^^^, ^..j0^^^ tr ^'^f ym: ';^:^yW ^fi*i?MC]n9lHraBSI '^^mmmmm K^\■■l^ ■xM yS^il'w.'^, *>^^^^ ^^m^^i^jm ^^ .iv^U>' L. HARVARD UNIVERSITY. LIBRARY OF THE MUSEUM OF COMPARATIVE ZOOLOGY. =T*>-* ATTI eli; ìm DI SCIENZE NATURALI IlV CATAIVI^Il SERIE TERZA — TOMO XVIII. CATANIA COI TIPI C. CALATOLA 1885. ATTI DI SCIENZE NATURALI iiv c^VT^vrsi^^ SERIE TERZA — TOMO XVIII. jinAT CATANIA COI TIPI C. GAT.ÀTOLA 1885. CARICHE ACCADEMICHE Pep^ l' Anno lviii da Luglio 1882 a piuGNO 188';; e per l' Anno lix DA Luglio 1883 a Giugno 1884. • -=>§>»©;< V ^ « * • • - ^ r^xV>> ^vvv.'M.'r^"^ ■'*':".. ^^^,^sr Vo>' .''''i iVuoFa serie di funzioni sostituibili a quelle di Sturm con vantaggio dei calcoli occorrenti per determinare il numero delle radici reali di un' equazione algeMca. Nota del Prof. 7. MOLLAME Letta all' Accademia Gioenia neììa seduta del 10 Agosto 18S3. Dopo il celebre teorema di Sturm la risoluzione del problema riguardante la determinazione del numero delle radici reali di un'equazione algebrica non lasciò più nulla a desiderare dal lato della perfezione teorica. È noto però che la regola tanto semplice ed elegante contenuta in quel teorema richiede nella sua applicazione calcoli lunghi e penosi, anche nel caso di equazioni semplicissime: e ciò at- teso la natura ed il numero delle operazioni necessarie per formare le funzioni che occorrono nel teorema medesimo. La facilità dell'enunciato della regola in discorso e quella della sua applicazione sembrano quasi fra loro compensar- si ; per cui avviene che 1' una non può ingrandire che a discapito dell'altra. Così mentre la regola di Sturm è fa- cile e breve nell' enunciato , ma lunga nell'applicazione, quella invece che viene esposta nella presente nota offre minore facilità nell'enunciato ma semplicità maggiore nel- la sua applicazione. I vantaggi che recano le funzioni che io sostituisco a quelle considerate da Sturm dipendono da ciò, che con le prime vengono evitate le successive divisio- ni di polinomii , e perciò non è necessario d' introdurre nei calcoli fattori numerici, i quali se fanno sfuggire le frazioni da un canto, dall' altro fanno ingrandire i numeri ATTI AGO. VOL. XVIII. 2 12 NUOVA SERIE DI FUNZIONI che entrano nei calcoli. Il maggior numero poi di funzioni che occorrono, in generale, per l'applicazione della nuova regola non può far temere che questa risulti in pratica piij lunga della regola di Sturm, se si riflette alla natura dei calcoli che si è costretti a fare nella seconda, e che si tralasciano nella prima. Il secondo degli esempii riportati in questa nota trattato con la regola di Sturm dà luogo a funzioni 1' ultima delle quali, che è una costante, sulla fede del Sig. Serret (Algebre supérieure. Voi. I, pag. 301), non ha meno di 44 cifre : mentre quell'esempio trattato con la nuova regola dà luogo a numeri , il più grande dei quali non ha più di 14 cifre. 1. Sia f{x) — ct^ + a^x + «2^' + . . ■ + ct,n x-'"- = 0 un'equazione algebrica, intera e razionale rispetto ad x, ed /' {se) la derivata prima di f{x), che per semplicità sarà scritta f{x) = b, + b,x + b.x"- + + b,n-ix"'-'' , dove b,, = (h+ l)a,,+r. Mediante i coefficienti a di f{x) e quelli b di /"' (x) si calcolino gli altri coefficienti y come è indicato nello sche- ma seguente : ba , ^1 ' ^2 > 5 ^'«-1 :(«„&, -6„ », )=>,,o,±(«o b, -&„ ci,_ )=>u- ±K b, -b, a, )=?i.2,.-, ±(-M«>)=>i,m-i (1) z{b„').i,i—T^ifib^)=').ift,±{b„ 'yi,2—7i.ob,J=7ì,i,±(bo 7i,3— Ti.o&s )='>2,2, ••••.Q-s.m-s rCO-LO 9-2,1 —72,0 T-l.l )=>3,0 , ±(7-1,0 T-S.S —? 2,09-I,2)='>3,l , ± (71,0 '>2,3 —7-2,0 'J-l,3)=?-3,2 ,••••, T-S, '«-2 ecc. ecc. SOSTITUIBILI A QUELLE DI STURM 13 nel quale i segni + in un'orizzontale qualunque corrispon- dono al caso in cui il primo termine dell'orizzontale che precede quella ha un valore positivo, il segno — al caso opposto. Nel quadro precedente un termine qualunque, per es. 7k;ì, appartenente all'orizzontale ^'"*''"'' delle > è della forma T-A-.i 7'C-2,0 ) 7-/J-2, l>I e quindi calcolasi mediante i primi termini delle due oriz- zontali (^ — i)^^™" e (^— ^)-'-« che precedono l'orizzon- tale k'"""^ e gli altri due delle orizzontali medesime, i quali occupano il posto consecutivo a quello che il termine da calcolarsi ha nella propria linea. Laonde ogni orizzontale del quadro (1) ha un numero di termini che o è uguale a quello delle due orizzontali che precedono , diminuito di y, 0 è uguale al maggiore dei due numeri che esprimono quanti termini hanno quelle linee , diminuito di i. Perciò, siccome le due prime orizzontali di quel quadro hanno, ri- spettivamente , m + 1 ed m termini , così le orizzontali in >, i posti delle quali sono indicati dai numeri 1,2, 3, 4, 5, G, 7, ecc. hanno ordinatamente m, m — 1, 7)2 — 1, m — 2, m — 2, m — 3, ?» — 3, ecc. termini. Vale a dire che dalla V orizzontale in poi, delle 7-, ogni qualvolta si aumenta di 2 il numero che dinota il po- sto di un'orizzontale, diminuisce di 1 il numero dei termini della nuova linea ; ed altrettanto avviene dalla 2'' oriz- zontale in poi. Sicché le orizzontali indicate dai numeri 14 NUOVA SERIE DI FUNZIONI 2i+l e 2i hanno entrambe m-i termini: in conseguenza per i=m — l, al più, il quadro (1) sarà . completato e le due ultime orizzontali in 7-, cioè quelle che hanno i posti espressi da 2m — 2, 2m — l, consteranno ciascuna di un termine solo. In tutto ciò che segue il quadro (1) s' inten- derà sempre arrestato alla prima di quelle due ultime orizzontali : quindi esso avrà 2n orizzontali in tutto, com- prese cioè quelle formate dai coefficienti dati a e b. Se poi in luogo di arrivare ad un' orizzontale formata da un termine solo si perviene ad un' orizzontale formata da termini tutti nulli, ciò non può accadere se non quando le due orizzontali che . precedono quella hanno i termini corrispondenti ordinatamente proporzionali ; per la qual cosa esse debbono avere un egual numero di termini ed occupare perciò posti espressi da numeri della forma 2i, 2i+l. Il quadro (1) in questo caso si intende anche arrestato alla prima di siffatte orizzontali. Nel quadro (1) si cangino i coefficienti a e b delle due prime orizzontali, cioè quelli di f{x) ed /"(•^) i^^i coefficienti di f{-sc) ed f {—oc). Indi si mutino i segni delle 7 di posto dispari nelle orizzontali in y, indicate dai numeri 1, 4, 7,....,(3>^+I), ecc. ed i segni delle 7- di posto pari in tutte le altre orizzontali. Si formerà così 1' altro quadro «0 , -«. , a, , — a, , a, , — a, , -K, ^ , -K , ^3, -^ , b,, — 7-1,0, 7-M, —7-1.2, '>l,3, — 7i,i, 71,5, 7-2,0 . ->2,1, 7-2,2 , — 7-2,3, '>2,4, — 9-2.5, 73,0, — '>3,1 , 7-3,2 ) — 7-3,-!, 73,4, — 7-3.5 , — 7-4.0 , '>4,1, -7^.2, 7-4,3, — 7-4,4, 7-4,5 , ecc. ecc. (1') SOSTITUIBILI A QUELLE DI STURM 15 2. Ciò posto, si possono enunciare i due teoremi clie seguono : I. V equazione f(x)=o ha tante radici reali positive quante unità contiene la differenza fra il numero delle variazioni che si contano nella serie formata dai primi termini delle orizzontali del quadro (1) ed il numero delle variazioni che si contano nella serie formata dagli ultimi termini di quelle linee. La medesima equazione ha poi tante radici reali negative quante ne dinota la differenza fra % due numeri analoghi ai precedenti forniti dal qua- dro (1'). II. Mediante i coefficienti y delle orizzontali succes- sive del quadro (1) si formino i polinomii ■ /(^), /'(.?;, 9^{^), ?A^), ■ • ■ , ?r{x), (2) dove in generale e mediante il quadro (T) si formino analogamente gli al- tri polinomii f{-3C),f'{-X), -f>,(-a-), ?,{-X), f,{-X), -:', il grado di f,, è p-i; se poi t^=y il grado di /,, può essere uguale 0 minore di p— i. Vale a dire che considerando tre qualunque consecutive delle funzioni f, per es. /■,,_, , A_i , A-, il grado della terza è inferiore di i a quello dei gradi delle altre due che è il maggiore, o è inferiore almeno di i a SOSTITUIBILI A QUELLE DI STURM 17 grado comune delle altre due, quando queste abbiano un medesimo grado. E poiché / ed /' sono di grado m ed m-1, rispettivamente, ^ sarà di grado m-1, f^ di grado al più eguale ad m-1, ^ di grado w?-2 ecc.; ed in generale sic- come da /"i in poi ogni volta che l' indice di f si aumenta di 2 il grado di / diminuisce di 1, mentre da f^ in poi ogni volta che l' indice di f si aumenta di 2 il suo grado dimi- nuisce almeno di 1, così 4+, è di grado m-i-1 ed 4 è di grado al più eguale ad m-i-I. Quindi per ì=m—l, /,,+, ed fu, cioè /,,„_, ed 4„_2 sono di grado 0, e perciò 4,_s = c,,„_2_o . Posto adunque r=2m--2 , le (3) finiranno con la /, ia quale è una quantità costante che non può essere 0, altri- menti /,._! cioè /2,„_3, che è di primo grado in ^, divide- rebbe fr-2, /".-3, . . . , /■' ed /, contro l'ipotesi. Intanto le funzioni per ^ positivo, verificano le tre condizioni seguenti , che sono le sole necessarie affinchè esse possano impiegarsi come le funzioni considerate nel teorema di Sturm. 1.^ L'ultima delle (5) non varia al variare di ^. 2^ Due qualunque consecutive delle (5) non possono annullarsi per uno stesso valore di ^. Giacché se per ^=c potesse risultare /",,_! (c)=/";,_,(c)=0, il medesimo valore e di ^ dovrebbe annullare anche cia- scuna delle /■ che seguono 4_,, compresa /,., ciò che non può essere. 3.^ Se per un valore qualunque positivo di ^ è nulla una delle funzioni (5), le due che la comprendono sono di segni contrarli, come risulta dalle (3). È noto poi che le funzioni di Sturm possono adoprarsi anche nel caso di un' equazione che abbia radici uguali, purché si consideri come una sola radice ogni radice mul- 18 NUOVA SERIE DI FUNZIONI tipla. Sicché il numero delle radici reali positive di f{x) = 0 comprese fra 0 e ^ è uguale al numero delle variazioni perdute nella serie (5) da ^=0 ad ^=^. Rimane a pro- vare che la serie (5) può essere sostituita dalla (2). Nella (4) si uguaglino i coefficienti delle potenze (^ + iy^^"'" di X in ambo 1 membri. Si ha così la relazione Affinchè poi la (4) possa ridursi anche alla prima delle (3), bisogna porre e quindi c_i,i =; ai , Co,i — bi . La relazione (6) intanto mostra come si calcolino i coefficienti c,,,^ di una qualunque /",, delle / mediante ì coeffi- cienti delle due A_i ed f„_, che precedono la /"«. Quindi da /^ in poi i coefficienti della f sono calcolabili, in virtù della (6), mediante quelli di f{a)), ed f'(x); e precisamente si ha lo schema che segue : «0, bo, b , a„ , b„ .... > ^Ol-l i a «0 K — ^0 a, bo ^1 ' = Ci,i , bo = Ci,i , . . . b,a,n bo = Ci, „t_i boCi,2—Ciflb^ = (^2,1 > ^0^1,3— C,,o6., Ci.a = C2,2 , . . . Cl,oC2,, — C2,oC,,, _ ^ ^ <^3,0 , ^2,0 Cl.oC2,2— C2,oC,,2 Cs,o = ^3,1 , j, i coefficienti e,,,, della seconda orizzontale in G di quel quadro prendono la forma g.^— '^o'h,i+i — 'h.obi+i , ossia c.,i = -~- ed avranno perciò tutti il divisore &oC,o il cui segno dipende solo da quello di g,_^: non tenendo conto del valore assoluto del divisore 6o — «3 1 > ± o,„ — bo, b, , —b,, 63 , . . . , ± 6,„_i e le altre, come è facile vedere, diventano rispettivamente, quelle che seguono: ATTI ACC. VOL. XVHI. 3 20 NUOVA SERIE DI FUNZIONI ^1,0 ) ^1,1 j <^l,2 ) ^1,3 > • • • Cìfi 5 C2,\ , Cz,2 , C2,3 , • • • Cs.O > ^3,1 ) ^3,2 , Ci^s > • • • C(l,o j ^4,1 , £"4 2 , C4,3 , . . . ^5^3 , . . . Cefi > — ^6,1 , Ccfi , — C6,3 , . . . ecc. Quindi il quadro (1) applicato alle radici negative di f[a)) = 0 si riduce all'altro (!') e perciò poi le funzioni (2) si mutano come è chiaro nelle (2'). Il teorema II rimane dun- que provato. Siccome poi per ^=0 le funzioni (2) e (2') si riducono ai loro primi termini, che sono i primi termini delle orizzontali dei quadri (1) ed (r), e per ^ = =0 i segni di quelle funzioni sono dati dai coefficienti dei termini di più alto grado in £c, che sono gli ultimi termini delle orizzon- tali dei quadri (I) ed (!') così rimane provato anche il teorema I. Si dinotino con V e W, rispettivamente, i numeri delle variazioni che presentano le serie formate dai primi o da- gli ultimi termini delle orizzontali del quadro (1) : e con V e W i numeri analoghi nel quadro (I'); l'equazione f{x)^0 avrà {V—W) 4- {V —W) radici reali, delle quali V~W positive, V — W negative. Se p e q, (q> p), sono due numeri reali positivi , e si indichino con v, w, rispettivamente, i numeri delle va- SOSTITUIBILI A QUELLE DI STURM 21 riazioni clie presenta la serie (2) per x=p e per 00= q , e con V' , to' i numeri analoghi a v e w nella serie (2') sarà (V—w) — {V—v), cioè e — w il numero delle radici reali di/(^)=0 comprese fra+p 6 + ^; v' — to' il numero delle radici reali comprese fra— p e — q V -+■ V — (u" + w) il numero delle radici reali comprese fra— p e + q. Es. I. Sia proposto di trovare il numero delle radici reali dell'equazione 6 + 5^ — 5,r- — 5x^ — x*=:0, Il quadro (1) nel caso presente diviene — 5 — 5 — 1 — 15 — 4 63 — 235 6 5 5 — 10 85 — 65 235 254 1263 — 1024 40081 — 12172 25669808 95190; 689775388G9 , 22 NUOVA SERIE DI FUNZIONI dopo aver soppresso il fattore 5 comune ai termini della 4"^ orizzontale, perchè comune ai primi due termini delle orizzontali 2"^ e 3% il fattore medesimo comune ai termini della 5" orizzontale ed il fattore 2 comune ai termini della 6^ orizzontale. I primi termini delle orizzontali del quadro precedente presentano 5 variazioni, gli ultimi ne presentano 4, onde l'equazione proposta ha una sola radice reale positiva. Cambiando poi i segni dei termini di quel quadro se- condo la regola espressa nel quadro (!') si avrà l'altro quadro che ridotto ai soli segni dei suoi termini può scri- versi + — — + — + — — + + — + — + — e questo presenta 5 variazioni nei primi termini e 2 negli ultimi, onde 1' equazione proposta ha 3 radici negative. 3. Quanto fin ora si è detto suppone che nessuno dei primi termini del quadro (1) come preceduti dal termine nullo, il primo termine 8 di quella linea nel qua- dro (r) deve- prendersi col segno — . In conseguenza 1 ter- mini delle orizzontali 3' e 4' del quadro (9), passando nel- l'altro (9') devonsi prendere coi segni — -I- - -1- ... . — 4- — -4- ... . E perciò, secondo l'ultima regola, i segni con i quali de- vonsi prendere i termini del quadro (9) per formare il quadro (9') sono + — + - + — + - + - + - + - + - + - + - 4- - -f- -+- — -4- - -I- + — + — - + — + - + — — + 28 NUOVA SERIE DI FUNZIONI Combinando questi segni con quelli che hanno 1 termini del quadro (9), i segni dei termini del quadro (9') saranno dati da + + + + — — + + + -4- — — + + + -- + - - 0 + _ - -I- + — -4- ___[__ + - + I primi segni delle orizzontali dell'ultimo quadro danno luogo a 5 variazioni : gli ultimi segni di quelle linee danno luogo ad altrettante variazioni, quindi l'equazione proposta non ha alcuna radice reale negativa. Perciò si conchiude che quella equazione non ha radici reali. Catania j Luglio del 1883. Azione delV acido iodico, in soluzione concentrata sui globuli rossi sanguigni Nota del Prof. A. GAPPARELLI Letta nella seduta ordinaria del 19 Agosto 1883. Se si tratta con una soluzione di acido iodico concen- trata, del siero sanguigno che contenga in sospensione dei globuli rossi, il liquido perde il primitivo colore rosso, e diventa bruno; si produce in tutta la naassa un precipitato. Dopo un certo tempo, il liquido soprastante si presenta di colorito giallo verdastro e 1' esame istologico del sedi- mento, dimostra la scomparsa totale degli elementi morfo- logici sanguigni. — È avvenuta adunque per azione dell'a- cido iodico la distruzione principalmente dell' emasie. — La differente colorazione assunta dal liquido, non dipende da scomposizione dell' acido iodico, in quantochè si può con le reazioni opportune dimostrare che acido iodico non esi- ste allo stato libero nel liquido in discorso. Ho osservato al microscopio, i fenomeni che seguono nei globuli rossi sanguigni dopo il trattamento con acido iodico e che precedono la loro totale scomparsa, che a me sembrano interessanti, perchè chiariscono alcuni particolari di struttura di questi importantissimi elementi. — Riferi- sco quindi per sommi capi le mie osservazioni. L'acido iodico come molte altre sostanze, già studiate, li rigonfia in primo tempo ed il rigonfiamento dei mede- simi arriva a tal punto da determinare lo scoppio dell' ele- mento sanguigno. — Si può assistere al fenomeno introdu- cendo sotto un vetrino copri oggetti, una piccola quantità ATTI ACO. VOL. XVni. 30 AZIONE dell' acido IODICO di soluzione di acido iodico in modo da non invadere tutto il campo del copri oggetti , facendo arrivare per capil- larità dal lato opposto scoperto, del siero sanguigno di vi- tella contenente globuli rossi raggrinzati per precedente esposizione all' aria. Nella maggioranza dei casi i globuli rossi si presentano come dei coni a superficie irregolare e a base larga. Al momento del contatto con la soluzione di acido iodico, scompaiono le irregolarità, si pronunzia il rigonfiamento da un solo lato, principalmente in corrispon- denza del vertice, mentre persiste al centro della base un punto depresso osservandolo di coltello (vedi flg. 1. d.) Ad un certo punto durante il rigonfiamento, il globulo rosso assume la forma di un rene visto di profilo. — Se in que- sto periodo si rovescia, il punto depresso acquista l'aspetto di un piccolo cerchio a margini oscuri ed in tutta la super- ficie restante trasparentissimo. — Assume l'aspetto di un ordi- nario globulo rosso visto di fronte ma dove la porzione tra- sparente centrale è alquanto ridotta, questo cerchio diventa sempre più piccolo con il crescere del volume del globulo e persiste sino alla scomparsa, allo scoppio del corpuscolo. Fenomeni meno precisi, ma analogln si osservano spe- rimentando con sangue di cane coniglio e di uomo. Qualche cosa di simile aveva osservato il Dujardin: (1) ed era venuto alla conclusione, che i globuli rossi, fossero prov- visti di pori doppi ed opposti e sotto questo aspetto li ha paragonati agli ordinari braccialetti di donna. — Identiche modificazioni ha osservato lo Schultze, nelle emasie sanguigne per azione del calore che furono più tardi riprodotte con un metodo speciale dal Pv,anvier — e che a quanto pare inter- preta come una lacerazione indotta dallo scaldamento brusco; ho detto questo perchè il Ranvier non si pronunzia in modo netto sul proposito. (1) Dujardin, l'observateur au microscope. IN SOLUZIONE CONCENTRATA ECC. 31 Nel caso mio il cércine trasparente si rendeva palese anche quando il corpuscolo non aveva assunto tali propor- zioni da lacerarsi. — Ho potuto escludere nettamente che l'aspetto particolare che assume in questo caso il corpu- scolo, non sia veramente una lacerazione; adoperando solu- zioni di sostanze che non rigonfiano i globuli rossi ma che li coartano invece e che loro importano questo aspetto che ho segnalato. — Questo si ottiene di fatto trattando il san- gue appena estratto con una soluzione di prussiato giallo al 5 Yo e successivamente con una soluzione di percloruro al 10 7o- Quest' ultimo fissa i globuli rossi, li colora alla pe- riferia lascia incolore il solco, dal quale traspare l'interno protoplasma colorato in rosso. Inoltre potei replicatamente osservare, che quando aveva luogo per soverchia distensione lo scoppio del corpuscolo, la lacerazione, nella maggioranza dei casi avveniva verso la porzione connessa al lato opposto del foro in discorso, co- me mi potevo assicurare dall'esame dei resti del corpuscolo e dai movimenti eseguiti dai vicini corpuscoli integri al mo- mento dello scoppio. Spessissimo potei anche osservare che i globuli san- guigni principalmente del coniglio e del cane, si rigonfia- vano rapidamente per l'azione dell'acido iodico, acquista- vano un volume maggiore, ed avvenuto lo scoppio i dia- metri si riducevano ad un volume inferiore al normale: il corpuscolo a bordi sempre regolarissimi acquistava tanto in trasparenza da essere appena percettibile. In questi casi moltiplicando le osservazioni non era possibile rinvenire sdruciture ed il protoplasma era sgusciato non si sa come e per quale apertura. — Lasciando l' involucro vuoto e trasparente. A questo proposito fo anche osservare che dal momento che vedesi il globulo sanguigno aumentare di volume, prima 32 AZIONE dell' acido iodico e poi diminuire rapidamente, perdendo l'aspetto sferico ed acquistare quello di un disco, bisogna supporre che esiste alla periferia uno strato differentemente costituito dal restante protoplasma che è dotato di proprietà eminentemente ela- stiche— Di fronte a questi fatti, sono attenuate le antiche os- servazioni di Fontana, che credeva che i corpuscoli sanguigni fossero omogenei e completamente costituiti da una sostanza elastica; in quantochè compressi fra due lamine di talco si schiacciavano senza sdrucirsi. — Il protoplasma dell'elemento sanguigno, è una sostanza che si imbibisce molto facilmente e si dissolve nell'acido iodico, mentre l'involucro elastico non gode questa proprietà; la capsula resiste all' azione dell' a- cldo iodico non si deforma né si dissolve. — Si può anche mettere In evidenza l' involucro esterno, nel modo seguen- te. — Dei globuli rossi sono trattati con una soluzione concentrata di solfocianuro potassico in modo da rigonfiarli, fare quindi arrivare in loro contatto, sotto il vetrino copri oggetti, una piccola quantità di soluzione di acido iodico— questa soluzione reagisce sul solfocianuro, del quale ne sono di già impregnati i globuli rossi sanguigni, si mette in liber- tà del lodo entro il protoplasma del globulo che gli imparte una colorazione intensa giallastra, coarta il protoplasma e si osserva nettamente il doppio contorno: il protoplasma pre- senta inoltre dei punti oscuri molto piìi voluminosi e nu- merosi in vicinanza del punto depresso trasparente — In questo caso, i margini del globulo rosso sono regolarissimi; e nei globuli osservati di fronte attraverso la scissura, in determinate posizioni si osserva allo interno un punto ros- sastro. Credetti che questo potesse dipendere da contrasto di colori e della porzione trasparente del globulo sanguigno. Ma ho veduto ripetere il fenomeno, trattando i globuli rossi sanguigni con il prussiato giallo e il percloruro di ferro. Fin qui i fatti osservati e che si possono a piacimen- to ripetere; vediamo ora in clie modo si possono interpre- IN SOLUZIONE CONCENTRATA ECC. 33 tare i fatti medesimi e clie importanza ed applicazioni po- trebbero avere. È indubitato ctie il globulo rosso per queste osserva- zioni non deve essere considerato come avente eguale com- posizione per lo meno fìsica in tutta la sua superficie, ma esiste un piccolo tratto in corrispondenza della sua porzione convessa che ha maggiore trasparenza attraverso la quale porzione si può meglio che altrove osservare l'interno proto- plasma. — Questo tratto ha la forma circolare quando si adoperano, per metterlo in mostra, sostanze che agiscano rigonfiando il globulo — e che acquistano l'aspetto di mia vera scissura e come tale fu , credo a torto , interpretato dal Ranvier , nelle sue osservazione di simil genere , stu- diando r azione del calore sui globuli rossi sanguigni. Quando si impiegano sostanze che coartano, impiccioliscono r elemento sanguigno e che fanno diventare più irregolari queste porzioncine periferiche del globulo ed hanno tanto più r apparenza di una sdrucitura, quando più si adoperano sostanze che diminuiscano di molto il volume delle emasie: così questo aspetto che era evidente nei globuli sanguigni trattati con solfocianuro potassico ed acido iodico, diventa ancora più manifesta quando si produce una diminuzione maggiore del volume del globulo, trattandolo con prussiato giallo e percloruro di ferro. Ammesso anche il fatto, che contrasta con la convin- zione che in questo caso emerge dalla diretta osservazio- ne; cioè, che la porzione indicata sia una soluzione di conti- nuità che si prolunga entro la massa del globulo, bisogna ammettere che per lo meno sia una porzione rientrante dalla periferia del globulo, costituita fisicamente in modo diverso dello strato involgente e che abbia caratteri di sotti- gliezza e calorazione differente. — È facile escludere che quest'apparenza fosse rappresentata da nuclei dei globuli 34 AZIONE dell'acido iodico rossi ricacciati alla periferia, come accenna qualctie osser- vatore. 1. Percliè i nuclei non sono contenuti da tutti i glo- boli rossi, come in questo caso si osserva. 2. Perchè trattandolo con sostanze che imhibiscono il globulo il preteso nucleo diminuisce di volume, mentre si intende bene questo fatto ammettendo un orifizio unico al- la periferia di un globetto elastico, che si rigonfia. 3. Perchè trattati con le ordinarie materie coloranti non si colorano. 4. Perchè dissolvendo i globuli rossi con il succo ga- strico non rimangono in libertà. L 'aspetto inoltre che assume costantemente il globulo che si rigonfia, cioè di conservare anche prima di scop- piare la convessità in corrispondenza di questa porzione trasparente, mentre la perde costantemente alla parte op- posta dove nelle condizioni ordinarie si osserva una de- pressione; dice che la sola costante è veramente in corri- spondenza del punto descritto nella maggioranza dei casi; e di fatti se bene si osserva la vera forma a biscotto si vede di rado la concavità è maggiore sempre di un lato. Questo comportarsi del globulo che si rigonfia, depone in modo non dubbio per una struttura speciale in corri- spondenza della porzione trasparente, osservazione che è anche appoggiata da un' altra, cioè che lo scoppio di rado avviene in corrispondenza di questa porzione, che oppone maggiore resistenza e dall'altra che emerge dalla diretta osservazione dei globuli rigonfiati con solfocianuro e co- lorati con acido iodico; è precisamente in corrispondenza del punto in discorso che si vedono colorati in bruno delle venature che da questo punto si diriggono verso la por- zione convessa del globulo. Non è adunque il globulo san- guigno a protoplasma omogeneo ma presenta in questi punti una speciale struttura. IN SOLUZIONE CONCENTRATA ECC. 35 É inoltre provvisto di uno strato corticale che non ha che tenui rapporti con l' interno protoplasma e che si comporta difTerentemente con 1' acido iodico , il quale dis- solve il protoplasma e lascia integro lo strato involgen- te il quale è estensibile , abbastanza elastico ; ma fini- sce per crepare rigonfiandosi il protoplasma. — Si può coartare il protoplasma e rendere evidente lo strato in- volgente, rigonfiando i globuli rossi con solfocianuro; trat- tandoli con acido iodico si vede nettamente il doppio con- torno, il protoplasma si raggrinza molto e dal punto tra- sparente descritto si partono dei punti oscuri delle vena- ture che si diriggono verso la parte opposta del globulo sanguigno. Abbiamo adunque nel globulo rosso uno strato perife- rico che ha il vero significato di uno strato e che ha tenui rappoi'ti di continuità con l'interno protoplasma. — Che in un punto solo questo strato si introflette e se non si può ammettere una vera soluzione di continuo bisogna però ammettere che questo punticino ha caratteri differenti. Io poi ho acquistato la particolare convinzione, che questa disposizione permette il passaggio agli elementi co- stituenti il protoplasma meglio che non faccia il restante strato periferico. Ed attribuisco l'uscita rapida per questa porzione del protoplasma, rigonfiato per Y acido iodico in moltissime esperienze. Quantunque questo non emerga dalla diretta os- servazione; non ho potuto per la rapidità del fenomeno e per la trasparenza che acquista il protoplasma per l' acido iodico vederlo uscire per questa porzioncina: ma non si può credere altrimenti dal momento che si vede il globulo sfe- rico diminuire di un colpo di volume, acquistare tanto in trasparenza da essere appena percettibile e trasformarsi per il peso del copri oggetti in un vero disco che non pre- senta scissure in alcun punto. 36 AZIONE dell' acido iodico Io credo inoltre che la costante uscita del protoplasma per questo orifizio ci rende conto di un fatto da molto tem- po osservato ; che non ha avuto fin ora , una ragionevole spiegazione. — Si sa che i globuli sanguigni appena estratti da vasi acquistano la tendenza di aggregarsi a pila ; ten- denza che si manifesta nei medesimi qualora vengano trat- tati principalmente con un liquido che li rigonfia. È molto probabile che in questo caso in corrisponden- za del punto descritto, esca il protoplasma appiccicaticcio e si stabilisca un punto per l'adesione — Fanno inclinare a credere questo, i seguenti fatti: Che rigonfiando con l'acido iodico i corpuscoli rossi che hanno perduto la tendenza alla adesione reciproca la acquistano ; nel liquido in cui non si vedono i globuli rossi aderire proprio in corrispondenza dei punti descritti, per lo meno uno dei due è aderente per il punto accennato; e formano così anche delle catene lunghe — L' adesione è abbastanza tenace si vedono i globuli rossi rotolare nel li- quido che scorre e reggere agli urti che tendono a sepa- rarli. — Per tanto io credo : 1. Che, l'acido iodico decolora i globuli rossi sangui- gni li rigonfia impartendogli ad un certo periodo della sua azione uno stato di trasparenza tale da rendere evidenti alcuni particolari interessanti di struttura, 2. Che scioglie come molte altre sostanze il protopla- sma dagli elementi rossi sanguigni, lasciando indisciolto lo strato periferico dei medesimi. — Il quale non si comporta con questo reagente in modo identico alla massa protopla- smatica che contiene. — Che non si rivela come uno strato ela- stico omogeneo ma ha tutte le apparenze di un vero strato provvisto di una porzioncina avente l' aspetto di un' o- rifìzio. '5^ -Ti s -^ j; i i - 1* 3 J Ss ^ 3 -i n3 iL il- 1 li- :ì_ _; ■^ .-J 3o3 ^ 03 ■1 t . H^" ?o rf ' « . ^' \? -ì « <:.0 ^ > i . c^ 5^ (?s •ya *?^ 5^ «^ 1 tui vulcaniGi del Napolitano. RiGerohe ed osservazioni del D.r LEONARDO RICCIARDI. Memoria letta nella seduta ordinaria del di 2 Marzo 1884. Da accurate ricerche fatte dal Prof. I. Roth risulta che « il suolo sul quale adagiasi la massa vulcanica de! « :Monte Somma col Vesuvio è costituito dal tufo tracliitico « giallo delle pianure della Campania e dei Campi Flegrei (1). 1 depositi tufacei del Napolitano chiamarono in diverse epoche l'attenzione di molti scienziati come Breislak, Du- frénoy, Berthier, Pilla. Scacchi. Guiscardi, Pv.oth, vom Pv,ath, Fuchs ecc.,. i quali in maggioranza sono d'accordo nell'am- mettere che gli. espandimenti vulcanici, che formarono i tufi del Napolitano , sono provenienti dalle eruzioni dei Campi Flegrei. Però, mentre il Prof. A. Scacchi, nel 1849-50, con le sue Memorie Geologiche sulla Campania, ammetteva, che i tufi della Campania sono di trasporto, provenienti dalle eruzioni d' indole detritiche dei Campi Flegrei, nel 1881, presentò all'Accademia dei Lìncei, nella tornata del 5 Giu- gno, una nota preliminare intorno ai projetti vulcanici dei tufi di Nocera, nella quale si legge: sono veramente am- (1) BuUeitino del R. Comitato Geologico d'Italia. N. Il e 12 anno 1877 p. 440 Rotli confermò quanto antecedentemente era stato detto da Du- fiénoy : Le sol de la campagne de Naples et des ìles qui en dépendent, ab- straction faite des montagnes volcaniques, est forme d'un tuf compose des débris du traehyte de la première période. Comptes rendus V. 1, p. 353. ATTI ACO. voli. XTni. 38 I TUFI VULCANICI mirevoU questi vulcanetti fluorìferi, (alludendo ai depositi di tufi di Sarno e Nocera) che hanno erutlato soltanto materie frammentarie , e dei quati si cercano invano le bocche eruttive per qualche vestigio dei loro crateri. Un mese dopo, 3 Luglio 1881, io presentai all'Acca- demia Gioenia di Catania, alcune memorie sulla Provincia di Salerno e tra queste una, sopra i depositi di tufi vulca- nici dei dintorni di Nocera, nei quali non m'era riuscito di poter constatare la presenza del fluore combinato, e so- stenevo con detta pubblicazione che i depositi di tufi del Salernitano constavano di materie frammentarie provenienti dalla conflagrazione Vesuviana del 79. Da quanto ho riassunto si rileva che nell' ammettere la provenienza dei detriti che formano detti depositi, par- tivamo da criterii affatto differenti. La lettura della memoria del dotto Mineralista, chiamò nuovamente, su tale argomento, la mia attenzione, tanto che nello scorso anno mi recai di nuovo in quelle contra- de per fare altre osservazioni, dalle quali riportai impres- sioni, che con molto mio rincrescimento, debbo dichiarare, contrarie alla ipotesi del Prof. Scacchi, Per altro quanto il Prof Scacchi ammetteva cioè che i tufi sono di eruzioni sul sito, fu antecedentemente sostenuto da Breislak e da Pilla (1) pei tufi dei dintorni di Sorrento e Gragnano, anzi aggiungo che il Prof Carlo Gemmellaro fin dal 1827 am- mise che i depositi di tufi vulcanici dovevano considerarsi come centri di eruzione. (2) Con ciò io non intendo affatto di dire che i tufi non si possono rinvenire nelle vicinanze dei crateri, ciò sarebbe assurdo; poiché in moltissime parti, specialmente nelle isole di origine vulcanica si rinvengo- (1) D.r Niccola Pilla. Geologia vulcanica della Campania. Napoli 1823 V. 1. p. 98. (2) Atti dell' Accademia Gioenia. Serie I. Tomo III. DEL NAPOLITANO 39 no dei tufi che sono , senza dubbio , di eruzioni sul sito. I vulcani dei Campi Flegrei eruttando in epoche re- mote, enormi quantità di detriti, formarono non solo i de- positi sui quali è poggiata la massa vulcanica de! Monte Somma-Vesuvio, ma altresì quelli di altre Provincie finiti- me a Napoli. Dalle -recenti escursioni da me fatte nella Provincia di Salerno, ebbi a convincermi che quei depositi vulcanici che formano i tufi di Sarno, Nocera, e della Valle dell'Imo, debbono essere considerati come provenienti, per la mas- sima parte, dalle eruzioni dei Campi Flegrei, mescolatisi poi con i detriti del Monte Somma e Vesuvio, e non esclu- sivamente, come dissi di detriti Vesuviani dell'eruzione del 79. Nella miscela dei detriti, ed in modo speciale negli strati piij profondi, predominano le sostanze frammentarie delle eruzioni dei Campi Flegrei, come i frammenti di tra- chite, di pomici sanidiniche, e molti cristalli liberi di sani- dina: perciò il mio nuovo modo di considerare i depositi tufacei del Salernitano è fondato sulla loro composizione mineralogica, e, come dimostrerò anche chimicamente- II Monte Somma ed il Vesuvio, come i Campi Flegrei, eruttarono nelle diverse loro conflagrazioni considerevoli quantità di detriti, materiali che furono lanciati più o me- no lontani dalla bocca ignivoma, a secondo 1' energia del- l'eruzione. Infatti, i depositi di tufi del Salernitano non solo constano di materiali detritici dei Campi Flegrei, ma pure di materiali detritici del Vesuvio-Somma, come lo dinotano i tenui straterelli di tufi grigi e giallognoli che si osser- vano alternati con quelli di maggior spessore dei Campi Flegrei. Su questo argomento però mi si potrebbe dire che il Monte Somma vomitò pure trachite sanidina, e per conse- 40 I TUFI VULCANICI guenza i detriti sono identici, per la loro composizione mi- neralogica, a quelli dei Campi Flegrei. La composizione mineralogica è la stessa, ma la com- posizione cliimica no , percliè i detriti dei Campi Flegrei essendo assai più ricchi di sanidina ne segue die la com- posizione cliimica di essi non può essere la stessa. I tufi del Salernitano oltre di contenere cristalli di mi- nerali caratteristici del Somma,-Vesuvio, contengono altresì projetti calcarei che sono caratteristici del Monte Soirima Vesuvio. I projetti calcarei che si rinvengono nei tufi di Sarno e Nocera sono una conferma della mia asserzione nel con- siderare quei depositi, poiché i detriti frammentarli possono essere lanciati a considerevoli distanze ; ma i projetti del peso di alcuni cliilogrammi non mai, e tra gli altri uno che ne posseggo io, è diftìcile che sia stato lanciato dai Campi P'iegrei. L' ammettere che i tuli del Salernitano constino per la massima parte di detriti dei Campi Flegrei, non è cosa assurda, perchè Salerno conflna con la Provincia di Napoli, ed a confermare ciò, basta ricordare come nella ultima eru- zione del Krakatoa, il vapore Salazic, nella traversata da Calcutta alla lliunione, a 500 chilometri distante, fu rico- perto di detriti provenienti da una pioggia che durò 36 ore, e da un calcolo approssimativo si fa ascendere il ma- teriale eruttato a 150 milioni di metri cubici. Nelle vicinanze delle tufare della Provincia di Salerno non ho mai rinvenuto né crateri né indizii di attività vul- canica recente o remota, perciò sono lontanissimo dall' am- mettere, col Prof. Scacchi, che detti tuli siano di eruzione sul sito pei seguenti fatti : 1. perchè nelle vicinanze dei depositi tufacei di Salerno non v' è alcun indizio di crateri o di vulcanicità ; 2. perchè i depositi di tuli, salvo qualche eccezione, si trovano sempre alla base della catena Appenninica colà DEL NAPOLITANO 41 irasportati i detriti che si trovavano deposti sulle vette , dalle acquo piovane; 'A. perchè i detriti fonnanti i tuli si trovano «juasi sempi-e sul versante Appenninico Ovest, che è quello che guardi! i Canipi Flegrei e il Monte Somma-Vesuvio ; 4. pel modo come essi sono deposti sulla roccia calca- rea, e come sono alternati i detriti formanti gii strati di tuli. I tufi vulcanici come le ceneri non rappresentano altro che le lave vulcaniche disgregate fisicamente , poiché la loro composizione mineralogica e chimica deve essere ana- loga alle lave coeve dei vulcani che li eruttarono; quindi essendo essi tufi formati di detriti ricchi di sanidina, la loro composizione chimica sarà approssimativamente come quella delle lave trachitiche e tufi dei Campi Flegrei, perchè nelle deiezioni dei vulcani di questi ultimi abbonda la sanidina. Delesse dice : Le rocce della medesima età hanno la stessa composizione e reciprocamente le rocce aventi la stessa composizione chimica, e formate di identici minerali ed associati nella stessa maniera, sono della stessa epoca. Infatti dalle analisi eseguite sopra, rocce tufi e pomici dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio , risulta che essi materiali hanno la seguente composizione centesimale. Composizione chimica delle lave e tufi dei Campi ed isole Flegrei 1 2 3 4 5 6 7 S'M'' 59,47 61,74 61,23 60.77 60,40 60,06 54,69 A\HP 17,24 19/24 18,42 19,83 17,21 16,42 20,00 FeO 1 4,13 4,12 4,55 4,14 2,43 2,87 1,29 3,01 2,33 3,13 2,26 CaO 3,10 1,14 1,81 1.63 1,49 1,37 2,17 MgO 0.99 0,39 0,34 0,34 2,07 0,40 0,70 K-0 8,01 5,50 2,62 6,27 7,77 8,05 4,77 Na^O 6,17 6,68 10,15 4,90 4,64 3,20 0,28 Pli^O^ — . — — . tracce — — 0,02 MnO — — — 0,18 — — 80,02 Perdita al fuoco 99,31 ' ■ 98,81 99,12 0,24 0,56 98,42 5,27 11,61 100,55 100,11 99,65 42 1 TUFI VULCANICI 1. Fonolite del Monte Nuo vo (Pozz uoli) Rai ramelsbei i-g 2 Piperno di Pianura vom Rath 3. Tracliite di Ciuna vom Rath 4. Ossidiana del Rotare Fuchs 5. Trachite dell' A rso Abich 0. Pomice del Monte Vico Fuchs 7. Tufo verde dell ' Epomeo Fuchs. Composizione chi imica dei tufi e pomici delia Provincia di Salerno e di Avellino 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 SiO- 63,14 62,62 61,81 61,68 62,66 60,15 61,95 61,07 58,67 61,31 AP03 17,34 17.43 19,86 17,43 17,68 18,78 19,51 18,15 19,47 16,97 Fe-0» 4,10 0,75 1,44 1,18 0,96 1,06 1,39 0,92 1,10 2,45 Feo 0,76 4,30 3,80 3,96 4,12 4,18 4,23 4,05 5,03 3,20 MnU tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce CaO 5,91 3,23 3,07 4,35 3,27 3,72 3,50 7,16 4,15 3,02 MgO 2,57 1,05 1,55 1,28 1,14 1,10 0,97 0,85 0,64 0,96 Iv^O 3,89 8,34 5,73 5,12 6,78 6,11 5.67 4,83 5,68 7,47 Li^O tracce tracce tracco tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce Na-U 1,58 2,03 1,78 3.21 2,63 3,03 2,51 1,79 2,39 3,03 Ph^O-' 0,09 0,19 0,24 0,00 tracce tracce tracce tracce tracce tracce PfPilila al fuoco — — — 1,98 0,84 2 28 0,87 0,43 2,94 1,22 99,38 99,94 99,28 100,19 100,08 100,41 100,60 99,25 100,07 99,23 1. Tufo giallo 2. Tufo grigio-chiaro 3. Tufo grigio 4. Tufo gialliccio - Roccapiemonte Piano Valle dell'Imo Cappella S. Vito (Salerno) Ricciardi Saruo » Salerno 5. Pomici nerastre contenute nel tufo di 6. Tufo grigio-oscuro— Acqua Mela 7. Pomici nerastre contenute nel tufo Acqua Mela 8. Tufo grigio di Baronissi Salerno 9. Trachite chiara in frammenti rinvenuta ne| tufi 10. Tufo grigio — Avellino » » » » » » DEL NAPOLITANO 43 Composizione chimica delle lave e pomici del Monte Somma-Vesuvio 1 2 3 4 5 6 7 8 Si02 52,22 51,42 50,39 53,89 47,54 52,26 52,24 48,25 AFO^' 19,85 21,34 19,43 17,44 18,38 16,99 17,32 18,53 Fe^O-^ 3,32 5,38 3,83 4,11 5,16 2,13 1,13 4,85 FeO 2,55 4,29 7,10 2,47 11,35 5,22 4,42 5,40 CaO 6,24 9,34 9,13 15,67 8,38 6,0i 7,42 9,98 MgO 2,31 0,20 2,33 0,40 0,84 1,86 2,24 3,74 K^O 6,37 3,77 4,91 2,02 5.15 8,83 0,80 6,18 Li^O tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce tracce Na-O 5,52 2,55 2,45 2,48 2,35 1,63 2,73 2,03 MnO — — — — — — 0,07 — SO^ — — — — — 0,22 — — CI — — — — — 0,42 — — Ph^O'^ — — — — — 0,94 0,42 1,52 Perdita al fuoco 1,97 0,28 0,80 — 0,43 3,33 100,47 5,41 100,26 — 100,34 98,63 100,37 98,63 99,58 100,48 1. Pomice di Cisterna (Monte Somma) L Roth 2. Lava compatta del » » » » 3. » » Fossa Vetrana » » )■> » 4. » del Canale della F 'orcella « X » » 5. Lava del » I> )) » 6. Pomici raccolte sul Monte Sant' Angelo (Salerno) Ricciardi 7. Pomice del Fosso di Pollena (Monte Somma) » 8. Lave del Vesuvio — composizione media » Composizione chimica dei tufi del Monte Somma Si02 46,48 45,07 53.11 51,11 49,75 Al^O» 18,73 16,33 14,78 15,01 17,39 Fe^O» 2,24 1,13 2,31 2,02 3,12 Feo 3,04 0,30 5,02 4,79 5,95 MnO tracce 0,10 0,06 0,07 0,04 CaO 11,75 10,98 4,62 6,16 8,61 MgO 3,50 4,19 2,66 3,69 3,32 K-^0 4,43 3,63 6,17 5,14 6,43 Li^O tracce tracce tracce tracce tracce Na^O 2,81 1,72 4,62 2,22 3,09 a al fuoco 7,66 11,14 7,16 10,09 2,84 100,73 100,59 100,51 100,30 100,54 44 1 TUFI VULCANICI 1. Tufo — Fo'-iso di Polleiia — Monte Somma — Ricciardi 2. Tufo — Piana di Massa » " 3. Tufo — Capo del Castelluccio » " » 4. Tufo — Vallone Vou Buch » » >' 5. Tufo — Calcovo dei Corvi » » » Nei depositi tufacei di Fiano e di Sanie, che sono a pochi cliilometri dal Monte Somma-Vesuvio, si l'invengono raramente masse di roccie calcaree la cui composizione chimica è molto approssimativa a quella del calcareo che forma l'ossatura degli Appennini del Salernitano, come ri- sulta dall'analisi qui sotto indicata: Ca CO' 61.34 Mg CO- 28,84 Sostanze indeterminate 9,82 100,00 Dette masse calcaree esternamente sono di un color giallo cupo, ricoperte da squamette sottilissime refrangil)ili. L'abito della roccia è piuttosto di una massa erratica, e propriamente di una bomba calcarea , anziché di quelle staccate dalle montagne da una forza qualsiasi. Rocce simili a quelle che si rinvengono nei tufi del Sa- lernitano furono eruttate dal Monte Somma. Ne vomitò pure il Vesuvio nelle sue conflagrazioni, il che farebbe supporre che esse furono colà lanciate dalle eruzioni Somma \esu- viane , mentre i detriti formanti i tufi provengono per la massima parte dai Campi Flegrei. Un campione piuttosto grande di tale roccia , rotta, presenta un involucro esterno contenente un nucleo bianco, e tra 1' involucro esterno ed il nucleo vi sono moltissimi cristalli aghiformi, e aderente al nucleo si rinviene pure una sostanza bianca vetrificata. In qualche punto dell' interstizio i cristalli sono più grandi , raggiati, e si presentano come le arragoniti, mentre la loro composizione cliimica risponde DEL NAPOLITANO 45 ad un fluoruro doppio di calcio e di magnesio. Ma siccome io non Ilo trovato fluoruri nei tufi analizzati m' induco a credere che i detti cristalli di fluoruro s' erano già formati nella roccia, prima clie essa fosse stata colà lanciata dalla eruzione del Somma o Vesuvio. Quindi la formazione del fluoruro doppio di calcio e di magnesio nel projetto calcareo magnesiaco, deve riferirsi non allo sviluppo di acido fluoridrico dei vulcanetli fluo- riferi di Sarno e Fiano , bensì allo sviluppo di acido fluo- ridrico dei crateri del Somma-Vesuvio. Né questa sarebbe la prima volta che si rinvengono fluoruri nelle roccie del Somma-Vesuvio , perchè in alcune roccie e minerali del Vesuvio-Somma sì sono rinvenuti fluoruri, mentre , ripeto , nei tufl dì Sarno e Fiano , io al- meno, operando sopra considerevoli quantità, non sono riu- scito mai a poterne constatare la presenza. I tufl delle suindicate località contengono considerevoli frammenti di cristalli di sanidino , come lo confermano i caratteri mineralogici, non così la loro composizione chi- mica , poiché da questa risulterebbe che detti cristalli do- vrebbero essere considerati come di oligoclasio. Questo fat- to chiamò l' attenzione del D.r Fuchs, e questi dopo accurate ricerche venne nella seguente conclusione : La sanidina nelle trachiti dell'Ischia ha dunque una composizione anormale. Come di fatti i risultati delle seguenti analisi dimostrano: Composizione centesimale dei frammenti cristallini di Sanidino 1 2 8 4 SiO^ 63,85 63,72 63,79 64,68 Al-0' 21,21 22,27 20,87 21,12 Feo 3,17 1,22 1,09 1,31 CaO 1,29 1,88 2,06 2,12 MgO 0,03 0,22 0,41 0,51 K^O 7,41 7,30 7,56 6,91 Na^O 3,49 3,58 3,72 3,28 Perdita al fuoco — — 0,42 0,58 100,45 100,19 99,92 100,51 46 I TUFI VULCANICI 1. Sanidiiio d' Ischia — Fuchs 2. i> » — » 3. » del tufo di Sarno — Ricciardi 4. » del tufo di Baronissi — » Dalle analisi quindi risulta che i depositi di detriti vul- canici formanti i tufi della Provincia di Salerno e di Avel- lino, hanno una composizione analoga ai materiali vulca- nici dei Campi Flegrei , ed essi differiscono da quelli del Monte Somma- Vesuvio , perchè contengono una quantità maggiore d'anidride silicica, circa il 10 per cento, mentre i materiali del Somma-Vesuvio sono più ricchi di ferro, di calce e di magnesia. Conchiudo adunque che i tufi vulcanici di Salerno e di Avellino , devono ritenersi come provenienti per la massi- ma parte dalle eruzioni dei Campi Flegrei, e non da eru- zioni sul sito. Sulla pretesa ricombinazìone della miscela tonante all' oscuro del B.r LEONARDO RICCIARBI. Memoria leila nella seduta ordinaria del dì 2 Marzo 1884. Le esperienze di Grove, lacobi, Poggendorff, Hofmann e di altri, per alcuni fisici e chimici non furono sufficienti a provare clie l' idrogeno e 1' ossigeno non si combinano che nelle note e speciali condizioni. Il Prof. Rossetti dopo diverse esperienze venne nella conclusione che 1' idrogeno e 1' ossigeno, ottenuti coir elet- trolisi, si ricombinavano in presenza dell' acqua dopo che erano stati disciolti in essa. Secondo il Prof. Zinno, la ricombinazione della miscela tonante sarebbe avvenuta per lo stato nascente dei gas. Infine il Prof. 0. Silvestri, interessandosi dello stesso argo- mento credette di potere stabilire: « 1. La combinazione dei « gas non si effettua istantaneamente, ma a poco a poco; « 2. Varii mesi di tempo (8 a IO) sono necessari perchè « abbia luogo la combinazione completa; 3. La combinazio- « ne non accade per niente se il mescuglio dei due gas « è conservato in una boccia senza 1' intervento di uno 0 strato di acqua di due o tre centimetri ; 4. L' ossigeno « che prima si combina coli' idrogeno è 1' ossigeno ozonico « di odor caratteristico e capace di colorare in azzurro le « carte preparate con salda d' amido e joduro potassico. « Abbandonato a sé il mescuglio nelle medesime con- « dizioni si combina coli' idrogeno anche l'ossigeno ordina- ATTI ACC. VOL. XVHI. 6 48 SULLA PRETESA RICOMBIN AZIONE « rio che non ha più odore penetrante, né fa comparire « colorazione alcuna sulle carte ozonoscopiche. (1) Dietro a sì fatti risultati il Prof. Giovanni Luvini si decise a ripetere le esperienze fatte dai sunnominati pro- fessori; ed 1 risultati registrati negli Atti della Ileale Acca- demia delle Scienze di Torino, Voi. VII e Vili, lo indussero a trarre le seguenti conclusioni in opposizione alle prece- denti, e che riporto testualmente: « L Che la disparizione del gas tonante osservata dal « Prof. Silvestri e Rossetti non succede per ispontanea « ricomposizione de' due gas. Infatti se ciò fosse dovrebbe « il fenomeno in identiche circostanze costantemente ripro- « dursi, ed una volta cominciata la ricomposizione, non vi « sarebbe più ragione perch' ella si sospendesse, e la me- « desima dovrebbe manifestarsi ne' miei vasi chiusi o co- « me quelli del Prof. Rossetti, tanto più se fossero vere « le ragioni portate dai lodati professori e dal Sig. Profes- « sore Zinno. Quindi cadono anche, e riescono senza fonda- « mento tutti i ragionamenti di questi signori. 2. Che r assorbimento e la diffusione sono in molti « casi la vera causa della perdita dei gas. 3. Che specialmente in presenza della gomma, 1' ossi- « dazione di questa è sufficiente a dar ragione del feno- « meno. 4. Possono in alcuni rari casi concorrere le azioni elet- « triche di coppie estremamente piccole dovute ad impurità « sul vetro specialmente in contatto dell' acqua e del mer- « curio. » La quistione in parola, meritevole di tutta l'attenzione, pare ancora incompletamente risoluta, tanto più clie il Prof. (1) 0. Silvestri. Sulla ricombinazione spontanea, lenta e completa dei gas che provengono dalla elettrolisi dell' acqua. Giornale del Gabinetto Let- terario dell'Accademia Gioenia — p. 51 — Catania 1868. DELLA MISCELA TORNANTE \LL' OSCURO 49 Liivini non ha fatto le sue esperienze nelle condizioni iden- tiche a quelle in cui furono fatte quelle del Prof. Silvestri. Infatti mentre il Prof. Luvini si servì di boccio chiuse con tappi di gomma il Prof. Silvestri invece adoperò delle boccie chiuse con tappi smerigliati. Credo anzi utile il ri- portare le parole di lui relative al modo come le esperienze furono da esso condotte : « Una boccia a tappo smerigliato della capacità di « 600 e. e. riempita di mesouglio gassoso nell'Aprile 1864, <- e lutato il tappo esternamente con sego per conservare « meglio il gas, fu aperta nel Giugno dello stesso anno « per introdurre 100 e. e. del gas in un endiometro. « Il volume gassoso tolto fu sostituito in questa ope- « razione da mi volume eguale di acqua. La boccia con- « servata in un armadio di legno ali' oscuro (se si eccet- « tui la poca influenza della luce che riceveva nell' occasione « di aprire e chiudere di tanto in tanto l' armadio stesso), « nel Maggio 1865 cioè, undici mesi dopo, aperta al disotto « dell'acqua ordinaria questa ?;/ pewe/rò a furia e la riempì « coììipletamente senza lasciarvi altro che un piccolo re- « sicluo gassoso rappresentante la quantità di aria che « erasi sviluppata dall'acqua nel riempire il vuoto. !.! (h,n Chi 7 1,1 T-i.s ?-l,n 0 T-n-S,! '>n-2,2 • • • • T-'ì-S," *-* 7n-2,\ 7n-2.2 fln,\ «H,3 . . • • «n,rt 7l,n ■ • - Jn-Ì.n (3) e sia (^1, ^2 ,...., ^J un sistema di valori delle x il quale verifichi le equazioni proposte. COSTITUITO DA UNA FORMA QUADRATICA ECC. 55 Si moltiplichino le verticali (1, 2,....,n) di ? per oc^, x^, ,iC„, ordinatamente, e dopo la moltiplicazione si ag- giungano alla verticale /f*''"" le rimanenti n — \. Facciasi altrettanto per le orizzontali conjugate con le precedenti verticali ; allora tenendo presente le (1) e la (2) risulta , come è facile vedere, O],! a,,,,_i /, fli,/.-|-i . . . ff],n 7-1,1 . • • T-rt-s.i CT«_l,] . . . .a/;_i,/,_i fu—\ CIk~\,Iì-\- • • flA--l,rt T-I.n-l • • •'>n-2, /i-l /, /,_, 0 A+i . . . . /« 0 .... 0 a;!-+l,l • • • «/.•+!, '>--l //f+l (t,:+l,'!+\ • • •fl/.-+-l,n 7l,'.-+l • ■ ■')-n-2,/c+l «n,l (ln,lc-l fn (tn,fc+\ • ■ ■ • On.n 9-1,'! • • • T'n-S,» >l,n 'yi,H-\ 0 7-1/C41 • • • • ■>!,« 0 0 '>n-2,l .... T-n-S.fc-l 0 '}n-2,n+l • • • 7n-2,n 0 Sviluppando questo determinante secondo i minori di grado n — l compresi nella matrice formata dalle ultime ^_2 orizzontali e dall'orizzontale k''"'"% a cominciare dalla prima, si lia immediatamente 4f x^^ = /. A-l fk- ic+l fn 7-1,1 T-i,*-! 7-1, 'i+i 7-1, « 7-n-2,l • • • • 7n-S,'.—i 7n-Z, lc+\ • • • • 7n-2,n ) 56 SUL SISTEMA DI EQUAZIONI ossia 2V 9 :c,: /l //.■-! Jf K+l ■ •Jn 7hl ? 1,A-1 ?1,'.-+1 T-l.n ■Jn-S.l • • • • 7n-2, K-1 T-zi-S, /i--fl • • • • 7n-l,n (4) Questa equazione per /%=1, 2,...., w fornisce n equa- zioni lineari ed omogenee , coesistenti con le proposte e quindi fra loro. In esse VY è biforme e va presa o sem- pre col segno + o sempre col segno — ; perciò il sistema (4) .ha due soluzioni, che sono le due del sistema proposto. Secondo che poi 9 > , = , < o , le due soluzioni sono reali e disuguali, o reali ed uguali, o complesse coniugate. Nella matrice «1,1 , «1,2 «I.rl «n-2,1 , «n— 2,3 ) > «/i-2,n formata con i coefficienti delle (1) si indichi per poco con àr,s il determinante, d'ordine n—2, che si ottiene soppri- mendo le verticali f ^""'" ed s'^""" ; perciò a,,, = a,,, : pon- gasi poi A,,,. = o. Dietro ciò la (4) potrà scriversi 2 yya;,; = A,,-,i /, — A,,,2 /^ + . . . . ± A/.-,a-i A-i T A/.-,«+i A-+i i: • • • ■ ± A/,,„/„ ; e questa, sostituendo alle f^, f^, ecc. i loro valori tratti dalla (4') /r = 2 2 «>.' 3Ci COSTITUITO DA. UNA FORMA QUADRATICA ECC. 57 diviene y f a;^=^^ (A/,,,a,-,t— A^..2ai,2+....±A/t,«-iavc-iH:'^Ar.A-+i«(,'.-+i±----±'^/.-,nari,n)^É • (4") <=i Ponendo ancora A.,,- = (^i.l <^i,ll • • • • CH,k-\ ^(,'w+l • • • • <^«,n 9-1. 1 7-1,2 >i,'.- ,'.+1 • • • ■ 9-l,n 7-rt— 2,1 '>n-2,2 • • • • T-n-S, A--1 ?-rt-2, A-+1 • • • • 9-n-2,'i cioè indicando con Z),_^. il determinante d' ordine n — 1 che si ottiene sopprimendo la verticale A*"^""" dalla matrice formata con i coefflcienli delle n — 2 equazioni lineari pro- poste e con la orizzontale f "'"' del discriminante di /, la (4") diviene i/y^/.- =2 ■^'.''•^' ' cioè r yy Xk — A./r .r , 4- A,* -y^ + • • • • + -On.ft ^n ', e per A=l, 2,....,w, si ha: (A,i+Ky)a?,+ A,ia?,+ 4- Am ^« = 0 \ A,8J?, + (A,2 + K? )-2^2+ + -««.2 •2'n = 0 (5) A,na?,+ A,nar2,„ + . . . . ->r{Pn,n-\-y ? ) «« = 0 58 SUL SISTEMA DI EQUAZIONI Questo sistema di n equazioni lineari ed omogenee nelle quali, come fu già già detto, yy deve assumersi o sempre col + 0 sempre col —, è sostituibile al proposto. I valori delle ^1, ^%, , £Cn sono proporzionali ai complementi degli elementi successivi di qualunque orizzontale del de- terminante nullo A,i + K? A,i -D«,i A, A,2+V? Dn.i D,n D2,n D,^,n + V? Che la condizione è quella da verificarsi affinchè le due soluzioni del pro- posto sistema coincidano in una sola risulta anche imme- diatamente da ciò che essendo nullo il determinante ? , si possono soddisfare le seguenti n — 2 equazioni «1,1^:^1 -+- «i,2-ì"ii + +oci,„Xn + «1,1 A', +ao^iA', -j-....-4-a„_o,iJ\r,!-2=0 ««.i^", +«2,2^, + -h ai.tv'Tn + ai,2A'i + a2,2A',+ ....-|-«,i_o,oA''„_,=0 ««,13", + ««,5^, -I- +an.nXn + «i,,, A', + a.,,, A'2+ ■ • • • + «/.-V. A„_2=0 \ ^-g^ «i,i5?i + ai,2-'/'2 + -haun-'^n =0 an-2,ia?, + a„_2,2a',+ + a,,-2,na"„ =0 lineari ed omogenee rispetto alle altrettante incognite x COSTITUITO DA UNA FORMA QUADRATICA ECC. 59 ed X\ delle quali perciò restano determinate, in un modo solo, i rapporti di tutte, salvo una, a quest' una. Se {x^, ^2,....,i27„, Xj, A'2, , A"„_,) è una soluzione delle (6), molti- plicando le prime n di esse per x^, x^, ,^„, rispettiva- mente, e sommando i risultati col tener presenti le ultime n — 2 delle medesime, si ha Ax, -^A'-e, + fn-Tn — 0, cioè /=0: sicché ogni soluzione delle (6) verifica la /=0, come verifica le (1), cioè le ultime n — 2 delle (6): e vice- versa ogni soluzione del sistema proposto verifica le (6) , giacché facendo su queste le operazioni precedentemente dette si perviene ad un'identità. Or siccome le (6) forni- scono un solo sistema di valori per i rapporti di tutte le X ed ^ ad una di esse, così tale sistema costituisce l'unica soluzione possibile delle proposte equazioni. I valori di^\, x^,...,x„ sono poi proporzionali ai com- plementi dei primi n elementi di una qualunque orizzontale del determinante nullo 9- Le ultime conchiusioni si applicano anche al caso in cui l'equazione /=0 sia associata ad una sola delle (1) : vale a dire che se è nullo il determinante «1,1 fll,2 «i,« an,\ ««,2 le infinite 0 le due soluzioni (secondo che ìi > ovvero = 3) comuni alla f = 0 ed all' altra a,.v, + a,j:=, + + a„J7,i = 0 si riducono ad una sola. Sulla eocitazione unipolare, simultanea dei nervi e dei muscoli. Nota del Prof. A. CAPPARELLI Letta nella seduta ordinaria del di 15 Giugno 1884. Applicando sopra il nervo di un arto di rana, prepara- to alla Galvani, un solo elettrodo di un ordinario rocchet- to di induzione, chiudendo il circuito, al momento in cui la corrente circolerà attraverso il filo inducente, si avrà una contrazione piiì o meno energica dell'arto, secondo la inten- sità della corrente principale. Il fenomeno apparentemente poco comprensibile si ri- pete con costanza, anche quando si è presa la precauzio- ne di isolare accuratamente l'arto, sospendendolo come ho fatto io , ad un filo di seta molto lungo e sottilissimo ; restando in tal modo esclusa la possibilità che la contrazio- ne fosse devoluta allo scaricarsi della corrente attraverso l'arto, per incompleto isolamento. Questo fatto costante, da parecchio tempo è stato generalmente accettato nel campo biologico sotto la denominazione di eccitazione unipolare. Lungi dall'essere una combinazione favorevole, è un vero inciampo in alcune operazioni che a scopi fisiologici si in- traprendono sui nervi e sui muscoli, determinando delle contrazioni inopportune che vanno a scapito della operazio- ne principale e che si riesce a scongiurare complicando spesso 1' apparecchio. Io ho trovato una disposizione sem- plicissima che permette l'esclusione assoluta della influen- za sui nervi e sui muscoli della corrente unipolare. Accen- nerò brevemente all'esperienza fatta in proposito. ATTI ACO. VOL. XVIU. 8 62 SULLA ECCITAZIONE UNIPOLARE Esp/"" r— Si prepara una zampa di rana alla Galvani e si isola conpletamente. Si applica sul nervo un elettrodo di un ordinario rocclietto di induzione, al momento della chiusura e dell' apertura del circuito inducende si ha una vivissima contrazione se l'ancora del rocchetto è ferma in modo da avere una sola scossa, ed anche il tetano se si fa vibrare l'ancora anzi detta. Fin ora siamo nel caso ordi- nario di eccitazione unipolare. Non si otterrà contrazione alcuna dell'arto se si varia nel modo da me proposto r esperimento, si eviterà con la nuova disposizione l' eccita- zione unipolare. Se in cima a l' unico elettrodo del rocchetto, viene le- gato un filo di rame , in modo che esso diventi bifido e questi due estremi dell'unico filo conduttore vengono appli- cate uno sul nervo e l'altro sul muscolo, al momento della chiusura e dell' apertura del circuito, non si avrà alcuna contrazione; è evitata con questa disposizione semplicissima la influenza sul nervo della corrente unipolare. Il fenomeno della mancata contrazione, in questo caso, si ripete costantemente a qualunque distanza siano applica- ti i due estremi dell'elettrodo, sul nervo o sul muscolo; ed anche quando la distanza che intercede dall' estremo ap- plicato sul nervo e sulle masse muscolari, è sola di pochi millimetri. Una condizione però indispensabile si è quella che i due estremi dell' unico elettrodo siano di pari lunghezza , come si rileva dalla seguente esperienza. Esp.^"" — Ad un elettrodo di un rocchetto di induzione vengono attaccati due fili sottilissimi di rame , uno lungo centimetri 12 e l'altro metri 4. 66 di diametro eguale. In uno viene collocato il nervo e sull'altro il muscolo della zampa galvanoscopica, chiudendo il circuito, si ottie- ne vivissima contrazione come nel caso ordinario di una eccitazione unipolare, quantunque siamo nel caso preceden- SIMULTANEA DEI NERVI E DEI MUSCOLI 63 te di un elettrodo bifido con la sola variante della inegua- glianza della lunghezza dei due estremi dell'unico elettrodo. Questo solo fatto basta per distrudere la mancanza di con- trazione che si ottiene con un elettrodo bifido. È difficile in base a queste osservazioni dare una spie- gazione esatta e conciliabile con le ipotesi generalmente accettate — Accennerò ad un modo di vedere che oltre ad avere le apparenze della verità serve a rendere com- prensibile il fatto da me messo avanti. Nel caso ordinario in cui noi collochiamo nello spazio interpolare di due elettrodi di un ordinario rocchetto i ner- vi con i rispettivi muscoli, questi al momento del passag- gio della corrente saranno attraversati dalla corrente ecci- tante avente una determinata direzione; questa con il suo passaggio turbando in modo ineguale lo stato elettrico del muscolo e del nervo ingenera un disquilibrio e quindi la contrazione. Nel caso di un solo elettrodo applicato sul ner- vo, abbiamo ancora il disquilibrio in discorso perchè l'on- da elettrica che si avanza per 1' elettrodo al momento della chiusura del circuito inducende percorrerà l'arto turbando lo stato elettrico dei nervi e dei muscoli e quindi avremo la contrazione. Nel caso di un unico elettrodo bifido i cui estremi uno va al nervo e l' altro al muscolo, noi abbiamo condizioni mutate. L'onda elettrica si distribuirà egualmente al nervo ed al muscolo, ed avremo i tessuti dell'arto percorsi simul- taneamente da correnti di intensità eguale , ed anche di direzione opposta e quindi di nessun effetto. Questa spiegazione è tanto più probabile inquantochè creando delle differenze nella intensità della elettricità che simultaneamente invade i tessuti dell' arto per la cennata disposizione; il che io ho ottenuto allungando un solo estre- mo ed aumentando perciò la resistenza ad un solo punto e lasciandola invariata all' altro, in guisa che l' onda elet- 64 SULLA ECCITAZIONE UNIPOLARE trica si distribuisca inegualmente ed invada differentemente i muscoli ed i nervi , in questo caso noi abbiamo la con- dizione del solo elettrodo non bifido e quindi eccitazione e contrazione dell' arto. Catania 15 Giugno 1884 — Laboratorio di Fisiologia Sperimentale della R. Università. Esperienze di corso del prof. 7. Meyer di Zurigo ed Esperienze di eorso ed originali del prof. D. AMATO di Catania Memoria letta all' Accademia Gioenia nella tornata del dì 15 Giugno 1884, Avendomi prefìsso lo scopo di provare con una serie di fatti numerosi, più che mi sarà possibile, che le mie Idee sul modo di comportarsi della luce nelle azioni chimi- che (1) sono di un carattere veramente generale, io sono venuto nella risoluzione di raccogliere tutte quelle notizie, nuove e vecchie, che possono interessare l'argomento. Queste notizie insieme ad altri fatti da me recentemente scoperti faranno oggetto di una prossima pubblicazione — Colla presente lettura voglio soltanto comunicare a questa Illustre Accademia alcune esperienze di corso del profes- sore Vittorio Meyer di Zurigo, le quali m'interessano di- rettamente. Esse infatti non solo servono di appoggio alle mie idee sull'azione della luce, ma sono ancora di grande utilità per l' insegnamento. Pubblicando queste esperienze pubblicherò alcune mie esperienze di corso, che io in questi ultimi anni ho avuto il piacere di presentare alla mia diligente ed affezionata scoleresca, la quale colla sua attenzione mi ha invogliato a creare nuove forme di esperimenti. Dette esperienze so- no secondo me di una grande importanza per l' insegna- mento, sia perchè appoggiano alcune delle leggi più fonda- mentali della scienza, sia perché sono di facile esecuzione. (1) V. Atti di questa Accademia, seduta del 1.» Agosto 1880, e Gaz- zetta chimica italiana T. XIV. pag. 58. ATTI ACO. VOL. XVin. g 66 ESPERIENZE DI CORSO Infine oggi stesso avrò 1' onore di comunicare a que- sta Accademia alcuni nuovi fatti, per mezzo dei quali ven- go a provare, clie la pressione Iia pur essa una influenza nelle azioni clìimiche provocabili dalla luce. Esperienze di corso del prof. V. Meyer (1) Dò un sunto di queste esperienze: « L' illustre autore dice che, nell' occasione eli' egli eb- « be di dare una conferenza serale fuori del suo laborato- « rio, volle sperimentare col gas cloridrogeno e coli' ani- « dride ipoclorosa, sostanze eminentemente esplosive e per- « ciò ritenute inadatte per esperimenti di scuola; ma che « quando esse vengono maneggiate colle dovute cautele « non si ha a temere nulla. Ecco com' egU opera: « Riunisce V idrogeno e il cloro in campanelle molto « spesse e capovolte sopra una soluzione di sai marino « satura di cloro ; toglie queste campanelle dal bagno, e « alcune le lascia incolore, altre le colora in violetto, altre « le colora in giallo; indi dimostra: 1" che il miscuglio « contenuto nelle campanelle incolore e in quelle colorate « in violetto esplode, per 1' azione della luce prodotta da « una fiamma di Bunsen su cui si fa cadere una grande « quantità di polvere di magnesio, all'istante, mentre quel- « lo contenuto nella campanella colorata in giallo rimane « inalterato ; 2° che rischiarando il miscuglio contenuto « nelle campanelle incolore, piuttosto che colla polvere di « magnesio, con un nastro di questo metallo ardente si (1) Berichte der deutschen cliemiscen Gesellscliaftzu Berlin , T. XVI , 1883 p. 2998. DEL PROF. V. MEYER ECC. 67 « può mostrare il fenomeno della induzione foto-chimica. « In questo esperimento il miscuglio esplode dopo molti « minuti secondi. « Intorno all' anidride ipoclorosa l'autore asserisce che « questo corpo appunto perchè ritenuto pericoloso egli « non r ha mai visto sperimentare in nessuna scuola e che « coinvolto da questo pregiudizio, anch' egli si privò per « qualche tempo di presentarlo alla sua scolaresca. Indi « passa a raccomandare alcune precauzioni nella prepara- « zione del corpo, come la ben regolata corrente di cloro, « lo scaldamento a 400" circa dell'ossido giallo di mercurio « prima di farvi agire il cloro, e il raffreddamento di que- « sto ossido con ghiaccio durante l'azione del cloro. Inflne « raccoglie il gas monossido di cloro per spostamento in « tubi da saggio e lo fa esplodere o facendovi cadere dei « fiori di zolfo , 0 immergendovi una scheggia di legno « ardente, o scaldando il tubo con una fiamma. » « Zurigo nel dicembre 1883. » A proposito di quest' esperienze del prof. Meyer mi preme richiamare 1' attenzione deirAccademia : V sul fatto che il gas cloridrogeno nella campanella colorata in violetto esplode colla stessa facilità, colla quale esplode nella cam- panella incolore, fatto che conferma il mio concetto sul potere emissivo ed assorbente dei vetri colorati in bleu e violetto (1); 2° sull'altro fatto, che certi esperimenti rite- nuti pericolosi ed inadatti per dimostrazioni di scuola in realtà non sono tali. Inoltre a proposito del difficile maneggio dell' anidride ipoclorosa dove 1' autore dice, che questo corpo non viene adoperato in nessuno dei primarii Istituti di chimica da lui conosciuti, devo dichiarare ad onore del vero, che io quan- (1) V. Gazzetta chimica italiana T. XIV, p. 58. 68 ESPERIENZE DI CORSO do ero assistente presso la cattedra di chimica dell'Uni- versità di Palermo e presso quella Università di Roma, tutti gli anni preparavo questo corpo non solo allo stato gassoso ma pure allo stato liquido, e che il prof. Canniz- zaro che m" incaricava di questa preparazione tutti gli an- ni lo presentava alla sua scolaresca. Infine a proposito della preparazione dell' anidride ipo- clorosa, dove l'autore raccomanda di raffreddare con ghiac- cio l' ossido mercurico durante il passaggio del cloro , io devo dichiarare che il raffreddamento col ghiaccio non solo non è necessario, ma ancora è dannoso. A questa tempe- ratura il cloro non agisce che difficilmente sull'ossido di mercurio, e il gas se ne sorte dall'altra estremità dell'appa- recchio col suo colore caratteristico. Secondo me il raffred- damento prodotto da una corrente rapida di acqua fredda accoppiato ad un ben regolato afflusso di cloro sono le condizioni più favorevoli per produrre subito considerevoli quantità di anidride ipoclorosa— 11 prof. A. Ladenburg (1) ha pure confermato questo fatto; però questo autore men- tre elimina una complicazione ne introduce un'altra. Egli parlando della liquefazione dell' anidride ipoclorosa dice che bisogna raffreddare il gas uscente o con un miscuglio di cloruro di calcio e neve o meglio ancora con alcool raf- freddato a — 40° per mezzo di una piccola macchina a ghiaccio di Carré — Io invece ho sempre raffreddato con un miscuglio di sale e neve ed ho liquefatto senza diflfl- coltà l'anidride in discorso prosiegue. Non è bene rendere diffìcile una cosa per se stesso facile. Vengo adesso alle mie esperienze di corso: (1) Berichte predetto t. XVII. 1884, p. 157 — e Appendice alla Gaz- zetta chim. Italiana t. II, p. 114. DEL PROF. V. MEYER ECC. G9 II. Esperienze di corso del prof. D. Amato di Catania. In queste esperienze mi prefiggo lo scopo di dimostrare con metodi facili e persuasivi: 1." che, in condizioni iden- tiche di temperatura e pressione, volumi eguali d' idrogeno e cloro, combinandosi istantaneamente, danno per prodotto un corpo gassoso il cui volume è uguale alla somma dei volumi dei componenti ; 2." che il prodotto gassoso che nasce da questa combinazione è solubilissimo nell' acqua 0 in un solvente dove i due componenti sono insolubili. Presento alla scolaresca il primo di questi esperimenti accanto a quello a tutti noto della combinazione dell' idro- geno coir ossigeno nel rapporto di 2 volumi del primo con 1 volume del secondo (1). Ecco ora il processo dell' esperimento : In un cristallizzatore di vetro ripieno di acido solforico commerciale saturo di gas cloridrico, capovolgo un eudio- metro ripieno di questo acido. Per capovolgere l' eudio- metro tappo la sua bocca col dito indice vestito di un ditale di gomma elastica. Dall' altra parte preparo il miscuglio di volumi eguali d' idrogeno e cloro decomponendo l' acido cloridrico del commercio mercè la corrente elettrica (2). Dimostro prima mercè il noto apparecchio di Hofmann (3). Che il gas clo- ridrogeno è veramente formato di volumi eguali d'idro- geno e cloro. Ciò fatto, introduco la quantità voluta di (1) Introduzione alla chimica moderna di Hofmann, trad. di Luigi Gabbe 1860, p. 63, fig. 58. (2) Introduzione alla Chimica moderna di Hofmann predetta pag. 19, fig. 19. (3) Ib. Idem p. 47 fig. 49 e p. 75 fig. 65 a. 70 ESPERIENZE DI CORSO questo miscuglio nel!' eudiometro, che fermo bene con una 0 due pinse di Bunsen, e faccio scoccare la scintilla (1). L'esplosione avviene all'istante senza alcun pericolo; essa è tanto più tranquilla quanto più lungo è l'eudiometro. Si vede subito sparire 11 colore verde del cloro, ma il vo- lume resta costante. Abitualmente faccio esplodere da 13 a 20 e. e. di gas tonante, ma si può andare più in là. In un eudiometro della lunghezza di 95 centimetri, del diametro interno di 13 millimetri, e dello spessore di 3, 5 millimetri ho fatto esplodere sino a 68 e. e. di gas in unica volta. Se invece di fare uso di acido solforico saturo di gas cloridrico si fa uso di acido semplice, tutto procede in modo analogo, solo si avverte una lieve contrazione nel volume gassoso. Questa contrazione è dovuta certamente al gas cloridrico che si scioglie nell' acido solforico. Si potrebbe qui domandare: perchè i due gas non si fanno combinare mercè la luce diretta? Come dimostrerò In seguito, questi gas In queste condizioni non si combi- nano per mezzo della luce diretta con esplosione. Operando colla scintilla elettrica io ho ripetuto 1' espe- rimento, per una quarantina di volte, in compagnia dei due miei assistenti, signori Pietro Figuera e Alberto Peratoner, i quali mi hanno prestato lodevole aiuto , e pure non ho lamentato alcuno inconveniente. Passo ora all' altro esperimento per mezzo del quale si dimostra che il gas cloridrico che nasce dalla combina- zione dell' idrogeno col cloro è solubilissimo nell' acqua. Riempio l'eudiometro e la vasca, piuttosto che di acido solforico, di una soluzione satura di sai marino saturata di cloro ; introduco il gas clor idrogeno e vi faccio scoccare la scintilla — Si ha una scossa in tutto l'apparecchio un (1) Quando faccio 1' esperimento iu iscuola metto avanti all' eudiometro una grande parete di vetro. DEL PROF. V. MEYER ECC. 71 po' più forte delle precedenti, ma il volume gassoso spa- risce all'istante; il gas cloridrico formatosi si è disciolto rapidissimamente nell' acqua satura di cloruro di sodio , dove è solubilissimo. Resta però una piccola traccia di idrogeno, la cui presenza si spiega ammettendo che l'equi- valente volume di cloro si è dovuto disciogliere nell'acqua salata forse non perfettamente satura di cloro. Questa piccola quantità di gas inerte piuttosto che nuocere giova allo esperimento , perchè attutisce la vio- lenza dell' urto del liquido solvente contro la volta dell' eu- diometro. Gli eudiometri di cui si è fatto uso sono di nostra fab- bricazione; essi offrono il vantaggio di resistere alle più vio- lenti esplosioni. Per fare acquistare questo pregio al vetro dell'eudiometro è questione di raffreddare la parte che fu portata alla lampada dello smaltatore con una grande len- tezza. Io faccio in modo che il loro raffreddamento gra- duato avvenga nell' intervallo di 12 ore. III. Dell'influenza della pressione nelle azioni chimiche della luce. Facendo le superiori esperienze volli tentare dì fare esplodere il gas cloridrogeno nel tubo barometrico e sopra l'acido solforico mercè l'azione della luce prodotta da una lampada a magnesio; ma per quanto magnesio abbia con- sumato e per quanto abbia cambiato le condizioni non sono riuscito ad ottenere la combinazione istantanea dell'idro- geno col cloro. E siccome in casi simili, essendovi le volute condizioni di temperatura, condizioni che in questo caso non mancavano (22° all'ombra), l'idrogeno col cloro mi si combinavano sempre, così io attribuii la mancanza del 72 ESPERIENZE DI CORSO fenomeno alla diminuita pressione per la colonna emergente di acido solforico al disopra del livello esterno della vasca. In questo senso volli istituire alcune ricerche. Ecco i dettagli delle esperienze: Ho rinchiuso in un eu- diometro della lunghezza di un metro e 14 centimetri, del diametro interno di 13 millimetri e capovolto suir acido solforico, 21 e. e. di gas cloridrogeno, ed ho esposto il tutto ai raggi diretti del sole nelle condizioni di 22" di tempera- tura all'ombra, di 27° al sole, di 760,""°46 di pressione at- mosferica e di una depressione nell' interno dell' eudiometro di una colonna di acido solforico alta 98 centimetri. In que- ste condizioni si osserva che il gas cloridrogeno non esplo- de affatto, ma i suoi elementi si combinano lentamente co- me nella luce diffusa ; e se dopo un certo tempo della sua esposizione ai raggi diretti del sole ei ritira nell' ombra e vi si fa scoccare dentro la scintilla elettrica, si ha sempre una esplosione, la quale è tanto più debole quanto più a lungo il miscuglio è stato tenuto al sole. Operando nello stesso modo, piuttosto che sull'acido solforico, sopra una soluzione satura di sale di cucina sa- turata di cloro, si hanno identici risultati e si ha inoltre il vantaggio di seguire la progressione della combinazione dall' assorbimento del gas cloridrico, che si va producendo, nell'acqua salata e quindi dall' inalzamento della colonna liquida nell' eudiometro. Queste due operazioni si sono ripetute più volte nella stessa giornata e nei giorni successivi sempre con identici risultati. Se questo esperimento però si ripete in queste tali me- desime condizioni, salvo la depressione della colonna liqui- da che viene tolta, se cioè si prende un tubo di vetro dello stesso spessore e della stessa qualità del vetro dell'eudio- metro e della capacità di circa 21 e. e. si assottiglia alle due estremità, si riempie per spostamento di gas cloridro- DEL PROF. V. MEYER ECC. 73 geno , si chiude con turaccioli di sugliero e si espone ai raggi diretti del sole, la combinazione lia luogo invece al- l' istante e con fortissima detonazione. La depressione dunque della colonna solforica è quella, che pone ostacolo alla istantanea combinazione dello idro- geno col cloro e fa sì che questi due gas alla luce diretta del sole si combinino fra di loro come se si trovassero nella luce diffusa. Si potrebbe qui forse obiettare che i fili di platino dell' eudiometro e 1' acido solforico, per la loro presenza, potessero ostacolare al fenomeno. Sebbene questa influen- za si può escludere a priori, poiché il Alo di platino do- vrebbe piuttosto favorire la combinazione, e perchè non si trova alcuna ragione per ammettere che 1' acido solforico debba opporsi al fenomeno, pure avendo ripetuto lo espe- rimento in tubi barometrici esenti di fili di platino e in tu- bi alla pressione ordinaria con la presenza dell' acido sol- forico, ed avendo ottenuto risultati identici ai primi, noi possiamo pronuziarci colla più assoluta certezza in favore della innocuità del platino e dell'acido solforico. Conchiudendo su queste esperienze dirò, che, se que- sto fatto che si è constatato a proposito del gas clori- drogeno sarà , come si prevede , generalizzato , poiché esso è uno dei miscugli più eminentemente esplosivi per l'azione della luce (1), allora posso dire di avere comple- tata la mia legge intorno al modo di comportarsi della lu- ce nelle azioni chimiche (2). Questa legge si può enunciare nel modo seguente : 1." Che la luce nelle azioni chimiche agisce in condi- zioni determinate di temperatura e pressione. (1) Fu per mezzo di questo miscuglio che si scoprì la proprietà nella luce di provocare le combinazioni chimiche. (2) Gazzetta chimica Italiana t. XIY, p. 58, 1884. 74 ESPERIENZE DI CORSO 2." Che la sua azione cresce col crescere della tempe- ratura e della pressione. 3." Infine, come abbiamo accennato nella predetta me- moria , che la luce non agisce in assenza assoluta di ca- lore né questo in assenza assoluta di quella. Da quinci innanzi dunque ogni qual volta si tratta di azioni chimiche provocabili dalla luce bisogna tener conto non solo delle condizioni di temperatura, come feci osser- vare in altra mia memoria (1), ma ancora delle condizioni di pressione. Infine dirò che in questa citata memoria io ho accen- nato alla idea, che la scarsa o la mancata vegetazione nelle alte montagne e nei climi freddissimi è dovuta in gran par- te alle mancate condizioni di temperatura in cui la luce possa esercitare la sua azione; ora posso aggiungere che la diminuita pressione, in queste alte regioni della terra, dev'essere anch' essa una causa per cui la vegetazione non possa prendere il suo pieno vigore. Laboratorio di chimica generale della K. Università di Catania. (1) Gazzetta chimica Italiana t. XIV, p. 58, 1884. Bell' influenza dell' Elettricità Atmosferica, sulla vegetazione delle piante. Nota preliminare del Prof ANTONIO ALOI Letta nella tornata del di 15 Giugno ISSi. È noto a tutti, che la vegetazione di certe piante mo- strasi abbastanza infelice allorché si svolge nella periferia dei grandi alberi. È noto del pari a tutti, che nelle annate in cui si fa spesso sentire il tuono, i raccolti delle varie colture si ottengono più abbondanti. Il Sig. DuHAMEL de MoNCEAux, verso la metà dello scorso secolo osservò , che le acque meteoriche influivano suir accrescimento delle piante acquatiche, abbenchè queste avessero piedi e gambe immersi nell' acqua. Questi fatti fecero concepire l'idea che oltre ai noti elementi; luce, calore, umidità, ec. influisse sulla vegetazione delle piante anche V elettricità atmosferica. Il primo a ma- nifestare tale idea fu il Duhamel, ora citato, 11 quale in- travide r influenza della elettricità atmosferica sopra l' ac- crescimento dei vegetali nel mezzo naturale. Nel 1743 r abate Nollet in Francia , Mambray ad Edimburgo e Iallabert a Ginevra si occuparono dell'in- fluenza dell' elettricità sulle piante ; ma le loro ricerche si limitarono a constatare l' influenza dell' elettricità sullo sviluppo dei grani delle piante ed a riconoscere la facoltà conduttiva dei tessuti vegetali. Più tardi l'abate Bertholon pubblicò un libro nel quale, egli si mostra convinto fino all' evidenza dell' influenza ATTI ACC. VOL. XVUI. 10 76 INFLUENZA DELL'ELETTRICITÀ ATMOSFERICA benefica dell' elettricità atmosferica sui fenomeni della ve- getazione ; e col suo ingegnoso elettro-vegetometro, si pro- pose di rimediare al difetto della quantità di elettricità naturale dell' atmosfera. Però, né l' abate Bertholon, né chi dopo di lui si oc- cupò di tale argomento, diede delle soluzioni definitive e delle conclusioni attendibili, tanto che nel 1874 il Sachs (1) così si espresse in proposito. « Ptadicate nel suolo, le piante terrestri, spandono nella atmosfera i loro rami e le loro foglie, e presentano all' aria una estesa superficie. Il tessuto delle piante é tutto imbevuto di liquidi elettrolitici, quindi sembra che il corpo delle piante sia capace di equilibrare le differenze elettriche che pos- sono esistere tra il suolo e 1' atmosfera, per mezzo di cor- renti che attraversano dall'alto al basso i tessuti vegetali. Così stando le cose, siccome 1' atmosfera possiede abitual- mente una tensione elettrica differente di quella del suolo, e che questa differenza di tensione cambia secondo il tempo che fa, si é indotto a credere che si operino continuamente attraverso il corpo della pianta degli scambi elettrici. Questa corrente continua esercita un' azione favorevole sui feno- meni vegetativi ? « Questa questione, come tutte le altre che si riferiscono allo stesso argomento, non hanno ancora formato 1' oggetto di uno studio scientifico. Le brusche e potenti compensa- zioni, tra lo stato elettrico dell'aria e quello del terreno, che si operano attraverso degli alberi colpiti dalla folgore, attestano almeno, che le deboli differenze, tra lo stato elet- trico dell' atmosfera e quello del terreno , possono equili- brarsi lentamente attraverso il corpo delle piante. » In questi ultimi anni si sono occupati dell'influenza (1) D.v lules Sachs, Traile de ioianique, traduit par M. Van Tiegliem, pag. 904. SULLA VEGETAZIONE DELLE PIANTE 77 dell'elettricità atmosferica sulla vegetazione delle piante, 11 Leclere, 11 Grandeu, r HERTZ, il Celi, 11 Naudin e qualche altro , senza però che si sia venuto ad una soluzione de- finitiva del problema, 11 quale resta ancora a sciogliersi, principalmente perchè dalle esperienze fatte dal nominati naturalisti, si ebbero risultati diametralmente opposti. 11 .Grandeu negl'anni 1877 e 1878 (1) fece una serie di esperimenti, con le piante di tabacco, di mais gigante e di frumento, facendole vegetare sotto una gabbia metallica a larghe maglie, all'aria libera e sotto una pianta di casta- gno, e credette di poter venire a delle conclusioni, che qui sotto riporto in succinto. 1. Una pianta messa a vegetare sotto una gabbia me- tallica a larghe maglie o nel perimetro di un albero, resta completamente isolata dall' elettricità atmosferica. 2. I vegetali, ed In particolare gli alberi, attirano a loro profitto l'elettricità atmosferica, e isolano completamente le piante messe nel loro perimetro. 3. L'Isolamento prodotto da un albero elevato, si può estendere anche al di là del perimetro fogliaceo dell' albero stesso. 4. Una pianta sottratta all' influenza dell' elettricità at- mosferica, subisce un ritardo ed una diminuizione notevole nella sua evoluzione e nel suo sviluppo , diminuizione che raggiunge dal 30 al 50 per 100. 5. La fioritura e la fruttificazione subiscono delle mo- dificazioni non meno grandi. Le piante isolate danno dal 40 al GO per 100 in meno di fiori e frutta. 6. Le sostanze minerali, sono in aumento nelle piante isolate. (1) L. Grandeu, Cotnpfes renclus de l'acadèmic des seiences et annalts de cMmie et de physique, 5, serie t. X VI (1879. — Detto, Cours d'agricolture de l'Ecole forestière — 1. La nutrition de la piatite — pag. 298. Paris, 1879. 78 INFLUENZA DELL'ELETTRICITÀ ATMOSFERICA 7. L' elettricità atmosferica è un fattore preponderante della vegetazione. 8. La deficienza dei racccolti delle piante messe sotto i grandi alberi, debba attribuirsi al difetto della elettricità atmosferica. M. A. Leclere nel 1878 a Mettray, (Turaìne) volle in- stituire delle esperienze consimili, per controllare quelle del Grandeu, ed ebbe quasi gì' istessi risultati, che quest' ultimo ottenne alla stazione Agronomica dell' Est. Neil' istesso anno 1878, il Prof. Celi della scuola supe- riore d' agricoltura di Portici fece delle esperienze identiche a quelle del Grandeu e si ebbe identici risultati (1). Una pianta di tabacco all' aria libera diede 89 flori , un' altra messa sotto la gabbia isolante ne diede solamente 45. 11 mais sotto la gabbia diede 66, 88 soltanto , considerando come 100 il mais messo all'aria libera. Una terza esperien- za sul tabacco fornì i seguenti dati; la pianta all'aria libera, diede capsule N. 41, semi gr. 4,02; la pianta sotto la gabbia Isolante, capsule N. 20, semi grammi 2,86; la pianta messa sotto un giovane castagno, capsule N. 20 semi gr: 2,51. Il Naudin invece, che esperimentò con le piante di lat- tuga, di pomidoro, di cotone erbaceo, e di fagiuolo nano, ebbe risultati diversi, cioè: Lattuga gigantesca all'aria libera. Altezza metro 1, 00 peso gr. 337 id. id. sotto la gabbia isolante » » 1, 20 » » 427 Pomidoro all'aria libera, bacche N. 37 peso gr. 1080 id. sotto la gabbia isolante » N. 83 » » 2162 I fagiuoli diedero maggior quantità di prodotto sotto 1 ripari, anziché all' aria libera. Questi risultati sono diametralmente opposti a quelli avuti dal Grandeu, dal Celi e dal Leclere, e quindi le (1) Vedi Agricoltura meridionale di Portici, anno 1878. SULLA VEGETAZIONE DELLE PIANTE 79 conclusioni del Sig. Grandeu sarebbero fortemente scosse. In tale stato di cose, mi venne in mente di istituire delle esperienze in proposito, ed eccomi a riferire i primi risultati che ne ho ottenuto. E anzitutto mi preme far notare che gli esperimenti come sono stati finora condotti, a me sembra che non potevano portare a conclusioni definitive. Una sola gabbia di ferro, ed in comunicazione col suolo, non è sufficiente; perchè essa toglie V influenza dell' elettricità dell' aria ma non di quella del terreno; e inoltre le piante messe sotto gli alberi oltre all'elettricità vengono anche a perdere qualche poco di calore e per conseguenza di luce. Bisognava secondo me, tener conto benanche della temperatura dell'aria e di quella del terreno, per vedere se tra la somma di calore raccolta dalla pianta messa all'aria libera e la somma rac- colta dalla pianta posta sotto l'albero, corresse differenza. Ho fatto dunque costruire due gabbie mettalliche a larghe maglie, alte m. 1, 10 e nelle altre due dimensioni cm. 71. Un sensibilissimo elettroscopio messo dentro una gabbia, ed esposto poi all'influenza di una potente mac- china elettrica, non si mosse menomamente, segno che la gabbia isolava completamente. Una delle gabbie l'ho isolata dal suolo, mercè quattro bottiglie di vetro spalmate di vernice, che alla lor volta po- savano su piatti di porcellana messi sul terreno, e 1' altra l'ho messa in diretta comunicazione col suolo. In quattro vasi metallici, perfettamente uguali, e della capienza di circa 13 decimetri cubi 1' uno , riempiti della istessa quantità e qualità di buonissima terra da orto, ho messo un seme di fava per ciascuno, il giorno 23 Aprile u. s., e poscia li ho situati ; uno sotto la gabbia perfetta- mente isolata dal suolo, un altro sotto la gabbia in comu- nicazione col suolo, il terzo all'aria libera ed il 4 sotto la periferia di un castagno d' India. 80 INFLUENZA DELL'ELETTRICITÀ ATMOSFERICA Sei termometri, tre messi nel 1. decimetro superiore della terra, di tre dei vasi, e tre situati a centim. 50 dalla superficie della terra dei vasi medesimi, sono stati osservati cinque volte al giorno, e cioè; alle 6 ed alle 9 ant. , alle 12 mer. alle 3 ed alle 6 pom., dal giorno 3 Aprile, principio della esperienza, fino al 10 Maggio, giorno in cui 1' espe- rienza ha avuto fine. (1) Ogni volta che il bisogno lo richiedeva, ho fatto inaf- flare i vasi con l'istessa quantità e qualità d'acqua. Il 31 Maggio incominciarono a spuntare le piantine ; 11 24 Maggio si verificò la fioritura ed al 10 Giugno le piante le ho raccolte e pesate. Ecco i risultati generali dell' esperimento. Fava Sotto la gabbia Sotto la gabbia Sotto il castagno all'aria isolata dal suolo in comunicazione d' india libera col suolo Piantamento 23 Aprile 23 Aprile 23 Aprile 23 Aprile Germogliazione 5 Maggio 3 Maggio 3 Maggio 3 Maggio Fioritura 24 Maggio 31 Maggio 29 Maggio 26 Maggio Numero dei fiori 29 32 20 30 Lunghez. delle piante Cent. 43 Cent. 42 Cent. 53 Cent. 42 Peso » » gr.l63, 32 gr. 144, 10 gr. 121,87 gr. 142,60 Le osservazioni della temperatura del terreno e di quella dell' aria diedero i seguenti risultati : Per l'esame Per l'esame Per l'esame sotto la gabbia isolata all'aria libera sotto il castagno dal terreno Somma della temp. del terreno 1061,6 1141,4 1019,8 Somma della temp. dell'aria 1116,5 1150,4 1036,2 Media della temp. giornaliera del ter. 21,5 22,3 20,7 Media della temp. giornaliera dell'aria 22, 2 23, 21, 1 (1) Si è creduto inutile osservare la temperatura di tutte e due i vasi messi sotto le gabbie, ritenendosi sufficiente esaminare quella di un solo, e propriamente del vaso posto sotto la gabbia isolata. SULLA VEGETAZIONE DELLE PIANTE 81 Dal complesso dei risultati ottenuti appare, che la ve- getazione, si mostrò più rigogliosa nelle piante messe sotto le gabbie , anziché in quella situata all' aria libera , e che la meno rigogliosa fu la vegetazione della pianta situata sotto il castagno: essa pianta raggiunse è vero un'altezza maggiore, in confronto delle altre, ma era invece molto più esile, fiorì più tardi di tutte, cacciò il minor numero di fiori, e pesava anche meno delle altre. Queste deficienze potrebbero attribuirsi alla minor quantità di temperatura di cui potò godere durante il periodo vegetativo , come può rilevarsi dai sopra riportato specchietto. Come pure lo penso, che i risultati più vantaggiosi ottenuti dalla pian- ta messa a vegetare sotto la gabbia isolata, in paragone della pianta situata all'aria libera, più che attribuirsi alla sottrazione dell'elettricità atmosferica, debba ripetersi dal- la maggior quantità di detta elettricità, che la gabbia di ferro valeva, per le sue conduttibilità, a richiamare intor- no alle piante; e ciò può desumersi paragonando la pianta messa sotto la gabbia isolata dal suolo con quella situata all'aria libera. E di vero, la pianta della gabbia isolata in 37 giorni di vegetazione, dal 5 Maggio al 10 Giugno, raggiunse un'altezza di Cent: 43 ed un peso di gr. 163, 32, mentre la pianta all'aria libera in 39 giorni di vegetazione raggiun- se l'altezza di Cent: 42 e il peso di gr. 142, 6. Inoltre, la prima fiorì dopo 19 giorni di vegetazione , mentre la pianta all'aria libera fiorì dopo 23 giorni di vegetazione. Solo nel numero dei fiori quest' ultima ebbe un vantaggio, ma molto meschino. Similmente si troverà, che i risulti sono migliori nella pianta della gabbia isolata, in paragone della pianta situa- ta sotto la gabbia comunicante col suolo, ed anche miglio- ri sono quelli di quest'ultima in paragone della pianta po- sta all'aria libera. Riserbandomi di determinare meglio e con maggiori 82 INFLUENZA DELL'ELETTRICITÀ ATMOSFERICA dati di confronto , ciò che ora accenno , con le esperienze elle vado già ad istituire, pel momento mi pare che si possa venire alle seguenti conclusioni. 1. Che l'elettricità nel terreno influisce favorevolmente sulla germogliazione dei semi. 2. Che la vegetazione più scadente che si osserva nelle piante messe a vegetare nel perimento degli alberi, debbe attribuirsi, se non in tutto almeno in gran parte alla minor somma di temperatura di cui godono dette piante. 3. Che le esperienze finora fatte non provano abba- stanza r influenza che 1' elettricità atmosferica esercita sulla vegetazione delle piante; ma che probabilmente essa è piut- tosto favorevole. Catania 15 Giugno 1884. BIBLIOGRAFIA 1848— Iallabert, Expericnces sur Véhttriciié, avec quelques conjecttires sur le causes de ses effcts. Genève. 1749 — Nollet; Beclierches sur les causes jìarticuliers des phènomenes eìec- triques ecc. Paris. 1783— Bertholon, De VÉlectricité des veghiaiix ecc. Paris. 1878— Grandeau, Comptes rendus de V Acadcmie des sciences et Annales de chimie et de plujsiquc, 5" serie, t. XVI. (1879). 1878 Gf,Li— Annali di Chimica e di Fisica, 3" serie, t. XV. Ottobre 1878. 1878— Celi, Influenza delV elettricità sidla vegetazione — Agricoltura Meri- dionale (1878), 1879— Grandeau, Chimie et Thysioloyie applique à l'Agricolture et à la sylviculture — I. La Nutrizion de la piante — Paris 1879. Sullo spostamento degli strati acquei d' imbibizione nei diversi terreni Nota preliminare del Prof. ANTONIO ALOl Lcita nella tomaia del di 15 Giugno ISSi. L'acqua forma parte essenziale di tutti gli esseri vi- venti. — Nella vita vegetativa delle piante essa compie diversi uffici: È la sorgente dell'idrogeno, è il veicolo delle materie minerali e del gas che circolano nello interno del .vegetali; e inoltre serve a mantenere un certo equilibrio fra la temperatura dell'aria e la temperatura del terreno. In generale si ritiene che ogni pianta esiga una quan- tità d'acqua proporzionata al suo peso, e perciò l'elemento liquido richiesto dalla vegetazione, varia da pianta a pianta. Da analisi risulterebbe; che \^Patata contiene 76 per 100 d'acqua nei tuberi, e 85, 1 per 100 nelle foglie, in media 80,5 per 100; le Barbabietole ne contengono 81,9 per 100 nei tuberi, 89, 7 per 100 nelle foglie, 85, 8 per 100 in media; il Tabacco nello stelo offre 85, 8 d'acqua, nelle ra- dici 84, 1, nelle foglie 87, 1, in media 85, m ; le Lenticchie poi ne contengono 9 per 100; il Mais 18; Y Avena 14; il Frumento 14; le foglie di Tiglio 51. Lo sviluppo completo, imperfetto o nullo delle piante, dipenderebbe quindi dalla quantità d'acqua che si mette a loro disposizione, sia con le pioggie, sia con l'irrigazione. Ma la quantità d'acqua che con le pioggie e l'irriga- zione arriva nel terreno, non resta tutta a disposizione delle piante , dappoiché per molte cause se ne disperde e ATTI ACC. VOL. XVUI. J]^ 84 SULLO SPOSTAMENTO DEGLI STRATI ACQUEI se ne inutilizza una buona parte. Lo scolo, 1' evaporazione, l'infiltrazione, ad esempio, ne fanno disperdere una certa quantità, ed il suolo dall'altro canto ne inutilizza un' altra parte. Dell' acqua quindi che cade sul terreno, solamente una porzione resta assorbita ed immagazzinata per poscia es- sere fornita alle piante , che nel terreno spandono le loro radici, gradatamente ed a seconda i bisogni. Le piante assorbono dal suolo 1' umidità, che è loro necessaria, con le radici. La forza assorbente delle radici è considerevole, e si esercita sull'acqua che imbeve le parti- celle terrose ambienti; ed a misura che questa si esaurisce, altr' acqua , di cui sono imbevute le particelle terrose più lontane , va a sostituire quella assorbita. In tal modo gli strati acquei d' imbibizione si spostano , portandosi dalle particelle terrose della periferia verso i centri , rappresen- tati dalle parti delle radici incaricate dell' assorbimento. Un tale spostamento, è noto, si effettua con rapidità nel terreno umido, ma nel terreno poco umido si compie lentamente, perchè la capillarità trattiene attorno ad ogni particella terrosa una certa quantità d'acqua. Or conoscere fino a qual punto si effettui tale spostamento , mi sembra cosa importante a determinarsi. È detto spostamento, dipen- dente dalla natura del suolo, o dalla facoltà assorbente delle piante? 0 è dipendente da tutte e due contemporanea- mente ? Per quanto è a mia conoscenza, studi ed esperimenti completi sul proposito non se ne hanno. Si occuparono dell' argomento , assai limitatamente , r illustre Sachs e lo Schumacher , e le loro ricerche non portarono a conclusioni definitive e determinate. Lo Schumacher vide seccare il Pisello in un suolo ricco di humus che conteneva ancora il 3, 5 per 100 d* ac- d' imbibizione nei diversi terreni 85 qua, e vide seccare l' istessa pianta nella sabbia quando conteneva ancora 1, 5 per 100 d' acqua. Il Sachs sperimentò, che un piede di Tabacco cessò di vegetare in un suolo ricco di humus, quando possedeva an- cora 12 per 100 d'acqua; un secondo seccò in un terreno argilloso che conteneva 8 per 100 d' acqua, ed un terzo seccò nel terreno sabbioso quando scese ad avere 1, 5 per 100 d' acqua. Le esperienze dello Schumacher farebbero dipendere la trasposizione dell' acqua attraverso le molecole terrose dalla natura del terreno, quelle del Sachs invece, la fareb- bero dipendere piuttosto della natura delle piante. L' argo- mento quindi non è svolto a sufficienza, e lo provano an- che le parole del Sachs stesso quando dice: « Nello stato attuale delle nostre conoscenze, noi non possiamo dire se le differenze che si sono riscontrate, pro- manano da tale causa (differenti corrispondenze nelle or- ganizzazzioni delle radici) o piuttosto sono dovute a dei rapporti purame?ite tneccanici (1). A determinare tale quistione volli istituire alcune espe- rienze, di cui oggi riferisco i primi risultati, riserbandomi di venire a delle conclusioni definitive quando avrò ultimati tutti gli esperimenti che ho ideato di fare. E anzitutto, perchè le esperienze riuscissero veramen- te utili, preparai artificialmente quattro tipi di terreno, si- mili a quelli che oggi giorno indicano gli agronomi come tipi, e cioè, terreni; sabtjioso, calcareo, argilloso ed umifero. Le proporzioni dei materiali immediati dei terreni preparati furono così stabilite: (1) Dr. lules Sachs — professeur de Botaniqiw a Wurzbourg. Pliysio- logie vegetale — traduit par Marc Micheli — Paris 1868 — pag. 192. 86 SULLO SPOSTAMENTO DEGLI STRATI ACQUEI Sabbia 80 per lOO Calcare 9 » » Argilla 5 » » Humus 6 » » Terreno Sabbioso \ 100 Terreno Calcareo Terreno Argilloso Terreno Umifero Calcare 50 per 100 Sabbia 32 » » Humus 10 » » Argilla 8 » » 100 Argilla 70 per 100 Sabbia 20 » » Humus 5 » » Calcare 5 » » 100 Humus 22 per 100 Sabbia 35 » « Calcare 15 « » Argilla 28 » » \ 100 Formati i terreni,, li disseccai a 100 gradi, e poscia ne riempì 12 vasi di argilla cotta, di eguale grandezza; 4 di terreno sabbioso, 4 di calcareo, 4 di argilloso e 4 di umi- fero, ed il 3 Aprile seminai in ogni vaso un seme di fa- va, e inafflai il terreno con acqua distillata. Il giorno 11 Aprile cominciarono a spuntare le pianti- ne, ed il dì 19 di detto mese erano già tutte fuori. 11 12 Maggio , visto che le piante avevano raggiunto un discreto sviluppo erbaceo, feci cessare ogni inafflamento a 4 dei 12 vasi, esprimenti le quattro qualità di terreno, ed il 22 Maggio le piante erano già secche. — 11 dissec- camento si verificò nel seguente modo; il 21 Maggio nel terreno Sabbioso e nel Calcare, il 22 nell'Argilloso e nel- l'Umifero. Sottoposto all' esame i terreni nei quali si era avve- rato il disseccamento delle piante trovai, che il terreno d'imbibizione nei diversi terreni 87 Sabbioso conteneva ancora il 4,10 per 100 d'acqua, il Calcare, il 2, 60 per 100, l'Argilloso il G, 90, per 100 e lo Umifero il 5, 80 per 100. Il 25 Maggio le piante degli altri 8 vasi erano in flore; sospesi in quattro vasi, esprimenti le 4 qualità di terreno, l'inafflamento, ed il 2 Giugno le inante erano già secche.— Esaminati i terreni risultò, che 11 terreno Sabbioso conte- neva ancora il 4, 40 per 100 d'acqua, il Calcare il 2. 60 per 100, 1' Argilloso il 7, 20 e 1' Umifero il 7 per 100. Il 3 Giugno i fiori in maggior parte erano allegati nei restanti 4 vasi ; sospesi l'inafflamento ed il dì 8 Giugno le piante erano già secche. Analizzati i terreni si trovò, clie il Sabbioso aveva an- cora il 4, 20 per 100 d' acqua, il Calcare il 2, 60, 1' Argil- loso il 7 e r Umifero il 6, 50 per 100. Sicché, da questo primo esperimento risulterebbe, che lo spostamento degli strati acquei d' imbibizione dovesse attribuirsi alla natura del terreno principalmente; che i di- versi stadi di una stessa pianta non influiscono per nulla in riguardo a rendere più o meno effettuabile detto spo- stamento, e che la facoltà di cedere l'acqua per i bisogni delle piante risiede in grado massimo nell'elemento Cal- careo, in grado minimo nell'elemento Argilloso e nell'ele- mento Umifero e in grado medio nell'elemenio Sabbioso. Mi riserbo dì dare delle conclusioni definitive sull' ar- gomento, quando avrò ultimato gli esperimenti comparativi, su diverse specie di piante, che ho divisato di fare. Catania 15 Giugno 1884, Sulla comparsa delle Termiti nelle vigne di Catania Comunicazione del Prof. ANTONIO ALOl Fatta nella tornata del dì 15 Giugno ISSd. Il prezioso arbusto del vino, in questi ultimi tempi, pare che sia diventato il punto di convegno dei parassiti, tanto animali che vegetali. A più di 160 si fanno somma- re gli esseri che vivono alle spalle dell'utile ampelidea; ed ogni giorno che passa si sente sempre a segnalare un nuovo nemico della pianta sacrata a Bacco. In Sicilia le viti hanno a temere non pochi nemici, al- cuni dei quali dannosissimi. Basta accennare al Marciume dell'uva, alla Peronospora infestans ed alla infausta Phyl- loxera vastatrix, per far nascere l'idea che possa venire il regno di Gambrino. Alcuni giorni sono, invitato dal Sig. Urzì di visitare il di lui vigneto, posto tra S. Giovanni la Punta e Treme- stieri, per esaminare l'origine del male che da qualche anno produce sensibili deperimenti nelle viti, mi portai sul posto ed ebbi a constatare che trattavasi di una invasione di Termiti. Le Termiti una volta ascritte all'ordine dei Neurotte- Ri, oggi appartengono all'ordine degli Ortotteri, sott'or- dine dei Corrodenti, famiglia dei Termitidei. Vivono in società, la quale componesi di due fondato- ri in origine alati e poscia atteri, maschio e femina (Re e Regina); di Ninfe dei due sessi che divengono alate ed emigrano ad un certo momento; di larve, come le ninfe medesime in attività ed in gran numero e di feìnine ste- ATTI ACC. VOL. XVm. 12 90 SULLA. COMPARSA DELLE TERMITI rilizzate per atrofia di organi riproduttori o neutre, e da distinguere in Operaie comuni e in Amazzoni. La coppia fecondatrice persiste, e la femina oltremodo feconda ingrossa enormemente l'addome per l'incremento dell'ovaio e delle uova che si producono, e che maturate vanno successivamente deposte; nascono da queste le larve di diversa natura secondo gli stati che acquisteranno poi e da talune di esse, in gran numero sempre, si hanno le ninfe con i rudimenti delle ali, che diverranno maschi e femine alati, e pervenuti a maturità sciameranno, lascian- do r associazione indisturbata, rifornirsi con nuove nascite ancora degli antichi progenitori. Gli emigrati intanto, per- dono le ali, che disarticolano poco dietro le basi , e men- tre in gran numero vanno dispersi, alcuni di sessualità dif- ferente si accoppiano e fondano associazioni novelle. In queste la femina subisce l' incremento notato e dalle sue uova e dai nati da essa si forma la nuova associazione (1). Alcuni naturalisti con Latreille credevano che le ope- raje fossero larve di Termiti. Altri naturalisti con a capo il Lespès ritenevano gli operai, alcuni femine abortite, che dicevano operaje comuni ed altri maschi abortiti, che chia- mavano soldati — Lo Smeathman credeva che i soldati fos- sero ninfe ed il Quadrefages ammetteva che i soldati era- no neutri e che gli operai si reclutavano tanto dalle larve quanto dalle ninfe. Il signor Lespès osservò i seguenti fatti sulle Termiti delle Lande. Fra tali insetti i più numerosi sono gli operai. La loro mole è quella di una grossa formica. Sono incaricati di scavare gallerie, di andare in cerca delle provviste, di ac- cudire le uova, le larve e le ninfe. Gli operai hanno il ca- (l) Targioni Tozzetti — Gli ortotteri agrari — Annali del Ministero di Agricoltura 1882 pag. 75 e 76. NELLE VIGNE DI CATANIA 91 po rotondo e mandibole corte; son ciechi. I soldati, meno numerosi, hanno il capo enorme, grosso quasi quanto il rimanente del corpo, e fortissime mandibole incrociate. So- no ciechi come gli operai. Il sig. Lespès istesso anatomiz- zandoli, riconobbe che erano neutri, cioè i soldati, maschi e gli operai, (emine, con organi abortiti. Oggi si preferisce il nome di Amazzoni a quelio di sol- dati, visto che anch'essi al pari delle operaie, sono femine con organi riproduttori atrofizzati. Le Termiti, dette anche formiche bianche, per la ras- somiglianza che lianno con questi insetti, sono diffuse in tutta la zona intertropicale dell' Asia continentale ed insu- lare dell' Africa e dell' America, ed alcune specie si esten- dono nelle zone temperate, e certe toccano al Capo di Buo- na Speranza, all' Australia ed all'Europa. Vivono di sostan- ze vegetali in qualunque stato non risparmiando , ove oc- corre, sostanze animali. Sul conto delle Termiti la favola non ha mancato di dirne delle sue. Il Sig. Prefontaine narra di aver veduto, viaggiando nella Guinea, parecchi Negri assediare certi strani edilizi, che chiama formicai, da lontano e con armi da fuoco, perchè non osavano avvicinarsi. Anche ai giorni nostri certi viaggiatori hanno narrato favole assurde sul conto delle Termiti. Si attribuisce loro un veleno che ap- pena respirato uccide; si è detto che una sola morsicatura di Termite fa venire una febbre mortale ; e Giulio Verne, nel suo Capitano a 15 anni, fa nientemeno ricoverare in un nido di Termiti e passarvi comodamente la notte, la Signora Weldon col suo figlio Iack, e poi Dick, Sand, Tom, Bat ed il naturalista , Cugino Benedetto, in tutto sette persone ! Secondo lo Smeathman (1) la Termite bellicosa (Ter- mes bellicosus, Smeath) si costruisce in Africa delle abi- (1) Smeathman. H. Some Account of the Termites. 92 SULLA COMPARSA DELLE TERMITI tazioni solidissime e molto estese, vere opere di Ciclopi e di Titani, se. si paragonano all'aspetto molle e debole di tali animalucci biancastri. Lo stesso autore dice, che se gli uomini edificassero monumenti tanto sproporzionati alla loro statura, la grande piramide di Giseh (Egitto) invece di 146 metri di altezza ne dovrebbe avere 1600 ! Queste Termiti sarebbero muratrici, ma per la mag- gior parte, le specie, sono minatrici, scavandosi estese gal- lerie nei legnami delle costruzioni, corrodendo mobilie e perfino biancherie e libri. Scavano anche i loro nidi negli alberi viventi, nel ceppo di parecchi alberi lasciati in terra dopo il taglio dei boschi, ovvero nel tronco di alberi depe- riti, oppure negli steli delle piante erbacee, lavorando sem- pre clandestinamente. Verso la line del secolo scorso (1796) nel Dipartimento delle Charentes, in Francia, le Termiti della specie, Termes lucifiigus. Rossi, produssero guasti immensi negli edifici pubblici e privati; ed a Tonney Charentes crollò una stanza da pranzo e 1' ospite coi suoi convitati precipitarono insieme in cantina — Nel 1842, alla Roccella, a Rochefort e nei luoghi vicini destarono seri timori, apportando ovunque danni immensi. Neil' invasione di R,ochefort furono attaccati legnami, specialmente ricchi di materie zuccherine e gommose, semi, frutti, carta, libri e materie animali, esclusa la lana. Delle piante furono invase. Peri, Meli, Limoni, Robinie, Acacie; Castagni, Viti a spalliera. Cipressi, Carpini, Pioppi e Gelsi. Non furono risparmiate neanche le piante erbacce viventi, quali Carciofi, Malve, Pisi, Grani, Orzi, Canape, Lino, Semi e Farine di ogni specie ; e perfino i tappi delle bottiglie di vino ed il legname dei vasi vinari ebbero a sentire gli effetti delle mandibole delle Termiti (1). (1) Lespès — recerches sur 1' organis e le moeurs de Termite lucifuge. Ann: des: se: Nat: Ser: 4. Tom: 3. (1836). NELLE VIGNE DI CATANIA 93 Il Prof. Costa riferisce, che le Termiti, della specie no- tata , apportano danni assai gravi ai Musei e ad alcune abitazioni della città di Napoli. Ma oltre che a Napoli le Termiti, si sono riscontrate In Sardegna, neh' Emilia ed In Toscana. Il Prof. Costa le cita come esistenti in Sicila, ed il Prof. Grassi le ha rinvenute nelle Opunzie dei dintorni di Catania. Però nessuno, per quanto mi sappia, ha mai segnalato le Termiti come dannose alle viti , e quindi questo che io riferisco sarebbe un caso nuovo. Neil' invasione di Roche- fort su citata, assalirono le Termiti, è vero, alcune viti a spalliera, ma con esse vennero attaccate moltissime altre piante comprese le erbacee. — Qui invece trattasi di Ter- miti che attaccano una estesa contrada di viti, minando i ceppi da capo a fondo, e condannandoli al deperimento. Nella vigna del signor Urzi su 50 mila ceppi, circa 20 mila sono invasi dall' insetto in parola. Da notizie che ho attinte poi son venuto a conoscere, che le Termiti si trovano an- che nelle vigne che attorniano il vigneto del sig. Urzì, ed in altri comuni della Provincia, come a Castiglione, a Giarre ec. ed io stesso le ho rinvenute numerose nelle vigne di Lentini.— Il caso quindi mi sembra affatto speciale , e de- gno di essere preso in molta considerazione. Contro le Termiti si consigliano : 1. I lavori di terreno e 1' escavazione delle fosse. cir- colari intorno alle piante ed agli edifici minacciati. 2. L'arsenico in natura ed in polvere insinuato nei Termitai, come si pratica nella Martinica. 3. L'idrogeno solforato, il Biossido di Azoto, racido_ Solforoso ed il Cloro in particolare, insufflati nei Termitai allo stato di gas. — Questi rimedi diedero nelle mani del Quadrefages i migliori risultati nell'invasione della Roc- cella, salvo le difficoltà materiali delle operazioni. Gli uccelli sono ghiotti di Termiti; il pollame domesti- 94 SULLA. COMPARSA. DELLE TERMITI CO ne distrugge quantità enormi, e le formiche ne distrug- gono legioni intiere. I neri d' Africa tostono le Termiti a guisa di caffè, e le mangiano avidamente, e non possono saziarsene. Gl'indiani poi preparono con le Termiti una specie di focaccia, die ì viaggiatori dicono squisitissima. Ma tali rimedi non sarebbero applicabili nel caso presente. Il male è grave e merita 1' attenzione di quanti hanno a cuore la viticoltura dell'Isola. Io credo che sia di somma Importanza conoscere, se trattasi di una specie nuova, che vive sulle viti esclusiva- mente, 0 di una specie già nota accomodata a vivere sull'al- bero di Bacco, ovvero una specie già nota che alberghi solo per poco tempo sulle viti; come pure ritengo importante determinare se i danni che si producono alle vigne, siano leggieri, ovvero temibili; ed in questo secondo caso escogi- tare dei rimedi atti a liberare le viti dal nuovo e molesto nemico. In quanto alla determinazione della specie, mi sono ri- volto al mio amico e competente B. Grassi, Professore di Zoologia in questa università, il quale si è assunto l' inca- rico di determinarla. In quanto poi ai danni che produco- no ed alla escogitazione dei rimedi atti a distruggere le Termiti, ho chiesto al Ministero di Agricoltura un sussidio per le spese da sostenere , ed è sperabile che la mia do- manda venga bene accolta. Ad ogni modo io non mancherò di tenere informata, l'Accademia, delle ulteriori ricerche che si faranno sull'og- getto. Catania 15 Giugno 1884. Sulla trasformazione della Fucsina nell'organismo animale per i dottori G. GIGLIO ed E. DI MTTEI Memoria letta ncUa tornata del di 15 Giugno 1884. Sul modo di comportarsi della Fucsina nell'organismo animale non abbiamo finora cognizione alcuna, per quanto questo corpo fosse venuto acquistando recentemente una certa importanza nella cura di talune forme di malattie dei reni. La Fucsina, come derivato dell'anilina, appartiene a quella serie di composti aromatici, dotata di una resisten- za notevole ad ossidarsi e distruggersi per le forze dello organismo. E già dal colorito rosso, proprio della fucsina, che prendono le urine in seguito all' ingestione di essa, si poteva arguire, come una certa quantità di fucsina, potesse traversare inalterata l'organismo ed eliminarsi per i reni. Invero la Fucsina si distrugge con una certa difficoltà: il processo di ossidazione dell'organismo, non brucia infatti tutto il suo carbonio, fino allo stato di acido carbonico, ma si arresta almeno in parte fino alla formazione dell'a- cido ossalico. La presenza dell'-acido ossalico nelle urine, dietro la somministrazione della fucsina, è un fatto che noi abbiamo constatato nei conigli, nei cani ed anche nell'uomo, in due individui affetti da nefrite parenchimatosa, appartenenti alla Clinica della nostra Università, nei quali casi la fucsina ve- niva dal Prof Tomaselii, sperimentata a scopo d'istruzio- ne clinica. 13 ATTI ACC. VOL. XVIII. 96 SULLA TRASFORMAZIONE DELLA FUCSINA Nel primo di questi casi le urine erano state giornal- mente esaminate al microscopio dal Prof. G. B. Ughetti , allora Assistente alla detta Clinica, fin dal primo presentarsi dell'individuo all' Ospedale , per ricercarvi la presenza dei cilindri jalini. L' infermo era sottomesso ad una dieta uni- forme, rigorosamente lattea: dopo qualche giorno dacché si cominciò l'uso della Fucsina, dai 5 centigrammi a dosi via via crescenti, il Dott. Ughetti ci riferì di aver visto nelle urine abbondantissimi e piccoli cristalli d'ossalato di calce, che egli non aveva affatto riscontrato nelle precedenti os- servazioni ben numerose. In un secondo caso clinico analogo al precedente noi potemmo constatare gli stessi risultati. Nelle urine normali dei cani ed anche dei conigli, sot- tomesse ai processi comuni, nelle nostre ripetute osserva- zioni non abbiamo riscontrato al microscopio dell' ossalato di calce, benché la presenza dell' acido ossalico nell' urina degli animali erbivori, sia da considerarsi secondo il Leh- mann come un fatto costante; ma l' ossalato di calce com- pariva costantemente in seguito alla somministrazione della Fucsina, che veniva da noi adoperata alla dose di 10 a 50 centigrammi per parecchi giorni. I cristalli riscontrati erano ettaedrici , della forma caratteristica di buste da lettere, insolubili neir acido acetico : prova questa che noi ripete- vamo sotto al microscopio quasi in ogni osservazione. Noi abbiamo ricercato anche per via chimica l'acido ossalico nelle urine di un cane del peso di Cg. 6, 5. al quale somministrammo 50 centigrammi di fucsina. Nelle urine delle 24 ore, 220 e. e. diligentemente raccolte, si aggiunse dell'am- moniaca e del cloruro di calcio : il precipitato fu trattato con acido acetico e filtrato: la sostanza raccolta sul filtro si sciolse neir acido cloridrico, ne precipitò per aggiunta di ammoniaca, e calcinata si trasformò in carbonato di calcio. La formazione dell'acido ossalico per l'ossidazione della nell' organismo animale 97 fucsina è di accordo con i risultati del Salkowscki (1) e del Tauber (2) sulla derivazione dell'acido ossalico dall'os- sidazione del fenolo nell'organismo : secondo queste ricerche il gruppo del benzolo C"n\ comune ai composti aromatici, ai quali la fucsina appartiene, come derivato dalla fenilam- mina o anilina, dotato come è di una notevole resistenza a distruggersi nell'organismo, può ossidarsi incompletamente e dare origine all'acido ossalico. Un altro prodotto, che abbiamo riscontrato nell'urina dietro l'uso della fucsina, è l'ammoniaca allo stato di fosfato ammonico magnesiaco, i cui cristalli prismatici a forma di coperchio di bara non sono meno caratteristici dei primi: scomparivano dal campo del microscopio per l'azione del- l'acido acetico, ricomparivano per aggiunta di una goccia di una soluzione di soda. Questi cristalli noi li abbiamo ritro- vato nei sedimenti dell'urina recente, freschissima dell'uo- mo e del cane, e abbondantemente nelle urine alcaline del coniglio. Noi crediamo di potere riferire l' ammoniaca di questi sali alla fucsina: per renderci ragione di tutto questo, noi possiamo supporre che la fucsina nell' organismo venga a scomporsi sotto la seguente formola. fiifsina acido ossalico ammoniaca acido carbonico Che r ammoniaca possa nell'organismo trasformarsi in fosfato ammonico magnesiiico, risulta dalle ricerche di Ra- buteau (3) clie vide, in seguito alle iniezioni intravenose (1) Ueber die Viikung uncl das chemisclae Verlialten des Phenols im thie- rischen Organismus — Pfliiger's Arcliiv. V. (2) Beitrage zur Kemitiniss iiber das Verlialten des Phenols im tliierisclien Organismus Zeitscli. — f. Physiol. Cliem. von Hoppe Seylev Band 2.° (3) Eléments d' urologie Paris 1875 pag. 136. 98 SULLA TRASFORMAZIONE DELLA FUCSINA di sesquicarbonato d'ammoniaca, eliminarsi 1' ammoniaca per le urine allo stato di fosfato ammonico magnesiaco. É probabile che il campo d' azione della fucsina siano le ossa, e quivi lentamente ossidandosi, l'acido ossalico s'im- padronisce della calce, e mette in libertà dei fosfati, che combinandosi poi con l'ammoniaca e con la magnesia danno luogo al fosfato ammonico magnesiaco. Quest'azione della fucsina nelle ossa verrebbe a spie- gare la gran copia dei fosfati, che era già stata osservata nelle urine in seguito all' uso della fucsina (l). Noi per cer- care di rischiarare quest'idea abbiamo esaminato gli organi degli animali dopo di aver loro amministrato per parecchi giorni della fucsina, ed abbiamo riscontrato il colore della fucsina in quasi tutti i tessuti, specialmente nel connettivo e nella cartilagine, pochissimo o nulla nelle ossa. Può dar- si che la ragione di questo fatto sia dovuto a ciò, che ò appunto in contatto delle ossa che la fucsina si distrugge pili facilmente. Avendo somministrato della fucsina ad ani- mali (rane) in cui debolissimo è il processo d'ossidazione, noi abbiamo ottenuto, dopo qualche giorno, le loro ossa perfettamente colorate. Un'ultima nostra osservazione, rilevata per incidenza, si riferisce al potere tossico della fucsina da alcuni ammes- so, da altri negato: in seguito a moderate dosi di fucsina noi non abbiamo visto insorgere alcun disturbo; ma un pic- colo cane, dopo tre giorni di amministrazione quotidiana di grammi 0, 50 di fucsina, si mostrò assai abbattuto e non volle più spontaneamente prendere dell' altra fucsina, che noi gli davamo insieme a della carne arrostita. Sospesa appena l'amministrazione della fucsina, egli si rimise per- fettamente in salute — Un piccolo coniglio del peso di gram- mi 310, nello stomaco del quale abbiamo introdotto in una (1) ( Feltz, Eitter, de Saint Denis ). nell' organismo animale 99 sola volta, per mezzo di una sonda elastica, un grammo di fucsina e che per parecchie ore dopo non pareva averne attatto sotterto, ne morì nelle 21 ore. La fucsina da noi adoperata ci venne fornita dalla Fabbrica di E. Merk in Darmstadt , come prodotto puro ed esente di arsenico, la (|uale cosa ci siamo voluti dare la pena di verificare, sebbene non affatto necessaria allo scopo [irincipale delle nostre ricerche. Sul Tornado di Catania del giorno 7 Ottobre 1884. Relazione del prof. DAMIANO MACALUSO Letta nella seduta ordinaria del 23 Novembre 1884. Egregi Colleghi, Sono stato molto incerto e dubbioso, se avessi dovuto nel seno della Accademia prendere la parola sulla disa- strosa meteora, che nel giorno 7 del decorso mese di ottobre tanto danno arrecò nei dintorni di Catania, quantunque ne abbia fatto promessa in un giornale cittadino appena av- venuta la catastrofe; giacché parevami che dopo la grande copia di descrizioni e relazioni, comparsa in città negli ul- timi giorni, la mia parola dovesse riuscire una ripetizione di quel che altri avea detto. Però avendo esaminato tutte queste pubblicazioni sembrami esservi difetto di un coscen- zioso ed accurato studio dei fatti, e di una interpetrazione di essi veramente scientifica. Di talché parmi che ancora oggi possa riuscire non inutile il fare un esame di questo fenomeno. La gravità della sciagura avendo destato un vivo in- teresse per Io studio di questo avvenimento anche in mol- tissimi di coloro che non hanno con gli studii fisici una sufficiente familiarità, io procurerò di rendere l'esposizione dei fatti e la loro interpetrazione accessibile anche a quelli ATTI ACO. VOL. XTIU. 14 102 SUL TORNADO DI CATANIA che, estranei all'Accademia, non si sono specialnnente oc- cupati di questi studii. Anzitutto fa d'uopo dare un nome alla meteora in parola. La si potrebbe cliiamare uragano, turbine, trom- ba; ma il nome che più propriamente ad essa si addice è quello di tornaclos , o più italianamente tornado, come si vedrà in seguito. {Vedi la nota aggiunta in fine). Pria di venire alla descrizione della meteora sarà op- portuno un esame delle condizioni meteorologiche non solo locali, ma della Sicilia tutta nel giorno del disastro. Cominciando tale esame dalle isobare relative alle ore 8 a. m., e pubblicate nel bullettino meteorologico dell'Uffi- cio centrale di Roma, si osserva da un canto tra la Sici- lia e r Africa una piccola depressione barometrica, corri- spondente a 757""" e di più che queste isobare sono abba- stanza ravvicinate fra loro sulla Sicilia, in modo che quivi il valore del gradiente è all' incirca eguale a 2. Questa piccola depressione, per quanto ho potuto rac- cogliere dalle osservazioni barometriche comunicatemi gen- tilmente da diverse stazioni meteorologiche di quest'isola, pare che si trasporti a nord-est, preceduta da un vento dì SE. e seguita da un vento di SW, passando sulla parte nord-ovest della Sicilia, e nelle prime ore antimeridiane del giorno seguente si trova già sulla parte settentrionale del continente italiano. Lo studio particolareggiato poi delle condizioni meteo- rologiche della Sicilia e specialmente della provincia di Catania nel giorno 7 ottobre fa notare quanto segue: A Trapani, sita quasi all'estremità ovest della Sicilia la velocità del vento raggiunge alle G a. m. il valore mas- simo di 52,5"™ all'ora, girando il vento da SE a SW. A Palermo , posta più ad est di Trapani, due ore dopo che a Trapani, cioè alle 8 a. m. si ha un forte oscuramen- to del cielo; un vento furioso di WSAV, che ha una velo- DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 103 cita media di 43'"" all'ora, solleva una grande quantità di polvere, ed in seguito vien giù un rovescio di pioggia, che du- ra circa due ore. A Porto Empedocle, stazione situata an- cora più ad ovest di Palermo, anche più tardi che a Pa- lermo, cioè alle 9 e '(^ a. m. si leva un vento fortissimo di SE. accompagnato da pioggia molto abbondante e gran- dine, i cui grani raggiungono la grossezza di una noce. E pioggia accompagnata da grandine grossissima si ha più tardi, cioè verso il mezzodì, a Leonforte, sita ancora più ad est di Porto Empedocle. Pioggia infine con manifesta- zioni elettriche e poca grandine si rovescia abbondantissima a Messina , abbondante a Riposto , moderata a Siracusa; tutte e tre stazioni situate sulla costa est della Sicilia, al- l'incirca nella stessa ora del disastro di Catania, cioè poco dopo r 1 p. m. Talché può dirsi che una bufera accompa- gnata da grande condensazione di umidità investe sul mat- tino da ovest la Sicilia, e la percorre tutta da ovest ad egt, con una velocità media di 28"™ all'ora. Il passaggio di tale bufera è inoltre accompagnato da per tutto da un abbassamento di 3 e perfino di 4 gradi nella temperatura, la quale torna a rimontare dopo qual- che ora al valore primitivo. Nella provincia di Catania poi tra le 11 e Vz ^- in. e r 1 p. m. si ha pioggia abbondante con forte oscuramen- to del cielo, più o meno intense scariche elettriche, forte vento e poca grandine in Palagonia, Paterno, Troina, Ri- posto, Nicolosi, Nicosia, Randazzo, Centuripe , Zafferana Etnea. Ad Aci Reale poi e sopratutto a Leonforte ai fenomeni anzi notati si aggiunge anche la caduta di grandine molto grossa, fra i cui grani alcuni a Leonforte, secondo mi si è scritto, raggiunsero il peso di 300 grammi. Per quanto riguarda la città di Catania nulla di anor- male si ha nel giorno 7 nelle ore antimeridiane, all' in- 104 SUL TORNADO DI CATANIA fuori del valore dell' umidità relativa. Il barometro dell'os- servatorio meteorologico dell' Università, ridotto a 0° ed al mare da 761,8"" alle 9 a. m. scende a 761,1""" alle 12 m, talché, essendo 762,5"" la media annuale delle indicazioni barometriche per Catania, si può dire che la pressione del giorno 7 sia di un millimetro appena sotto la media an- nua. Si ha inoltre che la pressione del giorno 7 alle 9 a. m. è minore di 1,5"", ed alle 12 m. minore di 2,4"" di quella delle stesse ore dei giorno 6 ottobre. In quanto alla temperatura si ha dalle 9 a, m. alle 12 m. l'inalzamento di T, passando il termometro da 22",5 a 23'',5. Il giorno sei precedente la temperatura era stata dalle 9 a. m. alle 12 m. solo di r,5 inferiore a quella corri- spondente del giorno sette, mentre nel giorno cinque era stata alle 9 a. m. inferiore di 0°,9 ed alle 12 m. superiore di. 0",6 a quelle rispettive del dì sette (1). Il valore dell' umidità relativa poi da 0,78 alle 9 a. m. cresce a 0,88 alle 12 m., contrariamente a quello che ge- neralmente accade, cioè che nelle prime ore del mattino suole essere maggiore che a mezzodì. Questo valore 0,88 dell' umidità relativa a mezzodì è inoltre uno dei più gran- di che a queir ora si osservano durante l' anno, anche nei giorni di pioggia. (1) Queste osservazioni differiscono da quelle che ha pubblicato in parec- chi giornali di Sicilia e del continente del 21 ottobre il professore 0. Sil- vestri, secondo le quali dal giorno sei al sette il barometro in Catania sa- rebbe disceso di 4""" nelle ore antimeridiane , e la temperatura sarebbesi inalzata di 4" su quella dei giorni precedenti. Io non ho ragione alcuna di dubitare dell' esattezza delle mie osserva- zioni , le quali del resto vanno di accordo con quelle fatte nell' osservatorio di Riposto, lontano solo 22 chilometri da Catania. Ivi la diminuzione della pressione e l'inalzamento della temperatura dal 6 al 7 nelle ore antimeridiane sono stati anche un pochino minori che a Catania. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 105 Né solo in Catania, ma in tutta la Sicilia il valore della umidità relativa è molto elevato nel giorno sette. Abbiamo in fatti per un tale valore : A Trapani 0,78 iu media nel giorno » Palermo 0,92 alle 9 a. m. (1); 0,64 alle 12 m. » Porto Empedocle 0,78 alle 8 a. m. — — » Riposto 0,82 alle 9 a. m.; 0,76 alle 3 p. m. » Siracusa 0,80 » » 0,76 » » » Messina 0,64 » » 0,89 (2) » Nulla di speciale è da notare nel giorno sette in Ca- tania relativamente al vento, il quale nelle ore antimeridiane soffia in modo appena sensibile in direzione compresa tra E. e S. su tutta la costa siciliana orientale. Verso le Ila. m. il cielo, coperto fin allora solo in parte, si riempie su Catania di nere nubi, che vanno sempre più crescendo, in modo die alle 12 m. esso rimane totalmente nascosto da un oscuro mantello , più fitto dalla parte di ovest, dove si vede qualche lampo, cui fa seguito il rumore del tuono, e donde pare si avanzi un forte temporale. Alle 12 e 1/2 circa al disopra della contrada Passo Por- tese, quasi a 18"'" ad ovest di Catania, si forma sotto alle nubi una specie di proboscide ed in corrispondenza di essa sul suolo si vede da lungi V agitarsi degli alberi e degli oggetti leggieri. Quel prolungamento delle nubi va rapidamente crescendo, fino a raggiungere la terra sotto la forma presso a poco di una oscurissima colonna irre- golare, animata da movimento rotatorio e traslatorio. L' uno è nel senso inverso a quello degli indici d' un orologio , l'altro presso a poco da W3W ad ENE. 11 primo danno prodotto sul suolo pare sia stato la caduta d' un palo telegrafico, secondo mi è stato riferito (1) Alle 9 a. m. pioveva. (2) Si ebbe pioggia fino alle 2 e 1[2 p. m. 106 SUL TORNADO DI CATANIA da un ingegnere dell'ufficio tecnico di finanza, incaricato dello accertamento dei danni prodotti. Più in là, a circa mezzo chilometro di distanza, vengono in seguilo distrutti tre vani della casa Balsamo, Quindi la colonna, slargandosi sempre più, continua ad avanzarsi verso ENE, senza però toccare il suolo che a sbalzi, vale a dire inalzandosi spesso totalmente per parecchi metri al di sopra della superficie della terra. Infine in contrada così detta Santu Nuddu , dopo es- sersi molto ingrossata, in modo da prendere 1' aspetto di un'enorme torre pendente verso est, con un' altezza dal suolo alle nubi, colle quali si confonde, all' incirca doppia del diametro, si attacca, per così esprimermi, al suolo, sul quale segue la sua marcia devastatrice quasi esattamente nella direzione da ovest ad est, con piccole ondulazioni a destra e sinistra, fino al piccolo porto di Ognuia. Ivi arri- vata incontra e solleva in alto una barchetta con due uo- mini, che lascia poi cadere nelle onde (1) , continuando il suo cammino al disopra del mare per 6"™ circa (2) as- sottigliandosi e trasformandosi in una tromba marina, che in fine si rompe e discioglie. Il colore della massa in moto era di un grigio molto fosco; qualcuno mi ha detto fosse nero come il fumo del carbon fossile fino ad una certa altezza, dove, sfumandosi e (1) Questi due uomini furono in seguito tratti fuori dal fondo del mare. L'uno era morto, forse annegato, l'altro svenuto. (2) Questo dato mi venne fornito dall' allievo ingegnere sig. Salvatore Scinto. Ammettendo che il cammino percorso in mare sia il prolungamento rettilineo di quello percorso in terra dal tornado, poiché il sig. Scinto dalla sua casa lo ha visto disciogliersi nella direzione del campanile di una lontana chiesa, egli ha potuto facilmente su di una pianta della città determinare la lunghezza del cammino percorso in mare. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 107 crescendo di dimensioni trasversali, si riuniva alla volta di nubi soprastanti. Il suono 0 meglio il fragore dal quale era accompagnato fu inteso anche a grande distanza. La massima parte delle persone che 1' hanno udito da vicino lo paragonano a quello dì parecchi carri o treni ferroviarii, spinti a grande velo- cità; qualcuno mi ha detto si sentisse predominante ed esa- gerato il suono prodotto dal vapore, quand'esce da una caldaia ad alta tensione; altri il rumore di un' ala enorme che si sbatta nell' aria. È curiosa la contraddizione che ho trovato nelle rela- zioni di molte persone intelligenti e degne di fede relativa- mente alle manifestazioni elettriche , asserendo molti di aver visto la nera massa del tornado come illuminata a brevissimi intervalli dalla luce rossoviolacea, propria delle scariche elettriche, molti altri asserendo invece di non aver visto nessuna di tali scariche. La prima asserzione però mi è stata fatta quasi esclusivamente dalle persone che si trovarono o a piccola distanza della zona percorsa dal tur- bine, ovvero sulla stessa , mentre assicurano il contrario tutti coloro che osservarono il fenomeno a qualche chilo- metro di distanza. Secondo me quest'apparente contraddizione può di- pendere dal fatto che le scariche, effettivamente esistenti, fossero assai poco intense, talché poco intensa fosse anco la loro luce, visibile per conseguenza in pieno giorno sol- tanto a piccola distanza. In un' affermazione però vanno di accordo tutte le relazioni, che cioè non sianvi state che una o due sole sca- riche molto rumorose (tuoni), o almeno talmente rumorose da esser distinte dal fragore, dal quale il tornado era accom- pagnato. Alcune grossissime gocce di pioggia caddero in Catania, vale a dire a sud dei punti percorsi dalla meteora verso 108 SUL TORNADO DI CATANIA le 12 e 3(4 p. m.; e pioggia piuttosto abbondante si ebbe dopo runa p. in. Sul margine nord invece sopra una larga striscia tra le ore 1 ed 1 e '/s P- iti- cadde grandine abbondante e gros- sissima ; in taluni punti, mi si è detto , abbia raggiunto la grossezza di una melarancia comune ; in molti posti quella di un uovo di gallina. Questa grandine era molto irre- golare ed a pizzi, e per così esprimermi portava impressi i segni dell'ambiente tempestoso, nel quale erasi forma- ta. Di tale grandine però poco ne cadde sul percorso del tornado, e di preferenza appena dopo il suo passaggio. Da uno studio accurato dei danni, dal modo come gli alberi sono caduti , e dal percorso seguito da alcuni og- getti trasportati dalle correnti aeree, mi pare si possa conchiudere che la velocità del moto rotatorio alla super- fìcie terrestre sia stata piuttosto piccola, almeno in para- gone di quella con la quale affluivano verso la parte cen- trale della meteora le correnti aeree, delle quali appresso sarà tenuto discorso. Difficile sarebbe invece il dire quale sia stata la velo- cità del moto rotatorio dell' aria ad una certa altezza dal suolo. Dalle osservazioni del movimento degli oggetti sospe- si nell'aria e trasportati dal tornado risulterebbe che una tale velocità non sia stata molto grande. Però per l'opa- cità della colonna turbinosa poteano esser veduti sola- mente gli oggetti posti, per dir così, alla sua superfìcie, ed è probabile , che tale velocità fosse molto maggiore nella parte centrale, non visibile agli osservatori esterni. In quanto alla velocità di traslazione ho potuto pro- curarmi molti dati, che debbo riguardare come sicuri, per- chè abbastanza concordi, e perchè fornitimi da persone de- gne di fede ed intelligenti. Da tutti questi dati risulta es- sere stata una tale velocità di 11" circa al secondo. Questo valore non solo rientra nei limiti estremi di DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 109 quelli trovati per tutte le altre meteore simili, delle quali ho notizia, ma. si avvicina molto alla media di essi (1). La lunghezza della zona percorsa in terra dal tornado, (1) Non so spiegarmi donde provenga la grande differenza che corre tra questo valore da me trovato della velocità traslatoria del tornado e quello quasi quadruplo (42™ al secondo o 2500'" al minuto) ad essa attribuito dal prof. 0. Silvestri nella narrazione da lui publicata. (Vedi Giornale di Si- cilia, Corriere di Catania, Gazzetta Piemontese del 21 ottobre, Illustrazione italiana e La Natura del 2(5 ottobre etc). Posso ad ogni modo , a giustifi- cazione del mio asserto, tralasciando di enumerare tutti i dati raccolti, che, come sopra diceva, poco differiscono tra loro, riportare qui solamente li se- guenti valori coi nomi delle persone che me le hanno fornito. a) L' ingegnere Federico Lombardo mi ha assicurato che dal momento, iu cui dai suoi vicini si è gridato vedersi un grande incendio a Cibali, (da moltissime persone a prima giunta si è scambiata la nera colonna turbinosa con quella di fumo, che si produce in un grande incendio) momento nel quale egli per caso guardò il suo orologio, fino al momento in cui egli vide scio- gliersi la tromba in mare, e nel quale tornò a guardare l' orologio, siano tra- scorsi 20 minuti esattamente. Il percorso da Cibali sino alla fine essendo di 13""' quasi, si avrebbe la velocità di 11°^ al secondo circa. h) L'allievo ingegnere Salvatore Scinto nel tempo che la meteora ha impiegato per andare dalla contrada Palazzello al posto, nel quale si è di- sciolta, vale a dire per percorrere 10 Eliometri circa, ha potuto dall' estre- mità est della via S. Elia recarsi in sua casa iu via Grimaldi, percorrendo 1300"^ in carrozza e 600™ a piedi, salire nella sua abitazione, svestirsi e por- tarsi in una superiore terrazza. Kipetendo parecchie volte queste varie ope- razioni , presso a poco nello stesso modo nel quale le ha fatte nel giorno sette, ha trovato abbisognarvi 15 minuti di tempo in media. Quindi secondo lo stesso il valore in esame sarebbe di 11'", 2. e) Infine l' ing. C. Scinto Patti, professore nel nostro Istituto tecnico e che trovavasi ad Ognina nel momento del disastro, mi assicura che dalle sue determinazioni risulta come valore della velocità traslatoria del tornado 10",5. Del resto basta il fatto dell'avere moltissime persone, compreso l'autore della narrazione sopra citata, creduto per qualche po' di tempo che la nera mas- sa turbinosa fosse il fumo di un grande incendio, quando distava da loro solo uno 0 due chilometri , per potere conchiudere che essa dovea procedere con ATTI Aco. voL. zvm. 15 110 SUL TORNADO DI CATANIA tracciata dalle distruzioni prodotte, è quasi di 22"™, oltre a 6*"" circa percorsi in mare, con una larghezza media di 350"; quantunque la distruzione non sia completa che so- pra una larghezza di 150". Oltre a questa striscia larga 350", nella quale in ogni modo gravissimi furono i danni prodotti, si trovano tracce della potenza devastatrice dello uragano, quali p. e. qualche albero abbattuto, qualche tet- to distrutto in parte, ancora per altri 200" di larghezza da ciascun lato della striscia media; talché possiamo dire che la dannosa influenza del tornado siasi fatta risentire con intensità decrescente dalla linea di mezzo ai margini per una larghezza totale di 750". Questo numero, che ho ricavato dall' ispezione fatta varie volte sui luoghi del disastro, mi viene confermato an- che dalle misure dell'ing. sig. Ferro Vaccaro, incaricato da questo Municipio di rilevare una pianta topografica della zona devastata. Conducendo in questa una linea longitudinale mediana si vede nettamente che la metà meridionale è molto più danneggiata della settentrionale. Dividerò questa zona longitudinalmente in cinque parti, che si distingueranno coi nomi di zona media o centrale, zona laterale nord e zona laterale sud; zona limitante nord e zona limitante sud. Il lato nord lo si dirà anche sinistro, e destro quello di sud. Inoltre per ciascun punto preso in considerazione dividerò la linea longitudinale me- una velocità molto minore di 2500" al minuto, nel qual caso nessuno avreb- be potuto, nemmeno per un istante, farsi una tale illusione. Ho creduto necessario insistere su questo punto, perchè il massimo va- lore conosciuto della velocità traslatoria in simili fenomeni , siano essi tor- nado, trombe, turbini, per quanto è a me noto, non essendo stato trovato in nessun caso superiore ai 20°» al secondo, questo valore di 42"" costituirebbe per la scienza im'eccezione molto singolare ed interessante, e forse anco di dif- ficile interpetrazione, se fosse esatto. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. Ili diana in due segmenti, dei quali cliiamerò l'uno asse ovest 0 poster/ore e 1' altro asse est od anteriore. Scelgo ora alcuni fatti più salienti , in massima parte da me osservati , per dare un' idea del potere dinamico della meteora. Molte furono le case abbattute, delle quali alcune assai solidamente costrutte; moltissime più o meno danneggiate; ventisette le persone uccise suU' istante ; più di cinquecento i feriti. I danni materiali accertati ascendono ad un valore di circa un milione e duecento mila lire. A Cibali è stata completamente distrutta una casa , della quale le mura, rovesciate sulla strada in massi com- patti di parecchi metri cubi di volume, aveano uno spes- sore anche maggiore di un metro. In alcune case a due piani il superiore fu asportato completamente. Tutti gli alberi di arancio o limone, dei quali alcuni robustissimi, che si trovavano nella zona media, furono, non solo svelti dal suolo, ma fatti a pezzi, e direi quasi maciullati; parec- chi di essi furono trovati molto lungi dal posto nel quale prima vegetavano ; gli alberi di ulivo anziché svelti, furono per lo più rotti, restando di essi un troncone, di 2" circa d' altezza, attaccato al suolo. Fuori del porto d' Ulisse al- l' Ognina, nei giorni successivi a quello del disastro, furono pescati dei grossi alberi, ivi trasportati dal tornado. Ho visto anche qualche albero d'ulivo svelto il quale portava attaccata alle sue radici una massa compatta di terra e di pietre superiore al metro cubo, per quanto ad occhio ho potuto stimarla. Un blocco di lava trasportato dal vento ha forato , come farebbe una grossa palla di cannone , un portone di castagno di una casa a Cibali. In altra casa al Borgo una simile pietra lavica, del peso circa di otto chilogrammi, ha rotto una finestra posta a 10" dal livello stradale, e rim- 112 SUL TORNADO DI CATANIA petto alla quale si trovavano delle case più basse, separate da essa mediante la larga strada Etnea. In alcune mura restate in piedi ho visto infìsse delle pietre per uno o due centimetri, essendo inoltre tutta la superficie ricoperta di buchi piii o meno vicini e più o meno grandi, della profondità di un mezzo centimetro circa, e del diametro medio di tre centimetri. Queste mura ri- cordano quelle delle case esposte per qualche tempo ad un fuoco ben nudrito di moschetteria. Molti cancelli di ferro ebbero delle sbarre, con una sezione di tre e perfino di quattro centimetri quadrati , piegati dall'urto delle pietre o di altri materiali trasportati dalla bufera. In qualche giardino, interposto fra Cibali e Borgo, è stata asportata anche la terra vegetale, e lasciata scoper- ta la dura lava sottostante. Da una casa al pianterreno, posta sulla zona laterale sud nella via Etnea, al Borgo, fu strappata una pesante porta ricoperta di lamiera di ferro, e lanciata sul terrazzo di una casa, al quale arrecò anche dei danni ; essendo sta- ta trasportata per 50™ orizzontalmente e per 5" vertical- mente. In molte case vennero in parte o in tutto svelti e sol- levati, non solo i mattonati, ma ben anco le grosse lastre di marmo, che servivano da soglie. Gli usci interni chiusi solidamente o vennero spalancati, o strappati insieme agli stipiti e ad una parte del muro e trasportati a parecchi metri di distanza nell'interno delle case stesse. Questi effetti, abbastanza caratteristici, sono sufHcientì a dare un'idea dell'intensità delle forze in azione. Esaminiamo ora il modo come tali forze agirono, ri- cavandolo sempre dagli effetti prodotti. I tetti delle case mostrano nettamente come su di essi abbiano agito delle forze verticali da dentro in fuori. In DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 113 quei che furono distrutti solo in parte (giacché nulla si può dire di quelli totalmente distrutti) si trova che men- tre in una parte di essi i tegoli sono completamente capo- volti, 0 anche portati via, nella parte restante non sono quasi affatto smossi. Questi tegoli sono molto spesso but- tati su quelli laterali, rimasti intatti sul posto. In molte case poste sul limite delle zone laterali ho visto dei tetti con una buca, lasciata aperta dalla mancanza di sette od otto tegoli , che erano rovesciati sui laterali ; in qualche tetto questi pochi tegoli si trovavano sollevati e formanti una specie di comignolo al di sopra del posto medesimo in cui prima giacevano. Bastava un semplice sguardo a tutti questi danni dei tetti perchè nascesse l'idea che fossero stati prodotti da un'esplosione, avvenuta dall'interno verso l'esterno della casa, nella quale la tensione gassosa si fosse aperto uno sfogo attraverso i tetti. In un elegante salotto lungo 9"" d' una casa molto dan- neggiata nella contrada Borgo avvenne il seguente fatto: La volta di canne e gesso che lo copriva, spessa dai cinque ai sei centimetri, fu spaccata in due , ed una metà subì una rotazione da sotto in sopra di circa quindici o venti gradi intorno alla corrispondente linea d'imposta, arrestandosi in tal movimento solo quando incontrò le ro- buste travi del tetto scoperchiato. Un pezzo di stoffa, che prima trovavasi in una stanza attigua , dopo il disastro pendeva attaccato sul margine della frattura della volta. Un fatto quasi identico a questo, la rottura cioè con sollevamento della volta di una stanza, è accaduto in una casa di Cibali. Tanto l'una che l'altra stanza, nel momento del passaggio del tornado erano completamente chiuse, per come mi è stato assicurato ; le porte furono svelte e ab- battute verso l'interno. Di un armadio, pieno completamente di bottiglie e sottili 114 SUL TORNADO DI CATANIA. bicchieri, 11 quale trovavasi in una di queste due case, gli sportelli saltarono in frantumi, restandone solo alcuni pez- zetti attaccati con le cerniere al mobile, mentre i fragili oggetti, che trovavansi dentro l'armadio, non solo non fu- rono rotti, ma neanco smossi, almeno in modo apprezzabi- le; il solo effetto ch'ebbero a subire fu l'insudiciamento con polvere bagnata. (1) In altra casa rurale ho visto un manipolo di fleno in- castrato fra una trave ed il soprastante coperto di canne e tegoli , dalla medesima sostenuto. Quel fieno non erasi trovato prima del disastro in quel posto, come mi ha assi- curato poi il padrone della casa; e per spiegare come ab- bia potuto penetrarvi bisogna ammettere che il coperto siasi sollevato dalla trave, ed in seguito tornato ad appog- giarvisi per la propria elasticità e peso, cessata la causa che lo avea sollevato , acchiappando, per così dire, il ma- nipolo di fieno. In parecchie case, poste sul margine esterno della zona laterale, ciuelle stanze che al di sotto del coperto aveano una volta, se questa non si ruppe, ebbero nel tegolato mi- nori danni di quelle altre che o non aveano volta sotto al tetto, 0 nelle quali questa cedette alle forze agenti. Una carrozza tutta chiusa e ben solida, sorpresa dal- l'uragano lungo la via Etnea, ebbe strappato il robusto coperto, ed in seguito venne abbattuta. Non è però vero , come venne asserito in alcune narrazioni del disastro, che il cocchiere di essa sia stato buttato dall' impeto della bu- fera dentro una casa attraverso la finestra , né che i ca- valli siano stati uccisi. Gli alberi svelti ed abbattuti lungo il percorso della (1) Ho verificato io stesso questo fatto, che a prima giunta può sembrare molto strano. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 115 meteora, anche all' occhio dell' osservatore più superficiale, presentano il seguente carattere costante : Quelli della zona laterale nord caddero con la più grande regolarità verso sud, e quelli della zona laterale sud verso nord; con questa differenza però che mentre quelli del lato nord si trovano in posizione quasi normale all' as- se longitudinale, quelli del lato sinistro fanno con l'asse posteriore un angolo minore di 90°. In vicinanza della parte centrale quest' angolo va gradatamente diminuendo da entrambi i lati, fino a ridursi nullo al limite di questa zona, dove le piante sono talmente frantumate, capovolte ed intrecciate, che è spesso difficile trovare una direzione predominante, nella quale siano stati abbattuti, quantunque pare che nell'insieme predomini la direzione stessa dell'asse. In qualche albero di arancio o di limone ho potuto os- servare anche un po' di torsione del tronco su se stesso (1). 11 piano verticale passante pei due posti nei quali tro- vavasi rispettivamente prima e dopo l' uragano la grave porta ferrata, della quale sopra si è detto che fu traspor- tata per 50" circa nel senso orizzontale e per 5" nel sen- so verticale, formava un angolo di circa settanta gradi con r asse longitudinale posteriore. In una casa al Borgo, posta sul confine destro della zona centrale, e nella quale le finestre di sud si aprirono facilmente, i materassi dai letti furono trasportati da una stanza in un' altra nel senso perpendicolare al cammino del tornado, ed andarono a barricare completamente le finestre del lato nord. (1) Si è da qualcuno attribuita questa torsione allo sformo vorticoso dei- Varia, ami si è affermato essere questo fatto una dimostrazione dell'esistenza d'un tale sforzo. Siccome gli alberi contorti, almeno quelli da me osservati, si trovavano fuori dell'asse longitudinale della zona centrale, la loro torsione non si può attribuire allo sforzo vorticoso dell' aria, ma ad azioni parallele, agenti nello stesso senso e distribuite inegualmente attorno all'asse di torsione. 116 SUL TORNADO DI CATANIA Nella contrada Carvana, in vicinanza del Borgo, di due stanze attigue, separate da un sottile muro di mattoni, fu portato via il coperto di canne e tegole dell' una ; il coperto dell' altra restò intatto, perchè vi sottostava una volta; fu però abbattuto in parte il sottile muro di sepa- razione delle due stanze, non essendosi potuto aprire la porta, che serviva a metterle in comunicazione. In una casa a due piani a Picanello, posta sulla zona laterale sud, il muro esposto ad est venne talmente deviato in fuori, rotando intorno alla sua base, da formarsi una spaccatura, larga in media una diecina di centimetri, al can- tone di sud-est prospetto sud , talché fu mestieri abbat- tere in seguito un tal muro. Col modo secondo cui gli alberi sono stati abbattuti, andrebbe d' accordo il seguente fatto, che si è ripetuto in tutte le case danneggiate: che cioè nelle case poste sulla zona laterale nord caddero di preferenza le mura che guar- davano a sud, nella zona laterale sud quelle che guarda- vano a nord — Tanto queste mura poi che quelle prospi- cienti ad est 0 ad ovest caddero, tranne rare eccezioni, muovendosi da dentro in fuori, quasiché un' esplosione fosse successa nell' interno delle case. In quanto poi ai muri isolati, vale a dire i muri di separazione di proprietà limitrofe, si osserva che mentre quelli allineati da est ad ovest seguono nel cadere l'istessa direzione seguita dalle mura delle case, quelli invece alli- neati da nord a sud caddero verso ovest se sottili e poco resistenti, e verso est se più resistenti. Questa direzione della caduta ho anche potuto osser- vare sugli alberi delle zone laterali e delle limitanti, nelle quali gli alberetti sottili e deboli, a differenza dei grandi, sono abbattuti qualche volta in una direzione che fa con l'asse longitudinale posteriore un angolo maggiore, e spesso anche molto , di 90". D'accordo con questi fatti ho anche DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884, 117 trovato che alcuni oggetti leggieri e di grande superfìcie , che poteano essere perciò facilmente smossi dal vento, fu- rono trasportati a preferenza da est verso ovest , vale a dire verso il posto, dal quale il tornado veniva. È vero che questo fatto ho potuto constatarlo in pochi casi; ma ciò probabilmente è avvenuto perchè, dopo questo primo movimento, gli oggetti facilmente trasportabili erano 0 sollevati in alto, o costretti a seguire il turbine e quindi a muoversi in senso inverso del primitivo cammino. Infatti il trasporto da est verso ovest ho potuto solo osservarlo in quegli oggetti, che dopo questo primo moto per un impedimento qualunque, non poterono più muoversi in alcuna direzione. P. e. una piccola cupoletta di zinco posta a Cibali sulla zona laterale sud, strappata facilmente dal sito nel quale trovavasi attaccata, fu portata da est verso ovest per una cinquantina di metri: caduta poi entro una grande vasca d' acqua vi restò, non potendo più tor- nare indietro. Uno studente di medicina di questa Università trovan- dosi nella via Etnea con una bambina di tre anni in braccio, e vedendo avvicinare 1' uragano fuggì verso Catania, cioè verso sud. Arrivato innanzi al portone della casa Patamia, che è posta sulla linea mediana longitudinale della zona flagellata, tu gettato per terra da un vento furioso, ancora prima che la colonna del tornado l'avesse raggiunto, e si trovò, restando seduto, con la faccia rivolta ad ovest. In tale positura fu costretto a strisciare sul suolo nella dire- zione da est ad ovest, attraverso all' androne della casa in parola. Egli stesso narravami di aver provato in quel mo- mento r impressione come se quattro o cinque uomini, appoggiati alle sue spalle, lo spingessero nella direzione verso la quale si mosse. Arrivato in mezzo al cortile, posto ad ovest della casa, un colpo, che gli sembrò di pietra, alla testa lo fece svenire; ricuperati i sensi si trovò ancora pa- Axn Aco. voL. xvm. 16 118 SUL TORNADO DI CATANIA recchi metri più verso ovest del posto in cui era stato colpito, e con ferite in parecchi punti del corpo. La bam- bina, che portava in braccia, giaceva a pochi metri di di- stanza anche essa svenuta e cianotica , e trascorse circa una ora pria che la si potesse far rinvenire. Essa avea una sola contusione ad una gamba, alla quale contusione non avrebbe potuto attribuirsi lo stato di svenimento, in cui fu trovata. Narravami questo studente di aver sentito l'impressione di un forte soffocamento per mancanza di aria. Questa impressione del soffocamento è stata pro- vata da altre persone, che si trovavano sul posto investito dall' uragano durante il suo passaggio, e le quali ho potuto interrogare sul proposito. Le mura, gli alberi, le persone incontrate dalla bufera sul suo cammino furono tutte coperte di fanghiglia. Però in quanto alle case poste sulle zone laterali, mentre que- sto fango risparmiò in gran parte le pareti esposte ad est e ad ovest, ricoprì invece abbondantemente quelle esposte a sud nelle case della zona destra, e quelle di nord nelle case della zona sinistra. Questa fanghiglia asciugandosi formava sugli oggetti una patina fortemente appiccicata, la quale da taluno è stata creduta (come si è affermato in qualche relazione pubblicata del fenomeno) un affumica- mento prodotto dall' elettricità , che faceva entrare le mura delle case in combustione ; come anche un affumi- camento prodotto dall'elettricità è stata creduta la polvere più 0 meno umida, che copriva il volto di molte persone, estratte fuori dalle macerie. Molti altri effetti del tornado, forse non meno caratte- ristici di quelli teste enumerati, potrei ancora citare. A me sembra però che questi siano bastevoli, per risalire da essi alle forze che li produssero. Pria di far ciò sarà intanto utile il ricordare i caratteri più salienti di alcuni tornado in altri posti avvenuti, per vedere come quello in discorso, DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 119 sia a questi interamente simile. Potrei fare una lunga sta- tistica di tali disastrose meteore, ricorrendo a quelle diggià fatte da altri; però mi sembra sufficiente il citare alcuni pochi casi, i più caratteristici, tratti da una interessante tabella di tornado messa insieme dal Reye; non trovandosi negli altri casi che la ripetizione di fatti quasi identici (1), (1) Th. Rete — Die Wirbelstùrme, Tornados und Wettersaùlen. ediz. 1880 pag. 56, 57, 58, 59. 120 SUL TORNADO DI CATANIA E • fH -t^ ^^ ID Sbj te ■ a . o ■S % s !•"' o g ^ o S S) o CD OJ (lì a ^ ^ >^ T3 io m Mg S « N o s S '3 "ce £ M 2 ÒJD ce 5 o "-2 OJ (D O ■TS co Ci ai .S Si .FH O a t; 82 H.9 . o .2 S^ O fl OJ >. OJ o ce ^ '*'''? 'c3 SOh CD -S o •'^ .2 .« <1^ ^ := g 2 m S c8 "co >" '!-- w g /-s o o CU 2S *H tó^ a> 0-= g > <=.« s cS s.'i.:: ce 0 teS-S "^B ■S^2^ CD ^ Moto 1 l'enti so affi a 0 ■" a a a O) .F-. So O co .S 9 ctf -o o j= ti OD . OJ d) m a s a « a £ -E H ■e = >• bc e §'5) co -T- Ph ^ !='— ' o <^ ft^ tu «1 O t> rt O S *- Pi ^ «-^ ^ «* aj CTI P O) M o p^o a a o ca +^ cu o ^ o _ o ; OS ■ 53.3 * è ro 03^ CD •Sta .2 2 "-3 a g a § ì_ (U "-■ a- P< o O H ■.S '^ O rt °^ j2 ^^ O cì^ o. a KOS-' o '♦-i " K, '^ a S '- s a = c3 2 !> a ce — ' ■3 S o 5 -a ^ ^ t« a — ? E s» 0: '•-«■S >3 =« 2^ ce Q^ cn ce ce ^ S— p •pS 'C ce tsj a cu o '^ •S aj «1 a ce'S o -^ " S ° a a fci' c< o " a su 2 a " .g '^^ =5.5 (M -s . ^^ -*e co a __.^ i2 cQ a tì'_ CD cn 5 " I ee ^ ^ ce =" S oj ce ars ce a^ 2 =«6 ce -*^ o ?3 w J_, W- ■19 1. o o 00 o o o ce co -e ::: o o CD O o 00 o o 1— ( 0 c3 ce 8 0 co o o o o •S* -a co ;-- «'e e I cu pti. S ■^ « DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 121 A me pare che ì dati raccolti in questa tabella mo- strino In modo abbastanza netto la rassomiglianza completa del turbine di Catania coi tornado avvenuti in altri posti, onde non credo necessario insistervi sopra piìi oltre. Pas- serò piuttosto all'esame della causa, che più probabilmente avrà potuto produrre i vari effetti sopra enumerati. L' aver visto come questa bufera fosse accompagnata da un grande sviluppo d' elettricità, ha indotto molti a cre- dere che l'elettricità fosse la causa, più che principale, unica dei gravi danni prodotti dal tornado; e ciò forse perchè, secondo alcuni antichi trattati francesi di fisica e meteorologia, quasi tutti i fenomeni meteorologici sarebbero delle semplici manifestazioni di forze elettriche ; le quali, anche oggidì, per molti dilettanti di scienze fìsiche servono a spiegare tutti i fenomeni di difficile interpetrazione , co- me per i dilettanti di medicina tutta la parte incognita della patologia va buttata sulle spalle del sistema nervoso. In verità non vale la pena di spendere molte parole per dimostrare ancora una volta quel che già da parecchio tempo è stato dimostrato, vale a dire che quasi nessuno , 0 pochissimi degli effetti che si producono in simili casi, potrebbero spiegarsi come dovuti all'elettricità, mentre in- vece dovrebbero verificarsi degli altri effetti, che mancano del tutto. La teoria elettrica delle trombe e dei tornado se era discutibile ai tempi del Peltier, non la si può oggidì più accettare; quantunque si sappia essere tali meteore quasi sempre accompagnate da molte scariche elettriche, le quali però in generale , com' è avvenuto anche nel caso in pa- rola, non sono molto intense. Ed in vero per le condizioni in cui il disturbo atmosferico si produce, vale a dire per la presenza di molti oggetti bagnati sospesi in aria, e più 0 meno buoni conduttori dell'elettricità, la differenza di potenziale elettrico tra la terra e quel che è sospeso al di 122 SUL TORNADO DI CATANIA sopra. di essa, differenza necessaria afflncliè avvengano le forti scariche, o le pretese forti attrazioni, capaci di pro- durre le grandi devastazioni, non può assumere un grande valore. É per tale ragione che in questo, come in altri torna- do, non si è avuta che qualche rara scarica molto rumo- rosa, mentre, secondo molti testimoni oculari degni di fe- de hanno assicurato , aveansi delle continuate scariche , non solo non rumorose , ma anche probabilmente poco luminose, come sopra s' è visto. In vero è risaputo che in tutti gli sconvolgimenti atmo- sferici si manifesta più o meno la presenza di molta elet- tricità, però già sin dai tempi di Oersted la si ritiene come un semplice effetto del condensamento del vapore acqueo, e dell' attrito delle correnti aeree umide con la terra; quin- di come un prodotto e non come la causa degli uragani. Forse saranvi stati nel caso in discorso dei singoli punti effettivamente danneggiati da qualche scarica elettrica a for- te tensione, ma tali punti saranno stati al certo assai rari. Infatti non ostante fossero da me ricercati con ogni cura, chiedendone con insistenza a diversi proprietari di luoghi posti sulla traccia del tornado, nessuno di tali effetti ho io potuto osservare, non ostante che molte per- sone fossero interessate a farmene vedere, e mi volessero da pertutto fare osservare delle ustioni e dei carbonizza- menti dovuti all' elettricità; effetti di scariche elettriche , ustioni e carbonizzamenti che scomparivano dopo una mia scrupolosa inchiesta ed un' accurata osservazione. Aggiungerò solo che se 1' elettricità fosse stata , non dico l'unica, ma la principale causa delle gravi distruzioni avvenute, non si potrebbe spiegare come non sianvi state molte persone colte da paralisi, come i fili sottili del tele- grafo siano stati semplicemente abbattuti e non fusi, come In una polveriera a Picanello, completamente distrutta, non DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 123 Sia successa alcuna esplosione, e come sia potuto avvenire il seguente fatto da me osservato: Nella parte restata in piedi del muro di una casa, del quale 1' altra metà fu ab- battuta dal tornado, trovavasi attaccato un sottile tubo di piombo ed un tubo di latta composto di pezzi uniti insieme per mezzo di saldatura facilmente fusibile. Tanto l'uno che l'altro scendevano fmo al livello del suolo coperto di terra vegetale, ma né l'uno né l' altro mostravano in nessun punto qualche traccia di recente fusione. Un' altra teoria , anche da alcuno messa avanti per ispiegare i poderosi effetti prodotti dal tornado di Catania, è quella del Faye (1). Tale teoria fu formulata in origine dall' astronomo francese per interpretare alcuni dei fenomeni che si pre- sentano sulla superfìcie del sole, e specialmente le macchie. Egli appoggiandosi da un canto a talune esperienze , fatte sui liquidi, nei quali si producono artificialmente dei vor- tici, ed i risultati delle quali ammette per analogia che si verifichino nei gas; e dall'altro ad alcuni principi non di- mostrati e forse inesatti di dinamica dei fluidi, assume che vasti movimenti rotatori vengano generati nelle alte regioni dell'atmosfera, in conseguenza dell'ineguaglianza di velo- cità dei filetti paralleli, che ivi costituiscono le correnti aeree (controalisei). Nel nostro emisfero questi movimenti girerebbero invariabilmente, come si dice, contro il sole, o in senso inverso a quello degli indici di un orologio, e si propagherebbero in giù, restringendosi, secondo le spire di un' elica leggermente conica, con velocità crescente col de- crescere delle dimensioni di queste spire, fino a che rag- giungono il suolo sotto forma di trombe, di tornado o di ci- cloni, meteore di una stessa natura, le quali non differiscono che per le loro dimensioni e l'estensione del loro percorso. (1) Vedi l'Annuaire publié par le Bureau des Longitudes pour Fan. 1875, 1877, 1883 e i Comptes rendus degli anni 1873 e seguenti. 124 SUL TORNADO DI CATANIA Arrivate alla superfìcie della terra consumano sugli ostacoli, che ivi incontrano, la forza viva in alto accumulata, muoven- dosi in avanti con la velocità media di un treno espresso, come egli dice, e seguendo nel loro cammino le correnti su- periori, dalle quali sono state prodotte ed hanno ricevuto r energia che li alimenta. Per effetto di questa rotazione e della discesa delle spire aeree, discesa che l'autore ammette, fondandosi sopra un principio di meccanica dei fluidi forse inesatto, un'aspi- razione da su in giù viene a prodursi nell'aria delle alte regioni, che è costretta così a scendere in basso. La pres- sione di quest'aria discendente va crescendo per il fatto stesso della discesa, e quindi, come si sa, se ne va aumen- tando la temperatura di T centigrado, per ogni 100" di di- scesa, se essa è priva dì goccioline d'acqua. Se questa aria però è carica di goccioline d' acqua il calorico prodottosi per la compressione sparisce, essendo impiegato ad evapo- rarle. Che se l'aria poi scende dalla regione dei cirri, trasportando con se le particelle aquee ghiacciate e molto fredde, resta anche essa fredda, e condensa perciò l'umidità degli strati inferiori dell'aria, che incontra ed attraversa nella sua discesa, producendo i grandi rovesci di piòggia, che sogliono accompagnare tutte queste meteore. Per Faye dunque in tutte le tempeste vorticose v'ha sempre un afflusso d' aria discendente dalle alte regioni, animata da un rapidissimo movimento rotatorio ; ed è alla velocità di questo solo movimento che sono dovute le grandi devastazioni. Arrivata l'aria discendente, animata da questa gran- dissima velocità rotatoria, alla superficie del suolo si ri- flette, per così dire, risalendo in alto, e descrivendo delle eliche coniche ascendenti, cioè formando una specie d'in- volucro esterno sull'interno. E siccome in quello gli oggetti, trascinati dall'aria che rimonta, montano anche essi, così DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 125 a chi guarda il fenomeno dall' esterno sembra che esso sia costituito esclusivamente da una colonna ascendente , non potendosi vedere, per 1' opacità prodotta dalla precipitazione del vapore aqueo, quel che avvenga nell'interno. Per il Faye non esiste dunque nella parte centrale delle meteore In discorso aspirazione alcuna verso 1' alto, 0 corrente ascendente centrale d' aria , come pure man- cano assolutamente le correnti centripete alla superficie del suolo; le quali cose ei ripete nettamente in tutte le mol- teplici pubblicazioni da lui fatte sul proposito. E se i tetti delle case sono projettati in alto, ciò avviene solo perchè r aria roteante, spinta con grande velocità dentro di esse, attraverso le aperture, vi si comprime, e solleva i tetti, i pavimenti ed in parte anche la casa stessa. Questa teoria, sostenuta con molta perseveranza, vi- vacità ed ingegno dal suo autore , è stata assai discussa , dibattuta e poco accettata, sopratutto fuori di Francia, dai meteorologisti più chiari, fra i quali il Mohn, e nei reso- conti stessi dell'Accademia di Scienze di Francia dell'ultimo decennio si trovano moltissime comunicazioni , tanto del Faye che dei suoi contraddittori, tra i quali il Peslin , il Reye, 1' Hildebrandson, il Colladon relative a questa con- troversia. Senza discutere qui una tale teoria in generale , mi limito solo ad osservare come quasi tutti i fatti avvenuti nel tornado di Catania e precedentemente descritti , non solo non trovino in essa un' interpetrazione , ma la con- traddicano invece in alcuni de' suoi tratti fondamentali. Se noi diamo infatti uno sguardo a tutti gli effetti del tornado, dei quali si è precedentemente detto, mi pare che risulti evidente da un canto l'azione di forze verticali di- rette verso r alto , e dall' altro quella di forze orizzontali. Queste ultime poi sarebbero nella zona centrale parallele ATTI ACC. VOL. XVm. 17 126 SUL TORNADO DI CATANIA alla sua linea mediana longitudinale, e nelle zone laterali e limitanti dirette da queste zone verso tale linea , in un senso che si avvicina tanto più a quello normale ad essa quanto più gli oggetti sottoposti all'azione delle forze si tro- vano da essa lontani; mentre, secondo la teoria testé espo- sta, dovrebbero incontrarsi invece nelle zone laterali e li- mitanti gii effetti di forze parallele all'asse longitudinale, e nella zona centrale gli effetti di forze ad esso normali; cioè in ciascun punto le forze avrebbero dovuto agire ali'incirca secondo la tangente al circolo, projezione orizzontale della spira più bassa. Inoltre se i tetti fossero saltati veramente per la compressione dell'aria, spinta con grande velocità attraverso le aperture dentro le case , e comprimentesi perchè arrestata bruscamente nel suo moto, non si capisce come in talune case siano stati strappati i tetti, e rimaste Intatte le sottostanti volte, come siano stati svelti i matto- nati al pianterreno, come gli armadi dentro le case siansi aperti da dentro in fuori, restando intatto il loro fragile contenuto e come siano avvenuti tutti gli altri effetti sopra descritti, e che è inutile enumerare una seconda volta. Per potere più facilmente venire alla spiegazione di questi effetti si faccia la seguente ipotesi: S'immagini un tubo verticale, del diametro di cencin- quanta o dugento metri, poco importa l'altezza, ma che per fissare le idee supporremo di due o trecento metri , tenuto con 1' estremità inferiore aperta a 10 o 12 metri dal suolo, e nel quale si aspiri l'aria dall'estremità supe- riore. È facile il comprendere che una corrente aerea ascen- dente, tanto più rapida quanto più grande è l'aspirazione superiore, nascerebbe in tale tubo, per effetto della quale, producendosi un vuoto parziale al di sotto, da tutti i punti circostanti 1' aria vi affluirebbe per colmarlo. Si avrebbero quindi in tal caso una serie di correnti aeree orizzontali, DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 127 convergenti verso l'asse del tubo, animate tutte da una velocità tanto maggiore quanto maggiore è il richiamo del- l'aria alla parte superiore dello stesso; e per ciascuna di queste correnti andrà la velocità crescendo coli' avvicinar- si all'asse. Si sa poi che ogni volta in cui si abbiano correnti fluide convergenti verso un centro comune, basta, o una piccola differenza nella velocità con la quale tali correnti affluiscono verso il centro, o qualunque altra causa che disturbi la simmetria delle correnti centripete, perchè il loro moto rettilineo si trasformi in rotatorio, o meglio in forma di spirale. Si supponga ora che il tubo ideale si muova in una data direzione. È facile il comprendere che in tal caso 1' effetto delle correnti orizzontali prodottesi sarà massimo nella direzio- ne in cui la velocità di traslazione del tubo si somma con la velocità di afflusso dell' aria; minima nella direzione op- posta e con valori intermedi nelle intermedie direzioni. Infatti le masse d'aria, che seguono il tubo restano sottoposte all' azione aspiratrice molto piìi a lungo di quel- le che vi affluiscono lateralmente, e queste più di quelle che corrono ad incontrarlo. Inoltre se la rotazione dell'aria fosse nel senso inver- so a quello degli indici di un orologio , cioè da ovest ad est passando per sud , ed il tubo si muovesse da ovest verso est, la velocità totale massima dovrebbe aversi alla parte destra e posteriore dove quella traslatoria si somma con r altra di rotazione, e la minima alla parte sinistra ed anteriore, dove le due velocità agiscono in senso opposto. Se si ammetta poi che tali correnti aeree siano tanto veloci da svellere gli alberi ed abbattere le case, gli uni e le altre dovrebbero, come facilmente si comprende, presen- tare effetti simili a quelli precedentemente descritti. 128 SUL TORNADO DI CATANIA La rarefazione infatti quasi istantanea dell' aria sovra- stante ai tetti può produrre tale differenza tra le pressio- ni di essa e di quella sottostante da conseguirne lo scoper- chiamento totale o parziale delle case, la rottura delle vol- te, lo svenimento dei mattonati. Inoltre esistendo fra le tegole, che ricoprono i tetti, meati più o meno grandi, attraverso ai quali può l'aria trovare facile passaggio, sarà difficile, se essa è in piccola quantità nella parte sottostante , che ad onta di tale ef- flusso continuo si arrivi a costituire la differenza di pres- sione necessaria a sollevare il tegolato, e quindi saranno meno danneggiati quei tetti che hanno al disotto una volta resistente, in conformità con quel che veramente è acca- duto pel tornado in esame. Dippiù se le devastazioni sono prodotte dall' aria in moto, che investe gli oggetti posti alla superficie del suolo, tanto maggiori esse saranno quan- to maggiore è la velocità di tale moto; perciò secondo le precedenti ipotesi sul lato destro dovrebbero le distruzio- ni essere maggiori che sul sinistro; e cosi infatti è avve- nuto nel turbine di Catania. Essendo poi la suddetta velo- cità dell'aria, che segue il tubo ipotetico, come si è visto, maggiore della velocità dell'aria, che corre ad incontrarlo, gli effetti prodotti -da quest' ultima saranno di minore in- tensità di quelli prodotti dalla prima. E veramente nella parte centrale della zona colpita dalla meteora furono gli oggetti 0 relativamente leggieri, o di gran superficie, o non fortemente attaccati al suolo quelli che si mossero da est verso ovest; mentre i corpi o molto pesanti, o fortemente attaccati al suolo, seguirono il cammino inverso, da ovest cioè verso est. Delle mura allineate da nord a sud caddero verso ovest le meno resistenti , e verso est invece le più robuste. La pesante porta di ferro che corse per 50" circa verso r asse della zona distrutta lungo una retta a questo quasi perpendicolare; il modo come caddero gli alberi e DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 129 le mure allineate da est ad ovest; il modo come il fango fu spruzzato sulle case e gli altri effetti, dei quali prece- dentemente si è discorso, sarebbero stati tutti egualmente prodotti, qualora si fossero realizzate le premesse ipotesi. Basterebbe dunque ammettere l'esistenza di una forte corrente aerea ascendente, con o senza il tubo ideale , la cui ipotesi ha solo servito alla più facile intelligenza del ragionamento , corrente clie si muova in una direzione qualunque, per potere molto semplicemente spiegare i fe- nomeni, dei quali sopra abbiamo parlato. Prima di esaminare però come ed in quali condizioni una tale corrente possa effettivamente prodursi, sarà bene cercar di determinare, se sia possibile, l'intensità, anche approssimata, delle forze che produssero le più gravi de- vastazioni. Se facile è 11 dire che tali forze abbiano dovuto essere molto intense , assai diffìcile invece riesce determinare il valore della loro intensità sopra un centimetro quadrato di superfìcie, o trovare per lo meno dei limiti, entro i quali tale intensità abbia potuto oscillare. Infatti come poter de- terminare quale sia la forza totale necessaria a svellere un grosso arancio od ulivo? Ed anche ammesso che si conosca questa forza totale, come ricavarne quella agente su ciascun centimetro quadrato ? Come fare una tale de- terminazione per le mura delle case abbattute, non essen- do queste mura isolate, ma connesse a quelle trasversali, e tenute insieme dalle travi del coperto e dei solai? Furo- no abbattute, è vero, mura isolate, separanti proprietà ru- rali, e per questo caso è facile calcolare il valore appros- simato della forza necessaria per produrre tale etTetto; pe- rò questo valore è assai più piccolo di quello dell' intensità delle forze, che produssero le più gravi distruzioni. Queste mura Isolate infatti, relativamente sottili, erano assai più cedevoli di quelle molto spesse, ed anche abbattute, di ta- 130 " SUL TORNADO DI CATANIA. lune case, nelle quali formavano, com' è chiaro, con le altre mura ad esse normali dei sistemi molto più resistenti delle semplici mura isolate. Io mi limito qui solo a dire che prendendo in consi- derazione taluni blocchi di mura rovesciate, i più grossi da me visti, e con i soliti metodi di computo, ricorrendo ad ipotesi più o meno giustificabili , si arriva alla conclu- sione che la forza, la quale ha causato tale effetto, ha dovuto avere un' intensità equivalente alla pressione di due to- nellate almeno per metro quadrato. Per un solo caso ho potuto determinare approssima- tivamente r intensità dell' aspirazione verticale. Uno degli effetti prodotti dal turbine in parola è stato lo svenimento completo o parziale dei mattonati di alcune stanze. Ciò è accaduto in molte case, dove essi erano ab- bastanza ben connessi (1). Ho voluto esaminare quale forza sia necessaria per pro- durre questo effetto sull'unità superficiale del pavimento di una mia stanza, nella quale i mattonati da me sottopo- sti a cimento, per dimensioni e qualità erano simili a quelli che, quasi da pertutto, coprivano i pavimenti delle case col- pite dalla bufera. Essendo in generale l'impasto e la natura dei cementi. (1) Relativamente a tale svenimento totale o parziale dei mattonati si è da taluno affermato eli' esso fosse solo dipendente dallo scuotimento delle case, e simile a quelle sconnessioni che nei forti terremoti avvengono nei pa- vimenti; quindi per nulla dipendente da una rarefazione dell'aria superiore. Io, come molte altre persone, ho potuto vedere in mezzo al mattonato intatto e per nulla sconnesso di qualche stanza molto danneggiata, al pianterreno, quattro od anche nove mattoni disposti in quadrato in un solo sito della stanza, sollevati a guisa di piccola volticella, con una freccia di quattro o cinque centi- metri almeno. I mattoni circostanti erano perfettamente attaccati al loro posto. Mi pare assai difficile potere interpetrare questo fatto come dovuto allo scuotimento della casa. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 131 che si adoperano in Catania per attaccare i mattonati al posto, quasi sempre lo stesso, si può ammettere che vera- mente almeno uno dei tanti mattoni divelti, abbia presen- tato una resistenza allo svenimento eguale, o quasi, a quella del pavimento da me preso in esame, talché questa deter- minazione darebbe un primo limite approssimato del va- lore delle forze in azione. L'esperienza è stata fatta attaccando con mastice spe- ciale su quattro mattoni una larga lastra di pietra , che alla sua volta era unita ad un uncino di ferro, sospeso al braccio più corto di una stadera. Facendo scorrere lenta- mente il romano sull' altro braccio riusciva molto facile il fare tale determinazione. È quasi superfluo il dire che della forza ottenuta in kilogrammi fu sottratto il peso dei mattoni divelti e di tutto ciò che li teneva attaccati alla stadera. Come media di tre esperienze ho trovato esser neces- saria a svellere i quattro mattoni 150 kg. e poiché la loro superficie era di 1156,''™^- si avrebbe una -forza media di ISOO'^'-'- per metro quadrato , corrispondente ad una diffe- renza di pressione sulle due faccio del mattonato eguale a 0,12 di atmosfera , o al peso di una colonna di mercurio di 95°"" ; ossia, presso a poco, alla diminuzione di pressione che si otterrebbe elevandosi dal livello del mare a circa 1200" di altezza. Per ammettere però che questa forza di aspirazione abbia avuto effettivamente un tal valore nella parte cen- trale del tornado di Catania, bisogna anche ammettere, gio- va il ripeterlo, che il mattonato , almeno in uno dei tanti posti nei quali è stato divelto, abbia presentato un'ade- sione col sottostante suolo eguale a quella del mattonato da me sottoposto a cimento (1). (1) Nella narrazione citata a pag. 109 dopo essersi detto in termini ge- nerali che la causa delle distruzioni sia stata una corrente d' aria fredda scen- 132 SUL TORNADO DI CATANIA Quanto poi alla velocità del moto rotatorio puossi con sufficiente approssimazione determinare quale ne sia stato dente dall'alto a condensare il vapore aqueo dell' atmosfera e la forza cen- trifuga generata dalla rotazione, si aggiunge: « Con questa doppia causa d'aspirazione si costituisce una batteria, che « gli studi di meteorologia calcolano sia capace di scagliare sopra ogni metro « quadrato di sui^erficie 120™*^ d'aria per secondo, con una pressione di un « quarto di fonellafa ». Con queste parole, se non ni' inganno, si sarà voluto dire quanto segue: In conseguenza dell' aspirazione prodotta dalla condensazione del vapore aqueo e della forza centrifuga, secondo i calcoli dei meteorologisti, vien comu- nicata all'aria una velocità di 120°^ al secondo , e per effetto di ciò essa è capace di esercitare una pressione di 250'^*>'- per metro quadrato di superficie. In verità gli studi di meteorologia non hanno finora condotto a questi risultati; ne, mi pare, potranno mai condurvi. Ed in vero l' intensità delle due sopra dette cause di aspirazione , le quali avrebbero prodotto il moto dell' aria, cioè la condensazione del vapore aqueo e la forza centrifuga dell' aria roteante, essendo molto variabili da un caso all' altro, anche molto diverse debbono essere le conseguenti velocità di questo moto, e quindi non può la meteorologia calcolarle ed assegnar loro il valore costante di 120". Inoltre anche ammettendo che si abbiano effettivamente dei dati di os- servazione dai quali potere dedurre che la velocità delle correnti aeree, in una qualunque di tali bufere sia stata di 120™ al secondo, evidentemente inesatto è il valore della pressione di 250'^®- per metro quadrato, valore che si è creduto equivalente negli effetti all'urto delle masse d'aria animate dalla suddetta ve- locità. Per calcolare tale pressione infatti si può ricorrere o alle comuni no- zioni meccaniche sull'urto dei fluidi, ovvero alle tabelle, in cui sono riuniti i valori (dati dall'osservazione) della velocità del vento e della relativa pressione da esso prodotta, agendo normalmente sull'unità superficiale, tabelle dalle quali risulta essere questa pressione proporzionale al quadrato di quella velocità. Coir uno 0 con 1' altro modo di computo si trovano per 120'" di velo- cità valori della conseguente pressione per metro quadrato superiori a 2000'^=-, vale a dire piìi che otto volte maggiori di un quarto di tonellata. Del resto la pressione di un quarto di tonellata per metro quadrato è troppo piccola (quella d'una colonna d'acqua di 25"=" d'altezza) per potere ad essa attribuire effetti anche assai meno rilevanti di quelli prodotti dalle trombe e dai tornado. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 133 il valore alla superficie del suolo ed a 100™ circa di distanza dall' asse della zona percorsa. Infatti poiché gli alberi sono ivi caduti quasi esattamente in direzione perpendicolare al cammino della meteora, ciò significa che la velocità di ro- tazione vi è stata eguale e contraria a quella di traslazione; cioè eguale , come si è precedentemente veduto, a 12'" al secondo. È assai probabile però che tale velocità del moto rotatorio sia stata molto maggiore ad una certa altezza dal suolo, giacche alla superficie della terra, per gli impe- dimenti che r aria incontra nel suo cammino, è molto più difficile la produzione del moto rotatorio. Ed ora fa mestieri esaminare quali abbiano dovuto es- sere le condizioni meteorologiche , affinchè la corrente di aria ascendente, dalla quale si è fatto dipendere il disastro di Catania, avesse potuto prodursi; e se tali condizioni siano state quelle predominanti nel giorno e nel posto del feno- meno in esame. Per far ciò si ponga mente anzi tutto che se un certo volume d' aria atmosferica venga trasportato in alto, senza che gli si comunichi del calore, per la diminuzione di pres- sione che ne deriva , si espande ed espandendosi , come è noto, se ne abbassa la temperatura. Un tale abbassamento di temperatura, conformemente alla legge di Poisson, la quale è una conseguenza del com- portamento sperimentale dei gas, sarebbe di T centigrado per ogni 101° circa di elevazione, per l'aria perfettamente secca; talché basterebbe farla ascendere poco più di 2000" al di sopra del livello del suolo , perchè essa subisse un abbassamento di temperatura di 20°. Or se per caso la tem- peratura dell' atmosfera andasse diminuendo da sotto in sopra dippiù che 1" per ogni 101°, una massa di quest'aria ATTI ACC. VOL. XVm. 18 134 SUL TORNADO DI CATANIA elevata a tale altezza, subendo in conseguenza un raffred- damento di 1" soltanto, si troverebbe circondata d' aria più fredda, perciò più densa, quindi sarebbe spinta a montare sempre più in alto. L' equilibrio dell' atmosfera, nelle presupposte condizio- ni di temperatura sarebbe perciò instabile, e tanto più in- stabile quanto più rapidamente questa andrebbe decrescen- do con r elevazione; talché disturbato in un punto da una causa qualunque quest'equilibrio, si formerebbero subito delle correnti ascendenti. Se poi quest' aria invece che secca, come finora 1' ab- biamo per semplicità supposta, fosse mescolata con vapore aquea, ancora più instabile sarebbe il suo equilibrio, e quin- di anche maggiormente facilitata la formazione delle cor- renti verso sopra. Ed infatti essendo il vapore aqueo molto meno denso dell'aria, e per lo più mescolato con essa in quantità de- crescente dal basso in alto, è facile comprendere che la sua presenza debba aiutare la formazione delle correnti aeree da sotto in sopra. Inoltre mentre in basso il vapore si man- tiene allo stato gassoso, montando insieme all'aria, per il raffreddamento che questa subisce nell' espandersi, si raf- fredda anche esso, finche arriva al punto di saturazione, o alla temperatura della così detta tensione massima. D' al- lora in poi per una successiva ascensione e conseguente raffreddamento esso comincia a liquefarsi, producendo con ciò una diminuzione notevole di volume . e quindi una nuova rarefazione dell'aria. Dfppiù per la condensazione del vapore si rende libera una notevole quantità di calore, detto calore latente di vaporazione, il quale impedisce il suc- cessivo ratTreddamento dell'aria ascendente, o impedisce almeno che esso avvenga nella misura voluta dalla legge di Poisson, e quindi crescendo per questa causa la differenza di temperatura tra questa aria e quella circostante, anche DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 135 maggiore sarà la spinta ascensionale che sovra essa agisce. Perchè dunque una corrente d' aria ascendente possa formarsi bisogna che la sua temperaiura vada diminuendo di più che un grado per ogni 101" di elevazione, se privo di vapore aqueo; e basta poi se umida per la stessa dif- ferenza di livello una differenza di temperatura tanto più piccola quanto maggiore è la quantità del vapore aqueo che essa contiene. Ossia tanto più facilmente potrà prodursi una corrente d'aria da sotto in sopra quanto maggiore è la quantità di vapore dell' atmosfera e quanto più rapidamente la sua temperatura va diminuendo coli' elevazione. In principio di questa comunicazione fu detto come nel giorno 7 ottobre l'aria di tutta la Sicilia, e dei dintorni di Catania specialmente, fosse molto umida , e come piut- tosto elevata ne fosse la temperatura. Dippiù una furiosa corrente di ovest ha percorsa tutta l'isola con una velocità media poco inferiore alla velocità di traslazione del torna- do. La temperatura di questa corrente occidentale inoltre è stata molto probabilmente inferiore a quella prima do- minante ; infatti il passaggio di tale corrente fu da per- tutto accompagnato da grandi rovesci di pioggia e da sen- sibile abbassamento di temperatura. Mi pare perciò che si ebbero in quel giorno le condi- zioni atmosferiche adatte per la formazione d' una corrente d'aria ascendente; la quale, se abbastanza energica, sarebbe stata sufliciente per produrre i fenomeni sopra descritti. Una di tali condizioni, cioè Tarla carica di vapore aqueo vicino al suo punto di saturazione, si trovava dapertutto nella zona percorsa poi dalla meteora; e la corrente d'aria fredda che determinava l'altra di queste due condizioni, cioè la differenza di temperatura tra gli strati inferori ed i sovrastanti, si muoveva in alto da ovest ad est; nei punti dove queste due condizioni s'incontravano dovea prodursi la corrente d' aria ascendente ; la quale perciò si sarebbe 136 SUL TORNADO DI CATANIA mossa con la stessa direzione e con una velocità quasi eguale a quella della sopranotata corrente di ovest. Questa velocità di traslazione dippiìi è stata forse anco accresciuta in vicinanza di Catania pel fatto che l'aria, per i leggieri venti di est , che soffiavano dal mattino del 7 , sarà stata probabilmente tanto più umida quanto più si sarà trovata verso il levante. Raffreddandosi infatti per 1' espansione avvenuta nel muoversi verso il centro d' aspirazione , dove era richia- mata, avrà lasciato condensare il vapore aqueo tanto più facilmente quanto più umida, e quindi più dalla parte di est che da quella di ovest. Ciò altro non significa che l'a- ria sarà affluita, per colmare la rarefazione formatasi , in minor quantità dalla parte di est che da quella di ovest. In tal caso, come è facile comprendere, il. centro di rare- fazione avrà dovuto spostarsi verso est, cioè verso la parte dalla quale l'aria affluita a colmarlo sarà arrivata in mi- nor quantità. Per trovare la causa generatrice della rotazione del tornado bisogna anzitutto ricordare che nei fluidi in moto verso un centro comune, una cagione qualunque, la quale disturbi la simmetria delle correnti centripete, produce un afflusso eccentrico, donde deriva un moto piegato un po' in forma di spirale, e che devia tanto più dalla direzione ra- diale quanto più si avvicina all'asse. Il fluido che succes- sivamente arriva, mentre da un canto tende a seguire que- ste prime spire, nella cui direzione incontra la minima re- sistenza, devia sempre più se perdura la causa produttrice di tale deviazione eccentrica, di talché la componente per- pendicolare alla direzione radiale, e quindi l'inclinazione del moto con tale direzione, andrà successivamente cre- scendo— La faciltà con la quale si formano vortici , dotati di una grande velocità angolare, nei liquidi che effluiscono da un foro , praticato nel fondo d' un vase, anche quando DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 187 non si possa trovare alcuna cagione apprezzabile per la formazione di tali moti rotatori , ci mostra come questi possano esser generati da una causa, che a prima giunta sembri inapprezzabile. Però nel caso delle meteore vorticose, siccome la loro rotazione nell' emisfero settentrionale avviene sempre nel medesimo senso, cioè da ovest verso est passando per sud, mentre in senso inverso avviene sempre nell'emisfero au- strale, bisogna che questa causa generatrice della rotazio- ne, quando anco piccola, sia però generale su tutti i posti della superficie terrestre , e non dipendente da accidenti locali. La causa costante di tale rotazione in un senso deter- minato, come per il primo l'ha mostrato il Belt, sarebbe dipendente dalla rivoluzione della terra; perché essendo la velocità, con la quale si muove l'aria nei diversi paralleli attorno all'asse terrestre, tanto minore quanto-maggiore è la rispettiva latitudine, si ha che 1' aria, la quale viene dal nord, e che era prima animata da una velocità da ovest ad est (rotazione intorno all'asse terrestre) minore della velocità nel medesimo senso, dalla quale è animata l'aria del posto in cui essa arriva, si troverà relativamente a questa in ri- tardo nel suo moto verso est, o che è lo stesso, come de- viata verso ovest. Inversamente l' aria che affluisce dal sud si troverà come deviata verso est. É questa la causa alla quale generalmente oggidì dai meteorologisti viene at- tribuita la costante rivoluzione di tutte le tempeste rota- torie in un dato senso, dipendente dall' emisfero in cui si producono; e ad essa può anche attribuirsi la rotazione del tornado di Catania, Questo moto rotatorio di un tornado contribuisce alla formazione delle correnti aeree centripete alla superficie della terra. Infatti se la componente della velocità perpendicolare alla direzione radiale è assai grande, crescendo essa col di- 138 SUL TORNADO DI CATANIA minuire della distanza dall'asse, una particella d'aria, prima di arrivarvi, dovrà percorrere, girandovi attorno anche pa- recchie volte, un cammino tanto piìi lungo quanto maggiore è quella componente, causa della rotazione. Le particelle d' aria invece, che strisciano alla super- fìcie del suolo, per gli ostacoli che ivi incontrano, non pos- sono arrivare a concepire tale moto rotatorio , almeno in modo energico. Seguendo quindi un percorso più breve verso l'asse di aspirazione vi arriveranno prima. È questa probabilmente la ragione per cui prodottasi la corrente ascendente e rarefatta d' aria, se sia animata da un rapido moto rotatorio, la sua rarefazione tende a col- marsi quasi esclusivamente dalla parte inferiore in vicinanza della superfìcie del suolo. Un' obbiezione potrebbe esser fatta a questa interpe- trazione del caso in esame. Secondo si ò detto in principio di questa comunicazio- ne, il fenomeno da noi descritto ha incominciato a manife- starsi colla discesa verso il suolo di un appendice delle nubi, dafì' aspetto di una grande e nera proboscide, la quale si ingrossava a misura che più discendeva, e che infine tra- sformavasi nella colonna devastatrice che molti hanno visto. Queste osservazioni potrebbero a prima giunta sem- brare in opposizione con la teoria sopra sviluppata della corrente d'aria ascendente. Bisogna ricordare però che men- tre queU' appendice oscuro s'abbassava dalle nubi, un ri- mescolio delle foglie e degli oggetti leggieri erasi simultanea- mente prodotto verticalmente al di sotto di esso sul suolo. Esisteva dunque un legame o una corrispondenza fra que- sto e le nubi soprastanti , legame probabilmente costituito dalla corrente d' aria ascendente , invisibile alla parte in- feriore. Infatti se questa corrente non fosse stata in principio, com' è probabile, tanto energica da potere trascinare in alto DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 139 la polvere e gli altri oggetti leggieri, se non molto vicino al punto di saturazione fosse stato il vapore aqueo in essa contenuto, è cliiaro che la corrente d'aria diretta in su sa- rebbe restata trasparente e quindi invisibile sino a quell'al- tezza, dove, per il ralTreddamento conseguente dall' espan- sione, il vapore aqueo ad essa frammisto avrebbe potuto condensarsi in una nebbia opaca. Trasportandosi però la corrente ascendente verso est, ossia verso regioni nelle quali l'aria era probabilmente, come sopra si è detto, più umida, la precipitazione del vapore aqueo dovea avvenire più in basso, e quindi 1' oscura appendice scendente dalle nubi (la quale altro non sarebbe clie la parte superiore ed opaca dell' intera colonna d'aria ascendente, in cui era av- venuta la condensazione del vapore) dovea venire crescendo dalla parte inferiore. Del resto avrebbe potuto anclie incominciare a formar- si in alto una corrente d' aria ascendente, nella quale però la comunicazione del moto, ossia l'incremento delle diiìien- sioni longitudinali fosse stato invece discendente. Ed in vero, come con una analisi minuta è stato di- mostrato , r influenza del vapore aqueo nella formazione delle correnti ascendenti è tanto maggiore quanto più ra- refatta è 1' aria mescolata con una costante quantità di detto vapore, ossia in alto, dove la pressione atmosferica è mi- nore, si possono più facilmente realizzare le condizioni ne- cessarie, perchè si producano le correnti d'aria dirette in su. Di talché può accadere che in una data regione, men- tre tali condizioni manchino al livello del suolo , esistano invece in alto. Che se poi il limite inferiore, tino al quale esse s' in- contrano , si venisse abbassando sempre più dalla parte verso cui la meteora procede , vedrebbesi scendere od al- lungarsi in giù la colonna turbinosa ed opaca, quantunque in essa il moto dell' aria fosse ascendente. 140 SUL TORNADO DI CATANIA Con analoghe considerazioni si possono anche facilmen- te spiegare le oscillazioni dell' estremità inferiore del tor- nado sul suolo , inalzandosi esso qualche volta anche per parecchi metri al di sopra della superficie di questo, pria di arrivare in contrada Santu Nuddu (^'edi pag. 103 Basta per far ciò ammettere, che le condizioni d'umidità e tem- peratura , delle quali si è testé discorso, si fossero realiz- zate in certi punti Ano al livello del sottostante suolo, ed in altri sino ad una certa distanza dallo stesso. E veramente tale irregolarità nella distribuzione della temperatura e del- l'umidità nell'aria avviene assai spesso, sopratutto di giorno, nell'atmosfera, a pochi metri dal suolo per l' influenza della natura molto varia da posto a posto della superficie terre- stre sottostante. Mercè l'ipotesi della corrente d'aria ascendente si può anche in modo semplice spiegare la formazione dell'abbon- dante quantità di grandine assai grossa, caduta sopratutto dopo il passaggio del tornado. Per r abbassamento di temperatura infatti, prodottosi per la dilatazione nell'aria ascendente, il vapore aqueo ad esso frammisto si sarà condensato dapprima in nebbia, poi in goccioline e finalmente in gocce più o meno grosse. Queste trasportate in seguito dalla corrente d'aria ancora più in su saranno arrivate a queir altezza, dove la tempera- tura essendo inferiore a zero, avranno potuto solidificarsi, trasformandosi in grani di grandine. Essi saranno stati tanto più grossi quanto più in alto trasportati, poiché cresce con quest' altezza il numero probabile delle gocce che incon- trandosi si saranno riunite insieme, e dei grani di grandine che urtandosi avranno potuto saldarsi in un solo. Tale spiegazione essendo generale per la produzione della grandine, ed essendone caduta più o meno abbondan- temente in quasi tutta la Sicilia nel giorno 7 ottobre al passare della fredda corrente superiore di ovest, si può DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 141 ammettere che la funesta meteora, la quale devastò i din- torni di Catania, abbia attraversato tutta 1' atmosfera so- vrastante alla Sicilia , fortunatamente però a tale altezza da non poter produrre alcun danno sul suolo sottostante ; forse perchè mancando su questo le condizioni necessarie alla sua produzione, non avrà potuto discendervi. Tali con- dizioni però esistendo pur troppo nei dintorni di Catania dalla parte di nord fino alla superficie del suolo , la base inferiore della corrente turbinosa si è abbassata tanto da strisciarvi sopra, e cagionare quelle devastazioni e quei danni che tanto deploriamo. Per conchiudere mi sembra che questo studio del tor- nado di Catania mi autorizzi ad affermare clie né la teo- ria elettrica del Peltier, né quella del Faye dei vortici ae- rei scendenti sulla terra dalla regione dei cirri, si adattino a spiegare la massima parte dei fenomeni più caratteristici, che accompagnarono questo tornado, e che possono invece in modo facile interpetrarsi con la teoria più antica delle correnti ascendenti. Questa teoria, difettosa dapprima per- chè incompleta, negli ultimi anni dietro un' attenta osser- vazione ed uno scrupoloso esame di queste meteore, con l'aiuto della termodinamica e specialmente della teoria meccanica dei gas, è stata rifatta e completata dal Peslin, dal Mohn e specialmente dal Reye. ATTI Acc. voL, xvm. 19 142 SUL TORNADO DI CATANIA NOTA AGGIUNTA Essendosi molto discusso in questa città, anclie in qualche pubblicazio- ne di carattere scientifico, sul nome il quafe compete alla meteora, die ha flagellato nel mese di ottobre ultimo i dintorni del lato nord di Catania , non sarà forse inutile aggiungere sul proposito qualche parola, se non altro per evitare confusione ed equivochi; sebbene una discussione di nomi abbia in generale assai piccolo interesse scientifico. Molti sono stati i nomi scelti per indicare la meteora in discorso; for- se perchè per la sua novità nelle nostre regioni riusciva difficile il caratte- rizzarla. Fra tali nomi piti generalmente adottati furono quelli di ciclone, di tromba e di tornado. Però la parola ciclone , introdotta nella scienza dal Piddington , benché indichi etimologicamente solo che nella tempesta siavi un moto rotatorio , pure per una specie di accordo fra i marini ed i meteorologisti , è oggidì adoperata solo per indicare i grandi uragani a tipo rotatorio degli oceani. Essi investono è vero talvolta i continenti, ma hanno dimensioni molto mag- giori di quello di Catania, potendo il loro diametro variare dai 50 ai 1500 chilometri, percorrendo un cammino di parecchie migliaia di chilometri , e seguendo certe leggi oggidì interamente determinate. Le trombe invece, attesa la piccolezza delle loro dimensioni rispetto ai cicloni, costituiscono l'altro estremo nella classificazione, che si fa di tali fenomeni, aventi tutti la stessa natura. In generale soglionsi chiamare trom- be quei turbini, il cui diametro sia sempre inferiore ad un centinajo di me- tri e che per lo più sono meno disastrose della meteora di Catania. Fra le trombe ed i cicloni poi, ma piìi vicine alle prime, stanno per le dimensioni i tornado, i quali sono per i loro caratteri interamente simili a quello di Catania (Vedi la tabella a pag. 20). Senza esaminare perchè impieghisi la parola tornado per distinguere dalle altre certe tempeste a tipo rotatorio, ora basta solo il notare che un tale nome spagnuolo fu dapprima adottato nei paesi, dove queste bufere av- vengono più spesso, vale a dire nell'America settentrionale; però i meteoro- logisti oggidì l'impiegano anche nel caso che tali meteore si manifestino in altre regioni; cosicché dai cultori di metereologia di tutti i paesi si par- la , non solo di tornado del nord America , ma anche di tornado di Sierra Leone in Africa, dell'Oceano indiano, della Sonda, delle coste della Norve- gia e così via. DEL GIORNO 7 OTTOBRE 1884. 143 Il sig. H. A. Hazen in un interessante articolo, Tornadocs, scrive : « H vero tornado, dice R. H. Scott, accade al di là della costa occi- « dentale africana, ed ò identico con gli uragani arcuati degli altri oceani. « Questa definizione limitativa di un tornado non è generalmente accettata « negli Stati Uniti, dove è applicata ad un' intensa esplosione apparentemen- « te locale, preceduta per lo più da una nube in forma d'imbuto, avente una « rapida rotazione, ed un moto piìi o meno lento nel senso verticale. Il no- ce me migliore per designarlo sarebbe certamente vortice (Whirlwind), ma la « parola tornado è così bene compresa, che non sarebbe al certo savio il « cambiarla. » Americ. Jour. of Scien. — Sept. 1884. Il tornado dunque è una tempesta aerea a tipo rotatorio, che per le sue dimensioni, come per la gravità degli effetti che produce, sta di mezzo alle trombe ed ai cicloni. Talché come noi abbiamo le varie parole casolare, casa, palazzo per indicare abitazioni di differente grandezza ed usi; ovvero le pa- role poggio, dosso, colle, monte per esprimere tutte le gibbosità della super- ficie terrestre, ma di varie dimensioni, così anche abbiamo le distinzioni di tromba, tornado', tornado-ciclone, tifone, ciclone per indicare fenomeni della stessa natura ma di proporzioni differenti. Ecco p. e cosa dice il Liais nel suo interessante libro « L' espace cele- ste et la nature tropicale » a pagina 396: « In ogni modo le trombe non sono da confondersi coi tornado, i ci- « cloni e gli altri uragani circolari. Mentre i primi non hanno che un rag- « gio di pochi metri, gli ultimi al contrario si estendono qualche volta so- « pra un cerchio, il cui diametro è superiore a mille miglia. » Ed il Viscovich nel suo Trattato nautico di meteorologia a pagina 120: « Qualcuna di queste meteore, che per le piccole proporzioni e per la « estrema violenza assomigliano ai tornado nei climi tropicali e specialmente « nella baja di Bengala distruggono quanto incontrano. Ed a pagina 119: « Secondo il Piddington esiste una serie ascendente dalle trombe sino « ai tornado, che hanno alcune centinaja di braccia di diametro e da questi « fino ai grandi cicloni dell'Atlantico e dell'Oceano indiano. » Ed il Reye nella seconda edizione del suo accurato e sagace studio so- pra citato sui vortici aerei a pagina 3 dice: « Risalendo dal piccolo al grande noi descriveremo dai3prima le comuni tt trombe di terra e di mare, quindi i tornado, cioè quelle colonne d'aria « di natura simile a quella degli uragani ed infine le tempeste a tipo ro- « tatorio dei grandi oceani della terra. » Ed a pagina 55 : 144 SUL TORNADO DI CATANIA « I tornado degli Stati Uniti d'America formano per le loro dimensio- « ni e per i loro terribili effetti il passaggio dalle trombe agli uragani. » Il Maurj' nella Physical geograpliy of Sea scrive : « L'altezza delle trombe è ordinariamente alquanto minore di 180'" ed « il loro diametro non maggiore di 6"" , quantunque vedansene talvolta del- « le più alte e più grosse. Ecco infine quel che dice il Mohn, uno dei più insigni meteorologisti d'oggidì, direttore dell'osservatorio di Cristiania a pagina 262 del suo trat- tato Grund2iige der Meteorologie. « Impetuosi movimenti d'aria, che in intensità non stanno indietro a- « gli uragani, ma che abbracciano uno spazio molto più limitato sono i co- « sì detti tornado, nome che indica il moto di una tempesta vorticosa. Essi « sono formati da una poderosa corrente d' aria ascendente , la quale conden- « sa in alto il suo vapore, che è perciò sempre rinnovata e muovesi sulla « terra. La sua sezione è più piccola di quella dei cicloni e sì estende da « poche miglia ad un migliajo di piedi. Nella maggior parte dei torna- « do il vento si muove in curve spirali nel medesimo senso del vento delle « grandi tempeste a vortici. Però in essi il movimento verso l'interno del « cilindro d'aria rarefatta è in generale molto più forte che nei cicloni, ed « in taluni casi talmente eccedente che è quasi impossibile percepire il mo- « to circolare. Al di sopra del tornado si libra generalmente la nube tem- « pestosa formata dal condensamento del vapore aqueo. Essa d' ordinario si « allarga sopra in forma d'imbuto donde partono baleni, tuoni, pioggia e tal- « volta anche grandine. I tornado si muovono alla superficie della terra. La « direzione di questo movimento è d'ordinario da SO a NE nell' America del « Nord , ove i tornado di terra producono spesso devastazioni simili alle di- « struzioni prodotte dagli uragani tropicali. Essi abbattono spesso alberi « grossi da uno a due braccia, strappano i tetti delle case, sollevano ogget- « ti jìesanti e li sbalestrano a grande distanza. » Ed a pagina 264. « Correnti ascendenti, con o senza movimento vorticoso, trovansi anche « nelle così dette trombe di vento, d'acqua, di sabbia che sono tornado dì « piccole dimensioni. Esse si formano tanto in mare che in terra e si appale- « sano come una colonna scura, spesso molto sottile, che scende dalle nuvole « come un vero imbuto e con la sua estremità inferiore inalza , quando stri- « scia sulla terra, la sabbia e gli altri oggetti leggieri , ai quali imprime <( un moto vorticoso.» ■fr/A^r-C-Mr. UELLA ZONA DANNEGGIATA DAL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1864 NEf DINTORNI DI CATANIA ,;^.\' • -i \--V' -;-'\* ^-\*N » \ -■> . llJ,//:.tnJmiie,n„M K'm ÌVoff 7«T.. V-V Lilogrjn* 7urna studi sugli Artropodi Intorno allo sviluppo delle api neW uovo Memoria del Br. Prof. B. GRASSI (Letta nella seduta ordinaria del 2 Marzo 1884). INTRODUZIOxNE. Questa Memoria è una contribuzione all' embriologia degli insetti. Ho preterito come oggetto di prima e fondamentale ricerca, le uova d'ape; le quali, per quanto io so, si pre- stano alle indagini, meglio di quelle di molti altri insetti, e ciò sopratutto percliè a fresco sono trasparentissime , e si possono conservare, tingere e sezionare sufficientemente bene, e senza gravissime difficoltà. Mi sono dunque giovato tanto delle osservazioni a fre- sco, quanto dei tagli in serie. Le osservazioni a fresco rie- scono utili non soltanto perchè 1' uovo possiede molta tra- sparenza, ma anche perchè, facendolo rotolare tra il por- toggetti ed il coproggetti, si può facilmente osservare da ogni lato senza guastarlo. Io lo osservava in acqua salata al 0, 75 7o ; e per non schiacciarlo, agli angoli del coprog- getti, metteva un po' d' unguento d' olio e cera. Le uova da sezionare venivano uccise con acqua scaldata a 70 gra- di C, ovvero coli' acido picrico; quindi le passava, colle re- gole solite, in alcool ; indi le coloriva col picrocarmino. Le sezionava in paraffina col microtomo, giovandomi delle pennellature di collodion ; questo metodo offre molti van- ATTI ACC. VOL. Z.VUI. 2Q 146 STUDI SUGLI ARTROPODI taggi , e il principale si è che il collodion impedisce che le cellule si smuovano dalla posizione in cui si trovavano, quando il pezzo veniva chiuso in paraffina. Fin qui tutto pare facile, in realtà però non mancaro- no le difficoltà. Così per es. il corio è molto sottile, sic- ché non si può staccare senza guastare l'uovo; d'altra parte però la sua sottigliezza non è neppur tanta da per- mettere la penetrazione dei reagenti (picrocarmino , cloro- formio etc); dopo molti tentativi mi persuasi ch'era ne- cessario di ferirlo in un punto, e ciò il più delle volte non si poteva fare senza ferire anche l'embrione. Per riparare a questo inconveniente, dovetti sezionare d'ogni singolo stadio vari individui che io procurava di rompere in differenti punti. In principio io temeva di non poter riuscire a trovar uova di tutti gli stadi , tanto più che presto m'avvidi che al Kowalevski ed al Bùtschli ne erano sfuggiti non pochi. Un po' per volta, a forza di pazienza e col sacrificio di pa- recchi alveari, ho però potuto superare quasi interamente anche questo ostacolo. Per ottenere i primissimi stadi mi giovai della collaborazione del tanto benemerito apicoltore Conte G. Barbò; colgo l'occasione per rendergliene vivissime grazie. Man mano che il mio lavoro progrediva, veniva sem- pre più a convincermi che io era stato fortunato nella scel- ta dell'oggetto di ricerca; e ciò specialmente per tre mo- tivi. Il primo è che la regina può ovificare tutto l'anno e le uova si schiudono, press' a poco, in tre giorni; il secon- do è che l'embrione non si curva nell'uovo, cioè dire è lungo appena come l'uovo; in terzo luogo l'uovo dell'ape, in confronto per es. con quello del baco da seta studiato recentemente da Tichomiroff, è molto più povero di tuorlo e di più non subisce , com' esso , una cosidetta segmenta^ zione secondaria. — Credo che quando il tuorlo si comporta INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 147 COSÌ come nel baco da seta, riesca molto malagevole di determinare 1' origine dei foglietti germinativi. Le uova lasciate nelle cellette, in cui le depose la ma- dre, possono conservarsi per qualche giorno, anche fuori dell' alveare, se l'ambiente non è troppo freddo. Lo svilup- po però s' avanza di poco, anzi per lo più sospendesi, e non di rado decorre anomalo; pare che sia cagione di questi fenomeni l' insufficienza d'umidità e di calore. Ricordo che la regina depone giornalmente moltissime uova e di regola ne mette uno per celletta (1). L'alveare a favo mobile permette di estrarre quante uova si desiderano, senza rovinare la colonia. D' inverno e di primavera precoce, cioè quando Tovifìcazione è scarsa, io credo che bisogna aver prudenza e variar spesso 1' al- veare, da cui si tolgono le uova, se no, la regina facilmente va perduta; suppongo che le api la credano infeconda e l'uccidano. Il mio studio si riferisce quasi esclusivamente alle uova d' ape operaia; quel poco che ho veduto nelle uova maschi- li mi persuade che il loro sviluppo è uguale a quello delle femminili; mi affretto però a notare che non ho osservato i primi momenti dello sviluppo delle uova maschili. L' uovo d'ape, com' è notorio, ha forma cilindrico-ovoi- dale con le estremità tondeggianti. L'estremità anteriore (cioè quella libera, quella alla quale piià tardi corrisponde il capo della larva) è pili larga e più rotondata e porta l'ap- (1) Non di vado si trovano 2-3 e persino 6 uova in una sola celletta ; talvolta sono staccati l'uno dall'altro, talvolta sono uniti l'uno coli' altro ai poli. Queste uova che si trovano in una medesima celletta, possono essere tutte in via di sviluppo, e allora sono forse sempre in uno stesso stadio. Più spesso uno solo è vivente; le altre sono, a così dire, succhiate e ridotte al cerio. Siccome non si trovano mai due larve in una sola celletta, così par- rebbe che le operaie riparassero all' errore fatto dalla regina, uccidendo le uova sopranumerarie prima che si schiudano. 148 STUDI SUGLI ARTROPODI parato micropilico; l'estremità posteriore (cioè quella ade- rente al fondo della celletta, quella che corrisponde più tardi all'estremità posteriore dell'embrione) è di spesso più appiattita e più sottile. In generale 1' uovo è alquanto ricurvo sul suo asse longitudinale fin dal primo momento in cui viene deposto; presenta così due facce, una convessa (futura superfìcie ventrate) e l'altra concava (futura m- perfìcie dorsale). Possiede, come dissi, un corio molto sottile; il corio è inoltre resistente, a poligoni in genere esagonali, nei quali non ho potuto mai veder nuclei. Bùtschli descrive una se conda memhranella vitellina delicata, che si troverebbe sotto al corio; io non ho potuto mai vederla. Note storiche generali.— L' unico lavoro completo e recente che possediamo sullo sviluppo degli insetti è quello del Tichomiroflf; ed è venuto a luce press' a poco contempo- raneamente alla mia nota preliminare; esso riguarda il baco da seta; perchè è in lingua russa, io non ho potuto usu- fruttarlo interamente come avrei desiderato. Come si vedrà nel progresso di questa Memoria, le mie conclusioni, in molti punti, sono molto divergenti da quelle del Tichomiroff; e ciò per lo più, a mio parere, non esprime una differenza di svi- luppo tra imenotteri e lepidotteri , sibbene dipende sopra- tutto da due ragioni: in primo luogo le osservazioni del sullodato autore sono di spesso incomplete; secondariamente r uovo del baco da seta per la condizione del tuorlo , che ho dianzi accennate, conduce facilmente a false interpetra- zioni. Io ho esaminate attentamente le figure del Tichomi- roff e nessuna è sfavorevole alle interpetrazioni eh' io darò pei singoli processi, onde formansi i foglietti e gli organi. Ciò posso ripetere anche per i brevi cenni e le poche figu- re date dagli Hertwig nella loro celebrata Coelom Theorie. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 140 Al lavoro di Weissmann benché molto accurato e pieno d' Ingegnose vedute, non si può concedere moltissimo va- lore, perchè è fatto senza il sussidio delle sezioni. Sonvi però due altri lavori che meritano special men- zione. Primo per epoca e per valore è quello del Kowa- levski; esso riguarda varie classi d'insetti, è molto esteso ed è fatto coli' aiuto di qualche sezione. Vien quindi una piccola memoria dell'Hatscheck sullo sviluppo dei lepidotteri; riguarda appena alcuni stadi, ed è a così dire, frammen- taria, contiene però molte esatte osservazioni, che non per- dono il loro valore , ancorché siano compagnate da auda- cissime e mal sode induzioni. Per gli altri lavori sugli insetti in genere, si consulti la bibliografìa che si troverà alla fine della presente me- moria. Per le api in modo speciale, devo accennare che ne tratta sommariamente il Kowalevski e che soltanto questo Insigne embriologico ha fatto qualche sezione d' uovo d'ape; il Bùtschli contemporaneamente al Kowalevski ha studiato l'argomento, ma essendosi limitato alle osservazioni a fresco e non avendo materiale sufficiente, ha lasciato molti punti affatto oscuri. Anche il Dohrn ha pubblicato qualche osser- vazione sull'uovo d'ape nella sua nota rlsguardante lo svi- luppo degli insetti. Di tutti questi lavori terrò calcolo, ma non li citerò che nei punti importanti, evitando così di empire lunghe pagine di notizie che hanno soltanto un valore personale. Chi desidera più minute notizie bibliografiche, consulti il già più volte citato lavoro russo del Tichomiroff. PARTE SPECIALE § 1. — Formazione del blastoderma. Neil' uovo deposto di recente , il corio è ovunque a contatto del tuorlo. Il primo cambiamento, che si può os- 150 STUDI SUGLI ARTROPODI servare a fresco sopra uova intere, accade al polo ante- riore; qui formasi una lacuna piena di liquido tra il tuorlo e il corio. Poco dopo, Io stesso fatto rlpetesi al polo poste- riore. In uno stadio, che è forse contemporaneo alla forma- zione delle or indicate lacune, non rilevo traccia alcuna della vescicola germinativa; gocciole, assai probabilmente adipose, di vario volume, press' a poco sferiche e nriolto trasparenti, formano la massa principale del tuorlo; rompendo il corio, esse si isolano; nelle sezioni non si trovano più ed al loro posto riscontransi delle lacune. Le gocciole sono cemen- tate assieme da una sostanza lievemente giallognola, molto rifrangente , che sui tagli presentasi granellosa e in for- ma di una rete , di solito nodosa nei punti in cui i fili s'incontrano per formar le maglie. Entrano infine a com- porre il tuorlo , già in questo primo stadio , certi corpic- cioli per lo più rotondeggianti e qualche volta di forma Irregolare ; son molto rifrangenti e compatti, e si trovan non di rado anche su sezioni. Nello stadio in discorso , press'a poco nei due terzi anteriori, la superficie del tuorlo offresi coperta da uno strato granelloso, il quale è spesso al polo anteriore, e s' assottiglia man mano che se ne di- scosta. In uno stadio eh' io credo susseguente a questo che fi- nisco di descrivere, trovo un solo cangiamento; verso la estremità anteriore dell'uovo, vedo poco distintamente due corpuscoli piuttosto piccoli; uno dei quali è figurato nella tav. X fig. S''. Segue, lo credo, uno stadio in cui questi due corpuscoli offronsi ingranditi ; egli è evidente che danno prolungamenti ramificantisi in vario senso; un corpuscolo è rappresentato dalla tav. X fig. 10'^; i prolungamenti dell'uno pajono senza rapporti con quelli dell'altro; ne l'uno ne l'altro offrono traccia sicura di nucleo; la sostanza che li com- pone non è differenziabile da quella granellosa superficiale INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 151 che ho sopra descritta e che si incontra ancora in questo stadio. In uno stadio ch'io credo successivo, trovo, invece di due , quattro corpuscoli simili ; due sono più piccoli e congiunti insieme coi loro prolungamenti ; in uno pare di vedere traccia di nucleo. Mi pare che gli stadi fin qui descritti siano susseguen- ti al processo della fecondazione e che però si rannodino direttamente allo stadio seguente. Il tuorlo conserva i caratteri sovraccennati ; press' a poco in vicinanza al centro dell'uovo, trovansi forse venti elementi simili a cellule semoventi con nucleo distintissimo; essi danno prolungamenti in vario senso, quasi fossero a- mibe; almeno una gran parte dei prolungamenti di un ele- mento sono uniti con quelli dell' altro. Questi elementi molto verosimilmente sono derivati dai corpuscoli senza un nucleo chiaro (almeno non era tale nei miei preparati) che ho descritti negli stadi precedenti, e che, per la loro forma, s' io non m' inganno, non possono essere interpretati come pronuclei maschili e femminili. Negli stadi susseguenti gli elementi nucleati vanno di- ventando sempre più numerosi (tav. IX, fig. T, S'^ e IP) e di spesso presentansi con due nuclei; presto se ne in- contrano molti verso la periferia dell'uovo (tav. IX, fìg. 5"). Tutti gli elementi in discorso sembrano congiunti l'uno al- l' altro, più 0 meno direttamente, per mezzo di sottili pro- lungamenti, più 0 meno ramifìcantisi ; e tra le maglie fatte da questi prolungamenti stanno le gocciole adipose ed an- che, siccome io credo, i corpiccioli splendenti compatti, di cui sopra feci cenno. Successivamente elementi poco dissimili da quelli in pa- rola ma non più congiunti insieme l' uno all'altro, vere cellule adunque, si trovano sparsi qua e là alla superfìcie del tuorlo, in modo da lasciare estesi spazi intercellulari. Ciò verificasi prima che altrove, all'estremità anteriore dell' uovo (tav. I, 152 STUDI SUGLI ARTROPODI flg. l"). Queste cellule segnano il primo principio della for- mazione del blastoderma. A poco a poco separansi dal tuorlo molte altre cellule che vengono appunto ad oc- cupare gli or or accennati spazi intercellulari; è così che infine sì forma alla superficie del tuorlo un semplice strato completo (tav. X flg. l''); questo strato si forma andando dall'estremità anteriore a quella posteriore; al terzo po- steriore non si vede cellula alcuna, anche quando ai due terzi anteriori lo strato è già quasi completo (tav, P flg. 2"). Le cellule conservano per un certo tempo contorni quasi amihoidi (tav. IX. flg. 6" e 7'). Nella veduta di fronte dap- prima appaiono ampie (tav. 1, flg. 13"), poscia impic- cioliscono (tav. I flg. 5^). Nello stadio della flg. 2" tav. I , il blastoderma ancor incompleto constava di cellule a contorni ondulati; nella metà anteriore di esso queste cellule erano piuttosto ampie (qui ed altrove quando parlo di ampie e piccole intendo nella veduta di fronte) con piccolissimi interstizi cellulari, e le mediane dorsali non avevano caratteri differenti (non ho però potuto rilevare se erano uni- o plurinucleate); nella metà posteriore dello stesso , le cellule mostravansi pili ampie, quasi senza spazi intercellulari, questi caratteri però non erano conservati nella porzione mediana dorsale; qui le cellule presentavano un'ampiezza ancor maggiore, erano plurinucleate (tav. 1 flg. 7") e tra di esse interponevansi spazi intercellulari piuttosto estesi. V'ha uno stadio successivo in cui le cellule blasto- dermiche sono più piccole e , a quanto pare , non sono tut- te ad un medesimo livello, ed in qulche punto sono quasi in due strati; allora i contorni delle cellule sono già quasi a lìnee rette. Sì direbbe che la migrazione degli elementi dal vitello nel blastoderma continuasse , nonostante che il blastoderma sia già sembrato e sembri ancora completo, almeno in molti punti. A questo stadio osservato a fresco, INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 153 s'io non nn'inganno, corrispondono le sezioni rappresentate dalla flg. 9" e 10' della tav. X; che esse esprimano una anomalia, non mi pare probabile, perchè io ho veduto ri- petutamente molte uova nello stadio in parola. Un periodo, in cui il blastoderma sia esteso a tutta la superfìcie del tuorlo o le sue cellule uguali, per guisa da non poter distinguere la sua faccia dorsale dalla sua faccia ventrale, non si verifica; forse però accade in ogni zona del tuorlo, ma in epoche differenti per le singole zone. Si verifica uno stadio in cui il blastoderma è completo, forma uno strato continuo semplice, e le cellule nel tratto mediano dorsale sono abbondanti , con piccoli spazi inter- cellulari; esse però si possono facilmente differenziare dalle cellule della restante porzione del blastoderma , perchè in confronto con queste sono più ampie (tav. 1 flg. 5* e 6' e tav. IX flg. 2' e 3") e qua e là, plurinucleate. È pur da notare che nello stadio in discorso queste cellule della restante porzione del blastoderma sono più piccole e più allungate di quelle degli stadi precedenti (tav. 1 flg. 5' e 13'). In uno stadio successivo le cellule del tratto mediano dorsale (tav. 1 flg. 3') conservano quasi i caratteri or detti (ofifronsi però forse un po' più piatte); il loro numero in- vece è diventato di gran lunga più piccolo, sicché appa- iono disseminate in guisa da lasciare 11 tuorlo scoperto in molti punti. Le cellule del restante blastoderma conservano i caratteri dello stadio precedente.. Indi a poco, le cellule ventrali, e poco prima dell'estre- mità anteriore anche quelle laterali, vanno forse diventando più piccole , mentre invece nell' estremità anteriore , come pure all' incirca nelle parti medie e posteriori delle regioni laterali e nelle regioni dorso - laterali , le cellule diven- tano certamente più ampie. Mi resta di aggiungere che le cellule mediane dorsali diventano rarissime flno ad esser- ATTi Acc. VOL. xvra. 21 154 STUDI SUGLI ARTROPODI vene appena qualcuna di numero, e che non ho ben notato come si comportino quelle dell' estremità posteriore. Risulta dal fin qui detto che nelle singole zone d' un uovo dapprima è esistito uno strato continuo, o quasi di cellule; e che poi questo strato si è quasi interrotto pres- s' a poco al terzo mediano dorsale; sicché il tuorlo vien messo a nudo (tav. I fig. 19"). Ciò è avvenuto per un gra- duale diradarsi delle cellule della regione in discorso. Io non ho potuto ben spiegarmi come accada questa rare- fazione : mi parve che una parte delle cellule mediane dorsali andassero distrutte; io supposi uno spostamento di cellule mediane verso i lati ed un relativo impicciolirsi delle altre cellule blastodermiche, ma non ho potuto veri- ficare la mia supposizione. Quando in uno stadio ulteriore, una parte delle cellule del blastoderma diventano più ampie e 1' altra più piccole, lo spazio lasciato dalle une viene occupato dalle altre. Lo impiccolirsi delle cellule si riferisce sempre, mi si perdoni la ripetizione, al loro modo di presentarsi nella veduta di fronte; sulle sezioni trasversali notasi sempre un corrispon- dente allungarsi. Mi resta a dire come si modifica il tuorlo, intanto che si forma il blastoderma e dopo che esso si è integrato. Man mano che si forma il blastoderma, gli elementi del tuorlo press' a poco conservano i loro caratteri; forse però il loro numero s' assotiglia. Ciò accade evidentemen- te, anzi si può dire senz'altro che questi elementi sono molto scarsi, quando il blastoderma è completo, o quasi. Nel frattempo il tuorlo vero muta ben poco, se si ec- cettua la zona periferica finamente granellosa; questa si modifica in vario modo; ad un certo periodo viene a man- care al polo anteriore ; ad un altro periodo ne ricopre il polo posteriore etc. ; anche il suo spessore varia; in comples- so il suo confine verso il blastoderma è ben delimitato; es- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 155 sa si perde invece irregolarmente nel resto del tuorlo. Que- sta sostanza granellosa ne' miei preparati non è distingui- bile né da ciò che ho detto protoplasma degli elementi che si formano nel tuorlo, né dal protoplasma delle cellule blasto- dermiche. Probabilmente essa esprime modificazioni del tuorlo surbordinate alla nutrizione degli elementi blastoder- mici. Mi pare che essa scompaia interamente dopoché il blastoderma è diventato completo. Finendo la narrazione dello sviluppo del blastoderma dirò che non ho mai incontrato cellule polari e non mai nuclei con movimenti ameboidi. Note storiche.— Il qui descritto modo di formazione del blastoderma corrisponde a quello descritto dal Bobretzki nei lepidotteri e confermato dagli Hertwig, a quanto pare, anche ne' coleotteri. Le osservazioni del Bùtschli e del Kowa- levski sulle api erano restate affatto incomplete tranne che in alcuni particolari sul blastoderma già formato. § 2. — Formazione dell' amnio. Torniamo all' ultimo stadio che ho dianzi descritto. Le cellule pili piccole (le ventrali, e poco prima dell'estre- mità anteriore anche le laterali) diventano 1' embrione, ed il tratto che esse occupano, riceve il nome di piastra em- brionale 0 ventrale. Le cellule più ampie (le cellule dell'e- stremità anteriore , e quelle delle parti medie e posteriori delle regioni laterali, e infine quelle delle regioni dorsali la- terali) si trasformano in amnio, anzi per brevità possiamo fin d' ora applicarvi il nome di amnio : esso forma quasi una zona periferica o, se si vuole, una cornice alla piastra ventrale (tav. 11 flg. 5"). Comincia a formarsi una cavità piena di liquido tra il tuorlo e parte dell' amnio; ciò accade in corrispondenza al- 156 STUDI SUGLI ARTROPODI r estremità anteriore e soltanto dal lato ventrale (tav. II. flg. 5° 8" 9" e IO"), per riduzione del tuorlo. Subito dopo (tav. II. fìg. 1") la cavità s'estende, benché relativaniiente angu- sta, anche verso il lato dorsale. Ad un periodo più tardivo, (è bene che lo noti in questo punto) sempre, a quanto pa- re , per riduzione del tuorlo, formasi all'estremità poste- riore un' altra cavità simile; le sue pareti sono fatte in parte dal tuorlo, in parte dalla piastra embrionale ed in parte dall' amnio (tav. II. flg. IS'' e 16''); siccome allora la piastra è estesa anclie sulla faccia dorsale e ventrale dell'estremità posteriore e 1' amnio riveste i lati dell'estremità stessa, così ognuno capisce che l' amnio delimita le pareti laterali della cavità in discorso e la piastra ne delimita le pareti dorsali e ventrali; naturalmente, il tuorlo forma quella parete che si potrebbe dire interna. Intanto che la piastra ventrale si differenzia nei fo- glietti germinativi, e quando questo processo è finito, prima che si formino le stigmate; l' amnio, che per quanto ho detto, in principio (tav. II, flg. 5") formava quasi una cor- nice alla piastra ventrale, cresce sopra di questa piastra, avanzandosi specialmente sopra i di lei conflni anteriori e posteriori. L' andamento del processo è lento , flno a che non si è differenziato quasi ovunque il mesoderma e l'ecto- derma ; diventa poscia più celere. Posteriormente la piastra ventrale è prolungata sul lato dorsale: è per questo fatto che, come altri ha già osser- vato, l'amnio il quale arriva appena al margine posteriore della piastra, prima s'estende al lato dorsale dell'estre- mità posteriore dell' uovo e poi man mano viene a coprirne il lato ventrale. A meglio chiarire tutto questo processo giovano le fi- gure della tav. II e III, la flg. 3" della tav. V e la flg. 20° della tav. X. La conclusione è la formazione di uno strato amniotico INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 157 sovra nlla piastra; tra questa e l'amnio ha luogo la secre- zione d'un liquido. L'incontro delle falde amniotiche acca- de press' a poco al centro della superficie ventrale dell'em- brione. Prima che ciò accada, l'amnio si è già completato anche dal lato dorsale; cioè dire 1' amnio si è esteso anche sul tratto mediano dorsale. È così che l'amnio diventa un sacco formato da un semplice strato di cellule; questo sac- co racchiude 1' embrione col relativo tuorlo; tra di esso e l'embrione col relativo tuorlo, trovasi un liquido trasparen- te, senza elementi formali. Non ho ancora detto a spese di quali cellule V amnio s'estende sulla superfìcie ventrale e sulla superficie dorsale. Non posso escludere che si estenda sulla superficie dorsale a spese di qualcuna delle cellule mediane dorsali; la cosa però a me pare improbabile perchè, subito dopoché il bla- stoderma si è completato, la superfìcie del tuorlo al tratto mediano dorsale, tranne che alle estremità anteriore e posteriore, non ha che qualche rarissima cellula. Mi pare di poter assolutamente escludere che dal tuorl() fuorescano nuove cellule. Per me resta quindi accertato che il tratto mediano dorsale dell' amnio si forma a spese dell' amnio circostante. Anche in corrispondenza alla piastra ventrale è dififìcile a rintracciare l'origine dell' amnio. Io credo che qui si ripeta il processo che ho ammesso pel lato dorsale; che cioè que- sta parte dell' amnio derivi da quella parte del blastoderma che si era trasformata in amnio e che formava in certo modo una cornice alla piastra ventrale. (Si osservi la let- tera am in molte fìg. delle tav.-^ VI, VII e Vili, la fìg. 43' della tav. IX ed infine la fìg. 13' della tav. X). A questa credenza mi conducono le seguenti ragioni: 1.° è vero che l'amnio quando copre appena una parte della piastra ventrale (tav. Vili, fig. 9' e 10") qualvolta può sembrare aderente ad essa sulla linea dove termina e quindi 1 58 STUDI SUGLI ARTROPODI sovra una linea variante a seconda clie l'amnio è più, o meno esteso; se però si studia bene questa supposta aderenza, si trova Glie in ogni caso è molto lassa, non esprimente cioè, una vera continuità delle due parti, tanto è vero che non si vede mai nei preparati a fresco; sui tagli molte volte non esiste affatto; quando si trova sulle sezioni, c'è sempre luogo a sospettare che sia artificiale, perchè talvolta trovasi tutto quanto l'amnio aderente alla piastra, lo che certamente non è naturale. Ammesso che esista un'aderenza lassa, si può ritenere prodotta da un secreto che tenga aderenti le due parti; 2.* le cellule dell' amnio sono molto differenti da quel- le del hlastoderma e la linea di confine dell' amnio sul blastoderma è sempre netta (tav. X flg. 13'); 3." le cellule dell' amnio verso i confini di questo sulla piastra ventrale , relativamente alle cellule del resto del- l' amnio stesso, sono non di rado piccole, sicché pare che siansi recentemente moltiplicate; 4." all'estremità anteriore della piastra ventrale formasi un solco trasversale (per es. tav. II flg. 7'); l'amnio cresce su di esso, ma non ne riveste però la superficie, sibbene lo scavalca soltanto, a guisa di ponte; 5." una volta ho trovato binucleata una cellula d'una fal- da di amnio , falda la quale s' era di poco inoltrata sulla piastra ^'entrale. Tanto per l'estensione dell' amnio sulla superficie dor- sale, quanto per l'estensione sulla ventrale, non è da dimen- ticare che anche le cellule dell' amnio s'ampliano; e così l'amnio guadagna in superficie anche senza aumento di numero de' suoi elementi. L' ampliamento delle cellule è grande di certo in quella parte dell' amnio che è derivata direttamente dal blastoderma; fino ad un certo punto esso è accompagnato da un assottigliarsi delle cellule stesse. Non ho ancora detto come e quando l' amnio si separa INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 159 dalla piastra ventrale, con cui originariamente è aderente; formasi semplicemente una fenditura nella linea dove uno finisce e l'altra comincia; questo avvenimento verificasi pri- ma che r anniio siasi completamente sviluppato. Finirò la descrizione dell' amnio accennandone alcune anomalie. L' una è rappresentata dalla fig. 17", tav, II; qui r amnio manca sulla parte ventrale dell' estremità anterio- re, manca cioè nella parte dove di regola è fin da princi- pio ben sviluppato. Quest' anomalia venne da me ripetuta- mente riscontrata, tantoché per lungo tempo io la giudicai uno stadio del processo normale. L' altra anomalia eh' io vo' accennare, è rappresentata dalla fig. 13'' tav. II; qui, come si vede, 1' amnio è doppio e 1' embrione è già molto avanzato di sviluppo; so che anche quest'embrione pre- sentavasi anormale, i particolari però mi sono sfuggiti. Note storiche — L'amnio delle api era stato descritto come un semplice sacco dal Bùtschli: il Kowalevski con- temporaneamente al Bùtschli a torto ebbe a sostenere che esso è doppio. Trattandosi d'un osservatore eminente quale 11 Kowalevski, non è inutile aggiungere che io sono venuto alla mia credenza dopo 1' esame di numerosissime serie di sezioni. Il Weismann ha dimostrato che nei cinipedi l'amnio è semplice. Nei lepidotteri e coleotteri pare sia sempre doppio. § 3. — Formazione del fogllet.li germinativi. La differenziazione della piastra ventrale nei foglietti germinativi avviene come segue: in gran parte della pia- stra ventrale (che ripeto, consta d'un semplice strato di cellule) si formano due leggerissimi solchi (solche/ti) lon- gitudinali, l'uno un bel po' al di qua, l'altra un bel po' al di là della linea mediana longitudinale ; essi hanno 160 STUDI SUGLI ARTROPODI il fondo cieco verso l' interno dell' uovo. La parte mediana longitudinale della piastra, che vien delimitata da questi solchetti si stacca per una fenditura clie accade al fondo cieco , e diventa mesoderma. Il resto , ossia le parti late- rali {hendelli) della piastra , si avvicinano 1' una all' altra e si fondono insieme così intimamente da non lasciar trac- cia di sorta (questa fusione accade sulla linea mediana lon- gitudinale ventrale); esse rappresentano 1' ectoderma. È così che il mesoderma viene a trovarsi sotto all' ectoderma. Abbiamo una serie di figure che illustrano il processo in discorso. Si osservi la tav. X , la flg. 6"; rappresenta una sezione della piastra ventrale, in un punto in cui il meso- derma non ha cominciato a differenziarsi; nella flg. 5" que- sto differenziamento è cominciato ; nella 4" è più avanzato; nella 3* è avanzato ancora di più. Le prime quattro figure della tav. Vili rappresentano gli stadi ulteriori. Nella fig. 4' il processo è finito; resta appena un pò di solco, che più tardi scompare. Questo processo non accade contemporaneamente nelle varie porzioni della piastra, sibbene in epoche differenti; press' a poco conìe fa il blastoderma, comincia alla parte anteriore e va man mano estendendosi verso quella poste- riore. La fig. 14" della tav. I, rappresenta il principio del processo (nell'epoca in discorso l'amnio alla estremità an- teriore talvolta non si è ancora staccato dal tuorlo , tal- volta il distacco è accaduto di recente); gli stadi successivi sono rappresentati nella stessa tavola dalle fig. 8' 9' 10' 11' 12° 15° 16' 17" 18" 4° e 20^" Uno stadio è rappresentato anche dalle figure 15' e 16° dalla tav. II. Discendiamo ad alcuni particolari. — Il mesoderma, in- tanto che viene ricoperto dall' ectoderma, ispessisce; in gene- rale diventa composto di due strati (figure retrocitate della tav. X e VIII); ciò accade per moltiplicazione delle cellule stesse del mesoderma. Tutti i miei preparati , e sono nu- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO IGl merosissimi, sono favorevoli a questa mia interpretazione; raramente ottenni delle figure dubbie, come la 7' della tav. X; in questi casi, il tuorlo era molto alterato, oppure la sezione era obliqua; e perciò io non posso clie respin- gere il dubbio che può nascere per es. dalla figura citata, clie cioè il tuorlo concorra alla ftibbrica del mesoderma. Di trovar nuclei del tuorlo addossati al mesoderma è cosa fa- cilissima; ma per quanto sia diffìcile fare dei calcoli e fis- sare posizioni, io oso dire clie questi nuclei restano senza crescere o diminuire, per tutto il tempo di formazione del mesoderma, e quand'esso è completo, si trovano ancora; si sono essi soltanto un pò spostati verso il centro, per la riduzione che va subendo il tuorlo (tav. Vili figure cit.)— I solchetti longitudinali che segnano la separazione del mesoderma dall' ectoderma non sono retti , sibbene ondeg- giati come nelle annesse figure. Il solchetto pare prodotto da un locale aumento del numero delle cellule. I due ben- delli che formano l'ectoderma, arrivano a toccarsi sulla linea mediana un po' allargandosi verso la linea stessa ed un po' spostandosi nella medesima direzione. Il processo in discorso accade, siccome ho già detto, sovra gran parte della piastra ventrale; pel resto di questa piastra, e precisamente ^\V estremità anteriore (tav, I. fi- gura 14'') e 'posteriore (quest'ultima è la parte ripiegata dal lato dorsale; v. tav. V. flg. p 2^ e 3"), la formazione dei foglietti ha luogo in modo diiTerente. Il decifrare questo differente modo d'origine, è som- mamente difficile e, se vi sono riuscito quasi completamen- te, lo debbo alla straordinaria quantità di materiale che ebbi a mia disposizione, e per le osservazioni a fresco e per le sezioni; le prime non illuminano meno delle secon- de. Dopoché il processo di formazione del mesoderma per ATTI Acc. voL. xvm. 22 162 STUDI SUGLI ARTROPODI solcbetli è cominciato come nella flg. 14^ della tav. I , la estremità anteriore (ossia il tratto anteriore in cui non si sono formati solchetti), ad eccezione del suo margine ante- riore (tav. VII flg, 28") nella parte mediana diventa stra- tificata (tav. IX flg. 43''); poscia, cominciando in corrispon- denza ai margini laterali di questo pezzo stratificatosi e fors' anche in corrispondenza al margine anteriore, lo strato superficiale separasi dagli strati profondi. — Questo strato superficiale è in continuazione colle parti non stratificatesi dell'estremità anteriore: abbiamo dunque così all'estremità anteriore uno strato superficiale: esso continuasi posterior- mente coir ectoderma, ed è ectoderma esso stesso. — Gli strati profondi posteriormente sono in continuazione col mesoderma e sono essi stessi mesoderma. — A questo ri- guardo consultinsi le serie figurate nella tav. VI (V. spie- gazione delle tavole) e la figura 5° della tav. Vili. È notevole la traccia di un solco (solco primitivo) che s' incontra in parecchie sezioni (le posteriori) (v. per es. la figura 9" della tav. VI). Queste sezioni fanno nascere il sospetto che il pro- cesso di formazione del mesoderma sia anche qui come ho descritto per gran parte piastra ventrale ; ma questo sospetto svanisce davanti al seguente fatto : quando il solco è sviluppato , nelle buone sezioni , si trova sempre che le cellule che Io rivestono sono in continuazione colle cellule limitrofe con esso. Per tempissimo 1' estremità anteriore del mesoderma ( separatosi dall' ectoderma ) comincia a spostarsi e a cre- scere ; viene così man mano ad occupare lo spazio conte- nente semplice liquido Ira 1' amnio ed il tuorlo , e molto probabilmente invade anche un nuovo spazio lasciato libero dal tuorlo che man mano si retrae ( tav, VI fig. 21° e 28°; tav. II fig. 1° 2° 3» e 4") ; ciò facendo il mesoderma in discorso viene a ripiegarsi a poco a poco verso il lato dor- sale dell' estremità anteriore. Una volta raggiunto il lato INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 1G3 dorsale continua a crescere, in modo che si trova sempre avanzalo più sui lati che sulla parte mediana (per es. tav. Ili fìg. 6^ e 14" ), sicché forma un' arco a concavità poste- riore ; lYm si porta indietro, più appare sottile finché giunto, io credo, press' a poco al limite del capo col torace pre- sentasi ridotto ad un semplice strato. Quando (e fors'anche un pò prima) è ridotto ad un semplice strato, dal destino a cui più tardi soggiace , siamo autorizzati a giudicarlo par /e anteriore dell' entoder ma ; esso ha dunque origine tardiva (dopoché il mesoderma sta già sotto all' ectoderma), e deriva dal mesoderma. Continua a crescere dall' avanti all' indietro; si trova ancora sempre avanzato più sui lati che sulla parte mediana, per modo che si trovano sempre due 0 più sezioni trasverse in cui esso manca alla parte mediana (tav. VII flg. 31"). Come ho detto or ora, il mesoderma si prolunga in a- vanti e si ripiega dal lato dorsale; esso resta a lungo ba- gnato dal liquido che sta sotto all' amnio, e viene coperto tardi dall' ectoderma. Parlo di una copertura ectodermica; voglio dire che, per quel ch'io ho veduto, tardivamente r ectoderma dell'estremità anteriore, si prolunga sul meso- derma nudo, formandovi uno strato a cellule piatte. A differenza di quanto accade al mesoderma, l'entoder- ma, se si eccettuano forse i primi momenti della sua compar- sa, non resta mai coperto direttamente dall' amnio; l'ecto- derma si prolunga sul tuorlo un pò prima che si deponga a ridosso di esso 1' entoderma; questo si apre una via tra r ectoderma ed il tuorlo , via che forse era già segnata da un' angustissima lacuna. Servono ad illustrare il processo qui riferito le flg. 1* 2' 2,' Q" T IO" ir 13" 14" 15" della tav. Ili; le serie di sezioni rappresentate nella tav. VII dalle flg. I" 2" 3" 8" 9* 10" 11" 12° e nella tav. Vili dalle flg. 24' 25" 26' 27" 28'; 164 STUDI SUGLI ARTROPODI queste ultime appartengono ad uno stadio intermedio tra i due della tav. precedente (V. spiegaz. delle fìg.) Le flg. 25* 26" 3r e 33' della tav. VII illustrano i rapporti che l'en- toderma va assumendo col tuorlo e coli' epidermide (ecto- derma). All'estremità posteriore della piastra ventrale, in un perìodo più tardivo, succede qualcosa di simile a quanto ho descritto per l'estremità cefalica. Io non ho potuto pro- curarmi molte serie di sezioni , ne ho però parecchie com- plete ed ho fatto lunghe osservazioni a fresco. Come ho già detto ftav. V flg. T e 2"), questo estremo della pia- stra germinativa è ripiegato dal lato dorsale: si trova uni- to lateralmente al resto della piastra, per mezzo dell' amnio fappunto come in una metà della flg. 14' della tav. VIj, Io sono certo che le flg. Te 2' della tav. V rappresentano uno dei primi stadi di formazione dei foglietti; precisando, nella porzione della piastra che si è ripiegata dal lato dorsale non formasi che un solco mediano (primitivo), questo solco non s'estende che alla metà posteriore della porzione In discorso: ho già accennato che anche verso la parte po- steriore dell'estremità anteriore della piastra formasi un solco; esso è pero assai meno profondo e largo di quello dell'estremità posteriore. La sua comparsa all'estremità posteriore sussegue alla separazione del mesoderma dal- l'ectoderma nel resto della piastra ventrale. Confrontando la serie rappresentata dalle flg. 17' 18* 19' 20' della tav. VI con la serie d'uno stadio più avan- zato (flg. 13" 14' 15' e 16'^ della stessa tavola), nonostan- te qualche difficoltà nei particolari, risulta che in complesso il blastoderma è diventato stratificato e che lo strato superfi- ciale si separa dagli strati profondi andando tanto dall' in- dietro all' avanti quanto dai lati verso la linea mediana: ciò accade tanto là dove s'è sviluppato il solco primitivo quanto là dove non s'è punto sviluppato. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 165 Notisi di passaggio clie anche qui come al capo, questo solco primitivo scompare prima che siasi completata la se- parazione dello strato superficiale dagli strati profondi. Gli strati profondi sono mesoderma, in continuazione col resto del mesoderma : lo strato superficiale è ectoder- ma in continuazione col resto dell' ectoderma. Il mesoder- ma si prolunga in avanti sul lato dorsale, in modo simile a quanto dissi per l'estremità anteriore; man mano che si prolunga, si assottiglia e finisce per formare entoderma. È difficile dire dove comincia ad essere entoderma; si può ritenere per certo entoderma quando cessa d' essere stra- tificato. Abbiamo così una parie imsferiore dell' entoderma, mnile alla dianzi descritta parte anteriore. La parte po- steriore si prolunga sempre più in avanti, sino a raggiun- gere la parte anteriore che, come ho detto, va prolungan- dosi indietro. Anche l' entoderma dell'estremità posteriore, prima che raggiunga quello dell' anteriore, offresi sempre più avan- zato sui lati che sulla parte mediana. Tra i preparati che provano la realtà di questi pro- cessi tengo una serie completa di sezioni trasversali; l' en- toderma manca soltanto alla parte mediana di due sezioni che stanno press* a poco al punto d' unione del terzo medio col terzo posteriore dell' embrione. A differenza di quanto accade anteriormente, mi pare, che nella parte posteriore, la comparsa dell' entoderma pre- ceda quella dell' ectoderma. Ho descritto il processo di formazione dei foglietti al lato dorsale, quale a me parve evidente senza considerare che intanto che avvien questo processo, l'embrione va ac- corciandosi sicché diminuisce d'un quarto della sua lun- ghezza; tutto calcolato è certo, che ciò non può apportare una modificazione essenziale al processo; è del pari certo però che in parte l'accorciamento è prodotto da un incur- 166 STUDI SUGLI ARTROPODI varsi della piastra ventrale verso il lato dorsale, epperò bisogna conchiudere che il mesoderma s'estende dal lato dorsale non interamente a spese d' un aumento del numero de' suoi elementi, ma per una parte non indifferente, spe- cialmente in avanti verso l'estremo anteriore, vi s'estende a spese del mesoderma ventrale. Il solco che ho addietro descritto all'estremo posteriore dorsale, potrebbe perciò supporsi derivato in parte dai solchetti della piastra ven- trale della tav. 1' fig. 2(T pei ripiegamento dorsale della pia- stra stessa. Contro questa supposizione parla però il fatto che la piastra ventrale, prima che si formi il solco in pa- rola, è già estesa sul dorso tanto quanto lo è all'epoca della di lui formazione. Le idee qui sostenute sono in contradizione con quelle della maggior parte degli autori ( il Dohrn, il Balfour , gli Hertwig, il AVeismann ed il Tichomiroff etc); essi fanno de- rivare r entoderma da cellule restate nel tuorlo. Per quanto grande sia 1' autorità dei mentovati scrittori e per quanto forti siano le mie preoccupazioni teoriche, non posso a meno di dichiarar erronea la loro opinione; e queste che seguono sono le mie ragioni (per quel che si riferisce alle api) : I. Il tuorlo, durante la formazione dei foglietti germi- nativi in generale va modificandosi per modo che resta at- torno ai nuclei appena un sottilissimo velamento di sostanza protoplasmimorfa, sicché i suoi elementi si riducono quasi al nucleo; i prolungamenti degli elementi stessi cessano di essere sottili. Per questi cangiamenti , come dimostrano le fìg. ir e 12' della tav. X, il tuorlo non fa più l'im- pressione di una massa contenente cellule ma raffigura piuttosto un sincizio sparso di nuclei. Comunque s'interpre- tino questi fatti, egli è certo che non accade una segmenta- zione secondaria de! tuorlo, quale occorre a quanto pare, nel INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 167 lepidotteri. Perciò non possono prodursi nel tuorlo cellule se- moventi quali venner descritte specialmente dal Tichomiroff. II. Questi nuclei si trovano ancora, sono anzi accresciuti di numero, in corrispondenza alle parti in cui l'entoderma si è già formato; quando 1' entoderma è quasi completo (V. 11 § sul tubo digerente) se ne incontrano ancora tanti che basterebbero quasi a formarne un altro , se possedessero la virtù di trasformarsi in cellule entodermiche; se ne può trovare un discreto numero, ancora quando l'entoderma pare del tutto completo. Infine io ho molte sezioni di stadi ancor più avanzati : in queste si vedono i nuclei del tuorlo in via di distruzione. Quand' essi sono scomparsi, l' intesti- no viene a contenere una massa uniformemente granellosa che pare formata dalla sostanza protoplasmiforma soprac- cennata. Questa massa scompare appena quando la larva abbandona l'uovo (tav. VII flg. 4" 5' 6° 7» 11" 12° 13° 14' e 15"). III. Non scopresi mai indizio accennante con sicurezza che questi nuclei sian sul punto d'ordinarsi, per formare l'entoderma; alle volte proprio là dove l'entoderma cresce, essi sono assenti. IV. Neil' entoderma, dopoché il tratto anteriore si è già unito col tratto posteriore come ho dianzi descritto, si trovano qua e là cellule con due nuclei (v. tav. X flg. 19"). V. È un fatto che, durante ìa formazione dell'entoderma, prima che questo si completi, i nuclei del tuorlo si moltipli- cano : forse però alcuni si moltiplicano ed altri si distruggo- no : in ogni modo è da notare che il moltiplicarsi dei nuclei è uno dei fenomeni ordinari a verificarsi anche nelle cellule atrofiche e in via di distruzione , come ben sanno i pa- tologhi. In quest' ultima parte ho anticipato alcune notizie che avrebbero trovato acconcio luogo nel paragrafo sullo svilup- po dell'intestino medio; l'ho fatto perchè mi pareva fin d'ora necessario di discutere completamente il valore del tuorlo. 168 STUDI SUGLI ARTROPODI Note storiche.— Il Kowalevski e, nella sua nota preli- minare, il Tichomiroff facevano derivare l'entoderma dal me- soderma ma non già come me, dalle sue estremità anteriore e posteriore, sibbene dalle sue parti laterali (V. il paragrafo sul celoma). A. ciò essi erano stati indotti dal fatto che su certe se- zioni si trova entoderma appena a ridosso delle parti laterali del mesoderma. Come nelle api questo fatto non accade, così siamo autorizzati a respingere 1' opinione dei mentovati autori , almeno per le api. Io però credo che anche nei lepidotteri le cose procedano come nelle api, e ciò dietro un'osservazione dell' Hatscheck: secondo que- st'ai, l'entoderma nei lepidotteri origina come una massa mediana di cellule poligonali alla parte anteriore della pia- stra ventrale. Sfortunatamente egli non fece serie comple- te di sezioni , perciò la sua osservazione è restata incom- pleta. Il Tichomiroff (1883), gli Hertwig, il Graber ed il Weisraann etc. fanno derivare dal tuorlo l'entoderma di molti insetti. Finora soltanto il Tichomiroff e gli Hertwig tentarono di darne una dimostrazione completa : dopo aver considerato le figure che illustrano le opere di questi au- tori , io sono venuto alla persuasione che il loro tentativo è fallito. Il lettore favorisca a questo riguardo di consultar le incisioni 45" 46' e 47* inserite nel testo del Tichomiroff e la fig. 4" della sua tav. III; egli vedrà, per es. nella flg. 46" che r entoderma è mancante in un breve tratto ventrale , e dalla flg. 47" indurrà che questo tratto si forma subito dopo lo stadio della flg. 46°; nella flg. 46' vicino al tratto man- cante, dovremmo dunque trovare parecchi di quelli elementi del tuorlo che, secondo il Tichomiroff, si trasformano in cellule entodermiche (intestinali); invece essi sono assenti! Le altre flgure non sono più provative delle due citate. Insomma indizi sicuri che gli elementi del tuorlo si tra- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 1G9 sforinino in cellule entodermiche, mancano nel Tichomiroff; lo stesso posso ripetere per gli Ilertwig. Un' altra difficoltà traspare tanto dall'uno che dagli altri autori; questa si è che gli elementi in parola forse non sono vere cellule, e in- fatti dopo la segmentazione secondaria, il tuorlo dei lepidot- teri diventa simile a quello dell' ape durante la formazione dei foglietti e l'accenno degli organi (nell'ape par quindi semplicemente soppressa la segmentazione secondaria). Que- sta simiglianza comincia alla periferia, cioè dove si forma l'e- pitelio dell'intestino medio (forse perchè qui comincia il con- sumo del tuorlo da parte dell'embrione); è questo fenomeno appunto cagione delle false interpretazioni del Tichomiroff e degli Hertwig: i quali, trovando un cambiamento del tuorlo là dove prende origine l'epitelio, credettero che questo derivasse da quello. Conchiudendo, il fatto che in parecchie classi d' insetti molti nuclei vitellini vanno sicuramente distrutti — per es. quelli che vengono compresi nell'intestino dell'ape, quelli che originano dai segmenti del tuorlo tra le membrane am- niotiche, nei lepidotteri (v. tav. Ili del Tichomiroff, fig. 4"' e S'' e incisione 40" inserita nel testo) —questo fatto dico, è già un forte indizio che gli elementi restati nel tuorlo, dopo la formazione del blastoderma, non possono contribuire diret- tamente alla fabbrica dell' entoderma. Ciò diventa positivo se vi si aggiungono altre osservazioni da me fatte sulle api, ossia I." l'aver constatato la continuazione dell' ento- derma col mesoderma, sì anteriormente che posteriormente; 2." il non aver mai sorpresi nuclei vitellini in via di tra- sformarsi in cellule intestinali. Il Tichomiroff fa derivare dal tuorlo ch'egli denomina entoderma secondario, anche una gran parte del mesoder- ma: neppure a questo riguardo le figure dell' A. sembrano conclusive. Quanto alle api l'opinione dell' A. come ho già accen- ATTI ACC. VOL. XVIH. 23 170 STUDI SUGLI ARTROPODI nato, è insostenibile (V. anclie § sul celoma). Per toglie- re di mezzo qualunque dubbio, fisserò in modo partico- lare i seguenti punti : I. Certe cellule clie si trovano nella cavità lasciata dal ritirarsi del tuorlo , derivano indubbia- mente dal mesoderma; II. In certi punti in cui il tuorlo va fornito di molti nuclei, dopo la sua scomparsa, non trovasi alcun elemento cellulare. III. Negli arti dell' ape non penetra alcun elemento vitellino, eppure si formano in essi quei me- desimi tessuti che si formano negli arti del baco da seta, in cui ne penetrano molti. Il Kowalevski avea già osservato esattamente nell'ape il modo di formazione del mesoderma nella maggior parte della piastra ventrale; la peculiarità di sviluppo alle estre- mità della piastra gli era interamente sfuggita. Il Biitschli non s' era formata un' idea chiara dei processi in discorso. § 4. Sistema nervoso. li sistema nervoso si forma relativamente tardi, press' a poco all'epoca in cui compaiono le stigmate, gli arti e l'ento- derma; si forma dopo che l' amnio è diventato completo; mi pare che i gangli sopraesofagei sono press' a poco contem- poranei ai gangli addominali anteriori, e che questi ultimi, se pur precedono, precedono di ben poco quelli posteriori. K — Gangli soiiraesofagei — Si formano due gangli so- praesofagei, uno destro e 1' altro sinistro. Alla loro forma- zione va avanti la formazione delle cosidette piastrine del vertice le quali in sostanza non sono altro che due gib- bosità dell'ectoderma, una destra e l'altra sinistra, gib- bosità da cui più tardi si svilupperanno i gangli in discorso. Pare che queste piastrine del vertice derivino da quel- la parte di piastra embrionale che si forma dalle parti la- terali del blastoderma, dietro dell' estremità anteriore del blastoderma stesso (tav. II flg. 5"). INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 171 Al loro primo apparire stanno discoste dalla linea me- diana, più di quel che lo sieno al momento in cui genera- no i gangli sopraesofagei. L'accenno dei gangli mi parve contemporaneo all'ac- cenno delle antenne. Questi gangli restano a lungo congiunti coli' ectoderma. Mi pare certo, che almeno nella parte centrale di ciascun ganglio tutto l'ectoderma si trasformi in sostanza ganglio- nare in modo che per un certo tempo il ganglio resterebbe scoperto e l'epidermide (ectoderma) al di sopra di esso si formerebbe secondariamente, cioè dall' epidermide circo- stante (tav. IX flg. 15" 16" 17" 18' e 19^). Nel primo tempo d'esistenza dei gangli, io non ho tro- vato l'infossamento descritto dall' Hatschek nei lepidotteri; l'ho riscontrato invece, nella parte posteriore di ciascun dei due gangli , allora quando essi si erano già staccati dal- l'ectoderma ed avevano già ricevuto un involucro mesoder- mico (tav. V flg. 12' e tav. VITI flg. 22* gns a destra); io non sono punto persuaso che l' infossamento in discorso ab- bia origine così, come pretende l' Hatschek; nel periodo in cui ho trovato l' infossamento, i gangli sopraesofagei risul- tano già di lobuli complicatamente disposti ; io credo di do- ver mettere In rapporto con una tale disposizione lobulare anche l' infossamento, che è del resto abbastanza sviluppato. I due gangli restano a lungo separati Tuno dall'altro: più tardi si congiungono insieme, vicino all'estremità ante- riore ( veggansi le flgure già sopra citate e la flg. 10' della tavola V). Mi pare certo che 1' unione abbia luogo per formazione di nuovo tessuto nervoso da parte dell'ectoderma della linea mediana ; ciò accadrebbe in un modo simile a quello che sto per accennare per la formazione delle com- missure trasversali della catena ganglionare. Ritengo certo che i gangli sopraesofagei si formino in- dipendentemente dalla catena ganglionare; come formisi la 172 STUDI SUGLI ARTROPODI commissura tra questi e quella è cosa che non ho potuto constatare. B.— Catena gang lionare-ventrale. — Essa è preceduta da due rilievi longitudinali, 1' uno appena al di qua, 1' altro appena al di là della linea mediana longitudinale; su questa linea notasi perciò un solco. In corrispondenza ai rilievi sviluppasi la catena ganglionare (tav. IV fig. 1" e tav. ^'11 flg. 5" 9° ir e 30"); perciò essa nasce pari, in forma di due cordoni cellulari 1' uno al di qua e l'altro al di là della linea mediana longitudinale : i due cordoni sono perfetta- mente separati l'uno dall'altro. Vengono prodotti dall'ec- toderma. Mi pare certo che almeno in quella parte che cor- risponde al centro dei singoli gangli, tutto 1' ectoderma si trasformi in sostanza ganglionare , appunto come ho già detto pel cervello ; e che perciò in questa parte si formi nuovo ectoderma a spese dell'ectoderma circostante (tav. IX flg. 23"). Ho fondato sospetto che 1' accenno della for- mazione dei singoli gangli preceda d' un momento quello delle loro commissure longitudinali ( flg. 27" 28' 29' e 30^ della tav. IX; v. spiegazione delle tavole). Le commissure trasversali compaiono certamente dopo r accenno dei due cordoni or ora descritti. Per quanto sia difficile dare un giudizio definitivo sul- r origine di queste commissure trasversali, io credo di es- sere nel vero asserendo che derivano da queir ectoderma che resta sulla linea mediana tra i singoli gangli. Ecco come ciò succederebbe. Le cellule ectodermiche nella regione delle future commissure crescono di numero e perdono la loro regolare disposizione in un unico strato: in complesso si può ammettere che esse assumono tre differenti livelli sic- ché press' a poco alcune appaiono superficiali, altre medie ed altre profonde : le medie e le profonde presentansi quasi dilacerate per la presenza di lacune intercellulari (si trova INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 173 sempre una lacuna più grande eli tutte le altre). Io credo che la commissura trasversale derivi dalle cellule medie e profonde, È un fatto che la commissura si forma nel posto da esse occupate: bisogna dunque supporre o che esse stesse formino le commissure, o che vadano distrutte, o che quando si forma la commissura mutino posizione; parendomi tutti gli indizi sfavorevoli alle ultime due supposizioni e favo- revoli alla prima , ammetto che questa prima sia vera e respingo le altre (tav. IX fig. 20" 2V 2^ 23' 24" 25" 31' 32' 33' 34" 35' 36" 37' 38" 39" e 40"). La catena ganglionare (tav. V flg. 11' e 13") in corri- spondenza al toraco-addome , consta di tredici gangli ; mi pare che si prolunghi nel capo con tre gangli non ben se- parati r uno dall' altro. In principio ganglio e commissure constano di cellule; la sostanza punteggiata e fibrosa formasi più tardi. Io non posso entrare in fini particolari istiologici per- chè i miei prei)arati non erano sufficientemente buoni. Note storiche — L' origine ectodermica del sistema nervoso dell' ape era già stata sostenuta da Kowalevski. § 5. — Sistema tracheale. Dall' ectoderma deriva anche il sistema tracheale. Si formano dieci paia di stigmate. Si sviluppano prima degli arti (tav. Ili, flg. 12"), poco dopo che r amnio è diventato un sacco completo ; compa- iono dall' avanti all' indietro, cioè dire le più anteriori si sviluppano prima. Quando però ne è apparsa una, le altre tutte si formano rapidissimamente per modo che è diffì- cile di sorprendere lo stadio in cui siano presenti appe- na in parte. Occupano due linee longitudinali parellele; queste linee 174 STUDI SUGLI ARTROPODI corrispondono alle regioni laterali ventrali. All' epoca in cui le stigmate compaiono , non ho potuto rilevare alcuno accenno di divisione del corpo in segmenti ; più tardi quando è accaduta questa divisione, si vede che ogni segmento ne possiede un paio, ad eccezione del primo segmento toracico e dei due ultimi addominali a cui esse mancano. Le stigmate sono semplici infossature dell' ectoderma a parete fatta da uno strato di cellule come 1' ectoderma, stesso (tav. V, flg. 23^ ci). In principio sono molto ampie, più tardi vanno impiccolendosi. La stigmata del primo paio è più ampia e irregolare rispetto alle altre (tav. V, fig. 23^ b). Ciascuna stigmata ben presto presenta due prolunga- menti a forma di tasca, l'uno anteriore e l'altro posteriore, i quali s'insinuano tra l'ectoderma e il mesoderma. Pro- lungandosi queste tasche che sono dunque nella direzione longitudinale dell'embrione, la tasca anteriore di una stig- mata viene a incontrarsi colla posteriore della precedente; al punto d' incontro queste tasche si fondono insieme in modo che il lume dell'una si prolunga in quello dell'altra. Si vede così come nasca da ogni lato un canale longitudi- nale {tronco tracheale) comunicante colle singole stigmate. Le tasche anteriori delle prime stigmate, si dirigono obbliqua- mente verso il dorso e vengono ad incontrarsi 1' una coll'al- tra al di sopra dell'esofago e al di dietro dei gangli cere- brali ; nasce così una commissura trasversale dorsale fra i due tronchi tracheali (tav. V, flg. 12°). Le tasche posteriori delle ultime stigmate, crescono in modo che s'incontrano l'una coli' altra, al disotto dell'in- testino posteriore ; formano così una seconda commissura trasversale fra i due tronchi tracheali (tav. V, flg. 13°). Dai tronchi tracheali nascono rami laterali dorsali e ventrali. I rami ventrali si trovano già forse accennati prima che i tronchi siansi completati; in generale se ne svi- luppa un paio, un ramo cioè a destra ed un altro a sinistra, INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 175 per Ogni segmento fornito di stigmate; questi rami si por- tano sulla linea mediana longitudinale ventrale, dove si con- giungono insieme tenendosi tra 1' epidermide e la catena ganglionare. I tronchi tracheali forniscono in genere un ramo dorsale ad ogni segmento fornito di stigmate; durante il periodo di sviluppo dell' ape nell'uovo, quelli d'un lato restano sempre separati da quelli dell' altro. Di altri rami secondari vi [mò dare un' idea la fìg. 22" della tav. V. Naturalmente, le trachee attraversano in ogni senso il mesoderma. Il filo spirale appare verso il termine dello sviluppo neir uovo. Fino al termine di questo sviluppo le trachee conten- gono un liquido trasparente e senza elementi formali, li- quido che comunica con quello amniotico. L' aria entra nelle trachee appena nel momento che 1' ape abbandona 1' uovo. Note storiche — In complesso lo sviluppo del sistema tracheale dell' ape viene esattamente descritto nel lavoro dei Bùtschli. Kovi^alevscki a torto ammise undici paia di stigmate; com' ho già detto, non n' esistono che dieci. § 6. ^ Intestino anteriore e posteriore. Tubuli ói Mat'pighi. L' accenno dell' intestino anteriore è press' a poco con- temporaneo a quello delle stigmate. Alquanto più tardivo è quello dell' intestino posteriore. L' Intestino anteriore appare sul lato ventrale , al di- sotto ed al didietro della prominenza procefalica (V. para- grafo sugli arti) al suo cominciare è una fossetta. Esso va man mano approfondandosi, man mano che il tuorlo si ritira verso la parte mediana dell' uovo. La sua 178 STUDI SUGLI ARTROPODI parete epiteliale deriva dell'ectoderma; la parete musco- lare prende origine dal mesoderma. Da principio è di cali- bro uniforme e termina in un fondo cieco; a poco a poco questa estremità cieca si gonfia (tav. V , fig. 1 V) e così r intestino anteriore dell' ape viene a rassomigliare per es. a quello di molti vermi. Contemporaneamente (a quanto pare, in conseguenza del rigonfiamento) viene a comunicare coir intestino medio. Verso la fine dello sviluppo dell' ape neir uovo, questo intestino anteriore si prolunga nella re- gione del torace. Le ghiandole salivari mancano all' embrione. Lo sviluppo dell' intestino posteriore è intimamente le- gato a quello dei tubi malpighiani. Verso 1' estremità posteriore dell' embrione, dal lato dorsale, immediatamente dopoché è comparso 1' ultimo paio di stigmate, si formano due paia d' infossature ectodermi- che (tav. V, fìg. 3" e 4') ; un po' più tardi, quando queste fossette sono diventate piuttosto profonde, le due d'un lato (r una quindi appartenente al paio anteriore e 1' altra al paio posteriore) offronsi congiunte insieme per mezzo d'un solco ectodermico, longitudinale, solco di cui prima non esi- steva traccia (tav. V, fig. 5^ e 6"); poco dopo l'ectoderma compreso tra questi due solchi s' infossa (tav. V, fìg. 7'), comincia così l' intestino posteriore; il quale compare dun- que più tardi che i tubi malpigiiani ; epperò questi hanno in certo modo, coli' intestino posteriore, rapporti appena se- condari. Il retto è perciò in principio una semplice depres- sione, 0 fossetta ectodermica dorsale ; al periodo della de- pressione (tav. X, fìg. 18"), succede un periodo in cui i margini esterni dei solchi si avvicinano 1' uno all' altro (tav. V, fig. 7° e tav. X, fìg. 16') e si fondono insieme sulla linea mediana (tav. V, flg. 8'). Intanto che succede questo fatto, la depressione in discorso va estendendosi all' indietro (tav. V, fìg'. 7" e tav. X, fìg. 16') per modo che quando i mar- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 177 gini esterni dei solchi si sono fusi insieme, risulta un ca- nale che si apre all' indietro con un' ampia apertura (tav, V, flg. 8° e tav. X, fig. \T). A poco a poco il canale si al- lunga e prende una forma che accenna già alle condizioni dell' adulto (tav. V, flg. 9^. L' epitelio dell' intestino posteriore è dunque formazio- ne ectodermica; lo strato muscolare ripete la sua origine dal mesoderma. In principio l' intestino posteriore è a fondo cieco. I fatti qui riferiti son frutti di osservazioni a fresco, eh' io ebbi campo di fare e ripetere molte volte; pei tagli il materiale fu insufficiente; ho però controllati colle sezioni i punti essenziali. Le sezioni 17' e 18" della tav. Vili, appartengono a due degli stadi qui sopra descritti; nella flg. 17" la depres- sione che formerà il retto è appena cominciata; invece non è ancora cominciata nella flg. 18^ I tubi malpighiani nascono dunque cavi ed In numero di quattro. Stanno nel celoma: sono senza comunicazioni reciproche ; vanno sempre allungandosi , portandosi cioè verso la testa; dapprima decorrono rettilinei; lorchè hanno raggiunto una certa lunghezza , si contorcono e prendono un decorso spirale. Note storiche — Lo sviluppo dell' intestino anteriore e posteriore viene già indicato dal Biitschli; ad esso erano sfuggiti i primi stadi dello sviluppo dell' intestino posteriore e dei tubi malpighiani. Tutti gli autori più recenti, ammettono per gli insetti in genere, che i tubi malpighiani derivano dal retto. § 7. — Ghiandoìe serìcee ed altri canali cefalici. Prima che si sviluppi il secondo paio di mascelle, ap- pena indietro del punto dov' esse si formano (tav. IV, flg. ATTI AOC. VOL. XVIII. ■ 24 178 STUDI SUGLI ARTROPODI r e 10"), appaiono due infossamenti, 1' uno destro e 1' altro sinistro : ciascun infossamento, imitando in parte quel che dissi per le stigmate, piglia subito la figura di tasca diretta all' indietro: questa tasca va sempre allungandosi, portan- dosi cioè indietro sotto all' ectoderma ; tiene un decorso rettilineo e si estende a buona parte della lunghezza del corpo dell'embrione. Si ha così un canale cilindrico destro e uno sinistro. Frattanto lo sbocco cambia di molto. Come ciò suc- ceda io non l' ho minutamente studiato ; fatto sta che ad un certo momento i due canali sboccano in uno impari che sta tra 1' epidermide e la catena ganglionare, sulla linea mediana ventrale {gìs tav. lY, flg. 6° 8° e 9' ; tav. Vili, flg. 19° e SI") e che comunica coU'esterno appena dietro dell'apertura boccale. Tra il primo paio di mascelle ed il secondo, all'ester- no rispetto ad esse, si sviluppa un altro paio d' organi (cioè a dire un organo a destra delle mascelle destre e 1' altro a sinistra delle mascelle sinistre) simili alle ghiandole se- ricee. Un altro paio d'organi, forse poco differenti, si svi- luppa davanti alle mandibole (tav. Ili, fig. 16°; tav. IV, flg. 3" 5* 6° 8' e 14°; tav. Vili, flg. 19^ e 23"). L' uno e 1' altro paio d'organi cominciano come infossa- ture dell' ectoderma , che diventano ben presto canalicoli. Quanto al primo paio, esso è già scomparso alla flne del terzo giorno di sviluppo; e si può dubitare che sia niente altro che un paio d'infossamenti secondari formatisi in con- seguenza dello sviluppo delle mandibole. Quanto al secondo paio, per tempo trovasi che i canalicoli non hanno più un decorso semplice; parmi che ciascuno di essi dopo breve tra- gitto si divida in due rami, f uno longitudinale e l'altro trasversale ; credo che quello longitudinale si porti in avanti; credo che quello trasversale s'approssimi alla linea mediana finché quello di un lato finisce a mettersi in comunicazione INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 179 con quello dell'altro, e ciò accadrebbe al disopra del ganglio soi)raesofageo (tav. IV, flg, 14" e le altre figure dianzi citate). Note storiche — Lo sviluppo delle ghiandole sericee era già stato indicato esattamente dal Bùtschli e dal Kowa- levski. 11 Selvatico suppose che nei lepidotteri queste ghian- dole derivassero in parte dal mesoderma; ciò non accade nelle api e, secondo le recenti ricerche del Tichomiroff, non accade neppure nei lepidotteri. Canali comparabili agli al- tri canali del capo, erano già stati trovati dall' Hatscheck e dal TichomirotT nei lepidotteri; erano sfuggiti nelle api al Biitschli ed al Kowalevski; il Dohrn probabilmente li vide e li giudicò accenni delle ghiandole salivari ; che la supposizione del Dohrn sia inamissiblle, lo dimostra il re- cente lavoro del Schiemenz. § 8. — Celoma. La cavità del celoma comincia relativamente tardi. Si può dire che man mano che si approfonda l' infossa- mento formante l'intestino anteriore, il tuorlo nella regione corrispondente al capo va scomparendo, lasciando cioè una cavità che in parte resta piena di liquido, ed in parte vien occupata dall' intestino anteriore e dal mesoderma. Lo stesso succede all'estremità posteriore; intanto che l'in- fossamento anale si trasforma in retto, il tuorlo a poco a poco lascia libera 1' estremità caudale. Così che la massa del tuorlo va riducendosi di volume e va acquistando la posizione del futuro intestino medio, il quale, come vedremo, alla fine viene a contenerlo interamente, o, meglio, si forma attorno ad esso. Prima che si sviluppi l'intestino medio, il tuorlo riducendosi di volume abbandona anche le parti late- rali-ventrali. Come illustrazioni vedi le flg. 4' 5' 11" e 30' della 180 STUDI SUGLI ARTROPODI tav, VII, e la flg. 13^ della tav. V. Questa riduzione del tuorlo non accade regolarmente; per un certo tempo qua e là esso rimane attaccato all' embrione per fili sottili. Contemporaneamente accade una piccola riduzione del tuorlo dal lato dorsale (tav. VII, flg. 11° e 33"). Mentre in principio il mesoderma è solido (tav. Vili, flg. r 2" 3' e 4° e tav. X, flg. 2°); poco piii tardi (verso r epoca in cui il tuorlo comincia a ridursi) le parti laterali presentano nettamente una cavità o fenditura {ci tav. VII, flg. IP 30" 31") e le cellule della parte mediana vanno stac- candosi runa dall'altra, dando così origine a piccole cavità. A poco a poco le fenditure delle parti laterali del me- soderma, vanno modificandosi specialmente in conseguenza della formazione degli organi genitali (tav. VII flg. 5" 29' e 34-). Contemporaneamente accade anche uno spostamento di una parte dell' entoderma (v. più avanti). Viene così a poco a poco a comparire una completa ca- vità addominale, in parte formata dallo spostarsi in vario modo degli elementi del mesoderma, in parte formata dal ritirarsi del tuorlo e in parte infine formata dallo sposta- mento dell' entoderma. Riassumendo, il fatto più sagliente resta questo: il me- soderma per molto tempo occupa soltanto le faccie ventrali e laterali dell'embrione; tranne alle estremità anteriore e posteriore, prestissimo si presenta formato da due strati ; questi due strati cessano di essere distinti relativamente presto nella parte mediana longitudinale ventrale e restano Invece a lungo distinti nelle parti laterali. I due strati, in queste parti laterali, s'allontanano alquanto l'uno dell'al- tro per modo da formare una stretta fenditura celomica che resta chiusa dal lato dorsale ; vale a dire, ai confini laterali del mesoderma uno strato ( esterno o superficiale ) passa nell'altro (interno o profondo) senza interruzione , e INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 181 ciò dura per molto tempo. Invece verso la linea mediana la fenditura resta chiusa appena per un istante (tav. \U, flg. 11^). Non credo che questa fenditura presenti in alcun pe- riodo, quelle interruzioni segmentali che vengono descritte per es. dal Tichomiroff sul baco da seta. Dei due strati che la delimitano , 1' uno si può deno- minare foglietto superficiale, e 1' altro foglietto profondo del mesoderma. • Nel mesoderma del capo si formano relativamente tardi due ampie lacune (una cioè a destra e 1' altra a sinistra) delimitate da un sottil strato mesodermico; esse sono for- se paragonabili alle fenditure or ora descritte (tav. IX, flg. 19") colle quali però non comunicano direttamente. Note storiche — Il Butschli ha notato alcuni dei fatti qui accennati. § 9. — Vaso dorsale e aorla. Le cellule in corrispondenza press' a poco ai confini late- rali del mesoderma — sulla linea dove il foglietto superficiale passa nel foglietto profondo— danno luogo alla formazione del vaso dorsale e della parte posteriore della aorta (la qua- le resta a lungo non ben distinta dal vaso dorsale stesso) (tav. VII, flg. 5^ ir 30' 31" e 33'^). Siccome, per quanto ho già accennato , le cellule in discorso si trovano alle parti laterali dell'embrione, così per formare il vaso dorsale e la parte posteriore dell'aorta quelle d'un lato dovranno av- vicinarsi a quelle dell' altro. Siccome alla faccia dorsale il tuorlo è a contatto coli' entoderma, e questo quasi a con- tatto coir ectoderma, così il tuorlo dovrà man mano venir assorbito per modo che paia si ritiri verso 1' asse dell'uovo, trascinando seco l'entoderma; così tra 1' entoderma e l' ec- 182 STUDI SUGLI ARTROPODI tocìerma a poco poco si forma una lacuna, piuttosto ampia, che simultaneamente vien occupata dal vaso dorsale. E però in principio il vaso dorsale e la parte posterio- re dell'aorta sono rappresentati da un'ampia lacuna chiusa alla faccia dorsale o superficiale dall' entoderma , a quella ventrale o profonda dall'ectoderma e lateralmente da un semplice cordone di cellule (tav. VII, fìg, 14' e 15' e tav. V, flg. 14' e 16"). A po' a po' il cordone d' un lato s' avvicina a quello dell' altro e gli si unisce, in modo da formare un tubo a lume angustissimo; le cellule corniciano a subire metamorfosi, eh' io non ho ben studiate (tav. VII, flg. 4^ 17" 18" 19' 20' 22" 23' e 24' ; e tav. V, flg. IT'' e 18"). Più tar- di, prima che l'ape esca dall'uovo, il tubo comincia ad al- largarsi (tav. V, flg. 19' e 2V). Poco dopo che il vaso e la parte posteriore dell' aorta hanno acquistato dapertutto parete propria, si notano delle introflessioni laterali della parete stessa; all' apice delle in- troflessioni manifestasi una fenditura (ostio venoso) per cui il lume del vaso dorsale comunica col celoma (tav. V, flg. 19' e 21°). Queste introflessioni o valvole sono, io credo, in numero di nove paia ; la prima corrisponderebbe al 4° seg- mento del toraco-addome; le altre ai segmenti seguenti flno al 12" compreso; mancherebbero dunque le valvole al 1° 2" 3" e 13° segmento. Per tempo il mesoderma che sta attorno al vaso dor- sale , comincia a disporsi in modo da accennare alla for- mazione della muscolatura circumvasale. Air epoca press' a poco della formazione delle valvole, notai che il vaso dorsale è esteso anche a porzione del retto. Pare che questo suo trovarsi al di là delle estremità del- l' intestino medio sia in rapporto con uno spostamento di quest'ultimo (V, sotto). Anteriormente l'aorta si può se- guire in corrispondenza a gran parte dell' esofago ; all'e- stremità posteriore del capo essa si ripiega per modo da mettersi a ridosso della faccia dorsale dell' esofago. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 183 I corpuscoli sanguigni originano quando il vaso dorsale è ancora un'ampia lacuna (tav. VII, flg. 14") senza pareti dorsale e ventrale; allora li ho trovati abbondanti all'è strernità posteriore (vedi ancora tav. V, flg. 14'') e scarsis- simi nel resto del vaso dorsale. Corpuscoli simili si trovano anche nel celoma. Quando il vaso dorsale è diventato un vero canale, i suoi corpuscoli si trovano uniformemente sparsi, ma la- sciano lacune qua e là relativamente estese (tav. V, flg. 17' e 18"); pili tardi (tav. Y, flg. 10' e 20") queste lacune diventano più anguste. I corpuscoli sanguigni sono cellule i)iù o meno tondeg- gianti, spesse volte plurinucleate; il loro protoplasma è in- farcito di paraplasma. Il trovarli bi- o plurinucleati accenna alla loro moltiplicazione. I primi corpuscoli sanguigni, a mio credere, derivano da cellule staccatesi dal mesoderma, là dove dà origine alle pareti del vaso dorsale (tav. VII, flg. 27" e tav, Vili, flg. 12^). Note storiche. — Notizie in argomento si leggono nel Btitschli e nel Dohrn. Il Dohrn e il Tichomiroff fanno de- rivare i corpuscoli sanguigni dal tuorlo. § 9. Genitali. I genitali si sviluppano in un periodo abbastanza tar- divo; si presentano come due cordonciifl , uno a destra e l'altro a sinistra, di grossezza uniforme e solidi, senza al- cun rapporto 1' uno coli' altro; s' estendono press' a poco dal 4° all' 8" segmento addominale; permangono così per tutto il tempo che l' embrione resta nell' uovo. Sono formazione mesodermica (tav. VII, flg. 27^^ 29" e 34'); nascono press' a poco ai confluì tra il foglietto super- flciale e il foglietto profondo del mesoderma: sono al loro 184 STUDI SUGLI ARTROPODI primo apparire addossati ai cordoni cellulari che for- mano il vaso dorsale. Poco dopo che essi si sono for- mati, si trovano compresi nell'angolo dorsale fatto dal fo- glietto superficiale col foglietto profondo (tav. VII, flg. 27'). Sin qui essi stanno nelle parti laterali dell'embrio- ne ; man mano che si forma il vaso dorsale , si portano sulla faccia dorsale, restano però sempre piuttosto discosti dalla linea mediana (tav. VII, flg. 4" 23» 24^ 27" e 34'). Essi hanno evidenti rapporti con quella parte del me- soderma che forma i muscoli del vaso dorsale. Certo è però che la loro comparsa precede quella della muscola- tura in parola Note storiche — Il Biitschli e gli Hertwig fanno de- rivare i genitali dal mesoderma. Il Tichomiroff vorrebbe farli derivare dall' entoderma. § IO. — Foglietto epiteliale delV interino medio. Esso deriva dall' entoderma. Ho già accennato lo sviluppo dell'entoderma. Noi lo ab- biamo lasciato in un periodo in cui era ancora limitato al lato dorsale : esso era dunque una sorta di lamina o meglio di tegola dorsale a concavità interna (tav. VII, flg. 5°) : que- sta tegola, lo ricordiamo, si era sviluppata dalla fusione di due prolungamenti mesodermici dorsali, l'uno anteriore e l'altro posteriore. La tegola a poco a poco, nello stesso tempo che si allarga, si ripiega verso il lato ventrale tenden- do a formare un tubo; finalmente si forma una saldatura dei margini laterali della tegola sulla linea mediana ventrale, e così la tegola si trasforma in un tubo — foglietto epite- liale dell'intestino medio — .In principio il tuorlo è coperto dalla tegola appena nella sua metà dorsale; poi man mano che la tegola va ripiegandosi, esso ne vien man mano co- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 185 perto anche nella metà ventrale; finché, quando la tegola è diventata un tubo, il tuorlo si trova interamente com- preso nel di lui lume. Contemporaneamente il tuorlo va però riducendosi per modo che la parte ventrale dell' entoderma, a quel che sem- bra, viene costituita non appena con neoformazione di cel- lule, ma anche collo spostamento di una parte di quelle che formavano la tegola (tav. VITI fig. 4' 6' 13' 14" 15"). Ho potuto persuadermi clie originariamente la tegola si estende anche in corrispondenza di una parte degli intestini anteriore e posteriore ; da queste regioni essa si ritira contemporaneamente al tuorlo; man mano che acca- dono questi mutamenti , il corpo dell' embrione s' allunga, e ciò spiega come la tegola si sposti senza far piega. Note storiche. — Una parte dei fatti qui riferiti erano già stati intraveduti a fresco dal Bùtschli. §11. — Appendici del corpo . Per tempo all'estremità anteriore del capo, dal lato dorsale, si sviluppa una prominenza (lobo procefalico) impari e mediana formata da mesoderma e da ectoderma (tav. Ili, f]g. 4^ e 5^). Tardivamente (tav. IV, flg. 10') 1' estremità libera di questo lobo presenta un accenno di un infossamento me- diano che in appresso, s'io non m'inganno, scompare intie- ramente. Verso il terzo giorno questo lobo si ripiega verso il lato ventrale, dove viene a formare una specie di labbro superiore dell'apertura boccale (tav. IV, fìg. 3% Q"" etc.) Le antenne si sviluppano dalle piastrine del vertice e compaiono quasi contemporaneamente agli arti boccali an- teriori , forse un po' più tardi del lobo procefalico ; hanno una posizione laterale ventrale (tav. IV, flg. 2'); stanno ATTI ACC. VOL. XVIII. QK 186 STUDI SUGLI ARTROPODI quindi fuori della linea degli arti boccali (tav. Ili, flg. 9"). Risultano forse già in principio di ectoderma e di mesoder- ma. Crescono fin verso il terzo giorno di sviluppo dell' ape nell'uovo; durante il terzo giorno forse diminuiscono di vo- lume. Si sviluppano quattro paia di arti boccali. Di essi, il secondo paio rappresenta le mandibole, il terzo è il primo paio di mascelle, ed il quarto è il secondo paio di mascelle (tav. Ili, flg. 8" e 9'). Resta a parlare del primo paio (tav. Ili flg. 9" e 16'); esso si trova collocato davanti alle mandibole, in avanti e più ventrale rispetto alle antenne; si sviluppa precocemente (tav. Ili flg. 17") (forse prima delle mandibole); più tardi (prima cioè che le mascelle del secondo paiosiansi avvicinate alla linea mediana) scompare, senza lasciar traccie evidenti (tav. IV, flg. 2'). Degli altri tre arti boccali , prima compaiono le man- dibole (tav. Ili, flg. 17°) e dopo rapidamente sorge 1' accenno delle due paia di mascelle. Le mandibole una volta apparse, mutano poco; si por- tano solo alquanto verso 1' apertura boccale (tav. IV, flg." r, 8' e 9^). Press' a poco similmente si spostano le prime mascelle. Queste e quelle constano di mesoderma solido e di ectoderma, come tutti gli altri arti; verso il terzo giorno il mesoderma, si scioglie, si formano cioè tra gli elementi del mesoderma, delle lacune che communicano col celoma. — Incidentemente noto che la stessa cosa succede nel lobo procefalico. Le seconde mascelle invece si portano verso la linea mediana, avvicinandosi così l'una all'altra (tav. IV, flg." P, 3°, 4', 6' e 8'); nel medesimo tempo vanno atroflzzandosi , sicché alla flne del terzo giorno non le ho potuto più di- stinguere con sicurezza (tav. IV, flg." T e 9"). Al torace si sviluppano tre paia di arti; il loro svilup- INTORNO A-LLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 187 po sussegue immediatamente a quello degli arti boccali (tav. Ili, flg. 8° e 16"). Il primo precede di poco il secondo, e il secondo pre- cede di poco il terzo. Neil' embrione di tre giorni non si trova pili alcun accenno di questi arti toracici. Sugli anelli addominali non vidi che quanto segue. In un periodo in cui erano presenti appena gli arti boc- cali parecchie volte trovai due paia di prominenze ecto-me- sodermiche (flg. 10' tav. IV ato); l'un paio all'estremità po- steriore e l'altro quasi al posto dove più tardi compare la decima stigmata: queste prominenze scompaiono prestissi- mo. Pare naturale di interpretarle come arti ventrali. No- tisi però che in molti altri embrioni, press'a poco allo stesso periodo di sviluppo, non potei riscontrarle. Note storiche. — La maggior parte dei fatti qui rife- riti si leggono già nel Biìi,schli; in parecchi punti però le mie osservazioni non collimano colle sue, È inutile discen- dere ai particolari; osserverò soltanto che il Biitschli a torto segna la comparsa degli arti su tutti gli anelli addominali; egli è stato ingannato dai solchi intersegmentali che al lato ventraie-laterale sono molto profondi (tav. X, flg. 15'). PARTE GENERALE § 1 . — Premesse. I nostri studi sulle api, le quali sono insetti tipici , possono flno ad un certo punto servir di lume per la co- noscenza generale degli insetti e dei tracheati; e lo possono tanto pili in quanto che riflettono la formazione dei foglietti germinativi e l'accenno degli organi, cioè fatti evolutivi che 188 STUDI SUGLI ARTROPODI sogliono essenzialmente tenersi uniformi per tutta una classe animale. A farci ammettere una siffatta uniformità nel no- stro caso concorre, s' io non mi illudo, tutto quel che sap- piamo sui vari ordini d' insetti ; tutto infatti tende a farci supporre che quanto allo sviluppo dei foglietti e all' accenno degli organi, tra i vari ordini di insetti si diano soltanto delie differenze secondarie, determinate per lo più, dalla presenza del tuorlo in poca (es. ape) o grande (es. lepidotteri) quantità. Ma, se è vero che lo studio delle api ha valore per la morfologia degli insetti in genere, e se è anche ammissi- bile che era necessario cominciare le ricerche con uova di insetti le quali, come quelle da me studiate , offrendosi in condizioni favorevoli, ne permettessero di ritrarre tutte le linee fondamentali dello sviluppo; è però certo che dobbia- mo procedere cautamente nel far apprezzamenti d' indole generale. Dobbiamo, cioè, tener ben fisso in mente che gli ime- notteri, e più specialmente le api, rappresentano insetti. ì quali si sono spinti molto innanzi sulla via del perfeziona- mento, i quali cioè non sono forme primitive. Che veramente essi siano in queste condizioni , lo prova il loro posto nel sistema, tra i rami terminali, i più lontani dagli insetti primitivi (atteri) ; oltracciò ne fa fede l'anatomia compara- ta e r ontogenia ; basta infatti accennare alle metamorfo- si, alle ali, al sistema tracheale, al sistema nervoso etc. ; che anzi i fatti relativi agli arti delle api, che ho addie- tro accennati, bastano da per sé soli a provare la tesi in discorso. È certo adunque che se le mie ricerche riguardassero tisanuri o pseudoneurotteri significherebbero pel morfologo molto di più di questi studi sulle api; ai quali tuttavia, per quanto ho premesso, debbesi concedere un po' di va- lore. Il mettere in luce questo valore è ciò che forma ap- punto oggetto del presente capitolo. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 189 Siccome io intendo di far seguire a questa Memoria un'altra sui tisanuri, così molte quistioni per ora verran- no appena accennate. § 2. — Intorno alla formazione del blastoderma. Voglio fare alcune considerazioni intorno alla forma- zione del blastoderma : I. La segmentazione delle api, siccome risulta dalle mie ricerche, è molto simile a quella osservata dal Bobretzky nei lepidotteri e dal Weismann nel grillotalpa. Il Weismann ammette un altro tipo di formazione del blastoderma (nei cinipedi) , tipo pel quale nell'interno del- l' uovo si formerebbero appena nuclei , che migrerebbero alla superficie causando una segmentazione della parte su- perficiale del tuorlo ; questa parte si concentrerebbe così attorno ai singoli nuclei. Lo stesso autore inclina ad ammettere anche un terzo tipo di formazione (nel chironomo): i nuclei si formerebbe- ro ancora nell' interno del vitello , si porterebbero quindi alla superficie, dove troverebbero già protoplasma puro (cioè senza deutoplasma) il quale si disporrebbe intorno a ciascuno di essi. Il Weismann crede d'aver osservato molte volte anche movimenti ameboidi dei nuclei; questi movi- menti avrebbero particolare importanza per gli ultimi due processi di formazione del blastoderma. Avremmo dunque, secondo il Weismann, tre modalità, che possiederebbero un certo valore nell' interpretare la segmentazione degli insetti, lo però mi permetto di rileva- re che le osservazioni mie coincidono con quelle del Bobret- zky e con quelle del Tichomiroff, i quali due autori stu- diarono il fenomeno come me, cioè coU'aiuto delle sezioni; ciò mi fa sospettare che, se anche il Weismann avesse se- zionato, sarebbe giunto a risultati simili ai nostri. 190 STUDI SUGLI ARTROPODI II. Nel blastoderma è facile di trovar cellule plurinu- cleate, certamente accennanti a riproduzione endogena delle cellule stesse. Questa modalità di riproduzione m' ha con- dotto a formulare la seguente interpretazione del modo di segmentarsi dell' uovo dell' ape e degli insetti in genere. Secondo me , questo processo di segmentazione sarebbe paragonabile alla riproduzione endogena d'una cellula; e /' uovo segmentantesi troverebbe riscontro in ima cellula plurinucleata, col protoplasma impregnato di inolio cleuto- pìlasma. Il fatto che gli elementi, che si formano nel tuorlo, restano riuniti l'uno all'altro, per prolungamenti protopla- smatici, finché escono dal tuorlo per formare le cellule bla- stodermi che; questo fatto, dico, dimostra forse che e-ssi non sono ancora vere cellule. E ciò concorda colle presunzioni teoriche avanzate dal Balfour. Le amibe, com' io ho pel primo dimostrato e come ha recentemente confermato il Brass, non si moltiplicano sol- tanto per bisezione , ma anche per una specie di sporo- gonia. È forse in questa sporogonia che dobbiamo ricercare tanto la spiegazione delle cellule plurinucleate, quanto la spiegazione della singolare riproduzione dell' uovo degli Insetti. Modalità di questo stesso processo sarebbe la segmen- tazione per es. di molti crostacei. III. Ricerchiamo una ragione della formazione del bla- stoderma alla periferia piuttosto che in altra parte del- l' uovo. Tanto 1' uovo ancora intiero quanto i segmenti (bla- stomeri) che ne derivano devono possedere , piìì o meno modificate, le funzioni delle amibe, ossia le proprietà fisio- logiche fondamentali del protoplasma ( nutrizione, riprodu- zione , contrattilità , eccitabilità). È dietro questo concetto fisiologico che, secondo me, debbesi interpretare il processo di segmentazione, nelle api, come in tutti gli altri animali. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 191 A me Ilare quindi di poter ammettere che gli elementi deW uovo degli insetti si portino alla superficie lìcr poter meglio compire il processo della nutrizione; alla super- ficie del tuorlo hanno il grandissimo vantaggio di potere con una faccia essere a contatto del nutrimento, lo che, naturalmente, riesce molto utile, e colf altra in relazione coir ambiente esterno, lo che è molto importante pei feno- meni respiratori ed escretori. Cosi mi pare possibile di spiegare la segmentazione centrolecitica; In modo poco dif- ferente si possono spiegare gii altri tipi di segmentazione. Ragionamenti analoghi debbonsi a mio parere applicare alla gastrula, la quale ordinariamente viene definita come for- mata da due foglietti, l'uno per sentire e l'altro per digerire. Questa definizione è molto Imperfetta; in origine alla gastrea (gastrula vivente) sarà spettato l'esercizio di tutte le fun- zioni fondamentali della vita ; nella gastrula, quale oggidì ripetesi ontogeniticamente in molti animali , dobbiamo aspettarci di trovare molti adattamenti dipendenti spe- cialmente dalle funzioni di respirazione e di escrezione. Ma su questo punto avrò occasione di tornare in altro lavoro. IV. È notevole che in tante centinaja di uova da me osservate a fresco, con e senza 1' ajuto dei soliti reagenti, e in tante centinaja di buone sezioni da me ottenute, non ho mai incontrato neppure una sola figura carlocinetica ; e questo risultato negativo riguarda non solo la formazione del blastoderma, ma anche lo sviluppo dei foglietti e l'ac- cenno degli organi. § 3. — Intorno alla formazione dei foglietti germinativi. Oggetto del presente paragrafo si è tentar di dimo- strare che lo sviluppo dei foglietti ne' tracheali ha luogo per un processo di gastrulazlone direttamente paragonabile 192 STUDI SUGLI ARTROPODI a quello del peripato, e perciò non fondamentalmente dis- simile da quello di parecchi altri gruppi di metazoi. Per discutere 1' argomento dobbiamo richiamare che non in tutti gli insetti il processo corre precisamente come nelle api. Abbiamo veduto che nell'ape, alle due estremità della piastra ventrale, ha luogo la formazione dei foglietti ger- minativi per mezzo di un ispessimento , o stratificazione del blastoderma, con o senza precedente formazione di un solco più 0 meno profondo; un processo simile ripetesi sul baco da seta non limitato alle estremità, ma sibbene esteso a tutta la piastra ventrale (il Tichomiroff). In altri insetti, in certi punti si forma una doccia sulla linea mediana della piastra ventrale ; i margini di questa doccia si chiudono semplicemente come le pareti del canale midollare nei vertebrati, convertendo così la doccia in un tubo ; questo tubo tantosto diventa solido e forma una pia- stra di cellule (mesoderma e fors'anche entoderma) situate al di dentro dell' ectoderma, il quale si è completato di nuovo per coalescenza dei due tratti laterali alla doccia. In altri punti degli stessi insetti, si forma ancora la doccia; le cel- lule di ciascun margine di questa doccia s' estendono al disopra di essa e s' incontrano sulla linea mediana , for- mando così uno strato distinto (ectoderma) al di fuori delle cellule che tappezzano il fondo della doccia ; queste cellule del fondo si trasforman direttamente in mesoderma e for- s'anche in entoderma, senza che il fondo prenda la forma di un canale (V. le flg." nel Balfour). Come si vede, il processo di formazione dei foglietti germinativi è assai vario; l'invaginamento può essere super- ficiale 0 profondo e può dare diretta o indiretta origine al mesoderma etc. Questa somma variabilità, a me pare che in parte almeno alluda a un processo rudimentale, in quantochè si INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 193 sa clie è proprio di tutti i processi rudimentali il variar molto. Fissiamo come fallo fondamentale la formazione di un solco impari mediano, molto variabile di forma e di lirofondità, e perciò consideriamo soltanto come una va- riazione di questo fatto fondamentale la formazione di due solchi (quali osservansi in certi parti per es. neW ape) V uno al di qua e V altro al di là della linea mediana. Riteniamo inoltre che il solco impari mediano non s' e- stende alle estrem.e estremità anteriore e posteriore della piastra embrionale (nell'ape), sicché esso viene in certo modo ad aver tutti i caratteri d' un blastoporo allungato. Non fa d' uopo aggiungere che esito di tutto il processo si e la formazione dei tre foglietti. Se con questi fatti compariamo quelli che ci sono diventati recentemente noli sul peripato (Balfour e Kennel), io credo che acquistiamo l' autorità di conchiudere che il processo in discorso negli insetti esprime una gastru- lazione. Questa gastrulazione , a mio parere , è in patrie fal- sificala dal tuorlo , il quale meccanicamente e funzional- mente impedisce che essa segua esattamente la via che tiene nel peripato. Perciò avviene che, contradicendo la filogenia, 1' ento- derma derivi dal mesoderma e che 1' entoderma si formi dopo il mesoderma. Bisogna però confessare che questa contradizione parrebbe forse minore , se si considerasse meso-entoderma la massa cellulare da cui deriva il meso- derma e 1' entoderma, e si parlasse di un mesoderma e di un entoderma, appena dopoché 1' entoderma si è separato dal mesoderma. Come ho già accennato nel mio parere, la gastrulazione degli insetti non è appena falsificata, ma anche rudimen- tale, 0 ridotta che si voglia dire. Questa riduzione dipende ATTI ACC. VOL. XVIU. no 194 STUDI SUGLI ARTROPODI forse dalla singolare disposizione del blastoderma ; il quale cioè , può compiere ottinaamente la funzione di nutrizione e rende inutile lo stadio di gastrula. Richiamo infine due fatti: 1° la divisione del meso- derma in due strisele, ciascuna delle quali consta dì due strati, formanti un fondo cieco, o tasca, collo sbocco verso la linea mediana; 2" la lunga durata della comunicazione tra queste tasche e r intestino (lepidotteri e imenotteri). Essi accennano un processo simile a quello intraveduto dal Balfour nel peripato. Notisi però ch'io non ammetto che le figure lasciate dal Balfour provino che nel peripato le cose procedano identicamente come nelle sagitte. § ^ì.— Intorno al signifìcato e alle analogie dell' amnio. I. La membrana embrionale (amnio) dell' ape è sem- plice ; lo stesso fatto ripetesi nei cinipedi. Ci sono indizi accennanti ad una semplice membrana per altri imenotteri Si può forse adunque credere che negli imenotteri di re- gola la membrana è semplice. Non è quindi giusto di ri- tenere senza ulteriori dimostrazioni primitivo e fondamen- tale r amnio a due pagine; l'esser semplice negli imenot- teri è un fatio che imporrà fino a che non si potrà dimo- strare, che negli imenotteri è avvenuta una riduzione del- l' amnio stesso. A me sembra che questa semplicità dell' amnio possa essere fino ad un certo punto in rapporto colla scarsezza del tuorlo. IL È ovvio pensare che le membrane amniotiche una volta siano state parte integrante del corpo dell' a- nimale. I fatti seguenti confortano la mia ipotesi : 1." si richiami il periodo embrionale, in cui il blasto- derma è completo e non ditferenziato; allora vi è non sol- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 195 tanto continuità ma anche uguaglianza di cellule tra l'am- nio e la piastra ventrale; la continuità tra 1' amnio e l'em- brione dura per qualche tempo ; 2." per lo meno un tratto di mesoderma resta a lungo senza copertura ectodermica; viene invece bagnato dal liqui- do amniotico e perciò indirettamente viene ricoperto dal- l'amnio. Per spiegare la supposta trasformazione di una parte del corpo dell' embrione in membrana protettrice dobbiamo far capo ad un antenato , nel quale tutto il blastoderma si trasformava in embrione (un parente stretto , cioè , dei pili bassi artropodi viventi). La piastra ventrale si pro- lungava sottile a formare la parete dorsale del corpo; sup- poniamo, che questa parete dorsale, nei discendenti di que- sto antenato , sia cresciuta in estensione piìi rapidamente della piastra ventrale, e ciò forse in grazia della sua sot- tigliezza ; essa sarà così venuta a poco a poco a sorpas- sare da ogni parte la piastra ventrale formando una piega sopra di essa. Ammesso questo primo passo , passo per passo si può arrivare all' amnio attuale degli insetti. In principio la supposta piega avrà continuato a fun- zionar-e come parte del corpo (o più precisamente del fo- glietto sensitivo); poscia avrà cominciato a proteggere an- che l'embrione. Ad un certo punto, avrà cessato del tutto di funzionare come parte del corpo e sarà diventata esclu- sivamente un organo di protezione. Questa interpretazione dell' amnio collima con quella data recentemente da Gegenbaur per i vertebrati. Con ciò voglio dire che grandissima è 1' analogia delle membrane embrionali dei vertebrati con quelle degli artro- podi. L' omologia però viene esclusa per le seguenti ra- gioni : 1." 1' amnio manca alle forme più primitive dei verte- brati ; 196 STUDI SUGLI ARTROPODI 2." esistono divergenze morfologiche non piccole tra l'amnio dei vertebrati e quello degli artropodi; così per es. nei vertebrati l'amnio fa parte del tratto dorsale del- l' embrione, nell' artropodo invece ne è porzione ventrale; il mesoderma nell' artropodo non partecipa alla formazione dell' amnio e vi partecipa invece nel vertebrato etc. L'ipotesi del Balfour , che l'amnio cioè esprima una muta (ecdisi) precoce, a me sembra che non abbia alcun fondamento ;' il Balfour stesso del resto ce la diede senza alcun commento. § ^. — Omodinamia dei tubi maìpighiani, delle ghiandole sericee e degli altri tubi cefalici colle stigmate. Nella parte speciale, ho detto che si formano dieci paia di stigmate , e che esse mancano al primo anello toracico ed ai due ultimi anelli addominali. Nella mia nota preliminare soggiungeva : « Per spie- gare la mancanza delle stigmate al primo anello toracico, mi riferisco alle interpretazioni di Palmen. A proposito della mancanza delle stigmate ai due ultimi anelli addominali, ri- cordo che tale fatto ripetesi nella maggior parte degli altri ordini d' insetti. » <■ Esso sarebbe in contrasto sopratutto col numero di paia di gangli, se la mancanza delle stigmate e relative tra- chee non fosse surrogata da altri organi, e cioè dai tubi malpighiani. » « Neil' ape , come in molti altri insetti , si sviluppano appunto due paia di tubi malpighiani; nell' ape poi (per gli altri insetti ci mancano complete osservazioni) il modo di sviluppo ricorda da vicino quello delle stigmate e relative trachee. » « Verso r estremità posteriore dell' embrione, dal lato dorsale, in corrispondenza al tratto dove si formano gli ul- INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 197 timi due segmenti , immediatamente dopocliè è comparso r ultimo paio di stigmate , si formano due paia d' infossa- ture ectodermiche; un paio ò anteriore, 1' altro è posteriore; sono paragonabili a stigmate relativamente piccole, spostate dalle faccie laterali sulle dorsali e così ravvicinate 1' una all'altra; un po' più tardi quando queste infossature sono diventate piuttosto profonde, le due d'un lato (l'una quindi appartenente al paio anteriore e l'altra al paio posteriore) offronsi congiunte insieme per mezzo d' un solco ectoder- mico, longitudinale, solco di cui prima non esisteva traccia; da indi a poco 1' ectoderma compreso tra questi due solchi s' infossa; comincia così l'intestino posteriore; il quale com- pare dunque più tardi elle i tubi malpigiiiani; epperò questi hanno in certo modo coli' intestino posteriore , rapporti appena secondari. « Simiglianza di posizione e di sviluppo sono prova di omodinamia; a me pare dunque stabilito che i tubi malpi- ghiani sono omodinamici con due i)aia di stigmate e rela- tive trachee. Naturalmente il confronto dev' essere fatto al- lora quando le stigmate colle relative trachee sono rappre- sentate da semplici infossamenti più o meno profondi e non per anco in communicazione l'uno coli' altro. » Or qui mi resta d'aggiungere tre osservazioni: 1." nel baco da seta le stigmate mancano ai tre ultimi segmenti addominali e si sviluppano invece tre paia di tubi malpighiani; 2." l'allungamento, all'estremo posteriore dell' embrio- ne, dopo l'accenno delle stigmate, avviene forse in parte per un po' di distensione di quella porzione della piastra ventrale che sta ripiegata dal lato dorsale; così questa por- zione verrebbe ad occupare il polo posteriore dell' uovo. Se ciò è vero, si può ammettere che la posizione elei tubi malpighiani collima perfettamente con quella delle stig- mate , che cioè la posizione elei tubi malpighiani pare 198 STUDI SUGLI ARTROPODI dorsale perchè V embrione è ripiegato verso il dorso ; se ìion esistesse questo ripiegamento, i tubi malpighiani ap- parirebbero ventrali come le stigmate. 3" Il retto, che si può dire sostegno delle due paia di tubi malpighiani, è in rapporto coi due ultimi segmenti del tronco; questo fatto è favorevole all' omodinamia da me sostenuta. Come notizia storica aggiungerò che il Dott. Paul Mayer aveva già ammessa l' omodinamia in discorso, senza darne però prove competenti; e che il Prof. Palmen aveva com- battuto con seri ragionamenti quest'ipotesi del Mayer. Al capo si formano , fino ad un certo punto , in rap- porto con tre paia d' arti (primo paio di mandibole, primo e secondo paio di mascelle) si formano, dico, tre paia d'in- fossature eh' io inclino molto a giudicare omodinamiche colle stigmate e relative trachee. Contro questa omodinamia si potrebbe obbiettare che, se è vero che il modo di formazione degli organi in con- fronto è identico , non è meno vero che !a loro posizione non è del tutto simile. Però quanto alle ghiandole sericee, se consideriamo che il loro sbocco, durante lo sviluppo del- l' ape neir uovo , va portandosi man mano verso la linea mediana, e la raggiunge al terzo giorno; non dobbiamo mara- vigliarci di trovarle, già al loro primo comparire, rappre- sentate da infossamenti ectodermici un po' più vicini , che le stigmate, alla linea mediana (1). Inoltre non sarebbe forse (1) L'Hatscheck ha dimostrato nei lei)idotteri delle infossature dell' ecto- derma, al capo; io le ritengo omologhe a quelle che ho descritte nelle api, e che or qui ho supposte omodinamiche alle ghiandole sericee e alle stigma- te. Il Tichomiroff ha provato che nei lepidotteri questi infossamenti ecto- dermici si riempiono di chitina e formano così l'endoscheletro del capo. Forse un fatto simile verificasi nelle api pel secondo paio dei citati infossamenti. Ciò però non contraddice l' omodinamia da me ammessa, ma dimostra sol- tanto la parentela delle creste o sbarre cuticulari interne ( endoscheletro ) colle trachee. INTORNO A.LLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 199 difficile di giustificare cogli spostamenti delle mascelle e eolla scomparsa del primo paio di arti la differenza di po- sizione tra le stigmate e le due paia anteriori di infossamenti cefalici. Finché l'embrione resta nell'uovo, tutti gli organi da me considerati omodinamici alle stigmate colle relative tra- chee (tubi di Malpighi, ghiandole sericee, tubi del capo) sono ripieni di liquido communicante col liquido amniotico. Lo stesso accade pel sistema tracheale; durante tutto il pe- riodo embrionale , quest' ultimo non contiene dunque aria. "\'oIendo ammettere, come pare ragionevole, che questi fatti abbiano un significato fisiologico, si può supporre che tutti gli organi in discorso durante lo sviluppo dell' ape nell'uovo, funzionino come organi escretori, quindi in una maniera — per la maggior parte di essi— differente da quella con cui funzioneranno più tardi. Questa considerazione ha grande importanza per la teoria Palmen-Gegenbaur, secondo la quale il sistema tra- cheale prima di funzionar come apparato respiratorio avreb- be funzionato come apparato escretore. Se si dimostrasse che gli organi escretori della testa dei crostacei e che i nefridi degli anellidi avessero origine ec- todermica, a me parrebbe possibile di ammettere l'omolo- gia degli infossamenti cefalici dell'ape cogli organi escretori cefalici dei crostacei, e l'omologia delle infossamenti stessi, delle trachee e dei tubi malpighiani coi tubi escretori de- gli anellidi. § Q.— Intorno al sistema nervoso. I. Sonvi forse notevoli differenze tra lo sviluppo del si- stema nervoso degli anellidi e lo sviluppo di quello dell'ape. II. Il ritardo dello sviluppo delle commissure è impor- tante argomento nell' apprezzare il fatto constatato dal 200 STUDI SUGLI ARTROPODI KleinenÌDerg, che, cioè, il cervello degli anellidi si sviluppa separato dalla catena ganglionare. III. Sono forti le somiglianze tra i gangli sopraesofagei ed un paio di gangli della catena ganglionare ventrale. § "i,— Intorno al sistema circolatorio. I. L' ipotesi del Bùtschli, che i vasi siano residui della cavità di segmentazione, non viene per certo contradetta da quanto succede nelle api. Richiamo la lacuna formatasi (pel ritirarsi del tuorlo) tra l'ectoderma, 1' entoderma e quei tratti di mesoderma che danno origine al vaso dorsale; essa si può riscontrare già all' epoca in cui il mesoderma è ancora indifferenziato e 1' entoderma è ancora una tegola a convessità dorsale. Se si interpreta questa lacuna, ciò che per ora non è illecito, siccome residuo della cavità di segmentazione, la teoria del Bùtschli riceve forse un ap- poggio. II. Il vaso dorsale degli insetti si sviluppa come quello degli artropodi in genere ( V. le osservazioni di Metschmi- koff sul geofllo e quelle di Claus sull' apus ). Farebbero eccezione gli aracnidi, se le osservazioni del Balfour fossero esatte, del che è lecito dubitare. III. Il vaso dorsale si sviluppa dal mesoderma, al tratto dove il foglietto superficiale del mesoderma passa nel fo- glietto profondo (viscerale dell'intestino), ossia al tratto da cui una volta verosimilmente derivava anche un mesen- terio dorsale. Ciò dimostra l'Intimo rapporto del vaso dor- sale coli' intestino , ed è forte argomento per ammettere l' omologia del vaso dorsale negli anellidi e negli artro- podi, nonostante che in questi ultimi, allo stato adulto, esso abbia perduto ogni rapporto coli' intestino. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 201 § 8. — Inforno agii arti. I. Il primo paio d' arti boccali, clie ha un' esistenza effìmera, può forse paragonarsi ad un paio d' antenne degli artropodi. IL II lobo procefalico forma una sorla di labbro su- periore, omologhizzabile al labbro superiore degli altri ar- tropodi. III. La scomparsa degli arti toracici e del secondo paio di mascelle prova evidentemente che la vita dell' ape nella cella, cioè durante lo stadio di larva e di crisalide , è un adattamento secondario e che la larva d'un progenitore dell'ape viveva libera. Essa era simile ad una campodea. Questi fatti sono fortemente favorevoli alla teoria che ri- guarda la campodea come protenlomon. 9. — Intorno ai genitali. Il Grobben nel suo lavoro sul Chetochilo riguarda la posizione ventrale dell' ovario del peripato e dei chilognati siccome originaria. Ciò che abbiamo veduto nelle api è fa- vorevole a questa Idea. Lo spostarsi verso il dorso, o, me- glio, verso il vaso dorsale, è probabilmente in rapporto colla funzione di nutrizione. § 10. — Intorno alla supposta corda degli artropodi. Il tessuto embrionale che Nussbaum descrive siccome corda della blatta, e crede esistente in tutti gli artropodi, manca nell' ape e, se intendo bene le figure del Tichomiroff, non si trova neppure nel baco da seta. Che nella blatta ATTI Acc. voL. xvm. 27 202 STUDI SUGLI ARTROPODI questa supposta corda derivi dall' entoderma per me è molto dubbio; a me pare che ìa figura schematica del Nussbaum sia inconcludente perchè in essa non è disegnato il foglietto viscerale dell' intestino. In ogni caso se anche esiste un organo sopraspinale di origine entodermica, come vuole il Nussbaum, sarà ben diffìcile di provarne V omologia colla corda dei cordati. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 203 LETTERATURA L Adler, H., « Beitratre zur Naturgeschiclite der Cynipideu, 1) ùber Par- tlienogeuosis bei Rhodites rosae ». Deutsche entom. Zeitschr. , Bd. XXl/p. 209 (1877). 2. Derselbe. « Ueber den Generationswechsel der Eichen-Gallwespen ». Zeit- schr. f. wiss. Zool., Bd. XXXV, p. 151 (1881). 3. Auerbaoh, L., Orgauologische Studien. Breslau 1874. 4. Balfour, F. , Haudbuch der vergleichenden Embryologie, iibersetzt von Dr. B. Vetter. Jena 1880. 5. Beneden, E., van, « Recherches sur l'embryogénie des Crustacés. » Bull. Acad. roy. Belg. 2 sér. Tom. XXVIII, p. 54 (1869). 6. Brandt, A. , « Ueber aktive Forrnveranderungen des Kernkorperchens » Areh. f. mikr, Anat., Bd. X, p. 506-509 (1874). 7. Derselbe, « Bemerkungen ùber die Kerne der rothen Blutkorperchen ». Ebendas., Bd. XIII, p. 391 (1876). 8. Derselbe, « Ueber die Eifurchung voa Ascaris nigrovenosa ». Zeitschr. f. wiss. Zool., Bd. XXVIII, p. 365-84 (1877). 9. Derselbe, « Ueber das Ei und seine Bildungsstatte ». Leipzig 1878. 10. Derselbe, « Commentare zur Keimbliischentheorie des Eies ». Archiv f. mikr. Anat., Bd. XVII, p. 551. 11. Bobretzky, « Zur Embryologie des Oniscus raurarius ». Zeitschr, f. wiss. Zool., Bd. XXIV, p. 179 (1874). 12. Derselbe, « Ueber die Bildung des Blastoderms und der Keimbliitter bei den Insekten ». Zeitschr. f. wiss. Zool. , Bd. XXXI p. 195 (1878). 13. Bùtsobli, O. , « Zur Entwicklungsgeschichte der Biene ». Zeitschr. f. wiss. Zool., Bd. XX, p. 519 (1870). 14. Derselbe, « Beitrage zur Kenntniss der freilebenden Nematodeu ». Nova Acta Leop. Carol., Bd. XXXVI, (1873). 15. Derselbe, « Kleine Beitrage zur Kenntniss der Gregarineu ». Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. XXXV, p. 391 (1881). 16. Dohrn, A., « Notizen zur Kenntniss der Insektenentwicklung ». Zeitschr. f. wiss. Zool., Bd. XXVI, p. 112 (1876). 17. Eimer, Th., « Ueber amoboide Bewegungen des Kernkorperchens ». Arch. f. mikr. Anat., Bd. XI, p. 325, (1875). 18. Flemming, « Studien zur Entwicklungsgeschichete der Nojaden » Sit- zungsber. Berlin. Akad., Bd. 71, (1875). 204 STUDI SUGLI ARTROPODI 19. Derselbe, « Zur Kenntniss des Zellkerns » Centralblatt f. med. Wiss. 1877. N. 20. 20. Derselbe, « Beitrage zur Kenntniss der Zelle iind ihrer Lebensercliei- nuno-en «. Archi? f. mikr. Anat., Bd. XIX n. XX (1880 u. 81). 21. Fol, H. , « Recherclies sur la fécondation et le commencement del'hé- nogénie cliez divers animaux » Genève 1879. 22. Grimm, O., « Die ungeschleclitliche Fortpflanzung einer Cliironoraus — Art und deren Entwiclvlunn- aus dem unbefruchteten Ei ». 'Slém. Ac. Petevsb. sér. VII, Tom. XV, (1870). 23. Ganin, « Beitrage zur Eiitwicklungsgeschichte bei den Insekteu » Zeit- schr., Bd. XI, p. 115 (1877). 24. Derselbe, « Uber die Embryonalhtillen der Hymenopteren. » (cit. dal Balfour). 25. Graber, « Vorlaufige Ergebnisse einer grosseren Arbeit iiber verglei- chende Embrj'ologie der Insekten ». Arcb. f. mikr. Anat., Bd. XIV, p. 630 (1878). 26. Grassi, « Intorno allo sviluppo dell'ape nell'uovo. » Atti della Soc. It. di Se. Nat. (1883). 27. Hatsohek, « Beitrage zur Entwicklungsgescliiclite der Lepidopteren ». Jen. Zeitschr. , Bd. XI, p. 115 (1877). 28. Hertwig, 0., und R. , « Die Colomtheorie, Versucb. einer Erklarung des mittleren Keimblattes ». Jena 1881. 29. Kennel, « Entwickl. vou Peripatus » Zool. Anz. 1883, N. 50. 30. Klein, a Observations on the glandular epithelium and division of nu- clei in the skin of the Newt » . Quart. journ. micr. science. New series N. 75, p. 404 (1878). 31. Kowalevski. « Embryologische Studien an Wiirmern und Arthropo- den » Mém. Acad. Petersb. sér. VII. Tom. XVI (1871). 32. Kupffer, « Paltenblatt a. d. Embryonen d. Gatt. Cliironomus » Arch. f. mikr. Anat. Bd. VI. 33. Joly, « Embryogenie des Epheméres ». Journ. d. l' Anat. et de la Phis. (1876). 34. Mayer, Paul, « Ueber Ontogenie u. Phylogenie der Insekten ». Jen. nat. Zeitschr. N. F. III, p. 125 (1875). 35. Derselbe, « Zur Entwicklungsgeschichte der Dekapoden ». Jen. nat. Zeitsclir. N. F. IV, p. 188 (1876). 36. Mayzel, W. , Ueber die Vorgaenge bei der Segraentation des Eies von Wiirraern (Nematoden) und Schnecken ». Zool. Anzeiger 1879, p. 280 82 (Referat nach einer polnischen Arbeit gleichen Inhalts in Hof- mann und Schwalbe 's Jahresbericht fiir 1878, p. 26). 37. Meoznikow, « Embryologische Studien an Insekten ». Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. XVI. p. 389 1806). 38. Melnikow, « Beitraege zur Embryonalentwickluug der Insekten » Arch. f. Nat. Bd. XXXV, I, p. 136 (1869). 39. Nussbaum, « U. Chorda d. Insecten » Zool. Anz. (1883). "intorno allo sviluppo delle api nell'uovo 205 40. Derselbe, « U. Entwick. d. Gesclileclitsorgane d. Insecten » Zool. Anz. (1883). 41. Packard, « Embryolosical studies on hexapod iiisects ». Memoirs of the Peabod}' Acad. of science. Voi. I. N. IH. (1872). 42. Robin, « Jlémoii-es sur la production des cellules du blastodeniic cliez Ics articulés ». Journ. de la Pliisiol. de Brown-Séquard. Tom. V (18G2). 43. Selvatico, « Sullo sviluppo embrionale dei bombicini in Bollettino (?) di Bachicoltura » del Sig. Verson. Padova (1882). 44. Strasburger, « Zellbildung und Zelltheilung » 3 Aufl. (188U). 45. Sclileicher, W. , « Die Knorpelzelltheilunq-, ein Beitrag zur Lehre der Theiliing von Gewebezellen ». Avoli, f. mikr. Anat., Bd. XVI p 248 (1878). ' 4r). Stricker, S. , « Beobachtuagen ueber die Entstehung des Zellkerns ». Wien. Sitz. . Bd. 76, p. 17 (1877). 47. Schiemenz, « D. Herkommen des Futfcersaftes und die Speichel drueseu der Biene etc. » Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. XXXVIll, H. 1. (1883) 48. Tichomiroff, « [Jeber die Entwicklungsgeschiehte des Seidenwurms ». Zool. Anzeiger 1879 , p. 64 ( Il lavoro esteso è in russo , in data del 1882). 49. Uljanin, ■< Beobachtungen ueber die Entwickluug der blasenfuessigen In- sekten (Physopoda) ». Nachrichlen d. kais. Gesellsch. Freunde Natur- kunde Moskau, Bd. X (russisch.) 50. Derselbe, « Zur EntAvicklungsgeschichte der Araphipodeu ». Zeitschr f. wiss. Zool., Bd. XXXV, p. 440(1881). 51. Derselbe, « Beobachtungen neber die Entwicklung der Poduren ». Nach- richten d. kais. Gesellsch. Freunde Naturkunde Moskau. Bd. XVI (russisch.) 52. Vogt, Cari, « Ueber die Fortpflanzungsorgane einiger ektoparasitischer, mariner Trematoden ». Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. XXX, Suppl. pa"- 306 (1879). 53. Weismann, A. , « Die Entwicklung der Diptereu im Ei nacb Beobach- tungen an Chiroiiomus Sp. . Musca vomitoria und Pulex canis ». Zeit- schr. f. wiss, Zool. Bd. XIII, p. 159 (1864). 54. Zaddach, » Entwicklung des Phryganiden-Eis «. Berlin (1854). 206 STUDI SUGLI ARTROPODI SPIEGAZIONE DELLE TAVOLE In tutte le figure ab = apertura boccale am ■= amnio at = antenna ata = arti transitori addominali atn =^ arti transitori anteriori air ^= arti toracici hi = blastoderma semplice, {ovvero in alcune figure della ta vola I^ e 11^) parte ispessita della piastra ventrale. ca = cavità dell' amnio. ci = cellule del blastoderma ci = celoma cr = corio (guscio) cs = corpuscoli sanguigni et = elementi o nuclei del tuorlo cv = catena gangiionare ventrale ec = ectoderma en = entoderma ep = epidermide gls -= glandola sericea gns = ganglio sopraesofageo (cervello) gnt = organo (glandola) genitale if = infossatura ifa = infossatura anale ita = intestino anteriore itm = » medio itp = » posteriore Ibi = labbro inferiore (prominenza) Ibs = » superiore Ica = linea di confine dell' amnio Ice = linea di confine dell' ectoderma INTORNO A.LLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 207 Ipr = lobo procefalico Iso 0 Ism = lamina (foglietto) somatica (superficiale) del mesoderma Isj} = » splacnica (profonda) del mesoderma md = mandibola mp = tulji malpigliani nis = mesoderma mx^ = paio (Ij antovioro di mascelle. mx" = » posteriore (II) di mascelle jif = tubo cefalico anteriore uf = » » posteriore }} = piega artificiale 2}a = piega dell' amnio sull'ectoderma pmi Q pini = strato epiteliale dell'intestino medio (entoderma) st = stigmata tr ^= trachea vd = aorta o vaso dorsale vi = valvole vt = vitello (tuorlo) Le figure sono state copiate per lo piìi colla camera lucida, al microscopio Hart. Dove ho creduto opportuno, dopo la spiegazione delle singole figure, ho indicato l'oculare, e l'obbiettivo con cui vennero copiate. TAVOLA I. Formazione del blastoderma, dei foglietti e dell' amnio — Il mesoderma è segnato da una tinta più chiara di quella dell' ectoderma. Fig. 1 Estremità anteriore d'un uovo, veduto di fianco; il blastoderma è appena cominciato ed è rappresentato da poche cellule che si trovano su que- sta estremità anteriore. Fig. 2" Uovo veduto di fianco; il blastoderma lia superato la metà della lun- ghezza dell' uovo. Fig. 3^ Uovo veduto dalla faccia dorsale; il blastoderma è completo; la parte lasciata chiara indica il tratto mediano dorsale in cui le cellule sono rare e in parte plurinucleate. Fig. 4* Metà posteriore d' un uovo veduto dalla faccia ventrale laterale ; il mesoderma è ancora in parte (nella figura questa parte è lasciata chia- ra) non coperto d'ectoderma. 208 STUDI SUGLI ARTROPODI Fig. 5» Un lembo della j^arte ventrale d'un blastodenna completo — di fron- te. — 3. 8. Fig. 6"- Alcune cellule della porzione mediana-dorsale d'un blastoderma com- pleto quando gli spazi intercellulari (in cui cioè il tuorlo non è coperto dal blastoderma) sono piccoli — di fronte. — 3. 8. Fig. 7a Alcune cellule plurinucleate della porzione mediana-dorsale d' un bla- stoderma completo — di fronte. — 3. 9. Fig. 8'^ Uovo veduto dalla superficie ventrale; il mesoderma non si è ancora formato al terzo posteriore; all' estremo anteriore è cominciato il pro- cesso descritto nel testo; nella restante parte dell'uovo il mesoderma è già accennato. Fig. Qa Una porzione molto ingrandita della fig. 8^ corrispondente alla parte posteriore, e precisamente al punto dove il blastoderma cessa di essere diviso in mesoderma ed ectoderma. Il solcbetto che separa 1' ectoderma dal mesoderma manca posteriormente (parte anteriore della figura) — 8. 3. Fig. 10'' Metà anteriore d'un uovo veduto dal lato ventrale; l'ectoderma in un certo tratto ba cominciato a coprire il mesoderma, cbe perciò pare pili stretto. Fig. 11^ Metà anteriore d'un uovo veduto dal lato ventrale; il processo in- dicato nella fig. 10" è piìi avanzato. Fig. 12'^ Metà anteriore d'un uovo veduto dal lato ventrale; il processo in- dicato nella fig. 10* e 11" è più avanzato. Fig. 13" Una porzione ventrale di blastoderma ancora incompleto, limitato , cioè, alla metà anteriore dell'uovo — di fronte. Fig. 14" Porzione anteriore d' un uovo veduto dalla faccia ventrale; l'amnio non ha cominciato a distaccarsi dal tuorlo e invece è iniziato la di- visione del blastoderma in mesoderma ed ectoderma. Fig. 15» Uovo veduto dalla faccia ventrale ; in un periodo di formazione del mesoderma, poco dissimile di quello della fig. 12\ Fig. 16" Metà anteriore d' un uovo veduto dalla superficie ventrale; stadio susseguente a quello della fig. 12" e 15". Fig. 17" Metà posteriore d' un uovo, veduto dalla superficie ventrale , 4' in uno stadio precedente a quello rappresentato dalla fig. 4». Fig. 18" Uovo, veduto dalla superficie ventrale, in uno stadio precedente a quello rappresentato dalla fig. 17". Fig. 19' Una porzione della regione dorsale , veduta di fronte in un uovo press' a poco uguale a quello della fig. 8" ; 1' amnio manca nella re- gione mediana, dove pare di vedere dei grossi nuclei, attorniati da un poco di protoplasma e giacenti alla superficie del tuorlo. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 209 Pig. 20^ Estremità posteriore d' un uovo, veduta dalla superficie ventrale, in uno stadio susseguente a quello rappresentato dalia fig. 4^". TAVOLA IL Formazione dei foglietti (all' estremità anteriore) e dell' amnio. La cavità dell'amnìo è lasciata chiara. Fig. 1* Estremità anteriore d' un uovo, veduta dalla superficie laterale sini- stra un po' ventrale. F'ìg. 2* Idem d' un uovo press" a poco nello stesso stadio della fig. l» , ve- duta dalla superficie ventrale; i?-— mesoderma coperto dall'ectoderma tranne all' estremità anteriore ( si noti clie hi si riferisce a tutta la parte piìi oscura della figura). Fig. 3^ Idem d' un uovo press' a poco nello stesso stadio della fig. 1^ e 2% veduta dalla superficie laterale sinistra un pò" dorsale. Fig. 4-'' Idem d' un uovo, veduta dalla superficie laterale destra un po' dor- sale, in uno stadio un po' piìi avanzato di quello della fig. 1» 2-' e 3* (11 mesoderma che prima era limitato alla superficie ventrale ora si è prolungato in avanti verso il dorso). Fig. S-'" Terzo anteriore d' un uovo in uno stadio press' a poco uguale a quello rappresentato dalla fig. 1" e veduto dalla faccia laterale un po' ven- trale. (Mostra che in vicinanza all' estremità anteriore, anche una parte laterale del blastoderma si trasforma in piastra germinativa, perciò la linea di confine della piastra ventrale presenta una sporgenza laterale). Fig. 6^ e 7-'' Estremità anteriori di uova in stadi intermedi a quelli rappre- sentati dalla fig. l--^ e 4^ sono vedute dalla superficie laterale un po' dorsale. Fig. 8" Estremità anteriore d' un uovo, veduto dalla superficie dorsale : in esso l'amnio si è formato di recente; alla superficie ventrale dell'estremità anteriore, si è distaccato dal tuorlo formando la cavità dell' amnio (am). Fig. 9* Idem veduta dalla superficie ventrale. Fig. 10» Idem veduta dalla superficie laterale. Fig. l]a Estremità anteriore, veduta dalla superficie dorsale d" un uovo, in uno stadio appena susseguente a quello della fig. 8^ La cavità del l'amnio non è più limitata come nella figura 8^ alla parte ventrale della metà anteriore, ma si è estesa anche alle parti laterali, e comincia a invadere anche la parte dorsale della stessa estremità anteriore. Fig. 12^ Estremità posteriore d' un uovo, veduto dalla superficie dorsale ; ATTI ACC. VCL. XVIII. QQ 210 STUDI SUGLI ARTROPODI r amnio comincia ad estendersi sul lato dorsale dell' estremità poste- riore della piastra ventrale. Fig. IS'' Uovo veduto dalla superficie ventrale; posteriormente l' amnio per anomalia è doppio. Fig. 14' Metà anteriore d' un uovo, veduto dalla superficie ventrale; la falda anteriore dell' amnio si è già estesa fin verso la metà della lunghezza dell' embrione. Fig. 15^' Estremità posteriore d'un uovo, veduto dalla faccia laterale, in uno stadio press' a poco uguale a quello della fig. S"* Tav. I ; lo spazio la- sciato chiaro rappresenta una cavità (lacuna) riempiuta di liquido che sta tra il tuorlo, il hlastoderma e l' amnio. Fig. 16* Idem della fig. 15'' veduto dalla superficie ventrale. Fig. IT-'' Uovo veduto dalla superficie lateral- dorsale; 1' amnio manca, per ano- malia, al lato ventrale dell'estremità anteriore. TAVOLA HI. Formazione dei foglietti (alla parte dorsale dell' estremità anteriore), degli arti , delle stigmate, delle ghiandole sericee e degl' infossamenti (tubi) cefalici. Fig. la Estremità anteriore d' un uovo, veduto dalla superficie dorsale; il meso- derma nel tratto qui figurato non è ancora coperto dall'ectoderma. — 3.8. Fig. 2* Idem di fig. 1'' veduta quasi dalla faccia ventrale.— 3. 5. Fig. 3* Idem di fig. 2-'' veduta dalla faccia lateral-ventrale. — 3. 5. Fig. 4" Estremità anteriore d'un uovo, veduto dalla superficie dorsale, il me- soderma è coperto dall'ectoderma ed è già apparso il lobo procefalico. Fig. 5^ Estremità anteriore d'un uovo, veduto dalla faccia ventrale in uno stadio poco differente di quello della fig. 4*. Fig. (y- Estremità anteriore d' un uovo, veduto dalla superficie dorsale, in uno stadio intermedio tra quelli rappresentati dalla fig. P e dalla fig. 4"; il mesoderma alla faccia dorsale dell' estremità anteriore non è ancora coperto dall' ectoderma. Fig. 7^ Idem di fig. 6'' veduto dalla faccia laterale. Fig. S'' Estremità anteriore d' un uovo in cui sono già apparsi gli arti della testa; è veduta dalla superficie ventrale. Fig. 9^ Idem di fig. S'^ veduto dalla faccia laterale. Fig. 10" Estremità anteriore d'un uovo, veduto dalla faccia ventrale in uno stadio appena più avanzato di quello rappresentato dalla fig. 4^ Tav. II. Fig. IP Idem di fig. 10" veduto dalla faccia laterale un po' dorsale. Fig. 12"'' Uovo veduto dalla superficie ventrale; sono già apparse sei paia di stigmate. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 211 Fig. 13» Estremità anteriore il' un uovo, veduto dalia superficie ventrale, in uno stadio clie credo susseguente a quello rappresentato dalla fig. 10". Il mesoderma mi pareva ovunque coperto da un sottile strato di ec- toderma; non l'ho segnato però nella figura. Fig. 14' Idem veduto di fig. 13'' dalla superficie dorsale {ce è collocato fuor di posto per errore del litografo). Fig. 15^ Idem di fig. 14-^ , veduto dalla faccia laterale. Eig. 16''' Estremità anteriore d" un uovo, veduto dalla superficie ventrale, in uno stalio appena susseguente a quello della fig. S'". Fig. 17=" Estremità anteriore d'un uovo veduto dalla superficie ventrale in uno stadio precedente a quello della fig. S" TAVOLA IV. Formazione degli arti, degli infossamenti (tubi) cefalici e delle giandole sericee. Fig. 1* Parte anteriore d' un embrione, veduto dalla superficie ventrale in uno stadio appena susseguente a quello rappresentato dalla fig. S." Tav. IH; gli arti anteriori transitorj in questa figura non si vedono bene ; prm = prominenze verosimilmente indicanti la terminazione della catena ganglionare ; se = solco mediano longitudinale prodotto dallo sviluppo della catena ganglionare. Fig. 2* Parte anteriore d'un embrione, veduto dalla faccia laterale quando gli arti toracici sono prossimi al massimo sviluppo. Fig. 3" Estremità anteriore d'un embrione, veduto dalla superficie ventrale; le mascelle posteriori si sono già avvicinate l'uiia all'altra. Fig. 4^ Parte anteriore d' un embrione , veduto dalla superficie ventrale in uno stadio press' a poco uguale a quello della fig. 3\ Fig, 5" Tubo cefalico tra il primo e secondo paio di mascelle — dalla faccia laterale. Fig. 6^ Estremità anteriore d' un embrione, veduto dalla faccia ventrale ; le seconde mascelle sono invisibili. Fig. 7* Idem press' a poco di fig. 6'' un po' schiacciato. Fig. 8^ Estremità anteriore d'un embrione veduto dalla faccia ventrale; le mascelle posteriori sono vicinissime l'una all'altra. Fig. 9" Estremità anteriore d' un embrione veduto dalla faccia ventrale , in uno stadio un po' piti avanzato da quello rappresentato dalla fig. 6." Fig. 10=' Embrione veduto dalla superficie ventrale; gli arti toracici non sono per anco apparsi ; forse erano presente le stigmate 6' e 7' (mancano nella figura). 212 STUDI SUGLI ARTROPODI Fig. Il"* Embrione veduto dalla faccia laterale; gli arti toracici sono pre- senti (sono state tralasciate le stigmate). Fig. 12" Una metà dell' estremità anteriore d' un embrione, veduta dalla fac- cia ventrale. Fig. 13" Contorni principali di una sezione quasi trasversale della testa; ap- parteneva ad un embrione già fornito d' arti. Fig. 14^ Una metà d'una sezione trasversa del capo, per mostrare il secondo paio dei tubi cefalici. TAVOLA V. Formazione di pareccliì organi (retto, tubi malpighìani, stigmate, trachee, vaso dorsale, etc). Da fig. r a fig. 9" Estremità posteriore di embrioni veduti dalla faccia dorsale. Fig. 1' Stadio appena susseguente a quello rappresentato dalla fig. 20" Ta- vola I. Fig. 2' Stadio appena susseguente a quello della fig. V. Fig. 3" Stadio susseguente a quello della fig. 2". Fig. 4" Stadio susseguente a quello della fig. 3". Fig. 5" Stadio susseguente a quello della fig. 4^ Fig. 6" Stadio susseguente a quello della fig. .5" (i tubi malpighiani non so- no stati figurati); si vede il solco (segnato oscuro) che li unisce (In questo periodo l' infossatura tra i solchi, se pur esiste, è lievissima). Fig. 7" Stadio susseguente a quello della fig. 0" (anche qui sono tralasciati i tubi malpighiani). Fig. S" Stadio susseguente a quello della fig. 7" (qui sono stati tralasciati in parte i tubi malpigliani. Fig. 9' Stadio posteriore a quello della fig. S^. Il retto è interamente svi- luppato. Fig. 10. Estremità anteriore d' un embrione, veduto dalla superficie dorsale; i gangli sopraesofagei sono ancora separati 1' uno dall' altro. Fig. 11" Estremità anteriore d' un embrione veduto dalla superficie laterale; i gangli sopraesofagei sono riuniti alla catena ganglionare ventrale (ev): l'intestino anteriore termina posteriormente a fondo ceco. Fig. 12" Estremità anteriore d' un embrione, veduto dalla superficie dorsale; i gangli sopraesofagei anteriormente si sono fusi insieme. Eig. 13° Estremità posteriore d' un embrione in un uovo lì lì per schiuder- si; è veduta dalla faccia laterale. INTORNO 4LL0 SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 213 Fi,£f. 14" Una porzione del vaso dorsale (poco lontana dall'estremità poste- riore) veduto dalla superficie dorsale , nel periodo in cui questo vaso alla superficie dorsale e ventrale non lia pareti proprie. — ■ 3. 8. Fiff. 15" Una porzione d' un tubo malpighiano , verso la fine dello sviluppo nel!' uovo. — 3. 8. Fig. 16" Una porzione del vaso dorsale, veduta dalla superficie dorsale, prima che si formino i corpuscoli sanguir^'n!, ossia prima dello stadio fig. 14" — 3. 8. Fig. 17" Una porzione del vaso doi'sale , veduta in sezione ottica dalla su- perficie dorsale, in vicinanza al retto, quando le pareti laterali si sono congiunte insieme in maniei'a da formare uno strettissimo canale ; le valvole non sono ancora evidenti (Stadio susseguente a quello della fig. 14").— 3. 8. Fig. 18" Una porzione del vaso dorsale, veduta in sezione ottica dalla su- perficie dorsale, in corrispondenza alla parte media del tronco, nello stadio rappresentato nella fig. 17^—3. 8. Fig. 19" Una porzione del vaso dorsale, veduta in sezione ottica dalla super- ficie dorsale, in uno stadio piìi avanzato di quello rappresentato dalla fig. 18"— 3. 8. Fig. 20" Corpuscoli sanguigni clie si vedevano nel vaso rappresentato dalla fig. 19" — 8. 8. Fig. 21° Una porzione del vaso dorsale, press' a poco nello stadio rappresen- tato dalla fig. 19" in corrispondenza d' una valvola; è veduta iu sezione ottica dalla superficie dorsale. — 3. 8. Fig. 22^ Tronco tracheale longitudinale colle sue diramazioni , in corrispon- denza press' a poco al secondo segmento addominale. Fig. 23" a = Sbocco (esterno) del tubo sericeo, veduto di fianco. h = Apertura della prima stigmata, veduta di fronte. e = Seconda stigmata, veduta di fronte. d = Le prime tre stigmate al loro primo comparire, vedute di fianco. TAVOLA VI. Formazione dei foglietti alle estremità anteriori e posteriori. In tutte le figure la parte dorsale è in alto e la ventrale in basso. Da fig. r a fig. 6" Parte ventrale delle più caratteristiche sezioni trasverse dell'estremità anteriore d'un uovo. — 3. 8. Fig. 1" Prima sezione in cui compare la piastra ventrale (embrionale); essa sussegue a parecchie che vanno attraverso all'amnio. Fig. 2" Seconda sezione. 214 STUDI SUGLI ARTROPODI Fig. S^ Terza sezione; seguono cinque altre press' a poco eguali. Fig. 4" Nona sezione; seguono tre altre poco differenti. Fig. 5^ Tredicesima sezione; seguono due altre sezioni press' a poco simili. Fig. 6" Sedicesima sezione; seguono molte altre press' a poco eguali. Da fio'. 7" a fis. 12" Porzioni ventrali delle più caratteristiche sezioni trasverse d' un altro uovo a sviluppo più avanzato — 3. 8. Fig. 7" Prima sezione in cui compare la piastra ventrale. Fig. 8" Seconda sezione. Fig. 9" Terza sezione. Fig. 10" Quarta sezione. Fig. IP Quinta sezione. Seguono cinque altre press' a poco eguali. Fig. 12" Undecima sezione. Da fig. IS'' a fig. 15" Sezioni trasverse più caratteristiche, dell' estremità po- steriore d' un uovo. Fig. 13" Seconda sezione ( si comincia a contare dall' estremità posterio- re). — 3. 5. Fig. 14" Sesta sezione. — 3. 8. Fig. 15" Dodicesima sezione. — 3. 5. Fig. 16" Porzione dorsale delia quindicesima sezione (cominciando a contare dall' estremità posteriore) in uno stadio press' a poco corrispondente a quello delle fig. 13" 14" e 15" — 3. 8. Da fig. 17" a fig. 20" Sezioni trasverse più caratteristiche, dell'estremità poste- riore d'un uovo più giovane di quello delle fig." 13" 14" e 15"— 3. 5. Fig. 17" Seconda sezione (si comincia a contare dall' estremità posteriore). Fig. 18" Terza sezione. Fig. 19^ Porzione dorsale della quinta sezione (Per errore del litografo è rap- presentata capovolta). Fig. 20" Settima sezione; seguono sette altre press' a poco eguali (Per er- rore del litografo la parte dorsale invece di essere perfettamente in alto si trova spostata un po' verso destra). Da fig. 2P a fig. 27" Le più caratteristiche sezioni trasverse dell'estremità ante- riore d'un uovo a stadio più avanzato di quello delle fig." 7'''-12" — 3. 8. Fig. 21" Prima sezione in cui compare il mesoderma. Fig. 22" Terza sezione. Fig. 23* Quarta sezione, le tre seguenti sono simili. Fig. 24* Ottava sezione. Fig. 25" Nona sezione; la decima è simile. Fig. 26" Undecima sezione; la dodicesima è simile. Fig. 27" Tredicesima sezione. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 215 Da fig. 28' a fig. 36' Parti ventrali delle sezioni trasverso più caratteristiche del- l'estremità anteriore d'un uovo a stadio piìi avanzato di quello della fig. 2P e seguenti.— Da fig. 28' a fig. 32% 3. 5; da fig. 33' a fig. 3G»— 3. 8. Pig. 28' Prima sezione in cui compare il blastcderma. Pig. 29'' Seconda sezione; la terza è simile. Fig. 30''' Quarta sezione; le quattro seguenti sono simili. Fig. 31* Nona sezione; la decima è simile. Fig. 32-'' Undecima sezione; la dodicesima e tredicesima sono simili. Pig. 33" Quattordicesima sezione. Fig. 34" Quindicesima sezione; le cinque seguenti sono simili. Fig. 35" Ventunesima sezione; la ventiduesima è simile. Fig. 36^ Ventitreesima sezione. TAVOLA VII. Formazione dell' entoderma, dell' intestino, del vaso dorsale etc. In tutte le figure la parte dorsale è in alto e la ventraia in basso. I nuclei del tuorlo sono segnati oscuri e con contorni ben delimitati e mostrano uno o parecchi granuli (puntini). Da fig. !■'' a fig. 3" Sezioni trasverse più caratteristiche dell' estremità an- teriore d'un uovo a stadio avanzato più che nelle fig." 28^^ e seguenti della tav. VL Pig. 1" Sezione prima. — 3. 8. Pig. 2-1 Sezione seconda; seguono due simili. — 3. 5. (Per errore del litografo è rappresentata capovolta). Pig. 3" Sezione quinta, seguono tre simili. — 3. 8. Fig. 4--' Sezione trasversa dalla parte media d' un uovo quando il foglietto ghiandolare dell' intestino è completo. Il contenuto dell' intestino è gra- nuloso: alla parte ventrale si notano cunioli oscuri di granuli (pro- babilmente residui dei nuclei distrutti). — 3. 8. Fig. S'' Sezione trasversa del tronco, quando il foglietto glandolare dell'intestino medio è ancora incompiuto, quando esso è cioè, una tegola dorsale (pmi') fatta d' entoderma. — 3. 8. Pig. tì'' Sezione trasversa di una parte (ventrale) dell' intestino nella regione media del tronco. — 3. 8. Pig. 7"- Idem un po' più indietro. — 3. 8. Dalla fig. 8=^ a fig. 12^" Sezioni tras verse più caratteristiche dell'estremità an- teriore d' un uovo a stadio avanzato più che nelle figure l-''-3^. A que- sta serie appartengono anche le fig.** 25'' e 26". 216 STUDI SUGLI ARTROPODI Fig. 8» Sezione terza; seguono due altre simili. — 3. 5. (Le sporgenze late- rali inferiori {atn) sono imperfettamente richiamate dai segni lito- grafici). Fig. O'' Sezione sesta; seguono quattro altre simili.— 3. 5. (La figura è stata disposta dal litografo un po' obliqua). Fig. 10* Sezione undecima; seguono cinque altri simili. — 3. 5. Fig. IP Sezione diciassettesima; seguono tre altri simili. — 3. 8. (Il lito- grafo ha fatto r.n invece di en ?) Fig. 12* Una metà della parte dorsale della sezione ventunesima ; seguono- tre altre simili. Dimostra che 1' entoderma (?) manca nella parte me- diana dorsale, ossia è prolungato indietro, piìi alle parti laterali dor- sali, che alla parte mediana. — 3. 8. Fig. 13* Sezione trasversa della metà ventrale d' un intestino medio incom- pleto, però a stadio avanzato più che nella fig. 5*. — 3. 8. Fig. 14* Sezione trasversa dell'intestino medio e del vaso dorsale, verso la parte posteriore del tronco; lo stadio è press' a poco uguale a quello della fig. 13^ di questa Tav. e della fig. 14* della Tav. V. Il vaso dorsale non ha pareti proprie, tranne ai due lati. La massa granulosa, che oc- cupa gran parte del suo lume, rappresenta i globuli sanguini, che nel preparato eran restati colorati diffusamente, sicché non se ne potevan rilevare ne i contorni né i nuclei. — 3. 8. Fig. 15* Sezione trasversa dell'intestino medio e del vaso dorsale nella regione media del tronco; stadio avanzato più che nella fig. 14* (i nuclei del tuorlo nella figura si distinguono dai corpuscoli del tuorlo perchè più piccoli e più oscuri) — 3. 8. Fig. 16" Parte laterale dorsale d'una sezione trasversa, alla parte media del tronco; l' intestino medio non é ancora interamente compiuto (vedonsi i foglietti superficiale e profondo del mesoderma). — 3. 8. Da fig. 17* a fig. 24* Aorta — vaso dorsale e parti circostanti su sezioni tra- sversali del corpo. — 3. 8. Fig. 17^ Prima sezione su cui si ha traccia sicura dell'aorta — 3. 8. Fig. 18* Seconda idem. — 3. 8. Fig. 19* Terza idem. — 3. 8. Fig. 20* Quarta idem. — 3. 8. (ev catena ganglionare). Fig. 21* e fig. 22' Sezioni della parte anteriore del vaso dorsale. — 3. 8. Fig. 23* e 24* Sezioni, alla parte media— posteriore del tronco ; tra queste due sezioni ve ne ha una che qui non è figurata. — 3. 8. Le fig.= 25' e 26* Appartengono allo stesso embrione delle fig. 8* e 12.-' di questa Tav. INTORNO A.LLO SVILUPPO DELLE API NELL' UOVO 217 Fi"'. 25'' Parte laterale d' una sezione trasversa della parte media dell' em- brione (l:i venticinquesima) — 3. 8; (sono press' a poco tutte eguali le sezioni seguenti fino alla trentaseesima). Fig. 26" Parte laterale della sezione trentaseesima — 3. 8. Fig. 27* Parte laterale d' una sezione trasversa nella regione media del tron- co (in un' epoca in cui l' intestino medio è ancora incompleto dal lato ventrale). I genitali, che hanno forma d'una massa ovolare, sono stati imperfettamente richiamati (gnt), e così pure 1' entoderma (jììhì). Il nucleo che vedesi tra l' epidermide e 1' entoderma alla parte dorsale appartiene indubbiamente ad un corpuscolo sanguign o — 3.8. Fig. 28" Parte ventrale d'una sezione trasversa (la prima in cui compare la piastra ventrale) d'un uovo press' a poco nello stadio della fig. 1" Tav. VI. — 3. 8. Fig. 29^ Porzione laterale d'una sezione trasversa alla regione media del tron- co, in un embrione più giovane (?) di quello della fig. 27-'. Fig. 30" Porzione laterale e ventrale di una sezione trasversa alla regione media del tronco; appartiene ad un embrione in cui 1' entoderma è accennato soltanto alla faccia dorsale. — 3. 8. (Per errore del litografo la fi- gura trovasi un po' spostata in maniera che la parte superiore della figura corrisponde alla parte laterale destra della sezione). Fig. 31=^ Porzione dorsale e laterale sinistra di una sezione trasversa; nell'em- brione, a cui appartiene questa sezione, 1' entoderma è limitato al Iato dorsale, è, cioè, al periodo di tegola dorsale: questa tegola non è an- cora completa, presenta, cioè, una interruzione alla parte media tra- sversale del tronco : la figura qui data corrisponde appunto a questa parte: notisi che l'embrione era un po' pieghettato. — 3. 8. Fig. 32" Una sezione trasversa dell'esofago (embrione al principio del terzo giorno). — 3. 8. Fig. 33" Parte laterale di una sezione trasversa verso l'estremo anteriore del tronco; appartiene ad un embrione più giovine di quello di fig. 32^—3. 8. Fig. 34" Parte laterale-dorsale d' una sezione trasversa nella parte media del tronco; r embrione è press' a poco in uno stadio uguale a quello di fig. 27" (la piega ^j è artificiale). - 3. 8. TAVOLA Vili. Formazione dei foglietti, del retta e di molti altri organi. In tutte le figure la parte dorsale è in alto e la ventrale in basso. Da fig. 1" a fig. 4» Parti ventrali di sezioni trasverse della regione mediana del tronco; la prima è posteriore, le altre la precedono ad intervalli di parecchie sezioni ; stadio press' a poco di fig. 16" Tav. I.— 3. 8. ATTI ACC. VOL. XVIU. QQ 218 STUDI SUGLI ARTROPODI Fig. 5' Parte ventrale d'una sezione trasversa d' un uovo press' a poco nello stadio della fig. 8^ Tav. VI (estremità anteriore). — 3. 8. Fig. 6'^ Parte ventrale d'una sezione trasversa nella regione media del tronco (uovo in cui non si è ancora differenziato l'entoderraa). — 3. 8. Fig. 7" Sezione trasversa nella parte media del tronco, in uno stadio presso a poco corrispondente a quello della fig. 7" — 3. 5. (Si notano alla periferia molti nuclei del tuorlo). Fig. 8^ Parte dorsale dell'ottava sezione trasversa d'un uovo più giovine di quello della fig. 8^ Tav. VII. — 3. 8. Fig. 9* Parte ventral-laterale d' una sezione trasversa all' estremità anteriore (stadio in cui l'amnio lia incominciato ad estendersi sulla piastra ven- trale). — 3. 8. Fig. 10" Parte laterale d'un' altra sezione trasversa all'estremità anteriore in uno stadio uguale a fig. 9" — 3. 8. Fig. IP Sezione d'un uovo col blastoderma completo, nella regione media del tronco, — 3. 5. Fig. 12^ Porzion laterale-dorsale d' una sezione trasversa nello stadio in cui l'eutoderma è una tegola dorsale. — 3. 8. (le lettere et sono fuori di posto). Fig. 13' Parte dorsale d' una sezione trasversa nella parte anteriore del tron- co; en ? entoderma. — 3. 8. Fig. 14* e Xh" Parti dorsali di sezioni trasverse-oblique nella regione ante- riore del corpo; stadio in cui l' entoderma non è ancora accennato. — 3. 8. Fig. 16» Sezione quasi longitudinale d' una stigmata appena sbozzata. — 3, 8. (Per errore del litografo la figura è stata fatta in direzione trasver- sale invece clie verticale). Fig. 17" Parte dorsale d' una sezione trasversa in corrispondenza ai tubi mal- pighiani ; la depressione che formerà il retto è incominciata. — 3. 8. Fig. 18^ Idem in un individuo più giovane; non è ancora incominciata la de- pressione che forma il retto. — 3. 8. Fig. 19* Parte mediana ventrale d' una sezione trasversa in corrispondenza alla regione in cui si trova il tronco comune {(jls) di sbocco delle ghiandole sericee. — 3. 8. Fig. 20" Parte lateral-dorsale d' una sezione trasversa nella parte media del tronco; l'ectoderma e l' entoderma alla parte dorsale non sono ancora presenti. — 3. 8. Fig. 21" Sezione trasversa-obliqua del capo per mostrare la commissura dei gangli sopraesofagei colla catena ganglionare ventrale. — 3. 5. INTORNO ALLO SVILUPPO DELLE API NELL'UOVO 219 Fig. 22" Una parte della sezione che segue a quella fig. 21''. — 3. 5. Fi-- a/n r/'-- \ /J. r.c r / / X .SI - , ; V /:i I,,. r; l'i. /.?. Tan V ^ ) - - ~ vi - rn,, -ittp .'/"■' IO Jl. Il" a 19. zo. ?/. lì /?. f! Tav.n. m *•?-' J?.?. ì i :io. .w. rnjì IO. /s. '• o ■ ■-„■ ^O ■ "^- a,v ,?j. ►•;4'e ,"• ^« "'-----1 ■.I/O 0 '- ._-rf ,^ó "So" eroi .?.>. .ytf. i/w «>%§^s. T,(i,rn. IO. 17. .'^Vi t V. % ^ 1 -". /rt'. ?•• • 1©- «• ^V.. :f /A lAi^ 19. -..'■ ó. !?■■ ■/ '//. J- J/ /,?, lidi \, .# rf \% '®. -V /f. >■ ^s**»*^* ^ .•? ■a /tf. /;: /,p. %. «'. z.'? **•»*«•.•** \ '*««t«ft*ài4ÌU^^ .*>»' ?(•: \'* \ >* ^***ttà*U«*»** " ,^ Sulla composizione chimica, della cenere lanciata dall'Etna il 16 Novembre 1884. Nota del Prof. LEONARDO RICCIARDI (Lelia all'Accademia Gioenia nella seduta del dì 28 Novembre 1884). I fenomeni vulcanici, ai quali giornalmente ci è dato di assistere, hanno fra loro tale intime relazioni che non è possibile discorrere di uno senza richiamare alla mente, 0 semplicemente accennare, agli altri — Abortita l'eruzio- ne del Marzo 1883, 1' Etna si è spesso fatto vivo con pa- rassismi piii o meno sensibili, con gettata di cenere e con terremoti. II giorno 16 volgente nelle prime ore mattutine, mia Atta pioggia di cenere venne dall'Etna eruttata sul ver- sante orientale del grande vulcano; comprendendo un lun- go percorso di terreno e per uno strato di qualche cen- timetro. Pochi giorni prima di tale eruzione di cenere, alcune scosse di terremoto furono avvertite nei paesi posti sul versante meridionale dell'Etna, e specialmente a Trecasta- gni ed a S. Giovanni La Punta. Questo fatto ci induce a ritenere, la gettata della ce- nere, come una vera eruzione per quel dato, direi quasi costante, che è lo scuotimento del suolo in precedenza d'u- na eruzione vulcanica. È fuori dubbio che uno studio accurato delle ceneri vulcaniche, che interpolatamente sogliono essere eruttate, può fornire al vulcanologo dei dati interessanti e portarlo a delle conclusioni positive. ATTI Acc. voL. xvni. 30 224 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA. Io che da. vari anni mi occupo dei fenomeni del nostro formidabile Mongibello, non lio voluto farmi sfuggire 1' oc- casione di portare il mio esame sulle ceneri di cui sopra è parola. Prima mia cura è stata di procurarmi alcuni campioni della cenere caduta , e li ebbi dagli Egregi Cav. Lucio Quatrocchi Sindaco di Giarre e dal Cav. Prof, Caflero Pre- side del R. Istituto Nautico di Riposto clie gentilmente, da me pregati, me ne fecero tenere una discreta quantità — Devo pure alla cortesia del Chiarissimo Prof, Caflero le seguenti notizie : « Ecco, in proposito del fenomeno, quanto « io osservai e quanto mi riuscì di apprendere finora. « In Riposto, la pioggia di cenere e sabbia ebbe prin- « cipio alle ore 8, 45 a. m. e fine alle ore 9, 30 a. m. con « essa cadde un millimetro d' acqua. « Durante la pioggia, il cielo fu intieramente coverto e « r atmosfera in calma quasi perfetta. « La pioggia cessò quando, avendo principiato a sof- « flare un vento piuttosto forte da SE, le nubi vennero « trasportate verso NO e NNO, tra Piedimonte e Taormina. • La cenere caduta emetteva un forte odore di zolfo. « Nessun movimento sismico fu avvertito, né dalle per- « sone, né dagli strumenti dell' Osservatorio. « Mi si afferma da persona degna di fede che da Ran- « dazzo, nel giorno 16, fu vista una densa colonna di fumo « e cenere, emergente dal cretere dell'Etna, dirigersi ver- « so ESE. « Io non potetti osservare il cratere che nella sera « del 18, essendo esso rimasto coperto da dense nubi do- « pò la pioggia. Scòrsi allora una leggera colonna di fumo « dirigentesi verso Riposto e che si protendeva al di là « della spiaggia. « Dalle notizie che ho finora ricevuto, risulta che il li- « mite meridionale della zona sulla quale si versò la piog- DELLA CENERE LANCIATA DALL'ETNA 225 « già è segnato dai paesi di S. Giovanni, Maccliia, Giarre « e Riposto; non so ancora quanto la pioggia si estese « verso il Nord: pare però che Riposto sia il luogo ov'es- « sa fu più abbondante. Lo strato di polvere che si for- « mò nelle strade e sui tetti di questa città aveva lo spes- « sore di mezzo millimetro circa. « Trascrivo piij appresso la pressione e la temperatu- « ra medie dei giorni 15, 16 17. Giorno 15 Pressione a 0.'' = 763, 73 Temperatura = 14°, 1 Giorno 16 Pressione a 0.0 = 763, 15 Temperatura ^ 12°, 3 Giorno 17 Pressione a 0." = 763, 98. » La cenere osservata macroscopicamente mostrasi co- stituita da una polvere finissima amorfa ; al microscopio però ad una gran parte di sostanza amorfa si vedono me- scolati dei frammenti di cristallini di liabradorite. Nella sabbia macroscopicamente si osservano fram- menti dei principali componenti mineralogici delle lave etnee — La miscela di cenere e sabbia è di color grigio piombo, leggermente magnetica. Gli acidi minerali 1' attaccano incompletamente, 1' acido cloridrico a caldo ne decompone la maggior parte con svi- luppo di acido solfidrico. Per determinare la parte solubile contenuta nella ce- nere ne lisciviai dieci grammi con acqua distillata alla tem- 226 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA peratura ordinaria, e fatta 1' analisi qualitativa della parte solubile vi rinvenni solfati, cloruri e solfuri, calce, magne- sia, soda, potassa, ammoniaca e tracce di ferro. È uopo qui avvertire che essendo la cenere caduta in- sieme a pioggia è da supporsi clie una parte di sostanze solubili fu da quest' ultima esportata da cenere : e 1' odore ingrato che fu avvertito dopo la caduta della cenere, secondo me dovrebbe attribuirsi ai solfuri che l' accompagnavano. Umettata piccola quantità di cenere sulle carte esplo- ratrici non diede alcuna reazione, calcinata subì una per- dita di gr. 5, 63 per cento ed acquistò una tinta rossastra, mescolata con ossido di calcio o idrato potassico al calore sviluppò ammoniaca; esposta al dardo del cannello ferru- minatorio si fuse facilmente in un vetro nero ed opaco e poco magnetico ; fuso con il sale di fosforo ed il borace die- de la perla del ferro. Dopo di ciò passai alla determinazione quantitativa del- le sostanze insolubili neh' acqua. Anzitutto disgregai detta parte insolubile con una me- scolanza di carbonato sodico potassico, e per determinre gli alcali ricorsi alla disgregazione col carbonato di calcio. I risultati dell' analisi sono i seguenti : Composizione centesimale Anidride silicica . . 51,31 Anidride fosforica ... 0,52 Anidride titanica 0,32 Sesquiossido di alluminio 12,54 Sesquiossido di ferro 4,87 Sesquiossido di cromo . 0,06 Ossido ferroso 7,42 Ossido di manganese tracce Ossido di calcio . 10,01 Ossido di magnesio 2,90 Ossido di potassio .... 1,36 Ossido di sodio 3,23 Perdita per colinazione . 5,63 Densità a + 17° 0^:^2,656 . , , 100, 17 DELLA CENERE LANCIATA DALL'ETNA 227 Confrontando il prospetto analitico delle ceneri colla composizione chimica delle lave Etnee, rilevasi che fra ce- nere e lave esiste una stretta correlazione , e , come altre volte ho detto , le ceneri devono considerarsi come lave frantumate. Io quindi ho la ferma convinzione che analizzando con- tinuamente e con costanza le ceneri che vengono eruttate dai vulcani , si potrà giungere un giorno a predire una prossima eruzione. Laboratorio Chimico del R. Istitiito Tecnico di Catania, Novembre 1884. Intorno ad una malattia parassitaria (cachessia ittero-verniinosa o cachessia acquosa o marciaja) Nota del Prof. B. GRASSI e di S. CALANDRVCCIO Letta nella tornata del dì 15 Ghigno 1884. Nelle pecore ammalate di cachessia ittero- verminosa (siciliano cucchiareddu) si trovano i seguenti parassiti: 1. di- stoma per lo più epaticum e meno frequentemente lanceo- latum; 2. strongijlus filaria; 3. strongylus (hijpostomus? ) 4. strongylus filicollis\ 5. trichocephalus afflms; 6. rhado- nema longus (Grassi) ,- 7. echinococcus ; 8. per lo meno una specie di tenia; 9. megastoma entericum. (1). Ulteriori ricerche faranno forse accrescere ancora questa già lunga serie. L'azione malefica del distoma è pur troppo grandis- sima ed oramai è universalmente riconosciuta. È del pari noto che lo strongylus filaria, vivendo nei bronchi, può esser causa di polmonite caseosa. Un altro strongylus, che non risponde esattamente alle descrizioni dello strongylus hypostomus, e che perciò deve essere zoologicamente riveduto, s'attacca alla mucosa inte- stinale: noi abbiamo scoperto ch'esso succhia il sangue come r anchilostoma dell'uomo, del gatto e del cane. L' echinococco s' incontra a gran preferenza senza testa e piccolo nel polmone; si trova invece per lo più semplice con testa, oppure endogeno, nel fegato, dove non raggiun- ge mai un grandissimo volume. (1) Questo parassita, è stato scoperto da uno di uoi (Grassi) nell' uomo, nei nms, nfiW arvicola arvalis , nel gatto e recentemente anche nel coniglio. ATTI ACC. VOL. XVni. 31 230 INTORNO AD UNA MALATTIA PARASSITARIA Le tenie, che finora non abbiamo potuto determinare, vivono nel tenue e producono le solite lesioni. Non si sa quale influenza possa esercitare il megasto- ma entericum, È molto probabile che il tricocefalo, lo strongilo fili- colle e il raddonema lungo siano innocenti commensali, e ciò desumiamo specialmente dal fatto che essi non intac- cano la mucosa intestinale. Se teniamo conto della frequenza e della numerosità dei sopradetti parassiti, possiamo stabilire che la cachessia ittero- verminosa nella maggior parte dei casi è prodotta a gran preferenza dal distoma epatico. Questo parassita non è però, come generalmente si crede, causa esclusiva e costante della sopradetta malattia; qualche volta questa parte del distoma viene assunta dallo strongylus (hypo- stomus?), il quale d'ordinario, non essendo numeroso, si limita ad agire come concausa di secondo ordine. Lo strongylus filaria non pare frequente; è da notare però che benché in piccolissimo numero può concorrere potentemente a rendere cachetico l'animale. L' echinococco polmonare è comune; di rado è in gran numero; non pare riesca di gravissimo danno all' animale. L' echinococco del fegato è molto comune e certamente riesce malefico alle pecore, in ispecie se coesiste con nu- merosi distomi. In breve si può dire che la cachessia ittero-vermi- nosa degli ovini è un'elmintiasi complicata; di regola è in gran parte una distomiasi, vi si associa di spesso una non lieve strongiliasi intestinale, una piii o meno grave echino- cocchiasi e, forse più di raro, una strongiliasi polmonare. La malattia si diagnostica in base a sintomi notissimi e che perciò noi crediamo inutile qui riferire. Noi additia- mo un metodo di diagnosi che fin qui è stato accennato appena ed è restato generalmente ignorato. Esso è il se- CACHESSIA ITTERO- VERMINOSA 231 guente : si pigli un frustolo di scibala, si diluisce con acqua distillata; e si esamina al microscopio con un ingrandimento di circa novanta diametri : si trovano allora uova di di- stoma e di strongylus (hypostomus?) Il numero delle uova è proporzionale al numero dei parassiti. Bisogna rite- nere che ciascuno degli accennati parassiti depone ogni giorno ed in ogni epoca dell' anno numerose uova. Quanto ai distomi, l'illustre Ercolani avea supposto che in certe epoche dell'anno non oviflcassero ; questa supposizione , per quanto risulta dalle nostre ricerche, è infondata. Il veterinario imparerà facilmente a distinguere le cen- nate uova, se vorrà avere la pazienza di esaminare al mi- croscopio (a 90 ingrandimenti) delle dilacerazioni di stron- gili e di distomi; in queste dilacerazioni troverà facilmente migliaja di uova che gli serviranno di termine di confronto per r esame delle feci. Sono numerosissime in Italia e fuori le vittime della marciaja: in certi anni se ne verificano epidemie in cui soc- combono moltissime migliaja di capi d'ovini. Noi speriamo che questa sciagura, almeno in parte, si potrà scongiu- rare colla somministrazione del felce maschio. Noi abbiamo infatti dimostrato che il felce maschio arriva a liberare le pecore tanto dai distomi quanto dagli strogylus (hypostomus ?) , e perciò guarisce quasi sempre le pecore dalla cachessia Utero-verminosa. Il felce maschio (quello che sperimentammo era stato preparato dal commendatore Carlo Erba da Milano) si dà internamente nella seguente formola : « Prendi gr, 5 di estratto etereo di felce maschio, diluisci in gr. 50 di tintura eterea di felce maschio, e dà in una volta. » Per la somministrazione è ben usare un sottil tubo di gomma elastica lungo circa 30 centimetri che facilmente s'introduce, per i tre quarti della sua lunghezza, nella bocca, nel faringe e nell'esofago dell'animale: all'estremità esterna 232 INTORNO AD UNA MALATTIA PARASSITARIA di questo tubo si applica un ImiDuto nel quale si versa il farmaco. Paiono utili, ma certamente non sono sempre ne- cessarie, le injeziotii di felce maschio: si prende un gram- mo di estratto etereo di felce maschio, si mesce con un grammo di tintura eterea di felce maschio e s'inietta di- rettamente nel fegato con la siringa di Pravaz. Le pecore affette di cacchessia ittero-verminosa , po- chissimi giorni dopo l'amministrazione del felce maschio nella dose sopraccennata che di regola non occorre ripetere, mi- gliorano notevolmente: per esempio una pecora che un mese e mezzo fa era in pericolo di vita, ora presentasi perfetta- mente risanata. (1) Le feci delle pecore cachetiche , per quanto abbiamo detto innanzi, presentano al microscopio moltissime uova di distoma e numerose uova di strogjius (hypostomus?); tanto le une che le altre scompariscono interamente circa tre giorni dopo l'amministrazione del felce maschio, e ciò prova che i parassiti sono stati certamente distrutti. Nelle feci, eliminate da 24 a 48 ore dopo l'uso del felce maschio s' incontrano numerosi distomi, in parte dige- riti e numerosi strongylus (hypostomus?) ancora intatti. All' autopsia non si trova piii alcun distoma né alcuno stron- gylus (hypostomus?). Si sa che il distoma epatico, in alcune regioni (come nel Giappone) spesse volte è causa di cachessia all'uomo, e di recente se ne verificò un caso mortale anche in Ger- mania : certamente anche in questi casi si dovrà ricorrere, con molta speranza, al felce maschio. Lo stesso dicasi pei casi di cacchessia ittero-verminosa dei bovini, dei cani, etc. Il vedere che il felce maschio injettato nel fegato espel- (1) Queste esperienze sono importanti, perchè tolgono ogni base all'ipo- tesi che i parassiti non siano la causa efficiente della cachessia ittero-ver- minosa. CACHESSIA ITTERO-VERMINOSA 233 le il distoma epatico , lascia sperare di potere uccidere nella stessa maniera l'echinococco. Anclie a rischio di digredire molto dal nostro tema, vogliamo fermarci un momento sugli echinococchi. Con gran dolore notammo che l' echinococco nella pro- vincia di Catania è straordinariamente Irequente : In quasi tutte le pecore che vengono macellate a Catania trovammo pili 0 meno abbondanti echinococchi. Da notizie gentilmente comunicateci dell'egregio Prof- Maffucci , risulta che in circa 120 autopsie umane si rin- vennero quattro casi di echinococco e ciò durante il bien- nio 1883-84. Questa statistica appare in tutta la sua gravezza quan- do si pensa che in Germania, secondo Neisser su 13882 autopsie umane si ebbero soltanto 95 casi di echinococco (presso a poco 0,7 %); e che in altre 12800 autopsie umane pure in Germania si trovarono appena 94 casi di echino- cocco; e che infine in 2916 autopsie umane a Praga, a Vienna ed a Zurigo non se ne trovarono più di 6 casi (circa 0, 02 V»). Pochissime, per quanto si sa, sono in Europa i luoghi in cui l'echinococco appare quasi tanto frequente quanto a Catania: se ne conoscono tre soli, cioè: Rouens (in 200' autopsie umane si trovarono 6 casi di echinococco) Rostock (in 261 autopsie umane si trovarono circa 12 casi di echinococco) e l' Islanda (qui la proporzione pare minore che a Rostock). Non conosciamo statistiche esatte per 1' I- talia: possiamo però assicurare che a Milano ed a Pavia l'echinococco è di gran lunga meno frequente che a Cata- nia, almeno nell'uomo. Noi non possiamo fare altro che raccomandare l'os- servanza scrupolosa delle già note regole igieniche. Il pa- store deve tener lontano i cani dagli armenti. Bisogna che 234 INTORNO AD UNA MALATTIA PARASSITARIA r uomo eviti di portare alla bocca direttamente , o, come più di leggieri accade, indirettamente, per esempio accarez- zando il cane, qualunque minima particella di feccia di cane. I municipj poi debbono impedire che si esportino dal macello visceri contenenti echinococchi; debbono invece farli raccogliere e distruggere. Sarà bene di dare ai cani di tanto in tanto dei tenifughi e di far bollire le feci elimi- nate successivamente a questa amministrazione. Questi nostri studj sono stati fatti con un sussidio ge- nerosamente concessoci da S. E. il Ministro d'agricoltura, dietro gentile proposta dell'onorevole Tommasi Crudeli; al- l'uno e all'altro rendiamo i nostri vivissimi ringraziamenti; come pure manifestiamo pubblicamente la nostra gratitu- dine al Sig. Galvagni, medico condotto d' Adernò , il quale ci concesse una parte del materiale d' esperimento. Ci riserbiamo di dare una estesa relazione dei fatti qui sommariamente accennati. Catania 15 Giugno 1885. N. B. Un ritardo avvenuto nella pubblicazione del presente articolo ci permette d' aggiungere alcuni nuovi fatti. Finora abbiamo sperimentato il felce maschio in nove casi di distomiasi (cachessia da distoma) in vari mesi dell'inverno e dell'estate: e tutt'e nove furono seguiti da pronta guarigione, dopo amministrazione per la via della bocca della dose sopra riferita (5 gr. d'estratto etereo in 50 gr. di tintura eterea) per una sola volta. Le injezioni ipodermiche vennero da noi abbandonate sopratutto perchè si mostrarono d'esito incerto. È importante aggiungere che l'animale, appena dopo aver ingoiata la pozione, cade al suolo in uno stato di sopore, che può durare da pochi mi- nuti ad un'ora, e ciò per effetto dell'etere. Intorno ad alcuni protozoi parassiti delle Termiti per il Prof. BATTISTA GRASSI (con alcune figure) Noia Idia aìV Accademia Gioenia nella tornata del dì lo Gennaro 1885. Con questa nota voglio dare )3revi cenni sopra alcuni parassiti delle Termiti europee. * L'intestino d'ogni Calotermes flavicollis alberga infinite coorti d'un nuovo protozoo. Questo protozoo ricorda la lophomonas; notisi fin d'ora che la lopliomonas è stata tro- vata da Stein, da Butsclili e da me nell'intestino della blatta, d'un insetto cioè che tiene nel sistema un posto vicino a quello delle termiti (Hagen). Come la lophomonas, il mio nuovo protozoo è di forma varia, ha dimensioni relativamente considerevoli (in media però ne è sensibilmente piii grosso), non mostra né bocca né vacuoli contrattili , porta all' estremità anteriore un grande ciufTo fatto di numerosi flagelli (vibratili) e infine va fornito d'un nucleo {n) situato vicino al ciuffo. Questi sono i punti di contatto tra il mio nuovo pro- tozoo e la lophomonas; esistono però alcune notevoli diver- genze, e sono le seguenti: 1. Il mio nuovo protozoo ha un complesso scheletro interno: questo scheletro è d'aspetto cuticulare, occupa l'asse longitudinale dell'animale, e risulta: Ldi una costa {e) verticale simile a quella delle trichomonadi , essa é al- quanto assottigliata posteriormente: all' estremità anteriore si allarga e presenta un'incavatura che accoglie parte del ATTI ACC. VOL. XVHI. 32 236 INTORNO AD ALCUNI PROTOZOI o-/ nucleo {n): per questa incavatura la costa acquista una simetria bilaterale ; II di bastoncelli (b) curvi e clavi- formi: essi, a quanto pare, col loro estremo assotigiia- to prendono inserzione all' estremo anteriore della eosta e sono disposti in modo che vengono a formare una zona, 0 fascia, che circonda questo estremo anteriore: siccome però essi ne lasciano libero un piccolo tratto, così la zona resta incompiuta come nella Fig. 2." Perciò la zona acqui- sta una simetria bilaterale che non corrisponde però a quella della costa. (1) 2. Il mio nuovo protozoo nella metà posteriore del cor- po va fornito di corti processi in forma di ciglia, che non presentansi mai in movimento; mi paiono formati da una diretta propagine dell'ectoplasma. 3. Il mio nuovo protozoo non possiede il tratto di pro- toplasma più denso e più oscuro che può riscontrarsi nelle lophomonas alla metà anteriore del corpo e che è forse omologo allo scheletro interno dianzi descritto. m„:É0Mù- 7^'- 't.t.iCC (1) Alle volte notasi un filo (e) clie, a quanto pare, va dalla costa al ciuffo di flagelli: non so se debba esso pure considerarsi come parte dello scheletro. PARASSITI DELLE TERMITI 237 -^^ ■wr Figure della Joenìa anneclens (mìhi) (Oc. 3 Ob. 9 Harl.) SPIEGAZIOxNE h — hastoncdli {sclieletro infenio) e — costa (scheletro interno') e — un altro pezzo scheletrico interno? n — nucleo p — lìsendopodo ? t — tritume ligneo. N. B. Nelle ultime due figure si vedono isolati il nucleo e la costa, nella penultima anche i hastoncdli. Il mio protozoo si pasce di tritumi di legno {t) che in- goia non so bene in qual modo : forse li ingoia colla metà anteriore del corpo, la quale è di forma molto incostante, ed alle volte presenta delle propagini, quasi pseudopodi (;:*) rilevabili specialmente se si uccide l'animale coli' acido osmico all'I 7o-Io debbo però confessare che ho sempre qualche sospetto che questi supposti pseudopodi siano un fenomeno dell'agonia e perciò non fisiologico: ciò perchè non ebbi mai la fortuna di assistere al loro ritirarsi nel corpo del protozoo. * * Nei Termes flavipes d'America il Leidy ha trovato dei curiosi parassiti che ha descritto coi nomi Trichonympha 238 INTORNO AD ALCUNI PROTOZOI agilis, Pirsonema verfens e Dinenympha gracilis e che il Kent ha radunato in una faniiglia nuova {Trichonymphidae) dell'ordine degli Ilolotricha. Lo studente Condorelli sotto la mia guida ha trovato queste stesse specie di parassiti in una specie di termite che è comune in Sicilia ma che manca all' America ( ter- mes lucifugus): esse non vivono mai nella calotermes fla- vicollis (1) che ospita invece il protozoo, di cui sopra diedi la descrizione. È inutile eh' io mi fermi a dimostrare che queste no- tizie di geografìa zoologica sono molto importanti. Dirò piut- tosto che, nonostante che, per mancanza di forti obiettivi, non mi sia deciso a imprendere uno studio minuto sulle forme in discorso , pure credo d' aver accertato che esse non possono accozzarsi in un' unica famiglia. La trichonym- pha agilis Leidy vuol esser considerata come una specie del genere lophomonas: e infatti io ho verificato che tutti i caratteri della trichonyrnpha coincidono con quelli della lo- phomonas, ad eccezione: 1" del tratto di protoplasma denso ed oscuro , tratto che esiste però anche nella lophomonas, ma con una forma differente, e 2" del ciuffo di flagelli il quale nella trichonympha è più grosso e più lungo che nella lo- phomonas. Questi lunghi flagelli rovesciati indietro sul cor- po dell' animale a tutta prima ingannano e fanno nascere la falsa impressione che tutto 1' animale sia coperto di ci- glia, come appunto lo descrisse il Leidy. La Pyrsonema vertens e la Dinenympha gracilis vo- gliono esser ristudiate con ingrandimenti molto forti ed io mi limito ad osservare che i pyrsonema vertens Leidy rappre- sentati dalle Fig. 19 e 20 della tav. del Leidy debbono molto probabilmente venir radiati dall'ordine degli Holotricha. (1) Si sa che ìu Italia nou esistono die due specie di termiti: caloter- mes flavicollis e termes lucifusrus. PARASSITI DELLE TERMITI 239 * * * Con questo mio contributo , la famiglia delle Lopho- monadidea (Grassi) si arricchisce : la forma da me descritta nella calotermes europea , e che forse si scoprirà anche nelle calotermes americane, vuoisi considerare come nuova specie d'un nuovo genere, per la quale propongo i nomi di Joenia (1) annectens. La trlchonympha agilis, secondo me, deve mutar nome e può forse denominarsi L^phomonas o, trichonympha. * Qual'è la posizione sistematica della Lophomonadidea? Secondo me, i flagelli anteriori, il nucleo anteriore, lo scheletro d'apparenza cuticulare della Joenia (che ò para- gonabile forse alla costa delle Tricomonadi e fors' anche al tratto di protoplasma pifi denso e più oscuro delle lopho- monas) depongono per la posizione delle Lophomonadidea tra i flagellati, vicino alle tricomonadi, alle magosfere, alle sinure e forse anche vicino alle mallomonadi. È indubitato però che la moltiplicità dei flagelli di tutte le lophomonadidea e fors' anche le ciglia immobili del mio nuovo genere Joenia accennano ad una parentela coi cigliati. (2) (1) La dedico al Gioeni, l'illustre naturalista Catanese. (2) Per la Bibliografia in argomento rimando il lettore ai notissimi scritti dell'illustre protistologo Prof. Maggi e alla mia Memoria. « Intorno ad alcuni protozoi endoparassiti » (Atti della Società Italiana di Scienze Na- turali. Voi. XXIV 1882): qui mi limito a citare il Kcnt. « A Manual of the Infusoria. » Pars IV, 1881: p. 551-556 tav. XXVIII e il Lcidy « Parasites of the tennites » in Journal of the Academy of Nat. Sciences of Philadelpliia, voi. VIII 1881. 240 INTORNO AD ALCUNI PROTOZOI * * È difficile provare non i qui ricordati parassiti delle ter- miti siano 0 no dannosi, e ciò perchè raramente si trova una termite che o non ne ospiti o almeno ne ospiti pochi. Certamente non faranno un gran danno: teoricamente par- lando però, non potrebbero esser commensali del tutto in- nocenti. N. B. Intanto che questa Nota ora nelle mani del tii^ografo ho spedito all' illustre Prof. Biitschli alcune cahfermes vive. Egli ha così potuto con- fermare la mia descrizione. Mi piace di poter soggiungere eh' egli è d' ac- cordo con me nel considerare il mio nuovo genere come appartenente alla famiglia delle Lophomonadidea. Contribuzione allo studio della nostra Fauna Cenni sugli studii fatti nel laljoratorio di Zoologia e d' Anatomia comparata dell' Università di Catania dal Noveuiljre 1884 al Marzo 1885 del Prof. BATTISTA GRASSI {Lettura fatta alV Accademia Gioenia il 22 Febbraio 1885) A' nostri giorni è molto facile la scoperta di nuovi animali, ma lo scoprire un nuovo animale, ossia l'aggiun- gere alla interminabile schiera d'animali già noti una nuova specie, a me sembra di ben poca importanza, se l'animale aggiunto non ci desta uno speciale interesse. Quest'interesse può essere puramente scientifico, puramente filosofico, ov- vero può essere materiale, pratico. Mi spiego. Un animale può interessarci scientificamente in quanto che, per citare un esempio , fornisce un nuovo argomento alla teoria di discendenza, rischiara la genealogia , ci mostra insomma un anello tra due forme lontane e così contribuisce a pre- parar la via per la scoperta del perchè e del come le for- me animali andarono man mano trasformandosi e perfezio- nandosi; ma un animale può anche interessarci material- mente perchè esso riesce utile o dannoso all'uomo, e quindi dev'essere da noi conosciuto, o per ricavarne il maggior utile possibile o per risentirne i danni il meno possibile. Accettando queste vedute, riesce importante tanto lo scoprire un animale che interessa alla scienza o alla pratica, quanto il rischiarare le nostre cognizioni sopra quelli già registrati nei cataloghi. Questi concetti dirigono i miei studii e quelli dei miei scolari. Or qui io voglio accennare al frutto di alcuni no- stri studi fatti appunto con questo indirizzo. Comincio cogli studi di scienza pura. ATTI Acc. VOL. xvm. 33 242 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO Da un paio d'anni il luogo prediletto per le mie ricerche è il terreno, dove è coperto di pietre non smosse da molto tempo e nascoste o sotto ai ceppi dei fichidindia (a Catania) 0 nelle macchie delle robinie pseudacacie (in Lombardia). Direttamente sotto a queste pietre e nel terreno sottostante ad esse, esiste quasi una fauna speciale, vi sono cioè molti animali che hanno necessità per vivere di quell'ambiente né troppo umido né troppo secco , che si trova appunto nelle or ora precisate località (1). Per spiegarci questa fauna é d'uopo richiamare che gli animali una volta eran tutti acquatici: man mano che i continenti emersero, molte forme non potendosi adattare a questo nuovo ambiente, soccom- bettero; molte altre migrarono nelle parti che restavano tuttora coperte d'acqua; molte altre s'adattarono alla vita aerea subendo profonde modificazioni nella loro struttura, sopravissero, e sopravivono oggi ancora, più o meno perfe- zionate ; molte altre infine si ripararono in quell'ambiente né troppo umido né troppo secco che si trova per lo più sotto alle pietre, come già dissi. Queste ultime forme per lo più s' adattarono soltanto parzialmente alla vita terrestre e però si sono relativa- mente poco trasformate. Voi capite dunque come in queste ultime debbansi cercare i parenti più prossimi e meno tra- sformati dei nostri animali terrestri, gli anelli, a così dire, di congiunzione tra le forme terrestri e le forme acquati- che. I fatti corrispondono esattamente a queste supposizioni e le ricerche in questi locali, che restano costantemente alquanto umidi, sono sempre state e sono tuttora molto profìcue per la scienza. Voi tutti conoscete certamente molti (1) Insieme con queste forme, se ne trovano altre di costumi per Io più notturni che si riparano nell'ambiente in parola per sfuggire alla luce del giorno. Bisogna distinguere queste seconde forme dalle prime. DELLA NOSTRA FAUNA 243 animali piii o meno grossi clie compongono la fauna ch'io vado studiando. Ma accanto a questi che sono ormai molto ben noti alla scienza, ne esistono molti altri assai piccoli che però non hanno meno interesse di quelli grossi ; queste forme per lo più o sono ignote affatto , o male note, 0 tutt'al più incompletamente note. Ciò dipende da molte circostanze: prima di tutto è diffìcile di trovarle per la loro estrema piccolezza, poi è malagevole raccoglierle per la loro straordinaria delicatezza e fragilità, e infine appena a furia di pazienza si riesce a decifrarne la strut- tura, sezionandole col microtomo e dilacerandole in vario modo. Io sto appunto occupato con queste forme piccole. Una di esse è la campodea che era stata trovata ap- pena vicino a Pavia: io l'ho rinvenuta in svariatissime al- tre parti d'Italia. È notevole che di questa forma cosmopo- lita si conosce fin qui un' unica specie {e. staphylynus); so- no state però descritte parecchie altre specie {e. fragilis del Meinert, e. succlnea del Nicolet, e. nivea del Joseph) ma, come dimostrano le mie ricerche, esse non sono buone, e perciò i loro nomi debbonsi ritener sinonimi di e. sta- phylinus. Dalle mie ricerche anatomiche risulta che la cam- podea nella maggior parte degli apparati organici presenta traccie evidenti di primitività, prove irrefragrabili della sua grande antichità: a questo riguardo è a notare specialmente la condizione del tubo digerente, del sistema nervoso, delle trachee, delle ghiandole genitali, delle false zampe, delle vescicole segmentali etc. Un compagno delia campodea è l'japyx solifugus Hai. Quest'animale venne, da parecchio tempo, registrato ne- gli annali zoologici ed è stato trovato in molte parti d'Italia (Haliday, Aleinert e Parona): io l'ho riscontrato in Sici- lia e in Lombardia : oltracciò ho potuto fondarne una nuova specie, caratterizzata dalla forma del forcipe e dal- la presenza di vescicole addominali (quesf ultimo carat- 244 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO tere avvicina gii japyx alle campodee). Ilo pur fissato tre nuove varietà delle specie solifugus ( var. Humberti , var. magna, var.Wollastoni). Le ricerche anatomiche da me fatte suir japyx hanno avuto buon risultato ed io ho scoperto , tra gli altri, due fatti essenziali: I. i tubuli ovarici sono disposti in ordine segmentale ; IL le stigmate sono in numero di undici paia. Questo numero è veramente notevole perchè nessun altro insetto possiede \)m di dieci paia di stigmate, ma, secondo un' ipo- tesi oggigiorno molto accetta, tutti gli insetti una volta ne avevano appunto undici paia ; 1' yapyx , questo insetto pa- rente dei progenitori degli insetti primitivi, realizzerebbe forse questa ipotesi ? Sull'japyx ho fatto pure alcune indagini embriologiche. La Nicoletia è un'altra forma della fauna di cui mi occupo; è un animale rarissimo che era stato finora rin- venuto soltanto a Parigi. Io lo trovai in Sicilia: si deve scavar terreno per lunghe ore per aver la gioia di procurarsi uno di questi animali ! Non si può dire se questa Nicoletia da me trovata sia nuova o sia la Geophila di Gervais, perchè Gervais la denominò senza descriverla. La Nicoletia è nuova per la fauna italiana. Ho potuto dimostrare che la Nicoletia non è una larva, come suppone Lubbock, ma che è quasi un trait-d'union dei machilis e delle lepisme colle campodee e cogli japyx. Mentre le forme fin qui accennate si possono in com- plesso ritenere prossime parenti dei progenitori degli in- setti, le forme , a cui ora passo , sono nettamente parenti non soltanto dei progenitori degli insetti , ma anche del progenitori dei miriapodi. Esse sono le scolopendrelle , an- ch'esse nuove per la fauna italiana. Io ho dimostrato che le scolopendrelle possiedono un vaso sopraspinale (1) e (1) Nella mia Nota preliminare lio descritto questo vaso sopraspinale come un tubulo sopraspinale simile ad una fibra gigante d'anellide e d'in- DELLA NOSTRA FAUNA 245 che esse hanno punti di contatto con tutti i vari ordini di miriapodi : tra questi punti ne voglio qui accennare uno la cui scoperta mi ha fatto grandissimo piacere. Negli archipolipodi, miriapodi giganteschi dell'epoca carbonifera che pel loro genere di vita erano anfibi , esistono al lato ventrale molti organi crateriformi che sono stati interpre- tati come branchie : orbene organi simili e similmente di- sposti esistono anche nella scolopendrella, anzi esistono an- che nella campodea, nella nicoletia, nel macliilis e fors' an- che nel famoso peripato. Le scolopendrelle sono cosmopolite e prima di me se ne conoscevano appena tre specie : io ne ho distinto una quarta (Scolopendrella Isabellae). Questa nuova specie è notevole perchè presenta appena undici paia di zampe. Questo numero undici è interessante per la scienza, per- chè colma forse una lacuna. Infatti tutte le altre scolopen- drelle hanno dodici paia di zampe: i pauropodi (un ordine intimamente legato a quello delle scolopendrelle e a cui ac- cenno più sotto) ne hanno dieci paia, e un altro ordine di miriapodi dell' epoca carbonifera, i protosingnati, ne hanno nove paia. Abbiamo dunque tutte le forme di passaggio dal 9 al 12! Dodici, tre specie di scolopendrella: undici, la quarta specie di scolopendrella: dieci, il pauropo, e nove li protosingnato. II pauropo è parente prossimo delle scolapendrelle ; coabita con esse, colle campodee e cogli yapyx. Io ne ho trovato fin qui una sola specie, il Pauropus certo significato. In questa stessa Nota ho descritto due organi {ocelli degli A.) che stanno in vicinanza alle antenne: essi hanno quella struttura complicata che ho ivi accennata e sono veri organi di senso, non già lacune d'un pelo caduto, come vuole il D.r Haase : il color nero che sogliono presentare questi organi quando si osserva 1' animale intero , non dipende però da pimmento come, con parecchi altri autori, ammisi nella sopradetta Nota, esso è invece dovuto a bolle d'aria. 246 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO Huxley: anche i imuropodi sono nuovi per la fauna ita- liana. Il pauropus Huxley è molto piccolo e per raccoglier quest' animale ci vuol una pazienza a tutta prova. Io 1" ho sezionato ed ho concluso che esso ha una pa- rentela colle scolopendrelle. Fin qui parlai di ricerche sopra forme che erano state già registrate nella scienza ma la cui anatomia restava in gran parte sconosciuta. La forma, a cui ora passo è del tutto nuova. L' ho denominata Koenenia mirabilis. Appartiene ad una nuova famiglia (Koenenidae): for- ma, a mio credere , un nuovo ordine ( microtelifonidi ) di aracnidi artrogastri. L' ho trovata a Catania insieme colle forme che ho sopra ricordate: non è molto rara. Tra le forme dei nostri paesi, quelle che più s' avvicinano alla Koenenia, sono gli scorpionidi e gli opilionidi. La Koenenia ha figura di uno scorpioncino microscopico : com' esso, possiede una sorta di coda che suol tener sollevata. È lunga due mm. circa (un mm. il corpo ed uno la coda). La Koenenia ha caratteristiche importanti: si può dire francamente che essa ha cinque paia di vere zampe ( arti ambulatori : tutti gli altri aracnidi ne hanno sola- mente quattro, essendosi in essi il primo paio di zampe (arti ambulatori) trasformato in mascelle e palpi mascel- lari: questa trasformazione nella Koenenia non è ancora accaduta. Questo fatto appoggia fortemente l' ipotesi che gli arti boccali erano primitivamente arti ambulatori (zampe) (1). La Koenenia inoltre possiede certi organi ch'io sup- pongo antenne rudimentali : è notevole a questo riguardo (1) Nota successiva — Le Koenenie senza subire alcuna metamorfosi di- ventano sessualmente mature nei mesi di maggio e giugno : e sono di sessi separati. Ciò aggiungo a complemento della mia Nota preliminare. DELLA NOSTRA FAUNA 247 che a tutti gli altri aracnidi fanno difetto le antenne : pro- babilmente essi le avevano una volta, e poi le hanno perdute. Tra le forme note alla scienza, le più prossime alla Koe- nenia sono le Solpughe, i Telifonidi ed i Tartaridi: si può anzi ritenere che il mio nuovo animale forma un anello di congiunzione tra questi ordini. Più che agli altri, esso s' avvicina ai Tartaridi : non può però comprendersi tra essi, come mi risulta da un confronto tra il mio animale e la descrizione dei Tartaridi data dal loro scopritore, il Cambridge (1). Dal lato geografico è importante notare che di questi prossimi parenti delle Koenenia uno (la Solpuga) vive appena nella parte orientale d'Europa, e gli altri (i Telifonidi ed i Tartaridi) mancano affatto all'Europa; anzi i Tartaridi sono finora stati scoperti appena nell'Isola di Ceylan, e si può ritenere che mancano al nord dell' Africa e in parecchie parti del Continente Asiatico. Colla Koenenia chiudo la enumerazione degli animali interessanti dal lato puramente scientifico. Passo ora ad animali che hanno specialmente interesse dal lato pratico. Comincio con cinque parassiti dell' uomo. L' uno è un nematode e venne studiato nel mio Laboratorio dal signor Addario, laureando in medicina. Esso è stato trovato in una cisti della congiuntiva oculare d'una vecchia della prov. di Catania, non mai uscita dalla Sicilia. Appartiene al gen. filaria ed è una specie nuova. È lungo circa un- dici cent, ed è grosso come un comune filo di lana. Un altro parassita è stato studiato pur sotto la mia (1) Io stesso ho potuto verificare questa descrizione, anzi l'ho potuta completare in parecchi punti con due esemplari favoritimi dall'or nominato autore. 248 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO direzione dal mio assistente, il sig. Calandruccio. È una larva d'un dittero che s'avvicina a quelle della piophila casei e a quelle state molto esattamente descritte dal D.r Graziadei nelle feccie d'un anemico del Gottardo (1); diffe- risce però dalle une e dalle altre per caratteri importanti. Ne possediamo due esemplari : credo fermamente che sono stati evacuati, ancor vivi, colle feccie da un catanese , studente in farmacia. Egli ne ha eliminate moltissime, ma per nostra disgrazia ha conservato soltanto i due esem- plari in parola. È notevole che questo studente da anni è affetto da una forma di catarro gastroenterico. Il terzo parassita umano, di cui voglio parlarvi, è stato studiato nel mio laboratorio da un laureando in medicina, il sig. Guzzardi. Esso è stato evacuato da una donna milanese: è una varietà della toenia solium : il Guzzardi l' ha denominata taenia solium, varie tas minor. Il quarto parassita è una larva stata trovata sotto la cute d' un uomo dall' egregio Prof. Berretta : dietro l' au- torevolissimo parere del Comm. Prof. Aradas , egli la di- chiarò una larva d'estro bovino e ne fece una bella illu- strazione dal lato clinico, in seno a questa stessa Accade- mia: però per ragioni dipendenti dalla grave malattia, on- d'era affetto l' illustre Aradas, la descrizione zoologica della larva in discorso restò monca e imperfetta: perciò restò adito al dubbio che questa larva non fosse d'estro; perciò recentemente Schòyen e Seler hanno potuto sostenere che (1) Kecenti ricerche ci autorizzano a sostenere che queste larve del Gra- ziadei (larve d' estro, secondo il Perroncito) spettano alla piophila casei (mo- sca del cacio) e a supporre die debbonsi radiare dal novero dei parassiti u- mani : probabilmente esse erano state ingoiate col cacio {cacio coi vermi) e per caso eran passate nelle fecce senza esser state digerite. DELLA NOSTRA FAUNA 249 finora in Europa non si conosce alcun caso sicuro di estro nell' uomo. Queste considerazioni mi spinsero a far riprendere in esame dal mio assistente la larva trovata dal Prof. Ber- retta-, questo nuovo esame ci ha fatto stabilire con sicurezza che essa , come hanno sostenuto lo stesso Berretta e il Comm. Aradas, è veramente appartenente all'estro bovino. Abbiamo dunque una sicura eccezione al forse troppo audace asserto dei due autori forestieri. Un quinto parassita dell'uomo è una larva forse d'un dittero, favoritami dallo stesso egregio Prof. Berretta: pare certo che essa sia uscita dal condotto uditivo esterno sini- stro d'una monaca, la quale da parecchio tempo lamentava dolori gravi e forti rumori alla parte or nominata. Il Prof. Berretta ed io ne faremo una estesa relazione. Vengo ora a parlarvi di certi insetti, che, secondo al- cuni, minacciano di distruggere preziosi vegetali e perfino le nostre case. Alludo alle termiti. L'anno scorso il Prof. Aloi mi mostrò degli animali trovati nelle viti della Prov. di Catania. Con mia maravi- glia riconobbi che si trattava di termiti , e precisamente del Calotermes flavicollis ; è una specie che venne già re- gistrata neir Italia Media e Meridionale (compresa la Si- cilia) e nel Sud della Francia: nessuno l'ha però fin qui studiata seriamente. Io ho determinato con sicurezza che essa non intacca mai la parte sana della vite e che si trova, oltrecchè nelle viti, in altri alberi da frutta (peri, olivi etc.) di cui pure rispetta sempre il sano. Scava gallerie per lo più verticali. Dai miei studi risulta inoltre che la colonia del calo- termes flavicollis è paragonabilissima a quella d'altre spe- cie dello stesso genere, abitanti nel Brasile e state recen- temente studiate dal Fritz Miiller. att: acc. vol. xvni. 34 250 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO Anche nella colonia del Calotermes flavicollis lio tro- vato (1) un re, (2) una regina, (3) molti soldati in parte di sesso maschile e in parte di sesso femminile, e larve relative, (4) ninfe piuttosto numerose con un abbozzo d'ali più 0 meno piccolo, e larve relative. Anche nel nostro Calo- termes mancano le operaie e gli operai, appunto come nei Calotermes americani. Io però non ho potuto distinguere le nymphos de la deuxième forme (Lespès) che, secondo il Miiller, esistono invece nei Calotermes d' America. È notevole che le colonie del nostro Calotermes sono relativamente poco numerose. Questa debole popolazione è in rapporto colla poca prolificità della regina. Quand' io cominciai a studiar termiti , m' imaginava di trovar una regina gigantesca, quale viene figurata su tutti i trattati di zoologia; invece con mia grande sorpresa constatai che la regina del Calotermes Flavicollis è appena un po' più grossa del re ed è grossa press' a poco come le ninfe coir abbozzo d'ali. Basta preparar 1' ovario d' una regina per persuaderci che essa non può esser molto prolifica. Com'è noto, anche in Sicilia esiste un' altra specie di termiti. È il termes lucifugus. Essa abita a preferenza i tronchi morti dei fichidindia. In un paesello vicino a Catania, ha però invaso anche la chiesa, e precisamente ha scavato innumerevoli gallerie in quei banchi del coro, su cui s'appoggiano i canonici per le loro orazioni. Oltracciò essa ha costruito una galleria verticale, lun- ga non meno di quattro metri: questa galleria è appoggia- ta all'angolo tra due dei muri che formano le pareti della chiesa. La galleria è fatta con detriti legnosi mirabilmente cementati assieme. Pare che essa serva a mettere in co- municazione la parte della popolazione che abita nei ban- chi della chiesa con un'altra parte che abita nel legname della soffitta: per essa le termiti possono andare dai banchi DELLA NOSTRA FAUNA 251 alla soffitta senza esporsi alla luce del giorno. É un con- tinuo viavai per la galleria! Di spesso qualche villano alla domenica, invece di con- centrarsi nella preghiera, si diverte rompendo un tratto di questa galleria; le povere termiti senza perdersi di corag- gio la riparano subito con mirabile diligenza. Per quanto si sa, questa galleria è il più bel lavoro architettonico, che abbiano costruito le termiti europee. Io ho descritto anche un nuovo protozoo ( Joenia an- nectens), parente delle Lophomonas: esso vive a migliaia e migliaia nell' intestino del Calotermes Flavicollis. Tra i lavori fatti nel laboratorio r hanno scorso ve ne ha un altro di cui già vi tenni parola in altra occasione. Esso riguarda la cura del distoma: io ho dimostrato che il distoma viene espulso dietro l'amministrazione del felce maschio: si arriva così a guarire una malattia che deci- ma le mandre di pecore. A proposito dei parassiti della pecora, ho notato che in questo animale vive una specie d' anguillula lunga circa sette mm., uguale a quella da me scoperta nel coniglio, nella donnola e nel porco (Rhabclonenia longus). Anche questo rabdonema presenta queir interessante dimorfobiosi ch'io ho pel primo dimostrato nell' anguillula intestinale dell' uomo e che venne poscia confermata dal Leuckart dal Golgi e dal Monti. Allo stato libero, mentre nel Rhabdonema strongyloides si sviluppa circa un mas- chio ogni otto femmine, nel Rhabdonema longus si sviluppa appena un maschio circa ogni mille femmine, le quali perciò moiono spesso senza aver ovificato per mancata fecondazione. Con ciò chiudo il mio breve resoconto. I lavori qui accennati verranno pubblicati in esteso in un breve lasso di tempo. 252 CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO Nota Bene. — Questi nostri studi subirono una grave interruzione nei mesi d'agosto e settembre, per lo scoppio del colera in Italia. Non permet- tendomi i miei scarsissimi mezzi finanziari di provvedermi tutti gli apparati necessari allo studio di questo funesto morbo , dovetti far capo ad una Com- missione di medici pratici d' una grande Città e, con sussidio ottenuto dalla stessa Città per mezzo di questa Commissione, mi misi ali" opera: sfortuna- tamente quando i miei lavori erano ben avviati e promettevano buoni risul- tati, si credette cbe ^)er studiare i hacilìi- virgola io avessi dimenticato il colera. — Dovetti ritirarmi e mi mancarono così le lenti e gli apparati per studiar le molte coltivazioni ch'io aveva fatte a Marsiglia e portate in Ita- lia con grave pericolo della mia vita, dico con grave pericolo, perchè per riu- scire a trasportarle in Italia in buone condizioni, aveva dovuto tenerle pa- recchie notti nella m'a camera da letto e tenerle in mano durante tutto il viaggio. Qualcosa però è risultato anche da questi studi , nonostante che, mi si permetta 1' espressione , i fiori venissero troncati ancora in buccia. Io pel primo ho dimostrato che il cosidetto bacillo-virgola del colera-nostras con IflS Zeiss si può distinguere da quello del colera-asiatico percliè ne è più lungo : que- sto fatto venne successivamente confermato da Koch e da quei pochissimi esperimentatori che studiarono la quistione con piena cognizione dei moderni metodi d' indagine. La mia osservazione che anche le mosche propagano il colera, ha spie- gato certi casi che colla teoria del Koch parevano inesplicabili. La mia os- servazione che anche in caso di semplice diarrea colerica si trova il bacillo-virgola, osservazione confermata da Klebs, Ceci, Manfredi etc. mentre da una parte ha provato sempre piti l'importanza del bacillo-virgola, dall'altra ci ha ri- levato perchè di spesso le quarantene non giovano, e infatti questi casi di diarrea colerica per lo più passano inosservati in quarantena. Finalmente voglio ricordare 1' esperimento di mangiare il bacillo-virgola disseccato, esperimento tentato da quattro individui, me compreso; esso con- corre a confermare che la materia colerosa secca è innocua. Ho voluto accennare questi risultati delle mie ricerche perchè oramai essi sono accettati dalla scienza... Sopra una Relazione Sul Tornado di Catania del giorno 7 Ottobre 1884 presentata all'Accademia Gioenia il di 23 Novembre 1884 dal Prof. DAMIANO MACALUSO (1) Osservazioni del Socio Prof. ORAZIO SILVESTRI esposte all' Accademia nella seduta del 28 Dicembre 1884. L'Autore nel presentare all'Aceademia una particola- reggiata relazione clie porta il sopra enunciato titolo, ha creduto bene per sue speciali mire di fare degli appunti sopra alcune mie osservazioni consegnate in una breve descrizione sulla disastrosa meteora che io scrissi in data del 12 ottobre 1884 e che pubblicata in un giornale citta- dino (2) circolò rapidamente nei principali giornali della Sicilia e del Continente e fu riprodotta anche in alcuni pe- riodici scientifici. Chiedo perciò scusa all'Accademia se in causa di questo incidente sono obbligato a richiamare di nuovo la di lei attenzione sopra un argomento già trattato nella seduta precedente; ma è dovere di un coscienzioso osservatore, quale credo di essere, il dimostrare la esattezza delle proprie osservazioni, tanto più quando queste sollevano molti dubbi sopra certe deduzioni che si vogliono esporre con la sicurezza del vero. Prima di tutto devo dichiarare che non formando la Meteorologia il mio indirizzo speciale di studj, io mi pro- posi fino da principio di lasciare, come lasciai, libero il campo suir argomento a chi meteorologista di professione, poteva certo con maggior competenza della mia, far cono- scere ad una popolazione commossa, la storia dettagliata (1) Atti Accad. Gioenia Serie III Voi. XVIII pag. 101, 1885. (2) Corriere di Catania del 21 Ottobre 1884 N. 248. ATTI Acc. VCL. xvm. 35 254 SOPRA UNA RELAZIONE della devastatrice meteora. E se mi accinsi poi a rendere note le mie osservazioni che ebbi la opportunità di fare (e non trascurai di fare come naturalista che deve sapere prendere interesse a qualunque straordinario fenomeno della natura); fu solo per corrispondere ad un vivo desiderio ma- nifestatomi da molti, dopo che venne pubblicata nella Gaz- zetta di Catania del dì 11 Ottobre (1) una prima relazione dello stesso Prof. Macaluso il quale dichiarava per la verità, che diffìcile era per lui il rendere conto di molte circostanze della Meteora « jìerchè non aveva pur troppo osservato il fenomeno. » — Una mia descrizione dunque, fondata unicamente sopra ciò che io aveva direttamente veduto coi miei proprj occhi, pensai che potesse riuscire di qualche utilità e mi accinsi a farla, semplice, breve, adattata alla intelligenza comune, e senza alcuna pretensione di relazione completa (perchè questo non era compito mio) ma solo per dare la necessaria soddisfazione ad un pul)blico impaziente (da cui si dovevano sperare e si attendevano atti filantropici per venire in sollievo alle famiglie colpite dal disastro) ed 11 quale desiderava ed aveva d'altronde il diritto di sapere (senza tanto indugio) quello che era avvenuto. Nella mia, quantunque semplice descrizione, consegnai però dei fatti di importanza scientifica da me coscenziosamente osservati e questi io li sostengo per la verità, perchè non è mio uso di subordinare la verità a qualsiasi vagheggiata e precon- cetta teoria. Gli appunti fattimi dal mio onorevole contradittore , i quali ora mi propongo di confatare , si riferiscono 1. alle condizioni dominanti di temperatura quando avvenne la Meteora, 2. alla pressione atmosferica, 3. alla velocità di translazione della Meteora, 4. al potenziale di forza della medesima. (1) Vedi — Note sull'uragano di Catania ~ Gazzetta di Catania N. 243. SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 255 1. Riguardo alla temperatura, ragionando sulle condi- zioni meteorologiche dominanti a Catania il dì 7 Ottobre, io scrissi « un leggiero venia soffiaoa dal mezzogiorno per cui la temperatura da 18" C. del giorno precedente erasi rialzata a 22. » Volli con ciò notare la differenza di quattro gradi in più dal giorno 6 al giorno 7 ed lo ricavai questi dati da osservazioni termometriche fatte da me la mattina alle 8 ant. (1). E mi servii delle osservazioni fatte alle 8 ant. perchè mi presentarono più spiccata e caratte- ristica la differente condizione termica dell'aria prima di qualunque turbamento atmosferico prodotto dalla meteora. Se ora paragoniamo le temperature che alla stessa ora ha registrato l'Osservatorio della Università e che si (1) Allo scopo di tener dietro alle relazioni che già in molte occasioni ho provato esistere tra i fenomeni vulcanici e le condizioni meteoriche del- l'aria io ho presso la mia abitazione (situata in luogo aperto e cainpestre con libera prospettiva dell' Etna) , un Osservatorio mio particolare , nelle condizioni le piìi favorevoli, giacche gli strumenti sono posti in una gabbia esposta a tramontana sopra un terrazzo che guarda un giardino. L' osservatorio Meteorologico della Università di Catania diretto dal Prof. Macaluso per continue difficoltà insorte non ha disgraziatamente fin' ora potuto raggiungere tutti i requisiti uecessarj. Esso è (come è noto) attual- mente situato in una stanza del laboratorio di Fisica al 2" Piano della Università: gli strumenti stanno presso una finestra esposta a Nord e che ha in faccia a poca distanza le mura e i tetti dei fabbricati vicini i cui riflessi non sono certamente vantaggiosi. È perciò che da tutte le persone compe- tenti, compreso lo stesso Direttore, si è continuamente dimostrato fino alla evidenza, la necessità di impiantare a Catania un Osservatorio nuovo. Questo di fatti si cominciò a fabbricare nel 1883 al di sopra del tetto della Uni- versità, ma la fabbrica rimase sospesa allo stato in cui tuttora vedesi, perchè il Municipio si oppose per ragioni di estetica. Ma ora finalmente con recente convenzione è stato decretato di impiantare il nuovo Osservatorio nell' ex Monastero dei Benedettini in situazione elevata e tale da garantire la piena fiducia dei resultati. Tutto ciò indipendentemente dalla bontà degli strumenti di cui r Osservatorio è anche attualmente provvisto e dalla esattezza nel- l'osservare dell'Assistente meteorologista incaricato delle osservazioni. 256 SOPRA UNA. RELAZIONE trovano pubblicate nel bullettino quotidiano dell' Ufficio centrale di Meteorologia italiana a Roma (ove si spediscono con telegramma giornaliero) si trova che per il dì 6 ottobre (Vedi il bullettino N. 280) la temperatura è di 18°,5 : per il giorno 7 (Vedi il bullettino N. 281) è di 22, 5. — Ora tra 18, 5 e 22, 5 vi è quella stessa differenza di 4 gradi in più da me annunziata, percliè trovata tra le mie tem- perature di 18 e 22. Mi pare dunque evidente che mentre questi dati rappresentano il distacco maggiore della tem- peratura dal giorno 6 al 7 (l'A. (1) dichiara questo distacco come limitato ad 1°,5 in più, dal giorno 6 al 7) io vado in perfetto accordo con le osservazioni fatte contemporanea- mente alle mie, cioè a ore 8 ant. nell'Osservatorio della Uni- versità. Una piccola divergenza si può osservare solo nel valore assoluto dei gradi, giacché i miei dati termometrici delle ore 8 differiscono e costantemente da quelli contempo- ranei dell'Osservatorio Universitario solo per mezzo grado di meno; e siccome devo anche io aver fiducia delle mie osservazioni che faccio da me e con strumenti che ritengo sicuri, sì per la loro sperimentata esattezza, quanto per la loro favorevole situazione ; credo che senza bisogno di cer- care altra causa, sia mollo ragionevole attribuire la piccola differenza di 0", 5 alle accennate sfavorevoli condizioni di situazione dell'Osservatorio Universitario. — Dopo di ciò resta a fare una domanda ; perchè il mio contradittore non ha tenuto conto nei suoi confronti dell'osservazione termometrica fatta nell'Osservatorio da lui diretto alle 8 ant. del giorno 6 e 7 che è quella che fa conoscere la maggior differenza nella condizione termica dal giorno 6 al 7? Forse l'ha trascurata per far comparire i suoi dati in discordanza coi miei? Ma la verità è una ed è questa perchè fondata sopra resultati pubblicati e indiscutibili che (1) Vedi Atti Acc. Gioenia Voi. cit. pag. 104. SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 257 la temperatura osservata alle 8 ant. del giorno 6 e 7 Ottobre 1884 clalV Osservatorio diretto dal Prof. Macaluso e da questi comunicala al bullettino giornaliero dell' Uf- ficio centrale di Meteorologia a Roma , dimostra che il giorno 7 alle 8 del m.attino si notò l'aumento (da me in- dicato) di 4" di calore, rispetto al giorno 6 nella medesi- ma ora. Ma i! mio contradittore dice nella Nola a pag. 104 della sua relazione (1) « le mie osservazioni differiscono da « quelle pubblicate in parecchi giornali di Sicilia e del con- '< Unente del Prof. 0. Silvestri....» io invece dico che le os- servazioni dell' Osservatorio di Catania che stabiliscono la maggiore e più caratteristica differenza di temperatura dal dì 6 al 7 Ottobre, ma delle quali il Prof. Macaluso non si è servito, vanno perfettamente d' accordo con le osser- vazioni mie e quest'accordo è tanto evidente che offre la più sicura prova della esattezza non solo delle osservazioni mie, ma anche di quelle fatte nell'Osservatorio Meteorolo- gico della Università di Catania. 2. A proposito della pressione barometrica io scrissi « nel mio osservatorio da mill. 762 che segnò il barometro nel giorno 5, sali il di 6 a 765,9 ridiscese il 7 a 762. » Questi miei risultati non sono relativi ad osservazioni fatte in ore ant. come asserisce il mio contradittore (ma erro- neamente perchè io non l' ho scritto e non leggesi nella mia pubblicazione). Esse rappresentano il massimo di escursione della colonna barometrica durante ciascuno dei tre giorni indicati , secondo le mie osservazioni fatte nelle 24 ore. Il barometro è uno strumento die io guardo sovente per lo scopo della vulcanologia e ne registro i cambiamenti ogni qualvolta mi si presentano e se i meteorologisti che (1) Atti Acc. Gioenia Voi. cit. 258 SOPRA UNA RELAZIONE non possedono nei loro osservatori istrumenti registratori tenessero più spesso sott' occhio gli strumenti ordinari, ac- compagnerebbero meglio le vicende dell'aria, perchè si met- terebbero in migliori condizioni per far conoscere i cam- biamenti che non aspettano il comodo delle 3 o 4 osserva- zioni che si sogliono tare giornalmente a ore fisse. Dietro ciò è facilmente spiegabile perchè le osservazioni del mio contraditto re non vanno d' accordo con le mie. La massima differenza nella pressione atmosferica fu da me trovata in senso ascendente di mill. 3,9 tra il giorno 5 (os- servaz. a ore 7 pom.) ed il giorno 6 (osservaz. alle ore 10, 30' pom.); in senso discendente di mill. 3,9 tra il giorno 6 (osservaz. a ore 10, 30' pom.) ed il giorno 7 (osservaz. alle 2 pom.) — Si noti bene che io esposi questi dati del baro- metro senza ridurre le pressioni osservate alla temp. di 0" come si suol fare quando si vogliono paragonare 1 resul- tati dei varj osservatori. Sicché facendo questa riduzione la differenza si fa di + 3,™"" -^ dal giorno 5 al 6, di — 3,"'"6 dal giorno 6 al 7. Il mio contradittore invece dichiara che « la differenza barometrica tra il giorno 6 al 7 fu di soli mill. 1, 5 a ore 0 ant. e di miti. 2,4 a ore 12 mer. » e per provare la esattezza delle sue osservazioni dice che « esse vanno d'accordo con r Osservatorio di Ri- posto. » Ma io dichiaro invece sulla scorta dei fatti che emergono, non dalla parziale, ma dalla completa e più ca- ratteristica escursione del barometro che esse non vanno d'accordo niente affatto. E realmente egli ha creduto di limitare i cambiamenti della pressione atmosferica a ciò che ha potuto dedurre da due sole osservazioni molto vi- cine delle 9 ant. e delle 12 mer. Poteva però ricavare, se non dalle mie osservazioni, almeno da quelle del citato os- servatorio di Riposto diretto dall' egregio Prof. Cafiero che il barometro il dì 5 continuò a scendere ed il di 6 conti- nuò a salire dopo la osservazione del mezzogiorno, che è SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 259 l'ultima per 1' Osservatorio di Catania. Ed è curioso che mentre egli invoca l'osservatorio di Riposto per dare ra- gione alle sue asserzioni nella controversia che ha suscitato, è invece lo stesso osservatorio di Triposto che offre a me i dati che stanno completamente a confermare le mie os- servazioni. Nell'osservatorio di Riposto non si fa come a Catania l'ultima osservazione del giorno a mezzodì: quivi se ne fa una alle 3 pom. ed una alle 9 di sera. Ora pren- dendo a considerare tra le osservazioni di Riposto che tro- vansi pubblicate (1) quelle fatte nelle ore più vicine alle mie si ha il seguente paragone (riducendo le mie altezze barometriche a 0°). Osservatorio di Riposto Osservazioni Silvestri inill. m ili. 5 Alt.bar. riilotta aO" ore 3 p. 759,2 ) ore 7 j). 759,4 ì « \ V diff. -Hmill.3,6 l diff.+mill.3,5 o • 6 .. ore 9 p. 762,8 ore 10,30' p. 762,9 ' h/ ' diff.— mill.3,7 Uiff.— mm.3,6 ° - 7 1. ore 3 p. 759,1 ^ ore 2 p. 759,3 \ Da questo prospetto resulta evidente che i miei dati differiscono solo per 1/10 di mill. ! da quelli di R^iposto e qualora si tenga conto della differenza dell' ora di osserva- zione e della distanza che ci separa di circa 28 chilometri, mi pare che molto ragionevolmente si possano conside-. rare come identici , mentre si discostano assai dai resul- tati del mio contradittore. Ma dirò forse che questi sono inesatti? nò; io li ritengo esattissimi (insieme a quelli, come ho provato, del termometro) ma rispetto alle due sole os- servazioni giornaliere di cui si è servito delle 9 ant. e delle 12 mer. che si comprende facilmente come siano insuffìcienti a rappresentare la massima escursione del barometro nelle 24 ore. (1) Vedi R. Osservai. Meteorol. di Riposto — Riassunto delle osservazioni del mese di ottobre 1884 (Anno X fascic. X). Idem Idem — Sulla tromba terrestre del 7 Ottobre 1884 — Lettera del Prof. G. d'Amico ed osservaz. del Prof. F. Cafiero, Giarre 1884. 260 SOPRA UNA RELAZIONE 3. 11 terzo appunto si fa al mio apprezzamento sulla velocità di translazione della meteora. Nella mia descrizione è detto « Tutto il tragitto percorso longitudinalmente è di « circa 20 cliilometri A mio giudizio fondato solo sul « tempo (che ho valutato per due minuti primi al piti) im- « piegato neir attraversare il tratto a me visibile da Cibali « al mare (4 chilometri e 1/2) è da ritenersi clie abbia « compiuto la intiera percorrenza in 9 minuti primi — Ciò « dimostrerebbe una velocità di 2 chil. e 1/2 al minuto. » Questo apprezzamento fu fatto da me che ebbi la opportu- nità di vedere coi miei occhi il cammino della meteora per il tratto di circa 1/5 della sua percorrenza: tuttavia sì per l'impressione profonda prodotta dalla comparsa del feno- meno straordinario, imponente; si per il suo carattere fugace mi mancò il destro di sottoporre il tempo a misura percui esposi il mio giudizio con tutta riserva. Tanto è vero che nell'unica delle molte edizioni, che furono fatte della mia descrizione, della quale mi fu dato di correggere le bozze di stampa (1) io aggiunsi la seguente dichiarazione. « Però <■ da tutti i fatti raccolti io credo di potere affermare che « la meteora non abbia mantenuto in tutto il tratto della « sua percorrenza la medesima velocità iniziale : essa ha « dovuto soffermarsi per via e precisamente dove ha in- « contrato maggiori ostacoli dovuti alle ineguaglianze del « suolo, alla vegetazione arborea, ai fabbricati dei centri di « popolazione etc. » Invece il mio contradittore scrisse nei seguenti termini in data del 9 ottobre nelle sue Note sull'Uragano (2). Dif- <^ fìcile sarebbe per me che non ho pur troppo osservato « il fenomeno di potere assegnare la sua velocità media (1) Ved. Bull. Mensuale della Società Meteorolog. Italiana — Serie II Voi. 5 n. 1. (2) Vedi Gazz. di Catania n. 243. SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 261 « di traslazione, sopra tutto trattandosi di un breve per- <■ corso per cut grandi^i^iììia è nella determinazione del « valore della velocilà /' influenza degli errori di osser- « vazione dei tempi nei quali il terribile fenomeno si pr e - « sento in ciascun punto. » Nella relazione presentata all'Accademia (1) il 23 No- vembre si esprime al contrario così: « In quanto alla ve- « locità di traslazione ho potuto procurarmi molti dati che <' debbo riguardare come sicari, perche fornitimi da per- « sone degne di fede ed intelligenti— Da tutti questi dati « resulta essere stata una tale velocità di 11 metri circa « al secondo. >• Dietro di ciò soggiunge in una Nota « non so spie- «-garmi donde provenga la grande ditTerenza che corre tra « questo valore da me trovato e quello quasi quadruplo '< attribuito dal Prof. Silvestri etc. » Il doppio modo di ragionare usato nei suoi scritti dal mio contradittore lascia scoprire troppo facilmente il partito preso di stabilire in ogni modo nella seconda relazione una cifra che rappresenti la velocità traslatoria della meteora. E quantunque io non voglia sospettare che ciò abbia fatto per mettersi in studiata contradizione con me, debbo però fermamente ritenere (a onore di quanto ha saggiamente scritto prima) che egli stesso debba dubitare e dubitare assai sulla velocità da lui assegnata, perchè davvero non saprei comprendere con quale serietà assegni un valore scientifico alla sua cifra. Ma egli dice l'ho ricavata da dati s/cwr/ somministra- timi da tre persone degne di fiducia e intelligenti. Senza togliere per niente la fiducia e la intelligenza alle persone cui si riferisce, queste sorprese come tutte le altre alla sprovvista di preparativi e di cronometri non possono aver (1) V. Atti Acc. Gioenia voi. cit. pag. 108. ATTI ACC. VOL. XVIU. 36 262 SOPRA UNA RELAZIONE fatto il miracolo di trovarsi contemporaneamente su varj punti delia via percorsa dalla meteora per sottoporre a esatta misura. di tempo gli istanti successivi del suo passaggio. Dunque quali sono i dati sicuri che potevano dargli le tre persone di cui cita i nomi ? Io dirò che fra questi v'è il chiarissimo Prof. Scinto Patti (il solo con cui ho il piacere di essere in relazione) il quale coscenzioso come è, ragionando meco dopo aver sentito la cifra assegnata dal mio contradittore, mi dichiarò che non aveva nessuna sicu- rezza su quella velocità. Il detto Prof, infatti si trovava in una sua villa presso la costa marittima dell' Ognina, vale a dire alla estremità della percorrenza della meteora e proprio di contro al cammino della medesima: non aveva perciò a sua disposizione due punti di mira distanti l' uno dall'altro e che potessero essere compresi in due tempi successivi sul passaggio della meteora. Era a lui quindi impossibile formarsi un criterio giusto del grado di velocità come è impossibile a chiunque determinare la velocità di un treno guardandolo in faccia da una stazione di ferrovia ove sta per arrivare. Dunque il giudizio del prelodato Pro- fessore non poteva essere che un apprezzamento vago. Anche il giudizio degli altri due testimoni citati dal- l' Autore ( Sigg. Ing. Lombardo e Salvatore Scinto ) non sembra circondato di maggiori dati di sicurezza e credo che sia anzi molto forzata la quasi concordanza delle cifre che ne ricava l'A. Infatti col dati dell' Ing. Lom- bardo ( che trovandosi a Cibali valutò di 20 minuti il tempo impiegato dalla meteora da Cibali al suo dileguarsi nel mare dell' Ognina) basò il calcolo sulla distanza di 13 chilometri. Ma da Cibali al villaggio dell' Ognina vi sono in linea retta al più 4 chilom. e 1(2 e dall' Ognina è detto dal mio contradittore (1) che si inoltrò la meteora (1) Atti Acc. Gienia voi. cit. pag. 106. SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 263 nel mare per 6 chilom. dunque tutta la percorrenza da Cibali fu di chilom. 10 e 1[2 e la velocità calcolata non è in tal caso di 1 1 metri al secondo, ma poco più di 8. Io però metto molto in dubbio anche la misura con cui si stabilì l'Inoltrarsi della meteora per 6 chilom. nel mare e credo di non ingannarmi. Infatti il ragionamento che con- duce alla determinazione della velocità sui dati raccolti dal 3" testimone Sig. Scinto è il seguente. Egli appena vista da Catania comparire la meteora in un punto del suo cam- mino (al Palazzello), salì in una vettura, percorse con que- sta una distanza in città, poi fece un lungo tratto a piedi per andare nella sua casa, indi si spogliò e finalmente re- catosi in un terrazzo superiore fu a tempo a vedere lo scio- glimento della meteora, dopo trascorsi 20 minuti! Ciò lascia la piena convinzione che ciò che vide sciogliersi non fu la meteora, nella sua potenza, ma le dense nubi che ingom- bravano il cielo le quali difatto si dileguarono poco dopo che la medesima terminò la sua azione. Una riprova di ciò si ha in un semplice riflesso. Il Sig. Sciuto credette nella stessa occasione di potere anche stabilire (sul pro- lungamento di una linea di mira) che la meteora ebbe 6 chilom. di percorrenza sul mare « poiché dalla sua casa r ha vista disciogliersi nella direzione del campanile di una lontana chiesa » (1) ora per aver potuto vedere il cam- panile di una lonlana chiesa in mezzo alle tetre nubi che coprivano Catania (2) prima e poco dopo il passaggio della meteora, doveva essere per necessità rischiarato il cielo (1) Att. Acc. Gioenia voi. cit. Nota a pag. 106. (2) Lo stesso mio contradittore nella sua relazione a pag. 105 voi. cit. così si esprime « Verso le 11 ant. (del giorno 7) il cielo coperto fino al- lora solo in parte, si riempie su Catania di nere nubi che vairao sempre più crescendo in modo che alle 12 esso rimane totalmente nascosto da un oscuro mantello. 264 SOPRA UNA RELAZIONE come avvenne difatti circa un quarto d'ora dopo dileguata la meteora. Concludo col dire che è molto fuori di proposito 1' a- ver voluto sollevare come ha fatto il mio contradittore una questione sulla quale è proprio inconcludente qualunque discussione perchè fondata sull'aria, cioè sopra dati che nessuno (compreso me) ha potuto determinare con preci- sione e si riducono a semplici apprezzamenti personali in cui ognuno si può essere ingannato e tanto più facilmente chi si trovò sulla via percorsa dalla meteora e quindi sotto la influenza della minaccia seria di un fenomeno così im- provviso, straordinario e fugace. L'essere la velocità da me stimata, maggiore di quella stabilita dal mio contradit- tore questa non è una ragione perchè egli giudichi erro- nea la mia per sostenere la sua. È noto nella scienza come sia variabile questo carattere nei turbini e lo stesso mio contradittore presenta nella sua relazione una tabella da cui si deduce che al tornado di Francia (tra Malaunay e Monville) si assegnò una velocità di 1300 metri al minuto cioè più del doppio di quella che l'A. assegna alla meteora catanese. 4. Finalmente il quarto punto della mia sommaria re- lazione che va soggetta alle critica è sul potenziale di forza che spiegano simili meteore. Da insigni matematici è di- chiarato come l'analisi dei movimenti atmosferici non è pur troppo entrato nel dominio della meccanica razionale ; e mentre è impossibile il fare calcoli con rigore di resul- tati è anche diffìcile l'apprezzare la forza viva di cui di- spone l'aria nei fenomeni impetuosi dei cicloni. Pur tuttavia degli apprezzamenti si sono fatti da distinti meteorologisti e siccome nella descrizione di simili fenomeni un dato che si cerca da chiunque è stato testimone dei loro disastrosi effetti è quello della forza che li ha potuti produrre, così SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 265 io volli corredare il mio scritto con un dato generico clie trovasi citato, come appartenente agli atti della Società meteorologica di Londra (1) accettato dai meteorologisti e del quale fa uso anche 1' illustre Padre Secclii nelle sue lezioni di Fisica terrestre (2) ove a pag. 36 parlando dei cicloni, trombe e vortici dell'aria lo riporta dicendo che In tali fenomeni « si forma una batteria che scaglia su di un « metro quadrato di superfìcie una massa di non meno « che 120 metri cubici di aria per secondo, con una pres- « sione che vatutasi di 250 chilog. ossia 1/4 di tonnellata: « che meraviglia che non resistano ne pareti , ne muri, « ve navi, ne alberi? » Io tolsi di peso queste medesime espressioni che si riferiscono ad una valutazione che mi offriva la meteorologia. Se il mio contradittore non accetta questa valutazione e la critica, non avrebbe dovuto ignorare come meteorologista di dove veniva e quindi non avrebbe dovuto dire quello che dice a pag. 132 (3) « in verità gli studj di meteorologia non hanno finora condotto a questo resul- tato » i fatti son fatti e credo che la meteorologia sia rap- presentata dai lavori dei meteorologisti e se questi anche sommi possono, secondo le asserzioni del mio contradittore, sbagliare, potrebbe darsi che sbagliasse anche lui nella sua critica (perchè nessuno è infallibile) mentre posso avere sbagliato anche io nel fare uso di un dato stabilito ed ac- cettato dalla scienza, il quale per la impossibilità sopra ac- cennata di stabilire calcoli di rigore, i)uò andare soggetto a discussione. Ma oltre le osservazioni e valutazioni mie che per le dette ragioni non si accordano coi dati che ha voluto adot- (1) Meteorolog. Soc. Pioceediugs. (2) Lez. di Fisica Terrestre del P. P. Angelo Secchi, Torino, Loescher 1878. (3) Voi. cit. Atti Acc. Gioenia. (Nota) 266 SOPRA UNA RELAZIONE tare il mio contradiUore;ciò che più specialmente costituisce una discrepanza fra me e lui, è circa la origine di tali fe- nomeni perchè da quanto scrissi nella mia breve relazione traspare come io sia contrario alla vecchia e tarlata teoria dei tubi aspiranti in senso ascendente, ossia deW aspirazione centripeta e mi dichiari partigiano della moderna teoria meccanica dei moti giranti dell' aria, teoria esposta per la prima volta nel 1875 dall'Astronomo e Meteorologista Hervè Faye di nota fama e che adesso ha già per seguaci i più insigni meteorologisti. L'A. che si era spiegato nella sua prima relazione senza maturo studio sugli effetti della me- teora per r aspirazione centripeta, ha voluto con mezzi ar- tificiosi sostenerla anche nella memoria presentata all'Acca- demia interpetrando i fatti al suo scopo. Ma una simile teoria è sì bene confutata dal Faye e da tutti i numerosi seguaci, che le concedono per solo punto di appoggio la fanfaluca introdotta nella scienza da quel tal Capitano Ales- sandro Mackay che in una lettera al Prof. Espy assicura di aver prodotto artificialmente (mentre dirigeva le opera- zioni geodetiche nella Florida) facendo bruciare le erbe sec- che di una prateria, un temporale con tuoni, lampi, dirotta pioggia, e ciò facendo rimanere attoniti e stupiti i negri che assistevano alla scena. Non ho bisogno di ripetere all' accademia ciò che è stato sviluppato dall' A. sulla teoria dell' aspirazione cen- tripeta, e come egli l'ha esposto applicandola a spiegare la meteora Catanese: solo dirò che questa è l'antica teo- ria che fa salire nelle trombe marine l'acqua del mare Ano a 500 e 600 metri di altezza (quando è noto che le pompe più potenti non possono farla salire a più di 10 metri). È la teoria che trovasi in perfetta contradizione con le relativamente troppo deboli oscillazioni del baro- metro che accompagnano tali meteore. L' A. ha adottato la teoria trovando come causa determinante la rapida SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 267 condensazione di una straordinaria umidità delle condizioni atmosfericlie dell' ambiente in cui si è formata la meteora. Straordinaria umidità rappresentata il dì 7 da 88 cente- simi. Ma il dì 13 ottobre fu di 0, 82, il 22 di 0, 89, il 23 di 0, 86 eppure per grazia del cielo non si ripetè il flagello che nemmeno si è veduto accadere nel passato con una umidità relativa, superlativamente grande e clie abbiamo vista condensata sotto forma di pioggia o di grandine. Ma ripeto io non mi occupo dei fenomeni dell' aria che in via secondaria ; e quindi non mi arrogo il diritto di con- futare con la necessaria competenza una vecchia teoria. Mi prevarrò quindi della conclusione a cui è venuto il Faye con altri meteorologisti moderni seguaci della ingegnosa teoria meccanica dei movimenti vorticosi dell'aria. L'idea di uragani ad aspirazione centripeta nacque ne- gli antichi da una mera illusione del senso della vista : fu un antico pregiudizio del quale è agevole seguire le fasi incominciando dai tempi più remoti e pare impossibile che Ano al giorno d' oggi alcuni meteorologisti adottino ancora questa falsa idea, con la quale bisogna ammettere che le trombe aspirino l'aria e l'acqua col mezzo di un tubo verticale rigido, ove l'aria dovrebbe passare come passa dal tubo di un mantice. Ma come si può ammettere que- sto tubo verticale rigido nella massa di un fluido elastico com'è l'aria? per quale ragione quest'aria deve tutta af- fluire dal basso, orizzontalmente, rasente al suolo e non dagli strati soprastanti ? Si dice che il barometro si ab- bassa quindi si deve ammettere un vuoto nelle regioni su- periori. Ma la pressione atmosferica nelle sue variazioni non si deve interpetrare sotto il punto di vista statico come di una massa fluida elastica in riposo, ma sotto il punto di vista dinamico e non è niente necessario ritenere che ogni rapido abbassamento del barometro, indichi una subita- nea rarefazione dell'aria e per conseguenza un'aspirazione 268 SOPRA UNA RELAZIONE dall'alto. Ma ammettendo anche la ipotesi che l'aspira- zione centripeta possa prodursi in un punto qualunque non vi è nessuna ragione per supporre che quel centro di aspi- razione debba cangiare di posto e dì più gli effetti mec- canici sarebbero debolissimi, giacché la forza aspiratrice secondo le oscillazioni del barometro non sarebbe misurata che da pochi centimetri di mercurio. Invece i cicloni , i tur- bini, le trombe hanno una velocità di translazione rapidis- sima e spiegano una forza colossale sulla superficie del suolo. Dunque la teoria dell'aspirazione centripeta non è giusta perchè è in contraddizione coi fatti pii^i caratteri- stici di tali meteore. In occasione del loro imperversare gli ufficiali di marina di tutte le nazioni non hanno mai visto le così dette fiamme delle navi che sono libere di muoversi in tutte le direzioni, prendere la direzione verti- cale in su, che dovrebbero necessariamente mostrare se sentissero gli effetti di una impetuosa corrente ascendente di aria (1). (1) Tatti gli autori sono d'accordo col dicliiarare che l'analisi è im- potente per risolvere i problemi relativi ai moti vorticosi delle masse fluide e gassose : però 1' esperienza e 1' osservazione hanno potuto servire di guida per formulare le seguenti leggi che io riassumo dall'interessante libro del Diamilla-Muller (*), che sono state enunciate dal Faye in Francia dietro le scoperte sui cicloni fatte da Piddiugton in America, da Reid in Inghilterra. 1. In un ciclone, tifone, tornado ovvero turbine, abbiamo un moto cir- colare più 0 meno vasto, ma sempre limitato da un' atmosfera calma indi- pendente e nel tempo stesso animato da un moto di translazione. La figura esterna del vortice ha la forma di cono rovescio col vertice in basso e la forza di rotazione si spiega intorno ad un asse inclinato e cresce in rapidità quanto più s' avvicina all' asse e specialmente alla parte inferiore della spe- cie d' imbuto, salvo un nucleo centrale nelle sole meteore di grande propor- zione dove si stabilisce una calma relativa. 2. Il senso della rotazione non è accidentale: nel nostro emisfero avviene (*) D. E. Diamilla-Muller. Le leggi delle tempeste (secondo la teoria di Faye) To- rino—Paravia 1881. SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 269 Termino col notare che la teoria meccanica dei moti giranti del Faye ha avuto un fondamento cai)itale anzi è dovuta, come il Faye stesso dichiara, alle osservazioni da destra a sinistra, nell'emisfero australe da sinistra a destra. E questo moto rotatorio si trasferisce nell'atmosfera con una velocità crescente, invade una dopo l'altra le regioni calme e dietro di sé lascia la calma. 3. Questi moti circolari dell'atmosfera sono discendenti, non nascono in basso ma nascono nelle correnti superiori dell'aria la cui esistenza ci si rivela dal muoversi dei cirri. Scendono di continuo finché sono arrestati dal terreno o dalla superfìcie delle acque: allora sviluppano sopra l'ostacolo la forza viva accumulata in alto e trasportata in basso e costituiscono o i pic- coli vortici troìiihc se hanno da 10 a 200 metri di diametro ; i iornados o turbini se il loro diametro, è di 500 a 2400 metri: in ambedue i casi si può abbracciare la intiera forma della colonna rotatoria. Ma quando presentano 3, 4, 5 gradi di diametro vale a dire 300, 400, 500 mila metri e al di là, formano gli uragani, tifoni, cicloni. Ma il meccanismo non cambia, sono sempre moti rotatorj circolari a velocità crescente verso il centro, che nati nelle correnti superiori per effetto delle ineguaglianze di velocità si propa- gano in basso indipendentemente dalla calma o dal vento che vi regna, eser- citando la loro forza devastatrice appena s'incontrano con l'ostacolo del suolo e seguono sul loro cammino il corso delle correnti superiori veri fiumi aerei — Esiste pi^rò una differenza fra le trombe e i tornados o turbini da un lato e i tifoni uragani o cicloni dall'altro — nei primi si distingue la forma di cono rovesciato o d'imbuto con l'apice in basso e una colonna di- scendente che si prolunga fino al suolo — nei secondi non abbiamo altro che dei grandi coni troncati giacche per le proporzioni colossali che hanno, la superfìcie della Terra è troppo vicina in ragione del loro diametro e la rag- giungono prima di aver potuto ristringersi come le trombe per cui i cicloni 0 tifoni si possono considerare come trombe immense ridotte dall' ostacolo del suolo alla sola parte superiore cioè all' imbuto. E da ciò dipende la pre- senza costante di uno spazio calmo centrale. E ciò si osserva per analogia nei vortici del mare. 4. Come ha dimostrato brillantemente il Faye le macchie del sole sono veri cicloni da paragonarsi a quelli terrestri. Per il sole non ci può essere dubbio sul loro moto discendente giacché nella sua massa gassosa se i nuclei neri delle macchie, cioè i centri delle tempeste solari, fossero l'effetto di mo- vimenti ascendenti trasportando dall' interno più caldo all' esterno più freddo ATTI Acc. voL. xvni. 37 270 SOPRA UNA RELAZIONE del grande naturalista italiano Lazzaro Spallanzani so[)ra alcune trombe di mare formatesi sull'Adriatico il dì 23 Agosto 1785 e che ebbe 1' opportunità di fare in un suo viaggio a Costantinopoli. Sono pubblicate tra le memorie di Mat. e fìsica della Soc. ital. (Verona 1788 tom. Ili pag. 49). Basta leggere quelle stupende pagine di meteorologia descrittiva per essere convinti del come discendono dall'alto dell'atmosfera i moti turbinosi di questa per imperversare 0 sulla superficie del mare o sulla superficie del suolo. Fa molta specie che l'A. che è meteorologista di pro- fessione non abbia tenuto in alcun conto le osservazioni dello Spallanzani, mentre gli rendono giustizia gli stranieri: fa pure molto più specie che l'A. invaghito della teoria dei tubi aspiranti abbia schivalo tutti i fatti che sono in oppo- sizione ad un'aspirazione dal basso capace di determinare una colonna ascendente. Eppure anche tra i fatti da lui citati come osservati da altri, ve ne sono di quelli che stanno in contrario alla teoria da luì adottata p.e. a ptig. 105 (1) dice: « Alle 12 e lil circa al di. sopra della contrada . Passo Portese, quasi a 18 chilom. da Catania si forma le materie ad altissima temperatura, uon comparirebbero come maccliie uere ma sarebbero invece dei pimti brillanti. E così è per tutti i moti rotatorj dell'atmosfera terrestre e realmente non ci può essere una meccanica differente per il Sole e per la Terra — le stesse leggi di meccanica regolano l'universo. 5. Non esistono trombe, turbini, tifoni, cicloni per aspirazione centri- peta — Le leggi stabilite razionalmente per tutte le meteore a moto rota- torio e di translazione della nostra atmosfera non hanno eccezioni. Se un ciclone venisse ad assalirci nel nostro emisfero girando da sinistra a destra sarebbe un fatto tanto strano come se il sole si levasse da occidente per tramontare ad oriente. Se un ciclone si formasse alla superficie del suolo in mezzo a un'atmosfera calma elevandosi poi nell'aria e portando i suoi vor- tici negli strati superiori, sarebbe altrettanto straordinario come se lanciando una pietra, la si vedesse salire al cielo invece di cadere al suolo. (1) y. Atti Acc. Gioenia voi. cit. SUL TORNADO DEL 7 OTTOBRE 1884 271 « sotto alle nubi una specie di proboscide quel pro- « lungamento delle nubi va rapidamente crescendo fino <■ da raggiungere la terra sotto la forma presso a poco « di oscurissima colonna irregolare, animata da movi- « menti rotatorj e translatorj. Ma dunque la colonna è venuta dall'alto! se era di aspirazione ascendente (*.ome si accorda la discesa rapida di quella proboscide fino a terrai — a pag. 13 dice « Ba- stava un semplice sguardo a tutti questi danni sofferti dai tetti perchè nascesse Videa che fossero stati prodotti da una esplosione avvenuta dalV interno verso V esterno della casa » — e più sotto dice « Tanto Vuna che V altra stanza (di una casa di Cibali) nel moìnento del passag- gio del tornado, erano completamente chiuse e le porte furono svelte e abbattute verso l'interno. » Ma se nelle case avvenne, per la rarefazione dell'aria, una specie di esplosione, le porte dovevano essere abbattute dall'in- terno all' esterno! — Essendo invece atterrate dall'esterno all'interno, ciò è la prova la più evidente di un precipitare furioso dell'aria dall'alto alla superfìcie del suolo. Senza inoltrarmi di più in questo esame si capisce la contradizione dei fatti con la adottata teoria. Quindi la pru- dente necessità piuttosto che sostenere forzatamente una teoria, di lasciare alla osservazione fedele dei fatti che si presentano in simili fenomeni la cura di preparare tutti i dati necessari per poter risolvere col tempo, questo, come tanti altri problemi relativi ai fenomeni dell' aria, sui quali anche oggi la Meteorologia è impotente a pronunziare la sua ultima parola. Sulla Dilatazione termica dei liquidi a diverse pressioni Studio sperimentale (1). del Dott. GIOVAR PIETRO GRIMALDI Memoria letta nella seduta del di 14 giugno 1885. Lo Studio sperimentale delle proprietà termiche dei corpi allo stato liquido, dopo i progressi fatti negli ultimi tempi dalla termodinamica, ha acquistato pei fisici grande interesse, polche la mancanza dei relativi dati sperimentali non permette di potere verificare talune ipotesi ingegnose sulla costituzione dei corpi. Il Jamin (2), dopo avere trovato analiticamente alcune relazioni fra i calorici specifici ed i coefficienti di compres- sibilità e di dilatazione dei corpi, dice: « Ces equations se « pourront préter par la suite à un gran nomhre de véri- « flcations expéri mentales. Malheureusement la chaleur « spéciflque sous pression constante et le coefflcient de dila- « tation a sous pression constante, sont les seules quantités « bien connues, pour les solides et les liquides. L'étude ca- « loriflque de ces corps est donc bien peu avancéè. Per ciò che riguarda il coefficiente di dilatazione a a (1) Questo lavoro è stato eseguito nel laboratorio di Fisica diretto dal Prof. D. Macaluso, il quale ne ha posto a mia disposizione tutte le risorse aiutandomi spesso coi suoi utili consigli. Sento il dovere quindi di manife- stare al mio maestro i sensi della mia riconoscenza. (2) Jamin et Bouty. Cours de Pbysique de l'Ècole polytechnique : tome deuxième, fase. 2 pag. 89. ATTI ACC. VCL. XVIII. gg 274 SULLA DILATAZIONE TERMICA pressione costante, esso è ben conosciuto soltanto alla pres- sione ordinaria , malgrado che , come appresso vedremo, qualche determinazione sia stata fatta a diverse pressioni. Molto ancora resta a conoscersi sulla compressibilità del liquidi. Non si è ancora sicuri, p. es. se il coefficiente di compressibilità di essi resti costante col variare della pressione, e quale sia la legge che determini la sua varia- zione in funzione della temperatura, non ostante le ricer- che di Grassi (1), Jamin, Amaury e Descamps (2), Ama- gat (3), Quincke (4) e Cailletet (.5). L' Amagat , parlando della variazione della dilatazione dei liquidi colla pressione osserva: « On volt par ce qui « précède tout l'interét qu'il y aurait à faire une étude expe- « rimentale de la dilatation des liquides sous des pressions « très variées >> ma io credo che fin' oggi nessuna ricerca sia stata con tale proposito eseguita. Ho creduto quindi interessante lo studio sperimentale di tale problema, ed il presente lavoro ha per iscopo di determinare il volume di alcuni liquidi alle varie tempe- rature ed alle varie pressioni entro i limiti permessimi dai ristretti mezzi dei quali potevo disporre. Dalle determinazioni da me fatte si possono ricavare come vedremo in seguito: a) i coefficienti di dilatazione alle varie pressioni e la loro variazione con la temperatura; b) i coefficienti di compressibilità alle varie tempe- rature e la loro variazione con la pressione. e) i coefficienti di tensione, vale a dire 1' aumento (1) Annales de Chimie et de Physique 3. serie t. XXXL (2) Comptes rendus etc. LXVIII (1869). (3) Annales de Chimie et de Physique 5. serie t. XI. (4) Ann. der Chem. und Phys. XIX (1883). (5) Comptes rendus LXXV (1872). DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 275 dell' unità di pressione per 1' unità di temperatura a volu- me costante. Prima però di esporre il metodo ed i risultati delle mie ricerche credo utile il fare una breve rivista dei lavori più interessanti sulla dilatazione e sulla compressibilità dei liquidi. RIVISTA STORICA Dilatazione. I primi lavori sulla dilatazione dei liquidi furono quelli di Deluc, Gay-Lussac e Muncke (1); ma questi non hanno oggi altro che importanza storica; e quindi non ne parlere- mo. Similmente ci tratterremo poco sulle ricerche posteriori di Pierre (2) e Kopp (3), che sono rimaste classiche per la loro esattezza. II Pierre servivasi all'uopo di dilatometri e faceva tut- te le opportune correzioni ponendo ogni cura nella osser- vazione dello spostamento dello zero dei termometri. Egli cimentò moltissimi liquidi ed in condizioni soddisfacenti di purezza. Lo studio però della dilatazione dei liquidi venne fatta da lui a pressione ordinaria, e perciò a temperature inferiori al loro punto di ebollizione normale. I limiti quin- di delle sue esperienze sono assai ristretti perchè possano ad esse applicarsi le formole teoretiche e perchè da esse si possa avere una idea della legge generale della dilata- zione dei liquidi. Collo stesso metodo del Pierre, o con leggiere modifi- cazioni, la dilatazione dei liquidi a pressione ordinaria è (1) Annales de Cbimie et de Pliysique 3""^ serie T. LXIV. (2) Idem 3™"^ serie T. XV XIX XX XXI XXXI XXXIII. (3) Pogg. Ann. T. LXXII. Annales de cliimie et de pliysique 3.'"" serie t. XLVII. 276 SULLA DILATAZIONE TERMICA Stata studiata da Kopp, Frankenheim (1) e Thorpe (2). Le determinazioni di Kopp sono abbastanza concordanti con quelle di Pierre ; il lavoro di Thorpe si estende a 47 liquidi la pili parte organici ed è eseguito con molta accuratezza e precisione. Il Drion (3) volle verificare se fosse comune a tutti i liquidi il fatto interessante osservato da Thilorier (4) per r acido carbonico e dal Baudrimont per il liquido prove- niente dalla distillazione dell' acqua regia : cioè che a tem- peratura superiore a quella di ebollizione sotto la pressione normale essi presentano una grande dilatazione termica; fatto che il Thilorier stesso sorpreso chiamò strano e pa- radossale. Il Drion studiò la dilatazione dell' etere cloridrico, dello acido ipoazotico, e dell'acido solforoso da 0" a 130." Le sue ricerche però anziché dare delle cifre sperimentali ve- ramente attendibili servono piuttosto a mostrare l' anda- mento del fenomeno. Egli studiò la dilatazione dei liquidi in termometri metastatici, ad ogni osservazione diminuendo la quantità di liquido cimentato. Però non tenne conto né della dilatazione del recipiente né della compressibilità del liquido e del recipiente stesso, limitandosi a dare le dilatazioni apparenti ; tali correzioni é in parte impossibile fare oggi. I volumi trovati da Drion dipendono dalla variazione della temperatura e della pressione, che é quella del va- pore saturo del corpo stesso ad ogni temperatura e quindi le sue cifre non possono dare la legge del fenomeno. (1) Pogg. Ann. t. LXXIL (2) Jouin. of. Chetn. Soc. 1880. (3) Anriales de Chimie et de Physique 3. serie t. LVI: (4) Annales de Chimie et de Physique 2. serie t. LX. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 277 Non diremo come Drion conduceva le sue esperienze, riportate in molti trattati; una fra le più gravi cause di errore è in esse al certo l'evaporazione del liquido dentro il termometro metastatico: il vapore non è fornito quasi tutto dal liquido contenuto nell' ampolla superiore dello strumento, come ammette il Drion, dovendo il liquido del tubo anche evaporarsi e non in piccola quantità. Osserve- remo pure come egli si lusinga di misurare i centesimi o almeno i cinquantesimi di grado mentre paragonava il suo termometro metastatico con un termometro ordinario il quale tutto al più poteva dare i decimi di grado e con errore di parecchi di essi, riferendo la temperatura a quella del termometro ad aria quando si oltrepassavano i 100." Noterò infine che il Drion si contentò di dividere i tubi dei suoi termometri in parti di eguale volume, senza adoperare alcuna tavola di correzione, mentre chi ha pra- tica di calibrazione di tubi si accorge che tale tavola, in qualsiasi tubo, anche calibrato è necessaria se vuoisi rag- giungere un limite notevole di precisione. Il Drion non potè trovare una forinola capace di rap- presentare i valori delle dilatazioni per tutte le tempera- ture osservate (cosa che, come vedremo, è pure a me ac- caduta) : egli tentò invano la forma esponenziale e loga- ritmica. La conclusione delle ricerche del Drion è che i coeffi- cienti di dilatazione aumentano moltissimo con la tempe- ratura, tanto da diventare molto più grandi del coefficiente di dilatazione dei gas. Incidentalmente, volendo vedere a quale temperatura si produceva la vaporizzazione totale del liquido, egli riprodusse i fenomeni già scoperti dal Can- gniard Latour relativi al punto critico. Ma su questa, che è forse la parte più interessante del suo lavoro, egli sor- vola rapidamente. 278 SULLA DILATAZIONE TERMICA Andreeff (1) e Mendeleeff (2) sperimentarono con un metodo analogo a quello seguito dal Drion; essi però, ad evitare l'errore da questi commesso, dovuto all'evapora- zione della sostanza dentro i tubi, facevano una correzione per il liquido evaporato servendosi della legge di Mariotte e di Gay-Lussac, Ora , come osserva Avenarius , se tali leggi si possono ammettere difficilmente per i vapori sopra riscaldati non lo si possono in nessun modo per i vapori saturi, e però, malgrado l'accuratezza di queste ricerche, esse non ci possono dare esattamente la legge della dilata- zione termica dei liquidi. Aggiungeremo a ciò che anche le determinazioni in parola venivano fatte a pressioni varia- bili e perciò i volumi trovati dipendono tanto dalla tempe- ratura che dalla pressione. Hirn (3) ha studiato la dilatazione di diversi liquidi ad una pressione costante di irv25 di mercurio; egli, aven- do grandi mezzi a propria disposizione, ha potuto praticare le sue ricerche su grandi quantità di liquido in modo da attenuare le cause di errore. Il vase contenente il liquido esaminato aveva otto litri circa di capacità, l'agitatore era collocato neir interno di esso e si teneva conto sì della dila- tazione che della compressibilità del metallo di cui il re- cipiente era formato. Hirn ha potuto quindi dare delle cifre sperimentali che meritano senza dubbio molta fiducia. Egli adopera per rappresentarle una formola con 4 coefficienti ricavate da 4 delle sue cifre sperimentali, e ritiene che essa rappresenti le sue esperienze con sufficiente approssimazione. Io credo però che se le determinazioni fossero state più numerose anch' egli avrebbe provato la stessa difficoltà del Drion (1) Ann. dei- Cliem. INI. (2) Ann. der Chem. und Pliarm. T. XXIV. (3) Annales de Cliiraie et de Physique 4. serie T. X. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 279 per una esatta rappresentazione dei risultati sperinientali con una sola equazione. Ad ogni modo , lo studio delle dilatazioni di Hirn, per essere fatto ad una sola pressione non si presta a nessuna verifica immediata di formole teo- retiche. Avenarius (1) in un bel lavoro sperimentale ha studiato la dilatazione dell'etere solforico ad una sola pressione costante, cioè alla pressione critica; ed a pressioni variabili dovute alla forza elastica del vapore del liquido. Uno stesso apparecchio serviva per 1' una e 1' altra ricerca e consisteva di un tubo di vetro ripiegato due volte ad angolo, da un lato graduato e terminato da due recipienti , 1' uno dalla parte delle graduazioni riempito completamente di etere , r altro riempito a metà dello stesso liquido e contenente nel resto vapore d'etere; il tubo riempito di mercurio. Il recipiente pieno per metà d' etere veniva riscaldato fino alla temperatura critica, nell' altro si misuravano i volumi come in un dilatometro. Si tenne conto della dilatazione termica del recipiente, nulla però è detto dell'aumento di volume dello stesso con la pressione e tutto fa supporre che questa correzione sia stata trascurata. Le cifre di Avenarius rappresentano adunque la dila- tazione dell'etere alla pressione critica; esse concordano abbastanza bene con quelle fornite dalla equazione v= 2,4509 — 0,63-28 log (l92°.6-0 L' Avenarius ricava questa equazione considera,ndo che per la temperatura critica, poiché il liquido si evaporizza completamente, il coefficiente differenziale -^ diventa egua- le a 0. (1) Bulletin de 1' Academie imperiale de Saint Petersbourg t. X, 1877. 280 SULLA DILATAZIONE TERMICA Perchè tale condizione si verifichi basta porre, come propone Watterston, dove t, è la temperatura critica e ij è un coefficiente co- stante Integrando si ha ■^&' V -_=a + b log {t, —t) 2) dove a e b sono due costanti che hanno per l'etere i valori sopra indicati. Con lo stesso apparecchio modificando di poco soltanto il metodo sperimentale l'Avenarius studiò la dilatazione dell' etere alla pressione variabile prodotta dal proprio vapore, come aveva fatto Drion. Anche le dilatazioni a pressione variabile sono rappresentate da una equazione della forma suddetta coi coefficienti un poco differenti: ma se si riflette che Avenarius non dà nelle sue dilatazioni che solo tre cifre decimali e che le differenze tra le cifre sperimentali e calcolate arrivano talvolta alla seconda si vedrà che in quest' ultimo caso la formola non rappresenta abbastanza bene l'andamento, assai complesso del resto, della dilatazione. Schuck (1) e Jouck (2) hanno eseguito ricerche ana- loghe per la dilatazione alla pressione critica dell'alcool, dell' anidride solforosa , (Schuck) della dietilamina , del cloruro di etile, (Jouck), sperimentando con lo stesso metodo di Avenarius. Anche i volumi che essi trovano sono rappre- sentate da formolo che hanno la medesima forma di quelle (1) I. d. russ. Gesell. 13 (1881) Beiblatter voi. VI. (2) Idem id. 16 (1884) id. voi. Vili. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 281 di Avenarius. Ecco i coefficienti trovati dai suddetti spe- rimentatori : Alcool. * V ^ 2,2059 — 0,5091 log. (233°.7 — t). Anidride solforosa. V = 2,2075 — 0,5513 log. (155»,0 — t). Dietilamina. V = 2,4073 — 0,5994 log. (222»,8 — 0- Etere cloridrico. V = 2,4131 — 0,6202 log. (ISQ^g — 0- forinole clie corrispondono abbastanza bene con i volumi osservati. Oltre a queste ricerche sperimentali ne abbiamo alcune altre che hanno per iscopo di rilegare con forinole teoreti- che i dati forniti dall' esperienza. Mendeleeff (1) dall'esame delle dilatazioni di diversi liquidi trova che, paragonando le varie temperature alle quali due liquidi hanno volumi eguali , esse sono in un rap- porto costante. Questa uniformità di rapporto può esprimersi con la equazione '•.=K4')" (3 la quale, facendo « = —1 si trasforma nell'altra più sem- plice , y,= (i-A-o- = ^, (4 equazione che egli ritiene analoga alla legge di Gay-Lussac pei gas perfetti: cioè che essa rappresenti l'andamento del- (1) J. d. russ. chem. phys. Gessell. 16 (1884). Annales de Chimie et de Physiqiie 6. serie t. II (1884). ATTI ACC. VOL. IVIII. 39 282 SULLA DILATAZIONE TERMICA la dilatazione dei liquidi molto lontani dal punto di ebol- lizione. Difatti la forraola di Mendeleeff si verifica con tanta maggiore approssimazione quanto più bassa è la tempera- tura. Sul proposito si può osservare che nella (4 eseguendo la divisione si ha Vi—\+kt+kH^ + kH^ + (5 e che quindi la (4 non equivale ad altro che ad una delle solite equazioni paraboliche a tre o quattro termini (i ter- mini successivi non hanno influenza) nella quale tra i coeffi- cienti esiste la relazione a priori che sono in progressione geometrica. Avenarius (1) nega la generalità della formola di Men- deleeff, essa infatti dà risultati soddisfacenti quando il coef- ficiente di dilatazione è piccolo e quasi costante; quando esso è maggiore, il che avviene a temperature più elevate le differenze fra le cifre sperimentali e teoretiche vanno sempre più crescendo. Secondo Avenarius la dilatazione alle varie pressioni deve essere qualitativamente rappre- sentata da formolo identiche, ben inteso con coefficienti diversi e quindi a qualunque pressione 1' equazione t) = a -+- ò log ( (1 -f- «0 óo (1 -h ki) 9) '■a dove a e k indicano il coefflciente di dilatazione cubica del mercurio e del vetro e 5o la densità del mercurio a 0", si hanno i seguenti volumi a 0" gradi espressi in centi- metri cubici : tubo I ro = 0, 00086820 tubo II iv=0, 00077842 tubo III ro=0, 00078733 Determinate le sopra riportate costanti 1 tre tubi ven- nero saldati uno dopo l'altro, ripiegando le giunture in modo che il tubo intermedio avesse la sua graduazione 300 SULLA DILATAZIONE TERMICA discendente e gli altri due ascendente, e disposti paralle- lamente nello stesso piano. Ciò fatto si sono misurati i volumi delle curvature che cliiameremo a quella che congiunge i tubi le Web quella che congiunge i tubi II e III; cioè degli intervalli non gra- duati che erano compresi fVa l'estremità di una gradua- zione e il principio di un'altra. Queste misure vennero eseguite mediante un' indice di mercurio al quale si faceva prima occupare una curvatura e poscia scorrere in uno dei tubi notando ogni \'olta le posizioni e facendo le oppor- tune correzioni. Il valore medio di molte osservazioni ben concordanti diede per il peso di mercurio a 10" contenuto nella curvatura a p — O*-"-, 60677 h p = O*''', IGllO Mediante la formola (0 per il volume a 0° si lia : a v„ = occ^ 44720 b Vor^O^S 011873 Misurate le curvature, si saldò Festremità inferiore del tubo I alla estremità superiore del tubo r d del reci- piente B e con un metodo analogo si determinò il volume compreso fra la graduazione r e l'origine delle gradua- zioni del tubo I. In questo caso l'operazione riusciva più malagevole perchè, essendo il recipiente chiuso e l'aria ivi contenuta variando di volume con la temperatura e la pres- sione, si provava un po' di difficoltà nel tenere fermo l'in- dice di mercurio che serviva alla misura del volume. Chiamando Fo il volume totale del recipiente Ano alla origine del tubo I dedotto dalla misura delle quantità sopra DEI LIQUIDI A. DIVERSE l'RESSIONI 301 enunciate si ebbe per il recipiente adoperato per 1' etere 1/ =7.'"2G(350. Fatte queste determinazioni, dopo aver lavato e disec- cato con ogni cura il recipiente, si passava a riempirlo del liquido da studiare: esso occupava circa 4[5 del suo volu- me a partire dal disopra; l'ultimo quinto fino all'origine del tubo I era occupato da una quantità nota di mercurio. Dopo parecchi tentativi ho scelto tale disposizione per e- vjtare varie cause di errori che si sarebbero commesse la- sciando scorrere direttamente il liquido dilatato nei tubi graduati. In latti in tale caso, non essendo facile mantenepe co- stante ed uniforme la temperatura dell'acqua del cilindro JV, la dilatazione del liquido contenuto nei tubi d d d non può essere determinata con tutta l'esattezza richiesta; e ciò può influire sensibilmente sul risultato finale sopratutto per- chè i liciuidi erano molto dilatabili ed il volume comples- sivo dei tre tubi era relativamente assai grande (-^ circa del volume del recipiente). A rimediarvi avrei potuto im- piegare un secondo agitatore, e quindi una complicazione di apparecchio che avrebbe reso più difficili le esperienze. Dippiù il liquido che bagna 11 vetro restringendosi do- po la dilatazione vi avrebbe lasciato come un cilindro li- quido producendo una diminuzione apparente del volume; diminuzione notabile attesa la grande lunghezza dei tubi graduati. Inoltre la superficie libera del liquido nei tubi, non es- sendo questi capillari, è soggetta ad evaporazione, ciò che anche influisce a diminuire il volume del liquido restante. In fine si ha la difficoltà di poter distinguere bene il me- nisco liquido attraverso il cilindro pieno d'acqua che lo cir- conda. Con la disposizione da me adottata è facile vedere che si evitano tutte le superiori cause di errore, compresa 302 SULLA DILATAZIONE TERMICA quella dovuta all'incertezza della temperatura dell' acqua che circonda i tubi graduati , essendo la dilatazione del mercurio in tal caso molto piccola in paragone con quella dei liquidi studiati (1). La disposizione sperimentale da me realizzata per as- sicurarmi che la quantità di mercurio richiesta penetrasse interamente nel recipiente senza disperdersi lungo i tre tubi fu la seguente: saldavo alla estremità dell'apparecchio un tubo 0 (fig. 4), piegato ad angolo retto ed alla sua volta saldato nel fondo di un piccolo matraccio ;5.- disponevo lo strumento orizzontalmente ed introducevo dentro di esso il mercurio pesato avendo cura che formasse un' unica bolla nella pancia dello stesso. Fatto in seguito il vuoto, giravo r apparecchio di 90° lino a che il mercurio venisse a porsi nel fondo del matraccio al disopra del tubo o ; facendo po- scia rientrare a poco a poco l'aria, il mercurio era spinto dentro 11 recipiente senza che ne rimanesse per istrada la benché menoma gocciolina. Ciò fatto si riempiva il piezodilatometro del liquido da studiare, che era stato prima convenientemente purifi- cato. Nel caso dell'etere solforico (ossido d' etile) lo si lavò prima abbondantemente parecchie volte con acqua distillata e poi si distillò una volta sulla calce caustica e due volte sul cloruro di calcio, eliminando le prime e le ultime por- zioni. Il liquido così ottenuto era incoloro, mobilissimo, limpido, della densità a 0" f/„=0,73C e bolliva a 35=,2 alla pressione di 764'"'". Prima di essere introdotto nel recipiente venne bollito nel vuoto per liberarlo dai gas disciolti, caso mai ne con- (1) Credo bene notare clie una disposizione simile può rendere il me- todo del termometro a peso utile nello studio della dilatazione dei liquidi volatili , permettendo di raggiungere un grado di esattezza maggiore di quella die può aversi coi dilatometri. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 303 tenesse, come verificò Hirn per l'etere da lui cimentato. Tali gas sviluppandosi ad alte temperature avrebbero po- tuto falsare il resultato delle ricerche. Per l'introduzione del liquido nel recipiente B si segui- rono varii sistemi a seconda dei liquidi da studiare. Nel caso dell'etere solforico si riscaldava fortemente il recipiente B mentre, capovolto, aveva la punta immersa in un palloncino pieno di detto liquido. Però siccome col raffreddarsi il liquido non percorreva che metà della di- stanza voluta, si doveva, per farlo entrare nel recipiente, oltre che raffreddare questo con miscuglio frigorifero , comprimere 1' etere mediante una pompa ad aria passante attraverso tubi a cloruro di calcio. Dopo che le prime gocce di etere entravano nel recipiente riusciva molto facile compiere l'operazione. Una volta pieno di etere, mentre era capovolto , il piezodilatometro venne immerso in varii miscugli frigoriferi di temperatura sempre più bassa, l'ul- timo di neve e cloruro di calcio (preparato col raffredda- mento della soluzione bollente a 129") che faceva scendere la temperatura fino a— 35° circa. Dopo averlo così raffreddato si raddrizzava ottenendo in tal modo, per la dilatazione dell'etere da — 35" a 0", che quando il recipiente B era a 0", vale a dire alla tem- peratura più bassa di osservazione, l'estremità della colonna di mercurio si trovasse a tale altezza del tubo I da poter fare comodamente le letture, anche a pressioni elevate. Così disposto l'apparecchio s'introdusse dentro un largo cilindro di vetro N mediante una ghiera di ottone ed un turacciolo di sughero diviso in due e spalmato in una so- luzione di ceralacca nell'alcool. Poi venne adattato al sostegno che portava il resto dell'apparecchio e saldata l'estremità libera del prolunga- mento del tubo III al tubo di vetro e e che univa il ma- nometro al manogeno. Presso questa saldatura un rigon- 304 SULLA DILATAZIONE TERMICA flamento disegnato di profilo in v (fig. 3.) pieno di lana di vetro impediva alle particelle liquide, che si sprigionavano dall'acqua acidulata assieme ai gas. di entrare nei tubi del piezodilatometro. Termineremo la descrizione di questa parte dell'appa- recchio col discutere brevemente quali limiti di precisione con esso si potevano ottenere. E qui bisogna distinguere due casi: quando cioè la dilatazione del liquido era misu- rata nel tubo I, e la temperatura inferiore a quella di ebollizione normale dei liquidi, e quando, a temperatura più elevata, la si misurava nel secondo e nel terzo tubo. Nel primo caso le quantità misurate erano minori che nel secondo; perciò le misure fatte nel primo tubo richie- devano una precisione maggiore di quelle fatte nel secondo e nel terzo per raggiungersi l'istesso limite di esaltezza: a tal uopo il primo tubo fu graduato con molta maggior cura degli altri due e calibrato un maggior numero di volte. Gli errori nelle dilatazioni, dovute ad errore dei vo- lumi, potevano provenire, essendo la dilatazione a niente altro che un rapporto ,^- o da errori nel numeratore, o da errori nel denominatore. Degli errori del denominatore non occorre occuparci perchè essi sono di un ordine di gran- dezza più piccolo di quelli che si possono commettere nella determinazione del numeratore. Difatti chiamando e ed e' gii errori che nella deter- minazione di A può produrre uno stesso errore assoluto a, secondo che esso è commesso nel denominatore o nel numeratore avremo V V Va e = V + a V ~ V{V-\-(x) , P-l-oi V _a^ F V ~ T DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 305 e quindi e e' V+a e, trascurando « rispetto a V, -^ = -V (10 Gli errori assoluti « commessi nella determinazione di V Q V sono presso a poco eguali perchè queste quantità vennero determinate mediante pesate fatte con la stessa bilancia e le stesse cure; la frazione ^ essendo nella mag- gior parte dei casi, abbastanza piccola (? è di un ordine di grandezza assai inferiore ad e'. Bisogna notare che oltre agli errori commessi nella determinazione del volume la quantità Fpuò essere affetta dagli errori commessi nella ricerca del coefficiente di dila- tazione e di compressibilità del recipiente, ma, come ve- dremo in seguito, queste quantità furono determinate con sufficiente esattezza. Gli errori capaci di affettare la quantità v possono provenire o dalla calibrazione dei tubi, o dalla determina- zione del volume degli stessi mediante la pesata, o dalla lettura della posizione della colonna di mercurio. Gli errori commessi nella calibrazione sono indicati dalle curve che rappresentano 1' andamento dei rapporti fra i volumi delle varie parti dei tubi. Dall'ispezione di queste curve si può scorgere che la lunghezza del segmento dell'ordinata, com- preso fra il punto corrispondente alla misura diretta e la curva, non supera ^^ della lunghezza dell' ordinata, mede- sima e quindi l'errore medio possibile nel caso più sfa- vorevole deve essere inferiore ad 1 [500. Noi però crediamo questo limite assai elevato poiché quando si considera una ATTI ACC. VOL. XVIII. 42 306 SULLA DILATAZIONE TERMICA lunga distesa di tubo è quasi certo clie, gli errori parziali compensandosi, 1' errore totale diventi assai piìi piccolo ; se il compenso fra gli errori parziali fosse completo l'errore totale dovrebbe essere eguale a 0. L'errore proveniente dalla determinazione del volume. In questo caso dato dalle differenze fra i valori trovati per Ogni tubo, è di jqjjqq e quindi di ordine di grandezza assai più piccolo del precedente. L'errore che si può commettere nella lettura non può superare, per il modo come essa era fatta, uno o due decimi di millimetro per ognuna delle due letture necessarie a determinare v, e perciò è trascurabile nelle alte temperature e nelle sole determinazioni fatte alla temperatura ordinaria può raggiungere ± yjjj del valore totale. È da ritenersi quindi che, pur ammettendo agiscano le cause di errore tutte in un senso, il limite massimo degli er- rori sarebbe ± jqqo per le più basse temperature osser- vate e di ± j^jjjQ per le più alte. A queste cause di errore bisogna aggiungere nel caso dei tubi II e III le piccole inesattezze derivanti dalla misura delle curvature a e b; ma quando il mercurio giungeva in esse, le dilatazioni essendo molto grandi, gli errori anzidetti avevano poca influenza. Termometri. I termometri adoperati per le esperienze fatte con l'e- tere furono due : uno a peso da me costruito, l' altro a scala arbitraria fornito dal Mùller di Bonn. II termometro a peso venne costruito con i soliti metodi dalla stessa canna clie servì a costruire il recipiente del piezodilatometro. Esso venne con una disposizione speciale riempito di mercurio e bollito nel vuoto: il tubo era capil- lare, di guisa che la dilatazione termica del mercurio che DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 307 esso conteneva poteva essere trascurata. Il peso del mer- curio a 0° contenuto nel recipiente era P =. 180,-''- 4178 ed il coefficiente di dilatazione del vetro dello strumento, medio fra 0» e 100", k = 0,0000-2904 media di due determinazioni quasi coincidenti. La formola impiegata per calcolare la temperatura con questo stru- mento era ^ ~ {P-P) {S-k) (^^ dove p rappresenta il peso del mercurio uscito a t, P il peso totale dello stesso, s e k i coefficienti di dilatazione media del mercurio e del vetro fra 0" e 100". Il termometro campione fornito dal Miiller di Bonn era calibra,to a scala arbitraria, e diviso in parti delle quali ognuna corrispondeva ad lilO circa di grado: esse avevano tale ampiezza da potere essere suddivise in decimi nelle letture fatte per mezzo di un cannoccliiale. Malgrado fosse stato fornito dal fabbricante come ca- libro, questo termometro fu nuovamente e con molta cura calibrato con lo stesso metodo seguito per 1 tubi del dila- tometro. Anche in questo caso venne disegnata la curva dei rapporti trovati e l' errore medio possibile determinato nel modo di cui sopra è parola pei tubi del piezodilatome- tro, fu trovato inferiore ad ^mo ' Per correggere, per quanto era possibile, gli sposta- menti dello zero che in questo strumento non erano né rari, né trascurabili si determinava ogni volta il valore del grado 308 SULLA. DILATAZIONE TERMICA di esso portando lo strumento prima a 0^ poi alle tempe- rature cercate che erano sempre crescenti per ogni serie, ed infine nel vapor d' acqua. Le temperature venivano date dalla formola '^[ 100° (Ut dove a,b,c sono il numero delle divisioni, corrette con la tavola, che lo strumento indica a 0", alla tempertitura cer- cata ed a 100\ I due termometri costruiti con vetro diflerente, se erano di accordo a 0" ed a 100", discordavano nelle tem- perature intermedie. Per metterli d' accordo sarebbe stato necessario paragonare il termometro campione con il ter- mometro ad aria, ed impiegare nei calcoli del termometro a peso una formola a due coefficienti per la dilatazione del vetro determinando il secondo coefficiente con 1' aiuto del termometro ad aria. Questo io non potei fare perchè non avevo a mia disposizione tale strumento che, d'altra parte, è assai difficile avere talmente esatto da poter garentire una frazione di grado maggiore del decimo. Nel registrare la temperatura presi la media delle in- dicazioni fornitemi dai miei termometri. Del resto fra i li- miti delle temperature alle quali si sperimentò la massima differenza fra i due termometri non fu che di qualche de- cimo di grado e tale media non differiva dalle due indi- cazioni di più di liSOO del valore della temperatura os- servata. Essendosi impiegati sempre gli stessi termometri nelle determinazioni fatte a differenti pressioni , questo errore non ha influenza alcuna nel paragone delle dilatazioni tro- vate sotto pressioni diverse. In questi conl'ronti io credo di poter quasi garentire il ventesimo di grado di modo che DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIO^'I 309 l'eiTore commesso sarebbe di 3^ per la più bassa e di 13^500 per la più alta temperatura osservata. Una piccola causa di errore si aveva nella determina- zione della temperatura della colonna sporgente, poiché la complicazione dell'apparecchio non permetteva venisse im- mersa in apposito bagno; tale temperatura era approssi- mativamente determinata mediante uno 0 due termometri legati alla metà dell' anzidetta colonna la quale si faceva più piccola possibile; crediamo perciò che tale errore ricada fra i limiti precedentemente fissati. Bagno. Il bagno consisteva in una caldaia di 10 litri circa dì capacità riscaldata mediante becchi a gas di varie dimen- sioni , potendo cominciare in certe esperienze con una fiamma da evaporazione, e terminare, quando era necessa- rio, con 6 lampade Bunsen. Un doppio agitatore quasi gran- de quanto la sezione del bagno, mosso a mano per tutta la durata delle esperienze, dava una agitazione molto viva del liquido dello stesso. Tutte le parti dell' apparecchio erano fissate sopra un sostegno di abete solidamente attaccato al muro; disposi- zioni speciali permettevano di vuotare agevolmente il ba- gno, riempito d' acqua salata per evitare soverchi vapori quando era riscaldato, e di sostituire ad esso un recipiente bucherato che si riempiva all' occorrenza di neve fondente. Nel cilindro pieno d' acqua N che circondava i tubi del dilatometro era immerso un termometro; due in quello J/ del manometro che inoltre veniva spesso agitato da una corrente che vi gorgogliava dentro. Particolari sulle esperienze. Le esperienze venivano condotte nel modo seguente: Si cominciava col riempire di acqua acidulata il mano- 310 SULLA DILATAZIONE TERMICA geno A e poi si cliiudeva il tulDicino h con ceralacca fusa. Posti quindi i due reofori II del manogeno in comunica- zione con quattro coppie Bunsen si faceva accrescere la pressione fino al punto voluto e interrompendo il circuito elettrico tale pressione poteva rimanere costante per pa- recchi giorni, salvo le piccole differenze dovute alle varia- zioni di temperatura dell' ambiente ed alla dilatEizione del liquido riscaldato nel bagno. Ottenuta la pressione richiesta si metteva attorno al piezodilatometro il recipiente forato che si riempiva di neve lavata in minuti pezzetti : allato al recipiente e immersi nella neve erano pure collocati il termometro a peso ed il ter- mometro campione e contemporaneamente si verificava lo zero degli altri termometri. Dopo una o due ore di immer- sione nella neve, quando gli strumenti erano perfettamente stazionar] si leggevano : r la posizione della colonna di mercurio nel piezodi- latometro ; 2° la posizione della colonna di mercurio del termo- metro campione; 3° la temperatura del cilindro N che circondava i tubi ci; 4° la temperatura del manometro con due termometri divisi in quinti di grado, dei quali si prendeva la media dopo avere agitata l' acqua del cilindro M per parecchi minuti. In seguito si toglieva il mercurio eccedente dal tubi- cino sospeso all' orificio del termometro a peso. Tutte queste quantità servivano, vedremo appresso con quali formolo, a determinare il volume del liquido conte- nuto nel recipiente a 0" ed alla data pressione. Dopo ciò si faceva fondere la neve attorno all'appa- recchio versandovi dell'acqua a temperatura ordinaria, si sostituiva al recipiente bucherato il bagno con l'agitatore DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 311 e lo Si riempiva, come si è detto sopra, d'acqua salata. Non credetti dovere oltrepassare la temperatura di 105° per varie ragioni: primo perche al di là di 100' non ero sicuro che le temperature indicate dai termometri , le cui discordanze si sarebbero senza dubbio accresciute, non fossero lontane da quello del termometro ad aria. In se- condo luogo , perchè l'etere nelle temperature più elevate fosse contenuto ne' tubi, avrei dovuto fare il recipiente molto pili piccolo con grave scapito della sensibilità dei risultati per le temperature meno elevate. Avrei potuto rimediare facendo i tubi d di diametro diverso e crescente ma a ciò non pensai in principio e mi riusciva faticoso il rifare da capo r apparecchio. Limitandomi adunque fra 0" e 105" si son fatte in questo intervallo di temperatura 7 determinazioni all' in- circa equidistanti e tale numero è stato più che sufficiente a darmi la legge del fenomeno. Per raggiungere le varie temperature richieste comin- ciavo dal riscaldare il bagno con le fiamme a gas occor- renti fino a che il termometro segnasse a un dipresso la temperatura cercata mentre il bagno era continuamente agitato. Arrivato al pmito voluto si diminuivano le fiamme e con due cannocchiali orizzontalmente disposti e a 2™ circa di distanza si seguiva l'andamento del termometro e del piezodilatometro. Bentosto, il termometro campione dapprima, poi il di- latometro raggiungevano un massimo e accennavano a discendere; si aumentava allora convenientemente la fiam- ma fino a che i due strumenti tornassero allo stesso mas- simo che si procurava non fare oltrepassare. R,ipetevasi questa operazione molte volte avendo cura che fra tali mas- simi e minimi non vi fossero differenze maggiori di un ven- tesimo di grado, e talvolta ero così fortunato da poter man- tenere la temperatura costante anche fra limiti più ristretti. 312 SULLA DILATAZIONE TERMICA Quando era certo, dopo almeno quindici minuti di osserva- zione, che i tre strumenti fossero rigorosamente alla stessa temperatura facevo le letture sopra menzionate e staccavo con una leggera scossa 11 globetto di mercurio sospeso al- l' orificio del termometro a peso (globetto che durante le oscillazioni fra i massimi e i minimi di temperature an- dava cambiando di volume) e conservavo accuratamente il mercurio uscito. Oltre le anzidette quantità si determinavano la lun- ghezza della colonna sporgente del termometro campione e la temperatura media di essa. Non occorre dire che il re- cipiente B e 1 due termometri del bagno erano collocati molto vicini fra di loro; del resto il regolare andamento di tutti e tre gli strumenti mi accertò che essi erano nelle medesime condizioni di temperatura. Con un poco di abitudine potei da solo compire le no- tate operazioni abbastanza agevolmente, sebbene un solo istante di distrazione bastasse a farmi perdere un' ora di lavoro. Dopo che ripetendo successivamente per ogni tempe- ratura le stesse operazioni ero arrivato all' ultima facevo passare rapidamente il termometro campione in una stufa a vapore e determinavo la posizione del punto 100"; poi pesavo le varie quantità di mercurio uscito e raccolto nei differenti tubicini e la serie delle esperienze era terminata. La pressione non era rigorosamente costante alle va- rie temperature; primo perchè, dilatandosi, il liquido com- primeva i gas racchiusi neh' apparecchio, poi perchè a quella indicata dal manometro bisognava aggiungere 1' altezza della colonna di mercurio dei tubi d la quale era di lunghezza variabile con la temperatura. Vedremo in seguito come po- tevansi ridurre le esperienze di una stessa serie alla mede- sima pressione. Per ogni pressione si facevano tre serie di esperienze DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 313 procurando clie in ognuna le determinazioni corrispondes- sero approssimativamente alla stessa temperatura. Riportiamo dal registro di osservazioni i valori parti • colareggiati di una esperienza. 21 Marzo 1884 — Esp.^ N. 26. Pressione 9" circa ; temp." 70° circa Orfi l'iHodilaloniflro (tiilw II) '•" Term. camp. 10'>,20>° 43«"\69 Sl-^'^-.SO 10\35'° 43'="', 70 81<*'%50 temp." oscillante di 0°,03 per circa 15 minuti. Colonna sporgente del termometro campione: Sl^'^'-.S alla terap.'-> media di 28°, 5. Termometro A del cilindro N — 19°, 4. Manometro 25'^'",30 (2) alla temperatura di Termometro B 15°, 8 Termometro C 10% 2 Peso del mercurio uscito dal termometro a peso in detta esperienza : tara = tubicino vuoto + g.'"' 5,6464 = tubicino con mercurio uscito +g."'' 8,7371 Peso del mercurio uscito l**''-,9093 Indicazione dei termometri nella neve fondente : Termometro campione 11'''', 32 Termometro A -H 0°, 9 Termometro B + 0°, 6 Termometro C + 0°, 2 Indicazione del termometro campione nel vapor d' acqua bollente alla pressione di 752™"', (ridotta a 0°) lir"'-, 50 (1) L' indicazione tubo II significa che il mercurio occupava tutto il primo tubo e 43,<='" 69 del secondo : le divisioni sono registrate in centimetri per comodità. (2) La divisione del manometro aveva lo 0 in alto, quindi l' indicazione manometro 25,<='"-30 significa che l'aria occupava tutto il volume superiore della punta f non graduata piii 25,cm. 30 del tubo graduato. ATTI ACC. VOL. xvin. 43 314 SULLA DILATAZIONE TERMICA Veniamo ora ad esporre le forinole necessarie a cal- colare i dati delle esperienze, dati tutti contenuti nelle an- notazioni del registro analoglie a quella sopra riportata. Chiamisi 7o,i il volume, alla temperatura di 0" ed alla pressione di 1" di mercurio, del recipiente e del tubo r fino all'ori- gine delle graduazioni del tubo I (1). v^ il volume a 0" della divisione (millimetro) tipo del tubo I di cui sopra è dato il valore numerico (vedi pag.299.) n il numero delle divisioni in millimetri occupate dal mercurio nel tubo 1 , corretto con la rispettiva tavola di calibrazione; 7'o,, il volume occupato dal mercurio nel recipiente a 0° ed alla pressione di l"; l la temperatura dell'acqua del cilindro iV che circon- dava i tre tubi; h il coefficiente di dilatazione cubica del vetro dei tubi d che si è ammesso essere lo stesso di quello del vetro del recipiente 5; « il coefficiente di dilatazione del mercurio; Wo,, il volume del liquido contenuto dentro il recipiente. La formola che ci servirà a determinare T7o,i sarà la seguente W„,i = Vo,, - y'c,,, + ni\ \^^ (12 Chiamisi ora T7r,, il volume del liquido alla pressione di 1" ed alla temperatura T , media di quelle segnate dal termo- metro campione. (1) In seguito col simbolo V„i,n indicherò uu volume alla temperatura m ed alla pressione w. V sarà espresso in centimetri cubici , m in gradi ed n in metri. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 315 Sieno inoltre /' la temperatura dell'acqua nel cilindro N in questo nuovo caso n' il numero delle divisioni (mill.') del tubo I. Evidentemente M\, sarà dato dalla formola Wt,, = V„,, (1 + A- T) - r'„,, (1 + a D 4- n'c^ }^^ (13 I valori numerici di r„,, e v^ sono stati riportati preceden- temente quando si descrisse l'apparecchio (vedi pag.299-301) il valore di F'o.t si determina, chiamando P il peso del mer- curio introdotto nel recipiente e 5„ la densità del mercurio a 0", con la formola V'oA = -^ (14 Nel caso dell'etere si ebbe P = 22,s'--6421 ; \\i — 1,665385. Nello stabilire le precedenti forinole (12 e (13 si am- mette che tanto il volume del recipiente che quello del mer- curio siano gli stessi alla pressione di l" ed a quello di 1 atmosfera, essendone la differenza trascurabile. La pressione effettiva però alla quale veniva sottoposto l'etere quando si facevano le esperienze, lasciando l'appa- recchio in comunicazione libera con l'atmosfera, era eguale all'atmosferica più quella della colonna di mercurio che ascendeva mano mano nel tubo capillare e della cui in- fluenza si teneva conto. Inoltre si è ammesso che il tubo r compreso tra il tubo graduato I ed il recipiente B fosse immerso nel ba- gno fino all'origine della graduazione e che il rimanente 316 SULLA DILATAZIONE TERMICA stesse nel cilindro; mentre nel fatto, una parte di esso era ad una temperatura intermedia. Però, essendo stato scelto tale tubo a bella posta di diametro piccolissimo, tale er- rore poteva ritenersi trascurabile. Veniamo ora alle formole da impiegarsi nel caso di pressioni elevate. Chiamisi ìl\p il volume dell'etere alla temperatura di 0° ed alla pressione di p metri; /3i il coefficiente di compressibilità cubica del vetro preso in valore assoluto; /3', il coefficiente di compressibilità cubica del mercurio preso in valore assoluto; p la pressione espressa in metri di mercurio a 0"; n^ 11 numero delle divisioni occupate in questo caso dal mercurio nel tubo I; t^ la temperatura del cilindro. Avremo evidentemente Wo,p == Fo,, (1 + 0,P)- n,, (1 - /3» + n,v, j±^ (15 Nel caso di altre temperature, chiamando ?i\ il numero delle divisioni, W^^p sarà dato dalla formola Wr,p = Vo,,{\+fi,p){l+kT)-V',,A.Ì--&\p)il+'xT)+>ì\Vo \^^ (1« Queste formole vanno modificate nel caso in cui il mercurio occupava i tubi li e III. Chiamando v,, e Vf, i volumi a 0" delle parti ricurve non graduate a e b comprese fra i tubi I e II , II e III ; iVi ed N^ il numero totale delle divisioni dei tubi I e II, ed w, ed n^ il numero delle divisioni occupate dal mer- DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI - 317 curio nei tubi II e III i cui volumi tipo dinoteremo con v^ e v.^ avremo : Nel caso che 1' estremità libera della colonna di mer- curio si trova nel tubo II tn\ = iV, r, + r„ + n, i\ (17 e nel caso ctie sìa nel tubo III nVo = -Vi i', + Va-h N,v, -+- Vo+ 'hv^ (18 Per mostrare come sieno state applicate le superiori formolo calcoleremo per disteso 1' esperienza N, 26 che è stata superiormente trascritta. Esperienza N. 26. Calcolo della pressione , -^^ ,= 141, 614 f = 15°, 6 c = 25<="\ 30 X 0, 5418 + 4, 982 = 18, 690 (1) 1 -!-«{=:], 0591 _ 141,614 X 1,0591 _ „ ^~ 18,690 ~ A questo numero bisogna aggiungere: T il dislivello del mercurio nel manometro = 0™, 64; 2" la colonna compresa fra il recipiente e lo 0" delle graduazioni del tubo I =:()'", 18; (1) 0,5418 è il peso del mercurio a 10° contenuto in 10 divisioni (millimetri) del manometro e 4''''", 982 quello del mercurio contenuto nella punta f. 318 SULLA DILATAZIONE TERMICA 3» la differenza fra le colonne di mercurio dei tubi I e II = 0", 09; sommando e riducendo a 0° si ha p = 8'", 90 Calcolo della temperatura. Termometro a peso. p = !,«■■• 9093 P = J80,e'- 4178 P—p— 178, 5085 a — k = Q, 0001518 _ 1, 9093 {P—p) {a-k) — 178, 5085 X 0, 00U1518 Termometro campione. Divisioni indicate a r,....81, 50; corrette nella tavola. 81, 705 Divisioni indicate a 0°,....ll, 32; corrette 11, 321 Differenza ... 70, 384 Valori in gradi di 1 divis.... 0°, 99325 r = 70,384 X 0, 99325 = 69." 91 Correzione colonna sporgente ... 0,° 31 Termometro campione 70,° 22 Media fra i due sti'umenti T — 70° 18 Calcolo del volume Per calcolare il volume, la formola occorrente è la (16 Wr,p = Vo,! (1+/3.P) (14-A- T) - V\^ {l-fi'd^) (l+« T) + n\ Vo j^^ DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 319 nella quale ad n\v^ bisogna sostituire il valore n',y„ = N,u, + Va + n,v, dato dalla (17. Si ha (pag. 314) T = 70°,18; k = 0,0000290; l+hT=\ ,00203 a =-. 0,0001802 + 0,00000002^ (1) ; 1 + a T = 1,01276 «', =18%5; 1 + Ai', = 1,00054; 1+ ai', = 1,0033 /3, = 0,0000228 ; /3', == 0,0000024 ; p = S-n.gO 1+ /3, /? = 1,000203 ; 1 — /3> = 0,999978 «^ = 43<^™,70.... corretto 441"™, 8, r, = 0,00077842 N, = 500.... corretto 489">™, fi; r, = 0,00086820 7?,r, = 0,'^'= 34391 • Va = 0,*== 04472 N,v^ = 0,<=« 42502 n',v,= 0,c<= 81365 n', V, j^~^ = 0,81139 n,, = 1,665385 VV (1 -+- aD (1 — fì\r>) — 1,68646 Vo.i — 7,26650; Fo,, (1 +/3, />) (1 + A-T; = 7,28266 Wt:,p — 7,28266 — 1,68646 -|- 0,81139 = 6,40859 Dividendo il volume trovato per quello a 0^ ed alla stessa pressione, fornitoci dalla esperienza 20*"" calcolata con la formola (15 che ci da W„,p = 5,68627 (1) Pormoh di Mendeleeff. 320 SULLA DILATAZIONE TERMICA si ha chiamando a la dilatazione, alla pressione di 8"' 90, da 0» a 70°, 18 Compressibilità del vetro. Prima di esporre i resultati delle esperienze dirò 'bre- vemente del metodo seguito per determinare il coefficiente /3, di compressibilità cubica del vetro da me adoperato per fare il recipiente B. Il metodo ò identico a quello di Jamin, Amaury e De- scamps (1). Si comprimeva, dall'interno allo esterno, un recipiente fatto con lo stesso vetro di i? e si misurava l'incremento del volume esterno, che si ammette sia uguale a quello del volume interno. ^ Tale ipotesi è tanto più giustificabile in quanto il vo- lume del vetro è sempre una parte assai piccola del vo- lume totale. Le incertezze di tali misure ad ogni modo sono assai piccole ed inferiori a quelle dovute alle altre cause di errore (2). La compressibilità nel mio apparecchio opportunamente modificato si esercitava dentro un tubo di vetro B' (flg. 5,) della stessa canna con cui avevo costruito il piezodilato- (1) Memoria citata. (2) Un metodo aveva io ideato per determinare il coefficiente /3^ di compressibilità cubica del vetro, ma non so se sia attuabile: sarebbe di misurare la compressibilità di un liquido quando assume la forma sferica dentro un altro liquido della stessa densità col quale non si mescola , de- terminando le variazioni di volume o con uno strumento fondato sullo stesso principio dell'eliometro, o giovandosi, se è possibile realizzare l'esperienza, degli anelli colorati di Newton. Io non so se tali ricerche, che spero tentare in seguito, quantunque difficilissime sieuo possibili ad effettuarsi. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 321 metro; esso era circondato da un tulDO più largo f pieno di mercurio e chiuso alla parte superiore da un eccellente turacciolo di sughero. Alla parte inferiore di questo tubo ne era saldato un altro n n di vetro di piccolo diametro , che ripiegavasi due volte in forma di U. In questo tubo s' introduceva alla parte superiore, mediante un turacciolo di sughero, un tubo capillare orizzontale calibrato accuratamente, di cui si co- nosceva il volume. Si cominciava col portare 1' apparecchio alla pressione richiesta e poi immerso il tubo f completamente o nella neve fondente, o in un grande recipiente pieno d'acqua alla temperatura ordinaria, si notavano le varie posizioni del mercurio nel tubo di 5 in 5 minuti , perchè , essendo sensibilissimo, l'indice difficilmente stava fermo. Si toglieva in seguito rapidamente la pressione dirigendo un getto di vapor d'acqua nel tubicino h (flg. 1 ) e, notando la diminu- zione di volume, si continuavano a misurare gli sposta- menti di 5 in 5 minuti. La differenza delle medie delle indicazioni dell'indice di mercurio nei due casi, vale a dire con 0 senza pressione, divisa per la pressione hi metri e pel volume interno del recipiente, determinato con i soliti metodi , dava il coefficiente di compressibilità cubica del vetro per 1" di mercurio. La media di 5 determinazioni concordanti diede /3, = 0, 00003284. Non si ebbe differenza apprezzabile fra il coefficiente di compressibilità a 0" e quello a temperatura ordinaria. Il valore di ff^ da me trovato è sensibilmente più pic- colo di quello che con un metodo analogo trovarono per il loro recipiente Pagliani, Vicentini e Palazzo (1). Ciò forse (1) Memorie citate. ATTI Acc. VOL. xvm. 44 322 SULLA DILATAZIONE TERMICA dipenderà da questo che il mio recipiente, dovendo soppor- tare la pressione di 40 atmosfere circa (mentre i suddetti sperimentatori non andavano al di là di Sj^^'^S) era molto più piccolo e più robusto, e quindi meno compressibile (1). Non ho creduto necessario di determinare /S, a diverse temperature perchè ritenni la variazione di H, con le tem- perature trascurabile nel caso delle mie esperienze. La determinazione di tale variazione fatta da Pagliani, Vicentini e Palazzo pel loro piezometro hanno in seguito confermato la mia previsione: la variazione da essi trovata difatti ha influenza nelle loro esperienze perchè determinano compressibilità molto piccole; ma non potrebbe averne alcuna nella mia : corrisponderebbe ad una differenza di 2 unità circa nella 5" cifra decimale delle dilatazioni. RISULTATI Cifre sperimentali. Nel seguente quadro si trovano registrate le esperienze fatte con l'etere alle varie temperature. Nella prima colonna è riportato il numero col quale le esperienze vennero registrate nel giornale ; nella seconda la temperatura del bagno secondo il termometro a peso; nella terza la temperatura del bagno secondo il termome- tro campione; nella quarta la temperatura del cilindro iV; nella quinta la pressione ; nella sesta il volume W dell' e- tere; nella settima il rapporto ^"^ = i + a^ (1) Però, malgrado la sua robustezza, dopo eseguite le esperienze a 25'" tornato la mattina seguente a ripigliarle a pressioni elevate trovai 1' appa- recchio scoppiato; il recipiente, che la sera innanzi avevo lasciato intatto, era rotto in pezzi e caduto dentro il bagno, ed il mercurio sparso in minutissimi globuli fra le lamine dell'agitatore. Per questa rottura le esperienze con l'etere furono limitate a 30 atmosfere. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 323 Tavola I. T termometro a peso T termometro campione P W 1 1 bis 2 3 4 5 5 bis 6 7 7 bis 8 9 10 11 12 13 14 15 17 18 19 20 . 20 bis 21 22 23, 24, 25 26 27 28 29bis^ 38bis 0° 16°, 14 16° 29° 29° 0° 16° 29° 0° 16° 16° 29° 29° 54° 54° 69° 69° 84° 84° 84°, 94° 100° 14 70 70 11 66 23 23 66 66 76 76 72 72 50 50 50 88 93 0° 29°, 76 54°, 89 54°, 89 70°, 14 84°, 95 95°, 07 0° 0° 16°, 22 16° 29° 29° 0' 16° 29° 0 16° 16° 29° 29° 54°, 54° 70° 70° 85° 85° 85° 95° 101° 61° 29° 54° 54° 54° 70° 85° 95° 0° 21 82 82 19 77 25 26 74 74 92 92 01 01 02 02 02 29 04 32 84 93 85 93 22 20 90 0° 13° 0 1 m 07 5, 13° 8 1 m 24 5, 14° 7 1 m 24 5, 15° 0 ]m 40 5, 15° 5 1 m 40 5, 12° 5 Jm 07 5, 14° , 8 1 "^ 24 5, 15° 3 ^m 40 5, 14° , 1 gm 81 5, 13° 5 gm 95 5. 15° 1 gm 95 5, 15° 1 9™ 15 5, 15° 7 gm 15 5, 18°. 7 9m 25 6. 19° 7 9m 25 6, 20° 9 Qm 15 6. 21° 3 9m 15 6, 23° 9 9m 30 6, 20° , 5 9'" 20 6, 23° , 9 9m 20 6, 23° 4 9'" 50 6, 23° 9 9m 50 6, 13° 8 gm 70 5, 14° 4 gm 90 5, 15° 0 gm 70 5, 17° , 0 gm , 10 6, 18° 5 gm 90 6, Olo 2 gm 10 6, 23° 3 gm 40 6, 14° 8 16™, 65 5, 69522 83929 83925 96892 96900 69540 83934 96879 68712 82960 82973 95582 95595 22085 22184 40486 40570 60866 60775 60866 76190 86456 68627 82905 95590 22070 40859 61140 77140 67719 00000 02528 02529 04806 04808 00000 02527 04800 00000 02506 02508 04725 04727 09385 09401 12621 12635 16204 16188 16204 18899 20721 00000 02511 04741 09398 12703 16270 19083 00000 324 SULLA DILATAZIONE TERMICA Segue Tavola I. Numero d' ordine T termometro a peso T termometro campione t P W 1-hA 31, 40, 42 16°, 20 16°^ 42 13°, 8 16"S 75 5, 81724 ^ 02466 32, 41, 43 29°, 54 29°, 91 14°, 6 17'", 10 5, 94141 04653 34, 35, 44 54°, 81 55°, 06 16°, 6 17™, 35 0. 20238 09248 36, 45 69°, 69 70°, 17 17°, 17™, 20 6, 38368 12441 37, 46 84°, 67 85°, 39 20°, 0 17™, 40 6, 59064 16086 38, 48 95°, 01 95°, 41 90o 1 17™, 75 6, 73009 18542 ^gbia 0° 0° 14°, 1 23™, 10 5, 67003 00000 50 1G°, 13 14°, 3 23"', 40 5, 806G6 02410 51 29°, 62 14°, 9 23™, 70 5, 92801 04550 52 54°, 87 16°, 3 23™, 70 6, 18420 09069 53, 54 69°, 89 18°, o 24™ 00 6, 35777 12129 55 85°, 07 20°, 3 24™ 10 6, 55475 15604 56 95°, 17 21°, 9 24™, 70 6, G9911 18150 57 99°, 89 23°, 4 ~1 , 90 6, 76975 19395 Osservando la superiore tavola si scorge die le espe- rienze alle stesse temperature e pressioni sono assai concor- danti nelle diverse serie: anzi alcune diedero risultati cosi vicini fra di loro che si fece un solo calcolo per tutte. Dall'esperienza 50"'"' in poi non si determinò la tempe- ratura col termometro a peso perchè oramai i due stru- menti erano stati tante volte paragonati fra di loro, che si poteva facilmente alle indicazioni del termometro campione sostituire la media fra i due termometri. Le cifre ricavate dalle varie esperienze fatte quasi alla stessa temperatura sono così poco differenti fra di loro che se ne può benissimo prendere la media aritmetica senza ricorrere ad altro metodo d'interpolazione. Avremo così la seguente DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 325 Tavola II. T P W A 0 1'", 07 5, 69531 0, 00000 16", 17 1™, 24 5, 83929 0, 02528 29°, 75 1'", 40 5, 96892 0, 04805 0 8™, 75 5, G8669 0, 00000 16°, 26 8™, 95 5, 8294G 0, 02508 29°, 73 9-", 00 5, 95589 0, 04731 54°, 87 9-", 15 6, 22086 0, 09396 69°, 82 9"\ 05 G, 40638 0, 12653 84°, 85 9-", 15 6, 60927 0, 16221 95°, 36 9'", 45 6, 76665 0, 18991 100°, 98 9'", 50 6, 86456 0, 20721 0 16'", G5 5, 67719 0, 00000 16°, 31 16'", 75 5, 81724 0, 02466 29°, 72 17'", 10 5, 94141 0, 04653 54°, 94 17'", 35 6, 20238 0, 09248 69", 93 17'", 20 G, 38368 0, 12441 85% 03 17'", 40 6, 59064 0, 16086 95°, 21 17'", 75 6, 73009 0, 18542 0 23'", 10 5, 67003 0, 00000 16% 09 23''% 40 5, 8066G 0, 02410 29°, 55 23-", 70 5, 92801 0, 04550 54", 80 23™, 70 6, 18426 0, 09069 69% 76 24™, 00 6, 35777 0, 12129 84% 81 24™, 10 6, 55475 0, 15604 94% 98 24™, 70 6, 69911 0, 18150 99% 85 24™, 90 6, 76975 0, 19395 Perchè le cifre registrate nella tavola ir sieno para- gonabili fra di loro, e se ne possano costruire curve gra- fiche, bisogna che tutte quelle di uno stesso gruppo sieno ridotte alla stessa pressione. 326 SULLA DILATAZIONE TERMICA Ciò si Ottiene mediante semplici interpolazioni. P. es. dalla tavola IV abbiamo T P A 54% 87 9°% 55 0, 09396 54°, 94 17"', 35 0, 09248 54°, 80 SS", 70 0, 09069 La temperatura media è 54", 87; riducendo tutte e tre le dilatazioni alla stessa temperatura si ha T P A 54% 87 9"', 13 0, 09396 54% 87 17"% 35 0, 09237 54°, 87 28"', 70 0, 09080 Abbiamo facendo le differenze p Diff. A 8"', 20 0, 00159 14"', 55 0, 00316 Diff. per 1"' (media) 0, 0002056 Con essa correggeremo i valori sopranotati e trove- remo T p A 54°, 87 gin 0, 09399 54°, 94 18"' 0, 09255 54°, 80 25™ 0, 09041 Praticando nello stesso modo per le altre temperatu- re avremo la seguente tavola di dilatazioni ridotte a pres- sioni intere ed equidistanti. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 327 Tavola HI. T P A 0 1">, 00 0, 00000 IG», 17 » 0, 02529 29", 75 » 0, 04809 0 9", 00 0, 00000 16°, 26 » 0, 025IJ8 29°, 73 » 0, 04731 54°, 87 » 0, 09399 69°, 82 )> 0, 12654 84°, 85 » 0, 16223 95°, 36 ■f) 0, 19014 100°, 98 » 0, 20736 0 17™, 00 0, 00000 16°, 31 n 0, 02467 29°, 72 ù 0, 04655 54°, 94 « 0, 09255 69°, 93 » 0, 12441 85°, 03 » 0, 16094 95°, 21 » 0, 18580 0 25™, 00 0, 00000 16°, 09 )) 0, 02402 29°, 55 u 0, 04537 54°, 80 » 0, 09051 69°, 76 tt 0, 12100 84°, 81 » 0, 15570 94°, 98 1) 0, 18136 99°, 85 » 0, 19391 Con le cifre della superiore tavola ho tracciato le quat- tro curve A (tavola II) per poterne ricavare le dilatazioni alle stesse temperature per ogni pressione. Queste curve vennero costruite sopra un foglio di carta divisa in mil- 328 SULLA DILATAZIONE TERMICA limetri, di un metro quadrato circa di superficie, prendendo per ascisse le temperature e per ordinate le dilatazioni. Per le prime ogni grado era rappresentato da un centi- metro, per le seconde la quinta cifra decimale delle dila- tazioni corrispondeva ad un decimo di millimetro. I punti furono segnati con molta esattezza mediante l'intersezione di due sottili linee ad angolo retto e nel riu- nirle si pose ogni cura perchè le curve avessero un anda- mento regolare e continuo. I varii punti segnati per una stessa pressione si tro- varono tutti (eccettuato uno solo) disposti rigorosamente in curve molto regolari (1). Costruite esattamente le curve mi riuscì facile ricavar- ne le dilatazioni alle varie pressioni di 10" in 10" come sono registrate nella seguente Tavola IV. (2) ^3 e2 Dilatazioni alla pressione di Jm 9m 17m 25'n 0" 10° 20° 30° 40° 50" 60° 70° 80° 90° 100° 0, 00000 0, 01575 0, 03160 0, 04850 0, 00000 0, 01538 0, 03113 0, 04775 0, 06505 0, 08413 0, 10475 0, 12687 0, 15035 0, 17562 0, 20250 0, 00000 0, 01500 0, 03056 0, 04698 0, 06405 0, 08287 0, 10310 0, 12450 0, 14733 0, 17200 0, 19833 0, 00000 0, 01475 0, 03010 0, 04610 0, 06302 0, 08150 0, 10125 0, 12207 0, 14433 0, 16865 0, 19425 (1) Le curve A nella tavola II sono state ridotte alle dimensioni del foglio della stampa. (2) Questa tavola venne presentata alla R. Accademia dei Lincei in una nota preliminare il 1° Giugno 1884. Nella pubblicazione di essa però s'incorse in alcuni errori di stampa che furono riprodotti nel resoconto che di detta nota comparve nei Beiblatter. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 32U Chi lia seguito fin qui la descrizione dei melodi di mi- sura si persuaderà come questo cifre debbano essere as- sai vicine al vero. Certamente l'ultima cifra decimale non può essere garentita; ma io ritengo non presumere troppo neir asserire che nella quarta l'errore non può essere su- periore ad una o al massimo due unità. La tavola seguente dà 1 coefficienti medii di dilatazione alle varie pressioni , ricavate divìdendo le dilatazioni per le temperature. Tavola V. Temperatura Coefficienti medii di dilatazione alla pressione di 1'" gm 17'" 25'" 10" 20° 30° 40" 50° 60° 70° 80" 90" 100" 0, 001575 0, 001580 0, 001617 0, 001538 0, 001552 0, 001592 0, 001626 0, 001683 0, 001746 0, 001812 0, 001879 0, 001951 0, 002025 0, 001500 0, 001528 0, 001506 0, 001601 0. 001657 0, 001718 0, 001779 0, 001842 0, 001911 0, 001983 0, 001475 0, 001505 0, 001537 0, 001575 0, 001630 0, 001684 0, 001744 0, 001804 0, 001874 0, 001942 Forinole empiriche. Come sopra si è detto il Drion (1) tentò di rappresen- tare con varie forinole a tre coefficienti le dilatazioni da lui trovate per l'etere cloridrico. Egli non vi riuscì, e le cifre osservate e calcolate presentavano differenze notevo- lissime. Siccome però le dilatazioni trovate del detto spe- rimentatore dipendevano dalle variazioni tanto della tem- (1) Memoria citata. ATTI ACC. VOL. XVin. 45 330 SULLA DILATAZIONE TERMICA peralura che della pressione, essendo slate determinale alla pressione variabile prodotta dal vapore del liquido alle varie temperature , io lio creduto conveniente tentare di adoperare formole della slessa forma per le mie esperienze a pressione costante. Ilo seguito il metodo dei minimi quadrati modificato del Degen, (1) ma mi son dovuto accorgere clie le differen- ze trovate dal Drion sussistono anche nel mio caso. Ecco, per es. i valori della dilatazione a 9'" di pres- sione calcolate fra 10" e 100" con una formola della forma bt + cC (19 dove col metodo anzidetto si sono trovali a = 0,00-2483 h — 0,001272 e = 0,00000125 Tavola VI, Pressione 9°' •■■* TEMPEKATTJEA DILATAZIONI OSSERVATE DILATAZIONI CALCOLATE DIFFERENZE 10" 0, 01538 0, 01593 — 55 20° 0, 03113 0, 03082 + 31 30° 0, 04775 0, 04716 + 59 40° 0, 06505 0, 0649G 4- 9 50° 0, 08413 0, 08430 — 17 G0° 0, 10475 0, 10489 — 14 70° 0, 12G87 0, 12704 - 17 80° 0, 15035 0, 15063 — 28 00° 0, 17562 0, 17508 — (5 100" 0, 20250 0, 20217 + 33 (1) Vedi Naccari e Bellati — Manuale di fisica jiratica pag. 41. DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 531 Bisogna convenire che nella superiore tavola al di so- pra di 30" gradi le differenze, sebbene superino gli errori probabili di osservazioni, non sono molto rilevanti. Ciò non di meno tale formola non può applicarsi alle basse tempe- rature, ove le differenze sono già grandi; a 0" poi la diffe- renza diviene grandissima poiché a non è, come dovrebbe essere, eguale a 0". Una formola a tre termini della forma A — at + bt- + ce (30 trattata con lo stesso metodo diede a =- 0,0010098 b — 0,000001807 e — 0,00000003424 e ie dilatazioni registrate nella seguente Tavola VII. Pressione 9° 1 TEMPERAIUEA DILATAZIONI OSSERVATE DILATAZIONI CALCOLATE DIFFERENZE 0" 0, 00000 0, 00000 0 10" 0, 01538 0, 01531 -)- 7 20^ 0, 03113 0, 03119 — G 30° 0, 04775 0, 04784 - 9 40° 0, 0650-) 0, 06547 + 42 50° 0, 08413 0, 08429 — 10 60° 0, 10475 0, 10149 + 26 70° 0, 12G87 0, 12G28 + 59 80° 0, 15035 0, 14988 4- 47 90° 0, 17562 0, 17548 + 14 100' 0, 20250 0, 20329 + 79 Le differenze per le basse temperature sono piccole , ma al di là di 30" esse crescono notevolmente e superano di gran lunga gli errori di osservazione. 332 SULLA DILATAZIONE TERMICA Una forma logaritmica non diede migliori risultati. Si ebbe facendo log V = log (1 + A) = al + bf -H ce (51 e calcolando i coefficienti col metodo del Degen a = 0,00065275 b = 0,000000490 e = 0,0000000102. I valori di log v e ù\ v sono trascritti nella seguente Tavola Vili. Pressione 9" t log (,1+A) log (1+A) (1+A) (1+A) Diff. osservato calcolato osservato calcolato ir 0, 00000 0, 00000 1, OOOCO 1, 00000 0 10° 0, 00063 0, 0(3059 1, 01538 1, 01528 + 10 20" 0, 01331 0, 01333 1, 03113 1, 03118 — 5 30° 0, 02026 0, 02030 1, 04775 1, 047? 6 — 11 40» 0, 02737 0, 02772 1, 06505 1, 06590 — 85 50' 0, 03508 0, 03515 1, 08413 1, 08430 — 17 60° 0, 04326 0, 04315 1, 10475 1, 10447 + 28 70° 0, 05187 0, 05152 1, 12687 1, 12590 + 91 80° 0, 06083 0, 06062 1, 15035 1, 14978 + 57 90° 0, 07027 0, 07013 1, 17562 1, 17526 + 36 100° 0, 08008 0, 08043 1, 20250 1, 20347 — 97 Come si vede dalla superiore tavola tinche con questa forinola si hanno differenze abbastanza notevoli. Dopo questi varii tentativi rinunziai alla speranza di calcolare le dilatazioni mediante un'unica forinola e per ogni curva stabilii di trovare tre equazioni una delle quali (a) DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 333 rappresentasse il tratto fra 0" e 40", l'altra [b) quello fra 40° e 70° e la terza (e) quello fra 70° e 100". Esse sono della forma A = /3^ + ■yC + Si' (O) A = a^ + /3^ (/ — 30") + a, (t— 30"j» + 5, (t-m")' (h) A^a>.,-{-J3, (l — 60") + 7, (l — m-f + S, [t—GO-'y (C) (22 dove i coefficienti, per le dilatazioni a 9™ di pressione, cal- colati al solito col metodo di Degen hanno i seguenti va- lori: /3 =0,001520 •> =0,00000127 5 = 0,000000035 (a) a, =0,04775 ^,=0,001637 7, = 0,000009625 3,= 0,0000000275 (b) a, = 0,10475 yS, = 0,002140 7,, = 0,00000015 5,= 0,0000000325 (e) La concordanza fra i valori osservati e calcolati è in questo caso, come del resto era facile prevedere, veramente soddisfacente. Nella seguente tavola sono riportati i valori osservati e calcolati di a e le relative differenze. Tavola IX. Pressione 9" t A osservato A calcolato Diff. Formule 0° 10° 20° 30° 40° 40° 50° 60° 70° 70° 80" 90° 100° 0, OOOOO 0, 01538 0, 03113 0, 04775 0, 06505 0, 06505 0, 08413 0, 10475 0, 12687 0, 12687 0, 15035 0, 17562 0, 20250 0, OOOOO 0, 01536 0, 03119 0, 04769 0, 06507 0, 06505 0, 08412 0, 10478 0, 12687 0, 12686 0, 15039 0, 17555 0, 20251 0,00000 A -h 2 - 6 («) + 6 \ - 2 / '^ j 0 ) + ^ ) - 1 ) 334 SULLA DILATAZIONE TERMICA Per la pressione di 17'" adoperando le tre formole (22 e calcolando al solito i coefficienti si hanno «=0,00000 y3 =0,0014755 7=0,00000208 5= 0,000000015 (a) «,=0,04698 /3,=0,00I6087 ■>, =0,000010325 5,= — 0,0000000525 {b) «,=0,10310 ;3„=0,002072 'j.,=0,000n0G44 3,= 0,0000000325 {e) ed i risultati seguenti Tavola X. Pressione 17" t A osservato A calcolato Differenze Formole 0° 0, 00000 0, 00000 0, 00000 10" 0, 01500 0, 01498 + 2 \ 20° 0, 03056 0, 03000 — 4 30° 0, 04698 0, 04693 + 5 40° 0, 06405 0, 06407 o 40° 0, 06405 0, 06405 0 50° 0, 08287 0, 08286 + 1 ' ih) 1 60° 0, 10310 0, 10312 o 70° 0, 12450 0, 12449 + 1 70° 0, 12450 0, 12450 0 \ 80° 0, 14733 0, 14737 — 4 ì" 90° 0, 17200 0, 17195 + 5 100° 0, 19833 0, 19836 — 3 Similmente per la pressione di 25"" si ha « = 0,00000 /3 = 0,001449 7^=0,00000234 5= 0,00000002 (o) «^=0,04610 /3,= 0,0016054 7,= 0,000009092 3,= — 0,000000044 (/>) a, =0,10125 y3,= 0,002007 7.,,= 0,00000720 3,= 0,00000002 (e) e la seguente DEI LIQUIDI A DIVERSE PRESSIONI 335 Tavola XI. Pressione 25°" t A osservato A calcolato Differenze Forniole 0° 0, 00000 0. 00000 0, 00000 \ 10° 0, 01475 0, 01475 0 j 20° 0, 01^010 u, ( I3(J(J9 + 1 \'-" 30° 0, 04G10 0, 04(113 — 3 40° 0, IJG302 0, 06300 + 2 40° 0, 00302 0, 06302 0 ] 50° 0, 08150 0, 08149 + 1 ì , 60° 0, 10125 0, 10126 — 1 1 {b) 70° 0, 12207 0, 12205 + 2 ì 70° 0, 12207 0, 12206 + 1 ] 80° 0, 14433 0, 14443 — 10 ì .. 90° 0, 16865 0, 16848 + 17 103° 0, 19425 0, 19433 — 8 Coefficienti veri di dilatazione. Come si vede nelle tavole IX, X e XI le forinole che ci lianno servito a calcolarle danno risultati clie coincidono quasi completamente con le cifre osservate, ciò clie del re- sto era prevedibile attesa la molteplicità dei coetTicienti ado- perati. Noi potremo quindi servirci di tali forinole per il cal- colo dei coefficienti veri di dilatazione dell'etere. Differenziando le tre forinole (22 avremo (/A de = /3 33^^ 2jt ^^ = /S, + 2^, (t - 60') + 35, {t di - '^' rfA 30°)' 60°)' («) (23 336 SULLA DILATAZIONE TERMICA dove i valori /3, ^ , ,?; /S^, 7,, a,; a,, 9,, 3, sono quelli supe- riormente calcolati per le varie pressioni. I coefficienti veri di dilatazione calcolati con tali for- mole sono trascritti nella seguente Tavola XII. 1 a> P. S Sulla Enologia della Pityriasis Osservazioni e ricerche del Prof. PRIMO FERRARI. (cou sei figure) Comunicazione all' Accademia Gioenia eli Catania 26 Luglio 1885. Della xìitijriasi^ i dermatologi ne hanno fatte diverse varietà, confondendola così con dermopatie di natura diffe- rentisslma. Farmi infatti clie la pityriasis rossa di Hardy non sia altro che 1' eczema squamoso ; la rossa di Devergie Y ec- zema; la semplice od alba di Hardy la seborrea squamosa, 0 r eczema squamoso; quella dei lahescenti la seborrea dei cachettici; e la nigra del Willan non altro che un ipercro- matosì conseguente a cagioni diverse. Come ritengo assai meglio considerare la pilyriasis rubra di Hebra quale una dermatite esfoliativa; la rubra pilaris del Devergie un li- chen pilaris ; e la rosea di Gibert e Bazin un eritema po- limorfo a cui riferisco pur la forma circinnala di Hardy , e quella circinnala e marginata di Emilio Vidal. Per cui dal lato morfologico nella pityriasis non rav- viso che due sole forme cliniche essenziali ; cioè la forma erilernatosa, sotto le parvenze di pityriasis semplice, cir- cinnala, e margiìiala, e quella versicolore. Di quest' ulti- ma mi passo dal dirne , essendo ormai conosciuta la sua etiologia. Vengo invece a discorrere della forma eritema- tosa dal suo lato etiologico, essendo fino ad ora argomen- to di disputa. Studiando la pityriasis eritemalica notiamo dal lato cli- ATTi Acc. VOL. xvm. 49 364 SULLA ETIOLOGIA nico questi caratteri semiologici; 1. il prurito clie talflata diviene vivissimo sotto l'influenza del calore, o al seguito di eccessi nella tavola o neir esercizio del corpo: 2. che nella malattia v' é compromesso pure il follicolo pilifero; 3. che la dermatosi assume varia configurazione; 4. che talora ne conseguita 1' alopecia. Dal lato terapeutico inoltre osser> viamo mostrarsi sommamente giovevoli i parassiticidi. Que- sti fatti collimano precisamente con una malattia parassi- taria. Ma è veramente una dermomicosi la pityriasis di cui discorriamo ? Ecco quello che in questa mia comunica- zione intendo dimostrare. Però vediamo per un momento quello che è stato detto in proposito da chi mi ha precesso nello studio di questa dermatosi. Nel 1874 il Malassez (1) rese noto aver riscontrato nella pityriasis semplice del capo un parassita avente sede fra le cellule cornee dell'epidermide, e nel follicolo peloso di cui non oltrepassava il punto di sbocco dell' orifìcio delle glan- dule sebacee. Questo constava solamente di spore , d' ordinario al- lungate, e moltiplicantesi per gemmazione, di cui le più vo- luminose segnavano 4-5/^. nel loro più grande diametro; 2-5 f*. in larghezza. A questo micoderma l'istologo francese attri- buisce r incessante desquammazione, che ritiene dovuta in parte alla irritazione indotta da questi elementi nelle cellule stesse, per cui data una sovrattività evolutiva si genera una dilatazione del nucleolo, e per conseguenza atrofia del nu- cleo. Così attribuisce all' ostruzione del follicolo peloso (por- zione superiore dell orificio delle glandule sebacee) l'alo- pecia pityroide, fatto che egli non tanto ripete dall'infiltra- zione micotica, che impedisce il regolare sviluppo del pelo, quanto anche dall'irritazione del follicolo, specialmente vi- (1) Note per le champiguon du pityriasis simple (Arch. de physiol. et. 1884). DELLA PITYRIASIS 365 cino al bulbo, ove apportando un' ipertrofia ascendente delle pareti follicolari comprime il pelo e così oblitera il follicolo. Cinque anni dopo Emilio Vidal (1) comunica alla So- cietè de Biologie (4 Luglio 1S79) che pur esso ha consta- tato alla periferia delle squamme più superficiali di tre casi di pityriasis delle piccolissime spore di 1-3 ]«.. Sebbene i tre casi assomigliassero alla pityriasis del Gibert, pure, secondo lui, eran casi decisamente diflferenti, tanto che credè dargli il nome di pityriasis circinnata e marginata attribuendola a queste spore che chiamò microsporon anomoeon (micro- sporon dispar). In quella seduta pigliando però a parlare su questa scoperta il Cornil disse, non poter convenire sulla specificità del microsporon del Vidal, perchè parassiti ve- getali pur si riscontrino sopra l'epidermide sana. Per con- verso il Malassez riferiva aver osservato al microscopio delle squamme di certe macchie che portava un individuo e che avevano la tendenza di guarire al centro e di esten- dersi alla periferia, dove scorse delle numerose spore, delle quali alcune erano voluminose, ovoidi, da 4-5 i<^. di diame- tro. Narrò poi come la malattia abbandonata a se stessa si estese, curata con lozioni di sublimato corrosivo rapida- mente guarì, quindi doversi attribuire a questo fungo 1' a- lopecia pityroide. Intanto nel 1882 E. Vidal ritornò sull'argomento con una special memoria (2), ed in questa innanzi tutto dice che le spore di Malassez non essendo ancora state classate dai naturalisti erano da ritenersi della stessa specie di quelle conosciute sotto il nome di spore banali da Nystròm, e che si riscontrano in tutte le desquammazioni epidermiche, nelle croste, e perfino nella pelle sana, e mescolate ad altri mi- codermi, cosicché egli ritenerle della rotula vulgaris. In- (1) Ann. de Dermat. et de Syphil. 1882. (2) Du pityriasis circinè et margine et. (Ann. de Derrnat. et. 1882) 366 SULLA ETIOLOGIA vece considera perfettamente definito il suo parassita, cioè il microsporon anomoeon , che visto con l' obiettivo 10 Hartnack consta di spore rotonde di 1 \>- ed eccezionalissi- mamente 3 iw.. di diametro. A questi caratteri morfologici Vida! aggiunge: 1. L'estrema piccolezza delle spore congiunta ad una irregolarità di volume particolarissima, che I' ha suggerito il nome di microsporon anomoeon, o dispar; 2. La disposizone in cerchio attorno alle cellule epider- moidali ; 3. La rarità di catene di spore; 4. L'assenza; almeno la rarissima presenza di mi- cello. Il medico dell' Ospedale S. Luigi ritiene che il suo mi- crosporon alberghi sullo strato superficiale, e sopratutto nel- lo strato medio dell'epidermide, e dice averlo pur rinve- nuto mescolato ad avanzi epiteliali sotto forma di guaina biancastra attorno al pelo nel punto di sua uscita. Così trovò infiammato il follicolo , e questa forma di pityriasis la osservò sulla faccia, nella barba, ed anco sul collo. Intanto sui primi del passato anno il prof. Bizzozero (1) ci avverte aver trovato nella forfora, che in copia si stacca dalle regioni riccamente provviste di peli (capillizio, mento, labbra, pube) tre forme vegetali; r cellule sferiche, di svariata grossezza, che con un diametro medio di 3 , 5 i<^. — 4, 5 /*. presentavano diametri estremi oscillanti fra 2 , 5 — 5,8/*- 2° cellule ovali del diametro di 3, 3 — 3, 5 /*. in lunghez- za a 2, 3 — 2, 6 /^. in larghezza. La mancanza assoluta di filamenti micelici, la loro moltiplicazione per gemmazio- ne fecero ritenere all'illustre istologo italiano, che questo (1) Sui microfiti dell' epidermide umana normale (Gaz. degli Ospedali 1884, n. 29). DELLA PITYRIASIS 367 vegetale assomigliasse al saccaromyces, per cui presentan- do due forme, la sferica e l'ovale lo chiamò saccaromyces. sferico ed ovale, secondochè l'una o l'altra forma doves- se enunciare. 3. micrococchi e batteri. Del resto però il prof. Bizzozero non accorda al sac- caromice alcun valore etiologico nella produzione di morbi cutanei, dappoiché l' abbia trovato in tutte le forfore di molti individui che esaminò. Queste osservazioni e dichiarazioni di un uomo così competente in siffatta materia di studi, mossero il prof. C. Pellizzari (I) a ripeter queste ricerche specialmente in confronto delle spore di una notevole dimensione, che ave- va rinvenute aggruppiate soltanto in due casi d' incipiente Area Gelsi. Datosi quindi ad esaminare la forfora d' indi- vidui sani trovò a confermare le osservazioni del Bizzozero, d'onde se ciò non servì per intiero a togliergli l'idea del parassitismo dell' Area Gelsi, tuttavia si modificò nel der- matologo dell' Università di Pisa quella riguardante il suo fungo. P'rattanto il Klamann recentemente credette di sta- bilire un rapporto etiologico fra questi funghi e la pityriasis semplice (2). Questo dunque è quanto, ch'io mi sappia al- meno , è stato fatto fin qui sulla etiologia della pityriasis. Ora eccomi a dire quello che ho fatto io. Presa la forfora del capo di diversi individui, tutti sani, la tenni nel bagno ad alcool assoluto per sei ore ; dopo per due giorni nell'etere; quindi per tre ore dinuovo nell'al- cool assoluto. Dopo questa prima preparazione posta una goccia della soluzione di acido acetico ( 50 O/o ) sopra il (1) Note dermosifilograficlie. Comunicazione alla Società tra i cultori delle scienze mediche di Siena, 1884. (2) Allg. med. Central Zeitumj, 1884. 368 SULLA. ETIOLOGIA portoggetti vi deposi la squamma epidermica che dopo 15 minuti coprii col coprioggetti. Feci parimente le colorazioni, ora con 1' eosina, ora con il metil violetto, ed ora finalmente con la fucsina; impie- gando della prima la soluzione alcoolica in soluzione ac- quosa, 0 di glicerina, e delle altre due la soluzione acquosa debolissima. La colorazione è stata fatta dopo che è stata evaporata la soluzione di acido acetico dove per 15 minuti era stata posta prima la squamma epidermica da esami- nare. Con r eosina ottenni i migliori preparati, e special- mente con la soluzione in glicerina. Per r esame microscopico adoperai 1' oc. 4 — ob. V12 Zeiss a imm. omogenea ad olio, con tubo alzato, e talvolta r oc. 4 — ob. a imm. 7i5 Hart. Da queste ricerche rilevai: 1. Accumoli qua e là di spore sferiche, del diametro circa 2, 5, t^- — 5, 8 i^. miste ad altre più piccole di forma ovale (flg. V — a, b). 2. spore più piccole delle precedenti, disposte alcune in catena attorno alle cellule epidermiche, altre, ed in mag- gior numero disperse sulle lamelle epidermoidali dove talune apparivano disposte in serie (flg. V — e). 3. le spore sferiche ed ovali, notate per le prime, mo- stravano la loro proliferazione avvenire per gemmazione, siccome ne è argomento il veder qualcuna di loro provvi- sta di un globicino, 0 gemma, alla loro periferia (flg. T b, e). 4. mancanza assoluta di filamenti miceliali. 5. coi suddescritti elementi presenza pure di molti mi- crococchi (fig. r — /■). Recentemente avendo esaminate le squamme di una forma di pityriasis marginata , 0 come la dico io , di una pityriasis eritematica , sotto forma orbicolare , in un indi- viduo che fa la professione del panattiere, trovai: DELLA PITYRIASIS 369 1. che le cellule epidermiche erano cosperse di mol- tissime spore piccolissime, di forma prevalentemente ova- le, allungata, 2. questi elementi micotici non presentavano alcuna particolarità neppure nella loro disposizione ; solo che qual- che sporula stava attaccata ai margini epiteliali. Nessun micelio, rarissimo qualche batteride. La flg. 2° dà un'esat- ta idea di detti microrganismi, veduti con l'oc, 4 — ob. a imm. omogenea 7i2 Zeiss. In un soldato che avea un'eruzione pruriginosa e squam- mosa alle natiche , vi rinvenni parimente il saccaromyces sferico, ma prevalenti le forme ovali, e tra queste le più piccole (flg. 5"). Dunque ricostruendo il sin qui detto, si ha, che Ma- lassez osservò nella pityriasis capitis delle spore rotonde ed ovali, parassita conosciuto a l'hòpltal S. Louis col nome di spore del Malassez, che parimente il Prof. Bizzozero riscontrò nella forfora spore ovali e sferiche, che per la mancanza di micelio, e la loro moltiplicazione per gemma- zione rassomigliò al saccaromyces ; che finalmente anco il Vidal riscontrò in una forma di pityriasis delle spore ro- tonde aventi in media 1, /^ , o al più 2, i^- — 3, f. Se però si esaminano le descrizioni ed i disegni che delle loro spore danno il Malassez, ed il Bizzozero, si vede benissimo che queste non sono che i criptococchi della psoriasi del Prof. Rivolta dell'Università di Pisa, scoperti da lui sino dal 1868, e quindi prima, che di questo fungo ne parlassero, e il Malassez, e poi il Bizzozero. E di ciò ve ne persuaderete di leggieri tuttavolta vogliate consultare r opera del Rivolta « I parassiti vegetali. » Tav. vr flg. 165-169-174. Paragonate tutte queste figure, e vedrete che rappre- sentano, almeno dal lato morfologico, lo stesso fungo, quel 370 SULLA ETIOLOGIA fungo eh' io pure lio riscontrato nella pityriasis eritemati- ca, e il cui disegno vien rappresentato dalla figura l\ Però vengono a considerarsi, sempre dal lato etiolo- gico della pityrisias eritematica , le spore del Vidal , già menzionate. E sopra queste spore viene la domanda natu- ralmente , se sono lo stesso fungo, oppure micromicete diverso; perchè allora in questo secondo caso il microsiio- ron clispar del Vidal avrebbe la sua giusta determinazio- ne. Vediamolo. Le spore del Vidal le vediamo noi nella figura P e), e nella flg. 5*. Queste per mio conto non sono altro che le spore del Vidal, riscontrate nella particolar forma der- mopatica , da lui appellata , come avete già inteso , pity- riasis circinnala e marginata. Noi morfologicamente abbiamo già stabilita , identità biologica tra le spore di Malassez , e quelle del Bizzozero e del Rivolta. Rimane quindi vedere se questa stessa iden- tità passi pure con le spore di Vidal. Per ciò fare e con quella chiarezza che è così necessaria in simili disquisizio- ni, parliamo prima dell'istologia di questi due funghi. In- tanto giova avvertire, che avendo io già stabilita l'identità morfologica delle spore di Malassez, di Bizzozero, e di Ri- volta descriverò questo fungo sotto il nome di saccaro- myces furfur , come sotto il nome di microsporon ano- moeon quello di Emilio Vidal. Saccaromyces furfur. I saccaromyces altra volta confusi con le Alghe, sotto il nome di Criptococchi, o con dei funghi riuniti sotto il nome di Hormiscium, e di Torula, formano oggi un ge- nere di funghi ben delimitato e ben definito. Carattere loro comune è di presentarsi sotto forma di cellule senza micelio e di moltiplicarsi per gemmazione. Queste cellule DELLA PITYRIASIS 371 sono sferiche . o ovali , e constano di una membrana cel- lulosa e di un protoplasma il più spesso granuloso. Con l'età si origina nel loro interno un secondo inviluppo. Tutti questi funghi monocellulari si moltiplicano nei li- quidi fermentescibili. Il Bizzozero ha notato , che nelle cellule sferiche, se l'esame vien fatto in gticei'ina, i due contorni della membrana appaiono palesi, ma l'interno si distingue per esser di un poco pia lucente e grosso dell'esterno , e per apparire come linea tratto, tratto in- terrotta. Questo fatto 1' ho verificato io stesso colla colora- zione dei preparati nella soluzione alcoolica d' eosina con glicerina (20 7o)- Questi punti di discontinuità si mostrano splendentissimi , come tante goccioline di tersissima acqua (flg. V d). Il prof. Bizzozero avrebbe notato inoltre che la colorazione mette in evidenza una membrana che involge la cellula e che è attraversata da molti fori. Siccome la cosa è importante mi servirò nella descrizione di questa delle stesse parole dell'illustre autore. « Io non credo, di- ce egli, che questo strato cribroso costituisca da se solo la membrana cellulare, o con altre parole che i fori si aprano alla superficie della cellula. Questa mia opinione si fonda su quanto si può osservare preparando la forfora in glice- rina leggermente colorata con azzurro di metilene, e tenen- do dietro al colorarsi della cellula si scorge chiaramente che i primi indizi di colorazione azzurra si hanno in corri- spondenza del contorno interno della membrana cellulare, il quale come già dissi anche nella glicerina non colorata spicca, perchè più grosso e lucente del contorno esterno, e perchè sotto forma di linea interrotta. La colorazione va facendosi più intensa , e così cominciano ad apparire nel fondo azzurro i fori incolori. Arriva un punto in cui lo stra- to cribroso è già ben distinto tanto se esaminato di fronte, quanto se veduto di coltello ai contorni della cellula, e in cui , tuttavia appare chiaramente, che all' esterno di esso ATTI ACC. VOL. xvin. 50 372 SULLA ETIOLOCtIA sta ancora uno straterello continuo ed incotoro. Aumen- tando ancora l'intensità dell'imbibizione il delicato contor- no esterno si sottrae alla vista, probabilmente pel solo ef- fetto ottico per la slessa ragione per cui per es. non si può scorgere la membrana di una cellula adiposa quando questa è distesa dall' apide. Però l'averlo visto per un cer- to periodo basta a dimostrarci che nella membrana cellu- lare c'è uno strato interno di costituzione chimica diversa da quella dello esterno , inquantochè mentre è 1' ultimo a venire a contatto con 1' azzurro di metilene, è, per con- verso il primo ad imbibirsene ; e basta inoltre a renderci probabile che i fori si limitano al solo strato interno della membrana » (1). Io veramente vi avrei osservato soltanto qualche punto incoloro (uno, due) come se fossero delle vacuole (flg. 1* — g) del resto quando 1' osservazione è stata fatta da un uomo così autorevole in simili ricerche, come il prof. Bizzozero, io non ho che accettare il fatto senz'altro, tanto piiì che le mie investigazioni sono state fatte con poteri ottici infe- riori a quelli impiegati dall' illustre istologo torinese. Microsporon anomoeon (dispar) di E. Vidal. ' Noi già poco avanti abbiamo appreso la struttura isto- logica di questo parassita ci rimane a sapere quale valore debba attribuirglisi come elemento patogeno nella produ- zione della pityriasis. Sino dal principio abbiamo detto , che la pityriasis offriva dal lato clinico dei caratteri semiologici importanti per caratterizzarla una dermatosi parassitaria ; prurito , polimorfìa, alopecia; più la terapeutica confortava questa idea, giacché si mostravano utili i parassiticidi, fra i quali specialmente il sublimato, ed il turbitto minerale. (1) Loc. cit. DELLA PITYRIASIS 373 È vero che ultimamente il dottor Bordoni Uffreduzzi comunicò le sue ricerclie di coltura e d' innesto su questo parassita all' Accademia di Torino, ove egli trovò sempre negativi gli effetti negli innesti col materiale di cultura sui bruti, (cavie, conigli). Ma siccome noi sappiamo che la re- cettività è differente nei diversi animali come è nell' uomo, anco per le malattie le più contagiose, e siccome può dipen- dere la prova negativa da molteplici cause sconosciute, gli esperimenti negativi del medico di Torino non mi sembrono risolvere definitivamente la questione, mentre per la con- tagiosità e patogenia del saccaromyces mi sembra che vi Steno d'altro lato tanti altri fatti più concludenti da non potere dubitare della sua virtù patogena. Invero la contagiosità mi sembra poi bastevolmente provata anco dal trovare sempre il saccaromyces nella pity- riasis del capo e della barba, e dal vedere spesso affetti dalla stessa dermopatia più individui della medesima fa- miglia. Piuttosto se una considerazione a farsi è, mi pare sia questa. Noi abbiamo trovate tre forme cellulari; 1. spore sferiche ; 2. spore ovali ; 3. spore ordinariamente ovali, ma più piccole delle precedenti. Ora di queste tre for- me quella sferica e ovale del saccaromyces 1' ho osser- vata soltanto al capo ed alla barba, quelle più piccole di Vidal nelle parti glabre del corpo. Cosicché secondo le mie ricerche cliniche ed istologiche , la pityriasis eritematica delle parti pelose sarebbe dovuta al saccaromyces quella delle parti glabre al microsporon dispar di Vidal. Vera- mente ho riscontrato il saccaromyces sferico anco in un caso di pityriasis versicolore (fig. 4', 6°), ed in un caso di pityriasis del corpo (fig. 5*). Ma ciò io ho attribuito al trasporto di questi elementi dal capo in quelle località per mezzo delle unghie nell' atto del grattamento. Ed in ciò io mi convinco quando con gli elementi del microsporon furfur, 374 SULLA ETIOLOGIA rinvengo quelli del microsporon minutissimum ed il saoca- romyces (flg. 4"). Trattando, come poscritto, ma necessario a maggior chiarezza della mia tesi , debbo inoltre qui accennare ad un'altra dermatosi conosciuta sotto il nome di tigna pela- de , di alopecia arcata, di Area Gelsi. E ciò faccio perchè è a sapersi come da taluno si sia creduta parassitaria, da altri, e questi sono i più tra i quali io pure milito, quale una dermopatia tronfoneurotica. La relazione di discussio- ne che può aver questa malattia con la pityriasis è que- sta, che Malassez ci descrive nel 1874 (1), come elemento potogenetico dell'Area Gelsi un fungo al tutto simile al sac- coromyces sferico. Potrei domandare, si trattava allora prima di tutto di una vera Area Gelsi , o di un alopecia pityroide? Ma questa domanda mi guardo dal farla, quan- do il trovare il detto parassita nell'Area Gelsi non vuol dire per questo che sia parassitaria, s'intende benessimo che mentre si ha l'Area Gelsi per un disturbo trofico li pa- rassita che vi ha stanza abituale sul capo, possa talora in- filtrarsi nel follicolo del pelo. Del resto Balzer e Dobreuilh dicono che le spore rotonde della pelade si rinvengono pure nei comedoni antichi. Anco il prof. Majocchi avrebbe fatto osservare queste spore nell'Area Gelsi, ritenendole come elemento essenziale della tigna pelade (2). Io stesso ve l'ho riscontrate in un caso di tigna pelade (fig. S^'—a), ma le ri- tengo accidentalmente penetrate nel follicolo assieme alle spore del mucor glaucus (fig. 3"— (%&^zùi.y&:%ÌMM Sulla composizione chimica di alcune rocce eruttive comprese tra il Lago Maggiore e quello d'Orta. Ricerche del Prof. L. RICCIARDI (Memoria letta all'Accademia Gioenia il di 17 Maggio 1885). Stopparli (1), parlando dello sviluppo cronologico dei porfidi, così si esprime: « I porfidi, ricchi sovente di quarzo, si avvicinano ta- lora siffattamente al granito da rimanerne insieme confusi. Questa multiforme famiglia vanta anch'essa origini an- tiche; ma il suo massimo sviluppo l'ottenne dopo le roccie granitiche, e figura in genere come piiì recente. Noi troviamo dei porfidi antichissimi nelle Alpi, inter- stratificati alla zona cristallina, o in ciottoli entro le pud- dinghe d' epoca carbonifera, e forse più antiche. In Inghilterra appaiono già cogli schisti primitivi (epoca protozoica) come si mostrano negli strati cambriani della Galles, e alternano cogli strati a Lingula (Cambriano Su- periore) sul Cader Idris. In Boemia i porfidi dividono il cambriano dal silu- riano. Le eruzioni porfiriche continuano col devoniano nella Scozia, nella Russia, nella Wesfalia, e prendono grande svi- luppo col carbonifero in Germania e probabilmente in Nor- vegia. Lo zenith dei porfidi è però il periodo permiano. A.d un intervallo tra il carbonifero e il permiano si riferiscono 1 porfidi della Scozia ed al permiano stesso quelle miriadi di masse porfiriche, quei veri diluvi di porfidi della Boemia, (1) Corso di Geologia. V. III. p. 403. Milano 1873. ATTI ACC. VOL. xvin. 52 388 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA dei Carpazi, de' Vosgi, delle Alpi, ove singolarmente si am- mirano le ingenti masse dei porfidi del Tirolo e del Lago di Lugano. Le eruzioni porflrictie continuano poi, ben nutrite, nel- r epoca del trias; sicché ne troviamo nel trias medio e supe- riore del Banato e delle Prealpi lombarde le quali rap- presentano un vero distretto vulcanico dell' epoca del trias, ove si producevano principalmente porfidi anflbolici. Nelle Prealpi stesse, nominatamente a Gaudino, i por- fidi continuarono le loro eruzioni nell' infralias. I più recenti si troverebbero, ma assai dubbiamente , nel Mas delle Alpi e della California. Sui porfidi compresi tra il Lago Maggiore e quello d' Orta di recente è comparso uno studio accurato del chia- rissimo Prof. Giuseppe Mercalli , studio compreso nell'in- teressante memoria Su alcune rocce eruttive comprese tra il Lago Maggiore e quello d' Orta , che il medesimo leg- geva al R. Istituto Lombardo nell'adunanza del 29 Gen- najo 1885 (1). II Prof. Mercalli però ha studiato i porfidi in parola dal lato geologico soltanto e per quanto mi sappia nessu- na ricerca chimica è stata ancora fatta sui medesimi. E ri- tenendo importante il far conoscere la composizione chimica dei porfidi del Lago Maggiore e quello d' Orta mi proposi di eseguirne 1' analisi. Pregai perciò il chiaro professore di volermi favorire i campioni di porfidi enumerati nella memoria di lui, ed egli gentilmente si compiacque farmeli avere, e di ciò gliene rendo grazie pubblicamente. Mi corre poi l'obbligo di dichiarare che nel riferire sul- la composizione chimica dei porfidi compresi tra il Lago (1) Eendiconti del R. Istituto Lombardo Serie II, Voi. XVIII. fase. Ili, anno 1885. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 389 Maggiore e quello d'Orta, farò precedere le indicazioni e la descrizione fattane dal chiaro geologo. Porfidi del Lago Maggiore. Nel bacino del lago Maggiore il porfido affiora in tre località: ad Arona, ad Angera e ad Arolo. Ad Arona la formazione porfirica consta di due parti : diversi tufi e conglomerali jwrfirici inferiori, ed il porfido in massa. • Il porfido in massa è immediatamente sottoposto al calcare dolomitico triasico di Arona, e, a quanto pare , è in banchi concordanti con questo. 11 calcare, infatti, è in strati inclinati a sud-est per 35° a 40", ed il porfido si in- sinua sotto il calcare, in modo che al basso si avanza più che all' alto verso sud ossia verso Arona. Fra il calcare dolomitico ed il porfido non ho trovato il conglomerato, menzionato dai signori Pareto ed Ombo- ni. (1) Invece rinvenni una formazione detritica di notevole potenza compresa tra il porfido ed i micascisti, e che, fi- nora non vidi accennata dai geologi , che parlarono dei dintorni di Arona. Il porfido in massa comincia 250 metri circa prima del colosso di San Carlo e continua fin presso Dagnente: ha quindi uno spessore un po' maggiore di 1 chilometro e 1/2. Tutta questa potente massa porfirica rappresenta od una colata unica, o diverse colate sgorgate da una mede- sima bocca eruttiva, perchè la roccia è molto uniforme e continua. É un porfido quarzifero di colore rosso mattone 0 rosso leggermente vinato con cristalli di feldspato ortose e cristalli di quarzo, spesso grossi e bipiramidati. (1) Omboni, Sul terreno erratico della Lombardia. Atti Soc. it. di Se. nat., t. II. 1859. Pareto — Bull, de la Soc. Geol. de France, t. XVI an. 1858. 390 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA In qualche punto la massa porfirica prende colori sva- riatlssimi varianti dal rosso al verde, al giallo, al bianco, per effetto della decomposizione, o delle trasformazioni chi- miche, cagionate specialmente dagli agenti meteorici. In qualche punto ho raccolto il porfido perfettamente caoli- nizzato. La formazione detritica compresa tra il porfido in mas- sa ed i micascisti, è formata da due roccie diverse. Supe- riormente, cioè presso il porfido, risulta da pezzetti di por- Mi, tenuti insieme da un detrito molto fino e d' aspetto fangoso, eh' io ritengo di origine non acquea ( mancando affatto gli elementi rotolati) ma endogena ossia formato dalle materie detritiche eruttate prohabihnente in mare. La roccia in discorso è compatta, ma poco consistente, e presenta colori diversissimi (rosso verdognolo, giallognolo grigio, ecc. ) sfumati 1' uno nell' altro senza limiti precisi. Lo ritengo quindi un tufo porflrico varicolore, da av- vicinarsi a quelli già noti di Fabbiasco e Grantola, ai quali corrisponde probabilmente anche per 1' epoca di formazione ( triasica ). Nella parte superiore della formazione detritica mi pare che qualche banco di porfido alterni col tufo porfl- rico. Il che verrebbe a confermare che quest' ultimo rap- presenta la forma detritica dei materiali eruttati. Al di sotto del tufo porflrico si trova un' arenaria for- mata da ciottoletti rotolatti di quarzo, di micascisto, di porfido color cioccolatte e quasi nero (1) ecc.; una roccia insomma d' origine evidentemente esogena. Questa arenaria alterna con un conglomerato, pure bruno, formato da pezzi di porfido grossi 10 e più cm. (1) Questi porfidi colore cioccolatte non esistono in posto presso Arona, si incontrano però sopra Invorio superiore, come dirò più innanzi. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 391 La formazione porfirica descritta, poggia discordante- mente sul micascisto, clie comincia un poco a sud di Moina. Questo micascisto, infatti , è contorto , piegliettato (1), ed In strati variamente inclinati, formanti probabilmente una sinclinale; poiché a sud di Meina pare che essi inclinino a sud-est ; nella valle del Tiasca invece inclinino a nord- nord -ovest. Orbene, né i calcari di Arona né la forma- zione porflrica sottoposta mostrano di avere partecipato a queste azioni meccaniclie. Mi pare quindi che la forma- zione porflrica sia posteriore non solo alla formazione dei micascisti, ma anche al loro sollevamento. Ad Angera abbiamo, come ad Arona, il calcare dolomi- tico, che forma la Rocca d' Angera, il porfido in massa e diverse rocce elastiche con elementi porflrici. I banchi di calcare dolomitico di Angera sono eviden- temente la continuazione di quelli di Arona. In ambidue le località gli strati inclinano a sud-est, e risultano supe- riormente di una breccia calcarea , inferiormente da un calcare in massa rossigno suscettibile di polimento. Questa breccia calcarea tanto ad Angera come ad Arona manca di elementi porflrici ; il che prova che il cal- care é posteriore alla emersione dei porfidi, ma non al loro sollevamento. Sotto il calcare dolomitico di Angera segue immedia- tamente, verso nord, un tufo porfirico rosso alternante con banchi di porfido in massa. Il tufo é costituito da pezzi di porfido tenuti insieme da un fino detrito, probabilmente di natura porfirica, ripieno di piccole sferule. Presenta anche qua e là cristallini cubici di pirite. La massa del monte San Quirico è formata da un por- (1) Un bel esempio di piegliettamento a V si vede in una cava abban- donata al principio della strada che da Meina conduce a Ghevio — Il mi- cascisto della Valle del Tiasca è dissenainato da numerose Tormaline. 392 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA fido quarzifero rosso molto simile a quello di Arona. Verso il lago, al disotto del porfido, affiora una roccia detritica verdognola , contenente rari pezzetti di porfido , cristallini di feldspato, pezzetti di quarzo e di un minerale verde mol- to molle, alcune rare pagliette di mica, e qualche cristallo isolato e ben conservato di magnetite. Questa roccia non fa nessuna effervescenza all' acido cloridrico. Siccome , andando da sud a nord, si incontrano prima il calcare , poi i tufi , infine il porfido ; pare che ivi i tufi porfirici sieno superiori al porfido in massa ossia siano compresi tra esso ed il calcare dolomitico; mentre abbia- mo visto che ad Arona sono certamente inferiori. Dico pare, perchè è probabile invece che essi formino la gamba anteriore e meridionale di una anticlinale. la cui gamba settentrionale risulti dai tufi stessi e da un banco di por- fido in massa ad essi superiore. In ogni modo, ad Angera i rapporti tectonici dei porfidi e del conglomerato e tufi annessi tra di loro e col calcare triasico sono notevolmente diversi che ad Arona. Il che mi fa sospettare che la concordanza che osser- vai ad Arona tra la dolomia e la formazione porfìrica non sia che apparente. La formazione porfirica di Arona si stende ad occidente fino quasi ad Invorio superiore sempre formata a sud di porfido in massa, ed a nord, da tufi e conglomerati por- firici. Presso Montrigiasco, per esempio, a sud si trova un porfido rosso mattone; a nord invece, tra Montrigiasco e Ghevio, si vedono molto sviluppati dei tufi porfirici verdo- gnoli, simili a quelli di Dagnente. Presso Ghevio , trovai erratico un masso di tufo porflrico , notevole per i nume- rosi e ben conservati cristallini di feldspato rosso, che con- tiene. Il porfido di Montrigiasco somiglia per il colore a quel- DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 393 lo di Arona, ma ne differisce, perchè non presenta che pic- coli e rari cristalli di quarzo, e perchè i cristallini di feld- spato non sono rossi, ma vitrei. Una profonda abrasione degli strati cenozoici e meso- zoici ha messo a nudo la formazione porflrica alla punta di Arolo. Questo affioramento serve di anello tra le formazioni porfìriche del luganese e quelle di Arona-Gozzano. 11 porfido di Arolo si distingue da quello di Angera- Arona, perchè non presenta cristalli macroscopici di quar- zo (1), e di più la pasta non ha colore rosso mattone, ma rosso cioccolatte ovvero grigio. I cristalli di feldspato sono generalmente, bianchi per decomposizione. A nord del porfido in massa affiora, su breve esten- sione, un conglomerato porfirico di colore rosso vinato , molto alterato e decomposto. RICERCHE CHIMICHE Porfido di Arona. Questo porfido ridotto in polvere conserva il colore della massa, ma per l'azione del calore prende una tinta rosso-mattone chiaro. Porzione di polvere trattata a caldo con gli acidi mi- nerali viene parzialmente decomposta. Alcuni frammenti di porfido calcinati perdono il colore roseo e divengono di color bianco sporco. La composizione centesimale del porfido roseo di Arona del Lago Maggiore è la seguente : (1) Presenta però piccole geodi di quarzo. 394 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA Si02 76,94 A1203 . . . , . 12,20 Fe^O^ + FeO . . .. • 2,34 CaO 0,57 MgO 0,32 K^O 4,65 Na-^O 1,47 Perdita per calcinazione (acqua) 1,15 99,64 Densità a4-17°C. (con gr. 1,443 di sostanza) = 2,451. Porfido di Arona , strada Lacuale , un poco a nord della fornace di calce. Il porfido polverizzato è di color rosso mattone chiaro, Glie per la calcinazione acquista uila tinta più oscura. Con gli acidi si comporta come il precedente. Composizione centesimale. SiO^ Fe'O^' FeO. CaO. MgO K*0. Na^O Perdita per calcinazione 72,10 13,98 2,08 2,38 2,41 1,02 3,29 1,07 1,65 99,98 Densità a -f- IS'C. (con gr. 1,583 di sostanza) = 2,551. Porfido di Angera. La massa ridotta in polvere è di color rosa chiaro che diventa più oscura per l'azione del calore. Con gli acidi si comporta come i precedenti. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 395 Composizione centesimale. SiO-. 75,05 Al'O^ . 13,16 Fe=0-^ . 1,63 FeO. . 3,07 CaO. . 1,80 MgO • 0,38 K^O. . 2,58 Na=0 . 0,92 Perdita pt ;r calcinazione 1,57 100,16 Densità a -f- 18°C. (con gr. 1,742 di sostanza) = 2,468. Porfido di Arolo. Polverizzato è di color cretaceo che dopo la calcina- zione diventa di color rosso mattone. Gli acidi decompon- gono parzialmente il porfido polverizzato. Composizione centesimale. SiO- 74,58 AIW .... 13,31 FeW + FeO . 1,31 CaO 1,48 MgO .... 0,54 K=0 4,73 Na-0 .... 1,34 Perdita per calcinazione . 2,84 100,13 Densità a + 19°C. (con gr. 1,643 di sostanza) = 2,505. Porfidi di Briga, Gozzano e Bolzano. Tra Briga, Gozzano ed Invorio inferiore si stende una massa di porfido quarzifero, colore rosso-mattone. In al- ATTi Acc. VCL. xvm. 53 396 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA cuni punti la massa pare stratificata per il clivaggio molto regolare. In altri punti si diva facilmente in pezzi, talvolta molto regolari, di forma prismatica quadrangolare, pentago- nale, esagonale , ecc. Questo porfido mantiene i medesimi caratteri sopra un'estensione di circa 4 cliilometri quadrati; e non è improbabile clie rappresenti una sola grande co- lata di lava sgorgata dall'interno della terra. Presso il ponte di Grata sulla destra dell' Agogna si vede una varietà di questo porfido, che si può chiamare pipernoide perchè nella massa fondamentale rosso-mattone appaiono molte macchie di colore più oscuro, ed in generale, allungate clie ricliiamano quelle del Piperno di Pianura nei campi Flegrei. A nord della massa porfirica descritta, seguendo il tor- rente Vina si trova prima un banco di porfido quarzifero in massa di colore cioccolatte bruno, il quale poggia su micascisti. Poi, seguendo questi, lungo il torrente Vina, si incon- tra, dopo alcune centinaia di metri, un dicco di porfido quar- zifero rosso-mattone. Questo dicco è tanto bello e tipico che , secondo me , può bastare da solo per dimostrare 1' origine eruttiva dei porfidi in discorso, per chi ancora ne dubitasse. Il dicco è diretto est-ovest, ed ha circa una cinquan- tina di metri di spessore. La roccia incassante è un mica- scisto molto ricco di mica. Sono ben distinte le due salbande. Alla salbanda sud vi è una roccia verdognola (1) di 2 me- tri e li2 circa di spessore, la quale impiglia disordinatamente pezzi di micascisto, costituendo con essi una specie di con- glomerato di frizione. Alla salbanda nord si vede il porfido associato ad una roccia grigio-verdognola simile a quella della salbanda sud; (1) La quale forse è il porfido stesso del dicco profondamente alterato. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 397 poi segue il micascisto; in alcuni punti del quale il quarzo è rosso, mentre in tutta la massa della roccia è bianco, e, quello elle più importa, compaiono insieme al quarzo cri- stalli di feldspato rosso. A nord-est della massa porfirica di Briga-Gozzano , prima di giungere ai micascisti, si incontrano diverse qua- lità di porfidi ed alcune arenarie interstratificate. Ecco al- cune di queste roccie, nell'ordine con cui si attraversano, procedendo da sud a nord, lungo la destra dell'Agogna: 1. Porfido a pasta bruno-nerastra, leggermente rossi- gna, con cristalli di feldspato, pochi cristalli verdi-scuri (amfibolo?) e nuclei molto piccoli e rari di quarzo. In al- cuni punti si vedono macchiette gialle e rosse terrose di ossidi di ferro, i quali probabilmente provengono dalla de- composizione di cristallini di magnetite o di oligisto. Que- sto porfido nero pare immediatamente sottoposto a quello rosso-mattone. 2. Porfido a pasta grigia-bruno-verdognola con cristalli di feldspato roseo, grossi e numerosi , con cristallini neri e verdi, e senza cristalli macroscopici di quarzo. Il gran numero di cristalli di feldspato dà alla roccia un aspetto granitoide. 3. Arenaria verdognola formata in gran parte da pez- zettini di quarzo. Alterna con un conglomerato contenente pezzi numerosi di micascisto e ciottolo di un porfido di co- lore grigio oscuro. Né 1' arenaria, né il conglomerato fanno effervescenza agli acidi. 4. Porfido di colore grigio-rosso -verdognolo con nu- merosi e grossi nuclei di quarzo, con cristalli di feldspato vitreo; macchiette verdi di un minerale molle (clorito?) e pagliette nere probabilmente di mica. La roccia ha aspet- to granitoide. 5. Porfido a pasta di colore verde-cupo , disseminata da cristalli di feldspato bianco piuttosto rari, da cristallini 398 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA neri (angite od orublenda?) e da un minerale verde. Que- sto banco di porfido è visibile sopra uno spessore di 50 metri circa. 6. Porfido quarzifero rosso con cristalli di feldspato grossi e taluni perfettamente sviluppali e conservati, e con molti nuclei di un minerale verde -, alcuni dei quali essendo terrosi e di forma prismatica , sembrano un prodotto di decomposizione di qualclie minerale cristallizzato in forme prismatiche. La roccia è molto decomposta, e si rompe in pezzetti prismatici a base quadrata molto regolare. RICERCHE CHIMICHE Porfido rosso-mattone di Briga. Il porfido ridotto in finissima polvere è di color rosa chiaro , che per la calcinazione acquista una tinta rosso- mattone. Gli acidi minerali a caldo disgregano la polvere di questo porfido parzialmente. Composizione centesimale. SiO^ ..... 74,81 AIW 13,87 Fe'O' 4- FeO . 1,68 CaO ... 1,49 MgO . . . 0,52 K^O. 4,68 Na^O 1,46 Perdita per calcinazione 1,48 99,99 Densità a + 16°C. (con gr. 1,027 di sostanza) = 2,541. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 399 Porfido di Agogna, a jMsta hnino-nerastra leggermente rossigna. Ridotto in polvere è di color grigio -chiaro, e calcinato acquista una tinta rosso-mattone. Porzione di polvere esposta al calore del dardo ferru- minatario si fonde facilnaente in un vetro opaco, molto ma- gnetico. Gli acidi minerali a caldo decompongono parzialmente la polvere del porfido di Briga-Gozzano. Composizione centesimale SiO^ 56,59 AFO^ 16,86 Fe^O^ 3,78 FeO (tracce di Cr.) . 6,89 MnO 0,59 CaO. 2,75 MgO ... 2,78 K^O. 4,76 FO. 1,07 Perdita per celcinazione . 3,69 99,76 Densità a + ig^C. (con gr. 1,642 di sostanza) = 2,608. Porfido a pasta di color verde-cupo. Il porfido ridotto in polvere è di color grigio-verdognolo, e con la calcinazione acquista una tinta rosso-mattone , e la polvere è leggermente magnetica. Al dardo del cannello si fonde in un vetro nerastro , opaco, magnetico. 400 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA Composizione centesimale. Si0= 59,08 AFO^ 19,33 Fe^O^ 3,18 FeO (tracce di MnO) 4,80 CaO. 3,02 MgO 3,14 K-0. 3,07 Na=0 0,96 Perdita per calcinazione 3,30 99,83 Densità a + 200C. (con gr. 1,808 di sostanza) = 2,645'. Porfido cìie si rinviene x^resso il panie di Grata sulla destra dell'Agogna tra Gessano ed Invorio inferiore. Questo porfido ridotto in finissima polvere è di color rosso-mattone chiaro , e con la calcinazione diventa più oscuro. Composizi SiO=. AIW Fe-0^ + Feo MnO CaO. MgO K^O. Na^O Perdita per calcinazione ione centesimale. 73,03 13,51 3,12 tracce 1,61 0,26 4,87 1,52 2,03 99,95 Densità- a + IS^C. (con gr. 1,754 di sostanza) = 2,563. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 401 Porfidi di Buccione-Ameno. I micascisti compresi fra Buccione ed Ameno sono at- traversati da pareccliie dicchi porfirici diretti press' a poco est-ovest. II Gerlacli ne segna due sulla sua carta ; il maggiore dei quali comincia a Buccione sul Capo d' Orta , con uno spessore di un chilometro circa, e, dirigendosi verso est, forma le alture della torre di Buccione e di monte Mesma; poi attraversa la valle dell' Agogna, e termina, diminuendo assai di spessore , nella parte alta della valle del torrente Vlna. Secondo Gerlach , questi dicchi sono formati da un porfido quarzifero grigio o giallo grigio. Osservando in diversi punti la roccia del dicco mag- giore, trovai che presso Buccione, alla riva del lago d'Orta, e lungo la sponda destra dell'Agogna, tra Bolzano ed Ameno essa consta di un porfido grigio coi caratteri descritti dal Gerlach , altrove invece (per esempio nel fianco nord del- l'altura di Torre Buccione, e lungo la strada alta che con- duce da Vacciago a Gozzano) , il porfido assume caratteri notevolmente diversi ; poiché presenta un bel colore roseo uniforme, ed una pasta meno compatta, disseminata da molte macchiette di un minerale verde, mancanti nel por- fido grigio. Tra Vacciago e Bolzano osservai diverse varietà di porfidi a chiazze rosee e grigie, i quali fanno gradatamente passaggio (almeno pei caratteri esterni) da una parte al porfido roseo, dall' altra a quello grigio. Questi porfidi grigi e rosei o rappresentano delle va- rietà di porfido roseo parzialmente decolorato , ed allora si dovrebbe concludere che quest' ultimo sia il colore ori- ginario e tipico della roccia, e che il porfido grigio non sia altro che il porfido roseo decolorato e metamorfosato; ov- 402 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA vero tali porfidi grigio-rosei sono masse di porfido grigio con chiazze rosee, ed allora il porfido roseo e quello grigio do- vrebbero ritenersi due roccie originariamente distinte, e sa- rebbe difficile intendere come possano costituire insieme un unico dicco (1). Per risolvere questo dubbio bisogna atten- dere uno studio petrograflco completo dei porfidi in discorso. RICERCHE CHIMICHE Porfido di Bucoione. II porfido di Buccione è quarzifero di color roseo , e ridotto in fina polvere è di color rosa chiaro, e con la cal- cinazione acquista una tinta più oscura. Alcuni frammenti di questo porfido al dardo ferrumi- natorio non si fondono, ma perdono il colore naturale e di- ventano di color bianco sudicio; raffreddati bruscamente si riducono in polvere. La polvere viene facilmente decomposta , in parte , a caldo dagli acidi minerali. Composizione centesimale SiO= ... . . 77,94 AFO^ 11,78 Fe=0^ + FeO .... 1,21 CaO 0,74 MgO 0,32 K-0 4,17 Na=0 1,56 Perdita per calcinazione . 1,91 99,63 Densità a + n°C. (con gr. 1,584 di sostanza) = 2,557 (1) Siccome la varietà rosea di porfido si incontra di preferenza al di- sopra della varietà grigia , mi venne ancbe il dubbio che solo quest' ultima rappresenti un vero dicco; e la prima invece sia un ammasso od una colata di lava sovrapposta ai micascisti; ed in continuità col dicco, il quale segne- rebbe la via per cui quella venne alla luce. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 403 Porfido di Buccione {Lngo (V Oria). In massa è roseo, polverizzato è di color cretaceo leg- germente giallastro; pel calore acquista una tinta rosso-mat- tone chiaro. La polvere di questo porfido è parzialmente decom- posta a caldo dagli acidi minerali. Composizione centesimale. Si02 77,61 APO^ . 13,34 Fe203 + FeO . 2,07 CaO. 3,67 MffO 0,52 K^O ... 2,04 Na^O 0,61 Perdita per calcinazione 0,55 100,41 Densità a -h I70C. (con gr. 1,512 di sostanza) = 2,556. Porfido di Bolzano-Ameno. Il porfido grigio che si rinviene tra Bolzano ed Ameno ridotto in polvere è di color cretaceo chiaro, per la calci- nazione acquista una tinta rosa chiaro. Gli acidi minerali si comportano con la polvere di questo porfido come per i precedenti. Composizione centesimale. Si02. AI^O» Fe-03+FeO CaO MgO K^O. Na^O Perdita per colcinazione 76,33 12,84 2,22 2,96 0,37 8,42 1,09 0,83 100,06 Densità a + 1700. (con gr. 1,559 di sostanza) = 2,557. ATTI Acc. voL. xvm. 54 404 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA Porfido di Bolzano-Ameno. II porfido che si rinviene nelle suddette contrade ri- dotto in polvere è di color cretaceo , mentre per la calci- nazione è rossastro. Gli acidi a caldo intaccano parzialmente la polvere. Composizione centesimale. SiO^ • 76,59 Al'O^ ... 11,43 Fe'O^ ? • • 0,47 FeO (tracce MdO) . 2,12 CaO * 2,78 MgO , . 0,64 K^O . 3,76 Na^O . 0,97 Perdita per calcinazione . 1,39 100,15 Densità a + 20°C. (con gr. 1,752 di sostanza) = 2,565. Formazione porfirioa di Invorio superiore. Interessantissima, per la varietà di rocce che presenta, è la formazione porflrica ad ovest e nord-ovest di Invorio superiore. Appena fuori di questo paese, verso occidente, affiora un porfido di colore cioccolatte con numerosissimi cristalli di feldspato , piccoli , e tutti piìi o meno caolinizzati. Ascendendo sui colli che sorgono a nord ovest di In- vorio superiore e dirigendosi press' a poco da sud a nord, si incontrano le seguenti rocce : 1. Pochi minuti sopra Invorio un' arenaria di color grigio verdognolo ad elementi porfirici, contenente molti cristallini di feldspato. Non fa nessuna effervescenza agli acidi. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 405 2. Un porfido a pasta grigio bruna, ed in alcuni punti quasi nera , disseminata da cristalli piccoli e bianchi di feldspato. Le superficie di frattura sono rivestite di incrostazioni di carbonato di calcio. 3. Porfido colore cioccolaUe con piccoli cristalli di feld- spato , conservanti un bel colore roseo, senza quarzo li- bero in cristalli macroscopici, e con alcuni cristallini neri ( di Augite? ) La roccia affiora con uno spessore di poclii metri (cir- ca 3) ; subito dopo seguono : 4. Alcuni banchi di tufi porfirici diversi, grigi, brunì, neri con una potenza complessiva di circa 100 metri, i quali in alcuni punti prendono l'aspetto d'una vera lava scoria- cea. Questi tufi sono disseminati da cristallini di feldspato di un bel roseo vivo, simili a quelli presentati dalle lave n. 3 e n. 7. È quindi probabile che queste rocce rappre- sentano la forma detritica e scoriacea dei prodotti eruttivi sgorgati dall' interno delia terra insieme a queste lave in massa. 5. Porfido globulare a pasta nerastra, simile per l'a- spetto a quelle di un basalto , con molti nuclei sferoidali , bianco-cenere talvolta raggiati, aventi, in generale 72 ^d 1 centimetro di diametro. Vi è qua e là , come elemento accessorio, qualche nucleo di un minerale verde simile a steatite. 6. Conglomeralo porfirico di colore cioccolatte bruno, con molti nuclei di un minerale verde , molle , di aspetto cereo. 7. Un potente banco porfirico che emerge dalle altre rocce a forma di grande muraglione, avendo resistito assai più di queste all' azione degradatrice degli agenti meteorici. In lontananza par di vedere un muro maestro di un forte medioevale diroccato. Il porfido di questo banco pre- 406 SULLA COMPOSIZIOJNE CHIMICA senta una pasta molto compatta di colore cioccolatte, dis- seminata porfiricamente di molti cristallini di feldspato roseo 0 rosso. Manca il quarzo libero tra gli elementi macroscopici. Presenta nelle fessure incrostazioni superficiali di calcite. 8. Segue un tufoporfirico verdognolo simile a quello di Dagnete, Contiene alcune rare pagliettine di mica argentea. 9. Arenaria quarzoso-micacea senza cemento con ciot- toli rotolati di porfidi di color rosso-bruno, e bruno vinato e con nuclei di un minerale verde (clorite?) 10. Breccia porfirica assai dura di colore cioccolatte bruno, formata in gran parte da pezzetti di porfido saldati molto solidamente tra di loro, ma senza cemento apparente. 11. Tufo porfìrico molto somigliante a quello menzio- nato al n. 8. 12. Un'arenaria molto A^com^osidi probabilmente man- cante di elementi porfirici. Tutta questa formazione arenaceo-porflrica riposa im- mediatamente sopra un micascisto molto ricco di mica, a strati contorti, e diretti press' a poco ovest-est. La formazione porflrica d' Invorio superiore è topogra- ficamente compresa tra i dicchi di porfidi rosei di monte Mesma-Buccione e quelli rosso-mattone di Montrigiasco-Aro- na; ai quali il Gerlach le associava. Ma io credo invece che essa debbasi tenere distinta tanto dagli uni che dagli altri. La formazione porflrica in discorso, per la sua posizione stratigrafica corrisponde per- fettamente a quella di Montrigiasco-Arona ; epperò si può ritenere contemporanea ad essa. Ma, i porfidi ed i tufi annessi, essendo notevolmente diversi da quelli di Montrigiasco-Arona, come pure da quelli di Buccione-Monte Mesma e di Bolzano-Briga, è molto' pro- babile che siano il prodotto di un centro eruttivo proprio, e distinto dagli altri centri eruttivi della medesima epoca. DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 407 RICERCtlE CHIMICHE II porfido globulare di lavorio superiore ridotto in pol- vere è di color grigio-chiaro ; mentre per la calcinazione acquista una tinta mattone chiaro. Gli acidi minerali si comportano come sulla polvere dei precedenti. Composizione centesimale. SiO^ 72,03 Al-0' 14,87 Fe=0^ 3,11 FeO (tracce di MnO) 2,21 CaO. 1,41 MgO 1,37 K^O. 2,32 Na'O 0,78 Densità pe.i calcinazione 2,02 100,12 Densità a+-20°C. (con gr. 1,823 di sostanza) = 2,523. Un campione del banco porflrico indicato nel n. 7., è di color cioccolatte. Ridotto in polvere è di color grigio-ros- sastro, e per la calcinazione diventa rosso-mattone. Gli acidi minerali a caldo la decompongono [parzial- mente. Composizione centesimale. SiO- 71,91 AFO^ 13,51 Fe^O' 2,14 FeO (tracce di MnO) 1,14 CaO. .... 2,19 MgO 1,18 K'O. 3,72 Na'O 1,58 Perdita per calcinazione 2,39 99,76 Densità a + 18°C. (con gr. 1,678 di sostanza) = 2,618. 408 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA Il chiarissimo Prof. G. Mercalli, riepilogando si espri- me come segue : « Dalle precedenti osservazioni sulle formazioni porfì- riche del Bacino Verbano-Cusio si possono dedurre le se- guenti conclusioni : 1. I porfidi di questo bacino non si possono dividere in due soli gruppi c\oè, porfidi grigi settentrionali e porfidi rossi meridionali, come ha fatto il Gerlach. Invece bisogna distinguere almeno: a) dei porfidi rosei e grigi quarziferi in dicchi pres- so Buccione ed in banchi sovrapposti ai micascisti a San Martino di Bolzano; b) porfidi di colore nerastro, bruno-rossigno, e verde cupo di S. Martino e del Molino di Grata ; probabilmente corrispondenti ai porfidi neri del luganese; e) porfidi colore cioccolatte senza cristalli macrosco- pici di quarzo ad Invorio superiore; d) porfidi quarziferi rosso-mattone di Angera, Arona, Montrigiasco , e Bolzano-Briga. Questi porfidi e quelli se- gnati a probabilmente corrispondono ai porfidi rossi del luganese. 2. A quasi tutti i porfidi in massa ( eccettuati quelli in dicco) sono associati dei tufi porfirici, talvolta passanti ad una lava scoriacea (ad Invorio superiore), e delle are- narie e conglomerati, in generale, con elementi porfirici. 3. I porfidi del bacino Verbano-Cusio sono lave, come lo dimostrano i dicchi (specie quello classico del torrente Vina), ed i tufi porfirici che rappresentano la forma de- tritica e scoriacea dei materiali eruttati. 4. Le eruzioni porfiriche avvennero dopo la formazione ed il sollevamento degli schisti micacei di Meina, Ameno, ecc.; poiché dapertutto i porfidi e le formazioni detritlche e associate sono discordanti coi micascisti, e di piìi non mo- strano di avere subito quel profondo metamorfismo regio- DI ALCUNE ROCCE ERUTTIVE 409 naie meccanico e fisico-chimico, per cui i micascisti pre- sero i loro caratteri attuali. Tali eruzioni sono poi anteriori alla deposizione delle dolomie triasiche di Angera, di Arona, ecc. Invece durante l'epoca nasica, le formazioni porfiriche, almeno in parte, erano emerse dal mare, e vennero demolite su vaste esten- sioni, come attestano i potenti banchi di breccia calcareo- porflrica liasica di Invorio superiore e di Gozzano. Si po- trà precisare maggiormente 1' epoca delle eruzioni porflri- che in discorso solamente quando si rinverranno, come io spero , dei fossili nei tufi o nei conglomerati associati ai porfidi in massa. 5. Probabilmente le formazioni porflriche del bacino Verbano-Cusio sono dovute a diversi centri eruttivi distinti. Per esempio, è probabile che i porfidi bruno-nerastri e ver- de-cupo di Bolzano e del Molino di Grata siano sgorgate da un focolare eruttivo distinto da quello da cui escirono i porfidi quarziferi rosei di Buccione o quelli rosso-mattone di Briga e di Arona. Similmente ho già detto che la for- mazione porflrica di Invorio superiore ha un facies tutto proprio, per cui è molto ragionevole ritenerla dipendente da un centro eruttivo particolare. » I risultati delle analisi confermano pienamente le con- clusioni del Prof. Mercalli, e quindi la divisione dei porfidi che egli fa è accettabile a preferenza di quella del Gerlach. Solo è da notare che la composizione chimica dei porfidi di Buccione e Bolzano-Ameno è la stessa e quindi debbono considerarsi come provenienti dalla stessa eruzione : che 1 porfidi di San Martino Bolzano e Bolzano ed Invorio Infe- riore hanno una composizione chimica affatto diversa di quelle dei primi e di quella dei porfidi di Briga e di quello che si rinviene presso il ponte di Grata sulla destra della Agogna tra Gozzano ed Invorio inferiore. I porfidi di Invorio superiore hanno una composizione 410 SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA cbimica differente dagli altri e quindi devono considerarsi come provenienti da altro centro eruttivo, però la loro com- posizione centesimale è quasi identica a quella del porfido di Arena che si rinviene sulla strada lacuale un poco a nord della fornace di calce. Infine i porfidi di Arona, Angera e Briga-Gozzano tian- no una composizione chimica quasi identica tra di loro. La silice nei porfidi del Lago Maggiore ed in quelli d'Orta varia da gr."' 56, 59 7^ a gr."' 77, 94 7,, — L'allu- mina da gvr 11, 43 7o a gr."' 19, 33 7o — ^U ossidi di ferro complessivamente da gr."' 1, 21 7o a gr."' 10, 67 7^ — La calce da gr."' 0, 49 a gr."' 3, 67 7o — La magnesia da gr.-"' 0, 27 a gr."' 3, 14 7„ — La potassa da gr."' 2, 04 7^ a gr.-"' 4, 87 7^ — La soda da gr."' 0, 61 7^ a gr."" 1, 58 7o. La perdita per calcinazione, che può calcolarsi come acqua, varia da gr."' 0, 55 a gr.""' 3, 69 %• Infine la densità pure è variabile, la minima è uguale a 2,451, e la massima è uguale a 2,645. « Catania, 1885. INDICE Ovariotomia per cisti biloculare e senza aderenze— Guarigione rapidissi- ma — R. De Luca Pag. 1 Nuova serie di funzioni sostituibili a quelle di Sturm con vantaggio di calcoli occorrenti per determinare il numero delle radici reali di un'equazione algebrica — V. Mollame . . . . . » 11 Azione dell' acido iodico, in soluzione concentrata sui globuli rossi san- guigni—A. Capparelli » 29 1 tufi vulcanici del Napolitano. Ricerche ed osservazioni — L. Ricciardi » 37 Sulla pretesa ricombinazione della miscela tonante all' oscuro — L. Ric- ciardi )) 47 Sul sistema di equazioni costituito da una forma quadratica con n va- riabili uguagliata a zero e da I od n—2 equazioni lineari ed omo- genee fra quelle variabili— V. Mollame . . . . » 53 Sulla eccitazione unipolare, simultanea dei nervi e dei muscoli — A. Cap- parelli » 61 Esperienze di corso del prof. V. Meyer di Zurigo ed esperienze di corso ed originali del prof. D. Amato — D. Amato. . . . « 65 Dell' influenza dell' elettricità atmosferica sulla vegetazione delle i3ian- te — A. Alci , ...» 75 Sullo spostamento degli strati acquei d' imbibizione nei diversi terreni — A. Aloi » 83 Sulla comparsa delle Termiti nelle vigne di Catania — A. Aloi . » 89 Sulla trasformazione della Fucsina nell' organismo animale — G. Gaglig ed E. Di Mattei » 95 Sul Tornado di Catania del giorno 7 Ottobre 1884 — D. Macaluso » 101 studi sugli Artropodi — Intorno allo sviluppo delle api nell' uovo — G. B. Grassi Pag. 145 Sulla composizione chimica della cenere lanciata dall' Etna il 16 novem- bre 1884— L. Ricciardi » 223 Intorno ad una malattia parassitaria (cachessia ittero-verminosa o caches- sia acquosa o marciaja)— G. B. Grassi e S. Calandruccio . » 229 Intorno ad alcuni protozoi parassiti delle Termiti— G. B. Grassi » 235 Contribuzione allo studio della nostra Fauna— G. B. Grassi . » 241 Sopra una Relazione sul Tornado di Catania del giorno 7 Ottobre 1884 del prof. Macaluso— Osservazioni del prof. 0. Silvestri . » 253 Sulla dilatazione termica dei liquidi a diverse pressioni —Studio speri- mentale— G. B. Grimaldi » 273 Sulla Etiologia della Pityriasis— P. Ferrari .... » 363 I bacilli dell'ulcera molle— P. Ferrari » 379 Sulla composizione chimica di alcune rocce eruttive comprese tra il La- go Maggiore e quello d'Orta — L. Ricciardi. ...» 387 mf\mmr'AAm mmàJà mr^m '^■^.AAA^' -^^N"'^ A^^A^'r\! .©^ .^f^5^' .^^^ ^f'". K^^^Bv.' J^h -r^} v>- . r- r'-f^-'-'^^"^f\ J\k k'J: AH'' ■" ■ n^pìw m^s^-k :"m^ vfe ' Nfx K k\\' !^«^^:S^^,s^ >f^P\F\^CÀmAs^* i^-^mhM . 'ft. ^ fe i '>^/^AÀ &à\^MftI yv7^%¥'^' mv-^ ■(^èmt^h ,,.,^%^ :^'^' ^VA^a'