ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI 'i. i lìù 7. ^ Affi DELL ACCADMIA PONTfFIEIA DE I\E0AI LINCEI PUBBLICATI CONFORME ALLA DECISIONE ACCADEMICA del 22 dicembre 1850 E COMPILATI DAL SEGRETARIO TOMO XIT - ANNO XIÌ. (1858-59) ROMA 1859 TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI Piazza Poli n. 91. — V ELENCO DEI SOCI DELL’ ACCADEllIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI DAL 3 LUGLIO 1847, EPOCA DEL SUO RISORGIMENTO, FINO A TUTTO IL DICEMBRE DEL 1858. OSPllfi^El EPOCA DELLA ELEZIONE 3 luglio 1847 ALBORGHETTI conte GIUSEPPE. [Defunto il 21 novembre 1851). 9 gennaro 1853 ’^'ASTOLFI abate OTTAVIANO , professore di matematica nel collegio di Propaganda Fide. 3 luglio 1847 *BERTINI P. MICHELE, chierico regolare della Madre di Dio. » )) *BONCOMPAGNI D. BALDASSARRE dei prin- cipi di PIOMBINO. » » C AET ANI commendatore D. MICHELANGELO, principe di TEANO , colonnello direttore e comandante del corpo dei vigili pompieri. [Ri- nunciò nel 6 dicembre 1848, e passò fra gli acca- demici onorari nel 12 gennaro 1849). )) » *CALANDRELLI D. IGNAZIO, professore di ot- tica e di astronomia neiruniversilà di Roma. 13 giugno 1 848^C APPELLO dott. cav. AGOSTINO, consigliere emerito del supremo magistrato romano di sanità. /X 3 luglio 1847 *CARPI dott. cav. PIETRO, professore di mine- ralogia , e storia naturale nelFuniversità di Roma. )) » ^CAVALIERI SAN BERTOLO NICOLA, profes- sore emerito di architettura statica e idraulica nell’università di Roma. VI 3 luglio ì 8 il EPOCA DELLA ELEZIONE 22 febbraro 1 852 CICCOLINI cav. LUDOVICO , commendatore delUordine gerosolimitano^ già professore di astronomia nell’ università di Bologna. (De- funto il 24 aprile 1854). *CHELIIVI rev. p. DOMENICO delle Scuole Pie, professore di meccanica e idraulica nell’uni- versità di Bologna. • *CIUFFA monsignor LEANDBO, professore ono- rario di botanica nell’università di Roma. CONCIOLI dott. ONOFRIO, membro del colle- gio filosofico nell’università di Roma. (Defunto il 12 febbraro 1851). *COPPI abate cav. ANTONIO. DE MATTHAEIS dott. GIUSEPPE , già pro- fessore di clinica medica nell’ università di Roma. (Defunto il 17 settembre 1857). DE VICO rev. p. FRANCESCO, della compa- gnia di Gesù , direttore delF osservatorio astronomico del collegio romano. (Defunto il 15 novembre 1848). DONARELLI dott. CARLO professore di fisio- logia , e botanica pratica nelF università di . Roma. (Defunto il 23 dicembre 1851). ^^ERRARINI rev. p. ANTONIO, della compa- gnia di Gesù, presidente del collegio filosofico nell’università di Roma.if'^V^-^^ ^FIORINI contessa ELISABETTA. FOLCHI dott. GIACOMO, professore di materia medica, e igiene nell’università di Roma. (De- funto il 12 agosto 1849). 30 giugno 1850 ’^MAGGIORANI dott. CARLO, professore di me- dicina politico legale nell’università di Roma. 2 marzo 1856 3 lualio 1847 a — tif a — «7 A f'X-'i.-'C'- l./ A' usy ^ ^ /e^c n' ^ 1/ t f VII EPOCA DELLA ELEZIONE 3 luglio 1847 ^MASSIMO duca D. MARIO. » )) *MAZZANI canonico D. TOMMASOj, professore di meccanica , e idraulica neU’universilà di Roma. )) » METAXA^ dolt. TELEMACO, professore di zoo- logia nell’università di Roma. (Defunto il 22 ^lennaio 1851). )) )) ODESCALCHI principe D. PIETRO, de’ duchi del SIRMIO. (Defunto il 15 aprile 1856). 4 febbraro 1849 ORIOLI FRANCESCO, professore di archeolo- gia nell’università di Roma. (Defunto il 4 no- vembre 1856). 3 luglio 1 847 PARCHETTI rev. p. LUIGI, de^chierici regolari Somaschi;, membro emerito del collegio filo- sofico nelF università di Roma. (Defunto il 10 luglio 1849). » » PERETTI PIETRO;, già professore di farmacia pratica neH’università di Roma. (Rinunciò nel 25 aprile 1848). » » *PIANCIANI rev. p. GIAMRATTISTA , delia compagnia di Gesù;, già professore di fisico- chimica nel collegio romano. )) )) *PIERI GIULIANO , professore d'’ introduzione al calcolo sublime nell’università di Roma. » )) POGGIOLI dott. MICHELANGELO, professore emerito di botanica teorica nell’università di Roma. (Defunto il 4 maggio 1850). 11 maggio 1848 *PONZI dott. GIUSEPPE, professore di anatomia e fisiologia comparativa nell’ università di Roma. 22 aprile 1849 *PROJA D. SALVATORE;, nominato a profes- sore futuro di elementi di matematica neH’uni- versità di Roma. vili EPOCA DELLA ELEZIONE 3 luglio 1847 RATTI doti. FRANCESCO, professore dì chi- mica e farmacia neiruniversità di Roma, {già vice-segretario , poi passato , nel 16 genna- ro 1856, fra i soci onorari). 22 febhraro 1852 '''SANGUINETTI doti. PIETRO, professore di botanica nelFuniversità di Roma. 30 giugno 1850 ^SECCHI rev. p. ANGELO, della compagnia di Gesù, direttore dell’osservatorio astronomico nel collegio romano. 3 luglio 1847 ^SERENI CARLO, professore di geometria de- scrittiva, e idrometria nell’università di Roma. » » *SPADA DE’ MEDICI conte LAVINIO. » » ^TORTOLINI D. BARNABA, professore di cal- colo sublime neH’università di Roma. 3 dicembre 1854 *VIALE dott. cav. BENEDETTO, professore di clinica medica nell’università di Roma. 3 luglio 1847 *VOLPICELLI dott. PAOLO, professore di fisica sperimentale nell’università di Roma. 20 aprile 1856 Sig. Duca D. MARIO MASSIMO. 4 gennaro 1857 SIiaiMa WWh Sigg. NICOLA CAVALIERI S. BERTOLO. Dott. cav. BENEDETTO VIALE. Rev. p. ANGELO SECCHI. Dott. GIUSEPPE PONZI. IX EPOCA DELLA ELEIZONE 3 luglio 1847 mmmmm Sig. prof. PAOLO dott. VOLPICELLI. (Con- fermato nella carica di segretario pel secondo decennio, nel 7 giugno 1857). 7 giugno 1857 Sig. prof. GIUSEPPE PONZI. 3 luglio 1847 IBaiBILIKDaSlliiM©, SID Sig. principe D. BALDASSARRE BONCOM- PAGNI. (Nella carica di tesoriere successe , nel 19 dicembre 1852, al defunto Alborghetti conte Giuseppe , e rinunciò alla medesima nel 5 dicembre 1858). » )) mma ^ipkbdilìì ìììifkdi'ìdmkbìì Sig. Prof. D. IGNAZIO CALANDRELLE SOCI CORRISPONDENTI ITALIANI 5 ottobre 1848 ^ALESSANDRINI cav. ANTONIO, professore di anatomia comparata neH’università di Bologna. settemhre\^k% CAMICI cav. GIO. BATTISTA,!. R. astronomo in Firenze. ‘Ò dicembre 1854 *BELLAV1TIS GIUSTO, professore di materna- tiche superiori nelFuniversità di Padova. 11 maggio 1851 BELL ANI canonico D. ANGELO, membro ef- fettivo deir I. R. istituto Lombardo di scien- X EPOCA DELLA ELEZIONE 5 ottobre 1848 )) )) 11 maggio 1851 5 ottobre 1848 4 febbraro 1849 5 ottobre 1848 2 maggio 1858 19 dicembre ÌS52 4 febbraro 1849 5 ottobre 1848 11 maggio 1851 5 ottobre 1848 4 febbraro 1849 11 maggio 1851 ze, lettere ed arti di Milano. {Defunto il 28 agosto 1852). *BELLI dott. GIUSEPPE , professore di fisica neir I. R. università di Pavia. *BERTOLONI cav. ANTONIO , professore di botanica nell’università di Bologna. *BETTI ENRICO, professore di matematica nel lippo ni rirpnyp ^BIANCHI cav. GIUSEPPE, direttore deH’I. R. osservatorio astronomico di Modena. ’^^BRIGHENTI MAURIZIO, già professore di geo- metria descrittiva nella scuola degl’ ingegneri di Roma, ispettore emerito di acque, e stra- de, ec. in Bologna. ^CARLINI cav. FRANCESCO, direttore dell’ I. R. osservatorio astronomico di Milano. *DE-GASPERIS professore ANNIBALE, astro- nomo a Napoli. ^FLAUTI cav. VINCENZO , professore di ma- tematiche, segretario perpetuo della R. ac- cademia delle scienze di Napoli. cav. CARLO IGNAZIO, professore di meccanica nella R. università di Torino. MAGISTRINI cav. GIAMBATTISTA , profes- sore di matamatica sublime nell’università di Bologna. {Defunto il 1 novembre 1849). *MAINARDI GASPARE, professore di calcolo sublime nell’ I. R. università di Pavia. ^MARIANINI cav. STEFANO, professore di fisica sperimentale nella università di Modena. *MATTEUCCI cav. CARLO, professore di fisica nell’ I. R. università di Pisa. EDICI cav. MICHELE, professore di fisiolo- gia nell’università di '// A XI EPOCA DELLA ELEZIONE settembre MELLONI cav. MACEDONIO, direttore dello stabilimento fisico meteorologico di Napoli. (Defunto nelV W agosto 1854). 4 febbraro 1849 *MEN AEREA LUIGI FEDERICO, membro della R. accademia delle scienze di Torino. 11 maggio 1851 *MINICH SERAFINO, professore di matemati- che superiori neU’università di Padova. 5 ottobre 1848 *MOSSOTTI cav. OTTAVIANO FABRIZIO , professore di fisica matematica, e meccanica celeste nell’ I. R. università di Pisa. 4 febbraro 1849 ^PARLATORE FILIPPO , professore di bota- nica , e di fisiologia vegetale nel museo di fisica e storia naturale in Firenze. » » PIOLA dott. GABRIO, professore di matema- tiche a Milano. (Defunto il 10 novembre 1850). )) )) *P!RIA RAFFAELE , professore di chimica in Torino. 14 se^femòre 1848 *PLANA barone commendatore GIOVANNI, direttore del R. osservatorio astronomico di Torino. 4 febbraro 1849 *PURGOTTl dott. SEBASTIANO , professore di chimica nell’università di Perugia. )) » *SANTINI cav. GIOVANNI, direttore dell’ I. R. osservatorio astronomico di Padova. )) » ^SCACCHI ARCANGELO, professore di mine- ralogia nella R. università di Napoli. )) » ’^SISMONDA cav. ANGELO, professore di geo- logia , e di mineralogia nella R. università di Torino. » » *TADDEI cav. GIOACCHINO , professore di chimica igienica e medica in Firenze. « » *TARDY PLACIDO, professore di matematiche. » )) ^TENORE cav. MICHELE, professore di bota- nica nella R. università di Napoli. — XII EPOCA DELLA ELEZIONE 4 febbraro 1849 *ZA1NTEDESCHI abate cav. FRANCESCO, già professore di fisica nell’ I. R. università di Padova. SOCI CORRISPONDENTI STRANIERI 17 novembrelSBO *AIRY G. B., direttore del R. osservatorio astro- nomico di Greenwich. 10 luglio 1853 *AGASSIZ L. , professore di storia naturale a Boston. 17 novemòre 1850 ARAGO F., segretario perpetuo dell’accademia delle scienze dell’ 1. istituto di Francia. (De- funto il 2 ottobre 1853). I » )) *BIOT cav. G. B. , membro dell’ accademia delle scienze dell’I. istituto di Francia. 10 luglio 1853 *BOND, astronomo a Cambridge. 17 novembreìS5Q CAUCHY A. , membro dell’ accademia delle?^^' /^Ji scienze dell’ I. istituto di Francia. (Defunto nel 23 maggio 1857). ]i » » *CHASLES MICHELE^ membro dell’accademia ij delle scienze dell’ I. istituto di Francia. )) » *DE LA RIVE A. , professore di fisica in Gi- nevra. 2 maggio 1858 *DESPRETZ CESARE , fisico e membro dei- fi accademia delle scienze dell’ I. istituto di / y Fr^cia. ^ » » ^DIRI^ET, professore di matematiche nell’uni- versità di Berfino. o 10 luglio 1853 *DE HUMBOLDT barone ALESSANDRO , in Berlino. ^ ' w XIII EPOCA DELLA ELEZIONE 10 luglio 1853 *DU BOIS REYMOD E., fisiologo a Berlino. 17 novembre \S50 *DUPERREY L. L, membro deiraccademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. 10 luglio 1853 *ÉLIE DE BEAUMONT GIAMBATTISTA, se- gretario perpetuo deH’àccademia (mlle scienze dell’ I. istituto di Francia. 17 /lovemòre 1850 ^FARADAY MICHELE, membro della R. so- cietà di Londra. » » *FLOURENS G, P., segretario perpetuo dell’ac- cademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. )) )) *FORBES G. , professore di fisica in Edim- )) )) )) » ))^ • )) )) » )) » )) )) » )) » )) )) )) » )) 10 luglio 1853 burgo. FUSS P. H., segretario perpetuo dell’ I. R. ac- cademia delle scienze di s. Pietroburgo. (De- funto il 22 gennaro 1855). *FOL'CAULT LEONE , fisico nell’ osservatorio astronomico di Parigi. *FORCHHAMMER GIORGIO , segretario della società delle scienze in Copenaghen. *FRIES ELIAS, segretario della R. accademia delle scienze di Upsala. *GROVE G. R., professore di fisica in Londra. — — ' GAUSS G. F. , professore di matematiche in Gottinga. [Defunto il 23 febbram 1855). *HANSEN P. A. , direttore dell’ osservatorio astronomico di Gotha. *HENRY, segretario dell’ istituto Smitsoniano in Washington. ^JOHNSON, geologo a Washington. lACOBI C. G. I. , professore di matematiche nell’università di Berlino. (Defunto nel ÌS50). *IACOBI, professore di chimica in Pietroburgo. XIV EPOCA DELLA ELEZIONE 10 luglio 1853 *KUMMER , professore di matematica neiruni- versità di Breslavia. » » *KUPFFER, direttore dell’ I. R. osservatorio di s. Pietroburgo. 17 novemòre 1850 *LAMÉ G., membro deH’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. 10 luglio 1853 *LIEBIG barone GIUSTO, professore di chimica in Monaco. » » *LITROW , direttore dell’ I. e R. osservatorio astronomico di Vienna. » » *LIAIS E. , già nell’ I. osservatorio di Parigi astronomo aggiunto. » » '^'LORENTE, professore segretario della R. ac- cademia delle scienze di Madrid. 4 febbraro 1849 *MALAGUTI M. J. , professore di chimica in Rennes. 10 luglio 1853 ^MALMSTEV dott. C. G. , professore di mate- matica nell’università di Upsala. » » ^MURCHISON cav. R., presidente della società geologica a Londra. )) » *M1TSCHERLICH R., professore di chimica in Berlino. » » *NEUMANN, dott. professore di matematiche, e fisica nell’università di Kònisherg. » » *OSTROGRADSKY , membro dell’ I. R. acca- demia delle scienze di s. Pietroburgo. » » *OHM dott. M., professore di matematiche nel- l’università di Berlino. )) » ^POINSOT L. , membro dell’ accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. » )) *POUILLET C. , membro dell’ accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. XV EPOCA DELLA ELEZIONE 17 novemòre 1850 *QUETELET cav. A., segretario perpetuo della 10 luglio 1853 R. accademia delle scienze, lettere, e belle arti del Belgio in Brusselles. *REMOM ZARCO DEL VALLE dott. ANTO- NIO , presidente della R. accademia delle scienze in Madrid. 10 luglio 1853 *REGNAULT V., membro deU’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia. )) » *ROBERTS G. , professore di matematica nel collegio della Trinità in Dublino. 2 maggio 1858 ^SABINE, fisico e membro della B. Società di » » Londra. ^STEINER I., professore di matematica in Ber- lino. )) )) ^THOMSON G., professore di filosofia naturale )) » nellTiniversità di Glasgow. ^WEIILBERG , segretario della R. accademia delle scienze di Stockolm. 17 novemòre 1850 ^WHEATSTONE, membro della B. società di Londra. 3 d/cemòre 1854 ^VOEPCKE F., matematico di Berlino. SOCI ONORABI 12 gennaro 1849 ^CAETANI commendatore D. MICHELANGELO, principe di TEANO. 16 gennaro 1856 BRATTI dott. FRANCESCO, professore di chi- mica, e di farmacia neU’università romana. XVI SOCI AGGIUNTI EPOCA DELLA ELEZIONE 3 luglio 1847 25 ASTOLFI abate OTTAVIANO , professore di matematica nel collegio di Propaganda Fide. ' (Passato fra i soci ordinari), maggio 1848 ^BETOCCHI ALESSANDRO, ingegnere. » CAVALIERI SAN BERTOLO GIOVANNI, in- gegnere. (Defunto il 23 dicembre 1857). ) » *CUGNONI IGNAZIO, ingegnere. iprile 1855 *DELLA PORTA conte AUGUSTO. (Succeduto al sig. Ottavimo Astolfi). *DES JARDINS dott. FELICE MARIA. *FABRI dott. RUGGERO. (Succeduto al signor prof. D. Salvatore Proja). ^PALOMBA dott. CLEMENTE. PROJA D. SALVATORE, nominato a profes- sore futuro di elementi di matematica nel- Tuniversità di Roma. (Passato fra i soci or- 1 a 3 luglio 1847 1 aprile 1855 25 maggio 1848 3 luglio 1847 25 maggio 1848 ^VESPASIANI abate I). SALVATORE, già sup- plente alla cattedra di fisico-chimica nel se- minario romano. MACCHINISTA 14 se^^em6rel848 LUSWERGH ANGELO, macchinista del gabi- binetto di fisica nella università romana. (De- funto il 21 fehhraro 1858). ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE l-‘ DEI 5 DICEMBRE 1858 PRESIDENZA DEL SIG. DECA D. MARIO MASSIMO MEMORIE E COMUNICAZIONI DXX SOCI ORDIMAai Z DEI CORRISPONDEl^Tl Per l’assenza del sig. presidente duca Massinao, questa sessione fu presieduta dal sig. prof- N. Cavalieri S- Bertelo. Astronomia — Osservazioni della Cometa Donali , fatte all' Osservatorio del Collegio Romano. Memoria del R. P. A. Secchi. Questa Cometa scoperta dal sig. Donati a Firenze il due Giugno a. c, fu da me osservata nei giorni 10 e 13 dello stesso mese, dopo di che l’abbandonai per at- tendere ad una serie di osservazioni fìsiche sul pianeta Marte, ed alle misure delle stelle doppie onde completare il catalogo che ho presentato all’Accademia delle scienze di Parigi nella seduta del 30 Agosto. Poco dopo la metà del detto mese dovetti lasciare l’Osservatorio per un viaggio m Francia ed Inghilterra per r acquisto di fari destinati ai nostri porti , dal quale non fui di ritorno che alla fìne dell’Ottobre e così mi trovai assente dall’Osservatorio appunto nel- l’epoca dèlia più solenne apparizione di questa tanto famosa e bella Cometa. Tuttavia benché lontano fui supplito vantaggiosamente dal mio assistente e sostituto p- Rosa, e dal p. Cappelletti che si dedicarono con ogni premura a fal- si che i preziosi strumenti di cui è fornito il Collegio Romano non restassero senza vantaggio per la scienza, e al mio ritorno ho trovato una serie d’im- portanti disegni, di misure, e di osservazioni astronomiche e fìsiche, le quali spero non saranno per esser inutili alla scienza malgrado le molte che si sono fatte da tanti altri astronomi. Le osservazioni che presento sono di due specie, le une strettamente astro- nomiche, tra le quali spero che quelle fatte al principio della apparizione po- tranno servire a rettificare l’orbita della Cometa, in quell’epoca, quando pel 1 — 2 — crepuscolo e la debolezza sua era invisibile agli osservatorii del Nord, e in cui per la lentezza enorme del suo movimento dovea necessariamente accadere che un piccol errore di osservazione influisse grandemente su i risultati. Si vedrà così se a questa cagione si devono le svariate orbite ed i brevi pe- riodi che si credette doverle attribuire da principio, ovvero se vi è altra ca- gione d’ordine fisico più importante (1). Ecco le osservazioni astronomiche le quali però non sono state tanto nu- merose appunto per poter attendere più di proposito alla sua descrizione fisica. 1858 T. M. di Roma d a ds a i app. Com. 8 app. Com, 10 Giug. Qh .30» .58* .20 h~ im .42* .17 A— 1'.29" .54 9h .25- '. 8*.26 h-24<>. 40'. 40" .49 13 » 10. 10. 36. 97 2. 8. 87 2. 25. 09 9. 25. 30. 11 24. 59. 41. 98 1 Seti. 6. 59. 32. 93 0. 20. 34 a—1. 40. 29 10. 40. 7. 02 34. 18. 36. 71 5 » 6. 59. 19. 96 à-H 3. 26. 82 b-^a. 36. 42 10. 48. 50. 16 34. 59. 18. 49 20 » 7. 18. 45. 74 C — 1. 28. 00 C-+-3. 35. 62 11. 47. 32. 12 36. 17. 43. 04 4 Ott. 6. 30. 15. 00 e-t-03. 12. 50 e-hO. 18. 30 13. 55. 12. 03 22. 23. 39- 60 8 » 7. 7. 36. 30 f+ 0. 51. 43 /— 1. 16. 37 14. 45. 28. 04 10. 34. 16. 53 /< = Durham observations 1849-52, num. 98. i = Greenwich Calai, of. 1576, Stars frora 1848-53, num. 672. del nucleo alla sommità del ventaglio era 24"0; la direzione o angolo di » posizione dell’asse maggiore del nucleo era 83.“ 47. La larghezza del ven- » taglio sulla linea diametrale del nucleo = 43",75 larghezza del medesimo )) alla estremità de’ due ultimi raggi =.- 51"45; I due raggi però non erano ugualmente lunghi e la linea media del loro angolo non coincideva col mezzo )) della coda. L’inviluppo esterno del paraboloide nebuloso fu trovato 4', 6; )) l’angolo di posizione della coda =11." 22. Intorno a queste misure è da osservare che la cattiva terminazione degli oggetti le rende un poco incerte: di più il nucleo non sopportava che 1’ in- grandimento di circa 200 volte, dopo di che diventava enormemente confuso e sfumato. A questa circostanza si deve la notabile diversità trovata da vari astronomi tra le misure del nucleo stesso. Così il Signor Donati e il Si- gnor Maedler lo fanno di 3” soli; diversità che io non saprei spiegare altri- menti e che eccede tutti i limiti probabili degli errori nella misura di questo — 5 — oggetto, mentre del resto assai bene combinano le misure degli inviluppi esterni V. Astron. Nachricht. n." 1167. pag. 227. Del resto, le forme de’ vari ven- tagli, aloni o inviluppi descritti dal Signor Donati ben combinano colle nostre. 30. Settembre Direzione dell’asse della coda 13.°|: anche oggi questa di- rezione è diversa da quella di una linea media che si imagini condotta pel mezzo dell’angolo oscuro del ventaglio, che si trovò esser 38",26', onde l’aper- tura di quest’ angolo non infilava nella direzione della coda. Questa sera la distanza massima delle due punte del ventaglio era 47", 4, cioè un poco meno di ieri sera, e l’asse maggiore del nucleo 8,"72, cioè un poco più della sera precedente. In queste sere si fu che la coda della Cometa cominciò a presentare la sua più bella pompa, e a mostrarsi notabilmente curva e ben decisa dalla parte superiore, e molto sfumata e concava dalla inferiore, talmente che fu paragonata da taluni ad una palma e da altri ad una coda di paradisea. La coda era divisa longitudinalmente in due rami da uno spazio oscuro che presso al nucleo per piccolo tratto, nel cannocchiale appariva assolutamente nero, indi veniva leggermente sfumando, ma ad occhio nudo tal divisione non si vedea. 2. Ottobre- Le apparenze da questo giorno in poi sembrano aver preso un carattere tutto diverso dai giorni precedenti. La cometa ha tre inviluppi ben distinti, il più lontano è una nebulosità diffusa, il secondo è più lucido, più deciso ed è simile al nicnbo che si dipinge attorno ai Santi dai pittori del trecento ed è di forma circolare che tende a rientrare in se stesso senza ripiegarsi per secondare la coda, il terzo è una specie di alone o aureola for- mata attorno al nucleo e che vedesi distintamente separata dall’inviluppo in- termedio da uno spazio meno luminoso « 1’ intensità di questo ventaglio va )) crescendo dalla periferia al centro , ove si confonde col nucleo ; la sua » forma è rotonda , ma mancano circa 90“ gradi a chiudersi. Esso è for- » nito di due raggetti o piccole code , e quello al sud apparente non è In )) linea retta ma ricurvo verso Nord Ovest, Quest’aureola non è rigorosamente » circolare, ma più allungata al Sud apparente che al Nord II grande ven- » taglio (nimbo) è simmetrico rapporto al piccolo , anche rispetto alla cur- )) vatura dell’esterno raggio al Sud apparente » Questa aureola fu veduta anche dal Signor Donati quasi lo stesso giorno formarsi attorno al nucleo della Cometa; onde anche qui combinano le ap- parenze. Esse sono importanti perchè sono una riproduzione delle aureole ve- dute tante volte attorno ai nuclei e descritte da Lemonier nell’Hist. Celeste 1680 pag. 243 (ma la fìg. riportata da Delambre nella sua astronomia è mal disegnata) come pure quelle di Messier riportate da Arago astr. popul. loc. cit. 4. Ottobre. Quello che ieri era « un arco oscuro continuato parallela- » mente all’orlo dell’aureola, questa sera trovasi ridotto a un semplice foro. )) L’aureola o piccolo ventaglio esterno (nimbo) è alquanto schiaccialo dalla » parte superiore e forma una curva elissoidale dalla parte Est apparente. » L’ombra del nucleo è decisamente nera, ma molto corta. Angolo di posi- )) zione dell’ asse della coda 28-“ 22-' La figura di questa sera mostra una )) deformazione troppo notabile per passare inosservata. 1 due raggi o appen- dici sono molto ricurvi benché corti : essi richiamano alla mente quelli già osservati da Messier nel 1769- V. Arago loco citato. La coda questa sera si estendea fino a X Boote. Dal 4. fino all’8, non si ebbero osservazioni. AH’8 si trovò « il suo aspetto » fortemente cambiato e la forma del nimbo era divenuta irregolare assai » esso pendea molto dalla parte verso est apparente. Avendo io veduto la Cometa con bellissimo cielo a Berlino nel grande refrattore per gentilezza del Signor Encke la sera del 7, la sua figura non mi parve ancora divenuta distor- ta, ma solo quale si rappresenta nella flg. 7.® Se non che mi parve che oltre il foro nero tra l’aureola e il nimbo vi fossero più interruzioni chiare ed oscure che decisamente richiamavano una struttura del nimbo a raggi debolissimi. 11 nucleo dalla parte dell’aureola era notabilmente più sfumato, che dalla parte della coda. Siccome una gran parte delle diversità che si incontrano nella descrizione de’ fenomeni presentati da questa cometa e descritti dai diversi osservatori, dipendono dalla varietà dei termini con cui viene indicata la stessa cosa, credo bene specificare con più distinzione i termini usati da noi. Nelle fi- gure 6, 7, 8 abbiamo tre inviluppi distinti del nucleo; l.° quello dell’aMreo/a vivace; 2." del ventaglio aperto che io ho chiamato nimbo ; 3.“ di una ne- bulosità irregolare che tutti e due inviluppava all’esterno. In queste facilmente si distinguono le parti indicate del Signor Donati; però resta dubbio se nelle diverse sere siansi i vari inviluppi sostituiti l’uno all’altro, senza di che non si capisce come il signor Chacornac possa indicare fino a otto di essi. Queste apparenze mutarono affatto la sera del 9, in cui sfortunatamente manca l’osservazione del Donati. Ecco quanto trovo nel giornale « Dopo un » lungo aspettare, finalmente la Cometa è uscita dalle nubi. La prima cosa » che ha colpito è stato vedere non due ventagli, (cioè l’aureola e il ventaglio » o nimbo propriamente detto) ma tre; cioè il più grande meno lucido , il » medio un poco più splendente, e il 3.“ più intero più deciso e più lucido )) degli altri , oltre la solita nebulosità esteriore diffusa. Il Ventaglio grande )) si e slargato alle due parli laterali che ora confondonsi nella coda (vedi fig. » precedente ove era lateralmente rientrante) anche l’ombra del nucleo (sic) )) ossia l’asse centrale oscuro della coda si è slargato, e sembra che le due )) quasi capigliere che formano la coda tendano a circondare nuovamente il )) nucleo per rendere la nebulosità rotonda come vedeasi al principio dell’ap- » parizione. Tutta la nebulosità della coda si va diradando crescendo di vo- » lume e diminuendo l’intensità della luce- » Tutti questi cambiamenti sono avvenuti in un giorno solo. La coda verso quest’epoca era 38 in 40.“ mal- grado il chiaro di luna. II 10. Ottobre non trovo nostre osservazioni pel tempo cattivo , ma il Donati osservava una indecisione e un aumento nel nucleo. 11 giorno 11, si vede un cambiamento totale. « É tutta arruffata, ed è » mirabile , il cambiamento del nucleo interno. Il ventaglietto si è cam- )) biato in un piccolo disco ben deciso , e a sinistra tiene una codetta » lucida come vedesi nel disegno. A destra vi è un altra codetta ma meno )) lucida. Il ventaglio grande con tutta la criniera sopra il nucleo pende dal » Iato Est apparente; verso la qual parte è rivolta la codetta più lucida. Sotto » al nucleo la striscia oscura si è molto slargata ed è sfumatissima , pari- )) menti la coda si allarga moltissimo. La parte superiore del ventaglio secondo )) il solito è schiacciata da alcune sere in quà e la luce è diminuita di molto Dalla fìg. si vede che il nucleo non è più nel vertice della paraboloide della coda, ma che se ne scosta a destra. Questa eccentricità è più notabile nella fìg. del 13- Ottobre, e si vede una disposizione a quanto si presentò poi nella sera del 15. Il 14- la cometa avea il nucleo di 6, "4. La posizione della coda era 87."0; II raggio del ventaglio 39, ”4. Sicché il nucleo era molto cambiato di volume ; assai deciso nella parte verso la coda e confuso dalla parte opposta. Le apparenze della sera del giorno 15. sono le più importanti dì tutta l’apparizione perchè danno molto lume sulle osservazioni antiche. Comparve questa sera fornita di una specie di raggio a virgola come se uno dei due raggi che si vedeano prima si fosse torto a spira. Piccola da principio e molto aperta questa appendice spirale, si andò sempre ingrandendo e allungando fino ai 22. Ottobre in cui parca la sua punta quasi prossima a toccare il nucleo per richiudersi. Le figure sono esatte e fedeli , e si hanno anche le misure seguenti. Il 16 Ottobre, il nucleo era di 5, "6 ; ed era assai eccentrico alla — 8 - virgola 0 spirale. Prendendo per maggior chiarezza le indicazioni dalla figura qui sotto si ebbero le seguenti misure alle ore 6. Raggio xy dell’ aureola cioè dal lembo del nucleo che resta più verso la coda fino al lembo della vir- gola opposto alla direzione della coda stessa 15. "00. Diametro xb cioè mas- sima distanza della punta della virgola al lembo dell’altra parte 26, "12;. Di- rezione xb suo angolo di posizione 352," 8. 17. Ottobre. Continua la figura spirale, è diminuito il nucleo ed è cre- sciuta l’aureola. Diametro del nucleo Raggio xy (di ieri) Raggio xb ■ • . Raggio xa . . . Diametro ab . . . ^ 5".84 = 21. 12 = 34. 20 = 10. 40 39. 2, La coda della virgola è opposta a Venere Direzione ab = 359®. 38. 18 Ottobre. Raggio xy .... = 23".13 Diametro a6 . . . . = 41. 74 Posizione xb. . . . = 4". 8'. « Le nubi impedirono le altre misure , ma la distanza del nucleo alla » punta della virgola era maggiore di ieri sera. La figura questa sera è fe- » delissima e magnifica. Da alcuni giorni il ventaglio o alone grande che in- » viluppa la cometa e la virgola ha perduto molto della sua precisa termina- )) zione è molto sfumato ma sussiste. 19. Ottobre. La coda della virgola è cresciuta e pare che si pieghi da una parte, cioè )> verso Est appar. Il ventaglio o nimbo grande è sparito o per meglio dire » si confonde colla chioma- L’aria era così squisita questa sera che si potè )) osservare la luna presso l’orizzonte coll’ingrandimento 1500. e distinguervi )) le strie dei crateri. Quindi il disegno merita fede. Nelle seguenti sere fino ai 22 non si presero misure ma solo i disegni- Si osservò in queste ultime sere un colore più rossastro di prima che divenne assai pronunciato quando la cometa giunse presso Venere- — 9 — 22. Ottobre. Mancano le misure, ma la coda della virgola pare ripiegarsi per venire a ritrovare il nucleo. Qui finiscono le osservazioni e i disegni, interrotte parte dal tempo cattivo parte daH’accostarsi della cometa all’orizzonte. Si conserva pure all’osservatorio un disegno della cometa come era vi- sibile ad occhio nudo, ove si ebbe cura di far rilevare la forma curva del- l’estremità della coda, e quella specie di materia sparsa che l’accompagnava, irregolarmente diffusa che si potrebbe credere affatto uscita dalla sfera d’at- trazione della cometa e perduta. Questa materia era sempre visibile dalla parte della curvatura inferiore della coda la quale riusciva perciò mal terminata, men- tre la esteriore era benissimo decisa: avuto riguardo alla sua posizione, resta assicurato che la parte più sfumata era dal lato che la cometa abbandonava col suo corso. La coda dal 22 Settembre in poi si mostrò sempre divisa in due nel cannocchiale, e dietro il nucleo vi era un piccolo spazio nerissimo, il resto era reso più oscuro e apparentemente forse più largo per la forza del cannocchiale che faceva svanire la debole luce ivi sfumata. Fin qui le nostre osservazioni che come abbiamo detto combinano bene colle altre finora pub- blicate e se vi appare qualche divergenza ciò può derivar soltanto dalla maniera usata nell’indicare i diversi inviluppi. Prima di discutere teoricamente alcune delle citate apparenze è bene ri- cordare che dal calcolo degli elementi, la cometa si trovò al perielio ai 30 Settembre presso mezzodì, che fu nella massima vicinanza alla terra il giorno 11 Ottobre e che allora ne distava di poco più di 5 decimi e che circa nel giorno 17 Ottobre si trovò nella massima vicinanza con Venere distandone circa un nono della distanza della terra al sole. Da questo risulta 1.” che l’ingrandimento osservato negli ultimi giorni dell’aureola o virgola, è un ingrandimento reale perchè dal 16 al 22 Otto- bre la cometa si andò sempre allontanando da noi, e dal Sole, laonde cre- scendo le distanze avrebbe dovuto diminuire il suo volume apparente. Anche il diametro adunque di questa cometa come di molte altre è andato crescendo coH’allontanarsi dal Sole. 2.“ Che le prime distorsioni si manifestarono nell’avvicinarsi della Cometa alla terra cioè agli 8, e che agli 11 Ottobre che fu il giorno della massima vicinanza alla terra, si ebbero delle apparenze di getti lucidi analoghi a quelli che in essa si produssero da principio nell’avvicinarsi al Sole. 2 — 10 — 3.^ Che lo sviluppo dell’aureola a forma di virgola combina coll’epoca della prossimità della Cometa a Venere, e che la direzione della coda della virgola era opposta a questo pianeta- È degno di osservazione che questa ultima apparenza a foggia di virgola fu mostrata anche dalla Cometa di Halley, nel 1682 la cui figura ci è stata conservata da Evelio e riportata da Smith nel voi. IX delle Memorie della Società Astronomica 1836. p- 239. Questi osservò getti di luce il 10 ot- tobre in quella Cometa ed è pure singolare che la produzione di tali getti combina colla massima vicinanza della Cometa alla terra in quell’ epoca. Queste coincidenze sono importantissime e le ha notate il p. Rosa mio collega , e non è improbabile che come la vicinanza del Sole produce tanti cambiamenti nelle Comete , non ne possa produrre qualcheduno anche la vi- cinanza de’ primari pianeti- Per ispiegare con qualche precisione queste par- ticolarità, è necessario rappresentarsi esattamente la posizione della Cometa nello spazio il che avendo fatto siamo stati convinti che il massimo sviluppo della virgola ebbe luogo nella minima distanza da Venere e che la virgola mostrò tendenza a richiudersi quando se ne allontanò- Tal mezzo materiale di figura può riuscire utilissimo per ben giudicare delle apparenze di questi corpi- Infatti la Cometa è certamente un solido a tre dimensioni ma noi non ne vediamo che la proiezione sul piano perpendicolare al raggio visuale; può quindi essere che molte mutazioni siano meramente apparenti. La forma spi- rale però dell’ aureola nel caso nostro risulta reale , e ciò si prova anche dalla forte luce che avea questo getto spirale dalla parte convessa mentre an- dava svanendo dall’ altra. Così pure abbiamo riconosciuto esser reale la cur- vatura della coda, e l’eccentricità del nucleo. Intanto dalle fasi percorse della Cometa ricaviamo le seguenti importanti conseguenze. 1. “ Molte apparenze di questi corpi descritte dagli antichi e credute esa- gerate si sono verificate in questa. 2. " Le fasi che ha percorso sono quali devono aspettarsi in una massa espansibile che viene approssimandosi al Sole , e dilatandosi irregolarmente fino al punto di una massima vicinanza al gran focolare, dopo di che cessano le apparenze di getti irregolari , e invece si veggono depositare su di essa degli strati di forma più regolare e meglio terminata. Tale osservazione fu già fatta da Sir John Herschel per quella di Halley che si mostrò di figura irregolare fino ad arrivare al perielio, ma passato questo non si ebbero che — Il forme regolari: è notabile la molta analogia nel corso di questa ultima Co- meta coH’ultima apparizione di quella anche, rapporto all’arco dell’orbita tra- scorso presso la terra. 3° La polarizzazione della luce della testa e della coda della Cometa col piano che passa sempre pel sole e per l’asse della cometa, che io potei osservare a Berlino col sig. Encke e col sig. Brunhs sono una prova evidente dell’esser la loro luce riflessa dal sole. 4. ° La grande sfumatura e indecisione della fine della sua coda sembra mettere fuori di dubbio affatto che le comete possono perdere alquanto della loro materia, sia per la resistenza di un mezzo, in cui si muovono, sia per l’attrazione esercitata nelle parti della coda degli altri pianeti. 5. ® Resta provato la loro estrema tenuità e piccolezza di massa, giac- che attraverso una parte assai densa della sua coda presso la testa, fu ve- duto Arturo splendente senza perdita di luce; e fu pure veduto un gruppo di stelle Messier n." 3, senza che perdesse la sua bellezza- Lo stesso tanto dimi- nuire il diametro del nucleo collo spingere 1’ ingrandimento de’ cannocchiali mostra che esso non era solido ma come vaporoso , e terminato solo appa- rentemente da limite dipendente dalla forza del cannocchiale. 6-“ La forma tortuosa a virgola spiegata sul fine dell’apparizione e nel- l’accostarsi a Venere, sembra mostrare una influenza di questo pianeta sulla sua forma e probabilmente la forma spirale di quel getto od aureola indica una rotazione nella massa della cometa , o almeno una deviazione obliqua della forza del sole che produce la coda per la vicinanza del pianeta per- turbatore. Quel che resta ancora a spiegare, è come possa avvenire un sì enorme cambiamento di figura in sì poco tempo e una sì grande diffusione di materia in corpi sì rari, e quindi le forme bizzarre che vestono. Lungi dal pretendere di dare una soluzione definitiva di questo difficile problema , credo anzi qui luogo di fare osservare che tutte le ipotesi finora proposte di ripulsioni elet- triche, magnetiche, ec.; sono affatto precarie, e non meritano di esser prese in considerazione -se non si provino insufficienti a spiegar tali fatti le forze che noi conosciamo- Ora siamo ben lungi dal trovare dimostrata una tale in- sufficienza per la qual cosa mi saranno permesse alcune considerazioni. Primieramente le comete quando vengono dalla profondità dello spazio, sono rotonde e non si manifestano le loro irregolarità che nelle vicinanze del Sole, onde in quest’astro risiede la forza che dà loro quella figura allungata e strana, e siccome esso agisce in due modi, cioè — 12 — 1. “ Colla gravitazione, 2. ” Col calore, resta a cercare quali effetti queste cause possano pro- durre in un corpo della natura della ‘cometa. Ora parmi non difficile a dimostrare che la gravitazione anche sola , deve produrre nella come- ta cambiamenti notabili di figura quando essa si avvicina al Sole- In- fatti sappiamo che l’ azione di un astro attraente sopra un pianeta rico- perto di uno strato fluido , vi produce una mutazione di figura , la quale lo riduce da sferico approssimativamente ad un elissoide nel caso che la forza estranea o perturbante sia piccolissima rapporto alla gravità propria del pianeta , e che piccolo pure sia il diametro del pianeta rapporto alle distanze de’ corpi attraenti. Tale è il caso per il flusso e riflusso del mare e dell’atmosfera terrestre; ed è appunto perchè la forza perturbante è minima rapporto alla gravità terrestre che la figura del mare e della atmosfera è po- chissimo cambiata. Questo caso però è tutto diverso da quello delle comete, nelle quali la massa è piccolissima, ed il volume grande, e quindi 1." l’at- trazione solare a certa distanza può esser ben superiore a quella che hanno reciprocamente le parti della cometa tra di loro, e 2.® essa varia molto nelle va- rie parti del suo volume. Sicché per determinare la figura di una Cometa giunta a certa vicinanza dal Sole, si dovrà trovare la figura di una massa fluida nel caso che la gravità esteriore sia comparabile o anche molto maggiore che la gravità propria, e di più che il suo volume non sia da considerarsi come pic- colo rapporto alle distanze del sole. Sotto queste nuove condizioni si dovrà dunque cercar la legge di equilibrio della massa, mobile supponendo se vuoisi che essa consista di un nucleo circondato da strati di materia elastica, concen- trici e di densità decrescente- Il problema, che io sappia, non è stato ancora dal- l’analisi risoluto, ma è facile il capire che deve molto variare la distribuzione della massa stessa, e la sua parte più densa non può più stare nel centro, ma sembra in- vece che si debba accostare al corpo attraente. Nel caso poi che la massa del cor- po attratto sia minima egassosa si viene quasi a cadere in un caso analogo a quello dell’equilibrio di una colonna atmosferica di materia espansibile che abbia la sua base appoggiata sul corpo attraente, e della quale gli strati più densi sono sempre in basso, e potrebbe in certo modo considerarsi il caso di una tal colonna atmo- sferica , come il limite ultimo di equilibrio , che acquisterebbe una cometa quando colla sua testa andasse ad appoggiarsi sul sole. La forza di proiezione e traslazione qui impedirebbe solo il contatto, ma la distribuzione della colonna dovrebbe essere quale conviene alla densità; cioè la più rara occuperà la parte più — 13 — lontana, e la più densa la più vicina, e la coda si potrà così sostenere isolata e stesa nello spazio sempre opposta sensibilmente al sole. Sicché il caso del pianeta molto denso e pochissimo perturbato di figura può considerarsi come il primo limite di minima deformazione e questo della colonna atmosferica sa- rebbe l’altro ed ultimo estremo, fra quali due possono imaginarsi infinite for- me di ellissoidi allungati, in cui la parte più densa si porta verso il centro at- traente e la più rara se ne allontana, che è appunto la figura che vediamo avere le comete. La singolare apparenza di coda mostrala dalla cometa nel- l’accostarsi a Venere sembra indicare che anche l’attrazione di soli pianeti può avere effetto su di esse. La sola gravitazione adunque può dare alla cometa una figura allungata elis- soidale colla parte di maggior densità presso il sole quale noi vediamo, se non che sembra che essa dovrebbe venire sempre più compressa verso il sole per forza della maggiore attrazione, ma devesi osservare che il sole agisce ancora come potenza calorifica che dilatando la massa cometaria enormemente, vi pro- duce notabili movimenti- Ne segue da ciò che la loro materia dilatata dovendo rimettersi in equilibrio sotto la forza di gravità, pel detto di sopra, la parte più leggera dovrà tendere a fuggire dal nucleo e allontanarsi dal centro più denso per disporsi secondo la distribuzione voluta dalla gravità solare, che qui supera la cometaria. L’apparire poi le forme delle Comete più irregolari prima che dopo il perielio non fa difficoltà, anzi sembra una conseguenza naturale dei fenomeni inversi che accompagnano il riscaldamento e il raffreddamento delle masse- 11 primo procede sempre in modo alquanto più tumultuoso, la deposi- zione per raffreddamento è sempre più regolare, del che non mancano esempi dei più ovvii fenomeni meteorologici terrestri. Se il risultato del calcolo confermasse le congetture fatte finora, queste due forze basterebbero a spiegare la parte fondamentale de’ fenomeni; e se vi si aggiungesse la resistenza di qualche materia che non dubbiamente riempie gli spazi interiori dell’orbita terrestre, e che non può l’etere luminoso, ma bensì una materia ponderabile rarissima , avremo una sufficiente spiegazione delle principali apparenze mostrate in questa e nelle altre comete e singolarmente la diversa sfumatura della coda dai due lati, che è più precisa nel verso ove cammina, e più diffusa ed incerta dall’altro, come pure della perdita di mate- ria, che sembra aver fatta nel decorso del suo viaggio. Il signor Encke crede già dimostrata 1? resistenza di un tal mezzo dal- l’acceleramento che prova la cometa a breve periodo che porta il suo no- me (1) e si potrà anche confermare dal corso delle altre quando si abbia atten- zione a determinare separatamente le due parti dell’orbita prima e dopo del passaggio pel perielio , non essendo possibile che siano senza influenza nei corso geometrico del centro di gravità dell’astro i grandi cambiamenti fisici che esso subisce nel suo avvicinarsi al Sole. (1) Si è obbiettato che la cometa di Halley invece ritarda, ma ciò può spiegarsi come osservano alcuni se si supponga questo mezzo ancor esso in rotazione, infatti le due citate comete hanno corso opposto la prima diretto l’altra retrogrado. Astronomia. — Appendice alle ricerche sopra i movimenti propri delle stelle fisse; del prof I. Calandrelli. l.“ Il metodo semplicissimo, il quale consiste nello immediato confronto delle medie posizioni assolute delle stelle osservate in epoche diverse distanti fra loro di un dato numero di anni, è quello di cui si sono serviti gli astronomi per determinare gli annui movimenti propri delle fisse, i quali sogliono no- tarsi nei cataloghi. 2. ° Tacendo finora la teoria sulla natura di questi movimenti , i quali però, per comune sentimento di tutti gli astronomi, sono dovuti alla univer- sale gravitazione, la quale, come insegna la scienza, si estende al di là dei confini del sistema solare, l’indicato metodo è eccellente. Suppone però 1". che sieno esatte le medie posizioni osservate che si vogliono paragonare: 2°. che le osservazioni sieno state ridotte alle epoche fissate collo stesso sistema di elementi di calcolo. 3. “ Essendo però inevitahili i piccoli errori delle osservazioni , e non avendo finora gli astronomi fissato uno stabile sistema pel calcolo delle os- servazioni , così nei diversi cataloghi si trova notato per la stessa stella un diverso movimento proprio, e qualche volta anche di segno contrario. Le pic- cole differenze, le quali non di rado montano alle decime di secondo, fanno si che le posizioni della stella, ridotte alia stessa epoca, notabilmente differi- scano fra loro, e tali sieno queste differenze che non si possano stimare er- rori delle osservazioni. 4. “ Bessel nella delicata ricerca sulla variabilità del moto proprio di Sirio in ascensione retta , e del moto proprio di Procione nella distanza polare, è stato il primo che volle rinunziare allo immediato paragone delle ascensioni rette assolute di Sirio, e delle distanze polari di Procione, quali si avevano nei diversi cataloghi. Intese questo ceh astronomo la necessità di evitare, per quanto è possibile, le medie differenze dei cataloghi, e pensò di determinare il moto proprio di Sirio in ascensione retta relativamente a tre stelle fonda- mentali /3, « Orione, e Procione, e il moto proprio di Procione in distanza polare, relativamente ad 8 stelle fondamentali a Balena, oc Orione, /S Vergine, oc Serpente, y, «, /3 Aquila ed oc Aquario. Le prime tre sono tali, che la me- dia delle loro ascensioni rette eguaglia prossimamente l’ascensione retta di — 16 Sino, e le altre otto sono tali che la media delle loro distanze polari egua- glia la distanza polare di Procione. In questo caso se P° e P' sono le medie posizioni della stella fondamentale di paragone osservate alle epoche r e t' distanti fra loro di un numero n di anni, se a" ed «' sono le medie posizioni della stella principale di cui si cerca il moto proprio osservate alle stesse epoche, se finalmente p' e p sono le precessioni, totale della stella di con- fronto, assoluta della stella principale, calcolate per l’epoca media t — i- t' , avre- mo, indicando con fz l’annuo moto proprio : np. ~ (P® — k) — (P' — a') -+- n{p' — p) — A° — A'-i- ndp. 5.® W. Struve loda il metodo tenuto da Bessel : col prendere le diffe- renze delle ascensioni rette il a, scrive il citato astronomo, indubitablement éliminé de sa recherche les incertitudes dans la position du point équinoxial des catalogues; come anche col prendere le differenze delle distanze polari si eli- mina r incertezza nella posizione del polo. La condizione poi che le stelle di paragone e la principale sieno vicine in ascensione retta , nella ricerca del moto proprio in ascensione retta; e che le stelle di paragone, e la principale sieno prossimamente nello stesso parallelo nella ricerca del moto proprio nella distanza polare, deve giudicarsi molto utile, perchè nel primo caso a piccoli intervalli di tempo si possono osservare le stelle di confronto e la principale, e perchè nell’altro caso le osservazioni delle stelle di paragone, e della prin- cipale si fanno prossimamente alla stessa altezza, e il coefficiente della me- dia rifrazione rimane quasi il medesimo. LT. Struve però osservando, che la media delle distanze polari delle tre stelle di paragone relativamente a Sirio, differisce di 18" circa dalla distanza polare di Sirio, e che le otto stelle di confronto rispetto a Procione differiscono più o meno dalla ascensione retta di Procione fino a 14^ 30™ per cui queste stelle si debbono osservare dans des saisons tout a fait différenles, méme opposées, pensa che il metodo di Bes- sel possa essere difettoso, e lo giudica eccellente quando nell’una e nell’altra ricerca le stelle di paragone sieno vicine in ascensione retta , e in distanza polare alla stella principale. È ben difficile di trovare nelle stelle fondamen- tali quelle che possano soddisfare alla condizione richiesta dall’astronomo di Russia, quindi egli, relativamente a Sirio, propose le piccole stelle fi, v', v"... del Cane maggiore, le quali sono vicinissime a Sirio in ascensione retta, e in distanza polare, e relativamente a Procione, stimò meglio attenersi al con- — 17 ~ sueto confronto delle distanze polari assolute osservate in diverse epoche dai moderni astronomi, sopprimendo la distanza polare di Maskeline pel 1770, e quella di Piazzi pel 1800. 6. " Nelle mie ricerche sopra i movimenti propri delle fisse, e in partico- lare sul moto proprio di Sirio, ho usato dell’uno e dell’altro metodo, ed ho avuto occasione di fare alcune riflessioni, le quali vado brevemente ad esporre. Usando dell’antico metodo, cioè dello immediato confronto delle medie posizioni delle stelle osservate in epoche distinte, la determinazione dei moti propri dipende esclusivamente dalla esattezza delle posizioni medesime, e dal calcolo della precessione della stella di cui si cerca il moto proprio. Al con- trario col metodo di Bessel la determinazione dei moti propri dipende da questi medesimi elementi, e di più dalle medie posizioni di una stella fon- damentale, che si prende come termine di paragone, quindi di questa deve anche calcolarsi la precessione , e deve essere ben cognito il moto proprio , giacché nel calcolo non entra la precessione assoluta p, ma la totale p-f-p.=:p'. Qui però, a me pare, se non m’ inganno, che col metodo di Bessel si pos- sano incontrare, nella ricerca dei moti propri, maggiori incertezze di quelle, che sogliono incontrarsi coll’altro metodo- E stando alle stelle fondamentali, si può osservare che le loro medie posizioni, come che risultanti da un nu- mero grandissimo di osservazioni , benché possano meritare la fiducia degli astronomi, nulladimeno e per gli errori delle osservazioni, e per la incertezza dei loro moti propri, ridotte che sieno alla stessa epoca, non presentano una certa uniformità, che anzi manifestano differenze le quali non sono certamente nei limili delle decime di secondo in arco , e delle centesime di secondo in tempo. Non possono dunque considerarsi come punti fissi ai quali possa ri- ferirsi la posizione di corpi mobili di un moto lentissimo, quali, nello stato presente dell’astronomia , sono appunto le stelle fisse. Che se poi , in luogo delle stelle fondamentali , vogliamo ricorrere ad altre stelle come propose W. Struve, l’ incertezza diviene più grande, e perchè la loro posizione risulta sempre da un piccolissimo numero di osservazioni , e perchè il loro moto proprio è sempre incerto e mal determinato. 7. ° Queste mie riflessioni si possono rendere evidenti colla seguente so- luzione. Si cerca il moto proprio di Sirio in 101 |inni 1°. coll’ immediato para- gone delle medie posizioni assolute : 2". relativamente alla fondamentale /3 Orione; 3“. relativamente alla Q Cane maggiore. 3 — 18 — Elementi pel calcolo. Stelle ed epoche AR media Dist.p. nord med. Sirio 1755 Sirio 1856 /3 Orione 1755 [3 Orione 1 856 Q Can.mag.1755 9 Can.mag.1856 6^34"». 22.^ 046 6. 38. 48. 239 5. 2. 46. 491 5. 7. 37. no 6. 42. 48. 500 6. 47. 30. 163 106.° 23'. 53".80 106. 31. 20. 07 98. 30. 16. 20 98. 22. 17. 61 101. 45. 2. 20 101. 51. 40. 40 Bradi, an. dell’os. di Parigi Caland. osserv. diretta Bradi, an. dell’os. di Parigi Green. 1 845an.deH’os. dedot. Bessel. Fundam. astronom. Calan. os. del 1857 dedotta Stelle Precessioni media in AR per l’epoca 1805.5 in S Moti pr in AR . annui in S Sirio ^ Orione 9 Can. mag. h-2^ 679831 2. 877168 2. 795787 -4-3".! 87373 —4. 750597 -+-3. 925943 -+-0^ 000244 — 0. 007000 -t-0".011889 0. 022000 Prima soluzione np. = Acc~np = 267^ . 193 — 270^663 == - 3^ 470 np = A^— np = 446 27 _ 341 . 92 = -h 124". 35 Seconda soluzione A'-t-ndp=—1^31'”.34^ .555H-1.^31.-11^.129-t-19^956 =— 3^ .470 nfx=A»— A'-4-nrfp=:-7“.53' .37". 60h-8°. 9.' 2". 46—13'. 20''.53=h-124". 33 Terza soluzione Wja--=A“— A'-H«rfp= 507^454 — 52P.924 -4- 11^005 == — 3^465 nfL=rA“_A'-4-nrfp=:— 4°. 38'.51".60h-4".39'.39".7h-1'.16".82=h-124".89. — 19 — Le prime due soluzioni combinano perfettamente , le piccole differenze che si hanno nella terza dipendono dalle ragioni addotte (6°). L’ astronomo però di Russia non propose una sola stella, ma sette, affinchè nel prendere il me- dio dei risultati venissero compensate le piccole differenze. 8°. I moti propri annui di /3 Orione notati da me poco differiscono da quelli dati da Le-Verrier negli annali dell’osservatorio di Parigi, e si è veduto già che, usando di questi moti propri, il valore di w/z è identico a quello che si ottiene dallo immediato paragone delle medie posizioni assolute di Sirio, e poi- ché con questo metodo non abbiamo bisogno di alcun moto proprio, nè di una stella di confronto, così l’identità di quei due valori prova che la posizione media di /3 Orione per le due epoche 1755 e 1856 è esatta , e che il suo moto proprio è ben determinato- Ora se cambiasi la posizione di Sirio pel 1856, rimanendo costante quella di /3 Orione, il valore di n[j. ottenuto coi due me- todi sarà sempre lo stesso , ma differente da quello che si è ottenuto colla posizione media di Sirio notata di sopra, ma se, rimanendo costante la po- sizione di Sirio, si cambia quella di Orione, o il suo moto proprio, spari- sce affatto l’identità de’ due valori di nfx: Così per esempio, nel catalogo di Madras si ha /3 Orione in AR = -f- 0^007 in ^ = -H 0^ 03 Introdotti questi valori nelle precessioni, si trova in AR ndp =20.^638 (-+-) in ò ndp = 13.' 18".70(— ) quindi np = — 2^788 — 126 • 16 mentre dal confronto delle posizioni medie assolute di Sirio si ebbe nfz = ~ 3^470 np. = -^-124 . 35 L’incertezza dunque del solo moto proprio della stella fondamentale di con- fronto , può produrre nel metodo di Bessel forti differenze, quali differenze, non si hanno nell’ altro metodo, il quale esclusivamente dipende dalle medie posizioni assolute osservate in due epoche distinte della stella di cui si cerca il moto proprio, senza bisogno di una stella qualunque di paragone cui rife- rire si debba la posizione dell’altra. — 20 — 9.® Se dunque il metodo di Bessel si voglia dagli astronomi preferire allo immediato confronto delle posizioni medie assolute delle stelle, a me pare che per avere buoni risultati , si debbano verificare le due seguenti condizioni , mentre coH’altro metodo basta soltanto, che si verifichi la seconda. 1.^ La posizione media della stella di confronto sia esatta, e il suo moto proprio certo e determinato- Sarà poi cosa molto vantaggiosa che il moto proprio sia nullo, o estremamente piccolo- Le medie posizioni della stella principale osservate in due epoche distinte sieno bene studiate, e dirò anche ben pesate, prima d’impiegarle nel calcolo- La loro riduzione alle fissate epoche sia, per quanto è possibile, fon- data sullo stesso sistema di elementi. 10-“ Per soddisfare alla prima condizione, ho determinato la media po- sizione di una stella pel 1 Gen. 1755. 11 suo moto proprio annuo in ascen- sione retta è nullo , e quello nella distanza polare è piccolissimo. La stella però non risplende nel cielo- Essa è una stella fittizia. La posizione media di questa stella è stata determinata nel modo seguente. Dalle mie osservazioni fatte nei mesi di Febbraro e Marzo del 1857 , ottenni Stelle del 1.® Gen. 1857 l.“ Gen . 1857 Cane mag. AR media Dist. p. nord med. /3 6M6'" .24\ 238 107“. 53'. 16".53 v' 30. 7. 314 108. 32. 44. 58 II V 30. 26. 825 109. 8. 10. 36 v'" 31. 36. 166 108. 7. 0. 26 e 47. 32. 952 101. 51. 44. 55 49. 33. 684 103. 51. 43. 52 1 49. 45. 626 106- 52. 20. 69 7 57. 17. 366 105. 25. 30. 19 Medio 6. 39. 1 5. 521 106. 27. 48. 835 Dalle osservazioni di Bradley (1755) e di Taylor (1835) si ha l.“ Gen. 1755 AR = 6. 34- 32. 054 d = 106“. 22'. 21".337 1.® Gen. 1835 AR = 6- 38. 6. 531 5 = 106. 26- 34. 802 — 21 — Per ridurre queste due posizioni ho calcolato con tutto il rigore la preces- sione per gli anni 1806 e 1846 epoche medie fra il 1755 e 1857, e fra il 1835 e 1857, ed ho ottenuto 1806 p = 2^68098 (-+-) 20754 (h-) 1846 p=2. 68138 (-4-) p'=3". 36138 (-4-) Sarà dunque l.“ Gen. 1857 AR = 6^ 39''^5^ 514 5 = 106. 27 . 48. 506 (Bradley) 6. 39. 5. 521 106. 27. 48. 752 (Taylor) 6. 39. 5. 521 106. 27. 48. 835 (Calandrelli) È difficile di trovare questo accordo riducendo alla stessa epoca le medie po- sizioni osservate di una stella reale. Si può dunque fissare movim- pr. an. in AR = 0^ 000 in ^ =-4-0". 003225 Dalle osservazioni di Piazzi si avrebbe 1.” Gen. 1800 AR = 6^. 36'". 32^ 626 5=106°. 24'. 40". 08 e dalle fissate posizioni si ha l.° Gen. 1800 AR = 6^ 36'". 32^ 690 5 = 106°. 24'. 40". 88 colla differenza di — 0^ 064 in AR e di — 0". 80 in distanza polare. Ecco una tavola in cui sono notate le medie posizioni di questa stella fittizia Epoche AR media Prec. an- Dis. p.nord med. Prec. an. 1755 6\ 34'".32^ 058 “4— 2^ 68042 106°. 22'.21".33 -4- 3".01139 1800 36. 32. 690 68092 24. 40. 88 18446 1806 36. 48. 575 68098 25. 0. 07 20754 1835 38. 6. 528 68127 26. 34. 81 31907 1845 38. 33. 341 68137 27. 8. 23 35753 1857 39. 5. 518 68149 27. 48. 83 40369 Var. an. in AR = -4- 0^ 0000105 Mov. p. an. = -4- 0. 000 Var. an. in dist. poh = -4- 0". 003846 Mov. pr. an. ==-i-0. 003225 22 — 11.“ Per provare che la posizione media della stella fittizia è ben de- terminata, immaginiamo un punto fisso nella volta celeste, la cui posizione pel l.“ Gen. 1750 sia dato dalle coordinate AR = 3^ 0”. 0^ 0, ^ = 4.5“.0'. 0". 0. Consideriamo questo punto fisso come una stella soggetta solamente ai mo- vimenti progressivi della precessione* Essendo pel l.“ del 1750 m = 46''. 03173, n = 20”. 06106, avremo nel nostro caso particolare Preces* an. in declinazione p'=: 20", 06106 cos* 45“ = 20". 06106 sen* 45.“ Preces* an. in AR=p = 46. 03173 -4- p'* Dal calcolo si ebbe P = .4-4^ 01447 p = — 14* 18531 in dist. polare Var. an* in AR = -+• 0^ 000421 Mov. pr. = 0* 000 Var. an. in dist* poi. = -4- 0"* 00421 Mov* pr* = 0, 000 Con questi dati noi possiamo calcolare la media posizione di questo punto per tutte le epoche. Così, per esempio, si trova l.“ Gen* 1755 AR = 3^*0* 20^078 8 = 44“. 58'. 49"*13 1*“ Gen. 1845 AR = 3. 6* 23* 270 8 = 44 37. 51. 40 Riferiamo adesso la posizione della stella fittizia a questo punto fisso, ossia cerchiamo, per esempio, di determinare il moto proprio della stella fittizia in 90 anni relativamente a questo punto , e se la media posizione della stella fittizia per l’epoche 1755 e 1845 è ben determinata deve aversi moto pr* in ascens. retta in 90 anni = 0^ 000 moto pr. in dist. polare* * * . * 0". 29 L’epoca media è il 1800, e si ha pel punto fisso 4^ 03547 (-4-) p'=ì3. 97487 (— ) Colle posizioni date nella tavola si trova A“— A'==12P.909 (— ) A“— A'== 25'. 44"* 63 (-+-) — 23 — Ora dp = ì\ 35455 (-f-) ndp=m\ 909 (-T-) dp = 17". 15933 (— ) 7idp= 25'. 44".34 (-) quindi tip. — A" — A'-4- ndp = 000 np. = A° — A'-\- ndp = -¥- 0". 29 La posizione dunque della stella fittizia è ben determinata. Essa dunque , egualmente che il punto fisso considerato come una stella, può servire, come termine di paragone, per determinare il moto proprio delle stelle col metodo di Bessely e soddisfano ambedue alla prima condizione. (9“). 12. ° Nelle applicazioni farò uso della stella fittizia, e proverò che essa sola può servire come termine di confronto per determinare i movimenti propri di tutte le stelle , non avendo riguardo alcuno alla differenza sia in ascensione retta, sia nella distanza polare che esse possano avere rispetto alla stella fittizia. 13. ° Prima però di passare alle applicazioni bisogna che sia soddisfatta l’altra condizione (9°) la quale, come dissi, si deve verificare nell’uno e nel- r altro metodo. Avendo quindi calcolate le mie osservazioni cogli elementi dati da Le-Verrier nel tomo secondo degli annali dell’Imperiale Osservatorio di Parigi, prenderò le posizioni medie delle stelle fondamentali per gli anni 1755 e 1845 calcolate da questo astronomo, eccettuando la distanza polare di Sirio pel 1.“ Gen. 1845. Diffatti nel catalogo di Greenwich si trova Sirio 1.0 Gen. 1840 ò 106°. 30'. 6". 98 1.0 Gen. 1845 5 = 106. 30. 27. 02; in cinque anni dunque d5=20".04. Per l’epoca media 1842. 5 si ha p=3". 32776, np==ì6''. 64, dunque il moto proprio di Sirio in distanza polare in cinque anni di 3''. 50, cioè l’annuo più piccolo di 1". Al contrario nel catalogo di Madras (1844), si trova {comparison of thè declinalion of slars) Sirio 1.0 Gen. 1845 5 = 106°. 30'. 30".44 Madras 1835 5 = 106.30.29.84 Greenw. 1827 5 = 106. 30. 29. 40 Greenw. 1838 La media delle due ultime 5 = 106®. 30'. 29". 62 è la distanza polare di Sirio che io ho adottata pel 1°. Gen. 1845. — 24 — 14.0 Questo esame preliminai'e sulle medie posizioni della stella prin- cipale di cui si cerca il moto proprio, non che la riduzione delle osservazioni alle epoche fissate collo stesso sistema di elementi è di somma necessità , onde non introdurre nella ricerca dei movimenti propri posizioni incerte ed erronee, le quali conducono a risultati incerti ed anche di segno contrario. E insistendo sulle osservazioni di Sirio, dalle distanze polari notate nel ca- talogo di Madras, abbiamo le seguenti Sirio l.“ Gen. 1835 d = 106°. 29'. 44". 34 1845 106. 30. 30. 44 1850 106. 30. 48. 71. Da queste risulta in 10 anni d§ = 46"* 10, in 5 anni dà = 18". 27 ? Queste differenze basterebbero a dimostrare che una delle distanze polari è erronea. Ora pel 1840 epoca media fra il 1835 e il 1845 si ha ;? = 3". 31710 , np = 33". 17, e il moto proprio annuo -+- !"• 29 ed è appunto quello che si nota nel catalogo- Pel 1847. 5 epoca media fra il 1845 e 1850 si ha p = 3”. 34687, np = \6"- 73, e quindi il moto proprio in 5 anni -+- 1". 54 ciò che è assurdo. La distanza polare dunque di Sirio pel 1®. Gen- 1850 è erronea. Ecco a quali risultati conducono gli errori delle osservazioni, i quali, nella ricerca dei moti propri , si debbono temere molto più di quelli che hanno origine dalla variabilità degli elementi di calcolo adoperati nella ridu- zione delle medesime ! 15.° Poste queste riflessioni, limito le mie applicazioni alle sole stelle fondamentali considerate da Bessel, e le indicherò coi numeri progressivi (1) (2) (3) .... secondo le loro ascensioni rette, cioè « Balena (!) Procione (5) a Aquila (9) /3 Orione (2) /3 Vergine (6) /3 Aquila (10) « Orione (3) a Serpente (7) « Aquario (11) Sirio (4) 7 Aquila (8) e mi propongo le seguenti ricerche. Determinare il moto proprio in 90 anni in ascensione retta, e nella distanza polare di queste stelle relativamente alla stella fittizia. 2W. Determinare il moto proprio in 90 anni di Sirio e di Procione in ascen- sione retta, e nella distanza polare relativamente alle dette fondamentali. 3'“^. Determinare il moto proprio in 90 anni di Sirio e di Procione in ascensione retta, e nella distanza polare relativamente al punto fisso consi- derato come una stella. — 25 — Prima Soluzione 16.0 Si prendano negli annali deirimperiale Osservatorio di Parigi le po- sizioni medie delle stelle (l) (2) (3) .... pel 1.® Gen. 1755 e 1845. Si pren- dano nella tav. superiore (10°.) le medie posizioni della stella fittizia per le stesse epoche, e si avranno le differenze A® e A'. Col calcolo delle precessioni per r epoca media 1800 , le quali sono notate nella seconda colonna delle annesse tavole si avrà il valore di tidp, e quindi quello di n/z, e per conse- guenza il valore di [x, al quale si unisce nell’ultima colonna delle tavole quello che è notato negli annali medesimi. {Continua) 4 — ^6 Chimica. — Sulla Calothrix Janthiphora, rinvenuta in alcune acque idrosolfo- rose. Nota del prof. Benedetto Viale. In que’nostri lavori sulle Albule rassegnati prima , e dopo la pubblicazione loro a questa illustre Accademia, fra talune spezìalità, che ne occorsero quella pur v’ era , che ne’ laghi di Tivoli , come nell’ emissario vivea e vegetava una pianta del genere delle Alghe alla quale fu dato nome Calothrix Janthi- phora per un bei violato di mammola, che svolgea- dal suo tessuto, ove la si fosse fatta macerare per alcune ore in acqua di fontana. Parimente accen- nossi in qual guisa ne riuscisse trar fuori codesto colore, che dipoi, rasciutto e polverato, molto acconciamente poteasi adoperare o per lavori di acquerello, o per dipinture a olio- La nuova sostanza fu chiamata Jantina- Da quel dì ci cadde in pensiero, che la si avrebbe dovuta rinvenire in altre acque minerali ancora; e a quest’oggetto fur dirette le nostre ricerche- Vistammo quelle di Vicarello , nè ci avvenne di trovar traccia di essa. INon così nelle acque idrosolforose fredde che rampollano sotto Ferentino- Colà ci venne alle mani la pianticella col solito coloramento, eccettochè, gli era in così esigue proporzioni da non poterne cavar costrutto. Da ciò confortati ci conducemmo alle acque idrosolforose calde, che s’in- contrano sulla Via Aurelia tra Gorneto e Civitavecchia a quattro miglia da quest’ultima città in un luogo presso la Torre di Orlando che ha nome Ca- stagnoletta. Eravi colà vegetante la crittogama, che ne diè colorazione vio- lacea in copia. Non possiamo affermare di aver osservato le acque minerali, che copiose sorgono in molti luoghi della nostra campagna. Il farem senza indugio, to- stochè ne sarà offerta occasione propizia. Si dirà frattanto di averla incon- trata a’ bagni di Stigliano, ove nell’ottobre trascorso fummo invitati ad isti- tuire un’analisi delle acque dall’Emo Principe sig. Cardinale Altieri Camer- lengo di S- R. Chiesa, Protettore di questa illustre Accademia, e feudatario deirOriolo, Canale e Monterano nel qual luogo i bagni son collocati- Tre sono le sorgenti idrosolforose che d’ ivi sgorgano , una di elevata temperie, che vien nomata il Bagnarello, e che per un passo di Livio nel XXII libro delle sue storie , e per una statua di Ercole rinvenuta lì presso nella rìcisa del sentiero, che unia la via Claudia alla Cornelia, crediamo fosse ap- — 27 — punto la fonte di Ercole ricordata dallo Storico Romano (1). L’altra di mez- zana caldezza , che serve all’ Istituto Balneario , non ha guari fondato dal sig. Tittoni. L’ultima infine soffredda cioè a 24.“ R., che ha nome di Acqua bianca per una crosta di carbonato di calce di cui la si ricopre. Or la pianta, che non si vidde nelle due prime sorgenti vegetava pro- sperosa in quest’ ultima , e da essa buona quantità di materia violacea se n’ebbe, di cui ci piace presentare un saggio a questo illustre Corpo accademico. Noi crediamo si abbia a ritrovar codest’alga in altre fonti di acque mi- nerali ancora, specialmente se le sien solforose di non troppa elevata tem- peratura, e invitiamo i cultori di questi studii a farne ricerca e vedere se in altri luoghi offra, come presso di noi, il fenomeno singolare della colorazione violacea. (1) Codesta bella statua rinvenuta nel 1802 ammirasi nel Museo Vaticano nella se- conda parte del corridoio Chiaramonti al dodicesimo scompartimento. — 28 — FisfCA. — Sulla legge di Mariotte, sopra un congegno nuovo per dimostrarla, e su varie applicazioni di essa. Memoria del prof. P.Volpcelli- (Contiuazione) (1). La legge di Mariotte concorre pur anco nel determinare, tanto le formule relative alla velocità, che i proietti hanno percorrendo l’anima delle bocche da fuoco, quanto la velocità iniziale dei medesimi; quindi eziandio concorre nella teorica del fucile ad aria compressa, come ora vedremo. Per fare quest’ap- plicazione della legge di cui parliamo, riguarderemo come un fluido elastico semplice, il mescuglio dei gas che sviluppano dalla combustione della pol- vere- Inoltre supporremo che la carica di questa polvere, si riduca tutta ed istantaneamente in gas all’ origine del moto, nella capacità ove si contiene. Supporremo altresì che la legge di Mariotte abbia luogo anche per le gran- dissime compressioni dei gas , e che la temperatura dei medesimi , dopo la combustione della polvere, rimanga costante mentre dura la dilatazione loro, e mentre il proietto è spinto da essa; poiché senza questa condizione la legge médesima non potrebbe verificarsi. Rappresentiamo con p la capacità della carica, il il rapporto della elasticità del fiuido elastico a quella dell’aria atmo- sferica nell’ istante della combustione, b la lunghezza dell’amma della bocca da fuoco, a contare dalla sezione della carica, che al principio del moto è in contatto col proietto. m la massa del proietto sferico supposto di calibro, § la densità del medesimo, s la superficie del suo cerchio massimo. r il suo raggio, X la lunghezza dell’anima percorsa, corrispondente alla velocità, u la velocità alla fine di questa lunghezza. V la velocità iniziale, cioè quella del proietto alla fine della lunghezza h. Faremo inoltre astrazione tanto dal vento del proietto; quanto dal focone della bocca da fuoco. Ora è chiaro che indicando rispettivamente con e" ed e' le forze di ela- sticità del gas, nelle capacità p, e p sx ; poiché per la nota legge queste forze debbono essere in ragione inversa dei volumi occupati dal gas cui si ri- feriscono, così avremo p->r- SX (1) Vedi sessione IV, del 7 marzo 1858. T. XI, p. 142. — 29 — Ma rappresentando con 1 la elasticità deH’aria esterna, sarà e" = n ; perciò dovremo stabilire La densità dell’acqua essendo 850 volte quella (— l)'che presso la su- perfìcie terrestre appartiene all’aria, si chiami h l’altezza di una colonna d’aria di questa uniforme densità [= 1) , che faccia equilibrio con una di acqua alta 32.^', Poiché in tal caso le altezze sono in ragione inversa delle densità, così avremo h ; 32.P' = 850 : 1 , donde h = 27200/' . Inoltre le altezze delle colonne d’aria di uniforme ed ugual densità, sono in ragion diretta delle forze di elasticità cui debbono quelle far equilibrio. Per- ciò chiamando y l’altezza di una simile colonna d’aria, che debba far equilibrio colla elasticità e' avremo .. hnp y:h : 1 donde y ed il p SX '' p sx peso P da cui si deve riguardare spinto il proietto, sarà espresso da yhnps essendo 1 la densità dell’aria. Inoltre sarà e dividendo il peso per la massa, otterremo il valore della forma f acceleratrice del proietto, espressa da ^ ^ ^ 4(p -H sx)rà Questa espressione di è quella generalmente adottata, sebbene abbia per fondamento due inesatte ipotesi , cioè che la totalità della carica sia ridotta in gas al principio del moto, e che il gas mentre si dilata non provi alcuna diminuzione di temperatura. Però questj^ due cause influiscono in senso contrario sul decrescimento del valore di 9 : la seconda, cioè la effettiva di- minuzione di temperatura tende evidentemente a rendere questo decrescimento più rapido ; mentre la prima, cioè la incompleta e successiva combustione — 30 — della carica, deve renderlo meno rapido, per le nuove quantità di gas e di calorico che si aggiungono successivamente alla quantità loro iniziale. Dunque non ci al- lontaneremo assai dal vero, supponendo che queste due cause contrarie si com- pensino presso a poco; e perciò potremo fare astrazione dalla influenza loro nel valore di r- sx / ed integrando sarà — 32 — Sghpip log.(p sx) — icj -+- C, ma quando m == 0 abbiamo a: = 0, perciò sarà C Sqhnp log.p , perciò (67) formula generale, più esatta della precedente, da cui possiamo avere la velo- cità iniziale v facendo x = b in essa: questa formula contiene tutta la teorica del fucile ad aria compressa. Sappiamo che il principal pezzo di questo fucile consiste nel calcio di metallo, vuoto, e ben solido, nel quale s’introduce, e si condensa l’aria, mediante una piccola tromba di compressione. II passaggio dell’aria nella canna è im- pedito da una valvola, posta verso la culatta, e che una molla tiene chiusa. Un grilletto apre questa valvola, che subito si richiude per l’azione di una molla, e la palla è spinta dal fluido elastico sfuggito dal calcio. Sia la lunghezza dello spazio percorso dalla palla nell’istante in cui la valvola si richiude, ed la elasticità dell’ aria di carica dopo il primo colpo di fucile. Dal momento in cui la valvola comincia ad aprirsi, l’aria con- tenuta nella capacità p del calcio del fucile, si espande sempre in capacità maggiore , sino al momento in cui la valvola medesima siasi perfettamente richiusa, nel qual preciso momento, potremo ritenere, che l’aria stessa occupi lo spazio p -+- sx^, quindi per la legge di Mariotte avvemo 1 j P n : n,= p sx, : p , donde — - = — ^ ’ n p-\- , dalla quale abbiamo (68) . Sostituendo nella (67) (ìc^ ad x, e dando ad x^ questo valore, otterremo la ve- locità della palla nell’ istante di cui si tratta; cioè sarà -.2 3g%| (69) npr , n lU — Questa è una velocità particolare, quella cioè che possiede la palla mentre si - 33 — richiude la valvola; ma la palla continua a progredire nell’anima, e dobbia- mo trovare la sua velocità in qualunque altra sezione della canna, ed anche quella iniziale, corrispondente alla bocca di essa. È chiaro che per a: <; la (67) senz’altro fornirà il corrispondente valore di m ; ma per x > a?^, cioè pel caso in cui siasi già chiusa la valvola, dovrà in vece la (66) fornirci la corrispon- dente velocità, dopo che avremo sostituito in essa ad «, ed sai^ a p; giac- che in questo caso 1’ aria contenuta nel calcio del fucile, non ha più azione veruna sul proietto, sul quale agisce unicamente quella contenuta nella capa- cità sx^ , e che viene a corrispondere al gas prodotto dalla combustione della polvere; perciò la x nel caso medesimo deve cominciarsi a contare ove ter- mina la x^. Fatte per tanto queste sostituzioni nella (66), avremo , 3qh/n,x,dx , \ udu = -M-^ dx). ed integrando sarà , dunque sarà n^x^o^.x^ Ma quando x = 0 abbiamo anche u = e perciò 2 2 . Per avere poi la iniziale velocità, ossia l’altezza z che ad essa è dovuta, porremo in questa formula il valore di in funzione della x^ mediante la (67), e b — x^ invece della x. Per queste sostituzioni, ed a motivo della (70) ■)-*] • otterrejsio v^ = 2gz , (71) 3h ' P / log.l-i]. Le quantità n, contenute in questa formula, si determinano mediante r osservazione, col mezzo dell’ istromento che serve a misurare la elasticità dei gas; cioè col mezzo del manometro, applicato convenientemente al calcio del fucile, tanto dopo caricato per avere il valore di n, quanto dopo il primo colpo, per avere quello di Fatta questa determinazione, il valore della x^ si ottiene dalla (68). 5 — 34 — L’equazione (71) fornisce l’altezza dovuta alla velocità corrispondente alla bocca del fucile; cioè fornisce la velocità iniziale della palla. Però il secondo membro della medesima formula varia col variare della per modo che sup- ponendo la ìTj crescere , sarà facile vedere che il secondo membro stesso prima crescerà , e poi decrescerà. In fatti sino a tanto che sarà iCj < ò , il valore di z crescerà; ma divenendo ajj > ò il valore del termine , b n,»,log.- , diverrà negativo, e crescerà negativamente colla , ma con più rapidità del termine Laonde seguitando a crescere la decrescerà la 2, sino a tanto che diverrà negativa. E per verità supposto ajj = 00 , avremo z = — 00^ . Poiché dunque la 2, crescendo sempre la x^ , prima cresce poi diminuisce, così vi sarà certo un valore della , cui corrisponderà un massimo di 2. Ora vediamo per quale condizione la velocità iniziale diviene un mas- simo, e quale sia il valore di esso. Eguagliando a zero il differenziale di 2, preso rapporto ad x^, soddisfaremo a tale ricerca, e verremo nel tempo stesso a conoscere il punto della lunghezza della canna, ove deve trovarsi la palla, quando chiudesi la valvola, onde la velocità iniziale sia massima. Per tanto dalla (71) avremo dz 3h/ pn da?j 4rà'j? -H e perciò Wjlog. — = 0 , ^1 la quale viene soddisfatta pel valore x^^ — b. In fatti, sostituendo questo valore nelle equazione medesima, essa diviene np p-^sb Wj , donde n : n^=:p sb : p , - 3a - -t' equiquoziente vero; giacché n, rappresentano le forze di elasticità dell’aria contenuta nei due volumi fi p -+- sb. Dunque avrà luogo la massima velocità iniziale per la palla , quando la valvola si chiuda, mentre quella trovasi alla bocca della canna, lo che fa- cilmente poteva prevedersi. Ed è pure manifesto che se la valvola si chiu- desse dopo che la palla è uscita dalla canna, sfuggirebbe in mera perdita una parte dell’aria della carica. Facciasi per tanto x^^ — h nella (71), ed il corrispondente valore del- l’altezza dovuta alla velocità iniziale che per la opportuna chiusura della valvola è massima, sarà dato dalle 3h rnp , ip (72) ófl rnp 4rdL s Dovendo questa funzione accordarsi con quello che la sperienza c’insegna, egli è chiaro che la medesima deve ammettere un massimo col crescere della lunghezza b della canna. Infatti crescendo b diminuisce la elasticità dell’aria interna, distri- buita nel calcio e nella canna; quindi dovrà esservi un tal valore di b, pel quale la elasticità dell’aria interna eguaglierà quella della esterna, e questo valore di b sarà quello corrispondente al massimo di Poiché crescendo ancor più la lun- ghezza ù, dovrà la velocità iniziale diminuire, dovendo in tale ipotesi la elasticità dell’aria esterna superare quella della interna; per cui dovrà la palla diminuire tanto più la sua velocità iniziale, quanto più il valore di b sorpasserà quello corrispondente alla eguaglianza fra le due indicate elasticità. Per trovare que- sto valore di b corrispondente al massimo di z^, eguaglieremo a zero il va- dz lore di -r7 tratto dalla (72), ed avramo la do np bs 1=0. Da questa equazione abbiamo (73) I (n — l)p che rappresenta la lunghezza della canna, onde si verifichi per la velocità ini- ziale il massimo, dipendente dalla lunghezza della canna medesima’^j^p^-#^ come il significato di questo valore accordasi colle precedenti osserva- zioni, si dica X la elasticità dell’aria interna del fucile, quando la palla rag- giunge l’estremo corrispondente all’ indicato massimo: avremo ^ UH» A // C( ♦ / ' , iV .1 t «• .ff f. 4 V « ■ A.Ì- >■*-< - ' <-■ ^ A A.,,. K ft* f ' {'AV Xsr- C’ir'J/i /# -4. W / ^ r — 36 — (n — ì)p j j ^ 4 n : X = p H- s ^ — : p , donde X = 1 . Dunque in tal caso la elasticità dell’aria interna dovrà eguagliare quella della esterna, che già rappresentammo coni. Per tanto quando la lunghezza della can- na di questo fucile sia del valore trovato per b; cioè quando sia tale che l’aria della carica dilatandosi fino alla bocca della canna, e restando sino a quel mo- mento aperta le valvola, sia tanto elastica, quanto lo è l’aria esterna, certo allora la velocità iniziale della palla sarà massima, e per effetto ‘dell’apertura della valvola, e per effetto della lunghezza della canna. Ma egli è manifesto che con siffatta lunghezza, il fucile oltre ad essere impraticabile, non potrà col medesimo tirarsi più di un solo colpo- Sostituendo nella (72) il valore di b dato colla (73) , e chiamando l’altezza che a questa massima iniziale velocità è dovuta, otterremo le Esempio In una delle sperienze riportate da Lambert (memorie di Berlino an. 1765) si è ottenuto n = 4,71; inoltre si aveva r = 0^S012565 , b ^ 2^S4959 , p = 0^‘,0061 1 , d = 9755 , essendo la palla di piombo. Con questi dati si trova mediante la (72) essere la massima velocità inziale della palla espressa con 287^'- Ritenuti gli stessi valori numerici di n, r, p, 5, mediante le (73) e la (74) si avrà b =r 46.^' , ~ 700.^‘ Inoltre osserviamo che, poiché la velocità inziale dopo avere conseguito il suo massimo deve diminuire al crescere di ù, così potrebbe cercarsi quale sarà la lunghezza di canna, onde la velocità medesima sia nulla. Ad ottene- re siffatto valore dovremo dalla (67), avere donde — 37 — (IH-- V p ovvero x f - 1) equazioni che vengono evidentemente sddisfatte da x = 0, ed x — , dalle quali si ottiene la cercata lunghezza. Inoltre si determinerà la elasticità n del- l’aria costituente la carica per una velocità iniziale data, risolvendo la equa- zione (72) che darà s / — (75) plog.(^ Un fucile a vento di cui la capacità del calcio, nel quale si trova com- pressa l’aria, è di X litri, contiene l’aria medesima compressa dal peso di n atmosfere, corrispondenti ognuna all’altezza barometrica h. Si è tirato un colpo con questo fucile, e la quantità di aria escita dal calcio occupa V litri alla pressione atmosferica attuale, corrispondente all’altezza barometrica h'. Volendo conoscere la forza elastica x dell’aria restata nel calcio dopo questo tiro, dob- biamo riflettere che, per la legge di Mariotte, l’aria escita la quale occupava litri alla pressione atmosferica h', occuperehhe alla pressione h un volume di h litri. Ma per la stessa legge il volume dell’aria contenuta nel calcio, alla pres- sione h, sarà di ?jX litri; dunque l’aria restata nel medesimo dopo il tiro, do- vrà occupare, alla pressione fe, un volume espresso da Vh' h ' Quindi avremo , , . X'h' nhl — Vìi' h: x = \ :n\ — , donde .... (76) x = r . Il A nX — Posto X= 1 Esempio ? '• ( ' . O”, 76, /ì' =0, 78 , X'=-2, w = 8, X = 4'", 52 . — 38 — Il fucile a vento ha sulle armi da fuoco il vantaggio di fornire molti colpi di seguito, e di non produrre il fumo, circostanza molto utile specialmente nella guerra sotterranea, ove il fumo riesce molto nocivo; ed è perciò che nel 1807 questo fucile proposto per armare col medesimo le compagnie dei minatori. Però 1’ arma stessa facilmente si degrada, e con difficoltà si carica, quindi fino ad ora non potè definitivamente adottarsi nella guerra. Inoltre il suo proietto parte quasi senza strepito, lo che rende quest’ arma pericolosa, e perciò dalla società venne proscritta. La legge di Mariotte ci fa pure conoscere quale, in una pompa di com- pressione, sia la forza elastica x dell’aria, restata nel suo serbatoio c, sapen- dosi esser f quella dell’aria contenuta nel suo recipiente di compressione c'. Questi due recipienti c, c' che supponiamo non potersi affatto disten- dere, sono comunicanti fra loro , e per mezzo di uno stantuffo con oppor- tune valvole, come ognuno conosce, mentre l’aria si comprime in c', si di- / rada in c. Le forz^^ iniziali di elasticità o compressioni dell’aria nei recipienti / ^ c, c', sieno rispettivamente rappresentate da f, Dicasi q la quantità d’aria contenuta nell’unità di volume, sotto la pressione qualunque hy che potrà es- sere quella media di 0'”, 76; egli è chiaro che le quantità d’aria nell’unità stessa di volume, sotto le pressioni fy x, f , f”, saranno rispettivamente rappre- sentate per la legge di Mariotte (pag. 192. T. X.) da In fatti essendo le densità dei gas in ragion diretta dei pesi comprimenti , discende che le quantità dei gas contenute nella unità di volume, sieguono pur esse la ragion medesima. Quindi le quantità di aria nel recipiente c, sotto le pressioni od elasti- cità f, x; e nel recipiente c' sotto le pressioni od elasticità f'y f", saranno espresse rispettivamente con ^ ^ h ^ h * h * h cqf cqx c'qf c'qf" T ’T ’ T‘ ’ ~h~ ' Ora è chiaro che la qua sarà dalla data differenzi e che la quantità d’aria esci ta dal recipiente c alimentatore, sarà espressa dal- la differenza cqf — cqx cq{f — x) h h ’ Ma qneste due quantità sono uguali fra loro, dunque sarà donde . C'(f" - f) x = f ^ Per mezzo della legge di Mariotte , si può facilmente calcolare la ele- vazione di un liquido in una pompa aspirante, nella quale si trovi dell’aria fra il livello di questo liquido , e la base inferiore dello stantuffo. La ele- vazione cui può un liquido ascendere mediante la indicata pompa, nell’ in- terno di essa, quando non s’ interponga dell’aria nell’ indicato spazio, è sem- pre maggiore di quella cui può ascendere il liquido stesso nel caso contrario. Poiché l’aria interposta sebbene si dilati , esercita sempre una pressione in ogni senso, e quindi anche sul liquido cui sta in contatto, la quale contraria r innalzamento del medesimo , e y/L riduce ad una quantità x che ora de- termineremo. Distinguiamo il livello interno, quello cioè del liquido nella pompa, dal- l’esterno, cioè da quello di esso liquido, nel quale sta immerso il tubo aspi- rante della medesima. Rappresenti b l’area del livello interno, e (3 quella del- l’esterno; dicasi d la distanza dei due livelli al principio del moto; c la corsa dello stantuffo, vale a dire la distanza della sua base inferiore al principio del moto dalla medesima alla fine di esso ; a la distanza nella quale si trova l’aria fra il livello interno e la base inferiore dello stantuffo al principio del moto; y sia la distanza fra i due livelli esterni, uno al principio, l’altro al fine della corsa dello stantuffo; ovvero l’abbassamento del esterno livello per la corsa medesima. Supponendo il liquido incompressibile, tanta sarà la quantità di esso escita dall’esterno, quanto quella entrata nell’ interno della pompa, dopo terminata la corsa dello stantuffo; perciò avremo k — 40 — Dopo ciò l’aria che occupava lo spazio ah al principio del moto, dovrà oc- cupare alla fine di esso lo spazio h{a-\~ c — x) . Per tanto dicasi l 1’ altezza di una colonna dello stesso liquido, che col suo peso rappresenti quello dell’atmosfera , l’espressione della elasticità dell’aria compresa fra la base inferiore dello stantuffo, ed il livello interno al princi- pio del moto, considerata sulla unità di superficie, e supposta 1 la densità, sarà g{i-d) . Ora chiamando z la elasticità dell’aria medesima, dopo eseguita la corsa dello stantuffo, dovrà per la legge di Mariotte aversi g[l — d) : % = b{a c — x): ha , donde 2 ^ — d)a a H- c — x‘ Cessato il moto , dev’ esservi equilibrio fra le pressioni una interna 1’ altra esterna; perciò esprimendo con 1 la densità , considerando le pressioni me- desime sulla unità di superfìcie, e dividendo per gi, avremo ovvero che fornisce la 1- X d -4- y = l , J-JK a -I- c — X 'p (78) . + /3c(Z — d) (3 H- b 0 . Quésta equazione, in cui le quantità l, d, c, a, ò, /3, sono date, ha le due ra- dici reali e positive come dimostreremo in seguito ; ma una soltanto delle medesime , come ora vedremo , sarà soddisfacente alla ricerca. Ed in fatti , chiaro apparisce dover essere a; -4- y d < /, donde a; ^ < Z — d; inoltre fu trovato b (/3 -t- Z>) y~-j^ ^ donde x-¥-y = — ^ — x; e perciò donde (79) — 41 — ih -4- /3 ed è ancora evidente che avremo a; <; a -4- c. Ciò posto, poiché la somma delle due radici appartenenti alla (78) si esprime (i-d) /3 ■+“ a -4“ c j /3h-ò così e chiaro che niuna delle medesime può essere eguale ad a h- c, poiché in tal caso dovrebbe l’altra essere uguale ad {l-d) /3-4-Ò ’ e perciò niuna soddisfarebbe alle condizioni (79), alle quali, come vedemmo, una sempre deve soddisfare. Se poi fosse una delle due l’adici -< a h- c , l’altra dovrebb’essere ed in questo caso la prima soltanto converrebbe alla quistione. Se in fine una delle radici medesime riescisse > a -4- c , si dovrebbe trovare l’altra /3 e questa soltanto sarebbe soddisfacente. Possiamo però dare un criterio anche più esplicita, per giudicare quale delle due radici reali della (78) soddisfi alla quistione. Sommiamo in fatti le (79) ed avremo (i-d) ^ - (80) x< /3 6 ma risolvendo la (78) abbiamo, dopo qualche riduzione, la ^ -d)f-^a-h c j/" [^(c — (/ — djfj -j- 2(/ — d)a/H-2ac j nella quale si è fatto /■= /3 ^-hb’ dunque apparisce che le due radici della (78) sono reali, e che per la qui- stione deve solo quella di esse valere, cui corrisponde innanzi al vincolo ra- dicale il segno negativo, perchè altramente la (80) non sarebbe soddisfatta. Alla fine del moto l’equazione di equilibrio è la seguente g[l — d)a c — X donde g{l—d)a a -+- c — x' ■+“ ■+■ y) gd === gl y ■g{l — d)-^g{x-^y). nella quale il primo membro esprime la forza elastica dell’aria compresa fra il nuovo livello interno, e la base inferiore dello stantuffo dopo la sua eleva- zione. Da ciò risulta che questa base subisce una pressione diretta dal basso all’alto, ed espressa da [g{l — d) — g{3n^y)]h , mentre la superiore base del medesimo , è spinta in senso contrario dalla pressione atmosferica glb. La differenza di queste due pressioni è gb(d-^x-\-y) , ed esprime la pressione subita dall’alto al basso dalla superiore base dello stan- tuffo; mentre uguaglia il peso del liquido compreso fra i due livelli, uno esterno l’altro interno, e relativi alla fine del moto. Se il liquido fosse acqua, in tal caso dovrebbe aversi /==10'”,4. Nelle precedenti formule supponendo d = 0, s’ incontrerà il caso parti- colare in cui coincidono i due livelli al principio del moto, e le formule stesse anderanno a confondersi con quelle date da Poisson (1), pel caso partÌ9olare medesimo. {Continuerà) (1) Traité de méc. T. 2.° Pari. 1833, pag. 617. — 43 — COMUNICAZIONI Sopra ma memoria delV ingegnere idraulico sig. P. Paleocapa. Comuni- cazione del prof. C- Sereni. II celebre ingegnere sig. Pietro Paleocapa, ministro dei lavori pubblici nel regno di Sardegna, ha voluto per mio mezzo, e del sig. professore Ca- valieri San Bertelo far presente all’accademia nostra, della sua memoria sulla scelta di quello fra i canali del Danubio da preferirsi per la navigazione. Adempio per parte mia, e del chiarissimo mio collega, l’onorevole inca- rico, e con piacere infinito, per l’antica amicizia che mi lega all’autore, e perchè la memoria riferisce ad una questione europea, cho può dirsi già ri- soluta, secondo le viste dell’autore. Era indeciso fra li diversi rami del Danubio, quale potesse riuscire di più idoneo , e più stabile ingresso nel mar Nero, per una perenne navigazione. Quistione arduissima, che nè la scienza, nè l’arte han per anco sapute risol- vere, sopra principj certi e inconcussi. Il sig. Paleocapa esamina, con isqui- ‘ c. ' sita sagacia, le circostanze particolari dello sbocco in mare d’ognuno dei k^rri del fiume ; e con somma dottrina fa vedere per quali potentissime ragioni sia da preferire il canale denominato di s. Giorgio. Gli argomenti d’idraulica marittima e fluviale, in essa magistralmente trat- tati, avvalorati coll’esempio della diga costrutta or son dieci anni neU’Adriatico al porto di Malamocco, per suo stesso consiglio, saranno di utilissimo lume in tutte le operazioni, che si dirigono a migliorare e conservare alla naviga- zione lo sbocco dei fiumi in mare. Per ora la dottissima memoria ha valso al suo autore il segnalato onore, che la commissione internazionale incpj!^iata dalla conferenza di Parigi, per / \ f ^ ^ istudiare le quistione sulla regolarizzazione delle bocche del Danubio, appog- giando il suo voto sulla indicata memoria, si pronunzi a favore della bocca di s. Giorgio (Giornale di Roma n. 235 del 16 ottobre 1858); ed è a rite- nere per certo, cbe la conferenza ratificherà l’opinamento della commissione. Di tal che verrà sempre più in conferma quel voto comune, che cioè l’idrau- lica ha suo nascimento in questa nostra Italia. Sunto deir opera del sig. prof. M. cav. Medici intitolata « Compendio storico della scuola anatomica di Bologna ecc. » redatto dal professore di ana- — 44 — tomia nella università romana sig. cav. Rudel, e presentato dal prof. P. Vol- PlCELLl. Stava io lessando poche parole , che servir doveano di discorso inau- gurale alle mie pubbliche lezioni di anatomia umana nella nostra università, pel futuro scolastico anno; ed avea posto ad argomento del mio dire la storia anatomica , onde j. in vedere lo sviluppo ed il progresso di essa , vero fon- damento del medico-chirurgico edifizio, i giovani allievi, s’infiammassero viè più allo studio della medesima: quando, il chiarissimo mio collega sig. prof. Paolo Volpicelli, gentilmente mi presentava un volume in 4.°, stampato con eleganza e lusso tipografico, in Bologna di 430 pagine, intitolato: « Compen- dio storico della scuola anatomica di Bologna, dal rinascimento delle scienze e delle lettere a tutto il secolo XVlIf, con un paragone fra la sua antichità e quella delle scuole di Salerno e di Padova, scritto da Michele Medici ». Il titolo ed il nome europeo dell’autore, conosciuto, e rispettato da chiun- que tratti medicina, e che io cominciava ad amare ed ammirare non appena le prime linee di istituzione toccava; amore ed ammirazione che mi crebbero in leggere i continuati suoi aurei scritti a vantaggio della nobilissima scienza, m’ invogliarono altamente a leggere anche questo, e renderne publico un informe sunto, per quanto la pochezza dell’ ingegno, e delle cognizioni mie Io perni e tessero. Lo scopo che l’ illustre fisiologo di Bologna ha mirato in questo scritto, si è quello di celebrare la memoria de’ suoi concittadini, che, e dalle cat- tedre, e più con gli scritti diffusero per tutta Europa tali germi di dottrina anatomica, onde poi venne in tanta fama la scuola bolognese, rivendicando così dall’ ingiusta non curanza dei moderni , le grandi fatiche degli avi , e mostrando a tutte le nazioni qual gloria eompetasi alla nostra penisola. Bello e santo lavoro, degno d’ imitazione su questa classica terra, sì fe- conda d’ ingegni, e che tante scoperte 1’ hanno illustrata; le quali, per negli- genza nostra, cadute nell’oblio, sono state quindi e da oltremente e da ol- tremare a’ propri! addebitate. Il Fisiologo bolognese dopo aver chiamato in disamina le opere degli storici antichi, che non hanno perdonato a fatica, onde cercare e manifestare al publico notizie circa i medici e gli anatomici , anche più antichi in Bo- logna, conclude saviamente, che i loro scritti non valgono ad offrire un com- plesso, che dia a conoscere i successivi progressi delle anatomiche discipline appo i Bolognesi. Sono tutti da considerare piuttosto come poligrafi, che come storici di cose anatomiche ; egli però da buon autore confessa di aver so- vente attinto alle opere di quei classici avvertimenti e lumi, di cui si è gio- — 45 — vato nello stendere il suo lavoro. Giusta retribuzione di onoranza a coloro che ci hanno preceduti, ben poco al dì d’oggi imitata fuori d’ Italia nostra, dove con molta facilità gli autori plagiando si vestono degli ornamenti altrui. Quantunque fino dal 1156 fiorisse in Bologna un collegio medico, con discipline e statuti, e molti fossero i medici viventi in Bologna in quel se- colo, pure non fu che nel cominciare il secolo XllI, che molti si dierono ad insegnare publicamente in Bologna la medicina. Il primo dei quali fu Jacopo da Bertinoro, che morì nel 1213; fu egli seguito da una schiera d’ illustri, che furono maestri agli stranieri, che anzi in tanto onore era tenuta la scuola medica bolognese, che molti abbandonate le altre università, anziosi a quella si trasferivano per apprendere la medicina. Ma una scuola medica, dice il chiarissimo autore, non è a rigore lo stseso che una scuola anatomica, potendo darsi ammaestramenti d’ igiene, di terapeu- tica, di spargirica, e d’altre parti della medicina, passandosi deH’anatomia, od appena toccandola; cosa facilissima ad avvenire quando l’ insegnamento, mas- simamente publico , non è filosoficamente ordinato , come esser non poteva nell’ancora piuttosto rozzo secolo XIII. Ad onta però di questa verità, non è a supporre, che là ove fioriva tanto bellamente la medicina, fosse del tutto negligentata l’anatomia, base stabile di ogni medica educazione; infatti troviamo come il Guglielmini affermi, che l’anatomia sarebbesi insegnata publicamente in Bologna nel secolo XII, da un certo Armando Guascone, ed anche da Pietro Alberici, vissuto nel 1164. Alle quali affermazioni storiche il eh. A. confessa che resta dubbioso , non avendo potuto togliere dall’ animo suo alcune incertezze su esse , per quanto di fatica v’impiegasse. Per la qual cosa egli viene al secolo Xlll, in cui le notizie risguardanti l’argomento sono ingombre di minore oscurità. E fu in questo secolo che fiorirono molti illustri uomini, che procaccia- rono aH’iini versi tà di Bologna molta fama. Principale fra essi fu Taddeo Al- derotto, così Bartolomeo da Varignano, aH’ultimo dei quali i bolognesi innal- zarono poscia una statua nel teatro anatomico dell’archiginnasio loro. E seguitando il Medici, fra famosi anatomici del secolo XII, dice, avere in Bologna goduto altissima reputazione Guglielmo da Saliceto, che nel 1275 publicava un’ opera chirurgica, dove il trattato 4.° versa intorno l’anatomia, che potrebbe dirsi un trattatello , rozzo si , ma per quanto l’ ignoranza dei tempi il permetteva , buono ed abbastanza esteso, in modo da dichiarare il suddetto Guglielmo da Saliceto, certamente uno dei primi scrittori di notomia umana all’epoca del rinascimento delle scienze. — 46 Erano ancora nel più vergognoso silenzio le scuole mediche dell’estere nazioni tutte , quando costì in Italia i primi lampi scintillarono di miglior luce, e la scuola anatomica ebbe novella vita. Il Mondini in Bologna nel se- colo XIV segnava una pagina di gloria italiana nella storia anatomica. Egli publicava un’opera che per due secoli fu il solo testo delle anatomiche di- scipline; ed il Medici qui con bello stile si ferma alquanto con brevi consi- derazioni sul lavoro del Mondini, dopo di che, conclude, che il Mondini oltre le varie nozioni anatomiche speciali delle parti, ne conosceva anche le varie attinenze, ed usi diversi; indagine che inalzatasi sopra la semplice anatomia descrittiva, spazia pei campi della fisiologia. Che se meritassero piena fede le parole dell’ avvocato Alessandro Mac- chiavelli, avrebbe fiorito al tempo del Mondini in Bologna, un’ Alessandra Gil- lioni, egregia donzella, espertissima dell’anatomia, e che in compagnia di Ot- tone Agenio Lustrulano, Settore anatomico del suddetto Mondini, con somma abilità ministrava nei lavori anatomici. Discepolo e contemporaneo del Mondini, fu Bertuccio, dimininutivo di x\lberto, uno dei più esperti anatomici, che lasciò varie opere molto celebrate, e di cui fu discepolo Guido da Gauliaco, il più insigne chirurgo di quel tempo che vanti la Francia. E qui il chiarissimo autore, trascurando tanti insigni medici che in Bo- logna levarono alta fama , dicendo degli anatomici , scrive come al piegare del XIV secolo, ed al sorgere del XV, fiorisse in Bologna Pietro figlio di Az- zolino di Argelata. Nel medesimo secolo sostennero la riputazione della bolognese università nell’insegnamento anatomico Giovanni da Concorreggio o Concorrezzo, Gabriele Gerbi o Zerbi, Alessandro Achillini, Jacopo Berengario da Carpi; ed a que- sti, è duopo aggiungere, benché di minor fama, Giovanni Baverio, ed il suo figlio Nicolò, Girolamo Manfredi, Giovanni Garzoni, Girolamo Ranuzzi, Lio- nello, Benedetto Vittori, Tiberio Bacilieri, uomini tutti di chiarissimo nome i quali per le loro fatiche e cognizioni anatomiche, meritarono di essere iscritti nelle pareti del teatro anatomico di Bologna. Discende l’autore agli anatomici nati nel secolo XVI, e nel corso di esso fioriti, nominando fra i primi un tale Ulisse Aldrovandi, nato in Bologna nel 1522, salutato principe de’ naturalisti, ed eruditi del suo tempo- E seguendo l’ordine dei tempi il chiarissimo autore avvisa, che in Bo- logna ancora avesse insegnato anatomia quell’Andrea Vesalio , che pei suoi lavori, si ebbe il nome di lume chiarissimo dell’anatomia. — 47 — Così nel 1530 nacque in Bologna il celebratissimo anatomico Giulio Cesare Aranzio o Aranzi: egli nel 20 Maggio del 1556 ottenne la cattedra di anatomia nello studio publico di Bologna, che esercitò con tanto lustro per tutta la sua vita, terminata nel 1589, e Bologna che gli fu madre, eresse una statua a questo suo dilettissimo figlio, nel teatro anatomico del vecchio ar- chiginnasio. Contemporaneamente all’Aranzi, fiorirono in Bologna Costanzio Varolio, e Gaspare Tagliacozzio, i quali sparsero intorno bellissima fama di loro, e furono ornamenti nobilissimi di questa scuola italiana. Non contento però il Medici di citare questi nomi sovrani, con discernimento tutto suo, enumera e rende conto delle tante opere da loro in vantaggio dell’anatomia publicate. Contemporaneo ed amico del Varolio, e del Tagliacozzio, fu Girolamo Mercuriale, professore publico di medicina, il quale quantunque non occupasse la cattedra di anatomia , nulladimeno avendo trattato vari punti di anato- mico argomento, venne per la sua dottrina ed erudizione qualificato coll’ono- ratissimo titolo di professore eminente. Meritano quindi parole di lode Gianfrancesco Bota, e Domenico Leoni, i quali si adoperarono in prò della notomia nella seconda metà del secolo XVI, usando coi scritti e con la voce cura e diligenza maggiore, che gli altri nel- l’illustrarla. E nella prima metà del secolo XVII, Bologna ricevea nuovo splendore fra gli anatomici da Flaminio Bota, figlio del sullodato Gianfrancesco. E tanto lustro egli recava allo studio anatomico , che vivente videsi onorato di sei iscrizioni nel Bolognese x4rchiginnasio , e similmente enumera il chiarissimo autore , Antonio Sacchi, ed il figlio di lui Angelo Michele, detto il seniore, che si procurarono non comune celebrità negli studi anatomici ; ed anche un altro Angelo Michele Sacchi, detto il juniore, il quale, tanto operò, e tanta reputazione procurossi nella cattedra di anatomia in Bologna, che venne chia- mato alla celebre università di Pisa, per dettarvi anatomia; dove per altro andato, poco vi dimorò, ritornando in patria; ove ripreso ruffìcio di publico professore di anatomia, terminava sua vita nel 1630. Così furono anatomici valenti, ed alla celebrità della scuola anatomica bolognese contribuirono, Fran- cesco ed Achille Muratori, Fabricio Bertoletti, Virgilio de Bianchi, Gian Bat- tista Cortesi, Giovanni Agostino Cucchi, Giovanni Antonio Godi, Bartolomeo Bonacorsi, Carlo Ruini, e Bartolomeo Massari, uomini dottissimi tutti in vita, e per questo dopo morte grandemente onorati. Nella seconda metà del secolo XVII si vidde alzare sopra tutti gli anato- — 48 -- mici, e grandeggiare Marcello Malpighi, ornamento nobilissimo e splendore della scuola anatomica di Bologna, le imprese del quale, giusta il detto deH’illustre scrittore, chi a narrare prendesse minutamente, affronterebbe uno spazioso mare, che solcare non si potrebbe senza 'lunga navigazione. Ciò nulladimeno il Medici nell’ esporre la sua biografia , esamina col fino suo discernimento le varie opere del Malpighi, e le particolarità tutte della sua vita scientifica e civile , concludendo che la sua memoria sarà cara ed in pregio, fino a che l’amore e la riverenza per la virtù durino al mondo. Non io parlerò della guerra che mossero al Malpighi alcuni de’suoi col- leghi, e che l’illustre Medici a lungo espone, però dimostrando, che ad onta di tutti gli sforzi dell’invidia contro i progressi scientifici del Malpighi, questi non si errestarono ed illanguidirono , ma invece con vigore ed alacrità continua- rono verificandosi così quel detto » Morde e giova 1’ invidia e non isfronda » Il suo soffio l’allor, ma lo feconda. Ed invero in questi studi si distinse in seguito ed acquistò bella fama di se Carlo Fracassati Bolognese, compagno ed amico di Marcello Malpighi; così contemporaneo a questi fu Gian Battista Capponi, i quali varie opere scris- sero in vantaggio della notomia; così fu esperto anatomico il dott. Silvestro Bonfiglioli, il quale quantunque non autore di opere anatomiche, pure fu as- sai operoso, e diede prova di sua abilità in moltissime sezioni, che far solca in compagnia del Fracassati, e del Malpighi. Il Medici così onorando i puhlici professori di natomia, i quali e coi loro insegnamenti dalle cattedre , e con le opere che diedero in luce , la scuola bolognese illustrarono, viene favellando di quel luminare dell’anatomia che fù Anton Maria Valsalva , mercè del quale la rinomanza di quella scuola dalla seconda metà del secolo XVII passò alla prima del secolo XVIII. Contemporaneo al Valsalva, ed egli pure discepolo del Malpighi, fu Ip- polito Francesco Albertini: nato posteriormente all’ Albertini, ma pure a lui contemporaneo, visse Ferdinando Ginseppe Guglielmini; in seguito la scuola bo- lognese di anatomia va superba di un Gian Antonio Stancari, un Pietro Nanni, un Matteo Bazzani, un Giuseppe di Jacopo Pozzi, i quali spesero tutta loro vita nel coltivamento della anatomia, per accrescere fama e splendore alla pa- tria loro. Fra gli anatomici più dotti, ed esperti, fioriti nello studio Bolognese, cor- rente la prima metà del secolo XVIII, sono certo da noverarsi, come scrive l’autore, Domenico Maria Gusmano Galeazzi, nato in Bologna il 4 agosto 1686, — 49 morto il 30 luglio del 1775, così Gaetano Tacconi Bolognese nato l’anno 1689, morto nel 1781, e Gian Giacinto Vogli, nato in Budrio, castel bolognese, nel 1697, e mancato alla vita nel 1762. A ciascuno di questi aggiunse il Medici una ben ragionata analisi delle loro opere, con che seppero meritare onore nel- l’universale, ed accrescere lustro alla bolognese università. Altri ancora onorarono il bolognese studio dell’anatomia , tali sono un Paolo Battista Balbi, Pier Paolo Molinelli, Francesco Maria Galli Bibiena, ed oltre a questi, la scuola anatomica di Bologna, verso la metà del secolo XVI li, si rendette celebre in opere di scultura anatomica, per gl’insigni lavori di Er- cole Lelli, e di Giovanni ed Anna Morandi coniugi Manzolini. Da questo ultimo fatto prende argomento il nostro celebre autore a par- lare del teatro anatomico bolognese, della erezione del museo, ed insieme della fondazione in Bologna di una cattedra di anatomia pittorica. A di 9 settembre del 1737 nacque in Bologna Luigi Galvani, nome che solo basterebbe a render chiara e famosa Bologna nciranatomico insegnamento. Il Galvani, insegnò anatomia, come dice l’Autore, con tanta profondità ed esten- sione di dottrina, che non solo infondeva nelle menti della gioventù le co- gnizioni tutte al coltivamento della medicina e della chirurgia necessarie, ma erudiva eziandio gli studiosi nella pittura. Egli si rese poi singolarmente ce- lebre per la bella scorperta , che ha reso il nome di Luigi Galvani famoso per tutto il mondo. Morì nel 4 dicembre del 1798, nè solo lo pianse Bologna ma tutta Europa, e tutti innalzarono a lui un monumento di gloria, il quale durerà intanto che le scienze naturali durino nel mondo.^ Contemporaneo agli anatomici testò discorsi fu Carlo Mondini , che quando nel 1782 Luigi Galvani bramò ed ottenne di lasciare la cattedra di anatomia, e di occupare quella di ostetricia, venne in luogo di quel sommo nominato professore pubblico. Ed oltre le sue lezioni, piene tutte di solida e profonda dottrina , eseguiva tutte le preparazioni occorrenti alla pubblica e solenne anatomia, ed a tutto ciò non contento, fece modellare in cera molte e diverse parti del corpo umano, dirigendo egli stesso le opere degli abili scultori Gian Battista Manfredini, ed Alessandro Barbieri. Lasciava moltissimi lavori scientifici, e moriva fra l’universale compianto il 4 settembre del 1803. E qui proseguendo l’illustre nostro Autore va enumerando altri anatomici, che hanno fiorito in Bologna nella seconda metà del secolo XVIII, tali sono un Lorenzo Bonazzoli, un Gabriele Brunelli, un Giovanni Antonio Galli, un Tommaso Laghi, un Giacinto Bartolomeo Fabbri, un Lorenzo Antonio Canuti, 7 — 50 — un Giovanni Giuseppe Ballanti, un Leopodo March. Antonio Galdani, un Pe- tronio Zecchini , un Gaetano Gaspare Ultini, un Germano Azzognidi , ed un Tarsizio Riviera Folesani. Di ciascuno di essi favellando il Medici , ne tesse una succosa e ragionata biografia. Di qui, dopo che il chiarissimo autore ebbe discorse con tanto senno le cose tante che illustrarono la scuola Bolognese, dal risorgimento delle scienze, fino a tutto il secolo XIII, chiude il suo favellare con alcune critiche consi- derazioni intorno le scuole anatomiche di Salerno e di Padova, che da alcuni voglionsi le più antiche, e famose, onde, fatti brevi confronti con quella di Bologna, conoscere a quale di esse appartenga il primato nell’avere contri- buito al restauro, ed ai progressi della notomia, specialmente umana. Fatto un maturo esame, e dei fatti, e delle opere di vari storici, e di vari anatomici, conclude che tal gloria è dovuta alla scuola Bolognese, preparata e matura nella seconda metà del XIII secolo, per le industrie, e per gli in- segnamenti di un Taddeo Alderotti, d’un Guglielmo da Saliceto, d’un Barto- lomeo Varignana, e massimamente deU’immortal Mondino de Buzzi, a buon diritto riconosciuto come restauratore primo della Anatomia dopo l’abiezione e l’obiio, in cui da sedici secoli giacca sepolta. Ed in estremo luogo il Medici si fa a concludere, esponendo che il mo- tivo pel quale ha favellato delle tre sole scuole anatomiche di Salerno, di Bo- logna, e di Padova, è stato solamente quello di stendere alcune notizie circa la scuola anatomica di Bologna, e farne alcun breve ragguaglio con quelle due, perchè da vari riputate come le più antiche e famose, senza voler menomar in guisa veruna l’estimazione in che egli tiene, ed esser deggiono tenute, quelle di altre città italiane, le quali pure in vari tempi contribuirono più o meno grandemente, al primato d’Italia nella restaurazione, e nei progressi della no- tomia. Faccia Dio che l’egregio lavoro del Medici trovi immitatori in ogni città di questa nostra terra, onde rivendicare daH’obblio le memorie dei padri no- stri, e mostrare che le fondamenta dei tanti sontuosi scientifici edifizi, che oggi menano alta fama e rinnomanza presso gli stranieri, sono a noi dovuti seb- bene per circostanze, che qui non tocca parlare, in istraniere terre trasportati. 11 sig. prof, abate cav. Zantedeschi comunica quanto siegue relativamente alle sue memorie di acustica. » Alle sei mie precedenti memorie di acustica, aggiungo ora la 7* ed 8% che hanno per titolo: — 51 — )) Della lunghezza delVonde aeree, della loro velocità nelle canne a bocca, e delVinfluenza che esercitano i vari elementi sulla loro tonalità- (Memoria 7^) Studio critico sperimentale del metodo comunemente seguito dai fisici nella determinazione de’nodi e ventri delle colonne aeree, vibranti entro canne a bocca. (Memoria 8\) » Per questi studi io mi sono preparato fino dall’anno 1852, alla qua- l’epoca visitai per la prima volta Parigi. Fu allora che io presi esatta co- cogni^ione di quanto possedeva la scienza per opera di que’grandi fisici, che onorarono ad onorano la Francia. Mi feci costruire i modelli i più perfetti che possiede il collegio di Francia, il Museo d’arte e mestieri, ed altri istituiti scientifici. Le conferenza che m’ ebbi cogli acustici più eminenti delle na- zioni francese, ed alemanna negli anni 1853, 1854, e 1855, mi appianaro- no di molto la via. Ritornato iu patria, ai modelli delle scuole aggiunsi altri di mia particolare invenzione. Perciò si vede che non sono queste ricerche improvisate, ma sono piuttosto il frutto di lunghe meditazioni , di viaggi e dispendi gravissimi. Ecco impertanto le conclusioni alle quali pervenni nella 7^ memoria 1”) che la lunghezza e la velocità della colonna aerea vibrante nelle canne a bocca non sono uguali a quelle che furono determinate da’ fisici in uno spazio indefinito. 2°) Che il numero della vibrazioni non è in ragione reciproca della lun- ghezza della canna in ogni caso; ma soltanto nel modo di sparimentare co- mune dei fisici colle troncature e coi diafragmi. 3°) Che l’inlluenza delle variazioni del lato della sezione esprimente la profondità, è minore dell’infiuenza del lato rappresentante la lunghezza della canna a bocca. 4®) Che l’influenza delle variazioni del lato esprimente, la larghezza della canna è nulla sul tono , allorché è accompagnata da uguali variazioni della larghezza della bocca; ma non così allorché le variazioni dell’una non sono uguali alle variazioni dell’altra. 5°) Che la direzione del velo d’aria sul labbro superiore della bocca; con corre alla provocazione del tono, e dei suoi gradi. 6°) Che la posizione della bocca rispetto all’asse della canna, non é in- differente nella produzione del suono e della tonalità ; e che vi é una po- sizione determinata dai pratici, la quale concorre a provocare il suono il più netto, e preciso. 7°) Che l’infiuenza dell’apertura della bocca, é maggiore di quella che comu- — 52 — nemente si ammetteva dai trattatisti- Da trentadue piedi ho potuto far ascen- dere il suono Ano al di là di un quarto di piede, ritenute tntte le ^dimen- sioni della canna costanti, e variando solo Timpulso dell’aria. Nel 8“ Memoria. 1“) Che colla fondamentale si ha una sola onda vibrante uguale a tutta la lunghezza della canna. 2“) Che colla ottava acuta si hanno due onde vibranti attigue fra di loro alla metà della canna. 3°) Che colla duodecima si hanno tre onde vibranti della stessa lunghezza. 4") Che colla decimoquinta si hanno quattro onde vibranti uguali, 5°) Che r inalterabilità del tono anche colle canne a fori, ed a troncature, appare alla posizione dei piani nodali indicati dalla sabbia nelle mie spe- rienze colle canne a parete membranosa, od in prossimità; e non mai alla po- sizione dei ventri. 6®) Che esìste un moto progressivo ondulatorio , il quale nell’intensità decresce mano a mano che si allontana dalla bocca. Dal qual fatto si rac- coglie la ragione, per la quale la discordanza fra la teorica e i risultamenti ottenuti colle canne a parete mebranosa, e quelli avuti coi fori e colle tron- cature, sia maggiore in prossimità della bocca, e minore o quasi nulla nelle estremità opposte. Il detto dei pratici sulla facilità di stonare coi fori col- locati in prossimità dell’imboccatura, non ugualmente che coi fori più lontani, ha il fondamento sul fatto sopra indicato. 7”) Che il movimento progressivo, comprovato dal piegamento di una fiamma, collocata dentro o fuori della canna è misto, cioè in parte diretto e in parte riflesso, come lo comprova la direzione obliqua del velo d’aria al- l’asse della canna, e la necessità della parete opposta alla booca. Padova il 28 Novembre 1858. Comunicazione del prof- Volpicelli su alcune moderne sperienze di fisica. Ad onta che i miei pochi mezzi noi consentissero, tuttavia per la ne- cessità che ognuno riconosce di profittare delle altrui cognizioni, a migliorare ed ingrandire le proprie, mi portai nell’ottobre testò decorso nella Svizzera, ed a Parigi. Fortunato colui che a visitare le capitali , reputate centri del progresso scientifico, ed industriale, incontra ogni sorta di facilitazioni. An- ch’ io fui del numero di questi nel 1850, quando la prima volta potei visi- tare Parigi, Londra, cd Edimburgo, per generosità privata, invitato cioè dal nobile nostro presidente a seguirlo in queste città cospicue. L’amichevole accoglienza che in questo secondo mio viaggio ho incontrata da parte dei nostri dotti corrispondenti lincei, fu somma. Grandemente utile e delizioso fu per me il lungo soggiorno in una delle più amene campagne deir illustre prof. A. De la Rive presso Ginevra, ove questo scienziato suole prodigare la cortese ospitalità sua, verso i cultori delle scienze, che si con- ducono a visitare la capitale della Svizzera. Si aggiunsero a queste cortesie quelle di molti altri dotti ginevrini, tra’ quali i signori Plantamour, Soret, De Candolle, Marcet, Favre, Pictet, Colladon, Thury, ed altri- / Nella mia breve dimora in Parigi le amabili accoglienze degl’ illustri scienziati signori Despretz, Flourens, Elie de Beaumont, Le Verrier, Becquerel, Pouillet, Bertrand con altrij ed in special modo quelle dell’illustre geometra sig. Chasles, furono per me squisitissime. Laonde mi reputo assai fortunato che oggi mi si offra una occasione, a render pubblica la mia gratitudine verso i medesimi scienziati. Da tutto ciò apparisce quanto mi sia stato facile vedere quelle interes- santi sperienze che si fecero in fìsica nell’anno che termina, le quali breve- men^ora vado a indicare Il signor Lissajous rese luminose le vibrazioni acustiche , e fece con- correre Purgano della vista nella ricerca dei fenomeni che appartengono al- l’organo delPudito: l’inverso non sarà forse possibile. — Il sig, Porro apportò cj^nsiderevoli perfezionamenti pratici agli apparati ottici per l’astronomia, e per la fotografìa. — Il sig. De la Rive produsse una interessante, non meno che elegante sperienza, concernente l’azione magnetica sulle scariche elettri- che. La sperienza medesima sebbene abbia molta somiglianza con quella del sig. Walker (1) tuttavia conserva un carattere di novità incontrastabile. ■ — Il signor Becquerel dell’ istituto di Francia trovò un metodo termoelettrico per apprezzare con grandissima precisione la temperatura delle piante, lo che ap|i^ un campo nuovo alle ricerche della vita vegetativa. — Il sig. Becquerel figlio' sperimentò con tanto successo intorno alla fosforescenza dei corpi, sia du- revole, sia istantanea; cosicché può dirsi per le sue sperienze la fosforescenza oggi mai da considerare come una proprietà generale dei |m'pi. — Il sig. Ruhmkorff col suo rocchetto d’ induzione, e mediante i tubi di vetro fabbricati dal si- gnor Geissler costruttore d’ istromenti fisici a Bona, e con altri costruiti dai sig. Ed. Becquerel mostra fenomeni molto interessanti , che riguardano la (1) PuggendorlF. Annalen. T. 54, pag. 514, an. 1841. — 54 — stratificazione della luce elettrica, l’azione magnetica sulla medesima luce, e la fluorescenza e fosforescenza di varie sostanze. — Il sig. Duboscq ha per- fezionato di molto Tapparato per la luce elettrica, ed ha ingrandito assai il numero delle sperienze ottiche da eseguirsi col medesimo. — Sul lago di Ginevra si è stabilito, in via di sperienza, un faro a luce elettrica. Ora poiché nell’otto- tobre testé decorso, gli autori che ho nominato, ebbero la bontà d’invitarmi a vedere le sperienze in proposito, così ho redatto un breve sunto delle me- desime, che sarà pubblicalo negli atti delle seguenti sessioni, per non accre- scere il volume di questi oltre i limiti prescritti. CORRISPONDENZE Il sig, prof C. Despretz dell’istituto di Francia (accademia delle scienze) ringrazia per la nomina da esso ricevuta di corrispondente straniero linceo- Il sig. generale Edoardo Sabine ringrazia per la nomina di corrispon- dente staniero Linceo da esso ricevuta- L’I. e R. istituto lombardo di scienze lettere ed arti, per mezzo del se- gretario sig- C. Cantù, invia un progamma di temi, sui quali fu aperto il con- corso, e che furono proclamati o ripetuti nella solenne adunanza dell’istituto medesimo del 31 maggio 1858- II municipio di Bologna, per mezzo del senatore sig. Conte Luigi De Via, fa giungere in dono all’ accademia, l’opera del eh. sig- prof- cav. M. Medici, la quale ha per titolo « Compendio storico della scuola anatomica di Bolo- gna ecc- » pubblicata dal municipio stesso- L’Associazione Britannica per l’avanzamento delle^scienze, col mezzo del suo segretario sig- Ciò. Philips, ringrazia per gli atti de’Nuovi lincei da essa ricevuti, ed invia un esemplare delle sue transazioni. Il Sig- prof. D- Piani segretario perpetuo nell’accademia delle scienze del- ristituto di Bologna, ringrazia per gli atti de’ Nuovi Lincei ricevuti dall’acca- demia stessa. — 55 •— Il sig. prof. Eug. Sismonda, segretario delle scienze fìsiche e matema- tiche daH’accademia K- delle scienze di Torino, ringrazia per gli alti de’Nuovi Lincei ricevuti dairaccademia stessa. Il medésimo ringraziamento è giunto da parte della R. accademia delle s^nze di Madrid, per mezzo del suo segretario perpetuo sig. Lorente, il quale in pari tempo invia parecchie pubblicazioni da parte della medesima in dono aH’accademia nostra, che colle altre si trovano registrate nell’elenco seguente delle opere venute in dono. Il medesimo sig. segretario fece anche giungere il programma pubblicato dall’accademia di Madrid pei premi del 1858. Il sig^ principe D. Baldassarre Boncompagni, con una lettera diretta al nostro sig. presidente prega di essere esonerato dalla carica di tesoriere del- l’accademia. Il segretario generale dell’accademia di scienze lettere ed arti degli Ze- lanti di Aci-reale (Sicilia), invia una sua memoria intititolata « Sull’uso del- la polvere di zolfo, sul metodo di adoperarla, e sugli effetti ottenuti a cu- rar la crittogama delle viti, nelle contrade orientali dell’Etna. Il sig. Guglielmo Shai-Wood di Filadelfia, mostra il suo desiderio d’inviare all’ accademia una sua memoria sulla termo-elettricità, onde vederla pubbli- cata negli atti dei nuovi Lincei- Fa egli conoscere di esser possessore di una sensibilissima pila termo-elettrica, e di un galvanometro che può indicare 30" pel solo passaggio delle mani presso la pila medesima. Egli dice che il contatto della mosca domestica sulla sua pila termo-elettrica produrre nell’ago magne- tico del galvanometro stesso una deviazione di 3“ a 4". Oltre a ciò il sig. Sha^ood possiede pezzi di ial gemma grandi e limpidi assai: termina egli la sua lettera dicendo « E mia opinione che questa pila termo-elettrica, possa impiegarsi utilmente nello studio di alcuni fenomeni, che accompagnano l’ec- clisse solare (1). / / (1) L’applicazione della pila termo-elettrica, fu già da me praticata nell’ecclisse solare del 28 luglio ISSI, nell’osservatorio astronomico pontificio, diretto dal chiaris. sig. prof. D. I. Calandrelli; ed inoltre vi associai pure la eliostata per avere maggior esattezza nei ri- sultamenti sperimentali, che furono pubblicati nel T. IV degli atti dell’accademia pontificia dei Nuovi Lincei, pag. 573... 583, anno 1850-51. P. Volpicelli — 56 — Il sig. prof. Cav. V. Flauti, segretario perpetuo della R. Accademia delle scienze di Napoli, fa giungere varie copie della manifestazione del concorso ai premi Sementini. 11 sig. Cav. Gius. Calsada, console generale pontifìcio in Odessa, invia in dono una copia di un opera intitolata « Insegnamento della lingua italiana pubblicata dal sig. Ambrogio Dagnini. COMITATO SEGRETO Colla sessione ultima decorsa del 13 giugno 1858, per ordinamento sta- totele, cessava la presidenza ritenuta dal sig. duca D. Mario Massimo. Per tanto nell’attuale prima tornata del corrente anno accademico, dal sig. prof. N. Cavalieri S. Bertelo, che presiedeva come primo del comitato, fu propo- sto all’accademia, ed a nome del comitato stesso di procedere alla elezione del nuovo suo presidente. Prima che si venisse allo squittino già unanimemente il corpo deliberante linceo proclamato avea la conferma del nominato sig. duca nella presidenza ; poscia nella votazione segreta questa conferma ebbe da capo la unanime sanzione, che dovrà essere sottoposta al beneplacito sovrano. Soci ordinari presenti a questa sessione. P. Volpicelli. — N. Cavalieri S. B. — S. Proia. — A. Coppi. — G. B. Pianciani- — P. A. Secchi. — L. Ciuffa. — G. Ponzi. — G. Sereni. — B. Tortolini. — G. Pieri. — E. Fiorini. — B. Viale. — I. Galandrelli. Pubblicato li 2 del 1859. P. V. L’accademia riunitasi legalmente ad un ora pomeridiana, si sciolse dopo due ore di seduta. — 57 — OPERE TENUTE IN DONO Sul calcolo approssimato degli integrali d'ordine superiore. Nota del prof. G. Bellavitis. Venezia 1856; un fase, in foglio. Sulla risoluzione numerica delle equazioni. Memoria del medesimo. Venezia 1857; un fase, in foglio. Sposizione della teorica dei determinanti compilata dal medesimo. Venezia, 1857; un fase, in foglio. Il Nuovo. Cimento. Giornale di fisica , di chimica e scienze affini, compilato dal prof. C. Matteucci, e R. Pi ria; fase, di Giugno, Luglio, Agosto 1858. Giornale del Gabinetto letterario dell' accademia Gioenia. Fase, di Maggio , Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre 1858. Della vita e delle opere di Luigi Sacco- Relazione del D.'’ F. Ferrario. Mi- lano 1858, un fase, in 8.® Parole sul monumento al cav. D-’’ Luigi Sacco; del consigliere G. L. Gì anelli. Milano 1858; un fase, in 8. Considerazioni intorno ad alcune recenti memorie di geognosia paleozoica; del prof. I. A. Catullo- Venezia 1856; un fase, in 8.® Della lunghezza delle onde aeree , della loro velocità nelle canne a bocca , e dell'influenza che esercitano i varii elementi sulla loro tonalità. Memoria VII del prof. Zantedesghi. Vienna, 1858; un fase, in 8. Studio critico-sperimentale del metodo comunemente seguito dai fisici, nella de- terminazione dei nodi e ventri delle colonne aeree vibranti entro canne a bocca. Memoria Vili.'" del medesimo Vienna, 1858; un fase, in 8-° Sulle induzioni elettrostatiche- Nota di G. Belli- Pisa, 1858; un fase, in 8.® Sull' uso della polvere di zolfo , sul metodo di adoperarla, e sugli effetti ot- tenuti a curar la crittogama delle viti, nelle eontrade orientali dell'Etna. Me- moria di M. Grassi. Palermo, 1857; un fase, in 8.® Circa la conversione della forza viva in calore, o della teoria del Grove. Con- siderazioni del prof- B- Bizio- Venezia, 1858; un fase, in 8.® Dissertazione didattico-scientifica sulle cause che ritardarono finora il progresso e perfezionamento dell'arte d'istruire i Sordomuti; del cav. G. B. Costardi- Milano, 1858; un fase, in 8.® Sull' acqua marziale di Varano- Lettera di G- Terzi. Fano, 1858; un fase, in 8.® Causa della rabbia. — Un'altro passo da vincere, onde poter meglio locare nel 8 suo vero posto la novella dottrina- Lettera del D ' L- Toffoli. Padova. 1858; un fase, in 8." Per la solenne cerimonia nel porsi la prima pietra alla fondazione del R. Orto botanico in Catania il 31 luglio 1858. Discorso e descrizione di F. Tornabene, Catania, 1858; un fase, in 8-“ Insegnamento della lingua italiana in 30 lezioni per A. Bagnini da Mantova.. Liegi, 1857; un voi. in 8." Parte 11.“ Memoria su alcune specie malacologiche siciliane per il D-’’ S- Biondi. Ca- tania 1855; un fase, in 8.° Rapport Rapporto sopra i lavori della società di fisica e di storia naturale di Ginevra dal giugno 1857 al giugno 1858- Ginevra, 1858; un fase, in 4." Alcune Note di G. Mai nardi Milano, 1858; un fase, in 4.° Ricerche di Pesci fossili della Sicilia per Gaetano Giorgio Gemellaro. Ca- tania, 1858; un fase- in 4.“ Sul graduale sollevamento di una parte della costa di Sicilia dal Simeto a/- rOnobola per il medesimo- Sidle metamorfosi di Taranto^ e sulle cause delle sue singolari produzioni di terra e di mare. Congetturazioni del cav. S- Fenicia. Napoli , 1858; un fase, in 8-“ Componimenti scritti per chiarire taluni punti oscuri della fisica arcana ; del MEDESIMO- Napoli, 1856; uu fase, in 12.® Monografia di Ruvo di Magna Grecia', del medesimo- Napoli , 1857; un fase, in 8.® Memorie delP accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; fascieoli 1.® 2.® 3.® Bologna 1858. Rendiconto delle sessioni dell" accade mi a delle Scienze dell’Istituto di Bo- logna- Anno Aeeademieo 1857. 1858; un fase- in 8-“ Atti delV Imp. Reg. Istituto Veneto di Scienze, Lettere, ed Arti. Di- spensa 5.“ 6.“ 7-“ 8.“ 9-“ e 10-“ Venezia, 1857 — 58. Memoria dell' I. R- Istituto Veneto di Scienze, Lettere, ed Arti. Voi. VII.® Venezia, 1857. Atti della fondazione scienttfica Gagnola nel 1858. Voi. //.® Parte /i.“ un fase, in 8.® Alti dell' I- R. Istituto Lombardo di Scienze, Lettere, ed Arti- Voi. 1.® fase. VI, VII, Vili, /X® Milano, 1858. — 59 — Memorie delV I. R- Istituto Lombardo di Scienze , Lettere , ed Arti. Voi VIV fase. IV, V, VI. Milano, 1858. Meinoi'ias .... Memorie delV accademia delle Scienze di Madrid. Tomo 2.° parte 2.“ 18.57. Archivio Meleorologico centrale italiano nelV I. e R. Museo di fisica, e storia NATURALE. Prima pubblicazione. Firenze, 1868; un voi. in 4.” Distribuzione de" premi del grande concorso dementino Pellegrini, celebrata il 27 dicembre 1857 dall" insigne e pontificia accademia romana di San Luca Roma, 1858; un fase, in 4." Intorno alle Majoliche di Castelli. Lettera di D. Bonghi. Napoli , 1855; un fase, in 4.® % Nouveau Nuovo principio sopra la distribuzione delle tensioni nei sistemi elastici’, del prof. L. F. Menabrea. Parigi, 1858; un fase, in 4.® Memorie dell" accademia delle Scienze di Torino. Tomo XVII. Torino 1858. Sui crostacei fossili della calcaria grossolana del veronese. Lettera del prof. /. A. Catullo al prof. Naumann di Lipsia. Padova mezzo foglio. Compendio storico della scuola anatomica di Bologna, dal rinascimento delle scienze e delle lettere, a tutto il secolo XVIII, con un paragone fra la sua antichità e quella delle scuole di Salerno e di Padova, scritto da Michele Medici. Bologna, 1857; un voi- in 4." grande. Notiees Notizie delle riunioni del Reale Istituto d" Inghilterra. Lon- dra, 1857. Parte VII- Nov. 1856, e Luglio 2857; un fase, in 8.° The atlanti L" Atlante: Giornale di letteratura, e di scienze, redatto dai membri della Università cattolica d" Irlanda. Londra, 1858; N.’ 2. Brano di lettera inedita indiritta al prof. Naumann di Lipsia dal prof. I. A. Catullo di Padova, intorno le Nereidi fossili di monte Bolca. Proktisehe Guida pratica per la regolare procedura in affari di matri^ monio, sulla base della nuova legge, emessa con patente imperiale degli 8 Ottobre 1856 per i parrochr, dal f).’" F. A. Loberschiner. Budweis 1857; un fase, in 8.® Comptes Conti resi dell" Accademia delle Scienze dell" I. Istituto di Francia, in eorrente. Sitzungsberichte Rapporti delle sedute dell" L R. Accademia delle Scienze DI Vienna del 1857. Classe Filos- storie. Dal N.® 1- al 10- • Idem Rapporti delle sedute della L R- Accademia delle Scienze di Vienna — 60 — Classe di Mat. e Scienze naturali Del 1857 dal N.“ 2 al 9 ; e del 1858; dal N: 1 al 5. Fontes Rerum Austrìacarum Sorgenti storiche austriache. Commissione storica delVL R. Accademia suddetta. Diplomataria et Acta. Voi. XIV; e XV. Monumenta Habsburgica Raccolta di giustificazioni e lettere per la storia della casa di Habsburgo dal 1473 al 1576- Commissione delVI. R. Accade- mia SUDDETTA^ Epoca di Massimiliano I. Un voi. in 4.® 1858. IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Min. Conv. Archiep. Icon. Yicesgerens. ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE II-’ DEL 2 GENNARO 1859 PRESIDENZA DEL SIG. DECA D. MARIO MASSIMO MEMORIE E COMUNICAZIONI DZX SOCI ORDXlVAai X X>EX COaaXSPOMX>ENTX Per l’assenza del sig. presidente duca Massimo, questa sessione fu presieduta dal sig. prof- N- Cavalieri S- Bertelo. Astronoaiia. — Appendice alle ricerche sopra i movimenti propri delle stelle fisse; del prof I. Calandrelli [Continuazione e fine) {*). TAV. I. Moto proprio in ascensione retta delle stelle fondamentali (1) (2) (3) . . . relativamente alla stella fittizia. Stelle Epoc. media 1800 Preces. ann. A"— A' ndp np. p annali dell’osser. po -1- 68092 0^ 000000 (1) 3. 12222 -1-39^ 593 —39^717 — 0^ 124 — 0. 001378 —0^ 00131 (2) 2. 87695 -4-17. 665 —17. 643 -hO. 022 -4-0. 000244 -hO. 00030 (3) 3. 24196 -i-50. 690 —50. 494 H-0. 196 -^-0. 002177 -4-0. 00220 (4) 2. 67981 - 3. 164 -4- 0. 101 —3. 063 — 0. 034033 — 0. 03440 (5) 3. 19390 -^42. 079 —46. 168 —4. 089 — 0. 045432 — 0. 04563 (6) 3. 07553 -4-39. 959 —35. 515 h-4. 444 -)-0. 049378 -hO. 04949 (7) 2. 93633 -4-23. 778 —22. 987 -hO. 791 -4-0. 008788 -4-0. 00883 (8) 2. 85166 -f-15. 447 —15. 367 -hO. 080 -f-0. 000889 -4-0. 00093 (9) 2. 89220 -4-22. 317 —19. 015 ^-3. 302 H-0. 036689 -4-0. 03663 (10) 2. 94555 h-24. 013 —23. 817 -hO. 196 -hO. 002177 -hO. 00234 (11) 3. 08523 -4-36. 430 —36. 388 -hO. 042 -hO. 000467 -hO. 00056 (1) Vedi sessione I, del 5 dicembre 1859. 9 — 62 — TAV. II. Molo proprio in distanza poi. delle stelle fondamentali (1) (2) (3) . . . relativamente alla stélla fittizia. Stelle Epoc. media 1800 Preces. ann. A“ — A' ndp np p annali dell’ oss. po H- 3". 18446 -4-0".003225 -4-0. 105890 (J) —14. 67822 —26'. 38'^40 -h26'. 47”.93 H- 9".53 -1-0.1064 (2) — 4. 77312 —11. 55. 40 -4*11. 56. 47 -f- 1. 07 -4-0. 011889 -1-0.0120 (3) — 1. 36877 — 6. 50. 30 -4- 6. 50. 08 — 0. 22 — 0. 002444 —0.0022 (4) 3. 16649 -+- 1. 48. 92 H- 0. 1. 91 -+-110. 83 4-1. 231443 -4-1.1980 (5) H- 7. 57480 -t- 8. 7. 70 — 6. 34. 84 -4- 92. 86 H-1. 031778 -1-1.0235 (6) -f-19. 98249 ■^25. 38. 30 —25. 11. 53 26. 77 -4-0. 297440 -1-0.2975 (7) -f-11. 90030 ^-12. 59. 90 -13. 4. 13 — 4. 83 — 0. 053666 —0.0541 (8) — 8. 21767 —17. 6. 80 -4-17. 6. 48 — 0. 32 — 0. 003555 —0.0034 (9) — 8. 55738 -18. 11. 10 -hl7. 37. 06 — 34. 04 — 0. 378220 —0.3800 (10) — 8. 90904 —17. 25. 80 -f-18. 8. 71 42. 91 -4-0. 476780 -h0.4770 (11) -17- 16970 —30. 31. 70 -f-30. 32. 17 H- 0. 47 -4-0. 005222 -4-0.0056 17°. I moti propri annui delle stelle fondamentali (1) (2) (3) . . . de- terminati relativamente alla stella fittizia poco differiscono da quelli deter- minati da Le Verrier- Egli è poi certo che introdotti questi moti propri nelle precessioni delle stelle medesime , facendo pl-\- p. ~ p", la relazione — A' -f- w(p' — = 0 , è esattamente verificata. Ora questa medesima relazione non si verifica in tutte le stelle, quando introduciamo nelle precessioni i moti propri degli an- nali. La differenza più grande si trova nei moti pròpri di Procione- Diffatti introducendo quelli degli annali nelle precessioni si trova in AH H- 42.^079 -- 42.^062 ^ -h 0^017 in ù H- 8.' 7.'70 — 8-6.95 == -h 0.'75 e introducendo quelli che sono stati determinati relativamente alla stella fit- tizia, si ha ^ 63 — in AR = -4- 42/079 — 42/079 = 0 in d ^ -4- 8.'7".70 — 8'.7".70 ^ 0 . 18/ Non bisogna dimenticare che i moti propri delle stelle fondamen- tali (1) (2) (3) . . • dipendono dalle posizioni medie che si trovano notate negli annali deH’osservatorio di Parigi: se noi vogliamo partire da altre po- sizioni di altri cataloghi, restando sempre la medesima la posizione media della stella fittizia, troveremo differenze più o meno grandi nei valori di n/z, e ciò avviene e per gli errori delle osservazioni e per la loro riduzione alle epo- che dei cataloghi con vario sistema di elementi di cah;olo. Seconda soluzione 19/ Resterebbe ora a dimostrare che i movimenti propri di queste stelle fondamentali ottenuti relativamente alla stella fittizia sono identici a quelli che si potrebbero ottenere col paragonare le loro posizioni medie con una qualunque delle medesime. L’applicazione sarà limitata alla ricerca del moto proprio della (4) Sirio, e della (5) Procione relativamente alle altre. In que- sta ricerca dunque le stelle fondamentali (1) (2) (3) • . . diventano stelle di confronto, e la (4) Sirio, e la (5) Procione diventano le stelle principali. Ecco in due tavole ciò che si ottiene dal calcolo, introducendo i moti propri già determinati- TAV. 1. Moto proprio di Sirio (4) in 90 anni in ascensione retta e in distanza polare relativamente alle fondamentali (1) (2) (3) . . . Stelle A°— A' ndp in AR n[x in AR A“— A' ndp in 5 np in § — -t- — (1) 42^757 39^ 694 3^ 063 h-28'. 27".32 —26'. 36".49 1'. 50".83 (2) 20. 829 17. 765 3. 064 -+-13. 44. 32 —11. 53. 49 1. .50. 83 (3) 53. 854 50. 790 3. 06i -4- 8. 39. 22 -4- 6. 48. 39 1. 50. 83 (5) 45. 2i3 42. 179 3. 064 — 6. 18. 78 -4 8. 9. 61 1., 50. 83 (6) 43. 123 40. 059 3. 064 —23. 49. 38 h-25. 40. 21 1., 50. 83 G) 26. 942 23. 878 3. 064 —li. 10. 38 -h-13. 1. 21 1. 50. 83 (8) 18. 611 15. 547 3. 064 -4-18. 55. 72 —17. 4. 89 1. 50. 83 (9) 25. 481 22. 417 3. 064 -h20. 0. 02 —18. 9. 19 1. 50. 83 (10) 27. 177 24. 113 3. 064 -4-19. 14. 72 —17. 23. 89 1. 50. 83 (11) 39. 594 36. 530 3. 064 -t-32. 20. 62 —30. 29. 79 1. 50. 83 -- 64 — TAV. II. Moto proprio di Procione (5) in 90 anni in ascensione retta e in distanza polare relativamente alle fondamentali (1) (2) (3) . . . Stelle A” — A' ndp in AR np. in AR A°- —A' ndp in ò np. in 5 (1) H- 2.^ 486 — 6^- 575 4^, .089 -f-34'. 46" .10 —33'. 13". 24 1', .32" .86 (2) -f-24. 414 —28. 503 4. 089 -4-20. 3. 10 —18. 30. 24 1. 32. 86 (3) — 8. 611 -1— 4. 522 4. 089 -4-14. 58. 00 —13. 25. 14 1. 32. 86 (4) -4-45. 243 —49. 331 4. 088 -4- 6. 18. 78 — 4. 45. 92 1. 32. 86 (6) -4- 2. 120 — 6. 209 4. 089 —17. 30. 60 -4-19. 3. 46 1. 32. 86 (7) h-18. 301 —22. 390 4. 089 — 4. 51. 60 -4- 6. 24. 46 1. 32. 86 (8) -4-26. 632 —30. 721 4. 089 -t-25. 14. 50 —23. 41. 64 1. 32. 86 (9) -4-19. 762 -23. 851 4. 089 -4-26. 18. 80 —24. 45. 94 1. 32. 86 (10) -t-18. 066 —22. 155 4. 089 -4-25. 33. 50 —24. 0. 64 1. 32. 86 (11) -4- 5. 649 — 9. 738 4. 089 -h38. 39. 40 —37. 6. 54 1. 32. 86 Terza soluzione 20.” Finalmente si può provare che prendendo per termine di paragone il punto fìsso considerato come una stella si hanno i medesimi moti propri delle stelle fondamentali (1) (2) (3) . • • Anche in questa terza soluzione li- mito il calcolo alla ricerca del moto proprio in 90 anni di Sirio e di Procione. Moto proprio di Sirio e di Procione in 90 anni in ascensione retta e in distanza polare relativamente al punto fisso. Stelle A° — A' ndp in AR np in AR A“ — A' ndp in § np in 9 Sirio Procione 2^". 5^ 073 1. 19. 830 -4- 2. 2. 010 1. 15. 741 3^ 063 4. 089 1 -4- 27'. 33". 55 33. 52. 33 25. 42. 72 32. 19. 47 -4- r. 50".83 1. 32. 86 — 65 — Conclusione 21. ® II moto proprio di Sirio e di Procione in 90 anni in ascensione retta , e in distanza polare che si ottenne relativamente alla stella fittizia è identico a quello che si ottiene prendendo per termine di paragone o un punto fisso considerato come una stella, o una qualunque delle stelle fonda- mentali (1) (2) (3). . . , basta dunque una sola stella di paragone la cui me- dia posizione sia ben determinata, e il moto proprio ben cognito, onde de- terminare i movimenti propri di tutte le stelle senza aver riguardo alla loro vicinanza in ascensione retta , e in distanza polare alla stella di confronto. Non si lascia qui di notare che collo immediato confronto delle medie po- sizioni di Sirio e di Procione osservate nel 1755 e 1845 si ottiene Io stesso risultato, cioè Moto pr. di Sirio in 90 anni in AR = — 3^064 in § = -f- r.50".84 Moto pr. di Procione in 90 anni in AR = — 4^089 in d = -Hl'.32”.87 Movimenti propri di altre stelle fondamentali. 22. ® Le due stelle « Ercole , a Ofiuco sono vicinissime in ascensione retta , e in distanza polare: a sentimento dunque di W- Struve può servire una per determinare il moto proprio dell’altra. Dal confronto delle posizioni medie di queste stelle colle posizioni della stella fittizia, abbiamo Moto proprio di a Ercole e di a Ofiuco in ascensione retta, e in distanza polare relativamente alla stella fittizia n ■= 90 anni. Stelle A®— A' ndp np in AR A»— A' ndp np. in ^ P a Ercole cc Ofiuco 4^423 8. 815 4^334 8. 050 0^”089 0. 765 —¥~ 0^ 000989 0. 008489 -4- 2'. 14". 10 0. 1. 80 ^21. 18". 10 -4-0. 17. 39 — 4". 00 h-19. 19 — 0. 04444 -1-0. 21322 — 66 — Trovati in tal maniera i moti propri di queste due stelle, cerchiamo il moto proprio di una relativamente all’altra. Moto proprio di a Ofiuco in ascensione retta e in distanza polare re- lativamente ad a Ercole l.“ Gen. 1755 « Ercole AR = 17.^3-29.^79 a Ofiuco AR = 17. 23.34. 379 20.5.200 =A“{_) 1.” Gen. 1845 a Ercole AR = 17. 7.34.885 a Ofiuco AR = 17.27.44.477 20. 9.592 A" — A' ==-H 4.^392 Precessioni per l’epoca media 1800 a Ercole p = 2^72908 (-+-) [X = 0. 00099 (-4-) (tav. sup.) p< = 2^ 73007 a Ofiuco p = 2.77037 (-h) 0.04030 (— ) ndp == — 3.^627 , quindi = -H- 0.-'765 1.“ Gen. 1755 « Ercole 5 = 75.“18.'41."20 « Ofiuco 5 == 77. 14. 32. 50 1. 5.5.51. 30 == A»(_) 1.” Gen. 1845 a Ercole 5 = 75.25.42.20 « Ofiuco ^ = 77.19.21.20 1.53.39.00 = A'(— ) A° — A'=-.2M2".30 Precessioni per l’epoca media 1800 — 67 — a Ercole pi=± 4".72218 (-+-) ix=z= 0. 04444 { — ) (tav. sup.) p'== 4. 67774 « Ofiuco p=% 99452 (-f) 1. 68322 = dp (-+-) ndp:±= 2.' 3\.'%9 (-+-) e quindi n^=^-H-19/'19 Moto proprio di « Ercole in ascensione retta, e in distanza polare re- lativamente ad a Ofiuco. Le differenze A” e A' cambiano di segno, avremo dunque A“ — A^ = — 4.^392 in AR a“-^A'=^m-2.'12."30 in § Calcolo di ndp io AR e in d « Ofiuco p ^ 2.^77037 (-+-) ^. = 0.00849 (-4-) (tav. sup.) p’= 2.77886 a Ercole p = 2.72908 (-+-) a04978~=^dp (H-) ^ ndp :== 4.^480 (-f-) np. 0/088 « Ofiuco p = 2."99452 (h-) p == 0. 21322 (H-) (tav. sup.) p' = 3. 20774 a Ercole p =? 4.72218 (-+.) 1.51444 dp (*-*-) nd/) = 2/16."30 (— ) np = — 0.'4."0 . 23°. 1 moti propri di queste due stelle fondamentali vicinissime 1’ una all’altra in ascensione retta e in distanza polare risultano i medesimi sia che si confronti una coll’altra, sia che ambedue si confrontino colla stella fittizia. Se ora si rifletta che la stella fittizia dista di 10* e più in ascensione retta, e di 29° e 31® in distanza polare dalle stelle ss. Ercole, e a Ofiuco, si vedrà chiaramente che la condizione richiesta da W. Struve, cioè che le stelle di paragone sieno vicine in ascensione retta e in distanza polare alla stella prin- cipale, di cui si cerca il moto proprio, è affatto inutile. Nel metodo di Bes- sel tutto dipende dalla esatta posizione delle stelle di confronto, e della stella principale. Ma delle stelle dì confronto bisogna conoscere esattamente il moto proprio: ed è appunto per questa ragione che io mi sono tenuto ad una stella fittizia, il cui moto proprio in ascensione retta è nullo, ed è piccolissimo quello in distanza polare. L’incertezza dei moti propri nelle stelle di confronto è , a mio parere, lo scoglio in cui si urta, usando del metodo di Bessel. 11 moto proprio annuo in ascensione retta di a Ercole risulta 0.^000989 relativa- mente alla stella fittizia (tav* sup.). Negli annali dell’osservatorio di Parigi si trova ij. = — 0^00042 ; nel catalogo di xMadras = 0.003- Se dunque confrontiamo la posizione di « Ofiuco con quella di a Ercole, avremo nelle tre ipotesi a Ofiuco mot. pr. in 90 anni in AH = -+- 0.^765 -4- 0. 638 -H 0.946 Ora queste anomalie spariscono quando il moto proprio della stella di con- fronto è certo e ben determinato, e spariscono ancora quando si confrontano le posizioni medie assolute delle stelle. Diffatti se paragoniamo le medie po- sizioni assolute di « Ercole e di « Ofiuco, si ha a Ercole mot. pr. in 90 anni in AR = -+- 0.^089 in dz==~4."00 oc Ofiuco mot- pr. in 90 anni in AR = -+- 0.^765 in 5 = 19. 19 identici a quelli che si sono ottenuti relativamente alla stella fittizia , il cui moto proprio è certo e ben determinato. — 69 — Moto proprio di oc Auriga, « Boote, ot. Lira, ol Cigno in ascensione relta^ e in distanza polare relativamente alla stella fittizia n z= 90 anni- Stelle Ep. media 1800 Prec. ann. A"— A' ndp in AB np in AB oc Auriga oc Boote a Lira « Cigno -+- 39975 2. 81716 2. 01135 2. 04102 -j-2”.35^ 613 -+-0. 4. 651 — 0. 58. 569 — 0. 57. 516 — 2"*.34." 695 — 0. 12. 262 -t-0. 60. 261 ^0. 57. 591 -+- 0^918 — 7. 611 -+- 1. 692 ^ 0. 075 Stelle Ep. media 1800 Prec. ann. A»_ A' ndp in 5 np in ^ X Auriga Boote Ci Lira a Cigno — 5”. 02737 -+-17. 07641 — 2. 63234 —12. 52759 —ir. 41". 20 -4-23. 48. 02 — 9. 9. 10 —23. 34. 60 -h12'. 19".36 —20. 49. 90 -h 8. 43. 80 h-23. 34. 38 38".16 -4-178. 04 — 25. 30 — 0. 22 24“. Gli annui moti propri di queste stelle fondamentali, quali si hanno dai valori di np della tav. superiore, e quali si trovano notati nei cataloghi di Madras, e della associazione britannica, e negli annali dell’osservatorio di Parigi sono i seguenti 10 — 70 — Stelle Moto pr< Calandrelli oprio ann. Madras in ascens C. B 3. retta Annali cc Auriga a Boote ^ Lira a Cigno -+-0^010200 —0. 084566 -hO. 018801 -i-0. 000833 ^-0^015 — 0. 073 -hO. 024 -+-0. 012 -4-0^ 013 — 0. 078 -+-0. 020 -4-0. 002 -4-0^ 00985 — 0. 07812 -hO. 01870 -4-0. 00087 Stelle Moto prò Calandrelli prìo ann. Madras in distanz C. B a polare Annali « Auriga oc Boote oc Lira « Cigno -4- 0". 42400 H- 1. 97822 — 0. 28111 — 0. 00244 -f- 0".39 -4- 2. 05 — 0. 20 -4- 0. 01 -4- 0'.41 -4- 1. 96 — 0. 28 0. 00 -4- 0".4250 -4- 1. 9830 — 0. 2821 — 0. 0024 Benché le differenze sieno piccole , nulladimeno se col sistema di Bessel si voglia prendere una di queste stelle per termine di paragone, onde dedurre il moto proprio di un altra, si avrà sempre una incertezza nell’attribuire alla stella di confronto il moto proprio , incertezza che. non si trova , quando il moto proprio della stella di confronto è certo e ben determinato. Così, per esempio, se vogliamo il moto proprio di Sirio in 90 anni relativamente alla a Boote, troveremo i seguenti risultati , impiegando successivamente i moti propri di cc Boote notati di sopra Moto pr. di Sirio in 90 anni in AB = — 3 064 - 2.024 - 2.473 - 2.484 Moto pr. di Sirio in 90 anni in ^ — -i- l.'50."83 -4- 1.57. 29 -H 1.49. 19 -+- 1.51, 26 — 71 — Qui si può notare^ che impiegando il moto proprio di « Boote da me de- terminato, si trova il moto proprio di Sirio in 90 anni identico a quello che già si trovò relativamente alla stella fittizia , la quale è vicinissima a Sirio in ascensione retta e in distanza polare. Nulladimeno confrontando Si- rio con a Boote si ha una differenza di 7^- 30“ in AB, e di circa 37" in e si ottiene lo stesso risultato. 25." I moti propri in distanza polare delle medesime stelle sono stati determinati dai cel. Peters di Pulkova confrontando le distanze polari medie osservate da Bradletj (1755) colle recenti osservate da Bessel (1820), da W. Striive (1824), da Argelander (1830), da Busch e Airy (1838-39), e da lui (1843). La prima avvertenza però che ebbe questo astronomo fu quella di riportare le osservazioni dei citati astronomi ad uno stesso sistema di elementi di cal- colo. Corrette in tal modo le osservazioni, e attribuendo aux dèclinaisons de Bradley le pois relalif — , mais aux aiitres dèclinaisons un poids gmnge ai seguenti risultati. Stelle Dist. p.N. media 1." Gen. 1800 Er, pro- babile Mot.pr.an. Er. pro- babile a Auriga ^ Boote Lira « Cigno 44». 13'. 21".80 69. 46. 13. 56 51. 23. 40 33 45. 25. 41. 92 0".39 0. 24 0. 26 0. 16 ^-0".4395 -t-1. 9848 — 0. 2786 -f-0. 0004 0".0114 0. 0071 0. 0077 0. 0047 I moti propri da me determinati colle posizioni medie di queste stelle date da Bradley (1755) e da Gremvich (1845) e col riferire le loro posizioni alla stella fittizia, ponendo a calcolo l’errore probabile, collimano con questi. 26." Lo stesso astronomo con moltiplici osservazioni dirette fatte al cir- colo meridiano di Ertel negli anni 1842 e 1843 determina le seguenti distanze polari pel !•“ Gen. 1842 a. Auriga ò = 44.“10.'14.''37 Er. prob. 0."20 «Boote 69.59.32.31 0.20 «Lira 51.21.35.68 0.20 « Cigno 45. 16. 53. 80 0. 20 — 72 — Benché le distanza -polari pel 1.” Gen. 1800 non risultino da osservazioni di- rette, nulladirneno relativanaentc alla stella fittizia colle distanze polari del 1800 e 1842, ottenni i seguenti moti propri annui a Auriga = 0. "43 857 (-4-) a Boote 1. 986905 (-h) a Lira 0. 278809 (— ) a Cigno 0. 0023804 ( — ) i quali collimano esattamente cogli altri, e provano che i moti propri di que- ste quattro stelle fondamentali nella distanza polare sono hen determinati, e che il piccolo moto proprio annuo di a Cigno è negativo. 27.“ Calcolando con tutto rigore le precessioni e usando dei moti propri determinati di sopra , ho voluto trovare le distanze polari medie di queste stelle pel l.“ Gen. 1850 e 1856 onde confrontarle con quelle che si trovano notate nel catalogo hritannico, e nelle osservazioni di Greenwich del 1856, ed ho ottenuto Stelle 1.” Gen. 1850 Dist. p. N. cale. l.“ Gen. 1850 Dist. p. N. C. B. 1." Gen. 1856 Dist. p. N. cale. 1." Gen. 1856 Dist.p. N. OS. G. oc Auriga Boote Lira ^ Cigno 44“. 9'.39".85 70. 2. 3. 94 51. 21. 11. 30 45. 15. 12. 72 44". 9'.34".50 70. 2. 3. 70 51. 21. 13. 60 45. 15. 12. 00 44“. 9'. 14".22 70. 3. 57. 58 51. 20. 52. 88 45. 13. 56. 82 44°. 9'. 14".63 70. 3. 57. 83 51. 20. 53. 19 45. 13. 56. 81 1 Le differenze di 5" nella distanza polare di a Auriga , e di 2" in quella di oc. Lira sono state da me notate, e provano evidentemente che nelle delicate ricerche bisogna prima verificare le posizioni delle stelle , e poi impiegarle nel calcolo. Questione sulla variabilità del moto proprio di Sirio. 28.“ Nelle mie ricerche sul movimento proprio di Sirio mi sembra di aver dimostrato sufficientemente che nel moto proprio di Sirio in ascensione retta si trovano alcune anomalie che non possono spiegarsi in modo alcuno — 73 — nella ipotesi di un moto proprio costante: che però queste anomalie non si trovano nel moto proprio di Sirio in distanza polare, giacché con un moto proprio costante si possono rappresentare le osservazioni e di Bradley (1755) e le altre dei moderni astronomi dal 1815 fino al 1857- La questione però è di grande importanza, tanto più che la variabilità del moto proprio di Sirio in ascensione retta è stata, se non contradetta, almeno posta in dubbio nel 1842 da W. Striive, e che la uniformità del moto proprio di Sirio in distanza po- lare è stata contradetta da Laugier nell’anno 1858- Mi sarà dunque permesso in questa appendice ritornare sulla stessa questione, e procurare che sia sem- pre più messa in evidenza una certa variabilità nel moto proprio di Sirio in ascensione retta, e una certa uniformità nel moto proprio in distanza polare. 29. ° Dai numeri 16°, 17° . . . 20° di questa appendice risulta che il moto proprio di Sirio in 90 anni è di — 3.^064 in AR -f- l'.50".83 in d Queste quantità si sono ottenute con tanti diversi confronti, che rimanendo costanti le posizioni di Sirio di Bradley (1755) e di Greenwich (1845) non può dubitarsi dei valori medesimi. Ora se paragoniamo le ascensioni rette di Sirio osservate negli anni 1750, 1751, 1752 . . . con quelle osservate ne- gli anni 1840, 1841, 1842 . . . nello stesso intervallo di 90 anni si ha Moto proprio di Sirio in AR in 90 anni — 3.M86 (1750-1840) — 3. 094 (1752-1842) — 3. 061 (1754-1844) — 3. 071 (1756-1846) — 3. 080 (1757-1847) ~ 3. 116 (1760-1850) Similmente Moto proprio di Sirio in AR in 100 anni — 3.^690 (1750-1850) — 3. 389 (1757-1857) Qui si può notare che le ascensioni rette osservate negli indicati anni basano sullo stesso sistema di calcolo, e tutte sono state ridotte nella ipotesi dell’an- nuo movimento p- = — 0.^03440. (Le Verrier an. dell'osserv. tom. 2°). 30. ° Passiamo adesso ad esaminare il moto proprio di Sirio in distanza polare. A me pare di aver dimostrato evidentemente (13° e 14°) che le di- — 74. - stanze polari di Sirio date pel l.“ Gen. 1845 (Greenwich) e pel l.”Gen. 1850 (Madras) sono in errore di 2" in 3” colle altre date per le stesse epoche. In occasione di una mia nota inserita nei conti resi della Imperiale Accademia delle scienze di Parigi N. 12, Luglio 1858 il sig- Laugier così mi scrive in data del 23 Agosto 1858: Vous représentez fori hien (col mio movimento proprio annuo costante H- 1". 2309) la position de 1755, aimi qiie celles quoti peut considérer comme honnes de 1815 à 1840; mais de 1842 à ÌSÒÒ les dijferen- ces deviennent tres sensibles et conservent le méme signe. Sarebbe già molto quando con un movimento proprio costante si possono rappresentare le os- servazioni dal 1755 al 1840 , cioè nell’ intervallo di 85 anni : le differenze sensibili montano ai 2" o 3", e queste differenze si debbono agli errori già notati delle posizioni del 1845 e 1850 la prima da me corretta, e l’altra non introdotta nel calcolo come erronea. Queste differenze sensibili si notano dopo il 1841, ma qui si può domandare; ammessa la variabilità nel moto proprio di Sirio in distanza polare, come è possibile che siasi manifestata dopo 86 anni con un salto brusco di 2" in 3" ? Diffatti dalle posizioni che mi sono state communicate dall’astronomo francese si trova r. Gen. 1840 Sirio 5 = 106“.30'.6".22 \ 1841 11.11 ) Greenwich 1842 14.77 1843 . . . 18.15 ) dunque dal 1840 al 1841. • . . d§ = 4"89 1841 al 1842. ..... 3 66 1842 al 1843 3 38 Ora 3. "66; 3. "38 eguagliano appena l’annua precessione, dunque l’annuo moto proprio di Sirio in distanza polare è bruscamente sparito dal 1841 al 1842, e dal 1842 al 1843. Se ora dalla stessa lettera del citato astronomo pren- diamo le distanze polari di Sirio dal 1815 fino al 1840 osservate dai più ri- nomati astronomi, troveremo che l’annua precessione totale di Sirio in di- stanza polare è sempre maggiore di 4". Ecco le posizioni di 5 in 5 anni — 75 — l.“ Gen. 1815 Sirio §= 106.® 28.' 14. "68 Bessel 1820 . 37. 15 Bessel 1825 . 59. 33 Struve 1830 ..... 29. 22. 20 Airy 1835 43. 39 Airy 1840 ..... 30. 6. 22 Greenw. La media delle differenze è 22. "31, e l’annua precessione totale 4."46. Se dalla distanza polare di Sirio del 1840 si passi a quella del 1845 , anche nella ipotesi di ^ z= \.”ìi y moto proprio annuo adottato già dal 1800 fino ai nostri tempi da tutti gli astronomi si avrà p'=:4."47, e siccome pel 1840 si trova § = 106“.30.'6."98 , pel 1845 deve essere 106<’.30.'29."33 , e non già § = 106®.30'.26."34. Dopo ciò conchiudo che gli errori sensibili di 2" in 3" dipendono dalla posizione erronea del 1845, dalla quale partendo, si tro- vano per conseguenza le altre degli anni seguenti le quali differiscono di 2" in 3" da quelle che partono dalla distanza polare data da Bradley pel 1®. Gen. 1755 e giungono fino al 1840 senza alcuna interruzione, e senza salti, i quali sono incompatibili con un moto proprio variabile, e i quali non pos- sono attribuirsi che agli inevitabili errori delle osservazioni. Questo errore nella distanza polare di Sirio pel 1.® Gen. 1845 fu già da me avvertito al num." 91" della memoria pubblicata in Boma nel 1855 (Descrizione scienti- fica del circolo meridiano), dove anche notai che la distanza polare di Sirio data nel catalogo di Greenwich (1849) pel 1." Gen. 1840 risultava da 234 osservazioni, e che quella del 1845 dello stesso catalogo risultava da 58 os- servazioni. Se dunque, come ho più volte ripetuto, si faccia una esatta e di- ligente analisi sulle posizioni delle stelle delle quali vuol conoscersi il moto proprio; se si sopprimono quelle che per giuste ragioni si debbono giudicare erronee ; se finalmente tutte si possano aver ridotte collo stesso sistema di calcolo; le anomalie spariscono, e siamo allora sicuri colla massima probabilità dei risultati che si ottengono. FisfCA. — Sulla legge di Mariotte, sopra un congegno nuovo per dimostrarla, e su varie applicazioni di essa. Memoria del prof. P.Volpcelu. (Contìuazione) (1). Anche la dottrina che costituisce il fondamento della chimica razionale , cioè la dottrina che dicesi atomistica , è in relazione colla legge di Ma- riotte , come ora indicheremo brevemente. In fatti dalla idea che abbiamo degli atomi, l’aggregazione materiale consiste nella giustapposizione dei mede- simi , la quale dipende da una forza che negli atomi eterogenei dà origine alla comjimazione chimica, e dicesi forza di affinità eterogenea, o chimica; e negli omogenei alla coesione ed alla tenacità, e dicesi forza di coesione o di tenacità, ed anche forza di affinità omogenea. Tutte queste forze debbonsi riguardare come intrinseche alla materia- La combinazione chimica non di- strugge le proprietà degli atomi che si combinano fra loro , sibbene le na- sconde, riducendole inefficaci all’effetto che sempre tendono a produrre, e che tosto producono quando la combinazione si risolve nei principj che la costi- tuiscono. Allorché gli atomi di due corpi, aventi diversa natura, insieme si com- binano chimicamente, ne risultano atomi tutti nello stesso modo composti; ed in ognuno dei quali, secondo tutte le sperienze, dobbiamo supporre, che la forza producente la combinazione^/sorpassì di molto Teffetto di tutte le altre alla ma- teria estrinseche, tendenti a separare meccanicamente gli atomi che concorrono alla combinazione dell’atomo composto. Perciò l’atomo composto si deve ri- guardare indivisibile da forze meccaniche, non altramente che l’atomo semplice. Parecchi fisici sono di parere, che i gas tanto semplici quanto composti, sieno formati a volumi eguali, e poste le medesime circostanze, da un egual numero di atomi, egualmente fra loro distanti. Riguardano essi questo prin- cipio qual conseguenza necessaria della legge di Mariotte, e dell’altra di Gay- Lussac; e soggiungono che nella combinazione di due o più gas, il composto ri- sultante, quando è gasoso, ha sempre un volume o uguale, o minore della somma dei volumi dei gas componenti. Il gas acido cloroidrico presenta un esempio del primo caso, poiché combinandosi un volume di cloro con uno d’ idrogene, si producono due volumi di acido cloroidrico ; e convien dire pel principio sopra stabilito, che questi due volumi contengono lo stesso numero di atomi contenuti nei due volumi componenti. Quindi per questa dottrina , posto che sieno n gli atomi di cloro , sa- ranno altrettanti quelli d’ idrogene , e 2« quelli dì acido cloroidrico da essi formato- Ma ogni atomo di quest’acido deve contenere idrogeno e cloro;, dun- (1) Vedi sessione I, del 5 dicembre 1858, p. '28, T. XII. — 77 — que ognuno di essi risulterà di mezzo atomo d’ idrogeno, e mezzo di cloro. Il vapore acquoso presenta un esempio del secondo caso; poiché due volumi del vapore medesimo sono formati, da due volumi d’ idrogene, e da uno di ossigeno, laonde pel principio sopra stabilito, dovrà concludersi, che un atomo di acqua è formato da mezzo di ossigeno , e da uno d’ idrogene. Per tanto secondo il principio stesso dobbiamo ammettere la divisibilità degli atomi per effetto della forza di affinità chimica, e concludere che questa divisione si opera nella maggior parte delle combinazioni fra sostanze fluido-elastiche. Altri pel contrario sostengono , che a volumi eguali , ed a circostanze identiche, i gas, composti o semplici che sieno, contengono un diverso numero di atomi; e che p. e. lo zolfo in vapore, contiene il triplo degli atomi conte- nuti nell’ugual volume di ossigeno. Soggiungono inoltre che dalla proporzione con la quale lo zolfo si unisce chimicamente alle altre sostanze, dalla forma di cristallizzazione di questo combinazioni, e dalla capacità loro pel calorico, risulta che il numero degli atomi nell’ossigene, nel cloro, nel jodio, ecc. ri- spetto quello degli atomi nello zolfo, sta = 1 : 3 ; e che negli acidi solfo- roso, idrosolforico, e nel cloruro di zolfo, quel rapporto è = 1 : 2. Noi tenendo una mezzana via fra queste due che ora indicammo, conside- riamo i gas quali composti di atomi solidi, che si respingono continuamente a cagione del calorico, a fine di raggiungere quella reciproca distanza, cui la ri- sultante fra l’attrazione e la repulsione molecolare omogenea, riescirebbe nulla per ciascun atomo del medesimo gas» Riteniamo inoltre che sotto le medesime circostanze, quei gas che sono semplici, contengano un egual numero di atomi a distanze uguali, nel medesimo volume; però non riconosciamo la necessità che altrettanto si verifichi pei gas composti, come pure fra questi ed i gas ri- guardati semplici. Secondo tale concetto, sempre il numero degli atomi com- posti, sarà inferiore a quello degli atomi elementari, per la combinazione dei quali, si è prodotto il gas composto. Così nel vapore acquoso vi sarà il terzo del numero totale degli atomi d’idrogene e di ossigene, concorsi a produrre il vapore medesimo ; e ciascun atomo di questo vapore ne conterrà uno di ossigene, e due d’ idrogene. Perciò a pari circostanze gli atomi dell’acqua in vapore, saranno più distanti fra loro, ed in minor numero, degli atomi d’ idro- gene, 0 di ossigeno- Per questa dottrina si deve concludere che il vapore acquo- so , fammoniaca (nitruro triidico) il gas idrogene bicarbonato (carburo dii- drico, ed anche gas olefico) ed altri simili composti, contengono a pari con- dizioni, un diverso numero di atomi; e che la divisione degli atomi elemen- tari, non è punto necessaria, per ispìegare le chimiche combinazioni. 11 — 78 — Per avvalorare queste vedute riflettiamo, che la forza repulsiva nèi gas composti, deve generalmente variare da quella dei gas detti semplici, dai quali sono formati ; e ciò per l’aumento di volume dell’atomo composto. In fatti è naturale che questa forza repulsiva, e per conseguenza che il grado di con- densazione dei gas, riesca dipendente dalla forma dell’atomo, cioè dalla quan- tità e disposizione delle superficie di esso. Quindi nel caso che 1' atomo sia composto, secondo che nasconderà nell’ interno suo, maggiore o minor super- ficie degli atomi elementari che lo compongono, e secondo che la sua esterna superficie sarà disposta in un modo più che in un altro, impedirà che agisca una maggiore o minor parte della forza repulsiva, sugli altri atomi composti, e circostanti ad esso. Da ciò dipende, se punto veggiamo, la variazione della distanza fra gli atomi nei gas composti, rispetto quella fra gli atomi nei gas componenti; e da ciò anche la variazione della densità dei primi gas, rispetto quella dei secondi. La ipotesi ora esposta, ne pare assai soddisfacente sotto il punto di vista fìsico, e chimico: in fatti si concepisce a mala pena la divisione degli atomi semplici, la differenza fra questi e le molecole chimiche, da ultimo la egua- glianza del numero degli atomi, a parità di circostanze in ciascun gas. Vero è che, per la legge di Mariotte, la pressione, in genere, produce il medesimo effetto sui gas tanto semplici quanto composti; ma è vero altresì che non poche sono l’eccezioni subite dalla medesima legge, come fra poco vedremo; e dicasi altret- tanto della legge di Gay-Lussac, per gli effetti della temperatura nel volume dei gas. Ma poniamo anche queste due leggi verificate completamente, non per questo saremo costretti ad ammettere, che a parità di circostanze il nu- mero degli atomi sia lo stesso nei volumi eguali di gas, composti o semplice che sieno. Ed in fatti la legge di Mariotte, può bene conciliarsi colla nostra ipotesi; giacche per la legge stessa non si tratta di ottenere una eguaglianza fra i risultamenti assoluti, ma solo un’eguaglianza di rapporti fra i risulta- menti stessi- Un volume di ossigeno contenendo 100 atomi semplici, uno stesso volume di vapore acquoso, a parità di circostanze, ne conterrà cinquanta com- posti, ma più distanti fra loro, di quello siano l’uno dall’altro gli atomi di ossigeno. Ora se la pressione, sopra ognuno di questi volumi, divenga doppia, tripla, quadrupla, ecc., le distanze fra gli atomi contigui diverranno la metà, il terzo, il quarto, ecc. di quello erano prima dell’aumento di pressione in ciascun volume. Perciò la legge di Mariotte potrà ben conciliarsi colla ipotesi, che gli atomi semplici non si trovino fra loro alla stessa distanza, cui stanno gli atomi composti, a parità di condizioni. — 79 — Taluno potrebbe apporre dicendo: quante volte la distanza in proposito dipende, e dalla forma dell’atomo, e dalla massa del medesimo, secondo abbiamo noi supposto; ed inoltre se questa massa e questa forma varia, come sembra dover essere, negli atomi dei diversi gas detti semplici, dal qual variare proba- bilmente dipendono la diversa natura, e le diverse proprietà delle varie so- stanze fluido-elastiche; dovrà eziandio variare la forza repulsiva fra gli atomi semplici, e perciò la distanza fra i medesimi. Quindi potrebbe taluno da ciò inferire, che anche nei gas che si dicono semplici, dovrà essere diverso il nu- mero degli atomi contenuti a volumi eguali, cosicché diversa pure dovrà es- sere la distanza fra gli atomi che si contengono in volumi eguali di gas sem- plici, ma diversi per natura, ed a parità di circostanze. A questa obbiezione primieramente si risponde, che potrebbe variare la forma ed insieme la massa degli atomi nei diversi gas semplici , rimanendo per ognuno di essi eguale la distanza , che separa un atomo semplice dal- l’altro contiguo; poiché, gli effetti di queste variazioni potrebbero essere uno reciproco dell’altro* Così la cosa essendo, vede ognuno bene quanto meglio si renderebbe conto della legge di Mariotte, e di Gay-Lussac* In secondo luogo deve osservarsi che il peso degli atomi delle sostanze semplici e gasose, de- terminato supponendo che queste a volumi eguali, e posto il resto eguale, contengano lo stesso numero di atomi, si é trovato nella maggior parte dei casi coincidere col peso degli atomi delle sostanze medesime, ottenuto però con diverso metodo. Quindi a ragione da ciò concludiamo, essere molto pre- feribile la ipotesi da noi adottata, cioè che le sostanze semplici gasose, con- tengano a volumi eguali un egual numero di atomi. Da ultimo dobbiamo ri- flettere che da quei casi, ne’ quali non si é verifìrata la coincidenza dei ri- sultamenti ottenuti per diverse vie, rispetto lo stesso peso atomico, piuttosto che trarre argomento per abbattere la nostra ipotesi, potrebbe in vece rile- varsi una ragione per dubitare, se quelle sostanze, sulle quali sono caduti gli sperimenti, sieno veramente semplici, come l’ebbero supposte. Passiamo a dire ora brevemente delle sperienze varie , che i fisici ad epoche diverse istituirono, per conoscere i limiti cui va soggetta la verifica- zione della riferita legge. Prima però giova notare, quanto mai sia grande la compressibilità dei fluidi aereiformi, rispetto quella dei liquidi; poiché mentre sotto la pressione di due atmosfere l’acqua subisce la compressione di 48, ed il mercurio di 3 milionesime del volume loro primitivo, alla pressione di un’atmo- sfera ; l’aria sotto quella stessa pressione, cioè di due atmosfere si ristringe — 80 — per metà del suo volume primitivo, premuto da un’atmosfera, cioè si ristringe di 500 mila milionesime del volume stesso. Hales (Statique des végét. Append. p. 389 e 392) ed Amontons (Mem. de l’acad: an. 1703, p. 104) ambedue si sono con esperimenti occupati della compressibilità eccessiva dell’ aria atmosferica. Boyle, Mariotte, e Musschen- broek si occuparono pure della eccessiva sua rarefazione, coerentemente alla nota legge. Molti tentativi si sono fatti sul fine del secolo XVII, e sul prin- cipio del XVIII, per determinare sino a che l’aria possa comprimersi, o possa dilatarsi; ma nulla su questi limiti di certo si potè stabilire. Sotto pressioni non maggiori di otto atmosfere, questa legge per l’aria, fu pure trovata esatta da Winkler (1), Saussure (2), e Fontana (3), il secondo dei quali la trovò vera eziandio per l’aria rarefatta, ed il terzo la riconobbe anche per altri gas. Frasi creduto che la legge di Mariotte si verificasse con ogni esattezza pei gas (4), tutti e per tutte le pressioni. In fatti a proposito di questa legge, ma solo per l’aria atmosferica, il sig. Bouguer (5) dice « noi abbiamo fatto questa sperienza moltissime volte, tanto in comune, quanto in particolare nel viaggio del Perù; eravamo insieme, quando la ripetemmo alla Martinicca, e sul monte di S. Luigi nell’ isola di S. Domingo, col sig. De la Condamine: l’abbiamo fatta a bordo nel mare del sud, e in diversi luoghi elevati della Condiliera del Perù, come sulla vetta pietrosa del Pitchinca, montagna adiacente a Quito, di cui l’al- tezza verticale uguaglia 2434 tese, ed ove il mercurio del barometro ascende solo a 15 pollici, elllin- Ho trovato sempre, senza veruna eccezione, che la elasticità della stessa massa d’aria, seguiva esattamente il rapporto della sua densità. Queste sperienze dissipano i dubbi, che avevano gettato su tale materia quelle del P. di Bèse , fatte a Malacca, e riportate dal Maraldi nelle mem- del 1709- Sembrava risultare dalle sperienze medesime, che presso l’equatore, (1) Untersuchung der nat. und. kunst. Leìpz 1765. 8. IL 98. (2) Journ. de phy. 1790. 93. (3) Gothaisces Magazin. IL 2. 166. — ed anche » Risultati di diverse sperienze sulla elasticità, dei fluidi aereiformi permanenti, opuscoli di Felice Fontana Napoli 1787. (4) La voce gas, o gaz è derivata per corruzione dal vecchio idioma tedesco gahst, oggi geist (spirito). Sembra che Van-Helmont sia stato il primo ad impiegare questa voce, per in- dicare qualunque sostanza vaporosa od aerea, sovlta pel calorico dai corpi; in seguito Ma- cquer ha introdotto la voce stessa nel chimico linguaggio. (5) Mém. de l’Ac. Roy. des Scien. an. 1753. — Bi- le dilatazioni dell’aria erano molto minori, di ciò che dovevano essere per se- guire la ragione reciproca delle corrispondenti pressioni. Però Giacomo Ber- noulli, ed Euler pensarono, che la legge di Mariotte(l) o di Boyle (2), non sarebbe stata rigorosamente vera per le grandi pressioni, per le quali credettero che i vo- lumi dovessero decrescere in proporzione minore, per la resistenza maggiore che i gas opporre dovrebbero alla ulteriore diminuzione del volume loro, in forza del- l’accresciuta elascità dei medesimi. Le sperienze di Musscbembroek, e di Boyle medesimo, sembravano pure indicare, cbe la compressibilità dell’aria, essendo la pressione anche minore di quattro atmosfera, crescesse tanto meno, quanto più essa già era compressa- Inoltre le sperienze del Rondelli, e di Laura Bassi bolo- gnese, fanno sospettare dalla esattezza di questa legge (3). Per siffatte ricerche adunque credevasi, che l’aria essendo ridotta ad un volume quattro in cinque volte minore, di quello da essa occupato nello stato naturale, incominciasse per sottrarsi alla legge di Mariotte, coH’opporre una resistenza maggiore ai pesi che la comprimevano; cosicché un doppio peso non era, secondo i nominati fìsici, sufficiente a poterla ridurre alla metà del volume che occupava dianzi. Pel contrario le sperienze di Sulzer tedesco, pubblicate nelle memorie di Berli- no 1753, e quelle di Robison inglese, pubblicate nella Encyclopedie Britannique, art. Pneumat’s, t. XVI. p- 700 (4)^ parevano dimostrare cbe i volumi dell’aria decrescessero in proporzione maggiore, forse per la resistenza minore che i gas oppor dovrebbero alla ulteriore diminuzione del volume loro, in forza della elasticità relatlvamenle diminuita nei medesimi. Il prof- Baccelli confermò la nota legge con ulteriori sperienze, mediante un metodo nuovo, ed eziandio con pressioni minori deH’ordinaria, Egli sperimentò l’idrogene, l’ossigene, il nitrogene, l’acido carbonico, il cloro, l’acido cloroi- drico , il gas ammoniacale , ed il gas nitroso ; e stimò potersi concludere , che l’aria comune, come i pure i suoi componenti, ossigene, e nitrogene, sen- sibilmente sottraevansi alla legge, quando la pressione superava le tre atmosfere: dicasi altrettanto del gas nitroso. Credè pure il Baccelli aver trovato, che l’i- (1) Mariotte « Essais sur la nature de fair... an. 1676. (2) Defensio doctrinae de elatere et gravitate aeris, propositae a D."® Roberto Boyle . . adversus obiectiones Francisci Lini . . . Roterdami 1649, defensio contra Fr. Linum Pars II, cap. V. pag. 94. . . 113. — Vedi anche Mariotte Traité des eaux, p. 142, edit. in 12°. an. 1700. (3) Queste sperienze si trovano riferite dal Zannotti nei commentari dell’istituto di scienze ed arti di Bologna T. 1°. pag. 208, e T. II parte l^ pag. 347. (4) Vedi anche i commentari dell’Istituto di Bologna luogo citato. — 82 — drogene resìste alquanto sotto la pressione di cinque atmosfere, e che il gas am- moniacale riducesi, con due o tre atmosfere, a minor volume di quello com- porti la nota legge (1). Inoltre attesta egli aver veduto in queste sue sperienze una parziale liqnefazione del gas ammoniaco: in seguito la liquefazione di parecchi gas fu ingegnosamente operata da Davy, e da Faraday (2). Ma tutte le indicate sperienze lasciavano a desiderare in riguardo alle neces- sarie precauzioni; quindi OErsted ne intraprese delle altre più accurate, col cap. Suensson, (3), e ne comunicò i risultamenti alla società R. di Copenaghen; i quali poi furono pubblicati nel giornale di Schweigger, come pure nel Phil. rnagaz. agosto 1826, nell’ Edimb. Journal of. Sciences t. 4, e nelBulletin de Ferussac, mag- gio 1825 e 1826* I due sopra nominati fìsici posero l’aria sotto la pressione di 66 atmosfere, e dai risultamenti ettenuti, OErsted ha creduto potersi concludere, che la legge per l’aria si vevifichi almeno sino alla pressione di 60 atmosfere, mentre poi, come indicammo in principio di questa memoria, l’accademia delle scienze deiristituto di Francia, con accuratezza molto maggiore, la verificò sino alla pressione di 27 atmosfere. Il signor Despretz ha fatto notare pel primo , che la medesima legge non trovasi più rigorosamente vera , quando i gas vengono sottoposti ad una pressione vicino quella , che determina la liquefazione dei medesimi ; e che quei gas i quali facilmente si lìquefanno , godono di una compres- sibilità crescente (4)- Le sperienze indicavano al medesimo, cheja inesattezza delia legge s’ incontrava nel principiare della compressione. In quanto però ai lavori del sig- Despretz, relativi alla legge di Mariotte, sono essi più estesi di quello generalmente si conosca per le varie istitu- zioni di fisica; perciò, avendoli noi sott’occhio, ne daremo qui un breve sun- to- Il metodo seguito dal sig. Despretz consisteva nel comprimere 1’ acqua in un cilindro di vetro, nel cui fondo erano disposti due provini eguali, rove- sciati nel mercurio, uno piano d’aria, l’altro di un gas diverso. Nel 1827 il nominato fisico sperimentò sulla densità dei gas, a diverse pressioni, ed il risultamento di questo lavoro fu, che i gas, niuno eccettuato, si allontanano (1) Giornale di Brugnatelli Pavia 1812. (2) Ann. de cbim. et de phy. T. XXIV, p. 396, 401, 403, an. 1823. (3) Edimburgh’s Journal of Sciences t. IV. p. 224. — Bulletin universel, t. V. p. 331. (4) Ann. de chim. et de pby. mars et avrll 1827 — vedi ancora Bulletin de Ferussac. — 83 — tutti dalla legge di Mariotte. Dobbiamo qui osservare che, a proposito del- l’aria, pure De Lue aveva già detto (1) « cominciasi anche a scuoprire qualche alterazione alla legge generale , quando l’aria siasi ridotta solo al quarto del suo volume primitivo »• In seguito il fìsico Van-Marum, il quale nel 1801 pub- blicò la sua lettera al Volta sulla colonna elettrica, mise in evidenza, che la legge di Mariotte non si applica esattamente ad ogni gas. Egli collocò in un recipiente, ove comprimeva l’aria, due provini rovesciati sul mercuria, l’uno pieno d’aria, l’altro di gas ammoniaco, e vide quest’ultimo diminuire di vo- lume più presto assai dell’aria, e liquefarsi quando l’aria medesima erasi ri- dotta presso che ad un terzo del suo volume primitivo. Nelle indicate ricerche il sig. Despretz ha studiato il gas ammoniacale, il cianogene, l’acido solforoso, il gas idrosolforico, il gas acido carbonico, r aria , e l’ idrogene , tutti completamente disseccati, ed egli ha paragonato ciascun gas all’aria atmosferica, la quale allora si considerava, dietro le spe- rienze di OErsted e di Swendon in Danimarca, come obbediente in tutto alla legge di Mariotte, cioè tale da mostrare volumi in ragione inversa delle pres- sioni. 11 metodo adottato per queste sperienze fu tale secondo l’autore, da evi- tare ogni sorta d’ influenza perturbatrice, sia pel vapore acquoso, sia per la temperatura, sia per la graduazione dei tubi; ed i risultamenti ottenuti da que- sto lavoro sono i seguenti : 1.“ 11 gas solforoso, il gas ammoniaco, il cianogene, il gas idrogene sol- foroso, il gas acido carbonico, l’aria, e 1’ idrogene, tutti sono inegualmente comprensibili. 2.0 II gas solforoso, il gas cianogene, il gas idrogene solforato, ed il gas acido carbonico, sono più compressibili dell’aria, e sono tanto più compres- sibili, quanto più furono già compressi. 3. ® La differenza di compressibilità si osserva in tutto il corso della compressione: così vedesi che il gas idrogene solforato, il quale diviene li- quido sotto 17 atmosfere, già è più comprensibile dell’aria sotto 2 atmosfere. 4. ® 11 gas idrogene è meno compressibile dell’aria; e fu riconosciuto in se- guito, come fra poco vedremo, che il gas medesimo si costringe in volumi più grandi , rispetto quello viene indicato dalla legge di Mariotte , a misura che il medesimo gas è più compresso ; e che tutti gli altri gas hanno una compressibilità crescente. (1) Rechesches sur les modilications de l’atraosphère. Paris 1784, p. 236. I lavori del sig. OErsted sul medesimo argomento (1), hanno fatto cre- dere a taluno, che il sig. Despretz fosse stato preceduto, dal nominato fìsico danese, nel riconoscere raccrescimento della compressibilità dei gas. Però il sig, Despretz ha dimostrato il contrario, leggendo aU’accademia delle scienze deir istituto di Francia (Comptes Rendus 1846) il brano della memoria del sig. OErsted sullo stesso argomento, dal quale viene posto in chiaro, che que- sto illustre fìsico, ammetteva essere la compressibilità proporzionale ai pesi comprimenti, e non solo pei gas, ma eziandio pei liquidi, e pei solidi; vale a dire tutto all’opposto dei risultamenti ottenuti dal dotto fìsico francese (2). Le conseguenze che potrebbe forse taluno dedurre dai fatti sperimentali ora indicati, ed ottenuti dal sig. Despretz, sarebbero quei che sieguono. l.° La ipotesi di un medesimo numero di atomi, contenuti sotto il me- desimo volume di un gas, alla medesima pressione, ed alla medesima tempe- ratura, fondata sulla eguale compressibilità, ed eguale dilatabilità dei gas, non può più essere ammessa ; o per lo meno non può avere più lo stesso fon- damento. 2-° La ineguale compressibilità dei gas, trae seco la ineguale dilatabilità dei medesimi ; questa seconda ineguaglianza essendosi verificata pei recenti lavori di fìsici distintissimi, ne viene che i risultamenti del sig. Despretz hanno, da tale verificazione, ricevuta una conferma. 3.° La legge delle combinazioni gasose, cesserebbe di essere una legge- rigorosa, per la maggior parte dei casi. Il volume che concorre in una com- binazione chimica, essendo determinato dal numero delle molecole, il gas che più è compressibile, si deve trovare in questa combinazione sotto un volume di tanto più piccolo, a pari circostanze, di quanto esso è più compressibile. II sig. Pouillet intraprendendo altre sperienze, per delucidare questo in- terressante soggetto , è pervenuto a concludere, che alcuni gas obbediscono sino a 100 atmosfere alla nota legge , e che altri cominciano sensibilmente a sottrarsi da essa dopo tre o quattro atmosfere, ed anche prima; cosicché sembra da ciò confermarsi la conseguenza del sig. Despretz sopra indicata. Ecco i principali risultamenti delle sperienze del sig. Pouillet. (1) Edinburg Journal of Science 1826, t. IV, p. 233. (2) Ann. de Chim. et phy. 2.« serie t. XXXIV , p. 335 et 443, an. 1827. — Comptes Rendus t. XXIII, p. 840, et 1014, an. 1846.— Vedi ancora il giornale La Science 3.® année, n. 61, du 30 juillet 1857, p. 355. — 85 — 1. ° Sino a 100 atmosfere l’ossigene, il nitrogeno, l’ idrogeno, il biossido di nitrogeno, e l’ossido di carbonio sieguono la stessa legge di compressione dell’aria atmosferica, cioè sieguono la legge di Mariotte. 2. ° Il gas acido solforoso, il gas ammoniacale, l’acido carbonico, ed il protossido di nitrogeno, cominciano ad essere notabilmente più compressibili dell’aria, da quando il volume loro è ridotto ad un terzo, o ad un quarto; e certo, per cangiamenti di volume anche minori, deve già incontrarsi che la legge di Mariotte non si verifica più esattamente. 3. “ Il gas idrogeno protocarburato, ed il gas idrogeno bicarburato, non si liquefanno sotto la pressione di 100 atmosfere , la temperatura essendo 8“ o 10", e tuttavia la compressibilità loro è sensibilmente maggiore di quella dell’aria. 4-.° L’acido carbonico si è liquefatto a 45 atmostere, la temperatura es- sendo 10“ : il protossido di nitrogeno si è liquefatto a 43 atmosfere, la tem- peratura essendo 11“ , ed il liquido sembrava limpidissimo : il gas ammo- niaco si è liquefatto a 5 atmosfere, la temperatura essendo 10", ed il liquido aveva un colore giallo verdastro, assai sensibile: il gas acido solforoso si è li- quefatto a 2 atmosfera e 5." In tutte queste liquefazioni, operate dal sig. Pouillet, egli ha sempre osservato che la pressione si poteva molto accrescere , senza il totale pas- saggio del gas allo stato liquido, essendo certo pel medesimo autore, che il gas premuto non si trovava mescolato nè ad aria , nè ad altro gas per- manente- li sig. Regnault ha dimostrato che la medesima legge non si verifica punto rigorosamente per ogni gas: l’aria, ed il nitrogeno si comprimono un poco più, l’idrogene un poco meno, di quello comporti la legge stessa; l’acido car- bonico si discosta molto dalla medesima legge, quando la pressione diviene al- quanto forte.Questo dotto fìsico da taluni risultamenti relativi a sperienze ter- miche, da esso poi confermati direttamente, ha concluso : 1. " Che nei gasi volumi diminuiscono in proporzione rapida più di quello cresca la pressione. 2. " Che la compressibilità nei gas meno densi , o resi tali per mezzo del calorico, appare minore- 3. " Che nell’idrogene la compressibilità diminuisce, invece di crescere col- l’aumentare della pressione. 12 — 86 — Da ciò il citato fisico arguiva, che se la compressibilità decrescente os- servata nell’idrogene, poi divenisse crescente ad un certo limite di pressione, e di condensamento, com’è verosimile (ciò fu verificato dal d/ Natterer nel 1855) si potrebbe anche congetturare, che a certo grado di elasticità, e di tempe- ratura, la compressibilità crescente, osservata negli altri gas, potesse divenire decrescente. Dai citati risultamenti si potrebbe opinare , che anche nello stato ga- soso , le azioni scambievoli e specifiche delle molecole , fanno sentire la loro influenza , contrariamente a quanto si arguirebbe dalla legge di Ma- nette, supposta esattamente verificata; lo che si oppone alle conseguenze de- dotte dal sig- OErsted, e sopra indicate. Inoltre siffatti risultamenti dimostre- rebbero ancor essi, poggiare sul falso l’antica opinione dei chimici, che cioè a parità di circostanze, i gas contengono lo stesso numero di atomi: conseguenza che pure dagli sperimenti dal sig. Despretz discende, come già indicammo. Il sig- Regnault studiando la dilatazione dell’aria sotto diverse pressioni (1), fu condotto a dubitare che 1’ aria siegua esattamente la legge di Mariotte ; quindi potè assicurarsi che la medesima scostasi alquanto da questa legge , per le pressioni elevate- Se tale deviazione non fu riconosciuta nelle grandi sperienze di Dulong ed Arago, ciò avvenne perchè, sebbene il tubo manome- trico non subiva un allungamento sensibile sotto la più grande pressione, cosic- ché la sua capacità restava sensibilmente la stessa (2), tuttavia nelle pressioni elevate, il volume occupato dall’aria nel manometro essendo molto piccolo (p. es. alla pressione di 20 atmosfere il ventesimo del volume suo primitivo) l’errore il più tenue nella misura di questo volume, influiva molto nel raggiungere quel vero che cercavasi. Ad evitare non solo questa cagione di errore, ma pure le incertezze di una graduazione sempre diffìcile a praticare, il sig- Regnault in- traprese le sue sperienze, poggiato al seguente metodo. L’aria era contenuta in un tubo verticale, chiuso nell’estremo superiore; la pressione sulla medesima facevasi variare da una sperienza all’altra, quindi si riduceva il volume alla metà, spingendo il mercurio per l’estremo inferiore del tubo stesso, e si cer- cava se dopo ciò crasi la pressione duplicata, come lo esige la legge di Ma- riotte, qualunque fosse la pressione primitiva. (1) Mém. de l’Acadéraie des Sciences de Paris 1847, p. 329. (2) Ann. de chim. et de phys. T. 43, p. 74 . . . janvier^l830. Quindi per conoscere se la legge di Mariotte fosse rigorosamente vera, il sig. Regnault prese il rapporto — dei volumi occupati dai gas, ed il rapporto — Po delle pressioni corrispondenti; e cercò se questi rapporti erano fra loro eguali, ovvero se dividendoli uno per l’altro, avevasi per quoto l’unità. Le sperienze furono istituite sull’aria, l’azoto, il gas idrogene, e l’acido carbonico. Il rapporto medesimo si è trovato sempre maggiore della unità, e cre- scente regolarmente col crescere della pressione- Da ciò risulta che 1’ aria non siegue giustamente la legge di Mariotte, e che la medesima si compri- me più di quello esigga questa legge; poiché per 1’ aria stessa il rappor- V P to è sempre più grande dell’altro — , ed inoltre la sua compressibilità va Po crescendo colla pressione. L’azoto ha condotto ai medesimi risultamenti, solo raccrescimento della compressibilità è alquanto minore di quello sia per l’aria: donde il sig. Re- gnault deduce, che la compressibilità del gas ossigene, il quale nell’aria è me- scolato all’ azoto, deve crescere più rapidamente di quella dell’aria. L’ acido carbonico non siegue affatto la legge di Mariotte , neppure approssimativa- mente, per pressioni un poco elevate. Secondo Regnault le deviazioni dei precedenti gas, della nota legge do- vranno essere minori ad una temperatura più elevata, come ha egli ottenuto pel gas acido carbonico ; ed altresì confermò che il gas idrogene devia pur esso dalla nota legge , ma che la sua compressibilità invece di aumentare , diminuisce col crescere della pressione. L’aumento notabile della compressibilità dei gas, che possono liquefarsi col crescere della pressione, mostra che la forza di coesione si manifesta fra le molecole anche nello stato gasoso, e tanto più, quanto furono esse prece- dentemente più ravvicinate fra loro. Questa forza cospira con quella prodotta dalla compressione, lo che sopra già fu osservato. Per quei gas che non poterono essere liquefatti, la coesione pure si ma- nifesta in essi, però molto debolmente: da ciò fa d’uopo eccettuare il gas idro- gene che si comprime di meno in meno come fu più volte avvertito, e si com- porta come un elastico metallico, il quale resiste tanto più, quanto esso è più teso. Per questi gas. ed in particolare per l’aria, le deviazioni dalla legge di Mariotte sono talmente deboli, che potrà sempre farsi uso di questa legge, salvo che non sieno sottoposti a pressioni fortissime, o che non sia neces- 88 — saria un estrema precisione. I gas che una volta credevansi esattamente ob- bedire alla nota legge, furono detti fluidi elastici perfetti, e quelli che anche per poco non la seguivano, si dicevano fluidi elastici imperfetti. Si vede però dalle precedenti sperienze che, ad eccezione dell’idrogene, tutti gli altri gas debbono appartenere a ques.a seconda classe. L’apparato del sig. Regnault fu stabilito in una torre, che Savart aveva fatto costruire nel collegio di Francia: aveva esso molta somiglianza con quello dei signori Dulong ed Arago, però differiva da questo per modificazioni della maggiore importanza , con utilità grandissima ed ingegnosamente introdotte dal sig. Regnault. 1 limiti di questa memoria non ci permettono riferire lo sviluppo di così fatti perfezionamenti , che potranno leggersi nei Comples Rendus dell’accademia delle scienze T. XXIII, pag. 787: diremo soltanto con brevità, le correzioni usate nello sperimentare, che sono le seguenti. 1. ° In tutte le sperienze faceva d’uopo aggiungere alla pressione della colonna mercuriale, quella che l’atmosfera esercita sulla colonna medesima. Però la colonna di atmosfera diminuisce quando s’innalza la sua base: bisognava dunque aggiungere non l’altezza barometrica h, osservata sul suolo del labo- ratorio, ma bensì l’altezza ìi' che si sarebbe trovata, collocando il pozzuolo deH’istromento al livello della sommità della colonna di mercurio. Quindi è che h' veniva calcolata mediante la formula ~ ^ 8393 log. — , essendo l’altezza dell’estremo superiore della colonna mercuriale nei tubi, al di sopra del punto zero del barometro. 2. " Un altra causa d’ errore proviene dalla compressibilità del mercurio: la colonna che misura le pressioni non è affatto amogenea; poiché gli strati superiori comprimendo gfinferiori ne aumentano la densità; bisognava per- ciò ridurre 1’ altezza osservata a quello sarebbe , se fosse tutta di uniforme densità: quindi si fece il calcolo, e si costrusse una tavola di correzioni per tutte le altezze necessarie. 3. “ La temperatura agisce sul gas racchiuso nel monometro per variarne il volume. Le correzioni relative a questa causa di errore sarebbero per così dire impossibili, se le temperature variassero molto; perchè bisognerebbe cono- scere i coefficienti della dilatazione del gas a tutte le pressioni, e questi non sono ancora determinati ; solo sappiamo che i medesimi sono variabili. Ma for- tunatamente r acqua che circonda il manometro , mantiene la temperatura — 89 — sensibilmente costante, e le correzioni che restano a fare, sono presso a poco insensibili, e possono in ogni caso calcolarsi per approssimazione. 4. ” Si trovano delle variazioni maggiori nella temperatura della colonna lunga di mercurio; si misurano con diligenza per tutta l’altezza, se ne prende la media, e si riconduce il mercurio alla densità che gli compete nel caso della temperatura zero. 5. ° Bisognerebbe anche correggere il volume del manometro, il quale can- gia colia pressione; ma se misurasi la distanza fra gli estremi suoi, superiore l’uno inferiore l’altio, sotto pressioni differentissime, non si trova punto sen- sibilmente variato il volume stesso, come già fu riconosciuto dai signori Arago, e Dulog- Peiciò fu ammesso, che questi cangiamenti di capacità interna del monoma tro, sono trascurabili. In fatti si è assicurato il sig. Regnault che per 25 atmosfere l’altezza di 2'",5 del manometro, non cangiava neppure di 0'"“,()1; donde la sua capacità variava appena di 25 atmosfere. I risultamenti ottenuti dalle sperienze indicate del sig. Regnault, vengono consegnati nelle tavole che riportiamo: in quella che qui siegue, la prima colonna esprime la pressione iniziale cui si trovava sottoposto il gas in ciascuna espe- rienza, quando esso riteneva l’intiero volume Vo del tubo. In seguito riducevasi questo volume alla metà e si misurava la corrispondente nuova pressione p^. Se la legge di Mariotte si fosse verificata, sarebbesi dovuto anche verificare la VoPo . v.p„ = v.p, , ovvero = 1, v,p. Il valore di questo rapporto dalla sperienza ottenuto, si trova registrato nella seconda colonna di questa tavola : Aria Azoto Acido carbonico Idrogeno Po VJ)o ^iPi Po ^0 ^ipl Po ^’iPi Po ’^oPo ^^pi mm 738,72 4209.48 8177.48 9336,41 1,001414 1,002765 1,003253 1,006366 753^46 4953,92 8628,54 10981,42 1,000083 1,002952 1,004768 1,006456 mm 764,03 3186,13 9351,72 9619,97 1,007597 1,028698 1,045625 1,155865 22H,18 2845,18 9176,50 0,998584 0,996121 0,992933 — 90 — Da questi numeri si conosce, che nei quattro studiati gas, il rapporto è sensibilmente uguale alla unità , che per conseguenza la legge di ^iPi Mariotte , se non è rigorosamente vera, è almeno un approssimazione assai vicina della verità, e che si estende a tutte le pressioni osservate, come già sapevamo. Però considerando con maggior attenzione i numeri stessi, vediamo che i tre primi gas, cioè l’aria; l’azoto, e l’acido carbonico, si comprimono per modo , che sempre si verifica la ’^>i. ovvero, lo che torna allo stesso, che è sempre minore di quello richieggo la legge di Mariotte, e che la compressibilità reale supera sempre quella cal- colata. Ciò si manifestava già nei risultamenti di Dulong e Arago; ma le nuove V p sperienze ci fanno di più conoscere, che il rapporto ^ va sempre aumen- tando colle iniziali pressioni, e conseguentemente che le differenze fra l’os- servazione e la nota legge sono più considerevoli, quanto più cresce il con- densamento. Per la regolarità evidente dei numeri che precedono, si può già stabilire, che queste differenze provano la insattezza della legge di Mariotte; ma per non lasciare dubbio alcuno su ciò, fa d’ uopo dimostrare, che le divergenze trovate, superano gli errori possibili della osservazione. Indicando general- mente con a il valore di quel rapporto, e supponendo essere giustamente la metà di si avrà donde = — ; VoPo 2po e se la legge Mariotte sia rigorosamente vera, chiamando la pressione teore- sica, quale cioè viene richiesta dalla medesima legge, dovremo avere = 1, donde p\ = 2p . Pi Perciò la differenza fra le pressioni finali osservate e calcolate, sarà Questa differenza che può calcolarsi col sostituire alle quantità , cs: i cor- rispondenti valori, consegnati nella tavola precedente, esprimerà le differenze fra le altezze delle osservate colonne mercuriali, e quelle che si sarebbero avute, se la nota legge fosse rigorosamente vera. Sieguono i risultamenti di questo calcolo, relativi all’aria atmosferica Po P'i—Pi 738, 72 2, 08 4209, 48 2, 92 8177, 48 5, 30 8404, 11 5, 55 9336, 41 11, 80 Queste differenze sono evidentemente maggiori degli errori possibilmente com- messi nella misura delle altezze. Possiamo ritenere inoltre che la legge di Mariotte, la quale si trova difettosa in ogni gas per forti pressioni, e a basse temperature, sarà egualmente di- fettosa per deboli pressioni ed a temperature molto elevate- Nel primo caso le molecole sono sempre più dominate dalle forza di attrazione, andando sem- pre più incontro allo stato di liquidità, nel quale la risultante delle attrazioni e ripulsioni molecolari è nulla. Nel secondo caso le molecole vanno sempre più sottraendosi al dominio di ambedue queste forze, finché giungono ad es- sere fuori anche della sfera di azione repulsiva. Poiché la forza repulsiva fra le molecole dei gas, manifestandosi a distanze piccolissime, subito che le mo- lecole si saranno sufficientemente allontanate fra loro , sia per la diminuita pressione, sia per l’aumentata temperatura, sia per ambedue queste cagioni, l’ef- fetto della forza espansiva dovrà cessare. I gas in tale stato avrebbero una qual- che analogia coi liquidi, la elasticità loro non si manifesterebbe altro che per una estrinseca pressione: questo é probabilmente lo stato dell’ aria, nell’ estremo superiore dell’atmosfera. L’azoto, l’acido carbonico, ed anche l’ossigene, si comportano come l’aria, vale a dire la comprensibilità loro aumenta colla pressione ; di più siegue leggi speciali per ciascuno dei gas medesimi. Quanto all’acido solforoso, al- l’ammoniaca, ed al cianogene, che già furono esaminati dal sig. Despretz, appar- tengono essi alla categoria medesima, ed anche si comprimono maggiormente. Tutti questi corpi si allontanano adunque dalla legge di Mariotte, formando una classe di fluidi, caratterizzati da una comprensibilità grandissima , che siegue una legge di progressione crescente col peso che li comprime. Le conclusioni medesime non si applicano punto all’idrogene; poiché nel caso y p particolare ed unico di questo gas, il rapporto risulta costantemente mi- nere delle unità, e diminuisce progressivamente quando la pressione aumen- ta. Ciò vuol dire che il volume è sempre maggiore di quello calcolato; quindi è che l’idrogene si allontana pur esso dalla legge di Mariotte, ma che la sua comprensibilità è minore non solo, ma eziandìo decrescente coll’au- mentarsi della pressione- La tavola seguente serve a mettere in evidenza questi risultame)iti; nella medesima sono registrate le pressioni che abbisognano, a fine di ridurre ad 1111 5 ’ fO ^ 15 ’ ^ valore primitivo, il volume di un gas, preso alla pressione iniziale di 1 metro di mercurio. Le differenze fra le osservazioni, e la legge di Mariotte sono positive per l’aria, e Tacido carbonico, e sono negative per l’idrogene; in ogni caso esse aumentano colla pressione. Pressioni Volumi Aria Differenze Acido car. Differenze Idrog. Differenze 1 m 1,0000 m -1- 0,0000 m 1,0000 m 0,0000 Coooo — o'oooo 1 5 4,9794 0,0206 4,8288 -4-0,1722 5,0116 — 0,0116 1 10 9,9162 H- 0,0838 9,2262 -f- 0,7738 10,0560 — 0,0560 1 15 14,8948 H- 0,1752 13,1869 -4-1,8131 15,1395 - 0,1395 1 20 19,7198 H- 0,2802 16,7054 -4- 3,2946 20,2687 — 0,2687 — 93 — Nel 1856 il sig. Seydlitz, in una sua memoria sulle relazioni fra la ca- pacità pel calorico, la temperatura, e la densità dei gas che vengono sotto- posti alla legge di Mariotte, dimostra fra le altre cose, che la capacità pel ca- lorico di un gas, il quale nel comprimersi obbedisce alla legge di Mariotte, riesce proporzionale direttamente alla temperatura, ed inversamente alla den- sità (!)• Secondo le sperienze del sig. dott- Natterer (2), pubblicate nel 1855, ed istituite con un apparato di molta precisione, talmente costrutto, da potersi col medesimo giungere a pressioni di 2000 a 3000 atmosfere, risulta che i gas cessano di essere soggetti alla legge di Mariotte, quando subiscono forti pressioni: allora non solo si comprimono essi molto meno di quello richiegga la stessa legge, ma riguardo alla pressione subita, presentano risultamenti di- versi, secondo la diversa loro natura. Così lo stesso autore ha trovato che Tidrogene, l’ossigene, l’azoto, l’aria atmosferica, e l’ossido di carbonio, rimangono soggetti alla legge di Mariotte, quando le pressioni atmosferiche, alle quali vengono sottoposti, sieno minori pel primo di 78, pel secondo di 167, pel terzo di 85, pel quarto di 96, e pel quinto di 127* Da questo interessante lavoro del sig. Natterer si rileva, che l’ossigene non si potè comprimere oltre 1350 atmosfere; giacche a questa con- densazione brugiava esso l’olio della valvole: la compressione per gli altri gas potè giungere sino a 2790 atmosfere. Inoltre apparisce che l’idrogene si com- prime più sotto alte pressioni, mentre, come già lo avea fatto notare l’illu- stre Regnault , sotto pressioni relativamente più deboli , questo gas viene compresso un poco meno di tutti gli altri. Fra i diversi metodi adoperati per isperimentare la legge di Mariotte a pressioni altissime, ne fu proposto uno dal sig. Mondar (3), che consisteva nel servirsi delle pressioni enormi dell’acqua nelle profondità deH’Oceano. Una co- lonna d’acqua, dell’altezza di 10'",33 circa, equivale alla pressione di un atmo- sfera ; e poiché nell’Oceano vi hanno profondità maggiori di 14-000 metri , l’acqua che vi si trova subisce una pressione maggiore di 1355 atmosfere. Per applicare questa pressione all’aria, ed agli altri gas, l’autore suppone un (1) La Science 3®. année n°. SO, juin 1857, p* 238. (2) Sitzungsbericht.. .Conti resi dell’ accad. delle scienze di Vienna, T. XII, p. 199 — Poggend. Annalen, t. XCIV, pag. 436, marzo 1855. (3) Vedi il giornale La Science 15 aoùt 1837, 3.* année, n. 66, pag. 302. 13 — 94 — tubo ricurvo a ferro di cavallo, ed esattamente calibrato, con una valvola in un estremo, e con una vite nell’ altro, nella quale s’invita un secondo tubo, munito anch’esso di una valvola nella sua parte inferiore. Questo secondo tubo, chiuso alla sommità, è destinato a contener l’aria j mentre quello ricurvo è pieno di mercurio per modo , che sia bene livellato nei due rami , e che riempia esattamente tutto lo spazio compreso fra le due valvole. Un peso annesso nella parte inferiore del sistema, serve a mantenerlo nella medesima posizione verticale durante la sperienza. Di mano in mano che questo conge- gno discenderà nel mare, l’acqua per effetto della crescente pressione, vi s’ in- trodurrà passando per la prima valvola, mentre che il mercurio, sollevando la seconda valvola, comprimerà l’aria contenuta nel secondo tubo, chiuso nella sommità sua. La pressione interna eguaglierà sempre la esterna, e perciò non si dovranno temere gli effetti nè di elasticità, nè di rottura. Supponiamo che si voglia ottenere una pressione di mille atmosfere; si adopererà, per fare discendere l’apparecchio, una fune con entro la medesima due fili di rame bene isolati ; e sarà munita di cilindri a valvola , e di un termometrografo. I cilindri a valvola serviranno per attinger l’acqua nelle di- verse profondità , per determinarne la densità media , e quindi la pressione che r acqua esercita ad una certa profondità data. Il termometrografo ser- virà per conoscere la temperatura della profondità cui giunse il tubo. Ad impedire che la sperienza vada perduta, per effetto della rottura del tubo mentre che il medesimo ascende, basterà secondo l’autore, stabilire nella parte inferiore di quello ricurvo, un piccolo rubinetto, comunicante con un re- cipiente di gomma elastica, il quale dovrà essere a metà pieno d’acqua prima della immersione, per impedire che la pressione stringa una contro l’altra le sue pareti. Ciò posto, innanzi di cominciare a far salire l’apparecchio, si dovrà dice l’autore, per mezzo della corrente elettrica, che passerà pei fili di rame della corda, aprire l’ indicato rubinetto, ed il mercurio restato nel tubo a ferro di cavallo, scenderà tutto nella borsa di gomma elastica. Questa per la sua elasticità e flessibilità non lascia temere alcuna rottura; e quando l’apparec- cbio avrà compiuta l’ascensione, se 11 tubo destinato a contenere il gas com- presso, fosse trovato rotto, si potrà sempre conoscere la pressione cui sog- giacque il gas medesimo, misurando il mercurio trovato nella borsa di gomma elastica. Continua l’autore dicendo che se vogliasi una maggior esattezza, potrà determinarsi nella medesima sperienza, servendosi di un apparecchio analogo. — 95 - la compressibilità del mercurio, che non è stata mai determinata sperimen- talmente per altissime pressioni. Egli termina con osservare, che il metodo proposto da esso, non potrà facilmente da tutti eseguirsi ; ma che oggi, es- sendo gli officiali di marina, incaricati di ricerche scientifiche, in diversi luo- ghi deirOceauo, può la indicata sperienza eseguirsi ad un tempo con altre. Riassumendo le principali ricerche, relative alla storia degli studi fatti sulla legge di Mariotte, potremo concludere dicendo, che le prime se da una parte sono le più importanti, per l’apertura che dettero ad una nuova messe scientifica, dall’altra per le contradizioni che involvono, sono le meno precise. Infatti mentre Boyle e Musschenbroek trovavano che la compressibilità dimi- nuisce colla pressione; Sulzer e Robison annunziavano, che questa si mostrava in aumento col peso comprimente. Poscia nel 1826 OErsted e Suensson ripren- dendo lo studio della quistione con più cura, e seguendo lo stesso metodo adope- rato già da Mariotte, ammisero la esattezza della legge, attribuendo le diffe- renze che incontravano agli errori di osservazione. I medesimi vollero spe- rimentare anche mediante pressioni grandissime, per lo che adottarono un me- todo assai diverso dal precedente, ma non abastanza esatto. Le pressioni giun- sero fino a 68 atmosfere, e dai risultimenti ottenuti, sebbene mancanti della necessaria precisione, gli autori conclusero essere la legge di Mariotte pros- simamente vera, pure per le grandissime pressioni. Per questi fatti era la legge di Mariotte ammessa da tutti, quando il sig. Despretz ravvisò la quistione sotto un punto di vista del tutto nuovo, e molto più generale, senza 1’ intensione di affermare o di negare la verità della legge di Mariotte , ma volendo solo conoscere se tutti i gas obbedivano ad una stessa legge, o se i mede- simi godevano di compressibilità diverse a pressioni eguali. Il suo metodo spe- rimentale consisteva nel paragonare le dimensioni dei volumi di più gas, po- sti ad un tempo in condizioni del tutto identiche. Così fatte sperienze, nelle quali sono presso a poco impossibili gli errori, stabiliscono in un modo tanto semplice quanto evidente, che ciascun gas possiede una legge speciale di com- pressibilità; e che la formula enunciata da Mariotte non è affatto generale : cosicché la sua verificazione si trova limitata pure per l’aria atmosferica. Pertanto non era più da ritenere, che la legge di Mariotte fosse l’espres- sione generale della compressibilità dei gas;edal piùsi poteva dubitare ancora seia medesima si verificasse per l’aria soltanto ; perciò era necessario sottoporre questo corpo ed esperienze più accurate, tanto più che al medesimo si erano fino ad ora paragonati tutti gli altri gas. Ciò fu eseguito da celebri fisici (1) come tutti sanno, con apparecchi che superavano in estensione, ed anche in pre- cisione quelli che fino a quell’epoca si erano costruiti a tal fine. Nulla fu can- giato riguardo all’essenziale del metodo di Mariotte: Tarlasi conteneva in un ramo verticale chiuso, e le pressioni sulla medesima si facevano per mezzo di una colonna di mercurio sostenuta da una lunga serie di tubi aperti nell’alto; però il metodo stesso era del resto grandemente perfezionato. Dai risultamenti di queste ben cognite sperienze si conclude, che la compressione vera dell’aria differisce po- chissimo dalla calcolata colla legge di Mariotte : ma non più di que- sto si deve concludere ; poiché le differenze trovate fra i risultamenti delle sperienze, e quei del calcolo non essendo nulle, fa d’uopo che le medesime attribuiscansi od alla inesattezza della legge, od agli errori commessi nelle mi- sure. Quindi Arago e Dulong ragionarono a questo modo: poiché da una parte si rende impossibile misurare perfettamente, e poiché dall’altra le differenze tro- vate sono tenuissime, possiamo credere che le differenze medesime sarebbero state nulle, se le sperienze fossero state anche meglio condotte: laonde rico- nobbero esatta la legge di Mariotte. I nominati fisici erano tanto proclivi a questo genere di ragionamento, anche perché a quell’epoca i dotti vagheggiavano una certa semplicità nelle leggi della natura, e supponevano che i fenomeni obbedissero a regole generali, e tali da potersi esprimere matematicamente con formolo assai semplici- Questa opinione , che procuravano essi giustifi- care con esempi, abituava i medesimi a considerare una legge fisica per dimo- strata, qnando eseguite alcune misure, queste non si allontanavano troppo dalla supposta legge; e solevano attribuire sempre agli errori delle osservazioni le differenze ottenute. Però se questo genere di ragionamento potrà in qualche caso essere adot- talo utilmente, nell’attuale mancava di base; poiché non avvi alcun motivo per concludere la esattezza della legge di Mariotte dalle indicate sperienze ; pel contrario vi era molta probabilità per credere che questa legge, non essendosi verificata per tutti gli altri gas, non fosse rigornsamente vera neppure per Ta- (1) I Signori Prony, Arago, Anipiere, Girard, e Dulong, membri della commissione nomi- nata dall’accademia delle scienze di Parigi, per assegnare la tensione del vapore acqueo a diverse temperature, profittarono di tale occasione per isperimentare ancora sulla condensa- zione deU’aria atmosferica. Il rapporto di questi commissari fu pubblicato dall’ accademia stessa nel 1830, fu inserito per estratto in parecchi giornali, e per intero negli Annales de chim. et de phy. janvier 1830, t. 43, p. 74. ..., 111. — 97 — ria. Ed in fatti se facciasi bene attenzione ai risulta menti di queste celebri sperienze, si vedrà che i volumi tutti osservati sono minori di quelli calco- lati mediante la formula di Mariotte, e ehe perciò la vera compressibilità ri- sulta maggiore della teoretica. Conseguentemente le differenze trovate in queste sperienze debbono attribuirsi ad un tempo , ed agli errori delle misure , ed alla inesattezza probabile o possibile della formula , senza che possano questi errori distinguersi , e separatamente valutarsi. Quindi fa- ceva d’ uopo concludere la nota legge non essere dalle sperienze medesime dimostrata. L’ indicato lavoro di Dulong ed Arago ebbe grande rinomanza , perchè realizzava molti progressi, rispetto gli altri simili che Tavevano pre- ceduto; però la esattezza, sebbene rimarchevolissima, che aveva renduto ce- lebri siffatte ricerche, non poteva essere il limite cui queste dovevano ar- restarsi. j Il sig. Regnaiilt ricominciò questi studi con un apparato , che aveva / molta somiglianza con quello di Dulong ed Arago, ma che differiva dal mede- simo per modificazioni e miglioramenti della più grande importanza; onde giun- gere alle vere conclusioni. Queste furono che la legge di Mariotte non si verifica neppure per 1’ aria; ma che le divergenze sono talmente piccole , da esigere di tutte le precauzioni adottate dal sig. Regnault, per conoscerle con sicu- rezza, e per misurarle con esettezza. La legge adunque di Mariotte è una legge limite, una relazione generale che non si realizza; ed a questo limite si accostano 0 si discostano piu o meno i diversi corpi gasosi, secondo la loro natura, se- condo le pressioni iniziali cui soggiacciono, e probabilmente secondo altre cir- costante nelle quali si trovano, ed inispecie la loro temperatura- Sotto il punto di vista teoretico queste divergenze hanno una grande importanza, ma sotto il punto di vista pratico le medesime sono poco apprezzabili ; perciò non in- teressa tener conto delle medesime nelle applicazioni; e secondo anche l’o- pinione dei fisici moderni, non dobbiamo cessare del valersi della legge di Mariotte, nel calcolare quei fenomeni, che dipendono dalla compressibilità dei gas. Concludiamo adunque ehe lo studio della compressibità dei gas, in prima fu istituito con apparecchi di poca esattezza, donde una legge semplice fu conclusa come se fosse una matematica. Pascià per mezzo di ricerche più accurate, si riconobbe che questa legge non era generale, ma fu essa con- servata per l’aria: da ultimo divenendo sempre le sperienze più rigorose, fu di- mostrato cha l’aria stessa non era neppur essa, nelle sue compressioni, alla medesima legge subordinata esattamente. Perciò fù concluso che la legge di Mariotte restava una verità limite, dalla quale pare che i gas piu o meno si discostano, per effetto dell’attrazione molecolare, manifestata più o meno nella compressione dei medesimi. Non è questo il solo fenomeno nel quale ab- biano a farsi restrizioni di tal natura ; ve ne ha degli altri , nei qnali si dimostra che le leggi fisiche non sono come si era in principio creduto, rela- zioni matematiche verificate; ma solo relazioni generali, sempre più o meno, ma non mai esattamente raggiunte nei casi particolari. Di mano in mano che ì metodi e gli stromenti si vanno perfezionando, ci troviamo costretti a ricomin- ciare gli studi fatti, per giungere a migliori conseguenze; perciò vede ognuno quanto costi alla fisica scuoprire quelle verità che formano il suo scopo, e le sue dottrine- Ma vogliamo ripeterlo: la legge di Mariotte può sempre ammettersi come rigorosamente vera, nei calcoli tutti, nei quali può essa intervenire, ed in tutte le applicazioni che possono farsi di essa ; purché i gas nè possano combinarsi fra loro , nè cangiare di temperatura , nè a stato liquido ridursi per quelle pressioni cui vengono sottoposti. [Continuerà) — 99 — COMUNICAZIONI Dono fatto dal S. PADRE PIO IX. Comunicazione del prof- P. Voi- PlCELLl. L’ università romana , che deve il presente suo splendore alle sovrane provvidenze del nostro Sommo Pontefice Pio IX, il quale volle arricchirla di nuove cattedre, di nuovi e magnifici locali, di moderni strómenti, di moltis- simi e vari oggetti di storia naturale, tanto per la zoologia, quanto per la geologia , trova ora un argomento di ulteriore gratitudine verso la Santità Sua, pel dono recente fattole di parecchie opere preziosissime, che dal Sommo Pontefice vennero generosamente destinate per uso dei musei della nostra università , e distribuite nei medesimi, con savio discernimento, secondo le materie scientifiche trattate nelle opere stesse. Affinchè cosiffatto dono so- vrano, possa meglio conoscersi dai cultori delle scienze, mi feci ardito pre- gare ciascuno dei direttori dei musei della università romana, onde si compia- cesse comunicarmi un breve sunto delle opere stesse, per essere pubblicato in questi atti. Quando la mia preghiera verrà favorita, subito ne farò consa- pevole l’accademia, ed il dotto pubblico, mediante le nostre pubblicazioni. Per ora debbo limitarmi a dire soltanto in che consista, l’opera che toccò in dono al museo di fisica, da me diretto nella università stessa, e ciò anche per un debito di gratitudine verso l’Augusto Donatore. Quest’ opera è compilata in idioma inglese, ed è pubblicata in Filadelfia nel 1851 , con caratteri della maggior nitidezza , in carta sopraffina, ed in foglio. L’opera medesima costituisce l’Xl volume dei lavori pubbicati dalla spedizione di esplorazione degli Stati Uniti, per gli anni 1838-1839-1840- 1841-1842; e comprende tutta la parte meteorologica, esposta in un giornale copiosissimo di quadri, ove sono registrate le osservazioni: essa è terminata con un’appendice di XXV tavole meteorologiche. Il sig. Carlo Wilkes è l’autore di questo magnifico volume: fu esso di- rettore di una commissione scientifica,nominata dal governo americano, molti anni già sono, che consisteva in una squadra di tre bastimenti, destinati a fare un viaggio attorno il globo, per istudiarvi, fra le altre cose, i diversi climi, ed i fenomeni meteorologici. La squadra medesima viaggiò per quattro anni, cioè dal 1838 al 1842, e visitò successivamente Madera , le Coste dell’America meridionale, Taiti, l’Australia, la Zelanda, il Mare antartico, l’Oceano pacifico, le Coste occidentali deH’Arnerica settentrionale, il Mare della Cina, le Indie orientali, e le Coste occidentali dell’Africa. — 100 Ciascun battello era munito d’istromenti fisici, ed a bordo era bene or- ganizzato un sistema di osservazioni giornaliere. Le osservazioni meteorolo- giche di uno solamente dei tre bastimenti furono quelle pubblicate , mentre le altre servivano a verificare le prime. L’ oggetto principale di queste osservazioni, era di assegnare per tutto, l’altezza dal barometro, la tem- peratura dell’acqua, e dell’aria, la quantità di vapore acquoso nella medesima, la intensità della luce, la forza dei venti, e Io stato del cielo. Alla fine di ciascuna serie di osservazioni per questi rami di fisica ter- restre, il sig. Wilkes ebbe il felice pensiero di aggiungere uua specie di rias- sunto grafico, da cui si vede facilmente in ciascun caso, la via seguita dalla nave, e le variazioni corrispondenti del barometro, e del termometro. Per tanto questo volume, in cui si trovano con ogni sviluppo e per mezzo di tavole copiosissime, registrate tutte le osservazioni che indicammo, riesce preziosissimo per quelli che cercano istruzioni esatte sui vari fenomeni terrestri, e senza dubbio servirà per elevare l’attuale stato della meteorologia, portando in esso maggior esattezza ed utilità, per quindi giungere a qualche generale verità, che ancora si lascia desiderare in questa scienza. Nella introduzione, che al certo è troppo breve, il sig. Wilkes indica taluni dei più importanti risultamenti, che si deducono dal gran lavoro, da esso e da suoi colleghi compiuto, e pubblicato in questa bell’opera. Sopra alcune delle più rare opere degli antichi Lincei, le quali si trovano nella Biblioteca Lancisiana di S- Spirito. Communicazione del prof D. Salva- tore Proia. Nel dare più convenevole assetto ad alquanti libri della Biblioteca Lan- cisiana di S. Spirito, alla quale ho l’onore di soprantendere, mi vennero tra mani alcune delle più rare e più ricercate opere dei nostri antichi Lincei. Potendo accadere che piaccia a taluno di voi, o ad altri studiosi delle cose naturali di vederle e di consultarle , credo opportuno di darne la presente indicazione. Viene innanzi tutto il Telescopio o Ispicillo celeste di Nicolò Antonio Stel- liola. 11 titolo risponde pienamente all’indole e alla natura dell’opera, la quale concerne la teorica ottico-matematica del prezioso istrumento allor allora in- ventato, 0 almeno divinato sulla fama dell’invenzione altrui dal massimo Ga- lilei. Qaesto libro è così raro che il duca di Ceri D. Baldassare Odescalchi, solerte ricercatore che fu dei lavori editi e inediti degli antichi Lincei, non — 101 — potè mai rinvenirlo, e si lasciò cadere dalla penna che non era slato stam- pato (1). L’esemplare lancisiano è un volume in 8.", impresso in Napoli per Domenico Maccarano nel 1627, e si compone di 143 pagine, oltre quelle non numerate, che contengono la dedicatoria di Gio: Domenico Stelliola figlio di Antonio, al cardinale Francesco Barberini, la prefazione dell’editore, e l’in- dice dei trattati dell’ Encyclopedia pithagorica, che il medesimo autore avea composta. L’opericciuola è divisa in quattro libri ; ì primi due, o piuttosto i primi otto fogli, come dice Fabio Colonna (2), furono stampati in vita del- l’autore; il resto dopo la di lui morte, avvenuta nell’aprile del 1623. L’edi- tore avverte avere inteso ehe sariano stali libri sei, se all’autore non fosse man- cata la vita. La spesa per la stampa fu fatta dall’Accademia, o piuttosto dal generoso fondatore della medesima Federico Cesi, stimolatovi dalle premure di Fabio Colonna (3); e previo il parere di Galileo Galilei, il quale, come narra Gio. Fabro (4), veduto che ebbe il libro dello Stelliola sul telescopio, l’ap- provò grandemente, e lo giudicò degno di essere stampato dall' Accademia. La Biblioteca Lancisiana possiede altresì un bellessimo esemplare del- V Apiario, che i Lincei dedicarono ad Urbano Vili nel 1625. Per quanto io mi sappia un altro solo ve ne ha in Roma tra le immense dovizie della Va- ticana. La biblioteca stessa dei Barberini difetta del testo, e possiede sola- mente una copia del magnifico frontespizio intagliato dal rinomato bulino di Federico Greuter. Questo frontespizio ritrae un trigono di api (principale em- blema dello stemma dei Barberini) non come all’occhio nudo si presentano, ma come per la prima volta erano state vedute e diligentemente disegnate da Francesco Stelluti, munito l’occhio di un microscopio, fabbricato dalle mani stesse del Galilei- 11 testo impresso sur un gran quadro, a modo di tavole si- nottiche, è un trattato dei melliferi, ricavato dal Teatro naturale di Federico Cesi, breve anzi che nò , ma pieno di zoologica e filologica sapienza , e di squisita filosofia, a svolgere la quale non basteria un grosso volume. Tutte le opere di Francesco Stelluti sono più o meno ricercate e rare, ma la più difficile a rinvenirsi è quella, che ei stampò nel 1637, pei tipi di Vitale Mascardi col titolo , Trattato del legno fossile minerale nuovamente (1) V. Odescalchi Memorie storico-critiche dell' Accademia de' Lincei, p. 187, Roma 4806. (2) Lettera al principe Cesi dei 9 giugno 1625 stampata nel giornale dei letterati de\ Pagliarini, an. 1749. (3) In altre due lettere rifeaite parim. nel med. giornale pag. 277, e 287. (4) Leu. al principe Cesi in data dei 25 maggio 1624, citata dall’Odescalchi. 14 — 102 — scoperto, ec. ec. La si trova nella Lancisiana, appresso ai volume della Storia naturale del Messico, di cui parlerò or ora. È un opuscolo in 4.®, di sole 12 pagine di testo, ma corredato di 12 tavole, a cui fa seguito un’ altra di al- cune belle ammoniti. Secondochè racconta l’autore, tal legno fu scoperto nel territorio di Todi e di Acquasparta dal principe Federico Cesi , il quale ne stava scrivendo un trattato assai più compiuto ed esteso, quando per isven- tura dell’Accademia e delle scienze, .cessò di vivere. Questo è il trattato, che il Mandosio nella Biblioteca Romana novera tra gli scritti inediti del Cesi col titolo di Metallophiton, e nel giornale del letterati del Pagliarini (1), viene er- roneamente riferito come stampato, e dedicato ad Urbano Vili. In tanta luce di sapienza geologica, non si potrebbe oggi difendere, l’opinione esternata dallo Stelluti intorno aH’origine di queste ligniti; dico bensì che non debbe sem- brar strana a chi pensi che il Linceo da Fabriano, scriveva più di due se- coli addietro, e gli era persino ignoto se tal legno s’incontrasse in altre regioni, e se n’avesse fatto menzione autore alcuno* Ai sarcasmi del Fianco e del Naudé oppongo le autorità del dottissimo Daniele Maior, il quale ebbe in tanto pre- gio l’opericciuola dello Stelluti, che la tradusse, in latino, e in questo idio- ma fu poi inserita nel giornale dei Curiosi della natura (2). Viene da ultimo la storia naturale del Messico , a cui ho accennato di sopra. Questo libro più citato che veduto, e molto meno studiato, è il capo- lavoro, come ben conoscete, dei nostri antichi Lincei; è il monumento più prezioso e più parlante della loro sapienza, e dei loro sforzi riuniti a rial- zare l’edificio della filosofìa osservatrice. Quindi l’Odescalchi giustamente la- menta la scarsezza dei pochi esemplari superstiti, tanto nelle sue Memorie storico-critiche dell' accademia dei Lincei , quanto nella dichiarazione che il medesimo pose innanzi al ms. delle tavole fitosofiche del Cesi, pubblicata dal nostro eh. collega prof. Volpicelli (3). Se una sola copia peraltro ve n’era a’suoi giorni nella nostra Roma, o almeno di quella sola, già appartenuta al Cardinal Valenti, avea egli notizia, e forte temeva che potesse andare smarrita, noi possiamo andar paghi dal sapere, che oggi ne sono fornite più Biblio- teche pubbliche, l’Angelica, la Corsiniana, la Casanatense, e che una se ne conserva pure nella farmacia del collegio romano, alle quali mi è grato poter aggiungere la mia Lancisiana- Ed è curioso il ravvisare in questi esem- (1) An. 1745. (2) V. Ramelli, discorso intorno a Francesco Stelluti da Fabriano, Roma 1841. (3) Atti deir Accademia pontificia de' nuovi Lincei, An. 1, ragionamento istorico del prof. Volpicelli. — 103 — plari parecchie varianti, non già nel testo e nei conienti, ma nel frontespizio, nelle lettere dedicatorie, ed in alcuni accessori. Io le credo assai interessanti a far conoscere la vera epoca, in che il libro venne in luce, e ne farò soggetto di una memoria, che spero poter presentare all’Accademia, in una delle prossime tornate. Queste sono le più rare, ma non le sole opere degli antichi Lincei, che possiede la Biblioteca Lancisiana: in mezzo alla copiosa suppellettile di libri scientifici, di cui seppe arricchirla il suo munifico fondatore Gio. Maria Lan- cisi , trovansi pure le opere del Galilei , del Porta , del Colonna , del Cesa- rini, del Guiducci, e di Luca Valerio. Parecchie, come vi è noto, vennero io luce nel pontificato e sotto gli auspici di Urbano Vili: io me ne sono gio- vato a ritrarre il posto luminoso che occupavano i nostri antichi Lincei fra i letterati e scienziati più insigni, favoriti da quel gran Papa- Tuttoché il mio piccolo lavoro si trovi stampato nel tomo VII della nuova serie del Giornale Arcadico, prego l’Accademia di gradire l’esemplare a parte, che ho l’onore di offerirle. Appendice - Stando ancora questa Nola sotto i torchi, mi è grato po- ter aggiungere poche parole, sopra un altro ben più prezioso esemplare del- VApiariOi buscato in questi giorni dallo zelo e dalla munificenza del nostro eccmo. presidente sig. duca Massimo. Due sono i particolari che lo distin- guono dai pochi superstiti suoi confratelli, cioè 1°. le postille e le correzioni degli errori tipografici, fattevi manu propria dal sapientissimo autore ; 2". la forma di libro, a cui fu ridotto, tagliuzzando con ingegnoso artifizio la grande tavola, sulla quale trovasi impresso il testo, e ordinando i singoli frammenti a modo, onde questo deve esser letto. Le ammende tipografiche danno chiaro a divedere, che questo esemplare fu una delle prime prove di stampa, dette con linguaggio dell’arte stamponi^ Ed invero avendolo io confrontato diligen- temente coll’esemplare Lancisiano, non ho più trovato in questo le mende in quello notate. Però vi ho rinvenuto alcune varianti (1), le quali mi sembrano accennare ad una posteriore correzione , a cui il medesimo stampone andò soggetto. Quanto al nuovo assetto dato dipoi alle sue parti, per ridurlo a for- ma di libro, avviso che ciò fosse fatto in preparamento ad una seconda edi- zione, e precisamente dopo che lo Stelluti ebbe stampato il suo Persio^ dal (1) Per es. urceolos invece di doliola ; e altrove nempe non nisi a coelo invece di nmpe non aliunde nisi qmm a coelo; ec. — 104 quale fu tratta V incisione delle Api, posta in fronte al volume. Questa con- gettura trova il suo appoggio nelle intestazioni, manoscritte sopra i singoli brani numerati a mo’ di paragrafi , e viene corroborata da ciò che scriveva Fabio Colonna al principe Cesi, con lettera (1) dei 13 febraio 1626. Dalla qual lettera si pare, che il grande Linceo da Napoli stimava incomoda assai la forma, onde V Apiario era stato stampato nell’an. antecedente, per dar gusto à’padroni (i Barberini) ; e forte desiderava che fosse ristampato sotto altra forma, più comoda per gli studiosi. Sapendosi in qual conto Federico Cesi te- nesse i consigli del Colonna , non è improbabile che pensasse di giovarsene anche su questo proposito de\V Apiario , e avesse perciò allestito il modulo della novella edizione. Del resto mi adoprerò di fare ulteriori indagini per confermare o distruggere questo mio qualunque siasi opinamento. 11 sig. principe D. Baldassarre Boncompagni invia all’accademia, da parte dell’autore, uno scritto intitolato « Sur V introduciion de Varitìimétique indienne en Occidente et sur deux documents importunisi puhbliés par le prince Don Balthasar Boncompagni, et relatifs à ce poinl de Vhistoire des Sciences. Par F. Woepche. Questo scritto sarà stampato negli atti dell’accademia. Il medesimo invia pure in dono all’accademia, un esemplare dell’opera intitolata : Scritti inediti del P. D. Pietro Cossalli Chierico regolare Teatino, pubblicati da Baldassarre Boncompagni , seguiti da un appendice , contenente quattro lettere dirette al medesimo P- Cassali , ed una nota intorno a queste lettere- Roma Tipografia delle Belle Arti, 1857. 11 prof. Ponzi espose nelle sale dell’ accademia, molte ossa fossili del- l’Elefante di Rignano, di cui già comunicato avea il ritrovamento nella V.* ses- sione dell’ 11 aprile 1858. Insieme a questi magnifici fossili annunziava egli un’altra scoperta di non minore importanza, ed esponeva tre denti molari, e una difesa di mastodonte, rinvenuti a Montoro nell’agosto del passato anno. Parlava inoltre della geologia di quei luoghi, della giacitura dei resti di quegli animali, dei fossili che li accompagnavano, e dell’epoca in cui vissero. Prometteva in fine pubblicare nelle seguenti sessioni, gli studi da esso fatti sugli argomenti ora indicati. (1) Stampata nel Giornale dei Letterati del Pagliarini an. 1749. — 105 — Necrologia del D''. Agostino fAippello. Comunicala dal prof. P. Volpiceli!. La carica di cui mi onora questa rispettabile accademia, pone me, ahi troppo sovente, nella condizione dolorosa di trattenervi, chiarissimi colleghi, sulla perdita irreparabile di qualche nostro socio. Anche nella tornata di oggi adempio questo pietoso officio, lamentando il vuoto che fra noi produsse la morte del D-'' Agostino Cappello, non ha guari avvenuta. Misera è la condi- zione della umanità, e tanto più misera in quanto che l’uomo sente la no- biltà ed eccellenza sua, per la quale, primeggia esso grandemente sopra ogni altra creatura che lo circonda .sulla terra- Questo sentire lo affeziona sedu- centemente alla vita, questo affetto lo conduce nello stato sociale, e questa società gli fa sempre più conoscere la [niseria essere sua compagna indivisi- bile. Se r uomo viene per natura destinato alla società , è perchè meglio si persuada, riescire impossibile il soddisfare in questa sua tei rena stanza quel desiderio di felicità che lo tormenta sempre. Agitato il cuore dalle passioni, travagliato l’animo dalla ignoranza del vero, afflitto il corpo dalle infermità, trae 1’ uomo quasi stupida l’ infanzia, contradetta l’adolescenza, desiderosa la giovinezza, ansiosa la virilità, imbecille la vecchiezza se pure vi giunga: ecco r orbita che deve percorrere questo satellite intelligente della terra per di- scendere nel sepolcro; ed è quella che pure percorse il nostro dotto collega, di cui deploriamo la perdita. Agostino Cappello nacque in Accumoli, provincia di Aquila nel regno di Napoli, diocesi di Ascoli, nel 15 novembre 1784, da Nicola Cappello, ed Anelila Marini: fatti nella patria gli studi elementari, passò in Ascoli a seguire il corso di Filosofia e di Medicina, ove ottenne i gradi accademici nelle indicate due facoltà, e quindi la laurea nel 13 agosto 1807. Inviato a Roma frequentò la scuola della romana Università, non che l’Archiospedale di S Spirito, mentre nelle ore della sera recavasi a studiare in casa della eh. me. del prof. Bomba suo maestro, che fornito com’era di scelta bi- blioteca, fovoriva con essa gli studi ad alcuni de’ suoi discepoli. Fatto nuova- mente il corso di Medicina, ne conseguì la matricola di esercizio il 20 mag- gio 1809, essendosi nell’anno antecedente recato in Napoli , ove il 20 mag- gio 1808 ebbe amplissima facoltà per 1’ esercizio libero della professione, intanto nell’8 gennaro 1808 orasi sposato a Maria Staderini romana, e nel- l’aprile recossi in Accumoli, con l’ idea di rimanervi, essendo ivi stato eletto a — 106 — medico condotto. Però il clima elastico degli Abruzzi non confacendosi alla salute della sposa, nel novembre tornò in Roma; quindi per un’anno fu medico condotto in Castelnuovo di Porto , e nel 1810 fu eletto a medico condotto in Tivoli, ove dimorò fino al 1821, amato e stimato da tutti; ed ove oltre l’esercizio medico praticato con zelo, si occupò ad istruire nelle scienze fìsi- che e mediche vari giovani , oltreché cominciò e continuò i suoi studi e le sue sperienze sulla rabbia canina , non che sulla topografìa fìsica di quel suolo. Nel 1818 per sezione di alcuni cavalli dei carabinieri pontifìci, morti di antrace, feritosi col vistorino, contrasse quel veleno, e poco dopo apparvero nella sua cute pustole nere, che or quà or là ricomparvero ogni anno: questa si fu l’origine dolorosa delle tante malattie sofferte da esso in seguito, e che lo condussero alla tomba. Nel 1821 venne in Roma, d’onde più non si parti, ed ove immediatamente fa accolto con somma stima dai primari medici di quell’epoca; e la eh. me. del prof. Morichini il volle socio in quella particolare congrega, detta dei Babbioni, da esso presieduta, ove riunivansi le persone più dotte del paese, ed ove si recavano i più distinti scenziati esteri che venivano in Roma. Nel 1823 nel recarsi a Tivoli per cura medica, cadde da cavallo, e raccolto quasi morto soffrì lunga malattia. Nell’anno seguente la sa. me. di Leone XII, che avea letto i suoi lavori, lo spedì nella città dì Spoleto, per curare una sua sorella, che però era da morbo insanabile affetta, e dichiarata come tale dal Cappello nel suo ritorno al Pontefìce, il quale volle ciò non ostante che tornasse nuova- mente a curarla. Nell’anno 1826 gravemente ammalò , e consigliato a riprendere l’aria nativa, si recò in Accumoli; ma quel veleno, contratto già per sezione di ca- valli morti di antrace, gli si agglomerò nei lombi, per cui tornò in Roma con un tumore gangrenoso nella regione lombare, che sebbene operato dai professori Sisco e Bucci, fu persistente, e ricomparve ogni anno fìno al 1830. Nel 1832 la sa. me. di Gregorio XVI lo spedì a Parigi , per istudiarvì il cholera morbus ( sul quale nell’ anno antecedente aveva pubblicato un suo ragionamej^to ). Partì nel maggio, e tornato in Roma in settembre, pubblicò nel 1833 la sua opera (1), che fu apprezzata ed encomiata per tutto, come una delle migliori. Nel 1334 lo stesso Pontefìce volle che sedesse come consigliere del su- premo sanitario magistrato, istituito dalla Santità Sua; quindi si prestò egli con (1) Storia medica del cholera indiano, osservato a Parigi da Agostino Cappello, e da Achille Lupi colà inviati da Gregorio XVI, nel 1832. Roma Tipografìa Camerale 1833. — 107 — zelo e disinteresse , anche nella congregazione speciale di sanità dal 1834 sino al 1847. Nel 1836, sviluppato il cholera morbus in Ancona, il Pontefice ordinò che altro medico, membro della congregazione speciale, si portasse colà per dirigere le cose sanitarie, ed il Cappello rimanesse in Roma. Quello però essen- dosi ricusato, il Cappello generosamente si offerse, andò in Ancona, e vi stette rinchiuso tré mes^: ebbevi un cholera fierissimo, e non di meno con onore sommo si affaticò assi pel bene pubblico. Tornato in Roma nel dicembre, non è a dire con quanto zelo si adoperasse l’anno seguente 1837, in occassione del cholera che afflisse questa città, essendo ciò noto a tutti, ed egli stesso avendone reso conto nelle sue dilucidazioni storiche sul cholera di Roma, non che in un discorso letto nell’accademia dei Lincei, e puby^icato in Aquila nel 1838. Nel 1847, per giusti motivi, credette bene ritirarsi dalla congregazione speciale di sanità, e poi nel 1848 pubblicò le sue memorie storiche. 11 re- gnante Pontefice Pio IX volle , in occasione del cholera del 1854-55, che tornasse a far parte di quel supremo sanitario magistrato; ed egli vi tornò, e persistè a prestarvi l’opera sua fino alfultima malattia. Nel 1851 lo stesso regnante Pontefice mandollo a Parigi, come delegato pontificio al congresso sanitario internazionale- Vi andò nell’ agosto , e tornò in Roma nel gennajo 1852; però quasi moribondo, stantechè quel clima, e la soverchia fatica sostenuta nelle sessioni delle conferenze , ove con ener- gia e franchezza somma sostenne sempre la dottrina dei contagi, rimisero in movimento i suoi umori, e formoglisi un tumore nella regione lombare, che, operato dal prof. Baroni di eh. mem., lo tenne in letto per tre mesi. Fu men- tre dimorava in Parigi, che il governo francese onorollo, come delegato pontificio al congresso indicato, creandolo cavaliere della Legion d’Onore. Riavutosi nel l’aprile, passò competentemente l’estate; ma nel dicembre 1852 soffrì d’ improv- viso fortissima ematuria, per la quale fu costretto guardare il letto per oltre mesi tre: da quell’epoca in poi dovè sempre usare il catetere. Nel 1855 fu nuo- vamente assalito dallo stesso morbo, per cui nell’avvenire pochissimo potè occu- parsi dell’esercizio medico. Nel gennaio poi del 1858ebbe nuovo assalto pel quale, sebbene riavutosi alquanto nell’aprile, non ricuperò più le forze, e nel luglio fu costretto fare abbondanti salassi per una forte cistite. Finalmente il 2 dicem- bre 1858, si pose in letto con fierissimi dolori, e dovè ricorrere alla mano chi- rurgica, ed al catetere metallico: dopo pochi dì si associò la diarrea, la febbre lenta e continua, con acutissimi spasimi, e la malattia risolvette in una lenta — 108 — consunzione, cosicché dopo 18 ore di agonia, il 31 dicembre 1858, all’ora una e tre quarti pomeridiana, confortato da tutti i soccorsi della religione, spirò fra le braccia dei suoi. Fu il Cappello aggregato alle primarie accademie scientifiche e letterarie, tanto italiane, quanto straniere. Fu della cessata, e dell’attuale accademia pon- tificia de’ Nuovi Lincei membro ordinario, e così pure dell’accademia di archeo- logia. Fu corrispondente dell’accademia di medicina di Parigi, della Pontoniana dì Napoli, delle accademie scientifiche di Milano, di Catania, ec. ec. Molte furono le opere da lui pubblicate, ed inserite quasi tutte nel gior- nale Arcadico, di cui fin dal 1824 fu collaboratore, e dal 1838 in poi uno dei compilatori. Nel 1823 pubblicò la sua prima memoria sulla rabbia; nel 1827 e seguenti le osservazioni geologiche, e le memorie storiche di Accumoli, che terminò nel 1842. La sua opera sul cholera di Parigi fu stampata dal gover- no nel 1833. Nel 1830 pubblicò nuovamente i suoi lavori, e sulla rabbia, e sul fiume Anìene (1). Pubblicò eziandio vari articoli sul cholera, sulle acque albule di Tivoli, sulle colture umide e risaie, non che sul cholera di Roma del 1837 (2); e nel 1848 le sue memorie storiche dal 1810 a tutto il 1847 (3). Nel 1852 stampò i suoi cenni sul congresso sanitario internazionale (4); e nel decorso anno 1858 ripubblicò i suoi ragionamenti sulle coltivazioni umide, e sulle ri- saie , dei quali rimane inedito il terzo artìcolo, che sarà fra breve reso di pubblica ragione per cura dei suoi eredi. La costituzione fisica del Cappello fu robusta; il medesimo fu legato in amicizia coi più distinti scienziati e letterati d’ Italia e fuori; fu uomo reli- gioso, ma senza ostentazione; fu nemico dell’ ipocrisia, perchè di natura franco nel dire e nell’ agire , tanto in privato , quanto nelle sanitarie sedute , non dissimulando mai la verità, e senza umani riguardi. Fu da ultimo padre amoroso, e prodigo di cure pe’ suoi figliuoli, cui lasciò patrimonio scarso di fortuna, ma ricco di pubblica estimazione. (1) Opuscoli scelti scientifici di Agostino Cappello. Roma tipografia Salvioni 1830. (2) Dilucidazioni storiche sul cholera di Roma del 1837; e discorso sopra un parziale av- vallamento del fiume Tronto, con una digressione sul cholera di Roma del 1837. Aquila ti- pografia Grossi 1838. (3) Memorie storiche di Agostino Cappello dal Maggio 1810, a tutto il 1847. Roma tipo- grafia Salvioni 1848. (4) Cenni storici sul congresso sanitario internazionale, tenuto a Parigi nel 1851-52. Ro- ma 1852. — 109 — COMMISSIONI ^ul metodo del pittore signor Ferdinando Diamantini per dipingere a smalto sul vetro. RAPPORTO (Commissari sig/' prof-'' R- P- Pianciani, e Cavalieri S. B. [relatore). Dal ministero del commercio , e dei lavori pubblici , essendo stalo invocato il sentimento dell’ accademia , intorno ad una dimanda del pit- tore signor Ferdinando Diamantini, tendente ad impetrare la dichiarazione di proprietà di un metodo, che diceva essere di tutta sua invenzione, per di- pingere a smalto sul vetro; piacque al comitato accademico deputare una commissione , formata dei sottoscritti soci ordinari, coll’incarico di prendere contezza dei pretesi trovati dal signor Diamantini, onde mettere poi con un rapporto , il corpo accademico in grado di corrispondere alle ricerche dello stesso ministero sul merito della dimanda. Letta la succinta esposizione, presentata dal signor Diamantini, del pro- cesso, a cui egli intenderebbe attenersi sulla dipintura a smalto dei vetri, la commissione ebbe ad avvedersi, che niuna sostanziale differenza si propone in esso dai metodi ordinari conosciuti, e praticati fino ad ora nell’arte di smaltare i vetri a disegno, con isvariati colori. Non sono se non che quelle medesime sostanze, e quei medesimi preparati chimici, di cui fu sempre solito far uso, per la colorazione dei vetri, quelli che il signor Diamantini vorrebbe riguardare come proprie invenzioni ; e non sono menomamente nuovi, nè più pregevoli del consueto gli effetti pratici, che afferma esso avere ottenuti nelle sue prove, delle quali ha rassegnato al ministero alcuni campioni. La diversità, che egli si vanta di avere introdotta nella forma della muffola, quand’anche fosse pro- vato essere una novità , del che tuttavia è da dubitare , sarebbe cosa di si lieve momento, e per se stessa, e pei sperabili effetti, da non meritare che ne fosse fatto alcun caso. La commissione , dopo quanto è stato da essa avverato , e qui breve- mente esposto, è d’avviso che, non avendo il metodo, del quale il sig- Dia- mantini dichiarava voler giovarsi per la dipintura di vetri , alcun pregio di novità , non vi sia ragione per concedere ad esso la implorata dichia- 15 — 110 — razione di proprietà : tanto più che questa verrebbe a ledere i diritti, an- teriormente già conferiti dal ministero al signor Antonio Moroni, per la di- pintura a smalto sul vetro fin dall’anno 1856, conforme fu officialmente fatto conoscere al pubblico nel numero 9 del giornale di Roma, dell' 11 gennaio del medesimo anno. L’accademia per mezzo dello squittino segreto , approvò le conclusioni di questo rapporto- CORRISPONDENZE Il segretario lesse il dispaccio inviato da S. Emza. Rma. il sig. cardi- nale Altieri, protettore dell’accademia, e diretto al sig. prof. N. Cavalieri S. Bertolo vice presidente della medesima. Con questo foglio l’Emo. principe fa- ceva noto, essersi la Santità di Nostro Signore benignamente degnata di ap- provare la conferma del sig. duca Massimo nella carica di presidente , fatta dal corpo deliberante Linceo nella sessione del 5 dicembre 1858. Il sig. Forchhammer , segretario della reale accademia delle scienze di Copenaghen, a nome della medesima ringrazia, per gli atti de’ Novi Lincei che le pervennero; ed in pari tempo annunzia l’invio fatto aH’accadetnia no- stra del Prospetto degli atti della Società reale danese delle scienze- Soci ordinari presenti a questa sessione. C. Maggiorani. — N. Cavalieri S. B. — G. Ponzi. — B. Viale. — P. Volpicelli. — S. Proia. — A. Coppi. — G. B- Pianciani- — P. A. Secchi. — 0. Astolfì. ■— C. Sereni. — L. Ciuffa. — I. Calandrelli. — G. Pieri. Pubblicato il 22 Febbraio 1859. P. V. L’accademia riunitasi legalmente a un ora pomeridiana, si sciolse dopo due ore di seduta. - !11 — OPERE TENUTE IN DONO Il Nuovo Cimento. Giornale di Fisica , di Chimica, e scienze a/fini compilato dai professori C. Matteucci, e R. Piria del mese di Ottobre 1858. Operazioni Chirurgiche eseguite in diversi casi onde togliere la immobilità della mascella inferiore. Memoria del prof. Cav. F. Rizzoli, Bologna 1858 ; un fase, in 4.° Prolusione alla ì.“ adunanza deW Accade mi a Agraria in Pesaro, letta la sera dei 30 genn. 1829 da F. Baldassini segretario. Pesaro 1858 ; un fase, in 8." Bollettino della Società' Reale di Londra N. 30, 31, del 1858. Circa r attitudine, o no, di altri molluschi acefali d'incontrare come le ostriche la fermentazione lattica; del prof B. Bizio. Venezia 1858; un fase, in 8.® Sulla dottrina dinamica così detta italiana ; scritto dal prof. G. Bellavitis. Apologia del prof B- Bizio. Venezia 1858; un fase, in 8.° Breve cenno sulla civiltà e la follia con metodo curativo di (piest' idiima; di V. L. Cera. Napoli 1858; un fase, in 8.“ Philosophical Transazioni filosofiche della Reale Società' di Londra. Voi- 147. Parte 1II.“ Londra 1858; un Voi. in 4.“ Considerazioni sulla scelta di quello fra i canali del Danubio, che conviene pre- ferire per regolarne la foce nel Mar Nero, e sulle Opere necessarie per con- seguire l'intento, con due appendici; del cav. P. Paleocapa- Torino 1858 ; un fase, in 8.® Bulletins Bullettini della R. Accademia delle Scienze, Lettere, ed Arti DEL Belgio del 1857. Tre Voi. in 8.® Memoires Memorie premiate, ed altre memorie publicate dalla R. Accademia stessa. Tomo Vili. 1858; un Voi. in 8.“ Annuaire Annuario della R- Accademia stessa, pel 1858, Comptes Conti Resi dell' Accademia delle scienze dell L Istituto di Francia, in corrente- Dei Medici, e degli Archiatri dei Principi della R. Casa di Savoja. Catalogo ragionato disposto per ordine cronologico dal cav- commend- B. Trompeo. Parte 2-“, un fase, in 4-° Torino 1858- Sulla cagione del vedere le stelle e i punti luminosi affetti da raggi. Memoria di Giov. M.“ Cavalleri Barnabita. Milano 1858- Un fase- in 4-* — 112 — Osservazioni fìsiche instiluite in parecchi sili delle provincie venete , durante Vecclissi solare del 15 Marzo 1858; del D/ A- BeRTh Venezia. 1858; un fase, in 4.° Descrizione di alcuni strumenti inventati o migliorati per ajuto della diagnosi; DEL MEDESIMO. Padova 1858; un fase, in 8." Intorno ad un nuovo sfigmometro meccanico. Lettera del medesimo al D.'' G- Strambio. Milano 1857; un fase, in 8-“ Sulle manifestazioni ozonometriche durante Vultima epidemia catarrale. Nota del medesimo. Venezia, 1858; un fase, in 8-o Urbano Vili, e gli accademici Lincei. Lettera al eh. cav. G. Moroni, per Sal- vatore Ab. Proia. Scritti inediti del P. D. Pietro Cossali chierico regolare Teatino, pubblicati da Baldassarre Boncomp.igni, seguiti da un' appendice contenente quattro lettere dirette al medesimo P. Cossali , ed una nota intorno a queste let- tere. Roma tipografia delle belle arti 1857 un voi. in foglio- IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Min. Conv. Archiep. Icon. Yicesgerens. ERRORI CORREZIONI pag. 29 lin. 19 forma forze queste » » » 25 questo « 33 » 23 otterremo » 38 » 16 forze » » » 30 dalla data » 39 » 16 e la 39 43 otterremo forze data dalla e lo » 43 » 14 han per anco sapute „ » » 16 brani » hanno per anco saputo bracci incaricata publico Candolle brevemente organo apre apparato medesimo Sharswoord conoscere Sharswoord sai » » » 26 incarciata » 44 » 18 di publico » 63 « 8 Caudolle « » » 17 brevemenie » » » 19 urgano » 54 » 3 appurato » 56 » 4 medssimo » » » 17 Sharwood » » » 19 conoscere » » » 24 Sharwoord » » » » tal » » » 28 a pere ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE l[[.‘ DEL 6 FEBBRARO 1059 PRESIDEIVZA DEL SIG. DUCii D. MARIO MASSIIHO MEMORIE E COMUNICAZIONI DEI SOCI ORDINARI E DEI CORRISPONDENTI Il sig. duca Massimo ringraziò l’accademia per averlo confermato ad unanimità nella carica di presidente. Geologia. — Sulle correlili di lava scoperte dal taglio della ferrovia di Al~ bario. Nota del prof. G- Ponzi. In una delle sessioni, tenuta il 23 febraro 1851, io comunicava alla nostra accademia il rinvenimento di un nuovo cratere vulcanico nella tenuta della Cecchignola, e nel tempo istesso faceva conoscere, che causa di quella sco- perta furono le ricerche da me intraprese per accertarmi deirorìgine, e sup- posto incrociamento delle correnti di lava che s’ incontrano sulla via Appia e sulla via Ardeatina. In quella tornata accademica mi sembrava poter as- serire come da quel nuovo cratere procedessero le correnti di Tre Fontane Vallerano ed Acquacetosa, e che quella di Capo di Bove ne fosse assoluta- mente indipendente. Oggi peraltro le cose sono alquante cambiate d’aspetto in grazia di al- tre ricerche istituite lungo il taglio della nuova strada ferrata per Napoli , specialmente su quel tratto che dalla Zolfatara di Albano raggiunge la sta- zione della Cocchina, i risultati delle quali è mio obligo riferire per rettifi- care le idee, e per correggere qualunque errore possa essere incorso. Le contrade attraversate da quella nuova strada sono tutte essenzial- mente costituite da una serie di letti irregolari di ceneri vulcaniche, aventi tutte le impronte di essere stale lanciate dai crateri laziali nel seno del- l’atmosfera, dai venti diffuse e cadute a modo di pioggia sul circostante ter- reno. Se non che , su quattro punti diversi quelle medesime ceneri si tro- 16 — lU — vano calcate e cotte dal transito di altrettante correnti di lava basaltina, e vicino la Cocchina si mostrano , per un certo tratto celate , da una larga falda di peperino corsa fino ad inondar quel paese. Il taglio di una ferrovia condotto in traverso a quelle correnti ha recato molto vantaggio alla nostra geologia, in quanto che avendole messe allo sco- perto non solo ne stabilisce i punti fissi del loro corso, ma eziandio ne fa apprezzare la potenza ; cose difficili a comprendersi a priori , essendo tutte ricoperte da un grosso strato di materie incoerenti, che ne mascherano l’an- damento. Oggi siamo certi del loro cammino e possiamo seguirlo colla con- tinuità del rilievo, che le distingue sul suolo circostante. La prima di quelle correnti vedesi in questo luogo caminare sul fianco destro della via Appia antica che porta verso Albano, ed è la più piccola di tutte, imperocché segna 80 metri in larghezza e si rileva sul piano stradale metri l;50. Questa però non è tutta la sua potenza, perchè calcolata la parte restata immersa, tutto il suo spessore può stimarsi a m.'' 3. Poco dopo ol- trepassata la prima s’ incontra la seconda di un volume molto più grande, la cni sezione si distende a m." 200 in larghezza, e m.'"' 2 : 50 al di sopra della linea della ferrovia, essendo forse la spessezza totale 3 o 4 metri. Però questa stessa corrente esaminata al di sopra del suo corso si rinviene più ristretta di 50 metri, la qnal cosa indica che nel suo progressivo andamento si veniva dilatando in ragione della forma del suolo sul quale trascorreva. La prossimità di queste correnti alla lava che inondò la contrada delle Frattocchie , fa tosto concepire 1’ idea che i due tronchi sono una deriva- zione di quella, e che poscia riuniti formarono una sola corrente che in linea retta camina colla via Appia, e che dimano in mano che procede verso Roma sempre più si spande fino al punto che alla sna estremità presenta quasi un chilometro di larghezza- Una tal corrente ebbe un corso di circa 11 chilo- metri, avvegnaché partita dalle Frattocchie giunse presso la chiesa di S. Se- bastiano fuori le mura dove si arrestò formando una larga culatta sulla quale venne eretta la tomba a Cecilia Metella moglie di Crasso , detta oggi Capo di Bove per alcuni bucrani che l’adornano, dai quali eziandio deriva il nome della stessa corrente. Sono noti i caratteri che distinguono questa lava, essendo già stata al- tre volte osservata dai geologi, e perciò mi dispenso dal ripeterli- Solamente dirò che nel percorrere il taglio della nuova ferrovia poco dopo quelle cor- renti , incontrasi la terza che al suo aspetto lapideo e ai minerali che con- — 115 — tiene offre tale una somiglianza alla lava di Capo di Bove , che se non si sapesse essere questa un ramo distaccato da quella tosto si giudicherebbe del- r identità. Le stesse gismondine, le stesse melliliti, le stesse amfigeni disse- minate nella massa provano l’unità d’origine di ambedue le correnti. La se- zione peraltro che offre questa terza corrente supéra la precedente, segnando ni." 250 in larghezza e m." 3 nella parte scoperta, che vuol dire 5 nel to- tale. Anche questa deriva dalle Frattocchie; anzi è la continuazione di quella istessa, rappresentando il tronco principale da cui si spiccarono i rami che concorsero a formare la corrente di Capo di Bove. Difatti se si rimonta il suolo e insieme al rilievo si siegua nel senso contrario il suo decorso, evi- dentemente si vedrà uscire dal dì sotto dei peperini al Pascolare di Marino, dove venne aperta per farne pietre da molino. Da questo punto vedesi di- riggere verso mezzo giorno, e dilatarsi per formare quel rilievo che convien risalire per andare all’ osteria delle Frattocchie. Da quella dilatazione parte il tronco della via Appia, e dopo di questo la stessa corrente cammina decli- nando un poco verso ovest, attraversa la ferrovia e giù per Palaverta e Ca- stel di Leva giunge ad Acquacetosa e Vallerano. Quivi in vari punti dei suoi fianchi squarciata, vien continuamente logorata per estrarne selci destinati a pavimentare le nostre strade moderne. La Innghezza di questa corrente, dalla sua comparsa fuori dei peperini fino alle sudette contrade è di circa 15 chi- lometri. Ma da quale bocca eruttiva scaturì questo vasto fiume di fuoco ? Ad un quesito di tal fatta io non saprei rispondere con positiva certezza. Ciò non ostante considerando la disposizione dei crateri, e le pendenze del suolo: considerando la sua giacitura, e l’uscita dal disotto dei peperini: considerando r analogia di composizione che ha questa lava con quelle dei Campi d’ An- nibaie, e la direzione nell’andamento di queste; potrebbe dirsi che la corrente che passa alle Frattocchie fu versata dal cratere del Monte Pila aperto sul ciglio dello stesso cratere laziale, e che uscita nell’ interno di qnesta cavità centrale abbia trascorso sui Campi d’ Annibaie, e a lato della Rocca Albana siasi precipitata in basso sulle pianure che circondano il Monte Cavo , per prendere la direzione del Pascolare di Marino e le Frattocchie. L’ eruzione dei peperini sopragiunta in un epoca posteriore, l’avrebbe nascosta per tutto quel tratto che oggi interrompe la sua continuità , corrispondente al fianco occidentale del cono eruttivo del Lago Albano da cui emanarono , e perciò quella medesima corrente vedesi immergere nella loro parte superiore ed — 116 — emergere dalla inferiore- Se ciò è probabile, tutta questa corrente, dalla sua scaturigine dai Campi d’Annibale, a Capo di Bove, e ad Acquacetosa e Val- lerano risulterebbe lunga più che 20 chilometri. Seguendo l’andamento della ferrovia giunti a S. Eufemia, oggi corrot- tamente detta S- Fomìa, da un’antica chiesa dedicata a questa santa, a cui sembrano appartenere certi sfasciumi di fabriche , che valsero a dar la de- nominazione alla contrada , il suolo si rialza pel passaggio di un’ altra cor- rente di lava, solcata attraverso e messa a giorno per livellare la nuova strada. La sezione di questa quarta corrente è anche maggiore di quella delle Frat- tocchie presentandosi larga m.'"' 300 e nella parte scoperta m/‘ 6, circa m.'* 7 : 00 nella totale potenza , per quanto può argomentarsi dall’ insieme delle cose. Sebbene questa lava offra un aspetto non dissimile dalle altre ; pure ne differisce per una tessitura più gentile, e meglio atta ad esrere la- vorata , e per i minerali che contiene. Quivi non vedi più quella notabile quantità di amfigeni disseminate nella massa come nelle lave precedenti, ma invece pirosseni sparsi e tenenti luogo di quelli. Vi si rinvengono cristalli verdi di augite , ora minutissimi e quasi impercettibili ad occhio nudo, ora di un più grosso volume, identici a quei grossi pirosseni, che nelle lave uscite dal cratere Aricino per una certa somiglianza, vengon detti vetri di bottiglie. Se qualche dubio resta ancora sull’ origine delle lave delle Frattocchie che prime s’ incontrano nel decorso della ferrovia, non lo è certameute per quella che attraversa S. Fomìa. Lo stesso rilievo che in questo luogo si è dovuto solcare, si vede continuo fino alla foce del cratere continente il la- ghetto, 0 lago di Turno, posto a breve distanza da quel punto, e può seguirsi nel suo decorso inferiore- Di maniera che passo passo caminando con essa, chiaramente si scorge, che quella corrente scaturita dal cratere del laghetto, camina verso Donna Olimpia , per ricomparire nella tenuta di Schizzanello. Laonde una tal corrente potrebbe stimarsi lunga non meno di 9 chilometri. Avanti di arrivare alla Cocchina la strada ferrata di Albano passa per la contrada appellata Villa P’ranca tutta ricoperta come si disse da un’ultima colata di peprini trascorsi sulle ceneri costituenti il suolo, sotto forma di cor- renti di fango vulcanico. Da questa parte i peperini non presentano specia- lità, giacche si mostrano identici a quelli di Albano e di Ariccia da cui de- rivarono. Sono peraltro meno provvisti di roccie erratiche; solo ridotte a pic- cole masse di calcarea cristallina, a pezzetti di lazzuliti e a frantumi di lave. Non ò mio scopo parlare qui della formazione di tali correnti fangose; pe- — 117 — raltro In questa occasione dirò, che a Villa Franca come in tanti altri luo- ghi esistono chiare prove della loro origine fangosa. La sovraposizione dei pe- perini alle ceneri incoerenti di formazione subaerea, e il rilievo circoscritto ehe vi formarono allorché sopra vi trascorsero, non possono spiegarsi altri- menti, se non con quel processo formativo da Breislak osservalo al Vesuvio nella eruzione del 1794. (1) Tutte queste indagini adunque ora pralticate sulle lave che corsero sul fianco occidentale del gran cono Laziale , portano finalmente a delle de- duzioni che mirabilmente comprovano ed illustrano la storia naturale di quei nostri vulcani subaerei, e queste sono : 1.” Che la corrente di lava uscita dal cratere del lago di Turno, sia pel- le qualità di questa bocca erruttiva, sia per i pirosseni che contiene, può sti- marsi quale più antica: cioè riferibile al primo periodo di eruzioni dei vulcani del Lazio: 2° Che le correnti di Capo di Bove e Acquacetosa rappresentano due bracci di un medesimo fiume di lava che alle Frattocchie si fa bifido: 3. ° Che probabilmente questa lava è derivata dal cratere del Monte Pila sul ciglio dello stesso cratere centrale del Monte Cavo ; formando un fiume a lungo corso : 4. “ Che questa stessa corrente passando sotto i peperini , dimostra un anteriorità alla formazione di essi : 5. “ Che le qualità e posizione del cratere che gli diede origine , e la quantità di amfìgeni contenute, accennano ad un secondo periodo di eruzioni, riferibile ad un epoca in cui i vulcani del Lazio si riaccesero dopo nna lunga tregua: 6. “ Finalmente che i peperini sovraposti a tutte le formazioni di qua- lunque epoca esse siano, sono i più recenti di tutti, e rappresentano perciò il terzo ed ultimo periodo eruttivo. Quale analogia di cosmici avvenimenti con quelli che si operarono per la formazione di Somma e Vesuvio ! La storia del liazio non si compone che da un esatta ripetizione di essi, e se v’ha differenza questa consiste solamente nell’essersi spiegata in una scala tre volte maggiore , e in operazioni tanto più complicate e vaste, che non sono quelle dei vulcani partenopei. {!) Tipogr. fis. della Campanie pag. 157, Astronomia fisica. — Quadro fisico del sistema solare. Nota del prof. A- Secchi. Ho l’onore di presentare aH’accademia un lavoro non ancora pubblicato , cioè un quadro che raccoglie tutte le principali apparenze fisiche dei corpi del nostro sistema solare. Non avrei ardire di intrattenere l’Accademia su di esso se fosse una mera riproduzione dei molti lavori di tal genere che si hanno, ma avendo nella sua costruzione tirato profitto di molti miei lavori, posso dire che varie cose vi si trovano che meritano il titolo di originali. Tali sono i disegni di molte macchie solari tutte fatte all’ Oss. del Coll. Romano e non ancora pubblicate, e tali soprattutto i lavori della Luna: la mappa selenografica è dedotta dalle nostre stesse fotografie. II gran cratere di Copernico è una riproduzione fedele di quello che è stato fatto al cannocchiale di Merz con somma diligenza e pre- cisione a moltiplicato per via fotografica in grande scala. Anzi questo di- segno è stato nuovamente corretto sopra quello delle fotografie stesse. Pei pianeti pure fo uso esclusivamente delle mie proprie osservazioni: di Giove ne do due grandi disegni fatti al Coll. Romano. Due pure di Marte i quali sono stati fatti nell’ ultima apparizione e che confrontati con quelli del sig. De la Rue fatti nel 1854 mostrano la invariabilità di alcune sue macchie. In Saturno è raccolto quanto di più accurato si è veduto- Sulla Terra sono disegnati il giro dei venti secondo le osservazioni di Maury e quelle altre particolarità che ne farebbero rilevare le apparenze da i pianeti lontani. L’ultimo spartimento, contiene le comete , ove sono disegnate le più sin- golari osservate fin’ora, e la luce zodiacale. La tavola è colorata con tinte analoghe agli oggetti, e specialmente per la Luna e i pianeti si è dato alle varie parti tal colore da far rilevare quanto essa presenta di più singolare negli strumenti: anche il lavoro materiale del di- segno e la colorazione considerati solo come lavoro artistico sono di pre- gevole esecuzione. Il quadro è accompagnato da una diffusa illustrazione di circa 200 pa- gine, nella quale si dà anche un cenno e le figure dei più celebri sistemi e gruppi stellari. L’opuscolo racchiude molte cose originali che hanno fatto il tema delle mie pubblicazioni ed altre che per mancanza di tempo sono ancora inedite, on- de spero che sarà gradito alla istruzione della Gioventù alla quale è desti- nato in modo particolare. 119 — Florae romanae Prodromus exhibens plantas circa Eomam et in Cisapenninis Pontifìciae dictionis provinciis sponte venientes. Alidore Petro Sanguinetti in romana stiidiorum Universitale Botauices professore. (Continuazione) (*). 262. THYMUS L. Calycis 2-labiati tubus subcampanulatus basi antice saccatus nervosus, faux barbata, labium superius planum 3-dentatum, infe- rius saepius 2-fidum, laciniis longiusculis subulatis ciliatis: corollae 2-labia- tae tubus calycem subaequans, faux dilatata nuda, labium superius integrum planum rectum, inferiore 3-fido, laciniis obtusis, media longiore, brevius: sta- minum filamenta subulata, antherae 2-loculares, loculis subovatis parallelis tan- dem divaricatis: stigma inequaliter 2-fidum, lacinulis subulatis acutis: gymno- basi colliculi subrolundi trigoni laeves erecti. 263- SATUREIA L. Calycis tubus cylindricus vel campanulatus 10- oo - nervis basi constrictus, faux barbata vel nuda, limbus 5-dentatus vel obscure 2-labiatus , dentibus jamdudum acutis : corollae 2-labiatae tubus cylin- dricus calycem subaequans, faux nuda, labium superius planum integrum vel emarginatum, inferius 3-fidum patens,laciniis subaequalibus: staminum filamen- ta adscendenlia, antherae didymae, loculis oblongis: Stylus filiformis: stigma 2- fidum, lacininula altera recta, altera longiore incurva: gymnobasi colliculi laeves erecti. 264. CLINOPODIUM L. Calycis 2-labiati , tubus 13-nervis recervulus , faux pilosa, labium superius planum 3-fidum, inferius 2-fidum, laciniis omnibus aequalibus subulatis: corollae 2-labiatae tubus angulato-sulcatus, calyce lon- gior, faux dilatata, labium superius erectum planum, labium inferius patens 3- fidum laciniis aequilongioribns, media latiore barbata: staminum filamenta adscendentia: antherarum loculi oblongi divaricati incurvi : Stylus filiformis: stigma 2-fidum, lacinulis ineequalibus subulatis : gymnobasi colliculi subro- tundo-trigoni apice truncati. 265. MELITTIS L. Calycis 2-labiati tubus turbinatus late campanulatus, faux nuda, labium superius integrum, inferius 2-Iobum, partibns omnibus in- tegris rotundatis vel 2-dentatis: corollae 2-labiatae tubus amplus calyce longior, faux nuda, labium superius orbiculatum subintegrum, labium inferius longior 3-fidum, lacinia media latiore: staminum filamenta piloso-glandulosa: antherae conniventes, loculis divaricatis : Stylus filiformis: stigma 2-fidum , lacinulis brevibus acutis aequalibus: gymnobasi colliculi subrotundo-trigoni hirsuti. 266. SCUTELLARIA L. Calycis brevis2-Iabiati in fructu acti et clausi tubus campanulatus, faux nuda, labia late rotundata, supremum deinde in squa- (*) Yedi sessione YII, del 13 giugno 1858. T. XI, — 120 — mam subrotundam concavam tendem decìduam productum; corollae 2-Iabiatae tubas exerctus elongatus adscendens, faux dilatata, labium superius galeatum ut plurirnum integrum, labium inferius 3-fìdum, laciniis rotundatis, media la- tiore, lateralibus quandoque cum labio inferiore, saepius cum superiore coa- litis : staminum filamenta subulata , antherarum loculi subrotundi margine barbati: Stylus fìliformis: stigma 2-fìdum, lacinulis inaequalibus, inferiore In- tiere recurvo: gymnobasi colliculi subrotundo-trigoni granulati, granuli pube stellata saepe ornati. 267. AJUGA L. Calycis sub-2-labiati tubus campanulatus, faux nuda ; labium superius 3-fìdum inferius 2-fìdum, laciniis vel dentibus omnibus sub- aequalibus: corollae 2-labiatae tubus inclusus vel exertus, fundo anulo pilorum instructus, faux nuda, labium superius brevissimum 2-fìdum, inferius elon- gatum 3-fìdum , lacinia media majori emarginata : stamina saepius exerta , antherarum loculi divergentes: Stylus fìliformis: stigma 2-fìdum, lobis subulatis subaequalibus: gymnobasi colliculi ovati erecti laeves vel reticolati. 268. TEUCRIUM. L. Calycis tubus cylindricus vel campanulatus , basi antice gibbus, faux nuda, limbus 5-fìdus, lacinia suprema quandoque majori: corollae 2-labiatae tubus superne incurvus, faux nuda, labium superius medio truncatum, in latus 2-partitum , laciniis divaricatis labioque inferiori appro- ximatis , labium inferius 3-fìdum, lacinia media maxima patente plana ant concava; stamina ex fìssura labii snperioris exerta, fìlamentis subulatatis apice incurvis : antheris didyrnis , loculis confluentibus : Stylus fìliformis : stigma 2- fidum, lacinulis subaequalibus: gymnobasi colliculi ovato-depressi reticulato- rugosi, quandoque laeves. 269- SIDERITIS L. Calycis 2-labiati tubus 5-10-nervis, faux barbata, labiorum laciniae erectae plerumque apice spinesecutes: corollae 2-labiatae tubus brevis inclusus, faux nuda, labium superius erectum integrum vel emargina- tum integrum vel 2-fìdum, inferius 3-fìdum, lobo medio majore: stamina in- clusa, duo superiora brevissima, antheris didyrnis, loculis divaricatis, duo in- feriora longiora, antheris dimidiatis, loculo altero abbortivo: Stylus inclusus: stigma 2-fìdum, lacinula suprema obtusa, ab inferiori basi dilatata, amplexa: gymnobasi colliculi oblongo-trigoni laeves. 270. ORICONUM L. Calycis 2-labiati tubus cylindricus, labium superius 3- dentatum, inferius 2-dentatum , vel 1 -labiati tubus campanulatus, labium magnum integrum superum : corollae 2-labiatae tubus cylindricus inclusus vel exrrtus apice dilatatus, faux nuda, labium superius integrum erectum, in- ferius elongatum 3-fìdum, laciniis subaequalibus integris: stamina creda exerta. — 121 — filamentis subulatis, antheris didymis, loculis basi connatis; Stylus fdiforinis: stigma 2-fidum, lacinulis inaequalibus recurvis: gymnobasi colliculi ovales parvi laevissimi- 27] . GALEOPSIS L. Calycis 2-labiati tubus turbinato-campanulatus 10- nervis, faux nuda, labium superius 3-dentatum, inferius 2-dentatum, dentibus omnibus subaequalibus in mucronem spinosum productis: corollae 2-labiatae tubus exertus, faux dilatata nuda, labium superius integrum galeatum saepius apice crenatum, inferius 3-fidum patens, laciniis late ovalibus subrotundis, media majore emarginata, protuberantiis duabus inferius cavis prope sinus labiorum: staminum filamenta subulata glabra exerla , antlierarum loculi subglobosi , divaricati 2-valvatim dehiscentes , valva superiore minore barbata: Stylus fìliformis: stigma 2-fidum, lobis subaequalibus: gymnobasi colliculi subrotuudi granulati. 272. MENTHA L. Calycis 2-labiati tubus cylindricus vel campanulatus, faux nuda vel villosa, labium superius 3-fidum, inferius 2-fidum, laciniis vel omnibus aequalibus, vel inferioribus angustioribus : corollae 2-labiatae tubus inclusus, faux nuda, labia plana, superius majus integrum vel emargìnatum, inferius 3-fidum, laciniis aequalibus : staminum filamenta subulata, antherae 2-loculares, subrotundae, loculis parallelis: Stylus fìliformis: stigma 2-fidum, laciniis subaequalibus: gymnobasi colliculi parvi subtrigoni laeves, vel scabridi. 273. LAMIUM L, Calycis 2-labiati tubus cylindricus, vel turbinato-cam- panulatus multinervis, faux nuda aequalis vel obliqua, labium superius 3-fidum inferius 2-fidum , laciniis basi dilatatis apice acuminato-subulatis : corollae 2-labiatae tubus erectus vel adscendens, intus ad basim mellifero nudo vel anu- lato-piloso , faux nuda saepius dilatata: labium superius erectum fornicatum vel galeatum raro 2-fidum, inferius 3-fidum, lacinia media majori obcordata basi constricta, lateralibus ad marginem faucis fere truncati, mutici, vel in ap- pendiculam filiformem productis: staminum filamenta apice incurva, quandoque pilosa: antherae per paria approximatae, loculis oblongis divaricatis saepius dorso barbatis: Stylus fìliformis: stigma 2-fidum, lacinulis subulatis subaequa- libus: gymnobasi colliculi acute trigoni apice truncati laeves aut granulati- 274. CLECHOMA L. Calycis 2-labiati tubus elongatus subincurvus mul- tinervis, faux nuda, labium superius 3-fidum, inferiore 2-fido, longior, laci- niis omnibus lanceolatis acuminato-aristatis: corollae 2-labiatae tubus gracilis inclusus, faux nuda exerta dilatata, labium, superius erectum exquisite emar- ginatum, inferiore plano patente 3-fido, lacinia media majore, brevior: sta- 17 — 122 — minum filamenta subulata adscendentia, antherarum loculi subrotundi: conne- ctivo in aristam saepe producto: Stylus fìliformis, staminibus longior: stigma 2-fìdum, lacinulis elongatis aequalibus acutis: gymnobasi colliculi oblongi laeves. 275- JNEPETA. L. Calycis 2-labiati tubus incurvus 15 -nervis, faux nuda, labium superius 3-fidum, inferius 2-fidum, laciniis omnibus acuminatis, media siiperioris subelongata: corollae 2-labiatae tubus gracilis, faux dilatata, labium superius galeatum emarginatum vel elongatum 2-fidum, inferius patens 3-fidum elongatum, lacinia media maxima concavo-saccata integra vel 2-fida: stami- num filamenta adscendentia, antherarum loculi paralleli oblongi: Stylus incur- vus: stigma 2-fidum, lacinulis acutis subaequalibus : gymnobasi colliculi ob- longo-trigoni ut plurimum scabri. 276. STACHYS L. Calycis 2-labiati tubus cylindricus ant campanulatus 5 vel 10-nervis, faux nuda quandoque obliqua, labium superius 3-fidum, in- ferius 2-fidum, laciniis ut plusimum aequalibus mucronato-spinosis: corollae 2-labiatae tubus brevis incurvus, faux nuda exerta antice saccata, labium su- perius integrum erectum subfornicatum emarginatum, quandoque elongatum 2-fidum, inferius majus 3-fldum, lacinia media magna integra vel emarginata, lateralibus in latus deflexis: staminum filamenta filiformia: antherae externae citius defloratae et in latus dejectae, loculis oblongis parallelis vel divaricatis: Stylus staminibus sublongior : stigma 2-fìdurn, lacinulis subulatis aequalibus: gymnobasi colliculi laeves vel granulati trigoni, lateribus internis planis, externo convexo. 277. LEONURUS L. Calycis sub-2-labiati tubus pentagonus 5-nervis, faux nuda dilatata, labium superius 3-fidum, inferius 2-fidum, laciniis subaequa- libus subulato-spinosis, basi dilatata tandem patentibus : corollae 2-labiatae tubus inclusus, faux parum dilatata nuda, labium superius oblongum integrum fornicatum, nunc planum, basi angusta, labium inferius 3-fldum, laciniis la- teralibus oblongis, media obcordata : staminum filamenta subulata, antherae didymae, loculis parallelis, granulis prominentibus nitidis, adspersis : Stylus filiformis: stigma 2-fìdum, lacinulis subaequalibus acutis: gymnobasi colliculi triquetri laeves glabri, apice troncato, pubescentes. 278. BALLOTA L. Calycis tubus turbinatus 10-nervis 10-sulcatus, faux nuda, limbus patens 5-10-dentatus, dentibus acutis spinulosis basi dilatatis vel ad invicem connatis, limbum orbiculatum subintegrum, sistentibus: corollae 2-labiatae tubus cylindricus inclusus, faux nuda, labium superius oblongum galeatum apice crenalum ant fixum, labium inferius 3-fìdum patens, lacinia — 123 — media raajore emarginata: staminum filamenta subulala: antherae exertae di- dymae, loculis oblongis tandem perallelis, valvis aequalibus, dehiscentibus : sty/us filiformis: stigma 2-fidum, loculis snbaequalibus acutis: gymnobasi col- liculi oblongi trigoni obtusi, latore externo, convexi. 279. BETONICA L. Calycis 2-labiati, tubus tandem campanulatus 10- nervis, faux nuda, labium superius 3-fidum, inferius 2-fìdum, laciniis omni- bus aequalibus spinescentibusrcorollae 2-labiatae tubus gracilis incurvus exertus, faux nuda raro dilatata, labium superius erectum subconvexum apice crena- tum, vel 2-fidum, inferius 3-fidum patens, lacinia media majore subrotunda: staminum filamenta incurva post dehiscentiam erecta : antherae 2-loculares, loculis rotundis parallelis , valvis aequalibus dehiscentibus ; Stylus filiformis : stigma 2-fidum, lacinulis subaequalibus subulatis recurvis: gymnobasi colliculi oblongi, apice subtruncato, quandoque glandulosi. 280. MARRUBIUM L- Calycis tubus cylindricus 10-nervis, faux barbata, limbi dentes 5-10 subaequales erecti tandem saepe patentes, apice spinulosi: corollae 2-labiatae tubus subexertus , faux nuda , labium superius erectum 2-fidum ant emarginatum, inferius patens 3-fidum, lobo medio laliore: geni- talia profonde inclusa: staminum filamenta subulata brevissima: antherae parvae 2-loculares, loculis oblongis divaricatissimis: Stylus filiformis, stamina aequans; stigma 2-fidum lacinulis obtusis brevibus : gymnobasi colliculi oblongo-tri- goni obtusi minute granulati, latore externo convexi- 281- PHLOMIS L. Calycis tubus pentagonus 5-10-nervis sulcatus apice fere truncatus, faux nuda, limbi dentes 5 brevissimi lati mutici vel subulato- spinosi: corollae 2-labiatae tubus inclusus vel vix exertus, faux nuda, labium superius galeatum, galea carinata antico lacinulata vel emarginata, labium in- ferius 3-fidum, lacinia media magna: staminum filamenta subulata incurva, superioribus basi appendiculatis: antherae 2-locuIares, loculis ovatis parallelis basi connatis: Stylus filiformis, staminibus longior: stigma 2-fidum lacinulis valde inaequalibus : gymnobasi colliculi oblongo-trigoni quandoque truncati glabri, apice pubescentes- Ordo il Angyospermia. Verbenaceae Juss. 282. VERBENA L. Calycis monosepali tubus cylindricus 5-costatus , faux nuda, limbus 5-dentatus, dentibus subaequalibus: corollae 2-labiatae tubus gracilis exertus rectus vel incursus , in faucem barbatam dilatatus , labium superius erectum pianura 2-lobum, inferius 3-fidum patens, laciniis obtusis: stamina inclusa, fìlamentis brevibus: antherae ovatae, loculis oppositis: Stylus longitudine staminum: stigma 2-lobum, lobo altero rotondato, altero: acuto ca- psula oblonga i-locularis 4-sperma. 283. ViTEX L. Calycis monosepali tubus cylindricus vel campanulatus: faux nuda, limbus 5-dentatus vel 5-fìdus, dentibus lacinibusve fere aequali- bus : corollae 2-labiatae tubus tenuis, faux ut plurimum inflata, labium su- perius pianura 2-lobum, inferius 3-fidum, lacinia media majore: stamina ad- scendentia saepius exerta, fìlamentis subulatis: antherae didymae, loculis di- varicatisi Stylus filiformis: stigma 2-fìdum: drupa 4-locularis 4-sperma: semen unicum ut plurimum fecundum. Primvlaceae Schultz. 284. ERINUS L. Calycis tubus campanulatus, limbus 5-partitus: corollae sub-2-labiatae tubus cylindricus exertus, faux nuda, labium superius minus patens 2-partitum , inferius 3-partitura , laciniis obcordatis 2-fìdis ant inte- grisi stamina inclusa: filamenta subulala: antherae reniformes 1-loculares: Sty- lus brevissimus: stigma breve^ csassum obtusum 2-lamellatura: capsula l-lo- cularis 2-valvis, dissepimento vaivari placentario incompleto, valvis maturitc 2-fìdis. ScROPHULARlNEAE ScHULTU. 285. RHINANTHUS L. Calycis tubus subrotundus rcticulato-venosus ventricosus ore contractus 2-labiatus, labia brevia 2-fida acuta: corollae 2- labiatae tubus inclusus, faux exerta sensim dilatata, labia approximata, su- perius galeato-carinatum, apice integrum vel emarginatum, sub apice lacina obtusa utrinque appendiculatum, inferius 3-fìdum patens, segmentis ovatis, medio majore: staminum filamenta medio geniculata, supra geniculum flexuosa: antherae didymae 2-loculares, loculis oblongis margine barbatisi Stylus fìli- formis: stigma capitatum: capsula suborbicularis compressa mucronulata 2- valvis, dissepimentis placentariis medianis, 2-locularis, loculis polyspermis. 286. BARTSIA L. Calycis tubus subcompressus in fructu turgens, lim- bus 2-labiatus, labiis 2-fìdis (4-fìdus aliorum): corollae 2-labiatae tubus in- clusus vel exertus in faucem infundibuliformem protractus, labium superius — 125 — galeatum integrum ant emarginatum, inferius 3-fìdum patens, laciniis subae- qualibus, palato, prominentiis aut maculis duabus, notato: stamina incurva: fila- menta filiformia, antherarum loculi oblongi ut plurimum apice barbati, basi mu- cronulati: Stylus filiformis, staminibus longior: stigma clavatum: capsula ovata vel oblonga subcompressa 2-valvis, dissepimentis placentariis medianis, 2-lo- cularis, loculis polyspermis. 287. EUPHRASIA L. Calycis tubus cylindricus vel campanulatus 4-ner- vis, limbi 4-fidi laciniae aequales: corollae 2-labiatae tubus, calycem subae- quans , faux breviuscula subdilatata , limbum superius concavum galeatum antico 2-lobum, lobis ut plurimum latis patentibus quandoque conniventibus, labium inferius 3-fidum, laciniis subaequalibus obtusis emarginatis: stamina incurva: filamenta filiformia; antherae oblongae, loculis superius barbatis in- ferius auriculato-spinulosis: Stylus filiformis tandem exertus: stigma capitatnm: capsula oblonga subcompressa 2-valvis: dissepimentis placentariis medianis , 2-locularis, loculis polyspermis. 288. SCROPHULARIA L. Galyx 5-partitus, partibus obtusis senio sca- rioso-marginatis: corollae 2-labiatae tubus inflatus subglobosus, calyce longior, faux nuda contracta, labium superius erectum 2-lobum, squama nectarifera quandoque interjecta, inferius 3-lobum, lacinia media reflexa, lateralibus ere- ctis patentibus: staminum filamenta crassiuscùla , quandoque piloso-glandu- losa: antherae reniformes 1-loculares 2-valveé: Stylus subulatus: stigma ca- pitatum: capsula 2-valvis, dissepimento marginali 2-partibili, 2-locularis, loculis polyspermis. 289. PEDICULARIS L. Calycis tubus cylindricus vel campanulatus nervo- sus, in fructu ventricoso-compressus: limbi quodamodo 2-labiati 1-5-fidì sae- pius 4-fidi, laciniis integris, dentatis, laciniato-dentatis: corollae 2-labiatae tubus angustus, faux nuda sub-2-labiata, labium superius galeatum, gala compressa obtusa integra, vel antico utriuque 1-dentata, vel rostrata, rostro troncato vel 2-dentato, inferius 3-lobum basi constrictum, tubis rotundatis, medio mi- nore: staminum filamenta filiformia, antherae oblongae, loculis approximatis: Stylus filiformis: stigma capitatum 2-lobum: capsula oblonga compressa apice rostrata 2-valvis, dissepimento vaivari mediano, 2-locularis, loculis polyspermis. 290. MELAMPYRUM L. Calycis tubus cornpressus in fructu auctus, lim- bus 4-fidus, laciniis subaequalibus vel superioribus majoribus, omnibus longe acuminatis: corollae 2-labiatae tubus cylindicus superne dilatatus, faux nuda ut plurimum pervia , labium superius galeatum , galea fornicato-compressa — 126 — intus barbata, apice emarginata, margine utrinque replicato, et quandoque 2-dentato , labium inferius erectum apice 3-sectum, segmentis brevibus ae- qualibus, pectore 2-scrobiculatum: stamina sub galea, filamentis subulatis, an- theris oblongis, loculis contiguis, apice divergeutibus, ciliatis vel barbatis et saepe mucronatis; Stylus filiformis: stigma obtusum: capsula compressa acuta vel rostrata utrinque sulcata 2-valvis, dissepimento vaivari mediano, 2-locularis, loculis mono-olygospermis. 291. DIGITALIS L. Calyx 1-sepalus 5-partitus, lacinia superiore ut plu- rimum angustiore: corollae 2-labiatae tubus e basi angusta campanulatus de- flexus , faux nuda, labium superius brevissimum integrum vel emarginatum, quandoque 2-fidum, labium inferius 3-lobum, lobo medio majore saepe elon- gato barbato vel nudo, lateralibus brevissimis : staminum filamenta subulata antherae 2-loculares, loculis oblongis divergentibus: Stylus filiformis: stigma breviter 2-fìdum, laciniis applanatis obtusis: capsula ovoideo-acuta ant acu- minata 2-valvis, dissepimento vaivari marginali 2-partibili, 2-locularis, loculis polyspermis. Antirrhineae Chav. 292. ANTIRRHINUM L. Calyx 1-sepalus liber 5-partitus, partibus duabus inferiorioribus divergentibus: corollae personatae tubus dilatatus basi gibbus: labium superius emarginatum vel 2-fìdum saepe reflexum, inferius 3-fìdum, lobis planis patentibus vel reflexis, palato ampio faucem claudente: stamina inclusa, antheris 1-locularibus per paria approximatis, rudimento quinti saepius adjecto: Stylus filiformis: stigma obtusum, saepe obscure 2-lobum, lobo altero minimo: capsula subrotunda 2-locularis apice poris 2-3 dehiscens. 293. LINARIA TOURN. Calyx 1-sepalus liber 5-partitus, partibus duabus inferioribus divergentibus: corollae personatae tubus basi calcaratus: labium superius emarginatum vel 2-fìdum saepe reflexum , inferias 3-fìdum , lobis planis patentibus vel reflexis, palato nnuc prominulo faucem claudente, nunc depresso, fauce pervia: stamina inclusa, antheris 2-locularibus per paria ap- proximatis, rudimento quinti saepius adjecto: Stylus filiformis: stigma obtusum saepe obscure 2-lobum, lobo altero minimo: capsula subrotunda 2-locularis, lacinulis 4-5, dehiscens. — 127 — Orobancheae Bartl. 294. OROBANCHE L. Calyx liber persistens 2-sepalus, sepalis oppositìs integris dentatis 2-fidisve , quandoque 1-sepalus campanulatus , limbo 4- 5-fido: corollae 2-labiatae tubus subcylindricus incurvus sucessive in faucem dilatatus, quandoque infra medium constrictus, labium superius erectum ut plurimum 2-fidum, labium inferius patens 3-lobum: stamina inclusa, lìlamentis subulatis basi dilatatisi antherarum loculi, basi divaricata, aristati, rima com- missurali, barbati: gianduia sub ovario: Stylus simplex saepe piloso-glandu- losus: stigma capitato-2-lobum: capsula oblunga 1-locularis superius incomple- te 2-valvis polysperma: semina minutissima subglobosa. 295. LATHREA L. Calyx liber 1-sepalus tubuloso-campanulatus, limbo 4-fido, laciniis erectis subaequalibus: corollae 2-labiatae labium superius sub- eretum fornicatum , labium inferius minor breviter 3-fìdum , laciniis subae- qualibus: stamina incurva saepe exerta, filamentis subulatis, antheris oblongis, basi divaricata, barbatis: Stylus staminibus longior incurvus: stigma capitatnm 2-lobum; capsula snbglobosa 1-locularis 2-valvis polysperma: semina subglo- bosa minutissima. Didynamia Gymnospermia. PRUNELLA. 1133. vuLGARis. L. Sp’ PI' p- 837. Glabra mox hirsuta. Caule decum- bente vel erecto e basi ramoso: foliis petiolatis ovato-oblongis inferius quan- doque dentatis : fasciculis 3-floris , bracteis cordato-semiorbiculatis venosis margine ciliatis alternatim oppositis, insidentibus, in spica cylindrica compacta obtusa: dentibus calycinis labii superioris dilatatis mucronulatis: corollae calyce longioris, galea erecta. P. vulgaris Sebaste En- PI. Amph. Flavii p. 65- n. 188- - Seh. el Maiir. FI. Borri- Prod. p. 198. n. 680. - Beri- FI. Il- t. 6. p. 250. - Brunella major folio non dissueto Hort. Borri- t. 3. tab. 32. - Prunella latifolia Italica flore carneo Barrel. le. 562. In ageribus et sylvaticis vulgaris. Perenn. Fior. Aprili-Junio- Flores violacei. Tulgo. Brunella. Usus. In veteri medicina Prunellae herba enumerabatur ad anginam sa- nandam. 1134. LACINIATA- L. Sp. PI- p. 837. Hirsuta. Caule decumbente vel ad- — 128 — scencente e basi ramoso : foliis inferioribus longe petiolatis ovato-oblongis, superioribus sessilibas lanceolatls pinnatifidis: fasciculis 3-floris, bracteis ve- nosis cordato-semiorbuculatis abbreviatis ciliatis alternatim oppositis , insi- dentibus , in spica cylindrica compacta obtusa: dentibus calycinis labii su- perioris dilatatis mucronulatis: corollae, calyce subduplo longioris, galea dila- tata incurva, P. laciniata Seh. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 199. n. 681. - Beri. Fior. Il t. 6- p’ 254. - Brunella flore laciniato , flore albo. - Hort- Rom. t. 3. tab. 31. In sylvaticis communis. Perenn. Fior. Junio-Julio. Flores albi. MELISSA. 1135. oFFiciNALis. L. Sp- PL p. 827. Filosa vel hirsuta. Caule erecto, ramìs brachiatis: foliis caulinis ovato-oblongis saepius cordatis, longe petio- latis grandidentatis , rameis multo minoribus breviter petiolatis dentatis: co- rymbis axillaribus breviter pedunculatis secundis, in spicis interruptis elongatis; pedicellorum bracteolis ovatis: corollis calyce longioribus. M. offlcinalis Seb- et Maur- FI- Rom- Prod- p. 198. n. 676. - Bert- FI. Il t- 6. p- 229. - M. cordifolia - Seb- En- PI. Amph- Flavii p. 58. n. 158* - M. hortensis. Hort- Rom. t- 3. tab- 61. -M- sylv- hirsuta maj. Italica. Bar- rei. le. 1222. In sylvaticis, ad sepes, muros etc. ubique. Perenn. Fior. Junio-Julio. Flores albi. Vulgo. Melissa, Cedronella. Usus. Infusum foliorum, florum et seminum, nec non aqua stillatitia in hysterismo jam valuit, et diaphoretici famam habuit. Alcoolatum Melisae in vulgari usu ab antiquitus usurpatur uti exilarans, anthelminticum, antiputridum, In callopistria quoque valet. PRASIUM. 1136. MAJus. L- Sp- PI- p. 838. Caule erecto ramìs nurnerosis decus- s&tis: foliis ovato-oblongis basi truncatis serratis. P. majus. Seb- et Maur. FI. Rom. Prod- p. 199. n. 682. - Bert- FI. It. t. 6. p- 258 - Galeopsis hispanica frutescens Teucrii folio. Hort. Rom. t. 3. tab- 37. - Teucrium inodorurn, frutìcosum lucidum, flore albo, semine nìgro carnoso vinosoque in maritimis. Bocc- Rech- et Observ- p. 198. - T. frutìcans incanum. Cretic. fl. purpur. Barrel. le- 896. — 129 — In muris vetustis et rupìbus maritimis. Sepolcro di Cecilia Metelhi Co- losseo, Porto Trajano etc. THYMUS. 1137- Serpillum. L. Sp< PI- p. 825. Breviter pubescens. Caule decum- bente radicante valde ramoso, ramis adscendentibus: foliis ovatis oblongisque nervosis punctato-glandulosis basi ciliatis: fasciculis oppositis 6-floris in ca- pitulo elongato mox interrupto: foliis floralibus basi angustatis: bracteolis li- nearibus, pedicello multo brevioribus: calycibus pìloso-ciliatis. T. Serpillum Seh. et Maur. FI- Borri- Prod. p- 197. n. 672. - Beri. FI. II. t- 6. p. 201. - Serpillum vulgare Hort. Borri, t. 3. tah. 69. « montanus. Major erectus, capitolo elongato saepius non interrupto. /3 gracilis* Minor, foliis sublinearibus, capitolo abbreviato non interrupto. In apricis siccioribus, et ad oras nemorum. Yilla Medici, Pamfili, Bor-- ghese etc. a in apricis elatis Monte Gennaro- ^ in Apenninorum elatis Vettore. Fruticulus. Fior- Aprili-Majo. Flores purpurascentes. Vulgo- Serpollo. Usus- Stipticus adstringens tonicus, a medicis jam frequenter utebatur, none injuria obsoletus. Ad cibos campestres condiendos quandoque usurpatur. Apes plantam summopere diligunt. 1138. Zygis. L. Sp- PI p- 826. Piloso-pubescens. Caule postrato valde ramoso, ramis erecto-adscendentibus : foliis linearibus margine ciliatis parce punctato-glandu’osis : fasciculis oppositis sub-3-floris in capitolo terminali raro interrupto : foliis floralibus rombeo-ovatis basi dilatatis: bracteolis linea- ribus brevissimis: calycibus hispido-ciliatis. T. Zygis. Bert- FI. It. t. 6. p. 206- - T. acicularis. Sang. Cent, tres p- 85. n. 192. - Thymum hircinum italicum. Barrei- le- 387. - Serpillum sa- xatile hirsutum Thymifolium nanum flore rubello. Bocc- Mus. di piant. p. 108. et T. saxatile nanum tab. 89. Circa Tibur abbunde praesertim ad Lago de' Tartari, et alla Caduta delle Marmore secus Interamnam. Suffrutex- Fior. Majo- Flores dilute rosei laciniis labii inferioris purpureo maculatis. Vulgo, Serpollo montano. 1139. PANNONicus- Benth- Lab- p. 345. Cano-hirsutus. Caule decombente ramoso , ramis adscendentibus elongatis ; foliis ovatis oblongisque nervoso- venosis glanduloso-punctatis : fasciculis sub-6-floris oppositis in spica inter- 18 — 130 rupta; foliis floralibus, caulìnis conformibus : bracteolis linearibus basi latiu- sculis: calycibus dense ciliatis. T. pannonicus. Beri- FI. Il t. 6* p- 209. In rupestribus montanis Umbriae. Vettore. Suffruticulus. Fior, aestate. Flores pallide rosei. 1140. vuLGARis- L- Sp- PI. p- 825. Cano-pubescens. Caule erecto ra- mosissimo, ramis fastigiatis tandem spinescentibus: foliis ovato-lanceolatis li- nearibusque nervosis margine revolutis dense punctato-glandulosis: florum fa- sciculis oppositis in spica densa, quandoque elongata et inferius interriipta : foliis floralibus, caulinis conformibus: bracteolis linearibus brevissimis : caly- cibus basi ciliatis. T. vulgaris. Sebast. En- Pi. Amph. Flavii p- 72 n* 223. - Fior. Gior. de' letter. di Pisa 1828- tom. 17. p. 295. - Bert- Fi It. t. 6. p. 210. - T. vul- garis folio latiore. Hort. Rom. t. 3. tab. 68. In collibus Anxuris et praesertini in Circaeo , nec non in Amphiteatro Flavio. Frùtex. Fior. Majo-Junio. Flores rosei. Vulgo. Timo, Erba Pepe. Usus. Pianta insigniter aromatica, ad vires refucillandas, anteactis prae- sertim temporibus, adhibita: ab ipsa, oleum volatile, sub nomine Essenza di Timo, a chimicis educitur ; itera plurimis in alcoolatis ingreditur. In culinis etiam expetitur- Pecori tandem summopere grata: lac et caseum facile tbymo redolet, dum armenta, ipso pascuntur. 1141. Acinos. L. Sp‘ PI p. 826. Pubescens. Caule adscendente erecto quandoque radicante, ramis elongatis erectis: foliis ovatis lanceolatisve ciliatis laxe nervosis eglandulosis: fasciculis oppositis 3-floris, in spica laxa elongata: foliis floralibus, caulinis conformibus, fasciculis longioribus: bracteolis brevis- simis linearibus acutis: calycibus nervoso-ciliatis. T. Acinos. Seb- et Maiir- FI. Rom- Prod- p. 179. w. 673. - Bert. FI. Il t. 6. p. 21.3. In montium siccis arenosis saxosis Monte Cavi etc. Annuus. Fior. Junio-Julio. Flores subviolacei. 1142. ALPiNUs. L- Sp- PI- p- 826. Villosus. Caule decumbente radican- te ramoso , ramis adscendentibus : foliis late-ovatis apice acutis subserratis viridibus subtus pallidioribus: fasciculis sub-3-floris oppositis in spica laxa in- — 131 — terrupta: foliis floralibus caulinis conformibus: bracteolis lanceolalis minutis- simis: calycibus ciliatis: corolla, calyce, multo longiore. T. Alpinus Beri. FI- It. t. 6- p- 215 - Clinopodium perenne Pulegii odore, Majoranae folio Patavinum Bocc. Mus. di pianta p. 60- et G. perenne Pulegii odore l c. t- 4-5. fig- B. B. B. et C- minus angustifolium Pulegii odore Romauum /• c. p’ 50 et C. minus Pulegii odore Romanum l. c- tab. 45- In rupestribus montiurn apeninorum. Vettore. Suffruticulus. Fior. Majo- Julio- Flores purpurei quandoque albi. 1143. Nepeta Smith Erigi- Fior- t- 3. p. 110. Subhirsutus. Caule de- cumbente erectove ramoso, ramis patulis: foliis ovatis remote crenatis: corymbis axillaribus oppositis in spica elongata interrupta: foliis floralibus, caulinis con- formibus , superioribus minoribus: braeteolis lanceolatis brevissimis: barba faucis calycinae exerta: corolla, calyce, triplo longiore. T- Nepeta Seb- et Maur- FI- Rom- Prod- p. 197. n- 675 - Bert- Fior- ii- t. 6. p- 220 - Calarnintha Pulegii odore minor, Italis Mentuccio menore o Nepetella. Barrei- le- 1166 - C. montana prealta Pulegii odore, dentatis foliis , fìoribus dilute coeruleis ex longo ramoso et brachiate pediculo pro- deuntibus. Bocc- Mus. di piani, p- 45 et C. praealta Pulegii odore l. c. tab- 40 et C. praealta Pulegii odore altera seu ex Sabaudia l. c. tab- 38. In siccis et viis ubique Perenn. Fior, aestate- Flores albo-subcarnei. Vulgo. Mentuccia Usus. Ob gratum odorem, Menthae Pelegii affìnem, in culinis usurpatur, et praesertim ad condiendam Cynaram vulgarem, et fungos- 1144. Calaiìhntha Scop- FI. Corn- ed 2. t- 2- p. 425. Hirsutus. Caule- ^ prostrato radicante ramoso, ramis simplicibus erectis : foliis majusculis late ovatis serratisi corymbis paucifloris oppositis in spica elongata interrupta: foliis floralibus, caulinis conformibus, successive minoribus: bracteis linearibus brevibus: corollis, calyce, sub duplo longioribus. T. Calarnintha Seb. et Maur. FI- Rom- Prod- p. 197‘ n- 674 - Bert. FI. It- t- 6. p- 223 - Melissa Calarnintha Sebast. En. PI- Ampli- Flavii p. 58. n- 157 - Calarnintha magno flore Ilort. Rom- U 3- lab- 63. In montibus ad vias vulgaris, Albano, Frascati, Tivoli et in Amphitea- tro Flavio. Perenn. Fior, aestate. Flores purpureo - violacei. Odor gratus. Vulgo. Colamento, Calaminta- — 132 — Usus. In materia medica Linnaei Calaminthae herba enumerabatur, et uti stomatica a plurimis medicis laudabatur Nunc injuria obsolevit- 1145. GRANDiFLORUs Scop. FI. Cam. ed 2. t.2. /?. 424. Pubescens. Caule erecto subsimplici : foliis ovatis acutis grosse serratis : corymbis axillaribus paucifloris, inferioribus, folio brevioribus: bracteolis lanceolatis linearibus ciliatis: eorollis, calycibus cylindricis, duplo longioribus. T. grandiflorus. Maur. Cent. 13. p- 30. - Beri. FI. It. t. 6* p. 226. - Calamintba montana praestantior fl. purpureo- BarreL le. 398. - Bocc. Mus. di piani, p. 45. tab. 40. In sylvis montium.^ Serra S. Antonio. Perenn. Fior- aestate FI* purpurei. Usus. Clarissirnus Bertolonius remedium praestantissimum in pianta nostra praebet ad menses ciendos. SATUREIA. 1146. JULiANA. L. Sp‘ PI p- 793- Subbirsuta. Caule erecto ramoso, ramis strictis: foliis radicalibus ovatis, caulinis oblongo-lanceolatis margine revolutis: corymbis oppositis breviter pedunculatis multifloris fastigiatis, in spica elongata interrupta : bracteolis linearibus, calycibus subaequalibus : calycis 10-striati, dentibus erectis, fauce nuda. S. juliana- Sang- Cent- tres p- 85- n* B9Ì- - Beri- Fl- It. t- 6- p- 43- Ad rupes prope Anxurem. Suffrutex- Fior. Majo-Junio. Flores rosei. 1147. GRAECA- L. Sp. PI. p. 794- Subbirta. Caule decumbente vel ad- scendente ramoso, ramis erectis elongatis : foliis radicalibus ovatis, caulinis lanceolatis subtus venosis: corymbis oppositis pedunculatis 3-6-floris, in spica laxa elongata: bracteolis linearibus, ealyce multo brevioribus: calycis 10-striati dentibus subulatis, fauce barbata. S. graeca. Seb- et Maur- FI- Bom- Prod- p- 190. n- 640. - Beri- Fl- It- t- 6- p- 45. - Calamintba frutescens Saturejae folio, facie, et odore. - Hort- Bom. t. 3. tab- 64. /3 tenuifolia. Foliis lineari-lanceolatis, corymbis multifloris. S. tenuifolia. Sang. Cent- tres p- 85- n. 190. - Hyssopus angustifolia spic- cato flore. Bocc. Rech- et obs. p. 201- Supra Urbis moenia , et muros siccos vulgaris- Cuppola di S. Pietro , Colosseo etc. ^ circa Auxur, Tibur etc- — 133 Suffrutex. Fior. Majo-Junio. Flores purpurescentes. Vulgo- Erba della cuppola. Usus. Apud nos lithontritici famam habet, et ad calculos urinarios ciendos propinatur- 1148- MONTANA. L- Sp. PI. p- 794. Caule adsendente ramoso: foliis lan- ceolato-elongatis apice mucronatis basi ciliatis: corymbis peduncolatis oppo- sitis sub-6-floris secundis, in spica densiuscula: bracteolis linearibus ciliatis: calycis 10-stiati, dentibus mucronatis, fauce pilosa. S. montana. Maur. Cent- 13- p- 29- - Beri. Fi- It- t. 6- p. 54. - Tym- bra legitima- H.ort. Boni- t- 3. tah. 71. In aridis et saxosis montium. Terni, Filettino, Subiaco etc- Suffrutex. FI. Junio-Julio. Flores albo-purpurescentes- CHLINOPODIUM. 1149. VOLGARE- L- Sp- Pl-p.82ì- Villosum- Caule simplici: foliis ovato- lanceolatis subdentatis: corymbis ramosissirais subsessilibus multifloris oppo- sitis axillaribus terminalibusque. C. volgare. Seb. et Maur- FI. Bom. Prod- p- 196. n. 170. - Bert- Fi. It. t- 6- p. 192 - C- Origono simile, datine, majori folio , flore rubente. Hort. Bom. t- 3. tab- 93- In viis sylvaticis et ad aras nemorum volgare. Perenn. Fior, tota aestate. Flores intense rosei. Vulgo. Clinopodio. MELITTIS. 1150. Melissophyllum- L- Sp- PI- p- 832- Pilosa. Caule simplici ramo- sove: foliis cordatis ovatis oblongisve grosse dentatis: floribus 1-3-axilIaribus secundis: limbo calycis trilobo, lobo superiore majore integro vel 2-dentato. M. Melissopbyllum. Seb. et Maur- FI- Bom. Prod- p- Ì98- n. GUI. ^ Bert. FI. It. t- 6- p- 237- - Melissa bumilis latifolia , maximo flore ex albo pur- pureo. Hort. Bom. t. 3- tab- 62- In umbrosis montium abbondo. Albano, Bocca di Papa etc. Perenn. FI. Majo-Junio. Flores albi, carnei sanguineis maculis notati- Vulgo. Bocca d'Orso- Usus. Pianta apibus grata, idcirco circa apiaria seritur. SCUTELLARIA. 1151. BASTI FOLI A- L. Sp- PI- p- 835. Caulc subsimplici adscendente ere- ctove: foliis subintegerrimis ovato-lanceolatis bastatis, floralibus conformibus — 134 — graduatim minoribus: floribus axillaribus solitariis oppositis secuadis, in spica laxiuscula foliata: bracteolis setaceis: corollae elongatae faune dilatata. S. hastifolia. Beri. FL It. t. 6- 242. - S. minor, Seb- et Maur- Fi Rom. Prod. p, 198. n. 678. Ad Tyberis ripas. Da Ponte molle ad acqua acetosa. Perenn. Fior. Junio. Flores rubicundi. 1152. CoLUMNAE- Benth. Lab. p. 430- Pubescens, pube incurva sepius glan- dulosa. Caule erecto inferius ramoso : foliis inferioribus cordato-ovatis , su- perioribus ovato-dentatis: floribus axillaribus solitariis secundis in spica elon- gata: bracteis integerrimis ovatis acutis, calyce brevioribus: corollae elongatae tubo cylindrico, fauce dilatata. S. Columnae. Seb. et Maur, FI. Rom. Prod. p. 198. n. 179. - Bert. FL It. t. 6. p- 246- - Cassida Colum- Ecphr. t- \- p- 187 fìg. p- 189. In sylvaticis urabrosis montium communis. Perenn. Fior- Junio-Julio- Flores coeruleo-violacei. AJUGA- 1153- GENEVENsis- L. Sp- PI. p. 785. Villoso-lanata. Caule solitario adscendente simplici, stolonibus nullis: foliis superioribus oblongis, inferioribus minoribus spathulatis , omnibus crenatis : fasciculis oppositis sub-4-floris in spica inferius late interrupta dispositis: corollae tubo longe exerto- A. genevensis. Bert. Ft. It. t. 6- p. 6. In pratis alpinis. Monte di Fiori in Piceno, et apud Viterbium. Perenn. Fior- Majo-Junio- Flores coerulei- 1154. ACkULis- Brocc- osserva salii Abruz- p> 20. n. 70. Pumila. Caule bre- vissimo stolonibus nullis: foliis oblongis obtusisve subrepandis in petiolum an- gnstatis: fasciculis oppositis paucifloris approximatis in spica abbreviata: bra- cteolis lanceolatis: corollae tubo, calyce, triplo longiore. A. acaulis. Bert. FI. It- f. 6- p. 8. Ad oras sylvarurn in apenninis Umbriae. Vettore- Perenn. Fior. Majo-Julio* Flores coerulei. 1155. REPTANs- L- Sp- PI- p. 785. Glabriuscula. Caule erecto basi sta- lonifero, stolonibus reptantibus: foliis ovatis crenatis integrisve, basi cuneata in petiolum attenuatis, superioribus sessilibus: fasciculis oppositis paucifloris superius approximatis inferne laxis, in spica dispositis: corollae tnbo, calyce duplo longiore. A. reptans. Seb- et Maur. FI- Rom. Prod. p. 188- n. 63Ì--Bert. FL lt> — 135 - 6. p. 9- - Bugula minima glabra flore azurreo Barrel. le. 337 et B. media flore coeruleo. le. 838. - Bugula- Hort. Rom. t. 3. tab. 99. In humidis nemorosis communis. Perenn. Fior. Aprili. Flores azurrei, coerulei, carnei. Vulgo. Consolida media. Usus. Ad vulnera medenda olim inservit, unde nomen vulgare, nunc raro usurpatur. 1156. Chamaepitys Benth. Lab. p. 699. Filosa. Caule basi diffuse ramoso, ramis approximatis erectis: foliis inferioribus lanceolatis parce dentatis, su- perioribus profunde Irifidis, basi cuneata, in petiolum attenuatis , floralibus flores longe superantibus : floribus axillaribus subsolitariis in spica terminali tandem interrupta: corolla calyce multo longiore. A. Chamaepitys. Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 189. n. 632. - Beri- FI. It. 6- p. Il- - Cliamaepitis vulgaris folio trifìdo, floribus luteis. Eort. Rom. t. 3. tab. 96. In sterilibus, arvis, saxosis communis. Perenn. Fior. Majo. Flores lutei- Vulgo et in offìcinis- Iva artetiea o Iva artritiea. Usus. Herbae contritae decoctio , jam plurimi habita in atritide , et rheumatismo, nunc injuria raro usurpata- 1157 Iva Sehreb. Unilab. p. 25- Hirsuta, Caule decumbente ramoso, ra- mis oppositis: foliis lanceolato-linearibus sessilibus grosse dentatis subinte- gerrimisve margine vix revolutis, floralibus superioribus subintegerrimis, flores aequantibus : fasciculis axillaribus subgeminis oppositis paucifloris in spica densa: corolla calycem multo superante. A Iva Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 189- n. 633. - Bert. FI. It. t. 6. p. 17 - Chamaepitys vulgaris, folio trifìdo, flore roseo. Hort. Rom. t. 3. tab. 98- In aridis montium. A Tivoli presso S. Antonio. Ann. Fior. Junio. Flores rubri- TEUCRIUM. 1158- Botrys. L. Sp. PI. p. 786- Villosum- Caule erecto ramoso, ramis decussatis adscendentibus: foliis pinnatifìdis in petiolum elongatum productis, pinnis lanceolatis, simplicibus, trifìdisve: fasciculis paucifloris axillaribus in caule ramisque spicatim dispositis: calycis inflati dentibus lanceolatis aequa- libus. T. Botrys Sancj. Cent, tres p. 82- n. 184 - Bert. Fior. It. t. 6- p. 17. In pascuis aridis montium Umbriae. Monte Bove. Ann. Fior. Junio, Augusto- Flores purpurei. 1159. FRUTiCANs L. Sp- PI. p. 787- Niveo-tomentosuin. Caule erecto, ramis decussatis adscendentibus; foliis ovato-lanceolatis breviter petiolatis su- pra atro-viridibus: floribus axillaribus solitariis: calycis campanulati dentibus aequalibus obtusis. T. fruticans Seb. et Maur. FI Rom. Prod. p. 189. n- 634. - Bert. FI. It t. 6. p. 18 - T. Boeticum Clu. Bocc. Rech. et obs. p. 211 - T- caesio et ampio rosmar- flore Boeticum Gius. Barreh le. 512. - T. Boeticum Hort. Rom. t. 3. tab. 91. In rupibus maritimis- Intorno Civitavecchia^ sul Circello etc. Frut. Fior. Martio, Majo. Flores coerulei. 1160. ScoRODONiA L. Sp. PI. p. 789- Pubescens. Caule erecto subsim- plici: foliis cordato-ovatis obtuse duplicato-serratis: floribus pedunculatis erectis secundis denuo pendulis, in racemo dentiusculo: calycis campanulati dentibus aristatis, supremo majusculo. T. Scorodonia. Seb. et Maur. Fi. Rom. Prod. p. 189. n. 635 - Bert. FI. It. t. 6. p. 22 - Scorodonia Salviae foliis parte interna candicantibus , floribus flavis in spica rariter dispositis ex uua et altera parte vegetantibus. Hort. Rom. t. 3. tab. 92- In sylvaticis montium Sul Tuscolo, GenzanOy Albano etc. Perenn. Fior. Junio, Julio. Flores ochroleuci, tubo rubicondo. 1161. PS EU DO Scorodonia Desf. FI. Atl. t. 3- p- 5* tab. 119. Villosum. Caule erecto sub-simplici, foliis ovato-oblongis basi subcordatis rugosis den- tatis: floribus subsessilibus secundis erectis denuo orizontalibus , in racemo denso saepe ramoso: calycis campanulati dentibus aristatis, supremo majore. In montanis maritimis. Allumiere della Tolfa. Perenn- Fior. Junio- Flores rubro-fusci. 1162. ScoRDiuM L. Sp. PI. p. 790. Pubescens vel hirsutum. Caule ad- scendente, ramis numerosis decussatis: foliis sessilibus oblongis serratis: floribus axillaribus pedunculatis subternis in spicis terminalibus lateralibusque: calycis subcampanulati dentibus aequalibus. T. Scordium Seb. et Maur. FI- Rom. Prod. p. 189. n. 636- - Bert. FI. It. t. 6. p. 26. In pratis depressis frequens. Perenn. Fior- Julio-Augusto. Flores rubri quandoque coerulesccntes. — 137 — Vnlgo. Scordio. Usus. Uti tonìcum et adstringens in veteri medicina invaluit, in Theria- cae, et Diascordii formulis ingrediebatur, nunc injura oblitum. 1163* Chamaedrys- L. Sp. PI p. 790, Villosum. Caule erccto vel ad- scendente saepius ramoso: foliis cuneato-ovatis duplicato-serratis, superioribus sessilibus: floribus axillaribus oppositis subternis in spicis foliatis interruptis terminalibus: calycis tubuloso-campanulati dentibus subaequalibus, T. Cbamaedrys. Seb- et Maur. FI Rom- Prod. p. 189- n. 637. - Beri. FI. It- t. 6. p. 29- - Cbamaedrys major et minor repens. Hort. Piom. U 3. tab. 88. In aggeribus et pascuis commune. Perenn. Fior. Majo-Junio- Flores rubri. Vulgo. Camedrio, Cerquignola. Usus. In veteri medicina Cbamaedrys herba plurimum voluit ad scro- phulas praesertim, et clorosirn sanandam: nunc ejus vis tonica praedicatur; quocirca decotio in febribus intermictentibus communiter usurpatur. 1164. FLAVUM. L. Sp. PI. p. 791. Molliter pubescens. Caule erecto , ramis brachiatis adscendentibus : foliis petiolatis, basi lata, ovatis crenatis ; racemis axillaribus oppositis cernuis secundis in spica elongata inferius in- teiTupta: calycis campanulati dentibus rnajusculis subaequalibus. T. flavum. Seb. et Maur- FI. Bom- Prod. p. 190. n. 638. - Beri. FI. It. t. 6. p. 31. - T, vulgare fruticans. Bocc- Rech. et obs. p> 211. - Cha- maedrys frutescens Teucrium vulgo. Hort. Rom. t. 3. tab. 89. In muris veteribus et in rupibus vulgare. Sul Colosseo, Monte Mario, etc. Suffrut. Fior. MaJo-Junio. Flores luteoli. Vulgo. Teucrio. Obs. Odor totius plantae aromaticus ingratus. 1165 MONTANUM L- Sp. PI p. 791. Albo-tomentosum, tomento brevi. Caulibus coespitosis decumbentibus , ramis numerosis adscendentibus: foliis lanceolato-linearibus integris margine revolutis : fasciculis subsessilibns op- posi lis axillaribus sub-3-floris in spica capitata congesta: calycis tubolosi la- ciniis aequalibus subulato-acuminatis. T. montanurn. Maur. Cent. 13- p- 29. - Bert. FI. It- t- 6. p- 34. In montanis aridis. Al Piglio, Serra S. Antonio etc. Perenn. Fior. Junio. Flores albo-Iuteoli. 1166. psEUDo-HYssopus. Schreb. Unii, p- 45. Cano-tomentosum, tomento 19 — 138 — fioccoso. Caulibus caespitosis decumbentibus, ramis erectis : foliis linearibus aut lineari-lanceolatis crenatis obtusis : fasciculis sessilibus axillavibus op- positis in capitulis terminalibus congestis ; calycis tubulosi dentibus parvis subrotundis, T. pseudo-hyssopus. Sang. Cent, tres p. 82- n. 185, ~ T. Polium ex parte. Beri. FI- II. t. 6. pag. 36- - Hyssopus apulus Dioscoridis et Serapionis. Column. Ecphr. t. p. 59. tab. 67. In collibus secus Interamnam. SufPrut. Fior. Junlo, Flores luteo-albi. 1167. Polium. L. Sp- PI p- 792. Cano-floccoso-tomcntosum. Caule caes- pitoso prostrato, ramis numerosis erectis: foliis obverse lanceolato-linearibus obtusis crenatis: fasciculis axillaribus oppositis in capitulis globosis termina- libus axillaribusque racematim dispositis : calycis tubuloso-campanulati den- tibus erectis obtusis acutisve. T. Polium- Seh. et Maiir. FI. Rom. Prod- p. 190. n. 639. - Beri. FI. h. t. 6. p. 36. - Polium marinum dasif. gnaphal. fior, albo Barrel. le. 1047, et P. montanum album serratum latif. supinum maj , et minus- le. 1074 , et 1078, et P. mont. alb. serratum latif, erectum maj. le. 1079. - P- mon- tanum candidum floribus ex albo flavescentibus. Hort. Rom. t. 3. p- tab. 93. (3 flavescens. Pianta major, tomento luteo-sulphureo denso. T. Polium /3, Beri. l. c. - Polium montanum luteum dasyphyllum ser- ratum. Barrel. le. 1073. In siccis collibus prope Urbem, et in maritimis. Maccarese, Terracina etc. Suffrut. Fior. Julio. Plores albi. Vulgo. Polio montano. Usus. Vis excitans in pianta nostra medici agnoscunt : veteres ad po- dagram pellendam plurimi laudarunt. SIDERITIS. 1168. sicuLA- Ab Ucr. opusc- di Ani. sic- t. 6- p. 253. - Albo-lanata- Caule adscendente parce ramoso, ramis erectis elongatis : foliis oblongo-spa- thulatis basi angustatis crenulatis, inferioribus abbreviatis: fasciculis oppositis axillaribus paucifloris in spica elongata interrupta : bracteis late subcordatis ovatis acutis integerrimis, inferioribus, floribus longioribus: calycis tubuloso- campanulati laciniis acutis conniventibus apice spinescentibus- S- sicula- Beri. FI. II. t- 6- p- 81- - S. Syriaca. Seb- et Maur. FI- Rom. — 139 — Prod. p. 191- 71. 648. Stachys lychnoides incana angustifolia fiore aureo italico. Parrei. le. 1187. In montibus subapenninis frequens. Pùofreddo: et in apennino umbro. Monte de' Fiori. 1169. MONTANA. L> Sp. PI. p. 802. Villosa, Caule subsimplici erecto quandoque e basi ramoso: foliis oblongo-lanceolatis basi angustatis, floralibus apice aristatis: fasciculis sub-3-floris oppositis in spicis interruptis terminali- bus: calycis tubulosi fauce dilatati, laciniis patentibus longe mucronato-aristatis. S. montana. Seb. et Maiir. FI. Rom. Prod. p- 190. n- 642. - ileri. FI. Il- t. 6. p. 83. - S- montana parvo flore nigropurp. Column. Eephr. t. l.p. 198. et S. montano parvo flore nigropurp. capite medio croceo fig. p. 196* In subappeninis elatioribus. Ann. Fior. Julio. Flores crocei, margine purpureo-ferruginei- 1170. ROMANA- L. Sp. PI. p- 802. Hirsuta. Caulibus caespitosis decum- bentibus quandoque adscendentibus simplicibus ramosisve: foliis ovato-oblon- gis serratis: fasciculis sub-3-floris oppositis in spicis foliatis interruptis ter- minalibus: calycis tubulosi laciniis patentibus lanceolatis spinescentibus, su- premo majore late-ovato. S. romana Sebast. En. PI. Amph- Flavii p. 70. n. 215 - Seb. et Maiir. FI. Piom. Prod. p. 190. n. 641. - Bert. FI. It. t. 6. p. 84. - S. hirsuta pro- cumbens , Hort. Rom. U 3. tab. 58. In siccioribus ad vias vulgaris. Ann. Fior. Majo-Junio. Flores albi. Vulgo. Stregonia. ORIGANUM. 1171. VOLGARE. L. Sp. PI. p. 824. Hirsutum, pilis raris. Caule erecto su- perne ramoso: foliis ovatis subintegris glandulosis nervosis: spiculis globosis oblongisve jamdudum densis in panicula corymbosa: bracteis ovatis concavis glandulosis quadrifariam dispositis : calycis glandulosi fauce dense barbata , dentibus erectis subaequalibus. 0. vulgare. Sebast. En. PI Ampli. Flavii p. 60. n- 167 - Seb. et Maiir. FI. Rom. Prod. p. 196- n. 671. - Rert. FI. It. t. 6» p. 195.- 0. sylvestre, Cunila bubula Plinii. Hort. Rom. t- 3. p. 75. /3 creticum. Spiculis elongatis prismatico-tetragonis. 0, vulgare /3 Bert. l. c. p^ 196. 5 virens. Pianta minor, spicis glomeratis, bracteis viridibus- — uo — 0, vulgare d Beri. l. c. p. 196. In collibus, arvìs siccis, sylvaticis communis species et var. S; jS in Piceno. Perenn. Fior. Jnlio. Flores purpurascentes- Vulgo. Origano^ Regamo. Usus. Vis excitans, tonica, diaphoretica, emenagoga in Origano veteres agnoverunt, et in horum generibns morborum frequentius usurparunt : nunc vix in uso. Apud italos in obsoniis praestat, et praesertim ad aleces condiendas. GALEOPSIS. 1172. Ladanum- L. Sp- PI p. 810. Pubescens. Caule erecto, ramis pa- tulis: foliis lanceolatis linearibusque grosse remoteque serratis: fasciculis op- positis axillaribus multifloris, in spica et magis inferius laxa: calycis tubolosi dentibus subulatis subaequalibus spinosis: corollae galea laeviter emarginata. G. Ladanum. Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 193. n. 657. - Bert- FI. It. t. 6. p. \25. /3 intermedia. Pianta minor, foliis ovato-oblongis subsessilibus serrratis G. Ladanum /3 Bert. l. c- p. 126. In montium messibus, et in Urbe ad Tyberim, /3 in sepibus apenninorum Castelluccio. Ann. FI. Julio-Augusto. Flores rosei. 1173. Tetrahit. L. Sp. PI. p. 810. Caule erecto ramoso, retrosum hi- spido, ramis patulis adscendentibus, internodiis superne tumidis: foliis ovato- acuminatis serratis hirsutis , superioribus ovato-oblongis: fasciculis oppositis axillaribus paucis multifloris in spica apice congesta inferius laxa : calycis tubolosi tandem campanulati , dentibus aequalibus rigidis spinosis : corollae galea serrulata. G. Tetrahit- Sang. Cent, tres p. 83. n. 286- - Bert. FI. It. t. 6. p. 128. In montium arvis. Caduta delle Marmore; in Monte Gennaro copiosissima. Ann. Fior. Julio. Flores rubelli, labio inferiore albo, variegati, vel toti albi. MENTHA. 1174. sYLVESTRis L. Sp. PI. p. 804. Cano-tomentosa. Radice repente: caule erecto superius ramoso: foliis subsessilibus ovato-lanceolatis lanceolatisve argute serratis: fasciculis oppositis multifloris in spicis densis elongatis in- ferius interruptis terminalibus axillaribusque: bracteis lineari-lanceolatis: den- tibus calycinis lineari-setaceis. M. sylvestris Bert. FI. It. t. 6. p. 88. — 141 — ^ Major. Spicis crassiusculis elongatis subcontinuis : foliis molliter pu- bescenti-Ianuginosis, inferioribus subcordatis. M. sylvestris /3. Bert. i c. p. 89 - M. sylvestris. Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 191* n. 644. 7 Minor. Spicis gracilibus: foliis brevioribus, ramis numerosis divaricatis. M. sylvestris 7 Bert. l. c. Species in pratis elatiorum montium Vettore , varietà tes communes in pratis et depressis. Perenn. FI. Julio, Augusto. Flores dilute purpurei. Vulgo. Menta sabatica^ Mentastro. 1175. MACROSTACHYA Teti. FI- Nap> t- 2. p. 30. tah. 56. Pubescens. Ra- dice repente: caule erecto superne ramoso: foliis ellipticis rotundisve subses- silibus crenatis rugosissimis : fasciculis oppositis multifloris in spicis cylin- dricis densis quandoque basi interruptis, terminalibus lateralibusque: bracteis linearibus acuminatis: dentibus calycinis acuminato-subulatis. M. macrostachya BerU FI. It. t. 6. p. 91 - M. rotundifolia Seb- et Maur. FI. Rom. Prod. p. 191. n. 645. ^ elliptica. Foliis late ellipticis. § oblonga. Foliis minoribus elliptico-oblongis. In pratis depressis, ad Tyberirn, ad fossas communis tam species, quam varietates. Perenn. Fior. Julio-Augusto. Flores albo-purpurascentes. Vulgo. Mentono. 1176- viRiDis L, Sp. FI. p. 804. Glabra. Radice repente: caule erecto adscendente valde ramoso: foliis sessilibus vel breviter petiolatis lanceolati^ serratis : verticillis oppositis multifloris in spicis cylindricis basi interruptis terminalibus: braeteis superioribus lanceolatis, fasciculis, longioribus, superio- ribus lanceolato-linearibus, brevioribus: calycis glandulosi dentibus lanceolatis subulatis. M. viridis Seb. et Maur. FI- Rom. Prod. p. 191. n. 646 - Bert. FI. It. t. 6- p. 93- In humidioribus secus vias non infrequens, et in hortis culta. Perenn. Fior. Augusto. Flores purpurascentes. Vulgo. Menta romana. 1177. HiRsuTA L. Mant. 1. p. 81. Pubescens vel hirsuta. Radice late repente: caule inferius decumbente et ad nodos radicante , superius adscen- — 142 — dente-ramoso: foliis petiolatis sessilibusque ovatis serratis quandoque cordatis: corymbis axillaribus oppositis in capitulis terminalibus , lateralibusque , ter- minalibus 2-3 superimpositis; braeteolis lanceolato-linearibus: laciniis caly- cinis lanceolato-acuminatis. M. hirsuta FL Rom, Prod. p. 191 n- 647 - Bert. FL It. t- 6. p. 95. /3 pubescens- Foliis molliler pubescentibus, capitulis majoribus, braeteolis ovato-acuminatis. In aquosis aud frequens- Presso la sponda del Tevere extra portam Fla- miniam- /3 in alpinis- Al fonte del castelhiccio di Norcia. Perenn. Fior. Julio-Augusto. Flores purpurascentes. Vulgo. Menta acquatica. Obs. Odor camphoratus suavis, sapor fervens. 1178. PuLEGiuM L- Sp. FI. p. 807. Filosa, quandoque hirsuta. Radice repente: caule inferius decumbente et radicante, superius erecto valde ramoso: foliis ovatis obtusis breviter remoteque serratis , quandoque oblongis: fasci- culis oppositis multifloris capitulos simulantibus in spicis numerosis inter- ruptis: calycis tubolosi dentibus ovato-lanceolatis ciliatis. M. Pulegium Seb. et. Maur. Fi Rom. Prod. p. 192. n. 648 - Beri. FI. It. t- 6. p. 102 - Mentha aquatica seu Pulegium volgare. Hort. Rom t. 3- tah- 49- In humidis et ad ripas Thyberis frequens, Perenn. Fior- Junio-Julio- Flores purpurascentes. Vulgo- Pulegio. Usus. Omnes Mentharum species oleo volatili replentur, distillationis ope, commercio tradito, sub nomine olei M. Piperitae, eo quod prae aliis speciebus abbundet in M. Piperita L. anglicarum regionum indigena. Buie specie! val- de alfinis M. viridis nostra, et sub hoc nomine Menta peperita in Italiae hortis colitur ad oleum educendum, quo pastillos et belliaria condimus. Omnibus Men- tharum speciebus vis tonica corroborans antisectica a Medicis tributa, qua de re earum aqua stillatitia in histeria, colica, vomito frequentius hadibita; none pa- rum in usu. Oleum istud insecta enecat, uti evenit de aliis oleis essentialibus, et M. Pulegium suum nomen obtinuit, eo quod ad Pulices destruendas jam a vulgo pianta usurpabatur {Continua) — U3 — Fisica — Sulla polarità elettrostatica. Quarta comunicazione del prof. P. Vol~ PICELLl. %. 1. Perchè meglio s’intenda il significato , e la utilità scientifica delle nuove sperienze, che formano il soggetto di questa mia quarta comunicazione, mi necessita richiamare alla memoria taluni dei risultamenti da me ottenuti, e riferiti nella terza, e nell’ appendice alla medesima, sull’ attuale argomento. Per tanto nella sessione 111.^ , del 7 febbraio 1858 (1) , feci conoscere che sviluppasi nella cera di Spagna una polarità elettrostatica, da me chiamata successiva, ottenuta stropicciando la detta cera colle dita, e senza involucro di sorta : sviluppasi cioè nella medesima sostanza , per un attrito leggiero la elettricità positiva, e per un attrito forte la negativa. Inoltre avvertivo che a produrre la elettricità positiva nell’ indicato modo , era necessario che quella sostanza mostrasse , prima di subire l’attrito, uno stato di elettricità perfettamente neutro. Facevo di più osservare che con questo mezzo stesso, passavasi dal positivo al negativo per l’ intermedio della tensione zero, pratican- do, ben’inteso, un attrito gradatamente sempre più forte. Riferivo eziandio che sviluppata una volta la elettricità negativa, non eravi più modo, qualunque fosse l’attrito colle dita nude praticato sulla cera di Spagna, di svolgere sulla me- desima la elettricità contraria, cioè la positiva; salvo qualche raro caso, in cui si era ottenuto il cangiamento dal negativo in positivo, il quale tornando per mezzo di un attrito maggiore ad essere negativo, non orasi più potuto rendere di nuovo positivo. Dissi che il vetro ed il zolfo non offrivano punto il curioso feno- meno di cui parliamo; quindi opinai che il medesimo sembrava essere proprio delle sole resine; feci conoscere che questi fatti ottenevansi pure se le dita veni- vano ricoperte di lana, e che tanto il condensatore di Volta, quanto l’elettro- scopio a pile secche , avevano ambedue servito a dimostrarli. Tutto ciò fu partecipato anche all’accademia delle scienze dell’ I. istituto di Francia (2). Nella sessione V.^ dell’ 11 aprile 1858 (3), in appendice a quanto avevo annunciato nella sessione precedentemente citata , davo estensione maggiore al fenomeno della polarità elettrostatica successiva , ottenuta colla cera di Spagna. Facevo in fatti conoscere che ricoprendo le dita con un guanto di (1) Y. questi Atti T. XI pag. 143. (2) Comptes Rendus T. XLXI, séance du 15 marsl858, T^,^ZZ,troisième obscrvation. (3) V. questi Atti T. XI pag. 270. — 144 — lana tessuto , e stropicciando con esse 1’ estremo qualunque di un baston- cello della detta cera, si otteneva il positivo od il negativo dalla medesima, se- condo che r attrito era debole, o forte ; però in guisa che poievasi avere un’alternativa indefinita di positivo e negativo , per un’alternativa simile di strofinio, praticato una volta fortemente, un’altra leggermente sul medesimo estremo della stessa composizione resinosa. Quindi è che chiamai polarità alternativa indefinita questo singolare fenomeno, che a me sembra del tutto nuovo, sebbene la elettricità di attrito siasi da tanti studiata, e per tanto tempo ricercata. §. II. Oggi ho l’onore comunicare all’accademia parecchi altri fatti che potei riconoscere, mediante le ulteriori sperienze, da me istituite sull’attuale argo- mento che perciò diverrà più esteso; e sono i seguenti. l.° Oltre la cera di Spagna (1), vi ha e la gomma lacca (2), e la resina (1) La cera di Spagna è composta essenzialmente di gomma lacca, unita colla tremen- tina, perchè sia più fusibile e meno friabile. Per le cere rosse, o poco colorite, s’impiega della gomma lacca chiara, mentre per le nere si adopera bene la gomma lacca molto scura, la quale costa meno. La cera di Spagna rossa e sopraffina, si prepara fondendo quattro par- ti di lacca in una capsula di ferro, posta sopra un fuoco di carbone dolce, aggiungendovi una parte di trementina di Venezia , e tre parti di vermiglione, sorta di minerale (solfuro di mercurio) avente colore rosso e vivissimo , quindi si agita continuamente. Quando la materia colorante si è bene uniformemente distribuita nella massa resinosa, se ne formano pezzi di 250 gramme ciascuno , che si rotolano sopra una tavola di marmo riscaldata per disotto, e che si riducano levigati sopra un altro marmo, per mezzo di una tavola di legno duro, munito di manubri, e che dicesi levigatore. Quando la massa è stata ridotta in cilindri di una conveniente grossezza, si pongono questi fra due riverberi di elevata temperatura, per- chè i cilindri medesimi divengano brillanti nelle superficie loro, poi si tagliano ad una giu- sta lunghezza. Per le cere rosse comuni viene sostituito al vermiglione il minio (doutossido di piombo), od anche il colcotar o rosso d'Inghilterra (perossido di ferro) . Si rimpiazza pure la gomma lacca totalmente od in parte con un mescuglio di colofonia e creta, o gesso polve- rizzato, e qualche volta il gesso e la creta sono rimpiazzati dal sottocloruro di bismuto, lo che dà una cera di migliore qualità. Abbiamo voluto qui ricordare quali sieno gl’ingredienti di cui si compone la cera di Spagna, e come possa variare la sua composizione, onde poi fare osservare che qualunque sia questa, sempre il fenomeno della polarità alternativa riesce bene con essa, purché si adoperino le necessarie cautele. (2) La gomma lacca, o resina lacca piatta, ovvero in isquame, trasuda essa da vari al- beri dell’India, in seguito di punture fatte dalla femmina di un insetto emiptero, detto coc- cus lacca: si citano fra questi alberi il Ficus religiosa, ed il Ficus indica-, ma il Croton lac~ ciferum è quello che pare fornisca questa resina in maggiore abbondanza. — 145 — scialappa , le quali offrono ambedue la medesima polarità alternativa inde- finita , quando si sperimenti sulle sostanze stesse nell’ indicato modo- Quest’ultima resina proviene da talune specie di convolvnlus jalappa , pianta che indigena cresce a Jalappa, a Vera-Crux, nella Florida, nella Carolina, ecc- 11 sig. Jonhston trova erronea l’assersione del sig. Cadet di Gassicourt , per cui la resina scialappa {jalap) sarebbe composta di due resine , delle quali solo una riescirebbe solubile nell’etere. 11 medesimo chimico inglese prepara questa resina nello stato di maggiore purezza, tagliando la radica della pianta in minuti pezzi, e facendo restar questi nell’alcool freddo per un tempo sufficiente in digestione. Quindi fa evaporare il liquido , e tratta il residuo per mezzo dell’acqua bollente, che ne scioglie due terzi. Il nuovo residuo è compieta- mente solubile nell’ etere, e la resina, ottenuta evaporando questa soluzione, risulta come siegue: carbonio 56,80 — idrogene 8,21 — ossigene 34,96- La resina scialappa da me adoperata è quella di commercio, la quale non è pura, ma espressamente alterata mediante la colofonia, la pece, la resina dell’aga- rico, e l’aloè. Ho trovato che le tre sopra indicate resine si comportano tutte ugual- mente, cioè che stropicciata ognuna con qualunque siasi tessuto , fornisce la elettricità positiva se lo stropiccia.mento sia leggiero , e qualche volta giova che sia pure celere alquanto; fornisce poi la negativa se il medesimo sia for- temente praticato; e che quest’alternativa continua quanto sì vuole. 2.° Ho voluto sperimentare eziandio colle altre seguenti dieci resine, cioè colla resina capale dura, che scorre spontaneamente dall’ hijmenoea verrucosa — colla resina elmi, che si estrae dall’amym elernifera, arbusto dell’America me- ridionale — colla resina guaiaco, la quale viene fornita dal guayacum off. — colla resina mastice, che si ottiene dalpistacea lenliscus, albero che cresce nel Le- vante, ed in particolare nell’isola di Chio — coWvl pece greca [calophonia off.) — colla ragia di pino [resina flava, seu pini off.) — colla sandracca, che si estrae dal ginepro, juniperus communis, e secondo Desfontaines dal thuya ar- ticulala, che cresce in Barbaria — colla resina sangue di drago, che viene fornita da talune piante delle Indie orientali, e dell’America spagnuola, le quali sono il calamus rotang, il calamus draco, la dracena draco, ed il petrocarpus draco — colla resina dammara, la quale credesi che provenga dal pinus dammara, o del dammara alba, alberi indigeni delle Indie orientali — colla resina taraca- macca, che si estrae secondo Linneo dal popolus balsamifera; ma più proba- bilmente dalla fagara octandra. Tutte queste resine, quali si vendono in com- 20 1 — 146 — mercio, furono stropicciate più o meno forte con diversi tessuti, e dettero sempre il negativo; perciò non presentarono mai la polarità elettrostatica, nè alternativa, nè successiva: cioè non potei fin ora ottenere mai dalle medesime il positivo. Dicasi altrettanto dell’ambra, sostanza che deve considerarsi come una resina fossile: trovasi essa nei terreni di argilla plastica, e nelle parti inferiori dei terreni cretacei : si raccoglie specialmente nelle coste meridionali del Baltico in Prussia. Qualunque sia stata la specie o la energia dell’ attrito da me fin’ora praticato su questa sostanza, non sono mai riescito a produrre in essa la polarità di cui parliamo, e sempre si svolse dalla sostanza mede- sima la elettricità negativa. Però è probabile che l’ambra si comporti come vedremo in appresso comportarsi il vetro, cioè che quella polarità la quale non può svilupparsi con aste della lunghezza di circa due decimetri, si svi- lupperebbe se potesse operarsi l’attrito sopra una lunghezza maggiore. Sarebbe utile assai che uno studio, sotto il punto di vista della polarità elettrostatica di cui parliamo , fosse istituito sulle varie resine , che sono tante; considerandole nello stato di maggiore loro purezza: ciò darebbe forse luogo ad una nuova classificazione per le medesime* Inoltre dovrebbero esse considerarsi anche nelle diverse mescolanze fra loro, e rispetto ad altre mo- dificazioni tanto meccaniche quanto fìsiche, cui possono andar soggette, onde vedere se e come possa verificarsi la indicata polarità con questi mezzi. Sarebbe pure utile sperimentare in ambienti, di temperatura molto inferiore a quella dello zero del centigrado; perchè molto probabile deve riguardarsi, che quelle resine le quali si ricusano a mostrare la polarità in una tem- peratura, la presentino in un’altra molto inferiore alla prima. Uno studio di tal fatta esige molto tempo; e dobbiamo perciò limitarci a proporlo soltanto, non potendolo noi stessi effettuarlo completamente* 3." Per isviluppare con sicurezza il fenomeno della polaiàtà alternativa nelle tre indicate resine, fa d’ uopo prendere un estremo del bastoncello di qualunque delle medesime con due dita , e quindi stropicciare più o meno forte l’altro estremo per una certa lunghezza, mediante le due dita dell’altra mano; le quali potranno essere o nude, o ricoperte di qualunque siasi tessuto. Ciò generalizza molto quello che dicemmo in proposito nell’appendice alla terza nostra comunicazione sopra citata sull’attuale argomento. Affinchè il fenomeno si manifesti meglio, sembra favorevole che il tessuto col quale si vuole produrre lo strofinio, stia bene aggiustato alle dita pollice ed indice, cogli estremi delle — 147 — quali si deve produrre l’attrito. Fra le sostanze , colle quali ricoprendo le dita non riesce la polarità indicata nel modo che dichiarammo, si deve an- noverare il pelo naturale delle pelliccie, come pure la gomma elastica. Nel primo caso la elettricità sviluppata dalla resina, sia debole sia forte l’attrito, è stata da me trovata sempre negativa, e nel secondo quasi sempre positiva, con qualche eccezione di cui parlavamo fra poco 4. “ Alcune volte, specialmente quando le aste delle tre indicate resine sieno state molto in riposo, poste cioè sopra due fili metallici tesi paralleli, cosicché abbiano perfettamente acquistata la tensione zero , ossia lo stato di elettri- cità neutro; allora benché l’attrito prodotto cogl’ indicati mezzi, ed anche colle dita nude sia forte, si ottiene tuttavia il positivo; il quale in alcuni casi non rari continua pure a svolgersi, quando anche l’attrito stesso notevolmente siasi rafforzato , e non si ottiene il negativo altro che per un attrito fortissimo. Poscia l’attrito leggerissimo produce con gran facilità il positivo, un attrito meno forte del primo dà il negativo, e così di seguito per modo, che la po- larità alternativa indefinita si ottiene poi, con una successione di attriti, non molto differenti fra loro per energia. 5. ° Pare assolutamente che la levigatezza e compattezza delle superficie resinose, costituisca se non una indispensabile circostanza per la produzione del fenomeno, al certo una condizione assai favorevole pel medesimo. In fatti Io zolfo che non può ricevere questa levigatezza e compattezza, le molecole del quale, quelle almeno che sono in superficie, si disgregano facilmente per lo strofinio, distaccandosi dal tutto appena elettrizzate, non mi ha fin’ora pre- sentata la polarità di cui parliamo, e forse non potrà mai presentarla, per le ragioni che ora indicammo. 6. “ Dalle precedenti sperienze adunque si è trovato che l’attrito legge- rissimo nelle tre indicate resine, non solo produce nelle medesime il positivo, ma eziandio estingue in esse il negativo quando vi sia; e che l’attrito forte genera l’opposto, cioè non solo produce il negativo, ma estingue pure il positivo quando vi abbia sulle resine stesse- Inoltre questo effetto è tanto più pronto e rimarchevole, quanto più l’aria e la materia stropicciante sono coibenti. Dopo ciò chiaro apparisce che non più fa d’uopo verificare la condizione da me im- posta nella mia terza comunicazione su questo argomento, cioè che la cera di Spagna devesi trovare nello stato di elettrica tensione perfettamente nulla , onde poter generare in essa coll’attrito il positivo; poiché qualunque polarità, sia successiva, sia alternativa indefinita, si potrà sempre svolgere senza la con- dizione medesima. U8 — 7. “ Premendo leggermente colle due dita, sieno coperte o no di un tes- suto qualunque, un bastoncello di resina delle tre indicate, se la sostanza re- sinosa conservi da qualche tempo lo stato perfettamente neutro, svilupperà, pel semplice attrito che accompagna questa leggiera pressione, la elettricità positiva. Continuando a premere sempre più, si passerà per lo zero, e quindi si avrà lo sviluppo di elettricità negativa; la quale, a quello che mi è sem- brato, non si potrà più cangiare in positiva per l’alfievolimento della pressione stessa: laonde non si avrà in questo caso altro che lo sviluppo di una po- larità successiva. Pare che la polarità alternativa esigga un attrito longitu- dinale , cioè praticato con una sufficiente ampiezza sulle superficie resinose. Crede Coulomb (1) che una passeggierà compressione disponga il corpo stro- finato piuttosto all’elettricità positiva: noi però crediamo, appoggiati alle ri- ferite nostre sperienze, che l’attrito, compagno indivisibile della pressione, sia la sola causa che dispone la superficie del corpo in tal caso allo stato elettro- positivo, e che la conduce nello stato medesimo; non già la pressione. 8. ® Sebbene il fenomeno della polarità riesca meglio assai nei giorni di aria secca e fredda , tutta via non è mai mancato del tutto negli al- tri giorni, ed in qualunque stagione ; solo in quelli umidi, assai diminuiva.. Quando però le condizione atmosferiche sono favorevoli , trovasi più e più volte che, a cangiare il positivo in negativo, non occorre giungere sino al contatto colle dita ricoperte di un tessuto coibente ; ma basta pas- sare colle medesime lungo la superficie della resina senza toccarla , ed il più possibile ad essa vicino. Pare pertanto che l’elettrico negativo abbia la pro- prietà in questo caso di cangiarsi nel positivo, se un coibente che ricopre le dita passi a traverso l’atmosfera del negativo stesso, e molto presso la superficie resinosa, già divenuta negativa, ma senza toccare la superficie medesima. 9. “ Il passaggio dal positivo nel negativo si fa sempre per l’intermedio dello zero nell’attuale fenomeno; e per veder ciò basta gradatamente aumen- tare l’attrito se debbasi passare dal positivo al negativo, e diminuirlo simil- mente, se debbasi fare il passaggio contrario. È necessario un poco di eser- cizio a raggiungere lo zero di elettrica tensione in questi passaggi, ma non è cosa difficile. 10. ® Continuando l’attrito con una giusta energia, si può conservare per quanto si vuole il positivo nello stesso estremo della resina: dicasi altrettan- (1) Biot Traité ec. T. 2.® pag. 3S6. — 149 — to del negativo mediante un attrito più forte. Quindi modificando V attrito convenientemente nell’uno e nell’altro estremo del medesimo bastoncello re- sinoso, può giungersi a stabilire una polarità elettrostatica alternativa, e per- manente quanto si vuole negli estremi stessi; cosicché uno sia positivo l’altro negativo ad un tempo, e viceversa- In genere lo sviluppo del positivo riesce minore del negativo; però possiamo anche ottenere che la intensità del posi- tivo eguagli quella del negativo, accrescendo quanto fa d’uopo l’energia dell’at- trito per la produzione del positivo, e diminuendola in simile guisa pel negativo. Ed in fatti abbiamo da queste ricerche sperimentali, che il positivo ancora può crescere per due cagioni, cioè tanto aumentando fra certi limiti e gra- datamente la energia dell’attrito atto a produrlo, quanto prolungando l’eser- cizio di questo attrito, con una certa destrezza che si acquista colla pratica. 11-“ Mi è avvenuto più di una volta, che stropicciando i bastoncelli di resine colla gomma elastica, questi non solo si mostravano sempre positivi, ma perdevano la facoltà di tornare negativi, quando fortemente venivano stro- picciati coi diversi tessuti, coi quali prima davano il fenomeno della polarità alternativa indefinita. La cera di Spagna stropicciata colla gomma elastica offre per lo più il positivo per quanto forte si stropicci; ed alcune volte il nega- tivo per uno strofinio meno forte ; però non mancano dei casi nei quali si verifica il contrario. In ogni modo non è la polarità elettrostatica alternativa indefinita quella che con questi mezzi può verificarsi; ma solamente l’altra che dicemmo successiva; perchè colle indicate due sostanze non mi è riescito mai veder bene la protrazione del fenomeno di cui parliamo. 12. ° Riscaldando con una lampada a spirito la cera di Spagna, senza però farle perdere la tenacità, cioè senza renderla flessibile o plastica, essa per- deva nel momento la facoltà di sviluppare il positivo per l’attrito leggero; e dava invece il negativo. Però dopo seguito il raffreddamento, il fenomeno della polarità si produceva di nuovo nella stessa cera. Ciò mostra che nelle resine l’aumento della temperatura è contrario all’indicato fenomeno, e per- ciò quelle che non producono il fenomeno stesso , potranno forse manife- starlo, se vengano sperimentate in un ambiente di temperatura più bassa. 13. ° I risultamenti sperimentali ora esposti furono da me ottenuti ado- perando tanto l’elettroscopico di Bohnenberg, quanto l’elettrometro condensato- re di Volta. Però il primo di questi mezzi si presta molto meglio alle indicate ricerche, nelle quali non si tratta di misurare la quantità, ma bensì di rico- noscere la qualità dell’elettrico sviluppato. 14. ° Prendendo un bastone di cera di Spagna lungo circa un metro, e stropicciandolo fortemente con un drappo di lana, esso diviene tutto negativo: ma se col medesimo drappo si passi leggermente una o due volte, o quanto fa d’uopo sul medesimo bastone già divenuto negativo, si troverà elettrizzato in più da nna parte, ed in meno dall’altra; cioè si troverà una sezione neutra sull’asta resinosa, e quindi una polarità simultanea sulla medesima. 15. ® Ho voluto sperimentare questi fenomeni anche nel vuoto boilea- no, ed ecco in qual modo. Sul piatto della macchina preumatica ho collocato l’elettroscopio di Bohnenberg, quindi l’ho coperto con una campana di quelle co- strutte pel vuoto, il quale fu petratto sino ad un millimetro circa. Avevo col- locato sulla base dell’elettroscopio stesso due recipianti con entro dell’acido solfo- rico concentrato, per assorbire tutto il vapore acquoso: un filo metallico partiva dal bottone dell’elettroscopio, traversava la campana che ricuopriva Tistromento, e fuori di essa terminava in globetto- Ciò serviva per potere scaricare all’op- portunità la lista d’oro pendente fra le due pile, mettendola con questo mezzo in comunicazione col suolo- Le pile secche private così d’aria e di umidità, hanno agito con maggior energia, e l’istromento divenne piu sensibile, tanto perchè la lista d’oro non incontrava più la resistenza del mezzo, ed in fatti erano i suoi movimenti rapidi molto più dell’ ordinario , quanto perchè r energia delle pile sembrava nel vuoto cresciuta più che diminuita (1). Per tanto avendo sperimentato la polarità elettrostatica alternativa inde- finita , sia nelle resine , sia nel vetro , nel modo e coi mezzi ora indicati , ottenni gli stessi risultamenti, ed anche più rimarchevoli nella quantità come sopra li ho riferiti- Ciò può servire a togliere qualunque dubbio che 1’ aria potesse mai prender parte nei movimenti della lista d’oro dell’elettroscopio in queste mie sperienze, la quale aria perciò non deve affatto riguardarsi come causa dei movimenti stessi- Ho in tale occasione istituito delle sperienze me- diante le pile secche poste nel vuoto, e il più possibile spogliate di umidità (1) Ciò non si accorda colle sperienze di Ermann, di Jager, e di Parrot indicate dal- Tillustre De la Rive nel suo trattato eccellente di elettricità teorica ed applicata (Paris 18S6 T. 2.® pag. 794). Il chiarissimo Becquerel nel suo trattato di elettricità e di magnetismo (Paris 1855 T. 1.® pag. 61) dice « Les piles de ce genre cessent de fonctionner au bout d’un certain temps quand le papier a perdu tonte sa humiditè » Il nostro sperimento sopra indicato non è neppure d’accordo con questa conseguenza : esso però è una conferma di quanto si legge negli elementi pregievolissimi di fisico-chimica del eh. R. P. Pianciani (Roma 1844, T. 2,® pag. 32,33,34.) — 151 — mediante l’acido solforico concentrato presso le medesime. Non conosco se altri abbia sperimentato sulle pile stesse a questo modo, comunque sia farò conoscere i risultamenti delle mie sperienze in una delle prossime accademi- che tornate. §. III. Nella mia terza comunicazione sulla polarità elettrostatica (1) dissi che il vetro non offriva il fenomeno di cui parliamo. Però le sperienze furono da me istituite allora sopra verghe o cilindri di vetro ordinario, lunghe non più di un bastoncello di cera di Spagna- Ed in fatti, salvo qualche caso eccezionale che pur s’incontra, il vetro di questa lunghezza non offre la polarità di cui parliamo. Però se vogliansi adoperare cilindri di vetro, ma sempre di super- ficie naturalmente levigate, qualunque sia la sua chimica composizione, lun- ghi circa un metro, e si stropiccino con peli di alcune pellicc|^ di quelle cioè che hanno pelo fino, si vedrà non senza sorpresa, che per l’attrito forte il ci- lindro acquista la elettricità negativa, e per l’attrito leggero lo stesso cilindro, nello stesso luogo, col medesimo pelo, e per lo stesso verso, acquista la posi- tiva. Alternando sulla medesima verga questa diversa quantità di attrito , si alternano in essa le due qualità di elettrico indefinitamente; cioè si ottiene per tal modo pure col vetro la polarità elettrostatica alternativa indefinita- Ecco le principali circostanze che accompagnano l’indicato fenomeno. 16-“ I! pelo di volpe, di gatto, specialmente selvatico, e gli altri peli fini producono tutti , stropicciati sul vetro come sì è detto , la polarità di cui parliamo. Più i peli sono folti, sottili e delicati, più il passaggio dal posi- tivo al negativo è pronto. 17. " Se le aste di vetro non sieno di sufficiente lunghezza, cioè se non sieno più lunghe di tre decimetri, la polarità stessa non si produce in esse che rarissimamente, qualunque sia il pelo adoperato per lo strofinio; perchè sia piano, sia forte che si stropicci, sempre la elettricità ottenuta è positiva. 18. “ Fra i vetri da me adoperati quello di Roma ordinario, che riesce verdognolo, meglio di tutti si presta per la produzione di questo fenomeno. Ed è ciò naturale, nè deve recar maraviglia, poiché come non tutte le re- sine (2.o), riescono egualmente a produrre la polarità alternativa, ed anche la successiva, così non tutte le sorta di vetri si prestano egualmente bene a dare (1) Atti dell’accad. de’ Nuovi Lincei, sessione 111.* del 7 feb. 1838, T. XI, p. 143. — 152 — il fenomeno di cui parliamo. Però, quando sappiasi acconciamente sperimen- tare, niun vetro si ricusa del tutto a fornire questa proprietà elettrostatica , cosa che non accade in tutte le resine, almeno alle temperature cui possiamo noi sottoporle alla sperienza. Il vetro bianco romanesco, produce il fenomeno meno bene dell’altro verdognolo, e più frequentemente si ricusa in certi casi a produrlo. 19-“ Il negativo dal vetro si ottiene assai più facilmente col pelo fino delle pellicce, che non coi tessuti di lana; questi però più sono pelosi e meno difficilmente producono il negativo stropicciando forte assai; però dobbiamo ripeterlo, è molto difficile ottenere dalla lana il negativo, ma non impossibile, Del resto il cangiamento dal positivo al negativo mediante un attrito leg- giero e sempre facile. Accade non di rado che il negativo prodotto coi tes- suti di lana, quando siasi cangiato in positivo per uno strofinio leggero, non torni più negativo anche per uno strafìnamento energico il più possibile, ciò limila il fenomeno alla polarità da noi chiamata senza più successiva. 20. “ Sia che lo stropicciamento facciasi nel senso del pelo, sia che fac- ciasi a contrapelo, il fenomeno della polarità si produce sempre. 21. ° Quando 1’ aria è umida, non può facilmente ottenersi dal vetro il positivo, perchè questo essendo prodotto con lento e leggiero strofinio, viene dissipato e condotto appena sì produce; mentre il negativo, perchè svilup- pato da un attrito energico e rapido, può rimanere almeno in parte sull’ asta di vetro. 22. “ È necessario che la pelle cui aderisce il pelo sia bastantemente asciutta, perchè in altra guisa la elettricità positiva, la quale procede da uno strofinio leggero, è portata via dalla- pelle stessa nell’ atto medesimo che si sviluppa, ed allora si ottiene solo la negativa per uno strofinio energico. 23. “ Mentre la cera di Spagna, e qualche altra resina, offrono il fenomeno in proposito per mezzo dello strofinio dì qualunque tessuto, ed anche della nuda pelle delle due dita indice e pollice, colle quali si modifica meglio che colle altre l’attrito; il vetro manifesta il fenomeno stesso con più limitazione, cioè solo per mezzo dello strofinio del pelo fino di molte pellicce, ed anche, ma con assai maggior difficoltà , mediante qualche tessuto di fina lana con pelo. 24. “ Pare che il pelo delle code, specialmente di volpe, sia il migliore per ottenere la polarità dal vetro, forse perchè sono più folte, e meno umide che non è il pelo aderente alle pelli. — 153 — 25. ° Riscaldante alla fiamma di alcool le aste di vetro, si facilita in esse la produzione del negativo, mediante lo strofinio forte col pelo delle pel- licce indicate : ciò si accorda con quello che dicemmo delle resine (12.®), Ho riscaldato molto alla fiamma le aste di vetro, ed ho sviluppato, mediante il honjonzò bianco, nelle medesime la polarità alternativa: però ad avere il ne- gativo faceva d’uopo un attrito energico assai. 26. ° Se, stropicciando forte, si ostina l’asta di vetro a rimanere positiva, lo che non è raro ad accadere in certe giornate, e per circostanze poco facili ad assegnarsi; allora non vi sono altro che tre mezzi per ottenere il nega- tivo, e quindi la polarità. Uno consiste nel riscaldare alla fiamma d’ alcool la verga medesima , e poscia subito stropicciarla di nuovo fortemente col pelo, giacché il negativo certo si avrà, e quindi collo strofinio debole il po- sitivo, e così di seguito. Si otterrebbe lo stesso effetto, riscaldando al sole la pelliccia, colla quale non riusciva di averii negativo per un energico stropiccia- mento; od anche riscaldando tanto il pelo, quanto l’asta di vetro, e poi lasciando raffreddare l’uno e l’altra, per un tempo che la pratica insegna. L’altro mezzo consiste nel cangiar pelo per lo strofinio, poiché sempre ve ne sarà uno ac- concio in quelle circostanze, per dare il fenomeno; od anche servirsi di pel- licce non adoperate mai per lo strofinio, giacché questo a lungo altera il pelo, e può renderlo meno atto alla produzione del fenomeno. Il terzo poi ridu- cesi a cangiar asta di vetro, scegliendola, o meno erta, o più lunga, o di una composizione, o di un altra ; che sempre si avrà una combinazione tale di mezzi, da ottenere finalmente 1’ effetto. Perciò quando si voglia sperimen- tare con sicurezza, si debbono avere in pronto molte verghe di vetro, sia di una, sia di un’altra natura, di varia grossezza, e lunghezza; così pure si deb- bono avere io pronto molte pellicce, giacché a questo modo si riescirà sempre. Però crediamo necessario tornare a dire, che fra i diversi vetri, quello più ordinario fabbricato in Roma, che riesce di color verdagnolo, è il più ac- concio alla produzione del fenomeno stesso. 27. ° Vi ha certamente una differenza fra le aste di vetro vuote, e quelle tutte piene; poiché quantunque le ime e le altre offrano la polarità alternativa in- definita, pure meglio essa, e più facilmente si produce, nelle aste cilindriche piene , che non in quelle vuote- Questo fatto della minor disposizione, che hanno i tubi di vetro a manifestare la polarità, rispetto le aste pure di vetro ma piene, si lega bene coll’altro simile, pel quale un tubo di vetro, quando 21 — 154 ~ abbia le interne pareti ricoperte di umidità, non si può elettrizzare sensibil- mente collo strofinio (1). 28. “ Vi ha pure una differenza fra le aste cilindriche di vetro piene, in ri- guardo alla loro ertezza. Le più disposte a dare il fenomeno , sono quelle di cui la sezione trasversale ha un raggio non maggiore di un centimetro circa. Crescendo questo raggio cresce la difficoltà in alcuni casi di avere la polarità , non solo perchè cresce la superficie del vetro stropicciato , lo che pare non essere favorevole al fenomeno; ma pure perchè cresce il peso della verga , la quale perciò è meno facile ad essere maneggiata con quella de- strezza, leggerezza, e vibrazione che si esigge in questa specie di strofinio, per ottenere l’effetto- Con tutto ciò mi è riuscito, e mi riesce sempre, ottenere la polarità, da verghe di vetro lunghe circa un metro, ed aventi per ertezza un diametro anche di tre centimetri e mezzo. 29. “ Le pelli ontuose al tatto, come quella di lepre, anche stropicciate fortemente sulle aste di vetro, si ostinano a produrre in queste il positivo più che le altre; ma i mezzi sopra indicati (26.“) e la energia deffattrito riescono a rendere con esse pelli negativo il veti-o ; però non sempre la polarità così ottenuta riesce alternativa indefinita, ma per lo più successiva. 30. “ Quando le condizioni atmosferiche , la combinazione della natura del pelo con quella del vetro , e le altre circostanze tutte sieno favorevoli alla produzione del fenomeno, cosa che s’incontra quasi sempre quando ab- hiansi molti vetri e molte pellicce a disposizione; allora la più piccola dif- ferenza di attrito produce la polarità alternativa indefinita- È curioso in que- ste favorevoli circostanze vedere, che il negativo della verga vitrea, si può cangiare in positivo, anche facendo passare la medesima vicina molto al pelo, ma senza giungere a stropicciarlo; cioè facendo che scorra lungo l’atmosfera elettro-negativa della verga, senza giungere a formare attrito sulla superfìcie dì essa. Vedemmo che lo stesso fenomeno si produce per mezzo delle resi- ne (8.“), quando si operi con favorevolissime circostanze. 31. “ Ho potuto anche verificare , che se le aste di vetro sieno rima- ste per parecchi giorni senza essere stropicciate, allora esercitando l’attrito sopra le medesime coi peli delle indicate pellice , non di rado si ottiene il positivo, ancorché l’attrito sia ben forte , specialmente se la giornata sia fredda e secca; quindi è che in tal caso, a rendere la verga nello stato di (1) Beccaria Elettricismo artificiale, p. 161, e seg., ediz. 2.% Torino 1772. — 155 — elettricità negativa , occorre un attrito fortissimo che in alcuni casi esige un braccio assai robusto. Ciò presenta un altro accordo con quello si ò detto (4-“) delle resine. 32. “ Quando 1’ aria e troppo asciutta, il riscaldare al sole, o con altro mezzo le pellicce, si oppone alla riescita del fenomeno, e si ottiene sempre il negativo collo stropicciamento anche debolissimo. Sembra che in questo caso le pellicce medesime, divenute troppo aride, modificano in modo il pelo che le ricuopre, da perdere quella disposizione conveniente a dare collo strofina- mento sul vetro il positivo. Ciò non deve recare meraviglia, giacché il ca- lorico e la siccità dell’atmosfera, modificano il tessuto superficiale delle so- stanze organiche, specialmente quello dei peli delle pellicce; i quali così per- dendo molto della flessibilità e morbidezza loro, divengono troppo ispidi e ru- vidi, perchè possano in tal caso produrre l’elettrico positivo. Ancora più riesce difficile nelle giornate secche la produzione del fenomeno, se tanto le verghe quanto le pellicce che servono a stropicciarle, sieno prima esposte all’azione del calorico : allora è per lo più il negativo che si produce per un attrito qualunque. Non sono mancati però dei casi, nei quali col vetro bianco ro- manesco fu sempre ottenuto il positivo, qualunque fosse la energia dell’attrito; ma non si vide mai nelle circostanze ora indicate la produzione della polarità in proposito. Ciò si accorda bene col fatto, ebe le pellicce di pelo grosso non producono il fenomeno della polarità; e quelle così fatte da me sperimentate, mi hanno sempre dato il positivo. Inoltre se le verghe di qualunque, vetro si pongano al sole, o ad altra sorgente calorifica per ben privarle della umi- dità, e poi si stropiccino col pelo delle pellicce che non hanno subita l’azione solare , allora la polarità alternativa facilmente si verificherà nelle verghe medesime all’indefinito. 33. “ Un altro fenomeno di polarità elettrostatica s’ incontra, strofinando le verghe di vetro col pelo delle pellicce: s’incontra cioè la polarità che io dico simultanea ; la quale consiste nel prodursi ad un tempo sullo stesso cilindro vitreo, tanto il positivo quanto il negativo, per un medesimo strofi- nio, mediante il pelo di una pelliccia, di quelle acconcie alla produzione dei fenomeni che ci occupano. Non è facile vedere questo fatto nei vetri ordi- nari verdognoli ma qualche volta s’incontra in essi pure, specialmente quando molta energia di attrito faccia d’ uopo renderli negativi. Però nel vetro bianco romanesco, e negli altri, questa polarità simultanea con facilità si ma- nifesta, ed ecco in qual modo. Alcune volte stropicciando fortemente 1’ asta di vetro, essa non mostra in tutta la sua lunghezza la medesima elettrica ten- — 156 — sione, ma in una sua parte si trova positiva, ed in un’ altra negativa- Può ac- cadere che il positivo si trovi nell’estremo della verga opposto a quello che si tiene in mano, e può accadere il contrario. Altre volte succede che dopo avere nella verga prodotto il negativo con un forte strofinio, questa essendosi così elettrizzata in tutta la sua lunghezza, se assai leggermente si stropicci, passando collo stesso mezzo una o più volle sulla medesima , essa mani- festa dopo ciò, la polarità simultanea, cioè in un estremo diviene positiva, ed in un altro negativa. L’estremo che riducesi negativo può essere tanto presso quello tenuto in mano, quanto l’opposto. Le canne di barometro molto lun- ghe, specialmente quelle di fabbrica inglese, danno la polarità simultanea nel modo che ora ho detto. Ciò presenta un altro accordo colle resine (14.“) 34-° Anche nei vetro la levigatezza delle superficie, come nelle resine (5."), facilita molto la produzione del fenomeno ; perciò le aste di vetro bianco romano essendo non bene levigate, mentre il contrario ' avviene per quelle di vetro verdognolo pure ordinario e romanesco, il fenomeno colle prime riesce meno sollecito e meno perfetto, di quello sia colle seconde; però non manca mai purché si sappia sperimentare, avendo in pronto i mezzi opportuni ed indicati- 35.“ Quando i peli delle pellicce sono inariditi per l’azione del calorico, al- lora può accadere che stropicciando fortemente con essi le verghe di vetro ordinario romano, queste presentino la polarità simultanea, e non quella che dicemmo alternativa indefinita. Il fenomeno della polarità simultanea diviene molto più interessante, se riflettasi avere il medesimo simiglianza grande con la produzione dei nodi , che dividono le concamerazioni ed i ventri nelle corde armoniche vibranti. 36-“ Ho sperimentato coi cilindri di vetro a superficie scabra, cioè resa tale collo smeriglio alla ruota ; ed ho trovato che i medesimi, stropicciati col pelo , si elettrizzano con difficoltà , e che per lo più manifestano elet- tricità negativa ; però la polarità alternativa si manifesta pure nelle aste di vetro cosi modificate o scabre : cioè si ottiene delle medesime, per un attrito leggiero delle pellicce, la elettricità positiva, e quindi pel contrario la negativa; ma la prima è debole molto, e la sua produzione non cosi pronta come nel caso delle superfìcie levigate. 37.“ Queste sperienze colle verghe di vetro sono molto faticose , quando specialmente , per circostanze che nè tutte , nè completamente si possono assegnare, una verga si ostini con qualunque attrito a dare sempre il positivo , perchè allora bisogna impiegare molta forza per avere cogli stessi mezzi la elettricità negativa. Del resto abbiamo già indicato (26.“) — 157 — gli artifici da praticare per vincere ogni difficoltà nella produzione del fe- nomeno ; a ciò dobbiamo aggiungere, che in genere quei fenomeni di po- larità, i quali non possono in un dato giorno od in una data ora prodursi, certo i medesimi cogli stessi mezzi si potranno avere facilmente in un giorno diverso, od in un’ora diversa: cosi p. e- mi è accaduto non poter ottenere il fenomeno nelle ore antimeridiane, men tre il medesimo bene si manifestava nelle ore pomeridiane, o viceversa; perciò la produzione della indicata pola- rità, in una od in altra guisa operando, non manca mai. 38.“ Dalle riferite sperienze apparisce, che la elettricità negativa, ottenuta per attrito dalle sostanze dielettriche, vetro e resine, corrisponde, tranne qual- che eccezione pel vetro, ad uno strofinio energico ed esteso, perciò ad uno spostamento ampio delle molecole, poste in superficie di quelle sostanze che subiscono questo attrito- 11 contrario avviene per la produzione del positivo nelle sostanze medesime , il quale corrisponde ad uno strofinio leggiero , e perciò ad un tenue spostamento delle molecole dielettriche, investite dall’at- trito medesimo- Però in qualcuno dei corpi cristallizzati ho veduto , che si verifica il contrario. Lo spato d’ Islanda, e la selenite, uno carbonato di calce cristallizzato in romboidi , l’altro solfato di calce di cristallizzazione lamel- lare, presentano ciascuno la polarità alternativa elettrostatica, stropicciati più o meno leggermente colle dita indice e pollice, ricoperte con un tessuto di lana fina, e ad esse bene aggiustato e stretto. Però la elettricità negativa si ottiene collo strofinio leggerissimo, e la positiva collo strofinio forte; operando in giornate fa- vorevoli, queste due contrarie elettricità si alternano indefinitivamente. Può que- sto fenomeno anche ottenersi fissando l’estremo di un pezzo di flanella sopra una tavola, e tenendo l’altro estremo in mano; così formando con questo tessuto una specie di piano inclinato, che può divenii’e a volontà più o meno teso, lo che in alcuni casi giova per la facile produzione del fenomeno. Con questa dispo- sizione se con due dita si prenda il cristallo per gli estremi suoi , ed una delle sue facce ben levigate si conduca leggermente sulla flanella, già tesa come si è detto , allora otterremo un debole ma sensibilissimo sviluppo di elettricità negativa, la quale si cangerà in positiva, se lo strofinio quanto fa d’uopo si rafforzi. Questo fenomeno che, per quanto siasi sperimento da Haùy e dagli altri fisici sullo spato d’ Islanda, rimase ai medesimi sconosciuto , riesce molto più delicato nella sua produzione degli altri fenomeni simili precedentemente descritti; ma con la pratica si giunge a verificarlo senza dubbio- La faccia del — 158 — cristallo su cui si sperimenta, dev’essere levigatissima, e priva di ogni solco benché minimo; cioè non devesi trovare in essa degradazione di sorta. Sarebbe utile istituire simili ricerche sopra gli altri cristalli, ed anche in riguardo alla stratificazione dei medesimi; però a me non è concesso il tempo necessario per queste indagini. Ho trovato che nel quarzo, tagliato comunque, non si verifica la polarità; ma solo che il medesimo grezzo, cioè scabro in su- perficie, stropicciato sulla flanella nell’indicato modo, fornisce la elettricità ne- gativa; mentre il medesimo, quando sia ben levigato nelle facce, manifesta collo stesso mezzo la elettricità positiva, essendo qualunque nell’uno e nel- l’altro caso la energia dello stropicciamento, cioè tanto se debole, quanto se forte. Bisognerebbe vedere cosa si ottiene stropicciando le diverse naturali facce di cristallizzazione del quarzo colla flanella, non altrimenti che fu ve- duto nello spato d’Islanda, e nella selenite. Tutte le sperienze che abbiamo riportate in questa comunicazione quarta, furono eseguite sia nel pieno, sia nel vuoto boileano , coll’ elettroscopio di Bonemberg, che tanto bene e comodamente si presta nelle ricerche di questa natura; e nell’aria si fecero eziandìo coll’elettrometro condensatore di Volta. §. IV. 39.“ Il fenomeno della polarità elettrostatica alternativa indefinita, otte- nuto nel modo che abbiamo riferito, con aste sieno delle indicate resine, sieno di vetro, non può attribuirsi alla diversa temperatura prodotta nell’asta, per l’attrito maggiore o minore praticato sulla medesima. In fatti si giunge a que- sta illazione , considerando le circostanze che accompagnano il fenomeno; le quali, affinchè ognuno possa di ciò facilmente convincersi , vogliamo qui enumerare brevemente : l.“ Il fenomeno si può produrre bene assai mediante una piccolissima differenza fra i due attriti, e perciò senza differenza sensibile di temperatura. 2." Le due contrarie elettricità possono succedersi rapidamente una dopo l’altra, ognuna per un solo ed unico strofinio, quindi senza variazione sensibile di temperatura. 3.“ Quest’alternativa si può condurre in lungo quanto si vuole, per cui si può finalmente considerare ottenuta sempre alla stessa temperatura, specialmente se l’operazione si protragga molto. 4.“ Le sostanze colle quali meglio si ottiene il fenomeno, essendo tutte non buone conduttrici del calorico , perchè organiche animali, questo non può sensibilmente diminuire nelle aste per lo strofinio leggiero fatto una sol volta. — 159 — e spesso rapidamente sulle medesime; tanto più che la sostanza stropicciantc si trova sempre in contatto della mano, e conserva perciò sempre la mede- sima temperatura. 5." 1 punti di elettricità neutra nelle aste di vetro, e per- ciò la polarità simultanea nelle medesime, si manifesta sempre a temperatura eguale -in tutta l’asta, nè può essere altramente, avuto riguardo al modo col quale si produce {14.° e 33-°). Dicasi altrettanto della polarità simultanea ma successiva nelle aste di resina : questa si genera con due soli attriti , po- chissimo differenti fra loro, uno dopo l’altro eseguiti nei due estremi dell’asta medesima; la quale perciò, se più volte si operi e sempre al rovescio sugli estremi suoi, tutta può rimanere alla stessa temperatura. 6.° Alcune volte per cangiare il negativo in positivo non occorre fare attrito sull’asta, sia questa di vetro, sia di resina; ma basta passare molto presso alla superfìcie di essa (8.° e 30.°) , lo che non porta sensibile, abbassamento di temperatura. 7.® Quando il positivo si voglia ottenere pel primo nelle aste di sostanza resi- nosa o vitrea, basta incominciare a produrre un attrito leggiero sull’asta me- desima, lo che piuttosto aumenta la temperatura della sostanza stropicciata* In alcuni casi questo attrito può crescere molto (4.° e 31.°), e perciò au- mentare molto la temperatura, senza che l’asta cessi di essere positiva. 8.° Avviene non di rado, che quell’asta di vetro, la quale ha dato facilmente il ne- gativo con un attrito mediocre, si ricusi dopo uno o due giorni a produrre la stessa elettricità, stropicciata collo stesso mezzo, e con un attrito forte quanto si può, e quindi con un riscaldamento notevole dell’asta medesima; la quale potrà dare subito il negativo, se venga stropicciata con una nuova pelle, ma con minore attrito, e perciò se venga sottoposta ad un abbassamento di tempe- ratura. 9.° Si può effettuare l’attrito con graduazione tanto poco crescente, da passar dal positivo al negativo per una debolissima differenza di energia; co- sicché debba riguardarsi l’asta in questo passaggio non aver cangiato la sua temperatura. In somma tutte le volte che si otterrà il passaggio da una in un’altra elettricità, incontrando lo zero di elettrica tensione, potremo essere certi sempre, che nel passaggio medesimo l’asta dielettrica non ha cangiato la sua temperatura. Da tutto ciò si conclude che la differenza di calorico prodotto dalTattrito sull’asta, sia di resina sia di vetro, non può riguardarsi come causa del fenome- no; ma bensì come tale deve riguardarsi l’azione meccanica dell’attrito sull’asta medesima; e ciò perchè abbiamo veduto potersi la polarità elettrostatica di ogni sorta produrre solo con quest’azione meccanica; cioè sebbene l’asta conservi la medesima temperatura, sebbene l’attrito per produrre il negativo diminuisca il calorico nell’asta, ed anche sebbene l’attrito per produrre il positivo cresca il calorico nella medesima. Non altrimenti già si concluse da Coulomb (1), Bec- querel (2), e Mùller (3), per alcuni altri fenomeni relativi alla natura dell’elet- trico svolto per attrito. A noi, d’accordo in genere con questi autori, sembra che pei corpi non cristallizzati, la elettricità negativa possa corrispondere ad un mag- giore allontanamento fra loro delle molecole superficiali di un corpo, e la po- sitiva riferiscasi ad un allontanamento minore delle molecole del corpo stesso. Perciò secondo che le molecole stesse, per l’azione maccanica dell’attrito, po- tranno vibrare più o meno ampiamente, rispetto la naturale ampiezza delle vi- brazioni loro, corrispondente allo atato di elettricità neutra, produrranno quel- l’etfetto che noi chiamiamo elettricità negativa, o positiva* Cosicché potrà un me- desimo corpo dielettrico stropicciato colla medesima sostanza, e sempre nel modo stesso, produrre il positivo, se l’attrito relativamente debole generi vibrazioni molecolari meno ampie rispetto le naturali; ed il negativo, se lo stesso attrito, ma relativamente più forte, le generi di maggiore ampiezza. Chiaro poi si manifesta in questa nuova ipotesi, che le vibrazioni medesime, non potranno da più divenir meno ampie, senza passare per l’ampiezza naturale, cui deve corrispondere la elettricità neutra; e questo fatto appunto si verifica nelle ri- ferite sperienze. 11 calorico certamente deve, aumentando in un corpo, rendere le sue mo- lecole più disposte ad oscillare con maggiore ampiezza, quando una causa mec c.anica, come appunto è l’attrito, intervenga per produrre in loro questo effetto. Perciò il calorico, se non erro, deve riguardarsi come una causa che favori- sce in genere lo sviluppo della elettricità negativa nei corpi; ma la causa ef- ficiente lo sviluppo medesimo, deve riconoscersi nell’azione meccanica dell’at- trito, per la quale sono le molecole superficiali dei corpi, agitate più di quello che a prima giunta può sembrare- Quindi possiamo con plausibile ipotesi ri- tenere, che la causa per la quale un medesimo corpo stropicciato svolge, o la elettricità negativa, o la positiva, consista nell’ampiezza maggiore pel nega- tivo, minore pel positivo, delle vibrazioni, concepite a cagione dello strofinio su- bito dalle molecole superficiali del corpo elettrizzato, rispetto l’ampiezza delle vi- brazioni molecolari stesse, corrispondenti allo stato di elettricità naturale. Que- ll) Biot Traité, ecc. t. 2.°, p. 3S4, e seg. (2) Ann. de china, et phys. T. XLVII, p. 128, 130, 132. (3) Gehler’s, Phys. Wort. art. Elektricitat, p. 248. — 161 — sta maggiore o minore ampiezza, se lo stropicciato rimanga sempre lo stesso, e cangi solamente lo stropicciante, dipenderà e dalla quantità di moto comunicala per lo stropicciamento alle molecole superficiali, e dal tessuto molecolare delle superficie, fra le quali si effettua lo strofinio. Se poi non solo il corpo stro- picciato, ma eziandìo qnello stropicciante rimanga sempre lo stesso, allora la maggiore o minore ampiezza indicata, dipenderà unicamente dalla quantità di moto impressa. Del resto come non avvi pressione senza che sia daH’aitrito accompagnata, così non avvi attrito senza sviluppo di calorico; ma non può essere questo la causa primaria dei nostri fenomeni , bensì la quantità di moto impresa in copia maggiore o minore, alle molecole superficiali che ad un tempo genera elettricità, e calorico. 40. ° Merita sia pure un’altra volta osservato che nelle riferite sperienze, l’attrito leggero non solo nel vetro e nelle indicate resine, genera il positivo, ma eziandio questo attrito cangia in positivo quel negativo già sviluppato nelle sostanze medesime. 41. ° Le chimiche analisi e sintesi debbono riguardarsi come cause di con- flitti e di agitazioni molecolari, quindi anche di sviluppi elettrici. Ora poiché il positivo ed il negativo si possono svolgere l’uno e 1’ altro fra due medesimi corpi stropicciati fra loro, solo cangiando la energia dello stropicciamento, cioè la quantità di moto impressa alle molecole dei medesimi; così possiamo ren- dere in certo modo ragione del perchè in chimica una medesima sostanza, se- condo che si trova in una, od in altra combinazione, agisca o da elettroposi- tiva, 0 da elettronegativa. 42. ° Sempre più siamo dalle indicate sperienze, convinti, che gli epiteti di viirea, e di resinosa dati alla elettricità, non esprimono l’essenziale carat- tere di queste forze naturali, potendosi Luna e l’altra delle medesime ottenere, tanto dal vetro quanto dalla resina, stropicciali sempre l’uno e l’ultra colla medesima sostanza, ma solo cangiando la quantità di moto nello stropicciare. 43-° Risulta pure da queste mie sperienze che la classificazione, adottata in tutte le opere di fisica, ed in ogni trattato di elettricità, relativamente allo stato elettrico positivo o negativo dei corpi, sviluppato in essi per lo stropic- ciamento fra i medesimi, non può più riguardarsi esatto, almeno pei vetri tanto levigati, quanto scabri, e per le resine; giacché queste sostanze stropicciate più o meno forte con un’altra sempre la stessa, possono dare tanto il positivo quanto il negativo. È poi probabile che altrettanto avvenga pure di altre sostan- ze oltre quelle ora da me sperimentate , lo che se troverò aver luogo , for- 22 ^ 162 — mera il soggetto di una mia quinta comunicazione sulla polarità elettrostatica Quindi è che a classificare i corpi secondo la natura della elettricità svolta per attrito dai medesimi, dovrà da ora in poi non solo riguardarsi alla na- tura dei corpi stroppiciati e stropiccianti, ed alle condizioni fìsiche delle su- perfìcie che fra loro stropicciansi ; ma pur anche alla quantità di moto che si svolge collo strofìnio, secondo che questo è più o meno forte- Gli epiteti medesimi perciò debbonsi abolire del tutto nella dottrina elettrostatica, non altramente di quello avvenne per gli epiteti idioele Urico, ed anelettrico. 44." La polarità elettrostatica da noi riconosciuta nel vetro, nella cera di Spagna, ed in qualche altra resina, manifesta una possibilità d’ingannarsi, nel riconoscere la natura dell’elettrico raccolto negli elettrometri, e negli elet- troscopi; mentre accorda una maggiore importanza all’ellettroscopio a pile sec- che. Questo infatti non avendo per nulla bisogno di una qualunque delle indicate due sostanze dielettriche, per farle servire come analizzatrici; trovasi al coperto di ogni equivoco potesse mai prendersi, nel valersi della elettricità svolta per attrito dalle sostanze medesime, a fine di riconoscere la qualità dell’elettrico raccolto negl’istromenti che indicammo. Il criterio col quale si giudica la qua- lità dell’elettrico nell’elettrometro condensatore di Volta, ed in ogni altro elet- trometro od elettroscopio, consiste nel paragonare l’elettricità ottenuta per attri- to, sia dalla resine sia dal vetro, con quella raccolta nell’istromento, e dimostrata dalla divergenza degl’indici di esso; ma dalle sperienze riferite chiaro apparisce, che con questa pratica si potrebbe cadere in errore; cioè si potrebbe giudicare al- l’opposto del vero, la qualità dell’elettrico di che si carica l’istromento. Abbiamo veduto potersi ottenere collo strofìnio, tanto dal vetro quanto dalla cera di Spa- gna, l’una e l’altra delle due elettricità; mentre prima che ciò fosse manifesto ri- tenevasi, che dalla cera di Spagna comunque stroppicciata coi tessuti si otteneva sempre il negativo. Quindi oggi se l’analizzatore, cera di Spagna o gomma lacca stropicciata, si avvicini alle pagliette divergenti di un elettrometro, e queste di- vergano di più, dovremo solo a buon diritto concludere, la qualità dell’elettrico cercata essere positiva o negativa, secondo che lo strofìnio produsse il positivo od il negativo nell’analizzatore; e perciò resteremo nel dubbio sulla cercata natura dell’elettrico. Inoltre se le pagliette medesime diminuiscono per lo stesso mezzo la divergenza loro, dovremo similmente concludere senza più, che in esse la elettricità sarà negativa o positiva, secondo che positiva o negativa sia stata la elettricità svolta per attrito nell’analizzatore; e la incertezza sarà la stessa di — 163 — prima. Perchè dunque il giudizio non sia dubbio, ed il criterio sia certo, fa d’uopo conoscere sempre bene la natura dell’elettrico svolto per attrito nella resina, che si adopera per analizzare; lo che si ottiene subito, per mezzo di un elet- troscopio a pile secche. Senza questa certezza l’analizzatore resinoso, cioè la cera di Spagna o la gomma lacca, usato come sempre fu e suole usarsi, può condurre in errore, nel giudicare la natura dell’ elettrico. Sarà questo errore avvenuto mai nelle innumerevoli ricerche di elettrostatica, per tanti secoli eseguite? Non è un impossibile che ciò sia successo. Adottando per analizzatore un bastoncello di zolfo, non si avrà la possibilità di errare col medesimo, per- chè la polarità elettrostatica per attrito da questa sostanza non si ottiene; però la sostanza medesima è molto incomoda per la sua fragilità, e per altre cir- costanze. Torniamo dunque a dire che per togliere ogni dubbiezza, dobbiamo sempre munirsi di un buon elettroscopio a pile secche. Termineremo questa comunicazione quarta sulla polarità elettrostatica al- ternativa ed indefinita, sia nelle resine sia nel vetro, coll’osservare, che que- sto nuovo e curioso fenomeno è un fatto, e forse il più rimarchevole, per av- valorare la ipotesi, che l’elettrico consista nel moto vibratorio delle molecole, e che la diversa natura di questo agente consista nelle ampiezze diverse delle vibrazioni molecolari. Concluderemo in fine ripetendo quello già da noi fu con- cluso nella prima comunicazione su questo argomento (1), cioè ; come avvi una polarità elettrodinamica, così pure avvi una polarità elettrostatica, ma- nifestata per mezzo di azioni meccaniche , le quali agendo indirettamente o direttamente sopra le sostanze dielettriche , comunicano alle molecole loro una maggiore o minor quantità di moto, e quindi una polarità elettrostatica. (1) Letta nella sessione de’ Nuovi Lincei del 22 gennaro 1834, e pubblicata nel T. V. di questi Atti, pag. 731. — 164 — COMUNICAZIONI Lettera deW astronomo sig. A. De Gasparis al prof. P. Volpicelli. . . Suppongo che si abbia un rifrattore montato parallatticamente, nel quale la celerità di rotazione attorno l’asse del mondo, prodotta da un mec- canismo di orologeria, sia diversa in quella della sfera celeste, e che quest’ul- tima sopravvanzi la prima di un grado, a mò d’esempio, nell’intervallo di 24 ore. In tal caso due stelle che differiscono fra loro in Asc. retta di un se- condo in arco, verranno successivamente ad occultarsi allo stesso filo del mi- crometro, nell’intervallo di 24 secondi in tempo. Si può dunque determinare la distanza conoscendosi il tempo della osservazione diretta. Parrebbe che un tal metodo potesse dare, almeno nel caso delle stelle doppie, anche i centesimi di secondo, e potrebbe recar grandissimo vantaggio ad altre ricerche di astronomia siderale- Gli astronomi provveduti di mezzi potranno giudicarne. ...... Deale Specola di Napoli 1 del 1859. Il prof. Volpicelli presentò in dono l’opera intitolata « Cours de physique expérimentale » da parte del distinto fisico di Ginevra il sig. F. Marcet, autore dell’opera stessa. Questo corso elementare di fisica già vide nel 1850 la sua quarta edizione, ed anche venne tradotto in italiano dal sig. Marsigli di Pon- tremoli. Fu su questo corso che si medellarono tutti gli altri elementari della scienza fisica, comparsi dopo, e destinati, come quello del sig. Marcet, ad ini- ziare i giovani nello studio più elevato della scienza medesima. L’opera che presentiamo comprende in un piccolo volume la esposizione chiara e con- Èisa dei rami tutti della fisica particolare, non senza molte considerazioni utilissime, relative ai bisogni della vita civile. Non saprebbe mai raccoman- darsi a bastanza lo studio di questo corso coscenziosamente redatto, ed uni- camente per istruire , non già per commercio ; il quale fin dalla prima sua edizione fu adottato in molti collegi della Francia. — 165 — Sul dizionario biografico del sig. Poggendoiìff. Comunicazione del prof. P. VOLPICELLI. I dizionari biografici sono utilissimi per la storia, specialmente per quella che si riferisce alle scienze , anzi giovano assaissimo al progresso ulteriore della scienza medesima; però questi depositi degl’ incrementi, che gl’ indivi- dui della umana famiglia seppero arrecare alla civiltà, fa d’ uopo che sieno compilati senza veruno spirito di parte; fa d’uopo che sieno sceveri da per- sonali riguardi, e che abbiano la verità per unico scopo. Disgraziatamente non sempre così avviene in cosiffatte opere, le quali allora piuttosto che utili, riescono dannose alla società, e ne abbiamo a dì nostri un esempio recente. Però tutt’altro deve dirsi del dizionario biografico letterario, per servire alla storia delle scienze esatte, che si va publicando dal sig. Poggendorff- Questo distintintissimo fisico ha cominciato la publicazione di un dizionario, conte- nente le indicazioni biografiche succinte, colle notizie bibliografiche di tutti coloro, che si occuparono di scienze esatte. Sotto questo nome il sig. Poggen- dorfif comprende le scienze matematiche, e tutte le scienze di osservazione, che non si riferiscono allo studio della natura vivente. La mineralogìa, e la geologìa vi sono perciò contenute; ma la zoologìa, la botanica, 1’ anatomìa, la medicina, ecc. vi sono escluse- li principale merito di quest’ opera consiste nella esattezza , che da molte notizie minute dipende, le quali è quasi sempre impossibile ad un solo riunire. Perciò il sig. Poggendorff si dirigge a tutti gli scienziati per ottenere da essi, tanto le rettificazioni che potrebbero indicargli, relative alle pubblica- zioni già fatte della sua opera, quanto le notizie per continuarla, e special- mente quelle biografiche e bibliografiche che riguardano loro stessi. Per con- tribuire nel miglior modo al buon successo dell’opera di cui parliamo, sarà utile riprodurre in italiano la nota, che l’autore dell’opera stessa pubblicò nel primo fascicolo della medesima, ed è la seguente « Egli è naturale che tutti quelli dati allo studio delle scienze esatte,* abbiano provato sovente il bisogno di conoscere le circostanze particolari della vita, di chi aveva in comune con essi un argomento. Ma nella mag- gior parte dai casi accade ai medesimi di doversi arrestare nelle ricerche loro, pel vuoto che presentano le storie pubblicate, non che gli autori che possono consultarsi. È cosa certa che anche le opere le più voluminose, come l’enciclopedìe biografiche, non contengono altre notizie da quelle in fuori, che 166 — riguardano la vita di chi divenne riputato per le sue scoperte, o pe’ suoi la- vori laboriosi nella scienza , o che divenne illustre per altri titoli. Ma si cercheranno in vano delle notizie di quelli autori modesti , che avendo la- vorato in una sfera più umile, hanno coltivato le scienze esatte, e le hanno arricchite del frutto delle loro vigilie- Bisogna dunque per conoscere le par- ticolarità relative a queste persone, risalire molto lungi alle sorgenti lettera- rie ed isteriche, lavóro assai penoso e diffìcile per mancanza di guida, e per la lungagine delle ricerche, le quali ancora qualche fiata riescono sterili- Si riceverà dunque con piacere un opera, destinata particolarmente a facilitare e ad abbreviare il lavoro, per attingere le notizie biografiche e scien- tifiche intorno agli uomini, che si consacrano alle scienze esatte- L’autore ha pubblicato, già è qualche anno, come precursore della presente opera, una tavola cronologica col titolo « Lebenslinien zur Geschichte der exacten W«s- senschaften seit Wiederherstellung derselben [BerWno 1853) » descrizione grafica, che differisce quanto alla idea primitiva e fondamentale, e che si limita alla scelta degli uomini più eminenti dei tre o quattro ultimi secoli; mentre nel- l’opera che ora offriamo , intitolata Handworterbuch , si è stabilito il prin- cipio di menzionare senza distinzione tutti quelli, che si occuparono di scienze in proposito, e sui quali poterono aversi notizie biografiche esatte; condizione che deve procurare all’opera stessa un carattere di autenticità biografica, senza tuttavia che degeneri in un semplice catalogo di nomi, e di pubblicazioni. Per non dover protrarre molto in lungo siffatto lavoro, e dare al medesimo una estensione troppo grande, al che un sol uomo non basterebbe, l’autore non si propose di dare delle biografie propriamente dette , o dei rapporti com- pleti sui lavori scientifici- Quello che ha voluto egli dare agli amici della scienza, è un opera di poca estensione, come non ancora ve ne ha una, e che dovrà possedersi da ogni scienziato, per potervi attingere positivi schiarimenti sulla vita, e sui lavori degli uomini, che si sono dati a studi comuni co’ suoi. Questo libro indicherà pur anco le sorgenti, nelle quali si trovano informa- zioni più ampie. Occupato costantemente da dieci anni, a raccogliere tutto quello che ha potuto egli trovare intorno al fine che si è proposto; fu per l’autore un gran vantaggio, poter cercare quanto gli faceva d’uopo nei tesori letterari e istorici della biblioteca reale di Berlino , e di essere secondato in ciò dagli amici che si diedero carico di fargli giungere delle notizie inedite, relative a con- temporanei di numero bastantemente grande- Così l’autore potè riunire suf- — 167 — ficienti materiali perchè l’opera sua non riesca inferiore ad alcuna del genere medesinìo. La nostra pubblicazione potendo rappresentare una collezione vo- luminosa di sorgenti biografiche, speriamo che potrà contribuire ad insinuare il gusto della storia nella sfera delle scienze esatte. Pei molti cangiamenti, che di necessità dovranno prodursi mentre dura la stampa di quest’opera, essa potrebbe ancora venire arricchita, se le persone dotte ci volessero prestare il soccorso loro- Indirizziamo adunque a tutti i matematici, fìsici astronomi, chimici, mineralogi, geologi, ec. che finora non hanno ricevuto speciale invito, la preghiera di trasmetterci al più presto delle notizie autentiche sulle persone loro- Gli editori dei giornali di matematica, e di qualunque altra scienza esatta , come pure i presidenti delle società e delle accademie scientifiche, coopererebbero al perfezionamento dell’opera no- stra, diffondendo con zelo questo invito, per dare al medesimo tutta la pubbli- cità possibile. Inoltre noi riceveremo con riconoscenza le notizie di persone defunte, come ancora le indicazioni delle sorgenti, ove queste notizie potreb- bero essere attinte- L’autore si farà un dovere utilizzare questi materiali, o nel testo, o nel supplemento dell’opera. Si troverà sull’inviluppo del primo fascicolo della nostra opera, una for- mula per siffatte comunicazioni, la quale sarà pure separatamente impressa per essere riempiuta. L’ editore ne offre degli esemplari a chi li desidera, i quali si possono da ognuno procurare per mezzo della posta, o dei librai- Si prega di affrancare tutte le lettere, che dovranno spedirsi o direttamente al- l’autore sig- Poggerdorff, professore neH’università di Berlino (Charlottenstrasse n.°62), od al sig- J. A. Barth, libraio editore a Lipsia [Leipzig). Siegue la for- mula per le notizie inedite, che sono destinate all’opera sopra indicata. I.” Nomi:, e pronome scritti per intero e chiari. 2-“ Impiego, professione, o qv alita tanto presente quanto passata, e di- mora, avendo riguardo alle date cronologiche. 3.° Anno, giorno, e luogo di nascita- 4-® Indicazione delle fonti o scritti qualunque, ove si trovano già im- presse delle notizie biografiche sulla persona. 5.° Indicazione dei principali lavori, particolarmente delle opere pub- blicate, dichiarando il formato, l’anno, ed il luogo della pubbli(;azione- Quanto agli articoli che sono inseriti nei giornali scientifici, basterà indicare il titolo e r anno del foglio in cui si trovano impressi. — Sebbene tali notizie si desiderino il più possibile complete, pure non sono esse tutte indispensabili. — 168 — COMMISSIONI Sul processo chimico del prof. Mondo per la conservazione del legname, presentato dai sig- Pasquale e Giuseppe Cagiano. RAPPORTO (Commissari sig/' prof/' N- Cavalieri- S. Bertolo, e G. Ponzi relatore). La commissione eletta dal comitato accademico , ad esaminare la do- manda di proprietà dei signori Pasquale e Giuseppe Cagiano , pel processo chimico del prof- Mundo, diretto a conservare il legname, non essendo ac- compagnata dai campioni indispensabili a darne un giudizio, sono i commis- sari d’opinione che si abbia a respingere l’istanza, come non trovata conforme all’art. 8." della legge del 3 settembre 1833. L’accademia approvò questa opinione. CORRISPONDENZE La R. accademia delle scienze di Amsterdam, per mezzo del suo segre- tario sig. W- Vrolik, ringrazia per gli Atti de’nuovi Lincei pervenuti ad essa- li sig. Antonio Berardi della Mirandola, invia un foglio a stampa intito- lato - Dei pronostici giornalieri delle stagioni dell’anno 1859- II sig. Quetelet segretario perpetuo della R. Accademia delle scienze di Brusselle, ringrazia per gli Atti de’nuovi Lincei da essa ricevuti- li sig. prof- N. Cavalieri S- B. presentò in dono all’accademia, da parte del eh; ingegnere idraulico sig. Elia Lombardini, le seguenti opere del me- desimo. Intorno al sistema idraulico del Po, - 1840- — 169 — Altre osservazioni sul Po - 1843- Importanza della statistica dei fiumi - 1846- Sulla amonimia dei fiumi dell’Italia, e della Francia - 1851. Dei cangiamenti del Po nel Ferrarese - 1852- Progetti d’acque irrigue nel Cremonese - 1858- Inondazioni avvenute nella Francia - 1858- COMITATO SECRETO Il comitato accademico propose per la elezione di uno fra i trenta soci ordinari la terna seguente ex aequoy e per ordine alfabetico, composta dei si- gnori Diorio Dott. Vincenzo, professore di zoologia nella università romana- Latini Vincenzo, chimico. Monsignor Nardi, geografo fisico- Qnindi per mezzo dello squittino segreto, i votanti essendo 16, risultò pei signori Voti Bianchi Neri Diorio Dott. Vincenzo 3 13 Latini Vincenzo 11 5 Monsignor Nardi 12 4 Laonde fu eletto Monsignor Nardi, salva l’approvazione sovrana- in seguito il comitato stesso propose, per un’altra simile elezione, la terna seguente ex aequo, e per ordine alfabetico, composta dei signori Cadet Dott. Socrate, professore di fisiologia nella università medesima. Diorio Dott. Vincenzo, professore di zoologia nella università romana. Latini Vincenzo, chimico- 23 — 170 — Per mezzo dello squittino segreto, si ebbe la votazione che siegue, i votanti essendo 17. Voti Bianchi Neri Cadet Dott. Socrate 7 10 Diorio Dott. Vincenzo 7 10 Latini Vincenzo 15 2 Quindi risultò eletto il sig. Vincenzo Latini, salva l’approvazione sovrana. L’accademia, invitata dal signor presidente, procedette alla nomina di una commissione di tre membri, per l’esame del consuntivo, che si riferisce alla gestione amministrativa del 1858. Dalla votazione fatta per ischede, la com- missione stessa venne composta dei signori Prof. D. Ignazio Calandrelli. Monsignor L. Ciulfa Prof. G. Pieri L’accademia riunitasi in numero legale a un ora pomeridiana, si sciolse dopo 2 ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. P. Volpicelli. — C. Maggiorani. — G. Ponzi. — L. Ciuffa- — B. Tor- tolini. — A. Coppi. — N. Cavalieri S. B. — S. Proia. — P. A. Secchi. — E. Fiorini- — ■ B. Viale. — P. Sanguinetti- — C- Sereni. — M. Massimo. — I. Calandrelli. — G- Pieri. — G. B. Pmnciani. Pubblicato il 14 Aprile 1859. P. V. — 171 — OPERE VENUTE IN DONO Giornale del Gabinetto letterario deW Accademia Gioenia: Novembre, e Dicem- bre 1858. Delle Strade Ferrate a Cavalli, o Tramivaos. Cenni di Dino Carini- Lucca, 1857 un fase, in 8.° Memorie dell' Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna- Tomo Vili- fase* 4.° Bologna 1859, in 4.“ grande. Atti deirisTiTUTO I- R- Veneto di Scienze, Lettere, ed Arti. Dispensa 1." del 1858-59, un fase, in 8.° Comptes Conti Resi dell' Accademia delle Scienze dell I- Istituto di Francia, in corrente. Della vita e delle opere di Luigi Marini ingegnere romano. Discorso del cav- Camillo Ravioli. Un fase, in 4.“ grande. Roma 1858. Annali di matematica pura ed applicata , pubblicati dal Prof- B- Tortolini- Tomo l.° Anno 1858. Epilogo delle Prose recitate alla Pontificia Accademia Tiberina nel 1858 , e relazione de' nuovi Soci e dei defunti nell'anno medesimo, dell'avv- Andrea cav. Barberi collaterale emerito del Campidoglio , vice-Presidente dell'Ac- cademia in detto anno- Roma 1859, un fascicolo in 8.o Address Dedica per la riunione anniversaria della R- Società Geografica 24. Maggio 1858, per sir R- I. Murchison- Londra 1858: un fase in S." Sulle inondazioni avvenute nella Francia in questi ultimi tempi, e sui provvedi- menti proposti per apportarvi rimedio, con note finali intorno a vari punti d'idrologia. Memoria dell' ingegnere Elia Lombardini- MWano, 1858; un fase, in 4.° Dei progetti intesi a provvedere alla deficienza di acque irrigue nel Cremonese- Memoria del MEDESIMO. Milano, 1858; un fase, in 4." Intorno al sistema idraulico del Po ; ai principali cangiamenti che ha subito, ed alle più importanti opere eseguite o proposte pel suo regolamento. Cenni del MEDESIMO. Milano, 1840. Altre osservazioni sul Po’, del medesimo- Milano, 1843; un fase, in 8.° Importanza degli studi sulla Statistica dei fiumi, e cenni intorno a quelli finora intrapresi- Memoria del medesimo. Milano, 1846; un fase, in 4.“ Sull'omonimia de’ fiumi dell'Italia settentrionale, e di quelli della Francia- Me- moria del MEDESIMO- Milano, 1851; un fase, in 4-“ — 172 — Dei cangiamenti cui soggiacque V idraulica condizione del Po nel territorio di Ferrara, e della necessità di rettificare alcuni fatti annunciati da Cdyier su tale argomento. Memoria del medesimo. Milano, 1852; un fase- in 4-“ Cours Corso di fisica sperimentale del sig. Prof- F. Marc et. Parigi, 1850; Un voi- in 8.“ IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Russi Ord. Min. Conv. Archiep. Icon. Yicesgerens. ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE IV.^ DEL 13 MARZO 1859 PRESIDENZA DEL SIG. DECA D. MARIO MASSIMO MEMORIE E COMUNICAZIONI DEI SOCI ODDINTAai E DEI CORILISFONDEZffTI Intorno alle curve piane, che possono essere comprese nella superficie del cono. Nota del prof. N- Cavalieri San Bertolo. I . L equazione della superficie di un cono retto, fra le coordinate x, ij, s, delle quali la prima e la seconda giacenti in un piano, a cui è normale l’asse del cono, e la terza parallela allo stesso asse; posta l’origine nell’ interseca- zione di questo col piano delle x e delle y, è a^[x^ -H tf) = r\a — %Y, dove a esprime la distanza del vertice del cono dall’ origine, ed r il raggio del circolo segnato intorno alla medesima origine dalla superficie conica nel piano delle x e delle y. 2. Se, non cangiando il piano delie x e delle z, vogliasi riferire la super- fìcie conica a due nuovi piani a quello, e fra loro ortogonali; dei quali il nuovo piano delle x e delle y tagli il primitivo alla distanza d dal punto, nel quale era stata fissata 1’ origine delle coordinate ; e vogliasi trasportare 1’ origine nell’altro punto, in cui lo stesso nuovo piano delle x e delle y è incontrato dall’asse del cono ad una distanza h dall’origine primitiva : per tale permu- tazione delle coordinate, la quale altro non richiede se non che la sostituzione 24 - 174 — dx — hz . , , hx-^-dz . , \r{iP^W-) di e di A -K "> '“Og® d‘ SI avra per la superficie del cono la trasformata equazione a^[{dx -h hzf -t- (c/2 h^)f] = r\{a — h) y{d^ ^ h^) — /la; — dzf . 3. E se in questa ultima equazione si faccia x == 0, ne deriverà l’equa- zione della curva, nella quale succede l’intersecazione del piano delle x e delle y con la superficie del cono a2[^2^2 -4- ((/2 -h h^)y^] = r2[(a — h)\/-{d^ H- h^) — hxf . È questa pertanto l’equazione generale di tutte le curve piane, che possono essere comprese nella superficie del cono; ed il grado di essa fa immediata- conoscere che le curve piane applicabili alla superficie del cono non possono essere se non che di quelle, che appartengono al secondo ordine. E siccome è chiaro che la stessa equazione nulla può perdere della sua generalità col farsi d = r, cosi in virtù di tale sostituzione la generale equazione delle curve piane applicabili alla superficie del cono si offrirà sotto la più semplice forma (A) a^[r'^x^ -f- (r^ 2] == r2[(a — h) \r{a^ h- r^) — hxf . 4. Ora da questa equazione, col fare y = 0, si ricavano due valori di x^ che determinano nell’asse delle x due punti, nei quali lo stesso asse è ta- gliato dalla curva; i quali valori sono, uno dalla parte delle ascisse positive, ic'=|/’(h^-+-r^), e l’altro dalla parte delle ascisse negative x" 1 La distanza £c'-+- x" = — - fra i notati due punti costituisce un asse della curva , di cui il punto di mezzo è un centro di essa, situato alla di- s x' — x'^ h]/'{h^-\-r^) , . . ,, , , tanza — - — = — - — - dall origine , in quella parte dell asse , che si 1 a -\-h accosta all’ intersecazione dei prefati due piani. Che sia questo veramente un asse della curva a colpo d’ occhio apparisce dalla forma della trovata equa- zione, in virtù della quale a qualsivoglia valore dell’ascissa x corrispondono — 175 - necessariamante due valori uguali e di segno contrario dell’ordinata ij; laonde la curva addiviene per sua natura simetrica intorno all’asse delle x. 5. Mediante la sostituzione di x — x' — x — (4) iu luogo di x nell’equazione (A), l’origine sarà trasportata nel vertice della curvai e la stessa equazione sarà cosi convertita nell’altra (B) a\r\x — ]/^{h^ -H r^)Y-¥- [h^ -t- r^)if] = r2[(a _ à)|/-(à2 r^) — h[x - \/-{h^^r^)f . 6. Parimenti, mercè la sostituzione di x x'— x" (i) 2 a-\~h in luogo di X nella medesima prima equazione (A), l’origine sarà trasferita nel centro della curva, trasformandosi essa equazione in quella che segue (C) -H (r^ -(- /> V j 7. Tutte le curve piane , che possono essere comprese nella superficio del cono, sono essenzialmente espresse da ciascuna delle tre equazioni (A) , (B), (C); nella prima delle quali è supposto che l’origine delle coordinate sia nella intersecazione dell’ asse del cono col piano della curva ; nella seconda che r origine sia situata in quel vertice della curva , che tocca la linea di congiunzione del piano della curva stessa con quello, che per la primitiva equa- zione (1) della superfìcie del cono, era il piano delle x e delle ?/; nella terza fìnalmente si suppone che 1’ origine sia nel centro della curva , o sia nel punto di mezzo di quell’asse, di cui fu veduto la curva essere dotata (4). 8. L’equazione (A), fatto h = — a, assume la forma 4r2 4r2 mentre, nella medesima supposizione di h = — a, l’altra equazione (B) ad- — 176 — diviene 2 Si apprende pertanto, in virtù di questa prima applicazione , che la condi- zione h = -—a produce nella intersecazione della superficie piana con quella del cono una parabola, della quale il parametro è ^ ^ , espressa cosi dall’una come dall’altra delle risultanti due speciali equazioni; dalla seconda se si voglia che l’origine delle coordinate sia nel vertice; dalia prima se intendasi che l’origine cada in quel punto, dove il piano della curva è trapassato dal- l’asse del cono. Ma se la medesima condizione di h — — a si volesse introdurre nel- l’equazione (C), questa addiverrebbe intrattabile, poiché taluni dei suoi coef- ficienti acquisterebbero valori infinitamente grandi. Il che deve necessariamente succedere, perchè la curva nel supposto valore di h non ha centro, essendo il suo piano parallelo ad un lato del cono, che è diametralmente opposto a quello, in cui giace il vertice della curva; onde il valore dell’asse (4) diventa 9- Non è d’uopo se non che di facili artifizi di calcolo per ridurre l’equa- zioni (B), (C) sotto le piu semplici forme (B') r = à^{h^ H- r^) ^ a-\-h (C') r^{a^ — W) r^) a2(/i2-Hr2) V {a-^hy Ambedue queste equazioni, sempre che entrambe le quantità a -i- li ed a — h sieno positive ; per lo che si richiede che h sia non maggiore di a e non minore di — a; appartengono ad una ellisse , della quale il semiasse mag- giore a /iM-r2 , ^ r]/^{a—h) •' , ed il minore p = — tv y{a-\-h) a-i-h Per la prima di tali — 177 — equazioni Torigine è posta nel vertice; e per la seconda nel centro della curva Ma se 0 l’una o l’altra delle predette due quantità a n- /t, ed a — h sia ne- gativa; vale a dire che o essendo la quantità h positiva sia maggiore di a, 0 essendo negativa sia minore di — a; in allora le due equazioni apparten- gono ad una iperbola, della quale i due semiassi, maggiore e minore, hanno identicamente quei valori, che nel precedente caso fu veduto appartenere ad una ellisse. Che se per ultimo si supponga o h = a, o h=- — a; nel primo caso il piano delle x e delle tj addiviene tangente alla superficie conica , e la linea di contatto, che si confonde con l’asse delle x, è espressa dall’equa- zione ^2 = 0; e nel secondo caso il valore di ciascuno dei due semiassi ad- diviene infinito, e l’equazione (B') si converte in quella, che è stata già qui poco innanzi (8) ottenuta 2 ^ 1/" appartenente ad una parabola, il di cui parametro è p= — . 10. Dalle cose fin qui dimostrate si viene a concludere, che l’equazione (R') abbraccia, nel modo più semplice e più evidente, tutte le curve piane, che possono essere tracciate nella superficie del cono retto; e che unicamente dalle notate diverse comparative condizioni fra le distanze a ed h dipende che la curva appartenga piuttosto ad uno che ad un altro dei generi , nei quali sono distinte le linee di secondo ordine. Dopo di che resta soltanto da vedersi come dalle premesse considerazioni sia aperto 1’ adito a conoscere , data che sia la particolare equazione o di una ellisse, o di una iperbola, o di una parabola, se la curva, alla quale essa appartiene , sia comprensibile indistintamente dalla superficie di qualsivoglià cono retto; o piuttosto sia ne- cessario, perchè la superficie del cono possa comprendere la data curva, che i parametri di questa e quello della superficie conica abbiano fra loro qualche essenziale relazione. Il che costituisce lo speciale obbietto delle presenti ele- mentari disquisizioni. 11. Poiché il parametro della superfìcie conica altro non è se non chela tangente dell’angolo costante fatto dalla retta generatrice con l’asse del cono r in qualsivoglia posizione di essa; se si chiami k il parametro sarà k— — , ovvero r = ak. Sostituendo dunque codesto valore di r nei rinvenuti valori di a, di /3, e di p, diventeranno essi (U) a-\-h (V) /3 = akyia — h) (W) p — E siccome questi esprimono le relazioni, che debbono essenzialmente sussistere fra i parametri della superfìcie conica e della curva piana , che può dalla stessa superfìcie curva essere compresa , così costituiscono le equazioni di condizione, e somministrano infallibili criteri, per far conoscere con certezza se una determinata curva sia di uno, sia di un altro dei tre generi, ai quali è applicabile la ricerca, possa o no tutta cambaciare colla superfìcie di un cono, del quale sia noto il parametro. Egli è in fatti manifesto che il totale com- baciamento della curva colla superfìcie conica sarà realmente possibile, sem- pre che pei dati valori di a e di ovvero di p dall’equazioni di condizione sì deducano dei valori di a e di /*, che sieno reali; e sarà all’ opposto im- possibile ogni qual volta dalle medesime equazioni di condizione risultino im- maginari i valori dì a e dì h; ì quali sono gli elementi, che determinano le posizioni relative del piano della curva e della superfìcie del cono. 12. Per applicare primieramente la ricerca alla parabola , nella quale l’elemento di posizione h è costantemente uguale a — a; è d’uopo ricorrere alla equazione di condizione (W), dalla quale si ricava a ^ ^ . Sic- come evidentemente questo valore di a è sempre reale, qualunque sieno i sup- posti valori, purché reali, dei parametri k e p ; così viene ad essere dimo- strato che qualunque parabola apolloniana può essere compresa nella super- fìcie di qualsivoglia cono retto ; essendone su di questa segnata la traccia nel continuato incontro di essa superfìcie curva con un piano, normale a quello delle X e delle z, e parallelo al lato del cono giacente nel piano stesso, da — 179 — cui r asse del cono venga tagliato in un punto situato ad una distanza 2a; dal vertice. 13. Passando a consultare le due altre equazioni di condizione (U), (V), le quali indistintamente appartengono tanto all’ellisse, quanto all’iperbola; si deducono da esse pei due elementi di posizione a ed h del piano della curva rispetto alla superficie conica i seguenti valori Ma codesti valori, come ognuno vede , non possono mai addivenire imma- ginari, finché i parametri «, jS, e /c della data curva piana e della superfi- cie conica sieno quantità reali e positive- Laonde si conclude che anche per l’ellisse e per l’ iperbole, come fu pria dimostrato per la parabola (12), qua- lunque sieno i valori reali e positivi dei semiassi dell’una o dell’altra curva, può questa essere ricevuta a perpetuo contatto nella superficie del cono, qua- lunque sia il valore del parametro k di questa. 11 combaciamento della curva piana con la superficie conica è tracciato dalla intersecazione di questa col piano delle x e delle y, la di cui posizione rispetto al cono è dipendente dai dati valori di a e di h. 14. Qualora si supponga « = /3 le due equazioni di condizione (U), (V) danno = 0, a= y, e conseguentemente ak=:r = ^ ; e riconducono alla li originaria proprietà del cono retto; per cui qualunque piano parallelo alla di lui base, tagliando la superficie conica, genera su di essa un circolo, del quale il raggio è in un rapporto costante con la distanza del piano secante dal vertice del cono- 15- Ultima conclusione di ciò, che è stato fin qui dimostrato, si è che alla superficie di un cono retto, qualunque sia il valore costante dell’angolo ftitto dalla linea generatrice con l’asse, sono applicabili a continuo contatto tutte quante le innumerabili curve di secondo ordine, qualunque sieno i va- lori dei parametri, nei tre generi, in cui vanno esse distinte- Codesta natu- — 180 rale proprietà di generale congruenza fra la superficie conica, e le curve di secondo ordine, fa maggiormente conoscere l’aggiustatezza della denomina- zione di sezioni coniche, data fin dai più antichi tempi dai geometri a quella famiglia di curve. La quale rimarcabile proprietà , come sarebbe temerario il presumere che fosse rimasta inosservata da quelli celebratissimi ingegni, che nelle classiche loro opere hanno diffusamente trattato sia sinteticamente, sia ana- liticamente della natura e della proprietà delle sezioni coniche; massimamente dacché spontaneamente poteva scaturirne la scoperta, come immediato corolla- rio, dalle proposizioni XXIX, XXX, e XXXI del sesto libro dei conici di Apol- lonio: così rimane tuttavia inesplicabile che da essi sia stato trasandato di farne apertamente menzione. — 181 — Florae romanae Prodromiis exhibens plantas circa Romam et in Cisapenninis Pontificiae dictionis provinciis sponte venientes. Auctore Petro Sanguinetti in romana stiidiorum Universilale Botanices professore. (Continuazione) (*). LAMIUM. 1179- LONGiFLORUM. Tcii. FI- Nap. t. 5. p. 10. tah. 150. Glabriusculum. Caule fìstuloso adscendente subsimplici: foliis ovatis grosse obtuseque duplicato- serratisbasi cordatis apice acuminatis, superioribus acuminato-elongatis: fasci- culis axillaribus oppositis sub-5-floris in spica foliata laxa: laciniis calycinis lan- ceolatis: corollae tubo, calycem, multo superante: fauce insigniter dilatata: galea emarginata, labii inferioris laciniis lateralibus 2-dentatis: antheris dorso barbatis. L. longiflorum Beri. FI- It- t- 6- p- 1 11 - L.. Orvaia Seb- et Matir. FI. Bom- Prod. p. 192- n. 650. In sylvis montaniis Latii Umbriae et Piceni. Monte Gennaro, Sasso Bor- ghese, Vettore etc. Perenn. Fior. Julio. Flores purpurei. 1180. MACULATUM L- Sp- PI. p. 809. Laxe pilosum. Caule adscendente flexuoso parce ramoso: foliis ovatis grosse duplicato-serratis basi subcordatis apice in superioribus successive magis acuminato : fasciculis 5-floris axilla- ribus oppositis in spica foliata et magis inferius laxa: laciniis calycinis fili- formibus: tubo corollae calycem superante: corollae galea 2-carinata serrulata, labii inferioris lacinis lateralibus ut plurimum 2-dentatis: antheris dorso barbatis. L. rnaculatum Bert. FI. It. t.6.p. 113 - L. maculatum, laevigatum, et album Seb- et Maur. FI- Rom- Prod. p- 192 193. nn. 652. 651. 653 - L. laeviga- tum Sebaste En. PI Ampli. Flavii p. 51- n. 131. - L. Plinii Campoclarense, et montanum Columih Ecphr. 1. p. 190. et L. montanum Campoclarensium l. c- p- 192 fig. - L. subrotundo rugoso folio flore rubro. Bocc. mus. 2. tab‘ 23. - Hort. Rom. t. 3. tab- 34-. In umbrosis et ad sepes vulgatissimum. Perenn. Fior. Martio ad Junium. Flores purpurei quandoque albidi. Vulgo. Succimele. Obs. Herba faetens. Folia macula alba lineari saepe notata. 1181. ALBUM L. Sp. PI- p. 809. Pilosum. Caule adscendente , inferius quandoque radicante parce ramoso: foliis cordato-ovatis duplicato-serratis su- perioribus oblongis, apice sucessive magis acuminato-cuspidato: fasciculis op- positis axillaribus sub-lO-floris, in spica laxissima; laciniis calycinis filiformi- (*) Vedi sessione III, del 6 febbraro 1859. 25 ~ 182 — bus : corollae tubo sub incluso, galea subintegra, labii inferioris laciniis la- teralibus, dente longo lineari, donali s: antheris dorso barbatis- L.. album Beri. FI. lu t. 6. p. 116. In umbrosis ad sepes in montibus Latii. S. Polo. Perenn. Fior. Aprili-Majo- Flores albi. 1182. BiFiDUM Cyrill. PI. rar. Begn> Neap. fase. 1. p. 22. tab. 7. Pilo- sum. Caule caespitoso decumbente e basi ramoso, rarnis patulis: foliis ovatis basi cordatis inaequaliter inciso-dentatis, superioribus sub-3-fidis apice acu- minatis : fasciculis axillaribus oppositis 5-8-floris in spica foliata densa ter- minali abbreviata: laciniis calycinis acuminato-subulatis: corollae tubo gracili calycem superante: fauce -brevi: corollae galea 2-fida, laciniis divaricatis, labii inferioris lacinis lateralibus brevi-deritatis: antheris dorso barbatis. L- bifidum Seb- et Maur- FI. Rorn. Prod- p- 193- n- 654- - Beri- FI. It- t. 6. p. 118. - L. aequiculorum Column. Ecph7\ 1. p. 192. flg- In umbrosis, herbidis, ad sepes frequens- Ann. Fior. Martio* Flores albi. 1183. PURPUREO M L. Sp. Pi p. 809. Villosum. Caule adscendente radi- cante , basi ramoso : foliis cordatis inaequaliter crenatis, inferioribus subro- tundis, superioribus ovatis: fasciculis axillaribus oppositis 3-8-floris in spica pyramidata terminali densa foliata: floribus parvis: calycis laciniis subulato- acuminatis: corollae tubo calyce subduplo longiore, galea obtusa integra, labii inferioris, laciniis lateralibus 1-dentatis, dentibus appendiculatis: antheris dorso barbatis. L. purpureum Seb- et Maur. FI- Rom. Prod. p. 193- n. 655 - Bert. FI. It. t. 6. p. 121. In umbrosis volgare. Ann. Fior. Martio-Aprili. Flores albido-purpurascentes. Obs. Folia pallida, heiba faetens. 1184. AMPLExicAULE L. Sp. PI. p- 809. Pilosum. Caule caespitoso de- cumbente e basi ramoso: foliis inciso-crenatis, inferioribus petiolatis sub ro- tundis basi cordatis, superioribus amplexicaulibus semiorbiculatis : fasciculis axillaribus oppositis 2~10-floris in spica laxa inferius laxissima : calycis la- ciniis subulato-acuminatis : corollae tubo angusto, calyce incluso vel exerto , galea obtusa, labii inferioris laciniis lateralibus breviter 1 -dentatis : antheris dorso barbatis. L. amplexicaule Sebast. En. FI. Amph. Flavii p- 51. n. 130 - Seb. et Maur. FI. Bom. Prod- p. 193- n. 656 - Bert. FI- It. t- 6. p. 122. — 183 — In vineis ciiltis ruderatis comniune. Ann. Fior. Martio-Aprìli- Flores purpurei pulchrì. Vulgo. Erba rota. glÈcoma. 1185- MEDE RACE A L. Sf- PI- p. 807- FoIììs petiolutis axillaribus secun- dis cordato-reniformibus: floribus solitariis vel corymbosis. G. hederacea Seb- et Maur- FI. Rom- Prod- p- 192- n. 649 - Bert. FI. 11. t- 6- p. 106. In umbrosis ad sepes circa urbem et in montanis. A Villa Pamfili in copia, Albano etc- Vulgo. Edera terrestre. Usus. In tussibus, uti expectorans, infusum totius plantae frequenter usur- patur. NEPETA. 1186. Cataria. L. Sp. PI. p. 796. - Incano-pubescens. Caule erecto ra- moso, ramis brachiatis: foliis petiolatis cordatis dentato-serratis: racemis axil- laribus oppositis secundis in spica superius densa; bracteolis linearibus acu- minato-setaceis: calycis laciniis lanceolatis, suprema omnium longiore. N. Cataria Maur. Cent- 13. p. 29 - Bert. FI. It. t. 6. p. 65. - Cataria major vulgaris. Hort. Rom. t. 3. tab. 80. In ruderatis circa pagos montium frequens. S. Pellegrino presso Norcia et circa Urbem. Alla valle Egeria. Perenn. Fior. Julio. Flores albi, antheris violaceis. Vulgo Cataria, Gattaria, Menta dei Gatti. Obs. Herba nunc grate nunc ingrate redolens etiam in statu sylvestri, de- licies Felium, unde nomen volgare. 1187. NUDA L. Sp. PI- p. 797. Nudiuscula. Caule erecto ramoso , ra- mis adscendentibus saepe elongatis: foliis sessilibus inferioribus petiolatis omni- bus oblongis crenatis: corymbis axillaribus pedunculatis oppositis in racemo inferius interrupto: bracteolis setaecis brevissimis: calycis laciniis linearibus, omnibus subaequalibus. N. Nuda Bert- FI. Il- t- 6. p- 67 - N. mont. purpurea maj. sparsa spica Barret- le. 601. In pratis alpinis. Valle Canelra, Castelluccio di Norcia etc. Perenn. Fior. Junio-Julio. Flores albi, carnei, vel violacei* Obs. Herba ingrati odoris. 184 — 1188. Nepetella L. Sp. PI. p. 797- Cano-pubescens. Caule erecto su- perius ramoso, ramis fastigiatis: foliis petiolatis lanceolatis dentatis basi ro- tundatis cordatisve: corymbis axillaribus oppositis breviter pedunculatis, ia ra- cemo cauli ramisque terminali; bracteolis linearibns acuminatis: calycis villosi laciniis acuminato-subulatis superioribns longioribus- N. Nepetella Beri. FI. 11. t. 6. p. 69 - N. sexatilis minima Barrel. le- 736 - Bocc. Mus. di Piani, p- 46. lab. 36- In locis alpestribus saxosis apenninorum. M. Vellore. Perenn. Fior- Junio-Julio- Flores albi vel carnei. STACHIS. 1189. SYLVATICÀ L. Sp. PI- p. 811. Hirsuto-scabra. Caule erecto vel adscendente simplici ramosve : foliis longe petiolatis cordatis ovatis regula- riter crenatis floralibus lanceolatis: fasciculis oppositis axillaribus sub-3-floris remotis in spica elongata; bracteolis nullis: laciniis calycinis spinescentibus; corollae fauce exerta, galea integra. S- Sylvatica Seb- et Maur. FI. Bom. Prod. p. 194- n. 659 - Beri. FI. II. l- 6- p- 142- Galeopsis procerioi*, foetida, spinata- //ori. Rom. i- 3- lab. 38- In umbrosis sylvaticis ad sepes vulgaris circa Urbem- Perenn. Fior. Majo-Junio. Flores sanguinei. Obs- Herba foetens. 1190. PALusTRis L. Sp. PI. p. 811. Pubescens- Caule erecto simplici ramosoque ad angulos aculeis rectis scabro : foliis sessilibus vel brevissime pedunculatis lanceolatis acutis serrulatis, floralibus lanceolatis deflexis adscen- dendo abbreviatis: fasciculis oppositis axillaribus sub-4-floris approximatis in spica sub-continua: bracteolis nullis: laciniis calycinis lanceolatis spinescen- tibus: corollae galea integra. S. palustris Seb. el Maur. FI. Rom. Prod- p. 194. n- 660 - Beri. FI. II. t. 6. p. 144. Ad ripas Tyberis, et ad fossas circa Urbem frequens. Perenn. Fior. Julio. Flores purpurei labio inferiore variegato. Obs. Odor herbae foetens. 1191- GERMANICA L- Sp. PI p- 812. Lanata. Caule erecto superne ra- moso: foliis oblongis crenatis basi subcordatis inferioribus petiolatis, florali- bus lanceolatis: fasciculis axillaribus oppositis multifloris approximatis paucis infimis remotis in spica elongata: bracteolis linearibus longitudine calycis: la- ciniis calycinis ovatis acuminato-spinosis: corollae galea erecta integra. — 185 - S. germanica Sang. Cent, ires p- 89- n. 189 - Beri. FI. II. t. 6. p. 148 - S. alba latifolia minor Barrei le. 280 et S- alba latifolia major. le. 297. In aggeribus viarum ad oras nemorum frequens. A Tor di Quinto, Ponte Satura etc- Perenn- Fior- Junio-Julio. Flores purpurei, galea villosissima. 1192. ITALICA Benlh. Lab. p. 536- Niveo-tomentosa, tomento brevi. Caule caespitoso erecto parce ramoso: foliis oblongis obtusis crenatis inferioribus petiolatis, floralibus ovatis oblongisve: fasciculis oppositis axillaribus multifloris superius approximatis inferius distantibus in spica adrnodum elongata: bracteo- lis lanceolato-linearibus calyci brevioribus: laciniis calycinis patulis ovato-acu- minatis mucronato-spinosìs: corollae galea emarginata. S. italica Beri. FI It- t. 6. p. 150- Sideritis heraclea. Colum. Ephr. 1. p. 129 - S. alba angusto Salviae folio Barrei le. 279 - Stacbys minor ita- lica. Hort. Bom. t. 3. tab. 40. Ad horas nemorum in elatis aeque ac in demissis. S- Polo, Norcia, Ma- chia Mattei, Ponte molle eie. Perenn- Fior. Junio-Julio. Flores purpureo-rosei. 1193. HERACLEA All. Flor. Pcd- 1. l.p. 31. n- 112- tab- 84. fig. 1- Hirsuta- Caule simplici adscendente: foliis petiolatis oblongo-cordatis crenato-serratis superioribus sessilibns , floralibus integris late cordato-acuminatis: fasciculis axillaribus oppositis 5-floris approximatis in spica sub continua: bractealis ovato- lanceolatis: laciniis calycinis breviter mucronatis: corollae galea integra. S. heraclea Sang. Ceri. tres. p. 83- n- 187. - Beri. FI It.t. 6. p. 152- S. nigra Barre! le. 298. In pratis argillosis. Civitavecchia. Perenn. FI. Junio. Flores purpurei extus densissime pilosi. 1194. HiRTA L. Sp. PI p. 813* Hirsuta. Caule erecto ramoso , ramis elongatis: foliis ovatis crenatis basi truncatis cordatisve , inferioribus obtusis petiolatis , floralibus acuminatis apice spinescentibus : fasciculis sub-3-floris oppositis axillaribus subremotis in spica elongata inferius laxa: bracteolis li- neari-setaceis: laciniis calycinis subaequalibus patentibus aristato-spinosis: co- rollae galea divaricato-2-fida. S. flirta Seb. et Maur. FI. Bom. Prod. p- 195. n. 663 - Beri. FI II. t. 6. p. 156. In sylvaticis collibus circa Urbem frequens. Sul Monte Mario in copia. Perenn. Fior- Majo-Junio. Flores albi, labio inferiore luteo et purpureo variegato. — 186 — 1195. ÀRVENsis L. Sp. P/. 814. Subhirta, pilis patentibus. Caule debili adscendente inferne ramoso, ramis erectis : foliis ovatis inferioribus obtusis crenatis longe petiolatis, superioribus, flioralibusque sensirn attenuatis cuneatis dentatis: fasciculis oppositis axillaribus sub-3-floris inferius distatibus in spica brevi: bracteolis setaceis tandem deciduis: laciniis calycinis aequalibus lanceo- latis apice breviter spinulosis: galea integra. S. arvensis Seb. et Maur- FI Rom. Prod- p. 195- n. 665 - Beri. FI- It. U 6- p. 157. In arvis sterilibus. A Bravetta nel Piglielo di Righi. Ann, Fior. Aprili-Majo. Flores carnei. 1196. ANNUA L- Sp. PI- p. 813. Breviter pubescens. Caule erecto basi ramoso, ramis patulis: foliis dentatis, inferioribus petiolatis ovatis, superiori- bus ovato-elongatis sessilibus, floralibus superioribus lineari-integerrimis : fa- sciculis 2-3-floris axillaribus in spica inferius interrupta : bracteolis lineari- bus deciduis: laciniis calycinis aequalibus acuminato-attenuatis: corollae galea emarginata. S. annua Beri. FI. Jt. t. 6. p. 159. In maritimis aridis. Grotteamare. Ann. Fior. Autumno. Flores candidi labio inferiore lutealo. 1197. MARiTiMA L. Manu !• p. 82. Fulvo-villosa. Caulibus ut plurimum caespitosis inferne ramosis: foliis crenatis, inferioribus petiolatis obovatis, su- perioribus cuneatis, floralibus lanceolatis integris: fasciculis oppositis axilla- ribus sub-3-floris in spica continua inferius laxissima: bracteolis minimis li- nearibus: laciniis calycinis lanceolatis inuticis: galea crenata. S. maritima Seh. et Maur. FI Bom. Prod- p. 194. n. 662 - Beri. FI. Jt. t. 6. p. 161 - Sideritis Salviae folio Donati Bocc. Mus. di Piani, p. 164. tab. 127. In arena maritima. Civitavecchia^ Terracina etc. Perenn. Fior. Junio. Flores lutei. 1198. RECTA L. Mant. l.p. 82. Hirto-scabra. Caule erecto ramoso, ramis divaricatis : foliis inferioribus ellipticis, superioribus oblongo-lanceolatis, flo- ralibus lanceolatis mucronato-spinosis, omnibus serratis, serraturis adscendendo tenuioribus: fasciculis axillaribus oppositis sub-5-floris superioribus approxi- matis, inferioribus remotis: bracteolis linearibus brevissimis deciduis: laciniis calycinis ovatis mucronato-spinosis; corollae galea, labio inferiore, duplo bre- viore. — 187 — S. recta Seb- et Maur- FI- Rorn. Prod- p. 195. «. 664 - Beri. FI. II. t. 6. p. 163. In sterilibus ad vias et in Amphitheatro Flavio. Perenn. Fior. Julio-Septembri- Flores flavescentes rufo lineatis. 1199- LABIOSA Beri. FL II- t. 6* p. 166. Hirsutiuscula. Caule decum- benti-adscendente, ramis patentibus; foliis inferioribus ellipticis obtusis, su- perioribus ovato-lanceolatis acuminatis, floralibus oblongo-lanceolatis inucro- nulatis, omnibus serratis , serraturis sensim attenuatis : fasciculis axillaribus oppositis 8-floris subapproximatis in spica brevi terminali: calycis laciniis lan- ceolatis tubo sublongioribus: corollae galea, labio inferiore, triplo breviore. In aridis montium Latii Palombara et ad rimas rupium in apenninis. Femore. Perenn. Fior. Junio in Augustum- Flores flavescentes, labio inferiore rubro punctato. Obs- Speciem auctoritate clarissimi Bartolonii admissimus, licet dubitantes de firmitate characterum. LEONUKUS. 1200. Cardiaga L. Sp. PI. p. 817. Caule erecto: foliis inferioribus pal- matis inciso-dentatis, superioribus trifidis integrisve acuminatis: florum glo- merulis axillaribus remotis in spica elongata: corollis calice duplo longioribus. L. Cardiaca Beri. FI. II. t. 6. p. 182. Ad sepes in montanis alpinis Umbriae. Pietralta. Perenn. Fior. Junio-Augusto. Flores pnrpurei, vel rosei. Vulgo- Cardiaca. Usus. Vini tonicam corromborantem Medici in pianta agnoverunt, et ad Cardialgiam sanandam praesertim usurparunt , unde nomen specifìcnm , et volgare, Nunc vix commemoratur. BOLLOTA. 1201. NiGRA. L. Sp. PI. p- 182. Caule erecto ramoso: foliis ovatis subcor- datis regulariter dentatis: corymbulis axillaribus oppositis racematim dispositis: bracteolis filiformibus elongatis: calycis 5-dentati dentibus ovato-triangularibus aristatis. B. nigra. Sebast. En- PI. Amph- Flavii p. 29. n. 30 - Beri. FI. II. t. 6. p. 170 - Seb. et Maiir- FI- Borri. Prod. p- 196. n. 668- et oc Flore purpureo foliis subcordatis l. c. - Ballote Dioscoridis. Mori. Borri. U 3- p. 35. 3. Flore albo: foliis subovatis: corymbis paucifloris. B. nigra ^ FI Borri- l- c- - Ballote flore albo. Hort- Rom. t. 3. lab. 36, — 188 — Ad sepes, viis umbrosis utraque varietas. Perenn. Fior, aestate. Flores rosei violacei, in ^ albi. Vulgo. Cimiciotto. BETONICA. 1202. oFFiciNALis L- Sp. PI. p. 810. Hirto-scabra. Caule erecto sub- simplici: foliis radicalibus et caulinis inferioribus oblongis basi cordatis longe petiolatis, caulinis superioribus subsessilibus successive angustioribus, omnibus regulariter crenatis,, floralibus superioribus integris : glomerulis multifloris oppositis superius approximatis inferius distantibus in spica dispositis : bra- cteolis ovato-lanceolatis longitudine calycis: corallae galea integra, labii in- ferloris lacinia media emarginata crenata. B. officinalis. Seb. et Maur. FI Rom. Prod. p. 194. n. 658- - BerV FI. It. t. 6. p. 135 - B. vulgaris purpurea. Hort^ Rom. t. 3. tab. 83. In sylvaticis prope Urbem, et in montosis communis. Perenn. Fior- Julio. Flores rubelli. Vulgo. Betonica. Usus. Betonicae herba omnibus fere in morbis periclitata fuit , quo- niam autem bis in tentaminibus neque boni ncque mali aeconomiae animali evenit, ideo a meteria medica ita espulsa, ut pharmacis nullius virtutis, herbae Betonicae nomen venit. 1203. HiRsuTA L. Mant. 1. p. 248. Hirsuto - scabra. Caule erecto sub- simplici : foliis radicalibus et caulinis inferioribus ovato-oblongis petiolatis , caulinis superioribus subsessilibus successive minoribus, omnibus regulariter crenatis, floralibus superioribus linearibus subintegris: fasciculis axillaribus op- positis approximatis in spica crassa abbreviata : bracteolis lanceolatis lon- gitudine calycis: corollae galea integra, labii inferioris lacinia media obsolete crenata. B. hirsuta- Bert. FI. It. t. 6. p. 138 - B. alpina incana purpurea Barrel. le. 340. In sylvis alpinis Nursiae. Fosso dell’inferno. Perenn. Fior. Julio, Augusto- Flores purpurei. 1204. ALOPEcuRus L. Sp. PI. p- 811. Pubescenti -- pilosa. Caule soli- tario aut multiplo parce ramoso : foiiis radicalibus et caulinis inferioribus longe petiolatis ovatis lata basi cordatis grosse et regulariter dentatis, cau- linis superioribus ovatis subsessilibus sessilibusque , floralibus superioribus ovato - lanceolatis integerrimis; fasciculis oppositis multifloris approximatis duobus inferioribus distantibus in spica terminali crassa: bracteolis lanceolatis acuminato- spinnlosis calyce subbrevioribus : corollae galea 2-fida, labi! infe- rioris lacinia media integriurcula. B. alopecuros Beri- FI. It. t. 6. p. 139 - B. montona lutea Barrel. le. 339. ' B- montana lutea latifolìa. Bocc- Mus. di Piani, p. 82. tab. 72. In herbidis alpinis Umbriae- Monte Vettore. Perenn. Fior. Junio, Julio- Flores ochroleuci. MABBUBIUM. 1205. cANDiDissiMUM L- Sp. PI. p- 816- Niveo-tomentosum. Caule ad- scendente ramoso, ramis patulis: foliis inferioribus subrotundis, superioribus eliipticis, omnibus reticulato-venosis denlatis petiolatis, floralibus sessilibus : fasciculis axillaribus oppositis multifloris distantibus in spica laxissima: brac- teolis linearibus numerosis subulatis calyci brevioribus : calycis dentibus su- bulato-spinosis: corollae galea profonde 2-fìda. M. candidissimum Ber/. FI. It. t. 6. p. 177 - M. peregrinum Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 195- 666 - M. album folio subrotundo, caulibus et fo- liis albo tomento quasi xylino obsitis Mali Apii odore. Hort. Bom. t. 3. tab-6i). In montium siccioribus ad vias. A S- Polo, sui Cimini etc. Perenn, Fior. Augusto. Flores albi. Vulgo Marrubio bianco. 1206. VOLGARE L- Sp- PI p- 816- Albo-tomentosum. Caule adscendente e basi ramoso, ramis elongatis: foliis petiolatis subrotundis inaequaliter den- tatis crispo-undulatis, floralibus subssilibus multifloris distantibus in spica laxa: bracteolis numerosis subulatis apice uncinatis calyce brevioribus: calycis den- tibus decem inaequalibus spinoso-uncinatis, altcrnis minoribus: corollae galea 3-fida. M. volgare Seb. et Maur- FI- Rom. Prod- p. 195. n. 667 - Beri. FI. It. t- 6. p- 179 - M. album volgare. Hort. Rom. t. 3. tab. 59- /3 lanatum- Foliis minoribus dense albo-lanatis. In siccis praesertim montium, et ad vias frequens. /3 a S- Agnese fuori le mura. Perenn. Fior. Junio-Julio. Flores albi. Vulgo Marrubio- Usus. Decoctum plautae in intermittenctibus, et obstructionibus adtnodum valet , et communiter usurpatur. Apud nos M. candidissimi loco, M. volgare in usu est, et non immerito, nam aromate robustiori gaudet. 26 — 190 — PHLOMIS. 1207. Herba venti L. Sp- PI p- 819. Hirsuta. Caule erecto ramoso , ramis adscendentibus: foliis oblongo-lanceolatis crenato-serratis: fasciculis axil- laribus oppositis multifloris distantibus: bracteolis dentibusque calycinis fili- formibus elongatis ciliatis; labii inferioris lacìnia media ovata, lateralibus lan- ceolato-linearibus. Ph. Herba venti BerU FI It. U 6- p. 188. In marginibus agrorum Latii- Magliano in Sabina. Perenn. Fior. Junio-Julio. Flores purpureo-violacei- Ordo li. Angyospermia Verbenaceae Juss. VERBENA. 1208- oFFiciNALis L. Sp- Ph p’ 29. Caule erecto: foliis pinnatifìdis in- tegrisve inaequaliter serratis: spicis filiformibus paniculatis. V. otficinalis Sebast. En. PlauU Amph- Flavii' p. 79. n. 253 - Seb. et Maur. FI Rom- Prod- p> 199. n- 683 - Beri. FI. It- t- 6. p- 260 - V. com- munis coeruleo flore- Hort. Rom. t- 3- p- 56- In pascuis viis ubique. Perenn. Fior, aetate* Flores purpureo-coerulei. Vulgo. Verbena^ Erba di S. Giovanni- Usus. Adstringentis et vulnerariae olim famam habuit , nunc contusa sub forma cathaplasmatis, in splenis abstrutìonibus, frequenter inservit. VITEX. 1209. Agnus castus, L- Sp- PI. p- 890- Pube brevissima albicans: ramis oppositis patentibus: foliis digitatis 7-natis 5-natisve, foliolis lanceolatis su- biniegerrimis: racemo terminali inferius interrupto, ex corymbulìs oppositis ; corolla, calyce campanulato, triplo longiore- V. Agnus castus Seb- et Maur- FI- Rom- Prod- p. 199. n- 684 - Bert- Fl. It. t. 6. p- 455. In paludosis maritimis- Terracina, Civitavecchtay Ostia etc- Arbor. Fior- Julio. Flores purpurei, sub-coerulei, albi. Vulgo. Agnocasto, legno casto. — 191 — Usus. A remota antiquitate, virtutem antiphrodisiacam, semina nostrae plantae gaudere, repetita fabula narrai. Primulaceae Schultz ERINUS. 1210. ALPiNus L- Sp. PI p‘ 878- Hirsutus. Caule adscendente erectove subsimplici: foliis inferioribus spathulatis, superioribus oblongis, omnibus su- perius dentatis : floribus longe pedunculatis erectis in racemo simplici: stylo brevissimo. E. alpinus Beri- FI It- t. 6- p. 412 - Ageratum minus saxatile flore albo. Barrei le. 1192. In montanis. Sul Tuscolo. Perenn. Fior. Majo ad Julium. Flores purpurei suaveolentes. SCROPHULARINEAE ScHULTZ RHINANTHUS. 1211. Crisi A galli L. Sp. PI. p. 840. Glaberrimus: caule erecto sub- simplici: foliis lanceolato-oblongis serratis: floribus spicatis: calycibus glaber- rimis: seminibus late alatis. R. Grista galli Seb- et Maur. FI. Rom- Prod. p. 201 - Bert- FI. It. t. 6. p. 282 - Pedicularis pratensis lutea vel Grista galli. Hort- Rom. t. 3. tab. 6. In pascuis montanis. Monte Cavi, M- Gennaro, S. Polo etc. Ann. Fior. Majo-Junio. Flores lutei coeruleo maculati. 1212. Alectorolophus Pollich. Palata t. 2. p. 177. Sub hirsutus. Caule erecto simplici: foliis lanceolatis serratis: floribus spicatis: calyce hirsuto: se- minibus anguste alatis. R. Alectorolophus Bert. FI It. i. 6. p- 284 - R. hirsuta Seb. et Maur. FI. Rom. Prod- p- 202. n- 694. In Sabinae montibus. Serra S. Antonio. Ann. Fior. Junio-Julio. Flores lutei coeruleo maculati. BARTIA. 1213. viscosa L- Sp- PI. p- 839- Glutinoso-pubescens. Foliis lanceolatis acuminatis serratis inferioribus oppositis, superioribus alternis, floralibus con- — 192 — formibus sucessive minoribus: floribus axillaribus solitariis in spica elongata: corollae labio inferiore 2-calliculoso: antheris barbatis. B. viscosa Sebast- En. PI Ampli. Flavii p. 29. n. 31. - Ben. FI. It- t. 6. p. 269 - Euphrasia pratensis Seb. et Maur. FI. Bom. Prod. p. 199. n- 685 - Aelectorolopbos Italica luteo pallida Barrel. le. p. 665. In marittimis collibus pratisque aridis circa Urbem frequens. V. Borghese^ Pi- glielo Sacchetti, Ostia etc. Ann. Fior. Majo-Junio- Flores flavi. 1214- TRixAGo L. Sp. PI ed 1./>. 602 Plumbeo-virens. Caule erecto ut plurimum simplici: foliis scabris oblongo-lanceolalis oppositis grosse remate- que serratis, floralibus snperioribus integris basi dilatatis: floribus axillaribus 4-fariis in spica densa elongata : corallae labio inferiore dilatato : antheris hirsutis. B- trixago Sebast- En- PI. Amph- Flavii p. 67. n. 196 - Sang- Cent- tres. p. 86. n. 193 - Bert- FI. It. t. 6. p. 270 - B. versicolor, et B. maxima Seb- et Maur- Fi Bom. Prod. p- 201- n. 691- 692 - Alectorolophos italica versicolor spicata Bari'cl. le- 666 et Trixogo altius serratis foliis le. 774- f. 2. In collibus pratis arvis sterilibus. Al Pincio , Pigneto Sacchetti , Ponte Galera, Porto di Tra']ano etc. Ann. Fior. Majo-Junio. Flores versicolores, quandoque prorsus lutei- Obs. Exiccatione pianta nigrescit- 1215. Odontites Smith. FI- Brit- t- 2. p. 648- Laxe pubescens , pube recurva. Caule erecto ramoso, ramis strictis: foliis lanceolatis serratis, flora- libus conformibus successive minoribus, floribus longioribus; racemis secundis laxifloris; labii inferioris lacinia media latiore: antheris aristatis. B. Odontites Bert- FI. It. t. 6. p. 272 - Euphrasia Odontites Seb- et Maur. FI. Bom. Prod. p. 200. n. 688. In montium sylvaticis. Intorno Castel Gandolfo , Castagneti di M- Com- patri, etc. Ann, Fior. Majo ad Julium. Flores purpurascentes. Obs. Exiccatione nigrescit. 1216. SEROTINA Bert. Amaen- p. 63. n. 2- Laxe pubescens. Caule dif- fuso e basi ramoso, ramis patulis: foliis lanceolatis serratis , floralibus con- formibus successive minoribus, floribus brevioribus: racemis secundis densi- — 193 — floris: labii inferiorìs lacinia media angusta, lateralibus sublongiore: antheris sursum aristatis. B. serotina Beri. FI II t- 6- p- 274 - Euphrasia serolina Seh. et. Maiir. FI. Rom. Prod. p. 200- n. 689. - E sylvetris major purpurea. Column. Ecphr. 1. p. 202 - Barrel. le- 276- In campis et arvis vulgaris. Ann. Fior- Septembri- Flores purpurascentes. 1217. LATiFOLik. Sibili, et. Smith. FI. Graec. Prod. L 1. p. 428. Pu- bescenti - viscida. Caule erecto basi ramoso, ramis strictis: foliis sessilibus ovatis profonde dentatis margine revolutis , floralibus palmato-5-fidis 3-fi- disve : floribus 4-fariis in spica densa inferius interrupta: labii inferiorìs la- ciniis obtusis 2-colliculosis: antheris deorsum aristatis. B. latifolia Bert. FI It- l. 6- p. 276- - Euphrasia latifolia- Seb. et Maur- FI. Bom. Prod. p- 200- n- 686 - E latifolia pratensis. Column. Ecphr. 1. p. 202 - E. latifolia atro-purpurea Barrel le. 276. ficj. 3- Pedicularis pur- purea, annua, minima, verna. Hort. Rom. t. 3. tab. 7. In pascuis pratis circa Urbem vulgatissima. Ann. Fior. Martio. Flores purpurei, modo albi. Obs. Odor plantae terebinthinaceus- EUPHRASIA. 1218. oFFiciNALis. L. Sp. PI. p. 841. Pubescens pube recurva. Caule tenui erecto simplici rarius ramoso: foliis inferioribus ovatis insignite!* ner- vosis obtuse dentatis, superìoribus acute et argute dentatis: floribus subses- silibus alternis in spica inferius laxa: corollae galea 2-loba, lobiis laciniisque labii inferioris retroflexis. E officinalis. Seb. et. Maur. FI. Rom. Prod. p. 200. n- 687. - Bert. FI. It. t. 6. p. 287. ~ E. lutea minima, Alpina, subrotundo folio nigrigante. Bocc. Mus. di piani- p. 64 et E. mìnima lutea l. c. tab- 60 - E. oflicinarum. Hort- Rom- t. 3- tab. 9. /S pectinata. Foliis ovatis oblongisve , superìoribus pectinatis , dentibus mucronato-setaceis Bert. l. c. p. 288. ^ tricuspidata. Foliis linearibus lanceolatisve, remote, argutissime den- tato-setaceis Bert. l. c- In montium pascuis. Monte Gennaro. /3 in alpinis Nursiae. S. Pellegrino, y. M. Vettore. Ann. Fior. Junio, Julio. Flores albi. — 194 — Vulgo. Eufragia, Eufrasia. Usus. In ophthalmia Euphrasiae herba jam laudata, nunc prorsus dissueta. 1219. LUTEA. L. Sp. PI p. 842. Glabra. Caule erecto ramoso, ramis ad- scendentibus: foliis inferioribus linearibus remote serratis , caulinis superio- ribus floralibusque integerrimis : floribus secundis densiusculis in spica con- tinua: corallae galea emarginata, laciniisque labii inferioris ciliatis. E. lutea. Seb- et Maiir. FL Rom. Prod. p. 201. n. 690 - Beri. FI- It- t. 6- p. 294 - Euphrasia lutea montana angustifolia major altera. Column. Ecphr. 1- p. 204- et E. sylvestris major lutea angustifolia l. c. p. 203- In aridis collinis circa Urbem, et in montanis. Pigneto Sacchetti etc. Ann. Fior. Septembri. Flores lutei. SCROPHULàRIA. 1220. NODOSA L- Sp. PI- p. 863. Glabra. Caule simplici ramosove acute tetragono: foliis ovatis basi cordatis apice acutis argute serratis: racemo ter- minali composito, racemulis pedunculatis subdichotomis: bracteis bracteolisque linearibus: laciniis calyciniis ovatis : squama nectarifera emarginata in labio superiore corallae: capsula ovato -acuminata, calyce longiore. S. nodosa. Seb- et Maur. FU Rom. Prod. p. 204. n. 707 - Bert. Fi It. t. 6. p. 380. In umbrosis, sylvaticis frequens. Albano, Palazzuola etc. Perenn. Fior. Majo-Junio. Flores viridi-lateoli, labio superiore atro-pur- pureo. Vulgo. Scrofolaria maggiore. Obs. Radix tuberosa granulata. Usus. Radix adstringit , ideo in haemorroidis , varicibus , aliisque hujus generis morbis valet. 1221. AQUATICA L. Sp. PI. p. 864. Glabra. Caule exquisite tetragono alato parce ramoso: foliis cordato-oblongis saepe auriculatis, inferioribus obtnsis crenatis, superioribus dentatis: racemo terminali composito, racemulis pedun- culatis oppositis distantibus: laciniis calycinis subrotundis, bracteis bracteo- lisque margine scariosis : squama nectarifera cuneata retusa in labio supe- riore: capsula subglobosa calyce sublongiore. S. aquatica. Seb. et Maur. FU Rom. Prod. p. 205. n. 708 - Bert. FL II. t. 6. p. 382 - S. aquatica major. Hort. Rom. t. 2. tab. 89. In aquaticis ad fossas circa Urbem communis. Perenn. Fior. Majo* Flores atro-purpurei. — 195 — Vulgo. Serof otaria acquatica. Usus- Jam ad scrophuias sanandas usurpata, nunc vix commemoratur, 1222. Scoponi Pers. Syn. PL t. 2. p. 160- Pubescens. Caule snbsim- plìci erecto tetrogono: foliis inferioribus ovalis, rnediis oblongis, ultiinis lan- ceolatis, omnibus argute serratis, basi troncata vel cordata: racemo composito piloso-glanduloso, racemulis multifloris erectis: bracteis bracteolisque linea - ribus: laciniis calycinis subrotundis, margine scurioso irregolari: squama necta- rifera emarginata sub labio superiore corallae; capsula acuminata calyce lon. giore. S. Scopolii. Beri' FI. Il- t. 6- p. 386 - S. aqatica montana mollior. Barrel. le. 274: In montanis apricis etiarn alpinis. Alla Menorella , Monte de Fiori etc. Bienn. Fior. Junio-Augusto* Flores luteo ferruginei, labio inferiore luteo- vivente. 1223. VERNALis- L- Sp. PI. p. 864. Villoso-glanduloso-viscida. Caule erecto ramoso fistoloso exquisite tetragono: foliis cordato-ovatis grosse du- plicato-serratis: cymis in axillis foliorum longe pedunculatis: bracteis ovato- acuminatis basi tantum dentatis: laciniis calycinis oblongis: squama nectarifera nulla: capsula ovoidea acuminata calyce longiore. S. vernalis. Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p* 205. n. 709 - Beri. FI II. t. 6- p- 388 - S. montana maxima Column- Eephr. ì.p. 191 - S. montana maxima latif. flore luteo. Barrel le. 273. In sylvatis montanis Latii. Monte Gennaro, Guadagnolo etc. Bienn. Fior. Aprili-Junio. Flores luteoli. 1224. PEREGRINA L. Sp. PI p. 866. Glabra. Caule tetragono erecto subsimplici: foliis cordatis ovatis inferioribus petiolatis, superioribus sessilibus, floralibus lanceolatis, omnibus grosse et irregulariter serratis: cymis axillaribus paucifloris spicatim disposi tis : bracteolis filiformibus: laciniis calycinis ovato- acuminatis: squama nectarifera orbiculari in labio superiore corollae: capsula late ovoidea breviter acuminata, calyce plus duplo longiore- S. peregrina Seb- et Maur. FI. Rom. Prod. p. 205- n. 710- Beri. FI. It. t. 6. p. 389. Secus vias in subhumidis. Intorno Roma, Frascati, Albano, Civitavecchia etc. Ann. Fior- Majo-Junio. Flores purpurascentes- 1225. CANINA L. Sp. PI p. 865. Glabra, rigida. Caule sirnpliei vel caespi- toso erecto obscure tetragono ramoso: foliis subcoriaceis inferioribus simpli- — 196 — cibus, superiorlbus pinnatifidis, laciniis lanceolatis remotis inaequaliter serratis incisisve: racemo terminali pyramidato ex racemulis numerosis alternis 2-fidis: bracteolis linearibus oppositis : laciniis calycinis subrotundis margine mem- branaceis; squama nectarifera magnitudine varia in labio superiore corollae : capsula ovato-subrotunda breviter acutata, calyce plus duplo longiore. S- canina Seb. et Maur- FI. Rom. Prod. p. 205. p. 712 - Beri. FI. It. t. 6- p. 393 - S. Ruta canina dieta. Hort. Rom. t. 2. lab. 90- /3 chrysanthemifolia. Foliis caulinis fere omnibus 2-pinnatifidis, laciniis lanceolatis, acute inaequaliter serratis- Beri. l. c. p. 394. In aridis lapidosis montium. Rocca di Papa, Monti Tiburtini , Lago de Tartari etc. jS S. Polo. Bienn- Fior. Majo-Julio. Flores atro-purpurei. Vulgo. Ruta canina. 1226. Hoppii Rock Syn. ed. 2. p. 594. Pubescenli-glandulosa , mollis- Caule adscendente erecto e basi parce ramoso: foliis sub-3-pinnatifidis , la- ciniis parvis inciso-serratis , in foliis radicalibus majoribus : racemo spicae- formi ex racemulis brevibus paucifloris : bracteolis linearibus ut plurimum solitariis: laciniis calycinis ellipticis late marginatis: squama nectarifera lineari subinde deficiente in labio superiore corollae: capsula late rotundata, acumino coronata, calyce plus duplo longiore. S- Hoppii Beri. FI. It. t. 6. p. 397 - S. lucida Seb. et Maur. FI. Rom. Prod. p. 205- n. 711- In apricis saxosis elatiorum montium. Monte Vettore, Siibiaco ete. Perenn. Fior. Julio- Flores pallide purpurascentes. PEDICULARIS- 1227. VERTICILLATA L. Sp- PI. p. 846. Glabra. Radice crassa, rhizomate brevi , fibris lateralibus elongatis; caule erecto: foliis radicalibus caespitosis humifusis , caulinis floralibusque verticillato-quaternis, omnibus pinnatifidis, pinnis oblongis dentatis: floribus verticillato-capitatis , pedicellis brevissimis: calycibus 5-dentaiis: corollae galea erostri obtusa, labium inferius subaequante. P- verticillata Sana. Cent. tres. p. 87- n. 196 - Beri- FI It. t. 6- p. 320- In alpinis circa Nursiam. Monte Bernardo. Perenn. Fior. Julio. Flores rubri- 1228- FOLIOSA L. Moni, l-p-86- Filosa- Radice crassa, rhizomate brevi, ramis elongatis descendentibiis: caule simplici piloso, foliis majusculis radica- — 197 — libus longe , caulinis brevius pedicellatis, omnibus 2-pinnatifidis pinnis li- nearibus inciso-dentatis: spica foliosa: calycibus obliquis 5-dentatis, dente su- periore maximo: galea erostri integerrima obtusa superius pubescente. P. foliosa Sang. Cent- tres p- 87- n. 196 - Beri- FI. It. 6 p. 320. In jugis apenninis- Valle Canetra Monte Bove etc. Perenn- Fior. Junio-Julio. Flores ochroleuci- 1229. coMosA L- Sp. PI- p- 847. Pubescens vel pilosa- Radice filipen- dula, tuberculis elongatis: caule simplici folioso: foliis inferioribus longe, su- perioribus brevius petiolatis, omnibus 2-pinnatifidis pinnis lanceolatis pinnu- lisque acuminatis argute serratis: floribus in spica terminali crassa longiuscula: dentibus calycinis brevibus, lata basi, triangularibus integris: galea corollae breviter rostrata, inferius acute 2-dentata. P. comosa Beri- FI. It. t. 6. p- 324. - Alecterolophos montana fi. albo Barrel. le. 469- - A. montana flore albo luteo - Bocc- Mas. di (is. p. 315. tab. 8- f. 2. In apennino Umbro. Vettore. Perenn. Fior. Majo-Junio. Flores ochroleuci pallidi. 1230. FAscicuLATA WUd. Sp- PI- t. 3. par-\-p- 218. Subunda. Radice fasciculata, fìbris simplicibus ramosisve: caule hiimilì caespitoso: foliis radi- callbus fasciculatis longe petiolatis , caulinis subsessilibus solitariis vel binis oppositis omnibus anguste 2-pinnatifidis, pinnulis distantibus dentatis: floribus subsessilibus in spica brevi densa: lacinìis calycinis multifido-incisis: corollae galea brevi-rostrata, rostro eroso crenato. P. fasciculata Bert. FI- It. t- 6. p- 327- In pratis alpinis Umbriae. Vettore. ^ Perenn- Fior. Julio- Flores intense rosei. 1231- TUBEROSA L- Sp- PI. p- 847. Glabriuscula. Radice brevi erosa praemorsa, fibris extremitate incrassatis: caule simplici: foliis radicalibns cae- spitosis longe petiolatis , caulinis alternis , petiolis successive abbreviatis , omnibus profunde 2-pinnatifidis pinnulis dentatis : floribus spicatis bractea- tis : laciniis calycinis 3-fidis foliaceis : galea longe rostrata, rostro porrecto emarginato. P. tuberosa Sang. Cent, tres p. 86- n- 194 - Bert. FI. It. t. 6. p. 333. In summis apenninis. Monte della Sibilla. Perenn. Fior. Julio- Flores flavi 27 - 198 — MELAMPYRUM. 1232- cmsTATUM L. Sp. PI p. 842. Granulato-scabrum. Caule erecto ramis brachiatis: foliis sessilibus lanceolato-linearìbus, margine tenuiter ciliato- scabro: floribus in spicis densis tetragonis: bracteis imbricatis pectinato-den- tatis, basi late ovata, conduplicatis, apice cuspidato integro: calycis glabri la- ciniis acuminato-setaceis, superioribus duabus duplo longioribus: corollae fauce clausa: capsula semiovata rostrata. M. cristatum Beri. FI- It. t. 6. p- 300. In sylvis Piceni. Apud. Arcevia. Ann- Fior. Majo-Junio. Flores lutei, tubo albo- Bracteae virides, 1233. ARVENSE L. Sp- PI- p. 842- Granulato-scabriusculum. Caule erecto ramoso: foliis brevissime pedunculatis lanceolato-linearibus margine scabris : floribus in racemo spicaeforrni laxo: bracteis ovato-lanceolatis acuminatis pin- natifìdo-setaceis: calycis flirti laciniis acuminato-setaceis subaequalibus; fauce corollae clausa: capsula subrotunda vix acuminata. M. arvense Seh- et- Maiir- FI. Rom. Prod. p- 202- n. 695 - Beri- FI. It. t. 6- p- 302 - M. purpurascente coma. Hort. Borri, t. 3. tab- 8- In montium messibus abbunde. Tivoli^ Macerata etc. Ann. Fior. Junio. Flores purpurei fauce flava. Bracteae purpureae. 1234. BARBATUM WUd. Sp- PI- t- 3- par. 1- p. 198- Granulato-scabrum. Caule erecto , ramis erecto-palutis: foliis lanceolatis linearibusque margine scabris: floribus in spica elongata laxiuscula: bracteis ovatis apice cuspidatis margine pinnatifido-setaceis : calycis laciniis longe acuminato-setaceis aequa- libus: corollae rictu hiante: capsula subrotunda breviter rostrata. M- barbatum Bert- FI. It. t. 6. p. 304. In silvis montium Piceni. Da Macerata ad Arcevia. Ann. Fior. Junio- Flores lutei. Bracteae ut plurimum virides. 1235. NEMORosuM L- Sp. PI. p. 843. Tenuissime granulatum. Caule valde ramoso, ramis patentibus: foliis ovatis lanceolatisve breviter petiolatis mar- gine scabris: floribus solitariis remotis terminalibus secundis: bracteis cordatis basi laciniatis floribus longioribus: calycis laciniis lanceolatis elongatis subae- qualibus: corollae rictu clauso: capsula ovata, rostro brevi, coronata. M. nemorosura Bert. FI. It. t- 6. p. 305 - M. luteum coma coerulea Barrel. le. 769. fig- 1. In sylvaticis apennini Piceni- Presso Macerata. Ann- Fior- Julio ad Septembrem. Flores lutei- Bracteae purpureo-coeruleae. — 199 — DIGITALIS. 1236. LUTEA Liti. Sp. PI. p. 867. Glabra. Caule erecto simplìci multi- folioso: foliis sessilibus lanceolatis remote breviterque serratis quandoque in- tegerrimis: floribus numerosis secundis in racemo spicaeformi ; laciniis caly- cinis lanceolatis subaequalìbus: corolla tubuloso-campanulata, lobis abbreviatis, labio inferiore superius barbato. D. lutea Seb- et Maur. FI. Rom. Prod. p. 206. p- 713 - Ben. FI. It. t. 6. p. 406. - D. major lutea vel pallida parvo flore. Mori. Rom. t. 2. lab. 88. In umbrosis ad sepes montium obvia: circa urbem non infrequens. A Ponte Molle, Villa Madama, copiosamente attorno Albano, sid monte Gennaro etc. Pcrenn. Fior. Junio-Julio. Flores lutei. 1237. FERRUGINEA L. Sp. PI. p. 867. Glabra. Caule simplici erecto un- gulato: foliis lanceolatis subintegris sessilibus crebris sparsisi floribus numerosis sparsis in racemo denso elongato: laciniis calycinis elliptico-oblongis obtusis albo-marginatis: corolla campanulata inflata brevi, labiis obtusis, inferiore late ovato supra dense barbato. D. ferruginea Seb- et Maur. FI. Rom. Prod. p. 206. n- 714 - Bert. tl. It. t. 6. p. 410 - D. latifolia flore ferrugineo. Hort. Rom. t. 2. tab. 86- In montium etiam elatiorum umbrosis. Montagna di Viterbo, Monte Gen- naro, Valle Canetra Umbriae ete. Perenn. Fior. Junio-Julio. Flores luteo-ferruginei. ANTIRRHINUM. * Corolla basi calcarata - Binaria. 1238. Cymbalaria L. Sp. PI. p. 8.50. Glabrum Caule caespitoso flagel- lari dependente: foliis longe petiolatis reniformibus grosse 5-7-lobatis: flori- bus axillaribus solitariis pedunculatis , pedunculis folio brevioribus in fructu recurvis: laciniis calycinis lineari-oblongis obtusis: calcare brevi obtuso de- pendente: capsula subrotunda calyce longiore: seminibus subrotundis rugoso- squamulosis. A. Cymbalaria Sebast. En. Pt. Ampli. Flavii p. 26. w. 19 - Bert. FI. It. t. 6. p. 337 - Linaria Cymbalaria- Seb- et Maur. FI, Rom. Prod. p. 202. p. 696. a acutamgolum. Pianta gracilior, foliis minoribus, lobis acuminatis. In murorum flssuris ubique- oc secus Quadagnolo. — 200 — Perenn. Fior. Aprili ad Junium. Flores albidi violaceo striati, palato lu- teo, quandoque prasus albi. Vulgo- Pianella, Erba pianella, flores Scarpette della Madonna. 1239- piLosuM L. Mani. alt. p. 249- Villosissimum. Caule prostrato vel dependente ramosissimo saepius elongato: foliis longe petiolatis remiformi-sub- rotundis orbiculatisve 5-11-lobis: floribus axillaribus solitariis longe pedun- culatis in fructu incrassatis: calycis laciniis brevibus lanceolatis: calcare brevi dependente: capsula subglobosa calyce longiore: seminibus subrotundis squa- muloso-rugosis. A. pilosum Bert. FI It. t. 6. p. 340 - Linaria pilosa Seh. et Maur. Fl- Rom. Prod. p- 202- n. 697. a glabrum- Minor, denudatum. Ad rupium fissuris in montanis. M- Gennaro, Circello etc- a secus Tivoli. Perenn. Fior. Majo-Junio. Flores albido-subviolacei. 1240. Elatine. L. Sp. PI- p. 851. Hirto-canum. Caule diffuso ramo- sissimo, ramis patentibus: foliis breviter petiolatis oblongo-spathulatis supe- rioribus hastatis integris dentatisve : floribus axillaribus integris dentatisve : floribus axillaribus solitariis longe pedunculatis : calycis laciniis lanceolato- linearibus acuminatisi calcare subulato arcuato: capsula subrotunda calyce sub- breviore: seminibus minutis rauricato-squamulosis. A. Elatine Bert. FI. It. t. 6. p. 342 - Linaria Elatine Seb. et Maur. FI Rom. Prod. p. 202- n. 698- In agris commune. Ann- Fior. Junio-Julio. Flores lutei, galea violacea. 1241. spuRiUM L. Sp. PI. p. 851- Hirsuto-viscidum. Caule procumbente ramoso: foliis brevissime petiolatis ovatis subrotundisve undulatis, inferioribus oppositis, superioribus alternis: floribus solitariis axillaribus: pedunculis folio longioribus: calycis laciniis cordato-ovatis: calcare subulato arcuato: capsula ovata calyci subaequali: seminibus muricato-squamulosis. A. spurium Bert. FI. It. t. 6. p. 344 -Linaria spuria Seb et Maur. FI. Rom. Prod. p. 202- n. 698. In agris commune. Ann- Fior. Junio-Julio. Flores lutei, galea violacea. 1242. ciRiìHosuM L. Mani. Alt. p. 249- Pilosum. Caule elongato filiformi procumbente: foliis sparsis lineari-Ianceolatis, inferioribus hastatis, superioribus sagittatis: floribus axillaribus solitariis: pedunculis capillaribus passim Girrho- — 201 — sis, folia superantibus: calycis laciniis acuminatis: caleare subulato recto: ca- psula minuscula subglobosa minutissime puntuata; semiuibus minutissime muri- cato-squamosis. A. cirrhosum Beri- FL It- t. 6. p. 346 - Linaria cirrhosa Sa?ig- Ceni- tres p. 88. n. 198, In arenosis marittimis circa Ostiam Tiberis. Fiumicino^ Castel Fiisano eie. Corolla basi saccata - Antirrhinum. 1243. MiNus L. Sp. PI. p- 832. Pubescenti-viscidum. Caule erecto flexuoso ramosissimo : foliis lanceolato-linearibus obtusis plerisque alternis: floribus axillaribus solitariis longe pedunculatis, pedunculis patentibus: calycis laciniis linearibus: calcare acuto brevi: capsula ovoidea calyci subaeqnali: seminibus oblongis sulcatis. A. minus. Beri. Fi It. t. 6. p- 348 - Linaria minor Seb. et Maiir. FI. Bom. Prod. p. 203. n. 702 - Orontium minus villosum angustifolium flore purpùrascente Barrel. le. 758. In agris arenosis montium, et circa Urbem secus Tiberim frequens. A Ponte Molle, Aequa Aeetosa ete. Ann. Fior- Junio-Julio. Flores albido-violacei. 1244. PURPUREUM L. Sp. PI. p. 853. Glabrum. Caule erecto simplici vel superne ramoso: foliis lanceolato-linearibus acuminatis alternis , inferioribus verticillatis: floribus in racemo spicaeformi: calycis laciniis lanceolato-linearibus: calcare subulato dependenti-recurvo: capsula globosa, calyce longiore: semi- nibus trigonis rugosis, A, purpureum Beri. FI. It. t. 6. p. 359- - Linaria purpurea Seb et Maur. FI. Bom. Prod. p. 203- n. 700 -L. arventis coerulea. Hort. Bom- t. 3. tab. 8. In arvis et praesertim viis montium frequens. Tivoli , Albano , Fra- seati eie. Perenn- Fior- Junio-Julio. Flores purpureo-violacei- 1245. ALPiNUM L. Sp. PI. p. 856. Glaucum. Caule procumbente: foliis subcarnosis verticillato-quaternis oblongis obtusis , superioribus sparsis lan- ceolatis: floribus racemosis: calycis laciniis lineari-lanceolatis: calcare eretiu- sculo subulato: capsula globosa calyci acquali : seminibus reniformibus lae- vibus, ala marginatis. — 202 — A. alpinum Beri. FI. It. t. 6- p. 363 - Linaria alpina Bang. Cent, tres p. 87. n. 197. In summis apenninis inter saxa. Monti della Sibilla. Bienn. Fior- Julio. Flores coerulei, rictu clauso, elegantissimi. 1246. PELLisERiANVM L. Sp- PI p. 855- Glabrum- Caule erecto basi surculoso, superius ramoso; foliis inferioribus verticillato-ternis ovatis, supe- rioribus alternis linearibus: floribus in racemo simplici terminali: calycis la- ciniis lineari-aciiminatis : calcare tenui recto ; capsula globosa calyci subae- quali: seminibus orbiculatis compressis, ala marginali dense cibata. A. pelliserianum Bert. FI. It- t. 6- p- 364 - Linaria pelliseriana Seb. et Maur. Ft. Bom. Prod- p- 203. p. 701 - Chamaelinaria violacea Italica Barrel. le. 1162. Ann. Fior. Majo-Junio. Flores- coeruleo-violacei. 1247. CHALEPENSE L- Sp- PI p- 859. Glabrum- Caule erecto simplici ramosoque, rarnis strictis: foliis lanceolato-linearibus, inferioribus verticillatis, superioribus alternis : floribus in racemo terminali simplici : calycis laciniis lanceolatis , quinta minore: calcare subulato-elongato: capsula ovoidea pro- funde sulcata, calyce breviore: seminibus trigonis rugosis. A. cbalepense Bert. FI- It. t. 6. p. 366 - Linaria chalepensis Seb- et Maur. FI. Bom. Prod. p- 204. n. 704 - L* Annua angustifoiia flosculis albis longius caudatis Triumf. Obs. p. 87. In marginibus circa Urbem et in montanis- A- Guadagnoloy a Biofreddo, alVorti farnesiani. Ann. Fior. Junio. Flores albi, 1248. Linaria L. Sp. PI- p- 858. Glaucescens. Caule erecto simplici ramosoque rarnis strictis; foliis linearibus sparsis congestis; floribus in racemo terminali spicato; calycis laciniis lanceolatis acutis: calcare subulato elongato: antice recurvo: capsula elliptica calyce longiore : seminibus reniformi-com- pressis ala marginatis- A. Linaria Bert- FI. It. t. 6. p- 367 - Linaria vulgoris Seb. et Maur. Fi Bom. Prod. p. 203- n. 703. In campis et incultis vulgatissimum, Perenn. Fior. Julio-Augusto. Flores lutei palato flavo. Vulgo. Linaria. Urinaria. Usus. Olim in medicina valuit uti diureticum, et anodinum nunc prorsus innominatum. — 203 1249- MAJvs 3 Lin. Sp. Pl.p. 859. Superius pubescenti-glandulosum. Caule adscendente erectove: foliis lanceolalis linearibusque : floribus alternis in ra- cemo terminali spicato laxo quandoque abbreviato : calycis campanulati la- ciniis obtusis quinta minore ; calcare brevi obtusissimo : capsula ovoidea apice incurva calyce longiore: seminibus subrotundis, squamulis acutis, mu- ricatis. A. majus /3 Bert FI. h. t 6- p. 372 - A- majus Seb.etMaiir- FI. Borri. Prod. p. 204- n. 705 ex parte - Sebast. En. Plant. Ampli. Flavii p- 20. n. 18, Ad muros praesertim antiquos vulgate. Perenn- Fior- Aprili ad aestatem. Flores intense rosei- Vulgo- Naso di vitello, Bocca di leone. 1250. TORTuosuM Ten. FI- Nap. t. 5. p- 41- Glabrum. Caule flexuoso ramoso: foliis acutis linearibus vel lanceolato-linearibus verticillato-ternis , alternisve: floribus subverticillatis in racemo interrupto: calycis laciniis obtusis quinta minore : calcare brevi obtusissimo: capsula ovoidea apice incurva , calyce longiore: seminibus subrotundis squamnloso-muricatis. A. tortuosum Bert. FI. It. h 6- p- 374 - A. majus ex parte Seb. et Maur. FI. Rom- Prod. p. 204- n. 705 - A. majus augustifolium ampio flore purpureo Romanurn. Barrel- le- 638 - A majus angustifolinm Romanum. Hort. Rom. t. 3. tab. 2. Ad muros antiquos vulgaris et ad maenia civitatis. Perenn. Fior- Martio ad Majum. Flores purpurei. Vulgo. Naso di Vitello. 1251- Orontium L. Sp. PI. p. 860. Superne, glanduloso-viscidum. Caule erecto simplici ramosove, ramis alternis: foliis inferioribus lanceolato -oblongis oppositis , superioribus linearibus alternis; floribus solitariis axillaribus bre- vissime pedunculatis: calycis laciniis liceari-elongatis quinta minore: calcare obtuso brevissimo: capsula ovoidea , lacinia calycinis , breviore: seminibus oblongis laevibus bine costatis- A- Orontium Seb‘ et Maur. FI. Rom. Prod. p. 204. n. 706 - Beri. FI. It. t. 6. p. 376 - A minus flore carneo Barrel. le. 651 et A. minus flore carneo elatius le. 6-52 et A. minus albo ampio flore le. 656 - A. flore albo, oris rubentibus. Hort. Rom. t. 3. tab. 1- In ruderatis vineis agris volgare- — 204 — Ann. Fior. Junio-Augusto. Flores subcarnei labiis rubro-pictis. Usus. Pianta venenata ex sententia Persooni. In materia medica Linnaei ecumeratur, sed nunc prorsus dissueta. OROBANCHE. * Calyce diphyllo. 1252. MiNOH Engl. Fior. t. 3. p, 148. Hirta. Caule erecto simpbci basi tumido, squamis remotis, inferioribus ovatis acutis, superioribus, bracteisque, lanceolatis acuminatis: floribus in spica terminali densa tandem laxa: foliolis calycinis nervosis , nervo mediano crassiusculo in acumine longo producto , nervo et acumine quandoque duplici: tubo corollae cylindrico, lobis labii ob- tusis crenulato-crispis : staminum filamentis e basi tubi recessis, inferno pi- losis, superne styloque glaudulosis: stigmatis lobis obtusis divarica to-recurvis. 0. minor Seb. et Maur. FI Rom. Prod. p. 207. n. 720 - Beri. Fi It. t. 6. p. 420. In sylvaticis ad vias umbrosas communis. Perenn. FI. Majo-Junio. Flores purpurascentes. 1253. CONCOLOR Duby Bot- Gali p- 350. Hirsuta, stramineo-lutea. Caule erecto simplici, basi tumida evolutione evanida: squamis remotiusculis trian- gulo-acutis: floribus in spica terminali breviuscula ; bracteis ovato-acumina- tis: foliolis calycinis 1-3-nerviis basi ovatis apice subulato-acuminatis simplì- cibus 2-fidisque, corollae tubo, brevioribus: tubo corollae cylindrico campa- nulato-incurvo: labii lobis brevibus crenulatis: staminum fìlamentis secus basini corolla insertis: stigmatis lobis obtusis divaricato-planis. In radicicibus Umbelliferarum secus Romam et Anxurem. Perenn. Fior. Majo- Flores lutei. 1254. LAURINA Beri. FI. It. t. 6. p. 424. Glabra ant vix pilosa. Caule gracili ciato simplici remote squamoso: squamis bracteisque lanceolatis, in- ferioribus approximatis, superioribus remotis: floribus in spica laxa : foliolis calycinis dilatatis in acumine solitario vel duplici productis: corollae tubo su- perius subconstricto , limbi lobis subaequalibus crenulato-crispis : staminum fìlamentis paulum supra basim corollae insertis subrotundis divaricatis sub- deflexis. Ad radices Lauri nobilis in viridariis suburbanis. Ann- Fior. Majo. Flores lutei striis rubellis. [Continua) — 205 — Fisica. — Descrizione di un anemografo eretto all' osservatorio del Collegio Ro- mano memoria del P. A. Secchi. Lo scopo di questa macchina è dì registrare simultaneamente tutte/^le vi- cende atmosferiche con indicazioni grafiche non interrotte e messe a reci- proco confronto. L’ uso degli strumenti grafici nella meteorologia va esten- dendosi ogni giorno più, ed è questo il solo metodo di osservazione da cui possa sperarsi un avanzamento nella scienza. Quelli però che sono ora in uso (per quanto io conosco, e per ciò che ho veduto nella visita fatta ai prin- cipali Osservatorii nell’ ottobre dello scorso anno 1858) non hanno il van- taggio di riunire su di una sola macchina, e su di un solo foglio, le indica- zioni di più strumenti relativi e di mettere così direttamente a confronto i vari fenomeni , onde dedurre le reciproche relazioni ed influenze. Una tale unione è stata lo scopo principale del presente registratore, che per brevità chiamerò meteorografo^ il quale è destinato specialmente a questo studio com- parativo. Molte parti della macchina sono d’invenzione mia propria altre sono prese da altri, e tra queste ho scelto quelle che l’uso ha provato esser più comode e sicure- L’esperienza ha dimostrato che nessuno strumento grafico può esser uno strumento campione , e che tutti devono esser accompagnati dalle osservazioni di questi per fissare le loro costanti e gli elementi di ri- duzione; nel nostro abbiamo ridotto questa necessità al minimo possibile, ma non abbiamo potuto dispensarcene. Se ben si riflette, questa mancanza non è un ostacolo di verun peso pel progresso della scienza: ciò che si domanda da uno strumento grafico è la continuità della indicazione, con una propor- zione costante ed invariabile: quando ciò si è ottenuto, il determinare qual sia questo rapporto cogli strumenti campioni è cosa di leggier momento e che non può fare seria difficoltà. A questo punto adunque ci siamo fermati senza cercare di vantaggio un inutile ottimismo- Un’altra cosa di maggior momento è di rendere lo strumento semplice in modo che il suo aggiustamento possa farsi agevolmente da qualunque delle persone che assistono agli Osservatorii, anche in qualità di semplici custodi; quindi abbiamo esclusa la fotografia, che è dispendiosa e richiede non lieve abilità, e per quanto ho veduto altrove, bene spesso fallisce anche nelle mani più esercitate. Se nella nostra macchina si è introdotta 1’ elettricità , ciò è stato solo come un mezzo commodo per trasportare il moto dal sito lontano di alcuni strumenti fino ad arrivare al registratore; ma ove questa necessità 28 — 206 — non abbia luogo, l’elettricità non è necessaria affatto per nessun registro come vedremo : e se ci siamo risoluti ad usarla è stato solamente quando siamo riusciti a render la pila di tale costanza e agevolezza nella maniera di pre- pararla e conservarla che l’incomodo fosse quasi nullo e comparabile a quello degli altri ordinari servigi indispensabili nell’Osservatorio, e inoltre di pochis- sima spesa. E torno a ripetere, ciò soltanto è necessario pel caso di una ac- cidentale difficoltà locale, che può sparire quando si voglia collocare altrove in sito più adattato il registratore. Il registro del vento ha due parti: la velocità e la direzione. Vari modi sono stati proposti per registrare la velocità, i quali però tutti hanno l’incon- veniente di non dare i risultati sotto l’aspetto di una curva, le cui ordinate rappresentino le velocità orarie del vento : da quello di Osler e da altri si possono è vero esse facilmente dedurre, ma è sempre una operazione da farsi dal calcolatore e che è bene risparmiare e farla eseguire dalla macchina. Questo fa il nostro strumento che così ha il vantaggio di presentare la ri- duzione fatta all’atto stesso che accadono i fenomeni , che è cosa di molta importanza in meteorologia. Per misurare la velocità si è applicato il mulinello di Robinson. Con- siste questo come è noto in una croce orizzontale mobile attorno un asse verticale, alla estremità delle cui braccia sono attaccati quattro emisferi vuoti di lastra di ottone, disposti in guisa che tutti rivolgono la cavità dalla stessa parte, considerata rapporto al centro- I vantaggi di questo mulinello sono due; l.° esso è sempre orientato, onde da qualunque parte spiri il vento può agire immediatamente 2." Il rapporto fra la velocità del vento, e quella dei centri degli emisferi è semplicissimo; l’osservazione ha dimostrato essere di 3 adì; quindi si ha la velocità del vento triplicando la velocità degli emisferi contata sulla circonferenza che descrivono i centri : questa proporzione resta sensibil- mente la stessa per tutti gli apparati ben costruiti , e quindi può regolarsi a piacere la lunghezza delle braccia e la grandezza delle mezze palle, secondo la frequenza de’ giri che si vuole avere, e la forza che deve fare l’asse del mulinello- Quello che abbiamo fatto costruire non dovendo vincere nessuna resistenza di assi o ingranaggi , ma soltanto quella di una piccola molletta per aprire e chiudere il circuito elettrico ha emisferi di dimensioni piccole assai, di un decimetro di diametro, e la lunghezza delle braccia contata da centro a centro degli emisferi è tale che la circonferenza risulta 3 metri e un terzo, onde un suo giro equivale alla velocità di 10 metri del vento. Que- — 207 — sta velocità è stata trovata convenientissima tanto per dare nei venti forti un sufficiente tempo da scaricarsi allo scappamento del contatore, quanto perchè anche nei più deboli venticelli si possa avere la necessaria quantità di giri da segnare sulla carta il risultato. La curva diurna della velocità del vento si traccia a questo modo : La terza ruota di un contatore messo in giuoco da un elettromagnete il cui cir- cuito è aperto e chiuso dal mulinello, porta una girella sulla cui circonferenza si avvolge una catenella da orologio che coll’altro capo è attaccata ad un la- pis portato da un parallelogrammo articolato: questa girella è libera sull’asse e può girare da se, e solo viene congiunta con la 3'^ ruota mediante un den- tino che ingrana in una ruota detta a rochet e vi è tenuto in posto per l’azione di una molla. Per tal congegno quando il contatore cammina, il lapis viene tirato più o meno secondo la velocità della ruota e del vento. Finita un’ora, al sonare dell’ orologio , una leva stacca la carruccola col suo dentino dalla ruota a l'ochet, e così essa e il parallelogrammo restati liberi per un breve tempo , sono portati indietro all’origine del movimento mediante l’azione di un peso ancor esso attaccato al parallelogrammo mediante una girella di ri- mando. Quindi il contatore deve avere la forza da rimontare questo peso co- me si è accennato di sopra, e perciò si è dovuto aggiungere un peso al ro- teggio solito usarsi negli orologi elettromagneti. Per notare la direzione del vento vi sono quattro elettromagneti de’quali ciascuno può esser messo nel circuito secondo il moto di una linguetta at- taccata all’asta della banderuola del vento che striscia sopra una rosa orientata e divisa io 4 spartimenti S, E, N, 0. Abbiamo così sulla carta tracciati i 4 venti principali e anche gli intermedi perchè allora due degli magneti agiscono insieme. La cosa più importante era ottenere una corrente forte e costante, con poca spesa. A ciò si serviamo della Pila di Daniel), ma modificata in modo da impedirne il suo indebolimento dovuto al passaggio del solfato di rame verso lo zinco: a questo difetto si rimediò col tenere il livello del solfato di rame più basso che quello della soluzione dell’ ac. solforico- Ciò si ottiene coll’adattarvi un sifone che scarica reccesso del solfato di rame in un altro vaso e mantiene così un livello costante inferiore all’aoqua acidula. Usando zinchi fortemente amalgamati questa pila dura fino 20 giorni costantissima (1). (1) Per una descrizione più minuta v. Giornale di Roma 24 febr.° 1889 e mera, del- rOss.° del Coll. Roni. 1859. Nuova serie n.“ I. ove sono i disegni della macchina, comple- tata anche coll’aggiunta del termografo metallico del sig. Kreil. Meteorologia. — Descrizione di un nuovo anemomelrografo, e sua teorica. Memo- ria del prof. P. VoLPicELLi- §• 1- Lo studio della meteorologia non solo riesce importante pei fìsici, e per gli astronomi, ma interessa pur anco tutta la società, perchè si lega , strettamente colla vita degli animali e delle piante- Il desiderio di trarre da siffatto studio conseguenze utili, e per la scienza, e per la vita, sia fìsica sia sociale, fu sem- pre grandissimo , e tale fu pure il numero di coloro che ad esso posero mente; ma ciò nulla ostante rimane ancora il desiderio medesimo non a ba- stanza soddisfatto- Si riconobbe cagione del poco successo, in qualsivoglia ramo della meteorologia, principalmente la discontinuità delle osservazioni , ed il non essere la misura dei fenomeni associata col tempo in che avvengono. Quindi lo studio della meteorologia fu giustamente riformato, introducendo nel medesimo diversi metodi grafìci, per ognuno dei quali si ottiene continuamente dal fenomeno stesso la sua misura, e questa sempre colla indicazione |del tempo congiunta. .L’esempio di tale utile riforma fu dato primieramente nell’ osser- vatorio di Greenwich dal sig. Carlo Brook, ove fin dal 1847 fu praticato il metodo fotografico, atto a registrare le variazioni successive de’ principali istro- menti magnetici, e meteorologici, che poi fu perfezionato nel 18.52 (1). I danni prodotti alcune volte dalla violenza dei venti, sono compensati ad esuberanza dei vantaggi che procurano alla società queste correnti di aria: sono i venti che nei grandi centri di popolazione rinnovano l’aria e la ricon- ducono salubre: sono essi che trasportano le nubi destinate a fertilizzare la terra colle pioggie: sono i venti che distribuiscono continuamente ovunque i germi della vegetazione, per conservarla in ogni luogo della terra: finalmente dalla forza dei venti l’industria, il commercio, l’agricoltura, e la marina trae vantaggi considerevoli. Perciò così fatto ramo della meteorologia merita che sia non meno degli altri studiato dai cultori di questa scienza, e non sarà mai troppo quello che potrà farsi dai medesimi per tale studio- L’idea di avere graficamente la misura della velocità e direzione delle correnti d’ aria , col (1) Per la descrizione di questo ingegnoso e costoso processo, veggasi un lavoro defsig. D^ Gius. Fagnoli, nelle Meni. dell’Accad. dellescienze dell’istituto di Bologna, T. V. p. 445... — 209 — tempo conispondente ad ogni fase delle medesime; ossia l’idea di un ane- mometrografo, rimonta per lo meno sino al 1734, quando cioè fu proposto da Ons-En-Brai (1) un istromento costrutto in guisa che, come dice Tautore medesimo, indica sulla carta da se, non solo i vari venti che soffiano nelle 24 ore, non pure il tempo in cui comincia o cessa l’azione loro; ma ben anche la velocità dei medesimi. Comparvero in seguito altre costruzioni di siffatti con- gegni , dei quali daremo un cenno quando torneremo su questo argomento. Sebbene il problema di costruire un anemometrografo sia stato più o meno soddisfacentemente risoluto da molti, e sebbene sia meritevole di ogni elogio la soluzione che del medesimo ora dette il chiarissimo R. P. Angelo Secchi, (2) facendo costruire ingegnosamente un tale istromento nell’osservatorio astronomico del collegio romano ; tuttavia forse non sarà superfluo rendere di pubblico diritto, sia la descrizione sia la teorica di quello da me imma- ginato, e che ora sta costruendosi pel museo fìsico della università romana. Possedere più soluzioni di un medesimo problema, è sempre cosa utile per la scienza, ed in ispecie per la meteorologia, che ancora lascia tanto a desiderare. Questo è il solo motivo che m’induce a fare la presente pubblicazione, senza pretendere di stabilire alcuna preferenza pel mio congegno; il quale se potesse mai riuscire pur esso di qualche utilità, certo avrò conseguito molto più di quello ardisca io sperare della pubblicazione medesima. §. II. Il principio fondamentale per la costruzione dell’ anemometrografo che ora vado a descrivere, consiste nell’associare un volante ad ale o palette alla banderuola ordinaria, ed aH’elettromagnetismo; cosicché facciano tutto un si- stema ruotante, insieme coll’elettromagnete, per avere ad un tempo e la di- rezione, e la velocità di una corrente aerea orizzontale/ Quest’associazione triplice mi sembra, se non erro, il più semplice, ed il più naturale mezzo per la soluzione dell’indicato problema. Però due sono i modi coi quali si può eseguire l’associa- zione medesima: cioè il piano in cui ruota il volante ad ali o palette, può essere verticale, od orizzontale, facendo in ogni caso un angolo retto col piano della •2 ‘■o (1) Mem. de fAcadémie des Sciences de Paris 1734. ■ (2) Giornale di Roma del 24 febbraio 1859 - ed anche memorie dell’osservatorio dei collegio romano, nuova serie 1859, n.® 1. — 210 — banderuola. Qualunque si adotti di questi due modi, sempre il volante sarà orientato per la sola rotazione della banderuola cui si unisce ad angolo retto; ed è già questo un grande vantaggio. Non è indifferente del resto la scelta fra questi due piani di rotazione, per quello che si conosce tanto dalle spe- rienze, quanto dalla teorica- Qualunque sia però quello dei piani medesimi che vogliasi preferire all’altro, sempre l’associazione del volante alla banderuola potrà farsi, e questo principio semplicissimo potrà sempre mandarsi ad effetto- Due sono i motivi che mi fanno preferire la rotazione verticale alla oriz- zontale: il primo consiste nel riflettere, che quand’anche la velocità dal vento sia costante, non può essere tale, mentre dura un giro delle palette, la forza che sollecita le medesime al moto rotatario; perchè ognuna di queste nel per- correre la sua rotazione orizzontale, viene sempre diversamente incontrata dalla costante direzione del vento; cosa che non accade se la stessa rotazione si faccia in un piano verticale. Ora, per la teorica dell’istromento, è molto piu comodo che la indicata forza motrice riesca costante insieme alla velocità del vento; poiché allora il calcolo della sua velocità riesce meno complicato, più esatto, e più spedito. Inoltre considerando le due palette corrispondenti ad un’asta medesima nel volante orizzontale, vedremo essere la rotazione di questo in una paletta favorita, e nell’altra opposta contrariata dal vento; cosicché se le ali medesime fossero identiche in tutto , cioè tanto nella superficie , quanto nella forma, il volante orizzontale non potrebbe ruotare. Ciò non si verifica nel volante verticale, in cui l’effetto delle due palette od ali corrispondenti ad un’asta medesima, per un vento costante, riesce sempre lo stesso in qualunque obliquità dell’asta, ed è sempre cospirante per ambedue le palette- Quindi la rotazione orizzontale si deve ad una differenza, mentre la verticale si deve ad una somma di momenti rotatori; perciò l’effetto di questa dev’essere maggiore- Il secondo motivo procede dalla sperienza, e consiste nel riflettere, che per le ricerche di Sméaton si è riconosciuto essere l’effetto utile dei volanti a rotazione oriz- zontale, minore di quello dei medesimi a rotazione verticale; cosicché l’effetto dei primi è circa un ottava o decima parte di quello dei secondi. Ciò non deve recar meraviglia, giacché le ali che ruotano in un piano verticale, sem- pre ad angolo retto colla direzione del vento , ricevono da questo un urto molto più efficace a farle ruotare, di quello sarebbe se le medesime ruotassero in un piano orizzontale- Se la superficie delle ali del volante/coincidesse col piano della rotazione, cioè col piano perpendicolare all’asse m, fìg. (1 e 3), la forza impulsiva del vento — 211 — non potrebbe mai produrre la rotazione del volant^ ma solo potrebbe rovesciare il sistema. Da ciò discende che le ali debbaiio essere obblique alla di- versione orizzontale del vento. Però se questa inclinazione fosse nel senso medesimo per ogni ala o paletta , non potrebbe neppure in questo caso l’azione rotazione del volante ; giacché com’è chiaro, anche il momento rotatorio di un ala, distruggerebbe l’uguale e contrariò della' sua corrispondente; quindi è che il volante dovrebbe di ne- cessità essere immobile. Suppongasi ora che le inclinazioni di due qualunque palette, corrispondenti agli estremi dell’asta cui si annettono, sieno in sen- so contrario fra loro ; certo i momenti rotatori di tutte le ali saranno cospiranti , quindi è che in caso dovrebbe il volante concepire un moto rotatorio. La inclinazione che ora vedemmo indispensabile, produce la perdita di una porzione di forza motrice, come appresso verrà dimostrato ; però fra le diverse inclinazioni che possono darsi alle ali del volante, una ve ne ha vantaggiosa più di tutte le altre: noi la determineremo in seguito. §. III. Vedute le ragioni che ci hanno determinato ad adottare il volante verticale in vece dell’ orizzontale , torneremo a dire che se taluno amasse meglio preferire il secondo, potrà sempre annetterlo alla banderuola, per avere il vantaggio di conoscere ad un tempo e la direzione e la velocità del vento.j^ Procediamo adesso alla descrizione del nostro anemometrografo, per la quale dobbiamo valerci di lettere grandi e piccole. Rappresenta^/K^una banderuola (fìg. 1), costituita da un rettangolo, formato con lamina di ferro, e fissata in F, L ad una verga esattamente verticale di ottone FLD, vuota nel l’interno, perchè sia meno flessibile , e meno pesante. Alla base D di questa verga è fissato un ago S E orizzontale, sotto cui si trova il disco ry^o, sul quale sta impressa la rosa dei venti, esattamente orien- tata. ■ Una tavola R 0 di marmo, solidamente fissata nel muro, ed orizzontale, sostiene per mezzo di un incastro circolare, praticato in pietra dura e forato, la banderuola e la verga. Questa, diminuita nel suo diametro, passa per l’indicato foro, traversando la tavola medesima, e viene protratta sino in p: ivi ad angolo retto si connette con un raggio p g, il quale sostiene una calamita temporanea, con un’ancora a d, che può ruotare verticalmente intorno l’estremo a, poggiando 212 coiraltro estremo d sopra un’ asticel- la verticale. Questa mediante un elasti- co, può sa li re , den- tro un cilindro, ver- ticale pur esso; e per la pressione dell'an* coca cagionata dal- l’attrazione magne- tica, può scendere dentro il cilindro medesimo. L’ asticella ora indicata congiunge per la estremità infei iore a due pun- te di manìa e h. Una seconda tavola orizzontale H K, vi- cina mollo alle punte me- striscia di carta, larga quanto è il doppio del laggio p r/. La carta medesima è divisa in mezzo , per tutta la sua lunghezza, da una retta, e scorre sempre uniformemen- te, per mezzo di un orologio regolatore , con una velo- (ulà opportuna sulla HK, cosicché sempre la stessa retta faccia un angolo di 90“ colla direzione coincidente coi punti cardinali S. N. , passando conti- nuamente sotto al centro dell’ estremo p. La stessa carta dovrà essere divisa da tante rette perpendicolari tutte alla prima , e distanti fra loro di quanto corris{>ondc alla lunghezza da essa percorsa nell’ unità di tempo , che dovià essere o[»porlunamcnte stabilita. La banderuola viene eontrapesala medianti^ una lente di piombo P, a fine d’impedire la flessione della verga FIJJ. Questa lente si trova stabilita colla sua periferia orizzontale, onde la spinta del vento produca il rnininto effetto sulla medesima , ed il momento rotatorio della banderuola, cagionato dal vento stesso, non subisca sensibile di- — 213 — minuzione. In L, cioè vicino alla banderuola, si trova fissato un anello di vetro ben levigato neH’interno, pel quale passando la verga , può senza valutabile attrito in esso ruotare- All’estremo superiore F della medesima, se occorresse, potrebbe anche opportunamente stabilirsi un perno di acciaro, il quale rima- nendo sempre dentro un cappelletto in pietra dura fissato aH’estremo stesso, impedisse maggiormente la flessione delia verga. • Un volante verticale mn, formato da quattro osci palette, ruotanti at- torno un asse orizzontale m (fig. 1. 2. e 3), per effetto deH’impulso del vento, che percuoterà sempre il volante stesso con dire- zione perpendicolare al piano del medesimo , è fissato nell’asola della banderuola. Le palette di que- sto volante sono lastre di metallo rettangolari (fig. 2) , fissate agli estremi di tre , o due aste in guisa , che in ognuna le due palette od ali , fanno un angolo k fra loro, e ciascu^ ala per- ciò fa un angolo ^ = (p coH’asse iu della rotazione del volante, o colla direzione del vento. Ciò è in- dispensabile, perchè l’effetto del vento sopra le ali medesime sia* cospirante. In quanto all’angolo y, que- sto dovrà essere .corpispondente all’effetto' massimo indicato dal calcolo, ed accordato colla s'perienza; perciò nell’ istromento che descriviamo, le palette possono ricevere stabilmente quella inclinazione che si vuole- Con questo mezzo potremo anche istituire delle ricerche, relative all’ef- fetto del vento sulle palette, in riguardo alla diversa loro inclinazione rispetto al piano in cui ruotano i centri delle medesime. Se la indicata costruzione si mandi ad effetto con ogni precisi/ne, tutto il sistema FQPLDS^adgòe sarà per effetto del vento facilmente volubile attorno l’asse geometrico della ver- ga FLD/j. S- IV. Per ottenere mediante la corrente elettrica il numero dei giri, che fa il volante mn in un dato tempo, stabiliscasi (fig. 1) un elettromotore G fra quei tanti che ne abbiamo di economica manutenzione. Il rooforo positivo s del medesimo , rimanga sempre in contatto a sfregamento colla superficie ester- na della verga; l’altro negativo x rimanga isolato da questa superficie , ,2r — 2U — ma in contatto simile coll’ anello^ , isolì^ dall’ asta , e congiu- to filo della calamita. La corrente farà il giro indicato dalle frec- ce ; giunta essa nella banderuola , investirà 1’ asse orizzontale iu del vo- lante , e quando la breve appendice di platino che ad angolo retto si con- giunge a quest’asse, verrà per effetto della rotazione in contatto eolia linguetta ly terminata in platino, passerà nel filo interno alla verga, percorrerà il filo della calamita , si porterà in c , e percorrendo il rooforo negativo x isolato dalla verga, tornerà nell’elettromotore G. Per tanto ad ogni chiusura del circuito elettrico, prodotta in ciascun giro del volante mn, per la congiunzione della breve appendice del suo asse oriz- zontale colla linguetta ly, la magnete attrarrà l’ancora ad, la matita marcherà sulla carta che scorre la direzione dell’estremo del raggio pq rispetto 1’ oriz- zonte, quindi anche la direzione della banderuola, ossia quella del vento che nel momento spira. Il numero poi di questi punti fatti dalla matita, darà quello dei giri fatti dal volante, perciò anche la velocità del vento medesimo; ed è facile comprendere che nel descritto istromento la elettricità riesce molto utile, a produrre l’andamento grafico del medesimo con semplicità, e precisione* I fili percorsi dalla corrente elettrica sono tutti ricoperti di guttaperca, salvo nei punti di contatto che servono al passaggio della corrente. Dopo tutto ciò si vede chiaro che in questo congegno, la direzione del vento è data dalla direzione della banderuola, resa mobilissima, perchè por- tata da un asta metallica vuota nell’ interno, di breve lunghezza, e perciò poco pesante ; inoltre perchè la rotazione facendosi mediante fulcri di acciaro in pietra dura, l’attrito è ridotto al minimo possibile. La velocità del vento è data da un volante annesso alla banderuola, il quale ruota in un piano per- pendicolare alla medesima, e perciò sempre opposto direttamente alla dire- zione del vento. Il congegno è disposto in modo che una sola calamita tem- ' 'foranea basta per avere ad ogni momento la direzione del vento, qualunque sia il rombo che spiri, ed anche le fasi del contrasto di più venti, tutto se- gnato sulla rosa dei medesimi* Questa velocità è data dal numero dei giri che fa il volante in un dato tempo , come vedremo dalle formule che sie- gtìono; e questo numero è quello dei punti segnati dalla matita sulla carta. I medesimi si trovano sempre nella direzione del vento che spira, giacché la calamita temporanea ruota colla banderuola, ed ambedue si trovano sempre nel medesimo piano verticale. Se il vento sarà di costante direzione i punti si troveranno sopra una medesima linea retta. In ogni caso congiungendo i lù — 2i5 medesimi col centro della rosa dei venti, che sempre si trova sulla retta da cui viene divisa in mezzo la carta, e che sempre passa di sotto al centro dell’estremo te, p, si avrà la direzione del vento. Se in un tratto della carta medesima non vi saranno punti, ciò vorrà dire, che nell’ora corrispondente a quel tratto non spirò vento di sorta. Potrebbe accadere che il vento fosse tanto veloce , quindi le chiusure del circuito elettrico rapide tanto, da rendere confusa la traccia dei punti sulla carta, cioè questi non a bastanza distinti da poter essere nu- merati bene sulla medesima- In tale caso un opportuno congegno, stabilito presso l’asse ui del volante, farà sì, che questo invece di chiudere il circuito elettrico per ogni giro delle palette, potrà chiuderlo per ogni due, o tre giri delle medesime, senza rendere più difficile il calcolo della velocità, mediante le formule che stabiliremo. Inoltre questo anemometrografo possiede anche la proprietà utilissima di far conoscere sempre, se la velocità del vento sia costante o no, quando in- cominci tale costanza , quanto abbia essa durato , quale sia il valore della medesima, e quando esso abbia cangiato. Poiché la eguale o diseguale distanza fra i punti segnati dalla matita sulla carta , che sotto ad essa corre con moto uniforme , offre un facile mezzo per conoscere tutte queste indicate fasi della velocità del vento- Ed in fatti considerando un medesimo rombo, e supponendo che spiri continuamente per un dato tempo, esso in un ora, ed anche in meno, può molte volte variare la sua velocità. Non basta dunque per la soluzione del problema che ci occupa, sapere se lo stesso rombo abbia sem- pre spirato, non basta sapere se la sua velocità è cresciuta o diminuita, ma fa duopo conoscere pur anche se la medesima fu o no mai costante, e quindi tutte le altre circostanze sopra espresse, che si riferiscono alla velocità del supposto vento- Cognite poi le velocità ed i tempi corrispondenti alle me- desime, prendendo quelle per ordinate, questi per ascisse, potremo facilmente costruire per ogni vento la curva delle fasi corrispondenti alla sua velocità orizzontale, senza dubbio veruno/ Ora veniamo ad esporre la teorica dell’ istromento : si rappresenti con w =rp (fig. 3). la velocità /del vento, che sarà sempre parallela alla direzione Z M 216 della banderuola: dicasi v = pb la velocità colla quale il piano ABCD = s dell’ala o paletta che si considera, va ruotando intorno all’asse iu perpen- dicolarmente a quel piano, ed alla direzione del vento: esprima 9 = npr l’angolo che il piano ABCD od A'B'G'D' fa colia direzione orizzontale del ven- to, ed anche colla direzione dell’asse iu del vo- lante. La velocità tv ~ rp del vento, si risolva nelle due mp ~ zcsenffl, tip = wcos(p , la prima perpendicolare, la seconda parallela il piano ABCD della paletta. Similmente, riflet- tendo essere l’angolo apb = 90° — 9 , la velocità v si risolva nelle due pc = rcosp, pa = i;sen?> , la prima perpendicolare, la seconda parallela al piano medesimo. E poiché il vento investe di- rettamente colla velocità m/j la paletta, mentre questa gli sfugge con velocità /jc, chiaro apparisce che perciò la velocità relativa, cioè quella da cui deriva l’urto del vento contro la paletta medesima, sarà mp — pc — pq = ?csen9 — vcos^. di cui le componenti, una nel piano del moto rotatorio, l’altra perpendicolare al medesimo, saranno le r op = [w sen9 — v 0059)0089 , (1) I ( dp = [tv sen?5 — v cos9)sen9 • ^ Dicasi h l’altezza che alla velocità |9g^orrisponde, sarà / ■ — f- — (tvsen^ — i;cos9)^ ma sappiamo dai risultamenti sperimentali sulle resistenze dei mezzi, che l’as- soluta misura dell’urto diretto di un fluido contro un piano, eguaglia il peso di un prisma dello stesso fluido, avente per base la superfìcie di quel piano, e ÌZ. — 217 — per l’altezza quella che alla velocità deH’urto è dovuta. Perciò chiamando f la forza o misura dell’urto da noi considerato, cioè quello che il vento eser-^ cita secondo la p q, perpendicolarmente al piano dell’ala, otterremo f = §sh ~ — [wseuf — vcos^Y, essendo § la gravità specifica dell’aria. Questa forza si decomponga nelle due seguenti; ' f'= ^ {ivseiì^ — vcos?))^cos^, ^9 ["—■^{wsenf — vcosfi)^senp; ^9 delle quali la prima trovasi nella direzione del moto deileali, ovvero del volan- te, cioè secondo la po, quindi tutta s’impiegherà nel produrre il moto rotatario del medesimo; la seconda nella direzione orizzo^le del vento, cioè secondo la pd, laonde tutta sarà ellisa dalla resisten^^èll’asse Essendo v il numero delle palette, la ^rza F motrice che sollecita tutto il volante, sarà espressa dalla (2) F = — (^^;sen?> — vcosf)^cosi53 . ^9 Dicasi d la distanza del centro di ogni ala dall’asse di rotazione, e rappresenti m la somma dei momenti delle resistenze; dovrà, quando il moto siasi ri-* dotto equabile, verificarsi la dvS^osp ^9 (icsen^ — vcostpY — m . / Risolvendo quest’equazione rispetto alla velociVà- v del volante, avremo f i M /~f 2gm \ ^ (3) \ e risolvendola rispetto alla w, otterremo 1 ■ /"/^ \ P/’ ^ w = l’COt^ ò ' » U sen^ /• Abbiamo dovuto ritenere il segno — nella prima di queste formule, perchè quando ? = 90" dev’ essere v = 0 , lo che non si verificherebbe se nella medesima si fosse conservato il segno contrario* Si è pure dovuto ritenere ì — 218 — il segno -+• nella seconda formula, perchè il valore di w dev’essere sempre po- sitivo, comunque si faccia crescere l’angolo 9; ma ciò non avverrebbe se nella medesima si fosse prescelto l’opposto segno. La prima delle (3), data la velocità iv del vento, ne porge l’altra v, colla quale gira il volante; mentre dalla seconda si avrà la w conoscendosi v. Con- siderando il Volante al principio del moto, sarà v = 0, quivi ponendo questo valore nella (2) sarà (4) F': — r — sen^9 cosa? la forza motrice^che in tale istante sollecita le palette al moto rotatario. Inoltre abbiamo F'= 0 tanto per 9 90°, quanto per 9 = 0“; dunque la F' ammette un massimo fra questi due valori di 9. Chiamando a 1’ altezza , b la base della superficie di una qualunque paletta, sarà s = ab: inoltre detta z la proiezione di b sopra un piano parallelo a quello della rotazione , cioè perpendicolare alla direzione del vento, sarà eziandio z = òsen9: finalmente dalla prima delle (1) per w = 0 abbiamo op = wsen9?cos9 ; sostituendo questi valori nella (4) avremo (5) F’=^.op.z. Dunque al principio del moto la forza F' riesce direttamente proporzionale alla componente op della velocità relativa pg, ed alla proiezione della base b sul piano in cui le ali ruotano- In fatti se op non esistesse, vale a dire se le pa- lette si presentassero perpendicolarmente alla direzione del vento, non potreb- bero esse ruotare attorno l’asse in, e tutta la forza del vento s’impiegherebbe soltanto a rovesciarle nella direzione del medesimo- Se poi non esistesse la pro- iezione 2, cioè se le palette si presentassero al vento parallelamente alla sua dire- zione , neppure potrebbe aver luogo il moto rotatario del volante , perchè non potrebbe verificarsi 1’ urto del vento sulle medesime. In fatti la lar- ghezza della corrente d’aria che può aver effetto sulle ali, è tanto più grande, quanto più queste si presentano meno obliquamente all’ urto del vento ; e perciò la quantità dell’urto deve pur anco dipendere dalla proiezione 2. l'ì — 219 ~ Per trovare quale sia l’angolo 9, che al principio del moto produce il massimo effetto sul volante, dalla (4) abbiamo d¥' v^giv^ 2g (2 cos^9y^en9 — 1 da cui si ottiene la 2 cos^y — sen^f = 0, ossia 2 — 3 sen^ donde sen^j quindi cosp J/^1 , e

Tutti conoscono le belle applicazioni che si sono fatte dell’elettricità a cose di vantaggio sociale, ed i grandi benefizi che ogni giorno più ritrae l’umanità dallo studio dei singolari fenomeni di questo poderoso agente. Ho quindi fiducia che non debba dispiacere la descrizione di un meccanismo elettro-dinamico de- stinato a far conoscere istantaneamente, e a qualunque distanza, l’altezza del- l’acqua in un fiume, in un torrente, in un lago ec; e così senza l’aiuto di persona alcuna che osservi l’altezza dell’acqua sul luogo, seguire da lontano le varia- zioni di quest’altezza, come se si fosse costantemente sulla riva di quel fiume, potendo in questa guisa mandare soccorsi a tempo, e prevenire tanti guasti che nascono principalmente per la mancanza di solleciti , e sufficienti prov- vedimenti- Per raggiungere questo scopo io aveva primieramente imaginato alcuni apparecchi, ove la diversa altezza dell’acqua si faceva conoscere dalla diversa resistenza che opponeva al passaggio della corrente elettrica, una colonna li- quida di lunghezza variabile coll’altezza dell’acqua del fiume. Se . non che fa- cilmente mi sono accorto, che gravissime difficoltà potevano sorgere dal più 31 o meno imperfetto isolamento del filo che trasporta la corrente, dalla diversa forza elettromotrice della pila , e da molte altre circostanze , le quali tutte avrebbero portato infallibilmente degli errori, che per essere annullati, od an- che solamente valutati, avrebbero reso indispensabile una grande complica- zione del meccanismo, e moltissimo incomodo, e difficoltà nell’adoperarlo. Per ciò, mi limiterò soltanto a descrivere un solo meccanismo, fondato sopra principi! differenti dalla resistenza al passaggio della corrente , e che sembrandomi scevro delle difficoltà enunciate, sono persuaso che possa ren- dere dei reali servigi. Si disponga un filo isolato, precisamente come quelli destinati alla tele- grafia, fra il luogo ove si vogliono avere le indicazioni, e la riva del fiume, in guisa da avere volendo un circuito chiuso mediante la terra. Un galleg- giante posto in un vaso cilindrico di dimensioni poco maggiori ad esso , e comunicante coll’acqua del fiume, segua perfettamente le variazioni del suo livello. Nel mezzo di questo galleggiante è fissa l’estremità di una funicella, che passando per una puleggia, sostiene una porzione dell’asta e la lente di un pendolo, che viene mosso da un orologio. Questo pendolo è formato di due parti, ossia, da un pezzo d’asta che è unito invariabilmente al meccani- smo del orologio, e da un’altra asta che scorre entro la prima. E questo se- condo pezzo che all’estremità porta la lente, e che è sostenuto dalla funicella del galleggiante , per modo che allo alzarsi , od abbassarsi di questo , si al- lunga, 0 si accorcia il pendolo, e le sue oscillazioni divengono più o meno lente- Ad ogni oscillazione, in un modo ben facile ad imaginarsi, viene chiuso il circuito, il che si renderà palese al luogo di ricevimento delle indicazioni, col piccolo romore prodotto dalla percussione di un ancora di ferro sulla sottoposta elettro-calamita, cossicchè non si avrà che contare quanti di questi piccoli colpi si succedono in un minuto, per potere dedurre l’altezza del gal- leggiante posto sulla riva del fiume, ossia anche l’altezza dell’acqua nello stesso fiume (1). (1) Sarebbe anche più vantaggioso fare che ad ogni oscillazione del pendolo, venga dal- l’ancora percossa una matita, la quale perciò segni un punto sopra una striscia di carta, scorrente con moto uniforme. Per tal mezzo cesserebbe il bisogno di contare il numero dei colpi che si succedono in un dato tempo, giacché questi si leggerebbero sulla carta me- desima. Inoltre si avrebbe in tal guisa eziandio la grafica indicazione continua del cangia- mento di livello del fiume, per descrivere poi la curva dei cangiamenti stessi. P. VOLPICBLLI Siccome le indicazioni sono inutili quando il fiume non è in piena, po- trà limitarsi la corsa del galleggiante, solo sopra la piena ordinaria, senza di che bisognerebbe portare il pendolo a delle dimensioni eccessivamente grandi. Se in qualche circostanza, anche con questa modificazione la corsa del gal- leggiante fosse grandissima, per potere usare un pendolo di dimensioni non eccessive, bisogna far sì che le sue variazioni non sieno uguali a quelle de! galleggiante, ma più piccole, e solamente ad esse proporzionali. Perchè non fia d’uopo di caricare continuamente l’orologio che fa muo- vere il pendolo, si unisce ed esso in vicinanza della lente un piccolo appen- dice, che allorquando il pendolo si sia accorciato fino alla piena ordinaria , vada a toccare una molla fissa, la quale fermi il pendolo, e non lo abban- doni che quando si allunga nuovamente. Se dunque non si sente alcun muovimento , si sarà certi che il livello del fiume è sotto la piena ordinaria. Se poi si ode battere l’ancora sulla ca- lamita, non si dovrà che contare quante percussioni vengono date in un mi- nuto e po.scia da una tavola preparata in antecedenza, dedurne subito l’al- tezza corrispondente dell’acqua. Sarà finalmente ovvio raggiungere che questa tavola potrà dedursi dalla notissima formola che regola il moto dei pendoli, allorquando si conosca la lunghezza primitiva del pendolo adoperato. Chiunque sia nato, od abbia anche solo dimorato qualche tempo in quelle basse località ove scorrono fiumi arginati, che tante volte hanno il loro letto più alto dei terreni circostanti, conosce in quali timori ed angoscio soglia es- sersi nell’epoca delle pioggie, sapendosi che questi fiumi rigonfiano allora d’acqua e che un’inosservato straripamento produce una rottura d’argini, ed un ine- vitabile inondazione: e quindi potrà ben valutare di quale vantaggio sia il po- tere contemporaneamente mostrare lo stato di tanti diversi fiumi agli inge- gneri destinati a costudirli, e ciò nel loro proprio ufficio posto in città, dan- dogli così il mezzo di porgere tutto il loro valevole soccorso in quel luogo che ne abbisogna, prevenendo tanti danni che qualche volta portano la de- solazione in intiere provincie. — ‘230 — Recherches sur plusieurs ouvrages de Léonard de Pise, découverts et publiés par M- le prince Balthasar Boncompagni, et sur les rapports qui existent entre ces ouvrages, et les travaux mathématiques des Arabes. Par M. F. Woepcke (*). II. Traduction du traile d’arithmétique d’Aboùl Hacan Ali Ben Mohammed Alkaloàdi (*"") Louange à Dieu: Au nom de Dieu clément et miséricordieux, Que la béné- diction et le salut de Dieu soient sur notre seigneur et maitre Mohammed, sur sa famille et sur ses compagnons. Ali Ben Mohammed Ben Mohammed Ben Ali, le Koraichite, connu sous le nom d’Alkalgàdì , Albasthì , le pauvre esclave devant Dieu (que Dieu lui pardonne par sa gràce et sa générosité) dit : Louange à Dieu qui est prompt dans ses comptes dans le livre de Dieu (***), qui répand abondamment des bienfaits, qui ouvre les portes. Que la bénédiction et le salut soient sur le seigneur des deux m(?ndes , le pro- phète envoyé aux hommes et aux génies. Pour en venir au fait, ceci est un abrégé assez étendu et riche en ma- lière, également éloigné de l’ insuffisance et de la prolixité, que j’ai extrait de mon ouvrage intitulé : « Soulèvement du vétement de la Science du cal- (*) Continuazione V. T. X. Sessione IV del 1 marzo 1857 pag. 236. (**) M. Reinaud possède un manuscrit de ce traité, qu’il a eu l’extréme obligeance de me communiquer, et doni il m’a permis de prendre copie. Je m’empresse de lui en témoigner ma reconnaissance. C’est de cette copie qne je me suis servi pour la traduction que je pu- blie ici. Ayant quitté Paris, comme je pensais d’abord pour quelques semaines seulement, mais me voyant ensuite empéché d’y retourner, je n’ai pu collationer ma copie, comme je l’aurais désiré, avec un autre manuscrit du méme traité conservé à la Bibliothèque Impériale. .Pai donné quelques notices sur les deux manuscrits dont je viens de parler, ainsi que sur le nom et l’époque de la mort d’Alkalcàdì (1477 ou 1486 de notre ère) dans un mémoire pu- blié dans le Journal asiatique, Cahier d’Octobre — Novembre 1854, pag. 348 et suiv. (*«) Voir sourate II, 198; III, 17, 199; V, 6; Xlll, 41; XIV, 51; XXIV, 39; XL, 17. En citant cette expression du Koran qui signifìe à la lettre que Dieu est prompt au calcul, l’auteur fait allusion, par un jeu de mot familier aux écrivains arabes, à la science qui est robjet de son traité. — 231 — cui » (*). Cet abrégé est destiné à offrir une ampie provision à une panie des étudiants. et à servir de manuel à ceux qui sont doués d’une intelligence supérieure. Je l’ai intitulé Soulévejient des voiles de la Science de gobàr , et je prie Dieu de m’accorder son appui et de me guider pour que je marche dans le chemin droit de son assislance et de sa direction , dans ce monde et dans la vie future; je le supplie de piacer ce travail parmi les oeuvres qui ne sont pas interrompues par la mort, et dont Tauteur n’est pas menacé par le malheur d’une fin subite. Ce traité se compose d’une introduction, de quatre parties et d’une conclusion. Chaque partie comprend huit chapitres. INTRODUCTION. Quant à l’ introduction, elle traite de la manière de poser ces signes, et de ce qui s’y rapporto: ce sont neuf figures différentes dont la première est r unité , entuite vient le deux , (et ainsi de suite) jusqu’ au neuf. Posez d’abord l’unité, et au-dessous d’elle le deux, (et ainsi de suite) jusqu’au der- nier de ces signes de la manière suivante : Si vous avez dix, alors posez un zèro (** (***) (****)'!'), c’ est à dire un petit cercle, et après lui (*^**) l’unité, ainsi: 10. Et si vous avez vingt, posez un /èro et après lui le deux, ainsi : 20. Et de méme allez jusqu’ à quatre-vingt dix en observant la méme forme, ainsi : 90 80 A 70 60 50 40 a 30 a Si vous avez onze , posez une unité et après elle une seconde unité , ainsi: 11. Si vous avez douze, posez d’abord le deux et après lui une unité, ainsi: 12; et de méme jusqu’ à dix-neuf. (*) D’après le ms. de M. Reinaud qui intercale encore le mot maàni elitre qachf et al-djilbàb, ce titre serait ; « Révélation des significations du vétement de la Science du ca- cul ». Le mot mà’nan (plur. maàni} dénote en général la signification, le sens, le fond, la nature intérieure d’une chose par opposition à sa forme extérieure. (**) Quant à la forme de ces chiffres , elle se trouve exactement reproduite dans le mémoire déjà cité, publié dans le Journal asiatique. Voir loc. laud. pag. 362 et suiv. (***) Je fais observer que le ms. porte constamment safron (avec sin) qui signifie « ve- stige, trace », et non cifron (avec càci) qui signifie « vide ». (****) C’cst à dire à gauche de lui, les Arabcs écrivant de droite à gauche^ Si vous avez des unités, des dizaines et des centaines, posez les unités au premier raeg, les dizaines au second, et les centaines au troisième. Par exemple lorsq’on vous dit : posez (*) cent onze, posez cela ainsi: 111; par- ceque Punite au premier rang signifìe un , au second dix , et au troisième cent. Et si Pon vous dit : posez sept cent quarante trois, posez cela ainsi : 743- Et si Pon vous dit : posez neuf cent vingt cinq, posez cela ainsi ; 925. Si vous avez des mille , placez-les au quatrième rang. Par exemple si Pon vous dit: posez sept mille cinq cent soixante treize, posez cela ainsi: 7573. Si dans quelques-uns des rangs il ne se trouve pas de nombre, posez-y un zero qui servirà à conserver ce rang. Par exemple si Pon vous dit : posez trois cent cinq, posez d’abord le cinq, après lui un zero, et après celui-ci le trois, ainsi : 305. Et si Pon vous dit : posez huit mille vingt, posez cela ainsi : 8020. PREMIÈRE PARTIR DU NOMBRE ENTIER CHAPITRE PREMIER. DE l’aDDITION. L’addition est Paction de réunir les nombres les uns aux autres de telle manière qu'on puisse les énoncer au moyen d’un seul mot. Il se présente en cela nécessairement trois cas. Le premier c’ est que des deux nombres ad- ditionnés il provient seulement des unités; le second , qu’il en provient des dizaines; le troisième, qu’il en résulte des unités et des dizaines. La pratique de cette opération consiste à piacer les deux nombres qu’il s’agit d’additionner sur deux lignes et à mener au-dessus d’eux un trait;ensuite à piacer le résultat, si ce sont des unités, au-dessus des deux nombres ad- ditionnés. Si au contraire ce sont des dizaines, posez un zero au-dessus des deux nombres additionnés et faites entrer le signe de Punité après cela (**). Si enfio le résultat est forrné d’unités et de dizaines, posez les unités au-dessus des deux nombres additionnés et les dizaines après. {*) C’est à dire : écrivez. (**) C’est à dire: placez une unité dans le rang suivant en allant vers la gauche. — 233 — Par exemple, si l’on vous dit : ajoutez quatre cent trente deux à deux cent trente un, posez cela ainsi : 4 3 2 2 3 1 Ensuite ajoutez Punite au deux; il resulto trois, ce que vous poserez au-dessus des deux nombres additionnés. Ajoutez le trois au trois; il résulte six; pla- cez-le au-dessus de la ligne. Enfin ajoutez le deux au quatre; il résulte six, posez-le pareìllement au-dessus des deux nombres additionnés- Le résultat sera six cent soixante trois; ainsi : 663- Et si Pon vous dit : ajoutez cent vingt huit à trois cent soixante onze, posez cela ainsi : 1 2 8 3 7 1 Ensuite ajoutez P unité au huit; ce sera neuf; placez-Ie au-dessus des deux nombres additionnés- Ajoutez le sept au deux; il résultera neuf; placez-le pareillement au-dessus des deux nombres additionnés. Puis ajoutez le trois à Punité; il vient quatre; posez-le également au-dessus des deux nombres additionnés. Le résultat sera quatre cent quatre-vingt dix-neuf; ainsi : 499. Et si Pon vous dit ; ajoutez trois cent vingt à cinq cent deux , posez cela ainsi : 3 2 0 5 0 2 Ensuite ajoutez le zèro au deux; ce sera deux; posez-le au-dessus de la ligne. Ajoutez le zèro au deux; ce sera deux; placez-le au-dessus de la ligne. Enfia ajoutez le cinq au trois; il résulte huit; placez-le également au-dessus des deux nombres additionnés. Le résultat sera huit cent vingt deux, ainsi : 822. Exemples de Popération si ce qui provient des deux nombres additionnés, sont des dizaines- Si Pon vous dit : ajoutez vingt quatre à soixante seize , posez cela ainsi : I — 234 — Ensuite ajoutez le six au quatre; il résulte dix; posez au-dessus des deux nombres additionnés on zero, et l’unité au-dessous du sept. Ensuite ajoulez-la à celui-ci et au deux; il résulte dix; posez pareillement un zero et V unite après. Il résulte cent, ainsi: 100. Et si r on vous dit: ajoutez deux mille trois cent vingt quatre à sept mille six cent soixante seize, posez cela ainsi: 2 3 2 4 7 6 7 6 Ensuite ajoutez le six au quatre, il résulte dix; posez un zèro au-dessus des deux nombres additionnés, placez l’unité au-dessous du sept et ajoutez-la à celui-ci et au deux; il résulte dix; posez de nouveau un zèro au-dessus des deux nombres additionnés et l’unité au-dessous du six , (et ainsi de suite) jusq’à la fin de l’opération. Le resultat sera dix mille, ainsi: 10000. Exemples de l’operation si le résultat est formé d’unités et de dizaines. Si l’on vous dit : ajoutez quarante huit à quatre-vingt dix-sept, posez cela ainsi: Ts 9 7 Ensuite ajoutez le sept au huit ; il résulte quinze ; posez le cinq au-dessus des deux nombres additionnés , faites entrer l’unité au-dessous du neuf, et ajoutez-la à celui-ci et au quatre; il provient quatorze; posez le quatre au-dessus des deux nombres additionnés et le dix (*) aprés. Le résultat sera cent qua- rante cinq, ainsi: 145. Et si l’on vous dit: ajoutez soixante huit mille sept cent soixante cinq à quarante six mille cinq cent soixante dix-neuf, posez cela ainsi: 6 8 7 6 5 4 6 5 7 9 Ensuite ajoutez le neuf au cinq; il résulte quatorze; posez le quatre au-dessus des deux nombres additionnés , faites entrer 1’ unité au-dessous du sept et ajoutez-la à celui-ci et au six; il résulte de nouveau quatorze; posez le quatre {*} C’est à dire l’unité qui représente le dix — 235 — au-dessus des deux nombres additionnés et l’unité au-dessous du cinq , et ajoutez-la à celui-ci et au sept ; il résulte treize ; posez le trois au-dessus des deux nombres additionnés et l’unité au-dessous du six, et ajoutez-la à celui-ci et au huit; il résulte quinze; posez le cinq au-dessus des deux nombres additionnés et l’unité au-dessous du quatre, et ajoutez-la à celui-ci et au six; il résulte onze ; posez une unité au-dessus de la ligne et 1’ unité après. Le résultat sera cent quinze mille trois cent quarante quatre, ainsi: 115344. (*) CHAPITRE DEUXIÈME. DE LA SODSTRACTION. La soustraction consiste à connaìtre l’excédant (***) eutre deux nombres dont l’un est plus petit et l’autre plus grand. La pratique de cette opération consiste à piacer le nombre dont on re- tranche sur une ligne et au-dessous de lui le nombre retranché , à mener au-dessus d’ eux un trait, à retrancher chaque rang du rang correspondant, et à poser le reste au-dessus de la ligne. Le reste sera la quantité cherchée. Par exemple , si l’on vous dit : retranchez six cent cinquante trois de neuf cent soixante dix-huit; posez cela ainsi : 9 7 8 6 5 3 Ensuite retranchez trois de huit ; il reste cinq ; posez-le au-dessus de la li- gne; puis retranchez cinq de sept; il reste deux; posez-le pareillement au- dessus de la ligne, et retranchez six de neuf; il reste trois; posez-le de méme au-dessus de la ligne. Le reste sera trois cent vingt cinq, ainsi : 325. n Voici cette opération fìgurée au coraplet à la manière arabe 1 1 5 3 4 4 6 8 7 6 5 4 6 5 7 9 1111 (**) Le nom arabe de la soustraction , tarhoun , vient du verbe taraha « projicere , abjicere ». (***) C’est à dire la différence. 32 — 236 — Et si l’oD vous dit : retranchez sept mille six cent vingt quatre de neuf mille sept cent vingt six, posez cela ainsi : 9 7 2 6 7 6 2 4 Ensuite retranchez quatre de six ; il reste deux ; posex-le au-dessus de la ligne ; puis retranchez le deux du deux ; il ne reste rien ; posez au-dessus des deux nombres retranchés l’un de l’autre un zèro ; après cela retranchez six de sept; il reste un; posez-le au-dessus des deux nombres retranchés l’un de l’autre; ensuite retranchez le sept du neuf; il reste deux; posez-le au-dessus des deux nombres retranchés l’un de l’autre. Alors le reste sera deux mille cent deux, ainsi : 2102. Mais si dans quelques-uns des rangs le nombre dont on retranche est plus petit que le nombre retranché, alors ajoutez dix au nombre dont on re- tranche, et retranchez de la somme le nombre qu’ il s’agit de retrancher. Par exemple, si l’on vous dit : retanchez trois cent quatre-vingt six de sept cent vingt cinq ; posez cela ainsi : 7 2 5 3 8 6 Ensuite retranchez le six du cinq; on ne le peut pas; donc ajoutez au cinq dix; il résulte quinze; retranchez-en le six; il reste neuf; posez-le au-dessus de la ligne. Puis ajoutez le dix sous la forme d’une unité au huit; il résulte neuf ; retranchez-le du deux ; cela ne se peut pas ; donc ajoutez au deux dix; il résulte douze; retranchez-en neuf; il reste trois; posez-le au-dessus de la ligne. Alors le reste sera trois cent trente neuf , ainsi : 339. Et si l’on vous dit : retranchez trois mille neuf cent soixante dix-huit de cinq mille sept cent deux, posez cela ainsi : 5 7 0 2 3 9 7 8 Ensuite retranchez le huit du deux; cela ne se peut pas; donc ajoutez dix au deux; il résulte douze; retranchez-en le huit; il reste quatre; posez-le — 237 — au-dessus de la ligne. Après cela ajoutez une unite au sept; il résulte huit; retranchez-le du zéi*o; cela ne se peut pas; donc ajoutez dix au zero et re- tranchez-en le huit; il reste deux; posez-le au-dessus de la ligne- Puis ajoutez une unité au neuf; il résulte dix; retranchez-le du sept; on ne le peut pas; donc ajoutez dix au sept; il résulte dix-sept; retranchez (le dix) de la somme; il reste sept ; posez-le au-dessus de la ligne. Ensuite ajoutez une unité au trois; il résulte quatre; retranchez-le du cinq; il reste un; placez-le au-dessus de la ligne. Le reste sera donc mille sept cent vingt quatre, ainsi : 172-4. CHAPITRE TROISIÈME. DE LA MULTIPLICATION. La multiplication est 1’ action de faire résulter un nomhre inconnu de deux nornbres connus. Elle se fait de différentes manières. La multiplication inclinée. (*) La pratique de cette opération consiste à piacer le multiplicateur sur une ligne et au-dessous de lui le multiplicande, de telle sorte que le premier rang du multiplicande se trouve au-dessous du dernier rang du multiplicateur, [a multiplier] par ce rang tous les rangs du multiplicande, à faire ensuite reculer celui-ci d’un rang, à le multiplier tout entier par ce rang (du multiplicateur) qui précède le rang par lequel on vient de multiplier, et à continuer ainsi jusqu’ à ce que l’opération soit terminée. Par exemple, si l’on vous dit; multipliez soixante treize par cinquante deux (**), posez cela ainsi: {***) I 5 2 7 3 (*) La multiplication du madjnah ; madjnah = « locus, quo inclinatur », duverbed/a- naha « inclinavit, propendit ». {**] Textuellement : multipliex cinquante deux en soixante treize. (***) Voici une représentation de l’opération décrite dans les lignes suivantes : 3 7 9 6 6 1 4 1 5 3 5 7 3 7 3 — 238 — et placez au-dessus de ces nombres une ligne brisée. Ensuite multipliez le sept par le cinq; il résulte trente cinq; posez le cinq au-dessus du sept et le trois après. Puis multipliez le trois également par le cinq; il résulte quinze; posez le cinq au-dessus des deux nombres multipliés l’un par l’autre et Punite après, au-dessus du cinq. Ensuite faites reculer le trois au-dessous des unités et le sept dans le rang des dizaines , et multipliez le sept par le deux; il résulte quatorze; posez le quatre au-dessus du multiplicande et l’unité après- Puis multipliez le trois par le deux, ce qui donne six; posez cela au-dessus des deux nombres multipliés l’un par l’autre. Ensuite tirez une ligne au-dessus de ce qui résulte (des multiplications précédentes) et additionnez-le au-dessus de cette ligne, ce sera trois mille sept cent quatre-vingt seize ; posez cela ainsi : 3796. Et si l’on vous dit : multipliez neuf mille sept cent trente six par cinq cent quatre-vingt deux, posez cela ainsi (*) : I 5 8 2 9 7 3 6 Ensuite multipliez tout le multiplicande par le cinq , et placez ce qui pro- vient de chaque nombre au-dessus de celui-ci. Puis faites reculer le multi- {*) Voici l’operation décrite dans les lignes suivantes : 5 6 6 6 3 5 2 1 2 6 1 4 1 8 4 8 2 4 5 6 7 2 3 0 1 5 3 5 4 5 15 8 2 9 7 3 6 9 7 3 6 — 239 — plicande tout entier d’un rang, et alors multipliez-le tout entier par huit en plagant de nouveau ce qui provieni de chaque nombre au-dessus de celui-ci. Ensuite faites de nonveau reculer le multiplicande , encore d’un rang , et multipliez-le tout entier par deux en platani ce qui provieni de chaque nombre au-dessus de celui-ci- Après cela tirez au-dessus de tout cela une ligne, et additionnez au-dessus d’elle tous les résultats. Il viendra le nombre cherché, à savoir cinq millions six cent soixante six mille trois cent cinquante deux (*), aiosi: 5666352. La multiplicaùon au moyen des nombres de position (** (***)), La pratique de cette opération consiste à piacer les deux nombres qu’il s’agit de multiplìer l’un par l’autre, sur deux lignes qui se correspondent, c’est à dire les unités [sous les unités], les dizaines sous les dizaines, et de méme pour les rangs suivants. Ensuite multipliez rang après rang de l’un des deux nombres proposés par l’autre tout entier, et placez (constamment) le resultai où l’exige le rang des nombres de position. C’est qu’on ajoute le nombre de position du mul- tiplicande [a celui du multiplicateur] , qu’on retranche constamment l’unité de la somme , et qu’on place le resultai de la multiplication là (où l’indi- que le nombre de position ainsi obtenu). Par exemple, si l’on vous dit: multipliez trois cent vingt et un par quatte cent trente deux, posez cela ainsi 4 3 2 3 2 1 et menez au-dessus des deux lignes un trait. Ensuite multipliez Punite par le deux, il résulte deux. Posez cela au-dessus des deux nombres multipliés l’un par l’autre, parce que le nombre de position (*^"*^*) des deux nombres multipliés l’un pas l’autre est deux, et si de cela on retranche l’unité, il re- ste un, ce qui indique le premier rang. Après cela multipliez le deux par le p) Textuellement : deux et cinquante et trois cent et six et soixante mille et six cent mille et cinq mille mille. {**) Le mot ass que je traduis icipar « nombre de position » signifie proprement « fon- dement, principe, trace ». Nous verrons plus loin, dans la quatrième partie de ce traité, qui apourobjet l’algébre, que ce mot sertà désigner exactement ce que nous appellons aujourd’hui l’exposant d’une puissance algébrique. (***) Il serait plus exact de dire; la somme des nombres de position. deux, il résulte quatre. Posez-le au second rang, parce que le nombre de position des deux nombres multipliés l’ un par 1’ autre est quatre. Ensuite mettez un point au-dessus du deux, pour signifier qu’on a fini d’opérer avec lui, et passez au trois. Multipliez. par lui l’unite, ce qui donne trois. Posez- le au second rang* Multipliez le deux par le trois, il résulte neuf; posez cela au quatrièrae rang* Ensuite marquez le trois, passez au quatre, et multipliez par luì l’unité, ce qui donne quatre* Posez-le au troisième rang. Multipliez le deux par le quatre ; il résulte huit ; posez-le au quatrième rang , parce que le nombre de position des deux nombres multipliés l’un par l’autre est cinq, et le reste, si l’on en retranche un, quatre. Puis multipliez le trois par le quatre; il résulte douze* Placez-le au cinquième rang. Ensuit additionnez les résultats. Il viendra le nombre cherché, à savoir cent trent huit mille six cent soixante douze, ainsi ; 138672 {*). Et si l’on vous dit : multipliez soixante quinze mille vingt par trois cent quatre, posez cela ainsi : {**) I31T4 7 5 0 2 0 Ensuite multipliez le multiplicande tout entier par le trois, et posez ce qui provient de chaque nombre au-dessus de celui-ci* Après cela faites reculer le multiplicande (de deux rangs, multipliez-le) tout entier par quatre (***), et po- Voici l’opération figurée: 138672 ri 8 4 9 6 3 6 4 2 4 3 2 3 2 1 (**) Cet exemple appartieni évidemment à l’espèce précédente de la multiplication. Il parali avoir élé placé ici par erreur. {***) Le texte du raanuscrit est trè-corrompu en cet endroit. — 241 — sez ce qui provieni de chaque nombre au-dessus de celui-ci. Puis additionnez cela comme c-idessus. II resulterà le nombre cherché , à savoir vingt deux millions buit cent six mille quatre-vingt, ainsi : 22806080. Et si l’on vous dit : multipliez sept mille buit cent cinquante deux par mille cinq cent quarante trois, alors posez cela ainsi : 15 4 3 7 8 5 2 Ensuite multipliez toute la ligne inférieure, rang après rang, par chaque rang de la ligne supérieure, et posez les résultats où l’exige le rang des nombres de position» Puis additionnez les résultats- Vous aurez le nombre cherché , à savoir: douze millions cent quinze mille six cent trente six, ainsi: 12115636. La multiplication avec demi-transposilion (*). Elle s’applique exclusivement à deux nombres égaux. La pratique de cette opera tion consiste à poser l’un des deux nombres qu’il s’agit de multiplier l’un par l’autre , sur une ligne , et à piacer entre chacun de ses rangs (et le rang suivant) un point. Ensuite vous multipliez le dernier rang par lui-rnéme, et posez au-dessus de lui le resultai. Puis vous ajoutez à ce multiplicateur un nombre qui lui est égal , et vous placez la somme à l’endroit où se trouve le point- Vous multipliez ce nombre redoublé par le nombre du rang précédent , et vous placez le résultat au-dessus de celui-là. Vous multipliez le nombre qui se trouve dans ce rang par lui-mé- me , et posez au-dessus de lui le résultat. Ensuite vous ajoutez le nombre qui se trouve dans ce rang à lui-méme, et vous posez la somme à l’endroit où se trouve le (second) point, en faisant passer le premier nombre redoublé, tei qu’il est , dans la place du nombre qu’on vieni de doubler. Après cela vous multipliez par le nombre qui se trouve dans le rang précédent, tous les rangs des nombres redoublés et ce nombre lui-méme, et vous posez ce qui provieni de chaque nombre au-dessus de celui-ci. On opère de la méme ma- nière si les rangs (du nombre proposé) soni nombreux. (*) On reconnaitra facilement que cette méthode n’est autre chose qu’mie application pratique de la formule (a -t- 6 -f- c -t- . . = -1- -f- -t- . . . — 242 — Par exemple , si l’on vous dit : multipliez quatre cent trente huit par lui-méme, posez cela ainsi : (*) 4 3 8 Ensuite multipliez le quatre par lui-méme; il resulto seize; posez le six au-dessus du quatre et l’unitè après- Puis doublez le quatre; il résulte huit, ce que vous poserez au-dessous des points- Vous le multiplierez par le trois, il résulte vingt quatre. Posez le quatre au-dessus des points et le deux après. Ensuite multipliez le tròis par lui-méme; il résulte neuf; posez-le au-dessus du trois. Après cela doublez le trois; ce sera six; posez-le au-dessous des points qui précèdent le trois, et faites passer le huit sous le trois. Ensuite multi- pliez, par le huit, le huit, le six et le huit lui-méme; posez ce qui provient de chaque nombre au-dessus de celui-ci. Apres cela additionnez les résultats; vous aurez le nombre cherché- C’est cent quatre vingt onze mille huit cent quarante quatre, ainsi: 191844. Si le résultat du redoublement est dix, posez à l’endroit des points un zèro et l’unité après. Par exemple , si l’on vous dit : multipliez cinq cent cinquante six par lui-méme, posez cela ainsi ; (*^) 5 A 5 6 (*) 19 18 4 4 — 4 8 6 4 9 2 4 1 6 4.3.8 8 86 {**) 3 0 9 1 3 6 Te 2 5 s 2 5 5.5.6 10 10 1 — 243 — Ensuite multipliez le cinq par lui-méme : il résulte vingt cinq; posez-le au- dessus de la ligne. Après cela doublez le cinq; il résulte dix; posez un zero au-dessous des points et l’unité après , sous le cinq. Ensuite multipliez par le cinq qui signifìe cinquante, l’unité et le cinq lui-méme, et posez les ré- sultats pareillement au-dessus de la ligne. Puis doublez ce cinq ; il résulte dix; posez un zèro au-dessous des points et l’unité après, sous le cinq. En- suite déplacez le produit du (premier) redoublement qui se trouvait d’abord sous le cinq, et dans lequel le zèro n’a pas de valeur, de manière à mettre l’unité à la place du zèro. Après cela multipliez, par le six, les unités qui se trouvent au quatrième et au troisième rang et le six lui-méme, et posez les résultats au-dessus de la ligne. Ensuite additionnez. 11 résultera le nom- bre cherché, a savoir trois cent neuf mille cent trente six, ainsi ; 309136. Si le résultat du redoublement est composé d’unités et de dizaines, po- sez les unités à l’endroit des points et les dizaines après. Par exemple, si Fon vous dit : multipliez sept cent quatre-vingt six par lui-méme, posez cela ainsi : (*) 7 /. 8 6 Ensuite multipliez le sept par lui-méme ; il résulte quarante neuf; posez-ìe au-dessus de la ligne. Après cela doublez le sept; ce sera quatorze; posez le quatre au-dessous des points et l’unité après, sous le sept. Ensuite multipliez, par le huit, l’unité, le quatre, et le huit lui-méme, et posez les résultats au- dessus de la ligne. Après cela doublez le buit; il résulte seize; posez le six au-dessous des points et l’unité au-dessous du huit; ajoutez à celle-ci le qua- (*) 6 1 7 7 9 6 3~6 .3 6 3 0 6 6 4 3 2 8 4 9 7.8.6 14 16 1 5 6 33 — 244 — tre, ce qui donne cinq, et faites passer l’autre unite à la place du quatre. Ensuite multipliez tout cela par le six, et multipliez aussi le six par lui-mé- me. Posez les résultats au-dessus de la ligne. Puis additionnez tout cela, et vous aurez le nombre cherché- C’est six cent dix-sept mille sept cent qua- tre-vingt seize, ainsi : 617796. La muUiplication au moyen du tableau {*). La pratique de cette opéra- tien consiste à prendre une surfacc carrée, à la partager en petits carrés, et à diviser chacun de ceux-ci en deux parties égales. Ensuite posez le multi- plicateur au-dessus de cette figure et le multiplicande à sa droite; multipliez chaque rang de l’un par l’autre tout entier, et placez les unités du resultai dans r une des moitiés du (petit) carré , et les dizaines dans 1’ autre- Puis addi- tionnez les résultats. Vous obtiendrez le nombre cherché. Par exemple, si l’on vous dit : multipliez soixante quatre par trois, po- sez cela ainsi : Ensuite multipliez le quatre par le trois; il résulte douze; posez le deux dans la moitié du carré qui est à droite, et le dix (**) dans l’autre moitié. Puis multipliez le six par le trois, et faites le méme chose. Il résulte le nombre cberché, à savoir cent quatre vingt douze, ainsi : 192. Et si l’on vous dit : multipliez trois cent quarante deux par cinq cent trente quatre, posez cela ainsi : (*) Le mot djadwal que je traduis ici par « tableau » , est aussi le terme employé de préféreuce pour désigner des tables de quahtités mathématiques, par exemple des tables de sinus , de longitude et de latitude , etc. La méthode de multiplication dont il s’agit ici , est aussi appelée par les Arabes la méthode du réseau, chabaqah. {**) C’est à dire l’unité qui représente le dix. — 245 Ensuite multiplìez le deux par le quatre; il résulte huit; posez-le dans le carré qui est à droite. Après cela multipliez le quatre par le quatre ; il résulte seize; posez le six dans la inoitié du carré qui se trouve près du quatre qui est le multiplicande , et 1’ unité dans 1’ autre moitié- Puis multipliez le trois par le quatre; il résulte douze: posez le deux dans la moitié du carré qui se trouve près du trois, et T unité dans l’ autre moitié. Ensuite passez, dans le multiplicateur, au trois, et multipliez par lui le deux; il résulte six; posez-le dans la moitié du carré qui se trouve près du trois. Puis multipliez le quatre par le trois, il résulte douze; posez le deux dans la moitié du carré où se rencontrent deux lignes droites menées des deux nombres multipliés l’un par r autre ; et posez 1’ unité dans 1’ autre moitié. Faites de méme pour le reste de 1’ opération. Ensuite additionnez au-dessus du sommet gauche du carré ce qui se trouve entre les lignes de séparation. Le résultat sera cent quatre-vingt deux mille six cent vingt huit, ainsi : 182628. §. Il est indispensable de savoir par coeur la multiplication des unités les unes par les autres. Si l’on vous dit: deux fois deux, dites: le résultat est quatre; et deux fois trois est six- Répétez l’ un des deux nombres multipliés P un par 1’ au- tre autant de fois qu’il est contenu d’unités dans l’autre. Il en est de méme pour le trois, le quatre et le cinq. Et si Fon vous dit : multipliez six par lui-méme, dites: le résultat est trente six; six fois sept est quarante deux ; six fois huit est quarante huit; six fois neuf est cinquante quatre; six fois dix est soixante. Sept multiplié par lui-méme est quarante neuf; sept fois huit est cin- quante six ; sept fois neuf est soixante trois ; sept fois dix est soixante dix. Huit fois huit est soixante quatre; huit fois neuf est soixante douze; huit fois dix est quatre-vingt. Neuf fois neuf est quatre-vingt un; neuf fois dix est quatre-vingt dix. Dix multiplié par lui-méme est cent. Onze multiplié par lui-méme est cent vingt un. Douze multiplié par lui-méme est cent quarante quatre. Treize multiplié par lui-méme est cent soixante neuf. — 246 - §• Ajoutons encore à ce chapitre plusieurs règles fondamentales doni on peut se contente!' dans un certain nombre de cas. Tout nombre multiplié par zèro produit zero. Toni nombre multiplié par Vunité produit ce nombre méme. Polir multiplier un nombre quelconque par deux, ajoutez-le à lui-méme. Pour multiplier un nombre quelconque par trois, ajoutez-le à son doublé. Pour multiplier un nombre quelconque par quatre^ doublez-le deux fois. Pour multiplier un nombre quelconque par cinq, faites-le preceder d’ un zero, et prenez de cela la moitié- Par exemple, si l’on vous dit: multipliez seize par cinq, faites preceder le seize d’un zero, ce sera cent soizante, prenez-en la moitié, quatre vingt, c’est le nombre cherché. Et si l’on vous dit: multipliez treize par cinq, faites preceder le treize d’un zero, ce sera cent trente; prenez-én la moitié, soixante cinq, c’est le nom- bre cherché. Pour multiplier un nombre quelconque par six, ajoutez-le à la moitié de son produit par dix (*). Par exemple, si l’on vous dit: multipliez seize par six, ajoutez le seize à la moitié de son produit per dix, à savoir, à quatre-vingt, vous aurez qua- tre-vingt seize, ce qui est le nombre cherché. Pour multiplier un nombre quelconque par sept , faites-le précéder d’ un zèro, et retranchez son triple de son produit par dix. Par exemple , si 1’ on vous dit : multiplez douze par sept , retranchez trente six de cent vingt; il reste quatre-vingt quatre^ ce qui est le nombre cherché. Pour multiplier un nombre quelconque par huit , faites le précéder d’un zèro et retranchez son doublé de son produit par dix. Par exemple, si l’on vous dit : multipliez quatorze par huit, retranchez vingt-huit de cent quarante; il reste cent douze, ce qui est le nombre cher- ché: ainsi ; 112. (*) Le mot arabe que je traduis par « produit par dix » est 'ikd. — 247 — Polir multiplier un nombre gue/congue/far faìtes-le precèder d’un ze- ro, et retranchez-le de nouveau du résultat; alors vous aurez le nombre cherché. Par exemple, si l’on vous dit : multipliez vingt quatte par neuf, faites preceder le multiplicande d’un zèro; vous aurez deux cent quarante; retran- chez-en vingt quatre, il reste deux cent seize, ce qui est le nombre cbercbé; ainsi : 216. Pour multiplier un nombre quelconque par quatre-vingt dix-neuf, faites-le preceder de deux zéros et retrancbez-le de nouveau du résultat. Par exemple, si l’on vous dit: multiplez deux cent cinquante quatre par quatre-vingt dix-neuf , faites précéder le multiplicande de deux zéros , ainsi : 25400. Ensuite retrancbez le multiplicande du résultat ^); il reste vingt cinq mille cent quarante six, ainsi : 25146. Pour multiplier un nombre quelconque par dix, faites-le précéder simple- ment d’un zèro; pour le multiplier par cent, de deux zéros. Pour multiplier un nombre quelconque par onze , additionnez-le à lui- méme ayec changement d’un rang (*) **). Par exemple, si l’on vous dit : multipliez trois cent cinquante deux par onze, posez le multiplicande sur une ligne, et posez-le encore une fois au- dessous, de telle sorte que les unités de la ligne inférieure se trouvent au- dessous des dizaines de la ligne supérieure, ainsi : 3 5 2 3 5 2 Ensuite additioonez les deux lignes, il résultera le nombre cbercbé, à savoir trois mille huit cent soixante douze, ainsi : 3872. Pour multiplier un nombre quelconque par douze, placez sous ce nombre le méine nombre de manière que les rangs se correspondent; ensuite placez-le encore une troisième fois sous les deux autres , mais de manière que les unités du troisième correspondent aux dizaines des deux autres. Additionnez tout cela, le résultat sera le nombre cbercbé. Par exemple, si l’on vous dit : multipliez trente quatre par douze, posez cela ainsi : (*) Le mot arabe djoumlah, qui est employé ici, signifie proprement « agrégat, somme ». {**) C’est à dire en additionnant deux à deux non pas les chiffres du méme ordre, mais ceux dont les ordres diffèrent d’une unité. — 248 — 3 4 3 4 3 4 Ensuite additionez; il resulterà le nombre cherché, à savoir quatre cent huit; ainsi : 408- Et si l’on vous dit : multipliez trois cent vingt trois par douze, posez cela ainsi : 3 2 3 3 2 3 3 2 3 Ensuite additionnez cela; il resulterà le nombre cherché, à savoir trois mille huit cent soixante seize; ainsi : 3876. Pour multiplier un nombre qiielconque par quinze^ ajoutez-le à sa moitié et faites-le preceder d’un zero, s’il est pair; et s’il est impair, retranchez-en l’unité, ajoutez-le à la moitié du reste, et faites-le précéder d’un cinq. Par exemple, si l’on vous dit: multipliez vingt quatre par quinze, ajoutez douze aa vingt quatre, il résulte trente six; faites-le précéder d’un zèro; ce sera trois cent soixante; ainsi: 360- Et si l’on vous dit: multipliez vingt neuf par quinze, ajoutez quatorze au multiplicande, et faites précéder la somme d’un cinq; vous aurez le nombre cherché, à savoir quatre cent trente cinq; ainsi: 435. Pour multiplier un nombre quelconque par un nombre formé de deux rangs égaux, multipliez le nombre par l’un de ces derniers, et ajoutez le résultat à lui-méme avec changement d’un rang. Par exemple, si l’on vous dit: multipliez trente et un par vingt deux, multipliez le trente et un par deux, et ajoutez le résultat, qui est soixante deux, à lui-méme avec changement d’un rang; il résultera le nombre cherché à savoir six cent quatre-vingt deux; ainsi: 682. Et si l’on vous dit: multipliez cinq cent trente quatre par quatre-vingt huit, multipliez le multiplicande par l’un des huit , et ajoutez le résultat à lui-méme avec changement d’un rang; il résultera le nombre cherché, à savoir quaranle six mille neuf cent quatre-vingt douze; ainsi 46992. — 249 — CHAPITRE QUATRIÈME DE LA DIVISION. La division est la décomposition du dividende en des parties égales dont le nombre est égal au nombre qui est le diviseur. L’ unite est au résultat (de la division) comme le diviseur est au dividende. La pralique de cette opération (*) consiste à piacer le dividende sur une ligne, et à piacer le diviseur sous le dernier rang du dividende, s’il est égal à ce rang ou plus petit. Ensuite vous chercherez un nombre qui, multiplié par le diviseur, anéantit ce qui se trouve au-dessus de celui-ci, ou laisse un reste plus petit que le diviseur. Après cela vous faites reculer le diviseur et vous continuez de la méme menière jusq’à la fin de l’operation. Par exemple, si l’on vous dit: divisez huit cent cinquante six par quatre, posez cela ainsi: 8 5 6 Ensuite cberchez un nombre que vous placerez sous le quatre, que vous mul- tiplierez par celui-ci, et qui anéantira alors le huit; vous trouverez que ce nombre est deux. Après cela faites reculer le quatre de manière qu’ il soit place sous le cinq; cberchez un nombre à multiplier par quatre, vous trou- verez que c’est Punite, et vous aurez pour reste une unite que vous placerez au-dessus du cinq. Puis faites reculer le quatre de manière qu’il soit placé sous le seize et cberchez un nombre à multiplier par quatre, vous trouverez que c’est quatre. Alors le résultat sera deux cent quatorze (**); ainsi: 214. Et si l’on vous dit: divisez neuf cent vingt quatre par six, posez cela ainsi: 9 2 4 6 (*) Textuelleraent; « La pratique de ce chapitre ». n 1 8 5 6 4 4 4 2 1 4 — 250 — Ensuite cherchez un nombre que vous placerez sous le six, et que vous multi- plierez par celui-ci. Vous trouverez que ce nombre est un, et il reste trois que vous placerez au-dessus du neuf. Faites reculer le six de manière qu’il soit place sous le deux, et faites comme précédemment. 11 resulterà cent cin- quante quatre (*), ainsi: 154. Si le dernier rang (du dividende) est plus petit que (**) le diviseur, reculez celui-ci vers la droite- Par exemple, si l’on vous dit: divisez deux cent quatre-vingt huit par six, posez cela ainsi. 2 8 8 6 et faites en sorte qne le six se trouve au-dessous du vingt huit. Ensuite cher- chez nn nombre à multiplier par six. Vous trouverez que c’est quatre et vous aurez pour reste quatre; posez-le au-dessus du huit. Après cela faites reculer le six de manière qu’il soit place sous le premier huit, et cherchez un nombre à multiplier par le six. Vous trouverez que c'est huit. Le résultat sera donc quarante huit (***), ainsi: 48- §• S’il vous reste (à la fin de l’operation) un nombre plus petit que le di- viseur, faites-en une fraction ayant pour dénominateur le diviseur (****). n 3 2 9 2 4 6 6 6 1 S 4 (**) Texluellement; ne supporle pas. 4 2 8 8 6 6 4 8 ■ (****) Textuellement: faites en une portion par rapport à lui. — 251 — Par exemple, si l’on vous dit : divisez cinq cent soixante dix-neuf par huit, posez cela ainsi: 5 7 9 8 Ensuite cherchez un nombre que vous placerez au-dessous du huit, et que vous multìplierez par celui-ci; vous trouverez que c’est sept. Vous aurez pour reste un , que vous poserez au-dessus du sept- Après cela faites reculer le huit de manière qu’il soit place sous le neuf , et cherchez un nombre que vous multiplierez par le huit; vous trouverez que c’est deux, et vous aurez pour reste trois, Écrivez le trois au-dessus du huit en tirant entre les deux line ligne- Le résultat sera soixante douze et trois huiliemes (*), ainsi: -|- 72. Si le diviseur est forme de plus d’un rang, décomposez-le, si vous voulez, dans les facteurs (**) dont il est compose, et divisez (le dividendo) par ceux-ci, l’un après l’autre- Par exemple , si 1’ on vous dit: divisez sept mille trois cent soixante cinq par quinze, posez cela ainsi: 7365- Ensuite décomposez le diviseur en cinq et trois, et divisez par trois, il resulterà deux mille quatre cent cin- quante cinq, ainsi: 2455. Puis divisez ce résultat par cinq; il resulterà quatre cent quatre-vingt onze, ce qui est le nombre cherché, ainsi 491- Pour diviser un nombre quelconque par dix, placez au-dessus du dix le n 1 3 7 9 8 8 |72 (*t) Le mot arabe que je traduis par « facteur » est imdm = « praeses, praeposi- tus, dux, canon ». Il s’emploie seulement des facteurs d’un dénominateur, et signifie sou- vent « dénominater » siraplement. 34 — 252 - nombre qui se trouve au rang des unités, et ce qui vieni après ce norabre (*) sera le resultai. Par exemple, si l’on vous dii: divisez sept cent quarante trois par dix, posez cela ainsi: 743. Ensuite placez le trois au-dessus du dix; ce sera trois dixiéraes, et le resultai sera soixante quatorze et trois dixiémes, ainsi: j|- 74. Pour diviser par dix un nombre dans le premier rang duquel il se trouve un zero, suppriraez ce zero, il resterà le nombre cherché. Par exemple, si l’on vous dit : divisez cinq mille trois cent soixante par dix, supprimez-en le zero, et dites: ce qui résulte pour chacun des dix (**), est cinq cent trente six; ainsi : 536. CHAPITRE CINQUIÈME. DE LA DÉCOMPOSITION DES NOMBRES DANS LES FACTEURS DONT ILS SONI COMPOSÉS. 11 faut que celui qui étudie cette Science ait une sùreté parfaite dans (la tbéorie de) ce chapitre, parco que toutes les opérations reposent sur lui, de sorte qu’ il est pour elles comme Paxe qui les fait tourner, et comme le soleil qui les éclaire. La pratique de cette opération consiste à réduire le nombre, s’il est pair, par neuf- Si le nombre se réduit, il a un neuvième, un sixième et un tiers (*** (****)^), comme treni six. S’ il en reste trois ou six, il a un tiers et un sixième , comme quarante huit et soixante dix-huit. S’ il ne se réduit pas , et s’ il n’en reste ni trois, ni six, réduisez-le par huit. S’ il se réduit, il a (*) Plus la fraction qu’on vieni de former. (**) Cette tournure un peu inattendue s’explique par le verbe arabe, qui signifie « di- viser par (dix) ». et qui signifie en ménie temps « distibuer parrai (dix personnes) ». (***) Le mot (voir ci-dessus, page 236. note 2.®) est employé dans le chapitre actuel d’une manière particulière. Suivi de deux nutnératifs qu’i! régit tous les deux à l’accusatif. il signifie: rejeter ou soustraire l’un des nombres de l’autre autant de fois qu’il est possi- ble, en d’autres termes, former le résidu de l’un par rapport à l’autre comme modale. Pour me conformer autant que possible à la tournure de le phrase arabe, ]e traduirai ce mot par « réduire (un nombre par un autre nombre) «. Employé au passif ou à la septième forme le verbe arabe signifie ici que le premier nombre, si l’on en rejette le plus grand multiple possible du second, est complètement épuisé, que le reste est nul. Je traduirai cela par «se réduire ». (****) C’est à dire le nombre est divisible par neuf, six et trois. — 253 — un huitième et un quart, comrae deux cent quatre-vingt seize. S’ il en reste quatre, le nombre a un quart, cornine quatre vingt douze. S’ il ne se réduit pas, et qu’ il n’en reste pas quatre, réduisez-le par sept. S’ il se réduit, il a un septième, comme quatre-vingt dix-huit. S’ il ne se réduit pas, il n’a que la moitié , comme quarante six ; cherchez alors si sa moitié a d’autres parties, dont la première est onze. Si le nombre est impair, on le réduit par neuf, S’ il se réduit par neuf, il a un neuvième et un tiers, comme soixante trois. S’ il en reste trois ou six, il a seulement un tiers, comme quatre-vingt treize et quatre-vingt sept. S’ il ne se réduit pas, et qu’il n’en reste ni trois, ni six, réduisez-le par sept. S’ il se réduit, il a un septième, comme quarante neuf, et comme cinq cent trente neuf pareillement. S’ il ne se réduit pas, cherchez parmi les parties, comme pour le nombre cent vingt et un {**), et pour le nombre deux cent trente neuf (***) pareillement. Si le nombre commence par cinq, il a un cinquième; et s’ il commence par le zèro, il a un dixième, un cinquième et une moitié. DE LA MANIÈRE d’ÉXÉCUTER PRATIQUEMENT LA RÉDDCTION. Quant à la réduction par neuf, vous additionnez les parties du nombre les unes aux autres, comme si c’ étaient des unités, et vous réduisez (la somme) par neuf (»**** (*****)). Par exemple, si l’on vous dit ; réduisez deux cent trente quatre, posez cela ainsi : 234. Ensuite ajoutez le quatre au trois et au deux ; vous aurez (*) Le texte arabe ne porte pas «d’autres « mais seulement « des parties « L’ usage arabe justifie cette omission. En ell'et, pour désigner les fractions forraées au moyen des nombres jusq’ à dix , les Arabes disent, comme nous, une moitié, un tiers, un dixièuie. Mais a partir de là, si le dénominateur n’est pas décomposable dansdes facteurs qui se trouvent par le nombres jusq’à dix, ils emploient le mot partie. Ainsi, pour exprimer deux quinziè- mes, il disent deux tiers d’un cinquième. Mais pour exprimer cinq dix-septièmes, ils diront: cinq parties de dix sept parties de l’unité. (**) Le nombre est divisible par onze. (***) Le nombre est premier. Mais peut-étre il se trouve ici par une erreur de copie {thalàthoùna au lieu de thamànoùm) à la place de deux cent quatre-vingt neuf, qui est di- visible par dix sept. (****) C’est à dire les chiffres. (*****) Car fl-t-lOò-HlOOc-t-1000 d-(- ... =a-^h-^c-*’d+ ... +9\b-^lU+n\d-^- ...1. — 254 — neuf , ce qui se réduit. Le nombre aura donc un neuvième , un sixiènne et un tiers. Et si r on vous dit : réduisez trois mille sept cent quatre-vingt sìx , posez cela ainsi: 3786. Opérez comme précédernment ; il vous resterà six. Donc ce nombre n’a pas de neuvième, mais il a un tiers et un sixièrne. Et si l’on vous dit: réduisez trois cent dix-huit, posez cela ainsi: 318. Opérez comme précédernment; il vous resterà trois* Vous direz donc que ce nombre a un tiers et un sixièrne. Et si r on vous dit : réduisez mille huit cent vingt sept , posez cela ainsi: 1827- Faites de nouveau la somme du nombre, comme si c’ étaient des unités. Il en résultera dix-huit, ce qui se réduit* Vous direz donc que ce nombre a un neuvième et un tiers , mais qu’ il n’a pas de sixièrne , car ce dernier se trouve seulement chez les nombres pairs. Et si r on vous dit : réduisez trois mille neuf cent vingt et un, posez cela ainsi: 3921. Opérez comme précédernment, vous aurez pour reste six, et vous direz que ce nombre a seulement un tiers. Et si r on vous dit : réduisez quatre cent cinquante trois , posez cela ainsi : 453. Operez comme précédernment, vous aurez pour reste trois; donc vous direz que ce nombre a seulement un tiers. Et si r on vous dit : réduisez mille huit cent vingt trois , posez cela ainsi: 1823. Ensuite faites comme ci-dessus; il resterà cinq. Vous direz donc que ce nombre n’a ni de tiers, ni de neuvième. Quant à la réduction par huit, négligez les centaines, si elles sont pai- res, parce qu’elles sont (en ce cas) rèduisibles: multipliez par deux le nom- bre qui se trouve au rang des dizaìnes , ajoulez le résultat au nombre qui se trouve au rang des unités , et réduisez la somme. Si elle se réduit par huit, le nombre a un huitième et un quart, et s’ il en reste quatre, il a un quart Par exemple, si Fon vous dit : réduisez quatre cent trente deux, posez cela ainsi ; 432. Ensuite multipliez le nombre qui se trouve au rang des di- zaines par deux, et ajoutez le résultat au nombre qui se trouve au rang des unités; il résulte huit, ce qui se réduit. Conséquemment le nombre proposé a un huitième et un quart. (*) La justesse de cette règie suit de l’identité a_^10è4-100(2c)-t-1000d-H . . . =a-+-^b-h8 . . . \ 255 — Et si l’on vous dit : réduisez six cent douze, posez cela ainsi: 612. En- suite multipliez les dizaines par deux, et ajoutez le resultai aux unités. La somme est quatre [donc le nombre a un quart]. Si les centaines soni impaires, leur reste est quatre; ajoutez quatre aux unités et à ce qui provieni des dizaines (*). Par exemple , si l’on vous dit : réduisez cinq cent douze , posez cela ainsi : 512. Ensuite ajutez le quatre qui reste du cent au deux qui se trouve au rang des unités , et au deux qui provieni des dizaines. Vous obtiendrez buit, ce qui se réduit. Conséquemment le nombre proposé a un huitième et un quart. Quant aux mille et aux rangs suivants, il n’est pas nécessaire d’y avoir égard, parce qu’ils soni réduisibles par huit. Quant à la réduction par sept , considérez le dernier rang du nombre proposé comme des dizaines et ajoutez-y le nombre qui se trouve au rang précédent en le considérant comme des unités; réduisez la somme par sept. Ensuite ajoutez le reste, en le considérant de nouveau comme des dizaines, au nombre du rang précédent, et continuez à réduire de cette manière (**). Par exemple, si l’on vous dit; réduisez cinq mille deux cent trente six, posez cela ainsi : 5236. Ensuite posez pour le dernier rang cinquante , et ajoutez-y le rang précédent, ce sera cinquante deux; on en rejette quarante neuf; le reste est trois. Faites-en trente et ajoutez-y le rang précédent. Ce sera trente trois ; on en rejette vingt huit ; le reste est cinq. Faites-en des dizaines et ajoutez-y le rang précédent. Vous aurez cinquante six, ce qui se réduit. Donc le nombre proposé a un septième. Si vous avez réconnu que le nombre a un neuvième , ou un huitième, ou un septième, ou un sixième, divisez d’abord par le dénominateur corrés- pondant , et ensuite réduisez de nouveau le résullat en conlinuant de la méme manière. (*) En effet, on a a_^1064-100(2c-i-l)4-1000»6>»c>»d. (1) M nii mz N a ahc abcd ’ où < a, < 6, wi3 < c, on aura (2) M === nii.bcd -ì- niz. cd m3 . d . Les arithméticìens arabes divisent d’abord M par d, et obtiennentponr reste et pour quo- tient bs divisent ce quotient par c, et obtiennent pour reste WI3 et pour quotient c M — «*4 — . d cd Enfin ils divisent ce quotient-ci par b, et obtiennent pour reste rriz et pour quotient mi. Si ce procédé est juste, il faut que le dernier quotient M — m4 — wi3 . d cd ^ M — m4 — . d — niz^cd b bcd soit égal à mi. Mais c’est ce qui suit immédiatement de l’équation (2) . Les arithméticiens ara- bes mettent le résultat, c’est à dire le second membre de l’équation (1), sous la forme sui- vante : mI^ wt3 rriz rni d c b a — 257 — Par exeinple, si l’on vous dit : dénommez dix-neuf d’après trente cinq, décomposez le dénominateur en sept et cinq , et placez au-dessus de ces nombres une ligne. Divisez ensuite le numérateur par cinq , il résulte trois et il reste quatre- Posez le reste au-dessus de cinq, et le résultat (le quotient) au-dessus de sept , parceque ces nombres sont plus petits que les autres. Vous aurez le résultat cherché, à savoir: trois sèptiemes et quatre cinquièmes d’un septième, ainsi ; . Et si r on vous dit: dénommez soixante quinze d’après cent quarante quatre, décomposez le dénominateur en neuf, huit et deux, et divisez le nu- mérateur d’abord par le deux; il résulte trente sept, et il reste un que vous poserez au-dessus du deux. Divisez le quotient par huit; il résulte quatre; posez le quatre au-dessus de neuf. Le résultat sera quatre neuvièmes et cinq huitièmes d’un neuvième et la moitié d’ un huitième d’un neuvième. Posez cela ainsi; I ^ . Et si l’on vous dit: dénommez cent quatre-vingt seize d’après trois cent qualre-vingt cinq, décomposez le dénominateur dans ses facteurs; ce sont onze, sept et cinq. Divisez par ceux-ci le numérateur; vous obtiendrez le résultat cherché, c’est cinq parties de onze et quatre septiémes d’une partie de onze et un cinquième d’un septième d’une partie de onze, ainsi: . CHAPITRE SEPTIÈME DU PARTAGE DES PORTIONS. La pratique de cette opération consiste à additionner toutes les parties, à décomposer ce qui en provient dans les facteurs dont c’est composé, et cà piacer ceux-ci en réserve dans la troisième colonne. Eusuite posez la quanti té qu’il s’agit de diviser dans la seconde colonne qui vient après la colonne de la somme des portions. Après cela multipliez la portion de chacun par la quantité qu’il s’agit de diviser, et divisez le résultat par les fecteurs placés en réserve. Vous obtiendrez le résultat cherché. Par exemple, si l’on vous dit: de trois hommesl’un a vingt denx dìnàrs (pièces d’or), l’autre dix-neuf et le troisième sept; ils font du commerce, et — 258 — iis gagnent douze dinàrs. Alors additionnez ces portions; vous aurez quarante huit , ce qui est compose de huit et de six. Posez ces nombres après la colonne de la propriété (*), c’est à dire dii gain. Ensuite multipliez la portion de chacun par le gain, à savoir par douze, et divisez le résultat d’abord par six, et ce qui provient de cette division par huit. Le premier recevra cinq et quatre huitiémes, le second quatre et six huitièmes et le troisième un et six huitièmes. Après cela additionnez les huitièmes; *il en provient deux entiers- Posez-les sous la colonne du douze, ainsi: 6. -.8 12 48 0 4 5 22 0 6 4 19 0 6 1 7 Zaid Omar Beqr Si vous remarquez que les parties ont toutes un facteur commun, sup- primez-le et réduisez chaque portion à la partie corréspondante au facteur commun. Ensuite multipliez par la propriété- Par exemple , si l’on vous dit ; de trois hommes l’un a soixante trois (dìnàrs), l’autre trente cinq et le troisième vingt et un; ils font du commerce, et ils gagnent cinquante un dìnàrs. La portion de chacun a un septième; donc réduisez chaque portion à son septième. Alors le premier aura neuf, le second cinq et le troisième trois; la somme est dix-sept, et tei est le facteur (**). Multipliez chacune des parties réduites par la propriété, et divisez le résultat par le facteur, à savoir par dix-sept. Il viendra pour le premier vingt sept dìnàrs, pour le second quinze, et pour le troisième neuf; ainsi : (*) Le mot arabe est mài. (**) La somme étant un nombre premier il n’y a dans ce cas qu’un seul facteur à piacer dans la dernière colonne. — 259 — 17 51 17 119 00 27 09 63 00 15 05 35 00 09 03 21 Zaid Omar Beqr Si vous voulez, divisez le gain, à savoir cinquanta un, par la somme des portions, à savoir dix-sept; vous aurez trois, ce qui est la parile du lot. Multipliez pour chacun par ce nombre. Si les parties des portions renferment toutes ou en partie des fractions, cherchez le plus petit nombre qui contienne (comme facteurs) les dénomi- nateurs des fractions , multipliez le numérateur total (*) de chaque portion par ce nombre et divisez le résultat par le dénominateur; alors vous aurez ce que vaut cette portion. Par exemple, si l’on dit: de trois homrnes l’un a deux dìnàrs et un tlers, l’autre trois et un demi, et le troisième sept, ils font du commerce, et ga- gnent dix dìnàrs; alors le plus petit nombre qui ait un tiers et une moitié est six. Consequentemente multipliez par lui, c’est à dire par six, le numé- rateur total du premier à savoir sept, et divisez le résultat par son dénomi- nateur; alors le premier aura quatorze. Pour le second il resulto vingt un, et pour le troisième quarante deux; parco que ce dernier n’a pas de déno- minateur. Après cela vous trouvez que toutes ces portions ont sept pour facteur commun- Dono vous réduirez chaque portion à son septième. Leur somme sera onze, et tei est le dénominateur par lequel vous divisez. Ensuite multipliez la portion de chacun par dix et divisez le ré.sultat par le déno- minateur (**). 11 résultera pour le premier un dìnàr et neuf parties de onze, pour le second deux dìnàrs et huit parties de onze , et pour le troisième cinq et cinq parties de onze, ainsi; (*) Le mot arabe que je traduis per « numérateur total », ets bast, de bacata « ex- pandit », et signifie le numérateur qu’on obtient en convertissant en fraction un nombre mixte. {**) Par onze. 35 260 — 11 10 11 77 6 09 01 02 U J2 08 02 03 21 |3 05 05 06 42 1 07 Zaid Beqr Omar CHAPJTRE HUITIÈME. Pouf Vàddition, l’opération (de la preuve) consiste à réduire (*) chacun des detix nombres additìonnés, à en additionrier les deux résidus, et à réduire de méme cette sómme. Ce qui reste alors est la réponse. Ensuite vous ré- duifez le resultat (**), (le résidu de celui-ci) sera identique à la réponse- Par exemple, si l’on vous dit: ajoutez trente quatre à cinquante trois, posez cela ainsi: 5 3 3 4 Ensuite additionnez conformément aux régles précédemment données. Vous obtiendrez la somme, à savoir quatre-vingt sept, ainsi: 87- Si vous réduisez par sept le nombre ajouté (***), le reste est six; le reste du nombre auquel vous avez ajouté (*«'^*) est quatre; la somme des deux restes est six, et son reste ti'ois, ce qui est la réponse- Et tei est aussi le reste du résultat (****»). Pour la soustraction 1’ opération consiste à réduire le nombre dont on retranche par sept Ou par un autre nombre, et à piacer le reste en reserve; à reduire ensuite le nombre retranché par la méme réduction et à soustraire le reste de celui qu’on a placé en réserve- Ce qui reste alors est la réponse. Et le résidu du reste de la soustraction (proposée) sera le méme- {*) Voir la première note du chapitre cinquième. (**) C’est à dire le résultat de l’addition proposée dont il s’agit de faire la preuve. {***) 34. {****) 53. — 261 — Par exemple, si l’on vous dit : retranchez vingt trois de cinquanf.e quatre, posez cela ainsi : 5 4 2 3 Ensiiite opérez d’ après les règles précédemment données ; yous aurez pour reste trente un, ainsi: 31. Après cela réduisez le nonibre duquel vous avez retranché par sept ; il en reste cinq ; placez-le en réserve. Puis réduisez le nombre retranché ; il en reste deux. Retranchez celui-ci du reste placé en réserve; vous aurez pour reste trois, ce qui est la réponse ; et tei est aussi le résidu du reste (de la soustraction). Explication additionnelle- Si le résidu du nombre dont on retianche est plus petit que celui du nombre retranché, ajutez au résidu du nombre dont ou retranche un nombre égal à celui par lequel vous réduisez (*), et sous- trayez de la somme de le résidu du nombre retranché. Par exemple , si l’on vous dit : retranchez deux cent vingt un de cinq cent trente trois, posez cela ainsi : 5 3 3 2 2 1 Ensuite faites comme précédemment. Il resterà trois cent douze, ainsi: 312. Après cela réduisez le nombre dont on retranche, vous aurez pour reste un, ce que vous placerez en réserve. Puis réduisez le nombre retranché ; il en reste quatre, ce qu’on ne peut pas soustraire d’un. Donc ajoutez à celui-ci sept; il résulte huit ; vous en retrancherez le quatre, et il reste quatre, ce qui est la réponse; et tei est aussi le résidu du reste de la soustraction. Vous opérerez de la méme manière , s’il ne reste rien du nombre dont on retranche (**). Par exemple, si l’on vous dit : retranchez cent vingt trois de neuf cent dix-sept, pos.ez cela ainsi : 9 1 7 1 2 3 {*) C’est à dire ajoutez 7 , si vuos faites la preuve par 7 j ajoutez 9 , si vous faites la preuve par 9, etc. {**) C’est à dire si ce nombre est un multiple exact du nombre par rapport auquel on fait la preuve. 262 — Ensuite faites comme précédemment. Le reste sera sept cent quatre-vingt quatorze, ainsi : 794; et la réponse du problème sera trois. Car le résidu du nombre retranché est quatre , ce que vous soustrairez de sept , parce qu’ il ne reste rien du nombre dont on retranche. Pour la muUiplication vous réduisez chacun des deux nombres multipliés Tun par Taiitre, vous multipliez le reste de l’un par le reste de l’autre, et vous réduisez le produit- Ce qui reste est la réponse. Ensuite vous réduisez le produit de la multiplication. (Le reste) sera identique à la réponse. I Par exemple, si l’on vous dit: multipliez dix-huit par douze, posez cela ainsi : . , 1 2 1 8 et opérez d’ après les règles précédemment données. Vous obtiendrez deux cent seize, ainsi : 216. Ensuite réduisez le mdltiplicateur par sept, il en reste cinq ; et du multiplicande il reste quatre- Formez le rectangle de ces deux nombres (*), il résultera vingt, ce dont le reste est six ; et tei est aussi le reste du produit. Pour la division Topération consiste a réduire le dividende ; ce qui en reste est la réponse. Ensuite vous réduirez le résultat (de la division) et le diviseur, vous multiplierez le reste de l’un par celui de l’autre, et vous ré- duirez le produit. Le reste sera égal à la réponse. Par exemple, si l’on vous dit : divisez deux cent quatre-vingt huit par dix-buit, posez cela ainsi : 2 8 8 ' . 18 Ensuite opérez d’ après les règles précédemment données ; vous obtiendrez seize. Après cela réduisez le dividende; il en reste un; placez-Ie en réserve, c’est la réponse. Puis réduisez le résultat (le quotient), il en reste deux; et du diviseur il reste quatre; le rectangle formé de ces deux nombres est huit et de cela le reste est un, ce qui est égal à la réponse. Pour la dénomination l’opération consiste à considérer le nombre qu’ il s’ agir de dénommer comme un dividende , et le nombre d’ après lequel on (*) C’est à dire multipliez cinq par quatre. — 263 — dénomme comme un diviseur. Vous réduisez lo nombre d’après lequel on dé- nomine et le résultat (de la dénomination) , et vous niultlpliez le reste de l’un par celui de l’autre. Le reste qu’on obtient après avoir réduit le pro- duit, est la réponse. Ensuite reduisez le nombre dénommé , et convertissez le reste dans l’espèce de la réponse en le multìpliant par les dénominateurs du résultat (de la dénomination). Après cela vous réduirez ce produit ; (le reste) sera identique à la réponse. Par exemple, si l’on vous dit : dénommez quatre d’après douze, le ré- sultat (de la dénomination) sera un tiers , et le résidu de celui-ci un. En effet, vous décomposez douze dans les facteurs dont il est composé, lesquels sont trois et quatre ; en divisant d’abord par quatre vous obtenez un , que vous placerez au-dessus du second facteur, et vous aurez un tiers. Le résidu du nombre d’ après lequel vous dénommez (*) est cinq- Dono multipliez le résidu de l’un par celui de l’autre, la réponse du problème sera cinq. Mais ces cinq sont des tiers; vous devez donc nécessairement convertir le reste du nombre dénommé, c’est à dire le quatre méme qu’ il s’agissait de dénommer, en tiers. Conséquemrnent multipliez le quatre par trois qui est le dénomi- nateur du tiers ; il résultera douze, dont le reste est cinq, ce qui est égal à la réponse. Si vous aviez cbangé l’ordre des facteurs , et mis le quatre à la pre- mière place, vous auriez obtenu un quart et un tiers d’un quart. En ce cas le résidu ('*''*') est quatre (***), et le résidu du nombre d’après lequel on dé- nomme cinq. Multipliez le résidu de l’un par celui de l’autre; il résulte vingt, dont le reste est six, ce qui est la réponse. Mais ces (six) sont des quarts de tiers ou des tiers de quarts (****). Il faut donc nécessairement convertir le nombre dénommé suivant ce rapport, c’est à dire il faut multiplier le quatre par les facteurs (du dénominateur) ; vous obtiendrez quarante huit, donc le reste est six, ce qui est égal à la reponse. {*) Le résidu de douze. f*) Du résultat de la dénomination. (***) C’est le numérateur obtenu en convertissant un et un tiers en tiers; ^ 1 1 i J_ 3 _ "*■ 3 _ 3 4 "^4 “ 4 4 ■ (****) Le texte qui est évidemment corrumpu en cet endroit, porte: « ce sont quatre tiers et trois « quarts ». — 264 — . Si vous aviez pris pour facteurs (du dénorninateur) six et deux, il serait résulté deux sixièmes. En ce cas le résidu (du résultat de dénomination) est deux, et le résidu du nombre d’après lequel on dénomme cinq. Le résidu du rectangle formé de ces deux nombres est trois , ce qui est la réponse. Mais ces trois sont des sixièmes ; dono il faut nécessaireinent convertir le nombre dénommé en sixièmes; il résultera vingt quatre, doni le reste est trois, ce qui est égal à la réponse. C’est cette manière d’opérer qu’il faut prendre pour règie. Et si Fon vous dit : dénommez quarante cinq d’après quatre-vingt seize, vous décòmposerez le nombre d’après lequel il s’agit de dénommer en huit, six et deux ; vous diviserez par ceux-ci , et il résultera trois huitièmes et quatre sixièmes d’un huitième et la moitié d’un sixième d’un huitième, ain- s! : g g . Le reste du numérateur total (*) de ce résultat est trois. Mul- tipliez-le par le reste du nombre d’ après lequel on dénomme, à savoir par cinq. Le reste du rectangle formé de ces deux nombres est un , ce qui est la réponse. Mais ce sont des moitiés de sixième de huitièmes ; donc il faut nécessairement convertir de la méme manière le reste du nombre dénommé qui est trois, en le multipliant par tous les facteurs (du dénorninateur). Le reste (du produit) est un, ce qui est (égal à) la réponse. DEUXIÈME PARTIE. DES FRACTIONS. INTRODUCTION. BES NOMS DES FRACTIONS ET DE CE QUI S’v RAPPORTE. Les fractions ont dix noms, depuis la moitié jusqu’à la partie (**), La figure de la moitié est une unité au-dessus du deux , ainsi : | ; de méme (*) C’est à dire de quarante cinq. (**) C’ est à dire: il y a dix mots qu’on emploie pour énoncer les fractions, à savoir une moitié, un tiers, un quart, un cinquième, jusq’à un dixième, et enfin le mot partie qui sert à énoncer toutes les fractions dont les dénominateurs ne sont pas décomposables dans les nombres depuis deux jusq’ à dix. — 265 — celle du tiers une unite au-dessus d’un trois : ainsi:|; et pareillement celle de la parile un de onze ainsi : ^ . Il y a cinq espèces dè fractions: les fraclions simples^ les fractions divi- sées en parlies, les fractions relatives, les fraclions hétérogènes et les fractions soustractives. Le fractions simples soni celles doni il vieni d’étre question- Le nume* rateur total d’ une (fraction de celle espèce) est (le nombre) qui se trouve (écrit) en haut, que ce soit une unite, comme (dans) un neuvième, on (un nombre) plus grand, comme (dans) huit neuvièmes. Il en est de méme si les facteurs (du dénominaleur) sont en plus grand nombre, comme (dans) trois quarts d’un neuvième. (On trouve) le numérateur total de la fraction divisée en parties en mul- tipliant les uns par les autres (les nombres écrits) au-dessus de la ligne. Les fractions divisées en parties sont celles dans lesquelles le rapport est exprimé jusqu’au dernier des facteurs du dénorninateur sans faire usage de la particule de la liaison (*), Par exemple, si l’on vous dit : couvertissez trois quarts de quatre cin- quièmes de sept buitièmes, posez cela ainsi ; • Ensuite multipliez le trois par le quatre, et le resultai par le sept. Il résulte quatre-vingt quatre , ce qui est le numérateur total du problème, ainsi : 84. Quant au numérateur total de la fraction relative , 1’ opération pour le (trouver) consiste à multiplier ce qui se trouve au-dessus du premier facteur (du dénorninateur) par ce qui vieni après le facteur correspondant, à ajouler au résultat ce qui se trouve au-dessus de ce (dernier facteur) , et à multi- plier pareillement par le troisième facteur et les autres. Par exemple, si l’on vous dit : convertissez quatre cinquièrnes et trois septièmes d’un cinquième et cinq buitièmes d’un septième d’un cinquième , posez cela ainsi : |-|-| . Ensuite multipliez le quatre par le sept; il résulte vingt huit. Ajoutez-y le trois , ce sera trente et un , et multipliez cela par n C’est à dire la particule « et ». L’auteur veut caractériser une fraction telle que « un tiers d’un quart », par opposition à ime fraction Ielle que « un quart et un tiers d’un quart ■>. — 266 — le huit. Vous aurez deux cent quarante huit. Ajoutez-y le cinq, vous aurez pour somme deux cent cinquante trois , ce qui est le numérateur total du problème, ainsi: 253- L’opération (pour trouver) le numérateur total de la fraction hélérogène consiste à multiplier le numérateur total de chaque rangée par les facteurs (du dénominateur) de lautre et à additionner les résultats. Par exemple, si l’on vous dit : convertissez sept neuvièrnes et deux tiers et quatre cinquièmes d’un tiers, posez cela en deux rangées ainsi; |-| | • Ensuite multipliez le sept par le trois, et le résultat par le cinq; vous aurez cent cinq. Réservez cela- Après cela multipliez le numérateur total de l’au- tre rangée, qui est quatorze, par le neuf; vous aurez cent vingt six. Ajoutez cela à (la quantité) réservée. Vous obtiendrez deux cent trente un , ce qui est le (nombre) cherché, ainsi 23t. Quant au numérateur total de la fraction somlractive^ si elle est séparée, multipliez le numérateur total de chacun des deux (termes dont elle est coni” posée), par les facteurs (du dénominateur) de l’autre, et retranchez le plus petit (des deux produits) du plus grand. Par exemple, si Ton vous dit : convertissez huit neuvièrnes et un quart d’un neuvième moins deux cinquièmes et trois quarts d’un cinquième, posez cela ainsi ; |-| moins |-| • Ensuite multipliez le numérateur total de (la fra- ction) dont on rétranche, lequel est trente trois, par les facteurs (du déno- minateur) de la (fraction) rétranchée. Vous aurez six cent soixante. Réser- vez cela. Ensuite multipliez le numérateur total de la (fraction) rétranchée, lequel est onze, par les facteurs (du dénominateur) de (la la fraction) dont on rétranche. Vous aurez trois cent quatre-viogt seize. Soustrayez cela de (la quantité) réservée. Vous aurez pour reste deux cent soixante quatre, ce qui est le numérateur total du problème, ainsi: 264. Et si (la fraction soustrastractive) est continue (*), multipliez le numé- (*) L’auter entend par cette expression que le second des deux termes de la différence est considéré comme dépendant du premier; c’est à dire en écrivant j moins , il en- tend dire, dans ce cas, moins 4- de ; de sorte que la valeur de celle différence sera 0 do - a d — c ad — ac T‘ d ^ ~bd ■ — 267 ~ rateur total de (la fraction) dont on retranche per les facteurs (du dénomi- nateur) de la (fraction) retranchée, et réservez le résultat. Ensuite multipliez le numérateur total de la (fraction) retranchée par le numérateur total de (la fraction) dont on retranche , et soustrayez le résultat de la (quantité) réservée. Vous aurez pour reste le numérateur total. Par exemple, si l’on vous dit: convertissez cinq septièmes et un tiers d’un septième moins un huitième et quatre cinquièmes d’un huitième, posez cela ainsi: ^ i .5 Ensuite multipliez le numérateur total de (la fraction) dont on retranche, lequel est seize, par les facteurs (du dénominateur) de la (fraction) retranchée. Vous aurez six cent quarante. Réservez cela. Ensuite multipliez le numérateur total de la (fraction) retranchée , lequel est neuf , par le numérateur total de (la fraction) dont on retranche, lequel est seize. II résultera cent quarante quatre. Soustrayez cela de la (quantité) réservée. Vous aurez pour reste le numérateur total, à savoir quatre cent quatre-vingt seize, ainsi : 496. S- Si le nombre entier se trouve (combiné) avec une fraction, et qu’ il la précède (^), on le multiplie par les facteurs (du dénominateur), et on ajoute (le produit) au numérateur total (de la fraction). Par exemple, si l’on vous dit : convertissez quatre et trois cinquièmes et un tiers d’un cinquième, posez cela ainsi : |-| 4. Ensuite multipliez le cinq par le quatre, ajoutez au résultat le trois, et multipliez la somme par le sept. Vous obtiendrez cent soixante un, ce qui est le numérateur total du problème, ainsi : 161. Si le nombre entier se trouve au milieu (entre deux fractious) étant rap- porté à la première des deux fractions, l’opération est pareille à ce qui a lieu pour les fractions hétérogènes- C’est à dire que vous multipliez le numéra- teur total de la dernière fraction, et que vous réservez le résultat. Ensuite vous multipliez le numérateur total de le dernière fraction, par les facteurs (du dénominateur) de la première fraction, et vous ajoutez le résultat à la (quantité) réservée. (*) (*) Il faut se rappeler que Técriture arabe procède de droite à gauche. 36 Par exemple, si l’on vous dit: convertissez quatre huitièmes et un tiers d’un huitième de quatre, et sept huitièmes; posez cela ainsi : | 4 .L’u- ne des deux parties sera les sept huitièmes, et l’autre partie tout ce qui pré- cède- Ensuite multipliez le numérateur total de la première fraction, lequel est treize, par le quatre- 11 résulte cinquante deux. Multipliez cela par le huit. il résulte quatre cent seize- Réservez cela. Ensuite multipliez le sept par les facteurs {du dénominateur) de la première fraction; vous obtiendrez cent soi- xante huit. Ajoutez cela à la (quantité) réservée. 11 résultera cinq cent qua- tre-vingt quatre, ce qui est le numérateur total du problème, ainsi: 584- Si le nombre entier est rapporté à la seconde fraction , 1’ opération est pareille à celle qui a lieu pour les fractions divisées en parties, c’est à dire que vous multipliez le numérateur total de l’une des deux parties par le nu- mérateur total de l’autre. Par exemple, si l’on vous dit: convertissez cinq huitièmes et trois quarts d’un huitième, du cinq et quatre neuvièmes: posez cela ainsi: 1 5 1-|. L’une des deux parties sera le nombre entier et ce qui le suit , et 1’ autre partie sera la première fraction. Ensuite multipliez le cinq par le neuf, et ajoutez au résultat le quatre; ce sera quaranta neuf- Multipliez cela par le numéra- teur total de la première fraction , qui est vingt trois. Vous obtenez mille cent vingt sept, ce qui est le numérateur total du problème, ainsi: 1127* CHAPITRE PREMIER. DE l’aDDITION des FRACTIONS. La pratique de cette opération consiste à multiplier le numérateur to- tal de chacune des deux (fractions) additionnées par les facteurs (du dénomi- nateur) de l’autre, à additionner les deux résultats, et à diviser la (somme) par l’ensemble des facteurs (des dénominateurs). Par exemple, si l’on vous dit : additionnez cinq sixièmes et trois quarts d’ un sixième à trois septièmes et un cinquième d’ un septième, posez cela ainsi : — 269 — 3 5 A 6 1 3 5 7 Ensuite convertìssez la quantité ajoutéo, c’est à dire multipliez le cinq par le quatre, et ajoutez au résultat le trois; ce sera vingt trois. Multipliez cela par les facteurs de l’autre rangée, vous aurez huit cent cinq. Réservez cela. Puis convertissez la quantité à laquelle vous ajoutez, c’est à dire multipliez le trois par le cinq et ajoutez au résultat l’unité ; ce sera seize. Multipliez cela par les facteurs de l’autre rangée; vous aurez trois cent quatre-vingt qua- tre. Ajoutez cela à la quantité réservée. Il résultera mille cent quatre-vingt neuf, ainsi: 1189. Divisez ce résultat par les facteurs (des dénominateurs), ce qui se fait de la manière suivante. Rangez au-dessous d’une ligne d’abord le sept et après cela le six, le cinq et le quatre. Ensuite vous commencez par diviser (le nombre 1189) par le quatre. Vous écrivez au-dessus de celui-ci le reste (obtenu), et vous divisez le (quotient) qui résulte (de cette première division) par le cinq. Vous continuez ainsi jusq’à la fin de l’opération Le résultat sera une unité entière et deux septièmes et cinq sixièmes d’un se- ptième et deux cinquièmes d’un sixièrne d’un septième et un quart d’un cin- quième d’un sixièrne d’un septième; ainsi: ^-|-|-|1. CHAPITRE DEUXIÈME, DE LA SOUSTRACTION DES FRACTIONS La pratique de cette opéralion consiste pareillement à multiplier le nu- mérateur total de cbacune des deux (fractions) dont on retranche 1’ une de Tautre, par les facteurs (du dénominateur) de l’autre, à soustraire le plus pe- {*) Voici cette opération complète ; 4|1 18 9 1 5 12 9 7 2 6 1^5 71_9^ 1 — 270 — tit du plus grand des deux résultats, et à diviser ce qui reste par tous les facteurs (des dénominateurs). Par exemple, si l’on vous dit: retranchez cinq septièmes et un tiers d’un septième de huit neuvièmes et quatre cinquièmes d’un neuvième, posez cela ainsi: 4 8 5 9 ^ 1 5 3 7 Ensuite multipliez le numérateur total de la (fraction) dont on retranche, à savoir quarante quatre, par les facteurs (du dénominateur) de la (fraction) re- tranchée. Il resulterà neuf cent vingt quatre. Réservez cela. Ensuite multi- pliez le numérateur total de la (fraction) .’etranchée, à savoir seize, par les facteurs (du dénominateur) de la (fraction) dont on retranche. Il résultera sept cent vingt. Retranchez cela de la quantité réservée. Vous aurez pour reste deux cent quatre. Divisez cela par 1’ ensemble des facteurs (des dénomina- teurs). 11 résultera un neuvième et six septièmes d’un neuvième et trois cin- quièmes d’un septième d’un neuvième (*), ainsi: l~l ^ ^ . CHAPITRE TROISIÈME. DE LA MULTIPLICATION DES FRACTIONS. La pratique de cette opération consiste à multiplier le numérateur total de Fune des deux (fractions) multipliées Fune par Fautre par le numérateur total de Fautre et à diviser le résultat par les facteurs (des dénominateurs). Par exemple, si Fon vous dit: multipliez trois quarts et cinq sixièmes d’un quart et trois septièmes d’un sixième d’un quart par cinq septièmes et (*) Voici l’opération par laquelle on trouve cette expression; 3|2 0 4 0 Sl^3 9^1 0 — 271 — trois quarts d’un septième et un tiers d’un quart d’un septième; posez cela ainsi: 3 5 3 7 6 4 13 5 3 4 7 Ensuite convertissez le multiplicande, ce que vous faites en multipliant le trois par le six, en ajoutant au résultat le cinq, en multipliant la somme par le sept, et en ajoutant au résultat le trois- Vous obtiendrez cent soixante qua- tre. Multipliez cela par le numérateur total du multiplicateur, lequel est soi- xante dix. Il résultera onze mille quatre cent quatre-vingt, ainsi: 11480. Di- visez ce résultat par les facteurs (des dénominateurs) ; il résultera cinq se- ptièmes et quatre septièmes d’ un septième et cinq sixièmes d’ un septième d’un septième et deux quarts d’un quart d’ un sixième d’un septième d’un septième et deux tiers d’un quart d’un quart d’un sixième d’un septième d’un septième , ainsi : 3-4-4- e 7 7 • §• Et si l’on vous dit : prenez d’un nombre et d’une fraction une certaine fra- ction, alors multipliez le nutnérateur total de (la quantité mixte) dont vous prenez (la fraction) par le numérateur total de la (fraction) prise, et divisez le résultat par l’ensemble des facteurs (des dénominateurs). Par exemple, si l’on vous dit : de quatre et trois cinquièmes prenez six septièmes et un tiers d’un septième, posez cela ainsi ; H 1 6 3 7 Ensuite convertissez (la quantité) dont vous prenez (la fraction), ce que vous faites en multipliant le quatre par le cinq et en ajoutant au résultat le trois. Il résultera vingt trois- Multipliez cela par le numérateur total de la (fra- — 272 — ctìon) pi’ise, lequel est dix-neuf. Il resulterà quatre cent trente sept, ainsì : 437. Divisez ce résultat par les facteurs (des dénominateurs). Vous aurez pour résultat quatre entiers et un septièrne et deux tiers d’un cinquième d’un se- ptième, ainsì : |-|-f 4. CHAPITRE QUATRIÈME. DE LA DIVISION DES FRACTIONS. La pratique de cette opération consiste à multiplier le numérateur total de chacune des deux (fractions) divìsées Lune par l’autre par les facteurs (du dénominateur) de l’autre, et à diviser le produit du dìvidende par celui du diviseur, après avoir decompose ce (dernier produit) dans les facteurs dont il est compose. Par exemple , si l’on vous dit : divisez tróis quarts et cinq septìèmes d’un quart par deux cinquièmes et six septièmes d’un cinquième, posez cela ainsi : 5 3 7 4 6 2 7 5 Ensuite multiplez le numérateur total du dividendo, lequel est vingt six, par les facteurs (du dénominateur) du diviseur. Vous aurez pour résultat neuf cent dix. Réservez cela. Après cela multipliez le numérateur total du diviseur, lequel est vingt, par les facteurs (du dénominateur) du dividendo; vous aurez pour résultat cinq cent soixante- Décomposez ce (nombre) dans les facteurs dont il est composé ; ce sont dix , huit et sept ; et divisez par ceux-ci la (quantilé) réservée. Vous aurez pour résultat un entier et six dixièmes et deux huitièmes d’un dixième, ainsi : f-f-jf!. CHAPITRE CINQUIÈME. DE LA DÉNOMINATION DES FRACTIONS. La pratique de cette opération est pareille à celle de la division (des — 273 — fractions), si ce n’est que vous dénommez le produit de la (fraction) dénom- raée d’après le produit de la (fraction) d’après laquelle vous dénommez (*). Par exemple , si l’on vous dit ; dénommez trois quarts d’après six se- ptièmes, posez cela ainsi. 7 Ensuita multipliez le trois par le sept, il résultera vingt un. Réservez cela. Après cela multipliez le six par le quatre, il résultera vingt quatre- Décom- posez ce résultat dans (les facteurs) dont il est composé , à savoir huit et trois. Divisez par ceux-ci la quantité réservée. Vous aurez pour résultat la (quantité) cherchée, à savoir sept huitièmes, ainsi : • CHAPITRE SIXIÈME. / AA\ DE LA BESTAURATION [ ) DES FRACTIONS. La pratique de cette opération consiste à diviser la (quantité) à laquelle il s’agit de parvenir par la restauration, laquelle est celle qui suit (le mot) « pour », par la (quantité) restaurée, laquelle est celle qui précède ce (mot). Ce qui résulte est la (quantité) cherchée, et si cela est multiplié par la (quan- tilé) restaurée, il résulte la (quantité) à laquelle on parvient par la restau- ration. Par exemple, si l’on vous dit : par quelle quantité restaurez-voiis quatre neuvièmes pour que cela devienne deux tiers ? alors posez cela ainsi : ~ pour . Ensuite divisez les deux tiers par les quatre neuvièmes, conformément à ce qui précède, c’est à dire en multipliant le deux par le neuf, d’où il résulte dix-huit, ce qui est le résultat du dividende- Réservez cela- Puis multipliez (*) Au lieu de diviser le produit du dividendo par colui du diviser. (**■) Le terme arabe que je traduis par « restauration » , est le mot djabr , qui est , Gomme on sait, l’un des deux termes qui forinent ensemble le noni arabe de l’algèbre. — 274 — le quatre par le trois ; il résulte douze. Décomposez-le en quatre et trois , et divisez (par ces nombres) le dix-huit. Vous obtiendrez un entier et deux quarts , ainsi : |-| 1. Et si vous multipliez un et deux quarts par quatre neu- vièmes, confornaément à ce qui vous a été exposé précédemment sur la mul- tiplication des fractions ; je veux dire, si vous multipliez, après avoir con- verti (la quantité mixte), le numérateur total par quatre, et que vous divisez le résultat par quatre et neuf seulement, il resulterà six neuviémes, ce qui est deux tiers, ainsi : . CHAPITRE SEPTIÈME. DE l’aBAISSEMENT DES FRACTIONS. La pratique de cette opération consiste à dénommer la (quantité) à la- quelle on abaisse d’après la (quantité) abaissée. Ce qui résulte est la (quan- tité) chercbée. Par exemple , si l’on vous dit : par quelle quantité abaissez-vous sept huitièmes pour que cela devienne un demi ? alors posez cela ainsi : -f pour . Ensuite multipliez le numérateur total de la (quantité) à laquelle on abaisse, lequel est un, par le dénominateur de la (quantité) abaissée- Il résulte huit. Réservez cela. Après cela multipliez le numérateur total de la (quantité) abaissée, lequel est sept, par le dénominateur de la (quantité) à laquelle on abaisse, lequel est deux. 11 résulte quatorze, ce qui est composé de sept et de deux. Posez ces (nombres) au-dessous d’une ligne, et divisez par les mémes le huit réservé- Vous aurez pour résultat quatre septièmes, ainsi : - Et si vous multipliez quatre septièmes par sept huitièmes , il résulte après la division par les facteurs (des dénominateurs), lesquels soni sept et huit, qua- tre huitièmes, ce qui est un demi. C’est d’après cette méthode (qu’on pro- cède aussi dans toute autre opération de ce genre). — 275 — CHAPITRE HUITIÈME. DE LA TRANSFORMATION DES (fRACTIONS). La transformation est le passage de la fraction d’ un nom à un autre nom. La pratique de cette opération consiste a multiplier le numérateur total de la (fraction) transformée par les facteurs (du dénominateur) de la (fraction) en laquelle on transforme , et à diviser d’abord ce qui en provient par les facteurs (du dénominateur) de la (fraction) transformée, et ensuite le résultat par ceux de la (fraction) en laquelle on transforme. Par exemple , si 1’ on vous dit : cinq septièmes et une moitié d’ un septième, combien sont-ce de tiers d’un huitième ? alors posez cela ainsi: TT combien — Ensuite multipliez le numérateur total de la (fraction) transformée , lequel est onze , par les facteurs (du dénominateur) de la (fraction) en laquelle on transforme. Il résulte deux cent soixante quatre, ainsi : 264. Divisez ce ré- sultat par les facteurs (des dénominateurs) de manière que les facteurs de la (fraction) en laquelle on transforme precèdente et que ceux de la (fraction) transformée suivent- Vous aurez pour résultat six huitièmes et six septièmes d’un tiers d’un huitième, ainsi: ^ ^ ^ . 37 - 276 — Fisica. — Sulla legge di Mariotte, sopra mi congegno nuovo per dimostrarla, e su varie applicazioni di essa. Memoria del prof . P. Volpicelu. (Continua- zione, e fine) (1). Termineremo questa memoria colle seguenti dottrine relative alla meccanica molecolare, le quali dovranno condurci alla dimostrazione teoretica della legge di Mariotte. Le molecole ultime dei corpi, qualunque sia la natura dei medesimi, non sono a contatto fra loro. Le distanze fra queste molecole , colle rispettive loro posizioni, dipendono, e debbono potersi determinare, dall’equilibrio delle forze , cui sono i minimi materiali sottoposti. Le forze indicate sono di tre classi: 1.® la pressione, che tende a diminuire il volume dei corpi, e che deriva da forze estrinseche ai medesimi; 2.“ la ripulsione fra le molecole, che tende ad aumentare il volume dei corpi , e che deriva dal calorico : 3." le attra- zioni e ripulsioni, forze intrinseche proprie di ciascuna particella, che dipen- dono dalla natura dei corpi, e dalle quali nascono le diverse proprietà dei me- desimi. A questa terza classe di forze appartiene probabilmente quella, che go- verna la meccanica celeste, cosicché forse ogni molecola di materia, può ri- guardarsi animata da una forza, di cui l’espressione analitica è un binomio, del quale un termine segue la ragione diretta della massa, e la inversa del quadrato delle distanze fra l’attratto e l’attraente, mentre l’altro termine segue la inversa di una potenza molto elevata della distanza medesima ; cosicché il termine stesso diviene sensibilmente nullo a qualunque sensibile distanza. Le forze rappresentate dal secondo termine ora indicato, le quali sono pro- prie delle molecole materiali, dipendono per le piccolissime distanze, tanto da que- ste medesime, quanto dalla natura della sostanza cui si riferiscono; cosicché per ogni corpo diverso, dovrà esservi una diversa funzione di questi elementi, colla quale rappresentare le stesse forze: siffatte funzioni sono fino ad ora tutte igno- rate. Però si é riconosciuto, che gli effetti di tali forze non dipendono dalla foima delle indicate funzioni ; e valendosi di questa indipendenza come una legge 0 proprietà generale delle attrazioni e repulsioni molecolari, molti fe- (1) Vedi sessione II, del 2 gennaio 18S9, pag. 76. r — 277 — nomeni che si riguardavano isolati fra loro ed inesplicabili, furono sottoposti al calcolo, e furono subordinati ad un medesimo principio, quello cioè che ora indicammo, il quale fertilissimo è di conseguenze. Ora passiamo a considerare brevemente queste medesime forze, nei tre stati diversi della materia, per quindi nello staio fluido elastico dimostrare, colla base dell’ indicato principio, la legge di Mariotte- La distanza e la posizione rispettiva delle molecole dei solidi, sono deter- minate dalle forze attrattive , e ripulsive , proprie od intrinseche di queste particelle; inoltre pochissimo le forze medesime dipendono e dalla pressione cui vengono i solidi sottoposti, e dall’azione del calorico da cui sono essi pe- netrati ; poiché variando tanto la pressione, quanto il calorico, di pochissimo varia il volume nello stato di solidità. La distanza e la posizione rispettiva delle molecole dei liquidi, sono de- terminale anch’esse dalle forze attrattive e ripulsive proprie delle particelle medesime, perchè nello stato liquido quella distanza e quella posizione vengono sensibilmente ad essere come nello stato solido; però nella liquidità le indicate forze molecolari debbono agire con minor energia di quello sia nella solidità; e di più debbono le forze medesime dipender molto dal calorico e dalla pres- sione. 11 calorico serve a produrre la liquidità, e la pressione serve a man- tenerla: senza la prima di queste forze i corpi rimarrebbero solidi; senza la seconda essi non rimarrebbero liquidi; le loro particelle sotto il dominio pre- valente delle forze ripulsive, si allontenerebbero le une dalle altre di continuo, quindi la materia si troverebbe in uno stato di successiva rarefazione ; il quale nella ipotesi della emanazione verrebbe forse rappresentato dal ca- lorico, e dalla luce. Quindi è che l’equilibrio molecolare nello stato liquido, viene prodotto dalle forze proprie delle molecole, dal calorico, e dalla pressione. La distanza , e la posizione rispettiva delle molecole dei gas, dipender dovrebbe a prima vista da quelle stesse forze, da cui vedemmo dipendere le circostanze medesime nei liquidi : cosicché anche nei fluidi elastici l’equilibrio molecolare dovrebbe venir prodotto dalle forze proprie delle molecole, dal ca- lorico, e dalla pressione. Però nello stato fluido elastico, cioè nei gas, e nelle per- manenti mescolanze di essi, vale a dire quando sebbene i gas abbiano affinità di- versa l’uno per l’altro, tuttavia non si combinano chimicamente insieme per effet- to della sola mescolanza, vi ha di più questo, cioè: che la distanza cui si trovano le molecole fra loro, è maggiore di quella cui le forze proprie delle medesime — 278 — cessano di agire sensibilmente. Da ciò discende che l’equilibrio dal quale viene questa distanza determinata, deve sensibilmente aver luogo soltanto fra due forze , che sono la pressione una , e la ripulsione calorifica 1’ altra. Si vede chiaro, che senza il calorico anche il gas non potrebbe formarsi, che senza la pressione questo fluido non potrebbe mantenersi, che senza le forze proprie delle molecole non si avrebbero la natura diversa e le diverse proprietà dei gas: perciò il sistema delle forze in tutto è comune a questi come ai liquidi; ma in quanto all’equilibrio molecolare, diversificano i primi dai secondi. La indicata distanza fra le molecole dei gas, discende per corollario dalla sperienza, cioè dalle mescolanze fatte alla stessa temperatura e pressione di più gas fra loro, i quali non possono combinarsi spontaneamente insieme, avendo però affinità l’uno per l’altro. Si mescoli per esempio il gas ossigeno prima col gas idrogene, poi coll’azoto, col cloro, eccetera, i quali tutti hanno affinità diverse pel primo, però senza potersi combinare spontaneamente col mede- simo. Egli è chiaro che in queste mescolanze, certo il numero delle mo- lecole del mescolamento, eguaglia quello delle medesime, prima che fossero mescolate. Ma se nel mescolamento 1’ attrazione molecolare di affinità ete- rogenea, cioè le forze proprie delle molecole, potessero influire sulla distanza fra quelle dei gas mescolati, questa non sarebbe più la stessa, quando il gas unito all’ossigene fosse, come noi lo supponemmo, sempre diverso ; ed il vo- lume totale di ciascuna mescolanza cangerebbe per ognuna di esse. Dovrebbe cioè verificarsi nel volume del mescuglio un condensamento , che dovrebbe crescere colla energia dell’attrazione fra le molecole mescolate. Questo condensamento non ha luogo nei gas, e la mescolanza dei me- desimi, quando non passono fra loro spontaneamente combinarsi, avviene sem- pre senza cangiamento nel volume del mescuglio. Da ciò discende per ne- cessità che le forze proprie delle molecole di essi , alla distanza cui queste si trovano, rimangono prive di azione sensibile; cioè non possono in verun modo influire sulla distanza medesima; la quale perciò nello stato di equili- brio del gas, dipende unicamente dalla pressione, e dalla ripulsione calorifica. Nei liquidi questa particolarità non si verifica mai, poiché la mescolanza di essi, quando abbiano affinità fra loro, sempre avviene ed è accompagnata da condensamento, il quale cresce colla energia dall’affinità medesima. Le molecole dei gas diversi, quando si mescolano fra loro senza dar luogo ad una combinazione chimica fra i medesimi, s’insinuano le une fra le altre — 279 — negFinterstizl che le separano, e ciò per effetto delle scambievoli ripulsioni, cui sono quelle pel calorico soggette. Se così non fosse, la pressione del mescuglio di più gas non potrebbe, come la sperienza dimostra, uguagliare la somma delle pressioni che ciascun gas dei mescolati esercitava prima del mescuglio, il quale, riguardo alla pressione, si comporta come se i gas fossero tutti della stessa natura. In quanto ai gas che mescolati fra loro si combinano spontaneamente , come a modo di es. il deutossido di nitrogeno coli’osigene , 1’ indrogene col cloro sotto l’azione della luce, ecc., noi non potremo concludere, che nei gas medesimi le molecole sono fra loro a sufficiente distanza, onde le azioni pro- prie di esse non abbiano effetto sensibile nell’equilibro molecolare. Ma invece dovremo , per queste particolari mescolanze , concludere il contrario ; cioè che in esse , le azioni molecolari hanno effetto sensibile ad una distanza , non minore di quella , cui sono le molecole fra loro nei gas componenti la mescolanza stessa. Però è da osservare che questi mescugli gassosi non sono permanenti; giacché cessano tosto per convertirsi in una chimica com- binazione. Per tanto le mescolanze stesse non possono formare il soggetto dell’attuale analisi , nè possono comprendersi nella medesima. Quindi è che queste mescolanze speciali non valgono punto a contrariare il principio sta- bilito, cioè che nei gas, e nelle permanenti mescolanze dei medesimi, la di- stanza fia le molecole supera quella, cui le azioni loro proprie agiscono sen- sibilmente. Da ciò siegue che sebbene la ripulsione calorifica decresca tanto rapi- damente, da divenire insensibile a qualunque distanza finita, essa deve tut- tavia decrescere molto meno rapidamente dell’attrazione molecolare, perchè alla distanza cui sotto la pressione ordinaria si trovano le molecole dei gas, già è cessata 1’ attrazione stessa ; mentre la ripulsione calorifica non solo a quella distanza continua, ma persiste ad agire anche accrescendosi tale di- stanza , per mezzo di una indefinita rarefazione del gas considerato. Ciò vuol dire che la distanza cui l’attrazione molecolare agisce, deve riguardarsi per un infinitesimo di second’ordine, mentre quella cui la ripulsione calori- fica si esercita, deve ritenersi per un infinitesimo di prim’ordine. Dopo quanto abbiamo esposto, si può facilmente procedere a dimostrare teoricamente la legge di Mariotte; però è necessario fare prima la seguente osservazione. L’esperienza come vedemmo dimostra, che le molecole dei gas, nello stato di equilibrio, distano fra loro più di quello sia la distanza cui sen- — 280 — sibilmente agiscono le forze proprie delle molecole di essi ; per cui la di- stanza medesima è indipendente da queste forze- Però ciò si verifica fra certi limiti, oltre i quali la indipendenza indicata non ha più luogo, ed al- lora la distanza molecolare dipende ad un tempo dalla pressione , dal ca- lorico, e dalle forze intrinseche. Questo limite si riferisce alla pressione, la quale allorché aumenta, può giungere a tale, da far dipendere le distanze fra le molecole del gas anche dalle forze proprie delle medesime; cosicché l’equi- lihrio molecolare io tale caso verrà stabilito fra tre forze come nei liquidi, e non fra due. Gli sperimenti confermano la esistenza di questo limite; giac- ché in molti casi, quando la pressione aumenta sufficientemente sopra un me- scuglio di gas, che hanno affinità fra loro, questi cessano di restare insieme semplicemente mescolati, e si combinano l’uno coll’altio. Così a me sembra non essere fuorché un effetto di aumento della pressione , prodotto dalla scarica elettrica, il vedere che il gas ossigena e l’ idrogene si combinano fra loro, se traversati dalla scarica medesima; nel qual caso la distanza molecolare del mescolamento di questi gas, ha diminuito sino ad essere minore di quella, cui sensibilmente agiscono le forze proprie delle molecole- Inoltre noi già ve- demmo risultare da moltissimi sperimenti, che al crescere della pressione, cessa di essere costante il prodotto di questa e del corrispondente volume di gas compresso ; lo che dimostra una perturbazione della legge di Mariotte ; la quale perturbazione unicamenta si deve ripetere dall’ agire che fanno sulle molecole dei gas anche le forze proprie delle medesime, quando la pressione sovr’esse aumenti sino ad un certo limite. Ora consideriamo un gas chiuso in un recipiente, alla temperatura t, ed alla pressione p, che supporremo per ora variabili ambedue. La ripulsione pro- dotta dal calorico si eserciterà fra le pareti del recipiente e le molecole di questo gas, non altramente che fra le medesime. La ripulsione stessa, quantunque non debba propagarsi fuorché ad una distanza brevissima, pure nello stato di equili- brio, e generalmente parlando, questa potrà essere minore o maggiore di quella, cui si propagano sensibilmente le forze attraenti e repellenti molecolari, secondo che la pressione abbia o no superato un certo limite. Quindi é che sebbene la ripulsione calorifica prevalga sempre, cosicché le molecole del gas non pos- sono riunirsi, né fra loro, né colle pareti del recipiente, pure la distanza mo- lecolare potrà, quando la pressione abbia raggiunto un certo limite, dipendere anche dalle forze attraenti e repellenti, proprie delle molecole del gas che si considera. Se poi per un aumento eccessivo di pressione, favorito anche da una — 281 — considerevole sottrazione di calorico, la forza repulsiva di questo non fosse più prevalente riguardo alle forze attrattive molecolari , allora le molecole della sostanza gassosa passerebbero a formare uno stato nuovo di aggregazione cbe non apparterrebbe più allo scopo di questo ragionamento. Teoreticamente parlando si vede chiaro eziandio, che la legge di Mariotte deve subire una eccezione a temperature molto basse, accompagnate da pressio- ni molto forti, perchè in tali circostanze i fluidi elastici acquistano la liquidità o tendono ad acquistarla, e passano perciò dallo stato di gas permanenti a quello di vapori a saturazione; per cui non deve più la legge di Mariotte in questo caso esattamente verificarsi, lo che avrà luogo anche un poco prima che le circostanze medesime siensi attivate del tutto. È anche da credere per la teo- ca indicala, che l’eccezioni alla medesima legge, si verifichino altresì per pres- sioni molto piccole, quando però le molecole dei gas abbiano aumentata in guisa la distanza loro scambievole per la rarefazione subita, da non possedere più veruna elasticità sensibile. Si vede pure che la forza elastica dei fluidi aerei , differisce essenzial- mente da quella delle altre sostanze. Queste tendono a ricuperare un volume definito, che hanno perduto, sia nella forma soltanto, sia nella forma ed anche nella capacità; il qual volume una volta ricuperato rimane sempre lo stesso, quand’anche diminuiscano le forze estrinseche, le quali agiscono sul medesi- mo. Pel contrario la elasticità dei gas è tale, che questi tendono sempre a pren- dere un volume tanto maggiore, quanto più diminuiscono le forze estrinseche agenti sul volume primitivo. La forza elastica nei solidi e nei liquidi, ad un tempo dipende daH’attrazione, e dalla ripulsione molecolare; nei fluidi elastici procede unicamente dalla ripulsione calorifica. Poniamo che un piano mobile chiuda l’apertura del vaso in cui si contiene un gas; potrebbe questo piano essere o la base di uno stantuffo, o la superficie di livello di un liquido, nel quale sia l’apertura del recipiente immersa, Sull’indicato piano si prendano le coordinate ortogonali x, y, la terza coordinata 2, per- pendicolare al piano medesimo, rappresenterà la distanza da questo, cui si trovano collocate le molecole del parallelepipedo rettangolare óxóyéz. La ri- pulsione fra ciascuna di queste molecole ed il piano mobile, si rappresenterà generalmente con una funzione f{z, t, 9) della temperatura t, della distanza 2, e della forza molecolare 9. Dicasi n il numero delle molecole che, nello stato di compressione in cui si trovano esse attualmente, costituiscono l’unità di volume del gas; il numero di quelle contenute nel volume da:dyd2 sarà ndxd?/d2, perciò il piano incontrerà, da parte di queste molecole, una pressione rappre- — 282 — semata da nf{z^ t, (p)6xàydz . Per avere adunque la pressione totale^^ che sopporta il piano,’ dovremo in- tegrare questa formula tra i limiti convenienti, considerando costanti le quan- tità n, t. Si avrà dunque , t , f)dzjydx. Ma fydz è la superficie s del piano, la quale deve riguardarsi come una co- stante relativamente alla terza seguente integrazione, per la quale avremo ^== nsjf{z, /, 'p)dz. Eessendo n il numero delle molecole contenute nella unità di volume, sarà n uguale alla densità che il gas medesimo possiede in quello stato di com- pressione, in cui viene attualmente considerato- Perciò chiamando m la massa,, V il volume del gas, avremo Sjf{z, t, ?)dz. Prendendo questo integrale fra gli opportuni limiti, potremo stabilire Jf(z, t, cp)dz — F(t, 9) ; dunque sarà (81) Ora per giungere alla legge di Mariotte, dobbiamo restringere il nostro ra- gionamento^ introducendo nel calcolo i due principj che già vedemmo essere dalla sperienza confermati, cioè: l.° che la ripulsione prodotta dal calorico, sebbene inapprezzabile a qualunque distanza finita, si estende nulladimeno a distanze incomparabilmente maggiori di quelle, che separano fra loro le par- ticelle dei gas : 2." che le distanze fra queste molecole sono maggiori di quelle, cui si rendono sensibili gli effetti delle forze molecolari. Questo se- condo principio potrebbe, come già indicammo, non verificarsi per pressioni bastantemente forti, subite dal gas, ed allora la legge di Mariotte rimarrebbe anche teoricamente in difetto; ma noi supporremo che queste pressioni sieno tali, da farla verificare del tutto. In seguito di ciò, dovremo nella (81) porre = 0, e quindi avremo — 283 — Perciò quando la temperatura, e lo stato di compressione del gas saranno co- stanti, la pressione P subita dal piano mobile, sarà proporzionale alla superfìcie s del medesimo, perchè in questo caso le quantità m, v, F(/), sono costanti. Laonde sopra l’unità di superficie del piano medesimo, la pressione sarà ma supponendo in questa fomula costante la m colla t, riguardando variabile la pressione, e quindi la v, avremo per due pressioni diverse (82) ^ 7; cioè i volumi del medesimo gas diversamente compresso, debbono essere in ragione inversa delle corrispondenti pressioni; lo che dimostra vera la legge di Mariotte; ma nella ipotesi fatta, che cioè la pressione non superi quel li- mite , diverso per ogni gas , oltre il quale non sarebbe più verificato il se- condo principio, cioè che le azioni 0 forze molecolari non giungono fino alla distanza molecolare. Crescendo la pressione oltre 1’ indicato limite , si vede chiaro che non avrà più luogo la (82), perchè non potrà più supporsi = 0. Insomma la legge di Mariotte si dimostra vera , sotto la condizione che la forza ripulsiva procedente dal calorico, faccia sola equilibrio colla pressione subita dal gas , senza cioè il soccorso di alcuna delle forze che dipendono dalla natura delle molecole. Se questa condizione cessi di verificarsi, la legge di Mariotte sarà vera per approssimazione, come insegnano le sperienze isti- tuite sulla medesima colle necessarie cautele dai signori Despretz, Pouillet, e Regnault, e da noi riportate. Coi due principj che abbiamo precedentemente adottati, possiamo anche dimostrare la legge di Mariotte, valendoci di un ragionamento ancor più sem- plice- In fatti si consideri un cilindro di volume lu, che abbia per base la parte del piano compresa dall’apertura del recipiente in cui si trova conte- nuto il gas, e per altezza quella distanza cui la repulsione calorifica non è più sensibile. Si dica V il volume M, la massa, § la densità del gas mede- simo ; quindi si divida 1’ indicato cilindro con tanti piani paralleli alla sua base, ed infinitamente vicini fra loro. Cosicché il cilindro medesimo risulti di tanti strati molecolari di altezza infinitesima. Poiché delle molecole com- prese in un qualunque strato, eserciterà ognuna il medesimo sforzo sul piano mobile; così la ripulsione totale P, che questo sopporterà* non altro esser deve 38 — 284 — fuorché una somma di tanti termini, quanti sono gl’indicati strati. Ciascuno poi di questi termini avrà per valore l’effetto ripulsivo di una molecola, mol- tiplicato pel numero di quelle che compongono il corrispondente strato. Chia- mando i' e ^ il volume, e la densità di ogni strato, sarà và la sua massa; inoltre si dicano p,, p.,, p,, . . .y pn gli sforzi di ciascuna molecola nel primo, secondo, . . • ,e nell’ultimo strato del cilindro w, sarà P = P2-1- . . ossia essendo p variabile per ogni sezione, ma costante per ogni molecola della se- zione medesima. Ora suppongasi che questo medesimo gas venga compresso nello stesso recipiente, cosicché il volume suo riducasi a V', sotto la stessa massa M, e la sua densità divenga In tal caso crescerà il numero delle molecole di cia- scuna sezione, ma la distanza di ciascuna di essa dal piano mobile rimarrà quella di prima. Inoltre supponendo che la distanza delle molecole fra loro, sia sempre maggiore di quella cui cessano di agire sensibilmente le forze molecolari, ed anche supponendo invariata la temperatura; dovrà la forza ri- pulsiva elementare p di ciascuna molecola nella sezione medesima, essere la stessa di prima. Dunque pel cangiamento di compressione, fatto subire al gas, avremo laonde P : P'= 1 ; Cioè si dimostra vera la legge di Mariotte, anche con questo semplice ragio- namento ; purché si verifichi essere la distanza fra le molecole maggiore di quella , cui le forze proprie delle medesime cessano di agire sensibilmente. Se questa condizione non abbia luogo , allora il valore di p cangerebbe col cangiamento della compressione cui soggiace il gas , e la legge di Ma- riotte diverrebbe una legge limite, dalla quale debbono i gas tanto più allon- — 285 — tonarsi, quanto più cresce la conapressione subita dai medesimi, come risulta dalle sperienze che abbiamo precedentemente riportate. Ora supponiamo soddisfatte le condizioni affinchè sia verificata la legge di Mariotte, per giungere ad un interessante corollario della medesima. Sia d la distanza fra due strati consecutivi ed uguali fra loro , presi nel volnme ci- lindrico V di un gas, che si trovi sotto la pressione P- la forza ripulsiva f che fra questi medesimi strati avrà luogo, sarà espressa da f=P. B, essendo B l’area di uno qualunque degli strati medesimi- Ora suppongasi che la pressione cui soggiace il gas divenga P', il corrispondente volume V' dello stesso gas potrà considerarsi come un altro cilindro simile al primo, quindi la di- stanza fra i due nuovi strati consecutivi ed eguali fra loro sarà d', e la forza ripulsiva fra i medesimi sarà f, cosicché avremo f = F. B'; essendo B' l’area di uno qualunque dei strati medesimi; laonde sarà f _ P_ ^ Y ~~ 'F' 'W ' Per la legge di Mariotte abbiamo P V' . . j. f B Y' — = , dunque sara eziandio — = Ma essendo n il numero degli strati dei quali s’intende composto l’uno e l’altro cilindro di gas, il primo sotto la pressione P, il secondo sotto la pres- sione P', avremo le altezze loro A, A' espresse come siegne, A — nd , A' = nd' quindi per la simiglianza di questi cilindri sarà IL —ILI — _ £1 T" ~ ’ ed anche B ^ ^“(Ay^ — r d e finalmente I ~ 286 — Vale a dire supponendo soddisfatte le condizioni per le quali si verifica la legge di Mariotte, se il medesimo gas venga sottoposto a due diverse pres- sioni, le forze ripulsive, che dal calorico unicamente procedono, fra due strati consecutivi di uno stesso gas, e sotto la medesima pressione, dovranno es- sere nella ragione inversa delle distanze, che separano l’uno dall’altro gli strati medesimi nelle due diverse pressioni , ossia delle disianze che sotto diverse pressioni separano l’una dall’altra, due molecole contigue. Però, come già ve- demmo, si trova nella pratica essere la legge di Mariotte, nella maggior parte dei casi, una verità di approssimazione; quindi anche tale si dovrà nella pra- tica riguardare il corollario che dalla medesima ora deducemmo, e che si ri- ferisce alla meccanica molecolare. Sarà poi facile dimostrare l’inverso, cioè che quante volte in un gas a due diverse pressioni, le forze ripulsive sieno inversamente proporzionali alle distanze fra due molecole contigue, le densità del gas medesimo saranno pro- porzionali alle forze comprimenti, ovvero che in questo gas dovrà verificarsi la legge di Mariotte. Non possiamo dispensarci prima di terminare questa memoria, dal far co- noscere che il distinto fisico sig. Liais, ha comunicato alla Società imperiale delle scienze naturali di Chebourg, nella tornata dell’S gennaio 1855, aver egli riconosciuto, discutendo le osservazioni, che la densità dei gas eguaglia, quando la temperatura non cangia, un coefficiente costante moltiplicato dal- l’arco, il seno del quale uguaglia la pressione moltiplicata per un cofficiente costante, che dipende dalla specie della unità scelta, più una costante. Il coef- ficiente costante che moltiplica la pressione è piccolissimo, quando si prenda per unità la pressione atmosferica; di più la costante che si unisce al pro- dotto della pressione per questo coefficiente costante, è piccolissima rapporto ad esso, ed è anche troppo piccola per essere dedotta da sperienze dirette. Viene dunque introdotta essa costante nella formula: l.** perchè questa for- mula deve contenere due coefficienti costanti, oltre quello che moltiplica la pressione, e che dovrà entrare nell’equazioni differenziali di second’ordine, di cui V integrazione avrebbe dato la formula : 2." perchè da questo coefficiente dipende la limitazione dell’ atmosfera. Le altezze assegnabili all’ atmosfera fanno vedere, che questo coefficiente è troppo tenue [)erchè possa sperarsi di ottenere per l’aria il suo valore , con esperimenti diretti. Bisognerà dedurre questo valore da studi fatti suH’atmosfera stessa. Per mezzo di questa formula si spiega la limitazione dell’atmosfera, senza supporre che l’aria divenga liquida nel limite; o senza fare alcun’altra ipotesi — 287 — più 0 meno azzardata; ipotesi che vengono contradette dal fatto, perfettamente dimostrato, della limitazione delle atmosfere mercuriali. La picciolezza sia del coefficiente che moltiplica la pressione, sia della costante rapporto a questo coef- ficiente, spiegano secondo l’autore, perchè la legge di Mariotte si trova essere uua grande approssimazione della legge di compressione nei limiti ordinari delle sperienze; giacché sappiamo che quando un arco è piccolo, esso è sen- sibilmente proporzionale al suo seno. Si vede ancora della formula, che quando la pressione ha superato un certo limite, i valori delle densità divengono immaginari, ciò prova che l’e- quilibrio non è più possibile sotto la forma gassosa, ed allora il gas diviene liquido, come dimostra la sperienza. La formula indica dunque ad un tempo i limiti della compressione, e della dilatazione; i coefficienti che determinano questi due limiti, sono le due costanti della integrazione. In tutto quello che precede furono supposte le temperature costanti. Quando la temperatura varia, i limiti della compressione e della dilatazione cangiano; e la legge di Mariotte diviene di più in più approssimata per lo pressioni vicine a quelle di un’atmosfera. Il senso del cangiamento indica, che fra i tre coefficienti della formula, il primo è moltiplicato, ed i due altri sono divisi per una frazione della temperatura, crescente con questa. Le sperienze, continua 1’ autore a dire , non sono a bastanza numerose per far conoscei*e la forma di queste frazioni. Sappiamo solo essere le medesime tali, che quando la pressione resta costante nella formula, variando solamente la temperatura, esse danno una variazione simile della densità, con una grande approssima- zione a quella che fornirebbe la legge delle dilatazioni di Gay-Lussac- L’au- tore aggiunge che si propone determinare nuovamente, per via di sperienze, il valore numerico delle costanti pei differenti gas, e per temperature diverse. Il sig. A. Krònig, in una memoria intitolata Gnmdziìge einer Theorie der Gase, pubblicata in Berlino nel mese di luglio 1856, ed il sig. Clausius nella sua memoria sulla natura del movimento detto calore, hanno esposta una teo- rica per la fisica costituzione molecolare dei gas (1). I medesimi sono giunti a risultamenti presso che identici fra loro ; e le formule da essi ottenute, hanno tutte dimostrato le proprietà fisiche della materia fluido elastica, fra le quali anche la legge di Mariotte. Un estratto di questi levori si trova nel- r Institut, num. 1194., pag. 408, an. 1856, e nel Nuovo Cimento, T. VI di- cembre 1857, p. 435. (1) Ann. der Chem. u. Pharm. T. C. p. S76 - Poggendorlf’s Ann. T. C. p. 353. — 288 — APPENDICE Ecco in qual modo possiamo speditamente giungere a determinare, quanto la canna del fucile a vento debba esser lunga , onde giunta la palla sul- l’estremo di questa lunghezza, cioè alla bocca d’essa, ivi tutta la sua velocità si trovi estinta. Prendasi per tanto 1’ origine della x ove termina il valore di à; cioè dove, come già vedemmo dalla (73), corrisponde la massima ve- locità del proietto, a causa della eguaglianza fra la densità dell’aria di carica, e dell’ aria esterna. Inoltre si ponga p s6 , ovvero mediante la (73) , (^n — l)p =:np in luogo di p nella (66); avremo , ‘Sgh, n^pdx , \ itdu = -y-r — ^ dx) , 4rò\np -t- Sic / donde integrando sarà Ma quando ic == 0, per la (74) sarà H- C . dunque avremo e perciò Quindi l’equazione da cui dovremo avere il valore della lunghezza di canna b -+- X, corrispondente alla velocità nulla del proietto, sarà (84) rì^p log. (t np — log.n — (n — 1) .^ = 0 . s s Ritenuti quei valori numerici, dei quali già ci valemmo, avremo s = = 0,0005 , ^log.n = 57,61og.4,71, = 271,0897, s s ■ "I =57,6, (« - 1) 45,34 , s ^ ' s np -=0,0173, n = 4,71. — 289 — onde la equazione ultima si ridurrà nella 271,09 log(l -t-0,0173.a;) — a:H-57,6 log4,71 — 45,34 0 la quale molto prossimamente viene verificata da a; = 762^'. Quindi la lunghezza cercata sarà è X = 46^‘ -f- 762^' = SOS/"' = 262-, 44 - EPILOGO Cenni sulla relazione che la legge di Mariotte ha con alcuni fenomeni fisici, pag. — Descrizione dell’ordinario metodo per di- mostrare la indicata legge, pag. — Cautele da praticare per la dimo- strazione sperimentale di questa legge nelle pubbliche lezioni, pag. — Descrizione del nuovo congegno per dimostrare questa legge con speditezza nelle pubbliche lezioni sperimentali di fisica, soddisfacendo possibilmente a tutte le cautele per la esattezza di questa sperienza, pag- j-89^^0. — Uso del conge- gno medesimo, pag. — Formule, e metodi per la verificazione della legge di Mariotte, pag. — Formule relative alla misura dei volumi dei gas a diverse pressioni sottoposti, pag. — So- luzione dei problemi relativi al manometro ad aria compressa, pag-^>‘398rTr7 402, 439r43li^ — Formule relative allo stereometro, dipendenti pur’esse dalla legge di Mariotte, pag. — Formule relative alla pressione risultante da una mescolanza di gas, e daH’assorbimento dei medesimi, effettuato da un liquido in contatto col mescuglio loro, pag. — Formule rela- tive al rapporto fra i volumi di un gas in contatto un liquido, sotto pres- sioni e temperature diverse, pag. 55^^., — Formule relative al manometro di Berthollet, pag-%8, 60^^ — Rettificazione di una formula di Poisson, per determinare il rapporto dei valori diversi, che appartengono alla gravità , pag- — Uso del manometro per indacare le varia- zioni della gravità, pag. 1 — Indicazione di altri due melodi per la ricerca medesima, pag- 136, 137-*— Formule relative alla teorica della macchina pneumatica di rarefazione, pag. 13?; rrvi 42, 20^^77^20^ — For- mule relative alla macchina pneumatica di compressione, pag. -220, •-.r226^ — Teorica matematica del moto dei proietti, entro l’anima delle bocche da fuoco, i //; — o <.^^//7pag. — Dimostrazione teoretica elementare della indicata legge, pag. — Dimostrazione di un corollario della medesima legge , pag. 28&r"28fr^ Indicazione dei lavori del sig. Liais, relativi alla legge stessa, ove anche di quelli dei signori Kronig dice alla teorica del fucile a vento, pag e Clausius, 2S8, ^9. g. — Appen- \/ t V I II — 291 — COMUNICAZIONI Il R. P. A. Secchi espose i perfezionamenti arrecati al baroinetrografo, col- l’introdurvi anche il termometrografo di Kreil, col che lo strumento era dive- nuto un registratore completo de’ fenomeni meteorologici. Espose ancora una sua modificazione introdotta nella pila di Danieli , mercè della quale si può avere forza costante per oltre 15 giorni e più, senza consumo inutile di materiali. Finalmente disse delle ultime misure fatte sul cratere della Luna, nomi- nato Copernico, col che resta fissato il carattere di questa montagna: e inol- tre accennò a varie sperienze fatte sulla polarizzazione della luce Lunare , donde risulta che i mari sono più polarizzati che le montagne. Il Prof. Volpicelli ricordò che nella prima parte della sua memoria sugli elettrometri, fece brevemente conoscere i metodi tentati dai fisici per asse- gnare prossimamente, col mezzo della elettricità, lo stato igrometico dell’aria T.XI,§. VI,pag.46 ...49. Volta sopra tutti riconobbe la importanza di questo argo- mento,e se ne occupò molto. Però i metodi stessi, proposti dai tìsici per l’indicato fine, lasciando ancora molto a desiderare in quanto alla esattezza dei risultamenti loro, fu dal prof. Volpicelli in quella stessa prima parte, T. XI §. VII e VII!, pag. 49 ... 52, proposto un altro metodo, per misurare lo stato igrometrico del- l’aria, fondato sulla divergenza delle pagliette di un elettrometro, e precisamente sulle diverse fasi della divergenza stessa. L'autore avendo continuato a ricercare su questo argomento, riferì che gli elettromotori conosciuti col nome di pile secche, potevano impiegarsi utilmente a fornire un igrametrografo elettrico, ed ecco in qual modo. Tra i due poli eteronomi di due pile secche verticali, distanti fra loro circa 0,'”15, si stabilisce un ago orizzontale, sostenuto sul suo centro di gravità da un perno verticale per modo, che l’ago stesso possa col minore attrito possibile ruotare attorno questo perno. Da uno estremo del- r ago penda una striscetta di oro, e dall’altro una di platino, e questa sia poco più lunga di quella- L’ago ruotando attorno il perno verticale , a mo- tivo delle attrazioni e ripulsioni elettriche dei poli eteronomi delle due pile verticali, dovrà la striscetta di platino incontrare per ogni giro dell’ago i due reofori di una pila di Danieli, e chiudere il circuito elettrico della medesima- Per ognuna di queste chiusure una calamita temporanea spinge la punta di una matita, sopra una carta, che scorre con moto uniforme di orologeria sotto la 39 — 292 — punta stessa. Avremo per questo mezzo il tempo impiegato dall’ago nel fare un prefisso numero di giri a qualunque ora. E siccome lo stato igrometrico del- l’aria influisce sulla elettrica tensione dei poli delle pile, quindi anche sul tempo impiegato dall’ago nel fare un giro ne viene che potremo avere in questo con- gegno un igrometrografo elettrico , che fornirà la migliore applicazione che fin’ ora siasi fatta della elettricità alla igrometria. Quando questa macchina sarà compiuta, e sperimentata sufficientemente, l’autore tornerà sulla medesima- 11 prof. Volpicelli fece conoscere, che aveva collocato nel vuoto boileano il più perfetto possibile, due pile secche, fra i poli eteronomi delle quali, pen- deva una listarella di oro; e che aveva osservato, dopo un mese, le pile me- desime non avere punto diminuita la loro elettrica tensione- Questo fatto di di qualche interesse per Velettrotismo, non si accorda con quanto dice a pro- posito di queste pile il prof De la Rive nel suo Traité d’éllectricitè, Paris 1854 (T. 1° pag. 51, 54; e T. 2.“, pag. 794, 795), ma bensì con quello che rife- risce riguardo alle medesime il R. P. Pianciani ne’ suoi Elem. di fisico - chim. Roma 1844, T. 2.", pag. 32, e seguenti. Monsignor Nardi ringraziò a voce l’accademia, per averlo nominato mem- bro ordinario della medesima. COMMISSIONI Su di un nuovo metodo per estrarre Valoool dalVasfodelo del sig. Francesco Gentil- RAPPORTO (Commissari sig.'" prof.'"' G. Ponzi, e R. Viale relatore) Di una istanza già dal sig. Gentil avanzata a S. Ecc. Monsig. Ministro del commercio, e dei lavori pubblici, sopra l’estrazione dell’alcool dai tuberi del- l’asfodelo, che venne rimessa poi a questa nostra accademia, si credè dal co- mitato non potesse aver luogo commissione alcuna, trattandosi di cosa già da molti introdotta appresso di noi. — 293 — Ritorna il sig. Gentil in oggi a fare premure, affine che, esaminato il pro- cesso da lui tenuto per avere alcool da questa pianta, 1’ accademia pronunzi il suo voto sul dovergli accordare o no la dichiarazione di proprietà per sei anni, con facoltà di prolungarne il tempo tanto quanto la legge il per- mette. Finora il metodo per ottenere l’alcool dall’asfodelo consisteva , nel tri- turare, pestare, o molare i tuberi di questa pianta, ed esporli alla fermen- tazione- Non crasi creduto si potesse avere una sostanza zuccherina dai pe- ricarpi (Cossettes). E se nei laboratori di chimica crasi riuscito a formare una specie di zucchero co’ pericarpi della pianta , e con varie parti di altri vegetabili, codesto fatto era rimasto più patrimonio della scienza che dell’in- dustria, 1 chimici si valevano all’uopo dell’acido solforico a 53.°, e nella pro- porzione da otto a 10 per cento- La novità, che il sig. Gentil vorrebbe introdurre, consisterebbe. Nel convertire in sostanza zuccherina i pericarpi dell’asfodelo (Cossettes), mediante l’acido solforico a 53.”, ma in modo che la proporzione dell’acido stia tra il due e il sette per cento del peso totale. Nell’agire col medesimo acido anche sui tuberi, ma nella proporzione di un mezzo chilogrammo a due chilogrammi. Nell’introdurre l’acido nelle cassette contenenti i brani della pianta, non tutto in una volta, ma a varie riprese. Nel rifrescare gli apparecchi, affinchè il prodotto non vada perduto. Nel servirsi del distillatore di Blumenthah Infine nel trar profitto tanto del vapore delle macchine , quanto di quello che la materia in fermentazione potesse sviluppare- Confessa il sig. Gentil, che codesti mezzi economici vennero adoperati in molte industrie affini, ma sostiene non essere stati mai applicati a questo nuovo lavoro di trar alcool dei tuberi dell’asfodelo. Richiede per questa novità una proprietà di sei anni, da estendersi an- che a maggiore spazio di tempo. 11 Gentil dà del suo processo la descrizione ; dice di aver ottenuto in Francia, un privilegio di proprietà per 15 anni; di avere formato uno sta- bilimento di distillazione ad Alfort presso Parigi; sostiene , che i differenti mezzi de’ quali e’ si vale, sono in gran parte sconosciuti presso di noi. Avremmo desiderato di poter esaminare non i disegni de’ suoi differenti apparecchi, ma il prodotto, che il medesimo ne ebbe, affine di poter conoscere se l’alcool — 294 — avuto per la reazione dell’acido solforico possiede quelle proprietà, che si hanno nell’altro, avuto per mezzo della fermentazione. Promise il Gentil di farcene avere un saggio. Ma non avendolo fatto giugnere, la commissione non può pronun- ciare giudizio adequato in proposito. L’accademia, per mezzo dello squittino segreto, approvò le conclusioni di questo rapporto. CORRISPONDENZE Fu letta una lettera del sig Vincenzo Latini, colla quale il medesimo ringraziava l’accademia, per la nomina ricevuta di membro ordinario Linceo. Il chiarissimo sig. prof. Cav. Gio. B. Amici, nostro socio corrispondente ita- liano , faceva noto con una sua lettera , che S. A. I. e R. il Gran Duca di Toscana, ringraziava l’accademia pel dono dei due volumi X e XI degli Atti dei Lincei, e che aveva molto gradito il dono medesimo- Fu letto l’onorevole dispaccio di S. E. Rma il sig. Cardinale Altieri, pro- tettore dell’accademia, diretto al nostro sig. Presidente, col quale si parteci- pava essersi degnata la Santità di N. S. approvare che monsignor Nardi, ed il sig. Vincenzo Latini, fossero nominati membri ordinari Lincei. Il sig. prof. Dmco cav- Piani, segretario perpetuo dell’ accademia delle scienze dell’istituto di Bologna, ringrazia a nome dell’accademia stessa, per gli Atti de’ Nuovi pervenuti alla medesima. Lo stesso ringraziamento si ebbe dalla R. Accad. Peloritana di scienze lettere ed arti, per mezzo del suo segretario generale prof. A. Catara Lettieri- Fu comunicata la morte del sig. Cav. Carlo Maria Giuseppe Despine, av- venuta in Torino la sera del 2 febbraio 1859. L’accademia deplorò la perdita del suo corrispondente straniero, il sig. W. Bond, direttore dell’ osservatorio astronomico di Cambridge (Stati uniti) — 295 — avvenuta li 29 gennaro 1859. Il sig. Bond che aveva molto aiutato l’ illustre suo padre nei lavori astronomici , ha preso la direzione dell’ osservatorio medesimo. Assisterono a questa tornata i signori professori Brighenti, e Purgotti, ambedue soci corrispondenti italiani. 11 sig. F. Marcel fisico di Ginevra fu pur esso presente a questa sessione- L’accademia riunitasi legalmente ad un’ora pomeridiana, si sciolse dopo due ore di seduta- Soci ordinari presenti a questa sessione. P. Sanguinetli. — 0. Astolfi. — A. Coppi. — G. Maggiorani. — B. Viale. — N. Cavalieri S. B, — B. Tortolini. — I- Calandrelli. — E. Fio- rini. — L. Ciffa. — C. Sereni. — G. B- Pianciani. — M. Massimo. — A- Sec- chi. — S. Proja- — F. Nardi- — G. Pieri- — P- Volpicelli- Pubblicato il 5 Agosto 1859 P. V. OPERE TENETE IN DONO Mémoires ... Memorie della Società’ Imperiale delle Scienze naturali di CiiERBouRG. Tomo V, un volume in 8." Cherbourgo 1858. Atti dell’ hip. Reg. Istituto Veneto di Scienze lettere ed arti dal Novem- bre 1858, all'Ottobre 1859- Dispensa quarta. Venezia 1858-59, un fase, in 8."- Relation ... Reiezione di un viaggio fatto in Sicilia, e nel mezzo giorno dell’ Ita- lia, durante i mesi di maggio e giugno 1858, per il sig. Ed- Mailly- Brus- selle 1858, un fase, in 16.® Sur ... Sopra la popolazione della Terra secondo il sig- Di eterici- Nota del Medesimo. Brusselle 1858 un fase, in 16.® Della Rabbia, o Idrofobia. Rreve istruzione popolare, intitolata alla spettabilissima — 296 — società d'incoraggiamento in Padova^ da Luigi Top foli. Padova 1859 un fjisc. in 8.° Il Nuovo Cimento- giornale di fisica , di chimica , e scienze affini , compilato dai professori C.Matteucci., e R- Pi ri a. gennaio e febbraio 1859- Atti del I. R- Istituto Lombardo di Scienze lettere ed arti. Voi. V. Fase- XII. Milano 1859, un fase- in 4." Memorie delVIsTiTUTo Lombardo di Scienze lettere ed arti, Voi- VII. Fase- Vili, ed ultimo, Milano 1859, un fase, in 4.“ Comptes... Confi Resi dell' accademia delle scienze dell'Istituto di Francia, in corrente. Berichte ... Relazione della regia Società' Sassone delle Scienze, classe ma- tematica e fisica; seduta del 12 Febbraio 1859, un fase, in 8-° Report ... Rapporto della vigesima settima riunione dell'Associazione Brittanica per l'avanzamento delle scienze, tenuta a Dublino nell'agosto e settembre 1857, un voi. in 8." Notices ... Notizie delle riunioni dei membri dell Istituto Reale della Gran Brettagna- Un fase, in 8.% novembre 1857, luglio 1858. IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Min. Conv. Archiep. Icon. Yicesgerens. ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE Vl.^ DEIL^ 8 MAGGIO 1859 PRESIDENZA DEL SIG. DECA D. MARIO MASSIillO MEMORIE E COMUNICAZIONI sz:x SOCI OaDXMARI E lì E X COnRXSPOBTDENTl Acustica. — Sopra alcuni fenomeni d' interferenze sonore. Nota del doti. B. Fabri. Allorquando fu stabilito dai fisici, che i singolari fenomeni ottici osservati da Grimaldi, e da Young, erano dovuti alle interferenze delle onde luminose, non poteva nascere dubbio che somiglianti fenomeni dovessero verificarsi nelle onde sonore ; se non che più difficile sarebbe stato il riconoscerli. Ciò non di meno Savart nelle sue osservazioni sulle onde fìsse, risultanti dalla rifles- sione del suono (1), è giunto a conoscere sperimentalmente l’effetto delle in- terferenze delle onde sonore. Ma nel suono evvi anche un’altra specie di in- terferenze, delle quali non abbiamo esempi nei fenomeni ottici. Se due corpi, o due porzioni di uno stesso corpo che vibrano all’uni- sono, si trovano in discordanza di vibrazioni, ossia se quando uno vibra in un senso, l’altro vibra in senso opposto; questi due corpi tendono ad impri- mere all’aria circostanze dei movimenti contrari, che secondo le circostanze (1) Annales de Chimie et de Physiqiie, 2.*“® sèrie, T. 71. — 3."*® sèrie T. 14. 40 — 298 — più 0 meno si distruggono a vicenda. Da ciò segue che in questo caso le vibrazioni di un corpo, anziché aumentare il suono cagionalo dell’altro , vengono invece a diminuirlo- Questo è il caso di una lastra vibrante, ove le diverse sue parti separate dalle linee nodali , vibrano in senso contrario , e quindi generano nell’ aria dei movimenti che vengono a collidersi; il che è stato messo in evidenza dal sig. Lissajous (1) , cuoprendo con un cartone convenientemente tagliato, alcuni degli spazi compresi fra le linee nodali, e producendo con questo un notevole aumento di suono. Questo fenomeno non è proprio delle lastre esclusivamente , potendosi osservare in molti altri corpi sonori. Facendo vibrare un diapason d’acciajo, senza appoggiarlo colla sua estre- mità inferiore ad alcun corpo che possa vibrare, si sente un suono debolis- simo , benché le due braccia del diapason vibrino moltissimo , e sembri quindi che debbano comunicare all’ aria un movimento forte. Però osser- vando il modo col quale vibra un diapason, si vede che le due verghe im- primono all’aria de’ movimenti in senso opposto , e quindi devono in parte interferire. Benché coi diapason sia difficile di ripetere 1’ esperienza indi- cata dal sig. Lissajous, tuttavia sono riuscito ad avere un qualche aumento di suono, cuoprendo una delle verghe vibranti con un tubo di carta ben grossa Ciò però non avviene quando si tenga il diapason appoggiato sopra una cassa armonica, giacché allora il suono é prodotto dalle vibrazioni della cassa, co- municate ad essa dalla parte inferiore del diapason. Facendo vibrare un diapason, e portandolo verticalmente a piccolissima distanza dall’orecchio, si hiccia colle dita ruotare attorno al suo asse verti- cale. Ad ogni intiero giro si udiranno quattro rinforzi di suono , dei quali , due corrispondono alle due posizioni» nelle quali ambedue le verghe si tro- vano dirimpetto all’orecchio, e li altri due, si odono nelle posizioni del dia- pson ortogonali alle precedenti. La ragione dei primi due rinforzi sta nella posizione delle verghe, le quali trovandosi una dirimpetto all’altra, in sì piccola distanza, non possono le onde aeree, prodotte dalla più prossima all’orecchio, essere affievolite dalle vibra- zioni dell’altra verga. I secondi due rinforzi provengono dall’aria, che è po- sta internamente alle due verghe, la quale in forza del movimento di queste, (1) Coinples Rendus de l’Académie des Sciences, 15 Janvier 1855. — 299 — prende pur essa un movimento vibratorio, ma in direzione perpendicolare a quello delle verghe. Alla produzione di questi rinforzi contribuisce forse la direzione delle vibrazioni , le quali probabilmente in alcune circostanze penetrano maggior- mente neH’orecchio. Anche una corda quando vibra, dividendosi in più parti, comunica all’aria contemporaneamente delle vibrazioni in senso opposto , e questa è forse la ragione del timbro particolare di -voce che hanno i suoni armonici delle corde: però in alcuni strumenti da corda come il violino, il violoncello, ecc. si ri- conosce difficilmente l’interferenza delle vibrazioni, prodotte dalle diverse parti di una corda, quando si trae un suo suono armonico; perchè è la sola por- zione di corda che si trova a contatto col ponticello , che quasi in totalità comunica le vibrazioni alla cassa dello strumento. In questi istrumenti le in- terferenze di tal genere si possono notare sensibilmente su due corde. In un violino ben armonico (1) si sostituiscano alle quattro ordinarie corde, altre due di eguale materia e grossezza, e poste assai vicine fra loro. Si dia ad una di esse una tensione sufficiente, perchè possa rendere un bel suono. Scorrendo coll’arco su questa corda nel modo il più equabile possibile, si tenda contemporaneamente a poco a poco l’altra corda. Ponendo attenzione, al suono che si ha dalla corda già tesa, si troverà facilmente un dato punto di ten- sione della 2“ corda, nel quale il suono prodotto dalla 1“ perde notevolmente d’intensità e di chiarezza, e sembra che la corda in vece di esser messa su di un buon violino, sia tesa sopra un oggetto poco o niente risuonante. Ti- rando maggiormente la 2“ corda si sente di nuovo il suono chiaro e forte come prima. Se si osserva la 2“ corda quando si nota la diminuzione di suono, la si vede vibrare in modo quasi eguale all’ altra corda sulla quale scorre l’arco, ed a questo punto le due corde sono all’unisono. Anche senza variare la tensione della 2“ corda, si può ridonare al suono la sua intensità naturale, toccando anche leggermente la 2“ corda con un dito, in guisa da impedire le sue vibrazioni. Non può quindi nascere dubbio che in queste vibrazioni stia la causa (1) Tutte le seguenti esperienze sulle corde armoniche, sono state fatte con un eccel- lente violino dell’ Amati, che posseggo, costruito sulla metà del 1600, — 300 — della diminuizione indicata di suono , le quali interferiscono colle altre vi- brazioni della 1“ corda. Questo fenomeno, benché con minore intensità, si sente anche con due corde di grossezza differente , come sono quelle che si tengono usualmente nel violino, portandole all’unisono, collo stirarle differentemente, o col ridurle a diversa lunghezza, premendole colle dita sulla tastiera dello strumento, come suol farsi quando si suona il violino- Anche se le due corde sono all’ottava, si riconosce una piccola diminu- zione d’intensità di suono, quando si scorre coll’arco sulla corda più acuta, e si vede allora l’altra corda vibrare dividendosi in due parti, , Appoggiando un diapason al ponticello del violino, ed anche ad altre parti dello stesso istrumento, e scorrendo sopra una delle sue verghe coll’arco, ne ho cavato un suono, che era all’unisono con una corda tesa convenientemente sul violino. Il suono del diapason fece vibrare la corda , ma non ho mai rico- nosciuto che queste vibrazioni producessero diminuzione di suono. Però con una campanella emisferica di bronzo, fìssa in un sostegno di legno, ho ecci- tato delle vibrazioni, che davano indizi di interferenza, in una corda all’uni- sono con essa, e ciò coll’appoggiare il sostegno in alcune posizioni della cassa del violino. Comunicando le vibrazioni alla corda per mezzo dell’aria, invece de’ corpi solidi, non mi è stato possibile di riconoscere le interferenze. Per potere conoscere il modo col quale vibrano le due corde, allorché si riconoscono le interferenze, mi sono giovato della straordinaria velocità del- l’elettrico, incomparabilmente superiore a quella delle corde quando vibrano, ed ho disposto la sperienza nel seguente modo. Ho preso due eguali corde di seta ricuoperte di filo di rame, precisa- mente di quelle che si usano nella chitarra francese. Togliendo T involucro metallico alle due estremità delle corde, le ho potute tendere sul violino, man- tenendo la parte metallica di ciascuna isolata. Dopo ciò ho disposto di quà e di là delle corde, ed in vicinanza di esse due piccoli conduttori d’ottone, uno isolato , e 1’ altro comunicante col suolo , che portano all’ estremo loro due palline, pure d’ottone, alle quali le due corde nel vibrare si andavano successivamente avvicinando, ed allontanando. Al conduttore isolato ho unito un filo metallico, che all’altro estremo era legato ad una sfera metallica che tenevo in mano con un manubrio isolante. Avvicinando questa sfera al con- duttore della macchina elettrica, ne traevo scintille, e quando le due corde, — 301 — benché appoggiate su due ponticelli isolanti, erano fra loro in comunicazione con un filo metallico, posto al di là di uno dei ponticelli, si vedevano con- temporaneamente altre due piccole scintille, una fra il conduttore e la 1“ corda, l’altra fra la 2“ corda e l’altro conduttore non isolato- Queste due scintille, possono considerarsi come contemporanee, perchè il tempo che mette l’elet- trico a passare da una corda all’altra, è assolutamente inaprezzabile. Disposte le cose in questa guisa, ho accordato all’unisono le due corde, e scorrendo su di una coll’arco, ho fatto vibrare anche l’altra. A ciò non era impedimento il filo di comunicazione fra le due corde, perchè essendo stato posto, come si è detto, al di là di uno dei ponticelli, toccava solo quelle porzioni delle corde che non possono vibrare- Facendo allora passare le scintille nel modo indi- cato, ho veduto fra i due conduttori delle coppie di scintille di lunghezza molto variabile, dipendente dalla diversa posizione delle corde al momento nel quale passava l’ettrico; ma però ho riconosciuta sempre un eguaglianza di lunghezza fra le due contemporanee, formanti una qualunque delle dette coppie- Per po- tere meglio giudicare della posizione delle corde, nel momento in cui passa la scintilla, ho teso fra le due prime corde, ed a uguale distanza da amendue una terza corda di materia coibente, e precisamente di minugia. Perchè que- sta terza corda non vibrasse colle altre due, l’ho accordata in tuono diffe- rente. Sperimentando con quest’ aggiunta, ho veduto le due scintillette sem- pre essere simmetriche, rispetto alla linea indicata dalla corda di me^zo. Con ciò vien provato, che le due corde prendono un movimento sincrono in senso contrario, ossia quando una si allontana in un senso, l’altra si muove nel- Topposto, all’incirca come avviene delle due verghe di un corista o diapason; e da ciò ne sorge l’interferenza dei loro movimenti. Perchè riesca bene l’esperienza indicata, bisogna che le due corde ab- biano molta tensione, ed in oltre occorre una certa destrezza nel maneggio dell’arco, perchè la 2“ corda vibri quanto è più possibile come la prima; tut- tavia anche con queste condizioni, l’ampiezza delle vibrazioni della 2^* corda, è minore di quella della prima, il che porta una piccola perturbazione nella perfetta eguaglianza delle due scintille. Altri fenomeni d’interferenze simili ai precedenti, si osservano con due cilindri d’ aria vibranti- È noto come un tubo chiuso ad un estremità , di determinata grandezza , possa rafforzare il suono di un vaso emisferico di bronzo. Perchè il tubo faccia il suo massimo effetto, bisogna metterlo colla sua apertura dirimpetto ad un ventre di vibrazione del vaso, cioè, o alla parte — 302 — opposta al luogo ove si tiene l’arco, od a 90° da essa; giacche in jiieste po- sizioni le vibrazioni del vaso sono più forti, e possono meglio eccitare quelle dell’aria del tubo. Si prendano due tubi simili, che rinforzino bene ciascuno il suono del vaso, e si pongano uno dirimpetto all’ altro nelle due posizioni a 90“ dal luogo ove si scorre coll’arco- L’aggiunta del 2” tubo produce un piccolo au- mento di suono sopra quello cagionato dal 1" tubo, e certamente non para- gonabile coll’effetto che fa lo stesso 2“ tubo isolatamente. Se poi i due tubi si mettano ad angolo retto, ossia che l’uno stia dirimpetto al luogo ove si tiene l’arco, e l’altro a 90“ da questo luogo, le vibrazioni dei due tubi ven- gono ad interferire in modo singolarissimo, cosicché il 2° tubo invece di au- mentare maggiormente il suono dell’altro lo diminuisce di moltissimo- Osser- vando il modo di vibrazione dal vaso, è facile il vedere che essendo i due tubi rinforzatoli ad angolo retto, quando in uno vi sarà dilatazione dell’aria, nel- l’altro vi sarà costipamento, e viceversa. Dai fenomeni indicati si dedurrà facilmente di quanta importanza sia lo studio delle interferenze sonore, per la costruzione delle casse armoniche, de- gli strumenti musicali, perché alcune porzioni di esse non vibrino in modo da diminuire piuttosto che aumentare il suono delle altre parti ; il che al- cuni costruttori, inscienti di questi fenomeni, hanno cercato di ottenere nei miglior modo possibile, credendo di procurare un’effetto maggiore, come può osservarsi in qualche antico genere di strumenti, molto ragionevolmente ab- bandonati oggidì. Onesta è forse la ragione per la quale non si sono saputi ancora imitare i celebri violini dell’ Amati, dello Stradivari, e del Guarnieri, benché costruiti da due secoli a questa parte. — 303 — Geologia — Qiiallro lettere postume del conte D. Paoli (*), membro della società geologica di Francia^ ad un suo amico, sulla causa degli antichi ghiacciai, pubblicate dal prof. P. Volpicelli. INTRODUZIONE Ne> dar opera alla pubblicazione di queste mie lettere , niun altro inten- dimento è in me, fuor solamente quello di richiamare l’attenzione dei fisici e dei geologi su di una opinione, che fin da quando fu essa esposta dal suo autore, il signor Fauverge, parve a me assai soddisfacente, sì che a prò della medesima non potei a meno di concepire una dicisa prevenzione. Non vo- {*) Il conte Domenico Paoli nacque in Pesaro il 13 di luglio del 1783, da Vincenzo- Maria, e da Marianna de’ Semprini di Cesenatico : nel 16 di novembre del 1853 passò agli eterni riposi, lasciando immersi nel dolore di tanta perdita la moglie , ed una figlia col suo con- sorte. Lo studio prediletto di questo dotto, e virtuoso italiano fu nelle scienze naturali com- preso, e particolarmente nella geologia. Gli annali di Fisico-chimica di Pavia, presentavano nel 1810, le prime scientifiche produzioni del Paoli. La sua rispettabile famiglia custodisce come tesoro prezioso delle geologiche perlustrazioni di questo ammirabile pesarese, una rac- colta di scelti minerali. La riputazione virtuosa del Paoli è basata sull’amore, e sulla gratitudine non peritura di tutti quelli che lo conobbero, ed in ispecie de’ suoi concittadini. La riputazione scientifica poi del medesimo, è basata sulle produzioni del suo ingegno, rese di pubblico di- ritto; unico mezzo per giungere in fama onorata e durevole. Ottanta scritti fra brevi articoli, lunghe memorie, ed opere di mole, ne lasciò il Paoli, trattando argomenti di fisica, chimica, agraria, geologia, meteorologia, e fisiologia tanto animale, quanto vegetabile. Di questi lavori si ha una sviluppata notizia nell’elogio funebre, che per esso pubblicò il chiarissimo e rev. p. Alessandro Serpieri nel 1833 [a). Questo elegante scritto è una completa, ed erudita nar- razione della vita, e degli studi del Paoli; noi qui appresso riportiamo quel brano dello scritto medesimo, che si riferisce alla materia trattata nelle quattro lettere che ora vengono pubblicate. » Signori ! io ho la fortuna di presentarmi come vicino testimone dell’ ultima vivis- sima luce di che sfavillò quella eletta intelligenza ! Ei mi mise a parte di un grande e com- plicato studio sul movimento secolare delle condizioni termiche di ogni stagione per effetto della precessione degli equinozi, proponendosi di combattere con un vasto piano di severe discussioni le conseguenze troppo leggermente derivate dal famoso teorema di Lambert. Per lunghissimo tempo travagliò con assai profitto nella difiìcile intrapresa: e se un gentile sen- timento di soverchia delicatezza non gli avesse creato il bisogno di convincere l’amico su tutti i punti di questo lavoro, per dividerne con lui il merito e 1’ onore, già le sue lettere attesterebbero pubblicamente il vivace spirito del canuto scienziato, e la paziente e invitta costanza che informò la gloriosa sua vita , alla quale egregiamente si addice quella ferrea ragione dell’Astigiano: Volli, sempre volli, fortissimamente volli. » Dava opera il grande uomo a recare 1’ ultima perfezione in quest’ ampio lavoro , quando una lenta infermità nell’autunno del 1833, lo costrinsese a pararsi dai prediletti studi, disponendolo al gran momento di abbandonare la terra. (a) Pesaro pei lipi di Annesio Nobili 1855 — 304 — lendo però interamente affidarmi a me stesso, mi rivolsi, ad alcuni miei rispettabili amici, invocandone il loro parere, e pregandoli ad essermi cortesi delle loro considerazioni, qualunque che fossero. Non nasconderò che, mentre alcuni fra questi si mostrarono del mio avviso , altri si proferirono , se non del tutto di contraria sentenza, incerti almeno; e quindi mi comunicarono non poche considerazioni in senso opposto. Nel numero di questi fu appunto quell’ono- revole ed illustre fisico a cui sono dirette queste mie lettere; del quale con mio dispiacere non mi è concesso di registrare qui il nome, dovendo rispet- tare la sua modestia ed alcuni suoi particolari riguardi; ciò che mi toglie di dare a lui , come avrei desiderato un pubblico attestato di sincera stima e di pari riconoscenza, e per tutto quanto egli seppe fare nell’esaminare questo punto di fisica terrestre; giovandosi in singoiar modo delle sue profonde co- gnizioni nelle scienze matematiche, e per avere egli così dato cagione a me di più minutamente esaminare una tale quistione. Dopo di che , e dopo di avere francamente dichiarato di aver presso alcuni incontrate non dispregie- voli obbiezioni ; sarà facile il credere come in me non sia alcuna convin- zione di avere posta in tutta la sua luce questa opinione; e che, come dissi in principio, non è in mia mente altro scopo che quello indicato di sopra ; al quale non avrei potuto soddisfare che col rendere di pubblica ragione que- ste mie lettere. Per la qual cosa ogni qualunque abbiezione che possa essermi » Accenno qui i primi dubbi che sorsero nella mente di Paoli, intorno all’applicazione che suol farsi del teorema di Lambert, per provare la perfetta costanza delle condizioni termi- che di ogni stagione, nel lungo volgere dei secoli. Queste poche parole ho tratte da alcune sue lettere , e parmi che possono far intendere i punti principati delle sue lunghe e labo- riose discussioni, con le quali dava un più largo e positivo sviluppo ad alcuni cenni, già da lui comunicati nel febbraio o marzo 18S3 alla Società Geologica di Francia, diretti a favo- rire un’opinione del signor Fauverge, sulla ragione probabile delle antiche giacciaie : » La maggior lunghezza di tempo che impiega il Sole nel percorrere i segni setten- » trionali dell’eclittica (parlo dell’epoca attuale e secondo i moti apparenti], compenserebbe » forse la sua maggiore distanza, e quindi la minore intensità della sua azione calorifica , » quando si dovesse credere che il calore si accumulasse continuamente nella terra. » e non vi fosse falternativa continua dei giorni e delle notti: » e queste e quelli non avessero diversa lunghezza in due stagioni uguali alla distanza di M molti secoli, ecc. » Un termometro od un corpo qualunque, sotto l’azione di una sorgente calorifica, soffrirà » un abbassamento di temperatura, ogni qualvolta si allontani la sorgente medesima, o in » ogni altro modo se ne diminuisca l’azione; nè il prolungare il tempo farà che esso riprenda » la primiera temperatura; e quindi non saravvi il supposto compenso. Determinare la quan- » tità di calorico che cade sopra un corpo in vari tempi, è ben altra cosa che determinare » la temperatura che presenterà in detti tempi diversi ». — 305 — fatta ad oggetto di sparger luce su tale argomento, non potrà riuscire a me che aggradevole. Questo pure conviene che da me si premetta; che le prime due furono da me comunicate allo stesso signor Fauverge; al quale parimenti debbo at- testare la mia riconoscenza, e per la somma cortesia colla quale egli volle accoglierle, e per l’ interessamento che egli ne prese. In forza però della loro prolissità, desiderò egli che io le riducessi a maggiore brevità, onde poterle nel corso di una , delle adunanze della illustre Società Geologica di Francia comunicarle alla medesima- Che se dopo di avere seguito il suo consiglio , mi parve di doverle ritirare; questo fu solo per essermi avveduto che, spo- gliate esse di quelle partiort des jblocs erratiques sur des glaces uni- verselles, etc.; la quale io ignorava allorché scriveva questa lettera. Al — 306 — per le quali può con tutta ragione supporsi che le regioni deU’enfiisfero set- tentrionale, abbiano un tempo soggiaciuto ad una temperatura assai più bassa deir attuale. Attribuisce egli un effetto notevole rispetto a ciò alla diminu- zione secolare della eccentricità; lo che a me pare essere al di sopra di quanto può ragionevolmente supporsi. L’eccentricità della ellisse che descrive la terra, che non è troppo grande per sò stessa , per quanto si asserisce ed è stato determinato dagli astronomi, non soffre che una diminuzione tenuissima, sì che essa si considera quasi insensibile nel corso di un secolo; e precisamen- te = 0,00004299. Dodicimila anni, poiché di tanto egli risale co’ suoi com- puti, onde considerare quell’epoca in cui il nostro emisfero ebbe a cuoprirsi di que’ ghiacci immensi che lasciarono di sé tracce sì evidenti , trovandosi, in forza della precessione degli equinozi, nell’ inverno mentre la terra era nel- l’afelio; questo periodo, io dico, non comprendendo che soli 120 secoli, non può conseguentemente rappresentare che una quantità poco valutabile. Ciò però sia detto relativamente all’ultima e più recente delle alternative consi- derate da lui, e dipendenti dalla suaccennata precessione degli equinozi: quella che appunto rimonta a circa 12m. anni addietro (come ella vede, senza te- ner conto qui dell’ epoca precisa nella quale trovavasi la terra nell’ afelio al solstizio invernale), mentre per le altre anteriori dipendenti dalla causa me- desima, cui parimenti egli accenna, avvenute probabilmente, come egli sup- pone, durante la deposizione de’ terreni terziari, la differenza può rendersi forse di qualche considerazione, e tanto più quanto maggiormente si risalga indietro; avvertendo però di non oltrepassare quell’epoca, di cui in vero non potrebbe ora fissarsi un limite preciso; nella quale si ha ad ammettere nella superficie della terra un equilibrio stabile di temperatura, per trovarsi essa, servendomi della espressione dell’ Humboldt, fra 1’ incandescenza degli strati interni, e la bassa temperatura degli spazi celesti , l’una cosa compensando sensibilmente l’altra. Conviene in somma, io dico, restringersi a quell’epoca iu cui le stagioni , come nota lo stesso Fauverge , potevano farsi sentire , avendo allora la terra perduta una certa quantità del suo calore proprio; ed essendo non meno cessata quella condizione, supposta dallo stesso Hunboldt, perchè non solo alcuni animali propri di climi adusti, ma quelle piante che non reggerebbero ai climi del nord, poterono un tempo vivere nelle legioni attualmente le più fredde. Accennai qui sopra alia picciolezza della eccentricità dell’ orbita terre- stre; ed in vero gli astronomi generalmente ci dicono che essa non si allon- — 307 — tana di molto da un circolo. In fatti essa non può considerarsi die di poco momento rispetto all’ orbita stessa, essendo, come ora viene precisata, non piu che 1685 cento millesimi della sua media distanza dal sole. Questa ec- centricità però, posto che la media distanza dei due astri rappresenti 23984 raggi terrestri, ed ammesso che il raggio medio terrestre a 45.° di latitudine sia di 1432-7 leghe di 25 al grado, ovvero di 4444 metri; questa eccentricità, io dico, ascenderà a 578998 leghe, od almeno a leghe 578880, ove si tenga la distanza media del sole dalla terra = 34.354950 leghe, o in numero tondo .579,000 leghe. La differenza quindi tra la massima e la minima distanza del sole dalla terra nelFapogeo, e nel perigeo, può valutarsi approssimativamente = 1,158,000 di leghe. Non è questa certamente una quantità notabile a petto alle distanze degli astri fra loro; ma è pure qualche cosa, e tale da tenersene conto; e l’osservazione ce lo fa conoscere. Parlo del diametro apparente de! sole nel suo apogeo e nel suo perigeo, il quale nel primo caso è = 5836”, 3, e nel secondo = 6035”7 ; o forse piu precisamente 31'30”1 e 32'34”6 ; in che è forza conoscere un’effetto ben sensibile della diversa distanza del sole da noi ne’ due opposti punti. Ho creduto di doverle accennare queste poche cose, le quali, a mio parere, ci fanno conoscere nella eccentricità una con- dizione da tenersi da noi siccome valutabile ne’ suoi effetti, anzi che di pic- cini conto , quale forse può sembrare a prima vista ; perciocché avvi pure chi tiene che più della diversa distanza de! sole dalla terra nell’apogeo, e nel perigeo, alla freddura del polo nord circa 12 mila anni addietro, ed alla for- mazione dei ghiacciai in tanta copia, possa avere influito la maggiore obbli- quità dell’ecclittica in quell’epoca remota. Anche questa, ove abbia veramente a tenersi siccome costante e progressiva la diminuzione dell’angolo che fa il piano della medesima coll’ equatore , avrà cospirato all’ effetto , e lo stesso Fauverge lo avverte; ma se l’opinione non m’ inganna, io penso che la prima di dette condizioni possa avere dato principalmente cagione al fatto. Quale però di esse: l’eccentricità, o la maggiore obbliquità dell’ecclittica , abbia a tenersi siccome preponderante, è ciò che può solo chiarirsi chiamando il cal- colo in soccorso- Non pertanto rispetto alla obbliquità dell’ ecclittica mi permetterò di osservare , riferendo setnpre il mio discorso alla più re- cente delle alternative accennate dal Fauverge; cioè all’epoca di circa 12 mila anni addietro, che, ammettendosi che l’obliquità del piano deH’ecclittica diminuisca di soli 52” per secolo, essa non doveva nell’epoca predetta essere che di 1°>44' soltanto maggiore che al presente. Che una tale differenza, dod - 308 — sfa tale da produrre grandi effetti , è ciò che in vero pare a bella prima i considerando le cose superficialmente. Ripeto però, il calcolo soltanto è quello che può togliere ogni incertezza] ed esso solo varrebbe a farci conoscere di quanto più lunghe fossero le notti invernali, segnatamente nelle regioni poste nelle più alte latitudini; quale diminuzioni nell’azione riscaldatrice del sole potesse riuscire dalla maggiore obbliquità de’ suoi raggi; questi ed altre cose meritando di essere prese in considerazione, e con ogni esattezza precisate, af- fine di portare un fondato giudizio su questo punto di geografia- fisica, che occupò l’attenzione di tanti illustri fisici e geologi, e che talvolta li trasse iad ipotesi non sempre degne de’ loro inventori; tutto ciò senza alcun utile della scienza, e senza che i più considerati se ne tengono soddisfatti. Qnalunque però sia da tenersi come circostanza prevalente, quella che risulta dalla precessione degli equinozi, o l’obbliquità del piano deU’ecclittica, certo ambedue hanno a considerarsi siccome cospiranti, e tali, io credo, da essere for.se adequate al fatto di cui si vuol rendere ragione , e quindi va- levoli a dare origine ai giacciai, di tanto più estesi un tempo sul nostro emisfero. Consentaneamente a ciò , ed a quanto aveva già espresso fino dal 1843 lo stesso signor Fauverge , non solo il D’ Archiac , ma 1’ Hum- boldt, che vale per tutti, avvertono che anche le minime alterazioni nelle con- dizioni dell’astro che c’ illumina e ci riscalda, si renderebbero sensibili a noi con effetti considerevoli. Il primo di essi dice che la più piccola mutazione nella posizione del sole rispetto alla terra, darebbe cagione a mutamenti no- tevolissimi nella temperatura del nostro pianeta, e quasi esclusivamente; per- ciocché il suo calore si debbe nella massima parte alla sua influenza; ciò che niuno vorrebbe ora negare, e segnatamente dopo le ricerche di tanti fisici, tra’ quali si ha particolarmente a ricordare il Pouillet; dopo di essersi chia- rito che la temperie uniforme della superficie terrestre scenderebbe a 89" sotto lo zero se il sole non fosse ; intendendosi già del calore sensibile, indipen- dentemente dal calore proprio della terra, compensato, come dissi, dalla ir- radiazione, e prescindendo da quello che alla terra possa provenire, al cre- dere del Fourier, dallo spazio interplanetario. E così il secondo nel suo ve- ramente aureo libro, il Cosmos, francamente asserisce che, anche tenui cam- biamenti d’intensità nell’azione del sole, e le alternative di diminuzioni e di accrescimento in esso, quanto all’emissione della luce e del calore, ba.stereb- bero a rendere ragione delle antiche rivoluzioni del globo, e dei più grandi fenomeni geologici. — 309 ~ Pei- quanto valevoli però vogliano reputarsi cotali autorità, di maggior peso hanno a tenersi i fatti; alludendo io con questo ai ghiacciai ed alla bassa temperatura de’ paesi posti alle più alte latitudini nell’ emifero australe , e segnatamente in quelli attinenti all’America; di che vi fu per fino chi volle rinvenire la causa nella minore quantità di stelle in quell’emisfero. Nell’ac- cennare il Fauverge ai ghiacciai del sud dell’ America , nota egli come essi si estendano di 10" più verso l’equatore nell’emisfero australe, che nel set- tentrionale. Attenendoci però al Darwin, nel golfo di Penas, alla Terra del fuoco, i ghiacciai giungerebbero fino al livello del mare, a forse 20" più lon- tano dal polo nell’emisfero antartico, che nell’artico, come aveva già asserito il Buffon nelle sue « Epoche della natura « [Bujfon OEiiv. T. V, pag, 284, ed. Richard.); intorno a che non tacerò a lei qualmente il D’Archiac mostri dubitare almeno, che tale differenza sia forse oltre il vero; ponendo quegli a confi’onto Kunner in Norvegia, a 67“ di latitudine N., con i luoghi predetti a 46“,40' S. ; mentre , osserva quest’ ultimo, ciò accade anche in Islanda, i ghiacci scendendo colà fin presso al mare. Quest’ isola però non estenden- dosi al sud oltre il grado 63, la differenza sarebbe in ogni modo maggiore di 10" fra i limiti dei ghiacciai. Si sa parimenti che i ghiacci a Bauquises circondano le terre di Adelia, Vittoria, di Enderby, di Graham, di Luigi Fi- lippo; che nella Georgia del sud, nella terra di Kerquelen, nell’arcipelago di Sandwich (55“ a 60'’ latitudine S.) il ghiaccio si distende sino al mare. Al quale proposito le ricorderò quanto senza dubbio ella debbe aver avvertito nello scorrere l’opera non ha guari riprodotta dall’ Humboldt [Tabi, de la Na- ture^ Paris 1851) cioè quanto egli dice dello stretto Magellanico (t. 1, p. 164); e ciò in conformità a quanto sappiamo dal Grange delle nevi perpetue e de’ ghiacciai, che giungono fino al lido del mare nelle terre Magellaniche tutte, comprendendo la Patagonia, e le numerose isole del sud. E tanto più note- vole si è la bassa temperatura di quella regione , trattandosi di isole e di continenti di assai picciola estensione, e circondati e intersecati dalle acque, la cui azione nel temperare i rigori del verno, come gli ardori della state, non è chi ignori. Per la qual cosa, se la teoria ci porta a credere a priori che que’ paesi, prossimi al polo, che si trovano nell’afelio durante l’inverno, debbano avere ghiacciai molto estesi; i fatti qui sopra accennati si aggiun- gono a convalidare quanto la teoria medesima ne fa supporre. Meriterebbe ve- ramente che si ponessero a confronto le temperature inedie di paesi a eguali latitudini ne’ due emisferi; ed appunto ciò che riporta 1’ Humboldt nel luogo 310 — di sopra citato, non cho le osservazioni dello Strzeìecki ci presterebbero al- quanti elementi onde istituire sì fatto confronto. Ma questo ci porterebbe sol- tanto a mere probabilità; perciocché affine di sciogliere convenientemente il problema, converrebbe poter valutare e fare entrare nel calcolo tutte le altre cause che determinano la temperatura di un luogo: estensione dei continenti, loro posizione , correnti marine e atmoeferiche, elevazioni, ec. ; ciò che sa- rebbe ora poco meno che impossibile, nello stato in cui per anche si trova la clin)atologia. Non pertanto credo che possa avere qui luogo una considerazione , la quale, a mio avviso, si aggiunge alle altre a prò di quella opinione, che dalle sue considerazioni matematiche aspetta lume tale, da sceverarla da ogni in- certezza: se per le cose premesse si vede, io dico, che quella condizione, in che le terre polari del nostro emisfero dovevano trovarsi durante T inverno, circa 120 secoli addietro, cioè di massima distanza dal sole, vale realmente a fare, che attualmente nelle più alte latitudini dell’emisfero australe, regni una temperatura tale da favorire la formazione di vasti ghiacciai, non ostante la conformazione di quelle terre in isole o continenti di poca estensione; come or ora le feci avvertire, tanto maggiori effetti avrà avuto allora questa con- dizione medesima sui paesi più settentrionali , ove la superfìcie terrestre è occupata da vasti continenti ; ciò che, come Ella sa, basta a fare che una regione soggiaccia a climi estremi. Al che potrebbe forse aggiungersi ancora, l’essere le terre più settentrionali in molti luoghi ingombre da vaste paludi; le quali rappresentano ora altrettanti ghiacciai in mezzo alle pianure; quando però si potesse credere che la loro esistenza risalisse fino all’epoca predetta. Alcuni di que’ fatti che , come ho detto , ci prestano buon argomento per credere che la dottrina del Fauverge sia consentanea al vero , valgono al tempo stesso, se la prevenzione non m’ illude, ad invalidare quell’obbie- zione fatta a lui dal Grange: cioè che alla formazione dei ghiacciai occorra che la temperatura non si allontani di molto ne’ suoi estremi , dovendo in vece, al credere di lui, oscillare intorno allo zero. Può dirsi in fatti, o che la condizione supposta dal Grange non è veramente , come oppose a lui il Fauverge medesimo, necessaria, o che essendo tale essa si verifica nei paesi più australi , li quali trovansi nell’afelio ne’ mesi invernali ; poiché vediamo che realmente esistono colà de’ ghiacciai , come si può credere che esistes- sero 12 mila anni addietro nelle terre settentrionali. Che i luoghi che nel- r inverno si trovano nell’afelio, debbono avere inverni più crudi, e stati più — 311 — calde, è ciò che, come faceva osservare il Faiiverge, sembra veramente a prima vista; poiché in quest’ ultima stagione, essi si trovano nel perielio. Abbiamo però qualche fatto che lo contradice: per esempio, ne’ paesi di sopra men- zionati, la terra di Kerquelen, e l’arcipelago di Sandwich, posti fra li 55° e 60° di latitudine S., la temperatura delia state e del verno non differisce di molto. Nello stretto Magellanico , tra li 53° e 54° di latitudine , come accennai di sopra, al dire dell’ Humboldt , mentre il sole resta per 18 ora sopra l’oriz- zonte , il termometro discende fino a 4°,8 : « Nevica , soggiunge egli , colà » quasi tutti i giorni nella pianura, ed il più grande caldo che il Churruca )) vi abbia osservato nel mese di dicembre del 1778, conseguentemente nella » state, non oltrepassava li 9“ ». Giova poi il dire che in generale si tiene che nelle terre antartiche, la temperatura della state e dell’ inverno, non dif- feriscono molto fra loro; e di più che questo per avventura combina co’ prin- cipii e con alcune osservazioni altrove esposte dallo stesso signor Grange. In effetto non solo pone egli come fatto generale che ne’ climi insulari e pe- ninsulari , le temperature estreme dei mesi più caldi e dei mesi più freddi differiscono assai meno, che nei climi continentali ; ciò che egli ricorda ap- punto favellando delle regioni antartiche , ma ne adduce molti esempi , se- gnatamente nelle tavole che egli aggiunge alle sue Recherches sur les gla- ciers, etc. [Bui. de la Soc. Géol. 2.^ ser. t. 3 , p. 280 , et s.) Chè anzi si tiene da lui la confermazione predetta di quelle regioni antartiche, essere ciò che principalmente rende la temperatura delle due opposte stagioni , non diffe- rente colà di molto fra loro, e che questo favorisca la formazione dei ghiacciai. Qualunque però sia 1’ opinione di lui sulle genesi dei ghiacciai in generale , ciò che non sarebbe qui luogo di prendere ad esame; qualunque deduzione voglia esso trarre dai fatti da lui rifeiàti , basti il dire che essi sono pie- namente consentanei a quanto da me qui si vuole addurre a quest’uopo. Ap- presso a che io credo potersi dire, che forse il signor Grange a ragione con- tradiceva l’asserzione del Fauverge, quanto alla supposta temperatura de’ mesi estivi, limitatamente però all’ emisfero australe; perciocché essa si vide non avere realmente effetto in quelle regioni; ma che ciò non bastava a combat- tere la sua dottrina sulla causa dei ghiacciai nelle terre polari del nostro emisfero nell’ epoca da lui indicata ; al quale effetto sembra a me che per giungere a tanto, sarebbe occorso che egli avesse potuto escludere l’esistenza dei ghiacciai, e la loro protrazione ne’ paesi continentali, siccome quelli in cui all’opposto le temperature estreme differiscono notabilmente fra loro. — 312 — Quantunque, come ho detto, ogni discussione intorno alla dottrina dei sig. Grange, fosse per essere cosa del tutto estranea al nostro proposito, mi permetterò accennarle una sola riflessione; poiché risguardante cosa, che di- rettamente starebbe in opposizione all’opinione del Fauverge, ed a quanto io stimo doversi credere intorno alla temperatura attuale dell’emisfero australe. Noterò, io dico, che mentre al credere del signor Grange, non è dessa infe- riore a quella dell’emisfero nostro, riportandosi egli per questo alle predette tavole, che fanno seguito alla sua nota di sopra ricordata; nelle tavole me- desime si trova d’altronde indicata la temperatura di Port Famine a 53°, 38' di latitudine S. ed insulare , 1’ unico luogo de’ paesi appartenenti alle terre antartiche in esse registrati , posti ad alte latitudini , siccome notabilmente inferiore, non solo a quella di altri paesi a pari latitudini N., ma pure ad alcuni non pochi, situati ad anche più elevate latitudini settentrionali, quan- tunque continentali ; lo che, come si vede, può fare supporre, almeno nella quasi totale ignoranza in cui siamo della climatologia di quella parte del mondo, che l’emisfero meridionale abbia veramente una temperatura inferiore a quella che da lui si suppone, come portano a credere i molti ghiacciai che cuoprono que’ luoghi; o che almeno i suoi principii sulla relativa tempera- tura di ciascheduno emisfero, meritino di essere meglio convalidati. Come le dissi in altra mia lettera, taluni si mostrano contrari a questa dottrina, poiché essi credono che non sia basata sulle cause attuali, e quindi opposta ai precetti di quella scuola, che oggi presso alcuni ha tale dominio, da servire di norma ai loro giudizi. Lasciamo andare che non sempre quelli, che si riguardano come appartenenti all’opposta scuola, si allontanarono nelle loro supposizioni, come si vuol far credere, dalle prefate cause attuali ; ri- portandomi per questo alle considerazioni del signor D’Omalius d’Halloy. Non per questo niegherò io che alcuni sieno ricorsi realmente a cause poco meno che portentose, come può dirsi, trattandosi appunto dei ghiacciai, di quelli che supposero una rivoluzione ghiacciaria universale, un’epoca frigorifica, e simili ; ma il rivolgersi alla precessione degli equinozi, alla maggiore obbli- quità del piano dell’ecclittica, é tutt’altro che allontanarsi dalle cause che at- tualmente agiscono in natura. Non potrà certamente opporsi al Fauverge, che egli declini da tali cause, dappoiché null’altro da lui si fa intervenire che il calore maggiore o minore del sole a norma della sua distanza, o della ob- bliquità dei suoi raggi. Così non credo che alcuno vorrà porre in mezzo con- tro di lui il considerarsi l’azione del sole, quale doveva essere in epoche al- — 313 — quanto remote, dal che nè egli nè verun’altro potrebbe cansarsi , volendosi per lo appunto rendere ragione di un fatto che appartiene a cotali epoche. E se il Prevost riuscì a mostrare di non offendere i precetti severissimi di quella scuola, fondando il suo ragionamento sui sollevamenti delle montagne; fatto geologico, il quale, se non può dirsi del tutto cessato, si è però reso tale, che i piccioli mutamenti di elevazione che tuttora si operano alla su- perficie della terra, richiesero tutta l’attenzione di abili osservatori per essere avvertiti ; altrettanto potrà dirsi della conghiettura del Fauverge. Chè anzi in quest’ultima si ricorre ad una ca'usa, la quale al presente è nella sua piena azione, considerandosene soltanto una piccola alterazione. E molto meno io penso, vorrà opporsi l’appoggiarsi esso a mutamenti astronomici, anziché a cause puramente geologiche, essendo ornai superfluo il dimostrare come tutti i fenomeni mondiali e cosmici, sieno strettamente collegati fra loro ; le va- rie discipline scientifiche null’altro essendo che divisioni artificiali, puramente immaginate onde soccorrere la ristrettezza della mente umana. Sottopongo a lei queste mie poche considerazioni , ed attendo sentire cosa ella opini intorno a questa dottrina del geologo francese; pregandola al tempo stesso a dirmi se a lei paia che io abbia colto nel segno, o se quella prevenzione che concepii fin da principio per questa dottrina, mi abbia tratto fuori di strada. Questa mia prevenzione fu determinata dal sembrarmi che la sua opinione non contenga cosa d’ ipotetico ; ciò che non è piccolo me- rito in fatto di scienze, e di geologia. In fine essa può in gran parte ridursi a calcolo, e ciò che più vale, fondandola su dati certi, e ben stabiliti. Vor- rei essere io in grado di illustrare questa dottrina, adoperando questo mezzo; ma ella sa che le mie forze in questo mancano del tutto. Ella può farlo , piacendole, e lo desidero. Perdoni la noia di questa lunghissima lettera , e mi creda sempre con somma e sincera stima Di Pesaro 2 aprile 1852 Suo Dmo. Serv. D. Paoli SECONDA LETTERA Le cose che ella si«è degnata comunicarmi intorno alla dottrina del Fauverge, meritavano di essere ponderate, ed è questa la cagione del mio ritardo a scriverle- Incominciando ora dalla graditissima sua del dì 11 dello 42 — 314 — scorso mese; nella quale ella ha voluto con tanta precisione rappresentare e porre a confronto la condizione della terra rispetto al sole nell’epoca attuale, e in quella di circa 12 mila anni addietro ; appresso a che ella mi poneva sott’occhio quanto si dice dal Francoeur, riguardo alla temperatura dell’emi- sfero S.; ecco quelle considerazioni che mi sembrano venire a proposito- Che l’emisfero N- o boreale, come ella giustamente deduce dalla varia posizione del sole in forza della precessione degli equinozi , in quell’ epoca antichissima, nella quale essa trovavasi nell’ inverno, allorché la terra era nel suo afelio , dovesse avere le stati più calde per la maggiore vicinanza del sole, ma più brevi ; ed all’opposto gl’ inverni più freddi per la maggior di- stanza dell’ astro medesimo, e più lunghi ; pare a me essere cosa del tutto evidente, ove ciò si consideri nudamente, e si prescinda da quelle altre con- dizioni, che possono alterare la temperatura di una regione. Innanzi però di esporre le ragioni per le quali credo che la cosa stia veramente come da lei si tiene, mi permetta che io le accenni alcune riflessioni relative a quanto si pensa dal Francoeur. Frasi già da altri avvertito al meggior tempo, che nell’epoca attuale il sole impiega a percorrere i segni settentrionali del zodiaco, e quindi al mag- gior numero di giorni che passano dall’ equinozio di primavera a quello di autunno , che da questo a quello ; chè anzi la temperatura propria dei due emisferi nell’epoca nostra, e l’azione del sole, avuto riguardo alla sua mag- giore 0 minore distanza dalla terra, ed alla sua maggiore o minore velocità nel percorrere le due diverse parti dell’ ecclittica , richiamarono già l’atten- zione d’ illustri fisici: de Mairan, Epino, Lambert, non cha del Prevost, che l’opinione dei primi espose, e prese ad esame nel pregievolissimo suo libro : Du calorique rayonnant. Attenendomi pertanto a quanto ne riferisce que- st’ultimo , non essendomi riuscito consultare le opere di quelli , il Mairan , quantunque egli consideri quattro elementi siccome atti a modificare l’azione calorifica del sole sulla terra: 1.® il seno delle altezze solari nell’uno e nel- l’altro solstizio; 2.® la diversa intensità della luce dopo il suo passaggio più o meno obliquo attraverso 1’ atmosfera ; 3.° le varie distanze del sole dalla terra; 4.° i quadrati degli archi semi-diurni, o della lunghezza dei giorni; e quantunque egli avvertisse alla durata delle stagioni, come circostanza vale- vole a produrre qualche alterazione negli effetti del calore solare ; trascu- rando quest’ultima, mostra volere preferire esclusivamente la diversa ditanza, o elemento terzo. All’opposto Epino, facendo interamente astrazione dalla di- « — 315 ~ stanza , tutto accorda alla durata delle stagioni fredde e calde. Il Prevost però accennando alla necessità di prendere a calcolo e l’una e 1’ altra cosa, « la distanza e la durata » , riferisce il seguente teorema, col quale, al dire di lui, il Lambert ha saputo combinarle, cioè : u La quantità di calore che riceve dal sole la terra, od un pianeta qualunque, cresce proporzionalmente all’anomalia vera ». Appresso a che il Lambert medesimo, dopo di aver data la dimostrazione di questo teorema , soggiunge , come riferisce il Prevost : « Si vede da ciò che ove si tratti del riscaldamento della terra, in luogo del tempo può impiegarsi P anomalia vera, o la longitudine vera. Con questo si elimina la distanza variabile, e si semplifica il calcolo. Questa ineguaglianza per la terra è troppo piccola, perchè possa prendersi in considerazione ». Lo stesso Prevost però avverte che, quantunque la diversa distanza del sole dalla terra costituisca « un elemento assolutamente nullo, in un calcolo in cui si tratti di porre a confronto le quantità totali di calore, versate dal sole, men- tre esso percosse due archi eguali dell’ ecclittica «....» allorché trattasi di paragonare le quantità versate in un tempo determinato, per esempio in 24 ore, questo elemento non è nullo, e conviene prenderlo a calcolo » ; ciò che ripete anche in altri luoghi dell’ opera medesima ; chiaramente esprimendo che la predetta dimostrazione del Lambart non è applicabile a questo caso; e che perciò conviene tener conto della diversa distanza del sole dalla terra. E mi piace vedere che in questo ella pure convenga, e creda che perciò nel perielio, la terra abbia a risentire maggiormente l’azione sua calorifica, e con- seguentemente che , se nell’ epoca attuale il maximum estivo boreale deve essere, a pari circostanze, più basso che non era in quell’epoca lontanissima, nella quale esso ricorreva, essendo la terra sul perielio; al contrario il ma- ximum invernale debba essere meno forte che non fu allora; e finalmente che r inverno che ricorre mentre la terra trovasi nell’apogeo, debba avere un raf- freddamento assai maggiore ; ciò che è quanto conviene nell’ epoca nostra all’emisfero australe ; ed all’ernisfero settentrionale conveniva circa 12 mila anni addietro. Dirò anzi che lo stesso Prevost conchiude quella parte del suo libro , in cui egli prese a disculere 1’ influenza del sole rispetto alla terra , dicendo : « Mi sembra in fine, dopo di avere maturamente considerati i fatti, che possa conchiudersi senza temerità, che fino ad ora le osservazioni pre- sentino il risultato medesimo della teoria: cioè, che Vemisfero australe è più freddo del boreale nelle alte latitudini » (p. 381). Io penso però che il fon- darsi interamente sn questo, sarebbe un dare all’autorità un peso soverchio; — 316 — imperocché quanto dal Prevost, e dai predetti fisici si vuol dimostrare e con- chiudere, non potrebbe più, e ciò dicasi senza mancare menomente alla ve- nerazione ad essi dovuta, ed al loro sapere, non potrebbe più, ripeto, pren- dersi per sola e certa norma de’ nostri ragionamenti, sendo che ne’ loro cal- coli, e nelle loro considerazioni non poterono essi comprendere alcuni elementi, di cui la scienza si è arricchita dappoi; e dirò anzi che alcuni dei principii, da essi posti come fondamento delle loro deduzioni, non potrebbero più ac- consentirsi nello stato attuale della scienza medesima- Ciò però non toglie che alcuni dei loro dettati, e segnatamente del Prevost non meritino di essere richiamati , e che essi non possano servire a meglio chiarire questo argo- mento. Sarebbe bensì, io penso, per altra parte superfluo il prendere ad esame la dimostrazione che pone in campo il Lambert, forse quella cui si riporta, come ella dice, il Francoeur, e che senza dubbio, quanto alla precisione del calcolo, debbo tenersi superiore a qualunque eccezione; mentre qui più che di altro, si tratta di stabilire i fatti, per poi su di essi fondare le dimostra- zioni, e le analisi matematiche. Lasciando ora pertanto questa forse troppo lunga digressione, nella quale fui tratto dal desiderio di dare a lei un cenno di quanto per lo innanzi si fece intorno a questo argomento , tornerò all’opinione del Francoeur da lei comunicatami. Tiene questi , come ella mi dice , che la maggior lunghezza della porzione di ellisse che percorre il sole (parlo secondo i moti apparenti), mentre è nell’ apogeo, compensi, rispetto alla sua influenza calorifica relati- vamente alla terra, la sua maggiore distanza; per lo che, e pel principio che il sole versi la stessa quantità di colore nelle due proporzioni di ellisse, di- vise da una linea condotta pel sole medesimo , egli crede di provare che gl’ inverni attuali deH’emisfero australe, sebbene accadono nell’apogeo, e sieno più lunghi dei nostri, pure debbono essere egualmente freddi dei nostri; anzi ritrova nella maggiore lunghezza un compenso alla minore intensità del ca- lore, perchè gli australi, alla fine del loro inverno, vengono ad avere ricevuta la stessa quantità di calore, che noi nel nostro inverno ; lo che, siccome è chiaro, è in opposizione diretta con quanto crede il Fauverge della freddura degli antichi inverni boreali; che similmente dovettero ricorrere nell’apogeo. Egli ammette dunque, ciò che non potrebbe veramente in modo alcuno nie- garsi, che l’azione calorifica del sole, nudamente considerata, sia tanto mi- nore rispetto alla terra, quanto maggiore è la sua distanza; ciò che si am- mette non meno dal Lambert, se nella sua dimostrazione egli elimina o tra- — 317 — scura questa distanza meramente in vista della sua picciolezza; e solo crede il Francoeur che un tale difetto sia compensato dalla estensione, o più giu- stamente dal tempo che il sole impiega nel percorrere quella semi-ellisse da esso lui considerata: cioè dallequinozio (parlandosi dell’epoca attuale) di pri- mavera, a quello di autunno. Se in fatti 1’ azione calorifica di una sorgente qualunque di calore non decrescesse per la sua lontananza, la terra ed i pia- neti riconoscerebbero dalle stelle più che dal sole la loro temperatura « Lucis proprium est caler; sidera omnia calefaciunt )) (Kleper). Che se si potesse, da ciò che ha rispetto alla luce, desumere qualche induzione relativamente al ca- lore , verrebbe qui a proposito il richiamare alla memoria quanto asserisce l’Arago: che per ottenere una luce eguale a quella del sole sul nostro globo, converrebbe riunire 20,000 millioni di stelle eguali a Sirio; e ciò, come si vede, per la loro incalcolabile distanza; mentre per altra parte il disco del sole non occupa che 0,000,005 della volta del cielo. Su tali principii i fi- sici dedussero l’azione, che con tutta ragione può credersi avere il sole sui diversi pianeti che compongono il nostro sistema solare « Nam lux solis, cui caler proportionalis est , septuplo densior est in orbe Mercurii , quam apud nos )) (Newton). E se V Humboldt, dopo di avere considerata la diversa in- tensità della luce ne’ pianeti, non prende a determinare quella del calore ri- spetto ai pianeti medesimi, egli se ne astiene, perchè l’effetto calorifico del sole, come egli dice, può essere modificato da altre condizioni (Cosmos t. 3, p. 506). Dopo di che, volendosi più particolarmente considerare queste due cause, che, al dire del Francoeur si compensano fra loro; quanto alla distanza del sole , a dimostrare come l’azione di quest’astro debba farsi minore a mi- sura che esso si allontana da noi , basterebbe certo quanto ella pure giu- stamente avverte ; che a questo centro raggiante debbo applicarsi la legge comune a tutte le sorgenti calorifiche, calcolandone perciò l’azione in ragione inversa del quadrato delle distanze ; legge che per lo appunto risulta dalle sperienze del Lambert medesimo; e ciò che più vale, verificata e meglio chia- rita dal Melloni, a cui la teoria del calore debbe cotanto, e poscia dal Zan» tedeschi. Nè credo che alcuno vorrà porre in dubbio se questa legge , che risulta da esperimenti , istituiti sopra corpi artificialmente riscaldati , debba estendersi al calore solare; dubbio che io stimo superfluo combattere. Quan- tunque però io creda ciò bastevole a chiarire quanto ha rispetto alla varia azione calorifica del sole a nome della distanza, non lascierò di addurre al- — 318 — l’uopo quanto il Prevost espresse già a tale proposito. Posto il principio che a pari circostanze il calore che entra in un corpo, esposto all’azione di una sorgente o centro calorifico, in un dato tempo, è proporzionale alla inten- sità di quest’ultimo ; egli ne deduce che il calore prodotto dal sole è pro- porzionale airaccumulazione de’ suoi raggi, al tempo stesso che da lui si at- tribuisce una maggiore intensità ai raggi solari nel perielio, che nell’afelio; lo che è quanto basta a far conoscere come alla mia opinione sia conforme alla sua. Dirò poi che io provai non poca soddisfazione nel leggere, che egli fissa questo rapporto della densità dei raggi solari nell’afelio e nel perielio = 14:15; combinando ciò quasi perfettamente con quanto ella mi disse risultare dai suoi calcoli, e senza che a lei fosse noto menomamente quanto crasi esposto già dal fisico predetto. Potrebbe forse dirsi che la terra nell’ afelio, oltre il ricevere raggi calorifici di una minore intensità, per la sua maggiore distanza deve intercettare, come avvertiva il Malte-Brun un minor numero dei raggi medesimi. Questa differenza però non potrebbe essere che minima, e quindi tale da potersi senza errore sensibile tr^iscurare affatto; e forse inchiusa, come ella opina, nella ragione inversa de’ quadrati della distanza. Rimane ora a parlarsi dell’altra delle circostanze considerate dal Fran- coeur, appoggiandosi egli, come dissi, a questo: che il sole versa eguale quan- tità di calore sulla terra nell’una e nell’altra parte dell’ecclittica settentrio- nale ed australe; credendo perciò che la maggiore distanza in che si trova il sole in una di queste porzioni di orbita, sia compensata dalla sua durata maggiore ; per lo che se il calore arriva alla terra meno intenso, ciò viene bilanciato dalla maggiore estensione. Intorno a che pare a me che in gene- rale potrebbe opporsi che, comunque si ammetta, nel modo che vuol il Fran- coeur , che il sole versi sul nostro pianeta eguale quantità di calore in ambe le parti dell’ecclittica, che esso percorre fra l’uno e l’altro equinozio; ciò poco importi al caso nostro, quanto alla terra, anziché del calore emesso dal sole, convenendo tener conto soltanto di quanto essa ne riceve; lo che dipende direttamente , non già dalla quantità irradiata da esso , ma bensì dalla intensità sua ; la quale necessariamente è tanto minore quanto mag- giore è la distanza. Intorno a che , e forse più direttamente, sembra a me potersi dire , non essersi dai fisici predetti avvertito , ciò che sommamente importa; e che se l’opinione non m’ illude, vale a porci in sulla via di scio- gliere questo problema; come, supposta ancora la perfetta eguaglianza nella quantità o somma di calore, che il sole irradia nelle due semi-ellissi che esso 319 — descrive nel suo corso annuo, e dicasi anche, se così si vuole, che la terra riceve ; quella somma da esso irradiata trovandosi nell’apogeo, debba distri- buirsi sopra uno spazio maggiore di tempo; ciò che non può a meno di pren- dersi a calcolo, ove si cerchi conoscere, non già la predetta somma o quan- tità di calore che una parte della superfìcie terrestre può ricevere in uno spazio determinato di tempo ; ma bensì la temperatura che 1’ uno o 1’ altro emisfero può concepirne. Al che si aggiunge poi, che se questo fa che quel- l’emisfero che trovasi nell’afelio ne’ suoi mesi freddi, non possa prendere quella temperatura cui esso giungerebbe, se quella somma di calore gli pervenisse in uno spazio minore di tempo, esso debba per ciò appunto soggiacere per altra parte ad una maggiore dispersione di calore, sia proprio, sia quello che gli viene dal sole, per l’ iradiazione, evaporazione, ed altre circostanze ancora; come deve credersi dell’emisfero australe nell’epoca nostra, e deve supporsi non meno rispetto all’emisfero settentrionale nell’epoca di cui parla il Fau- verge. La maggiore estensione o lunghezza che impiega il sole nel percorrere i segni settentrionali dell’eccl ittica, compenserebbe forse la sua maggiore di- stanza in quell’epoca dell’anno, e quindi la minore intensità della sua azione calorifica; fatta qui astrazione dalle maggiori perdite di calore, che appunto per questa maggiore durata di tempo deve fare la superfìcie terrestre, quando si dovesse credere che il calore si accumulasse nella massa o alla superfìcie della terra, anzi che disperdersi. Ma poiché esso invece si disperde sempre, e poco meno che per intero, picciolissima essendo la quantità di calore che si concentra, per così dire, nel suolo e fino a poca profondità, non può am- mettersi una tale compensazione. La durata maggiore, se si tratti di un fiume che si versi in un lago , potrà compensare la sua portata , ove il lago non abbia emissario alcuno, ed il diminuire l’una aumentando proporzionalmente l’altra, e viceversa, basterà perchè l’acqua in ambi i casi giunga in fine allo stesso livello. Questo però non sarà se il lago abbia una uscita qualunque : E senza allontanarci da ciò che ha rispetto all’ azione de’ corpi calorifici in genere, può dirsi che un termometro od un corpo qualsiasi, il quale risenta l’azione di una sorgente di calore, soffrirà un abbassamento di temperatura, ogni qual volta si allontani dalla sorgente medesima; nè il prolungare il tempo farà che esso risalga in fine alla primiera temperatola, o a quel grado che indicava innanzi di esserne allontanato ; o forse più giustamente può dirsi ehe, se si collochino due termometri a diversa distanza da un centro calo* — 320 — rifico , e si attenda che essi siensi resi stazionari, per essersi posti in equi- librio ; ed allora si tolga il più vicino , o in qualunque modo s’ impedisca l’azione del corpo riscaldante sovra di esso, lasciando il più discosto sotto r influenza sua; per quanto si prolunghi il tempo, non farà questo che esso giunga mai alla temperatura dell’altro. E qui pure ho ragione di compiacermi vedendo che ciò risulta non meno dalle osservazioni da lei istituite e prati- cate, mediante un’eccellente termoscopio. E le dirò che quasi a caso mi sono in questi dì abbattuto a leggere nella memoria dei signori de la Prevostaye e Desains, sul potere assorbente dei corpi rispetto al calore raggiante, chia- rissimamente espressa questa legge relativa al rissaldamento dei corpi , ciò che qui trascrivo per intero, credendo farle cosa gradita « Lorsque dans une » enceinte à temperature t, un thermométre est arrivò, sous l’action d’une » source constante, à un degrè stationnaire 5, la quantité de chaleur que, )) dans l’unité de temps il gagne par son échange avec la source, est pre- » cisement égale à celle qu’ il perd par le contact de l’air, et par son échange » avec le reste de Ténceinte ». Ann. de Ch. et de Phys. 3." ser. t. XXX , pag. 432. Si perverrà veramente ad un punto in cui potrà dirsi con tutta precisione, che ai due termometri irradiò la sorgente una eguale quantità di calore, come il Francoeur dice del sole rispetto alla terra; ed anche più esat- tamente ad un punto in cui il termometro, che più lungamente rimase sotto r influenz?. del corpo riscaldante , avrà ricevuto da questo una quantità di calore .eguale a quella, che aveva ricevuto l’altro in un minore spazio di tempo, per esempio, ove si quadruplichi il tempo, essendo i due termometri ad una doppia distanza; ma non per questo avrà ragione di dirsi, che essi ne sieno stati egualmente riscaldati; ciò che è chiaro. Non saravvi dunque il supposto compenso. Ciò non avrà luogo poiché quel termometro , e ciò può dirsi di ogni altro corpo, alla sua volta irradierà il proprio calore acquisito agli altri corpi circostanti, e lo disperderà nell’ aria ambiente, come la terra fa collo spazio. Potrà valutarsi, ripeto, il tempo ove si tratti di determinare la quan- tità di calore che un corpo riceve, non già ove voglia conoscersi, come nel caso nostro, la sua temperatura. Quando in somma non possa ammettersi l’ac- cumulazione del calore, escludendo l’irradiazione, questo basterà a mostrare l’ insussistenza del compenso supposto dal Francoeur. lo credo poi che in luogo di tener conto del tempo, e dei giorni, che il sole impiega a percorrere la semi-ellisse settentrionale, cioè dall’equinozio di primavera a quello di autunno, per calcolare la quantità di calore che il sole — 321 — versa sull’emisfero australe dal numero dei giorni medesimi, maggiore di quelli che passano mentre esso percorre l’altra metà della ellisse più prossimamente alla terra ; convenisse por mente a questo : che 1’ emisfero australe in quel tempo, oltre ciò che proviene dalla maggiore distanza del sole, soffre, come ella avverte , più lunghe notti, e quindi un numero maggiore di ore in cui l’azione del sole è nulla sulla sua superfìcie; la quale per altra parte si raf- fredda continuamente per 1’ irradiazione. Analogamente a ciò il Prevost, fa- vellando della irradiazione terrestre , avvertiva che « essendo il calore rag- giante prodotto dal calore proprio della terra in ambidue gli emisferi pro- porzionale al tempo, ed essendo l’ inverno australe più lungo del boreale, a un dipresso nel rapporto di 373 a 357, l’irradiazione d’inverno dev’ essere più grande in quell’emisfero ». Se in luogo però di considerare la lunghezza delle notti per dedurne, come fin qui ho fatto, 1’ irradiazione e quindi il raffred- damento che ne conseguita, si ponesse a calcolo il tempo in cui il sole il- lumina e riscalda nell’ inverno 1’ emisfero australe , e la superfìcie che gode della sua influenza; comechè quella stagione sia di circa 7 giorni più lunga, senza dubbio si giungerebbe a dimostrare la verità medesima, ed a far co- noscere come quella parte della terra debba essere necessariamente più fredda dell’altra; ed il Pouillet ci somministra gli elementi necessari per calcolarne l’effetto; conchiudendo egli dalle sue ricerche che il sole versa sulla terra una quantità di calore, che egli rappresenta == 17633, per minuto, e per centi- metro quadrato; di cui l’atmosfera assorbe a cielo sereno lì 0,4 Per la qual cosa, ammesso anche il principio, posto dal Francoeur, che il sole irradi sulla terra una eguale quantità di calore in ambedue le porzioni della ellisse; l’emi- sfero australe, e segnatamente le terre poste alle più alte latitudini, riceve- ranno nondimeno in effetto nell’inverno una minore quantità di calore. Dopo di che sembra a me chiaro abbastanza che l’emisfero australe debba soffrire nell’ inverno un maggiore raffreddamento del boreale ; perciocché , anzi che- avere effetto la supposta compensazione, concorreranno a questo, siccome cause cospiranti , e la minore intensità de’ raggi solari per la lontananza di que- st’astro, e un maggiore raffreddamento per le notti più lunghe, e finalmente un minore riscaldamento pe’ giorni più brevi, e per una minore estensione della sua superfìcie illuminata, e riscaldata dal sole medesimo (1). Le quali (1) La brevità dei giorni costituirebbe senza dubbio una notevolissima condizione, op- posta al riscaldamento della terra, ed alla immaginata compensazione. Non solo però la bre- 43 — 322 — considerazioni mie rispetto al raffreddamento della terra nelle notti in- vernali , sembrano a me del tutto conformi, od almeno fondate sullo stesso principio, da cui ella deduce il suo maggiore riscaldamento nella state, per essere in questa stagione gli acquisti diurni di calore al di sopra delle per- dite notturne. Non vorrà, io penso, q ciò sia detto onde considerare la cosa da tutti i lati, supporsi un compenso diretto fra la temperatura dell’uno e dell’altro emisfero, o fra quella dell’una e dell’altra stagione. Non potrà, io dico, sup- porsi che la temperatura di un emisfero valga a moderare quella dell’altro, ciò che a me sembra evidente di per sè , principalmente ove si tratti delle regioni circumpolari. Il Prevost così , dopo di avere indicate le circostanze che possono dar cagione a qualche equilibrio fra le temperature delle regioni prossime fra loro, francamente asserisce che questo non può avere effetto fra le regioni boreali ed australi le più distanti le une dalle altre. In vero non può niegarsi che una regione possa modificare fino ad un certo punto la tem- peratura di un altra; ciò che sarebbe in opposizione a quanto, a cagione di esempio, tanto ponderatamente si dice daH’Humboldt, della influenza del con- tinente dell’ Affrica sulla temperatura dell’ Europa meridionale , ciò che noi spezialmente possiamo dire di toccare con mano; ma ove si tratti di regioni situate sotto le più alte latitudini dell’uno e dell’altro lato dell’equatore, una tale azione reciproca non potrebbe ammettersi in verun modo. Ed ella av- verta che io intendo qui della influenza diretta o immediata di una regione sull’altra ; giacché con questo non voglio oppormi a quanto può credersi di ciò che accade per mezzo delle correnti marine, e atmosferiche- Ho voluto , vità dei giorni invernali è ciò che, a ben considerare la cosa , deve prendersi a calcolo in questo caso; occorrendo por mente eziandìo alla maggiore obbliquità dei raggi solari. Os- servazione ovvia ad ognuno si è quella, che il calore del sole presso all’orizzonte si rende d’ assai inferiore a quello di quest’ astro presso al meriggio; sì che esso nella prima di tali posizioni si rende appena sensibile anche nella state. Ora però ci è dato alla osservazione popolare aggiungere quanto la scienza ci suggerisce , dappoiché i fisici , tra quali debbono menzionarsi principalmente il Melloni e il Volpicelli, hanno preso ad istudiare l’azione delle sostanze diatermiche sui raggi solari , o in altri termini il diverso grado di assorbimento che patiscono le varie specie di elementi calorifici, contenute nel raggiamento solare, attra- versando diversi corpi diatermici ; è dappoiché per esperimenti diretti si é veduto confer- mare quanto l’osservazione empirica aveva già fatto conoscere; ed in fine si é chiarito essere l’atmosfera terrestre uno di quei corpi che come l’acqua interposta tra due lamine di vetro, non lasciano passare, quando il sole si accosta aU’orizzonte, che una piccola parte del rag- giamento incidente, relativamente a quanto accade allorché essa si trova presso al meridiano. — 323 — come dissi, considerare la cosa anche sotto questo punto di vista, e segna- tamente in riflesso a ciò che ella mi accenna delle osservazioni del Dowe ; il quale dalla media temperatura di ambidue gli emisferi nel gennaio, e nel luglio, desume prima la media temperatura del globo terrestre ne’ predetti due mesi, e da questa la temperatura media di ambedue gli emisferi; lo che po- trebbe far supporre che egli ammettesse in qualche modo una tale compen- sazione. La media annua che risulta dalle osservazioni termometriche giorna- liere di un paese, indica veramente la temperatura media, o per così dire, il clima del medesimo ; ed in fatti essa corrisponde più o meno d’ordinario a quella che si osserva sul suolo, ad una certa profondità in quello che chia- masi strato di temperatura invariabile. Dirò anzi che la media desunta dalle osservazioni prese su vari punti di una limitata provincia, o, come forse più giustamente dice 1’ Humboldt, sovra un certo numero di punti vicini fra loro, può indicare la temperatura della provincia. Se però si voglia estendere l’os- servazione a climi alquanto disparati, la cosa va diversamente. Se a cagione di esempio si prenda la media fra la temperatura della Calabria o della Cam- pania, e quella della Lombardia, conoscerassi bensì fra quali climi sia com- presa la nostra penisola; ma ciò non ci darà norma alcuna sul clima in ge- nerale d’ Italia ; nè si avrà ragione alcuna per credere che il clima proprio di una delle sue parti influisce su quello dell’altra. Molto meno poi potrebbe ammettersi un compenso fra Luna stagione e l’altra; nè credo, qui pure alludendo alle osservazioni e deduzioni del Dowe, il quale desume dalla temperatura media dei due emisferi nel gennaro e nel luglio quello della terra tutta , che egli abbia voluto indicare un tal com- penso. Qualunque però fosse la sua opinione, e qualunque il risultato cui po- tesse guidarci la teoria, non corrispondendo a ciò l’osservazione, si avrà buon argomento per dubitare della teoria medesima, e di qualsiasi induzione che egli potesse desumerne. E qui mi permetta che le faccia osservare che una ragione per dubitarne, ci si offrirebbe già nell’essersi egli attenuato alle tem- perature estreme del luglio, e del gennaio; ciò che 1’ Humboldt fa conoscere come metodo incompleto, ed atto a guidarci a conseguenze erronee. Ed anche teoreticamente parlando, può dirsi che onde potesse avere effetto una tale com- pensazione , converrebbe escludere l’irradiazione ; si che tutto il calore che un emisfero concepisce nella sua estate, rendendosi , per così dire, latente , potesse per intero svolgersi, e compensare il freddo del verno. Non niegherò che una porzione del calore della state penetri nel terreno fino a qualche prò- — 324 - fondita; ciò che non potrebbe certo revocarsi in dubbio, e l’osservazione lo attesta. Intendo di quello che, per quanto si crede da taluni, si rende favo- revole alle piante e radici profonde, e forse diminuisce la perdita di calore che il snolo fa nell’ inverno, siccome pensa l’Humboldt, segnatamente di quella cui nel sistema di Mairan si dà il nome di « emanazione centrale )>; ma non potrebbe certo, a mio avviso, riconoscersi in esso una causa bastante a mo- dificare sensibilmente il clima di un paese; in prova di che possono addursi alcune osservazioni, riferite appunto dall’ Humboldt medesimo; e noti ella che questi asserisce che tale calore proprio del suolo, non può rendersi sensibile all’aria, ove il terreno si cuopre interamente di neve; ciò che, come si vede, è quanto conviene ai paesi cui principalmente allude il Fauverge. Se ciò fosse, se il calore che concepisce il suolo nella state, valesse a correggere i rigori del verno, i luoghi posti alle più alte latitudini di quella che chiamasi zona tem- perata, non soffrirebbero certamente quei crudi freddi di cui sono tormentati i loro abitatori; sendo che in que’ climi, come da molto tempo erasi notato, i calori estremi sono più frequenti, ed anche maggiori che nella zona torrida. Le estreme temperature però delle grandi regioni continentali, sono forse la più convincente prova di questo: della niuna compensazione fra ì calori della state ed i rigori del verno in un luogo qualunque. E valga per tutto quanto si dice dallo stesso Humboldt di Tobolsk, Bamaul sull’Obi, e d’ Ickoutsk; ove il termometro nella state si sostiene per settimane intere à 30" e 31", men- tre la media temperatura dell’ inverno è da — 18" a — 20°; e di Astrakhan, dove nella state la temperatura ascende a 21°,2, e nell’inverno discende a — 25" ed a — 30% o solamente a — 20." ovvero — 25 cent., come egli dice nei suoi « Tableaux de la nature ». Se tutto quanto le ho qui accennato, desunto segnatamente dalla rela- tiva attuale posizione del sole e del nostro pianeta, vale, siccome io credo, sottoponendo però la mia opinione al giudizio di lei, a farci in qualche modo conoscere la cagione, perchè le terre prossime al suolo australe, debbono sof- frire freddi maggiori di quelle poste verso settentrione ; altre considerazioni possono condurci alla conchiusione medesima. Una di queste ci viene som- ministrata dal Dowe, il quale, a quanto ella mi dice, paragonando la terra ad un’ immensa macchina a vapore, in fine crede che l’emisfero N. goda di una temperatura più elevata dell’altro, pel calore latente che in esso si rende libero, mercè le pioggie : cioè per la trasformazione del vapore acquoso in acqua liquida, e ciò sull’ osservazione che ivi, com’ egli asserisce, le pioggie — 325 — sono assai più abbondanti che verso il polo opposto. Ora egli sembra a me che , se perciò l’ emisfero nostro può godere di una più mite temperatura , conseguiti da questo una condizione, la quale si aggiunga alle altre, perchè l’emisfero opposto debbe maggiormente freddarsi ; ciò che non era sfuggito al Prevost, accennandosi da lui alla vastità de’ mari, che occupano la super- ficie della terra sulle più alte latitudini australi, ed alla formazione dei va- pori. E poiché ciò si conviene del pari a ciascheduna stagione, se non forse più alla state, convaliderà questo a un tempo quanto le dissi già a propo- sito della eccezione del Grange, desunto dalla necessità, per quanto egli crede, di stagioni, gli estremi di cui non troppo differiscano fra loro, senza di che i ghiacciai, dic’egli, non potrebbero formarsi. Ci farà questo conoscere, ciò dico, una delle cause almeno perchè nelle regioni antartiche non abbiano ad avere effetto quelle stati calde, che altrimenti potrebbero supporsi, argomen- tando dalla prossimità maggiore della terra al sole. Le precedenti riflessioni, che possono dirsi puramente teoretiche, acqui- stano un peso maggiore aggiungendosi l’osservazione. Le accennai di già nella precedente lettera mia, quanto allora mi soccorse la memoria, rispetto ai ghiacci che ne’ paesi situati sotto le più alte latitudini australi, giungono a 10“ al- meno più distanti dal polo, di quello che si osserva nelle regioni più setten- trionali. Che le terre antartiche siano assai più abbondanti di ghiacci che que- ste ultime, essendo ornai opinione generale, tutto ciò che potessi aggiungere su di questo sarebbe superfluo, e segnatamente dopo le osservazioni del Gap. Ross , sì bene riferite dal Meneghini nelle sue lezioni di Geografia fisica (p, 192). La freddura del polo australe, maggiore di quella del boreale, fu veramente posta in dubbio e contradetta. Il Buffon, che fu tra quelli che non volevano consentirla , dopo il viaggio del cap. Cook la proclamò principal- mente nella « Spiegazione della Carta Geografica » la quale è posta infine delle sue « Epoche della Natura ». Ove le precedenti cose valgano veramente, siccome io credo, ad inva- lidare il compenso supposto dal Francoeur, ed ove le considerazioni teore- tiche fin qui discorse , e le osservazioni che si aggiungono a mostrarne la verità , bastino a farci conoscere come 1’ emisfero australe nelle più elevate latitudini trovisi nell’ epoca nostra in condizione tale , da dover sopportare freddi tanto più rigorosi del boreale; l’opinione del Faceverge, se non viene perciò pienamente addimostrata, potrà tenersi siccome abbastanza fondata, e tale da rendere con molta probabilità almeno ragione dei ghiacciai, che in tanta mag- — 326 — giore quantità si ha buon argomento per credere che nell’epoca, alla quale da lui si allude, cuoprissero le regioni settentrionali. Quanto poi ella, come dissi già, mi faceva osservare, deducendolo dalla relativa posizione e distanza del sole e della terra nell’epoca predetta, in forza della precessione degli equi- nozi: cioè che nelle terre polari artiche, ed in generale nell’emisfero nostro, dovevano essere le stati più calde in un certo senso^ ma più corte, e gl’ in- verni più freddi in un certo senso, ed anche più lunghi; bastava già, per quanto pare a me, a dare anche una maggiore probabilità all’opinione del geologo francese; ed al tempo stesso serviva a farne anche più facilmente concepire la cagione dei ghiacciai, che un tempo in tanta quantità occuparono le re- gioni nordiche. Ora però che ella ha saputo sì perspicacemente immaginare quegli esperimenti che mi riferisce, e che direttamente comprovano ciò che la sola induzione portava a credere; mi sembra che la cosa prenda una con- sistenza assai maggiore. E non solo saranno stati quegli inverni più freddi per la maggiore distanza del sole , e per le notti più lunghe ; e quali può immaginarsi che essi fossero argomentando dall’attuale freddura delle regioni antartiche; ma eziandìo , perchè a ciò avranno cospirato a un tempo , e la maggiore obbliquità del piano dell’ ecclittica , e la conformazione di quella parte della superficie terrestre, occupata da vasti continenti, anziché da ampi mari, quali sono quelli che cuoprono il nostro pianeta verso il polo sud. Non dirò che per tutto questo possa per anche riguardarsi la dottrina predetta siccome pienamente chiarita, essendo essa tale da richiedere tuttavia altre indagini, e non poche. E veramente gioverebbe a tale effetto conside- rare, come appunto è piaciuto a lei di fare , i punti estremi , maximum e minimum di temperatura, e diurni ed annui, determinandone il tempo e il grado, in ambe le stagioni, ed in ambi gli emisferi, tenendo conto al tempo stesso delle perdite contemporanee della terra per l’ irradiazione, e per la for- mazione dei vapori. Ma se ella, non ostante le ingegnosissime considerazioni sue intorno a ciò, crede che a portare su di questo tutta quanta quella preci- sione che richiede 1’ argomento occorrerebbero altre ricerche , applicandovi l’analisi matematica; mi resta solo a far voto perchè le molte sue occupa- zioni le permettano di attendere a ciò ; in che io mi sento troppo povero di forze. E quand’anche questo non fosse, non vorrei certo invadere un campo di cui ella è in possesso, e dal quale saprebbe trarre richissima messe. In- torno a che non pertanto questo solo mi permetterò avvertire: che trattan- dosi degli estremi di temperatura delle opposte stagioni, potrebbe forse qui — 327 — tornare a proposito quanto accennai or ora relativamente alle osservazioni del Dowe. Se il punto estremo delle stagioni, al credere dell’ Humboldt, non vale a somministrare un dato sicuro per giudicare delle stagioni medesime; qualunque sia il risultato a cui possono in fine condurre tali ricerche; qua- lunque variazione possa avvenire negli estremi stessi, a mio avviso^avrà que- sto a tenersi da noi come cosa di non troppo grande rilievo , in con- fronto delle altre condizioni di sopra discorse. In qualunque modo mi piace vedere che nuove sue considerazioni, oltre quelle che già favoriva comuni- carmi, e riguardando la cosa anche sotto altro aspetto; cioè valutando « il più lento accrescimento negli archi diurni solari , e nell’altezza solare » , e quindi la minore temperatura iniziale con cui entra nell’epoca nostra l’estate boreale, in confronto dell’australe, altrettanto dicendosi dell’opposto emisfero in queir epoca remotissima, ed altre simili circostanze, che non isfuggirono alla penetrazione sua; ma sempre in relazione alla diversa distanza del sole (supposto però, una eguale distribuzione dei continenti e dei mari); mi con- forta, ripeto, il vedere che questo faccia che ella sempre più propenda a cre- dere che i maximum estivi , come anche quelli della primavera , sieno ora nell’amisfero boreale più bassi che nell’australe; ciò che concorda pienamente coll’opinione del Fauverge ; riguardata però , com’ ella mi fa avvertire nella massima sua astrattezza; e ciò la renda più inclinevole a favore di lui, mal- grado que’ dubbi che, severo sempre e ponderatissimo ne’ suoi giudizi, le ri- mangono a superare. Chè se in fatto l’emisfero australe al presente non ri- sente ne’ suoi mesi estivi quel grado di temperatura , che perciò dovrebbe supporsi , e tale da superare in questo l’emisfero opposto ; ciò si deve alla condizione speciale di quella parte della superficie terrestre , nella massima parte occupato dall’oceano. Ora poi il eh. p. Secchi ci fa conoscere, che forse un’altro elemento resterebbe da porsi a calcolo, come ella probabilmente ha di già notato leggendo il suo « Articolo sull' intensità del calore nelle varie parti del disco solare, inserito negli Annali ec., compilati dal Tortolini (T. HI, p. 206), cioè: quale sia il polo che esso presenta alla terra nelle varie sta- gioni dell’anno. E in vero se realmente si trovasse che l’emisfero boreale del sole sia più elevato in temperatura dell’australe, il che, soggiunge egli, non è improbabile; allora il calore che noi riceviamo da quest’astro, dovrebbe va- riare, non solo secondo la distanza e l’obliquità; ma anche secondo la parte che esso rivolge verso di noi. Conviene però rimettere questo ad altro tempo, ed attendere che veramente sia chiarita la diversa temperatura de’ due emi- — 328 — sferi solari , e che possa determiaarsi con precisione la loro diversa azione calorifica. Mi giova intanto il farle avvertire come questo insigoe astsonorno senza alcuna esitenza affermi il calore che noi riceviamo dal sole variare a norma della distanza e dell’ oblbiquità sua; e come i due emisferi terrestri non Siene egualmente caldi; ciò che racchiude poco meno ohe tutto il fon- damento della presente quistione- Arguisce ella da ciò, che io stesso conosco la pochezza delle cose da me addotte a tale proposito , e quindi la loro insufficienza a togliere tutte le difficoltà che possono forse insorgere contro la opinione da me seguita. Non ostante questa mia convizione, non ostante che io conosca quante veramente occorra, per dare a questa dottrina tutta quella evidenza che si richiede per ridurla alla condizione di ben fondata teoria, e quanto al di sotto di ciò sieno le precedenti mie considerazioni; non per questo mi sono astenuto dal co- municarle a lei ; il principale mio scopo essendo, anzi che lusingarmi di portare la cosa al punto che si vorrebbe, quello d’ impegnare lei ad occu- parsi di quistione che a me sembra importantissima. E mi compiaccio ve- ramente vedere ohe il mio desiderio va compiendosi, sia per le riflessioni che ella si degnò comunicarmi, sia per gli esperimenti che ella ha saputo sì in- gegnosamente immaginare e condurre a fine. Rispetto ai quali, se io vidi con vera soddisfazione che essi confermavano, come dissi or ora, quanto ha ri- posto alla temperatura delle stagioni nelle terre circumpolari in questa, e nel- l’epoca cui si riferisce la dottrina di Fauverge; non minore compiacenza pro- vai scorgendo convalidarsi in forza de’ medesimi, quanto le esposi di già, che il prolungare il tempo in cui un corpo qualunque rimane sotto l’influenza di un centro raggiante calorifico, non vale altrimenti a fare che la sua tempe- ratura in fine s’innalzi. Termino questa lunghissima lettera col far voti che ella voglia rendere di pubblica ragione tutto quanto ella ha fatto fin qui, solo in forza della sua gen- tilezza per compiacermi, ed aiutare le poche mie forze. Chè se quel pochis- simo che ho saputo io fare, sarà cagione che la scienza si arricchisca delle sue osservazioni, crederò di avere un poco cooperato al progresso della geo- logia. Aggradisca i sentimenti della mia profonda stima con che mi pregio ras- segnarmi. Di Pesaro 15 Maggio 1852. Suo Dmo. Serv, D. Paoli — 329 — P.S.Ella troverà forse che troppo rigorosamente ho preso ha discorrere delle deduzioni del Dowe, il quale invero non intese che a stabilire alcune appros- simazione. Volendo però io considerare la cosa anche sotto questo aspetto, non avrei potuto fare altrimenti; con che non pretesi di valutare meno del dovere le sue osservazioni, LETTERA TERZA Quanto ella mi dice: che alcune cose di quelle mie lettere a lei dirette, come sono ora ridotte a maggiore brevità, le restano oscure, perchè espresse in poche parole; mi fa conoscere che veramente io aveva ragione nell’essere un poco restìo a compiacere il sig. Fauverge, allorché egli mi suggeriva di abbre- viarle, ad effetto di poterle così compendiate comunicare aH’ill, Soc. Geol. di Francia in una delle sue adunanze* Come ella avrà rilevato dalla precedente mia, 10 non era più in caso di giovarmi delle sue considerazioni, studiandomi a dare allo scritto una maggiore chiarezza, poiché esso era già partito. Con- vinto bensì che in qualunque modo la brevità, ed il sopprimerne i partico- lari, nuocerebbe alla piena intelligenza nelle cose da me espresse; credo mi- gliore consiglio il rinunziare all’onore di una tale comunicazione a così in- signe confesso. Ringrazio pertanto lei delle riflessioni che si è compiaciuta comunicarmi, e la prego ad attribuire al solo desiderio di vedere chiaro più che si può in questo punto di fisica terrestre, le considerazioni che sono per accennarle. Dissi che forse avrebbe effetto il compenso supposto dal Francoeur, se 11 calore si accumulasse nella massa della terra, anzi cbe ammettere un com- penso assoluto come ella vorrebbe, ed eccone la ragione. Esso veramente do- vrebbe supporsi assoluto, considerando la cosa nudamente; ma io ebbi in mente le tante circostanze concomitanti , che necessariamente dovrebbero alterare l’effetto; ne indicherò alcune. Ammessa la predetta concentrazione del calore che la terra riceve nella state dal sole, perchè il compenso avesse luogo, con- verrebbe che remissione nell’inverno, fosse regolare ed eguale all’assorbimento. Come supporre questo? Se il calore che la terra renderebbe in tale suppo- sizione, servisse in parte alla formazione dei vapori, e l’essere la superficie ter- restre, ove più ove meno, occupata dai mari, laghi, ec., porta a credere che r eguaglianza sarebbe tolta ; gran parte del calore istesso dovendo rendersi perciò latente: ed il De la Rive porta la cosa al punto da credere, che il freddo che ne riuscirebbe, se la terra contenesse molto umidità, varrebbe a dar ca- 44 — 330 — gione ai ghiacciai (L’ Institut. n.° 935). A queste potrebbe aggiungersi quanto pensa il Renou, rispetto al diverso modo con che le acque concepiscono il ca- lore solare, e lo rendono all’aria, (l’ Istitut- n.® 966)- E questo pure è da av- vertirsi: che la diversa quantità di vapori di cui sia pregna l’atmosfera, e la sua trasparenza maggiore o minore, influisce notabilmente ad alterare l’irra- diazione del calore della terra, trattandosi in questo caso del calore oscuro. Le considerazioni che ora ella mi comunica, relativamente alle osserva- zioni del Dowe, sono ben diverse da quanto mi scrisse altra volta- Allora ella avvertiva soltanto la troppa severità della mia critica; ciò che diede motivo ai pochi versi aggiunti alla seconda lettera. Qualunque concordanza però possa esservi , a norma di quanto ella mi dice , tra le predette osservazioni ed i principii del Fauverge, io non intesi certamente di contradirle, essendomi sol- tanto adopei’ato a far conoscere che i calori di una stagione, o di un emi- sfero, non possono compensare il freddo della stagione opposta, o dell’altro emisfero ; che è quanto unicamente importava all’ uopo mio. Sieno dunque concordevoli o no fra loro le osservazioni dell’uno, e la dottrina dell’altro , poco importa alla questione. Non pertanto, alludendo alle sue considerazioni, converrò io che veramente i risultati riferiti dal Dowe, rispetto alla media temperatura di ambi gli emisferi nell’epoca attuale, notandosi 1’ emisfero N. di circa due gradi più caldo dell’altro, concordano colla dottrina del geologo francese. Dirò anzi che, se quanto ha rispetto al massimo caldo e massimo freddo dell’emisfero australe, notandosi da lui le stati boreali, ora più calde delle australi, e gl’inverni boreali meno freddi degli australi, e ciò sulla scorta delle temperature estreme; se in somma, io dico, quanto esso deduce dalle proprie osservazioni, non si accorda con quanto pare a prima vista doversi arguire dalla dottrina medesima; ciò è conforme per altra parte a quanto sap- piamo dei climi reali delle predette regioni. Ed in fatti ; se ciò non corri- sponde a quanto sembra doversi dedurre dalla relativa attuale posizione del sole tì della terra; la quale analogamente a quanto ella mi faceva già avver- tire, porterebbe ad attribuire a queH’emisfero che trovasi nell’afelio correndo i mesi invernali , e stati più calde, ma più corte, ed inverni più freddi od anche più lunghi; ciò concorda però col fatto e colla osservazione: in som- ma Con quanto io dedussi dalle poche osservazioni, che si hanno sulla clima- tologia delle regioni australi, facendo conoscere che in quelle terre gli estre- mi di temperatura estiva ed invernale, non si allontanano di molto fra loro; sì che ivi si verìfica la condizione, che il Grange crede necessaria alla forma- — 331 — zione dei ghiacciai. Ma di grazia mi permetta il dire: perchè nel ricercare la causa della temperatura moderata ne’ suoi estremi delle stati e degl’ inverni australi, vuole ella, anzi che distinguere i climi astronomici o solari, dai climi reali, ricorrere piuttosto alla durata delle stagioni (che è appunto ciò che ri- mane a chiarire), che alla condizione geografica di quelle terre, costituite da rare isole, continenti assai ristretti, ec- e molti mari ? la quale condizione ge- neralmente viene ora riconosciuta siccome valevole a mitigare le stagioni. E tale e tanta è 1’ influenza che ora si attribuisce a questa condizione , che oltre tutto quanto ne dice l’Humboldt, il Bouè, dopo di avere accennato alia differenza di temperatura dei grandi continenti e delle isole, non dubita nel- l’asserire che la conformazione insulare, prevalente alla superficie della terra nelle epoche geologiche antiche, doveva compensare il calore proprio della terra, tuttora sensibile alla sua superficie. In qualunque modo poi conviene aver sempre presente al pensiero, che siccome dissi già, THumboldt non crede che dalle temperature estreme possano desumersi le temperature medie; ciò che anche indipendentemente daH’asserzione di un tanto osservatore, sembra veramente doversi credere. E in fatti, egli stesso nel classico suo scritto in- torno alle linee isoterme [Mem. d'Arcueilf t. 3- p. 475. et s.) convalida questa sua deduzione, facendo conoscere quanto male si sia giudicato delle tempe- rature medie di alcuni luoghi, e segnatamente delle stati, affidandosi ai ma- ximum, 0 calori estremi- Ho voluto dirle tutto questo, in riflesso alle cose che ella mi fa notare relativamente alle osservazioni del Dowe, non perchè questo direttamente interessi la dottrina del signor Fauverge; ripetendo qui che io non ebbi alcuno intendimento di oppormi alle osservazioni, e dedozioni sue; ma solo di far conoscere, che non può esservi compensazione fra le tempe- rature di due opposte stagioni, e di uno e di altro emisfero. Poiché ella mi chiede: « cosa importi » pel caso nostro la termocrosi atmosferica, mi proverò ora a farmi intendere meglio che non feci in quelle mie lettere compendiate ; ove, dovendo scrivere alla brevità, toccai la cosa quasi di volo, senza averne fatta parola nelle prime; Come neirintendimento di escludere la effettiva compensazione supposta dal Francoeur, e da altri, e quindi far conoscere che la maggiore durata dei mesi invernali, non può bi- lanciare la maggiore distanza del sole, poiché in quello spazio di tempo si racchiude un molto minor numero di ore, in che il sole sta sopra l’orizzonte a riscaldare la terra, e quindi minore quantità di calore può ricevere quello emisfero, in cui i detti mesi ricorrono, essendo la terra nel suo afelio; così io — 332 — ho voluto dire che al minor numero di ore, si aggiungerà l’essere in que’mesi il sole meno elevato nel suo corso al di sopra dell’orizzonte, e quindi meno valevole a riscaldare l’emisfero predetto; comechè si ammetta secondo il prin- cipio sul quale si fonda il teorema del Lambert , cui si riportano il Fran- coeur, il Poisson, ed altri, non escluso 1’ Humboldt, che il sole versi eguale quantità di calore sulla terra, nel percorrere tanto l’una che l’altra delle se- mi-ellissi, comprese tra i due punti equinoziali- E poiché qui mi è occorso ricordare questo principio del Lambert, e tanto più che ad esso mostra ade- rire in qualche modo, come dissi, 1’ Humboldt; ripeterò che nulla interessa al caso nostro che il sole irradi una eguale quantità di calore nel percor- rere l’una o l’altra delle predette semi-ellissi, se la terra, o più precisamente quell’emisfero che si trova nell’afelio, correndo i mesi invernali, non può con- cepirne che una porzione minore, rispetto a ciò che accade negli altri sei mesi; e ciò, e pel numero minore di ore diurne, e perchè il sole in qnella stagione ha una tanto minore elevazione meridiana; prescindendo qui dall’es- sera allora le notti più lunghe; per lo che una maggiore dispersione di ca- lore ha effetto in quello spazio di tempo, che comprende 7 giorni di più. Ed ella avverta che trattandosi qui e della lunghezza dei giorni, e della durata della presenza del sole al di sopra dell’orizzonte, e della sua altezza meri- diana; ciò è quanto, al dire appunto dello stesso Humboldt (Gosmos t- 3 p. 495) determina la temperatura della terra. Per lo che tutte le altre circo- stanze che possono concorrere ad alterare i climi, o generali, o parziali, non possono essere che di picciolo effetto, relativamente a queste due principali condizioni. In somma , mentre si vuole , secondo il principio del Lambert , che, durando il sole circa 7 giorni di più a percorrere quella semi-ellisse, che corrisponde ai mesi invernali dell’emisfero, in cui tali mesi ricorrono mentre la terra è nell’afelio , ciò compensi la maggiore distanza del sole , e quindi la minore intensità dei suoi raggi; io all’opposto credo che, non solo quel- l’emisfero venga in ciascheduno istante meno riscaldato, per la maggiore di- stanza in che la terra si trova dall’astro medesimo; ma anche per essere assai minore il numero di ore, in cui esso gode della sua azione calorifica; e per que- sto ancora, che il sole di tanto meno s’ innalza sull’orizzonte, e quindi si tiene sempre più prossimo a quel punto, in cui l’azione sua calorifica viene dimi- nuita maggiormente dall’atmosfera, per la sua più grande estensione; al che si aggiunge, come dissi, la lunghezza delle notti, e quindi la maggiore per- dita per irradiazione. — 333 — Che il sole nell’ inverno giunga a minore altezza meridiana che nella state, è ciò che sarebbe superfluo il prendere a dimostrare. Su di che però oltre il rammentare ciò che le accennai nell’altra mia, cioè; che il de Mairan fra le condizioni valevoli a modificare l’azione calorifica del sole sulla terra, pone per primo il seno delle altezze solari nell’uno e nell’altro solstizio; e che dal Kaemtz si dice il calore dei sole scemare sempre dal meridiano all’orizzonte, sì che una lente che varrebbe ad accendere l’esca a qualche elevazione , richiederà per questo più tempo, essendo il sole più basso, o non riuscirà quando il sole è a soli pochi gradi di elevazione; non lascerò di dire che il Melloni, analo- gamente a ciò che ora le rammentai dell’ Humboldt , pone nella durata dei giorni, e nella diversa altezza meridiana del sole, la causa delle alternative delle stagioni. Quanto si asserisce da questo tanto insigne fisico, potendo forse es- sere bastevole ad escludere ogni dubbio, che le osservazioni di lui compli- cando, come ella dice, la cosa, facciano che non possa più ammettersi un’as- sorbimento così regolare come prima si faceva. Suppongasi pure, se cosi si vuole , che la quistione venga perciò a complicarsi nella etiologia ; ma che ciò contradica direttamente quanto da me si vuol dire, è ciò che io non sa- prei csedere, e tanto più che quanto si asserice dal Melloni stesso, se l’opi- nione non rn’ inganna, viene in appoggio di questo. In fatti nella sua lettera diretta al signor principe Odescalchi, egli dice, che « Pare dunque che la no- stra atmosfera affievolisca, in forza del proprio assorbimento, la virtù calo- rifica del raggiamento solare » , senza ricercare però se veramante questo assorbimento si eserciti indistintamente su tutti gli elementi calorifici, o sia più 0 meno grande secondo la loro natura; mentre per altra parte dalle sue osservazioni sappiamo, che in genere questo assorbimento, si fa sempre mag- giore aumentando la grossezza dei mezzi diatermici; condizione che dal pari aumenta nell’atmosfera, dovendo i raggi solari attraversare uno spazio tanto maggiore, quanto più il sole si avvicina all’occaso. 11 dubbio in che ci lascia il Melloni nel passo riferito qui sopra: cioè se questo assorbimento abbia ef- fetto, piuttosto relativamente ad alcuni elementi calorifici, anziché su tutti in- distintamente, può forse rendere probabile quanto da lei si suppone, vale a dire che : al crescere dell’estensione dell’atmosfera attraversata dai raggi ca- lorifici cresca, ma comparativamente cresca sempre meno il calore assorbito; per cui nelle minori altezze solari, le variazioni sieno meno sensibili. Questo però, quando nuove osservazioni vengano a convalidarlo, nulla toglie a quanto da me si vuol dire, bastando all’uopo mio, che questo assorbimento sia sem- pre maggiore col crescere dell’estensione dell’atmosfera, in qualunque modo — 334 — esso si aumenti o in quantità corrispondente all’ampiezza dell’atmosfera , o secondo una progressione più o meno decrescente. In somma ciò non esclude menomamente che il sole debba riscaldare tanto meno la superficie della terra, quanto minore è la sua altezza meridiana; e che questa costituisca una delle due condizioni da cui dipendono le alternative delle stagioni. Dovrei dar termine a questa mia lettera, essendo in qualche modo ri- sposto alle sue considerazioni. Essendomi però occorso di menzionare come anche 1’ Humboldt si riporti al teorema del Lambert, aggiungerò su questo alcune parole; e tanto più che l’autorità di questo principe de’ sapienti della età nostra, è di tale e tanto peso, che importa troppo il far conoscere di non trovarsi in opposizione con lui, e sopratutto se si tratti di dottrina da esso lui espressa nel suo aureo libro, il Cosmos (T. 3, pag. 504). Tocca egli in vero in qualche modo l’attuale quistione, comechè non si ricordi da lui l’opi- nione espressa dal sig. Fauverge, e fa parola degli effetti che possono pro- venire nella temperatura dei due emisferi terrestri, in forza della precessione degli equinozi; ed è qui appunto ove egli pone in mezzo il predetto teorema del Lambert, ed in certa guisa l’opinione del Poisson, colle parole del quale egli riferisce il teorema medesimo. Questo però è da notarsi , che mentie r Humboldt, onde riferire il predetto teorema, si vale, come dissi, delle pa- role del Poisson, (nota 75); il quale asserisce che la distanza del sole dalla terra viene esattamente compensata dal tempo; ciò che si ammette non meno dall’ Arago , ove egli dice essere tale compensazione matematicamente esatta {Annuaire du Bar. des Longitudes 1834); anzi che usare tali espressioni, con- sidera egli la distenza come quasi interamente neutralizzata dall’estensione del cammino del sole, e dice il tante volte menzionato teorema contenere « fino ad un certo plinto^ la soluzione tranquillizzante di questo problema » ; in fine che (( il cambiamento di direzione della linea degli apsidi, non avrebbe che una debole influenza sulla temperatura della terra » il maggiore argomento tranquillizzante trovandosi da lui nelle alternative di accrescimento, e di di- minuzione delle eccentricità, si che quella della terra non potrebbe mai giun- gere a quella di Giunone , Pallade , e Vittoria. Non si ammette dunque da lui, consideratissimo sempre come egli è, il perfetto compenso supposto dai fisici predetti, e dal Francoeur; e si accorda un’effetto valutabile alla eccen- tricità. Dice egli in vero che, quando la precessione degli equinozi faccia, che la massima distanza del sole dalla terra accada ai primi gennaio, inverno del nostro emisfero, il minimum nella state, tutto in fine si ridurrebbe a que- — 335 — sto , che il sole non prolungherebbe più di 7 giorni la sua presenza nel- l’emisfero settentrionale. Intorno a che due cose forse potrebbero oppormisi a prima giunta, considerando superficialmente quanto da lui si dice: che in genere egli ammette la predetta compensazione ; che egli riduce il tutto al solo minore riscaldamento, che nell’epoca di circa 12 mila anni avvenire (egli considera l’epoca futura , mentre il Fauverge risale in vece nel tempo , ciò che in fine torna lo stesso) deve risentire l’emisfero nostro per una più breve permanenza del sole dal lato suo, accordando così al tempo che impiega il sole nel suo corso, descrivendo la semi-ellisse che corrisponde all’afelio, quella medesima influenza ed importanza di cui parla il Francoeur. Spero però che quanto sono per dirle le farà conoscere, non stare in tutto la cosa come ap- pare a primo aspetto. Che la maggior durata della presenza del sole, dal Iato di questo o di quello emisfero, debba aver influenza nell’aumentare la temperatura dell’emi- sfero stesso , è ciò che deve ammettersi senza dubbio , e questo è quanto , se ben si consideri, si vuol dire dall’ Humboldt; nè ciò, checché possa ci'e- dersi a prima vista, è in opposizione con quanto dissi e mi studiai addimo- strare nelle precedenti mie lettere. Tutto sta però, oltre le circostanze che accompagnano questa permanenza del sole da un lato o dall’altro delTequa- tore, nella relativa posizione dei due astri fra loro. Nel caso contemplato dal- ]’ Humboldt, la più lunga presenza del sole, come accade nell’epoca attuale, ne’ mesi estivi del nostro emisfero, non può a meno di cospirare e diretta- mente e indirettamente, ad aumentare la temperatura della superficie terre- stre; imperocché, trattandosi dei mesi estivi, esso non solo prolunga la sua presenza, e quindi più lungamente si trattiene a riscaldare quella parte della superficie terrestre; ma essendo questo cagione che si accresca il numero dei giorni in cui gli acquisti diurni di calore superano le perdite notturne, vale ciò a fare che la sua temperatura si au.menti. Quindi a ragione avverte l’Hum- boldt che nell’epoca, alla quale egli vuole alludere la temperatura dell’emi- sfero nostro, avrà a soffrire il danno di una minore durata della sua influenza, e quindi un qualche abbassamanto di temperatura ; il quale però , dirò io , verrà compensato dalla maggiore vicinanza del sole. Intorno a che: cioè in- torno alla più grande prossimità del sole in quell’epoca, noterò qui di volo, che questo convaliderebbe in qualche modo l’opinione del Fauverge, cioè: che nell’ epoca alla quale egli risale, doveva 1’ emisfero nostro essere più freddo bensì nell’ inverno, ma forse più caldo nella state; ciò che; al credere di lui. I — 336 — potè favorire l’estensione dei ghiacciai, conformemente a ciò che egli avver- tiva già nell’esporre la sua dottrina , non che a quanto mi ripeteva esso in una sua molto pregiata lettera. Ben diversamente però va la bisogna, se si tratti della stagione invernale; conciossiachè, qualunque influenza voglia nuda- mente attribuirsi alla presenza più continuata del sole, fatta astrazione della sua maggiore distanza, come, per esempio, accade nell’epoca attuale all’emi- sfero sud, ed accadde nell’epoca remota, o in quella, cui allude 1’ Humboldt, all’emisfero nord; ciò aumenta il tempo in cui le perdite notturne superano gli acquisti diurni di calore, per la maggiore brevità dei giorni e lunghezza delle notti, pel minor numero o somma di ore in cui il sole rimane sopra l’orizzonte in tutto il corso della stagione medesima, e per la maggiore ob- bliquità dei suoi raggi. Che se I’ Humboldt non prese a considerare la cosa da quest’ultimo lato , ciò fu , a mio credere, per avere egli toccato questo punto poco meno che per incidenza, nel luogo ove egli ne fa parola, discor- rendosi in particolare da lui i grandi mutamenti, e le alterazioni che possono presagirsi nelle epoche future lontanissime , e più remote forse che quella considerata dal Fauverge risalendo nel tempo. Ed io porto fiducia, che se egli avefese preso a considerarla anche sotto questo aspetto, non avrebbe mancato di rilevare nella penetrazione sua le predette circostanze. Nè questo mio pen- siero è senza fondamento ; poiché non è a credersi che dopo di avere sup- posto, che la più lunga presenza del sole nella state attuale del nostro emisfero, sia cagione di una più elevata temperatura dell’emisfero stesso, avesse ad am- mettere che questo aumentasse al tempo stesso la temperatura dell’emisfero au- strale, come ella fin da principio mi asserì opinare il Francoeur. E se da lui non si fa esplicitamente parola di ciò, che contemporaneamente avverrebbe nell’epoca da esso lui considerata aH’emisfero sud : cioè una strte più lunga , mentre al contrario il sole dovrà trovarsi nell’apogeo; quanto egli dice alla pag. 504, cioè : « che il punto in cui il nostro pianeta è più prossimo al sole, è sem- )) pre quello in cui il suo corso è più rapido » ; e necessariamente , come ella vede, più lento allorché il sole è nella sua maggiore distanza ; è già quanto basta per indicare la predetta condizione di quello emisfero , a che esso godrà di quella compensazione, di cui sarà privo, al dire di lui, l’emi- sfero nostro. Così se 1’ Humboldt pone a calcolo la più breve durata della presenza del sole nell’epoca predetta, rispetto all’emisfero nord; ciò fa cono- scere che egli considera l’attuale maggiore durata della peresenza del sole , come quella da cui viene compensata la sua maggiore distanza ; lo che si riferisce sempre ai mesi estivi; mentre, secondo il modo di vedere del Fran- — 337 coeur, ed a norma di quanto ella mi dice, questa più lunga permanenza del sole al nord dell’equatore, dovrebbe invece produrre una più alta temperatura nei mesi invernali contemporanei dell’altro emisfero; ciò che 1’ Humboldt non accenna menomamente. Io credo anzi che da tutto questo possa francamente dedursi, essere la sua opinione opposta a quella del Francoeur, del Poisson, e degli altri, che ella mi asserisce seguire la sentenza medesima; impercioc- ché nel dire che egli fa che tutto quello che, rispetto alla temperatura, può presagirsi dal movimento della linea degli apsidi, nell’epoca futura da lui con- siderata, si ridurrebbe a questo, che « il sole non prolungherebbe più di 7 giorni la sua presenza nell’emisfero settentrionale » (rispetto a ciò che esso fa presentemente nella state). Avvertendo poi che questo sarà compensato dalla maggiore vicinanza del sole ; egli viene , implicitamente almeno , ad escludere che li 7 giorni di più, che nell’epoca medesima scorreranno dall’equi- nozio di autunno a quello di primavera, valgono a compensare, relativamente all’ emisfero settentrionale , la maggiore distanza in che la terra si troverà allora dal sole. Ed ella ponga mente a ciò, che nel considerare 1’ Humboldt la più lunga presenza del sole, egli ha riguardo veramente a quell’emisfero, verso il quale è rivolta quella porzione di ecclittica che esso descrive ; ciò che è conforme a quanto da me qui si vuol dire, ed in opposizione a ciò che si fa dai fisici prementovati ; i quali considerano , conformemente a quanto ella asserisce del Francoeur, questa circostanza, relativamente all’emisfero op- posto, per esempio , nell’epoca da noi lontana circa 12 mila anni , il mag- gior tempo che impiegherà il sole dalla parte del Capricorno rispetto all’emi- sfero boreale, E riducendo ciò a più brevi parole: 1’ Humboldt considera, relativamente all’epoca attuale ed airemisfero boreale, come la più lunga presenza del sole nei mesi estivi, compensi la maggiore sua distanza dalla terra ; ciò che non avverrà nell’epoca futura da noi lontana; mentre all’opposto i fisici premen- tovati tengono, che questa maggiore attuale permanenza del sole dal lato no- stro, ciò che rende i mesi freddi dell’emisfero australe più lunghi di circa 7 giorni, valga invece a bilanciare la minore intensità dei raggi solari, che con- temporaneamente deve soffrire questo emisfero, trovandosi la terra nell’afelio; e che similmente nell’epoca di cui parla il Fauverge , la più lunga perma- nenza del sole verso il polo australe, abbia dovuto bilanciare la minore in- tensità del raggiamento calorifico del sole sull’ emisfero boreale, dipendente dalla maggiore distanza dei due astri fra loro. Dopo di che mi sembra ri- 45 - 338 — saltare evidentemente, essere queste due opinioni in opposizicne fra loro; ed essere questo quanto basta a prevenire ogni qualunque obbiezione, che si vo- lesse opporre in contrario, dal vedersi che egli pure si riporta al teorema del Lambert, ed alla legge che « la quantità di calore che la terra riceve dal sole in ciascuna parte deH’anno, è proporzionale all’aogolo descritto, durante il medesimo spazio di tempo, dal raggio vettore del sole » ; conciossiachè su questa legge si fonda appunto la compensazione, come da esso lui viene am- messa, fra la distanza, e la durata della presenza del sole; applicandola egli però in senso ben diverso da quanto dagli altri si crede. Pervenuto a questa conclusione, da me in principio non aspettata, non le nasconderò che il trovarmi così in opposizione a fisici ed astronomi di tanto valore , mi teneva in dubbio di non avere ben interpretato quanto si dice dallo insigne autore del Cosmos; comecché io avessi un intimo convin- cimento di quanto le ho detto qui sopra. Avrei quindi , alfine di meglio ac- certarmi , voluto , innanzi di proseguire questa mia lettera , consultare , non solo rUranographie del Francoeur, da cui ella desunse quanto mi riferiva della sua opinione; ma eziandio, que’luoghi in cui i fisici da lei ricordati, si mo- strano dell’ avviso del Francoeur medesimo. Di tutti questi però non mi è riuscito vedere che quello scritto dell’Arago sulla temperatura del globo^ che io aveva già scorso senza dubbio troppo superficialmente, avvertendo soltanto a ciò che egli ivi dice della compensazione di cui qui si tratta ; la quale , come notai qui sopra, egli tiene matematicamente esatta. Ora però, più at- tentamente consideratolo, con qualche soddisfazione ho rilevato, che egli real- mente, come io dico dell’ Humboldt, riguarda una tale compensazione rela- tivamente ai soli mesi caldi, e rispetto a quello emisfero verso il quale è volta la semi-ellisse che percorre il sole in detti mesi- Ecco le sue parole, che le trascrivo, onde ella possa meglio giudicarne, e conoscere che egli pure non accorda alcuna influenza al più lento cammino del sole , mentre esso è ri- volto, per esempio, verso il Nord, onde aumentata la temperatura defl’emi- sfero Sud, in modo da bilanciare la sua distanza, e viceversa. Esposta da lui la quistione nei seguenti termini- « La state, come qnella che noi abbiamo » al presente , il colmo della quale corrisponde al maximum della distanza )) solare, differirà sensibilmente da una state colla quale coincida il minimum )) di questa distanza ? » egli continua- « A prima vista ognuno risponderebbe )) affermativamente; imperciocché fra il maximum ed il minimum della distanza )> del sole dalla terra, avvi una differenza notabile: una differenza in numeri — 339 — » tondi di un trentesimo del totale- Se però si faccia entrare ne I problema » la considerazione delle velocità, elementi che non possono in verun modo )) trascurarsi, il risultato sarà contrario a ciò che noi abbiamo in principio )) supposto ». Appresso a che, e dopo di avere indicato quanto ha rispetto alla velocità del sole nei due opposti punti della sua distanza, o più esatta- mente nelle due semi-orbite corrispondenti a tali punti, egli soggiunge- « Rias- » sumiamo: l’ipotesi che noi abbiamo accennata, porterebbe a supporre una » primavera, ed una estate più calda che non sono al presente; ma in forza » della maggiore rapidità, la somma delle due stagioni sarebbe più breve di » circa 7 giorni- Così considerate tutte le cose, la compensazione è mate- » maticamente esalta ». Ora passandomi qui dal ripetere, quanto le feci già avvertire sulla precisa compensazione di queste due opposte condizioni ; ciò basterà, io credo, in ogni caso a convalidare quanto ho detto sul modo in cui daH’astronomo francese si considera l’influenza solare; rispetto a che sa- rebbe superfluo affatto, che io qui aggiungessi nuove riflessioni, essendo già quanto basta ciò che ho detto relativamente all’ Humboldt. Questo bensì av- vertirò, che ciò riguarda n>eramente i climi astronomici; mentre nel caso no- stro, conviene avere in mira i climi reali, prendendo a calcolo tutte le cir- costanze da cui questi dipendono. Comprendo però, arguendolo da quanto ella mi dice in una cortesissima sua lettera, che, quantunque i due predetti fisici restringano le loro conside- razioni ai soli mesi caldi, e nel modo appunto che da me si crede, valutino soltanto la compensazione che può provenire dalla più lunga influenza del sole rispetto a quell’emisfero, verso il quale è rivolta quella porzione di ec- clittica, che nei mesi istessi esso percorre, e non rispetto all’opposto emisfei'o, che perciò si trova nei mesi freddi. Comprendo già, ripeto, che ella opporrà a tutto questo che , presi a calcolo il tempo e 1’ intensità del raggiamento solare, una pari compensazione si verifica non meno rispetto ai mesi freddi, ed all’emisfero opposto- Su di che, riserbandomi a comunicarle in altra mia lettera alcune più particolari riflessioni , onde non allungare soverchiamente la presente; in genere mi restringerò ora a dirle che, quantunque ciò sia, e come veramente risulta dal calcolo che ella ha voluto pormi sottocchio; ciò riguarda la cosa considerata indipendentemente da alcuni elementi, che sono in opposizione, e che in tal caso debbono introdursi nel calcolo; mentre ove la considerazione si restringa, come sopra, ai mesi estivi, come or ora ac- cennai, avrebbero a considerarsi in vece alcune condizioni cospiranti, anziché — 340 - opposte. Volendosi , io dico , considerare la più lunga durata della presenza del sole, per esempio, verso il Nord rispetto alla temperatura dell’ emisfero Sud; conviene porre a calcolo, come ripetutamente ho detto, la brevità dei giorni , lunghezza delle notti , obbliquità dei raggi solari, ec; cause tutte in opposizione all’ effetto che si vuole attribuire alla durata dei mesi predetti ; mentre ove si tratti dell’emisfero stesso, verso il quale è rivolta la semi-el- lisse che descrive il sole, avrebbero a considerarsi la lunghezza dei giorni, la brevità delle notti, la minore obbliquità dei raggi solari; condizioni cospiranti, anzi che opposte, a questa più lunga presenza dell’astro che ci riscalda. E poiché questo ci porterebbe ad attribuire, alla stale supposta dall’Arago, una temperatura reale più elevata, che quella che noi proviamo al presente, come ella vede, ciò si accorda interamente colla dottrina del signor Fauverge. Ho intanto il bene di raffermarmi con profonda stima Di Pesaro li 27 marzo 1853 Suo Dmo. Serv. D. Paoli QUARTA LETTERA Ecco che, libero da altre occupazioni, finalmente, come mi riserbai a fare nella precedente mia lettera, prendo a risponderle rispetto a quelle dimostra» zioni sue , per le quali ella tiene che venga a convalidarsi , quantùnque per altra via, il teorema del Lambert; su di che mi limitai a dirle che, mentre non avrei saputo che opporre alla precisione dei suoi calcoli, restava sempre ad avvertirsi che in questi, come nel predetto teorema, si considerava la cosa in tutta la sua astrattezza , e quindi non vi si comprendevano tutte quelle circostanze o elementi, che concorrono a determinare la temperatura della su- perfìcie terrestre. Come ella mi dice, rispondendo alle mie considerazioni, ed a proposito di quanto io le accennava sulla convenienza di tener conto delle ore diurne dell’ uno e deiraltro emisfero, nelle due opposte stagioni dell’anno , e come risulta dal calcolo da chi istituito; non può certo niegarsi, che sulla base che l’intensità del calore solare nei due opposti apsidi stia nel rapporto di 14:15, quando si voglia prendere a misurare il calore che risente o l’uno o l’altro emisfero, in un’epoca o nell’altra, deducendolo e dal numero di ore diurne comprese nello spazio di tempo, che impiega il sole a percorrere o Luna o l’altra semi-ellisse, e dalla media di detta intensità calorifica, riferibile a eia- — 341 ~ scheduna semi-orbita corrispondente; è verissimo, dico io, che si perviene ad un risultato, che può considerasi come un’equazione quasi precisa. Per la qual cosa, se questo si applichi al clima nostro, in cui la media delle ore diurne può valutarsi nei mesi freddi, autunno ed inverno, a 10*, 20'; ciò che dà per le ore diurne comprese nei giorni 179, che nell’ epoca attuale corrono dal- l’equinozio di autunno a quello di primavera, 1849*, ed ore 1921 pe’ giorni 186, che nei mesi medesimi si comprendevano nell’epoca cui rimonta il Fau- verge ; ed ove si supponga, come ella fa, che 1’ intensità media dell’azione calorifica per tutto il corso dei mesi predetti sia, sulla base accennata di so- pra, =14, 75 nel perigeo (cioè come conviene al nostro emisfero nell’epoca corrente) ed = 14, 25 nell’apogeo (che è il caso dell’epoca antica); si hanno veramento due risultati prossimamente eguali, cioè: 1849*. 14, 75 = 27273; 1922.14, 25 = 27388; legge che si verifica anche per altri climi; di che ho potnto assicurarmi io stesso, come le dirò qui appresso, riferendole alcuni risultati di questa mia indagine. E questo, se non m’ inganno, e se ho bene compreso quanto ella dice, il risultato finale del suo calcolo, e delle sue considerazioni ; donde ella de- duce che il teorema del Lambert si convalida; e che quindi debba conchiu- dersi che « la somma del calore della stagione fredda » attuale abbia a te- nersi come eguale, trascurando la piccola differenza, a quella relativa all’epoca da noi remota; e forse si perverrebbe ad una perfetta eguaglianza, se questo calcolo fosse istituito sopra elementi più rigorosamente determinati. Questo calcolo certamente è tale che, come dissi, non avvi che opporre alla sua precisione. Ciò non toglie però che non abbiano luogo alcune con- siderazioni. Intorno a che innanzi a tutto dirò essere giustissima l’espressione da lei usata: « la somma del calore ». In realtà questa è la somma del ca- lore che, prescindendo però sempre dalle altre circostanze, che possono mo- dificare la temperatura della superficie terrestre , debbe e doveva ricevere r emisfero boreale nei mesi invernali; ma ciò non vale , a mio credere , ad indicare la temperatura che ne concepisce, e ne concepiva perciò l’emisfero istesso; imperciocché questa somma di calore nell’ epoca remota, doveva di- vidersi in un numero maggiore di giorni e di ore. Quantunque sembri a me di avere nelle precedenti mie, detto quanto occorre, rispetto alla necessità di tener conto del tempo, e di farlo entrare come elemento del calcolo, ove si tratti di determinare la temperatura dell’uno o dell’altro emisfero in ambe le epoche; la seguente osservazione le farà, io credo, meglio conoscere come — 342 — veramente importi il farlo, e come il trascurare un tale elemento, possa por- tare a deduzioni erronee; sia nella emissione del calore, sia rispetto a quello che può risentirne un corpo, sottoposto all’azione di una sorgente calorifica qualunque; trattandosi sempre della temperatura che questo può concepirne. La combustione del ferro, che rapidamente si opera nel gas ossigeno, svolge un calore intensissimo , si che esso viene accompagnato da una luce abba- gliante, siccome ognuno conosce. Donde proviene questo , se non dalle ra- pidità di questa combustione ? vale a dire dall’ essere la somma del calore proveniente, svolta in un tempo brevissimo. E in vero, nella lenta combu- stione od ossidazione del metallo stesso , l’evoluzione di calore è affatto in- sensibile, rispetto a un corpo qualunque cbe ne risenta l’influenza; non però nulla in se. Che anzi si ha a credere che in questo secondo caso, 1’ evolu- zione del calore nella sua somma, sia anche maggiore, essendo maggiore e più completa la sua ossiderazione; lo che non può ascriversi che alla lentezza di questa ossidazione; in che i chimici tutti convengono, fra quali mi piace ri- cordare il Thenard. Ciò posto, ed ove questo valga a farci conoscere la necessità di porre, come dissi, il tempo fra gli elementi del calcolo, nel determinare la tempe- ratura del nostro emisfero nelle due epoche diverse , converrà dividere sul numero dei giorni i due numeri, co’ quali ella crede rappresentarsi la somma del calore, che l’emisfero istesso riceve, e riceveva dal sole nel corso dei mesi 27273 27388 freddi; (fonde si avrà; ^ — 152,36;- - = 147,25 ; quozienti , il primo de’ quali è relativo all’epoca attuale, faltro all’epoca da noi remota, che sono, come è facile a verificarsi, nel rapporto istesso della intensità ca- lorifica del sole, come viene da lei supposta- Tutto ciò quanto ai climi astro- nomici: cioè, considerando unicamente quelle condizioni che dipendono dalla relativa posizione del sole rispetto alla terra, e dalle leggi relative a! calore raggiante. Per la qual cosa, senza contraddire il celebrato teorema del Lambert, il quale però non vale che ad indicare la somma di calore, che la terra ri- ceve dal sole nel percorrere che esso fa una della sue semi-orbite ; da tali considerazioni, sembra a me confermarsi, anche rispetto ai climi astronomici, quanto forma il principale fondamento della dottrina del Fauverge. Molto maggiormente poi ciò si convalida, tosto che si considerino quelle cause che concorrono a modificare la temperatura della superfìcie terrestre, e che insiememente alle altre costituiscono i climi fisici o reali , di che — 343 — spero che ella vorrà convincersi, dopo le cose che sono per dire, in aggiunta a quanto venne da me esposto nelle precedenti mie lettere. Aveva già voluto accertarmi, se quanto ella mi diceva, reletivarnente al nostro clima, della quasi approssimativa eguaglianza dei numeri, che rappre- sentano la somma di calori, che riceve e riceveva il nostro emisfero nel corso dei mesi freddi, si verifichi anche per gli altri climi, e segnatamente in quelli posti a più alte latitudini; ed ora mi è parso dover fare altrettanto rispetto ai quozienti menzionati qui sopra. Questo altresì ho voluto fare: determinare al tempo stesso le ore notturne, relative ai climi medesimi. Ecco i risultati di queste mie investigazioni, che pongo a confronto con quanto si riferisce al nostro clima, indicando, e le corrispondenti ore notturne, e le frazioni che io credo indicare, a norma di quanto ho detto or ora, la reale intensità ca- lorifica del sole ne’ vari climi, e nelle due epoche diverse, quanto alla tem- peratura che perciò può concepire la superfìcie della terra. — 344 — Latit. N. 43," 55' {Clima di Pesaro) Boscovich Epoca attuale Media delle ore diurne Mesi freddi giorni 179,1849^"'“' X 14,75 = 27273; = 152,36 Epoca remota liuvernali = 10/20 estive =13, 40 = 27388; Mesi freddi giorni 1 86,1 922^^"- X 14,25 27388 147,25. Ore nottur. invernali = 2447 Lat. N. 56,"36' [Clima di Riga) Media delle ore diurne (estive = 14,H5 186 Ore nottur. invernali = 2542. Mesi freddi, giorni 179,1656^"- X 14,75 24426 = 24426; = 136,458 Ore nott. inver.'* = 2640 Mesi freddi, giorni 186,1720''^ X 14,25 24510; =131,72. Ore nott. in ver. '' = 2744. Latit. N. 58," 25' [Clima di Tobolsk) Media delle ore diurne ZI 15 a Mesi freddi, giorni 179,1611'“^xl4,75 = 23762;-??^ =132,75 = 23854; Mesi freddi, giorni 186,1674*"x 14,25 23854 186 128,25. Ore nott. inver.''' = 2685 Ore nott. inver.“ = 2790. — 345 -- Donde risulta primieramente, che mentre sussiste anche a diverse latitu- dini l’approssimativa eguaglianza delle quantità, che rappresentano le somme di calore che il nostro emisfero riceve, nelle due epoche diverse nel corso dei mesi freddi; al contrario, quando si abbia , come io penso e come dissi di sopra, a far entrare il tempo come elemento del calcolo nel determinare la temperatura , che può concepire la superficie della terra ^ e particolarmente l’emisfero settentrionale, considerato dalle due differenti epoche; il rappporto dei numeri che sappresentano questa temperatura , è precisamente eguale a quello della intensità calorifica dei raggi solari, desunta dalla relativa distanza del sole dalla terra. Oltre di che, dall’ ispezione di questa piccola tavola ri- sulta, che la predetta presso che eguale quantità, o somma di calore, relativa alle due epoche distinte , deve poi compensare un maggior numero di ore notturne nell’epoca da noi remota, e tanto maggiore, quanto più si risale verso il polo; lo che concorda col clima in generale sempre più freddo, quanto più elevata è la latitudine. Nè questo maggior numero di ore si deve considerare nella sua somma soltanto; ma in questo ancora: che le notti debbono essere perciò più lunghe, e segnatamente presso il soltizio. Or sa ciascuno che quanto più lunghe sono le notti, cioè maggiore lo spazio di tempo in cui 1’ azione del sole è nulla sulla superficie terrestre, tanto sono esse più fredde. E quanto più lunghe sono le notti, tanto più brevi, e quindi meno caldi sono i giorni, per le ragioni medesime, per le quali essi si rendono più caldi coll’ accre- scersene la durata, la continuità, per valermi dell’espressione del Malte Brun, aumentando l’effetto. Per questo appunto l’Herschel attribuisce alla superficie lunare, una temperatura molto superiore a quella dell’acqua bollente. In forza delle quali cose , e richiamandole qui alla memoria quanto le feci osservare nelle precedenti mie , sembra a me che possa con maggiore fondamento ancora opporsi alla dottrina del Francoeur che , valutandosi da lui , quanto all’epoca presente , siccome un compenso alla maggior distanza del sole rispetto all’ emisfero australe, li 7 giorni di più compresi ne’ mesi freddi di quell’ emisfero ; mancò di avvertirsi da lui che , coH’accrescersi in questo caso il numero dei giorni , si accresce la durata di una condizione , contraria anziché favorevole, al riscaldamento della superficie terrestre; sendo che si protrae la durata del tempo, in che la terra risente meno l’azione ri- scaldatrice del sole, il corso del quale è rivolto verso l’altro emisfero; in somma si prolunga l’inverno: vale a dire quella stagione dell’anno in cui l’altezza meridiana del sole, e la sua permanenza in ciaschedun giorno al di sopra del- 46 — 346 — l’orizzonte si fanno minori; ciò che, come le rammentai in altra mia, anche al dire dell’ Humboldt , e del Melloni , è quello appunto che determina la temperatura della superficie della terra. Si vuol dunque secondo 1’ opinione del Francoeur, rinvenire una compensazione fra due cause, anzi che opposte fra loro, cospiranti insieme ; imperciocché sia relativamente aU’emisfero au- strale nell'epoca nostra, sia nell’altra quanto all’eraisfero nord, del pari che la maggiore distanza della terra dal sole nei mesi freddi, anche lo spazio mag- giore di tempo in che questo o quello emisfero conviene che duri in quella condizione, nella quale è minore l’elevazione solare, e minore la lunghezza del giorni, deve necessariamente fare che l’emisfero stesso risenta meno l’azione calorifica del sole: quell’azione per la quale può solo elevarsi la temperatura delle superficie terrestre. Alcune parole aggiungerò a questa mia lettera, e ciò rispetto alla ter- mocrosi atmosferica; prendendone motivo dalle ultime ricerche del eh. Vol- picelli ; le quali sono venute a verificare in qualche modo quanto ella già aveva saputo intravedere. Cioè, mentre ella supponeva che giunto il sole ad una certa distanza dall’orizzonte, essendo i suoi raggi già sceverati da tutti gli elementi assorbibili, l’intensità dei suoi raggi calorifici resta costante fino al tramonto. Sebbene in fine ella ammetta che, considerata l’estensione del- l’atmosfera che debbono attraversare i raggi medesimi, cresca veramente col crescere di questa estensione il calore assorbito, ma comparativamente sem- pre meno ; per cui nelle minori altezze solari, le variazioni di calore sieno meno sensibili; ora, come ho detto, il Volpicelli è giunto ad ottenere da’suoi sperimenti effetti abbastanza conformi alla sua supposizione; come probabil- mente ella ha veduto negli ann. di se. mat. t. IV, p. 157, e s- asserendosi da lui che « il raggio solare che «attraversa l’atmosfera, mantiene costantemente la sua energia calorifica dal meriggio, fino verso le tre ore e mezza dopo; e quindi va diminuendo, per tornare poi costante verso i tre quarti prima del tramonto » ; ciò non solo è assai concordevole con quanto da lei si teneva già; ma, confesserò ancora, viene in qualche modo, come ella mi faceva ri- levare, a complicare la cosa- Attendendo però che egli possa, come si pro- pone, riprendere queste sue osservazioni, e vedere così se veramente quanto accade dal mezzodì all’occaso, corrisponda a quanto avviene dal levar del sole al suo arrivo al meridiano ; e ciò che forse più importa, se questo, che ha rispetto al decremento diurno della intensità calorifica del sole, abbia ad ap- — 347 — plicarsi senz’altro alla sua altezza meridiana nelle diverse età dell’anno; ed al- tre tali cose, che pur conviene determinare, innanzi di desumerne un canone generale; pare a me che possiamo intanto affidarci a quanto in genere risulta dalle osservazioni del Melloni sui corpi diatermici, e quanto si ammette, può dirsi, dai fisici tutti, e proviamo noi stessi. Che il sole riscaldi meno quanto è meno elevato sull’orizzonte, qualunque sia la legge per la quale decresce la sua intensità calorifica nel discostarsi esso dal meridiano , è ciò che , come dissi in altra mia nel ricordare quanto si nota dal Kaemtz, pare indubitato. Lo che concorda appunto co’ principii generali ammessi dal Melloni, perchè l’assorbimento dei raggi calorifici, i quali passano attraverso di una sostanza termocroica, siccome per avventura è l’atmosfera terrestre, è sempre mag- giore quanto maggiore è la sua grossezza; e più particolarmente concorda con quanto espresse il Volpicelli stesso nella sua seconda comunicazione fatta aì- l’acc. de’ Nuovi lincei, sul raggiamento calorifico del sole, cioè: « che la in- tensità del raggio solare incidente, dipende dalla spessezza dell’atmosfera ter- restre percorsa da esso » , (nè fa ostacolo che egli faccia dipendere da ciò anche la qualità de’suoi elementi); ciò che da lui non si contradice menoma- mente nella susseguente sua comunicazione; nella quale appunto egli espone quanto ha rispetto alle fasi, cui va soggetta l’intensità calorifica del sole dal mezzodì al tramonto. Dia ella quel peso che più le piacerà a queste mie considerazioni; dalle quali se pur mi fosse permesso desumere una qualche conchiusione, direi ri- sultare da esse, doversi veramente ammettere una compensazione, forse esatta fra la intensità dell’azione calorifica del sole a varie distanze dalla terra , e la più 0 meno lunga permanenza di quest’astro da un lato o dall’altro del- l’equatore; ma doversi una tale compensazione, perchè la durata bilancia l’in- tensità, quale risulta dal teorema del Lambert, non che dalle sue dimostra- zioni, riferire all’emisfero verso il quale è rivolto il corso del sole nell’apogeo, anzi che all’emisfero opposto, come si vorrebbe dal Francoeur; e che quan- d’anche piacesse acconsentire all’opinione di quest’ultimo, le altre circostanze, valevoli a modificare la temperatura della superficie terrestre, sarebbero ba- stanti a turbare quell’equilibrio, che da esso lui si suppone risultare, dal con- flitto delle due sole condizioni da lui prese a calcolo; e quindi avrebbero a tenersi siccome cagione di quella bassa temperatura del nostro emisfero, as- serita dal Fauverge, come causa de’molti ghiacciai, che ingombrarono questa — 348 — parte del nostro pianeta, nell’epoca alla qaale egli fece allusione neH’esporre la sua dottrina. Mi creda costantemente con somma ed affettuosa stima Di Pesaro 8 Agosto 1853. Suo Dmo. Serv. D. Paoli — 349 — PiROSTATicA. — Formule pel cangiamento che nelle dimensioni materiali av- viene , cangiando la temperatura , ed applicazioni delle medesime. Memoria del prof. P. VoLPicELLi (Continuazione). Le formule che abbiamo precedentemente stabilite (1), per le quali si de- termina con ogni generalità, il cangiamento che il volume dei corpi subisce, pel cangiare della temperatura dei medesimi; servono anche ad assegnare le condizioni, affinchè un pendolo composto si mantenga sincrono con se stesso, non ostante il variare della sua temperatura. Per tanto ci proponiamo di ana- lizzare qui appresso quei pendoli composti, nei quali mediante opportuni con- gegni, si conserva sensibilmente invariata la distanza fra il centro di oscilla- zione, e l’asse di loro sospensione, malgrado gli effetti del calorico, tendenti sempre ad alterarla. Ognuno sa che da questa distanza dipende la durata delle oscillazioni di un qualunque pendolo, e quindi la giusta misura del tempo. La lunghezza del pendolo semplice non geometrico ma fisico , neppur essa può rimanere costante, salvo che il medesimo, non sia trasformato in un sistema, nel quale il calorico neutralizzi o compensi gli effetti suoi nel senso della indicata di- stanza: un pendolo così ridotto dicesi compensatore^ od anche compensato', e senza questo mezzo il pendolo semplice può arrivare in 24 ore, a più di 20 secondi di media differenza dall’estate all’ inverno. Procurando alle parti di un pendolo una conveniente forma e disporne; conoscendo i coefficienti di dilatazione delle diverse sostanze che lo com- pongono, e le dimensioni delle parti medesime, ad una determinata tempe- ratura; si potranno sempre assegnare le condizioni, affinchè il suo centro di oscillazione rimanga sensibilmente alla medesima distanza dall’asse di sospen- sione, comunque variando la temperatura. Per dimostrare le condizioni che rendono compensato un pendolo, tre diversi metodi qui appresso esporremo ; il primo dei quali sebbene più ri- goroso degli altri due, riesce però meno praticabile di questi ; e le formule che dedurremo per l’ indicato fine, oltre ad essere più generali, saranno ezian- dio più estese, ed esatte di quelle già conosciute. Ciascuno poi dei metodi stessi potrà essere applicato in due modi , uno cioè per ottenere la compensazione del pendolo, limitata però a due di- (1) T. IV. di questi Atti, sessione 5.“ del 6 aprile 1851, p. 216. — 350 — verse temperature del medesimo; ed in questo primo caso le condizioni si possono determinare con tutta la generalità, ed esattezza. L’ altro modo ha per fine la stessa determinazione ma senza limiti rispetto alle temperature; cosicché data quella iniziale qualunque del pendolo, le formule della compen- sazione dipendono solo da questa, potendo l’altra variare quanto si vuole, senza che per ciò le formule stesse cangino di valore* Ma in questa secondo caso la ricerca nella sua generalità riesce più che determinata; e solo può giun- gersi a precisare le condizioni relative alla medesima, trascurando alcune quan- tità piccolissime nei risultamenti generali, ottenuti dal calcolo, come in se- guito meglio vedremo. Un pendolo compensato è sempre composto; ma non sempre un pen- dolo composto è compensato. Dovendoci occupare dei pendoli della prima spe- cie, come quelli che unicamente si adottano per la esatta misura del tempo, faremo innanzi tutto riflettere, che i medesimi risultano dalla connessione di più corpi eterogenei fra loro , e di ordinario anche diversi nella forma. L’ analisi di questi pendoli compensatori, per quello riferisce alla compensa- zione dei medesimi, deve principalmente consistere nella discontinuità delle masse da cui risultano. Le diverse parti di un qualunque pendolo composto, hanno attuali ve- locità, differenti da quelle che avrebbero le parti medesime, se fossero iso- latamente pendenti dal comune loro asse di sospensione, come si scorge dalle formule che danno l’angolare velocità w, la prima per un pendolo composto, la se- conda per uno semplice (1) ; poiché quella evidentemente risulta minore di questa. La connessione mutua delle parti di un pendolo composto, modifica le velocità impresse alle medesime dalla gravità relativa; cosicché nell’ insieme alcune si muovono più lente, altre più celeri di quello sarebbe, se le stesse parti fossero l’una dall’altra indipendenti. Da ciò discende che sull’asse, in- torno cui supponiamo simmetrico il pendolo composto, deve trovarsi un punto, (Ij Poisson, traité de mécanique, Paris 1833, t. 2..“, p. 101, 102; e 1. 1.°, pag. 339. (41) — 351 — che oscillerà senza che la sua velocità impressa riceva perturbazione di sorta ; cioè che dovrà oscillare come se non fosse legato invariabilmente co- gli altri superiori, ed inferiori ad esso. Ciò avviene perchè le accelerazioni, esercitate sopra l’ indicato punto dagli altri a lui superiori, vengono comple- tamente compensate dai ritardi, che sopra il medesimo esercitano gli altri punti ad esso inferiori. Dicesi centro di oscillazione questo punto; ed in esso intendendo riunita la massa tutta del pendolo composto, questo eseguirà le sue oscillazioni, tanto in ampiezza quanto in velocità, come nel primitivo e naturale suo stato- Con l ed a si rappresentino le distanze, che in un pendolo composto di massa m, intercedono fra l’asse di sospensione, ed i centri uno di oscillazione, l’altro di gravità; inoltre indichiamo con r' ed r le rispettive distanze di un elemento qualunque dm del pendolo, da un asse che passa pel suo centro di sospensfone , e da un altro parallelo al primo, che passa pel suo centro di gravità. Dicansi S' (= Jr'^dm^ , S (== Jr'^dm^ , i due momenti d’inerzia del pendolo medesimo, il primo rispetto l’asse di so- spensione, il secondo rispetto un altro asse parallelo al medesimo, e passante pel centro di gravità del pendolo. Le cognite dottrine dinamiche ci forniscono le seguenti uguaglianze. ( S'=S-t-Ma2, l=^y 1 Ma (42) j ovvero j lz= a , essendo S = MP , l ove k è una retta di grandezza data (t). Dalla terza delle (42) deduciamo l"^ a lo clie ci dimostra , che in un pendolo composto, il centro di oscillazione dista dall’asse di sospensione, più di quello sia il centro di gravità; e che perciò questi due centri distano fra loro. Le formule stesse appartengono a qualunque pendolo composto, ma per applicarle facilmente a quei pendoli compensatori, comunemente usati, e ri- sultanti da più corpi eterogenei , che insieme connessi oscillano attorno un (1) Poisson, Traité de mécanique, Paris 1833, t. 2.®, pag. 53 e 54, pag. 100 e 102, formula (c). — 352 — comune asse di sospensione, dobbiamo alla seconda delle (42) procurare una forma più conveniente. Siene m^, ... i nin i le rispettive masse, dalla connessione delle quali risulta il pendolo composto. Dicansi » ^2 * ^3 ’ * * ■ » ’ le .distanze dei centri di oscillazione di queste masse, dal comune loro asse di sospensione. Rappresentino ’ ®3 ’ * ' * * * le distanze dei rispettivi centri di gravità dall’asse medesimo; e sieno . » ^2 » ^3 > • • * • > S/i > i rispettivi momenti d’ inerzia delle indicate masse, riferiti all’asse comune di loro sospensione. Dalla seconda delle (42) abbiamo Sj= , S.2= mgttg/g » 83= r . . . , S„= m^aj^ ; ed il il momento d’ inerzia S' di tutto il pendolo composto, riferito al me- desimo asse, verrà espresso dalla S'== rH . . . H- , Ma per la teorica del centro di gravita sappiamo essere Ma = -h . . . -4- m„an , dunque sostituendo nella seconda delle (42) avremo I . . . -f- (43) ma^-H ... -4- m„a„ Se le masse talmente sieno disposte, che i centri loro di gravità, e di oscillazione, abbastanza si allontanino dal comune asse di sospensione, oltre ad essere molto fra loro vicini, potremo senza errore sensibile stabilire ttj , ^2 ’ ^3 — " > • • * > » per cui sarà con grande approssimazione ^ m„a„. l — 353 — La seconda (43), più comodamente della prima, si presta per determi- nare le condizioni, che assicurano la invariabilità della lunghezza /, non ostante il variare della temperatura. Se la distanza del centro di oscillazione dall’asse di sospensione, dipen- desse unicamente dalla quantità di massa del pendolo, non potrebbe la diversa temperatura spostare per nulla questo centro; perchè il calorico non può va- riare la quantità di molecole. Però siccome la indicata distanza dipende anche dalla distribuzione della materia stessa nel rispettivo pendolo, relativamente all’asse medesimo, e ciò risulta dalle (43); così è chiaro che variando la tem- peratura, dovrà eziandio variare quella distanza. Secondo che la temperatura aumenta, o diminuisce la lunghezza l, si ral- lentano, 0 si accelerano, per la formula cognita le oscillazioni del pendolo; perciò è che ad ottenere l’ isocronismo del mede- simo, bisogna procurare la costanza della Z, mediante i pendoli a compensazione, che sono in diversi modi costrutti; mentre ciascuno ha per fine, avvicinare al- l’asse di sospensione , o da questo allontanare una parte della massa del si- stema , quando l’altra parte se ne allontana , o se ne avvicina ; e tutto ciò mediante l’azione del calorico, per artificio ridotta compcnsatrice. Questa com- pensazione si approssimerà tanto più ad essere perfetta, quanto più il centro di oscillazione sarà lontano da quello di sospensione , e vicino al centro di gravità ; perciò è che la massa, nei pendoli così fatti, deve trovarsi quanto più si può raccolta nella estremità inferiore dei medesimi, perchè allora poco differiscono 1’ una dall’ altra le formule (43), e la seconda più comoda, può essere alla prima sostituita. Non ci fermeremo qui ad esporre i congegni di compensazione, fatti da Graham e da Harrison’ dal 1721 al 1726, da Julien L. R. nel 1738, da De- parcieux nel 1739, da Cassini nel 1741, da Ellicott verso il 1753, da Fer- dinando Berthoud nel 1760, ecc.; ma ci occuperemo soltanto di quei pendoli compensatori, che sono più in uso, incominciando perciò da quello a mer- curio, che fu nel 1726 immaginato e costrutto da Graham, celebre orologiaro inglese , membro della Società Reale di Londra ; e che oggi viene adottato di preferenza nei principali osservatori, come quello che alla maggior sem- plicità, unisce la maggiore possibile precisione. In questo pendolo è chiaro che, quando la temperatura s’ innalza, tutto 47 — 354 — il sostegno si allunga dall’alto al basso; mentre il vase cilindro, ed il mercurio si allungano in senso contrario, cioè dal basso all’alto. Conoscendo i coeffi- cienti di dilatazione delle sostanze che compongono il pendolo, e le dimensioni delle sue parti ad una data temperatura, si potrà determinare col calcolo, quali debbano essere le condizioni da soddisfare, perchè il pendolo sia compensato; cioè perchè il suo centro di oscillazione nè scenda nè salga per le variazioni di temperatura. Supponiamo che le parti del pendolo a mercurio (fig. 1), sieno tutte alla temperatura quindi si dica: Xi(= CA BD) la lunghezza della verga cilindrica di ac- ciaro, più l’altezza del rettangolo o telaro BDDB dello stesso metallo, e che sostiene il recipiente cilindrico hddh, il quale può essere di quella sostanza che più si erede conveniente, ferro, vetro, ecc. a.t[~ bd) r altezza del recipiente medesimo , nel quale si contiene il mercurio, Xt{=hd) l’altezza del mercurio stesso, avente hh per livel- lo, e per base un circolo del diametro interno dd — 2r^, donde il raggio interno della base circolare del re- cipiente cilindrico. Inoltre osserviamo che questo pendolo può riguardarsi composto di tre masse distinte, cioè: CFBDEDBF) quella di tutto il sostegno di acciaro, inclusovi l’anel- lo bpbt colle sue braccia bk, che servono ad impedire il rovesciamento del re- cipiente bddb, il quale può liberamente scorrere nell’anello medesimo, m^{—bddb) quella del recipiente cilindrico, TOg quella del mercurio contenuto nel recipiente stesso. Le distanze , «2 ’ centri di gravità di queste masse dall’ asse di sospensione del pendolo, facilmente si troveranno espresse come siegue a, — 1 - ; quindi anche il valore di k si cangerà in lt< : cioè in genere il pendolo non oscillerà più come alla temperatura t. Ma poiché le altezze «t, Xt che appartengono al recipiente ed al mercurio contenuto in esso, variano in op- posto al variare della lunghezza , ne viene che mediante una opportuna quantità di mercurio, le distanze U, del centro di oscillazione dall’asse di sospensione potranno, a due temperature comunque fra loro diverse, ugua- gliarsi; nel qual caso il pendolo dicesi compensato dagli effetti del calorifico. Per tanto avremo (45) h Dalla prima delle formule (5) si ha essendo /3, § i rispettivi coefficienti della dilatazione lineare per le due masse, una di tutto il montante, l’altra del recipiente cilindrico (l). Per quello poi riguarda il cangiamento dell’altezza Xt del mercurio), a cagione della temperatura, siccome questo metallo è liquido, così dobbiamo considerare la sua dilatazione cubica; perciò chiaro apparisce che il valore Xt,., dovrà dipendere pur anco dal cangiamento della capacità del recipiente cilindrico. Adunque innanzi tutto avremo (1) Vedi questi Atti, T. IV, sessione V.'^ del 6 aprile 1831, pag. 219. — 356 — ed inoltre il volume v, del mercurio, contenuto ne! recipiente stesso, alla temperatura ?, sarà dato dalla Vt = nVt^Xt . Posto ciò, la formula (9) della dilatazione cubica dei liquidi (1), ci porge essendo y il coefficiente della dilatazione assoluta del mercurio. Ma possiamo anche stabilire quindi uguagliando fra loro i due trovati valori di , avremo (1 -f- 70(1 -+- Mediante le (46), (47), la (45) si ridurrà nella Xt. (48) , V1h-ì3ì j [i,i I-? J- ] [x. \ (1 -t-7t')( 1 xr\ j (l-^7f)(l-HSf')2 2J P^i n ' [x,| j. \+p^[ M ' (l-^-y/)(l-^-^f)'2 J Affinchè il pendolo divenga compensatore, sia per le due temperature /, f , sia per qualunque cangiamento di temperatura, è chiaro che in ambo i casi do- vrà verificarsi la (49) = Nel primo caso questa equazione di 3.” rispetto aWeXtt , fornirà il valore di Xt in funzione di , e delle altre quantità t\ ec. : nel secondo caso poi si dovrà verificare la equazione stéssa, indipendentemente dai valori delle t' . Perciò dall’ eguagliare a zero la differenza dei due valori ottenuti , uno di h dalla (44), l’altro di h' dalla (48), avremo un’ equazione, che ordinata per le potenze di e di , dovrà essere nulla per fannullamento dei coefficienti delle potenze medesime. Coll’ indicato processo di calcolo, giungeremo a stabi- lire le condizioni, onde il pendolo a mercurio sia prossimamente compensato per qualunque temperatura. Però questo calcolo nella massima sua genera- (1) Luogo citato, pag. 220. — 357 — lità, sebbene facilissimo, tuttavia riesce troppo lungo e complicato; oltre a ciò, per quello riguarda il secondo caso, riescirebbe anche più che determinato; molti essendo i coefficienti da doversi annullare, onde sia verificata la equa- zione di condizione, indipendentemente dai valori delle t, t'. Quindi a rendere la ricerca più semplice, supporremo z = 0 , «' = « , P2=0 , ù = /3 , e sostituiremo alla p^. Supporremo cioè, che la temperatura iniziale del pen- dolo sia quella del ghiaccio fondente, essendo qualunque l’altra i, cui devesi ve- rificare la compensazione; inoltre che il recipiente cilindrico bddb (fig. 2) sia non solo dello stesso metallo di cui si compone tutto il sostegno CFBKKBF; ma di più sia connesso a questo in modo, che la dilatazione di ambedue siegua nello stesso verso, cioè dall’alto al basso. Da ciò deriva che p^ comprende tanto il peso del montante, quanto l’altro del recipiente cilindrico, e che K comprende la lunghezza del primo, più quella del se- condo; cosicché la n di questo caso, dovrà essere diversa da quella del primo. Pertanto, le masse distinte da considerare ora nel pendolo, si ridurranno a due; la seconda delle quali è quella del mercurio di peso p^- Similmente i coefficienti della dila- tazione lineare si ridurranno solo ad uno, cioè /3, non avendo più luogo l’altro ò'; perciò in questo caso avremo Introdotte le indicate particolarità nelle (44) e (48), si cangeranno esse nelle Ìj 4pjX2oH-n2p2(2^o — ocoY _ 4/?iX’2o-4-4n2p2X^o — ^n^p^\3Co-+-n^p^x^o 4npjX„-H2n^P2(2^o— *o) à'np^lo-+-in^p^K — 2n^p^Xo ' 2n{ì-^. (2p,\(t -4- -f- np,[2\{\ -4- (Stf - (Ih- 7«)a^J) * Sviluppando i termini della seconda (50), otterremo dalla (49) una equazione di 3“ grado rispetto alle , X„ ; dalla quale potremo avere x„ per mezzo di lo, e delle altre quantità t, ec, o viceversa; lo che si riferisce alla com- - 358 — pensazione del pendolo per le due temperature o% e t°. Soddisfacendo poi alla (49) indipendentemente dalla temperatura t, il problema rimarrà tutta- via più che determinato. Però a semplicizzare maggiormente l’attuale quistione, si sviluppino i ter- mini della seconda (50) , trascurando quelli moltiplicati sia per le potenze quadrate delle piccolissime frazioni §, y, sia pei prodotti loro; avremo il valore di It ridotto più semplicemente come siegue ^ _ A H- C« essendo A = 4pjX\ ■+■ 4n^p2^2„ — h- , C = 24p^X//3 — ì2l„Xon^p^^ — 4k^/?2^<>^<>7 2n^p^yx^o » B = 4npj^Xo -4- ^n^p^K — , D = 20np^X„/S -I- 20n^p^l„^ — 2n^p^yx^ — ^rì^p^^x^ . A Per tanto poiché io = -g- , cosi la condizione (49), che in questo caso riduce compensato il pendolo indipendentemente dalla temperatura ty diviene (52) AD — BC == 0 . Questa equazione mediante le (51), nelle quali sì dovranno sostituire i valori numerici delle p^^j p^t jS , 7 , risulta di terzo grado , tanto per X« » quanto per x^; e perciò data una qualunque di queste due lunghezze, si co- noscerà l’altra per la richiesta compensazione, indipendentemente dalla tem- peratura ty diversa dalla iniziale 0° Potrebbe soddisfarsi alla (52) mediante le C = 0, D = 0 , A per lo che abbiamo ; ma in questo caso il problema sarà più B che determinato , perchè si avrà in due diversi modi la relazione fra le <^o, Xo’ Un secondo metodo per ottenere prossimamente compensato un pendolo a mercurio, potrebbe consistere nel riguardare costante la distanza del suo centro di oscillazione dall’asse di sospensione, quando siasi assicurato che per ~ 359 — qualunque variazione di temperatura, la distanza del centro di gravità di tutto il sistema dall’asse medesimo, non varia- Ed in fatti la posizione del centro di oscillazione, differisce in generale da quella del centro di gravità in un corpo; ma questa differenza tanto più diminuisce, quanto più il corpo, per la disposizione della sua massa , viene ad accostarsi ad un pendolo semplice. Sia Ai la distanza del centro di gravità di tutto il pendolo dall’ asse di sua sospensione: ritenute le precedenti denominazioni, e supposto che la materia del recipiente cilindrico differisca da quella del suo sostegno CBDDB fig. (1), e che per costruzione, la dilatazione del recipiente stesso proceda come quella del mercurio, cioè in opposto alla dilatazione del sostegno indicato; avremo (53) A, A„= 54)a. ^qPih — Ut) H- — Xi) ~ 2qnP nella quale P rappresenta il peso di tutto pendolo, cioè P = P2-+- p^. Per la temperatura t' avremo 2qp^lt'^2np^{qlt — (Xt‘)-^qnp^{2Xt' — -Xt,) 2nqP Sostituendo in questa formula i valori delle (46) e (47), la medesima si ridurrà nella 2qnP Mediante le (53), (54) calcolando T equazione di condizione (55) A, — A,, == 0 , la quale riescirà di primo grado rispetto allea:*, lt,e soddisfacendo alla condizione medesima, una volta col determinare il valore della Xt in funzione di /,* e delle altre quantità a*, t, i\ ec.; un’altra coll’annullare i coefficienti delle potenze, e — 360 — dei prodotti delle t\ avremo assicurata la compensazione del pendolo; però nel primo caso per le due temperature nel secondo per qualunque varia- zione di temperatura. Ma il problema in questo secondo caso, che appunto è il più rimarchevole , perchè proprio della pratica, riesce ancora più che determinato ; laonde ci riporteremo alle particolarità già contemplate nel primo metodo, che si riferisce al pendolo della (fig. 2); poiché i risultamenti così raggiunti, sono riconosciuti soddisfacenti abbastanza nella pratica- Sup- porremo cioè : f = 0 , = 0, 5 = /3 , sostituendo inoltre pg queste particolarità le (53), (54) si ridur- ranno alle ( ^ _ 2pjA„H-n/j2(2X„— aio) (56) , _ 2/?tX,(l-+-^0^-t-«pJ2Xo(lH-/3t)^— a;,(1-f-Y0] ^ 2nP(l-+-i3«)2 Sviluppando i termini della seconda (56), con trascurare quelli moltiplicati, sia per le potenze quadrate delle piccolissime frazioni X, sia pei prodotti di esse, la (55) fornirà donde (57) 2nj?2X„i3 -4- 2np^^x^— np^yXo = 0, «ft), np,{y-ÌS) che nel caso contemplato assicura molto prossimamente la compensazione. Un terzo metodo per ottenere la compensazione del pendolo a mercurio, consiste nel procurare che sia costante la distanza dall’asse di sospensione, non già del centro di gravità di tutto il pendolo stesso, ma solo del mercurio con- tenuto nel suo recipiente cilindrico. Questo terzo metodo è basato sull’ es- sere molto breve la distanza tra il centro di gravità del mercurio , ed il centro di oscillazione del pendolo. Perciò trascurando l’effetto del calorico su questa breve distanza, basterà per una molto approssimata compensazione del pendolo, che la distanza del centro di gravità del cilindro di mercurio, nè si allontani, nè si avvicini all’ asse di sospensione. Vediamo per tanto come pos- sano generalmente stabilirsi le condizioni, affinchè l’indicato centro di gravità rimanga fìsso, variando comunque la temperatura- — 361 — Ritengasi adunque che il centro di oscillazione in questo pendolo, si possa considerare, senza tema di errore sensibile, rimanere sempre ugualmente di- stante dal centro di gravità del mercurio; poniamo CA -+- BK = dt , bd = d't , e dicasi Lj la distanza del centro di gravità medesimo dall’asse C di sospen- sione (fig. 2). Conservando le denominazioni già stabilite, avremo Xt (58) U = d.-4-d',— essendo l' due diverse temperature, ed indicando con Xt l’altezza del mer- curio nel recipiente, contata dal suo fondo drf, come nei casi precedenti. Me- diante le (46) e la (47), applicate al caso attuale, avremo (1 àty perciò la seconda delle (58) si ridurrà nella (59) (lH-V0(l (1 -l-/)(l Xt §0' 1 Ma per la compensazione dev’essere L,, — Lt = dunque sostituendo in questa otterremo 0, (1 -f- yO(l Xt 'f 2 dt— d' 0 (1 70(1 che risoluta rispetto ad Xt, ci dà con facile calcolo, ed a riduzioni eseguite, la 2(1 y0(l a^T[(l H- dt)dtfi -f- (1 /3t)d'td] (60) Xt = (1 -H /3t){l -1- U)[y — 2§ — H- ytt')] formula che fornisce 1’ altezza Xt del mercurio, da contenersi nel recipiente cilindrico, per produrre l’esatta compensazione del pendolo nell’attuale ipotesi, relativamente però alle due temperature date «, t'. Facendo nella (60) t = 0 , t' =zt, avremo la _2(1 SO W 48 — 362 — quindi per t (61) 1, si __ 2(1 H- d\^) o y_a(2H-d) e trascurando i termini moltiplicati per /3d , come frazioni picciolis- sirne, avremo l’altra formula più semplice, ma meno esatta (62) ® , Di qui nasce la equazione di condizione 2(d„/3-4-d'„§) — a;„(7-2d) = 0 , che dall’ illustre Biot viene assegnata direttamente (1) , per la compen- sazione del pendolo a mercurio , e che noi deducemmo come un corollario dalla (60). Le (61), (62) possono discendere tanto in altra guisa dalla stessa (60), quanto da un calcolo più generale di questo. Per mettere ciò in chiaro primieramente dicasi k, il coefficiente della dilatazione superficiale della so- stanza, di cui si compone il recipiente cilindrico; dipenderà k dal coefficien- te § della dilatazione lineare di questa medesima sostanza nel seguente modo, ed assai prossimamente (63) k = 2^-^à\ come già fu dimostrato (2) Esprimendo con St , St, la circolare superfìcie della base del recipiente cilindrico alle temperature t , t', avremo St = ed anche Abbiamo inoltre fì-^kt'\ f\-^kt'\ , ;:r^(l-4-Str St,~-nr,— , dunque uguagliando queste due espressioni di St> , avremo (1) Traité de physique, T^. l.°, pag. 171, Paris 1816. (2) Vedi questi Atti, T. IV, sessione V.“ del 6 aprile 1851, pag. 218. — 363 — 1 ~f~ kt — t— J dalla quale si ottiene la Risolvendo e riducendo, avremo ^ fe(lH-§'¥)— 2S=fc|A[/(:'(l— §V)2-H4§'2(l-+-Sf)2— 4§/c(1-4-§/— §¥— ^ ^ ~ 2à\kt-\-ì) e se riflettasi che la quantità sotto al vincolo radicale non è altro, fuorché il quadrato del binomio k[ì — §•¥) — 2S(1 -t- $/) , sarà ^ k{ 1 -^^H^)^2d±:[k{ 1 —BH'^)—2è ( 1 -Ha/)] t — Wijà^) ' In questa formula vale soltanto il segno ; giacché il segno — conduce alla /' = /, equazione che non può ammettersi; perciò avremo finalmente ^ _ k — 2^ — ^ ^\kt -t- 1) ’ dalla quale, se per mezzo della (62) si elimini k^ otterremo 1—/ a(2 a)f _H 1 ‘ Combinando fra loro le (60), (64) avremo in funzione dei coefficienti /3, a, 7, e della temperatura cognita /, l’altezza Xt del mercurio, per la richiesta com- pensazione fra due date temperature. Suppongasi t == 0, dalla (64) avremo — 1, e la (60) per questi va- lori diverrà 2(1 -4-^)2(d,/3 -H d',a) y _(2a -4- a2) che coincide colla (61), e che ora in altra guisa, come ci preponemmo, si é fatta discendere dalla (59). Secondariamente possiamo giungere alla (61), seguendo un calcolo di- verso dal precedente, ma che ci condurrà pure a formule più generali. Per tanto abbiamo — 364 — d{i' — t) 1 ’ l-+-/3« 1 -4- ’ ì-^yt' . y(t' — \-hyt Ì-IÉI: —1 H- èl^ìLziJ) — ù 1— )— — t') per le quali dalla (59) avremo )]. Ma in riguardo alla prima delle (58) apparisce, che allora si otlerrà la cercata compensazione, quando nel secondo membro della precedente uguaglianza, la somma dei termini tutti, eccetto i tre primi, sia nulla; cioè quando abbiasi verificata la da cui sì ottiene il valore della Xt. A raggiungere da questa equazione ì ri- sultamentì già ottenuti per altra via, basta porre in essa i = 0, t' =1; ed avremo per corollario la 2(1 -H -H d'o5) -+- a;,(2§ -t- _ y) = 0 , da cui si ottiene la (61), e quindi la (62). Volendo poi risolvere il problema con tutta la generalità che può conciliarsi coll’attuale ricerca, osserviamo che alla (65) si deve soddisfare indipendente- mente dai valori delle t , t'. Perciò si dovrà la (65) ordinare secondo le po- tenze di queste due variabili, e si dovranno quindi uguagliare a zero i coeffi- cienti delle medesime. Da queste uguaglianze, tutte di primo grado rispetto alle dt , d't , Xt , avremo in generale come determinare due qualunque delle medesime in funzione della terza , che dovrà essere data. Però il problema, così generalmente risoluto, riesce più che determinato in riguardo alla proposta costruzione del pendolo, per la quale il numero dell’equazioni ottenute nell’ indicato modo supera quello delle incognite. Ma ciò si evita riflettendo che le /3, y sono frazioni piccolissime, per cui si possono i ter- (65) (1-i-yO - ^3]=0. — 365 mini moltiplicati pei prodotti , e per le potenze loro trascurare , senza che abbiasi a temere un errore sensibile. Quindi è che la (65), dopo essere stata ordinata come si è detto , potrà limitarsi ai soli primi due termini polino- miali, 0, con esattezza minore, al solo primo dei termini stessi. Vediamo tutto ciò prima nel caso più comune di « = t' = t : fatte queste sostituzioni nella (65), ed ordinata per le potenze di t, essa riducesi alle seguente in cui nulla si è trascurato; quindi per la compensazione dovranno aversi le tre seguenti uguaglianze 2c?„/3 -+- 2rf'o§ 2iCo§ — yxo =0 , H- ^ = 0 , 2rfo/3§^ -t- 2d'oS* = 0 . Per soddisfare alle (66) si vede facilmente, che dovrà essere valori che non risolvono fisicamente il problema. Dovremo perciò ricorrere all’ approssimazione già indicata, considerando cioè i coefficienti delle t , come nulli, perchè risultanti da potenze seconde e terze di frazioni piccolis- sime; sussisterà in tal caso la sola prima delle (66), dalla quale avremo 2(rf„/3H-«) che coincide colla (62). Ma torniamo sulla (65), ed ordiniamola generalmente come si è detto, raccogliendo però solo quei termini che sono moltiplicati, sia per /, sia per come pure per quelli che non dipendono da queste variabili. La considera- zione degli altri termini moltiplicati pei prodotti e per le potenze superiori alla prima delle variabili medesime, riescirebbe superflua, giacché accresce- rebbe il numero dell’ eguaglianze di condizione , mancando le incognite per soddisfare alle medesime. Deve poi riflettersi che il considerare nulli gli al- tri termini della (65), quelli cioè moltiplicati pei prodotti e per le pontenze delle /, t' superiori alla prima, non è lungi dal vero; poiché i rispettivi loro — 366 — coefficienti risultano dalla somma di prodotti, ognuno dei quali contiene come fattore per lo meno tre dimensioni delle piccolissime frazioni /3, §, 7; perciò le somme stesse possono a buon diritto riguardarsi prossimamente nulle. Pertanto dopo eseguite le indicate operazioni sulla (65) , essa riducesi alla 2dt^ H- 2d't^ 2Bxt — yxt -4- (2d'i/3ò -+- 2dt^y -+■ 2df/3S , -4- 2d't^y -4- 2^Bxt — àyxt — y^Xt)t , -+- (4d,/3d H- -H . . . = 0 . Di qui avremo le seguenti eguaglianze di condizione j 2dt^ -+- 2d't^ 2àxt -^yxt*~0 , (67) ! 2d'tl3à-+-2dt^y-+-2dt^^-h-2d't^y-^-'ó^%-^2^^Xt — ^yxt — yl^Xt—0 , ( H- H- ^^x, = 0 . Dalla prima delle (66) avremo (68) Xt = 2(d,/3 d',^) 7 — 2S formula più generale della (62) , perchè dedotta indipendentemente dal va- lore numerico t della temperatura iniziale del pendolo, che si vuole ridurre compensato; dalla quale concludiamo doversi V altezza del mercurio per la compensazione medesima calcolare sempre nello stesso modo, qualunque sieno le temperature i, t'. Ponendo t = 0 nella (68), si ottiene la (62), che perciò è un corollario della prima. Il trovato valore, sostituito nella terza (67), ne fornisce d’t — — f dt , donde Xt ■— 0 . ò Questi valori, posti nella seconda delle (67), la riducono alla 2/3(5 — i3)d, = 0 ; dunque le (67), per essere insieme verificate, non forniscono una soluzione fìsica del problema. Però trascurando nella (65) anche i coefficienti delle ty e t'y perchè composti di termini contenenti ognuno due dimensioni delle picco- lissime frazioni ^3,5,7, resterà da verificare la sola prima delle (67), che ci fornisce il valore della x„ già determinato colla (68). Questa formula soddisfa, è vero. prossimamente all’attuale ricerca; ma deve considerarsi come la soluzione più generale possibile della medesima- La materia di cui si compone il recipiente cilindrico del mercurio, può essere, o vetro, o ferro; ma può anche al recipiente stesso ed al mercurio so- stituirsi un cilindro di zinco , metallo anch’ esso più dilatabile del ferro. In questo caso la verga del pendolo deve traversare tutto l’asse del cilindro in guisa, che mentre pel cangiamento di temperatura la lunghezza di essa varia in un senso , quella del cilindro di zinco debba variare in opposto. Perciò dovrà la verga scorrere senz’attrito lungo l’asse del cilindro, il quale poggierà sulTestremo inferiore della medesima , opportunamente a ciò foggiato. Reid nel 1812 ha costruito un compensatore con un’asta di acciaro, la quale nel r estremo inferiore sostiene la base inferiore di un cilindro di zinco, dentro cui può scorrere l’asta medesima; mentre la base superiore dello stesso ci- lindro, sostiene il centro della lente del pendolo. Egli è chiaro che le dilata- zioni od i ristringimenti, della verga e del cilindro insieme, producendo effetti contrari sul centro della lente, si potranno compensare perfettamente, purché alla verga ed al cilindro si dieno convenienti lunghezze. Il sig. Enrico Robert immaginò, con maggior semplicità, un pendolo compensatore a zinco; l’asta era di platino, e sosteneva coll’estremo suo inferiore una larga lente di zinco, la quale veniva traversata dall’asta medesima. Il centro di gravità di questa lente, conserverà sempre la medesima distanza dal centro di sospensione del pendolo , se la dilatazione dell’asta indicata , eguagli quella del raggio della lente di zinco ; ciò che ha luogo quando il raggio medesimo sia circa un terzo dell’asta. Per assegnare le condizioni di compensazione del pendolo a zinco, que- sto metallo essendo foggiato senza più in un cilindro , dovremo porre nelle (58) d't — 0, e perciò esse diverranno (69) 1 1 Lf — d( —— — ^ — dff — ^ Chiamando s il coefficiente della dilatazione lineare dello zinco, avremo eziandio e sostituendo questo valore nella equazione di condizione u — U' = 0 , — 368 — essa dovrà cangiarsi nella i^dt — (1 -- — 2de(l 1 -i-sf’) ( 1 =0 > la quale sviluppata ci porge, ?. riduzioni eseguite, la (70) {2dtl3 — sxt)t — (2dr-{xt — — [xt — 2d«)e/3t2=0 . da cui si ottiene la Xj 2/3(1 -H u) j formula esatta e generale, che non dipende affatto nè dal valore nu- della temperatura t\ nè da questa; sibbene da quello della iniziale t, e dalla medesima; cosicché posto t = 0, sarà Volendo poi raggiungere le condizioni della compensazione coll’altro metodo; cioè indipendentemente dai valori delle temperature t, dovremo annullare i quattro coefficienti della (70). E sebbene i medesimi sieno due a due fra loro eguali , dovremo tuttavia soddisfare a due equazioni per mezzo della sola Xt ; quindi è chiaro che anche pel pendolo attuale, la ricerca dell’altezza Xt, nella massima sua generalità, indipendentemente cioè dal valore nume- rico di qualunque temperatura, diviene più che determinata- Però, come al solito, se vorremo trascurare i termini moltiplicati per la frazione piccolis- sima s/3, lo che non ci discosta sensibilmente da vero, avremo formula indipendente dal valore numerico t della temperatura , non che da quello di qualunque altra iniziale. Quindi l’altezza Xt sempre sarà proporzio- nale alla lunghezza dt dell’ asta metallica, che traversa il cilindro di zinco. Ponendo nella (72) i = 0 , essa coinciderà nella seconda (71). Le prime ricerche sul variare delle dimensioni dei metalli, per effetto del ca- lorico, sono dovute a Vendelinus circa il 1650, quindi a Ellicot (l),Mortimer (2), (1) Philos. Trans, n. 443, voi. 47, p. 485. (2) Idem, n. 484. — 369 — Bouguer (1), Smeaton (2); in seguito Mussembroeck compose pur esso un pi- rometro, per misurare gli effetti del calorico sui solidi; e più tardi Ferdinando Berlhoud in Francia costruì la prima stufa in grande, con un pirometro per lo studio de’suoi pendoli compensatori , che il medesimo espose successiva- mente alla temperatura del ghiaccio fondente , ed a quella di 35° : così ottenne un pendolo sensibilmente compensato , ma della forma di quelli a telare, dei quali daremo in seguito l’analisi. Berthoud inoltre, dalle sue spe- rienze, dedusse una tavola delle dilatazioni dei diversi metalli, molto utile per la orologieria; giacché le verghe dei medesimi, avuto riguardo alla destina- zione loro, furono sperimentate sotto il peso della lente: circostanza che non può trascurarsi, per la esattezza della costruzione dei pendoli compensatori. Però affinchè la misura del tempo riesca precisa, e quale oggi l’avanzamento delle scienze fìsiche ed astronomiche richiedono, fa d’ uopo che non solo il pendolo compensatore, ma eziandio con esso l’ insieme dell’orologio sia spe- rimentato nella stufa, per ottenere quella compensazione che dicesi assoluta: attualmente questa pratica si osserva, ma fu trascurata da Berthoud. In fatti si conosce che in un osservatorio, la dilatazione locale non differisce sensi- bilmente ; ma in un appartamento riscaldato , se un termometro si colloca presso la lente, ed un altro presso la sospensione del pendolo, questo marca sensibilmente più del primo; perchè gli strati di aria riscaldati, s’ innalzano al disopra dei meno caldi, ed il pendolo non può essere compensato simul- taneamente in tutte le sue parti. Trovata la lunghezza del cilindro di mercurio, che prossimamente com- pensa il pendolo, si paragonerà col tempo siderale, per verificare se il moto è veramente uniforme, ad onta dei cangiamenti di temperatura. Se non lo sia, dovranno aggiungersi o togliersi delle piccole quantità di mercurio, e dopo qualche tentativo , si otterrà la richiesta compensazione- Si potranno anche a questo fine adoperare i due registri uno L fig. [V 2,“ e 3“ ) per le pic- cole, l’altro F per le grandi rettificazioni. Il pendolo compensatore a mercurio , fu rimpiazzato circa il 1738 da quello tutto solido a telaro; il motivo di questa sostituzione deve riconoscersi nella novità , piuttosto che nella utilità ; in fatti oggi quello è preferito a questo. E per verità il pendolo a mercurio, meno di quello a telaro od a (1) Hist. de l’accad. Roy. an. 1745, p. 235. (2) Philos. Trans, voi. 48, pari. 2, p. 598. 49 — 370 — verghe, si allontanai per la distribuzione della sua materia dal pendolo sem- plice; poiché il cilindro di mercurio posto nella estremità inferiore della verga, mentre forma una piccola parte della lunghezza totale del sistema, contiene una gran parte del suo peso. Inoltre, secondo Berthoud, nelle verghe metalliche la dilatazione, sotto il peso di una grossa lente, avviene sensibilmente proporzionale alla tempera- tura ; ma non può dirsi lo stesso dei ristringimenti delle medesime per la diminuzione del calorico. In questa osservazione si trova un’altro motivo di preferenza pel pendolo a mercurio , il qual metallo è anche suscettibile di una dilatazione più libera, e più degli altri equabile. In questo pendolo si può rettificare con più comodo ed esattezza la compensazione, perchè facilmente si possono togliere od aggiungere, nel recipiente cilindrico, delle piccole quantità di mercurio, mediante un sifone acconcio, e facilmente si possono adoperare i registri. La rettificazione, indispensabile per ogni pendolo compensatore dopo che fu costrutto, non può con tanta facilità ed esattezza eseguirsi nei pen- doli tutti solidi , nei quali non di rado le dilatazioni sono intermittenti , o saltuarie. Da ultimo il pendolo a mercurio costa meno dell’altro, e può facil- mente costruirsi ovunque. Si obbietta comunemente alla compensazione a mercurio, essere l’asta me- tallica penetrata più prontamente dalla temperatura, di quello siala massa di mer- curio che costituisce la lente del pendolo, nella quale consiste il mezzo essenziale per la compensazione. Però questa circostanza ritarda la compensazione di una quantità così tenue , che diviene trascurabile in riguardo agli altri van- taggi del pendolo a mercurio. Del resto se alla circostanza medesima si vo- lesse dare importanza, non mancherebbero acconci artifici per eliminarla. L’ impiego del ferro invece del vetro per la costruzione del serbatoio cilindrico, non è da riprovare, anche perchè al torno può il cilindro di ferro essere con più facilità ed esattamente calibrato. Però la dilatazione di questo metallo supera quella del vetro, quindi esigge quantità maggiore di mercurio; inoltre il ferro non permette che al di fuori si veggano i cangiamenti del vo- lume di liquido contenuto in esso- I pendoli a mercurio costruiti così fat- tamente dal sig. Dent, distintissimo fabbricatore di cronometri a Londra, for- — 371 — mali come vedesi nella (fig. 3), hanno tanto la verga quanto il cilindro che contiene il mercurio, costrutti dello stesso ac- ciaro non temperato. Il dischetto L potendo scorrere salendo e scendendo lungo la verga, serve pei piccoli registri, ed il congegno sottoposto F mediante un indice verticale che non si vede tracciato in figura, serve pei grandi registri. Termineremo le attuali ricerche, dando qualche appli- cazione delle formule (68), e (72); ma per maggiore sempli- cità supporremo che la materia della "^verga sia quella stessa del recipiente cilindrico; lo che a me sembra dover appor- tare anche più esattezza nella compensazione. In questa ipo- tesi (Fig. 2“ e 3“) dovrà essere /3 d, e = 0, donde la (68) si convertirà nella (73) Xt 2/3 d, 7-2/3 ove dt rappresenta la lunghezza di tutto il pendolo , com- presavi quella del recipiente. Per un’altra temperatura t' avremo donde (74) Xti 2iS dt, , 7-2/3 Xt I Xt' '■ — '■ dt • dt, , cioè nell’ attuale pendolo debbono, per la sua compensazione, le altezze del mercurio a due diverse temperature, essere direttamente proporzionali alle cor- rispondenti lunghezze dell’istromento. Dalla (74) si ottiene la (75) x„ = j d, , che senza dipendere dai coefficienti delle dilatazioni, una lineare /3, l’altra cu- bica 7, ci porge un metodo per ottenere la compensazione in un pendolo, co- strutto nel modo che ora indicammo. In fatti portato questo pendolo a due diverse temperature i, e misurate con ogni esattezza le quattro lunghezze che compongono la (75), basterà togliere od aggiungere tanto mercurio, finché la Xt sia tale da verificare questa formula, nel qual caso il pendolo medesimo sarà divenuto compensatore- Cognito per mezzo di questa sperienza il rap- porto y opportuno alla compensazione; siccome dalla (73) abbiamo dt ~ 372 — Xt 2/S così dato uno qualunque dei coefficienti /3, 7, potremo conoscere l’altro. Tutte queste conseguenze possono applicarsi anche al pendolo a zinco, mediante la formula (72), che appartiene alla sua compensazione. 11 sig. Kater, capitano inglese, dice di avere costrutto con felice successo un pendolo a mercurio, nel quale tanto fasta quanto il cilindro, che aveva f altezza di 7 pollici inglesi, erano dello stesso vetro, ed insieme connessi per saldatura: questo pendolo avrebbe il vantaggio di contenere meno mer- curio di tutti gli altri simili- ESEMPI 1. ° Volendo calcolare la (73), rifletteremo che secondo il sig. Regnault , quando la temperatura t sia minore di 50.°c., abbiamo il coefficiente della dila- tazione cubica del mercurio 7 == 0,00018027, e che secondo le più moderne sperienze, il coefficiente della dilatazione lineare del vetro /3 =-0,000008613. Sostituendo questi valori nella (73), sarà a;, = 0,105 d, , vale a dire che nel pendolo tutto di vetro, l’altezza del mercurio dovrà es- sere presso che un decimo della lunghezza di tutto il pendolo. Quindi me- diante la prima delle (58), ponendo in essa dt invece di dt -4- d't„ ovvero la prima delle (69), avremo la distanza dal centro di gravità del mercurio dal centro di sospensione, data mediante la lunghezza di tutto il pendolo come siegue L, = 0,948 d, , equazione dalla quale, cognita una qualunque delle L^, di, si conoscerà l’altra. 2. ° Se il pendolo sia tutto di acciaro non temperato, sarà ^= 0,000010788, quindi la (73) si ridurrà nella iEf = 0,136 dt , cioè l’altezza del mercurio maggiore nel caso dell’acciaro, di quello sia nel caso del vetro; la relazione poi fra la distanza del centro di gravità del mer- curio dalf asse di sospensione, e la lunghezza di tutto il pendolo, sarà data dalla L;= 0,932 d.. — 373 — 3. ® Riguardo al pendolo costrutto mediante una verga di acciaro non temperato , e di un cilindro di zinco nel modo che indicammo ; poiché la dilatazione lineare di questo metallo , il più dilatabile degli altri , è data da £ = 0,000029417, così dalla (72) avremo a;, = 0,733 d, , e quindi mediante la prima delle (69) sarà L, = 0,634 d, . 4. ° Se la verga che traversa il cilindro di zinco sia vetro, sostituendo i relativi sopra indicati valori numerici dei coetficienti /3 , s nella (72) , da questa, e dalla prima delle (69) otterremo a:, = 0,585 d, , L, = 0,708 d, . [Continuerà], — 374 - COMUNICAZIONI Due perdite oggi 1’ accademia ricorda con sommo dolore, per la morte non ha guari avvenuta di due suoi membri onorevolissimi; uno il R. P. An- tonluigi Ferrarini della compagnia di Gesù, l’altro il cav. Michele Medici della università di Bologna. Il eh. Ferrarini, presidente del collegio filosofico della romana università, e membro ordinario deH’accademia pontificia de’ nuovi Lincei , fino dal suo risorgimento , opera del regnante S. Pontefice , mancò ai vivi il dì 12 dello scorso aprile- Era nato il dì 23 luglio dell’anno 1788: passò fanciullo dallo stato di Modena in Parma , ov’ebbe la prima istruzione. Abbracciò di buon ora lo stato religioso. Si applicò per lunghi anni in più città del nostro stato all’istruzione della gioventù. Fissato in Roma dall’anno 1824, fu scelto dal Pontefice Leone XII fra i membri del collegio filosofico, del quale restò quindi presidente per la morte del prof. Oddi: ai doveri di questa carica si prestò quanto gli permetteva l’ inferma salute ; e più ancora che questa non per- metteva, negli ultimi mesi, occupando gli avanzi delle sue forze per soddi- sfare ad un incarico affidatogli dalla s. congregazione degli studi. La sua sa- nità dichinante e poscia affatto perduta , non gli permise di frequentare la nostra accademia : ma non mai lasciò d’ interessarsi delle scienze. Aveva in altro tempo insegnata la fisica. Aggiunse per qualche anno alle sue ordinarie occupazioni l’ insegnamento degli elementi di matematica nel collegio romano- Ma i più assidui suoi studi versarono intorno alla metafisica ed alla filoso- fia religiosa, e intorno a ciò è da credere che più cose abbia lasciate mano- scritte: ma certamente ha lasciato a’suoi conoscenti l’esempio di tutte le virtù religiose e morali. L’ illustre Michele Medici, dopo lunga infermità, da lui sopportata con ras- segnazione cristiana, e munito di ogni conforto di nostra santa religione, man- cava di vita nella notte dell’ 8 di maggio del corrente anno. Questo dotto italiano era professore emerito di fisiologia nella università di Bologna, e mem- bro del collegio medico nella medesima; era presidente dell’ accademia Be- nedettina dell’ istituto delle scienze in detta città, e nostro socio corrispon- dente italiano- Le molte opere da lui pubblicate, oltre alle virtù e doti ama- bili del suo bell’animo, saranno cagione che la memoria del nostro corrispon- dente, il quale fu ascritto a molte illustri accademie, rimanga sempre onorata in Italia e fuori- — 375 — Il sig. presidente invitò gli accademici relatori di commissioni, a com- piacersi portare nella prossima tornata i rapporti delle medesime. II R. P. Angelo Secchi presentò i risultamenti, ottenuti dalle osservazioni fatte fin’ora nel nuovo osservatorio magnetico del collegio romano ; cioè la determinazione assoluta della declinazione, inclinazione, ed intensità magne- tica, non che delle variazioni regolari diurne del declinometro, durante l’anno decorso. 11 prof. Volpicelli riferì alcune sue sperienze di elettrostatica, dalle quali risulta che il fenomeno di Libes, deve riguardarsi molto più generale di quello fin’ ora siasi ritenuto; e l’ autore si espresse come siegue- Sopra un disco di legno ricoperto di tela verniciata con resina, poneva Libes (l) un disco metallico , annesso pel centro ad un manubrio isolante ; poscia , evitando sempre il più possibile ogni confricazione, separava 1’ un disco dall’ altro , e trovava la resina positiva , ed il sovra posto disco negativo. Il fenomeno era favorito dalla pressione , non solo, ma eziandio dall’ essere più d’ una le copertine di tela verniciata. Gli effetti erano inversi , cioè il disco di- veniva positivo e la resina negativa , se col primo si effettuava uno stro- finio sulla medesima. Questa diversità di risultamenti fra la pressione e l’at- trito, fece concludere a Libes che la pressione sola, e non l’attrito, era causa dello sviluppo di elettricità positiva nel taffettà verniciato di resina. La di- versità medesima per tutti è rimarchevole molto ; altri poi la riconoscono non ancora spiegata (2); altri ne danno ragione ammettendo che l’avvicina- mento delle molecole fra loro, sviluppi una elettricità opposta a quella svilup- pata per l’allontanamento scambievole di esse (3)- Quando fosse ciò, si avrebbe un altro motivo a non escludere la possibilità di uno sviluppo elettrico, nel- l’avvicinarsi dei corpi fra loro, ed uno contrario neH’allontanamento fra i me- desimi. Inoltre sembra che questa possibilità non solo venga consentita dalla buona ragione, ma eziandio dal fatto seguente. Nel corso delle sue sperien- ze, il prof- Zamboni vide (4) con certezza, svolgersi elettricità fra due me- (1) Trattato completo ed elem. di fisica, T. 3.° Firenze 1815, p. 171. (2) Becquerel, Traité d’électricité. Paris 1855, T. 1.® p. 140. (3) De la Rive, Traité d’électricité. Paris 1856. T. 2.® p. 579. (4) R. P. Pianciani Istitu. fisi, chini. T. 3.® p. 128, Roma 1834. — 376 — talli eterogenei, senza che i medesimi fossero giunti a contatto fra loro, ma solo per essere vicinissimi l’uno all’altro (!)• Ciò aveva già il Volta sospet- tato (2) , ed il Marianini ha poscia dimostrato (3) , lo che deve riguardarsi come cosa molto importante per la teorica elettrostatica. A me pare primieramente che dalla diversità dei fatti sopra indicati , non abbiasi diritto a concludere , che la pressione sia causa dello sviluppo di elettricità positiva dal taffettà verniciato; poiché non può mai la pressione disgiungersi dall’ attrito, per lo meno da quello proveniente dall’ incastrarsi delle molecole in superficie, tanto mentre queste giungono a contatto, quanto mentre si separano l’una dall’altra , il quale attrito bisogna di necessità ri- conoscere inevitabile in ogni pressione- Che se il fenomeno indicato cresce colla pressione (4), ciò vuol dire che cresce nel tempo stesso l’attrito degl’in- castri colla pressione medesima: inoltre se quel fenomeno cessa tosto che il taffettà perda quel glutine, che rende la sua superficie facilmente compres- sibile (5), ciò significa che diminuendo la compressibilità diminuisce l’attrito degl’ incastri, il quale diverrebbe nullo fra corpi perfettamente duri e levi- gali. Secondariamente avendo noi veduto per via di sperienza, che l’attrito leg- giero di strofinio come pure Tattrito d’incastro genera nelle resine la elettricità positiva (6), potremo dire che il fenomeno del Libes a questo attrito unicamente, cioè ad un attrito leggiero, e non alla pressione deve attribuirsi. Possiamo però andar più oltre a fine di spiegare il fenomeno stesso, riflettendo essere gene- ralmente ammesso, che si manifesti elettricità negativa o positiva, in quello di due corpi che si stropicciano insieme, secondo che nel medesimo sieno piA o meno ampie le oscillazioni delle molecole superficiali dallo strofinio ca- gionate. Le nuove sperienze da noi riferite (7), e quelle che verranno pub- blicate in seguito su tale argomento, confermano questo principio, e lo ge- neralizzano, perchè lo mostrano vero anche in uno stessa corpo, il quale stro- picciato colla medesima sostanza diviene negativo o positivo, secondo che l’at- trito è più 0 meno forte. Ciò si verifica non solo quando il corpo stropic- ciato si trovi allo stato naturale, ma pure quando si trovi elettrizzato, nel (1) Zamboni Par. II, p. 20&, *e seg. (2) Volta T. II, Par. II. p. 61. (3) Mem. della Società Italiana, T. XXI, p. 233. (4) R. P. Pianciani Istituzioni fisico-chim. T. 3,“ p. 29, Roma 1834. (5) Idem. (6) Vedi pag. 143, e seg. di questo voi. (7) Idem. — 377 — qual caso la eleltricilà come abbiamo veduto (1) può cangiar natura, me- diante lo strofinio stesso, che da negativa la renderà positiva, se sarà leg- giero; e da positiva negativa se sarà energico, potendosi questi passaggi ripe- tere indefinitivamente. Dopo ciò sembrami che il fenomeno di Libes nella prima parte debbasi all’ attrito che accompagna la pressione, il quale poiché leggero, genera nella resina che riciiopre il taffettà oscillazioni molecolari poco ampie, quindi elet- tricità positiva nella resina medesima; ed anche v’influisca, fra metalli special- mente, l’elettrotismo. Ho trovato che, se l’estremo di un cannello di cera di Spagna si prema leggiermente colle due dita della mano, ricoperta di un guanto di lana, od anche di qualunque altro tessuto, e procurando che non si generi attrito di sorta, da quello in fuori che accompagna la pressione, la cera medesima di- viene positiva, e ciò per la ragione ora indicata (2). Premendo senza più un disco di cera di Spagna con uno di metallo iso- lato, e poi portando questo presso l’elettroscopio, si trova essere negativo; dunque la cera di Spagna divenuta positiva, lo è per l’attrito leggiero degl’in- castri che accompagna la pressione. Premendo pel manubrio isolante il disco superiore di un condensatore, e poi sollevando nell’ isolamento il disco medesimo , si trova tanto questo quanto l’inferiore provveduto di elettricità negativa; e ciò perchè la pressione del metallo contro la cera di Spagna che sepera i due dischi, ha cagionato mediante un leggiero attrito la elettricità positiva in essa, e la negativa nei dischi. Il medesimo fatto si verifica premendo colle dita i due dischi del con- densatore uno contro l’altro. In questo caso la elettricità positiva della cera di Spagna genera la negativa nei dischi medesimi, la quale si manifesta su- bito che vengano essi 1’ uno dall’ altro separati. Gli stessi fatti hanno luogo anche quando il disco superiore non sia ricoperto di cera di Spagna , ma questa si trovi solamente sopra l’ inferiore. Se invece di premere un disco contro l’altro, si faccia invece uno scorrere sull’altro, e si generi fra essi l’attrito di strofinio, in tal caso i dischi diver- ranno ambedue positivi, tanto se la vernice si trovi sopra uno, quanto se so- pra r uno e r altro dei medesimi. (1) Pag. 143, e seg. di questo volume. (2) Idem. 50 — 378 — Mi è occorso vedere che un disco, sia di rame, sia di zinco, purché iso- lato con un manubrio di vetro verniciato , se venga fortemente stropicciato sopra un quinterno di carta ordinaria da scrivere, diviene elettro positivo, e quindi la carta negativa: che se venga semplicemente premuto sulla medesima, esso mostra elettricità negativa, e quindi la carta si elettrizza in contrario. Ho preso una lastra di cera di Spagna ben piana , tre decimetri qua- drati, e vi ho posto sopra un disco, sia di rame, sia di zinco connesso pel suo centro ad un manubrio bene isolante. Stropicciando piano il disco sulla cera di Spagna, questa si mostrava positiva, ed il disco negativo; ma stro- picciando forte il disco medesimo, la cera si mostrava negativa ed il disco positivo- Vidi altresì che tornando a stropicciare piano si otteneva il posi- tivo , e forte il negativo dalla detta cera ; e così successivamente , cioè si otteneva dalla cera di Spagna, coirono o l’altro dei due indicati metalli, la polarità alternativa indefinita, che ottenni con altre sperienze già da me pub- blicate (1). Tutto ciò generalizza il fenomeno di Libes; e la spiegazione del mede- simo pare debba consistere nella maggiore o minor ampiezza delle vibrazioni molecolari- Le sperienze ora esposte si confondono con quella del Libes , e si spiegano colla medesima, per mezzo dello stesso principio, cioè per l’at- trito leggiero che genera, specialmente nella resina, la elettricità positiva; e per quello energico il quale produce la negativa: forse perchè il primo ca- giona vibrazioni molecolari meno ampie del secondo. A me per ora basta osservare, che l’indicato fenomeno di Libes troppo restò sino al presente isolato ; mentre poteva entrare fra molti altri simili, ed essere un corollario di un fatto più generale. Fra questi sono da ricor- dare quelli osservati dal Volta (2) , il quale verificò un fenomeno simile a quello di Libes coi metalli posti sopra carta, panno, euojo, legno: ed è pro- babile che il fenomeno stesso abbia luogo anche premendo fra loro sostanze ambedue non metalliche. Il fenomeno in proposito adunque, in quanto alla sua prima parte, procede dalFattrito d’incastro, cioè da queirattrito il quale accompagna sempre la semplice pressione, ed una dev’essere la maniera di spiegare questi fatti; però non perdendo mai di vista l’elettrotismo. La elet- tricità che fra i corpi ha luogo per questo leggero attrito , diversifica nella (1) Vedi p. 143 e seg. di questo voi. (2) R. P. Pianciani istit. fisi. chim. T. 3. pag. 104 Roma 1834. — 379 — quantità e qualità da quella che si manifesta nei medesimi per attrito di stro- finio fra loro, cioè per l’attrito che si genera nello scorrere dei corpi l’uno sull’altro. Darò maggiore sviluppo a questa materia, quando avrò potuto ri- petere le nuove sperienze già da me fatte sulla medesima , e quando avrò potuto separare, se sarà possibile, la parte che in esse appartiene all’attrito di semplice pressione, da quella che riguarda Telettrotismo- COMMISSIOINI Sulla dimanda del sig. ab. Antonio Marucchi, per la proprietà del Planaltometro. RAPPORTO (Commissari sig/' prof-'"' C. Sereni, e G. Pieri relatore) L’ uso del circolo per la misura degli angoli è di così remota origine, che può dirsi opera piuttosto vana che incerta rassegnarne l’epoca e 1’ in- ventore; non così dell’ago magnetico, applicato a misurar gli angoli all’oriz- zonte ; il quale sebbene dispieghi tutta la sua virtù e prevalenza nell’ arte nautica, di cui è principal fondamento, non cessa per questo di tornare an- cora utilissimo nelle riconoscenze terrestri , e in quella parte di topografìa, ove più che il rigore importi la speditezza e facilità de’ rilievi. Ora la bus- sola ed il circolo, che di comune soglionsi adoperare distinti, potè a molti sembrare non sconvenevole venissero raccordati fra loro, per modo che l’uno fosse all’ altro di riscontro e di appoggio. Il sig. ab. Antonio Marucchi, di- rettore fra noi di una scuola di periti misuratori di fabbriche e di terreni, è nel numero di quelli che così la pensarono, ed è poi il primo che, non du- bitando affidarne l’esecuzione ai nostri artefici, e corredando il suo strumento d’un arco per le altezze, si piacesse denominarlo dal doppio uffizio Planal- tometro. Però il sig. Marucchi fa istanza ond’essere riconosciuto proprietario legittimo del suo planaltometro, per giovarsene a termini di legge. La commissione dai voi destinata a tal uopo, volendo dare alla dimanda del sig. Marucchi quel senso ragionevole e discreto del quale è suscettibile, — 380 — non trova difficoltà per dichiararlo inventore, e perciò proprietario di quello speciale artificio, con che ha egli creduto di montare il suo grafometro-bussola; e ritiene che senza offendere la giusta libertà, della quale sono in possesso da tanto tempo i cultori delle applicazioni geometriche, possa rilasciarsi, die- tro regolare deposito del modello presso il ministero del commercio, la pa- tente di privativa dello strumento tale quale , sia nelle parti , sia nel loro movimento, risulta dal disegno a stampa, che non ha bisogno di essere a voi dichiarato. Quanto poi alla combinazione in genere del circolo alla bussola, essa già trovasi di pubblico diritto, e non si potrebbe ragionevolmente pre- tendere che negli stati della chiesa non venisse congegnata altrimenti da quel che piacque all’autore del planaltometro. La commissione conclude con parole di lode verso il valente direttore della nuova scuola di periti-agrimensori, il quale ha meritato bene della loro arte, estendendone fra noi l’esercizio, e la pratica anche all’altimetria, ed al disegno topografico, a dir vero negletti al di là di quanto si conveniva. In seguito di che la commissione opina che nulla osti, perchè il ag- ab. Maruc- chi venga dichiarato proprietario del suo planaltometro ne’ modi e termini di sopra espressi. L’accademia, per voti, approvò le conclusioni di questo rapporto. CORRISPONDENZE Per ordine di S. E. il sig. de Brock ministro di finanze, lo stato mag- giore del corpo degl’ ingegneri delle miniere di Russia, invia in dono un esem- plare degli annali dell’osservatorio fisico centrale di Russia, pubblicato dal- l’amministrazione imperiale delle miniere per l’anno 1855. 11 sig. Kupfter, direttore dell’osservatorio nominato, ringrazia per gli atti de’ Nuovi liincei giunti ad esso. 11 medesimo sig. direttore fa giungere in dono un esemplare del suo conto reso per l’anno 1856. La R. accademia delle scienze di Monaco ringrazia, per le pubblicazioni dei Nuovi Lincei, giunte alla medesima. — 381 — COMITATO SECRETO La commissione composta dei signori professori monsignor L. Ciuffa re- latore, G. Pieri, e D. I. Calandrelli, lesse il suo rapporto sul consuntivo ac- cademico riguardante Tamministrazione del 1858, e concluse che il medesimo era in ogni sua parte regolare. L’accademia per voti approvò le conclusioni di questo rapporto. In seguito fu approvato il preventivo pel 1859, presentato dal segretario a nome del comitato accademico. L’ accademia riunitasi legalmente alle 5 pomeridiane , si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari presenti a questa sessione. M. Massimo. — P. Volpicelli. — C. Maggiorani. — G. B. Pianciani. — A. Secchi. — 0. Astolfì. — G. Ponzi. — P. Carpi. — L. Ciuffa, — I. Ca- landrelli. — C. Sereni. — A. Coppi. — E. Fiorini. — B. Tortolini. — Mon- signor F. Nardi. — N. Cavalieri S. B. — G. Pieri. — S. Proja. Pubblicato il 22 ottobre 1859 P. V. OPERE TENUTE IN DONO Intorno ad una macchina per costruire mattoni a compressione., da porsi in opera senza cottura. Estratto dalV Incoraggiamento., giornale di agricoltura., industria., e commercio. Bologna 1858, un fascicolo in 8.” Islorico fisico ragionamento sulle culture umide., e sulle pretese bonificazioni da farsi per loro mezzo delle terre palustri dello stato pontificio , risguardanti Vagro romano. Parte terza del dott. Agostino Cappello. Roma 1858 , un fascicola in 8." Fiori Campestri canti popolari di Vincenzo de Listo. Napoli 1859 , un fa- scicolo in 8.° — 382 — Memorie deW Accademia delle Scienze delC Istituto di Bologna. Tomo IX, fascicolo 2. Bologna 1859, un fascicolo in 4." Atti delV Imp. Reg. Istituto Veneto di scienze, lettere, ed arti, dal no- vembre 1858 air ottobre 1859. Tomo quarto, serie terza, dispensa quinta. Venezia 1858-59, un fascicolo in 8.“ Il Nuovo Cimento giornale di fisica, di chimica, e scienze affini, compilato dai professori C. Matteucci e R. Pi ri a. Tomo IX, marzo e aprile 1859. Intorno alla cometa periodica di Biela. Nota del comm. Giovanni Santini. Venezia 1859, un fascicolo in 8.“ Posizioni medie di 2696 stelle pel l.° gennaio 1860, distribuite nella zona com- presa fra 10° e 12" 30' di declinazione australe , dedotte dalle osservazioni fatte negli anni 1856-57-58 neW I. e R. Osservatorio di Padova. Memo- ria del Medesimo. Venezia 1858 un fascicolo in 4.° grande. Compie . . . Conto reso annuale, diretto a S. E. il sig. De Brock, ministro delle finanze, dal sig. A. /. Kupffer direttore del! osservatorio fisico centrale. Anno 1856. S. Pietroburgo 1857, un fascicolo in 4.° Annales . . . Annali deW osservatorio fisico centrale di Russia, pubblicato per ordine di Sua Maestà'' Imperiale, sotto gli auspici di S. E. il sig. De Brock ministro delle finanze, e capo del corpo degli ingegnieri delle miniere, del Me- desimo. Anno 1855 n.° 1 e 2. S. Pietroburgo 1857 , un volume, ed un fascicolo in 4.° Denkrede . . . Discorso in memoria di Giovanni Nepomuk von Fuchs, letto nella pubblica seduta della Beale Accademia delle Scienze di Baviera, il 28 marzo 1856 da Ffl^yvc^sco voiv Monaco 1856, un fascicolo in 4.° Abhandiungen . . . Atti della classe fisico-matematica della Reale Accademia delle Scienze di Baviera. Sezione seconda dell’ ottavo volume. Mona- co 1858, un fascicolo in 4.® grande. Comptes . . . Conti resi dell' I. Istituto di Francia, in corrente. Memorie dell' I. R. Istituto Veneto di scienze, lettere, ed arti. Voi- Vili, parte II. Venezia 1858, un voi- in 4.® grande. Atti del suddetto istituto^ Dispensa 2-“ del 1858-59. The Atlantis . . . L'Atlante. Raccolta di lettere e scienze pubblicate dai mem- bri della Università' Cattolica d' Irlanda- N.* 3. Gennaio 1859 con due incisioni. Londra 1859. IMPRIMATUK Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Min. Conv. Archiep. Icon. Vicesgerens. 'MÌ^' .'■ji^f. ;t^'. r dt à ^ M- -' ' ■ '1 . ,,v.5 •■fe •■» . -iwr y -s * * * v>» V-, -.4? * 1„ ,?iSl»yiT„ y? . fi iftrr »-y< ' ^■..' . C:' '■fr‘m' 1 V . '■; V'»'V(^*Vs^ Si'*W. ÌH **■>)«' " ■ ''l,'^' ■*’• .'jf •■ F-^il VOv'' <,< J.:.f «f,v *, '■ '^7fT“‘ t*» "-ài:', .fa ' "Hti -if "‘ >j1 ■ , ,. ...... ■ ■■.ù ìH ’. i'i. '''■; :i';,v /'J.:-!.. ATTI DELL’ ACCADEMIA PONTIFICIA DE’ NUOVI LINCEI SESSIONE Vl|.“ DEL 5 GIUGNO 1859 PRESIDEIVZ4 PEL SIG. DECA D. MARIO MASSIMO MEMORIE E COMUNICAZIONI SEX SOCI ORSlIffARI E SEI COB.RXSSONSEIffTl Per l’assenza del sig. duca Massimo, presedette il sig. prof. N- Cavalieri S. B. Astronomia. — Occultazione di Saturno, osservata nella pontificia specola della romana università nella sera del giorno 8 maggio 1859. Nota del prof. /. Calandrelli. l.° L occultazione di un corpo celeste , come Saturno , sembra che possa interessare più l’astronomia fìsica , che 1’ astronomia propriamente detta. Il calcolo di una occultazione basa sulla esattezza dei tempi del fenomeno , e sulla esalta posizione di uno almeno dei due corpi, condizioni che, general- mente parlando, mancano nella occultazione di un pianeta dotato di sensibile diametro. È molto difficile precisare lo istante in cui il centro del pianeta si trova a contatto coi lembi della luna nella immersione, e nella emersione: è anche difficile dedurre questo istante dal medio dei tempi che notano i con- tatti del corpo sferico del pianeta coi lembi lunari : le posizioni poi della luna e del pianeta , quali si hanno dalle tavole sogliono presentare piccoli errori, rimane perciò sempre incerta la posizione di quel corpo celeste che suol dedursi dalla posizione calcolata dell’altro. 2." Considerando che le due estremità dell’anello di Saturno compariscono come due punti lucidi, o due piccolissime stelle, e che per conseguenza istan- tanei ne sono i contatti , e le sparizioni , notai i seguenti tempi al pendolo siderale del quale conosceva la variazione, la quale fu anche verificata nella stessa sera col passaggio della s Vergine. 51 — 384 1859. 8 Maggio t. sid. a Roma, Immersione Emersione Contatto della estrem. dell’anello 12/37.'”25.'’ 0 Appariz. 13.* 33.'"15.^ 0 Sparizione dell’altra estrem. 38. 21. 5 Contatto 34. 14. 5 Supponendo il centro di Saturno ad egual distanza dalle estremità del suo anello, ottenni Immersione 12.*37.'”53.^ 25 t. sid. Emersione 13.* 33.'"44.^75 9. 33. 18. 50 t. med. 10. 29. 0. 00 3. “ Durante il fenomeno , pochi minuti prima della emersione , si ebbe la favorevole circostanza di osservare 1’ immersione di una piccola stella del Cancro. Questa piccola stella è notata nel catalogo di Taylor {Madras 1844), e pel giorno 8 maggio ricavai la seguente posizione apparente a ^ 8.* 37.'”29.^ 336 L= 126." 46.' 26."70 a = l9.M9.'34"68(-^-) 0. 45. 18. 40(h-) L’ immersione di questa stella fu osservata da me e dagli astronomi di Ptd- kova. 11 calcolo di questa osservazione porge il mezzo più sicuro per avere la vera longitudine della luna nel momento della congiunzione; quindi gli er- rori delle tavole lunari : è appunto per questa ragione che mi sono deciso a considerare il fenomeno sotto l’aspetto astronomico, non trascurando le fi- siche apparenze delle quali renderò conto nel fine di questa nota. 4. ° Prima dì passare al calcolo premetto le seguenti indicazioni. L', X' la longitudine e la latitudine vera della luna ricavate dalle tavole. L, X la longitudine e la latitudine del corpo che si occulta stella o Saturno. L", X" la longitudine e la latitudine apparente della luna. P la parallasse orizzontale della luna nel parallelo nella ipotesi dello schiacciamento • 334.96 n , n le parallassi di longitudine , e di latitudine della luna nella im- mersione, n', n' le analoghe nella emersione. fio, fio' le distanze dalla congiunzione apparente in longitudine e in lati- tudine tanto nella immersione, quanto nella emersione. A, p i semidiametri orizzontali della luna, e di saturno. A' il semidiametro apparente della luna. A" = A'-i- p la distanza apparente dei centri. — 385 — 5. ° L', X' sono state ricavate dalle recenti tavole di Hansen: dalle me- desime ottenni la parallasse orizzontale equatoriale della luna , e il suo se- midiametro orizzontale. L, X di Saturno sono state dedotte dalle posizioni del- Valmanacco nautico di Gi'eemuich, e dallo stesso almanacco ottenni la paral- lasse equatoriale orizzontale di Saturno , e il suo semidiametro orizzontale. Volli anche calcolare L', X' colle posizioni date neH’almanacco, e paragonate con quelle delle tavole di Hansen^ ebbi L' tav. — 1/ alm. — 17." 2 X' tav. = X' alm. -t- 3. 7. 6. ° Colle tavole di Hansen calcolai due luoghi della luna, cioè pel giorno 8 maggio 10.* 24.'" 36.'' 0 istante della immersione della stella, e per Torà antecedente 9/ 24.'” 36.^ 0 e in tal modo ottenni Moto orario della luna in longitud. 35.' 26." 16 in latitud. 2. 57. 48 (— ) Variaz. oraria della parallasse. 0. 53 (-) del semidiametro. 0. 15 (-) Dall’almanacco nautico poi ebbi Moto orario di Saturno in longitud. 8."695(-h) in latitud. 0. 00 Parallas. equat. orizzontale. 0. 90 Semidiametro orizzontale. 8. 10 Immersione della stella osservata a Roma e a Pulkova. 7." Col metodo proposto dal cav- Carlini astronomo di Milano si ottiene 8 Maggio Immersione 10.*24.'”36.^0 t.m. a Roma 1 1 .*5.'”51 .^92 t.m. Pulkova. X'= l.“ '35.' 49.' '49(h-) 1.* 37.' 18.' '80 P = 0. 59. 17. 17 0. 59. 14. 27 A = 0. 16. 12. 19 0. 16. 12. 30 n = 0. 32. 37. 80(-) 0. 16. 54. 30(~) n = 0. 42. 33. 90(H 0. 53. 2. 90(-) w = 0. 14. 7.» 30 0. 16. 10. 60 a = 60. 36. 12. 60 93. 41. 8. 50 L'= 127. 4. 57. 20 Cale. 126. 47. 10. 40 Cale. L'= 127. 4. 57. 04 Tav. 126. 47. 10. 30 Tav. — 386 — L’accordo fra la longitudine calcolata e quella delle tavole è ammirabile: se poi si rifletta che, trattandosi della sola immersione, col metodo di Carlini si ha L== L — n Asen.a cos.(X — n) ’ e che l’angolo a dipende dalla latitudine vera della luna tratta dalle tavole e dal semidiametro orizzontale della luna, avendosi cos.a deve inferirsi che, nella ipotesi di L e X della stella ben determinali, gli er- rori delle tavole lunari di Hansen sono sensibilmente nulli. Si può dunque fis- sare: tempo della vera congiunzione al meridiano di Roma 1859. 8 maggio 9.'' 53."' 14. 95, e per questo istante L = L'= 126.° 46.' 26." 70. 8.° Fissata in tal modo la posizione della luna per un dato istante, si può passare al calcolo della occultazione di Saturno, e indagarne gli errori delle tavole. Occultazione di Saturno. Immersione 8 maggio 9.* 33."* 18.'" 50 Emersione 10.'^ 29.'” 0." 0 t. m. a Roma L' = 126.°34.'40."07 j j tav. 127.° 7.'33."56 ) , > tav. 1. 35. 36. 73 ! X'-= 1. 38. 21. 46 * L = 126. 18. 27. 20 j alman. 126. 18. 35. 20 1 , X 0. 50. 21. 60 1 0. 50. 21. 60 ì p = 0. 59. 16. 73 0. 59. 16. 20 A = 0. 16. 12. 32 0. 16. 12. 19 p = 0. 0. 8. 10 0. 0. 8. 10 L"= 126. 4. 42. 00 126. 34. 41. 40 X"= 0. 59. 50. 70 0. 52. 47. 80 A' = 0. 16. 22. 00 0. 16. 19. 30 n = 0. 29. 58. 07(- -) n'=- 0. 32. 52. 16(— ) 7T = 0. 38. 30. 76(- -) = 0. 42. 48. 93(~) (1) = 0. 13. 34. 13 0. 16. 17. 40 co' = 0. 9. 23. 59 0. 2. 20. 88 L' = 126. 34. 51. 14 ) calcol. ol- 1 X' = 1. 38. 15. 95 j 1. 35. 31. 41 1 — 387 — Le posizioni L', V calcolate della luna dipendono da L, x di Saturno, come appunto negli ecclissi solari, L', X' dipendono da L, X del sole, e come in una occultazione di stelle, L' X' della luna si deducono da L, X della stella. Se dunque supponiamo L, X di Saturno esenti da errori, dal calcolo superiore si dovrebbe inferire che le tavole lunari di Hansen danno gli errori in lon- gitudine e in latitudine calcolo — tavole = -f- 1 1." 07 in long. — 5. 51 in lat. 9.” Supponiamo per un momento che questi errori in senso contrario si debbano attribuire alle posizioni di Saturno, diminuendone la longitudine di 11." 07, e aumentandone la latitudine di 5." 51- Immaginiamo due lune concentriche, una di raggio A, l’altra di raggio A -H p : è chiaro che nello istante in cui il lembo della luna di raggio A è a contatto col lembo di Sa- turno, un punta della luna di raggio A -i- p coinciderà esattamente col cen- tro di Saturno. In questo caso , calcolando le parallassi , usando di L , X di Saturno corrette nel modo indicato, avremo nello istante della immersione L'= L — n _ (A -f- p) 7 = L — n — M X' = X — 7T -t- (A -j- p) sen.(/3 — a) = X — _4_ nelle quali N H- t:'— n essendo X' la latitudine vera della luna nello istante della immersione, ed N il moto vero in latitudine durante il tempo del fenomeno. Dal calcolo ottenni Immersione II = 29.' 50. "0( — ) ;r =38. 36. 0(— ) Emersione n'=:32. 58. 7( — ) n' = 42. 50. 3(— ) sarà dunque a = 13.° 16.' 36." 6.(— ) iS = 21. 26. 54. 6.(h-) 00= 0. 13. 26. 09. oo'= 0. 9. 58. 48. L'=126.»34.'40."04 X'= 1.38.21.19, le quali combinano con quelle delle tavole di Hansen- Dopo la correzione data alla longitudine di Saturno si trova: tempo della congiunzione al meridiano di Roma — 388 8 maggio 9.* 5.“ 25/ 66 L'-=L = 126/ 18.' 12." 09. 10. " Nello istante della emersione , e della immersione deve essere A" A' j5. 11 valore di A" può rigorosamente calcolarsi dalla formula sen.'^lA" = sen.^|(X" — X) -f- sen.^^(L" — L) cos.X" cosX- Dai dati superiori (8") nella immersione si ha A” = 16.' 30." 10. Se nel cal- colo usiamo dei valori L e X di Saturno corretti nel modo indicato si trova a"— 16. '30. "08, coi valori poi di L e X delle tavole si avrebbe A"=16.'42."42; ora nella immersione è quasi impossibile prendere un equivoco così forte nello assegnare il tempo del contatto- Dai dati medesimi (8") nella emersione si ha A" = 16.' 27." 40; dal calcolo risulta A" = 16.' 27-" 39 nella ipotesi sempre di L e X corretti- I tempi dunque del fenomeno al meridiano di Roma sono esattamente indicati, gli errori delle tavole di Hansen sono nulli, e gli errori di — 11" in longitudine, e di 5." 5 in latitudine si debbono attribuire alle posizioni di Saturno. 11. * Lo stesso fenomeno è stato osservato in altri luoghi. Sembra però che gli astronomi si sieno occupati più delle apparenze fisiche, che della os- servazione astronomica. I tempi generalmente sono stati trascurati, quelli della emersione in modo particolare sono incerti, e dalla combinazione delle due osservazioni , cioè della immersione e della emersione si ottengono dal cal- colo risultati talmente erronei che non sono affatto compatibili coi tempi no- tati del fenomeno. Nulladimeno ho voluto esaminare le osservazioni che finora sono giunte a mia notizia, limitando il calcolo alla sola immersione. Osservazione di Firenze. Nel giornale astronomico di Altana N.° 1199 si notano dal Sig. Donati i tempi della sola immersione, cioè Contatto della estremità dell’anello 6.*23.“57.^6 t.m. Sparizione dell’ altra estremità . . 9. 24. 46. 1 - 389 — Dal medio risulta 8 Maggio. Immersione 9.* 24.'" 21.^ 8 t. m. a Firenze A = 0. 16. 12. 33 L" = 126. 4.30.70 1" = 0. 59. 30. 50 A' = 0. 16. 22. 40 n = 0. 27. 46. 00 (— ) « = 0. 13. 44. 58 L' == 126. 32. 28. 04 Calcol. L’errore delle tavole lunari Calcolo-tavole = -+- 1 1 34 combina con quello che si ottenne dalla osservazione di Roma. 12.° 1 Sig. Challis e Boivden osservarono l’ immersione e 1’ emersione. (Royal astronom. society lun. 10. 1859)- Nella immersione sono notati i tempi dei contatti dei lembi di Saturno. Nella emersione si danno i tempi dell’estre- mità dell’anello, e dei lembi di Saturno. La differenza degli appulsi dei due osservatori giunge ai 4* e 7.^ Dal calcolo della sola immersione ottenni 8 Maggio Immersione 8.*18-'”9-^87 t.m. a Cambridge V = 126.M9.' 32."53 \ V = 1. 39. 37. 25 i L =126. 18. 23. 49 | A = 0. 50. 21. 60 P = 0. 59. 15. 07 A = 0. 16. 12. 38 L" = 126. 4. 38. 40 A” = 0. 59. 49. 60 A' = 0. 16. 24. 27 n = 0. 14. 55. 63 (— ) « = 0. 13. 33. 83 L' = 126. 19. 45. 29 calcol. L' =126.'’32.' 16.”70 A' = 1. 38. 33. 40 P = 0. 59. 16. 40 Osservazione di Cambridge Anche con questa osservazione si ha prossimamente lo stesso errore Calcolo — tavole = -+- 12* "76 Osservazione di Harlwell 13. ® 11 sig. Pogson osservò il fenomeno, notando i tempi dei lembi del corpo di Saturno nella immersione e nella emersione (Royal astron. Society). Calcolando la sola immersione, ottenni 8 Maggio Immersione 8.*14."’52.^42 t.m. a Hartwell V =126.M9.'50."49 j X' = 1. 39. 35. 71 r'^- L ==126. 18. 23. 57 1 X = 0. 50. 21. 60 j P = 0. 59. 15. 13 A = 0. 16. 12. 38 L"=126. 4.59.10 X' = 1. 0. 16. 60 A' = 0. 16. 24. 41 n = 0. 14. 51. 39 (~) co = 0. 13. 14. 46 L' = 126. 20. 0. 50 Calcol. L’errore è presso che il medesimo Calcolo — tavole = 10. "01 I tempi notati da Challis e da Pogson sono riferiti al meridiano di Green- wich. Dall’almanacco nautico si hanno le longitudini di Cambridge e di Harl- ivell rispetto lo stesso meridiano e col mezzo di queste si sono ridotti i tempi al meridiano del luogo dell’osservazione- Osservazione di Wrottesleg. 14. " L’occultazione fu osservata dal Sig. Morton. 1 tempi siderali e medii sì riferiscono al meridiano del luogo- Nella immersione si notano i tempi del contatti dei lembi di Saturno (Royal astr- Society)- Ho voluto calcolare l’im- mersione e l’emersione come due separate osservazioni. — 391 — 8 Maggio Immersione 8/7.'”3/25 Emersione 9/‘5.'"31/85t. m. a Wrottesleij U = 126.*18.'27."84 ) X' = 1. 39. 42. 61 j L =126. 18. 23. 23 j X = 0. 50. 21. 60 ì P = 0. 59. 15. 01 A = 0. 16. 12. 39 L" = 126. 5. 2. 30 X" = 1. 0. 22. 10 A' = 0. 16. 24. 55 n = 0. 13. 25. 54 (— ) « = 0. 13. 10. 54 L' = 126. 18. 38. 23 calcol. 126.“ 53.' 0."02 1 1. 36. 49. 65 126. 18. 31. 63 ) 0. 50. 21. 60 0. 59. 14. 50 0. 16. 12. 24 126. 34. 17. 40 0. 53. 39. 50 0. 16. 22. 62 n' = 0. 18. 42. 60 (— ) 0. 16. 10. 87 126. 53. 25. 10 calcol. Dal calcolo della immersione l’errore Calcolo — tavole = -H 10. "39 è pros- simamente quello che si è finora avuto da tutte le osservazioni: nella emersione poi l’errore di h-25."08 prova che il tempo è mal determinato, ciò che si verifica in tutte le osservazioni. Che se coi noti metodi, combinando i dati del calcolo della immersione e della emersione, calcoliamo gli angoli «, /3 dai quali dipendono i valori w, co' si ottiene Immersione II = 13.' 25."54 ( — ) 7T = 39. 20. 51 (— ) o = 12. 59. 06 «'=10. 15. 15 e per conseguenza L' = 126.“18.' 49."71 ) > calco!. X' = 1. 39. 57. 26 ) Calcolo — tavole = -+- 21 ."87 in longitud. = -f- 14. 65 in latitud. 15.° Dal calcolo delle osservazioni di Firenze, Cambridge, Harttvell Wrol- tesley il medio degli errori in longitudine è -4- 11. "12. Applicandolo in senso contrario alla longitudine di Saturno otterremo i tempi della vera congiun- zione ai meridiani dei detti luoghi, cioè 52 — 392 — 8 Maggio al meridiano di Firenze t ~ 9/‘ 0. '"31 / 63 di Cambridge 1=^9- 15- 53. 59 di Hartwell t = S‘ ì% 5. 74 di Wrottesley t= 8. 6. 36. 51 Il tempo della vera corigiunziong al meridiano di Roma si trovò (9°) 8 Maggio t = 9.*5.'”25.^66, la differenza dei meridiani rispetto a quello di Greemvich è 49.'"55.^51. Ey dunque riportando tutte le osservazioni a quello di Greemvich avremo Firenze 45.'" 1.^48E Conoscenze de’ tempi 45.'" 1.^ 0 Cambridge 23. 44£ Alman. Nautico 23. 54 Haritvell 3- 24. 41 0 3. 24- 33 Wrottesley 8* 53- 640 ...... . 8. 53. 57 Questi risultati così esatti difficilmente si ottengono dalle osservazioni di una ecclisse solare- Osservazione di Pulkova 16. • Nel giornale astronomico di Altona num. 1195 sono riportate le osservazioni di Pulkova. Nella immersione si notano sei appulsi cioè le due estremità dell’ anello esterno, le due estremità dell’ anello interno , e i con- tatti dei due lembi del corpo di Saturno: nella emersione si notano quattro appulsi, cioè le due estremità dell’anello esterno, e i contatti dei due lembi di Saturno. I diversi astronomi con diversi stromenti osservarono il fenomeno, e i differenti tempi cbe si trovano notati si debbono forse attribuire alla diversa forza degli stromenti, e forse anche alla piccola altezza della luna suH’orizzonte nel mo- mento delle osservAzioni. Fissato il tempo medio della immersione e della emersione al meridiano di Pulkova, il profes. Ottaviano Astoljì mio sostituto mi communicò il seguente calcolo. — 393 — 8 Maggio Immersione 10. *16. '”47/16 Emersione 1 l.*10.”'46.^68t-m. Piilkova 126/50.' 4."36j 1. 37 4. 301 L' 126.° 18.' 11. "09 1 X' = 1. 39. 44. 01 j L = 126. 18. 23. 14 ) 1= 0. 50. 21. 60] P = 0. 59. 13. 80 A = 0. 16. 12. 39 L" = 126. 1. 48. 90 X" = 0. 47. 58. 07 A' = 0. 16. 19. 91 n = 0. 16- 22. 19(— ) co = 0. 16. 17. 62 L' = 126. 18. 27. 71 Calcol. 126. 18. 30. 96) 0. 50. 21. 60i 0. 59. 13. 32 0. 16. 12. 25 126. 33. 5. 21 0. 43. 48. 44 0. 16. 17. 94 n'= 0. 16. 59. 15 c= 0. 15. 4. 35 L'=126. 50. 34. 46 Calcol. Da questo calcolo risultano i seguenti errori Calcolo — tavole = -+- 16." 60 immersione -f- 30. 10 emersione. Lasciando da parte l’errore di 30" nella emersione, il quale prova che il tempo è dubbio, come notano gli stessi astronomi, nella immersione sembra anche troppo forte l’errore di 16", tanto più che dal medio dei tempi notati si ottiene prossimamente Io stesso tempo del contatto del centro di Saturno col lembo della Luna. Risulta infatti dalle osservazioni di Pulkova Contatto del centro dell’anello esterno 13-* 21.'”16.^ 125 dell’anello interno • • • 17. 300 di Saturno ..... 16- 975 Medio 13.*21.'”16.^80 t. sid- 10. 16. 46. 98 t. med. il quale è prossimamente il nostro, nel quale si è considerato il contatto dei lembi di Saturno. 17.° Al meridiano di Pulkova V immersione della stella accadde quasi nello istante della vera congiunzione. Calcolando questo tempo si trova: tempo della vera congiunzione della luna colla stella al meridiano di Pulkova 8 mag- gio 11.* 4.'” 38.^ 10: ma la congiunzione al meridiano di Roma si ebbe 8 Maggio 9.* 53.'” 14.^ 95, dunque la differenza dei meridiani fra Pulkova — 394 — e Roma 1/ 11.'” 23.^ 15 E , e fra Pulkova e Greemvich 2/ 1.'” 18.^ 66 E come appunto si trova notato nello almanacco nautico- 18. ® Da questa semplice riflessione siegue che nella occultazione di Sa- turno, stando al tempo notato dagli astronomi di Pulkova il fenomeno della immersione doveva accadere quasi nel momento della congiunzione della luna con Saturno, diffatti le 10.* 16.'” il/ 16 al meridiano di Pulkova corrispon- dono alle 9.* 5. "*24.^ 01 al meridiano di Roma, cioè l.'' 65 prima della con- giunzione. In questo caso però la differenza fra n e w doveva essere quasi nulla , ma dal calcolo risulta di 4." 57 , dunque il tempo della immersione non è ben determinato, e quindi l’errore di -4- 16" e non di -+- 11" come si è ottenuto da tutte le osservazioni. Questo incidente prova anche che 1’ er- rore di -4- 11" deve attribuirsi in senso contrario alla longitudine di Saturno. Supponiamo infatti che il tempo della immersione al meridiano di Pulkova sia ben fissato : prossimamente in quello istante accadeva la congiunzione , come si è notato, dunque la longitudine della luna doveva eguagliare la lon- gitudine di Saturno, ma si ha L'= 126.® 18.' ll."09 tav. L =126. 18- 23. 14. alman. dunque quella di Saturno deve diminuirsi di 11" nella ipotesi che sia esatta quella della luna, come si è bastantemente dimostrato. 19. ® Considerato il fenomeno della occultazione di Saturno nella parte astronomica, dirò brevemente qualche cosa sulle fisiche apparenze del feno- meno medesimo. 11 tempo nel giorno 8 Maggio fu talmente incostante e variabile, che non fu possibile osservare la luna e Saturno al circolo meri- diano- L’ osservazione sarebbe stata preziosa, giacché si poteva ottenere la posizione apparente dei due corpi poche ore prima del fenomeno, e verifi- care in tal maniera gli errori delle tavole della luna e di Saturno. La va- riabilità del tempo durò fino alle 8 della sera: si dissiparono quindi le nu- vole e si ebbe un cielo puro e sereno quale suole aversi nei nostri climi dopo le consuete tempeste atmosferiche dei mesi estivi. L’ occultazione di un corpo celeste, come Saturno non è istantanea; dal contatto della estre- mità dell’anello fino alla totale sparizione si conta circa 1'”; in questo tempo si può notare, se allo avvicinarsi di Saturno alla luna, accada qualche leg- giera diminuzione di luce , o qualche leggiero cambiamento di figura. Non ostante però la notata purità dell’aere, e la serenità del cielo , nulla si os- — 395 — servò che potesse indicare 1’ esistenza di una atmosfera lunare. Saturno vi- cinissimo al lembo oscuro della luna , e colla metà del suo corpo già im- mersa, mantenne viva la sua luce , e invariabile la sua figura. Nella emer- sione l’aspetto di Saturno era ben diverso: sembrava avvolto in una leggie- rissima nebbia , la sua luce debole e pallida lo faceva apparire come suole osservarsi nel pieno giorno. L’indebolimento di luce deve attribuirsi al vivo splendore della luce lunare nello emergere di Saturno dalla parte chiara della luna; quegli però che avesse osservata la sola emersione, e non avesse te- nuto conto del vivo splendore della luna, non avrebbe dubitato di ammet- tere l’esistenza di una atmosfera lunare, la quale viene esclusa dal fenomeno della immersione. 20. ® Il cambiamento di aspetto che presentò Saturno nella emersione fu notato da tutti gli astronomi, ed è questa la ragione per cui i tempi sono incerti. Vinnecke di Pidkova, Donati di Firenze, Demboivskì, Challis . ne resero conto nei fogli periodici- 11 eh. P. Secchi osservò il fenomeno al grande refrattore di Merz coll’ ingrandimento di 600 volte , e nella tornata del giorno 5 Giugno dell’accademia de’ nuovi Lincei rese conto delle appa- renze da lui osservate con questi termini. Entrala appena la luna suiranello io non potei osservare nessuna distorsione: marcai però benissimo che l'orlo della luna era assai scabro, e vedovasi il suo contorno a forma di sega, come suole osservarsi negli ecclissi solari. La forma delle montagne si progettava sul disco di Saturno, e per questa ragione era d' aspettarsi quella apparente distorsione che si osservò tiel momento della disparizione tanto del corpo di Saturno che dell' anello- Infatti quando questo fu per sparire si vide che tanto l'idtimo seg- mento del corpo del pianeta, quanto quello deWanello presentò la forma di una goccia allungata. Tale forma sarebbe stata giudicata per una distorsione da chiunque avesse potuto vedere men bene, e in aria meno buona, ma si vede che questo effetto doveva provenire dalla concavità della valle lunare progettata verso la convessità del tembo del pianeta, o dell' anello: che anzi in questo V effetto doveva rendersi più sensibile, attesa la sua maggior curvatura. 21. ® Questa spiegazione ovvia e facile rende conto, senza ricorrere ad una atmosfera lunare , del fenomeno osservato in Firenze nella immersione dai sig. Donali e Dembowski. Relativamente poi alle opposte apparenze os- servate nella emersione dai medesimi astronomi, bisogna necessariamente ri- correre ad una illusione ottica- È difficile concepire nello stesso luogo uno allungamento e uno accorciamento nella stessa porzione dell’ anello: i tempi ^ 396 — della emersione non sono dati, e supponendo che Q e 9' sieno gli appulsi del lembo di Saturno, e della estremità dell’anello più vicina al lembo lunare , 9' — 9 avrebbe dato differenze, più grande dalla osservazione di Donati^ più piccola dalla osservazione di Demboivski’ Vediamo però cosa possa ricavarsi dalle osservazioni di quelli astronomi che notarono i contatti dei lembi di Saturno, e delle estremità dell’anello esterno, tanto nella immersione, quanto nella emersione, benché in questa i tempi dei contatti non sieno molto esatti. 22.° Indichiamo con c. s; c. a ì tempi dei contatti dei centri di Saturno, e deH'anello; con d. s; d. a. le durate della immersione, e della emersione del corpo di Saturno, e dell’anello intero: finalmente con s — a, a — s i tempi trascorsi dal lembo di Saturno alla estremità dell’anello, e da questa all’al- tro lembo di Saturno. Queste quantità si ottengono da quattro complete os- servazioni, cioè 9 — t' — d.s, 9' — t —d.a t’ — t — s — a, 9' — 9 = a — s. Jn quei luoghi nei quali le osservazioni sono incomplete , mancheranno al- cune delle dette quantità. 23.° Colle osservazioni finora cognite si può formare la seguente tavola Estremità delV anello t Lembo di Saturno t' Lembo di Saturno 9 Estremità delVanello 9' quindi t’-\- 9 2 = c.a — 397 — Immersione Tempi Roma Coll. R. Cambridge Hastwell Wrottesley Pulkova c. s c. a d. s d. a s — a a — s 12.^36.”'55.^0 12. 36. 50. 0 20. 0 50. 0 20. 0 10. 0 8.M 7.-41.^ 33 é 'ó . 51 8.^ 18.-16.^ 75 * 33. 3Ò li. *11.’ 33’. 15 13\ 21.-16.^ 98 13. 21. 16. 12 30. 95 71. 95 21. 35 19. 65 . 45. 50 10. 56 8. 70 Emersione c. s c. a d. s d. a s — a a — s 13.'' 32.- 7.^75 13. 32. 11. 75 16. .50 54. 50 10. 00 18. 00 9.^ 16.-38.^ 71 9. 16. 37. 91 29. 50 71. 80 20. 94 20. 34 9.M 6.-42.^ 2t i * ' ' ’ 32’. OC 1 1 12.''10.-11.^ 4C > 32! ÒO 1 14.^15.-25.^37 . 14. 15. 27. 42 > 20. 75 50. 45 12. 60 17. 10 17. 90 ' 27. 00 1 differenti tempi delle durate della immersione e della emersione del corpo di Saturno e dell’anello intero, provano che il punto del lembo lunare in cui accadde l’immersione, o l’emersione con apparente moto relativo ha percorso su! disco del corpo di Saturno, e sull’anello corde più o meno grandi. Dal- r almanacco nautico si trova : asse maggiore apparente deW anello esterno 40-"44- ; diametro apparente di Saturno 16. "2 Dalle mie osservazioni risulta che il centro della luna con apparente moto relativo , durante il tempo della occultazione , percorreva 0." 55 in 1'' ; impiegava dunque 73.^44 a percorrere 1’ asse maggiore dell’anello, e 29-^42 a percorrere il diametro di Saturno (1). Questi tempi sono prossimamente quelli che si notano nella im- (1) Pel moto del centro della luna in un secondo di tempo di 0.^'55, s’intende il suo moto apparente nell’orbita relativa; questo dipende dalle apparenti posizioni della luna e del pianeta, e dalla durata del fenomeno: è dunque diverso nei diversi luoghi, cosi per — 398 inersione a Pulkova e nella emersione a Cambridge. Dal calcolo delle latitu- dini apparenti risulta che, nella immersione a Pulkova il centro di Saturno era più boreale del centro della luna di 2', 29", e che, nella emersione a Cam- bridge, il centro della luna era più boreale del centro di Saturno di 2'. 34". Sembra dunque che il punto del lembo lunare in cui accadde Tirnmersione, o r emersione abbia percorso con moto apparente relativo corde prossima- mente eguali ad eguali distanze dai centri della luna , e di Saturno: queste corde poi sono tanto più grandi, quanto più piccola è la differenza delle ap- parenti latitudini, e viceversa- Nella emersione a Pulkova si trova d.a = 50% X"=6.'39" nella immersione a Wrottesley si ha d-a—hò% V — A=9'.55". Dalle osservazioni di Roma risulta che nella immersione il contatto del centro dell’anello si osservò prima del contatto del centro di Saturno: il contrario ac- cadde nella emersione. La differenza di 4^ in 5^ prova una grande eccentricità: questa però si rende appena sensibile nelle osservazioni di Pulkova e di Cam- bridge, risultando da queste che quasi contemporanei sono i contatti dei cen- tri di Saturno, e deiranello- Finalmente i valori s — a , a — s nelle osser- vazioni di Roma e di Pulkova tendono a provare che nella immersione sì avesse un apparente accorciamento nella porzione dell’anello che era più lon- tana del lembo lunare essendo s — a a — s: che nella emersione si avesse un apparente allungamento nella stessa porzione dell’anello che nello emer- gere si trovava più vicina al lembo lunare avendosi s — ac^a — s: dalle osser- vazioni poi di Cambridge queste differenze sono quasi eguali, e provano che le due estremità dell’anello sono ad eguali distanze dai lembi del pianeta. Que- ste ed altre riflessioni si potrebbero fare, utili alla storia dell’astronomia, se si potesse contar con fiducia nei tempi notati del fenomeno, ma sfortunata- tamente poco, a sentimento degli stessi astronomi, o nulla possiamo contare su i tempi della emersione- Le dette riflessioni però in altra occasione di so- migliante fenomeno , possono essere di sommo vantaggio alla soluzione di molte questioni sull’apparente diametro di Saturno, sull’apparente asse mag- giore dell’anello esterno e sulle eguali o ineguali distanze delle estremità del- l’anello dai lembi e centro del pianeta. esempio delle osservazioni Cambrigde risulta dì 0."S16, di Wrottesley di 0."511, ed è di 0"S76 nelle osservazioni di Pulkova. — 399 — Recherches sur plusieurs otivrages de Léonard de Pise, découverls et piibliés par M- le prince Balthasar Boncompagni, et sur les i^apports qui existent entre ces ouvrages, et les travaux mathématiques des Arabes. Par M- F‘ Woepcke. (Continuazione e fine) (*). TROISIÈME PARTIE DES RACINES USTRODLCriON. j\jdjadzr avec le falba (a), ou aussi bien aldjidzr avec le kesra (i), signifie la ra'cine. Dans le langage technique (ce terme) désigne un nombre tei que, si on le multiplie par lui-méme, il vieni le nombre doni on cherche la Ta- cine. La racine est rationnelle ou irrationnelle. Si un nombre commence par le deux, le trois, le sept, le huit, ou un nombre impair de zéros, cela indi- que qu’on ne peut pas prendre la racine du nombre. Il est alors certain que le nombre n’a pas de racine rationnelle, et on peut seulement prendre la ra- cine par approximation, d’après la méthode qui sera exposée ci-dessous, si ielle est la volonté de Dieu, doni le nom soit exalté. En dehors de ce cas on peut tantót prendre la racine, et tantót non, comme lorsque le nombre commence par un (chiffre) indiquant un carré, à sayoir Tunité, le quatre, le cinq, le six, le neuf, ou un nombre pair de zéros suivi d’ un (chiffre) indi- quant un carré. CHAPITBE PREMIER DE LA MANIÈRE DE PRENDRE LA RACINE d’ UN NOMRRE ENTIER QUI A UNE RACINE. La pratique de cette opération consiste à compier les rangs du (nombre proposé) en (disant alternativement « racine , point de racine » , jusqu'à la dernière place qui soit atfectée de « racine » ; puis à chercher un nombre que vous poserez sous cette (dernière place) , que vous multiplierez en lui- méme, el lequel alors fera évanouir ce (nombre) qui est placé au-dessus de (*) Vedi T. X, an. 1857, p. 236; e T. XII, an. 1839, p. 230. 53 — 400 — lui, ou en laisse un reste. Ensuite vous prenez le doublé du nombre qui avait été multiplié en lui-méme, vous le faites reculer (de manière qu’ il se trouve) au-dessous de la place qui est affectée de « point de racine », et vous cher- chez un nombre que vous poserez sous la (place) précédente atfectée de « ra- cine », et lequel, multiplié par le nombre redoublé et par lui-méme, fasse évanouir ce (nombre) qui est placé au-dessus de lui, ou en laisse un reste. Et ainsi de suite jusqu’à la fin de l’opération. Par exemple, sì l’on vous dit: combien est la racine de cent quarante quatre, posez cela ainsi: 144, et placez au-dessus de la première place un point , et de méme au-dessus de la troisième. Ensuite cherchez un nombre que vous poserez au-dessous de la troisième place, et que vous multiplierez en lui-méme. Vous trouverez que c’est un. Apres cela doublez cette unité , c’est à dire ajoutez-y (un nombre) qui lui est égal; ce sera deux. Posez cela au-dessous du quatre, à savoir de celui qui n’est pas affecté de « racine ». Cherchez un nombre que vous poserez sous la place précédente affecté de « racine »; vous trouverez que c’est deux. Multipliez cela par la pace dou- blée et par lui-méme. Vous ferez évanouir ce (nombre) qui se trouve au-dessus. Le résuhat sera donc douze, ce qui est la racine (*). Et sì vous multipliez douze en lui-méme , vous aurez le nombre doni on cherchait la racine , à savoir cent quarante quatre. Et si l’on vous dit: combien est la racine de sept mille cinq cent soi- xante neuf, posez cela ainsi: 7569. Ensuite comptez-en les rangs en (disant) « racine, pas de racine ». Vous trouverez que le troisième rang est affecté de « racine »• Consequemment cherchez un nombre que vous placerez au- dessous de ce (rang), que vous multiplierez en lui-méme, et qui alors fera évanouir ce qui se trouve au dessus de lui, à savoir soixante quinze, ou en laissera un reste. Vous trouverez que c’est huit, et il reste onze. Placez cela au-dessus du cinq qui est la place affectée de « racine ». Ensuite doublez le huit ; ce sera seize. Placez cela sur sa ligne la plus basse, au-dessous de la (place) affectée de « point de racine » , et cherchez un nombre que vous n On peut figurer comme il suit l’extraction de la racine Ielle qu’elle est décrite dans les lignes précédentes: i 4 4 1 2 2 — 401 — poserez sous la place affectée de « racine », ò savoir sous la première (pla- ce) , que vous multipllerez par le notnbre doublé et par lui méme , et qui alors fera évanouir ce qui se trouve aii-dessus de lui. Vous trouverez que c’est sept. Le résultat sera donc quatre-vingtsept, ce qui est la racine, ainsi: 87 (*). Et si r on vous dit : coinbien est la racine de cent trente trois mille deux cent vingt cinq , posez cela ainsi: 133225. Ensuitc comptez les rangs comme précédeinment- Vous trouverez que le cinquième est affeclé de « ra- cine ». Cherchez donc un nonibre que vous placerez au-dessous de ce (rang) et que vous inultiplierez en lui-méme. Vous trouverez que c’est trois, et vous aurez pour reste qualre. Placez cela au-dessus du trois. Ensuite doublez le trois ce sera six* Placez cela au-dessous de la (place) précédente qui n’est pas affectée de « racine » , et chercbez un noinbre que vous poserez sous la (place) précédente affectée de « racine », et que vous multiplierez par le six et par lui-méme. Vous trouverez que c’ est six. Vous aurez pour reste trente six. Posez cela au-dessus de la ligne. Après cela doublez le six ; ce sera douze. Posez le deux sous la (place) qui n’est pas affectée de « racine », à savoir sous le deux , et le dix à sa suite sous la forme d’ unité. Ensuite faites reculer le six, et joignez-le à l’unité; ce sera sept. Puis chercbez un nombre que vous poserez sous la première place, que vous multiplierez par le sept , par le deux et par lui-méme , et qui fera alors évanouir ce qui se trouve au-dessus de lui, à savoir trois mille six cent vingt cinq. Vous trou- verez que c’ est cinq. La racine du problème sera donc trois cent soixante cinq, ainsi: 365 (**). Pour celui qui connaìt bien la multiplication avec demi-transposition (***), les opération relatives aux racines sont faciles. (*) On peut figurer cette opération de la manière suivante: 1 1 7 5 6 9 8 7 1 6 (**) On peut figurer cette opération de la manière suivante: 4 .3 6 1 3 3.2 i 5 3 6 5 6 7 2 (***) Voir la première partie de ce traité, chapitre troisième. — 402 — Et si l’on vous dit : combien est la racine de cinq millions trois cent trente six mille cent, posez cela ainsi: 5336100. Ensuite opérez d’après ce qui précède. Vous aurez pour racine deux mille trois cent dix, ainsi: 2310. Et si l’on vous dit: combien est la racine d’un million six cent quatre- vingt dix mille, posez cela ainsi: 1690000. Ensuite prenez la racine du nom- bre comme précedemment, et faites-la preceder de la moitié des zéros. La racine du problème sera mille trois cent, ainsi: 1300. CHAPITRE DEVXIÈME DE LA MANIÈRE DE PRENDRE PAR APPROXIMATION LES RACINES DES NOMBRES QUI n’ont pas de bacine (rationnelle). L’opération consiste à proceder d’après ce qui précède en (comptant les langs du nombre proposé, et disant alternativement) « racine, pas de raci- ne )), jusqu’au dernier (chiffre du nombre proposé), et à en prendre la racine. Ensuite , si le reste est égal à la racine ou plus petit , divisez-Ie par (^) le doublé de la racine entière, et ajoulez ce qui en résulte à la racine; (la som- me) sera ce que vous avez cherché ((*) ** (***)). Par exemple, si l’on vous dit: combien est la racine de cent cinquante six , posez cela ainsi: 156. Ensuite prenez-en la racine d’après ce qui pré- cède, ce sera douze ; et il resterà douze. Dénommez cela d’après le doublé de la racine, ce sera un demi. Ajoutez cela à la racine entière- La racine du problème sera douze et demi: | 12. Et si vous élevez au carré ce résultat, c’est à dire si vous multipliez le numérateur total par lui-méme, et que vous divisez le résultat par quatre, il résulte le nombre dont vous cherchez la ra- cine, et un quart- Ce quart est la quantité qui indique le degré de l’appro- ximation. Et pareillement toutes les fois qu’ il y aura un demi dans la ra- cine, l’approximation sera d’un quart C^**). (*) Textuellement; dénommez-le d’après. (**) Soit le nombre proposé n = «2 -nr, «aétantle plus grand carré contenu dans n. Si a, l’auteur donne ^ comme mie valeur plus approchée de la racine den. (***) En effet, d’aprés la méthode que l’auteur vien de donner, la racine sera de la \ forme a + - , lorsque le nombre proposé est de la forme -ì-a ; et dans ce cas le carré (a -t- dépassera le nombre proposé de ^ . — 403 — Exemple où le reste est plus petit que la racine. Si l’on vous dit; com- bien est la racine de cent cinquante quatre, posez cela ainsi: 154. Ensuite opérez d’après ce qui précède, il resulterà corame racine entière douze , et il resterà dix. Dénommez cela d’après le doublé de la racine, à savoir d’après vingt quatre. Ce sera deux sixièmes et la moitié d’un sixième. Ajoutez cela à la racine entière, ce sera douze, et deux sixièmes et la moitié d’un sixième, ce qui est la racine du problème, ainsi: -|— gl2. L’approximation sera d’un si- xième et du quart d’un sixième d’un sixième ce que vous fìgurez ainsi: 154. Mais lorsque le reste est plus grand que la racine, ajoutez-y une unité, ajoutez au doublé de la racine deux, dénommez la plus petite (de ces deux sommes) d’ après la plus grande, ajoutez le résultat à la racine entière, et (cette somme) sera ce que vous cherchez Par exemple , si 1’ on vous dit : combien est la racine de quatre-vingt quinze, posez cela ainsi: 95- Ensuite prenez-en la racine entière- Ce sera neuf, et le reste sera quatorze, ce qui est plus grand que neuf. Ajoutez-y un, ce sera quinze, et ajoutez au doublé de la racine deux, ce sera vingt. Dénora- mez d’après ceci le quinze , ce sera trois quarts. Ajoutez cela au neuf, ce sera la racine du problème, neuf et trois quarts, ainsi: | 9- Si vous voulez (savoir) quel est le degré de l’approximation, convertis- sez ce résultat; vous aurez trente neuf- Multipliez cela en lui-méme , vous obtiendrez mille cinq cent vingt un, ainsi: 1521. Divisez ce résultat par les facteurs (du dénominateur), je veux dire le quatre et encore le méme. Il ré- suite le nombre dont vous aviez cherché la racine, plus ((*) **) ce qui indique le degré de l’approximation, à savoir un quart d’un quart, ainsi: 95. (*) Si r>a, l’auteur propose comme seconde approximation de la valeur de Vn f -f- 1 f (a étant la première) a -h t r au lieu de On induit de là que 1’ auteur a su ^ -f- 2 2a ^ f -f- 1 T que, pour r Z> a, la valeur de a -t- est comprise entre et a ^ . C’est ce qu’on peut en effèt aisément vérifier. Textuellement: et. — 404 — CHAPITRE TROISIÈME DE LA MANIÈRE DE RENDRE l’aPPROXIMATION PLUS EXACTE. L’opéraLìon consiste à dénommer la partie qui représentait le degré de Tapproximation, d’aprés le doublé de la racine, et à retrancher le résultat de la racine. Ce qui reste sera la racine plus exacte (*). Par exemple, si l’on vous dit : rendez plus exacte la racine de six, vous savez, par ce qui précède, que la racine de ce nombre est deux et demi, et que r approximation est d’ un quart. Donc dénommez un quart d’ après le doublé de la racine , ce qui est cinq. Il résulte un quart d’ un cinquième , ainsi : ^ . Retranchez ce résultat de la racine du problème, qui était deux et demi, d’après la règie de la soustraction des fractions. Il vous resterà deux {*) Gomme troisième approximation l’auteur propose l’expression suivante Il ne fait ici qu’appliquer une seconde fois le méme principe qui donnait déjà l’approxima- On sait que, si Fon pose Vn om -h r) = a -t- a; la valeur de x est exprimée par r la fraction continue • T / T \ ^ tion précédente ; car en posant — et — 1— j =/, on a le nombre proposè t' + et la nouvelle approximation de Fauteur s’ exprime par • En s’arrétant au troisième quotient on a précisément — 405 — et deax cinquièmes et un quart d’un cinquième ainsi : 2 , ce qui est la Tacine du problème. Si vous élevez ce résultat au carré, il résulte le nombre dont vous aviez cherché la racine plus ce qui indique le degré de l’approximation, à savoir six et un quart d’un quart d’un cinquième d’un cinquième, ainsi : F‘er r élévation au carré j’ entends que vous conveitissez la racine , ce qui donne quarante neuf, et que vous multipliez cela par lui-méme. Vous aurez deux mille quatre cent un, ainsi; 2401. Divisez ce résultat par les facteurs, je veux dire les facteurs du multiplicande et les facteurs du multiplicateur {*). à savoir cinq deux fois et quatre deux fois. Il résultera ce que vous avez cherché. Si le numérateur total a une racine rationnelle et le dénominateur pa- reiìlement , prenez le rapport de la racine du numérateur total à la racine du dénominateur (**). Ainsi la racine de quatre neuvièmes est deux tiers. Pareillement (pour extraire la racine de) quatre huitièmes et la moitié d’un huitième, posez cela ainsi ; . Ensuite prenez la racine du numéra- teur total ; ce sera trois. Dénommez-la d’après la racine du dénominateur , laquelle est quatre. Vous aurez trois quarts, ce qui est la racine du problème, ainsi : -|- • Et si l’on vous dit : combien est la racine de deux et un quart, posez cela ainsi 2. Ensuite divisez la racine du numérateur total, laquelle est (*) En multipliant le diviseiir vingt par lui-méme, l’auteur considère l’un de ces deux nombres vingt comme multiplicande et l’autre cornine multiplicateur. CHAPITRE QUATRIÈME DE L EXTRACTION DE LA BACINE DES FRACTIONS. — 406 — trois, par la racine da dénominatur, laquelle est deux. Vous aurez pour re- sultai un et demi, ce qui est la racine du problème, ainsi : -f- 1. Pour les quantités qui ne rentrent pas dans cette catégorie , multipliez le numérateur telai par le dénorninateur , prenez la racine du resultai par approximation, et divisez-la par le dénorninateur. Ce qui en provieni est la racine approchée du problème {*). Par exemple, si l’on vous dit ; combien est la racine de quatre sixiè- mes et la moitié d’un sixième , posez cela ainsi : Ensuite multipliez le numérateur total qui est neuf par les facteurs (du dénorninateur). Vous aurez cent huit. Prenez la racine de ce résultat par approximation, ce sera dix et deux cinquièmes. Divisez cela par le produit des facteurs (du dénorninateur), lequel est douze. Vous aurez pour résultat cinq sixièmes et nn cinquième d’un sixième , ainsi : ; ce qui est la racine du problème par approxi- mation. Si vous convertissez ce résultat , vous obtenez vingt six. Multipliez cela par lui-méme; vous aurez pour résultat six cent soixante seize, ainsi: 676. Divisez ce résultat par les facteurs (du dénorninateur). J’entends que ces fa- cteurs dépassent les facteurs (du dénorninateur) doni vons avez élevé au carré le numérateur total, et il est nécessaire que dans (la quantité qui exprime) l’approxiination, les premiers facteurs (du dénorninateur) soient pareils à ceux que vous aviez au commencement du problème. C’est (ce que vous obtenez) en décomposant le six en trois et deux- Posez le deux auprès du six, placez à la suite de ces deux (nombres) les deux cinq, et après cela le trois- Di- visez le nombre ci-dessus (**) d’abord par le trois, le résultat par le cinq, et (ainsi de suite) jusqu’ au dernier (des facteurs du dénorninateur). Vous aurez pour résultat quatre sixièmes , et une moitié d’ un sixième , plus la quantité qui exprime le degré de 1’ approximation , à savoir un tiers d’ un cinquième d’un cinquième d’une moitié d’un sixième, ainsi : ^ ° ^ g • 0 Y (f)=^>. (**} A savoir le nombre 676. On divise successivement par 3, 5, 5, 2 et 6. — 407 — CHAPITRE CINQUIÉME. DE l’aDDITION et DE LA SOUSTRACTION DES RACINES. La pratique de celle opéralion consisle à mullipliei* Turi des deux nom* bres par l’aulre, à prendre la racine du produil, si le prodiiil esl un carré, à ajouler celle (racine prise deux fois) à la somme des deux nombres et à su- perposer à ce qui en résulte le mot « racine » (*). Par exemple , si 1’ on vous dii : ajoutez la racine de trois à la racine de douze, posez cela ainsi (**) ; R , R 3 "" 12 Ensuite multipliez l’un des deux (nombres) par l’autre. Vous aurez pour ré- sultat trente six, ce doni la racine (prise deux fois) est douze. Ajoutez cela aux deux nombres , vous aurez pour somme vingt sept. Superposez à cela le mot « racine », et vous aurez la racine de vingt sept, ce qui est le (re- sultai) cherché , ainsi : ~ . Jà i Si les deux nombres qu’il faut multiplier l’un par l’autre, avaient eu des racines (rationnelles) , le resultai aurait été une racine rationnelle , comme lorsque vous additionnez la racine de quatre et la racine de neuf. Si le produit des deux nombi*es multipliés 1’ un par 1’ autre n’ est pas un carré, l’addition des deux (racines) se biit par la particule de la liaison. Par exemple, si l’on vous dit: ajoutez la racine de cinq à la racine de trois, vous direz: la somme est « la racine de cinq et la racine de trois », parce que le résultat de la multiplication n’est pas un carré. Quant h la soustraction, elle est pareille à 1’ addition, si ce n’ est que vous soustrayez la racine du produit (prise deux fois) de la somme des deux nombres Par exemple, si l’on vous dit: relranchez la racine de deux de la ra- cine de trente deux, posez cela ainsi: C) Va-^ Vb= 2 r («&)]. (**) L’iniliale arabe du mot djidzr qu’on trouve dans le texte raanuscrit saperposée aux nombres, sera rendue dans les formules suivantes par un R, initiale du mot racine. («*) ]Ta— — 54 — 408 — _R 32 R 2 Ensuite niultipliez ensemble les deux nombres (*); le résultat sera soi- xante quatre- Prenez-en la racine (deux fois), ce sera seize- Relranchez cela de la somme des deux nombres; vous aurez pour reste dix-huit. Superposez à cela le mot « racine ». Le reste sera donc: la racine de dix-huit , ain- Si de nouveau le résultat de la multiplication n’ est pas un carré , la soustraction se fait par la particule de l’exception. Par exemple, si T on vous dit: retranchez la racine de trois de la Ta- cine de cinq, vous direz ; le reste est « la racine de cinq moins la racine de trois », ainsi: R . R ^ moins -77 . 5 3 CHAPITRE SIXIÈME. DE LA MULTIPLICATION DES RACINES. La pratique de cette opération consiste à multiplier l’un des deux nom- bres par l’autre, et à superposer au résultat le mot « racine » {**). Par exemple, si l’on vous dit: multipliez la racine de six par la racine de huit, alors multipliez six par huit, superposez au produit (le mot) « ra- cine » , et vous aurez le (résultat) chercbé , à savoir la racine de quarante huit, ainsi • ^ • Sì le mot « racine » n’est pas superposé à l’un des deux nombres (***), élevez-le au carré, et multipliez-le ensuite par l’autre (nombre). n Textuellement; forraez le rectangle des deux nombres. {**) . Vb= \r{ab). a. Vb= [r{a^b]. — 409 — Par exemple , si l’on vous dit : multipliez la racine de six par trois , élevez le trois au carré, afin qu’ il devienne de la méme espèce que le six. Vous aurez neuf. Multipliez cela par le six, et superposez au produit le mot « racine ». Vous aurez le (resultai) cherché, à savoir la racine de cinquante . . R quatre, ainsi : ^ . Si le mot « raeine » se trouve un plus grand nombre de fois au-dessus de l’un des deux nombres qu’au dessus de celui qui lui est associò, élevez au carré celui qui est en défaut jusqu’ à ce qu’ il devienne de 1’ espèce de l’autre (*). Par exemple, si l’on vous dit : multipliez la racine de six par la racine de la racine de deux , élevez le six au carré , multipliez le résultat par le deux, et superposez au résultat le mot « racine » deux fois- Ce sera le (résultat) cherché, à savoir la racine de la racine de soixante douze, ainsi : . CHAPITRE SEPTIÈME. DE LA DIVISION ET DE LA DÉNOMINATION DES RACINES. La pratique de cette opération consiste à diviser 1’ un des deux nom- bres par Tautre et à prendre la racine du résultat en lui superposant le mot (( racine » (**). Par exemple, si l’on vous dit : divisez la racine de soixante par la ra- cine de cinq, posez cela ainsi : A m R ■5 ' Ensuite divisez le soixante par le cinq, vous aurez pour résultat douze. Pre- nez-en la racine en lui superposant le djim (**'*'). Vous aurez la racine de R douze, ce qui est le (résultat) cherché, ainsi : . {*) Va . V{ Vb) = Via^b)]. n Va-. Vb= V{a-.b). {***) C’est le nom arabe de la lettre initiale du mot djidzr qui signilie « racine — 410 — §• Si le dividende est un nombre, élevez-Ie au carré, et alors divisez-le (*). Par exemple , si 1’ on vous dit: divisez douze par la racine de sept , élevez le douze au carré et divisez ce qui en résulte par le sept. Vous au- rez le (résultat) cherché , à savoir la racine de vingt et quatre septièmes , R Pareillement si le diviseur est un nombre, élevez-le au carré, et alors divisez par ce que vous avez obtenu. Par exemple, si 1’ on vous dit: divisez la racine de quatre-yingt seize par quatre, élevez au carré le quatre, et divisez le quatre-vingt seize par le produit. Vous aurez la racine de six, ce qui est le (résultat) cherché, ain- R SI : — . Quant à la dénomination, elle est toute pareille à la division. Par exemple, si l’on vous dit: dénommez la racine de trois d’après la racine de cinq , vous direz : le résultat est la racine de trois cinquièrnes , . . R amsi : — . o DE LA MANIÈRE DE PRENDRE LES MULTIPLES ET LBS SOUS-MULTIPLES DES RACINES. Quant à la manière de prendre le multiple, la pratique de cette opé- ration consiste à élever au carré le nombre des répétitions, à multiplier le résultat par le nombre, et à superposer au produit le mot « racine » (***). " w -V (?) ■ (***) m . Va= V{m^ . a). — 411 -- Par exemple , si Ton vous dit: trois racines de six , de quel nombre est-ce la racine ? Posez cela ainsi: 3 R 6 ■ Ensuite élevez au carré le trois, ce sera neuf, Multipliez cela par le six, vous aure/, pour resultai cinquante quatre. Prenez-en la racine. Ce sera la . ^ . . . R racine de cinquante quatre, ainsi; . Quant à la manière de prendre le sous-multiple , la pratique de cette opération consiste pareillement à élever au carré la fraction, à multiplier le resultai par le nombre, et à superposer au produit le mot « racine » {*). Par exemple, si l’on vous dit: la moitié de la racine de quarante huit, de quel nombre est-ce la racine ? Posez cela ainsi: J_ 2 R 48 ■ Ensuite élevez au carré un demi; ce sera un quart. Multipliez cela par qua- rante huit , il résulte douze. Prenez-en la racine. Vous aurez le (résultat) R cherché, à savoir la racine de douze, ainsi: . 12 CHAPITRE HUITIÈME. DE LA PREMIÈRE DE DEUX NOMS. Ce (terme) signifie (une expression composée d’) un nombre et (de) la racine d’un nombre, la (quantité) rationnelle étant la plus grande des deux, et rune n’étant ajoutée à l’autre qu’au moyen de la particule de la liaison (**), ni retranchée de l’autre qu’au moyen de la particule de l’exception. (***) •'■-i/'Kr-i (**) C’est la particule wa « et, plus ». (***) C’est la particule illd « excepté, moins ». — On remarque que cette définition — 412 — L’opération de former* cette (expression) consiste à retrancher un nombre carré d’ un (autre) nombre carré , à condition que le reste ne soit pas un carré , et à joindre la racine du reste à la racine du plus grand des deux nombres (*)• On en extrait la racine en dépouillant les deux noms, c’est à dire en élevant au carré le nombre, et en ótant du nombre qui lui est associé , le djim; en retranchant ensuite un quart du plus petit d’un quart du plus grand, en prenant la racine du reste, en l’ajoutant à la moitié du plus grand des deux noms, puis en la retranchant aussi de la moitié du plus grand des deux noms, et en superposant (le signe de) la racine à chacun des deux résultats. Ce sera la (racine) cherchée (**). Quant à la preuve , elle consiste à dépouiller les deux noms et à les additionner comme on additionne des nombres; il résultera le plus grand des deux noms (***), Puis à en former le rectangle , et à preudre le doublé de ce qu’on obtient; il résultera le plus petit des deux noms (****). Explicaiion. Si vous retranchez le neuf du trente six, le reste est vingt sept. Prenez-en la racine en superposant le djim. Joignez cela à la racine de trente six qui est six. La première de deux noms sera donc ; six et la R racine de vingt sept ; ainsi ; ^ 6 (»****). Ensuite dépouillez chacun des deux (noms); ce sera trente six et vingt sept. Retranchez un quart du plus petit des deux noms , à savoir six et trois quarts , d’ un quart du nom le plus grand , à savoir de neuf. Vous aurez pour reste deux et un quart. Prenez la racine de ce reste; ce sera un et demi- Ajoutez cela à la motié du nom comprend sous le nom du binóme à la fois la quantité qu’ Euclide appelle « la droite de deux noms », et celle qu’il appelle « apotome ». Mais on verrà un peu plus loin qu’Alkal- càdì emploie aussi cette dernière expression. C) a -+■ V[a^ — b^). r, [H/'’(T-|)J H-J/ p-j/- -I)]. R - (f - 1)]- [I - K( r - t)]- “■ <-> ^ • V [f-l/(T- t)] ■ [/ BVir -1)] = - . (****’<^) b=3 . . . a+ y(a^~ b^) =. 6 k(27). __ 413 — le plus grand, laquelle est trois; ce sera quatre et demi. Réservez cela. En- suite retranchez aussi un et demi du trois; vous aurez pour reste un et demi. Joignez cela à la (quantité) réservée, et superposez à chacune des deux (quan- tités le signe de) la racine. Vous aurez la racine de quatre et demi et la ra- R R cine de un et demi, ainsi:- — (*). 2 ^ 2^ La preuve consiste à óter le djim de chacune des deux (quantités), età les additionner ensuite. Il resulterà six , ce qui est le plus grand des deux noms {**)• Ensuite rnultipliez fune d’elles par 1’ autre. Il resulterà six et trois quarts, ainsi ^ ^ 6 . Alors vous direz: deux racines de six et trois quarts, de quel nombre est-ce la racine? Multipliez le deux par lui-méme, ce sera qua- tre. Multipliez cela par le numérateur total de six et trois quarts. 11 résul- tera cent huit. Divisez cela par le quatre, parce que ce qui complète la mul- tiplication des fractions c’est la division par les facteurs (des dénominateurs). Vous aurez pour résultat la racine de vingt sept, ce qui est le plus petit (des deux noms) (^^*). Quant à la division par un binóme , elle consiste à multiplier le divi- dendo par l’apotome du diviseur. (Appellons) ce qui en resulto , le produit du dividendo- Ensuite dépouillez chacun des deux noms du binóme; c’est à dire élevez au carré le nombre, et òtez le djim de celui qui lui est associò, retranchez le plus petit du plus grand, et divisez par le reste le produit du dividendo (****). Par exemple, si l’on vous dit: divisez quinze par trois et la racine de deux (^****), multipliez le dividendo par l’apotome du diviseur, lequel est trois n V'[6 -h K(27)] = V"{‘ìiVY- n 4-+- 4 -6. («*) 2. K(4). K(4)= 4^7). ™ m ^ m{p — y-q) p Vq — q (*****) Le binóme appartieni à l’espèce qu’ Euclide appelle « la qnatrième de deux nnms ». — 414 — moins la racine de deux. Vous aurez pour résultat quarante cinq moins la racine de quatre cent cinquante, ainsi: 45 moins . 450 Ensuite élevez au carré chacun des deux noms; ce sera neuf et deux. Re- tranchez le plus petit du plus grand; vous aurez pour reste sept. Divisez par cela la (quantité) dont on retranche, vous aurez pour résultat six et trois se- ptièmes- Réservez cela- Ensuite élevez au carré le sept , ce sera quarante neuf. Divisez par cela la (quantité) retranchée , c’est à dire ce qui suit le (( moins », après avoir décomposé le diviseur en sept et sept- Vous aurez la racine de neuf et un septième et deux septièmes d’un septième. Retran- chez cela de la (quantité) réservée, le résultat du problème sera: six et trois septièmes moins la racine de neuf et un septième et deux septièmes d’un septième (*), ainsi (**) ; 3 . . R - 6 moins . QUATRIÈME PARTIE. DE LA DÉTERMINATION DE L’ INCONNUE. CHAPITRE PREMIER. DES NOMBRES PROPORTIONNELS. (Des nombres proportionnels sont quatre nombres) tels que le rapport du premier au second est égal au rapport du troisième au quatrième; et (*) 15 Vi 15(3— r2) 3^ — 2 V. K(. .;-*!)■ (**) Il est peut-étre utile de faire observer que dans le texte manuscrit arabe l’expres- R 3 se trouve à gauche du mot « moins » et l’expression 6 à droite. C’est une Li 7 7 conséquence naturelle de la manière arabe d’écrire de droite à gauche. La méme observa- tion s’applique aux autres formules précédemment proposées, dans lesquelles deux expres- sions numériques sont séparées par une particule. — 415 — que le produit du second par le troisième est égal au produit du premier par le quatrième- Explication. (Prenons) le quatre, le six, le huit et le douze, ainsi: 12 8 A 6 A 4. Le rapport de quatre à six est deux tiers, et le repport de huit à douze de méme- Si un des deux (termes) extrémes est inconnu, formez le rectangle des deux (termes) moyens , et divisez le résultat par colui des deux (termes) extrémes qui est connu (*)• Et si un des deux (termes) moyens est incon- nu, formez le rectangle des deux (termes) extrémes, et divisez le résultat par colui des deux (termes) moyens qui est connu. Donc, si l’on vous dit: (on demando) une quantité (**) dont le tiers et le quart additionnés font quatre-vingt quatre; alors posez le nombre (don- né) , et placez avant ce (nombre) le dénominateur commun du tiers et du quart, lequel est douze. Ensuite additionnez le tiers et le quart de ce (dernier nombre); c’est sept. Mettez cela à la première place. Ges nombres seront donc comme il suit : I A 84 A 12 A 7 le quatrième (***) étant l’ inconnue. Multipliez le second par le troisième, vous aurez mille huit. Divisez ce résultat par le sept, vous obtiendrez la (quan- tilé) cherchée, à savoir cent quarante quatre. Telle est donc l’ inconnue; et la somme de son tiers et de son quart est quatre-vingt quatre. Et si V on vous dit : d’ une quantité on a retranché un quart et un (*) Littéralment ; « qui est trouvé, qui est présent». (**) Le mot arabe traduit ici par « quantité » est mài -, terme employé aussi par !es algébristes arabes pour désigner spéciaternent le carré de 1’ inconnue. Je signale ce détail pour taire remarquer que le mot mài n’est pas, comme on volt, employé exclusivement dans cette dernière acception. {***) Le symbole de ce quatrième nombre est dans le texte manuscrit arabe un djim que nous avons vu employé déjà dans la troisième partie de ce traité comme symbole de la racine, lenoni arabe de la racine, commencant par un djim, comme on fa fait observer ci-dessus. Quoi- que le mot « racine » [djidzr] soit employé par les algébristes arabes, aussi bien que le terme « chose » [chai], pour désigner la première puissance de finconnue, par opposition au carré etc. ; il y a lieu de croire que, dans le cas actuel, le djtm est finitiale du verbe arabe djahala qui signifie « ignoravit et d’où est dérivé le terme technique arabe madjhoùl qui désigne une quantité inconnue en général. C’est pourquoi ici le djim du texte arabe a été rendu par un I. 55 — 416 — cinquième , et il est reste soixante six ; alors posez le nombre (donne), et avant cela le dénominateur commun, qui est vingt. Ce qui en reste (*) est onze. Posez cela à la première place. Ce sera le dénominateur. Ainsi : 1 66 20 11. Ensuite multipliez le second, à savoir le vingt, par le troisième, à savoir le soixante six. Il resulterà mille trois cent vingt. Divisez cela par le onze; vous aurez cent vingt, ce qui est la (quantité) cherchée. CHAPITRE DEUXIÈME. DE l’opération avec les plateaux (**). Cette (opération) consiste à piacer le (nombre) connu au sommet {***) (de la figure) , à prendre ensuite pour chacun des deux plateaux le nombre que vous voudrez, à en prendre les parties (que Fon doit prendre) du nom- bre (cherché) , et à y comparer (****) le (nombre) place au sommet (de la figure). Si les parties sont égales à ce qui est au sommet , le nombre chercbé est i^celui qui se trouve) dans le plateau , et vous n’avez pas besoin d’opé- ration (ultérieure). Cornine si Fon vous dit: (on domande) une quantité dont le tiers et le quart additionnés tbnt quatorze , et que vous prenez pour le (nombre que vous placez dans le) plateau, vingt quatre. Si non , exarainez (ces quantités) ; et si la somme des parties est plus grande que ce qui est au sommet, placez la différence entre les deux (quantités) au-dessus du plateau (*****). Mais si les parties (additionnées) sont plus pe- (*) Après la soustraction d’un quart et d’un cinquième de vingt. (**) Ce noni vient d’une figure dont on se sert dans cette opération, et qui est for- mée, comme on le voit ci-après, de deux compartiments semblables aux deux plateaux d’une balance. On inscrit dans ces deux compartiments les deux valeurs supposées de l’inconnue qui sont les deux essais employés dans la règie des deux fausses positions. (***) Littéralement: sur la coupole. (****) Littéralement; opposer. (*****) Le Ms. de M. Reinaud internale ici le passage suivant : « Et si la différence de l’un des deux dépasse l’autre, » [je conjecture qu’il faut lire; Et si la différence de l’un des deux plateaux est par excès, et celle de l’autre par défaut, multipliez la différence de chaque plateau par ce qui se trouve dans l’autre plateau et] « divisez la somme des deux produits par la somme des deux difìérences. Vous aurez pour résultat la (quantité) cherchée ». 417 tites, placez la différence aa bas du plateau. Ensuite multipliez la différence de chaque plateau par ce qui se trouve dans Tautre plateau , retranchez le plus petit du plus grand des deux produits, et réservez le reste- Après cela retranchez la plus petite de la plus grande des deux différences , et divisez par ce qui reste la (quantité) réservée- Vous aurez pour résultat la (quantité) cherchée (*)• Par exemple, si l’on vous dit: (oh demando) ime quantité, dont le tiers et le quart additionnés font vingt et un- Posez le vingt et un au sommet, et prenez pour le premier plateau douze, et pour le second vingt quatre, ainsi : Ensuite comparez aux deux parties du douze le (nombre) qui se trouve au sommet (de la figure). Vous trouvez que la différence entre ces deux (quan- tités) est quatorze. Placez cela au-dessous du plateau- Ensuite faites de méme pour le second plateau- Vous trouverez comme différence entre les deux (quan- « Par exemple, si l’oii vous dit; (on demande) une quantité dont le tiers et le quart additionnés font vingt huit. Prenez pour le premier plateau douze, et pour le second soi- xante, et opérez d’ après ce qui précède. La différence du premier plateau sera vingt un , et cela par défaut; placez-le sous le (plateau). La différence du second (plateau) est sept , et cela par excès; placez-le au-dessus du plateau. Ensuite additionnez ce qui résulte de la multiplication [7. 12-h21. 60], vous aurez mille trois cent quarante quatre. Divisez cela par le somme des différences [7 + 21], vous aurez pour résultat la (quantité) cherchée. l savoir quarante huit. En voici la figure : 21 7 14 7 28 (*) Soit proposée l’équation et soient mx = a lìl^ = 2a] | . ni-(-2H-3 + 4h- _Hn=(wH-l) I . — 433 — par la moitié dii dix. Il resulterà cinquante cinq , ce qui est la ( somme ) cherchée. Quant à la sommation des carrés suivant l’ordre , la pratique de cette opération consiste à multiplier le résultat de la sommation (des nombres sim- ples) par deux tiers du (terme) jusq’ auquel (la suite) s’étend, plus un tiers d’une unite (*). Par exemple , si l’on vous dit : faites la somme (des carrés) depuis le carré de l’unité jusqu’au carré de dix, alors multipliez le résultat (de la som- niation des nombres simples), à savoir cinquante cinq, par sept, ce qui est (égal à) deux tiers de dix plus un tiers de l’unité. Vous aurez pour résultat trois cent quatre-vingt cinq, ce qui est la (somme) cherchée, ainsi : 385. Quant à l’élévation au cube d’après cette manière, elle consiste à élever au carré le résultat (de la sommation des nombres simples) (**). Par exemple , si l’on vous dit : faites la somme (des cubes) depuis le cube de l’unité jusqu’au cube de dix , multipliez le cinquante cinq par lui- inéme, il résultera trois mille vingt cinq : ainsi 3025. §• Quant à la sommation des nombres pairs suivant l’ordre, la pratique de cette opération consiste à ajouter au (terme) jusqu’auquel (la suite) s’étend, deux , et à multiplier la moitié de la somme par la moitié du terme jus - qu’auquel (la suite) s’étend (***). Par exemple, si l’on vous dit: faites la somme (des nombres pairs) de- puis deux jusqu’à dix, ajoutez au dix deux, ce sera douze. Multipliez-en la moitié par la moitié de dix. Vous aurez pour résultat trente, ce qui est la (somme) cherchée. Quant à l’élévation au carré d’après cette manière, elle consìste à mul- tiplier le resultar (de la sommation des nombres pairs simples) par deux tiers {*) 12+5'- -4-32-1- . (**) 13 -t- 23 -l- 33 4- ' =: (1 2 4- 3 ».( 2w n3 = (1 H- 2 -1- 3 2» 4- 2 3 W)2. 2 4-4-1-6 .n. — 434 ^ ( du terme ) jusqu’ auqdel ( la suite ) s’ étend , plus deux tiers d’ une unite (* *). Par exemple, si l’on vous dit: faites la somme (des carrés des nombres pairs) depuis le carré de deux jusqu’au carré de dix, alors multipliez le ré- sultat (que l’on vieni d’obtenir) à savoir trente, par deux liers de dix et deux tiers de l’unité; ce qui estseptetun tiers. Le résultat sera deux cent vingt; aitisi : 220. Quant à l’élévation au cube d’après cette manière, elle consiste à mul- tiplier le résultat (de la sommation des nombres pairs simples) par son dou- blé (*^). Par exemple, si l’on vous dit: faites la somme (des cubes des nombres pairs) depuis le cube de deux jusqu’au cube de dix , multipliez le résultat ( de la sommation des nombres pairs simples), à savoir trente, par son doublé, le- quel est soixante. Vons aurez poùr résultat mille huit cent, ainsi: 1800. S Quant à la sommation des nombres impairs suivant l’ordre, la pratique de celle opération consiste à ajouter au (terme,) jusqu’auquel (la suite) s’étend, une unité , et à élever au carré la moitié de la somme. Ce qu’ on obtient sera la (somme) cberché (^**). Par exemple, si l’on vous dit : faites la somme (des nombres impairs) depuis l’unité jusqu’au neuf, ajoulez au neuf une unité; ce sera dix, ce doni la moitié est cinq- Multipliez cela par lui-méme , vous aurez pour résultat vingt cinq, ce qui est la (somme) cherchée. Quant à l’élévation au carré d’après cette manière, elle consiste à mul- tiplier un sixième du (terme) jusqu’auquel la (suite) s’étend, par le rectangle des deux nombres qui le suivent (***'^). Par exemple, si l’on vous dit : faites la somme (des carrés des nombres impairs) depuis le carré de l’unité jusqu’au carré de neuf, multipliez un si- /2 2 \ [*) 22 -H 42 -f- 62 4- . . . .4- (2w)2 = (2 4 4- 6 -t- . . . . -i- 2w) 1 ^2w -+■ 3 j • (**) 23 -H 43 4- 63 4- ... -t- (2«)2 = (2 -t- 4 4- 6 -H ... -h2w). 2(2 4-4 n-6-t-...4-2w). {***} 14-34-5-4-... 4-(2w — J • 1 {****] 1'-'h-32-h52-h. . . .4-(2n— 1)2= — - — .2w. (2w -t- 1) . — 435 — xième de neuf, ce qui est un et un demi, pai' cent dix, ce qui est le résul- tat de la rnultiplication du dix par le onze. Vous aurez pour résultat cent soixante cinq, ce qui est la (somme) cherchée; ainsi : 165. Quant à Télévation au cube d’après cette manière, la pratique de cette opération consiste à multiplier la somme (des nombres impairs simples) par son doublé moins un (*). Par exemple, si l’on vous dit: faites la somme (des cubes des nombres impairs) depuis le cube de l’unité jusqu’aii cube de neuf; alors multipliez le résultat de la soinmation (des nombres impairs simples), à savoir vingt cinq, par son doublé moins un, à savoir quarante neuf Vous aurez pour résultat la (somme) cherchée, à savoir mille deux cent vingt cinq; ainsi : 1225. Ceci est la fin de ce que nous nous sommes proposé de dire sur cette ma- tière. Nous prions le Seigneur qu’ il en fasse profiter tous ceux qui s’en oc- cupent. Lui est le Maitre qui accorde l’assistance efficace. Louanges à Dieu, maitre de 1’ univers. Que la bénédiction divine soit sur notre seigneur Mo- hammed, le dernier et le plus parfait des prophètes et des apótres , sur sa famille et sur tous ses compagnons. n 13+33-4-53-4-...+(2n-l)3={H-3+SH-...M-(2n-l)([2.1iHH3+SH-...-|-(2n-l)(— 1], REMARQUE. Dans ime note au bas de la page 230 de la présente traduction, j’ai dit que, me trouvant absent de Paris , je n’avais pu collationner ma copie du texte d’Alkalcàdì avec le Ms. de la Ribliothèque Imperiale. Dupuis que cela a été imprimé, j’ai pu retourner à Paris et revoir la traduction des parties 2% 3% 4® et de la conclusion, avant le tirage, sur le Ms. de la B. 1. La comparaison de la 1’® partie, déjà tirée, avec la méme Ms. m’a tburni le sujet des observations suivantes. Pag. 231, 3® note. Tandis que le Ms. de M. Reinaud porte constamment safron (avec stri), le Ms. de la B. I. porte constamment cifron (avec càd). Pag. 236 lig. 24. Après l’exemple de la soustraction 72o-38C, le Ms. de la B. I. ajoute la glose marginale suivante : « Et, si vous voulez, commencez la soustraction par le dernier rang, et retrancbez » le trois (ìli sept. Vous aurez pour reste quatrc. Posez cela à la place du sept (*). Ensuite » retrancbez le buit de quarante deux. Vous aurez pour reste trente quatre. Après cela re- » tranchez le six de ce qui se trouve au-dessus du (six). Vous aurez pour reste trois cent » trente neuf, ce qui est le (résultat) cberché». Dans l’exemple suivant le nombre dont on retrancbe est, dans le Ms. delaB. I., 9702 au lieu de S702, et par conséquent, le reste S724 au lieu de 1724. {*) Le ms. porle « neuf » au lieu de « sept » ce qui parali n’étre qu’une erreur de copisle. — 436 Pag. 240, lig. 15, L’exeraple 304x75020 appartieni en effet à la « multiplication in- clinée » , cornine je l’avais supposé. Ce passage forme dans le Ms. de la B. I. le dernier des exeniples relatifs à la « multiplication inclinée », et s’y Irouve placé à la suite de l’e- xemple 582x9736. Le texte du Ms. de la B. I. confirme également l’intercalation conjecturale que j’ ai faite dans ce passage (lig. 19); « Après cela faites reculer le multiplicande [de deux rangs, multipliez-le] tout entier par qualre, etc. «; si ce n’est que le Ms. de la B. I. ajoute en- core « tout entier » après «le multiplicande», ce qui ne chnnge en rien le sens de la phrase. Pag. 244, lig. 12. Après les mots: « Puis additionnez les résultats », le Ms. de la B. I. ajoute : « à savoir ce qui se trouve entre les diagonales ». Dans la première ligne de l’ alinéa qui suit le tableau de la multiplication de 342 par 534, au lieu de « dans le carré ». le Ms. de la B. 1. porte « dans la moitié du carré »; et dans l’avant dernière ligne du mérae alinéa : « ce qui se trouve entre les diagonales », au lieu de « ce qui se trouve entre les lignes de séparation ». Ces lecons du Ms. de la B. I. soni préférables à celles que reproduit la traduction. Pag. 246, lig. 2. Dans le passage « Ajoutons encore à ce chapitre plusieurs règles fondamentales doni on peut se contenter dans un certain nombre de cas », le Ms. de la B. I. offre deux variantes. Au lieu de « ajoutons » il porte: « mentionnons séparément », ou « en particulier » et dans une glose marginale; « présentons » ; et au lieu de ; « dont on peut se contenter », il porte: « auxquelles on a recours ». La règie du méme paragraphe , relative au nombre cinq (lig. 9) est concue dans le texte du Ms. de la B. I. comme il suit: « Pour multiplier un nombre quelconque par cinq, prenez la moitié de son produit par dix (’ikd), c’est à dire, faites-le précéder d’un zèro, et prenez la moitié du résultat ». Pag. 247, lig. 14. A la règie de la multiplication par dix le Ms. de la B. I. ajoute l’exeraple suivant: « Par exemple, si l’on vous dit: multipliez quatorze par dix, dites; le re- sultai est cent quarante ». Dans la règie de la multiplication par douze (lig. 25), au lieu de: « mais de manière que les unités du troisième correspondent aux dizaines des denx autres»,il faut lire: «mais de manière que les unités du troisième se trouvent sous les dizaines des deux autres «, ce qui du reste, quant au sens de la règie, est la méme chose. Pag. 249, lig. 10. Aux mots; « Après cela vous faites reculer le diviseur » le Ms. de la B. I. ajoute: « d’un rang ». Ibid. lig. 22. Au lieu de « seize » le Ms. de la B. I. porte « six ». Pag 250, lig. 21. Au lieu de: « faites-en une fraction ayant pour dénominateur le divi- seur », il faut lire avec le Ms. de la B, L: « dénommez le (reste) d’apres le (diviseur) ». Pag. 251, lig. 11. Après les mots: «en tirant entre les deux une ligne », le Ms. de la B. I. ajoute; « ce sera trois huitièmes ». Ibid., lig. 18. Après les mots; « et divisez » le Ms. de la B. I. ajoute « d’abord ». Ibid., lig. 20. Après la fin de ce paragaphe ou trouve, dans le Ms. de la B. I., le passage suivant; « Et, si vous voulez, divisez le dividendo tout entier par le diviseur tout entier. Po- » sez donc le quinze sous le soixante treize. Ensuile cherchez un nombre que vous mnl- » tiplierez par le diviseur, et qui laissera un reste plus petit que le diviseur. Vous trou- » verez que c’est quatre , et vous aurez pour reste treize. Posez cela au-dessus de la li- » gne. Après cela faites reculer le diviseur d’ un rang , et cherchez un nombre que vous » mulliplierez pareillement par le (diviseur). Vous trouverez neuf, et vous aurez pour reste » un. Placez cela de nouveau au-dessus de la ligne. Puis faites de nouveau reculer le di- » viseur, et cherchez un nombre que vous raultiplierez par le (diviseur). Vous trouverez — 437 — » que c’est un. Vous avez maintenant pour résultat quatre ccnt quatre-vingt onze, co qui » est le (nombre) cherché » (*). « Et si l’on vous, dit: divisez quatre-vingt onze mille deux cent soixante quatre par n cent vingt quatre, posez cela ainsi : 9 12 6 4 1 2 4 • et que le diviseur se trouve au-dessus de neuf cent douze. La ligne inférieure commen- » cera au-dessous du quatre (en allant) vers la droite. Ensuite cherchez un nombre que vous » placerez sous la première place du diviseur, que vous multiplierez par le (diviseur) tout entier, et qui anéantira le dividende, ou en laissera un reste plus petit que le diviseur. » Vous trouverez que c’est sept, et vous aurez pour reste quarante quatre. Posez cela au- » dessus de la ligne. Après cela faites reculer le diviseur d’un rang, et cherchez un nombre » que vous multiplierez pareillement parie (diviseur). Vous trouverez que c’est trois, etvous f aurez pour reste soixante quatorze. Puis faites reculer de nouveau le dividende, corame pré- » cédemment. Le résultat sera sept cent trente six , ce qui est le (nombre) cherché (**) ; » ainsi: 736 ». « Et, sivousvoulezjdécomposez le diviseur danssesfacteurs, lesquels sont quatre et trente » un. Ensuite divisez d’abord par le quatre. Il résultera vingt deux mille huit cent seize. » Divisez ce résultat de nouveau par le trente un; vous aurez pour résultat sept cent trente » six, ce qui est le (nombre) cherché ». . Ceci vous servirà de règie ». Pag. 263, lignes 6 et 12, et note 1®''®. Le Ms. de la B. I. ajoute dans ces deux endroits au mot « parties » l’adjectif « sourdes » ou « inarticulées », c’est à dire; les parties ou les fractions c[ui ne peuvent pas s’articuler, s’énoncer au raoyen des nombres de deux jusq’à dix corame dénominateurs. Le sens reste le méme. Ibid., lig. 7. Au lieu de : « Si le nombre est impair; on le réduit par neuf », le Ms. de la B. I. porte; « Si le nombre est impair, on le réduit seulement par neuf et par sept ». Ibid., lig. 11-12 et 14-lS. Les passages « et corame cinq cent trente neuf pareil- lement », et c pour le nombre deux cent trente neuf pareillement », raanquent dans le Ms. de la B. I. (*) 13 1 7 3 6 5 1 5 1 5 1 5 4 9 l {**) 7 4 4 4 9 12 6 4 1 2 4 12 4 1 2 4 — 438 — Pag. 254, lig. 9. Au lieu de; « Et si Ton vous dit », le Ms. de la B. I. porte: « Il en est de méme de l’opération pour le nombre impair, si ce n’est qu’il n’a point de sixième. Par exeraple, si l’on vous dit ». Pag. 255, lig. 3. La conclusion: « dono le nombre proposé a un quart », se trouve dans le Ms. de la B. I. Pag. 257, lig. 11. Après les mots: « il résulte quatre », le Ms. de la B. I. ajoute; « et il reste cinq. Posez cela au-dessus du huit, et ». Pag. 258, 259 et 260. Le Ms. de la B. I. donne aux trois houimes, dans le trois tableaux, uniformément les noms; Zaid, Amroù et Beqr. Pag. 259, lig. 3. Le Ms. de la B. I. ajoute: « il résultera ce qui lui est dù ». Pag. 263, lig. 24, et note 4^ LeMs. de laB. I. confirme complètement la lecon adoptée ici. — 439 — CORRISPONDENZE Fu comunicato il dispaccio dell’Emo. e Rmo. sig. Cardinale Altieri, Ca- merlingo di S. R. Chiesa e Protettore dell' accademia , col quale si faceva noto, che S. Santità nella udienza del 7 maggio, 1859 degnavasi accordare, secondo la istanza fatta dai Lincei, che da trenta sino a quaranta si accrescesse il numero dei corrispondenti loro italiani, e da cinquanta sino a settanta quello dei corrispondenti stranieri. Il sig- principe D. B. Boncompagni, presentò una copia dcH’opera inti- tolata (( La composizione dei mondo di Ristoro d’ Arezzo » testo italiano del 1282j pubblicato da Enrico Narducci^ Roma tipografia delle scienze ma- tematiche e fisiche, via Lata, n.“ 211, MDCCCLIX in 8.° di pag. LXXXlI-347. Per questa pubblicazione, molto gradita dall’ accademia, il sig. Narducci si ebbe dalla medesima parole d’ incoraggiamento, a proseguire nella utile ri- cerca delle antiche opere inedite italiane. Il prof. Volpicelli riflette non essere altro l’opera indicata di Ristoro d’Arez- zo, fuorché un trattato di fisica universale, un Cosmos del decimoterzo secolo, scritto come a queU’epoca si poteva, ma con molta semplicità, e senza preten- sione. Sì fatto libro non solo interessa coloro ohe ricercano la storia dei primi vagiti delle scienze naturali, e del progresso loro fra noi; ma eziandio richiama l’attenzione degli archeologi, ed in particolar modo quella dei letterati, che amano rintracciare le fonti della pura nostra lingua. In fatto di scienze naturali è da notare che Ristoro parla della virtù direttrice posseduta dal magnete , dicendo « Vangola (1’ ago magnetico) che guida i marinari , che per la virtù del cielo , è tratta e rivolta alla stella la quale è chiamata tramontana. » Questa direzione magnetica , già canosciuta in Europa nel secolo decimo secondo , viene oggi spiegata invece per una virtù della terra, e non del cielo : così le naturali dottrine riformandosi pro- grediscono ; e se Ristoro tornasse fra noi preferirebbe anch’esso questa me- desima spiegazione a quella da lui professata. Anche Dante, che fu contemporaneo di Ristoro, parla dell’ago magne- tico ; però il suo dire non trovasi punto discorde colle dottrine presentemente adottate a spiegare la causa della direzione dell’ ago medesimo. Questo di- vino poeta, nel canto XII del paradiso, a questo modo si esprime : 58 440 — Del cuor deiruna delle luci nuove Si mosse voce, che l’ago alla stella Parer mi fece in volgermi al suo dove ; Qui Alighieri non dà la causa della direzione dell’ ago magnetico, ma solo riferisce 1’ effetto suo ; cioè che l’ago si volge alla stella polare , frase che anche oggi nell’ordinario linguaggio fìsico è ben detta. Il nostro filosofo poeta per quel suo giusto criterio, si astenne dal dire co’ suoi contemporanei, che la causa di quella direzione consisteva in una virtù residente nella stella o nel cielo, come Ristoro disse, contro le attuali cognizioni sul magnetismo ter- restre. Non è perciò impossibile che Dante , fosse nulla o poco soddisfatto della spiegazione all’epoea sua tenuta per l’indicato fenomeno ; quindi sebbene il concetto di quella terzina gli si offrisse favorevole, a fargli toccare la causa della direzione dell’ago da bussola, egli tuttavia non se ’l permise; ma in- vece toccò solo dell’effetto, cioè del volgersi l’ago alla stella. Questo brano della divina commedia è uno di que’ tanti di essa , che mostrano l’ammi- rabile sagacia , colla quale il sommo autore della medesima seppe trattare anche gli argomenti di scienze naturali, a dispetto degli errori •^Bi^minanti all’ epoca sua ; per modo che ad onta del volgere dei secoli , quell’ aureo poema non si trova in opposizione quasi mai colle moderne fìsiche dottrine- li prof. Volpicelli presentò a nome del sig. Pentland una carta, pubbli- cata dall’ ammiragliato inglese, la quale offre i risultamenti delle numerose osservazioni magnetiche, fatte dalla marina brittannica. Questa carta è il risultamento di un grandissimo lavoro dal sig. Evans, attualmente capo dei diversi osservatorj magnetici, posti sotto la direzione dell’ Hydrophical Office. La carta medesima rappresenta i valori dedotti da tutte le osservazioni, tanto degli officiali della marina brittannica, quanto de- gli altri paesi sopra la declinazione al 13 gennaio 1858. Il sig. Evans ha già pubblicato molte carte magnetiche di varie parti del globo; però questa offre il riassunto generale di tutte le osservazioni esatte sulla declinazione, che si possedevano all’epoca indicata, e presenta un grande interesse scientifico nel mostrare, sotto una forma grafica, lo stato delle nostre cognizioni sul valore della declinazione ad un epoca determinata : sarà essa di una utilità con- siderevole per la navigazione. — 441 — L’accademia delle scienze dell’istituto di Bologna, col mezzo del suo se- gretario perpetuo sig. prof. D. Piani, ringrazia per gli atti de’ Nuovi Lincei giunti alla medesima. L’ accademia riunitasi legalmente all’una pomeridiana , si sciolse dopo due ore di seduta. Soci ordinari ‘presenti a questa sessione. P. Volpicelli. — 0. Astolfi. — C. Maggiorani. — P- Sanguinetti. — S. Proja- — V. Latini — 1. Calandrelli. — L. Giulfa. — F. Nardi. — C. Se- reni. — A. Secchi. — G. B. Pianciani. — A. Coppi. — N- Cavalieri S- B. . — P. Carpi. — B. Tortolini. — B. Boncompagni. Pubblicato il 27 novembre 1859 P. V. OPERE TENUTE IN DONO Giornale del Gabinetto letterario delV Accademia Gioenia. Fase. l.° - Gemi febr. 1859. Bisposta del prof. Giusto Bellavitis all' apologia del prof. Bartolomeo Bizio sulla dottrina fisico-chimica. Padova, 1859, un fase, in 8.° Sulla importanza della veterinaria in Toscana- Memoria di S. Biconi- Firen- ze 1859; un fase, in 8.° Sul regime delle acque del progettato canale marittimo di Suez , e dei laghi amari interposti. Memoria dell' ingegnere Elia Bombardini- Milano 1859; un fase, in 4." Memorie dell’ Accademia delle scienze dell Istituto di Bologna- Tomo IX, fase. 2." Bologna 1859. Attti deir I- B- Istituto Lombardo di scienze , lettere , ed arti ; voi- 1 , fase. XIII-XIV. Memorie dell’ I. B- Istituto suddetto- Voi. VII, fase. VIL — 442 — Comptes Conti resi delV Accademia delle scienze dell' Istituto di Francia; in corrente. La Composizione del mondo di Ristoro d' Arezzo^ testo italiano del 1282, pub- blicato da Enrico Narducci. Roma 1859 in 8.® [Presentato da D. Baldas- sarre Boncompagni). — 443 ~ DEL XII VOLUME (1858-59) MEMORIE E COMUNICAZIONI Prof- R. P. Angelo Secchi, socio ordinario, e membro del camitato - Osservazioni sulla cometa Donati, fatte alV osservatorio del collegio romano pag. 1 Prof. D. Ignazio Calandrelli, socio ordinario, ed astronomo - Appen- dice alle ricerche sopra i movimenti propini di Sirio. ... » 15-61 Prof. cav. Benedetto Viale, socio ordinario, e membro del comitato - Sulla Calothrix Janthipbora rinvenuta in alcune acque idrosolforose.)) 26 Prof. Paolo Volpicelli , socio ordinario , e segretario - Sidla legge di Mariotte, sopra un congegno nuovo per dimostrarla, e su varie appli- cazioni di essa . » 28-76-276 Prof. Giuseppe Ponzi , socio ordinario , e vice segretario - Nota sulle correnti di lava scoperte dal taglio della ferrovia di Albano. . )) 113 Prof. B. P- Angelo Secchi - Quadro fisico del sistema solare. . . » 118 Prof. Pietro Sanguinetti, socio ordinario - Florae romanae prodromus, et caetera » 119-181 Prof. Paolo Volpicelli - Sidla polarità elettrostatica, quarta comunica- zione. ....)) 143 Prof. Nicola Cavalieri S. B., socio ordinario, e membro del comitato - Intorno alle curve piane che possono essere comprese nella superficie del cono » 173 Prof. B. P. Angelo Secchi - Descrizione di un anemografo eretto all'os- servatorio del collegio romano. . . , » 205 Prof. Paolo Volpicelli - Descrizione di un nuovo anemometrografo, e sua teorica. » 208 Dott- Buggero Farri, socio aggiunto - Descrizione di un meccanismo elei- — m — tro-dinamicO) a far conoscere istantaneamente, ed a qualunque distanza rattezza deWacqua di un fiume- . - - , » 227 F- WoEPCKE , socio corrispondente straniero - Recherches. sur plusieurs ouvrages de Léonard de Pise, découverts et publiés par M. le prince Balthasar Boncoaipagni, et sur les rapports qui existent antre ces ouvrages, et les travaux mathématiques des Arabes- 230-399 Dott. Ruggero Farri - Sopra alcuni fenomeni d' interferenze sonore- » 297 Conte Domenico Paoli - Quattro lettere postume sulla causa degli antichi ghiacciai; pubblicate dal prof Volpicelli- •••....» 303 Prof. Paolo Volpicelli, Formule pel cangiamento che nelle dimensioni ma- teriali avviene, cangiando la temperatura ; ed applicazioni delle me- desime- • . . . 349 Prof. D- Ignazio Calandrelli - Occultazione di Saturno, osservata nella pontificia specola della romana università, nella sera del giorno 8 mag- gio 1859- . » 383 COMUNICAZIONI Sopra una memoria delV ingegnere idraulico sig- P- Paleocapx - Comuni- cazione del prof- C- Sereni, socio ordinario- 43 Suir opera del sig- prof cav- M- Medici intitolata « Compendio storico della scuola anatomica di Bologna ecc- » Sunto del sig. prof, cav- Rudel » id. Comunicazione di acustica del sig- ab- cav- prof Zantedesciii- - . » 50 Comunicazione del prof. Volpicelli su alcune sperienze moderne di fisica- » 52 Volpicelli comunica un dono fatto da S- Santità. » 99 Prof- Proia D. Salvatore socio ordinario - Sopra alcune delle più rare opere degli antichi Lincei, le quali si trovano nella biblioteca Lan- cisiana di S- Spirito- - . - » 100 li sig. Principe D- Baldassarre Boncompagni, socio ordinario, bibliote- cario ed archivista, - Invia uno scritto del sig. Woepecke. . . » 104 Il medesimo ~ Invia un esemplare delV opera da esso pubblicata , e che s'intitola: Scritti inediti del P. D. Pietro Possali ecc. . • » id- Volpicelli - Necrologia del dot- Agostino Cappello » 105 Lettera dell'astronomo sig. De Gasparis, corrispondente italiano, al prof P. Volpicelli. » 164 — 445 — Siiir opera intitolata « Cours de plujsiqne expérimentale » del sig. F. Marcet, fisico di Ginevra - Comunicazione del prof . P. Volpicelu.)) 164 Sid dizionario biografico del sig. Poggendorff - Comunicazione del prof. P. Volpicelu- . . )> 165 Perfezionamenti arrecati al barometrografo - modifcazione della pila di Danieli - polarizzazione della luce lunare. Del R. P. A. Secchi.)) 291 Igrometro elettrico - pile secche nel vuoto - del prof. P. Volpicelli. « id. Ringraziamento di Monsignor Nardi . . » id. Si deplora la perdita fatta per la morte del R- P. Antonluigi Ferrarini membro ordinario, e del prof. Michele cav- Medici membro corrispon- dente italiano 374 Invito fatto dal sig. presidente. . » 375 Osservazioni magnetiche del R. P. A. Secchi. •.....• » id. Osservazioni elettrostatiche del prof P. Volpicelli- ...... id. COMMISSIOINI Rapporto - Sul metodo del pittore sig. Ferdinando Diamantini per di- pingere a smalto sul vetro. ......... w 109 )) Sul processo chimico del prof Mondo, per la conservazione del legname. w 168 » Sopra una forma di tegole per le coperture dei tetti, proposta dal sig. F. Negri- 222 )) Sopra un sapone diafano, ed una vernice celere a pennello, del sig. Angelo Farri. . . . » id. » Sopra un nuovo metodo per estrarre Valcool daWasfodelo, pro- posto dal sig. F. Gentil- - » 292 )) Sul Planaltomelro del sig. ah- A. Marucchi » 379 CORRISPONDENZE Ringraziamento dei signori prof^ C- Despretz, e generai E- Sabine. » 54 VI, e R istituto lombardo dì scienze lettere , ed arti. • . . . » id. Il municipio di Bologna id. L'associazione Brittannica per V avanzamento delle scienze- ...» id. Il sig. prof D. Piani- \d. -> 446 — Il sig. prof. Eug. Sismonda- ...» .55 Bingraziamento della R- Accademia delle scienze di Madrid. . . » id. Lettera del sig. principe D. B. BoNcoMPAGiyi » id. Il segretario generale delV accademia delle scienze lettere., ed arti., degli Ze- lanti di Aci -REALE » id. Il sig. Guglielmo Siiarswood di Filadelfia- ........ id. Il sig. prof, cav- V- Flauti- - » 56 Il sig- Cav. Giu. Calsada- » id. Lettera delVEmo. e Rmo. sig. Cardinale Altieri per la conferma sovrana del presidente. » 110 Ringraziamento della R- accademia delle scienze di Copenaghen. . » id. » della R. Accademia di Amsterdam. . . . . . » 168 Il sig- Antonio Berardi. » id. Ringraziamento della R. Accademia delle scienze di Brusselle . . » id. Il prof- Cavalieri, S. B. presenta parecchie opere delV ingegnere sig. Elia Lombardini. ................. 168 La istituzione Smitsoniana in Washinton » 223 Ringraziamento della R. accademia delle scienze di Stockolm- . . » id. L'accademia delle scienze dell'istituto di Bologna ringrazia. ...» id. Programma inviato dalla R. accademia delle scienze di Modena. . » id. Il prof. Volpicelli presenta in dono, da parte dell’autore, Vopera del sig- R. I. Merchi soN, intitolata Siluri a. . - » id. La R. accademia Peloritana ringrazia- .......... 224 Memorie inviate dalla R. accademia di Modena. » id. L'accademia medico-chirurgica di Ferrara. » id. Ringraziamento del sig. V- Latini. » 294 Lettera del sig. prof. Cav. Gio. B- Amici » id. Dispaccio dell'Emo. e Rmo. principe sig- Cardinale Altieri. . . » id. Ringraziamento della R- accademia delle scienze deU'istituto di Bologna.)) id. L'accademia Peloritana di scienze lettere ed arti ringrazia. ...» id. Morte del sig. Cav. Carlo Maria Giuseppe Despine » id. Morte del corrispondente straniero sig. W. Bond. ....... id. I signori professori Brighenti, Purgotti, e Marcet » 295 Annali dell'osservatorio fisico centrale di Russia, donati per ordine di S- E. il sig- de Brock , ministro delle finanze » 380 Ringraziamento del sig. prof. Kupffer » id. _ 447 — Dono del medesimo » 380 Ringraziamento della R. accademia delle scienze di Monaco. . . . » id. Dispaccio delVEmo. e Rmo. sig. Cardinale Altieri, contenente Vapprova- zione sovrana per Vaumento de' soci corrispondenti )> 439 Il sig. principe D- R. Boncompagni presenta in dono una copia della Com- posizione del Mondo di Ristoro d' Arezzo, pubblicata dal sig. Enrico Narducci. id. Il prof- VoLPicELLi comunica delle osservazioni relative a quest'opera del secolo decimoterzo. • id. Il medesimo presentò a nome del sig. Pentland una carta di osserva- zioni magnetiche dell' ammiragliato inglese . » 440 Ringraziamento dell'accademia delle scienze deiristitiito di Bologna. » id. COMITATO SECRETO Conferma del sig. duca Massimo nella carica di presidente. ...» 56 Nomina di Monsignor Nardi a membro ordinario- - » 169 Nomina del sig. V- Latini a membro ordinario. ....... id. Nomina di una commissione per l'esame del consuntivo del 1858. • » 170 Si propone di aumentare il numero de' corrispondenti, tanto italiani, quanto stranieri. » 224 Si approva tanto il consuntivo del 1858, quanto il preventivo del 1859.» 380 Soci ordinari presenti a questa sessione. » 56-1 10-170-224-295-380-44 1 Opere venute in dono- ....... 57-111-171-225-295-380-441 Errori e correzioni- » 112-448 59 ERRORI CORREZIONI pag. lin. 29 19 forma » 25 questo 38 30 dalla data 39 16 e la 43 16 dei brani » 25 incarciata 44 18 di pubblico 33 8 Caudolle ì> 17 brevememe )) 19 urgano « 28 apere » 31 corpi 54 3 appurato 55 4 medssimo » 17 Sharwood » 19 conoscere » 24 Sharwood » » tal gemma 76 8 combinazione 97 14 ricominciò 107 12 pubbticato 211 23 Rappresenta L forza queste data dalla e lo dei bracci incaricata publico Candolle brevemente organo apre corpi apparato medesimo Sharswood conoscere Sharswood sai gemma combinazione ricominciò pubblicato Rappresenta Q. IMPRIMATUR Fr. Th. M. Larco 0. P. S. P. A. M. Socius IMPRIMATUR Fr. A. Ligi Bussi Ord. Min. Conv. Archiep. !con. Vicesgereus. - - i ?l •V‘ ■ -^-fwwm'- w ■<■ ; • " ’'' ^iK^:' - .v:;ii^^ 'J 1^:- '■^M :V., ‘^v - .■i '!..#.Vi*-;:‘ T ; :-m-'4' : 48 ■ ' ->& ', /'-'A.; ■' ■ m .:.i> '- a <•> ^ ^ ‘■tpf i r.afe VrM“' ' :ìi < ^-, . ■•4 . ■ft»l; l-' ^ -, . - ;;, >,«,-, JS?S .-CL®, _ ; •■■ ‘7' ^ . ', i , - Vf,*^.. . ■ ,, tfT' ■} . ' -r- ' ■ . %.'jr.to'-::: ^ ' V' ^ ‘ ■ . ■ ’ W- a- ■»ÌM& " : >. L. '■ /i^i . V . :-r .■■■.#' ■ Sii: ..i .1i| .«;.''i’..i^i. - •■' ■':■" /•’HHft.wi.*.!' .'^r.' ii».' ,., '}. .', / . ,f ' ':' :' » V'U'" ^■r -<■■ ■'V w-”' ■■, '' fX0i ■f Ur: :i:'" • t* m 4. , vf i'ii^" ■#*95 '■*'''■■■’»'¥■' ■ J,.f », :■ ■■fW4 m éw ‘ ■ 'M'^ ■;;r r0-J'-t^ ' ■ •• il .i;- * • t ■ f • •■< » . , ■ ' ^ ■ ■ -1^ » 0r^jC 14 ■" . ,, W- '. : 4-M^r 4É;r-f^^^4 44.' ■