m^'^ i5-^^ w f ^ ^ h ■*^ ^ «^ . •..-■^ '^. * ^■ i 4 ^ m' ^^' 4|P*^t^ w iwj» ^*' Eibrai-D of tbc ffluscum -« j COMPARATIVE ZOOLOGY, AT HARVARD COLLEGE, «AIIIBRIDGE, MASS. tAe. ■MccoLxMjmA.xi, QjA* The gift oftAe. JVocajoumtx.xi, «CU^^/n-t/uo , /7 No. S'OÌjCI ^^iLrJ^ ^ f^jt ATTI DELLA ACCADEMIA GIOENIA DI SCIENZE NATURALI ANNO LXXI 1894 SEmE GiTJ j^:eìta. VOLUME VII. CATANIA )I e. G 1894. COI TIPI DI C. GALATOLA r SEP 4 1895 CARICHE ACCADEMICHE PER L" ANNO m)i. UFFICIO DI PRESIDENZA ZURRIA Coniai. Prof. (insv.i'i'E — Prenideìite rOMASELLI f:omm. Prof. Salvatore — Vice Presidente BUCO A l'rof. Ijìhe^'/jO — tSegretario Generale^ VICE-SEGRET AR I I ARADAS l'rof. Salvatork — iìeg reta rio della Sezione di Scienze natitrali FICHERA Cav. Prof. V\\,\\)V.\.V{)Seg)'etario della Sezione di Scienze fisico-matematiche. CONSIGLIO D' AMMINISTRAZIONE SCIUTO-PATTI Cav. Prof. Cakiielo BERRETTA Cav. Iff, Prof. Paolo ARDINI l'rof. D.r (Iiuseppe ORSINI FARAONE Prof. D.r Angelo CAPICI Rev. P. (Iiuseppe — Cassiere. SOCll EFFETTIVI 1. TORNABENE cav. jjiof. Fkancescu 2. ZURRIA loiiiui. prof. (iirsEi-i'E ?,. CAFICI rt'v. p. (iiovANM 4. BERRETTA cav. uff. prof. Paoia» .'). SCIUTO PATTI cav. prof. Carmei.c 6. ARDINI iHof. OiuSEPl'E 7. TOMASELLI conim. prof. .Salvat ritenere che esistono vei-aiiiente tanti nidi di Termiti, ognuno dei quali si estende ad un certo numero d" albe- ri; ma in un caso concreto non sapi)iamo i)recisare senza grande difficoltà, se dati individui rappresentino tutto un nido, o se gli in- dividui provenienti da un albero senza membri reali, appartengano a un nido piuttosto che a un altro. C. Osservazioni anatomiche sugli oryani (/en itali : loro rapporti coir intestino. Ho già parlato di re e j-egine di sostituzione e di complemento. (1) Dopo die questo lavoro l'ia stuto s.-ritto, elilii .a vcrilirar iiuattro casi ilei tutto simili a quello unico qui sopra riferito. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi Debbo ora richiamare alcuni fatti anatomici riguardanti i loro or- gani genitali. Ho dimostrato con ogni sicurezza che gli organi genitaU degli individui di sostituzione o di complemento sono perfettamente uguali a quelli degli individui in condizione d' insetto perfetto. Cominciamo cogli organi genitali del Caìotermes. La regina di sostituzione presenta un fascio di sette ovarioli in ogni ovario. Que- sti ovarioli vanno allungandosi man mano che essa ingrossa e rag- giungono perfino la lunghezza di più d'un centimetro, mentre nel- le regine recenti misurano appena circa mezzo centimetro. Di so- lilo un solo ovariolo di ciascun ovario contiene un uovo quasi ma- turo: negli altri 1" uovo anche più sviluppato lo è sempre meno di questo primo. Qualche ovariolo biforcasi all' estremità assottigliata. Mancano le cellule nutritizie, ma esiste un follicolo ovarico. Il ricet- tacolo del seme è allungato e non contiene mai mollo sperma. Le ghiandole sebacee (accessorie) sono lunghe. Le tube sono corte. Mancano le appendici genitali, tranne in casi rarissimi in cui esisto- no ma differiscono da quelle del maschio perchè stanno più allon- tanate l'una dall' altra. Tutti questi caratteri eccettuati gli or detti casi rarissimi, tro- vano riscontro nella regina vera. È difficile calcolare il numero dei testicoletti , che compon- gono ciascun testicolo del re. Sono circa nove. Si può però asse- rire con sicurezza che il numero di quelli dei re veri non dev' es- sere differente dal numero di queUi dei re di sostituzione. Anche i testicoli, come le ovaia nelle regine ingrandiscono man mano che il re ingrandisce. Perciò i testicofi dei re piccoli presentansi note- volmente più piccoli di quelU dei re grandi. Esistono due vescicole spermatiche e le appendici genitali; manca un pene. Insomma nei re di sostituzione abbiamo note uguali a quelle dei re veri. Negli uni e negli altri ho trovato spermatozoi maturi , però sempre in piccol numero, dentro i condotti deferenti. In quelle parti che per analogia cogU altri insetti, ho denominate vescicole sper- matiche, ho notato un liquido speciale, in cui raramente trovavansi Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi spermatozoi. Questi mancavano sempre tanto nel condotto defe- rente , quanto nelle vescicole spermatiche degli individui ancora forniti di ali interamente sviluppate, e nei giovani individui di so- stituzione. Gli spermatozoi dei Termiti sono fin oggi sfuggiti ai vari au- tori per i loro caratteri molto strani e per la loro piccolezza. Accennerò solamente quanto si rileva senza alcun artificio di preparazione, non avendo io fatto studi minuti in proposito. Per essere sicuro di aver sott' occhio spermatozoi intera- mente sviluppati, ho esaminato quelli tolti dalla spermateca della regina. Sono relativamente corti, e la loro lunghezza varia da do- dici a venti f^ . Non si muovono: sono appiattiti e liaiiim perciò fi- gura differente a seconda che veggonsi di piatto o di coltello. Di piatto hanno figura subciuadrangolare allungata, oppure di seme di segale, o meglio di zinnia: di coltello hanno figura più o meno re- golarmente lineare. Un" estremità presenta di solito un ispessimento caratteristico. Degne di nota sono certe appendici a guisa di ciglia immobili, cVie si rilevano bene quando lo spermatozoo è veduto di coltello. Non vi ha differenza alcuna tra gli spermatozoi del re vero e quelli del re di sostituzione. Passiamo al Tcniicfs ÌHcifufjus. Gli ovarioh negF individui reali S{jno in numero tantfi conside- revole da potersi ben difficilmente contare. Sono circa trentasei per ogni lato, e nelle regine le più grosse non lianno anc.ìi-a la lunghezza di mezzo centimetro. È evidente però che la cortezza di hdi ovariuli rispetto a ciuci- li del Cdloiermes è compensata ad usura dal loro numero. A tutta prima sembra che nelle giovani regine di sostituzione e nelle femmine in condizione d' insetto perfetto il numero degli ovarìoli sia minore. Si tratta però di una falsa apparenza, data dalla circostanza che molti ovarioU sono tanto arretrati nello sviluppo da essere dif- ficilmente rilevabili. Il resto degli organi genitali femminili non Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi presenta differenze considerevoli in confronto di quelli del Calo- lermes (1). Anche nel maschio del Termes riesce diffìcile contare i testi - coletti. Sono in numero di circa otto. Né in questo, né in altri caratteri degli organi genitali maschili (2) trovo differenze tra il re di sostituzione e il maschio in abito d'insetto perfetto. C41i spermatozoi del Termes hmfugns si trovano nella sperma- teca (in poca abbondanza: da 150 a 1000 all'incirca), ne' condotti deferenti, etc. precisamente come nel Caìotermes. Vennero da me osservati a preferenza gli spermatozoi raccolti dalla spermateca. Sono tondeggianti, del diametro di circa 2 - 4 f^. Nel testicolo gli spermatozoi immaturi presentano una coda , che scompare in quelli maturi. Anche gli spermatozoi del Termes sono immobili. Studiando gì' individui , che diventeranno poi re o regine di sostituzione , a seconda dello stadio in cui si trovano , riscontrasi uno sviluppo maggiore o minore degli organi genitali. Per il Caìotermes in cui ho potuto meglio seguire i fenomeni, ho notato che negl' individui in via di diventar reali di sostituzione lo sviluppo delle gonadi avviene molto lentamente, e che il primo carattere che li contradistingue, è quasi sempre la pigmentazione degli occhi composti. All'atto della prima muta che verificasi pron- tamente , cadono di regola le appendici genitali esterne nelle fem- mine. lo ho appunto denominato larve gli individui reali di sostitu- zione in via di sviluppo , ma che non hanno ancora mutato : essi (1) Nel lume delki spermateca del Termes sboccano numerose ghiandole uiii<'ellulari, ognu- na fornita d' un proprio condotto cnticulare ; queste ghiandole stanno collocate sotto 1' epitelio cilindrico della spermateca. Non ho guardato se esistano anche nel Caìotermes. Le ghiandole se- bacee, annesse agli organi genitali femminili, sono due; una di solito si presenta più lunga e piena di secreto, l'altra più corta e assottigliata perchè il secreto è molto scarso. Queste ghiandole hanno uno sbocco comune in corrispondenza della nona vera sternitc , mentre la vagina s'apre all'ottava vera sternite. La spermateca sbocca nella vagina. Tutto ciò ho veriiìcato soltanto nei Termes. (2) Manca il pene, l'apertura genitale maschile si trova alla nona vera sternite. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi scolio contrassegnati in generale dagli occhi composti pignientati e delle appendici genitali presenti anche nelle femmine. Le ghiandole genitali sono già sessualmente differenziate nei neonati, nei quali trovo inoltre il canale deferente e la tuba, men- tre non rilevo alcuna traccia degli organi genitali esterni. Quando cominciano a differenziarsi individui colla testa più grossa e indi- vidui colla testa più piccola, allora sono già distinti anche i geni- tali esterni. Gli operai e i soldati sono a sesso separato, come iia scoi)erlo il Lèspes per i Termes e confermato Fritz Mailer \wv i soldati del Culoterines. Le mie osservazioni, fatte col metodo delie sezioni lon- gitudinali e trasversali, mi permettono di aggiungere altre notizie. Cili organi genitali si trovano evidenti in tutti i soldati e in tutti gli operai e sono press" a poco nello stesso grado di sviluppo senza differenza di età. Tutte le parti componenti 1" apparato genitale maschile e femminile si rinvengono, benché molto piccole, in qua- lunque soldato od operaio. Nei soldati del ('alofmin's gli organi ge- nitali esterni ed interni sono juenu ridotti ciie nei soldati e negli operai del Termes. Però tanto nel Termes come nel Calutermes gli organi genitali degli operai e dei soldati sono più sviluppati che quelli degli individui, che già comineiauo a distinguersi per la te- sta grossa o piccola. * * * Gran j)arte della cavità addominale è occupata dagli organi genitali e dall" intestino (porzione posteriore deiriiitestiiio anteriore, intestino medio e posteriore). L" intestino posteriore presenta un" ampolla cecali' che certe volte è molto dilatata , certe altre lo e assai meno, od è a dirit- tura contratta. Nel primo caso essa occupa una grande parte dell' addome e Atti Acc. , Vol. VII . Serie 4.» — Memoria I. 2 10 Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi senza dubbio viene indirettanaente a comprimere le ghiandole ge- nitali. È un fatto indiscutibile che 1' ampiezza di quest' ampolla sta generalmente in ragione inversa del grado di sviluppo degli organi genitali, eccetto nei primi periodi di vita dell' animale. L' ampiezza maggiore o minore dell' ampolla alla sua volta è subordinata alla presenza o meno di certi Protozoi parassiti , che verranno minutamente descritti in un'Appendice del presente lavoro. Voglio qui accennare a questi parassiti soltanto per il fatto singolare che essi mancano negli individui reali di sostituzione o di complemento, mentre sono presenti benché di solito in poca quantità, negli individui reali veri. Abitano nell' ampolla cecale dei Bacteri in forma di Spirilli e di Leptotrici : io però non ne ho fatto studio speciale. Trovansi anche nei re e nelle regine di sostituzione o di complemento ed occupano poco spazio. L' ampolla si può dire invece riempita dai suddetti Protozoi , e questi sono o Monocercomonadi o Pseudoci- liati oppure Lofomonadini. I Pseudociliati si trovano appena nel Termes lucifuyns e comprendono forme, o coperte di ciglia (flagelli) 0 rivestite di membranelle ondulanti. Per lo più gì' individui senza Protozoi si distinguono già ad occhio nudo per il loro addome immacolato, mentre quelli, che h hanno, in rapporto con la traspa- renza attraverso 1' addome dell' ampolla cecale molto dilatata, pre- sentano quivi una macchia più o meno gialla. Il colore di questa macchia è dato dall' alimento (vegetale) del Termite : appunto di questo alimento si trovano rimpinzati una gran parte dei Pi'otozoi parassiti (v. 1' Appendice citata). Se 1' alimento è incoloro, la mac- chia dell" addome manca : allora si crederà che un Termite sia sen- za Protozoi, mentre in realtà potrà ospitarne un'enorme quantità. Negli individui neonati mancano i Protozoi. Nel Calotermes tro- vo questi Protozoi solo quando, oltre ai quattro tubi malpighiani primitivi ne sono presenti altri quattro ancora poco sviluppati, e le antenne hanno dodici articoH, di cui soltanto il terzo e quarto so- no nudi. I relativi individui , per quanto già si disse nel capitolo Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi H precedente, sono lunghi da millimetri due e mezzo a tre. Alcuni hanno la testa grossa, altri sottile. I primi portano nella loro am- polla cecale, relativamente dilatata, Monocercomonadi e Lofomona- dini. Gli altri invece ospitano soltanto Monocercomonadi : le Lofo- monadi compaiono in esso soltanto in uno studio successivo. Nel Termes hicifwjus le Monocercomonadi e i Pseudociliati cominciano a comparire quando le antenne posseggono dodici ar- ticoli tutti pelosi, i tuhi malpighiani sono quattro grandi e quattro piccoli, e il corpo è lungo circa due millimetri. Negli individui con questi caratteri alle volte essi sono presenti e alle volte mancano. Precisando, di solilo maiieano negl'individui a testa piccola, e sono presenti in «{uelli a testa grossa. Si trovano invece costantemente in tutti gli individui lunghi un poco più di due milliuictri e col terzo articolo delle antenne meglio distinto. I Lofomouadini, almeno di regola, compaiono soltanto dopoché il corpo è lungo [ìiii di due millimetri e mezzo e gli otto tuhi mal- pighiani sono diventali uguali. In generale si può dire che i Protozoi compaiono dapprima negli individui a testa grossa, si di Tcrmes che di Calotermes. La loro comparsa per lo pii'i si verifica (piando i tulli malpighiani so- no ancora distinti in due sorta , citic (pialtro grandi e quattro pic- coli. Se si lasciano in disiìartc 'A' individui piccoli senza Protozoi, si può asserire che d'inverno, quando lo sviluppo dei Termiti e dei Calotermiti è arrestato, tutti gU individui della colonia, eccetto quel- li reali di sostituzione o di complemento, presentano Protozoi. Questi sono allora relativamente molto ahhondanli nei solda- ti e negU operai, un po' meno nelle larve e nelle ninfe, scarsi nei re e nelle regine veri. Noto fin d" ora che qualunque individuo alato che abbandona il nido, porta seco Protozoi, di solito però in poca (luautilà. D'estate la distribuzione dei Protozoi è alquanto differente per la circostanza che i Termiti mutano di spesso , e i Protozoi muo- iono prima della nmta per riprodursi dopo la stessa. 12 Costituzione e svihtppo della società dei Termitidi * * * La mancanza sopra accennata dei Protozoi negli individui reali di sostituzione e di complemento è stata veriticata in centinaia di casi. Si constatarono però i seguenti fatti apparentemente contrari : I. Si trovò una certa quantità di Protozoi in alcune regine di complemento del Termes ladfmjus , evidentemente molto vecchie come lo dimostravano gii ovarioli rattrappiti e la spermateca vuota. Questi individui avevano certamente ovificato, e ciò si desumeva : 1. dalla presenza d" una sostanza granulosa giallastra dentro la tu- ba, in corrispondenza dell" inserzione dei singoli ovarioli ( questa materia non si trova mai negli individui che non hanno ovihcato); 2. dall' essere gU ovarioh superiori nelle stesse condizioni degli ovarioli inferiori ( quelli sono molto più piccoli negl' individui che non hanno ovificato). II. Si ebbero Protozoi piuttosto abbondanti in qualche re o regina di sostituzione di Caìotermes; questi individui reali erano pe- rò deperiti (ad es. per invasione di acari) e presentavano i testico- U e gii ovari poco sviluppati. III. Numerosi ne trovai in parecchi re e regine di sostituzio- ne appartenenti al Calotermeti ; i quali erano stati conservati per alcuni giorni in uu vaso di vetro con poco legno, insieme a molti altri individui della stessa specie , ma provenienti da diversi nidi. Nel frattempo però gli individui reali erano stati tolti e poi rimes- si più voUe nel suddetto vaso di vetro, perciò si può auunettere che essi fossero disorientati. IV. Trovai ancora una discreta quantità di Protozoi in alcuni rarissimi re in pieno inverno , in un tempo , cioè , molto lontano dall'epoca della copula. Se a queste eccezioni si dà il debito valore^ possiamo dire che esse lungi dall' infirmar la regola, la confermano sempre più. Essa si può formulare così : quando gli organi genitali -sono maturi, negl' individui che non hanno acquistato ali interamente svilup- pate, mancano i Protozoi e quindi minina è la dilatazione cecale. Uas- Costituzione e sviluppo della società dei Tennitidi senza dei Protozoi non implica però V incapacità degli indivìdui in discorso ad averne. Ma qui si inescnta un grave quesito. La mancanza dei Pro- tozoi è causa dello sviluppo ulteriore degli organi genitali, o ne è semplice conseguenza? Per tentare di sciogliere siffatto quesito oc- correva osservare individui in via di diventare reali di sostituzione 0 di complemento (larve degli stessi, o giovani). In essi i Protozoi di sjìesso mancano; ma ([ualche volta sì trovano. È difficile precisare il valore di quest" ultimo fatto. Tutto ben ponderato, a me sembi'a lecito di spiegarlo come segue : gì' individui in via di diventare reali di sostituzione . o di complemento abitualiiifiile non hanno Protozoi, di tanto in tanto però se ne infettano ma subito se ne liberano, amlic indipendenlc'- mente dalla muta. Forse dui;nite l'infezione io sviiu|ipo dei genitali è sospeso. Da tulio rio lisulta dunque clit; nculi indiridni reali di .tonli- tiizione 0 di conipleineido avviene un anticipata inaturanza det/li onja- ni genitali, la '//iole pare die sia in infimo rapporto colla scomparsa dei Protozoi parassiti dall' ampolla del rieeo. Tale scomparsa negli in- dividui in ria di ilirenfar reali di sostituzione o di rotnplemeido. ijnan- ilii le (/lii<(ndiile (/enifiili sono aneoru mollo arretrate nello snìnppo, or- rero prima che siaci nini condizione da eid risolti ima compressione di'll'ampolla eeeole, lascia pensare che alla nmtaranza dei genitali non sia estranea. /" assenza dei Protozoi. Per conoscere me(jlio i'importanZ(t di (jiiesfi parassiti ho intrapreso gli esperimenti e le osservazioni che riferisco nel sottoparagrafo seguente. D. Esperimenti ed osservazioni sopra i nidini tenuti in provette di vetro. a) Caloterraiti. I. Dentro molte provette di vetro si fanno dei nidini conte- nenti ciascuno da 15 a 40 individui, di varie età però non adulti e 14 Costituzione e sciluppo della società dei Termitidi senza eoiipia reale. (1) Dopo pochi giorni compaiono in ogni pro- vetta, da 2 a 6 individui in via di diventar reali di sostituzione , caratterizzati dai loro occhi pigmentati. Tenendo le provette nel taschino del panciotto, si ottengono siffatti individui di regola dopo circa sette giorni. D' estate però frequentemente compaiono già al quarto giorno , anzi già dopo 30-40 ore si sa quali individui po- tranno acquistare occhi pigmentati. In questi individui 1' addome mostrasi d'un aspetto particolare; esso è chiaro e manca delle mac- chie date dal trasparire dell' alimento colorato (legno). Evidente- mente tali individui non hanno Protozoi. Però non sempre tutti quelli che assumono simile aspetto acquistano gli occhi pigmentati, cioè non sempre diventano larve d'individui reali di sostituzione. Gli occhi diventano pigmentati senza che preceda una muta (sempre '?). La formazione d' individui, che diventeranno in seguito reali di sostituzione, non ha luogo ove nella provetta si ponga anche la coppia reale. Se però il re e la regina sono stati separati 24-48 ore dalla popolazione o sono feriti, alle volte compare qualche in- dividuo di sostituzione. Questi fatti furono verificati numerosissime volte. II. Perfino in un nidino fatto da tre soli individui , uno dei tre comparve dopo quindici giorni, cogli occhi pigmentati , cioè , in via di diventar reale di sostituzione. III. La formazione dei re e delle regine di sostituzione si ve- rifica in ogni epoca dell'anno e, se la provetta si porta nel taschi- no del panciotto . non passano mai più di quindici giorni senza che avvenga. IV. Se nel nidino , oltre a individui in via di sviluppo , si mettono individui adulti, o pronti a volare, o privi di ali, che loro cascarono nel venir presi, la fabhricazione degl'individui reali nel modo sopradetto ha luogo ugualmente, mentre gl'individui adulti forano il tappo ed escono in cerca di nuovi lidi. (1) Il legno che si mette in que.sti iiidini nuli dev' essere liianco , altrimenti la presenza u meno dei protozoi non è facilmente constatabile ad occhio nudo o con una sempliie lente. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi In Ciò conferma che i Calotermiti non si servono d'insetti per- fetti, capaci di volare, per provvedersi d' individui reali di sosti- tuzione ; e la ragione sta con certezza in quel prepotente istinto di abbandonare il nido, che si sviluppa in tutti i Termitidi diven- tati insetti perfetti neri. V. Se si mettono nel nidino appena individui aventi allo an- tenne non ])iù di dodici articoli, non compaiono gli individui reali di sostituzione in via di sviluppo entro 1' epoca solita. Se si ag- giungono alcuni individui colle antenne di 14-16 articoli, ma colla testa piccola, essi vengono prontamente trasformati in larve d'indi- vidui reali di sostituzione. VI. Raccolgasi una colonia di Caloleriiiiti formata da circa ;200 individui di età differenti e, avendo cura d'uccidere la coppia reale, dividansi questi individui iu guisa da formare circa quindici nidiiii. Ognuno di questi falibricherà da 2 a 3, 4 iudividui di sosti- tuzione. Raccolgasi un'altra coliuiia dello stesso numero ii'iiidi\ idiii, si privi pure della coiìpia reale e poi si lasci in un vaso di vetm : questa colonia labhriiheià da 4 a (> individui di sostituzione. La stessa quantità di Calotermiti produrrà ([uindi a seconda dei casi un nunieio molto ijiande n molto |)iiTolo d' individui reali dì sostitu/,i(ine. (iià questi semplici sperimeuti lasciano credere che gli indivi- dui capaci di diventar di sostituzione siano individui ordinari. La mia cicdenza è giusliticata anche dal lattd che gli indivi- dui scelti [icr il Irono jìiissono trovarsi in dilTerenti gradi di svi- luppo (senz' ali. o con tiaccia il" ali iiii'i o iiieuo notevole). VII. In (lualche provetta (2-3-4 " „) non si sviluppano indivi- dui di sostituzione, nonostante che ve ne siano presenti dì (|uelli apparentemente capaci di subire questo destino. Ho determinato che di maggio e di giugno non si formano individui reali nei nidini in cui si trovano soltanto ninfe. E qui auuniri il lettore il talento di queste bestioline ! A che prò infatti fabbricare individui reali di sostituzione, quan- 16 Costituzione e sviluppo delta società dei Termitidi do tra breve tutti i componenti la colonia potranno acquistare ali interamente sviluppate e andare a formare nuovi nidi ? Qualche ninfa si sacrifica a diventare reale di sostituzione, ma ciò si avve- ra soltanto se è lontana l'epoca della sciamatura, oppure allorché vi sono individui più giovani che avranno ancora bisogno d'aiuto, quando essa sarebbe adatta al volo. Ma altri nidini non fabbricano individui di sostituzione senza un motivo che giustifichi ciò. Che intendano cosi di fare, non pos- so decifrarlo. Fatto sta però che questi repubblicani imbevuti d'idee malthusiane trovano riscontro in certi alveari, che non vogliono piti saperne d' avere una regina. Vili. Se si fanno nidini con individui jjresHiiublhiieiìte senza Pro- tozoi (vicini a mutare, in mula o dopo la muta), compaiono pa- recclii individui in via di diventare reali di sostituzione (larve dap- jirinia e poi giovani) senza notabile ritai'do: essi conservansi alme- no per qualche tempo senza Protozoi. Contemporaneamente alla comparsa degl" individui suddetti gli altri abitanti del nidino s" in- fettano di Protozoi. IX. Se si fanno nidini con individui tutti aventi Protozoi, si ot- tengono parecchi dei soliti individui reali di sostituzione senza no- tabile ritardo. X. Nei casi n." Vili i Protozoi erano comparsi, sia perchè cpal- che individuo, supposto senza Protozoi, ne conteneva alcuni e così infettò gii altri, sia perchè nel nidino per accidente s' era trovata feccia recente di individui aventi i Protozoi (il nido era fatto con legno abitato dai Calotermiti). Si ripetè quindi per varie volte l'e- sperimento, avendo maggior cura nella scelta degh individui, e ado- perando legno, che aveva servito ai Termcs (i Protozoi parassiti di questi appartengono a specie differenti da quelle dei Caìotermes). Si arrivò così ad allevare varii nidini d\individui, che vissero più d" un mese senza Protozoi. Diventarono però reafi di sostitu- zione appena alcuni fra tutti quelli, che erano all'età opportuna. Ciò dimostra che la mancanza dei Protozoi non basta a provocare ìa niatiirazioìie deijli organi fjemtali. Certo è però d'altra parte cìie il Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi 17 primo indizio, accennante alia formazione di uh individuo di sostitu- zione, vien dato dalla scomparsa dei Protozoi. Senonchè i Protozoi sconqjaiono anche nefjli individui , cìie s' approssimatio alla muta , e noi rileviamo dalle prorette con sicurezza che gli individui destinati al trono subiscono una muta , qualche giorno dopo che gli occhi si sono alquanto coloriti. La muta quindi potrebbe senz^ allro renderci conto della scomparsa (morte) dei Protozoi . la quale cos) esprimerebbe un fenomeno secondario. XI. Riesce diffìcih,' tenereln vita nidiiii fatti con individui senza Protozoi. Ma si domanda : muoiono essi percliè mancano i Protozoi, oppure perclìè gli individui senza Protozoi sono in muta, o prossimi alla muta, od appena usciti da essa? È indubitato che gli individui appena mutati, essendo la loro cuticula più sottile, abbisognano di maggior umidità e di cibo umido, e quindi sono più delicati, e ciò basterebbe a spiegare la difficoltà di tenere in vita i nidini in di- scorso. Ma sul pro[)osito tornerò più sotto. XII. Gl'individui, in via di diventar reali di sostituzione matu- rarono nelle provette appena in rari casi (dopo tre, quattro mesi: le provette erano state messe in una cassetta e trasportate al nord d'Italia ed in Germania). Di solito il nidino deperisce e muore, prima che gl'individui reali siano maturi. Tanto ritardo nella maturazione riesce troppo naturale , se si tien jtresente che gli organi genitali sono molto arretrati di sviluiìpo negl' individui scelti per il trono. Quanto ai Protozoi, si può dire che in generale gli individui destinati a diventar reali di sostituzione, dopo 8-10 giorni, tornano ad infettarsi di Protozoi, che perdono in una nmta successiva (do- 1)0 circa un mese), e che poscia riacquistano. A questi fatti però si può dar poco valore perchè , quand" essi hanno luogo . i nidini sono per lo più in cattive condizioni. * * Da quanto ho premesso induco che la trasformazione degli individui ordinari in individui di sostituzione dev'essere necessaria- Atti Acc. , VoL. Xll . Serie 4.» — Memoria I. 3 Cosfifuzione e sviluppo della società dei Termitidi mente subordinata a un cangiamento del vitto ordinario : cangia- mento che potrà essere di qualità o di proporzione. Esso dovrà risultare dallo studio di quanto si verifica nelle provette ; noi ab- biamo infatti veduto che basta un po' di legno necrosato dentro di esse perchè i Calotermiti possano vivere non solo , ma fabbri- carsi anche individui reali di sostituzione. Premetto perciò una serie di osservazioni sul nutrimento dei Calotermiti: esse sono state fatte appunto sopra nidini dentro le provette. I cibi e le bevande dei Calotermiti sono : r Legno, 2° Feccia e vomito di altii Calotermiti, 3° Spoglia di altri Calotermiti, 4" Corpo di altri Calotermiti, 5" Saliva propria o di altri Calotermiti, 6° Acqua potabile. -H I Calotermiti rosicchiano colle mandibole legno necrosato o secco (tappi di sughero) e mangiano il fuio tritume così ottenuto. Non tutto il tritume serve per la nutrizione, ma, l' ho già più so- pra accennato, in parte viene adoperato per fabbricare ed in parte viene anche livomitato (v. più avanti). Il legno costituisce il fon- damento della nutrizione dei Calotermiti, come risulterà meglio più sotto. I Calotermiti si nutrono dunque di materie scarsissime di a- zoto , e in rapporto con ciò deve stare il fatto che si sviluppano molto lentamente. I Calotermiti devono certamente digerire o il cel- lulosio 0 la lignina, o entrambe queste sostanze ternarie. Le mandibole dei soldati sono impotenti a rosicchiare; questo è il motivo per cui esst, se tenuti in disparte, dopo qualche tempo muoiono, come ho verificato parecchie volte, facendo nidini di soli soldati (v. più avanti). La feccia ha una parte importante nella nutrizione dei Calo- termiti. Si può dire eh' essa forma il cibo ordinario. Nella feccia si nota ancora la presenza della lignina (reazione della florogluci- Costihizione e sviliipjw della società dei Termitidi 19 na) e del cellulosio. Al microscopio essa consta di un finissimo detrito, nel quale difficilmente si possono vedere tracce di fibre e di vasi spirali. Ad occhio nudo si presenta in forma di salamini lunghi ordinariamente un po' più di mezzo millimetro ; qualche volta anche un millimetro. Il colore è vario a seconda del colore del legno, in cui vivono i Galotermiti. Di regola è bianco sporco , se vivono nei fichidindia; rosso-bruno o bruno, se vivono nel man- dorlo etc. Molte volte trovansi dei salamini bruni, eccetto un estre- mo che è invece rosso-bruno. La feccia stantia per lo più è di colore l)runo. Se si osservano attentamente i salamini con una lente d" iiigi'andiniento, si rileva che in realtà non sono cilindrici , si bene prismatici, portano, cioè. 1' inipidiita delle pieghe dell'in- testino retto. I Galotermiti mangiano feccia recente e vecchia. L' adoperano però anche per fabbricare o direttamente, n dopo di averla ingoiata e quindi vomitata. È facile persuadersi, sia coli" osservazione pro- lungata di individui vivi, sia con un oi)portuuo esame del conte- nuto intestinale, che appena una piccola parte della feccia inghiot- tita viene vomitata. I Galotermiti increiiscono di gran lunga mangiar la feccia al- l'atto stesso dell' eliminazione, il che probabilmente è in rapporto colla circostanza che la leccia in (piesto numiento è piii umida . come si può di leggieri rilevare (di regola i Calotermiii non bevo- no, come diremo pili sotto). Per poterla mangiare così recente, ne provocano T eliminazione servendosi delle antenne e dei palpi mascellari : forse entrano in funzione anche i palpi labiali, ma ciò non ho potuto stabilire con sicurezza. Quando un Galotermite vuol mangiare-j^^" accosta all'estremità posteriore di un altro e 1" accarezza colle antenne e coi palpi. Se l'accarezzato ha feccia pronta per eliminare, subito si vede spuntare il salamino fuori dell'apertura anale. Esso viene levato, specialmen- te coir aiuto dei palpi mascellari, di spesso in due tempi separati da breve intervallo ; in un primo tempo resta tirato fuori fino a 20 Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi metà, nel secondo è portato fuori del tutto. Viene allora rapidamente raccolto tra le mandibole, s' intende dall' individuo che ne ha pro- vocato r uscita, il quale perciò sospende le carezze. Una volt a che si è impadronito del salamino , lo rosicchia e poco a poco lo in- ghiottisce. Se l'accarezzato non ha feccia , 1' accarezzatore subito lo la- scia e va in traccia di un altro; e torna così a ripetere le carezze a parecchi individui fino a che ne abbia trovato uno, che gli offra il desiderato salamino. Ma di solito un salamino non gli basta e quindi corre subito che 1' ha mangiato , a cercare di procurarsene un altro. Qualche volta il salamino che un individuo , sia pure di stir- pe reale, ha fatto uscire, vien rubato da un altro individuo qua- lunque, che rapidamente lo mangia. L'individuo accarezzato, quando ha feccia pronta da eliminare resta fermo, ma, se non ne ha, fugge via: il caso diventa più cu- rioso, quando la feccia pronta da eliminare è in poca quantità, o quando non è ancora del tutto pronta. Allora 1' accarezzato fugge, ma r accarezzatore l'insegne. Questo è probabilissimamente il mo- tivo per cui si verificano in molti Termiti le supposte passeggiate amorose che noi abbiamo descritto nel precedente Capitolo. Anche i soldati fanno quest' operazione di accarezzare l'estre- mo posteriore dell' addome per cavar feccia. Ma quest' operazione riesce loro di qualche difficoltà, specialmente per la grossezza delle mandibole. Il soldato raggiunge il suo intento disponendosi in ma- niera che la sua testa formi quasi un angolo retto coli' asse del corpo dell' accarezzato, hi tal modo 1' apertura boccale dell' acca- rezzatore (la quale, com'è noto, sta alla faccia inferiore o ventrale della testa ) viene a trovarsi a contatto dell' apertura anale dell' ac- carezzato. Questo intanto vien tenuto fermo dall' altro colle man- dibole posanti suir estremità posteriore dorsale dell' addome. Per accarezzare servono un po' le mandibole, ma più specialmente le zampe anteriori , e ciò verificasi qualche volta anche negli altri Costituzione e sviluppo della società dei Tenuifidi 21 individui della colonia (1). II soldato mastica il salamino con diffi- coltà e lentamente. Gli altri individui della colonia non mancano di accorgersene, e fanno tentativi di rubarglielo, e talvolta vi riescono. Alle volte un individuo grande, dopo d'aver provocato relimi- nazione della feccia, si tira indietro per lasciarla mangiare a uno piccolo. Qualche volta si è notato che il piccolo aveva anteceden- temente stuzzicato il grande in corrispondenza alle zampe e spe- cialmente alle tibie, forse per avvertirlo, che era affamato. Devesi notare che molta feccia viene deposta spontaneamcntf in mezzo al nido. Man mano che vien deposta, se non è mangiata, vien portata via, dagli stessi Termitidi i ([uali o se ne servono per far barriere, o l'accumulano in punti disabitati del nido. Quando un individuo ha fhiito di mangiare, un altro gli si av- vicina e con rapidi movimenti dei palpi lo liscia alla parte anteriore della testa e alle antenne , evidentemente jici' pulirlo. Non di raro (lue individui si puliscono a vicenda. Di li a un momeuLo juu'i darsi che l'uno desista, mt'iilre l'altro continua a lisciarlo, anzi s'eslciide alla parte posteriore del capo e passa poi alle zampe, andando dalla loro porzione prossimale alla distale. Il liscialo sta fermo per un certo tempo ; indi rapidaini'ule si allontana, forse, perchè il liscia- tore, giunto al tarso, lo ha quivi morso. Notasi che questo lisciai'si e pulirsi avviene di pref(!renza dopo il pasto , (pialche volta pero verificasi senza che questo preceda. Osservando attentamente la bocca di alcuni individui vi si ve- de spesso comparire una microscopica lìillola rosso-bruna , che a poco a poco va crescendo di volume tino a formare; una pillola del diametro quasi di un millimetro. Alle volte questa pillola che evi- dentemente è materia vomitata, serve per fabbricare, ma altre volte invece un altro individuo della colonia, s'accosta, la j)iglia e se ne ciba. (1) La eliminazione della fei'cia pini venir provocata sfregando o anche comprimendo alrpian- to r addome l'on un pennello. 22 Coatitmione e .■^viluppo della noe/età dei Tennitidi Qualche volta la feccia , o il vomito è giallognolo e quasi li- quido, e allora riesce piti diffìcile precisare i particolari del modo della nutrizione. La muta è un fenomeno frequentissimo nei Calotermiti; eppu- le difficilmente trovansi spoglie dentro il nido. Ciò, aggiunto all'os- servazione che talvolta nell'intestino dei Calotermiti si trovano por- zioni di queste spoglie , mi fece supporre che i Calotermiti stessi avessero l'abitudine di mangiarle. Dopo attente osservazioni mi per- suasi che veramente succede questo fatto , benché non sempre. Qualche volta gli individui , che prestano aiuto nella muta , man- giano la spoglia man mano che viene eliminata. Altra volta un in- dividuo piglia la spoglia, subito dopo che è stata eliminata, la tra- sporta più 0 meno lontano e la mangia tutta, o in parte. La cuti- cola dell'intestino posteriore può essere eliminata col resto della spoglia oppure no. In questo secondo caso viene eliminata a parte o spontaneauìente , o dietro carezze e pressioni , fatte allo scopo come sopra si è detto, di estrarre la feccia. Allora l'accarezzatore tira fuori invece della feccia, una materia bianca, che è appunto la cuticula dell'intestino posteriore, e la mangia. + Ilo detto che i Calotermiti mangiano la spoglia eliminata colla muta e che qualche volta un individuo, che sta lisciando un altro, finisce a quanto pare, per morderlo. Gli istinti carnivori dei nostri insetti non si fermano qui. Sta la regola che quando un individuo non è in condizioni normali (per es. è raggrinzato, oppure per ra- gioni non decifrabili resta pei' molto tempo immobile, dando così segno d' essere malato, oppure nella nmta non ha potuto abban- donare tutta la spoglia) , prima di morire , viene mangiato dagli altri individui della colonia. Perciò occorre cfi vedere non di raro che un soldato decapita una ninfa ancor viva , che 1' addome di un individuo è stato mangiato, mentre le zampe si muovono an- cora etc. Alcune volte 1' assalito fa dei movimenti per allontanarsi: ma afiora di solito il soldato di un colpo lo decapita. Non ricorre però sempre alla decapitazione. Qualche volta comincia col tron- cargli le antenne, etc. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi 23 + Noterò qui di passaggio che la ferocia dei soldati è tale che qualche volta se ne vede uno in gran furia assaltare 5 o 6 indi- vidui , e tagliare loro la testa , I' addome , etc. Non è chiaro il motivo di queste stragi, che si verificano però solamente quando il nido è messo a soqquadro. Prohabilmente il soldato crede che i suoi fratelli, o le sue sorelle, siano la causa del disturbo. + + In un nido senza regina si constatò che il l'e era morto e dopo poche ore non se ne trovò più il cadavere , segno evidente eh' era stato mangiato. Questo re parecchi giorni pi'ima avea co- minciato a mostrarsi ammalato e la popolazione aveva formato pa- recchie larve d' individui reali di sostituzione, -i- -!- Una volta si sorpresero di notte nove individui . tra cui anche un soldato, i quali stavano mangiando un individuo reale di sostituzione in muta, il poveretto era vivo ancora e faceva sforzi con tutto il corpo per liberarsi dal supplizio. I nove assassini pro- babilmente annoiati dalla luce , a cui erano stati improvvisamente esposti, smisero subita di mangiare e tutti insieme, servendosi del loro apparato boccale, lìortarono il suppliziato in una parte del ni- do meno esposta alla luce. Intanto molti altri individui facevano ressa evidi'iilciiH'iilc |)ei' pigliar jiarte alla mensa di cai-ne reale, -i- + Quali-lic volla si vidi' un iiidiviilui) lc<'cai-c le /,aiii|ic di un altro per qualche teiii|)() e i»oi (Tun lialto mangiargli via il tarso, -f- -f- Molte volte nelle lìrovette si trovano ninfe colle ali imper- fette perchè le hanno avute rosicchiate da altri individui. È notevole che alle ninfe destinate a diventare individui di sostituzione vien rosicchiata a preferenza l'ala anteriore destra, come si è già fatto notare. Si è pur detto precedentemente che gì' individui reali presen- tano sempre le antenne smozzate. Dopo le osservazioni or ora espo- ste, credo di poter spiegare il fenomeno coll'ammettere che una parte delle antenne è stata loro rosicchiata. Forse gì' individui reah se le rosicchiano tra di loro, come lo dimostra il fatto che quando la coppia reale è sola, cioè senza figli, ha già le antenne smozzate. Quando un individuo è morto da qualche tempo, non viene piìi mangiato dagli altri. 24 Cosfifnziotie e svilupjm della società dei Termitidi I Caloterrnes ammazzano i Termes, ma non li mangiano mai. Passo allo studio della saliva : esce in corrispondenza al lab- bro inferiore : è un liquido incoloro, spiccatamente alcalino e non contenente alcun elemento rilevabile al microscopio. Questo liqui- do forma una gocciolina sul labbro stesso e può servire oltre che come cemento per fabbricare, come cibo per altri individui. Questi possono 0 pigliarlo spontaneamente e ingoiarlo a poco a poco do- po di essersi un po' allontanati, oppure riceverlo dagli individui stessi che 1' hanno eliminato; i quali evidentemente lo porgono loro perchè se ne cibino. Per inghiottire la gocciohna è necessario un certo numero di atti di deglutizione che si possono contare : sono di solito quattro o cinque. Qualche volta il Galotermite vedesi tar molti atti di degluti- zione per ingoiare la propria saliva , che geme , ripeto , in corri- spondenza al labbro inferiore. Di solito i Termitidi non bevono. Si son veduti però dei Calo- termiti (alati, soldati etc), che .stavano morendo per deficienza di umidità, appoggiar la Ixicca sul legno inzuppato d' acqua, la quale ingoiavano, tenendo immobili le mandibole e muovendo il resto del- l' apparato boccale. Esaurita l' acqua di un punto passavano ad un altro. Si son visti altri individui assetati (soldati tenuti per qualche tempo in luogo asciutto) accorrere ad una goccia d' acqua posta nel salierino di vetro, in cui si trovavano. Osservando il salierino da sotto si notò che i soldati nel bere muovevano le mandibole e i palpi mascellari, e per non bagnarsi il corpo, tenevano le zampe sollevate pii^i che potevano e l'estremità dell' addome rivolta all'insù. Lasciando in disparte cfuesti ultimi casi eccezionali , conside- riamo come e quando si cibano i differenti individui. Tutti gU individui, eccetto i piccoli, mangiano legno triturato. I piccoli non ne mangiano fino a che l' estremità delle man- dibole e delle mascelle non siano colorite. Quello che ho detto per il legno, vale anche per la feccia, il vomito , la cuticula e il corpo di altri individui. Pare però che Costituzione e sviluppo della società dei Tei'mitidi 25 i piccoli comincino a mangiare vomito e feccia prima che legno. In particolare noterò d' aver constatato che alcune volte ai soldati vien porto vomito, accostando bocca a bocca : che gli stessi individui reali si mangiano la feccia 1' un 1' altro : che i grandi ca- vano feccia ai piccoli : che vomitano anche i soldati etc. La saliva viene data o ceduta abbondantemente agU individui piccoli , che non mangiano ancora legno e agli individui in via di diventar reali di sostituzione : una certa quantità viene pure data 0 ceduta agli altri individui colla testa sottile. Ci vuol molta pazienza per arrivare a sorprendere questi fenomeni, ma ci si arriva con tutta sicurezza. Particolarmente quando un individuo in via di diventar reale di sostituzione , è appena u- scito da una muta, si nota che vari individui gli si avvicinano e gli amministrano saliva. A questo riguardo devesi inoltre notare che dopo l' ultima muta la ninfa fa moltissimi atti di deglutizione, ingoiando saliva, che man mano essa stessa elimina dalle sue gliiandole. Anche negl' individui iu via di diventar reali di sostituzione , appena finita la muta, dopoché non viene più nessuno a dar loro saliva, vedesi gemere in corrispondenza al lalìbro inferiore la pro- pria che man mano viene ingoiata. Il gemitio può sospendersi per un po' di minuti e poi ricominciare. Gli individui che secernono saliva per gli altri, possono essere grosse larve o ninfe, -l- Gli individui cibati colla saliva presentano l'addome molto tra- sparente; ciò fa appunto riconoscere quelli in via di diventar rea- li di sostituzione. Gli individui clie ricevono saliva, non ospitano Protozoi o li ospitano morti. È molto verosimile che la scomparsa o la morte dei Protozoi negli individui reali di sostituzione sia dovuta appunto alla saliva stessa. Se la maturazione degli organi genitali sia dovuta soltanto alla saliva , od anche all' assenza dei Protozoi . è un argomento discu- Atti Acc. , VoL. VII , Serie 4.» - Memoria I. 4 2G Costituzione e sviluppo della società dei Tennifidi libile. Certo è che, per quanto ho già sopra accennato , la sola scomparsa dei Protozoi non basta. Molte volte mi sono domandato se i Protozoi non abbiano un' importanza per la digestione, perchè il tritume onde compone- si la feccia, passa quasi tutto attraverso il loro corpo. La cosa è possibile, ma non è dimostrata. -t- I Termitidi resistono parecchi giorni senza cibarsi; in particolar modo i soldati mangiano molto poco e possono restar vivi senza cibo più di otto giorni : perciò l' esercito costa poco alla colonia. Com' è troppo naturale^ la feccia quand' è passata e ripassata per il corpo dei Termitidi parecchie volte, non basta piìi a tenerli in vita. Perciò appunto un nido di soli soldati muore, non essen- do essi capaci di rosicchiare nuovo legno. Basta però ad un nidino di 11-12 soldati aggiungere una grossa larva, perchè esso si man- tenga in vita. + ò) Termes lucifugus. Gli esperimenti sul Termes lucifugus riescono molto più diftì- cilmente e soltanto dentro grandi recipienti di vetro , nei quali è impossibile far le debite osservazioni. Nei pochi casi in cui i Ter- miti sopravvivono bene e molto numerosi per qualche mese, si tro- vano facilmente individui di sostituzione più o meno abbondanti. [n proposito non ho nulla da aggiungere a quanto ho osservato in altri punti del presente lavoro. I nidini nelle provette, come ho già ripetutamente accennato, muoiono in pochi giorni. Nel frattem- po però si possono fare molte osservazioni. + Le regine di complemento sono oggetto di tenere cure non solo da parte degli operai, ma anche da parte delle larve. Vengono pulite molto meglio degli individui reali del Calotennes. Stanno attor- no ad una regina di complemento quattro o cinque individui a un tempo, e chi le pulisce le zampe, chi le antenne, chi l'addome etc. -i- Quanto ai cibi^ verifìcansi gli stessi fenomeni che ho esposto per i Calotermiti. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi Conclusione : / fatti fin qui riferiti ci autorizzano a conci i in d ere che la saliva dei Termes e dei Culotermes esercita ima mirabile influenza sugli in- dividui in via di diventare insetti perfetti: permette, cioè, che si tra- ufortnino in individui reali di sostituzione, o di complemento. Si tratta in sostanza di un curiosissimo fenomeno di neotenia. Mentre però negli Anfibi la neotenia, ossia la maturazione di individui aventi caratteri infantili, è subordinata all' ambiente, nel caso dei Termes è essenzial- mente subordinata (dia nutrizione. II. Sviluppo dei soldati e degli operai. Nei Termiti al)l)iamo tre caste straordinarie: operai, soldati ed individui neotenici , giusta il termine adottato nel precedente capi- tolo. Questi ultimi non sono soltanto arrestati nello sviluppo , ma possono presentare caratteri loro propri differenti da quelli degli in- dividui adulti (peli lunghi all'addome e macchioline nere nel Termes). Caratteri peculiari, ancora più .spiccati presentano altre larve arrestate nello sviluppo e precisamente le caste dei soldati e degli operai. Ora essendo dimostrato che una casta, (juclla neotenica, è subor- dinata alla nutrizione, risulta già a priori verosimile che lo siano anche le altre. Pure a priori, i soldati si possono considerare come operai ulteriormente differenziatisi, e difatti al pi-incipio dello sviluppo, han- no una sola nota caratteristica, cioè la testa grossa come quella degli operai. Quindi il soldato comincia colf avere i caratteri d' ope- raio. Con altre parole, si può ammettere che un individuo desti- nato a diventar insetto perfetto , è capace di subire uno sviluppo paraiiomale, ossia di acquistare certi caratteri che non gli permette- ranno più di diventare insetto perfetto, anzi Io priveranno assoluta- mente della fecondità. Se, raggiunte certe modificazioni di struttu- ra (testa semplicemente grossa, pronoto con peculiari caratteri etc), si arresta la differenziazione della testa e l' individuo perciò si 28 Cosflftizione e sviluppo della società dei Termitidi limita a crescere uniformemente . tranne soltanto 1" aumento del numero negli articoli delle antenne , allora abbiamo un operaio . Se invece di limitarsi così, le mandibole s' allungano, il labbro su- periore pure etc, mentre invece non crescono le mascelle ed il lab- bro inferiore, allora abbiamo un soldato. Quindi in breve operaio e soldato percorrono per un tratto un' unica strada ; ad un certo punto uno continua sulla stessa strada (operaio), mentre l'altro di- verge (soldato). In rapporto con ciò sta il fatto che i soldati giovani sono indistinguibili dagli operai giovani , e che in certi Termitidi (Calotermes) esistono appena soldati, ed in altri ( Anoplotermes) ap- pena operai. Ma tutte queste induzioni hanno bisogno della controprova , del suffragio, che porgono le osservazioni dirette. E pur troppo le mie sono incomplete, non essendomi i-iuscito di tener in vita i Tennes quanto tempo era necessario per com- pletarle. Tuttavia alcune prove fondamentali hanno dato risultamenti del tutto conformi alle suddette induzioni. Esse sono le seguenti : I. La trasformazione d' un individuo in larva di soldato e quin- di in soldato può accadere ad età molto diverse. Così, nei Calotermes possono diventare soldati individui colle antenne da dodici a diciassette articoli e perciò di dimensioni mol- to differenti, senza traccia di ali, o colla traccia stessa più o meno sviluppata (vedi IL). Troviamo perciò soldati neoformati di varie dimensioni (piccoli, medi e grandi) e colle antenne fornite d'un nu- mero variabile d'articoli. È nei nidi giovani che troviamo il soldato piccolo : sentesi il bisogno di soldati e si anticipa la maturazione di questa casta. II. Vari osservatori hanno rinvenuto nei nidi di Termiti eso- tici dei soldati forniti d'una traccia d'ali più o meno pronunziata. Essi H ascrissero a mostruosità inespUcabili. Io invece ho suppo- sto che si fossero sviluppati in seguito ad un'alimentazione insolita 0 straordinaria che si voglia dire, e ciò in armonia a quanto ho Costituzione e sviluppo della noe/età dei Termitidi 29 sopra esposto. Se la mia supposizione era fondata, io avtei potuto mettere i Termitidi in circostanze tali da obbligarli a produrre mo- struosità simili. E infatti questa possibilità esiste come dimostrano le seguenti esperienze. + Si fanno d'inverno dei nidini di Culotermes composti di ninfe e perciò , lo si noti , senza soldati , dentro le provette contenenti tritume e si tengono in luogo caldo (1) (nel taschino del panciot- to o vicino ad un forno etc). Dopo qualche tempo si notano non soltanto alcune ninfe in via di diventar reali di sostituzione , ma anche alcune altre ninfe in via di trasformarsi in suldati: esse sono caratterizzate sopratutto dalle mandibole e dal labbro superiore piut- tosto allungati, non che dalla testa grossa. Contemporaneamente le ali vanno riassorbendosi sino a re.starne appena un rudimento. Le ninfe-soldati , se ci è permesso di così denominarle , nmtando di- ventano soldati perfetti. Che però tutte arrivino a subire total- mente questa trasformazione, non lo posso asserire con sicurezza, perchè in parecchi nidini esse restarono imnmtate per mesi intieri. Strani, uui comprensibili sono certi casi, in cui gli occhi delle nin- fe-soldati si pigmentano. Sperimenti dello stesso genere vennero fatti nei nidi naturali degli albeii, levando loro molti soldati : dopo un certo tempo vi ri- scontrai ([ualche ninfa-soldato. Ciò mi fece dubitare die anche normalmente potesse riscon- trarsi qualche ninfa-soldato nei nidi ancora intatti e richiamò in particolare la mia attenzione suH' origine dei soldati grossi. Infatti verificai che non sono rari nei nidi normali i casi in cui i soldati originano da larve coU'abbozzo delle ali, o da ninfe: il fatto è sfug- gito ad osservatori accuratissimi, come Fritz Miiller, appunto perchè l'abbozzo delle ali si riduce e fors'anche, quando si tratta di larve, può scomparire del tutto. + (1) M' è qui il' uopo aggiungere l'hc colloi-aiidn i Ti'i-iiiitiili in hiDgo i-Mo. il loro sviluppi! i,oiitinua aiirlie it' inverno, la regina antiripa l'ovilicazione, lo uova si schiudono precocemente etc. 'àO Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi Che questi fenomeni si verifichino anche nel Termes, lo dimo- stra il seguente fatto: Ho ottenuto una ninfa-soldato, che ha cioè press'a poco il to- race come una ninfa della seconda forma e la testa ciuasi di sol- dato, in un piccolo nido di Termes lucifugus tenuto dentro un va- setto di vetro. Facevano parte di questo nido all'epoca della sua formazione un certo numero di individui allo stato d'insetto perfetto, molti operai, alcuni soldati e alcune larve indifferenziate. La suddetta ninfa-sol- dato vi è stata rinvenuta dopo sei mesi, insieme ad un certo nu- mero d" operai, ad un soldato ordinario e a una ninfa della seconda forma. Evidentemente la morte aveva mietuto molte vittime nei sei mesi che durò il nido ! Ebbi altre volte occasione d" incontrare simili ninfe-soldati. C4ià tutte queste osservazioni dimostrano che la casta degli operai e dei soldati rappresenta nient' altro che uno sviluppo pa- ranomale d' individui capaci di diventare insetti perfetti. Concorre alla stessa dimostrazione il fatto che i neonati sono fra loro relativamente uguali, dico relativamente, perchè non son tutti dell' identico volume. Per osservare ciò, occorre sorprendere i Calotenties nell'atto che abbandonano l'uovo (escono da una estremità dello stesso), conservarli in un modo uniforme e poi compararli. -+- Nel Termes non si sorprendono quasi mai gli individui all'u- scita dell' uovo. È necessario perciò raccogliere molti individui, sud- dividerli a seconda dei vari stadi e poi paragonarli. + I neonati vengono nutriti con saliva : dopo qualche tempo alla saliva vien aggiunto un vomito chiaro, giallognolo (contenente pro- babilmente molta saliva), più tardi ancora essi prendono anche gU altri alimenti. Quanto agli individui , in cui la testa comincia a presentarsi ingrossata , la quantità di saliva che ricevono dev' essere piccolis- sima ; come dimostra il contenuto intestinale, che è colorito come legno 0 feccia. Costituzione e sviluppo della società dei Tennifidi '.)[ In quelli in cui la testa resta sottile , la saliva pura o quasi , vien continuata per maggior tempo , ed in appresso vien sempre somministrata in certa quantità. Facendo nidini in provette , alcuni senza soldati ed altri con parecchi, ed aggiungendo molti individui piccoli dalla testa sottile, vedonsi costantemente nei primi alcuni di questi piccoli acquistare la testa grossa, mentre di regola ciò non verificasi nei secondi. Evidentemente dunque la colonia senza soldati tende a fab- bricarsene, come accade per gl'individui reali. Resterebbe perù a dimostrare che i piccoli colla testa grossa diventano soldati. Calcolando le proporzioni dei vari iinUvidui nelle cdlonie di < 'biano totalmente perdute. Essi deriverebbero da forme basse, in cui il primo seg- mento addominale rimase indipendente, cioè con una completa ster- nite e non colla sternite fusa insieme colla metasternite, come nei Termitidi. Del resto sappiamo che vi sono non pochi Ortotteri s. I. alati e colla iirima sternite addominale separata come nei Tisannri. (1) Ann. il. k. iiatiirliist. UcitMiiiscuni in \Vion. l?il. 1. ISSO. oS Costituzione e sciluppo della società dei Tennitidi Con ciò tomo a dichiarare infondata la dirisione deyli Insetti in Apteryyoyenea e Pterygoyenea, che che asserisca il Brauer (1). In altri termini, io ammetto che tutti yli insetti attualmente viven- ti abbiano avido le ali. CENNI STORICI E RIASSUNTO Lasciando allo scrittore di una monografia completa sui Ter- niitidi il compilo di mettere in luce punto per punto ciò clie il D.r Sandias ed io abbiamo trovato ed esposto come contributo alla conoscenza dei Termitidi, non posso qui passar sotto silenzio alcuni dati storici di maggior rilievo. Riguardo gl'individui di sostituzione e di complemento ho già in una nota preliminare ricordato ciò che rilevasi dai lavori di coloro che si sono occupati precedentemente dell' argomento e in ispecial modo da una JMemoria di Fritz Miiller. Voglio qui riportare le mie parole testuali : " É al geniale Fritz Muller che spetta il merito d'avere ideata pel regno dei Termitidi la nuova, brillante e molto verosimile ipotesi delle coppie reali suppletive; egli 1' appoggia ad osservazioni che in parte spettano a vari autori ed in parte sono sue proprie. ,, Il Lespès ha trovato nel Termes lucifuyus — un Termitide dell' Europa meridionale — due soi'ta di ninfe : ninfe della prima forma e ninfe della seconda forma, cosi le denominò. Oi-i*^lle della prima forma sono più vivaci , più smilze ed hanno accenni d' ali lunghi e larghi, coprenti interamente la parte anteriore deli' addo- me; verso il 15-20 di maggio diventano insetti perfetti e abbando- nano il nido. Le ninfe della seconda forma sono molto più rare, hanno 1' addome più grosso , pesante e presentano accenni d' ali corti, stretti, collocati quasi lateralmente al torace. In febbraio quando il Lespès le trovò per la prima volta, erano lunghe come le altre (6-7 mm.) , più tardi diventarono più lunghe (8-10 mm.) ma per (1) Zuol. Anzcigcr 1888. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi 39 accrescimento del solo addome, specialmente nelle femmine. Alioi-a i terghi addominali non arrivavano più a coprire i Iati del coriio e si presentavano nettamente separati l' uno dall' altro per molli membranelle. Si aveva insomma un rigonfiamento dell'addome, al quale corrispondeva uno sviluppo molto più grande delle ghiandole genitali tanto maschili quanto femminili , in confronto colle ninfe della prima forma. Le ninfe della seconda forma si conservarono così fino al luglio, nel qual mese diventarono brune, ma andarono facendosi di gran lunga più rare. Pur troppo le osservazioni del Lespès non vanno oltre questo mese, egli però suppone che le ninfe della seconda forma in agosto si tramutino in maschi e femmine alate e che sciamino come quelle della prima t'orma. Dalle ninfe della prima forma egli fa derivare i piccoli re e regine da lui trovati qualche volta nei nidi: da quelle della seconda forma * re e le rn/ine (jrandi. Ciò basa sul fatto che i piccoli re e regine hanno ghian- dole sessuali poco svihippate, come le ninfe della prima forma, e che i re e le regine grandi, o, com'egli semplicemente li denomina, i re e le regine le hanno molto sviluppate , come le ninfe della seconda forma. Ma (piesto ditferentc sviluppo dei loro genitali , osserva il .Miìllcr. iiolrchhe spiegarsi colla differenza d'età e di epoca dciraiiiio in cui l'uroiio osservali. Di pii'i, nolano rilaucii imI il Mullcr, le copiiic leali hanno monconi d" ali che presuppongono un grado di sviluiipo delle ali stesse, quale , come sembra , non potrebbe raggiungere la ninfa della seconda forma coi suoi accen- ni cortissimi ancoi-a in luglio. Aggiungono i citati autori che il Bobe-Moreau ha sliuliaLt) al sud d" Europa una specie che e forse lo stesso Ternies lncifwjus e non ha osservato la seconda sciama- tura supposta dal Lespès. Per tutto ciò, secondo il Miiller, le ninfe della seconda forma restano senz' ali e non abbandonano mai il loro nido nel quale, a suo parere, e in date circostanze diventano sessualmente mature, individui sessualmente maturi, benché in abito di ninfa, pro- segue il Mailer, vennero già descritti come regine in diverse specie, nello stesso Termes lucif ngns (3o\y), nei Termes favipes, arenaritis e nel Calotermes faricoUis (?). „ 40 Cosihuzione e tiviluppo della società dei Termitidi " Il Miiller non crede che la sciamatura dei Termitidi possa condurre alla fondazione di nuovi nidi. Non nega proprio {geradeziì) questa possibilità pel Caìotermes, la esclude però assolutamente per tutti i Termes , Eutermes , e Anopìotermes da lui studiati. La scia- matura, pensa lo stesso autore, ha il semplice effetto di provvedere di coppie reali i troni che sono disoccupati. La colonia eviterebbe r enorme t^uantità di lavoro e il grave consumo di individui che costa la sciamatura e sarebbe certa d'avere un re e una regina, trat- tenendo in casa una coppia d' individui da essa prodotti. Ma questi individui, essendoci di regola in ciascun nido una sola coppia reale, sono figli degli stessi genitori, perciò se si accoppiassero, il sangue s' indebolirebbe, giusta 1' espressione del volgo. Colla sciamatura ac- cade che s'incontrino individui di differenti nidi, e si formino coppie reali non consanguinee; si evitano così i malefici effetti delle nozze consanguinee: quest" è appunto lo scopo della sciamatura. ., " Ma per raggiungere questo beneficio, accade purtroppo facil- mente che una popolazione orfana non arrivi a provvedere il suo trono di una nuova coppia reale, hi questo caso subentrano le cop- pie j'eali di sostituzione, ossia le ninfe della seconda forma, diventate sessualmente mature; esse salrauo così la colonia. Con ciò è in rap- porto il tardivo svilupparsi delle ninfe in discorso. Il diventare rare in luglio indica forse che vengono uccise, quando non ce n' è più bisogno, ovvero che la colonia ne tiene vive tante quante gliene occorrono. „ " L' ipotesi di cui discorriamo, viene confortata dalla seguente osservazione fatta in Brasile dal Miiller stesso. Nel nucleo soHdo d'un nido d' Eutermes trovò non meno di 31 regine di sostituzione (le vide ovificare) con un unico re, vero re con monconi d' ali : mancava invece una vera regina. In complesso queste regine sup- pletive somigUavano agli operai, erano grosse il doppio: gh accenni d' ali erano nella maggior parte molto corti (circa una metà dell'a- nello a cui corrispondevano) e soltanto in alcune notevolmente più lunghi. Le antenne avevano 14 articoli come negli operai (sono 13 nei soldati, lo negli alati). Si sarebbe potuto considerare la loro Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi 41 testa cnuR' appartenente ad un operaio, se non ci fossero stati dei piecoii ocelli conijjosti pignientati. '■ (Jiiesf è tutto quanto si legge nella Memoria di Fritz Miiller {Jen. Zeitschrift. IV Bd. 1873). Contro quest'autore si dichiarò I" Hagen (cit. dal Miiller stesso), il quale crede che tutte le regine provenienti d'Africa e d'Asia derivino da insetti jjerfetti e quelle d' America direttamente da ninfe. „ " llecfutemente il Jehring (in Brasile) puhhlicò due Note sulla generazione alternante dei Termitidi [Etdoiii. Xachrivhten von Karsch. Berlin. Anno XIII, n. 1 e n. 12). Per il Jehring le regine di sosti- tuzione— trovate dal Miillrr mui so/n roltn e non mai dal Jehring stesso — sono forme anormali (operai ca[)aci di generare) come i sol- dati con abbozzi d'ali filati dall'Hagen : ey.s'c non Inumo valore nel- reconomin ilei Termitidi. Quanto alle ninfe della seconda forma trovate dal Lespcs ni'l Ternies IncifiKjm esse si debbono interpretare o come esprimenti un dimorfismo di stagione, oppure appartenenti ad una spe- cie inquilina con f(ucll;i. a cui si riferiscono le ninfe della prima forma (quest' ullimu latto secondo il Jehring si verifica in molti Termitidi americani!). , " Nel numero 12" dell' A'«/. Nachricldcn s. cit. Frilz Miiller senza porlar nucjvi falli dicliiai'a insufficienti le obbiezioni del Jehring ed io non cicdo che valga la pena di occuparsene ulteriormente. „ Come risulta dalla or latta citazione 1" Hagen e Fritz Miiller avevano cercato di correggere i gravi erniri in cui era caduto il Lespès. Specialmente Fritz Miiller si è teoricamente avvicinato alla soluzione del problema riguardante le ninfe della seconda forma , ma si limitò a semplici tentativi. I punti princi])ali nuovi in questo lavoro fatto da me e dal Dr. Sandias sono i seguenti: 1. Dai nidi del Calofermes flavicoUis e del Ternies Incifugus Atti Acc. , Vol. VÌI , Serie 4.» — Memoria I. 6 42 Costituzione e svihippo della società dei Termitidi sciamano ogni anno molti individui alati, cioè colle ali interamente sviluppate. Un certo numero di quelli appartenenti al Caìotennta flavicollis arrivano a fondar nuove colonie. " Quelli appartenenti al Termes lucifujas, in natura, almeno qui in Sicilia, vanno tutti irremessibilmente perduti , come dimostrano le mie ricerche prolungate per circa sette anni. " 2. Di regola i maschi sciamano separatamente dalle fem- mine , e ciò rende difficile la formazione di coppie reali tra con- sanguinei. " 3. Un certo numero di Caìotermcs alati, in seguito alla scia- matura, arrivano a posarsi sui tronchi degli alberi, là dove questi sono cariati. Quivi, se il caso non li aiuta ad abbandonar le ali , abilmente se ne liberano , e poscia cominciano a rodere il legno cariato. Quest' è 1' occasione che fa incontrar individui di sesso differente ; si appaiano, ed ogni coppia comincia a fondare una nuova colonia. " Nel Calotermes non si verificano le così dette passeggiate amorose : esse si verificano invece nel Tennes, ma non hanno al- cun significato sessuale , sono invece dei semplici tentativi di ca- varsi la feccia (v. più avanti). " Le coppie , che cominciano a fondar una nuova colonia ? presentano le antenne { organi di senso ) smozzate ( probabilmente se le smozzano tra di loro gli individui componenti la coppia). A questo riguardo noto inoltre che tanto nel Tennes, come nel Calo- termes, non si trova mai alcun individuo reale , vero o di sostitu- zione 0 di complemento che abbia le antenne intiere. " 4. I Termitidi {Termes e Calotermes) s'intendono tra loro specialmente con scosse quasi sussultorie di tutto il corpo . che possono esser accompagnate da un crepitio facilmente percettibile e prodotto dallo sfregamento del pronoto col capo (nei soldati del Termes lucifugus). " L'organo scoperto da Fritz Miiller neUe tibie dei Termitidi è timpanale (uditivo secondo ogni verosimiglianza). A nostro parere, i Termitidi odono il rumore prodotto dalle scosse suddette. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi " Gli individui d' un medesimo nido si riconoscono tra di loro. " 5. 1 cibi dei Termitidi son"^ : " I. Rosicchiatura di legno morto, o cariato ecc. ; " II. Vomito d' individui della colonia : questo vomito consta di rosicchiatura di legno commista a secrezione delle ghiandole salivari ; " III. Feccia d' individui della colonia : questa feccia costitui- sce il cibo prediletto dei Termitidi , che di regola se la cavano r uno air altro con grande abilità; " IV. Corpi d' individui della colonia , e anche di alti'e colo- nie, ma della stessa specie, o appena morti o moribondi o perfet- tamente sani, ma soprannumerari (individui reali di sostituzione soprannumerari, soldati soprannumerari, ecc.); " V. Secrezione delle ghiandole salivari di individui della co- lonia (liquido trasparente alcalino). •' I Termitidi succhiano acqua. " 6. La colonia dei Termitidi , variando le proporzioni e le qualità dei cibi, può deoiure lo svilupiio di un certo numero d" in- dividui destinali ordinariamente a diventar insetti perfetti. Ottiene cosi degli operai, dei soldati ( che si possono considerare operai ulteriormente differenziatisi) e degli individui neotenici , aventi o no qualche carattere speciale ( per es. peli lunghi ). Gli individui neotenici sono maturi sessualmeute, senza che il loro abito siasi del tutto trasformato in quello d'insetto perfetto, conservano, cioè, l'abito di larva o di ninfa ecc. Es.si sono appunto i re e le regine di sostituzione e di complemento. " Tutto ciò si dimostra rigorosamente, osservando colonie, a cui si tolgono re, regine, o soldati etc. Si possono così obbligare i Termitidi a produrre soldati, operai, od individui neotenici, a nostro piacimento. " La possibilità di ottenere queste trasformazioni non è limi- tata necessariamente ad una determinata età degli individui da trasformare; possono diventar soldati, larve di diversa età e ninfe. 44 Costituzione e sviluppo della società dei Tenititidi e diventar neotenici oltre a larve di diversa età ed a ninfe perfino insetti perfetti quasi ancor bianchi. " La colonia però preferisce trasformare in neotenici , in sol- dati, ed in operai, individui di determinate età, e ciò io preciso nel- la presente Memoria. " 7. Agli individui destinati a diventar neotenici viene sommi- nistrato da larve e da ninfe molto secreto delle ghiandole salivari. Esso fa scomparire i Protozoi parassiti. Non conosco bene il valo- re di questa scomparsa. Certo è che essa da sola non basta a ren- dere un individuo neotenico. " Tutti i neonati ricevono soltanto saliva. Più tardi agli indi- vidui destinati a diventar soldati od operai, ne vien somministrata poco 0 punto. " 8. A capo della colonia del Tcrmes bieifi((/iis stanno centinaia di regine di eoiìiplemennio ; i re di coìiì-pleiiwnto hanno esistenza precaria. " Gli uni e le altre derivano quasi sempre da ninfe della se- conda forma. " Nelle colonie di Termes state orfanate, dopo un certo tem- po troviamo invece delle regine di complemento , le regine di so- stituzione. Queste ultime derivano frequentemente da larve senza traccia d'ali e non di rado da insetti perfetti ancora più o meno estesamente bianchi. '■ A capo della colonia del Calotermes flavicoììis- sta una coppia reale, derivata dagli alati suddetti. Quando questa manca, la colo- nia si provvede d' nita coppia reale di sostituzione. Più esattamente ne fabbrica un certo numero, ma poi, in seguito a lotte feroci ed a banchetti di carne reale, ne soppravvive una sola. " I Tennes ìucifui/us passano facilmente da un albero all'altro, trasportandovi anche uova e neonati : gli individui di complemento non mutano però mai di sede, hi conseguenza si trovano molti al- beri carichi di Tennes lucifugus di svariate età senza individui di complemento. Ad un certo momento , una parte della colonia sta- bilita in un albero senza individui di complemento perde ogni rap- CostituzhiHt e fìciluppo delia società dei Terinitidi porto col resto della colonia e fabbrica centinaja di individui di complemento. Così sorgono nuove colonie di Teiiiie.s Idrifitijiis. " Base di tutti questi fenomeni si è il fatto che i Termitidi avvertono prontissimamente la mancanza di individui reali. " I Calotermiti accettano facilmente nel loro nido individui estranei, ma della stessa specie, ed anche una coppia reale, se so- no orfani. I fenomeni di gelosia tra gli individui reali sono spicca- tissimi, ma non si manifestano così rapidamente come nelle Api. APPENDICE I. PROTOZOI PARASSITI DEI TERMITIDI. A complemento delle rirerciie dianzi esposte sui Protozoi pa- rassiti dei Termitidi. voglio qui s(jnuiiariauu'nte descriverli (I): li comprendo tutti nella Classe dei Flagellati. Nel Calotermes fiaricoì/is trovansi due sole forme : una appar- tenente alla laniiglia delle Cercomonadidae Grassi, V altra alla fa- miglia delle f,ii/i//(iiiiì) . V. Dinenymp/ia f/facilis Leidy {einend.) (nel Ti^nnes lncifii/jiis). Probabile sinonimo : Pyrsonympha verteiis Leidy {prò parte). Fam. Pyrsonymphidae: VI. Fyrsoìiyiiìp/ia flayellata n. sp. (nel Termes luciftigus). VII. Holomastigotes elonyatiim n. g. e n. sp. (nel Termes l/ici- flKI'Ks). Joenia annectens n. g. e n. sp. Ha dimensioni relativamente gigantesche, superando di spesso la sua lunghezza i centotrenta ì^ e i quaranta !'■ la sua larghezza. Ha figura varia: talvolta rassomiglia ad una pera colla base in avanti, talvolta quasi ad una bisacca col sacco anteriore più piccolo del posteriore. Come le LiiptioniiDids, porta all' estremità anteriore un grande ciuffo formalo da numerosi flagelli, non mostra né bocca uè vacuoli contrattili ed infine va fornita di un grande nucleo situato vicino al ciuffo. Questi sono i punti di contatto tra il mio nuovo Protozoo e le Loplioii/Diias, esistono però alcune notevoli divergenze e sono le seguenti: 1. Questo nuovo Protozoo invece del tratto di protoplasma più denso e più oscuro che può riscontrarsi nelle Lojyì/omonas alla metà anteriore del corpo, possiede un complesso scheletro interno. Questo scheletro è d'aspetto cuticulare, occupa presso a poco l'asse longitudinale del Protozoo e risulta : Costituzione e sviluppo della società dei Tenn/fidi 47 A) di un bastoncello simile a quello delle Tricomonadi , as- sottiglianlesi all' indietro ; all' estremo anteriore si allarga e pre- senta un' incavatura, che accoglie gran parte del nucleo; per que- sta incavatura il bastoncello acquista una simmetria bilaterale ; B) di numerosi bastoncellini curvi e claviformi; essi, a quanto pare, col loro estremo assottigliato prendono inserzione all'estremo anteriore del bastoncello, e sono disposti in modo che vengono a formare una zona, che circonda questo estremo anteriore; siccome però essi ne lasciano libero un piccolo tratto, così la zona resta incompleta. Perciò la zona acquista una simmetria bilaterale, che non corrisponde però a quella del bastoncello. Alle volte notasi un tilo che, a quanto pare, va dal bastoncello al ciuftd di flagelli: io non so se debba esso pure considerarsi come parte dello sche- letro. 2. La Jocììid nella metà posteriore del corpo va tornita di ci- glia che non picscntiinsi mai in movimento. Si pasce (li hiliiiue di legn(j, che ingoia in un modo non de- terminato. Talvolta i |iezzettini di legno con cui si nutre sono grossi e lunghi più di metà del suo corpo. L'assunzione dell" ali- mento avvicui' mollo iirohaliilmente in corrispondenza alla metà anteriore del corpo, eccezione fatta dd li-atlo iu cui sorgono i tla- gelli. Probabilmente nella stessa regione avvitme 1' eluuinazione del- la feccia. Assunzione ed eliminazione sono verosimilmente accom- pagnate da movimenti ameboidi. IL Trichonympha agilis. Raggiunge le dimensioni della Joenia. La lìgura e varia. Tal- volta è o vaiare, talvolta presentasi strozzata a guisa di bisacca col sacco anteriore più piccolo del posteriore, e collo strozzamento circa a livello della parte anteriore del nucleo. Il sacco anteriore può mostrare alla sua volta uno o due strozzamenti trasversali. Più 48 Coxtifuzione e sviluppo del/a società dei Termifìdi di frequente il parassita in discorso ha la forma d' una mammella (mammella di capra per es.) col capezzolo in corrispondenza al- l' estremità anteriore. Questa porzione paragonabile ad un capez- zolo, essendo più o meno evidente anche quando 1' animale assu- me forme non ricordanti una mammella, può venir per brevità de- nominata capezzolo. Nella descrizione del Protozoo in discorso pos- siamo perciò distinguere un capezzolo ed una base su cui questo riposa. Capezzolo e base possono apparir separati da un evidente strozzamento (vedi sopra). Il capezzolo può essere ricurvo in vario senso verso il corpo, oppure anche ravvolgersi a spira. La maggior parte delle differenze di forma or cennate paiono costanti, sicché non vedesi al microscopio alcun cambiamento di forma: ciò però potrebbe essere in rapporto alle condizioni sfavore- voli in cui le osservazioni vengono fatte. Lascio quindi indeterminato se queste diversità di forma siano veri fenomeni di contrazione. Certo è cbe il capezzolo e la metà anteriore della base hanno foriae assai jnù svariate della metà posteriore della base. In com- plesso la Trichoinjmplia è molto più variabile di forma della Joeìiia. In ogni caso è indubitato che il capezzolo è flessibile. Nella TricIio)ujmpJ/a si può distinguere un ectoplasma ed un endoplasma. L'ectoplasma nel capezzolo e nella metà anteriore della base si comporta differentemente che nella metà posteriore della .stessa. Qui trovo opportuno per brevità di linguaggio indicare la paiie anteriore della base insieme col capezzolo semplicemente col no- me di :ona striata (bencliè la striatura manchi all'apice del capez- zolo) e di zona liscia invece la parte posteriore della base. Il confine tra la zona striata e quella non striata varia, talvolta è alla metà della lunghezza dell'animale, tal' altra all' unione del terzo o del quarto anteriore coi due terzi o coi tre quarti posteriori. Comincio a descrivere la zona striata. La striatura è longitu- dhiale e viene data evidentemente dalla presenza di leggieri solchi con corrispondenti rilievi alla superficie dell' ectoplasma. Tale stria- tura è più grossolana e meno fitta in corrispondenza al capezzolo, che alla parte anteriore della base. Costituzione e sviluppo della .società dei Termitìdi 49 In complesso 1' ectoplasma della zona striata è apparentemente denso ed omogeneo, e nella sua parte profonda, in corrispondenza alla parte anteriore della base, vien percorso da linee circolari in direzione equatoriale. Che cosa esprimano queste linee, è diffìcile precisarlo: suppongo che siano mionemi. Air apice del capezzolo 1' ectoplasma è ridotto ad un esilissimo strato, senza traccia, come dissi, di striatura e di tal aspetto che lo si giudicherebbe una membranella amorfa, come spiegherò meglio più sotto. Veniamo alla zona non striata. Quivi 1' ectoplasma presentasi differentemente secondo che si osserva all' estremità posteriore o nel resto. All' estremità posteriore forma uno strato di spessore assai variabile e di diverse apparenze, lo suppongo che questa e- stremità posteriore sia capace di movimenti ameboidi, movimenti che conducono all'assunzione dell'alimento, il quale d'ordinario consi- ste in Iraiiiniciiti di Ici^iio più o meno voluminosi, talvolta superan- ti in lunghezza più che la metà del corpo del Protozoo, hi com- plesso r ectoplasma dell' estremità posteriore pare poco den.so. Nel resto della zona non striata l'ectoplasma è apparentemente denso e omogeneo: quando l'endoplasma ('■ carico di alimento, questa parte dell' ectoplasma forma uno strato più sottile e può apparire granuloso. Alla superficie presenta sempre un netto doppio con- torno, che invece non è mai rilevabile neh' ecto])lasnia all'estremità posteriore della zona non striata in discorso. L'ectoplasma in tutta la zona non striata si perde senza netti contini neir endoplasma. Invece nella zona striata sotto all'ectoplasma notasi uno spazio chiaro, che ritengo una lacuna ripiena di liquido o di protoplasma se- miliquido. Per intendere bene la disposizione di questa lacuna m occorre descrivere più minutamente il capezzolo. La sua estre- mità anteriore non striata alla superfìcie, è separata dal resto del capezzolo per mezzo di un diaframma trasversale, che viene perciò a delimitarla, impartendole la forma di calotta. Questo diaframma è d'aspetto cuticulare e presenta una pupilla centrale : la pupilla Atti Acc. , Vol. VII , Serie 4." — Memoria I. 7 50 Costihizione e svilfqjpo della società dei Termitidi viene occupata dall'estremo anteriore arrotondato e chiuso d'un tu- bulo cilindrico situato lungo l'asse longitudinale della porzione stria- ta del capezzolo. Questo estremo anteriore forma perù un tappo sottile per la pupilla, sicché resta tra tubulo e diaframma uno spazio in, fonila di corona. Nella parte che ho paragonato a una calotta, sotto all'ectoplasma, che appare, "come dissi, ridotto a una sottilissima membrana, sta uno spazio chiaro, che ritengo una lacuna occupata da un hquido o da un protoplasma semiliquido, come quello dell'altra lacuna sopradet- ta. Appunto in corrispondenza allo spazio in forma di corona una lacuna comunica coli' altra. Il tubolo cilindrico sopra mentovato presenta la parete fatta d'una sostanza d'aspetto cuticulare. Il contenuto è un liquido o un protoplasma semiliquido come quello delle lacune. AH' indietro , a livello dell'origine del capezzolo, il tubulo allargasi molto. Noto però che dopo che ha cominciato ad allargarsi, la sua parete si assottiglia fino a non essere più evidente, ed il contenuto, invece di mantenersi jicjuido o semiliquido, appena è cominciato 1' allargamento , diventa d' un tratto un protoplasma molto denso, granulosissimo, essendo i granuli fini ed uniformi. Ne nasce per l'allargamento detto un corpo, che si può pai'a- gonare ad una bottiglia, di cui il collo sarebbe appunto il tubulo cifindrico. Il fondo di cpesto corpo a forma di bottiglia (corrispon- dente appena indietro del piano che separerebbe la zona striata da quella non striata) è incavato (rilevato) appunto come in molte bot- tiglie e nell'incavatura sta il nucleo. Perciò continuando ad adottare il confronto colla bottiglia, da quanto ho detto risulta che il collo termina chiuso all'estremo li- bero ( anteriore ) e contiene sostanza Hciuida o semiliquida, mentre il corpo della bottiglia contiene protoplasma granuloso. La bottiglia, e in ciò il confronto non regge bene, non ha parete propria nella parte che corrisponderebbe al fondo^ o meglio la parete andando dal collo al corpo della bottiglia s' assottiglia fino a scomparire. Ri- sulta dalle precedenti descrizioni che questa bottiglia sta in mezzo Costituzione e .svilupjM della società dei Termitidi 51 ad uu liquido od a protoplasma semiliquido ( lacune sopradette ), tranne in corrispondenza al fondo. Il fondo incavato della bottiglia protegge, come già ho accen- nato, il nucleo, e precisamente accoglie la metà anteriore del nu- cleo. La metà posteriore sta in una sorta di cestello fatto di ba- stoncini curvi, piuttosto lontani 1" uno dall' altro e cementati insie- me da protoplasma granuloso. Come siano ordinati, non lo so bene. Finiscono press' a poco in corrispondenza all' orlo del fondo della bottiglia; sono in parte, fors' anche tutti, archi che s' estendono ad abbracciare la metà inferiore della superficie del nucleo. Più esatti particolari non posso aggiungere ; dirò soltanto clic ho motivo di credere che non tutti siano così sirnnii'liicamente dis])osti , e che non lo siano ugualnienlc in tutti ;ì1ì individui. Questi bastoncini ap- paiono fatti di piotoplasma molto denso : pei- qualche tempo resi- stono all'acido acetico. Il nucleo è mollo grosso, ovale e tondeggiante. Quando è ton- deggiante, il diametro arriva perfino a quattordici o a sedici P , quando è ovaU', 1" asse maggiore può misui'are da sedici a dicias- sette l^, il minore perfino quattordici f*. Esso ha membrana ben spiccata e contiene quasi sempre nu- merosi coipicciuoli (Ile talvolta sono paragonabili per la Ibrnia a bacteri grossi, tozzi, jtii'i o meno curvi e clie assuiiioiio fortemente le sostanze coloranti. Come ho già accennalo, 1' endoplasma può contenere alimento solido più o meno in abbondanza; quando non ne contiene, si può vedere die è ricco di granuli di differente grandezza, in generale molto piccoli. Ho già accennalo che la nutrizione avviene molto probabil- mente per r estremità posteriore dell' animale; lo stesso dicasi per r eliminazione delle materie fecali. L' apparato sopra descritto alla parte anteriore del corpo nt>n può certamente interjiretarsi come apjiarato boccale. Non ho ancora parlato dei flagelli. Essi dipartonsi dalla zona striata, sono disposti in serie longitudinaU evidenti. Molti preparati 52 Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi mi fanno credere che si dipartano dalle linee longitudinali rilevate (rilievi), che separano i solchi (striature). Questi flagelli sono in nu- mero grandissimo : gli anteriori sono più corti, e procedendo man mano dall' avanti all' indietro, s' allungano di più , sicché i poste- riori, che sono i più lunghi, superano di molto la lunghezza del Protozoo. I flagelli anteriori possono assumere direzioni svariate e rivol- gersi in avanti o indietro, i posteriori invece sono sempre rivolti indietro, non però direttamente, sibbene obliquamente in guisa da descrivere attorno al corpo quasi un passo di spirale. E quindi spor- gono poco dall' estremità posteriore del corpo nonostante che. come dissi, siano molto lunghi. L' animale si locomuove rapidamente tacendo o no movimenti eUcoidali. È da notare che in numerosi individui il protoplasma molto granuloso e denso formante il corpo della bottiglia è scarsissimo, sicché il nucleo si trova spinto in avanti. III. Microjoenia hexamitoides. È relativamente molto piccola, >ion superando mal la sua lun- ghezza i quarantacinc|ue j<^ , restando cosi di poco minore della lun- ghezza minima riscontrabile nella Trichom/mpha aglHs. Ha figura ovalare : si prolunga però ali" indietro in un pic- ciuolo più 0 meno spiccato. Ha dei caratteri comuni tanto colla Trichonympha quanto col- la Joenia. Come nella Triclionjinipha, V estremità anteriore è priva di fla- gelli e delimitata da uno strato sottilissimo di ectoplasma denso, sotto al quale notasi uno spazio chiaro ( lacuna ) . Anche i flagelli si dipartono da una zona striata corrispon- dente a quella della Trichonijmpha. Di raro si può scorgere evi- dente un bastoncello subassile come nella Joenia. Costituzione e sviluppo del In società dei Temi it idi f):? Il nucleo sia viciuo all' estremità anteriore dell' animale. Il Leidy ha già veduto la specie che io ho qui brevemente caratterizzata. Senza fornirne le prove egli la ritenne una giovane Trichonympha . Anche questa specie assume nutrimenti solidi. IV. Monocercomonas termitis. Dall' estremità anteriore tli (jucsto .Monocercomonas diparlousi almeno sei flagelli lunghissimi, uno diretto all' indietro e gli altri in avanti. Presenta mi bastoncello subassile come i Trid/ouioiias. Raggiunge una lunghezza massima di (luindici ,". Assume nutri- menti solidi. Dinenympha gracilis. Corpo monassone, a poli disuguali, allungato , suhcilindrico o nastriforme : facilmente assume figura di dava, l'estremila ingros- sata corrispondendo di regola a quella posteriore. Di frequenti' si presenta ripiegata a lettera esse. Non di rai'o fa moviimnli rapi- dissimi , consistenti nel ])iegarsi un po' nel senso della luiiiiliiv.za e poi ridistendersi, tornarsi a piegare e così via. Nel locomoversi la Dineni/nìp/m fa di solito movimenti elicoidali. L' ectoplasma e 1' endoplasma sono distinguibili soltanto pov- chè la parte periferica più densa non contiene mai alimenti solidi come la parte centrale. Non rilevasi alcuna traccia di vacuoli con- trattili, né di bocca. Il nucleo è vicino al polo anteriore, spesse volte a forma di pera o anche di clava colla parte ingrossata posteriore. Manca un nucleo accessorio. 54 Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi Non possiede alcun flagello, presenta invece degli orli , ossia delle strettissime membranelle ondulanti. Queste membranelle sono paragonabili a quella del Trichomonas ma meglio a quella del Pa- raviecloides, non essendo più evidente la loro origine da un flagello. Vero è che il margine libero d'ogni membranella è inspessito, ma siccome quel tratto che riunisce il margine stesso al corpo del Protozoo non si presenta molto sottile come nei Tricomonadi, cosi non accade mai che tale margine si stacchi via e apparisca come un flagello. Le membranelle in discorso sono apparentemente omogenee. Essi si dipartono dall' estremità anteriore, percorrono il corpo in senso longitudinale, tenendo alle volte un decorso quasi rettili- neo, alle volte descrivendo un passo di spira, alle volte descriven- done due e più. Terminano vicino all' estremità posteriore. Quando percorrono una linea quasi retta , oppure descrivono un semplice passo, allora riesce facile assicurarsi che sono quattro gli orli on- deggianti. Che questo numei'o perù sia costante in tutti gli indivi- dui, non voglio asserirlo. Infine esiste , come nelle Tricomonadi, un bastoncello che si diparte dall' estremità anteriore e si e.stende più o meno all' indie- tro senza percorrere esattamente 1' asse del corpo. È molto elasti- co e pare che ondeggi , cpando 1' animale fa i sopradetti rapidis- sinn movimenti in senso longitudinale. Si trovano individui che hanno le membranelle ondulanti sot- tili; altri le hanno spesse. Vi sono anche individui che al polo anteriore , o posteriore , o a tutti e due i poli , od anche su tutto il corpo portano delle appendici che a prima vista si riterrejjbero col Leidy dei flagelli. Dopo molta esitazione , mi son persuaso a ritenerli Spinili paras- siti. Spirilli simili si trovano anche liberi nel contenuto intestinale dei Termitidi. La loro forala, la loro grossezza, la loro presenza incostante ed irregolare etc. giustificano la mia asserzione. Costituzione e -sviluppo della società dei Tennitidi VI. Pyrsonympha flagellata. Questa forma e la seguente appartengono ad una nuova fami- glia (Pijrsonijmphidae) caratterizzata dal corpo coperto di flagelli di- .sposti più o meno nettamente secondo linee spirali, dal nucleo vi- cino all' estremità anteriore, dalla mancanza del nucleo accessorio, della bocca e dei vacuoli contrattili, ed infine dal corpo ellissoideo nionassone a poli disuguali, locomoventesi , almeno di regola, per movimenti elicoidali. Distinguo in questa famiglia due generi , ciascuno con una specie: Pi/rsoni/mplnt fìnf/eììata Grassi, Hoìoma.tfii/oie.f elonc/atuin Grassi. Queste forme vennero dal Leidy giudicate giovani triconinfe : io escludo ciò recisamente. Vengo ora a parlare ])ii"i specialiiicutc della l\i/rs(,ìu/i)i/)/Hi fin- (/f/htfd. E subelliltica: Tasse maggiore (longitudinale) può raggiungeri' i novantotto /", il miiuirc! i quaranta. L' estremità aiileriore Unisce più o meim ciiiaramente in una breve papilla. L' estreiiiifà i)osteriore varia di forma : può es.ser tondeggiante, altilata etc. Probabilmente questa estremità posterioi'e serve come nella Tnjchonymplni i)t;r l'assunzione degli alimenti e jier I" eliminazione delle fecce. La Pirsoninfa si nutre come la Triiclionijutpha. La superficie del coi'po è rivestita di flagelli lungbi circa dì- ciotto /^. Guardando 1" animale disposto per il lungo, si può nota- re che i flagelli sono in linee oblique ma in senso opposto sulle ilue facce opposte , che si vedono abbassando ed alzando la vite micrometrica. Opportunamente osservando, si acquista la jìersua- sione che i flagelli sono disposti in linee spirali , ciascuna delle (piali consta di una semplice serie di flagelli. Che però queste li- nee si dipartano dall' estremità anteriore e ogni linea faccia vari passi di spira , riesce quasi impossibile di fissarlo , specialmente 56 Costituzione e sviluppo della società dei Tenuitidi perchè i passi di spira all' estremità anteriore (papilla) sono molti addossati 1' mio ali" altro. Talvolta le spire finiscono all' estremità posteriore , tal altra la lasciano libera. Le linee, da cui sorgono i flagelli, sono dapper- tutto alquanto rialzate. L' ectoplasma è distinto dall' endoplasma soltanto perchè è più denso e non contiene nutrimento. Esiste in corrispondenza all'estremità anteriore un tubillo ci- lindrico, come nella Tnjchonijmpha. Tutti gli esemplari grandi i^osseggono cinque, sei o pii^i baston- celli , che al livello del nucleo si possono presentar alquanto pie- gati, quasi per abbracciarlo. Essi sono vicini 1' uno all' altro e sono disposti secondo una superficie un po' curva, dando così al nostro animale una simmetria bilaterale. Questi bastoncelli convergono al davanti del nucleo. VII. Holomastigotes elongatum. Può raggiungere la lunghezza di settanta v- , colla larghezza cor- rispondente di venti, ventiquattro /^. È ovalare, molto allungato, col- r estremità assottigliata per lo più rivolta indietro. I fiagelli sono disposti secondo linee spirali press' a poco come nella specie pre- cedente. Manca la papilla all' estremità anteriore. È facile constatare quando 1' animale è corto, che i flagelli seguono linee spirali dipar- tentisi dal polo anteriore. Quando 1' animale è lungo , si intravede che altre linee spirali debbono essere state intercalate e che queste non dipai'tonsi dal polo anteriore. L' ectoplasma è come quello che osservasi nelle specie prece- denti. Le linee su cui sorgono i flagelli , sono di frequente molto rilevate. L" endoplasma presenta costantemente corpuscoli molto nu- merosi, ma poco rifrangenti, che a tutta prima si potrebbero scam- biare con nuclei : essi scompaiono coli' acido acetico , non si tin- Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi 57 gono colle sostanze coloranti. Non so che cosa significhino. Qual- che volta corpuscoli simili si trovano anche nell" endoplasma della Pi/rsuiii/iiip//a. Note generali. A me stesso pare incredibile, ma è pur vero che non hu mai pututo trovare alcuno dei parassiti sopradescritti né incistato né certamente in via di i'ij)roduzione. A lungo ho cercato, ma sempre invano. Una sola volla vidi due esemplari di Tri/c/Hun/inp/ia atj/J/s- fusi assieme all' estremità posteriore. Sotto ai miei occhi si separarono dopo di essere apparsi riuniti per un istante solo da un tenue cordone di protoplasma ialino. Il cordone verso il mezzo diventò sottilissimo e siiImIresentano il nucleo molto spinto in avanti ed avt-vano una grandezza media. Si poteva supporre che si trattasse o di una hisione casual- mente accaduta forse alTatto della preparazione, oppure (Tun pro- cesso di divisione. Non avendo mai potuto scorgere alcun altro individuo in condizioni simili, od in altro stadio, riferibile ad un processo di divisione, debbo atlenermi alla |.rima delle due suppo- sizioni. Nella Diiinujiiiplid. ijrucilis ho ti'ovato uno stadio, forse alludente a fenomeni di ripioduzione. S'incontrano di spesso molti individui, immobili, contenenti o no nutrimento, alle volte pieni di vacuoli, colle membranelle a margi- ne ondeggiato ma immobile , o anche sprovvisti delle medesime. Il nucleo e il bastoncello sendirano imnmtati. Questi individui stanno attaccati all'epitelio intestinale pei- una .sorta di peduncolo d'aspetto cuticulare, sorgente dalla loro estremità anteriore: rassomigliano cosi a Gregarine. Atti Acc. , Vol. VII , Serie i."- — Memoria I. 8 58 Costituzione e sviluppo della società dei Ter/nitidi * * Soltanto dopoché questo lavoro sui Protozoi era compiuto , m' accorsi che i Termitidi insieme colla feccia succhiano talora an- che moltissimi Protozoi. Forse questi arrivano così senza essere incistati neir intestino anteriore e medio, forse in tali parli si mol- tiplicano per divisione , e poi passano neh' intestino posteriore. Mi riserbo di ritornare sull'argomento in altro lavoro, nel quale entrerò anche in particolari sulla struttura fina del protoplasma e del nu- cleo dei Protozoi qui segnalati. * * I vari' bastoncelli e bastoncellini che ho descritto in questi Pro- tozoi parassiti, evidentemente hanno la funzione d'uno scheletro in- terno. La stessa funzione devesi ascrivere al protoplasma inspessito e granuloso della Tri/chomjinp/ia. Che si tratti veramente di uno scheletro interno, cioè di sostegno del corpo e piìi particolarmente di protezione del nucleo, lo dimostra la circostanza che manca del tutto neir Holomastiyotes. Questa è la sola forma infatti che non as- sume ahmenti solidi (frammenti di legno), i quali appunto mette- rebbero in grave pericolo sopratutto il nucleo. L' apparato speciale che ho descritto all' estremità anteriore della Trijchonijmpha permette all' individuo di aprirsi la via attra- verso a molti altri della stessa o di altre specie, che gli formico- lano attorno. E ciò senza che il nucleo venga schiacciato, mentre il capezzolo funziona come una sorta di cuneo elastico. Ho parec- chie volte sospettato che 1' apparato in quistione possa agire anche a guisa d' una ventosa , la quale permetterebbe all' animale di at- taccarsi alla parete intestinale. La papilla che ho descritto nella Pi/rsoiìì/mpha, ha probabilmen- te una funzione simile. * * * Tutti i parassiti qui enumerati, voghono essere ascritti ai Fla- gellati, come ho precedentemente detto. Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi 59 Sopratutto la mancanza d' un micronucleo (nucleo accessorio) impedisce di riferirli ai Ciliati. Evidentemente le Lofomonadine formano una famiglia che riu- nisce gli altri Flagellati alla famiglia delle Pirsoninfìde. Quelle hanno già il corpo per un buon tratto coperto di flagelli; queste lo hanno coperto totalmente. Lo scheletro interno di cui ho parlato, forma il principale ar- gomento sul quale io baso la riunione di tutte le forme in discorso al gruppo dei Flagellati. ('afa il 1(1, ottobre 1890. APPENDICE li. CONTRIBUZIONE ALLO STUDIO DELLE EMBIDINE. Le Embidine vengono dai sistemati! i collocatf iifllu scala zoo- logica appena un gradino più in iiasso dei Termitidi, nell'ordine dei Corrodenti. Le Embidine dovrebbero perciò poterci lischiarare almeno in qualche punto i singolari perfezionamenti raggiunti dai Termitidi. Questa considerazione mi |)crsuase a rivolgere ad esse i miei sludi. Passando in rassegna dapprima la letteratura in proposito, che si trova riassunta tutta e per bene nella Mouucjrapli of Embidina (Canadian Entom. Voi. XV II N. b', 9, 10, e 11. 1885) del D.-- H. A. Hagen, m'avvidi subito che le Embidine sono quasi totalmente sco- nosciute sia dal lato anatomico che da quello biologico. Mi trovai perciò obbligato a fare ricerche originali. Le (piali come si vedrà in appresso, mi hanno condotto a conchiudere soltanto che la fa- miglia in discorso forma un ramo particolare della classe Ortotteri s. 1., mentre poi la posizione di questo ramo v incerta e in ogni 60 Costituzione e sviliqjpo della società dei Tennitidi caso senza diretta parentela con quello dei Terniitidi. Perciò riassu- merò qui brevemente i risultamenti dei miei studi, limitandomi, cioè, ad tmo sguardo anatomico e hloloyico sulle Einbldine. * * Io ho studiato una forma assai diffusa in Italia , verosimil- mente, come dimostrerò più sotto, VEnihia Solierl Rambur. Di que- sta Embia finora si conoscevano soltanto assai imperfettamente le larve; non si sapeva neppure se acquistasse ali o no. * * * Credo bene di accennare i caratteri esterni della forma in discorso. Né maschi né femmine possiedono mai alcuna traccia delle ali. La femmina adulta raggiunge la lunghezza massima di dodici millimetri ; il maschio adulto resta di solito un po' più piccolo. Il corpo del maschio adulto è rosso-bruno oscuro, eccetto alle volte il capo, che è allora rosso-bruno meno oscuro, eccetto i lati del corpo stesso che sono notevolmente meno oscuri, ed eccetto infine il protorace che è giallo-rossiccio. Le zampe sono di colore uguale a quello del protorace, soltanto il lato dorsale delle cosce del terzo paio di zampe presentasi rosso-bruno. Egualmente rcìsso- bruni sono le antenne ed i cerei. La femmina adulta per le tinte rassomiglia al maschio adulto; si distingue solo perchè il rosso-bruno della faccia dorsale e della faccia ventrale del corpo è meno cupo ; qualche volta però la fac- cia dorsale è d" un rosso-bruno oscuro come nel maschio adulto. Le larve sono al lato dorsale di color ruggine, eccetto di re- gola il pronoto che tende più spiccatamente al giallognolo, eccetto talvolta il capo , che allora rassomiglia al pronoto , eccetto infine talvolta r addome, che è allora rosso-bruno chiaro. Il lato ventrale è sempre più chiaro del dorsale. Antenne, zampe e cerei sono ros- signi o di color ruggine. Costituzione e sviluppo della società dei Terni/fidi GÌ Adulti e larve sono pelosi. I peli .sono rari , i)Ìli o meno lun- ghi: alcuni più lun^lii (setole) notansi specialmente ai lati del e(3ii)(i. Alla parte laterale drl juiiuo articolo dei cerei veggonsi dei i)eli fini , lunghi e molto facilmente tremolanti. Almeno un pelo simile notasi vèrso la metà ( dal lato dorsale ) del secondo ai-ticolo dei cerei. Il corpo è in complesso un po' ap])iattito. Il capo è suborizzontale, appiattito , quasi esagonale , con an- goli arrotondati; nelle larve rilevasi molto facilmente la nota sutura ad i])silon; gli occhi composti sono pochissimo iiroiiiinenli . hanno contorno simile a quello di una pera . stanne ((illdcati uidIIo in avanti (in corrispoiidciiza agli angoli anti'i'idri dell'esagono) e cuii- stano ciascuno di pii'i dir trenta facictli'. Mancano gli (icdii semplici. Le aiitemir sono lilifoi-mi, lunghe circa il doppio del capo; sorgono davanti agli ocelli ed hanno ar- ticoli piuttosto grossi e luiiglii. Gli ai'ticoli i)i-ossiniali sono (piasi cilindrici, sniicllittici i distali; l'articolo basilare e notevolmente piìi grosso e non di laro anche un po' più lungo degli altri: il ([uarto è in generale il più corto di tutti, il quinto un po' meno corto del quarto, il secondo un po' meno corto del (plinto: alle volte per("i il secondo pi-esentasi pifi corto di lutti. (Ili altri articoli sono relati- vamente lunghi e poco differenti l'uno dall'altro: però, facendo be- ne il confronto, si può ancora notare clic gli ulliiiii sono un pò più lunghi (lei penultimi e che il terzt) varia a.ssai. Le antenne sono molto tragili: al massimo constano di diciannove articoli negli adulti, ma nelle larve questi articoli sono in minor numero. Non ho trovato differenze sessuali nelle antenne. L'apparato boccale è masticatorio come negli Ortotteri. Corto e largo è l'epistoma, che shi congiunto col lahrnin \wx mezzo d'un rhinarÌKin membranoso. Il labniitt ('■ più largo che lungo , arroton- dato anteriormente, di sotto con due serie di robuste spine: pre- senta una sutura mediana. Le mandibole portano tre denti , i due posteriori hanno den- telli più o meno distinti. 62 Costituzione e sviluppo della società dei Termitidi Nel inascliio adulti) le mandibole sono sottili, curve, luncihe. Nella feinmino adulta sono al contrario robuste, non curve, brevi; anc/ie i (lenti sono, in complesso più robusti. Nelle larve d^ ambo i sessi le iiiaucìibole sono press" a poco come nelle feiimiine. Il lobo interno delle mascelle è abbastanza sottile con due dentelli all'apice e con molte spine simili a quelle del labrum, sulla parte mediale. Il lobo esterno ( yalea ) delle mascelle consta d'un unico articolo ; porta , pei' quanto ho potuto vedere , un sol pelo verso la sua metà e s'appoggia sopra una base abbastanza svilup- pata. I palpi mascellari sono più lunghi delle mascelle ; constano di cinque articoli , di cui il primo è un po' più grosso degli altri, il quinto è quasi conico ; il primo , il quarto e il quinto sono . quanto alla lunghezza, fra di loro subeguali, e più lunghi del se- condo e del terzo , che sono pure fra di loro subuguali. Il porta- palpo è appena distinguibile. Il labium ha stipiti fusi assieme senza sutura distinta, presentando solamente un semplice solco mediano nudo. I lobi sono doppi , i mediali notevolmente più piccoli che i laterali; questi e non quelli son separati dagli stipiti per evidente sutura. I palpi labiali sono triarticolati, e l'ultimo articolo è molto più lungo degli altri; quando sono rivolti in avanti, raggiungono il livello dell' estremità anteriore dei lobi laterali ; essi poggiano sopra una base molto sviluppata, simulante un quarto articolo. La /iiga.s. C. = Calofermes flavicoìlis. La linea, accanto a molte figure, indica la lunghezza naturale dell'ani- male. Invece di dire che ogni antenna presenta ad es. 11 articoli in un dato in- dividuo, si usò la dicitura abbreviata, individuo ili 17 articoli. Tavola III. Termes lucifugus. T'ìg. 1.»— Ovario di individuo colle ali interamente sviluppato e non aurora cadute. Kor. 'X 6. „ 2.»— I due ovari di una ninfa della seconda forma. Kor. 3. 4. 3.a— Ovario di una regina di complemento molto vecchia: gli ovarioli sono evidentemente in atrofia (come pure la ispcrinateca non contiene più sperma). fCor. 1. 4. Par. ani. = parte anteriore. Figr. 4.* — Ovario sinistro di una niiifu della prima forma, ivor. 3. 4. 5.a— Testicolo di un individuo colle ali interamente sviluppate e non ancora cadnte. Kor. 3. 6. (Nel condotto deferente vi sono spermatozoi). „ fi.a — Testicolo di una ninfa della seconda fornui. Kor. 3. 4.' 7.*— Testicolo di una ninfa della prima forma. Kor. 3. 4. 8.»— Testicoli, condotti deferenti e vescicola spermatica (i condotti e le vescicole non con- tengono spermatozoi) d' un individuo con le ali interamente sviluppate e non ancora ca- dute. Kor. 3. 4. In queste otto figure ed in altre della tavola seguente, oltre ai testicoli e agli ovari, trovansi figiu'ate in parte anche le vie d' eliminazione dei prodotti sessuali. Fig. 9.a— Spermatozoi in via di sviluppo, veduti a fresco, (iuello richiamato dalla lettera a è però interamente sviluppato. Kor. 4. 1/12. „ 10.»— Tuba (tu), utero-ovidotto (ut-ov.), spermateca (spt.), ghiandole sebacee (gì. seb.J di una regina di complemento. Kor. 3. 4. ll.a_Porzione dell'intestino a cui corrispondono i quattro tubi malpighiani (individuo neo- nato). Kor. 3. 4. „ 12.a— Porzione simile, presentante quattro tubi malpighiani grandi e quattro pi(_'coli. Kor. 3. 4. „ 13.»— Porzione superficiale di un nido di T l'onservato in un vaso, con fori , camini , etc. per la sciamatura. ^ 14.a— Porzione di una falilirica di T. trovata in un lianco della chiesa di Pedara. „ 1.5.»— Tubulo simile a quello della Fig. 39.» Tav. U. ma non allargato a bottiglia. „ 16.»— Porzione di un nido in parte scavato e in parte nmrato : venne rinvenuto in una grande lacuiuj di una radice di ficodindia piena zeppa di T. , 17.»— Gallerie costruite da una colonia di T. tenuta in un vaso di vetro. Esse sono a doc- cia, eccetto il tratto sporgente dall' orlo del vaso, che è tubulare. La parte oscura in basso indica il tritume , in cui alloggiava la colonia. Tcivin. / % ^ o- \^ Tavola IV. La parte .sinistra della tavola riguarda il Calotermes flavicollis , eccetto la fig. G^, che si riferisce al Terme^ bicifugus' ; la pai'te desti'a riguarda r Emina. Metà sinistra. ¥ig, 1.^ — Ovario e ghiandola sebacea coirispumleiite d' una i-eyiiia vera, maturata da riri-a un anno. Kor. .3. 4. „ 2.»— I due ovari di una regina delle più voluminose ingranditi riri;a tre volte (in realtà gli ovarioli non sono tutti in un piano i-ome nella figura), cut. nnt. =^ estremità anteriore. „ S.a— Ghiandole .sebacee di una reg-ina vera. Kor. S. 4. „ 4."— Testicolo (test.) .sinistro, condotto deferente ( coìì. (ìcf.) e vescicola spermatica {ves. spemi.) d' un re vero. Kor. 3. 0. „ 5."— Testicolo d' un re di .sostituzione maturato da parecchi anni. Kor. .'!. ii. „ 6.a— l'orzione della spermatoca mostrante gli .sbocchi ed i relativi canaletti cuticulari del- le ghiandole (a fresco). „ 7.a — Ghiandole salivari d' una piccola larva; ser = serbatoio. Kor. 3. 8. „ 8.Ì1— Topografia della porzione posteriore dell' intestino medio e dell' intestino posteriore. L' intestino medio contiene un detrito nero, l' intestino posteriore un detrito giallogno- lo. Il confine tra 1' intestino medio e il posteriore è segnato dai tubi malpighiani. „ 9.a— Intestino anteriore e parte dell' intestino medio, inv = invaginamento dell' intestino anteriore nell' intestino medio. „ lO.a— Un organo timpanale veduto a fresi-o. Kor. 3. i/ij. „ 11.»— Provetta in cui annidavano i C. ; il vetro è in gran tratto reso opaco dal loro vo- mito: il tappo di sughero è tutto percorso da gallerie. A destra rilevasi il tappo stesso di sughero dal di sotto. „ 12."— Spermatozoi tolti dalla spei'uiateca e osservati a fresco. Kor. 5. '/u . Metà destra. Fig. l.a- Catena ganglionare ventrale. „ 2.'!- Apparato respiratorio veduto dal dorso. , $.1— Apparato digerente. „ 4.» Tube e ovarioli. 5."— Organi genitali nuischili „ 6.a— Estremità posteriore del maschio. „ 7.a— Labbro inferiore: da un lato imtasi un palpo labiale. A pag. 130 a proposito dei lobi del labbro inferiore, invece di questi e non quelli devesi leggere questi e quelli. 8." — Lobo esterno, lobo interno delle mascelle e palpo mascellare. 9.»— Tarso (piede) del primo paio di zampe (veduto obliquamente di lato). „ lO.ii- Tarso del secondo paio di zampe (idem). „ 11.*— Tarso del terzo paio di zampe (idem). Ta\- 1\; '^^StP^ ri ^^ T.WiiLA V. Protozoi parassiti dei Termitidi. Sono tutti copiati al niiiToscopio Koiitska innlarc 5. uliliiettivo 1 10 Leitz. Lo linee punteg-ffiate corrispondono alla faccia opposta a (.jiiella in cui le linee sono intiere. Fig:. l^.— Trichmu/mphaayillf. in seziono ottica corrispondente press'a poco nel mezzo del corpo. „ 2".— Idem, ad un livello alquanto ditt'oronto. „ 3a._l(Jeni, veduta nedi strati superticiali. 4». — Idem, un po' schematizzata per dimostrare il decorso dei Hagelli. 5a._i(jem. per dare un'idea della complicata di.sposizione dei bastoncelli, quali osservansi in certi casi. , 6*. — Joenia anncctens. Il genere Joenia venne da me fondato poi' onorare la memoria del be- nemerito naturalista Cav. Gioeni. 7a.— Idem. „ 8». — Idem. 9a_ — Scheletro interno e nucleo d'un grandissimo esemplare di Joenia in sezione ottica. ^ 10». — Microjoenia hexamitoides. „ 11^.— Dinenympìia ipacilis. „ 12".— Idem. „ IS».— Idem. „ 14».— Idem. „ 15». — Idem. , 16».— Idem, portante spinili ad una estremità. „ 17». — Idem, rivestista di spinili. „ IS'^. —Pyrsmympha flagellata (sono stati tralasciati una gran parte dei flagelli). „ 19».— Idem, veduta dalla superfìcie. „ 20». — Idem : si vedono bastoncelli e il nucleo. „ 21» — Holnmastigotes elongatum (sono stati tralasciati una gran parte dei flagelli). , 22». — Idem , veduta dalla superficie. " 23» — Schema le cui linee indicano il decorso dei flagelli su due facce opposte in un Ho- lomasHgotes elongatum. .. 24». — Idem, in un altro individuo. Ta\: x: fi' I ^ W)i ■ '^ f '•::• W %" 'Jff. X ?> li) %. %m 16 v^^X"^ Hiiw' ^i 4^ 20 V 2i ■^/y /. A -r .V''" -■ y-iriC'i Memoria II. Sul potere induttore specifico e sulle costanti della rifrazione della luce. Memoria di STEFANO PA6L1ANI «Socio corrispondente Si sono cercate soventi delle relazioni IVa il potere induttore specifico dei dielettrici ed altre lnid proprietà. Secondo le determi- nazioni di Negreano (Comptes Bendm. 104. 1887) e di Tomaszewski (Wied. Ann. 33, 1888) sopra idrocarburi della serie aromatica e di Tereschin ( Wied. Ann. 36 1889) sopra alcoli ed eteri della serie grassa risulterebbe che per i primi il potere induttore specifico cre- sce col crescere del peso molecolare, per i secondi invece diminuisce. E. Obach {Phil. May. 32, 1891) trovò una relazione fra la detta quantità ed il calore di vaporizzazione, secondo la quale si avreb- be un rapporto costante per ciascuna serie di composti fra le due dette quantità. ' Recentemente poi Runolfsson {Comptes Rendus. Dicembre 1892) ha creduto di trovare una relazione fra il calore molecolare e la costante di dielettricità, secondo la quale il rapporto fra il primo e la seconda , uguale a 6.8 , ò lo stesso per tutti i corpi allo stato solido, liquido e gassoso, almeno ad una stessa temperatura. Ma le ricerche più complete sull' argomento sono queUe di H. Landolt ed Hans Jahn (Sitzumjsher. Berlin Acadeinie, Jid) 1892). (1) Essi determinarono la costante di dielettricità, l'indice di rifra- zione e la densità per alcune serie di composti. Lo avere eseguite le diverse determinazioni sopra le stesse sostanze rende i loro ri- Ci) R. Nasini — Gazzetta Chimica italiana 1893, p. 347. Atti Acc. , Vol. VII, Serie -l." — Memoria II. Sul potere induttore specifico sultati sulle dette grandezze fisiche comparabili fra loro, ciò che non si poteva dire delle precedenti ricerche. Dai loro risultati dedussero delle relazioni interessanti fra la costituzione chimica dei corpi stu- diati, il loro potere induttore specifico e le costanti di rifrazione. Se noi prendiamo a considerare la espressione, che, secondo la ipotesi dell' Helmholtz sui dielettrici , risulta per il potere indut- tore specifico, noi deduciamo che si deve trovare anzitutto una re- lazione fra quella costante ed il volume della molecola dei corpi. Secondo la ipotesi accennata noi possiamo ammettere che le molecole del dielettrico siano già polarizzate e che le forze elettri- che non facciano altro che orientarle tutte nella stessa direzione, hidichiamo con dr y elemento di volume occupato dalla moleco- la. Siano -t-e(ÌT e — edr le quantità di elettricità positiva e negativa suir elemento dr , che vengono separate dalla polarizzazione , ma che rimangono sempre nell' elemento. Le coordinate della mole- cola siano a, h, e, e consideriamo un punto P qualunque , posto fuori o dentro il dielettrico, di coordinate x, y, z. Il momento die- lettrico della molecola riferito all' unità di volume è dato dal pro- dotto di + e per la distanza fra i due punti carichi delle quantità di elettricità 4- e e — e. Le sue componenti secondo tre coordinate siano «> 'S, >. \\ potenziale di questa molecola nel punto P sarà dato da al r al av r 3.r \ 7 Vii t dove '■ = |/' {X - af ■+- [1/ - bf -H (2 — cf Il potenziale di tutto il dielettrico nel punto P sarà quindi e sulle costanti della rifrazione della luce Consideriamo ora due conduttori cariclii , i quali agiscano fra loro e sul dielettrico. Sia T il potenziale di questi conduttori cal- colato nella ipotesi che il dielettrico non abbia influenza. Supponia- mo poi che essi polarizzino il dielettrico, così che questo assuma il potenziale Q nel punto x, y, z. Il potenziale totale in un punto qualunque del compo sarà dato da V •+- Q. D' altra parte il potere induttore specifico è dato da D = -^ — j. Il potere induttore quindi, a parità delle altre con- dizioni, crescerà col diminuire di Q. Ora Q risulta dalla somma di tanti prodotti, i due fattori di ciascuno dei quali sono 1' uno il vo- lume della molecola, l'altro dipendente indirettamente da esso, in- quantochè contiene le componenti del momento dielettrico. Quindi il valore di Q dipende dal volume della molecola, ma dipende pu- re dal numero di molecole che sono contenute in un dielettrico di determinate dimensioni. Però se noi confrontiamo due dielettrici di uguali dimensioni, il numero di molecole che entra in ciascuno di essi non dipende solo dal volume della molecola relativa, ma an- che dalle distanze intermolecolari , per cui ad un maggior volume della molecola non si può dire che debba corrispondere sempre un minor numero di molecole nello stesso volume, ma può corrispon- dere un numero uguale od anche un numero maggiore di molecole. Quindi il valore di Q non si [luò dire che cresca sempre col vo- lume occupato dalla molecola , o diminuisca co! diminuire del nu- mero di molecole contenute neh' unità di volume, perchè il suo va- lore dipende simultaneamente da quelle due grandezze. Quindi an- che il valore del potere induttore; specifico D non si può dire che debba sempre diminuire col crescere del volume occupato dalla molecola o crescere col diminuire del numero delle molecole con- tenute nell'unità di volume. Il valore del potere induttore specifico dipende poi anche dalla natura del corpo. Se noi confrontiamo fra loro i valori della costante di dielettricità in diverse serie di com- posti, troviamo diffatti che essi stanno entro determinati limiti per ciascuna serie. Per i liquidi ed i solidi si considerano i volumi molecolari , Std potere induttore specifico dati dai rapporti fra i pesi uiolecolai'i e le densità , ma essi non misurano gli spazi realmente occupati dalle molecole , ma rappre- sentano volumi che nelle stesse condizioni contengono ugual nu- mero di molecole dei composti paragonati fra loro. Quindi i valori dei detti volumi molecolari stanno in ragione inversa dei numeri di molecole, contenuti in uno stesso volume dei diversi corpi. Ora se noi confrontiamo i valori della costante di dielettricità coi detti volumi molecolari troviamo che in generale i primi dimi- nuiscono al crescere dei secondi^ quantunque per qualche serie (gii idrocarburi della serie della benzina), la regola non sia rigorosamente osservata. Nella tabella seguente sono scritti i volumi molecolari ed i va- lori della costante di dielettricità per alcune serie di composti. Gli uni e gli altri si dedussero dei dati di Landolt e Jahn, tranne per i sette ultimi composti, per i quali servirono i dati di Tereschin. Volumi Costante Idrocarburi molecolari di dielettricità Alcoli Essano 1-28. 9 1. 864 A. metilico . . . 39. 70 35. 945 Octaiio 160. 8 1. 932 A. etilico .... 57. 47 26. 674 Decano 194. 9 1. 960 A. propilico. . . 74.14 22. 640 A. isobutilico . . 91. 60 17. 380 Amileue 102. 5 2. 2139 A. am ilice . . . 107. 7 15. 330 Essilene 121. 7 2. 0375 Octilene 153.6 2. 1913 Eteri IJecilene 181. 3 2. 23.56 Formiate di etile 79. 53 9. 1020 Benzene 87.4 2. 2074 propile 96.71 9.0163 Toluene 105. 4 2. 3678 isobutile .... 116. 90 7. 2801 Etilbenzene. . . . L21. 3 2. 4220 Acetati di Ortoxilene .... 119 7 2. 5787 metile 77. 53 8. 0165 Metaxilene .... 122. 0 2. 3470 etile 95 14 6. 7381 Parasi lene .... 122. 9 2. 2170 propile 112. 70 6. 6390 Propillienzone . . 138. 4 2.3508 isobntile .... 134. m 5. 6808 Isoiìrupilljenzene . 138. 6 2. 37.36 amile 150. 00 5. 0695 Mesitilene .... 138.7 2. 2958 Pseudocumene . . 138.3 2. 3843 Propionato Isobutilbenzene . . 153. 6 2. 34.S0 d'etile 127. 4 6.0 (Imene 156. 0 2. 2300 Butirrato d'etile 150. 4 5.3 Valerato 173.4 4.9 Ben/.oato di metile 123. 3 7. -2 etile 140. 7 6.5 isobutile .... 171. 0 6.0 amile 191. 2 5.2 Come si vede, in generale il valore del potere induttore spe- e sulh contanti della rifrazione della luce cifico per ciascuna sede di composti va diininueodo col crescere del volume molecolare. Per gli idrocarburi la regola non è evidente. Per gli idrocarburi saturi il potere induttore andrebbe crescendo col volume molecolare , per i non saturi non abbiamo andamento decisivo, per i primi termini della serie aromatica pare vada cre- scendo, per gli ultimi diminuendo. Stando alle considerazioni dedotte dalla teoria dell' Helmholtz il potere induttore specifico dovrebbe diminuiri' col crescere del vo- lume molecolaie per quelle serie di composti, nei quali una dimi- nuzione nel numero delle molecole contenute nell' unità di volume sia accompagnata da un aumento nel volume occupato dalla niobi- cola, crescere per quelli in cui non si veriiiclii questa condizione. Per poter trovare una qualciie spiegazione di questo diverso comportamento cercai una relazione che legasse il potere induttore specifico e le grandezze caratteristiche della molecola dei corpi, cioè il peso molecolare, il volume molecolare ed il numero degli atomi contenuti nella molecola. D'altra parie il potere induttore specilico è legato all' indice di rifrazione dalla relazione del Maxwell : Z)=«% la quale fu trovata verificarsi per una serie di sostanze .solide e liquide da Arons e Rubens (Wicd. Ann. it e 44, lSi»i) se ad u si sostituiscono gli indici di rifrazione oggidì direttamente misurabili delle lunghe onde elettriche di Hertz. Però se la conducibilità elet- trica dei coi'i)i in (jnesliinie si può considerare come inlinilami'ute piccola, allora secondo la teoria elellromagnelica della luce, questi indici di rilìazioue sono indipendenti dalla lunghezza d'onda, quindi non soggetti ali" influenza della dispersione. Ora questa condizione si verifica con grande approssimazione a|)punto per i composti or- ganici. L" indice di rifrazione a sua volta è legato col volume speci- fico , e cioè colla densità del corpo dalle costanti della rifrazione. Si dovrebbe quindi trovare fra tutte queste grandezze una qualche relazione. Una relazione fra 1' indice di rifrazione, il peso molecolare ed il numero degli atomi di un composto venne, come dissi in prin- Sul potere induttore specifico cipio, già indicata da Joubin. Egli fondandosi semplicemente sopra risultati numerici sperimentali e senza appoggio di teoria, enunciò la seguente legge: " Sia E la densità per rapporto all'idrogeno di una molecola M, composta dei corpi semplici a, b, e ; sia p, q, )• il numero degli atomi di ciascuno di essi che entra nella molecola M ; sia infine m il numero di volte che la molecola reale contiene la molecola chimica (ossia la condensazione). Si ha : n — 1 =0, 9< . 10 l -—— 2p vale a dire la rifrazione (n — 1) sarebbe proporzionale alla radice quadrata del rapporto fra il peso della molecola ed il numero de- gli atomi, che la costituiscono „. Il Joubin cita a conferma della sua legge alcuni dati sperimentali. Dimostrerò in seguito come que- sta relazione non può essere applicata in modo generale. Per ora me ne servo qui solo come punto di partenza. Perciò rappresen- tando con M il peso molecolare del composto , con N il numero degli atomi che entrano nella molecola, pongo la espressione del Joubin sotto la forma generale: n — \.=k[— 1) Combinando questa relazione con quella che Gladstone e Date dedussero fra l'indice di rifrazione n di una sostanza e la sua den- sità d e cioè — ^— = cost. ottengo d = k' [/ — ■ d ^ ^ N Indicando poi con 11 il volume molecolare della stessa sostan- M za abbiamo secondo la definizione nota di esso, d = -jj quindi -^ = A' [ ^1 dalla quale si ricava {' ^ = A-" — (2 quindi d — l-'" — (3 Siccome poi per la già accennata relazione del Maxwell si ha e sulle costanti della rifrazione della luce n=VD COSÌ possiamo scrivere la relazione di Gladstoue e Dale sotto la forma : {yir — 1 ) -T^ = ->' , la quale per la [ì] ci dà anche {\ IT — li \ ^ =7/. Ma oltre la relazione di Gladstone e Dale , la quale secondo Landolt ed altri non darebbe risultati completamente soddisfacenti, abbiamo altre due. L. Lorenz e H. Lorentz , parte) ido 1' uno dalla teoria ordinaria, l'altro dalla teoria elettromagnetica della luce, ar- «2 _- 1 1 rivarono ad un' espressione della forma —^ — ;Tr -r = cost. AddIì- {ìv + 2) d ' ' cando ad essa le relazioni sopra indicate si deducono in modo ana- logo le seguenti due altre relazioni : irr-l) iD + 2} N__ ( FF- - 1) ( J» + 2) , /— _ „ Finalmente dietro discussione della formola Lorenz-Lorentz, il Ketteler (Wied. Ann. 1887) la pose sotto la forma ^^ i = cost. . n^ -*- .r d calcolando dai dati sperimentali dei valori bpeciuli di ./■ per le di- verse sostanze. Applicando ad essa le stesse relazioni sopra indi- cate si dedurrebbero le espressioni : (yir~ì)(l> + x) N _,,., (1 -- l)(J>4-a-),/— _ ,„ vr+i u ■' ^ y-ir + 1 l :ì7 - ?' Ora nessuna delle sei ultime espressioni applicate ai valori della costante di dielettricità dati dall' esperienza danno valori ab- bastanza concordanti per le costanti. Invece risultati completamente soddisfacenti ci danno due espressioni che si ottengono assumendo ancora la densità d proporzionale al rapporto fra il volume mole- colare ed il numero degli atomi e facendo x==0 nella formola di Ketteler. Allora essa ci dà : V|=y. era,™ ^,'^=>r Sul potere induttore specifico A conferma del sopradetto nella tabella seguente sono ripor- tati i valori di t,"' e 7," e sono confrontati coi valori di -pr— — ^ -^ ■ -^ D + 2 a calcolati da Landolt e Jahn per i composti da loro studiati; si sono aggiunti a questi i valori calcolati per l'essenza di trementina se- condo i dati di Negreano , per i sette ultimi eteri , V anilina ed il tetracloruro di carbonio secondo i dati di Tereschin, per 1' etei'e ed il solfuro di carbonio secondo Quincke ( Wied. Ann. 1883). Per i composti studiati da Landolt e Jahn i valori dati per le tre costanti sono i medii dei valori delle costanti calcolate sui dati delle sin- gole esperienze. Idrocarburi Essano Octano Decano Amilene Essilene Octilene Decilene Benzene Toluene Etilbenzene .... Ortoxilene .... Metaxilene .... Paraxilene .... Propilbenzene . . . Isopropilbenzene . . Mesitilene Pseudocumene . . . Isobutilbenzene. . . Cimene Essenza di trementina Alcoli A. metilico .... A. etilico A. propilico .... A. isobutilico . . . A. amilico .... D-\ J_ 0. 3.328 0. 33.50 0. 3842 0. 4185 0. 3743 0. 3864 0. 3779 0. 3225 0. .3609 0. 3666 0. 3917 0. 3568 0. 3363 0. 3586 0. 3631 0. .3491 0. .3607 0. 3549 0. 3383 0.337 1. 1414 1. 1203 1. 0799 1.0599 1. 0282 D-\ y'n D-l N D M D U 0. 2227 0. 0719 0. 2306 0. 0780 0. 2332 0. 0807 0. 2528 0. 0799 0. 2.365 0. 0756 0. 2499 0. 0843 0. 2420 0. 0865 0. 2149 0. 0751 0. 2356 0. 0822 0. 2415 0. 0871 0. 2527 0. 0922 0. 2365 0. 0847 0. 2273 0. 0807 0. 2247 0. 0814 0. 2422 0. 0877 0. 2.363 0. 0855 0. 2452 0. 0894 0. 2426 0. 0875 0. 2.3.34 0. 0830 0. 244 0. 4208 0. 4256 0. 4276 0. 4260 0. 4252 0. 093 0. 1468 0. 1503 0. 1546 0. 1555 0. 1570 e sulle costanti della rifrazione della luce 9 D-\ 1 D-^ ^,fN D-\ X Eteri Z> + 2 d D l M D U Fonniato di etile n. 784.3 0. 3432 0. 1231 >, » pi'opile .... 0. 7998 0. 3.Ó46 0. 1287 » » isobutile . . . 0. 7758 n. :'>f)22 0. 1204 Acetato di metile .... 0. Vym 0. 3374 0. 1242 » » etile 0. 7099 0. 3.397 0. 1253 » » propile .... 0. 7212 0. 3468 0. 1281 » » isobutile . . . 0. 7041 0. 3422 0. 1229 » » amile .... 0. 6642 0. 3377 0. 1231 Propioiiato di etile .... 0. .3402 0. 1112 Butirrato » » .... 0. 3.369 0. 1079 Valerato » » .... — 0. 3348 0. 1056 Beiizoato di metile .... 0. 3133 0. 1257 » » etile 0. 3166 0. 1263 » » isobutile . . . 0. .3245 0. 1316 » » amile — 0. 3193 0. 1267 Diversi Etere 0. 3007 0. 1154 Cloruro di etilene 0. 6048 0. 209 1 0.0944 » » etilidene .... 0. 6369 0. 2081 0. 0883 Anilina 0. 3362 0. 13.38 Tetracloruro di cm-lHinio . . 0. 1024 0. 0289 Solfuro di carbonio .... 0. noi n. 024G Da un semplice sguardo sui vaioli ottenuti \n'v le costanti delle diverse espressioni confrontale risulta tosto come tali valori per una stessa serie sono in generale più concordanti fra loro pei- le espres- sioni da me trovate che non per quella di Lorenz e Lorentz. Di più abbiamo che i valori per le diverse serie di composti .sono più prossimi ])cr le costanti delle mie relazioni che non per la accen- nata. Difatti abbiamo conh'ontando i vaioli medi per ciascuna se- rie di composti : Alcoli Eteri formici . . . » acetici . . . . » propionici . . » butirrici . . . » valerici . . . » benzoici . . . Idrocai'bui'i non saturi » aromatici » saturi. . 7)-l 1 n—\ ,fN D-\ N Z»-f-2 d D ' M n u 1.0286 0. 4250 0. 1528 0. 7771 0. 3500 0. 1257 0. 7048 0. 3407 0. 1247 0. 3402 0. 1112 0. 3369 0. 1079 0. ;5348 0. 1&56 0. 3184 0. 1276 0. 389.3 0. 2453 0. 0816 0. 3550 0. 2360 0. 0847 0. 3:340 0. 22m 0. 0769 Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4." — Memoria II. 10 Sul potere induttore sjJeci/ico Le espressioni a cui sono giunto hanno quindi un carattere di maggiore generalità che non c|uella di Lorenz e Lorentz, e le altre. Osserviamo poi che i valori delle costanti della rifrazione cal- colati secondo la prima delle mie espressioni vanno diminuendo per corpi di funzione analoga da cpielli di costituzione meno com- plessa a c|ueili di costituzione più complessa e così dagli eteri for- mici ai benzoici, e dagli idrocarburi non saturi ai saturi. Vediamo poi che r etere ( ossido di etile ) trova posto fra gli alcoli e gli eteri degli acidi; i cloruri di etilene e di etilidene vicino agli idro- carburi non saturi^ 1' essenza di trementina fra i non saturi e gli aromatici. I composti non contenenti ossigeno, come gli idrocarburi, presentano valori minori che non quelli che lo contengono. I com- posti non contenenti ne idrogeno né ossigeno presentano i minimi valori di dette costanti. 11 potere induttore specifico può adunque in generale venire dato dalle due espressioni : U e . . / M N N essendo ■> e ■>! due costanti, il cui valore dipende dalla natura dei composti, e che cioè varia akjuanto da una serie all' altra. Esse ci rappresentano delle relazioni abbastanza semplici fra il potere in- duttore specifico e le grandezze caratteristiche della molecola. La prima espressione di D dimostra che al crescere del rap- porto fra il volume molecolare ed il numero degli atomi deve cre- scere per una data serie di composti il potere induttore specifico. Presentano qualche eccezione gfi idrocarburi , per i quali però le piccole differenze fra i valori della costante di di elettricità danno molta incertezza ad ogni deduzione intorno alla loro vaiiazione. Il detto rapporto fra il volume molecolare ed il numero degli atomi possiamo considerare come misurante il volume atomico me- dio, ed analogamente ai volunn molecolari , questi volumi atomici medii rappresenterebbero semplicemente volumi contenenti nelle e sulle costanti della rifrazione della luce 11 stesse condizioni ugual numero di atomi , cosicché starel^bero in ragione inversa dei numeri di atomi contenuti nel!' unità di volu- me. Ora la relazione a cui siamo giunti esprime clie al crescere del volume atomico medio , ossia al diminuire del numero degli atomi contenuti nell' unità di volume deve corrispondere un au- mento del potere induttore specifico , ed è appunto quanto si ve- rifica in modo generale per le diverse serie di composti liquidi. Lo stesso noi possiamo riscontrare nei gas e nei vapori , per i quali la teoria cinetica ci permette di calcolare i diametri mole- colari relativi , cioè le minime distair/e a cui i centri delle mole- cole possono avvicinarsi, e quindi i volumi relativi occupati dalle molecole, partendo dalla massa delle molecole f dai coefficienti di attrito interno (L. Meyer Liei. Ann. Sappi. Band Y. 1867). Il rapporto fra i diametri delle molecole di due gas o vajjori sarebbe dato da — = | 'HL i ■ jIl ' ^l-^ ''"' ^' calcola il rapporto fra le sezioni molccdhui e (piiudi (pidlo tra i volumi occupati dalle molecole. La seguent(.' tabella contiene nella prima colonna il numero di atomi conleniili nella molecola di alcuni gas e vapori, nella .se- conda la somma di tutte le sezioni delle molecole contenute in 1 cm^ di gas sotto la pressione di una atmosfera , divisa per 100. ed in cnr', calcolata da 0. E. Meyer per alcuni gas e da L. Meyer per alcuni vapori saturi ; nella terza i valori della costante di dielettricilà, de- terminati per alcuni gas da Bollzmann {U'ieìi. Ber. 69. 1874), per l'anidride solforosa da Klemcncic (ibid. [-2] iti. 1885), e per i va- pori da Lebedew [Wied. Ann. 44, 1891). Idrogeno .... Ossido di cui'bonio Anidride carlioiiica Protossido di azoto Anidride solforosa. Metano. . . . Etilene. . . . Alcool metilico, id. etilico . 2 2 3 3 3 95 180 260 260 364 1.000264 1.000690 1.000946 l.CXX)994 1.00954 5 6 208 304 1.000944 1.001312 6 9 28180 32690 1.0057 1.0065 12 Sul potere induttore specifico Formiate di metile id. etile. Acetato di metile . Propionato di etile 8 11 11 n 25110 30560 30260 33955 1.0069 1.0083 1 . 0073 1.0140 Si vede che 1" andamento nelle variazioni dei valori delle se- zioni molecolari, e quindi anche dei volumi occupati dalle moleco- le, e dei volumi medii degli atomi, è affatto concordante con quello delle variazioni dei valori della costante di dielettricità. Si potrebbe forse nella espressione del potenziale di un dielet- trico supporre che d- rappresenti 1' elemento di volume occupato, non dalla molecola, ma dall' ultima particella indivisibile, dall' ato- mo ; allora gli indicati risultati sperimentali si potrebbero mettere d' accordo colla teoria dei dielettrici in quantochè se consideriamo due dielettrici di uguali dimensioni, ad un minor numero di par- ticelle contenuto in uno di essi corrisponderebbe un minor lavoro totale delle forze elettriche per orientarle e quindi un maggior po- tere induttore specifico. Tuttavia sul valore di questo influirà sempre la natura ed il modo di aggruppamento di questi atomi e cioè la natura del cor- po, ragione per cui noi troviamo composti aventi presso a po- co lo stesso volume molecolare e certo lo stesso peso molecolare e lo stesso numero di atomi , i quali tuttavia hanno un potere in- duttore specifico diverso. E così : Pot. induttore Voi. iiiol. Formiate di etile 9,1U20 79,53 Acetato di metile 8,0165 77,53 Etilbenzene 2,4220 121,3 Ortoxilene 2,5787 119,7 Metaxilene 2,3470 122,0 Paraxilene 2,2170 122,9 Del resto le differenze nel valore delle costanti delle espres- sioni , a cui sono arrivato per le diverse serie di composti , deve dipendere appunto dalla influenza ora accennata. e sulle costanti della rifrazione della luce 13 Queste due espressioni ci danno adunque due relazioni 1' una esistente fra il potere induttore specifico, il peso molecolare ed il nume- ro di atomi contenuto nella molecola, espressa da — ^[ -jf = cost. r altra esistente fra il potere induttore specifico, il volume mole- colare ed il numero degli atomi, espresso da — ^ -j^ — cost. Equazione de/la i-I frazione- — Sostituendo a D, n nelle due pre- cedenti relazioni abbiamo : -7^ I T, = ^««t. e -^ - = cost. Indichiamo con >' la costante della ])rima relazione, e con >'i quella della seconda. Ho calcolato queste costanti anche per gli indici di rifrazione valendomi dei risultati di Landot e Jalin, i (pia- li hanno determinato per gli stessi composti gli indici di rifrazione per diverse righe dello spettro, e ne dedussero poi le costanti del- la formola di dispersione di Caucliy. I valori ottenuti per le costanti cogli indici riferiti alle diverse righe 0 colla costante A di Caucliy sono poco differenti. E cosi per r alcool metilico ottenni i seguenti valori : Per la riga f/a dell' idrogeno : 7=0, li', = 0, 0644 Per la riga Ih idem : >' = 0, 15104 >'. = 0, 0655 Per n = A si ha >' = 0, IHòo 7', = 0, O608. Questi risultati verrebbero a conferma dell'indipendenza del- l' indice di rifrazione dalla dispersione nel caso di composti di con- ducibilità elettrica infinitamente piccola. Quindi per la verifica delle dette relazioni mi servii soltanto dei valori di .-1. Nella tabella seguente sono posti a confronto i va- lori delle costanti, ottenuti per la relazione Lorenz-Lorentz da Lan- dolt e Jahn, con quelle per le due da me dedotte. 14 Sul potere induttore specifico Pentaiio . . . Essano .... Octano .... Decano. . . . Amilene . . . Essileue . . . Octilene . . . Decilene . . . Benzene . . . Toluene . . . Etilbenzene . . Ortoxilene . . Metaxileue . . Paraxilene . . Propilbenzene . Isopropilbenzene Mesitilene. . . Pseudocumene . Isobutilbenzene. Ci mene . . . Alcool metilico, id. etilico . id. propilico id. isobutilico id. amilico . n'-\ 1 ìi^ — 1 «^-1 N H--I-2 d 1 JV n- l Ti n- U n. .3844 0. 2452 0. 0745 0. 3388 0. 2246 0. 0720 0. 3351 0. 2304 0. 0778 0. 3.331 0. 2325 0. 0803 0. 3436 0. 2181 0. 0673 0. 3419 0. 2223 0. 0709 n. 3362 0. 2276 0. 0764 0. 3310 0. 2348 0. 0709 0. .3203 0. 2126 0. 0737 0. 3228 0. 2180 0. 0766 0. ;5226 0. 2230 0. 0804 0. 3232 0. 2249 0. 0820 0. 3242 0. 2227 0. 0797 0. 3246 0. 2225 0. 0794 0. 3223 0. 2247 0. 0814 0. 3233 0. 2253 0. 0816 0. 3200 0. 2258 0. 0817 0. :12.34 0. 2281 0. 0842 0. 3220 0. 2285 0. 0823 0. ;!243 0. 2277 0. 0811 0. 2512 0. 1853 0. 0638 0. 2699 0. 2003 0. 0711 0. 2841 0. 2109 0. 0762 0. 2919 0. 2159 0. 0782 0. 2969 0. 2210 0. 0813 Anche qui ritroviamo una maggior concordanza nei valori del- le costanti delle espressioni da me trovate sia per ciascuna serie sia per le diverse serie, che non per la relazione Lorenz-Lorentz. Dimodoché mentre per la costante di quest' ultima abbiamo una distinzione decisa fra gli alcoli e gli altri composti, per le altre ab- biamo che i valori rientrano gli uni nella serie degU altri, cosicché presso a poco non si distingue V un gruppo dall' altro. Perciò le mie equazioni hanno un carattere di pressoché completa generalità, specialmente quella in cui entra il rapporto fra il numero degli atomi ed il peso molecolare. A comprova di ciò darò ancora i valori delle tre costanti ot- tenuti per gU eteri mediante valori di n dati dal Tereschin (Ice. cit. ) : Formiato di etile .... id. amile .... Acetato di metile .... 0. 115 0. 174 0.063 0. 116 0. 206 0.071 0. 145 0. 180 0.066 e sulle cotifaiìfi della rifrazione della luce 15 Acetato di etile. . id. propile . id. isobutile id. amile . Butirrato di etile . Valerato di etile . 0. 136 0. 189 0. 068 0. 131 0. 193 0. 071 0. 127 0.208 0. 078 0. 120 0. 210 0, 078 — 0. 208 — — 0.208 — Un fatto che ii.sult;i come abbastanza generale, .se si conside- ra che per gii eteri si devono confrontare dati numerici ottenuti da sperimentatori diversi sopra sostanze diverse , si è che per i corpi di costituzione più complessa . come jiii alcoli e gli eteri . i valori delle costanti calcolati coi poteri induttori specifici risultano pressoché doppi di quelli calcolati cogli indici di rifrazione, men- tre per gli idrocarburi sono pressoché uguali. Il fatto è special- mente evidente per gli alcoli per i quali abbiamo quelle due gran- dezze e le densità determinate dagli stessi sperimentatori sulle stesse sostanze. Perchè le costanti calcolate col potere induttore specifico riescano della stessa grandezza di quelle calcolate cogli indici di rifrazione basterebbe assumere nel calcolo delle prime un volume molecolare doppio e cioè ^ ^jj- — cost. od in altre parole consi- derare nel caso della elettrizzazione un iiumerd di molecole metà per lo stesso volume v\iv non nel caso della ritrazione. Ora ciò sarebbe trop|)o arbitrario , o per lo meno nessuna ragione fìnoi'a alibiamo per fare una tale snpposi/.iiaie. Invece aimnettendn per un momento la moditicazione alla teoria di Ihhnholtz più sopra suggerita , si potrebbe assumere un volume atomico medio doppio e senza considerare un numeid metà di atomi per unità di volume nel caso della elettrizzazione piuttosto che in (piello della ritrazio- ne, si potrebbe forse spiegare il fatto suaccennato ammettendo che nei cora|)osti \)n\ complessi una parie degli atomi nel caso della elettrizzazione agisca sotto forma di grupi)i condensati partici ilaii , i quali funzionerebbero come particelle singole. Conforta questa ipotesi che nella elettrizzazione convenga con- siderare piuttosto i singoli atomi o gruppi di atomi , che non le molecole complesse il fatto che mentre il potere induttore specifico dipende come abbiamo veduto in modo evidente dalla natura de- gli atomi e dal loro aggruppamento, gli indici di rifrazione ne sono 16 Sul potere induttore specifico quasi affatto indipendenti. Riprendiamo gli stessi esempi prece- denti e troviamo : Foi-miato di etile n^\, 35 (Tereschiii) Acetato di metile 1, 37 Etilbenzene ^=1,476 Ortoxilene 1,484 Metaxilene 1,476 Paraxilene 1,474 Così pure abbiamo che le costanti calcolate coi poteri indut- tori presentano differenze più sensibili da una serie all' altra che non quelle calcolate cogli indici di rifrazione. E così per gli alcoli i valori delle prime costanti sono pressoché doppi che per gli idro- carburi, e maggiori che per gii eteri. Applichiamo ora le deduzioni finora fatte ad alcune delle re- lazioni accennate in principio di questa memoi'ia. Relazione Ohacli — E. Obach trovò che, per ciascuna serie di composti il rapporto fra il calore di vaporizzazione r e la costante di dielettricità D è approssimativamente costante, ma il valore del rapporto ^ varierebbe alquanto da serie a serie. D' altra parte Trouthon {Phiì. Mag. [5] XVIII. 1884) diede una relazione fra il calore di vaporizzazione, la temperatura assoluta di T ebollizione T ed il peso molecolare M espressa da : ^ — ^ lu ^ '^^ cui (' è una costante che varia da serie a serie. Detta relazione R. Schiff {Lieb. Ann. 234, 1885) trovò confermata dalle sue de- terminazioni del calore di vaporizzazione. Obach , combinando la sua relazione con quella di Trouthon, T dedusse la seguente espressione della costante dielettrica D = C — e trovò che i valori calcolati con essa presentano un accordo sod- disfacente con quelU dati dall' esperienza. Combinando le espressioni dell' Obach con quelle da me so- pra dedotte arriviamo alle seguenti altre : .= ^' ,_ e T = ^ '' ^-W^ l->4'^ e sulle costanti della rifrazione della luce 17 le quali ci esprimono che il calore di vaporizzazione dei composti M di una serie andrà diminuendo nelle serie se il rapporto -^ dimi- nuisce, come è il caso generale. La temperatura di ebollizione in- vece crescerà sempre col peso molecolare. Queste deduzioni sono confermate dai fatti sperimentali. Relazione Runolfsson — Riguardo alla relazione sopra indicata del Runolfsson osservo che è bensì vero che la costante di die- lettricità per i gas ed i vapori è generalmente poco differente dal- l'unità, ma non sempre il calore molecolare a pressione costante è uguale* a 6.8 ma abbiamo invece i seguenti valori, per citare solo quei gas e vapori, di cui è determinata la costante in questione. Anidride carbonica 9,56 Etere 35, 2 Protossido di azoto 9,97 Cloi'uro di etile 17,5;'! Anidride solfoiosa 9,82 Bromuro di etile 20,20 Solfuro di carbonio 11,88 Benzene 29,05 Metano 9,42 Ale. metilico 14,55 Etilene 11,95 » etilico 20,70 Cloruro di etilene 22,50 Quindi per questi gas e vapori la relazione di Runolfsson non si verifica e sono in molto maggior numero di quelli per i quali si verifica. Per i Ii(jui(li basta citare i seguenti composti , di cui si con- frontano i calori molecolari a 20°. e Me ^ D 6. H A. metilico 0,6055 19,.38 2,85 32,7 . etilico 0,5951 27,37 4,02 26,5 . propilico 0,.5597 33,58 4,93 22,8 Benzene 0,3940 .30,73 4,52 2,43 Toluene 0,4073 37,47 5,51 2,36 Si vede che la relazione di Runolfsson non si verifica nem- meno per i liquidi. Ne abbiamo alcuna ragione finora di modifica- re il peso molecolare dei composti, come egli vorrebbe, per adat- Atti Acc. , VoL. VII, Serie 4.» — Memoria II- 3 18 Sul potere induttore specifico tarlo ai valori del potere induttore specifico dati dall' esperienza , in modo che ne risulti verificata la detta relazione, la quale d' al- tra parte non ha fondamento teorico. Belazioue Jouhin — Questa relazione, come si è veduto, si può mettere sotto la forma « — 1 = A' [ ^ . Essendosi però dimostrato in questa memoria essere un' espressione generale la seguente : — ;— = '>'[ ^ ne verrebbe che, affinchè anche la relazione Joubin n + \ fosse generale, dovrebbe anche verificarsi l'altra — — = cost. il che non è possibile che per due valori, quindi la relazione Joubin non può essere una relazione generale. Conclusioni — Fra il potere induttore specifico , l' indice di ri- frazione e le grandezze caratteristiche della molecola dei corpi si possono avere le quattro relazioni generaU : D-\ N u = ''''■ D 1 / — ^ 1 ' N D ' " ~ = cost n' — n' cost. 2 1 A^ La quarta può anche mettersi sotto la forma: — ^ — '^ ~\i ~ ^^^^' La terza e la quarta poi si verificano in modo più generale che le equazioni della rifrazione finora proposte (Newton, Gladsto- ne e Dale, Lorenz-Lorentz, Ketteler). Del resto si sa che la rela- zione Lorenz-Lorentz , clie è la più generalmente accettata, è fon- data sulla ipotesi di Mossotti e Glausius che le molecole abbiano forma sferica, ciò che non è in alcun modo dimostrato. Le nuove relazioni presentano il vantaggio di legare fra di loro un maggior numero di grandezze e di prestarsi quindi meglio a dedurre altre relazioni. Di più esse sono in accordo coli' ipotesi dell' Helmholtz sulle proprietà dei dielettrici. Le costanti calcolate dai poteri induttori specifici hanno per e sulle costanti della rifrazione della luce 19 i composti più complessi (alcoli ed eteri) valori circa doppi di quel- li calcolati dagli indici di rifrazione. Si possono ridurre tutte que- ste costanti ad avere valori pressoché uguali se si assume per il caso dei poteri induttori specifici un volume molecolare doppio, e cioè la seconda delle equazioni sopra date si mette sotto la forma D-1 N Combinando le nuove relazioni con quelle di Obach e Trou- thon si arriva alle altre due seguenti : le quali legano il calore di vaporizzazione *• e la temperatura as- soluta di ebollizione T di un corpo colle grandezze caratteristiche della sua molecola e dimostrano che il calore di vaporizzazione dei composti di una serie diminuirà salendo nella serie se il rap- ii/ porto -^ diminuisce , come è il caso generale. La temperatura di ebollizione invece crescerà sempre col peso molecolare in una data serie. La relazione del JouIjìu : « — 1 = A' \' "^ , e quella di Kunol- fsson : -jy- — 6.8 non sono generali. R- Università di Palermo^ Maygio 1893. ]V£eiiioria XTI. Influenza dell'umidità del suolo sulla traspirazione delle piante terrestri del prof. ANTONIO ALOl In una precedente memoria (1) ncll' esaminare 1 'influenza che i noti agenti , luce, calore, umidifà, ecc., esercitano sulla traspira- zione delle piante terrestri, fermai in ispecial modo la mia atten- zione suir umidità del terreno ; perchè ad onta che quasi tutti co- loro clie scrissero intorno alla traspirazione dei vegetali, se ne fos- sero poco 0 nulla occupati, pure, mi sembrava della massima im- portanza. È vero che 1' Haberlandt G. (2) scrisse che , inaridendo le piante per siccità dell' aria e del terreno la turyidità delle cellule stomatiche cala e le fessure si chiudono; e che il Leitgeb (3) in una delle conclusioni alle ((uali pervenne, in seguito a numerose ricer- che, che fece per dimostrare se gli agenti che producono nelle fo- ghe illese i conosciuti cambiamenti nella larghezza dell' apparato di fessura , spiegano la loro influenza anche sulle cellule stomatiche liberate dalla influenza delle cellule epidermiche circostanti: il Leit- geb disse, che la chiusura dello stoma avviene sotto tutte le circostanze in seguito a diminuzione dell' umidità del suolo e spesso prima che un disseccamento della pianta sia discernibile; ma I'Haberlandt, oltre che non riporta delle esperienze dirette a comprovare l'azione dell'umi- dità del terreno sulla traspirazione delle piante, attribuisce lo stesso effetto , tanto alla umidità dell" aria quanto a quella del terreno , (1) Alm A.-Hehuioiù esistenti tra la traspirazione delle pianto terrestri o il movimento delle cellule stomatidie— Catania 1891. (2) Haberlandt G.— Physiologisohe Pliaiizeiianatomie, 1884 pau. :W7. (3) Leitgeb— Beitrag-e znr des Spaltotfnungsapparate, 1886 conclusione 4.» Atti Acc. , Vol. VH, Serie 4.» - Memoria III. 1 Influenza dell' umidità del suolo mentre giusta le mie ricerche l'azione della prima è subordinata a quella della seconda. Il Leitgeb poi fece le sue esperienze su parti staccate di piante, e perciò non nelle condizioni di vita, e quindi le conclusioni di lui non possono essere accolte con fiducia ; anche perchè la quinta conclusione, in cui dice che in alcune piante con sufficiente umidità di suolo si stringe la fessura alla diretta luce del sole, non è conci- liabile con la quarta conclusione di sopra ricordata. Di tutti gli altri autori che della traspirazione delle piante si occuparono, a principiare dal Mariotte (1) ed a finire all'EBEROT {ì), nessuno per quanto mi sappia , ha fatto cenno della umidità del suolo. E pure è dell'umidità del suolo che dipendono principalmente i fenomeni della traspirazione delle piante terrestri, ed il movimento delle cellule stomatiche. Ed in vero : se la traspirazione non è che un atto fisiologico collegato con la funzione di nutrizione, e se per compiersi la fun- zione di nutrizione è indispensabile la presenza dell'umidità nel ter- reno, chiaro ne emerge che la traspirazione delle piante debbe es- sere subordinata in ispecial modo alla umidità che nel terreno le piante trovano a loro disposizione. Nella citata mia memoria sono riportate 55 esperienze dirette a dimostrare la influenza che 1' umidità del terreno esercita sulla traspirazione delle piante, e dalle medesime si potè rilevare che, la luce e gli altri agenti esterni Influiscono sulla traspirazione tutte le volte che le piante trovano nel terreno la necessaria umidità (3) ; ed a meglio confermare un tal fatto dal iJ8 agosto al di 12 ottobre del 1892, volli fare una nuova serie di prove, condotte con maggiore oculatezza e con più scrupolosa esattezza, e non credo sia opera inutile rendere di pubbfica ragione i risultati di dette prove. Preparai anzitutto tre serie di vasi, formate di 5 vasi ognuna; (1) :Mariotte— Essai de Thysique, I ess; De la vegetatioii des Plantes— 1679. (2) Eberdt Dott. 0 — Die traspiration der Pflanzen uiid ihro Abliang-igkeit vou iiussiiren Beding-ungeii, Marburg 1889. (3) Pag. 86. sulla traspirazione delle jìiante terrestri vasi tutti uguali in grandezza e ripieni della medesima quantità e qualità di terra, appositamente preparata e contenente : Calcare 50 Sabbia 32 Umo 10 Argilla 8 100 Stimai necessario impiegare per tutte le piante sottoposte al- l'osservazione la medesima qualità di terra, affincliè lo spostamento degli strati acquei d' imbibizione delle particelle terrose dalla peri- feria verso i centri, rappresentati dalle parti delle radici incaricate dell' assorbimento, e la facoltà di cedere 1' acqua per i bisogni delle piante, si verificassero nell' egual modo in tutti i vasi. Inoltre pre- ferii la terra della composizione su indicata, perchè possiede al mas- simo grado la facoltà di cedere acqua alle piante (1). Delle tre serie di vasi la prima si indicherà (u) la seconda (b) e la terza (e). Nelle due prime serie si sperimentarono le se- guenti piante ; Zea Muì/.'ì, Pìiaseoìus i-ahjnris, Maftìiiola, incana, Epi- p/ìyìltim speciosmn e Solanum ìycopersicinn. Nella terza serie si spe- rimentarono invece: Vida fa ha, Laflii/ras sativus, Ocijmum basilicum. Tris fiorentina e Phijsalis Alkekengi. Pria di sottoporre le piante alle prove, si diede alla terra l'ac- qua necessaria per portare V umidità allo stato normale, intenden- do per umidità alio stato normale, quello stato in cui il terreno si è imbevuto di tutta quella quantità d' acqua di cui è capace d'im- beversi, senza che questa stagni fra le particelle terrose. E sicco- me la facoltà d'imbeversi d'acqua varia al variar delle qualità del terreno , cosi era necessario stabilire preventivamente la quantità (1) Voggasi, Aloi a. — Sullo spostamento degli strati acquei di imbibizione nei diversi ter- reni—Atti doli' Accademia Gioenia di Scienze Naturali in Catania— Serie 3.» — Voi. XVin — 1884. Influenza dell' umidità del suolo d' acqua che, alla terra prescelta per le prove, bisognava dare per portare 1' umidità allo stato normale. Servendomi del metodo suggerito dal Gasparin, trovai che con il 59 per cento d' acqua , in peso, 1' umidità della terra prescelta si trovava allo stato normale. La sera del 27 agosto 1' umidità della terra in tutti i vasi si portò al 59 per 100 in peso, e l'indomani s'iniziarono le osserva- zioni. Le piante della serie a) venivano inaffiate ogni sera, quelle della serie b) e e) ad intervalli. Tre termometri messi , uno all' aria e gli altri due , uno nel terreno della serie a) e 1' altro nel terreno della serie b) servirono ad indicare le rispettive temperatura. Un igrometro serviva ad in- dicare r umidità relativa dell' aria. L' apertura delle fessure stomatiche si valutava a micron, mer- cè r oculare micrometro, e per effettuare tale misura si asportava con una pinzetta un pezzetto di pellicola che ricopriva le foglie delle piante sottoposte alle prove e si distendeva sul vetro porta ogget- ti. Nel distendere la pellicola non si adoperava la goccia d'acqua, come è indicato da alcuni , perchè 1' acqua inducendo una turge- scenza nelle cellule stomatiche avrebbe prodotto una variazione neir apertura stomatica. L' operazione del distacco e della distesa della pellicola sul porta oggetti e la misurazione dell' apertura stomatica , venivano eseguite con la massima celerità, per evitare un disseccamento del- la pellicola e quindi un restringimento nella fessura degli stomi. Dal 28 Agosto al 12 Ottobre facemmo 66 osservazioni ed in ore diverse, e qui sotto ne riportiamo alcune delle osservazioni fatte. Esperimento 4". (28 Agosto ore 3 pm.ì Temperatura dell'aria 30<',0 id. del terreno a) 26'',0 id. del terreno b) 27°,5 Umidità relativa dell' aria 50 Cielo sereno— Luce diretta. ■iulla traspirazione delle piante terì'estri Serie a) Zea micron 2,22 Phaseolus id. 1,50 Matthiola id. 4,45 Epiphyllum id. 0,56 Solanum id. 0,45 Serie 6) Zea micron 2,22 Phaseolus id. 2,22 Matthiola id. 2,25 Epiphyllum id. 0,34 Solanum id. 0,40 Serie e) Vicia micron 1,10 Latyrus id. 2,22 Ocymum id. 3,00 Physalis id. 2,20 Iris id. 1,50 Alla sera dopo l'ultima osservazione si inaffia la serie e) nello egual modo della serie a). Esperimento 9" (29 Agosto :i 1)111.) Temperatura dell' aria 28",5 id. del terreno a) 28°,0 id. del terreno h} 29".0 Umidità relativa dcìll'aria 44",0 Cielo sereno— Luce dii'etta. Srrie a) Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum micron 2,22 id. 6,72 id. 6,72 id. 1,50 id. 1,50 Serie h) Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum micron 0,45 id. 2,22 id. 2,22 id. 0,45 id. 0,34 Serie f) Vicia micron 7,65 Lathyrus id. 2,22 Ocymum id. 8,10 Iris id. 2,22 Nei giorni 30 e 31 Agosto le fessure stomatiche delle piante poste nei vasi nelle serie b) e e), che si lasciarono senza inaffiatu- hifluenza dell'umidità del suolo re, si mostrarono sempre più ristrette, ed alle 3 p. m. del 1° Set- tembre davano le seguenti misure : Esperimento 13". (1. Settembre ore 3 più.) Temperatura dell' aria 27<',5 id. del terreno a) 25°,0 id. del terreno h) 2&>,b Umidità relativa dell'aria 43. Cielo sereno— Luce diretta. Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum Serie a) micron 2,30 id. 6,75 id. 7,00 id. 0,60 id. 0,50 Serie h) Zea, micron 0,75 Phaseolus id. 0,00 Matthiola id. 0,30 Epiphyllum id. 0,00 Solanum id. 0,10 Serie e) Vida micron 2,00 Lathyrus id. 1,12 Ocymum id. 3,00 Physalis id. 2,20 Iris id. 1,12 Alla sera del 1. Settembre si diede acqua nell' egual modo alle piante di tutte e tre le serie di vasi. Esperimento 14'^'. (2 Settembre ore 3 pm.) Temperatura dell' aria 30",0 id. del terreno a) 26° ,5 id. del terreno b) 28°,0 Umidità relativa dell' aria 49 Cielo sereno— Luce diretta Serie a) Serie b) Zea micron 1,50 Zea micron 1,50 Phaseolus id. 6,72 Phaseolus id. 5,40 Matthiola id. 8.10 Matthiola id. 7,20 Epiphyllum id. 0,45 Epiphyllum id. 0,22 Solanum id. 0,75 Solanum id. 0,43 sulla traspirazione delle piante terrestri Serie e) Vicia micron 4,50 Lathyrus id. 2,22 Ocymum id. 2,iO Physalis id. 2,22 Iris id. 3,40 Nei giorni 2, 3 e 4 settembre le fessure stomatiche, delle piante delle due serie b) e e) lasciate senz'acqua, si mostrarono ad ogni osservazione successiva sempre piìi ristrette ed il giorno 4 alle ore 3 pm. si presentavano nel modo seguente. Esperimento 17". (4 Settc'inlire ore 3 pm.j Temperatura (icir aria 32°,0 id. del terreno a) 26",5 id. del terreno b) 29'^,5 Umidità relativa dell'aria 46 Cielo sei'eno — Luce diretta Serie a) Pliaseolus Mattiiiola Epipliylhim Holaiuim micron 0,90 id. 2,20 id. 6,72 id. 0,45 id. 0,56 Serie h) Zea Phaseolus Matthiola Epipliyllum Solanum micron 0,00 id. 0,00 id. 0,45 id. 0,00 id. 0,22 Serie e) Vicia micron 0,90 Lathyrus id. 0,10 'Ocymum id. 0,56 Physalis id. 0,20 Iris id. 0,34 Alla sera del 4 Settembre alle due serie b) e e) si diede un leggiero inaffio e la serie a) s' inaflìò come di consueto. Influenza dell' umidità del suolo Esperimento 18". (ó Settembre ore 3 pui.) Temperatura dell' aria 3P,5 id. del terreno a) 26«,0 id. del terreno b) 27o,0 Umidità relativa dell'aria 51 Cielo sereno— Luce diretta Serie a) Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solali um micron 0,75 id. 2,22 id. 6,72 id. 0,45 id. 0,56 Serie b) Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum micron 0,90 id. 1.50 id. 5,40 id. 0,22 id. 0,45 Serie e) Vicia micron 3,60 Lathyrus id. 1,10 Ocymum id. 2,22 Physalis id. 0,45 Iris id. 2,22 Nei giorni 6 e 7 Settembre le fes.sure delle piante delle due rferie h) e e) andarono restringendosi, ed il giorno 8 davano le mi- sure seguenti: Esperimento 21'^. (8 Settembre ore 8 pui.) Temperatura dell' aria 33°,0 id. del terreno a) 28o,0 id. del terreno b) 30o,0 Umidità relativa dell' aria 63 Cielo quasi nuvoloso— Luce diretta A mezzogiorno cadde una leggiera pioggerella. Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum Serie a) micron 0,75 id. 1,50 id. 2,22 id. 0,22 id. 0,34 Serie b) Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum micron 0,00 id. 0,10 id. 0,00 id. 0,00 id. 0,15 stilla traspirazione delle piante terrestri Serie e) Vicia micron 0,45 Lathyrus id. 0,00 Ocymuni id. 0,00 Physalis id. 0,00 Iris id. 0,22 È importante qui notare, che ad onta della pioggerella caduta nel mezzogiorno del giorno 8 , e dell' aumento verificatosi dell' u- midità dell' aria, le aperture stomatiche non subirono il più leggie- ro aumento nelle misure, anzi si restrinsero di più, perchè 1' umi- dità del terreno, nelle serie b) e e) specialmente, era diminuita di molto. Alla sera del giorno 8 si inafììano nell' egual modo le piante delle serie a), h) e e). Esperimento 22". (9 Settembre ore ;J pin.) Temperatura dell'ari;! 32'',0 id. del terreno a) 29«,5 id. dei terreno b) .30",0 Umidità relativa dell'aria f).') Cielo sereno — Luce diretta Serie a) Serie b) Zea micron 8,00 Zea micron 2,22 Phaseolus id. ;?,:57 Pliaseolu.s id. 8.00 Mattinola id. (5,72 Mattinola id. 5.40 Epipliylluni id. 0,45 Epiphyllnni id. o,;u Solaiuun id. 0,56 Solanuni id. 0,45 Serie e) Vicia micron 8,37 Lathyrus id. 0,90 Ocymum id. 1,50 Physalis id. 1,12 Iris id. 2,22 I giorni 11 e H le fessure delle piante delle serie non inaf- tiate h) e e) come al solito si mostravano più ristrette ed il giorno 12 si presentavano come qui appresso: Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria III. 2 10 Influenza dell' iiniklità del suolo Esperimento 25°. (12 Settembre ore 3 pm.) Temperatura dell'aria SO"^,© id. del terreno a) 27", 0 id. del terreno b) 28",0 Umidità relativa dell'aria 52 Cielo un poco nuvoloso— Luce diretta Serie a) Serie b) Zea micron 2,10 Zea micron 0,15 Phaseolus id. 2,22 Phaseolus id. 0,22 Matthiola id. 3,37 Matthiola id. 0,00 Epiphyllum id. 0,4n Epipliyllum id. 0,22 Solanum id. 0,75 Solanum id. 0,15 .Serie e) Vicia micron 0,00 Lathyrus id. 0,00 Ocymum id. 0,(X) Physali.s id. 0,00 Iris id. 0,90 La .sera del H si inaffiaiio tutte le piante con la stessa qua- lità e quantità d' acqua. Esperimento 26". (13 Settembre ore .5 pm.) Temperatura dell' aria 28",0 id. del terreno a) 26°, 0 id. del terreno h) 26",5 Cielo semi coperto — Luce diretta. Sene a) Serie b) Zea mici'on 3,00 Zea micron 0,45 Phaseolus id. •> 0-2 Phaseolus id. 0,22 Matthiola id. 2 22 Matthiola id. 0,15 Epiphyllum id. 0,M Epiphylhmi id. 0,00 Solanum id. 0,5(ì Vicia Lathy Seri n 'US Solanum e e) licron 0,90 id. 0,00 id. 0,15 Ocymum id. 0,45 Physa is id. 0,00 Iris id. 0,00 sulla traspirazione delle piante terrestri 11 Nei consecutivi giorni 14, 15, 16, 17 e 18 Settembre, in cui le piante delle serie b) e e) si lasciarono senza inaffiature, le fes- sure stomatiche andarono man mano restringendosi , tanto che il giorno 18 davano la misura seguente: Esperimento 31." (IH Si'ttcìnlirc ore 3 pm.) Temperatura dell' aria 24<',0 id. del terreno a) 23°,0 id. del terreno h) 23°,5 Umidità relativa dell'aria 68 Cielo nuvoloso— Alla mattina cadde una pioggia abbondante, ma i vasi non si fecero lìagnare. Serio a) Zea micron 2,22 Phaseolus id. l.TiO Mattinola id. 2,70 Epiphylluni id. 0,56 Solannni id. 0,7;") Soiie h) Zea Pliaseolus Matthioia Epiphyllum Solaniini micron 0,22 id. 0,15 id. 0,45 id. 0,15 id. 0.22 yerie e) Vicia micron 0,00 Latlivnis id. 0,00 Ocymum id. 0,00 Physalis id. 0,(10 Iris id. 0,00 Anche in questo 31" esperimento è imi)()rtante notare, che nel- la serie e) specialmente , non ostante 1" aumento dell' umidità del- l'aria per la pioggia caduta, le fessure stomatiche si mantennero chiuse, perchè per cinciue giorni il terreno non si era inaffiato. Il giorno 19 Settembre le fessure delle piante delle due serie h) e e) si mantennero come al giorno 18 ad alla sera si diede acqua a tutti i vasi delle serie a) , b) e e). 12 Influenza dell'umidità del suolo Esperimento 33.° (20 Setterahn? ore 3 pm.) Temperatura dell' aria 25o,0 id. del terreno a) 220,0 id. del terreno b) 24^,0 Umidità relativa dell' aria 60. Cielo semi coperto— Luce diretta. Serie a) Serie }) Zea micron 3,00 Zea micron 2,22 Phaseolus id. 3,00 Phaseolus id. 2,22 Matthiola id. 5,85 Matthiola id. 4,45 Epiphyllum id. 0,50 Epiphyllum id. 0,34 Solanum id. 0,75 Seri e e) Solanum id. 0,45 Vicia micron 3,37 Lathyrus id. 1,50 Ocymum id 1,50 Physalis id 0,90 Iris id. 2,22 Nei giorni 21, 22, 23 e 24 Settembre le fessure stomatiche delle piante dei vasi delle serie b) e e) che si lasciarono senza acqua , andarono man mano sempre restringendosi ed il 25 Set- tembre diedero la misura che siegue : Esperimento 38.= (■25 Settembre ore 3 pili.) Temperatura dell' aria 260,0 id. del terreno a) 22o,0 id. del terreno b) 22o,5 Umidità relativa dell'aria 61. Cielo sereno — Luce diretta. Serie a) Serie b) Zea micron 1,50 Zea micron 0,00 Phaseolus id. 2,22 Phaseolus id. 0,00 Matthiola id. 9 90 Matthiola id. 0,00 Epiphyllum id. 0,34 Epiphyllum id. 0,00 Solanum id. 0,22 Solanum id. 0,00 sulla traspirazione delle piante terrestri Sei- ie e) Vicia micron 0,00 Lathyrus id. 0,00 Ocymum id. 0,00 Physalis id. 0,00 Iris id. 0,00 Alla .sera del 25 Settembre si diede acqua ai vasi di tutte lo sene. Esperimento 39.'' (26 ScttcMiliiv ore ;i pin.) Terapet-atura dell'aria 25°,5 id. dol terreno a) 21",0 id. del terreno b) 22", 0 Umidità relativa dell' aria 63. Cielo sereno — Luce diretta. Scri( a) i; erii' h) Zea micron 2,2;") Zea micron 1,15 Phaseolus id. ;;,oo Phaseolus id. 1,!X) Matthiola id. 3,00 Matthiola id. 2,20 Epiphyllum id. 0,75 Epiphyllum id. 0,45 Solannin id. 0,<)0 S l'iic (t Soianuin 1 id. o,:;4 Vicia nicroii 1,50 Lathyrus id. 0,50 Ocynunn id. 0,90 Pliysalis id. 0,45 Iris id. 0,34 Nei giorni 26, 27 , 28 e 29 Settembre le fessure stomatiche delle piante delle serie h) e e) lasciate senza inalTiature . andaro- no man mano restringendosi, tanto che al 80 Settembre si pre.sen- tavano come segue : Esperimento 43. •* 1,30 Settembre ore '.i piii.) Tempei-atura dell' ai-ia 27'^,0 id. del terreno a) 22°,0 id. del terreno V) 230,0 Umidità relativa dell'aria 56 Cielo quasi sereno — Luce diretta 14 Influenza dell' umidità del suolo Sei ie a) Serie h) Zea micron 2,2ó Zea micron 0,(» Phaseolus id. 6,72 Phaseolus id. 0,(X) Mattliiola id. 8,50 Matthiola id. 0,(X) Epiphyllum id. 1,12 Epipliylliim id. 0,00 Solanum id. 2,2.-1 Seri e e) Solanum id. 0,00 Vicia nicrou 0,00 Lathyrus id. 0,00 Ocymum id. 0,00 Physalis id. 0,00 Iris id. 0,00 Nei giorni 1 e 2 Ottobre le fessure stomatiche delle piante delle serie b) e e) si mostrarono sempre chiuse , in tutte le ore della giornata; e non appena alla mattina del 3 Ottobre le piante tutte si innaffiarono , le fessure all' osservazione delle ore 3 pm., si presentarono nel modo che siegue : Esperimento 46. ° (8 Ottobre ore 3 pm.) Temperatura dell' aria 25<',ó id. del terreno a) 23°,0 id. del terreno b) 24",5 Umidità relativa dell' aria 59. Cielo quasi sereno — Luce diretta. Serie a) Serie b) Zea micron 3,00 Zea micron 1,50 Phaseolus id. 4,45 Phaseolus id. 3,37 Matthiola id. 3,60 Matthiola id. 0,90 Epiphyllum id. 0,64 Epiphyllum id. 0,22 Solanum id. 3,37 Solanum id. 0,45 Serie e) Vicia micron 3,60 Lathyrus id. 3,37 Ocymum id. 0,90 Physalis id. 0,22 Iris id. 0,45 Nei giorni 4 e 5 Ottobre le fessure stomatiche delle piante delle serie (h) e (e) si mostravano più aperte nelle ore piìi calde della sulla traspirazione delle piante terrestri If) giornata, e meno aperte nelle ore meno calde — Nella notte tra il 5 ed il 6 Ottobre cadde un' abbondante pioggia ed i vasi si fecero bagnare eccessivamente. Esperimento 49.° (6 Ottolire ore G pm.) Temperatura dell' aria 21",0 id. dei terreno a) 18",0 id. del terreno h) 18o,0 Umidità relativa dell' aria 80 Cielo quasi nuvoloso — Luce dittusa. Serie a) Serie 6) Zea micron 1,12 Zea micron 0,90 Phaseolus id. 0,60 Phaseolus id. 3,60 Mattinola id. 3,00 Matthiola id. 3,37 Epiphyllum id. 0,75 Epiphyllum id. 0,75 Solanum id. 3,60 Sei- e e) Solanum id. 3,37 Vicia iiicrou 4,00 Latliynis id. 2,10 Ocyniuni id. 3,00 Physalis id. 0,75 Iris id 0,90 Esperimento 52." ni • Ittolin' ole :ì 1)111. 1 Temperatura dell'aria 28",0 id. del terreno a) 26°,0 id. del terreno b) 26°,5 Umidità relativa dell' aria 70 Cielo quasi sereno — Luce diretta. Serio a) Serie 6) Zea micron 3,37 Zea micron 3,00 Phaseolus id. 6,72 Phaseolus id. 6,:50 Matthiola id. 7,20 Matthiola id. 8,10 Epiphyllum id. 3,0) Epiphyllum id. 3,37 Solanum id. 4,95 Sohiiiuni id. 4,45 16 Influenza dell' umidità del suolo Serie (e) Vieia Lathyrus Ocymum Physalis Iris micron 8,55 id. 4,20 id. 9,00 id. 4,10 id. 3.37 Nei giorni 7, 8, 9 e 10 Ottobre le fessure stomatiche delle piante dei vasi delle serie a) , b) e e) osservate per 5 volte al giorno, alle 6 ed alle 9 ani. , alle 12 mer. , alle 3 ed alle 6 pm. mostrarono di allargarsi e restringersi a seconda che aumentavano o diminuivano la intensità della luce e del calore, però mentre que- sto fenomeno osservavasi costantemente , nelle piante della prima serie, in cui 1' umidità del terreno mantenevasi in una proporzione quasi costante , in quelle delle sei-ie b) e c^) a misura che 1' umi- dità del terreno diminuiva , 1' allargamento delle fessure scemava anche nelle ore le più calde e le più illuminate della giornata, tanto che nei giorni 11 e 12 Ottobre si presentavano alcune molto ri- strette altre chiuse addirittura. Esperimento 66. " (11 Ottobre ore 3 pni.) Tempei'atura dell' aria 27'',0 id. del terreno a) 25°,0 id. del terreno 6) 25°,5 Umidità relativa dell' aria 53. Cielo sereno — Luce diretta. Zea Serie a) micron 1,12 Phaseolus Mattliiola Epiphyllum Solanum id. id. id. id. 4,25 4,45 1,12 4,45 Zea Phaseolus Mattliiola Epiphyllum Solanum Serie h) micron 0,45 id. 0,50 id. 0,34 id. 0,00 id. 0,45 Serie e) Vicia micron 0,45 Lathyrus id. 0,00 Ocymum id. 0,30 Physalis id. 0,00 Iris id. 0,15 sm//» frasp/raz/oìie de//f piante ten'e.ifri Esperimento 67". (VA ( (ttiiliiv Mii- :-! pili.) Temperatura dell'aria 21° p id. del tei'reno a) 26'*,0 id. del terreno b) 2()<',0 Umidità relativa dell'aria ;')! Cielo sereno— Luce diretta .Serie ai Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum .Solauuui micron 1,50 id. 4,4:') id. id. id. 4,9ó 9,90 r),4() Zea Phaseolus Matthiola Epiphyllum Solanum .Serie 1/ micron 0,(Fi id. id. id. id. 0,00 0,90 0,00 ^ìene ci (•nilf(M'- ti.'rreiio (■.•^ci-cila .sul Vicia micron 0,10 Lathyrus id. 0,(Xi Ocymum id. 0,15 Physalis id. 0,(Ki Iris id. 0,U0 Le esperienze .su riportale mare , la grande inllucnza clu' 1' nmidilà de movimenlu delle cellule slouialiche, e (piindi sulla Iraspiraziune del- le piante , (^ coiiie alla detta umidità sia subordinala la influenza degli altri agenti esterni : luce, calore ed umidita dell" aria. Ed in vero sulle piante della serie a) che si mantennero sem- pre con il terreno ad umidità <|uasi normale , la luce , il calore e r umidità dell'aria spiegavano la loro influenza, in modo che ad ogni aumento di intensità di uno dei delti agenti seguiva costan- temente un allargamento delle fessure stomatiche. Nelle piante del- le serie b) e e) invece, che si mantennero in terreno con umidità molto variabile, i detti agenti diventavano importanti ad esercitare la benché menoma influenza sulle aperture stomatiche, quando di- fettava nel terreno 1" umidità, come è provato in modo speciale da- gli esperimenti il", 35°, 26", 38", 43", 65" e 67". Ciò posto mi sembra che si possa delìnitivamente conchiudere: 18 Influenza dell' umidità del Hunlo 1 1. Che la luce , il calore e 1' umidità dell' uria, per esercitare la loro influenza , sul movimento delle cellule stomatiche e cjuindi sulla traspirazione delle piante terrestri, è necessario che nel ter- reno vi sia un sufficiente grado di umidità. 2. Che mancando nel terreno la necessaria umidità, gli stomi rimangono chiusi sotto qualunque siasi influenza. B. Che gli stomi con i loro movimenti regolano la traspira- zione delle piante. Cnfanifi. /.v Marzn IMO.r Memoria lY, Sulle roccie incontrate nel trafori della linea ferroviaria Patti-Brolo in Provincia di Messina Prof. G. LA VALLE. Da parecclii anni ho rivoUo, la mia attenzione ai materiali in- contrati nei trafori in costruzione, della ferrovia Messina-Cerda, se- guendone il progresso dei lavori ; perchè la conoscenza scientifica dei materiali che grandi lavori d' higegneria ci apprestano, non so- lo è di grande interesse scientifico; ma anche, e forse maggiore . d" interesse pratico. La cognizione esatta dei terreni in cui tali open' sono eseguite, serve anche per la susseguente manutenzione di esse, dalla quale dipende la lor maggiore conservazione, serve a regola- re r economia della spesa ; oltreché, può indubiamente renderci ra- gione di fenomeni occasionali che con incertezza potrebbero ricono- scersi ove la pratica venisse disgiunta dal valido aiuto delle cono- scenze scientifiche. Già in altra mia pubblicazione, (*) ho trattato del materiale in- contrato nel Traforo del Capo Tindaro, (jui tratterò di quello attra- versato nei successivi trafori. Prima di entrare in argomento, sento il dovere di tributare i miei piti sentiti ringraziamenti, al Direttore dell' hnpresa costruttri- ce Sig. Gobba, non che agi' higegneri preposti alla costruzione del tronco ferroviario , in cui tali trafori si trovano ; come pure agli higegneri dell' Ispettorato Governativo, i quali tutti gentilmente mi han permesso e facilitato le osservazioni locali e le raccolte di campioni da studio. (*) Contribuzioni mineralogiche — Sul Caliare dello Hocco cristiilliiu' del Capo Tindmo in Provincia di Messina — Jlessina 1892. Atti Aco. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria IV. 1 2 Stille rocce incontrate nei trafori della lìnea ferroviaria Con specialità debbo poi ringraziare il Sig. Gaetano Gentile , dell' Ispettorato Governativo, il quale mi cooperò nelle raccolte, met- tendo a mia disposizione i campioni da lui recuperati, e fornendo- mi interessanti notizie sulla successione dei materiali rinvenuti; au- gurandomi e facendo il voto , che sempre in tali importanti lavori d' Ingegneria si trovi chi nel personale direttivo, comprenda 1' alta missione dello scienziato, e cerchi di coadiuvarlo con amore e di- sinteresse. Per chi percorre la linea ferroviaria da Messina verso Paler- mo, dopo Patti incontra, nel tronco Patti-Brolo, i trafori di Punta fetente, Scogho Nero Calava, Schino Falconara — Nel tronco seguen- te Brolo-Zappulla, quelli di Lavari, Palma e Capo d' Orlando. Il giorno della mia ultima visita {'■28 Luglio 1892) esse galle- rie erano aperte dalle due estremità, per le seguenti lunghezze : Imbocco Messinf i Imboi ;co ralcniio. Lung.» ad opera finita, Punta Fetente M, , 52.30 115.00 .501.58 Scoglio Nero 71.00 34.00 208.13 Calava p. d. 161.00 193.00 l 1476..37 Attacco intermedio 289.10 S Capo Schino 266.10 400.00 898.39 Falconara 149.85 89.00 939.44 Lavari 200.00 ? 1189.00 Palma completa 170.47 Capo d'Orlando 117.00 176.00 846.13 Galleria Punta Fetente Questa galleria attraversa rocce massicce cristalline. La sua denominazione , è dovuta molto probabilmente al fe- tore che emana, per sprigionamento d' idrogeno solforato. In pros- simità della spiaggia, nella roccia che si erge ripidamente a costi- tuire il capo, si osservano delle fessure tappezzate, come fumaruole, da incrostazioni solfifere, che illusero tanto certi proprietari da spin- gerli a ricerche industriah, che come era bene a supporre, dove- vano riuscire infruttuose. Patti-Brolo in Provincia di Messina Percorsa tale galleria fino all'avanzata, dall'imbocco Messina, s' incontrano subito le seguenti rocce granitiche, tipo pegmatite. Campione 1. Appena entrati si ha una roccia formata di quarzo e feldspato a grossi elementi , con mica chiara (muscovite) a grandi lamelle condensata in masse e masserelle, e contenente, come elemento ac- cessorio, tormalina nera, anch' essa a grossi elementi. Tale roccia è attraversata da venature giallo-ocra per deposito di ferro ossidulato. Campione 2. In seguito essa roccia si rinviene associata o modificata in al- tra d'identica costituzione mineralogica, ma differente per struttura, giacche qui gli elementi sono piccoli e granulari da farla avvicina- re più al tipo granitite. Questo tipo si alterna perù ripetutamente col precedente. In lamine sottili oltre gli elementi cennati , si è osservato del plagioclase, e della magnetite. Da tali osservazioni si conclude che all' ingresso di tal galle- ria si ha roccia pegmatitica tormalinifera ora a grossi ed ora a piccoli elementi. Campione 3 e 4. Continuando nella stessa galleria s' incontrano dei massi piii o meno grandi quarzitici, granulari compattissimi, di colore bianco gri- giastro; e racchiudenti qua e là dei noduli di mica chiara. Tali quarziti aumentano di i»otenza tanto da diventare dei veri banchi. Uno di questi banchi all' avanzata, (50 M.) dall'imboccatura, presentò tali difficoltà alla perforazione da rendere lentissimo 1' a- vanzarsi dei lavori. — La mica bianca talora è abbondante e così addensata da rendere la roccia sottilmente scistosa, laminare è però fragilissima , talora è addensata e frammista ai granuli quarzosi. 4 Sulle rocce incontrate nei trafori della linea ferroriaria Campione 5 e 6. Fra le pegmatiti su descritte e quarziti cannate , vi si osser- vano delle rocce di contatto, che presentansi a tipo pegmatitico a piccoli elementi, ma decomposte pel passaggio di emanazioni soltì- fere; difatti tali rocce presentansi come imbevute da sostanza gialla ocracea, ora polverulenta ora in patena, che chimicamente, al sol- furo di carbonio, svelò zolfo. Per tal fatto è a supporre che nel piano di contatto fra le due rocce, pegmatiti e quarziti , si sono determinati delle disgiun- zioni e slocamenti, attraverso i quali si son fatta strada le emana- zioni solfifere. Air avanzata si lasciava la sopradescritta quarzite, e s" incon- travano gli schisti seguenti. Campione 7. Una roccia schistosa lucente a grana finissima, di colore gri- gio violaceo , che in lamine sottili mostra quarzo granulare , con mica scura, e come accessori feldespato monnclino e poco antibolo. Entrato poi dall'imbocco Palermo all'avanzata ( M. 115 da tale imbocco, M. 334 dall' avanzata precedente) si rinviene : Campione 8. Micaschisto ricco in quarzo granulitico a grana finissima, com- patto e con schistosità poco distinta ; che rapporto a fillade quar- zosa (Lasaulx). hi tale roccia macroscopicamente si scorge difficilmente la mi- ca, la quale al microscopio osservasi in pagliette disseminata nella massa quarzosa e spettante alle miche chiare potassiche ; ond' è che la roccia ha colore grigio roseo. Parallelamente alla schistosità , osservansi dei piani di facile separazione tappezzati da una patena giallo-ocracea. Tale roccia avea fin' allora una potenza di M. 17, circa, aven- domi riferito che si era incontrata a M. 98 dell'imbocco Palermo, come anche mi risultò dai Campioni quivi raccolti. Patti-Brolo in Provincia di Messina Campione 9. Susseguentemente alla roccia descritta, lino all'imlìocco Paler- mo, quindi con potenza di M. US circa, osserva.si uno schisto mi- caceo , costituito da mica chiara in pagliette predominante , con schistosità irregolare decisa. Fra i piani di schistosità trovansi intercalati strati di sostanza rosso bruno-scura formante specie di nuclei dai quali si dirama ir- regolarmente sostanza gialla ocracea polverulenta. Al microscopio si os.serva mica chiara avvolta nella sostanza opaca o traslucida giallo-bruna , che rapporto ad ossido di ferro più o meno idratato : non vi manca del quarzo granulare mescola- to in tale massa, ma poc(j abbondante. Per tali osservazioni ritengo tale ro('cia un micaschistu ricco in ossido di ferro limonitizzato, per cui la roccia schistosa, fragile, qua e là è di colore bianco argentino a splendore madraperlaceo sul- la superficie di schistosità, e pii'i o meno mac( licttata in giallo bru- no; normalmente alla scbistnsilà presentasi in massa gialli» bruna pili 0 meno carica r linumilizzata. per cui la roccia diviene incoe- rente nella massa ed eterogenea nella struttura. Da quanto abbiamo sin qui esposto , risulta che questo ag- gruppamento di rocce che costituiscono il dicco di Punta Fetente, nel versante verso Messina è foi'malu da pegmatiti più o meno compatte, più e meno schistose, le quali vengono ad affiorare alla superficie esterna del monte , come ho potuto notare sul versante a monte della Via Provinciale , soprastante al traforo ferroviario ove ho anche raccolto simili campioni. Nel versante verso Palermo è costituito da schisti micacei lu- centi molto ferruginosi ed incoerenti, che cominciano a presentarsi con schistosità irregolare ove si avvicinano o passano agli schisti contorti, ripiegati e disturbati che il Cortese (1) accenna trovarsi (1) E. Cortese : Brevi l'oniii sulla g-ooloj.'ia della parte N. R. della Sirilia. Bull, del R. Coni. Geolog. d' Italia Serie II, Voi. Ili, N. 5-0 1882. 6 Sulle rocce incontrate nei trafori della linea ferroviaria fra ]e rocce di tal dicco e la fillade susseguente che bene osserva- si affiorante su tale lato di detto versante. Galleria Calava Questa galleria si compone di un primo tratto che attraversa, il così detto Scoglio nero per il colore delle rocce che lo costitui- scono ; e di un secondo tratto del Calava p. d. Questi due tratti, separati da una distanza di M. 15 che sarà attraversata a mezzo di ponticello , formandosi ivi una specie di burrone che disgiunge i versanti di queste due masse, costituiran- no assieme la galleria del Calava. Lo Scoglio Nero forma altro dicco a sé ben distinto dal pre- cedente (Punta Fetente) e dal successivo del Calava, per la natura delle rocce di cui esso è formato , e per il colore apparente di esse. Difatti air imbocco Messina di tal primo tratto, dopo aver tro- valo , nella trincea che lo precede , una roccia turchino-grigiastra friabilissima , somigliante a massa tufacea^ ed untuosa al tatto (Campione 1); entrando in galleria si rinvennero: Campione 2. Schisti grigio scuri quarzosi micacei o cloritici, ricchi in quar- zo, con schistosità distintissima ondulata ed a superficie scagliosa con splendore grasso , e dolce al tatto ; mentre normalmente aUa schistosità presentansi sottilmente fibrose a fibre ondulate ; oltre- ché con venature sottili parallele, di quarzo bianco finamente gra- nulare. Al microscopio una lamina parallela alla schistosità presenta una massa costituita di quarzo granulare in cui é cosparsa una materia simile a talco o mica scura. In una lamina normale alla schistosità osservasi il quarzo gra- nulare incoloro attraversato o alternato con la detta sostanza scura mi- cacea 0 talcosa a forma di fascetti sottili costituiti dalla riunione Patti-Brolo in Provincia di Messina di grande quantità di fili paralleli e tortuosi da mostrarsi come una massa a struttura fluttuante. In tali schisti ti'ovansi sparsi dei piccolissimi cristallini di pi- rite. Tal materiale si attraversava ancora alla galleria di avanza- mento cioè a m. 71 dall' imbocco. Entrato dall' imbocco Palermo all' avanzata cioè a m. 34 dal- l'ingresso , m. 103 dall'avanzata precedente, ho rinvenuto gli. identici schisti, ma a schistosità più tortuosa , e più scagliosi. In essi il quarzo osservasi in masse lenticulari o nodulosi bianche , intercalato in abbondanza in tali schisti , tento che in qualche campione si presenta in forme di grosse bombe, bianco rosee , ri- coperte dal detto schisto turchino-grigiastro , che al contatto ]ire- sentasi più o meno polverulento e friabile. Sul versante nord dei monti soprastanti alla Via Provinciale, e quindi superiormente agli schisti descritti incontrati in galleria, ho osservato che vi poggia: Campione 4. Un calcare schistoide bruno , compatto, attraversato da vene e venuzze di calcare spatico bianco; simile in tutto a quello della formazione di Ali e rinvenuto dal Baldacci i)ur presso Patii dal Saliceto salimdo verso Gioiosa vecchia. Tal calcare certamente non è quello che incontrasi intercalalo od associato alla fìllade e quindi a questa contemporaneo, ma ben- sì quello che poggia direttamente sulla formazione della fillade , giacché per i suoi caratteri è simile a quello di Ali ( pernio-car- bonifero del Baldacci) posteriore al certo della fillade. E tanto più tengo ad affermare ciò in quanto che, più oltre tal calcare passa, sullo stesso versante, a schisti violacei con side- rite e quarzo quali si lianno nel membro inferiore della formazio- ne di Ali. Non è mio compito ({ui il discutere se questa formazione della fillade, rappresenta in Sicilia il carbonifero come lo riteneva il Se- 8 Sulle rocce incontrate nei trafori della linea ferroviaria guenza (1) od il Siluriano come più probabilmente vuole il Baldac- ci. (!2) È certo che dalle rocce cristalline incontrate a Punta Fe- tente si è passato agli schisti lucenti e quindi alle rocce vere el- ladiche; onde è che la formazione della fillade poggia direttamente sul cristallino, e su quella il calcare cristalUno piili recente. Calava p. d. Il dicco successivo formante il capo Calava nel tratto di gal- leria che lo attraversa, per la disposizione del lavoro, è stato da me visitato entrando, prima, dall' imbocco Messina e percorrendo una lunghezza di m. 161; indi entrando per una finestra aperta al K. 6.519,27 e percorrendo una lunghezza nella parte centrale di m. 159 verso Messina e m. 130 verso Palermo ; infine entrando dall' imbocco Palermo percorrendo altri m. 193. Nel primo tratto appena varcato l' imbocco Messina, alla di- stanza di m. 34 ho incontrato : Campione 1. Talcoschisti bianco-giallognoli friabilissimi, untuosi al tatto , e le quali poggiano o sono a contatto con altri identici ma bruno- violacei. Tali schisti aveano fino allora una potenza di m. 161 giacché ancora 1" incontravano all' avanzata. Nel tratto centrale, all' avanzata verso Messina ho rinvenuto : Campione 2. Schisti micacei grigio-scuri lucentissimi , a struttura distinta- mente granulare, compatti, ma con netta schistosità. In essi osservansi dei noduletti di calcopirite , intercalati qua e là nella massa, ma in poca abbondanza. (1) Segdenza: Contriliiizioni alla geologia della Provincia di Messina. — Breve nota intorno le formazioni primarie e secondarie. — Firenze 1871, pag. 19. (2) B.VLDACCi : Memorie descrittive della carta geologica d' Itatia — Descrizione geologica della Sicilia Voi. I. pag. 37 e seg. Patti-Brolo in Provincia di Messina Nei campioni raccolti all' avanzata , vi si osservano dei piani di facile disgiunzione, normali alla schistosità , tappezzati da so- stanza bianco-giallognola polverulenta, che per i caratteri e le os- servazioni fatte, debbo ritenere dover provenire da infiltrazioni, in tali lesioni e disgiunzioni, di sostanza talcoschistosa; e che tali tal- coschisti cosi sviluppati in potenza nella parte E della galleria, con- tinuano ancora e si trovano a contatto coi micaschisti scuri rin- venuti nt'lla parte centrale, ove essi ne formano l' interno nucleo. Continuando ad esaminare le rocce ricavate in tale attacco centrale e procedendo verso Palermo, esse si mantengono mica- schisti bruni, salvo a caricarsi qua e là di maggiore o minore quan- tità di quarzo, che presentasi, ora in istrati più spessi interposti nella schistosità, ora in vene ed infiltrazioni parallele alla schistosità. Però è notevole, che spesso tali micaschisti presentano delle superficie di scivolamento lucentissime e nere , perfettamente levi- gate tanto da presentarsi come untate o smaltate. Frequentemente questi piani di scivolamento, in alcuni trovanti assumono delle contorsioni in tutti i sensi e divengono abbondan- tissimi, da aumentare sensibilmente la schistosità ma in modo ir- regolare e variabilissimo , e da fare scomparire completamente la scrittura granulare su descritta. Però con tale struttura essi si presentano in forma di noduli ciottoli e blocchi sparse nel micaschisto granulare suddescrilto che è la roccia pi-edominante. Altro fatto che osservasi in tali massi diciamo cosi, sparsi, si è che fra le sudette superficie di sfogliamento perfettamente levi- gate e nere osservasi abbondantemente delle pagliette giallo ottone chiaro lucentissime e facilmente staccabili; e che a prima giunta possono prendersi per pagliuzze d' oro: ma che per le reazioni ese- guite, ho dovuto riferire a i)irite. L' ultimo tratto della galleria verso Palermo ci presenta com- pletamente rocce differenti dalle precedenti di questo gruppo. Difatti dall' avanzata fino all' imbocco Palermo ho trovato dap- prima: Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria IV. 2 10 Sulle rocce incontrate nei trafori della linea ferroviaria Campione 8 — 15 Rocce cristalline bianche costituite essenzialmente da quarzo e feldspato senza mica macroscopicamente apparente, ma pochissima, chiara in laminette sottili riconoscibile al microscopio. Tali rocce che attribuisco ad apìiti anche per la struttura gra- nulare pili 0 meno line, venendo verso l'imbocco, la mica chiara di- viene più abbondante e visibile ad occhio nudo, onde si passa a vere pegmatiti nelle quali non manca qua e là qualche cristallo di tor- malina nera. Però il feldspato presentasi molto decomposto tanto che la roc- cia nella sua massa è come ricoperta di sonstanza polverulenta bian- ca dovuta a caolinizzazione del feldspato. hi mezzo a tali rocce ho notato che vi sono delle inclusioni 0 secrezioni di altre rocce accessorie, di fatti un campione incon- trato in un banco al K. 6,861, cioè a M. 159 dall'imbocco Paler- mo, non è che un cloroschisto a schistosità irregolare con lenti di quarzo interclusi, oltre a quarzo granulare sparso nella clorite. Non vi mancano in questa roccia dei noduletti di pirite o cal- copirite in forma di addensamenti di sottilissimi granuli o lamelle. Quanto più la roccia avvicinasi al tipo pegmatitico osservansi dei piani irregolari di facile disgiunzione ricoperte da sostanza ros- so-bruna 0 giallo-rossastra, dovuta ad inflltrazione e deposito di os- sido di ferro. Talora tal colorazione si spande a larghe strisce o zone , in modo che il campione in parte è bianco, in parte è a tinte rosso brune, e rosso giallastre sfumate. Altre volte finalmente tali super- ficie di disgiunzione sono come intonacate da sostanza polverulen- ta ben levigata tinta in giallastro, insolubile negh acidi e gelitiniz- zante, e però riferibile a caolino. Sebbene non mi fosse riuscito seguire i lavori di questa gal- leria sino alla sua (Completa apertura, perchè mi venne negato dal Ministro dei LL. PP. un biglietto permanente su tale linea ; però dalle cose esposte risulta che il granito varietà pegmatite ed aplite Patti-Brolo in Provincia di Messina 11 costituisce il massimo nucleo del Calava , sviluppato ed apparente anche ali" affioramento nel versante occidentale del Capo. Che su questo poggiano gli schisti cristallini micacei oscuri, e su questi i talcoschisti chiari sviluppati ed incontrati nella parte orientale di esso. Capo Schino — Presso Giujosa Marca Usciti dalla descritta galleria del Calava, a M. 771, si entra in quella di Capo Schino , nella quale , come nelle precedenti , i lavori erano attaccati dai due imbocchi Messina e Palermo. Entrato dall' imbocco Messina incontrasi un micaschisto chia- ro quarzifero a grana finissima ed a struttura quasi fibrosa. Il suo colore è bianco-turchiniccio con splendore micaceo bianco argenti- no sulle superficie di schistosità. Tale roccia più oltre presentasi a tipo porfiroide, giacché pei-- de completamente la schistosità e presenta una massa turchina- chiaro , terrosa con delle secrezioni di grossi individui di quarzo bianco o grigio. Notevole è un campione preso a M. 80 dall' imbocco, nel qua- le in una massa rocciosa come la sudescritta, osservasi una geo- de di circa 8 cm. per 3, piuttosto schiacciata , la quale ha le pa- reti tappezzate da dolomite cristallina bianca rivestita esternamente da una patena di cristallini lamellari rosso bruno cupo che riferi- sco ad ematite, infatti coli' acido cloridrica non si scioglie, neanche a caldo; e alla F. R. dà un residuo nero attirabile alla calamita. In un canto poi di questa geode sono addossati dei cristallini scalenoidrici di calcite molto allungati e leggermente colorati in rosso giallognolo. Nella sudescritta roccia predominante , spesso incontra nsi dei banchi quarzitici più o meno potenti , come ho potuto notare a M. 220 dall' imbocco, da dove staccai un campione di quarzite bian- co-grigiastra compattissima. Ciò spiega ancor meglio le infiltrazioni quarzose notate nella roccia principale schistosa menzionata. 12 Sulle rocce incoili i-ate nei trafori della linea ferroviaria Addentrandosi incontransi rocce che mantenendosi schistoidi a grana fina e compattissimi si presentano variegate, ma nelle quali sulle superficie irregolari di schistosità si rende apparente l'elemento micaceo-talcoso bianco lucentissimo con splendore perlaceo ; ma prive affatto di secrezioni quarzose. Microscopicamente nella massa osservasi incluso però, quarzo granulare che dà consistenza alla roccia, cosi ho osservato in un campione preso a M. 247 dall' imbocco. Tale roccia continuava ancora a trovarsi all' avanzata la quale era allora a M. 266. In questo primo tratto mi è duopo far notare, che nel mate- riale ammucchiato presso l' ingresso, e trasportato dall'interno , mi è occorso vedere dei massi che per essere impregnati abbon- dantissimamente di solfuro di ferro, presentansi quale roccia grigia, pesantissima con disgiunzioni , vene , cellule e caverne le cui pa- reti son tappezzate di cristallini microscopici che ho dovuto per i caratteri chimici e cristallografici riferire a inarcasite. Inoltre sempre in tal materiale di scarico ho notato uno schi- sto micaceo argilloso fragilissimo,, bianco verdognolo più o meno macchettato intensamente, pieno zeppo di cristallini di marcasite. Tali rocce metanifere mi in riferito essere state rinvenute presso r imbocco, e precisamente a m. 140. Io però all'epoca della mia visita avendo trovato 1' anello di sostegno in muratura già costruito per 1' abbondanza delle acque filtranti, non ho potuto constatarne il giacimento, solo ho saputo che trattavasi di largo filone incontrato fra le rocce descritte. Di tale marcasite ho trattato separatamente in altra mia pub- blicazione (1). Entrato dall' imbocco Palermo a partire dall' avanzata , allora a m. 400 e quindi m, 232 dalla precedente dell' imbocco Messina, ho incontrato sempre rocce grigio turchine-chiare, più o meno ir- regolarmente schistose, e con splendore grasso sulle superficie di (1) Sulla mari-asite rinvenuta al Capo Schino presso G-iojosa Marea in Sicilia. Estratto dalla Rivista di Min. e Crist. Ital. Voi. XIII. 1893. Patti-Brolo in Provincia di Messina 13 schistosità, le quali si presentano, ora compatte e resistenti perchè più ricche in quarzo, del quale spesso presentano infiltrazioni len- ticolari ahbastanza visibili ; ora cornee a tipo di conglomerati o por- firici le cui secrezioni sono granuli o detriti quarzosi; ora finalmente in forma di interstratiflcazioni di sostanza polverulenta untuosa che sporca le dita, e simile completamente ad una creta talcosa bian- co-giallognola e grigio turchina chiara. In tale complesso di rocce che attribuisco a varietà diverse di fillade attraversata da veri micaschisti , mi è occorso notare che spesso vi sono racchiuse dei noduli o blocchi calcari con secrezio- ni quarzose, le quali portano aderente alla superficie, dei cristallini microscopici o polverulenti giallo ottone chiaro (Marcasite ?) che ben si mettono a nudo liberando la roccia, a mezzo di spazzolino, dalla sostanza farinosa fillitica che 1" involucra e che par che derivi da decomposizione della più compatta, al contatto di tali rocce subor- dinate incluse. Però ove il solfuro di feri'o, a forma piii o meno distinta di pirite, s' incontra con massima concentrazione in rocce più o meno cellulari e cavernose si è dal Cbilnmetro 8.265 fino a 8.480 cioè per una distanza di M. 15 circa. Se tale osservasi in abbondanza in lai tratto; le rocce con sol- furo di ferro impregnante , oltre ad averle trovate nel tratto Mes- sina, in quello Palermo possiamo dire che vi si rinvengono con maggior frequenza e ricchezza, difalU dopo averne trovato all'avan- zata allora a M. 400 circa dall' imbocco, ne troviamo a M. 340 e poi da M. 300 fino a 120. Le dette condensazioni di solfuro di ferro non presentano che raramente dei cristaUi netti e riconoscibili, giacché ordinariamente sono ammassati irregolarmente, o sono microscopici quasi polveru- lenti che tappezzano le fessure e cellule delle dette rocce ; solo in qualche campione mi è riuscito accertarne la forma piritica sebbene con qualche difficoltà. Fra le rocce descritte vi si osserva qualche filone di calcare cristallino come ho potuto notare a M. 340 daU'imbocco, e che ri- 14 Sulle rocce incontrate nei trafori della linea ferroviaria piegando si ritrova a M. 319. Esso presentasi a struttura cristalli- na, color grigio, qua e là con vene bianche. Altra volta il calcare tappezza le superfìcie di disgiunzione del conglomerato filladico, come a M. 262, e presentasi o in patena o in cristallini aderente alle pareti di disgiunzione o a quelle delle cellule ed interstizi della roccia. Giungendo in prossimità dell' imbocco si hanno talcoschisti quarzitici con infiltrazione di solfuro di ferro (Pirite) compatto, ed air imbocco e nella trincea seguente si hanno mica o talco-schisti ad irregolare schistosità compatti e granulari senza più secrezioni piritiche. Da quanto ho sin qui riferito sui caratteri delle rocce incon- trate in tal traforo di Capo Schino , a meglio far rilevare la suc- cessione di esse , noterò come segue i diversi trovanti di esse e la loro natura, secondo la lor distanza chilometrica. Tratto MESSINA Progressiva Ch. Dkt. daW imbocco Natura della roccia Schisti micacei chiari. Schisto porfìroide a secrezioni quarzose. Filone di roccia granulare grigio scura cel- lulare e cavernosa impregnata di solfuro di ferro (Marcasite). Blocchi quarzitici, sparsi nel : Micaschisto quarzitico a struttura granu- lare. Tratto PALERMO 8 289 401 Calcare noduloso con marcasite? nella fil- lade polverulenta. 8 295 395 Conglomerato fillitico. 8 310 380 Talcoschisto a schistosità concoide. 8 326 364 id. compatto a struttura granu- lare. 8 350 340 Filone di calcare cristallino grigio con cri- stallini sparsi di solfuro di ferro. » » Fillade disgregata polverulenta. 7 791 Imbocco 7 871 80 7 931 140 8 Oli 220 8 038 247 Patti-Brolo in Provincia di Messina 15 Progressiva Cli. Disi. daWirnhocro Xatura della roccia 8 363 327 Fillade disgregata con talcoschisto compat- to granulare intercalato. 8 371 319 Filone di calcare cristallino grigio conti- nuazione del precedente. 8 389 301 Roccia schistoide quarzitica con solfuro di ferro nella massa, sparsa nel talcoschi- sto chiai'o. 8 428 262 Quarzite tra gli scliisti , con venature di calcare cristallino, e calcite iu cristallini nelle fessure. Acqua filtrante in abbondanza. 8 4r)9 231 Roccia fillitica bruna con vene di solfuro di ferro (Marcasite qua e là iridescente). 8 462 228 Id. 8 465 225 Roccia cellulare ricchissima in solfuro di ferro a forma cristallina non determi- nabile. 8 480 210 Id. più compatta con vene di solfui-o di ferro (Pirite lien riconoscibile). 8 570 120 Filoncello di argille schisto terroso con cri- stallini microscopici di pirite nella massa. 8 ()12 78 Talco.schisto bianco azzurrognolo con in- terstratificazioni quarzose. 8 650 40 Talcoschisto id. con pirite compatta nella massa. 8 690 Imbocco Talcoschisto chiaro con vene di ossidulo (li fi'iro limonitizzato. D;tto uno sguardo alla caiiipagna soprastante alla detta galle- ria, air aftìoraincnto non si iianno die talcoschisti lucentissimi a tìchistosità, perfetta e facile, di color chiaro e spesso bianco argen- tino, con interstrati polverulenti rosso mattone, paralleli alla schi- stosità. Di tali scliisti ho potuto raccogliere dei campioni freschi, nel versante occidentale verso Giojosa, per i tagli che si eseguivano onde avere materiale di prestanza per i rilevati stradali ferroviari. Memoria V Sulla condensaz'one della ftallmlde col fenolo di G. ERRERÀ e G. GASPARINI Nel capitolo VI della memoria di Baeyer (1) sulle combinazioni dell' acido ftalico coi fenoli Burkliardt descrive sotto il nome di diimidofenolftaleina un composto da lui ottenuto facendo agire la ammoniaca sulla fenolftaleina. Questo prodotto differirebbe dalla fe- nolftaleina per contenere al posto di due atomi di ossigeno due gruppi imidici, ed il complesso delle sue proprietà induce Burkliardt a ritenere che 1' ossigeno sostituito non sia 1' ossidrilioo, ma (piello appartenente al residuo ftalico. Collo scopo di arrivare per altra via ad un corpo analogo a quello descritto da Burkhardt e di constatare nel tempo stesso se la ftalimide sia, come l'anidride ftalica, capace di condensarsi col fenolo, abbiamo fatto agire sopra un miscuglio delle due sostanze il cloruro stannico ed ottenuto difatti il desiderato prodotto. Mi)iiuiiiii(lolVimU't;ik'iii;i /CeHiOH e ^C„H.OH CcH, NH \co/ Si riscalda per cinque ore da 115-120" un miscuglio di ftali- mide (3 parti), fenolo (4 parti) e cloruro stannico (5 parti), nelle identiche condizioni cioè in cui Baeyer prepara la fenolftaleina. La massa fusa di color rosso bruno che così risulta, si fa bollire con acqua finché sia quasi scomparso l'odore del fenolo. Gittata l'acqua, rimane una massa oscura, resinosa, friabile che si discioglie a caldo (1) Liebigf 's Annalen CCII, 111. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria V. Sulla condensazione della ftaUmkle col fenolo in carbonato sodico comunicando al liquido il coloramento violetto caratteristico delle ftaleine. Si filtra, il residuo si riscalda di nuovo con soluzione di carbonato ed il trattamento si ripete fintantoché qualche cosa si disciogiie. I liquidi violetti si acidificano con acido cloridrico; precipitano dei fiocchi d'una sostanza gialla, amorfa che si raccoglie , si lascia disseccare e si cristafiizza sciogliendola in poco alcool concentrato e precipitando la soluzione calda con ben- zina. Qualora si fosse adoperato troppo alcool, la benzina potrebbe non produrre più alcun precipitato ; in tal caso si distilla , buona parte dell' alcool passa nelle prime porzioni , e ad un certo punto nel liquido del pallone durante la ebollizione si incomincia a depo- sitare una sostanza cristallina pesante. Si lascia in riposo per qualche tempo e si filtra; dalle acque madri si può talora ottenere un'altra porzione del prodotto cristallizzato , aggiungendo nuova benzina e continuando la distillazione. Più spesso però dopo la prima preci- pitazione si incomincia a deporre una sostanza bruna amorfa, e se si porta afiora tutto a secco rimane in quantità considerevole una massa oscura molle, la quale però abbandonata a sé stessa, solidifica poco a pocO; assumendo forma cristaUina. Essa è costituita in parte da fenolftaleina, in parte del prodotto cercato; non siamo però riu- sciti a separarli. La porzione cristallizzata primitiva si purifica ripetendo più volte Io stesso trattamento descritto sopra, ridisciogliendola cioè in alcool e riprecipitandola con benzina, non è però facile Uberarla com- pletamente dalla sostanza colorante bruna che la inquina; vi si ar- riva efiminando ogni volta i cristalli che si formano per primi , i quali trascinano la maggior parte della sostanza colorante; e sono quindi molto più oscuri di quelfi che si depositano dopo. Così ottenuta, la imidofenolftaleina si presenta in cristalli aghiformi^ incolori, duri, splendenti, raggruppati a stella, che conten- gono deUa benzina e lasciati all' aria sfioriscono poco a poco per- dendo trasparenza e splendore. Sulla condensazione della ftalimide col fenolo Disseccati a HO" sino a peso costante diedero all' analisi i seguenti numeri : I. Da gr. 0,2055 di sostanza risultarono gr. 0,0940 d'acqua e gr. 0,5700 (li anidride carbonica. II. Da gr. 0,3094 di sostanza si svilupparono cmc 11,6 d'azoto alla temperatura di 20" ed alla pressione ridotta a zero di 759""", 6. III. Da gr. 0,4250 di sostanza si svilupparono cmc. 16 d'azoto alla tem- peratura di 20° ed alla pressione ridotta a zero di 745""", 6. E su cento parti : Trovato aikolato per Cjo ffis NOì I e II III C 75, m Tn, 71 H 5, 08 4, 73 ^' 4, 33 4, 26 (I) 4, 42 Difficilmente si può determinare con esattezza la quantità di benzina di cristallizzazione contenuta nel composto primitivo , poi- ché esso incomincia a perderla prima d' essere completamente asciut- to. Ad ogni modo la seguente analisi indica che probabilmente si tratta d" una molecola. Grammi 5,1945 di sostanza apparentemente asciutta, riscaldati per al- cune ore a 110" sino a peso costante perdettero di peso g. 1,0845. E su cento parti : Trovato calcolato per Cjo iTis KO3 -¥- G; Ho C\H, 20, 88 19, 75 La imidofenolftaleina si è adunque formata in virtù della rea- zione CO C{C,H,OH\ Ce h/ > NH + 2CJI;0H = H,0 + C,W>\ >AW \6'0/ \C'0/ e ammessa per la ftalimide la formula simmetrica, è naturale attri- buire ad essa la struttura sopra indicala. Il rendimento della prepa- (1) Tanto per questo, quanto poi composti che descriveremo in segTiito , le determinazioni di azoto tendono sempre a dare una quantità di gas un po' minore di quella richiesta dalla teo- ria. Ciò dipende della difficoltà colla quale queste sostanze bruciano, anzi so non si ha cura che il miscuglio coir ossido di ramo sia molto intimo, si trovano risultati molto inferiori al vero. Sulla condensazione della ftalimide col fenolo razione è scarso, poiché accanto ad essa si forma una quantità con- siderevole di fenolftaleina, dovuta certamente al trasformarsi durante la fusione di parte della ftalimide in anidride ftalica. L'imidofenolftaleina si comporta come un acido e quando è per- fettamente pura si discioglie nelle basi senza colorarsi; per semplice cristallizzazione è molto diffìcile liberarla completamente dalla fe- nolftaleina che la accompagna e che fa sì che gli alcali la colorino in violetto. Si riesce invece ad ottenerla tale che le sue soluzioni nelle basi sieno incolore, approfittando della circostanza che essa è incapace di combinarsi colla idrossilamina, mentre la fenolftaleina dà r ossima descritta da Friedlànder (1). Si aggiunge quindi al liquido violetto tanto cloridrato di idrossilamina finché riscaldando a bagno maria il colore passi al giallo. Si precipita con acido solforico la imidoftaleina inalterata , mentre Y ossima rimane disciolta nell' ec- cesso d' acido; la si cristallizza quindi col solito metodo dal miscu- glio d' alcool e benzina. Il fatto del non combinarsi della imidofenolftaleina colla idros- silamina , milita a favore della ipotesi di Friedlànder (loco citato) secondo la quale nei sali la fenolftaleina assumerebbe una struttura chinonica, che non possiede quando é libera ; e il comparire del colore violetto dipenderebbe dal comparire appunto del gruppo chi- nonico yC,H, OH /U,H, OK , „ ^C\H. OH V^C\H,=0 /^\ / (J^H, O C\H\ \C0/ ^<^00K fenolftaleina libera sale di fenolftaleina Affinché si verificasse una trasposizione molecolare analoga per la imidofenolftaleina, sarebbe necessaria la formazione del gruppo CONHj delle amidi, il che presenta probabilmente maggiore diffi- coltà del formarsi del carbonile. Nella imidofenolftaleina, anche in soluzione alcalina , non esisterebbe il gruppo chinonico , quindi la mancanza assoluta di colore e la incapacità di dare un' ossima. (1) Ber. d. deut. ehem. Gesell. XXVI, 172. istilla condensazione della ftaUmide col fenolo L' iniidofenolftaleina fonde a 262" in un liquido rosso che si decompone con svolgimento di bollicine gazose, si scioglie pochis- simo neir acfjua bollente e il liquido raffreddandosi diventa lattigi- noso, è insolubile pure negli acidi minerali diluiti , mentre si di- scioglie con molta facilità negli idrati e carbonati alcalini e nella ammoniaca. La sua soluzione nell' acido solforico concentrato e freddo è quasi incolora , diventa gialla pi'i' riscaldamento. È assai solubile nell'alcool e nell'acido acetico, quasi niente invece nella benzina e negli eteri di petrolio. V (CoHiOH)» Poiché la monoiinidofenolttaloina ha la fornmla (:„IIi\ /NH , VA) se la diimidofenolftaleina di Burkhardt ha veramente la composi- C (C6H,OH)2 zione CeHix' /NH era naturale il supporre che riscaldando CNH quella con ammoniaca si sarebbe dovuto cadere in questa, che fu preparata infatti trattando la fenolftaleina ad elevata temperatura con ammoniaca. L'esperienza non verificò però le previsioni. Ri- scaldando la imidofenolftaleina per tre ore da 160"- 170" in tubo chiuso con dieci volte il suo peso di aminoniaca acquosa concentrata. precisamente cioè come fa Burkhardt per la fenolftaleina, non av- viene reazione alcuna, o ahueno una parte del prodotto si decom- pone poiché il liquido si colora in bruno e si nota odore di fenolo, ma scacciata 1' ammoniaca e cristallizzato il residuo nel solito mo- do dall'alcool e dalla benzina, non si ottiene altro che il composto primitivo inalterato. Come dalla seguente determinazione di azoto. Da gr. 0,3225 di sostauza si svilupparono crac. 12,5 d'azoto alla tempe- ratura di 21° ed alla pressione ridotta a zero di 735""", 4. E su cento parti : Trovato fak'ulatu per C20 Hr^ NOs N 4, 28 4, 42 Di fronte a questo risultato imprevisto, tentammo di ripetere la preparazione del diimidocomposto partendo dalla fenolftaleina, come fa Burkhardt, però tanto adoperando ammoniaca acquosa concen- Sulla condensazione della ftalimide col fenolo trata e pura del commercio; quanto ammoniaca satura a tempera- tura ordinaria, non ci fu dato ottenere che una monoimidofenolfta- leina che cristalHzza pure con benzina, che fonde a 262° e che è in una parola identica a quella da noi ottenuta mediante la ftali- mide. L' analisi diede infatti i valori seguenti ; Da gr. 0,2808 di sostanza si raccolsero cmc. 11 d'azoto alla temperatu- ra di 22'^ ed alla pressione ridotta a zero di 7o5""",4. E su cento parti : Trovato calcolato per C20 Hih NO3 N 4, 33 4, 42 Di un diimidocomposto invece neppur la traccia. E questo ri- sultato è tanto pili curioso inquantochè Burckhardt descrive con tutta esattezza le condizioni nelle quali operò e noi ci siamo ad esse fedelmente attenuti. D' altra parte ciò sta in armonia col non aver noi potuto trasformare la monoimidofenolftaleina in diimido per ri- scaldamento con ammoniaca. Biacetilimidofenolftaleina yc\H, O.CO.CH, C^C,H, O.CO.CH, C,H, NE \co/ Si ottiene questo composto facendo bollire per un' ora 1" imi- doftaleina con anidride acetica in eccesso , aggiungendo quindi al- cool, svaporando sino a secco a bagno maria e cristallizzando il residuo dall'alcool. Si deposita una polvere cristallina, incolora fon- dente a 254''-256'', poco solubile nell' alcool caldo , pochissimo nel freddo ; nelle acque madri alcooliche rimane disciolta una sostanza gommosa della quale non ci siamo occupati. La parte cristallina diede all' analisi i numeri seguenti che conducono ad un derivato biacetilico ; gli acetili avrebbero ciuindi sostituito soltanto l'idrogeno ossidrilico. I. Da gr. 0,3109 di sostanza si svilupparono cmc. 8,5 d'azoto alla tem- peratura di 26° ed alla pressione ridotta a zero di 758""™, 1. II. Da gr. 0,3765 di sostanza risultarono gr. 0,1702 d'acqua e gr. 0,9835 d'anidride carbonica. Sulla condensazione della ftalimide col fenolo E su cento parti : Trovato I e II III IV C 71, 24 71,68 71,42 H 5, 02 5,04 5,07 N 3,07 III. Da gr. 0,3446 di sostanza risultarono gr. 0,1564 d'acqua e gr. 0,9054 d'anidride carbonica. IV. Da gr. 0,2190 di sostanza risultarono gr. 0,1000 d'acqua e gr. 0,5735 d'anidride carbonica. calcolato per d^HaXOi {(k Hi 0)i 71, 82 4, 74 3, 49 Il Prof. La Valle che ebbe la cortesia di esaminare la sostan- za al microscopio ci comunica quanto segue : " Gruppi di cristal- lini bianchi a forma prismatica, a sezione esagonale, o romba, al- lungati in una direzione, mal terminati alle estremità, i quali nelle loro faccie presentano una direzione di estinzione sempre parallela agli spigoli del prisma. In alcuni presentanti la sezione rornba^ ho potuto notare che son terminati da due faccette triangolari le quali spetterebbero ad un altro prisma normale al primo, laonde ritengo tale sostanza probabilmente trimetrica. Altre volte ho rinvenuto cri- stalli terminati da una piramide a quattro faccie , risultante forse dalla combinazione (HO) (10!) (UH). Tetraliroiiioiiiiidolcnolt'tak'iiia /C\.H, Br, OH / ^ \ CoH NH \co/ Abbiamo ottenuto questo composto per due vie diverse^ come la imidofenolftaleina, sia riscaldando con ammoniaca la tetrabromo- fenolftaleina, sia bromurando la imidofenolftaleina. Col primo di que- sti metodi Burkhardt dice d' aver ottenuto la tetrabromodiimidofe- nolftaleina , anche questa volta però non siamo riusciti ad avere che il derivato monoimidico. Operando precisamente nelle condizioni descritte da Burkhardt, riscaldando cioè per tre ore da 160»- 180° la tetrabromofenolftaleina con dieci volte il suo peso di ammoniaca acquosa concentrata , ab- Sulla condensazione della ftalimide col fenolo biaino trovato, dopo raffreddamento, nel liquido, non già dei cristalli ben sviluppati, ma una polvere cristallina. Abbiamo quindi acidifi- cato con acido cloridrico e cristallizzato il precipitato dall' alcool. Esso si discioglie con molta difficoltà e pare altrettanto poco solu- bile a caldo che a freddo, infatti facendolo ricadere per un pezzo con una quantità d' alcool insufficiente a discioglierlo tutto e fil- trando la soluzione calda, questa per raffreddamento non lascia de- positare nulla. Se invece la si concentra, quando è ridotta a piccolo volume e durante la ebollizione stessa, il composto si separa sotto forma di precipitato sabbioso, cristallino, pesante. Lo si purifica per ripetute cristallizzazioni dall'alcool e benché in seguito ad esse il co- lor giallo primitivo sia andato rapidamente scemando di intensità , pure in causa della piccola quantità a nostra disposizione non sia- mo riusciti ad ottenerlo , come dovrebbe essere, perfettamente iu- coloro. All'analisi diede i risultati seguenti. I. gr. 0,4425 di sostanza fornirono cnic. 7,5 d' azoto alla temperatura di 21" ed alia pressione ridotta a zero di 741'""', 5. II. gr. 0,5134 di sostanza fornirono cmc. 8,5 d' azoto alla temperatura di \l'\b ed alla pressione ridotta a zero di 742'"'", 9. III. gr. 0,1748 di sostanza fornirono gr. 0,20;?4 di bromuro d'argento. E su cento parti : Trovato calcolato per CoaHuBn NO.i I II e IH A^ I, 90 1, 89 2, 21 Br 49, 52 50, 55 I cristallini sono spesso ben sviluppati, ma piccolissimi. Il Prof. La Valle che li esaminò al microscopio ci comunica quanto segue : " Essi sembrano appartenere al sistema trimetrico e presentereb- bero le forme (110) (101) (OH), difatti sopra una faccia spettante al prisma (HO) si ha direzione di estinzione perfettamente parallela allo spigolo [110:110] secondo il quale i cristallini sono per lo piìi allungati. Inoltre ho potuto misurare gli angoli piani tra le normali agli spigoH : [110 : iTO] : [HO : 101] — 70*^ circa [110 : 101] : [110 : Oli] = 46° [110 : Oli] : [110 : TlO] = 63°30 » Sulla condemsazione della ftalhnide col fenolo Altre volte mancando lo spigolo [110 : OH] : [HO : HO), ovve- ro l'altro [HO: 101] ; [HO : OH], la sezione della faccia (HO) in- vece che in forma di esagono, mostrasi in quella di rombo „. Per preparare il bi'omoderivato partendo dalla imidofenolftalei- na abbiamo disciolto 10 grammi di questa in 20 d' alcool e lasciato gocciolare nel liquido bollente una soluzione di 10 grammi di bro- mo in 10 d'acido acetico. Sul finire dell'operazione, prima ancora d' aver aggiunto tutto il bromo, si incomincia a depositare la tetra- bromoimidofenolftaleina sotto forma di jjdlvere cristallina affatto in- colora (rendimento circa 8 gr.). La si separa dopo raffreddamento dalle acque madri fortemente colorate in rosso, la si lava con al- cool e quindi la si cristallizza dall' alcool nel modo dianzi indicato; si ottengono cosi dei minutissimi cristalli , duri , incolori che sono identici a quelli preparati coli" altro metodo. Infatti dall' esame mi- croscopico eseguito dal Prof. La Valle risulta che " sulla faccia (HO) quasi sempre a forma di rombo l'angolo tra |H0:lT0]: [HO: OH] è di circa 11 .S", mentre secondo l'osservazione prece- dente avrebbe dovuto essere 116°, differenza ammissibile trattan- dosi dismisure approssimate; l'estinzione è parallela allo spigolo [110: HO] si vedono le faccic (OH) e (oTl) , mancano le (101) e ( 101) „. Una determinazione di bromo diedi' il risultato seguente : Da g-r. n,i;)90 di sostanza si ebbero gr. O,!»;.')? di liromuro d'argento; e su cento parti : trovato ciilcolato per duITuBn NO3 Br no, 1-2 50, ria La tetrabromoimidofenolftaleina fonde verso i 310" decompo- nendosi, è poco solubile nell'alcool, nell'acido acetico, nell'etere, piti solubile neir acetone dal quale si deposita per raffreddamento in mammelloni. Non si scioglie nell' acqua e negli acidi diluiti , si discioglie invece senza colorarsi nelle basi e dalla soluzione gli acidi riprecipitano la sostanza primitiva. La soluzione nell'acido solforico concentrato è incolora a fi-eddo, ma ingiallisce per il riscaldamento. Se nell'alcool che tiene in sospensione questa sostanza si fa Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria V. •> 10 Sulla condensazione della ftaUmide col fenolo passare una corrente d'acido nitroso, si vede il liquido ed il pre- cipitato colorarsi in giallo intenso. Facendo bollire, filtrando e con- centrando quindi la soluzione abbiamo ottenuta una sostanza gialla cristallina , solubile nelle basi con colore rosso intenso , la quale diede all' analisi una quantità di azoto un ])o' minore (6,99 invece di 7,43) ed una quantità di bromo alquanto maggiore (33,3 invece di 28,3) di quella richiesta da una dinitrodibromoimidofenolftaleina. Evidentemente avviene la sostituzione di parte del bromo con gruppi nitrili e la sostanza analizzata sarà un miscuglio del dinitrodibromo derivato col tetrabromoderivato primitivo, mentre se si fosse ado- perata una gran ciuantità d'alcool capace di tener disciolta tutta la bromofenolftaleina , si sarebbe probabilmente ottenuto per azione dell' acido nitroso un prodotto più puro. Dalle acque madri alcooliche si deposita per ulteriore concen- trazione un' altra sostanza che cristallizza in aghi gialli , fonde a 116>^-117°, contiene bromo, come fu determinato qualitativamente, ed azoto come dalla seguente analisi: Da gr. 0,2712 di sostanza si svilupparono orno. 24,4 d' azoto alla tem- peratura di 18° ed alla pressione ridotta a zero di 752'"'", 9; e su cento parti: trovato calcolato per Ce -H3 Nì O0 Br N 10, 37 10, 64 Si tratta certamente d' un dinitrolji'omofenolo e probabilmente dell' o-bromo-op-dinitrofenolo yOH a) (, rr ^Br (2) ^'"'—NO, (4) \n02 (6) * che fonde a 118°, 2; com' esso dà un sale potassico pochissimo so- lubile neir acqua fredda e nell' alcool. Siccome nella tetrabromoimidofenolftaleina i due atomi di bromo occupano i posti orto rispetto all' ossidrile, e questo il para rispetto all' atomo di carbonio del residuo ftalico, la formazione del suddetto composto si spiega facilmente colla sostituzione d' un atomo di Sulla condensazione della ffalimide col fenolo 11 bromo col nitrile e col fissarsi d" un secondo NO.^ nel punto in cui si spezza la molecola della ftaleina. Triacetiltetrabronioiiiiido fenolftaleina /C\H,Br,O.COCIh V ^V,H,B,; O.COVH, C\Hi N.COCIh \co/ Si ottiene questo composto riscaldando a ricadere il tetrabro- moderivato con anidride acetica in eccesso, sino a soluzione com- pleta, scacciando l' anidride inalterata, precipitando con acqua e cristallizzando dall' alcool. Risulta così una sostanza iucolora che fonde a 176°- 178" e che diede all'analisi i seguenti numeri : I. Da gv. 0,1544 di sostanza risultarono gr. 0,1529 di bromuro d'argento. IL Da gr. 0,3037 di sostanza risultarono gr. 0,3018 di bromuio d'argento. E su cento parti : trovato calcolato per CmHnNOe Bn I. IL Br 4-2, 14 42, 28 42, 16 È rimarchevole che, mentre nella imidofenolftaleina gli acetili vanno a sostituire soltanto l'idrogeno ossidrilico, nella bromoiinido- fenolftaleina rimane sostituito nelle stesse condizioni anche l' idro- geno imidico. La triacetilletrabromoimidofenolftaleina si discioglie facilmente nell'acetone e nell'acido acetico, meno nell'alcool, dal quale tal- volta cristallizza in ottaedri microscopici molto regolamente svilup- pati, ma che essendo birefrangenti e policroici non si possono ri- ferire al primo sistema. Neil' acido solforico si discioglie con colore violetto caratteristico; se si riscalda la soluzione il colore dal vio- letto passa al ranciato, e se si aggiunge allora dell' acqua non pre- cipita più il composto primitivo, ma la tetrabromoimidofenolftaleina; è quindi avvenuta la saponificazione del derivato acetilico. Messina- -Laboratorio di iliimiru della It. Università. Memoria VI. Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. 1; di A. PERATONER e F. FINOCCHIARO. Neil' uUinio liisciscolo dei Berichte (1) sono comparse alcune memorie di Tolil ed Eberhard sul modo come agisce il cloruro di solforile con gli idrocarburi aromatici , le quali , per 1' affinità del- l' argomento, ci obbligano a render note le nostre ricerche intorno air azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri composti, esperienze di cui abbiamo già dato un cenno ali" Accademia nella seduta del 26 Nov. 93; mentre avremmo preferito di pubblicare un lavoro più completo dopo avere esteso questo studio a un gran numero di fenoli. Le ricerche dei citati autori , istituite nelF intento di ottenere dei solfoderivati, dimostrano che il cloruro di solforile reagendo su- gli idrocarburi aromatici (o sul tiofene) a temperatura elevata agi- sce da clorurante; che però, in presenza di cloruro di alluininio, si Formano olire a cloroderivali [ìi'iiicipalim'nte i solfoni l'd i cloruri dei solfacidi. (Pel tiofene derivati dilifuilici). Noi intraprendemmo le nostre esperienze con un altro indirizzo. È noto che i composti 1,3-dichetonici , R-CO-CHj-CO-R , vengono dal cloruro di solforile ti'asformati assai facilmente in cloroderi- vati (2) entrando il cloro nel gruppo metilenico come hanno dimo- strato Hantzsch con Schiffer e con Epprecht per 1' etere aceto- acetico (3) e uno di noi per 1' ossalacetico (4). CH, . CO . CHCl . COOL\H:, COOC\H, . CO . CHCl . COOdH^ Etere l'Ioroacetacotico Etere clorossalai-i^tico. (lì Berirhte 26, 2940. (•2) Alliliii. Berii'lito 11, riti". l'eratDiier. Gazz. Chini. 22, II, 38. -11. (3) Berichte 25, 7-28; Aiiiialeii. 278, 61. (4) Peratoner Gazz. (Jliìiii. 22, IL 39. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4." — Memoria VI. 2 Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. 1; ♦ Inoltre , prescindendo dalla attuale discussione fra Claisen, Pechmann ed altri da un lato e Nef dall' altro, sulla costituzione de- gli 1,3-dichetoni liberi, vi sono ragioni per ammettere che nei de- rivati questi corpi possano assumere ora la forma tautomerica che- tonica (1) ora quella ossidrihca B-C.OH=CH-CO-R (2). Tra i fenoli d' altro canto ve ne sono alcuni che si compor- tano tanto da composti ossidrilici quanto da chetonici, come risulta dai lavori di Baeyer e di Herzig e Zeisel sulla floroglucina (3) e sulla resorcina (4). Considerando questa certa quale analogia fra gli 1,3-dichetoni ed i fenoli , a noi è sembrato interessante di studiare 1' azione del cloruro di solforile sopra i fenoli , estendendo le prime osserva- zioni , fatte in questo senso da Dubois (5) e da Reinhard (6) , in modo da indagare : 1° se tutti i fenoli diano con facihtà e a freddo cloroderivati, 2° quale posto vada ad occupare il cloro rispetto al- l' ossidrile, 3° quale sia il limite della clorurazione, 4° se gli eteri composti (benzoati, acetati) che derivano senza dubbio dalla forma ossidrilica dei fenoli , agiscano in modo simile ai fenoli liberi col cloruro di solforile. Riferendo nella presente nota brevemente sui risultati ottenuti col fenolo ordinario, la resorcina^ e la floroglucina, noi ci riserbia- mo lo studio di questa reazione. Azione sul fenolo. Secondo Dubois (7) il fenolo dà col cloruro di solforile a freddo il pa/-a-clorofenolo nel mentre si svolge anidri- de solforosa ed acido cloridrico. Noi abbiamo ripetuto l' esperienza variandone in lutti i modi le condizioni , onde stabilire se questo fenolo clorurato sia 1' unico prodotto che si formi. (1) Berichtc 25, 3G6, 1040; 26, 17()0, 1776; lourii. f. pr. Chemio 37, 473; 46, 580; 46, 189; 47, 236; Journ. diem. Soe. 1892, 801, 838; Aiinaleii. 277, 162. (2) Amialen. 266, 200; 276, 52; 277, 59, 163 nota e ss.; Berk'hte 19, 22 ; Gazz. Cliim. Italiana 21 I, 292, 301. (3) Berichte 19, 159; Monatshefte 9, 217, 882. (4) Monatshefte 10, 147; 11, 291, 311. (5) Zeitschrift 1866, 705. (6) Berichte 10, 1525. (7) Loco citato. Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. I ; 3 Abbiamo operato sul fenol solido, come pure su quello in solu- zione eterea o cloroformica, impiegando per una molecola di esso 1, 2 e 3 molecole di cloruro di solforile ; e siccome il prodotto durante la reazione si riscalda leggermente da se, abbiamo in al- cuni casi mitigato questa raffreddando, in altri invece abbiamo ri- scaldato a ricadere sul bagnomaria. Si è ottenuto sempre un pro- dotto incoloro che lavato con soluzione di carbonato sodico e dis- seccato , distillava totalmente a 216-218°, e che raffreddato con sale e neve si solidificava tutto fondendo poi a 30'^. All' analisi : I. Gr. 0,1112 di sostanza fornirono gr. 0,12.'52 di AgCl. II. Gr. 0,237(3 di sostanza diedero gr. 0,204,") di AgCl. E per 100 parti : Trinato Calcolato per Ct Hi CIOÈ I II Cloro 27, 41 27, 54 27, 62 Il prodotto della determinazione I era stato ottenuto da fenol solido e 3 molecole SO/'L, quello delia 11 da soluzione clorofor- mica all'ebollizione. Tutti i campioni del clorofenolo vennero eterificati riscaldando in tubi chiusi a 120" con la quantità calcolata di idrato potassico, ioduro di etile ed alcool assoluto. L'etere formatosi nella reazione distillò fino all'ultima goccia fra 209-211" (non cor.); nel miscuglio di sale e neve rimase lungamente Ii(|ui(l() . ma si rapprese subito ed intieramente in una massa solida incolora per l'aggiunta di un cristallino ottenuto a parte da una piccola porzione. I cristalli fon- devano a 19° (a 21" fonde l'etere di Beilstein e Kurbatow (1). Queste esperienze dimostrano senza dubbio che nell'azione del cloruro di solforile sul fenolo 1' unico prodotto che si abbia è il -par aclor afe nolo. Azione sul henzoato di fenile. Gr. 5 di benzoato di fenile, p. f. 67-68°, disciolti in etere, vennero aggiunti della quantità di cloruro (1) Annalen 176, 30. Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. 1 ; di solforile corrispondente a 1 molecola. Non osservandosi reazione a freddo, la soluzione fu portata all' ebollizione e mantenuta a ri- cadere fintantoché non fosse cessato un lieve sviluppo di acido cloridrico. La massa incolora rimasta dopo 1' eliminazione del sol- vente fu cristallizzata frazionatamente da alcool ed etere : era co- stituita tutta da benzoato di fenile inalterato e fusibile a 67-68°. Air analisi : Gr. 0,2104 di sostanza fornirono gr. 0,6056 di anidride carbonica e gv. 0,1005 di acqua. Cioè per 100 parti. Trovato Calcolato per Co -ffs COOCo H-^ C 78, 50 78, 78 H 5, 31 5, 05 Lo stesso risultato si ebbe riscaldando il benzoato direttamente con eccesso di cloruro di solforile a ricadere. Azione sulla resorcina. Reinhard (1) che studiò minutamente la reazione fra resorcina e cloruro di solforile asserisce che la for- mazione del mono- e del bi-cloroderivato avviene già a freddo con facilità, che la tricloror esorcina solo difficilmente si forma a 100'* e infine che la reazione a 150-160° è molto complessa. Noi pos- siamo riconfermare pienamente tali risultati, dobbiamo anzi aggiun- gere che non siamo riusciti ad avere che piccolissima quantità di triclororesorcina operando con grande eccesso di cloruro di solfo- rile secondo il metodo dello stesso Reinhard. Siamo da ciò condotti a ritenere che per l'azione blanda del cloruro, quando cioè non si operi a temperature troppo elevate, due soli atomi di cloro entrano nella molecola della resorcina. Azione sul dihenzoato di resorcina. Gi'ammi 5 del dibenzoato di resorcina, QH, {OCOC^W^ fusibile a 117% furono aggiunti di tanto etere quanto bastava a discioglierli , e di grammi 3 (teoria per 1 molecola gr. 2^5) di cloruro di solforile. Indi si riscaldò tutto in apparecchio a riflusso per un' ora, si (1) Loco citato. Azioìie del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eferi. 1 ; b eliminò poscia 1' etere , si sciolse il residuo bruno in alcool deco- lorando con nero animale, e si lasciò cristallizzare lentamente. Depositaronsi laminette giallognole che ricristallizzate dall'alcool acquoso divennero incolore e furono riconosciute come acido benzoico pel punto di fusione sito a 1 19-121°, e per l'analisi del sale argentico. All'analisi : Gr. 0, 3G0O del sale, ottenuto per precipitazione e disseccato nel vuoto, lasciarono pei' calcinazione gr. 0, 17.30 di argento metallico. Vale a dire in cento parti: 'l'nivafo Calcolato per Ce -ff? COOAg Argento 48, OC 48, 21 Le acque madri alcooliche lasciarono per svaporamento un residuo oleoso brunastro che dopo essere rimasto per molto tempo liquido si solidificò istantaneamente con 1' aggiunta di un piccolo cristallino di resorcina. La sua identità con la resorcina venne del resto provata dal punto di fusione e dalle sue reazioni caratteri- stiche. La poca c|uantità di olio che imbrattava questi cristalli con- teneva solamente tracce di cloro. Risulta quindi che la dibenzoilresorcina dal cloruro di solfo- rile non venne clorurata , ma solamente saponificata in presenza di quel poco di acqua che era contenuta nel solvente non com- pletamente disseccato. Per dimostrare ciò meglio abbiamo ripetuto 1' esperienza con etere anidro distillato sul sodio, munendo 1' apparecchio a riflusso di un tubo a cloruro di calcio in modo da escludere anche l'azio- ne dell' umidità atmosferica. Il prodotto brunastro, solido, così ri- cavato fornì per cristallizzazione frazionata dall' alcool tutta la di- benzoilresorcina inalterata fusiliile a 11G-117'\ All'analisi : Gr. 0, 8171 di sostanza diedero gr. 0, 8736 di anidride carbonica e gr. 0, 1.358 di acqua. Cioè su cento parti : Trovato Calcolato per Ce -ffi ( OCOC« H-, )i Carbonio 75, 14 75, 47 Idrogeno 4, 76 4, 40 6 Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. 1 ; Identico fu il risultato quando escludendo il solvente trituram- mo il dibenzoato con grande eccesso di cloruro di solforile lascian- do le due sostanze lungamente a contatto. Concludendo si vede che il dibenzoato di resorcina non è punto alterato dal cloruro di solforile. Azione sul diacetato di resorcina. Grammi 15 del diacetato di resorcina (1), bollente a 278-280°, disciolti in grammi 60 di etere assoluto vennero addizionati di grammi 10,5 di cloruro di solfo- rile e riscaldati a ricadere per un' ora circa. Scacciato il solvente rimase un olio clorurato denso di color giallo d' oro che nelle varie distillazioni cui fu sottoposto passava sempre tra 280-285° (non corretto) lasciando indietro un po' di resina. La quantità di cloro in esso riscontrato (4,35; 4,80 %) era di molto inferiore a quella richiesta per un cloroderivato di un etere della resorcina. Difatti abbiamo potuto constatare che questo prodotto a punto di ebollizione quasi costante era un miscuglio del diacetato di resorcina inalterato con piccola quautitcà di un com- posto che doveva contenere il cloro non nel nucleo aromatico ma nella catena laterale. L' olio bollente a 280-285° fu saponificato con potassa alcoo- lica al 20 % riscaldando leggermente a bagnomaria e versando in- di in acqua fredda. Dopo avere neutralizzato la massima parte del- l' alcali con acido solforico si svaporò a circa Vs di volume, indi si acidificò , si neutralizzò di nuovo con carbonato sodico , e si agitò più volte con etere, finché gli estratti non dessero piti colora- zione azzurra col percloruro di ferro. Il liquido acquoso riacidifìcato con acido solforico fu distillato in corrente di vapor d' acqua fino a reazione neutra del distillato; questo non coloravasi col percloruro ferrico; venne riscaldato a ba- gnomaria con ossido di argento , filtrato e svaporato per pesare poi l'acetato di argento così ottenuto. — I residui dell'ossido argen- (1) Typke, Bericlite Ifi, 552. Azione del cloruro di aolforile sui fenoli e i loro eferi. I; 7 tico trattati con acido nitrico diluito lasciarono indietro piccola quantità di cloruro argentico che fu anch'esso pesato. Della soluzione eterea, dopo svaporamento del veicolo rimase un residuo non contenente traccia di cloro, e caratterizzato come resorcina per tutte le sue proprietà. La quantità ricavatane cor- rispondeva al 90 o/o circa di quella calcolata per il diacetato C^tiOCOCIisìi. Lo stesso dicasi a un dipresso per Tacido acetico. Il cloro poi era in quantità poco inferiore a quella già sopra ac- cennata (3,5 "io), e doveva provenire con somma probabilità da un acido derivante dall' acetico, clorurato, volatile, che non siamo riu- sciti ad isolare, poiché male a ciò si prestano i sali di argento de- componendosi facilmente. Ciò che più d' ogni altra cosa ci importa far notare si è che la resorcina riavuta quasi tutta dall' olio bollente a 280-285° non era, affatto clorurata. Il fatto che per 1' azione del cloruro di solforile si introduce il cloro neir acetile del diacetato di resorcina non deve arrecare nessuna meraviglia. Casi simili di clorurazione dell' acetile negli eteri si riscontrano non di rado nella letteratura chimica. Così l'acetato di fenile CJLJJ.CO.CH^ dà per azione del pentacloruro di fosforo l'etere triclorovinil-fenilico CJJ,.().CCl:('Cl, (1), composto che si forma pure dalla reazione fra il pentacloruro e l' acido fenilglico- lico (\H,.O.CH,.COOH (2). Azione sulla ftoroghicina. Il cloruro di solforile agisce assai energicamente sulla floroglucina resinificandola in massima parte ; per cui abbiamo mitigato la reazione facendola avvenire in solu- zione eterea e raffreddando. Sopra grammi 5 di floroglucina sciolti in etere assoluto la- sciammo gocciolare in due prime esperienze le quantità di òW4 corrispondenti a una e due molecole. Cessato 1" abbondante svi- luppo di acido cloridrico e di anidride solforosa, distilUunmo il sol- (1) Michael Bei-ic'hte 19, 845. (1 Michael Jomii. f. pr. Ch. (2) 86, 96. Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. I ; vente, lavammo il residuo solido brunastro con un po' d' acqua fredda, e dopo che così fu quasi scolorato, lo cristallizzammo dal- l' acqua o dall' acqua alcoolica. l punti di fusione delle varie frazioni , tutte colorate legger- mente in roseo, non erano molto discosti tra loro, aggirandosi in- torno ai ISO^-lS^o. Riscaldando però prima in stufa a 100°, o la- sciando nel vuoto suU' acido solforico, tutte queste porzioni diven- nero quasi incolore, fondendo poi contemporaneamente a 132-133". Le proprietà di questa sostanza, le determinazioni di cloro e di acqua di cristallizzazione mostrano che essa è identica alla tri- clorofloroglucina C^ Ci^ (OE).^ -+- 3 ILO preparata prima da Web- ster (1), e poi da Hazura e Benedikt (2). L' analisi I si riferisce al prodotto ottenuto con una molecola , la II a quello avuto con due molecole di SO^ Cl^. I. Gr. 0, 194;') di sostanza diedero gr. 0, 2062 di AgCl e gr. 0, 0038 di Ag metallico. Gr. 0, 4141 di sostanza disseccata all' aria perdettero a 100'' gr. 0, 0793 di acqua. IL Gr. 0, 1837 di sostanza fornirono gr. 0, 2670 di AgCl e gr. 0, 0052 di Ag metallico. Gr. 1, 2484 di sostanza perdettero a 100" gr. 0, 2369 di acqua. In rapporto centesimale : Trovato Calcolato per C^ Ch (OH)i +'òHiO 1 II Cloro 38, 25 38, 22 37, 56 Acqua 19, 14 18, 97 19, 04 Nelle acque di lavaggio e nelle acque madri delle cristallizza- zioni avrebbero potuto trovarsi il mono- o il bicloroderivato della floroglucina. Però il residuo bruno ricavato per svaporamento non conte- neva che poco cloro essendo formato, come potemmo verificare, da floroglucina poco alterata. Operando nel modo sopra descritto, ma con l' impiego di 3 (1) aiem. soc. 47, 423. (2) Monatshefte 6, 706. Azione del cloruro di solforile sni fenoli e i loro eferi. I ; 9 molecole di cloruro di solforile , il rendimento in triclorofloroglu- cina è teoretico, ed il prodotto si ha puro già dopo una cristalliz- zazione dall' acqua bollente. Gr. 0, 2124 di sostanza disseccata all'aria diedero gr. 0, 3217 di AgCl. Cioè in 100 parti : Trovato Calcolato per Ca Ch (OH)^ -\-òHi 0 Cloro 37, 47 37, 56 11 suo punto di fusione è sito a 133-134«; cioè alquanto al di sopra di quello dato da Hazura e Benedikt a 129°. Dalla soluzio- ne concentrata in alcool assoluto la triclorofloroglucina cristallizza anidra. Quella deacquiflcata non riassorbe 1' acqua all' aria. Lasciata a contatto di eccesso di cloruro di solforile o, più ra- pidamente, riscaldata con esso a bagnomaria, si converte in un li- quido incolore, decomponibile dall'acqua. Probabilmente avviene una scissione analoga a quella che si veritica per 1' azione del cloro li- bero, nella quale si formano acidi cloroacetici (1). Sui prodotti di questa reazione sarà riferito in una prossima nota. Azione sulla triacetilfioro(jlucina. Tre molecole di cloruro di sol- forile furono aggiunte ad una soluzione eterea anidra di triacefil- tloroglucina CJi,(OCOGH3)3 preparata secondo Hlasiwotz (:>) , e fu- sibile a 104-105". Dopo qualche tempo si fece bollire in apparec- chio a riflusso sino a cessazione dello svolgimento di acido clori- drico che però era assai piccolo. Una porzione della soluzione versata in capsula fu tenuta a lieve calore fuio a che fosse eliminato il solvente ; il residuo lavato con acqua , e poi cristallizzato dall' alcool diluito , aveva il punto di fusione e le altre proprietà della triacetilfloroglucina impiegata. Gr. 0, 2563 di sostanza diedero gr. 0,55G1 di anidride carbonica e grani- mi 0, 1081 di acqua. Cioè per 100 : Trovato Calcolato per C& H3 ( OCOCHì )ì ^ 59.11 59,09 H 4, 68 4, 54 (1) Hazura e Benedikt loi-o citato. Hlasiwotz, Aiiiiuleii 155, 132 (2) Annalen 219, 201. Atti Ago. , Vol. VH, Serie 4.» - Memoria TI. 10 Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. 1; Un' altra parte della stessa soluzione eterea fu lasciata a sva- porare spontaneamente durante la notte. Gli aghi lunghi, incolori, depostisi nel primo tempo, l' indomani si trovarono trasformati in una massa di colore rosso vermiglio, quasi amorfa, che conteneva appena traccia di cloro. In essa si constatò la presenza della flo- roglucina libera ; sembra però che 1' azione degli acidi inorganici provenienti dalla decomposizione del cloruro di solforile all' aria umida non si sia limitata alla sola saponificazione del triacetilderi- vato, ma che essa abbia dato origine a un composto più comples- so, forse appartenente al tipo delle floroglucidi condensate recente- mente descritte da Hesse (1). Anche su ciò sarà riferito fra breve. Da quanto abbiamo esposto risulta anzitutto che nella mole- cola del fenolo, della resorcina e della floroglucina, per 1' azione blanda del cloruro di solforile vengono sostituiti tanti atomi di cloro quanto è il numero degli ossidrili liberi. La reazione avviene secondo lo schema : C,H,-n{OH)n + nS(\Ch = a^6-2« CUOWn -+■ nSO.^ + nHCl, e la sua energia va aumentando col crescere del numero degli os- sidrili nella molecola, tanto che dalla floroglucina non siamo riu- sciti ad ottenere né un mono-, ne un dicloroderivato, ma sempre la triclorofloroglucina. Da altre esperienze che sono ancora in corso, e che confer- mano quelle sopradescritte, dovrebbesi poi conchiudere che l'atomo di cloro va costantemente in posizione para rispetto all' ossidrile. A differenza dei fenoli liberi i loro eteri composti, in cui è de- terminata ed immutabile la forma ossidrilica del fenolo, non lascia- no sostituire affatto cloro dal cloruro di solforile ; tutto al pilli ven- gono saponificati in presenza di piccole quantità di acqua. Questi fatti, a nostro modo di vedere^ non si potrebbero spie- li) Annalen 276, 334. Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i loro eteri. I; 11 gare meglio se non ammettendo che tutti i fenoli , anche i mono- valenti, reagiscano col cloruro di solforile nella forma desmotropi- ca secondaria chetonica, la quale si osserverebbe qui per la prima volta appunto per i fenoli con un solo ossidrile. Ma noi non vogliamo discutere pel momento i fatti esposti né dire della portata che possano avere , finché non avremo raccolto sufficiente materiale sperimentale, e domandiamo solamente che ci si lasci libero, per alcun tempo, il campo di queste ricerche. Notiamo però sin d' ora che 1' azione blanda del cloruro di sol- forile sarebbe un mezzo per diagnosticare in alcuni casi la presen- za dell' ossidrile fenico. Catania, Laboratorio di Oliiin. Ticnr-r. della R. Uiiivorsifii. Gennaio 1894. Memoria Vri. Il pozzo artesiano di Marigliano (1882) studio geo-paleontologico del dott. GIOACCHINO DE ANGELIS Penetrare nelle viscere della terra, studiando gli strati che si attraversano , è l' ideale del geologo. Laonde non fa bisogno che mi dilunghi, per dichiarare le ragioni per cui intrapresi questo qual- siasi studio. I materiali estratti, nel forare un pozzo artesiano pos- sono sempre offrire al geologo importanti argomenti di osserva- zione, tanto pii^i se appartengano ad una regione tanto interessante, come è quella del Vesuvio. Molto è stato valorosamente scritto da insigni geologi intorno alla storia del poetico Vesuvio (I). Per la qual cosa tutti i fatti che possono venire alla luce servono più che ad altro ad allargare le conclusioni già inferite specialmente negli ultimi lavori. Si di- stinguono h'a (juesti quelli del (luti. II. J. Johnston-Lavis, dalla let- tura dei quali trassi molto prolìtto. (2) Nel 1882 a Casaferro, frazione di Marigliano (3) , circondario di Nola, nel grande stabilimento industriale del Cav. Nicola Mon- tagna, per ottenere l'acqua zampillante, si praticò dalla ditta Chartier un pozzo artesiano. La prima falda acquifera fu incontrata a m. 5 di profondità dal suolo che trovasi sul livello del mare a m. 31. Que- (1) Nella bibliografia del Johiistoii-Lavis, alla quale rimando per brevità, sono riportati pel Vesuvio ben 1.552 lavori. Johnston-Lavis H. J. " The south italian Volcaneos.... _ Naples 1891. (2) Nella bililiografia, ora citata , si enumerano di questo insigiie scienziato ben 34 lavori che illustrano il Vesuvio. Degna di menzione è la gran carta geologica di tutto il vulcano al 1 : 10.000 (1891). (3) La storia ci narra che Marigliano ebbe a soffrire gravissimi danni dalle eruzioni del Vesuvio del 1631 e 1793. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria VII. 1 Il pozzo artesiano di Marigliano [1882) sta è la falda che somministrava 1' acqua ai diversi pozzi che sop- perivano anteriormente alle necessità dello stabilimento e presen- temente alle vicine campagne. I contadini infatti con uno speciale ordigno, chiamato ingegno, posto in movimento da cavalli, si pro- cacciano facilmente 1' acqua necessaria all' agricoltura. Una delle principali ragioni della rigogliosa e lussureggiante vegetazione di quelle estese pianure si deve ripetere da questo strato acquifero. Quando la trivella toccò uno strato d" arenn, a m. 58 circa, venne da questa riempilo il tubo di ferro sino a m. 30. Disgra- ziatamente non conosco tutta la serie degli strati , tuttavia credo che, se la trivella si fosse arrestata, probabilmente s'avrebbe avuto l'acqua zampillante. Lo strato infatti, per essere marino, può ritenersi di qualche estensione e casualmente può sopportarne un altro re^ lativamente poco permeabile. Ciò basterebbe, per obbligare la super- fìcie dei carichi o superficie piezometrica a passare al disopra, anche di una piccola quantità , del piano dello stabilimento : condizione che avrebbe dato l'acqua saliente. La trivella invece raggiunse la profondità di m. 174, mentre r acqua non si elevò che — m. 5 dal suolo, cioè a m. 26 dal livello del mare , ciò che denota che la quota di drenaggio si innalza di molto anche attraverso roccie vulcaniche generalmente poco coe- renti. (1) L' acqua però è abbondantissima, estraendosene, senza che il livello si abbassi , oltre 1000 ettolitri al giorno. Con una analisi chimica qualitativa si è ottenuto il seguente risultato : Residuo fisso a 100° per 100 cm.^ di acqua gr. 0, 1 196 — Traccia minime di Fé — Quantità inapprezzabili di solfali — Quantità forte dì bicarbonati — Basi prevalenti di Ca e Na (2). Con imitabile esempio il Sig. Montagna conservò, per utilità della scienza, i saggi di alcuni strati. Di questo interessante mate- (1) Il Johnston-Lavis riscontrò la quota 15 m di drenaggio a Ponticelli. (2) Ringrazio il Sig. Alfredo Lotti , tiglio dell' insigne geologo , per 1' aiuto prestatomi nelle ricerche chiniidie. Il pozzo artesiano di MarigUano [1882) riale mi venne fatto gradito presente dal gentile nipote del proprie- tario , Giulio Montagna, cui rendo i più vivi ringraziamenti (1). Quantunque fossero i campioni di piccola mole e non si avessero che di alcuni degli strati sino a m. 117; pure, e per la loro natura e per i molti residui fossili che contengono . mi parvero degni di essere illustrati. Già si conoscevano materiali vulcanici dei centri Vesuvio e Flegreo con conchiglie marine (2). Il primo che ne fece parola [1848] fu il Cangiano (3) che raccolse e studiò i saggi del pozzo artesiano eseguito nel palazzo Reale di Napoli (1847). Gaetano Tenore [18')!], parlando, nel trattato di Mineralogia (4), della possibilità di riuscita dei pozzi artesiani nel bacino della Campania, valendosi delle ope- re del Cangiano, riporta la descrizione dei materiali del pozzo del Palazzo Reale. A m. 170 è segnalata una sabbia vulcanica con ciottoli e conchiglie marino della potenza di m. 17. Fra i molluschi (1) Ora appartioiiii al Uabiiicttu Oeologico Univur.sitario di lluuia, al (|\iaU' ne ho fatto dono. (2) Non debbono essere confuse le ronchiglie marine di i-iii ora si parla rou quelle die si trovavano, già da molto tempo, noi massi e ciottoli errattiei fossiliferi. Di questi residui si oc- cuparono parecchi: 1776 — Hamilton \V. " Campi l'hle<,'raei— Observations on the volcanoes of the two Sicilies.„ Naples. — Paris 1' an soptième (17it!l). 1837 — Prevost C. "Sur les coiiuillcs niarines trouvées à la Somma» Compt. rend. d. l'Acad. d. S.'. Voi. IV. pag-, 200. Paris. Nei processi verbali dell' Accademia, disserendo col Dufrénois riguardo al seguente lavoro. 1837 — Pilla L. " Sur Ics c(ii|iiillcs trouvi-es dans la Fossa (irandc de la .Somma „ Bui. Soc. (ìéol. Frane, t. Vili, pp, l!l!t--2lll— pj). 217-22-t. W;!/— MoNTicKLLi T. — " Opere „ Voi. II. pag 15-4 e seg. Napoli. 1845 — Scacchi A. — " Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze „ Voi. IL Napoli. Ì855-55— Gaudry A.— " Siu' les coipiilles fossiles de la Sonnna „ Rull. d. 1. Soc. Góol. d. France. Voi. X. pag. 290-92. Paris. 1856 — QuiscARDi G. " Fauna fossile vesuviana „ Napoli. Molti altri feiero parola delle conchiglie trovate nei blocchi (^iettati dal Vesuvio. Si può dire che non vi abbia Museo geologico che non ne possegga esemplari. K degno di nota l'elenco di tali fossili, estratto dai lavori precedenti e da quelli del Costa, riportato nella seguente opera: 1889 -LoBLKY I. L. " Mount Vesuvius, a deseriptive. historical ,and geological account of the Volcano and its surroundings. „ pag. 248-255— London. (3) Canoiano L. " Riflessioni sulle acque potabili della città di Napoli „ Napoli 1848. (4) Tenore G. " Lezioni di Mineralogia „ part. II» pag. 33. Napoli 1851. Il pozzo artesiano di Marigliano (1882) annovera: Madra triamjula Brocchi, Thracia corbuloides Blainville, Peden varius Linnei, P. sangaineus Linnei, Natdil'ms crispus Linnei. A m. 229 sabbia con conchiglie marine ; così a m. 238. Questi due ultimi strati vengono riferiti al terreno Terziario. Quantunque si tratti della regione flegrea, pure va ricordato il lavoro del Guiscardi [1862] (1) che ragiona di una sabbia marina, riscontrata presso Monte Dolce, con moltissime conchiglie marine determinabili : Veniis gallina L., Arca ladea L., A. scabra Poli, Pedun- culus sp., Cìiama gryphoides Lin., Lima squamosa Lamk., Spondylus Gaederopus L., Osirea sp., Anoinia sp., Patella sp., Siliquaria angiihui L., Trochus 2 sp., Cerithhim viilgatuin Erg., Mitrex trunculus L., Colum- hella rustica L., Mitra ebaniis Lamk var. S., Comis sp., Serpula sp. Nel 1886 r ing. Baldacci (2) trascrisse le serie dei terreni tra- versati dalla trivella al Palazzo Reale e in S. Sebastiano (Ponticel- li) nella proprietà del conte Del Balzo. In quest' ultima, a m. 4, 60 di profondità dal suolo, si parla di uno strato di tasso grigio con frammenti di conchiglie. Non è specificato /' habitat. Neil' officina del Gas di Napofi, aU' Arenacela, nel 1880 si pra- ticò un pozzo artesiano. Il dott. Paride Palmeri (3) raccolse i ma- teriali e li descrisse [1887] paragonandoli con quelli del Palazzo Reale. Menziona una sabbia simile a quella dell' attuale spiaggia con detriti di conchiglie. Queste però si trovano in maggiore quan- tità negfi strati inferiori, in quattro liveUi speciali, sino a m. 36. S'incontrano nuovamente da m. 120-125 molto abbondanti. L' A. non esita ad inferirne la presenza del mare all' Arenacela nel tem- po, in cui si depositavano quegli strati. Collo studio dei materiali del pozzo di PonticeUi (1886) ese- guito dal dott. Johnston-Lavis (4) [1889] venianro ad una località più (1) GuiscAKDi G. " Contribuzioni alla geologia dei campi tìegrei„ Estr. Mem. R. Acad. di Se. Fis. e Mat. Voi. I». Napoli 1862. (2) Baldacci L. "Su alcuni recenti studi e tentativi di pozzi trivellati in Italia,, Estr. Ali- di Agricol. del Min. Ag. Ind. Coni. pag. 26-31. Roma 1886. (3) Palmeri P. "Il Pozzo artesiano dell' Arenacela del 1880 confrontato con quello del Pa- lazzo Reale di Napoli del 1847. „ Estr. Spettatore del Vesuvio e dei campi Flegrei 1887. (4) Johnston-Lavis H. J. Rend. R. Aecad. Se. Fis. Mat. An. XXVIU. fas. 6. pag. 142-48. Napoli 1889. Il pozzo artesiano di Mai-igliauo 'J882) vicina alla nostra. Da m. 0 fino a m. 59, 90 riporta la prei>enza di arena marina. In una pozzolana compatta di color grigio-verda- stro dai m. 149, 75 a m. 164, riconobbe molte conchiglie di tipo recente e spicule di Spugne. Nella dotta relazione se ne deduce r origine marina. Spero che non riuscirà vano questo studio inteso a determi- nare tutti i residui organici, che ho trovato nei diversi materiali. Per ciascuna l'orma ho indicato solamente, per amore della brevità, la migliore figura che mi servi a classificarla ed un i)revissiiii() ci'iiiio snWhabitat. In tal modo le conclusioni riusciranno, i)er (pianili mi è possibile, pii^i esatte. Prima di intraprendere la descrizione dei singoli materiali, m'in- combe il dovere di trilnitare vivi ringraziamenti al eh. prof. A. Por- tis che mi aiuta nello studio con continui e sapienti consigli e col permettermi gentilmente l'uso ddla propria ricca biblioteca, iioiichè al eh. prof. F. Bassani che , non pago di fornirmi reiteralaniente interessanti notizie, mi possibilitò ancora la eonsultazione di alcuni rari lavori. l>(>.««et*ÌKÌoiic dei iiiatorìali. m. 10. 50. Genere vulcanica, colore di terra d' ombra, sottile al tatto. Scar- si ciottolini arrotondati di pomice bianco-grigia in decomposizione, che non raggiungono i 5 mm, di diametro. Al microscopio .si rivelano numerosissimi frammentini di sostanze vetrose, colorate dagli ossidi di ferrO; con betoniti, trichiti, microliti. Parecchi cristalli ikhi interi di augite. Mica biotite profondamente trasformata in clorite ed in piccolissime lamelle; non manca del tutto la moscovite. B'raiumenti cristallini trasparenti , piuttosto scarsi , rappresentano i feldspati, alcuni fortemente caolinizzati. Granuli rari riferibili all' olivina. Si osserva scarsa la magnetite. L'acido cloridrico, a freddo, non ha prodotto effervescenza. Il pozzo artesiano di Marigliano {1882) La calamita attira pochissimi granelli. Portata la cenere al calore rosso, ha perduto moltissimo del suo colore, divenendo bianca-grigia. Ho osservato parecchie spicule silicee di Spugne, che mostran- dosi spezzate non permettono determinazione alcuna. Con dubbio le riferisco a Spugne di acqua dolce. m. 12. Sabbia con molta parte polverulenta. Colore grigio- chiaro. Vi si scorgono ciottolini con mm. 1-6 di diametro, di diversa natura litologica. Si hanno ciottoli di una pomice bianco-grigia, non molto spu- gnosa, con principio di decomposizione, in cui si osservano pagliuzze di mica oscura, già in via di alterazione, cristalli di augite, mac- chiette prodotte da ossidi di ferro. Si rivela una struttura fluidale. Altri ciottolelti appartengono ad una pomice , quasi compatta, di colore grigio-scuro , con tinta che tende al verde ; fa riconoscere r augite. Ciottohni di lave diverse, tutti arrotondati. Nella cenere ad occhio nudo si osservano cristalli di augite e leuciti caolinizzate. Si trovano con frequenza: frammenti di cristalli (li augite con ossido di ferro; ciottolini di feldspato monoclino vitreo, che quasi certamene è il Sanidino; non mancano frammenti di un feldspato triclino. Con dubbio riferisco alla Leucite frammentini vi- trei con incipiente trasformazione. Si trovano pietruzze di calcare, rotondate: una all' acido cloridrico ha lasciato gelatina. Granelli scarsi di Magnetite. Al microscopio si riscontrano le medesime sostanze già men- zionate, si deve aggiungere, la mica biotite in via di trasformazione e granuli d' olivina. L' acido cloridrico, a freddo, non ha causato nel materiale ef- fervescenza alcuna, dopo avere isolato i ciottolini rari di calcare. La calamita attira molto materiale. Al calore rosso dà grigio-chiaro il mateiiale è diventato rosso mattone. Il pozzo artesiano di Marigliano {1882) m. 15. 50. Tripoli o materiale di atomi fero (1), ricchissimo di forme di diatomee, bianco-sudicio; solamente in qualche parte, per la mairgio- re purezza, si presenta bianco. È leggierissimo e friabile. Airacidn cloridrico, a freddo, non produce alcuna effervescenza per la man- canza quasi esclusiva di calcare. Contiene abbondanti materiali vulcanici di variabile grandezza, da granelli visibili solo al microscopio sino a frammenti di mm. l-ò di diametro. Sono cristallini d' augite in via di decomposizione e non ben terminati , laminelte di mica oscura più o meno trasfor- mata; frammenti di feldspato vitreo con incipiente caolinizzazione . di lave e di scorie. Fra questi ultimi ho trovato : Una piccola scoria rosso-nerastra, poco spugnosa, ma con vi- sibile struttura tluidale; con cristalli i)oifìricamente disseminati di augite, di mica oscura e di un feldspato probabilmente sanidino; ò alquanto alterata e friabile. Un frammento di lava riferibile con dubbio ad una traciiitr. Molti ciottoletti indeterminabili con indizi di decomposizione in- dicataci dall' ossido di ferro, che li ricopre. Un ciottolo di lava oscura. Nel separare i delti ciottoli molti granelli si attaccavano alla pinzetta formando barbule o filamenti, come i granuli di ferro al- l' estremità di una sbarra magnetizzata. Fatto che ci dimostra la presenza della Magnetite, ecc. (1) Per quanto mi sappia nessuno fa menzioni' di matiTiali Jiatomiteii ni. cit. , pag. I7S. jil. VII. fig. 1.2. Questa specie vive lunghesso il litorale , di preferenza vicino agli estuari. Cytheridea pnnctilafa Brady (rr). 1874. Brady, Grosskey, Robertson " op. cit. ,, pag. 177 pi. VI fig. 1-11. È una forma di spiaggia. m. 116. 55. Marna con abbondanti materiali vulcanici, con venuzze di ma- teriale nero non atlirabile dalla calamita e che cambia colore por- tato al color rosso. Il materiale offre un peso specifico piccolissimo, 38 II pozzo artesiano di Marigliaìio {1882) è di colore giallo-sporco. La massa principale è sottilissima : rari sono i frammenti di pomici e scorie di vario colore e tessitura ; tutti però profondamente alterati e friabili da cedere alla minima pressione. Al microscopio si osservano abbondanti pezzetti di sostanza vetrosa di varia colorazione, cristallini d' augite in decomposizione e frammenti color verde-bottiglia. Piccolissime squame di mica quasi sempre cloritizzate. Granuli d' olivina , di magnetite _, di feldspato probabilmente sanidino ecc. ecc. L' acido cloridrico sviluppa un' energica e prolungata efferve- scenza, rimangono solamente evidenti materiali vulcanici impegolati in pochissima gelatina. La calamita attira rari granelli. A causa del materiale sottile le osservazioni al microscopio non sono riuscite evidentissime, egli è per questo che non anno- vero alcuna forma di foraminiferi, quatunque ne abbia osservato delle spoglie. Il materiale fossile visibile si riduce a moltissimi e mi- imtissimi frammenti di conchiglie a guscio sottile, probabilmente d'acqua dolce, a piccolissime e rare conchiglietle riferibili al gen. Hijdrobia , una al gen. Neritina che misura non molto piìi di un mm. di lunghezza maggiore ed un opercolo forse appartenente ad indi- viduo del gen. Bythinia. m. 117. 50. Il presente campione è diverso dal precedente per il materiale meno sottile, di colore bruno, più pesante. È costituito quasi esclu- sivamente di materiale vulcanico, quantunque l'acido cloridrico pro- duca una forte e prolungata effervescenza. Questa è causata dai frammenti di conchiglie. Anche qui sono rari i frammenti delle varie pomici e scorie che si mostrano sempre in via di decomposizione. Il materiale carbonioso è visibile. Al microscopio si osserva un materiale tenuissìmo non attac- Il pozzo artesiano di Mcu-igliano [1882) iì'J cato dall'acido cloridrico, che forse rappresenta la decomposizione dei feldspati e specialmente della leucite. Infine si scorgono frammenti di cristalli d' augite colore verde-bottiglia, più o meno decomposti; lamelle di mica cloritizzate; ciottolini di cristalli di feldspato ecc. Particelle legnose riconoscibili per la struttura cellulare. La calamita attira rari granuli. Al calore rosso il matei'iale cambia fortemente di colore. I foraminiferi sono abbondanti: in ogni preparato microscopico se ne osserva sempre qualcuno ben conservato. Orhuìina universa d'Orb. (r). Globigerina hidìoides var. triìoìm Reuss. (f). Pulvinulina sp. (rr). Rotalia Beccarli Lin. (,t). Numerosi sono gli avanzi di conchiglie, generalmente dal gu- scio sottile, ma nessuna ci permette una determinazione per la loro estrema piccolezza. È intera solamente una conchiglia di una pic- colissima Hi/drobia o Perimjia
  • /„ (=1) e precisamente di- mostro che : tì Uil/n-ì + lh!ln-3 l/i-lt/l + Unì/,:) (4) Infatti, sviluppando il determinante (2) secondo gli elementi della 1=^ orizzontale, si ottiene : ^„ = (-!)" 2 i-ir-'u.D,,, (f>) D.,;,= dove Di,; è il determinante che si ottiene da i/ „ sopiirimendo la 1=^ orizzontale e la A-'"" verticale, cioè : 1 Ui Mj «3. . . . Hh-2 Kft ... . «„_i 0 1 Ui U-ì .... Uit-3 Uk-i .... U„-2 0 0 0 0 .... 1 Mo . . . . Un~KU 0 0 0 0 .... 0 Ui .... Un-K 0000....0 1 ... .Un-K-i 0 0 0 0 .... 0 0 ....«, Se si sviluppa questo determinante secondo gli elementi del- la prima orizzontale , si osserva facilmente che sono nulli tutti i minori che si ottengono , giacché hanno la prima verticale forma- ta di zeri , eccettuato il minore M^ corrispondente all' elemento 1 Sciluiìiìo dì un determinante particolare ad n variàbili 3 della prima orizzontale. Quesf ultimo minore Jf, , il quale si ottie- ne da Z), ;. sopprimendo la prima orizzontale e la prima verticale, sviluppato alla sua volta secondo gli elementi della prima orizzon- tale, ha i minori, corrispondenti ad essi elementi , tutti nulli , ec- cetto il minore M.^ corrispondente airelemento 1 di detta orizzon- tale ed M, è ottenuto da Z),,, sopprimendo le due prime orizzon- tali e la 1" e Q'' verticale. Il minore 3^2 si trova nelle stesse condizioni di J/, e cosi di seguito, si vede che si ottiene successivamente il l'attore 1 e dei determinanti che sviluppati secondo gli elementi della prima oriz- zontale, hanno i minori l'orrispondenti a (piesti elementi tutti miili. eccetto quello corrispondente al 1" elemento, che è sempre 1' unità. Ciò avviene k — 1 volte di seguito fino a che si sopprimono le prime k — 1 orizzontali e verticali, a qual punto si ottiene un de- terminante della stessa forma (2), cioè : «1 ll'i .... Un-li 1 «,.... it„-K-l Ihj, 0 0.... «1 il ,,-ii quindi, sostituendo nella (5) e tenendo presente la relazione (3) , si ha : n ri ìlkl/n-H ossia : n n c. h. d. 2) Dato un numero indefinito di elementi : Mo , Mi , «2 , Ih, Sviluppo di un determinante particolare ad n variàbili è noto che, se indichiamo con //„ la somma delle disposizioni con ripetizione di classe m e di peso n di essi elementi , essa somma è data dalla seguente formola ricorrente : 1 i nu„ \ m- -\ — n «i.i'/„_i4- 2{ni-\-\)—n >hy„- -\ nini + l)—n U„//o^ {^) se è «u = 1 si ha : 1 < «/„ = — J m + l — n «,,Vn~i + r2(m4-l) — w M2,V»-..' 4- .... 4- n{m+ì)—n ?<„;/n e posto m = — 1 : !/n- — . «i2/„_i+H,..V«-2-h +u„ tj» ^ (7) (4') che coincide colla (4); quindi lo sviluppo del determinante propo- sto si ottiene ponendo ni = — 1 nella formola (7), la quale dà la somma dei gruppi di disposizioni con ripetizione di classe in e di peso ti degli elementi indefiniti : Ih , «3 : ed in tale ipotesi, la formola (4) o (4'), che si deduce, non ha più significato nel calcolo combinatorio, deve considerarsi come un'e- spressione algebrica qualsiasi , analogamente al simbolo '^!) quan- do ìli è negativo o frazionario. ^^^ 3) Mi propongo di sviluppare sotto forma esplicita il determi- nante proposto, dimostrando un' altra formola che dà la somma i/„ fornita dalla (7) e quindi ponendo in essa in = — 1. (1) Noto (|ui incidentalmente che siccome la formola (4), dimostrata direttamente , coincide con quella che si ottiene dalla (6) ponendo in essa m = — 1, ed inoltre, siccome la (6) dà il coefficiente generale della latenza jh" di una serie assolutamente convergente essendo m intero e positivo, risulta dimostrato che la (6) vale anche nel caso della potenza ad esponente — 1 delle serie assolutamente convergenti e perciò essa è anche vera per un esponente intero e ne- gativo — m. Sviluppo di un determinante particolare ad u variabili o È noto che ?/„, dato dalla (7), è il coefficiente di 2" nella po- tenza ìli"' della serie assolutamente convergente : 1 + Hi2 + UzZ'^ -I- tlìZ^ + cioè si ha : (l-f-»,2+ «22-+. . . . '. .)'"=//„ + //,2+//,S' + . . . .+ //„2"+ (8) Effettuando il prodotto di in serie, tutte uguali alla proposta, cioè : (1 + U,Z+ HiZ' + ). \ (1 + «,2 + U,Z'+ ). \ (1 4- thz + itzz- -H ) per ottenere un termine di classe m e di peso n si osservi che 1' u- nità, che è il primo termine della serie, può entrarvi 0, 1,2, 3,.., m — 1 volte (gianmiai m volte altrimenti il termine corrispondente sarebbe di peso zero), quindi //„, rispetto ai coefficienti u^, è una somma di termini tutti di peso n e di grado \, -1. 'à, . . . ,111, cioè: indicando con .S\.„ la somma dei teiiniiii di i)eso n e di grado /• rispetto alle w. Per avere .S\. „ , delle ni serie (9) da moltiplicarsi prendiamone k, escludiamo il jirimo termine, che è 1' unità, moltipli- chiamole fra loro ; 0, ciò che vale lo stesso, consideriamo la po- tenza /i-"'" della serie : M,2 + «22- + «32" -+- (10) che si ottiene dalla data sopprimendo il 1° termine, ed indichiamo con ,1,,.,, il coefficiente di z" in essa potenza; nelle rimanenti tu — A- serie (0) prendiamo sempre il 1° termine 1, di guisa che tutti i 6 Sviluppo di un deteì'viinante particolare ad n variabili termini di A^^,^ appartengono ad S^.,, ; ma, siccome k serie dalle m date si possono scegliere in ( '^. modi diversi, si ha che : Sh.n — ( 1. ]Aii,n onde : >,„ = ("i]a„. + (iy,„, + (^).4,„ -+ + (;»)^„,,„ (Ili È facile ora osservare che il minimo peso di un termine di grado in di A,„^„ è ni e ciò si ha quando si considera il coeffi- ciente / m, se è n < m, allora la (11) si limita al termine ( '"^^^ \ .1,, „ , poiché appunto nel termine di pe- so n della serie potenza, il massimo grado che vi può apparire è n. Segue da ciò che, essendo indeterminato 1' esponente intero e po- sitivo III, noi potremo sempre arrestare la (9) al termine | '^' | A„^„, sicuri di scrivere tutti i termini della serie potenza fino a che si ha n < m e di scrivere dei termini in più quando è ;/> in. i quali pe- rò col particolarizzare la m si annullano, essendo | "^ | ^= o per il > m , quindi possiamo scrivere : y„ = ('>I)A,„ + (t^)^,„ + (^)^3,„ + + (f,]A,..n (12) 4) Mi propongo ora di trovare delle formole pel calcolo di Come è stato detto, A,,„ è il coefficiente di /' nella potenza //"" della serie (10) , cioè è una somma di termini di grado k e di peso n, rispetto ad ì(i,iu,u^,...., si ha quindi : Ai,n = Un (13) ?«— 1 . A-i.,, = ì( iti n-i + 11.11 „-:-h . . . . 4- ?/„_!?( 1 = ^«a, ?<.,j_a, Sviluppo di un determinante particolare ad n variabili 7 A^,,, = ihA.2,n-i + u.2Ai,n-2 -^ . . . . + Un-iAi,., (perchè è J.j,i^O) n-2 a,=l ma per la (14) : H — «1 — 1 ao"^ 1 (si osservi che siccome l' iiulice «, è stato usato in J^,,, , nell'appli- care la (14) si è cambiato 1' indice o.^ in a,, e poi si è cambiato n in n — «i). Sostituendo quest'ultimo valore : w— 2 M— «1— 1 «1=1 32=1 Similmente : «-3 ^,,„=?<,yl3,„_l+«2.43,„_2 4- -|-?/„_3i43.3= _^ ? dove è : + a^ = A- i . (22) ao\ + a-ir-z + ....+ a*)-ft = n ) osservando che alcuni degli esponenti «^ possono essere uguali a zero, ma nessun indice Vp può essere uguale a zero. Il termine precedente avrà un coefficiente, dato evidentemente dal numero delle permutazioni di k elementi di cui «i sono uguali fra loro ed uguali ad ;/,•, , altri a„ sono uguali fra loro ed uguali ad M,2 e così di seguito, quindi : Kn = y - A! ■ a-K ! a-\ «2 an n M . . . . u ri »'2 rn (23) Quindi, per ottenere .i,,,„, servendosi delle (22) e (23), biso- gna fare le partizioni di A: in /.• parti, di cui alcune possono essere uguali a zero, se a^, a,, . . . . , a^. è una partizione, si considerino i numeri interi r^ , tutti diversi da zero , che soddisfano la seconda delle equazioni (22), ciò si ripeta per tutte le partizioni di A- in A' parti ed i sistemi di valori « ed r ottenuti , sostituiti nella (23) , forniscono A^_„. 9) È noto come si fanno le partizioni di un numero A- in k parti : se «j, a.^, . . . , a,, è una qualunque di queste partizioni , si proceda da destra verso sinistra finché si trovi una parte p che differisca almeno di due unità dall' ultima , si lascino intatte tutte le altre parti che rimangono a sinistra di p , e si faccia questa parte e tutte quelle che la seguono sino alla penultima , tutte u- Sviluppo di un determinante particolare ad n variabili 11 guali fra loro ed uguali a p + \ , all'ultima si dia un valore tale che insieme alle parti precedenti formi /i. Una partizione si può avere facendo tutte le parti uguali a zero, eccetto l'ultima che si fa uguale a k: Così le partizioni di 5 in 5 parti sono : 0 0 0 0 5 0 0 0 14 0 0 0 2 3 0 0 113 0 0 12 2 0 1112 11111 10) Fatte le partizioni del numero k in /.• parti , per trovare le soluzioni comuni alle equazioni (22) , si sostituiscano nella se- conda equazione (22) i valori «,, a,,, ...,«*, dati da una delie par- tizioni trovate , indi si ricavi il valore della prima incognita /p il cui coefficiente non è nullo e si ha : n- X Vn = dove X è il complesso di tutto ciò che rimane nel 1" membro. Dovendo essere r,, un numero intero, positivo e diverso da zero, è chiaro che si otterranno dalla frazione precedente dei valori per l'indice r^ , soltanto per quei valori di X che rendono il numera- tore positivo ed esattamente divisibile pel denominatore, perciò X può assumere soltanto i seguenti valori : X = H — ap , X := ti — 2ap , X =7» — 3ap X ^p,X = n (24) dove è il massimo intero contenuto nel quoziente — . Le re- lazioni (24) sono analoghe alla seconda equazione (22) e conten- gono un'incognita di meno, quindi , collo stesso procedimento , si passi da ciascuna di esse ad altre equazioni con due incognite di 12 Sviluppo dì un determinante particolare ad n variabili meno e così di seguito finché si arrivi ad una sola equazione con due incognite. Lo stesso si ripeta per tutte le partizioni di /.■ , in k parti e così si hanno tutte le soluzioni possibili (intere e positive) delle equazioni (22). 71 1 1) Oss. 1.^ Se -j- non è intero, si può tralasciare la partizio- ne 0, Q, .... , 0, k. Infatti, essa partizione dà : n 7ì da dove r^ = -rr, ed essendo r, un indice, deve essere -^ un intero. Oss. 2.^ Considerando una partizione qualunque, due qualsiasi de- gli indici r non possono risultare uguali. Infatti^ se la partizione che si considera è : oi , c(2 , . . . . , a;^ e se »-i , r^ , /'a , • . • . , r^ è una soluzione della 22, il termine che ne risulta sarà della forma : k! 0E| d'i 0^3 (Xì; ti u u u ai\3i\....a„\ ri r^ J'3 Tn, e se due o più degl'indici r sono uguali, così se è r^ = r^ , si ha: : u u a at\ar,\ . . . a^l r^ r^ >•*. e questo termine, avendo per esponenti : «i , («2 + o-s) , «4 , . • . . , a* , non appartiene alla partizione considerata. Così , allorché si tiene conto della partizione in cui tutte le parti sono uguali all'unità, il coefficiente é uguale a A; ! , ciò mostra che nessun esponente é nullo e quindi, calcolati gl'indici r„ /-j,...,*-^, questi devono essere tutti diversi tra loro e bisogna eliminare quelle soluzioni in cui alcune delle r sono uguali. Oss. 3.^ Considerando una partizione qualunque, calcolati tutti Sviluppo di un determinante particolare ad ii variabili l.") i sistemi di valori ;■ che socklisfauo la 2=^ equazione (22) , di tutte le soluzioni le quali differiscono solo per una permutazione delle r, si terrà conto di una sola, tralasciando le altre , quando però i valori permutati vanno associati ad esponenti uguali, e ciò per- chè esse soluzioni danno termini compresi nel 1" in virtù del coef- ficiente di cui esso viene affetto. Oss. 4^ Bisogna eliminare tutte le soluzioni , della 2"'> equa- zione (22), nelle quali qualcuno dei valori r, è frazionario. Oss. ')^ Siccome è t<„= 1, cioè nessun indice della serie (10) è uguale a zero, ne segue che non può essere r^ =^ 0, cioè risol- vendo l'equazione indeterminata (22), tutte le r devono essere di- verse da zero. Oss. 6.^ Dalla precedente osservazione segue che, se a„ a.^,....,a.^ è una partizione qualunque, essi numeri essendo disposti in ordi- ne crescente (ciò pel modo con cui si fanno le partizioni di un numero) se è : si può tralasciare questa partizione e tutte ({uelle che seguono. 12) Esempio. Come applicazione dell'ultimo processo proponia- moci di sviluppare il seguente determinante del settimo ordine : 2/c = {iti , «2 , Ih , Mi ,, «r, , Ui) Per la formola (21) abhiamo : I/e = — ^,,0 + ^2.6 — ^3.0 + ^1,0 — >l5,,l -f- ^6,6 Calcolo di .!,_, ed A^_^_ È evidente che è un solo il termine di primo grado e di peso 6 che può formarsi colle lettere u, , n, , h,,... ed è ?/, , come pure è un solo il termine di sesto grado e di peso sei ed è til , quindi : -4i,tì = Ue Ae^a = u"^ ciò che del resto può calcolarsi direttamente, come faremo subito per gli altri termini. 14 Sviluppo di un determinante particolare ad n variabili Calcolo di A,_^. Le partizioni di 2 in 2 parti sono : 0 2 1 1 Alla 1* partizione corrisponde l'equazione : 2n = 6 2' da cui )\ = 3 e perciò il termine ^ «3 = «3 . La 2* partizione dà l'equazione indeterminata : >'i 4- /'a = 6 che fornisce le soluzioni (r,=5, /•2=1) i>\=i, >'2=2), scartando le altre per le Oss. 2^ e S^, e quindi i termini : 2! (UiUr, + tloìl.,) onde : ^i.6 = «3 + 2ui.ih + 2uiUi Calcolo di ^s,6- Le partizioni di 3 in 3 parti sono : 0 0 3 0 1 2 1 1 1 La 1^ partizione dà ri=2 e perciò il termine «' ; la 2=^ partizione dà l'equazione indeterminata : r, + 2r. = 6 che fornisce la soluzione (/•2=1, >\=i), escludendo /■2=2 , ri = 2 per rOss. 2*, e perciò il termine 3u\ u^ ; la 3=^ partizione dà l'equa- zione indeterminata : >'i + r-2 -h >-3 = 6 che è soddisfatta da ì\=\, r2=2^ ?'3=3, escludendo le altre solu- zioni per rOss. 3", e perciò si ha il termine 6«i«j<<3 , quindi : Ai, 6 = M^ + 3m^ u^ -I- QuiUìUi Sviluppo di un determinante particolave ad n variabili \i> Calcolo di .li,6. Le patlizioiii di 4 in 4 parti sono : 0 0 0 4 0 0 13 0 0 2 2 0 112 1111 La 1" partizione va esclusa per l'Oss. \^, le partizioni 4^ e 5^ vanno pure escluse per l'Oss. 6"^, la 2^ e 3» danno rispettivamente le equazioni indeterminate : ,-, + 3r2 = 6 2/-. + 2/-2 = 6 di cui la 1" è soddisfatta da /•,=3 ed )\=ì , e la 2* da ;-j ^ 1 . ^4^2 quindi : yl.i.6 = 4?/j «3 + 6m' u\ Calcolo di ^5,0. Le partizioni di 5 in 5 parti sono slate fatte al § 9 , di esse la 1"'' va esclusa per l'Oss. 1*, per l'Oss. 6=^ van- no escluse le partizioni dalla 3-' in poi , rimane solo la 2" parti- zione che dà l'equazione indeterminata : che è soddisfatta da r.2=^ì, )\^'2, quindi : A ^^- * - ♦ '••" ^^ jT "i "' ~ ^'*i "' Sostituendo i valori trovati abbiamo : i/ij — — Ue. + ( ni ■+■ 2?/,«5 + 2uiUi )— ( u^ -h 3?«j u^ + GuiUith ) -h -f- ( 4Mj ««3 + 6«^ ni ) — bu\ «2 + « 1 the' è lo sviluppo del determinante proposto. Catania dicembre 1893. ]?Ieiiioria IX. Di un'antica ascia di pietra trovata ad Aci Catena Nota del prof. G. BASILE. Nel Bollettino mensile di questa accademia, fascicolo XVIII in- serii due noterelle preliminari una Sopra una tomba neolitica scoperta vicino Aci S. Filippo ed una seconda Sopra un villacjgio trogloditico preistorico dell'epoca neolitica esistente a Nord della città di Catania. In esse note dichiarava , 1' interesse di tali scoperte , ma che reputava prudente astenermi da apprezzamenti, fino a che ulteriori indagini mi avrebbero autorizzato uscire dal riserbo impostomi. Le indagini, che ancora continuano, eseguite con diligenza e coronate da felici risultati, mi hanno permesso riunire una quantità di materiale importantissimo, tanto più se si considera la deficienza dei mezzi e lìerchè il primo, che nel perimetro dell'Etna si sia stu- diato con diligenza. (1) Malgrado però che il materiale raccolto sia tale e tanto da po- termi oramai pronunziare , rispetto all' epoca a cui tali vetusti ci- meli appartengono, pure mi si consenta, anco una volta astenermi da categorici apprezzamenti, essendo mio intendimento illustrare le singole e sparse scoperte, per coordinarle alla scoperta principale ed (1) Tali ricerche por la provimna di Catania sono limitatissime. Si sono pubblii'ati nel Bollettino di l'aleontoloifia Italiana. I. Cafici Anno 1S7U fas 3°, 4" Stazione dell' età della pietra a S. Cono. Id. Anno 1879 fiis. 3°, 6" Ulteriori riierche nella Staziono di S. Cono. Id. Anno 1884 fas. 5°, 6o Tomba neolitiea e manufatti coevi. Id. Anno 1888 fas. 9°. 10» Bronzi della prima età del ferro seopcrti a tre l'anali nel Vizzinese. Dott. Antonino Somma. — Atti dell' Aec-ademia Gioenia S. 3. Voi. 15. Sulle armi di pietra e ili bronzo rinvenute in vari siti dell' Etna. In questo lavoro 1' autore si occupa di tntt' altro che dell'argomento, in fondo si trova uno sterile elenco di armi e nient' altro. Atti Aco. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria IX. 1 Di un'antica ascia di pietra trovata ad Ad Catena intendo alludere a quella dei Vilìaggio trogloditico ecc., poco prima accennato, che rappresenterebbe il corollario o la sintesi delle sin- gole illustrazioni, a cui devono riannodarsi. Reputo che lavori di simile genere, acquistano maggiore im- portanza, qualora si studiino contemporaneamente, sotto il duplice aspetto geologico ed etnografico, attesoché come i fossili rischiarano di luce le formazioni geologiche, similmente gli avanzi dell' industria umana, in certe date condizioni svelano le formazioni recenti , ra- sentando od anche appartenendo ad epoca storica e che solo per amore del meraviglioso o per idee preconcette e calcoli ipotetici , si reputavano antiche od almeno vi si addebitava un enorme pe- riodo di secoli, storpiando i fatti per poi cavarne mostruose dedu- zioni, sulla antichità dell'uomo ec, i quali eccessi non hanno sa- puto 0 voluto evitare uomini di grande fama nelle scienze geolo- giche; per cui il Brocchi per altri motivi, ma appropriatamente al caso nella sua classica opera scriveva. (1) " Noi di continuo ci " rammarichiamo che la Natura si occulta ai nostri sguardi sotto " un mistico velo e che gli oracoli da essa pronunziati sono bene " spesso così oscuri ed ambigui, che si rendono piìi perplessi, che " il suo silenzio medesimo. Ma io dimanderò, se veramente e con " lealtà crediamo, che cenando anche chiara e lampante ci si mani- " festasse la verità, sapremmo debitamente apprezzarla e se non si " vorrebbe sovente far prevalere i nostri sistemi e le nostre par- " ticolari opinioni. " Quante congetture e quante ipotesi non sono state ideate " onde spiegare la provenienza delle spoglie dei grandi quadrupe- " di nei nostri paesi! Vaticinate su queste ossa (2). " Senza pretendere che la vera causa del fenomeno sia nel " numero delle verità dimostrate , metterò sott' occhio alcuni fatti " da cui non sarà mestieri che io mi affacendi ricavare la conse- " guenza giacché questa se non m' inganno fluisce da sé. (1) Conchigliologia fossile subappenniiia. Milano per Giovanni Silvestri 1843. Voi. 1" p. '575. (2) Vaticinari de ossibus istis Ezech. Di un' antica ascia di pietra trovata ad Ad Catena. 3 Ora qualora si considera la mutabilità della nostra regione et- nea, dovuta agli effetti dinamici ed alle grandiose eruzioni, se si con- sidera quanto in proposito si è scritto e che tuttora moltissimo re- sta a dirsi, chiaro risulta la importanza di riannodare tali scoperte in relazione alle formazioni, ai mutamenti, alle eruzioni che nel vol- gere dei secoli si sono successi ; per cui reputo opportuno presen- tare il presente lavoro , sotto un duplice aspetto 1° Geologico ; II" Etnografico. I. Riesce importante rilevare le condizioni locali dove quest' ascia di basalte fu trovata. Vicino A ci Catena fu trovata una sorgente d' acqua potabile e della quale, invitato, dovetti occuparmi (1). Essendosi cavato un pozzo nella sopra detta occasione, la se- zione del suolo fino alla soi-gente, si presenta nel modo seguente : 1. Terra vegetale, proveniente da detrito di lave. 2. Lava relativamente moderna, della quale non si hanno dati storici. 3. Terreno di trasporto e terra vegetale, per uno spessore di 12 metri, la superficie del quale in contatto e sottostante con la precedente lava è convertita in termantile. Questo terreno è di carattere speciale che dimostra provenire da antiche lave (2). 4. Lava basaltoide pirossenica spessa. 5. Tufo vulcanico compattissimo con tritume lavico calcinato nella superfìcie in contatto della sudetta lava. Detta ultima corrente N. 4° arrivata quasi in corrispondenza (1) Atti e rendiconti dell' Atrademìa di Scienze Lettere ed Arti di Acireale. Nuova serie Voi. IV. 1892. (2) È da notare che le lavo dell' Etna, con il loro disfacimento, hanno dato genesi a terra vegetale, di diverso aspetto, secondo 1' epoca in cui furono emesse; le lave antiche hainio dato terra di colore giallastro ocraceo, che localmente si chiama turba, le lave moderne terra di co- lore quasi nero. 4 Di un' antica ascia di pietra trovata ad Ad Catena. della piazza di Aci-Catena, si è insaccata in una profondità , che allora presentava il suolo riempendola, come si è rilevata da una galleria praticata sotto la lava. L' acqua esce sotto quest' ultima lava e fra la terra bruciata della stessa. Onde portare quest' acqua allo scoperto, dovette praticarsi un acquidotto, il quale passando in corrispondenza della piazza di Aci Catena alla profondità di 35 metri dal livello del suolo, si trovò , fra la terra bruciata dalla sovrastante lava, alla profondità di me- tri 1, 50, nello spessore di detto strato, 1° avanzi di ossa decom- poste e quasi irriconoscibili , avanzi di terre cotte , ascie di pietre rotte in massima parte, fra le quali questa bellissima ed intera che presento (della quale è annesso disegno in grandezza naturale e relativa sezione, indicante lo spessore e la forma) a poca distanza due conchiglie nessuno avanzo di metallo (1). Rispetto all'epoca delle correnti di lava sovrastanti nessuna notizia esatta. Per quella superficiale, una sola ipotesi messa avanti da Re- cupero che crede sia scaturita da sotto Monte Ilici e passando per il Pisano, si avviò per Aci e crede sia stata eruttata nel 1580, è probabile che appartenga anche a questa corrente, ma atteso il dub- bio e l'incertezza non gli si può assegnare epoca certa. La sottostante poi non ha data, nemmeno ipotetica. Si cenna- no è vero molte eruzioni cominciando 1500 anni av. G. G. , ma malgrado 1' ammirevole erudizione di Rome de V Iste , Recupero , e particolarmente del canonico Alessi (2) pure ammettendo come provate essersi verificate taU eruzioni nell' epoca cennata , assu- mono , nel caso nostro, poca importanza sconoscendosi le correnti risultanti. (1) Questi avanzi sono stati scoperti dall' Ing. Alberti, da cui ho avuto i dettag-li, in mio posasse e' è la sola ascia, che attesa la sua forma ha attirato 1' attenzione ; il resto spero esse- re recollezionato essendosi disperso. Colgo quest' occasione per ringraziare 1' Ing. Alberti per la cortese cooperazione. (2) Storia critica dell'eruzione dell' Etna— Atti dell'Accademia Serie 1*. Di un' antica ancia di pietra trovata ad Aci Catena. 5 È notevole però quanto scrive Diodoro Siculo sulla venuta dei Sicani , che poco dopo il loro arrivo abbandonarono le coste orientali, spaventati dalle eruzioni dell' Etna, trasmigrarono nell" in- terno dell' isola. Si fa, al solito per ipotesi, coincidere tale epoca al 1470 anni av. G. C. (1). Il Gemmellaro aggiungendo ipotesi sopra ipotesi, crede che a queir epoca non solo l'Etna, ma anche i vulcani di vai di Noto in eruzione, furono quelli che spaventarono i Sicoli, che abbandonaro- no dette contrade internandosi nell' isola. (2) Altri pretende che tale eruzione fosse avvenuta 1280 o 1207 anni av. G. C. , poco dopo la venuta dei Sicoli, la quale -pure sia accaduta 80 anni prima della caduta di Troia. Tucidide ne accenna una 737 anni av. G. C. , un' altra 427 anni av. G. C. e specifica che devastò i campi dei Catauesi , ma malgrado tale particolarità, pure non potrebbe dirsi quale sarebbe detta corrente. (3) Io non starò a discutere sopra ipotesi per cui sarei obbligato formularne altre, mi limito solo a dire, che per questo tratto di suolo orientale dell' Etna , non abbiamo dati storici di eruzioni e che r ultima certamente è di antichità tale, da essere vano cerca- re le tracce storiche. Però reputo necessario, passare in rassegna le condizioni geo- logiche locali, per fare rilevare l'importanza della scoperta, anche in relazione al mutamento del suolo. La costa orientale dell' Etna è degna di rimarco ; si presenta tutta di lave sovrapposte. Dal Capo dei Molini fino allo Stazzo , queste lave sono tagliate a picco sul mare, nell' assieme si presen- tano come una callotta emisferica , che dai due detti siti gradata- mente s' innalza fin sopra Acireale, che quasi ne occupa il centro (1) Alessi— Storia Critica ec. Atti dell'Accademia Gioenia Serie 1". (2) Sui vulcani estinti del vai di Noto— Mom. 1» Atti dell' Acc. Gioenia Serie 1» Voi. :{«'." (3) n Can. Prof. S. Alessi, con moltissima erudizione, nella sua storia critica delle eruzieni dell' Etna, oltre le eruzioni che cenna come avA'enute all' epoca favolosa, si sforza a provare sto- ricamente moltissime eruzioni avvenute prima della venuta di G. C- 6 Di un' antica ascia di pietra trovata ad Aci Catena. e la parte culminante. In direzione di Acireale, a circa due chilo- metri, una seconda callotta, quasi simile alla precedente sovrasta alla descritta , alla cui base è fabbricata Acicatena e sopra è fab- bricata Aci S. Antonio. Quest' ultima pila di lave si prolunga molto più che la prima, inoltrandosi sopra Nizeti e sotto S. Gregorio, e piegando quasi bru- scamente verso ponente, sovrasta alle formazioni plioceniche ( se- condo alcuni), 0 postplioceniche (secondo altri), fra le quali sorgo- no i basalti di Aci Castello. Continua sopra Catania a Leucatia, S. Sofia e poi ricoperta da lave storiche ricomparisce, dove era l'an- tico Misterbianco, in un tratto lasciato scopei'to circondato dalle la- ve del 1669 e al di là si confonde con le coHine delle terre forti. A tratti e sbalzi si mostrano a nudo le argille e gli alluvi più 0 meno recenti, fra i quali è notevole quello vulcanico a filliti di Leucatia. Ultimamente fra Valverde ed Aci S. Antonio , cavandosi un pozzo alla profondità di 52 metri e sotto le lave si trovò un tufo vulcanico a filliti importantissimo , simile a quello di Leucatia ; il Recupero scopriva uno strato di tufo vulcanico alla Scala sotto Acireale negato dal Waltersahusen, perchè non seppe trovarlo. Oro io reputo che tali tufi appartengono alla stessa epoca, alla stessa età e forse formatisi per unico e solo alluvio, le piante che vi si rinvengono sono tutt' ora viventi sull' Etna. Sotto Aci S. Antonio e sopra Aci-Catena, la balza si mostra formata 1° di una corrente di lava con predominante feldspato , che calando da tramontana invase la superficie del suolo sotto- stante ad Aci-Catena e si distende fino ad Acireale; 2° sottostà alla prima una seconda corrente , ad elementi pirossenici abbondanti che si mostra simile fino al di là di Catania, ed i blocchi di que- st' ultima si vedono erratici nelle sottostanti formazioni postplioce- niche; 3° segue una formazione vulcanica di trasporto sotto la qua- le scaturisce 1' Acqua di Aci Catena denominata acqua nuova , la nuova sorgente di proprietà Trewhella, e quella di Aci Bonaccorsi. Dall' assieme si vede come possono concordarsi dette formazioni , Di un' antica ascia di pietra trovata ad Aci Catena. 7 che a quanto pare sono sincrone e che diverse fratture o solleva- menti, forse contemporaneamente, produssero 1° la balza di Aci S. Antonio; 2° quella di Acireale ; 3° la balza che a parecchi mi- glia esiste sotto il mare alla Scala di Acireale (1) costituendo uno speciale terrazzamento o colossale gradinata di Giganti. Ora a giudicare dal punto dove si trovò delta ascia , in rap- porto agli strati superiori e questi in rapporto a quelli della balza di Aci S. Antonio e ritenendo, come reputo, continuo e della stes- sa epoca lo strato alluvionale a falliti, che dalle parti alte dell'Etna scende al mare verso Acireale e Leucatia, detta ascia si trovò al- quanti metri al di sopra, che al massimo reputo siano circa -li). il. La cennata tomba scoperta vicino Aci S. Filippo nello stesso comune di Aci Catena^ sovrasta ad una corrente di lava, la quale si estende quasi fino a Cajw dei inolini , è naturale adunque che detto sepolcro sia posteriore e di molto a tale corrente, attesoché anche al di sotto dello stesso si trovava terra vegetale, e forse detta corrente di lava è più antica di quella di Aci Catena sotto cui si trovò l'ascia in discorso in breve abbiamo, che durante l'epoca in cui si svolgeva la civiltà dei primi abitatori dell'isola, le eruzioni etnee frequentemente colavano per la regione orientale fino ai prossimi lidi, circostanza interessante e che oramai indubbiamente possiamo ritenere come acquisita e su cui insisto perchè in seguito potrà ser- vire di guida ad altre considerazioni di maggiore importanza. (i2) (1) Il mare alla costa di Acireale è poco profondo tino a parcichic miglia, poi iiiuui ad un tratto si profonda costi tuondo una terrazza. (2) Sarebbe conforma, che vi fu un'epoca in cui l'Etna ebbe attività mag^giore. che non ades- so e che le lavo frequentemente colavano verso la spiaggia (;oinpreso fra Capo dei molini e Car- ruba, il fatto dei rarissimi avanzi dell' epoca immediata ai Sicoli, cioè doli' epoca Greco-Sicula. mentre sono comuni gli avanzi dell'epoca Greco-Romana, Romana ecc. I rari avanzi Greco-Sicoli si incontrano uei tratti risparmiati dalle lavi", c().sì verso Reitana, Nizeti oc. verso Sud, di Acireale, non si trovano att'atto verso Nord di Acireale, o verso occidente, perchè da quelle parti special- mente, Univano le lave. 8 Di un' antica ascia di pietra trovata ad Aci Catena. Osservo ancora, come sotto questa corrente scaturisce alla luce la sorgente di acqua potabile della Reitana, come quelle di Aci Catena scaturiscono sotto le lave ; ora è notevole la tradizione e le favole greche in proposito. Le favole del ciclope Polifemo , che uccidendo Aci, la ninfa Galatea trasmutava quest" ultimo in fiume e la tradizione dice che le reliquie di questo fiume , sarebbero le sparse sorgenti di Reitana, Aci Catena, Acque grandi ec. coperto dalle lave , altri come commento alla favola aggiungono , che nel ciclope deve conoscersi l'Etna , nel sasso lanciato contro Aci le lave, che seppellendolo, le sparse sorgenti rimasero. Certo che la critica odierna rilìuta quanto scriveva Omero, ma però in fondo qualche cosa di vero nelle stesse favole ci sarà sta- ta, alterata in seguito e trasmutata in mito. Ben lontano da discu- tere sulle favole e tanto piìi da tirarne conseguenze, però ho voluto accennare questa coincidenza , per il solo motivo che il fiume Aci o queste voluminose sorgenti furono seppellite in epoca preistorica , ■iiìu per quanto pare, ai tempi in cui si sviluppava la civiltà dei primi abitatori dell'isola, epoca che in seguito i Greci istessi la relegavano fra i miti. In tale epoca la pietra veniva adoperata come arma di offesa ed in svariate applicazioni per usi diversi , epoca che certa- mente fu abbastanza lunga, attesoché gli avanzi si trovano sia so- pra le lave ad una certa profondità nel suolo coltivabile, come il se- polcro cennato di Aci S. Filippo, ovvero sotto quelle antichissime, come gli avanzi sotto Aci Catena, fra i quali 1' ascia in esame. Quest' ascia è lunga cm. 27, nel centro è spessa cm. 7 ; il taglio o penna è di cm. 4 di altezza, la sezione centrale è leggier- mente elfittica mm. 70 con mm. 58 ; finisce a punta fusiforme ; neir assieme si presenta come un fuso che dal centro gradatamente si appiattisce verso la penna, la quale si mostra schegiata ed al- quanto corrosa per l'uso. Pesa K. 1,790. È di lava basaltica com- pattissima; avendo subito il prolungato calore della sovrastante la- va, si è alterata superficialmente, i siUcati ferrosi convertendosi in ferrici, per cui si presenta di bel colore rosso mattone. È quasi tut- ta pulita, un lato più che 1' altro, vi si vedono le strie della sab- Di un' antica ascia di pietra trovata ad Aci Catena. bia prociotte dallo sfregamento, verso il vertice è rustica, quasi cor- rosa, circostanza che ci rivela la tecnica come fu configurata ; da prima fu ridotta alla forma voluta con una pietra più dura a pic- coli e spessi colpi (né più né meno come ora i nostri lavoranti in pietra lavica , riducono a superficie uniforme i pezzi che lavorano con i loro picconi) in seguito fu pulita. (1) Non starò a diffondermi sulla classificazione di detta ascia, mi pare ozioso, attesoché fra le armi litiche che posseggo, in massima parte sono fabbricate con rocce locali, e' è varietà di forme; tutte però appartengono alla stessa epoca, e forse tutte allo stesso po- polo. I classificatori potrebbero sbizzarrirsi ed anco fantasticare, po- tendone ricavare le più strane e svariate asserzioni gratuite. Limito le osservazioni avvicinando quest'ascia e gli altri avanzi fra i quali stava, a quanto si trovava nel cennato sepolcro di Aci S. Fi- lippo, la reputo appartenere allo stesso popolo, alla civiltà della stessa epoca essendo significante nciriiii caso e nell'altro l'assenza di me- tallo, riferendosi probabilmente ai primi periodi della civiltà dei Sicani 0 SicoH e forse ai primordi drl loro arrivo in Sicilia ed alla loro in- vasione nelle nostre spiagge meridionali, da dove a quanto pare si diffusero nell'isola e forse a quel cennato periodo, di cui scrive Dio- doro Siculo, che per frequenti eruzioni o per susseguenti invasioni (1) Nella mia modnsta collezione, si trovano esemplavi dai quali progressivamente si può ri- levare il modo, come venivano conformato dette ascio e mazze, comprese quelle durissimo di quarziti. Alcune volte veniva adoperato un blocco di roccia anche informe, spesso era lava o basai - te; essendo la roccia comune e la più resistente; in questo caso il lavoro di riduzione doveva essere lento e penoso; altre volte, (ed era il caso più comune) selezionavano un ciottolo fluitato di cui usufruivano ritincndolo con la pulitura; così per cs. si vedono taluni ciottoli trasmutati in ascia, ai quali altro lavoro di rifinitura non vi si è fatto che il solo fendente; trattandosi di certe lave specialmente basalti, che si trovavano alquanto decomposti, il lavoro riusciva relativa- mente facile, non così al corto per le quarziti, o altre rocce anche vulcaniche, molto piìi resisten- ti, allora il lavoro di pulitura riusciva lungo e penoso e forse in molti casi non compito duran- te la vita di un solo individuo, ma da un discendente, pratii'a che veniva usata dai selvagsri del bacino delle Amazzoni al Brasilo, i quali cosi potevano lavorare le ascio bellissime, anche di quarzo ialino. 10 Dì un' antica ascia di pietra travata ad Aci Catena . abbandonarono la base dell'Etna in cerca di meno pericolosi luoghi. Potrei forse accennare qualche fatto più sicuro su tale fase preistorica locale, come principio e fondamento della civiltà Sicula sviluppatasi in seguito nella limitrofa provincia di Siracusa, e della quale il Prof. Orsi è stato il più felice e chiaro illustratore , po- tremo in certo qual modo far conoscenza con quelle barbare tribù di trogloditi pastori, che giovandosi degli antri delle nostre lave vi fecero vita, vi esercitavano la ceramica, la pastorizia e l'agricoltura, nutrendosi delle carni dei loro armenti , dei cereali ed erbe dei loro campi, come i numerosi avanzi di stoviglie dipinte o no , di ossa, di pasti, di armi ed oggetti diversi in pietra addimostrano; argomento che spero svolgere in seguito. In conclusione, la presenza di quest' ascia ed altri avanzi sot- to le antichissime lave, evidentemente provano che la interessante balza di Acireale ed Aci S. Antonio, come la costa orientale del- l'Etna, sono molto più recenti di come si crede , essendo avvenuta la loro formazione^ in massima parte alla presenza dell' uomo. Tali avanzi appartengono ai primi abitatori della regione etnea. Co)i ogni probabilità 1' attività dell' Etna in quei tempi, a giu- dicarne dalle correnti ammassate al di sopra di tali avanzi, doveva essere prodigiosa per frequenza e quantità di materiale eruttato , fatto che verrebbe confortato dalla generale attività dei vulcani del- l' Italia centrale a quel!' epoca ed anche della Francia , dove sotto una corrente di lava del Puy-de-Dóme, si sono recentemente tro- vati manufatti silicei ed ossa di animali ed umane. (1) (1) Comp. Rend.. Voi. 118. 1894. pag. 265. GiROD et Gautier. Sur l'àge du squelette humaine découvert dans les formations érup- fives de Gravenoire (Puy-de-Dòme). TI 3 Henioria X. Le interruzioni del cavo telegrafico Milazzo-Lipari e i fenomeni vulcanici sottomarini nel 1888-92 dei Dottori GAETANO e GIOVANNI PLATANIA A chi abbia cognizione elei progressi che ha fatto , in questi ultimi anni, la vulcanologia, nello studio dei vulcani subaerei, è noto del pari come sia restata stazionaria la conoscenza dei vulcani sot- tomarini ; poiché i fenomeni che accadono nel!' immensità del mare, in fondo alle solitudini coperte da sterminate distese di acqua, sfug- gono quasi sempre all' osservazione. Quando 1' eruzione sottomarina dà luogo ad eiezioni di mate- teriali, che riescono ad accumularsi, in mare poco profondo, e sor- gono così dall' acqua nuove isole vulcaniche, si può, non di rado, seguire facilmente 1' andamento dei fenomeni ; tutti ricordano uno dei più classici esempi di tale avvenimento nel Mediterraneo , la («Julia, e il falli) più recenti', del IS'.M , quando presso la medesi- ma isola di Pantelleria venivano temporaneamente alla superficie delle acque, per un fenomeno speciah». i materiali lavici eiettati in fondo al mare (1). Ma dove gli effetti del dinamismo vulcanico non sono così po- tenti da vincere la resistenza delle acque sovraincombenti, tutta la serie dei fenomeni si svolge tacitamente in seno alle acque, senza che alla superficie si riveli in alcuna maniera. E se non sempre si lia r agio di jioter registrare le eruzioni, che si manifestano fuga- ci) Cfr. Platania Jean, Kruption sous-niariiie pri-s l'ile de l'antflUiria, La Nature, '21 Xov. 1891; Ricco Tremblements do terre, soulèvenient et èruption sous-mai-ine à Pantelleria , C. R. 23 Nov. 1891; Baratta, Sulle bombe esplodenti della eruzione sottomarina di Pantelleria. An>ì. Uff. Mefeor. Gend. 1892; Uicoò, Terremoti, sollevamento ed eruzione sottomarina a Pantelleria. ibìd. 1892; ecc. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4. a — Memoria X. l 2 Le intin'uz/oni del cavo telegrafico M/lazzo-Lipari cernente a fior d' acqua, assai più diffìcile ancora riesce il prender nota di quelle che accadono nell'alto fondo del mare. Nondimeno, studiando con particolare cura la grande eruzione dell' isola di Vulcano nel 1888-90, ci è occorso di fare attenzione alle frequenti rotture del cavo sottomarino che congiunge V isola di Lipari con la Sicilia, passando a non grande distanza da Vul- cano stessa. E ci sembrò che tali fatti dovessero collegarsi con fe- nomeni di natura vulcanica che avvenivano nel fondo del mare in quel luogo. Gli studi compiuti in tale occasione e le informazioni prese, i cui risultati furono pubbUcati da uno di noi (1), confermarono questa idea. Anzi è da maravigliare che fatti di simil genere abbiano così poco attirato V attenzione dei dotti , oggi che il fondo del mare è solcalo da una rete, ogni anno piìi fitta , di cavi telegrafici (2) , i quali sono destinati a fornire un numero notevole di dati sulle con- dizioni dei grandi fondi marini. È probabile che parecchie interruzioni , delle quali non si ri- trova la causa , debbano appunto attribuirsi a fenomeni vulcanici sottomarini. È utile, in ogni caso , studiare le modificazioni subile dal fondo del mare e dal cavo nel luogo dell' interruzione. Al per- sonale di bordo, però, nei piroscafi che sono destinali a tali ripa- razioni, dovrebbe aggregarsi una persona competente nelle ricerche geologiche. Che a questi fatti sia stata data poca importanza si rileva leg- gendo, per esempio, la Relazione scientifica (3) , pubblicata nel 1891 dai dotti, che erano stali dal Governo incaricali di studiare 1' eru- zione di Vulcano, alla quale abl)iamo accennato, hifatti, in una re- (1) Giovanni Platanu , I feiioiiiein .sottuiiiiu-iiii Juiante 1' eriuioiic; ili Vulraiio (Eolie) nel 1888-89— 4^/ Acc. di Scienze di Acireale, ii. s. , voi. I, 18S9, pag-. 63-76. (2) Dal liollettiiio piibblic^ato iiell' aprile 1892 dall' Ufficio internazionale delle amministra- zioni telegTafiche in Berna risulta che la intera rete telegrafica sottomarina del globo si compo- ne di 1168 cavi della lunghezza totale di cin'a 260 mila chilometri {L'Elettricista, maggio 1892). Di anno in anno ci'esce il numero delle nuove linee. (3) Le eruzioni dell'isola di Vulcano incominciate il S agosto 1888 e terminate il 22 marzo 1890. Relazione scientitìca della Commissione incaricata degli studi dal R. Governo (Prof. 0. Silvestri, prof. (■!. Meroalli. prof G. Geablovitz. ing. V. Clerici). Roma. 1891 (Estratto da- gli Ami Uff. Cenfr. di Meteor. e Geodi»., serie seconda, parte IV, voi. X. 1888). e i fenomeni vulcanici sottomarini del 1888-92. lazione piuttosto estesa di tutti i fenomeni osservati, non si leggo- no, in quel volume, se non alcune brevi Considerazioni siiì/a rottura (lei raro tra Lipari e Milazzo, scvììie dall' ing. V. Clerici (1) e qual- che altro cenno fugace qua e là (:2). La nota del Clerici poi con- tiene molte inesattezze ; e ciò è tanto più notevole, in quanto che era già stato pubblicato lo studio, più sopra ricordato, dei partico- lari di questi fenomeni , nel quale era anche inserito il testo del rapporto fatto dal Comandante del piroscafo , con cui furono ese- guite le riparazioni ; e 1' ing. Clerici , che scrive appunto di aver letto questo rappoito , non si curò di fare in tempo alla sua nota le debite corrc'zioni ed aggiunte. Essendo di recente avvenuta una nuova interruzione dello stesso cavo, crediamo opportuno riassumere in questa memoria le notizie che abbiamo raccolto e gli studi fatti , fin dai primi indizi di un' azione vulcanica sottomarina in (piel punto. È mestieri anzitutto premettere che la posa di questo cavo Milazzo-Lipari fu compiuta ik'H' aprile del 1881 e che da quel tem- po, per la durate di circa nove anni, non si era verificato alcun guasto nel tratto sottomarino. Il 3 agosto 1888, il cratere di Vulcano, che da parecchio tem- po trovavasi allo stato di solfatara, si mise in eruzione; e i feno- meni eruttivi, che presentavano un carattere speciale, di cui non è questo il luogo di occuparci, durarono, con qualche breve interi'u- zione, per circa tre anni (?>). Il primo guasto nel cavo telegrafico Milazzo-Lipari avvenne la notte del 21-22 novembre 1888. Il 7 dicembre cominciarono le opere di riparazioni, eseguite, come tutte le successive, dall' Amber, che è uno dei piroscafi da cavi {cable ship) dell' Easfern Telegraph Compani/ Limited, la piti forte compagnia di cavi sottomarini. Le (1) Ibifl. , pag. U3 145. (2) Ibid. , pag. 69-70. 107, 112 o 188. (3) Intorno a questa importante eruzione sono stati publjllcati parecchi lavori da Bitler . S. Consiglio, Cortesk, Fulchee, Hobbs, johnston-Lavis, Mercwlli, Gaet. e Giov. Pl.\t.4N'ia, 0. Silvestri, Thomas, ecc. 4 Le interruzioni del cavo telegrafico Milazzo-LijMri notizie che qui riassumiamo, sono tolte dalle relazioni comunica- teci gentilmente dal cav. Astor, allora Ispettore della sezione tele- grafica di Messina, e dal comandante e dall'elettricista OnAV Ainher, R. Greey e W. H. Gottrell. Dalle misure elettriche eseguite a Milazzo risultò che il guasto del cavo trovavasi alla distanza di circa 18 nodi e che l'estremità rotta era stata sigillata dalla guttaperca, in maniera che il condut- tore rimaneva elettricamente isolato. Il grappinaggio si dovette protrarre per ben due giorni, per- chè il cavo era approfondito fra pietre e fango. La rottura era av- venuta, infatti, a nodi 5, 924 (di cavo) da Lipari, a circa 6900 metri, ad E N E, dal cratere di Vulcano , e il capo verso Milazzo si trovò schiacciato, come se vi fossero caduti dei gravi pesi. Le persone tecniche di bordo , impressionate dai due fatti or riferiti, attribuirono il guasto a un dislocamento del fondo marino presso quella località. L' esatta posizione della rottura era : lat. .38" 25' 30" N. long. \W' -2' 15" E. (Grree nvicli) e la profondità di 869 metri; gli scandagli rivelarono, secondo la re- lazione del comandante, la presenza di scorie. Intanto correvano notizie vaghe di alcuni fenomeni osservati , a diverse riprese, da barcaiuoli in mare, nelle vicinanze dell' isola di Vulcano. È difficile poter distinguere in queste notizie ciò che deve attribuirsi alla fantasia , esaltata dalle grandiose manifesta- zioni eruttive del cratere di Vulcano. Una notizia, (1) accolta come più verace , fu quella riferita dai marinai che si trovavano sopra la bilancella Gennarino , proveniente da Milazzo il giorno 29 no- vembre 1888 , prima (2) che fosse ristabilita la comunicazione telegrafica fra Lipari e Milazzo. Pervenuti, verso le 3 p. m. di quel giorno , all' est dell' Isola di Vulcano , verso la sua parte setten- (1) Cfr. G. Meri'alli. L' isola di Vuli-ano e lo Stromboli ilal ISSO al 1S88. (2) Noi) dojxì, rome afferma il Silvestri (pag. 70). e / fenomeni culcanici sottomarini del 1888-92. trionale ad oltre un chilometro di distanza da essa, mentre il mare era in calma, a un tratto videro agitarsi la superficie dell'acqua tutto intorno, gorgogliando, come per una violenta ebollizione, men- tre gran numero di pomici veniva a galla. La bilancella corse peri- colo di naufragare, per la furia del mare, che si agitava in lai mo- do soltanto sopra uno spazio di circa 300 metri. Il fatto fu osser- vato solamente da questi marinai, i quali, giunti a Lipari, narrarono sbigottiti r accaduto. La seconda interruzione del cavo avvenne la mattina del 30 marzo 1889. Dagli esperimenti fatti a Milazzo , il 2 aprile, risultò r esistenza di una roliina del conduttore a circa nodi 18,4. Salpato il cordone , si trovò per contro che in (juesto punto non vi era rottura meccanica, ma che soltanto " la guttaperca era stata eviden- temente soggetta a un calore sufficiente per rammollirla (1) ., , e perciò la corrente elettrica disperdevasi a " terra „. La posizione di questo guasto era : lat. 38" 24' 12" N. long. 15» .3' 18 E. alla profondità di lOOG metri, a pii'i di S chilometri, a E., dal cra- tere di Vulcano. La temperatura del tondo del mare, al momento dello scandaglio, era soltanto 13'\33 C. Eseguita quivi una prima giuntura, si Irovò che piìi oltr(\ a nodi 4,997 da Lipari ( nodi 19, 7()7 da Milazzo), alla distanza di circa 6 chilometri e mezzo dal ci-atere di Vulcano, il cavo era rotto completamente. Un primo scandaglio indicò la profondità di 933 m. in questo punto, che aveva le seguenti coordinate : lat. 30° 25' 0" N. long. 15" 2' 0" E. Il mare grosso obbligò i marinai a protrarre il grappinaggio per 43 ore. Nel pescare il cajio verso Lijìari , si rupjte la gomena del grappino, la quale era formata di fili di acciaio, ricoperli di (1) Cosi iiclUi rela/ioiiL' uffirialf del Coiimiidaiuc. li Le interruzioni del cavo telegrafico Milazzo-Lipari iuta ed era perfettamente nuova e la sua resistenza superava di gran lunga lo sforzo che in quel momento doveva sopportare. Inol- tre una nuova operazione di scandaglio in questo punto indicò che la profondità era diminuita di circa 68 metri. Adoperata allora una gomena di maggiore resistenza '' fu portato alla superfìcie (così la relazione) un grande masso di sostanza vulcanica, del peso di qua- si 56 chg., del volume di circa 27 decimetri cubi e del peso spe- cifìco di quella sostanza nota col nome di selce „. Tutti questi fatti insieme meravigliarono fortemente le persone tecniche di bordo. L' egregio Gav. Alfredo Egglngton , rappresen- tante dell' Eastern TelegrapJi ('o)ìipaiiì/, nel febbraio di quesf anno mi scrisse : " All' epoca delle precedenti riparazioni (aprile 1889), quando ero a bordo , rammento che entro Io spazio di poche ore la pro- fondità del mare diminuì di circa 70 metri e che una voragine in- ghiottì una certa quantità di corda metallica „. La terza interruzione avvenne 1' 11 settembre 1889. La rottura fu trovata asoli nodi 3,427 da Lipari, cioè assai più vicina a questa isola che le due precedenti, e a poco più di 5 ehm. a N. N. E. , dal cratere di Vulcano. " Neir esaminare i capi rotti del cavo, non sorse verun dub- bio che, come nelle precedenti riparazioni di questo cavo stesso , causa della rottura fosse stato uno sconvolgimento del fondo del mare ; poiché le estremità del cavo rotto mostrano segni evidenti di schiacciamento come se gravi pesi le avessero ammaccate „. Cosi la relazione. Una certa quantità di cavo (nodi 1, 163) fu abbandonato, per- chè sepolto fra pietre e fango. Il materiale del fondo presentava il carattere di detriti vulcanici. L' esatta posizione dalla rottura era lat. 38° 26' 30" N. long. 15° 1' 40" E. alla profondità di 741 metri. e i fenomeni vulcanici sottomarini nel 1888-92 Abbiiuno riassunto così i fatti più iinporlanti della relazione pubblicata. Intanto, il '1-1 niaizo IS'JO, 1" eruzione di Vulcano cesr<ò del tutto: da quel tempo il cratere riprese il suo stato di attività snl- fatarica e lino ad og^à si è mantenuto in quiete. Il cavo li'Iegrafico del sclli'iiil)re SU al novembre *.t:2 non sot- feisc altri iJiiasti. Ma il 14 del seiiuente mese di dicembre , dopo le -1 p. m., avvenne una quaita inlernr/ione. Avutane notizia, ci rivolgemmo all'egregio sig. E. Vacca, Ispet- tore della sezione telegratìca di Messina, il quale ci fece sapere, il "ì^^ del mese stesso, che da esperimenti (elettrici sommai'i. da lui latti a Milazzo, era risultato come l'interruzione fosse più vicina a Lipari e che l'anima del conduttore fosse denudata; e gentilmente ci promise che avrebbe raccolte tutte le informazioni al tempo della riparazione. Ci sembrò allora opportuno di richiamare l'attenzione del sig. Vacca sopra le seguenti osservazioni che si sarebbero potute fare, con vantaggio, durante le opere di riparazione : esaminare cioè la lunghezza del tratto di cavo che si sarebbe trovato con 1" anima denudata , e (piale aspetto avrebbero presentalo i fili scoperti e il rivestimenlo : esaminare altresì la natura del fondo nel punto del guasto. La ri[)arazioue , per cause che è inutile riferire , fu eseguita con ritardo, il 13 febbraio di quest'anno, 1893, dall' Jw/^f/-. Dalle notizie comunicateci in proposito dal sig. Vacca risultò che la distanza del guasto da Milazzo (in lunghezza di cavo) era di nodi 31, (i75 e da Lipari nodi 3, 7(54 ; a circa 6 chilometri, a N. K., dal cratere di Vulcano ; la posizione : lat. .'58" -Ih fiO" N. long-. \h" V ,S' E. e la profondità tlel mare, in questo punto, di GU5 m. circa. Per una lunghezza di circa 273 metri dalla rottura 1' armatu- ra del cavo era danneggiata come per attrito. Venne ricuperato Le interruzioni del cavo telegrafico Milazzo-Lipari soltanto il capo verso Lipari; quello verso Milazzo si ruppe nel portarlo a bordo e si perdette. 11 capo ricuperato si trovò l'otto come da un colpo violento e repentino , perchè i 15 fili conduttori erano tutti troncati allo stesso livello , e la guttaperca era corrosa, come per attrito , e il rame trovavasi scoperto, ad intervalli, per circa 50 cm. Sulla gut- taperca non si scopri traccia di riscaldamento. Per nodi 1, 3 dalla rottura originale , verso Milazzo, il cavo, a giudicare dalla pressione sul dinamometro, era sotterrato e cosi si dovettero abbandonare più di dun chilometri di cavo. Il fondo dt'l mare, nel posto della rottura, è formato da detriti vulcanici. Oltre a queste notizie il sig. Vacca volle gentilmente mandar- ci un pezzetto di rivestimento del cavo ( campione n°. 2 ) e due camiiioni di saggi di fondo: uno (n". 1) sul luogo dove era avvenu- ta la rottura e l'altro (n". '3) di là dalla " zona vulcanica „. 11 cav. Alfredo Eggington , rappresentante in Italia V Easterii Tderjrwph Coni'pamj, ebbe la cortesia di confermarci queste notizie. Prima di passare ad alcune considerazioni su queste rotture , diamo un cenno dell' esame fatto sui campioni speditici dal sig. Vacca. Sai/r/io di fondo n°. 1. Preso in vicinanza del punto in cui era avvenuta la rottura. Consta in tutto di sette piccolissimi frammenti di lava , di dimensioni minori di un millimetro. Per quante domande abbiamo fatto, non ci è stato possibile ottenere altri campioni di questo luogo. Le roccie sono tutte di origine vulcanica e presentano una notevole somiglianza con le lave dell'isola di Vulcano. Questo saggio di fondo è troppo scarso per uno studio com- piuto ; pure, l'assenza di organismi, l'aspetto dei frammenti , che sono angolosi e come rotti di fresco, si potrebbero ritenere come argomento in favore di fenomeni di natura vulcanica , o di forti scoscendimenti e dislocazioni nel fondo del mare per manifestazio- e / fenomeni vulcanici sottomarini nel 1888-92 ni endogene , insomma di una violenta convulsione , provata del resto da tante altre circostanze, la quale non può avere altra ori- gine che vulcanica. Su(j(jio di fondo (campione n. 3). Questo saggio di fondo, rac- colto a circa due chilometri dal punto della rottura verso Milazzo, ha r aspetto dei soliti depositi di alto fondo. Contiene uno scarso numero di foraminiferi (1). Al microscopio il resto del deposito ap- pare costituito da detrito pomiceo e da frammenti di cristalli per lo più di feldspato, raramente anche di pirosseno. Tutto questo ma- teriale, siccome trovasi ridotto in polvere molto fina, assume un asj)etto argilloso. Peraltro evidentemente anche questo deposito è co- stituito, in massima paiie , di materiale vulcanico, il quale proha- bilmente deriva dalla enorme quantità di cenere eruttata da Vul- cano neir ultima eruzione. Il campione n. 2 era, come abbiamo dello, un pezzo di rivesti- mento del cavo, die non ci parve presentasse nulla di speciale. Se si dà ora uno sguardo ai falli iIh; abbiamo esposto, si ve- de facilmente che, senza dubbio alcuno, i fenomeni di attività vulca- nica accaddero in diversi tempi dentro una zona piuttosto estesa in fondo al mare, non molto distante dal!" isola di Vulcano. Considerati tutti insieme i fatti esposti , i dati riportati , rico- nosciamo che mancano altre osservazioni, le (juali sarebbero state importanti per lo studio dei fenomeni vulcanici sottomarini : che mancano i saggi di fondo in (luantità sufficiente. L'esame del bloc- co pescato nella 2=^ riparazione avrebbe avuto^ per esempio, un" im- portanza speciale. (l) Il dott. Alfroiio Silvestri , vi lui trovato: Aìnmndisni.s gordialis (?). un fi-aiiimeiito — Uvigerina pygmaea, discretamonto {teqntiììtu-Globigerìna buUoidcs, esemplari scarsi — Globige- rina inflata, esemplari mono rari— Oi-bulina universa, piuttosto frequente in frammenti di grossi esemplari ; dallo spessori; dolio pareti si possono determinare conio esemplari di fondo — Pulvi- nulina micheliniaìia, specie più frequento in questo saggio di fondo — Rofalia Soìdani, eseiuplari vari— Xonicmìna umbiìicata, rara. Atti Aco. , Vol. VII , Serie i.^ — Memoria X. 2 10 Le interruzioni del cavo telegrafico Milazzo-Lipari Tuttavia, chi scorra le relazioni tecniche fatte in occasione di riparazioni ai cavi telegrafici sottomarini, quando il guasto è dovu- to ad altre cause , darà maggiore importanza ai fatti da noi ri- portati. Si confronti, per esempio, la descrizione che fa il Brunel- li (1) dello stato in cui furono trovati i due capi del cavo Assab- Perim, che collocato nel 1887 , si spezzò per la prima volta nel 1892: l'aspetto presentato dai capi rotti, la natura del fondo, tut- te le circostanze , insomma , differiscono da quelle descritte per le riparazioni del cavo Milazzo-Lipari. Un'altra considerazione da farsi è che la durata dei cavi sot- tomarini è notevole, di che basti citare il solo esempio del cavo Beachy Head-Havre, che subì un guasto dopo aver funzionato per ben ventidue anni. (2) Per contro nel cavo Milazzo-Lipari si riscon- trarono quattro guasti nello spazio di cinque anni. Abbiamo detto che la Commissione scientifica non diede mol- ta importanza a tutto cjuesto complesso di fatti. La posizione del- le diverse rotture del cavo non fu esaminata con cura, cosicché la Commissione credette che tutti i fenomeni, compreso quello osser- vato dai marinai della Gennarino , si fossero svolli presso a poco nello stesso punto di mare , (3) laddove basta dare uno sguardo alla carta cjui annessa, per vedere che 1' area in cui accaddero que- sti fenomeni non fu molto ristretta. Nella nota dell' ing. Clerici le distanze in nodi non sono tutte coi'rette, anche dove egli intende rettificarle dopo la lettura della relazione del Comandante. 11 prof. Mercalli, parlando delle manifestazioni vulcaniche se- condarie nelle isole Eolie (art. 2, cap. V. della Relaz. scientif.) non fa cenno se non di "' eruzioni gazose osservate in mare poco lon- tano del porto di levante dell" isola di Vulcano, dalla barca Gen- (1)1. Brunelli. Riparazione del cavo telegrafico sottoiiiuriiui As-iuIi-Perini (L'elcttricista, a I. 11. -t Roma 189-i pag-. 82-8fi. (2) Cfr. parecchi altri esempi in W. H. Preece, Lo developpement de 1' clectricité ; di- scoiirs, etc. (riassunto in Lumière Electriquc, t. XLVII, n". II Paris. 199:i). Co) Relaz. scientif. della Ooinmissioiie ecc. pag. 70 e pag. 143. e i fenomeni vnlcatiici .sottomarini nel 1888-92 11 narino il 29 (non 24) novembre 1888 e dal sig. Galinii il 30 set- tembre 1889 „ (1) senza neppure far menzione di tutto il resto. Il prof. Orazio Silvestri, rapito alla scienza prima che avesse Ijututo compiere la Relazione scientifica, negli appunti lasciati (che furono poi compiuti dal prof. Mercalli) ammise che i fatti esposti fossero stati indizi di fenomeni eruttivi sottomarini ed espresse il desiderio che il R. Vascello Washington fosse per ripeter gli scan- dagli dei fondi marini presso le bocche di Vulcano (2). Prima di por fine a questi appunti ci sembra opportuno di riportare una importante lettera del sig. Pirelli , nella quale si dà conto di un fenomeno avvenuto anch' esso nell' Arcipelago Eolio verso la metà del 1891, cioè più di un anno dopo cessata la gran- de eruzione di Vulcano, e manifestatosi del pari per mezzo di un guasto nel cavo Panaria-Stromboli. L' egregio Sig. Pirelli , gerente della Società Pirelli e C". che ha sede in Milano , al (piale avevamo chiesto informazioni intorno alle interruzioni dei cavi dipendenti dalia detta Società , ci scrive : "... Nei cavi da noi immersi e che abbiamo in manutenzione non ci occorsero finora che pochissime riparazioni ; e tra queste solo nel cavo Panaria-Stromboli il guasto venne originato da un fenomeno di indole vulcanica. Gli altri i)ochissimi guasti , occorsi in altri cavi, si devono ad àncore, ad animali marini, ecc. " Il cavo Panaria-Stromboli si guastò in un' epoca che non potemmo assolutamente precisare, poiché il guasto assai lieve non venne sulle prime avvertito. Solo nella metà del 1891 fu avvertito dagl'impiegati del telegrafo di Panaria. Esso non incaghava meno- mamente il servizio e noi lo riparammo nel 1892. " Durante la riparazione si trovò che il guasto consisteva in due bruciature dell' anima, poste a qualche metro di distanza l'u- na dall' altra e ciascuna della lunghezza di circa 25 metri. Si ve- deva che il cavo era alquanto riscaldato anche dall'aderenza della juta alla guttaperca. (1) Relaz. sdeiitif. d. Commiss. , pag. 188. (2) Relaz. sciontif. d. Commiss. , pag-. 70. 12 Le interruzioni del caro telegrafico Milazzo-Lipari " Il guasto era a 1500 metri circa da Panaria verso Strom- boli (1). Nella parte guasta si era formato un masso incrostato nel cavo, del peso di parecchie diecine di chilogrammi; ma nel salpar- lo si ruppe e cadde in mare. Qualche frammento ne venne però raccolto e mi pregio mandargliene un saggio a parte. „.... 11 saggio spedito gentilmente dal sig. Pirelli, risulta costituito da materiale minuto leggermente cementato insieme da carbonati. Al microscopio si notano numerose concrezioni di aspetto oolitico, che interferiscono a luce polarizzata e presentano la croce nera caratteristica degli aggregati fibrosi. La roccia, abbastanza friabile, trattata con HGl lascia liberi numerosi frammenti di quarzo , di feldspato (sanidino e plagioclasio) e qualche granulo bruno-nero non trasparente , arrotondato. Tutto è spesso arrossato per 1' ab- bondanza di idrossido di ferro. Il fatto di questa interruzione del cavo Panaria-Stromboli se- gnalatoci gentilmente dal Sig. Pirelli, non desterà molta meraviglia, ove si pensi che, secondo il prof. Mercalli (2). le sorgenti termali, lungo la spiaggia orientale di Panaria sono frequenti, ed anche in fondo al mare esistono emanazioni gazose , come quella chiamata il Bollitore, presso l' isolotto Bòttaro. Non è improbabile che il guasto accennato sia stato prodotto da una di queste emanazioni, in fondo al mare, alla distanza indi- cata dal PirelU ; tanto più che per rammollire la guttaperca non è nesessario un notevole aumento di temperatura. Ad un fenomeno analogo deve attribuirsi il rammollimento che subì r involucro del cavo Milazzo-Lipari, a circa 1000 metri di pro- fondità, come fu rilevato nella 2^ riparazione. Ma le rotture del canapo stesso, che congiunge Lipari con la Sicilia , non possono certamente essere state prodotte soltanto da un fenomeno di simil genere ; essendo necessario , per rompere il cavo D i^'^'uo ^''' 13 (1* 2^ e S'» interruzione) uno sforzo di circa 5 tonnellate per nodo. La resistenza alla rottura , del cavo (1) Cioè alla profoiidità di L'.ii'fa li(1 metri. (2) Relaz. scieiitif. , pag-. 192. e i fenomeni vulcanici sottomarini del 1888-92 \?> D ^^° 130 ^^/i3 che si trovò spezzato nell' ultima riparazione , è presso a poco altrettanta. (1) Una semplice emanazione di gas o di acqua a temperatura elevata non avrebbe perciò prodotti gli effetti che si riscontrarono, costantemente, in ognuna delle quattro riparazioni, di cui si è parlato. Secondo il nostro avviso, la mancanza di più minute osserva- zioni dirette a tale scopo , non ci dà l' agio di determinare quale particolare fenomeno si sia ripetuto nei punti di mare da noi esa- minati : rimescolamento di fondi, scoscendimenti, iniezioni o espan- dimenti di magma. Nondimeno conchiudiamo affermando , ancora una volta, che non vi può esser dubbio che in un'area estesa, in fondo al maro, sieno avvenuti fenomeni di natura vulcanica, tali da meritare uno studio accurato; fenomeni che sono stati resi manifesti soltanto dalle interruzioni del cavo telegrafico sottomarino. E siamo lieti di richiamare 1" attenzione sul vasto campo di ricerche geologiche , che ci si può ripromettere dallo studio delle presenti modificazioni subite dal fondo del mare, modificazioni pri- ma quasi del tutto ignorate, ora rese spesso evidenti per la rete . sempre più fitta, di cavi telegrafici sottomarini. Acireale, Dicembre 1893. (1) iSoioiido r iiii,^ Clerici (Relaz. seiont. pa"-. 144) nella '2" interruzione fu trovato rotto il cavo del tipo B '"'/iio '"/ , ehe avrebbe una resistenza di 9 tonnellate alla rottura. Per altro tutte le interruzioni di cui si ò parlato sono avvenute nel tipo D (maro profondo) ; il tipo B, dopo il tipo E '™/no '"/s giunge soltanto fino a nodi 2, 042 dall'ufficio di Lipai-i e fino a nodi 5,099 dal casotto di Milazzo; laddove tutti i guasti descritti sono avvenuti a distanze (in nodi di ca- vo) più grandi. SPIEGAZIONE OELLE TAVOLE I tliagrammi tlelle riparazioni del cavo sono riportati da quel- li eseguiti dal Capitano Roberto Greey, dell'" Amber„ e dagli elet- tricisti di bordo Signori W. H. Gottrell ( t^, 2^ e 3=^ riparazione) e F. Ryan ( 4=» riparaz. ). Abbiamo soltanto ridotto 1 nodo ( = 1855 ni. ) uguale a 0"',05, e soppresso i dati relativi alle misure elettriche. D indica una speciale dimensione (U'I cavo, per mare profondo. D 1"^ un rappresenta il |)eso, in lilil)re inglesi, per nodo, del- la guttaperca ( numeratore ) e del rame (denominatore) nel cavo D. ^^ 13 significa che V armatura consta di 15 fili di acciaio del- la dimensione N. 13 (diametro di millin^etri 2,1-1) della filiera
  • '< :£ ;- ^ /- ^ — •— ' — ^ , -^ -v^ '71 1-H r/; lO T-l -a bo ^ o JrJ 0- rjii;iii( •iini.^fioQ + o o > o S5 l^- o »^ :3 -u- '"' * t:^ .o ■* ci = E J 'J =- •zuiitóaoQ lO C) o = = =^ X ir; . OT ^ -^ - ii'S, S 3 £ co co OS 00 00 »H H •J l-l PI] ft PL, (h a co ' H - iz; o ò o < < CI 05 ■^ CO + io co !ZK] <= = -i! "' OD u- .t: i; "S 5 £ i ce" "|(, -zantóiioo 5. IV. 8il S = = ci X = = ? ^ V _ . ^ T, - lO TI .r .= r - e co —I = 5 "= o Ciìiiifiiiiiy.ioiic "Ainber^SS. Iiivolucni t'uso IV. ,sii •ztmi.gnoo <; -^ ■M o O .- »-* o o co io-S g- S £ S o o o o ce Ol 00 00 iH H « « 3 » H ^ H 0) a CO t-H ^ o w '_ iz; o I— I < Pi < I— I di = X ri •^ ^1 ^ ..— ■ o ■"^ ^ '"" -< 0 <--- c^ ■7- 0 0 — "H "* S *- ~ '^ - :fi t^ •^ 1 1 r^ % '_j 0 '-^ ■7" "cS 3 l— - Sri 00 -5 <:5 ■r s C! (-^ 0 ~ i~ e 0; 0 ■M ^, N N ^ >-H p*; -Il 55 -■ i.' 'jó ^< .•£ a Cdii^iiinz. '' /, r'i)iii:iiin/.. tinaie !2;h CO 05 00 1— ( 0 HH < Cri pq . « M h J2 oo ^J t-< c» O N < < »— t fa, ^-; s?: r 1 IPllL'illll/.. rill.llÉ- a. o P? C o 00 o < ■n c5 ■r: co o Cuiiijiiiiiz /non /* ^< -f -f 1^ — P^ ■>! ^ . 0.1 X ■'. • s.'^I^Vì'^ 0 ^ "^ ~^ ^ z-. TI ~ "32 = = 07:^00- Tav. 5! Z,i Jf^lLt^.- «a taA Xt^-^j' Memoria XI. Prof. G. BASILE Fermentazione niannitica nei vini rossi di Sicilia. È coniunissinia ia Siciliii una speciale l'eniieiitazioae auoniiale del mosto, nota solo per i grandi guasti che annualmente produce e che in certi anni si generalizza al punto che i vini cosi amma- lati costituiscono, quasi la generalità, i Ituoai 1" eccezione. Per non riandare molto indietro negli anni ricorderò i i)iiì ic- cetiti liei (juali la malattia a guisa di vera epidemia ha invaso i villi rossi. (1) Il 1887 fu uno di questi, corse con siccità notevole in Sicilia accompagnata da temp. altissima. Nella stagione estiva il termome- tro esposto al Nord a Catania spesso segnava + 41". Le uve maturarono male, diedero poco mosto con inultissima sostanza dolce. I guasti furono talmente frequenti che il 11. Mini- stero di Agricoltura nel 1888 inviava apposita commissione per stu- diare la malattia e constatarne gli effetti disastrosi (2). 11 181)3 fu in condizioni climatiche press'a poco simili al pre- detto anno, la temp. a 700 metri sopra il livello dal mare, in ter- ritorio del comune di Viagrande, con termometro esposto al Nord air ombra, per parecchi giorni di settembre spesso toccava un mas- simo di -^ 40° : a Catania in Agosto si ebbe una temp. fra 38" e 40" ; ed in media quasi per tutto il mese 39" che nel settembre e (1) Atti dell' AiTadcmia Gioeiiia ili .srieiizu naturali in Catania Serie 4^ Voi. '2» pag. lóS. 0. Basile Sulla presenza della mannite in un vino da taglio. (2) Bollettino di notizie agrarie 1888 N. 68. Sul deterioramento dei vini sieiliani nel 1887. Relatore M. Zeeehini. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria XI. 1 Fermentazione niannitica nei vini ì'oasi di Sicilia. per ben parecchi giorni sali a 40", a cui si aggiunse una perma- nente siccità prolungata per circa 6 mesi. Anche in tale anno si ebbe maturazione anormale. Le uve si presentavano ad acini piccoli, polposi, flosci, pellicole spesse, che impartivano resistenza alla pressione delle dita. Anche in quest' anno come nel 1887 si hanno guasti conside- revoli nei vini rossi, ed è notevole che tali guasti s' incontrano fi- nanco nelle ultime regioni dove si coltiva la vigna suU' Etna, tino a mille e piti metri, fatto eccezionale essendo i vini della regione alpina dell' Etna generalmente immuni di tale malattia , mentre è frequente alla periferia. È pure da notare un altro fatto cioè, che i soli vini rossi si assogettano a tale malattia restano immuni i vini bianchi, almeno non mi è stato dato vederne, però è da notare che i rossi fermen- tano con tutte le vinacce le quali si escludono dai bianchi. Da questi pochi cenni si può stabilire, che le condizioni clima- tiche influendo sulla maturazione dell'uva, preparano mosti poco ar- monici per abbondanza di zuccheri, per cui tale malattia nelle an- nate ordinarie è rara tanto più, per quanto le vigne sono alte sul livello del mare e quanto più sentono Tinfluenza delle piogge; fre- quenti e direi endemiche, nelle pianure, specialmente ai littorali ; nelle contrade montuose i vini si ammalano di tale malattia solo in anni eccezionali per siccità e calore. La malattia si presenta nel modo seguente : Si constata contemporaneamente o dopo la fermentazione tu- multuosa o durante la fermentazione lenta, non si sviluppa mai nel vino completamente fermentato, cessata la fermentazione tunmltuo- sa , sopravenuto il freddo, il vino non chiarisce resta losco o tor- bido affatto, conserva però il suo colore naturale, la sua intensità colorante è normale ; filtrato nuovamente s' intorbida , ma spesso anche resta limpido , la materia colorante non subisce alterazione alcuna. Se si osserva attraverso un tubo da assaggio, si vedrà alquan- to nebuloso, che con lo scuotimento la nubecolosità acquista un Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. iiiovimeiito elicoidale a riflessi sericei, effetti di luce dovuti alle co- lonie dei bacteri. Non è filante è normalmente scorrevole. Il suo odore, ora accenna appena all'acido acetico, in altri casi non si avverte, ma si manifesta, un odore indefinibile sciocco o di frutta a maturazione inoltrata,, spiacevole piìi tosto. Il sapore è spesso pronunziatamente dolce, nauseoso e contem- poraneamente acido o agro, in molti altri casi è pochissimo dolce e poco agro e non acido del sapore caratteristico dell' acido ace- tico, r acidità però sempre oltrepassa quella normalmente avvertita nei vini della contrada, il sapore però è differente, non è il sapore fresco di acido tartarico; generalmente l'acidità anormale, inizialmente acquistata , lentamente ed anche non si accresce , per parecchi e parecchi mesi non aumenta sensibilmente al gusto. Non può confondersi con il vino girato, che si presenta di co- lore sbiadito, precipita la materia colorante con colore bigio ed il vino resta giallastro pallido e di gusto acidulo leggermente amaro con odore di cotto. Dall' assieme dei falli esposti, si rileva come se le fermenta- zioni anormali del vino poco sono studiati, la presente era ignota a tale incertezza, credo sia contriiniito il latlo di non essersi scoperto 0 studiato il prodotto principale di detta Iciiuculazione, per cui al- lora scriveva " che tale studio potrebbe dividersi in due parti la " parte bacteriologica e la parte chimica, per determinare i prodotti " che si ottengono dai mosti fermentati a temperature diverse e " con differenti fermenti, conciliandoli in modo da formare un sol " tutto dipendente l'uno dall'altro ,, (1). Le esperienze del Pasteur hanno dato buoni risultati perchè lo studio bacteriologico è stato accompagnato dallo studio chimico dei prodotti delle fermentazioni; se la mannite come prodotto di fermentazione non fosse stata scoperta, ben poco poteva dirsi su questa speciale fermentazione; il vino in cui nel 1888 la segnalava (1) Atti dell' Aciademia Gioenia di Sdenze naturali iu Catania, Serie 4» Voi. 2" pag. 153. Sulla presenza della mannite in un vino da tag-lio. Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. ne conteneva fino a gr. 8,5 per litro allora non potei proseguire altre ricerche per deficienza di mezzi e per cause indipendeuti della mia volontà. Da cjueir epoca in poi ho sempre però avuta occasione ad in- tervalli constatare la raannite in piccolissime ciuantità anche in vini apparentemente sani e normali e sempre in occasione della deter- minazione del hitartrato potassico con il metodo Berthelot e Fleu- rieu, nelle determinazioni eseguite durante la stagione invernale, ho visto rari cristallini di mannite aciculari aggruppati ed anche iso- lati, che con l'inalzarsi della temperatura durante il giorno si ridi- scioglievano per ricostruirsi durante la notte, fatto, che a volontà ho riprodotto abbassando artificialmente la temp. del mezzo; per cpe- sta ragione mai si formano spontaneamente durante l' estate ed è frequente scorgerli durante l'inverno, specialmente se si lasciano i matracci tappati esposti all'aria durante la notte ; ho notato ancora che con tale processo si scopre meglio la mannite, quando si tro- va in piccole proporzioni nel vino, perchè cristallizza facilmente; se però la mannite è in forti proporzioni, come nel caso di fermenta- zione mannitica, sotto 1' influenza del miscuglio etereo alcoolico, la mannite precipita subito in qualunque stagione in forma glutinosa e mai cristallina da confondersi con le sostanze albuminoidi del vi- no istesso. Neil' anno in corso i vini agro-dolci sono comuni in Sicilia ed avendo constatata la presenza della mannite in parecchi vini rossi di contrade diverse, ho creduto bene continuare lo studio intrapre- so nel 1888. Il primo quesito propostomi si fu ciuello di ottenere la mannite pura in quantità pii^i tosto abbondante. Per separare la mannite dai succhi fermentati, si consiglia di- struggersi prima per fermentazione le sostanze zuccherine, evaporare, poi precipitare con alcole le materie gommose, separare queste e lasciare cristallizzare il liquido alcoolico. Questo processo non poteva adottarlo nel caso presente. Il vino così ammalato contiene spesso forti proporzioni di glucosio Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. indecomposto, che con la temp. invernale difficilmente fermente- rebbe e che in ogni modo non sarebbe stato il mezzo più sbri- gativo per separare la mannite, né il più rassicurante, dubitando se con successiva fermentazione alcoolica anche venisse a formarsi altra mannite. Ho creduto raggiungere lo scopo con separazione diretta , at- tesoché è noto che la mainiite è solubile a caldo nel!' alcole as- soluto, insolubile a freddo , mentre i glucosi e gli acidi tartarico^ acetico, butirico, lattico, propionico ecc. sono solubili ncH'alcDle e vi sono insolubili le sole sostanze albuminoidi ec. 1. Evaporato fino ad ottenere ^-^ 100 e. e. di vino, aggiunsi 200 e. e. di un miscuglio a parti uguali di alcole ed etere tappai il matraccio ed esposi ali" aria esterna al nord , avendo già negli amii passati notato che l;i tciu|). l»assa contribuiva moltissimo alla formazione dei gruppetti di cristalli che al sole a+ 10" si ridiscio- glievano, per ricostituirsi durante la notte, ottenni la precipitazione abbondante, ma ikui una vera cristallizzazione. Questo processo d" allr^nde era poco sodisfacente per separa- zione all' ingrande , e dis|)('iidioso abbastanza. 2. Evaporai a bagnomaria due Htii di vino, ottenni abbondante estratto; dopo 24 ore ridisciolsi in tanta acqua distillata da renderlo filtrabile ; filtrato , rimase ne] filtro buona parte di sostanza ct)lo- rante e bitartralo potassico ili un peso complessivo, seccato a -+■ 100", di gr. 18. Al liquido iìllrato aggiunsi volume; uguale di alcole assoluto, si è ottenuto un secondo precipitato, che al solito seccato a + 100" era gr. 1, 20; concentrato a bagno maria detlo licpiido, all'estratto ag- giunsi alcole ed ottenni un precipitato di gr. 2, 50 composto di cremore ed altri sali: al liquido decantalo, linijìido, colore d'ambra oscuro, aggiunsi altro volume di alcole assoluto e feci bollire; ab- bandonato al riposo, il giorno appresso trovai una bella cristalliz- zazione in gruppi cristallini definibili. Concentrata l'acqua madre, ottenni altra sostanza cristallizzata, che ho riunita alla precedente. Fermentazione mannìtìca nei vini rossi di Sicilia. Ho ridisciolto in alcole a 99° a caldo, filtrato cristallizzò una sostanza bianchissima voluminosa, spesso in modo da intercludere l'alcole ed assumere aspetto gelatinoso, opalescente, leggiera, costi- tuita da una massa di globuletti cristallini di aspetto sericeo di gros- sezza di un pisello ad elementi indefinibili, che dal centro si irra- diano alla periferia. Questo processo è lungo, gli acidi ed i sali vengono trattenuti della sostanza gelatinosa ed imbarazzano non poco nella purifi- cazione. 3. Ho neutralizzato un litro di vino con calce caustica, ed un altro litro con barite caustica, nell' un caso e nell' altro con l'eva- porazione il liquido si fa denso, tanto da rendersi ben presto sci- ropposo, filtra difficilmente, non si può adoperare tale processo per quanto si dirà appresso. 4. Ho neutralizzato un litro di vino con carbonato di calcio puro, ottenuto per precipitazione , lasciando il liquido debolmente acido, dopo 48 ho filtrato, la filtrazione era stentata, sul filtro è rimasto un precipitato bruno violetto, composto di carbonato di calcio, sostanza colorante, tartrati ec. il filtrato è stato evaporato a consistenza sciropposa a bagno maria, ho aggiunto mezzo litro di alcole a 90°, si è formato abbondante precipitato fioccoso, che con il riscaldamento si è ridisciolto ed il liquido restava torbido bruno, ho filtrato, nel matraccio restava una sostanza bruna di aspetto gommoso, che ho lavato con altro alcole; dopo 24 ore ho trovato il liquido filtrato interamente cristaUizzato in massa. Decantato il poco alcole , ho ridisciolto in alcole e così ho praticato parecchie volte fino ad ottenere la mannite assolutamente pura, bianchissima, che non lascia tracce di cenere. L'alcole si può riottenere per distillazione e lascia un piccolo residuo di mannite. Come si rileva, questi processi non sono da seguirsi, come de- terminazione quantitativa, lo scopo, che ho raggiunto, era ottenerne una certa quantità: l'ultimo processo è stato quello con cui ho avuto risultato migliore e rapido. Proprietà fi sicìi e— Bìauca. splendore sericeo, voluminosa, legge- Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. rissima, la massa è costituita da un liltro di cristallini lunghi aci- culari. Sapore dolce poco intenso. Inodora. Non lascia cenere sulla lamina di platino. Insolubile a freddo in alcole assoluto. Solubile a caldo da cui con il raffreddamento precipita completamente anidra; ogni 100 e. e. di alcole assoluto a caldo ne scioglie gr. 1, 0. Solubile a freddo neir alcole a 81°-85°. Insolubile nell' etere e nel solfuro di carbonio a freddo e a caldo. Insolubile in un miscuglio a parli uguali di alcole ed ctcn». Solubilissima nell'acqua distillata a freddo a -h 11"; 10 e. e. di acqua distillata ne sciolgono gr. 3; solubilissima a caldo. All' essiccatore ad acido solforico per 48 ore, dopo alla stufa Gay-Lussac a -i- 100" non peide peso. Riscaldata a -i- 164" resiste, poi fonde rapidamente a -•- ICiO" por cui il punto di fusione è 4- 164°- 166"; la sostanza fusa si conserva limpida fino a-+-190" poi comincia ad intorbidarsi e si fa biuna. a + 200" bolle diventando [)iii bruna e si decompone. (ìranmio 1, fusa a -+• 170", lia pei'duto in peso gr. 0, 01^, perdita dovuta piut- tosto a leggiera decomposizione che a vera perdita di acqua. Dopo la fusione + 166"-:i00" col raffreddamento si rapiiiendc in massa colore calamele cristallina, a centri irradianti alla periferia. È dializzabile. Il vino messo in dializzatore lascia passare be- nissimo la niainiite, sia la carta pergamena, che la membran;i della vescica. Proprietà chimiche — Non riduce il reattivo cupro-potassico, nem- meno dopo la fusione + 166" - 200". Trattala con acido cloridrico diluito o fumante, facendo bollire anche per pii^i di un'ora e sostituendo 1" acido mano mano che eva- pora, neutralizzando poi con soluzione di soda e trattando con il liquido cuiao-potassico anche con prolungata ebullizione, non acca- de riduzione. Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. Se dopo il trattamento con acido cloridrico, si aggiunge alcole atìsolulo, ricristallizza in aghi di aspetto sericeo. Trattata con acido solforico monoidrato a freddo non anneri- sce; se r ebullizione continua, appena volge al colore del miele; con aggiunzione di alcole assoluto in questo secondo caso, precipita una sostanza mucosa simile alla gomma. • Dopo trattamento con acido solforico, neutralizzando ec. non riduce il liquido cupro-potassico. Facendo prolungatamente bollire con anidride acetica, dopo raf- freddamento aggiungendo alcole assoluto ricristallizza la stessa so- stanza, senza avere subita alterazione nelle sue proprietà. In prolungato contatto con soluzione acquosa satura di bromo, l'esiste e si può riottenere cristallizzata con aggiunzione di alcole assoluto. Dai trattamenti con acido cloridrico fumante, con acido aceti- co , soluzione di bromo, non formandosi i relativi eteri bicloridri- na. bibromidrina né il derivato essacetilico cristallino, si rileva la resistenza a questi reagenti adoperati a tal modo (1). Trattata con acido nitrico concentrato sino a secchezza, si svol- gono vapori di acido ipoazotico, segno di ossidazione che la sostan- za subisce, il residuo secco è composto di una sostanza acida bian- chissima, che precipita abbondantemente con acqua di calce, il pre- cipitato non è cristallino, è solubile in acido cloridrico ec. ha tutte le proprietà dell" ossalato di calce, trattata a tal modo in massima parte si converte in acido ossalico. • Con r acido nitrico diluito ^/s evaporando a bagno maria e verso la fine aggiungendo soluzione di cloruro di calcio al 10 "/o ammoniacale s'intorbida con colorazione giallo-ocra che con T eva- porazione aumenta, volgendo al rossastro. (1) Berthelot ottenne conjliinazioni della mamiitf trasfoiinata in mannitana con gli aridi lienzoico, liutirrico. stearico. ai.-etii.'0 er. a tenip. proliuiyato conipresc fra 200» t' '250» per fui ne deduceva che la mannitana ocoipa il posto dell' alcole. Da ciò si rileva la difficoltà per ottenere gli eteri della niannite e che non possono otte- nersi con la sola ebullizione qiiand' anche prolungata. Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. Con soluzione ad 1, 1 Baumè e con soluzione al 50 " o , con ammoniaca concentrata a freddo e a caldo non si altera; con solu- zione di nitrato di argento ammoniacale, non si effettua riduzione di argento metallico. Non precipita con soluzione di acetato di piombo. Con le soluzioni di calce e barite forma composti voluminosis- simi insolubili. Scioglie r ossido di piombo. Con il solfato di rame ammoniacale, produce iunnediatameute precipitato blu, clie aggiungendo ammoniaca e facendo bollire non si altera (1), reazione comune alla mannite dulcite, sorbite ed altri isomeri (2). Sciolta in acido cloridrico od in acido solforico diluito, aggiun- gendo aldeide benzoica, agitando si solidifica interamente perchè si trasforma nel corrispondente acetale mannitico (3). Meunier che scuoprì tale reazione reputa che si deve, alla pro- prietà della mannite di disitratarsi trasformandosi in anidride che direttamente si combina con 1' aldeide i di cui elementi rimpiazzano gli elementi dell' acqua, che la mannite iia perduto ed afferma che la presenza del glucosio, degli zuccheri riduttori ed altre impurità non impediscono la formazione dell'acetal, composto insolubile nel- r aerina e negli alcoli, negli acidi, nell'alcole freddo ec. facile sba- razzarlo con lavacri convenienti dalle impurità ; da altro lato si de- ci) Coni. Kcn. T. loit. IS.Si), piig. 528.- tluisnet. Combinaison de roxydc do i-uivre avec Ics matièies amylari'cs, le.s suires et Ics iiiaiinites. Nouveaux réactits poiir laiialysc immediate ('2) Id. pa;,'. Gif). ViiRent f( Dclailiaiial. Observations .■iiir la coiiummiiation faite de M. Guignet. Id. pag. 645. Giii'jiu't. Sui- 1' arridii du Milfate de luivrc aiiinioniai'al sur la sorbite et sur la mannite. (Questa reazione non può adoperarsi in presenza di ghuosio. galattosio eo. elie precipitano quindi non è pratiialiili' direttamente nel vino. (3) Comp. lìend. T. 106 1888 patr. 1-42.') I. Meunier. Sur la lombinatioii des anidrydes de la mannite avee 1' essenee d' amaiub^s anières. Id. Id. pay. 17:!2. Sur ipielques eomposès de la mannite. Id. Id. T. 107 1888 pag. 346. Sur un ether dibenzoique derive de la mannite. Id. Id. pa clic la fermentazione può dirsi completa, uUorquaiido la massima parte dei glucosi siano spariti al ipuale fatto corrisponde la u<,'-ualo (luantità di alcole formatosi sa alla superficie ebe al fondo del tiiu). Atti dell'Accademia (iioenia di scienze natnrali in Catania 8. 3» Voi. X. 1876 Ricerche di chimica enolotjii'a. (2) Questa differenza può spiejjarsi per essersi precipitato Inuma partii del cremore della parte superficiale del mosto, infatti corrisponde all' acidità iniziale del mosto. (:}) La formula adottata per tali calcoli sarebbe per 100 di glucosio. Alcole 51, 11 Glicerina 3, 16 Acido succinico 0, 67 (4) Si è addottata la fornuila di Oayon e Dubourg riportata pag. 20 però rispetto agli a- i-idi che si producono bisogna fare qualche riserba, nel siMiso che nei vini mannitici pare che oltre l'acido acetico ed il lattico, vi sia il butirico quost' ultimo d' altronde è stato constatato nella fermentazione mannitica del saccarosio e sarebbe un prodotto concomitante- 28 Fermentazione manmtka nei vini rossi di Sicilia. Per cui si può dedurre come la fermentazione mannitica si e- ra già iniziata alla svinatura e fu solamente in seguito, che formal- mente si sviluppava, infatti nel febbraio, analizzato il vino contene- va: (3) Alcole 1 0, 90 Glucosio ^,88 Glicerina 3, 84 Mannite 1, 60 Acidità totale 14, 38 della quale Acidità fissa 10,03 volatile 4, 35 È da notare, come all' epoca dell' analisi in febbraio , il vino era torbido affatto ed in preda ad attivissima fermentazione man- nitica. L' alcole dalla svinatura a quel!' epoca, è aumentato pochissimo 1, 60 in voi., che in peso corrisponderebbe ad 1, 28 ed a glucosio 2, 50 a cui corrisponde 0, 08 di glicerina, e 0, 02 di acido succi- nico, in altri termini dalla svinatura in poi il fermento alcolico de- compose gr. 2, 50 di glucosio, che sottraendola da gr. 7,02 di glu- cosi, che il vino conteneva all' epoca della svinatura, resterebbero gr. 4, 52: di questo glucosio deve sottrarsi quello che ancora esi- steva nel vino cioè gr. % 88 , allora resterebbe 1, 64 che trasfor- mato nei derivati della fermentazione mannitica si avrebbe : Mannite 1, 18 Acido lattico 0, 16 acetico 0, 25 Sostanze diverse 0, 05 1,64 Ora addizionando la mannite trovata con il calcolo ali" epoca della svinatura con quella formatosi e determinata in seguito si a- vrebbe gr. 0, 78 + 1, 18 = 1, 96 la mannite determinata intanto fu (3) Queste analisi sono state eseguite seoonJo le nonne stabilite dai Direttori delle Sta- zioni Agrarie (Stazioni sperimentali Voi. XVI 1889) e secondo la cirrolare ufficiale per 1' ana- lisi dei vini in esportazione per 1' Austria Ungheria. Fermentazione mannìtica nei vini rossi di Sicilia. 29 di gr. 1, 60, differenza 0, 36 la quale attesa la difficoltà di precisa determinazione ec. può ritenersi nulla, quindi è evidente la coinci- denza del peso della mannite calcolata con quella trovata. Che la fermentazione mannitica durante la fermentazione al- coolica tunmltuosa non era sviluppata e si iniziava solo , quando diminuiva lo zucchero, viene confermata da quanto trovarono Ga- yon e Dubourg, cioè che le soluzioni di glucosio, quanto più sono concentrate , altrettanto si oppongono allo sviluppo del fermento manniticó. Rispetto all' acidità è da notare che alla svinatura 1' acidità del mosto, non era sensibilmente aumentata, e siccome è noto che l'au- mento di acidità è parallello alla fermentazione mannitica , anche da questo lato si prova come la fermentazione mannitica alla svi- natura o era solo iniziale, ovvero si sviluppava dopo. Ora se 1' acidità volatile come acido acetico, si calcola secondo la formula di Gayon e Dubourg rispetto alla mannite formatasi, si avrebbe : Acido acetico calcolato 3, 35 trovato 3, 48 La differenza è inapprezzabile e conferma la regolare fermen- tazione mannitica accaduta in dotto vino, come nelle colture pure però se simile calcolo si tradurrei)bo anche per gli altri vini man- nitici, non reggerebbe, in fatti : Vino N. II. acidità volat Vino N. 111. - — Vino N. IV. — — Ma per questi vini è da osservare, che la fermentazione man- nitica e stata concomitante di altre fermentazioni normali, non è pura come nel caso in esame, quindi non possono aversi risultati simili. Da questi dati, mi pare potersi ammettere di massima, ammis- trovata 5, 25 calcolata 2, 22 trovata 3, 84 calcolata 0, 23 trovata 2,09 calcolata 1, 33 30 Fermentazione mannitka nei vini rossi di Sicilia. riibile la formula di Gayon e Dubourg, rispetto alla fermentazione mannitica del glucoso, e che nei vini mannitici accadono trasforma- zioni simili; detta fermentazione si inizia durante il periodo della fer- mentazione tumultuosa, quando la temperatura raggiunge il massimo, progredisce in seguito, quando il glucosio è diminuito ed il mosto meno zuccherino si vede atto allo sviluppo della stessa. Onde conoscere il modo progressivo come la fermentazione mannitica si sviluppava nel detto vino, ho creduto praticare l'ana- lisi completa dello stesso, circa ogni 15 giorni come dall' annesso prospetto si rileva. 7 Gen- naio 1894 17 Feb- braio 10.00 17.22 7,64 6.02 9,68 27,72 16;47 3,77 1,35 3,47 92,80 4,18 2 Marzo 17 Marzo 2 Aprile 17 Aprile o' 10.90 14,38 4,35 3.48 10.03 28,84 16 30 10,00 16,40 6,72 6,37 9,68 27,42 16,50 2,17 1,02 3,48 90,14 3,94 10,00 16,56 6,89 6,51 9,67 26,32 16,82 2,27 0,81 3,89 90,64 3,63 10,00 16,40 6,72 5,37 9,68 26,40 17,50 2,16 0,85 3,80 91,.53 3,60 10,00 Acidità totale come Id. volatile Id. id. Id. fissa t;hi(;osio .... acido tartarico . . . "/oo id. id id. acetico id. tartarico 16,40 6,80 5,44 9,60 26,35 Cremore 2 83 2,15 Tniijiiiio ... 18-^ 0 91 tiliceriiia Kstratto .... 2.99 94 92 3,72 90,62 3,52 Cenere 4,24 Dall' annesso quadro si rilevano alcuni fatti importanti, cioè che r alcole arrivato al massimo di 10, 90 in seguito è diminuito, ma re- sta fermo a 10, 0, mentre gli acidi volatili sono in aumento , per cui pare che questi si siano formati specialmente a spese di una piccola quantità di alcole. Il Cremore è costante come nei vini normali, perciò deve as- solutamente escludersi, che questo sale venga attaccato dal fermen- to mannitico ; la glicerina in poca quantità , malgrado in leggiero aumento, quando 1' alcole si mostrò in decrescenza, da quell'epoca rimase stazionaria. L' estratto quasi non ha subito oscillazione significante. Il tannino è in diminuizione, perchè la materia colorante precipita. L' acidità totale e la volatile, dalla data che segna il massimo si può dire permanente, le oscillazioni si devono piuttosto al cre- more, che precipita e diminuisce 1" acidità. Fermentazione mannitica nei vini rossi di Sicilia. 31 Però dalla svinatura che segnava gr. 9, 18 in circa tre mesi au- mentò di gr. 5, 20; in fatti il 7 gennaio segnava gr. 14, 38, men- tre nei quattro mesi successivi aumentava solo di gr. 2, 02. La for- mazione degli acidi è parallela alla scomparsa dello zucchero e formazione di mannite. Il glucoso abbondante, ma in lenta e progressiva diminuzione, inversamente lentamente aumenta la mannite, circostanza che non lascia più dubbio come questa provenga da quello. È da notare però come il glucosio che alla svinatura era gr. 7, 02 "lo in circa 3 mesi diminuì di gr. 4, 14, in fatti il 7 gen- naio il vino segnava solo gr. 2, 88, mentre nei quattro mesi suc- cessivi (gennaio a tutto aprile) (■ diminuito solo di gr. 0, 2."). Cir- costanza che proverebbe, come la fermentazione da principio si svolse con una certa rapidità rallentando in seguito, speciahuente per r aumento degli acidi. La relazione che passa fra acidità, scomparsa di ghuosio e formazione di mannite , confermano pienamente, che duranti' la fermentazione alcooUra, la inannitf si iniziava solamente e che si svolse in tutte le sue fasi . dalla svinatura ai primi di gennaio e che da (iiu'ir epoca in poi Ioniamente ha progredito, latto du' si spiega bene per quanto hanno trovato Gayon e Dubourg, cioè ciie gli acidi ostacolano il progresso della fermentazione e che la (i/ain- tità di zucchero sparito è esattamente in ragione inrersa deli' aciiliti) privi itiva (le! mezzo di cidtura (1). Ora per conoscere se la fermentazione sarebbe continuata con la neuti-alizzazione degli acidi, neutralizzai gradualmente litri 2 di vino con carbonato di calce i)uro, ottenuto per precipitazione, do- po circa 40 giorni analizzando si è trovato : Alcole 9, 4 Acidità totale 0, 0 Glucosio 26, 59 Mannite 2, 53 (2) Tannino 0, 66 Glicerina 3, 21 (1) I siidetti Autori poro sporimontaroiio i;on 1' acido tartarico. (2) La maimiti; diminuisce porche t'orma con la i-alc-o un composto speciale. 32 Fermentazione mannitica nei vini rossi di /Sicilia. Si rileva che malgrado la neutralizzazione, pure la fermenta- zione si è completamente arrestata, il glucosio non è per nulla di- minuito ; questo fenomeno si deve forse alla neutralizzazione del mezzo, ovvero all' azione dell' anidride carbonica totale al fermen- to ? è da provarsi: in quest'ultimo caso, praticamente avrebbe uno speciale interesse per la vinificazione, sarebbe la conferma, che detta fermentazione non può svolgersi in tutta la sua estensione durante la fermentazione alcoolica, ma bensì quando questa ral- lenta o si arresta, per un qualunque disturbo subito, l'anidride car- bonica sai-ebbe 1' ostacolo principale dello sviluppo della stessa, mi pare anzi che 1' esperienza di Gayon e Dubourg. confermano que- sto modo di vedere, in un liquido di cultura contenente glucosio IIB, 62 ed acidità 2, 73 avendo seminato fermento mannitico e S. Pastorianus, il glucosio è scomparso ed hanno ottenuto Alcole 6, 4, mannite 5, 12; in altri termini il fermento alcoolico consociato al man- nitico vi possono vivere, ma a mio modo di vedere probabile che lo sviluppo del fermento mannitico sia contrariato potentemente dallo sviluppo dell' anidride carbonica prodotta dal fermento alcoolico. Dall' assieme delle ricerche, mi pare doversi ammettere, che i mezzi fortemente acidi, come i mezzi neutri , ostacolano lo svi- luppo della fermentazione mannitica, e che probabilmente 1' anidri- de carbonica, sia anche di ostacolo a detta fermentazione. Mi è ignoto su quali esperienze e ricerche, alcuni chimici vo- gliono, che la fermentazione mannitica dei vini , provenga da zuc- cheri infermentescibili o inattaccabili dai saccaromiceti. Si è ricor- so a tale ipotesi forse solo per quanto era noto dalle esperienze di Bracconot che datano dal 1813, ed in seguito da Guibourt, Hirsch, Pelligot ec. che 1' hanno ottenuta dalla fermentazione del saccaroso,, ma in tale fermentazione si produce anche viscose ed il fermento è tuff altro, non ha niente da fare con la fermentazione mannitica dei vini, è vero che nel 1869 Linderbaun scopriva l'inosite nel vino e poi Hilger nel mosto e che Maumené parla di zuccheri infermen- tescibili cennando anche la saccarina (1) , ma la loro quantità in (l) Travails des vins, 1890 Voi. 1. pag. 63. Fermentazione mannitka nei vini rossi di tiicilia. 33 Ogni modo ('■ pochissima e il modo di separazione lascia alquanto da desiderare. È vero pure, che oltre i sopradetti zuccheri, i vini sempre contengono piccole quantità di zucchero , che sfugge al fermento alcoolico , ma ciò non implica che questo zucchero ri- duttore non sia fermentescibile, solo perchè sfuggito all'azione del fermento, mentre dal fatto poi si rileva che i glucosi possono be- nissimo trasmutarsi in mauuitt- per effetto di idrogenazione ; infatti è noto come i glucosi possono considerarsi come le aldeidi degli alcoli esatomici. Linneman, Scheibler, Dafert, B^ischer, Hirschberger ec. mercè idrogenazione del glucosio con amalgama di sodio hanno ottenuto mannite e Bouchardat oltre la mannite constatava forma- zione di alcole etilico, isopropilico, exlico ed acido lattico, Meunier ha ottenuta la sorbite (1) ed è anche noto come la mannite alla sua volta per quanto pari' sotto 1" influenza dell'ossigeno dell'aria, si può trasformare in glucosio per perdita d" idrogeno e formazione d" acciua , ( '^ 11^^ (>,,+ 0- < \i lhJK.+ tlj> '■ il glucosio clu! si trova nella manna invecchiata ripete (juesta ori;jine {-1). la soi'bite alla sua volta è stata anche trasformata in glucosio per ossidazione (3). Le analisi periodiche del vino anmialato addimostrano che la diminuizione del glucoso corrisponde all' aumento della mannite e r esperienza conferma il facile passaggio del glucosio in mannite. Mi pare invece doversi fissare 1' attenzione sul noto fatto, co- mune a molli teruieuti, trovato da Loiseau (4) pei- il rafìnosio, che fermenta completamente con il lievito di birra basso, incompleta- mente con il lievito alto , confermato da Berlhelol (5) e da Ga- (1) Coni. lioii. '['. HI ISilO |iai;'. 4!). Trast'ciniiatinii ilii i,'lucose in sorliite. {'2) Coni. Rcn. T. XXXIV. 1852, pag'. 114. Llicniiito Trast'oniiutìon ile la nianiiitu un .suore fi] notevoli? l'omo questo rhiiiiico pi-odisse la fonnazione della mannite ilal irliieosiu " .Si sous "' une intlui^nie oxiilante, la mannite pu passnr à 1' etat do sucio, il n'cst paj; douteux qu'elli! no " puisse SI! iiroduire par l'action d'une causo di'ssoxviiiMiante sur le sucre lui inéme ; qui» c'est " aiiisi par exemple, qu'elle premi iiaissaiice dans le jus de beterave abbandoni- a la termen- " tation visquense. „ l'j da dubitare però che il solo o.ssi<;eno dell' aria sia quello che trasforma la mannite in irlucoso e mm sia un fenomeno fermentativo da assimilarsi a quanto .sperimentava Rertlieliit (An- nales de Cliimie et de Physique. S. .3. T. I. pajj. 87()). (3) (Jom. Ren. T. Ili pag. 51. Vincent et Deladianal. .Sur. 1' Idrogenation de la sorbito et sur r oxidation de la sorbite. (4) Com. Ren. T. 109. pa,ir. 014. (5) Id. LI. pag. 540. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.'> — Memoria XI. 5 34 Fermentazione mannìtica nei vini rossi di Sicilia. yon e Dubourg (I) e che quest'ultimi confermano per il fermento mannitico, per cui trovavano che sostituendo il levuloso al miscu- glio di levuloso e destroso si può ottenere una completa fermenta- zione mannitica (2) ; forse è questa una delle favorevoli condizio- ni per lo sviluppo più o meno rapido più o meno completo, più o meno efficace allo sviluppo ed energia della fermentazione manni- tica nei vini-mosti. in conclusione mi pare adunque potere ammettere, che la pro- venienza della mannite si deve ai soli zuccheri riduttori. Quando la prima volta segnalava la presenza della mannite , per analogia 1' avvicinava alla fermentazione viscosa nella quale è noto, che si ottiene mannite e la sostanza che Bechamp nominò oiscose : ora però ho rilevato, che tutti i vini mannitici sono nor- malmente scorrevoli e mai filanti o viscosi, infatti la densità degli stessi di poco sorpassa quella dei vini normali a + 15'' il vino mannitico in esame ha la densità =:= 1,020 mentre quella del vino sano di controllo della medesima contrada è = 0,998 differenza in più del vino mannitico 0,022, che tenuto conto della abbondan- za di glucoso ed acidi ed in meno di alcole, può reputarsi nulla 0 insignificante ; dializzando detto vino mannitico nulla si è sepa- rato che somigli alla viscose , che Maumenè separava con tal mezzo dal mosto (3); concentrando un litro di vino, separati i sali ed eliminata la mannite, il residuo trattat(j con forti dosi di tan- nino, con alcole assoluto, con una soluzione concentrata di tanni- no neir alcole assoluto, non si è separata abbondante viscose , e questo residuo trattato con acido nitrico diluito ha lasciato sola- mente piccole quantità di acido mucico ; da tali ricerche risulta r assenza in quantità anormaU di viscose. In tale caso non è adottabile la equazione del Pasteur, che dareb- be mannite, gomma, anidride carbonica ed acqua, l'ultima parte di quella di Monoyer sarebbe più adottabile i3 (C^.^H^JJ^J + ^.^HJ)^ ■ì^CJliiOJ-h ,2 CO.^ (4); però per quanto ho osservato, non si verifica (1) Coni. Remi. T. 110 Sur la feniieiitation ulcooliquo du sucre intervprtì. (2) Sur les vins luannités. Auiuiles de 1' Istitut Pasteur. N. 2. 1894. paj;. 11)9. (3) Travail des vins Voi I. 189(t. pag. 2.")0. (4) Sehutzciiberger. Le fenucnta/ioiii. 1879. pap-. 187. Fermentazione mannifica nei tini rossi di Sicilia. 35 affatto svolgimento di CO-j , evvero che fin dai primi tempi da clie osservo detta fermentazione 1" ho vista in grado molto avanzato, ma reahnente non si osserva nemmeno il più leggero svolgimento gassoso. Gayon e Duhourg con le culture artificiali infatti hanno constatato che non si verifica sviluppo di anidride carbonica, così essendo le condizioni, mi pare che l'equazione accettabile forse do- vrebbe essere C^HJJ^+- II,0=C^H,/J,-+0 (1), ossigeno utilizzabile dal fermento mannitico, assimilando il fenomeno a quello respiratorio accertato per il fermento alcoolico, il quale può usufruire non solo dell'ossigeno libero, ma anche di quello combinato come si trova neir emoglobina del sangue, ossigeno necessario allo sviluppi! di ogni cellula ed alla sua moltipli(;azione. Che tale interpetrazione sia probabile, lo dimostrerebbe il latto seguente : Il fermento mannitico in st-no al vino, vive in uno stalo ani'ro- bio avendo però messo cpialtro litri di vino in mi matraccio da sei litri e coperto con un lapj)o di bambagia, dolio quindici iiionii il vino prima torbido divenne limpido, alla superfìcie si formò una pellicola liscia semitrasparente spesso bianca a rifìessi sei'icei da non confonderla con il M. rini o il M. aceti ; dopo quaranta gior- ni al microscopio si presentava t'ormata tutta di fermento manni- tico puro, analizzalo il liquido conteneva : Alcole 7, 3 Acidità totale come acido tartarico 44, 61 Id. volatile id. id. 40, 34 Id. id. c(jme acido acetico 'òi, '11 hi. fissa conu' acido tartarico . 4, 27 Estratto 89, 24 C.icmore 2, Ki lilucosio 2(), 41 Tannino 1, 13 Glicerina 3, 87 fi) Non piitiù staliilirsi uiwi vora ciiiuizioiie .se non vi si l'iinno anrlio l'oncon-crc gli aci- di iiincoMiitanti. Li' i'(|iiazioni ('■ V(^ro l'IiR si prestano alla interpctra/.ione. niu però restii .sempre si presenta quello vivente in seno al vino allo stato anerobio, le cellule sono più sottili, cilin- driche, allungate ad estremità leggermente arrotondate isolate, ma più di frequente attaccate fra loro per le estremità in catena due tre ec. spesso anche lunghe , per mezzo di glia o sostanza gelatinosa, è minutissimo con un microscopio Koriska si presenta km. ij. 2 '/, a 4 lar. !^ 1 a '\ (Tavola annessa Fig. l^).È dotato di rapidissimo movimento browniano, il violetto di metile, di genziana, di Hanstein lo colorano facilmente in violetto, come si vede le condi- zioni diverse fanno conapletamente mutare V aspetto al fermento e candiiano i prodotti della fermentazione, ed è notevole che il fer- mento anerobio coltivato in gelatina assume perfettamente i carat- teri di cpiello aerobio già descritto per il primo con il carattere di immobilità ec. che si identificano con la descrizione di Gayon e Du- bourg, perché allo stato aerobio solamente, a quanto pare, lo hanno osservato. (1) È notevole ancora che la detta fermentazione mannitica è pura o quasi difficilmente scorgendosi altri fermenti, motivo per cui ho preferito lo studio di questo vino ad altri (2). (1) Colgo (jiiest' occasione per ringra/.iiire il Prof. Baceariiii . ehe eorteseiuente eon la sua eoinpetenza mi ha prestato valevole appoggio nelle osservazioni baeteriologiche. La seconda parte di questo lavoro, c:ho riguardava la cultura di questo fermento e l'anali- si dei prodotti di fermentazione, sarà redatta in collaborazione eon il Prof. Baccarini. (2) Bordas, nel 1888 descriveva una malattia nei vini dell' Algeria (Cora. Ren. T. 106, 1888, pag. 85. Sur une maladie nouvelle du vin ini Algerie). La crede provocata da un fermento spe- ciale, iu forma di bastoncelli immollili finissimi, corti, simili, ma più corti di quelli della birra- girata, aeetifica il vino da renderlo l)en presto imbevibile. L' A. dice elle il vino appena svinato, era poco limpido con il riposo lasciava un deposito, ma si mantiene losco non ha voluto chiarire con nessun mezzo , ha sapore di frutti alquanto Fernìentazione mannifica nei l'ini rossi di tSicilia. 37 Un" ultima osservazione, perche inai tale fermentazione si svi- luppa di preferenza nelle annate in cui la temp. estiva è troppo al- ta ? ; questa circostanza la faceva rilevare fin dal 1888, in seguito da lutti è notata e da tutti reputata , come causa principale dello sviluppo della malattia, dovuto (dio stato di eccessiva concentrazione del mosto, ma oramai dalle analisi e culture si rileva chiaro, che il glucosio non si trova in eccesso rispetto alla quantità media dei mosti delle contrade calde, non solo ma che il glucosio in eccesso non può essere favoievole allo sviluppo di detta fermentazione, quindi è da escludersi tale ipotesi ; tutti ahhiamo detto che la temp. alta di termentaziouH è una causa principale . ma forse le temp. di fermentazione nei paesi caldi nelle annate ordinarie si effettua con minore innalzamento nella massa fermentante ì io ho trovato sempre che spesso oltrapassa i 40" e le condizioni dell" ambiente e del mosto nel caso presente possiamo reputarle normali o quasi : temp. esterna + :23" del mosto +- l'Ct" , a creder mio però mi pare, che poca attenzione si è fatta alla circostanza , che la temp. alta della stagione , ([uando le fermi'nia/.ioiu mannitiche sono predomi- nanti è stata accompagnata da siccilà prolungata: (1) ora sino a quid [)uul() (iu(\-;ta vi contribuisce '! Le rugiade, le piogge leggiere contribuiscono ad accrescere ed aglomerare i saccaromiceti all' e- sterno dei grapi)oli a scapito dei hacteri '. e questi si accrescono a scapito dei saccaromiceti quando ad una temp. alta si accoppia la prolungata siccità ? non può asserirsi, ma è probabile; non può negarsi però , che almeno per (juanto ho osservato in Sicilia , /a aridulo ijiiittosto ag-gnuk'volf. La maroriii roloniiitc lum ('■ attai-cata ruiiservaiido il suo "raild co- loi'iiiictrico, r acidità cresce rapidamoiite, il crciuoro diniiiuii.scc'. Dà un analisi inconijìlcta del vino annnaìato, limitata all'alcole, all' acidità totale ed al cre- more, non ha corcata la maiiiiite. che nunimeiio sospettava. Nella cultura 1' A. dice avere otte- nuto uiu) sviluppo maj,'niore iwlU^ soluzioni dovo era piii bitartrato. A creder mio reputo che tale fermento sia il uiainiitico, studiato allo stato aercjliio. sia per la desc'rizionc della malattia, che per lineila del bacterio. e la mannite si .sarebbe trovata in (piel vino; l'annata in cui tali vini erano connini in Aberia è il ISS7. quel medesimo anno ii] cui trovai la mannite n(^i vini rossi della Sicilia. (1) In Sicilia ho constatato questa coincidenza; liiso^na però vedere se similmente è acca- duto nelle altre reoinni ilove si sono iittenuti vini maunitici. 38 Fenneììfazioììe mannttìca nei vini rossi di »Siciiia. sr/ìiipjxi Jelìii fermentazione mnnnitica coincide alla tenip. aita estiva e alla siccità proìinujata, e non resta dubbio che la fermentazione mannitica si sviluppa quando si arresta l'alcoolica e trova glucosio nel vino-mosto, quindi se la fermentazione alcoolica arriva a con- sumare il glucosio, la fermentazione mannitica non può aver luogo. È chiaro da tale conclusione , che miglior modo di prevenire tale fermentazione si è ottenere completa fermentazione alcoolica, al- lora la fermentazione mannitica sarà impossibile, la otterrà solo chi la vuole; similmente a malattia incipiente si potrebbe arrestare pa- storizzando prima e poi riattivando la fermentazione alcoolica. hi conclusione i risultati pratici sarebbero: 1. La fermentazione niannilica scoperta ultimamente nei vini di Algeri , Spagna , Francia , è simile a quella scoperta nel 1887 noi vini della Sicilia. 2. I vini rossi sono di preferenza ai bianchi, attaccali da tale fermentazione. 3. Si produce di preferenza nelle annate calde od asciutte. 4. Si effettua di preferenza alla svinatura quando il glucosio è ridotto molto dalla fermentazione alcoolica. 5. È prodotta da un fermento bacterio attivissimo con movi- mento browniano se anerobio. inerte se aerobio. G. Si può facilmente prevenire avendo la precauzione di svi- nare quando il fermento alcoolico ha consumato quasi tutto il glu- cosio. 7. Si può arrestare con la pastorizzazione e la riattivazione della fermentazione alcoolica. Laboraturiu di Cliimira della R. Siuola enulouira di Catania. ^feiiioriìi Xff. FORCIPE - LEYA Comunicazione del Dottore GIUS. CHIARLEONI PROFESSORE DIRETTORE DELL' ISTITUTO OSTETRICO-GINECOLOGICO SELLA R. UNIVERSITÀ DI CATANIA. Il forcipe-leva che vi presento , e che dietro mie indicazioni venne costruito nell'ottobre I.S'Jl dal Gennari di Milano , s' imper- nia sul principio di;lla leva inlerpotente (3° genere) ; è pertanto uno strumento fortiter capiens sed non traens. È costrutto sul modello del forcipe ordinario con la sola ma essenziale differenza che le sue cucchiaie s' ergono sui manici ad angolo retto. Lo strumento si iiih-oduce, si situa e si ar- ticola come un lonipc qualunque ; e posto in sede , dojx) avere constatato che fece buona pre- sa, con la mano sinistra s' impugnano e si fis- sano i manici alla loro estremità e con la destra Forcipe-leva iu pronazione , afferrate le l)ranche subito al davanti della rima vulvare, su di esse si esercita una pressione forte e sostenuta di- retta in basso. Per effetto di questa pressione la testa s' impegna e discende a pieno entro lo scavo, mantenendosi cioè sinclitiea ai piani che successivamente attraversa. Il campo d' azione del mio forcipe-leva cessa a testa abbassata Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria XII. Forcipe-leva presso 0 sui piani perineali e trova ragione al suo impiego in tulle quelle indicazioni all' uso del forcipe a testa arrestata allo stretto superiore o nell* alto dello scavo che la pelvi sia o non viziata; e panni possa con molto vantaggio venire usato come complemento della sinfìsiotomia. Le imperfezioni riconosciute dei forcipi a doppia curvatura e traenti nell' asse, mi sembrano eliminate con il mio strumento, me- diante il quale 1" abbassamento s' ottiene secondo centro di figura distribuendo equabilmente le pressioni per tutto il circuito pelvico. In tal modo per una parte si evita 1' eccesso di pressione che vien sempre riversato sufi' arco pelvico anteriore traendo con il forcipe a doppia curvatura , e per altra parte la somma di forza necessaria per vincere 1' ostacolo nei casi p. e. di vizio di 1° gra- do della pelvi deve essere apprezzabilmente inferiore a quella ri- chiesta servendosi del forcipe ordinario. Usando il forcipe traente nell' asse la foj-za impiegata è inevi- tabilmente hnda, incosciente, mentre usando del mio forcipe-leva la forza è vìva, inlellifjente. Quando per avventura il mio strumento sia stato male appH- cato , non potrà lasciare la presa che in senso verticale , ma non mai in addietro o in avanti. Ora, la sfuggita nel primo senso è la meno pericolosa perchè la più facile a riconoscersi in tempo onde evitare inconvenienti e danni alle parti molli. Al mio strumento manca una seria sanzione clinica ma speri- mentalmente ha corrisposto bene, confortando tutte (juante le enun- ciale proposizioni (1). (1) Il nuiiiL-o di sanzioni' rliiiica è uddebitaliile a idii; nel mio Istituto solo per eccezione si incontrano vizi pelvici. Nel 1» quadriennio dacché lo diriifgo, e per i 30 mesi elio l' Istituto fun- zionò, su 2S'2 gravide appena 3 presentarono pelvi viziate di 1° grado. Di queste tre, una si sgravò spontaneamente , la seconda venne liberata col for.'ipe su testa presso i piani perineali per indicazione relativa, e la terza venne liberata con la versione e conseguente estrazione manuale perchè la parte presentata fu la spalla. Quantunque vi annetta poco o ne.ssun valore, pure voglio ricordare come io abbia con ottimo successo applicato il mio for.'ipc-lova sulla testa del 2" feto nonimestre in un caso di parto gemino, an 'ora rattenuta nel cavo uterino e mollile. Memoria XIII. Contributo alla Tecnica della sezione del cuore in sito pel Dottor ANGELO PETRONE Professore ordinario di Anatomia patologica a Catania CouiL' (' risiiiputo. la sezione del cuoi'c e uiui prulica delle più importanti e difficili, essendo da una parte 1' organo centrale della vita organica, per cui spesso le alterazioni inducono una serie di disturbi circolatori generali che finalmente terminano colla morte ; dall' altra di una disposizione cosi complicata e perfetta di parti con cavità e contenuto speciale, per cui è totalmente insufficiente il metodo generale di sezione degli organi interni, la maggior parte dei quali avendo una struttura e disposizione eguale in tutta la loro massa, meno verso l'ilo, non abbisognano che di uno o pochi tagli totali, tatti con le dovute normC; e che cominciano dalla par- te opposta all' ilo ed arrivano verso Io stesso senza scontinuarlo per poter poi licomporre l'oi'gauo. Pel cuore invece, al jìari di alcuni altri organi, come il cer- vello, ecc. abbisogna un metodo speciale di sezione che deve es- sere applicato rigorosamente, come compete alla disposizione me- ravigliosa delle parti dell' organo ; diversamente lo studio riesci- rebbe difficile, incompleto e talora addirittura impossibile^ sfuggen- do alterazioni speciali, o il loro nesso all' osservatore. Il cuore essendo un organo cavo, valgono per la sezione e studio dello stesso quelle norme , che noi diamo per 1" apertura delle cavità in generale; cioè, 1' apertura deve essere fatta in mo- do che seguendo le norme generali \nA settore patologo , quindi far i)resto, sezioni nette, estese e profonde per mettere in una so- la prospettiva il numero maggiore di parti da osservare per farne il confronto, ecc. , si adopera un' altra serie di precetti per adem- Atti Acc. , VoL. VII, Serie 4.» — Memoria XIII. 1 2 Contributo alla Tecnica della sezione del cuore in aito. piere ancora allo scopo per cui si apre la cavità, cioè studiare il contenuto e lo stato delle pareti. E perciò, che nella sezione or- dinaria del cuore si aprono i ventricoli secondo una linea che pro- lungata apre anche le grandi arterie che se ne dipartono, ed i se- ni sezionando lungo le vene cave o le vene pulmonali che vi con- fluiscono: oltre tante altre norme per rispettare gli osti atrio-ventri - colari, ed il setto dei ventricoli ed i muscoli papillari e le valvole degli osti venosi ecc. In possesso già di una tecnica così complicata e perfetta del- la sezione ordinaria del cuore, si avevano sovente giudizi non esat- ti sullo stato del cuore, specialmente su due fatti importantissimi, cioè, sulla quantità del contenuto in sangue delle singole cavità del cuore, e sullo stato degli osti venosi o atrio-ventricolari. Ed il fare uno studio esatto se imponeva moltissimo e frequentemente per lo stato degli osti venosi del cuore, fondandosi su ciò il maggior nu- mero delle malattie cardiache ; non di minore importanza risultava il rapporto del riempimento in sangue delle diverse cavità del cuo- re stesso , hasandosi su ciò principalmente il giudizio di due spe- cie di morti, che tanto interessano, specialmente dal lato medico legale, cioè la morte violenta per asfissia (riempimento a preferen- za delle cavità destre) e per paralisi di cuore (a preferenza delle sinistre) : e si sà^ che principalmente in questi casi il sangue coa- gula poco (asfissia) e quindi più facilmente si svuota il cuore. La difficoltà del giudizio, o l'inesatto apprezzamento di questi fatti dipendeva da ciò, che nelle autopsie ordinarie, appunto perchè si fa più presto e più facilmente, prima si asporta il cuore e dopo si seziona. E con 1' asportazione del cuore si devono tagliare tutti i grandi vasi che entrano ed escono dallo stesso, oltre che si to- ghe la positura naturale ed i legami fisiologici del cuore stesso. Con ciò da una parte, si svuota più o meno il seno ed anche il ventricolo destro pel taglio delle cave, massime dell' ascendente; il seno ed anche in parte il ventricolo sinistro per la recisione delle vene polmonaU , per cui non si può valutare con precisione il contenuto in sangue delle singole cavità; dall' altra essendo tolti i Contributo alla Tecnica della nezione del cuore in sito. 3 legami naturali, gli osti venosi non lianno più la loro posizione, i loro rapporti mediati, e quindi le dita esploratrici non possono più valutare con precisione la loro am()iezza, e i)erciù lo slargauieiito. restringimento ecc. Ad ovviare questi inconvenienti Virchow — Cliaritc' Annalen 1874— consigliò la sezione del cuore in sito, apicndo le singole cavità , senza aver interessato alcun grande vase del cuore, ed esaminan- do lo stato degli osti atrio-ventricolari dal seno, attraverso l'aper- tura fatta; ed ognuno oggi conosce e segue, meno alcune variande di valore seconolario la giudiziosa tecnica del grandi; maeslm, al- meno nei casi in cui scrupolosamente è richiesta 1" esattezza del giudizio sullo stato degli osti atrio-veiitricolari e sulla rispettiva quantità in sangue delle singole cavità. E veramente il metodo soddisfa in un modo peifelto e po- trebbe essere adottato in ogni autopsia, se non riuscisse un i)o" diffìcile nella sua applicazione, principaluiente a cnhìi'o che non hanno una grande pratica, come succede ogni giorno per gli studenti: per cui essi preferiscono di fare la sezione del cuore dopo averlo esti-atto: e così si fa spesso dalla maggioranza nelle autopsie medico-legali, anche quando si dovrebbe seguire la modifica introdotta da Virchow. Le (lillicdltà dipendono da vai'f fatti, ed in \'> luogo . dal trovarsi il settore di lato e ((uindi in croce con 1" organo e di ron- seguenza coi tagli e manovre che deve fare, per cui 1" operazione è molto difficoltata: i" vi è ([nella tale distanza fatta dal tavolo anatomico e dalle parti del cadavere |)er arrivare al cuore, che o- stacolano la faciltà e |)restezza del metodo : 3° anche il rialto del- le pareti toraciche che risulta dall'apertura fatta d(>l torace, osta- cola molto e fa facilmente sporcare il settore nel manovrale sul cuore, che già si trova non solo nel mezzo degli organi h)racici , ma ad un livello notevolmente più basso della cassa toracica , a- perta col metodo ordinario, vuol dire, asportando lo sterno e la serie delle cartilagini sterno-costali verso la loro inserzione costale. Oltre poi delle difficoltà che tanto spesso insorgono ai differenti settori per essere il tavolo anatomico troppo alto, o troppo basso: Contributo alla Tecnica della sezione del cuore in sito. e chi ha provato ciò, ha dovuto confermare le difficoltà da vince- re per fare tutta la sezione cadaverica e principalmente la sezione del cuoi-e in sito. Ora io ho creduto, clie a tutti questi inconvenienti si possa riparare con un mezzo, mediante il quale mentre si ricava grande facilità e prestezza nel!" operazione, non si guasta affatto, come mi ha dimostrato 1' esperienza, il risultato che si ottiene con la sezio- no del cuore in sito. E ciò 1' ho insegnato da tre anni nelle mie lezioni di tecnica delle autopsie; ed ora che mi sono convinto sem- pre più del huon risultato lo comunico ai miei Colleghi per rende- re pubblica questa modifica al metodo di Virchow. Si tratta di togliere il cuore da entro la cavità toracica, vuol dire dal suo sito naturale, ma impedire che si svuoti di sangue , e che nello stesso tempo conservi i suoi rapporti naturali con gli organi vicini. Ciò si ottiene asportando in massa tutti gli organi contenuti nel torace con gli organi profondi del collo , premettenda solo la Ipf/atura del tratto intrapericardiaco della cara ascendotfe , quanto più è possibile rasente il seno destro e poi tagliando la stessa cava rasente il diaframma. Il cuore conserva così i suoi rap- porti naturali, immutati: e basta adagiare tutti questi organi estratti in massa su di un piano orizzontale per avere la stessa giacitura che ha il cuore nel cadavere a decubito ordinario, supino. Lo svuota- mento delle cavità cardiache è impedito, perchè i vasi principali, da cui si sarebbe dovuto avverare, sono illesi (vene pulmonali e vena cava discendente) o chiusi precedentemente (vena cava inferiore.) La sezione di tutti gli altri vasi che si fa per esportare in massa gli organi endotoracici e del collo, non influisce sul conte- nuto del sangue del cuore, perchè s' intende da ognuno come le arterie e le vene che si sezionano al collo, nella parte più alta del trigono cervicale, sono tanto distanti dal cuore ed in tale positura per cui non vi è pericolo dello svuotamento, anche minimo del cuore, come è facile convincersi in pratica. Fatta 1' estrazione in massa di queste parti, ciò che facciamo tante volte nelle sezioni ordinarie per maggior facilità e per fare Oonfrihuto alla Tecnica della sezioìie del cuore in sito. 5 più presto, coir aver .soitanfo Ifijato previamente la cava ascendente, e tagliato al di là della legatura noi disponiamo degli organi toracici e del collo, e quindi principahnente del cuore, così come quando si fa la sezione in sito: ma in modo da poterli adattare ove me- glio ci piace, in un piano più alto o più basso; il settore può met- tersi molto da vicino senza altre parti iter il mezzo, anzi proprio dirimpetto al cuore, e farvi la sezione in sito con le norme date da Virchow, le quali allora si applicano con grande facilità ed in breve tempo. Si domina cosi tutto il campo dell' operazione e si ha sotto i nostri occhi la linea di sezione che è la chiave delle altre, cioè il margine destro del ventricolo destro, che nel cadave- re poggia sul diaframma, li cuore non si torce affatto, ne si è ob- bligati a stirarlo molto nei suoi legauu'; e si può con più esattez- za apprezzare il contenuto in sangue delle singole cavità, e lo sta- to degli osti atrio- ventricolari. Si potrebbe obbiettare, che a ({uesto modo il cuore deve sof- frire qualche spostamenlu, sia perchè non è più fermato verso il diaframma pel taglio della cava ascendente, sia perchè difficilmen- te potrassi imitare in modo esatto il poggiare naturale nel cadave- re: ma ognuno potrà convincersi nel fatto, che spostamenti e va- riande non avvengono, o sono cosi minime, che non pregiudicano affatto la modifica in parola. Credo quindi poter coucliiudere, che asportando in massa gli organi contenuti nel torace e (lueili del collo, previa la legatura del- la cava inferiore, la sezione del cuore ottiene lo stesso risultato , che facendosi entro il cadavere stesso, ma si fa con tanta faciltà, per cui non si evita neanco dai settori meno esperti, quindi si potrebbe consigliare a mettersi seuq)re in pratica, specialmente nel- le quistioni forensi: e poi si opera con maggiore precisione e si guadagna tempo: cose tutte utilissime pel settore patologo. Memoria XIV, Prof. G. CHIARLEONI (Catania) L-GRAYIDANZA TUBARICA DIAGNOSI - ESITI E CURA Le attuali cuiiosceiize circa la gravidanza tubarica sono assai jjiii estese clie un decennio addietro non fossero , precipuamente jier merito del Lawsou Tait che ha data la più poderosa spinta al- lo studio (li tale argomento. Eppure tanto ancora rimane a farsi, vuoi dal clinico, vuoi dall" anatomo patologo, che pei- mio avviso, anche il più modesto contributo non deve essere considerato come superfluo; donde la ragione che mi s])inse a inti-attenervi di nove casi caduti sotto la mia diretta osservazione, fra cui 7 lu'l volgere appena di un anno. 11 temp(j non conccuJendomi di farvi dettagliata storia delle osservazioni cliniche, mi limito ad un sonuuario cenno. Le nove pazienti avevano avute precedenti gestazioni , e fra r ultima e la gravidanza tubarica intercorse sempre un lasso di tempo non inferiore ai tre anni. Le donne per età stavano fra i 25 e i 37 anni. In 3 donne la tuba gravida l'ra la destra e in 6 la sinistra. La diagnosi venne fatta prima della rottura della tulta in 3 donne, e in fi più o men tempo dopo la rottura e conseguente raccolta sanguigna, perchè più o men tempo dopo 1" accidente le donne fecero ricorso alla clinica, o al mio consiglio. La rottura avvenne in una donna verso la 7" settimana , in due alla 8=', in due alla 9% in tre fra la IP' e la 12% e in una alla 1(5* ciica. Il versamento di sangue fu in 4 donne estraperitoneale e in Atti Acc. , Vol. VII, Sekie i.^ — Memoria XIV. 1 /. — Gravidanza tubarica 5 intraperitoneale ; si riassorbì più o meno completamente in due casi; in uno si eliminò per il retto; in 6 si dovette in secondo (('uo- po ricorrere ad un atto opei-ativo; che due volte si compendiò nella apertura del fornice posteriore della vagina e 4 volte nella laparo- tomia. Tutte le operate guarirono, ma le laparotomizzate più rapida- mente delle altre due. L' accurato studio di quanto ha attinenza alla gravidanza tu- barica e le riflessioni cui dettero luogo i fatti da me osservati, mi conducono a formulare le proposizioni seguenti. DIAGNOSI 1. È difficile, ma non impossibile a gravidanza in corso. È sempre possibile, poi , mediante 1' esame microscopico del modulo della mucosa uterina, cacciato prima, durante o poco dopo 1" abor- to o rottura della tromba. 2. Nel primo caso la diagnosi poggia sul fatto della soppres- sione dei menstrui, di varia durata, e del conseguente gemizio di sangue di indeterminato corso; sul quasi costante apparire, per in- tervalli; di accessi dolorosi agonizzanti endopelvici della durata di poche ore ; sull" aumento di volume dell' utero e lieve imbibizione del collo per cui si fa più molle, accompagnato, o non, da un tal qual grado di dilatazione del muso di tinca; sullo spostamento laterale del corpo dell' utero e dolorabilità alla pressione ; sulla presenza di un tumore sito al bordo superiore di uno dei legamenti lati dell' u- tero, a gran diametro per lo più transverso, squisitamente sensibile. L'anamnestico, quando metta in rilievo una coabitazione di più anni sterile , o un intervallo di parecchi anni da precedenti gesta- zioni e^ a fortiori, se si può stabilire un'anteriore infezione blenor- ragica, contribuirà, in una certa misura, a dar corpo al dubbio di gravidanza ectopica. 3. Nel caso della cacciata del modulo della mucosa uterina contemporaneamente , o non , alla costatazione di un emotocele extra od endoperitoneale, o veramente accompagnato da segni con- Gravidanza tubarica clamati di emorragia iiitenia , la diagnosi può ritenersi per certa tuttavolta che sia preceduto un ritardo menstruale purchessia e uno o più accessi di dolori endopelvici. L' esame microscopico della mucosa raccolta veri'à, col suo re- perto, a conferire maggior peso ni diagnostico stesso. Possiamo invero, dieti'o Io studio di numerosi esemplari di moduli mucosi dell' utero, in casi conclamati di gestazione tubarica, di decidua normale e di membrane dismenorroiche, affermare che è sempre possibile differeuxiare la decidua di gravidanza extra o in- trauterina dalle ultime ; e. ali" uop(j, amiamo riferire le seguenti conclusioni fruito di lungo e perseverante esame microscopico fatto dal nostro Assistente D.re P. Marchesi dietro nostro invilo. 1. Decidua uterina nella Gravidanza extra - uterina. a) Microscopicamente distinguesi in due strati ; uno compatto supertìciale , formato esclusivamente da cellule deciduali di varia forma e grandezza , iiifraniezzate da molti nuclei piccoh , disposti irregolarmente, attraversalo da scarsi condotti glandolari ; ed uno inferiore glandolare e lacunare, formato da glandole enormemente aumentate di volume, separate le une dalle altre da trabecole sot- tili, formati' da tessuto deciduale con cellule a forma irregolare. h) L" epitelio delle glandole_, meno in rarissimi; eccezioni, è del tulio scomparso. In sua vece si vedono ([iià e là delle cellule deciduali in pic- colo numero, rotonde, in massima schiacciate nei punti di icciproco contatto , che mentiscono dei residui di epitelio. Le glandole con- tengono abbondanti detriti. e) I vasi capillari mostransi molto accresciuti per numero e per volume e, senza una speciale disposizione, essi arrivano fin sotto la superficie libera della mucosa senza aprirvisi. Or qua, or là vari capillari confluendo, formano delle ampie lacune sanguigne; qualcuno perde la sua parete in mezzo a stravasi sanguigni gran- di, superficiali, in mezzo ai ({uali trovansi le cellule deciduali dis- sociate. Essi, non di rado, si aprono nelle glandule per usura delle loro rispettive pareti. Gravidanza tuharica d) In genere, la decidua per gravidanza extrauterina è u- guale alla mucosa dell" utero nei primissimi tempi della gravidanza, ma con differenze : a) Nello strato superficiale che mostrasi meno compatto e più imbibito di liquido nella gravidanza normale. b) Nelle cellule deciduali stesse che in quest" ultima appari- scono in minor numero e minor volume. e) Negli stravasi sanguigni, perche, pur essendo diffusi, nella mucosa di un utero gravido la copia di sangue è minore. d) Nei vasi capillari meno numerosi, meno dilatati e meno pieni di sangue. e) Nel minoiT contenuto di detriti nelle glandole. 2. Mucosa dismenorroica a) Qiiantuncpie meno distintamente che negli altri disturbi della mucosa uterina , anche in questi casi si possono distinguere i due strati di cui, il superiore è più spesso attraversato da con- dotti glandolari piuttosto larghi e contenenti alle volte un po' di sangue. h) Le glandole, per quanto aumentate di volume, conserva- no perfettamente il loro epiteUo. e) Lo strato compatto e le trabecole interglandolari sono formati dallo stroma con cellule connettivali dissociate da imbibi- zione sierosa , specialmente nello strato superiore ; vi si trova- no anche delle cellule grandi, rotonde, con nucleo poco colorato , che mentiscono delle cellule deciduaU , ma in scarsissimo nu- mero. d) Gli stravasi sanguigni diffusi, senza speciale disposizione si notano nello strato superiore. e) I capillari sono piuttosto scarsi. ESITI La gravidanza tubarica è fatalmente destinata a terminarsi en- tro i cjuattro primi mesi dalla fecondazione. /. — Gravidanza tubar ica Non volendo soffermarci a discutere la possibilità che Tovo ven- iva a morire dopo poche settimane, dissolvendosi in sede e dando ap- pena luogo ad un'ematosalpinge, esito che noi non potremmo rifiutare sol perchè ci manca in proposito ogni qualsiasi esperienza; gli esiti dalla univei-salità ammessi sono: 1' aborto e la rottura tubarici. Quest" ultima, di regola, si fa iiitraperitoneale e , solo i^er ec- cezione, exti'aperitoneale. In quesf ultimo supposto 1" ovo può . o non, cessare di vivere. Se viene a morire si avrà sciiipliccmenle un emaloma inlra- .legamentoso od cxlnipciiliiiicalc: incidrc se continua u vivere . si avrà una gestazione secondari;i e.\tra|ieri!oneaie die potrà giungere anche al o sorpassare // termine fisiologico. Non è però esclusa la possil)ilità di mia rotluia secondaria dell' involucro peritoneale e conseguente emorragia nei cavo del |)eritoneo. La emorragia extraperitoiieale e sempre, pii'i o meno . circo- scritta nei coMliiii del legamento iato; la intrap(;i-iloneale. invece, può essere circoscritta da precedenti pseudomembrane, o di nuova rapidissima torma/ione per peiilonile icalliva: può. per converso, essere libei'a nel cavo ix'lvico-addominale. Il sangue espanso jìuò veiiiiv pii'i o meno rapidamente assor- bito e rovo incistarsi o, pur ess(j. subire tale disgregazione moUe- colare da venire assorl)ito: ovvero esso può perdurare, senza trop])e altei'azioni. per molte settimane o mesi: come può, infine, alterarsi trasmutandosi in pus ch(> si l'aia, poi. sti-ada allo esterno per tra- miti fistolosi in vagina, nel retto od altrove. CURA A gravidair/.a in corso nessuna cura risponde meglio della la- parotomia con ablazione della tuba gestante. Dopo la sua interruzione, la laparotomia , in primissimo leiiì- po, la cnnliamo doverosa per arrestare alla sua sorgente la emor- ragia, che nessun elemento permette al ginecologo di prevedere che sarà per circoscriversi prima di mettere in serio pericolo la vita disila paziente. /. — Gravidanza tubar ka Pili tardi, quando, cioè, la emorragia è cessata ed appare cir- coscritta, che sia intra od extra-peritoneale. 1' attesa è scientifica- mente e praticamente imposta. Subordinato alle ulteriori vicende che subirà il sangue stra- vasato e l'ovo, è e dev'essere l'intervento chirurgico o non lasciato al criterio del ginecologo. L' apertura del fornice vaginale, o la laparotomia in secondo t■ Stracciati. Misuic del calor solare fatte in Italia del 183.5 in poi; Nuo- vo cimento 3» S. voi. XXIX Pisa 1891, infine della nicMnoria, dove si riferiscono lo misure fat- te a Pian grande (montagna presso Firenze). Sulla traamìssibìUtà delle radiazioni solari Si vede dunque la grande diminuzione di raggi trasmessi nel- r atmosfera contenente pulviscolo. Nella tavola seguente sono riportate alcune determinazioni ot- tenute nella sera dello stesso giorno : TAVOLA II. Catania, Villa Ziiccajv, Leggero vento di Est: Tensione del vapore acqueo 13,'" 4. 3 o a Q e. 9 10 28" 20' 30" 40' 0, 00760 0, 00900 2, 064 1, 927 Il disco del sole appare rossa- stro : può fissarsi direttamente, senza rimanere abbagliati. Nella tavola seguente sono scritte le determinazioni fatte la mattina del 23 Lusiio. TAVOLA III. Catania. Villa Zucconi: qìiasi calma di vento; Tensione del vapore acqueo 10,'" 6: cielo senza niihi; TI sole manda una luce meno intensa del solito: il disco appariste chiaro : Lo stato igrometrico variò da 0, 43 a 0, 52. p a Q E 'ii 11 14" 30' 0, 00t)02 3, 681 12 16° 40' 0, 00671 3, 275 13 19" 0' 0, 00758 2, 926 14 26" 0' 0, 00857 2, 225 Confrontiamo i valori di Q registrati nelle tre tavole preceden- ti, con quelli ottenuti in un" altra giornata perfettamente serena, e con r atmosfera priva di cenere vulcanica: perchè il confronto pos- attraverso /' atmosfera carica di cenere vulcanica, ecc. 5 sa rigorosamente stabilirsi, occorre scegliere osservazioni fatte con la stessa altezza eli sole, con la stessa tensione del vapore acqueo nt'ir atmosfera, e con la terra ugualmente distante dal sole (1). Perciò, sceglieremo la mattina del 3 Agosto 1892, in cui il cielo fu perfettamente sereno , e 1' atmosfera era priva di cenere vulcanica, e la tensione del vapore acqueo molta prossima a quel- la che fu nella giornata a cui si rifiM'iscono le tavole I a III. TAVOLA IV. f'ATAN'iA. Villa Zuccaro, S Agosto 1S93 . cielo perfe.tianipnfr sereno; nmi cade cenere : fensinne del vapore acqueo duraiìte le misure 11""" a Q £ logC 8° W 0, 0095:5 5, 376 8,490 11" 10' 0, 0108 4, 523 8, 493 i:> 20' 1!')° 40' 0, 0118 0, oi;ìi 3, 942 3, 451 8. 495 8, 494 log C = logQ+ 0, 700 log e 18" 20 0. 01 4G 3, 018 8, 500 2.-?" 50' 0, 016,s 2, 401 8, 492 270 10' 0, 01. S2 2, 141 8, 493 ;{0" 50' 0, 019(J 1,918 8, 490 Come si vede dalla ultima coli'ima di (piesta tavola, i vainri di Q soddisfano abliastair/.a Itene alla furniola già altra volta pro- posta ila me e dal Prof. Stracciati, (,-i) Q £" = C con « = 0,700 e 6' = 0,03147 Col mezzo di questa formola ho calcolato i valori di Q' cor- rispondenti ai valori di Q trovati nelle giornate di caligine, per ce- nere vulcanica, del 25 e del 23 Luglio 1892. (1) Si; fosso iiltrimuiiti, occorrcrcblje miiltiplli^tii-c i valori di Q pel quadi-ato dot raggio vot- tore, ondi! renderli l'onfroutabili. (2) Bautoli e Stracciati ; Formola relativa all' assorbimento delle radiazioni solari, attra- verso r atmosfera : Atti dell' Accademia liioenia, Catania lS'J-2: Nuovo Cimento Pisa 1892; BuUettino mensuale di .Moiiralieri. serie 2» "Voi. XIII, P- 4. Sulla trasmissibilità delle radiazioni solari Nella tavola seguente sono messi in confronto i valori corri- spondenti di () e di Q' e si è pur calcolato il rapporto Q : Q' GIORNO Mattina del 20 In- silo 1892 . . . id. id. id. id. id. id. id. Sei-a del 25 luglio 1892 id. Mattina del 2.T lu- slio 1892 . . . id. id. .4 12" 0' 14" 20' 16" 40' 19" 0 21" 10' 2r5« W 28" 20' 30" 40' 28° 20' .30" 40' 14" .30' 16" 40' 19" 0(3' 26 ■ 00' Q 0, 00345 0,00594 0, 00719 0, 0)849 0, 00938 a 01091 0, 01336 0,01409 0, 00760 0, 00900 0. 00502 0, 00671 0, 00758 0, 00857 Q' 0, 0114 0, 0126 0, 0137 0, 0148 0, 0158 0. 0179 0, 0190 0, 0199 0, 0190 0, 0199 0, 0126 0, 0137 0, 0148 0, 0180 9l Q' 0, 30 0,47 0,52 0, 57 0,59 0,61 0, 70 0, 70 0, 40 0, 45 0, 40 0,49 0,51 0, 47 % Q' =8,498- 0,700 Zo^ 5 Si vede di qui chiaramente come sia forte la perdita di radia- zioni solari, per parte della cenere vulcanica sospesa nelFaiia, quan- tunque r atmosfera fosse perfettamente sgombra di nubi e tacesse il vento, e il disco solare apparisse poco meno brillante del solito. (1) Gabineftd di Fisica de.ir Università di Pavia 18'M. (1) Non ho riferito le misure ottenute, quando nubi di cenere vulcanica trasportata dal vento, velavano o cuoprivano intieramente il sole : tali resultanienti non offrirebbero alcuno interesse. Memoria XTI. Modo singolare di formazione dell' epietilina ed alcune nozioni intorno all'etere acetolico; di A. PERATONER. L'etere acetolico, CHs.CO.CH^.O.CìH,^, fu preparato per la pri- ma volta da Henry (1) col metodo di Kutschoroff (2) idratando cioè r etere propargiletilico CU : ('.Cff,.O.CjI. per mezzo di bromuro mercurico ed acqua. Causa la difficoltà di avere quantità conside- revoli di etere etilpropargilico partendo dalla tribromoidrina (3), per se stessa già un lìrodotto costoso , sembrava che al metodo se- guito da Heni'y vantaggiosamente venisse a sostituirsi quello re- cente e più economico di Erlenlìucli (4), secondo il cjuale facendo agire il sodio .sul!" etere cloroacetico e riducendo si perviene ad un etere ossietilacetacetico, CH^.CO.CH {0C\H,).\C0,.CJ1„ facilmen- te decomponibile dall' acido cloridrico con scissione chetonica. Occorrendomi una certa (juantità di etere acetolico, seguii mi- nutamente le prescrizioni di Erlenbacli, senza però avere un risul- tato soddisfacente ; e ciò per la ragione che il prodotto clorurato (ricavato da Na ed etere cloracetico) elimina durante la distillazio- ne nel vuoto assai facilmente HCI che agisce sul pi-odotto stesso. Non bastano le pompe aspiranti ordinarie di laboratorio, del resto ottime (5), ad asportare rapidamente l'acido, ad impedire la decom- posizione e dare un buon rendimento del composto clorurato, col quale devonsi eseguire le ulteriori operazioni. Rivolgendomi quindi (1) Coniptos remlus 95, 42-2 (lam). (2) Berichtc 14, 1540 (IRSI): 17. 13 (1884). (3) Liebermann, Kretschmcr. Aiiimloii 158, 23(1. (4) Amialcn 269, 22. (5) Alcuno distillazioni furono osoguito nell' Istitnto cliimifo di Roma. Atti Aco. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria XYI. Modo singolare di formazione dell' epietiUna al metodo di Kutscheroff ebbi occasione di fare alcune osservazioni che mi sembrano meritare un certo interesse. L' etere propargiletilico impiegato era stato depurato preceden- temente mediante il suo sale di argento. Da mezzo chilogramma di tribromoidrina si avevano in media gr. 38 di etere puro, cioè 25 "/o della teoria. Per 1" idratazione usavo dapprima come Henry il bromuro mer- curico ; dovetti però con mia sorpresa constatare che non si for- mava affatto etere acetolico, e che anzi in alcuni casi in cui ado- peravo molto bromuro di mercurio , avveniva una decomposizione assai profonda del prodotto, mentre secondo Kutscheroff la trasfor- mazione dei composti acetilenici in chetonici è facile e quasi quan- titativa. Così ad esempio aggiungendo a gr. 10 di etere etilpropar- gilico, sospeso in gr. 30 di acqua, gr. 50 di bromuro mercurico il liquido entrò subito in tumultuosa ebollizione, ed il prodotto della reazione non era altro che alcool etihco, caratterizzato per tutte le sue proprietà, misto a resine da cui nulla potei più ricavare. Diminuendo la quantità di bromuro mercurico ebbi altri risul- tati. Gr. 10 di etere etilpropargilico , gr. 50 di acqua e gr. 25 di HgBr^ vennero riscaldati su bagno maria a ricadere. Il bromuro andava mano mano raggrumandosi fornendo un oho giallastro pe- sante che per prolungata ebollizione si decompose lasciando depo- sitare di nuovo bromuro mercurico in istato molto suddiviso. Dopo avere distillato in bagno ad olio ed aggiunto carbonato potassico al distillato acquoso, potei separare un olio che aveva il punto di ebol- lizione (127-130°) e la composizione dell'etere acetolico. I. Gr. 0,2413 di sostanza fornirono gr. 0, 519.S di anidride carbonica , e gr. 0, 2146 di acqua. IL Gr. 0, 1822 diedero gr. 0,3924 di anidride carbonica e gr. 0, 1618 di acqua. Cioè in 100 parti : Trovato Calcolato per'Cs S'io Oj I II Carbonio 58, 69 58, 74 58, 82 Idrogeno 9, 89 9, 87 9, 80 ed alcune nozioni intorno all' etere acetolico Questa sostanza però non godeva di nessuna delle proprietà salienti dell' etere acetolico ed in ispecie non riduceva né il liquo- re di Fehling, né i sali di argento. Non potevasi neppure conside- rare come composto non saturo, perché non reagiva col bromo. II suo punto di ebollizione basso rendeva poco probabile che si trat- tasse di un polimero dell' etere acetolico ; cionondimeno ne deter- minai il peso molecolare col metodo di Raoult in soluzione ad acido acetico. Concentrazione Ahi), terni. Coefficiente Po.'?, niol. 1, 4120 00,56 0,397 98 3, 7418 10,36 0,363 107 Mentre per la formola CJIifi^ si calcola Peso molecolare = 102. Non rimaneva dunque alcun dubbio che il prodotto bollente a 127- 130" fosse un isomero dell'etere acetolico. Restai per molto tempo incerto sulla sua natura, finché questa venne chiarita dalla reazione con acido cloridrico. Avendo osservato che il composto si scioglieva in questo acido, non molto concentrato, con forte sviluppo di calore, clorurandosi, ripetei 1' esperienza con una discreta quantità, indi saturai il liqui- do acido con carbonato potassico, estrassi più volte con etere, ed eljl)i un olio incoloro bollente a 180-185o; in massima parte a ISS^. All' analisi : I. Gr. 0,2575 di sostanza fornirono gr. 0, 4070 di anidride carbonica e gr. 0,1877 di acqua. II. Gr. 0, 2119 diedero gr. 0, 2182 di cloriii-o d' argento. Cioè per 100 paiti : Carbonio 43, 11 Idrogeno 8, 10 Cloro 25, 43 Questi numeri conducendo alla formula C\ i7u Oe CI mostrarono che il prodotto C^H^.O^ aveva addizionato llCl. Modo singolare dì formazione dell' epietilina Dall' analisi e dalle proprietà della sostanza bisognava concliiu- dere che essa fosse 1' etilcloridrina CH/Jl.CHOH.CH^.O.C^H-^ , descrit- ta da R.eboul, (1) e poi ottenuta da Henry (2) e da Laudi (3). Per dimostrare ciò meglio, la trasformai in derivato del glicide riscaldando leggermente con soluzione concentrata di idrato potas- sico. L' epietilina , CH^.CH.CH,.OCiH^, così ottenuta e bollente a 0 127-130° mostrava tutti i caratteri indicati da Reboul e meglio da Henry che la ebbe più pura. All'analisi : grr. 0,2832 di sostanza diedero gr. 0, 6083 di anidride car- bonica e gr. 0,2554 di acqua. Riferito a 100 parti : Trovato Calcolato per Cs flio 0% Carbonio 58, 58 58, 82 Idrogeno 10, 02 9, 80 Con r epietilina era inoltre identico il prodotto da rne ottenu- to per r azione del bromuro mercurico sopra 1' etere etilpropargi- lico, prodotto che addizionando acido cloridrico aveva fornito ap- punto r etilcloridrina. Volli del resto fare il paragone diretto e pre- parai r epietilina col metodo di Henry (4) partendo dall' etere al- liletiHco ed acido ipocloroso. La preparazione secondo Reboul va male, poiché non è possibile isolare 1' etilcloridrina allo stato di purezza ottenendosi poi un miscuglio di epietilina ed epicloridrina. Le determinazioni delle costanti fisiche dell'epietilina di varie pro- venienze trovansi riportate più sotto assieme a quelle dell'isomero, r etere acetolico. È intanto notevole questo modo , nel quale 1' acqua si unisce all' etere etilpropargilico. Nelle varie esperienze finora istituite sul- (1) Annalen. Suppl. 1, 236. (2) Berichte 5, 449. (3) Beriohte 18, 2287. (4) Loco i;itato. ed alctme nozioni intorno all' etere acetolìco V addizione dell' acqua ai derivati dell' acetilene, fino a quelle re- centi di Desgrez (1). si è segnalata solamente la formazione di com- posti chetonici (o aldeidici); vale a dire che tutto l'idrogeno dell'ac- qua si lega ad uno solo degli atomi di carbonio del gruppo ace- tilenico : CH CH3 Ili -h H,0= 1 C — R CO—R Nel caso da me descritto invece bisogna supporre che tanto r idrogeno quanto 1' ossigeno dell' acqua si distribuiscano simmetri- camente fra i due atomi di carbonif) acetilenici : UH H III + 0 = C — R H CH2 > CH-R Potrebbesi da qualcuno ammettere che sii foruii dapprima un composto etilenico contenente 1' ossidrile , che per trasposizione si converta in derivato del glicide. Ma basta rammentare la for- mazione dell' aldeide acetica e dell' acetone nei casi in cui si at- tenderebbe l'alcool vinilico ed il suo omologo, per non insistere su questa interpretazione che potrebbe spiegare forse la formazione dell' etere acetolico ma non ({uella dell' epietilina: CHt II CHOH •♦- CH, 1 ; CHO CH. Il — C — OH CH, 1 CO 1 R Credendo che l'idratazione anomala dell' etere etilpropargilico dipendesse forse dal forte eccesso di bromuro mercurico impiegato feci un' altra serie di esperienze in cui variavo la quantità di que- sto sale fino ad usarne come Kutscheroff (2) solamente una solu- zione acquosa satura a freddo. (1) Bullotiii de la Sor. chini. (IH) 11, 3t)2. MH. (2) Berichte 17, 14. Modo singolare di formazione dell' epìetìUna Il risultato non fu migliore, non ottenendosi che etere etilgli- cidico. Intanto era stato consumato il bromuro di mercurio che avevo a mia disposizione, prodotto fornito dalla fabbrica di Schuchardt nel 1885, di aspetto non molto buono, grigiastro. Continuando nidi le esperienze con del bromuro preparato di fresco in lal)oratorio da mercurio e bromo mi dovetti convincere che non riuscivo più ad ottenere 1' epietilina. L' olio bollente a 126-130" che si ricavava da quella reazione non si trasformava più in clo- ridrina per 1' azione di HCI, riduceva invece bene i sali di argen- to ammoniacali, reagiva con la fenilidrazina e dava un composto col bisolfìto sodico ed una ossima: era insomma etere etilacetoUco. La sua formazione era indipendente dalla quantità del sale mercurico adoperato. Il diverso comportamento del bromuro mercurico dovendosi quindi attribuire alla sua maggiore o minore purezza, sperimentai prodotti ritirati da Kahlbaum, Trommsdorff , Merck e dallo stesso Schuchardt ; operai col sale reso impuro da piccole quantità di acido bromidrico, bromo, ossibromuro, mercurio molto suddiviso, da bro- muro di zinco, di cadmio, di rame e da bromuri alcalini, senza che cambiasse il risultato : costantemente si ebbe etere acetolico e mai più epietilina. Dopo molti tentativi infruttuosi ho quindi dovuto abbandonare r idea di determinare a quale impurezza nel bromuro mercurico fosse dovuta la reazione singolare descritta. In quanto alla preparazione dell' etere etilacetohco ho da ag- giungere solamente che esso si ottiene nel miglior modo dall' etil- propargilico agitando questo in cilindri a tappo con eccesso di so- luzione acquosa di cloruro mercurico, saturata a freddo, fino a non avere più precipitato bianco. In media occorrono per 10 gr. di etere etilpropargilico 2 "j litri di soluzione. Il precipitato raccolto e lavato dà per distillazione con acido cloridrico al 5 "/o una soluzione acquosa da cui il carbonato sodico separa 1' etere acetolico puro bollente a 127-130° (non corr.). ed alcune nozioni intorno all' efere acetolico Il precipitato bianco cennato ha, come era da prevedersi do- po le esperienze di Kutscheroff sull' allilene ed il valerilene, la com- posizione : 2t\H^0 . iHgCk . 3HgO Analogamente è costituito il prodotto ottenuto coli' acetilene che r autore citato non preparò. Coiiipodo dell'etere etilproparyUico. I. Da gr. 0,3094 della sostanza, trattata con solfuro aniiiionifo, si rica- varono gr. 0, 2637 di solfuro luercurico , e poi gr. 0, 15:)4 di cloruro di ar- gento e gr. 0, 0061 di .hj metallico. IL Gr. 0, 7086 fornirono gr. 0, 1970 di anidride carbonica e gr. 0,0700 di acqua. Cioè per 100 parti : Trovato Calr.oliito per 'CMiOì.iHgCh-iHgO Carbonio 7, 58 7, 36 Idrogeno 1, 09 0, 98 Cloro 12, 91 1.3, 07 Mercurio 73, 48 73, 70 Composto deir acetilene. I. Gr. 0, 2250 di sostanza foi'uirono gr. 0, 2044 di solfuro mercurico ; gr. 0,1204 di A(jVl e gr. 0, 0036 di Ay metallico. II. Gr. 2, 8468 diedero gr. 0, .32J9 di anidri le carbonica e gr. 0,0772 di acqua. E riferito a 100 parti : Camolato per 2C.iT. 3fl>/C/i ^HgO 3, 17 0, 26 14,07 78, 31 Le proprietà dell" etere acetolico sono bene descritte da Erlen- bach. Trattandosi perù di un confronto col suo isomero, 1' etere etilglicidico , volli determinare di nuovo qualche costante fisica dei due corpi. I pesi specifici principalmente non potevano parago- narsi, perchè determinati dai varii autori a temperature differenti. Trovato Carbonio 3,09 Idrogeno 0,30 Cloro 13,78 Mercurio 78,30 Modo fiivgoìare di formaziorìe dell' epiefilhia Ecco i numeri da me trovati. Punto eboll. corr. Pes. spec. a 0° Pes. sp. a 990,97 Etere etilacetolico 129« a 759, ™"5 0, 9562 0, 8497 Etere etil.g-licidico (prep. secondo Henry) 128° a 759, """5 0, 9646 0, 8268 Etere etilg:licidico dall'e- tilpropaigilico 128° a 761'"'" 0, 9625 0, 8287 Oltre che per le sue proprietà riducenti rispetto ai sali metal- lici r etere acetolico si lascia caratterizzare con la trasformazione neir ossietilmetilindolo p. f. 143'^, come consigliò Erlenbach ; 1' 0- perazione si fa presto e facilmente. Si prestano anche bene il com- posto che r etere dà col bisolfito sodico e 1' acetossima. Composto dell' etere aeetolico col hìsolfJto sodico. Questo prodotto non potè essere isolato da Erlenbach perchè molto solubile in acqua. Lo si ottiene allo stato di purezza preci- pitandolo con r alcool dalla soluzione acquosa. Conviene però ag- giungere dapprima tanto alcool da aversi appena un intorbidamento; col riposo si depositano quindi lunghi e grossi aghi prismatici che .si lavano con alcool e si disseccano nel vuoto. Aggiungendo inve- ce più alcool il composto si depone sempre assieme a quantità va- riabili di bisolfìto sodico. Il prodotto puro non contiene acqua di cristallizzazione e non è deliquescente. All' analisi : (ir. 0,3221 di sostanza diedero gr. 0,1964 di solfato sodico. Trovato Calcolato per C:, Hi«Oz . NaHSOì Na,SO, 60, 97 °/o 61,16 Ossima dell' etere etilacetolico. Si prepara lasciando a reagire per 24 ore 1' etere ( 1 mol.) con cloridrato idrossilamina ( 1 mol. ) disciolta nell'idrato sodico diluito impiegandone la quantità necessaria per neutralizzare l'acido; ed alcune nozioni inforno all' efere acefolico estraendo più volte con etere ed eliminando il solvente rimane un olio che alla distillazione passa fra lKr)-190". L'analisi conferma la foiniola CjlJ): NOH. Da gv. 0,1991 eli sostanza si svolsr^rn re. 21.7 di Azoto misurati a 2G'' e 759""" di pressione. Por 100 pju-ti : Trovato Ciili-oliito pur 65 HhOì A' Azoto 12,04 11, Of) L' acetossinm dell" etere acetolico è un liquido incolore di odore intenso, somigliante a (luello dcir acetossima ordinaria e del cloralio. Bolle a 188" ( temp. non corr. ), non si solidifica in mi- scuglio di sale e neve. Riscaldata con acido cloridrico diluito rid;\ l'etere. E ahiuanto solubile in acqua. ('nfatiin, R. ITHin'rftità. Giiu/tin 1H9-1. memoria XVII, Prof. ANDREA CAPPARELLI Sulla reazione della saliva parotidea Si ritiene generalmente che la reazione ordinaria della saliva parotidea sia alcalina, qualche osservatore (Fubini Astaschevski) ha fatto notare che le prime gocce di saliva estratte dal condotto sa- livare delle parotidi, condotto del Warthon, possono presentare una reazione acida o neutra, hi alcuni casi anormali, come nel diabete ed in altre alterazioni degli apparati ghiandolari si ha una reazione acida. Ordinariamente si può avere una reazione acida nelle ore lon- tane dai pasti e si crede che in questo caso 1' acidità dipende da un eccesso di anidride carbonica che la saliva tiene in soluzione : in conferma di che, si cita il fatto che questa acidità scompare do- po un certo tempo perchè 1' eccesso di acido carbonico abbandona il liquido salivare. Ho voluto vedere quanto di vero ci fosse nei fatti anzi cen- nati, servendomi di reagenti introdotti di recente in fisiologia di una estrema sensibilità. Per lo studio della i-eazione mi sono servito di una soluzione molto allungata di fenolftaleina in acqua leggerissimamente alcali- nizzata con acqua di calce. Le esperienze allo quaU accenno, mi condussero alla conclu- sione, che la reazione della saliva parotidea ottenuta nell' uomo con la sondazione del condotto di Warthon è acida costantemente. Ho inoltre trovato che 1' acidità è data dalla esistenza di acido lattico. Mi sono quindi servito in seguito per le numerose ricerche sulla reazione delia saliva del reattivo di Uffelmann tanto sensibile per l'a- cido lattico. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria XVII. 1 Sulla reazione della saliva parofidea. Il D. Georg Kelling lia dimostrato, che il solfocianuro potassi- co reagisce sul liquido di Uffelmann dando una colorazione bruna come r acido butirico ed acetico. Colorazione che è veramente ros- siccia e dovuta all' azione del solfocianuro sul percloruro di ferro del reattivo di Uffelmann, questa colorazione si distingue nettamen- te da quella che dà l'acido lattico che per quanto attenuata è sem- pre gialla limone, mentre è rossiccia e con riflessi rossi quella con il solfocianuro : quindi il solfocianuro potassico salivare non ma- schera la reazione dell' acido lattico nella sahva. Preparava il reattivo sempre fresco per ogni serie di osserva- zioni ed allungava con acqua distillata perfettamente priva di trac- ce di acido nitrico, avevo cura di ripassare i tubi di assaggio re- plicatamente con 1' acqua distillata su riferita, perchè mi era accor- to che r acqua di fonte ordinaria , usata in laboratorio reagiva sul liquido di Uffelmann fortemente, per piccole quantità di acido ni- trico. Messo al coperto di ogni possibile errore, estraeva con il me- todo ordinario delle canule di argento la saliva, avendo cura di raccogliere in una provettina separata le prime porzioni per esse- re separatamente esaminate. Gli individui sui quali cadeva 1' esame, studenti in medicina e chirurgia dai 20 a 25 anni, sani e senza alterazioni nell' appa- rato boccale dentario e glandolare. L' esame delle due porzioni di saliva veniva immediatamente praticato caso per caso. L' esame cadeva 3 a 4 ore dopo il pasto. Ho estratto la saliva in 22 individui, e in tutti la saUva pre- sentava reazione acida più o meno sensibile. Erano acide tanto le prime che le seconde porzioni. Io non ho determinato la quantità di acido totale contenuto nelle prime e nelle seconde porzioni, ma dalla intensità del colorito assun- to per la maggiore quantità di reattivo, in 4 casi credetti che le se- conde porzioni contenessero maggiore quantità di acido delle prime. Solo in 2 casi ebbi il fenomeno inverso. Sulla reazione della saliva paro f idea. Dei 22 casi studiati in 17 la reazione rivelava nettamente l'aci- do lattico, in 5 si aveva la reazione dell' acido butirico. Come ho precedentemente accennato il reattivo adoperato per r acido lattico fu quello di Uffelmann preparato di recente ed al- lungato. L'acido uitiico dà una reazione simile a quella dell" acido lat- tico, ma nella saliva umana acido nitrico libero non ne esiste, come mi sono assicurato con altri metodi di ricerca nessun dubbio quin- di che la colorazione gialla assunta dalla saliva, dipendeva esclusiva- mente dalla presenza dell'acido lattico. In seguito alle precedenti osservazioni, io sono tentato a cre- dere, che normalmente la reazione della saliva è leggermente acida e che r acidità dipende da un acido grasso o lattico o butirico. Questo fatto a me sembra di una importanza fisiologica con- siderevole, comò (• risaputo gli acidi inorganici ed anche gli orga- nici sono capaci in determinate condizioni di temperatura di tra- sformare gli amidi cotti in zucchero. Chi ci assicura che in questa trasformazione che fisiologicamente avviene nella bocca sia perfet- tamente estranea la presenza dell' acido ì Senza escludere per tanto completamente la influenza della pilialina. A questa influenza del- l' acido salivare sono tentato a credere per il fatto che si aboHsce r azione saccarificante della saliva quando la miscela di amido e sa- liva sia hevemente alcalina, quando, come dimostrerò in una pros- sima pubblicazione, si è impiegata una quantità di alcale sufficiente a neutralizzare 1' acido libero della saliva e quello che si ingenera durante la reazione della saliva sull' amido. Làbm-atorio di Fisiologia Sperimentale della R. Università di Catania. Memoria XVIII. Ricerche nel gruppo del pirone. lY. Sopra una sintesi dell'acido conienico e sull'acido cloropiroraeconico di A. PERATONER ed R. LEONE. Il rapporto che passa fra i derivali del pirone e quelli del- l' acido meconico ( acidi comenico e piromeconico ) l'u stabilito da Ost (1), il quale facendo agire il percloruro di fosforo suH' acido comenico CJI/Js . COOH, ottenne gli acidi mono-e biclorocomanico che per riduzione con acido iodidrico fornirono 1' acido conianico O HC C . COOH I! Il HC CH CO L' acido conienico sarebbe quindi a considerarsi come carbo- acido dell' ossipirone, ed Ost attribuisce ai tre derivati in parola le formole C5H3O, . OH OH ^COOH OH C,HO.^COOH COOH Alido piromi'conico Acido coineniio Arido meconico mettendo per tutte in evidenza un ossidrile conmne. Ma la pre- senza di questo ossidrile è, almeno per gli acidi comenico e piro- meconico dimostrata tutt' altro che rigorosamente; la si suppone (1) louriud f. pr. Chom. [•>] 2J», 57. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria XVIII. Ricerche nel gruppo del pirone. per ispiegare il fatto che i due acidi ceiiiiati danno dei sali neutri, rispettivamente del tipo : y Ca QM,0/ I (1) e aHsOa.K (2) e forniscono degli eteri acetilici C,H,0, . C^H^O, . COOC,R, (3) e CftO, . O.K^C^ (4). Però questi composti, specialmente i derivati dell'acido piro- meconico, sono assai poco stabili ; gli eteri acetilici sono imme- diatamente scissi dall' acciua e di eteri alcliilici corrispondenti non si è riuscito a prepararne alcuno (5), nel mentre 1' acido meconico dà con facilità un etere trietilico (6) ; comportamento questo che non riconfermerebbe al certo l'esistenza dell'ossidrile a funzione acida negli acidi comenico e piromeconico. Sempre supponendo che i tre acidi non differiscano tra loro che per il numero dei car- bossih contenuti nella molecola, si potrebbe in certo modo darsi ragione del diverso funzionamento dell' ossidrile comune, ammet- tendo che per la presenza appunto dei gruppi COOH aumentino le proprietà acide di questo ossidrile. Ma sarebbe pure possibile che 1" acido piromeconico non con- tenga lo stesso nucleo degli acidi comenico e meconico , poiché formandosi il primo dai secondi solamente sopra ;260'^ , non può a priori escludersi una trasposizione molecolare a temperature così e- levate. L' acido comenico invece dovrebbe essere costituito analo- gamente al meconico ottenendosi da questo per eliminazione di un carbossile a temperature relativamente assai basse. (1) Iblèe. Annalen 188, 1;!1. (2) Ost. lourn. pmkt. Cileni [2] 19, 181. (3) Reibstein. louni. pr. Chem [2] 24, 277. (4) Ost loc. cit. (.5) Ihlée Ost loe. cit. — Per mia preparazione indiretta di un etere dietilcomenico eonfr. Meniiel, Journal pr. Chem [2] 26, 458. (6) Mennel loc. cit. IV. Sopra una cintesi dell'addo comenico e sull'acido cloropiromeconico 3 Finalmente non sarebbe illecito di considerare 1' acido pirome- conico come un composto dichetonico sul tipo dei ciclo-chetometi- leni (1) ; con questo modo di vedere si accorderebbero le proprietà dell' acido analoghe a quelle della diidroresorcina recentemente stu- diata da Merling (2). Solamente non potrebbe spiegarsi la proprie- tà dell' acido piromeconico di non dare un composto ossimico con l'idrossilamina (3); epperù noi sappiamo che il carbonile del nucleo pironico non reagisce con l'idrossilamina (4), e l'acido deidroace- tico pur contenendo tre carbonili secondo la formola di Feist (5) O / \ CH3.C CO Il I HO CH . CO . CH:, \ / CO non (là die una monossima (6) in cui il gruppo isonilroso forse si trova nella catena laterale. Come si vede adunque la costituzione dell' acido piromeconico è tutt' altro che certa, e non può arrecare meraviglia che in molli trattati alla sua formola sia apposto il punto interrogativo. Noi quindi continuando le ricerche sui derivati del i)irone che uno di noi aveva iniziato alcuni anni or sono (7), ci siamo occu- pati anzitutto dell' acido piromeconico. Nella presente nota comu- nichiamo i primi risultati delle nostre esperienze, le quali se anco- ra non risolvono il problema della costituzione di questo acido ne rischiarano però alcuni punti. E prima di ogni altra cosa ci è sembrato importante di stu- diare r azione dell' acido carbonico, onde vedere se si potesse per- ei) Beilstein III ed Vul. 1 pag. G26. (2) AimaUMi 278, -20. (3) OJonilioiiiier, Beriulite 17, 2087. (4) Moyer Borii'hte 17, 1001. (5) Annalcii 257, 272. (6) Ppikin Chem. Soc. 51, 493. (7) Gazu. Chini. 21 I. 283. Ricerche nel (jruppo del pirone. venire ad un derivato carbossilico la cui formazione per l'analogia con quella degli ossiacidi aromatici e dell'acido a-pirrolcarbonico (1) avrebbe parlato in favore della funzione fenolica dell' acido pirome- conico; sarebbe inoltre riuscito di sommo interesse il paragone fra un carboacido sintetico e quelli finora conosciuti (comenico, meco- nico). Diciamo subito che con molti stenti siamo riusciti ad avere un carboacido e che abbiamo potuto identificarlo come acido come- nico. — Abbiamo in secondo luogo fatto agire sull'acido piromeco- nico il cloruro di solforile ottenendo un acido monocloro-pirome- conico. Acido pirorneconico. I vari autori che lavorarono su questo a- cido lo preparavano per distillazione del meconico in storte a fuo- co nudo. Ost (2) partendo da alcuni chilogrammi dell' acido me- conico che riscaldava in storte di ferro otteneva sopra sette parti di questo una parte di acido piromeconico, cioè 32°/o del rendimento teoretico. Come noi non tutti saranno al caso di operare sopra quan- tità così considerevoli come Ost, crediamo quindi utile di descrive- re la nostra preparazione che non solo fornisce un prodotto puris- simo e con ottimo rendimento, ma permette altresì di isolare allo stato di purezza 1' acido comenico che sempre si forma assieme al piromeconico (3). Un tubo di combustione si piega ad angolo retto in modo da avere una branca di circa 15 centimetri; nell' altra più lunga si pon- gono, a seconda delle sue dimensioni, 5-10 gr. di acido meconico cristallizzato e si introduce il tubo in un bagno per lega rettan- golare_, vuoto_, talché la branca più lunga sporga per 20-i25 centime- tri da un foro largo nella parete più stretta. Sul lato esterno è qui ribadito un piccolo cono, anch' esso di lamiera di ferro, per il qua- le passa il tubo a combustione; riempendo tutto lo spazio interno fra cono e tubo con amianto si ottiene una chiusura perfetta per il ba- gno di lega. Si riscalda dapprima senza lega a ISO-^-i^OOo coprendo (1) Ciamician e Silber Gazz. Cbiiii. 14, 162, 204. (2) Log. cit. (3) Ost, Iblèe loc. lit. IV. Sopra una sintesi dell'acido comenico e sull'acido cloropiromeconico 5 il bagno e facendo entrare dalla branca corta del tubo anidride carbonica secca, la quale trasporta l'acqua di cristallizzazione del- l' acido meconico. Asciuttato con carta il tubo sporgente, si versa nel bagno la lega fusa preventivamente , si eleva rapidaniente la temperatura al disopra di 260° e nel contempo si aumenta la corrente di anidride carbonica. Dopo circa un quarto d' ora. du- rante il quale la temperatura si porta lentamente a 3U0-310", non depositandosi più cristalli nella parte sporgente del tubo, si toglie la lega ancora fusa e si può subito continuare 1' operazione con altre porzioni di acido meconico nel modo descritto. I tulù impiegati possono servire varie volte. Essendo gli acidi meconico e comenico del lutto insfilubili nel clo- roformio, che scioglie invece molto facilmente il piromeconico, que- sto si può separare purissimo mediante il detto solvente. 11 con- tenuto dei tubi si lava prima più volte con cloroformio caldo, indi con acqua bollente che estrae 1" acido comenico ; le soluzioni filtra- te e concentrate lasciano depositare i due acidi allo stato di pu- rezza, ma leggermente colorati: cristallizzandoli però una volta da- gli stessi solventi si lianuo incoloii. Per 1" acid.) piromeconico ab- biamo usato la precauzione di sublimarlo aiicnia tra grandi Vftri di orologio ottenendolo coiupletaniente scevro di acido coiiicnico. (5r. 0, 2119 di sostanza fornirono gr. 0, 4149 di anidride carbonica e gr. 0, 0693 di acqua. E per 100 parti : Trovato Cal<^olato per C:. Hi (h Carbonio ó8,40 53,57 Idrogeno 3,6o 3,57 Operando nel modo detto , infra tre o quattro giorni da gr. 200 di acido meconico si ricavano in media gr. 50 di acido piro- meconico puro (57 °/o del rendimento teoretico) e gr. 21 di acido comenico (40 " o della teoria) carbonizzandosi solamente una picco- la parte dell' acido meconico. Per il punto di fusione dell' acido piromeconico possiamo riconfermare le osservazioni di Ost: l'acido purissimo fonde costantemente a 117", ma bastano traccie di aci- Ricerche nel gruppo del pirone. do comenico per elevarne la temperatura di fusione a 119» e 120°. Abbiamo determinato col metodo di Raoult il peso molecolare dell" acido piromeconico per togliere un dubbio già espresso da Ost e elle questi non potè risolvere direttamente: se cioè all' acido non sia da attribuirsi la forrnola doppia, la quale spiegherebbe agevol- mente la formazione dei piromeconati acidi, C-^HJJ^Na -4- C-^Bfi^. La esperienza in cui operammo con soluzione acetica dell' acido con- duce però alla forrnola semplice che sempre si è ammessa. Concentrazione Abbass. term. Coeffiiiente Peso niol. 1, 3Ó19 0«, 44 0,3254 118 1, 3884 0», 45 0,3241 120 l'er C5H4O3 si calcola il peso molecolare = 112. Azione dell' anidride carbonica. Dei numerosi tentativi infruttuo- si che abbiamo fatto per ottenere un carboacido dall' ossipirone vogliamo accennare solamente ad uno. Quando nell'acido pirome- conico riscaldato a circa 150° in corrente di anidride carbonica si fanno cadere dei pezzetti di sodio ha luogo una reazione violentis- sima con sviluppo di luce ed ehminazione di gas che trasporta grande quantità di nero fumo; l'acido re.sta decomposto profonda- mente. Esso per la sua grande alterabilità in generale non si pre- sta ad esperienze in cui devesi scaldare molto. Un risultato perù lo avenmio riscaldando il piromeconato neu- tro di sodio in corrente di anidride carbonica sotto la pressione di 1-1^,2 atmosfera. Il sale sodico neutro occorrente si ha diffìcilmente puro per sa- turazione dell'acido con idrato sodico (1). Tuttavia ottenemmo un prodotto adatto allo scopo sciogliendo 1' acido nella quantità esat- tamente calcolata di soluzione titolata di idrato sodico e lasciando evaporare a secco nel vuoto sopra acido solforico e fuori del con- tatto della luce. Il sale secco, di aspetto cristallino e di colore gial- (1) Ost. lof. lit. IV. Sopra una sintesi dell'acido comenico e sull'acido doropiromeconico 7 lastre, non eliminava più che piccole quantità di acido piromeconi- co tanto per riscaldamento quanto per trattamento con cloroformio secco. — In seguito osservammo che si prepara facilmente il sale neu- tro quasi puro sciogliendo 1' acido nel benzene anidro e lasciando- vi reagire per un certo tempo il sodio in fili. Si depone una pol- vere giallastra da cui si separa l' eccesso di sodio versando il li- quido col sale sospeso sopra una rete di rame a larghe maglie. Dopo avere decantato il benzene si lava il deposito ancora con po- co alcool assoluto che scioglie il resto del sodio, e si dissecca so- pra acido solforico. Il sale è molto deliquescente ed alquanto so- lubile in alcool. All' analisi : I. gr. 0,13.")!) riel sale di.sseccato siili' acido solforico diedero gr. 0. fw'/ìl di solfato sodico. IL gr. 0, 3.844 della stessa sostanza rimasta lungamente nel vuoto .sopra acido solforico, foniiroiio gr. 0, 17r)4 di solfato sodico. Riferendo a 100 parti : 'l'nivatD Calcolato per C:, Hj Oj Xa I II /Sodio 14, ',) Iti, 6 17, Itj Il sale secco veniva introdotto in un palloncino robusto e mes- so sotto pressione di anidride carbonica lavata. Per raggiungere la pressione necessaria, i vasi comunicanti (di 1 lili'o) che produce- vano il gas erano posteriormente uniti mediante rubiiiflto :i tre vie con un grande imbuto a rubinetto, nel quale veniva compressa l'a- ria da una colonna di mercurio che s' innalzava e si abbassava a piacere sino ali" altezza desiderata. L" anidride carbonica ali" uscita di tutto r apparecchio traversava anche una colonna di mercurio. Nei suoi particolari il maneggio di questo apparecchio richiedeva una certa oculatezza. Si riscaldava indi a bagno d' olio il palloncino sino a 180" in lenta corrente di CO.^ protraendo 1' esperienza per un tempo variabile fra le sette e le quindici ore senza differenza di risultato. In que- Ricerche nel gruppo del pirone. ste condizioni non cambiava V aspetto del sale che invece alla pres- sione ordinaria si altera già verso 140°. Per ricavare dal prodotto della reazione l'acido piroineconico, in massima parte rimasto inalterato, lo si sospese in cloroformio anidro e si fece passare una corrente di acido cloridrico secco tino a saturazione del liquido raffreddato. Il precipitato volumi- noso era costituito da cloruro sodico misto al composto che l'acido piromeconico forma col cloridrico. Dopo sei ore di riposo si scacciò la massima parte del gas con una corrente di aria e si fece bollire prolungatamente con cloroformio eliminando così tutto YHCl ed e- straendo simultaneamente 1' acido piromeconico. Il residuo bruno , insolubile, raccolto per filtrazione fu sciolto in poca acqua bollente, addizionata di acido cloridrico , lasciato cristallizzare e lavato con acqua fredda. Si presentava con l'aspetto di grumi brunastri, misti a resine che ne rendevano quasi impossibile la depurazione, tanto più che la sostanza era in quantità minima. Dopo varie prove avendo osservato che il prodotto decompo- neva il carbonato sodico e che dunque probabilmente avrebbe con- tenuto il carbossile, pensammo di eterificarlo con alcool assoluto ed acido cloridrico gassoso. La soluzione limpida lasciò per lento svaporamento un residuo bruno semisolido che venne sottoposto a ripetute sublimazioni. Si ottennero così lunghi aghi leggieri , se- tacei, che fondevano a I26'\ Il rendimento non raggiunse mai il 10 °o dell'acido piromeconico da cui eravamo partiti. All' analisi la sostanza mostrò di corrispondere all' etere mo- noetilico di un carboacido derivante dal piromeconico. I. gr. 0, 1651 di sostanza diedero gr. 0, 3181 di anidride carbonica , e gr. 0,0724 di acqua. II. gr. 0, 1410 di sostanza fornirono gr. 0,2691 di anidride carbonica e g)'. 0, 0595 di acqua. Trovato Calcolato per Ci m Os . COOCk Ifs I n C 52,54 52,05 52,17 H 4,87 4,61 4,35 IV. Sopra una sintesi dell'acido comeìiico e snU'acido cloropiromeconico 9 Il prodotto aveva tutte le proprietà del comenato di etile che preparammo per il confronto ; il punto di fusione di quest' ultimo è anch'esso silo a 126° come aveva già indicato Reibstein (1) e non a 135° (2). Tuttavia per identificare meglio il nostro prodotto sin- tetico abbiamo trasformato i due composti fusibili a 120" in deri- vati acetilici. Il cloruro di acetile non è adatto per V eterificazione, perchè anche dopo prolungata ebollizione lascia i prodotti inaltera- ti. Riscaldandoli però in tubi chiusi con anidride acetica a 150» (3) fornirono delle sostanze che cristallizzate dall'alcool assoluto fondeva- no contemporaneamente a 103-104". Questo acetilderivato è come quello dell' acido piromeconico facilmente decomposto dall' acqua, e basta sottoporlo a sublimazione perchè elimini acido acetico. Rimane cosi assodato che dall' acido piromeconico per azione della anidride carbonica si forma, benché in piccolissima quantità, r acido comenico. Siccome poi nelle nostre esperienze usammo solamente acido piromeconico purissimo non può sorgere nemmeno il dubbio che queste piccole quantità di acido comenico siano già state conte- nute nel prodotto da noi impiegato. Abbiamo tentato di aumen- tare il rendimento in acido comenico facendo reagire 1' anidride carbonica sul piromeconato di sodio a temperature superiori a 180", osservanmio però che allora il sale si altera molto. Non ottenemmo neppure un risultato soddisfacente riscaldando il sale a 180" in autoclave ripiena di anidride carbonica a tre atmosfere. Forse quella piccola quantità di acqua , che , nel modo come noi operammo . r anidride carbonica trascinava seco dalla boccia di lavaggio è ne- cessaria alla reazione fra gas e sale. Acido cloropiromeconico. È noto che il cloruro di solforile agi- sce sui composti contenenti ossidrile alcoolico formando eteri dell'a- cido solforico (4), che i fenoli invece vengono clorurati da questo (1) loc. cit. (2) How. Amialeii 80, 8ft (:}) Reibstein. Lof. cit. (4) Behrend. Jourii. f. pr. Clieiii. [2] 15, 28. Atti Acc. , Vol. VII, Serie 4.» — Memoria X Vili. 10 Ricerche nel gruppo del pirone. reattivo (1); ed uno di noi è tutt' ora occupato con lo studio di questa reazione che avviene con una certa regolarità. Anche negli 1-3 dichetoni il cloro viene introdotto facilmente nel modo det- to , ed anzi è facilissima la formazione dei composti biclorurati R. CO.CCl^. CO. B con eccesso del cloruro acido. L' acido piromeconico reagisce pure energicamente col cloruro di solforile. Ogni goccia di questo cadendo sull' acido secco polve- rizzalo produsse un leggero sibilo, la massa si riscaldò ed eliminò grande quantità di HCl ed SO-i, assumendo un colore canarino. E- liminato per distillazione 1" eccesso del reattivo e lavato con un po- co d" acqua il residuo, questo ridivenne incoloro; lo si disseccò, si cristallizzò dal cloroformio, si sublimò fra vetri d'orologio e si sot- topose all'analisi. I numeri trovati conducono alla formula di un aci- do monocloropiromeconico C^ H^ 0^ CI. I. gr. 0,1082 di sostanza foruirouo gr. 0, 1047 di cloruro di argento , e gr. 0,0030 di argento metallico. II. gr. 0, 330.3 di sostanza diedero gr. 0,5015 di Cd e gr. 0,0790 di //,0. Per 100 parti : Trovato Gal.-olato per C's Hs d CI I II Cloro 24,02 — 24, 23 Carbonio — 41,40 40, 95 Idrogeno — 2,65 2, 05 L'acido monocloropiromeconico cristallizza in lunghi aghi lami- nari, incolori, dall' aspetto molto simili all' acido piromeconico. Fonde a 181°, ma sublima già a temperature molto inferiori e si volatilizza in parte anche alla temperatura dell' ambiente. Non decompone i carbonati alcalini , si scioglie negli idrati, e colora i sali ferrici in un rosso più intenso, che non 1" acido esente di clo- ro. È molto solubile nei solventi organici e nell'acqua calda, meno in quella fredda. Per quanto avessimo tentato non ci fu possibile di preparare (1^ Duborè. Zeitsrlirift ISGti. 705; Reinhard loiirn. pr. Di. [2] 17.32-2: Peratoner , Finoc- chiaro Gaz/., rhiiii. 24 I 236. IV. Sopra una sìntesi dell'acido comenico e sull'acido cloropiromeconico 11 un dicloroacido ; anche con grande eccesso di cloruro di solforile e a caldo non si formava che il monocloroderivato fusibile a 18 1^'. il quale risultato, se non si oppone recisamente, almeno non è molto favorevole all' interpretazione che Tacido piromeconico contenga un gruppo metilenico fra due carbonili. D' altro canto gli acidi comenico e raeconico non reagiscono menomamente con SO./'l^. Ciò potrebbe a prima vista far credere che questi carboacidi sieno costituiti in modo diverso dell' acido piromeconico: ma sembra che questa differenza nel comportamento verso il cloruro di solforile sia conunie agli ossicarboacidi. poichc esperienze da uno di noi istituite dimostrerebbero che anche ^'li ossiacidi aromatici sono indifferenti all'azione del cloruro acido in parola, mentre i fenoli corrispondenti reagiscono benissimo. Del resto la sintesi dell'acido comenico sopradescritta mostia indubbiamente che questo è un derivato carbossilico dell' acido pi- romeconico, e che quindi anche 1' acido meconico da cui il come- nico si forma a bassa temperatura contiene con somma probabilità lo stesso nucleo dell' acido piromeconico. Questa sintesi stabilisce inoltre un" analogia tra 1" ossipirone ed i fenoli. Queste ricerche saranno continuate e verrà anzitutto esauiiuato con cura quel corpo oleoso volatile, iutravvisto da .Ililt'-c . che si ot- tiene dall' acido piromeconico per 1" azione dell" idrato baritico e che riduce le soluzioni di argento ammoniacali. Catania R. Università, Oiugiio 1894. INDICE DEL VOL. MI. SERIE IV MtMOltlA B. Grassi — Co-stituzioìic <■ svìliippi) iL'Ilit sociefà ih'i 'rermifidi ciiiifi- iniazione, vedi voi,. 17, Meni. X/// — utm tir tiivdk-i 1 S. Pagliani — >Sul potere indiiffore n peri fi co e sulle costanti della rifra- zione della luci' II A. Aloi — Influenza dell'it nìidifà del suolo sulla traspirazione delle piante terrestri HI G. La Valle — Snlle roreie inrontrat»' nei trafori della lima ferroriaria l'atti-lirolo in provinria di Messina IV Errerà e Gasparini ^ Sidla condensazione della ftaUmide col fenolo \ Peratoner e Finocchiaro — Azione del cloruro di solforile sui fenoli e i lord eteri, ! : V'I G. De Angelis — // pozzo artesiano di Aleriyliano — Studio yeopaleonto- loijico \'II G. Oaldarera — Sviluppo di un determinante particolare di n rariidtili. \'1II G. Basile — Di un'antica ascia di pietra trovata ad Aci Catena (imi una tavola) IX Gaet. e Gioy. Platania — />« interruzioni del cavo telegrafico Milazzo- Lipari e i fenomeni rulcanici sottomarini nel iSS^^-fì'J .... X G. Basile — Fermentazione niannitica nei vini rossi di Sicilia iimi una tavolili XI G. Chiarleoni — Forcipe- /.era con disegno intercalato XII A. Petrone — Contributo alla tecnica della sezione del cuore in sito . . XllI G. Chiarleoni — /. Gravidanza Tuharica XIV A. Bartoli - Sulla trasmissiliilifà delle radiazioni solari attraverso l'at- mosfera carica di cenere vulcanica, nell'eruzione dell'Etna del 1892 XV A. Peratoner " iliodo singolare di formazione dell' epietilina ed alcune nozioni intorno all' etere acetolico XVI A. Capparelli — Sulla reazione della saliva parotidea X\'II A. Peratoner ed R. 'L^one- Ricerche nel gruppo del pirone— IV. Sopra Idia -sintesi dell'acido conienico, e sull' acido clnropiromeconico. . XVIII 3 2044 093 259 406 -o*. .- M ■f--^ 't l X/ .^i- .-»•' i-<^.- • <^w >^, -^ -"i^ r^^ %> -v,^:- m» 4F ^.A "^^ ii ^^^A "*" ** y- ■' ■■■"^