sieno i suoi punti di contatto o di di- vergenza col sistema prosodiaco de' Latini e de' Greci ; 5.° Qual parte voglia attribuirsi alla presenza de- gli Arabi nell' adottar che fecero le nazioni romane l'at- tuai sistema de' loro versi , rinunziando all'atto e dis- mettendo le leggi prosodiache degli antichi. Ma nel procedere per questa triplice inchiesta , unico esser ne vuole 1' andamento , non già tripar- tito. La seconda vien per sé stessa ad allogarsi a fian- co della prima ; e circa la terza voi m' imponete,, Ac- cademici , sobrietà di parole per ciò che a mere dedu- zioni si riducono, nello quali voi medesimi dalla sem- plice esposizione de' fatti di mano in mano mi andrete prevenendo. Che però a mera e nuda esposizione storica voi da me esigete eh' io mi riconcentri. E storia mera io vi espongo. l'alli riuniti mi lian presentalo come versificazione araba , quahlubque o- d' indispensabile necessità la compiuta pera piii meccanica che intellettuale, esposizione del dottrinai sistema della Tom. III. 2 IO DERITIS SISTEMA DOTTRINALE DE' METRI ARABI. )) Ecco una contraddizione assai grande tra gli orientalisti ( dice lo storico francese della Letteratura italiana', ed io trascrivo le parole di lui perchè nulla mi s' imputi di calunnioso ). Gli uni vantano molta facilità nelle composizioni poetiche , e ne citano esempi ; gli altri spiegano le regole della poesia in modo da farvi scorgere le maggiori difficoltà. Si possono però conci- liare dicendo , che nella poesia grave e fatta con agio, i poeti seguono tutte quelle regole ; ma che neW ini" provvisare , ad eccezion della rima , se ne dispensano. In fatti , il verso arabo è composto di piedi di una mi- sura e di un numero determinato. Ha questa somiglian- za coli' antica poesia de' Greci e de' Latini , e questa superiorità sulla versificazione moderna cui somiglia soltanto per la rima , la quale piuttosto dee dirsi tolta da lei. Presso gli Arabi la rima ha particolari difficol- tà ; perchè alla fine de' loro versi la consonanza esige di più sillabe , e talvolta anche di cinque. Inoltre in alcuni poemi composti di un gran numero di distici , la rima esser dee costantemente la stessa. Riguardo ai piedi ed alle misure , ammettono gli Arabi venticinque combinazioni diverse di piedi , tanto semplici che com- posti , di cui formano sino a sedici digerenti specie di versi. Questi non sono ostacoli da non fame caso nelle poesie improvvisate. Ma se son esse difficili pel poeta , METKIAUABI. Il bisogna convenire che per orccclii esercitati a sentirle debban produrre molla armonia e varietà (4) ». Potean riunirsi più fatti non veri in più poche parole , e spac- ciarsi poi in tuono più decisivo ? Il sistema dottrinale metrico , in qualsisia linguag- gio e non escluso 1' italiano eminentemente semplice , sempremai di regole sopra regole uopo è che ridondi ; mentre nella poetica della natura spontanei fluiscono gli armonici concenti sulle labbra spessissimo anche de- gl' idioti. Quando i maestri sorgono dell' arte poetica , la poesia già tutto lo stadio ha corso e ricorso de' suoi tentativi ; già de' suoi ardimenti molte vittorie conta e molte disfatte : e il freddo precettista , de' felici eventi del pari che degl' infelici e de' più o meno variati in- tervalli che quegli estremi disgiungono , va rintraccian- do colla sesta e col compasso in mano le minute diffe- renze , e nella eventualità de' possibili va notando poi le non sempre determinabili vie di sicurezza. Per ciò che riguarda il solo meccanismo , la mera fabbrica de' versi nel sistema prosodiaco de' Greci e de' Latini , chi (4) GiN-GuÉvÉ, Hist. lui. d: Italie . » Jcglii ^ e sopraltiilto de' celebri o- p. I. eh. IV. P^esdbulum ante ipsum » rienlalisli che di quella facevan par- ci avverte il eli. Autore » di aver fat- » te , e confessi con gratitudine aver » lo lettura di questo squarcio della i. avuto la buona venlurn di ottenerli». » sua opera alla classe d" istoria e Per questa sola circostanza la citazio- ^< letteratura antica dell' Istituto ( di ne che ne facciamo sembrar non do- i> Francia ) per ritrarne il parere e vrebbe inopportuna. » gl'insegnamenti de' suoi doni col- 12 D E K I T I S avrà il coraggio di non isinarrirsi ai computi del gram- matico Mario Vittorino ? Ecco inentcmeno che cjuat- tromilanovanlasei differenze o varietà che dir si vo- ghano della greco-latina versificazione (5). E che sono a Fronte di esse non le venticinque , come diceva il Gin- giiéné , ma le selianlasei formole tra priinitìve e di ri- vale , e tutte semplici della poetica degli -Arabi , per formar poi in composizione non sedici ma censessan- tasette specie di Adersi , quanti appunto Samuel Clerico con pazientissima diligenza ne andava denominando e classificando (6) ? Intanto , pria che gli Arabi avessero im alfabeto , nou che il dommatismo poetico in età as- sai bassa artifiziato ; di tutto il meccanismo dell' araba versificazione ne' campi di Ocatta (7) erano già fissate (5) Mahii VicroRiNi , de orthogra- veano nel cantone della Mecca , tra phia et ratìone cannimtm lib. II , Nagliala e Taief f|»XD7N1 hSdJ- V' partic. De stimma ìiumeri qucie me- era riunione delle varie tribù in ogni troruin mttlliplicaiione redigitur, pag. anno,dal principio della luna di dliul- 142 ed. 1684. kada , e durava venti giorni. L' ob- ('') '5N1D?Ì^ r^l^^ì^ ti^i' Scieiitia biette principale era il commercio; ma metrica et rìiyllimica ex authoribus vi ci disputava altresì del premio del- probatissimis , opera Samuelis Cle- la poesia. Dal nome di questo luogo jiict , inclytae Academiae Oxonien- è derivato il verbo XSy^ ( okata ) in sU architypographi : 1661. - Per la significalo di disputare , quislionare sostituzione die facciamo de' caratteri insieme. In queste annue riunioni si quadrati ebrei ai saraccnici, V. in fine vide dal Pocock ( Speciin. /list. Arab., la spiegazione delle tavole. p. i58 ) il germe fecondissimo e il fo- (7) Ocatta , 0X3y ( àkath ) e il mite dell' a.aba coltura , da disgra- nome di un mercato clie gli Arabi a- darne i giuoelii solenni della Grecia. M E T R I A R A B I. l3 le leggi. 11 primo sistema dottrinale dell' araba poesia non può protrarsi più su del secondo secolo dell' egi- ra (8) : ina i poemi dorati che a quel dottrinai sistema servir dovcano di modello , pria che sorgesse quell' era pendevano già venerati alle porte della Caba (9) ; e di lai caraneristica impronta l' araba versificazione sigillarono , Pei- liduiic a giusto valore una tanta esagerazione clic la magna turba de' nostri letterati va ripetendo senza esa- me , vcggansi le assennate riflessioni dell' accuratissimo Silvestre de Sacy nel voi. L. degli ^Ui dell' accademia delle Iscrizioni. Queste adunanze vennero a dismet- tersi col sorgere dell' Islamismo. (8) V. la nota 9. (9) Riguardo alle poesie vincitrici in Ocatta , scritte in oro sopra ricca stofTa e sospese alle porte della Caba V. la Memoria soprallodata del cb. de Sacy. Vero è che tale usanza, com' ei limpidissimamente dimostra , non può risalire ad una età che alquanto si discosti da quella di Maometto; e che, quando anche ad epoca più remota si volesse protrarre , nessun argomento somministrar potrebbe agli ar.ibisti per 1' antichissima coltura di quella na- zione che ci si vorrebbe dare a mae- stra : perciocché , come ragiona quel dottissimo , non v' ha popolo il più selvaggio , sia nell'America settentrio- nale , sia nelle sabbie ardenti dell' Af- frica , il qual non abbia i suoi canti di guerra e di trionfo. Pure negar non dobbiamo che in Ocatta appunto cer- to special carattere all' araba versi- ficazione^ venisse ad imprimersi dal quale discostar non si seppero i se- guenti poeti, nemmen dopo l'intro- duzione dell'Islamismo, uemmen do- po che nel loro venerato codice una forma sempre ditirambica scorgessero di verseggiare , tanto per la ragion de' metri , quanto per la disposizione e varietà delle rime. Ma forse gli ara- bi non ardirono di riputar poetico il Corano , e al ferreo inllessibil giogo si piegarono di una monotona infil- zata di versi uniformi ed invariabili alla stessa ed identica rima perpetua- mente cadenti , secondo il tipo de' loro primi salvatici modelli. l4 D E R I T I S che inflcssibil tipo si rimase al quale tutti i seguenti poemi con monotona uniformità si andarono poi ada- giando. Non già alcuni ma tutti i poemi arabi ( ec- cezion fatta de' soli alfabetici oltremodo rarissimi .) , tutti , dal primo all' ultimo verso , ad esempio delle moallaqa (io), conservar deggiono una sola rima, un (io) » Veggendo il modo con cui son composte le Moallaqa e in generale gli antichi poemi arabi , se ne scorge, dice il eli. de Sacy , la recente ori- gine. Son meno un sol poema che ac- cozzamenti di vari pezzi descrittivi , di vari quadri legati spesso con poca arte al soggetto principale : pittare di tempeste , di deserti , di combattimen- ti : descrizioni minute , e quasi ana- tomiche, di un cammello, di un ca- vallo , di un onagro , di una gazzel- la : il ritratto di una bella giovane, r elogio d' uua sciabla o d' una lan- cia. . . .quasi in tutti i poemi. Lo sco- po principale sembra esser quello di provare la profonda cognizione che il poeta avea della lingua , e la sua abi- lità per abbracciare in una partii'olar descrizione il maggior numero possi- bile di sinonimi indicanti tutti il me- desimo oggetto , ma per qualità di- verse , e per tutti i punti di veduta sotto i quali possa riguardarsi e che sien propri a caratterizzarlo ". E questa è la precisa idea clic dob- biam formarci di que' tanto celebrati poemi , e non giudicarne dalle uftì- ciose versioni del celebre Roberto Jo- nes , e da quelle nemmeno del Rei.-.ke e dello stesso signor de Sacy : alle quali tutte applicar potremo le piro- le del nostro dotto e giudizioso Asse- mani relative alle versioni dello Scluil- teus : » Ma dalla scrupolosa trsdu- )i zione del suddetto eruditissimo uo- }> mo nessun europeo certamente po- li tra giudicare della poesia degli an- 11 tichi arabi Un altro modo di Il pensare , un altro gusto è negli ara- li bi poeti ; sicché tradotti verbalmen- 11 te i loro versi , ridicoli sembrano 11 ad un europeo u. Saggio stili' origi- ne , cullo , letteratura e costumi de- gli Arabi avanti Maometto , pag. 47.' Questo però non forma il nostro ob- bietlo. Gli stessi propugnatori dell' a- raba maestranza convengono che dal luo dello stile e della tessitura de' poemi non trovisi tra gli arabi e noi SI K T Jl l A R A B I. l5 solo metrico andamento , e sempre quelli , monotona- mente qnelli , e senza veruna varietu non solo di rima e di metro , ma uemuien di periodo : essendo leege dottrinale dell'araba poesia doversi ogiior conchiudere un concetto entro i limiti di ciascun verso (ii). Rettificati cosi i fatti riguardo alla struttura mec- canica dell' araba versificazione , inconcepibil si l'cnde come tra essa e quella del mezzogiorno di Europa abbia potuto pur sorgere , non che idea di simiglianza , ma pur qualche lato di paragone : quante volte a quello stato di nascente società non si voglia rivolgere il pen- siero nel quale i primi germi di qualunque umana in- dustria ne' loro primi abozzi uniformemente si disvilup- pano ; perciocché 1' araba poesia in quo' termini si è mantenuta tra' quali si rimase appo gli antichi e i mo- derni popoli nuovi , quando son soli storici i poeti ed archivi le familiari memorie delle generazioni che si succedono, E quaV è il j3opolo più selvaggio , dirò col verun punto di paragone ( Andies , naturale e scevra ci' ogni artifizio, t. II, p. 48, ed. di Parma, Tira- CAhhnri'i T/ie Dee', and. fall, ^c. c.5. bosclii , pref. all' Orig. della poes. ap. Gingncné , l. e. rii/i. di Giammaria Barbieri , p. l.j ). (u) L'arte di legare una frase in Ma e bene per conoscere con ({uanta piìi versi e di spostar di questi le ce cogniiione que' battaglieri caraticriz- sure e variarle con accorgimento gli zassero il poetare aiabcsco di arililo e arabi non conoscono : che anzi ne for- fervido ( 1' Andres ) , d' immaginoso mano un difetto clic chiamano Taz- e sublime ( il Xirabuscbi ) : e per sor- mina , ViyiTh'H ( alt-^^niitio )■ ^a- ridcrc con misericordia adii tiovar rebbe V enjambenicnt de' Francesi. sc|ipc nelle Moall.iqà una eloquenza iG DEKITIS Nesloic degli orientalisti (12), sia ìielV America set- lentrionale , sia nella sabbie ardenti dell' Africa , il cjiial non abbia i suoi canti di guerra e di trion- fo alle cadenze affazzonati de' musici intei'valli ? Il ri- torno de' simili periodi è nella legge di pulsazione del- le nostre arterie : V arsi e la tesi è nella legge d' ispi- l'azione e di espirazione del nostro organo vocale ; e 1' uniformità delle cadenze è spontanea espression pri- ma fanciullesca dell' individuo del pari che della spe- cie. Per la qual cosa , non dell' uso della rima e dello scompartimento del discorso in periodetti rotondamen- te sonanti dovremmo andar rintracciando gì' invento- ri : che tutto ciò è da natura , dalla quale, e sotto la zona e ne' poli e per quanti notar sf vogliano meri- diani sulla terra , tutte le razze umane sono state e saranno senza concorso di strani ammaestrate ; ma dell' ardimento piuttosto di que' trovatori dovrem fare inchiesta , i quali o le rime dismettevano o varia- mente le variavano e alternavano e in mille maniere differenti ne simmctrizzavano il ritorno , mentre la gia- citura delle parole a tal numeroso andamento ordinavano che della pittura delle idee e del moto degli affetti es- primer potessero in tutte le loro gradazioni le fasi e le vicende : che queste son cose da magistero , e di esse (12) V. la nota g. METRIAKABI. I7 non è natura uè da per tutto nò a tutti facile insegna- tricc (i3). Ma facciamoci senza ulteriori preamboli a veder quale per 1' una e 1' altra industria sia stato appo gli arabi questo special magistero. Della fabbrica de' versi arabi. 11 primo che si desse a compilar precetti prosodiaci tra gli Arabi fu Al-Chalil-cbn-Ahmcd-al-Faraliidi (14), il qual fiori sotto il califa Al-Rascido. Già per le tra- duzioni siriache (i5) tutte le sottilissime distinzioni e (i3) Queste riflessioni non son nuo- ridere , rjuod propriian hominis tan- ve , e un amico gramalico ci prc- tiini est , rjiiis a!i/nonia7?i laclis rictu venne. Nonnulli , ei dice , tanqucmi orìs appetere , quis sommi confusae erudi li'onì et profundae scienliae ne- vocis in veiòa deducere ^ seu prò slalu cessarium soUici/a sciscitatioiie per- erga se mentis atque animi , mine contanles exìgunt , linde metronim at- ftutum ac moerore?n , nunc alacrila- gue omnis musicete ele7nenta proces- teni laetitiamque concipere , auc/or xerint , quo parente, qua origine, oste/iderit ? ctc. M. Viclorin. lib. VI, tjuilnis exordiis initia earundem ar- sub fin. -- Eppure I' origine di qua- tium caeperint. Neo hoc salis, iideni lunque sorla di versificazione ei fuor ivgant quis arliculatam vocem a con- di Grecia non sa riconoscere , e finan- zinone discreverit , quis prinius syl- che l' orrido numero saturnio vuol di labas in enuntiando denso seu leni greca derivazione! Nella (jual crcden- spi ramine extuleril , qui longum lem- za non fu solo. V. in appresso CiR- pus aut breve in eloculione vocis no- colo cosvEKrENTE. strac captaverit ? Quae qui anxie sci- (i4)n'nN'"lS':'XlJDnX pjiS'^^S'^N- re desiderant, dicant velim , qìiis no- (i5) È assai problematico se siavi ■ bis in lucem edilis gustare , reptare , qualche traduzione araba immediala- Tom. III. 3 l8 DERITIS suddivisioni de' greci di Alessandria e di Costantinopoli eran divenute di gran voga nelle scuole di Gufa e di Bassara , le quali in gara di acutezze aveauo con grande animo per le discussioni sulla loro graniatica prelu- diato. Ed ecco sulle basi di quella gramatica , anche con maggior minutezza andar uotomizzando a cincischi tutte le variazioni possibili dell' araba versificazione , e andarle coordinando poi ad un artificiato sistema il quale ad onta che i seguenti maestri non mancassero di an- darvi su variamente sofisticando e sottilizzando , tipo tuttavia si rimane rispettato e seguito da tutti gli scrit- tori dottrinali dell' araba versificazione. Veggiam di ri- durre alla maggiore semplicità possibile questo compli- cato sistema. Gli Arabi trassero dalle condizioni delle loro tende i nomi tecnici dell' arte poetica. La costruzione di un poema assimilarono alla costruzion di una tenda : e sic- come cjuesta denominavano ^J^tlnìi n'3 ( baito-ssciàri ) la casa de' peli; quello dissero '\i!tinii H'S ( baito-ssciri ) la casa de' versi. Formano gli amminicoli della tenda jjali e corde : e pali nxniK ( avtàdon ) e corde 3K3DN* ( asbàbon ) gli Arabi denominarono ciò che noi direm- mo i piedi di un verso nel sistema metrico de' Greci e de' Latini. Or questi pali e queste corde fa d' uopo dapprima definire per formarci della ragion de' metri Arabi una chiara idea. mente dal greco , ed oggimai par che sto , ec, nou passassero in arabo se non più dubitar non si possa che l'Alma- con l' intermedio del siriaco. E siriaco gesto , i libri d'Aristotele, di Teofra- è 1' arabo alfabeto. De Sacy, l. e. M E T R I A R A B I. I9 Una sillaba araba , come appo noi , come appo tutto il genere umano , può essere più o meno spiccante per vibrazione , più o meno lunga per profferenza. La prima qualità determina V accento tonico -, la seconda se^n'a la misura prosodiaca. Quest' ultima è manifestis- sima in tutte le lingue viventi ; ma nelle semitiche è più agevolmente ravvisabile per le condizioni del loro sistema alfabetico : nel quale tutte le lettere esprimono consonanfi, mentre le vocali o non si segnano nella scrit- tura o fuor di riga con più o meno artifiziate industrie vengono ad indicarsi (16). Or secondo quel sistema una (iG) U considerar le lettere in que- E perciò : ito modo può risguardarsi del pari e S /UteravelP quasi ^llaòae videntur, come il raffinamento dell' industria come anche nel sistema alfabetico giamaticale , e come il primo ini- greco-latino avvertiva Terenziano. zialc av^-iamento dell' umana industria 2." Che 1' inerenza dell' aspirazione nella notazione fonica del linguaggio, alle lettere vocali, dismessa- in età Pel primo riguardo , son note le ri- assai tarda appo i latini , rimane vi- flessioni che nelle condizioni della sibilissima neUa greca ortografia la lingua f;ancese ne faceva uno degli qual segna lo spiri/o in qualunque ultimi suoi ideologi. Pel secondo si parola clic cominci da vocale. ,.jjlgj(3 . 3.° Che la fusione della pronunzia »." Che gli alfabeti fonici non pos- di pili lettere in un sol tempo , i dit- sono altrimenti sorgere che sillabici , tong/ii cioè sìa di vocali sia di cou- colla notazione cioè tutta intera del- sonanti , gli antichissimi non conob- V articolazione e della voce : k qual bcro ; e che le nuove lettere che di voce può sibbene essere pili o meno mano in mano alle vecchie cherica/i .onora , piìi o meno protratta e ridursi o cadmee si andavano aggiugnendo anche alla brevità di uno sceva , ma erano appunto le più usuali di quelle abolirsi affatto non mai. fusiom che gih non piii sonavano co- His caeca soni vis penitus sudest me ditlongJii e in una sola vocale si latetque; confondevano , comechè dai grama- 20 DERITIS sillaba in arabo cominciar non può altrimenti che da una lettera , cioè da una consonante. Su di essa si ap- tici si riputassero cifre piuttosto che esprimere i nostri diUonghi articolari semplici lettere. Cosi un solo elemento non si brigano. O li trovano appros- alfabctico reclama la squisitezza ideo- simanti alla prolFereuza di alcuna logica dell' autore teste citato per la delle lettere convenute ne' loro alfa- notazione dell' EU francese, eviden- beti , e 1' csprimon con quella; o tissimo storico dittongo ; mentre ad ne son troppo discosti i suoni , ed una semplice E riducevano I' AE la- un' altra [lettera j un altro elemento tino i nostri popolani dal IV secolo in alfabetico van creando. Cosi , men- giù ; e mentre tutti i vecchi diUonghi tre quell' ideologo francese propone son cessati col fatto piìi o meno com- nuovi caratteri per esprimere lo piutamenle ad esser tali presso tutti i sci ( fr. eh ), lo gli ( tr.ilt ), ec. , popoli dell' universo. e il nostro Buommattei vorrebbe 4.° Finalmente , che pei ditloiighi che con lettere particolari si notasse- delle consonanti, mentre è incomprcn- ro e il nostro chi schiacciato , come sibile per noi come la gentilissima in chiesa , e lo ghi schiacciato , co- Grecia pronunziar potesse d'un fiato me in ^/«'o. M. Vittoria. lib. I. de orthogr.-^ e. il. Deinde nec Alcraeuam dicebant , nec È da notarsi che .s-t-^u^'cu/u^ non è ancora re- Tecmessanij 5f(/ Alcumcnani. . . . Dvnec lui. gistiato nei nostri lessici, e che vopiscus e Cae^ar ^ qui vopiscus et strabo , qui et ses- ■■ìtrabo non vel sono pel significato che qu-i quiculus dictus est, primus de Tecmesa seri- esprimono. psit tragaediam suam et in scaena proniin- METRIARABI. gì poggia la voce, e la lettera allora dicosi /«oss«. Può appoggiarsi a questa voce, ossia a questa mozione, un'al- tra lettera: ed essa dicesi allora (/ui esce/ile; perciocché se un' altra voce anche sulla seconda lettera si appog- giasse, veri'cbbc del pari ad esser mossa e Formerebbe una seconda sillaba. Or tutte le sillabe di una sola lettera son sempre brevi ; le sillabe di pili lettere son sempre lunghe (17). Ed è questa la semplicissima prosodia araba, limpida ed inalterabile. (17) Colla semplicità medesima de- non di rado anche manifeste appaiono terminar potremmo la quauliià siila- ( Prov. xxiv , y : Nehem. xiii , 16: bica di tutte le parole se i nostri al- Ps. xix , 14: ec. ). E di vantaggio, fabeti si riducessero o alla rusticità chi non sa che Nevio e Livio , cum primitiva nella qua! sorgono 0 a quei longa syllaba scribenda essel, duas rallinamcnti a' quali i sottili analiz- vocales poiiehanl, praeterqiiam quae zatori del linguaggio ampliar li vor- in I lilleram incideranl , Itane eniin rebbero , come nella precedente nota per E et I scribeòant? (Mar. Vitto- abbiam cennalo. Ciò per altro sol ci rin. itb. siipr. ). condurrebbe ad una valutazione al- È da notarsi però che anche nel- r ingrosso della quantità OTt;///c« non l'arabo, quantunque assai di rado j al- della quantità nimica delle parole cune parole non mancano nelle quali (V. le seguenti note 18 e 22 ). Intanto la lettera che fa lunga una sillaba vestigi non mancano della prima ma- ortograficamente non è espressa e dee nicra ne'suiierslili monumenti. Neil' e- siipporvisi: come ?f23*1 ( rahmano ) in- breo le sillabe sono naturalmente lun- vece di JXMVil'^Sx (-dlao) in vece di glie per clfetto di una lettera quie- HN'^VK) dalla radice nxSx ( il^on); scente reale o supposta che vien dopo ec. Ed ecco anche da questo lato la una mozione : le quali lettere suppo- ragion prosodiaca digli orientali e de- ste non solo per le ragioni etimolo- gli occidentali non che prossima, ma giche agevolmente si rinvengono , ma identica. 22 DERITIS E semplicissima parimente è la ragion de' piedi. Due lettere formano la corda ; tre lettere il palo. Or le corde , essendo composte di due sole lettere, aver non possono se son due soli accidenti, secondochè o la sola prima o ambe le lettere sien mosse. Dal che segue che le corde risultar deggiano o di una sola sillaba , e sempre lunga ; o di due sillabe , e sempre brevi. Quella gli Arabi dicono corda lieve 23D7N f|'M*7K ( assababo-'lchafifon ) : la combinazione delle due brevi, corda grave Vpn7N 2DD7N ( assababo - 'ttaqilon ). La prima corrisponde alla cesura ( - ) : la seconda al pirrichio ( - - ) della prosodia greco-latina. Gli accidenti di tre lettere pei pali sarebbero tre : ma quello di tre lettere mosse gli arabi non ammettono per misura elementare (18). Perciò rimangono a due. (18) Tre sillabe brevi hanno gli A.- giva a quell' acre intelletto quel che rabi in tutti i radicali di tre lettere, come moderna osservazione si è ripro- e perciò il tribraco è più che fre- dotto : Essere la quantità sillabica quente nel loro idioma. Ma poteano non altro che un termine di rapporto essi allogare il tribraco tra gli eie- del quale è arbitraria 1' unità ; e in menti della lor prosodia ? Qui ricorre qualunque prelazione umana , anche il paragone tra i rozzissimi e i sotti- .monosillabica , doversi distinguere due lissimi analizzatori del linguaggio. È tempi, de' quali l'uno sempre primeg- noto che il beato Agostino ne' suoi già , il che forma 1' accento tonico dialoghi sulla musica compone versi della parola. di sillabe tutte brevi e versi di sillabe L'accento prosodiaco avea Al-Ghalil tutte lunghe , e nella prosodia della riposto né' pali , cui le corde posson natura quella ragion metrica vi rin- sibbene legarsi , ma da se sole non viene che uM.3. prosodia delle scuole mai sostenersi ; concorrer sibbene le cor- sarebbe stata un assurdo. Non isfug- de alla costruzione della casa c/e' <'£/- M E T R I A R A B r. ^3' Se congiungi alla mozione necessaria della prima lettera anche la mozione della seconda , rimanendo 1' ultima quiescente , avrai il palo congiunto J^IOJd'^N* "tnì'^N ( al- vatado - '1 mag' mùón ). Se farai quiescente la seconda, avrai ii palo disgiunto pnìJO^N "tm'^K ( alvatado — 'Imaf- rùqou ), quasiché la lettera quiescente disgiunga le due mosse. Ed ecco nel primo un giambo ( - - ) j nel secondo un trocheo ( -- ) della prosodia greco-latina. Da questi semplicissimi elementi si compongono tutte le misure ossieno metri della poesia araba , dette parti NrjN^N ( alag'zào ) , formale D3N11: ( zavàbeto ) de' versi (ig). Le quali parti o formale veugon tutte desunte dal tema 7J?£) ( fàhala ) , come gli antichi paradigmi delle coniugazioni arabe ed ebree. ù, formarne anch' esse i necessari am- » lima, son trihmcki il dallilo,I'a- minicoli , ma subordinatamente ai ìi pesto, 1' arafimacro, e son molossi pali : e questi ultimi non poter dare » il bacbio, l'antibachio e 1' amfibra- allri clementi se non ciò cbe noi di- » ro ( Servio Onorato , de pedibus cìsituo giamio 0 livc/teo. ^ perciò una versuum et accenlibus libellus); egli parola di tre sillabe brevi sari certa- adagiava all' indole speciale della mento un tribraco, ma un tribraco se- lingua latina quella prosodia delta condo la prosodia della natura è ben natura cbe Al-Cbalil colle sue corde diverso dal tribraco secondo la proso- e co' suoi pali render volca prosodia dia delle scuole. di scuola per gli arabi suoi. Quando un antico gramatico si (19) Per mettere le a^'sfite arabe in esprimeva in questa sentenza : » iVe' perfetta corrispondenza colla prosodia Il dissillabi , divengono trochei per greco-latina dobbiam considerarle pre- 11 posizione il giambo, il pirricbio e cisamente per ciò cbe gli adticbi dis- )i lo spondeo: ne' trisillabi j secondo scro woSix a ci/iTTiifiaTa , come sarem per » la lunghezza o brevità della penai- vedere. 24 DERITIS Fin qui tutto è chiaro , tutto è netto nel sistema dottrinale dell' araba poesia. E se certo che di tene- broso d' ora in poi par che sorga , ogni buio dilegue- rassi quando alla moltiplica nomenclatura do' vari ac- cidenti della versificazione araba non prenderemo spa- vento ; quando di alcuni dottrinali pregiudizi della pro- sodia greco-latina ci sarem sceverati, e 1' uno e l' altro sistema riguarderemo sol come due stadi della industria vunana nel progressivo miglioramento dell'arte poetica. La quale, dovendo raggirarsi riguardo alla fabbrica de' versi su la musica del linguaggio secondo le varie na- zionali profFerenze e secondo il più o meno innoltrato ingentilimento de' popoli diversificabile e diversificata ; è forza che diversissima appaia allorché dalle giova- nili loquele alle adulte , dalle prime ingenue rusticità ai compassati rafFuiamenti del civile ingentilimento si fa passaggio. Pregiudizi dottrinali io vi cennava della greco-latina prosodia , e il più grave tra essi basti qui rammenta- re , grave per 1' argomento che or ci occupa. Della ra- gion metrica i nostri precettisti ragionando , se non fan- no astrazion totale dalla ragion ritmica , 1' abbandonano a mezza via e sol de' musici ne credon degna 1' ulte- riore disamina (20). Riuniamo le arti sorelle , e non (20) Latius tmclant niagislii rhylh- Trovo con molta sagacia avvertito mici vel muùci : Nos viam melri sta- e ben definito questo difetto de' me- denius parie ah aìiqua pandere. I\Iau- trici in un autore del XVI secolo ; RO Teren'zi.ìxc , de tirsi et tliesi. Prcincisci Salinae Burgeiisis' , etc. de M E T R I A n A B I. 25 la sola poclica degli arabi, ma la poetica di tutto l'uman genere apparirà limpidissima. E se non primogenita , universale almeno V arte musica si riguardi. Perciocché non v' ha popolo che nel musico andamento non convenga in un tipo comu- ne , al quale i vari periodi melodici delle umane lo- quele si van più o meno adagiando. Inchinerà , a ca- gion d' esempio , all' andamento anapestico la lingua francese, al dattilico l'italiana, al peonico la spagnuo- la. Mentre però nella ragion metrica tre diverse spezie sene van determinando , la ragion musica un solo ed identico andamento vi scorge , e nella catalessi mùfor- mità di sistema (21). Per la qual cosa , se alle condizioni della battuta musicale farem coincidere tanto ciò che gli arabi mae- stri van dicendo su le varie distribuzioni delle loro corde e de' loro pali per la costruzione della loro casa de' versi , quanto ciò che da' metrici precettisti trovasi scritto per determinare i siti dell' arsi e della tesi ne' \ovo podici sistemi {22) ; forse quel filo d'Arianna avrem Musica libri septem—Salamanticae (21) V. avanti Circolo divirso. i5yy. Si vegga precisamente il cap. IV (22) Pei pochi fatti piìi cennati che del libro V e l'intero libro VII. E indicati nelle note 16, 17, 18 e 20, non so come d'allora in poi le due è agevole lo scorgere che V arte ?>ie- dislinlissime funzioni dell' (/rsj e deUa frica degli antichi voglia non altri- tesi armonica e dell' arst e della fesi menti considerarsi che come il primo ritmica siensi tuttavia confuse appo i sbozzo di un' arte cui 1' arte' ritmica seguenti scrittori che ragionarono del e musica dava poi compimento ; come metro e dell'accento. l'infanzia dell'arte, o, se si vuole, come Tom, III. 4 26 DERITIS riuvenuto che ci trarrà illesi dall'uno e l'altro labirinto. Dopo le quali riflessioni , il linguaggio degli arabi maestri , spero , non ci farà più spavento : e sarà ba- stata l'esposizione della cosi dotta Qazida Giazragia- ca (23), testo venerato appo gli Arabi come la Lettera l'arte sol risguardata /^arfe aJ nt/ZgiKa, Ma è legge del pari fisiologica ncl- al dir di Terenziano. Il che ci gui- T uomo che , pel continuo ripetersi da a comprendere che mai avesse vo- di sensazioni similari , dal piacere alla luto intendersi un altro antico gra- noia , dalla vivacità alla indifferenza matico quando disse : Cannen lyri- sì faccia passaggio , e tanto più rapi- cum , quuni metro suòsislat , polest damente quanto piii prossimi que'sim- tamen videri extra legeni metri esse , metrici periodi si succedano. Ed ecco quia libero scrihentis arbitrio per la necessità di rendere di mano in rhythmos exigitur. Vittorino , lib. I , mano piìi lontani que' ritorni , piìi de metris. Giunse alla sua perfezio- variate quelle cadenze : ceco un Ana- ne il pili gentile degli antichi idio- Creonte che la soavità de' suoi rosei mi , quando del movimento iambico concenti in quella dilicata fluttuazion scoprir seppe le condizioni tutte e d'intervalli ricerca la quale, da sola trarne vantaggio : perciocché nella squisitezza di educato sentire deter- ragion de' metri altresì perfezione vuol minata, una canzon ti compone di dirsi un armonico consenso nelle va- finissima grazia, ma rietà. Il periodico andamento delle non elaòoralum ad pedem. ; sensazioni successive, come il sinime- ed ecco quel Pindaro immenso trico nelle contemporanee , è legge Qui per audaces nova dithyrambos fisiologica nell'uomo, è condizione Inerba devolviti numerisque fertur indispiyisabile de'suoi vitali ed intcl- Lege solutis. letluali procedimenti. Quindi , duran- Quando i Romani dicevano che le l'infanzia degl'individui e de' pò- musas colebant seceriores , -perchè non poli , nella ragion delle coboletle , dirle con piii nobile sincerità rusti- nella simmetrica invariabilità de'mo- ciores? vimenli periodici sta tutta l'arte del (23) Questo è il titolo col quale fu canto, tutta la melodia della parola, il poema pubblicalo dal Guadagnoli, M E T R r A R A B r. 27 ai Pisani tra noi (24), per vederci trasportati assai pros- siinamcnto al nostro scopo. ma trovasi anclie col solo titolo di spessissimo alla nuda enumerazione CAazra^w ,")»jnf37J^ (alchazragiato), delle parole dell' arte. -Sa/Zs Lrevi- eJ anclie di ,4rte metrica, di y4ite ar- ter et non minus ohscure Chazra- caiM, iV Indicatrice (Casiri, Bi/jl. arai), giacus , esclamava di quando in quan- /lisp. ad codd. ci.xxxvi ; cccxxx , do il Guadagnoli ; e gli Arabi stessi ccccix ; ccccviii ; ci-xxxv. ). 11 no- nou mancavano di trovarlo astruoo. me dell' autore si disse sconosciuto Ma per celebrità il poema ar:ib.> col dal Guadagnoli ; il Clerico il dcno- latino perfettamente gareggia ■. del cbc minò Alidaltaìii ; nei codici del- tante trascrizioni e tanti comenti fan r Escuriale riceve questi nomi: testimonio. V. Castri, uh. siipr. et ad Dbialdinus Alkhazragaeus Abulcassem codd. cccix , cccxviii , cccxxviii , Molianiad; cccxxxiri, ccccx , mclxxvh, mdl\ . Dhiaeidinus Abi Mohamad Abdalla 11 poema è scritto nel metro che gli bea Mohamad Alkhazragita; Arabi chiamano carme lungo qabzato, Dhialdinus Abdalla ben Mohamad che noi trasponiamo in senari Alkbazragiagi ; sane iiiodoruin quo sonora levitas Uhialdinus Abi Mohamad Abdalla Addila , slyli sublevaret siccioris Alkhazragi. laedium. Il Casiri, coll'aulorità di Assiutbco e 11 lesto che seguiamo e quello che de' codici dell' £scuriale il rcvindica ne dà il Guadagnoli , e non ne co- alla Spagna , comunque di famiglia nosciamo altro, sia MS. sia a stampa, originaria d'Egitto. Ma sul conto di Una edizione intendeva farne il Cle- lui nou sa dirci altro. rico; ma se la mandasse ad effetto mi (24) Non si creda però che oltre al è ignoto. Forse recentemente ve ne ha titolo siavi paragone da ìiistiluiie tra una in Germania , come dal cenno la Lettera ai Pisani e questa Qazi- di ([ualche giornale potrebbe arguirsi. da , la quale ad altro non riducesi Ma che sia precisamente questo me- chead una filza di regole per la me- desimo o altro ]iocma su lo stesso ar- ra coslruziou materiale de' versi, e gomeiito uon è certo. ♦iD N*7 ì'j;n3 xn p tiSxv N1D ino NT '^♦p jNn HN' |xa nnìfs nSnt pò» ^na f^aS 4 XinaK nSd KS-id n'ir |k im Spi miai hvù ;?iojDD ddì 5 S;raD Verbvm rEBBO. ( Guadagnolo interprete. ) yf. i. Carmini est mensuru , quae rocatur metricatio eius : per eam defectus et excessus agtioscet utrumque tyro. yf. 3. Et species eius die quindecim universae. Componuntur ex duahus partibus , duobus ramis j non am- pìius. y. 3. Itaque initium pTolationis hominis est littera mota : quod si adveniat altera , yf- 1. L'aruza {♦Ì'1V7X è precisa- e che ne determina conseguememen- mente il palo di mezzo che sostiene te il carattere V. il y. io. E qui gio- ia tenda , e al quale tutte le altre vi osservare che appunto nella ca- parli di essa si vanno poi connetten- denza del verso quasi che tutte le do. E agevole perciò lo scorgere il nazioni , antiche e nuove , trassero la significato che qui riceve di fonda- denominazione di ciò che distingue mento , norma direttrice della casa la poesia dalla prosa. de' versi, come fisicamente è tale nella y. 2. Sono quindici le spezie de'ver- tenda , /a casa de' peli. Per la stessa si secondo Al-Chalil e gli antichi ; ma ragione indica la parola abuzi quella Zamaksciar co' moderni vi aggiungono parte del primo emistichio che fa la la sedicesima. V. Cikcoi-o coxconDB- proposizione , V esibizione del ritmo, Giaucliar però ed altri non vorrebbero QAZIDA CHAZRAGIACA DELL' ARTE METRICA E DELLE RIME. ,V': ha legge ne' carmi, e aniza si nomina: Se manchin, s' eccedano per quella si sa. 2 De' carmi son quindici le spezie ; ma ognuna Per doppia procedere misura dovrà. 3 Allor che una leltera pronunzi, la muovi: Se un' altra ne aggiiigni , la corda si fa ; 4 La qual, se la lettera che arroge è in quiete, Fia lieve ; ma è grave, se mossa sarà. 5 Aggiugni altra lettera , e il palo n' emerge : Congiunto , se posa : disgiunto , se va. De' pali la formola, in arabi accenti , Per questo dà FaH-Lo ; per quello, Fa-HaL. dicetuT hoc , chorda : eritque patenler. Jf. Levis quando quieverit , sin autem e cantra. Et die , Faxillus , si addideris Utteram sirie suspicione. V." 5. Et vaca paxillum coniun- ctum l^Q : et e cantra sit ut 1)^2. riconoscerne più di undici. — Le due tes , qtiod verba modidadone comie- misure per le quali proceder deggiono ctat. Viere enim conncctere est : unde i versi arabi sono i pali e le corde , vimen dictum virgulti, species et viti di che abbiam già detto abbastanza in ro/is. Viltorinoj Hi. I. de poetica.- alle pagine 22 e 23. Qui osscrvciemo Anche vili desidera un luogo ne' les- che consistendo in tal modo tutta sici. Neil' antico Glossario appena si l'arte de' poeti nc\ ben legare ai pali ha vitus. le corde, assai vicini ci troviamo al- y. 3. v. sopra la nota i6. la etimologia che stabiliva per la pa- Non labiis hiscere, non sonare lingua, rola vaJe un antico gramatico. Qui Ulliifiiq.meatitm qtieatexplicarenisus, versus facit , ci diceva, vcifA to TtMiv T^^ocaUarictam nisi luncla disserarint. dUctus est Toiitrris , latina li/igiiri va- T£iii: E'-it^itos /S' congiunto e una corda lieve, un 6a- 'ì-)-^^p^-^'Q, mos,ùifhi-lon,'E,'7nTfnas'Y' rhio. Si cangi la corda di posizione e pJ^'^-W^QQ, 7«q/i /j«',/«fó, Eirir/iiros V si avrà un eretico "Hv-^j^Q ,fà-hilon.- È da notarsi che questi tre epiirili E son queste le due forinole di ciu- che vcggiam sorgere dal palo disgiunto que lettere. colle due corde lievi ben potrebbero 2.° 'f^-''V-aSO''"°f'^ > hi' ,lon , un designarsi co' secondi nomi che al 2.° palo congiunto e due corde lievi : vale 3.° e 4." epiirito assegna Efestionc , a dire il primo epitrito della poetica Carico , Rodio e Monogene , Kapi/.o;_, greco-latina. Or si cangino di posi- P0S105 , Movoyeni». /.ione le corde, e ne avremo altri due: 3." La terza formola , quantunque in'Ji^^V'NS'.^"'^"^'^' '""> E'TiTpiTo; /ì' anche di selle lettere, costituisce un l7V'Sr\~DQ '""S) /"fi hilon, ìì/TTirpiT'ìs y genere a parte de' versi arabi , quel Mancherebbe il quarto: ecco adun- genere che dir potremmo metrico nel que la necessità della quarta forraola significalo di potersi sciogliere una sil- ?]-)f{(l-y{^£j.yaV«, fo', ton , la q\ialc laba lunga m due brevi ; se non che i|\iaut;uiquc composta colle slesse lei- in arabo si iia l' inversa. Car.ittfrislica tcre della penultima, riceve una divi- di un tal genere è la corda grave , siono diver-a , e invece di un palo con- la qua! sempre precede una lieve, e METRI ARABI. Ai pali le corde se accoppi, ceco il metro 6 r'ui sol cinque lettere o sette chi dà 3i Le forinole prime degli arabi modi 111 serie brevissima disposte vedrà. 7FdHùV-LòN:I\IòFiA-HTl-LòN:MuFriA-HiLa-T5N:eFàA Ht-LaA-TùN. L' epiploce sei altre ordirà. forma cosi un anapesto che dagli Arabi È notabile del pari che gli epitriti diccsi n^;n7';(N3 (ftiiélalon zogra ) , considerali in due classi a modo ara- diriinente minore : e le due corde co- bo , secondo clic le corde entrino in si combinate precedono o seguono il composizione coli' uno o 1' altro palo, ])alo congiunto. Se precedono, si ha : vengano da per sé a classilicarsi sotto PV'Xi'nO » "20'" •• /"' ' hiloii : un il doppio riguardo di epitriti a base anapesto e un giambo : iambica e di epilriti a base trocaica se poi seguono , si ha : che gli antichi musici distinguevano. fn"'7y"N3D ; rnofà , Itila, ton : un Tali industrie da' Greci s! dissero giambo e un anapesto. E son questi i dieci metri primitivi, che diconsi radici 7li(J< ( azùlo ). E notabile non solo che al Guada- t'rio-Xoxa/ e dai Latini amplexiones (*). Se ne contavano tre pei metri puri : 1.° Di tre tempi per due specie ili versi , ÉTTi'rXojtn ^i/a^xij r(iiati\j.as : e gnoli ed al Clerico sia sfuggita una comprendeva il giambico e il trocaico; classificazione tanto semplice e insic- 2.° Di quattro tempi anche per due meniente di tanta importanza , come specie di versi , syi-rXoxri Si/aS/xi| rj- sarem per vedere ; ma che il Casiri rpa'jtiu.os ; e comprendeva il dattilico (ub.supr. 'rom.I.p.84') riduca a cinque e 1' anapeslico ; soltanto le formolo dell'araba prosodia, 3.° Di sei tempi per quattro specie e in luogo de' sei epitriti, comprese di versi, £^iirXoxii TtTpaS/xj] eSaffriiiios; le sizigic del 2.° e 3.°, la sola formola e comprendeva i due ionici , il co- produca di mostaf/iilon. riambico e 1' antispastico. (*) Hd auche questa parola manca uc' Ica- sicì. £ in Vittorino^ lib. I, de epiploce* 02 DERITIS |SyND S'XfiD S^^iXaa inNS;^ NiD NDrrypiD nona 'jon * Nann3:in Non'a 'nNTxt noa * Impetierunl sagittù suis duabus amasiae nostrae , et assecutae sunt me cum dolore, >«- cundum casum suum adacquate. - Et quod ad meas affectiones respectu eanim , fateor , gratas habui. Heque manus est tam longa , ut simile perficere possit. L' esempio qui si propone di scan- alle forinole arabe i nostri segni pro- q(Ìre i versi arabi , ed è notabile che sodiaci. sia quello stessissimo che i nostri an- 11 distico dato ad esempio si scan- iichi gramatici praticavano. Il che si disce cosi (*) : rende manifesto col solo aggiugnere fahiUlon. mofa'hi'lon mofa'hilaton efu'-hildton mofha'hilon mofa'hi'lo fdhilon asa'bat bisahmajha' giavarihona' fada'-raku'ni' bihimmatia kavaqàjhima' sava'. lama' za'hira'ti' fi'hima' hhaggiabathoma' vaia' jado tho'la'honna jàta'doha-'lvafa'. (*) Sui modo da noi adottato per rendere belo, v. in fine la Spiegazione delle tavole. il suono delle parole arabe col nostro alfa- 51 E T R I A R A B I. 53 Ad esse , in periodi seguenti o alternanti , Adagia i tuoi versi. La regola e qua : Fa liiC lon , mo fahrion , mofdHii'' la IcClon , e /à' )) Da lungi lor saette due ninfe scagliavano; hi hi' io , mo JW lii'lon mofa' hi' lo Ja'hilon » Ma qui dentro T anima nel cor si vibravano. » Oh qual dviolo , qual pena!. . . Ma pur soavissimo, » Ma caro è quel tumulto che al sen mi destavano Ma pel solilo vezzo arabo di ag- Cosi quasi sempre gli arabi poeti gruppare molti significati con una so- vanno più interpetrati che tradotti. la espressione , 1' auror chazragiaco Lo scandire de' versi dagli arabi è varie altre cose olire alla norma di detto V'tDpH ( laqibiòn ) iaglioì. pre- scandire i versi ha voluto qui pre- cisamente la caesura de' latini , la sentarci: rofiri de' greci nel significato esteso di 1.° Col primo emistichio , potersi distribuire i versi nelle varie sue parli spezzare una parola ira un membro cum carmina per pedes rei per di- e 1' altro del verso , purché la frase podia feriuntur , come con tutta pro- entro il periodo del verso , intera si prietà diceva Mario Vittorino. Cosi conchiuda ; nel verso ; a." Col secondo emistichio , potersi liane tua Penelope lento liii miltil , variar le formole senza detrimento Ulisse ; del metro; non la sola pe è cesura j ma sibbene 3.° Entrare al computo delle lette- l' intero piede pe len : il che i no- re anche le nitnnazioni e i raddop- stri precettisti non avvertono. L' esem- piamcnli in forza del /esc'>/((/ ec.ec.ec. pio è tratto da Diomede, lib. IH. Tom. III. ' 5 u DE R 1 T I S pK'V fl5 TX"!"! frx'^N '^x 3mD 8 ( Sunt formulae iam carminis ut supra dictum est ) Radìces sex aut decein qaotfiuot contineat \trsus-y. 8. Et dispone iuxta mensuram circulos quinque , in quibus est a]>pa- ratus : pars ad partem. : iungeque htrios. y. 7 bis. Secondo la nostra inlei- versi appailenenli al i.° e 5.° circolo: petrazionc nel secondo emistichio do- sou senari quelli degli altri tre ( Diasi vreljbe leggersi : un'occhiaia alla lav. I. ). Ma si noti ♦in XJ3 ^D7ii^ fXDnSx SdX "^''^ comunque nel primo circolo la e tradursi; radice oclava vel sjxta formola occupi la meti dell'arco , non quisqtie concludilur versus, il che se cessa il metro di essere ottonario essen- non si ammetta suppor qui si dee do doppia la formola; come non cessa una lacuna. di essere scnario il metro del quarto Certo è che il ritmo determinati circolo la cui formola occupa la metà dalle formole viene anche appo gli del cerchio, perchè tripla, aiabi a divenir metrico coli' arrestar- "J^. K I ci.'ìcìue circoli, come assai si dopo una data replica delle sue bene il Guadagnoli interpetra , son parti componenti: e che, nel periodo qui designati dalle cinque lettere J, intero, queste parli sono oUo o sci. fi, 7j tJ' , p : comunque le parole Cosi un verso arabo ò oUonario pj^Q p;^^ m { gal" lasciq ) , eh' ei crede ( mothàmmanon) nel primo caso,è se- non poiere altrimenti esprimere un nario o esametro [3"1D»3 ( mosàdda- significato ragionevole , dir potrcbbc- son ) nel secondo. Sono ottonari i ro molto a proposilo : faoibim recìde M K T II I A U A B r. 35 7 Fa studio a lai forinole: la sosta, l'oliava. De' carmi la serio iiormal chiuderà. 8 Che se per Ga, F, La, SCI, Q vievia cinque circoli Componi, armonizzi: al lin si vedrà Che in essi comprendere degli arabi modi "Potrai la volubile moltiplicilà. '.\\ separatioriem. Cosi l'ottavo verso pò- E quantunf(ui; i noslii giaiiiatici non Irebbe tradursi yBDUUM fERiio: El ne lactiano espresso ri(Ordo; pure, che dispone iiix:a mensuram circii/os : ne fosse usuale la pratica , dal se- ficitem Tedile sepamlionem praed- guente squarcio di Vittorino si mani- lain numero certo , piirtem parli , lesta. Hoc quoque digniini eruditis hiuos òinos. A.1 che conforta il con- auribua non praelermiserim repertiini testo (li ciò elle precelc , e la scgiieu- in exametro versu dactylico cui ta- te immediata enumerazione di queste men duo cola e dunlius daclylis et parli e di (juesle disposi zioni a due spondeo conslibunt , qualuor pedes a due nel verso ottavo. dissyll(dios j id est Irocliaeum , iain- L' enumerazione de' cinque circoli, Ijum , pyrrichium , spondeurn per or- de' versi che a ciascun circolo si n- dine?n semper pusitos inveniri . . , . et leiiscono , e delle Imuiole che a eia- appetlutur quadrupes ^iuo^Exacrriuos iri- scun verso si assegnano è nella se- pioSo;, eo quod qualuor pedes tempo- guente pagina. Si riscontri colla tu- rum duodecim quasi per r inca- vola I. TIM QLES D.l \f HECVRRESTES Con- Intanto si osservi che lai iistcìnat-ci tinent. Lib. I. de d ictylico metro. periodi non sono ti' araba invenzione. * 36 DE K I T I S nxiD TN'3"1 nni^f 'DNHD < 'Njn ♦jxj:n . .nN'7U*3S3 r'?i^5nD2 |byanDJ3 . .iV;^anD!D nx'/'yDD f^i^sriDo . .jS;^5nD2 ]h}?ì:ir\D'2 nNSì;^i32 l p x*? rxa in xS rx5 p ron d^ j • • ì'^ì^'S 1 jSi'xa -inn xdSx ( . .inxiVx . SoxdSx . . .jrnSx . . .nnVx . . Sa-i'?x . .;;nDSx . mD3t3'?X . .S'DsSx . y-ixy::Sx .nvnpaSx . .nnjoSx aixpn^Sx ì "lixinoSx 1 hi'xnSx na^^nb^Sx na':'mD':'x nn3m'D'7X nn'^ruoSx npa, 'naSx # U K T R r A R A B I. 3? ( ' 1 K C O L O. CARME. DIVERSO alnioilil;il<'fatu CON VIZIENTE. aliiiuUili iutn (Il .SlJllLE :iliiiosc'Uil)rhato (V. MOLTIPLICE. alinoK'ialiiUto V. CONCOIDE.. ajiiio'.ali'ijaio Lt>xc() allii\ ilo Disteso. . . . almatlido SriiO albasido EsLEr.Il.VS'TE. alvuloro Pcn TETTO. . alkàinclo Cantilena . alàzagio Satira aiiiigiazo BuEVE anamalo Veloce .... assai'iò ]'^.M]:.s,so .... aiinosarlieo Lieve alclialilo Simile aliiiozareo Conciso. . . . alrnnqra/cbo Con VI- ESO. . aliiinji^'l.ilo CoNGIL'.NIO. . alinolaqaiebi) CciN.SEGDEN lE. ilmoladàirko FO RMOL A. PERIODO. /li/iii'hn r>io/(/'/u'/o/i. /a'//i7a/on /ii'/tiion . . mostafhilon fahClon . quattro volle ìnojli'ìiilalon. Jiiotàfa'fiihn. moj'a' /li' lori . mosla/JtUon . fa'hilaUon. . . sei volte nio\laflrdoii mosiaJ?ii/on mof/iu'lato. intintafliilon rnofftu'la'to mosfnf/iilon. . [ f.i' hi/a' tuli mos tajlii lonfa' liUcC tori nioja' hi' ìonfa'hi la' ton mofd hi' lonj ììiofliu'ta'to mosUifhilon mostafhilon mos tajhi ton fa' hi la' ton fa' hi la' ton 1 due volle fahu'lo'i . fa' hilon. otto voile 38 DE R I T I S ròDQ) fii;'Vx -iii''7N -)5n' Spi io Njn;'NJ pnaSx dS;>k 3-iì'Sn* n^Ss* p "y.ff- Et ex ìpsU compaginatur ostium , domusque ex ev : et poemata ex clomìbus car- niiniiin , iuxta aequationem - \ . io. Et die dtctirinem ultimum primi versus Vlli^/X , ideit obìationem rithmi : et similiter iiltimam posterions voca 3"ll.'75ì j'uhutìoneiu : agnoseitu rìijjerentiam secundum formahtatem. y. 9 e 10. La nouicnclalura qui si espone delle varie parli di un verso secondo i vari siti che occupano. Dia- si tuilavia un' occhiata alla iav. I. E dapprima : Le frecce maggiori dividono i circoli per mela, o giusta l'esprc-'Sione del if. 8 , siniuieirizza- no le parti a due a due. Cosi quella disposizione niclrica che cominciando dulia puma di una Ireccia finisce alla sua penna, è simmetrica, anzi iden- tica , coir allra che dulia penna alla punta ritorna. Queste due grandi mela di un verso dicousi dagli arabi le porte della casa HoSn U'Nli'.^ ( uuzraài-'lhaili ). INui le diremo emi- stichi. Le frecce minori indicano le sud- divisioni. Ne' rersi ott.nari ogni emistichio vien suddiviso in due, ed ognuna di queste suddivisioni contiene due tur- mole. Ecco perciò quattro parti in ciascun verso , e quattro nomi. La prima dcd i." emisi, dicesi accesso , principio "l'iy'^X ( azzddro ) che cliia- mereiiio ztdra ; la seconda , propo- sizione o esibizioìi. delta rima t'1~l^''7N ( alaiiizo), che diiemo ar«3J.Abhuim già vtduio, y. 1 , che questa parola significa precisaiuenie il ]ialo di mezzo della tenda. La prima del 2.° emisi, è del. a dal iiosUu aulore semplicemente parte M E T R I A R A B I. 3c) 9 Le misrae de' carmi va quiiuli a distinguere : Sou esse de' versi le grandi metà. La prima si è quella che il ritmo propone Seconda si è V altra che il replicherà. 10 Dell' una sul line V aruza ti avrai ; La zarbu hai ucll' altra che accordo le fa. Ed ambo le misrae di poi suddividi : La zatra , la àgiza ancor si otterrà WJ^SN (alàg'zo): alln le dau nome Re' verii esametri però (circolo ii , di /j/Ync /«o -jj-|3X7kS* ( alabledào); in e iv ) ogni emistichio è diviso l'ultima y«.s(5 altri corda lieve; e ad una sola sillaba , sia limiti ricevono nel venir tra loro in lunga , sia breve , la corda grave. composizione , nell' incontrarsi cioè Egli è chiaro, che rimanendo i pa- una corda finale di una forniola colla li nella loro integrità, tali riduzioni corda iniziale di un'altra. I vari acci- considorar non si diggiano di molta denti circa 1' uso delle zihafe in tai importanza, anche a tutto rigore del casi vengono enunciati dal 26.° al So." metìico andamento. E perciò risguar- verso. dar si vogliono come licenze poeti- Y. 21. Izmaba "i}^J2\{j^'^j^ ( alizmà- c/te , a pieno arbitrio del poeta. ro ). Consiste, dice 1' autore del Cha- Le quali licenze affettar possono mus , nel togliere la mozione alla o una sola o le due corde di una lettera T nella formala motafa'hilon formola. Quindi le zihafe diconsi sem- del carme che dicesi perfetto. Non plici 0 doppie: e queste ultime , ren- insisteremo nell'errore del Guadagnoli dendo i versi alquanto languidetti , che crede applicabile V izmara a qua- sono piii condonate che permesse. Del- lunque caso nel qual s'incontri una le prime si fa parola dal 21.° al 23." seconda lettera mossa nelle formolc , METRIARABI. 46 Di Ulta mozione 0 letlera tolta. 19 Di tulle lo corde la lettera estrema Privar del suo molo , soltrar si potrà. 20 Zihufa eiù è delU) : ma nome specifico , Dal sito in che trovasi la lettera , avrà. 21 D' izmara , di c/iabna, di vaqsa si ha il nome, Se mai la seconda variar si vorrà. cundae litterae dicctur : et si sequatur ttiam \22 i. reiectio ipsius secundae litterae. Et Vpl i, utrumque simul, i. non solum quies , sed reiectio sccuadae litterae. Voca igitur smguta prò ut dee return est. non essendo possibile che altrove si pitri/o 4." ia antispaslo e i' epitrito 3 .' rinvenga olire all' unica foimola che in ditrocheo. nel Chanius si enuncia; noteremo sol- Vaqzi Vp^/X ( alvaqzo ) ditnimi- tanto che l'cflello dell' /;/«ar« ad altro Sione. Riguarda anche lascia lormo- iion riduccsi che a cangiare di a«a/7e- la del carme perfetto, alla quale to- sto a spondeo i piedi caffi del dipodio gliendo affatto la seconda lettera mos- giambico. V. Circolo conveniente. sa riduce l'anapesto a giambo, e i'in- CnABV.^ p337}^ (alchabno) ,«'n«a- tera formola a diiamho puro. — La liane. È rimuovere la seconda lette- sottigliezza araba non manca di con- ra ([uicscenlc dalle forinole clic co- siderare la vaqza come una doppia ininciano con una corda lieve. E per- zihafa: come se, renduta quiescente ciò nel primo ordine delle formole la seconda lettera della formola per (rahe { pag. 3o. ) cangia il eretico m izinara , venisse a togliersi poi per iiiapesto ; e nel secondo, riguardo chabna: vale a dire, che per ridursi agli epiirili di base iambica ( col palo l' anapesto a giambo faccia uopo che congiunto ) cangia V epitrilo a." in prima si trasformi in uno spondeo. E gionico ut' ik'xaaavai , e 1' epitrito 3." con queste meiaraorfosi è descritta la in diiamho; riguardo poi a quelli di vaqza nel Chamus; il elle dal Cleri- base trocaica ( col palo disgiunto ) l'è- co si ritiene. 46 D E n 1 T I s NJj nps n'?xi pD» fx v'^-inSK 'n d:)n5d Sp:; on ppi 3ìti 20 'yp3K PxdSn ynxoSf* Dipn ^idt V- 22. Quarta autem non langitur , nisi eius implicatione ^ ideat rcieclione ^ si fuerit privata vocali^ alioquin immunis trit - y* 23. Et privare vocali quintam , et negligere illam : item reiicere septimam , si fuerit quiesccns : iam decretum est. X. 22. TaIa 'J3'7X ( sl's'o ) impli- dicesi izmara , in quella del carme cazione , V involvere. Può aver luogo, esuberante prende il nome di àzba. come scoigesi, negli epilriti l.°e4.°; Qaeza l>3p7X ( alqalizo ) contra- cangiandosi il primo in coriambo , zione. Togliere dalle formole la quin- 1' alno in ditroc/ieo. E potrebbe aver- la quiescente cordale importa; in quel- si nella formola del canne perfetto le del i.° ordine , ridurre il hachio nella quale la quarta lettera è quie- ad rw?^ir«co; e in quelle del secondo, scente e seconda cordale. Ma 1' ana- V epitrito i.°a diiambo, e l' epitrito 2." pesto allora cangerebbcsi in tribraco: di base trocaica, a coriambo. e quattro sillabe brevi né gli Arabi Aqla 7pV7X ( alaqlo ) collegazio- auinieltono ne i nostri metrici appro- ne. Colle stesse metamorfosi che ve- vavano. La taia in questa formola si demmo nell' anapesto della fornmla concede soltanto quando la corda del carme perfetto , si fa or l' anape- grave supponesi già ridotta a lieve, sto del carme esuberante ridurre a V. appresso Chazla. giambo dopo il passaggio a spondeo per yf. 23. AzBA 3W7{< ( alàzbo ). La dzba : in modo che 1' àf/la sia una riduzione dell' anapesto a spondeo , zihafa doppia collegandosi Ydzba colla che uella formola del carme perfetto qazba.'Ldi formola riducesi a diiainbo. JJ E T R I A R A B I. 47 22 La quarta nou toccasi s' è mossa : in quiete Dirai clic por tuia V esilio si avrà. 25 Posar poi la quinta , morir ne' due niodi , Per àzba , per qahza , per àqla si fa. E, al par della quarta, posando la settima; Dirai che per iciffa sbandita sen va. Kaffv flt^7Ì< (alqaflb ) cessazione, o-iTXoxri %vrji\i.ir.i\ T(3i*71[xos : media , in terminazione. Per essa i' epilrito 1° ragione anche ritmica, Ira gli epi triti ridiicesi ad antispasto , il secondo e i pconici, di base giambica a ditrocheo , e il Unum ctim faciuiit duo pedes iiignti. terzo di base trocaica a gionico uTa Or, clic nella prosodia della natura, uéi^ovo;.- ^o^ La luogo nella formola una tal trasformazione sia di licvis- del carme esuberante per le stesse sima importanza , la poetica di tulle ragioni eh' escludono la tof'a in quella le lingue viventi depone: e la pro- dei carme perfetto : e per le slesse sodia delle scuole il convalida quan- consideiazioni sol vi si ammette in do i vari esempi classici v-a enunie- uniono dcìVdzòa.V. appresso a^jza. rando ne' quali , ncmmen come li- OssEnVAXiONE GENERALI! SU LE ZI- ccnze , ma come semplici variazioni iiAFE SEMPLICI. Gli epitriti qui veg- nel metiico andamento , come per- giani trasformarsi ad arbitrio del poc- mutazioni mere le considera. la in quella prima serie de' tetra- E lo stesso è da dire del ritmo ni- siUabi della prosodia greco-latina dal- sillabale. Pei pentasillabi , v. Circolo la quale ritmicamente formavasi l' t- co.vvENiEsrE. 48 DE U I T I S y. 24. £f impUcatio tua post reiectionem secundae litterae , àicitur truncatio manus : et postquam praecesserit privatio vocali secundae Utterae , dicitur ambulatio cum claudicatio- ne , seu curve t ò puer - )[, 25. Et reiectio septimae Utterae dum est quiescens , post re- ^. 24 e 25. Chazla ^f^^ti ( al- chaziao) Frattura dal dorso. Kiunione òf\V izmara e della tuia. Cangia nella formola del carme perfetlo 1' anape- sto in IrocQieo, e tutta la formola in coriiambo. - Scrivesi anche 7fJl*7{< per J { algiazlao ). Chabla 735^{< (alchablo) Tronca- mento della mano'. E la riunione dilla chabna e della taia. Cosi V epilrito 2." di base trocaica è ridotto al />eo/je /.°; e Vepitilto 4.° al peone S.° 5ciAcLA 73tJ'7X ( assciaclo ) figu- razione. E 1' accoppiamento della chcibna e della caj/'a. Cosi l'epitri- io S." di base trocaica riducasi a peo- ne 2.°; e V epilrito a." di base giam- bica a peone 3.° N.VQZA l^pjVx ( annaqzo ) Difetto ^ meschinità. ^ìumsce V diba alla caff'a. 11 che non potendo avvenire se non nella formola del carme esuberante, trasforma anch' essa 1' anapesto in tro- cheo , e tutta la formola in a/i/jV*'°- M E T R [ A R A B I. 4f) Z)i due mozioni o hllare talk', 24 Però tuia e izmara i versi dilombano ; E monchi si rendono per leda e chabiià. 26 Unir chabnà e kciff'a e un farli fantasirae ; Unir k([ffa ed àzba tapini li fa. E i quattro difetti in arabi motti Dirai chazla e chahla e sciacla e naqzà. iectionem secundae etiam litlerae tììcilur figuratio , seu ad volantalem componete : et postquam praemissa est quies quinlae litlerae, seu privare ipsam vocali j reiicere cum hoc septimam : omnia haec , defectus fugiendt. OssEavAirosE ceser.vle si; le zi- musico degli aniiclii gli epitrili eraa ii.vFE ooFri£. Riguardo alla c/iaz/a e di selle lempi , i peoui di cinque ; e la iiaqzu v. CincoLO conveniente, perciò lo scompartimento ne' primi Per le altre due ilie riducono i riirai per 1' arsi e la tesi era di 4 e 3 , pe' quadrisillabi alla loro (iiix rapida secondi di 3 e 2. Il che , nelle per- e»pressione , è da notarsi quel che i inulaziuni , avrebbe lorniiito ciò ch'essi nostri vecchi grauiatici non manta- dicevano delle u'rvv:tiXTr,Tx. La simi- vano di avvenire. Spi triti , qui et glianza era dunque pe' soli intervalli /lippii. . .velali genus paeonicorum : degli accenti prosodiaci. pretexertiin cum siite spacio lemporitm E ciò va detto generalmente per disparea fortna consimiles siint. Vii- tulio le zi/iafe. torino lib. 1, rie pudiiiub. - Sei sistema Tom. III. 7 5o DERITIS rifljKDaSNi nnpNio^Ni napsra'^x N'jj'?N NonS NyojnDN* IìS'33dSx ina 26 nditS^S _ik nuN'iS IN SinSS 27 k:i |N3-it:*7Ni Sap nyì nns ddx ♦ xmrji '3 pio nno Snn 28 nn jx rw npi ipùn 'no ns DX IDB' N130 l'T^':''? t^JOÌ 29 xj;t rQpxiD b^ xnyaixn xnx riiiNDo n 'o -iraxi 3o xtrn xrrx xnn S;r5X3 xnxDD2 y . Cam duae chordae immediale concurrerint , erit utrique saìvatio , guod si esset uni- ca, foret optimum: et hoc successio dicilur. yf. 16. Priori vel posteriori , vel utrique pa- riter nomen est initii et finis antea. Et extremilales ambae , evenit y. 27. Vt liceant in ( ly T3 inSJ y\Xy , i- dirigit , se" ducit me sacerdos , seu procurator } : et pars eius. ir. 26 a 28. Moàqabà n3pXJ7107X ^^''o2o« fj|^ in to riguardo a quella che ( almoiqàbato ) Successione. Può que- succede. Che se poi si abbia la succes- sta essere di due corde o di tre. Se sione di tre forraole, come fa hilaton di due, come a cagion d'esempio di ii hila lo fa' hila toìi ., xml fa e nel to Ai\c fa' hiki' tori , potendosi tanto la della formola di mezzo dicesi «ffaT/à/Vié prima che l'allrà corda privare della J*3")[3^X riguardo alla precedenle tvn seconda quiescente; quando si hi /«'- della prima formola, ed alla seguente hila'lon WliUatnn dicesi zàdron '^^^ fa' della terza. nel /a' riguardo alla corda precedente; ^. 29. Mor.ìqaba' n3pK107N ( ^^- se poi si hafa''hilalofa'/iila''to/i, dictsi moraqabato ) Mutuo rispetto. Si lia M E T R I A n A B I. ;) I Successione, rìguardo , siippUnienlo. 2G E ancor, se per lormole seguenti, due eorde S'inconirin; i^ihafa per ambo non v' ha , 27 Ma r una per 1' altra aver dee riguardo Che in nome generico dirai ìuoàcjahà : 28 Poi àgiozo , o sadro , ovver attarjaini. Se segue o precede o in mezzo si sia. 29 Talora hau due corde alterna vicenda , Cui nouje allor dassi di inoraqaba. 5o E in fine mokanafa dirai la zihafa Che quel che qua toglie rida poi di là. non incongrua apparebit quando exp njclur , et iam ticet ut videatar. '^. 28. Et prohi- bttio tua cantra haec duo , initio medielatis vel in quarta, Respectus dicitur. ^. 5o. Et Maria , seu Poemata impUcatae seu truncatae pariti , cum eius tamen supplemento , cum complementi.'! eorum , fac in eù quidquid volueris. quando la legge del metro è tale the do da non trovarsi giammai riunite di due zìhafe non possano ne ambo insieme, usarsi né ambo trascurarsi , ma the JT. 3o. Mokanafa HÌJJK^dSk ( ^^- o r una o r altra di necessità si ade- inokandfato) Suppìimento, compensa- peri , in modo però che uiata la pri- zione. - 1 poeti persiani non riguar- ma non si possa far uso della secon- dano ciò come una licenza , ma co- da , o viceversa. - La parola viene dal me un pregio della versificazione, verbo 3pXT ( ràqaba ) , che tra gli un'eleganza. E perciò questo ^f/e'/joe/» altri significali ha quello del vigilarsi ed Al-Akfasc' ripongono ìumoìcanafa tra loro due persone e condursi in mo- uà le zihafe. V. però il Sf. 65. 52 D E R I T I S SVpSn nS^^n i^na 'vo noo p» aS noi 5i j^. 5i. puorf autem non ust ex praemìssis, tu vacalo Defectum : Excessum et Jìefectum, Hf. 3i. Élla rOVhìi ( alèlato ) di- dagnoli che tutti i versi arabi affetti fitto, infermità. Si ha non quando da élla riputar si dovessero malfatti- le sole seconde lettere de' pali yen- Ma dall' altro canto non pare che gono a variarsi o sopprimersi da una ben si apponga il Clerico quando as- lormola , ma quando ciò accada ne' pa- sume che non mai come veri difetti li o in ambo le lettere delle corde, riputar si vogliano le e/A? , perchè le E chiaro che , spostandosi cosi 1' ac- variazioni che cagionano, adottate una cento prosodiaco , variandosi gl'inler- volta, correr deggiono costanti per valli ritmici , un vero cangia?neiito tutto il poema. Vero è che quando di metro venga ad emergerne. una tal costanza si osservi vi ha sera- li quale però va sotto due riguar- plice cangiamento di metro , e non di considerato. O tai cangiamenti va già difetto ; ma è vero altresì che non un poeta facendo a bello studio , di rado al poeta stesso si lascia 1' ar- Moviiate duclus , non inscius legis ; bitrio di usare al par delle -«//«/e le ed allora r.'jir'xx.?'>\ ) di una delle lettere mosse , ta- scita , y. 46. 1. Troncamento nelle corde: e) dell'intero palo, tóc/af/a, *. 40. a ) Della lettera e della mozione , 2. Disgiunto : qasba , y. 38 ; i) dell'intera corda \iéve,hadfa , «) Dell'ultima mozicrae-uag/à, ^.41 . tJt 3y 6) dell" ultimaletleramossa, ^nsc'/a, e) della corda gtìye , gatfa, W.Sj. y. 41. METRI ARABI. 57 55 Troncando: hai per araba apocope or V hadfa Ed ora la gaffa , la cjazra o qatàh E or 1' hàdada , o zelnia , o vacjfa , ovver Icasfa E r araba aferesi la gamia ti dà. 56 E vedi che molte 1' aruza e la zarba Si avrai! per 1' apocope le lor varietà. y. 5G. tloTum. incursus est dtbilitatio parlium, si incidanl , sit'e in Rhythmi oblationSj uve in Pulsatione , exceplo Charmo , quod tantum in'itio cadit. e ) dell' intero palo , zaìnia, \, 40 . IH. Troncamento ne' pali e nelle corde: a ) Riunione della hadfa e della cjathù> balra, x. 42. b ) Riunione della cliabna e della qallia j kabla , ibid. nota. I TRONCASIENrl AI, PRINCIPIO SOn disposti nel modo che abbiam veduto ordinarsi le formole al Sf. 7. pag. 3o. Per le formole del prim' ordine , lalma e tamia, V. 45; Per quelle del secondo , charma , chaixtba e sciatra , V. 44 ; Tom. IH. E per la formola del carme esu- berante dell' ordine terzo , qasma , giamama , azba ed aqza, ìf. 45. I troncamenti al principio deter- minano presso a poco la condizione di quei versi che i nostri vecchi gra- matici dicevano acefali, v son preci- samente l'inversa delle cìiazme, y.34. I troncamenti alla fine de' versi a- rabi equivalgono alle catalalessi e molto pili alle brachicalalessi della prosodia greco-latina. Per merissimo volgarizzamento ab- biam detto nella versione aferesi i primi ed apocope i secondi. 8 58 D E R I T I S '5njx '7pnN':'Nì 12 pD inx nn N'jDND i^-in ii'p':'N Nn'p inom 58 ìii:;hìi on nx nSnp finn loom nj 3DD JD IKT pS ;?t:p'?}< NnD 59 ♦in rh ìr\ì) ain nm 'fii nono mra finno^pV "i:i;Dpi 42 y. 37. Italue in parte hac "jiaoNn esf rei eolio ^ sive casus Chordae le vis j item et laceratioj est enim vestigiujn quiesceìitis j quae est pars Chordae; quare pondus optimum evanescit. - Jl . 38. Et in I^Dn est decurtatio , reiectio nempe tua quiescentis. Et prillare vocali ìitteram ante aliam quiescentem , quando est paxillus. - y. 59. Hoc est Truncatio , et quidem de Chorda iam dictum est: seu in Chorda non officit. At in Faxillo hoc acci- dit j et !y tilJ continet istud. nain est Palus. - y. 40. Et reieclionem tuam ex Paxillo con- Hf. 3/. Hadia f1"in7K (alhadfo) ri- che la quiescente venga ad appog- getlxvieiUo. Consiste nel togliere la giarsi alla sillaba lunga che precede, corda lieve alla fine di una formola Cosi di fahu'lon , fa' Idia ton, mnfa- nella qual cada V ariiza o la zarhct. ìd'lon le formole riduconsi s, fahii'l ^ Qathfa tltOpSx (alqalhfo) Lacera- fa'/iila'n, mofahi'l. E le sillabe ìm'l, zioiis. Si ha quando nelle stesse cir- la'n, hi'l divengono in tal modo più costanze toglisi la corda grave. che lunghe. 1 versi in tal foggia diminuiti cor- y. 3(). Qytua' U^I^7{< ( alqathò ) rispondono a quelli che nella prosodia Troncameiilo. E togliere dal palo con- greco-lalina si direbbero cataleltici. giunto finale la prima lettera mossa. ^. 38. Q\zR.v -)ì|»p'7J< ( alqazro ) Y. 40. IIadada I^CiSx ( ^'l'*'^^'^" ) Accorciameiilo. E togliere dalla cor- InfosscimeiUo. Si ha quando togliesi Ili finale la lettera mussa, in modo l' inlcro palo congiunto; ed ò proprio (Ili M E T U I A n A B I. 5g 57 Se intera una corda , sia lieve, sia grave , Dal fin di una forniola togliendo si andrà; Si ha r hadfa o la qatfa : ed vina o due sillabe Rigetla , divelle chi usarle vorrà. 58 La corda chi accorcia di lettera e moto • Il verso per cjasha ancor troncherà. 3g Ma in piano di sdrucciolo il verso trasforma Chi al palo congiunto per quIiLli il farà. 40 E al carme perfetto , e al carme veloce Un palo so r hadada , la zal/na torrà ; Il primo dirai che allora s' infossa , Dii'ai che il secondo elilinea si fa. 41 Se arresti la settima , se intera la scopri , Un' Élla per vaqfa per kasc'fa si avrà. 43 E alfin se congiungi la hadfa , la qata , Nel carme disteso la batra si sta. ìuncto vocaverunt Foveam Pcrfcctl : sin autem, erit Palus disìunctu.t in Jlne , et Velox cor- rumpitur Uh. - y". 41. Et Firmatio , et Discoopertio accidit si septima moveatuT : et fac (juiescere , et reiice per involutionem partis , et corrigelur, - y. 42. Et Truncatio tua in reiecto f seu à quo reiectum est inly 3D3D 3in, ìdest terra mollis, Et dicitur quia Carmini Extenso propria sunt duo praedicta in invocatione, del carme perfctlo. Scrivesi anche "^^J anche più che lunga , come le formole col J, come nel testo. accorciate per qazrci, Z.vLMA f—inySy ( azzalmo ) Muti- Kasc'fa f]t;'37X ( alkas'fa Scopri- ìazìone : quando si toglie l'intero pa- merito. Siha. col togliere dalla stessa lo disgiunto dalla iatmoìnmof/iulato formola mofhii'lato V ultima lettera alla fine degli emisticlii del carme mossa. — Scrivesi anclie klD37X ^^^ veloce. Q. E questa variazione non succede \. 41. Vaqfa flpìSx ( -ilvaqfo ) soltanto alla fine , ma in qualunque 'arresto. È togliere la mozione al- parte dell' emistichio. V. appresso Cah- r ultima lettera del palo disgiunto me LBOGiEno. finale , cosi mof7in'la'lo si cangia in y. 42. B^tra ")j"\3*7{< ( albatro ). mofJm'la'n. E quest' ultima sillaba è Riunione della hadfa e della qatd. 6o D E n I T I s Nna nonn niobn |Su'3 ;?irii mntJ'i DiSS |V';^X5D ;?vn 44 oojVnt Oip^Nì DVji^VS p'^yNsa 45 'Ìd npi ;*py n'3 'fpjì DiSi V"' 45* -E/ 5( ponatur Sd e55e PaX'Uus j erti Charniatus propter necessiialem initìo eius et positio Ì7U*3 c«m mi/za e/«5 , c?ara est. ~ y". 44. £/ oppositio |7'^'X3D cum Charmo et Scìatro eius, et propter vastationem agnosce in dispositis , quod latet.- y. 45. Et men- Così /a/li/a' tori liducesi z. fahlon , e ^. 43. Taima f*nS|nSjst ( atthalmo 1 faii'lon 3. fah : nel primo caso 1' e/)j- c/wocf n«je«to. E la soppressione della frjto i." diviene uno spondeo, e nel prima lettera mossa nel palo con- secondo il cnetóco una semplice ces«7-a. giunto della iormola fa/iu'/on , che Evvi un altro accorciamento che perciò riducesi a fa'lon. Ciò succede nel .lesto qui manca , e dicesi nel carme lungo e nel carme con- K.1.BI.A 7337X ( alkahlo ), la riu- giunto, nione cioè della chabna e della qalhà, Tabji.v □~)J^*7X (atiharmo ) Rovina. che riduce inos'.afhilon afahu'loii , Sì ha quando tabnata la stessa for- 1' epitrito 3!' a bachio : ed è proprio mola vi si unisce la chahda , in mo- del Carme spaso , come sarem per do che riducasi a falò. vedere. Cosi il eretico nel primo caso di- Troncarc dal piiucipio di un enii- viene uno spondeo, nel secondo un slichio la prima mossa del palo con- trocheo. giunto diccsi Ciiauma □"i57N ( al- ^- 44- Cuarma rimane nome ge- eharmo ). Prendono però denomina- nerico per qualunque formola del iionc diver.^a i seguenti casi. 2." ordine , quando si sopprime la MKTRIARABI. 6l 43 Passando alle aferesi : per ialina per tarma La forma trinarla charinata si fa. 44 Ma s' è settenaria , la charma si triplica, Che v' ha pur la garaha , la scìatra pur v'ha. 45 E charme specifiche saran per mofàhilaton La qazma, la giàmama , la ùz,ha e 1' aqsa sura tnSj^XSD cum S^y^H et Oirp'jS //em. DD5'7N e/ ai5 e/ ]'pj in quo est ypi) et iam praecessit. prima lettera senza che nel resto ne mofliu'lon, ad un molosso. È la ria- iia affetta. Chiamasi però nione dell' àzha e dell' asha. Chakaiiv ai^'^X ( alcharabo ) de- Giamama QJ3J^j{(alglamamo) Con- fasi? ijo«e , se tolta la prima tolgasi fusione. Quando anche la quinta si anche per kaffa la mozione alla set- toglie affatto, riduccndosi la fortnola '""''! "^ n fa'hilon , ad un eretico. L la riu- SciATRA in^'7X ( assciatro ) , se nione dell' dzòa e dell' aqla. tolta la prima tolgasi anche per qaò- A'zba •y^^'^H { alàzho ) Disgiun- ga la quinta lettera quiescente in zione. Quando toglicsi la sola prima modo che di mofa'hi'lon divenga/a- lettera mossa , rimanendo cosi la lor- hi/on, di epitrìlo i." anapesto. mola ridotta ad un coriambo. W. 45. Per la formola mofàhilaton Aqza t>p;;Sx ( •'''■"Fo ) Implica- quatlro accidenti prendono nomi di- ziòne. Quando all' àzba si aggiunge ^'^'^*'' , anche la naqza , rimanendo la for- Qazma Oyp'^X ( alqazmo ) Frat- mola di mofàhilaton a mofhu'l , o%- tura. Quando anche la quinta si fa sii fahil ; cioè un giambo coli' ulli- quicscentc , riduccndosi la formola ma sillaba piìi che lunga. 62 DERITIS Kitsi'K n^'opa mm o-idn p n>B'ì 46 KnVvii nxan;;Ni xinns' b^pì: 48 nji_ND3 xnjD p-iSd'?x Nnn'Nj) dSnd n)hn -nsio^Nù jjn jni 49 nnha ^Sj ;;inxS n>'a nin^ nSì'Sd nnBa n^'^k^hn* cn npi 5o .131^3 fn;;SN3 ina ':'1nSxì3 5i ND£) nSn Sisna pò Nrrn'i<5i apbiip^ t]tinhìi rra x^ m^ naa 62 V. 46. El di.ìscli/e ly "[^ Charma Paxillum eiàs , franca inflexicne curti Chabno , seu Sinuationc : et prmiani rhadafasti , idest , litteram mollem. quiescenttm ei suhiunxisti ; et non aUter.-y, 47. Et tam initio quam in m'odio, die ohlatiouem TÌìythnii , citisque puUa- twnem. , le] et ah initio sìt Siirmo vividus ; conceptibus plenus , seu argutus usque ad rnjtnmum , et usqae ad consonantiam eius , et sic licebit variatio partium , et diversifi- catio cognomenti earum.-Y. 4S. Et dictum ast initium , et innixia , et separatio earum , et tertuinus earum proprius , prout conycnit eis. - y. 49. Et si Carmen fuerit intfgrum , erit utiqite cxuberans , liberami sanum » nudavi: non deponas eiusmodi documentuìn. - y. 5o. Et cum complctum fuerit omniòus absolutum mensuris , suine lUud per partes eius j et y. 46. TAsclrA]-|»nj«»J-)'^»i^(attasc'ito) i maestri arabi, come saremo pervede- Dissohizione. Consiste nel togliere dal re in appresso. Ci siamo ingegnali darne palo congiunto una delle due lettere una quasi concord:inza nella versione, mosse. ( V. la nota al f. 35 ). Redfa f. 48. Fazla Vì'sSn ( alfazl» ) è 1' addizione di una delle lettere distinzione. È il nome clic dassi alla molli per rendere piii chiara una mo- formola delf aruza aflfetta esclusiva- zione omogenea ( V. f. 5/ ). — Del mente dalle altre , quando venga af- risguardarsi la fascila , la recìfa e lo fetta da élla. altre licenze annoverale in questo ver- Ghajata ri'NJl7X (algliajalo) estre- mo, ora come, ^&iA , ora come semplici mità. È il nome che riceve la zarba zihnfe , ragionano in varia sentenza nelle stesse condizioni. SI E T R I A R A B I. 63 Delle allah che si prendono per semplici zlhafe. 46 Se mai qualche sillaha si tronchi, si sciolga Per cliarnia e per chahna , isniara , c/atà ; E redfa e tascila ; l'hai quasi zihaj'e Comunque per regola sarehbero aliali. 47 Se varia la sadra, 1' ani za , la zarha Dal tipo di regola , ed anche 1' ascvah ; Ti avresti un diietto : e pur se costante Per tutto il poema si replicherà ; Sol t' hai del primiero maestro 1' ingegno Che accorda a ogni tipo le sue varietà. Ma quelle soltanto , che i dotti precetti Poncano in accordo , ti avrai facoltà. 48 Le fazle , le g/iàjate non oltre s' incontrino De' siti prescritti : e sempre sol là 49 Lo zarhe e le aruze sieu sane od intere O /Lude o abbondanti o in lor libertà. 50 Conserva al complesso di tutto il poema, 5i Conserva alle rime la lor venustà , 62 E scegli a proposito V éllàh , le ziliafe : Che quel eh' è difetto si cangia in beltà. Cognomìniini ipsius ; et nutu , scu facile dirigetur. - y. 5l. Et praeciputim est mare , .seu ]}Ocrrta intfgrum , et rhjthmus , et co/icordantia eius ; et sì finis tìus fuerit littera D , sìcut et litterani T sequelur littera C3 - V- 52. Et elige ex eo illud in quu est Prolapsus ; seu licentia Poetica , et integruntj et illud ^ in quo est sermo vividus et argutus , serva illuda non respuas ipsum. y. 4g. Quando un verso non lia 4. Netto n^JtD7N ( almogiirado ), quelle variazioni che ricever potieb- se immune dalla eli zoia; be ( o dovrebbe ), dislinguesi colle 5. In'teko fìS.VnSv (aisdlcmo ) , se denominazioni di non all'ctlo da zìi i afa ; 1. Sano n'na*75< ( azzabiho ) , se 6. Libero *137X ( albarijo ) , se manca di élla diminuenle finale; non soygoUo a modqaba. 2. Nudo nVD^X ( al'noarrao ), se IVel lesto si annoverano i soli nomi manca di éjta aumentarne finale; 1, 2, 3 e 5. Ma i maestri arabi con- 3. AnBoNCA.vTE. "n31,t3^X (aluiavfu- cordemente vi aggiungono il G, ed Al- io), se immune dalla chaima; Meflabi il /j. >'. 5i. Y. appresso il >[■ 55. 64 DE R I T I S nS morijN xs-in x^n nnn 54 y. 55. Et consonantia Matri est ultima sjllaba : insuper ex iMera. Vocali mota, ante duas quiiscentes , usque in finem. - Hf. 5.;. Complectitur consonantiam litterae , quae re- ferlur ad eam , et motionem seu Vocalem. ei debitam. y. 53. Posle le condizioni dell' a- III. Se le lettere mosse frapposte raba gramalica , vide Al-Chalil che fra lo due quiescenti son due , la rima una definizioue Laslantemente lucida si addimanda conseguejjte si darebbe della rima col dire: con- sister essa nelle due ullime lettere ( motadàrekon ) , sdruccioi-a. IV. Se tre , addensata 35{<"inj3 quiescenti di un verso , più la mo- ( motaràkebon ) , BtsDRUccioi-A ; ziONE alla quale la penultima di quelle due lettere si appoggia: quan- to in somma da quella mozione sino ed compiersi del verso si rinviene. Una lai definizione , che il nostro poeta riproduco, abbraccia tutti i casi. 1. Se le due quiescenti ad una sola mozione si appoggiano in modo che for- mino di c^ueWe sillabe più che lung?ie le quali abbiara vedute sorgere dalla trasformazione delle formolo primitive quando sono affette da qazra , da vaqsa, da lashiga e da edhàla , al- V. Se quattro , TunsiNATA DÌX^HD ( motakàveson ) , trisduucciola. E da notarsi che gli arabi il loro accento tonico oltre all' antipenulti- ma sillaba , come i nostri antichi , non prolraggono : e che per ciò aver non possono , come' noi , versi e ri- me veramente bisdrucciole e trisdruc- ciole. Ma questa classificazione non trascurarono per formolo terminanti in anapesto e nel quarto peone^ ch'es- si chiamano dirimente minore e di- ri merite maggiore j '")JQ ri7l^XD ( ^•*' lora si Ila la rima detta costiNUA zclaton sogra ). f|~f{^"lj~|^ (motaràdefon), cioèT.'ioscA; y. 5^. L'importanza della rima II. Se due quiescenti a due mozio- araba è in ciò eh' essi denominano ni si appoggino , ma in modo elle una ♦ìlS}^ fl")n ( barfa-'rràvi' ) lettera sola lettera mossa tra loro si frappon- della rijna, e che noi diremo ravia; ga, la rima dicesi alternata ")JlXinD ^^ ^ quella la quale , ricorrendo sem- ( motavaieron ) , cioè piana ; pre e necessariamente alla fine di M 10 T R I ARABI. 65 L,e rime e le dissonanze' 55 È rima del verso la sillaba estrema Dal jnolo spiccante clie innanzi lo va : E mo'o spiccante la voce dirai Clic d'una o più lettere l'appòggio si avrà. 5-4 E anch'' essa la lettera che il verso conchiudc , Che lega il poema , ravìa si dirà : La qiial ( col suo moto , che magra si noma ; La sua paragoge ; e quanto mai v' ha Finché non raggiugni quel moto spiccante ) Fa rima perfetta se unisona andrà. Ma pur dall' unisono trabalza all' analogo La rima in sua docile flessibilità. Perciò le sue fasi , le parti diverse Distingui , ed impara le sue varietà. ciascun verso del poema , ne forma di ciascun verso della canlilena che quasi il legame e gli du il nome. De- il beato Agostino compose per la sua riva la parola dalla radice 1^ ( ra- plebe d'Ippona. E S. Bonifacio vescovo va ) strinse j legò; e J^ì"! ( rcvion ) di ÌNIagonza ne fa espressa menzione dicesi la fune colla quale si stringono nella sua £p. 65. Tertium Carmen , ed afTardcllano i fasci. non pedum mensura elahoratum , sed Si considera la ravìa come 1' ulti- octonis syllaùis in tino quolibel verste ma lettera quicscenle di un verso, cotnpositis, l'n.i eademque literj, ma sol nitricamente , perciocché può comparibus iinearutn tramitiljiis apta- non solo avere \ì sua mozione; ma ta,cursu calamo perarante exaratum, bcnaache venir seguila da altre Ict- tilii , sagacissime sator , trasmiltens tere ; le quali però van risguardalc dicati. I versi son questi: come paragogiche , e non entrano in Pro me qiiaero oramina , computo nella misura. Precum pandel praecipua , ec. Lettera della rima , e precisamente Fioriva S. Bonifacio ne' primi anni ultima è la R che ricorre alla fine del secolo VII. Tom. III. Q 66 D E R I T I S NOa W"ip JNS marDi XpN'Vxi ìXSSnVx N*-ì5 tint 55 pno SdSxi tiN'ii'xSNi nrjijNVx Quod si annectantur cum quo - yf. 55. Adiungitur ; hoc erti satielas , et roboratio : et post ipsam , seu minus perfecta , ast Permissio , et aptatio similiter cadentis , et omnia bene procedunt. Secondo le varie lettere che pre- y. 55. Qui trattasi della discre- cedono o seguono la ravia , la rima panza della mozione della ravia sciol- araba acquista denominazioni diverse, ia, e della stessa ravia. Ma ciò che qui che il nostro poeta va di mano in si va ragionando è applicabile a tutlu mano specificando. le mozioni a tutte le lettere della Secondo che la ravia è quiescente rima, o mossa, dicesi legata rn*pD ( ™°" La quale dee riputarsi perfetta se qajàdaton) o sciolt.^. HD/DD ( "lo^b- 1' identica lettera, l'identica mozione Idqalon ). La mozione della ravia si riproduce; ma cangiandosi F una o prende il nome speciale di nHJlO^N ^' ^^'^'''' ' '^ difetto è piii o meno bia- ( almag'ra )., che diremo mag'ra. simevole. Le lettere the seguir possouo la Per ciò che riguarda le mozioni ravia diconsi vazla , chorugia : e arabe _, la fata , ossia 1' a , non soffre quelle che la precedono, rei^, tosjV(, per la chiarezza della sua prolazione dachila. Anche le mozioni acquistano che venga da altra soitituila ; ma la nomi speciali. E nomi speciali hanno zanima e la kesra, vale a dire la u i vari difetti che dalla piìi o meno e la i , per la debolezza della lor esatta loro riproduzione derivano. voce si scambian di leggieri tra loro. La varia nomenclatura di tutti que- E lo stciso è da dirsi delle lettere loro sti tasi forma l'ultimo stadio della omogenee }^, ") ed 1. Beozia che andiam discorrendo. Or variandosi la nvig'ra , ovvero METRI ARABI. 67 55 Variar può le mag're , variar le ravie Senz' ombra di fallo 1' eqvàa , V ecjfà : Ma il fallo già mostrasi , appar già il deforme Se igiaza, se izrafa spostarle vorrà. sia la mozione della ravia^ se il can- giamento è nell' alternarsi or la zam- ma or la kesra , ciò è tanto usuale che quasi non si reputa difetto , e dicesi eqva'a X1p5<7N ( alcqvào ). Ma se coli' una delle due alternasse con la fata , il difetto è notabilissimo e prende il nome d' izeaia fIXTixSx ( alez- ràfo). Del pari. L'omiofonia di alcune let- tere fa che gli arabi poco scrupolo prendano a permutarle nelle loro rime. Se l'omiofonia è vicinissima, tal li- cenza dicesi EKrAA{i(33J^Sj^(alekfao): se riraota , prende il nojuc d' igiaza nfWX/K ( alcgiàzato ) : clic scrivevi anche per ^ invece di f, n"lN*JlxS}<- I maestri arabi reputano come aiH- ni le lettere ScdQiyeJ: QeJ: J e 7; reputanti poi discordanti ♦ e H: Q e 7; ce. Queste omiofonic son dis- poste il più che abbiam saputo me- todicamente nella Spiegazione delle tavole. Qui giovi osservare che appo gli Arabi, come appo tutti i popoli, es- sendo le lettere destinate al doppio uffizio di esser pronunziate spiccata- mente al principio della sillaba o alla fine di una parola , o piìi o meno oscuramente quando alla mozione o vocale precedente si appoggiano e formano ciò che dir potremmo un dittongo di consonanti colla lettera che segue ; in questo secondo caso anche le non affini non vengono a for- mare notabile disaccordo. Cosi , come sarera per vedere , indifferentemente si pongono in rima le non affini quando all' uffizio adempiono della redfa o della tasisa. V. Caniii,bna. 68 ' DERITIS iHùìha xm wS NrrD t6)iMì 56 y. 56. iV adiuncla j quae est littera ìenis , et 7\ personale j et finis , habens ìitteran mottem post ìitteram lihjthmi , consonantiam facit. y. 56. Pahagogiche della rima ara- quando adempiono alle funzioni della ba van considerale le cinque lettere Icssigrafia , ma anche quando loiscro a > 1 > 'j 1» 11- ^^ quali, legandosi radicali, purcLè quiescenti, alla mozione della ravia, e rimanendo Eie slesse cousiderazioui quadra- quiescenti, prendono il nome di v.vzla no per j-j come affisso o segno del ge- 7y^'^}{ ( alvazlo). nere l'cminino , e per la nunnazione E da notarsi dapprima che 1' ulti- de' nomi o il naii paragogico lieve ma sillaba di qualunque verso arabo ne' futuri. vuol considerarsi come lunga. E per- Per le quali riflessioni egli è chiaro ciò , nel caso della ravia mossa , le come le vazle semplici , a lutto ri- tre lettere molli Xj 1j 'i riputar si gore, nemmeno considerar si dovrcb- deggiono virtualmente esistenti anche bero come paragogiche , formando di- quando per ragion gramalicàlc non versila più ortografiche che Ibniclre. a]'parissero nella scrittura. Quindi è Ma la [7 può esser mossa , e la mo- cliiaro che computar non si deggiono zione picndc allora il nome di NErA'uA come parte integrale de' versi non solo nX3J?Ji ( atinafa'do ). In tal caso può METRIARABI. 69 56 Se mai paragoge si avrà la ravia Concorde uniforme discorrer dovrà. Dirai paragogiche le lettere lievi : Sòn cinque , cui nome di vazla si dà : Stau ferme ; nafàda la He sol può muovere ; V è allora la chorugia che in ultimo sta. darsi luogo ad una seconda letLcra pa- vocabolo generale vazlat.i j~|'7V;{'12 ragogica alla ravia, e diccsi chorc'gia { mauzi'daton ) sia colla c/iortigia , J137X { n/c/iori'/^/n ). È chiaro che le sia senza. sole lelterc della chorugia esser pos- È da notarsi in oltre che 1' aculis- sono le tre molli ^, •) , ♦. simo Al-Akfaso due altre lettere para- In <|uesto caso dir si potrebbe che gngiche alla ravia va notando pe'casi v' abbia vera paragoge. Pure la sillaba della quafia legata. La prima, detta che n'emerge è piìi che bicve,etale alg.v'li 'VnJI'?}* • ed e spesso la -j, che slunia nella proflcrcnza; e non solo talvolta la ^ o », come in")i1TO7X alla fine del verso e nelle cesure , ove i ( almohtaraqin ) per p"innO'?X ( ^'" metrici più rigorosi non mirarono tati- mohtaraq ). L'altra, detta nrn**'Sx lo fìnamcnic, ma nel corso stesso del almota'ddi , è la ^ o la » apposta procedimculo ritmico non entra in alla vazla p^ ch'esser dovrebbe cpii- niisura. Cosi la e muta ne' versi inglesi escente , e straordinariamente vieii va riputata come inesi,tcnte. mossa : la mozione allora chiamasi La rafia colla paragoge dicesi con attaa'pbi '>'^'^^^- 70 DE R I T I S 'ìDxS 'TiS» h^p ]hhii «rnrr nstii 67 y. 57. jE' adiecHo Utterae mollis ante Utteram Shythmi, non alia nisi litterae ^ cum ambahus sciUcet t et "* ^ et motionem , sume eiistud. Sf. 57. Redfa tfX^H ( arredfo ). )> È la quarta leuc-ra spettante alla cafìa , dice il Clerico , una riempe ex literis quiescentihus vy^ ravviyam im- mediate praecedens ». Non pare che dar si deggia alla parola redfa un significato cosi ristretto. Leggesi nel Chamus : f|in '^)}th^ '3 f^TìSN* Sap yfl' f'SSxi n!:Sx r)"nn fa p^D 'IJ» NOnj'3 D'S n'^N q-in-Valea dire: y4rredfh , ile versi , è una quiescente fra le lettere di allungamento e le leggiere , la qual cada prima della lettera del ritmo ( della ravia ) ; in modo che nulla siavi tramezzo al- l' una ed all' altra. Or la ravia , come abbiara veduto y. 54 e 55 j può esser quiescente o fnossa , il che rende la qafia legata o sciolta- Se è legata, allora, ed al- lora soltanto', la redfa non potrà es- sere se non una delle tre suddette let- tere molli ♦IX' ^^^ quanto è sciolta , divien redfa qualunque lettera quie- scente che immediatamente preceda la ravia , e la ravia stessa caricata del tesc'did. K^el primo caso , la rima è sempre tronca , continua; nel secondo è sem- pre piana , alternata , non dovendosi tener computo delle paragogiche le quali vanno in arabo fuse in una sola sillaba , come appo noi gloria , sto- ria , ec. quando si considerano come semplici bisillabi. Secondochè siavi o non siavi in una rima la redfa , di cesi nuda m"lJlO { mogiarràdaton ) o kedfaia nfl*1")0 ( moraddàfaton ). 11 che dà luogo alla seguente classificazione ; METRI ARABI. 71 57 È ben se redfala farai la rcwia. Ma assai più robusta la rima si avrà , Se redfa farai la lettera molle Che al moto vocale più forza dar sa. E allor di lavgìa non serba più il nome La voce movente, e un' hadva sarà. I. Qafia LCGATA. 1. Nuda, come '^fjjj (manzil), e come tutte le rime di questa Qazida . 2. Recìfala, come ^■p, ^'p , Sxp ( qa'l, qi'l, qo'l). y ^' II. Qafia sciolta. a ) colla sola vazla : 1. Nuda , come «StiD ; h^ ' 'SU!3 ■ r>*7W!D ( manzila' , manzilo' malizili' , manzilat ) ■2. Redfala , come XnXOj;. nUOÌff HNDy . mìiOì^ ( ;"na'dot, àraa-di", àma'do' , àma'da' ) ; e come J{DS3' apn • Xpir;; (chalqa, haqqa, àscqa ) nel modo che saremo per vedere ia appresso j V. Cantilena. ò ) Colla vazla e la chorugia ■ i. Nuda, come xnSnaonSti:, *n7ÌM (manziliha', manziloho' , man- ziiohi' ). 2.Redfata, come Xn-lX0;;.Nn"n!2y, Nm*OV ( àmi'doha' , àmo'doha' , àma'dolia' ) , e cosi per gli altri a/fissi. La moziouc die precede ia redfa prende il nome di iiadVa '^^7^? ( alhadvo ). Da'quali esempi appare che le mvìe legate corrispondono alle nostre rime tronche ; e che le ravie sciolte , se son nude, dir si possono corrispondenti alle rime tronche del pari che, alle sdrucciole ; ma se rcdlale , son sempre rime piane. 72 DE R I T I S 'rha fifhan^ mrhi^ xD'DNfiì 58 y". 58. £t ba^im quoque stime , nempe Itlterar, riti sì frappone una sola lettera ». Il binata. Clerico nota che preceder dcggia In Vero è che 1' autore del Chamus cadeni dictione : perchè , soggiugne , cosi si esprime riguardc alla Tasisa : si in una dictione fueril , J{ in alia La tasisa neUa qafia è queW alif vero ( qitae non fuerit praenomen fra la quale e la ravia s' interpone affixum vel par pracnominis ) Rawi- una sola lettera ; come in questo verso ya, ^illud Tasisa non est habendum, di A.nnabega Sìbario: ìiec loti poemati necessarium , quod in Tasisa requiritur. 2':fN'ÌD H'OK X» ÙilD TI^Sì Ed anche qui osserveremo che la 33X1D7N 'D3 ÌTDXpN TXÌ Tasisa vuol considerarsi come la Ict- che si legge : tera quiescente la quale dà forza alla koljati hihammin mozione o sia alla prima vocale di ja ommijalo hina'zibi una rima sdrucciola nel modo stesso valajlon aqa' sijjahon che il fa la Redfa alla rima piana. biiajji-'lkava'kiòi (*) E sotto il nome di rima sdrucciola , (*) Questo verso appartiene al Carme lungo f^adbato y e potrebbe tradursi verbum verbo. Renes mei cum dolore , Ommia , lassati sunt : et nox est dura cura obscuratione sfellarum. E metricamente : Stanchezza, Ommìa, m'assale: le reni mi dolgono Dura è la notte , e gli astri nel buio s'avvolgono METB.I ARABI. 73 58 È ben se iasìsa la sillaba aflfbrzi Che della ravia compagna si fa. E all' aiif ricorri se piena se splendida Vorrai quella sillaba \ che mossa per a 69 Divicn della rima la base primiera , Cui nome a buon dritto di rassa si dà. ex dicUone , vd ullima pronominalis , quae jìffixa sequatur - \. Sg. El Fathhum prae- ceiìcns est Rosso. II. Qafia sciolta. Ma pare che ad esempio questo verso si produca come uno de' vari casi della Tasisa, non come caso esclusivo. La ravia diccsi in tal modo tasi- a ) Colla soia vazìa, come fT^i^Xl^! SATv rÌDDIO ( movassasaton ); ed in- »-JO|x "ijnd |ds Jn3dn'3 man isnainì inm D'DNnm Nnn Go SeQuetìs est Dachìlo , scu iiilrOTiiUsa : move funi eatn l'jcali producta : qui ergo diversi' jìcat penultimam errai. - y. Go. In hvc et in basi , et ccrrespondentia , et penultima eorum : et motionis eius diversità! , ut jnmx ( iliadi ] , et yi (dà), et J,'T ( dò ) vulgata est. Daciiìla 7'3~17}{ ( adJacliilo ) i il nome che dassi ad una IcUcia mossa tra la r-avia e la tasisa; la sua vocale o mozione dicesì isc'baa VX3JJ'X7N ( alesc'ba'ò ). Formando la dachila colla sua mozione una sillaba breve, è chiaro che una sola rinvenir se ne dee nelle rime sdrucciole , due nelle bisdrucciole, tre nelle trisdrucciole. - Assai di rado le lettere corrono uni- formi in questa sede. 11 che i nostri anche talora si permisero , come il Burchiello^ a cagion d'esempio, ne' suoi sonetti. Ma la mozione vuol esser co- stante. y. 60. 1 cinque difetti che qui si enunciano non hanno nome speci de, e vcngon designali col nome geucrico di sen.v'da 1J<307X ( assemido ) clic poi distinguesi in seiiùda della redj'a , della tasisa, dell' esc bàa, della hadva, della tavgia. Le quali così dal Clerico si vanno enumerando : j) Senada DELL.A nEDFA , ù niullerc 1) in consonanza la qafia redfata colla I) non redlataj come 2'3n ('''''^'''^°") » con 2DnO ( mohibbou ). )i Senada uella tasisa, ò unire la >i qafia tasisata colla non lasisata , co- >i me 7fX30 ( mana'zilon ) con 771^ 11 ( manzilon )• n Se.nada dell' esc'eaa , è niellere « in rima ^JJXD *= Sd^DH ('"''^'<="- dosi cioè h J3 nella prima parola METRIARABI. «5 E ben die uniforme pur sia la dachila Scbben co' scambietti grande abbia amistà. Pur quella ond' è mossa, e ch'e'sc'iaa dirai. Nemica è a qualunque volubilità. Go Uésc'baà, la tasisa , la hadva , la reclfa , La tavgia chi varia la rima disfa. per kesra e nella seconda y«//i(7 ) E » Sevad.v della tavoia, cioè muo- soggiugne : sive soluta fuerit Icafìa . vere diversamente la ^ in «in (lia- sive libata. Ma se la qnfia è legata , ram , harim , harum ) , soggiugnendo: la mozione delia Q non è una esc'iia, Hoc alii villo non vertunt , oh fre- m\ una tavgia. Bimane perciò i[uesta quentem eius apud poetas unum ; senmla applicabile al solo caso della alii tanquam ekwaam ducimi , qiiod qajla sciolta , cioè di kàinilo con //- vocalis ante quiescenlem perinde sii kamalo , giusta l'esempio prodotto, ac si super ea/n esset. e ''i SnmO ( mòrlahilo ) ^^"ijH Dir bisogna. Considerar si vogliono ( iirragiolo ) , come sarem per vedere i diletti di tutte le lettere e di tutte ragionando del Caume svaso. le mozioni che compongono la rima " Sen'ada dell' iiADVA , conie far araba nelle condizioni di sopra espo- n limare yi ( dain _) e ^»^ ( di'n ) , ste al if. 55: nel doppio riguardo cioè " " 7^p ( quaol ) e ^'\p ( qo"l ) dopo dell'importanza del sito che occupano, >• del fulha. - n Ed anche ([ui gli e della più o meno prossima omiofo- cscinpi sembrano mal posti. Come an- nia con quelle con cui si mettono in Cora nclr ultima. consonanza o assonanza. 176 D E R I T I S mxjD dh^Sn iVnxVx S^^nooi 61 ♦B'nS' pv avjSx ah Nn'?K ^n Nnno arhìi) ì'SSnì Nnp^^oai 62 NonjDDK xon2-nkX NDmija 63 nnn'3 jìiSSn \s'v ip SixSni Nn ì'm xin pj3dSj«i q-Tni 64 NnriDN NiSyìD n^in doB jn xo3 NDINOn f^JK DDNI -|1Nm inNis 65 Nni a-h 'U":> jniSx Nnr::yni Nijn-n iXDi'? Nto'xSx xmnjm 66 m hn ^yiba ■>■: innrhn nSna Spi y. 6it £i complamentuììi partium est si absit huiusmodi diversitas : et electio ipsarum , ium liberatio consonantiae a corruptela j audeatur et timeatuT' y. 62. Et Ubere procedant cum levitate , seu mollibus litter'ts et 7\ , et sex sani ^ et perjingent novem-y si applicentur consonantiae coUigatae - y . G3. Fac igitur clara sit utraque consonaìitia , praepone eis immediate litteras molles quiescentes , appone eis bases , et primuni ex his tribus exigitur necessario ad rhythmi exitum - yf, 64. Et quando ante liiteram rhythmi duae sunt im- mediate quiescentes y et in his minus quam quinque moventur ^ etiam si sequentis adiun- y. 61. Leggesi nel Cliamus : 3^fJ^J< versi s'inculca. Nella versione abbiam n'SJrio; tari gvtSTv.t-it " ;^ovwv dulationis ad artem disciplinamque kjitu Tiva Tahy ffi^yxtijisvwv. xai ra constringat. TouruJV Ta^ri '/.uKov^iv Uftfiv xctt S^EC/V METRIAnABI. 8l tlelcrminato dai climi, l'un ritmo piuttosto che l'altro si adagia all'indole speciale delle varie loquele, secondo che l'urto spiccante nella cmission delle voci, la vibra- zione dell'accento, a cjuesta piuttosto che a quell'altra sillaba si appoggi nella loro numerica progressione. II che potrebbe elevarsi a storica verità col solo riflettei'e che la nomenclatura a noi trasmessa de' vari elementi prosodiaci, dalla tale o tale altra nazione deriva appo la quale fu dapprima quasi esclusivamente in uso, e massime nella solennità delle religiose cerimonie: che in esse delle primitive umane associazioni si rimangono più rispettate dall'età le originarie consuetudini, e sotto tutti i climi la prima voce dell'uomo, la prima mani- festazione de' suoi timori e delle sue speranze , della sua gioia e della sua gratitudine , altro esser non dovea che un inno, una litania all'Eterno. Nella nostra disamina, la determinazione del ritmo prediletto degli Ebrei esser dovrebbe il nostro scopo primario; ma è forza prescinderne. La lingua santa , quale con caratteri fonetici fu ridotta a scrittura e mol- toppiù quale co'iuiovi caratteri venne per divina inspi- razione trascritta dopo la trasmigrazione di Babilonia , ei'a già una lingua ingentilita da tempi remotissimi : e i libri della Legge e de' Profeti conservan sibbene nella piena integrità il suono delle parole come strumento della trasmlssion delle idee , ma non della musica del linguaggio, malgrado la vecchia e nuova masora (ìG). (a6) Vero è , e sembra ormai fallo storico , clie uella trasmigrazione di Tom. III. 11 82 D E n I T I s Dovendo perciò limitarci al solo moderno rabbinico , il cui metrico sistema da quello degli Arabi non si diparte se non per le sole condizioni di dialetto e di non pari innoltrato incivilimento ; esso venir dee sup- plimentario alla nostra inchiesta , non delle archetipe forme indicatore (27). Tornando perciò alla juimerazione più semplice delle oscillazioni del pendolo, torme archetipe, forme vere elementari considerar si vogliono le binarie (28). Babilonia gli Ebrei cambiassero il loro dati per instituire delle ricerche su linguaggio col siriaco araraco , specie le condizioni prosodiache della lingua di dialetto caldaico ; e che d' allora santa. Ma forse ne' limiti del mero cessasse 1' ebreo di esser lingua voi- conghielturalc ci rimarremmo. Pure gare ( Walton Proleg. Ili ; Rich. un lieve saggio ne prenderemo in ap- Sinion , Ilist. crii, dii vieiix Tesf. 1. II , presso nella versione del breve salmo e. 17 ; Fabre d' Olivet , La la?igue xcii , ebr. xcnr. hébr. restii. , préf. ) ; ma è pili che (27) Alcuni moderni Ebrei si pen- probabile che la scuola masoretica sano di aver tratta la loro poesia da- di Tiberiade non inventasse il sisle- gli Arabi ( Salomonis Van Til , Can- ma delle vocali, e che tulio il suo tus poeseos nec non soìvxndi facuUas merito consista neli' averne sol con- tiim ■veterum tuni praesertim He- servalo e trasmesso il costume. La braeorum ex tenebris antiquilatum forma materiale di que' segni non è nocae /mcj /jro/josjte ). Eppure non ne di antichissima data, ma l'uso n'era siam persuasi. Qualche parallelo che conosciuto lin dai tempi di Esdra sarem tra poco per instituire ne fari ( Nehem. Vili. Mischna , Traile des manifesto il perchè. Pères , e. III. %■ l3. ) , ed anche pri- (28) Vnalonganon valebit edere ex sepedem. ma, perchè gli Ebrei della Cina, Ictibus quia fitduahus, non gemello tempore. giunti in quelle lontane regioni due Brei-isutrinquesitlicebit,hisferlriconvenit: secoli avanti , pronunziano le vocali Parte nam attollit sonorem , parie reliqua presso a poco come gli altri Israeliti deprimtt. sparsi su la superficie dei due cmis- ^e'" hancGraeci vocarunt , alteram cantra feri (Bruttier , De ludaeis Sinensibus). ^""'• Ouindi non affatto mancherebbero i Terenziano. M K T R I A R A B r. 83 Ma tipi normali non saranno né il plrrlchio né lo spon- deo. Le due condizioni pel sito dell' arsi e della tesi nello spondeo, secondo che coli' anapesto e col dattilo entrava in composizione (29) , ben fanno scorgere che metri spondaizzanti esser vi possono , meri spondaici non mai. E lo stesso é da dire del pirrichio. Nel ra- pido precipitar d' un fiume del pari che nel suo lento ma uniforme discorrere non v'ha numero, non v'ha ritmo , non v' ha periodo da poter distinguere : condi- zioni cui la sola ragione degl' intervalli dà vita (5o) , come la sola ragione degl' intervalli trasformò d' indeter- minata in sillabica, articolata, distinguibile, e di pen- (29) Ciò intender si vuole anche gion d' esempio in questo verso del nel movimento iambico o trocaico in vecchio Ennio : cui gli amichi ammettevano lo spon- Cìves romàni lune facli sunt Campani ; dco colle sue soluzioni. Del resto ; Nel qual verso tutte le sillabe iono considerando il ritmo musicalmente, eguali per tempo , ma disuguali per cioè per quella parte che segna i vari vibrazione, massime in quelle per noi tempi musicali in quel comparlinion- come sopra accentuate. Vi sarà sem- to che noi diciamo liatliila , i fr;in- prc nella pronunzia un certo che di ce>i misura e gli spagnunli compasso, posa dopo il ci di cives, ec. Posa da rifiutar non si vogliono i ritmi spon- non confondersi colle pause ril/ni- daici e pirri(hii , semplici , doppi , ec. c/ie , del che v. la nota 41. Sarcbbcquasiuncscludei e dalla nostra (3o) Quemadmodum in cadentihns musica moderna tutti i tempi binarli, ^^uUis quod intervallis distinguuntut il clic varrebbe un assunlo.Inlendianio narnerum nolai-e possumus , in amni del tfnipo WH7r/co nella distribuzione praecipilanle non possamus. CiCBRO dalle sillabe di maggior vibrazione xe , de Orat. a8. anche, in tempi uguali , come a ca- * • 84 DERITIS sieri e di afiFetti comunicatrice , la volubile moltiplicità delle voci umane (3i). E qualunque cmission di voce , dalla più semplice alla più complicata , dalla monosillabica alla sesquipe- dale, e nelle combinazioni di esse, in due tempi uopo è che proceda , dell' arsi e della tesi alla condizione aggiogata (02): vale a dire, sia che una sola parola, sia che più parole , sia che più comme , sia che più versi si pronunzino , in modo che tutto il complesso venga a formare una sola frase, im sol periodo, nella espressione più o men complicata di un pensiere; sempre vi saranno due condizioni valutabili per durata e per vibrazione, e sempre 1' una all' altra subordinata , 1' una dall' altra diversa per energia di profferenza. Sia il beato Agostino dilucidatore di questa verità , dalla qual forse tutto il (3i) Otliraa ò la riflessione de' uo- sa voce^ e quasi a formar di due silla- stri antichi gramalici che le sillabe Le una sola. — È notabile come i no- brevi fossero le prime a pronunziarsi: . stri vecchi gramalici che del sistema Ante enim breve est creatum , redditum sillabico degli alfabeti orientali pro- longum dein. babilissimamente non aveano nozione Ed eccoci precisamente nelle prime alcuna , tanto poi a quel sistema tro- iiotazioui della voce umana diuu'ar- vinsi ravvicinati colle loro sottili spe- ticolazione , ossia lettera , e di una culazioni. mozione , ossia vocale. Ciò forma una (Sa) Etenirn in accerptu vocis dis- uniià di tempo , un primo segno , pjR sonus non disciplina sed natura quello in somma che intender si vuole editar , ita etiam, rhythmi et mele per una sillaba brave : e in fatti , per vari /iN bis cantus modulativni- auloiità di Vittorino , Triufiov veteres bus , prius suapte natura quani ar- pQjovov non absurde dixerunt. In prò- tis structione gignuntur. Vittorino , gresso soltanto un' altra arti('olazione lib. IV. sub fin. polca venire ad aggrupparsi ad una stes- METRIARABI. 85 sistema delle varie prosodie dell' uman genere vedrem chiarirsi. Un eruditissimo e perspicacissimo scrittore ili tre specie le distribuiva (53): ma non varrebbe l'orse meglio considerarle come uno ed identico sistema, sol per tre aspetti diversi risguardato ? Prendeva il beato Agostino in considerazione quel famoso verso dell' Eneide , Comua velatarum obvertinius antennaruni , e domandava : perchè quell' oh dell' ohvertinius ? Non si rimarrebbe in perfilta regola il verso quando si dicesse: Cornila valaLariun verliinus antennaruin ? No : ei risponde j non un sol verso avremmo allora , ma due (34). Quando adunque i nostri vecchi gramatici dicevano che ciascun verso andar deggia in due parti diviso (55), non dicevan tutto , e dir conveniva doversi ogni verso dividere in due parti disuguali. Ma v' ha dippiù : se que' due emistichii cosi ri- dotti uguali ritinicamenle vi farete a pronunziare ; l' ac- cento armonico sarà diverso , e spontanea vieti 1' ine- guaglianza a ristabilirsi (56). (33) Il Pfciffcro distingue tre spe- (3.i) De musica, lib. II. eie di poesia i.° l'araba, 2.° la greca (35) Omnis auiem versus, xararo e latina, 3.° la germanica e italica. TXuarov j in duo cola dividitur. Alla prima si accosta quella de'Per- (36) Quintiliano trova l'accento siaui e de' Turchi ; alla terza quella circonflesso necessario ad ogni mono- de' Caldei e de' Sirii. — Rispettando sillabo ne sit aliqita vox sine acuta. le vaste cognizioni di questo autore, 7>2s/./. ^, e. i. Ed ogni acuta strascina confessar dcggio che il suo sistema seco imperiosamente la grave. Cosi le non mi persuade. nostre plebi non hanno tronchi , e 86 DEKITIS Discendete cosi di suddivisione a suddivisione, sem- pre due parli disuguali si avranno , sino all' isolato monosillabo , il quale ordinariamente anch' esso in due disuc^uali parti si divide : il che fu dai nostri avvertito quando notavano coli' accento circonflesso tutte le lun- ghe ed a tutte l'enclitiche prossimo traevano l'accento acuto (57). Cosi r accento armonico, colla ragion metrica delle scuole combinandosi, veniva a stabilire' quel che mo- dernamente intendiamo per movimento ritmico , per procedimento a rigor di battuta , per 1' arsi e la tesi ìli somma che con tanta minutezza ne' vari metrici si- stemi i musici greci andavan determinando. E se 1' ac~ cento armonico degli antichi non è da confondersi col nostro accento tonico in quella sillaba che nella tesi , nel battere della misura facciam sentire , e che ben può essere iudiflferentemente in qualunque sito della gamma allocato e con qualunque figura rappresentarsi (38); pure dicono spiccatamente ^róe, diróe, ec; dis : in harmonica vero suLlalio et ed anche noi facciam lo stesso , seb- positio vocis aut soni , quae non in bene quell' e diventi sceva. temporis longitudine et brevitate , sed (371 Quando cioè il monosillabo in vocis acumine et gravitate consi- accostasi ad una parola che finisca in stimi , et potius ad accentuum con- sillaba lunga. siderationem , quam ab syllabarum (38) Diffenint autem arsis et the- peiiinent quantitatem. Unde sciepe sis , quas rliylimica considerai, et contigil ^ ut cum manus ponilur , vox Arìstides Rhylhmi passiones appel- alloUatur , et cantra : quas videntur lat , ab his , quae in harmonica con- Terenlianus et eius sectalor Victori- sideraiitur : quoniam in rhythinica nus confundere , cimi eas in pedibus sunt levatio et positio manus , ve! pe- examinant. Salina , ub. supr., 1. V , e. 4 ; SXKTniARABI. 87 nel couchiudcrsi di una frase musicale , nella cac/c^/z^rr, quella sillaba non altrimculi esser può che lunga e grave. Ed. ecco perchè nelle interrogazioni diam fine al nostro dire coli' alzamento della voce : ecco perchè una frase musicale che termini coli' acuto dicesi ed è una frase sospesa, una preparazione alfa cac^e/zsa. Neil' uuo e nell'altro caso attendiamo la risposta, attendiamola conclusione. Far non dee maraviglia se i nostri antichi l'accento armonico coli' accento prosodiaco confondessero. Nell'in- fanzia de' linguaggi sempre sono spiccantissime le can- tilene, in modo che non si è dubitato da chi credeasi molto innanzi nello studio della storia del linguaggio avanzare che i fiio/il appunto fossero stati i primi ele- menti della parola ridotti a scrittura : il che è notabi- lissimo in un autore che le sue analisi instituiva sopra una lingua appunto la qual meno di qualunque altra fa sentirne le varietà (Sg). E cagionar non dee maravigha se i nostri antichi tanto insistessero nel loro sistema prosodiaco delle lunghe e delle brevi, sì perchè quando le loquele non son molto rammorbidite più spiccanti mostrar si deggiono, e si ancora perchè l'antica musica nel vario ripetere della sillaba breve tutte stabiliva le proporzioni del suo ritmico andamento (40). Ma né versi di sillabe tutte brevi , né versi di sillabe tutte lunghe, la ragion dell' am e della ted , la ragion del- (39) ÉtémenU d'Idéologie , P. II , (40) V. appresso la noia .^6. eh. à. 88 BERITlS V accento ionico le ineguaglianze vilmichc ristabiliva: e la. prosodia clc/Ia nafu/a, fin dalle prime mosse di quegli artifizi di scuola, riconquistava trionfalrice i suoi diritti. Non è inoltre da dimenticare che nella ragion dei l'itmi , nella coordinazione degl' interv^alli onde nel bat- tere della tesi costante si rimanesse l'isocronismo, non mancavano gli antichi di quelle pause che formano dell'attuai sistema musicale il necessario compimento, e che nell'antico avrem potuto stabilire a priori, quan- do anche quell' acutissimo scrutatore dell' arte musica degli antichi che tanta luce or ci porge (41) non cene fosse stato maestro. (41) S. Agostino, mJ. ««/ir. j lib. III.- fesso ìiielius tractavit : cuius sex de Io cito questo santo Padre nelle sole Musica libri ab eo iam matura aeta- circostanze nelle quali un' autorità di te , mira et ingenii dexteritale et pie- fatto mi sembra indispensabile ; ma na musicae facultalis scientia scripti confessar deggio che se non tutta sunt ; sed propter disciplinae huius quanta 1' idea che ho concepita del imperitiam et ipsius rei dijjìcultatem passaggio dal sistema musicale e me- a paucis leguntur et a paucioribiis trico degli antichi al nostro, nella intelliguntar. Lib. J^I , e. 3. massima parte -almeno dalla lettura II santo Dottore veniva tra noi spet- de' suoi Dialoghi mi fu suscitata. E tatore quasi di que' nostri antichi ar- cou vera compiacenza ho letto poi in tifiziati sistemi , e col sistema della Salina : Haec fere omnia qnae de natura volea metterli in accordo. Un temporum silentio dieta sunt , ex ter- acre ingegno raflbrzato da vastissima tio D. Aagustini de musica libro de- dottrina esser dovea consultato, almen sumpsimus , et multa alia quaa ad come interpetre , come dragomanno, lioc nostrum instituluin pertinere vi- da tutti quegli eruditissimi che delle debuntur , desumere non verebiinur : condizioni dell' antica musica sono an- quando nemo alias Graecorum et La- dati a frusto a frusto raccapezzando le tinorum hanc musicae partem ex prò- memorie. Or percliè di qualche sba- M E T B. I A R A B r. 89 Che riniaue adunque di diverso tra gli antichi me- todi prosodiaci e i nostri? Non altro che le necessarie conseguenze dell' ingentilirsi dell'organo vocale di ge- nerazione a generazione , e di quel miglioramento pro- gressivo che tutte le umane arti ricevono nelle loro scambievoli convergenze, nel loro mutuo soccorso, nella risultante di mille individuali industrie che in industria universal si trasformano. Farà sorpresa se molte sillabe che già furono lunghe or come brevi vengan da noi pronunziate ? Farà sorpresa se due o più sillabe antiche in una sola or da noi si raggruppino ? Se non più una sillaba breve venga inflessibilmente come la metà di una sillaba lunga a considerarsi ? Tutte queste condi- zioni erano già in movimento fin da remotissimi seco- li (42) ; e bastò il solo cangiarsi del sistema nella data frase retorica di Plutarco , a ca- tegros ; illos à Residuis aut Adpo- gion d'esempio, si fa gran caso, e si sitionibus. ybi et vacua tempora ad- lia quasi ribrezzo di andare a scuola sumanl. Est aiilem Tempus vacuum , <]a un gran maestro clie ne trattò di quod absque sono exislil ad coìnphn- proposito ? dum rhylhmum. Residuum vero in Kon bisogna però tacere che Ari- Tliythnio , tempus vacuum minimum. slide Quintiliano parli del conuputo da AdposUio , tempus vacuum longum , tenersi delle pause ; ma con indica- jtiinimi duplum. 11 che altra nozione zione assai rapida ne parla. Eccone non ci offre se non quella del modo il luogo giusta 1' interpetrazione del con cui gli antichi rellillcavano qual- Meibomio. ytdhaec alias ex omnibus che sillaba mancante nelle sole con- brevihus , alio ex iis longis ; alias dizioni del semplicissimo loro sistema permiste conficiunt , abundantibus vel di ridurre tutta la durata sillabica longis vel brei'ibiis ; aut per simitia unicamente ad uno o due tempi. tempora , aut per dissimilia elationes (43) Inter metricos et musicos j positionibus reddentes. Atque hos in- propler spada temporum tjuue sylia- Tarn. III. lì go DERITIS notazione musicale per vedere tutte le moderne loquele non più alle antiche profFerenze adagiabili. Cosi i nuovi modi poetici, nell'accordo dell' accento tonico coli' ac- cento prosodiaco coordinati , non più riconoscono per accento e sillaba veramente lunga se non quell' accento e quella sillaba che nel battere della tesi aver dee sem- pre, virtualmente almeno, una più distinta vibrazione. A rendere compiuto il nostro esame qui conver- rebbe, dopo 1' esposizione del sistema prosodiaco degli Arabi , tentar quello del sistema musico-prosodiaco de' nostri antichi. Ma i monumenti dell' antica musica sono assai scai'si. Ad ogni modo giovi darne qualche saggio, onde l'uniformità di andamento tra 1' antico e il nuovo in tutta la sua luce rifulga. E sia primo un inno trimetro anapestico, corrispon- dente pel metro al nostro ordinario decasillabo. Fu già pubblicato da Vincenzio Galilei il i58i nel suo Dia- logo della musica antica e della moderna, e tratto di Roma da un ms. della biblioteca del Cardinal di S. Ange- io: riprodotto poi, non senza qualche menda tipografica, da Ercole Bottigaro nel 1601. Un'altra pubblicazione ne fu fatta in Oxford nel 1672 da un ms. trovato in Irlanda hìs comprehenduntur , non parva dis- scrupulositas musicìs et rhythmicis re- sensio est. JVam musici non omnes linquatai: Nani quia ad nos allinei intcr se longas aut hreves pari men- nolemus pkrasque syllabas radane sura consistere , siquidem et brevi ( scil. metrica ? ) pares esse , spatio breviorem et longa longiorem dicant autem sive sono impares. Vittorino , posse syllaòam fieri Sed haec lib. I. De mens. longar. et ùj-ev. s-yìl. M E T n I A u A B r. qi tra le carie del famoso Usher ( Usscrio ); e dal signor Burette nel J720, collazionato e supplito iie' primi sette versi con un ms. della rcal biblioteca di Parigi. Sarebbe stato importante che di questi sette versi ancora si fosse rinvenuta la notazione musica, per vederne forse, non qualche ravvicinamento colla notazione dei nostri musici madrigali , come sembrerebbe a prima vista , ma un vero periodo musico, una vera introduzione al canto nell'idea di quelle prime parti delle nostre canzoni che si dissero siriine o fronti (45). In mancanza di ciò , qualche lume trar possiamo dal frammento di un altro inno , rinvenuto negli stessi codici e eh' ebbe le stesse pubblicazioni (44), e dal frammento della notazione nui- sica alla prima strofe della prima à^o. pitiche tratto dal Kirker dalla badia di S. Salvatore di Messina (46). L'inno è come segue, del quale diamo a fonte una metrica traduzione, col solo cangiare in acalulelii nelle cadenze e conserv'ar poi sempre catalettici que' versi che il poeta greco compose indifferentemente catalettici o ipercatalettici. (43) Dante , De viilg. eì. Tiissino , storici della musica nulla aggiungono Poti. allo investigazioni del signor Burette.- ('!<*) V. Dissertation sur la mélopée Kc abbiamo due esemplari anchenc'mss. de. l'ancienne musique, par M. Bon- della rcal bil.liolcca, de' quali seguia- iiETTE Ad. de VAcad. de.% Inscript. , mo il lesto, fuorché nell'ultimo verso, lem. V , 1C)1. - yt general hislory of V. in fine Spiegazione delle favole, music , from tlie earliest ages to t/ie (45) Musiirgia, tom.II. Dell' aulen- piTMiil pcriod; by Ciiaiìlis Buiìney- ticit.'i di questo frammento or non piii ailaciUCillC (Kfff)iC^ec &cv uutfit , W>ll dubitano gli eruditi. V. gli autori c\- 3ohann Oìn-oUlia Morfei - Questi due iati nella iirccedenlc nota. * 92 dehitis TMNOi; Elt, HAION. Tfi , xaci 'Tovro? , xai «voteci , H%o; , (P^oyyoi t' opvOi/3os , ax.ipcnx.OiJ.ag , a^iTas. Xioyo[iXi(ì)oi.pov 'TTot.rip Aovg 'Po^oiTiTxv '05 ccmya. crwXwv TLrayoi? 'f t' ix.vicri hKox.m , H-pucnociffiy aycck'kopi.iyQ? xoixcct? Tlipi yajrov aors/parov ovpavov. Axrtvoc ixoXvcrrpo(^ov cciiTXixojy , AiyXcc? ToXv^ipnsoc "ot* °'5. il in c<"l. del Galilei y. 2i- yuvvTxi. Tutte l'cdiiioni V. 25. iroXioc/xoix y.iTii.xi tKi7tnr Oxf. Flr. Nap. 94 DERITIS E noto che 1' intavolatura dell' antica musica con- sisteva nel notar soltanto progressivamente sulle sillabe i vari tuoni con cjuelle cifre che dopo le diligenti cure del JMcibomio or più non ammettono difficoltà. Ma per quel che riguarda tempo solo indica vasi da principio la qualità del ritmo da seguii'si. Or tale indicazione in quest' inno è cosi espressa : v - rsvo? diTXa.criov , 6 pv^fjLog i(oì;iy.%rriir,ij.oi (46). Nel nostro attuai sistema musi- cale si sarebbe detto : Tempo aualtro tre. Or come si adagiano con questo tempo gli anapesti nella condizione che le due brevi eguagliar deggiauo una hmga? Stando a questa volgare opinione , il signor Burette assegna ad ogni sillaba lunga una minima e ad ogni sillaba breve una semiminima \ ma ecco tempi disuguali, ecco battute ora di tre, ora di quattro semiminime , ecco un ritmo che non è più ritmo , ed ecco un autore stima- bilissimo inciampare in evidenti contrassensi per darne spiegazione (47). Egli è chiaro che per ridurre un ana- pesto al ritmo iambico , al genere duplo , cioè di un tempo nell' arsi e di due nella tesi ( o viceversa pel tempo duplo trocaico ) , le due brevi notar ci doveano per due crome quando la lunga notar voleasi per una minima. E non altrimenti notar possono i nostri maestri di cappella gli odierni anapeaii quando scelgono il tem- po ternario , quantunque ben possano notarli e comu- nemente li notino come gli antichi nel tempo binario. (46) V. in fine la Spiegazione delle cosi ragionando ; )> On apprend pav- iavole. » là , i." Quc le ihytlime de celle (47) Il signor Burelle ( loc. cit. ) va « pièce de poesie est dans le genre M K T R I A R A B I. g5 Rafforzi qucstii osservazione un altro esempio : EIS MOTXAN. Ae/S.= , Moucrot , ijloi (^iky\ Eficig (Ppjva? SovaTii;. KaXXtOTticc rTo(poc , y[ou7(iJV "Tpoxara-j/iTi TÉpTVwv , Aaroy? 9/0>'s , AriXie , 'xaiav ! Ey|it£vs(s crapsarj f^to/. ALLA MUSA. lamho Bachiaco. Dell cauta , o Musa , e tenera Melode al vate inspira : M' inanimi quel zeffiro Che a' mini tuoi si aggira. Deh , saggia Calhope Che tutto hai seguaci le suore , E tu , sapientissimo De' miti divino instruttore , * Per voi m' abbia e l'orza e ardir. Variasti. XaXXuira roja;, Fir. Oif. l'ai. Nap. un Coi Il 'Idublc ou l'iambique , ce qui re- » dans celle mesure le fei/é n'a qu'un » vieni au mème ; c'est-òi-dire , quo « temps , ci le frappé enadeui, ou K)6 UE il 1 T I S La notazione ritmica di quest' inno è , come die- tro si è trascritto , icunbico hacìiiaco. Osserva il si- gnor Burette che il secondo predicato si applica assai bene tanto a quest' inno alla Musa che all' altro ad Apollo perchè scritti nello stile diiirainbico , come scor- gesi e dalla scelta delle parole confacenti a un tal ge- nere di poesia , e dalla irregolarità di versificazione che vi regna (48). Ma i nove versi di quest' inno alla Musa offrono una disposizione simmetrica, un periodo i> rcciproiiucmcnl ; S.° Que ce rhylh- dotto autore qui confonde i." rilmo )) me est compose de douzc temps syl- anapestico con veiso anapestico ; 2.° Il labiques , cquivaleus à douze brc- versi catalettici ed ipercatakttici 3." » ves ; ensorle qu' il y cn a quatre verso e ritmo ^ ec. ec. i> pour le leve , et huit pour \efrap- (48) » S.' V égaid du second terme, i> fé, cu au conlraire , et quo clia- » il peut fort bien s' appliquer aux )) que vers ne fait qu un rliytbnie ou n trois petils poèmcs qui sont écrits » une mcsure, qu'on peut cependant, » dans le style dilhyrarabique , coni- li comme je 1' ai fait , parlager cn » me le font assez sentir et le choix « deux mesures moins longues , en » des cxpression consacrées à ce gen- 1) gardant toujours Ics mèmes propor- n re de poesie , et V inégualité qui » tions. Il n' y a pourtant , aucun de >i règìie dans la versificalion. n I^. e. i> ces vers , qui ne renferme la va- pag. igo. 11 terzo poemetto di cui qui >i leur de plus de 12 bréves , puisqu' si tratta è T inno a Nemesi, il quale Il ils cn contiennet chacun jusqu' à è aneli' esso , come la parte inlonota » quatorze et quinze. Mais comme ce con segni musici dell' inno al Sole , )i soni tous des vers anapestiques- tutto in versi trimetri-anapestici , ca- 1. hypercaUilectiques , c'est-à-dire , takttici o ipercatalettici ad arbitrio ,1 qui ont de trop , ou une syllabe del poeta. Ma siccome in un ms. della » longue , ou une breve et une lon- real biblioteca corre quasi tutto colle ,. gue ; ces deux ou trois bréves sur- note musicali, il che manca negli altri )) numéraires sont ccnsces ctre liors da codici ; ne facciam discorso nella Spie- >, rliyllime ou de la cadence. » — Il gazione delle Tavole. metriahabi. gy musicale , una strofe , un sistema ; e nomnicno asserir possiamo che non fossero in appresso gli altri versi al modo medesimo coordinati. Polrem dire irregolari le ode di Orazio, a cagion d'esempio, perchè in una stessa strofe si riuniscono versi di vario metro? versi di varia strut- tura ? E se rjuc' poemi oraziani aveano realmente ver- ba socianda chordis ( e nessuno argomento abbiamo per dedurne il contrario ) ; convenir bisogna che avessero altresì un andamento ritmico uniforme , senza di che non v' ha musica. Anche il canto fermo , sebbene con amplissimi compartimenti , non manca di periodo rit- mico , d' intervalli simmetrici nell' ordinamento de' ri- torni dell' arsi e della tesi (49). (•19) Intendo per andamento ril- e pure da versi metricissimi non son mico unifovmc un qualunque periodo molto lo«tani. La varielà de' versi non musicale che abbia una determinata produceva irregolarità nell' antico si- leggc di movimenti e di cadenze la stema, quando un andamento ritmico qual l'accia ripetere ad intervalli ta- si prendea secondo una data legge li, se non (liicamcnte, sensibilmen- coordinato. te almeno , un ritorno simmetrico Queste varietà gli antichi andavano di quelle cadenze e di quel movimen- cosi metricamente classificando ; to. Cosi dissero e dicono i maestri x' ) zara ari'xav , quae eodem metro dell' arie retorica che in un bel discor- Constant , vcl ex trimetris ac tetra- so v'ha ritmo. Chi dirà che non vi mctris eiusdom metri, abbia andamento ritmico nelle canti- f>) auirnuarixa , quae pluribus me- lene della nostra salmodia? Ma quei tris , ncque uno vcrsu aut eodem colo the diciamo versetti , tanto nella vel commate continentur, ut sunl £»w- chiesa greca che nella latina , non Soi et quae syzygiis gradiuntur. lon versi al certo nel metrico rigore; y) niy.ra, Tom. IIL i3 4. g8 DERITIS Riguardo poi a irregolarità di versificazione , fa sorpresa che quell' illustre accademico abbia voluto se- guire piuttosto che correggere le inconcepibili idee del Salniasio , il qual taccia d' irregolari que' versi metrici ne' quali qualche sillaba lunga in due brevi si sciol- ga (5o) ; e fa sorpresa maggiore 1' udir da un tanto erudito che i versi catalettici ed ipercatalettici lascino un voto neir andamento ritmico , mentre gli acataletti appunto son quelli che il lasciano ne' ritmi iambici, e i E tulli tre ■ auira^oky. , quod sui E che nella combinazione ordinala generis qualitalein men- di queste diverse industrie si raggirasse suramque semper obli- tutta l'arte ritmica degli amichi lu opi- neant. nione conservata sino ai tempi di Mar- (terajJoXi/.a , quae ab ciano Capella; il quale si esprime cosi [aliis melris ad alia gè- Rliyllnniis igitur , ei dice ^ est coni- ^uera transilura faciant. positio quaedam ex semìbiUbus callaia Ual che appare che metro , e con- temporibus ad aliqueni Jiabilum or- seguenlemcnte ritmo uniforme, si avea dlnemque connexa. Rurmin sic diffi- zara (TT/^ov ne'lrimelri, tetramelri, ec, nitiir. Nutnerus est diversonun ìno- come neir unir che facciamo ai nostri doruin ordinata connexio , tempori endccasillalji i scllenari, i quinari, ed prò ratione modulationis inserviens , anche i trisillabi, purché si conservi per id quod aut efferenda vox fue- V andamento iambico , nelle canzoni rit , aut premenda , et qui nos à li- che diciam petrarchesche, ne' recitativi centia modulationis ad artetn disci- dei drammi. iVoR si cangia melro , e plinamque constringat. Interest tamen conseguentemente ritmo, o'i'ffTti.aaTixir) , inter rìiylhmum et rhythm,izomenon . in quasi tulle le nostre gobolelle pò- Quippe rhythinizomenon materia est polari, purché sinimetricamenle si ri- numerorum : Numerus autein velul pelano, ec. ec. quidam aìt'fex aut species modula- E tutti questi periodi j piìi o meno tionis apponitur. L. IX. eslesi, son precisamenle ciò che vuole (5o) L'opinione del Salmasio verrà iutendersi colla parola riimo. esposta più innanzi, al Carmseseye. METniARABI. t)g brachicatalettici ne' trocaici; e così per gli analoghi (5i). Non senza qualche titubanza esponiamo questi no- stri pensieri : che di certa perturbazione di animo non dee poter sceverarsi chi a tal si oppone la cui fama è divenuta europea , e J^ivii' volitai per ora viràm ; pure a me sembra evidente : I." Che gli antichi , come noi , nell' andamento ritmico non considerassero soltanto un numero deter- minato di sillabe , ma una coordinazione d' intervalli nell' accentuazione di esse (62) ; e che un tale anda- mento conservassero smo alia melabole , sino al pas- saggio ad un andamento diverso; il che da noi si ad- dimanda cangiamento di tempo (53); (5j) » Pour empècher que la mar- Cosi il eh. Burette nella sua Disa. » che du rhythrae ne fùt runipue sui ritmi ; Ad. de l' acad. des Inscr. » dans le cLant de ccs vcrs appellc's pag. 126. Intanto è da osservarsi che » catalectiques , parcc qu' ils dcineu- ne' metri iambici ed anapestici , gli » roient court, faute d' une syllabe, acatalctli appunto son quelli che la- ^ af-'ttikhon teheì hai HtinimoL riXpp |1DJ 2 A'a/o7i 'kkisaka : : nn N* gVi;; p wp //^eas meólam atta, ni.T nlinj INÌ^'J 3 iVase^/ neàrot-. leòva. c^Sip ni-im INb'3 Naseu nearot qolàm : J^:3T nm iXb'r «eo /zm/-o/ \ldàheam ? t'PT fc'p niSipp 4 Micjqolot maini rabbim &-'73^'D annx Addirbìi misc'-herehm ; nlrr aiipa T^ addir hUmmàrom leóva. nxp ÌDOX J. Tj'i-iij; 5 Edoteka neemeku meód CI p'n^X J Tjri'37 Lehéteha nàara-qoresc' \ ( ^|N' ) C'p; ^^ rv\r\\ leòva leòreke amim ( ieezàr ). NOTE OIUSTIFICATIVB. (■"l'i,")* è il nome ineffabile di Dio, misura delle sillabe brevissime eh' io che gli Ebrei sol leggono e pronun- considero non come le vocali mule ziano 'J^J^ adonai ( signore ). Per ciò degl' Inglesi delle quali non si tien che riguarda metro , quantunque co- computo ne' versi in quell' idioma , munemenle tutti gli eruditi cbraiz- ma come la e muta de' Francesi die zauli leggano lova bissillabo , ho nella sola prosa può dirsi , e noa creduto tanto in questa quanto nelle sempre, evanescente. Ho creduto che altre parole non doversi trascurare la confortar possano questa lezione e METRI AHABI. lo5 L'INNO DELLA PRIMAVERA Quando verdeggiano i campi. T E il A Regna e pompeggia , alto Ei pompeggia E ia leggiadria possente armeggia : Sta saldo il rampo in sua virtù. Sta salda tua reggia : Qual ora tal sempre Tu. IL COKIFEO Siro/e. I turbini fremano : Egli li I turbini inugghin : perchè Teina di turbo distruggitor ? Anlistrofe. Più del tuou, del mar che gli argini Franga indomito e dimargini , Potentissimo è il Signor. Epodo. Si : Tua legge in costanza grandeggia : Tu SEI. Che di prosperi amplissimi veggia Un campo a Te sacro Tua legge fu. CORO. Ei regna e pompeggia , ec. l'autorità degli aiuìchi scrittori cri- e il costume stesso degli Ebrei nella •tiani che sirissero leova trisillabo , sostituzione della parola adonai che Tom. III. 14 loG D E Fx I T I S Sarebbe agevole l'andare spigolando qua e là ne' cantiei della Bibbia altri periodi ritmici i quali , come non può al certo per veruna industria cagion per la quale sta bene di andar centrarsi in due sillabe sole, special- rintracciando la ragione delle eliiuo- inenle al principio del verso, com'è logie , /;e/- /eWere, piuttosto da' popoli il caso attuale. La salmodia ebraica beduini che dagli stabiliti in città. Le scrupolosamente conservala co' punti prime cardinali articolazioni , cfee e cogli accenti molliplici dell' antica formano il fondo del linguaggio e ne e della nuova masora, permetter non costituiscono il gramatical sistema ca- potca che un trisillabo ad un bisilla- rattfristico , nella loro originaria grct- bo Venisse sostituito. - Per ciò che ri- tczza , nel loro totale isolamento , o guarda poi traduzione , avrei ben pò- almeno con prominenti e sfrangiaie luto tradurre /' eter'wo seguendo lato- commessure^ appo quelli si rinvengo- talità de'gramatici che traggono questa no ; mentre tra i popoli di lunga civil- parola dalla radice ,-|ì|"j ( eifu ) , e tii fusi per dir così o con imbrunite ed T T della forma IT),"!» ( egU è ) ; ma ho invisibili saldature si riproducono. Ma creduto che tutla la forza fosse pre- nella ragione delle etimologie , per cisamente nell'articolo ^,"1 similissimo idee , ecco fin nel nostro vecchio La- »11' articolo arabo 'pv< , che gli ebrei zio quel gran pensiero orientale : contraggono in J^ mossa per patasc' AspiceTlOC, sublime candens,quein e seguita dal daghesc indice eviden- vocant omnes lOVE' ; tissimo della ^ sempre liquescente in ed ecco insiememente , o io m'ingan- ebreo e sol nelle lettere solari appo no, il perchè tanta ripugnanza, tanto gli arabi. Cosi il nome ineffabile fi"),"!» ribrezzo aver dovea il popolo eletto degli ebrei sarebbe lo stesso che l'i-j'^^v^ nel profferire una parola dalla cecità degli arabi , colla sola differenza nel delle genti contaminata. Invocate con profferire una voce identica dalla bar- una espressione qualunque 1' Essere bade alla civiltà. Gli arabi , popolo Supremo, dice Tertulliano , ma noi rozzo e tuttavia tale, batte serapremai chiamate Giove : Giove è là con le con asprezza il tasto articolare : gli sue libidini putrido cadavere in Creta, ebrei, popolo civilissimo vari secoli La parola jTlj^» ricorre cinque volte prima di Esdra , vi sdrucciola voca- in questo breve salmo: ma nel quarto lizzando. Ed è questa , a quel che e quinto versetto include una frase sembra, e sia detto di passaggio, la tutla intera. M E T R I A R A B I. I07 questo, colle cantilene de' nostri popolani si affanno : ina forse ne' linjili eli mere con"l)iclture lultavia ci ri- o y. 1. Ma quc' sapienlissimi non ignoravano che nella lingua santa la parola terra rtSjJ parola indicante supremazia indicante lullo l'arido (lei nostro globo ia tutti i dialetti semitici; ma suprc- è V^H erels ; come ne' primi versi mazia permanente e non contraddetta; dilla Genesi: e che qui trattasi di e perciò 7-egiiò. \l che esclude in qiie- 73j~\ 'eie^, precisamente /erra co/tt- sto salmo qii,iliin([ut; allusione che vabile , e perciò da noi traducesi mai voglia idearsi delle feste di trionfo campo. nella primavera di Oro sopra Tifone, 11 quale nel secondo versetto del di Orrauzd sopra Ariiuaue , di Giove salmo è detto J<03 Icasa e nel quinto sopra i Titani, ec. jT3 ^"^^ " bel: parole che nel senso {•'2*^ pompeggia. [^'^^^ è precisa- primitivo significano, f[uella una co- njcnle la veste esteriore, che noi di- verttira , un tappeto , questa U)i re- rcmmo manto. cinto ; caia in somma J<03 uell' ori- IfJ^nn armeggia. Questa idta fé- ginale signi-ficato di questa parola. licemente espressa nella volgata col Z?ei-/eew, la casa del pane; -BeZ-iff/rfe, praecinxit se , è più direttamente la casa della pesca ; Bet-fage , la casa renduta nella versione dei lsx col de'fichi ; ec. %%x mpiiZitiaaTo. In sostanza è la ma- nifestazione di Dio nelle sue opere X. a. esteriori di bellezza e di vigore col ritorno della primavera, nella quale 11 trono di Dio è in tutto il crea- alla gioventir e quasi ad una creazione to : ma più splendidamente nel cielo, novella è ricondotto il mondo. E più beneficamente ne' doni dell' agri- perciò con sano accorgimento alcuni coltura. - Ammirabile e questo versetto intcrpetri fan tema di questo salmo per quell'^p}^ solennemente traspor- il ricordo della creazione Slessa, quan- tato alla fine senza legame di verbo, do lo spirito del Signore si traspor- e che include perciò eminentemente lava sopra la faccia delle acque , e ed esclusivamente in Lui solo l'idea la terra non fu più inerte e vacua, di esistenza. ]o8 D E R I T I S niarremmo se additar non potessimo ancora qualche rottame di antichi monumenti anche più decisivo , e da risguardarsi quasi un di quegli anelli dell' infranta catena la quale, per le cure di laboriosi ed eruditissimi y. 5. eJ or minacciano distruzione ( tìOT IXti?' ); ^ 1"^' mugito del y. 3 qui J^'j"|i'-(J lu/bini. "^[-(J è la parola se- divien tuono. Si avverta il grande mitica indicante fiume e xar' tl^Xl*" effetto di qucU' accumulazione delle V Eufrate , che i gramatici traggono desinenze in ^« che non m'è riuscito dalla rad. ce "d'IJ fli^i- Ma qui non poter trasportare nella traduzione, trattasi del semplice fluire. Riguardo alla forma gramaticale: i y. 5. due ")\j^'J e r"l}]xc (fovrtirtv ere zsxp' AX^sw ffvTO htfixi uxtvrriTov tv Spù/xoKTi TrapE^f^ XpXTU Ot ■ffpOfftfAt^B OIIT'KOTXV E n n A o s. XvpxKCfTicv iTirox^ff *»■ P*o'iX>ia Xa^itTii hi Ci xXtCS zfxp' ivxvopi Xvdov rTEXCTTOS a'TOIKJa , rov ^lyacGfifT]; tpao'uars iirti nf xat^oEpov Xf^7)T0; »^lX8 K^uDev, !\i^*rri ^xjoi^or vfiov Ktxxifmor. x. r, X. TOLTA. Ben ottima è l'acqua : e ben l'oro, Qual fiamma flagrante Che al buio vampeggia, Del tasto e orgoglioso decoro. Ma pur de* certami , Cuor mio, chi cantar brami, Faccia il sol scopo ai carmi , altro non Rutilo sfolgorante chieggia Aatfo per 1' aer deserto: Deli' olimpìnco agone Nulla pareggia il merto. Perciò splendid' inno compone De' so fi l'ingegno fervente; E un Giove vagheggia , Se Tolge in idea la splendente Di lero beata magione. RIVOLTA. Il qual erge , sul suolo sicano In greggi felice , Di Temi lo scettro sovrano Ed ogni cima di virtù elice. Là dove gioliva Sta musica squisitezza Quando noi mesce menca festiva D' amistà nell' ebrezza. Su TÌa dal chiodo la cetera dorica, Omói si sgroppi ; Che in brio già per Pisa ferve l'estro dirceo, In brio per Ferenico che a doppi galoppi Rende appo l'Alfeo In sua sola baldezza , senza sferza o sprone, Di vittoria al suo sir guiderdone. STANZA. Al sir di Siracusa, al cavalìer prode Cui laudar gode Tutto del Lidio Pelope Il popol generoso: Felope a Nettun caro Che accerchia le sue prode : Pelope, per empio caldaro Onde Cloto il traea , per nobile Sprilla eburnea, famoso, ec. Il6 D E R I T I S grande affetto che f alunno delle Figliuole della Memoria nella maggior vigoria suscitando sigilla (62). Uomini diligentissimi , eruditissimi ed acutissimi han dato opera a renderci chiarito l'arcano meccanismo della pindarica versificazione; non perù altrove che in Italia par che si prendesse la huona strada quando le ingegnose conghietture confortar si videro co' soccorsi della filologia non solo ma dell' arte musica (65) : ed una deviazione par clie deggia riputarsi 1' aver voluto tuttavia le ragioni metriche dalle musicali disgiugnere, e dei due procedimenti non tentare almeno di rintrac- ciar la convergenza (64). Io non sarò al certo l'apolo- Ed oltre a questa quadrupla sud- Cosi Pindaro nella prima stanza dei- divisione , altre poteva averne la no- la pitica sopra trascritta, dopo averci slra canzone , per le quali V. Dame, dipinto 1' aquila che dorme al suon de F'ulg. £1. ; Trhsino , Pool. \l che della lira su lo scettro di Giove, co- ramraentiamo suIP osservazione che la mincia la seconda colla stessa imma- maggior parte delle cantilene amiche gine : Apx°5 oimvwv , x. t. X. lungo tempo si rimasero nel nostro pò- Così Cerone , nella olimpica della polo, come sul tipo saffico, pirrico ec, precedente nota, compie il quadro del- c che veder si possono, nel Salinas. la prima strofe, ed è la prima imma- (62) Così , a cagion d' esempio , la gine dell' antistrofe ; è V ultima imma- prima strofe della prima canzone di gine di questa , ed è la prima dell'e- Federigo finisce con questi versi : podo , ec. Valimento mi date , donna fina , E così sempre. Che lo mio core adesso a voi s'«/2c/i//«a. I provenzali legavano una strofe E la seconda comincia ; coli' altra ripetendo identicamente al S' eo 'nchino ragion aggio cominciar di ciascuna stanza la parola Di si amoroso tene , ec. ultima della precedente. Termina la seconda : (63) De Pindari odis coniecfurae Aggia a piacere a voi che siete fiore D. Io. Aloysii AJinc.jreli.i , etc. Su tutte r altre , e avete più valore. Dononiae lyys. E comincia la terza : (64) L' eruditissimo Hermann , do- ycdor su l'altre avete pò un ben applaudito lavoro 2?e »;e- E tutta conoscenza , ec. tris Gaecorum ( che sol canosco va- Af E T TI I A R A B I. II7 gista dei metrici d'Alessandria : ina riputarli alTatlo ignari nella ragion ritmica di quello canzoni delle quali proba- gamcnte per quel che ne han tlelto i sola seconda specie I abbiam fatto trascrivere. Ma avendo noi un collegio cinese , sarebbe stato per me gran fallo se non vi avessi ricercato il modo col quale cjuegl' ideologici caratteri vengon secondo i costumi ita- lici ridotti vocali. E sincera manifestazione di animo grato io qui far deggio alla gentile cortesia di cpie' pa- dri , e specialmente del valentissimo nostro D. Vincen- zio Taglialatela , e di D. Agostino Tan cinese della pro- vincia di Kamsiù, il quale con amabilità senza pari si è WETRI ARABI. 125 compiaciuto farmene conoscere non solo il ritmico anda- mento , ma la musica altresi. E di un altra canzone moderna mi ha fatto dono, che trascriviamo alla Tav. II. Per queste a me gratissime conferenze la necessi- tà conobbi di porre sotto i vostri occhi, o colleghi, l'una e 1' aUra lezione delle due prime. Voi vedete diffe- renze non lievi. E non derivanti già da più o meno minuta industria nell' esprimere col nostro alfabeto le attenuatis- sime articolazioni e i dilicati gradi della scala delle voci in un idioma che al primo udire sembra più cantato che pronunziato; ma differenze, a quel che pare, di dialetto per ciò che riguarda la canzone moderna : e differenze di vario sistema scolastico per ciò che riguarda 1' antica. In quest' ultima , come legge il padre cinese , le rime dispaiouo , e nella n)oderna la rima del quarto verso par difettosa. Intcìe però ritornano le rime nella terza canzone che m'ebbi in dono (81). Di queste canzoni cinesi tentar non si poteva una traduzion metrica. L' ho elaborata però quanto più ho potuto letterale. (81) Non altriiìienli, nella pronun- rime del TesoreUo^ a caglon d'eseni- zia francese degl' idiomi latino e gre- pio , la regolarili si ristabilisce sol co, molte rime appaiono die per noi che le parole non toscanamente ma non son tali. E non altrimenti in molte alla siciliana vengano a pronunziarsi. 126 DEB.ITIS CANZONE ANTICA. Lesione di d. A. Tev. Del signor Remusat. Pei fen zii liaò Pè foùng klii liang Tui scivà zii fò. lù scoùci khi pnang Kqoi eli xhaò goé Hoéi eù hào 'ò Si sceù tuu siin. Hi clièon tboùng hang Zii sci di zii sia Khi hiù khi siù Zi zii cii zio Ki ki tchi xsiu VERSIONE (*). Già i «ostri lidi Borea ritocca E a larghe falde la neve fiocca. Oh se il mio bene la man mi porge E seco insieme sempre mi scorge! Com' è possibile tanta dimora ? Coni' è possibile che tardi ancora ? Il metro di questa canzone non ardisco determinare, con certerza non avendo voluto il gentilissimo Cinese cantarla : con dirmi ingenuamente ignorarne la cantile- na. E in fatti, essa risale ai tempi di Confucio (82). Assai (*) Versione del signor Eémusat, Pour que nous marchions ensemble. Le vent àu nord vlen giacer nos climals, Comment peut-ìl étre si long~femps ? La neige ìomhe à gros Jlocons J)éjà il eut du a^ empresset d'accounr ! Que tètre hienveillanì qui m' aime , mette sa main dans la mienne , (8i) 11 codice uel quale è questa cesi riferiscono tutti gli argomenti ero- con altre antiche canzoni cinesi ha liei alla politica, come i comentatori nome di chi-ling. 1 comentatori ci- persiani all' amor divino. METRIARABI. 127 mono iiuliscrcta della mia doniancla sarebbe quella di chi chiedesse, a modo d'esempio, come mai caiitavasi un' ode alcaica. Però sembra trocaico. Ma il canto delle canzoni moderne mi rende per- suaso che la loro notazione prosodiaca correr dovrebbe nel pretto andamento iambico del nostro settenario pia- no, conmnque i nostri linguaggi sien lungi assai dal cinese. Quel che qui importa è la disposizione delle rime. PRIMA CANZONE MODERNA. Lezione di d. A. Ten, Del signor Resìvsjt Lin zin iuan pen zec sgen sin Loii kìg youàn pen tsai jìn sin Siómaazemenkhao siiscin-in Siaó MAkiài wÉNliaò sìtiisìn Tien tii sii ciao quiiu no vii ThianTibiTcnANGkouaMouYÀi Ku ziu zui sun ien sin scen HoÙKÌNtseoùsouNGyilasiùcHÌN VERSIONE (*). De' sei classici libri un precetto Ha radice de 1' uomo nel cuor : Pure a \m gaio , a un satirico detto Poesia può dar pregio e valor. L' universo è un teatro , e su d' esso Una lunga commedia si fa : Degli umani garbugli al complesso. Sempre ameno un tal dramma sarà. (*) Versione del signor Rcrausat. omcirum ( de la poesie) peuvent étre recher- I*e contenu des six Uvre.'ì classiques a son chées. foìidetnent et sa source dans le coeur de L'utiìuers est un fhéatrii ou se jouc une lou^uc l'homme. comédie. Les plttisanterics f les injures j\gracc aux C'est un spectacle curieax que les déòats det hommes dans tous les temps. laS DE R I T I S SECONDA. Sci nan sci pei sciaò iuin tien : Man mii si lino sge sit nien. Zia. sciaò ziin sciù nan zien lui Zin quoé liù in van su zien. VERSIONE (*) Lo SpATKIi.TO. Volge ad austro , a borea volge Vago il guardo : e i patrii colli Ogni nube che si svolge Ridipinge al suo pensier. Gli occhi allór di pianto ha molli : E invan cerca al suo tormento Tregua o in musico istrumento O nei fonti del saper. Ne 1' acerba lontananza Tristo indura e giorni ed anni : E un sorriso di speranza Non conforta il mesto cor ! Le dolcezze a stille a stille Sotto il salce degli affanni Van grondando: e a mille a mille Le amarezze del dolor. Oh quai cari efiFetli non mette in fermento que- st' amabile cosettina ! — Ma torniamo ai nostri Arabi. (*) Verbum VERBO. Prospici t meri- Convertii se ad psalteria ,ad libros diein , prospicit scptemtrionem : in debililer averriincant moerorem. nube collem ( suum ■vìdtt\. In pertinacia salicis tristiliae a?e- Oborlae oculis lacrimae , die pariter cem inillia : in hisce miUe. et anno. M E T R I A R A B r. ISC) I." CIRCOLO IL DIVERSO. Res gestae regumque duciimqiie et tristia bella Quo scribi possent numero monstravit Homerus. HoJiAT. de A- P. , 73. E i rapsodi di Ocatta le forme metriche determina- rono appo gli Arabi dell' epica poesia. Le quali Al-Chalil ne' due primi circoli raccolse. Ma prima de' rapsodi di Grecia e di Arabia , il tipo dell' epico andamento troviamo nella maestà delle pompe religiose e ne' canti di trionfo di presso che tutte le nazioni. Se l'ingentilimento della lingua ebrea non ci mostra spiccantissimo il metro eroico ne' can- tici del primo condottiere e de' primi giudici del po- polo eletto , fuor di dubitazione n' è la cadenza : parte importantissima e la più spiccante del dir poetico , la quale con tutta proprietà par che da Orazio con frase tecnica s'intendesse col suo concludere versum; per- ciocché la conclusione appunto , la catalessi , 1' ultima frase del nostro dire è ciò che maggiormente ci colpi- sce, come assai a proposito fu da Cicerone avvertito(85). Ma m origine una tal conclusione altro esser non dovca che il ripetersi di uno stesso periodctto musicale (83) Ve Orai. Tom. III. 17 l3o D E R I T I S nel qual tutto costituivasi l'andamento prosodiaco; ed è mirabile che siuiilissimo sen rinvenga il procedimento ove meno si pensi. Quando poi , col progredire della civiltà, il simmetrico non è più sinonimo dell'identi- co; quando dalle gobolette ai versi di più largo andare si fa passaggio ; dismesse anche le rime propriamente dette, certa eufonia pur rimane che dir potremmo ì-inia ingentilita. Cosi appo i latini e più appo i greci , con gran libertà correvano i versi , e massimamente gì' iam- bici : ma gii ultimi piedi erano inflessibili , e inalterati riprodur si doveano per tutto il poema. Le vecchie liturgie ci serbano il testimonio di un tal procedere. Nel metro dattilico : Pythie Delie [j Te colo prospice [| votaque firma ; nel qual verso non i soli dimetri formano altrettanti distaccati versetti , ma i piedi anch' essi corrono isolati. Nel metro coriambico : lane pater [j 'lane tuens [J dive hicejDs [j hiformis ; nel quale le coudizioni medesime si osservano (84). E nella esposizione anch' essa della origine del verso epico que' simmetrici periodetti ritornano che dapprima furono identici : (84) Questi versi non sono al cerio servatoci da Terenziano non corre colla di aulica data : ma in versi di tal slessa spezzatura. Ma par the l'aulore genere gli amichi modi si affettano, avesse voluto conservarne il carattere E l'inno a Giano, indubitatamenic almeno nella intonazione. del IV secolo , nel frammento con- METRIAKABI. 101 Ivi '^a.iav, ifi i eie. V. sopra alla pag. log. sacerdoles efusi, succincti , tabellis (89) Pag. 38. V. 9 e 10. acceptis Carmen descìndentes trito- l34 DE R I T I S tanto le ragioni dell' aruza e della zarba (90) , delle zihafe e delle èlle (gì). La diversità che dà nome ai carmi di questo pri^- mo circolo dee perciò tutta ricercarsi nella suddivisione ineguale degli emisticliii (92), in quelle pause che non dilegano ma troncano que' primi periodi simmetrici di che un verso si compone (g3). Ed ecco precisamente la cesura che il verso lirico dal verso epico distingue; ecco quella condizione che fece del verso epico autori i rapsodi di Grecia (94) , e che fa che de' versi del pri- mo e secondo circolo io faccia autori i rapsodi di Ocat- ta; e non dubito che nella iniziativa di un tal proce- dimehto e Greci ed Arabi nel sistema medesimo, poco più poco meno, s'avviassero, sebbene con pari felicità verso 1' ardua meta del perfettibile non si fossero in- uoltrati. (qo) Pag. 64, '^. 53. . efficient: cum vero ea qua coniun* (qil Pa". 63, if . 49. ctas erat parta absciditur, particida (92) A.bu Isaac Azzaggiag- ne trae la quae divulsa ex eo est comma dice- àcxìoaimìzìouc AMs, diveì-siià de' pie- tur: ut in illis versus solvatiir , «« di, alternativamente di cinque o sette ftis caedatur. Vittorino. Una tal pre» lettere ; e il Clerico adotta una tale cisione manca nei nostri precettisti, etimologia. (94) È noto che 1' esametro epico (93) Proprie autem Graeci cola ebbe dapprima il nome di pitia , e dicunt quaecumque circa iuncturas che autori sen dicevano e Lino sa- aut artus porrecta sunl in longitu- cerdote d' Apollo ed Orfeo. Ad Omero dinein membra: unde Euripedes, /.u, però attribuir se ne doveva P invcn- zwXa xwXois Tirpa-TTwv i>.i\j.r.nu.u zione, quando la Town , la re.wn-r, ven- Partes ergo versus, cum ex ea qua ne riputata condizion cardinale del- coniunctus erat parte dissùhitur, cola l'esametro. \. la .nota 85. METRI ARABI. l35 La divisione ineguale nelle due parti di un ver- so (96) è la condizione caratteristica de' carmi epici , quando dalla mera lirica si distaccano. E in questa sola condizione Arabi e Greci convengono , e forse tutto l'uman genere conviene (96). Per la qual condizione, che già dimostra un perfezionamento nell'arte, i cantori di Ocalta esser ben dcggiono agl'inventori dell'esametro eroico ravvicinati. I tre generi di versi che a questo piimo circolo si appartengono sono il lungo , il disteso , lo sjxéso , de' quali , essendo il secondo sempre giazato, il primo e l'ultimo soltanto venir possono pel loro meccanismo co' versi eroici al paragone, sempre però nel modo che un greco con un beduino è paragonabile. (g5) Pag. 85; e nota 85. che a farli abborrire basterebbero le (g6) Non conosco se non i soli versi interminabili come insipide chiliadi della peoisola ibcra^ de' quali è un di Tzelzc , pur variavano col tronca- saggio alla nota Sg , che vadan di- mento costante d' ogni secondo emisli- visi in due parti precisamente uguali; chio. E nella moderna Grecia, il cui ma quivi osservammo che que' modi volgare idioma indubitatamente sarà soverchiamente lirici si dismisero quan- migliorato ma che fuor di dubbio è lungi do i begl' ingegni spagnuoli comincia» ancora dall'apogeo della sua genlilez- rono a conversare con noi. In Francia za, pure, nell' adottarsi l'aggiogamen- dopo Rousard^ che va consideiato co- to di due settenari per verso eroico, me 1' Omero francese nella fissazione vuoLi che il primo sia sdrucciolo : di quel metro clic là dicesi eroico, Tfiisc rrovXsixix xx^ovrav 'a rrtv pajci' gli alessandrini non sono piii due set- '(T to Xitts'pr tenari isolati, ma 1' ultima sillaba del 'Eva rripaii rov A"pnipov, x' a'XXo r.ctrk primo dee troncarsi o fondersi nella tov BìXtov , x. t. X. prima sillaba del secondo. Que' ver- V. Fauriel , Cfiants populaìres de la si trocaici che si dissero politici e Grece moderne. i56 UE R I T I S CARME LUNGO. Parrebbe , dalla sua formola radicale di fahu'lon mofcChi'lon quattro volte ripetuta, che derivar ne do- vesse una soguenza di settenari; ma, nell'aruza, la ca- denza è sempre sdrucciola , cioè ogni secondo mofcChilon riducesi a moja'' liilon (97). E perciò la composizion me- trica del carme lungo si è la combinazione di un sette- nario e di un seuario, o viceversa, l'ultimo sdrucciolo. Quindi versi di quattordici sillabe con accento alla 2.', 5.", 9.', e 12.' Dei quali accenti i due ultimi soltanto son di stretta obbligazione. Del carme lungo è cpesto lo schema : FORMOLA. INTERA. QABZATA. K. AFFATA. fàhiijlon mofa,hi',lon fahu,lou mofa,hì',lon - - : " Sanno gli eruditi che nella prosodia greco-latina si rinviene una specie di versi delti bassarici , quando (97) L' ultima parie del verso di- necessaria e non già ad arbitrio del cesi perciò qahzata : v. p. 46 , y. 23. poeta , perde la natura di zihafa e Ed essendo in lai posizione la gabza diviene un' élla METRI ARABI. iZf 1' ultimo bachio si scioglie in peone , come a cagion d' esempio : "' j ^b euro sonorum quis Aatnae per maria (98). Or allungate questo verso di una sillaba : Ah euro sonorum quis quis Aelnae per maria ; Ed avrete il verso lungo degli Arabi (99). Nel qiial metro comunemente i poemi di qualche estensione si compongono. Ed il suo andamento di so- verchio lirico vien temperato dalla varietà delle ce- sure , caratteristica di questo primo circolo : potendosi quella sillaba che trasforma in lungo il verso bassarico, allogare a senno del poeta o alla fine della prima sigi- zia o al principio della seconda. Quindi 1' ineguaglianza delle tome da emistichio ad emistichio , ossia quel che noi diremmo diversità negli accenti di un verso, come in tutti i nostri metri iambici. Con questo andamento abbiam veduto correre la qazida chazragiaca che ci è stata di scorta per la espo- sizione delle regole dell'araba poesia. E in tal metro sono le qazide dorate di Amrialqaiso e di Tarafa: dalle quali trari-emo ad esempio qualche saggio (100). (98) Intendiamo nel sistema proso- delle lettere. Ma quarantotto lettere o. 1 Qi/à" nabki min zikra \\ habibin vajuànzaUn bisiqli-lUva bajna [| ''ddochùli fahàvmatiu 2 falauzalia fa Uni'ujrati [j lam jah'Jò ràsmohcC lìnicC nasagiùlha |J min gianiCbi vàscnicClin. VERSIONE METRICA. Soffermiamcì : e uà tributo di pianto ricevano E l'aulica e le areno ove le tende ergevano Tra Dochiilo, Hàumel, Ttiudolo e Megrate i nostr' avoli: Male a trarle in oblio borea ed austro si levano. ni Takata. 56 yilà' qjjoJiadà-ìlea || iamijjci'-sc-hado-lvaghà'' uain ahzarà- UadiV to |j /tal anta mòchladi' ? òj Uain konta la'' tasta || ihihi dafha rnànjitV fiadénV abadirha [| binia'' malahàt iadV. VERSIONE METRICA. Qual io siami a battaglia tei sai: come or credere Ch' io stringami all' ozio compagno indivisibile ? Ma se a morte sottrarci è follia ; dei concedere Ch' io loutan la ripinga per quanto è possibile. e (li Haiclh ; 7.° di Anlarah. Or , cheiebbe nelle moatlaqa un esempio secondo il nostro manoscritto, quella per trovarsi a tutto rigore provato quel di Uarclh appartiene al carme disteso: che sopra si è detto: Avere Al-Chalil quella di Amri ben Kalthum all'e*M- riunito ne' due primi circoli que' versi aerante; quelle di Labido e di An- de' maggiori poemi il cui ritmico aa- tarah al perfetto ; e quelle di Amrial- damcnlo i rapsodi di Ocatta fissarono. qai>o di Zohairo e di Tarala al carme Pure a Zohaìro attribuisce il Clerico lungo. Cosi del solo carme s/juso man- questo verso che dà per esempio della 140 D E R I T I S Da questi esempi spiccantissimo si scorge il movi- mento del verso bassarico, qoW allungarsi precisamente là dove, sia che si canti, sia che si declami, una ne- cessaria pausa dee farsi. E , sia detto di passaggio , s' egli è vero che le originarie forme più tenacemente si conservino fra cpie' popoli appunto che men si pie- garono alle gentilezze dell' arte ; far non dee maravi- glia se veggiam riprodursi in Arabia quel ritmico an- damento che la eulta Grecia alla sua Beozia attribuiva perchè quivi nella sua grettezza natia più a lungo con- servossi : nel modo stesso che in Arabia la culla e l'infanzia del nume iiiseo si trasportarono, quando di una parte soltanto del sacro monte ei si restò posses- sore , e con più splendida gentilezza occuparon l' altra le dive dell' armonia , di menadi in muse trasformate. Certo è che la cadenza bachiaca , quale nell' efimnio arvale l' osservammo , forma la caratteristica del verso pitio che i ziostri gramatici nel tipo originario stabilivan dattilica, e poi per la sola catalessi neir epico variata. Certo è che il peonico col bassarico si confonde. E certo è che in tanta varietà di nomenclatura un insensibil pro- cedere dall'uno all'altro metro osserviamo. Come procede innanzi del calore Per lo papiro suso un color bruno Che non è nero ancora , e il bianco muore. prima zarba del canne spaso ; moallaqa da taluui non annoverato. n'nKT3 033D raix vh isn X' Ma esser non doveano que' sommi poe- ■j'?D xSl 'Sap nplD «npS' aS t' "è più nì- meno di sette , per avere E al carme spaso appartiene la qazida le pleiadi arabe in perfetta corrispon- di Ascia anche tra gli autori delle denza colle alessandrine. JI E T R I A R A B I. l4l Formano nel carme lungo variazione alla sadra la tal- ma e la torma (loi); con che viene assai prossiniamento a ravvicinarsi al verso bassarico , ed esempio cen porge il primo verso della qassida qazraglaca (loa) ; e A^aria- zioni alla zarha, il poter questa essere intera o hadfata. Delle quali ultime rimane ad esporre gli esempi, dopo un allro che ci piace aggiugnere della forma ordinaria qabzata di epoca men remota (io5) , e nel quale la rego- larità metrica sembra anche più conservata (104). E ciò basti pel carme lungo (100). (101) V. pag. Co, yf- 43. l'aspro consiglio del severo Asme , (102) Eccone altri. rammenta que' vecchi costumi che f-'erso talmato qaffato. Orazio tratteggia ; SpSi^a "a'^D JNTns* inpXty lussus ahìre domum, imSx^ jSnun yzhh -[tayB Ferebar incerto pede Verso tarmato. Ad non amicos (heu) mthì postes , et fheuj 'ibS^a DDlbN DIN! li'ai JXn Limino dura quibus lOpSxi "MoSx n'K "iiy SODnS Zumbos et infregi lalus ! Son gli esempi che si producono dal (io4) Cenuammo alla nota 1 1 ri- Clerico, putarsi difetto appo gli Arabi un verso (io3) E pubblicato nelle addizioni che non conchiuda una frase ne' suoi del signor Langlès alla Gramatica ^- metrici comparlimenti;ed alla pag. 76, raba del Savary ; e dal signor Ilum- y. 65 ne vedemmo anche il formale bcrt , u. XXVI. Seguiamo la lezione precetto Pure alla pag. 33 vedemmo di quest' ultimo. Entrambi il trassero spezzarsi una parola tra un emistichio dalla notte 808. Eccone la dilucida- e 1' altro. Or nella qazida di Anirial- zionc. — Un giovine , preso da forte qaiso abbiam veduto sospeso il senli- amore , scrìsse il primo verso alla mento nel primo verso e sol conchiu- porla della sua donna. 11 poeta Asme dersi nel terzo emistichio. E nel quar- pas^ando il lesse e vi scrisse sotto il to emistichio un altro difetto ancor si secondo. L' amante vi soggiunse il mostra nella zarba che è intera men- terzo ; e il poeta il quarto. La con- tre dovea essere qabzata. chiusione dell'amante ne' due ultimi (>o5) Al carme lungo ap)iarlciigo- versi è spiritosa per l'equivoco della no altresì i versi riferiti nelle pagi- parola Jphii n'3 [no pS ^'oj' rioN'pVx Dv NJ3 hya V E R B U M VERBO. O aocietas amantiinn , per Deum ! renuiiciate mihi : Quando vehemens invasit amo?' in iiivene , cjuidaget? * ■" * Dissiìnulet aniorem suiim ; postea ahscondat reni siuwi, etpatiens sii in oni/tib. evenlibus, et humilem se praeheat. .* * * Sed quoniodo dissimiilabit ? et amor enecat iiivenetn et {in) omìiibus diebus cor eius minutim conscinditur. . . * * * Si non invenerit patientiam adabscondendam rem suam, tum non est sibi aliguid, praeier mortevi, utile. * * * . Audivimus et ohtemperamus , deinde morimur. Ergo nunciate illiper quemjuerunt cor et anima injlam. Ecce me iacentem iuxtajanuam ejus mortuum, utfortasse nos dies resurrectionis coniungat. METRI ARABI. 140 1 Eja' màsciara-làsscid! qi , billalii chàhhiriC : ida-'sc tadda isccjubn bi-lfata' kajfa iàznaó. * •*. * 2 Ioduri havào : tomma jàktomo ó'mrofio uaiazbaro fi kalìa- loinìidi ucijàchzaó : * * * 3 facjajjd iodari' va-lhavcC qcC talò- Ifata vafi kalli juinin cjalboo iaiaqàlLaò. * *. *. 4 idcC lani iagid aabarra llkitincCni anirii falaisa Uhi sciahon siva'-lniuti ànqaó. * * * 5 saviinci vatoàncC : lomnia zotna' , faciiàbbiroa liman kà'na fi^lii-lqalho va-rruho iniCìaó. 6 fahd! anna' matru^ha ilà-bba'bi inàjjitcCn la alla bina' jiCma-lqijcCinati ia'g-maò. VERSIONE METRICA. Oh fiui in amar maestri! oh chi per un giovane Che batte d' amor le vie eonsigUo sa porgere ? * * * . Dissimuli: e badi, tuttora tacito ed umile, Che nullo de' fatti suoi si vada ad accorgere. * * * Ma come, di grazia, ma come si dissimula D' una fiamma estuante l' indomito insorgere ? * * * Ebbcn : chi di sé donno non sentcsi , all' unico Per sé convenente morte sola il può scorgere. Intesi: e dia morte ormai sua requie ad un unsero. Ma dite a colei che ardor tanto in me fea sorgere: Prosteso io mi giaccio alla sua soglia, onde all'ultimo Resurresso , chi sa ? con lei giunto risorgere. 144 D E E. I T I S ZARBA INTERA. UT n::p xnv 'oac' hìòn 2 fon 'DJi? xpj 'Jifj xSs 'Snm V E R B U M VERBO. Cerno ( CMm ) oculo meo duos dormiente.s siipur terra... Cuperem ambo potius dormirent super mea palpebra. JJuosnn\.noviliiniacaeli,solesmatutini,lunaeobscuraenoctis, Gazeìlae solitudini s, ramali naqa, simulacrapulcriiudinis. Notte il 4- HuMB. XXI. ZARBA H A D F A T A. n^Na '^p w "ioSn dn"ì dnjì' ^nx 2 VERBUM VERBO. Si interroges me de mulieribus , nani ego pente in naevis mulierum intelligens ; respondebo : Quando canescit caput viri aut minuitur opulentia eius, tum non est amplius ei in illarum amore portio. Notte 275. HUMBERT , XXV. (106) In questa i'orma i secondi santo luogo sulla montagna di Araiat , emistichi si risolvono in due setlena- presso la Mecca. Quando non è nome ri: se non che la cesura non sempre proprio significa cumulits arenarum , li divide in due etlasillabi isolati. arenae circumscriptae ( Golio ). Ma C) {y K-«3N pi' kS na ay Sp;' -naSS carua azfata xarba bathata. SsKn C33S -jK nidSj'k xnpoix na -'kj 3t lao DE R I T I S CARME SPASO Ha due periodi , l' ottonario e il senario. Neil' ot- tonario 1' aruza è sempre chabnata ; e le sue zihafe , oltre alla cliabna , sono la taia e la chabla (ii5). Dal che il seguente schema : FORMOLA raos taf hTlòii fa' hiloii mos tal hTloii fahìlòn , INTERA. - - ^ - - . ^ _ CHABNAT. - - T AI ATA. - - - " CHABLAT. " - " - - E perciò versi di quattordici sillabe coli' accento alla 4.^ 7.^ ed 11.^ i quali si risolvono in un quinario e un settenario, o viceversa , l'ultimo sempre bisdruc- ciolo. In sostanza il carme spaso è il nostro endecasil- labo con due espansioni , alla cesura cioè ed alla cata- lessi. Se non che, la tendenza araba al metro bachiaoo fa che i due primi accenti talora si spostino , ed un emistichio allor si componga di due seuarii , 1' ultimo bisdrucciolo. Nel periodo ottonario il carme spaso ha due zarbe, la prima anche chabnata, la seconda qatata (116): e in (ii5) V. le pag. 45, t. 21 ; e 47 , f. 22 e 49, f. 25. (116) V. pag. 59, f. 39. METRI ARABI. l5l quest' ultimo caso 1' emistichio è di tredici sillabe , col trasferirsi l'ultimo accento alla 12.^. Nel periodo scuario, cioè uella forma giazata , ogni emistichio dà la combinazione di due qniuarii , il se- condo sdrucciolo o piano. Lo schema è questo : FORMA INTERA FORMA QATATA Le zarbe della prima forma souo tre, 1.° adaila- la(n7), 2!' nuda, 3.° qatata ; della seconda è unica, anche qatata : nel qual caso , quando cioè 1' aruza e la zarba sono egualmente qatate, il verso dicesi y7DD ( mo- callahon ) , che noi col Clerico diremo tralato. Nella zar- ba dailata T ultimo quinario si trasforma in settenario tronco. Dilucidiamo tutto ciò con esempi , cominciando da' versi del periodo senario , nel cjuale già un saggio esponemmo della qazida dorata di Zubairo (118). mos taf hilòi) fa' htiòa mos tàfliTlon - - „ _ - _ ^ - mos taf liìlòn fu' liTlùn Miof hù'lan - - - - - - - (117) V. pjg. 55 , f. 32. (118) In line della nota loo. l52. D K n. I T I s lìD Xll 1SV NT fNTOB' ti'';r':'i^i Nns^fNìy mmx nn^a nnìtna 5 ijk'Sk 'Sn;; iòti f^vp' D'Sa -iDn NHD p nSx DJI' D'NI xnS TNiy xS mjj ndd'7X 'ai 5 nOpS^I DDtJ'Sx nSn tlD3' D''?"! njDn nx qn'nSn3 yìD n^onN 6 Nn3 nn-inlNfi 'Sn'VVx inoSxDi 7 VERBUM VERBO. Temptis dieaòus diebus constai; alter securitas est, alter vero peri e uìum . Vitaque duas partes habet : unum in qua clarilas , alteram turbidam. Die ei qui vicissitadines fortunae nostiae nobis exprobrant: I) ^n adversatur falam nisi ei cui est existimatio ? Nonne, vides ventum , quando excitantur eius procellae ? Equidem non frangitur nisi alla arbor. Ut quot super terra virides et siccae arbores ! Verum. non lapi dibus-petitur nisi ea super qua frugea. Et in caelo stellae sunt , quibus non est numerus ; ■ Sed non defeclu-ajjiciunlur nisi sol et luna. Tranquillas tu mentem tuam per dies prosperilatis tuae ; Et non formidas exitum quem adducet fatum ; Tmmo quietant te noctes ; sed tu decipieris ab illis : Nam durante serenitate noctium supermnerit tempestas. AtETRIARABI. l53 1 addcChro iavma'nl [] da' ainno <^ac/à'haclàro va'làjscio sciatnCni |) dcC safvon i^adéi' kadaro 2 gol lllladr hìso f] riCJl- ddaliri àjjarana had liaraha- ddahro [] illa man Ici/iò hataro 3 anima'' larai-rri'' /la \\ iiihahbat ava'' sigaha falajsa jorjzafo 1| ///a' cVlijjò 'ssciagiìro 4 vakatn àlai-larzi || min gasra hi vaja'bisatin valajsa jorg'iamo [| illa^ man hihó. thamaro 5 vafC-ssamah nagi || iCmon la! idcCda lahcC valajsa joksajfb |] ìlhC-ssciamsu và'lqamaro 6 a/isanla tannaka [[ hi-alija^mi id liasonat valam lacliaf giubba [| ma' j a'' li /;i7a-'lqadaro 7 vasa-lamalqa-lU ^jaTi' fcCglitararta biha' vainda safvV-lli \]JalP Jaàdutàò-ìkiidiiTO. VERSIONE METRICA. Or placidi scorron gli eventi , or dimarginano : E i di della vita son chiari o s'intorbidano. Di a quei che alle nostre vicende mal mormorano : « Che avverse ai sublimi le sorti ognor turbinano. Non vedi , se a giostra A^an gli euri e tumultuano, Che sol gli ardui faggi si schiantan si sbarbicano? Quanti alberi e quanti più o meno rigerminano ! Ma quei si batacchian che in frutta si caricano. Ve' i mille e i mille astri che all' etera sfolgorano ! Ma il sol, ma la luna, si ecclissan, si attenebrano. Tu, questi godendo tuoi giorni che prosperano , Dispregi al dimane comunque si abbindolino : Te a sonno le quete notturne ore inanimano. . . . Ma in nolte serena pur fulmini scapolano. Tom, IH. 3o l54 JD E R I T I S Ne' versi or trascritti (119) 1' andamento del me- tro bassarico è manifesto , e gli accenti vi sono spostali in modo che dir si potrebbero non appartenere al carme spaso se la quantità metrica delle sillabe non vi fosse conservata con rigorosa esattezza , e se tra le forme de' versi arabi che ci schierano i dottrinali ven fosse alcmia cui potessero riferirsi. Del resto quando si ri- mangono gli accenti nelle loro sedi, non v'ha tra i versi arabi altro che più prossimamente al nostro verso mag- giore si accosti: e precisamente nel suo primo stato di composizione , quando cioè le sue parti non erano ancor fuse insieme, come frequentissimamente nei nostri tro- vatori del ducento , e come nel tema della lauda di ser Brunetto : O fratel nostro che se' morto e sepolto , Nelle sue braccia Iddio t'abbia raccolto (120). (iig) È riportato nel Comentaiio che lo stesso signor Langlet tiadii- delìa poesia asiatica del Jones; e nel- ce : Les jardins renfermenl dea Jhiirs V Antologia del signor Humbert, n. IX; de tonte espèce : on ne ciieiUe que la la cui lezione abbiam seguita. Nel pri- rose et la fleur d' orari gè. Ma per un mo trovasi anche il verso : fiore è pregio 1' esser coito ; e non pare che il verso vada riposto dopo il quinto , ma sibbene dopo il quar- cioè : Nonne vides 'mare in cuius su- io. Prendendo flQp» nel senso intran- perficie feruntar cadavera ? et reni- sitivo ( couie flQ^' del quinto verso) dent in fundo margaritae. E la ver- in significalo tii prestamente sfrondar- sione italiana potrebb' essere : si , il che benissimo accade appunto Ve' quanti in quel mare cadaveri rotolano? di pielerenza alla rosa o al fior d'a- Ma in fondo splendenti le perle prolificano. rancio, potrebbe dirsi in italiano: A nostro parere questo verso dovreb- Le rose gli aranci su i fior' tutti dominano ; b' essere il terzo piuttosto che il quarto. Ma pur de' lor petali son primi die scapitano. Un altro verso sen rinviene nella {>2o) Ed anche piìi Irequenti ne pubblicazione che n' è falla dal signor avremmo gli esempi senza il mal vez- Langlet nelle sue addizioni alla G/«?M- zo di alcuni teneri che di menanti si malica Araba del Savary , e il verso trasformano in correttori. Certo è che è questo : senza troncamenti scriveansi dal Pe- n;71jn TnstN VS'lSx '31 trarca quelle parole del suo canzo- ini'7K1 TIiSk X*?» =)tsp'' ^D''«1 niere che or vanno tronche , come M e; T a I ARABI. i55 Cliopperò in meri endecasillabi tradurremo i primi ver- si della qazida di Ascia , nella quale tutti gli emistichi cominciano costantemente con un quinario , e 1' iper- metrismo anche pel concorso delle lettere tenui non di rado sparisce (121). ne fa testimonio il codice vaticano che il Minatori pubblicò, l'uro in versi di dodici sillabe ci rimane un intero sonetto di Etante da .Maiano. V. ap- presso Carme lieve. (121) Coire sino ai 64.° verso. Ab- biani seguilo scrupulosaincnlc la legio- ne del chiarissimo do Sacy ; ma ci è spiacevole non averne potuto adottare r interpetrazione. Ei prende sul serio le lodi del poeta per ((iicsla palfiita Oraira che nnn può sostenersi in piedi per la pinguedine : noi vi abbiain rav- visato non altro the una continuala ironia^ e un burlesco assai mani- festo. E dando questa tinta al poe- ma , troviam convenienlissimo lutto r episodio della seconda parte che sa- rebbe un fiors-d' oeuvre nel!' eroico , mentre nell' eroi-comico è una sapo- ritissima smargiassata. Le parole dello stesso illustre inlcrpetre ci confortano in questo pensiere , e le seguenti os- servazioni. X'".i.Qtie5ta Oraira era una canterina la qua- le , (lo()o di essere pa.^sata di mano in mano, era divenuta mamma in casa di un Kai.s , fi- glio di Hiibcu , figlio c'i Tlioalela, fij;Iio di Anno, fij^lio dì Mor'hed. E il poeta nel ver- so iQ la rhìaina mamma di (jolid. Non manca di ntitaie il ;ignor di Sacy che questa grassa canterina venga denominata da A.l)n Obaidc non ni'irt ma HIO. Dunque il vezio di (ambiar nome a seconda delle cir- cosfaiize non è cosa esclusiva delle noslre riitiKne. //'ù/. Pcrircttendolo il v?go dell'originale, la rima mi ha detto che il poeta co'suoi com- pagai poleano viaggiar per acqua. La rima avea torto perchè qui trattasi delle solite ra- roTane la cui lunga noia divagavano queste frottole. Ma non v'è scampo contro un po- tere iiresistibile , ed è bisognato ubbidire. La rima, anche più del futo di Seucia, , VoUntes ducit j nolentes Irahit, V-^.La gentilezza francese , che norl t"j man- car di ifaUiiteria nemmeno con le canterine mamme , si è trovata in imbarazzo nel de- scrivere l'ambio non di un' enDN ndd VnnSn -ixj'?^ noh xnNin xSi N'mnc-'n x'? ìx Knj;"ii'> nx3' 6 SddVn NnriN-ixji ha Dipn xnx F^ersione del signor barone de Sacy. Dis cidieii a Horaiiech , il en est temps , car déja la troupe des voya- geitrs se met en marche. Mais auras-tu la force , maUieureux amanti de dire adieu à celle belle que parent et la blanckeur de son front , e sa longue cheveleure , et l' éclatant poli des dents , et une demarche molle et nonchalanle , semblable à celle d' un coursier qui ose à peine appuyer son angle malade sur un terrein fangeux ? Sort-eUe de la lente de sa voisine , on di/oit un nuage qui s'avance d'un pas ?nesuré , sans lenteur comme sans vilesse. j4 chaque mouvement quelle fait , le cliquetis des bijoux doni elle est ornée , se fait entendre comme le son des grains clu briiyant ircliik , lorsque le zéphir lui prète secours de son doux fréniissenient. Horairech n'est pas du nombre des ces femmes qui font la terreur de leurs l'oisins ; jamais ils ne la voient épier leur secret. Elle à besoin de recuellir toutes ses forces pour ne point succomber à son extreme delicatesse , lorsqu'elle se leve pour aller visiler ses voisines.XJne heure de badinage avec l' une de ses semblaòles epuise ses forces ; le trem- hlement s'empare de ses reins et de sa croupe .... METRI ARABI. ìbj 1 T^addi homjrafo f] inna-rralha inàiiahilo , vallai loll\jo I) iddfiaii ajjolici -'' rragìolo. 2 gàrrcCo farcVo || jiiazcju'ton àva''rizoa' taniscl- l/iiiuaj no' [| hamcC jamsci-lvagia-lvahilo 5 kaanna inosc'jataluC (| huìl najll guCrìtalia' Viano- ssaluChall [| /a' rojla vaia' cìgilo 4 tasniaó lilìiali'' || va^ svcC scC n idh-nsarafat kama-slaà'na [j biri'hin àsciarigòii zagilo 5 lajsat kainan |j talcrao-l gì raglio iàlàtahcC naia'' tara'' ha'' |J isirri-lgia''ri tachatatilo 6 ialcado 'lazraóluC [] /ap /«' tasciaddadolid! ida' taqiCmo |] ìtVj' già' ri'' taha- llcasalo Koitra inlerpetrazione. E addio a Oraira ! è pronta già la gondola : Si parte. . .ahi lasso ! E perdo questa dondola! Perdere Oraira e' non è mica gangola ! . . . Ahi dura terra ! e perchè non si sfondola ! Qual cria, quàl fronte, quai denti, qual fregola. Quando zampetta sciancatella e dondola ! Vieu di comare? è nugola che sguindola , E lenta lenta sue falde girondola : E de' suoi gruzzi la pendaglia scricchiola Qual baccello d' Iscriq che all' aure ciondola. E buona Oraira : e con tante ergi-pergola , Con tante cinguettine io non confondola. Non \Si spiando attorno ogni baiucola : Bonchi non pesca e a barlonchi poi sgoudola. Se fa due passi o due parole spippola , Poverina ! già sviene e capitondola l58 DERITIS Si paragoni la nostra versione colla lezione araba soprapposta , e si scorgerà similissinio il metrico anda- mento , se prescindasi dalla sola catalessi che rielT ita- liano è sdrucciola , ncll' arabo bisdrucciola. E per gli stessi riguardi delle lettere tenui che non altrimenti considerar si vogliono nelF arabo idioma se non come que' lievi appoggi articolari che nella pronun- zia divengono evanescenti a modo della m e della s de' latini , e che da noij accostumati a battere spiccata- mente le consonanti, con difficoltà si comprende come mai si possano tutt' insieme pronunziare ed elidere; per questi riguardi non sarebbe forse strano ritrarre ai nostri endecasillabi per la più gran parte i versi lunghi e i versi sjmsl che per le leggi dell' araba prosodia a questo primo circolo si appartengono (122). Ma sen compia l'esposizion dottrinale. (122) È da notarsi che questo av- servatoci dal signor Humbert, il qua- vicinamenlo ai nostri endecasillabi , il le assai bene osserva che correndo i ridursi cioè 1' emistichio arabo ad un versi per la forinola del carme lungo, settenario ed un quinario, o viceversa, il secondo emistichio sarebbe difetto- sia fra i moderni frequentissima cosa. so. Noi il diremo ingentilito. 11 disti- E valga d'esempio questo distico con- co è questo : n;;pl ;r5lD ^toSx ni3' TIOI vatirf iafu'to-'ltarfa li mai-zia ^cqlhi T\!i-\-\ pn3'7N1 n'l'7ì< nS5 IND XTN "''*' ^^^ chdto-'rri'ha \\ va-'lbarqa ridqaho. xSnn^l n"lj NT XDmX ^^n tara' adhama'n \[ da' górratin vabihhahala' n nan inisSa IIdSxi ma'?!* 'm roha-lbardì va-'^badra ubi-z.okro /iaffah> rERBVM rElLBO. Ille - generosus 'equus Destrier i'ijmoso ! occhio lui segue Invano; praeUril visum in loco ubi hic cadit : Quando currit putares ventum et fulgur Che qual vento, qual fulgore si spicca ! pone sequi euin. Vidcs hunc nigrum-equum , habenteni ma- Vedil moiello-ste'.lato-balzano ! e ulam-candidam-in~ fronte et pedes albos. Est obscurìtas noctis hiemnlis et plenilu- Notte invernai che in luna ed astri è ricca. nium cum stellis td circumdunttbus. M E T R I A n A B I. iBq La seconda aruza del carme spaso nel periodo ot- tonario è la forma qatata, vale a dire che l'emistichio divien piano di bisdrucciolo che era nella forma ordi- naria chabnata (laS). E nel periodo senario , ovvero sia nella forma gia- zata, ecco un esempio analogamente ai due schemi pro- posti (124) : Furono questi versi estemporanea- mcnte composti da Michele Sabbagh durante una corsa di cavalli , a ri- chiesta d' un principe di Siria. - E si noti in questo ed in altri esempi che quantoppiii ci accostiamo ai moderni tempi , tanloppiìi i versi arabi si ac- costano ai nostri metri italiani , e quantoppiii sono di età remota , tan- toppiù se ne allontanano. Una ecce- zione potrebbe farsi nel divano di Ali ben Abuì Taleb , genero e suocero a ■ vicenda di Maometto. Ma è noto quan- ta dottrina non araba si accogliesse dagli operatori di quell' assurdo si- stema politico-leocratico che tutta adi- va r eredità de' fanatici settatori di Ario. V. appresso la forma giazata del C.VKME SIMILE. (125) 'jSann niì'B'Sk nixISxin'^yx np Esempio dato dal Clerico. (124) Ke' versi che seguono il pri- mo emistichio è sempre sdrucciolo , il secondo sempre piano nel testo arabo. V. appresso la forma giazata del CARME rERFETTO. l6o DERITIS njs'iDK w^ |xor tnn i chah DnV3 njKì5t< 2 jKTOìi |x3ndS onS jNansD nnNV hi j^nnai •iìr'?x3 1x01 nS^ Nnan i^or Knn 5 JNDDX2 Djxn nS S*im V E R B U M VERBO. In hoc tempore non est fraternitas , O vir , in fratrlhus. Amici hiijus temporis omnes iniqui sunt , Ipsi sunt bilingues et bifontes. Occurrit tihi laetus , et in corde Multujn dolose celat ; Ut cum receperit et retro Jìierit , Imponat tibi falsa paradoxica. Hoc tempus omne tale. Fideles nec duos invenies. O vir, esto tu solitarius Saeculujn hoc , humanum non est saeculum. Di Ali ben Ab'i Taleb. (i25) Seguiamo 1' edizione del Guadagaoli , non avendo avuto agio di M E T n I A II A B I. 16 ) 1 Hada' zaind'nin lajsa ichvcCnolio jà' ojjoha''-lniar''o bfchva'riin 2 ichvci'no/io Lollohoni IcCliinon kihoni lisa^nani vavag-hcCni 5 jaUja'ka hi- Ibasciarì vaji'' galbi/ii dcCoii jovà^ri'lil bikatanuCidii 4 halkC idcC mcC ghabat un àjìùhl ramcCka bi-zzu'ri vaboìitcCidii 5 liadci' zanuCnln liakadd^ kalloho bi-lvaddi lei' jazdafoka -Ina ni Q> ja' ajjoluù-lniar,Q J'akon nwj'ridà'n daliroka la' taannasi bVnscCni VERSIONE METRICA. Sono assai tristi quegli annidomini In cui fraterno amor non domini Ognun bilingue , bifronte , perfido. . . Quanti ne trovi tanti ne abomini. Liete accoglienze : ma poi?... né un candido Cuore in cui nero fiel non predomini , Che, se da loro ti scosti un attimo, Calunnie a iosa e' non ti sgomini. Tal corre il secolo. Amici? è favola : E fa che un paio solo men nomini. Va in erme chiostre tuoi giorni a traere. No : questa elate non è per uomini. faine raffionto col codice Borbonico. Tom. JIL 21 iG'i D E n I T I s II." CIRCOLO IL CONVENIENTE. Due ragioni va iJ Clerico allegando per 1' etimolo- gia di questo circolo; i." la nessuna diversità delle for- niole ne' due generi di versi che gli si appartengono , essendo in entrambi la ripetizione eli una formula unica; 2." la netisuna diversità de' piedi che compongono cia- scuna Ibrmola, perchè quella del carme esuberante con- tiene un palo congiunto e un dirimente minore, e l'altra del perfetto un dirimente minore ed un palo congiunto. Ma queste ragioni non persuadono : perciocché, forma unica hanno altresì i circoli terzo e quinto; e in que- st' ultimo anche le formole non hanno diversità di parti componenti, trovandosi non altro che un palo congiunto e una corda lieve nel canne congiunto , ed una corda lieve e im palo congiunto nel conseguente. Al Guadagnoli è piaciuto dare a questo circolo il nome di composito , ma non pare che ben si apponga. Che che ne sia del nome, caratteristica vuol ri- putarsi de' carmi di questo circolo l'ammettere la corda grave, e conservarla in uno almeno de' versi della com- posizione; e il procedere nel movimento iambico esat- tissimamente ed a stretto rigore della poetica greco la- tina : se non che nel carme esuberante gli anapesti e gli spondei che passano ne' piedi pari , formano realmente una esuberanza ; mentre rimanendo ne' piedi caffi nel METRIARABl. l65 carme perfetto , perfettissimamente col modo iaiubico convengoìio (126). E caratteristica esclusiva di questo circolo si è quella di dar versi variabili a piacer del poeta nel nu- mero dalle sillabe , purché salvo però vi conservi il metrico andamento. Tutti gli altri danno versi affatto sillabici ; i quali crescer possono o accorciarsi pei soli aumenti e le sole diminuzioni al principio degli emi- stichi (127). (126) V. sopra le pag. 55 e 67. diminuire il primo /«o/^/'/iZ/aton al car- (i2j) E noto che i Greci e i Ro- me esuberarne. Ma una lai facoltà, sic- mani scambiavano il giambo ne' piedi come è detto nel Chamus, par die debba caffi, denominati irt|)i(Tir5!; X'*'P'»5, collo estendersi anche al secondo, les;gen- spondeo , il dattilo e l'anapesto; e ne' dovisi: XO HJtD "131!3VX1 "115107X1 piedi pari, denominali apriws xj^pas, Q"13» S73 S-|5' (X'^J ^ di e est { il col tribraco e l'anapesto. Ed ecco forse carme esuberante ) elmaufuro 0 el- perchi, onde adagiare a questa legge i muaffaro /lercAè , troncandosi anche versi arabi , credè \1-Chalil doversi la prima sillaba dt una parte , non accordare ai poeti tanta latitudine nel rimane troncato. V. appresso SArtK.*.. * iGi D K R I T T S ( A H :»! E E S U B E II A N T E. "I Ì3 N 1 D S N « Prende questo nome, dice il Clerico, dalla gran quantità delle lettere mosse , essendovene , delle qua- rantadue in ciascun periodo, dodici soltanto quiescen- ti )). Ma colla stessa condizione corre anche il carme perfelto. Che anzi è da avvertire che nel periodo se- ttario V ani za del carme esuberante sempre e la zarba per lo più sono chaifate : vale a dire che ogni terzo mofa'lnlaton è privato della corda grave, e conseguen- temente ridotto a fahuUon. E in ciò tutti gli arabi maestri convengono (128). Ha due periodi, il senario e il quadernario (129). Nel periodo senario, unica è V aruza , cioè, chat- fata; e due le zarbe , cioè sana o chalfata , come abbiam detto. Nel periodo quaternario, V aruza è sempre sana; le zarbe son due, sa?ia o asbala. Son licenze permesse ras6a,ra5'/a, la naqza: (i5o) quest' ultima però non sì ammette da Al-Chalil nell'a- ruza del periodo quadernario. La sadra può essere àtzbata , qasviala , giamama- la , àc/sata: vale a dire che dal principio del verso, (i28)Non avverll questa circostanza sarebbe bisdrucciolo : del che non il Guadagnoli quando anche il carme v' ha esempio. esuberante assimilava ai nostri cnde- (i2g) Ma pel periodo quadernario casillabi sdruccioli. È sempre piano v. appresso Carme congiunto. nel periodo senario, e non sempre (i3o) V. piig. 46, V. 23; e pag. 48 , cnditasilisbo puro \ e nella zarba sana if. 26. METKI ARABI. ' l65 nella prima forniola del primo emistichio, può togliersi la prima sillaba breve, rimanendo l'altra del palo es- senzialmente lunga. E poi in arbitrio del poeta di con- servar quelle delle corde come sono nella formola pri- mitiva , o avvalersi altresì di una d")J3n n*J^{l'3 ÌD5< ^bii lunga , essa virtualmente ha la lettera A^oà'ma Qaleri , come quello storico analoga della mozione nella qalia attesta. Fuit ille , ci dice , giusta la sciolta. E perciò tutto T inconveniente versione dello stesso signor llumbert, era soltanto per 1' ocihio. Ma si noli vir bellicosus , dux-Axeniliuiin: mul- nel secondo emislicbio del quinlo ver- ta bella et proeìia sustiniiil : sire- so quel troncamento al principi') della /luns annua, non llmebat niorleìn , seconda forraola , come per l'autorità et propler hoc dicil alloqucns ani- del Chamus avevam cennatOj nota ia6. mam snam Segue il poema. 11 quale emistichio va cojì scandito : Dopo del quale ; Et Jd versus me- ^_]^^.|_ l- -l 1- momntur in libro Hamasa , in pri- vada ^ latin lah lilhaAzidd' i ino capile , et hi strenuos-reddunl 11 secondo esempio , tratto dalla creaturas Dei et non novi in /toc ca- qazida di Amri ben Kalthum , dà pile his similes. Et non exiverunt qunttro endecasillabi nettissimi se l'ul- nisi ex anima elatissima et ex ma- tima sillaba della prima parola del inanimitale arabica. Ille autein {Abu quarto emistichio si faccia non elide- Ncà'ma ) niuneralar inler facun- re , ma formar dittongo colla prima dai viros Arabiac notos ob eloquen- della parola seguente. tiam et facundiam. Riguardo al terzo esempio, la ver- Nota il signor Humbert che le pa- sionc veramente metrica sarebbe siala: iole y{<")riX'!' ''"-'^ secondo emistichio se la tua vita è in periglio; ec. * VNDn del quarto che mancano del- ('33) Pag. 164. la ♦ finale in vece di 'l?ì<^nt<7 *= M E T R I A r. A B r. 17 1 ravviciuamcnli non tanto nella ragion metrica de' iam- bi son (la cercarsi , ne' quali più lo spostamento degli accenti che 1' addizione di una sillaba par che nuoc- cia , quanto nella ragione di quelle contrazioni che gli Arabi accordano a questa specie di versi. Nella forma giazata del carme esuberante 1' aruza è unica, cioè sana; e le zarbe son due, sana ed «z- bata. E perciò i secondi emislicliii o sono anch'essi ottonaril bisdruccioli , o nopenarii piani , che si ridu- cono per le ziliafe a setleiiarii ed oUonarii colle stesse condizioni desinenziali (i34). Caratteristica adunque del- la forma giazata del carme esulieranle sarebbe la de- sinenza bisdrucciola e 1' alternar degli ottonarii co' set- tcnarii. Ma delle varie fasi di queste trasformazioni terreni discorso or ora , dopo le molte altre che ve- dremo emergerne dal cangiamento di sito della corda grave nella sua combinazione col palo congiunto. (i34) eli esempi che scn proUucooo son «{ueili: A&VZA SAXA. ARVZA AZBATA. lya DE R I T I s CARME PERFETTO S C N D 7 X Ve n'ha di tre periodi: i." il senario; 2.° il qua- dernario ; 3." il quinario. Del periodo sanarlo con tutti gli accidenti delle zihafe è questo lo schema : FORMOLA. niofa la' hìlon mota fa' htluu mota fa' hìlon INTERA. „ ^ - „ _ „ ^ - ^ - - - - IZMARATA. - - - VAQZATA. - - GIAZLATA - - - - - - Ecco adunque in tutta la sua perfezione il trimetro iambico de' nostri maggiori : /;i^ro, per la vaqza;cor«- ambìco , per la giazla *, spondaico , per l' izmara ; ed anapestico , nella forma intera. E perciò far non dee maraviglia se cosi agevolmente il carme perfetto arabo nel nostro endecasillabo si risolva , sdrucciolo nella for- ma intera, piano nella forma qatata, tronco nella forma adadata: tanto maggiormente se pongasi pensiero alle let- tere molli delle quali abbiam fatto cenno più sopra (i35). Ma è da notarsi che quando di queste lettere molli non s' incontrano , anche nel carme perfetto degli Arabi il ritmo bassarico si riproduce. Il che dilucideremo con esempi. (i35) pag. i5a. METRI AHABI. 173 Le forme diminuite Avi carme perfetto sono : TORMA ADADATA. ADADATO-TZMABATA. - - BM'LATA DAILATA. ^ -* 1 GIAZATA. ' - , QATATA. .... Le prime quattro forme danno una serie di qiii- narii ; le due ultime , di settenarii : se non che nella forma adadato-izmarala vi è ipermetrismo , e invece dell'ultimo cjuinario si ha un senario. Del resto nella forma adadata semplice, ogni secondo quinario è bis- drucciolo •, nella giazato-raflaia, è anche piano ; nella dailata è tronco; e un settenario sdrucciolo si ha nella gìazala nuda , e un settenario piano nella qatata. Nel sistema dottrinale , appartengono le due prime forme dimhiuite al periodo senario, le altre quattro al qua- dernario. Appare da tutto ciò che al carme perfetto gli ara- bi maestri riferissero tutte le forme iambiche della pro- sodia greco latina. Nel periodo senario due sono le ariize , sana e adadata ; e colla prima tre le zarbe , sana , (/afata e adadata. Ì74 i> ^ R I T r s ARUZA E ZARBA SANE. xnDNmfl NiiSu naND 'joì VERBUM VERBO. Obliterata est maiisio hrevis et memorahilis stallo eius In Mona : desertae sunt Gaula eius et Rehama eius. Et canaìium Reiani denudatwn est vesligium eorum, PeJiitus ut quae scripta sunt in petris iìiscriptionum. Ex Ms. R. BiBL. EoKiiaN, fiinv \y D^Ni pax JX3 n'Lra ■ip'71 77 xanantrx ah^ '"r\v 'anxtrSx 78 ♦DI i x'7x dSi p nxiSxi xonxnx riD-in ipVa xSya» jx 79 VERBUM VERBO. )^. 77. lam timeo ne nioriar , neve bello Sit reditus in duos filios Zemzemi : y. 78. Qui me contumelia affecerunt, et ego non eos contumelia affeci Quique vo- verunt necem iiieam, et non percussit eos sanguis meus. 1(. 79. Sique fece rint hoc, iam relicjui patrem amborum Praedam leonibus et omni vulturi rapaci. 14, METRI AHABI. i»5 Di Amiualqaiso. 1 àfali-\ldiJa'ro ?nahal\\ loa\famaqcCinocC himanaii, cjaaimoda gàv^^lolia' farlluCnwlicC : 2fa/nada'Jió-'rrajja\\ni órrl' rusliolia\ halaqa'n hama' zamino-H \\ vazijja silcCniohcC. VERSIONE METRICA. Più vestigio a breve stazion , ma pur memorabile, Non è in Mana, e Gàulo e Rehu.no è inabitabile : De^madafia' (*) a Raiano i segni clisparvero Quasi cifre a vecchio pataffio ornai 'udicifrabile. Di Antara. 77 valaqad cìmsciajto Man 0 amiCna vedimi jahan lllharU daajarton ^ àUC-'bmC zanizamin 78 assai ali ma'' ir zi' || valam asc-tìnihoma' uannddi rajna vaia \\ ma-la' qaìiomlC dam^ 79 in jafàla' falaqad \\ tarakto ahcClioma* gizra-'ssahaH vaiai \\ li nasri qhscùmin. VERSIONE aiETRICA. Morte ornai vietare mi può co' figli di Zamzamo Che nuovo a battagliar pretesto non m'abbia. Onde alle ingiurie sien sconto le ingiurie E pronte, ogni trama lor , vendette riabbia. Ma pur qual vanto? ai liou Zamzamo e ai rabidi Avoltoi pasto, mordea per me la sabbia. (') >'3>^nO ( madafiò ) è precisa- torno la tenda per impedire che l' ac- uente quella terra che si ribatte iu- qua vi peucui. 176 B E K I T I S "iin N*?"! •''?}; pan n**? nm X' i ntoD^Ni nptj'.'o'?^ p 'njriD xn '3 ':'i aip rn;? pomn nd -a ipnas' Dip 'jjii nn'^N ;;-i:r QD'S;; D'DjSn p -ikjn n» 5 Kij?'?^ nprha NIX 'dniSk n*?'!! no 4 "imSx ;^DpjiS*D dhdSn 'DT -in"in3 ♦n £3*7n 'Sy rìoj':'^ mnxDn nini 5 V E R B U M VERBO. Ofatum, ne superstitem-facias ?ne,nec intactum-me serves, Ecce enim niens niea in medio perpessionis et periculi. Nonne vos miserebit viri iiobilis quantum-ad-tribum , qui viluit in via ( vel lege ) amoris , et opulentis quan- tum-ad-tribum qui pauper-evasit ? Zelotypia-luborabam inzephyruin,super voscnxw spirarci; J^eruni, ex quo ingruit fatujn , excaecatafuit perspi- cacia mea. Quaenam erit techna jaculatoris , si adversante hoste, voluerit iinmitlere sagittam et runipatur chorda ! Et cum densantur catervae super virum , ubi erit loous^securus contrafatum! ubinam ei asylum! (137) Si noti in questo emistichio poi a moflahilaton per 1' arbitrio che il primo anapesto risoluto in dattilo, dà la chazma di aggiugnere al prin- della qual risoluzione nop v' ha esem- cipio del primo emistichio sino a pio in tutta l'araba prosodia. Vero quattro lettere , che qui sarebbero è che per non infrangere le regole due ; ma questo moflahilaton non è dottrinali potrebbe dirsi con doppia nelle regole dottrinali. ^ E vedremo, trasfigurazione il inolafa hilon ridot- nel secondo emistichio de' versi pro^ to prima a fahUalon per la ^ata , e dotti alla pag. 180, la secou'Ja corda , JI E T n I ARABI. 177 i jcC cìahro IcC tobcji àlajja ualcC ladar /to' mokgiatV bajna- lino sv.iacjcj citi iia-Ichalar 2 ma' tarhannCna àzi'za cjavmin dalla fV sciari-l/iava^ ucigcinijja qavviin ciftaqar 3 konnato agcVro ndna-nnasi'nii àlajLom (lay) laiin idcC nazala-lqazoC óinija-lbaznr 4 ma'' hi'' lato- ira mi idei - Itaqati- lidcC foi^rcCda jarmV-ssahma va'' nqataà- Ivatar 5 vaida' tale cC tarati- l giomiC ó àlcC-lfatcC ajna-lniaqarro inina-lqaziC ajna-lmnj'ar VERSIONE METRICA. Ahi sorte! e i favori tuoi m'alzano o balzano? So ben che tema e ardir qua e là mi trabalzano. Mercè, magnati. Amor nell'ossa mi brulica Ma bezzi con Amor non ciondoli calzano. Geloso er' io , vi so dir, geloso de l'aria... Ma che far se i fati tuttor sinistri ti scalzano ? D' arcicro 1' arte che vai se T arco in tendere La corda spezzasi, e a brani i briccioli sbalzano ? E un fantaccino che può se addosso gli piombano Squadroni a cento a mille e accerchianlo e incalzano? giusta la lezione dui dottissimo do dell' anapesto vedremo nt' seguenti Sacy da noi seguila , cangiarsi di versi , che sono i primi del Divano giambo in anapesto. Dal ilio segue di Ali, cne'quali non iiljbiam voluto che all' ipermeliismo de' versi iambici alterare la lezione del Guadagnoli. non sissi dai maestri arabi bastante- Nel ms. borbonico vi sono qua e là mente provveduto ad onta delle lo- molti altri versi che in tutto sono liJ ro rego'e con tanta profusione ac- e nou 7. cumulate. Ma beo altre permutazioni Tom. l£l. 23 lyS DE K I T I S ARUZ.i SANA , ZARBA QATATA. n';^ix dnjVn* riNnoK nojn'i 2 X3K ixdhnSxi nx;^mnDD nd'7xi_pdSxi nn |m5x5» 3Dn m fo iSsn irriN |xi 4 x'':';?i nj N1-IDDJJK3 anìa ì=i7ì;hii ^mònihìi b^ùiò 5 x'?"ix nnnox fa'? nn'^N* 'S;; njDn» jND na nd -laVx no'pi 6 N'Sin .13 usn ì6^ D'^p^ Dps 7 VERBUM VERBO. Uoìuines tcnnqucun staluae computantur : Pater eoruin Adam et niater Eva. Et quìdem matres liominum sunt vasa Deposita : at patres excellentia. Qiiod si in radice eoriun sit nobilitas , Gloriantur : sed quid ? lutimi et aqua. Quod si gloriani quaeris in progenie , Est prosapia nostra sublimis et grandis. Non est nobilitas nisi eruditis : enimvero Ipsi directi et dirigentes alias. Et stabilitio viri est id quo bonus redditur. Et stulli seniper hostes sunt sapientibus. Persiste in sapientia : comniutationeni non appetas : Mortai sunt homines , soli eradili viventes. Si Ali ben Abmì Talee. M K T n I A n A B r. i-g 1 AnncCso min gi/iali-llinila'll akfcCo abu'honi adamo na-tommo heva\) 2 vannamcC ommalicC to- niicC si avijaton mostavdacVton va- Uh su' no aba'o 5 fain iakon lahoni fiàsliliim sciàrafon iqfachirulma hihi fatti'' no va-lmoì'o 4 vain atajta hifacharin min dovi' hàsabin fain nosbatojia'' giu''don uaòlijci'o 5 lafazia illcCiulhli--lilini inna/iom àia - IhudcC limani^'' stahda^ adilkCo 6 vaqij amato- Imari mcCcjad kcCna. iohàssinoho vu-lgicC hiliùna UcC lili' Uhm àda''o 7 fagom biilmin vaia' tabi' bihi bàdalan fa-nna'so movtcC vaahlo- Itimi aliju''o VERSIONE METRICA. Statue gli uomini son d' una stanipii^lia E ognun conta Eva e Aclamo in sua famiglia. Germi son de' materni alvi in deposito Che a vita il vigor patrio urge e incaviglia. Pur lauti, ecco, a le magne ombre degli atavi Superbir ! ma di che ? D' acqua e mondiglia ! Pur , se t' arde desio d' alma progenie , T' hai la nostra : e di gloria ella è ben figlia. Tu dal senno de' sofi un senno eredita Che altrui che a sé leggiadre opre consiglia. Spregia di vii gentame il gracchiar invido E a vera e pura nobiltà ti appiglia. Resta tra i soli : in essi è vita , e splendida : Tult' altri neir oblio morte arronciglia. l8o DERITIS N"ÌNÌji njo iN^; ■>:ihp "ixim hy pj:iS'3 nnui' naSo hdd 5 n-inSìn njinaa xna 'pan Versiojie del signor de Sacy. Pourquoi ne rn'est-il pus perinis de satisfai re sur tes lèvres la soif qui me déi'ore, tandis què mori coeur est dechiré par ion ■ amour ? Si s'est ton plaisir que je perisse victime de ines ardeurs, puurpu que tes juurs chéris soient conservés, j'y trouverai moi- Tnéme du plaisir. Mon cocur eluit eritier, lorsque tu Fas ravi ; en ce moment quUl ne me reste plus quun soufflé de vie , renda mai du inoin ce coeur que tu as brisé et mis en pieces. Chrest. Arab. XVI. Apponiamo in nota gli esempi delle altre zaibe del periodo scnario (i58) come anche quello del periodo (i3n) ^ruzn sana, iaria adadato- aruza e zarha adadate. dannata. bpxi'S iT\t2Ni3 ■i«n':x \rh i-\r\ mK3i e^jn bon aruza adadala , zarha adadato- Altri vi aggiungono 1' adadala sem- damrata. plice , non arumcssa né da Al-Clialil né Al-Akfasc'. ^^ fiaKDN p ^IW^ n:»"?! METRI ARABI. l8l 1 Zaddoji liaind' thama'i' [j lama'ka limcCda^ , uahavob' Ica qalbi' (j za'ra niin/io giodcCdct' , 2 in kcCna fi taìafi [| riza'ka zabcCbatan iialaka- IhaqcCo [j vagiaddato filli ladcCdcC 3 kahidC salabto || za/ii' fiatali fa-'' ninbu àia! ramaqV bilia' || mamta^ nalan afl(Cda\ VERSIONE METRICA. Se de' rifiuti tuoi 1' asprezza ed il fasto Cogli assidui miei prieghi a rimuover non basto ; Morrommi : e lieta è per me di morte l' immagine Nell'idea che a quanto tu brami non fonimi contrasto. Ma tu il cor mi rendi j e benché intero al rapirmelo Te 1' avesti , il rendi ancor che in brani e guasto. quinario che dà il Clerico, non essendonji imbattuto in verun poema di tal fatta (iSg). E passiamo al periodo quadernario. (l39) NIHxSr 3JXJ3 'AjSk \rh e la terza formola si trasponi al se- inn 'T l'J 'p7a condo emistichio , si ottiene appunto 1' espressione del ineiro de' seguenti E n è la formola : versi appartenenti eziandio al divano di Allj e de' quali manca l'esempio molafa'/iilon,motafa'hilon,mosttifhihn ne' dottrinali : mostaPiilon I fa/don. mota/a^ /tilon j motaj'a ìtHoii Ma se ì\ fahlon si riduca li fahal motafa hilon , moUifa' Inlon , fahal. iSa DE R I T I S ARUZA GIAZIATA , ZARBA TARFILATA-VAZLATA. N3JNJ yjDX ^3*7X1 2 ny^pii HDnSn nS 5 ìii^'pi'^N' in^Sn Dìiì'7ii 's naa» D'n pS snSx ;x 6 n;;?'3EoVN 'Sx hv jn VERBUM VERBO. Perfectio est ex liberalitate naturae : Defectus auteni ex arlis corniptela. Et bonitas est securius effugium , Qiiaiii cacumina montiuin siiblimium. JVLalitia auteni velocius deflciens , Qucim torrens aquae , quamuis rapidissimae. Derelictio pacti et amicitiae Est res ìion decens hoininì , sed bestiae. Non deturpes maledicentiis Inter homines , nanique deturpaberis Nam consuetudo non moratur TJt in naturavi convertatur. Di Aù BEN Abnì Talee. METRI A n A B I. 1 0 J 1 Alfazlo min karml-llahi'àU va- Inianno niq/sadato- zzaiii' citi 2 va-lchajro a/nan , d già'niban min qoUaii- Igiabali- IniaJiiWli 5 va-ssciarro asraó giarja/d' min giarjati'^lniai va-ssari'àti 4 tarko- ttcuV /iodi- Ili zzadi''- qi taku'no movgibalo-IcjatVàti 5 lei' taitalich bivacji''àiin fi''-nnà'si ialtachoka Hvaqiàti 6 inna- ttachalloqa lajsa jam- kolo an jaùlo hilcC-itabi^àti VERSIONE METRICA, Sol da Natura il ben si germina : 11 mal vieu d' arte che trista invermina. Bontade in rocca sta immobile Cui spalda balzo d' alpe e contermina ; Ma il vizio è fiume che rapido Giù rotolando trasva e si estermina. E belva , non uora , chi a frangere L' altrui giurata fé si determina. Malevol non farti o maledico : Che contro te quel mal si rigermina. Mal consuetudine infrange ogni argini Non si resta e in abito ella termina. j84 de r I t I s ARUZA E ZARBA RAFLATE. nN;;3 'fl nxon xoS i 'alpi 'S;^ 'Dij nSon 3 ■ixijSn* napT n3N23 * 'D^p nx: f;;3 p inda 4 'by pn ax^'^kV p-inNfl 5 VERBUM VERBO. Ci//7i perseveraret in recedendo a me , Et accenderei ignem in corde meo ; Et non reperirem ab amore ejfugium Nec auxiliiun in insomn'iani incanì ; Impuli-nie-ipsuni ut conwiorarem ego iuxtajanuani ejus, ^d-instar comniorationis equi, Tum avolavit de portione ignis oordis mei Mmus , in descriptione , quod de igniariis evola t : Atque haec portiuqcula incendit januam me inscio. Non fiat hoc ex; volunlate mea, L' esempio qui scelto non corro per veruna formala dottrinale. Non pare però che ben si apponga il «signor Hnmbert né quando 1' altribnisce al carme spaso (140) , (140) ^nth. Ar. p. 4. METRI ARABI, l85 1 La?nma':tamci:da' fi'-.hua'di vaaza-.ramà-n-.nara fi-./ucCdi 2 valanv.agìd-.min hava:o buddan vcda-.moP-.iicm àla-:suha''di 3 hamalto na-fasi'uìli': vocju^fi' baba':bihi:vacjfata-l:giava'di ^falcC-.ri min-.bàzi na:ri qalbi agùhlo Ji''l-:vazfi viin-.zinadi h faalv.racja-hbcCba dir.na ili valànv.jakon-.dcC k niin.-.niord' di '"'' VERSIONE METRICA. Perchè da me lungi scn va Ed un incendio al core mi fa ; E perchè tregua iu amor non trovo Che lunghe lunghe le notti mi dà ; Rizzaimi a Acgiia e al liminare Mi stea qual fido destriere sta là. Quando , dal cor divampante , schizza Poca scintilla e all' uscio si adda : Me ignaro apprende , arde , consuma ; No al certo per mia volontà. nò quando protesta non esser facile riconoscerne il me- tro (141). Noi abbiam seguito nella versione gli stessi ac- {\k\)md.-^.\7,it.Lemél,a,c\.à\- nS*Ì*3 .'SH NDJl J'tS'? ce, qitand il csf regitlier se figure ainsi Xl*ì3jTJ l*?i'0 wV SnDD ì'71?X3 l'71/'3PDO repélé dciix /vis. Daiis Ces aulres vera , on a }7|VS <''« Or vo/ci cor/ime. on scancle le premier lieti de jSwj : c'esl a dire clone que hemislicìte de nolre poime : le dernier pied esC rMranilié , et que Tom. III. 24 l86 - D E R I T I S cidenti della variazione metrica dell'originale, col solo cangiare in acataletti gli eniisticlii aiabi ove cadono le rime , e che sono catalettici , onde vieppiù avvicinarli allo stato attualo della nostra poetica italiana. Ma con tutto ciò , chi della storia de' nostri metri non fece studio, si persuaderà di leggieri che strani sieno tai versi ed irregolari affatto. Ma voi già vedeste, Colleghi, che questo metro ncU' antica poetica può riferirsi al iainblco arc/iilochio dimetro ipercalaletto , vale a dire, alla cnnemimeri iambica regolare giusta la forma Ed è notabile che un tal vei'so, il quale uella strofe alcaica oraziana è il terzo , si scomparta per lo più in tre trinari Nudità musarum sacerdos... Et cuncta terranim subacta . . . Metro di soverchio trinciato ed ambiguo ; e perciò raro assai nella sua purità nel parnaso greco e latino. le second p^3f\J3 , par deux licen- duo dallo stesso verso , al primo del cs* devieiU ^•^^^Q. Z)aìis le pre- secondo, ed ai secondi del terzo e mier vers , pour avoir la mesttre il quarto la permutazione dell' a«a/)esto faul prononcer le » du mot nSoi"! ^ '" eretico ; ed in dattilo e tribraco nel versi da noi si scandiscono secondo le primo del quinto e del quarto ; per- divisiohi apposte nella lettura del te- mutazione non ignota ai metrici , ed sto ; e non altro vi si scorge se non usuale ai tempi poco lontani dalla r aumento comunissimo per la cìiaz- prima apparenza degli arabi. V.le no- ma al principio del primo emistichio te 18 e 137. del terzo verso ; ed al secondo emisii- METRIAKABI. 187 Del resto , or clic per noi la fabbrica de' versi è più rigorosa doli' antica, e non della sola quantità sil- labica , ma della posizione altresi degli accenti dob- biamo toner ragione ; due specie di metro ravvisar dob- biamo nella formola sopra espressa, secondo che il terzo piede sia o no un iambo , o, per meglio dire, secondo che sulla quinta sillaba cada o no 1' accento. Ed in fatti, leggendo noi questi versi (142): Je teux vous conter la besogne Des cordeliers de Catalogne, . . non ci persuaderemo giammai che sieno della stessa specie, quantunque entrambi di nove sillabe : percioc- ché nel primo v' ha tre percussioni , e due o quattro nel secondo. Al contrario ne' primi versi di questo amcbeo (i45) : Mess. Donna , di voi mi lamento ; Bella, di voi mi richiamo Mad. Meo sire, se tu li lamenti. Tu non hai diritto e ragione diremo che i versi sono gli slessi, quantunque i due ultimi abbiano tina sillaba di soverchio. Chcpperò gli oltonarii e i novenarii iambìci in versi dello stesso metro si risolvono quando i primi si risguardino diminuiti per quelle condizioni che facean denominarli acefali dai Greci, 0 dagli Arabi azbati : il che vale lo stesso. Ma è da notarsi che non di rado i nostri primi tro- vatori r uno con 1' altro metro confondevano anch' essi. (142) Di LiroNTÀwe. (i43) Di Iacomino Pvglujs. * l88 DEKITIS Trovaiisi iudifFerentemente avvicendati ne' seguenti versi del sopraccennato amebco , nella canzone del nostro iniperador Federigo Di dolor mi conviene cantare Come allr' uom per allejjnmza . . . ed in altre moltissime del medesimo secolo. Lo stesso è da dirsi per le vecchie canzoni delle altre lingue romane (144). Per lo che non dee far sorpresa se i versi arabi or dati ad esempio mostrino , specialmente ne' due pri- mi emistichi ambiguità di metro , potendosi assai bene scandire e per tre e per quattro percussioni : Lianima' tcr.madcì fi': bua'di , ec. La quale ambiguità abbiam conservata nella ver- sione. Il metro però rendesi manifesto negli altri ver- si , in modo che 1' ennemimeri iambica mostrisi spic- cantissima e non mai da confondersi col novenario ba- chiaco , che in arabo corrisponde al carme conseguente giazato. (144) Ne' romanzi del Cid. Banderas antiguas , tristes , Ve Victoria un tiempo amadas , Tremolando estan al viento j Y lloran aunque no hablan . . . Nel romanzo di Rollone : Quanque a ven septentrion , Que nos citar en del apelon ^ Cest air j cast cielj ou terre , ou mer , Tuit seulent geni nort apeler, . . Scrventese di Sordello : j4ylas e que 'm fall miey huelh ? Quar no vezon so qui eu auelh,.. Canzóne di Barbasiu , nelle Cieuto NorELLE antiche. Altresì cojn lo Lifans Ke quan chai no 't pot levar. . . . ec. ec. ec. AI E T 11 I A R A B I. 189 Quando la poesia fu dislaccata dal canto , lai versi si trovarono troppo saltellanti , e sol riinasero per la musica : come quesli che il Biagioli attribuisce al Me- tastasio : Tormento crudele tiranno Wi strugge mi lacera il core : D' Ah Ito geloso furore M' accende la face nel sen. Loreto Malici volle restituirli alla poesia declama- ta (146) : ma non era egli fatto per mettere in voga i suoi versi e produrre ammiratori e seguaci. L'enueinimeri iambica è metro or dismesso in Ita- lia , e risolvesi in una scgucnza di quinari. E ad essa precisamente questo e gli altri due esempi che appor- remo si appartengono. Ma perchè mai gli arabi maestri serban silenzio su la forma giazalo raflala del carme perfetto nell' aruza, ed una tal forma alla sola zarba r accordano ? E pure la vedremo or ora evidente nell' aruza del carme tremolo, ossia satira , che non altrimenti vuol considerarsi se non come l' identico carme perfetto ridotto sillabico (146). (145) Di perle di tremulo gelo , ce, (i4fi) V. iiitanlo anche le due se- guenti note. 190 DE R I T I S ARUZA E ZARBA RAFLATE (U?)» ;;ìdiSnì n'^ Npi X5pi 3 VERBUM VERBO. ^c/ cmiantem amore-ajfectus-venit ad eum amans ; Corda amhorum in amore cor-unum. Suhsistunt juxta flumen anioris Etprospiciunt-sihi- de-annona-vitae, et flumen amoenum est, Suhsistunt et dicunt ( et lacrymae Super geììis illorum fluunt ) ; Culpa est temporis , non vero illius Super quem transeunt tempora. HUMBERT. XVIII. (147)8! aggiunge un ^ al principio del due primi emistichi de' versi quarto secondo emistichio del secondo verso; e quinto i frammenti V e D delle e \' et della versione ci persuade che parole V")J2 e C{< i quali ncll' edi^ nell' originale non dovesse mancarvi zione del signor Humbert si veggono e che si fosse tolto sol perchè il verso trasportati ai secondi emistichi , pro- riusciva soverchio nella misura a babilmente per la stessa ragione. Fi- computo di lettere. Sì restituiscono ai nalmente nella parola "y^n del terio METRI ARABI. 191 j zabhon iafdnno : oWhi sàbba qalba'homa : jV-lliobbi qalbo 2 uaqafcC ila^ : bahrl- Uiavai uafatazàvvada' : va-lbaliro àdbo 3 uaqafa'' vaqcC: IcC va-ddoiniCò ilcC chodòdiJiiimi' tasàbbo 4 addanbo llluCjjcCini làisa lanilii iogzano : iljaJio danbo VERSIONE METRICA. Corre 1' amante al caro oggetto : Batte un sol core ad ambo in petto^ Lor offre un rio seggio d' amore : Oh quanto è gaio quel ruscelletto ! Ma dell' addio suonò già l' ora : Ed ecco in lagrime volto il diletto. Ahi tempo ! esclamano : Ahi truce ! Ahi come Tutto è al tuo rapido turbin costretto ! verso la mozione della \{ di zamma alla scguenza quinaria, correndo per si trasporta in fata per la rima. Per quelle regolari varietà che il quinario tutto il dippiii la lezione del chia- comporta riguardo al primo de' suoi rissimo editore si segue scrupolosa- accenti , e per le terminazioni di Mente. tronco ne' versi i.° e 3.°, e di sdruc- ii che posto , è chiaro che il me- ciolo nel 3.°. tro di questi quattro versi riducesi IQ^ e I^ R I T I S ARUZA NUDA , ZARBA RAFLATA (l48). ini' nSoSx y:in^h hp i inj;; ina 'd"?!"^ '':':; NiirN'r 'fi 'nn dj'^dn* 3 nSrr^r no3 tS;; njn3 4 "]-iny 'V;? m'pj fxi y^rhìi ijn x» npinx 5 •)T)3 np-i Nob 'Ncn V E R B U M V E R B O. Z)ic meo ainico: » JVum prorogas absentiam tuam Et intencUs, caedi vieae per te, conatiim tuiini? Si cupis ut tiii obliviscar Recide niihi cor nieum : illud enini est apud te, FefelUsti , imo in visitalione nostri umbram tuam , promissionem tuam (*), ^ttamen ego erga te suuj quemadmodum nosti , Quancjuam violaveris erga me jusjurandum. accendi sii , o os amici , piscerà mea Quando degustavi Jrigus tuam ; (148) «Il metro di questo poema, dice di questi versi è quello del carme ilsig.Humberl è il perfetto vale a dire perfetto giazato raflato ; ma nella sola motafa' ìiiloii ripetuto tre volte. Ala qui zarba , e precisamente nelle regole di il terzo 77zotoyàViì7o/! è affatto tolto ne- Al-Chalil. Non può dirsi altrettanto gli emistichi dove una è la rima, e in dei due esempi precedenti , ne' quali quelli che ban la rima , trovasi ri- non v' è diversità tra il primo e secondo dotto a ]^Q (;«o/) : direbbcsi adunque rnii^licbio , correndo entrambi per la in termini grammaticali un tal metro forniola moiafahilon molafahila tori , gtazato-ra/laeoìKCetlamQiUe il metro che si risolve senza l'ipermetrismo in METRI ARABI. ig3 1 Qol Ulhahi' I) hi-'lmaha zaddak vagiaalto qalbi |I //'/■« volclak 2 in scita han [] asili' f aridda àlajja cjaìhi ^Jahva tiidak 5 achalaghla hajja Wfizij zaa'~ tunahitajfui [| jninka và'dak 4 fa'na'' ùlCka [| kamcC àlialta vallili naqzalla [j alajja àhdak 5 aliraqta icC || sciaghra-lhabi'bi hascia'i lamina' [) doqto nardak VERSIONE METRICA, Tu gli dirai: )> Se ancor da me Lontan ti stai ; Jiiuoio per te. Vuoi ch'io dimentichi cotanto amore? Rendimi il core : che teco egli è. Ah m* ingannasti ! Ne' sogni miei Riudir credei la data fc. Così costante nell' amor duro Benché spergiuro tu sii con me ! Tutta in incendio quel disioso Sguardo amoroso bruciar mi fé. mofa'hilon niofiùMlaton : vale a Ji- in questo, tutte le ultime sillabe del re ennsmìmeri iambica catalettica , primo emistichio vengano a troncarsi metro , come abbiamo vctluto , co- per trasportarle al principio de' se- munissimo a tutte le nazioni , fuor- condì. che all'italiana, se facciasi eccezione (*) Potrebbe anche tradursi : da' trovatori del ducento. Por rendere IViiUiim promissorum servavi sti ; imo la regola dei dottrinali adagiabile agli promissum quo tua me umbra in esempi precedenti, bisogna che, come somno visitatura erat. Tom. III. 25 194 D E R I T I S t:hm 'Vn mntì'ì 6 ']inz' yhìi naSto né? -|"ip nynì^ npì 'J^j^^n N'nSx nN*finSN* i^tS' dn 8 Vn iin-u; dx rhS Qx g Tiiì 1J0 'n» pic'jQ ♦inSx 7;;j nSiS") nS io VERBUM VERBO. Etnunc testarisme injustam esse(non debitaameposcere) Quando effLagito a te mei iuinn . Num pidas rainiiin myrohalani compiacere mihi Clan iam viderhn slaù/ram tuani ? Num seducet pomum oculos meos Cum intuilus fuerim genas tuas ? Num existlmas myvLum lanuginis tuae odore perfu&avi arcere a te rosam tuam ? Neguaquam.Ergo per ìllum iure quiposuitamorem in me. domine mi , ita ut evaserini tui servusl. . . O cor amici , cuius delicaluU sunt lumhi , Super me cjuam durum tu es )). (*) Il nome botanico del Mirobalano è to. Nel medio evo si coutavano cin- hyperanthero nioringa. Cresce prin- que specie di mirobalaui , giusta il cipalmente ia Arabia : è raro ia Egit- distico : M E T B. I A R A n r. igr G Vascial adatta || annV taìlmon Icnnma'' talabto |1 ili' kasciahdah 7 alalunno gaz [] na-lhcCnl (*) 6/^'- òtó/2i' ìiaqad 11 ìCjanlo qaddah 8 a/?i jaclidaò-l [J ioffiClio-lhcC- hatiji vaqad (] scià' hdatto chaddah 9 a/7i cìdlla às [] idarìkà -l Ttianscìu'fa jachmi [J jiiinìca vardaTs 10 /a' va-iladcL [] giaùla-lhavcC niavlcii JiatW \\ zirlo ùhdak 1 1 yrt' cjalba Jiiiii 1| /« zzo/ mocVti folio cdaj/ia' [] //za' asciaddak VERSIONE METRICA, Ed or d' ingiusta tu mi accagioni S' altri tuoi doni chieggo in mercè ! Lo svelto e snello mirobalano Fia per me bello pensando a te ? Alla tua guancia pi-egio sovrano La melarancia ceder non de'? A quella morbida guancia amorosa Cui mezz' ascosa A'el crocco fc' ? Ah no ! ... lo giuro a chi , mio bene , Care catene mi strinse al piò. , , La guancia è morbida del signor mio , Ma il core, oh Dio, duro è per me. Mynbolanorumspt'ciessuntquinque honorum, V. Sprcngol. Jlistoria rei herharitie , Cilnn.it, chsbulus,bclUricu.',emblicas,iiidu3. toni. 1. rag. 2G1, et scg. igS D E R I T I S ARUZA E ZARBA NUDE (l4g). mn >Vy hì^ nni NmDj Spnx mjVx 2 Interpetraaione del Iones. Non , non , ce n'esi pas une créature humaine , celle qui est venu vers mai avec une circospection timide : Le sommeil pesait sur ses paupiers , et V effroi s'était em- paré de son coeur ; eie. (149) Olire alla zarba nz;7ato e alla anche la zarba dailata e la qaiata ; zarba nuda , i maestri aiabi danno delie quali (juesti esempi si produ- alla forma giazata del carme perfetto cono : CARBA DAJV^TA. EAUBA QAtATA. noKpn py mj nKouSs «noi nn ntxì UETKI ARABI. 197 1 ma ansa IcC ansà-llati' (i5o) giaat ilajja àia' hadar a annavmo alligala glàfnahci va-lqalho ta'ra hiliì- ddaàr VERSIONE BtETRICA» Non una donna , un angelo Pareanii in quella scorgere Che aniorosetta e timida Veniami aita a porgere. . . . (i5o) I nostri ducentisti avrebber detto , angelica figura morganata ; e "Virgilio . . . hauù Ubi vultus morlalij' • . o dea certe. Ho tratto questi versi dalla tradu- zione ù-ancese delle Memorie della Società (li Calcutta, ed appartengo- no a Mir Mohamcd Iluiin clie li scrisse prima del tuo viaggio ad Haìderabad con Riccardo Johnson, scudiere. Cor- rono esaltissimainenle per dimetri iam- òici acatalélti ; 0 se non sempre con queir incontro di lettere tenui che li riducano a meri settenari sdruccioli della nosira poesia sillabica ( V. la pag. l58 e la nota 122. ) , sempre però con tal giacitura di accenli che mostra- no r itigcntilimcnlo dell'autore nelle sue strette relazioni coi culli europei. IgS DEKITIS APPENDICE AI CIRCOLI PRIMO E SECONDO. Corsi questi due primi circoli, possiam dire di aver già chiari tulli gli elementi che compongono il mecca- nismo dell'araba versificazione; e nei tre che succedono altro non rimane che andarne notando lievissime mor dificazioni ; le quali , yai'ielà piuttosto ne costituiscano che differenze. Dalle due forme più semplici di un ritmico movi-^ jnento abbiam veduto sorgere quasi da per sé le prime norme dell'araba versillcazione (i5i); e per acquistar nette le idee di ciò che produce V allungarsi, il distene dersi , lo spandersi de' carmi del primo circolo , ne abbiam dovuto riconoscere altre forme che dir potrem- mo altresì elementari , di quei due ritmici movimenti alla legge adagiate. La corda grave poi , caratteristica del secondo circolo, un altro ipermetrismo ci ha of- ferto, ma di genere ben differente. I carmi del primo circolo han determinate , invariabili le loro eccedenze da quei primitivi ritmici periodetti ; quelli del secon- do appaiono a pieno arbitrio del poeta : ed arbitrio non limitato alle sole regole dottrinali di contrarre V anapesto nello spondeo, nel ianibo, ne] coreo ed an- che nel pirric/do , giusta le regole dottrinali degli ara- bi maestri (iBa); ma di cangiarlo altresi nel dattilo, nel eretico nelF amfibraco (i55) , e di permutarne la (i5i) V. le pag. 119 e 120. (i53) Pag. 180. (iSa) V. la nota iSy. METRIARABI. I99 sede (164), del che quelle dottrinali regole non fan pa- rola (i55). E gli uni e gli altri versi abbiam veduto in due porzioni disuguali costantemente ripartili. Ora, il raffronto di queste diverse parli sommini- strar ci dee le nozioni per le undici altre spezie di me- tri che ci rimangono ad esame ; ma riguardo all' iper- metrismo del secondo circolo non sarà inopportuno in- stiluir dajiprima qualche confronto. Avveri! assai bene 1' Alighieri che i linguaggi uma- ni sono assai volubili e vaganti finché non sorga una grama tica (i56). Il che moltoppiù vuol dirsi della fab- (i54) Pag. 178. zer , Itcyne , ce. ec. Warburthon , (x55) Della permutazione di tal ec. ec. ec. L' Alighieri intendeva del piedi parlano ad esuberanza tutti i parlare in diversi tempi e luoghi ; il metrici. V. Vittorino , lib. H. de dact. che non imporla riprodurre gli stessi metr. suoni , ma tali che a quel sistema (i56) >i li sermone nella stessa gente convenuto di segni visivi sieno age- )> successivamente col tempo si varia, volmente ril'ciibili. E il maraviglioso n ne può per alcun modo fermarsi... dell' arte grainatica , della reciproca )> Quindi si mossero gì' inventori del- comunicazione delle idee per segni )> 1' arte graraatica , la quale grama- visivi , non è già che il cinese e il » tica non è altro che una inallera- giapponese, a cagion d' esempio, s' in- » bile conformità di parlare in diversi tendano scrivendo e non già parlando; « tempi e luoghi ». De vtllg.- et. E ma che in ciò che dipende da foni- riguardo al volubile fonismo de' lin- smo mero, giungano a darsi rauliic ri- guaggi ridotto a gramatica ( a un si- pruove di perfezione nello scrivere stema convenuto di segni alfabelici ), popoli che di quel scrissero discordan io non so se v' abbia idea più preci- poi stranamente nella profl'crcnza. Aoi sa nelle laboriose lucubrazioni di Con- italiani troviamo squisitissimi i versi dillac , De Brosses , Court de Gebe- del Polìgnac , del Hapin : e i Fran- lin, Ttacy , ce, WiuckelmuuD ; Sul- cesi fanno altrettanto per quelli del JSOO DE R I T I S brica de' versi , finché non sorga una poetica. Ed una poetica non può dir che s' abbia un tal popolo clic nelle condizioni tuttavia si rimanga , non di simmetriche , rna d' identiche combinazioni. La storia prammatica di tutte le genti ci oflFre co^ stantemente questa progressione in fatto di poesia : 1° canti religiosi e popolari, con uniformità di canti- lene : 2." poemi narrativi , con modolazioni di più lar- go andamento: 3,° poemi rappresentativi, con tutta l'am- piezza delle variazioni metriche (iBy). Di questi ultimi non è da far parola ragionandosi di poetica araba. Limi- tiamoci perciò alle variazioni dell' andamento ritmico quando dalla lirica propriamente detta al poema narra^ tivo si fa passaggio (i58), Sannazzaro , del Vida. Eppure se noi sulla musica degli Arabi. Le moalla- declamiarao ai Francesi o essi a noi ya' non sarebbero state intonate se non declamano qualche brano dell' Enei- con urli ; un principio di canto non de , tipo del verseggiare di Polignac, si sarebbe introdotto se non alla corte di Rapin , del Sannazzaro e del Vi- de' calili di Bagdad Sono esa- da , o non e' intendiamo affatto , o gerazioni. ci diam la berta a vicenda. Gli autori de' versi dorati erano gli Tanto è lontano dal vero che la Orfei dell' Arabia , appunto perchè gramatica ci conservi le voci , come agli urli avean saputo sostituire le da Quintiliano in qua ci si va ripe- cantilene. Ma per altri riguardi , e che tendo ! Hic enim usus est Utle.rariini son mai quegli urli ne' selvaggi ? - li ut custodiant voces , et leliit clepo- grido di guerra che alza un indigeno situm. reddant legentibus. Inst. orat. all' apparire di uno straniero , e grido 1, I , e. 4. tanto pili feroce per quanto piii dallo (167) V. la nota 49. straniero soffri violenze -Ria fatevi alla (i58) V'ha un articolo assai frivolo capanna di quel selvaggio, assistete nel VI voi. delle Miniere d'Oriente alle sue feste di famiglia 0 religiose; M E T R I A R A B r. 201 TI ritmo eroico clic dall' efiinnio arvale dedureinnio, corre ne' poemi attribuiti ad Omero con tal varietà e disinvoltura che iurcbbc sorpresa di essersi quasi in lui esaurita negli ellenici l'arte del dir poetico, se oggimai non fosse ridotto a storica evidenza comprendere que' poemi 1' opera di molte età e di moltissimi riducimenti sino all' ultima edizion celeberrima della cassetta. Pure conservasi assai manifesto in que' canti l' impi'onta della gramatica greca tuttavia fluttuante (lag) : e lo stesso abbiam veduto nelle prime arabe rapsodie. Possiam dire altrettanto degli antichi poemi del Lazio. Quali esser doveano quelli anteriori al vecchio ascolterete quegli urli attenuati , se non a quel cantar die nell'animati scende , a certo non so che , di biz- larro forse e di strano , ma non mai d' irregolare adatto e disarmonico. Vero è che Ja musica dottrinale araba è di persiana o greco-latina prov- venienza ; e di falli , odi Persia o da noi le parole dottrinali della mu- sica appo gli Arabi veggonsi, senza i coDSueii ctiiuologìci contorcimenli, de- rivate. IMa supporre una nazione senza musica non parmi minore assurdo che il supporta senza la leggo metrica nel- le pulsazioni delle arterie. E le moallaqa' , intonale al certo prima che gli Arabi si conoscessero in persiane o siriache dottrine , dimo- ilrjno un antico lipo di cantOj di gran Tom. III. lunga alle persiane , alle sire e alle nostre melodiche leggi precedente. Quando gli Ebrei traversavano il deserto , dal quale oltre spingendosi occupavano una terra di predilezio- ne , al suono delle trombe e non con gli urli diroccavano i nemici baluardi. (iSg) Questi fatti or si veggono con somma diligenza esaminati e condotti all'ultima evidenza oltrcmonti ed ol- tremare per opera dei Wolf , Ringhi, MùUcr, Ileyne , B. Constant , ec. ec. V. un articolo del primo di questi autori , col titolo : p^ico ed Omero , nel Museo di ^archeologia di Berli- no , 1807. - Vico precedeva di un se- colo la sua età, e di questo soltanto comincia ad esser contemporaneo. 26 202 D E R I T I S Ennio, che rozzi ed inculti ei denomina (160), se i frammenti che di lui ci rimangono tanto ibridi appaiono e disadorni ? Il fenomeno medesimo si riproduce nel mezzogiorno di Europa all' apparire delle volgari loquele. Il tempo copri di sue tenebre i trenta (161) o più che in Grecia preludiavano per dir cosi in que' canti che poi si dis- sero omerici, Facciam tesoro degli ardimenti di chi Ta- cca studio di emular que' vecchi modi coli' accento de' nostri popolari idiomi. Ecco i tentativi del verso eroico nella penisola ibera : De los siis ojos tan fuertemente llorando (*) Tornaba la cabeza e estabalos calando : Vio puertas abiertas , e uzos sin canados , Alcandaras vacias , sin pielles e sin mantos , Sin falcones e sin adtores mudatos. Sospirò mio Cid ^ ca mucho avie grandes cuidados. Fabio mio Cid , ben e tan mesurado : Grado a ti , senor padre , que estas en alto : Esto me han buelto mios enemigos malos . . . A mio Cid don Rodrigo grani cocinal adobaban (**). El conde don Remont non gelo presia nada. Aduceanle los comeres , delante gelos paraban : (160) Versiba' quos clim Fauni vatesque (l6l) V. Fabric. Bibt. Grate. canebant (*^ Principio del poema. Cum ntque musarum scopulos quisquam (**) Verso 1025. superaTatf Nec dicti studìoius erat. METRI AIIABI. 200 Et non quicre corner , a todos los sozanabn. Non coinhré un bocudo por quanto ha en teda Espana : Antes perdere el cuerpo e dexaré el alma , Pues que tales malcalzados me venderò en batalla. Mio Cid Ruy Dlas udrides lo que dixo. Comed , conde , d' este pan, e bebed d' este vino: Si lo que dico jicieredes , saldredes de cativo ; Si non, en todos vuestros dias non veredes christianismo . . . Giudicar non dobbiamo degli Spagnuoli , noi Na~ politani specialmente, dalla infelice vicenda che speri- mentammo ridotti a provincia vettigale di una lontana monarchia. Ma della energica vigoria di quella nazione eminentemente eroica è stata tutta quanta l'Europa, e ab antico e modernamente e sempre, ammiratrice. Non farà dunque maraviglia se tanl' oltre si spingano nel gran- dioso sino a trapassarne non di rado i confini. Ma per quel che riguarda il nostro obbiitto, non si ravvisa in questi versi la generosa emulazione di gareggiarne' modi eroici co' grandi nostri esemplari? E se 1' antico esa- metro riviver dovea in Europa , nella penisola ibera dovea rivivere (162). (1G2) 11 Poema del Cid non è , il crede composto verso la meti del come dicesi dal Sismondi , la piii an- secolo VII , circa 5o anni dopo la tica composizidiie poclica in liigiia nmrtc del Cid. 1 romanzi poi , de' castigliana ( v. la nota 5() ). E però quali abbiara dato un saggio alla nota di epoca ben rem .la , e nun v'ha 144, si reputano posteriori di un seco- motivo d' invalidare 1' opinione di lo. - Non ci arrc:it(remo ad esaminar don Tommaso jViilonio.Santhez il qua- l'opinione di chi avanzò che tanto il le ne procurò l'edizione nel 1779 e poema che 1 romanzi del Cid proven- 204 D K n I T I s Eccone altro tentativo dell' Italia transappennina : In a quel tempo fu Abram , laron piacente a Dio (l65) E generò un patriarca donde for li judio : Nabla gente foro aquilli en la temore de Dio. . . gano da una cronaca scritla da due Essendo volubilissima 1' ortografia paggi di lui, tuttavia musulmani. Lo delle prime scritture ne' volgari idiomi, stesso signor Sismondi videsi nel do- e dirigendoci noi drittamente agl'ila- vere di far testimonio che /anlo il liani , nel pensiere di far loro cono- poema che i romanzi per nulla odo- scere il vario ritmico andamento de' rano di arabismo , se ne togli il no- nostri antichi e non il loro modo di me dell'eroe. Litterat. du midi de esprimere coli' alfabeto \Mmo sillaba ■ /'.ffiir.lom.T.- INIaè da notarsi che oltre zìoni che i latini o non ebber giam- al poema del Cid non par che v'abbia , mai o delle quali fu tale coli' andar altro esempio di versi dettali nella del tempo 1' ingentilimento che colla penisola ibera ad imitazione degli esa- pronunzia tradizionale scolastica si "'«"tri. trovano affatto in disaccordo ; non (i63) Principio di un poema l)ibli- vuol riputarsi strano se la vecchia co scoperto ne' primi anni di questo nostra ortografia traduciamo nella rao- secolo in Ginevra col titolo di Nabla dcrna. Disse giii Quintiliano , a pro- //e/fo'j , il quale si fa risalire intorno posilo dell' antica scrittura delle pa- al mille. Sarebbe il piìi antico monu- role latine , che forse in que' remoti mento in lingua romana volgare. Ma tempi si scrivea come si parlava: Foi- non è da attribuirsi, come tutti pen- tasse enim sicut scriòebant, etiam ila sano e come dall'ortografia della sua loqitebantur. Inst. or. l. i , e. ^. Jì. i trascrizione potrebbe dedursi, alla lin- moderni filologi han voluto ripetere gua d' oc. Oltre che tutte le parole altrettanto a proposito della varia sono italianissime piìi che la colonna ortografia de' nostri che il popolar lin- di Duilio non è latina ; il dettatore di guaggio cominciarono a produrre in questi versi tronca ogni dubbio quando iscritto: ma con piìi franchezza di i»i J^po. loro verso alessandrino. Àbbiam ve- Ma seguenze di tal fatta sono nelle Juto alla nota 85 che la moderna Gre- condizioni ^irirailive di tutte le popo- cia compone ora il suo verso eroico lari cantilene. Anche Giulio d" Alca- di due settenari. Ma abbiamo in Mau- mo intonava versi di tal fatta nel ro Vittorino che a un tal Boisco Ci- celebre amcbco colla su^ donna: ziccno scn di'ggia la prima invenzione. Fresca rosa aul,:niissiina ch'appari in tir Admonemur , dice questo gramaliro, la stale, ec. qiiod apuri Craecos cclebraliir , non Se non che, già ne variava 1' anda- praetermitiere , Boiscuin C/ziceniim mento col triplicarli e conchiadcre supergressum hexametri vcrium ex- poi le strofe con due endecasillabi. 2o6 DE R I T I S ina di tutte le civili transazioni : lingua propagata col cristianesimo anche al di là di que' limiti che arrestato aveano il volo alle aquile romane. In questo e non già nel volgar latino i nostri carmi eroici si dettavano (i65). Pure di tentativi per innalzare il volgar nostro alla ma- gniloquenza degli antichi esametri esempi non mancano ben due secoli prima del Tolommei. Abbiamo nella nostra città un monumento del quale diamo il disegno alla Tav. III. , monumento bea pre- zioso per la storia prammatica della nostra versifica- zione , e per quella delle nostre industrie ortografiche ond' esprimere coli' alfabeto latino quelle tali sillabe appunto che delle varie lingue romane costituiscono le più spiccanti differenze. Le iscrizioni si leggono come segue , tradotte nella moderna ortografia onde renderne men disagevole il fonismo , obbietto esclusivo delle no- stre attuali ricerche (166). (i65) É noto che il Petrarca spe- rava di acquistar fama col poema del- l'j4frìca, e che ascoltava con disdegno le lodi che pe' suoi sospiri a Laura gli si profondevano. V. le sue lettere , specialmente, senili, 1. xiii , ep. io; famil. 1. vili , ep. 3. Ma è da notarsi che lo stesso Alighieri il quale con tanto vantaggio della poesia italiana rinun- ziò di scrivere in esametri latini il suo viaggio pei tre regni , si esprimesse nella Vi'a nuova in questa sentenza : •n E il primo che cominciò a dire co- » me poeta volgare , si mosse per ciò )) che volle fare intendere le sue pa- )) relè a donna. E questo è contro a » coloro che rimano sopra altra ma- )) teria che amorosa : con ciò sia cosa )> che cotal modo di parlare fosse da )) principio trovato per amore. » E perciò riputava il suo maggior poema non altro che una commeuia. (i66) Nel ridurre ad ortografia mo- derna le parole di questa lapida, altro scopo aver non dovevamo fuor che quello di renderne piìi agevole la le- METRI ARABI. 207 Neir ara della morte su cui versa il mercadante il suo sacco di monete (*) : Eo so la mòrte che cacciò sòpera vói jcnté mondana: La malata la sàuà dT e nòtte là pércàcciò. Nò fiigta néssiino fné tana pé scampare dà lo mio làccio : Che tutto lo mondo abràcciò e tiitta la gente ùmànà. Perchè nessuno se conforta, ma prènda spaventò. Che ho per comandamento de préudèi'e a chi viene la sòrte. Sta ve càstlgamentò questa fTgù,ra de mòrte, E pcnsàvté dà fòrte in via de salvaménto. Né' cartocci cK esprimono il dialogo tra il mercadante e la morte : Tutto ti voglio dare sé mi làsci scampare. Sé tii me polisse darò quanto si puòte àdeinandàré , Non tr scamperà la mòrte se ti viene là sòrte. zione, non già di travisarne gli ar- re , caccio , faccio , ec. : quantunque raismi e le inflessioni di dialetto. E nel marmo leggasi tuta, tuctij scan- perciò: pare, c/iacio , JacziOj ec. 1. Scriviamo tulio j tulli, scampa- Tulo e scaiipare provengono indu- (*) La descrizione del monumento e in fine, nella Spiegazione delle tavole. 2o8 DE R I T I S Questi versi sono anapestici e non dattilici, come bitatamenle dal poco spazio de' canoe- E non dobbiamo dimenticarci del ca- ci : e poi tucto, iucla , tucli , dall'a- psare. di Accio e di Plauto, nalogia della riduzione del latino CT Un' altra oscillazione di scrittura in TX; riduzione della quale appare abbiamo nella parola gente , intera l'amico uso in aiit/iore fin da' tempi nell'ottavo emistichio, attenuata iny'e/z- remotissimi. Pure nel quarto emisti- /e nel secondo. Ma 1' attenuazione de' chio abbiamo >rote in vece di nocte. nomi ne' vocativi è costanlissima nel E lo stesso è da dire di faczio , dialetto napoletano non solo, ma in laczio, abraczio, che da noi si scrive tutti i linguaggi; quantunque T orlo- faccio , laccio e abbraccio. IVIa è da grafia non sempre l'esprima, notarsi che non sono infrequenti in Finalmente volio per -uo^/^'o, e lasi Italia le profferenze di queste voci as- per lasci , van considerali come ri- sai prossimamente ay?;z-o, /;;Z3o, «i- pieghi anch'essi per esprimere arli- hrazzo , particolarmente ne' dialetti colazioni che i latini non ebbero. Ma di maremna , come il veneziano, pi- è da notare che il lasci de' napoleta- «ano , ec. E nel napoletano, oltre che ni ha qualche cosa di mezzano tra il laccio co'suoi derivati non altrimenti lassi e il laxi. 11 che ci conduce al- ai pronunzia che lazzo , è vezzo spe- 1' antica etimologia della parola, cialmenle donnesco attenuare l' arti- Delle permutazioni delle I in E colazione ce sino alla a lieve : vez- sarebbe inutil cosa l'intrattenersi; zo che il Uoccaccio conservò nelle 2. Non v'ha del dialetto napoletano ballate del suo decamerone, e che giù- altro che sia più prossimo all'idioma stiiica il bisticcio di Ausonio : primitivo degl'italici. I nostri eruditi liatasALo,producta soLo,j)atria edita cAELO; si sono affaccendati di andarne accat- come avverti il nostro Vico. landò derivazioni dal greco. Ma di E perciò le rime dilaccio e abbrac- antico greco non v'ha nella città no- cio non sarebbero precisamente iden- stra se non qualche rotto marmo so- tiche ma soltanto analoghe a quelle pravanzato alle devastazioni di Be- di caccio e /^e/x-accjo , e quindi espres- lisario. Il nostro popolar linguaggio è se con diversa ortografia. Oltre che campano , o se si vuole osco ; e se nel nostro dialetto dicesi cacciare non v' ha qualche parola di greco , è di cacciare. Percaccio è parola non an- greco bizantino , o di quel tale greco Cora registrata, ed esprime qualche che si confonde col pclasgit;. E la cosa pili di persequor 'rrapaxoXm^S'M . dimostrazione ne è lìmpidissima al L'antico francese area il poiircha^ser. .sol riflettere che non solo nell'agro METRI AKABI. 20f) quelli (IcJ poema del Cid ; ma la catalessi , come ab- nolano e cumano che cessarono di prescindendo da questa e questo che buon ora a non più essere occupati pronunzia sempre per chcsta e c/iesto, da' greci; ma dal cerchio degli appcn- analogamente forse alle antiche prof- nini sino al mare tutta quella esten- ferenze quando i gramatici dispula- sione di territorio, che! greci al certo vano sul valore della QV che avreb- non conobbero, parla lo stesso dialetto, ber voluta espressa "per la semplice Ed anche più in là: testimonio la vita K. Ma quel che ripugna affatto al- di Cola di Jlienzo. l'indole del nostro dialetto è quell'eo Quindi nella nostra lapida vene , in vece di io , per la qual voce i foro , potè , polisse , fugia , aveno , nostri popolani non solo han ribrezzo , pensavie , in analogia più prossima ma orrore.V. Galiani^f/e/ c/i'a/e/Zo n«/?. colle inQessioni verbali de'Iatini,Quin- Forlunatamentc però abbiam polla sor- di scamparà senza l'attenuazione del- te d' incontrarti con mio, pronunzia l' a in e. E (luindì miaidoj mundana, forse antichissima quanto la gente ita- agusto. lica. E si rifletta , per conchiudere , 3. Modi singolari abbiamo nelle quanta iattura di olio e di opera si preposizioni sopera e ine. Il che vuol faccia da que' curiosi che sempre d' ol- riferirsi all' indole speciale del dia- tremouti e d' oltremare trar ci vor- Ictto nostro di non terminare , non rcbbero gì' insegnatori della favella; solo veruna parola, ma nessuna sii- » La voce mio, dice il eh. Perticai! ^ laha per consonante. Quindi no le n anco le femminette sanno che scen- scamparà , no fugia , invece di non » de dal latino 7?ieus. Ma il modo di ti scamperà, «o« fugga. U che ci con- » questa permutazione né le femminette duce alle ultime osservazioni su la » sanno, né i gramatici l'hanno detto, parte fonica delle parole espresse in » Non di meno se si leggerà ne' versi questo monumento e su la sua orto- » della conlessa di Dia - fo »2/e; plauso a queVamiai, siniat, e altri lelt. t. 11 , pag. 40. ed. di Parma. 212 D E R I T I S venire vicendevolmente ad adagiarsi, sarebbe stato bene indicarne alcuna. Probabilissimo mi sembra che canti ed istrumeuti musici alla moresca non sien mancati d' introdursi tra noi ; ma que' canti e quegl' istrumenti sempre sono stati dai nostri rammentati come strepito piuttosto che musica : Trombe , trombette , naccbere , bussonl , Cembali , staffe , cennamelle in tresca , Corni , tanibur , cornamuse , sveglioni , E molti altri strumenti alla moresca (170). E s' ebbcr giammai imitazioni, nel più basso fondaccio del popolo se 1' ebbero (171). Per lo contrario: della imi- (170) Morganle j XVI, 26. hanno tulli i volghi di torcere le pa- (jyi) La (jual condizione con mol- iole forcsliere ad un tema nolo ), ta proprietà venne ospiessa dal Redi; quando , dico , confondeva co' frago- Turha villana intanto rosi ,talabalacchi ( il nostro iricca- Applauda al nostro cauto , vallacco ) , E dal poggio vicino accordi e suoni Lo calascione rre de li strumienfe ; Talabalacchi , tamburacci e corni , quel suo Bacco non mostravasi molto E cornamuse e pifferi e sveglioni ; esperto nella storia musicale. I Greci E tra cento calascioni elegantemente ci descrissero 1' origine Cento rozze foroselle egizia della pcsXu; ridotta da Mercu- Strimpellando il dubbaddà rio a calascione , ed anche della tra- Cantino e ballino il bombaliabà. sformazione della loro itra apol/i- Se non che quando ei confondeva il nea , la quale ben potè divenir xi- calascione { eh' ei chiama co'ffsc/o«(? , !>apa (chitarra) quando per dono di avvertendo però che il popolo fioren- Mercurio venne manubriata ; ma fra lino il dice ^««ascwne aspirando for- tulli greci monumenti perchè non temente la prima lettera e scambian- v' ha esempio di un Apollo o di un do la L in N per quel pendio che sonatore qualunque colla vera teitu- METRIARABI. 210 tazione degli arabi per le arti civili che già fiorenti rinvennero ne' luoghi di loro dominazione la sola pro- 3ine j colla vera cetera? La figura- havc posseJed for many agcs after zione del calascione e della chitarra Uiis column (la guglia spezzata) was è ne' monumenti egizi, ed evidente- erected. - Burney , uò.siipr., voi. I, incute nella Guglia spezzala di Cam- p. ig6. pò niarzio in Roma. Appena di un Ma la poca erudizione del Bacco ìiiito con manico assai corto troviamo del Redi e un nulla a fronte della 1' ellìgie in un sarcofago romano ( V. inconcepibile nullità erudita di un en- Boissard, tom. I, p. 145 ; ed. Grut. p. ciclopedista. L' autore dell' articolo 81C) \ Ed islrumenli di tal (atta sono ^raba musica wcW Enciclopedia me- gentili non già strepitosi suumcnti. E /Of/rc«, nel passare a rassegna gì' istru- riguardo ai vantaggi del calascione menti musicali arabi, e parlando del su la lira apollinea, ascoltisi un dot- ft^^ {'^l"./r)> cioè del nostro cembalo tissimo nell'arie musicale. » Tliis in- ovvero sia tamburello, ci dà la pe- strument ( il calascione ) seems lo me- regrina notizia che » les Arabes , qui rit a particular deseription bere not n en soni les inventeur , ont pu le only fVoni its great antiquity, but from » communiquer aux Espagnols , et its forni : for by Laving been lumi- » ceux-ci aux Basques. h Certo. E il slied vvitli a neck , Irongli il had bui cembalo non solo , ma tutti gli stru- two strings , it was capable of re- menti clamorosi delle pompe baccbi- ducing from them a great number of clie sono d' araba invenzione , come notes; for instance of illese tvvo strings il dimostra tutta l' anticbilà figurata, vere luncd fourllis to cadi ollier , Come d' arabo trovato è il liuto , per- tliey would furnisli tlial series of cbè dice qucll' enciclopedista » voici founds ivliicli the aucient callcd a » sa. genealogie , selon Ics elymolo- licplachord, consisling of two conjonct » gisles. Les arabes prononceut avcc tetracbords , as B , e , d , e ; E , » leur aceent elaud. Les espagnols f , g > a ; and if the strings of ibis u retrancbant la premiere lettre , ont instrumcnt , like tliose on llie cala- n pronoocé laoud. Les ilaliens 1' ont sciane, wcrc luncd filìhs, ih ey would ji adouci , sclon le genie de leur lan- produce an octavc , or two disjunct a gue , et ils ont dit liout o\i Hutto, tetracbords ; an advantage wich none » e nous ( francais ) 1' avons recu of Uic Grecian iustruments scem to » d' cux cq pronoucant lut/i. » Ceno. 214 DE B. I T I S babilità degli avvenimenti render ci potrebbe persuasi, quando anche V araba biblioteca, or non più arcana, Eiioncamenle i greci dissero oXiewtoj dagli Arabi si apprese l'arte della na- quella barchetta the tuttavia in ila- vigazione , non comunicarono ad essi, lia dicesi liu/o ma da essi riceveano il modo di pro- E brlgautin , carovcUe e marrani , nunziare quel the i greci addimauda- Liuti , saettie, gonde spalmate vano a\nvrov , uzzo. Ed in fatti il ( 31org. XIKyiJ ; Uulo è detto dagli Arabi T^. E gli erroneamente si è dato il nome di arabi portarono in cielo il liuto che questa barchetta all' istrumento mu- poi divenne lira (V. Scalig. «>z .3/a- sicale per la sua forma; ed arabo e nilium , p. 424 j ed. 1600). E grati non romano è il sarcofago sopraccen- a tanta erudizione aggiugneremo qui uato. Che anzi i nostri e tutta la co- un grazioso distico in cui 1' "^y tro- sliera d' AnialQ, ove indubitatatnenle vasi in "i»y ingentilito ; NnSoJN T^i*Sx3 X\'y^X^ rilXJl ^'^ ^adatm mesakat bì-'lu'dì anmalnha' oSnn^ DTI^È^ TJi? DfljSx mXJ3 faku'dati-lnafso anda-'Ihassi iochtalaso Q^V n3 ^n iJO NHXJJ yODXs] njj gànnatfaasmaaghìna'ha^manhihizamamon Q-)5 T\2 Tl^N ID nJDnX SnPI fafia'l ahsanti man azha' bìhi charaso TtHierae-virginis prehendunt citharam digiti- Con tanta leggiadria di questa giovane extremietpropeestanimacumpuhateam, Sul liuto le dita saltarellano, ut ahripiaiur. Cantai et auditu-donat cantas eius eum apud Che dan piacerea quei che non ascoltano quem est surditas ; et exclamatj optime ! is cpud quem est cc^Mvtu.. E fan dir bravo a quei che non FaTellano* Notte 331. HuMB. XII. Non abbandoniamo però il ditiram- Or questo bombababà è un prettissi- bo del Redi senza qualche comento mo arabo V'J"in ( tergi ) di che fu a vantaggio dell' arabismo. inventore Moìn-eddin Tantarani. E Nella nota alla parola bo?nbaba- chi ne dubitasse ascolti questi versi là è detto : 11 11 Bombababà è una che prendiamo dalla Chreatomathie canzone solita in Firenze cantarsi dalla del Sacy XV ( p. 264 ) : turba de'bevitori plebei , e comincia: Con questo calicione <7S3 Ss^SsO nS^Sa Ip Sx^Sn 'S5 X' Si carca la balestra , VnI SsiSiSk 'S Vp;»'?»! 'JnSINT 'IiSnO Chi ha '1 bicchiere in mano Al suo compagno il presta, la chalijja-'lba'li qad balbalta bi-'lbaUba'li E mentre eh' ei berà bannava zalzaltani fa~'ldqloJi-'lzalza'ltza'U Kui diremo bombababà. » V. Carme congiukto. METRI ARABI. 2l5 non avesse ciò spinto a storica evidenza. Or si sorride air esagerazioni di chi facea grazia ai Greci di acco- starsi alcun poco alle arabe venusta (172) E, conoscen- dosi e non più immaginandosi i fatti j dell'arte metrica arabesca valutar si possono le condizioni , come della imitazione della loro dalla nostra musica par che oggi- mai promover non si possa più dubbio (lyo). (172) Coìifitenduni est Graecos , scese, heft ; ma poi impiegano ie loro eliiim in liac re , ad Arabum laiidem lettere nella progressione appunto e PROXIME ACCEDERE. Joucs , Poes. Valore della nostra scala, J, do, iil ; asial coni. p. 33, ed. Lipsiae. "| , re; |^ , mi ; '\ , fu ; ^ , so/;^, la; (173) V. la nota 258. Qualche cenno 3, si ; e per gli accordi ^^ J3 5>{, -^ mi alquanto esleso su la musica araba la; OSSi B fa si ; "Tj'J, C sol do ; abitiamo in La Borde : e il testimonio ce, precisamente secondo le regole di insiememcntc dello sforzo degli Arabi Guido. -Abbiamo tra i mss. della Rea! di ridurre in un sol sistema la dot- Biblioteca Borbonica un codice nel trina musica de' persiani e la nostra, quale il sommario si espone dell' u- Pcr darne un saggio: essi conservano mano sapere.Riguardo alla musica l'au- i nomi numerici persiani per indicare tore arabo cosi espone il suo schema: i selle \.u.om, gei , da , si , dar , peng , SCIENZA MCSICA pratica teoretica 5 = E- p'SioSx ^hv hQV^ 35 X. nuj r. y^ e: X. M- _r^ Q -K 52 -J^ % •3 irS ij- r r 1 ^ Q n Y. r JJ % z 'i5 -^ n 5C r- ^ 2 '^ ir f- -^ -fi g— X. n_ a e u X la '■^ f ^ n -iJ n 5? r I^ n il V";^ ^ •-1 'i ^ X — T" ^ T X, j> _r> X JS ■^. e; c 3 3 a. 3' 2l6 D K n I T I s Termineremo con osservare che il dottissimo Jo- nes, prescindendo^ affatto dalla ragion musicale nella esposizione die fa della fabbrica de' versi arabi , e tra- ducendo costantemente in eleganti versi latini e sol me- tricamente le arabe forinole ; di questi due primi cir- coli produr non potea nette idee, e l'innocente cagione divenne dei tanti deliramenti di coloro che a ragionar si fecero delle orientali poesie dalla sola lettura de' suoi brillanti comcntari (174)- Tra i quali non intendia- mo r Arteaga. Che anzi : se nelle felici versioni dei Jo- nes avess' egli posto pensiere , non si sarebbe fatto ad asserire (lyB) che qualunque imitazione di arabo metro (174) Uà solo esempio giustifichi questa osservazione. - 11 carme disleso ei denomina » trochaeocreticum , con- s/ans ex epitiiio et atnphimacro se- qiiente epitrito . . . in terlia et sexta sede prò epitrito amphimacrum ad- mittit , et inìerdum in sexta spon- daeum , et in tertia ac sexta anapae- StUm. NONNUNQUAM PENITUS MU- TATUR f^BRSUs , et in primo , tertio , quarto et sexto loco ionicum a ?ni- nori recipit , in secundo et quinto anapaestum. [u6. supr. p. 3i et 32 ). Cosi l'inuocentissima chahna, che non solo non altera ma rettifica, secondo noi ; il metro , verrebbe a cangiarlo : e V azfa , la Latra, ec. sarebbero in arbitrio del poeta , come indifferen- temente il dattilo 0 lo spondeo , a cagion d' esempio , ne' primi quattro piedi dell'esametro! Ma quel che dee maggiormente sor- prendere non è solo glie della distri- buzione de' versi arabi per circoli non facciasi in que' comentari verun cen- no ; ma nemmeno dell' ipermetiismo distintivo di questi due circoli: iper- metrismo, come abbiam veduto , ne- cessario nel primo, volontario o arbi- trario che voglia dirsi nel secondo. (lyS) Si è detto dall' Arteaga : » Molti spagnuoli , italiani e tedeschi » hanno riscosso degli applausi adat- » tando alle lingue volgari la versi- » cazione degli antichi , nella quale » han composto non solo piccoli poe- » mi , ma anche intere epopee , come )i fra le altre è la Messiada di Rlop- / AI ETRI ARABI. 21' sia per le lingue di Europa impossihii cosa. Ma pro- seguiamo senza più delirare ancor noi la iioslra via. 11 stoc : (love clic sarebbe afialto im- » possibile elle 1' orecchio de' mcnto- « vati popoli soffrir potesse un com- 1) ponimenlo lavorato interamente nel >i loro idioma secondo le leggi e V n- » sunza dell' arabica poesia, d [JOel/a influenza degli ^rahi , ec. p. 47. ) E questa un'esagerazione manifestissima. Ben polca Klopstock , in una nazio- ne giovane tuttavia in bella lettera- tura patria e nelle sue mille univer- sità latinizzante e grecizzante , azzar- dare una foggia di metro che non è ne Ialino nò greco né tedesco, Qual de' seguenti poeti , che aspirasse a fa- ma popolare e non accademica , segui l' esempio di Klopstock? Sydney volle temare altrettanto in Inghilterra : ma essendo quivi piii provetta nella sua età la nazional versificazione , si disse con molto spirito che il suo vcrseg- Tom. IH. giare zoppicava di mala grazia su i piedi romani : And Sydney's verse halts ili on Roman feet; eco di ciò che fra noi erasi detto alle insolenze del Tolommeì. So bene che non manchino valorosi ingegni i quali, con argomentazioni e con esempi , della possibilità di potersi imitare i modi de' greci e de' romani fecer voti e dimostrazione. Citerò fra questi ul- timi il Solari, e fra i primi il eh. Jla- renco ( Rijless. sopra la prosodia me- trica italiana di Vincenzo Mabbxco , nelle Mem. de Vacadimie des Scien- ces, Hit. ctBeaux-arts de Turili, 1811 e 1812, p. i55 ). Pure io son persuaso che, se d' imitazioni straniere la poe- tica italiana avesse bisogno , il che non credo; dalle lingue viventi e non già dalle morte dovrebbe andarle ac- cattando 2l8 DKRITIS III. CIRCOLO IL SIMILE Comprende la cantilena, la satira, il canne bre- ve ; e , come già cenuammo (176) , gli epitri nel loro isolamento. Quindi sua caratteristica è la divisione di ciascun verso in altrettanti pcriodetti simili, in altrettanti versetti slegati, lutti della stessa forma. Ed io non dubito che per tal condizione appunto il distintivo di simile a questo circolo si attribuisse (177). Nel quale i metri veramente musicali dell' araba poesia rinvenir si dovrebbero , e insiememente i più vicini alle nostre canzoni popolari. Corrono in fatti pel (17G) pag. i3i. la sii7iigUanza de' piedi , tutu ài cìn- (177) Rispettabili autori danno il que lettere anche nel circolo quinto, nome di estratto a questo terzo circo- Simiglianza più caratteristica sarch- io , e quello di simile al quarto. Ci be 1' unicità della formola similmente è piaciuto seguire il Guadagnoli, e non ne' versi di questo circolo ripetuta: ci è sembrata affatto cieca una tal ma ripetizione uguale abbiamo ancora predilezione. Il Clerico, nel deno- ne' versi de' due altri testò citati, se- minar s^V^z^7eil circolo quarto n*^*J^~)7{{ condo e quinto. nn!3nji'0V^("'^^'^""^'"^''°'''"<'''^''^'^'^''^'" La simiglìanza che pare esclusiva- to ), ne deduce il significato dalla mente appartenere ai versi di questo simiglianza de' piedi, tutti di sette circolo par che deggia ricercarsi nelle lettere. Ma piedi tulli di sette lettere parli componenti ciascun verso, come ha benanche questo circolo terzo : or ora sarem per vedere, abbiam veduto piedi tutti di sette let- Anche il Casiri atlribuisce il nome tere anche nel secondo : e vedremo di simile a questo terzo circolo. METRIARABI. 2ig movimento iainbico la cantilena e la satira ; pel tro- caico il carme breve. Ma la cantilena altro non è che il canne esuberante , non altro la satira che il carme perfetto, entrambi senza ipermetrismo ; e assai di rado , pel pendio della poesia araba al movimento bassarico , i versi si rimangono a stretta legge de' modi iambici da capo a fondo del poema. Del resto è legge dottrinale che un poema , qualunque ne sia 1' estensione , se una sola volta mostri la presenza dell'anapesto; non già alla cantilena o alla satira , ma al carme esuberante o al perfetto sia da rifex'irsi (178). (173) Vedremo questa regola appli- ordinamento alle sue regole? Tutto carsi anche al carme veloce. Ma per- giustifica quel che fin dalle prime pa- che non cslcndctla altresì a tutti gli gine enunciammo : Aversi nella poe- altri generi di versi ne' quali riduzio- tica araba un sistema di puro artifi- ri di simil natura si rinvengano? E zio, per trarre àMe mohallaqa' o^nì perchè non già dalle forme piìr som- spezie di versi , come dal senario iam- l'ilci alle pili complicate, ma da quc- bico o dattilico i nostri gramatici tutti ite a quelle piacque ad Al-Chalil dare i versi minori facean discendere. * 220 DE R I T I S CANTILENA O CARME PIGOLANTE Il nome di cantilena dato a questo genere di versi deesi al Guadaguoli (179). Non pare clie v'abbia esem- pio di essi nel periodo senario (180): nella forma gia- zata o quaternaria l' aruza è sempre sana , e le zarbe son due , sana e adfata. Lo schema n' è questo : FORMOLA. INTERA. QABZATA. KAFPATA. ADFATA. mola' hi'lon mufa' hi'Jon _ ^ „ _ _ Ma in versi isolati mi sono imbattuto, in un poema non mai il quale corresse esattissimamente per questo (179) L' adoltiamo perchè ritenuto dal Clerico e dal Casiri , comunque dal Jones gli si dia il nome di car- ine lirico. » Carmen JJn'^X) dite' il primo di questi autori , ob minuritio- neni vel reciprocalionem vocis ita di- ctum : latine c3Xiù\c\i3Ta, Lai-bare ma- drigale indigitavit Guadagnoiiusv. (180) Factor chazragiacus, dice il Guadagnoli , prò priori specie (de'ver- si del 3.° circolo) quae dicitnr j|tn'7X cantilena, affert exemphoìi; Nni ID» '0103 S'nXD ibi 1S13 ElperdeserlumDsim, seu montaoaum, tnstis duxit eos ; Ita et si mortui sunt , tamen Moyseì adsrui heros. Il verso leggesi cosi : i-abistahti-'zzi'ma ba'sa'n iadu' dohom ria' kdda'ka vaia v md' lava famu' sa' amron vado- M E T R I A R A B r. 221 metro. E lo stesso diligeutissimo Clerico par che non sia stato più felice (18]). Versi di tal fatta vogliono andar considei'ati , del paii che il canne simile e il carme evulso , come altrettanti settenax'i ipcrmctrici , i quali conscguentemente o crescono sino a divenir no- venari , come abbiam già veduto (18-2) , o prendono Meno irrcgolarmenle il Jones, par- Dei reslo lo stesso illustre serittore , landò alla sua maniera della forma nel ragionar poi di questa sesUi spt azljata del carme esuberante » non- eie di versi arabi, quantunque il pe- nuìujuam , dice, hoc camiinis gemis riodo senario par che non escluda in singulis locis , excepto ter/io et iil- ( versus sunt plurimum quaterna - timo , ubi saepius est baccldus ( do- rii ) , pure non ne dù veruna formola. vea Ahc semper), primum epitritum (181) Ei propone per esempio della admiltit, ut prima zarba il seguente verso: Amatores \ puellarum | misellos "Vììhm n!<'7ÌDx'7X3 OceUoruTTi \ nitor muUos | fefdlit, nisi hi versiculi potius ad sexlam ma soggìugne ; n Hic versus a plu- speciem pertineant. Certo : la formola rimis qui de re metrica scripserunl correrebbe pei periodo senario della hoc loco aff'eiiur , cum revera sii cantilena had/ata. Ma oltre che nes- Exuberans asbatus ex poemate Tarfae sua poema arabo si produce ad cscm- desumptus, in quo pes JìlSvjJJJJ a/i- pio, il verso eh' ei dà del persiano quoties occurrit: hoc enim, indi ciò , Hafez al carme perfetto e non all' ' «'DJ KD'SI '«iriND ip ['^Sl< "9 aaS DE R I T I s SATIRA 0 CARME TREMOLO. Il suo schema è questo : rORMOLA uios taf hi lon inos taf hrlon inostaf hi lon ì • INTERA. - - V. _ - - w - - „ CHABNAT. - - " TAIATA. - - - - - - GHABLAT. " " - " - w Dal che l'analogia vien chiarita e insiememente il vicendevole scambiarsi di questa specie di versi col car- me perfetto. La formola intera altro non è che il carme perfetto izmarato ; e la chabnata e la taiata corrispon- dono alla forma vaqzata e alla giazlata di quello. Ri- marrebbe di esclusivo alla satira la sola forma chablata. Mentre da un canto i nostri antichi gramatici dal- l'epitrito terzo le variazioni tutte del iambo derivavano, pessimo dissero quel iarabo nel quale terminassero le parole co' dipodii , come : P raesentiuni divinitas caelestium. Non mancò Al-Chalil di adottare anch' egli questo dot- trinale anatema , così leggendosi nel Qamus : TSi ìirhìi ri*7pì rt^ma y^is^rh 'od nxia no jSj;s3nDD njn iv^^a p naa hT-fpSxD nnnxSsì nxSnNì // carme tremo/o è una specie di metro la cui misura é mostafhilon sei polle MRTRI ARABI. 229 ripetuto. E vien così denominato a motivo delle brevi sue parti e delle poche lettere. E stimò Al- Chalil non essere una specie di versi , ma sibbene metà o por- zione di versi , o piuttosto una terza parte. E perciò dicesi estemporaneo ( alargiu'zato ) o eruttato ( alqa- zi'dato ). Sembra che assai leggennonte quesL' autorità del Qamus siasi voluto ribattere (188). É celebre il baccano del nostro Marini nel suo Adone : Or d' ellera s'adornino e di pampini Co' satiri le vergini più tenere , ce. (i88) Non est audicndus , dice il Ma ciò che si rende inconcepibile in CXtiìco, Kamusii aut/ior, qui Clelia- un autore di tanta eiudizione , è il litum existimare alt fJI^N non esse confondere ch'ei fa la purità del iam- speciem carminis : cuni inter quin- bo col dividere il verso in tanti di- decim carminum genera ab ipso Al- podii isolati. Ragionando della forma <:halilo ponalur , aòsque quo nume- aqlata. del carme esuberante , la qual rus ille non constai. Par che non se corresse in tutti i piedi darebbe trattisi di escludere affitlo il carme iarabici puri trimetri catalellici ( come tremolo dal numero da Al-Chalil fis- dallo schema pag. i65. ), dopo aver salo de' vari generi de' versi arabi , dato ad esempio quc' versi di Orazio; ma di togliergli la qualità di verso Trahuntque skcas machinae cannas : iatero , e considerarlo cOme una se- Nec piata canis albicant pruinis ; guenza di trisillabi sdruccioli. soggiugne: sedaraòici j-c/Riojtsssunt, £ per la stessa autorità del Qamus par che sia in difetlo la consueta "iKSp «in^pS hlXlD esattezza del dottissimo Jones quando la ^>03 NDniDi «ajXJ riduzione del carme tremolo alla for- ma nahialo-sciatrata dice di raoder- menazilon | Idartana \ kifa'ran na invenzione. Praeterea ajiud rece.n- cainnama \ rosumoha \ sothu'ron, tiores quosdam poetas versus est brc- oissimus, qui ex uno epitrito constat. V. la seguente nota {'*) 200 DE R I T I S Or io non "dubito che per la somiglianza dell' andamcn-. to prosodiaco dell' arabo arràglazo con questo bacca* no, siaglisi'dal Guadagnoli il nome di satira attribuito:, nome adottato dal Clerico e dal Casiri (189). Quel che notammo per la cantilena va qui ripe- tuto per la satira. Poemi interi che serbino costante- mente da capo a fondo il metro dottrinale non cono- sco, sia nella tripla ripartizione secondo la mente di Esempio del Guadagnoli [*) ♦nNnaNo NnanN» nì"ib'3o V E E. 13 U M VERBO. Nunquam venit nisi ajf'erat per scientiam sitani bonus nuncius noster: o dilecte, vali quid attulit nohisì JIsEMPio DEL Jones. m£3D NnDIDI N0JX3 VERBUM VERBO (**). Tentoria sedi nostrae desertum ( facta sunt ) Quasi vestigia ipsoruni lineae ( sint ). E come se fosse destino di questo genere di versi l' attribuirglisi modi non suoi, ecco altresì un distico (189) Comunemente s' interpetra primo, e perciò il verso non può ap- carme tremolo o perturbalo , traen- partencre altrimenti che al carme dosene 1' etimologia dai cammelli che esuberante. per dolore ne' piedi o nelle ginocchia (**) 11 Jones non ne dà versione. con vacillante e stanco passo prece- Pare che NJIpN*? "°" possa leggersi dono. se non leqarratiiia , un iambo ed un (*) Il dice dato dell' autor chazr.igia- anapesto - - - ^ -, itiofahilaton; il che co, p. 291. Ma J{J*^[J,'3J3 e un epillilo restituir dee anche questo verso al METRI ARABI. 201 Al-Chalil, sia, come largamente s' interpelra , nel pro- cediiuento ordinario degT iambi. Sempre in quest'ultimo caso qualche verso non manca il quale l'ipcrinetrisnio non offra del carme esuberante o ùv\ perfello. Ma v'ha dippiù: gli stessi frammenti che si producono ad esem- pio più ai versi del secondo circolo che alla satira sono da attribuirsi. ma' acjbalat : ma' atcù : biihniha' : mobùsscirna' : ia^ /labbada' : via'bihiaUC. VERSIONE METRICA. E un angelo che i soliti prenunzia Propositi di giubilo , e or gli annunzia. mana'zilon ìaqairatinoi^ qaftCron kaùinamà' j-asii'mo/ia' salu'ron VERSIONE. Qui sorgeano, in quest'eremo, le tende: Come tenui ne appaiono i vestigi ! che non altrimenti che alla forma raflata del carme perfetto giazato può appartenere (190). carme esuberante. Vero è che parlan- n pelle fJl'^X Ij'^^J melrunt Ireinii- do del carme csubcranle ci l'allega- » luìn. Oii le figure a[nì\mostnf/iiloii , va. Come però dicoa die cofresse per » mostafhi/on , mosìaf/iilon ; tram ici iambi puri? E perchè lesse /eX-arfa/j«.' n le dernicr wni/a/A/Vo/Jeslretranché , E perchè, mentre di tutti i versi a- » e les deux qui reslcnl sont changcs rabi che riporta dà una versione, di >< en mostaf/iila' tori moslaf/iilatoii. n questo poi la trascurava? Cosi l'illustre editore. V. la nota 148. (190) )> Est sur le mètrc qu'on ap- 93% » B K I T I S VERBUMVERBO. Equideni habitus cius muscus est , genaque rosa y Et dentes margaritae , et saliva vinuni , Et statura ramulus , et naies arenaceus-collis , Comaque nox , et vultus plenilunium. Notte 73, go, 277. Humb. XXX. Quel che v'ha di notabile sulla forma del canne tremolo si è che in questo ritmo appunto la musica or si compone che serve di sostegno al canto de' nostri attuali trovatoi'i ne' loro improvvisi in endecasillabi : ritmo scolpitamente identico all' acclamazione delfica e alla tripla ripetizione dell'arabo niostafhilon , ma che intanto con gran disagio e non senza molta industria è adagiabile all' andamento degli eroici poemi. 11 che ci obbliga a far qualche cenno della vera indole de' nostri versi maggiori e de' versi corti che ne derivano. Che il Castelvetro nelle giunte alle prose del Bembo , per ribattere le idee di quel porporato che tutta quanta 1' italica poesia volea tratta di Provenza y si fosse fatto a ricercare con minuta industria i vari endecasillabi latini adattabili al nostro endecasil- labo eroico , non è cosa da maravigliare ; ma dee sor- prendere che i nostri scrittori di poetica, senza andare più in là , ci vadan ripetendo la stessa nenia , nessuno METRI ARABI. «33 1 va-nnascro mislon va-'lcliaddo vardon va- Ltaghro darron va-rrVcjo chamro 2 va-lqaddo góznon va-rridfo dìzon vassciàro Wlon va-luag-ho hadro. VERSIONE METRICA. L' alito è muschio , la guancia è rosa , Son perle i denti , vin la saliva ; La vita snella , giovine oliva ; Nolte il crin follo; luna il bel volto. escluso. Se il nostro endecasillabo ha 1' accento sulla sesta , essi dicono , ecco un faleucio (191) , o un co- riambico asclcpiadeo (192): se l'ha sulla quarta, ecco uu saffico (193) , ovvero un iambico ipponazio (194). Ma 1' endecasillabo faleucio , il coriambico asclepiadeo , il saffico, r iambico ipponazio, e lutti gli altri ende- casillabi che gli antichi gramatici van classificando (196), son versi lirici, non permutabili ira loro. Sceltone uno, dee rimanersi invariato per tutto il corso della compo- sizione. La derivazione legittima del nostro verso mag- (191) Cai dono lepidum novum libellum. Che per cosa mirabile si addita. (191) Madcenas atavìs edite regibus. B sia il mondo de'buon sempre in memoria. (193) lam satis tetris nivis atque dìrae. Voi che ascoltate in rime sparse il suono. (194) Xbis libumis inter alta navium. Vinca il cor vostro in tanta sua ^iloria. Tom. III. (igS) Gli antichi gramatici stabili- vano selle specie di endecasìllabi, i^waf ex daclylici et iambici metri permi- xtione composita et copulata nascun- tur. Oltre all' ottava r/uae ex heroo tantum versa informata dignosciiur. Vittorino. Ma questi eran tutti meui lirici. V. Fa nota seguente. 3o a34 CE R I T I s giore è in quel medio tra il senario iambico e 1' eroico che dell' uno e doli' altro alterna le sembianze (196). E la sua misura non è precisamente sitlahica , nel volgare abituai significalo della parola sillaba : il che (196) Abbiain veduto che il pas- cnmiinc si è la division disuguale delle saggio dalla poesia lirica alla narra- parti , il non concludere le parole tiva vieti caratterizzato non solo da co' piedi , la cesura in somma che am- un piìx largo andamento ne' periodi , bo del pari distacca dal lirico anda- ma dal disuguale compartimento al- mento. tresi delle varie parti di un verso , Ma posta la cesura , le parli di un passaggio preceduto e forse determi- verso, sia eroico , sia iambico , non nato dal progressivo miglioramento solo in due parti disuguali si risol- della lirica nel bisogno di variare gli vono , ma dissimili. Dopo la cesura, accordi: per quella necessaria sazietà 1' andamento eroico di dattilico divie- che in noi si desta dal lungo ripetersi ne anapestico, ed una serie di trochei di una medesima per quanto si voglia abbiam dopo la cesura nell' iambico. soave cantilena la qual sulle stesse Vedemmo però che per l' cpiploce e cadenze si resti. Ridetur citharoedus la catalessi il movimento dattilico col- chorda qui semper aberrai eadem. V anapestico si confonde. Potrem dire Vedemmo dall' efimnio arvale piii che altrettanto dell' iambico e del trocaico? dall'ili ifatav derivare il tipo dell' an- Non mai. Il moto de' trochei , avendo lieo esametro eroico: ed ora da questo in ogni piede una necessaria posa, una veder dobbiamo come discendano per naturai catalessi ( v. la pag. 120 e seg. ), naturali procedimenti e l' iambo , e il forma un genere afiatlo diverso dal- vecohio numero saturnio e il nostro 1' altro. Il movimento corico è distrul- attuale endecasillabo. to appena che 1' un piede coli' altro Ma dell'analogia del senario eroico si confonda, e isolati non rimangano e del senario iambico dissero abba- almeno i dipodii. Quindi tutta 1' in- stanza gli antichi gramatici. Aggiugnc- duslria raggirar doveasi a variarne remo soltanto quel eh' ei noa dissero: l'andamento di soverchio scorrevole, scorgersi cioè nel passaggio dall' eli- di soverchio ballabile. 11 che rinve- mnio arvale al verso eroico piìi pen- nulo l'endecasillabo eroico n' emerse, denza alla gravili» , e piii proclività e il numero saturnio si trasformò nel alla scorrevolezza nel passaggio al nostro verso maggiore, verso iambico. Quel che hanno di METRI ARABI. 235 fu presentito da un nostro gramatico nelle notabili parole che qui giova trascrivere (197). » Tanti dittongi, » se r uso della lingua posti gli avesse in opera , nel )) volgar nostro si posson pronunziare, quanti de' suoni )) dello vocali fieno gli accoppiamenti , che a quaran- » tanove aggiungono, s'io non sono ingannato. . .Ma che )) vero sia ciò eh' io dico di tanto numero di ditton- )) gi , può ciascuno accertarsene per sé medesimo ne' » versi de' poeti per entro alla parola, dove vedrà, che » ad ogni suono di vocale un altro suono di altra vo- » cale si può aggiugnere , senzachè delle sillabe si venga » a crescere il novero. E abbiam detto per entro alla » parola : perciocché quelli che per dittongi tra voce )) e voce dal Trissino son proposti , dittongi , per mio )) avviso , non son da riputare , posciachè in una sil- » laba non si pronunziano , come al dittongo è richie- )) sto. Ma comporta la natura del nostro verso , quan- )) tunquc d' undici sillabe, quanto alla regola, la sua » misura sia, quasi per entro il suo corpo , il trascorso « delle vocali , in guisa che dicendo : « T^oi che ascollala in rime sparse il suono , » non solamente non si pronunzia » T'o c/i' ascollale ''a rime sparse '/ suono; )) ma non è vero che il voi in una sillaba si raccolga, » come alcuni hanno detto : ed a cui caglia di chia- » rirsene , pruovi a mandarlo fuori con ogni maggior )) lentezza in due sillabe, e, mandatolo, fermisi ezian- {\<ìn) SaVvvtKì, degli avvertimenti, ec. Voi. 1, lib. Ili, parlic. VII. * 256 DE R 1 r i s •» dio con la voce , e faccia una liniga posa , e altret- )) tanto adoperi nelT ascoltate in , e nello sparse il , )) e vedrà che non pure il suon del verso danno non )) patisce , ma ne divien migliore e più robusto e più » bello. » Al che se si aggiunga quel che di sopra notammo su la necessaria catalessi di tutte le parole che abbiano vibrata prelazione nell' ultima sillaba , massime se in consonante si termini , od alle sceve da interporsi al- tresì fra consonante e consonante in tutte le parole con' tratte (198) seguir ne dee di necessità che nell' ende- (198) V. la pag. 119- E si aggiun- ga che questi per quanto voglian con- siderarsi bievissiuii iu'ei'valli , nella squisitCMa dell'eufonia de' versi van sempre valutati. Olire a quel che ne ragiona lo stesso Salviati là dove fa diceria dello '^ntoppo delle consonanti, *i ascolli un luoJerno ideologo : )) Quando scrivo cruqtier , ci dice^ è » cosa chiara che pronuncio le-ra-ler. 1) Per poco che l'organo sia appan- )i nato, ciò rendesl manifesto; e scn- :) tesi ancora quanto 1' organo sia a- 11 gilè 11. Idéologie ec. Gramin., cìi. P'. V.à una diinostraj.ion manifesla ne abbiamo nel nostro monumento, Tav. Ili, quando vi Iroviam per intero, come notammo, sopera e ine ^ nelle quali parole le e potran sibbene ri- putarsi evanescenti , ma non iitìailo invalulabili. - Sì ascolli in line quan- to quel medesimo nostro minuzioso gramalico va specificando su 1' apo- strofo: n Questo apostrofo nelle scrit- 1) ture del miglior secolo non si ri- II trova nell'idioma nostro , ma altro )i usarono in quella vece : cioè seri-» » vevano la voce intera, e sotto alla " vocale che di cacciar via intende- n vano ( dovea dire attenuare e non cacciar via per essere conseguente a quel che avca dello su gli accoppia- Hàenti delle vocali ) , segnavano un .1 picciol punto, simile a quello che Il per chiarezza si suol por sopra l' i , Il e titolo gli si suol dire. Cosi adun- II que scritto avrebbon quel verso : FLori,fronde,erbe,omhre ,nntri,onde,aure soavi. Il Tuttavia , ne anche ciò si adope- II rava da tutti gli scrittori , ma so- METRI ARABI. sSy casillabo eroico considerar si deggia una estensione più ampia di quella che comunemente gli si assegna. Oltre ad una necessaria sillaba o quasi sillaba di aumento per la necessaria sua divisione in un quinario e settenario o viceversa , divisione che manifestamente riuviensi nell' antico esametro spondaico : Ciues romani || tunc factl sunt Campani. Olii respondit [1 rex Albai Longai. Non focae iiirpes |] non Jìiarcenles balenae j del pari che in queste sentenze della maestà tragica : Qui nil palesi sperare [] desperet nihil. Curaa leves loquuntur |] ingentes stupent. Amor timerc |{ nemineni verus potest. Pars sanitalis [J velie sanari Juil (199); se mai queste parti , non più tome ma coinme o coli dell'endecasillabo, ci faremo ad esaminare; vi scorge* )) lamentc 11 facevano alcuni de' più prima e va ristretta assai prossima- li discreti , e più nel verso che nel mente alla ì , in modo che anche » parlare sciolto, ec. Vò. suor, par- /"/-oz/r// scriviamo, ed è voce affatto di- » lìcclla XXXV. versa dall' e aperta che segue : ed oltre Ma il Salviati non conosceTa che a ciò , che il Petrarca scrisse herha in tal modo appunto dal Petrarca e non e/^rr, e clie non è provato se nel scriveasi quel verso , come appare dal buon secolo la h in quella parola fosse codice valicano : e che scritto in tal mero segno ortografico, modo cessa di essere un verso piii che ('99) ^on sembri strano se gli ul- tedosco : timi iambi qui consideriamo come Iro- Fivr' ,fron(r , eri' ,ombr' ^nntr ,ond' , aure scavi, thci o spondei. Oltre alle giudiz.iosissi- come pel sopruso del piggior secolo me riflessioni del Mingarelli che qui or si scrive e si stampa. E si noti clic adoltiam per intero { hì. ««/)r., nola63, »e ad alcuni faccia pessimo udire cap. de mctroruni pronunciatione ), l'incontro delle due e, nelle parole rammentiamoci della pronunzia per fronde erbe; e da riflettersi che la posizione di che è parola nella nota j8. 238 DE R I T I S renio, nella perfezione dell'arte, quasi indispensabili due altre suddivisioni (200) , le quali in origine davano altri aumenti di sillabe intere (201), ed ora un tale aumen- to che, se non vuol dirsi sillabico , è al certo notabi- (200) Cosi nel mellifluo Metaslasio; cordo, e come queste canzoni cantate Leon piagato | a morte tuttavia a' tempi del Boccaccio ('). Sente mancar | la vita ^ -w_«- w- ^ Guada la sua | ferita » ^"^'« ^^°J'^ '° "='' Cristiano Kè si avvilisce I ancor. ^ ^^ Che mi fuTò U iralca ? L' ennemimeri conserva 1' integrità „^-wv^._ della pentemimeri e della triemimeii " '"°„°"''_^"™^' '.'"'^' '! l"*^" ìanibica Che buone novelle vi reco. Se un core | annodi ^ ^ ^-^ ^ «w - ■^ -^ Se un' alma | accendi ' Alzatevi i panni , monna Lapa. Che non 1 pretendi ^ l^^^^ l'oUve"lla"è'r"erba. Tiranno | Amori ^„ „_v^,^__ .„ Ed ecco la pentemimeri in due 5 L' onda del mare mi fa gran male. tnemitneri risoluta. g Escici" fuóri"che sii trgli'ato La squisitezza dell' arte vuol che - -- - ^ ^ - ^ , . , . t 'Il , Come un mio sulla campagna, anche i trochei perdano il loro moto _ ^ ^ _ _ _ ^ „ uniformemente sonante, e negli otto- 7 Monna Simona narii ceni secondo quadrisillabo in ^ " " 7 , ~ " j,"^ .7 T ° ^ E non e del mese d ottobre. pentasillabo trasforma. -v^ ^ - ^ - ^ _« 8 Or che niega | i doni suoi _ ^_ w-v>--^ La stagion ] de' fiori amica 9 Cinto il crin | di bionda spica "^ -^- ^^-v^ - ^^ - ^ - ^ Volge a noi | la state il pie. ">'° ">' cumperai uno gallo dalle lire cento. 1 soli numeri 409 corrono per Colla quale industria il rapido mo- iainbi e trochei puri, vimento degl'iambi e de'trochei puri K si noti nel numero io spiccantissi- viene mirabilmente a rallentarsi. nio 1' andamento del numero saturnio (201) Come in quegli ottonari iara- quale dai vecchi graniatiti veniva de^ bici de' quali abbiarn testé fatto ri- scritto. V la nota 71. ('') La prima è nella Glorn. 4, nov. rt \ neo quando a lui toccò la volta di trìpudare tutte le altre furono intonate dal fesùro Dio- la sua canzone. jrt E'T n I A K A 15 r. 209 lissimo. E in fatti ^ se da questo verso, a cagion d'c- sempio, Italia , Italia , 0 tu cui feo la sorte venga a togliersi \\ feo , sostituendovi /e'; di pieno e sonoro diverrà un verso monco ed esangue. Che però , se ci faremo anche noi a determinare la misura del no- stro verso maggiore non già per sillabe ma per tempi come nell'apogeo del greco ingentilimento si costumò; ben vedremo che corrono aneli' essi per quelle venti- quattro emimeri e per quelle trentadue specie che i nostri gramatici nell' antico esametro e nell'antico iambo distin- guevano. Ma se non dall'antico esametro e dall'antico iara- ho ma da' nostri vecchissimi modi popolari trar vor- remo il tipo del nostro verso maggiore , ecco i nostri versi /ciHsci suU' andamento di modi anche più antichi, e che delle divinità mere italiche conservarono il nome. Assai lieve nozione ci danno i vecchi gramatici del numero saturnio, ojaunio, e tutta la loro cura par che si raggiri a farci dimostrazione che anche quel ritmico andamento provenisse di Grecia (202). Vana e teme- raria impresa sarebbe quella di volere oggi andar de- terminando quel che nell' età più prossima all' uso di que' versi formava obbietto di controversie non defini- te (2o5) j ma ne conosciam quanto basta formarcene una (202) Tebe>jztano , ViTTORmo , ec. mes/tis , et nasci a trimetro scazonle: (203) Quidam volani hunc feriri alii vero omnes duodecim pedcs ad- sexies, et recipere pedes septem: hoc jnittcrcj ncque semper eum , ut ilii est spondeum , e quibus, est Thaco- asseruiU , nasci e trimetro scazonte. J!40 DE R l T I S tal quale idea. Erano orridi per avventura que' versi : ma per la storia delle arti non le sole cose gentili si raccolgono. Il verso saturnio adunque ci fan conoscere i gra- niatici in due parti distribuito : la prima di tre piedi e mezzo, la seconda di tre, e quest'ultima parte com- posta di tre trochei, cioè del senario itìfallico ofalecio. Ma il senario itìfallico non correva costantemente per tre trochei (204) , e sembra perciò un idtimo ingentilimento del verso saturnio (206). Or, non abbiamo in versi di tal fatta una canzone da ballo, assai simile a quella che or col cembalo cantano le nostre popolane (206) , e il passaggio iusiememente del metro Urico al scitirico, deìjcileucio aWiambico, e l/nde apud omnes grammalicos super hoc adhuc non parva Us est.V iiTOS-iìfo. Se questi dodici piedi , come pare , vogliono andar considerati come due emistichii aggiogati , un ravvicina- mento vi scorgeremo non solo co' mo- derni versi maggiori di Francia e di Grecia ( nota 96 ) , ma anche nostri, prima dell'invenzione della terzina; e precisamente nel concetto degli ara- bi dottrinali quando ogni loro verso costanteraeute nell' aggiogamenlo di due emistichi van considerando. £ si noti che in tutti i vecchi codici sem- pre troviamo scritti i vfrsi a due a due, ed anche quacdo per distici non pro- oeilauo. (204) lihyphalUcum metrum e tri- bus trochaeis connexum saepe iribra- chuni sibi inserii ... Quod necessario^ insinuandum lectori censuiy ne ithy- pkallicum metrum e tribus semper trochaeis subsistere audacter ac temere pronunliaret, ViiToaiNo. (ao5) Nostrique mqx poetae Rudem sonum secuti , Ut quaeque res ferehat Sic disparis figurai J^ersus vagos hcahant : Pqsc rectias probatum est Ut tal^ colon esset lunctum tribus trochaeis. TEHKtaiANO. (206) V. la DOU 71. METRI ARABI, 241 l'embrione tutt' insieme del verso eroico, del trimetro iambico e dell'endecasillabo nostro (207)? (207) I nostri trovatori del ducento 2. lian licqucnlissimi i versi composti Hunc unum plurimi consensiunt R. (omani) di un quinario e di un senario iti- Duonorum oplumum fuisse virum fallico. In versi di tal foggia corre Lucium Scipioìiem , Jilium Barbati : quasi lutto il libro del rvgi^iinenlo e Consul,Censor,Aedilis,hicJ'aitapudvos. del costume delle donne di Francesco H'o cepit Corsicam, AUeriamque urbem. da Barberino , pubblicato ultimanien ■ Dedit tempestatibus aedem merito. le co' tipi del de Roraanis (Roma 181 5); 3- e non dubito clic quelli che scn disco- Qui apicem insigne diaUs Jìuminis gessisli stano non sieno consuete ofllciosili MorsperJ\cit tua ut essent omnia brevia, Aa menanti , comeacagion d'esempio; Honos,fama,virtusq., gloria atque ingenium, Giovane donna^gen/ff creatura(la stampag'tjn- Quibus si in longa licuisset libi utier vita Da Dio plasmata di sì nuova altezza til) Vacde factis superasses gloriam maiorum. Cile ognun ne prende maraviglia grande j Quarelubcns te in gremium Scipio recìpit terra Onde ti vennon gli occhi belli tuoi ? ec. l^ubli ,prognatuin Publio Cornelia Quesl' andamento di sovcrcliio lirico La distribuzione de' versi ó luti' altra andar si dovea di mano in mano nel numero terzo di quella che dà il dismettendo, ma la cadenza del mo- Niebur. Queste iscrizioni veder si pos- vimenlo itifallico è 1' originario ne- sono nella loro forma incise ed illu- gl' iambi. E lasciando le ovvie pruove strale da Ennio Quirino Visconti , che ne'versi s'incontrano ucUa prima Opiisc. toni. I. Per quel che riguarda il età delle Ungile sorelle del mezzogiorno nostro proposito, quell'oscillazione è di Europa, prenderemo ad es'jTipio qui da notarsi tra il carme saturnio, quelle nenie che dal perspicacissimo l'esametro eroico e il trimetro iambico Kiebur si propongono ( flix/oire Ro- che vedemmo denominarsi da Tercn- maine d. M. B. G. Niebur Iraduil de ziano verseggiar vago ( nota 192). Ma l'allemand pnr m. P. \ DEr.ALBEEY- noteremo di passaggio che la parola tom. I , pag. 328-Rrusrllcs i83o ) , se- gn;iicu del secondo verso del primo gucndo r orlografìa di che egli fa uso. esempio non è una parola intrusa, 1. come suppose il Nicbur, né da interpe- Comeliu' Luciu' Scipio Bariatus trarsi guato , come altri suppose; ma Gnaivo prognata , fortis vir sapienfque bensì guaio, colla sola interposizione Quoiu' forma virtuii parissuma fiiit. della V secondo 1' antica orlografìa. Consul Censor Aedilis qui fuit apad vis. Taurasia , Cesannia Samnio cepit, Subtcit omncm Lucanaarn cbsideique alducit. Tom. III. 3i 24a D K R 1 T I S CARME BREVE. •? 0 n S N Ottimamente dal Guadagnoli questo genere di versi s' interpetra esile, breve , presane la metafora dall'are- na che in arabo addimandasi Vd"1^X ( arramlo ) , pel suo procedere a minuzzi e slegatamente come 1' arena (208). l^a sua formola è in una seguenza di epitriti secondi, che si risolvono ne' ditrochei per la qaffa ; ne' ionici dal minore per la chabna j e ne' peoni terzi, per la sciacla. FORMOLA. fa Ili la tun fa hr la tun fa hi la ton INtERA. CHABNATA. QAFFATA. SCIACLATA. - - - - fc: ( QUAZR i. * ^! 1 K J HABFV. 1 1 ! Nel periodo senario , V aruza è sempre hadfata j con tre zarbe, o sana, o qazrata , o hadfata. (208) Malteni celere, dice il Cle- calu , quem praelerea oòlinet , nomeii rico , ah ea huius theinalis nntione line deduceiidiim staluunt , cjiiod pu- ijica properanter incedere significai ; xilli cJiordis in hoc canninis genere aia lamcn a lexcndi^ poliits si^ni/i- quufii inteilcxli sint. METRI ARABI. 243 Sembrerebl)C dalla forinola che nel periodo sena- rio si avesse quella combinazione di quaternarii ed ot- tonari i di che tanto i nostri arcadi pastorelli si com- piacquero, e della quale abbiamo esempi fin dal ducen- to (209) e fin da' tempi remotissimi (210) ; ma il metro arabo è di due senari itifallici, come da tutti gli esempi che i dottrinali ci producono (211). Non mancano però casi ne' quali , essendo sdrucciolo il primo sena- rio , il resto dell' emistichio altro non ne offra che il complemeuto ; come da questo distico : (sor)) Un sonetto voglio fare Per cantare Questa duniia mia vezzosa CliL- amorosa Bella gio' mi la provare - (Galeotto da I'isa. (aio) Miserariiin c-^t Jieque amori dare luffuin, ^tt]ue iluUi Ma'a V no lavere aut ex- Aitttnarì metuentes l'atr^tae rerbi-ra lin^iiae. Ttbi quttluiii Ci tlienae puer ates , etc. Or.AZio. VA aiiclif [liii in la : Dea fccit Dea belli dom'nalr.x fhrygas omnes Ut in i.rmtì òuier.r^t, t/t. {211) Son questi gli esempi dati (LI Ciclico : r.AIUiA INTERA. Ssatf-JN ;-us,ii nxj:"3 -lopSiS ZAHIIA QA2RÀTA. TAHliA JTAUFATA. inru'N' xin :nt 'V- ::8<ì7 J44 DE R I t I s ARL'ZA E ZAUBA HADFATB. "IVO ':;•!:» nSx SBSk '^riD V E R B U M VERBO. Slniìlis est opitlentia quam tu quaeris Unibrae qiicie gradiliir tecum. Tu non ecini assequeris persequcndo : Sed si ohverterls iergiim illi , le seqiietiir. Hl'MEERT. XlV. Della disposizione metrica de' trochei tre per tre formanti (juc' versi che gli antichi dissero itifalici (211), mirahile è l'eft'etto in composizione. La hrica de' greci e de' romani compiacevasi oltremodo di siffatti versi. Noi sii abbiam dismessi nel loro isolamento (212) e ne fac- (aii) Note 6S e 71. Questi appunto soli que' tali versi (212) E |iciciò più biziani clic ar- da' quali, dicea Cicerone, se togli la iQonici sembrano ad uieccliio italiano modulazione delle tibie, togli l'unica questi versi : qualità die li distingua dalla prosa. Dulci miei sospiri , Eppure su questo movimento battono Dolci miei luurtiri , ec. Cuiabrjìha. il cembalo le nostre popolane nelle E ragion die lagnisi , loro fropx'^>yxra. , come abbiam piìi Ch'ogni cuor languica volte osservato. Ma l'indole music.ile Se virLù n-jn ha. Lorepo Mattei. del nostro clima tra-f'orma, immedia- E inoltoppiii questi altri tamcnte ed appena accennalo il ritmo, Scelti sejgi delle ninfe ascree 1' andamento trocaico in iambico : Care tanto di Quirino ai colli. ChiabReii.^. 31 E T K I A R A B r. 2Ab 1 2 matalo'rrìzqi-Uladi'' \\ tatlohohò zatalo- itili- lladi' ^jamscP jìioàì: ùnta la' todrikoho || motlabici'n và'ida' vallajlo fj ànlio iabaàh VERSIONE METRICA. Quella por cui spasimi con tanto arder A quell' ombra è simile che tcco va. Quanto più la seguiti, più lungi è ognor Dalle il tergo: e appresso appresso li verrà. ciaino sol uso nell'endecasillabo saffico, canto tuttavia popolare nella nostra e nella penisola ibcra (2i3). Ed anche non di rado appo gli Arabi rinvengonsi de' me- tri ne' quali entrino per combinazione i senari itifallici , sieno piani , sieno sdruccioli, costantemente riprodotti j come spiccanti appaiono ne' seguenti esempi (214). Iste , iice , sole , Solvìtur acrU hjems Scanìiiello mperatore j ec. Grata vice Mannancenne priesto , Veris et Favoni ^ Ca voglio ire a Siesta , ec. Trahuntque siccas {2l3) Il Salinas ne pubblicò le mu- Slachinae carinas. siche eanlilene. E reggasi su la cadenza (214) Nel sistema dottrinale il pri- itifallica quel clie ne dicono gli antichi mo appartiene al carme esuberante , glossatori di Orazio e gli antichi gra- il secondo a\. carme l't/oce. Ed ordi- malici in occasione dell'ode IV del nariamenle la seconda tome degli emi- lib. I , nella quale la strofe corre in- sticbii dell'uno e dell'altro tai-me in variabilmente per questi coli ; tanti senari itifallici si risolve. 2^G DE R I T I S Versione del signor de Sacy, Ce n'esl pus quand tu veilles à la sùreté du troupeau que les loups peuvent ravir ìes brebis : Tu n'es pas une épée doni les coupa de Vennemi puissent ebrecher le tranc/iant (2i5). Chrest. Arab, XIV- iii'Ti ''^^ T\Ki N' oSn 1 rhn '5 in;^» nhd'dì 2 VERBUM VERBO. //!o , o Qinice , Gc/ hortum : Expolit {enim) a moesto aeruginem animae eius. Zepìiyrus iilius se impUcat in lacinia sua : Et flos iilius ridet in calice suo. Hdmbeut. ilviii. Ma r andamento ordinario del carme breve è nella forma giazata , e corrisponde precisamente al nostro ot- (215) Tutto questo poema corre e- Colla quale aruza si uniscono anclie satlissimameiJle nello slesso ritmo, quoste zarbe : che si risolve per ciascun emisticliio earba sAbgàta. in due senari: il primo bacbiaco sdruc- n;'3ìX aVSS fC ciclo , il secondo itifallieo piano. È tì«3Di'3 NODT NISOnDSI del poeta Montenabbi, morto circa la zarba iiadfata. metà del ([uartu secolo dell' egira , in -'l'Sx n3 nip NoS NO onore dell' emiro Seif-eddaula. .^^ ^^.^ .-, .j^j (216) Nella forma giazata del carme L'aruza badlata ba sempre la zarba breve, due sono le aruze , sana e simile, cioè: hadfata. Gli esempi per noi ^dlcgati 'rhvi ^in'jS :i3 sono coir aruza sana e la zarba nuda. .•,-, •^,-, rinxJ AI E T R I A R A B I. 2^7 BagliVrika raHjcC [| àbiscia-ddaju''bo aaghVrika zcCramcC [| thaUma-zzircìbo VERSIONE METRICA. Gli ovili , te vigile , lupo non attacca : Né brando sei fievole che al giostrar s' intacca. 1 halomma io' \\ zcThi ilcù ravzatin tag-l'C aina-i j| cCni zada' immilli 2 nasb'mohcC (| iàtoro fi dClilii vazùhrohcC || iazhaka JV kimmihi. VERSIONE METRICA. Scogli qual vuoi (| Portici o Posilipo : Do la città II fuggasi dai demoni. Oh come là || ZcfFuo girandola E a' spiri suoi || sbuccian rose e anemoni. tonano trocaico, sia piano, sia tronco (21G). Eccone due esempi (217). p gravala del tesc-dido p , o per p semplice preceduta da 3, jy, (217) Nel primo i versi , di assai nica scarso pregio in quanto ad invenzione, son notabili per l' esattezza nel metri- ^ ,' Q ^ /!• Ecco adunque scoperte co andamento; e nel ti-ocaico regolale molte affinila che dai dottrinali non non conosco il secondo. Sono osser- si registravano. E quel che abbiam detto vabili del pari per la ragion della ri- ma, la quale è in acca che abbiam conservata , ma non cosi secca come di sopra riguardo alle condizioni della Redi;!, pag. 67, trova qui limpidissima dimostrazione. E si afrciunea a tutto ciò nell'italiano, nò tanto pingue che la mozione della rima negli ultimi giunga M! acqua : perciò espressa per quattro versi: ne'due penultimi àilolqa aqqa. I nostri abbruzzesi del Vasto han perfettamente questo idiotismo di e tosqa ; ne'due ultimi (scqa e ilqa. L' eufonia tra la A e 1' O aperta i pronunzia. - Intanto, il suono alquan- chiara : ma per le due ullime parole to pingue dell'articolazione fa che bisogna cercarla nella forte aspirazione la prima e o ^ si esprima o con l' u- della V da pronunziarsi quasi come ài. 34H DE n I T I s ♦p-lJ j^a-ì':'^*3 '?pa i mogolón bi-'dclàm,i gàrqa NpìDD -INW nxiSì vafovcCdon ia'ra chàfcjcC jnm pni 2 vàtagiannin nàtatànnin \ Npw' nsySk^ ì'jl "]£:' sciàqqa giàiba- zzàbri sciàqqcC ♦jnaS TlNpriN» 3 icCtiqcitr chàhhirùhii'' ^'^^ DV?N nnn jj? «« had'Cti-lavrì hàqqcC 2ntD 73 NnDN 4 àkadcC hallo mohibbi ♦ptr» nxnniS'SN pixa fcCraqà-nahbà'ba iàsc-qcC ^"ìT^T^ "ip C'^InS 5 ìcCvaùjscin qad taqàzzcC 'pDn "ip DX1J1 vagàn'Cmin qad tahàqqcC D:3N'"iÌ 'ÌD 0'i>J1 6 vànai'mi fi'' darci' kam N'pll Xim Npjf ^p ^'rtc? sa^a' dahrc'iii varàqqcC CD^NV^n i?2 D'DJI 7 vanasVinin min hivuCkain N'pli) IJiSn' Son hamalà-hagda faràqqcC riNSNijf nN':'XD"l3 8 UriscCla'ti zaba'ba'- 'pSn pN'nC'DSx 'S;^ ^/« Uà- linose- tei' qi tcdqcC . n^^'2>^S*J jW! 9 vagvziCnin noi'ùncirin 'pDH pVì< nN'£D3 bimjjcihi-ddanni tasqa^ NJDH yp rrun 10 vavagnì'liin qozza hósmin NpC7 5"1xS^< JnSoS famaliCna-lcirza éxscqa'' N"T3y 'J Qn'5"i lS 11 ìau razVtam nV óbàida Npn;; "irn^N n'^ixa ma^rasi'to-ddcihra kìtqa^ VERBUM VERBO. 1 Oculi in Jlsttbus immersi et cor avolat meta. 2 Inìjuus-conlemplus-i'ester et corpuris-ehgans-injlexiofindit sacculum patientiae mìn'ilim. 5 O-cari-amici-mei f edocete-me de factQ-h.odit^Tno vero: 4 An-hoc-modo omnis amuns gui Teìiquit amicas infelix-est ? 5 Vequaquam. Fer iilam quae iam abtit , et per amofem qui remansit j 6 Et per volaptatent in decessa vcslro quae pura-fuit dia et molilo- fuil ; METRI ARABI. 249 VERSIONE METRICA. Gli occhi ho in pianto , e tal mi fiacca Duol che r alma si clilacca : Pur tal grazia è in tua burbanza , Che (la teina il cor si stacca. Dite , amici , o voi che avete Sapienza e senno a macca : Chi è Ionia n da un caro oggetto In tai pene aggronda e sniacca ? No. Pel viver mio eh' è ito , Per 1' amor eh' è avvinto a stacca ; Per que' puri e dolci istanti Che ra' ofiFria la tua trabacca ; Per quel zeffiro soave Che aleggiava in quella lacca E i tuoi cari a me recava Vigliettini in minio e lacca ; Per quei spruzzi e mazzettini Ver me spinti a tacca a tacca ; Per que' labbri ove nel riso Trionfante Amor zambracca ; Deh se aggradi il mio servaggio , Libertà mi aggrada un' acca. 7 Bt per zephyrum ( qui ) d-r amoena-sedc-vestra afferehat melancholiam ; 8 Et codicillum cum epìstolìs amoris quae super desideruniem iaciebaniur ; 9 Et per ramidos delicatos { qui ) cum aguis doUi a vohis aspergebantur ; 10 Et per vultus (qui) tese expìicuerunl belle et rephiit terram amore flagmn fi: li Si gratum habueris me prò senulo j non gratum-habcbohberlatemunquam. HuMBEHT. XXXni. Tom. III. 33 20U D i; H I T I S 'J-INn QIJO N'7J'7N1 Nia;? riinpSx N*i2"in 2 N'nnj") NiSN' N")")*! np Nl'^Np yj'?^ n'^XD jx 3 iv;^3"ì3-)tj'x hiìhìi »SìN x» 4 »s*nn3 Vxp ND NìDinNi xn'S '7N*"ì;;':'N' x^-n 5 f^erslonè del signor de Sacy. Quelques gens se sont portés à de vìolences , et ils ont élé la cause de bien de maux. Ils ont prohibé le cafè (218) avec opinidtretè, et ont allégué , pour soutenir leur opinlnon , le mensunge et la calomnie. Si vous leur demandez da citer le texte sur le quel ils se fondent , ils vous disent qu' Ebn-Abd-alhal'k Va aitisi decide. O gens de bon sens, boiivez-en sans scrupule ; ne vous mettez pas en peine des mensongps qu! ils dehìtent. Lessez ceux qui en censurent l'usage , boire de l' eau tout à leur aise. Ciirest. arab. p. 2o3. (218) Sa le vicende appo gli oiien- che Fausto Nairo allribuisce 1' in- lali lelativamenle alla bevauda del tioduziore dell' uso del caffè a due caffè annoverala da non pochi fra le monaci cristiani. Primos ii^iUir Jiuiim inebbrianli, e perciò proibita dal Co- potionis i mentore s. .. fei uni exlilkse rano j veggansi le memorie raccolte monachos C/irislianos , ut ipsiinet dal DE S\cY , l. e. Qui giovi notare Turcae faleri ut plurimum assolent. METRI ARABI. 25l 1 inna ayvà'ma'n taciddiC va-lhalao mmhoni iaattcC. 2 haramiC-lqahvalo ùmadcin qad ravii' cifkd! vahalitan 3 in saalla-ìinuzza qcChC ibno àbdi-'Jaqqi afuC 4 jet) avla'-lfazU-sc-buu'na' va'lroku' ma cicalo bahta'' 5 vadiìi - l.ida'la JP/ia jasc robii' na- Ima' i liaita' VERSIONE metrica! Quanti spargono clamori Del caffè i persecutori ! Son calunnie , son perfidie Di ribaldi mentitori.,. Che? Poteanc far divieto Ibno Abda-lhaqq? - GÌ' impostori ! Voi cioncatene a gran tazze , E a la barba dei censori. Gracchin pure : e a lor beli' agio Sien dell' acqua ci bevitori. in quorum gratiam animicpie ohse- Aidrus ( "ìTn haVdai ) quia /laec .iu- quium prò illis fundunt preces , ac pradicloruin monachnruìn fuisse no- pixiesertini Turcae illi qui suul huius mina asseriint. De s(ihi'>r. potione potionis ministralores e l distri bulors'): ca/ive seu caje nuncttpata discnnus, proprias enim Iti ac quotidinnus ha- lìumae i66i , p. 8. Lent preces prò Sciadli ( ♦'^IJ^iJ' ) et * ^^-^ 2DB DE K I T 1 S In questo secoiulo esempio degli ottonari trocaici arabi V ultima parola del primo emistichio del secondo verso di àmadà'ii dovrebb' essere contratta in àmda'n per ottenersi il metro secondo le formolo che i dottri- nali ci danno del carme breve, ovvero considerare l' lU- tima sillaba di qahvato come evanescente. Ma in quest'ul- timo caso r aruza non sarebbe più nuda come in tutti gli altri eniistichii , ma hadfata , cioè tronca (219). Il metro trocaico è metro da ballo per tutto il ge- nere umano. Le fanciulle ebree plaudivano con esso al trioufo di David , e con esso esprimevano i Romani le loro acclamazioni e i loro motteggi ai loro imperadori. Le nozioni ne son trite e non dobbiamo occuparcene (2ao). (iig) La catalessi del mciro tiocai- diremo del Salinas che sotto le stesse co per lo più è tronca ne'versi de'Gie- noie pone questi versi bergamaschi: ci e de'Romani. E scolpilamente que- sto metro appunto dimostra che nel- Beriolina BertUina 1 idioma latino spccialniculc il quale 'tu m infraschi trop el vis, ec. non avea che ne" soli monosillabi 1' ac- cento alla fine delle parole , molli e questi amichi tribrachi sdruccioli non possono altrimenti con- éiderarsi se non come tronchi : Firit alni avip'.dis animula Upons ? Cai sar ecce nunc triumpìiat (jao) Molte cose al proposito rac- Qui subegit GaWàs: , colse il Salmasio ( l'n p'opiscum , Nicomede.i non tnur phal .Script. Hist. -,4ug. toni. II. pcig. 42S). Qui .mbei^it Caesarém p^re però inconcepibile come qucU" e- ruditissimo si esprimesse poi in questa La nostra tarantella ne dà la di- sentenza : Hhylhmus solu/n tempus mostra^ione. Y. la nota 71. Ma die metilur , alqiie alluni prò alio pedem M H T H I ARABI. 200 IV.^ CIRCOLO IL MOLTI PLICE Questo quarto circolo, che abbiam detto dovere andar considerato come supplimentario de' precedenti , contiene varietà piuttosto che differenze de' versi esa- minati sinora. Delle sei specie di carmi che gli arabi maestri gli attribuiscono, i tre primi soltanto si hanno nell' intero periodo senario, gli altri tre son sempre giazati. E dei tre primi, il veloce può dirsi complemento de' metri iauibici del secondo circolo ; l' emesso e il lieve , complemento de' metri peonici del primo, se non <:he 1' e/nesso corre col movimento dattilico , il lieve coU'anapestico. I tre ultimi portano con se e nella denominazione loro la propria caratteristica: i.° simile alla cantilena; 2." conciso dall' emesso ; 3.° evulso dal lieve. facile aJmitlit , ^lodo eiusdeni sii Ei vorrebbe che pronunziar si dovesse: lemporis : quod metmìuni ratio non recipit, (]uae nec spondaeani quidem Md' Sarmtitas, mille Francos, etc. atit daclylum prò altero usurpai , li- cei temporum spalio aequales sint.'E Ma il rilmo none cangialo se i tetra - lanlo maggiormente perchè trova poi sillabi trocaici di piani divengono non regolari, ritmicamente, questi sdruccioli, rome in tutte le catalessi: versi : e i tetrasillabi trocaici son sempre coli, precisamente come l'arena slc- Mille Sarmatas , mille Francai, 6*ti> secondo il conceUo arabo... e Uìllc Persas quatrwm<. il concello di lutto il mondo musicale. 304 DE E. I T I S CARME VELOCE Gli si dà questo nome pel suo rapido andamen- to (221); che in falli è iambico (222), e sarebbe im pret- to iambo scazonle se corresse nella sua formola intera di mostafhìlon inostafliUon mofhiClcC to. Ma perchè non v'ha verso arabo che terminar possa con una sillaba lireve , non v' ha mai verso veloce intero. Quindi lo schema : rORWOLA. mos taf hilòn raos taf hilòn fa'hìflon TAIATO-KASFATA. INTERA. - w _ - - „ _ • - ^ - CHABNATA. - - TAIATA. ■-/ CHABLATA. - " - ^ T. VAQPATA. * CH.KASFAT4. - - T.Z OLMATA. Ha due periodi, il senario e il ternario: nel qua- dernario e binario si confonderebbe colla salirà. Nel periodo senario due sono le aruze , la taiato- (221) Carminis genus \^^'^'[^'^\e- bocrelico al carme veloce. Cosi viene lox, quod super linguani celeritate a considerarlo nella sola sua forma quadain flait sic dictum. Clerico. taiato-kasfala . (222) 11 Jones dà il nome di iam- >1 E T n I ARABI. i55 kasfatii 0 la chablato-kaslata (223); colla prima le zarbe sono tre: i.* simile all'aruza: 2.° taiato-vaqfata j 3.* ta- iato-zalmata. Zihafc ne sono la cliabua, la taia, la cha- bla. Queste due ullimc si uniscono colla seconda aruza. Nel periodo ternario gli emistichi divengono versi interi , e le èlle sono le stesse. Nei carme celere le aruze diconsi "^ìilS {fozu'lon ) dlsUnzionl : le zarbe PK'XJ {gàjaion ) estremità. (aaS) Questi versi si risolvono in una scgucnza di quinari, ed in ogni cmisticliio il primo piano o tronco, il secondo sdrucciolo o bisdrucciolo. Ne' versi clic diamo ad esempio nella seguente pagina trovasi nel testo ara- bo quest'alternativa, la cui versione metrica esattissima sarebbe stata : Pian- te età liete aurette careggiano . . . ytl- ire dei turbi ira i /ìschi sorgono ; ce. Ma se il primo quinario ò costan- temente tronco, que' versi n'emergono de' quali abbiam dato un esempio alla pag. 191. Gli esempi delle altre forme son queste : PERIODO SENARIO. PkiMA ARVZA, ZASBA TAtA.TO-V.\QFATA. «nSno 'T vh 'So i«ot« pK^y •svhy C3s;y '3 pixi'?» Zabba TAIATO-SAIMATA. Njo'7s '7'pb ixpn 13^1 nSstp •i'.xoD» nJSax nps «Sno Seconda ariza, z.ir£a ciiablaio aspata. Zarba simile. oSl'n «0 Tlrca n'^p np PERIODO TERNARIO. ARUZA VAQf ATA. S.xi3k'73 nnsaxn '3 pi:- JLKUZA KASFATA. -'rny K"7p« 'Sm on«v k< 256 D E n I T I s ZARBA CHABNATO-KASFATA. nolano nm-\ -ìSnì 2 niDNa nnSN xnyjn' NoriTiSD fisn ip iSkì 3 m5x nVì N'n nS oh onnr'O dxj'^j* 's nyniK 4 ninxB nùìtTDO onS^inK nviJpo nN'jT inN'ia 5 nnDXS max nyan» mìDno HN'n jo inNìi 6 j;'i« Nonj'3 |o nnNìi 7 n-i3K nSì Njn nS d'*? VERBUM VERBO. Aliquis 2^uer vita huius mundi ei abundans : Non est ei post liane vita futura. Et altei- , vita mundi ei est misera , Quam consequitur altera sat prospera. Et alter ita perdidit utramque , Ut non sii ei haec vita neque altera, Quatuor ergo distinxi in honiinihus Conditiones apertas evidentes. Unus , cuiuc vita hic est misera , Quem altera consequitur cuni gloria. Et alter ei mundus est laudabilis , Dehinc non est ei alter conunendahilis. Et alias est qui perdidit utramque : Non habet neque terram neque caelum. Di Ai.i BEN Aenì Xaxsb. METRI ARABI. 1 RohhafatcCn donjàho màoqiì' raion lajsa la/io min bàdiha'-c/nraton a uaacharo donja'ho lìiadmii^ rnahon jaibaóìid'-lchiraton fti'cliiratoìi 3 uaacharo qad ka'na kilatajhiina' ajsa laho donja" vabd'-chiraton 4 arbaàton JV-nua'si majjaziohoin achvd'lahom makscid' f aliai l id'hiratoii b /avd'chidon donjalio maqbiCzaton ianbaòho ùcldraion fa'chiraton 6 uavd'chido?i man donja'ho malu'daton lajso laho min nàdihd' àchiraton 7 uavakidon man bajnahoma' za''ión laiso laho dajnd' iialcC a'chiraton VERSIONE METRICA. Piante cui l' aure gaie letificano Fiori han talor che non prolificano. Altre al fischiar dei turbi abbarbicano , Germinan su balde e fruttificano. Ed altre inerti in lor s' intorpidano Melma natia vieppiù e vilificano. Quindi ben quattro i saggi annoverano , Quattro nell' uoin sorti classificano. Altri che in lai quaggiù si abbindolano; Ampie poi là gioie magnificano. Altri cui qua lict' ore prosperano ; Poi 1' ime bolge angou , mortificano. Ed altri alfin che s' identificano : Di qua di là non diversificano. Thni. ///. 33 207 258 D K R 1 T 1 S CARME EMESSO n "1 D 3 a *? X- Del carme emesso è questo lo schema ; rORMOLA. iiios taf hilòii mof hii' la'tò mos tafliTlun INTERA. CHABNAT. TAIATA. CHABLAT. - - ^ - 7 TAIATA. _ - 7. Ci \TAT a. '■•■y- 1 « Questo carme emesso, diceva il Giiadagnoli, al- cuni non attribuiscono a veruno de' cinque circoli, come quello che appartener possa a tutti; e perciò nel Qa- mus non gli si assegna particolar misura, sol dicendo- visi , /' emesso è una specie di verso JO DJ.!1 niDiO*?}* piyVx. E la stessa denominazione di emesso , mDJO^N , dinota potersi emettere come si voglia, quantunque possa prendersi in altro significato , quasi equivoco di denominazione, essendo un carme che costa di generi diversi, come gl'Italiani ammettono ne' loro madrigali versi di sette , di undici , e di dodici siilaLe w. E in jr E T R I \ n A E r. 209 appoggio tli questa sua opinione trascrive alcuni versi del Corano (224). Il Clerico deriva la parola mD3D7X dal verbo fTìDJX ( ensaralia ) dinotante uscire spcciahneute dalla veste, svestirsi, perchè avendo la zarba taiala o almeno ca- tcita, esca sempre dalla misura del suo cerchio e quasi se ne spogli. Crede per altro potersi dire anche facile, per la faclllà e leggerezza del suo andamento. 11 Jones iinalmenle il denomina /nobile. Ed olire alle cpiislioni del nome , due diverse for- inole assegnano alcuni al carme emesso : la prima è mòstrd'htlòu mofhù'lù'to mòstrifhtlòn ; la seconda faliTlà'l^n mustrifhTlòn fa'hilà'tò. Dalla prima formola si avrebbero versi di questa foggia : Al risonar foUeggiante de' crotali, Ve carolar baldanzose le menadi ; E dalla seconda : Vedi come i lor crotali percotendo Dauzan là quelle menadi baldanzose. Ma questa seconda formola è, come sarem per ve- dere , quella del carme lieve. (2J4) 'in «TX a:j'j«1 va-nnag-mi ida' hava' "lì «DI Q33nSX S5 «0 ""*' -"^'^ za'hibakam vama' gàia' ,^— l^^ .« noy «01 vama' ianliqo àni-'lhava' ,,p, ,p, jjijj^ ^pi .j{ in hova illa' vahion iahva' ,._Lj. TTW noSy àllamaho •■iciadi'dO''ìqova' •ir\D«i3 mn n du'mùratm fa-stava- Verbum verbo. Perslellam quando ceciderit. Et quidem non est nisi inspimtio. lion errai doctor vester neque dectptt. Docuit eum fortis robore. r.l non loquitur ad loluntalem. Sapiens et didici!. - Sura de stella. aGo DE R I T I S Ha due periodi , dicono i dottrinali : nel senario Taruza è sempre sana, la zarba taiata e alle volle qa- tata. E uel periodo binario , nel quale l' aruza colla zar- ba si confonde, il verso è vaqfato o kasfato. Sono zi- hafe per le due prime formole la cliabna , la taia , la cliabla : pel secondo vioslafhiìon le due prime soltanto. E il Jones, definito al suo modo questo genere di versi per trocheo-iambico , il riferisce poi a quello che i greci dissero asìiiarteto perchè composto di cpi triti quarti fra due cpitriti terzi, che poi va trasformando in coriambi, diiambi , ditrochei, antispasti peonici e molossi (2 25). Tantae molis erat il definire a legge di prosodia araba o greca un endecasillabo , sia sdruc- ciolo , sia piano ( forma qatata ) che abbia 1' accento alla quarta e alla scttiina : un endecasillabo cioè di jiosizione dattilica, preudendo nella ragione dei piedi \wi- posizione quell'ampio significato che gli antichi gramatici loro attribuivano (226). Il carme emesso degli arabi corrisponde come due gocce d' acqua a quelle canzoni da ballo delle quali trascrivemmo già remotissimi esempi : Ev ^.vgrov y.y.cùìi * tore , soDt, je crois , sur un mètre )) flctif } qu*on pourrait ijgurer ainsi )> possiblc aiissi que le texte soìt un » peu altere, u A giustificazione di quanto qui si ilice avvertiremo che i dottrioali non assegnano al carme emesso l' aniza taiata , la qual corre in questi versi meno che nel primo emistichio dove, proponendosi la rima , il verso esser dee bifore; e che anche la zaròa qa- tala i dottrinali dicono rara , aliquoties. Si noti nell' ultimo cnnislithio della composizione Fuso profano che fa il poeta della solenne profession di fede musulmana: hVVnnSxnSiS irWH (25o) PERIODO SENAHIO ZARBA TAIATA. n3ii''7K mxo '3 't?r -rSS"? ZARBA QATATA. PERIODO BINARIO ( nahkato ) EARBA TAQPATA ZARBA KASFATA Quest'ultimo esempio è quello stesso che vedesi già dato per la satira , pag. a33. g6'3 D E E. I T I S ARUZA TAIATA , ZARBA QATATA. rhha iis'nn KiSj^ps xni i HN'iDi njx^ nSx nj n3DS^

i mani del califa Harm Al-Rascid , sto poemetto che la Samsama era gii " e torse quella stessa che fu com- celebre per Zobaido , probabilmente » prata a sì caro prezzo dal calila uno degli antenati di Amro. )i Motavakkel ». Cosi Herbelot alla Tace Herbelot sul possesso eh' eb- parola Samaam. Or vcggiamo in que- be di questa spada Musa ben Giafar (•) Questi versi non corrono precisamente n' è altra che più da ricino Ti si accosti. per la forinola del carme lieve: ma non ve 270 DE n I T I s Nel periodo quadernario , il carme leggiero si ri- solve in due settenari sdruccioli, ma coli' accento alla terza , cioè in settenari anapestici : e se la zarba è qazrata , il secondo settenario è piano. Gli esempi del periodo quadernario , e delle zarbe hadfata e hadfata chabnata coli' aruza intera nel periodo senario sono in pie di pagina (aSy). Sadik j dal quale, e non già per sue- XI^ISH P^"" forgiare i due emiitichi. cessione , passò ad Al-Rascid , dopo E per viemaggiormcnte conoscere co- aver fallo avvelenar quell'emiro. me lutlo il sistema dottrinale dell* Musa è il VII de' dodici Imani ve- araba prosodia sia di mero artifizio , iierali dagli Sciiti , e mori d' anni 55, si ascoltino le gare che in occasione il i83 dell' Egira. - 11 poenaa è di di questa seconda forma del carme Abn AsD-ELnAiiMAN Elattum Elkuffi. leggiero giazato insorsero. Adotteremo le parole del Clerico. De hac Darba (237) PERIODO SENARIO. jt^^^jfj non coiivenil Prosodiae Magi- stris ; aliis , iiiter quos Zamuchsha- rius , ex integro p ^3n DD P^'' chabnam et harsam ; aliis , iisque recentioribus , ex pUflnDQ P^^ ^'^~ t'ham et chabnam deduce ntihus, iitrìs- qiie Alchalilum in partes siias ira- hentibus : alii interim , hosce ulros- que hallucinari rati , per chabnam et rasfam ex J*^ ViH D53 are-essere malunl , reiecta se. lilesa V ex pa- xillo disiuncto U^H 7-'^'" casfam , et secuiida quiescente Q per chabnam elisa : hoc pacto restabil J*75]1ID {"lo- «nox '3 no;> ax nriKlRO '"\PB n^'? ti^on ) , ve/ , quodidem valet plj^fl- Settenari anapestici sono assai radi Zarba qazrata. ira noi, ma frequentissimi in Francia; Qui regna sur la France In quest' ultimo verso la paiola Et par droit de conquéle NlilSn ^^ divisa -, com' è chiaro , in Et par droit di natssance. PERIODO SENARIO. Zarba hadfata. ^arba hadfato-chabnata. PERIODO QUADERNARIO. Zarba intera. METRI ARABI. 271 CARME SIMILE Ha questo nome, dicono alcuni, perchè simile alla cantilena, nella sua forma quadernaria, nell' aver pali che precedono le corde, e nella facoltà di ammettere la charma , la charaba, la sciatra ; altri perchè simile alla saura nelle sue zihafe ; altri perchè simile all' e- niesso ed al lie(,'e nell' avere nel secondo piede il palo disgiunto (258). Ma diilerisce essenzialmente dalla can- tilena e dal carme emesso, perchè in quella 1' accento è alla sesta , uell' altro alla quarta , e in questo sempre alla quinta; e diflFerisce dalla satira e dal carme emesso anche per la condizione notabilissima della catalessi , in quelli sempre sdrucciola , in questo sempre piana. Sue zihafe e sono la qabda e la qaffa; e il primo palo può esser modificato per la charaba e per la sciatra. Eccone lo schema FORMOLA. SANA. Q AB DATA. QAFFATA. CHARABATA SCIATRATA. mòfà hi'lon ffi hi la' lon - - - " - - Pui' ve n'ha esempi nel duccnto, come (^38) Cosi il Clerico. Al Jones è iiellacanzoncdiRi.sicciODA.FiORE>ZA. piaciuto definire questo metro per an- Ciascun eh' ama s' allegri tispastico , scambiando la formola pri- E si fermi in softrire , miliva colla qaffata. Che secondo il languire Amor dosa allegrezza. 272 D E R I T I S Le nioclificazioui di questo canne per la eharaba come anche per la sciatra prendon ragione da quelle va- riazioni che s* incontrano in tulli i metri iambici. Ne H'S njNi ]ha6ii 'JdSd'N' i nh njxi -^anhii 'jSa xm ^ 1ND Ss -jNan p n-)'i 2 V E R B U M V E R B O. N'unì opprimet me tempjis , et tu in eo ! JSum devorabunt me lupi , et tu leo ! Xrrigalur de valle tua (*) oinnis sitiens : J^go vero siti-premor in vaWe ina., et tu pluvia copiosa, Notìe 211. IIdmu. xxin. Ed ecco come la prima tome del terzo emistichio che in tutti gli altri corre per c|uadernari C[ui sf scorge settenaria. E quel che qui avviene nel carme esube- rante, rincontrasi anche di frcc[uente nel carme perfet- to. E dall'uno e dall'altro, per la grande libertà che ai carmi del secondo circolo si accorda, può dirsi adun- que il nome di questo genere di versi derivante. E que- sta, sola , a quel che pare , è quella siìiiigliauza di che andavamo in traccia. C) " ÌXtjri "^^ 'J3h 1"^l'iB1"'^ 1"°S0 " ^' Htiriri , tori!. I,pag.U'y, posson )i chiuso , risbalo dal proprielario per » vedersi altre particolarità su questa )> sé ; il che si è espresso nella vcrsio- » voce ». Nota del signor Huniberl. » ne Ialina colla parola valla. ISel- METRI A R A B T. Z'j5 abbiam tenuto già non breve discorso (209) : oltro qui non rimane che farne veder quasi dall' origine la pro- venienza. Leggansi questi versi. 1 ajaUinioni''-zzinià'no |] uaanta filli najcC Loloni'-ddija' no j| aaanta ajlo 2 najorvà' min himcCka || kallo UCvìri iiaàlascio fihiinà'la \\ uaanto gàjlo. VERSIONE -METRICA. Me opprimeranno rei tempi, e tu ci sci ? Me sbraneranno que' lupi , e Icon ruggi? Nella tua corte ognun ristori e bei : Sei Sole : e accanto ad un Sol vuoi eh' io mi adiiggi? L' alternarsi a volontà del poeta il settenario col- r ottonario iambico è usitatissimo nei nostri trovatori del ducento (240). Ma qui produrremo un esempio nel quale quesl' alternazione è simmetrica : ed è V unico esempio antico eh' io mi conosca nel quale la compo- sizione trovisi quasi in tante strofe ripartito (341)' {23g) Pag. 232 e seg. sione alfabetica.- Leggeranno questa li- f J4o) In amoroso pensare tanìa gli amatori del pari della scienza Ed in pran disianza dc'costumi dc'popoli e i litologi: i jui- Per voi , bella, son miso , mi per legare T origine dell' islamismo Si eh' eo non posso posare , ec. colle varie sette eresiarclie clie Incc- KixiLDO d'Aquino rarono la Chiesa dopo il simbolo della (241) Nella versione metrica si è seguilo lede proclamata cattolica in Nicea , il solo andamento sillabale e la dispo- e per vedere con ijuanto senno fu sizionc delle rime ncU' ordine delle dall' Alighieri cacciato Maometto fra i loro variazioni non gii nella progres- dismembrali e promotori di scandalo e Tom. in. 55 '■^' l D E R I T I S Xl^nSx i'O^tD N" ju scCmià-hldoà'i NOdSn ;?DN-i N'1 naia ra'JacVssama'i Np3':'« QN*n Nn ucda da'jima-Ubaqa'i n:3>'^« ;rDNl N»1 uaia va' sia-' lata' i D'II^Sk npxC^K »nS lidi-Hfa'qati-HàdVmi "JVJ'^N CdW K» ya cClima-'lgòjim nm^N ISNJ K'1 7/a/a gcejira-'ddhonu'bi "IItSx nnXD NM «aia sa'lira-'lòìiCbi _ yà-Ai 'rp)^'2 N»l naia ka'scifa-lkoru'bi D'5dS>' pn-lD'^N i;^ àni-'hìiàrhagui-UkathVmi DN'avSx p'_K3 N' jafa'jicjua-zzifaHi nK3.''7K JTDO N'1 wa/a mòchrigia-nnaba^ti T^;M^zh'S. i'r^iX'J K'I ;/a/« già' mi a- sscita' ti rt^'OO^N' n>'ÌN*3 K'I z/a/a ba''ìla-lmaiiuiti O'^lSs' aiD>\S*SiS' ì;? àni-ìòitaìui-rrami'mi Ex Mss. R. Bibbi.. Bore. V E R B U M VERBO. O exawììior deprecai ionis O scrutator occuUorum O excellens glonaruin Et 0 exaltator caelorum Et o dimissor peccatorum Et o productor plaiitarum Et o pirennis existcntia Et o opertcr macularum Et o aggregator disiunc torum Et 0 largus munificentia Et o levator moestitiarum Et v resuscitans fflorfuos Honiini praedito indlg-;ntia. Ah ilio qucni perseqituniur. A maximoputrefactionts statu. di scisma (*) : i secondi per veder cor- dell'alfabeto e nei maggior numero de' rerc la rima araba per tutte le lettere suoi accidenti. Per qucst' ultimo ob- (*) Se qui rammento queste parole dell'A- dalla sola parte della espression poetica vuol li^hleri , non è già ch'io produr voglia una essere riguardata, ma come monumento pre- opinion singolare, ma sibbenc quella del suo zìoso per la storia de' progressi dello spirit > secolo del quale abbiamo in lui la rappresen- umano nella civile economia, tanza. E il suo viaggio pei tre regni , non METRI ARABI. 275 VERSIONE METRICA. O esauditor de' lai , Che i cieli sublimi fai , Che in vita perenne stai , Che sopra d' un mcschin sai Di grazie profonder fiumi. Tu in ogni occulto mcrgi : Tu le peccata dispergi : Qualunque macchia detergi : E balsamo a un cuore aspergi Cui lungo dolor consumi. Son glorie e onori in te giunti. Tu fai che ogni pianta spunti. Tu ricongiungi i disgiunti. Risusciti tu i defunti Dal putrc de' lor marciumi, ec. biotto tu pubblicato dal Guadngnoli iu line della sua gramatica , ma va- riandone qualche strofe , come egli stesso avverte, e sopprimcndoue tinti i quinti versi, del che non fa cenno alcuno. Il divano di Ali non fu pub- blicato, dall'autor suo e delle sue poesie si fece raccolta alcuni secoli dopo , e perciò le copie non ne sono uniformi. I quinti versi che ha il codice bor- bonico forse mancavano nell' esempla- re della Propnganda. - Ed anche altre varietà vi s'incontrano. Il (piarlo ver- so della strofe in jy, a eagion d'esem- pio, dal Guadagnoli è cosi espresso: uaia m(>n'ic:rì-'rnijijja'li Et o disiunclor coniunctonim 276 DE R I T I S CARME CONCISO 3 X n p 0 S X- Il nostro Cortese ci dà versi della Rioncla , ossia della Pvuota (242), di questa foggia: Le flegliole che n' hann' ainmore Songo nave senza la vela , So Uanterne senza cannela , Songo cuorpo senza lo core Le fFegliole che n' hann' ammore. Or fate tronchi questi versi , ed avrete il carme conciso degli Arabi. Del quale è questo lo schema : FORMOLA. fa' hi' lato nioftahrlon INTERA. QABNA. TAIA. Se ne dà doppia etimologia, 1. dal non avere l'in- tera forma senaria , 2. dall'essere quasi una parte tron- ca del carme emesso (245). Se non vogliamo riputar questi versi come tronchi di quelli sopra trascritti j con- siderar li dobbiamo come anapestici trimetri acataletti, tronchi al secondo piede. Gli esempi che sen producono sono in pie di pa- gina (244). (242) V. Li travagliuse amniure de Ciullo e Perna , Lib. II. (243) Clerico , pag. i3i. II Jones dà a questo carme la denominazione di coriamliico. (244) Forma taiata in totti i jiedi. Forma qabjiatA e taiata. METRI ARABI. 277 CARME EVULSO n n :i 0 *7 N Come il carme conciso dicesi tronco dall' emesso, cosi questo evulso dicesi svelto dal lieve. E il suo sche- ma è questo : FORMOLA. mos taf 111 lon fa' hrla' tùn INTERA. - _ ., - - ^ _ CHABNATA. " Q AFFATA. " SCIAKLATA. - In questo metro sono le cantiche di S. France- sco (245) e molte canzoni de'nostri e de' trovatori pro- venzali (246). Le aruze e le zarbc son sempre sane , come da' seguenti esempi. (245) In loco 1' amor m' lia mi- do denomina io/iico il carme evulso, so , ec. Nel movimento ionico ben può risol- (246) V. le pag. 187 e 224. Non versi il carme breve , ma 1' evulso pare che bea s' apponga il Jones quan- non mai. 2-8 DE R I T I S jiox nw Nnm * jìid dk-i'^n topoo i ji'naSx Nn ;rxiDi * i^nan nnsi Nwn 5 jiiD noiSn njj * 'DIO hnp HH y^-i p 7 Natale solum est Seruge , in quo kuc et illuc erravi. Regio in qua omnia reperiuntur et redundant. Vada eius foiiles coelesles sunt, et campi iucunda prata , Aedificia et mansiones eius sunt stellae et zodiaci signa. Amamus odoris eius auram et conspectum splendidum Et flore s collium eiuf>, cum abierint nives. Quicunq.hanc regionem pidet,ait:SQTuge paradisi terresfris locus est. Di Hariri. — JoKEs , pag. 54i. TJO n'pV NOO * h hp DNi'^N -IK'I^D K» i Tip 'Oli -iDyi * S'il: '^h -loyi 3 V E R B U M VERBO. O amicorum coetus, ecquid niihi est ab aegritudine refugium': Splendor hinnuli illius lacte pieni cor mcum vulnerat: Et nocUs spalium lungum reddit , somni vero breve. Di Ebn Feras. - JoNis , pag. 2gg. •) METRI ARABI. 279 1 masqalo- rìxC si sanigion [| vahllicC konlo amiCgio 2 batadaton lu'giadofi' ha [| kallo sciajin vcdaru'gio 3 varadlia' salsabi'lon [[ vazaha' raj luC monCgin 4 vabanvoha' vainogànildm || iiogiu'mon vaborii'gw 5 habbonci' iiaflialo raj'ci' ha' j| vamara'ó ha'-baìiy''gio 6 vaaza'' hi' ro rlbcd [[ ha'hi'na tangicCbo-''ttolu''gio 7 ///a/z rrtV/ kcCcjdUo lìiansci' [| giimad-ddonja^ sani'gio VERSIONE METRICA. E patria mia la feconda [| Senige: da sponda a sponda Le regioni ne ho corse: [| v' è tutto, e tutto vi abbonda. V'ha prati e campi ubertosi, |] purissima e limpid' onda: E ogni magione è im astro [| che nel zodiaco s' imbionda. Godiaiiine 1' aura soave, |i la prospettiva gioconda , E i fior' cui lieti su i colli (| d' Aprile il raggio feconda. Chi vide Seruge al certo || con Eden fia che il confonda, 1 jd màsciara'nnd'si lialli' H mimmo' laqajto magVroìi 2 azd'ba gòrrata cjalbi |] da' ka- làzcClo-ìgàzV ro 5 va cwiro lajli' tavVlon |j vaàinro navnii^ qazVron VERSIONE METRICA. Deh , amici , e cjual mi darete rimedio a fiero tormento ? 11 cor per quella leggiadra gazella squarciar mi sento, Che fammi eterne le notti, del sonno l'ore un momento. DE R I T I S CIRCOLO V." IL CONVENIENTE. npsnoVK m'NnSx Contiene , come accennammo , le forme prime elementari dell' araba poesia , il carme congiunto cioè e il carme conseguente : quello in ima seguenza di ba- chii, l'altro di eretici. Al-Chalil gli assegnava il solo carme congiunto : Zamaksciar e gli altri maestri poste- riori vi aggiunsero il conseguente. Per la congruenza de' piedi tutti di cinque lette- re , dice il Clerico , venne questo circolo cosi deno- minato. Ma simile congruenza di piedi tutti di sette lettere hanno anche i circoli secondo , terzo e quar- to. - Par che la congrueuza bisogni ricercarla nella eguaglianza delle corde co' pali , mentre in tutti gli altri quattro circoli le corde soprabbondano. M E T R. I A n A B r. agi CARME CONGIUNTO a 1 K p n Q S X La sua formola è falaClon otto volte ripetuta : quindi una seguenza di bachii che la qadba risolve in amfihraclii. La zadra può esser contralta per la ialnia e la tarma (247): 1' aruza per ìàhad/a: e la zarba per la gazra, la liadfa e la batra. Ha tre periodi , 1' ottona- rio , il senarlo e il quadernario. Quindi lo schema , » FORilOLA. fahu' lon fuhiì' lon fallii' lon fahii' lon IN'TERA. QABDATA. ^ _ - w _ - -. - - ^ _ - QAZRATA. * R ATR ATA. Ma pare che il periodo quadernario considerar si deggia di non remota introduzione nell' araba prosodia : certo e che di esso non fanno verun motto i dottrinali. Il che vuol dirsi anche per 1' aruza hadfata. (247) Abbiara veduto, /)a§-.6b,V.^J, L'na tal diminuzione nella zadia for- che queste due èlle riducono i bacliii ma un periodo concitato con questo a spondeo o coreo. E perciò un di- nel Redi : podio bachiaco , ovvero sia il nostro Di gelsomini non faccio bevande , comune seoàrio , riducesi a quinario. Ma tesso ghirlande su questi miei crini. Tom. Ili 56 282 i) E n I T I s )) Congiunto , dice 1' autore del Qamus , è quel ge- nere di carme la cui misura è fahu'lon otto volte re- plicala ; e l'altra benanche Ai fahu'lon fahu'lon fahul replicata due volte : e chiamasi congiunto perchè i pali vi son frequenti più delle corde (248) ». Ma ciò vuole intendersi in paragone degli altri piedi di sette lettere i quali han sempre due corde per ogni palo , mentre ne' piedi di cinque lettere i pali non sono j3ÌLt fre- quenti, ma eguagliano le corde. Intanto ecco due sole forinole qui proposte , e indubitatamente , a quel che pare , quali vennero date da Al-Chalil. Or ascoltiamo i dottrinali. Nel periodo ottonario, essi dicono, il carme con- giunto ha 1' aruza sempre intera , e le sue zarbe sou quattro , 1.^ intera , 2.^ qazrata , 3.^ hadfata , 4.^ ba- Irata (249). Non seguiremo il Guadagnoli che trae dal Qamus , un verso da lui riferito al carme congiunto e che dir si potrebbe coli' aruza talmata (25o). Sopra versi di tal (248) ♦JXDJi jSu^a 3"IJ, ^^.^^ ^,1,^ ^pi, Oh titolali ! deh compatite chi baz- pi,5 .;.,j^, -i'-,^^ ^'*^'* aruza sor.a , zarba azbata. D' amore le vie , ricco in titoli , m->m\ «nnn m'ìt scarso in danar. ,j,,^.p, .jaxj'na Dell' aria finanche geloso mi fui , fin dell'aria,... È da notarsi che nello scandire Ma il fato , ma il fato mi è avver- il primo verso 1' ultima sillaba del so ! . . . . Ma come far?. . . primo emistichio dee trasportarsi :il Che colpa un arciero , se, quando principio del secondo; cosi: un esercito incalz^ilo , laqad alimat\xrabralo an- Incocca lo slral , ma Li corda si „a halluka va' \\!unon chalaql,. vede spezzar ? Questa è poi la lettura del secondo Esc precipitano squadroni addosso verso: ad un ercole , aitibra taa-moma' Come sottrarsi a quell' impeto? co- faloirgzibnm' valàzCni. me scampar ? 284 DE R 1 T I S ARUZA HADFATA, ZARBA INTERA. ♦naSx on amn mnp n' 1 Versione del signor de Sacy- O café! tu dissipes touts les soucis: tu es V oh jet des voeux de Vhomme livré à Véiude. Cesi là le breuvage des amis de Dieu; il donne la sante a ceux de ses serviteurs qui travaillent à acquérir la sagesse. Cbrest. Ar. ARUZA E ZARBA HADFATE. P3ndSk -np^N n&3 }'n 1 p'^N'sVx Dan NOD ♦n\so3 01N* NnSxT DN» "ipa 2 pnNsSx nono hnoì p£3NJ Dn;?oj jo p3» dVì oSrtD iD 'n'?'? ':'p3 4 VERBUM VERBO. Quod praefinitum nieae niorlis decretum iam pervenit ut Deus voluit. Ecguid ? Mortuus est Adam noster parens ; mortuus etiani Maliometus ingenuus. Mortul sunt reges eorumgue asseclae , nec eorum guisgue perniansit. Dìo UH qui meo interitu laetatus est: Està paratus , sensim ipse me segueris- CA6IR1. l AI E T U I A li A B r. 2CJ 1 ja qahvala tadliabo liommo-'' IfatcC anta lihaW-lilmi naliamo- linara^ di 2 saixCbo aldi- Halli viinlia - ssciafcC lita ''libi- Lhokmati bajna-liba'di » « VERSIONE METRICA. 0 dissipator d' atre cure , o caffè ! De r uom studioso gradito pensiero. Tu sei don di Dio che al suo popol ti die Per farlo a virtude più scorto leggiero. 1 lajin nafada- Iqadaro- ssa' biqb bi/uwti kama' hakama-lcha' liqb 2 j'aqad mcCta vd'Udonà' adamò va ma'ta niohammadon azzcCdlqb 3 vamcCta- Imoluo vaasc-ja'òhoinl valam iabqa min giom.ihini ncCliqon /^ faqol lilladi' sarra niohlaki' icChib fainnaqa bi kCIdqon VERSIONE METRICA. Mio stame di vita, qual n'era lassù Prefisso il decreto, consunto già fu. Ma che ? Mori Adamo , comuu geuitor : Mori Macometto , quel fior di virtù. E tanti preclari per regno e valor. Per senno, per oro, disceser qua giù. Mia morte ti è gioia? Ma tu ad or ad or Mi segui, e ov'io sommi t'accosti vieppiù. 1 2 3 286 DE R I T I S Oltre al periodo ottonario i dottrinali assegnano al carme congiunto il solo periodo senario , coli' aruza sempre hadfata , e due zarbe , hadfata e Latrata (254). Ma esempi non mancano anche del periodo quadernario, NHi m 1:2 fin np iphh ns xntoDS '3 njj'^x '3n \m NnjKinN") v':;hìt np'-\'\ 4 fersione del signor de S.-icy. Vien jouìr (le la compagnie du Cnfé dans le lieu où il fuit ■sa residence: car la bonté divine enveloppe ceux qui prennerit part à san festin. JJélégance des tapis , les douceurs de la vie , la sociélé des convives, tout forme l'immage du sejour des bienheureu^. E qui dobbiamo far plauso al buon senso se non alla dottrina metrica del Guadagnoli quando presso che la totalità de' versi arabi al carme congiunto riferisce ; (264) Senario pariter ariida est una hadhfata. Clerico. Gli esempi del- le due zarbe nel periodo senario son questi : » {«vJb» nxi3 'p'ip'j ZARBA BATRATA. E nel periodo ottonario coll'aruza in-» tera ; ZABBA DiTERA. no 13 D'Dn o'Dn kdns K9K'3 '3n CDipbN C3nx2':«g ZAKSA QAZRAtA. ':wd'7n hr\rì jj-sxid rii?t?i ZASBA HADTAXA. {«in np 'n'?N nxnbx -03' ZAKEA BATRATA. iftT C3PT 'Sj; N:i;r '^73 METRI A n A B I. 287 quando , per non offoudere le regole (255) , considerar non si volessero le rime conserviate in tutto le aruze. Un esempio n' è questo : 1 arrig' àla'-Iqahvati fp haniha' 3 fa-llaljò qad haffa binaci ma' bi/ià' 5 licCiui liaki'-lgiaiinali JV hosiihd! 4 varaqqati'Hajsci vacC hvcC niìuC VERSIONE METRICA. CaH'è vuoi squisito? T'innoltra: non v'ha, Non dienne più buono di Dio la bontà. Qui ogni agio , eleganza , gentil società , De' seggi celesti l' imniagin qui sta. e non solo versi regolari che appartengono all' esube- rante (206) , ma tulli i versi di undici sìllabe che ab" bian lunga la penultima , ed anche di dieci , di sette (255) V. alla pag. 40, W. 11 a i3. altri versi ad esempio del carme eoa' (a56) Olue a quello irascritlo nella giunto ; nota 25o , il Guadagnoli dà questi 2^33 nOK '3 ri"1>'3 13X3 laanuaka baratoti J? asti kabscin. ìl>^' &2jhH) riniOnO molai ivrìliaton va'lkabscio ianscl 'ETI ^^X ^3 nSp3 *TJX3 haannal'a bàqlaton Ji' arzm hasscin «yp Kn3ir\3 SjXI xnsja fagìaului' va'bUon Jatarakaha' qassein, VERDUMVERBO. VERSIONE. Perinck ac tu fimus ad claaes anetis , Sei fimo che al tergo d'un capro si sta, fendaliis dum aries inctdìt. E penzolo e dondola a un muto che fa. Quali tu portulaca in lena molli ; Sei vii portulaca che a un t"o»so si adda. Et supcrifenit tfioUntas imber et reliqnit edn E in putrc ogni scroscio di pioggia disfà. tnanem. Nel liljrctty de cento reagenti. 288 DE R I T I S e di nove, traendone esempi dal polimclro Corano (267). Se avesse detto che al metro del carme congiunto tutta (267) Prendiamo questa occasione, non già per insistere vieppiù su la non regolare produzione di questi versi , ma per aggiungere ai già dati, nota i85 e 2l3^ questi altri saggi di un libro rispettalo dagli Arabi come primario esemplare di eleganza e di poesia. Sarà per essi un buon testo di lingua; ma perfettissimamente, a quel che pare, simile ai nostri ne' quali vai ricercan- do con lena affannata poesie ed ele- ganze e t' imbatti per lo piii in ba- loccheric scipidissime. Gli esempi prodotti dal Guadagnoli son questi K3'"ìp »^VnS 03NJT1JN «:« daliqa~'lJafmo-lhaqgo f amati sciaa ettachada ila' rabhihi maaba'n. enna' andarhakom àda'ha^n qari'han Uh dies est verus ■ et qui volueritj Assumet sibi ad domìnum suum confugìum ■ Enimvero nos comminati sumus vobis tormen- tum vicinumx NDN3 «n^S ppDM NS'3Dbo ^DDn KH^a «rjr vajasqauna fi'ha* ka'sa'n ìca'na maza'gioa' zangiabi'hx'n àjna'n Ji'ha' tosamma' salsaòi'la'n Et bibent in ea poculum Cuius mixtio est zinziber : Fons est tn ea, vocatur SahahìL pnS^^D kS3 ori àrnma iassaalw'na ani-nn&baa-^lati'mi allodi' hom. fi'hi mochtalifu.' m kalla' sajalamu'na tomma kalla' sajàlamu'jia Pro quo tnte'7ogahunt De fama , seu nuncio grandi , De quo ìpsi inter se dissident : Neguuquam ipsi noscent , Iterum dico , nequaquam rpsi nosctnt. nono au3*?« K'Txa nana khidVx xnxi r3D3 ^w:Sk 5 Pronta e fluente , quale a prin- " cipe si conveniva , era di Augusto » 1' eloquenza , dice uno de' suoi sto- » rici ; elegante fu il suo scrivere ; » ma non di quella eleganza rime- » scolata e smaniosa the il dir sem- )i plice malmena ed abbrunisce : fa- 11 cile , temperata era 1' eloquenza )) alla quale aspirava , le inettezze I) evitando del discorrere per scnten- >i ze , e il puzzo , coni' ei diceva , » di rugginosi e reconditi vocaboli. )) Apertissimamente espressi ei voleva 11 i pensieri suoi ; e a questo scopo » le precipue sue cure rivolse : e a » più agevolmente conseguirlo , e ac- » ciocche il lettore o 1' ascoltatore >' non incontrasse inciampo o ritar- )i do , non dubitò di aggiugnere le » prepofiizinni alle parole e le con- )i giunzioni /reqiieiilemenle ripetere: 11 le quali tolte , uri non so che di 11 oscuro apportano al discorso , seù- 11 òen grazia vi accrescano ». Svb- METni ARABI. 3o3 Ma non valse 1' esempio di Augusto a frenar l' in- temperanza degli scrittori ; non valse la sua disappro- vazione alla troppo studiata dicitura di Tiberio Cesare : già sotto Caligola vaglieggiavasi il pensiero di abbando- nare alle fiamme i poemi di Marone e le deche di Tito Livio ; e indarno sudavano gramatici e retori per ri- condurre i Romani alla semplicità del dire e alla piana eloquenza dell' orator d' Arpino. La mania di distaccarsi da' modi volgari fu sempre, pur troppo, la mala febbre de' letterati d' ogni età ! Con questo distaccarsi soverchio dal dir popolare, il dir per gramatica sempreppiù disagevole si reudea nel tempo stesso che sempreppiù viziato diveniva e disador- no. E quando Tiberio ebbe trasferito dal Foro alla Curia le pubbliche concioni, tutta la vita del dir latino fu spen- ta, ed imitatori più o men felici de' morti i seguenti scrittori divennero: ma sempre colla legge che l'Eter- no impose alle imitazioni d' ogni sorta , di rimanersi tuttavia e molto all' ingiù dei modelli (*). Costantino trasportava la sede dell' imperio in una città della Tracia : e le due lingue letterate dell' orbe romano si rimescolarono allora un' altra volta e vicen- devolmente si alterarono (280) : mentre le volgari, donde (*) Qui tutte si adagiano le belle ce derivar si possono del greco mo- osservaiioni del conte Napione da derno , comechè il maggior numero Cocconalo negli aurei suoi libri del- degli scroni stranieri inlrodolli in quel V uso e chi pregi dell i lingua italiana, linguaggio si voglian ripetere dall'età (280) Da quell'epoca le prime trac- delle crociale. Non è cambiato un 5o4 DE n I T I s tfuclle craii sorte, nel primitivo sistema di graninticale andamento si consolidavano , il quale , più da natura elle da arte derivando, alle vecchie consuetudini e al- la natia indole viemaggiormente si vedcano cosi ravvi- cinate (281), linguaggio quando molte parole di- vengano antiquate e molte altre se ne adottino o sorgano dal fondo stesso degli antichi radicali ed anche affatto nuove; ma quando il graraalical si- stema venga a variarsi. - Per ciò che riguarda la lingua italica in confronto colla Ialina, la massima delle diffe- renze è nell' abolizione de' casi nei nomi: giacché ne' verbi , aslrazion fatta dalle due forme del futuro e dalle in- flessioni passive , dir si ppssono ingen- tilimenti di pronunzia piuttosto che varieti. Ma nel greco moderno la teo- rica de' verbi quasi affatto dall'antico si distacca: e, quel eh' è mirabile, con quella delle lingue romane si ricon- giunge. I filologi accordan troppo alla presenza de' Veneziani. Ma la forma graraaticale del greco moderno è la slessa anche là do\c Veneziani non penetrarono: e in sole gradazioni mere di profferenza t'imbatti. Il y, a cagion d' esempio, spiccantissimo negli Sc'ioti, eppena distiaguc.rai aSniiruf, e spa- risce affatto in Costantinopoli. Queste ed aliieltali attenuazioni nel sillabare riuve.ngonsi assai di frequente; ma la gt-amatica è una. (281) Intendo per quest' /«t/o/e na- tia quel primitivo tipo di gramatica e di glossario di che troviamo evi- dentissima l'analogia quando da quel- le industrie facciamo astrazione che nel vario andamento della civiltà qua e là s' introdussero In una parte più e meno altrove. Molto buio e già tolto per opera di que' pazientissimi che delle etimolo- giche derivazioni si fecero a prodarre ^a tale o tale ajtra ipotesi : ma per quel che riguarda piii prossimamente il nostro obbietto , piti che barlume di prossima aurora ei mostra nella dotta dissertaziojie di F, Paolino da S. Bartolommeo De latini sermonis origine et cum orientalibus Ungiiis connexione , Romae 1812, Avrem forse piena luce di meriggio quando alle sole etimologie delle parole iso- late non si vedrà circoscritta 1' opera degli eruditi , ed una gramatica ve- ramente universale e non fantastica vedreni sorgere alle cui regole, non immaginate ma rinvenute, tutti i par - ziali sistemi gramaticali della razza umana venir possano senza stento ad adagiarsi. l\r E T U I ARABI. 3oO Questo linguaggio da popolo con le legioni romane sino al muro di Agrippa nella Britaunia, e dalle fron- tiere del Reno e del Danubio giù sino al mare , col romano governo , coi cangiati costumi , e con la reli- gione del Lazio erasi già radicato (282). Ma vieppiù alla semplicità di que' modi il confortavano i vange- lizzatori di quelle auguste dottrine che distrugger do- veano le ingiuste disuguaglianze di fortuna , affratellar tutti i celi , e formar di tutti i popoli dell' universo una famiglia soJa (283). I fasti della religion cristiana rammentano qua e là illustri personaggi di alto grado che ne' primi tempi la professarono : ma la massa de' credenti nella più umile condizione della società vuol ripetersi. Que' po- veri di spirito o non valevano o non ambivano soste- nere splendidi onori sociali , anche dopo che Costan- tino ebbe inalberato la croce in Campidoglio. I per- sonaggi d' importanza , come mai sempi-e nella età delle corruzioni sociali addiviene , per vezzo adulatorio (aSa) Non par necessario, come al- legioni, la cui gramatica uniforme- tra volta io già mi pensai , stabilire mente tulle le provincie romane adot- un linguaggio intermedio tra il latin tarono. V. la nota ajg. letterato e il volgare. Quello io sup- (283) Qualche eccezione per l' im- poneva il c(J6//ie';se , del quale fan ri- perio orientale non è del nostro su- cordo Plinio in praef. ad- IL N. , A. bietlo. Del resto : mentre il (ìoverno Gcllio /. Xyil, e. a ed altri. Ma uu adottava il linguaggio di Roma , la pili maturo esame mi ha fatto accorto religione divenne il popolare ; e il che la lingua volgare tutta intera es- linguaggio della Religione prevalse, ser dovesse il linguaggio comune delle Tom. III. 09 • 3o6 DE R I T I S alla famiglia regnante , e i più. con ippocrito rispetto , alle assemblee si univano do' credenli : mentre gli am- biziosi e svelti ingegni che vi s' intrudevano traeaii cagione dalla semplicità de' loro confratelli per disunirli e dominare ; e i begli spiriti dall' altro canto forma- vano (li quelle dissensioni materia di riso e di dilcgio : e i più zelatori della vigna del Signore trovano occa- sione di scandalo ne' dettati di qua' padri die troppo di ciceroniano sentivano (284). (284) Ne aLbiamo una conliniuizio- Fourmont ( Ad. de V acad. des en- ne (li tesliraoiuatize da S. Girolamo a script, toni. IV , pag. 4G7 ). Le rime , S. Gregorio Magno. TuUo Io sUidio ci ben riflette , fan teniinoiiio che de' padri era quello di piegarsi il piii molte lettere , comumjue scritte , va- clie fosse possibile alla intelligenza dano o affatto taciute o in modo pro- de' volgari : pel quale oggetto parca nunciate che dagli ordinari suoni ai- pur bello al Magno Gregorio il con- fabetici si distacchino. Or leggendo fcssare eh' ei non fuggiva la collisione questi versi : del metacismo , non la confusione Halite domnae , noUte sanctae , del barbarismo ; nò ad osservar s' in- Nolte credere fabulas tantas , etc. clinava il suono e il caso voluti dalle come presso il Baluzio; non v' ha ra- preposizioni : stimando iniquo che le gion da credere che fabulas tantas parole de' celesti si dirigessero colle vadan pronunziate per favole tante regole di Donato, ( Gio. Diacono , in nella corrispondenza di .sa«/(j che per T'aita S. Greg. M. l. 4. ) Ed ecco quel mera ortografia scriveasi sanctae? tale latino che dir potremmo vera- Così appo lo stesso : mente volgare , e che in pretto ita- Ttmpus primus iam transactus , liano si trasforma sol che di alcune Ei Iwc feci quod vobis est aptum , etc. lettere si taccia la proffcrenza le quali Ed ecco transatto ed atto parole ila- come mere ortografiche van conside- liane perfettamente rimanti, rate. E per darne piena dimostrazio- Ma chi crederebbe rinvenire in ne , ci avvarremo d' un pensiere del bocca germanica la pronunzia di core AI E T n I ARABI. 5oj Sopraggiunsero nell' occidente le incursioni barba- riche , e tutta quella zizania grandeggiantc fu svelta dalla chiesa di Dio , e le umili piante soltanto inos- servate si rimasero o neglette dal mielitor superbo che passava. Se non tornarou negli antri , nella solitudine de' boschi si raccolsero allora i più pii. Ma dal fondo di que' boschi di mano in mano la fierezza mansueface- vano de' guerrieri indomabili : dalla scuola di que' so- litari! sorgevano i fondatori di tutte le moderne mo- narchie : e que' solitarii poi , alla corte dei re trabal- zati , divenivano i consiglieri più rispettati ne' dubbi eventi, e i promulgatori delle tregue di Dio nelle civili contese. Così al vo/gar Ialino tutte le nuove genti si pie- gavano, e le varie lingue de' vincitori di mano in mano vennero affatto dimenticate da quei pochi che delle pro- vincie romane occupavano a cincischi la signoria. In quella stagione 1' araba scimitarra cominciò a balenare in Oriente. Ma non per la sola forza del bran- do affbltavasi la calca sotto il vessillo dell' islamismo. Tutti i dissidenti dalla Fede di Nicea ne invocavano o provocavano protezione o vendetta : e la prepotenza dell" audace impostore fu al suo colmo allor che tutta quanta ebbe adita 1' eredità degli ardimenti ariani. in carde? Ma non altiimenti trovar si ferba lactis , fraus infaclis , può la rima in questi versi ; Corda anguina , verha butyrina. Omnibus rebus iam peraclis ^ j4p. Theod. Eberti , poetic. hehr. ìiulla fides est in pactis : harm. rhilm. mttr. etc. MA in ore , fel in corde , 3o8 DE R I T I S La qual peste , se in occidente non mancò di an- dar qua e là serpeggiando tra quei guerrieri che di stipendiati del signor di Bizanzio in dominatori si tras- Ibrmarono (2 85) , dalla chiesa latina fu sempre avuta in orrore. E quell' orrore nella classe de' volgari tena- cemente abbarbicato , sol tardi videsi alquanto infievo- lire, svelto affatto non mai. E acerbissima fu poi cuori italiani la temerità di que' semisettatori dell' islamismo i quali delle sacre im- magini spogliar voleano le nostre chiese : onde le ul- time ancUa s' infransero che ai bizantini ci legavano , e di un imperio latino sorger fece il pensiere di rista- bilire la dignità. A quest' epoca, del volgare idioma frequentissimi appaiono i vestigi e non rari i documenti. Solenne te- stimonio ne fa il giuramento de' figli di Carlo nella pace fermata a Strasburgo (286) : 1' elogio di un Papa per la perizia nei tre linguaggi allor vigenti, la volga- re , la tedesca, la latina (287): e le più antiche scrit- ture delle lingue romane ad un comune sistema, gra- (285) Non altrimenli anche i Tur- bisogna pcv molli testi di /ingi/a , s\)ic- chi chiamati dai califi di Bagdad pev cantissima la lingua italiana vi si loro guardia occuparono quel trono mostra. che dovean difendere. (287) È celebre l'epitaffio di Gre- (286) Questo giuramento sollenniz- gorio V per le calde gare che suscitò zato nel IX secolo nella Gallia Csar- tra il Fontanini e il I\Iu:atori : bonese , mai^is ad Jtalos vergi l, di- eta Leibuil/.. E in fatti se 1' < rlogra- Vsus. Francisca Vulgari. Et. Kcce. Latma. fia rettifichi , mcn furjc di cjucd che Instituii. Populos. Eloquio. Triplici. METRI ARABI. ÓO9 iiiaticalc non solo ma ortografico, niotlcllatc in guisa, che assai di sovenlc nel dubbio ti rimani se pronun- ziar si deggiano coli' acconto del romano vallone o ib(tano , alla Lira : Amei-tc, cu o confesso : E fosse noite o dia , Jamai tua armonia Me TÌste abanOonar. QBalquer penoso excesso Che atormnntasse osta alma , A teu obsequio eia calma Em pude serenar. Ali (Juantas vezes , quantaSj Do somno despertando , Dece inslnimento brando. Te pude temperar ! So tu , disse , me encantcs , Tu so, bello histrumento, Tu cs o meu alento, Ta o meu bem seras. Ve', de meu fogo ardente Qual è o actiTO imperio : Che em todo esto emisf«rio Se attende respirar. O cora^ào ilie sente Aquelle incendio antjgo , No raesmo mal que sigo Todo o favor me dà. No so se v'abbia dialetto in Italia che pili di questo al comune idioma s'av- vicini, j 012 Dl^RITIS re col commercio del parlare a un solo idioma (ag'i). Ma questo idioma unico non altrimenti che per la gramatica vuol riguardarsi tale, e per la comunità delle parole del civil consorzio : non sempre pel domestico glossario , e non mai per uniformità identica di prof- ferenza. L' Italia stessa tante offre varietà quanti sono i suoi grandi bacini , e forse tanti accenti (juauti sono i volghi che un muro ed una fossa serra. Pei quali ri- guardi tutta quella moltiplicità di scrittura osserviamo nelle vecchie carte e negli antichi monumenti dell' età remotissima e del medio evo , per tutta quella stagio- ne nella quale tipi di modelli non erano ancor sorti , e nella quale, se mai dell'arte etimologica vera ti è in difetto il soccorso , le varietà mere di dialetto colle diiferenzc scambierai da idioma ad idioma (agS). {292) Numine deuni ekcta quae volea promuovere. Con tutto ciò quel- sparsa congregare^ imperia ritusque la ridicola impertinenza si ristampa molliret, et tot populonini discordes tuttavia nel secolo XIX ! ferasque linguas sermonis commercio Su la costanza delle permutazioni conlrafieret. Plinio, H. ISf. UT, 5. di alcune sillabe , riguardo special- (293) Delle cosi dette scale m.ena- mente alle lingue romane , alcuni giane si è fatto argomento di scherzo saggi riunì, il Reynuard ( J^. Joiirn, da coloro che, pizzicando letteratura, des Savana , giugno 1820 ) , ed è aspirano piuttosto a brillare con un bello, ei dice, rinvenire in tai risulta- epigramma nelle società galanti che menti dell' analisi de' linguaggi la stes- ad impegnarsi in ricerche alquanto sa costanza che si ammira nell' ordi- per essi astrusette. I generosi \leman- ne fisico. ni han vendicato nobilmente 1' eru- Ma queste ricerche estender si vo- dito Francese col ritorcere sull' autore gliono anche ai dialetti. PL , a ca- del viaggio dell' yilfana c[\.\e\. tUo cV e'i gion d'esempio, ritenuto al modo M E T R I A n A B r. 3l3 Rinvcimlo il caso Ialino , qualunque ullcrinrc in- chicsla su 1' atiloriorità del provenzale o italico dia- lello , e su lo origini delle lingue sorelle del mezzo- giorno di Europa , senza vanissimo scapito di tempo non è più oggiiuai da insLituirsi : che dalle sole ragioni di più o meno vibrata prolTcrenza , tutte scorger le possiamo dall' antico tipo naturalmente fluenti. Ed ecco col loro accento rotondamente sonante ed aspirato gi' Iberi , primi che al di là delle Alpi fosser socii de' Ptomani , preferir tra le affini le più sonore consonanti , aspirar le più tenui , rinvigorir le vocali , e certa imperiosa maestà conservar nelle pa- role col ratteucre del latin letterato le s desinenziali per caratteristica del numero del più. Del resto : tutti i loro nomi nel singolare a legge del caso latino in- flettere : seguir sintassi italiana : all' italiana coniugare ialino al di là dell' Appennino si tras- forma nella lingua comune d' Italia in PL , nel napoletano in CHI , di là da Pirenei LL : ce. Le Origini Italiane quali furono meditate dal Mcnagio esigono sibbenc un finimen- to , ma r abozzo è ben fatto. » £d assai ragionato è il suo dire » quando assume essere italiane e ve- 1) nule dal Ialino molte voci che si )" estimano provenzali , le quali pure i> e il Bembo nelle sue prose , e il » Varchi nel suo Ercolano , e i De- Tom. IH. » pillati sul Decamerone , e il Tas- )> soni nelle sue. note vogliono che » sieno provenzali. Né vale il dire , » come fanno il Bembo e il Varchi, » clic i rimatori provenzali fossero 11 prima de' Toscani. Perciocché ia- >i cominciò a formarsi la favella ita- li liana dalla latina , gran tempo a- 11 vanti a que' rimatori provenzali , 11 cioè circa il tempo di Giustiniano^ 11 come 1' osservò bene Claudio Sal- ii masio , ec. ec. ( L. e. pag. y3 ). 40 3l4 D K R I T I S i loro verbi : e dei troncamenti delle parole quelli soltanto ammettere che ad italiano orecchio non dan noia (294). Ed ecco i Galli , più restii nel deporre le loi'o celtiche squame (^gS) , piegarsi a disagio alla romana favella , ma pur piegarvicisi : 1' integrità abbracciare dell' italico linguaggio , ma con deprimere la forza delle consonanti (296) ; tacerle in gran parte : render volubili e oscure le vocali ; e tulta languidetta render della loro favella 1' attillatura (297). Che ultimi que' Galli cingevan brando romano , e quando ne' tappeti dell' Asia eran già per poltrire i vincitori di Cartagine. Pure altra ma non diversa veggiam la sembianza della {294) Pochi principii generali su le trasformazioni che ricevono diverse lettere daranno un' idea del come le parole italiche nello spagnuolo ven- gano a modificarsi. La F^ la quale in fatti può risguar- darsi come un' aspirazione , sì cangia in H nello spagnuolo. Quindi fabula- ri W\..-, favellare ilal. ; //aia/- spagn. Il LI latino , si atlenna in GLI nel- 1' italiano , nella semplice I nello spa- gnuolo. Quindi Fitio lat. ; figlio it. ; Hijo spagn. ec. ec. V. le noie 278 , 281. (agS) Sidonio Apollinare accenna che i suoi concittadini conservavano tuttavia nella sua età sermonis celtici s^uamaìn. Ep. Lib. III. (296) La P , a cagion d' esempio , rinvigorito in B nello spagnuolo , si attenua in V nel francese. Aprire , ubrir , ouvrir ; ciipra , cabra , che- vre ; ripa , riha , rive ; e e. (297) » Quali vedete i Galli a' tem- )i pi di Cesare , tali trovate i Fran- » cesi ne' secoli delle crociate e sotto » il regno di Carlo Vili , di Fran- » Cesco I , di Luigi XIV. Socievoli « ed ameni , pieni di brio e di con- » fidenza , amanti de' bei motti , per lì modo che bastò una facezia inge- » gnosa a far prorompere nelle risa » un' assemblea di capi principali de- )) gli antichi Galli raccoltasi per con- )ì sultare cose di stalo, ec. ce. Napio- » ne , ub. supr. L. II ^ e. 4 , J. 6. METRI A n A n I. 3l5 fniiicese e della italiana favella, come a sorelle conve- niva , e 1' una dell' altra spesso alternar le maniere (298). Ma tra i Galli ecco gli Aquilani , e de' Romani e degF Iberi seguir più franchi le consuetudini : e i più veterani 1' aspetto quasi affatto deporre di straniera origine , di linguaggio alle italiane razze promiscui co- me di stanza (299). Se non che , quel tacere delle vo- cali alla fin delle parole , e certo incontro d' aspre lettere duramente accoppiate (3oo) , lo stento trasparir lasciano della imitazione , e dell' indole natia dalla qual divergono ti fanno accorti. Ma dopo questa rapida occhiata , nobile e cu- riosa inchiesta sarebbe quella di andar determinando e classilìcando su le condizioni dell' attuai pronunzia de' popoli italici quegli antichi idiomi i cui monumenti tanta diversità di scrittura ci presentano. E forse un tipo unico gramaticale vi scorgeremmo , e quella uni- tà d'idioma insiemcmente il quale, come per l'attuai lìngua nobile d' Italia disse 1' Alighieri , da per tutto appare e in nessuna città si rinviene. E non affatto de- vicremmo dall' attuale argomento se a ciò ancora , Ac- cademici, richiamar volessi la vostra attenzione... Ma di troppo io già veggionii innoltrato , e convien restar- si, » Entrai nel fiume, e l'acqua, diceami il conduttore (2C)8) Specialmente prima dell' Am- (299) Brevi li r , Italia veiius quam minislrazione

  • rovincia. Plin. H. N. Ili , 4- zlonc dell' Accademia. V. Algarolti , (3oo) V. la nota 3oo. Op. lo. II. Sa!(gio sopra la lìngua francese. 3l6 DE R I T I S che ne scandagliava la profondità , lainbiralti appena i talloni : ni' iunollrai , e 1' acqua mi oltrepassò le gi- nocchia : m' innoltrai tuttavia , e 1' acqua già mi batte ai lombi : più là non v' è guado e bisognerebbe git- tarsi a nuoto (3oi) ». Desistiamo. SPIEGAZIOT^K DELLE TATOLE TAVOLA I. tuffale lo t^wa^o (pvreo. Ju\ corrispondenza dei due alfabeti l'oriente, come, or che la Germania è secondo il costume dogli stessi orien- stampa finalmente le sue opere con tali. Con un semplice tratto clic si caratlcii latini , 1' occidente ottenne aggiugnc ad alcune lettere dell'alfa- già un tal vantaggio, bcto ebreo si ha l'indicazione di quel- Abbiam fatto a meno dei segni le che vi mancano e che a buon nelle due lettere 3 e {»?. Quest' ulli- conto son quasi sempre aache nel- ma non ha in arabo il doppio valore 1' alfabeto arabo le lettere medesime che il punto a destra o a sinistra pei' vibrazione piii forte e per sola distingue nell'ebreo, e suona sempre addizione di punti differenziate. sci. L'altra lettera, se in ebreo cor- L' adoperar caratteri ebrei invece risponde sempre alla/)e in arabo vai degli arabici rcndevasi inoltre quasi sempre ef. Ma i due punti su la he di necessità pel nostro lavoro nel- j^ si rendevano indispensabili ad in- r obbielto di renderlo per quanto piìi dicazionc del suono divciso che la ^ si potesse popolare. Del resto una tal acquista quando ambe nell' arabo ne sostituzione in opere di piim' ordine vien caricata, e in ciò fare abbiam trovavasi anche adottata ; e sarebbe seguito l'esempio di rispettabili autori. desiderabile che tutti gli orientalisti Tutti gli altri segni diacritici an- l'adottassero nelle stampe , per dirai- davano trascurati ; perciocché , al- uuire le diflicoltà d' iuipaiare tanti logandosi da noi quasi sempre la lel- caratlcri diversi. Chi non fa plauso tura accanto al testo , sarebbe stato alle intenzioni di que' valentuomini un sopraccaricar la stampa di diffi- cile tentarono di ridurre a caralteii colla senza oggetto. Ialini le lettere orientali? Ma se non Ma del modo per noi seguilo in tal •i vuol giugnero sin là, si stampino lettura fa uopo render conto, con carutluri uuilormi le lingue del- » Due modi vi sono, diceva U Ju- 3l(S DERITIS nes [a), per produrre le parole asia- con regole invariabili, sembra meri- ticlie con caratteri europei. Consiste il tar preferenza )i. primo nelV esprimere la pronunaia - E conseguenlemente a queste idee Utilissima cosa, al certo; ma sempre i primi tentativi di lui e poi quelli insufficientemente comunicar si pò- del Sacy e del Langlès trovansi ora Iranno nuovi suoni ad un organo non perfezionati dal Volney : il quale per assuefatto a riceverlo. Oltre a che, si altro, ritenendo dell'alfabeto latino distrugge tutta T analogia gramatica- le otto sole lettere che sono in piena le ; si rappresentano suoni semplici corrispondenza colle orientali , per le con caratteri doppi , e viceversa ; si altre diecinnove or con punti , vir- scauibiano le vocali; e forse si finisce gole e segni prosodiaci, or con ca- soltanto col perpetuare una pronun- ratteri greci o maiuscoli, ed or colla zia provinciale e priva d' eleganza, diversità della lettera tra il tondo e Con tal metodo questi versi, a cagion corsivo e degli attuali cogli antichi d'esempio, di Malherbe : caratteri di stampa ne va notandole iu mort a des rigueurs à nulla aulre differenze. pareiUes. Adottar non potevamo una tale in- On a beaula prier ; dustria, né tentarne miglioramenti. Lacruelleqa'elleest seboucheles oreillis, Nostro scopo era quello di far con 0- Et nous laisse crier ; jcerc l'eufonia delle parole arabe , e tai versi sì rendono in inglese con spesso a persone che altro non po- quel metodo; tean trovarvi se non merissime tan- Laa more aia day reegyewrs aw nool taferale : ed obbligo ci correa di ri- olreh pareìlyuh muoverne per quanto fosse stato pos- Onne aw ho law preeay sibile , non di moltiplicarne il disagio. Law crooellyu/i kellaj su/i booshuh lajs Due sono le principali difficoltà orelljuh pei- esprimere la pronunzia araba colla yly noo laysiih creeay . povertà dil nostro alfabeto : I.° pei 11 secondo sistema d' ortografia asia- suoni e le articolazioni che noi non lica consiste nel sostituire scrupolosa- abbiamo ; 2.° pei suoni e le articola- inente lettera per lettera, senza nulla zioni che in piii modi da noi si pro- brigarsi di conservarne la pronunzia : nunziano quantunque espressi collo e quantevolte ciò venga a coordinarsi stesso carattere. (a) Recherches asiatiques , cu mémoires des mais onenlaux icrits en lettres romat- de la sodété etablie à Bengala ec. - Paris nes -par le Président. i8o5 ~ tom.J. Vissertation sur V orthc^raphe JI E T n I A R A B I. 019 A rimuovere questi due ostacoli dersi colle mozioni loro analoghe, pcr- mirano lo seguenti osservazioni : le che la N specialmente quando è mossa quali come supplimcntaric producia- per ies/a e per -(//n/?2a nulla fa senliro Dio a quanto trovasi già connato nella dell' A, ma suona perfettamente Eo pag. 19, cnellenote 16, 17, 18. I^OoUjliandue uffizi ; 1." quello Le lettere nella tavola si succedo- di lettera consonante , tcnuissima sì no neir ordine per gli Arabi adottato ma sempre consonante , al principio secondo la somiglianza de' caratteri, di una sillaba ; 2.' quello di non scr- A ravvicinarne però il valore il più viro ad altro che a far più chiaro il che si possa colle lettere latine giusta suono della mozione cui si appoggia, la pronunzia italiana , or vogliono se analoga , o a formar con essa una disporsi in ordine metodico. specie di dittongo. Per distinguere queste diverse funzioni ed avvicinarci (1 M alif k V^' quanto polovasi al modo italiano, 27 1 uau V ogni volta che queste lettere altro non " fanno che rendere più chiara una mo- zione o crescerne la quantità proio- Corrispondono precisamente alle tre diaca, vengon segnate con un sempli- vocali siciliane a, u, i. Nel princi- ce apostrofo (i^). pio delle sillabe prendono evidente- Dell' accento , sia grave, sia acuto , mente la forza di consonante le due abbiam fallo uso allora soltanto che ultime presso tutte le nazioni , ma il bisogno facea sentirsi di rendere oscuramente la prima fa sentire il spiccante un ritmico andamento. tasto vocale. I Greci però par che il Ma siccome nelle rime arabe fre- 6entissero eminentemente quando qua- quentissima è la permutazione della I lunque parola che cominciasse da \o- per l' U , o viceversa; ad esprimere cale caricavano collo spirilo tenue. questa prossimità dei due suoni, ci Queste tre lettere, da. non confon- siamo avvalliti della Y (e). (a) Il tescidiJo per la V e la I , e il mail- Ma le gradazioni procedono per infinitesimi. do per VA sono espressi nella sola lettura: Dieci suoni deJl'A riconoscea Prisciano nella e lo stesso è dell' hamzat. Prego perciò gli pronunzia latina ; 1' ti e 1' w de' greci co' loro orientalisti a supplirli nel testo con quell'in- numerosi ditton^!;! sono appena l'abbozzo del- dusuia che crederanno più a projjosilo. le i'Oca//iza:io«/ umane, e trale lingue uotis- (6) Le tre mozioni arabe si considerano sime basta rivolgerci all' inglese per averr.e un assai bene dai più accurati come tre classi saggio.-Crede l'autore testé citato che sntica- alle quali gli undici punti vocali delia nuo- mente in ebreo tre sole fossero i segni delle Ta masora vanno .id 'ordinarsi. V. la Gram. vocali, come presentemente nell'arabo Io ciedo hcbr. par J. E. Cellsiiibr , Genere 1820. al contrario che amicamente lo prcOirenze oso D K R f T I S ^ 26 n Ae II '1 suono nasale è così spiccante ne due y 6 n hha HH ultimi elenienli che quasi soffoca la Zeftere gutturali. ^ 20 p af Q qualità gutturale: la j; specialmente f ^^ ™-' che talora vuol essere espressa come { 7 3 cìia CH . . , T^ r una lieve aspirazione nasale. E, fatta ^ astrazione dell' uffizio delle peltoiaìi Aella impossibilità di far corrispon- nel rendere piìi chiare le mozioni a- dere un sol carattere italiano ad ognu- naloghe , non si risolvono come lette- na di queste cinque lettere, le quali re consonanti in lievi aspirazioni an- altro in sostanza non esprimono che un ch'esse la » e li ì? Gli autori inglesi sol tasto vocale piii o men profonda- esprimono }a *| araba col w , ed è mente vibrato , con molta appressi- nolo quanto il sillabare inglese coti inazione venir possono rappresentate questa lettera sia analoga al nostro da h, hh , q, h , eh. Ma delle due ^«nr, ^«e, ec. evidentemente gutturali. HH ci siam serviti assai di rado [d). Sorge qui spontanea una riflessio- Questa serie di suoni gutturali pren- ne. I nostri Vastesi chiamano la loro der dovrebbe il primo termine dal- patria (l'antico Histonitini') Guasto la }< radicale , e compirsi colle due e non Inasto. Sopprimete dall' antica gutturali-nasali U e J , e si avrebbe parola la terminazione oniuin che jel questa progressione dalla più tenue medio evo si disse aiiioiie ed aimone.- alla pii; forte J^jn.nO'D'p'i^'J • ™'^ ^^ avrete nell' antica ortografia il vocali fossero numerosissime , come in tutti sostituirono poi per maggior cliiarezza le trs i dialetti non riilotti a scrittura ; e fhe si lettere S , 1 , ' , in compendio ; ma i nomi di audassei poi di mano in mano a restringere fatha , iesra e zamma rimasero, nel signifi- coll' introduzione de' vari segni co' quali si cato appunto di aprire , stringere e infran- Tullero andar determinando. Curiosa è la sto- gere !e labbra. ria che gli Arabi ci conservarono su l'intro- [d) Ci è stato a ciò di conforto l' autorità duzione de' loro segni vocali nella scrittura, del Mingarelli , il quale nel dare la versione J» Prendi questo Corano, disse Abcilasvad al de' primi versi d'un salmo credL- conveniente » suo scrlbente , e una tinta di color diverso tralasciar molte aspirazioni ; Primam psalnii y dall' iucliiostro : e quando mi vedi aprir ogdoadem hic appailo , latinis elementi^ ìi^~ » la bocca, metti un punto al di sopra della braica excribens vocabala... multas tamen » lettera: quando stringerò le labbra tra lo- omittens aspirationes ut omnis vitetur , quan- a» ro , metti un punto a lato della lettera : tum fieri poteste confusip. De Pirid. od. con- » ma quando le infrangerò , metti un punto lect. p. 22. Il che par d'indole propria de- » al basso della lettera: e se dopo alcuno di gl'Italiani i quali han modernamente sce- » tai moti senti un appoggio nasale , metti verata la scrittura di tutte le lettere di mera li due punti in vece di uno. » Sacy , Act. de etimologia , ed ab antiquo compendia meliorti V Ac. des Inscr, io. 4-,p. 33g. Ai punti si credtderunt.Tz^^ìiZiki^o. M E T K 1 modcrho va o gua ridotto a sempli- ce aspirazione. Un ragionato lavoro etimologico sulle nostre vecchie parole ( insti tuito non sopra analogia di let(ere. n^a di articolazioni identiche , comunque per le varie industrie alfabetiche appaiano a primo aspetto dilTercntissime) manca tuttavia alla scienza arcbeologica: seb- bene molte e preziose sieno le ri- cerche de' moderni filulogi su 1' ana- lisi di ciò che dir potremmo musica del linguaggio umano. Che clic ne ne sia, la V, espressa non di rado col digamma eolico e colla F in molle lingue permutabile, e quindi ridotta ad esprimere una semplice aspi- razione labiale , reclama l' iniziativa d' un' altra serie. Come del pari la I , la quale al dir d' un antico gramalico , semicluso ore , impressisqite sensim lingua dentibits vocem dahit, per la triplice serie si dirama delle licguali- battute j delle linguali-sibilanti, dcl- )e linguali-nasali. ARABI. 32 J stesso segno alfabetico espressi; quello cioè quando si adagiano più o meno strettamente le labbra mentre la voce quasi strisciando vi scorre , e 1' altro quando si battono spiccatamente le lab- bra tra loro o il labbro inferiore a denti. Nel secondo di questi modi con- servano in tutta 1' estensione del si- gnificato il carattere di mute; ma nel primo esser ben possono annoverate anch' esse tra le liqucscenti. Lettere nasali. {25 ì 19 J 25 ì nun N ^ ain A gain G Lettere lab. ■ali. l 2 3 l 24 D /8 F be B mim M Queste lettere vengono espresse per f, b , m. È da notarsi che in que- sta serie di articolazioni che comin- ciando dalla 1 termina colla Jj la quale clauso quasi mugit inlus ore , due modi son da distinguersi dallo Tom. II f. Della N disse Mauro Terenziano sonitus figitur usque sub palato ^ Quo spiritus anceps coeat naris et oris. Quest' aspirazione nasale da noi scol- pitamente non si avverte quando la pronunziamo battuta , ma è notabilis- siina in combinazione , spezialmente nella profferenza de' nostri calabresi. La seconda lettera V , che sembra esclusiva degli orientali , non trova adunque uiia facile rapprossimazione colla N nasale nel solo bacino dell'Ar- no ove riconoscer si vollero i di- scendenti degli Ajamei , ma dovun- que la vibrata articolazione degli an- tichi non soffrì molto detrimento col- r ingentilirsi e farsi vicvia piii svelto l'organo della parola. Le tre lettere adunque 3 , V > } formano anch' esse una scric di suoni analoghi dalla piii tenue alla piìi ener- 41 522 DE R I T I S gica espressione; e la forte vibrazione / io ^ re k della J ben si mostra nell' alfabeto , | ^ J ?"« G' arabo , come di popolo cbe alle pri- I '^ n *"" fP' . .... Ilio sm S ine linee di civiltà si è rimasto. 1 " ' ^'"" ^ Tacendo rimanere la J in corri- Lettere Ingualt. < ,5 n ,i^^j y-c. spondeiiza della n : difficile era poter ^ 3 'i°J D ' .... - 9 T '^'"'^ I" rendere con segni italiani la j^ e la J. 16 0 Ida TS E.. . . , . 17 5 t/ii!a TS' perciò trovasi espressa la prima per 3 n (e T un semplice accento circonflesso, quan- v 4 n '''« T' do ad una mozione si appoggia: e la- Per la numerosa scbiera delle Ictte- lora per H , quando al principio di re linguali avremmo dovuto adottare una sillaba notar uc dovca la proso- tutte le ortografiche industrie sopra dia. E non ci siamo spaventati della notate end' esprimere di ognuna un confusione che poti-ebbe emergerne suono italiano approssimante : ma cen- coUa n o colla f^ , perchè le lettere nammo (e) che da gran tempo in Italia orientali son sempre a riscontro della si mira a restringere piuttosto che ad nostra lettura. E diligentissimi scrittori ampliare gli clementi alfabetici; e non reputano di tanta poca importanza la è da stupire se al Trissino fallisse un'im- tenuità di questo appoggio nasale che presa alla quale non riusci 1' antica nella scrittura nemmen 1' esprimono, autorità imperiale nell' apogeo della 11 Clerico , a cagion d' esempio leg- sua potenza. E perciò ritenute le let- ge elmo'larùdi e arùdiyon ciò eh' è lere semplici E.,L,S,Z,D,T, scritto t'I^lv'^X tD*7y 6 '2f")"iy j "^ '1 sorgere in noi non poteva il pensie- Langles mette in corrispondenza della re di andar notando le gradazioni « un semplice apostrofo; il Volney una di quelle picciole differenze di pro- a col segno prosodiaco di breve, a ; il nunzia che noi esprimiamo collo stesso de Sacy gli stessi due asterismi co' qua- elemento alfabetico, e le quali abbiam li vorrebbe che si caratterizzasse la già veduto che gli Arabi stessi non o; ec. rispettano nella ragion delle rime. La forte aspirazione della J è da Quattro sono le zete che il Salviati noi espressa per GH: e innanzi all' e o riconosceva nel nostro italiano; sarà i, e per la semplice G innanzi alle un gran male se, trattandosi di mera altre vocali, caricandole sempre con eufonia, gli arabi elementi f , Jf , ^, l'accento circonflesso. vengano espresse coli' unica Z? (e) V. la nota i. f^ ^T M E T K I A R A D I. 023 Quel che qui importa osservare si confondono se la pronunzia sia al- c che in lutti questi elementi il tasto quanto strisciante. E se alle differenze articolare scorre dall' uno all' altro delle due t degli orientali porremo con tenuissime gradazioni, in modo mente, la prima , j^, da pronunziarsi che soventemente l'uno coli' altro si colla punta della lingua , l'altra, {3, scambia; nel tempo stesso che detcrmi- colla base della lingua elevala al pa- nano alcuni tal dilicata proffercnza lato ; le ragioni avrem chiare delle che con difficoltà passa da pòpolo a permutazioni che si ascollano nel ba- popolo. Oltre alla celebre e impro- cino dell'Arno dello «c/jì schiacciato nunziabile dai francesi, alla r ignota collo sii pingue, covat fistio , stiavo ai cinesi e agli antichi romani ; come per fischio e schiavo , ec. ec. far conoscere la proffcrenza della d Nella progressione numerica degli siciliana ad orecchio che non 1' ascoi- alfabeti del bacino del mediterraneo tò mai da bocca siciliana profferire?- alla G latina corrispondono lo zayn E queste che dir potremmo ambigue ebreo , la zeta de' greci e la ze de- profferenze , di molte analogie ci dan gli Arabi ; come alla latina C il gi- ragione là dove di strane anomalie mei ebreo , il gamma greco e 1' ara- preudon sembianza. In Sicilia , a ca- bo gim. Per lo che non so compren- gion d' esempio, àìcai chiddo e chid- dere come siensi ostinati alcuni gra- ffa in vece di quello e quella. Ma malici ad avanzar che gli antichi non quelle dj non sono precisamente tali : altro che un suono gutturale espri- ma un certo medio tra la d e la. l messero con quegli clementi, come i esprimono che ci rende ragione del popoli g(-rmanici (g). Ma adottando permutar che facevano i nostri ami- anche quella sentenza , che altro ab- clii , e i Ialini e i greci 1' una con biamo se non il tasto articolare pala- V altra lettera (/ ). Cosi le sei lettere tino or battuto colla punta ed or col- battute •], "7, {3, y, f\ , r\ , dell' la base della lingua, e quella serie Arabo alfabeto hanno differenze te- di aspirazioni rotonde o schiacciate nuijìiiue tra loro, e colle sibilanti si delle quali per nessuna alfabetica in- {f) Xovenstìe.^ si l'è per L si t^e per D seri' [g] Suot-o metodo per apprendere agevol' b:ndum : cum unionem enìm hahiterunt Ut- mente la lingua latina, tom. IT. p. 672. Vuol terae hae apud ani.quos , ut dinguam et trarsene argomento (l:iU'.is5Ìmìlaziooe che fa linguan , et dacrimis et lacrimls , et Capi- Suiila del C latino col K greco. Bisognerebbe dolium et Capitclium , et sella a sede , olire dimostrar prima che nell'antica Grecia non ai odore. Est et comunio cum Craecis : nos si pronunz.ksse U K come nella Grecia mo- lacrimae , tilt hatfiafvx : olere vi^v^nan : medi- derna vicn pronunzi.-^ta. tari tit\truv, Vittorino. * 324 D E R dusuia notar si potrebbero le miuule differenze ? Uno de' bisogni umani di molla im- portanza sarebbe quello di un alfa- belo comune a tulle le razze umane: ma un tale alfabeio è tuttavia Ira le desiderata. I caratteri de' nostri alfabeti , da un lato son troppo scarsi , dall' altro troppo numerosi. Son troppo numerosi se le articola- zioni all' ingrosso notar sì vogliono : son troppo scarsi quando a tutte le X T I S dilicale variazioni di pronunzia si vo- lesse portar riguardo. I nostri antichi provvedevano alle loro bisogne colie sedici lettere cadmee. L' alfabeto ta- mul o malabarico mostra che quel numero ben potrebbe tuttavia esser piìi basso (//). Intanto rimane nella sua integrità la riflessione dell' abate Oli- vet che non v' ha mezzo di far cono- scere con lettere da Parigi a Mompel- lieri una frase francese nel preciso modo che si pronunzia alla Corte. ^y Wtrcoit. Le dilucidazioni necessarie su l'uso di questi circoli trovansi nelle note dalla pag. 34 alla 41. Altro qui non rimane che aggiugnere : 1. Esprimere gli Arabi la quantità prosodiaca non mai per sillabe ma per lettere, ed essere i segni proso- diaci arabi precisamente quelli che trovansi incisi nel!' estremo lembo de' circoli: in modo che i due segni 0 ovvero i corrispondano alle lette- re mosse o quiescenti ; 2. Notarsi ne' circoli le sole for- mole magistrali , le quali ricevon poi tutte quelle modificazioni che carme per carme si sono andate specificando. Ed altro non rimane che trascri- vere la sinopsi che il diligenlissimo Clerico formò di tali modificazioni. 1. 2. 3. 4- 5. 6. \h'\'}}tifahuJon ''Wfl fahu'lo per Qabda ''U'iJ faJiii'l tiV^ fa/tlon Va fahlo Va fahal Ss fai Qazra Talma Tarma Adfa Bair» [h) 11 carattere inciso alla tai>. II esprimo atiticlii facessero altrettanto. V. la not» /. del pari SCIA , LA e RA. E pai che i nostri METRI II. 1. 1^3 fa/iilon per Cliabna a. iVa fuMoii Qala III. jSj^anDD moslafhilon 1. |V^30 mofaWùlon per Chabna 2. [Sirnao moftahihn Taia 3. in'7;ri3 fahilalon ChaLla 4. [bu'Sn mojhu'lon Qala 5. IxSu'iìO nwfhulaii jV.cdEdala 6. [Si^JD fahu'hn Rabla y.lxSi'Snoo mostafhilà' n Edala 8. t«'';'N3a mofa'hila'n iV.eChabna 9, [«Sirnaa moftahila'n W. e Taia 10. INn'7;f3 fahilata'n rrf.eChabla IV. iS'I^xaa mofaliinon \. pi'saa mafa'hilon per Qabda a. S';?X3a mafahi'lo Kaffa r S'i(K30 majahi'l j 3.< ovvero ! Qazra ^ IsSii'O A"''" '« « J 4. |''U'3 fa/iu'lon Adfa 5. }bi;?9a mapiulon Charma 6. pi'xa fa'/iilon Sciatra 7. 'JU'iJD mo/7tul Charaba V. inxVj^Na fcC lilla' tori *• inxSi'ì) fahilaUon pcrChabna 2- nsbi'xa fa'hila'lo Kaffa ■^- n«Si'a fallila to Sciacla 4. [«''^'Sfl fahilan Qasra ARABI. 025 ^- ìxV;fa fafii'la'n /f/.cChabna ''• lS;^Sa fahilon Hadla 7- t^i'3 fahilon j'c/.eChabua ^' 1V3 f"^'^°"' Batra 9- iSu'3:3 mof/iu'lon Tascita 10- |X''7;?!i ùl.cdEi. 6. ]^i'2/hl//lon Hadada 7. t''i'3/«/;/o« jV/. ed Ez. 8. ]^^l'i<2na motafa'Ma'n Edala 9. |x'7;'3nDn,„05to//«7a'« jV/.edEz. 10. \^'i'^2n mofa'/tila'n iV/.eVaqsa 11. \'^^']!T\2Tì mofla/iilu'n jV/.eCLaz. i2.inx''i'Xano molafa'hila'ton Tarlila i3.inx'71'3nDO rnostaf Itila' ton id. ed Er. 14. tnxVNa"3 7«o/a7«7aVo/j iV.c Vaqsa i5.I1KV;>Knao moftahila'ton iV/.eChaa. 326 DE R I T I S Vili. nN'7"i;^aa mafhu'la'to ns'jWQ fafiu'la'/o ì 1,1 ovvero > per Chabna 1 b'i'XSn niafa hi' lo > 2. riK^xa fa'hilàto Taia 3. nsSi'j} fahilato Chabla 4. [«'jvan moPiula'n Vaqfa 5. I«bi;»3 fahulan id. e Chabna g, inSjt.xS fa'hiki'n id. e Taia 7. i'7V3a mofhulon Kasfa 8. l'jV^ faJiu'lon id. e Chabna I^i^xa fa'hihn id. e Taia i'jj'3 fahilon id. e Chabla lSj>3 /aA/o« Zalma 9- 10. 11. IX. 1. iS i'S3 n ma fa' hi lon per Chabna 2. ': ;'N3 DD mos to//ij fo Kaffa 3. b ;JX3 D mafa'Jd lo Sciakla 4. l'^ii'S fahu'lon QasraeChab. |n nS ^^tì fa'hi la' ion 1. tu'? I^NS fahi lato per Kaffa TAVOLA I. z U. ^ anzonc ■)tnedt. Le due prime sono alle pag. 126 e orizzontalmente ; ma è nolo che le 127; la terza alla pag. 228. Quivi la chiavi cinesi leggonsi per linee ver- corrispondenza della lezione è scritta ticali dall'alto al basso. TAVOLA II. y. nno a m. emedt. De' quattro frammenti che ci riman- de' vanagloriosi ; e il povero Narcisso gono di poesie greche colle note mu- fu vittima dello sdegno di lei (Ovid. sicali , quest'inno a Nemesi è il più Metam. Ili , v. 406). Quindi que' imporlanle. Vi si scorge quell' iinpe- gai versi di Catullo : guo con che i gentili ne' primi secoli Nane auiax cave sis , precesque nostras , del cristianesimo gareggiavano per ri- Oranus , care dcspuas , ocelle , muovere dalla vecchia mitologia quan- Ne poenas Nemesis nposcat a te. tJ v' era d' assurdo. Nemesi , secondo Est vehemens dea : laejere hanc cavelo. l'antica leggenda, era la punitrice Ma eccola poi confusa con Adrastia , I i AI R T R I A R A B r. Sgy figliuola di Giove e della Necessilà ms. d' Oxford ha il titolo: Ajoh/iJiod, 'iia' (Apuleio, de mu/!cIo)j eccola con- MoviTuv ; crede l'editore inglese che fusa colla Fortuna ( ueae nemesi si- non sol quello ma gli altri due an- VE ronTVNAE Grut. p. r.A-A'.v , n. /. ); cora lessero d' un poeta chiamato Dio- cd eccola , secondo quesl' inno , fi- nisio — Gli eruditi conoscono 12 poeti gliuola , ministra e compagna della di questo nome. Giustizia Eterna, e moderatrice su- Ma quest'inno a Nemesi è attribuito prema e rettificatrice del mondo mo- a un poeta per nome Mesodmes da ralc. E non è da tacersi che nella dot- Giovanni di Filadelfia , scrittore greco trina degli Eliolatri , già non era che vivea imperante Flavio Giusti- piìi considerata se non come un di- niauo. Il signor Burette trascrive uno vino attributo. A^emesis , quae con- squarcio di questo autore , dal ms. del- ira superòiam colitur , quid est quarti la real Biblioteca di Parigi cosi conce- Tiolis poleslas ? cuiiis l'sla natura est pito; <ì>xiri yap tyjv Nì.uej'iv ra yhatfi'pa ut fuìgentia ohscuret et conspectui rtAiv 'ìrpaynaruiv iis in'TaXw rpiTT'uv , tuis nuferat , quaeque sunt ol/scuro illu- LTipfìoXncis r»is To;^r)j, tij (fucri NoyfiEnos, minct , qfferatqiie conspectui ? Ma- tw luvrxs nrpay^w rriv ma'^fura iTaywguv , crob. Sat. 1 , 22. Per lo che recar non V^tv i Miv awp^Eva xXivsis • più eccessive fortune a livello della vTo 'rnx''y «£' (iiorov xpxTiii- (*) dice- mediocrità. Quindi Jlfesodmo, in cer- va. Sinesio al fratello nella xcv di to luogo, fa quesl' apostrofe alla Dea: quelle epistole delle quali Suida ma- Di tua ruota ne' rapidi spiri , ec. gnifica la celebrità : xai ras ^av\t.a.'Cfi- L' esemplare della Biblioteca Bor- fitvas ivarakas ( tlvvirct^i ). boniea (**) è preziosissimo per le va- Tanto questo , quanto 1' inno alla rianti e per le note musicali che man- musa ( pag. g5 ) e V inno al sole cane dal sesto verso in poi negli altri {pog. S^ ) irovansi uniti in tutti i co- codici ; ed è come segue : dici. E siccome l' inno alla musa nel (•) Ciò accade spiccatamente siccome noi (") In Catalogo ti. CmiLti , cjJ. cctii ; cantiamo su la lira : Tu fra lor non veduta 111 , e. 4. t' aggiri j ec. ."jaS D E R I T I S 'T M N 0 s; E I ^ N E M E S I N, I M M M M I M Me P M Nsf/tscrt 'Tnposa-croc , (2iou pocra , «MZZ ZZ EZ* ZM MUU VU EZ EZp A' x.ov'^oL i^pvocyiJiarex, S-varwv jjjjM Ijjz I IMM E?r£%;£;s a5c«,t6avT« ^ockmo M M M M M M M e M 6 ExS-oyfxo. S'VjSpiv oXoav j3po%iKa!lri\\>.a; . 11 che viene viCTBict SANCTA.E DEAE NEMESI : il chc maggiornienle in appoggio delle no- se avesse avuto in pensiero il dottissimo stre riflessioni quivi disviluppale. Burette non avrebbe proposto di cam- E perchè in fallo di musica i ra- biare Nixriy in Aixotv , ed avrebbe rav- gionamenti a nulla valgono se 1' ese- visato nel codice parigino anche in dizione fallisce ; esponiamo sotto l' oc- questi versi quella perturbazione che chio dogi' intendenti , con quel wo- negli altri avverti e seppe cosi ben vimento che abbiara creduto convc- correggere. E non pare che produr nevole , la traduzione per noi falla possa ostacolo il qui trovarsi Nixriv in- de' tuoni musicali dulia notazione gre- vece di vix-r,r(>t'xv. Oltre all'esser quo- ra alla nostra , nella qual traduzione sta una delle permutazioni usitatissi- uno o due tuoni soltanto ci è occorso me ili poesia , nel caso attuale par rcllificare dal come trovasi nel ms. , che siavi a bella posta onde rammcn- forse fallo del copista ; supplendo le lare l'origine della bella statua di lacune ne' luoghi indicati con punti.- Nemesi che Marco Varrone a tutte le ....E dcggio all'amicizia del cava- altre preferiva. Tuli' altrimenti dal- liere D. Domenico BIakulli e del va- r aneddoto riferito da Plinio , //. lentissimo maestro D. Placido Man- jV. XXXf^I , 5 , abbiain da Pausa- eanici assistenza ma' solo e consigli , nia , tv Attik. , che Sersc traspor- ma il vedervi correre sottoposto quel tasse in Grecia del marmo por farne òasso che il eh. Burette riputava im- formare un trofeo della vittoria che possibile. già leneasi in pugno; ma che, avve- A.nche l'autore del Sictionaire de nutogli il contrario , Fidia , o come Masiqae ha pubblicato i primi sei altri vogliono Agoraorilo , formasse di versi di quest'inno; ed all' ari. Mu- quel niaimo la statua di Nemesi^ mo- sique così si esprime : On a beaucoup numento della vittoria de' Greci. souhailé de voir queìques fragmens Abbiam riferito alla pag. <)i l'in- de Musique «/zc4, V. i5 Sculteus Scultens i5 20 and. and 28 17 vn;>SN i-ni'Sì* 33 3 mofa'hi'lalaton mnfa'hilaton 37 7 albasido 28 Convulso al basito Evulso 49 17 a.7vvxUTriTX a7vvx^rviTX Co 21 eretico bachiaco 68 3 qalà ; qatà , 67 10 con la la C9 6 allora aUor 82 2g his bis 87 24 IIÙ 25 né ne' ne' io3 27 trovaa trovasi 108 18 comendate comsntate 122 2Ò Terso versi versi verso J2G 27 certerza certezza - 128 16 libros libros : i35 24 Rousard Ronsard 146 20 ^ - — i5o 2 ó'oabN D'cnbK iGo 17 bifontes bifrontes 174 4 «nSu «nhil 6 px l»5 14 n'Bf3 n'w i5 CDi-nx aì-ciir 16 'xn; •^•\D 17G 2 npufB^K 5 INJN npB'D''» 7 NIX. ..nVn _«!«•• -nS-n 6 NXr3'7N...NnN KxpSx •Knx 9 nriNij-i Ni.si mrÌNDn nixi 10 sxpix «Xi5'7K i83 26 Mal consuetuiline in- E mal consuetudine in argini ' frange ogni argini. 24 Non si resta e in abito Non mai si resta 9 in abito termini ella termina. 311 5 di chi in chi 23 quel riguarda quel che riguarda 218 4 epitimi epiiriti 214 8 t;> tv 214 5 banafragi banaj'sagì 239 25 basta basta per 241 28 nota 192 noia 203 2G6 23 Cli' il . □le '1 271 i5 e sono Bono 296 4 seguiremo seguirono 326 18 267 228 320 Sg to. 4 to. L. ALFABETO Cani T> I tj^ 'aiA j. . f K .3 c^ n «CI. tu e -or,"' ■<• J^ì lì ^ XìUm JEBKEO * ^ jTI ^ r n 7 e 2 . s ^ M ^ J 1 J I JrJ ■', '- =^ « ^ ■■ •^. =^ '■\', ■■ \ ■ 1 1 < ^ -■■ )| ■■- 5Ì -•- ^ ",.; ^fc X « 5; ,-, b 1. N* , r -1 b li 1 '■-, , =^ " ■ 1 5 ^ N» i. J ■1 1- ::: 1 ^ ^ ■^ ^ . 5k b 1 ^ ^ Q '- X ,.- 5^ ... ì 1 X " 1 1 "3 << ::» < ' » 5 ■ *-^ .1^ •'X"--}I , « '^' :cv. s 5 6 e Cl4 VI - 3 ? s n ce; ce; m o o g Q CU o ai VI ir, r; i S < Ci 1 o -< l>0 e OS o i OS OS < e < a; fC g s a S5 > s w sa 1 1 1 -< Ci: <•< ^ ^ fc? ••%, 'iliU EE! £^ S^ fe + g ^ E- -^ EQ riVr & ^ ifflm ■1 »fI'*S-WI ■ VDILW- Jl0 WgjlD SOlffiMT'Q^flVm^MM-flQBk^ •i»-^siss>iwi-M-ra 3WB-ì!)JM'mnsymsm 5 ^* ^' •^- ^• %■ ^_ ^- 5 l^ ^^.. "1 ■^ i 1 \^ ^ , s-^.- ^^ "^ ^- ■l- ^: ^- •a- 5- Ni b 9f^M INDICE PEL P R E S E Tv T E F A S C 1 <; O L O. / metri arahi: memoria di FijfCENzo de Ri- Tis |>ag. 1 Coi presente fascicolo panno unite ire tavoln in rame. Prezzo degli atti accademici. VOL. I. Fascicolo primo., g. 28 Voi. I[. Fascicolo primo., g. 60 Fascicolo secondo, g. 70 Fascicolo secondo, g. 20 Fascicolo terzo. . . g. 70 Fascicolo terzo, . . g. 40 Fascicolo quarto., g. 28 Fascicolo quinto . g. 28 L'intero volume, d. 2. a4 Voi. III. Fascicolo primo... d. 2.40 I fascicoli suddetti sono vendibili nel locale deW Accademia ; f^ico porta piccola della Pietra Santa n." aa. ATTI DELL' ACCADEMIA PONTANIANA VOLLME IV. NAPOLI ■TABILIMEVrO TIPOGBIFICO DEL TB.lMftTBB Strada S. Sebastiana N.° 30 primo piaoo. 1851. ALLA HAESTA DI FERDINANDO II. RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE eie. etc. etc. *^ Sacra Real Maestà L Accademia Pontaniana , che fu sem- pre dalla M. V. onorata della Sua reale pro- tezione , osa offrirle rispettosamente il quarto volume de' suoi atti. Noi intendiamo con questa umile offerta di manifestar la nostra gratitudine e la nostra devozione verso la Vostra Augusta Real Persona; ed abbiamo fiducia che la M. V. si degnerà di accoglierla benignamente, mostrando così ver- so i nostri lavori Accademici il Suo Sovrano gradimento. Pregando Iddio di conservar lungamente all'amore ed alla felicità de' Suoi popoli la M. V. e la Sua Augusta Real Famiglia , ci segniamo col più profondo rispetto Di V. M. . , ^ ^evotis»mi e Fedelissimi mdditi ì '\}V<.\t' gjj ACCADEMICI POnTAWAW. NOTIZIA DELL* ACCADEMIA PONTANIANA PER GLI ANNI 1845, 184G, e 1847 Letta ali* accademia dal segretario perpetua GIULIO MINERVINI. Signori Colleghi (jià r uomo illustre , cbe mi ha preceduto nella carica di Segretario Perpetuo , tenue ragionamento de' la- vori dell' Accademia sino a tutto l'anno 1844 • ^ l'ultimo ragguaglio relativo ad un intera decennio trovasi ormai pu])blicato. Ora a me piace continuar quel ragguaglio pe' tre anni seguenti , ne' quali la operosità della nostra Accademia si mostra degna di onorevole ricordanza. E cominciando da' lavori dell'anno i845 , clie alle scienze matematiche si riferiscono, rammento la memoria del sig. Vincenzo Antonio Rossi sulle supeificie anu- lari y e l'altra del sig. Fortunato Padula su le equa- zioni relative al moto de liquidi. Né debbo tacere la importante comunicazione del sig. Ernesto Capocci j il qaale Ce preventivamente conoscere i dati del passaggio' VI Jnno 184.S. di Mercurio sul disco solare , che fu poi la Napoli os- servato nel giorno 8 Maggio. PIÙ grande fu il numero delle memorie nella classe delle scienze naturali. Il sig. cav. de Luca espose cosa esser dovesse un almanacco geografico italiano , parlò de' vóti in geografia, e del modo per riempirli. Il sig. Rossi tenne proposito di ima efficacissima pratica per istabilire la sussistenza dello sbocco de' fiumi in mare. Debbonsi al sig. Oronzio Gabriele Costa alcune illu- strazioni al genere Cypridina , e la descrizione di una novella specie distinta dalla Cypridina Reynaudii , e che l' autore appella Mediterranea. Il cav. Michele Tenore Presidente dell'Accademia die conoscenza di un nuovo genere nella famiglia delle Iridee, che chiamò Polla Bonariensls , traendone il nome dalla memoria del nostro illustre concittadino commendator Polì, e dalla provenienza della pianta. ;':fn Finalmente l'importantissimo ramo della chimica or- ganica non fu punto trascurato dall' Accademia : ad essa appartengono le osservazioni sulla Clanorina fatte dal sig. Giovanni Semmola , tendenti a formarsi una più chiara idea di quella morbosa organica produzione. Alle scienze morali ed economiche furono in quel- l'anno destinati non pochi lavori. Il sig. cav. Pasquale Stanislao Mancini presentò un esame ragionato delle opere sulla polizia preventrice del cav. Roberto Mohl di Tubin- ga. Il sig. Michele Baldacchini lesse brevi osservazioni sopra una teorica della certezza. Il socio corrispon- dente sig. Marchese de Ribas imprese a dare, con appo- Jnno t84^. TH sita memoria, una più esatta analisi della sensazione. Due lavori furono presentati dal sig. Vitaliano Sabatini j il pri- mo sulla utilità e sugli espedienti principali per ren- dere la scienza popolare j il secondo sulla importan- za dell' attività e della sveltezza sotto il rapporto deir educazione Jisica. Il sig. cav. Luigi Blanch presentò un suo breve discorso che ha per titolo = Su qualche disposizione di parte della società attuale =» Bisogno di emozioni. Ed il cav. Panvini lesse un suo ragiona- mento intitolato Liete speranze per lo progresso della nuova civiltà. Da ultimo il sig. Matteo de Augustinis ia un suo lavoro statistico trattò della valle del Liri, e delle sue industrie. Alla classe di antichità appartengono una memoria del sig. de Ritis sopra alcuni siti dell' antica Napoli , e la dichiarazione di un antico vaso di Ruvo con sint' holiche figure , fatta dal sig. Giulio Minervini. Due lavori relativi all' estetica intrattennero l' Acca- demia , r uno del sig. cav. Francesco Paolo Bozzelli sullo origini e le doti del teatro indiano '^ l'altro del sig. ab. Gaetano Pesce contenente i prolegomeni intorno agli studii della parola. Nò scarso fu il numero in questo anno delle poeti- che produzioni. Oltre alcuni sonetti del sig. ab. Rucca , «Icune poesie del sig. ab. Carpino , ed un' ode del sig. Barone d' Epiro , ricorderò le stanze della signora Maria Giuseppa Guacci-Nobile, quelle del sig. Giulio Genoino, e le altre del sig. Giuseppe Campagna , le quali han per titoli rispettivi Giambatista della Porta \ Un voto\ La scienza e V arte. vm Jnno t84-o. In questa medesima classe de' lavori di gusto va no- verata una prosa del nostro socio non residente sig. Fi- lippo de Jorio , che porta l' epigrafe vìsita a Castellam- mare £ Italia. La biografia degli uomini dotti , specialmente allor- ché sono fondatori di qualche sistema , interessa grande- mente a' cultori delle scienze*, ed è perciò che riuscì gra- dito r elogio storico di Samuele Anemanno , dettato dal prof. Romano. Fra' lavori presentati nell'anno i845 non debbo omet- tere un discorso sullo stato di Platone , che fu ammesso a leggere il sig. Errico Pessina , quantunque non appar- tenesse alla nostra Accademia , e che trovasi già dall'au- tore pubblicato per le stampe. Avendo il sig. Fedele Amante lette alcune sue con- siderazioni sul modo di raccogliere gli elementi per la formazione di un vocabolario italiano delle scienze e delle arti , fu nominata un' apposita Commissione per colorire un s'i importante disegno 5 il quale , come sarà detto tra poco , meritò ulteriore attenzione nell' anno seguente da parte dell'Accademia. Varli peculiari incarichi tennero particolarmente occu- pate diverse classi. Così quelle di scienze naturali , e di letteratura italiana furono invitate a dare un parere sul progetto del sig. prof. Costa, di un dizionario de' nomi volgari degli animali del regno. E mi giova qui ricordare che il sig. Costa, nel dare alla luce un saggio di tal dizio- nario, non omise di riferire il parere di quelle due classi. Una più seria occupazione intrattenne la classe delle scienze matematiche. Jnno iS4^. IX Richiamo alla vostra memoria , onorevoli Colleghi , che la classe raalematica propose nel i843 il suo program- ma, con premio straordinariamente stabilito dall'Accade- mia in ducati 200 da accordarsi alla memoria che desse una dichiarazione 'soddisfacente di tut^Oìlc particola- rità di un fiume torrente del regno di 'Napoli ^ e delle opere idrauliche più conducenti a contenerlo nel suo alveo. Essendosi in risposta ricevuti due lavori uno sul fiu- me Calore, l'allro sul fiume Sele , la classe si occupò diligentemente ad esaminarli. 11 suo giudizio fu che non si dovesse tener conto della prima memoria , che la se- conda meritasse un accessit, come quella che mentre non soddisfaceva pienamente al proposto quesito , conteneva non pertanto non pochi pregi, i quali meritavano ancora un incoraggiamento pecuniario. L' Accademia aderì al volo della classe , e decise darsi all' a. sig. Emilio de Augustinis il premio di duc.So. Fra' corpi scientifici e letlerarii, che si posero in rela- zione con noi, ricorderò l'Accademia scientifico-letteraria de' Concordi in Bovolenta , che c'inviò il suo statuto 5 non che l'Ateneo di Brescia, che ci fé parte de' suol com- mentarli per gli anni 1840 e 1S41. L'Istituto Lombardo di scienze lettere ed arti e' inviò il primo volume della nuova serie de' suoi atti 5 e ricevemmo ancora gli atti del VI congresso degli scienziati italiani, che ebbe luogo in Milano. Ma fu per noi memorando quest' anno , o Signori , perchè ci fu dato di accogliere in questa medesima sala in una straordinaria tornata i più eletti ingegni d' Italia 6 X Anno i84S. convenuti in Napoli al VII congresso scientifico italiano , molti de' quali eran pure nostri colleghi. Il desiderio di onorare i nostri Ospiti illustri ci fece in queir anno interronopere la serie de' nostri atti. Fu invece per noi pubblicato un volume contenente la notizia de' lavori dell' Accademia per gli anni i835 e seguenti fino a tutto il i844 dettata dal segretario perpe- tuo, ed alcune delle memorie o poesie presentate nel corso dell'anno, e delle quali dicemmo di sopra. Il titolo di que- sto volume , impresso con quella maggiore possibile ele- ganza, che dalla brevità del tempo ci fu conceduta, e fre- giato di alcune tavole incise, fu agli scienziati d'Italia del VII congresso dono delV Accademia Pontaniana. Numerosi esemplari ne furono tirati, e distribuiti a tutti i membri del congresso , a' quali era particolarmente destinata quella pubblicazione. Nell'anno i845 avemmo a deplorare la perdita di molti sodi residenti rapiti da morte. Il cav. Francesco Lancellotti, il commendatore Teo- doro Monticelli, il Barone Giuseppe Niccola Durini, Mat- teo de Augustinis , Francesco Fergola pagarono il tributo alla natura. Ma tra essi i due ultimi furono da troppo immatura morte colpiti j e segnatamente il Fergola , il quale mentre era inteso a' suoi grandi lavori di triango- lazione , sulle cime delle montagne affrontando disagi e pericoli , che il solo amor della scienza persuade ad af- frontare, come un generale in campo di battaglia, cadde spento da una folgore. Io non mi dilungherò a parlarvi della vita e delle opere di questi nostri colleghi 5 già molti tra voi compi- Jniio iS4^. XI 10110 verso di loro questo dovere : e debbo citare uua scrittura del sig. Amante, nella quale lodando il Pergola fé conoscere tutti i grandi lavori geodetici da lui eseguiti. Questa notizia formerà parte de' nostri atti. Il numero de' nostri soci; onorarii, corrispondenti, o non-residenti si arricchì non poco in questo anno ; ma mi permellerele, o Signori, che io faccia particolare men- zione di S. M. il Re di Svezia e Norvegia Oscar I, il quale degnossi di accogliere 1' omaggio dell' Accademia \ che Ira' socii onorarii lo annoverava come un illustre per- sonaggio , che accoppia alla gloria dello scettro anche quella non meno grande della scienza. La biblioteca nostra si accrebbe nel i845 pe' doni de' signori Matteo de Augustiuis , conte Adriano Balbi , dottor Barsotti , cav. Ludovico Bianchini , Stefano Bona- cossa , Giuseppe Bresciani di Borsa, Oreste Brizi , Fede- rico Bursotti, cav. arcidiacono Luca de Samuele Cagoaz- zi, Pietro Camardella, Giuseppe Campagna, conte Gino Capponi , Giovanni Casarelto , Vincenzo de Castro , cav. Francesco Ceva-Grimaldi, canonico Taddeo de Consoni, Niccola Corcia, Achille Costa, Oronzio Gabriele Costa, Andrea Cozzi , Carlo Crolli , Giovanni Galbo-Palernò , Giulio Genoino, Francesco Ghibellini, conte Graberg de Hemso , marchese Angelo Granito, abate Raimondo Gua- rini , p. Alberto Guglielmotti , csv. Giovanni Gussone , bar, d'Hombres Firmas, Giuseppe Ignone, cav. Bernar- do KÒhne , Pasquale Laureana , Vincenzo Loraonaco , ab. Giacinto Longoni , Giovanni de Luca , cav. Fran- cesco Lusi , Gustavo Mancini , cav. Pasquale Stanislao Mancini , Cesare Marini , conte Gennaro MaruUi , conte xn Anno ^84-0. Trojano Mnrulli , Antonio de' baroni Mazzlotti , Gabriele Minervini , Giulio Minervini, Giuseppe Moretti, monsig. Navazio , Carlo Kovellis , Gaetano Osculatis , Giacomo Paci, Domenico Pagliara, Pier Alessandro Paravia, Tom^ maso Perifano , Gaetano Picardi , Gabrio Piola , Dome- nico Ragona-Scinà , conte Annibale Ranuzzi , Francesco Regli , cav. Salvatore de Renzi , Timoteo Riboli , cav. Angelo M. Ricci, Biagianlonio Roberti, raarcliese Carlan- Ionio de Rosa, dott. Rosnali , Vincenzo Antonio Rossi, Giuseppe Saleri, conte Faustino Sanseverino , Savino Sa- vini, Teodoro Serrao, cav. Michele Tenore , sig. Toelken, Andrea Tipaldi , cav. Benedetto Trompeo , Giovenale Vegezzi-Ruscalla, Giuseppe de Vincenzi, Rernardino Zam- bra, ed Achille de Zigno. Noterò particolarmente il dono di varii opuscoli te^ deschi fallo alla nostra Accademia dall'illustre nostro so- cio sig. consigliere Mittermayer, Queste produzioni relar live a varii rami di scienza , e venuti fuori in varii siti della Germania, appartengono a' Signori Bischoff, Haenel, Rùchenmeister, Legler, Mòbius, Philippi, e Schwarlze; Passando all'anno 1846, rammento tra' lavori della classe matematica la memoria del sig. Fedele Amante , nella quale si propone una nuova maniera di calcolare gli archi di meridiano fra Montjouis e Formentera. Ben quattro suoi lavori comunicò all'Accademia il nostro socio sig. Vincenzo Antonio Rossi. Il primo è una me- moria analitica sulle superficie anulari di terza classe in generale. Il secondo è una nota sulle inviluppate rigate delle anulari di prima e seconda classe. Il tei-23 è una memoria analitica stilla superficie , se- rondo la quale potrehbonsi conformare le parli infe- riori de" moli sporgenti in mare. Col quarto lavoro fi- nalmente il sig. Rossi comunica all' Accademia i princi- pali risultamenti da lui ottenuti in una nota sulle variazioni di accrescimento di altezza delle acque di un lago diviso in due , e delle rispettive variazioni di capacità. Ricordo pure una nota del sig. Fortunato Padula contenente alcune ricerche idrauliche. Nella classe delle scienze naturali varie memorie fu- rono fornite dal sig. Oronzio Gabriele Costa Presidente dell'Accademia in quell' anno. Tali sono quella relativa ad un nuovo pesce della famiglia de' Gadini y al quale il sig. Costa dà il nome di Merlucius TJraleptus : la nota intorno a due particolarità da lui per la prima volta os- servate circa la conformazione degli occhi dell' Urano- scopo , volgarmente detto pesce lucerna : la terza me- moria concerne ad un novello genere di entomostraci del- l' ordine degli Ostracodi o Ciproidi , a cui si dà la de- nominazione di Nauplius hirsutus, Il cav. Pasquale Panvini riferì all'Accademia intorno ad un caso di malattia periodica, che un individuo por- tava dalla nascita (una specie d' ittiosi") , con disquama- zione della pelle nell'Autunno, e riproduzione della cu- ticola verso la Primavera. Lo stesso cav. Panvini lesse un breve cenno sul metodo di litotripsia coli' apparato elettro -chimico , praticato dal sig. Cervelleri : il qual cenno fu causa di un rapporto dell'Accademia al Ministro degli affari interni, perchè si facesse lo sperimento di quel metodo ne' pubblici ospedali. Alla classe delle scienze naturali appartiene un lavoro XIV ydiino iS46. entomologico del sig. Achille Costa, contenente la rivista delle specie napolitane del genere Merocoris. Mi piace anche iu questo luogo di ricordare una memoria relativa alla storia della scienza medica , colla quale il cav. Sal- vatore de Renzi cercò di provare, che il libro de vetere Medicina , il quale va tra le opere d' Ippocrale , sia da attribuirsi ad Alcmeone di Crotone. L'antichità e la Storia furono l'argomento di due memorie del sig. Marchese di Villarosa ; una sulle coorti equitate de' Romani, l'altra intorno a'U morte di Fede- rico Secondo lo Svevo. Per ciò che spetta alle belle lettere, il nostro socio non residente sig. Tonamaso Perifano lesse un suo discor- so , nel quale dassi una nuova spiegazione del veltro e della lupa , di cui si ragiona nella Divina Commedia del- l'Alighieri. Questa spiegazione .provocò da parte del sig. cav. Giuseppe di Cesare alcune novelle osservazioni sullo stesso soggetto. Non tacquero né pure in quest' anno i sacri cultori delle Muse. Il sig. Giuseppe Campagna proimuziò nel seno dell'Accademia tre sue canzoni: la prima intitolata alVe- sule j la seconda la forza del pensiero j la terza la guerra £ Africa. Il sig. Domenico Anzelmi lesse un suo poemetto , che porta per epigrafe V antropofago de Pi- renei. Il sig. Quintino Guanciali dettò un carme latino nella circostanza della sua ammissione tra' socii residenti, facendo nel tempo stesso le lodi del defunto ab. Ferrara, di cui aveà preso il posto. Lo stesso officio resero con particolari elogi a Matteo de Augustinis , ed al barone Durini , i socii Vincenzio Anno t846. xv Moreno, e Vito Mastrangelo, che loro successero nell'Ac- cademia. Alcuni altri lavori ci furono comunicati in quest'aa- no , che non appartengono a nostri socii. Il sig. baroncino Alessandro Petti lesse un discorso sul progetto di un' o- pera intitolata dizionario di morale e politica : ed i sigg. Genoino e Guanciali presentarono un lavoro ma- noscritto del sig. conte di Tanejef sullo stato presente della legislazione e degli studii di giurisprudenza in Bussia. Fu nel 1846 pubblicato il 1 fase, del voi. V de' no- stri atti contenente la memoria del sig. Salvatore Fusco intorno ad alcune monete di Amalfi, e l'altra del sig. Giuseppe Fusco intorno ad alcune monete aragonesi ^ ed a varie città che tennero zecca in quella stagione. Come di sopra annunziammo, si rivolse di nuovo l'attenzione dell'Accademia sulla proposizione del sig. A- mante di un dizionario tecnologico italiano. Altri membri si aggiunsero alla commissione nominata nell'anno prece- dente , che si compose perciò de' signori cav. Cagnazzi , cav. de Lu^ca , Amante, Padula , cav. Tenore, cav. de Renzi, Semmola, cav. Gussone, Borrelli , cav» Mancini, Palmieri , Bursolti , cav. de Cesare , Gervasio , Corcia j Fusco Giuseppe, Genoino, d' Elena, Campagna, e Guan- ciali. La commissione, riunita per la compilazione di un programma di quel vocabolario , fu di parere che se ne presentasse un progetta all' Vili congresso in Genova, la seguito del rapporto della commissione, l'Accademia nel- r approvare quanto si era da essa stabilito, commise al socio Pasquale Borrelli di scrivere quel programma ; e XVI j4nno i846. questo chiarissimo nostro collega accellando l' onorevole iocarico lesse prima in Accademia il suo lavoro , e po- scia lo consegnò al Segretario della commissione sig. cav. Mancini. Avendo poi l'Accademia scelto a rappresentarla come deputali presso 1' ottavo coog-resso i sig. cav. de Renzi , cav. Mancini, ed Achille Costa, afEdò loro la cnra della stampa di quel lavoro, che venne eseguita in Genova, essendosi ivi distribuita in un grandissimo numero di e- semplari. E mi è grato, o Signori, di ricordare, che fu quel progetto dell'Accademia accolto con grandi applausi dalla sezione di agronomia e tecnologia del congresso , la quale diede al cav. Mancini l' incarico di parteciparlo a tutte le phV riputate Accademie d' Italia. La classe delle scienze naturali propose nell'anno 1846 il programma per lo concorso al premio di duc.So da accordarsi a chi presentasse la più soddisfacente rispo- sta al seguente quesito = Descrivere la topografia me- dica , la meteorologia , le m,alatlie predom^inanti , i rimedii naturali , la statistica e la storia delle epi- demie di una delle Provincie del regno delle due Sicilie. Di due comunicazioni fatte all' Accademia mi con- viene tener discorso , perchè dirette a garentire la prece- denza ia alcune ricerche. Il cav. de Cesare presentò un suo manoscritto , che porta il titolo Glorie italiane del XII secolo , ossia la Lega Lombarda. L' opera è divisa in 7 libri, che si contengono in 17 quaderni con note. Porta in fronte la seguente epigrafe : Neque enim post Italiam diris exterorum oppressionibxis affiictatam j4nno tS4'>- x\ii tempus ullam exsl'dit , quo Itaìi veterem romanac virtutìs et constantiae indolem haud prorsus in ani- mis exolevisse suis apertius declararint. Sigon. Jiist. de regno Italiae lib. XIV pag. 33o. Si è potuto rilevar dall' esame maleriale ed esterno di quello scritto , che il cav. de Cesare avea quasi condotta al suo termine l'opera di sopra annunziata j quantunque non possa l'Accademia gareulire tutte le particolarità in esso contenute , giacché r a. lo ritenne in suo potere , né lo depositò nel nostro archivio. L' altra comunicazione ebbe luogo nella tornala de' 26 Luglio. Il cav. Pasquale Panvini depositò un plico suggellato , sul quale si legge « Descrizione e disegno di una macchina idraulica ideata da Francesco An- tonio Giacomarra, per fare agire mulini, gualchiere, cartiere, e far muovere legni in mare con movimento da sé f depositata nelV Accademia Pontaniana dal cav. Pasquale Panvini a' a6 Luglio 1846 ». Per quel che concerne la relazione con altre società scientifiche , ricorderò che furono a noi partecipali i pro- grammi di concorso dalla società medico -chirurgica di Torino, e dall'Ateneo di Brescia. Né ometterò di ram- mentare che l'Accademia fisico-medica-statistica di Milano e' inviò alcuni fogli del suo diario ed atti j l' istituto lom- bardo il secondo volume delle memorie^ ed il quinto del giornale j e che alcune pubblicazioni ci pervennero dal- l'Istituto Storico di Francia. La società agraria di Bolo- gna inviò alcuni volumi delle sue memorie, e fu deciso mettersi con essa in corrispondenza, mandando uo esem- plare de' nostri atti. e xviii Anno 184.G- Gravi perdite d' illustri socir sofferse pur l'Accademia nel 1846. L'abate Giuseppe Ferrara, il cav. Antonio Na- nola , Stefano Cusani , ed il barone Pasquale Galluppì altro non sono per noi che una onorata memoria. Ma la la fama del Galluppi, e le sue opere saranno eterno mo- Buraenlo di gloria per la filosofia italiana. I libri della nostra Accademia (oltre alcuni novelli acquisti) furono aumentati per le opere de' signori Carlo d'Andrea, Adriano Balbi, p. Pietro Bandini , Pietro Bia- giiii , cav. Niccolantouio Bianco , G, Luciano Bonaparte principe di Canino, Toramasa Bonparola , prof. Botto, Oreste Brizì, Federico Bursotti , cav. Prospero Cabasse , Giusep]»e Cadolini, Giuseppe Campagna , cav. Vito Ca- pialbi, Rosario Caruso, Federico Cassitto, Giuseppe Cat- taneo , cav. Giuseppe di Cesare , Michele Cito principe della Rocca, Niccola Corcia, Achille Costa, Oronzio Ga- briele Costa, Achille Desiderio, A. Fabbroni, dott. Freire Allemào, Giovan Vincenzo Fusco, Giuseppe M. Fusco, Ambrogio Fusinieri , Giov. Galbo-Paternò , arciprete Mi- chele Carrubba , Giulio Genoino , Agostino Gervasio , Giuseppe Germier de Veze , Silvestro Gherardi , Luigi Grimaldi , Quintino Guanciali , ab. Raimondo Guarini , sig. Guilloiy Ainé, barone d'Hombres Firmas , France- sco Lattari , cav. Ferdinando de Luca , Giov. Alessandro Majocchi , cav. P. S» Mancini , conte Gennaro Marnili , Tommaso Mazza , Giulio Minervini , Giuseppe Minzi , Vincenzio Moreno, Ferdinando de Nanzio, Tito Omboni, ab. Pasca , Giuliano Passalacqua, Errico Pessina, Alessan- dro Petti, Domenico Ragona-Scinà , cav. Salvatore de Rena j marchese de Ribas, Michele. Ridolfi , Vincenzo de Rilis, Emraanuele Rocco, Baldassarre Romano, Car- laatonio Continuazione delle osservazioni sulle cose ecla- resi j dello stesso. 5. Sulla normale comune a due curve coniche esi- stenti iu UQ medesimo piano \ memoria analitica di Fran- cesco Paolo TuQci. Jnno t84j' XXV Il nostro invilo alle società scieolifiche e letterarie d' Italia , per la compilazione di un vocabolario tecnico comune a tutta la penisola, cominciò in questo anno a fruttificare. In fatti ci fu comunicato da parte dell' Acca- demia Fisio- medico -statistica di Milano, essersi accolto con piacere V invilo di contribuire a quel lavoro, ed es- sersi nominata una commissione per dare opera alla parte che concerne il setificio , siccome la nostra Accademia avea ritenuta la parie dell'Architettura, e della Musica. In quanto alle altre relazioni con corpi scientifichl , ricordo che l'Accademia reale delle scienze, e l'Accade- mia medico -chirurgica di Torino ci parteciparono i pro- grammi di concorso da esse proposti : furono ricevuti vani volumi degli atti dell'Accademia Cosentina, alla quale furono inviati i nostri : ricevemmo altresì alcuni novelli fascicoli delle memorie della società agraria di Bologna , e dell' investigateur dell' Istituto Storico di Francia. Fi- ualmenle fu da noi accettato il cambio degli atti coll'Ac- cademia Reale delle scienze di Stockholm, e colla Società Reale delle scienze di Upsal. Furono offerti in dono le loro pubblicazi(jni da* si- gnori canonico Francesco Sav. Abbrescia, cav. Francesco d'Agostino, Fedele Amante, bar. Stefano Attolini, Adria- no ed Eugenio Balbi , Michele Baldacchini , Giuseppe Bandiera , Girolamo Bianconi , Bartolommeo Biasoletto , Agostino Casazza, Filippo Cassola, can. Giuseppe di Ce- sare , Vincenzio Colosimo , Niccola Corcia , Eduardo Eichwald , Giuseppe d' Errico , Carmelo Faccioli , sig. Fenicia, Luigi Frali, Giulio Genoino, sig. Bar. Gràberg de Hemsb, Luigi M.* Greco, Maria Giuseppa Guacci- d XXVI Anno i847- Nobile , Raimondo Guarini , cav. Ferdinando de Luca , cav. Pasquale Stanislao Mancini, conte Gennaro Marnili, Tommaso Mazza , Gabriele Minervinì , Giulio Miaervini , Santi Neri, Giuseppe Novi, Luigi Palmieri, Andrea Pa- padopulo Vretò, Errico Pessina, Bonaventura Portoghese, Flaviano Poulet , Salvatore Proja , Biagiantonio Roberti , Ignazio Rozzi , Giovanni Sannicola , Giovanni Schirò , F. Selmi , Giacinto de Sivo , Giambattista de Tornasi , sig. Vallez, conte Francesco Viti, sig. Wolowski. INDICE ni Dedica a Sua Maestà. pag. Notizia de lavori per gli anni i845, 1846, e 1847, letta dal Segretario perpetuo Giulio Minervini. » v Intorno alla vita ed agli scritti di Camillo Por- zio napolitano, ragionamento di Agostino Ger- vasìo . . . . » ■» i DelV istoria d^ Italia di Camillo Porzio. . . « 4? Di una navigazione mediterranea in Capitanata tra Foggia e Manfredonia , e della irrigazione di quelli terreni, di Vincenzo Antonio Rossi, m 1^7 Tavole di monete del reame di Napoli e Sicilia, presentate da Salvatore Fusco >j aii Tavola generale <£' interpolazione , presentata da Fedele Amante » aSi Illustrazione del fonte di Manduria nel Salentino di Oronzio Gabriele Costa » "ì^i INTORNO ALLA VITA ED AGLI SCRITTI DI RAGIONAMENTO SI AGOSTINO GERVASIO ietto ucWe toniate Ì5eafi n e »ó wiatto /S3« Ata molli anni avca promesso all'antica società pontaniana rac- coglier le notizie intorno alla vita ed agli scritti di Camillo Porzio napoletano , storico che tra gì' italiani del secolo XVI ancor oggi ha fama di non essere ad alcun altro secondo. Non mi fu permesso coir alacrità medesima , con la quale allora la feci , adempir la promessa, sì per le difficoltà di comporre opera che fosse degna di un illustre consesso accademico , essendo tropiK) scarse e fuggevoli le notizie che sparse qua e là si leggono in varii scrittori di quel letterato nostro , sì jierchè dedito a studj più severi poco o uiun pensicre poteva io prendere di far ricerca di documenti e memorie l)er r oggetto indicato. Ma pur olTertamisi 1' opportunità di leggere alcuni documenti parte inediti e parte poco noti , la cui mercè non poco lume poteva ricevere la narrazione della vita e degli scritti del PorLio , mi tornò ia memoria 1' antica promessa e mi accinsi al I a GERVASIO lavoio. 11 quale aveiwJo portato al compimenlo migliore che per me si è potuto , mi fo animo (li presentarlo ora a voi , accademici pre- stantissimi, nella fiducia che sarete per gradirlo con quella umanità che vi è propria, se non come cosa da soddisforc il purgato giudi- zio vostro , almen come una testimonianza del buon volere in con- tribuir la picciola parte mia per la gloria della patria letteratura. Dividerò dunque il mio ragionamento in due parti, delle quali la prima conterrà ciò che mi è liescito raccogliere intorno alla vita del Porzio ; nella seconda poi darò ragguaglio distinto delle opere di lui si edite che inedite. Giovanni Porzio nobile Cretese cacciato in bando dalla patria };er omicidio conmiessovi si rifuggi in Napoli , ove trapiantò la sua famiglia (i). Da lui verso il fine del secolo XV nacque Simon Por- zio medico di professione , che gran fama acquistò nel seguente secolo XVI pel suo insigne valore nella peripatetica filosofia. Do- po di aver egli appreso le amene lettere in Napoli, e divenuto pe- (( i-itissimo nel greco e nel latino linguaggio , come lo mostrano le molte opere da lui pubblicate , passò in Padova ove fu discepolo ui filosofia del celebre Pietro Pomponaccio. Ancor giovane si di- stinse tanto Simone in questo studio che nel i520 fu chiamato in Pisa a legger la logica in quella rinomata università col soldo di fiorini 25 annui, Illa conosciutosi da' reggitori di essa il sommo valore del giovane Simone , venne fermato , scorsi appena pochi giorni di quella lettura, a professor di fisica per due anni , accre- sccndoglisi lonorarlo annuo a fiorini ^5. Ciò non ostante, termmato il tempo della lettura alla quale si era obbligato, conlento della glo- ria e della rinomanza acquistata , Simone abbandonò Pisa e si re- stituì in Napoli sua patria nel i525 (2) per godervi delle sue ric- chezze (3), e contraendovi matrimonio perpetuar la sua discendenza. In fatti dopo poco tempo prese moglie dalla quale ebbe sette figli, tre maschi e quattro femine , come si rileva dal seguente epigram- ma che a- Simone indirizzò il poeta Giano Anisio (4): VIT.V DI PORZIO S- Ad Sinionem Porlium. Quod maJHs preliiim tua liabebat Porlia solvit Emiitens , Porci , pignora pidchra libi. Mas TERNVM absoh'it nuinerum, focmella quaternvm. Perfuìicta officio laeta res'isit nvos. Tu , quia tttntopere gaudebas coelibe vita , Perjiuere incumbens mentis ad excubias. Parthenope mairi et famae fac omnibus aris Quae laetas obeant cum Pìutèthonie yias. Non si ha notizia sicura de' nomi e delle particolarilìi di que- sti suoi figli; ù celio però che uno di questi e forse il maggiore fiv Camillo , del quale sto scrivendo le memorie (5). È qui pria d' ogni altro necessario che io avverta di non con- fondersi il nostro Camillo Porzio di Napoli con altro cognominato' Porcio o Porcaro Romano, come han fatto il Mandosio (6), il Chioc- carello (7) , e non ha guari il sig. Luigi Bossi (8). Imi'crciocchè il Romano fu poeta , e morì nel i52i (9) , e '1 nostro per istudii diversi rinomato non era ancor nato quando l'altro mancò di vita. Nacque dunque in Napoli Camillo da Simone Porzio (io), ne del- l'anno in cui nacque alcuno ha fatto parola come di cosa oscurissi- raa. Sembra però che possa fissarsi non prima del iSaS , uè dopo del 1537 ,■ poiché essendo stato mandato dal padre a studiar leggi in Bologna nel i545 , come tra poco mostrerò , non dee credersi cìic contasse in quest'epoca meno de' 18 , o più de' 20 anni. Qual fosse stata poi nella prima età sua 1' educazione , qual profitto avesse egli fatto ne' primi studj , e quali fossero stati i suoi maestri, debbo confessare di ignorarlo, non essendomi riuscito tro- varne ragguaglio alcuno. Non temo però di andar erralo aflbrmando, clic ottima educazione abbia egli avuto , che molto profitto abbia egli fcitto negli sludii , e che in questi da valenti professori sia stato istruito , considerando non solamente la somma virtù e dot- trina del padre , ma ancora 1' essei'e stato il nostro Camillo inteii- deutissimo delle greche e delle latine lettere , e che iu quel!' età 4 " G E R V A S I 0 fiorivano in Napoli uomini valorosissimi in ogni ramo di sapere , da' quali e direzione ed esempio poteva ricevere. Terminati in patria i primi studii , e ijuei di filosofia , pensò il di lui genitore di fargli apprendere la scienza delle leggi , che in ogni tempo è stata presso di noi creduta la più conveniente per Salire ad onori e ricchezze , ed affinchè maggior profitto avesse egli fatto, si avvisò Simon Porzio di inviarlo ad apprenderla nella uni- versità di Bologna la quale ab antico molta rinomanza aveva per siflatta scienza. Quivi dunque lo inviò nell' anno i545 , nel qual anno incominciò Camillo lo studio delle divine ed «mane cose (i i). La dimora però del Porzio in Bologna fu di breve durata. Imper- ciocché il gran duca di Firenze Cosimo I avendo fatto disegno di restaurar lo studio di Pisa , risolvè per dargli maggior lustro di chiamarvi a leggere i piìi celebri e distinti professori che allora per le diverse scienze avean fama in tutta Italia. Simon Porzio come dissi , fin dalla prima gioventù sua aveva avuta rinomanza in quella università, ixV era perciò noto il suo va- lore. Oltre a ciò ritornato in patria era stato trasoclto a lettore di filosofia nel nostro pubblico studio (12) , ed aveva dato in luce varie opere che erano state apjilaudite , e che gli avevan proccu- rato rinomanza tra' più insigni filosofi delf età sua (io). Pose l'oc- chio quindi il Gran Duca su Simon Porzio , e lo fece invitare per professore di filosofia , offerendogli lo specioso stipendio di du- cati 85o e più all' anno , oltra 1' onorevole titolo di straordinario professore (i4)- Accettò Simone l'invito non tanto per le vantag- giose condizioni a lui offerte , quanto perchè il suo dimorar in Pisa gli dava 1' opportunità di attendere più da vicino agli studj del suo figliuolo Camillo. Si recò egli in Pisa verso il fine del i546 , e nel novembre di quest' anno medesimo , secondo che prescrivcvan gli statuti dell' università , incominciò le sue lezioni , le quali fu- rono applaudi tissime e desideratissime da numerosa scolaresca (i5). Stando in Pisa Simon Porzio stimò miglior consiglio chiamar vi- cino a sé Camillo per compiere in questa università il corso delle leggi già incominciato in Bologna. Di che fa fede il Fabbrucci (16), la cui parole non sarà fuor di proposilo trascrivere : F'ixit ( ciioè VITA DI PORZIO 5 Simone ) ciutem apud nos , et quousque ejus Jìllus Cumillas no- ìììirie , fjid sliulin juiisprudeiiliae Bononiae inchonveral , per sta- tutarinm tc/iipiis lite ( in Pisa ) explerct : quo cursu peracto et anno i552 promotore Jo. Francisco fregio Pnpiensi juris lau- rearli adeptiis , Clini potrò de discessa in patriam cogitavit. lì P'abbrucci trasse lutto questo dalle cfenieridi scolastiche di Pisa che cita , ne v' lia quindi a muover dubbio alcuno della sua veracità. Importa però farne breve cemento per fermare con mag- gior accertamento le diverse epoche dell' andata di Camillo Porzio tanto in Bologna , quanto in Pisa. Negli statuti di questa ultima università era prescritto che il corso degli studii di giurisprudenza non dovesse durai' meno di anni cinque (17), e '1 Fabbrucci dice che appena ebbelo terminato Ca- millo , ne conseguì la laurea dottorale nel iSaa. Chiaro quindi risulta the l'ultimo anno degli studii suoi fu compreso tra '1 novem- bre i55i a tutto il giugno iSSa , e contando per ordine retro- grado i cinque anni del corso scolastico di giurisprudenza , appa- rirà che Camillo Porzio venne in Pisa nel i548. A maggior con- ferma di ciò gioverà riflettere che nella seconda sua gita in Pisa Simon Porzio non condusse seco lui il figlio Camillo , ma bensì dopo di essersi ivi fermato, ed aver conosciuto il merito de' profes- sori , quivi lo richiamò da Bologna , ove avevalo già mandato a studiar leggi. Dunque dopo del t5^6 quando Simone per la secon- da volta andò a leggere in Pisa , Camillo venne in questa univer» sita , mentre nel i545 era stato egli spedito in Bologna , giacche altrimenti sarebbe un assurdo il supporre che Simone stando in Pisa avesse di là mandato il figlio a studiar leggi iu Bologna per richia- mamelo poi dopo brevissimo tempo. Ripigliando dunque il filo della narrazione interrotta dirò , che Camillo Porzio andò in Bologna nel i545 , e di là si trasferì poi in Pisa nel 1547. ^'■^ costume in questa università che dalla fine di giugno quando terminava l'anno scolastico (18) fino alla ristau- razione degli studj , fosse lecito ai professori , ed agli scolari ancora specialmente ne' calori estivi , andare altrove a goder più benigno e salubre cielo (it^). Simon Porzio non mai Jrascurò di profittar 6 GERVASro di (jitesto coiTgcclo , nel quale abbaudoiianclo Pisa se ne giva a di- porto per le città vicine , e massime nell' alma Fiorenza , ove egli aveva amici tra' maggiori letterati di quel tempo (ao). Era cosa naturale che in queste gite Simone conducesse seca il figliuolo Ca- millo. Quindi possiamo intendere eh' egli avesse peregrinato , come scrive di sé nella dedicatoria della cougim-a de' baroni. E veramente una peregrinazione può dirsi quell' andar di luogo in luogO' in cerca- di un aere migliore. Circa il i55i, ed il iSSa , dovette Camillo , trovandosi in Firenze, conversar col celebre Paole Giovi» allora ap- punto colà ricoveralo nelLi corte di Cosimo I (31) , e tener seco lui quei parlari che poi furon causa che egli il Porssio scrivesse 1' 0- pera isterica di sopra mentovata , della quale parlerò distintamente a suo luogo.. Finito il lungo corso dello studio legale volle Camillo Porzio ri- ceverne la laurea dottorale. Era nella università di Pisa tra i pri- marii professori di diritto Gio: Francesco Vegio pavese, ed a costui SI affidò il Porzio perchè in quell'atto soUenne fosse stato il suo pro- motore. Soleva quello tra i professori cui il laureando si affidava , stargli a fianco mentr' era esaminato , e qual suo protettore dargli coraggio nel rispondere alle quistioni ; dopo di che giudicato degno della laurea dottorale il candidato , il promotore era colui cui spet- tava il conferirgliela con solennità (22). Il Porzio assistito dal Vegio compì quest' atto, e ricevuta per man del Vegio la laurea dottorale nel iSSa , abbandonò in quest'anno medesimo insieme col padre l'università di Pisa , ed entrambi in Napoli si restituirono (23). Tornato in patria Camillo si dedicò all'avvocheria, nella quale si fece distinguere non tanto per la somma perizia nelle leggi , quanto per la sua naturai facondia e dignitoso portamento. Questa testimonianza rende di lui in taluni versi indirizzatigli Giano Pelu^ sio di Colrone (24) - Jn te profiinda est juris sdentia , Jìi ore magna digìiitas , Haec forma iui videtur esse amplisslmis Monoribus dignissima, VIT.V DI PORZIO *f Ed egli slcsfo ili una delle sue lettere scritta al Seripando, che da ]io(« lijìoiterò, non tacque questa sua decorosa applicazione di- ceiidosi professore del giusto e dell' onesto. ]NlI i554 morì il di lui genitore Simon Porzio (25) lasciando sette ligliuoli , ed una eredità molto doviziosa (26) , di modo che pel nostro Camillo alle cure forensi si cumularono quelle della fami- glia, e dell' amministrazione del paterno retaggio. Già notai poco fa che scrivendo al Seripando nel iSSg, egli si disse professor del giusto e dell'onesto ; in un ojìera istorica inedita , della quale darò contezza , scrisse lo stesso Camillo esser egli carico di familiari et assidue cure. Finalmente iu una lettera del cardinal Sttrijwndo, au- lico e leale amico della famiglia Porzio, scritta a Caiuillo a' 6 gen- najo i558 , nel raccomandare a lui di perdonar ogni ofiesa che un certo Tommaso Anello avesse tentato di fargli , soggiunge il Seri- pando : Ed acciò die la grazia sia piena , bisogna ancora die la si adoperi a farle perdonare dai signori suoi fratelli (27). Dalle quali parole si fa chiaro che Camillo viveva in unione de' fratelli , de' quali disponeva a suo piacimento , uè altrimenti il Se- ripando che conosceva particolarmente ognuno della famiglia, avrebbe scritto in tal modo a favore del suo raccomandato. Ancor senza la confessione del Porzio medesimo di esser egli pieno di assidue cure , potete voi , o accademici, imaginare quanto la sua vita dovesse essere angustiata, e colma di amarezze che dalle Lriglie foi'cnsi e fìmiUiari non van giammai scompagnate. Aggiun- gasi che desiderando il Porzio per la dovizia di sua casa di dare ad essa maggior lustro, dovea cercar non solo di ben amministrare il retaggio paterno , ma di accrescerlo ancora per vivere con splea- didczza tale da poter introdurre in sua casa nobili parentadi (28). Avvenne intanto che nel i55g jwsto all'incanto il feudo di Centola nel principato citeriore j>er vendersi in danno del possessore Rai- naldo Alagno parente del Seripando e di altri nobili napolitani, Ca- millo Porzio sia ad insinuazione di quei parenti dell' Alagno , sia per desiderio di acquistar nobile 2J0S*cs'''ooe , comprò quel feudo. Pietescro allora e 1" Alagiio, ed i suoi più stretti congiunti o clie il Porzio avesse ietix»ceduto il feudo a lui , o pur che 1' avesse rito- 9 GERVASrO nulo sotto varie condizioui. Per riuscire nell'intento non vi fu mez- zo che non posero in opera , e tra l'altro non trascurarono di trar partito dall' amicizia che passava tra '1 Porzio e'I Seripando. A que- st' oggetto il Seripando allora arcivescovo di Salerno scrisse al Por- zio che gli rispose colla seguente lettera, che or per me si pubblica j)er la prima volta (29) , come sta nell' originale : « Non è alcun ■>i dubbio che questi signori di Morra han fatto come certi litiganti , i3 o vero infermi , i quali avendo la lite e la vita per persa , ri- « corrono per aita agli advocati o medici supremi ; perchè haven- y> do con diverse persone tentato, alla fine sono ricorsi da V.S. Re- » verendissima la quale può in me non solo nella roba , ma nella " vita ancora , più di tutti gli altri luiomini che vivono : et emmi w stato doppiamente charo, prima, che han portato questa differen- w za nel cospetto del più giusto e confidente superiore , ch'io hab- « bi : poi perchè mi avveggo , che 1' autorità e prudenza di V. S. 5:) R. sarà tale che imporrà loro sopra di ciò con la mia viva ra- « gione perpetuo silenzio. Se io volessi andar raccontando l'origine » del comprar Centola , farla torto alla memoria sua, la quale non » solo m'essortò a pigliarla, dovendo uscire dalla casa de questi suoi » parenti, ma quasi mei comandò: pure non mancarò de ricordar- » li , eh' el sig. Antonio da Feltro (3o) avvocato dei detti signori w di Morra vedendo di non potere più difendere dalle mani di M/ w Sebastiano di Sarno , il quale per i suoi crediti 1' haveva con- w dotta all' incauto , mi persuase ad incantarla , acciocché non fosse w rimasta per un vilissimo prezzo al detto M.' Sebastiano , con « grandissimo danno del sig. Ranaldo d' Alagna suo clientolo, e zio « carnale del figliuolo di Giovann Antonio da Morra : con intentione » ancora , che se mi fosse rimasto , non perciò dovesse fare mala » compera , per il che io cominciai ad informarme del luogho , e M ritrovatolo qual lo desiderava , deliberai d' averlo in ogni modo, » e volendo esser sicuro , se qualcuno dei padroni vecchi lo vole- » va , per non despiacerli , lo sig. Antonio me fé conoscere , chVl M sig. Girolamo di Morra haveva tentato di pigliarla col signor « Ranaldo ; ma per non esserne stati d' accordo , che io poteva li- » beramenle e senzói rispetto comprarla. Che ciò fusse vero, lo di- f VITA DI PORZIO 9 >j mostra ancora , che essendo per tutta Napoli sparsa la voce, co- » m' io intendeva di voler Ccnlola , non vi fu mai persona che « m' avertisse , non eh' altro , che ne facevo dcspiacere ad alcuno, » ma da ogni lato ciascuno me inanimava a pigliarla , e non la- « sciarla andare in potere di mess. Sebastiano. Aggiuiigcsi a que- « sto che '1 dì medesimo che s' incantò , non vi conijwrse un mi- « nimo di loro, ma solo hebbi a combattere col Sarno , il ijuale » benché rimase vinto , nondimeno me la fé costare carissima , » eli' io giuro a V. S. R. che in quel principio m' harrci il più w vile homo del mondo, ma essendomi remasta, et havcndo per pa- " gar il prezzo di quella messo sottosopra tutto 1' haver mio, e quie- » tatomi , non mi parria giusto , se ben questo putto che vi pre- » tende havesse il modo di ricomprarla, repigllarmi indietro i miei M danari , e tornare da capo a lambiccarmi il cervello dove io li » dovessi impiegare , ma quii che fa la lor domanda più ingiusta, M ed insoffribile, e che il putto non solo non ha il modo di sbor- » sare il denaro che vi ho speso , ma ancora li sopraavanza pa- » rccchie migliaja di scudi da pagare per i debiti paterni , i quali a» per non v' esser roba i creditori li tengono persi. E se pure di- M cessero che la vorrebbouo in mano di un altro più loro confi- » dente , e the non disegnasse agli altri casali della medesima Ba- " ronia , come a questi mesi passati mi ferno dire dal signor Pla- * cito di Sangro , con pioni ettermi ancora di non mi molestare so- M pra di Ccntola , rispondo che nel primo raso mi fanno ingiuria , >» dovendo credere tlie da me harranno tutti quelli piaceri e cortesie » che da un amicissimo si può sperare ; e nell' altro ancora se in» » gannano , perche non desidero di far stati , ma si bene Uà ailar- » garmi tanto che non babbi dalla giurisdizione d' altri baroni vi- » cini a stare assediato , come sono bora. A quello che dicono che » la giustizia lor chiara me la farà lor rilornaie , caso che non glie » ne vogli compiacere , non rispondo , essendo professor del giusto » e dell' honeslo. Ma che gli Ccntolesi siano parliali di quegli mi » sprona ancor più a non lasciarla, giudicando ciie cos'i debbono fare » a' miei posteri , s' altrettanto di tempo , quanto i loro aulenati , " la possederanno. V. S. R. dal soprascritto potrà comprendere s'io IO CERVASIO » hebbi ragione a comprarla , et liora a ritenerla , e si persuada jj che 'I signor Antonio et io liavremo non meno piacere per goder la >5 presenza di V. S. T\. che gli altri harranno mestitia in sentirlo » ragionar nell'esequie dell'imp. Carlo, e senza più humilmcnte li » bascio le sacre mani. Da Nap. a dì 27 de Jen. t55g. Di V. S. R."" Servitore deditissimo Camillo Portjo. Così il Porzio. Intanto ntl così detto cedolario, che è il pubblico registro de' feudi conservato nel nostro grande archivio, si vede essere stata la terra di Centola aggiudicata dopo l' incanto a Marhio Rus- so , sotto il cui nome fu notato il feudo nel i56o ; che restò nella di lui famiglia fino a Mario Russo , il quale lo vendè nel i6o3 a Camillo Porzio ; ma non essendo stata la vendita munita di regio as- senso , continuò il feudo ad esser notato nel cedolario medesimo sotto il nome dello stesso Mario Russo sino a che Fulvia Scondito erede del Poriio lo vendè nel 162 3 a Federico Pappacoda, sotto al cui nome fu poi riportato (3i). Questo estratto del cedolario par che sia in opposizione colla lettera del Porzio che ho di sopra trascritta, il perchè sarà bene esa- minarlo brevemente per metterlo con essa in armonia , e chiarire i fatti che si son voluti occultare in ambedue le carte. Dalla lettera apparisce che il Porzio si ricusò alle premure dei parenti dell'Ala- gno, cui era stato tolto per debiti il feudo, non escluso il Seripando, perchè avesse comprata la terra di Centola , e che avendo mostrata la renitenza medesima con l'Afeltro avvocato del debitore , pure ani- mato da questo che non sarebbe stata maUi compra la sua, il Por- zio presa contezza del luogo , e trovatolo qual lo desiderava , fece proponimento di averlo ad ogni modo. Or tutto ciò chiaramente fa comprendere , che le premure dell' Alagno e de' suoi parenti perchè il Porzio comprasse il feudo di Centola, miravano a far che venuto ia mano sua, fosse poi ceduto al debitore quando a costui fosse tornato piiì comodo il ricomprarlo restituendo il prezzo sborsato. Le premure poi dell' A feltro avvocato dell' Alagno, dovettero sul principio esser tlTA DI PORZIO 1 I le Stesse , ma veduta 1' ostinazione del Porzio di volerlo comprare per se , si limitò ad invogliarlo perchè lo comprasse , e quando noa gli fosse piaciuto di retrocederlo , avesse lasciata la terra di Centola in mano di un altro più loro confidente. Inoltre dalla lettera me- desima è chiaro che il Porzio si sforzi di mostrare che il debitore Alagno non sarebbe stalo giammai nel grado di ricomprar Centola, e che il passarla in mano ad altri avrebbe fatto ingiuria alla sua a- micizia. Le quali ragioni non valsero a rimuovere il debitore ed i suoi parenti dalle premure fatte che il Porzio tenesse come in de- posito il feudo. Sia però che il Porzio avesse temuto che la sua con- dotta cagionasse sospetti circa la sua vera intenzione di ritener per se il feudo compralo ; o pur che si fosse accorto noa esser condu- cente a lui che professava 1' avvocheria , il nimicarsi un parentado nobile ed esteso ; o ancora che le tristi conseguenze del trovarsi as- sediato , come ei dice nella sua lettera , da Baroni orgogliosi e prepotenti, lo avessero posto in timore; condiscese alla fine al sug- gerimento di Placido di Sangro , di permettere cioè che 'l feudo di Centola fosse intestato a persona confidente dell' Alagno e de' di Ini parenti , il che in fatti avvenne nel i5Go , cioè dopo un anno di trattative, in persona di Marino Russo. E sebbene dal cedolario apparisca clic il feudo fosse stato venduto al nostro Porzio da Ma- rio Russo , pure continuò a rimanere a costui intitolato fino a che Fulvia Scondito lo alienò al Pappacoda. Tutte queste trattative sa- rebbero state certamente chiarite ad evidenza se mi fosse riuscito di ritrovare l' istruniciilo solenne che dovette stipularsi a tal uopo trai Porzio 1' Alagno e '1 Russo. Non ostante però la mancanza di questo ilocumento, altri argomenti vi sono e tali che valgono a sgomberare ogni dubbio. Era usanza tra noi che il vero proprietario di un feudo lo avesse annotato ne' pubblici registri sotto il nome di un altro, come se questi ne fosse il vero possessore. Della qual costumanza senza accumularne le molle pruove che dal cedolario medesimo potreb- bero rilevarsi , se ne ha una certissima nel nostro caso. Il Russo vendè nel i6o3 a Camillo Porzio il feudo di Centola, il quale jjassò p€r successione a Fulvia Scondito , pure restò sotto il nome del 12 GERVASIO Russo , giacdiè non polrcbbe altrimenti spiegarsi ciò che dal cedo- lario si rileva che Maria Russo (Sa) succeduta nell' anno i6o3 al feudo , lo cedesse al di lei zio Mario , il quale poi lo vendè a Camillo Porzio , facendolo rimanere sotto il suo nome. Doveva egli quindi sapere che fin dal principio il feudo era di proprietà del Porzio, non giù della sua famiglia , la quale insiem con quella degli Sconditi era in parentela con i d' Alagno e Morra (33j ; la qual circostanza è degna di esser notata perchè giustifica sempre piìi quanto di sopra ho detto del desiderio che avevano costoro che il feudo di Centola fosse notato sotto il nome di persona di loro fiducia. Era un notorio infine nel i56o quando il feudo di Centola vcdesi nel Cedolario notato sotto il nome di Marino Russo , che'l Porzio fosse possessore di feudi , né rilevandosi che altri ne avesse posse- duto , certo a quello di Centola si alludeva. Francesco Sansovino avendo pubblicato in Vinegia sua patria le Satire di diversi illustri poeti insiem raccolte, indirizzò al nostro Porzio il volume con sua lettera dedicatoria (34), della quale non incresccrìi che ne trascriva uu brano , leggendosi questa in un li- bretto raro, etl altre particolarità facendoci conoscere della vita privata del Porzio. M Or havendo io fatta (dice il Sansovino al Porzio che chiama magncinimo e eccellente Signore e gentil huomo illustre) «una scelta » come amator de Poeti , et come desideroso di giovar in quanto » io posso a ciascuno , di molte Satire , mi son rivolto , sì come » colui che mi son dilettato degli huomini illustri , alla fama del » vostro houorato nome , perciò che intendendo non solamente dalla » bocca del gentiliss. mess. Marc' Antonio Passero , vero conoscitore » degli ingegni elevati , ma da molti altri qual sia la bellezza del- » r intelletto di V. S. ho voluto scoprirle colla penna il desiderio » intenso eh' io ho di servirla. Et anchora eh' essendo V. S. nata « dal grandiss. sig. Simon Portio (lume de' filosofi de' nostri tem- » pi , la fama del quale sarà sempre viva nella mente degli huo- » mini per i suoi maravigliosi scritti ) si habbia incontanente da » presupporre che V. S. sia notabile per ogni nobil grandezza , » nondimeno a me giova grandemente , quando io odo da lodati e* w celebrati huomini dire , che V. S. habbia non solamente nel VITA DI PORZIO l3 » cuore un ampio mare di nobilissimi et alti dcslclcrii, ma un pro- » fondissimo abisso di cortesia nell'animo, et che realmente et vir- » filosamente vivendo con maniera illustre faccia animo ai grandi , « non voglio dir solamente d'amarla ma di imitarla ancliora, per- » ciò eh' i nobili cavalieri , gli lionorati signori suoi amici , e i « suoi vassalli con tutti gli altri di più bassa fortuna sapendo qual » sia r eccellenza del suo vivace ingegno , et quanto la dolcissima w forza della sua molta eloquenza son costretti a confessarla et a M predicarla per così raro e amorevole Signore , come habbia co- 5j testo Regno : della qual cosa essendo io più che certo, per segno » di quella reverenza eh' io le porto , ho voluto honorar il presente « volume col suo nome illustre che oltre eh' egli seguirà il costume " antico degli scrittori , i quali si appoggiano a veri amatori delle « virtù , si mi sarà egli di grandissimo Hivore in questo , che ac- 5> cettando V. S. con animo largo questo mio piccolo presente , a » me parrà d' essere approvalo dal suo prudente giudicio per suo M sincero e vero servidore. Laonde ancor che ella habbia appresso « il sig. Giovan Pietro CiccarcUo dottissimo giovane per ammiratoi » del suo molto valore , io non resterò jjer questo d' esser tuttavia » testimonio ardentissimo della sua singoiar humanilà : et voce vi- » venie delle sue lodi in queste parti m. Dalle quali parole del Sansovino vien confermato non sow quanto si è detto della fortuna doviziosa del Porzio , che feudo e vassalli possedeva , e molta comunanza aveva con cavalieri e signori napolitani , ma ancora veniamo a sapere che fosse in riputazione qual uomo di lettere e di gentili maniere adorno, avendolo per tale predicato al Sansovino il Passero che fu Lombardo di patria seb- bene in Napoli dimorasse, e che fosse ammiralo dal CiccarcUo gio- vane Napolt'lnno dollissimo nelle filosofiche discipline , ed altresì nella poesia rinomato (35). "Traile lettere del Porzio che sono nel codice Seripandiano più volte citalo , un altra ve u ha , dalla quale ci si fa palese altra sin- golare particolarità, e finora ignota della sua vita. Essa è che (non sappiam se per vizio morboso od altra causa naturale) egli ebbe il naso mancante , e che portossi a bella posta in Tropea città della »4 GERVASIO nostra ulteriOTe Calabria per farselo rimettere , sottoponendosi ad una operazione ccrijsica allora molto in voga. Sarà pregio dell' o- pera il riportar qui intera la lettera stessa , il che oltre alla testi- monianza della particolarità di sopra riferita , servirà a rinnovar la memoria di un illustre professor calabrese che conobbe l' arte di reintegrare il naso , la quale se non m' inganno ora per la prima volta si viene a sapere per la descrizione del Porzio , di essere stata con felice successo praticata. La lettera è diretta al Seripando già cardinale , e che si trovava in Trento tra i padri di qucU' ecume- nico concilio. w IH.""' e Rev.""» sig. mio e Padrone Oss.™» M Questi dì adietro ricevei una di V. S. IH."" e Rev."" alla M quale se di subito non risposi ne fu cagione che mi ritrovò in w lecto e certo che ne presi tanta consolacione che non solo mi diede M ajuto a guarire , ma anche mi portò seco 1' ultimo compimento » del mio naso , il quale la iddio mercè ho quasi che ricuperato , » e tanto simile al primo che da coloro che noi sapranno , difficil- » mente potrà essere conosciuto: è ben vero che ci ho patito gran- » dissimi travagli , essendo stato di bisogno che mi si tagliasse nel sj braccio sinistro dnpplicata carne della persa , dove si è curata M ancora per più d' un mese , e poi me 1' han cucita al naso , col » quale mi è convenuto tener attaccato quindici dì il predecto brac- » ciò : sig. mio quest' è un opra incognita agli antichi ma di tanta M eccellenza e tanto meravigliosa eh' è gran vitupero del presente » secolo che per beneficio universale non si pubblichi e non s'im- » pari da tutti i cirugici, essendo che oggi sia ristrecta in un uomo x> solo, il quale non è quel medico uh altro suo creato che come la » dice le puose i denti in Portogallo, percliè colui per quant'ho ve- » duto fuit imitator naturae^ ma costui fa quel medesimo che l'istes- M sa natura. Io molte volte per il ben pubblico ho desiderato di » veder V. S. 111.""' e Re.""' prencipe , ma ora per questo parti- » colare via più lo desidero , massime che quest' huomo da bene M per picciol pregio rispecto alla grande utilità del rimedio il dar- VITA DI Ponzio i5 » jia alle stampe ; ma chi sa : per un altra mia 1' ho dato aviso « del motivo de' Luterani di qua, non li scrissi poi il successo per « la sopraveguiciite iiileimitù , basta che pel mancamento del viver » si disfecero , essendo assediati da molti di questi popoli, son ve- » nuti ( da ducento in fuori ) tutti in poter della giusticia , si son » facti morire certi principali ostinatissimi, e l'altri mediante l'au- >> torità dell' Arcivescovo di Reggio mandatovi da S. B. con larga » potestà si spera che si ridurranno : il dì di S, Giovanni molto » favorevole a' Turchi si persero qui rincontro sette galee di Sicilia >j dove era il Vescovo di Catania , e forno combattute da nove va- » scelli di corsali , ciascun dice che in Lipari si havrebbono potute » ricovrarc se '1 soverchio ardire del lor Generale Comendator Spa- M gniuolo non l'havesse precipitate : altro per adesso non è occorso: M per tanto humilmente alla buona grazia di V. S. HI.""" e R."' » di cuore mi raccomando con pregarli lunga e felice vita. « Da » Tropea il dì q di luglio i56i. Di V. S. III."" e R."-" Deditissimo servitore Camillo Portjo. Sarebbe al certo vana ostentazione il voler qui per illustrar la lettera che vi ho recitata, tessere a lungo la storia del ritrovato ce- rusico di ristabilire il naso , le labbra , ed altre membra perdute per qualsivoglia causa mercè l'innesto della carne viva. Mi conviene pelò ( e la cortesia vostra sarà per concedermelo ) che io ne dica tanto per sommi capi , quanto mi sarà d' uopo per far conoscere quel valoroso e modesto professor calabrese , del quale il Porzio ci tacque il nome , e jìcr opera di cui egli ebbe il naso interamente ristabilito. Le testimonianze degli scrittori contemporanei riferite dal Por- tal (3G), dal Tiraboschi (Sy), e da altri, tra i quali non deve esser trascurato il chiarissimo collega nostro cav. Alberto di Sclioenberg ora archiatro di S. M. il Re di Danimarca (38) , si accordano tutte a stabilire che nel secolo XV ebbero fama quali inventori della restituzione del naso , due Siciliani di cognome Branca padre l6 GERVASIO e figlio. Il dolio Gabriele Barri però , della cui testimonianza ten- nero conto e '1 Tiraboschi ed altri , lasciò scritto che l'arte medesi- ma fu conosciuta ed esercitata da un' intera famiglia di cbirurgi ca- labresi, non saprei se per proprio ritrovato, o per averla appresa da' siciliani' Branca. Egli il Barri nella stimata sua opera sulla Calabria descrivendo la terra di Maida (3g) dice che in essa aveva vissuto Vincenzo Vianeo (oppur Vojano come piace all'Aceti) chirurgo esi- mio clie '1 primo escogitò P arie dì restaurar le labbra ed il naso mancanti , e Bernardino altresì nipote di Vincenzo , che fu erede dell'arte medesima. Aggiunge poi il Barri: Viget modo hujus filius et iiidem artis heres. Di costui non ne disse il nome , ma nel de- scrivere la città di Tropea così si esjiresse (4o) : /^"wV et Petrus Fianeus , c/ui praeter cetera labia et nasos mutilos integritati re- stituii. Or combinando insieme questi due luoghi del Bari'i, sembra potersi cou fondamento sospettare che quantunque uiuna attinenza di parentela avesse egli accennalo tra i Vianei di Maida e quelli di Tro- pea , il figlio di Bernardino fosse stato il Pietro di Tropea , nella qual città come di Maida piìi popolosa e splendente , fosse passato a stabilirsi per esercitarvi la chirurgia e l'arte dal padre suo ereditata, cioè fpiella di ristabilir alla primiera integrità le labbra e'I naso. Or la lettera del Porzio essendo stata scritta come udiste da Tropea , ove al dir del Barri vivca Pietro Vianeo, sarà permesso l'inferire cht; questi fosse stato quel professore, cui dovette il Porzio T aver il suo naso come pria ristabilito. Ed a questo proposito farò osservare che r operazione eseguita dal Vianeo in persona del nostro Porzio uom distinto per dottrina e per ricchezza , e che 1' amicizia godeva del cardinal Seripando , fu renduta pubblica per tutta Italia, di modo che se prima era tenuta come un secreto , si fece ad ognun palese per la distinta descrizione datane dal Porzio medesimo al Seripando in Trento , e probabilmente ad altri suoi amici in Napoli ed altro- ve. Sembra quindi essere stata una temerità somma quella di Gi- rolamo Tagliacozzo chirurgo bolognese , che menò vanto di questo ritrovato nell' opera che di ciò scrisse e pubblicò per le stamjje nel i597 (40- ■^' ^^ ^^' giustamente redarguito dui suo concittadino Gìqv. Battista Cortese, il quale nel raro suo libro intitolato iSlis-ceL- VITA DI Ponzio 17 hinen iiic(llcmaUn[\o) impresso in Messina nel 1G2S, oltre che vi - .j)orta diverse reslaurazioiii ili naso da lui operate prima che il Ta- gliacozzo di ciò sciivesse, fa aiìcita fede essere stati quei di Tropea, alludendo certamente a Pietro Vianeo, i rinnovatori di quell'arte (4^). Dopo la ristaurazione del suo naso , è cosa j'robabilc die il no- stro Porzio si restituì in Napoli , ove ripigliò le primiere sue occu- pazioni , e le cure domestiche , 1' avvocheria e '1 comporre opere che potessero render chiaro il suo nome. Sembra che siesi applicato pria di ogni altro a dar 1' ultiina mano alla storiif' della congiura da baroni ; per cnmpoire la quale fin dalla sua prima gioventù era andato raunando materiali, e che pubblicò per le stampe nel i5d5 in Roma. ISciranno i.'Ji'jS compose ancora un somma'in delle coisti del regno, che presenti) al viceré di quel tempo, esprimendo nell'in- dirizzo che nv fece la sua jjuona volontà di voler consagrarsi al mag- gior bene e j)rosperilà della sua patria , con queste parole che cono- scendo io di esserla graia questa fatica , ini darò animo di farne delle altre maggiori. Imprese in fine la storia de' più memorabili avvenimenti r.ccorsi in Italia nel i547 , la quale ugualmente che il sommario di sopra mentovato è rimasa inedita. Dal ccdolario si rileva che '1 Porzio viveva ancora nel i6o3 , nuando poteva egli contare 1' anno 76 della sua età , ni: da quel re- gistro ho potuto altro lume ritrarre intorno all' epoca della sua morte che non pare dovette tardar mollo a succedere. Se moglie poi il Porzio avesse avuto o no, mancanmi ugualmente riscontri , per af- fermarlo o negarlo. Nel cedolarlo notasi qual sua erede Fulvia Scon- dito , d' onde potrebbe alcun sospettare che fosse slata costei sua mo- glie. Ma della tcstimoniauza del cedolario non è a farsi conto , do- vendosi come osservai di so])ra , riferire le notizie in esso contenute a quel garbuglio insnilo per la falsa intestazion del feudo di Ccnlola comprato dal Porzio ; e quindi non merita che vi si presti fede. Lf> Scondilo poi era una signora napolitana , e se il nostio Porzio l'a- vesse sposala , avrebbe egli introdotto parentado nobile nella sua fa- miglia , il che si oppone alla gravissima testimonianza del Capaccio, il quale lasciò scritto (44) essere stato Fi-ancesco Porzio nipote eli Camillo colui che condusse in casa sua nobile donna. 3 l8 GERVASro Queste son le notizie che ho potuto raccogliere intorno alla vita di Camillo Poizio uomo ben degno di avere un luogo distinto tra i letterati nostri del secolo XVI" per le sue opere , delle quali ecco- mi a darvi , come ho promesso , minuto ragguaglio. JI. I. Delle opere di Camillo Porzio la sola die abbiamo a stura» pa , e per la quale ha egli gran fama tra gli scrittori italiani , ù la storia che scrisse della Congiura d&' Baroni sotto il Re Ferdi- nando il primo dell'aragonese dinastia. Il quale avvenimento e per la singolarità delle circostanze onde nacque e progredì , ,e per le tristi conseguenze che seco portò alle cose del regno nostro anzi al^ 1 Italia tutta , fu al certo uno de' più grandi che occorsero nel secolo XV. ° Il celebre Paolo Giovio già vecchio e ritirato in Firen- ze nella corte del gran duca Cosimo I.° , per testimonianza del Porzio medesimo che 1' udì , rammaricavasi fòrte di non aver po- tuto per mancanza di notizie opportune comprendere nelle sue sto- rie in quel tempo stimatissime un si rimarchevole avvenimento che compiuto avrebbe il filo della sua narrazione , e che fu uno de primi fondamenti delle guerre che seguirono nel g4 (4^)* I" ^ ^^^ vero non so trovar giuste queste doglianze del Giovio, giacche oravi già a quel tempo in istampa il processo di quella congiura ; molte cronache esistevano che di tale avvenimento davan contezza, e v'era finalmente l'istoria di Giovanni Albino intolata De bello intestino, scritta con giudizio, gravità, ed eleganza; le quali sebben non fos- sero state ancor colle stampe pubblicate, pure se il Giovio ne avesse fatto inchiesta le avrebbe senza fallo avute. Checché sia di ciò le doglianze del Giovio colpirono allora grandemente 1' animo del Gio- stro Camillo (46) ; ma colui che lo determinò di poi a tal lavoro fu il celebre monsignor Seripando arcivescovo di Salerno , ed indi cardinale di santa chiesa , il quale mostrò desiderio che avesse com- posta la sua storia non solo, ma che l'avesse scritta in italiano (47). Alle premure e desiderii d' un tanto personaggio non seppe resistere il Porzio , onde con ogni cura si diede a raccogliere quante memo- VITA DI Ponzio 19 )ie j)olc riuvcuirc iutorno al memorabile avvenimento. E pervenu- togli linalmeute in mano il processo originale formato contro il Conte di Samo ed Antonello Petrucci (48) cominciò a distenderne in latino l'istoria. Dato ap])ena cominciamento al lavoro ne avvisò il Scripan- do il quale mentre se gli dichiarò obbligato per avere intrapreso a conaporre la storia della congiura de' baroni a persuasion sua , non mancò di fargli amichevole querela per non averlo potuto persuadere a scriverla in italiana favella. Gli diceva il Seripando eh' ei riputa- va il suo stile latino elegante e grave , ma gli soggiungeva deside- rare , che /' opera fosse d' onibil documento a tutti quelli huomi- ni del regno che saranno poco obsequenti alla volontà dei loro re, e che quindi assai meglio 1' apprenderebbero in volgare (49). Sia che da questa e dalle altre ragioni addotte dal Seripando nella sua risposta fosse stato mosso il Poizio , sia per rendersi pienamente grato al suo amico , abbandonato il pensiero di scrivere la sua storia in la- tino, dicssi a comporla in italiano. Egli non dissimulò la difficoltà dell' impresa , e quindi compiutala , e messala anche a stampa, eb- be con rara modestia a confessare nella dedicatoria al duca di Se- minara Carlo Spinello , che considerava il suo lavoro una bozza ed un modello , afilnchè altro buon maestro potesse fabbricarne un bel eoi j:o, e dandogli vita consegnarlo alla posterità. Intanto questa è fu- nicu istoria che abbiamo della congiura de' baroni nel 1480; e fu grave fillo di Apostolo Zeno quando scrisse , che la suddetta con- i^iuru fu descritta prima che dal Porzio in volgare^ da Gioviano Fontano in latino in \1 libri (5o). Imperciocché il Fontano non descrisse questa congiura nella sua istoria, ma bensì la invasione del regno fatta da Giovanni di Angiò ne' primi anni dell' avvenimento al Irono del re Ferdinando I." di Aragona : epoche e fatti molto diversi e ben distinti tra loro. Se volessi far qui lunga diceria intorno al merito di questa 0- pera , io non potrei liiggire al ceilo la taccia d importuno al co- spetto vostro o dotti accademici. Ognun di voi sa che ne' tempi in cui viviamo ne'qmli tanto è in pregio il bel dire il.iliano, la sto- ria del Porzio si mantiene ancora in alti.ssima riputazione. Ed in vero se si riguardi la grave eleganza dello stile, la maestà e la ve- 30 C E R V A S I 0 lilà del sentenziare , 1' espressione \iva de' costumi dì quelli uomi- ni clie han parte negli avvenimenti da lui narr.ili, e l'aggiustatezzi delle concioni, sommo è il merito del Poiz:o per quellu storia , on- de ben giudicò il Gaddi (oi) clic così di lui scrisse in tempo iioa molto dal suo lonl;iiio : f ideiur Portias scriptor maxime i^rcivis, lacertosiis , clcgans, ììiodemtus ; oplinuis vero polUicits in biwissimis disserlationibus , nobilibus et curiosìs elogiis , et aptissimis oratioiiibus tum obii- quis , tum rcctis , quas licei frcquentiores , excelleiUes adhibet , ut quaedam epipìionemata egic't;:u , ut illud quo clausit narniiiu- nem gendnati facinorìs pvaestanti'ìsimi etc. eie. Ma nuaut' altro potesse dirsi de' pregi di questa istoria debbe riputarsi sovirchio dopo il giudizio datone da uno de' più valorosi nostri j)rosalori, da Pietro Giordani io dico, il (£ual giudizio io multo più volentieri qui rijwrto , [oicliè jirovviene da uom così dotto e di animo scevro da ogni patria prevenzione. Parlando egli in un famo- so giornale italiano (Sa) della istoria di Gian-Jacopo Trivulzio det- to il magno , scritta dall' elegante penna del cav. Carlo de' Ros- iiiini, ebbe a maravigliarsi come costui non avesse nOininata la bel- lissima storia del nostro Porzio nel narrar la guerra de' baroni con- tra r Aragonese Ferdinando , e soggiunse ; Però siami perdonalo di non voler perdere questa occasione di pre°are la gioventù italiana, per quanto ama i migliori studj, a leggere quella preziosa operetta; della quale io tengo fermamen- te che mai in tutto il regno di Napoli , e rare volte in Italia siasi fatta opera di storia die avesse tanta bellezza e perfezione. Troveranno uno stile puro , dolce , leggiadro che innamora , la- crimeranno di pietà ; coglieranno ammaestramenti utilissimi a molle parti della vita civile ; vedranno gli sventurati successi dell' ambi- zione , e come per poca pa'zienza e poca saviezza ed incostanza de grandi , si aggravino e si moltiplichino e a grandi ed al po- polo i mali ordinar] e sopportabili della tranquilla dominazione ec. Quando il Porzio si risolvè di dare alle stampe 1' opera sua era già trapassalo il di lui amico e fautore il cardinal Seripando (53), col quale forse aveva preso accordo di farla imprimere fuori di ]\a- VITA DI ronzio 21 jìoli {it 1- le liigioui clic Ira poco sarò per dire. A me non è riuscito di aver contezza con clii si fosse egli concertalo dopo la morte dd Se)i])ai.do per la stampa dell'opera medesima. Il certo si è che la edizione ne la liilla iu Roma senz' alcun nome di stampatore col ti- tolo seguente: Lu couj^iuia da' baioni del regno di Napoli coiiira il Re Ferdinando Primo , raccolta dal S. Camillo Porzio. In Roma , MDLXr , in 4." Il titolo , la lettera del Seripando che non ha data , la dedi- catoria al duca di Scminara Carlo Spinello, e la indicazione de' luo- ghi onde r autore trasse la sua istoria , si contengono nelle j)rime quattro carte non numerate. La storia della congiura clic viene ap- presso , ha la numerazione nelle 84 carte soltanto che la compren- dono. Jn fine ve ne sono altre quattro non numera ie , ma coUa snjà indicazione del registro segnato colla lettera Y : di queste le prime tre hanno il Sunimario dell' //istoria e la coircltione di alcuni errori della stampa , e 1' ultima è tutta bianca. In mezzo al titolo vi è l' impresa dell' ancoi'a cui è avvolto un delfino , il che an- nunzia ben chiaro essere stato il libro impresso co' tipi di Paolo Manuzio , il quale dimorava in quelli anni in Roma (54) , ov' era stato invitato a trasferirsi per istabilirvi una stamperia apostolica e pubblicare le opere de' saati padri e specialmente gli alti del con- cilio tridentino. Sono andato spesso ricercando la cagione per la quale il Por- zio uon abbia pubblicata 1' opera sua in Naj)oli die a suoi dì ab- bondava di tante buone tipografie, ma invano mi sono alTalicato per averne quiilche barlume. Vado sospettando soltanto che siccome nella congiura dal Porzio narrata le più illustri famiglie napolitane fiirouo implicate , e queste ancorché di grave macchia notate ave- vano nondimeno ancor dopo il corso di molti anni tanto potere da im])edire the si rinnovasse con un elegante scritto alla memoria de' presenti il nero delitto di fellonia di alcun loro antenato; il Porzio forse per maneggi di coteste famiglie non potè ottener licenza di pubblicare la sua storia in Napoli. Esempio sarebbe questo non nuo- ìo e che per simili circostanze è avvenuto ancora in tempi da noi 23 GERVASIO non molto lonlani. Aggiunge peso a questo mio sospetto che'l Porzio e pel dovere di storico , e pel suo privato sentimento si espresse troppo liberamente in quella storia intorno a taluni punti delicati di nostra ragion pubblica , de' quali non era lecito sotto il governo viceregnale nel quale ei viveva , scrivere con imparzialità e eoa franchezza. Quindi sia per prudenza , sia per necessità si risolvè pubblicarla in Roma pe' tipi del Manuzio. Questa considerazione po- trebbe per avventura aver maggior fondamento a motivo che per quasi due secoli non ne fu ripetuta la stampa nò in Na^wU , ne altrove in Italia , tranne la tradu7Ìon francese la quale siccome scrive il Zeno (55) ne stampò in Parigi nel 1627 un tal Giovanni de Cor- do6 ( Cordusio ) di Limoges , e che a me giammai è stato possi- bile vedere. Dopo essere stata dimenticata questa preziosa storia, come dissi, per lo spazio di circa 160 anni , nel 1724 ne fu rinnovata la me- moria qui in Napoli da un certo Giuseppe Maria di Lecce che ne fece la ristampa con questo titolo: 2. La Congiura del Baroni del Regno di Napoli cantra il Pie Ferdinando J." Raccolta dal Signor Camillo Portio. Dedicata all' Illustrissimo Signore il Signor D. Matteo de Ferrante Regio Consigliere nel Supremo Consiglio di S. Chiara di Napoli. In Roma ed in Napoli , mdccxxjv. Presso Gio. Andrea Benvenuto in 8." Le prime cinque carte non numerate contengono il titolo , la dedica del di Lecce al consiglier Ferrante , il sommario dell' isto- ria , la nota de' luoghi d' onde il Porzio la trasse. Segue la istoria, contenuta in 5208 carte numerate. La edizione è buona , ma il di Lecce non riprodusse ne la lettera del cardinal Seripando , ne la dedica del Porzio al duca di Semiuara , e mancò di supplire al proprio luogo le parole omesse nella prima edizione che come av- vertii , sono in questa aggiunte nelle correzioni. Bella ricerca sarejjbe , perchè mai il di Lecce nel ristampar quesl' oj)era abbia omesso e la lettera del Seripando , e la dedica- toria n! duca di Se minara. Li cosa tanto antica e nella mancanza totale di monumento onde attingerne traccia mi sarà permesso o dot- VITA DI PORZIO 23 ti colleglli , che io non vi tenga celato un mio pensainenlo. È nolo, che nel i^oi avvenne in Naiwli la congiura conosciuta tra noi col nome Jcl Principe di Macchia. Una storia ne fu scritta da Gio: Battista ^^ico , ed un'altra da Giusepjie Macrino, ma n è del- l' uuu , uè dell' altra storia ne fu permessa la stampa , giacche il duca di Popoli o'I principe di Gellamare destinati a rivederle, opi- narono che entrambe offendessero la maestà del sovrano allora le- gnante , e l'onore di alcune famiglie nobili. Essi però non conlenti del lor giudizio chiamarono a consiglio il dotto D. Carlo Majello allora canonico della chiesa napoletana , il quale essendosi unifor- mato al loro sentimento fu incaricato di scrivere egli stesso un allra storia di quella congiura secondo le idee tra loro convellute (56). Allora tu che '1 Majello compose quella storicità della congiura del 1701 che pubblicò per le stampe (07). Da questo breve cenno di fatti voi potete ben comprendere , o accademici , in qual conto deb- ba tenersi questo lavoro del Majello, che quantunque scritto in ele- gante latino, è da riputarsi, quale istoria, leggiero e sospetto per una eccessiva e mal intesa prudenza. Scorsi pochi anni, cioè nel 1707, i Tedeschi s' impossessarono del regno, e per comando dell' imperatore Carlo VI, il viceré conte di Daun fece fare onorevoli esequie e son- tuosi funerali a pubbliche spese a Carlo di Sangro ed a Giuseppe Capece due de' congiurati che dagli Spagnuoli erano stati puniti di morte, e che '1 Majello aveva mal dijiinti nella sua istoria, non o- stantc che amendue fossero tenuti nella città nostra in somma riputa- zione per molti pregi e virtù ond' erano adorni , essendo il Sangro uà antico militare che si era distinto in molte gloriose azioni , e'I Capece un eultissimo e studioso giovane il quale oltre della lingua la- tina ed italiana conosceva benissimo la spagnuola , la francese e la tedesca. L'orazione nella pompa funerale per loro fatta, fu recitata dal p. IJenedetto Laudato benedettino cassinese abate del monistero de' SS. Severino e Sossio, e le iscrizioni, gli emblemi e motti senten- ziosi furon composti da Gio: Battista Vico che parimenti a pubbUche spese mise a stampa nel 1708 tutto l'operato in tal circostanza (58). Or questo cangiamento di dominazione , 1' approvazione data alla congiura mercè i sontuosi funerali celebrati al Sangro ed al Ca- 24 GEIVVASIO pece , r essersi adoperato il Vico , del quale non si volle far pub- Llicare la storia della congiura medesima , e le ricompense accor- date agli altri congiurati furono tante cause che di questo attentato del 1701 si tenesse nel tempo della dominazione austriaca un lin- guaggio bea diverso, giaccliè erau saliti in onore coloro clie vi eb- bero parte , ed in dispregio avevasi cUi con i fatti o con gli scritti vi si era opposto. Quindi il Majello non potè evitare allora la cen- sura di ognuno non tanto per la storia della congiura cli'ei scrisse secondo le vedute della corte di Spagna , quanto [>er essere egli stalo tra coloro che iiou vollero far pubblicare quelle scritte dal ^ ico e dal Macriuo , nelle qu.ili gli avvenimenti e le persone era- no , coni è fama , con imparzialità dipinte. Or per fare al Majello la più vivace critica bastava mettere a fronte della sua storia quella che aveva scritta il Porzio della congiura de' baroni del secolo XV, e questo appunto sembrami di avere avuto in mira il di Lecce nel n.-itumparla , e non giìi perchè se ne fosse perduta la memoria , siccome ei disse nella dedicatoria al cousiglier Ferrante. Per questo ragioni medesime non potè egli pubblicare ne la lettera del Seri- pando al Porzio , nella quale si mostrava un giusto orrore alle con- giure sempre perturbatrici dell'ordine pubblico , ne la dedicatoria al duca di Seminara nella quale il Porzio additava la cagione onde quella istoria compose , cagione che era hen diversa da quella che consigliato aveva il di Lecce a riprodurla per le stampe. 3.° Nello slesso secolo xvin il tijwgrafo Giovanni Gravier in- seri nel 5.° volume della sua raccolta de più rinomati scrittori lidia storia generale del regno iiostro quella del Porzio , cui die- de il seguente titolo: La congiura de Baroni del Regno di Napoli contro al Re Ferdinando 1." raccolta dal Signor Camillo Porzio. Napoli neUa Stamperia di Giovanni Gnwier MDCCLXIX in 4-° Furono ri- stampate in questa edizione la lettera del Seripaudo al Porzio , e la dedica di lui al duca di Seminara. Due cose meritano esser notate nella presente ristampa: la prima the sono state mutate alcune parole, altre tolte via, ed altre scritte diversamente da ciò che avea fatto l'autore (jg) ; la seconda poi ciie \ VIT\ DI PORZIO a5 come nella prima edizione il testo della stori.i non è altiimento dlstiuto the iu libri, in questa e stata per maggior coinmndo dei leggitori divisa iu capitoli , ina senza uuiuerazione e soiiiinarii. Delle i[uali due cose (juanto è da lodarsi la seconda , altrettanto debbe ripro- varsi la prima , giaccbc la malizia soki o la ignoranza può consigliar di attentare scuz' alcuna necessità alle pnrole ed alle frasi adoperate tlall" autor suo in un opera nella quale la coUocazioue e 1' uso di c^ue- ste ne costituisce la bellezza. Ma nel corrente secolo XIX la storia del Porzio è tenuta nel- la più alta stima, e l'edizioni dal 1 8 16 sino ad ora si sono T una al- l' altra succedute dopo breve intervallo , noverandosi siccome dice (|ualcuno de' suoi editori (60) tra i piìi bei giojelli dell' italiana ta- vella ; onde il chiarissimo Bartolomeo Gamba la ripose £;iustamcnte nella serie de testi di lingua itulidiia , e di idlrì eseiiìj)ltiri del ben scrivere (61). L' edizioni delle quali ho parlato sono queste : 4. Congiura de Baroni ecc : Lucca itìi6 per Francesco Ber- lini in 8 di pag. 174- IMi duole non aver potuto esaminare questa edizione che vien celebrata per corretta, avendo 1' editore presa la cura di confrontarla colla prima del i5(35 , e colla seconda del 1734- Ne ho trascritto il titolo dal libro del Gamba di sopra lodato, e dalla biblioteca ila- liana di ISlilano , ove nel tomo 1 1 pag. 53Cì se ne dà 1' annunzio. 5. Pisa presso Niccolò Caparro co' caratteri di Didot in 8 grande. Forma il quarto volume della collezione di ouinii scrittori ita- liani in supplimento a classici milanesi. Avendo curata questa edizione 1' egregio professor Giovanni Re- sini , è riuscita nitida e corretta. Vi precedono alcune notizie poco tsattc sulla vita del Porzio. G. La congiura dei Baroni del Regno di Napoli di Camillo Porzio , insiem colla vita di Nicolò Caponi del Segni e la vita di Antonio Giacomini del Nardi. Milano per Giovanni Silvestri mdccc xxi, in 8. L il volume i()G della Biblioteca sediti di opere itiiliano antiche e moderne , che tuttavia sta pubblicando il benemerito li- brajo Silvestri. Bella ancora e corretta è questa edizione ; l" editore 4 26 G E R V A S I O lia adottata la stessa distinzione di capitoli di quella del Gravier , uè vi mancano al pari che in questa la lettera del Sciupando , e la dedicatoria del Porzio , le quali non sono secondo la lezione vera impresse. Nella prefazione si dà un breve cenno del merito dell' o- pera e della vita del Porzio , delle quali cose quanto è giudiziosa la prima , altrettanto n' è magra ed inesatta la seconda. 7. Milano per Antonio Fontana i83o in 8 grande. Forma parte di imo de' volumi della Biblioteca storica di tutte le nazioni. Si è tralasciata in questa edizione la lettera del Seripando e la dedica dell' autore , e finanche il sommario dell' i- storia ( cosa utilissima in opere di tal fatta ) che non manca in al- cuna delle precpd<-'nti. Può dh-si esser questa la più cattiva di tutte le altre edizioni siiiora rammentate. Mi si permetta qui un osserva- zione : non so intendere perchè mai in una raccolta di storie ge- nerali delle nazioni com' è questa milanese , sia stata compresa la storia del Porzio, -la quale sebben meritevole per ogni verso d' esser sempremai riprodotta , riguardando im particolare avvenimento del regno di Napoli , non avrebbe dovuto comparire in quella raccolta. 8. Della Congiura dei Baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando '/. libri tre di Camillo Porzio. Voi. unico, Na- poli R. Marotta e Vanspandoch , i83i in 18. Dispiacevol cosa è il confessare che nella stessa patria del Por- zio sia stata pubblicata questa edizione della sua storia. E copiata dalla stampa fattane nella biblioteca storica milanese, della quale ab- biam di sopra parlato, e come quella non deve aversi in alcun conto. 9. Camillo Porzio. La Congiura dei Baroni contro etc. Mi- lano. Per Nicolò Bettoni e comp. MDCCC.XXXI in 8 grande. È nel volume IV della Biblioteca Enciclopedica Italiana , unita alle opere storielle del Machiavelli , di Jacopo Nardi , del Davan- zati , del Mascardi, del Capecelatro ,e del Sarpi. Gli editori nella prefazione così scrivono dell' opera e del suo autore. // merito di questa operetta è attestato dalle molte recenti edizioni die ne ven- nero fatte dopo die fu tornata alla memoria degli Italiani , e redenta da queir ingiusto ohblio , in cui da lungo tempo era ca- duta. Nessun epoca forse piìi memorabile di quella , cfie è ar- 1 1 VITA DI PORZIO . 3>J gomcnto alla narrazione del Porzio , presentano gli annali del regno di Napoli , e forse nessuno scritture storico più accurato, franco e vigoroso di questo Cannilo , produsse nel Secolo XV.l (juella nobile terra, madre fortunata di tanti ingegni acuti e robusti. IO. Finalmenle il tipografo toriuese Giuseppe Pomba in uà prospetto di recente pubblicato di una Libreria Universale d'opere di provata generale istruzione , che va unito al volume di aprile i83i del giornale fiorentino intitolato l'antologia, ha promesso tra l'altro di riprodurre in uno de' primi 25 volumi di questa rac- colta la storia del Porzio unita a quella della congiura de' Fieschi scritta dal Mascardi. Io non so se questa edizione sia stata pubblicata. Io desidero the per riuscir corretta sia confrontata accuratamente con la pri- ma del i565, la quale benché spesso rammentata con lode dagli e- ditori precedenti non è stata con attenzione riscontrata nella lezione, ne si è ancor posta mente alle correzioni di alcuni errori di stam- pa che leggonsi in fine di quella edizione. Oltre della storia della quale ho fin ad ora ragionato, non si ri- stette il Porzio di volger l'animo suo a scriverne altra, che la nar- razione comprendesse di avvenimenti egualmente grandi , e che de- gni fossero di tramandarsene a' posteri la memoria. Se in quella si prefisse di soddisfare al vivo desiderio dal Giovio manifestato di ri- fovar la cagione primiera per la quale da tanti mali fu oppressa l'Italia tutta nel secolo XV, in questa prese l' imjiegno il Porzio di narrar cose pur alte e strepitose a tempi suoi succedute in Na- poli di lui patria, e in altre parti d'Italia. Niente saprebbcsi di quest' altia storia del Porzio , ed essa , come è avvenuto a tante altre opere di autori sommi sì antichi che* moderni , sarebbe tuttora oscura ed ignorata , se non ne avesse dato per la prima volta un cenno Lionardo Nicodemi (C>3). Così egli scris- se ragionando del Porzio ; scrisse ancora l' Istoria d' Italia , ed alcuni ne han veduto il secondo libro manoscrillo, dì è dimoiti fogli , e principia : Si partoriscono le congiure dalla disparità delle w forze degli uomini , conciosiacosnchè dove le son pari , di rado- » o non mai si sentono. Pier Luigi Farnese a voler torre ec. fi- '.6 G E R V A S I O i> w'sce : Il che se tlal Gonzaga fosse stato ben temilo a mente , w non avrebbe giammai sjjogbato di difensori il suo , per ire a » conquistare 1' altrui ». Fin qui il Nicodemi, né altro aggiunse per fyr chiaro da chi si conservasse un tal nianuscritto , nel quale una jinrtc si conteneva della inedita storia del Porzio. Apparisce però dalle sue parole che non ne abbia ne pur egli veduto il codice dal quale i due brani ne tolse , ,c che altri glieli avesse commuuicati. Dopo del Nicodemi non altro io trovo che di questa storia avesse fatta menzione se non Gio: Berardino Tafiiri scrittore de' più be- nemeriti della nostra storia letteraria nella prima metà del seco- lo XVIII. Scrivendo egli del Porzio (63) rammentò tra le di lui fipere ancor questa come inedita , aggiungendo conservarsene appo lui un codice mir.oscritto col titolo:: Istoria dei successi nelP an- no i55y in .Ge?io^ia^ in Napoli, ed in Piacenza^ e sospettò che forse r autore da morte sojiraggiunto non potè darla alla luce. Non avendo il Tafuri indicata alcuna particolarità del manoscritto da lui jiossedtito , ne chiesi contezza all' ottimo mio amico e collega no- stro D. Michele Tafuri nipote ed erede del genio di Gio: Berar- dino cui avanza di gran lunga nella erudizione e ncU' acut<3zza del giudizio specialmente negli studii di storia letteraria. Ei con quella cortesia propria di lui nell' informarmi delle diverse vicende sofferte dalla sua famiglia e per le quali i manoscritti de'quali i suoi antenati Bartolomeo e Gio: Berardino Tafuri avevan fatto ampia raccolta eransi parte smarriti e parte perduti affatto , specialmente nelle rovine della casa paterna pel tremuoto del 1742 , mi promise di voler fai'ne ri- cerca tra le carte di sua casa restanti in Nardo sua patria. Fedele :illa sua jiromessa mi mostrò un grosso volume in foglio che conte- neva i frammenti di diverse opere manuscritte , salvate dalla ca- tastrofe del tremuoto , e tra queste con piacevole sorpresa mista di rammarico io scoprii non già l' intera storia del Porzio , ma bensì un solo frammento di essa scritto in otto carte a due colonne in ogni pagina di minuto carattere che paragonato con quello degli altri opuscoli di quel volume può dirsi scritto nel i586. La prima pa- gina comincia dalle parole « In quel mezzo tempo ec. e continua ordinatamente sino alla fine dell'opera. Prezioso è questo frammento VITA DI PORZIO 29 per la sua correzione e fucile lettura. In un foglio sciolto li'ggesi il titolo tleir oliera clic è come siegue : HISTORIA D' ITALIA DI CAMILLO PORTIO contenente Li successi dell' anno DXLVII IN GENOVA IN NAPOLI ET PIACENZA. Basti fin qui eli questo codice del quale tornerà 1' opportunità di jwrlar quindi a poco. Il Sona nelle citate sue memorie degli storici napoletani (64) ripetè intorno alla storia del Porzio , di cui parliamo , quanto ne avevan detto prima di lui il Nicodemi e '1 Tafnri. Il consigliere iMicliele Vecchioni , amantissimo come egli fu delle cose patrie , conservava manoscritta una parte soltanto di que- sta storia del Porzio , e propriamente quella del tumulto di Napoli .1" tempi del viceré D. Pietro di Toledo. Aveva disegnato stamparla col titolo storia de tumulti qui presso di noi rircadiiti sotto Carlo f^ per conto della inquisi- zione scritta d(dlii felicissima penna di Camillo Porzio, come una appendice a' Giornali di Giuliano Passaro che si pubblicavano a spese del librajo najwlctano Vincenzo Altobelli; ma egli stesso nella prefazione a questi giornali (65) ci fa sapere che l'Altobelli vi si ri- cusò per la premura che aveva di dare in luce al più presto il ci- tato libro. Morto il Vecchioni nel i8oo ne fii distratta la preziosa libreria ricca di molti codici , tra i quali vi era il frammento della storia del Pcirzio , ed ignorasi in potere di chi sia giunto. Di questa istessa storia del tumulto di Napoli die notizia il Giustiniani (66) facendone autore il Porzio , tracndolo senza dubbio dalla dissertazione del Vcccliioui teste citata , e quindi niente disse, 3o GERVASIO come ha per costume , ne aggiunse particolarità alcuna intorno al co- dice che la conteneva , ed in qual biblioteca si conservasse. Nella scelta biblioteca del signor duca Vargas Macciucca cor- reva fama esistere un codice intero della storia inedita di Camillo Porzio , ed io fin dalla prima gioventù quando caldo in me ferve- va r amore per gli studj della storia letteraria specialmente patria, non tralasciai farne sedula ricerca. Rivolto però come diceva sul bel principio ad altri studj più severi , venne a raffreddarsi iu me l' ar- der primiero di consultare il riferito codice. Venuto ad esser nostro collega nel 1818 il lodato Signor Duca , si ridestò in me l'antica premura , e fui sollecito di richiederlo di quel codice che la sto- ria inedita del Porzio dicevasi di contenere. Egli il profferse non solo , ma volle dippiù farne generoso dono all' accademia nostra che or lo possiede , ed è qual voi lutti , o illustri colleghi , qui vedete. Io l'ho diligentemente letto ed esaminato, e non v' increscerà udirne la descrizione che ne andcrò facendo. Il codice in foglio piccolo nella prima pagina ha il titolo a grandi lettere scritto , che niuna dubbiezza ne lascia dell' autor suo: DELLA H ISTORIA D' ITALIA DI CAMILLO PORTIO. Non ha numerazione di pagine , ma soltanto i richiami delle parole iu pie di ciascuna di esse. Il carattere è minuto ed intral- ciato , e sembra sincrono dell' autore. Dell' ignoranza somma del copista ho acquistata certezza nell' attenta lettura da me fatta del manoscritto , imperciocché manca qualche volta nella dicitura , e vi sono travisate le parole , il che ho più chiaramente ravvisato dal confronto fatto del manoscritto nostro con quel frammento del Ta- furi di cui sopra ho dato ragguaglio , e la cui mercè ho ristabi- lite alcune delle mancanze , ed importanti correzioni ho fatte alle parole in quella parte soltanto della storia contenuta nel codice del Tafuri. L' ortografia poi del codice nostro è oltremodo capricciosa ; VITA DI PORZIO 3l spesso mancano i punti finali , v' lia per lo contrario un' imperita soprabbondanza di virgole ed altre simili cose , vizii per altro clie sono comuni alla mnggior parte delle scritture del secolo XVI. Os- servansi inoltre alcune correzioni fatte da mano diversa da quella la quale copiò il codice, e verso il fine veggonsi a modo di som- tnarìi cacciati in margine dello scritto alcuni nomi propri! che sono mentovati nella storia , d'onde si può argomentare che forse il co- dice sia stato da altra mano riveduto e corretto. la questo mano- scritto , come altresì nel frammento del Tafuri , invano ho cercati quei due passi che il Nicodemi riportò quai principio e fine di un secondo libro dell'inedita storia del Porzio, nella quale par che si contenesse 1' istoria della congiura fatta ordire dal Gonzaga gene- rale di Carlo V in Italia centra Pier Luigi Farnese Duca di Par- ma e Piacenza. E questa istoria appunto tanto nel codice nostro, quanto in quello del Tafuri , è scritta in discorso continuato senza ombra di divisione sia in libri , sia in paragrafi. E gli avveni- menti sono narrati , come or ora più a minuto diremo , con esatto cronologico procedimento. Che penseremo dunque di questa diver- sità ne' codici ? Non perchè voglia farla da indovino, ma perchè in cosa oscura è permesso il conghietlurare, oserei iu tal modo spiegar- la. Questa istoria del Porzio contiene tre distinti fatti , i quali di- scendono si dalle cause medesime , ma differiscono tra loro per le circostanze ; sono però con tal arte descritti che dall'uno all'al- tro si passa come se un sol corj[X) formassero. Potea avvenire che non andando a tutti a verso per cagioni a noi ignote il trarre co- pia intera della istoria , ciascuno secondo il proprio genio ne avesse trascritta la narrazione soltanto chi di uno, chi dell' altro de' tre fatti da essa contenuti. Par quindi probabile che colui il quale un solo di quei fatti avesse avuto vaghezza di trascrivere, da sé stesso o pur coir opera altrui vi avesse adattato un principio ed una conchiusione corrispondente al fatto medesimo staccato già dalla storia intera. Né altrimenti può spiegarsi quella diversità di titoli ne' codici posseduti dal Tafuri , dal Vecchioni , ed in quello dal Nicodemi rammentato. Né altrimenti potrà darsi ragione della differenza pocanzi accen- nata fra '1 principio e 1 fine di tutta la storia , tra '1 codice nostro 32 GERVASIO col fjuale conviene il prezioso frammento del Tafuri , e quei del se- condo libio di essa nel manoscritto del Nicodemi. Dopo il racconto del tragico fine di Pier Luigi Farnese, il nostro codice finisce : Ma per awentuia il mler divino colla percossa di lui volle rammen- tare al pontefice Paolo che chiunque y' inviluppa né lacci del mondo , diventa preda della fortuna. Questa sentenza grave e pro- fonda chiude la narrazione delle cause dal Porzio esposte di tutti e tre gli avvenimenti. Nel codice poi del Nicodemi termina il racconto dell unico fatto della morte del Farnese questa volgare riflessione : // die se dal Gonzaga fosse stato tenuto a mente non avrebbe giammai spoglialo di difensori il suo per gire a conquistare l'altrui. Le quali parole sembra se pur non fallo che abbiano relazio- ne soltanto al fatto del Farnese , ne già all' intera istoria, la quale è scritta in istile continuato , e jier quanto apparisce alla lettura di essa nel sentenziare e nel riflettere sulle cause generali di ciascuno avvenimento, è uniforme, e le conchiusioni necessariamente da quelle cause discendono. Dalle quali cose è forza necessariamente concbiu- dere che al Porzio non già, il quale volle certamente scrivere una storia compiuta de' fatti d'Italia nel i5/\'], ma ad altra mano deb- ba attribuirsi la diversità di sopra osservata nel codice citato dal Nicodemi. Ne poi sembra degno della penna del Porzio la delinea- zione del carattere imprevidente del Gonzaga, eh' egli aveva già fatto conoscere nella istoria sua per uomo quanto perfido altrettanto infin- gardo , e superfluità sarebbe stata sommamente riprovevole in uno scrittore qual fu il Porzio quel trito sentenziare che '1 Gonzaga mal fece di sguarnire il suo per ire a conquistare 1' altrui. Checche sia di tutto ciò , io lascio che ognun ne pensi a suo modo ; resta sol- tanto che vi assicuri, o illustri colleglli , essere il codice nostro qual lo possediamo oltremodo prezioso, essendo desso il solo fino al pre- set.te conosciuto , nel quale intera si comprende la istoria scritta dui Porzio delie cose d' Italia de' suoi tempi. 1 fatti che in essa narra circoscrivonsi siccome di sopra accennai, nel giro dell'anno i547 » e furono invero grandi e sanguinosi. Comincia la istoria con una giudiziosa esposizione dello stato di Europa dal i544 al detto an- no i547 , e da questo come una necessaria conseguenza fu discen- l VIT.V DI rORlIO 33 tltr r aiilorc gli avvcnimculi che viene in prosieguo con beli' ordine 0' sizione degli animi dei regincoli. Mi occorse di veder, son già molti anni, questa operetta di sole dieci carte in lol. presso il nia'chese D. Francisco Orlando uomo 5 34 GERVASIO commendevole non tanto per la copiosa raccolta che aveva falla eli libri imprèssi e manuscrilti risguardanti la patria istoria , quanto per la rara cortesia con la quale ne faceva copia agli studiosi. Da quei fogli io non trascrissi allora , se non la dedicatoria e 1' ul- timo capitolo , sicuro che per la gentilezza del possessore avrei po- tuto in appresso , quando mi fosse venuto a grado , trarre copia dèlf intera operetta. Ma passato a miglior vita quel signore , andò perduta del pari la sua libreria , e tra i manuscritti ancora quello del sommario di cui ragiono. Per buona fortuna il collega nostro D. Giuseppe Ferrigni possedendo di quest' operetta del Porzio un altro esemplare, ha avuta la cortesia di farne trarre una copia. Il Jnanuicritto dui Ferrigni è un piccolo codice in 12 che ha per ti- tolo : Relazione del regno di Napoli al marchese di Mondesciar viceré di Napoli. Di Camillo Porzio tra il 1577 e 1579. Le stesse cose vi si contengono che in quello dell' Orlando oltra talune parti- colarità do]X) la successione cronologica de' nostri Re , che io non rammento aver lette in quello. In sommo pregio io stimo doversi tener 1' operetta , la quale oltra il merito di essere il più antico j)rospetlo statistico del Regno nostro , fa conoscere nella sua brevità quali fossero in allora le vedute di pubblica economia , e quanto .'ijipo noi ancor sotto il governo Viccregnale fossero siffatti sludi col- tivati da un uomo quaV era il Porzio , giudizioso e saggio osserva- tore dell' indole e delle circostanze della sua patria. ANNOTAZIONI ALLA PRIMA PARTE. r (i) Papadopoli IJistor. Gymri. Pa- lav. lom. 2 p. 2o3. (2) Fabbroni Hislor. 'Acad. Pisanae Pisis 1792 in 4 Ioni. 2 p. 333. Par- lano di Simone molti scrittori e gene- rali e particolari di storia letteraria , cioè il Tuano, il Teissier, il Gaddi, il Tiraboschi ctc. e tutti hanno igno- rate le piii illustri ed importanti no- tizie della sua vita. Kc scrisse anclic le memorie il nostro Lorenzo Giusti- niani che leggonsi nel libro da lui pubblicato : / tre rarissimi opuscoli di Simone Porzio, di Girolamo Bor- gia , e di Marcantonio de Falconi , icritti in occasione della celebre eru- zione avvenuta in Pozzuoli nelV an- no i538 etc. Napoli 1817 in 8. Egli non ostante il vanto die si dà di cor- reggere e supplire le altrui mancanze, ignorò allatto le partlcolariiù di sopra narrate intorno a Simon Porzio, e le altre tlie anderò di poi notando. (3) Raccogliesi questa particolarità dal seguente epigramma di Giano A- nisio a carte Jo8 , a tergo, de' suoi Poemata et Salynie, Neapoti per Jo. SultzliUchium ij3i in 4.° Ad Simonem Poitium. Quid majus Porti a Diis immortali- lius unquain Optandum volis perpetuaque pruce ? JEs tu Part/icnopes civis , quant di- cere ocellum Ausim orhis, cljuivs, divitiisqve potens. Pmeterea ingenio, succisque Machao- nis , atro F''ectigal Diti fortior extenuas. Nec satis est visum , res infra nascere lunam , Scire etiam tentas quidfaclant superi. (4) Leggesi a carte 8 dell'opera /cr- ni Anysii Epistolae De Religione et Epigrammatum ctc. In fine Describe- bat plumheis sigillis Neap. Jo. Solci- bac/tiui , cum solito privilegio i53S in 8." In questo epigramma sembra a dir vero mollo impropria , per non dire impertinente, l'arguzia dell' Anisio che dice al Porzio dover godere della mor- te della moglie sol perche un tempo desiderava di vìver celibe. (5) Ho detto di non sapersi i nomi e le particolarità de' rimanenti (ìgli di Simon Porzio, pur nondimeno spe- ro non iien per riuscire discare le no- tizie che ho proccuralo di raccogliere almen per congliiettura intorno ad es- si. Oltre di Camillo altro figlio di Si- mone credo essere stalo quel,!' Antonio Porzio Abate cui sono indirizzati al- cuni versi di Giano Pclusio da Co- irono {f.usuum etc. pag. Sa) nei quali è lodalo qual pa/er elega/itiiirum , et iiuciu FATUE DOcriOR. E questi par si- curo che sia quello stesso Antonio Por- zio, il quale fatto vescovo di Mono- poli nel 1J77 secondo che sciivcl'U- 36 G E R V glieli! (/to/.5c?cr.lorB. i''pag.974) mori nel lógS, e vien rammentalo da Gio: Ball. Crispo di Gallipoli tra gli uo- mini dotti eh' ei slaudo in Roma fre- quentava. Vedi pag. 96 del libro pub- blicato con erudite illustrazioni dal mio dotto amico e nostro collega D. Michele Tatari Jo. Saptistae Polti- tìori Frentani , et Stephani Catalani Cnllipolitani opuscuki nonnulla nane primum in lucem edita. Neapolì '792 in 4. Nel Cod. 448 sc.VIF. 17 del- la real biblioteca borbonica , di cui avrò occasione di far spesso menzio- ne, sono due lettere lali.ne autografe di questo Antonio che sono scritte al car- dinal Seripando. In una di queste da- ta da Padova P'J Id. lun. i55g lo- da 1' orazione recitata dal Seripando ne' iunerali celebrali in Napoli per la mone dell' imperator Carlo V; e nel- 1' altra data da Napoli P'I Kal. la- miarii senz' anno, di notizia al Seri- pando medesimo di avere scoverto pas- M'^^iariJo vicino le mura della città presso la chiesa di S. Agnello una iscri- zione greca , che è quella stessa tra- scritta dal Capaccio Histor.Neap.toiu. i-p.23i,c della quale di una singo- lare interpretazione. Queste lettere , e specialmente quella intorno alla iscri- zion gneca , indicano la somma fami- liarità che passava ira la famiglia di Simon Porzio e'I Seripando, il quale aveva per ciascuno di essa particolare ahezione , leggendosi inoltre nel co- dice medesimo diverse lettere del Se- ripando a C:miiMo Porzio. Un terzo figlio di Simone pare potersi con cer- tezza asserire che fosse sialo chiamato Scipione , del quale fa parola il Ca- A S IO paccio nella sua opera intitolata il Forestiero ce. giorn. IV pag. 249. Qui- vi il Capaccio interrogalo se Camillo Porzio era della discendenza di Simo- ne , dopo aver risposto affermativa- mente scrive : famiglia { cioè quella di Simone) molto honorata , e vive og- gi ( nel i63o) Francesco Porzio fi- glio di quel Scipione che fu gloria de' cittadini A^apoletani, e che con le ma- niere nobili con che visse introdusse parentato nobile nella casa , avendo data per moglie al figlio una Signora della famiglia Capece. Se dunque Sci- pione era della stessa famiglia di Si- mone Porzio siccome fu Camillo, non poteva egli essere che un figlio di Si- mon e. Nelle lettere latine di Bartolomeu Ricci Ferrarese ve ne sono due , di- retta 1' una ad un Bartolomeo, e l'al- tra ad un Francesco Porzio. Quel Bar- tolomeo- fu con manifesto erroie scam- bi.ito col nostro Camillo dal Tirabo- schi ( Stor. delùt letter. Ital. Venez. 1796 in 8° tom. 7 p. 877). Il che ap- parirà vie piti chiaramente dalla let- tera stessa del Ricci diretta ad Ago- stino Abioso, che è come segue [/ìic- cii oper. Patai'ii iy4j in 8 torti. 2 p. 241 ): Sartholomaeo P.ortio cjui tibi has litleras reddcdit , qiiatuor annis Fer- rciriae t:unfamiliaritersuni lAus, quara is meo praenomine utitur. Huic enim ita dornus fnea patuit , ui tibi atrjun Fkctori nostro- fecisset , atque etiam /■^enetiis cum luia prope habitare.muSj ficere solebat qui Carnillnm fdiuni in literis Graecis , atque in Dialectica erudiebat. Hic nunc non dectiorem. VITA DI philosopltiim. Madia nostro quaerens, seri meliorem condilioiìcm seijuens,sc Prilavium rontulit. Hiinc ut in ami- citiam laam recipias volo, atque quid- quid fi opus erit , id omne meo no- mine libendssime commodes. Poìliceor Ubi ( elsi ?ioc tacere poterani ) le in hujus adolescentis amicilia plurimum nuctum esse , meumque hoc offìcium in iis quae a Riccio tuo proficisci so- ìent , esse repcsi/urum. ]Vam praeter honas lileras , qaas optime callet , et ,^raecjs et iatinas , eri natura est a- dulesvens , atque in amando integri- late , qua nos siimus , quamque in aliis maxime cupimus. f^ale. (()) liibìiotli. lìoman. p. 14. (7) De IlUistr. Script, y.'eap.^.x'ìi- (y) Tom. 7 p. 249 della sua tra- duzione Italiana dell' erudita opera scritta in lingua Inglese dal sig. Ro- scoe f'ila e Poniefìcato di Leone X. Milano 1816 in 8. (9) Pag. 27 della Lettera de'l' ^ba- te Gaetano Marini , nella quale s'il- lustra il ruolo de' Professori deli' .Ir- riti ginnasio /iomano per l' anno i5i4. Roma 1797 in 4.0 (10) iSon nega esservi stati alcuni scrittori , come il Cliioccarello ( De Il'uslr. Scrijìt. Neajiolit. pag. 127 ) e '1 GaJdi ( De scrìjjt. non Ecclesiast. Tom. a p. 207) molto posteriore di eli, i quali lian fatto dubitare d'essere sta- lo Camillo figlio di Simon Porzio: ma t conteuiporaiici adermaiio con certezza il contrario. Il Sinsovino scrittoio sin- «rono , nella dedicatoria diretta a Camillo della raccolta delle satire di diversi poeti , della quale un fram- mento rectictò per esteso poco apprcs- PORZIO 37 so , scrisse francamente clic fosse il no- stro Porzio nato da Simone , e non r avrebbe certauicnlc dello in una let- tera dedicatoria, se non gli fosse slato riferito da persone conoscenti e lumi- miliari del suo Mecenate. Il Capaccio che fu ìntendentissimo delle cose nostre , e che sicuramente aveva conosciuto nella sua prima gio- ventìi il Porzio , all'ermo (1. e. ) che questi fosse della famiglia di Simone, finalmente nel codice di sopra citalo della nostra real biblioteca , ho letto una bozza di lettera scritta dal Seri- pando a Simon Porzio da Bruselles ia data de' 27 gennajo i554 , cioè poco prima che costui morisse, la quale fi- nisce : £d io me li raccomando con lutto V animo et cosi al Sig. Camillo et a talli , non lasciando la paci/èra Oliva : le quali parole indicano chia- ramente lutti della famiglia , cioè i ligliuoli di Simon Porzio , nominan- dosi particolarmeule Camillo tra i i^'ia- silii come il maggiore e piii distinto per la sua dotlriii.t , ed Oliva tra le f-iiimiue come quella che forse era la più rimarchevole pel suo carattere pa- cifico e mansueto. (11) Di tal particolarità la ricordan- za il Fabbrucci nell'opuscolo de pi- sano gyninasin inserito nel tomo VI p. 83 della nuova raccolta di 0|'U5coli del Calogeri. (12) Origlia storia dello studio di .Wipo/i toni. 2 p. 3.J. (L'i) Nell'anno i538 avvenne qiiel- r orribile tremuolo in Pozzuoli che ili- strullo compiutamente il villaggio di Tripcrgola fece sorgere il cosi detto monte niioro. Del quale fenomeno , 38 G E R V A S I 0 Simon Porzio diede una spiegazione se- autumno fere in honarum artiunipro- condo i dellami aristotelici che con fessores saevienlis inctementiam fuge- Icttera diretta al viceré D. Pietro di Toledo pubblicò in Napoli nell' anno medesimo. Questo rarissimo opuscolo insieni con due altri sullo stesso ar- gomento fu riprodotto per le stampe da Lorenzo Giustiniaui (veJinot. 2). Il Fabbrucci attribuisce alla pubbli- cazione dui notato opuscolo 1' essere stato Simon Porzio conosciuto ed ap- rire j tum ut honestissimo olio , quod singularis tua erga me benevolentia , incrediòilisque humanilas concedebat , fruerer eie. (20) Tra questi vi era il Giovio del quale una lettera diretta a Simone è slata pubblicata dal Pino lib. IV p. 3 16 della sua nuova scelta di lette- re ecc. Venezia i582 in 8. V era ai- prezzato dal Gran Duca Cosimo I.° gè- tresi il famoso Gio: Ball. Gelli, il qua- nero del Toledo , perlochè lo invitò alla lettura nello studio di Pisa. Ma per la testimonianza di monsignor Fab- broiii addotta nella stessa nota 2 il Porzio era già ben conto al gran du- ca per aver insegnata filosofìa in Pisa fin dalla prima sua gioventù. Potò for- se avvenire che la lettura dell' opu- scolo di sopra delio avesse contribuito a far si che il Porzio fosse ricbiamalo alla memoria di quel signore, ([uan- do per restaurare lo studio di Pisa vi cliiamò a leggere i piii valorosi pro- fessori d' Italia. (14) Fabbroni Hist. Acade in. Pi!>a- nae lom. 2 p. 333. (16) Fabbroui 1. e. (16) Fabbrucci I. e. (17) Fabbroni I. e. pag. 484. (18) Fabbroni 1. e. nelle ordinazio- ni circa il modo di dottorare .irt.° q. (ir)) Lo dice Simone mede imo nel- la dedicatoria al gran duca dell'opera de coloribus, che comincia cosi : Cam nuper Floreiitia recersus priiiceps ma- gnanime in Filestulanorum agrum me rerepiiseni ( est enim , ut inquit Me- nander aparos «perr,? xai' jSi'o-j òrSaa/*),©? le tradusse in favella fiorentina al- cune opere filosofiche del Porzio, tra- duzioni rammentate dall' Ilaym i/W/oA Hai. tom.III p. 96 n. 5 6 7 ediz. di Mi- lano i8o3 in 8. (21) Tiraboschi I. e. tom. Vili p. 3 p. 877. (22) Fabbroni I. e. nelle ordinazio- ni ecc. n. 6. (23) Fabbrucci 1. e. Il Fabbroni fii- ■b/'ir. acad. pisan. pag. 334 scrive che Simon Porzio dimorò in Pisa , ci- tando in appoggio il Tiraboschi , il quale con I' autorità del Tuano mo- stra esser partito il Porzio da Pisa nel \bói. E da sospettarsi quindi o che il Fabbroni abbia traveduto , ovrer che nella citazion sua sia incorso un er- rore di stampa. Né può essere altri- menti, giacché la notizia del Fabbruc- ci , tratta da' registri dello studio di Pisa , non e stata né con ragioni , né con documento alcuno contradetta dal Fabbroni , il quale se Io avesse po- tuto , non avrebbe certamente trascu- rato di farlo. Tra le opere poi del Por- zio ve n'è una intitolata de rerum na- taralium principiis, impressa in Napoli 'i\iifo-i aypoc) (um ut aéris pisani per Mattia Caiicer nel »553 in 4. Nella VITA DI iledicaloria a Maico Aulonio Colonna ilice il Porzio the essendosi costui re- talo a bella posta in Pisa , per udir da lui , già vecchio e podagroso, dc- ciferati i più riposti sensi del filosofo slagirita , gli manda il suo libro co- inè quello che trattava di cosa al Co- lonna gradita. Non ha data questa de- dicatoria ma dicesi scritta ex pisana academia. Non può credersi che il Colonna mandasse da Pisa in Napoli a stampar l'opera del suo maestro sen- za consultarlo pria, e se anche ne a- vesse ottenuto da costui il permesso , ne avrebbe falla l'edizione a sue spe- •••e , e non già a quelle di un librajo qual fu flla/vnri/oriio Fefia>iO,t\ccome Icggesi infine del libro. Lchiaro quindi che nel i553 11 Porzio era in Napoli, e che il librajo trailo direllamenlecon lui per la stampa della sua opera già composta in Pisa, per farvi quelle cor- rezioni e miglioramenti che gli sareb- bero piaciuti. Stimo superfluo dir altro su di ciò, e fo avvertire soltanto essere stata l'o- pera medesima ristampala pochi anni dopo anche in Napoli col seguente ti- tolo lì £)e Jieiuìn Naturaliuin priri- cifiiia Libri duo quibus pluriinae et liaud conteinnenJae qiiaestìones naiu- raìes explicantur. Aeapoii apitd Jo: Mariani Scotum RIDLXI //; 4. Que- sta edizione sconosciuta a' nostri bi- bliografi si possiede dal lodato SIg. Ta- l'uri , cui tanto di ([uesta , quanto di altre preziose notizie, mi confesso de- bitore. (24) Pclusii Lusiium eie. p. 52. I vMsi sono intitolali nno,di molta eritditiotie et adorno di ogni ottima disciplitui j ed in un altro parlando dei rari pregi della Signora Geronima Colonna d'.\- ragona nipote della celebre Vittoria Co- lonna Marchesana del Vasto , scrive l'Ammiralo che poteva ben gloriarsi il Ciccarello lasciando così grande e chia- ra discepola nei secoli avvenire per ?iu- tabik esempio della sua molta dottrina. Il Toppi {Bibliot. Napolet. p.338) la menzione d'un Gio; Niccolò Ciccarel- lo, che sospetto forse per iscambio di nome esser lo slesso Gio; Pietro di cui ragiono. Le lodi che riporta il Toppi dui merito di Gio; Nicolò possono an- cor convenire a Gio: Pietro, il cui mol- to sapere vieu commendato dall'Am- miralo nel Dialogo sopradello. (36) Histoire de V Anatomie tom. 2 p. 169. (37) L. e. tom. 6 pag. 458 , tom. 7 p. C5o. (38) Sulla ì-eslilnzinne del naso Tlap- porlo a S. E. il Sii;. Capitali Gene- rale Conte Lavai de Nugent ec. Na- poli, dalla Reale Tipografia della Guer- ra jSig in /j. (39) De anliqiiitate et sita Calahriae p. J28 ediz. Romana 1732 in fol. colle note di Monsignor Aceli. (40) L. e. p. 144. (41) Queslo è il titolo dell'opera del Tagliacoizo ncll' esemplare eh' esiste nella Rcal Biblioteca : Gaaparis Ta- liacotii Sononiensis De Curtorum chi- nirgia per insilioneni Libri duo ec. u4piid Gasparem Bindonum Venetiis 1597 in fol. (42) Ne cita r intero titolo il Vogt Catalog. Librar. Rarior. p. 653. Il pas* so del Corte,si intorno al metodo di ri- stabilire il naso vien trascritto dal Por- la! 1. e. p, 447, e dal Fantuzzi Scrit- tori Bolognesi tom. 7 p. G3 e seg. (43) Due particolarità storielle sono ricordate dal Porzio nella lettera che ho trascritta a pag. 14. La prima ri- guarda il tentativo de' Luterani del re- gno per sostenersi a mano armala nella falìa lor credenza. Essa è siala già ri- ferita dagli storici nostri specialmente dal Summonte ( toni. 4 p. 140 prima ediz.); ma '1 Porzio vi aggiugne talune circosianzc intralasciate da queslo sto- rico, che non sarà discaro di conosce- re; e queste sono la morte data ad alcu- ni più ostinali tra gli eretici, e la fa- coltà concessa dal Sommo Pontefice al- l' Arcivescovo di Reggio per convertire i traviati ecc. L'altra pariicolarilà poi della perdita di selle galee spagnuole VITA DI ronzio /\i piese da' barbareschi , è del pari ri- cunJata dal Summoule (I. e. p. iSy), il quale aggiugne che olirà il vescovo di Catania , Nicolò Maria Caracciolo Napoletano reduce dal Concilio Tri- dentino, fu preso dal corsaro vincitore del conlliuo navale nelle galee predale anche il Vescovo di Cefalii Francesco di Aragona. Costui per lo spavento , essendo ancora di grave età , mori in man di quei barbari, e quegli, cioè il Caracciolo, si riscattò con grossa som- ma di danaro. Il Summonte però segna la dala di queslo inlaiislo avvenimento a' 3 Luglio i56i, e '1 Porzio ohe scri- veva da Tropea non mollo disiarne dal silo del combattimento che avvenne a vista di Messina , dice con m.iggior verità esser seguilo il di di S. Giovan- ni cioè a' 24 Gingno. Dovrà in ogni modo correggersi il Pirri , il quale nella Sicilia Sacra parlando del Ca- racciolo tra i Vescovi di Catania, con errore manifesto segna la data dell' av- venimenlo ai 24 Luglio i554. Olirà quelle già trascritte nel Co- dice Seripandiano vi è la bozza di una lettera del Seripando de' 22 Decera- brei55g, nella quale impegna il Por- zio ad inlerporsi con un certo dottor Quadra per fare scarcerare un prvle j'e- rito ad Acquarola il quale vo- leva ritornare a servire in della chiesa. A questa raccomandazione leggesi nel codice la risposta autografa del Por- zio data da Napoli a' 6 ottobre i55g, nella quale olirà il dar parte al Se- ripando del buon risullamento degli uffizii fatti a prò del prete suo racco- mandalo, gli parla di certa gara tra '1 Mitici e '1 Vopisco per 1' esazione di 6 -I-T GÈ n VASTO una peiiiione accordata al primo su doU'andata dell' ai mala del Turco vci- di un benefizio posseduto dal secondo, so Tripoli. e delle forti disposizioni date dal Vi- (44) Foiastiere giornata 4. pag. 249. cere di quel tempo contro i ribaldi e ANNOTAZIONI ALLA PARTE SECONDA. (45) Queste sono le parole del Porzio delle quali il senso è chiarissimo , cioè che la congiura dei Baroni avvenuta nel 1485 fu la causa delle guerre che seguirono uel 1494. Intanto il Giusti- niani nella vita di Simon Porzio pre- messa all' opuscolo di costui de con- flagi-atione agri Puteolanì scrisse pag. 5, che di Camillo Porzio yjoco o nulla ne han detto gli scrittori di storia let- teraria , e per questa ragione ei si li- mita a parlar soltanto della sua storia della congiura dei baroni , ed a cor- reggere alcune sviste dei suddivisati scrittori. Dopo di aver riportato il ti- tolo della istoria soggiunge : mentre il padre { cioè Simone Porzio ) tro- vavasi in Pisa , secondo che avvisa nella dedica che fecene a Carlo Spinel- lo Duca di Seminara eie. Nulla disse Camillo di questa dimora del padre in Pisa nella citala dedica. Afl'erma in- dire lo stesso Giustiniani che Camillo Porzio conversando con Paolo Giovio lo aveva inteso più volte lamentare _, che per mancanza e tiascuraggine de- gli storici non aveva potuto scrivere le guerre che seguirono nel 1494 , cioè la congiura dei Baroni cantra Fer- dinando 1." E pur di questa rara no- tizia nulla sognarono né il Giovio, né il Porzio. Non contento in fine il Giu- stiniani di voler correggere gli errori degli scrittori di storia letteraria la av- vertire 1' errore anche del Porzio il cj^uale scrisse, com' ei dice, che la con- giura dei Baroni avvenne nel J494 > eh' è una falsità sollenne , e concbiu- de cosi : Il Re Ferdinando j.° mori neW anno 1494 ; onde non saprei come mai flesse incorso simile errore neW o- pera suddivisala , ed altri scrittori po- steriori non se ne fossero avveduti e co- piatolo ciecamente. Gli scrittori che prima e dopo del Giustiniani scrissero del Porzio avevano migliori occhi ed anche senno migliore del suo per non incorrere in siflatlo vaniloquio. (46) Nella dedica al Duca di Semi- nara scrive il Porzio : Questo deside- rio (del Giovio cioè di scrivere la con- giura dei baroni) io lo giudicai tanto giusto e s) fattamente necessario che in me si apprese cane fu in lui di VITA DI qualità che pochi anni sono ahbatlu- toiìii nel piveesso originale ecc. Il Giu- sliniani J. e. narra che il Porzio per soddisfar la voglia di quel dotto scrit- tore ( cioè del Giovio ) si accinse a for- mare delta istoria coli' idea però di stenderla sotto la direzione di esso Ciovio. E questo è ancor tulio l'alio e manca ancora d' ogni ragione- volezza. Imperciocché le doglianze del Giovio si riferiscono a lui slesso non gii al Porzio il quale nel tempo che (ratto col Giovio era un giovine stu- dente in dritto , e fini il corso dei suoi ttudii nell'anno raede>inao In cui cessò ili vivere il Giovio. Dall' addotto luo- go del Porzio si rileva che 1' idea dì fcrivc'o la storia della congiura si ris- vegliò in lui dopo di aver rinvenuto il processo originale della congiura me- desima , il che avvenne pochi anni prima di comporla. ('i7) Vedi la dedica citala e la let- tera del Seripando premessa alla prima edizione della storia del Porzio. (4**) Vedi la dedica citala al Duca di Semìnara. (49)Vegga5Ì la lettera del Seripando premessa, come si è dello, all'istoria del Porzio. Ma ascolliamo ancor qui il Giustiniani che si millanta di correg- gerò le sviste di tutti gli scrilturi di sto- ria letteraria. Scrive egli nel luogo ci- tato che dappoicckè ( il Porzio ) ebbe fatta buona raccolta di notìzie mancò di vivere quell' uomo insigne , cioè il Giovio. Ma se questi morì nello slesso »nno in cui il Porzio fini glisludj suoi io Pisa, come mai ora il Giustiniani il fa risorgere dopo che il Porzio aveva riuniio i materiali tulli per comporre PORZIO \i la storia della congiura dei Baroni V Siegue a dire il Giustiniani : quindi se la pose a lavorar da se solo in la- tino , e fone ne prevenne purancke V idea al Seripando. dome forse se in realtà gli scrisse ? se il Seripando era colui che stimolava il Porzio a scri- vere la storia, come poteva costui pre- venir 1' altro di tale idèa?' Al quale- avendo poi mandato i primi squarci in tempo che ritrovavasi Legato nei Concilio di Trento quel Ch: uomo et- vendogli approvato il piano e lo stiJe lo persuase con sua lettera di meglio scriverla in Italiana. Molle falsila vi sono in questo racconto che superfluo sarebbe il rilevar minutamente ; no- teremo soltanto che '1 Seripando lodò lo stile latino del Porzio non già la sua opera che non aveva veduta. Que- sti falli furon prima di lui commessi dal Soria memor. degli Storici Na- polot. tom. a. p. 5oi, ma il Giustinia- ni senza citarlo volle appropriarseli e spacciarli come notizie rare da lui con fatica e diligenza raccolte. (5o) liibliot dell' Elaqu. Italiana di Monsignor Giusto Fontanini colle an- notaz.di Apostolo Zeno Tom.2.pag.254 not. (a) Edizione di Parma i8o3 in 4.° (5i) De Scriptor. non Ecclesiastic. Tom. 2 p. 20;. (Sa) Biùlioteca Italiana Milano j8t6 Tom. t. pag. 27. (53) Il Seripando mori in Trento nel i5u3 di anni 70 quando slavasi cele- brando il concilio. (04) Il Jlanuzio si porlo in Romii nella state del i56i come rilevasi da una sua lettera al Morelo , Misceli. Collega Romani Tom. 2 p. SgS. La 4'i G E Tv Iratlalisa per trasportarvi la sua stam- peria fu concliiusa dal Cardinal Seri- pando. Vedi il Lagomarsini JSpisiol. Iidii Foggiani Tom. 4 p. Sag noi: (a). (55) Bibliot. dell' Eloqu. Italiana del Fontanini Tom. 2 p. 255 edizione citala. (56) Vedi il Soria nelle Memorie degli Storici Napoletani'X.oxao 2 P.3S.7. ligli dice elle queste e le altre parti- colarità da lui narrale inlurno alia vita del Majello gli eraao state riferi- te dal Canonico Niccola Ignarra cui ]e aveva dette il Mazzocchi amìcissÌDio del Majello. (57) Ha il seguente litolo : Conju- ralio inita et extincta Neapoli anno 1701, ^ntuerpiae Typis Ioannis Frik 1704 in 4.° pie. di pagiEe 64. la fine vi sono Ire pagine numerate che con- tengono un lungo errata. Altra isto- ria scritta in Italiano era stata prima stampata da anonimo autore col titolo La congiura succeduta in Napoli nel Settembre del 1701. In Venezia 1704 in 8. B per mostrare che veramente fosse stata impressa in Venezia vedesi nel frontespizio 1' ancora col delfino antico slemma delle slampe degli Al- di. Va premesso un avviso al letto- re in cui dice 1' autore che gli avve- nimenti da lui narrati parte ho ve- duto da per me stesso _, son sue paro- le, e parte ho raccolte dalla pubblica voce degli uor)iini , né mi sono man- eate notizie dai processi della Giunta, ne' dai Consigli tenuti ira Ministri e tra militali : e conchiude che '1 suo nome poco rilevava a sapersi , ma che in un trattato che stava scrivendo del Paragone tra la lingua Toscana colla V A S IO Greca e con la Latiiux ciascuno ve l' avrebbe veduto impresso, quando io sappia, aggiunge, che questa mia fa- tica non sia altrui dispiaciuta. Questo trattato non è piii comparso , ed igno- rasi tuttavia lo scrittore di questa sto- ria. Sembra però potersi affermare qua- si CDu certezza che tanto questa, quan- to la storia del Majello scritta nel senso medesimo , siano stale impresse con falsa data in questa capitale. (58) Eccone il titolo: Publicum, Ca- loU Sangrii , et losephi Capycii rior bilium Neapolitanorum funus a Caror Io .ausilio III Hispan. Indiar. etNeap. Jiege indictum , et ab Illustrissima , Excellentissimoque viro TVirlco Com. Se Daun loseph. Caes. militum Tri- buno, ejusque Copiis in Regno Neap. Clini summo imperio Praefecto , et Regni moderatore Pro Rege curatum. Typis Felicis Mosca Anno clobccviii in foj. L'Armellino nella Biblioth. Se- nedectino-Casinensis nell'Articolo B. Laudato segna 1' anno di questa edi- zione 1704 eh' è un manifesto errore di stampa. E da osservarsi che'l Vico pella vita che scrisse di sé stesso ri- prodotta nel Tom. 1. degli Opuscoli di lui impressi in Napoli nel 1818 , alla pag. 120 parla di questa sua rac- colta , ma tace della storia che com- pose della congiura del 1701, la qua- le va manuseritta per le mani degli eruditi. In fine della raccolta sopradetta leggesi un beli' epigramma latino di Federico Pappacoda, del quale scrive il Vico pag. 42 della sua vita essere slato un Cavaliere Napoletano dibuon gusto di lettere , e grande estimatore dei letterati. VITA DI (59) Ne daremo alcun esempio: nella lettera del Scripando sta scritto mi duole , ed in questa edizione si è can- giato in duolmi. Nella lettera mede- sima la parola manca che si riferisce al Porzio , è stata scritta mancano ri- portandola con manifesto errore a ciò che siegne. Ivi ancora 1' aggiunto ob- seguenti si è cangiato in osservanti. Nella dedicatoria poi dei Porzio al JDuca di Seniiuara la frase di qualità che si è trasmutata in talmente che , e nel corpo dell' istoria p. 5 si è scrit- to in maniera etc. (60) 11 Professor Giovanni Rosini Della prelazione all' edizione di Pisa Ponzio ^5 nel 1818 che sari quindi a poco ram- mentata. (61) Pag. 325 art." i353 dell' edi- zione di Venezia nella Tipografia Al- visopoli 1828 in 4." (62) Addizioni Copiose alla Bibliol. Kapolet. del Toppi pag. 162. (63) Storia degli Scritt. nati nel Be- gno di Napoli Tom. Ili parte 2 p. 226. (64) Memor. Storico critiche degli storici Napoletani pag. 5oi. (65) Pag. 33, e 35 della Prefazione dei Giornali del Passato Napoli 1785 presso Vincenzo Orsino in 4." (66) Bibliot Star. Topograf. del H»- . gno di Napoli p. 162. DELL'ISTORIA » 1 1 11 ^ I DI CAMILLO PORZIO a). P R O E INI I O I. V ENGONO al mondo 1 secoli e l' eladi, non altrimenle accompagnale dalle ree e dalle buone fortune , che si facciano gli uomini ancora : conciosiacosachè per 1' in- strumento delle lettere noi reggiamo un tempo abbonde- vole e sano fiorire di altissimi ingegni , di valorosi cuo- ri , d' arti e d' invenzioni maravigliose j ne vediamo poi un altro infermo e bisognoso, di menti grosse, di petti vili, e d' ogni umana miseria colmo e ripieno. Ma vera- mente il presente nostro secolo non è stato in fin ad ora degl' infortunati ^) , che le memorie ricordano , per aver egli avuto potenti e valorosi re , la militare disci- plina e le scienze liberali nel loro supremo grado, i po- poli numerosi , conoscimento di non mai più vedute re- gioni, orribili macchine da guerra, e nuovi instrumenli a perpetua difesa delle scritture j le quali cose quantunque a) Nel manuscritto del sig. Tafuri in Napoli, ed in Piacenza. il titolo è il seguente: IJisloria d'Ita- h) Nel manuscritto è in fortunato _. Ha di CamiUo Porzio , contenente i per errore del copisi?, iitcccssi dell' anno i5^y in Genoi^a , 48 PORZIO il più dell' universo 1' abbia esagerate , nondimeno la provincia dell' Italia più di tutto il rimanente l' ha ella gustate , abbracciate , e ritenute, come veramente madre delle nobili scienze 5 ha loro anche conceduto il guardarsi dal mare dell' oblivione , producendo in essa scrittori il- lustri, ed immortali, i quali benché rapiti dall' Ingordigia del temjjo , hanno pure lasciato nell' animo degli studiosi Italiani un pungente sprone di seguirli, e di pareggiarli j imperocché il superarli (conform' io mi persuado) è fuori della speranza di ciascheduno. Laonde non doverà a' let- tori apportare maraviglia veruna s' io carico di famiglia- ri ed assidue cure imprendo a coltivare il duro campo dell' istoria : massime che a gli animi umani sono poten- tissimi stimoli la forza della virtù, ed il premio dell' 0- nore, ed ogni gravissimo peso fanno loro lieve nel portarlo, e nel diporto dilettevole e giojoso. Stato delV Italia dopo il i544' II. Adunque seguita nel i344 la pace tra l'imperatore Carlo di quel nome quinto , ed il re di Francia France- sco primo, r Italia per mare e per terra tanti anni dell'ar- mi di que«ti principi trafitta ed impiagala pareva dovere avere tempo di curare non di guarire le sue profonde piaghe. Conciosiachè quantunque si fosse opinione uni- versale r imperatore compiuto 1' anno, nel quale egli pro- messo avea adempire le condizioni della pace, non essere per investire della Fiandra , né del ducato di Milano il duca d'Orliens figliuolo del re di Francia, essendo") prin- a) U manuseritto:^ essendono. ISTORIA d' 1T.\LI\ 49 cipali membri alla couservazior.e del suo imperio-, spora- vasi nondimeno la stanchezza dpll' imperatole e del re, liitlavia illirismo nulla guerra inglese, dover intrapoiicr molto tempo per insiiio a tinto che da capo si riprendessero l'ar- mi j aggiungendosi massimamente al lor debol potere il ma- nifesto naulragio del cristianesimo fieramente combattuto dalle procelle dell' eresia , alle quali non facendosi per essi riparo, minacciavano d'avere a sommergere in bre- ve tutti i loro reami, Imperochè oltre alla Germania ed all' Inghilterra , già d' ogni parte inondate ") ed affogate , r Italia , la Francia , e la Spagna pullulavano quel pesti- lenzioso umore. E fu questa speranza degli uomini del- l'Italia raffermata ed accresciuta dalla potenza e diligen- za del pontefice romano Paolo III che incontinente se- guita la pace prese a convocare nella città di Trento tutti i prelati d' Europa a concilio, ed a ravvivare i pastori ed il gregge cristiano trascorsi in assai mali abusi. Nondi- meno la fortuna fatta implacabile nemica a' riposi degf I- taliani , ed a cui non pareva nel mestiere dell' armi a- vev sollevato a quel seggio di gloria l'imperator Carlo ove ella indirizzava, per condurlovi, e porlo in guerra, il volle'^) sciorre dal legame della sopraddetta pace ed onorevol- mente. Imperciocché pochi mesi dopo 1' esser conclusa pri- vò di vita il Duca d' Orliens , giovane lieto e di fre- schissima età , ed in cui ogni qualunque cosa temevasi più che la morte ^ sì che non acconsentendo il cielo che r imperatore scemasse di niente lo stato suo , egli alzò r animo ad accrescerlo grandemente, facendo acquisto del a) 11 manuscriUo: inondante. b) Il manuscrllto: voUe. 7 30 PORZIO pieno flominio imperiale nella Germania e nell'Italia, e della citlà di Siena P ri; Piacenza, per la quale nel 1 547 fu gittata nel cuore dell'Italia una lavilla d; fuoco ardente sicché benché paresse alcuna volta poco nociva, ed altra spenta, pure nel i55i prese tanto di vigore e d'ampio spazio , che non dell' Italia sola, ma delle più conspicue regioni dell' Europa il mare e la terra per otto anni arse e consumò, con estremo danno del cristianesimo e su- premo accrescimento delle sette infedeli ed eretiche, e gli fu somministrata materia a questo orribile incendio dal- l' ambizione del figliuolo del Papa ^) , e fu rinvigorito e disteso dalla sospezione e poco riposo di Francesi, Paolo investe Pierluigi Farnese Duca di Parma e Piacenza. III. Per la cui origine ordinatamente dimostrare fa di mestiere il dire che il Pontefice Paolo certamen- te di tanto grado non indegno possessore , bramoso di collocare sì altamente la sua famiglia che ella non fos- se inferiore né a quella de' Medici né a quella della Ro- vere, da' suoi predecessori dianzi ingrandite, aveva inve- stito del ducato di Camerino, iscadutoli per la morte de'si- gnori Varrani, Ottavio Farnese nato di Pierluigi suo figliuolo. Nondimeno pochi anni appresso avvisando il figliuolo ed il nipote , che la lunghezza del pontificalo di lui e la condizione de' tempi e dell' Italia gli aprisse la strada a dover appoggiare il fondamento della lor casa a principa- a) E nolo che Paolo III ebbe mo- siaslico e quindi papa. |Da quel ma- glie e limuso vedovo divenne ectle- irimonio nacque Piciluigi Farnese. ISTOnTA d' ITALIA 5t to più libero e maggiore , dopo avere indarno irai tato il Papa con l'Imperatore di quel di Milano, combattuto dal paterno affetto e vinto dalle molestie dategli da Pierluigi, fcrmossi a crearlo Duca di Parma e di Piacenza, città pos- sedute allora dalla Chiesa, come state prima della signo- ria del Duca di Milano , e nel Pontificato di Giulio II per pegno alla Chiesa pervenute. E sperò vanamente il Pontefice che l'Imperatore per essere futuro successore a quello stato Ottavio suo genero, per quanto se gli appar- tenesse, come Cesare e come Duca di Milano, leggiermente avesse a condiscendervi. Si che egli l'anno del i545 senza dare orecchio al consiglio di molti suoi Cardinali , che gliene dissuadevano, investì Duca di Parma e di Piacenza Pierluigi, facendolo tributario di Santa Chiesa di settemila scudi per ciascun anno, e compensandola anche della pic- ciola terra di Camerino, a cui da Ottavio fu ella resa. Carlo V non riconosce Tina tale ìiwestitura. IV. Questa alienazione di inestimabile danno al do- minio ecclesiastico, quantunque da Paolo fosse voluta ri- cojirire col poco utile che da quelle città si ritraeva , e col gran pericolo d' averle a perdere qualora Milano ob- bedisse il Francese, o di sotto a Cesare si perseverasse, niente di manco da tutti i Cristiani ad una voce fu dan- nata, e dall' Imperator Carlo biasimevole in tanto stimata che non fu possibile indurlo mai a nominare non che al- tro Pierluigi Duca di quella Città , rifiutate anche pa- recchie migliaja di scudi , che per ottener di ciò confer- mazione il Cardinal Farnese fratello di Ottavio si disse a- '2 Ponzio vergli profifeito insino allora che andò a ritrovarlo ìa Fiandra. Era apparito nelL' Imperatore al tempo che egli ne venne ad incoronarsi alcun desiderio di quelle città : pur la riverenza che doveva alla Chiesa -'>) e gli altri suoi gravi affari parevano a questi tempi averlo da cotal pensiero distratto, e'^) stimavasi che per l'odio conceputo contra Pier- luigi lui ricusasse d'investirlo, e di mantenerlo a quello slato j conciosiachè egli di non buon animo il riputava in verso di sé e di parte Francese, e l'anno innanzi gliene aveva dato un saggio : perochè avendo egli guer- ra con Francia , Pierluigi posto dal Padre a guardia di Piacenza, consentì d'ivi il passare e delle vittovaglie all' esercito che menava Pietro Strozzi Capitano del Re 5 il che fu opinione esserli stato di grande ajuto , e che al- tramente lo Strozza si rimaneva allora rotto dalle genti imperiali, che gli erano alle spalle, e seguivanlo. Il quale nemichevole fatto di Pierluigi affermasi essere stato pro- fondamente riposto nel petto dell'Imperatore. Nieatedi- manco i Farnesi vedutolo pacificato col Pie di Francia s'affaticavano di guadagnarlo, e in ogni qualunque modo proccuravano indurlo al lor volere. E veggendolo inclinato a muover le sue armi nella Magna incontro il Lantgravio e il Duca della Sassonia, che empiamente rotto il freno del- l'imperio divino non avevano in prezzo più. né anco l'uma- no, subitamente che al Papa ciò venne a notizia, con larghe promesse ve lo raffermò^ giudicando aver ciò a seguire con molta dignità del suo pontificato, e con non minor profitto de'suoi|| a' quali appreseutaudosi tempo opportuno di ado- a) 11 manuscrilio: fer ìa riverenza b) 11 mauuscritlo: e stimavasi per doveva alla chiesa^ l'odio. ISTORIA d' ITALIA j3 prarsl a prò di Cesare , ])otevano alla fine sperare di irar- }^Li dalle mani la bramala investitura di Parma e di Pia- cenza , specialmente alcuna somma d'oro aggiungendosi, ])er congeliurarsi la guerra dover esser lunga e dispen- diosa. Sì die Paolo e di non piccola quantità di dana- ri e di dodicimila fanti e di seicento cavalli a quella impresa l'Imperatore prontamente sovvenne , e il Cardi- nal Farnese ed il Duca Ottavio con molta pompa giro- no a servirlo j)ersonahiiente^ l'uno per Legato Apostolico e r altro per Capitan generale della Chiesa: ove Ottavio e sue genti in varii avvenimenti si diportarono cosi viril- mente e da uomini valorosi , sendo il fiore dell' Ita- lia , che giudicavasi l' Imperatore avere al padre ed al figlio non pure a confermar quello che per dono del Pon- tefice si jìossedevano , ma dover anco con essi loro eser- citare liberalità maggiore. D'iscoj'die trai Papa e V Imperatore > V. Ma o che l'Imperatore fosse intimamente dispo- sto di reintegrare lo stato di Milano, quando che fosse, di quelle nobili città, o per diffidarsi de' Farnesi ^), non meno appetenti l' amicizia ed il parentado di Francia della sua, o^) per tenere assiduamente col freno di questo de- siderio sottoposto il Pontefice alle necessità sue, o per es- sersi seco sdegnato che avendo esso conceduto a' nepoti di lui la figliuola e altri assai beneficii, il Pontefice egli non solo come amico, né come parente nelle guerre a dietro l'a- a) Nel nanuscriito : Francesi, k) Kel maausuiilo manca o. 54 PORZIO vesse ajulalo, ma eziandio avesse offeso tutti 1 suoi parti- giani d'Italia, Colonnesi, Medici, Dorii, e Gonzaghi, o per tutti questi riguardi insieme, 1' Imperatore non fu rispon- dente all' opinione conimune , anzi da questa lega parve che tra lui ed il Papa sorgessero'*) nuove cagioni di do- glienze e di discordie. Conciosiacliè il Pontefice Paolo , e per picciolo potere e per astuzia non prima dilegua- tosi r esercito tedesco ed i capi ritirati alla difesa di lo- to stati, accommiatò le sue genti ed incontanente chiamò a Roma il Legato ed il Duca Ottavio, ed affatto da quel- la lega si disciolse con grande rimproveramento degl' Im- periali, che contendevano gli ajuti del Papa, dati però sin- ceramente e non per porre 1' Imperatore in pericolo ed in briga, non dover venir meno in fin a tanto che gl'iu'- nncì fossero vinti e sottoposti 3 essendo egli slato indotto dal Pontefice alla guerra contra i ribelli della Chiesa. Ma evidentemente avrebbe ogni uno conosciuto quell' impresa poter accrescere l'autorità dell'Imperio nella Magna, non già la Pontificia. Per la quale conlesa trovò il Papa sorde l'orecchie dell'Imperatore, non solo nei bisogni del figliuolo e dei nipoti, ma nei proprii. Conciosiachè al principio del- l'anno 46 datosi cominciamento al Concilio tridenlino, quan- tunque senza trovarvisi i Luterani, pure con frequenza gran- de di padri ed ambasciatori di tutto il Cristianesimo, e con tre Cardinali legali della Sede Apostolica, eranvisi fatte alcu- ne sessioni d'intorno ai dogmi della fede cattohcaj, evenu- tosi a quello della giustificazione, che pareva annullasse in gran maniera la dottrina di Lutero incontro la Chiesa Ro- mana, Cesare non lasciava se ne pubblicasse il decreto j a) 11 tramisciilto : parvero Ira lui ed il Papa sorgessero. ISTORIA d' ITAriA 55 sperando che egli rimasto nella guerra di Germania supe- riore trarrebbe all' udienza del Concilio l)uona parte di quella Provincia, e voleva fosse presente, ed udita in cosi grave dispulazione "). Della qual cosa avvedutosi il Papa, e sentendosi agramente offendere da prelati che ivi da Cesare pendevano, riguardando ancora approssimarsi il tempo di riformare i cattivi usi del Clericato, mediante la quale ri- forma grandemente restringevasi la potestà e la licenza della Corte di Roma, cominciò il Pontefice a temere quel pericola veggendolo in viso che di lontano aveva sprezzato , ed a fare instanza ardentemente a Cesare, mentre era anche nella Magna il Legato Farnese, che ei rimanesse contento, o che il Concilio si trasportasse in luogo posto nella dizione ec- clesiastica , o si sospendesse insino a tanto die egli del tutto avesse la Magna in sua balia," affermando il Legato a questo moversi il Papa non solamente per risparmiar grandissimo dispendio alla Sede Apostolica, ma anche per guardar di grandissimo pericolo il Cristianesimo , stiman- dosi il Concilio ragunato d'aver esso la potestà del creare il Pontefice Romano , ed i Cardinali affermando loro ap- partenersi. Di maniera che trovandosi 1' uno e gli altri, e succedendo morte a Paolo la quale , passando egli fan- no oltanlesimo, ciascuna ora potea e dovea avvenire in- fallibilmente, si partorirebbe con la creazione di due Papi uno scisma, contenzione che sarebbe di struggimento ^) alla Sode Apostolica , e d' ultimo abbassamento alla Religion cristiana. Promise Carlo al Legato di non opporsi più si pronunciasse il decreto della giustificazione, ma del ri- a) "Sei manuscrilto manca 1' in. h) Nel manuscrillo ckslruggimento. 55 PORZIO movere o del sospendere il concilio non volle udir ra- gione alcuna, come se 1" autorità sua fosse bastevole a dar riparo ad ogni incommodo , che per la morte del Pon- tefice si potea cagionare , e sospettando eziandio che per ovviare al restringimento de' mali usi della corte Ro- mana, e non al dispendio della Chiesa, Paolo volesse dis- porre a suo piacimento del luogo del Concilio. Pierluigi si stringe di parentado col re di Francia. VI. Questi andamenti del Papa e dell' Imperatore pieni di mala sodisfazione di ambedue, e quando si spe- rava di dover essere maggiormente concordi, uditi e ve- duti da Pierluigi Farnese, siccome disperato della grazia imperiale, il fecero fermare l'animo a dover dipendete to- talmente dal Re di Francia, al che non poco lo confor- tava il vedere quel Re pacificato già con l' Inghilterra, e mesto delle prosperità di Carlo nella Magna. Sì che volle Pierluigi ajutato e guidato dal Papa primieramente ri- stringersi di parentado col Re : usitato pegno delle con- giunzioni de' Principi ma fallace: il quale assai per l' in- nanzi trattato a questo tempo ebbe compimento , con- tentandosi il Re che il DucaOrazio, un altro figliuolo di Pierluigi e che al Ducato di Castro posto presso la To- scana succedeva , menasse per donna la sua nipote figlia naturale del Delfino j stupendo gli uomini poco ricorde- voli dell' instabilità mondana , alla gran felicità del Pon- tefice Paolo. Il quale non solamente con vita lunga e prospera signoreggiava il tempo, ma eziandio esaltava nel temporale e nello spirituale altissimamente i suoi discesi, ISTORIA n ITALIA 5^ congJungendoli di stretta affinità co' primi Re del mondo senza strepito d' arme , e senza sj)argimento di sangue ^ il che a nessuno de' suoi predecessori ricordavasi essere av- venuto. Cause e Cominciamento delV inimicizia del conte del Fiesco cantra i Doni. VII. Onde affermavasì per molti secoli non essersi Veduto Un Papa cotanto amico della fortuna siccome egli era, né che con I' arti della pace più d' esso fosse avan- zatosi. Ma le disavventure che poco lungi dalla sua fe- licità l'assaltarono, dissingannarono molte genti dell'im- prudente lor giudizio : conciò sia cosa che Pierluigi, paren- doli già d' aver fermissimo appoggio nel Re di Francia per metterlo alle mani con Cesare, e irarselo in grembo non che vicino , è di generale consentimento , fabbricato però d' incerti indixii, che sollecitasse il Conte Gio: Luigi del Fiesco all' occupare per lo detto Re la città di Genova con dar morte a' Dorii , e acquistando le lor galere. I quali Dorii hanno opinione essersi ciò maneggiato da Pier- luigi in Roma dal mese di maggio di quest'anno, e pec avventura senza saputa del padre e de' figliuoli di lui. Vivevasi nella città di Genova Andrea Boria detto il Prin- cipe Doria , che per aver generosamente liberata la pa- tria dalla servitù Francese e per essere nel mare valoroso ammiraglio dell' Imperatore , e per la signoria di molte galere proprie, appo tutte le genti era in somma venera- EÌone e gloria. Costui pervenuto all' estrema sua vecchiez- za, e staaco dal navigare, cou coasentimento di Cesare 58 PORZIO deputò in suo luogo nel mare Giannettlno Dona figliuolo di un suo cugino , e giovane posto in grande opinione d' ingegno , di cuore , e di fortuna , ed il quale fuori e dentro la Città porgeva segni di non aver a restar con- tento del grado ove vedeva salito il Principe suo zio. Per- ciocché il Princi]ie non sazio di aver resa la libertà alla patria, ne' vestimenti, nelle parole e nelle private azioni non volle in essa eccedere il semplice grado di gentiluo- mo. Diverso era il procedere di Giannettino, le cui ope- razioni in apparenza ed in sostanza rendevano un certo odore di signorile e di grande ^ sì che la maggior parte della cittadinanza Genovese disposta più ad aver riguar- do ai pericoli futuri, che a porger rimedio ai presenti, o il temeva , o suspettava che succedendo egli all' auto- rità e potenza del Principe Doria non eredasse di quello uè i! temperamento dell' animo ne la carità verso la pa- tria. Eravi tra gli altri il Conte Gio : Luigi del Fiesco di nobilissima stinge, di gran seguilo popolesco, di convene- vole stato , di qualità d' animo e di corpo dalla natura grandemente dotalo, la cui famiglia nelle dissensioni della Città seguì la fazione Guelfa, siccome la Doria la Ghibel- lina. Al quale Conte parendo esser nato di più signoril grado di Giannettino e d'avversa parte, con immenso dispiacere ed invidia tollerava a vederlo sedere nel primo luogo della città , e temersi ne divenisse padrone : ed imaginando ciò avvenirli per lo favore d' essere al soldo dell' Imperatore più che per alcuna sua singulare virtù , maneggiò alquanti anni prima di questo tempo , essen- done mezzano Cesare Frcgoso fuoruscito di Genova e Ca- pitano del Re di Francia , di porsi a servigi di quel Re, I ISTORIA u' 1TALI;V J<) dandogli speranza di far novità a Genova ad ogni ri- cliiesla de' Francesi. Il quale maneggianiento alla jiresa e morte di Cesare Fregoso venuto a notizia degl' Im[)e- riali, fu fatta instanza grande al Principe Doria dal Mar- chese del Vasto, allora per Cesare governatore di Milano, che fatto prigione il Conte gliel mandasse , intendendo di quel trattamento darli gastigo. Ma il Principe che ama- va il giovane singularraente , ed avevalo in tutela , ri- putando quel maneggio essere stato finto dagl' inimici di lui, per sì fatta maniera s'interpose col Marchese e eoa r Imperatore, che in luogo della pena il Conte ottenne da loro annua provvisione, e nell'ultima guerra di Lombar- dia militò non senza lode sotto l'insegne del Vasto. Dlscoj'die tra ì Dorii ed i Farnesi. Vili. Ma non in ogni uomo il beneficio genera gra- titudine, Questo rimedio fu bastevole a fare esteriormente il Conte Imperiale, ma non fu potente a purificare il cattivo umore che egli aveva concetlo contra Gianneltino. Per lo che venuto Pierluigi al dominio di Piacenza e di Parma, e con poca soddisfazione di Cesare, vide il Conte avere assai presso •'') un gran compagno e ministro dei pensieri suoi , massimamente che Pierluigi ed il Papa erano iu grave sdegno contra il Principe Doria e Giannettino , sì per esser fama che il Principe avesse dissuaso l' Imperatore a conceder loro lo Stato di Milano, sì per cagione delle spoglie d' Imperiale Doria vescovo di Sagoue, il quale ^) mandalo o) Il inanuscfUto : preso. M) Il maBusciiuo : comandalo. 6o Ponzio ilal Piincipe suo zio nella Puglia al governo del suo Priucit palo di Melfi, crasi con la parsimonia clericale, e con l' in^ dustrie mercantili avanzato di molti scudi , che morendo lasciò ") all' istesso Principe, oltre al parentado, dell' oppor-» tunilà del governo e delle rendite del Principato tacita- mente confessando esserli pervenuti. Ma il nunzio del Papa nel regno di Napoli avendo solamente l' occhio all' utilità del Padrone ed all' esser stato Imperiale Poria Vescovo , come s' eglino fossero spoglie, vi mise su le mani; e per molto che il Principe ne facesse querela appresso al Pon- tefice, dimostrando il vescovo si per le sue poche entrate ecclesiastiche malagevolmente aver potuto vivere , uon che avanzare, nondimeno la ragion sua era poco stimata, e presso che disperata la restituzione della pecunia. Ap- portò questo fatto gran noja all' auirno del buon Princi- pe , ma quello di Giannetlino più caldo per gioventù e per natura più altiero afflisse sopra modo, parendoli trop- po disonorevole per li meriti del Principe e suoi con la Repubblica Cristiana il sofTerire ingiustizia , o il non ri- portar grazia dal vicario di Cristo , e deliberò in qua- lunque modo egli potesse difendersene. Manteneva il Pon- tefice al soldo della Chiesa Apostolica quattro galere , il cui dominio dicevano essere del figliuolo Pierluigi. Que- ste venute al porto di Napoli per loro bisogni, capitovvi anche Giannetlino con le sue , o a studio, o a ventura, e atteso il tempo che quelle fossero alla vela, poche mi- glia indi discosto , le prese , e trattine i ministri Papali le condusse a Genova, affermando che egli allora le restituì'! n) Il maausciiuo: gli fascici. I ISTOnU B* ITALIA 6l rebbe, quando a lui aoche fosse reso il lascialo dal ve- scovo di Sagone. Dolse a meraviglia questo allo al Papa, e a tulli Farnesi avvezzi insìuo a quel di di essere adorali, e vio- lentali nun mai, e riscaldatisi fortemente con l'Ambasciator Cesareo, e con il Viceré di Napoli, che ne'lor liti da un Capitano Imperiale fosse fatta forza a legni del Pontefice, passarono dalle parole a' fatti, e immantinente imprigiona- rono a Roma tutti i mercanti e una parte di Prelati Ge- novesi j per la qual cosa la Signoria di Genova, e i Mi- nistri dell' Imperatore messisi di mezzo assettarono la con- troversia dopo non molto tempo, e partito lo spoglio del Vescovo fra il Papa e il Principe Doria renderono le galere. Jl Conte del Fìesco compra quattro galere dal Papa. IX. Rimasero nondimeno gli animi de' Farnesi, e de* Dorii pregni di amaritudine per questo litigio terminato non con modi legittimi , ma all' usanza bellica e da ne- mici j la qual partorì orribile effetto , e memorabile con- giura , determinato che ebbe Pierluigi Farnese, come s' è dello , confederarsi col Re di Francia. Fu il Farnese di sagace ingegno, e d'animo grande, cupido di signoria. Non prima ebbe alle mani il Conte del Fiesco , che gli andò a far riverenza come feudatario per le Castella possedeva in su il Piacentino, che egli ottimamente comprese poter per mano di lui non solo donare furtivamente la città di Ge- Dova al Re di Francia , e con si ricco presente inescarlo al guerreggiare con l' Imperatore , ma poter anco spogliare Giannellino ed il Principe Doria della vita e delle loro galere^ né se ne ingannò punto. Perocché col Conte rislret- tpsi , ed entrati in ragiouanienii dei pericoli che loro so- Ga ' PORZIO prastavano , soggiacendo l'uno di essi al rischio del perdere la libertà alla morte del Principe, e l'altro lo stato a quella del Padre, come dicemmo ''), è commune opinione che in (piesta guisa divisassero il trattato, e 1' eseguissero , quan- tunque per ambedue con uguale e doloroso avvenimento^ il Conte del Fiesco facesse vista di comprare le quattro ga- lere del Papaj con le tre di esse rimanesse al soldo della Chiesa j la quarta conducesse a Genova , e dando voce di armarla per mandarla in corso , mettesse dentro la Città alcun numero di soldati , con il cui ajuto , e de' cittadini suoi amici, e del volgo naturalmente seguace della novità s'insignorisse delie galere del Principe e di Giaù- neltino, il quale potendo uccidesse j anche il governo di Genova ordinasse a suo piacimento j e se il prendere la città non li venisse fatto con le galere di Doria, egli pas- sasse in Francia, promettendoli Pierluigi tosto che 1' opera avesse felice riuscita rinforzarlo di fanti, suoi sudditi , e della protezione del Padre. Ferma questa deliberazione Pierluigi non indugiò a fare la vendita delle quattro galere per trentaseimila scudi, facendo al Conte lungo termine a pagarle, ed il Papa eziandio fu contento di prendere ^) le tre di quelle a' suoi soldi, dicendo il Conte palesamento a ciascuno la quarta galera non stipendiatagli dal Ponte- fice pensare di mandarla in corso j e per avere onesta ragione di gire a Roma deputò in suo luogo nelle tre stipendiale il Conte Girolamo suo fratello , il quale nel mese di Maggio condusse al Papa , da cui fu egli gran- demente carezzato , e dal Duca Pierluigi , e per avven- a) H mauuscr, e come dicemmo, h) Nel manuscr. manca di prmdei-e. ISTOntA d' ITALIA G3 tura raffermato nella sua pericolosa deliberazione e d' as- sai speranze pasciuto e gonfio. In tanto che Giovanni Vo- ga Ambasciatore al Pontefice per l'Imperatore sus{)icò sot- to velo di questa compra potersi nascondere alcuna frode perniciosa al Padrone , il quale e gli altri ministri suol dell' Italia rendè di ciò accorti, ma senza frutto ;, percioc- ché disposto al guerreggiare nella Magna e in parte con le forze del Papa, non gli parve tempo d' avere ad inve- stigare e sinistramente interpetrare le azioni di lui, oltre allo stimare , che i Farnesi favorissero il Conte per fare un potente emolo in Genova a Giannettino lor poco ami- co, e non per torre dalla di lui") obbedienza quella Città. Finte dÌTnostrazioni di amicizia del Conte del Fiesco verso i Dormii. X. Fu il Conte a Roma richiesto dal Cardinal Trivulzio partigiano, e Protettore del Re di Francia a voler essere soldato di quel Re , e ricordato che provvedesse con le forze di lui a non rimaner suddito di Giannettino alia morte del Principe Boria. Ardeva il Conte annodarsi col Jle di Francia per essere il più saldo sostegno della sua futura impresa , ma temendo per la soverchia speranza e poco silenzio de' Francesi potere ciò pervenire all'orec- chie del Principe e di Giannettino , ricusò di accordarsi in fino a tanto che egli facesse ritorno a Genova , dove divisava con ogni sorte di simulazione e con somma umiltà sì fattamente addormentare i Borii , che del suo ;i) Il iiiuiiuitr. dulld loro. 64 Ponzio procedere avanti niente ne sentissero. Adunque ritornato a Genova tutto di usava le lor case, ed ogni sua faccenda comniunicava con esso loro , ricoprendo la compra delle galere per Io gran mercato fattogliene, e purgandosi dell'a- micizia del Farnese per l'utilità che") ne trarrebbe, e per essere suo feudatario. Festeggiava parimente i figli di Gian- nettino qualora gli aveva davanti , e come se fossero suoi propriij e per dare a credere esso avere desiderio di congiungersi seco in parentado, siccome egli era in amistà, non isturbò il Marchese Giulio Cibò, fratello della mo- glie e Marchese di Massa , a congiungersi in matrimonio con la Peretta sorella di Giannettino. Mediante le quali di- mostrazioni parendogli già d* avere tratto fuori de' petti di coloro ogni qualunque suspezione di sé, mandò a Roma Antonio Foderato a conchiudere l'accordo col Re di Francia. Consiglio dato da Gio. Battista J^errina al Conte del Fiesco ^ e da costui approvato. XI. Era in Genova fra gli amici fidati del Conte fi- datlssimo Gio : Balista Verrina uomo audace ed avve- duto molto. Pensò il Conte aprire interamente il suo pro- ponimento a costui, per giudicarlo atto instrumento a re- carlo a fine. II quale uditolo ''), non 1' approvò in ogni parte , rijjutandolo partito pericoloso , e senza fine ma- gnanimo j per lo che li disse , a lui parere il primo e r ultimo suo oggetto in questa operazione avere ad esse- re il farsi esso Conte Principe di Genova, per riguardo a} Nel manus. manca r/^e b) Il manuscr. vedutolo ISTOniA d' ITALIA 65 •della quale i Francesi ed il Duca di Piacenza averlo in concetto ed islima : ma dar morte a Gianueltiuo , ed occupar le galere del Doria per fuggirsi di Genova, o per quella poi sottoporre ad alcun Re, essere appunto un di- struggersi per giovar altri j e tutto che l' impresa propo- stagli da lui in vista paresse difficile, nel maneggiarla non avrebbe durezza ninna , volendosi egli bene bruttare le mani nel sangue del Princij>e Doria, di Gianneltino, e di tutti loro congiunti e seguaci^ le ricchezze de' quali met- tendo in preda degli altri che lo seguirebbono , verrebbe ad un tratto a fortificarsi della benevolenza de' cittadini e formare un stato a suo modo, del quale non penereb- be troppo a farsi ^) Principe e Duca. Non dispiacque al Conte il consiglio del Verrina, e subitamente un suo fa- miliare ne mandò dietro al Foderato , acciò egli insino ad altro suo avviso non conchiudesse la condotta col Re di Francia 5 persuadendosi egli che conseguendo l' occupar Genova, con l'obligo o senza, il Re non l'abbandone- rebbe , maggiormente che quegli ^) per altre cagioni era quasi '^) forzato a sfoderar la spada contra all'Imperatore Carlo , da cui solo il Conte si poteva temere. Riavevasi quel Re dopo l'avere riposte l'arme da' danni della pas- sata guerra, ma con goca commendazione degli uomini considerati ^) , che egli e con l'Inglese e con Cesare aves- se con gran dispendio e pericolo guerreggiato, e poi con ambedue loro né con onore uè con utilità rappacifica- tosi j anzi per ispendere oziosamente il tempo aver spia- nata la strada all' imperator Carlo di rimaner vincitore da a) Il manuscri Ito alarsene. .e) Il manuscritto qua. h) 11 mauuscritio quello. d) Forse consideranti. 9 66 Ponzio invincibile impresa, siccome era stata la Germania : dalla quale infamia credevasi che ultimamente desiosi il Re di Francia non permetterebbe che l'Imperatore di quella vit- toria pienamente si godesse, e che alla primavera porge- rebbe grandi ajuti al Lantgravio , ed al Sassonia , e lor seguaci, per rinnovar la guerra: il che giudicavasi dovesse fare il Re, e per iscemare all'Imperatore riputazione e potenza, e per non usare ingratitudine a quei signori Te- deschi, che nelle sue guerre di fanteria l'avevano sovve- nuto sempre, per lo che da Cesare non meno che per al- tro venivano ^) infestati. E quando pure nel Re Fran- cesco potesse più il riposo del corpo che la generosità dell' animo, ed ischifasse l'urtarsi con l'Imperator Carlo, im- maginava il Conte del Fiesco che Solimano Gran turco ve lo sospingerebbe egli 5 il quale aveva di già bandito guerra sopra l'Austria al primo buon tempo , e in tanto tenevasi per fermo vi venisse, che il Papa per non man- care all' oiGcio paterno, e per mostrare a Cesare tenere a cuore i suoi pericoli, comincia%'a per Burrone Bertano man- datogli in posta a trattare di fermar stabil concordia fra il Re di Francia e lui, avendo l' importuna morte del Duca d'Orliens, come narrammo, rotta la conchiusa fra di loro nel i544' Sì che il Conte del Fiesco lasciato il confederarsi col Re Francesco, restrinsesi da capo col Verrina, e con Raf- faello Sacco suo auditore, e con ^) Vincenzo Calcagno , e bilanciate le cose, che V impresa proposta dal Verrina po- tevano nuocere e agevolare •=) , deliberarono di far venire la galera da Civita vecchia , dove ella era , e poi le genti 3) U man u scritto venivano loro in- h) Nel manuscritto manca con. /estati. e) Così nel manuscriuo. ISTOniA. d' 1TA.IIA 67 da armarla , e per cagione ci' onorare il sopratkletto pa- rentado del Marchese di Massa suo cognato fare solenne convito a casa il Conte , invitandovi il Principe e Gian- nellino Dorii, D. Giovanni Figneroa ambasciator Cesareo appo quella Rejìubhlica, ed altri assai de' fautori de' Dorii , ed in sul buono del banchettare assaltarli, ed ucciderli tut- ti. Pur si rimossero da questo pensiero , perchè non sa- pendo il Conte che alle tirannidi fosse padre il disordi- nato appetito del dominare , e madre la sanguinosa cru- deltà, abominava lo sparger cotanto sangue in casa sua; e parlironsene ancora per la gran difficoltà che giudicarono dovere avere a condurvi il Principe Doria, non uso giam- mai andare per le case altrui mangiando , sì che ultima- mente appuntarono la notte del quarto di Gennaro ave- re a mandare a fine la loro crudel congiura , nel qual giorno la Signoria di Genova e il Consiglio creano il nuovo Duce. Il Conte affretta V adempimento della cojigiura, XII. Sono il vero veleno delle congiure le mutazioni de' proponimenti de' congiurali. Pure a questa non solamen- te non nocquero mai , ma giovarono : e molto oppor- tunamente la vigilia del Natale giunse da Civita vec- chia la galera a Genova j e sotto la ricoperta d' armar- la per le feste che in quei dì da' cristiani in luogo de* Saturnali de' gentili lietamente si celebrano , il Conte in- trodusse nella città quattrocento uomini fra soldati fo- restieri e de' suoi sudditi. Ma il primo giorno dell' an- no dfil 1547 ^^^^^ cagionevole il Principe Doria , e il 68 PORZIO 2 del male aggravalo, dubbioso il Conte, se prima ilei' dì ordinato egli si morisse , poter essere da Giannettina prevenuto, impaziente dell'indugio, e acciochè il trat- tato non si palesasse, seco propose mandarlo ad effetto la notte dello stesso ^) secondo di Gennajo , etl ordinò al Verrina che menasse a cena seco quella sera tutti quei giovani cittadini che esso credeva gli fossero^ amici fe- deli , e pronti a seguirlo a quello assalto 5 ed al- Cal- cagno comandò che provvedesse la genie che aveva in casa e fosse armata , ed egli se ne- andò alla maniera usata a visitare il Principe Doria, ove con Giannettino ragionò per lungo spazào con viso fermo e voce salda , ed animo- sopra ogni credenza pacifico e riposato, d'in- torno all'armare della galera, e come quella notte si pen- sava fornirla'^) di gente di seguito, avendo la signoria di Genova per male che pubblicamente s' armasse, però che andando tutto dì In Levante nella forza de' Turchi i le- gni Genovesi , parevale pericoloso il far armare in palese a Genova navilll da gire in corso. E soggiunse il Conte che glielo manifestava a fine che udendo ') esso Giannet- tino la prossima notte alcun strepito di gente , e d' arti- glieria ,. come è in costume delle galere che partono '') , sapesse quel che si fosse. Le quali parole finite con- Giannettino. , fatti vezzi a figliuoH di lui , e salutato il Principe, ritornarono a casa , ove il Verrina ad ora di/ cena ebbe condotto da ventiolto. cittadini : I quali il Conte rinchiudendo a chiave in una stanza ove due lu- mi soli ardevano , per la novità della cosa essi rimasero a) Il manuscriltOfM' istesso. t) Il manuscritlo vedendo. b) , Il manuscritlo /(/ii'rffl. dj 11 manuscj-iilo /scF/aie . ISTORIA d' ITALIA 69 stlipefàltl y ma vohosi loro il Conte » Fralclli , disse , ■o la vivanda che io stasera vi ho apparecchiata è di mia M mano , e la più delicata e la più nobile che uomo » mortale possa gustare, essendo composta di pura li' M berta e condita Oc onore e di gloria. Siccome voi 3) molto meglio di me sapete , la città nostra ha 1' ap- M parenza di libera e l' effetto di serva , al>itando la » vera libertà ove le leggi comandano , e non dove gli » uomini comandano. Ma rpial cosa vuole in Genova » il Principe Doria , che non l'ottenga? qua! cosa or- » dina che non si eseguisca ? I soldati , i capitani , e i 3* magistrati non l' olibediscono tutti ? e fosse il piacer 3> di Dio eh' egli duiasse sempre t che la servitù antica ij noja assai meno della nuova. Ma egli non compiute >j due ore si muore sicuramente , lasciando la tirannide w a Giannettino per eredità , uomo sopra ogni altro su- » perbissimo o crudelissimo , il quale per eseguirla senza 3i ostacolo e senza competizione *) , a questi dì che fu dal- ■o V linperatorc, n'ebbe T investitura, ed '^) ha ordiua-to al 3> Capitan Lercaro, che chiusi gli occhi il Principe scen- di da ad uccider me, che sa alla sua scelleratezza m'op- « porrei. Ma perchè l'audacia viene Anorita dalla for- » luna , ia delibero prevenirlo, ed a cosi fare noi confor- jj la il Duca di Piacenza , che m' ha rivelato il maneg- M gio. Eccovi sue lettere, lo ha qui quattrocento uomi- lì ni armati che mi seguono a j)render le porte della •u città, e le sue galere, delle quali per aver la mìa 1». alla bocca della Darsena non iscamperà jxir mia: e so a). Cosi il manuscritlo : forse l'aii- coh e eompetema. 'oie scrisse perassegvirìa sema osta- b) Kel moDusccklo maoca ed. ^0 Ponzio 9> egli per terra o per mare verrà a soccorrerle , ho po- » sto uomini per tutto che il cacceranno dal mondo. ìì Benché le imprese magnanime siano perigliose, pure le « giuste sono avventurate, siccome spero sia questa, se « voi , fratelli miei , vi disporrete ajutarla , e vorrete w conservar la hbertà alla Patria , e la vita ad un leale » amico }j. // Conte del Fiesco movendo contra Glannettino Doria rimane sommerso nel m^are. XIII. Il ragionar del Conte a quei giovani fu poco a grado per la novità e per lo periglio della richiesta, e non gli risposero con quella prontezza d' animo ch'egli desi de- va e la grave dubbiosa impresa richiedeva : di maniera che il Conte con pietosa astuzia volle incitarli, e trattosi fuo- ra il pugnale, che portava a lato, il porse loro, pregan- doli che non volendo essi francamente seguirlo, li dessero morte, che ella sarebbe meno infame dalle mani degU a- mici, che dagl'inimici. A queste parole da circostanti es- sendo lietamente risposto sé essere apparecchiati, fé il Con- te recar da cena sobriamente 5 ma prima che si uscisse di casa , ne andò in camera a Leonora sua moglie, a cui presago del suo male disse, che avendo Giannettino Doria jiosto insidie alla vita di lui e col veleno più fiate tenta- to di toglierla , esso voleva di ciò un tratto assicurarsi, e che ella s' appagasse di quanto di sé avvenisse. La quale di ciò oltra modo fatta dolente , e postasi a piangere, e- gli ritornò a consolarla ed a pregarla, che cou le lagrime uon gli fosse di cattivo augurio cagione. Trovossi ivi pre- ISToniA b' ITALIA 7I sente Paolo Pansa nomo di buon senno , clic da fanciul- lezza aveva il Conte allevato, il quale preso cuore dal dolor della Contessa porse prieghi al Conte che volesse più maturamente imprendere a fare quel che diceva, ave- re riguardo a non porre sé ia misera ruina , e la sua pa- nia insieme con l' Italia in grandissimi affanni, e che gli era stato dipinto da uomini di spirito inquieto , e mali- gno Giannetlino Doria avere animo inquieto verso lui, e che avvertisse bene che egli andava in luogo ") e a far opera, ove eosl offendere, come ricevere offesa potea. A cui rispondendo il Conte la cosa esser tanto avanti che il distornarla non era ìh suo potere, crollando il capo s'uscì di camera pallido, ed afflitto moltoj e vestitosi d'armi, vecossi nella destra una spada ignuda , e nella sinistra una rotella , e calò giuso uella piazza avanti al suo palagio. Erano già quivi tutti uomini armali, che ascendevano al numero di quattrocento, messi air ordinanza, a' quali fu dal Conte comandato che gli andassero dietro, e senza uscir d' ordine, se non essere tagliati a pezzi avevano caro. E caminali alquanto, ne die- de parte a Cornelio suo fratello naturale, ed inviollo ad occupar la porta della Città delta dell'Arco, che, fatto jier esso sprovveduto impeto nelle guardie di lei, incontinen- te con morte di due o tre fu presa ^ì. Mandò poi Oltobo- no suo fratello col Calcagno all' acquisto della jwrta di- S. Tomaso prossima al Palagio del principe Doria che è fuori della città , della quale come di quella dell' Arco gli avvenne; e il Capitan Lercaro che vi era a guardia non avendo ninno timore d' assalto di dentro le mura del- la Città , fu fatto prigioniere e il fratello morto. Il Conte a) Nel manuscriUo in lata. b} Nel maoiucritlo lafiiprtsa^ 72 PORZIO xiol resto della gente alle ore diece della notte andò ") nella Darsena , ove giunta la sua galera, e alla Locca di lei mon- data una torma d'archibugieri, ed altri armati che sfor- marono le guardie, vi entrò dentro per la porta di Terra apertagli da' suoij da' quali secondo l'ordine lor d*ato gri- dandosi popolo e libertà , le ciurme di venti galere del Principe Doria, che vi stavano disarmate, e sotto coverta, mosse dal grido, si levarono al rumore, e volendo il Conte raffrenarle, nel salire «on rattezza sopra la prima galera, sospinto dalla buona fortuna dell' Imperatore, e a morte per sua ingratitudine condannato dalla giustizia divina, cadde in mare , ove per la gravezza delle armi miserabilmente si rimase sommerso, e affogato , non potendo per lo bujo della notte essere da suoi veduto, nou che ajutato. Morte di Giamietiino Doria. Fuga del Principe Doria. XIV. Intanto Giannettino Doria desto dal gran ru- more, 0 dal suo ardire consigliato si levò su, ed avvoltosi in roba corse frettolosamente accompagnato da un solo paggio alla porta della Città , imaginando valersi di quel- le genti , che la guardavano, nelle quali da sé dipenden- ti ^) non poco fidava j ma giunto sul ponte, e gridan- do gli fosse aperto , da una archibugìata , e da altre ferite crudelmente fu '^) morto. Capitano quantunque giovane , sopra tutti gli altri , che solcavano il mare , d' alto valore , e di rara speranza , il cui nome uscito da' termini dell' Europa alle riviere dell' Africa , e del- a) Nel manuscriuo manca andò. «) Nel mailUSCriltO manca fu\ b) Nel manuscrilto dijiendendono. ISTORIA d' ITALIA 78 1' Asia cominciava a distendersi , ed essere in onore •') . 1! rejienlino ^) assalto e morie di Giannettino , e turba- mento della città fatti noti al Principe Doria , comechè si vedesse antico d' anni ed a morte infermo , spogliato delle galere , scacciato da Genova , e privo del bastone di sua vecchiezza, nientedimanco l' infortunio della patria e non il danno suo egli pianse e lamentò, e fattosi spac- ciatamente porre a cavallo, tenendogli compagnia il Conte Filippino ed Agostino Dorii, prese il camino della rivie- ra di Ponente. E veramente fu singolare esempio agli uomini vaghi del viver lungo il vedere quel capitano canuto e venerando, ed insin a quell'ora fortunato, con le membra tremanti e fuggendo volger le sj)alle a quella città che in sul vigore degli anni con eterna gloria ave- va di servitù riscossa. Ma arrivato egli a Sestri, montò sopra una fregata, ed al castello Musora da Genova quin- dici miglia di lungi fermossi. Girolamo del Fiesco vanamente cerca eccitare il popolo ■air armi , e sì riti'oe in Montorio. XV. Aveva il Conte del Fiesco nel distribuire i ca- lichi dell' impresa ordinato a Girolamo suo fratello che mentre esso intorno all' occupar delle galere fatigava, e- gli andasse per la città discorrendo e chiamasse il po- polo all' armi ed alla libertà. La qual cosa da Girolamo iu eseguita, ma non sortì l' effetto imaginato^ ])erchè come- chè egli con una squadra di soldati e bandiera e tamburo ■a) 11 rnanuscritlo in /lorrore. L) 11 manuscrillo 11 cui rcpìntino elo. IO 7^ PORZIO chiamasse il popolo, fa se non da pochi seguilo; i quali mor- moreggiandosi la jnorte del Conte, e veggendo la signoria nel Palagio adunata, ed i suoi soldati, traile fuori le arti- glierie, apparecchiarsi a difenderla , ogni ora diminuivano. Onde Girolamo e per questo e per essere dall' infortu- nio del fratello stordito, per lo meno partito-'') patteggiò- con la città d' uscirsene , condonatagli la pena ^) di quel gravissimo fallo. Il quale ed il fratello Oltobono al Ca- stello <=) di Monlorio di loro giurisdizione con tutti gli al- tri condussesi , fuorché il Verrina , che veduta la non pensata ruina della congiura , e l'infelice fine del Conte, raccolte quelle poche genti che potè , e montato sopra la galera di lui la guidò a Marsiglia. Ritorno del Principe Dorìa in Genova. XVI. Fu tale II paventoso suono di questo civil ru- more all' orecchie de' Genovesi che può più tosto ima- ginarsi , che con penna dipingersi. Egli fu notturno, im- premeditato , vario , terrestre e maritimo. Erausi Fa se- ra tutti a casa ridotti concordi , e senza un sospetto di nemici di fuori , o dentro di sediziosi , ed in sul buo- no che riposavano udirono strepito d' armi, discorrimen- to di persone , gridi che chiamavano il nome della li- herlà e del popolo, e del Gatto antica insegna de' Fie- schi 5 e per loro maggior meraviglia le onde del mare rimbombavano le voci che i soldati delle galere, ed i <3) forzati , per questo inopinato assalto prendendo non vana a) Cosi nel raanuscr. e) Il manuscrillo et al Castello. b) Il manuserilto per la pena, d) Nel raanuscr. e degli forati I ISTOniA. d' ITALIA. 'j5 speranza di libertà, o si sferravano, o sferrali che essi erano saltavano in mare per gire in terra, o per allontanarsi dalla servitù lietamente vagavano ^ dalla quale novità resa atto- nita il più della Città di Genova prese partito, come s'è detto, starsene rinchiusa nelle case per insino all'apparire del giorno. Il quale venuto , e fatto lor palese il trattato e la fuga del Principe, e l'acerba morte di due lor capi, furono in un medesimo punto di sommo sdegno , e non minor malinconia assaliti. I parenti, gli amici, ed i parti- giani de'Dorii d'ingratitudine e di tradimento accusavano il Conte , e quelli de' Fieschi d' ambizione e di superbia Giaunetliuo laceravano , e che per assicurarsi di lui avesse sforzato il Conte ad operare cosi gravissimo fatto. Pian- geva nondimeno ciascuno la morte del suo , e 1' eccidio della loro casa , antivedendosi in quella del Conte la per- dita dello stato, e la persecuzion de' fratelli, ed in quella de' Dorii temendosi che pervenuto il Principe al numero degli ottanta anni, egli non aveva più tempo a perpetuar de' figliuoli di Giannettino di tenerissime età né il domi- nio delle galere , né la virtù della disciplina navale. Pure un tanto movimento nella città di Genova alla sua libertà fu di lunga salute ragione , perciocché a guisa d' un sa- lubre medicamento , mondò il corpo di quella repubblica da maligni umori , che senza fallo in breve tempo l'avreb- bono morta. Con tutto ciò ella rendè al Principe Doria, che sapula la partita de' nemici l' altro giorno dal perturba- mento rivenne in città , tutti gli usati onori j e da capo padre della patria nominoUo. Col quale manifesta cosa è Giannettino vegliando gli andamenti del Conte più di una volta aver ragio tifilo del pericolo , che potrebbe loro ']0 PORZIO' sopravvenire, ma a ciò dal Principe centra il costume Jella sospettosa vecchiezza non essersi mai voluto jjurgere nrectliio non che |)reslar lede j o dandosi a credei'e che Giannettino per non aver compagnia Genova cercasse con (pielia scusa torsi da dosso il Conte, o come uomo ge- neroso volendo più tosto ricever danno che farne altrui per sospetto. Ria quello che somma ammirazione riceve è clie il giorno precedente all'assalto gitolo a visitare il Figueroa Ambasoiator Cesareo, ed accostatosi alla spon- da del letto ove il Principe giacca, teneramente gli dis- se, D. Ferrante Gonzaga allora Capitan generale dell'Im- peratore nella Lombardia scrivergli che egli veniva trava- gliato j)er una spia dalla Corte di Francia; cohà esser in Locca di molti dover presto a Genova seguire turbamenta grande cagionato da un del Fiesco : perchè confortavalo a farne cercare per rimediarvi. Acuì dìcesi il {MÙncipe Do- na nella sua fatai credenza radicalo sorridendo aver rispo- sto, quello essere un trovato d'uomini inimici del Conte del Fiesco, ih quale allora per caso in qnelfa camera es- sendo, soggiunse egli pianamente w Sig. Ambasciatore, vol- 3J getevi, e guardate fiso in quel volto IFeto del Conte e 3.> giudicate poi se nel suo animo può capir tradimento». Per la qual cosa comechè il principe fosse interiormente afflitto per la morte di Giannettino, e per l'inestimabil perdita fatta nelle ciurme delle galere, oltre ad una fug- gitasi in Barbarla con trecento schiavi, vie più lo cruc- ciava Tesser da tutto il mondo deriso e morso, che si fosse fatto da un fanciullo grossamente schernire. Ma ogni ora che io venga riguardando quanto sia agevol cosa Io ingannare gli uomini savii, quando altri voglia operare fuor lìì inj^iono , io il Boria scuso più che incolpo ; polcliò iiii- suiaiulo i savii le umane operiizioni, non come si fannoj ma come si debbono fare, vengono ad esporsi a guisa eli bersaglio a lutti i colpi degl'insensati, e di coloro parimente che non hanno il potere da resistere agi' impeli degli affelti. IVon è da credere che il Principe Andrea Boria perito delle cose del mondo-^"), avvertito da tanti lati del macchi namento, che incontra lui s' ordiva, non prestasse piena fede a quei rapporti per imprudente fidanza, e per rimbambita trascu- laggine , come affermavano alcuni. Anzi è da persuadersi, che per voler egli fra so con troppo giusto jieso bilan- ciare quest'operazione, fosse colto nella rete, che contro alla ragione ed al tempo ed all'ordine ed al fato ed alla fortuna a tradimento gli fu tesa. Il Conte del Fiesco aveva obbligo paterno col Principe, ma non già forze da offenderlo ^ es- sendo quello dentro del porto di Genova cinto da gran mol- titudine di galere, armato della benevolenza della città, soccorso dall' armi vicine dello stato di Milano e della Toscana, favorito dalla vittoria Germanica dell' Imperatore, raffermato dalla pace e quiete del reame di Francia, e sopra ogni altra cosa assicurato che la rovina sua né ca- gionava grandezza al Conte né migliori condizioni alla patria. Perciochè il Conte volendo dominar Genova, sotto la sua signoria avrebbe avuto per emuli , e per invidiosi il più de' gentiluomini vecchi , del cui numero egli era, per aperti nemici tutti i nuovi , e la plebe poco ferma e vacillante: ed intendendo esso sottoporla alla nazion Fran- cese , senza alcun fallo gli ordini della città tutti, e le a) Nel manuscritio manca perito. •J'8 PORZIO donne ed i fanciulli avrebbono fatto contra. Né a strin- gerli o forzarli erano bastevoli due o tremila fanti tu- uuiltuarii , che egli da' soggetti suoi , e di Pierluigi rattamente avesse condotto nella città , né altresì quelli forano stati potenti a difenderlo dall'armi del Duca di Firenze e di D. Ferrante Gonzaga, che non più che nello spazio di quattro giorni avrebbono con gran forza potuto oppugnarlo. E donde il conte con sì poca gente dentro a Genova racchiuso avrebbe potuto sperare alcun soccorso, essendo i Francesi sprovveduti, lenti e lontani, e dall'a- sprezza del verno o per mare o per terra soprattenuti? e con che sicurtà avrebbe egli guerreggiato in una città man- cante di vittovaglia, travaghata da' soldati , intenerita per la rovina del principe Doria, per la morte di Giannettino di ogni qualunque timone spogliata? Queste ed altre ragioni veraci parlando nel generoso petto del prudente Principe, il rendevano sicuro che in quel tempo né il Conte né altri dovessero o il potessero offendere giammai : ma il succes- so palesò quel che di sopra io ho raccordato j che é di mestieri non essere sempre savio, ma talvolta trasformarsi in uomo stolto, e 1' altrui stoltizie speculando armarsi di qualità che se per avventura elle sieno operate non ti nuocano. Punizione de' partigiani del Conte del Fiesco. XVII. Ma il poco vedere del Principe Doria in non saper guardarsi dall' inganno del Conte Gio : Luigi del Fiesco, rivolse =") in estrema sollecitudine in vendicarsi con- tra i fratelli di lui e gli altri congiurati , ed operò col- a) Forse deve leggersi si volse. I ISTORIA d' ITALIA "yg l'Imperatore, di questo fatto anch' egli altamente ofTeso , che confiscasse lo stalo del Conte come di lui ribelle , e che la Signoria di Genova, gittalo a terra il palagio superbo del Fiesco, perseguitasse con armi il Conte Giro- lamo , che col Verrina già di Francia tornato, e col Cal- cagno e parecchi soldati crasi fatto forte al Castello di Montorio. Assentì la Repubblica come se da quel nido po- tessero volar fuori molte insidie alla sua libertà^ ma prima del venir all' armi , ella tentò coli' accordo aver il ca- stello per ismautellarlo , e mandò Paolo Pausa a proffe- rire a Girolamo onorevole accordo e tale che in quella sua turbolenza ogni saggio nocchiero avrebbe accettato. Ma o la poca prudenza di Girolamo o 1' assai speranza che ebbe a chi promise sovvenirlo , o il fato di quell' an- tica casa per molte centinaja d' anni riccamente e no- bilmente decorata , non permise che 11 Pansa potesse più in Montorio con Girolamo , che non si avesse potuto a Genova con Gio ; Luigi. Per la qual cosa armatasi la Signoria raandovvi soldati ed artiglierie condotte da Ago- stino Spinola , che benché più di tre mesi vi fosse al- l' intorno , pur alla fine fattavi grossa batteria , Girola- mo contra la sua opinione vedutosi senza aita , e per- duto di forze, si perde anche d'animo e alla discrezione della Repubblica rendessi ; del quale e di tutti gli altri congiurati trovatisi fu fatta rigorosa giustizia ed a capital pena dannali , ed il castello diroccato. Ed il Duca Pier- luigi in vece di soccorrerli e di trarli dal profondo fosso ove ") generalmente stimavasi di averli precipitati, mandò a) Nel (uaQuseriuo maaca ove. .So PORZIO al Principe Dovia ed a quella Repubblica tre Ambascia- tori, e fra essi il Conte Agostino Landi, a dolersi dell' in- sulto fatto loro dal Conte del Fiesco , ed a discaricarsi che avendo quegli voluto del nome suo valersi , era sta- to senza partecipazione o consiglio , e che egli voleva esser loro leale amico come fu sempre. La quale scusa quantunque i Genovesi facessero vista di ricever volontieri, è fama , che per darla egli più efficacemente loro a cre- dere ponesse nel suo fisco delle Castella del Conte il bor- go di Valditano e Castellano appartenenti alla giurisdi- zione del suo ducato. Premure di Papa Paolo -per trasferirle U concilio in Bologna. XVIII. Pure il Pontefice padre sapendo certo la prudenza dell' Imperator Carlo non potere da apparen- ze abbagliarsi , temè forte che egli nel Concilio Tri- dentino contra sé non facesse di quel trattato aspra vendetta. Per lo che rivolse più ferventemente il pen- siero al rimoverlo di Trento : al qual desiderio gran forze aggiunse l' udire che alla riforma de' cattivi usi ec- clesiastici verrebbero assai de' Tedeschi Luterani inani- mativi dall' istesso Cesare. Fu nel Tesoro ^) del Pocti- ficato di Paolo risplendente costume il vestir ogni sua opera di onesto ed onorevol manto , sì che per turar Ja bocca a' Cattolici , ed agli eretici, che egli per tema della riforma , la sedia del Concilio cangiasse, cominciò da sé a) Cosi è chiaramente nel mauuscriUo, -^^ ISTORIA n' ITALI.V 8l a riformar gli usi cattivi, e tolsene via uno assai gravante e di scandolo : ciò fu che ordinò sotto pene severe die niun prelato possedesse più d' un vescovado : conciossia- chè parecchi Cardinali e Vescovi non contenti di una sposa per menar vita lussuriosa ne fruivano a quel tempo due e tre. Ma certamente non manco la fortuna che !' avvedimento porse favori a Paolo in quella difficile impre- sa : conciossiachè come suole accadere '0 in su la primavera per gli movimenti degli umori ne' corpi umani, incomincia- rono in Trento ad infermarsi alquanti ed a morirsi, ma non già tanti che per rispetto della moltitudine delle genti do- vesse essere di molto riguardo, rsientedimanco i Legati e gli altri del desiderio del Pontefice partecipi senza per- der tempo abbracciarono 1' occasione , e presero a mor- moreggiare e ad accrescergh paura d' alcun morbo pesti- fero , e finalmente a dire che i Padri lasciato Trento si trasportassero altrove. La qual cosa trovò oltra i mini- stri Imperiali di grandi contraddittori , non solamente pre- lati ma ambasciatori de' Principi ^ né sarebbe stato a suf- ficienza che r opinione degli autori del partirsi fosse so- stentata dall' autorità del Fracastoro medico , e più poeta eccellente , se il Pontefice Paolo non avesse colà inviato il Saracino Arcivescovo di Matera , che a bocca aperta notificò a ciascuno la mente del Papa esser ferma che di quindi partisseroj che eglino non istessero più nelle forze dell'Imperatore, i cui*") consigli cominciarono non sola- mente ad esser sospetti alla Sedia Apostohca, ma palese- mente nocivi ; perchè avendo egli con tanto dispendio di a) Nel maouscriuo cadene. b) Nel maouscriito « i cui. II 83 PORZIO lei vinto la Germania, i fruui della vittoria volea ^) rico- gliersi solamente per 1' utile suo particolare, non costringen- do le città, ed i Principi Luterani a render obbedienza alla Chiesa , ma solamente a somministrargli pecunie , e far- segli tributarii: ed ora per niun beneticio cristiano esso appetere quivi la stanza del Concilio , ma per tener ri- stretto il presente Pontefice, e poter far l'avvenire a sua voglia, ^) o il volere del Papa ottenere caldi favori dal Re di Francia a cui era assai nojoso che di quel ragunamen- to di Vescovi Cesare in niun tempo si profittasse in co- sa veruna. Vinsesi adunque nel Concilio che nella città di Bologna egli si trasferisse, ove i Legati e la più parte de' prelati specialmente condussesl con tanto intenso dis- piac^e dell' Imperalor Carlo , che comandò a' suoi mini- stri, e a molli prelati de' suoi Regni che di là non uscis- sero in alcun modo : i quali vi restarono allora , e assai appresso che il Concilio si dileguò di Bologna , la quali cosa non penò troppo a seguire. D. Pietro di Toledo si pone in onore di introdur^re V inquisizione in Napoli. XIX. Ma mentre con tanta rovina i fratelli del Fiesco dalla fortuna e dagli uomini vengono perseguitati, il som- mo pontefice va scuotendo i piedi dal tenace ceppo del. Concilio, ove spontaneamente gli aveva rinchiusi, sorse nella i Città di Napoli maggior guerra civile, che non la città sola a) Nel maJiuscrluo manca volea. baon senso , e pare che deggiano ve- b) Le parole seguenti nel teslo o il vo- mi emendale, fere etc, — in cosa veruna noa faoDO ISTORIA b'iTALI.V 83 fu per disertare, ma il reame lutto disposto a seguitare Tau- torità di lei. Reggevasi quel Regno per lo Viceré D. Pie- tro dell' illustre famiglia di Toledo , nel cui governo cou molta soddisfazione del Padrone molti anni s'era dimora- to^ e tutto che al suo tempo si fosse aperta la porta ad intolerabili gri^vezze , nondimeno a' popoli non era stato odioso , per aver loro portato giustizia severa , e purgato le provincia da' malfattori , e fortificato di moke città , e Napoli d' assai nobili edifizii arricchita. E volendo te- stificare il vero, dalla ») passata de' Francesi in Italia in fino al suo reggimento era il Regno per le assidue guerre mol- to licenzioso divenuto. Egli fu che primieramente ridusse al segno d' ogni qualità gì' insolenti , e di sé e di suo a- vere rendè ciascuno sicuro possessore. Accompagnò la for- tuna la sua dritta amministrazione , perciocché il Reame di pace , di sanità'^), e abondanza fu poco meno che sem- pre ripieno. La nobiltà solamente ed i Baroni udivansi di lui alquanto dolere per parer loro d' essere scemati d'autorità, e col timore più che coli' amore governali, ed eransi perciò colf Imperatore dal principio del giungere del Viceré studiati che egli fosse loro scambialo. La qual cosa né allora seguì , né per tanti anni appresso , parte per lo naturai costume dell' Imperatore che aveva dis- caro il mutar gli ufficiali , parte per gli potenti favori <^) che col tempo appo lui s' aveva guadagnalo il Viceré. Imperocché ridotto il Regno per opera sua in somma «bedienza , e tranquillità , le regie nuove e le vecchie rendite erano in immenso cresciute , e compartile a a) Nel maiiuscriiio della. e) W ma.n\iicx\\\X> per gli polenti e favori, y) Nel manusciitto santità. -'•{' PORZIO tempo in tutti i bisogni Cesarei. Era di poi il Duca di Fiorenza divenuto suo genero , il nipote Duca d' Alva sti- jnavasi il primo della Corte, e gli altri del Consiglio Im- periale sovente da esso presentati riccamente erano fatti suoi prolettori. Stando adunque il Viceré e in somma grazia col Padrone, e in non riputazione fra gli altri mal- vaggi del Reame, gli capitarono nelle mani alquanti della setta Luterana , sotto la cui ricoperta egli si pose in cuore d' introdurre l' Inquisizione all' usanza Spagnola : stimando per sì fatto mezzo , oltre al benefizio della fede Catto- lica , avere a proccurare grande utilità al Padrone, e a sé grandissimo onore, per conseguire da' regnicoli quello che guarani' anni prima essi avevano al Re cattolico feroce- mente negato 5 e pensasi che egli comunicato il pensiero coli Imperatore di pari sentimento si. eseguisse. Sdegno de' Napolitani per lo timore delV inquisizione. XX. E l'Inquisizione un procedere rigoroso centra gli eretici instituito da' Canoni Ecclesiastici, ed a' Vescovi sola- mente conceduto, il quale la Reina Isabella della Spagna indusse nelle sue Provincie, vinto lo Reame di Granata , ma più stretto, e rigido del costumato^ preposevi -'') suoi ufficiali, ed oltre al peccato della fede per lo quale solo in- nanzi confiscavansi i beni, vi rinchiuse anche la bestemmia ed usura ed altri errori enormi, e fu cpesta rigorosa giustizia da' popoli della Spagna senza ripugnanza ricevutajper rilro- varsi quelle regioni in quel tempo da Mairani uomini no- a) Nel manuscrjllo proposevii ISTOniA d' ITALIA. 8*J "Cellamente venuti alla noslra fede, e da molti iufcdeli abi- tale, coDciossiachè ogni loto contrada di Mori, e di Giu- dei abbondava : il più di costoro veggendo avere ad es- sere del terreno natio scacciati o spogliati delle sustan- ze o ingiuriosamente trattati , per ripararsi da tanta mi- seria più che mossi da volontà, o da spirito buono chia- mati, ricevevano l'acqua del Battesimo, ma non già la grazia : onde tosto alla lor prima vita riducevausi : sì che conveniva d'esser nella Spagna un magistrato particolare che ricercando con diligenza sì fatti nemici di Dio a gui- sa d'eretici agramente li punisse, il quale era ^) ragionevol velo agli occhi di quella gente alla gravezza dell'inquisi- zione, oltre al confidarsi nella lor buona natura e de' loro Re. Imperciocché per l' una non temevano di essere da odio o da invidie accusati, e per l'altra erano securi, che da necessità, né da avarizia verrebbono puniti. Le quali ]-agioni cessavano tutte nel Reame di Napoli, allora che al Viceré cadde nell' animo di inserirvi la prefata maniera d' inquisizione. Conciossiaché 1' infernal nube del Lu- tero quantunque avesse accecato molto paese , non di- meno in quel di JN'apoli n' aveva ofluscato sì pochi , che con le dita si sarebbono potuti annoverare. Sono poi assai de' regnicoli fra loro medesimi odiosi, e per picciolo prez- zo'^) apparecchiati a testificare il falso j avevano il lor pa- drone discosto, e da bisogni non mai iiiterlasciato , ed i suoi ministri riputati generalmente dal volgo sinceri poco^ e corruttibili: sì che al bel primo suono dell'inquisizione giudicarono i Napolitani che un così fatto Tribunale si- a) Nai. manusciitio manca eia, h) Nel- manuscriuo /i7«^/o<- 86 p 0 K z I 0 proccurasse di porsi in piedi per Io Viceré, non per zelo di scacciare l' eretica pravità, ma per tender un forte lac- cio ad incappare tutte le loro robe ^ ed all' imaginazione soltentrò uno sdegno, stimando di essere ingratamente gui- derdonati della continua loro liberalità verso Cesare a cui in fin a quel tempo ritrovavansi aver donato in varie sue occorrenze intorno a venti milioni d' oro. Breve Apostolico per inquirire gli eretici. XXI. Tuttavia la loro doglienza non disanimò punto la proposta impresa del Viceré, congetturando egli dover essere delle usitate delle Città ^) quando vengono sottoposte a nuove leggi, presupposto'^) maggiormente il potere con leg- gier fatiga aver dalla sua il popolo, dal quale vedevasi per aver battuto la nobiltà amato e celebrato molto. Di cui per agevolmente impadronirsi a studio aveva sollevato a' più eminenti officii, che vagliono all'utilità della Comunanza popolare. Cittadini beneficati da esso, ed usi a volere e disvolere, né più né meno di quel che piacesse o dispia- cesse a lui 5 non diffidando eziandio d' alcuni uomini nobili di non picciola autorità , che per propria inclinazione si rendeva sicuro che avrebbono seguito in questo affare il suo volere ed il sodisfacimento dell'Imperatore. Pure giudicando la prima mossa di ciò essere più dicevole e men sospetta facendola il principe ecclesiastico, s'adoperò che dal Pon- tefice Paolo, e da' Cardinali soprapposti al Tribunale del- l' Inquisizione Romana ( de' quali era il fratello d' esso Vi- o) U manuscriUo della città. b) Il manuscrilto presupposti. l ISTOHrA d' ITALIA 87" ceiè il Cardinal diBurgo) fosse comandato per Breve Apo- stolico a due Frati di S. Domenico nella Città di Napoli commoranti, che eglino come delegati del Pontefice quivi gli eretici inquiressero. E per avventura il Viceré venne ia isperanza che intromessi quelli ad inquirere, a lungo an- dare darebbe loro per compagni Ministri del Re, e così passo passo non che senza strepito, ma senza altri accor- gersene , introdurrebbe nella Città il Tribunale designato sopra gli eretici- Gli eletti di Napoli pregano il Viceré che non si lasci indurre a Jare eseguirle il breve. Sua risposta. XXII. Ma non prima capitò in mano de' Frati il Breve , che n' ebbe copia T Officio Supremo che ha cura del reggimento della Città , il quale è di sei uomini , es- sendo la Città in sei sestieri divisa, cinque de* nobili, ed uno del popolo , e chiamansi Eletti. Il lenor del qual Breve da essi, e da molti giurisperiti a minuto riguardato, giudicarono V esecuzione di quello dover essere al Reame perniciosissimo, e non indugiarono punto ad essere col Vi- ceré, il cui animo comechè in questo maneggio avessero a suspetto, volevano =») nuUadiraeno sperimentarlo;, e prega- ronlo strettamente che per ninna condizione propostagli si lasciasse indurre a fare che quel Breve si eseguissej allegan- do traile altre assai ragioni, per disposizione di legge Pon- tificia niuno fuori del foro Arcivescovale, e del suo Vicario a) Nel mannscrilto volessero. '88 p 0 r. z I 0 doversi della cognizione e pena di quel peccato iinpaecia- re, e così ab antiquo essersi nel Regno costumato , e di così farsi avere loro i Re Aragonesi per privilegio conce- duto ...... a) . Ja fine il Viceré non avere del Breve uotizia veruna, e che presenlandosegliene molto considera- tamente avrebbe permesso , che egli fosse messo adopera; ma che tuttavia lui pareva dovere ohe scoverlisi nel Regno iion^ini della dottrina del Lutero , s' avesse a procedere d'alcun certo rimedio che non ammorbassero gli altri. Dibattimenti trai Viceré ed il Vicario di Napoli. XXIII. Il rispondere del Viceré accrebbe sospetto a' Napolitani non che li liberasse dal timore che avevano con- ceputo che di suo consentimento fosse mosso il ragionamento ^ell' Inquisizione, ma per meglio chiarirsene favellarono di quel sospetto con esso seco più fiate. Ne' quali ragiona- menti si sforzò sempre il Viceré per utile loro proprio per- suadergli ad armarsi di più salde armi contra le insidie degli eretici, che avevano distese le loro velenose radici per tanto paese, «d occupavano dell' altro. Ma le sue parole erano gittate al vento, che già i Napolitani avevano fermo nel- l'animo tollerar prima ogni sterminio e la morte istessa, che quella maniera d'inquisizione. Anzi con esso rammari- caronsi gravemente , che per cercarsi di punir gli eretici diversamente dal costumato venivano la lor fama ed il loro onore ad esser contaminato j come se nel presente fos- sero neir eresie più del passato immersi^ il che tenevano a) t evidente che qui manca nel te- il cominciametUo della riiposla del vi' slo il fice del discorso degli slellj , ed cere. «I I ISTOKIA d' ITALIA 89 a grandissima vergogna, né per gli mollissimi lor servigli falli al Padrone averlo a merilare. Utlila il Viceré l'unita ed inespugnabile deliberazione di cosloro, come uomo che voleva vincere, fu suo avviso guidalo da un'altra vela per poter giungere nel medesimo porto. E fatto a sé chiama- re il vicario di Napoli , essendo l' Arcivescovo assente , narrogli il desiderio grande del Pontefice e de' Cardinali preposti all'Inquisizione di Roma, che quei Frati inqui- ressero nel Regno : ma trovandovi grandissima contradi- zione de' Napolitani egli richiedeva lui a fare cjnesla santa opera e necessaria, e che la persona sua sarebbe a grado di tutti j ed acciocché") le cose passassero maturamente, gli darebbe per ajutatore un giurisperito del Consiglio Reale. Il Vicario appieno^) sapendo la mente del Papa e de' Car- dinali , e come si era più conforme alla dimanda della Città, che all'appetito del Viceré , rispose che esso man- derebbe a fare l'inquisizione che le leggi spirituali in- segnano j ma togliere il Ministro Regio per compagno , né poterlo né doverlo fare per non derogare alla giurisdi- zione del Padrone. E quantunque il Viceré in replicando lo stringesse a fare il suo desiderio , egli dalla sua opi- nione non volle dipartire. Il Viceré a domanda de Napolitani li libera dal timor delV inquisizione. XXIV. Questo dibattimento tra il Viceré ed il Vi- cario alla notizia di quella Città pervenuto l'attristò non a) Nel manuscritto manca ed. h) Nel manutcritto appena. 12 9»> PORZIO poco- ma di gran lunga più T aggiunse cordoglio un co- mandamento uscito dal Reggente della Vicaria, che^) è in Napoli a guisa del Governatore , fatto a' Capitani della strade popolari , che gli notificassero i nomi di tutti gli abitatori delle loro strade , e la maniera del cristiano vivere loro. Al quale orribil tuono parve a' Napolitani non dover aspettare altro segnale della tempestosa piog- gia che veniva loro addosso , e conchiusero che diffe- rendo il difendersene , e collo schermo della benignità dell' Imperatore, il male divenisse incurabile , e che con ferro e fuoco a fatica il guarirebbero , massimamente che molta cittadinanza temendo della forza provvedevnsi all'ar- mi. Per tanto ridottisi insieme mandarono chi per loro no- me dicesse al Viceré, che eglino non vogliono a niun pat- to inquisizione nel Regno, fuorché la Canonica: né esso assicurandogli che altra non ve ne porrebbe, deliberavano di ottenere questa sicurezza dall' Imperatore lor Padre e Padrone , e pregavanlo che egli almeno appo questo alla lor giusta dimanda volesse esser favorevole. Turbò que- sta viril risposta l' orecchie del Viceré, non uso per l'ad- dietro ad udire delle somiglianti per la riverenza straordi- naria da ciascuno portatagli^ oltre che Annibale Bozzuto che fu poi Cardinale, gentil uomo di natura libero ed al- tiero, gliela propose prontamente. E più dell' ardimento delle parole de' Napoletani, e del fornirsi d'armi, ebbe gravemente per male V intendere il volere essi gire a do- lersi all'Imperatore, a cui egli per qualunque modo im- pediva non venisse nota la presente sua vita, divenuta al- a) Il maauscrlllo c/ie egli è. ISTORIA d' ITALIA. g» quanto lasciva. Impeiocchè D. Pietro di Toledo Viceré, o stanco dagli anni, o dal peso de' negozii, o invitalo dal- la pace dell' Italia, o pure per la lunghezza del goverao dimenticatosi di esser ministro, dava allora poco men che bando a' pubblici bisogni , e le sue udienze erano dif- ficili, lunghissime r espedizioni, il giocare, ed il pasteggiare assiduo^ e stimando col virtuosamente operare essersi ap- pressalo alle fatighe ed al merito de' ])iù generosi Ro- mani , non volendo lor cedere nel veleggiare , aveasi per suo diporto edificato un sontuoso e dileltevol palagio a canto a Pozzuolo , città più salubre ed antica che ricca e grande , ed ivi il più del tempo con gran rammarico degl'infaccendali seco soggiornava. Sicché non è alcun dub- bio che da questo deliberato consiglio de' Napolitani egli si disponesse al dismettere del lutto l'impresa dell'Inquisizio- ne, e al volere da cjuel timore quella Città liberare. Alla qual cosa maggiormente affrettoUo un gagliardo ed a lui ]iemicù fatto del popolo, in cui come si disse gran fidan- za teneva , non sovvenendogli quanto si sia mobile e smemorato : il qual popolo sospettando che cinque o sei de' suoi ufficiali avessero intendimento con esso il Viceré, e dal suo volere jiendessero, in una mattina gli scambiò tulli, empiendo i loro luoghi d'altri del solo bene popo- lare giudicali amatori. Ria nel volere il Viceré tralasciare la sua impresa veniva combattuto dall' alterigia della na- tura sua, e dui decoro del Magistrato, ])areudogli ver- gognoso , e jnedesimameute pericoloso , per 1' arroganza n'averebbouo jìiesa i Napolitani, il ceder loro per le mi- nacce fattegli e per lo timore dell'armi. Sopra il quale passo malagevole e sdruccioloso consultatosi cou seco 92 PORZIO Stesso , e co' suoi Consiglieri forse di più corta veduta della sua , determinò per non cedere caminare per la \ia di mezzo comunalmente più piana dell' estrema , ma ne' governi degli stati più pericolosa, E ciò fu il l'ender certa quella Città a non dovere avere I' Inquisi- zione , e dare alcuna sorte di timore e di castigo a co- loro che avevano pensato al contradirgli coli' armi. On- de ordinò al Marchese di Vico ed a Scipione di Somma ambedue del Consiglio dello stato, si conferissero al Tem- pio di S.Lorenzo ove si ragunavano gli ufficiali di quella Città , e come uomini amanti la patria lor ricordassero a fare ogni opera che nella Città non seguisse turbamen- to, che essi più degli altri ne pagherebbono le pene, e che non restassero a supplicare il Viceré a non far parola più d'Inquisizione, che non sarebbe gran fatto l'impe- trassero. I Magistrati dopo l'aver purgato il loro reggimento con quei Consiglieri non tardarono a procvidere con più caldi prieghi col Viceré, il quale finalmente si lasciò in- durre a manifestar loro ed alla Città tutta a voce e in iscritto , che la mente sua e dell' Imperatore non era né fu mai di voler nel Regno altra Inquisizione che ordina- vano le leggi, ed i PSapolitani medesimi desiavano j tutto che avessero caro per 1' amor grande che portavano alla fede Cattolica, e per la quiete loro , che gli eretici fos- sero diligentemente cerchi , ed acremente puniti. Per la qual cosa ^) somme grazie gli furono rendute, e gli ani- mi de' Napolitani stati per essa dì e mesi sospesi e dub- biosi , di sì grande allegrezza si riempirono , che parevi^ a) N^el manusctitto manca cose. ISTORIA d' ITALIA qS quel giorno esser rinati e con la vita aver la roba e r onore riavuto. Movimento della plehe sedato dei nobili. XXV. Ma non si persuada ninno con un colpo solo poter troncare dagli aniun de' popoli alcun sospetto, che v' abbia preso radice. Senza fallo avrebbono i Napoli- tani per lo palesar del Viceré posto giù ogni memoria dell' Incjuisizione, non che scacciato ogni cruccio per essa preso con lui, s'egli si fosse astenuto procedere centra co- loro che per oppugnarlo si erano d' anni provvedati. Mail fervente desiderio del Viceré di non iscemare di niente la sua autorità in quella città totalmente glie ne fé perdere, e con vantaggio de' Napolitani , i quali con più giustizia si partirono perciò dall' ubidienza sua , che non avrebbon fatto per la sospizion primiera. Però che il danno che re- cava r Inquisizione aflligeva solamente i cattivi Cristiani , ma la pena di averla contraddetta era comune a buoni, ed a cattivi , avendola amendue oppugnata. Venuto adunque a notizia de' Nobili , e de' popolari il Reggente inquirere i contraddittori, e avere agli armajuoli ordinalo gli dessero il nome di chi a quel tempo avesse preso armi, e per lui sopra ciò formarsi processi, si venne di nuovo in essi ad. impiagare la ferita che di fresco era saldala. Pur giudi- carono i nobili ottimo rimedio dover essere a quel male, ed agli altri da seguire, il deputare alquanti di loro ad aver cura s'osservassono alla Città i suoi privilegii chiama- li in lor linguaggio Capitoli , concedutile da' Re pre- teriti, e coafermati ed accresciuti dall' Imperatore^ il qual p4 PORZIO ufficio quantunque usitato per ciascun anno a crearsi, non- dimeno i DepiUati a ciò per addietro non vi stavano vi- gilanti gran fatto. Aggradis'a la deliberazione parimente al jìopolo , il quale dalla nobiltà sollecitalo instava al suo eletto, che ha cura di convocarlo, che egli li ragunasse per creare quelli ufficiali. Ma l'eletto Domenico Terracina, che tale fu il suo nome , prolungava il congregarlo, però che essendo parlegiano del Viceré sospicava ciò farsi a fine che le operazioni di lui e degli altri ufficiali Regii fossero del continuo vegliate e limitate. Non per molte richieste fattegli fu possibile condur quello aragunarlo: per la qual cosa il popolo ripieno di gelosia e d'inganno e sosiiello, confortò molti capi ad adunarsi al tempio Agostiniano , ove egli ha in costume di convenire insieme, e quivi ben- ché assente il suo Eletto essi creassero il sopraddetto Ma- gistrato ^). Coudussesi la maggior parte di quelli Cittadini al luogo ordinato, e ristrettisi insieme determinarono di fare gli ufficiali in San Lorenzo ove allora trovavasi il loro Eletto , e gli altri Eletti ^). In quel mezzo tempo che coloro ciò delibe- ravano, era in quella Chiesa di S. Agostino e per le vie d'intorno concorso*^) numero innumerabile di plebei, i quali olirà le narrate cose erausi alterali fuor di modo per essere a) ìasciutori. iSTnniA D iTALt\ qq mone e dififiiso licorc'ò loro il \iceiè il pessimo stato in cui viveva il pojiolo prima del venir suo'') in regno; (li quante dignità e di quante ricchezze esso gli era stato cag.ione , die non solo l'aveva uguagliato alla nobiltà , che per ciò gli era acerba nemica, ma pareggiatolo a' si- gnori del regno. Ed a parole '') e per scrittura gli assi- curò, che in nessun tempo il sottoporrebbe'^) ad inquisi- zione, e purché al mandare l'ambasciatore co' nobili non convenisse , gli farebbe generale perdono delle disubbi- dienze a quei giorni da lui in dispregio della giustizia commesse. I cittadini dopo avergli rese quelle grazie po- terono maggiori de' beneficii ch'esso diceva aver loro fatto, risposero non potergli dirC^) cosa alcuna ferma infìno a tanto non udissero il voler degli altri, il quale essi spe- ravano sarebbe conforme al suo. Ma loro falli il disegno; perciocché pervenuta alla plebe la gita de' suoi capi a Pozzuolo, per intendere la cagione fattasi in gran nume- ro loro incontro sin fuori le porte della città, ed uditala*^), conobbe ') subitamente il fine a cui intendeva s) il perdono fattole di presente dal Viceré, e la commemorazione de' passati beneficii : sì che per dargli ad intendere quel lusin- gamento •') non essere bastevole a disgiugnerla dalla nobiltà, né rimuoverla d' avere ricorso al suo Re , immantinente costrinse quei cittadini ed il suo Eletto a diputare l'am- basciatore. I quali insiememente con gentiluomini crea- rono il Principe di Salerno , e Placido di Sangro , che a] Nel fumo manasw. del venirsene à) Nel secondo manuscr. daiv. in regno. e) Nel primo manuscr. e/ uU/e. b) Nel primo manascr. a paro/a. i) Nel secondo maouscr. conobbero^ e) Nel primo manuscr. il sopporta^ g) Nel secondo manuscr. tendeva. rMe. h). Nel primo tasLnuicr. sasseto mento,' 100 PORZIO avesse a fermarsi di contiauo appresso l'Imperatore per nome della Città. Supplizio di tre Napolitani ordinato dal Viceré. Sua cavalcata per la Città, XXVIII. Se dolse al Viceré il pensiero dell'ambasce- ria, l'elezione degli ambasciatori in molti doppii più gli rincrebbe"), per essere nel parlare pronti e distesi, &a«t^ poco amici, e della patria stimati grandi amatori. Sì che veggendosi egli da cui meno si conveniva così apertamente e scortesemente dispiacere, e trafiggere da ignominiose voci, che per la città in suo biasimo s' udivano , montato ia furore, pensò avere'') già perduto interamente la regia mag- gioranza , in cui egli tanti anni era stato riverito , né con mansuetudine o clemenza poterla riavere , ma esserli forza racquistarla col terrore o ^) col sangue : i quali o sarebboao cagione di raffrenamento a' Napolitani , o li stimolerebbono a commetter fallo, che togliesse ogni fe- de air accuse , che di lui farebbono a Cesare. Di qualità che essendo nelle prigioni guardati tre gentiluomini Fa- brizio d'Alessandro , Antonio Villamarina, e Gio: Luigi ^) Capuano per aver tolto dalle mani della famiglia della Corte un che menava prigione , innanzi che dall' impu- tazion loro apposta ^) fosser potuti difendersi , tornato il Vicer* da Pozzuolo se gli fé tutti tre di notte tempo con- a) Nel primo manuscr. Dolse al vi- à) Nel secondo manuscr. Gianluigi, eerè il pensiero dell' ambasceria e mol- e) Nel primo manuscr. impugnation. to più gli rincrebbe etc. loro appesta. Nel secondo oianujeritto b) Nel primo manuscr. per havere. anche piii «correjlamentó Imperadore e) Nel primo maouscr. e col sangue. loro appostalo. ISTORIA d' ITALIA 101 durre j e guarnito il Castello di molta fanteria spagnuo- la, e messe ad ordine tutte 1' artiglierie, eziandio contra- dicendoli parte del suo Consiglio , comandò ad uno schia- vo moro » che in sul fare del giorno segata ior la gola , li gettasse nel piano fra la città , ed il Castello. II quale fatto sanguinoso e che assomigliava vendetta più che giu- stizia, commosse alquanto quella città , ma non trascorse in altro che nella morte d' un alabardiero della guardia di lui dilungatosi dal Castello. Per la qual cosa cresciuto r ardimento al Viceré , mandò per suoi amici nobili e signori , ed accompagnato da essi e da gran numero di Spagnuoli a pie ed a cavallo volle cavalcare la città, contra il parere di molli che sentivano fosse da procedere più temperatamente. Per la quale egli discorse col volto fie- ramente turbato , e con occhi che scintillavano fuoco. •E avvengachè gli andassero avanti alcuni uomini d' alto affare , ammonendo e pregando il popolo a non far mo- vimento contra lui , e che lo salutasse e riverisse per non incorrere nel peccato di ribellarsi al suo Principe, niente- dimeno ") non fu possibile che persona gli facesse segno di riverenza , anzi con pari collera e sdegno al di lui lo ri- guardarono. Ma con tutto ciò la gran modestia de' Napo- litani quel giorno , da' volgari appellata viltà , per tutti i secoli meritevolmente è da ricordarsi e da celebrarsi. Conciosiachè essendo essi per natura altieri e coraggiosi , ed allora armati e sollevali ed offesi e senza alcun freno di temenza del Viceré''), avendolo nella strettezza delle loro vie, e per rispetto alla Ior infinita moltitudine solo e dis- a) Nel secondo manuscr. iiienledi- b) Nel secoudo maouìcriUo dal vi- manoo. cere. loa PORZIO arnuilo , non d' ullio l' offtsero che eli non rìveriilo. E4 infallibihnenle se i fratelli o i congiunti o gli amici de UiOiti in quella medesima mattina avessero sfoderata più* una spada, o dato fuoco ad un archibugio, né il Viceré, né i suoi compagni dal furor degli altri giammai sareb- bono campali. Fu tanta dunque la sofferenza ed il tempe- ramento d' un popolo intero e numerosissimo, quanta ne' tempi anlichi o ne' moderni in uu solo uomo -^ì è saputa desiderarsi. Pur fatto il Viceré al Castello ritorno, fu da' suoi lusinghieri di fortezza e di franchezza d' animo lo- dato, ma dagli uomini saggi del temerario ardire ed allora, ed oggidì,'') fortemente biasimato.. Tumulti nella città.. XXIX. D seguente di di vulgossi voce costante ed uni- versale, il Viceré fatta esperienza della timidità popolare mandare 0 dugento Spagnuoli a far prigione Cesare Mor- mile e Francesco Caracciolo Prior di Bari , gentiluomini più seguiti degli altri dal popolo j di maniera che quello armossi, ed apparecchiossi a difenderli"^), e dubitando della iede de' gentiluomini e baroni che il precedente giorno avevano tenuto compagnia al Viceré, concorse anco impe- tuosamente alle case di tutti, e fattili uscir fuori, e con- gregare in Santo Lorenzo, sopra l'imagine di Cristo Croci- fìsso li fé ^) solennemente giurare, e per istrumento pubblico obbligare a dover essere con esso lui uniti al far servigio^ a) Nel primo nianuscr. con un sol e) Nel prim* manuscr. mandasse, hucmo. d) Nel primo manuscr. difenderle. b) Ne) primo manuscr. hoggi,. e) Nel secondo manuscr. manca li. ISTORIA, d' ITALIA I o3 alia Maestà di Dio, dell' Imperatore^), ed alla lor patria. Per conto della quale unione fu tocca dalla plebe la campana maggiore di quel tempio a martello con gran repngnanza degli Eletti timorosi che ciò fosse a quella Città potuto imputarsi a ribellione. Ma lo strepito dell'ar- mi avendo turale 1' orecchie della moltitudine concitala alle sottigliezze legali , ella fu per gittare dalla sommità del campanile uno di essi Eletti nobili Marino Rosso. Sopra il quale campanile, e per gli sestieri^) di Napoli, che han nome Seggi, furono ritte <=) le bandiere con l' Arme Impe- riali'^), e fattasi solenne*^) e pubblica processione, la cui Croce avanti portò in mano il Marchese di Pescara fanciul- lo ancora, ma che per l'atto virile diede infallibil segno di quel chiaro capitano, che oggi il mondo vede ed onora j seguivanlo') appresso i signori, ed i nobili ed ignobili indif- ferentemente, ogni lor disuguaglianza uguagliando la carità della patria. Allaccossi alla ))iazza dell'Olmo l'altro giorno grave contesa fra gli Spagnuoli, ed i cittadini, di cui non è dubbio che gli autori fossero Spagnuoli : la quale accrebbesi in tanto, che di militar combattimento ebbe la somi- glianza ^ perciocché il Castello Nuovo , e le rocche di San Martino, e dell'Uovo, e le galee del Molo con or- ribil suono, benché con picciol danno, per tutto il gior- no la citlà batterono : e la fanteria Spagnuola a colpo a colpo fu alle mani co' Napolitani. 1 quali poco prez- zando le percosse dell' artiglierie dinanzi alle lor bocche a) Nel primo manuscr. all' Impera- imperiale, tare. e) J>t:l secondo aanuscv. pul'^l'ca e h) Nel primo manuscr. ^imr/t'm. solenne e) Nel primo maniisci. e/Zf. f) Nel pilnin inanusciitlo «e^^MJ- d) Mei seiwudo maouscr. con Zanna tondo. 1('4 PORZIO aniracsaraeiite adopravansi. E non molte eenlinaja di ve- terani Spagnuoli ancor essi con molto valore sostennero V empito di un popolo senza numero. Onde amendtie le parti per le ferite datesi, assai terreno^) insanguinarono^ alle quali il vegnente giorno pose^) fine per una triegua. Gli amhasciatori del Viceré e della Città a Cesare.. XXX. Imperocché il Viceré dolente a morte che tutto r ottimo suo governo per quel solo sollevamento venisse bruttato e guasto , promise per isritto di sua mano , e la Città medesimamente, non innovare cosa alcuna per in- sino al ritorno dell'Ambasciatore dall'Imperatore, appo il quale per avere il Viceré anche egli difensore d' auto- rità e testimone '^ì di veduta, roandovvi il Marchese della Valle Spagnuolo e del Castello Nuovo Castellano ^ che infermato il Principe di Salerno per camino"^), fu il primo a giugnere in corta Imperiale, e fuvvi benignamente rac- colto , e udito. Non così avvenne agli Ambasciatori di quella Città pervenutivi, anzi fu loro imposto arditamente che alla presenza Imperiale non comparissero, ma che con Arasse, e Figueroa uomini del Consiglio Cesareo trat- tassero la bisogna^). A' quali fattisi essi davanti inconta- nente apersero la cagione della loro venuta, e attendendo risposta a nome dell'Imperatore, fu letto loro dal Segre- tario Vargas ^ ) comandamento acerbissimo , che il Prin- a) Nel primo roanuscr. il terreno in- d) Nel secondo manascr. in camino . vece di assai terreno. e) Nel primo manuscr. lor bisogno. b) Nel primo manuscr. si pose. f) Nel primo manuscr. ^e»"^a , nel e) Nel primo manuifr. testimonii. secondo Varga- ISTORIA d' ITALIA lo" c'pe di Saìoiuo alla pena della testa di là non partisse ^ Placido di Sangro rivolgesse a dietro di presente , com- pagno del Marchese della Valle ^ significasse alla Città che ia forza del Viceré consegnasse l'anni, prestassegU la do- vuta obbedienza e ad esercitar le sue arti chetameute si riducesse. Accettò il Principe obbedite al comandamento, ricusò Placido , dicendo non convenirsi nò alla fedeltà della sua Città né alla persona propria 1' essere riputato indegno di giugnere nella presenza del suo Re : e repli- cando coloro che gli ordini del padrone ») avevano ad e- seguirsi, soggiunse, che i giusti ed i ragionevoli riveri- rebbe ^) tuttij ma ritornare alla patria senza essere udito, di suo volere noi farebbe giammai. Superò la saldezza di Placido la durezza del decreto , e fu introdotto ove se- deva 1' Imperatore , che centra la Città di Napoli trovò turbato forte e pieno di lamenti : pur egli con franco cuore in cotal guisa gli ragionò : Orazione di Placido di Sangro a Carlo V. XXXI. « Invitto Cesare, la Nobiltà e ipopolo Napoli- » tano divotissimi del vostro glorioso nome, e forse bene- >•> meriti, condotti a miserabile calamità e ad estrema di- » sperazione, sarebbon venuti popolarmente al cospetto di 5j Vostra Maestà, e scoverte le loro piaghe mortali, colmi « di pianto e di strida l' averebbon ricerca d'alcun rimedio X) pronto e salutifero : e certamente sarebbe venuto lor fatto : w che i giusti prleghi de' suggelli non furono porti mai in- a) N«l primo maauscr. del Principe. b) Nel primo manuscr. ricevenóùe. i4 I06 PORZIO j> damo a' Re buoni e clemenli. Ma volendo gli uomini j> abituati nel male per non ammendarsi tener celati i lo- M ro errori*), a tutte quelle genti pare di somma grazia, jj se il Viceré colla potenza'^) del suo favore non impe- s> disca che la sola voce mia quantunque debole e rozza 3> possa penetrare nelle benigne orecchie di Vostra Maestà. >j Ma veramente e' si *=) sono ingannati ^ che il parlare di M essi tutti a fatica potrebbe far conte l' ingiurie ricevute j> da un solo, non che le mie parole sole potranno espri- ij mere le miserie di tutti loro. Se pure non avessero avuto j) riguardo che la gran prudenza dell' ascoltatore '') può 33 supplire del favellatore^) ogni mancamento. E perchè le >j nostre gravi querele non sono da udire , non che da jj credere , non purgandosi prima la colpa dell' avere noi }> prese le armi , piaccia a Vostra Maestà ( poiché 0 il ■» silenzio è nimico del dolore ) che io largamente possa 3* dirle la cagione e la necessità e la forza del pren- 33 derle e dopo prese s) del ritenerle ancora. Il vostro ^) 33 Viceré per si lungo tempo avvezzo") nella dolcezza del 33 regnare , sommerso nelle delizie del nostro paese, tutto 33 il suo studio pone in pensando e speculando in qual 33 maniera può'') egli perpetuarsi in quel Governo, accre- 33 scersi nella grazia di Vostra Maestà , perseverarsi nel- >3 l' opulenza del vitto e nell' assiduità del giuoco. E dopo 3) Nel secondo manuscr. de' loro /o/irp , v nel secondo del fauellamentp. errori. I ) Nel primo manuscr. che. b) 'Nel primo manuscr. pofes/à. g) Nel primo manuscr. m.inca e dopo e) Nel primo manuscr. essi. piese. d) Nel secondo manuscr. f/etf««?o/- h) Nel primo manuscr. «o^/to. ture. i) Nel primo manuscr. /MPff/jc/o. e) Nel primo manuscritto più sup- \) Nel primo manuscr. ^jm. I:.TOniA B IT.'.LI.V 107 ■)} ii:oIlo aggirarsi si è ulliniainenle avveduto the la base 3) e '1 sosiegno de' piaceri uinani ■') sono T argento e T oro, w ed ha speralo per la nostra singolar fede inverso di a V. Maestà poter formare sopra le spalle nostre ogni M aspra miniera e profonda da cavar danari. E senza w fallo al pensiero seguiva V effetto , se il nuovo modo » del trar moneta , che egli ha divisato , togliesse altrui w solamente 1' avere : ma esso lo spoglia al fermo della w roba e dell' onore , e della vita ignuda noi fa sicuro. >j Non è però questo altro che il tremendo Tribunale ■>} dell' Inquisizione ritto ^) già nella Spagna , per punire w i falsi Cristiani , ma come fuor dell' ordine Canonico a nell' Italia non ricevuto giammai, ed il cui nome, non jj che altro , è si orribile e sì odioso a' nostri popoli w che anzi sosterrebbono qualunque cruciato che al w suo giogo sottoporsi. Laonde per rimuovere il V^icerè w dal suo scandaloso proponimento 1' abbiamo più fiate >j in pubblico ed in privato supplicementeO pregato a dis- w torsi da impresa , che né al profitto di Vostra Maestà " né all'osservanza della legge divina giovava j)unto. ■>i Con ciò sia che noi eravamo a])parecchiali senza carico " suo ed ignominia nostra presentarvi lietamente tutte le » facoltà , e tutte le sostanze nostre , e n' era a grado 5J ancora che deviando alcuno dal dritto sentiero Catto- « lieo egli fosse rigorosamente di pena di fuoco castigato, w ISon Jia potuto l'onestà delle preghiere nostre superare w la disonestà delle cupidità suej anzi veggendo che de- a) Nel primo manusc. manca àìper- b) Nel primo manuscr. reWo. stverarsi fino ad umani. e) Nel primo manasc.supplicamente . 108 PORZIO 3j liberavamo venire ad impetrare dalla benignità di Vo- jj stra Maestà quello che dalla durezza sua non si potea, 3j per ispaventarci tostamente si è volto al coltello ed al M terrore 5 ed il sangue di molti innocenti ingiustamente >j versato , armato e furibondo ha scorso la Città no- 3> stra. JNè restando dal minacciarne e dal perseguirne ="), » alla fine per fuggire la morte , ne ha costretti e so- jj spinti a dar di mano all'armi. La qual cosa togliendo 5> poi esso ad opportuna occasione ne ha apertamente as- i> saliti , saccheggiati e morti -, e lo stendardo di Vostra 3> Maestà cotanto tempo da noi venerato, ed i soldati per 3« difesa nostra mantenuti, e le fortezze per nostro refu- » gio edificate ha egli rivolte a' danni ed alla ruina no- » stra''). Clemenlissimo Imperatore, le operazioni umane 5j dall'altrui intenzione vengono ree e buone giudicate. Se jj per noi si fossero prese l'armi con animo perverso, ed jj in dispregio della Maestà Vostra, siccome il Viceré ini- jj quamente s'ingegna di persuadere , non nel prenderle » vi avremmo offeso, ma nello esercitarle avremmo vio- » lati i vostri Ministri , conculcata la giustizia, spezzate » le prigionie de' malfattori, abbruciate le scritture reali, » e le insegne Imperiali gittate a terra. Ma la Dio mer- >j ce , e la buona mente nostra , pur una delle narrate » sceleraggini non è pensato farsi , non che sia seguita j »> anzi tutte queste cose assai più dell'usato abbiamo ora » custodite e riverite"^). O eccelso, e sempiterno ccstu- jj me della Città nostra che a' suoi signori manifesti più a) Nel primo roaniiscritto perse- e rovina nostra, guire. e) Nel primo raanuscr. riverite et h) Nel primo manuser. a i danni custodite. ISTORIA d' ITALIA If g »> felle nell« turbolenze che nelle tranquillità, come l'au- w lieo popol Romano afflitto dall' armi Cartaginesi nel- » r eterne sue memorie rende ^) gloriosa testimonianza ! ì> Ma quale specchio più lucido e più veritiero può egli w rappresentare alla Maestà Vostra la candidezza e la « purità dell'animo nostro, che l'aver avuto noi armati w ed offesi dentro alle case nostre racchiuso il Viceré, e 3i per riverenza di Voi , non di parole , non di fatti '*) « offesolo? aver avuto artiglierie, e non adopratele? es- « sendo giorno e notte rabbiosamente da tante castella " battuti 3 essere io venuto cotanto spazio di terra a volo, j) non che correndo, a' pie della Maestà Vostra '^) per quella 3j a man giunte , ginocchione , e lagrimando pregare e w supplicare , siccome io ora la prego e la supplico , >3 che distendendo la mano della sua misericordia si de- » gni sottrarre al ferro ed al fuoco ed al furor crudele'') 5> d' un uomo la tribolata patria nostra, che non ha gran » tempo che per sostenere lo scettro di Vostra Maestà ella >j tollerò da potentissimi nemici gravissimo assedio^ con- ìì sumò grandissimo tesoro, e sparse sangue infinito. » Bisposta di Cesare , e partenza di Placido. XXXII, Al parlar di Placido , Carlo rasserenò la fronte, e rispnsegli : « di necessità convenire Ini gire a INa- M poli senza dimora per acchetarla , ed ove la intenzion >j sua non fu mai di porre inquisizione j e ch'ella aveva a) Nel primo manuscr. rendè. e) Nel pr. inanus. f/j ^os/ra jl/aMtó. b) Il priiDO manuscr. non di parole d) Nel primo manuscr. cfe//è;ro,<Ì7/ ma di fatti. fuoco e dai fufvr crudele. 1 in PORZIO « iatlo gt'aiidissluio disoidine a lor jiinia l'anni, e poi a >j fainegli intendere la cagione j die nondimeno riducea- M dosi essa subitamente all'obbedienza del Viceré con cle- M menza sua avanzerebbe il peccato di lei ^). » Sì che Placido prese da lui lettere per la Città e commiato a parte dal ^) Marchese della Valle , indirizzossi verso iSa- poll per istaffetla. La quale con non meno desiderio aspettava 11 ritorno dell'Ambasciatore che con animo am- biguo , non solamente per lo timore dello sdegno Cesa- reo , ma per la speranza ancora , che per la venuta sua potesse in parte ripararsi dall' ira del Viceré , il quale avendo per lo spazio di due mesi continui in gran copia jnovvedute le Castella , 1' aveva poscia per mare e per terra furiosamente assalita , e per molti giorni con armi e con fuoco combattuta. // Viceré si provvede di armi e di soldati, XXXIII. Iniperclocchè fiuto l'accordo che di sopra dicemmo, ed avviati gli Ambasciatori, diedesi il Viceré a correggere un grave suo mancamento, cioè a provvedersi di tutte le cose necessarie all'offesa ed alla difesa, e sjìe- cialmente di vettovaglie, delle quali le castella erano so- lamente per la pace fornite. Aggiugnevasi che il provve- dimento fatto a '^) sustentamenlo dell' avvezza Guardia del Castello non poteva né una mezza Città né uno eser- cito intero nutrire. Con ciò sia che il Viceré volendo guerreggiare colla Città , era forza a' suoi soldati , che di a) Nel secondo manuscr. la clemen- b) Nel primo manuscr. del. za sua accatisirMe il peccato di lei. e) Nel pr. manusc. o sustenlamento. ISTORIA D ITALIA I I i dì in dì accrescevano , torre i lor viveri dalle caslella. L' istesso avveniva ad infinite persone Spagnuole che ave- van menato moglie a Napoli, ridotte o dentro o alle spalle delle fortezze"), dove anche molti de' Napolitani medesmi'') eransi ricoverati, non tanto per mostrare amore al Viceré e fede all' Imperatore , quanto per tema del popolo, che come di rnbelli della patria aveva le lor case predate *=). Ma in questo mentre che il Viceré provvedesi nelle for- tezze con ogni diligenza e rinforzasi '') , non intramise il pensiero di sfornire ed indebolire la città , la quale avvegnaché non isturbasse^) gli apparecchiamenti di lui, pur con armata mano guardavasi. Ma per essersi seminato studiosamente da' partegiani del Viceré , che ella era in- corsa nella ribellione, e che rovina grande le verrebbe, molta gente spaventata per essere lontana dalla fine di fjnella dissensione si conferì alle terre convicine a Napoli; ed i Baroni, cosi lor comandando il Viceré, 0 passarono ad abitare la parte della Città sottoposta al Castello. I quali detrimenti furono da' Napolitani coli' assoldare cinque mila fanti risarciti j e stavansi così concordi s) , cheti, ed ab- bandonnti , che non pareva avessero Ìl nemico dentro le mura né sopra il collo verun giogo di Castello. Pur gli occhi e le menti de' più savi di loro dubitando per la tardanza d' irreparabile rovina erano volte^O nella Migna, e la poca diligenza del loro Ambasciatore in ritornando a) Nel primo maniisci. r/pf/oz/oif r/e/j- e) Nel primo manuscr. inturfiidasse . tro et alle spalle rielle fortezze. f) Nel secondo manuscr. rt a ibarn- b) Nel primo manuscr.manca medes- ni , così lor comandò il viceré , passa- mi, e dice eran ricoverati. rotto e/c. e) Nel primo roanuscr. depredate. g) Nel ^ecnndo mnnuscr. accorti. ti) Nel primo manuicc. rirt/órzatosi. h) Nel pi in. i manuscr /«o/tó. I 12 PORZIO accusavano, e come di cosa interveiiiiLi ne furono indo- vini. Perciocché il Viceré tra tanto ebbe agio a raccorre cinquemila fanti Spagnuoli spai-si per lo Regno , e per r altre parti dell' Italia , e molta gente ^) d' armi e ca- valleria leggiera, i quali co' soldati della Città, come dis- sesi , scambievolmente ed a guisa d'amici praticavano. Combattimenti tra gli Spaglinoli e Napolitani^ XXXIV. Ma o che ingrossata T una e l'altra parte fosse per impossibile 11 ritenerle dal contendere'^), o per la concorrenza del valor dell' armi che regna fra queste na- zioni Spagnuola e Italiana , o fosse 1' ardente sdegno del Viceré, o un fortunoso caso che così portasse, il dì 22 di Luglio con I' insegne spiegate ed ischierate a due , or- ribilmente s' assalirono. E parve sul primo incontro che la città fosse sopraffatta , essendo i nemici più presso e più uniti al luogo dove si combatteva, favoriti dall'arti- glierie delle Rocche , e dalla presenza del Viceré ina* nimiti'^). Il quale acceso d'ira calato già alla porta del Castello coperto d' armi e con la spada ignuda , infiam- mava i soldati c&n alle grida a vendicare la ribellione de' Napolitani col saccO' col ferro e col fuoco. Ma lo stre- pito dell' artiglierie e degli archibugi risonando per tutta la Città subitamente destò il popolo ed i suoi capi al- l'armi, i quali volati '^) là dove il bisogno appariva mag- giore di qualità rinfrancarono gli animi de' lor soldati che a) Nel primo manuscr. molle genti. e) Nel primo manuscr. e dalla spe- b) Nel primo manuscr. manca dal ranza del Viceré inanimati. contendere. A) Nel primo manuscr. abiati. ISTOniA d' ITALIA I ì'ò 11)91110 al piano del caslello rincalzarono-') gli Spagntiuli, e con tanto lor disortline che per {)Oco mancò non perdes- sero le bandiere^) ed alcuni pezzi piccoli d'artiglieria, tratti Inori dal castello per battere le vie per entro la Città. Kon si disciolse la battaglia prima della notte nella quale i Napolitani vegliando in tutti i luoghi opportuni dirim- petto al Castello nuovo interposero trincee. IVè gli Spa- gnuoli dormirono, perciocché oltra le trincee 0, che anco essi dal canto loro drizzarono, incrudeliti negli ediflcii''), tornarono ad abbruciare parte delle case da loro nel prin- cipio dell' assalto sforzate e rubate con molta crudel- tà ed avarizia, mettendo eziandio le donne trovatevi iu servitù e disonesto «so. Combattessi insino al terzodeci- mo dì della rottura della triegua nelle vie e fralle case e) con vani eventi e con gran ferocia 0 e durezza d'animi. Era il perìcolo de' Cittadini maggiore in su la notte che dalle fortezze continuamente venivano vessali , e da gli assalti nemici non mai sicuri. Per la qual cosa buona jiarie delle lor donne si rinchiusero ne' monasteri , e molti uomini dalla città cogli arnesi sgombrarono. D'as- sai 8) più sarebbe stata vota per la strada del mare , se una fusta del Duca di Firenze*') predando non l'avesse Im- chiusa. Né la via per terra ne' campi aperti') era bea sicura , imperocché i cavalli leggieri per mancamento di a) Nel primo manuscr. incalsarono. e) Nel primo manuscr. nelle case, L) Nel primo mauuscr. non perdès- f ) Nel primo manuscr.yèroc»/a. sera ùanefierr. g) Nel primo manuscr. e< nwaj. e) Nel secondo manuscr. mancano le li) Nel primo manuscr. Fiorenza, a parole; A'è gli Spagnuoli dormirono, così dopo. perciocché oltra le trincee. i) Nel primo manuscr. noit havtss-y d) Nel primo manuscr. agli edifici. lor chiusa la via , ne i c^pi aperti. « l4 PORZIO vivere^) , e per rubare in molti lati diecorrevano. Ag- giugnevasi a questi lor mali 1' aver per cosa certissima il venir loro addosso grossa e scelta fanteria Italiana mandata in soccorso del Viceré dal Duca di Firenze , e da Don Ferrante di Gonzaga'') sulle galee del Boria e dell'istes- so Regno. Non potevano uè mandar di nuovo a Cesare uè ritrarre cosa niuna de' mandati per lettere o per mes^ saggi , tenendo il Viceré a questo fine chiusi e guardati liuti i passi del Reame. Venuta di Placido in ISapoli. I Napolitani depongono le armi, XXXV. Niente di manco circuiti da tante angustia non si abbandonavano i Napolitani alla Città rimasi, ma fidatisi nel loro valore e nella giustizia della causa , né si spaventavano del Viceré né del padrone diflidavansi- Ma nel fervore di queste tante procelle apparì loro Pla- cido j il quale condottosi dove erano gli officiali della Città ragunati , con chiara e lieta faccia palesò loro la volontà dell' Imperatore in non volere nel Regno inqui- sizione, e la grande inclinazione del suo animo a far loro '^) genefal perdono di quel tumulto , purché il suo coman- damento immantinente fosse obbedito^ e così fare esso gli esortava e pregava, acciocché il pronto obbedire cancel- lasse ogni mancamento dal Viceré loro potuto imputar- si •*). Era quella Città di grande confusione ingombrata , avendo a disarmarsi, e nelle braccia*) del nemico armato ^) Nel primo nianuscr. del vivere. d) Nel primo raanuscr. del vic&rè lo- b) Nel secondo raanus. c/a G'o/zpao'ir. ro potuto impugnarsi. e) Nel primo maouscr. a//'ij/' fo/o. e) iVel primo mauuscr. /;e/i;v7rc/o. ISTORIA d' ITALIA ll3 jiineltersi, senza sapere che l'Imperatore imponesse^) al Viceré 3 oltrachè egli per l' addietro e prima dell' essere offeso costumava eseguire gli ordini dell' Imperatore cbe fosse ^) a lui paruto. Tuttavia mossi i Napolitani dalla loro naturale divozione al Padrone , confortati dalle pro- messe di Placido, e sospinti dal non parer '^) loro di aver errato , determinarono far puntualmente quanto nel co- mandamento veniva contenutole dato ordine aH) far pai- tire i soldati dalla Città, notificarono al Viceré, che co- mandando loro l' Imperatore che posate le armi gli ren- dessero l'obbedienza , sé esser presti a ciò fare, e come prima l' obbedirebbono. Per la qual cosa il Viceré oltra- niodo vago della pace, e certificalo della volontà dell'lm- jìcratore per lo Marchese della Valle, e che se egli dan- nava la presa dell'armi de' Napolitani, non commendava '') in parte alcuna l' averne lor data colorata se non giusta cagione, levò T offese, e fatti uscir fuori di Napoli gli Spagnuoli , ordinò a' Napolitani che gli recassero nel Castello tutte le loro armi. Ed avutane gran parte al na- sconder del rimanente con savio partito 0 chiuse gli occhi, e solamente comandò che gli fossero consegnati quaran* taire pezzi d'artiglierie della Città, che quantunque con- tri lui non fossero adoperali , pur tratti dalle braccia de' cittadini e de' gentiluomini gli furono prestaraenie con- dotti. V^eduta il Viceré si pronta ed umile obbedienza de' Napolitani per non uscire dal canto suo dagli ordini ini' a) Nel primo manaser. s' imponesse. H) Nel primo manoscr. da/, h) In ambedue i maumCT. /ossero. e) Nel secondo manusc. co/;ia'!.7at' e) Nel secondo maDuscriUo dal non f) Nel primo manuscr. maaca colf potere. savio parlilo. Il6 PORZIO penali , non differì al chiamare gli ofHciall della Città, e palesar loro che Cesare riguardando più alla sua Cesa- rea ed Imperiai clemenza che a' demeriti loro, faceva uà general perdono delle cose passate fuorché ad alcuni po" chi stati in quel movimento =") capi. Novella ambasceria de" Napolitani a Cesare. XXXVI. Ma avvegnaché per questa loro grande umiltà credessero i Napolitani aver pagato il debito che erano tenuti air Imperatore, e lo sdegno del Viceré ammollito, uientedimanco dell' animo d' amendue temevano forte. Imperocché il Viceré faceva alcuna operazione in ven- detta dell' offesa ricevuta , e dal Principe di Salerno ve- niva scritto l'Imperatore perseverare*^) a credere (così dal Viceré e da' suol fautori persuaso) di quella controversia esser stata 1' origine la nobiltà, ed ingannevolmente avervi sospinto il popolo, e non cessava di risguardare con oc- chio irato esso Principe. Il cui non buon animo com- prendevasi ancora dall'avere in segno di pena e di ver- gogna tolto alalie lettere , che a quella Città indrizzava , il titolo di Fedelissima^ uso per l'addietro ad onoramela. Delle quali cose i Napolitani timidi divenuti, che contri essi a peggio operare 1' uno e T altro non procedesse , e mesti per la disgrazia del Salerno per salvamento di loro avvenutagli, deliberarono mandar nuova ambasceria all'Im- peratore , e comunemente uomini nobili ed ignobili. Furono gli ambasciaJori Giulio Cesare Caracciolo e Gio: a.) Nel primo raanuscr. iti rjiiei nio- ìA Nel primo inanujciiilo /lerseve- ".'ime/iti. rava. J ISTORIA. D ITAtU IfJ Balista Pino. Per la costoro opera ottenne quella Città ciò che allora dall' Iraperator desiderava^ perocché il Ca- racciolo destro e delle Muse amico , non accusando ajiertamente il Viceré , né affatto l'errore della città scol- pando , addolcì in gran maniera V animo inacerbito di Carlo , e persuadello che la nobiltà Napolitana non pure tollererebbe D. Pietro di Toledo per Viceré, s'egli sue usanze e suoi privilegi non guastasse , ma quandunque così fosse a grado a Sua Maestà gli jxìrrebbe nel capo una corona reale. Fu eziandio a quel tempo celebre un atto del Pino, il quale mentre si affaticava di rappresentare all' Impe- ratore il grado della superbia ove era il Viceré salito per la smisurata autorità concessagli, trassesi di seno una me- daglia fatta scolpire dall' istesso Viceré =*) con sua effigie, e con parole e riverso di sentimento Reale. Affermano'') tre fiate Carlo averla nelle mani ripresa , ed attentamente ri- guardata j e senza alcun dubbio cosa ninna commove *^), e pugne più gli animi de' Re che l' aver compagni nel regnare- Informazione presa del succeduto in Napoli e risultamento di essa. XXXVII. Ottennesi parimenti per questi Ambasciatori che r Imperatore inviasse a Napoli un personaggio il quale presa vera informazione del succeduto, facesse apparire il poco o il mollo che perciò quella città fosse colpevole ; e così fu fatto. Imperciochè egli mandovvi il Vescovo Mui- a) ÌScl primo maniiscr. con istesso b) Nel primo mannscr. afferma, viceré. e) iNel secondo manuscr. communi. Jl8 PORZIO dana Spagnuolo , die prima di avev formato il proceàso »i mori. Kientedimanco il Consiglio Imperiale mosso, co- me si disse , dalle scrinare di lui , readendo l' artiglierie e gli cuori alla Città, e la maggior parte degli sbanditi, per questa sedizione la condaDnò in centomila scudi , picciola somma per rispetto alle grandissime che da lei e dal Regno in nome di dono ciascun anno 1' Imperatore . traeva , ma grave a petto al fallo. Conciosiacosachè fu d' inaudita riverenza e di fede esemplare, che nel corso di più mesi che durò questa contenzione , e specialmen- te negli ultimi giorni che con rabbia ferma ed irrimedia- bili ^) rovine si combattè da' Napolitani cogli Spagnuoli, non si udisse mai gridare altro nome che della Spagna e dell' Imperio , tutto che quella Città fosse ripiena d' uo- mini di perduta speranza e di banditi che, assetto il tu- multo , o di necessità conveniva loro rapinare fra genti strane, vagabondi e mendichi'^), o ne' boschi e nelle selve del Regno farsi preda a barigelli ed a' capestri. Te- messi bene dagli uomini giudiziosi che alcun Barone ri- bello, che non venti anni prima seguendo l' insegne Fran- cesi viveva della patria e dello stato in bando , avesse macchinato in pregiudizio dell'Imperatore, per lo cui fallo tutti gli altri fossero pericolati : ma molti Santi in molta riverenza da' Napolitani avuti, e stimati della^^) loro Città particolari difensori , renderono anche vano quel ragio- nevole timore. Imperocché quantunque dal Viceré si fos- se usata ogni diligenza , ricercando le loro scritture ed a) Nel primo manuscr. irremedia- mendiche. hile rovina. e) Nel secoado manusci'. dalla loiny b) Nel primo manusci. i'<7.?a6o/)f/e e città. ISTORIA d' ITALIA. Iig azioni pubbliche e private per ritrovare trattati o inteD> ) per lo timore delle fortezze che frettolosamente vi si finivano e de' soldati ^) die vi si avevano a mante- nere , cominciavano a sentire del vero giogo servile la gravezza. Oltrachè Pier Luigi estimando gli animi no- hili avere a sdegno i nuovi signori , era volto a solle- vare il popolo ed alla nobiltà eguagliarlo, massimamente il Piacentino, per essere i gentiluomini di parte Imperiale : i quali anche aveva costretti per riempire quella Città di abitatori a tralasciar la stanza delle castella di loro giu- risdizione ed in città dimorarsi. Ed ultimamente •^) gli aveva privi d' una parte de' vassalli che eglino dominavano. Imperocché per tutto il suo stato era fatta una perpetua ordinanza di soldati a pie, e non voleva che i suoi '^) feu-? datarli lor Signori li comandassero , ovvero de' loro de- litti li punissero, dicendo ciò appartenersi a' capi soprap- posti da lui a quella milizia. E con tutti questi tratta- menti nuovi ed aspri si sarebbono i Piacentini indu- giati a comraoversi conlra lui, vivente il Padre decrepito già tanto , che a niuno pareva lungi il suo fine. Con^ura de nohili Piacentini cantra Pier Luigi. XLI. Ma la grande offesa fatta dal Duca Pier Luigi al- rimperatore per la morte di Giannettino Doria e per l'aver proccurato di dar Genova e le galere del Doria al Re di l'ran- a) Nel primo manuscr. obbedire. e) Nel primo manuscr. mania ed. h) Nel primo luauuscr. da i soldati. d) Nel primo manuicr. uiauca«(W«. 124 PORZIO eia, griiidussero al troncar ogni proliingamenlo del terselo di sopra le spalle. Nella quale cosa sperarono avere per com- pagno il Principe Doria e per fautore D. Ferrante da Gonz;iga =>), che anche egli del Papa e de' Francesi trova- vasi mal soddisfatto : i quali avevano ad odio ^) per la stessa cagione che portavano <=) malavoglienza al Principe Doria^ cioè •*) per essere slato ^) egli uno de' persuasori all' Im- peratore di non dare loro lo stato di Milano. Sì che per vendicarsene e per la cupidigia di avere rendite eccle^ siastiche posero in litigio al fratello di D. Ferrante Car-! dinal di Mantova un benefìcio de Jure Patronato ricchi»^ simo conferitogli dalla Marchesa di Monferrato sua cogua-? ta , e somigliantemente il Priorato di Barletta , conce- duto dal Gran Maestro della Religione gerosolimitana al suo figliuolo. Oltre a ciò al Vescovo di Pavia de' Rossi di Parma parenti de' Gonzaghi avevano usato rigida giu- stizia a Roma infino al privarlo del Vescovato , il cui possesso denegava D. Ferrante al Cardinal del Mon- te che fu poi Papa, a chi il Pontefice I' aveva concedu- to. Con queste speranze adunque i nobili di Piacenza cominciarono a disporsi di macchinare conlra il lor Duca Pier Luigi 5 e credesi Oche il Conte Agostino Laudi e) per le cagioni sopraddette , e per l'essersi divulgato che il Duca volesse torgli Bardi e Compiano Castella, desse al trattato cominciamento col Principe Doria infin d' al-r lora che egli fu mandato Ambasciatore a Genova. Altri a) Nel primo manuscr. manca eh. d) Nel primq raanuscr. cioè che L) Nel primo xa^nm^^x . li quali Ita- e) Nel secondo raanuscr. manca i/ato. vevano in odio. f) Nel primo manuscr. vedeai. '. p) Nel primo manuscr. /ior^/>o, g) Nel secondo manuscr. tra per. .1 fi { ISTORIA d' itali. V I aS vogliono che il Conle Giovanni Anguisclola, conosciuta la mala contenlczza de' gentiluomini , fosse il primo a ra- gionarne. Ma qualunque di loro due si fosse il motore , quelli che insieme congiurarono furono i due delti, Gio: Luigi Confaloniero, e tre Fratelli Pallavicini, Scipione, Girolamo, Camillo, ed Alessandro, ") i quali iu questo pen- siero giorni e mesi consumarono , non jier rinvenire la miglior via che dovessero tenere ad eseguirlo ( che agli animi deliberati ogni calle strettissimo ^)ed aspro si fa <^) age- vole e spazioso ) ma per la dubitanza dell'avere a pericolare dopo averlo conseguito , considerando i congiurati , che a uiun profitto della patria , a niun giovamento di sé ^) uccidevano il tiranno ( siccome essi il chiamavano), aven- do non a guadagnare la libertà per la morte sua , ma a scambiare la servitù , se non più dura , almeno più fa- ticosa , per comprendersi che per ricoverare quella città , e far vendetta della morte di Pier Luigi , il padre ed i figliuoli '') volgerebbono sottosopra Oil mondo, e gli uccidi- tori con tutta la lor possa perseguirebbono. Oltrachè I congiurati non avrebbono giammai sicurtà a bastanza che 1' Imperatore per volontà , se non per forza , gastigato Pier Luigi delle oDfese fattegli, non rendesse Piacenza al fi- gliuolo di lui Ottavio, che gli era genero e figliuolo, ed ave- vagli generali nepoti, ed in tutto il corso di sua vita s) leal- mente servitolo. La quale cosa se ella avvenisse, vedevano a) Nel secondo manuscr. vi è una niun profiUo della patria a niun gra- lagiina dopo la parola Pallavicini. In vamenlo era , e fu poi correUo niun ambedue poi i manuscnlti leggesi e p. d. p. niun g. e. tre fratelli Pallavicini. e) Nel primo manuscr. figli. b) Nel primo manuscr. stretto. f) Nel primo manuscr. sotto sopra. e) Nel secondo manuscr. sie agevole. g) Nel primo maQuscrilto della vita à) Nel primo manuscr. leggevasj » sua. a6 PORZIO i congiurati che avverrebbe anche ignomluioso fine alle lor vite, ed ultima distruzione alle lor case j né sarebbe ninno che del loro matto ardimento non dicesse dritta- mente =") essi portar la pena. Nientedimanco questi dubbii potenti alla per fine furono deboli a raffrenarli. Perocché, come sempre accade, V insofferenza del male presente vin- se e superò il timore del futuro. E di vero l'amore della patria e lo sdegno dell' avere a cedere agli inferiori ogni animo nobile turba ed accieca forte. Aveva la nobiltà Pia- centina tollerando la signoria di Pier Luigi di Ghibellina a divenir Guelfa, di superiore al popolo farsegli eguale o inferiore, oltre alla perdita della maggioranza de'loro sud- diti , ed all'avere a divorarsi molte indegnità fatte loro da' ministri ducali 5 alle quali cose non furono di picciola giunta ^) le calde promesse del Gonzaga a nome dell'Im- peratore , non ^) averli a separar mai dalla sua corona, e con tutte le sue forze da qualunque nemico tenerli guar- dati ed altamente premiali. I congiurali danno la morte a Pier Luigi. XLII. Sì che veggendo essi che il Duca sollecitava il compimento della fortezza, la quale posta in punto avreb- be lor dato troppo più briga all'eseguir l'impresa, e forse anche spronati dal Gonzaga per lo timore che ^) Pier Lui- gi fortificatosi non si fosse posto nelle mani de' Francesi, da' quali era già per la città bisbigfio aver lui gran nu- mero di danari ricevuto , a di 10 del mese «^ di Decembre, a) Nel secondo manuscr. c/(/e/to«ie/i- e) Nel secondo msinasc. il non, te essi portar le pene. A) Nel primo manuscr. di. b) Nel secondo manuscr. aggiunta. e) Nel primo man. manca del meig. ISTORIA d' ITALIA I 27 acciò che il fine di quest' anno i 547 ^' tratllmenlo e di sangue dal cominciamenlo nondifTerisse, separalamento l'uno dall'altro congiurato sull'ora ") del desinare nella" fortezza condussersi, da'loro servienti e familiari accompagnati in nu- mero non più die ^) trentasette. I signori de' nostri tempi che non hanno apparato *=) dalla vigilanza e dal dispendio poter derivare la loro sicurezza, per minor briga e per mag- gior risparmio hanno per costume non dar mangiare nelle lor case alla lor corte, ma per giornata pagarla, che da sé si procacci il vivere. E perciò desinato che essi hanno, le lor case rimangono presso che vote, andando ciascuno a desina- re altrove. Quest'ora pensatamente fu appostata da'conglurati a mandare il loro proponimento ad ^) esecuzione, non cu- rando della nsitata guardia Tedesca della fortezza. Perciocché Pier Luigi fidatosi nella potenza ed autorità del Padre per avanzai" danari con poca gente guardavala. Entrò prima degli altri nella fortezza e dentro le camere '") ducali l' An- guisciola, e facendo vista per sue faccende desiare dal pa- drone essere udito, appoggiossi ad una finestra per istare alla vedetta 0 quando i compagni giugnessero : i quali r un dietro l'altro e) secondo l'ordine posto ^) comparvero tutti. Ma air arrivar dell' ultimo sul ponte che fu il Conte Agostino Laudi destinato ad ammazzar ') la guardia della I prima porta (che l'uccisione d'un' altra poca ch'era in sala fu commessa a'fratelli Pallavicini ed al Gonfalonlero), r Anguisciola prima che di giuso potesse il rumore a Pier a) Nel secondo manuscr. all' fiora. f ) Ne' due manuscr. vendetta. ' b) Nel primo manuscr. f//. g^ Nel secondo mAn. dietro aH\altrO' e) Nel primo manuscr. approvato. h) Nel primo manuscr. lesto. d) Nel primo manuscr. (■«. i) Nel secondo manuscr. all' am- e) Nel primo manuscr. nelle camere. mussare. ia8 PORZIO Luigi salire, si sospinse dentro alla camera di lui, accom- pagnato da due soli. E trovatolo a sedere ed in ragio- namento con Camillo di Fojano e Giulio Cappellaro , avvicinatoglisi quasi parlar gli volesse, e ad un tempo me- desimo tratta fuori la spada, lo ferì sopra la testa e nel petto, e cavogli l'anima. In tanto il Landi , il Gonfalo- niero , ed i Pallavicini messa mano all' alabarde de' Te- desclii colle loro proprie armi li ferirono e fugarono , e levato il ponte, senz'altro contrasto della fortezza s' in- signorirono. D. Ferrante Gonzaga per V Imperatore s impadronisce di Piacenza. XLIII, Corse la fama velocissima riportatrice del male per la Città, la fortezza essere stala occupata e preso il Duca. La qual voce giunta all'orecchio d'Alessandro da Terni, accompagnato da' Capitani Ducali e dalla milizia della Città ann.Tta , in un momento di tempo appresentossi davanti alla fortezza '') per riaverla e renderla libera al Pa- drone. Trovavansi pertanto ^) i congiurati a malvagio par- tito per esser pochi e dover resistere a molli , né su- bilano ajulo da niuno attendendo fuorché dalla città che vedevano nemica. Pure scarsi di miglior consiglio 0 occorse loro , quelle genti farsi animose per adempire il dovere con esso il Duca lor Signore , e che mostrandoglielo '') morto verrebbe ^) in parte a diminuire il loro ardimento. a) iVel secondo manuscr. la fortezza. di) Nel secondo manuscr. mostrando- b) Nel primo manuscr. tiatanlo. gliene. e) ?fcl pr. mauu8. dipartilo migliore, e) Nel secondo jnauuscr, verrebbono^ ISTORIA d' ITALIA 1 29 Preso perciò il morto e sanguinoso Pier Luigi, ed attacca- tolo per un piede ad una delle finestre che più si veg- gono d' insù alla ^) piazza, il ferono pendere miserabilmenlo agli occhi di tutta la città. Spaventò quest'orribile spet- tacolo i Piacentini , e troppo più i capitani del Duca contristò e smarrì, come se fosse opera perduta 1' esporsi a periglio senza speranza di riaver il padrone ^ maggior- luente che i congiurati nel rappresentar loro il morto Du- ca mandarono fuori voci di molto riguardamento, a più lor j)otere gridando Libei^à ed Imperio j dalle quali compren- devasi la fortezza esser nelle mani dell' Imperatore vici- nissimo e potentissimo Principe, e per esso promettersi a Cittadini viver libero. Questo abbassamento di animo de' popolari e de' soldati e ministri ducali fu conosciuto dagli altri nobili Piacentini parenti de'congiurati, e forse del fatto partecipi; e senza perder tempo e con lieve faliga persua- derono il popolo a dissarmarsi , ed a' Capitani del Duca a dipartirsi. I quali la notte vegnente colmi di mesti- zia e di vergogna se ne uscirono , prendendo cammino verso Parma ^), ed avendo prima in sul far della sera ve- duto che i congiurati, tagliata la fune, alla quale era il lor Principe appiccato, opprobriosamente 1' avevan lasciato nel fosso della fortezza cadere. Era il Gonzaga da Milano venuto a Cremona per approssimarsi all'acquisto se gii succedeva ; di cui avuta lieta novella , accompagnalo da parecchie schiere di soldati , subitamente da' congiurati si trasferì, ed alla Signoria dell'Imperatore sottomise la a) Nel primo manuscrìuo la piaz- b) Nel secondo manuscr. inverso a *»■ Parma. n J 3o PORZIO fortezza e la ciltà insieme. Fattogli dappoi la pietà della fragil condizione umana dimenticare ogni oflesa , rivolse l'occhio air infranto e compassionevol corpo del Duca Pier Luigi : e parendogli quel fosso indegna sepoltura del figliuolo del più reverendo Principe de' Cristiani , padre di tanti Signori, e suocero di due figliuole de' primi Re del mondo, nel fé trar fuori, e riporre in chiesa in uà sepolcro di legname , e di drappo di seta coverto. Il Gonzaga proccura insignorirsi di Parma. XLIV. Ottenutosi =■) da D. Ferrante il pieno dominio di Piacenza, secondando il corso di tanta prosperità, egli rnandò a chieder anco il possesso di Parma a' cittadini ed al Conte di Santa Fiore , che dimorando nel terri- torio di lei , udita la morte del Duca suo zio , era vi corso dentro : da' quali ebbe egli in risposta essi non volere per niun partito partirsi dal mansueto imperio della Chiesa. Dicesi con tutto ciò aver lui avuto in pen- siero insignorirsi di Parma forzevolmente, ma non averlo impreso per esser ^) la Città Guelfa, e confermata dalla presenza del Medichino che fu appresso il Onarto Pio j il quale al governo di Bologna trovandosi, udita la per- dita di Piacenza , adunò con grande celerità non poche centinaja di fanti e posevele dentro. Sicché il Gonzaga non pensando ad altro che a questo <=), con gran soUeci^ a) Nel primo manager, questo (rat- sino alle parole pnsevele dentro. lo da ottenutosi sino alle parole ini- b) Nel primo manuscr. manca esser. perio della chiesa è posposto all'ai- e) Nel secondo maauscr. ad altro irò tratto seguente: Dicesi con tutto ciò acquisto. ISTORIA d' IT.VLI.V i3i indino e iirovvcdiinenti , diedcsl a slabilire l'acquistato^), dando fine alle fabbriche incominciate per render forte Pia- cenza, e dell'altre'^) principiandone che per maggior sicu- rezza gli parvero necessarie. E convenendogli rivolgere a Blilano, lasciò quella città con grosso presidio Spagnuolo alla fede e custodia di D. Garzia Manriquez '=). Non si creda'') niuno essermi*^) nascosto quello, di che fanno al cuni memoria , Pier Luigi aver sentito non so che odore di questa congiura, e per assicurarsene nelle montagne di Parma aver mandato il suo viceduca Barloloraraeo Villa- chiara ad allogare') fanti ^ per lo cui indugio e negligenza lui essere perito. Perchè oltre a ciò io ho autori di non picciola fede che scrivono, il padre molto dedito all'astro- logia averlo reso accorto che dal dì decimo di dicembre in là egli alla sua salute avesse cura. Le quali cose se così furono , troppo disavvedutamente il Duca Pier Luigi s) rovinò sé e defraudò il giudicio degli uomini che iulìno a quel punto lo stimarono d' ingegno. La qual trascurag- gine fu cotanto più biasimevole a lui che al principe Dò- ria, quanto che il fresco inganno fatto al Principe dove- va'') essere perpetuo suo documento. Ma per avventura il voler divino colla percossa di lui volle rammentare al Pon- tefice Paolo che chiunque si avviluppa ne' lacci del mon- do diventa preda della fortuna. a) Nel primo Tn&naicr. l' actjfuisto. f) Nel secondo manuscr.arZ nMoWar. b) Nel secondo niamiscr. e J' altre. g) Nel secondo manuscr. P/er I,tii' e) Nel secondo maiiuscr. Manriclte. gì Farnese. d) Nel secondo manuscr. credea. li) Nel primo manuscr. mancano le e) Nel primo manuscr. esseni. parole quaiUo che sino a doveva. i RELAZIONE DEL IKDl® ©1 ìfAIPOlLII AL MARCHESE DI MONDESCIAR VICERÉ DI NAPOLI DI CAMILLO PORZIO Tra il 1577 e 1579. ALL' ILLUSTlUSSIiMO ED ECCELLENTISSIMO SIC. D. INNICO LOPEZ DE MENDOZA MARCHESE DI MO.NDESCIAR i. VICERÉ E CAPITAN GENERALE NEL REGNO DI NAPOLI. lu opinione^ che vive fra" Principi odierni , che essi non debbano affaticarsi molto nello studio delle lettere per non fraudare i lor negozii del tempo che si spende nel leggere, sa V.E. assai meglio di me quanto si sia discosta dal vero : ed appare mani- festamente di esser falsa '^ perocché le lettere con pili hrei>ità e con più contezza insegnano il governo po- litico ed il maneggio degli stati , che non fa V uso o la sperienza di quelli', e colui, che legge, si risolve meglio e più presto nelle azioni del mondo, che non fa il Principe idiota , il quale per assai consigli e dispute è costretto di venirle alfine delle sue deli- berazioni. U istessa utilità portano le lettere in tutte le altre scienze , e particolar'mente nella cognizione de* mari, de' paesi, della natura degli uomini e de'bru- ti. Il che essendo vero , come è , io ho preso ardire di pT'esentare a V. E. il sommario delle più notabili cose che si contengono nel Regno di Napoli , poco fa meritamente stato sottoposto da Sua Maestà al 7'eggimento di Lei. Il quale sommario degnandosi V. E. di leggere , spero che le darà in poche ore quella vera notizia delle parti e di tutto il Regno^ che non farebbe in molti mesi il governo di esso : e conoscendo io di esserle grata questa fatica^ mi darà animo di farne delle altre maggiori. Intanto prego il Signor Dio , che conservi lunghissimamente Sua Illustrissima Persona. DEL REGNO DI NAPOLI I 1 Regno di Napoli è quasi il terzo dell' Italia 5 ha for- ma di penisola j non confina con altro stato che col- r Ecclesiastico, ed il resto vien circondato dal Mar Tir- reno , Siciliano , Jonio , ed Adriatico. Confina coli' Ecclesiastico per lo spazio di cento cin- quanta miglia , cioè dal fiume Ufento che sbocca nel Mar Tirreno infino al Fiume Tronto che entra nel iMare Adriatico. Il circuito del detto Regno è da mille e cinquecen- to miglia. È di lunghezza cinquecento miglia incominciando dalla terra della Leonessa di Abruzzo infino al Capo di Sparlivento posto in Calabria , benché si camini per li- nea curva. La sua maggior larghezza è da cento trenta miglia, cioè dal Capo della Campanella posto nel Golfo di Na- poli infino al Monte Sant' Angelo di Puglia. La maggior strettezza è dal Golfo di Santa Eufemia infino alla terra di Catanzaro in Calabria , e serra ^^ spazio di venti miglia. Il mezzo 01 esso sarà lu duglia presso la terra di Troja. 18 i38 PORZIO Ha il Regno vicino lo stato de' Veneziani a cento mi- glia di mare, del Turco a cinquanta, l'Africa a meno di dugento, la Sicilia ad un miglio e mezzo! Lo stato del Duca di Firenze gli è presso a cinquanta miglia di terra. È Regno, paragonato a' Regni di Francia e di Spa- gna, di piccolo paese, ma per altra qualità non inferiore ad alcuno di essi : anzi s' egli è lecito di far paragone delle cose minori alle maggiori è più abbondante e più armato e più ricco di loro. E della sua ricchezza ne fa certissimo giudizio il gran danaro che ne cava il Re , e quello che vi portano ogni anno i forestieri per comprar diverse robe. Del quale danaro che vi entra , non esce la decima parte : imperocché da' panni fini e ferri fini iu fuori i Regnicoli non sentono d' altro se non poco mancamento : e quelle due cose ancora in maggior parte le cavaaio da provincia assai vicina come è Toscana. È numerato dalla Regia Corte in fuochi 481 Sai, non numerandoci la Città di Napoli e suo distretto , né la Città di Benevento che è della Sede Apostolica. Ma per- chè i popoli per la gravezza de' pagamenti occultano il vero numero de' fuor.hi, si può credere che il Regno ascenda al numero di fuochi seicentomila. E diviso il Regno nelle infrascritte nove Provincie : Terra di Lavoro Terra di Bari Principato Ciira ed Ultra Capitanata Calabria Citra ed Ultra Contado di Molise Basilicata Abruzzo Ciira ed Ultra. Terra di Otvdnto BELAZIONE DEL REGNO Dt NAPOLI iSg Di Terra di Lavoro. La Provincia di Terra di Lavoro dall' Oriente ha il fiume Sarno, dall'occidente il fiume Ufenlo, da mezzodì il Mar Tirreno , e dal Selleutrione il Monte Appennino ^ ed i Latini parte ne chiamarono il Lazio e parte Cam- pagnaj e concordemente da tutti gli scrittori è stimata la più bella regione del Mondo per la temperie dell' aria , per la grassezza del terreno e per gli luoghi piacevoli e pescosi posti sopra la riva del mare. Onde i Romani in quella più che in altra parte presero i lor diletti; di che rendono fede le rovine de' lor superbi edificii, che si veg- gono in questa provincia e massimamente nel Golfo di Pozzuoli. La maggior parte d'essa è piana , ed abbonda di nobilissimi vini , principalmente del vin Greco 5 di assaissimi frutti j vi si fa il solfo , 1' alume di rocca , ed il sale^ vi nasce il lino sottilissimo, e del canape as- sai , che serve per le funi e per le vele delle galee j si tessono nella città di Napoli ogni sorte di drappi di seta con gran maestria j e si condiscono i frutti ed i fiori col zuccaro soavissimamente j e vi suuo legnajuoli, che di ta- vole., massimamente di quelle di noce, fanno artificiosi lavori; e finalmente il paese è pieno di tutto quello che fa bisogno al vitto ed al piacere umano : anzi in alcuna parte di esso sorgono molte acque giovevoli all'infermità^ La gente di Terra di Lavoro è per lo più altiera , vantatrice, pronta all'armi ed alle brighe, oziosa, e mal volentieri esce fuori di casa; veste pomposamente » *^0D" versa eoa molta creanza di parole <> 'li gesti. l4o PORZIO È questa provincia molestata grandemente da' terre- moti , e dagli incendii della natura , dalla quale è anco grandemente contra gì' ioimici difesa j perchè d' ogni in- torno viene serrata dal mare e dal Monte Appennino, e due o tre bocche di quello , per le quali dall' Ecclesia- stico si scende , possono esser chiuse dalle terre di Gae- ta e di San Germano. JE anche fortificata questa regione dall' acque di grossi fiumi , che corrono per lo mezzo di essa , e sono tre , GarigUano detto Liri da' Latini , Vol- torno , e Sarno. Ha quattro laghi , di Fondi , di Patria , di A verno , e di Agnano. Ha tre porti , Gaeta, Baja , e Napoli. Ha tre isole , Ischia , Procida, abitate, e Nisita iso- letta piacevole che ha grossa e forte torre. È numerata questa provincia dalla Regia Corte in fuochi 18237. Vi possiede il Re terre di demanio , Gaeta , Capua, Nola , A versa , Pozzuoli , Ischia , e Napoli. Vi tiene queste fortezze, Gaeta, Ischia, Baja, Ca- pua, Napoli, dove ne sono Ire, oltra la torre di S. Vin- cenzo , ed in Gaeta olirà la fortezza tiene anco un pre- sidio alla terra. Vi sono soldati del Battaglione fatti e da farsi, se- condo ordina la Pragmatica Regia, 2911. Ha questa provincia due Arcivescovati , Napoli e Capua. Ha venti Vescovati, Fondi, Gaeta, Sora , Aquino, Mont^casino , Sessa , Carinola , Venafri , Tiano , Calvi , Cajazzo , Cascitu , Aversa , Pozzuoli , Acerra , Nola , RELAZIONE DEL IIEGNO HI NAPOLI l4l Sani' Agaia , Alife , Telese , Ischia , de' quali a nomi- nazione del Re ve ne sono Gaeta , Pozzuoli , Acerra. Vi ha anco il Re beneflcii de jure patronato Begio a Napoli due solto il nome di Santo Luise, e S. Agnello e Santa Catarina , a Pozzuoli Santa Maria , ad Aquino S. Pietro, a Caserta S. Giovanni e Santo Andrea, a Ca- pua Santa Maria di Mater Domini , S. Lorenzo, S. Ma- ria Maggiore , ad A versa la Maddalena. Sono in Terra di Lavoro Baroni titolali, il Principe di Conca , il Duca di Sessa , il Duca della Rocca di Mondragone , il Duca di Soia, il Duca di Traetlo, il Du- ca di Maddaloni , il Duca di Somma , il Marchese della Torre di Francolise , il Marchese di Lauro , il Conte di Cajazzo, il Conte di Si fa in questa provincia due volte 1' anno nella Città di A versa una grossa fiera. Il Governatore di Terra di Lavoro è il Viceré di Napoli , che risiede nella detta città , ed è superiore a tutti gli altri Governatori delle provincie del Regno. Tiene per guardia quaranta Alabardieri Spagnuoli , cento gentiluomini a cavallo , cinquanta regnicoli , e cinquanta Spagnuoli , che si chiamano continovi, e per guardia del suo palazzo vi stanno soldati Spagnuoli al numero di cinquanta. La Città di Napoli pienissima di popolo e di no- biltà, ornata di edificii, di forti, e di giardini piacevo- lissimi, non è solamente il capo di Terra di Lavoro, ma di tutto il Regno , in modo che ciò eh' ella fa in ser- vizio o di servizio del Re è seguito da tutto il reato. Vi è la zecca dove si batte il danaro di mito il Regno, vi t^2 PORZIO è lo studio generale, ed assai uomini doti! nelle leggi. Ha molti privilegii che non hanno le altre Città del Regno, ed il maggiore, che ogni cittadino suo possa chiamare alla Corte di Napoli qualunque regnicolo per qualsivoglia cosa, che pretende da lui, ed esso non possa esser chiamato in altra Corte che nella propria. Sono iu detta Città più Tribunali che servono a lei ed al Regno. Il Tribunale della Zecca ha cara de' pesi e misure. Il Tribunale della Gran Corte della Vicaria agita cause di non molta importanza, e le criminali. Il Consi- glio di Capuana tratta le più gravi liti del Regno, e ri- ceve r appellazioni civili e criminali. Il Tribunale della Camera ha cura delle entrate e patrimonio del Re. II Consiglio Collaterale spedisce le suppliche che si danno al Viceré per diversi negozii. Il Consiglio dello stato in- tende le cose i^ertinenti alla guerra ed alla difensione del Regno, Vi tiene anco il Re tre Avvocati , 1' uno contra i delinquenti, l'altro a difesa del suo patrimonio, il terzo a difesa de' poveri. Questa Città è privilegiata ancora di corpi di San- tissimi Martiri e principalmente del Vescovo Gennaro , il capo del quale incoalrandosi col sangue di Ini che pienamente si conserva , di durissimo , che egli è , si li- quefa in modo che par che bolla. È ancora in Terra di Lavoro il ricco Monastero di Monte Casino, dove si riverisce il venerabile corpo di San Benedetto. nELAZIOKE DEL REGNO DI KAPOU l^'i Di Principato Citra , ed Ultra. Appresso Terra di Lavoro seguita la provincia di Principato, lo quale dall'Oriente ha il fiume di Casiro- cucco, chiamato da' Latini Laus, ed al presente da molli si dice Laino, e dall'occidente ha il fiume Sarno. Gli an- tichi abitatori di lei furono Picentini e Lucani. È regione montuosa e selvosa ed in alcun luogo asprissima^ produ- ce legni da far vascelli ; abbonda di ghiande e di porci per la moltitudine di boschi , che sono ancor causa che molti de' paesani diventino ladri j vi si nutrisce assai be- stiame minuto j vi si fa della carne salata e del formag- gio j vi si conciano delle pelli j e vi si raccoglie delle nocelle e del lino grosso. Le marine di essa sono così copiose di pesce che in alcun luogo si sala, e le costiere di quella sono pienissime di cetrangolo , di cedri , e di limoncelli , che si sogliono condurre per mare alla Città di Roma , siccome anche si conducono di Terra di Lavoro e di Calabria , nelle quali tre sole provincie sono quasi tutti i vascelli del Regno , e sono di forma piccola, e si chiamano barche, falluche , fregate, e navilii , e vi sa- ranno anco da . . . navi. La gente di questa provincia è fatigata, jiovera, in- dustriosa; e tra gli altri vi sono gli Amalfitani già eccel- lenti marinari e che ritrovarono il navigare colla calamita dagli antichi non conosciuto. Abitano e vestono rozzamen- te, siccome anche si fa per la Calabria, e per la mag8'°f parte del Regno ; ed il loro maggior traffii"'» ■*' presente e con muli di sujud, il uuuiero de' quali si crede che pas- l44 PORZIO sino i settemila, ma sono muli piccoli e non simili a' Fio- rentini. Tengono anche lo studio generale nella città di Salerno che non può crear dottori se non nelle medicine. Per esser il Principato un paese così dentro di terra come sopra il mare , e per non aver porti capaci di ar- mate , non teme molto de' nemici , e perciò anche il Re non vi tiene fortezza alcuna. Corrono per esso assai fiumi, ed il maggiore è il Sele detto dai latini Silaris, che trasforma in sasso le frondì ed i legni che vi cascano dentro. Vi è il fiume Vicen- tino , quello della Molpa e di Policastro. Ha un lago chiamato del Vallo di Diano. Ha due isole , Capri grande ed abitata , la Licosa piccola e deserta. E numerata dalia Regia Corte questa provincia in fuochi 78097. Vi possiede il Re terre di demanio, Sorrento, Massa, Capri , la Cava , Marsico nuovo , e Maratea. Vi sono soldati del Battaglione 3094. Ha questa provincia quattro Arcivescovati , Amalfi , Sorrento , Salerno , e Consa. I vescovati sono ventisei , Castellammare , Vico , Massa , Lettere , Scala , Capri , Minori , Nocera , Sarno, Ravello , Cava , Marsico , Acerno , JN'usco , Policastro , Campagna , Monteverde , Caggiano , Cedogna , Capaccio, Montemarano , Sant' Angelo , Avellino , Ariano , Vultu- rara , Vico della Baronia. De' quali a nominazione del R« sono Salerno, Castellammare, Ariano. I beneficii de jur'e Patiunafo Regio sono nella Diocesi di Capaccio , S. Egidio di Altavilla, e S. Miite;-, tlel Barello. RELAZIONE DEt REGNO Dt NAPOtt ì ^5 I Baroni titolali di Principato sono il Principe di Salerno, il Duca di Amalfi, il Duca di Nocera, il Duca della Tripalda , il Marchese di Campagna , il Marchese di Casalalbero , il Marchese di Padulo , il Marchese di Brienza , il Conte di Altavilla , il Conte di Montecalvi , il Conte di Policastro, il Conte di Montemiletto, il Conte della Rocca dell'Aspro, il Conte di Sarno, il Conte della Torcila , il Conte di Serino. Si fa in questa provincia due volte l'anno una gran fiera nella Città di Salerno. Essendo il Principato paese grande è diviso in Citra ed Ultra^ ed ha due governatori. L'uno di essi cioè quello di Principato Citra risiede nella Città di Salerno ed ha seco due giudici , che si chiamano Auditori. II Governatore di Principato Ultra risiede nella Terra di Avellino ed ha due Auditori. L'uno e l' altro di essi ( siccome fanno ancora lutti gli altri governatori del Re- gno ) hanno dal Re un Avvocato Fiscale, un Avvocato per gli poveri , un Segretario , e per la guardia alquanti Alabardieri Italiani e molte famiglie di corte col bargello che vanno perseguitando e prendendo i malfattori ed i banditi della provincia. In questi paesi nella Città di Amalfi è veneralo il corpo del gloriosissimo Apostolo Santo Andrea, che butta fuori un liquore giovevole all' infermità , che chiamano Manna , e nella Città di Salerno il Santissimo corpo del- l'Apostolo jd Evangelista Matteo. E nel Monte delfe Vergine è un tempio di tanta religione , che non vi si mangia mai »^ ^a^te -> né carne, e poetativi subiiaraeote marciscono j e la religione ds' ^9 l46 !> 0 R f I 0 frali di quel tempio non si trova in altro luogo fuorché in Terra di Lavoro, Di Calabria Cltra ed Ultra. La provincia di Calabria Citra ed Ultra ha dall' O- viente il Golfo di Taranto , dall' Occidente il detto fiume di Castrocucco y dove termina il Principato. Nella quale abitarono già Bruzii e Greci , onde acquistò il nome di Magna Grecia, ed è la maggior provincia di tutte le altre del Regno , posta sopra il mare per più di trecento mi- glia. E benché sìa montuosa è nondimeno abbondante di grano , di olio , di perfetti vini , che in gran quantità si conducono per mare alla Città di Roma. Produce legni da far vascelli , e grandissimi ed altissimi alberi , le carni da mangiare ottime, e vigorosi cavalli. Ma sopra ogni altra cosa abbonda in tanto di seta che ne dà a tutta r Italia ed a molti luoghi di fuori, Sonovi anco presso la terra di Stilo le miniere del ferro, e vi sareb- bero di azzurro simile all' oltramarino e di argento e di oro, se fosse più il guadoguo che il dispendio a cavarle. Vi casca dal cielo la Manna utilissimo medicamento ; vi si fa gran copia di zuccaro , di mele , di cera , di pece , di trementina , di bambagia , di tela , di formag- gi. Vi sono gran cacce di animali selvaggi, ed in alcuna parte in luogo di candele abbruciasi del legno di teda. Pigliasi nelle marine di lei e si sala gran quantità di pesco , e tra gli altri pigliasi il pesce spada di smisurata grandezza e Ji eccellente carne. Fa grandissima copia di sale ^ non tanto di acqua cU uiatc , ^uaato di pietre RELAIIONE DEL AEGWO DI NAPOLI l47 che si cavano da' monti , ed è più perfetto del marino: vi si pesca anche del corallo. Usano i Calabresi più di tulli i regnicoli il mare e vi riescono buoni marinari : sono acuti d' ingegno e pieni di astuzia , forti e nervosi , atti a patir sete e fa- me , coraggiosi e destri nel maneggiar le armi, e sareb- bero senza dubbio i migliori soldati d' Italia , se non fossero instabili e sediziosi. Da qui nasce che la pro- vincia sia sempre piena di fuorusciti e di ladrij la quale quantunque sia circondata dal mare , nondimeno per es- sere le riviere di quella piene di scogli e sassose , e sottoposte al vento di Maestrale e di Libeccio , e per non avere dalla fossa di S. Giovanni in fuori porto ve- runo, non può ricevere molto danno dall'armate nimi- che j e perciò il Re vi tiene poche fortezze e quelle mal fornite. I prindpali fiumi di questa regione sono quello di Terranova detto da' Latini Metauro .... Ha sette Isole già chiamate Eolie , delle quali al presente non è abitata fuorché 1' isola di Lipari. La Calabria Citra ed Ultra è numerata dalla Regi* Corte in fuochi 106129. Vi possiede il Re terre di Demanio Catanzaro, Man- tea , Tropea , Scigliano , Rossano , Longobuco , Belmon- te, Motta Siderone, Stilo, Cosenza, Taverna, Reggio, Cotrone , Santa Agata , Policastrello , Lipari. Vi tiene queste fortezze Mantea, Cosenza, Cotrone, Tropea , ed in tempo di sospizioue di armata Turchesca il presidio a Cotrone. Vi snno fanti Hi tattaglioac 5iiO> 14" PORZIO Ha la Calabria quattro Arcivescovati Cosenza, Reg- gio , Rossano , Sautaseverina. I vescovati sono ventiline , Cassano , Nicastro , Ca- tanzaro , Tropea , Oppido , Cotrone , Girace , Squillace, Nicotera , Bove, Marlorano , Bisignano , Briatico , San Marco , Belcastro , Isola , Sitomense , Fiorentino , Stron- goli , Mileto , Cariati , Lipari j de' quali a nominazione del Re sono Reggio , Cassano, Tropea, Cotrone, Lipari. I benefìcj de jure patronato Regio sono a Reggio S. Ma- ria della Cattolica , a Cotrone Santa Maria de Protospa- tariis, a Catanzaro S. Gio. Batista, Santa Maria, S. Gior- gio , S. Vitigliano. Ha la Calabria Baroni titolati il Principe di Bisi- gnano , il Principe di Mileto , il Principe della Scalea , il Principe di Squillace , il Duca di Castrovillari, il Duca di Seminara , il Duca di Monteleone , il Duca di Moa- talto , il Duca di Terranova , il Marchese d' Atena , il Marchese di Castelvetere , il Marchese di Laina, il Mar- chese di Santo Lucido, il Marchese della Valle, il Conte di Briatico, il Conte di Condejanue, il Conte di Marto- rano , il Conte di Nicastro , il Conte di Sinopoli , il Conte di Santa Severiua , il Conte di Siiubari. Tiene il Re in questa provincia la razza de' cavalli. Vi si fanno a Monteleone due gran fiere per la Mad- dalena e per San Luca. II Governatore di Calabria sta nella Città di Cosen- za con tre Auditori. In Calabria è San Stefano ricco Monastero di Cer~ tosini , « vi riposano l' ossa del Beato Bruno. RELAZIONE DEL REGNO DI «APOLI 1 49 Di Basilicata. La provincia di Basilicata è quasi tutta dentro di terra , fralla Calabria , Terra di Otranto , e di Bari , ed ha solamente verso I' oriente nel Golfo di Taranto , dove finisce la Calabria, un piccolo spazio di mare. Abitarono già in essa Greci e Lucani. Abbonda di grano , di be- stiame grosso , e di formaggi. I paesani vivono e vestono grossamente j sono più inclinati all' agricoltura e ad altri servigi personali , che al maneggiar 1' armi ; e non potendo per mare cavar fuori della provincia tutto il loro frumento , insieme cogli uo- mini di Principato lo portano a schiena di mulo a' popoli vicini che ne hanno bisogno , e conducono anco in Terra di Bari di molte some di galle che di là si navigano a Venezia per tingere i panni. Questa provincia per esser dentro di terra è senza gran città e senza uomini guerrieri. I Re di Napoli non pensarono mai di farci delle fortezze ^ sì che sareb- be preda di qualunque esercito che fosse padrone della Campagna. Corrono per essa il fiume Vasento sino È numerata dalla Regia Corte in fuochi 38743« Il Re vi possiede due piccole terre di Demanio, La- gonegro e Tramutole. Vi ha fanti del Battaglione i537. I Vescovati sono Potenza, Venosa, Anglona, Trira- rico, Montepeloso, Muro, Melfi, Marsicq. A «ouiinazione del Ro è Potenza. i5o Ponzio I Baroni titolati di questa provincia sono il Prin- dpe di Melfi , il Principe di Stigliano , il Principe di Venosa , il Marchese di Lavello , il Marchese di Riolo , il Marchese di Turso , il Conte di Potenza , il Conte di Saponara. II Governatore di Basilicata è i' istesso di Principa- to Citra. Di Terra di Otranto, La provincia di Terra di Otranto dalla parte del Mare incomincia al territorio di Taranto , che T è dal mezzodì , e finisce a quello di Brindisi postole a tra- montana. I Latini la chiamarono Salentini , e non sola- mente è la estrema provincia del Regno , ma di tutta r Italia. Non perciò è 1' ultima di qualità, essendole con- cesse dall' arte e dalla natura molte doli. Imperciocché vi è una saluberrima aria , gli animali che si mangiano d' ottime carni , abbonda di eccellenti cavalli , di muli , e di somari alti e grossi al pari de' muli. Il mare, mas- simamente quello di Taranto, è si copioso di pesce , che diede maraviglia a' Romani dominatori del mondo. Il terreno quantunque sia pieno di sassi , produce olio , zafferano , bambagia, e vino in gran copia , e , quel che è più di considerazione , per la gran quantità dell' olio mancando a' paesani i vasi da serbarlo ne empiono i poz- zi , il sasso de' quali è di tal natura che non lo suga. Vi si fa anche il sale , e la regione è tutta abitata , ed ^a grosse città dove concorrono molti mercatanti fore- stieri e aa Rpgno a far diversi traffichi , ma più per condurre dell' olio nella ]juuitr«rd:« « nella Città di Ve- « BELAIIONE DEL REGNO DI NAPOII l5l nezia , dove da qui e da Terra di Bari è un frequeiitis- sinio commercio , e vi sì portano non che altro i ce- trangoli ed i limoncelli. Viene alle volte infestata questa provincia da' bruchi animaletti che distruggono i semi- nati , siccome anche accade alla Puglia : ma qui sono in parte divorali dagli uccelli Gavii. Gii uomini del paese sono armigeri e coraggiosi tanto che fuggono il naviga- re, siccome avviene al resto de' Regnicoli che abitano le riviere del Mare Adriatico j il che nasce dalla grassezza del paese. E perciò i marinari , pescatori , e legni che usano in questo mare , escono quasi tutti dal dominio Veneziano. Lavorano nella Città di Lecce a meraviglia il cerarne formandone diverse cose. Gli uomini Otrantini han preso molti costumi da' Greci non solamente per la vi- cinità delle regioni , ma perchè fra di loro vi sono assai torrette di abitatori Greci passativi ad abitare per la co- modila , e per le persecuzioni che sostennero gli anni passati dalla nazione Turchesca. Non può esser questo paese facilmente dall' armate nimiche assaltato sì perchè come si è detto abbonda di fanti, di cavalli, e di terre grosse ed alquanto fortifica- te , si perchè i lidi del mare sono pieni di scogli e pri- vi di ridotti , e grandemente infestati dal vento Levante e Greco. E ben vero che per esser Terra di Otranto pros- sima allo stalo del Turco cinquanta miglia , sta in mag- gior pericolo di ricever danno da lui che tutto il restante del Regno. Questa provinda e le altre due , che seguono , per la soverchia caldezza dell' aere non salano le «»'0i j Jl che anche si attribuisce all' ;«»i.cri«lone del lor sale, ben- l52 P 0 R Z IO che nella Città di Taranto si sali il pesce ottimamente. È ancora regione molto secca , e non vi è altro maggior fiume che quello chiamato Galise, Ha due porti nobilissimi per quanto siano per tutta l'Europa, Taranto e Brindisi. Egli è vero che la bocca di quello di Taranto è stata da sassi e dal terreno ripie- na , in modo che non vi possono entrare legni grossi. Il che mi persuado che fosse fatto da' paesani al tempo de' Saracini per privarH della commodità di quel porto. Quello di Brindisi è stato medesimamente dal terreno in alcuna parte diminuito. Vi è anco una piaggetta che serve per porto alla Città di Lecce , nominata S. Cataldo. Ha un lago piccolo, ma pescoso, chiamato. ... Terra di Otranto è numerata dalla Regia Corte in fuochi 50874- Vi possiede il Re terre di Demanio Otranto, Ostuni, Lecce , Sguinzano , Gallipoli , Taranto , Brindisi. Vi tiene queste fortezze Otranto , Gallipoli , Taran- to , Lecce , Brindisi , dove ae sono due , ed un fort e j e tiene anche munita la Torre della piaggia di S. Catal- do , ed in tempo di sospezione di armata Turchesca da Lecce in fuori pone anco il presidio nelle sopraddette terre. Vi sono soldati di Battaglione 2543. Ha questa provincia tre Arcivescovati Taranto , O- trantp , Brindisi. I Vescovati sono Mottola , Castellaneta , Ostuni , Castro, Gallipoli, Lecce , Ugento , Leucadense, Nardo. A nominazione del Re sono Taranto , Gallipoli , Ugento, Otranto, Brindisi, Mottola. I beneficj de jure jtalronaio Regio sono a Lecce i„ Trinila , S.Tommaso» Santa Ma-» I RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI l53 ria del Paradiso , S. Martino , S. Niccola , S. Leonardo, a Brindisi San Dionigi. Baioni titolati sono il Duca di Martina , il Duca di Nardo, il Marchese di Corigliano, il Marchese d' Oria, il Marchese di Convertine , il Marchese della Terza, il Mar- chese di Specchia , il Conte di Misciagna , il Conte di Ugento , il Conte di Castro. Si fa nella città di Lecce una grossa fiera per la fe- sta dell' Annunciata. Risiede il Governatore di questa provincia nella città di Lecce con tre Auditori. Si conservano in questa Regione nella città di Otran- to r ossa degl' infiniti cittadini , che morirono martiri per la nostra fede nella presa di questa città fatta da' Tur- chi r anno i43i. Di Terra di Bari- Terra di Bari ha nell'oriente il territorio di Brindisi, dall' occidente il fiume Ofauto , e fu chiamata da' Latini Apulia Peucezia. E benché sia piccola provincia , per bontà del terreno e per moltitudine di terre non è in- feriore! a nessun' altra del Regno, e forse d'Italia. Abbon- da di grano, d' olio , di zafferano , di bambagia, di vino, di salnitro , di sale , e di mandorle in tanta copia che vi si veggono boschi di quegli alberi. Per le quali cose vi concorrono assai mercanti. Vi si confettano i passi, il. . . . e le mandorle eccellentemente. Il paese è tutto piano, e produce uomini poco atti alla fatica della gufi^-^ '•> e per- ciò potrebbe esser offe&n àsìU pane del mare e dalla l54 PORZIO terra , ancorché il Re l' abbia fatto in alcuna delle sue città alquanto forte. E ben vero che dalla parte del mare è più sicuro che di terra , non essendovi porto alcuno. È la piaggia molto pericolosa, stando sottoposta alle tra- versie di Tramontana e di Greco , ed il lido del mare ha si poco fondo che è necessario alle navi che van- no in quelli luoghi di stare discoste da terra un lungo spazio. E siccome il mare non è copioso di pesce , così la terra ha tanta carestia di acque che sarebbe di gran- de impedimento alle armate ed agli eserciti che la vo- lessero assaltare. Dalle quali cose chiaramente appare le tenute fortezze dal Re con tanto dispendio sopra questa marina di Terra di Bari esser quasi inutili. E numerata dalla Regia Corte in fuochi 3886i. Vi possiede il Re terre di Demanio Trani , Barlet- ta, Bari, Monopoli, Bitonto , Bisceglia. Le fortezze sono a Barletta , Trani, Bari, Monopoh, nelle quali terre in tempo di sospezione di armate nimi- che vi pone anche il Re il presidio : lo stesso fa nella terra di Bisceglia. Ha fanti di battaglione 1942. Ha tre Arcivescovati Bari, Tram, Matera. I Vescovati sono quindici Gravina , Bitonto , Mol- letta , Giovenazzo , Ruvo , Polignano , Minervino , Con- versano , Bitetto, Andria, Bisceglia, Monopoli, Rapolla, Alessano , Canne. A nominazione del Re sono Trani Matera, Giovenazzo. I beneficii de jure patronato Regio sono a Bari il Priorato, Tesorerato, Cantorato , Sottocan- torato, e lo. metà de' Canonicali di S. Niccola, e la Cap- pella di S. Ludovico, a Barletta S. Silvestro, a MoDO- » HELAZIONE CEL HEGNO DI NAPOLI l5S poli S. Lucia, S. Kiccola, a Molfella la Cappella tlell' al- tare maggiore del vescovato , a Traili la cappella Reale dentro l'arcivescovato, ad Altarnura l'arcipretato. I Baroni litolati di terra di Bari sono il Principe «li Molletta , il Duca di Andria , il Duca di Gravina , il Marchese di Quarata , il Marchese di Polignano, il Mar- chese di Capurso , il Conte di Canosa. Si la in questa provincia nella Città di Bari una gran fiera per la festa di S, Niccola, e nella terra di Barletta un' altra per la festa di S. Martino. II Governatore di questa provincia è il medesimo di Terra di Otranto. Nella città di Bari in un ricco tempio si conserva- no r ossa del beatissimo S. Niccola, dalle quali esce un liquore giovevole all' infermila , che i paesani manna lo dicono. Di Capitanata , owero Puglia Piana. Distendesi la provincia di Capitanata, della da' La- tini Apulia Daunia , dal fiume Ofanto al fiume Trigno ^ tiene il primo dall' oriente, ed il secondo dall' occidente. È provincia assai giovevole alle altre del Regno , ma in quanto a sé è la più inutile che vi sia^ perchè è malis- simo abitata, di non buona aria , priva di alberi e di le- gna , poverissima di acque. La state viene infettata da grandissimi caldi ed innumerabili mosche e gran copia di serpi. Gli uomini sono inetti all'arme ed alle ìdiì'*ohey i cavalli deboli di forze. Dall' altro cant- |.ioduce questa provincia giauo , ui^.o ed altre biade in tanta quantità 1 56 PORZIO che veramente sì può chiamare il granajo non solo di ]VapoH e del Regno, ma di molte città d'Italia. Vi si fa il sale ed il salnitro 5 vi si .... nel verno, e nutrisce la maggior parte del bestiame del Regno che da' luoghi mon- tuosi e freddi discende al piano ed all' aria temperata di lei , ed in tanto numero che alle volte passa i mi- lioni. Discendono anco la state in essa infinito numero di persone a mietere il grano j e la natura contra il male delle serpi 1' ha anche dotata del rimedio, producendo in quelle parti assai cicogne chele divorano, le quali fanno il medesimo servigio in Terra di Bari. Nascono ancora nel Monte di S. Angelo erbe salutifere , che con gran dili- genza si cercano da' regnicoli e da' forestieri per com- porre le medicine. È di poi questa provincia principal membro delle entrate regie, rispetto della Dogana del be- stiame e delle tratte del grano che in essa si esigono , per causa della quale abbondanza ed entrata può essere desiderata da tutti i Principi vicini e lontani. Dalla parte di terra ha poche difese, e dal mare potrebbe essere grandemente offesa , se le fosse occupato il Monte S. An- gelo che le sta di sopra , siccome 1' occuparono i Sarace- ni, quando dominavano la Sicilia, e tennerlo molti anni, Kè bastavano i regnicoli a cavameli, se non fossero stati ajutati per mare dagli Schiavoni, che allora, ed anche di presente, frequentano molto questa regione e fannovi abi- tazione. Imperocché il Monte gira più di cento cinquanta miglia , ed ha aspre salite j e sopra di esso vi sono ac- qwp , piani, e boschi ed assai terre e castella. Ed ha il Lago diVaxo.no di un cupo fondo, e di circuito di trenta miglia, posto a lato al niuic, «Ito con poca fatica potrebbe RELAZIONE DEI REGNO DI NAPOII l Sy servire per un grande e sicuro porto. Per Io quale so- spetto e per avere Principi potenti iotorno, come sono il Turco ed i Veneziani, il Re in tempi sospetti custo- disce due terre del detto Monte, Sant'Angelo, e Yiesti. Corrono per la provincia , oltra il fiume Ofanto e Tri- gno , Fortore e Candelaro. Vi è il detto lago di Varano, e quello di Lesina, che producono grossissime anguille chiamati Capitoni j vi è il lago di e di Salpe con altri laghetti. Ha di rincontro 1' Isola di Santa Maria di Tremiti già detta Diomedea , ed è posseduta da' Canonici Regola- ri , che vi hanno un monastero in fortezza. È numerata questa provincia dalla Regia Corte fuo- chi 19649. Vi possiede il Re terre di demanio Manfredonia , Sansevero , Lucerà , Foggia , Viesti. Vi tiene due fortezze Manfredonia e Viesti , e po- nevi anche il presidio in tempo di sospezione di armate niraiche. Vi sono soldati del battaglione 982. Ha un Arcivescovato Siponto. I Vescovati sono Viesti , Larino , Lucerà , Ascoli , Bovino , Lesina, Troja, Volturara, Termoli, Salpe. I be- nefici! de jjire patronato Regio sono a Lucerà il Diacona- to , r Arcidiaconato, Tesorerato , Cantorato , e l' alterna- liva de' Canonicati. I Baroni titolati di della provincia sono il Principe di Ascoli , il Principe della Cirignola , il Duca di Ter^ moli, il Duca di Torre Maggiore, il Marchesf <*» Vico, il Conte di Marchia , il Marctcas di UelicetO. i58 p 0 K z I 0 Fannovi'si due fiere V anno nella città di Luceva, ed un' altra nella Terra di Foggia. Vi tiene anche il Re la razza de' cavalli. II Governatore di questa provincia risiede nella terra di Sansevero , ed ha due Auditori. Vi è anco il Doganiere di Puglia che esige nella Terra di Foggia la dogana del bestiame, e tiene uno Au- ditore che fa ragione a' pastori. Nel soprascritto Monte di Sant'Angelo è una divo- tissima spelonca , dove apparve l' Arcangelo Michele , e piamente si frequenta da' popoli vicini. E anco in questa provincia un Tempio celebre per tutto il Eegno dedicato a S. Leonardo liberatore de' pri- gioni e degli uomini posti in servitù. Del Contado di Molise. Se il mio giudizio non erra, i Re di Napoli nel di- videre le Provincie del Regno , non ebbero altra mira che alla grandezza del nome Regio ed alla facilità delle esazioni de' pagamenti fiscali ^ delle quali due cose 1' una ricercava molte provincie, e l'altra piccole. E perciò die- dero nome di provincia a questo Contado di Molise, la quale paragonandola alle altre provincie del Regno , non the dell' Italia, è piccolissima : anzi pare , che nella ste- rilità e fertilità del terreno, e nella qualità degli uomi- ni, e quantità degli animali, sia composta di pezzi di cia- scuna delle provincie fralle quali sta situata, cioè il Prin- cipato dilli' oriente , Abruzzo dall' occidente , Terra di Lavoro dal mezzodì , Caj^Uanftta ria traninntana. Fu già RELAZIONE DKL REGNO DI NAPOLI i5q abitata da' Sannitij è tutta sopra i monti, priva del marej noQ ha terre grosse , non fortezze , non fiere , una sola terra di Demanio del Re. £d ancorché alcun fiume pren- da il suo principio in essa, non di meno nelle altre pro- vincie piglia forza e nome : e per la picciolezza su a o per la poca ricchezza gli animali di lei, che vanno a pa- scolare nella Puglia, pagano di Dogana al Re la metà me- no di quelli di Abruzzo. La Terra di Demanio del Re è Isernia. E numerata' dalla Regia Corte in fuochi i55o6. Vi sono soldati di battaglione 7 Sa. Ha quattro Vescovati Isernia, Bojano, Trivento, Guar- dia alfiero, de' quali Trivento è a nominazione del Re. Baroni titolati sono il Duca di Bojano , il Marchese di Montenero , il Conte di Trivento. Il Governatore di questa provincia è il medesimo di Capitanata. Di Abruzzo Cifra , ed Ultra. Resta solamente di tutte le provincie del Regno a ragionare della provincia di Abruzzo , la quale dall' O- riente ha il fiume Trigno, e dall' Occidente il fiume Tron- to. Abitarono già in essa Frentani, Peligni , Vestini , e Sanniti. È molto grande e molto popolata , abbondevole di frumento , di pecore , di lane, di formaggi , di pelli , olio , seta , zafferani , e vini ; la buona carta da scrive- re j fa panni, principdmenle la terra di Tarantola e del- l'Aquila, e sono i pyiiiii Aquilani i miglioi' i^el regno. Imperciocché j 4^ DELL' ISTORIA D' ITALIA DI CAMILLO PORZIO. I. Proemio »» 4? II. Stato dell' Italia dopo il 1 544 '' 48 III. Paolo investe Pierluigi Farnese Duca di Parma e Piacenza >' 5o IV. Carlo V non riconosce una tale investitura. ■» 5\ V. Discordie trai Papa e V Imperatore ..." 53 VI. Pierluigi si stringe di parentado col Re di Francia '» 56 VII. Cause e cominciamento delV inimicizia del conte di Fiesco cantra i Dorii ....>» •>"] Ylll. Discordie tra i Dorii ed i Farnesi . . . >j Sq IX. Il Conte del Fiesco compra quattro galere dal Papa » 61 X. Finte dimostrazioni di amicizia del Conte del Fiesco vei'so i Dorii »> 63 ';4 XI. Consiglto dato da Gìo. Battista Verrina al Conte del Fiesco^ e da costui approvato.» 64 XII. // Conte ajf retta V adempimento deila con- giura M 67 XIII. Il Conte del Fiesco movendo contra Gian- nettino Doria rimane sommerso nel mare w to XIV. Morte di Giannettino Doria. Fuga del Principe Doria » 72 XV. Girolamo del Fi&sco vanamente cerca ec.- citate il popolo all' armi e si ritj'ae in ■ Morttario V\^ J » 73 XVI. Ritorno del Principe Doria in Genova. » 74 XVII. Punizione de' partigiani del Conte del Fiesco M 78 XVIII. Premure di Papa Paolo per trasferire il concilio in Bologna » 80 XIX. D. Pietro di Toledo si pone in cuore d'introdurre l'inquisizione in Napoli » 82 XX. Sdegno de' Napolitani per lo timore del- l' inquisizione » 84 XXI. Breve Apostolico per inquirere gli eretici » 86 XXII. Gli eletti di Napoli pregano il Viceré che non si lasci indurre a fare esegui- re il breve. Sua risposta » 8y XXIII. Dibattimenti trai Viceré ed il Vicario di Napoli " 88 XXIV. Il Viceré a domanda de' Napolitani li lìbera dal timor dell' inquisizione . . m 89 XXV. Movimento della plebe sedato da' nobili » 93 .75 9G 9» XXVI. Tommaso Aniello messo in prigione è poi liberato w XXVII. Il riceve indarno fa opera perchè i Napolitani non m,andino amhasciatori a Cesare » XXVIII. Supplizio di tre Napolitani ordinato dal Viceré. Sua cavalcata per la Città.» loo XXIX. Tumulti nella città »> loa XXX. Gli amhasciatori del Viceré e della Città a Cesaree » io4 XXXI. Orazione di Placido di Sangro a Carlo V. » i o5 XXXII. Risposta di Cesare , e partenza di Placido • ** XXXIII. Il Viceré si provvede di armi e di Soldati " XXXIV. Combattimenti ira gli Spagnnoli e Na- politani « XXXV. Venuta di Placido in Napoli. 1 Na- politani depongono le armi . . . . ì> XXXVI. Novella ambasceria de" Napolitani a Cesare >» XXXVII. Informazione presa del succeduto in Napoli e risultato di essa . . . . w XXXVIII./Z Pontefice colVanimo ognora più di- lungasi da Cesare » 120 XXXIX. Pier Luigi Farnese favoreggia i Fran- cesi }j 1 2 1 XL. Cause del disgusto cantra Pier Luigi. ì> 122 XLI. Congiura de' nobili Piacentini contra Pier Luigi w J23 109 110 1 12 i«4. ii6 117 t 196 XLII. 1 congiurati danno la morte a Pier Luigi.» 1 26 XLIII. D. Ferrante Gonzaga per V Imperatore s'impadronisce di Piacenza » 128 XLIV. Il Gonzaga proccura insignorirsi di Parma. ìj 1 3o RELAZIONE DEL REGNO DI NAPOLI AL MARCHESE DI aiONDESCIAR VICERÉ DI NAPOLI DI CAMILLO PORZIO TRA IL 1577 E 1579. Dedicatoria'^ « i35 Del regno di ISapoli >j iSy Di Terra di Lavoro » 189 Di Principato Citra ed Ultra w i43 Di Terra di Bari » i53 Di Capitanata , ovvero Puglia Piana . . . . jj 1 55 Del Contado di Molise « i58 Di Abruzzo Citra ed Ultra 33 1 Sg de' SUPREMI OFFICII DEL REGNO » l6l GUARDIE DEL REGNO w l63 de' fanti NECESSARIl ALLE TERRE DI PRESIDIO DEL REGNO " 164 ENTRATE DEL RE NELLA CITTa' DI NAPOLI . . . 5J l65 ENTRATE DEL RE PER LO REGNO « 1 66 LA GENEALOGIA DE* RE DEL REGNO ........ l68 DELLA DISPOSIZIONE DEGLI ANIMI DE' REGNICOLI VERSO IL PRESENTE DOMINIO ,«170 AVVERTENZE. Pag. 5i lini 22 qualora Milano obbedisse il Francese, o di sotto a Cesare si perseverasse. Cosi leggonsi qucsle parole nel maouscritto: sembra per al- tro che abbiano uopo di qualche emendazione. Pag. 52 lin. 12 consente d'ivi il passare e delle vettovaglie. Cosi il maott- scritto : ma anche qui sembra doversi emendare. Pag. 82 lin. 22 il sommo pontefice, leggasi ed il sommo pontefice. Pag. 167 lio. i5 carruggi: cosi Yolgarmenle dicCTasJ iovecc di carrucci. I s,4, A Sg!«*'*'>'''*"*'"*i6»'ti*c«ioacx;£ atti ii3 IIDELL'ACCADEMIA PONTANIANA >»«»«(€(© FASCICOLOglI DEL VOLUME IV nccaileinia pouta.iuiii.1 publìlica i suoi alti in fascicol ascicoli afliiiclic misura che sono ap- _ li • * l'ui^iiiita I SUOI a possano sollcc.lameiilc conoscersi ie memorie a provate. SLUza aslnnge s. ad alcun detenn.nafo periodo o numero di fodi iVonJnZ"t ' 'r''°''/'^^ ^"^^'^""^ '^°™P°- "" volume! s dà il ionlesp>..o, \a dcd.ca , Ja sloria de" lavori , «1 il catalo-o dMi ncca demic. da ,,rcn,clters, al volume medesimo. Jl pnmo volume composlo di ciuque fascicoli è già pubblicato. K? SI y; — =«aa«ia*c»_ 3- «A TORCHI DEL TR.UIATER ; sisei?)xsf3ì?»eeiesì< f>)'yM 1 DI FNA KiVICAZIOKE lIEDITERRiNEA IN CiPITlWTA TRA FOGGIA E MANFREDONIA E DELLA IRRIGAZIONE DI QUELLI TERRENI ùi{a ati accaaemìa /uin(aniana, aaC tfccto redCaenlù VBKCEKSO AWTOKaO ROSSI cella lomaJa de' i8 Agosto i83S. G lonosciuta tra noi , più che non era , I' utilità delle facili comunicazioni e la loro grande influenza sulla pro- duzione, fu immaginato di stabilire una navigazione me- diterranea in Capitanata , ed in ispezialtà tra Foggia e Manfredonia : e di far valere le acque che servir dove- vano per la navigazione alla irrigazione ancora. Ma non abbastanza nota l' indole de' fiumi di quella provincia , da una parte chi immaginò la cosa troppo riproraette- vasi , dair altra vi era chi di troppa bizarria l' accusava. Fu perciò che il Governo risolvette di spedire colà un ingegnere all'oggetto : ed un tale onorevole incarico fu a me affidato (*). (•) La mia gita in Capitanata pel zie statistiche e commerciali comprese detto oggetto ebbe luogo nei primi mesi in questa memoria a quell' epoca si dell' anno i833; laonde tutte le noti- riferiscono. Tom. IV' 23 I7B ROSSI Per la qual cosa ho avuto bella opportunità di or- dinare queste Memorie, che ora ho l'onore di sottomet- tervi, dottissimi Colleghi. Dalle quali tre cose principal- mente risultano : cioè 1." l'impossibilità di navigare le acque della Capita- nata nello stato naturale in cui ne sono i corsi e gli sta- gni , e la inconvenienza di renderli navigabili : 2.° r impossibilità della proposta navigazione : 3.° la possibilità di stabilire da Foggia a Manfredonia un canale artefatto per la navigazione j e le opere di che abbisogna. Ho diviso il mio lavoro in due capi : nel primo par- lerò de' fiumi della Capitanata e della loro natura , e della proposta navigazione , ed irrigazione. Nel secondo delle opere da farsi per un canale artefatto da Foggia a Manfredonia. E poiché l'acqua che ne' canali impiegasi come principal mezzo di trasporto n'è l'anima e la vita, e debbe variare in quantità al variare delle cose da tras- portarsi , dirò del commercio tra Foggia e Manfredonia , dell' acqua che vi abbisogna per sostenerlo ed anche au- mentarlo , di quella che immediatamente si ha e come raccoglierla j dalle quali cose, e dal cammino da percor- rersi principalmente dipendono le opere da farsi. DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 1 79 CAPO PRIMO DEI FIUMI DELLA CAPITANATA , DELLA LORO NATURA , E DELLA PROPOSTA NAVIGAZIONE ED IRRIGAZIONE. I. I nrinclpali fiumi della Capitanata sono (si guardi la dcì Gmii aiu rt, , ^ . !• T-> • -1 Vi 1 -i ^ Capilanaln e del- Tavola) a sirocco di Foggia il Carapella ed u Cervaro -, la loio natura. a maestro il Gelone, il Volgano, il Salsola, ed il Trio- Io j a greco il Candelaio. L' Ofanto ed il Fortore se- parano la Capitanata dalla Terra di Bari e dalla Basili- cata il primo, da Molise il secondo. Tutti cpesti fiumi sono ad un tempo torrenti : ripi- da n' è la pendenza , variabile per alcuni tratti il corso, differentìssime nelle diverse stagioni le portale : raccol- gono tutte le piovane della provincia , che vi scendono torbidissime, e trascinano giù pei tronchi superiori grossi macigni , che poi vanno man mano deponendo ; e nelle grandi piene trasportano quelli di minore grandezza sino ne' tronchi poco sopra corrente a Foggia. Colle portale ne variano notevolmente le profondità e le larghezze : gli straripamenti vi sono frequenti. È tale 1' indole loro che le velocità sono così grandi , le filtrazioni cosi ab- bondanti, e tali le evaporazioni , che comunque raccol- gano tutte le acque che piovono sulla provincia e non tutti abbiano scarse sorgive j pure il Celone soltanto non mai nella state si asciuga per tutto il suo corso. 11 Cer- varo nei tempi assai secchi in alcuni tronchi quasi non 1 So n o s s I ha più acque : e le ha sempre soltanto dal Ponte Vergi- nola in giù, ove sono abbondanti sorgive. II Volgano anivato al piano , ed alla sua confluenza colla Salsola perde nella stessa stagione in gran parte le abbondanti e limpide acque che gli tributano i molti suoi fonti che sorgono alle vicinanze di Biccari. La Salsola allora ha acque soltanto ne' tronchi prossimi alla sua influenza nel Candelaro , dopo aver ricevute quelle del Volgano. Ed il Candelaro disperde quelle medesime acque che la Sai- sola ed il Gelone gli danno j talché in quello stesso sito ove nelle piene invernali corre in amplissimo letto e si allarga per le laterali campagne , nella state vi si passa quasi a piede asciutto. 11 Triolo ed il Carapella nella state scarseggiano d' acqua. II. ,ii MvSVnd Questi pochi fatti bastano per mostrare Pimpossibi- 'i"ie rVnconlc'- ''^^ ^^ navigare i detti fiumi nel loro stato naturale. Pei dcX navigabili! '^ barche a chiglia vi manca sempre (meno che per qual- che brevissimo tratto) la profondità , per le barche piatte vi si oppone potentemente la variabilità delle sponde o del letto , e le istantanee piene : per entrambe la sover- chia pendenza. Isè opere d' arti anche le più difficili , potrebbero valere a renderli navigabili con profitto in ogni stagione^ non potendo esse stabilirsi senza un' arginatura quasi ge- nerale, che sarebbe necessaria particolarmente per preve- nire 1 tristi effetti che ne verrebbero nelle massime piene, dalle molle pescaie che farebbe mestieri stabilirvi onde DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 1 8 1 tliminiilrne la pendenza , e la quale arginatura varrebbe ad un lempo per resttiugerne il letto, accrescerne la profon- dità , e diminuirne le evaporazioni. III. De' sopradetli fiumi il Gelone, la Salsola, ed il Trlolo odiapropotu • n«iiy-iii «l'i^^ • navigazione ar- sono influenti del Candelaro: e cruesti ed il Cervaro si sca- tiSaaie, e de- •' -'• grinconvenicnli ricano ciascuno con un ramo nel lago Verzentino, e con ^"^^ pres.au. un altro nel Pantano Salso, che con quel lago comunica. E il Pantano Salso uno stagno in riva al mare, posto a poche miglia da Manfredonia alle falde meridionali del colle detto Monto Aquilone , poco discosto dal sito ove sorgeva l'antica Siponto. Quantunque di notevole estensio- ne in superficie, ne sono basse le acque ; nei tempi raedii di circa palmi 2,5o, ed ov' è massima di palmi 5,ooj ha comunicazione col mare per due canali che si cougiun- gono in uno, ov' è un ponte sulla marina nel luogo detto hxL Sciale. Nei tempi poco piovosi e nella state ne dimi- nuisce 1' altezza, e notevolmente si ristringe, nei tempi pio- vosi s' innalzano le sue acque e straripano, e talora inondano le vigne che si coltivano tra esso ed il mare, e comunica con questo per altre parti ancora : soffre in somma tutte le variazioni dei fiumi che vi si scaricano, ed in oltre si va irregolarmente colmando colle torbide abbondantissime che essi due fiumi vi portano, le quali disordinatamente vi si depongono, ed ora in un sito , ora in un altro , secondo che variano le velocità e le direzioni delle acque di essi fiumi : che anzi talvolta le già deposte in alcuni luoghi ne sono rimosse. iSa ROSSI Non dissìmile di natura e di regime è il Lago Ver- zentino messo sopraccorrente al Pantano : solo è di più angusta larghezza, e di bislunga figura. In esso si scarica pure la Marana. E la Marana un rivolo che sorge a circa miglia tre ed un quinto da Foggia a destra della Consolare di Man- fredonia. Ivi è l'origine di una valletta , ove alle vici- nanze di un casolare detto il Demanio sono alcune sor- genti che danno a minuto palmi cubici 36 di acqua. Que- ste scendono limpidissime j ed allargandosi man mano tra due bassissimi poggi, si scaricano nell' estremità superiore del Verzentino. Basso ne è il fondo, perenne il corso, e ne' tempi di jiioggia si allarga per modo che più tosto di laguna ha sembianza che di rivolo. Fu immaginato ( oltre alla navigazione naturale pei delti fiumi , della quale ho già detto 1' impossibilità od al certo l' inconvenienza), di far navigare dal mare presso Manfredonia a Foggia : pei canali che lo mettono in co- municazione col Pantano Salso, per questo, pel lago Ver- zentino , per la Marana del Demanio , e per un canale artificiale , che deriverebbe le acque, dal Gelone all' origine di essa Marana, passando per Faraniello ; e ciò con sem- plici cavamenti. L'impossibilità della quale navigazione è chiara dopo ciò che si è detto. Da Foggia a Verzentino vi si oppone principalmente la grande pendenza , da ivi al mare 1' ordinaria pochissi- ma profondità delle acque, i naturali, irregolari, e talora mobili colmamenti, le instantanee varietà di livello. DI UNA NAYIGAZIO:»'«- del canale, assumo che debbano percorrerlo battelli delle dette dimensioni. Epperò la conca di ciascun sostegno sarà lunga pai. 90,72 e larga pai. 8,69. V. Determinati questi primi elementi, è uopo fissare la Cadutaci ci». T •■ ' * icun soitegno. caduta di ciascun sostegno. Quanto più piccola è la caduta di un sostegno tanto è minore il consumo dell' acqua 5 ma è provato che se si guadagna in acqua si perde in tempo , e che dopo certi "\ limiti cresce pure la spesa, dovendo essere tanti i soste- gni da eguagliare la somma delle loro cadute la discesa totale ^ onde è opinione de' più abili costruttori doversi attenere ad una caduta media. Però nella più gran parte dei canali vedonsi impiegate ne* loro sostegni cadute di circa metri 2,60 ossia palmi 9,83 : ed è opinione del Gaulhey essere questa la più vantaggiosa. Quindi opino che potrebbesi in un canale da Fog- gia a Manfredonia adottare per ciascun sostegno una ca- duta da' nove ai dieci palmi , come tornerebbe meglio: e tra questi due limiti avvicinarsi per quanto più si può al primo ; perciocché essendo scarsezza d' acqua In Capi- tanata è da preferirsi , tra certi limiti , la economia di essa a quella della spesa e del tempo. IQO ROSSI Giusta una accuralissiiwa livellazione da rae fatta ap- positamente , r altezza del Piano della Croce a Foggia sul livello del mare è di palmi 263,555^ il qual numero diviso per ag, dà palmi g,o88. Per la qual cosa saranno ventinove sostegni, e la caduta di ciascuno di pai. 9,09. VI. Consumo ciac- Quindi è che ceni concata che pel passaggio di una ■jja per una con- ^_ ^ 1 1 DO ■^^"a- barca si consumerebbe , costituirebbe un parallelepipedo di acqua di base di palmi 90,72 per 8,69 e di altezza palmi 9,09, pari a palmi cubici 7166,16. VII. NurjLroJibai- Potrebbe nascer dubbio se dando ad ogni sostegno sjiirc coDSfcuii- la caduta di palmi q,oq risultasse tale la lunghezza di TamenU dopo u- _ ' e ^ ^ o ne di discesa. cJascun tiouco tra due sostegni consecutivi da poter for- nire nella salita de' battelli la necessaria acqua al soste- gno iuleriore senza prenderne dal superiore , e senza che la navigazione per esso tronco ne soffrisse. P" Se i sostegni potessero tutti stabilirsi ad uguale di- stanza tra loro, dovendo essere ventinove, e la distanza da Foggia a ^Manfredonia , percorrendo 1' attuale strada , essendo di palmi 140000, ciascun tronco tra due soste- gni consecutivi risulterebbe di palmi 4827,58. INIa poiché la campagna , per quanto sembra a colpo d' occhio , pare aver tali movimenti da dovere in alcuni sili i sostegni essere più vicini che in altri, e, per la na- tura del commercio, sarebbe forse necessario stabilire uu DI CNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA IQl tronco maiiltiino alle vicinanze di Manfredonia, può rite- nersi che il più breve tronco risulti di palmi 4^00 j nella quale ipotesi resterebbero loSoo palmi, ossia un miglio e mezzo di lunghezza da distribuirsi per li più lunghi tron- chi , e pel canale marittimo. Dando alle ripe del canale tali scarpe da avere tre di base sopra due di altezza, la massima altezza di acqua in esso di palmi 5, 20 , e la minore ampiezza possibile perchè due de' detti battelli potessero comrnodamente na- vigare incontrandovisi , un tronco della detta lunghezza di palmi 4^00 , può senza prenderne dal sostegno supe- riore, fornire all' inferiore 1' acqua necessaria pel passaggio di numero 9 battelli consecutivi che salissero, senza che in queir infrattempo nessuno ne scendesse : la qual cosa parmi dijHlcile a poter avvenire. Riterrò dunque che per ogni concata vi abbisognino palmi cubici 7166,16 di acqua. Vili. Da notizie statistiche ricevute dal benemerito Cava- P'^.e"""",-. focro di balUlli liere Lotti Intendente della Capitanata risulta che in un •^'"^ '" •"" '""" i potrebbero icai- sessennio dal iSSa al 1837 inclusivi, nell'anno di m^Z' vuJrcI^u^ ' giore traffico, che è stato ili 835, sono discesi in Man- Iredonia da' diversi Comuni della Provincia tomola 685 i!\i di cereali e legumi, costituenti un peso di cantaja 3298-4. Quantunque non tutti abbiano battuto la strada da Fog- gia a Manfredonia, perciocché, come ho detto, ne' mesi caldi le derrate da Sansevero non passano per Foggia j pure nel caso di un canale debbe aversi che tutti siano 192 ROSSI richiamati su quella via j che anzi facilitatasi la comuni- cazione vi è fondamento da credere che alcuni di que' co- muni che ora fanno le loro spedizioni per Barletta le fa- rebbero per Manfredonia, e che oltre ai cereali e legumi, come ho già detto , pure altri generi prenderebbero una tal via. Però stimo che a calcolare 1' acqua bisognevole pel servizio del canale debba aversi di l^oo 000 cantaja na- poletani il peso totale da trasportarsi da Foggia a Man- fredonia , ossia poco meno di 35 242 tonnellate inglesi. Ond' è che potrebbero scendere pel canale sino a 1998 battelli in un anno j calcolando che ciascuno sì caricasse di 19 tonnellate, non potendosi supporre che si caricassero sempre della loro portata massima, cioè di 22 tonnellate. IX. q«i1°rehraffiil!f' •^' attuale commercio tra Foggia e Manfredonia è quasi tutto in discesa, non trasportandosi da Manfredonia , o da' punti sul cammino a Foggia che frutta , pesci , carboni, e talora pietre e legnami da costruzione. Però parecchi bat- teUi dopo il loro arrivo a Manfredonia dovendo tornar voti, potrebbe regolarsene in modo il servizio che dopo V arrivo di un battello in discesa ne partisse uno per la salita j onde aversi il minor consumo di acqua. Ma a ren- dere più libero il traffico , e poiché appunto per salirne alcuni o voti o meno carichi , potrebbe un solo cavallo alla salita portare più battelli, supporrò che de' 1998 bat- telli che debbono risalire a Foggia una metà soltanto , cioè 999 salisse alternativamente con quei che scendono, e r altra metà , cioè gli altri 999 risalissero 9 per volta t)I INA NAYlCA7.I0Nr, "MEDITKnnANEA ic)3 coiisecullvamento, dopo esserne sccso uno. Di r|iio»ti, 1 1 1 non consumerebbero acqua, ed i rimanenti 88B ciascuno una concata. Si avrebbe dunque di consumo in un anno j)el traf- fico dei battelli : per ggg in discesa e 999 in salita alternati ....concate 999 per altri 999 in discesa » 999 per 999 in s;ili(a 3939 consecutivi, dopo uno di discesa » 883 in uno , concate 2 886 Epperò pel solo servizio de' battelli, secondo la fatta ipotesi, palmi cubici di acqua ao G81 537,76. X. A questo consumo dì acqua due altri ne vanno ag- consumo av. gmnti : quello cagionato dalle evaporazioni , e l altro ca- porazionì. gionato dalle filtrazioni. Quanto alle evaporazioni due sono i risultati delle migliori osservazioni che io sappia per determinarle. L' uno dipende dalle osservazioni fatte sul canale di Linguadoca in Francia j \ altro da quelle fatte dall' in- glese Halley. Col primo si ha 1' altezza d' acqua che si evaporizza in un anno, co4 secondo il rapporto tra l'al- tezza dell' acqua di j)ioggia che cade in un anno a quella della quantità d' acqua che in un anno si evaporizza. Tutte le quali osservazioni sono fatte in paesi di clima assai di- verso dal nostro , e spezialmente della Capitanata. Ma poiché tra noi ne manchiamo , a dover scegliere , sceglierò Tom. IV. a5 194 ROSSI quelle di Halley ; perciocché dando esse il rapporto tra le evaporazioni e la pioggia , variando questa col clima, ed essendo maggiore , ov' è maggiore la evaporazione , e viceversa j v'è fondamento di credere, che in tanta man- canza di esperimenti o di osservazioni , assai meno lon- tani dalla verità staremo valendoci delle osservazioni di Halley che di quelle fatte sul canale di Linguadoca. Da esse risulta che il rapporto della quantità d'acqua che si evaporizza in una contrada , all' acqua di pioggia che vi cade è come 5 a 3. Secondo alcune osservazioni fatte, la quantità media dell' acqua di pioggia che cade annualmente sul Regno può stimarsi (come dice il chiariss. nostro Presidente Prof, de Luca in un suo articolo sulla forza motrice delle ac- que piovane che cadono sul suolo del Regno di Napoli) di palmi 3, 024 in altezza. Epperò secondo la norma data da Halley risulta la evaporizzazlone di palmi 5, o4 in altezza. E qui vedesi la giustezza della scelta tra li due detti risultamenti delle diverse osservazioni j imperciocché essendo la Francia più settentrionale che il Regno di Napoli, la evaporizzazione tra noi deve essere maggiore di quella sul canale di Lingua- doca 5 e di fatto ho trovato per essa un' altezza di palmi 5,04, laddove sul canale di Linguadoca si trovò di pal- mi 3,00. XI. Ciascun battello essendosi assunto di larghezza pal- mi 8,32 , perché la navigazione pel canale sia spedita nella salita e nella discesa, dovrà esserne il fondo largo DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA IQS palmi 16,64. ^° oltre dandosi all'acqua di ciascun tronco del canale iin' altezza massima di palmi 5, 20, e le scar- pe laterali avendo 1' altezza alla base come a a 3, avrà il canale alla superficie dell' acqua una larghezza totale di palmi 33, a4- opperò la perdila d' acqua per la eva^xw'a- zione in un anno sarà di palmi cubici 22 748 544* ** '^ XII. Le filtrazioni sono variabilissime, e vanno facilmente consumo , ( Potrebbonsi pure con appositi aquedotti riunire le acque delle diverse sorgive j ma sono tutte assai lontane da Foggia , e tanto disseminate , come ho io stesso os- servato , che sarebbe di gravissima spesa il farlo j che dac- fornisce DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 197 quantunque avrebbonsi allora acque limpidissiiile e non torbide, pure è da preferirsi preuderle direttamente da' fiumi, e specialmente dal Gelone, e quando non bastas- sero dal Cervaro ancora. ^ XVI. :<ìi l i Il Gelone non sempre ha uguale portata. Va sogget- 0|;amitàr^_^^ to a grandissime piene; talora nella state più abbondanti ''''"""= C''°°* che neir inverno : ma quelle vengono subitanee e passano assai presto, queste hanno più lunga durata. Oltre questi stali di piene de' quali non va tenuto conto . per doversi avere come accidentali , ne ha altri tre. Sono quello del suo pelo ordinario che ha luogo per lo più dal principio di Novembre alla fine di Aprile, quello del pelo magro ordinario, e quello del pelo magro straordinario che nelle annate di straordinaria siccità dura da Giugno ad Ago- sto, e che quantunque non sempre avvenga, pure io sup- pongo , per soprabbondare in cautela , che in tutti gli anni avesse luogo. Il punto di derivazione delle acque del Gelone , da valere pel servizio del canale debb' essere in un silo di livello superiore a Foggia. Perciò quivi fu da me misu- rata la portata del fiume quando tròvavasi in istato di pelo ordinario. Scelsi due suoi tronchi V uno sopraccor- renle e l' altro sottocorrente alla strada che conduce a Lucerà, ne' quali il moto dell'acqua poteva aversi come ridotto alla uniformila : e di ciascuno ne misurai la se- zione, e la pendenza della cZ/re^irice del corso dell'acqua. Applicala la formola di Ileitelweyn ho trovalo due igS ROSSI portate diverse j e quantunque potessi valermi della me- dia delle due, pure sempre per abbondare in cautela , riterrò la minore, la quale è di palmi cubici 33i, 43 a se- condo. Portata che in un giorno dà palmi cubici 28 72 i gSa di acqua j e dal principio di novembre a tutto aprile pal- mi cubici 5 169951360. La portata del Gelone, quando ha luogo il pelo ma- gro, non ho potuto misurare non prestandovisi la stagione quando mi fu commesso di andare sul luogo 5 ma ho potuto bene dedurla da notizie raccolte , e da osserva- zioni e misure prese sulle vasche e canali di derivazioni de* molini esistenti sul suo corso. Risulta che la portata ordinaria del Gelone quando ha luogo, il pelo magro or- dinario è in un giorno di palmi cubici 6i35 175 di ac- qua j e che quando ha luogo il pelo magro straordinario che avviene , nelle annate di massima siccità , ne' mesi di giugno, luglio ed agosto è in un giorno di palmi cu- bici 802 734. .p..©d3 Onde riterrò da novembre a tutto aprile palmi cubici.. 5 169951 36o da giugno a tutto agosto 2408202 nei rimanenti mesi.. i8 4o5 525 Epperò il solo fiume Gelone fornisce in ì)Tì anno una massa d'acqua di pai. cubici.. 5 190 765 087 XVII. PcrJita per la s"p''er"d'°acq.il Queste acque non tutte possono impiegarsi al servizio ^mT.'*"'"^ '^'' del canale, a due perdite andando soggette durante il loro DI UNA NAVIGAZIONE MEDITF.IIRANEA I99 cammino dalla presa d'acqua al carraie per lo aquedoito di derivazione: e sono le evaporazioni e le filtrazioni. Può valutarsi il canale di derivazione della lun- ghezza di paln\i 21 000^ onde, per le cose già dette, (supponendolo alla superficie dell' acqua di larghezza pal- mi 20 ) ne sarà la perdila per la evaporizzazione palmi cubici a 1 16 800 e quella per le filtrazioni 3175200 che formano insieme palmi cubici 5 292 000 Epperò potrebbero in un anno giungere in effet- tivo dal fiume al canale di navigazione palmi cubici di acqua 5 r 85 473 087 Numero di gran lunga maggiore di quello che richiedesi pel servizio del cana- le , e che debbe essere come si è veduto di palmi cubici 81 386322 Dunque il canale è possibile. Ed il solo fiume Gelone offre un supero di ac- qua , che potrebbe addirsi alla irrigazione, di palmi cubici 5104086765 XVIII. Se in tutti i mesi fosse eguale il consumo ; e la cZ"lm^è*Mu jiortata del fiume fosse pure (meno le massime momen- E^I'^'^ver'è bi- lance piene) costante, niun dubbio rimarrebbe intorno alla ^"" ''' possibilità del canale ; né sarebbe uopo di vasche a conser- va. Ma poiché il consumo varia ne' diversi mesi, e varia 200 Ti OS SI la portala del fiume 5 comunque siavi tanta esuberanza d' acqua io un anno, potrebbe ben darsi che non in tutti i mesi avvenisse lo stesso , e che in vece in alcuni ve ne fosse scarsezza ,• alla qual cosa sarebbe allora mestieri rimediare per lo appunto costruendo le dette vasche a conserva , le quali l' acqua maggiore tenessero in serbo per quei mesi ne' quali ve ne fosse ijiancanza. Però è necessario seguitare alquanto d' appresso tali variazioni di consumo e di portata per quanto si può con approssimazione, mancando le necessarie notizie per pro- cedere con esattezza. XIX. Della "lieta Quauto al cousumo è necessario esaminare le varia- dei consumo, ^loni de' suoi elementi , che sono il traffico , le evapo- razioni, le filtrazioni ed i Irapelainenti a traverso le porte di chiusa. /[^r^ io,; Il traffico da Foggia a Manfredonia è qua^i nullo dalla metà di giugno a tutto luglio, in agosto cresce, in settembre è il più forte tra lutti i mesi dell' anno , da ottobre in dicembre va diminuendo, quindi è quasi sta- zionario fino a tutto marzo, dopo di che va in generale diminuendo , finché non si. cominci da capo. Non mi è riuscito avere notizie statistiche che diano con esattezza la quantità del traffico in ciascuno di tali mesi. Ma dal qui detto risulta che il trasporto è minimo da aprile a luglio , medio da dicembre a marzo, massimo da agosto a novembre. Or dunque dividendo in sei parti tutto il consumo dell' acqua pel passaggio dei battelli, e dandone ! DI DNA NAVIGAZIONE MEDITEnr.ANEA '20 1 una al traffica minimo, due al medio, e ire al massimo, avremo che pel jiassagglo dvi l)atlelli vi vuole di acqua j da agosto a novembre pajini cubici . . io 34o jGg da dicembre a mar-io 6 8g3 S^G da aprile a luglio 3 44^ 9^3 Sono come sopra (IX) 20681 538 Le più grandi evaporazioni hanno luogo nella state, sono esse minori in primavera, anche minori in autunno, e come nulle si possono avere in inverno. Però assumerò che le evaporazioni abbiano tutte luogo da aprile a no- vembre, e che negli ultimi quattro mesi degli otto, siano i due terzi de' quattro primi. Avremo allora le evapora- zioni così distribuite : da agosto a novembre palmi cubici . . 909941756 da dicembre a marzo 0,0 da aprile a luglio 13649126,4 Che come sopra (XI) sono 22 748 544? Le filtrazioni quantunque nei tempi piovosi sieno alcun poco minori , pure possono aversi come eguali in ogni mese dell'anno^ onde sarà: da agosto a novembre palmi cubici . . 12 638 080 da dicembre a marzo 12 638 080 da aprile a luglio 12 638 080 Che come sopra (XII) sono 37914240 La perdita cagionata dall' acqua che scappa a tra- verso le porle di chiusa può pure aversi come costante, onde sarà Jom. IF. txQ '303 ROSSI da agosto a novembre palmi cubici 14000 da dicembre a marzo 14000 da aprile a luglio. 14 000 Sono come sopra (XIII). 4 2 000 Talché il consumo totale sarà : da agosto a novembre palmi cubici . . Sa 092 266,6 da dicembre a marzo 19545926,0 da aprile a luglio 29748 129,4 Che formano come sopra (XIV). 81 386 322 XX. Varietà della Da ciò chc ho dstto innanzi (XVI), nel primo de' tre precedenti quadrimestri, nel mese di agosto si ha il pelo magro straordinario , cioè palmi cubici 802 ^34 in un giorno 5 nei due mesi di settembre ed ottobre la portata corrispondente al pelo magro ordinano eh' è di palmi cubici 6135175 al giorno j in novembre quella del pelo ordinario che è in un giorno di palmi cubici 28 721 gSa. Pel secondo quadrimestre , cioè da dicembre a mar- zo per ciascun mese la portata del pelo ordinario , e perciò in ciascun giorno palmi cubici 28 721 952. Pel terzo in aprile e maggio la portata del pelo ma- gro ordinario, cioè in ogni giorno palmi & i35 175 j ed in giugno e luglio la minima portata cioè in ciascun giorno palmi cubici 802 734. DI VKA. NAVIGAZIONE MEDITEERANEA jo3 XXI. Sicché, per semplificare alquanto la cosa, supponen- Paragone tra ' * * ^ _ . . '' consumo dtll' do che ìq ciascuno dei precedenti quadrimestri il consa- acquee laaisno. mo dell' acqua fosse uguale in ogni mese , si avrà il se- '" '•'' "™'*- guente stato di paragone , ove dalle portate in ogni mese 6Ì è sempre tolta , seguitando le precedenti norme , la parte che se ne perde per le fdtrazioni e per le evapora- zioni durante il tragitto dell'acqua dalla presa nel fiume al canale. MESI COIXSUMO DI ACQUA ACQUA DISPONIBILE Agosto 8o23o66,615 23 604490 Settembre 8o23o66,65 183578720 Ottobre 8 023 066,63 183578720 Novembre 8 02 3 o66;65 861 182 o3o Dicembre 4886 48i;5o S61 393960 Gennaio /^8S6 4.8I,5o 861393960 Febbraio 4.S86 48i,5o 861393960 Marzo 488648i;jo 861393960 Aprile 7437032,35 183472880 alaggio 7/,37o32,35 183472880 Giugno 7437032,35 23 498 600 1 Luglio 7437032,35 23 498 65o 204 ROSSI Donde appare che anche ne' mesi di più gran consumo e di più grande siccità l'accpa disponibile supera di molto il consumo. Epperò niun dubbio sulla possibilità di un ca- nale di navigazione. XXII. Dell» Tasche Se le acque del fiume Gelone fossero chiare, baste- ptrche le toibi- ^ ' de 61 depoDcsse- febbe fare un acquidotto di derivazione soltanto per con- durle nel Canale, ma poiché portano torbide con loro, è utile fare delle vasche ove si deponessero 5 onde poi cor- rendo chiare pel Canale, non obbligassero ad espurgarlo e così ne interrompessero la navigazione. Porto opinione adunque doversi costruire due grandi vasche contigue pel lato più lungo tra loro ^ ciascuna di lunghezza palmi 2000, di larghezza palmi 110, e pro- fondità palmi 17. Triplo ne sarebbe lo scopo : 1 .° Servirebbero a far deporre le torbide j 2." Servirebbero come bacino pel carico e scarico dei battelli j 3.° Nel caso di qualche straordinaria siccità , che potesse aver luogo, per cui le acque mancassero, varreb- bero come conserve. Essendo due , mentre 1' una si espurgherebbe ( il che potrebbe essere nell'autunno, onde poi nell'inverno si riempisse di nuovo ) T altra farebbe il servizio. Essendo ciascuna larga 110 palmi e lunga 2000 po- trebbero starvi sino a dugento battelli colle poppe alla sponda più lunga , lasciando a prora uno spazio libero pel quale potrebbero commodamente partirne : ed anche quando altri ne arrivassero. DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 2o5 Essendone la profondila di jialmi 17 , palmi 2,5o sarebbero al disotto della soglia del portone e varrebbero a contenere le torbide depositate, palmi 5, 20 varrebbero ad equiparare l' altezza dell'acqua nel tronco di canale im- mediatamente prossimo^ ed i rimanenti palmi 9,3o fareb- bero caduta col medesimo tronco quando la vasca fosse tutta piena. Per tal modo resterebbero sempre in serbo in ciascuna vasca palmi cubici 2 046 eoo di acqua, ed in entrambe 4 ^9"^ 000 , che varrebbero pel caso di scon- certi che potessero avvenire alla presa d' acqua , o negli aquidotti di derivazione, od in caso di straordinarie sic- cità. La qual acqua non starebbe mai stagnante , come forse taluno potrebbe credere, a causa della manovra dei suoi portoni di chiusa , dell' acqua che sempre vi afflui- rebbe dallo aquidotto di^ derivazione , e dell' acqua che ne scapperebbe per gli sfioratori. XXIII. Dopo lutto ciò si coinprende quali sono in generale rar^^'pdTanàl* le opere da fare. di n„ig,ziou.. (A). Per la presa d' acqua i.° Una o più pescaie nel fiume Gelone in un sito di livello superiore a Foggia j secondo che per la natura del fiume nelle varie stagioni sarebbe meglio prendere P ac- qua tutta in una volta , od a più riprese. 2.° Un' arginazione per un certo tratto sopracorrente alla pescaia per prevenire gli straripamenti che nelle mas- aoS - ROSSI sime piene potrebbero avvenire per effetto del rigurgito. 3.° Un canale di derivazione , o più di uno , che si andassero a riunire in un solo ( secondo che si stabilis- se una solao più pescaie ) dalla presa dell' acqua a Foggia. 4.° Due grandi vasche in prossimità di Foggia pel carico e scarico de' battelli , e per far depositare le tor- bide ,• cogli analoghi portoni all' uscita , pozzi all' incile e sfioratori ai lati. (B). Pel Canale. 1.° L'apertura del Canale. 2." Numero 29. Sostegni coi portoni e portine corris- pondenti 5 e le necessarie opere accessorie. 3.° Un Ponte Canale sul fiume Candelaro, che per an- dare da Foggia a Manfredonia è uopo traversare. 4." Un canale a gran sezione in prossimità di Manfre- donia per lo scarico e carico dei battelli. 5,° Una Chiusa di Cacciata per mantenere sgombra la foce del Canale in mare. 6.° Il Camino di Alaggio. XXIV. Ddu irriga- Ho cià dctto comc Sarebbe utile rendere atti ad ir- br.e. rigare quei tronchi dei diversi fiumi della Capitanata, o- ve le acque sono perenni e vi si mostrano a sufficienza, ed ove per X attuale regime è più facile e meno dispen- dioso , o non abbisogni di lunghe arginature lo stabili- mento di parate o pescaie. Che se lo stesso Canale di DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 207 navigazione si volesse far servire ancora alla irrigazione , in un tal caso , come appare dal detto innanzi , si a- vrebbe una massa d' acqua di palmi cubici 5 104 086 ^65 che potrebbe addirsi a quest' uso. Ma per ciò fare sa- rebbe mestieri cavare gran vasche a conserve onde te- nere in serbo quell' acqua che non abbisognando ne' tem- pi umidi e piovosi necessiterebbe poi nei tempi secchi , quando ve n' è penuria. XXV. Per rendere meno dispendiosa la cosa, potrebbesi ranJe^aUa'n^Ji- destinare alla irrigazione la massa d' acqua soltanto che su- ^^^^^"^lut^tì^', pera dalla navigazione ne' tre mesi di giugno, luglio, ed """*■ agosto j che anzi sarebbe meglio non addirvene che la metà soltanto, serbando l'altra pure per la navigazione, onde non ne soffrisse nel caso che crescessero oltre il supposto le cose da trasportarsi. Giusta una tale ipotesi dovrebbero addirsi alla irri- gazione palmi cubici 23 85^ 334, ^ per la navigazio- ne resterebbero altrettanti nei mesi di giugno, luglio, ed agosto. XVI. È opinione che ad irrigare qualsiasi terreno per eia- po^^Mm'a?* senno de' mesi più caldi di giugno , luglio , ed agosto deiu!'"''" **^' basta tant' acqua da comporre un parallelepipedo di ba- se quanto il terreno da irrigare è di altezza palmo 0,60. Ond' è che cplla metà dell' acqua che supera dalla navi- ze. 208 ROSSI " gazione In tali mesi , potrebbero irrigarsi moggia napo- letane 278 di campagna, e con tutta essa moggia 546. XXVII. urigaz^nc." E* Sarebbe da vedere quale estensione di terreno sia me- eampagnedapo- glio rendere irrigabile per esso Canale, ed allora soltanto fcrs. Irrigare per , . , i r • i i. i iiKizn del cana- potrauno determinarsene le opere da larsi : le ciuau do- le — Cuusegueo* , . vranno consistere : 1 .° in conserve di tale capacità da con- tenere tant' acqua per quanto ne abbisogna alla irrigazione : 2.° in acquidotti di derivazione sino al Canale: 3.° in ca- nali secondarli colle rispettive bocche d' introito. Dirò soltanto che quando tutta 1' acqua che supere- rebbe dalla navigazione si addicesse alla irrigazione , po- trebbero col solo fiume Celone irrigarsi niente meno che 1^5 760 moggia Napoletane di terreno j e che quando vi si aggiungesse quella del Cervaro potrebbe portarsi sino ad oltre le moggia 3oo 000, ^ Ma che convenga valersi di tutta questa massa d' ac- qua non parmi j imjjerciocchè , per quanto può di leg- gieri giudicarsi , sarebbe di gran lunga la spesa maggio- re dell' utile che potrebbe trarsenej essendo troppo grande e dispendiosa opera ( a non parlare delle altre ) il ca- vare conserve da contenere tanta copia d'acqua, le qua- li inoltre dovrebbero costruirsi per modo da impedire per quanto si può le filtrazioni , ed anderebbero di anno in anno espurgate. Epperò ritorno a conchiudere che sarebbe meglio destinare per la irrigazione alcuni determinati tronchi de' diversi fiumi , come ho già detto , e non, far servire il DI UNA NAVIGAZIONE MEDITERRANEA 209 Canaio che alla navigazione soltanto^ od al più farlo ser- vire ad irrigare le dette 2'j3 moggia. CONCHIUSIONE. Ecco, Signor Presidente e dottissimi colleghi, tutto ciò che io doveva dirvi intorno alla natura de' fiumi della Ca- pitanata , alla pretesa navigazione ed irrigazione , ed alle opere necessarie per aprire un Canale di navigazione da Foggia a Manfredonia. E parmi che queste mie memorie così ordinate, offrano bastevoli elementi onde possa con- cbiudersi della convenienza dell' opera j che sapete ottima- mente come male si avviserebbe chi credesse doversi man- dare ad effetto l' impresa solo perchè possibile , o non doversi solo perchè di grave spesa ? dovendosi sempre in- stituir paragone tra i capitali da impiegarsi e la utilità che da essi trarrebbesi per una data opera ; onde poi poter conchiudere di impiegarli a preferenza per essa, od esser meglio volgerli a più necessario o più utile impresa. Quanto a me stimo utile la cosa , ma non conve- niente , almeno per ora , mancando ancora quella pro- vincia di buone e regolari strade rotabih j le quali sorte di comunicazioni debbono sempre , com' è generale opi- nione , compirsi prima che intraprenderne di altre. Tom. ir. W , 01 J 27 vw^^T/u ~T — i 4 SI ;mic)i'u. - r «o ««« «v*' *>^* *^* *^^^ **** ^^^^^ *^*^ *'*'** ^^**^ Ìl5 a; A' DEL PRESENTE FASCICOLO Di ima navigazione mediterranea in Capi- tanata ira Foggia e Manfredonia , e del/a irrigazione di quelli terreni , di Vincenzo Antonio Kos.<ìi Con una tavola in 7'ame. 3.12. I nj Prezzo del presente fascicolo gr. 4^ l Ài 11 f Al A^ Ai Al A| A] !©?! 55 Y ' f¥; hjr ¥,' j»g<><»"^>co^^<»o-g*ooOooO»^^^o^O»^o«^«'«'<>»oO«Og^»o«*go<'>o-='<»^^^'='<>^^ cg^Pe»co^»oo<»ocgK'«><^*'o<»c| Y ¥. S¥' »¥ _5;f;f/^ ^c« Vf'W^jui «vw ' e .'t ■•. JM' / ''i Ss A ! I \ BELL' ACG ADEIÌII A PO^TANI AN A •»»»n)3)3'Jé KiCicretMot *s^ FASCICOLO 11 DEL VOLUME J[V L' nccadoniia poulauiana pubblica i suoi alti in fascicoli, iiUìiicliù pussatiu ijollecitamcutu cuuoscetsi le memorie a misura che sono ap- provate. Ogni fascicolo si pubblica subito che si ha sufficiente materiale e senza astringersi ad alcun determinalo periodo o numero di fogli. Terminati i fascicoli ihe debbono comporre un volume, si dà il frontespizio, la dedica , la storia de' lavori , ed il catalogo digli acca demici da premettersi al volume medesimo. — *o)«e *' A ¥ ¥ «#»¥„ »/^ ¥ 55 ■ff y». ^ ¥ % !»¥*<■'- i ¥i^S TAVOLE DI MONETE DEL PRESENTATE NEL 1839 ALL' ACCADEMIA PONTANIANA B^t SOCIO mtSIDSNTK SALTATORE FCSCO k3ono trascorsi molli anni , che ho rivolta la men- te a trattar delle monete del nostro Reame , e frugando Degli Archivj ho durato gravi fatiche in raccogliere no- tizie per illustrarle. Fin dal 1812 scrivendo sul Ducato di Re Ruggieri, promisi dare per le stampe un'opera che riguardalo avesse le zecche del nostro Reame: pel . HI. JV. 9. ) DEL MEDEilMO Dr. Nel mezzo M, come nelle altre, e nell* epigrafe -{- A CON ET DVX. 9f Testa come quella descrilla nel n.' vili. 2 1.6 FUSCO XI. Rame {Tav. IL N. ii.) DI MARINO II Dr. INel mezzo M con un punto sopra ed un altro al di sotto : intorno "i" CONSVL ET DUX. Marinus Consul et Dux. ^ Croce greca che interseca I' intero campo, e ne- gli angoli veggonsi le lettere S . E . A fi. Saw ctiis Erasmus , nome del Santo Protettore di Gaeta, Alfa ed Omega. XII. Rame ( Tav. II. N. 3. ) DI RICCARDO I. Dr, Croce greca in mezzo ad un cerchio : intorno Rie. CON e T DVX. Riccardus Consul et Dux : Veggonsi ripercosse con un punsone le lettere DV con linea sopra e stella sotto, ^ Simile croce nel centro colla epigrafe GAETa. XIII. Rame ( Tav. IL N. i.) or RICCARDO II. Dr. Lo stesso tipo colla leggenda RIC CON et duK.. ^ La croce medesima nel mezzo coli' epigrafe -|- GAETA lì. MONETE Di NAPOLI E SICILIA 217 XIV. Rame ( Tav. II. N. ì.) DEL MEDESIMO La Stessa colla sola varietà di leggersi nel rovescio , ■\- GAIETA II. XV. Rame {Tav. IL N. 4.) DEL MEDESIMO Dr. La solita Croce nel mezzo coli' epigrafe RIC con et duX. II. Riccardus Consul et Dux Se' cundus. ^ La stessa Croce: intorno -|- AGETA colla mede- sima ripercussione delle lettere DV. XVI. Rame ( Tav. IL N. 5. ) DI GUGLIELMO re Dr. Croce greca : Intorno P epigrafe -|- W DEI Gra . rEX. 9f Castello : intorno -J- ciVITAS GAIETa. XVII. Rame ( Tav. IL N. 6. ) del medesimo La stessa di tipo diverso , che nel diritto ha la cro- ce ornata di piccoli cunei. ii8 rusco XVni. (^Tav. n. N. 7.) DI TANCREDI RE Dr. Croce ornata nel mezzo coli' epigrafe -^ TAN (fEI GRA REX. Tancridus Dei Gratta Rex. Vedesi la ripercussione di uua stelletta a cinque raggi in un cerchietto. 5f Castello colla leggenda -|- CIVITAS GAIETA. XIX. XX. XXI. Rame (Taf. //. N. 8. 10. 12.) MONETE AUTONOME Dr. Nel mezzo un castello : intorno [-|- CIVITA S CAieTA. 1^ Croce greca in un cerchio ornata nelle punte e globetti negli angoli : in giro , SCS ERASMVS. Si credono battute dopo la morte di Federigo. MONETE DE' DUCHI DI AMALFI. XXII. Rame ( Tav. XI. N. 10. ) DI MANSONE Dr. MANS ... CE . . X Manso Vice dux. ÌS[ Castello. .../:. 1 MONETE DI NAPOLI E SICILIA a 19 XXIII. Rame (^Tav, XI. N. ii.) DEL MEDESIMO Dr. . . NS. . . CED VX Manso Vice dux. Vf Busto del Duca con due croci ai lali : Ripercossa. MONETE DE DUCHI DI SORRENTO XXIV. Rame ( Tav. I. N. 8. ) DI SERGIO Dr. Nel campo SEr CSI et DVX et PRINCe SIR. Sergius Consul et Dux et Princeps Sirrenti. ^ Busto di un Santo Vescovo col bacalo pastorale e diadema. XXV. Rame ( Tav. I. N. 9. ) DEL MEDESIMO La ttessa di conio diverso. Tom. IV. a8 aao FUSCO MONETE DE' PRINCIPI DI SALERNO XXVI. Argento (^Tav. III. N. i.) DI GUAIFERIO Dr.Nel campo VVAIFERIVS ^.TVaiferiusPrìnceps. ^. Croce latina coli' epigrafe ARHANGELVS M. Archangelus Michael. XXVII. ARGENTO {Tav. ir. N. 7.) DEL MEDESIMO Dr. Un cardo colla leggenda -^ VVAIFERIVS PRN. Waiferius Princeps. 9f Croce con due gradini in mezzo a due globetti, coir epigrafe + ARHANGELVS MIA. Arcìian- gelus Michael. XXVIII. Argento ( Tav. IV. N. 6. ) DEL MEDESIMO Dr. Nel mezzo una piccola croce, intorno alla quale sono disposte le ultime quattro lettere della leg- genda VVAIFERIVS PRINCEPS. Yj. Nel centro veggonsi in due linee le lettere ini- ziali della uUinia parola dell'epigrafe SANTVS MIHAEL ARHN. Sanctus Michael Archan- gelus. MONETE DI NÀPOLI E SICILIA 311 XXIX. Rame {Tav. HI. ^. 2.) DI GISULFO I. Dr. Busto del Principe con spada , o asta a diritta, e stella a sinistra , colla leggenda GISVLFVS PRINCEPS. ^ La città lambita dal mare , in giro della quale OPVLENTA SAhErno. XXX. Oro ( Tav. III. N. 5.) DI GISULFO li. Dr. Nel circolo interiore leggenda cufica : nell' este- riore 4- GISVLFV PRIN. ^f Nel circolo interno altra leggenda cufica: nell'ester- no GISVLFV . . R. XXXL Oro ( Top. ///. N. 6. ) DEL MEDESIMO Dr. Simile alla precedente coli' epigrafe -|" GISVL- FVS RPINC . . . ^ Leggenda cufica in ambo i circoli. Ji--. a4»' Al j;T.3 FUSCO ■'» XXXII. ( Tav. IH. N. 3. ) : DEL MEDESIMO Dr. Il Principe in piedi tenendo il labaro colla di- ritta , e il globo colla croce sopra nella sini- stra : in giro GISVLFVS PRICE, 9* Nel campo -^ OPVLENTA, SALERNO. ' XXXIII. Rame ( Tav. IIL iV. 4. ) DEL MEDESIMO Simile alla precedente , minore per modulo e senza leggenda intorno all' immagine del Principe. MONETE DE' PRINCIPI DI CAPUA XXXIV. Rame ( Tav. IF. N. 1 .) DI RICCARDO Dr. Nel campo -f- RICHaRD. PRIN CA. . . Rìchar- dus P/inceps Capuae. 9" Castello coli' epigrafe -|- CIVITAS N4 . Civi- tas Capuana, -J7cJ ^ -]XXXV. Rame ( Tav. IF.N.'Ò.) DI ANFUSO Dr. Testa del Re coronala : ai Iati R . . Rogerlus Rex. ipf li Principe in piedi con cimiero , ed ai lati le lettere A P. Jnfusus Princeps. MONETE DI NAPOLI E SiaUA aa3 XXXVI. Rame (,Tav. IV. N. i.) DEL MEDESIMO Dr. Il principe a cavallo armato con un' asta avente uà elmo con piume. ^ Una croce che taglia l' intero campo, negli angoli delia quale vi sono le lettere AN. PRI, Anfusus Princeps. MONETE DE' CONTI DI TEANO XXXVII. Rame ( Tav. IV. N. 8. ) Dr. Testa del Conte di profilo colla leggenda ... AI . VI . lOAKN. 5r civ. TA. TEANI. Ciifitas Team. MONETE DE' PRINCIPI NORMANNI XXX vili. Rame ( Tau. F.N.i.) Questa moneta, la quale porla il nome di Roberto, non appartiene ad alcuno dei prìncipi Normanni^ aa4 FUSCO XXXIX. Rame ( Tav. XL N. \y,) DI RUGGIERI Doga Dr. , n . . PIO . AOTS. Pa)Y«pioff Aou| 5^ Effigie del Salvatore colle lettere i . XC, cioè IniTous XptiJTos . XL. Rame (Jav. XI. N. i3.) DEL MEDESIMO Dr. nr . PIOC , OY . Vasyeptos Aou^ 5f Lo stesso della precedente XLI. Rame ( Tai>. F. N. 3.) DEL HEDESraO Dr. Stella : ROGE . . V . DUX . Rogerius Dune. 9" Busto del Santo col nimbo colle lettere S . M . Sanctus Matheus protettore della Città di Sa^ leroo. UONETB DI NAPOLI E SICILIA taS XLII. Rame ( Tav. K N. 4- ) DEL MEDESIMO Dr. Simile stella : OG . . IV . DVX pf Come nella precedente : queste monete sono riper- cosse sopra altre Costantinopolitane. 1 ■ » XLIII. Rame (Tai>. V. N. 5.) DEL MEDESIMO Dr. ROGE RIVS DVX ipf EiUgie del Santo colle lettere S. M. XLIV. Rame (Tav. V. N. 6.) DEL MEDESIMO Dr. Una stella ROGE RIVS DVX ipf Un putto colla croce nella sinistra poggiata sol- la spalla y e colla destra avente unu specie di flagello. }36 FUSCO XLV. Kame ( Tav. Vili. N. 6. ) DEL MEDESIMO Dr. Testa del Duca: intorno \ ROGERIVS DVX. 5^ Croce alla cui estremità s'innalzano due rami & chiudere la parte di sotto della stessa : nella parte di sopra IC XG ^i XLVI. Rame ( Tav. T. iV. 7. ) DI GUGLIELMO Doca Dr. Il Duca a cavallo con spada e scudo avendo in testa il berelto ducale , colla iscrizione attorno -f W. DVX APVLIE 9* L' Apostolo S, Pietro colle mani giunte : nella de- stra una croce : in testa la tiara e nimbo : colla leggenda BEATVS PETRVS XLVII. Rame ( Tav. V. N. 8. ) DEL MEDESIMO Dr. In mezzo ad un giro di globetti GV. DVX 9* La testa di un Santo in mezzo a due stelle. MONETE DI NArOLI E SICILIA 227 XLVIII. Rame {Tai>. V. N. 9. ) DEL MEDESIMO Dr. Una Croce agli angoli della quale vi sono le let« tere VV DVX. ^ Il busto di S. Matteo che tiene la destra sul libro degli evangeli : nel campo S. 51. XLIX. Rame ( Tai>. F. N. 10.) DEL MEDESIMO Simile alla precedente , ma di modulo più piccolo. L. Rame ( Tai>. FI. JS. i.) DI RUGGIERI CONTE Dr. Il Conte a cavallo collo scudo, beretto ducale e vessillo di S. Chiesa pendente sulla spalla diritta: attorno le lettere ROGERIVS COME -^ S. 5f La vergine assisa in una sedia col bambino in brac- cia : in giro -[- MARIA MATER DNI. LI. Lll. LUI. Rame (Tai^. FI. N. 2. 3. e 4.) DEL MEDESIMO Simili alla precedente , ma di diversi moduli. Tom. JF. 29 aaS FUSCO LIV. LV. Rame (^Tav. VI. N. 5. e 6.) DEL MEDESIMO Dr. Croce ornata di globetti , avente negli angoli ROGE COM., cioè Eogerius Comes. 9f Nel centro un T: attorno •{• CALABRIE SICILIE LVI. Rame ( Ta(^. FI. N. 7. ) DEL MEDESIMO Dr. Croce corae nella precedente colle lettere ROGE COME. ^ Cerchio col j^ : croce e nastro sopra. LVII. Rame ( Tav. VI. N. 8. ) Dr. Principe stante colla corona, tenente colla de- stra r asta e il mondo : a dritta R. II. y. H Salvatore seduto. LVIII. Rame ( Tav. VI. N. 9. ) Dr. Simile al precedente. 9" Croce greca con ìc XG NIRA in giro. 1^ MONETE DI NAPOLI E SICILIA 329 LIX. Rame {Tw. FI N. io.) Dr. Principe seduto avente nella destra l' asta, e nel Iato sinistro il mondo: a sinistra le lettere R. II. 9f Busto del Salvatore : ai lati lESVS. Le precedenti tre monete debbono addirsi più tosto ai principi di Costantinopoli, anzi che a Ruggieri secon- do, come da taluno si è tenuto. LX. Rame ( Ta^. FIL N. i.) Dr. Nel campo + KEBOH ©EITojS «AOTAco PoiVrE PI*. Kupie j8oT)3£c rof <5o^ 5ouX<^ Poreptc^. Signore soccorri al tuo servo Ruggieri, 5f La vergine in piedi su di un globo colle mani alzate: a' lati MP ©y, cioè Mrirjip 0;ov, madre di Dio. Tal moneta va nella classe di quelle dei principi di Aniiochia. a3o rusco LXL LXII. LXIII. LXIV. LXV. Oro (IW. VII. N. 2. 3. 4. 5. e 6.) DEL MEDESIMO Queste cinque monete conispondono dalla 64.' alla 68." di Adler (1), e 279 di quelle rapportate dal eh. Conte Castiglione (2) , in cui si ha in caratteri cufici: Ruggieri Emiro. LXVI. Oro {Tav. VII. N. 8.) Così nel dritto come nel rovescio ha in giro carat- teri cufici : è la 69.' di Adler. LXVII. Oro ( Tav. VII. iV. 7. ) Corrisponde alla 70." di Adler : Il eh. Principe di S, Giorgio la esclude dalla serie delle monete Sicule. LXVllI. Oro (^Tav. VII N. 10.) Dr. Leggenda cufica. 5f Croce col ìc XC NIKA : Nel giro leggenda cufica. (1) Museum cuficum Rorgianum Veliiris. (a) Monete cuficlie dell'I. R. museo dì Milano, MONETE DI NAPOLI E SICILIA 23l LXIX. LXX ( Tav. VII. N. n. e 12.) DI RUGGIERI KE Corrispondono alla 71' e 72° di Adler, ed alla 280 del Conte Castiglione che così la descrive : Dr. Croce Greca : nel campo ic XC Gesù Cristo MKA Vince. In giro : battuta nella capitale della Sicilia .... ^f II He Bi/ggieri Augusto, forte coWajuto di Dio. In giro :' nel nome di Dio battuta . . . LXXI. Oro {Tav. Vii. N. i3,) DEL MEDESIMO Dr. Croce ornala di quattro punii con leggenda cu- fica in giro. I)f Croce latina, negli angoli della quale le ^^ NIKA LXXII. LXXIII. Argento {Tav. VII. N. 14. i5. ) DEL MEDESIMO Dr. Il Re Ruggieri e suo figlio Duca Ruggieri soste- nenti una croce , colle lettere R R SIC. = R . DX AP = AN R X, cioè Eogerius Rex Si- ciliae = liogerius Dux Jpuliae = Anno Re- gni X. aSa FUSCO ^i!" Il Salvatore col nimbo in lesta e il libro degli evangeli nella sinistra : In giro -{" IG . XG . RE IN iETRN., cioè Jesus Christus regnai in ae^ termim. LXXIV. Rame (^Tai>. VIIL N. i.) DEL MEDESIMO Corrisponde alla 7 5" di Adler, e 281 di Castiglio- ne che legge Dr. Negli spazj fra due linee che s' intersecano : Per ordine del Be Bnggieri augusto. 1^ Sopra tre linee intersecate: Fu battuta in Mes- sina l'anno quinto quarantesimo: Negli spa- zj fra le linee e cinquecentesimo. LXXV. Rame (Tat;. FUI. N. 4.) DEL MEDESIMO Dr. Il Re Ruggieri impiedi : POrEP PH| . Roge- rius Rex. J^H" Croce di Malta : intorno ic XC NIKA. LXXVI. Rame ( Tav. Vili. N. 5. ) DEL MEDESIMO Dr. Ruggieri sedente : POPE ANa| . Rogerìus Rex. 5f Croce greca : ic XC NIKA. MOMETB DI NÀPOLI E SICILIA 233 LXXVII. Rame ( Tav. Vili. iV. 7. ) DEL MEDESIMO , Dr. Testa circondata da due giri di punti 9" Nel campo r rex. Rogerius Rex. LXXVIII. Rame ( Tav. VIIL N. 8. ) DEL MEDESIMO Dr. Iq un cerchio RO. Rogerius. 1^ Iq un' altro cerchio ^f. Rex. LXXIX. Rame (Tai>. FUI. N. 9.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo una croce all' intorno RO RX. Rogerius Rex. 9f Busto di un Santo colle lettere s S a' Iati , che possono dinotare S. Stephanus. LXXX. Rame ( Tav. FUI. N. 10, ) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo R Rogerius. 5f RX. Rex. 234 FUSCO LXXXI. Rame {^Tav. VIIL N. ii. ) DEL MEDESIMO Dr. R EX. Rogerìus Rex. 5f Croce di Malta con quattro punti. LXXXII. Rame {Tav. V. N. 2.) DEL MEDESIMO Dr. Rò ^. Mogerius Rex. 9" Croce greca con punii. LXXXIIL Rame {Tav. FUI. N. 12. ) DEL MEDESIMO Dr. Croce greca colle lettere a' lati RO. Bogerius. 5f Croce latina colle lettere RX, Eex. LXXXIV. Rame ( Tav. VIIL iV.i3. ) DEL MEDESIMO Dr. Nell'area una stella: in giro ROGERI . . . . X. Rogerius Rex. 5( Una testa dì Leone. MONETE DI NAPOLI E SICILIA 235 LXXXV. Rame (^Tav. Vili. iV. 14.) DEL MEDESIMO Dr. Pari stella : ia giro ROGERIVS. ipf.Un pesce. LXXXVI. Rame ( Tav. Vili. N. i5.) DSL MEDESIMO Dr. ."s -f^X, Rogerius Rex. V/i Pesce ia mezzo a due croci j è lo stesso che 1X0 YS iniziali del nome di Ges,ù. LXXXVII. Rame (^Tav. VUL N. 16. ) DEL MEDESIMO Dr. Croce nel campo : in giro IVS REX. Rogerius Rex. 1^ Una mezza luna tra due stelle. LXXXVIII. Rame (Tau. FUI. ^'. 17.) DEL MEDESIMO Dr. Due cerchi , intorno ROGERIVS REX. R' Una croce con due rose sopra, e due stelle sotto. Tom. ly. 3o i36 FUSCO l^XXXIX. Rame {Tav. Vili. N. 18.) DEL MEDESIMO Dr. Croce greca : RO . . REX. Rogerius Rex. Kf Un agnello movente a dritta colla croce sul dorso. LXXXX. Rame (,Tav. Vili. N. ig. ) DEL MEDESIMO Dr. Testa di Ruggieri con una stella nel campo : a' lati le lettere R R. Rogerius Rex. ^ Un castello. LXXXXI. Rame (Tai^. Vili. N. 20. ) DEL MEDESIMO Dr. Testa di Ruggieri coronata. ^f Albero di dattilo con due stelle sopra, e sotto R R. Rogerius ReX. LXXXXn. Rame ( Tav. Vili N.2\.) DEL MEDESIMO Dr. Testa di Ruggieri. Bf Croce. MONETE Di NAPOLI E SICILIA ^^J LXXXXIII. LXXXXIV. Argento (^Tav. VII. iV. 16. 17.) DI GUGLIELMO L Dr. II Re Guglielmo che con una mano tiene la croce, coir altra il mondo. A sinistra il figlio Ruggieri tenente con una mano la stessa croce, e coir altra la spada: in giro W REX. Nell'area ^ DVX FILIVS ElVS. 5f Effigie del Salvatore col libro degli evangeli a dritta , ed a' fianchi le lettere le XC . LXXXXV. Argento {Tav. X. N. 5.) DEL medesimo Dr. Croce nel campo : in giro -|- TERCIA DVCALIS. Vf. Leggenda cufica. LXXXXVI. Argento {Tav.X. N.\i.) DEL medesimo Dr. Nel campo W . ^f : intorno caratteri cufici. 9f MED TERC : cioè media tercia. LXXXXVII. LXXXXVIII. Rame (Tav. IX. N. 3. 4.) DEL MEDESIMO Corrispondono alla ■j^,' e 78.* di Adler. Dr. Rex PVilclnius Au"xistus. 5( Croce nel mezzo ; in giro caratteri cufici. 238 FUSCO LXXXXIX. Rame ( Tav. IX. N. 5. ) DEL MEDESIMO Dr. Croce negli angoli della quale W REX DVX PNG . Wilelmus Rex , Dux , Princeps. 9f L'Agnus. C. CI. Rame {Tav.IX. N. 6. e 7.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo REX W con leggenda cufica Intorno. j^ La Vergine col bambino: a' lati le lettere MP ©Y. MriTnp 0£où. È riportata dall'Adler al n." 79. CU. Rame ( Tav. IX. iV". 8. ) DEL MEDESIMO Dr. Croce che taglia l' intero campo. Ne' lati W REX DVX APV. Wilelmus Rex Dux Apuliae. 5^ Un gatto. Cin. Rame ( Tav. IX. N.g.) DEL MEDESIMO Slmile alla precedente pubblicata sopra una moneta consumata da Gennaro Chiarito nella su£i opera iatitola- ^^ ta : Esame di ire perdamene. ^| MONETE DI NAPOLI E SICILIA. a39 CIV. Rame ( Tav. IX. N. io. ) DEL MEDESIMO Dr. Ili un cerchio croce ad otto raggi : Intorno W Di GRA . . . ^. FFilelmus Dei Gratia Rex. V/i Leone movente a sinistra. CV. Rame (Tav. IX. N. 1 1 .) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo W ed ^^ rovescio. TVilelmus Rex. ^ Un albero di dattilo con frutta. evi. Rame (Taf. IX. N. /a.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo \^ W. Rex FFilelmus. ^ Calice di un fiore. CVII. Rame {Tav. IX. N. i3.) DEL MEDESIMO Dr. Si vede il W solamente. J/ Sembra rap^iresentare qualche animale. 24o FUSCO CVIII. Rame (TVip. IX. N. \k.) DEL MEDESIMO Dr. In giro : '-{^ GVLjeZffjVS : nel centro ^. 5( Una croce. CIX. Rame {Tav. X. N. x5.) BEL MEDESIMO . Dr. Nel carapo W. 5^ REX in mezzo a due punti. ex. Rame (^Tav. IX. JS. i6.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo w. 5( Effigie di un santo. CXI. Rame (^Tav. IX. N. 17.) DEL MEDESIMO Dr. W R con quattro punti sopra e sotto. 5( Non si distingue bene cosa siavi impresso. MONETE DI NAPOLI E SICILIA air CXII. Oro {Tav. X. N. i.) DI GUGLIELMO IL Corrisponde all' 80." di Adler, ed alla 286 del Ca- stiglione che la dà al primo , o al secondo Guglielmo. CXIIL Oro (^Tav. X. N. 2.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo W con due giri di caratteri cufici. 9^ REX con due altri giri dell' istesso carattere. CXIV. Oro {Tav. VII. JS. 9.) DEL MEDESIMO Corrisponde alla fg." di Adler. Dr. Wilelmus secundiis. 5f Protector christianorum. CXV. Argento {Tav. IX. N. \.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo W. 9^ con due stelle : intorno -]- SICIL DVCAT APVL PRINC GAP: cioè IVilelmus Rex Siciliae , Ducatus Apuliae^ Principatus Capuae. ^f Un albero di dauilo colle frutta e due stelle : in giro -]- APVLIENSIS. 2^2 FUSCO CXVI. Argento ( Tav. IX. N. 2.) Simile alla precedente. CXVir. Argento (Tav. X. N. 3.) . DEL MEDESIMO Dr. Albero di dattilo eoa frutta pendenti : con sopra le lettere W. ^. 9* Nel centro leggenda cufica, intorno TERGI APV- LIENSIS. . CXVIII. Argento ( Tat^. X. N. 40 DEL MEDESIMO Simile alla precedente , ma nel rovescio leggesi TERGI APVLTENSIS : I. Corrisponde al n.° 78 e 74 di Adler. CXTX. Argento (Tav. X. N. 6.) DEL MEDESIMO r>r. Nel campo QVARTA TERCENARIf. ìjL Croce , intorno caratteri cufici. Corrisponde alla loi, di Adler. MONETE Di NAPOLI E SICILIA 2 43 CXX. CXXI. Rame (^Tav. W. N. 4. 5.) DEL MEDESIMO Dr. II busto di S. Nicola colla leggenda AriOC NIKOAAoj. Sanctus Nicolaus. 9f EFINETO £lC THN nOAIN MECCHNHC cioè : Ope- rata in urbe Messanae. CXXII. Rame (^Tav. IL N. ^.) DEL MEDESIMO Dr. Come nel precedente, 5^. Leggenda cufica. CXXIII. Rame (,Tav. X. N. 7.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo bEX W SCVS. I^ex Wilelmus se- cunchts. Intorno 4- OPERATA IN VRBE MESSANE. ff Caratteri cufici. Corrisponde al n.° 83 di Adler. CXXIV. Rame ( Tav. X. N. 8. ) DEL MEDESIMO È r84.' di Adler, e 289 del Conte Castiglione. Dr. In caratteri cufici : Guglielmo secondo, 9' Testa di Leone. Tom. ir. 3i a44 FUSCO CXXV. Rame ( Tav. X. N. 9. ) DEL MEDESIMO Dr. Testa di Leone. ^ Albero di dattilo con frutta. CXXVI. Rame {Tav. X. N. 12.) DEL MEDESIMO Dr. G in mezzo a due stelle , sotto '^ II : cioè Guilelmus Rex II. 5f Albero di dattilo eoa due stelle a' lati del tronco, e due punti sopra. CXXVII. Rame ( Tav. XI. N. 9.) DEL MEDESIMO La stessa. CXXVIII. Rame {Tav. X. iV. i3.) DEL MEDESIMO Dr. W in mezzo a quattro punti surnoontati da un» mezza luna posta in mezzo a tre stelle. 5( 5( ^^ co^ quattro puQti. MOJSETE DI NAPOLI E SICILIA i^S CXXIX. Rame (Tau. XT. N. 8.) DEL MEDESIMO Dr. In un riquadro G. Gnilelmus , sopra II. 9f Croce avente agli angoli superiori le lettere RE. Rex j e sotto due punti. CXXX. Rame {Tav. X. iV. io.) DEL MEDESIMO _a Dr. W REX II. 5^ Castello colle lettere S. A. CXXXI. Argento ( Tav. XI. N. i.) DI TANCREDI Dr. Nel campo "ACD REX SICIL'E : In giro -f- DEXTERA DNI EXALTAVIT ME. Tancri- dus Bex S'iciUae:Dcxtera Domini exaltavit m*. Rf Leggenda cufica. CXXXII. Argento ( Tav. XI. N. 7.) DLL MEDESIMO Dr. Nel campo ACD REX SICILIE. 9' Leggenda cufica. a46 FUSCO CXXXIII. Rame {Tav. XL N. 2.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo REX SICILIE. 5/" Leggenda cufica. CXXXIV. Rame (Tav. XL N. 3.) DEL MEDESIMO Dr. Croce che occupa l' intero campo colle lettere in giro TANCRE. 5f Un T surmoutato da corona : in giro REX SI- CILIE. CXXXV. Rame (Taf. XI. N. 4.) DEL MEDESIMO Dr. Nel campo TA. ^ frammezzate da una linea. Tancridus Rex, 5f Un Castello. CXXXVI. Rame ( Tav. XI. N. 5.) DEL MEDESIMO Dr. AC. Tancridus. ^ ^. Rex. U MONETE DI NAPOLI E SICILIA a47 CXXXVII. Rame (Tav. XL N. 6.) DEL MEDESIMO Dr. Un vase con una palma, e la lettera T nel campo. Tancridus. 9f Caslello colla lettera ^. Rex. CXXXVIII. CXXXIX. Rame {Tw. Vili. N. 2. 3.) DEL MEDESIMO Simili a quelle riportate da Adler nei n." 73. 74» • dal Conte Castiglione nel n." 290. Dr. Leggenda cufica che dice : il Re Tancredi. 9f la mezzo REX. la giro ROGERIVS. (.>•!< I]\DICE DELLE TAVOLE 249 TAVOLA I. TAVOLA IV. N.» I. ir. N.° I. XXXIV, » 2. III. » 2. XXXVI. )) 3. j. » 3. XXXV. ì) 4. IV. » 4. CXX. » 5. V. )) 5. CXXI. » 6. VI. » 6. XXVIII. » j. VII. » 7- XXVII. >j 8. XXIV. >J 8. XXXVII. » 9- XXV. TAF OLA IL TAVOLA V. N." I. XIII. N.° I. XXXVIII. » 2. XIV. )l a. LXXXU. » 3. xir. » 3. XXXXI. » 4. XV. » 4. XXXXII. » 5. XVI. )) 5. XXXXIII. » 6. xvir. » 6. XXXXIV. » 7- xviii. » 7- XXXXVI. » 8, XIX. » 8. XXXXVII. » 9. CXXII. » 9- XXXXVIII » IO. XX. n IO. XXXXIX. M it. XI. » 12. XXI. TAVOLA VI. TAVOLA in. N.° I. L. K.o 1. XXVI. » 2. LI. » 3. XXIX. » 3. Lir. » 3. XXXII. » 4. LUI. » 4. XXXIII. 1) 5. LIV. M 5. XXX. rt 6. LV. • 6. XXXI. •ti 7- LVI. » 7- Vili, 1 8. Lvir. » 8. IX. u 9- LVIII. « 9- X. u 1». LIX. aSo TÀFOLA VII. Il " 3. XCVII. » 4. XCVIII. N.» 1, LX. » 5. XCIX. n 2. LXI. » 6. e. » 3. LXII. > 7- CI. >• 4. LXIII. >J 8. cu. » 5. LXIV. » 9- CHI. » 6. LXV. B IO. CIV. * 7- LXVII. » II. CV. » 8. LXVI. » la. evi. » 9- CXIV. » i3. CVII. X IO. LXVIII. K .4. CVIII. » It. LXIX. » i5. CIX. • la. LXX. n 16. ex. V i3. LXXI. » '?• CXI. » ,4. » i5. LXXII. LXXIU. TAVOLA X. » 16. xeni. N." I. CXII. » 17- xciv. » a. CXIII. TÀVOLA vili. 3. 4. CXVII, CXVIII. ^.• I. LXXIV. » 5. xcv. » a. CXXXVIII. » 6. CXIX. >. 3. CXXXIX. » 7. CXXIII. » 4. LXXV. » 8. CXXIV. . 5. LXX VI. ) 9- cxxv. » 6. XXXX.V. » IO. cxxx. * 7- Lxxvir. » 1 1. XCVI. » 8. LXXVIII. k I 2. CXXVI. » 9. - LXX1\. n li. CXXVIII. » IO. LXXX. » II. Lxxxr. TATO LA XI. » 12. LXXXIII. » i3. LXXXIV. N.° I . CXXXI. » 14. LXXXV. » •1. CXXXIII. » i5. LXXXVI. » 3. CXXXIV. » 1 6. LXXXVII. » 4- CXXXV. » 17. LXXXVllJ. )) 5. CXXXVI. » 18. LXXXIX. )) 6. ex XX VII » 10. xc. » 7- CXXXIl. » io. XCI. » 8 CXXIX. » ai . XCl!. t) 9- rxxvii. TJroi./j IX. » ì> IO. 1 1. XXII. XXIII. K ^ r. cxv. > J2. XXXIX. * -i. ex VI. » li. XXX.X. ■;.:(/ TI TU. Tlll TÌV ,- 1-'"- ■■Al «''i T V- 10 R TVl '^'-. TVIl T VII/. 2] R W. 4 T IX AìM — •zittii! R 4 R R /^(MSi\ 9 n 1S "fm R 17 R T X R R 4 P. S R TXl- f R i ♦C^OOOO^'O**^ B»C 0»POO'>'>V« *>«»»» \^ft »«00oia^c'0^*'1»»'>^«-0u J^o ^^^«oO*^' ^f^ *©^ A S; I #■ •« ^* 1 llf 1^ §A fili sa» vi li? ss I DEL PRESENTE FASCICOLO Tavole di monete del reame di Napoli e Si- cilia, presentate da Saldatore Fusco, pag. ai i Coli undici tavole in rame. Prezzo del presente Jascicólo t. 35 I k !.c. I ì? ?#=! DELL'ACCADEMIA PONT ANI AN A II— )i>WOt»{Cuoi atti in f.iscicoli , afljaclic {)05sano sollecil^mciite conoscersi le memorie a misura che sono ap- provate. Ogni fascicolo si jiubblica subito che si Ita sufficiente materiale e scQza astringersi ad ale-.. J^lcrminato periodo o numero di fogli. Terminali i fascicoli < lie debbono comporre un volujiic, si dà il frontespizio, la dedica , la storia de" lavori , ed il catalogo degli acca demici da premettersi al volume medesimo. SIÙ2PDIL3 DA- TORCHI DEL TRAU.\T£lf D*» INTERPOLAZIONE PRESENTATA ALL' ACCADEMIA PONTANIANA DAL SOCIO BISIDENTZ DISCUSSIONE INTORNO ALLA SCELTA DELLA FORMOLA ADOPERATA NELLA COSTRrzIONE DELLA TAVOLA. §. I. Neil' appendice alle Effemeridi di Milano del i83o, l' illusive astronomo Oriani , ragionando di un' antica formola d' interpolazione inserita negli atti di Berlino , e riprodotta dal chiaris. prof. Bessel nel gior- nale di Schumacher , la ricava da altra formola ripor- tata già nelle stesse Effemeridi , ed accenna il modo di farne uso tenuto dal lodato Bessel , il quale prepara a quest* oggetto una tavola de' logariluii di alcuni valori X, X\ X" etc. funzioni del tempo. L' astronomo di Mi- lano osserva che la formola preferita dal sig. Bessel Tom.IF. 3a 20 2 AMANTE esige un calcolo più lungo che non richiegga la formola delle Effemeridi , cui dà T aspetto seguente j + r(^"-f.^-'+ )0 .+r^.(^- )q Intanto per calcolare anche questa formola più sem- plice si debbono formare con le differenze J', 5",5"' j coefficienti delle potenze del tempo — , aggiungere i lo- garitmi di quelli coefficienti ai logaritmi delle potenze , trovare i numeri corrispondenti , e farne la riduzione. A noi sembra che , volendo usare i logaritmi , sa- rebbe più utile r immediata applicazione delle serie d'in- terpolazione sotto la loro forma ordinaria , siccome 2 2.3 la quale offre il vantaggio che il coefficiente del termine seguente ha sempre per fattore il coefficiente del termine precedente. Ma è chiaro poi che 1' interpolazione riusci- rebbe assai più facile se i termini dipendenti dalle diffe- renze seconda , terza etc. potessero ottenersi da altret- tante tavole. Nella Conoscenza de' tempi si trova calcolata da TAVOLA GENERALE d' UNTERPOlaZIO-NE 2^3 M. Mathieu una tavola d' interpolazione , la quale tlà il valore del termine dipendente dalla differenza seconda, con r argomento dell' ora data , e per la semisomma delle due differenze seconde che risultano da quattro va- lori presi nelle tavole astronomiche. Pare dunque che non rimarrebbe se non ad aggiungere a questa tavola un' ap- pendice che desse i termini dipendenti dalle differenze degli ordini superiori. Ma la cosa non è tanto semplice quanto si mostra a primo aspetto , poiché la tavola di M. Mathieu suppone che si adotti per differenza seconda la media di due come abbiamo accennalo , circostanza che non si verifica nella formola usata comunemente ^ e di più la tavola medesima è calcolata da io in io mi- nuli , il che sarebbe sufficiente per 1' esattezza de' risul- tamenti , ma essendo per brevità disposta come quelle a doppia entrata, 1' uso n' è incomodo se non vi si aggiun- gono le differenze, e dovrebbe poi contenere i centesimi per dare con esattezza i decimi. Per questa ragione , e per la mancanza de' termini dipendenti ^ dalle differenze degli ordini superiori, pare che la tavola in discorso sia adoperata dagli astronomi soltanto nel calcolo approssi- mato de' luoghi della Luna. Per ottenere dunque una ta- vola generale d'interpolazione mediante la quale gli ele- menti lunari fossero calcolati con esattezza e facilità , conveniva scegliere una formola che fosse più d' ogni altra accomodata all'oggetto per la sua maggiore conver- genza , ed estendere il calcolo della tavola sino ai ter- mini che potessero nelle applicazioni acquistare un valore apprezzabile. Ecco quanto ci siamo proposti di fare in questo lavoro. 254 AMANTE §. II. Rappresentino J, A,, A,^ J^^ ^i-, A, \ di- versi valori di un elemento lunare corrispondenti a tempi equidifferenti. Se l'intervallo costante di tempo viene in- dicato con r unità , e si chiami h il tempo dato di un termine da interpolarsi fra A, , ed A^, , contato dall' i- stante corrispondente al primo termine A^ il termine richiesto si potrà calcolare con la formola a tutti nota; 2 2.3 ' 2.3-4. 2.3.4..J dove le differenze f/', f/-, Zi-, 5", 5» sono quelle notate nel seguente quadro ; ^: ^- f ^■■■ ^^ 3. '" .... '" i^ Chiamiamo t il tempo che ha per origine 1' istante corrispondente ad A,^ e cerchiamo una serie in cui en- trino il tempo t in vece di h , onde preparare la formola al calcolo di una tavola, e le differenze 5>, 5-, 5'", d" , 5' in vece delle d',d'\^"\... Sarà h=t-\-i ed inoltre, ri- cordandosi che ogni differenza si ottiene sottraendo sem- pre il termine precedente dal seguente in ciascuna serie verticale, si avrà facilmente. TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZlOiNE 25! Sostituendo ad A^ A, d\ d", A'" i loro valori si ot- terrà J2 -2 )S' +3 \S" - — r 12"' -2(/+2) I H-(/+2) (^+2X/+l) ( _ (/+2)f/+l)1 2 ' 2 (/+2)(<+l)/l + 2.3 + + -(/+2) (<+2)f/+l) 2 f/-f2)(<+l)< ~ 2.3 (l+2)(l+l)(t-l) 2.34 j.. ■ (<+2)(H-0<(<-i)(<-2) ,, 2.3.4-S e riducendo i coefficienti di S', S" , S'-, e S'" con l'avver- tenza che tutti debbono avere per fattore comune t, e gli ultimi due hanno anche per fattore ^+1, si avrà in fine la serie che si cercava , + 2.3.4.5 §. 111. Si cerchi inoltre una serie che contenga le aSS AMANTE differenze 5', A", 5'", A", 5', e sarà facile ricavarla dalla precedente riflettendo che 3"=A"— J-», e J-^sA-^— J» . si avrà (3)...^=^,+/5;+ 'itili A" + £f=2)J=i) 5.-,+ ^f^-i)r/-^)f/+i) ^„ • 2 2. a 2.0.4 + iX4:3 ^ • • • • Finalmente, prendendo la semisomma delle serie (2), (3), se ne dedurrà subito la seguente , "*" SXI i — "*■ IJ4^ ^ ^'*=- L* antica formola inserita negli atti di Berlino , di cui si è parlato nel §. I. si desume pure prendendo la se- misomma delle serie (2), (3), ma trasportando I' origine del tempo nella metà dell' intervallo compreso fra il tem- po dì A^f e quello di ./^j. 5. IV. Il terzo termine della formola (4) dipendente dalle differenze 2.° , è quello che si ottiene dalla tavola di 31. Mathieu , per cui la serie (4) potrebbe servire a ricalcolare questa tavola con le modificazioni accennate nel §. I. ed a eostruire una seconda tavola per le diffe- renze degli ordini superiori. Ma prima di adottare la serie (4) per la costruzione della nuova tavola generale , è necessario esaminare se debba preferirsi alle preceden- ti (2) e (3) , e discutere sino a quale ordine di differenze i suoi termini possono acquistare un valore apprezzabile. 5. V. Da un esame degli elementi lunari registrali nelle effemeridi astronomiche di 12 in 12 ore , sembra TAVOLA GEiNERALE d' INTERPOLAZIONE 257 potersi stabilire che le differenze terze non arrivano mai a 4', le quarte a 60", e le quinte a 20". Partendo da questo dato , calcoliamo il massimo valore che possono acquistare i termini dipendenti dalle differenze suddette nelle serie (2), (3) e (4)- Nella serie (3) il coefficiente di S" è ^^^"'j.g"''^ t e ponendo t{t—ì) (i— 2)=F, si avrà , F=V—3t'+2t , e — =3t' — 6t+2 j il quale coefficiente differenziale di 1.° ordine fatto eguale a zero darà, <:=i± Vf=|ó|/^227 " Di questi due valori di t il primo non può ammettersi, perchè è maggiore dell' unità indicante 1' intervallo fra cui si vuole interpolare , ed il secondo , sostituito nel coefficiente differenziale di 2.° ordine 6é — 6 lo rende ne- gativo , onde per esso la funzione diviene massima. Il valore di ~l -j — ^, quando ^=0,4227 è o,o64i} e mol- tiplicato per °"', che si suppone eguale a 4S ovvero 240", dà o,oG4iX24o"=i5",38, che sarà il massimo valore di questo termine nella serie (3). Il termine corrispondente nella serie (2) è ^ ! a ^"'» "^I quale operando come qui sopra, si farà F=l (J. — 1 ) (^-f- 1 ) =: <' — <, *^ ~/7 ^^ =3i'— 1=0, e quindi <=± Vt=±o,:'>773. Il valore po- sitivo di t, che è il solo die possa ammettersi , rende positivo il coefficiente differenziale di 2.° ordine G/, per cui corrisponde ad un minimo ; ma rilletiendo che per essere <(''^^) s"\ facendo in esso t'=o,5']'^3, e 5"'=4', diviene — 15", 38. Passando alle differenze quarte, il coefficiente del ter- mine ad esse relativo è Io stesso nelle tre serie (2), (3), (4). Si faccia F=i(t^i)(^t—2)(t+i)=t'^'—2t'—f+2t, e si avrà , dF d'F dt ' (//^ Ora, l'equazione 4^'— 6^-^2^+25=0 , ovvero f'—H'-— — 5Ì4-s=o, è evidentamente soddisfatta dal valore ^=t, per cui, diviso il primo membro per t—l, si avrà l'e- quazione di 2.° grado t' — i — 1=0, che ha per radici t= -=— — . Questi due valori di t debbono rifiutarsi per- chè uno è negativo e 1' altro maggiore della unità; e però il valore che rende la funzione massima sarà t=h come apparisce dal coefficiente differenziale di 2.° ordine. Il termine ^(fz:iKfz±X±i2 3". fatto t=l , e 5"=6o", risulta 2.0.4 di i",4o, che è il massimo valore cui può giungere. Rispetto alle differenze quinte , nella serie (3) , si faccia , F=t(^t—i^{t—z){e—3){t+i)=i^-5l'i+^t^+^r—Gt ■ sarà , f/F — =5/'5-— 20/34, i5i'+ IO/— 6=0, ovvero t'i-^4.l^-\-3l'^+2l—f=o. Per risolvere questa equazione osserviamo che, sostituendo successivamente a t i valori o, i, 2, il primo membro cambia sempre di segno , e quindi si può conchiudere TAVOlA GENERALE d' L^TEa^OLAZIO^■E 2j(j che vi sono radici fia o ed i, e fra i o 2. Supponia- mo <=i, e i=l, ed approssimando queste radici col metodo di Newton , troveremo due valori di t, di cui la somma si avvicina molto a 2. Per assicurarci se cfiet- tivamente 1' equazione proposta ha due radici la cui som- ma eguaglia il 2 esattamente , bisognerà esaminare se , supponendola soddisditta da un valore i' dato all' inco- gnita, lo sia pure da 2 — i'. Sostituiamo nel primo mem- bro dell' equazione medesima 2 — l' in luogo di t , ed avremo l'espressione (2_/'ji_4(2— 03+3(2-/7 + 2(2-0-f > che sviluppata e ridotta diviene ciò che mostra chiaramente che se t' è radice , 2 — i' lo è pure. Dunque 1' equazione proposta lia due radici la cui somma è 2 , e poiché la somma di tutte le radici è 4j come apparisce dal coefficiente del secondo termi- ne, anche le rimaneuli due radici avranno per somma 2, Dopo di ciò sarà facile di sciudere il polinomio i* — 4^'+ +3i'+2t — 1 in fattori di 2.° grado, che dovranno avere la forma t' — 2t+m, V — 2^+72, e si potrà a tal fine sta- bilire r equazione identica , -f-i J — 2m) che darà le relazioni, 3 = n + ^+m, 2=— 2 w — 272, Tom.iy. 33 s6o AMANTE — jsssTnwj ovvero n + m=: — i, nm=s— 5:5 e perciò ±Vf+l= — |±1Vt- I^e equazioni di 2.° grado in cui si scompone la proposta saranno dunque, t' — 2^=ì+ìVt? * i' — 2^=5 — sVt? 6<1 i quattro valori dell' incognita ri- sulteranno come segue, Ì 2,6444 1,5439 -0,6444 o,456i. Il solo valore o,456i che possa ammettersi, sostituito nel coefficiente differenziale di 2.° ordine 20;^' — 6oi' + +3o^+jio lo rende positivo, e però la funzione sarebbe mi- xiima j ma qui pure, riflettendo che F è sempre negativa , si può conchiudere che il minimo corrisponde ad una mas- sima determinazione numerica negativa. Si ponga t=Oj^56ì. e ó' =20" nel termme completo -^ — '\ „ " ^ ' S* ^e si avrà — o",24 per massimo valore negativo di questo termine. Nella serie (3) l'equazione da risolversi per trovare il va- lore di t che rende massimo a termine — '\ — 0' , è i* — 3^'+ f =0, derivativa dal 2 .° grado j la quale ri- soluta, dà t=ì\/6— 2 \/ ti =0,5 f^Sg, onde il massimo va- lore di quel termine è -|-o",24. §. VI. Applichiamo la stessa analisi alla serie (4). Ed esaminando in primo luogo il termine dipendente dalle differenze terze, facciamo /'=<(< — \)(t — I)=i{'— -ir + 1/ j TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZIONE a6^ sarà, ~B»3«'— 3< + iwo, ovvero «•— < + J=oi da cui si avrà , ' ' (0,2114.! Del quali valori di < il secondo 0,2114 rende la fun- zione massima j e però il massimo valore del termi- nQ^t:})^tll} s"<, supponendo 5'"= 4', sarà 0,008x240"*. =i",92. Il valore ^=0,7886 dà un minimo , ma essen- do F negativa quando <> J , il minimo si cambia in massimo negativo j ed in fatti, supposto 1^=0,7886, e 3"'=4'> nel termine in discorso, esso diviene — l'SQa. Il termine dipendente dalle differenze quarte non differisce nella serie (4) da quello già esaminato per le altre due serie , e solo può modificarne il valore , ne' casi particolari, la semisomma — — — delle differenze u- sata come fattore, in vece delle differenze A™, o S". Rispetto alle differenze quinte, si faccia i^=i(<^—i) (t — 2)(t+i){t — I), e si prenda il differenziale di questa funzione senza svilupparla j sarà .W 1 Sotto una tal forma sarà più' facile riconoscere se questa equazione, che corrisponde a t^ — iV + t — ' =0 , ha due radici la cui somma eguaglia un numero razionale , sic- come si è osservato per le equazioni esamiuate più sopra. 262 AMANTE Imperocché la funzione -7- dovrà rimanere la stessa se o.t si sostituisca 1—^, ovvero 2 — t, e simili j e fatto il sag- gio con 1 — t si ottiene dF ■^ =/(i + l)(/_2)(^J)4.(<-l)(<+0(^_2)(;-|) + (/-l) /(/-2)(/-i) clie non differisce dalla funzione precedente se non nel- l'ordine de' termini che la compongono. Questo risulta- mento dimostra che effettivamente t ha due valori la (ni somma eguaglia 1' unità j e poiché la somma di tutte le radici dell'equazione, i^ — ^.^-{-t — '=0 è 2, le rimanenti due radici avranno anche per somma 1' unità. Si potrà dunque scomporre il primo memhro dell' equazione in fattori di 2.° grado della forma V — t-\-m^ V — i+«, come si è praticato di sopra , e si avranno le due equazioni di 2.° grado, f — <=i + iVfj che risolute daranno i se- guenti quattro valori dell' incognita , L 0,7814. '-ih±V3±6vTH ^'T^^ ' j 1,6920 '—0,6920 Rigettando gli ultimi due , il primo valore o^')^\!\ so- stituito nel coefficiente differenziale di 2.° ordine lo rende negativo, ed il secondo 0,2186 positivo 5 ma perchè la funzione t[t — \){i — 2)(i5+i)(^ — ì) è negativa quando Jf<|, ambedue questi valori corrisponderanno ad una massima determinazione numerica. E se nel termine com- pleto, -^^ — ~T-\^ 2", si facciano successivamente * ' 2.d.4-5 TAVOLA CtNERALE d' INTDRPOLAZIOAE 263 /=o,78i47 ^'' = 20", e ^^=0,2286, S' = 20", si avianDo i massimi valori positivo e negativo di quel termine , i quali saranno +o",oi7, — o",oi7. §. VII. L' esame in confronto delle serie (2), (3), (4) mostra che i termini relativi alle difterenze d' indice di- spari sono nella (4) assai più piccoli che nelle (2) e (3). Per la qual cosa, il termine dipendente dalle differenze terze , essendo molto piccolo nella serie (4) , si potrà ottenere con gran facilità da una tavola calcolata a que- 6t' oggetto , e in molti casi sarà trascurabile j ed il ter- mine relativo alle differenze quinte sarà assolutamente nullo nella serie (4) , laddove nelle (2) , (3) potrebbe giungere ad t di secondo. In conseguenza di questa disamina la Tavola gene- rale d'interpolazione esposta qui appresso, è stala cal- colata sulla formola (4-) limitata alle differenze quarte. Essa è accompagnata dalle avvertenze necessarie , e dagli esempi opportuni a facilitarne I' uso j i quali , se non e' inganniamo , mostrano ancora che la nostra tavola , specialmente costrutta per calcolare i luoghi della Luna , potrebbe servire per qualunque altra specie d'inter])olazione. TAVOLA GE]\ERALE XBR interpolare fra numeri calcolati da 12 in 12 ore prendetene lei in modo che il termine da interpolarsi cada , secondo V ora data , tra mezzo ai due nu- tneri centrali fra i sei adottati. Fate le differenze 1.» , 2."= , 3.» e 4.» sottraendo sempre il termine precedente dal seguente nella stessa colonna verticale , e date alle diflierenze t segni che risultano da questa convenzione. Il termine cercalo si otterrà facendo la somma algebrica del terso fra i sei numeri scelti , della parie proporzionale calcolata con l' ora data e con la diffe- renza l.> centrale , e delle tre correzioni della tavola. La prima correzione della tavola è relativa alle differenze 2.« ; essa si cal- cola con l argomento dell' ora data , e per i minuti ed i secondi contenuti nella semisomma delle due differenze 2.' centrali. Siccome i numeri della tawla sono calcolali da 10 in 10 minuti deli argomento , così per ottenere facilmente la cor- rezione per i tninufi intermedi , si sono notale in carattere corsivo le differenze fra i nnmeri di ogni colonna. Il segno di questa prima correzione sarà tempre contrario a quello della semisomma delle differenze 2.' indicate. in seconda correzione della tavola dipende dalle differenze 3." ; essa si cal- cola con l' argomento dell' ora data , e per i minuti ed i «econdi contenuti nella differenza 3.» centrale. Il segno della correzione è simile a quello della differenza terza , se l' ora data è minore di &• , ed è contrario , se l' ora data è maggiore di tf* . La terza rorreiione dipende dalle differenze 4.' ; es.33 5,266 7,899 IO, 532 1 3,1 65 '■^,799 18,432 21,065 23,6y8 26,331 •.S3o •660 ■.990 «■320 i-65o ) -5170 2-3og 2- 630 2-g6g 3-2q<7 20 40 2,963 5,926 8,889 11,852 i4,8"5 17,778 20,74' 23,704 26,667 29,63o ■3iS ■63G •fl53 <'273 1-59' 1-qog 2-22,? 2-546 2-S64 3-,.?2 30 30 3.281 6,562 9,844 13,123 16,406 19,687 22,969 26,25o 29,53i 32.812 •307 ■614 'g2n J-227 '■534 1-841 2-14' 2-454 2-76f 3 -06.? 40 20 3,588 7. '7'' 10,764 14,352 ■7,94" 21,528 25, 116 28,70} 33,292 35,880 ■2,,5 '5go ■SS5 i-tSo «•^73 1-771 2-oCC 2-36: 2-656 2-95< 50 10 3,883 -,766 ' ' ,6 Ì9 ■5,532 •9>4'5 23,299 27,182 3i,o65 34,948 38,83 1 ■2S4 •567 •55< 1- 135 i-4ii' i-yoi 1 ■gS5 2-26t« 2-552 2-836 2.00 10. 00 4,iCn 8,333 I2;500 16,667 20,833 25, 000 29, 'C? 33,333 37,5oo 41,667 •272 ■544 ■Si6 i.pSS r36o 1-P32 i-go4 2-176 2-44S 2-720 10 9.50 '1,439 8,877 i3,3i6 17,755 22,193 26,632 31,071 3j,5o9 3a.Q48 44,387 '2O0 •J2< •7^' 1-041 1-302 1-56 2 1-S22 2-oS4 2-344 2-604 20 40 4 ,''^99 9,398 14,097 18,796 23,495 28,194 32,893 37,593 42,292 46.991 ■24g ■49S ■747 ■^9'' 1-245 i-4g4 «•742 i'99" 2-23^ 2 -4S8 30 30 4,94'» 9,896 i4>844 '9,792 24,740 29,688 34,635 39,583 44,53i 49,479 ■237 ■474 •712 'd49 i-iS6 I-./23 cffiS» i-Sqg 2-<36 2-373 40 20 5,i85 10,370 1 5.556 ì 20,741 25,926 31,111 36,296 41,482 46,667 5i,853 •226 ■452 •677 ■qo3 )'t2ò" 1-354 1-5S0 i 'So 5 2-03< 2-S37 BO 10 5,411 10,822 16,233 21,644 27,054 32,465 37,876 43,287 48,698 54,109 ■214 ■42S ■642 -SSb 1-0-1 . i-2.y5 1-499 .-7f3 1-927 2- 14' 3.00 9.00 5,625 ll,25o 16,875 22,5oo 28,125 33,750 39,375 45,000 50,625 56,25o Àamecto da dars alle difTerenze òì quella invola, per ciascun minuto contcnulo ufi complcmcnlo a io del 1 numero dì n aÌDUti che serve a calei/Lire U pai le proporzioaule , da picndcrsi sempre oddili.a. | •0006 •OOfS •00(7 •0023 '002Q 'O0S5 'OO^i .0046 -oo52 •oo55| I .' CORREZIONE differenze seconde (secondi.) Jl segno della correzione è sempre contrario a quella della semisomma delle due differenze seconde centrali. SE511S0MMA DELLE DUE DIFFERENZE 2.o clmuau. ARGOMENTO ORA DATA IO" 20" 30" 40" SO" C" 7" 8" 9" OAOO' 12* 00' o"oo o"oo o"oo o"oo o"oo o"oo o"oo o"oo o"oo •07 ■'4 •21 •27 •24 ■04 •05 •o5 •06 10 11.50 0,07 0,14 0,21 0,27 0,34 0,04 o,o5 o,o5 0,06 •07 •<3 •20 ■27 •3.^ •04 ■04 •06 ■06 20 40 0,14 0,27 0,4' 0,54 0,68 0,08 0,09 0,11 0,12 •06 •<3 '19 ■26 •32 ■04 •o5 •o5 ■oC 30 30 o,ao 0,40 o,Go 0,80 .,00 0,12 0,14 o,.6 0,18 •06 ■12 'IO •25 •3. ■04 •04 •o3 ■06 40 20 o,j6 o,5a 0,79 i,o5 .,3i 0,16 0,18 0,21 0,24 •06 ■li •»* ■u4 •3j ■ui •o5 •o5 •o5 SO 10 0,32 o,C5 0,97 «,29 1,62 o,>9 0,23 0,26 0,29 ■06 ■Il ■iS •2^ '^9 ■04 ■04 -05 •05 1.00 11. 00 o,38 0,76 .,.5 .,53 ',9' 0,23 •o3 0,27 0,3. 0,34 ■06 ■12 ■<7 •23 •04 ■04 •05 10 10.50 °Ai 0,88 ,,32 1,76 2,'9 0,26 o,3i 0,35 0,39 'o5 '11 •16 •22 •2* ■04 ■o4i -05 •o5 20 40 0.49 "'99 1,48 '.98 2,4-! o,3o 0,35 0,40 0,44 ■Oli •fa ■16 *2f ■26\ •o3 •o3 ■04 •o5 SO 30 0,55 >.09 >,64 a, '9 2,73, 0,33 o,38 0,44 0,49 ■OS ■// ■15 •20 •26, •o3 •04 ■04 •o5 40 20 0,60 1,30 ',79 a,39 2,991 o,3G 0,42 0,48 0,54 •05 '"9 •15 •20 •25^ •o3 •o3 ■04 ■04 SO 10 0.65 1,29 ',94 2,59 3,241 0,39 0,45, 0,52 o,58 ■04 •«0 •«•^ ■*9 •23 ■ui •04 ■04 •04 2.00 10.00 o,Gg •,39 a,o8 2,78 3,47 0,42 0,49 o,56 0,63 •05 ■Og •f^ ■18 •23 •02 •o3 •o3 •05 10 9.50 0.74 1,48 a,aa 2,96 3,70 0,44 0,52 0,59 0,67 ■04 ■«9 •»3 ■«7 •22 •o3 •o3 ■04 •o3 20 40 o,;8 .,57 2,35 3,i3 3,92! 0,47 0,55 0,63 0,70 ■04 ■0* •«2 •<7 •20 •02 •o3 •o3 •04 30 80 o,8i 1,65 2,47 3,3o 4,.2 0,49 0,58 0,66 0,74 ■04 •oS ■12 •«6 •20' •o3 •02 •o3 ■04 iO 20 o,8G .,,3 2,59 3,46 4,32l o,5a 0,60 0,69 0,78 ■04 •07 •#2 •«5 -«p •02 •o3 •o3 ■o3 50 IO 0,90 1,80 3,7' 3,6. 4.5'i 0,54 o,63 0,72 0,8. ■04 •07 •«0 •"^ ••292 .4,583 21,875 29.'<57 36,458 43,750 •3'f2 5.,o42 58,333 65,6i5 72,917 •o65 •lìS •igl •25.7.292 74,768 •017 •034 'o52 •oyo •oó'7l -104 ■121 ■l3q •<50 •<7^ SO 10 7,494 14,988 22,483 29,977 37.'i7'j44.9*^^ 62,459 59,954 67,443 74.9't2 •006' •012 •o/y '023 '02n\ •o35 ■041 ^046 •052 r 6.00 ì 6 . 00 7',5oo (5,000 22,5oo 3o,ooo 37,5oo'45,ooo! 53,5oo 60,000 67,500 75,000 Àaojpnto da darsi alle dìfFercnzo (li questa Invola per cia^icua miuuto contenuto nel complom'^nto a io Mi niiiaerii di minuU che serre a calcolare la paite proporzionale , da preoderai seujprq additila. I .' CORREZIONE differenze seconde (secondi.) n tegìio della correzione è sempre contrario a quello della lemiiomma delle due differenze seconde centra^'. SEMISOMMA DELLE DCE DIFFERENZE 2.o CEKTKALI. 1 ARGOMENTO ORA DATA 10" 20" 30" 40" 50" 6" 7" 8" 9" V' 00' 9'' ou' u";)i i"S; 2"8l 3"75 4"<-'9 o"5G o"66 o"75 o"84 ■o.J •o; •IO ■^4 *'7 •02 •02 'o-ì •o3 10 8.50 o>9^ ':94 2,9' 3,8y 4,8G o,58 0,68 0,78 0,87 ■o3 •07 •io '12 •>c ■02 •02 •02 •o3 20 40 I ,no a, 01 3,01 4,01 5,02 o,Go 0,70 0,8., 0,90 ■o'i •06 ■Op •(s •'^ ■02 •02 •o3 ■Oj 30 30 l,o3 2,07 3,10 4, ,3 5,16 0,62 0,72 0,83 0;93 •0.3 ■O'j •0,S 'ì 1 ',4 •02 •02 •02 ■02 40 20 i,oG •i,XJ. 3,iS 4,^4 5,3o o,Gi 0,71 e, 85 0,95 •o3 •05 •o.S -< < •i3 •01 -02 •02 .o3 50 lo i,"9 2,17 3,-^fi 4,35 5, ',3 0,05 0,76 0,8; 0,98 •02 ■o5 •07 •0,, ■l'i ■02 •02 '02 •02 i .00 8 . 00 1,11 2,22 3,33 4,44 5,56 0,67 0,78 o,S9 1,00 •o; •05 •07 •09 •;f •01 ■oi ...- •02 10 7.50 1,1 3 2,27 3,4c, 4,53 5,G7 0,G8 0,79 0,91 1,02 •OS •0^ ■06 ■oS •*o •01 •02 •o< •02 20 40 i,.5 2,3/ 3.40 4,Gi 2>77 0,69 0,81 0,92 1,04 •02 •o3 •oO •o,y ■"fl •o« •01 ■02 •o) 30 30 1,17 2,34 3,5'. 4.«y 5,86 0,70 0,82 0.94 i,o5 •02 •0^ ■04 ■06 •OcV •01 ■01 •o< •02 '40 20 '.'9 2,38 3.56 \o'-> 5.94 0,7' 0,83 0,95 1,07 ■01 •o3 •05 ■06 •07 •0( •0. •0( •0( 50 10 1,20 2,4, S,Gi 4.8. 6,01 0,72 0,84 0,9(3 1,08 •OS •02 •0^ •o3 •07 '01 ■o< .0< •01 S. 00 7 . 00 1,-ìl = .43 3,65 4,8(j 6,08 0,73 0,85 0.97 ».09 ■oi ■02 •o3 •0^ •oj ■01 •ot •01 •o« lo 0 ,50 1.23 2,i5 3,G8 4>9" 6,.3 0.74 0,86 0,98 1,10 'on '02 ■02 •0^ •04 •00 •00 •Of •o( 20 40 .,23 3,47 3,70 4.91 6,17 0.74 0,80 0,99 1,11 •01 •o( •02 •o3 •0.^ •00 •o( •00 ■of 30 30 i,-ì!i 2,48 3,7^ 4,97 6,21 0,74 0,87 0,99 1,12 '01 •0/ •oj •0» •02 •o( ■00 ■01 •00 40 20 t,t'j 2,i9 3,74 4,9S 6,23 0,75 0,87 1,00 1,12 ■00 •o> •0/ •02 •OS ■00 •00 •00 •00 50 10 1,25 I,5o 3,75 5,00 6,25 0,75 0,87 1,00 1,12 •00 MO •00 ■OD •00 •00 ■0(ì ■oo •on >. 00 6.00 1,25 2,5o 3,73 5,00 6,25 0,75 0,8; 1 ,00 i,ia _^ 2,' CORREZIONE differenze terze. // segno della cornsìone è simile a quello Mia differenza terza centrale se V ora è minore di 6 , e contrario se l' ora è maggiore. ARGOMENTO )/' on/ IO 20 30 40 50 1 .00 IO 20 30 40 50 , 00 IO 20 30 40 50 00 12'' 00' Il . 50/ 40 30 20 lo U .00 lo . 50 40 30 20 lo lo .00 .30 40 30 20 10 00 lo 20 30 40 50 .00 IO ?0 30 40 50 , 00 . .IO 40 30 20 lo , 00 IO 20 30 40 50 00 .50 40 30 20 IO 00 .50 40 30 20 IO , 00 DIFFERENZA 3.» cektbale: l'=GO" 0,07 o, i3 o, 18 O, 33 o, 28 O, 32 2' 0,35 0,38 o,4i 0,43 0,45 0,46 o>47 0,48 0,48 o, 48 0,48 o>47 o, 46 0,45 0,43 0,41 o, 3g 0,3, 0,35 O, 32 0,29 0,26 0,23 0,20 0,17 0,14 O, io 0,07 o, o3 O, 00 o"oo o, i3 o, 26 0,37 0,47 0,56 0,64 o>77 0,82 0,86 0,90 0,93 0"00 O, 20 0,38 o, 55 0,70 0,83 0,95 5' 0"00 0,27 0, 5i o,;3 0,93 1,06 I, i5 .,23 i,3o 1,35 1,39 1,85 .,4i 54 64 1,73 o"oo o, 33 0,64 0,92 .,39 1.59 10" 0,95 0,96 0,96 0,95 0.94 1,42 ■,44 ',44 1,43 1,41 0,92 1,38 0,89 1,34 0,86 83 79 ■^,74 0,69 o,f,4 0,59 o, 53 0,47 0,4 ',29 1,24 ,9' ,92 ,90 '>87 ■,77 ■,92 2,o5 2, 16 2, 25 2, 3l 2,36 2,39 2,4' 2,40 2,38 2,34 ,34 o, 27 0,21 o, 14 0,07 0,00 1,04 o,8S ,79 0,70 0,61 1,83 7S 72 65 1,57 1,48 2,29 2,23 2, |5 2, 06 ■,96 1,85 I, 39 I, 28'i,tìo i,i7|i,46 i,oO 1,32 0,94 ', ' o,Si 0,41 o, 3 j 0,21 O, IO 0,00 0,68 0,55 0,4" o, 28 0, 14 o, 00 0,85 0,69 o, 52 o, 35 0,17 o, 02 0, o3 0,04 o,o5 o,o5 20" 30" 40" q"oo o"oo o"oo o,02,o,o3to,o4 0,04 0,06 0,08 06 O, 09 O, 12 0, 12 O, 16 0, 14 o, 19 0, 16 0,21 0,060, 12 0,06 0, i3 4 0,0 o, o 0,08 50' o, 18 0,24 0,29 O, l4 O; 23 O, l5 O, 22 o, i5 0,23 19 0,36 O, 21 O, 37 0"00 0,06 0,11 o, i5 ,■9 ,23 0,27 7" 9" 0,08 o, 16 0,34 0, 08 o, 16 0,24 0, 160, 24 o, 160, 24 o, 16 0, 24 o, 16 0, 23 0,08 0,0 o,oS oS 07 0,07 0,0; O, O'^ 0,06 0,29 o,3o o,3i ,3 o,3^ 0,36 o, 3 o, 3i o, oG o,o5 0, o5 4 0,04 o3 o, i5 5 0,14 o, i4 o, i3 0,12 0,19 0,23 0,22 0,22 O, 21 0, 20 0,09 0,08 0,07 32 0,^9 0,32 o,4o 0,32 o,4o 32 0,4 01 02 o,o3 o3 0,04 o"oo O, 01 0,02 0,02 o,o3 0,04 0,04 04 o, o5 0,04 o,o5 0,32 o, 3 0,06 o, o5 o,o3 0, i3 0,12 O, IO o,3i o,3o 29 0,28 0,26 0,25 0,23 0,21 O, 30 0,18 o, 16 0,14 o,4n 0,39 ,38 ,37 ,36 0, 34 o, 33 3i oa o,o5 o,o5 o,o5 0, o5 0,06 0,06 o, 06 o"on O, OJ 0,02 o, o3 o, o3 0,04 o, o5 0,29 0,27 0,24 0, 22 0,17 0,06 0,06 0,06 0,06 o, 06 o, 06 06 o, 06 0,06 0,06 o,o5 0,06 0, o5 0,06 0,06 0,06 0,07 0,07 07 07 °, 0,07 0,07 0,07 o,o5 o,o6|o,o7 o,o5 0,06 0,07 o,o5 0,06 0,06 o, o5 0,06 0,06 o,o5 o, o5 0,06 0,04 o,o5 0,06 0,09 0,1 o,o7|o,09 0,050,07 o. o3(0, o5 o, 03 o, o3 0,00 0, 00 0,14 0,11 0,09 0,06 o,o3 00 0,04 o, o5 0,04 o,o4 o,o3io,o4 o,o3[o,o4 o,o3 o,o3 0,02 o,o3 o, o5 o, o5 o,o4 0,04 04 o, o3 0,02:0,02 02 o, 02 o, 01 O, CI 0,01 0,01 o, 00 0,00 o, 00 0,00 o,o3 0,02 0,02 0,01 o,oil o.ool 3.' CORREZIONE differenze quarte. H segno della correzione è sempre lo itesso di quello della lemisomma delle due differenze quarte. SEMISOMMA UELLE DCE DII'TEUEKZL 4." /VRGOMEMO OBA DATA 10" 20" 30" o"oo 40" o"oo 50" o"oo eo" o"oo 7" o"oo 8" o"oo 9" o"or Oh 00' 12h 00 'o"oo o"oo lo 11 . SO O, 01 0,02 0, o3 0, o5 0,06 0,07 lo. 01 lo, 01 0,01 20 40 0,02 i), o5 0,07 0,09 0, Il 0,14 0,02.0,02 0,02 30 30 o, o3 0,07 0, Io 0,14 0,17 0,20 o,o2'o,o3 o,o3 40 20 0, o'i 0, 09 o,i3 0,18 0,22 0,27 0,33 0, o3 0,04 0,04 bo 10 o,oG 0, 1 I 0,17 0,22 0,28 o,o4 0,04 o,o5 1 .00 11 .00 0,07 0,1 3 o,.5 0,20 0,23 0,26 o,3i 0,33 o,4o o.-iG o,o5 o,o5 o,o5 0,06 lo 10 . so 0,08 0,38 0,06 0,07 20 40 0,0(| 0,17 0,26 0,35 0,43 0, 52 0,06 0,07 0, of- 30 30 0, '9 0.29 o,3S 0,48 o,58 0,07 0,08 0,09 40 20 [o,.. 0,21 0,32 0,42 0,53 o,63 0,07 0,08 0, IO 50 10 0, I I 0,23 0,34 0,46 0,57 0,69 0,08 0,09! 0,10 2 . 00 10 . 00 0,12 0,25 0,3; o,5o 0,62 0:74 0,09 0, IO 0, I I 10 9. so 0, i3 0,26 0,40 0,53 0,66 0,70 0,09 0, Il 0, 12 20 40 0,1^ 0,28 0,42 0,56 0,70 o,8Ì 0, 10 0,11 0, i3 30 30 ^0, i5 0, 3o 0,45 0,60 0,74 0,89 0, 10 0, 12 0,1 3 40 20 ,0,16 o,3i 0,47 o,63 0,78 0,94 0, Il o,.3 0,14 SO lo o,.G 0,33 0,49 0,66 0,82 0,98 1,03 0, II o,i3 0, 0 3.00 9. 00 0, ij 0,34 0, 5i o,;C8 o,7' o,85 0,89 0,12 0. 12 0,14 0,14 o,i5 0, i( 10 8. so 0, 18 o,36 0,53 1,07 20 40 0, 18 0,37 0,55 0,7't 0,92 I, IO 0, i3 0, i5 0,17 30 30 0,19 o,38 ^4? 0,76 0,95 1,1/1 0, i3 o,.5 0,17 40 20 0,20 0,39 0,59 0,78 0,98 1.17 0,14 0, 16 0, I» SO lo 0,20 0, 4o o,Go 0,80 1,00 1,21 0,14 0, 16 0,1» i .00 8. 00 0,21 n,2l 0,41 0,42 0,62 0,63 0,82 0, 84 i,o3 i,o5 1,23 1,26 0,14 0, i5 0, 16 0,17 0, •<, o.if. lo 7. SO 20 40 0,21 0,43 0,64 0,86 1,07 1,29 0, i5 0,17 0, is 30 3'» 0, 22 "'4h 0, 65 0,87! ')09 i,3i o,i5 0, 17 0,2C 0, 18 0,20 40 20 0,22 0.41 0,66 0, 89 1,11 1,33 0,16 so 10 0,22 ,,45 0,67 0,90 1, 12 1,35 0, iR 0, l8lO,2< S .00 7. 00 o,23 0,45 0,68 0.9' i,i4 ,,35 0, 16 0, 16 0,18 0,18 0, 2C 0,21 lo 6. so ...3 0,46 o,6<) 0)9^ 1, i5 .J, 20 40 0,23 0,46 0,69 0)92 i,.6 1,39 0,16 o,i8|0,2i! 30 30 0,23 0,47 0,70 0,93 ì, 16 i,4o 0,16 0, 19 0,2ll 40 20 0,23 0,47 0,70 0,93, '. '7 1,40; 0,16 0, lo 0,3ll BO lo 0,23 0,4, 0,70 o,q4 ■,"7 i,4i||o,i6o,i90,2i| '.4', o> '6 0,19 o,ai| C .00 6 . 00 o,23|0,47 0,70:0,94 1,17 273 N.B. — La (avola precedente è slata dopo la stampa confrontala con l' origi- nale , e si è trovata esente da errori tipografici. !!««Er^^ APPLICAZIONI Esempio I. Si cerca la declinazione della Luna il 24 gennajo i834 alle ore 8''.i3'.i7", 7 tempo vero di Napoli. La longitudine di Napoli da Parigi , secondo i dati del Real OfEcio Topografico è 47''4'0"5 4 j P^^ cui l'ora corrispondente di Parigi sarà 7''. 25'. 87", 3 , e la Conoscenza de' tempi di quell' anno darà , Deci. J) il 24 Gcn. najo a o'' Differenze i .' Diff. 2." Dif. 3.° Diff.f Diff.:..' Ora data 23<'7'52"4 + 3 7,0' '8 -■9.34,5 -43.11,3 -1°. G.35,3 — 1 .28.30, 1 -23'i5"3 -23.36,8 — 23.i4,o -22. 4,8 — 2I"5 + 22,8 + ''• 9>a +4V'3 +46,4 + »"' =7.25,62 Si avrà dunque, ArgOTnento=']^ .iS' fi2., 0'=— 43'.i i",3, ^-^ =-23'.25",4, 3"'=+22",8 i:i±^ =45",35 j e però la parte proporzionale dipendente dalla differenza prima, e le correzioni della tavola si calcoleranno come segue j 574 AMANTE ptr 11'' — (i3'll"3 Differenze %.' Differenze l.° Differenze 4. e per e*" —21 .35,65 Arg." j^'.So'.. per 2o'..,+i4o"62 j.,,per 20"..— o"io...pcr 4o"..+o"88 1 3.35,94 p.p. per— 4,38 rf« ars ." 86 30' I.iii98 Arg." iiem... fet 3' 2I1OS 5 17,99 p.p.... idem i3 3o" 1,80 Wrj.o idem... per ao" 2,35 —0,11 5 0,35.. 01 + 1)00 6 0,36 ^fl 0|07 0,1 0,01 p.p —26.43, 80 Correzioni .+ 2.46,59 Vecl.'i a o*" ^3°. 7.52,40 Decl.)i all' ora dala.. 22. 43. 55, 19 idem., idem., 5 0,4.... 59 o5 +165,70 — O, l£ -4-1, 00 -i-i66, 59 Troviamo lo stesso elemento lunare per mezzo della formola (M) (J. !•) commendata da Orfani , ed avremo, 1.° temine 2° 3° h° 5." S'=— 43'ii"3 5'=— 2591,30 S"=-23'36"S S"'=:+22"8 S'>'=-t-44"3 . 5" '^gTs -f5-=-^.,.5|L'= ,,85,jll=+o.o2 — ij"=+ 708,40 -^S"=— 3,69 — iS»=— o,5a -|5"'=- +^5'=+ 3,80 3,69 0,07 — 1420,49 i=— 710,24 + o,i3 c-=+ 0 ,02 a= — 1882,94 N %^=9,79.G339...;.(^)' =9,58326,8..... Ì0j5 di Parigi Diff. i.« Diff. ».= 35°53'io" +r44'ib" +1.44.58 +..45.37 +42" +39" esarà,^r^.°=7'.26',5,5'=+i.''44'.58",^^?=+4o",5 e quindi per 31-.. 41 ■ per l*" + 34'5g"33 3o' . 729 ,67 20 11.39 ,78 1 34,99 3o" 17 ,49 6 3 ,5o 1 o,58 Differenzi 3.' Arg." 7h.3o'... per 40"— 4"69 p.p. per— 3,5 di arg." 2 uÌTg." idem...! per o"5.. 6 -4~ +1° 5. 5 ,34 —4.77 35.53.10 Dia, Luna cercata=36.58.io ,67 iti ÒU tl^ ,».l-f Esempìo IV. Si potrebbe proporre il problema in- verso cioè , trovare 1' ora di Parigi del giorno 2 1 Feb- brajo 1842 corrispondente alla distanza della Luna da Aldebaran 36''.58'.io",57. In tal caso, ricordandosi che la tavola è calcolata sulla serie y si avrà , J ^,V^ 'f'-') ^^^±^' 4- ^^^-^^^^--^ 5 etc. /— r 3"+A" TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZIONE 277 ed indicando con 2 la somma delle correzioni date dalla tavola , sarà y — ^a=M2'-J 1, onde # y — -^a '^—x W 0 + 7 Questa formola servirà a calcolare il luogo t del dato termine mediante le approssimazioni successive. Nell'e- sempio proposto sarà, y=36°.58'.io",57, ^,=35\53'.io", 5'=+ 1°. 44'. 58", e si avrà y— /^,= i°.5'.o",57=39oo",57, l' = 6298" ■, e però il primo valore approssimato di t sarà) g^ '„ = 0,61933. Riducendo questa frazione iu tempo con supporre l'unità eguale a la*", secondo la ta- vola, si avrà V argomento n^.^G' per calcolare la somma 2 delle correzioni. Questa somma divisa per <=:o,Gi933 s' introdurrà nella formola (^) per avere un secondo va- lore di t più approssimato j che potrà servire a trovarne un terzo , e così di seguito. Il calcolo per la data di- stanza lunare è come segue , 27° AMANTE Los.{y~-A, )=hs 3900,57=3,591120» Mrg.' ^Kioi... per 4o"...-4"65 ^ 78 p.p.,. — ^ j] per 0,5 6 c,/,S'^c./. 6298. ...=6,2007973 '".?' =9.7919254 ^—-i ,77 *=a),6t933=7b.a6'pcr la tavoli /05 2=0,6785 184 c./.(:=o, 5080745 12 133866 2 6.933 %— =0,8865930 7| 43196 — = — 7,7oa 6 J'=6i98 i'-\ =0290,3 los(,r—At )= 3,5911281 c.l.f 5'+ — l 6,2oi3a87 io? i'=9.79»4i68 J'=o,6ao09=i''5i'37" 3 3 j| 86027 4-51.37 Ora di Parigi «ertala 6 '^"'~"' t 36|97a Riducendo il primo valore di f=s=o,6i933 ia parti dell' iutervallo S"" delle effemeridi , si sarebbe ottenuto i''.5i'.28",8, e quindi un errore di 8", a di tempo, non comportabile nella determinazione di una longitudine ^ laonde 1' uso delle differenze seconde pare indispensabile. Esempio V. La nostra tavola può servire anche ad altre interpolazioni. Si voglia trovare il seno naturale dell'arco decimale 2°,ii3 con dieci cifre, facendo uso delle tavole di Callet calcolate da decimo in decimo di grado. Queste tavole , tenendo conto anche dell' unde- cima cifra , daranno , TAVOLA GENERALE D INTERPOLAZIONE 279 SCll -j", I Z>#. i.' DiJT- 2.« Dif. ì.' 0,0329807409.1 +15699818.4 + .5099004.8 +15698152.1 -81 3.8 —852 5 -38.7 n luogo del termine da interpolarsi è 0,1 3, che si moltiplicherà per la*" per avere V argomento della tavo- la , il quale risulterà i''.33',6. Si avrà inoltre i'=.+ i56990o4..6 , Ì-t^' =-833. i , ^'"=-38.7 ; e per trovare le correzioni della tavola , si supporrà che queste due ultime differenze esprimano secondi , per cui tara — i — = — i3'.53",i , ed il calcolo procederà come segue , i5«99o o4,6 o,i3 470970 i3« 1569900 46 «040870.598 + 47.08 —0.37 9,0329807409.1 o,o33l8^»3^6.5l=«n3", Il3 Dif. s.« Jrg.' i''3o'... per io»...+3i"8i p. p.,.+ 3,6 I ,10 idtm 3' 9 ,84 P-P 33 idem 5o" a ,73 PP 9 idem 3 i' idem c,i .. ■ Dijf. 3< 47 .08 Questo risullamento combina sino alla decima cifra con quello che vien riportato nella introduzione alle ta- vole di Callet pag. 116, ottenuto per altra via. Esempio VI. Si cerca il log. seno di 3o'.i2",35 aSo AMANTE cou dieci cifre decimali , servendosi delle grandi tavole di IJlacq. Da queste tavole si hanno i seguenti dati j log. sen. So'.io" ;,9l3247863o Diff-. I.' +24i9')i3o +24060084 +23927513 +23796397 +23666707 Dif. a.» Diff. 3.' Diffi." Dff.5.' — 13404.6 — 13257.1 — i3iii.6 —12969.0 +.47.5 +145.5 +.42.6 — a.o —a 9 —0.9 Il luogo del termine da interpolarsi è o,235 , da cui si ricava per argomento della tavola 2^.^g',2. E se i numeri indicanti le differenze 2.°, 3.% 4-% e 5.° si sup- pongono esprimer-e decimi di secondo , sarà -2",5i per la qual cosa il calcolo del logaritmo cercato proce- derà come qui appresso. 23927 5i3 0,235 119637 565 71782539 47855026 5622965.555 11S61.3 7,9l3a47868o Diff-. a.« Dif. S.» Dif. 4.' Arg." i^.^a' per loo' .M...+ 5i8,52) .. per a'... 0,95...— o,o3 p.p. per 9,a 30,76j ao'/...o,i6 i 'per 100' 539,28 5,5 4 J^ *°' ^^'9^ +.,.5 9 48.54 40" 3,60 4 36 0,35.... 3 7.9}38 11 3506.9 = /og. sen. 3o'.i2'',35 + ii85,oa + I,M Troviamo lo stesso log. seno per mezzo della serie (2), che non è se non la (il/) sotto la forma ordinaria. Tra- TAVOLA GENERALE d' INTEUPOLAZIOKE a8l scriviamola per norma del calcolo , al quale potrà darsi r andamento che segue , già da noi accennato nel §. I j "' ' ' 'a ' a.3 ' 2.3 4 ' 2.3.4 ^ i'=239J7 5i5 J"=-i3i57i «'"=+1455 i"=— 20 J'=-<, 1= 0,235 0 235X— Oi^GS 1,235 , , — 1,76:'; 2,23i =a,a.-j-=h, b.~ =c, c.-^ -1782539 '•<>.' ■75=9,0700379 +0,41167 —0,441 +Oi447 4^85502 6 '-0,765 =a^8_36G^ 5622965.555 -89536993 8.95370 11862.24 '•5"— 5,1224453 +961455 ■rf'=7,9Ì324;8G3o 3^ _8,50325 -8,56825 y=7,9438ii35o7 8 +4.o:6i479 +3,i6i86 -9.64Ì44 +11916,48 _, _3,,, , +8,2.269... +8,21269 _2fÌ:2^_ —53,84 — i,3oio3 +9,65r'3i +11862,24 33 _^3~ ~l^ì± L -0.33 -8,8. 72Ì —54,24 —0,07 Questo risultamento differisce soltanto di un' unità nella decima cifra da quello ottenuto per mezzo della ta- vola. Il quale piccolo errore dipende da che nel calcolo della 1 .' correzione le differenze della tavola non sono costanti , e quando la correzione medesima è molto gran- de, la parte proporzionale, corrispondente alla frazione del dato argomento , non risulta esaltissima. Nel calcolo degli elementi astronomici in cui la semisomraa delle dif- Jerenze seconde, anche per la Luna,, non giunge mai a 3o', l'errore in discorso riesce insignificante j ma esso potrebbe pure eliminarsi da qualunque altra interpolazio- ne , applicando alle differenze della tavola 1' Aumento indicalo in piedi di essa. Cosi nell'esempio precedente la correzione per io', con 1' argomento 2'',4o' è 5i,85a , 282 AMANTE e la parte proporzionale deve calcolarsi moltiplicando il decimo della differenza della tavola per i miauti dispari q'jS. Prima di eseguire quella moltiplicazione si accre- scerà la differenza 2,257 ^°^ prodotto o,oo58 xo',8=o,oo5, che è quello dell' Aumento o,oo58 , registrato in piedi della colonna, pel complemento o',8 del numero de' mi- nuti 9', 2 cJie seive a calcolaT'e la parte proporziona- le. La differenza aumentata risulterà 2,262 , e la parte proporzionale sarà 0,2262^9,2=2,081. Laonde la cor- rezione della tavola per 100' con 1' argomento 2''. 49', 2 sarà 539,33, e la correzione totale riguardante le diffe- renze 2.' ascenderà aji85,i2 j dove si vede corretto r errore annunziato qui sopra di uq' unità nella decima cifra decimale. Se r argomento in vece di essere 2''. 49', 2 fosse stato 9\io',8, si sarebbe proceduto nel modo seguente per giungere allo- stesso risultamenlo. ; Affinchè la parte pro- porzionale riesca sempre additiva, si dovrà prendere nella tavola Idi icorrezìojie 5i,852 corrispondente all'argomento prossimamente maggiore 9''.2o! j la quale dovrà essere ac- cresciafia del decimo della differenza della tavola molti- plicato per 9', 2. Questo: numero di minuti, che serve a calcolare la parie propoi'zionale , ha per comple- mento, o', 8, per cui V aumento della differenza della tavola, secondo l'indicazione posta in piedi di essa, sarà, o,8xo,oo58=o,oo5 , e la parte proporzionale risulterà dal prodotto di ±1-IÌ2£±1 XQ,2, e, sarà 2,081 come so- pra — Ripeliamo , che nel calcolo d^li elementi astro- nomici le difi'evenze della tavola potranno sempre adope- TAVOLA GENERALE d' INTERPOLAZIONE a83 rars'i quali soiioj eri osserviamo anche che, se non aves- simo avuto Io scopo ili far servire la nostra tavola a qualunque specie d'interpolazione, sarebbe bastato ripor- tare con tre cifre declinali i soli numeri contenuti nelle prime due colonne della i .' correzione^ onde aver ri- guardo al massimo valore che possono acquistare le (ìif- ferenze 2.' per la Luna. E però chi volesse limitare Tuso della tavola al solo calcolo degli elementi astronomici , potrà rendere più semplici i due quadri riguardanti i minuti delle differenze seconde. Esempio VII. Sia al contrario proposto di trovarsi r arco corrispondente al log. seno trovato qui sopra con dieci cifre, 7,94381 i35o8. Dalle tavole di Ulacq si ha che il seno prossimamente minore è 7,918247^^^^ ■> ^^ quale corrisponde all'arco 3o'. 10". Per trovare i secondi dispari , e le frazioni di secondo , bisognerà applicare .1 formula (jfiT) menzionata nell' Esempio IV \ al quale oggetto , fatto il quadro delle differenze , si avrà , y-^a=5634S28, a'=239275i3 , ^-t^ =«_2i9'.M".35 , d"'=+2'.25",5 . """*" ^" =— z".'^ i e però il calcolo di t sarà come segue , Tom.lV. 36 284 AMANTE Oiff- »•• Diff. S." Diff. 4.» '«IffCr— ^')=6.j5o88o7 Ars? ^.!\°' ••■ per ioo'+5iS,5i, ^ —o^l\ C./.{/=2,6jiio24 p.p 21,67^ 16 /05. 1=9,371^ looi.... 540,19 4 «=»,»355 2h.49',6 '° ^4.02 „ 9'-- 48,Gj 40".. 3,60 4... 36 0,35 3 i.iS 4710 a355 3J8260 +1187,01 6 +1,11 49156 S=ii8S,i2 '"^rCr— ^.^=6,7508807 /oirSz=3,o748Ga3 S'+y)=^ì<'20i876 C.f./=o,6a8oi69 ■ V fo^ ('=9,3710683 105-^=3,702877» «'=o,a35oo 4 i'=2",35 come ,opra — =5o45.3 '^^'^""^ J':z:a39i75i.3 S'+ — =23977965 Esempio Vili. Per ultima applicazione, cerchiamo ii logaritmo di un numero dato con dieci cifre decimali, ed il numero di un dato logaritmo , servendoci defla ta- vola di Callet iù cui sono registrati i logaritmi de' nu- meri da 1 sino a 1 200 con 20 decimali. Si voglia il logaritmo del rapporto del diametro alla circonferenza 3,1415926536 con dieci cifre decimali. Moltiplichiamo o dividiamo questo numero per un numero di una sola cifra , ad oggetto di poterci servire de' logaritmi dei nu- meri il più che si può vicini al massimo laoo della ta- vola , pei quali le differenze seconde non sono molto grandi. Eseguendo la moltiplicazione per 3 , avremo 9,4247779608 , e ricaveremo dalla tavola i seguenti dati TAVOLA GENERALE D' INTERPOLAZIOKB 28S lon 9,4a X>#. i." D/r. 2.' D,J. ì.' 0,9740509017.9 +4612793,6 +4G07899.5 +46o3oi5.6 -48911 -4883.9 + 10.1 Il luogo del termine da interpolarsi essendo 0,4778, r argomento corrispondente della tavola si troverà di 5\44',o2. Si avrà inoltre ^^^±^ =—4889"=— 81 '.29", 3"'=-f.io",2 ; ed il calcolo del logaritmo cerca o sarà come segue Dif- <•• Dif. i.« Diff: 3.« 46078995 per 80' 598"i5J o.oiJ 80697774 p.p 0,56) 184315980 ' '>'i8 31255296 »" ">'Ì9 3i»553o 9....^.^^2;^ 3i255i ■ +609.80 4 '470 0.01 1764 1201636. 3a 37 0,9740509027.9 3ioi636.3a 0,9742711274.0 log 3=0,4771212547.2 '05 »=o,497 1498726.8 Sia dato ora il logaritmo 0,497149^726-8 e si cer- chi il numero corrispondente. Si tolga dal log. proposto il logaritmo di 3 , e si avrà il resto 0,0200286179.6, di cui il prossimamente minore della tavola di Callet corrisponde ad 1,047 j ^ P^*"^ si avrà il seguente quadro , »S6 AMANTE Ing 'Mi j ^ff- '■" 0#. 5 -^ o-/r 3'| o,oi9y466Si6 8 +4iil<)97'-5 +4i!(6)oi0 7 -(-4pÌ2o55.j -3;)!ìi.6 -3y-.l ■> +70 1 ^ =—3958 =— e-HJS/' J ed applicando la forniola (/i) sarà , y=o ,0500286 r79 6 A,=o o.99lG6^!i6 8 4ilG|.-x).7^J' Jrg'- Dijr. -,.« .t^.ial per &>(... •s8l 9'|l j ,9 3 4^5 o.^f: J." 819362.8 0,06 40476 3i6ii mGooS ii3jo o,i9;ò3...-2''.g^.',29 1-2 395 a5 197«3 a] 37156 5.... a3 4<) 5.".. 3.y2( 8".. 63 6 al) 3916 3i3,8o r 06 •s t 81936381 4''>4^'^3 f»2o > 1 3 1 9 2 1 S j »38S o33' =41460097 = 15S8.1 S=3i3,86 1 16 1^0 i7 4i5o 1 6o:153 33i5o 37971 o,i97r.3=:f i688.i->= — r-^'=. (41475978 1 _ ' 0,197551 17 0 I ai-a j345oo A 854 Sioo 707 )I230 393a534>o «=1,0471975511 7 «t:3, 1415936535.1 JLlXSTRAZfONE NEL SALENTINO Del Pk. 0-G. COSTA LETTA NELLA TORNATA DE' 18 DICEMBRE 18i2. 1. Jr linio , in quel suo copioso inventario di opere prodigiose della natura, registrava il Fonte diManduria, cui dava il nome di lago (i). In Salentlno iuxta op- pidum Mandiirìam laciis ad margines plenus, ncque exhaustis aquis miimitur, neque inj'usis augetuv (2), Sono (piesle 1' espressioni dello storico , le quali non po- tevano eh' eccitar meraviglia appo l'universale, non cono- scendosi in natura alcun fonte, lago, o ristagno, che sog- getto non sia a mutar di livello ^ or crescendo per le ac- que che vi accorrono , ora abbassandosi per i tanti modi che la natura e 1' arte adoprano per consumarle. Laonde il fonte di cui palliamo fu sempre tenuto come porten- toso , e visitato religiosamente da ogni dotto straniero. (1) Se Plinio vcdulo avesse quel cipieDle di acqua evidentemente arte- foDle , certo non lo avrebbe con tal fatto , e d' una iì picciola capacità , nome indicalo. Impcrciocchò sarebbe con uo Iago , per picciolo che qucst» un privarlo aflatlo di buon senso ere- suppor si volesse, dcndolo capace di confondere ud re- (1) Plia. libr. II. cap. CVI. 288 COSTA a. D* altra banda, la tendenza comune degli uomini di elevare e magnificare tutte quelle cose , che loro ap- partengono in modo più o meno esclusivo, ha fatto sì che la celebrità accordata da Plinio a quel fonte venisse fer- mata ed accresciuta da' suoi commentatori. Tra' quali pre- cipuamente con ardenza si accinse a ciò fare un dotto cittadino della stessa Manduria , quasiché delle cittadine dovizie fosse quella la migliore, e forse la sola in tal ge- nere. Al d.' Gregorio Schiavone appartiene la dotta ed eruditissima scrittura sul Fonte di Manduria, inserita nel Giornale Enciclopedico di Napoli (3). In essa trovasi raccolto quanto è stato pensato e scritto intorno al feno- meno di quelle acque j cercando poi l'autore nell'analisi etimologica del nome, nella mitologia, e nelle tradizioni di meglio addentrarsi nel mistero , e svelarlo. 3. Non è mio proponimento tener dietro alle orme da quel dotto battute, per dir se bene o male siasi avvi- sato, nello spiegare il fenomeno dello stabile livello delle acque di quel fonte. Di lunga e nojosa diceria usar do- vrei per dimostrare ex indircelo V inganno : la qual cosa io penso conseguire per via diretta , esibendo la descri- zione di quel fonte, quale spontaneamente si mostra a chi straniero nou giungesse nelle fisiche discipline, e nell' ar- chitettura idraulica. Mi permetterò solamente notar poche cose intorno alla condizione geologica del luogo , onde chiarire la idea del sig. Schiavone , il quale vedeva ia tutta quella provincia un suolo vulcanico. 4. È veramente un fatto costante , che la celebrità (3) Vedi «questo periodico lavoro , Ann. 2. n. n , pag. a86. ILLUSTRAZIONE DEL FONTE DI MANDURU 289 degli uomini si liga con quella delle cose. Così , i vul- cani che han somministrato argomento da far che molti uo- mini si distinguessero , si sono visti fin là, dove regnava r opposto elemento ; ed è bastata una briciola di zolfo , una scaglia di scoria , o pochi frammenti di pomice, per vedervi le lave incandescenti , i crateii avvampanti , i sollevamenti de' monti, la scomparsa delle acf[ue,e tutto il formidabile treno degl'ignivomi focolari. Laonde pen- sava il sig. Schiavone , che le voragini frequenti ad in- contrarsi sulla intera estensione della provincia di Terra d' Otranto , non fossero che focolari di vulcani estinti , da' quali sia da ripetersi il sollevamento intero della pe- nisola. E poiché la frequenza degli avanzi organici di animali marini ben l' avvertiva esser quel suolo positiva- mente letto abbandonato dal mare ; suppose , e qui noa senza fondata ragione , che per opera de' sottoposti vul- cani fosse slato allontanato il mare , e rimasta a secco la terra , con tutti que' marini corpi , quali al presente racchiusi si trovano nelle viscere sue. Gli davano ancora maggior forza, per sostener la sua ipotesi, le scorie di ferro, che ivi presso quel fonte abbondevolmente si osservano. Ma queste appartengono evidentemente a ferro fuso, tro- vandosi sovente con la impronta de' crogiuoli in fondo de' quali rimasero, o spumacciose come cavar si sogliono dalla superficie del metallo già liquido. Stanno tali scorie cosi sparpagliate ed erranti sul suolo ed alla superficie di es- so, oppure involte nella terra vegetale. Certo esse addi- mostrano essersi stata colà una fucina j ma quando e perchè fosse stata stabilita lasciar conviene cercarlo agli Storici ed agli Archeologi. 290 COSTA 5. Il suolo è tutto tufaceo e concbiglifeio ; e cosi corre per tutta quella estesa pianura. E sovente inter- secato da banchi di marna e di creta , o da burroni di materie d' alluvione ^ o da monticoli di calcare ap- pennino , costituenti le così dette Murge. Con ispecia- lità poi il piano su cui siede Manduria è sì ricco di avanzi di testacei marini , che tutto quel tufo sembra coslituIt(j da tritumi di questi. Le bivalvi de' generi Pe- cten e Caràium sopra ogni altro predominano -, né man- cano denti di Squalus charcarias ed altri ictioliti. 6. Non è difficil cosa spiegare la provenienza delle pomici e di quei ciottoli dilava, de' quali parla il conte Milano nel III Capitolo de' suoi Cenni geologici sulla pro- vincia di Teiera dj Otranto. Le prime son dal mare riget- tate, essendo cosa ovvia il vederne tutte le spiagge occi- dentali della provincia ripiene, dopo gli sconvolgimenti del mare accompagnati da venti occidentali (4). I secondi , che jiiù facilmente si trovano presso Ginosa , sono stati trasportati dal Bradano , quando il suo letto era grande- mente più elevalo e più esteso, come sta da noi dimostrato in altro luogo (5) ; ed i quali ciottoli io penso provenire dal Vulture. Or, sebbene è vero che tutta la penisola Ita- liana sia dominata da vulcani già estinti , oltre i semi- spenti, ed il Vesuvio che arde tuttofa \ pure, nello spazio compreso nella provincia Otrantina , non vi ha vestigio veruno di focolajo vulcanico. Ma quando pur ve ne (4) Di queste pomici si fa commer- specialmente dopo le tempeste. ciò nella rroviucia. Vi sono delle (5) Vedi — Prime linee di Geologia persone clie scorrono quolidianamentc del regno di Napoli — BIS. le ipiagge erenoie per raccorle ; e ciò ILLCSTRAZIO.NE DF.L FONTE DI MANDUP.U 29 1 fossero molti , si vedrà non aver essi alcuna relazione col fenomeno che presenta il fonte di Manduria , né aversi bisogno del loro intervento per ispicgarlo. 7. Premesse queste brevissime osservazioni , passo a descrivere 1' antro , il fonte, e quanto a questi si attiene. Uscendo dal recinto attuale di Manduria, a pochi passi verso il N-E, e fra l'attuale e 1' antica sua circo- scrizione , si trova un antro sotterraneo , nel quale si scende per una scala tagliata nella stessa roccia tufacea, di n. 36 gradini, della larghezza di 7 palmi, e divisa in due tese ^ come rappresentata si vede nella pianta da GGG. Il taglio verticale delia roccia addimostra esser prodotta da depositi marini di epoche diverse ^ la qual cosa apertamente palesano i generi e le specie diverse di testacei che in ciascuno degli strati si trovano. Gli strati tufacei altronde si lasciano distinguere dalla inter- posizione di strati più sottili di creta e di marna ,• essen- dovene uno fra gli altri , dell' altezza di un palmo , di marna polverosa bianca j ed è quello precisamente per lo quale 1' acqua del fuimicello sotterraneo scorre. I diversi strali tufacei si lasciano inoltre distinguere per la diver- sità de' grani e de' tritumi , e pel grado di compattezza del loro cemento calcare. 9. Il piano dell' antro AAA ha figura irregolare, ma che però si accosta al cerchio. Nel bel mezzo di esso vi sta una vasca V di figura circolare, la quale si eleva dal piano dell' antro per quattro palmi e mezzo : e per più di j)almi dieci è profonda allo interno (6). Il suo diametro (6) La vera profondili non può de- brato da macerie, sassi ec, che la o- K-rminiirsì , essendo il fondo itijjora- struiscono sovente del lutto. Tom.iy. 3; 2g2 COSTA è di palmi 7 j e la doppiezza del muro e che ne costi- tuisce la cinta è di palmi 2 %. 10. In un lato della grande vasca ve ne sta un' al- tra picciola , il cui orlo si eleva appena dal ])ian terreno dell' antro : è anch' essa circolare, intersecando col suo j)eri- metro un poco quello della vasca maggiore j nel cui centro però ve n' è scavata una seconda v di figura rettangolare. Il fondo di questa ultima comunica con la gran vasca per lo mezzo di un tubo, che si termina in grondaja, sboccando nel cavo della prima e maggiore. 11. La volta dell'antro rappresenta quasi un emi- sfero concavo , un poco ineguale ed irregolare. Nel suo centro superiore vi è un' apertura quadrata , larga palmi 4 , la quale corrisponde a perpendicolo alla gran vasca , e per essa 1' antro tutto viene illuminato a meraviglia, ed il fenomeno di cui or ora dirassi rendesi ad ognuno patente. 12. A chi dunque in questo antro discende, senza altro cercare che lo apparente livello delle acque, che nella vasca centrale e maggiore pervengono, vedrà di fatto ch'es- se staranno sempre al medesimo sito, malgrado il perenne loro sgorgare dalla grondaja della piccola vasca. Ma per- lustrando queir antro si troverà sul lato N - E. un muro MMM (3, 3 dello spaccato) fabbricato di tufo , con uno sportello F, costantemente chiuso j aperto il quale si scuo- pre il rigagnolo n n di acque perenni, causa primitiva del fenomeno di cui si ragiona. Risulta questo da più venuzze di acqua sorgiva ggg ^ che stilla e trasuda dall' intervallo o straticello marnoso che lascia l'ultimo letto di tufo sopra- stante al penultimo. L'acqua che da quelle venuzze proviene si raccoglie in un acquidoccio comune , per lo quale va ILLt'STRAZIO.NE DEL FOiNTE DI MANnUntA 393 a deporsi nella vaschetta W, che corrisponde precisamente dietro lo sportello F , superiormente menzionato. Dalla vaschetta lo acque discendono per un condotto masche- rato o nascosto dalla fabbrica stessa j e per un altro e e sepolto nel piano, passano alla vasca V; d'onde sgorgano, come si è detto, nella maggiore e Centrale, i3. Fin qui la sorgente ed il cammino delle acque è chiarissimo : siccome è facil cosa comprendere, eh' es- sendo perenne lo sgorgo, mancar quelle non deggiono ne' recipienti descritti. Ma come mai col continuo versarsi in quel fonte il livello dell' acqua non cresce giammai •, né sminuisce per quanta se ne voglia sottrarre? Ecco il problema che si chiede risolvere. i4- A ben intendere il meccanismo di quel fonte è a sapersi, che la gran vasca centrale è costruita di pezzi rettangolari di tufo ben cementati e solidamente con- nessi. La gran parte ed inferiore di essa sta nel suolo medesimo incastrata. La sua interna superficie è smaltata fino a certa altezza, oltre la quale, nella parte superiore, restano i pezzi di tufo nudi e scoperti. Quindi è ciiiaro , cha r acqua fino a quella linea cui giunge lo smalto non è per alcun modo assorbita; ma dopo, incontrando le com- messure della fabbrica, alcune delle quali a bell'arte sono lasciate senza cemento , per esse si fa strada a traverso, e riprende il naturale cammino del • ruscelletto. Né r occhio imperito si accorge di tal fatto •, perciocché 1' arte- fice ebbe la destrezza di lasciare libertà al passaggio delle acque nel punto opposto a ([nello , da cui la gronda ja precipita le sue acque. Per la qual cosa le onde ingenerate dal cadere dell' ac<[ua sgorgante si confondono con la cor- 294 COSTA rente dell' acqua che afìluisce ver le rime aperte che le stan di rincontro, e non lasciano perciò vedere la dire- zione della corrente all' occhio non prevenuto. Ma fatta attenzione a lutto , e sceverando le onde circolari che si espandono, da quelle della corrente che si vanno restrin- gendo , è facile avvedersi del punto in cui esse affluisco- no. Allora r illusione svanisce , e più non si vede che 1' arte ingegnosa la quale lutto seppe sì bene mascherare e disporre. E per ben osservare un tal fatto conviene che Io spettatore si ponga più eh' è possibile dappresso alio sgorgo , e non mai a quello di fronte. i5. Con ciò per tanto s' intende solamente il per- chè le acque non si elevano al di là della linea dallo smalto od intonaco segnata , ma non spiegasi ugualmente il non vedersi giammai al di sotto di quella. Imperoc- ché , s' è facile calcolare la quantità dell' acqua che in tempo dato sgorga dalla gronda per far sì che pari (juan- lilà escir ne possa per uno spazio dato : lo stesso far non si può pel suo mancare. In elFetti , non la sola di- spersione e la evaporazione calcolar si doveva, come cause ordinarle che sminuiscono 1' acqua de' fonti 3 ma era d' uopo determinare quella oh' estrar se ne poteva in un tempo dato , con lutti i mezzi dell' arte. La quale valutazione è di sua natura impossibile , variando questi elementi a seconda de' bisogni , e de' mezzi adoperati più o meno efficaci e solleciti. Ad ischi varne quindi 1' errore ecco in qual modo 1' Architetto vi rimediava. 16 Si è dal bel principio avvertito, che l'apertura A superiore e centrale dell' antro è minore del diametro interno della sottoposta vasca. Quindi una secchia o due ILLUSTRAZIONE DEL FO>TE ni MANDORIA agS lutto al più scender possono dall' apertura sudetta in un medesimo tempo. Egli è chiaro dunque, che per questa via non può l'acqua del fonte sminuire più di quinto la gronda ne versa , calcolando il tempo necessario per ab- b.'issare e tirar su la secchia , durante il quale rifluisce nel fonte assai piìi di acqua di quella che se n' estrae. Schi- vava altronde il costruttore che attigner sene potesse dallo interno dell'antro, col rendere l'orlo oo del (onte doppio oltremodo, e tagliato a piano inclinato. Per lo che, uè so- pra dell' orlo medesimo star potrebbe poggiato co' piedi chi estrar volesse dell'acqua^ né le braccia stender j)uò tanto da superare la spessezza del muro, restandogli forza da tirar sopra la secchia o qualunque altro vaso a iiìwe pendente. Laonde non rimane altra via da usare di quel- l' acqua, che immergendo qualche vase nella vasca mino- re 7", o ponendolo sotto la gronda che a quella la ver- sa, ed attendendo che si riempisse. Dopo ciò egli è chiaro, che dallo interno del fonte non potendosi estrarre un sol ghiozzo di acqua , il suo livello menomar non si può né punto uè poco. 17. E però, il portentoso fenomeno svanito, ne ri- mane il pregio dell' architettura idraulica , che certo dal fui qui detto è facile ad ognuno apprezzare. Nò solo il calcolo , la previdenza , ed il genio dell' architetto si am- mirano in questa opera j ma il magistero ancora col quale è stata compiuta. Ed in vero, qualunque stato fosse 1' oggetto per lo quale quel fonte fu costrutto , l' epoca certo non ne viene fissata , e si perde nella oscurità de' temjìi. Non pertanto lo smallo od intonaco della gran vasca è tanto fer- mo, che nò per vicissitudini de' tempi , né per successioni 296 COSTA violente della terra, né per lo continuo gittar de' macigni allo interno di quella si è menomamente rotto o crcpacciato. Ben di sovente si trova quella vasca colma di macigni per modo, che a farne osservare il fenomeno si è costretto sgombrarla j senza che per questo alcuna lesione si fosse occasionata. Pregio egli è questo comune degli antichi serbatoi di acqua , che lasciansi tutl' ora ammirare (7) ^ ma che ugualmente desiderare si fa nelle opere de' mo- derni. 18. Dalle cose discorse chiaro n'emerge, essere il fonte di Manduria un' opera idraulica molto ingegnosa j e che perciò ben le conviene il nome di Ingegno o Sce- gno , come quegli abitanti lo appellano: nome (jigiegno) col quale indicato viene dal popolo nostro ogni macchina- mento destinato a sollevare acque, od -a mettere in moto checchessia (8). ig. Rimarrebbe ora a statuire quale stato fosse V og- (7) Olire le famose piscine, che ia (8) Il sig. Schiavoiie impiega tuUo diversi luoghi del regno s' incontrano, il suo filologico sapere per far deri- «ul littorale di S. Calaldo in Terra vare la voce Scegno dall' ebraiche d'Otranto, sito detto Roca Vecchio, voci Scheket, Sceketh, o Sceka, di- vi stanno alcune piscine ora scisse notanti acqua slagnante, vasi da ac- largamente per la roccia stessa tufacea, qua o canali. Non tace però che tra tella quale sono scavale , che per i- gli slessi abitanti, e dotti ed idioti, gnote ragioni si è divisa. Ma in lutto vi sian di quelli che pensano esser il resto lo smallo è intierissimo, nò la voce Scegno un volgarizzamento si riesce a distaccarne un sol pezzo, o d' ingeniam. Ma , parendogli ignobile fenderlo menomamenle , adoprando l'origine di questo nome , e volendo r acciajo durissimo. più sempre far rilucere la sua dotlri- Similmente saldi si osservano anco- na in fallo di lingua , vorrebbe che ra gli acquedotti di Saturo nelle vici- in tal caso provenga dallo ebraica nanze di Taranto; e laute altre opere Scebel derivante da iScwfin/ eh' eqiii- dl simil natura. vale ad ingenium de' Ialini. JLLLdTRAZlONE DEL TONTE UI MANDCRIA 297 ^elto di queir arcliiiellura. Ma è questa 1' oj)era Ja com- piersi dagli storici e dagli archeologi, di cui la Dio mercè v' à dovizia tra noi, e tengono a giusto dritto il primato Ira quanti altrove grandeggiano in questo sapere (9). Dal canto mio ho cercato come intendere cjuel neque cxhau- sfis aquis minuituT\ neque injìish augetur^ senza ricor- rere a strane conghietture, ed ipotesi \ senza 1' intervento de' vulcani j e senza il bisogno di quel lago circostante le acque, dal quale rifluendo esse nel fonte gli restituis- sero quelle perdute j ma solo rintracciandolo nella natura insieme e nell'arie (io). (9) lo inchino a credere, che sialo sia coslrnito per 1' uso ordinario e co- luiiuc di provvedere di acqua la cillà : e che tulla quella ìndustriusa arclii- iellura sia siala suggerita dal hisuguo. Imperciocché quei luoghi in alcune stagioni cotaulo di acqua scarseggiano da riseutirue sensibili danni. Laonde se ne volle limitar 1' uso prr assicu- sarlo a' soli bisogni della vita. Non è strano quindi il supporre , che slato )ìa consagralo a qualche diviiiiih , per lulelarne 1' opra con la riverenza a quella dovuta. È risaputo che i fou- lì furono appo gli amichi liguardali come cosa sacra « Kultus eniin fons non sacer, scriveva Serv o sul vcrs. 73 , del lih. 7 dell'Eneide. » Fontiuin memoria ec. Per questa parie piova coDsuUare il dolio lavoro del sulloda- lo sig. Schiavoue, il quale non ha tralasciata alcuna cosa valevole ad il- Iiistr.ire la nobiltà di quel foiitr. E dopo aver tulio raccolto, la menzio- ne d' un altro fonte sjcro dilla stt-ssa provincia spettante al Tempio di Mi- n.rva , ricoQosciut) dal cav. Monti- celli nella cos'i delta Grotta della Zinzanusa j come dalla memoria in- serita nello slesso Giornale Enciclo- l'edico, Anno 2.°, n. 3.° p 34' • Noi discorreremo ancor di questa. Grotta in altra tornata. (10) Che questo fonte sia un oalu- rale cammino di acque sotterranee fu. per molti ben inteso. Lo stesso loda^ tissiino sig. Schìavoiie non lascia di. rammentare come , in una opera dai: titolo Brcvis et enucleata descripIXo historico-phviica Fonlis Manduria- ni ex pluribus aucloribus excerpta^ cui occf $.ikAéte i lg ■ ■ ' ' ' I.' I I ■ ì -^ ^y/'/i' y y/'/r ' f/r , ry^<^y<'/y ^// / /fi'/'/^^//^/v /'/' /' ^y///^ ^'l///!!yi> 40 ÓO •kì ^ Sa I ' I ' I ' I I ' I ■ iM "::-• <'', >P.a -;J-r/«t.' 1,1./ H I I I 4t«^^o^«^«$«^^«)«;^^«;«^«^4i^.<44«;^«^«!«j « ì3>5».>.^5».ìi.>»J»-J».>B.ii-ii>-t»>->3>>x.^$»5».Sx.5iv}a.# DEL PRESENTE FASCICOLO Tavola generale ft interpolazione presentata da Fedele Amatìte pag. a5i Illustrazione del Fonte di Munduria nel Sa- lentino di O-G. Costa » 387 Con due tavole in rame. Prezzo del presente fascicolo. X*.Yf>v, I ' I li il